Skip to main content

Full text of "La Lettura; rivista mensile del Corriere della sera"

See other formats


art 


■ 

■W 


SI 


f7|, 


& 


m 


"  7V-# 


Presented  io  the 

LIBRARY  ofthe 

UNIVERSITY  OF  TORONTO 

frani 

the  estate  of 

GIORGIO  BANDIN1 


LA 


LETTVRA 

RIVISTA-MENSILE 

Corriere-della5era 


DIRETTO  RE-G-G1  ACOSA 


ANNO1902 


•AJLAMO-VIAPVZRRI-H-14- 


I  In    del  </'•//.(  Seri. 


INDICE  GENERALE  DEliliE  MATERIE 


SCRITTI    ORIGINALI 


Antropologia  e  psicologia. 


LOMBROSO   C. 

non   hanno 

LOMBROSO  P. 


Perchè  i  criminali  di  genio 

il  tipo 

I  difetti  dei  due  sessi 


PATRIZI  :   La  velocità  degli  atti  psichici 


Pag 

407 
781 

H85 


Biografia. 

GÌ  VCOSA  i.  :   Emilio  Zola     ...              .     .     .  11174 

NmNATI:    Gaetano  Negri 769 

SIMON1:    Ferravilla 773 

Geografia  e  viaggi. 

Alla    Martinica      916 

C1PRIANI:  L'esploratore  Casati 327 

CROCI:   Sul  Vesuvio 1056 

DE  AMICIS:  Il  sogno  di  Rio  Janeiro  1065 

C.   P.  :    La  Martinica 529 

PALADINI  :   L'isola  del  Re 415 

QUARTARA:    La  buca  del  Corno     .  984 

SOLITRO:  La  penisola  di  Sirmione     ....  610 

ROSSI:    Attorno  a  Starnbùl 968 

Letteratura  ed  arte. 

ALBERTA/.ZI  :  In  romanzo  per  Lucrezia  Bui 

già 809 

ANGELI:    Per  un   palazzo 715 

BELTRAMI:   L'arte  nuova  all'Esposizione  di 

Torino        599 

»            Memorie  di  architettura  del  Ri- 
nascimento a   Milano 230 

CROCI  :   La  portentosa  chiave  di  Bacone    .  106 
GABRIELI  :  Il  vino  e  la  poesia  del  vino  pres 

gli    Arabi 237 

GrACOSA  G.  :  Emilio  Zola    .    .  1074 
»             11  monumento  al  Principe  Ami 

deo        516 

LI  ZIO:  Il  primo  amore  di  Ippolito  Nievo  .     .  487 
MALAGUZZI  VALERI:   Archi  trionfali  del  Ri 

nascimento       589 

MEDIN:  La  morte  del  Re  buono  nei  poeti  del 

popolo      698 

MELANI  :   I  campanili  medioevali  in  Italia  391 

»          Storia  di  un  campanile 815 

NOVATI:  Il  passato  di  Meflstofele    .  .18 

P.  :  La  sala  delle  Asse  nel  castello  di  Milano  .  521 

RICCI  :  Il  campanile  di  San  Marco 705 

»        Macchiette  e  macchierelle    ....  1090 

RUBETTI  :  Victor  Hugo  disegnatore         .     .  336 

SALVAGNINI:    Villa   Borghese      .     .  316 

SIMONI:   Ferravilla 773 


Pan 

I  III  iVEZ  :  Olbrìch  e  la  colonia  di  Darmstadt     .  I 

IN     ITALIANO    RICONOSCENTE:    Tre    poeti 

stranieri  amici  dell'Italia 704 

\  ORLUN1  :  Il  museo  artistico  industriale  di  Na- 
poli         993 


Medicina        Igiene. 
BOCCIONI:    Gli   alimenti   falsificati 


130 


Novelle        Bozzetti 


Romanzi 


Drammatica. 


BARZINI  :   Il  Baqueano 1081 

BERMANI  :  Cantoniera  in  Maremma    ...      865 

BOOTHBY:  Addio  Nikola!...  f.  VI.  VII,  Vili.  IX.  X,  XI 

»  In   strana    compagnia    .      fase.  XI,  XII 

CERVANTES:    Cornelia fase.   IV,  V 

DE  AMICIS:   Divorzio  d'anime 290 

DEI.EDDA:   Il  battesimo  d'Adamo  ...         306-385 
DOSTOJEWSKI  :   Un  fanciullo  eroe      fascic.   IL  III 

EVANGELISTI:  Andrea 686-801. 

FOGAZZARO:    Il    ritratto   mascherato     ...      193 
GORKI  :   Il  Khan  e  suo  Aglio     ....     fascic.   II 

»       Sasubrina        »        II 

KOROLENKO  :  Di  notte    ....  1 

OJETTI  :  La  Messa  di  Natale 481 

PANZINI:  Lo  sciopero  della  gloria  584 

ROVETTA:    Casta    Diva        25-97-201 

TERESAH  :    Il   cappottino   grigio  997 

Storia  naturale. 

BOCCARA:    La    Fata  Morgana  881 

FERRERÒ:  Il  giardino  zoologico  di  New  York      500 
GIACOSAP.  :    La  Mandragora 212 


Storia 


Usi        Costumi. 


8 

:,iu, 

33 

673 
430 


219 
908 


BERTARF.LLI-CAROZZI  :   Nella  vechia  Milano 
CROCI  :    L'incoronazione  di  Re  Edoardo     . 

D'ANCONA:  La  Toscana  nel  1799 

LUZIO:  Il  processo  Pellico-Maroncelli     .     . 
MOI.MENTI:   L'origine  dei  giornali 
MOSCA:  La  municipalizzazione  dei   pane  a 
Palermo  nei  secoli  XVII  e  XVI II              .     . 
»         La  nuova  opera  di  Guglielmo  Fer- 
rerò       

NEGRI:  La  battaglia  di  Abba  Garima 

PRAUN:  L'apertura  delle  tombe  imperiali  999 

X    X.  :  Gli  ordini  religiosi 136 

Opere  pubbliche. 

BIANCHI:   Il  più  gran  tunnel  del   n fto  40 

TURBINI'!  LI  :   Le  ferrovie  elettriche  Valtelli- 

884 

La  posta  elettrica  'H'>1 


nesi 


rojsie. 


Romanzi  e  novelle. 


1 1  wii  \m  aa  lampada  pompeiana     . 

GI<  »nGII  111  i  UN  I  HI     la  log 
\i>  iSCHINi       i  risiano  •■  Isotta 

i  .liti  i  <  a  1  rarii  i  ioan  i  .    .     98 1 

m  i.iii     i  imi  della  culla  .    -    101 

i  .imi  del  ritorno  .    .     878 

NOVA!    •    I    irhusto.  Imi talita,  Franz  Schu- 

I    Notte  16 

Itaria  BOB 

S  wti1'  >]■  del  campanile  < i ■  S. 

Varie. 

(  IPRl  VS1     M  trucchi 

CONTI:  (  ,1  ni.ii Il  i  arrar  i 

DE  AMICIS  :  La  mia  i  577 

GAVIANI:  Dumonl  il* 

i.mii     i  francobolli  nella  lotta  uaglo  boera  .     493 
1 1  \  i  \  \  :  La  misura  298 

ROVETTA    V'ita  e  gloria  del  Guerin  Meschino 
SCHERILLO:    L'uso  della  camicia  nei  secoli 

v\    ■    w  32S 


BI  BLIOGRAFIE 


Arte. 


Frani  Malaguzzi  \  alei  i  719       Pica    i  ,- 

720  1007        Rici  i  347  -    Tumiati 


l  ampi  rtico  819 


Biografia 
Mazzini      16 

Filosofia. 


E   ni.   246      '     Lombroso  1 19  100*       Mari  he  ini 
\  mirili  51  —  Platone  246  —  Rozan  51. 


Geografia  e  viaggi. 


i  ,.ii.i  .[via   1008 


i  orni  naco  819        Ojetti  34' 


Letteratura  e  critica. 

i  in. uni  344        i    ii  dm  i  i  »3.r>       i  esaivo  imi , 
n  1005  —  Cremonini  1005       Federami  nios  — 
Gian)  145  —  Giannini  51  —  Ma/, 
/nielli  |ih«<     Muraioli  50—  Pacano  245  —  Panzacchi 
Pavollni  1004  —  Pellizzaro  .".:>  —  Polinnia  620 
Si  hlpa  ■•  i        forraca  135 


i 


\ 


Medicina.   -  -  Igiene. 


Musica. 


Poesia. 


li.   i  ìsìo  si:  _  (inni  his  -  i  ■ 
Mancini  719  —  Mai  ianl   346 

i  \  i. 


Psicologia. 


Pao 

Mi  !43       Brocchi   .".;       Capuana  lira  — 

"  —  Dadone  133      Deledda  718      Dlotallevl 

817       Foè  US      Gatti  ti:      ki  144      Kipling  49 

Mi  rie  147       Menasci  1004       Norsa  718       (  ■ 
U20        Pirandello  243        Rod  ?18       Sauvin  tit  — 
Li,  ii-  i.i  long  718       Térésab  345       Vanzl  Mussini 
345-     Venturini  134  -    Verni    nm;        Zoppis  19 
/ li  1003 

Scienze. 

Giglio-Tos  52  —  Giovannozzi  622        Loforti    1008 

Sociologia  e  politica. 

B i ili  818—  Chimlentl  347  —  Loria    1007 

Mej  ni.  r  623  —  Pierson  149  —  Poggio! ini  623  -  sin. 
gè  150  —  Tolstoj  819  —  Zi. pin.Ia  246 

Storia 

Irla  Bertolinl  547        Bragagn 

i  appelletti  ^47    -  conti  346      Errerà  51       Felli 

i  136—  Frali  sin       Giani  436—  La  Giovine  Italia 
621  —  l.oevmsi.ii  346  -  Raulich  819       Rompe!  148 
Siotto  436       Vismara  437, 


i  uirailiiii   unii; 


Teatro. 
Franchete 
Varie. 


Viratili   53  -     Barnabal  53    -     Brofferio   820 
Broussolle    !48        Fumagalli   624        Mellerio  54  - 

\l. .nalili   li.'i  l'eli-ai    ,'ts  Hai,,    :»7  Interstei- 

ner  53. 

RIVISTA    DELLE    RIVISTE 


Archeologia. 


I    megaliti    della    Bretagna      .... 

La  grande  scoperta  archeologica  nel  Fon  tt. 
mano  .    , 

Arti. 


365 


: 


Vrazzi  e  gobelins 

i   1 1  ii  aturistì  americani UH 

i  .une  lavora  uno  scultore     ...  1031 
Francesca  da  Rimini  e  i  Polentami 

Falsificazioni  artistiche    ....  1137 

(Ili   alfiesi-hi  ih  Bramante  842 

L'arte    assira  !^> 

I     arie  ili    ill|,|li  ■-  il  e    ri,      il  : !•.•! 

l.a  casa  della  bambola 

■  :      i  '  i ,  i  V  l  i       ...  ... 

La  donna  nell'arto  veneziana    . 

i  e  braccia  della  Venere  di  Milo 

L'ideale  femminile  ne!  Rinascimento  i:" 

Nuove  porcellane  nordiche   ...  660 

Per  la  difesa  di  Roma  ... 

Salome  nell'arte  •    • 

Un'oasi  liane 

Astronomia. 

intoi no  alle  eclissi  

i  uà  notte  con  un  astronomo 

Una  nuova  stella I1M 

Geografia  e  viaggi.        Osi  e  costumi. 

ìi,   i  e  in   un  giorno 
mazla  


Gli  eroi  del  Niagara 

Idoli  e    idolatri      •     •     • 

H   i  .invento  dei    Mechitansli    nell  isola    Sai 

Lazzaro  presso  Venezia 

Il   siro  del  mondo  per  5   soldi 

Il  golfo  di   Napoli 

Il  sultanato  dei  Migiurtini    ... 

In  bicicletta  nel  Madagascar 

I  negri  in  America 

I  popoli  nei  loro  idoli 

La   città  della  birra 

La  città  rotolante 

La  Corea 

La  pesca  del  tonno 

La  posta  in  tutti  i  tempi 

L'aria   delinquente 

La  scoperta  d'una  necropoli 

La  tratta  dei  negri 

Le  esplorazioni  polari 

Le  tragedie  dell'oro 

Lhassa.  la  Roma  del  Thibet 

Nel  mondo  dei  fumatori 

Nel  paese  dei  Califfi 

Per  trovar  marito 

Sulla  montagna 

Una  città  sui  trampoli 

Un  lago  che  scompare 

Una  metropoli  originale 

Verso  il  Polo 

Vita  medioevale  inglese 


Pag. 
558 
960 

79 
735 
440 

57 
1052 

67 
1048 
643 
544 
189 
667 
631 
634 
822 
731 
547 

83 

468 

63 

1042 

1023 

1123 

844 

354 
1134 

955 

641 


Letteratura. 


Canti  d'amore 

Curiosità  dei  mondo  epistolare 
Dietro  le  piste  'li  un  circo 
Francesca  da  Rimini  ••  i   Polentani 
1  risaltati  di  un'inchiesta  poetica 
La  biblioteca  di  Giosuè  Carducci 
La  nostra  lingua  nel  Piata    .     .     . 
Shakespeare  o  Bacone  '...... 


Giornalismo. 


66 
379 


Donne   giornaliste 

I  giornali  giapponesi 

I  più  vecchi  giornali  francesi *] 

Guerra  e  marina. 

Collesercito  di  Menelik 6497~ 

Cose   di   marina J™ 

Duelli  studenteschi •*!' 

I  drammi  del  mare 1(^ 

II  più  potente  cannone *7J 


In  lotta  col  mare 


831 


La  cavalleria  d'acciaio imJ 

La  fine  delle  grandi  corazzate     ....  9U 

La  marina  inglese  e  giapponese          ....  w~-* 

L'automobilismo  sottomarino 7*< 

Le  truppe  alpine  svizzere 

Pescatori  di  tesori 


Invenzioni  e  scoperte. 

Corriere  scientifico 

Fabbricatori  di  santi 

Fra  i  camini 

I  barilotti  galleggianti -    •    ■ 

II  contributo  dell'Italia  al  progresso  del  secolo 

NIX 

Il  latte  in  polvere 

Il  petrolio  sostituito  al  carbone 

Il  pianoforte  che  scrive 

Il  principio  meccanico  del  volo 

La  corazza  di  seta •    •    • 

La  fabbrica  dell'oro  nel  paese  dello  zio  Sam  . 

La  fotografìa  del  moto 

La  fotografia  dei  lampi 

L'armoniografo      

La  materia  è  viva  ? 

La  pittura  alla  locusta 

Le    campane 

Le  case  che  si  muovono 

Le  frodi  fotografiche 

L'ultima  scoperta  scientifica 

Monete    false 

Nel  cuore  di  un  temporale 

Una  fabbrica  di  aereostati 

Un  cavo  sottomarino 

Voci  artificiali 


Pag. 

353 
367 
151 
.'.62 
576 
653 
89 


Medicina  ed  igiene. 


Bagni  di  mare  e  nuoto     .     .     . 
Chinirgia  animalesca  ... 

Forza  e  salute 

Ginnastica   e    salute 

Giuoco  e  forza 

Il  bimbo  in  fasce  e  la  sua  culla 

I   mestieri  pericolosi 

I  popoli  a  tavola 

La  bellezza  per  mezzo  del  riposo     .... 

La  cura  del  moto 

La  guarigione  del  cancro 

La  luce  che  guarisce 

La    Nuovaiorchite 

La  sieroterapia  della  febbre  tifoidea    .     .     . 

La  temperatura  dei  beoni 

L'influsso  dell'alcool  sull'organismo  umano 

L'ospedale  della   bellezza 

Per  la  vita  umana 

Si  può  guarire  dalla  vecchiezza? 


750 


1120 


Mode. 

Come  nascono  le  mode 
Gli  artifizi  della  toeletta 

I  cappelli  di  Panama 

II  cappello  a  cilindro 

Il  re  della  moda  e  dell'eleganza 

Intorno  a  un  costume 

La  bellezza,  arte  e  martirio  .... 
L'uniforme  dei  deputati  in  1- rancia 
Stoffe  antiche    ... 

Toilettes    new   style 
Università  di  barbieri 

Opere  pubbliche. 


849 

1036 
855 
382 

1106 
364 

1122 
368 
726 
•257 
262 
370 
85 
77 

W17 
477 
539 
371 
261 


556 
927 
478 
747 
654 
721 
550 
59 
657 
475 


550 
471 
464 
753 

178 

922 

355 

1136 

449 

61 

249 

570 

254 

574 

1111 

1106 

470 

1025 

729 

924 

760 

737 

748 

186 

1046 


Fra  le  ferrovie „■,»,., 

I  nuovi  lavori  di  sbarramento  del  Nilo 

Le  ferrovie  bizzarre 

L'istmo  di  Panama 

Un  miracolo  di  ingegneria 


Politica  e  storia  contemporanea. 


Come  trionferà  l'Inghilterra 

Il  nuovo  profeta  dei  Mormoni 

I  Russi  in  Asia     ... 

L'avvenire  dei  popoli  di  lingua  inglese 

Le  atrocità  americane 

Polacchi  contro  prussiani 


Psicologia. 


Perchè  si  piange 

Vi  sono  fanciulli  di  genio  ' 

Ritratti,  profili  e  aneddoti  biografici. 

Come  si  arricchì  Chamberlain 

Emilio  Zola  sul  tavolo  anatomico    .    .     .     ■ 

Gli  occhiali  di  Bismarck    .... 

La  vera  «  Signora  di  Monza  ■       

l'esordio   letterario   di   Leone    rolstoi      . 
L'eroica  milanese  capostipite  di  sei  dinastie 
Nel  centenario  di  Augusto  Comte    .    .    . 


541 

348 

821 

456 

72 


78 
367 
671 
•259 
730 
380 


Ì.Y.' 

959 


89 

479 

178 

286 

1009 

93 


Pdfl 

l'irti:  i  CI!    I  SI 

Scienze  occnlte. 

i 
i  ricordi  spiritici  di  uno  Bclenzial 

Nel  i  929 

ite  1139 

\.  165 

69 

Sociologia. 

Il  in  femminista  nel  mondo  75 

i  l   I  dei  linciaggio  90 

nlmali 

I  e  i  ili-nna    ...  .62 

ivr  di  ;  delinquenti 

ladri    ...  

!    ragazzi  di         3  Uniti  362 

Statistica. 


Pag 

i  "un    mini  uhi  gli  animali     ...  263 

Pra  gli  smizzi |024 

Fra  i  microbi 
Fra  i  pinguini   . 
i    i  i  ragni    . 

«•Il    animali   scomunicati 

i  cani  agenti  ili  polizia 

i  cani  delle  praterie  1103 

i  iiiiiusanri N5 

Il  gran   serpente  di  mare     .     .  86 

li  \  leggio  d'una  goccia  d'acqua    . 

i  pesci  dorati 

li  morale  della  vita  degli  animali    .  94] 

La  previsione  del  tempo :i~4 

I  e  bizzarre  forme  dei  flocchi  di  neve  .    .  191 

I.e  code 

Le  orme  degli  animali  .    .  746 

Leoni   domestici 

Le  piccole  meraviglie  il. 'ila  natura 

Le  scimmie  a  tavola 180 

abissi  del  mare  imo 

Pappagalli  ammaestrati 
Sanimi'    alldlio 

Imi  pianta  carnivora 

Teatro. 


...      183 

.    .    .  liti 

(ili   alberghi   svizzeri  11  li 

(.li  uomini  pin  ricchi  del  mondo  379 

i.r.iinii  uomini  e  uomini  grandi    .  .                .477 

:                  una  guerra  361 

lo   mezzn  al  ghiaccio  953 

La  diminuzione  della  popolazione  .    .         561 

la  produzione  del  carbon  fossile  185 

L'avvenire  dell'oro 168 

i      i'    -  in:.; 

I                       i  sugli  esami  1144 

Storia 

Fra                        ne  .625 

l    filibustieri  171 

il  principio  di  Montecarlo    .    .  1040 

I  prigionieri  dello  Spielberg  in  luce  austriaca  .     537 

La  cu  930 

La  Corona  ferrea  1^', 

I  a   l  561 

e   pirati    a   \l  767 

Storia  naturale 

Annua],  v<  li  nOBl  .     .      554 

Arti  e  mestieri  nel  regni  delle  bestie  944 

Bolle  di  sapone  e  bolle  d'aria  459 

Che  cosa  contiene  l'uomo 853 

ioni.                 iti  -1  trasformano  in  brillanti    .      169 


I  drammi  di  Sada  Jacco 

II  teatro  all'aria  aperta 


375 

923 


Varietà. 


Danze  sacre  e  profane B27 

I  balocchi  e  la  loro  origine    ...  .174 

I  cani  poliziotti 949 

t  circhi  del  Nuovo  Mondo    ...  463 

I  francdbolli  preziosi    ...  !  106 

II  linguaggio  dei  vagabondi     ...  i>47 

Il   prezzo  dei  topi 747 

Il  tabacco  e  gli  scacchi  rispetto  alla  civiltà  85 

In  un  circo  equestre 90 

I   più  grandi  macelli  del  mondo    .         .  1018 

La  donna  pompiere 444 

L'amore  dei  fiori 556 

L'aquila  di  Savoia     .    . 

L'arte  della  fuga   . 273 

La  scuola  delle  mogli 563 

Le  principesse  disponibili  73 

Libri    costosi 95 

L'università  mussulmana 

Mascelle  forti 

Nella  patria  delle  bistecche    .  1105 

Pasticcerie   regali 75» 

Per  la  fortuna  .    .                     uà 

Quanto  costa  un  cucchiaio  di  legno    .  948 

Tra  furti  e  scassi *<50 

Un  archivio  fotografico  a  Parigi   .  361 

Un  seminario  di  domestici    .  66 

Tra  i  pompieri 


Ammo-II 


NVM-I 


•La  Lettura- 


Gennaio 


RIVS7A-AVEN5ILE- 
DEL-(pRRIE.RE.- 
^j  PELLAGRA" 


•  19OP 


Olbrieh  e  la  Colonia  di  Darmstadt 


->v» 


redo  che  il  battito  del  cuore  non  abbia  la- 
sciato prender  sonno  al  mio  amico  archi- 
tetto la  notte  che  precedette  il  nostro  ar- 
rivo a  Darmstadt.  Da  giorni  e  giorni  gli  leggevo  ne- 
gli  occhi  l'assiduo  pensiero. 

Né  la  Alte  e  la  Neue  Pinacolek  di  Monaco,  :iè  le 
squisitezze  barocche  dello  Zwinger  di  Dresda,  né 
le  lusinghe  umane  della  Friedrichstrasse  a  Berlino, 
ne  i  pensosi  castelli  del  Reno  avevano  potuto  at- 
tutire la  sua  malcelata  impazienza.  Ed  egli  .  che 
aveva  girato  mezzo  mondo,  provava  ora  ad  un 
tratto  un'improvvisa  nostalgia  della  patria,  un  bi- 
sogno urgente  di  rivederla.  Ed  io  pensavo  soiri 
derido  che  Darmstadt  e  l'esposizione  della  sjia 
Kiinstler-Kolonie  erano  sulla  via  del  ritorno. 

La  sera  era  bella.  11  treno  correva  veloce  tra  le 
pinete  e  i  prati  dell'Assia.  Francoforte,  la  città 
magnifica,  e  l'affollata  Zeil,  e  il  delizioso  Palmeti- 
garten,  e  le  torme  di  misses  vestite  di  bianco  e  di  ri  >a 
ritornanti  colla  racchetta  in  pugno  dai  tennis  su- 
burbani,  e  la  lunga  fila  delle  carrozze  reduci  dalle 
corse,  erano  scomparsi  come  un  sogno,  l'n  fulgido 
cielo  di  smeraldo  fiammeggiava  sulle  nere  sagome 
dei  casolari  fumanti,  sulle  linee  ondulate  di  umili 
colline  profilate  all'orizzonte.  Le  nere  barbe  dei 
pini,  le  fogliuzze  degli  ontani,  gli  steli  rigidi  dei 
canneti  si  intagliavano  nitidissimi  in  quel  chiarore: 
la  poesia  tenera  e  grave  della  sera  sulla  campagna 
scacciava  le  immagini  mondane  della  febbrile  esi- 
stenza cittadina.  Ma  l'amico  architetto  non  pareva 
accorgersene,  assorto  nel  suo  pensiero.  E  a  un  punto 
alzò  il  capo,  e  disse:  «  Sei  certo  che  ci  avrà  asj 
tati,    Olbrich?  ». 

La  Lettura. 


V'era  da  un  lato  nel  compartimento  una  coppia 
di  sposi  elegantissimi,  di  quegli  strani  Tedeschi  fatti 
Americani,  che  parlano  tedesco  con  spiccato  accento 
inglese,  e  nei  quali  il  carattere  teutonico  originario 
appare  travolto  e  trasformato  dalla  magica  potenza 
assimilatrice  della  razza  angle  sassone  Idia  era  bel- 
lissima, e,  come  avvolta  in  una  odorosa  nuvola  di 
trine  candide  ,  la  sua  persona  agile  e  felina  vi  si 
agitava  con  un'irrequietezza  morbosa,  profonden- 
dosi nelle  più  terribili  moine  di  cui  sia  capace  l'au- 
dacia di  una  sposa  inglese  per  esasperare  i  nervi 
dei  compagni  di  viaggio.  E  dal  Iato  opposto  del 
compartimento  un'altra  coppia  di  sposi  sembrava 
posta  dal  destino  umorista  a  procurare  una  COmpa 
i.i/ ione  etnografica:  il  professore  cinquantenne  bar- 
buto e  panciuto,  scapigliato  e  trascuralo  negli  abiti. 
che  ha  sposato  la  ragazza  trentenne,  povera,  non 
bulla  e  inelegante,  per  cui  non  ha  ohe  rari  sguardi 
e  modi  i.iic  premure.  I.  costei  guardava  con  occhi 
infinitamente  tristi  quella  fastosa  eleganza  d'oltre 
oceano  e  quell'audace  ardore  voluttuoso,  e  bev 
col  pciic  .  ppresso  dall'invidia  quel  profumo  di  vio- 
letta bianca  e  di   amore... 

Ma  l'amico  architetto  non  aveva  occhi  per  la  psi- 
cologia. Anzi  disse  con  un  sorriso  di  compatimento 
sprezzante:  «  Questa  gente  ci  ascolta  parlare  di  01- 
brich  e  nuli  mostra  nemmeno  di  accorgersi  ili  que- 
sto nome:  essa  non  immagina  nemmeno  'li  passare 
accanto  ad  un  uomo  e  ad  un'opera  dai  quali  prende 
inizio  un  nuovo  periodo  della  storia  dell'arte...  » 

L'improvvisa  fermata  interruppe  le  sue  m;din- 
ennie.   Fa  1 1  trovai  -:  ad  mi  tratto  piombati 

dall'animazione  fa-'1  1  rano  [    ''e  nella  tran- 


LA    LETTURA 


-l*m,T-vn*nt 


^  p 


^sBL-m-i 


Casa  di  lavoro  della  Colonia  di  Darmstadt 


quillità  morta  'li  quella  cittadina  ili  provincia.  Cam 
minavamo  malinconicamente  sotto  gli  arsi  fanali 
«li  un  viale  deserto,  quando  mi  sentii  afferrare  ira 
provvisamente  il  braccio.  «  Guarda!  »  mi  ■  liss< •  la 
un  lampo  negli  occhi. 
Una  strìscia  ili  carta  <-ra  appiccicata  al  muro;  e 
su  di  essa  era  scritto  in  caratteri  stilizzati:   All'I 

«  Olbrich!  i  ri  ili  Olbrich!  Ha  :  Uto 

tutto!  •. 

Ed  ii>  sorrisi  i  ido  l'unghia  del  leone  an 

che  in  quell'umile  avvisi     E   salendo   le  scale  del 
l'albergo  ed  affacciandomi   alla    finestra  della  mia 
camera  e  guardando  oscure  massi-  di  verde  e  con 
fuse  linei-  ili  edifizì  ignoti,  mi  domandai:   Qual'è 
dunque  il   fascino  ili  quest'uomo  ch'è  riuscito  a  far 
attuari' ila  un  granduca  tedesco  del  XX  secolo  un  so 
no   ili   un    principe  del    Rinascimento?   Ma 
la   domanda    rimaneva    senza    risposta.    Un'ala    ili 
vento   frusciò  nel    fogliame,  e  da   lungi   giunse  un 
fievole  suono  ili  hainla  cogli  ultimi  accordi  dell'ow- 
■■cTtiiTc  del   Tannhàuser. 


Il    giovine    granduca     Ernesto   Luigi    ili    Assia 
dt  ha  dimostrato  ai  suoi  colleglli  e  parenti 
mezzo   I"   con  nato  euro- 
peo), che,  malgrado  i  progressi  dell' id  sia. 
resta  ad  un  principe  qualchi                  più   nobile  e 
<li  più  utile  da  compiere  che  non  sia  il  mettere  la 
sabbia  a                     m  nistri,  i  |ua  Ichi   o    a  che  nes- 
sun presidente  ili  repubblica,  nessuna  assemblea   le 
tiva,  strumenti  immediati  e                   dei  desi- 
deri '■  delle  idee  della  moltitudine,  possono  fare:  ha 
un;     i  Ionia  'li  artisti  :   | 
chife        e  ori                       ori  e  resel 

nelle   sci  nui    .    ';ra 

ualchi  dum       pei   de  •  rari-  il 
qualche  altro.    Mo  :   il  prim  i] 
per  ila\  \  •  avuto  uno  sgu 

più  acuto  ili  quello  d'un  qualunque  assesson    del 
lizia  urbana.  Kgli  ha  dir 

-ori-  della  più  bella  delle  due 
copii  una  del  borgomastro   Meyer .    ili 

1 1    bein     1 1  i  chiamato   nella   sua 

nel  più  I "•'     :''  ■  della 


un  ampio  terreno  ad  un  affitto  irrisorio  di  qualche 
centesimo  al  metro  quadrato,  e  non  ha  imposto  loro 
.iltm  obbligo  se  non  ili  risiedervi  e  ili  lavora 

Grazie  a  questo  sogno  ili  poeta,  che  sarà   seni 
brato  pazzesco  e  che  avrà  fatto  fremere  ili  indigna- 
zione ogni  anima  borghese  o  socialista,  Darmstadt 
è  divenuta  quest'anno  la  Mecca  degli  studiosi,  e  cen 
tinaia  ili  migliaia  ili  persone  hanno  imparato  ilalla 
esposizione    delle    dimore    della    Kiinstler-Kolonit 
pili  scienza  estetica  che  non  in  dieci  anni  ili   il 
guarnenti >  teoretico  impartito  nelle   università  pop. 
lari    0  governative. 

Josef  Olbrich  architetto,  Peter  Behrens  pittore, 
Hans   Christiansen    pittore,    l'ani    Biirck   disegna- 
tore, Ludwig  Habich  scultore,  Patriz  Huber  deco- 
ratore,   Rudolp    Bosselt   bronzista  e  gioielliere,   so 
no  gli  artisti  chiamati  dal  grandui  a 

Ma  l'anima  «lì  inno  ;•  stato  Joseph  Olbrich,  il 
giovanissima  architetto  viennese,  il  più  vivace  ram- 
pollo della  scuola  <li  Dito  Wagner,  elle  in  |H*-hi 
anni  di' multiforme  attività  ha  messo  a  rumore  il 
campo  dell'architettura  e  quello  della   decorai 

■  oli  audacie  decorative,  bizzarre,  discutibili,  impro- 
I  rie   magari,    ma    improntali'   ili    una    originalità    ili 
concepimento  e  <li  ima  genialità  'li  elaborazione  che 
non  hanno  uguali  nel  campo  'lei  rinnovamento  t 
tiro  moderno. 

Il    viennese  Olbrich,  chiamato  a    Darmstadt   dal 

granduca,  cadde    rome    una    bomba    nel    pacifico 

campo  dell'arti    tedesca.    In  poco   più  il' un   anno 

sette    palazzine,   alle' quali    vennero    ad    aggiun 

i    quella    detta    ilei    principe    e    destinata    ad 

■  spitare    i   laboratori  degli   artisti,   e  due  app 
mini  al    fabbricante   ili  mollili   Gluskert ,    noi 

li  Spielhaus,  la  Blumenliaus  e  il  Gebàude  far  die 
Flàchekunst,  mumt'  .innate  ili  lutto  punto,  e  per 
la  massima  parte  su  piani  dell'OIbrich,  il  quali 

segnò  tutio:    architettura,    ili razione   esterna  '-'l 

mi'  ma.  mollili,  utensili,  stoffe,  inferriate,  cancelli, 
giardini,  aiuole,  cartelli,  libri;  e  nel  mese  di  mas 
.'mimi  la  pittoresca  colonia  era  aperta  al  pub 
blico,  riunì-  esposizione  'li  ambienti  domestici  pre 
sentati,  per  i-osi  dire,  nella  loro  vita! 

t 'he  rosa  non  se  i"    disse  "i  Germania!  •■  S 
ionie  la  chiamano?  mi  diceva  un  arguto  architetto 
della  "    'hia  scuola:  la   Vafren  Austellung;  l'espo 
dizione  dei  pazzi  > 

\1  i    i    fedeschi    sono  un    popolo  ragionatore  e-'  e- 


SALA  DELLA  i  OLONIA  DI   DARMSTADT  ALL'ESPOSIZIONE  I»I  PARIGI. 


LA    LETTURA 


i m  In r it  i  campioni  del  ci 

ch'era  un 
ed  un  documento  della 


pazienza  salivari 

! ripide  \  ii   'Iella  i 

■  il.i  colonia,  curiosi  'li  vedere  nel 
■  \  ìdamente   studiate   ni  III-   ripn  - 

Ielle   ri \  isti-  '.    1 1    sole  era  cal- 
ili montagna,  l'i  i 


La  pa  na  dall'I  i forma 

ed  i  gnuna  'li  ■  sse  o inti  neva  un  cartellone 
I»  r  richia  bbricanti  'li  cose  in  stile  moder- 

no, i    llone  era  dipinti  i  su  tela  dal 

brich  e  dal  (    n    tiansen     i  li    i  uole  che  si 

iii   -li     - 1 1 .  \ ain ;  lungo  il  re- 
cinto, disegnate  pur  dall'Olbrich,  a  combinazione  di 

metrichi    nello  stile  a  lui  cari  '.  erano 
|"  ni i    ni  una  gamma  'li   fieri  a  masse  ili  colori  puri 
intensissimi  resse  e  turchino  sul    fondo  verde  del- 
rba,  d'un     '    ••■    originaliss    ni    i    I»  Dissimo. 
I       tcciammo  innanzi  an  dopo 


Huber:  Studio  per  un  camino. 


ba  fluttuava  al  sole.    \";.  salivamo  Ira  villini  e 

mi  |»-r  la  ri | > i  della  collina.  Ed  eccoci 

all'ine  al  sommi  .  sulla  MafhildenhOhe,  in  un  pi 

prati  e  'li  albi  ni  dell'in- 

5]  ■  isizione   ci   arrisen  i    in    fondi  i   a  ille 
il  babilonese, 
un   pan  ssismo  'li  i 
i am ■  dalle  larghe  lim-e  ri- 
ni  111  di  Paul   Hurek  ehi-  ne 
fianchi  e   rappresi  ntai         l 

iitclleltualc  i    ' 
arielli  alti  dalla  superba  'aria  <lri  vini 

illustrata     dal     Hurek     all'opuscolo    i  rat  ivo 

dal    Behrens     I 

I  una  ili  - 


eravamo  sul  sommo  del  poggio  dov'è  stata  '"strutta 
la   Ernst-Ludwighaus,   la    casa    detta  del    prim 
ma  'In-  in  realta  espila  i  laboratori  degli  artisti. 

Ina  larga  scalea  a  mattoni  smaltati  gialli  e  tur 
chini  saliva  all'ampio  arco  della  porta,  E  dai  due 
lati   sorgevano  due  colossali    figure  ili  pietra 
naria,  l'Uomo  e  la  Donna,  opere  ili  Habich,  i 
eui  larghezza  sintetica  rivive  veramente  la  serenità 
diosa  dei  '"lessi  egizi. 

I  i'i  las  ìù  la   coli  mia   ci   appariva   dissi  minata  ai 
piedi    Uni    stuolo  di  casette  sorgeva  attorno 
fra  i  giardini  in  fiore.  Ecco  a  sinistra  la  casa  del 
l'Olbrichj  a  destra  quella  del  Christiansen ;  più  ol- 
basso    luelle  del  Deiterz  i  del  Keller,  quella 
tutta  del  ]  l.il'i'li .  la  bizzarra  Halle 

fùt  die  Flache  Kunst,  I"  Sfitlhai  t,  le  dui 


LA  GRAXDE  HALL.  CQN  VISTA  DELLA  -ALA   DA   PRANZO. 


<l 


LA   LI   l'I  l  R  \ 


juella  >ii  Peter  Behn  ns 
\i  «  I  ii  la  festa  dei 

_       i.  sse  e  iddi, 

.  .  le    asse  delle  piante 

-in  muri,  <  rami  dipinte  in  rosso  vivo;   le  porte  ili 

,:     fianchi  i  porta    della 

1 1   -  mpegg  avano  d'oro  sul  candore 

villa  In  ti '<<•//,  la  «  i  !asa  delle  rose  • 


forme  e  di  quei  colori,  e  il  tentativo,  per  |uanl 
guale  nei  suoi  risultati,  discutibile  nei  particolari, 
eccessivo  talora  ili  audacia,  conquistava  con  un  fa- 
scino  di  simpatia  e  ili  forza,  ili  ingegno  e  ili  fan- 
i.  ili  abilità  e  di  stile  Lontane  colline  boscose 
e  azzurrine  cingevano  l'orizzonte,  veniva  un  caldo 
profumo  'li  fieni  falciati  .sull'aria  pura  e  punge 
il  cielo  brillava:   pareva   veramente  una  primavera 


Lavabo. 


sotto  la  limpida  sferza 

dalle   Comici   ili    le- 

>lentemente  in  ros  ■  t,  dai  mi 

urchini  del  bon 

_  ardino  fiammeggia- 
udaci  opposizioni  d 
luri  puri.  Un'ilari  un    Impeto  di  sangue 

vante  pei 

rima   di  '|'!<  Ut- 


ili   forme  sona    improvvisa   nella   primavera 

natura. 

* 
*   * 

Ma  Joseph  Olbrich  ci  veniva  incontro.  L'archi- 
tetto ormai  famoso,  spauracchio  ili  tutti  nM  archi- 
tetti di  scuola,  l'uomo  che  ci  era  staio  dipinto  come 
il  semidio  onnipossente  di  Darmstadt,  il  prodigioso 
re  ili  quasi  tutta  quella  enorme  somma  ili  la- 
voro, i-i  apparvi   nella  f<  rma  ili  un  giovinotto  tren 


OLBRICH    K    LA    COL<  'MA    hi    DARMSTADT 


/ 


tenne,  tarchiato  e  floride,  tranquillo  e  sorridente.  I 
suoi  guanti  candidi,  i  calzoni  bianchi,  le  scarpette 
bianche,  in  quell'ora  mattutina,  facevano  sbarrar 
tanto  d'occhi  ai  bonari  visitatori  del  contado.  Ma 
bene  spesso  un  sussurro  si  elevava  al  suo  passaggio 
e  qualche  voce  diceva  con  vivacità  soffocata:  01- 
bricli  kommtl  Olbrich  viene!  ed  egli  passava  fra 
la  folla  divisa,  con  un  sorriso  felice,  non  senza  una 
'•erta  olimpica  serenità   sul   volto. 

Sotto  la  sua  guida  procedemmo  alla  visita.  Le 
casette  completamente  mobiliate  ed  arredate  erano 
visibili  dal  soffitto  alle  cantine  e  la  folla  non  ne  ri- 
sparmiava il  minimo  angolo.  Per  la  massima  parte 
i  disegni  della  decorazione  interna,  dei  mobili,  delle 
stoffe,  dei  ricami,  degli  arredi  sono  dellOlbrich  : 
in  minor  parte  del  Behrens,  del  Christiansen.  di  1 
Huber  ;  e  come  noi  domandavamo  sorpresi  quanti  i 
tempo  avesse  richiesto  la  creazione  della  colonia, 
egli  rispose  con  un  olimpico  sorriso:  «  Quattordici 
mesi.  In  quattordici  mesi  abbiamo  fatto  tutto:  di- 
segni  ed   esecuzione  ». 

—  Non  siete  stanco?  —  disse  l'amico  architetto 
che  guardava  con  una  certa  invidia  quella  solidità 
di  costruzione  umana. 

—  Punto,  rispose  Olbrich  col  più  dolce  dei  suoi 
sorrisi:  ho  il  lavoro  così  facile  ! 

La  somma  del  lavoro  e  l'unità  dell'indirizzo  sono 
le  caratteristiche  che  più  colpirono  chi  visitò  quella 
memorabile  esposizione.  Per  quanto  si  possa  discu- 
tere quello  che  si  può  oramai  chiamare  lo  stile  del- 
l'Olbrich.  bisogna  riconoscere  ch'egli  lo  ha  applicato 
con  una  logica,  con  un'energia,  e  con  una  ingegno- 
sità che  ispirano  rispetto  ed  ammirazione. 

Come  descrivere  quell'  interminabile  sequela  di 
stanze,  dì  mobili,  di  arredi  ?  In  quella  ricerca  della 
forma  nuova  in  ogni  minimo  particolare,  l'Olbrich 
e  i  suoi  colleghi  hanno  profuso  una  grande  somma 
d'ingegno,  ma  soprattutto  tesori  di  volontà.  E  se  le 
forme  non  appagano  sempre,  tesori  di  colore  vi  sono 
accolti,  armonie,  audacie,  trovate  da  esaltare  l'ani- 
ma di  qualunque  pittore  abbia  il  senso  della  bel- 
lezza decorativa.  Per  questo  rispetto,  Darmstadt  se- 
gnerà veramente  una  data  memorabile  nella  storia 
dell'arte. 

Quante  soste  dinanzi  all'ingegnosità  di  una  ma- 
niglia, la  dolcezza  di  una  vetrata,  il  fascino  di  un 
tappeto,  la  sontuosità  di  un  mosaico,  l'invito  sug 
gestivo  di   una   finestra   sporgente! 

Pi  divertivamo  a  osservare  la  folla:   la  pente  del 


pop  tic  guardava  ci  n  curiosità  benevola,  disposta  a 
imparare:  i  piccoli  borghesi  ammiravano  il  luss. >: 
la  borghesia  colta,  esperta  in  Louis  XV  e  Empire, 
torceva  la  bocca:  i  gàm  verriickt  «roba  da  pazzi». 
e  gli  erscheckL  hi  -  spaventoso  »,  erano  frequenti. 
Ma  Olbrich  narrava:  «  In  tre  mesi:  duecentomila 
I  i  rsone,  e  centomila  marchi  di  vendile.     ». 

E   parlando  ci   avviammo    verso   la   Blùmeji, 
la  casa  dei  fiori.  Attorno  ad  un   bacino  dove  le  im- 
mense foglie  della  Victoria  regia  galleggiavano  sul- 
l'acqua, in  nicchie  illuminate  dall'alto,  i  fiori  erano 
disposti    non    secondo    l'anarchica   mescolanza  cara 
ai  nostri  giardinieri,  ma  per  masse  di  colore  con  una 
sapiente  ingegnosità  decorativa;  e  come  era  il  mi 
dei  gigli,  la   casa  raggiava  di   un  candore  virg 
rialzato  da  note   di   fiori  violacei. 

Ma  la  sorpresa  maggiore  ci  attendeva  al  risi 
te.  Nel  poetico  spiazzo  dei  platani,  nel  Platanenhain, 
le  sedie  tinte  in  rosso  facevano  una  macchia  san 
guigna  sotto  il  verde  tenero  dorato  d'occhi  di  sole. 
La  tovaglia  a  due  toni  era  su  disegno  dell'OIbrich, 
i  coltelli,  i  cucchiai  le  forchette,  le  saliere,  le  ca 
raffe,  i  vassoi,  i  tondi  erano  su  disegni  originali  del- 
l'OIbrich ;  l'oro  liquido  dei  deliziosi  vini  del  Reno, 
Rudesheimer,  Gensenheimer,  Johannisbi  rger.  la  bion 
dezza  verdognola  dei  vini  della  Mosella,  /.ritinger  e 
Brauneberger,  scintillavano  nei  lunghi  calici  attorti 
disegnati  dall'Olbrich.  La  carta  dei  vini,  specie  d'in- 
folio  maestoso,  era  ricca  ili  decine  di  illustrazioni 
in  legno,  geniali  creazioni  decorative  di  Paul  Bùrck, 
e  il  tavoleggiante  ci  spiegava  che  tanto  ne  era  il 
successo  che  s'era  dovuto  stampare  in  ogni  foglio 
un  bollo  dicente:  rubato  al  ristorante  di  Darmstadt, 
per  ovviare  ai  furti.  Che  più?  Mentre  la  Wiener  or- 
chestre  suonava  un  two-steps  indiavolato  di  Souza,  il 
programma  che  andava  a  ruba  era  inquadrato  ila  una 
vignetta  dello  stesso  Bùrck...  E  l'abito  dei  camerieri 
turchino  a  risvolti  mssi  era  evidentemente  opera  di 
Olbrich,  e  persino  gli  avvisi  appiccicati  ai  tronchi 
erano  nei  geniali  caratteri  messi  in  uso  dall'infatica- 
bile agitatore... 

E  come  la  notte  era  scesa,  nello  Spielhaus  c'era 
ballo,  e.  sotto  la  bizzarra  volta  trapunta  di  violetto 
cupo,  le  bionde  Assiane  roteavano  nei  giri  del  boston. 
o  La  Kùnstler-Kolonie  non  .'  dunque  una  colonia 
ideale5  »  dissi  volgendomi  all'amico.  Ma  egli  si  era 
o  presentare  ad  una  vivace  fraulein,  e  parlava  di 

Olbrich. 

Enrico  Tiiovez. 


.     ,  Olbrich  :    Schizzo  per  la  casa  di  Habich 

fUjT  '"'N'  a  Darmstadt. 


Prospetto  del  palazzo  da  erigersi  verso  via  Ratti. 


Nella,   vecchia.    Mi  la.  no 


| ra  qualche  amici  vie  spaziose  e  dhitte 
sorgeranno  sulle  viuzze  degli  Oratici  ijei 
Ratti  e  degli  Spadari.  Un  sontuoso  quar- 
tiere si  pianterà  su  quei  terreni,  i  jI  en  rmi  pa- 
lazzi, cogli  ufrV  i.  colle  1  lanche,  quasi  segnacoli  della 
granii'-  industria,    rinascente  sul  cepp  ;ermo- 

i  ri  mi  i  quelle  arti  per  le  |ua  1 1  M  ilano 
fu  grande,  ove  vissero  mille  ignoti  artefici  il  cui 
nome  si  perse  nella  gloria  della  corporazione. 

\  \l 
trali  qui 

ali.    Meni  re  ancora  da   poci  i  tempi 
molti  ricordavano  coi  loro  numi   li   divi 

indù  le  pi  «-he-  rimaste  dovi  mpa 

piano  regolatore. 

hia 

polo,   malgrado    l'unificazione    della 

■  I  I     ves    lungh  »  in  o  m 

trapposto  agli  «  Oreves  curi   ».  ch'era   il  tratto  già 

•  da  via  Raul  al  (  !i  irdusii  i 

iella  massima  parte 


Le  abitudini  eli  lusso,  il  negozia  arioso,  la  mo- 
stra civettuola,  eran  cose  sconosciute  in  quelle  bot- 
teghe .  poste  a  ridosso  dei  più  ricchi  magazzini 
della  città.  Mentre  le  botteghe  consimili  s'erano  an- 
date- lentamente  modificandosi,  per  adattarsi  agii  usi 
ed  ai  costumi  moderni,  in  quell'angolo  della  véo 
Milano  esse  erano  rimaste  tali  e  quali  abbiamo  l'a- 
bitudine di  vederle  sulle  stampe  elei  Cinque  e  del 
Seicento.  Erano  composte  i\-i  una  sola  camera  a 
no,  sempre  oscura,  perche-  la  luce  veniva  solo 
dalla  strada  e  perchè  buona  parte  dell'ingresso  era 
otturato  dalla  piccola  mostra,  la  quale  obbligava 
spesso  d  compratore  ad  i  sbieco.  Esse  con- 

servavano  poi  intatta  la  tradizione  dell'insegna  don- 
dolante   sull'ingresso,  specialità   ora  condivisa 
dai   parrucchieri   e  dagli  alberghi   di  campagna. 

Ripre  duciami    alcune  eli  qui  ne  d'i  Telici 

d   mercanti  d'oro,  in  uso  a  Milano  nei  se  -:    Wlll 

e  XIX. 

L'uso  elesse  i  antichissimo  e  leggi  speciali  che 
rime iiii.in. .  al  secolo  XIII  difendevani  e-  regolavano 
l'uso  elei  cosidi  mi  di  bottega  ■  che  più  tardi 


NELLA    VECCHIA    MILANO 


ciascun  maestro  doveva  depositare  nel  libro  tenuto     sati  un    a  li  signorile    magnificenza  e    a 


dal  ni  ■darò  del  paratico.  «  Niuno  di  detta  Arte  ar- 
«  disca  tenere  nel  libro  delli  segni  di  detta  Arte. 
«  ne  nella  bottega  più   di  un  segno,  ne  mettere  in 


ano  c/Oo/elLi 

(f'/t-'Acc'  nello.  Lontrata.  ?c 
■f~c  ILtchele  ctù  9allo  al  Segno 
^ItaCarr* 


Segno  di  bottega  di  Gaetano  Boselli. 
orefice  milanese  (1790  circa) 

«  libro,  ne  alla  sua  bottega  alcun  segno  il  quale 
«  possi  immutare,  et  rappresentare  il  segno  di  un 
«  altra  persona  di  detta  Arte,  ecc.  ecc.  »  (*). 

Delle  marche  degli  orefici  v'è  già  menzione  ne- 
gli Statuti  piacentini  del  1277,  ove  si  stabilisce  che 
i  fabbricatori  d'anelli  debbano  apporvi  simili  spe- 
ciale signutn...   ita  ut  togtwscetur    (**). 

Questa  marca,  che  veniva  posta  sull'oggetti  ed 
era  riprodotta  anche  sulle  casse  entro  alle  quali  gli 
oggetti  stessi  venivano  racchiusi,  è  facile  supporre 
come  dovesse  servire  anche  ad  indicare  al  pubblico 
in  un  modo  grafico  l'ubicazione  del  negozio,  in  tempi 
nei  quali  mancava  la  numerazione  delle  porte  e 
l'analfabetismo  era  generale. 

Ci  siamo  diffusi  un  poco  sopra  questi  segni,  per- 
chè coll'atterramento  di  via  Orefici  scompaiono  pure 
dalla  città  gli  ultimi  avanzi  di  una  gloriosa  indi- 
zione ci  ■mmerciale. 

La  via  certo  deve  aver  presentato  nei  tempi  pas- 


(*)  Statuti,  ordini  et  privilegi  dell'Arte  et  università 
de  gì'  orefici  della  Città  e  Dueato  di  Milano,  Milano, 
Pontio,  1554.  pag.  23. 

(**<  Monum.  hisl.  ad  Prov.  Pam.  et  Plac.  pertinent. 
Voi.  V,  \  358,  pag.  96. 


fuor  di   luogo  ricordare  l'ampoll  rizione  la- 

sciataci dal  Torre  : 

u  Riguardatele  bene  (le  due  vie  Orefici  lunghi  e 
«  corti)  che  essendo  ogni    Bottega  ricca   di   preziosi 

«  metalli,  si  d'oro  quanto  d'argento,  credereste,  che 
«  entro  di  loro  riavesse  il  Vincitore  Annibali'  vo 
«  tati  i  sacchi  di  quegli  anelli  ch'egli  seppe  in  i;.i 
«  lia  aggregare  col  valore  delle  sue  armi.  E  le  chia 
«  mereste  anche  tanti  Cieli  stellati,  mirandole  |  er 
0  ogni  lato  far  pompa  d'incassate  luminosi 
«  quasi  constellazioni   dorate  »    (*). 

Molto  più  modeste  d'oggi  erano  le  apparenze,  ma 
non  per  questo  i  suoi  abitanti  avevano  [jersa  la  di- 
gnità spagnolesca  del  Torre,  e  ricordiamo  d'aver  u- 
dito  da  un  operaio  che  passò  la  sua  giovinezza  in 
quelle  botteghe,  come  un  giorno,  circa  cinquant'anni 
fa,  tutta  la  via  fosse  in  subbuglio  perchè  in  essa 
veniva  a  piantar  negozio  un  «  magnano  »  (**). 
Sotto  il  fallace  pretesto  che  la  nuova  industria 
avrebbe  infastidito  il  vicinato,  si  aprì  tra  i  diversi 
mercanti  una  sottoscrizione  per  indennizzare  il  cal- 
deraio e  così,  impedendo  il  batter  cadenzato  del 
martello  sopra  un  metallo  ignobile,  venne  salvata 
la  dignità  della  via. 

Protettore  degli  orefici  era  il  vescovo  Sant'Eligio, 
nato  in  Francia,  che  da  fanciullo  aveva  lavorato 
nella  Zecca  Reale  di  Limoges  e  poscia  a  Parigi  co- 
me orefice  cesellatore  alla  Corte  del  re  Cintano. 
Questo  santo,  per  tradizione  locale,  era  anche  il  pro- 
tettore dei  «  Ferrari.  Calderari,  Speronari,  Chicda- 
roli  et  altri  uniti  ». 


ANTONIO 


B07.7.0TTI 


reyuie/  e/ 


7 

■ 


Qsa&ifuca  e-  /verna?  om& Nantes  de,  ^PùanJató/re  /htUÌ^ 

siw  C^ed&  d'Cstraenàr;  cerne-  Sture?  é&efoes AnK//?&e> 

yt^  Zaiter  &  <£/ore/ìr  sirex&c>< 

Segno  di  bottega  d'Antonio  Bozzotti. 
orefice  milanese  (1840  cin  B 


Tanto  gli  argentieri  quanto  gli  orefici,  usaron 
molto  tempo  festeggiarlo   in  una  cappella  di    prò 
prietà    del     Paratico    posta    nell'antichissima   ch'esa 
'    San  Michele  al  Gallo  oggi  distrutta.   Negli  sta- 
tuti dell'arte  (1554-88-1730)  non  si  fa  una 


iokkk  Carlo:   //  ritrailo        M         .   —   Milani). 
Agnelli.   MDCLXXIV,  pag.  250. 
Calderaio. 


Iti 


i  \    LETI  i  R  \ 


.■uni  Bellano,  spadaro  milanese  (1700-1735  circa). 


: 

esser  »  '-un  apparati  ed  addobbamenti 

«  superbissimi  >,  come  narra  il  Morigia  nel  Tesorc 
frecioso  dei  Milanesi  (pag.  120),  ove  enumera  l<    li 

i  ani  1  nella  1  ittà  'li 
o    La   1  '  ilche 

ora  "gni.  usandosi 
Ile  14  e  1  ima 


nendo  le  altri-  ore  a  carico  del  principali ,  Anche  i 
vicini  spadari  onoravano  il  loro  protettore  S    P 
ii! .1   festa  che  ricorre  il  25  gennaio:    «  El  tutti    li 

Maestri  di  botteghe  et  suoi  lavoranti  si  congrt 
•  ranno  andando  in  processione  con  ogni  divoti  ine 
11  li  Sacerdoti  per  la  contrada  de  Spadari  sin" 
■  alla  chiesa  di  Santa  Maria  Beltrà  0  altre  de  quat- 

111  più  vicine      pregando  il  Signore  et  il  Pn 


NELLA    VECI  111A    MILANO 


I  1 


«  tore  San    Paolo  per   la  conservatìone  ili  tutta  la 
n  Università   de  Spadari... 

Le  processioni  dei  paratici  sono  scomparse  dalle 


mento  ed  era  molto  apprezzata  da  una  parte  dei 
frequentatori  che  in  date  circostanze  preferiva  il 
dormitorio  di  via  Orefici  .1  quello  di  via  Ratti, 
se  pagavansi  soli  15  centesimi,  non  v'era  però  mezzo 
di  sottrarsi  con  tanta  facilità  ad  una  visita  inop- 
portuna. 

Po  a  distante  da  questa   casa,  intasi   nel   1 
dell'isolato,  eranvi    sotterra   gli   avanzi   di   una  an 
tica  bottega  che  oggi   serviva  da  iantina.   Fotogra- 
fammo quel   ricordo,    ora   sepolto  sotto    alle  ni 
rie,  come  ultima  memoria  di  quei  vicoli  0  passaggi 
che  in  antico  dovevano  intersecare  il  quartiere 

A  ridosso  di  questa  costruzione  dal  lato  di  via  Spa 
ilari  sorgeva    il  cortile   della  cosi    detta   1    Pdrta   del 

l'Inferno  »  che  qua  riproduciamo. 

Questa  corte  era  nota  a  Milano  per  il  suo  nome 
tipico,  originato  secondo  alcuni  dai  fuochi  accesi 
dai  forgiatori  del  ferro  che  anticamente  vi  abita 
vano,  0  più  probabilmente  dallo  speciale  disordine 
in  cui  era  tenuta  la  casa,  dai  profumi  acri  che  e- 
manava  e  dal  cosmopolitismo  degli  abitanti  che  la 
taceva  sembrare  una  vera  bolgia  dantesca.  Xon  ri- 
arderemo i  nomi  di  un  verismo  troppo  volgare,  coi 
quali  il  popolo  battezzava  alcuni  ritrovi  vicini  ;  ba- 
sti sapere  che  ad  un  buio  cortile  che  dava  l'ingresso 


Capitello  con  le    cifre  del   Missaglia. 

abitudini  cittadine  e  solo  rimane  un  ricordo  nell'uf- 
ficio funebre  che  i  tessitori  di  seta  usano  far  cele- 
brare il  26  settembre  a  Sant'Eustorgio  e  nel  tra- 
sporto dell'olio  fatto  dai  facchini  alla  lampada  vo- 
tiva nella  basilica  di  San  Lorenzo. 

In  mezzo  a  tante  ricchezze  sembrava  quasi  un  iro- 
nia l'avervi  posto  un  0  serrato  rifugio  a  quello  che 
seppero  fare  il  loro  debito  »  dice  il  Torre,  e  non 
pagarlo,  aggiungiamo  noi.  Qui  sorgevano,  da  tempo 
antichissimo,  le  carceri  della  Malastalla,  chiamate 
anche  in  alcuni  documenti,  carccres  malae  mansio- 
ni!, destinate  alla  custodia  dei  falliti  e  dei  debitori. 

Cercammo  se  in  quel  posto  esistessero    vestigie 
manifeste   di  costruzioni   antiche  per  fissarne  il  ri- 
O  n lo  colla  fotografia,  ma  esternamente  nulla  si  ve- 
deva, né  durante  l'atterramento  comparvero  tra 
dell'edilizio. 

Confinante  con  quell'area  sorgeva  oggi  una  lo- 
canda che  poteva  a  buon  diritto  portare  il  nome  della 
Malastalla.  tanto  era  il  luridume  che  offendeva  gli 
occhi.  Lasciamo  che  i  lettori  giudichino  da  un  par- 
ticolare il    comfort  e  l'igiene  di  quel   covile. 

La  locanda,  nella  quale  si  pagavano  venti  cente- 
simi, offriva  anche  dei  vantaggi  alla  sua  clientela: 
al  primo  piano  v'era  un  comodo  ristorante  ed  ali  ul- 
timo... la  comunicazione  diretta  coi  tetti  del  vici- 
nato. Questa  via,  che  chiameremmo  valvola  di  si- 
curezza, costituiva  una  vera  specialità  dello  stabili- 


Archi  di  finestre  antiche  nella  casa  del   Missaglia. 

agli  appartamenti...   dell'Inferno  il    <     ìnab 
posto  il  nomignolo  di  a courtinett  di  lader»(*)  ecome 
sovente  la  ronda  faceva  di  notte,  presso  quegli  af- 
fitta-camere,  delle  abbondanti  selezioni  cellula-' 


(*)  Piccolo  cortile  dei  ladri. 


I  2 


LA    LETTURA 


anici  le  bru 

qui  Ila  i» irta,  enl n i  alla 


Orefici  ed  adiacenze. 

le  lame  e  si  brunivano  le  corazze,  chi   do 
tevan  servire  nei  tornei,  nelle  giostre  e  sui  campi  di 

.1  i  ar  brillare  la   vi  ai  alieri  e 

la   perfezione  dei  nostri  artefici. 

In    |uesta   porta  teneva  le  sur  botteghe  il    Mis- 
spadaro  milanese  del  secolo  XV,  che 
u>a\  spadi    colle  iniziali  del  nume  sor- 

montate dalla  .Minna,  come  nel  capitello  riprodotto. 
In  quel  torno  di  tem]  o  Brescia  e  Milano,  rii  tleg 

giando    nella    produzi ■  delle  armi,  avevano   ele- 

it'arte  ad  essere  una  vera  industria  artistica 
i  alcune  private  raccolte  cittadine,  co- 
sempio   le  collezioni   Bazzero  e  Bagatti-Val- 
gi  pi         issimi  ricordi  ili  quel 
tempo. 

I   ampi    aitr/fe    !. 
li  il  suii  nume  sull'armatura  ili  ferro  di  Car- 
lo, V  conservai  D'armeria  di  Madrid;  il   \e 
Bruiva   la  corazza   pei    Emanuel    Filiberto, 
l'orino;  Giovanni    Antonio  Biancardi  fu   il 
•  principale  armarolo  non  solo  di  Milano  ma  anco 
Italia  »  ;    il    I  iella    (  'esa    forniva    la 
.    Ani.  ni.  i    Pio   nino   fucinai  .1   spadi 
1  di   ferro  senz  1  lesione 
alenila   »:     il     figlio    federilo    lavorava    per     Ales 
ridi     I  arnesi    duca  di  l'arma,  ed  Antonio  Rr> 
1  (  'orte  di  Alfi  uso  |  [  d'E  ste    dura  di 

molti    altri    si  norie 

Morigia    iella 
(Libro  V,  cap    XVII). 
N  p  :  ne  occupato  dal   Missa 

ori|  che 

li  [le  boi 

ne li  qui  Ile 

■   delle  lun 

ì-901)    alenili 
ni  muri   |  ha 


ni s]  onden  si  delle  nui  1 tri     il  di- 

ci >!^j.iis.i  da  maggiori  dettagli  descrittivi. 

Non  potremmo  seni  un  u  rato  studio,  che  spe- 
riamo pubblicare  tra  poco,  attribuire  epoche  certe 
alle  ni  di  questa  casa,  perchè  numerosi   fu 

1    1  rifai  imeni  1  eseguii  1 

I .  impressi  n  e  rip  rtata  da  un  1  ìame  sommarli  1,  ci 
conduce  a  credere  che  nell'assieme  il  cortile  è  del 
secolo  XV,  ma   varie  parti  sono  di  epoche  anteriori. 

Ricordiamo  che  le  finestre  sono  circondate  da  un 
mi  ti\o  policromo  frescato  sul  vivo  dell'antico  muro 
e  che  i  mattoni  del  piano  superiore  portano  inciso 
il  motto  Ave.  Questi  avanzi,  |<r  cura  del  locale  ul 
ficio  regionale  per  la  conservazione  dei  monumenti, 
verranno  trasportati  al  Museo  del  Castello  (*). 

I  echini  armaiuoli  ricordati  più  sopra  apparten- 
gono al  secolo  XVI,  ma  la  fabbricazione  delle  ormi 
e  antichissima  nella  nostra  città  e  la  \  .1  degli  Spa 
dari  compare  già  con  tale  nome  sino  dall'anno 
1066  in  un  documento  dell'Archivio  di  S 
brogio,  ove  parlandosi  dei  confini  di  San  Sali' 
dice  che  a  mare  et  monte  tenent  Spatam  (**). 

Può  secoli  dopo  i  cronisti   milanesi,  frate    Bonve 
sin  della  Riva  e   Galvano  Fiamma,  ci  danno  no 
tizie  curiose  sopra  quest'arte.  Soli  enim  labri  lorica- 
rum  .uni/  flures  centum,  così   pino  erano  numi 
bissimi  gli   Mutarti  clypeoi    fabricantes  e  gli  operai 


.'.-I-    I  I0O 


Via    Stutilr,  Il 


Schizzo  planimetrico  del  conile  e  delle  botteghe 
del  Missaglia. 

che  attendevano  alla  man/zanna    delle  canne  <•} 
all'agemina  delle    armi. 

Parte   degli  armaiuoli    avevano  bottega   nella    via 
che  d.dla   Piazza  dei  Mercanti  conduceva  a  «  /' 


(•1  Le  vicende  di  Milano  duranti-  là  guerra   con    1 
derigo  l  Imperatore.     Milano,  MOCCLXXVHI,  pag. 

(••,  Assaggi  posteriori  scoprirono  anche  degli  affreschi, 
sul  prospetto  della  casa  verso  via  Spadari .  rappresen- 
tanti del  motivi  ornamentali,  due  ritratti  ed  un'allegoria 
astronomica  (16.  13,  001). 


NELLA    VECCHIA    MILANO 


i3 


NovJ,  scu  fimi,  ab  armatura  icrrcis  quae  ibi  fa- 
brkantut  ».  Più  tardi  quando  forse  andarono  ad 
occupare  gii  Ann  rari  ,  quella  strada  . 
oggi  Santa  Margherita,  divenne  per  an 
titesi  curiosa  la  sede  dei  mercanti  di 
libri  e  dei  cartolai.  Un'altra  categoria 
che  attendeva  in  modo  speciale  alle  bar- 
dature dei  cavalli  abitava  gli  Speronari; 
nella  Lupa  i  tempratori  di  spade,  che 
usando  apporre  sulle  lame  da  essi  tem- 
perate una  lupa,  avevano  forse  dato  il 
nome  alla  contrada  ;  al  Molino  delle 
Armi  eranvi  i  brunitori  che  forbivano 
le  spade  e  le  corazze. 

Negli  Spadari  tenevan  bottega  i  fab- 
bricanti di  armi  da  taglio  e  di  punta. 
Essi  erano  retti  da  uno  speciale  sta- 
tuto la  cui  prima  edizione,  oggi  dive- 
nuta rarissima,  venne  pubblicata  nel 
1583.  Noi  possediamo  l'originale  ma- 
il' scritto,  il  quale,  dopo  le  due  minia- 
ture rappresentanti  San  Paolo  protet- 
tore   dell'arte,    porta    questa    nota    cu- 

1    I  ivi  . 

«  Statimi  et  Ordini  Stabeliti  della 
„(  Università  de  Spadari,  et  Lanzari,  ri- 

■  trovati  dall'Eccellentissimo  Senato,  et 
«  ricuperato  da  Gio.  Maria  Casato  ab- 

■  bate  l'anno    1609.  qua]  era  stato  ro- 

«  segato  da  Sorzi,  et  se  ritrova  nelle  mani  del  signor 


1  Si    1  tario    Besozzi    il    qual    la    reposto    nell'Ar- 
«  chivio  i.   (*). 


t'urtile  della  casa  del   Missaglia. 

Gli  statuti  richiamano  dapprima  le  usanze  già 
in  vigore  sotto  Francesco  Sforza  e  sanciscono  poi 
le  nuove  disposizioni. 

L'abate  veniva  estratto  a  sorte  fra  quattro  nomi 
proposti  dal  paraticn.  Sue  ufficio  era  quello  di  giu- 
dicare ci  mie  amichevole  conciliatore  e  procedere  si  nza 
lite,  in  tutte  le  controversie,  frale  persone  del- 
l'arte o  per  motivi  ad  essa  attinenti:  non  era  per 
messo  declinare  la  sua  giurisdizione  che  nel  caso  «  non 
ministrasse  buona  et  celere  giustitia  »  essendo  con 
cesso  allora  il   ricorso  al  Tribunale  di   Provvisione. 

L'abate  nominava  il  «  Tesoriere  »  e  quattri  1  uf- 
ficiali, i  quali  riuniti  eleggevano  un  «  Notaio  d'in- 
tegrità et  sufficienza  non  essendo  li  Spadari  litterati». 
Il  paratia»  interveniva  con  opportune  largizioni  a 
favore  degli  infermi  0  di  chi  si  trovava  in  bisogno, 
traendo  i  fondi  dalle  tasse  pagate  per  poter  eserci- 
tare l'arte. 

Lo   statuto  ci    ricorda    1   nomi    delle   diverse 
di   operai:    fodratori.    limatori,   scopellatori,   mani- 
chieri,  lustranti,  adoratori,  imbomitori,   i  quali 

tendevano    alla     fabbrica    dei     pugnali,    daghe,    da- 

ghette  spade,  spadoni,   stocchi,  mmitarre,  corti  Ila    i, 
anni  innastate,  pomi,  fodri,  puntali,  ecc. 

Nessuno  poteva  impiegarsi  o  -come 

lavorante  se  non  pagando  determinate  tasse  a  fa- 
vori   dell'Università.  Chi  apriva  una  nuova  boi 
aveva  l'obbligo  di  una  tassa  e  di   un  1    imi    di   col- 


Paiticolari  della  locanda  in  via  Orefici. 


1  1  Questo  codice  faceva  parte  della  celebre  biblioteca 
Archinti.  Alla  dispersione  avvenuta  nel  186,5-65  veniva 
ecquistato  dal  bibliofilo  milanese  C.  P.  Villa  e  passava 
per  successione  ereditaria  al  dottor  G.  1  ilippo  Maggi  che 
graziosamente  Io  donava  ad  uno  deyli  scriventi. 


I  |  LA   LI 

laiiii .  unire  lina  spada  <  'I  un 

pugnale  'li  pi  ura    t  forastii  ri,  dopo  U  pa 

ut. ii li  una  tassa  speciale,  erano  para 

i    stabilivano  i  luoghi  ili 
mai,  il  trasporti  •  d  essi . 

me  quelli  delle  altre 
npilati  in  una  forma  semplice  e  senza 


I  1  R  \ 

«  accettare  alcun  lavorante  se  prima  non  sarà 

o  l'accordo  con  il  primo  maestro  ■  (capo  VI). 
I  e  ingordigie  dei  trust*  erano  sconosciute,  ed  una 
legge  liberale  disponeva  invere  die  nessuno  potesse 
assumere  un'ordinazione  d'armi  superiore  ai  200 
pezzi,  dh  idendo  l'eccei  lenza  tra  1  Maesl  1  i  più  pò 
veri,  col  l'obbligo  a  questi  ili  pagare  l'uno  per  cento 


tCl  1  nSEiiKr^SmA^tQ 


ATD 


/   JCatj^t     Jtk- 


^QJfACOl 


'li  bottegi  di  Giuseppe  Torracbino,  mercante  d!  oro  e  seta.  (Milano,  fini 


li  chi    in  luogo  'li   pie 
Con 
glia  pi  r  quei  tempi 
varo    l  m  qui  Ile  F01 

•  un  portati    lerno. 

I  ivano,  p  ..il   collegio  «lei    probi 

'  '■  ridendone  l'au 

1  del  giud  i  .'..in  .  ] 

•  contratto  ili  lavi  ro  nei 
nziamento:  «  ninni,  del   !  possi 


a  «  quello  che  ha\  era  ai  cettato  tali    impn  -  1 
po  \\").   Data  la  costi  111/ ione  dell'arte  in   paratifo, 
questa  disposizione  non  deve  considerarsi  come  una 
ne  della   liberta  del  lavoro,  ma  una  norma 
nata  da  un  lodevole  concetto  di  solidarietà  e  da  un 
rido  sentimento  umanitario. 
Non  erano  sconosciuti  gli   uffici  ili  collocamento 
ed  in  alcune  arti  si  doveva  accordare  il  personale 
all'uffi  "ii  del  Parai  io  ■  e  pei  atti    pubblico  e  «  qti 
«  ail  effetto  rlir  si  schivano  ni.. hi  disordini  die  il 


NELLA    VE<  CHIA    MILANO 


13 


«  più  delle  volte  nascono  tra  i  lavoranti  ed  il  loro 
■  Maestro  »  (*). 

Era  vietato  staccare  altri  dalle  botteghe  e  si  fa- 
ceva obbligo  del  reciproco  preavviso  di  otto  giorni 
m  caso  di  licenziamento  j  i  libri  facevano  piena 
fede,  i  falliti  con  dolo  erano  per  sempre  cancellati 
dall'arte  e  per  ultimo  aggiungiamo  che  alle  infra- 
zioni statutarie  non  si  comminavano  mai  i  tratti  ili 
corda  o  gli  arbitri  del  giudice,  ma  delle  pene  pe- 
cuniarie tassativamente  stabilite.  Né  sembra  che 
queste  organizzazioni  semplicissime  abbiane  nociuto 
al  buon  andamento,  perchè  se  osserviamo  la  prima 
e  l'ultima  edizione  degli  statuti  degli  orefici  (1554- 
1730),  non  vi  è  in  essi  modificata  neppure  una  pa- 
rola, salvo  l'aggiunta,  nell'ultima  edizione,  di  alcune 
nonne  che  si  riferiscono  pivi  all'interpretazione  che 
al   diritto. 

Ultimo  ricordo  della  gloriosa  corporazione  rima- 
neva la  casa  Missaglia,  nascosta  da  un  forte  into- 
naco quasi  sdegnasse  sopravvivere  in  un  centro  di 
infezione  morale  e  fisica.  Anch'essa  è  destinata  a 
scomparire  e  ci  piace  a  questo  proposito  ricordare 


(*)  .Statuii  ed  ordini  dell'Università    de' ferrari, 
iterali,  ecc.  Icap.  XXVI  . 


al 


una  geniale  proposta  del  prof.  Giuseppe  I  una  ig  lili, 
Bibliotecario  capo  della  Braidense,  d'intitolare  al 
Missaglia   la  nuova   via  che  passerà  sui  luoghi  già 

da   lui    abitati. 

Oggi  l'isolato  degli  Qrefici,  ridotto  a  minori  pro- 
porzioni pernii  arretramenti    imposti  dal    piano   re 
golati  re,   verrà    diviso  da  una  nuova   strada   in 
parti  disuguali,  una  verso  via  Torino,  di  metri  qua- 
drati 3500  ed  una  in  fregio  a  via  Ratti  di  metri  q« 
drati    2200  circa. 

Sopra  questo  secondo  isolato  la  S<«  letà  Edilizia 
Centro  Milano,  costituita  dai  signori  Medici,  Marotti 
e  Feltrinelli,  costruisce  per  conto  proprio,  su  disi 
dell'ingegnere  Luigi  Carozzi,  un  grande  palazzo  per 
uso  commerciale  e  industriale,  del  quale  diamo  il 
prospetto  verso  via  Ratti.   (Vedi  pag.   8). 

E  mentre  sui  ruderi,  che  in  altri  tempi  ospit 
la  forza  viva  del  popolo,  S  innalzano  grami.'  se 
moli  ad  attestare  la  potenza  dell'industria  moderna, 
ci  pane  opportuno  ricordare  le  tradizioni  d'onesta 
bonarietà  e  di  gloria  dei  primi  lavoratori,  quasi  au- 
gurio al  quartiere  che  sta  per  sorgere. 

Milano,  6  dicembre  1901. 

Bertarelli    Achii  I  E 
Tng.  Luigi  Tarozzi. 


Sant'  Eligio  protettore  degli  orefici.    (Dal  frontispizio  degli  Statuti, 


VERSI 


L'ARI  il  :STO 


IMMORTALITÀ 


l'n  arbusto  si  protende 
dal! ii  roccia  alta  sul  mare: 
risplende 
snrrare. 


Palpi/a  in  ogni  ardente 

ore  un  sogno  immortale 
e   un  ricordo  dolente. 


I  firmamento 

palpitar  di  mille   cuori, 
e  n.  ìel  vento 

■.ente    nulle  strani    odori. 


stella  s'accende 
di  un  sogno  siderale 

un  ricordo  splende. 


! 

nrro 


I     ,  elesti  sorelle 
ardono  pei  fulgori 
de  le   %ià  morte  stelle, 


■ 


me  i  e u  ori  umani 
ono  gli  amori 

;:,i  lontani. 


DIE<  ,111,  \R(  h  ,LK  i 

FRANZ   SCI  U  :i  1ERT 


;  .  Besthov 


la  /'-r 


annua  commos  i 
cantarono  all'artefice  divino 
dell'armonìa,  sopra  la  mula   i    • 
/,;  -paté  eterna 
e  dopo  il  vale  diremo 
ai  taciturni  amici 

tornando  Fra//:  :   «  qui 
!',     che  tutti  morremo, 
felici  od  ni  felici, 
le  ricordanze  nere 
anneghiamo  nel  rubicondo  vino  ». 
AI  ro  muti  lungamente 

stettero  assisi,  e  poi 

Franz  propose  levando  alio  il  bicchiere: 
«  Be  •  al  Re  dell'arm 

1  'iva  //  morto  ch'i  vivo  più  di  noi, 
il  sorda  clic  più  di  noi  lutti  or  sente.'  » 
Assentiron  gli  amici  trepidando: 
tinnirono  :  pur  para   bicchieri 
■liò   il  vino    nelle  aperti 
senza  parole. 

F.  muti  ancora  stettero  sin  quando 
Funi:  ripropose:  «  L'oggi  e  come  fieri, 
come   il  domani: 
quel  che  vuol  esse: 
Bevo  a  colui  che  primo  di  noi  tre 
Non  rivedrà  più  il  soie!  » 
I     ;,'.■    amici  ritcscro  le  man:, 
sorridendo,   con  Franz  che  nupallidia 
a  .  uor   presago  di  ber  egli  a  se. 
dei  canti  al  Re! 

RIFLESSO 


//  ricordo  d'un  viso 

diletto,  ma  nell'ombra  d'un  cipr, 

mas:   spento, 
quante  immagini,  quanti 
gaudi  e  tristezze  nel  tuo  cu, 
Tal  se  cammini  per  la  muta  riva 
di  cupo  fiume 
tu,  luna,  d'improvviso 
emersa  dalle   nuvole  vagì 

nell'onda  col  tuo  smorto  lume 
n' a  lira  vita    pallido  ri  II, 
un  brividio 
un  pallili 


VERSI  17 

IL     GRAPPOLO 


lare 
da  un  tralcio  ahi!  non  più  tralcio,  ora  sarmento 
nudo  e  rossigno 

ancora  pende  un  grappolo  obliato 
da  un  superbo  vitigno. 
Secco  aggrinzi/o.  tremolante  e  solo 
ci  che  gemmò  sotto  la  neve  e  al  vento 

de  a  poco  verdeggiare 
1  tralci  intorno  e  su  le  porche 
uccelli  posarvi  il  lieto 
e   /rate///  pre< 

invaiolarsi  e  superbir  del  vano 
fiore  di  giovinezza  e  poi  del   sangue 
maturo,   e  -ride  correre   i. 
mani  a  la  strage  con  dolore  occulto 
e  piangere  senti  la  pioggia  sulla 
vigna  deserta  e  brulla... 

Pende  il  grappolo  esau-. 
su  la  sua  tomba  e  piange  di  tra  il 
di  nebbia  0  con  le  lagrime  del  cielo 
e  affida  al  vento,  quando 
rigido   soffia,  l'intimo   singulto, 

rd arido,  sognando 
un'agonia   più  breve 

l'imminenti 


TRENO    1)1    X(  >TTE 


.4   notte  un  fragore  lontano 
cammina  s'avanza  man  mano 
torte  più  forte . . . 

Il  treno.'  e  fiammeggia  un  bagliore 
f>.ù  grande  più  rosso  d'un  cu    re. 
Chi  seco  trascina  alla  in- 
citi seco  ridona   alla  vita. 
d'amore  all'ebbi  nìiaì 

rigida  romba 

trapassa,   man   mano  decresce  : 

ti  l'ombra   sì  >", 

.   silenzio  di  tomba. 

Diego  •  I 


La  Lettura. 


Wittemberga  ai  tempi  del  dottor  Faust. 


IL   PASSATO   1)1  MEF1ST0FELE 


|         re   lo   <■  spirito  che  nega  »    si    dibatte 
prigioniero  nello  studio  di  Fausto,  dove 
i   imprudenza  veramente  inconcepibile 
in  un  par  stm,  è  penetralo  senz'avvedersi  della  ma- 
rditagli  sul  limitare,  il  torbido  vegliardo 
'lipasi    innanzi   tutto  di   chiarir  la  natura  del- 
l'ospite   inatteso   e  formidabile.    Ricorre    ci   dunque 
allo  |uattro  elementi;   ma,   fatto  ac- 

corto  poi  dall'inefficacia  sua.  che  nel  gemente  cane 
onde  ne  un  Silfo  ne  un  Gnomo 
Lina  Salamandra  ne  un'Ondina,  ila  mano  ad  armi 
più  paurosa-:  a  quella  chiave  di  Salomone,  cioè,  che 
ha  virtù  di  render  schiavi  i  demoni.  Il  can  barbone, 
non  v'ha  dubbio,  è  un  <  ila  più  bell'acqua... 

culi  stessu.  dopoché  l.i  \  ista  di  I 
o  loda  ii    pi    la  al  Tom  ire  più  i  ir  ifond  i, 
I  i     strano    animale  si 
i  la,  sbuffa,  ia,  muggisce,  e 

ipare  quindi  jn-r  dar  luogo  ad  un  nano, 

m  apparenza,  ravvolto   nel    logoro   mantello  dello 
scolari 

Ma    •<■  diavoli  domo  da  un  potere 

.d  siin    superiore,    Mi         Fele;    'piando    si    tratta 

di    fornire   n  olareggiati 


ragguagli    sul    luogo   che   gli    compete    nell'infer 
naie  famiglia,   ei   rifiuta   nettamente  di  rispondere 
Anzi,  secondochè  l'indole  sua  gli  consiglia,  ei  si  fa 
beffe  dell'interrogante.  «  La  richiesta,  noi  l'udiamo 
«  dire  a   Fausto,  mi  sembra  puerile  sulla  bocca  di 
«  chi  nutre  tanto  sovrano  disprezzo  per  le  parole,  e 
«  nell'avversione  sua  alle  vote  parvenze  sol  prende 
«  a   cuore   di   scrutare  la   profondità   dell'essenza  ». 
\    giova  che  l'interim  utor  suo  lo  rimbecchi:  «  Ove 
di  voi,  signori  miei,  sia  questione,  il  nome  lascia 
lentieri  trasparire  l'essenza  •;  che  il  furbo  compare 
non  si  dà  vinto  per  questo,  ma  così  bene  s'avvolge 
nelle  artificiose  spire  delle  sue  enimmatiche  spi 
/inni,  che  ne  qui  ne  altrove  ci  riesce   più   di   sap<  re 
con  sicurezza  con  chi  abbiamo  a  che  fare.    E 
un  umile  gregario  dell'esercito  infinito  degli  angeli 
ribelli,  cui    Lucifero  trasse    seco  nell'abisso    dove 
mie  consumando   si-  stessa    l'eterna    li. mima  sul- 
furea? Ovvero  <m  dignitario  del  diabolico  reg 
\d  un   dato  punto  egli  asserisce  modestamente  chi- 
fra  i  diavoli  «non  è  de'   primi»:    fch  ititi  kana 
dtn  Crossai  :  ma  poco  prima  gli  era  scappato  detto 
I   diavolo,   seii/'altio,    Satana   in  persona!    Ed 
il  dubbio  di    Fausto  torna  a   farsi    signore  dell'ani- 


Il     PASSATO    hi    Wl  FISTI  >l  I  11 


" 


ino  ni. sire:   chi'  diamine  sarà  codesto  cari  barb  ne 
il  quale  diviene  un  elefante? 


In  perplessità  non  minore  rimane  ehi  dall'as 
e  dalle  azioni  del  «  bizzarro   figlio  del   Caos  »   Mi- 
glia giudicarne  la  natura  ed  il  carattere.  Il  demi 
che  si   fa  compagno  al  vecchio  dottore  di  Wittem 
berga,   nulla   ritiene   in  se   (.lei    diavolo,  quale   amò 
foggiarlo  secolare  tradizione;   di  quel  diavolo  o  i 
nuto,  villoso,  rodato,  grifagno,  mostruoso  e  defoi 
me  così  da  comparire  grottesco,  che  s'arrampi 
marmoreo,  su  per  gli  istoriati  capitelli  delle  cattedrali 
n  maniche,  o  digrignava,  dipinto,  le  zanne  negli  al- 
luminati  manoscritti.   Egli    è  il   junker  Satan,    un 
diavolo  gentiluomo,  galante,  vestito  con  signi  rile 

inza,  che  non  serba  altro  segno  della  deformità 
^ua  nativa  se  non  la  gamba  di  cavallo;  e  questa  pure 
tanto  abilmente  dissimulata  mercè  una  calza  in 
tita,  che  ninno  più  se  n'avvede.  Tanto  per  il  fisi 
Quant'al  morale,  poi,  la  metamorfosi  è  più  stupenda 
ancora.  Arturo  Graf,  che  di  diavoli,  come  ognun  sa. 
è  conoscitore  eccellente,   in  un'arguta  sua   scrittura 
lo  ha  pur  teste  definito  quale  un  diavolo  moderno, 
un  diavolo   illuminato,   un  diavolo  umanizzato.    Ac- 
corto, sagace,  sensato,  pieno  di  brio,  di  buon  umo- 
re, ad  onta  del  pessimismo  che  gli  è  naturale.   Me 
fistofele  finisce  coll'ispirare  più  simpatia  che  ripul- 
sione. Si  direbbe  persino  che,  a  suo  modo,  sia  one- 
sti   e  neppur  del  tutto  cattivo.  «  Sono,  osserva  l'a 
mico  nostro,  nella  natura  di  lui  alcune  parti  buone». 
Bontà,    onesta,  ottimismo,  gaiezza  nell'essere  desti- 
nato a  simboleggiare  il   Male  in  tutta  la  disperata 
ed  orrenda   sua  inesorabilità?  Strano  connubio!  E 
come  ha  desso  potuto  effettuarsi  in   Mefistofele? 

L'indole  complessa  troppo  del  personaggio  n'è 
cagione,  ci  rispondono.  E  insieme  ad  essa  la  diffi- 
coltà grande,  anzi  insuperabile,  in  cui  s'è  trovato  il 
poeta  di  conciliare  la  tradizione  che  gli  si  ergeva 
ben  determinata  e  precisa  dinanzi  coi  concetti  nuovi 
ch'ei  voleva  o  innestarvi  o  sovrapporvi.  Infine,  non 
è  a  passar  sotto  silenzio  l'influsso  della  lentissima 
elaborazione  dell'opera  artistica,  proseguita  dal  Goe- 
the contr'ogni  letteraria  consuetudine  per  oltre  mez 
zo  secolo.  Son  queste,  chi  mai  ardirebbe  negarlo?, 
ragioni  buone  e  di  peso  ;  pure  esse  non  bastani  i  f  i  >rse 
a  spiegare  e  giustificare  quante  bizzarre  anomalie  si 
vennero  sin  qui  additando  nel  diavolo  goethiano. 
In  realtà,  il  poeta  di  Weimar  non  è  l'autore  del  sin- 
golare miscuglio  rli  bene  e  di  male,  ond'appare  im- 
pastato il  più  meraviglioso  attore  del  suo  dramma 
meraviglioso.  Ei  lo  rinvenne  naturato  così  già  nella 
tradizione  letteraria  preesistente,  perchè,  attraverso 
ai  secoli,  Mefistofele  s'era  venuto  profondamente 
modificando,  avea  cangiato  natura,  carattere,  co- 
stume. Sicché,  a  ben  intender  oggi  chi  s'asconda 
sotto  il  rosso  mantello  del  tentatore  di  Fausto,  fa 
proprio  bisogno  d'esplorarne  alquanto  il  tenebroso 
ed    avventuroso  passato. 


Tostochè  Faust  s'è  determinato  a  pagare  col  corpo 
e  l'anima  sua  le  passeggere  ebbrezze  che  gli  può  dare 


l'inferno,  il  Maligni  , i  lusinghiere  prof- 
ferte: «  In  non  son  certo  de'  primi,  egli  dice;  ma 
«  se  tu  vuoi,  unito  a  me,  prender  la  COI  -rso 

o  alla  vita,  io  consenti    i  ntieri   ad   apparte- 

ii  nerti   subito  ed  interamente.  Eccomi   tuo  compa- 
tì gnu  e,   ove  meg]  lenti,   tuo  servo,  valletto 
«  tuo  ».  E  poscia,  allorquando  si  dibattono  li 
zioni   dell'esecrabile  patto,   ei  ripicchia:    «  Vedi 
«  di  qua  m'acconcio  al   tuo   servigio,    pronto  ad   ac- 
o  ci  i  ii  i      sen  :a  riposo  né  tregua  al   mei 

HISTORIA 


Saubtut  fcitttfc  ©cfmwfcftinfffer/ 

§Cir  er  fui?  È<$<n  Mh  Xtuffci  auff  cimiti 

fcl&amt  3bcmfct»cr  3<f<!)<n  /  f«H>*  fl"3<ndj* 

«(  sub  #trìe&fr./bi{jcr  enne!  id)f<i* 

mn  wol  wr&i«nt«n  Uì}n 

SWc6mt&dfe  aufi  fritteli  egaeneti  W< 

torlafjmm  ©rijrifTfm/aUmfjodjtra^ntM/ 

[Grt»tim«n  &nb  ©onlefcn  Wtnfdjcn  jum  fàr<tf(u$t!t 
JB<9fpUi/atfcf}«uwllrf)tnCrcmpJl/Bn&»r<uwfc 

t)«5lg««  aUarnung  jufamrmn  gcjc* 
<3<n/fcn&tnect?  .©rutf  ver; 
fenigu. 

lACOBt    IMI. 

©a?t  ©off  vtiKrt hain'3  /  tv(ber(T«J)«  bm 
'ieuffel  /  fo  |Uuf;<t  «rvoiuiicft. 

CVM   CRAflA  BT  FRIVILEOIO. 

burcf>3cyann(E5pifS. 


VA.  D.  Lxxxvili 


i  rontispixio  della  Hisloria  di  G.   Faust  (i 


o  del  tuo  volere....  »  E  più  tardi,  a  patto  concluso: 

«   Orsù,  oggi  stesso  nel  banchetto  del   signor  dottori- 
ci io  assumerò   l'ufficio  mio  di   valletto  ». 

Questa  vogliosa  prontezza  con  cui  il  diavolo,  im 
memore,  in  apparenza  almeno,  dell'infinito  suo  or- 
goglio,  s'adatta  a  far  da  servitore  a  fausto,  è  tratto 
manifestamente  tradizionale  del  carattere  suo.  Noi 
lo  riscontriamo  in  tutti  i  testi  della  leggenda  ante- 
riori al  dramma  goethiano.  Ma  in  essi  tanto  meglio 
si  spiega  la  docilità  di  Mefistofele,  quanto  più  chia 
ramente  significata  v'appare  la  mediocrità  sua  come 
demonio     Nel    Fausto   di    Cristoforo    Marlowe,    al- 


_''  I 


LA    LI 


I    K  \ 


| 

comparirgli  dinanzi,  ei   si   presenta  umile  ed  ubbi 

nel   mago  la  più 
.  Lia  : 

Mepl       ophil 
«  Com  è    pieno    d'ubbidienza    e   d'umiltà!     l'ali 
...   i-  rza  della  incantesimi  ». 

Ma  il  D  tu  ndevolezza   dell  a\ 

: n. .  antico  deriva  da  .iltm  i  -li  ha  co- 

lza  della    mki   debolezza.    All'intimazione    che 

©rtrucft  ju  grancffurt 

Jfyom/in  93er(r^un33°' 
£ann©pifflWn 


M.  D    LXXXVlll. 

Marca  tip  grafica  dtlV //istoria  di  Faust. 

Fatisi    gli  rivolge  ili  restare  sempre   presso   ili    lui, 
'i  Io  sono  il  si  r\  iti  in   del  grande  I  .in  1 1 
ì  lecito   d'eseguire  senza  licenza  sua. 

i  Noi    non   dobbiamo  operare  se  non   quel  ch'egli 

n  i    I.  millanti'  dopoché  il  suo  sigm  ri 

gliere  le  pn  >poste  i  li   B  austi  . 
lice  d'ubbidirgli:    «  Tu  sai  ch'io  sono 
.  i  he  ii  ser\  irò.  ti  darò  più  ili  quai 
la  fantasia   potrebl  rirti  di  do- 

l-.il   i  cinqui 
mp   ie,  per  i  |uan  i  ti 

■    i  i 


trina  del  sacco  Mai 

i    più 

e  molte  volte  coi 

■  maturgi    ni.  li  -        italo 

■  quel  cui 

alla  luce 


n  Gì  rmania  l'anno    15S7.  e  tradotto  poi    in  1 

uè,  valse  .1  diffondere  pei  tutt'Europa  la  storia 
edificante  e  paurosa    del  gran   saggio   'li    Wittem 
berga,   finita  vittima   miseranda  della    sua    misi 
'ini/.  tudacia  Mia.  Ira   !<■  granfie  del  il' 

iiiu.  (ir  se  noi  leggeremo  il  Faustbuch ,  \i  rinverre- 
mo descrìtta  anche  al  più  vivo  la  servile  condizione 
'li  Mefistofele.  Qualificatosi  «  ufficialmente  »  come 
/alletto  del  «  principe  infernale  in  Oriente  «  egli 
te  ad  insegnare  a  Fausto  per  ventiquat- 
t ranni  ogni  stia  arte  e  scienza,  a  mantenerlo,  a 
remarlo,  a  guidarlo,  a   procacciargli  con  Ir  in 

'M/i'. ni    sue   ogni    godimento,    «  a    fornirgli   ti 
'<  quanto  è  necessario  all'anima  sua.  alla  sua  carne, 
«  al    Sun   sangui-,    alla    sua  salute  ".   S'impegna   a 
narcisi  sempre  ossequioso  e  devoto,  ad  entrar- 
gli in  rasa  igni  qualvolta  sia  chiamato,  a  regolarsi 

11  sitfattu  niDilu  che  persona  veruna,  tranne  che  il 
Dottore,  s'accorga  della  sua  presenza,  ad  assumere 
!  aspetto  che  a  Faust  meglio  gradisca.  K  poiché 
'listiti,  avuta  sull'ime  promessa  dalli»  spirito,  gli  M 
obbliga  a  sua  volta,  Mefistofele,  pien  d'allegrezza,  si 
pone  sulla  via  delle  confidenze.  E  meno  prudente 
0  più  ingenuo  di  quel  che  diventerà  poi,  esce  fuori 
in  confessioni  per  noi  addirittura  preziose:  •  IH 
«  dei  sapere  che  il  home  mio  è  Mephostophiles,  e 
"  con  questo  nome  'levi  chiamarmi  quando 
<  venga  d'aver  bisogno  ili  qualche  cosa  da  me, 
«  che  mi  chiamo  così...  Né  'Irvi  provar  raccaprìccio 
'  dinanzi  a  me...  lo  non  sono  già  un  diavolo,  l>en.;i 
«  uno  spirito  familiare,  che  abita   volontieri  cogli 

'i   nomini    ". 

«  Ecco  dunque  <|tiello  che  si  relava  nel  rati  bar- 
lume! »  possiamo  ripetere  anche  noi  insieme  a    Fau- 
sto. La  rausa   prima  e  fondamentale  «Ielle  iro 
u  il/e  che  s'avvertivano  nella  natura  di  Mefistofele 
ora  chiara  e  palese.  Mefistofele  in  orìgine  non  era 
pur  un  diavolo;  era  un  Hausgeist,  un  Cobol  !"  ' 


Incubi,   Duendes,    Folletti,   Jiaus-puken,  Coboldi 
(tutti  questi  nomi  designano  presso  i  popoli  latini 
ermanici  una  sola  e  medesima  famiglia  d'esseri 
soprannaturali),  ebbero  un  tempo,  rom'e  noto 
assai  rilevante  nella  vita  degli  uomini.  Avvezzi  a 
girellar  sfaccendati    pei  gli  aerei  spazi,  essi   ama 
occuparsi   'li  quant'accadeva  sulla  terra,   me 
sfilarsi,  sp.ti. limi  invisibili  e,  finché  lor  talentasse, 
ignorati,   ad  ogni  azione  ili   coloro  ch'avean  preso 
Mini  a  tormentare  vuoi  a  Favorire.  Sri. in  inni,  sii  ila 
vano  parecchia  noia,  si  permettevano  scherzi   più  " 
uh  no  delicati,  ponevano  sossopra  Ir  case,  facendovi 
pazze  scorribande,  ma  senza  recare  in  fond 
'In  gran  .lanno  mai.  L'affare  piti  serio  era  quelli 
sbarazzasse™  .  -.1  stupenda  e  quasi  in 

«comprensibili  •,  come  scrive  il  reverendo  Padre  1 
Luigi  Maria  Sinistrali  d'Ameno  nel  su.,  dottissimi 
ti. ni. io.  De  dacmonialilatc,  paragrafo  27, questi  spi 
riti  bricconi  non  .ililir.lisri.no  agli  Esorcisti,  non  pn 
vano  alcun  timore  'Irgli  scongiuri,  alcuna  venera 
/ioni-  per  gli  oggetti  sacri  ;  ben  differenti  in  rio  dai 
rmentano  gli  ossessi,  i  quali,  per  quan- 


II.    PASSATI  i    DI     ULTiSTOI-hLl 


21 


tu  riottosi  ed  "stinati.  suini  ben  costretti  ad  abl 
donare  la  preda,  se  udì  ino  pronunziare  le  sacre 
role  ed  invocare  il  ninne  divino.  I  Coboldi,  invi 
accolgono  con  risate  'li  scherno  gli  Esorcisti,  e  giun- 
gono perfino   (o  profanazione!)  a   stracciar  loro  'li 
(lusso  le  vesti.  Non  fugiunt  net  pavent:   quandoque 
cachintiis    exorcismos  recifiunt  et  quandoque 


runa  delle  men  e 

e,  starò  pi 
tra  tutte:    la  storia  ili   Martinetto. 


L'n   bel   giorno  a    Pavia,   eravamo  sullo  s 
del  Duecento,  messer  Anselmo  de'   Boccoselli,  stai 


Faust  e  Mefistofele. 


Exon  stas    ai  dtmt  et  sai 

paragrafo  67). 


putii  (  lllii 


Bramosi  di  tornar  graditi,  si  profondevano  al  con- 
trario in  atti   di  cortesia  e  di   benevolenza.   Sempre 
vicini  alle  persone  predilette,  non  esitavano  ad  as- 
sumere in  vece  loro  lavori  ingrati  e  penosi,  ad 
guir  uffici  servili,  commissioni  difficili,  a  1 
gari   ile'  rischi  pur  di  guadagnarsi  gratitudine  e  fa 
vore.  Le  storie  son  piene,  quanto  dura  l'età  'li  mezzo, 
ed  anche  più  in  là,  di  portentose  avventure  in  cui 
cotest'esseri  bizzarri  e   misteriosi   rappresentano    la 
parte  di  protagonisti.  Gioverebbe  ricordarne   qual- 


m    in   1  isa  sua,   1  de  una   vi  ce.    Essa   1  ieni 
imo  m  isibile,  che  gli  dichiara  di  1 

Martinetto  e  ili  vi  :  d'allora  in  poi,  ai  di  lui 

servigi    senza   veruna   ricompensa     La    proposta 

■     e       Martii      oall        1      nag  nate! 

Ei  sbrigava  più  faccendi    1  assicura   frate  Ja 

copo  da   Aqui,    fedele  narratori    di   questa    veridi 
stori  rne  ed  ossa       e  non 

ava    nulla.    Martinetto   andai 
carne,  il  pesce,  le  1 1  mercati  1,  cu  pn 

parava   la    tavola,   puliva    le    stoviglie,   rifì 

i  cavalli,  lavava  il  capo  ed  i  p 
al   padrone,  e  gli    rendeva  es  nto  'li  qui 

aveva  spe       E  tutto  mosl    irsi  mai  !   I 


I   \    LETTURA 


pun  ritentato  mezzo  .il 

cuii.  egli  avveri 

laudato  a  corri]  rare  questa    i 
quel  mandando   loro  'li  r  ]  ei 

bene  la  he  sarebbesi  presentata  a  ritirare 

quisti  ».    !  I  I  ottegaio  aspettava  un 

ire  una  vecchia  decrepita  .  stava  in  al 
pato  e  gli  veniva  d 
t'i,,i  [1  tre  anni, 

tal   periodo  ili  tempo  gli  affari  del    Boccoselli 

tono  mirabilmente.    Ma  spirato  il    l 
anno,    Martinetto  chiamò  il   suo  padrone.    I 

•,  gli  disse,  icercatevi  un  altro  servi- 
t  tore,  ch'io  non  vo1  più  ri  vi        Ed  is- 

ti ,  sparì   (  '"il-  e  messer  Anselmo, 

non  è  a  'lire.  E  il  peggio  si  fu  che,  scom] 
(.inetto,  ei  non  ne  azzeccò  più   una:   tutte 
i 


Quel  che   Mari  ini  tto  a    Pai  ia,   in     asa    Boc 

elli,  noi  ved  n perai  ,  tn     iecoli  dopo   .1 

male  agguagliare,  in  Wittemberga  Mefisti  1  le, 
pirito  1  amiliare,  un  folletto 
servitore,  invisibile  per  tutti,  fuorché  per  il  sin. 
padrone,  che,  prendendolo  con  sé,  ha  posta  la 
espi  clausola  nel  contratto  'li  poterlo  ve- 
dere quando  voglia  e  sotto  la  forma  che  meglio 
gli  sia  a  grado.  Ed  al  pari  ili  Martinetto,  Me 
è  tutt'affaccendato  nel  provvedere  ai 
comodi  del  dottore,  gli  rifornisce  la  cantina  ed 
il  granaii  mima  inisce  ogni  giorno  sceltis 

-in  Ita,  pei    fai   presti  »,  va  a  rubarli 

dalle  mense   ili  gran   signori   o  'li   ricchi   I"  1 
ghesi),  gli  procura  sontuosi  abbigliamenti,  gli 
riempie  la  borsa  'li  denari,  gli  'là  dei  cono 

■  ■-i.lt-  ,ii  suoi  poderi,  ne  raccoglie  i  frutti,  gli 
fa  da  1  me.  Si  governa,  in 

somma,  egli   pure  da   vero  Coboldo:   sola   di! 
Mai  1  e   lui,  che  quegli   pre 

stava  1   suoi   servigi  al   cavaliei    pavese  senza 
mdi  fini  1-.  pam  lil»-.  senza  speranza  'li  pre 
mio;  mentre  egli  dell'obbedienza  sua  si 

ini]       ima   ricomperi   1    Mefistofi 
dunque  ira  i  <  !dboldi  un  de*  maligni,  al  pari  'li  quello 
spirito  si  ozzi  ito  1  ìilpin  Horner,  <  1  ■  cui  Wal 

uto  1  tiri  nel  2 

tasi  Minslrcl .    essi  1  ha    fai  nella  con 

nasso,  e  gli  porge  valido  aiuto  ove  si  tratti  'li  con 
durre  a  perdizione  gli  imprudenti   incapaci  il 

sue.  <  !osì,  adagio  adagio,   Mefi 
luantunqi  diabolica 

per  1  ili-  ili  svi- 

lii].[  'ira.  il  carattere  d'un  vero  ed  autei 

I  1    siffatta    guisa    i    primi 

intasia  creatrice  di 
mia  quanta  in  un 
proprio  1  Fausto,   pr<  ri 

alla  vita:   al 
d'un  poeta  i-i  dovi  he  lo  som 

rani 


in    si  mpre    meg  1 Il  .ninni  1  nostra   la     1  1 

tezza  che  il  tentatore  'li   Fausto  abbia  trascorso  il 
periodo  più  remoto  e  ca  della  sua  esistenza 

misto,  anzi    confuso,    all'innumerevole  moltitu- 
dine dei  'apri  riusi  folletti,  noi  potremo  ricavarla 
da  un'indagine  alquanto  più  accurata  sopra  il  suo 
nome.    Dalli  e  dalli,  la  scienza  moderna,   più  osti 
nata  ■  lei  di  ittore  di  Witti  mberga,  ha  ben  finito 
lar  confessare  al  Maligno  com'egli   si  chiami! 
I   1   forma  Mtphistopheles,  che,  accolta  da  w    ; 


1  diavoli  che  tormentano  Sant'Antonio  (da  Israel  von  Menclcen  . 

fango  Goethe,  raggiunse  un'insuperabile  notorie! 
nostri  giorni,  non  è  la  sola  di  cui  la  letteratura 
gica  ili-'  secoli  XV]  e  XVII  si  sia  giovata  ad  indi- 
car In  spirito  del  quale  ritessiamo  le  vicende; 
anzi  apparisce  in  un  numero  relativamente  scarso  ili 
testi  e  non  troppo  antichi,  virimi  ad  altre  assai  più 
diffuse  '■  da  maggior  tempo  adoperate.  Così  in  un 

magico  scartai  1      te  la  data  (non  ben  ■ 

però)    del    1501).   il   nume  del  diavolo  evocato  da 
Faust  è  Mephis  Dophului  :  e  Mephìstopholui 

li ..im.iii'    in  altro   lilirn  a   prima,   che   si    1 

copiato  dai  manoscritti  stessi  del  I1  ttore,    erbai 

i    i  'li.i    nella    I liblii ite  a    dell'abbazia  i * 
■  li  Krnipi.  Il  Faustbuch  del    1587  presenta  inveo 
la   forma    Mephostophiles,  che  con   lieve  modifica- 

-iiH'ii/a  diviene  \{ tphostophìlis  pn 
Cristoforo  Marlowe,  il  quale  senesi   pure  dell'ab 
breviazione  Mtpho        I       shaki    pi  are,  dal 
suo,  scrive  Mephostophilus. 


11. 


'ASSATO    hi    MEI  ISTI  'I  hi.!. 


J 


Più  prossima  alla  forma  destinata  a  trionfare,  è 
l'altra  Mephisiophiles,  che  si  rinviene  usata  in  più 
libri  negromantici  del  Sei  e  del  Settecento;  mentre 
una  sola  fonte,  la  Praxis  Cabulae  nigrae  Doctoris 
fohannis  Fausti/  miigi  celeberrimi,  stampata  a  Pas- 
sati nel  1612,  storpia  il  nome  del  diavolo  in  Mephi- 
stophiel.  Vero  è  che  in  compenso  Mefistofele  ci  ap- 
pare da  essa  innalzato  alla  dignità  di  Principe  elet- 
tore del  diabolico  impero,  assistente  al  soglio,  con 
altri  sei  colleghi,  di  S.  M.  Lucifero  Belzebù  \'a- 
dannaele   Plutone  I.   sovrano  dell'Interni)! 


La  storpiatura    di    Mephistopheles   in    Mephisto- 

phiel  era  suggerita  all'ignoto  autore  della  cabali- 
stica scrittura  ora  citata  dal  desiderio  di  dare  al 
nome  del  «  demonio  volatico  »  una  cert'aria  ebraica, 
giacche  è  noto  come  tutti  i  nomi  dei  diavoli  regi- 
strati nelle  opere  magiche  del  Cinquecento  e  del  Sei- 
cento siano  senz'eccezione  dedotti  vuoi  dall'ebraico 
vuoi  dal  greco.  Ma  che  in  Mephistopheles  elementi 
semitici  ovvero  ellenici  si  nascondano  non  può  ri- 
maner dubbio  per  alcuno.  Tutti  i  dotti  sono  con- 
cordi su  questo  punto,  salvochè  gli  uni  propendono 
per  l'ebraico,  gli  altri  per  il  greco. 

I  fautori  della  prima  opinione  s'accapigliano  però 
poco  fraternamente  tra  loro  a  proposito  dei  vocaboli 
donde  il  nome  esser  dovrebbe  composto.  V'ha  difatti 
chi  vede  in  Mephistopheles  la  risultante  di  due  voci 
ebraiche:  me  piar,  che  significa  «  l'infrangitore  »,  e 
tophel,  che  vale  «  bugiardo  ».  In  tal  caso  Mefisto- 
fele sarebbe:  a  colui  che  infrange  la  menzogna  »; 
nome,  ad  essere  schietti,  ben  poco  conveniente  al 
demonio  che  della  menzogna  è  stato  sempre  repu 
tato  il  padre.  Altri  invece  sostiene  che  il  nome  debl 
spiegarsi:  «  l'infrangitore  ed  il  menzognero  »;  ma 
chi  afferma  questo,  non  si  preoccupa  punto  delle 
leggi  che  regolano  in  ebraico  i  vocaboli  composti. 
E  prescindendo  da  ciò,  come  mai  MepMstophel  a- 
vrebbe  assunto  quelle  desinenze  in  es,  os,  its,  che  gli 
vediamo  sempre  accodate  nei  testi  magici,  mentre 
gli  altri  nomi  in  el  d'origine  ebraica  sono  rimasti 
immutati  (Ariel,  Asrael,  Achitòfel,  ecc.)?  Messa,  in 
disparte  cotesta  spiegazione,  se  n'è  tirata  in  campo 
un'altra:  nel  nome  s'avrebbe  la  fusione  di  mephiz, 
che  suona  «  distruggitore  »,  e  tophel  «  bugiardo  ». 
Ovvero  si  dovrebbe  riconoscervi  la  parola  mephai- 
teh,  che  torna  quanto  dire  «  seduttore  »,  congiunta 
a  tophel,  «  follia  ».  Mefistofele  sarebbe  allora  il 
«  seduttore  della  follia  »,  cioè  «  colui  che  trascina 
alla  follia  »...  ;  e  questo  potrebb'anche  esser  vero  .. 
per  (pianto  riguarda  agli  etimologisti! 


Se  disertiamo  il  campo  ebraico  per  passare 
nel  greco,  qui  pure  rinveniamo  discordia  d'opi- 
nioni. Si  ammette  in  generale  dai  più  che  la  seconda 
parte  del  nome  sia  costituita  da  philos,  «amatore»; 
ma  sull'oggetto  dell'amore  del  diavolo  sorge  viva 
discussione.  Qualcheduno  volle  vedere  nella  prima 
porzione  del  nome  un  megas,  «  grande  »  ;   Mefisto- 


fele diverrebbe   in  tal  cas me'  che  ai 

«  grande  »:  un  diavolo  megalomane!  Altri,  più  pru- 
dente, ha  creduto  dover  ricorrere  alla  voce  mephites, 
«  esalazione  sulfurea  »,  che,  accoppiata  a  philos  o 
,i  opkeles,  verrebbe  a  dire:  «colui  che  ama 
1  vale  di  vapori  maligni...  »  Più  ingegnosi,  se  non 
più  persuasivi,  i  tentativi  di  riconoscer!  in  Mefisto- 
fele un  «  nemico  della  luce  »,  me-folo-philu±, 
un  «  avversario  delle  cose  liete  »,  me-fausto-philos... 
Com'è  chiaro,  la  scelta  riesce  grande:  ve  n'è  per 
tutti  i  gusti  !  Ma  il  difetto  capitale  di  tutte  queste 
elucubrate  etimologie  sta  qui:  che  nessuna  tiene 
nel  debito  conto  l'essenza  ed  il  carattere  di  Melisto- 
fele.  Ognuna  di  esse  è  come  un  abito  fatto  che  si 
può  indossare  da  qualunque  persona.  Qual  è  di- 
I  itti  lo  spirito  maligno  di  cui   non   si  possa  riconi 


Diavolo  (Torri  di   NotreDame,  Parigi). 

scere  come  caratteristiche  la  violenza,  la  frode,  la 
bramosia  di  distruggere,  l'odio  verso  la  luce,  l'ani- 
mosità per  quante  gioia,  felicità,  bellezza?  Ma  tutti 
[uanti  i  diavoli  pi  itrebl  rei  M  ■  ''li  ! 


Una  nuova   interpretazione  è  stata  invi ssa 

or  ora  innanzi,  la  quale  ha  probabilità  grande  di 
cogliere  nel  segno.  Ne  è  autore  il  filologo  tedesco 
G    E.   Rosei,, -r.   dottissimo  di    mitologia  eia 

mparata.   Studiando  la  leggenda  di  Pane,  il  Ro- 
1     s'è    li  unno   .1    consn lerare    uno  degli    !     p 
sotto  i  quali  quel  dio,  cosi   universalmente  venerato 
dagli  antichi,   riceveva  culto  ''1  omaggi;   come  I 
lialte,   quale  autore,   cioè,  'li  quel  malessere  che  in- 
coglie chi  s'adì  '^gra- 


A    l.l  .1  I  I  R  \ 


ra  'li  Pa 

: 

buone  conseguenze  per   <  hi 

ne  -  \       loro  sui  quali   gravava  con  tutto 

il    proprio  | m-s. i.    Kfialte   era   poi    lai)  .ori: 

consuetudine  nei  greci  ili  chiamarlo  <>/>//e'- 

l'utile,  il  vani 

ito  attribuito  anche 
orma  superlativa,  chi  taluno  l'abbia  detto: 
«in  grani  utile  »:   Wegistophelt  r.  1 1  ni 

ii  i  magici  del  X\  I  e  JCV]  I  seo  ilo, 
li l  un  folletti '.  ail  un  [ncuh >. 
ad  uno  spirito  familiare,  che  dei   vecchi  satiri  con 
:  rrompi 

involontario  ili  scrittura,   sia 
che  un  sentimento  superstizioso  n'abl  gliato 

l'alterazione,  è    diventato   Mtfh 

più  . 


fero I  II  folletto  tedesco,  il  Gestii, 
le  Kntcht  della  mitoloj  si  scopre 

legittimo  i  diretto  discendente  d'un'ellenica  divin 
l       osa,  del  resto,  non  pui    fan     troppa  meraviglia, 
5i  i      bbe  i  he  Mefisti  ifi 

corto,  quando,  ai  xxnpagnandi    l-'austo  alla  ricerca  ili 
E  lena  bella,  nella  notte  sai  i  sico  Sabba, 

il  pìi  de  sulle  i  il  plenilunio 

Fermo  nella  persuasione  'li  non  rinvenir  lar- 
darmi che  gli  sia  familiare,  egl       bentosto  foa 
zato  a  ricredersi  dinanzi  alle  poco  gradite  manife- 
ioni  d'affetto  che  gli  prodiga  Bmpusa    i  lo  mi 
i  redeva  .  borbotta  egli  .  cacciandosi  in  mezzo  allo 
iame    provocante  delle   Lamie    ingannatrici,   di 
i  venir  tra  gente  ilei  tutto  sconosciuta  e  pur  troppi 
»  ritrovo  'le'  parenti!   Ej,'li   è  un   vecchio  libro  da 
fogliare:    dall'Harz   all'Eliade   sempre    de'    cu- 
li nini  !  ii. 


i    non  vada  errato  nella   sua  inge- 
nn  [Ravvicinamento  curioso 


Frani  esi      Ni  ivati. 


Diavolo  e  mostro  (Torri  di  N'otre-Dame.  Parigi). 


I. 


Opportunisti  irresoluti,  ambiziosi  e...  pau- 
rosi!... Xient  altro  che  interesse  persi  male,  vanità 
persi  male  e  paura!   Hai  rapito? 

—  Sissignore. 

-  Il  panini,  il  paese,  bordine,  le  istituzioni! 
Hanno  tutto  sotto  la  suola  ilelle  scarpe  quella  gente 
là  !  Hai  rapiti'  ? 

—  Sissignore. 

Chi  si  arrabbia  e  grida  è  l'onorevole,  cioè  ti". 
Sua  Eccellenza,  o  meglio  ['ex  S.  E.  Gerardo  Parvis, 
appena  arrivato  ila  Roma  col  diretto  della   n 

Ha  «  offerte  »  le  proprie  dimissioni  da   Ministro 
delle  Poste  e  Telegrafi,  nauseato  della  debolezza 
suoi  colleghi  che  non  hanno  avuto  ne   il  corag 
né  l'abilità  di  tener  testa  all'ostruzionismo  o  di  di 
sarmarlo 

—  Mille  volte  meglio  quegli  indemoniati  dell'E 
strema  Sinnira!  Sinceri  non  sono  nemmeno  quelli 
là...  aivo//aglin  di  idee  e  dì  ideali  che  fanno  a  pu- 
gni fra  loro..  Anch'essi,  tutt'insieme,  non  andreb- 
bero d'accordo  nel  proclamare  ciò  che  vogli ma 

sanno  però  tutto  quello  che  non  vogliono!   Coi 
l'ordine,  contro   lo    Stato   attuale,   contro  li     [stitu 
zioni     sono    d' accordissimo    sempre,    tutti,    come 
un    uomo   solo!   E    qualche  volta  riescono  per 


ial  ici  pei  i.i  loro  audai  ia,  e  hanno  ragione  di 
rider  di  noi  e  ili  non  lasciarci  più  nemmeno  il  di 
'Min   di    p.nlare! 

A  che  cusa  siam  ridotti,  noi  '  In  branco  di    pe 
n  .  di  nullità,  gunti  di  quattrini,  di  boria  e  d'igno- 
ranza! Dall'altra   parti   anche  quelli  che  non  hanno 

rno  s'impori'gono  ci  illa  I :ombattività...  I  i 

manca  i)  caratteri .   la  o  •Inni,  abbonda    la 
ie  e  la  violenza..    E    veri    sì  o  no  "-1 
Sissignore. 
Chi   risponde  all'ex  Eccellenza    I     il   suo   vecchio 
servitore  che  gli  disia  li    valigie,  mentre  dal   gabi- 
netto attiguo  alla  camera  da  letto,  si  sente  il  rum 
dell'acqua  che  riempie  la  vasca  del  bagno 

Furboni,  sai,  i  megli   I  stremi,  con  tutta 
retorica  !    Furbi   '     «ceti    i       Gente  di  poca   fa  I 
Sono  i   primi   lori  i   .1   ridere  dei    paroloni  1 

montano  la  testa  ali    ma    ti     ma    di ipiso  mo 

i  tempi  e  nel  cai  van      pei  conto  loro,  per  le 

min  iano  avanti  anche  le  lori  1  idee,  il 

1  ari  iti  1.... 

Sissigni  ire. 
Prospero,  il    servitore,   è  taciturno,   quanto  il  pa- 
drone '■  verbi  -■     Non  risponde  mai  più  chi    1 

1  e  solfanti  *  1  |uand 

meni     1  (gni  volta  che  il  padri  1 

l< a  1"  e  o  'ti  un  :  «  Ha  fatti  1  buon  viagg 

del  quale  si   sente  tg...  » 


2(1 


I  A     I   I    I   I  I    R  \ 


pen  delle  « jii.xi i r< >  par  Fi 

labbi  sbarbato,  men 

tre  un  tenero  lucicchio  degli  occhi  rivela  un  affetto 
intenso  per  il  ii.nln.ni-.  il   piacere  vivo  di  rivederlo, 
sci.,         l'onorevole  Parvis,  -In-  si 
icca  e  la  51  1  ti  veste,  siede  sulla  I  « 
(idi  1  letto,  mentre  il  sen  1 

arpe.         E  così,  quattro  ossessi,  1  si  inai  i    pn 

ile,  ili  urli  sono 

iti  a  metterci  in  un  1  1  laniera 

!>ni  anche  il  suo 

re:    quello  'li  fare  le  leggi!    Basta,  per  Dio! 

Da  parte  mia,  capirai  bene,  li  ho  piantati  là  e  non 

mi  ci   pigliano  altro!  A   Roma,  capisci,  non  torno 

più  : 

Non  torna  più  a   Roma?    E   il  Governo  da... 
romandan 

Prospero  non  dice  queste  paioli-,  ma  alza  il  capo 
le  scarpe  fra  le  mani,  fermi  .  irdando  il 

padrone  che  gli  legge  la  domanda  negli  occhi.  Era 
avvezzo  alle  sfuria  ■       non    lentiva  né 

capiva  tutto  quanto  egli  diceva.  Era  forse  anche 
per  questo  che  l'onorevole  Parvis  si  sfogava  in  tal 
modo  ;    le  sui    |  spegne\  ani  1,  una   di  >po  l'ai 

tra.  come  tanti  fiammiferi  buttati  nell'acq  1.  Ma 
quella  dichiarazione  di  non  voler  più  tornare  a 
Roma,  ha  fatto  al  vecchio  Prospero  una  straordina- 
ria impressione     E   l'ex-ministro  delle  0   Poste  e  Te- 

|ui  1  p<  irtafi  >gli  seconda 
rio,  perchè  in  Italia,  dove  tutto  va  innanzi  per  an- 
zian  roppo  giovane  per  un  mini- 

■  più   importante        si  sente  lusingato  consta- 
tando ''I»-  il  fatto  veramente  enorme  del  suo  ritrarsi 
sull'Aventino,   fa  colpo  anche  presso  uno  zotico  ti 
storie  come  il  suo  servitore 

Precisamente  così!  Li  ho  piantati  con  tanto 
ili  naso!  Avranno  capito  adesso  che  non  facevo  per 
burla,  allorché  ripetevo  loro  che  io  coi  timidi,  coi 
sto,  assolutamente  non  ci  sto! 
I  Gerardo  Parvis  continuò  per  un  bel  pezzo  an- 
i-ora, ma  il  vecchio,  -  svanito  quel  lampo  fugace 
di  maraviglia  che  occhi,  —  è 

impassibile   e.l   accudisce  metodicamente 
alle  ncombenze,  prepara  la  biancheria 

calila  •■   fredda,   le  spugne,  le  babbucce,  .mio 
bagno. 

li  ri,  11  V\  ministro  a miro  1 

colle)  h  ■  e  a  1  del 

ten  un  Festoso,  poi  da 

un  iffai >< '    all'usi  io,    finche    un  bolide 

api  iste  a  vel  ri  e  le  spa 

I .nolino  lun  .  basso  basso. 

bel  pt  irrone,  dai  riflessi  doro 

li  Mosso  al- 
1    contini      ad 
ab!. 
alili'  -  rgli  il    volto. 


rei  lama  Pi     pero   fermandosi  ritio 

I    la  luo  che  gli  brilla  negli  occhi  sembra  gli  spiani 
le   rughe  londe  della  vecchia    taccia.        Teol    Giù! 
reo '   Qui  !   Vieni  qui  !...  Teo! 
Ma    tutto  è    inutile  e   anche  il    padrone  tenta   in 
.  oon  la  voce,  con  li- mani  di  schermirsi  il  volto 

dalle  lavate  della   piccola   bestiola  che  salta,   si  arro 
'ola.  si   allunga  e  quattrisce  e  smania   sempre  più. 
Il    servitore    continua   a    guardare   il   cane,   poi    si 
al   padrone: 

Ila  sentito  subito  la  sua   voce!  Lo  ha  con 
scinto  subito!    reo!  Bravo  Teo!  Povero  1 

reo,  diminutivo  del    vero  nome,  Matteo,   — 

salci   Ira   1  piedi  del  servitore,  abbaiando,  dimenando 

ida,  dimenandosi  tutto,  piegando  con  mille  u-z/i 

il  lungo   testone  intelligente   dall'espressione  umana. 

come  per  metterlo  a  parte  della  sua  gioia.  Ma  poi 
subito  si  volta,  corre,  si  slancia  sul  padrone  e  per 
raggiungere  lo  scopo  salta  sullo  schienale  della  pol- 
troncina e  lo  lecca  sul  collo  e  riesce,  finalmente,  a 
lambirgli  la  faccia. 

Basta!    Fermo!  Giù!         grida  Gerardo  un 
po'  infastidito  e  nondimeno  maravigliato  e  lusin 
gaio  di  tanta  festa.  Lusinga!"  e  commosso... 

Quella    sua   casa   d'uomo  importante  e    influente. 
d'uomo  politico  e  d'uomo  di  Governo,  così  piena  di 

gente  seccante,  noiosa  e  interessata  non  appena 
non,  il  suo  arrivo,  era  altrettanto  vuota  e  melanco- 
nica ogni  volta  ch'egli  arrivava  quasi  improvvisa- 
mente comi-  appunto  quella   mattina. 

Il:    ,1  ha...   fai...  bon..   viag...  »  del   vecchi 
\  tore,  e  nient'altro. 

Teo!  Teo!        Quel  povero  Teo!  Quanta  fc 
gli  faceva  e  con  quanta  sincerità  '.  Come  gli  riem- 
piva l'anima,  il  cuore  e  la  casa  di  affetto,  di  vita, 
di    allegria! 

Sta    fermo,  dunque!   Giù,  giù!    Basta,    1 
Ad, -ss,,  basta  ! 

...Ma   le    labbre    sorridono,    cine    continuano   a 
sorridere  gli  occhi  del  vecchio   Prospero  chi    ri] 

sotto  voce: 

reo!    Povero   beo!...  Ha  conosciuto  subii- 

Ma  se  quando  sono  partito  per  Roma  era  un 
cucciolo  di  tre  o  quanto  mesi  appena?...  Davvero!.. 
lo  non  mi  ricordavo  nemmeno  più  d'averlo!... 

l.a   povera    bestiola    no,   invece!..    Quando    io 
metti  VO   mano  agli   al, ai   del  signor  padrone,  Teo   vi 

si  sdraiava  vicino,  vi  metteva  il  suo  muso  sopra... 
e  mi  guardava  come  se  volessi-  domandarmi  qualche 

a.... 

reo  capiva  che  si  parlava  di  lui:  fermo,  attento, 

I  li   OCChi    lui  I  ■n'issimi     e    pie 

gaudo    un    po'    la    testina,    in    atto   di   dolcezza    alfet- 

sa. 

Il  servo  andò  a  chiudere  il  rubinetto  del  bagno 
Pronti  1  ' 


CASTA    bIV \ 


-7 


—  Vengo  ! 

Ma  Gerardo  non   si   mosse  ;    accese  una   sigaretta 
e  sempre  sdraiato  nella  poltroncina   stringeva,  tira- 
va, accarezzava  le  orecchie  del  cane   che  gli  s 
avvicinato,  gli  aveva  messo  il  muso  sopra  una  gam- 
ba,   socchiudeva  gli   occhi  e  ogni 
tanto  sbatteva   le   labbra,  con  un 
senso    di   deliziosa  soddisfazione 
Il    giovane  ex-ministro,    per   al- 
tro, non  pensava   già  più   a  Mat- 
teo. Quella   festa,   quell'accoglien- 
za lo  portavano  col  pensieri,  a  ri- 
cordi lontani,  ma  che  erano  sem- 
pre i  più  cari  e  i  più  vivi  nel  suo 
cuore. 

Quasi  ancora  ragazzo  era  ri- 
masto senza  parenti,  e  gli  anni 
migliori,  gli  anni  dell'ardore  e 
della  bontà,  li  aveva  dati  ad  una 
donna,  —  non  la  prima,  ma  la 
sola  ch'egli  avesse  amato  davvero, 
-  una  donna  che  ben  meritava 
quell'omaggio  completo,  assoluto 
di  devozione  e  di  passione,  una 
creatura  fatta  di  grazia,  di  bontà 
e  d'intelligenza,  uno  spirito  eletto 
ed  un'anima  grande,  un  cuore  dol- 
ce, affettuoso,  sapiente  e  indul- 
gente, un  cuore  di  donna  innamo- 
rata. 

La  cara  e  fida  e  buona  amica 
era  morta  da  tre  anni  e  il  cuore 
del  Parvis,  ila  tre  anni  era  ancora 
pieno  di  ricordi  e  vuoto  di  per- 
sone. Soltanto  il  lavoro,  un  grande 
lavoro  assorbente,  e  poi  gli  odi  e 
gli  amori,  le  passioni,  le  cure  e  !e 
lotte  della  politica,  lo  avevano  oc- 
cupata, agitato  e  stordito. 

Niente   altro!...     Nessuna   don- 
na,  mai.   Né   la  civetta  che  si  offre,   né   la  bellezza 
che  si  vende. . . 

Ancora  giovane,  la  sua  anima  non  aveva  avuto 
un  palpito,  ne  il  suo  sangue  un  fremito.  Lei  ancora. 
sempre  Flaviana,  soltanto  Flaviana  riappariva  ai 
suoi  occhi  nelle  brevi  soste  della  stanchezza,  ritor- 
nava a  lui  nei  caldi  sogni  delle  notti  agitate. 

Com'era  stata  bella,  com'era  stata  buona  !  Bella, 
buona  e  s/airu. 

Egli  era  vissuto,  a  sua  volta,  sicuro  dell'amore 
di  lei,  come  di  nessun'altra  cosa  al  mondo;  sicuro 
dell'amore,  sicuro  della  fedeltà ..  E  che  gioia  poter 
essere  sicuro  della  donna  che  si  ama....  e  che  tor- 
mento dover  sempre  dubitare,  sospettare,  temere  ! 
Oh,  egli  aveva  saputo  amare  in  ragione  di  quanto 
aveva  potuto  credere...  Allorché  si  dubita...  si  di- 
sprezza o  si  odia:    si   desidera   ancora,    forse,  con 


tutti  gli  ardori,  con  tutte  le  ansie,  con  tutta  la 
ma  »  amare  »  no:  non  si  ama  più. 

Ed     egli,    invece,    aveva     potuto     amare 
veva    potuto    amarla,    sempre,    senza     una    nube, 
senza    una    bugia    mai.    sino    alla     fine!.  .    Buo 


-  )  ^-K. 


r 


mal  Tonale. 

Come  rivedeva  quel 


anto,    e    bella!...    E 
signorilità  e    di    abbandono.  . 
volto  classico,  pallido,  nel  quale  ardevano  i  grandi 
hi  neri  pieni  di  fascini  e  d'amore,  e  i  e  di 

/ione...  Com'erano  stati  sicuri  sempre  anche 
quegli  occhi,  anche  quelle  labbra,  al  pari  del  suo 
cuore,  di  tinta  lei  stessa!  E  quanto  era  intelligente 
e  lieta  e  cara  e  pensosa...  e  come  le  sue  ansie  e  le 
.  la  sua  anima  e  i  suoi  nervi  e  sorrisi  e  so- 
spiri e  lacrime  rispondevano  sempre  al  desiderio, 
al  sogno,  allo  spirito,  al  «  momento  »  dell'uomo 
mante... 
—  Cara  !... 

Coinè  gli  aveva  riempito  di  sé  il  cuore  e  la  gio- 
vinezza, senza  mai  attraversargli  la  via,  senza  mai 
essergli  d'inciampo,  senza  mai  dargli  una  noia, 
una  pena!...  Ed  egli  —  allora!  —  a'  suoi  improv- 


2H 


LA     I  I    I  I  t  K  \ 


i   Roma,  '"in<    saliva  di   corsa  quelle 
felice, 
la  march 

el    II  cuore  di   lei    aveva  immanca- 
liilii:  ■   _  suo  ritorno  ;  e  che   I 

clan  che  luce  in  quei  suoi  occhi, 

qual  ■  l'improvi  del  ritorno... 

-  uotendo  il  muso  lungi    e  fre- 
di  i  i'  rardo  .  io  a  fìsare 

i    stizia  negli  occhi  u- 
midi 

Più!..    S'on  ce  più!   E  da  allora...  sei  tu, 
proprio  ui  il  primo  che  mi  fa  un  po'  'li    I 

tanto  |*t  me!    reo!...    Povero  Teo!    -      e 
nl<i.  scrollando  il  capo  gli  ai  a   le  orec- 

chione lunghe  e  calde   —  Anche  di  -       ssere 

I  acqua  del  bagno  diventa  fredda 
Eco  mi  '  Vengo  subito  '. 
Gerardo  -    alza  vivamente  i    in   fretta  di 

rsi.  mentre    Matteo,   preso  da  una  smania   di 
gioia,  r  lt*  camere,  gira  su  sé  stesso,  torcen- 

dosi xchio,   attraversando  a  salti,    innanzi 

dietro,  il  li  pi  >ltn  un'ina,  e  morden 

■  lo  jier  ischerzo,  delicatamente,  al  passaggio,  i  p 
scalzi  del  padrone. 


II. 


anche  il  Teo.  all'Abetone? 

e  Parvis    guarda  Prospero  con  aria  stu- 
pita bestiola  he  si  parla  di  lei. 
■Ile  gambe  ili  dietro  e  ritto  su  quelle 
davanti                            irte,  a  roncolo,  fissando  gli 
occhi  gialli,  dalle  trasparenze  d'ambra,  lucentissimi, 
guarda  a  sua  volta  il  padrone  ed  il  servitore,  piega: 
ora  verso  l'uno,  ora   verso   l'altro,  la   bella  testolina 
•  laile  lunghe  orecchie  ''allenti  e  lo  fa  con  una  espres 
.i.  con  un  atto  fra   l'interrogativo 
■upplichevi 
Prendere   anche    il    TeOj    con    noi?    Diventi 

L'n  cane?    In   viaggio?    I  igurati    che  sei 

tura  ! 

Di  rante  tutto  il  viaggio  lo  terrò  con  me.  I 
rgerà    neppure! 
per  quanl  puro  sangue,  i 

diano  ili  Pros]  avvicina,  ti/ 

lllpl 

alla  ,_  ccandogli  la  mano. 

In  viag.  ntinua  il  Parvis.  — 

all'albergo?  Con  ; 

bile  '. 

me    l  '  • 


mira  con  me.  G  io  da  mangiare,   lo  con, Imi" 

l         non  ci  |  ensi  neppure  ! 
Trattandosi   ili   intercedere  per   Matteo,   per  1 .1 
inico  fedele  che  sa  'lire,  come  lui.  tante  cose  senza 
parlare,  ii  vecchio  Prospero  diventa  persino  loquace. 
Ma    l'onorevole  è  insofferente  ili  contraddizioni. 
Non   vuol   saperne    ili   cani   in   viaggio,    all'alivi  ■ 
e  siccome  l'altro  inviste,  egli  perde  la  pazienza 
arrabbia,  alza  Prospero,  sul, ito.  allunga  II 

brom 

Allora,  mi  ilir.ì  lei,  dove  e  a  chi  lo  dovrò  la- 
Li  10.  che  in  un'altra   casa  non 
ri,,,    nemmeno   dipinto!...   E  poi,  quando 
non  vedrà  più  né  me,  n  magari,  anche 
ili  fame! 

Dopo  questo  aiti  atti,  e  quasi  affermali. lo  la  gra- 
vità  del    probi, -ina.     I,      toma   a  t'issare  il  padrone, 
tenendo  la  coda  lussa  e  dimenandola   lentami 
come  aspettando  che  venga  decisa  la  sua  sorte. 

—  Si   potrebbe  lasciarlo  alla   portinaia I 
Prospero  non  si  degna   nemmeno  ,li  rispondere, 

ili  voltarsi.  Continua  a  chiuden    bauli  e  valigi 

—  Oh    I1  pensa    l'arvis.  sbuffando.   -     ' 
siamo!  —  Infatti,  quando  Prospero  pianta  il  muso 
ce  n'è  per  un  bel  pezzo!     -   Perchè  poi,  domando 
io.  non  si  potrebbe  lasciarlo  alla  portinaia? 

Perchè  dalla  portinaia  non  ci  sta. 

Teo    dimena   la  e 'ila   più    forte.    Dice  anche    lui 
che  dalla  portinaia  non  ci  sta.  Egli  aveva  una  - 
cata  antipatia  contro  quella  donna  per  cene  \ 
Mine    impressioni    ricevute   sotto    l'atrio   e    lungo    le 
vale,  durante  la  sua  prima  gioventù 

Gerardo  non  vuol  troppo  inquietarsi  :   s'è  inquie- 
abbastanza  a  Roma,  per  cose  più  serie,  e  finisce 
col  sorridere  a  'l'eo  e  col  l'accarezzarlo,  per  rappa 
cificarsi    »1  servitore.  Riflette,  intanto,  quale   | 

essere    la    maggiore    delle    e  ire:    viaggiare 

col  cane,  1  ppure  <■"]  broncio  ili  Prospero  che  e  capa- 
cissimo ili  farglielo  godere  per  tutto  il  tem|n,  della 
villeggiatura... 

Star,,    lassù,   un    paio   ili    settimane  per    ripo- 
.   camminare,   premiere  II  fresai  e  pei  s  1 
un  paio  d'articoli   sulle  condizioni   politiche  dell'I- 
talia al   Daily  Express...    Poi,  basta  Alietone  !    I 
neri'i  a   Roma  per  una  settimana.  A   Roma  ci  p 
andare  senza  Prospero  e  Prospero,  invece,  potrà  t,  r- 
nare  a  Milano  con  Matteo! 

Il  muso  di  Prospero  ha  dunque  ottenuto  l'effetto 
voluto,  ('.cranio  Parvis  è  ormai  a  cedere. 

soltanto  'li  salvare   l'onore  delle 
e  quindi  continua   a  guardare  e  ad  accarezzare  il 
•tue.  mentre  domani  la  al  servitore: 
l    se  poi  disturbassi 

Prospero,  sempre  zitto.  Ha  finito  di  chiudere  i 
bauli  e  tutti  li  valigie  e  comincia  ad  arrotolare  il 
plaid. 

,  qualche  notte,  si  mettesse  ad  abba 


I    Wl  \    hlYA 


29 


Silenzio  perfetto. 

—  Basta!  Sarà  quel  che  sarà!  Condurremo  an- 
che Teo  in   montagna!  Ma  ricordati.    Prospero,   ci 

penserai  tu  ! 

—  Sissigni  ire  ! 

La  faccia  ilei  vecchio  ha  un  lampo,  un  sorriso,  e 
Teo,  dalla  gioia,  comincia  a  squittire  furiosamente, 
a  correre  di  nuovo  in  giro  per  la  stanza,  a  tirare,  1 
mordere  la  giacca  e  i  pantaloni  del  padrone;  poi 
afferra  colla  bocca  una  babbuccia  di  pelle  e  se  !a 
porta  via  scappando  sotto  le  seggiole  e  il  canap 
inseguito  dalle  grida  e  dalle  minacce  di    Prospero. 

L'onorevole  Parvis  ha  fatto  conto  di  fermarsi  a 
Pracchia  e  di  salire  all'Abetone  in  carrozza ,  la 
mattina  presto,  col  fresco,  e  così  prende  l'ultimo  di- 
retto, quello  della  notte  per  Firenze. 

l 'urne  tutti  gli  uomini  politici  e  gli  uomini  d'af- 
fari che  viaggiano  molto  e  non  hanno  tempo  da 
perdere,  l'onorevole  Parvis  legge,  scrive,  lavora  an 
che  in  treno,  nel  suo  scompartimento.  L'n  ministri 
anche  dimissionario,  trova  facilmente  il  modo  di 
rimanere  solo. 

Appena  il  treno  è  in  moto,  egli  apre  la  sua  vali- 
getta particolare,  leva  la  cartella,  il  calamaio,  poi 
un  fascio  di  lettere  e  di  carte.  Ne  sfoglia,  ne  esa- 
mina alcune  attentamente,  poi  le  mette  da  parte  e 
comincia  a  scrivere.  Sente  di  dover  inviare  una  let- 
tera al  suo  sotto-segretario,  l'onorevole  Donadei. 
Bisogna  persuaderlo  che  non  è  il  caso  ch'egli  pure 
dia  le  dimissioni,  e  ciò  non  soltanto  per  atto  di  cor- 
tesia, abituale  in  simili  casi,  ma  altresì  perchè  al 
Parvis  preme  realmente  che  il  suo  collaboratore  ri- 
manga qualche  tempo  ancora  sulla  breccia  a  soste- 
nere l'urto  delle  opposizioni  postume  ed  anche  delle 
postume  invettive. 

La  lettera  non  è  facile  a  scrivere,  neppure  per 
un  diplomatico  fine  e  consumato  come  Gerardo  Par- 
vis. Ma  il  rullio  del  treno,  che  non  gli  permetti-  di 
scrivere  in  fretta,  gli  lascia  il  tempo  necessario 
di  meditare  sulle  frasi.  E  non  c'è  male:  cene  let- 
tere, quando  meno  ci  si  pensa,  si  vedono  poi  compa- 
rire, al  solito  momento  più  inopportuno,  su  questo  e 
su  quel  giornale. 

Gli  uomini  politici,  come  le  donne  che  hanno  più 
di   un    innamorato,   non    sono   mai    prudenti    abba- 
stanza colle  lettere!... 
«  Oh  or  evi' le  amico  : 

«  Se  ho  avuto  qualche  perplessità  nel  decidermi 
.11!  abbandonare  le  cure  e  le  responsabilità  del  Go- 
verno e  se  ora  ne  provo  qualche  rimpianti!,  è  sol- 
tanto pel  rammarico  di  staccarmi  da  lei,  di  avi  ri 
interrotta  un'opera  con  tanta  fiducia  iniziata  in- 
sieme, e  mercè  la  di  Lei  intelligente  e  provvida  col 
lavorazione,  proseguita  in  mezzo  a  contrarie  fortu- 
ne,  non   senza  onore  ed  utilità. 

ii   Ma   questo    rimpianto   si    farebbe    in    me   assai 


piti   grave  e  doloroso,  e  mi  indurrebbe  quasi  a  te- 
mere  di   aver    recato  danno    colla    mia    risoluzii 
agli    interessi  del    Paese  e   delle    Istituzioni,  ove  do- 
vessi apprendere,   che   per   eccessiva  delicateza    n 
l'intedere  l'obbligo  morale  di  un'antica  e   fida  sol 
darietà,  Ella  intendesse  di  ritirarsi  a  sua  volta.... 

«  Il  Ministero  del  quale  oggidì  Ella  regge  iute 
rinalmente  e  così  degnamente  le  sorti,  è  d'indole 
affatto  amministrativa,  ed  in  un  paese  ove  le  lorme 
rappresentative  fossero  più  progredite,  dovrebbe  al 
pari  dei  dicasteri  dell' 'Agricoltura,  del  Commercio, 
dei  Lavori  Pubblici  1  così  via  1  ssere  sottratto  ali 
vicende  troppo  di  frequente  mutabili  della  politica 
parlamenntare.  A  questo  carattere  imperfetto  de! 
nostro  ordinamento,  procuriamo  di  riparare,  anche 
.1  costo  di  personali  sacrifici,  noi  tutti,  uomini  d'or- 
dine, zelanti  del  bene  pubblico;  ed  Ella,  ne  offra 
l'esempio  col  rimanere...  » 

A  questo  punto,  il  treno  rallenta,  poi  si  ferma 
nella  stazione  di   Lodi. 

11  Parvis  sente  tra  il  fragore  del  convoglio,  il 
trepestio  dei  passeggeri  e  il  gridare  dei  conduttori. 
un  abbaiare  furioso:  è  la  voce  di  Matteo! 

-  Bravo!....   Cominciamo  bene! 

Poco  dopo  aprono  lo  sportello  del  suo  scompar- 
timento. L'Onorevole  si  volta,  guarda...  E'  Prospero, 
confuso,  imbarazzato,  ohe  tiene  Teo  fra  le  braccia, 
Teo  che  si  agita,  si  dibatte  nervoso,  furioso,  in- 
quieto. 

('osa  vuoi5....  ('osa  c'è  con  quel  cane? 

—  Sa  che  c'è  lei  qui  vicino,  e  non  vuol  più  stare 
con  me!...  Xon  ha  fatto  altro  che  gridare  e  sma- 
niare tutto  il  tempo  ! 

—  Te  lo  avevo  detto  io!...  Avevo  preveduto  che 
sarebbe  stata  una  seccatura!  «  Lei  non  ci  pensi! 
Lei  non  ci  pensi!  E  poi  subito,  tanto  di  muso, 
1  isl  inatO,    testardo  !  > 

Ma  più  del  vecchio  servitore,  che  rimane  a  testa 
bassa,  l'ostinato  e  il  testardo  era  Teo,  che  si  divin 
e.  la.  si  torce  più  che  mai  per  sfuggire  dalle  braccia 
di   Prospero,  e  ringhia  al  conduttore,    che   tenendi 
con  una  mano  lo  sportello,  coll'altra  cerca  di  acca 
rezzarlo. 

-  E   adesso  iosa  facciamo? 
Bisogna  ohe  lo  tenga  con  lei 

La   campanella,  il    fischio.... 
Partenza  !... 

I  éo  fa  il  diavolo  a  quattro  e  Prospero  ni 
più  a  trattenerlo. 

—  Da,  qui!  E  ricordati:  se  non  sta  tranquillo, 
prima  stazione  vi  lascio  a  terra  .  te  e  la  tua 

'   Tutti  e  due  ! 

II  ,  ane  ,  già  saltato  sul  -edile,  sulle  gino  chia 
.li  Gerardo,  che  lo  riceve  con  uno  spintone  e  uno 
scappellotto.   Ma  Teo.  in  questa  circostanza,  non  si 

tra  permaloso.  Scuote,  pieno  di  allegrezza,  le 


3o 


LA    M    ITUKA 


sul    fine 
strino  pei   guardai 

:  impone  <  '•'  rardi    a  n 

alzando  la  inalici  in  aria  «li  minai 
non  capisi  e.  Si  ao |uatta  ili  colpi  . 
sulle  cui. nini  zampi     Ma  poi,    ili  indo  gli 
orch  i  Izai  la  testa,  fìssa  il  padrone  atti 

mente,  e  lo  studia,  non  ben   persuas  che 

«nel  tene  di  minaccia  non  sia  uno  scherzo. 

Pros]  :omparso  .   il  treno  si   ri- 

•   l'onorevole  Parvis  ricomincia  a  scri- 
ontinua    la  sua   lettera  all'onorevok     Do 
nadei 

i     cuscino  si  av- 
\  icin  i  i  Iti  ine  e  poi       •       rem    :  del   musi 

lustre»  ed  iimidi>.  sulle-  ginocchia  di  lui,  senza  muo- 
più.  Solo  di   tanto  in  tanto  a]  re  ed  alza  gli 
i  alzar  la  testa,  e  guarda  Gerardo 
ii m  una   lunga  occhiata  affettuosa;    poi   sbatte  le 
labbra  mandando  sospironi  di  soddisfazione. 

Quando  si  giunge  a  Pracchia,  comincia  ad  albeg 
giare.  Fra  le  varie  carrozze  che  attendono  presso  la 
stazione,  Matteo  distingue  subito  il  più  bel  landò  a 
due  cavalli,  e  mentre  i  facchini  scaricano  i  bauli  e 
salta  in  carri '//a,  rimanendo  app  - 
■   . ne. iute i  allo   sportello   aperto,    sempre  guar- 
dando il  padrone  e  dimenando  lacinia  a  Prospero, 
ndo  il  vecchio  servo  si  avvicina,  per  far  caricare 
ila  carrozza. 
I    tutto  il  viaggio,  per  tutta   la  salita.  Ter» 
non  fa  altro  che   [tassare  da  un  capo  all'altro  elei 
sedili  :ia  al  padrone,  allungandosi  quasi  ad 

.ispirare-  con  delizia  i  buoni  odori  della  campagna, 
fiutando  Prospero  per  accertarsi  che  sia  sempre  ben 
lui  l'uomo  che  siede  a  cassetta  presso  il  cocchiere, 
poi  di  nuovo,  <ìi  qua  e  eli  là,  spingendosi  multo  al- 
iinri  dello  sportello,  quando  sulla  strada  passa 
qualche  mucca  o  qualche  pecora,  balzando  fin  sul 
mantice  del  landò  quando  la  vettura  s'incontra  in 
un  qualche  cane  ringhioso  che  le  corre  dietro 
latrando. 

L'onorevole   Parvis    sorride  a  Teo,  sorride   allo 
taccio  eli  ']uclla  gioia  quasi  bambinesca  e  mivc- 
.1  riamente  e  inavvertitamente  apre   l'animo  allo 
riso  eli  allegrezza,  si  sente  preso  dallo  si- 

li  ssere 

Mano  a  mano  che  la  strada  sale  e  l'aria  si  fa  più 

pura  ed  elastica,  e  dalla  foresta,  che  si  stende  verde 

e  cupa  a  ridosso  della  montagna,  esalano  più  forti 

fumi  dell  il  sole,  anche  i  pensieri 

■librano   sollevarsi,    farsi   piìi  leg 

più  tenui,  più  languidi    Quei  buoni  odori  el.-l 

etrano  nel  cervello,  come  un  blando 

otico  che   lo  induce  ad    una    lieve  sonnolenza, 

'  ullata  dal  molo  della  carrozza,  chi-  i  cavalli  ora- 

trascinai)  j   per  l'erta,    sostando 

•  ratle.  tratte..  |      ,|j   nuelle    Pei 


l  Pai  i  is  non  si    indispetl  ìsi  e;  tul 

tra!  Pei  la  prima  volta,  dopo  tanto  ti  mpo,  non  ha 
nessuna  fretta  'li  arrivare:  non  ha  più  nulla  che 
le»  stimoli,  che  gli  urga,  che  gli  prema  di  fare  o  eli 
<lir<- :  non  aspetta  ui-ssiuio.  non  si  prepara  a  parlare 
con  nessuno,  comincia  a  non  pensare  più  a  niet 
o  qua 

(  'he-  silenzio  I...  (  !he  delizia  ' 

Poi  quel   sonili.    Forte  della  resina  che   lacrima 

iverso  la  scorza  bruna  degli  abeti,  gli  richi 

la    fraganza   dell'incenso,    che   fanciullo  aspirava 

con  una  specie  eli  avidità,  nella   lunga  noia  delle 

cerimonie  religiose,  al  su.,  |  aese,  nella  cappella  della 

-rande-   e-    melanconica    Villa    paterna. 

Quanto  tempi       ,        ito  I  Quante  cose,  quanti 
dolori,  quanti  amici,  quanti  nemici  ! 

Ma  è  inutile.  Anche  il  cumulo  delle  memorie 
vale  a  rattristarlo  sono  quel  bel  sole,  in  mezzo  a 
quel  verde,  a  quel  silenzio,  a  quella  solitudine! 
Oh!  il  silenzio!  La  solitudine-!  Che-  ristoro,  che 
rezza,  che  pace,  che  vita  nuova!  Non  par  vero,  non 
si  direbbe  \  ero,  che  lui,  proprio  lui,  è  l'i,  su  quella 
strada,  solo  con  Prospero,  con  Teo,  con  il  vetturale 
e  non  è  obbligato  né  ad  ascoltare,  ne  a  dire-,  > 
pensare  niente-,  proprio  niente,  più  niente!  I  soli 
rumori  che  ode  sono  anch'essi  discreti,  diversi  da 
tutti  gli  altri  rumori  soliti  ;  il  passo  ilei  cavalli. 
ogni  tanto  la  musica  argentina  delle  sonagliere 
-rosse-,  od  un  sommesso  squittire  eli  Teo,  che  sembra 
matto  'li  gioia  e  di  piacere,  nel  anche  il  ronzìo  di  un 
moscone  che  batte  contro  il  cuoio  < U-l  mantice  e  si- 
ile- va,  il  fruscio  d'ali  d'uno  scarabeo  che  fende  l'a- 
ria  luminosa   con  un   barbaglio  d'oro  e  scompare... 

Più  niente,  più  nessuno'        Riposo,  riposo  e  pa- 
ce;   la  pace  profonda,  calma,  completa,   immensa, 
alla  quale   ha   sospirato  tante  volte,  con   uno  striti 
gimento,  una  nostalgia  da  studente  e  da  iiina : n.  -r  iti  . 
in  mezzo  ai  fastidi,  alle  cure,  ai  disinganni,  alle  ire 

re-presse-,   alle-   ipocrisie    forzate-  della    sua   vita    OCCU 

pata,   preoccupata,    eccitata,   tutta   per   gli  altri 

Come  si  sente  bene,  anche  eli  nervi  e  eli  stomaco!... 
Non  prova  neppure  più  il  bisogno  di  accendere  si- 
garette, una  dopo  l'altra,  come  poche  ore  innanzi,  in 
treno...  Forse  è  una  illusione-,  ma  gli  sembra  già 
di  avere  appetito...  Appetito,  eli  quello  buono,  di 
quello  giusto,  e-he  la  pensare  all'odore  ilei  pan  fre- 
sie, e  elei  formaggio,  non  già  quel  languore,  quegli 
stiramenti  del  ventricolo,  a  bocca  impastata  e-d  .1 
mara,  che  lo  avvisavano  di  aver  lasciata  passare 
l'ora  del  pranzo  o  eiella  colazione,  per  sbrigare 
tutto  qtie-lld  chi  a  sbrigare  non  si  arriva  mai!... 
Più  niente!  Più  nessuno!  Solitudine  e  silenzio!  La 
pace,   il  riposo  ! 

La  strada  sale  continuamente  e  i  villaggi,  i  caso 
lari,  giù  nelle  vallate  ridenti,  si  fanno  sempre  più 
piccoli.  Come  si  fanno  pievine  anche  le  impressioni, 
le  cose,  le  battaglie  che  fino  alla  vigilia  ingombra- 


.:. 


LA    LETTURA 


vano  la  sua  mente,  agitavano  la  sua  vita  '  (  orni 

e  perfida  la  grande  politica  ili  Stato, 
di  tnniic  .1  quel  cielocosl  vasto  e  cosi  puro!  Ed 

ie  'li  salvatore  ilellu  patria  e  della 
umanil  .  quella   persuasione   intima,   inavvertita  di 

al  beni    degli  ali  ri, 

r  caso  un.i  fìsima,  una  »  anil       I       is  ci 
rnincia  a  dubitarne,  vedendo  con  ill'intorno 

ica  della  vita,  in  un  distacco  assoluto, 
in  una  completa  ignoranza  ili  tutto  quanto  si 

indi  centri   del 

i  mondo    ivile        Vnqhe  gli  uomini         |ui  i   pa 

chi  uomini  che  com  rari  intervalli  sulla  via 

la  carrozza  si  lascia  dieti  gli  sembrano 

uomini  ili  un'altra  razza:   più  (ieri  e  più  onesti    ni 

poveri  panni,  ili  tutti  i  suoi  colleghi  e  nienti 

dulatori  e  denigratori  'li   Roma  e  di  Milano,  in 

giubba  e  in  crai  atta  bianca.     Quasi  quasi  gli  spiace 

•  li  arrivare  anche  all'Abetone        Vorrebbe  passare 

sua  vacanza,   tutta    intera,  in  quel   bel    deserto 

rerde,  tutto  pieno  ili  frescure  e  'li  silenzi. 

All'Ai  ui  Ila  folla  elegante,   sempre  a 

el  i    i  p   colo  incidente  atto  a  rompere   la 

monotonia   della  vita,   per    farne  un  avvenimento, 

la    venuta  dell'ex-Eccellenza,  delle   cui    dimissioni 

parlato  i  giornali,  fu  un  avvenimento 

i    tnte. 

Era  stato  consultato  l'orario  e   fatti   i  calcoli.  Si 

sapeva  che  il  Parvis  sarebbe  arrivato  in  landò  a  due 

dli  e  che  quei   due  cavalli  impiegavano  nella 

salita  tre  ore  e  mezzo.    L'onorevole  Parvis  doveva 

dunque  giungere  all'Abetone  verso  le  dieci. 

I  ^erso  le  dieci,  la  larga  strada  fiancheggiata, 
da  un  lato,  dalla  locanda  e  dalla  succursale,  formi- 
colava ili  villeggianti   incuriositi. 

Quando,  sullo    stradone,    allo    svolto   ove   finiva 
bosco  d'abeti,  spuntò  la  carrozza,  vi  fu  un  mor- 
morio. 

I.   venuto  col  Carducci  ! 

II  Narducci  era  il  più  bravo  vetturale,  quello  che 
a  il  più  bel  lami.',  i-  i  migliori  eavalli,  di  11   Vi" 

e  ili  tutto   Bi  so  ilungi  i 

mando  il  landò  fu  vicino  alla  locanda,  chi 
.tinnì  l'ati  rale  fu    reo,  sempre  appog- 

gio sportello,  Teo  ■  he  guardava 
a  sw  fiutava  curiosamente   quei   signori  e 

quelle  signore. 

All'onorevole  Parvis    la  vista  'li  quella  folla  eli 
i  tu. .min  »  .li    I-  irenze,  'li   Napoli,  ili 
falla  indiscrezione  e  dalla  smania 
del    pettegolezzo   intorno    ili  dà  un 

nvincibili      \< 
umore,   addii  .  addio  godimento 

uo  e  profondo  della  .  della  munta- 

ti n    un    altro    monili.  :    il 

•  :    '  l  ne  la  fon 


s'illude  inutilmente  ili  trovare  la  solitudine,  gira  e 
rigira,  quando  meno  se  lo  crede,  si  trova  ili  quoto 
in  mezzo  al  formicaio. 

—  Piccolo  caaro  ! 

L'albergatore  è  accorso,  tutto  ossequi, 
o  lo  sportello  della  carrozza  e  Parvis  sta  per 
scendere,  quando  I"  scuote  quella  esclamazione  pro- 
nunciata  con  voce  tenera  e  armoniosa,  il  langi 
■  li  quel  doppio  a,  strascicato,  del  caaro.  Mette  piede 
a  terra  e  si  \ulge.. . 

E'  uno  splendori  di  ragazza,  unta  vestita  di 
bianco,  ritta  in  mezzo  ad  un  gruppo  di  altre  si- 
gnorine, ma  'li  tutte    più  alta,  più  bella,  più  viva. 

Slitti,  l'enorme  cappellone   ili  trini-   <•   ili   nastri 
.  le  si  avvolge  confusamente  la  massa  ondulata 
ilei  capelli  neri,  e  luccicano  gli  .i-chi   pure  neri,  ne- 
rissimi,  di  un  nero  lucente,  ili   fui 
Bi  Ila  -  reatura  ! 

E  per  l'onorevole  ParVis  ha  anche  il  merito  ili 
non  occuparsi  ili  lui,  ma  ili  Teo 

reo,  riconoscente,  appena  balzato  «li  carrozza,  le 

fa  lesta  intorno,  poi  Subito  segue  il  padrone,  fiu- 
tati'lo  .li  qua  e  di  là,  fiutando  lungo  le  scale,  nella 
camera,  intorno  ai  bauli,  alle  valigie,  sotto  il  letto, 
come  per  una  prima  ricognizione  ed  una  presa  di 
possesso  dei  luoghi  e  delle  cose. 

La  ramerà  è  a  primo  piano,  le  finestre  sono  a- 
perte  e  dalla  strada  sale  un  brusìo  di  voi  fr 
ed  allegre,  e  fra  tutte,  più  fresca,  più  allegra,  come 
una  risata,  la  voce  già  nota  del  «  piccolo  caaro  ». 
Parvis  vuol  restare  solo  e  Teo  dive  andarsene  con 
Prospera  Ma  quando  il  padrone  ha  finito  la  sua 
toilette,  prima  ancora  che  richiami  Prospero.  eCCO 
reo,  il  quale  ha  già  imparato  la  strada,  — 
cipitarsi  contro  l'uscio  ed  entrare  nella  camera  come 
una  bomba. 

Prospero,  dietro  lui.   ha    la   faccia    soddisfatta. 

—  Teo  ha  già  fatto  amicizie! 

Ci-  qualche  altro  cane  all'Hotel? 
\'o.  no!   Amicizia...   Con  una  bella  signorina! 
E     Prospero    accarezza    la   bestiola,   come  appro- 
vando il  suo  buon  misto  nella  scelta 

Cerar. lo   non   dubita   neppure  chi  sìa  la  liella  si- 
gnorina.  Rivede  la  figura  bianca,  gli  occhioni  neri 
i   il    gran   cappellone  rosa,  e  di    nuovo   sente    la 
melodia,   l'incanto  del  doppio  a,  di  quel  caaro. 
I l.i   fatto  amicizia,  poven     l'eoi 
E   mentre    Prospero   continua  .\^\   accarezzar,    il 
lido  amico.  Gerardo  si  avvede  che  anche  sul  vis. 
limine   del    vecchio  servitore,  quella  apparizione  di 
donna  giovane  e  fiorente  ha  gettato  come  un  raj 

di   calore  e    di    luce. 

—  Piccolo  .  ..' 


(Continua) 


R.OVE1 1  v 


-^  mv^. -si  ■ ^^  i  <    - , 


^^y%^#Y%sft^?^te^^sfe^1 


ar 


La  Toscana  nel  1799 


-w- 


Dal   carteggio   di   due   gentildonne 


L  dominio  francese  in  Toscana  nell'anno 
J799  —  breve  parentesi  fra  il  primo  re- 
1  gno  procelloso  ed  instabile  di  Ferdinan- 
do III  ili  Lorena  e  la  sanguinosa  e  tumultuaria  sol- 
levazione delle  plebi  del  contado  —  viene  illustrato 
di  nuova  luce  dalle  Lettrcs  de  mad.  Reinhard  à  sa 
mere,  teste  edite  a  Parigi  dalla  baronessa  Wimpffen, 
nipote  dell'autrice,  a  cura  della  Società  d'instare 
e ontemf oraine.  Dando  ragguaglio  di  esse,  la  for- 
tuna ci  concede  di  poter  aggiungere,  quasi  a  con- 
troprova di  quanto  scriveva  la  gentildonna  fran- 
cese, alcuni  brani  di  lettere  tolti  alla  corrispon- 
denza della  marchesa  Maddalena  Frescobaldi.  ma- 
dre di  Gino  Capponi  ;  e  di  potercene  giovare  ren- 
diamo vive  grazie  alla  marchesa  Natalia  Gentile 
Farinola,  nipote  all'illustre  storico  della  Repub- 
blica di  Firenze,  e  posseditrice  del  doóìestico  ar- 
chivio di  lui. 

Ogni  pezzo  di  carta  scritta  può  col  tempo  diven- 
tare documento  di  storia  :  in  special  modo  le  let- 
tere, che  alle  notizie  di  privati  interessi  intreccino 
ragguagli  di  pubblici  avvenimenti,  e  tanto  più  se  si 
tratti  non  di  qualche  lettera  isolata,  ma  di  un  con- 
tinuato e  copioso  carteggio.  La  corrispondenza  epi- 
stolare può  in  tal  caso  ragguagliarsi  a  quei  delicati 
ordigni,  che  riproduci  ino  impercettibili  fenomeni 
fisici,  e  avvertono  ciò  ili  che  l'uomo  da  per  sé  non  si 
accorgerebbe,  dacché  in  essa  rinveniamo  quelle  pas- 
seggere impressioni,  quegli  scatti  subitanei,  quelle 
lente  modificazioni  dell'opinione  e  del  sentir  gene- 
rale, che  la  storia  non  registra,  contenta  a  un  rias- 
sunto generale  e  sommario  degli  avvenimenti  più  ri- 
levanti. Xei  carteggi  invece  abbiamo  voci  sommesse, 
giudizj  di  primo  impulso,  aneddoti  su  uomini  e 
fatti,  che  meglio  determinano  il  carattere  dei  i 
occorrenti  e  dipingono  lo  stato  degli  animi  nel  ra- 
pido succedersi   .li  quelli. 

La  Lettura. 


I  carteggi  di  queste  due  gentildonne  ritraggono 
assai  bene  la  condizione  della  Toscana,  e  di  Fi- 
renze in  specie,  in  quel  fortunoso  periodo  di  quat- 
tro mesi.  Cristina  Reimarus  ili  Amburgo  era  mo- 
glie del  vurtemberghese  Carlo  Federigo  Reinhard, 
ministro  dapprima  presso  la  Corte  di  Toscana,  poi, 
quando  Ferdinando  venne  licenziato,  Commissario 
ili  Governo  a  conto  del  Direttorio.  Ambedue,  il  ma- 
rito e  la  moglie,  di  tedeschi  si  erano  fatti  francesi, 
e  professavano  ardentemente  i  principj  della  Rivo- 
luzione, temperati  tuttavia  nell'uno  e  nell'altra  da 
squisita  educazione  della  mente  e  del  cuore. 

La  marchesa  Frescobaldi,  moglie  a  Pier  Roberto 
Capi  ioni,  maggiori  Ionio  della  <  Iramluchessa,  era  inve- 
ce, naturalmente,  avversa  alle  novità  venute  di  Fran- 
cia. Rimasta  a  guardar  la  casa  e  i  domestici  possessi 
e  a  vegliare  il  figlio  appena  settenne,  quando  il  ma- 
rito seguì  Ferdinando  a  Vienna,  i  i  lo  veniva  rag- 
guagliando dell'andamento  dell'azienda  domestica 
e  di  quanto  avveniva  in  città.  Amantissima  del  con- 
sorte, fedelissima  al  Principe,  seppe,  in  quel  fran- 
gente, sopportare  con  animo  alto  e  virile  le  repli- 
offese  al  suo  modo  di  pensare  e  di  vivere,  senza 
dare    in   escand  e    serenamente    giudicando 

di  avvenimenti  e  di  persone.  Il  carteggio  della  Rein- 
hard compatisce  ai   vinti,  e   mostra   che  nell'animo 
ntil  iva   i   dolori:    quello  della  Cap 

poni  è  mesto  senza  viltà,  rassegnato  senza  codardia  : 
più  culto  lo  stile  dell'ami  i    si  vi  'Ita  dai 

brani  che  ne  ritraduciamo  dalla  traduzio  se: 

erta  bonarietà   casalinga  quello  della 
ntina  :    dell'uno  e  altro  >ale 

la  sincerità.   Se  le  due  gentildonne  si   fossero  incon- 
trate in  quei  dubbj  momenti,  probabilmente  non  sa- 

amiche,  pei  h  troppi  ragii  mi  le  te- 
neva! Itra  ;  ma  potrebbe  as- 
serirsi che  si  sarebbero  a  vicenda  stimate. 


•;l 


LA    III  l'i  R  \ 


quel  tempo.  Aveva  la  p 
P-  di  salvarsi   dalla  tempesta    fran- 

,  ,1,  proclamandi  i  la  pn>- 
neutralita   e  stipulando  solenne   colla 

Conw  Carletti   era   stato   ricevuto 

tutti  gli  onori  in  seno  all'Assemblea,  e  il  testo 
dei  iti,  i  ra  siato  inserito  nei 

rendiconti  ufficiali  in  doppia  torma:    fi  ita- 

liana   Del  consiglio  'li   attenersi  alla    neutralità  co- 

principale  fau 
il  marchese  Manfredini,  già  ajo  ora  uomo  ili 
fidu  e  Grani  Egli  era  un  poi 

incerato,  ma  non  sempre  così  forte  in 
sella  da  contrastare  validami  i         >      avréb- 

voluto  distruggere  l'opera  benefica  di  Pietro 
l  poldo,  alla  quale  erano  state  arrecate  intanto  pa- 
recd  ■    nell'amministrazione  civile,   nella   li- 

Ivrtà  commerciale  e  nella  politica  ecclesiastica.  La 
i    assidua  dei  retrivi,    insensibil- 
mente 'Ina  addietro,  e  tanto   più   difficile  riusciva 
perciò  una  intesa  Ila  Francia:  senza  con 

tare  poi  la  difficoltà  intrinseca  di  buona  e  durevole 
amicizia  fra  un  principato  e  una  repubblica,  fra  un 
arciduca  austriaco  e  un  reggimento  a  popolo.  E  poi 
anche,  gli  [ngli  si,  che  avevano  negozj  e  case  coni 
merciali  a  Livorno,  colla  loro  prepotenza  scompi- 
gliavano volta  a  volta  quello  che  la  prudenza  or- 
diva con  tanta  fatica  per  mantener  pace  fra  To- 
scana e  Francia.  La  Toscana  era  veramente  il  fra- 
gile vaso  di  terra  fra  due  vasi  di  ferro,  e  doveva 
andar  in  frantumi:  ne  la  neutralità  senz'armi  po- 
teva salvarla,  come  non  salvò  la  repubblica  di  Ve- 
nezia. 


La  signora  Reinhard  giungeva  a  Firenze  col  ma- 
rito ambasciatore  ai  primi  di  giugno  del  1798,  e  d'al- 
lora comincia    la   corrispondenza  colla  madre,  nella 
quale  andremo  spigolando  notizie  di  storia,  a  Tutto 
qui  è  tranquillo  »:  così  finiva  la  prima  lettera,  dove 
aveva  pur  notato,    nonostante  l'accoglienza  premu- 
e  garbata  di  Ferdinando  e  del  Manfredini,  le 
difficoltà  del  momento.   Infatti,  tutto  pareva  andar 
l>ene  ;   e  pensando  alle  ambasciate  francesi   di  To- 
nno e  ili  Napoli,  la  scrittrice  poteva  concludere  che 
suo  marito  e  lei  erano  stati  favoriti  dalla  sorte,  ed 
esposti   a  minori  pericoli.  Il   Reinhard  venne  rice- 
vuto ,1  1  ni    forma   d'onoranza,  e  alla 
randucale   l'ambasciatrici  dia  destra 
del    i                 La  G              lessa  le  parve  avere  una 
1   di  bontà,  che  ne               dimenticare  la 
bruttezza    I    1  ruttina  era  veramente,  ne  si  può  rav- 
lle    pan].                  Reinhard    una    punta    di 
mal  .                           temperata  da  \m  po'  di  con, 
le   altret!  uito     Ma   e  da 

linando  era  ti  CCata   una 

moglie    non     1  I  loto    è    pii  \     lui 

■ra  arciduca  e  a  V  1    stata  promessa  la 

p r i r  di    Napoli,  figlia   pri- 

di    Caroli  tO,   al 

fratello  1  .il    futuro  im] 


era  morta  la  sposa,  e  si  pensò  per  lui  a  un  secondo 
monio  napoletano.  Se  non  che,  Carolina  —  e 
Fossi  questo  il  solo  suo  peccato  innanzi  alla  storia  ! 
—  fatti  fare  i  ritratti  delle  spose,  ignote  ai  futuri  ma- 
riti, e  inviatili  a  Vienna,  indirizzò  a  Fraina 
quello  di   Maria  'I  .    ■  I  indo   l'altro  ili 

Luisa  Amalia:   e  cosi  il  prie  mperiale  ebbe 

reale  primogenita,  e  Ferdinando  si   dovette  con 
tentare  dell'altra,  secondogenita,  e  un  po'  gibbosa. 
Dello  scambio  si   rise  dall'Imperatore  e  in  tutte  le 
Corti:  (pianto  poi  a  Ferdinando,  era  tanto  buono!... 

Narra  poi  la  Reinhard  gli  inviti  in  case  ar 
1  ratiche,  ove  piacque  la  sua  toilette:  tutte  le  altre  da- 
me incipriate,  secondo  l'antica  moda:  essa  invece, 
pettinata  alla  greca,  con  penne  tricolori  intrecciate  a 
perle:  e  l'entrar  di  lei,  cosi  acconciata,  in  quei  quar- 
tieri ammuffiti,  pareva  quasi  simboleggiare  l'intru- 
dersi subitaneo  della  democrazia  francese  nel  vec- 
chio sistema  politico  dell'Europa,  Assistè  anche  al 
battesimo  di  un  nuovo  arciduca  ;  il  neonato  venne 
condotto  attraverso  gli  appartamenti  di  Palazzo 
Pitti  sulle  ginocchia  della  gran  maggiordoma  Ro- 
spigliosi in  una  portantina,  scortata  da  un  corpo 
musicale  e  da  staffieri  con  torce  accese  ;  l'arcivesco- 
vo officiava  e  il  Manfredini  teneva  il  battezzando. 
Ma  dalle  noiose  cerimonie  di  Corte  la  divagava  la 
presenza  di  Paolina  Buonaparte,  allora  Ledere,  poi 
principessa  Borghese,  venuta  allora  allora  da  M  ì 
lano  a  Firenze.  «  in  cerca  di  divertimenti  ».  Essa 
è  descritta  giovane,  graziosa  e  bonacciona  :  le  piace 
scherzare  e  parlare  di  toilettes,  e  la  moda  è  per 
lei  la  cosa  di  maggiore  importanza.  Il  rappresen- 
tante cisalpino  volle  darle  un  banchetto,  che  fu  ralle- 
grato dalla  notizia  del  felice  sbarco  di  Napoleone 
in  Alessandria,  sicché  l'anfitrione  bevve  un  bic 
re  di  vin  di  Cipro  in  onore  dell'eroe,  augurando  che 
grazie  all'eroe,  presto  esso  si  chiamerebbe  vino  fran- 
cese, e  aggiungendo  tuttavia  che,  per  bere  alla  salute 
della  sorella,  converrebbe  adoperare  vino  di  Citerà. 
Così,  dopo  il  terrore,  il  madrigale  tornava  a  fiorire! 

Ma  intanto,  le  faccende  si  imbrogliavano.  Ber- 
thier  era  costretto  a  lasciar  Roma,  i  Napoletani  si 
muovevano,  gli  Inglesi  si  prendevano  Livorno,  Man- 
fiedini  restava  «  désorienté  »  :  la  Granduchessa,  fi- 
glia e  alunna  di  Carolina,  stava  a  capo  della  parte 
antifrancese:  solo  il  Granduca  dichiarava  di  voler 
vivere  e  morire  neutrale.  Si  procedeva  ad  appare-- 
chi  guerreschi,  e  il  dono  volontario  di  argenterie, 
fatto  con  ostentazione  dal  clero  e  dalla  nobiltà,  non 
riusciva  ben  chiaro  all'ambasciatrice.  0  Nulla,  scri- 
veva, giustifica  questo  sacrili/io:  e  vi  è  conti 
di  opinioni  circa  l'usi  1  che  vorrà  farsene:  le  antiche 
famiglie  hanno  dato  somme  ingenti  ;  il  vescovo  di 
Fiesole  tutto  il  su,,  tesoro;  e,  quando  i  parroci  eb 
bero  mandato  l'inventario  delle  loro  ricchezze,  l'Ar 
co  di  Firenze  li  esortò  a  non  celar  nulla.  Si  riat- 
tano segretamente  fucili  e  cannoni,  si  armano  i  con 

ladini,   si    indicono  preghiere  a    I>io  nelle  chiese   per 
dimandar    vittorie  ;     ini  ti    ci    si    rispanc 

grandi   dimostrazioni   di    amicizia,    e   agli    impiegati 
di  polizia  e  dato  ordine  di  scoprirsi  il  capo   al  no- 
passaggio  ». 
Gì  izie  al  Macdonald  e  allo  Championnet,  sul  fi- 


LA    TOSI    W  \    MI      I  ;>  m 


35 


nire  dell'anno  gli  avvenimenti  tornavano  favorevoli 
ai  Francesi:  Carlo  Emanuele  lasciava  Torino,  i  Na 
poletani  evacuavano  Livorno,  Lucca  veniva  demo- 
cratizzata dal  Sérurier,  Roma  ripresa,  Napoli  era 
prossima  a  cadere  e  i  Borboni  a  fuggire.  La  burra- 
sca si  avvicinava  sempre  più  sopra  la  Toscana. 

Mad.  Reinhard,  che  intanto  aveva  messo  a  luce 
un  figliuolo,  ripigliava  la  penna,  che  provvisoria- 
mente aveva  tenuta  per  lei  il  marito,  e  notava  ai 
22  gennaio  '99:  «  Ho  assistito  ieri  alla  fine  di  imi 
novale,  e  ho  veduto  che  il  popolo  fiorentino  non 
esce  dalla  sua  sonnolenza  nemmeno  per  distrarsi,  e 
si  diverte  dormendo.  Dalle  quattro  in  poi  le  carrozze 
si  seguivano  al  passo  nelle  vie  principali  e  nel  Lun- 
garno. Le  dame  in  costume  o  mascherate  sfoggia- 
vano le  loro  toileltes  in  carrozze  infiorate:  la  gente 
si  affollava  sui  marciapiedi  per  ammirarne  lo  sfi- 
lare, ma  non  si  udiva  né  uno  scherzo  né  una  escla- 
mazione di  allegria ,  e  si  poteva  credere  di  assi- 
stere a  un  accompagnamento  funebre,  se  qualche 
arlecchino  non  avesse  suonato  il  tamburo.  La  sera 
al  Veglione  uguale  silenzio  da  parte  di  questi  mede- 
simi vogliosi  del  piacere  ;  e  Carlo,  ritornandone, 
ebbe  a  dirmi  :  ] e  veux  ètte  pendu,  si  fai  vii  tire 
une  seitle  personne!  » 

Si  capisce:  l'ambasciatore  francese  poteva  esser 
lieto,  ma  tristi  presagi  turbavano  gli  animi  degli 
altri:  della  Corte,  che  vedeva  la  propria  esistenza 
sospesa  a  un  filo:  dell'aristocrazia,  che  sentiva  ap- 
pressarsi la  sua  caduta:  del  popolo,  così  poco  pre- 
parato agli  eventi,  da  levarsi  contro  le  riforme  leo- 
poldine,  stimandole  pericolose  al  trono  e  all'altare, 
e  punto  smanioso  di  sperimentare  le  novità  francesi. 
Apparivano  infatti  i  segni  precursori  della  reazione, 
e  la  Reinhard  ne  racconta  qualcuno  abbastanza  si- 
gnificativo. Ma  anche  la  francese  gentildonna  non 
era  senza  apprensioni,  benché  avesse  ferma  fede  che 
i  fati  dovessero  volger  propizj  alla  spirito  de'  nuovi 
tempi.  Né  i  dubbj  durarono  a  lungo.  «  Non  é  più  il 
caso  di  farsi  illusioni:  ormai  la  guerra  è  dichia- 
rata ». 


Il  12  marzo,  infatti,  la  guerra  coli' Austria  era  stata 
indetta:  e  il  16  un  ufficiale  francese,  a  nome  dello 
Scherer,  generale  in  capo  delle  armate  francesi  in 
Italia,  annunziava  l'occupazione  della  Toscana: 
un  proclama  di  lui,  da  Mantova,  in  data  dei  22,  la 
notificava  ai  sudditi  di  Ferdinando  assicurando  pro- 
tezione, pace,  giustizia,  sicurezza,  rispetto  al  rullo 
e  alla  proprietà,  e  mantenimento  dell'ordine:  tutte 
quelle  belle  cose  che  in  tali  occasioni  si  promet- 
tono: salvo  sì  o  no,  a  mantenerle.  Eguali  as- 
sicurazioni ripeteva  da  Bologna  il  generale  di 
divisione  Gaulthier ,  incaricato  di  varcar  l'Appen- 
nino. Neanche  una  parola  rispetto  al  Principe:  che 
due  giorni  appresso  si  volgeva  ai  suoi  popoli  rac- 
comandando che  nell'entrata  dei  Francesi  in  Firenze 
gli  dessero  prova  di  affetto,  di  lealtà,  di  gratitu- 
dine, tenendosi  quieti,  rispettando  le  truppe  e  a- 
stenendosi  da  ogni  atto,  che  potesse  dar  loro  motivo 
di  lagnanza.  Il  25  le  colonne  francesi,  passando 
sotto  l'arco  trionfale  che  ricordava  l'entrata  di  Fran- 


ili  Lorena  nel    17,^9  1  corsi  cinquan- 

tanni   i'   pochi   giorni   —  entravano  da   Porta   San 
Gallo  in  Firenze. 

Invano  il  Granduca  aveva  cercato  di  scongiurare 
il  fatto,  mandando  il  Manfredini  presso  lo  Scherer. 
Il  Reinhard  di  nulla  aveva  avvisato  Ferdinando, 
perchè  niun  ordine  glien'era  venuto  da  Parigi  : 
nulla  avevan  scritto  i  residenti  granducali  a  Pa- 
rigi e  a  Milano  perchè  nulla  avevan  trapelato:  lo 
Scherer  rispose  dovere  eseguire  ordini  precisi  del 
Direttorio:  del  resto,  l'occupazione  non  avere  altro 
fine  che  di  proteggere  uno  Stato  amico,  ma  debole. 
Così,  come  tante  altre  volte,  la  violenza,  riconoscen 
do  la  propria  deformità,  si  mascherava  d'ipocrisia. 

Fra  la  prima  notizia  e  l'entrata  dei  Francesi  eran 
passati  intanto  parecchi  giorni,  non  senza  grandi 
dubbiezze.  «  Non  poteva  previ    -  rive  la  Rein- 

hard, quale  sarebbe  stata  l'attitudine  del  popolo: 
e  noi  eravamo  nelle  sue  mani  ».  Chi  poteva  assicu- 
rare che  la  plebe  fiorentina  non  ricordasse  gli  eccessi 
della  plebe  romana  e  gli  eccidj  di  Bassville  e  di 
Duphot?  Per  confortare  la  gentildonna,  timorosa 
non  per  sé  soltanto,  ma  pel  marito  e  pel  figliuoletto, 
le  si  diceva,  che  se  anche  fosse  accaduta  qualche  di- 
sgrazia, pronta  e  memorabile  sarebbe  stata  la  ven- 
detta: ma  replicava  essa  non  senza  ragione:  «  non 
mi  sento  così  fervente  patriota,  da  desiderare  di 
rendermi  illustre  a  cotesto  modo  ». 

Tutto  invece  procedette  quietamente,  e  il  popolo 
che  nei  giorni  innanzi,  nelle  cerimonie  della  setti- 
mana santa,  si  era  accalcato  dietro  al  Granduca,  si 
preparò  al  nuovo  spettacolo  dello  sfilar  dei  Fran- 
cesi. D'ora  in  ora  i  corrieri  annunziavano  l'avvici- 
narsi delle  soldatesche:  quando  la  distanza  fu  pic- 
cola, il  Reinhard  colla  sua  signora,  il  rappresen- 
tante cisalpino  e  un  giornalista  francese  andarono 
a  incontrarle  in  carrozza.  Una  gran  folla  in  abito 
festivo  faceva  ala  al  loro  passaggio  salutando,  se 
la  Reinhard  dice  il  vero,  e  qualche  gruppo  di  gio- 
vanotti applaudiva.  Il  primo  drappello,  di  cinque- 
cento uomini,  entrò  con  musica  e  bandii  ra  ip  egata, 
avendo  alla  testa  il  generale:  vennero  poi  gli  altri, 
e  bivaccarono  sulle  piazze.  Dopo  poco  più  di  mez- 
z'ora, assevera  la  Reinhard,  la  truppa  toscana,  che 
tre  giorni  appresso  doveva  esser  disciolta,  venne  di- 
sarmata, e  fu  preso  possesso  delle  due  fortezze.  Al 
Granduca  si  assegnò  una  guardia,  così  detta  d'onore, 
di  cinquant'uomini.  Il  palazzo  della  legazione, 
ri  1  quello  Panciatichi  in  Borgo  Pinti,  fu  invaso  da 
patrioti,  che  cercavano  uffici,  da  granduchisti  che  sol- 
lecitavano passaporti  •<  Non  vi  fu  alcun  disordine, 
si  ebbe  nessun  caso  di  resistenza.  Alle  nove  di 
sera  ci  mettemmo  a  tavola:  poi  ciascuno  andò  pei 
fatti   suoi,  e  io  son  mezza  morta  dalla   fati' 

.dia  mezzanotte  ilei  25  scriveva  la  Reinhard, 
diventata  a  un  tratto  di  moglie  dell'amba  1  atore, 
moglie  del  e.  rio  dilla   Ri  pul  !  1     1  francese 

in  Toscana:    una  specie,  dunque,  di   Orai.' 
Ma  la  mattina  appresso,  dopo  aver  meglio  dormito 
forse  della  Granduchessa  vera,   essa   si  dimand 
come  probabilmente  tutti  si  chiedevano:  Che  si  farà 
adesso  del  Granduca?  The  si  farà  di  questo  paese? 
1, manto  al  primo,  essa  si  rispondeva:    1  Egli  parte 


LA    LETTURA 


e  noi  restiamo  ».   E  intani,  la  mattina  del   -'<>  un 
aiutai  unpo  del  generale,  salito  a    Pitti,  in- 

timò .il  Granduca    la   |  entro   ventiqt 

ore  Affi  i       la  Reinhard  ch'egli  non  se  l'aspetl 
■  il  Pi  fino  all'ultimo  » .  credeva 

idurrebbe  alla  i ccupazii  ire  di  l.i- 

•    l  erdinando  al  l'uri  li  ni-  perentorio  i  ;si ì  non 

aver  rimprovi  ri  da  farsi:  e  in  quest'asserzione  v'era 
del  \  non  vero:  ad  ogni  modo  era  vittima 

di    inescusabile    violenza.    Aggiunse  che    pan 
be,  come  fece,  la  mattina  appressa  Era  l'alba,  e  la 

popi  ton  avvisata,   'li   nulla   si  ai rse:    i 

no   l'ordine   di    levar  i   sonagli  ai 
illi  e  non  schioccare  la   frusta,  se  non  dopo  ol- 
trepassata   Porta  San  Callo  da  un  pezzo.  Così,  ac- 
corri] a  pochi,  da  nessuno  salutato,  parti  Fer- 
dinando dalla  reggia  e  dalla  rapitali.-.   Si  andava, 
uni  vede,  per  le  spiccie,  e  senza  complimenti, 
«  Ferdinando  III  è  licenzia  a  un  di 
todel  Governo  francese,  l'Abram,  al  governatore 
Siena):   i   ministri  sono  spariti  ;   in  conseguenza, 
domani,  avanti   il    levar   del  sole,  sparite  anche  voi 
dal   palazzo  ■.   Uno,  due  e  tre,  ionie  nel  gioco  dei 
•lotti  ;  e  un  Governo  nuovo  subentrava  all'an- 

( 'i    pia  ntare    un    aneddoto    relativo  alla 

partenza     di     Ferdinando.     Prese    con     sé     Soltanto 
alcune    suppellettili     di     personale    spettanza,    e 
[tanto   una    Madi  umilia   di   Raf 
.1    poc'  anzi    ci  imperato    co'    suoi 
ili,    e    che,    se    non    erriamo,    fu    anche 
tata  'anni  dopo,  dal    granduca    Leo 

poldo,  (mando,  nori  per  forza  d'armi  straniere 
ma  per  volontà  di  popolo,  ricalcò  le  orme  stesse 
del  padre.  I  a  Madonnina  ne  acquistò  il  titolo  del 
I  ma  sarebbe  stato  più  auguroso  chiamarla 

del     ritorno.      Il     Cav.     Puccini,     quello     slesso    che. 

trafugando  la   Vi  nere  de'  Medici  in  Sicilia,  impedì 
il   matrimonio,  .he    Napoleone  voleva   fare,    a    Pa 
rigi  coli'  Vpollo  di  Belvedere  ivi  pur  traslocato,  i 
d'introdurre  nella  i  randucale  una  cassetta, 

d  ii'i  Gal  lei  a,  alle  sue 

Ferdinando  se 

si  trattava,  consegnò  la  ad  un  ufficiale 

mettesse  i  ■.-  sui  i  lui  igo  — 

il  trami'-  era  pericoli  dicendo:    questi 

non  sono  miei;  ma  della  \ ..  •  cana. 

Al  palazzo     furono     apposti     i  sigilli, 

per    .per;  di  due  segretari  del  Reinhard.  «Essi  sono 

rta,      rive  la  <  'ommissai  a,  ve 

dendo  le  ricchezze  ivi  accumulate.   Il  Granduca  ha 

!      ni  ', '-ria,    dell'argenteria    di 

gran  mila    lire   in   oro.    Nulla    sa- 

■  i-i  giovanotti, 

ma  li  tate  i  te  ai  (  lommissarj 

;   uno  gli  si  rupi  li  ii.  1  lifatti, 

dar  l'armento   in   guardia   al    lupo     E   più 

Dui  inte  la  m  Me  si  fanm  i  balle  di 

dei   carri   j  .   ben   in- 

.   della    Repubblica...    Mio  marito  è  impotente 

-.   e    il   generale   pensa   che   i 

i  debbono  ingerirsi  dei 

l  ti  della   finanza  ». 


Quanto  al  paese,  scriveva   la   Commissaria,  «  la 

I'  si-.ma    non   sarà    rivoluzionala,    ma    l'amministrerà 

un  Governo  provvisorio  »  ;   poteva  infatti  servii,    a 
qualche    scambio:    Venezia    e    Campoformio 



Pei  caduti,   la   Reinhard   non   ha  parola  men   che 
rispettosa-,    e    alla    frasi     citata:     «  egli    pari 
noi   n   ti  amo  •,  aggiunge  immediatamente:  «  < 

1  che   il    i  as ntrario    sarebbe  più    di   mio 

gusto».  E  in  altra  lettera:  «  Permettetemi  di 
non  insistere  su  certi  atti,  che  la  natura  de 
tempi  e  le  circostanze  hanno  resi  necessarj  : 
ma  ogni  cuore  sensibile  sanguina  al  peri 
che  un  onest'uomo,  animato  dalle  migliori  inten- 
zioni, coni'.''  il  ("irati. Ima.  abbia  dovuto  Lisi  i.ire  1 
tetto,  dove  viveva  felice,  per  incontrare  le  vicissi- 
tudini dell'esilio,  con  una  moglie  incinta  e  quattro 
bambini;  siasi  qualsivoglia  il  suo  titolo  e  la  sua 
condizione,  cotest'uomo  ha  dritto  alla  nostra  commi- 
serazione, e  quanti  mi  attorniano,  sentono  come 
me  ».  Ma  oltre  la  pietà  pei  caduti,  l'intelligente  si- 
gnora sentiva  il  peso  che  incombeva  al  marito,  e  si 
confortava  soltanto  pensando  ch'egli,  per  l'indole  sua 
rigida  e  temperata,  avrebbe  potuto  far  molto  bene 
ed  evitar  molto  male,  e  che  fautori  ed  awersarj  ri- 
conoscevano quelle  sue  virtù:  «  lutti  rendono  giu- 
stizia alla  sua  rettitudine  e  all'altezza  dei  suoi  sen- 
timenti ». 


Così  cadeva,  senza  li  sforzi  né  per  tenerla 

su  né  per  cacciarla  giù,  la  dinastia  lorenese  ;  e  i 
giacobineggianti  fiorentini,  fino  allora  costretti  alle 
SOp]  iatte  congiure,  e  che  non  avevano  avuto,  come 
altrove,  un  fautore  e  un  protettore  nell'onesto  Rein- 
hard, ora  venivan  fuori  dai  loro  nascondigli.  E' 
quello  che  è  sempre   accaduto: 

Su  Abbondio,  è  tuorlo  Doti   Rodrigo 

Sbuca  a  delle  tue  paure. 

I    repubblicani,    nota    la    Reinhard,   sono  usi 

terra  come  i  funghi,  Si  piantarono  subito  gli 

alberi    della    libertà,    si    svelsero    le    insegne    grandi! 
cali.   I    i   n  mta  veniva  ornata  rli  nastri  e  fio- 

ri:  il  sole  la  irrag  .  i  patriotti  le  danzavano  e 

cantavano    intorno.     Ma,    i  <  <     la    Reinhard, 

metterà  radici"-'  porterà  i  suoi  frutti?  Chi  sa!  E 
a  lei  pareva  già  scorgere  che  l'entusiasmo  del  primo 
mi  imento  e  lo  sbali  >rdiment<  h  fa 

desser  luogo  ni  lazione  a  un  senso  generale 

di    fiducia  e  di   speranza. 

Era  però  cotesto  un  popolo  che  respirasse  a  piei 
polmoni,  dopo  essersi  liberato  da  un  grave  peso  i 
l'i ipprimesse  J    Ni  n  dibile  che  nello  spazi- - 

poche  ore  si  fossi-  prodotto  il  gran  miracolo  chi 

•  alla  Reinhard.  Il  veto  è  ohe  non  molti  nu 
trivano  sensi  di  liberalismo:  radi  erano  i  (autori 
di  li.  •  ni  ibi  li  e  i  ricchi,  radissimi  nella,  pli 

Il  gri  sso  .'li  libei  ali  era  le  i  lell  i  !  «  irghesia  : 

ma  es  si  non  erano  certamente 

ora,  col  l'aiuto  dei  francesi,  i  patrioti  avevano  II  di 
sopra,  e  gli  ihri,  più  o  meno  volontieri,  si  ao 

al   nuovo  ordine  di   ci.se:    tutti,    "   con    fidu 


LA    T<  >SCANA   NEI      I  ~<  ni 


37 


i  paura,  conosceva sentivano  la  forza  della 

Francia  e  la  fortuna  delle  sue  armi.  Guardando 
dall'alto,  ove  si  trovava,  alla  cittadina  Reinhard  pa 
reva  che  tutto  andasse  bene,  e  si  maravigliava,  ral- 
legrandosene, che  questa  popolazione,  prima  così  in- 
dolente, fosse  capace  di  tanta  energia.  «  Essa  rivi  Ir. 
così  scriveva,  di  aver  conseguito  la  libertà  senza  ver 
5are  una  goccia  di  sangue,  senza  aver  passato  una 
notte  di  angoscia,  e  desidera  conservare  ciò  che  gli 
pan-  d'aver  conquistato.  Povero  popolo!  Quando  ti 
si  colpirà  di  contribuzioni,  quando  le  inani  del  Com- 
missario organizzatore  saranno  legate,  ti  accorgerai 
che  la  via  che  conduce  alla  libertà  non  <•  sparsa  ili 
n  ise  »  ! 

Le  contribuzioni  e  gli  aggravj  d'ogni  sorta  fioc- 
carono presto  e  d'ogni  parte:  e  la  prima  fu  la  re- 
quisizione dei  cavalli.  Si  chiusero  le  porte  della  città, 
e  fu  fatta  una  prima  razzìa.  La  Reinhard  si  impose 
di  non  andare  in  carrozza,  perchè  non  si  notasse 
che  essa  sola  possedesse  cavalli.  In  casa  Capponi  —  a 
questo  punto  principia  la  corrispondenza  della  mar- 
chesa Maddalena  —  ne  furono  requisiti  quattro. 
«  Ho  fatto  ripulire  la  stalla,  e  penso  di  andarci  a 
pranzo  una  mattina  »,  diceva  non  senza  spirito.  Poi 
le  si  chiesero  argenterie  pel  servizio  di  tavola  e  di 
camera  del  generale:  e  nel  palazzo  Capponi  si  mi- 
sero ad  alloggiare  un  Commissario,  un  sotto  ("om 
missario  e  un  picchetto  di  soldati  :  in  tutto  18  per- 
sone. La  marchesa  si  contentò  di  andar  a  piedi, 
diede  astucci  di  posate  e  candellieri,  e  provvide  al 
mantenimento  degli  ospiti,  restringendo  per  se  la 
spesa  quotidiana.  Poi  convenne  mantenere  un  gene 
rale.  il  Montrichard,  e  il  suo  Stato  maggiore.  «  Ci 
sono  stati  venti  giorni,  e  vi  giuro  che  avevano  ridotto 
la  casa,  che  pareva  quella  del  diavolo  :  sempre  gri- 
da, bestemmie,  urli,  che  nessuno  ce  ne  poteva:  cor- 
sero dietro  colla  pistola  a  Luigi  mio  servitore,  ba- 
stonarono il  cuoco,  e  poi  non  vollero  nemmeno  pa- 
gare 25  scudi,  spesi  per  le  loro  voglie:  insomma 
fui  obbligata  di  ricorrere  al  generale,  e  tanto  per 
due  giorni  fece  un  poco  d:effetto  ».  Sarebbe  volen- 
tieri andata  in  villa,  ma  non  le  pareva  cosa  pru- 
denti, e  Minna  repugnanza  di  vedere  il  suo  nome 
sul  Monitore,  fra  quelli  dei  fuggiaschi  ;  e  poi  «  ad 
ogni  momento  vengono  ordini  e  contrordini,  pei 
quali  è  necessario  prendere  delle  misure,  che  non 
essendoci  io,  non  potrebbero  prendersi.  Ma 
scriveva  al  marito,  non  vi  dia  pena:  mi  ci  presto 
voìontieri.  persuasa  che  l'adempimento  dei  propri 
doveri  è  il  solo  bene  che  resta  alle  persi  me  ono 
rate  ». 

Alla  superficie  tutto  era.  0  pareva,  quieto;  ma 
le  voci  che  si  spargevano  nella  plebe,  di  rapine  e 
saccheggi,  l'agitavano  sordamente.  Verso  la  ri 
di  aprile  vi  fu  un  allarme  a  propositi)  del  quale 
così  scriveva  la  Reinhard:  «  T  fiorentini  hanno  dato 
la  misura  di  ciò  che  possono  sopportare,  dacché  la 
piccola  sommossa  di  venerdì  scorso  sarchile  in  ogni 
luogo  passata  inavvertita.  Qui  invece,  tutte  le  donne 
incinte  hanno  abortito,  gli  uomini  tremavano,  i  pa- 
trioti si  nascosero  e  gli  impiegati  si  precipitai 
pallidi  e  smarriti  negli  uffici  di  mio  marito  ».  Dove 
parrebbe  esagerato  l'accenno   almeno   alle    sconcia- 


ture, se  non  lo  confermasse  la  '  apponi:  «  Qui  tutto 
è  tranquillo,   .lupo   un    piccolo   rumore  accaduto  nei 

mi  Minsi  pei  una  voo  j  u  1  di  saccheggio,  che 
11  esse  all'arme  tutto  i!  popolo,  e  che  poi  fu  quietato 
dalle  assicurazioni  della  truppa  francese;  un  solo 
ufficiale  restò  un  poco  ferito,  [e  ero  in  quell'ora  in 
Casa,  onde  poco  mi  sconcertai,  e  poi  sono  così  stoi- 
camente rassegnata,  che  in  qiesto  genere  poo  più 
mi  altero.  Molti  però  furono  i  danni  che  cagionò 
quest'allarme  inaspettato;  rinite  donne  abortirono, 
molti  malati  soccomberon  »,  e  molti  buttarono  la 
loro   roba   e  denari  nei   pozzi   ». 

Nuova  requisizione  di  cavalli:    «  ma   pei   me,   no- 
tava  la  marchesa,  che  è  da  due   mesi     he   vado  a 

,  non  ho  questo  pensiero  »:  poi,  anticipa* 
delle  imposte,  e,  dopo  una  contribuzione  forzata  di 
centomila  scudi  ai  primi  d'aprile,  verso  la  metà 
del  mese  un'altra  dì  quattro  milioni  di  lire:  «  ma 
siccome  c'è  tempo  quindici  giorni,  rosi  può  essere 
che  l'affare  si  accomodi  ».  Col  pretesto  del  disarmo 
generale  fu,  tra  l'altre,  saccheggiata  e  rubala  una 
bella  raccolta  di  armi  antiche  ili  1  Capponi  nella 
villa  di  Montughi  :  ora  si  faceva  man  bassa  sui  te- 
sori  di    Palazzo  Pitti. 

«  Eccovi,  scriveva  la  Reinhard,  un  esempio  di  1  prò 
cedere  di  questi  barbari.  Eravamo  a  tavola  quando 
un  impiegato  di  Carlo  venne  ad  avvisarlo  che  tutta 
l'argenteria  granducale  e  de'  pezzi  di  oreficeria  di 
Benvenuto  Cellini  erano  alla  Zecca  e  stavano  per 
esser  fusi.  Egli  vi  si  oppose  energicamente,  e  salvò 
dalla  distruzione  i  sei  pezzi  rappresentanti  le  fati- 
che d'Ercole  e  il  carro  d'Apollo.  Questi  saranno 
mandati  al  Museo  di  Parigi  ;  altri  saranno  venduti 
perchè  ci  è  bisogno  di  danaro,  ed  è  necessario  pri 
rarsene  ».  Recatasi  a  visitare  le  sale  deserte  della 
reggia,  la  eulta  signora  constatava  con  soddisfa- 
zione, che,  tino  a  quel  giorno  almeno  e  grazie  all'o- 
pera onesta  del  marito,  ogni  capolavoro  d'arte  era  a 
suo  luogo;  più  tardi  se  ne  tolsero  sessantatre quadri 
e  ventidue  tavole  in  pietra  dura,  e  sette  di  quelli  e 
di  queste  tre  furon  preda  dei  ladroni.  A  Parma, 
passandovi  per  venir  in  Toscana,  non  aveva  provato 
un  simile  contento  :  e  meritano  esser  ri  orile  le  con- 
siderazioni che  le  dettò  lo  spoglio  delle  chiese  e 
delle  gallerie,  «  Non  potei  guardarmi  da  un  senso 
penoso,  quando  le  guide  ci  mostrarono  le  mura 
mite  e  c'indicarono  pessime  copie,  dicendo: 
qui  dovrebbe  essere  la  Santa  famiglia  del  Cor- 
reggio, od  altri  quadri  celebri,  che  ricordavo  aver 
airato  a  Parigi.  Il  loro  posto  era  ti;'  queste 
mura,  meglio  che  su  quelle  dei  Musei  ove  li  ho  ve- 
duti. Né  io  avrei  avuto  il  cora  ;gio  di  li  :  e 
-mi  contenta  che  la  Repubblica  abbia  al  suo  ser- 
vizio   ilei   cuori    meno    sensibili    e    delle   braccia    più 

Foli  1.  che  ih  ni  sieno  le  mie  ». 


Se  non  che  già  verso  la  fine  dell'aprili   si  avevano  i 
segni  precursori  di  prossima  catastrofe.  La  marchesa, 

ai  14.  così  scriveva:  (Dopo  un  tempo  assai  scuro  e 
minaceli  so.  pare  che  il  sole  cominci  a  apparire  sul- 
l'orizzonte >'■  \'ero  è  1  lie  nelle  lettere  antecedenti  si 
lagnava  sempre  della   pessima   stagione:  ma  quello 


38 


LA    LETTI 


i-h<-  -  le  parole  che  precedono:   «  (Iran 

gran  partenze  improvvise  ». 
rer,   infal  «tato   replii  battuto: 

l'armata  ■     Ma    lonald,  che  quando  andava  a   Sa 
.  la  marchesa  aveva  v.  liuto  vedi  ire  pei   la 

olo        era  bellissima  .unite,  che 
.are  addietro  ■  in   stati i  ita  mui 
compi  d  onta  ili  essei    francesi  ■        si  met- 

ormai  in  ritirata.  ■  Fo  di  nascosto,  scriveva  la 
Reinhan  ei  preparativi  'li  partenza:  nella  notte 
impacco  i  bi  E  più  tardi:   a  Se  per  mi- 

racolo  Buonaparte  si   trova-  o  qui!  si 

bbe  un'occhiata  attorno,  sorriderebbe,  ripren- 
derebbe in  mano  il  timone,  e  in  quattro  settimane 
tutti:  sarebbe  riordinato  ».  Ma   B  e  era  lon- 

tano, in  l  i    ìe  faccende  dovevansi  ancor  più 

ingarbugliare,  perchè  egli  deliberasse  il  ritomo  im- 
provviso in  Francia.  Invano  si  cercava  ili  rassicu 
rare  faul  aie   intimorire  avversari  con   mo- 

larmi e  lustre  <li  forza.  Ad  una  ili  siffatte  di- 
mostrazioni ma  essa  non  lo  narra,  e  fu  per  com- 
memorare i  plenipotenziari  francesi  invisi  presso 
Rastailt  -  prese  parte  anche  la  Reinhard.  Nella 
sala  ilei  palazzo  Ricciardi,  dimora  del  Commissario. 
e  che  venne  ti  tata  a  lutto,   fu  posta  un'ur- 

na ,  presso  alla  quale  orò  il  Reinhard,  e  di  poi  al 
iodi    flebili   strumenti,   la   cittadina    sua    moglie, 

:.i  di  bianc n  tracolla  nera  e  corona   d'alloro 

in  testa,  sparse  fiori  su  cotest'urna.  Il  pubblico 
guar.  «oso:   ma  intanto,  per  volontà  del  ma- 

rito,  la   I  i ria  si  ritirava  a  Pisa. 

Era  un  via  vai  di  truppe  e  un  succedersi  di 
e.  Il  contado  aretino  e  casentinese  erano  in- 
sorti: il  moto,  del  quale  erano  a  capo  l'inglese  Wyn- 
Hham  e  l'Alessandra  Mari,  una  Giovanna  d'Arco 
da  strapazzo,  figlia  di  un  macellajo  e  moglie  di  un 
capitano  ilei  dragoni,  palese  ganza  di  lui,  con  tu- 
multuario codazzo  di  contadini  e  frati  armati  di  ron- 
che  e  di  falei.  si  faceva  sempre  più  presso  a  Firenze. 
Ma  anche  i  fedeli  granduchisti  non  fidavano  molto 
in  quei   d  lei  trono  e  dell'altare,  procedenti 

dietro  quel  grido  di  Viva  Maria,  che  in  Toscana  ri- 
mase di  [ioi  sinonimo  di  rubare,  e  maledicenti  nel 
lr.ro  inno  guerresco  *  l'estranea  moderna  lìberi,)  ». 
lei  pazzi  persistono  nel  loro  errore....  Dio 
faccia  che  tutte  queste  insurrezioni  si  quie- 
tino •  :  scriveva  la  Capponi,  che  in  altra  lettera, 
del   24  ti-  .1   dipingeva   lo  stato  del   paese: 

a  Ad  ogni  momento  arrivano  delle  truppe,  e  ad  ogni 

mi. 11  partono:   poche  sono  le  notti  nelle  quali 

non   si   f..  gli  arresti  e  degli   1  molti 

nobili  sono  stati  imbarcati  a  Livorno.  peme 

il   destino....    \  te  nel  suo  tmento. 

M        elio —  una  fattoria  dei  Capponi         i   diven- 
tino dei   viveri  degli    Aretini:   vi   sono 
alloggiati   molti    uffiziali    e   snidati:    1  po- 

mi  fa    la   massima   pena  .  temendi 
mpromessa:    ma,  come  si  fa?  b.  non  ho 
forza    d  re    la     forza:    tanto    ho    detto     a 

\erno  francese  ».  E  ai  17:  «  La  condotta 
Vretin      1  irmai  ni ta  a  tutti  ;  io  non  la  devi  1 
appi  non    ne    parlerei    se   non    si   tratti 

ria    di     Mi  .ss.  iglio. 


l'in  dal  primo  momento  che  il  fuoco  degli 

rgenti  nelle  campagne  toscane .  non  mancai  di 
ordinare  a  tutti  i  contadini  di  non  prendere  veruna 
parte  nella  ribellione,  coti  minaccia  di  mandar  via 
il  primo  che  prendeva  l'arme.  Questo  fuoco  si 
Smorzò    da    pi  1     tutto,     Inori    che    in    Arezzo,    dove 

-ii"  giunti  al  segno  che  ognuno  sa.  Dopo  la  bat- 
taglia segnila  SOttO  Cortona  con  i  polacchi.  Mosso- 
ci", tu  occupato  da  60  soldati  aretini  e  due  co- 
mandanti, i  quali  mangiavano  pagando,  e  obbli- 
gavano i  contadini  della  fattoria,  tre  pei  settimana, 
ad  andare  in  Arezzo  per  montar  la  guardia.  Fui 
dolente  di  una  tale  notizia  temendo  di  essere  com- 
promessa, com'è  succeduto  ad  altri:  e  parlai  con 
un  uffiziale  che  avevo  in  casa,  il  più  ragionevole, 
che  mi  disse  d'informarne  subito  d  Governo  e  i 
generali   comandanti  ». 

Che  la  marchesa  in  cuor  suo  desiderasse  la  di- 
sfatta dei  Francesi  e  il  ritorno  .li  Ferdinando,  che 
era  poi  anche  il  ritorno  del  marito,  si 
bene,  e  si  capisce  anche  che  evitasse  di  compro- 
mettersi ;  ma  sembra  anche  che  di  quel  moto  con- 
tadinesco non  avesse  sul  principio  molta  fiducia, 
né  mai  nutrisse  per  ess..  molta  simpatia.  La  gen- 
tildonna repugnava  naturalmenti  1  quel  tumulto 
incivile,  né  doveva  certamente  sembrarle  che  il 
più  gradito  olocausto  a  Dio  e  al  Principe  doves- 
sero essere  gli  uomini  bruciati  vivi,  come  fossero 
lascine,  in  mezzo  alle  piazze,  e  altre  simili  im- 
prese delle  fanatiche  turbe.  Se  non  che,  nei  fran- 
genti, i  liberatori  non  si  scelgono;  si  possono  tut- 
tavia giudicare:  e  quando  le  genti  del  contado  ir- 
ruppero in  Firenze,  la  Capponi  si  senti  tanto  poco 
lieta  e  sicura  nelle  loro  mani,  quanto  già  in  quelle 
dei   Francesi   e  1  .bini. 


Gli  avvenimenti  precipitavano:  a  non  ci  sono 
pili  illusioni  possibili  »,  scriveva  il  20  giugno  la 
Reinhard,  tornata  momentaneamente  da  Pisa  e 
prossima  a  ritornarvi  ancora:  e  la  Capponi  ai 
scritto  due  giorni  innanzi:  ■  Siamo  alla  crisi:  Id- 
dio ,'■  misericordioso  ».  Invitato  dal  generale,  il 
Commissario  riuniva  tutte  le  autorità,  e  comuni- 
cava loro  l'ordine  ricevuto  di  lasciar  Firenze.  Gli 
insorti  avevano  annunziato  da  Figline  che  sareb- 
bero in  città  pel  giorno  del  patrono  San  Giovanni; 
«  io  non  credo  queste  cosacce  ».  diceva  la  Cap- 
poni :  ma  il  Gaulthier,  inabile  e  di  piccolo  anima, 
vi  pi.  li    de.   La  mattina   del   4  luglio,  all'alba, 

le  autorità  civili  abbandonarono  la  capitale.  Le 
vie  erano  pine  di  popolo  e  le  finestre  affollate  di 
Curiosi:  tutta  la  sua. la  verso  Pisa  gremita  di  fug- 
a  piedi,  in  vettura,  a  cavallo:  gli  ammalati 
;  per  Ani...  .,  Quandi •  penso ,  rifletteva 
con  tristezza  la  Reinhard  .  alle  calamità  che  ab 
bianio  attirato  su  questo  paese,  sono  grata  agli 
italiani   di    lasciarci    la    vita.    S'essi    avessero    1 

vigore,    la    nostra     condizione    sarebbe    terri- 
bile 1..    E   l'8  di    luglio  sul    punto   di  salpar  da  Li- 
vorno:    «  Vi     scrivo    per    l'ultima    volta    dalla    To- 
scana:   la   mia   gioia  è  attenuata  soltanto  dalla  vi- 
dei disastri  che  lasciamo  dietro  di  noi.  Quante 


LA    TOSCANA    NEL     I  71  l'i 


39 


famiglie  in  fuga  e  nella  miseria,  per  averci  sagrifi- 
cato  la  loro  quiete,  la  felicità  loro,  la  fortuna  !  e  noi 
siamo  impotenti  a  sollevarli  !  Fra  poche  ore  l'Ita- 
lia ,  questo  paradiso  terrestre ,  sarà  alle  nostre 
spalle  !  » 

Così  si  congedava  la  gentile  signora  da  quella 
terra ,  ove  il  marito  era  stato  una  specie  di  sovra- 
no: e  nel  tragitto  le  sopravveniva  un  altro  inef- 
fabile dolore:  la  morte  del  figliuoletto,  nato  in- 
sieme francese  e  toscano.  L' unica  consolazione 
che  portava  seco ,  era  che  il  marito  non  aveva 
abusato  ne  a  conto  del  suo  paese,  né  a  conto  pro- 
prio del  potere  da  lui  esercitato  in  condizioni 
così  straordinarie.  Ne  usciva  colle  mani  nette  e  la 
coscienza  tranquilla.  Si  era  opposto  virilmente  alle 
prepotenze  e  alle  ladrerie  dei  commissari  ci- 
vili e  militari ,  i  quali  se  n'  erano  vendicati  col 
metterlo  in  mala  vista  presso  il  Direttorio.  Egli 
aveva  spedito  in  Francia  il  suo  segretario  Leroux, 
latore  delle  proprie  discolpe.  Questi  aveva  avuto 
il  torto  di  gridare  e  festeggiare  apertamente  il  suo 
ritorno  in  patria  ;  e  non  lungi  da  Genova  ,  cadeva 
morto  per  quattro  palle  nel  petto.  I  nemici  del 
Reinhard  «  si  erano  concertati  fra  loro ,  ed  è  più 
che  probabile  che  l'assassinio  sia  opera  loro,  dac- 
ché avevano  ogni  interesse  perchè  le  relazioni  , 
delle  quali  era  latore,  non  giungessero  a  destino  ». 
Così  la  Reinhard:  ma  la  Capponi,  della  quale  il 
Leroux  era  stato  ospite  e  che  replicatamente  ne 
vanta  la  bontà  e  discrezione ,  è  ancor  più  espli- 
cita :  0  questo  segretario  ,  quindici  giorni  addietro, 
fu  spedito  dal  ministro  a  Parigi  per  corriere ,  ma 
vicino  a  Sarzana  fu  ammazzato ,  e  portato  via  i  ' 
plichi  e  una  cassetta  di  gioie:  si  crede  fatto  am- 
mazzare da  Gaulthier ,  giacché  vi  era  una  guerra  a- 
perta  fra  Reinhard  e  questo  generale  >'.  Il  ruba- 
mento  delle  gioie  dava  al  fatto  il  colore  di  un  as- 
sassinio per  rapina  ;  l'importante  stava  nei  dispac- 
ci ;  e  i  gioielli,  ad  ogni  modo,  potevano  andare 
con  tanti  altri,  rubati  senz'effusione  di  sangue. 


Qui  ha  fine  il  carteggio  della  repubblicana  fran- 
cese, che,  pur  essendo  della  progenie  dei  vincitori, 
serbò  in  cotesto  scalmanarsi  di  passioni  e  di  cu- 
pidigie, sereno  il  giudizio,  pietoso  l'animo,  caste  le 
opere  ;    quello   della  granduchista  fiorentina  segui- 


ta a  tutto  l' agosto.  La  restaurazione  la  fece 
bensì  «  piangere  per  tenerezza  »  :  ma  1"  anarchia 
che  tenne  dietro  all'  arrivo  degli  aretini  ,  l' inu- 
tile e  fastidioso  stormir  delle  campane  a  man 
l'inseguimento  feroce  dei  giacobini  da  parte  della 
plebe,  non  erano  cose  di  suo  gusto.  La  plebe,  fra 
le  altre,  non  risparmiava  le  donne  che  portassero 
abiti  corte  e  scarpe  a  punta;  e  anche  la  masi 
ebbe  la  sua  parte  d'insulti  per  questa  cagione:  si 
voleva  ritornare  parecchi  secoli  addietro.  Le  vie  ri- 
suonavano di  canzoni  oscene  contro  le  donne  abbi- 
gliate alla  moderna  :  venne  fuori  perfino  una  pa- 
storale dell'arcivescovo  contro  cotesta  foggia:  «  di- 
cono i  più  ,  osserva  la  marchesa,  che  se  la  poteva 
risparmiare  »  ;  ma  le  convenne  obbedire ,  e  «  mi 
misi  una  mantiglia,  che  mi  arrivava  alle  ginocchia, 
e  parevo  la  nonna  ».  E  finisce  col  deplorare  an- 
che che  «  il  popolo  è  diventato  un  poco  imperti- 
nente colle  carrozze  »  :  e  si  sa  ;  le  plebi  aizzate  fi- 
niscono sempre  coll'andar  più  là  di  dove  gli  aizza- 
tori vorrebbero  condurle:  la  vipera  si  rivolta  al 
ciarlatano. 

Cominciarono  i  processi  politici  .  e  il  giudice 
Cremani  ,  d'infausta  memoria,  trovò  da  imbastire 
in  tutta  Toscana  trentaduemila  processi  «  per  in- 
fezione patriottica  »,  e  ventiduemila  furono  i  con- 
dannati. La  «  camera  nera  »  spadroneggiante  stese 
un  velo  dì  tenebre  sul  paese:  se  non  che,  era 
ormai  prossimo  a  spuntare  il  soli-  di  Marengo.  La 
Toscana,  com'è  noto,  fu  sballottata  da  signore  a 
signore:  ebbe  prima  i  Borboni  di  Parma  coli' in- 
fausta reggenza  della  bigotta  Maria  Luigia,  tutrice 
di  quel  Carlo  Lodovico,  che  cominciò  coll'essere 
infante  di  Spagna,  divenne  nominalmente  re  d'I 
truria,  ebbe  indi  speranza  di  esser  re  di  Portogallo, 
poi  fu  duca  di  Lucca,  indi  di  Parma,  e,  sempre  o  >n 
cammino  retrogrado,  finì  conte  di  Villafranca.  Nel 
1808  ,  cacciatine  i  Borboni,  la  Toscani  divi  ntò  di- 
partimento francese,  poi  principato  di  Elisa  Ba- 
ci occhi  ,  finché  nel  '14  ritornò  granducato  con  Fer- 
dinando. L'invasione  del  '99  e  il  successivo  domi- 
nio francese  non  segnarono  gli  anni  più  felici  «iella 
sua  storia  ;  ma  durante  quel  periodo  si  gettarono 
e  si  fecondarono  quei  germi  di  amore  alle  lil  n 
istituzioni  e  di  italianità,  che  di  vevano  fruttificare 
dappoi. 

Vi  SS  VNDRO  1  I'Anvi  ina. 


-*=#®4; 


/eTV-> 


A  Briga.  —  La  futura  stazione  dell'accesso  nord  del  tunnel.  —  (/•'»/.  della  «  Lettili 


IL  PIÙ'  GRAN  TUNNEL  DHL  MONDO 


ini,.  Brandau,  che  dopo  la  morte  del- 
l'ing.  Brandt  è  rimasto  solo  alla  testa 
della  colossale  impresa  cui  è  affidato  il 
traforo  del  Sempione,  è  un  tipo  alto,  vigoroso  e 
orte  di  svizzero.  E'  fulvo,  sulla  cinquantina,  rude 
e  nello  stesso  tempo  d'una  cordialità  che  la  sua 
scorza  non  lascia  sospettare.  Gli  ingegneri  lo  chia- 
mano papà  Brandau  »,  il  che  parla  meglio  di 
qualunque  cosa  in  favore  del  suo  carattere. 

Qm  eli  novembre  in  cui  rinnovai  la  sua 

conoscenza   nel    suo    gabinetto   di   direzione ,    un 
nuo\  d'  acqua   si   era   rivelato  nel  tunnel 

ad  c>oo  litri  al  secondo  la  massa  liquida 
rigurgitante  dalle  viscere  del    monte   ad  impedire 
pera.    Confesso  che  aveva   pei    me   una 
iale   attrattiva  il  vedere  qual  era  l'aspetto  del 
capo  dell'impresa  'li  Ironte  agli  ostacoli  frapposti 
dagli  clementi,  date  le  5000  lire  ili  multa  o  eli  pre- 
mio stabiliti  per  ogni   giorno  di  ritardo  o  di  anti- 
e  per    il    quale    ogni    minuto    inoperoso 
:  può  rappresentare  una  perdita  di  L.  3,40. 
«  Papà    Brandau  »,  malgrado   che  molti  giorni 
ro  già  trascorsi,  tanto  •  he  dal  30  set- 


tembre all'8  novembre  il  traforo  era  avanzato  sol- 
tanto 33  metri,  m'appariva  invero  identico  a  quello 
che  io  avevo  conosciuto  quando  le  perforatrici  da- 
vano persino  7  metri  al  giorno  di  avanzamento  : 
calmo,  cordiale  e  sovratutto  sicuro  di  sé. 

—  Noi  non  dubitiamo  di  poter  vincere  questo 
terribile  nemico  dei  tunnels  che  è  1'  acqua.  <  >ra 
stiamo  cercando  di  superarlo  con  una  galleria  su- 
periore, o  di  girarlo  con  una  trasversale,  procurando 
nello  stesso  tempo  di  dare  all'acqua  uno  sfogo 
maggiore.  Potrà  essere  questione  di  giorni,  potrà 
trattarsi  di  settimane,  ma  ci  si  riuscirà. 

E  il  direttore  dei  lavori,  dal  lato  d'Iselle,  l'inge- 
gnere Prcssel,  un  altro  svizzeri,  dall'aspetto  vivace 
e  nervoso,  gli  faceva  eco:  pareva  Dell'udirli  par- 
lare che  l'ostacolo  ridestasse  in  loro  degli  entusia- 
smi combattivi,  che  essi  ritenessero  indegno  di  loro 
considerare  il  traforo  di  un  monte  alla  stessa  gui^a 
che  un  topo  considera  un  buco.  E'  l'impreveduto 
.lucilo  che  dimostra  le  abilità  tei  oi(  he  e  le  risorse 
geniali  ,  benché  la  scienza  e  la  pratica  lo  ren- 
dano sempre  minore. 

IVirna  di    traforare   un    monte    gli    scienziati    vi 


11.    l'I!     GR  W     l  i  NNEL    hl.l     M<  »ND< 


danno  già  il  profilo  geologico  dei  terreni  che  si  de  >- 
vrà  attraversare,  e  così  per  il  Sempione  è  stata  stesa 
—  credo  dal  Taramelli  —  una  carta  determinante 
lo  stato  dei  terreni  :  le  successioni  di  gneiss  schi- 
stoso  a  quello  granitico  d'Antigono,  con  venature 
di  calcari,  di  schisti  e  di  calcari  micacei,  di  do- 
lomiti cristalline,  ecc.  E  in  questa  carta  voi  avete 
segnati  anche  i  rapporti,  la  forza  dirò  così  d' ir.- 
lluenza  dei  varii  corsi  d'acqua  e  dei  varii  bacini. 
-Ma  l'acqua  è  traditrice:  essa  segue  spesso  vie 
ignorate  per  arrivare  ai  tunnels,  e  poiché  que- 
>ti  cercano  spesso  di  passare  presso  le  valli,  allo 
scopo  di  diminuire  gli    effetti   delle    masse   sovra- 


4' 

nell'info  rno  avevano  compiuto  il  loro  orario  di  otto 
ore.  L'ing.   Brand.  èva  dato    per   guida   un 

nere  italiano,  il  signor  Carlo  Mongi. 

Eravamo  tutti  carichi  di  macchine  e  di  appa- 
recchi nella  speranza  di  poter  ritrarre  qualche  ca- 
ratteristica fotografia  all'interno.  C'erano  delle 
bombe  al  magnesio,  che  davano  lampi  potenti 

Prendiamo  posto  assieme  agli  operai  nei  vago) 
«ini  d'una  piccola  ferrovia,  mentre  il  tunnel  poto 
lontano  mostra  il  suo  imbocco  piccolo  e  stretto. 
La  prima  parte  infatti  non  è  quella  che  dovrà  ser- 
vire per  il  traffico:  il  tunnel  che  si  collegherà  alla 
ferrovia    italiana    avrà    un    altro    sbocco,    cosicché 


Naters,  il  villaggio  abitato  dagli  operai  italiani,  posto  di  fronte  al  traforo.  — 


stanti,  succede  irequentemente  ch'essi  facciano  pa- 
gare duramente  l' ipotetico  vantaggio. 

Il  tunnel  del  Sempione  avrebbe  appunto ,  se- 
condo i  primi  progetti,  dovuto  andare  sotto  la  valle 
della  Cherasca,  e  si  deve  in  gran  parte  all'oppo- 
sizione tecnica  dell'ingegnere  italiano  Canovetti 
se  ciò  non  avvenne  :  mentre  il  raffreddamento  sa- 
rebbe stato  problematico,  l'afflusso  delle  acque  sa- 
rebbe stato  sicuro. 


questo,  che  servì  già  di  tunnel  di  direzione  all'ini- 
zio dei  lavori,  ora  serve  come  d'entrata  di  lavoro 
e  rimane  all'  imbocco  piccolo  e  stretto.  La  notte 
è  fredda  e  stellata:  la  Diveda  rompe  il  silenzio 
col  suo  gorgoglìo:  i  minatori  s'accovacciano  nei 
vagoncini  in  silenzio,  i  più  esau  pipa  o  il 

sigaro,  perchè  nel  tunnel  non  si  potrà  fumar  più. 
La  locomotiva,  piccola  ma  tarchiata,  dal   basso 
fumaiuolo,  fischia  e  si  muove:    i   vagoncini   si 
molle,  riuniti  l'uno  all'altro  con  un  semplice  gan- 
cio, si  muovono  stridendo  e  sballottandoci.  Bisogna 


La  sera,  alle  21.30,  io  col  fotografo  e  i  suoi  gen-  ,  ,  e  fotografie  che  pubblichiamo  furono  per  la  mas- 
lui  aiutanti  ci  trovavamo  alla  stazione  di  entrata  sima  parte  eseguite  dal  distinto  dilettante  signor  Eugenio 
del  tunnel.  Da  Varzo,  da  Iselle  giungevano  i  mi-  Bonacina,  incaricato  dalla  premiata  fotografia  Ricci  di 
natori  e  gli  operai  per  dare  il   cambio  a  quelli  che  Milano,  alla  quale  la  direzione  della  Lettura   lo  richiese- 


I- 


I   \    LETTURA 


A   Briea. 


Veduta  generale  dei  cantieri.  —  (Fot.  della  «  Lettura 


rsi  saldi  per  non  rotolare.    E  si  entra  nel  tun- 
nel: una  vampata  di  aria  calda  v'  investe,  il  fumo 
della  locomotiva   vi    circonda,    un    rumore    assor- 
dante vi  intontisce.  Ai  riflessi  delle  fiamme  fumose 
delle       cipolle  »    dei   minatori   scorgete   la   volta 
e    ■'•  male:  ma  ciò  dura  poco  :  ecco  la  vòlta 
alta,  tutta  rivestita  di  muratura,  del  tunnel  già  ul- 
timato e  pronto  per  il  traffico.   Si  percorrono  cosi 
^  km.  durante  i  quali  l'occhio  si  abitua. 
Il  treno  si  arresta:  tutti  gli  operai  —  saranno  400 
-  discendono,  dileguandosi  nel  bui'.,  mentre  altri 
sopra  ender   posto   nei   vagoncini. 

lo  terminato  il  loro  turno. 
La  galleria  già  pi  tei  minata  e  sin  dove  l'i 

arriva,  aiutato  dalle  numerose  lucerne  ad  olio, 
non  si  scorgono  die  robusti  sostegni  e  impali  .  • 
tun-.  Perchè  i  lavi  nono  in  quest'ordine: 

dappi  ma   le  p  ci  fanno  una  galleria  di  base 

8  metri  quadrati  di   se/  del    terreno 

■    nquistato  si  impadroniscono   altri   minatori 
■    ingrandiscono   late- 
rali!.' ite  la  galleria  sino  a  ridurla 
alle  proporzioni    rese   n  dal    transito.    Ai 
mmat'.ri  a  mano  tengon  dietro    frli    operai    incari- 
timento. 


Il   lavoro    d'avanzamento   è    il    più    importante, 


perchè  è  quello  che  dà  modo  di  accrescere  la  po- 
tenzialità del  lavoro  nella  galleria.  Mentre  il  punto 
di  avanzata  è  uno  solo,  i  punti  per  il  lavoro  di 
completamento  possono  essere  parecchi.  Ed  essi 
saranno  in  tanto  maggior  numero  quanto  più  lunga 
è  la  linea  di  lavoro. 

Per  questa  ragione  il  lavoro  di  avanzata  è  il 
più  febbrile,  quello  che  dà  realmente  il  concetto 
della  lotta  titanica,  che  l' uomo  combatte  con- 
tro la  natura.  Le  perforatrici  Brandt  ad  acqua 
compressa  fanno  l'effetto  di  artiglierie  indirizzate 
contro  un  nemico.  Esse  si  puntano  contro  la  roc- 
cia ,  e  la  loro  estremità  è  munita  di  grosse  punte 
di  trapano ,  di  forma  tricuspidale  del  diametro 
variante  da  63,  a  66,  a  78  millimetri. 

L'acqua,  che  arriva  in  pressione  di  80  atmosfere, 
fa  girare  le  punte  nella  viva  roccia,  non  molto 
rapidamente.  Un  zampillo  d'acqua  proveniente 
dal  centro  della  punta  tricuspidale  serve  al  triplice 
scopo  di  rendere  maggiore  la  presa,  di  sopprimere 
la  polvere  e  di  raffreddare  la  punta.  In  questo 
modo  si  devono  scavare,  a  seconda  della  maggiore 
o  minore  resistenza  della  roccia,  fori  di  1  metro  e  50 
e  persino  di  _•  metri  ili  profondità.  Ma  per  giun- 
.1  tale  risultato  sono  necessarie  un  gran  nu- 
mero di  punte:  spesso  ad  ogni  centimetj nqui- 
stato occorre  alla  punta  tri(  uspidale  vecchia  so- 
stituirne una  nuova. 


II.    l'Il     >  IRAN     I  I  Wl  I.    hi  L    .\lii\iii  i 


Il  lettere  si  farà  presto  un'idea  di  ciò  che  è  il 
lavoro  d'avanzamento,  allorché  avrò  detto  che 
su  una  superficie  di  poco  più  di  2  metri  quadrati 
i  fori  che  le  perforatrici  devono  fare  son  dodici. 
Gli  operai  sono  sempre  freschi,  poiché  si  rinno- 
vano di  6  in  6  ore:  d'altra  parte  essi  sono  so- 
spinti al  lavoro  febbrile  dal  premio  per  ogni  me- 
tro fatto  in  più  della  media  prevista. 

Ognuno  di  questi  fori  vien  poi  caricato  con  car- 
tucce da  2  a  3  kg.  di  dinamite,   che  scoppiano  a 


!■'■ 

lato  di  Briga  che  da  quello  d'Iselle,  compirono 
iiell'  ultimo  trimestre  (luglio-agosto-settembre)  (1) 
i  '  >  4 1  attacchi  con  15,489  fori  i  quali  davano  com- 
plessivamente una  profondità  di  20  km.  e  118  me- 
tri. E  per  un  avanzamento  complessivo  delle  due 
gallerie  di  1805  metri  si  consumarono  kg.  44,813 
di  dinamite,  scavando  10,792  metri  cubi  di  mate- 
riale e  adoperando  ob,  170  punte  tricuspidali.  Da 
un  trimestre  si  potrà  giudicare  quale  somma  di 
lavoro  rappresenti  tutta  l'opera. 


\ 


f 


:u 


A   Iselle. 


Nel  tunnel  a 


metri.  —  [Fot.  della  «  Lettura  » 


breve  intervallo  l'una  dall'altra,  e  l'eco  dello  scop- 
pio esce  ululando  ,  per  il  tunnel ,  ripercuotendosi 
poi  nella  valle.  Ma  il  passo  avanti  non  è  stato  pe- 
ranco  percorso  e  già  bisogna  pensare  al  nuovo  : 
bisogna  che  le  perforatrici,  che  si  sono  durante  lo 
scoppio  dovute  far  retrocedere ,  possano ,  nel  più 
breve  tempo  possibile,  ritornare  alla  fronte  d'at- 
tacco, coi  loro  tubi  d'acqua  compressa. 

Kd  ecco,  appena  l'aria  rarefatta  dalla  fortissima 
detonazione  è  tornata  respirabile,  una  squadra  di 
operai  ristabilire  le  guidovie,  sospingere  su  di  esse 
i  vagoncini  che  dovranno  prendere  i  detriti  e  tra- 
sportarli fuori.  Ma  prima  ancora  che  tutte  le  ma- 
cerie prodotte  dallo  scoppio  sieno  trasportate  fuori, 
le  perforatrici  sono  già  di  nuovo  alla  fronte  di  at- 
tacco per  procedere  oltre. 

A  dare  un'idea  del  lavoro  che  compiono  le  per- 
foratrici, dirò  che  le  sei  adibite  al  traforo,  tanto  dal 


Al  lavoro  d'avanzamento  segue  quello  di  per- 
forazione a  mano.  I  minatori  s'impossessano  del 
foro  per  cui  le  perforatrici  sono  passate  e  si  di- 
stribuiscono a  destra  e  a  sinistra,  nonché  nella 
volta,  armati  di  mazze  e  di  punte:  dapprima  sono 
dei  vani  aperti  nella  roccia  chiamati  fornelli 
che  vanno  dando  al  foro  quell'ampiezza  resa  ne- 
cessaria dal  transito  dei  treni.  A  questo  lavoro  è 
impiegato  il  più  gran  numero  di  operai  :  numeri  > 
che  però  varia  a   seconda    della   maggiore   o    nii- 


I)  <  Rapport  trimestral  N.   12  au  Conseil  federai  suisse 
sur  l'état  des  travaux   du    percement   de    Simplon  ».    E' 

l'ultimo  pubblicato. 


1 1 


LA    I  I    I  I  l  l<  \ 


I  «  fornulli  »  nella  vòlta.  —     Foli     '     i     della  ■■   Lettura  »  ottenuta  al  magni    . 


nore  distanza  che  passa  Ira  la  galleria  completata 
i    la  fronte  d'avanzamento. 

Il  lavoro  nei  «  fornelli  »  è  penoso.  Qui  si  rag- 
giungono ,  come  il  loro  stesso  nome  dimostra, 
le  più  alte  temperature ,  superiori  ben  spesso  ai 
entigradi.  Specie  coloro  che  lavorano  nella 
volta  e  che  si  trovano  fuori  della  ccrrente  di  ven- 
tilazione sono  costretti  a  lavorare  seminudi:  i  loro 
dni  si  sono  imperlati  di  sudore,  le  fauci  sono  riarse, 
e  le  richieste  di  acqua  si  vedono  ripetere  insi- 
stenti. 

Noi  stessi,  saliti  cogli  apparecchi  fotografici  in 
qualcuno  di  questi  fornelli,  sentiamo  l'umidità  calila 
investirci,  bagnarci  gli  abiti .  mentre  la  fronte  è 
umida  di  vapore  acqueo.  Si  cerca  di  vincere  que- 
sfumidità  calda,  che  stagna  fermando  al  basso  la 
ente  della  ventilazione,  con  copertoni,  e  certo 
il  risultai')  è  soddisfacente,  perchè  gli  operai  pos- 
sono durare  ore  ed  ore  in  questa  temperatura. 

E   il    cercar   di    fotografare    qualcuno   di   questi 

fi  irnelli  »  non  è  per  il  fotografo  cosa  facile.  La 
umidità  calda  annebbia  l'obbiettivo:  essa  rende 
inservibili,  due  su  tre,  le  bombe  di  magnesio. 

A  rlarc  un'idea  dell'importanza  del  lavoro  che 
si  compie  col  mezzo  della  perforazione  a  mano 
darò  qualche  dato:  in  tre  mesi,  con  poco  più  di 
centomila  giornate  di  lavoro,  si  fecero  [30,474  bu- 
chi di  mina  di  II  1  profondità  totale  di  91,160  me- 
tri, 1  un  consumo   'li    kg.  22,594   di  dina- 


mite diedero  uno  scavo  di  23,964  me.  di  mate" 
riale,  vale  a  dire  più  del  doppio  del  risultato  dato 
dalla  perforazione  meccanica. 

E  in  quanto  concerne  i  rivestimenti,  la  loro  im- 
portanza è  grande  :  essi  sono  di  vario  tipo  e  de- 
vono adatiatsi  alle  speciali  condizioni  del  terreno 
Si  verificano  nei  tunnels,  anche  là  ove  questi  sono 
perforati  in  roccia  viva  e  compatta,  delle  strani 
deformazioni  dovute  alla  diversità  di  pressione 
del  terreno  sovrastante,  che  gli  scienziati  attribui- 
sn.no  ad  azioni  molecolari.  L'aria  umida  e  cal- 
dissima che  penetra  nell'interno  della  roccia  favo- 
risce i  cambiamenti  chimici.  Di  queste  deforma- 
zioni se  ne  riscontrarono  nei  lavori  delle  gallerie 
dei  Giovi,  del  Borgallo  e  del  Gottardo,  ma  per 
lori  una  sembra  provato  che,  raggiunta  la  stabilità 
per  un  certo  temi 10,  sia  anche  assicurata  indefini- 
tamente, poiché  la  modificazione  portata  alle  rocce 
dall' aver  subito  l'azione  degli  agenti  atmosferici 
non  si  estende  a  grande  profondità. 

Quindi  il  tunnel  completamente  perforato  viene 
normalmente  rivestito  con  cubi  di  pietra  in  modi 
diversi  a  seconda  delle  diverse  '  "udizioni,  per  ga- 
rantire la  vòlta  dalle  pressioni  mediane,  verticali 
.  1  da  quelle  laterali. 

Questo  lavoro  viene  compiuto  col  mezzo  di  ro- 
buste armature,  sulle  quali  operai  specialisti  la- 
vorano. E  l'opera  di  finimento  toglie  al  tunnel 
l'aspetto  tormentato,  che  hanno  lasciato   le   mine 


IL    PH"    GRAN     II  MNEL    DEL    M<  >ND<  > 


e  i  picconi:  non  si  può  più,  lungo  la  galleria  ri- 
vestita, parlare  di  viscere  del  monte  squarciate.  Le 
pareti  liscie  e  rettilinee  fanno  pensare,  è  vero,  ad 
un  budello  enorme,  ma  senza  idee  di  violenza. 
L'eco  delle  mine  giunge  là,  già  da  lontano. 

Più  che  delle  descrizioni,  io  vorrei  fornire  su  que- 
sto ,  che  è  certamente  il  più  grande  traforo  del 
mondo,  dei  dati,  i  quali  valgano  a  dare  al  gran  pub- 
blico, che  non  legge  le  monografie  speciali  e  i  gior- 
nali .tecnici ,  un'idea  dell' opera  che  si  sta  com- 
piendo. 


45 

leria  per   collegare   il    gran    tunnel    colle    ferrovie 
italiane  (il  distanti  km.    18,629 

Nello  scorso  numero  della  Lettura  esposi  tutte 
le  difficoltà  che  ostacolavano  il  progetto.  Il  pri- 
mo e  più  grave  era  quello  della  temperatura  :  co- 
sicché F  Impresa  dovette  armarsi  per  combattere 
il  temuto  nemico  con  mezzi  potenti.  Tanto  a  B 
quanto  ad  Iselle  si  portarono  ai  cantieri  dell'Im- 
presa potenti  forze  idrauliche  allo  scopo  di  immet- 
tere nel  tunnel  una  grande  quantità  d'aria  capace 
di  mantenere  respirabile  l' atmosfera.    Un    grande 


A  Iselle.  —  A  ;,ooo  metri  nel  tunnel  in  attesa  di  un  treno.  —  (Fot.  della  «  Lettura  »  ottenuta  al  magni 


La  galleria  è,  com'è  noto,  lunga  esattamente 
1 1  >. 7^Q  metri,  che  è  quanto  dire  quasi  cinque  km. 
più  del  Gottardo.  Ma  i  chilometri  di  galleria  che  real- 
mente si  devono  traforare  sono  assai  più  che  il  dop- 
pio. Come  infatti  è  noto,  i  tunnels  sono  due  paral- 
leli, equidistanti  17  metri,  e  per  un  tratto  cen- 
trale di  500  metri  si  congiungono ,  per  poi  nuo- 
vamente dividersi.  Di  questi  due  tunnels  solo  uno 
viene  ultimato  per  il  traffico:  l'altro,  che  viene  la- 
sciato dell'ampiezza  detta  dell'avanzamento,  non 
servirà  per  ora  che  all'  aereazione.  Ma  i  due  tun- 
nels sono  congiunti  fra  loro,  ogni  200  metri,  da 
gallerie  trasversali,  le  quali  ascenderanno  com- 
plessivamente a  05.  Sono  quindi  in  totale  più  di 
41  km.  di  perforazione,  ai  quali  vanno  aggiunti 
sul  lato  d' Iselle  quasi  sei  altri  chilometri   di    gal- 


ventiiatore  è  intatti  stabilito  tanto  a  Briga  che  ad 
Iselle:  esso  col  mezzo  di  uno  speciale  comi 
spinge  l'aria  nella  galleria  parallela,  quella  cioè 
che  non  verrà  completata,  e  l'aria  giunta  alla  fine, 
passando  per  l'ultima  galleria  trasversale  di  con- 
giunzione —  poiché  tutte  le  altre  vengono  tenute 
chiuse  —  gira  nella  galleria  N.  1,  0  pn  mei 
dire  in  quella  che  sarà  ultimata  per  il  traffico. 

Si  calcola  che  il  ventilatore  di   l'.riga  —  dovi    I 
fronte  d'avanzamento  aveva  sorpassati  i  60OO  metri 


i,  Le  gallerie  da  Iselle  a  Domodossola  saranno  sei, 
h  1  .ni  quella  di  Varzo,  elicoidale,  lunga  2y6s  ni.,  quella 
di  rrasquera  chi  ni  mi  lira  1725  e  quella  ili  Preglia  che 
ne  misura  682.  Si  dovranno  costruire  anche  ire  ponti, 
rispettivamente  di  m.  40,  32  e  J2  sulla  Diverta,  s«lla 
1  airasca  e  sulla  Bogna. 


I  \   I 


TUR  \ 


allori  .  i  ni']  d'a- 

ria nell'interno  nelle  ventìquattr' 

i  te  peni   la 

temperatura  all'avanzamento  era.  causa  l'acqua, 

\  questa  grande  1 1  iro  nte  d'ai  ia  iniet- 

nel  tunnel  se  ne  .  un'altra  sussidi 

:  esclusivamente  alla  fronte  d'avanzamento, 

te  noi  quest'aria 

vi  vim  s<  ispinta  di  eciali.  Essa  arri- 


I  pri  Fot.  della  <  Lettura*). 

vava  alla  fronte  d'attacco  ad   una   temperatura  di 

g  centigradi  a  Briga  e  di  25.9  ad  Iselle  prima 
dell'eccezionale  raffreddamento  prodotto. 

Il  calore  e  la  respiri.! jilità  Mino  i  quesiti  più  im- 
portanti: a  questa  si  provvede  coi  ventilatori,  a 
diminuire  quello  coi  getti  d' acqua.  L' acqua  al 
contatto  della  roccia,  da  una  temperatura  di  12. 5, 

iva  all'uscita  delle  perforatrici  una  tempera- 
tura più  che  doppia  tanti'  a  Briga  che  ad  Iselle.  Ma 
se  l'acqua  giova  al  raffreddamento ,  oltreché  es- 
sere necessaria  alle  perforatrici ,  costituisce  invece 
colle  sue  evaporazioni  la  principale  generatrice  di 
quel  calore  umido   e    miasmatico,    che    riesce    in- 

ortabile  e  dannoso  Da  qui  la  necessità  ili 
bene  incanalarla,  allineili''  dopo  avere  esercitato 
la  sua  azione  utile,  non  ne  eserciti  una  dannosa. 
A  questo  scopo  il  piano  del  tunnel  è  in  pendenza 
trasversale,  aftinché  l'acqua  finisca  in  un  canale 
laterale,  a  mi  naie,  data  la  pendenza  del 

r  "[00  del  tunnel,  riti  una  rapidamente  a  me- 
scersi nelle  acque  della  Diveria  a  Iselle,  in  quelle 
del  Rodano  a  Briga. 

Alla  respirabilità  nuoce  altresì  il  fumo  delle  lo- 
comotive che  continuamente  circolano  nel  tunnel, 
per  il  trasporta  degli  operai  0  per  quello  del  mate- 
riale, ma  a  quest'ultimo  inconveniente  si  cerca  di 

live  a  benzina  e  con  alcune 

con    essa  tenti  coi   loro 

tubi  ripieni  d'aria,  l'er  quanto  non  sia  stato  an- 
■  ora  possibili-  sostituirle  del  tutto  alle  locomo- 
tive a  carbone,  ti  notevolmente 
diminuito  il  bisogno  ili  queste,  specie  per  i  minori 
ti 

vi  è  ormai  più  ali  un  c'ubbio  che    la    «rande 
opera  non  si  •    impii  ri      Se  ogni  giorno  che 


oica  sugn-  dimenti   nuovi   per 

vincere  le  difficoltà  nuove,  dall'altro  lato  nel  fatto 
molte  ipotesi  pessimisti-  sono  state  smentite.  Il 
tunnel  ha  sorpassato  i  0  km.  dal  lato  di  Briga  e 
di  qualche  centinaio  i  .;  km.  da  quello   di    Iselle; 

ìi  il  '  osa  vuol  dire  che  la  metà  del  cammino  è  già 
latta;   benché  sia  passata   sotto  altezze    sovrastanti 

mio  di  .700  metri,  non  ebbe  mai  in  nessuna  sci- 
atore superiori  ai  ,i.,ì  centigradi  all'a- 
vanzamento. E  malgrado  sia  il  più  importante,  il 
Sempione  è  il  tunnel  che  1  osta  unno,  poiché  il 
1 1  iste  della  grande  galleria  fu  preventivato  in  L.  3750 
al  metro,  mentii-  il  Gottardo  ne  instò  4000  e  il 
Cenisi.  6500,  in  epoche  in  cui  le  mercedi  eran 
meno  elevate. 


Mi  resta  a  parlare  degli  operai,  tanto  più  che 
il  90  °|0  di  essi  sono  italiani.  Non  è  senza  com- 
mozione che  io,  tanto  nelle  profondità  del  tunnel 
a  Iselle,  quanto  a  Briga,  ho  udito  frammisti  tutti 
i  dialetti  della  patria.  Sono  complessivamente  3080 
gli  operai  che  lavorano  alla  grande  opera,  numero 
che  in  momenti  di  rapida  avanzata  ha  toccato  i  4000. 

E  allorché  si  pensa  che  nel  trimestre  luglio- 
agosto-settembre  partirono  dagli  uffici  postali  di 
Briga  e  di  Naters,  diretti  all'Italia,  17 13  vaglia, 
per  una  somma  di  circa  70,000  lire,  si  compren- 
derà quanta  parte  di  attività  alla  grande  opera 
abbia  data  l'Italia.  Non  è  l'iniziativa  direttiva,  non 
è  l'audacia  del  capitale,  ma  è  somma   di   energie 


La  pana  dc^li  operai  licenziati  a  Urina  dopo  l'ultimo  scio- 
pero. —  i  Istantanea  del  signor  Kleinei   . 

pur  sempre  apprezzabili,    quando   si  pensi  che  la 
statistica  dell'Impresa  dell'ultimo  trimestre  segna 
71  infortuni  al  lato  di  Briga  ed  80   da   quello   di 
[selle. 
Fu  detto  molte  volte  che  senza  gl'Italiani  —  che 


A   Briga.  —  L'accesso  del  tunnel. 


A   Naters.  —  Sala  di  lettura  degli  operai. 


A   Briga.  —  Il  tunnel  di  direzione. 


A   N'aters.  —  Trattoria  di  temperanza. 


• 

.— 

e  »  a 
III 

CI 

■  a  ■ 

L  ■  ■ 

■ma 

fi   n    y 

II 

'i 

ii|n 

BSfl 

HJHflHHl 

^^ 

* 

A  Briga.  —  Dormitori  operai. 


Sulla  strada  di  Naters.  —  Minatori  che  tornano  dal  lavoro. 


(s  LA    LETTI  R  \ 

contendono  -ra  anche   in    Asia   e    in   America   il 

Cinesi        i    più  grandi  lavori   ferroviari 

d'Europa  non  sarebbero   stati   possibili.   E  ciò   è 

si,  fra  gli   operai   che   affollano  i  mercati 


L'ing.  Brandau.  —  (Istantanea  dell'ing.  Preissel). 

internazionali  del  lavoro,  sono  quelli  che  si  dispu- 
tano le  opere  più  faticose  e  più  dure.  Voi  li  trovate 
in  ogni  luogo  ove  una  grande  impresa  si  compie. 
Ve  ne  sono  fra  essi  di  quelli  che  hanno  pass. ita 
metà  della  loro  esistenza  nei  tunnels,  anemici  per 
la  vita  vissuta  in  quelle  <  ondizioni  anormali,  quasi 
i  iechi  per  l'esistenza  da  talpe  che  hanno  trascorsa, 
sordi  per  il  continuo  fragor  delle  mine. 

Fortunatamente  però  oggi  le  (ondizioni  mate- 
riali del  lavoro  e  quelle  morali  dell'ambiente  si 
sono  fatte  migliori.  I  Governi  impongono  alle 
grandi  Imprese  costruttrici  degli  obblighi,  a  ga- 
rantir.' l'igiene  dei  lavoratori.  La  morìa  verifica- 
tasi ai  Giovi  e  al  Gottardo,  al  Sempione  non  la 
si  lamenta.  Gli  orari  anche  sono  umani  —  8  ore 
di  lavoro  al  massimo,  altera  tó   di   riposo 

per  coloro  che  sono  occupati  nel  tunnel.    E  se  le 
irie  fanno  si  che  la  vita  che 
rato  arrischia  venga  considerata  qualcosa  che 
re   remunerato   colla   semplice   mer- 
giornaliera,  i  l'agni,  gli  essiccatoi  per  gli  abiti, 
i   dormitori,  li  mdano  l'i  >pi  • 

raio  d'una  igiene  e  d'una  pulizia  che  non  pos 

moralmente  elevarlo.    Ed    anche    moralmente 
Top'  ì;  abbandonato   a  sé   stesso:    se 

no  si  è  deciso  tardi  a  mandar    un  rappre- 
Briga,  la  Dante  Alighieri  ha 
provveduto  da  tempo  alle    scuole.    E    fa   bene    al- 
l'anima vedere,,   girando  per  le  vie   di    Naters,    in 

allettatrici,  tutte  1 1  >n  in» 
italiane,  vedere  e  la  sala  di  lettura  per  gli  operai, 
liti  e  i  '  affé  di  temperanza. 


Non  illudiamoci;  i  nostri  operai  all'estero  noi» 
sono  amati:  non  si  vedono  che  i  loro  difetti  e  non 
si  apprezzano  le  loro  virtù,  che  pur  sono  quelle 
che  rendono  possibili  queste  opere,  le  quali  co- 
stano tanta  energia,  tanto  sacrificio  e  tante  vite. 

Ricorderò  sempre  con  amarezza  il  dolore  pro- 
vato un  giorno  in  un  caffè  di  Briga.  Un  signore 
parlava  degli  operai  italiani  come  se  fossero  stati 
tutti  dal  primo  all'  ultimo  altrettanti  accoltellatori. 
Quando  poco  tempo  dopo,  infatti,  in  occasione  di 
uno  sciopero  la  milizia  di  Naters  fece  fuoco  sugli 
scioperanti  e  ne  accompagnò  buon  numero  al  con- 
fine ,  pensai  se  nella  severità  del  trattamento  non 
avesse  avuto  parte  quella  severità  di  giudizio  che 
avevo  quel  giorno  udito  esprimere,  e  che  mi  aveva 
cagionato  tanto  dolore,  sovratutto  perchè  l'abban- 
dono in  cui  per  tanto  tempo  l'operaio  italiano  fu 
lasciato,  nella  sua  vita  nomade,  alla  ricerca  del- 
l'aspra fatica  che  gli  desse  un  pane  onorato,  era 
per  me  la  causa  prima  par  la  quale  agli  occhi  del 
mondo  i  vizi  cancellavano  le  native  e  pur  così  am- 
mirande virtù. 

Ed  è  a  questo  esercito  anonimo  ed  oscuro  di 
lavoratori  italiani,  disseminato  entro  le  viscere 
calde  dei  monti  nevosi ,  a  compiere  la  più  colos- 
sale opera  che  il  genio  umano  abbia  ideato  per 
spezzare  barriere  e  affermare  nuovi  vincoli  di  fra- 
tellanza fra  le  genti:  —   a  questo   esercito   di    cui 


L'n  i  Brandt, 

io  vidi  quanto  sia  duro  il  lavoro,    grande  il  sacri- 
li'io,  aspra  la  fatica,  ch'io  chiudo  inviando,  spe- 
lli che  al  di  là  del  valico  Bon   più  lungi 

dalla  patria,   il  grato  --aiuto  di  qu. 

A.  G.  Hi  \nchi. 


SOMMARIO 


Romanzi  e  Novelle.  —  n  libro  della  Jungla  :  Il  figlio  dell'Homo  iRudyard  Kipling)  —  L'Esteta  i  Luigi  Zoppis) 

—  Mademoiselle  Leprina-  (Vittorio  Corcos). 

Letteratura  e  Critica.  —  Epistolario  di  L.  A.  Muratori  (Matteo    Campori)  —  Lettere   di  dantisti     A.   Fiam- 

mazzo)  —  Ombre  e  Corpi  i  Fedele  Romani). 
Storia.  —  L'epoca  delle  grandi  scoperte  geografiche  (Carlo  Errerà). 
Filosofia.  —  Errori  l'inani  (Agostino  Nardelli). 
Folk-Lore.  —  Canti  popolari  toscani  (Giovanni  Giannini  i. 
Scienze.  —  Les  prOblemes  (Dott.  Ermanno  Giglio-Tosi. 
Opere  varie.  —  Scritti  vari  .Cesare  Airaghi)  —  La  villa  pompeiana  scoperta  presso  Boscoreale    Felice  Barnabei) 

—  Rome,  la  queslion  d'ari  et  la  question  politique  (André  Mellerio). 


ROMANZI    E    NOVELLE. 

Rudvard  Kipling:  //  libro  della  Jungla:  Il 
figlio  dell'uomo.  Traduzione  di  Angelica  Pasolini 
Rasponi.  (Roma-Torino,  Roux  e  Viarengo),  L.  2,50. 
—  Nella  brevissima  prefazione  di  questo  libro  è 
detto  che  i  lettori  italiani  possono  e  debbono  ap- 
prezzarlo per  la  simpatia  secolare  che  ci  lega  agl'In- 
glesi, per  i  comuni  interessi  politici,  e  per  quel 
tanto  di  natura  vergine  e  selvaggia  che  perdura 
fra  noi,  nella  Sardegna,  nella  Maremma,  nella  Pi- 
neta, sui  lidi  dei  nostri  mari,  e  per  la  leggenda 
di  Roma  rinnovata  ora  in  questi  racconti  del  lon- 
tano Oriente.  L'efficacia  di  tali  ragioni  sarebbe 
molto  debole  e  discutibile,  se  l'opera  di  Rudvard 
Kipling  non  si  raccomandasse  per  il  grande  valore 
artistico.  Poesia  ed  umorismo  si  danno  la  mano 
in  queste  storie  della  jungla,  dove  compiono  le 
loro  gesta  i  più  strani  personaggi:  Lhere  Khan, 
la  tigre  zoppa;  Tabaqui,  lo  sciacallo;  Akela,  il 
grande  lupo  grigio  ;  Baloo,  l'orso  bruno  :  Bagheera, 
la  pantera  nera;  Hathi,  l'elefante  selvatico;  Kaa, 
il  serpente  della  roccia  ;  Chil,  l'avvoltoio.  Tra  co- 
storo cresce  libero  e  forte  Mowgli,  un  bambino, 
un  «  cucciolo  d'uomo  » ,  e  ciò  che  egli  dice  e  fa 
tra  i  suoi  fratelli  bruti  è  l'argomento  di  queste 
originalissime  storie.  Nelle  quali  è  uno  schietto  e 
vivace  sentimento  della  natura  e  quasi  l' acuto 
aroma  della  foresta,  insieme  con  uno  spirito  cri- 
tico, caustico  e  veramente  filosofico.  Così ,  per 
esempio,  gli  animali  della  jungla  si  astengono  dal- 
l'uccidere  e   dal    mangiare    l' uomo ,   dicendo  che 

La  Lettura. 


questo  è  la  creatura  più  debole  e  senza  difesa  che 
vi  sia,  che  perciò  non  è  cosa  degna  attaccarlo,  e 
che  i  mangiatori  d'uomo  divengono  anche  rognosi 
e  perdono  i  denti  :  ma  la  vera  ragione  dell'asten- 
sione è  tutt'altra  ;  è  che,  dopo  avere  ammazzato 
un  uomo,  arrivano  prima  o  poi  altri  uomini  bian- 
chi, montati  sopra  elefanti  ed  armati  di  fucili,  e 
centinaia  di  negri  con  tamburi  e  razzi  e  torcie.... 
Cosi  ancora  Kaa,  il  serpente,  quando  vede  il  cuc- 
ciolo d'uomo,  lo  avverte:  I'.ada,  omino,  ch'io 
non  ti  scambi  per  una  scimmia,  sull'imbrunire, 
quando  ho  mutato  la  pelle  di  fresco  »  :  e  viceversa, 
Mowgli,  tornando  tra  i  suoi  simili  e  vedendosi 
fatto  segno  ad  una  curiosità  indiscreta  e  rumorosa, 
pensa  :  «  Non  ha  creanza  questo  popolo  d'uomini  ; 
solo  le  scimmie  grige  si  comporterebbero  cosi....  . 
E  Mowgli  è  scacciato  dai  lupi  perchè  è  uomo,  e 
dagli  uomini  perchè  lo  credono  lupo.... 

Luigi  Zoppis:  L'i'.steta.  (Livorno,  IVII.uum, 
L.  3.  —  L'Esteta  è  Riccardo  Loris,  1'  «  anemone 
calvo»  —  come  lo  chiamano  nei  cenacoli  intellet- 
tuali —  scrittore  di  libri  belli  ma  non  buoni,  anzi 
crudeli  e  perversi,  ed  autore  della  infelicità  della 
giovane  moglie  che  abbandona  col  figliuoletto  per 
vivere  con  un'  amante.  Costui  crede,  nel  suo  mo- 
struoso egoismo,  che  tutto  gli  sia  lecito,  che  egli 
possa  e  debba  elevarsi  in  qualunque  modo  ed  a 
ogni  costo  sopra  tutti  gli  altri  uomini  ;  e  quindi 
crea  una  letteratura,  una  filosofia  e  una  morale  a 
parte  per  suo  uso  e  consumo.  E  la  folla  gli  prodiga 
applausi,  e  lo  esalta;  ma  ravveduta,  lo  schernisce 


DO 


LA   LI    !H  RA 


da  ultimo;  ed  egli  stesso  finisce   con   lo  scrivere 
cose  osci  'usi  di  oracolo  o  vaniloqui 

di  pazzo,  Un  suo  amico  e  seguace  si  ribella  prima 

altri  i  >lice:  ili  giorno  in  cui  ci  avesse  dato 
una  vera  opera  d'arte,  io  sarei  stato  il  primo  ad 
applaudirlo  Queste  parole  si  possono  adattare 
allo  stosso  romanzo  dello  Zoppis,  le  cui  intenzioni 
sono  certamente  rispettabili,  ma  la  cui  opera  è 
troppo  difettosa.  Egli  ha  voluto  metterci  dinanzi. 
per  dimostrarne  l'odiosità,  la  ligura  di  un  Supe- 
ruomo,  ma  il  suo  protagonista  ne  è,  tutt'al  più, 
la  caricatura.  La    stessa    Maria,  che   rompe  i  bic- 

i  a  tavola  penh''  il  marito  le  dice  di  non  gio- 
care con  le  posate,  non  è  capace  di  ispirarci  sim- 
patia o  semplice  interesse.  Abbondano  nel  libro 
le  pagine  dove  si  critica  il  culto  della  bellezza  e 
le  affettazioni  della  forma  ;  ma,  perchè  la  sua  cri- 
tica riuscisse  efficace,  l'autore  non  avrebbe  dovuto 
scrivere,  per  suo  proprio  conto,  che  antiche  usanze 
generano  lati  estetici,  né  che  un  punto  ha  bisogno 
d'una  lieve  maturazione,  nò  che  Riccardo,  se  amava, 
non  lo  faceva  che  per  {studiare  l'anima  umana,  e 
via  dicendo. 

Vittorio  Corcos:  Mademoiselle  Leprince.  (Li- 
vorno, Belforte),  L.  I.  —  Pubblicati  per  consiglio 
di  Guido  Biagi,  e  da  lui  presentati  al  pubblico, 
questi  bozzetti  sono  graziosi  e  delicati,  scritti  con 
molto  garbo,  pieni  di  sentimento,  ma  un  poco 
troppo  tenui  :  impressioni,  profili,  ricordi,  fatti  di 
cronaca,  senza  intreccio,  senza  studio  di  caratteri. 
Il  Corcos  rivela  ad  ogni  modo  un  nuovo  lato  del 
suo  grande  ingegno,  e  potrà  darci,  se  continuerà  a 
si  rivere,  dei  libri  belli  come  i  suoi  quadri.  Questo 
volumetto  è  illustrato  da  lui  stesso,  il  che  vuol 
dire  squisitamente. 

LETTERATURA  E  CRITICA. 


Epistolario  di  !..  .1.  Mura/ori.  edito  e  curato 
da  Matteo  Campor:  (Modena,  Società  topogra- 
fica modenese),  Il  volume,  L.  12.  —  Xel  fasci- 
colo di  ottobre  della  Lettura  fu  data  una  breve 
notizia  del  primo  volume  di  quest'opera  sontuo- 
sissima, che  è  veramente  un  monumento  eretto 
alla  memoria  del  grande  scrittore  modenese,  e  che 
meriterebbe  il  più  largo  ed  attento  esame  se,  per 
l'indole  della  nostra  rivista,  non  dovessimo  con- 
tentarci di  additare  all'attenzione  ed  alla  gratitu- 
dine degli  studiosi  le  dotte  e  pazienti  fatiche  del 
man  I    tteo  Campori.  A  lui  la  nazione  deve 

preziosi  documenti  della  vita  e  del  pensiero 
di  Ludovico  Antonio  Minatori  vengono  oggi  rac- 
colti cui  tanta  cura  illuminata,  con  tanto  signo- 
rile ilo.  .11 ,.  E  poiché  le  migliaia  di  lettere  del 
Muratori  ai  più  insigni  uomini  del  suo  tempo 
trattane  di  infinite  questioni  letterarie,  li 
storiche,  arce  ,.-,  teologiche,  ecc.,  si  vede 

che  ricca  e  veramente  inesauribile  miniera  saranno 
i  dodici  volumi  di  questo  Epistolario.  Nel  seco- 
che  abbiamo  s, , n'occhio,  sono  comprese  le  lettere 
scritte  nel  settenni  1   <     19-1765,  tra  le  quali  li 


notevoli  sono  quelle  dirette  a  Francesco  Arisi,  a 
romeo  Arese,  ad  Antonio  Gatti,  al  Ma- 
gliabechi,  a  Giovar  I  ìioseffo  Orso,  ad  \ntonio 
Maria  Salvini,  ad  Apostolo  Zeno.  Come  il  primo 
volume,  anche  il  presente  è  preceduto  da  una 
minuta  e  diligentissima  cronobiografia  murato- 
riana,  e  seguito  da  tre  indici:  l'analitico,  l'alfa- 
betico, il  generale.  Qualunque  lode  è  inadeguata 
al  valore  di  questa  pubblicazione  magnifica  e  sotto 
ogni  aspetto  propriamente  perfetta. 

A.  Ri  ammazzo  :  Lettere  di  dantisti.  (Città  di  Ca- 
stello, Lapi).  —  In  questo  terzo  volumetto  sono 
raccolte  le  lettere  di  dantisti  italiani  del  secolo  XIX. 
tra  i  quali  Luigi  Benassuti,  Jacopo  l'.ernardi,  Bal- 
dassarre Boncompagni,  Rugenio  Camerini,  G.  J. 
Ierrazzi,  G.  B.  Giuliani,  Vittorio  linbriani.  (ino- 
rato Ciccioni,  G.  A.  Scartazzini,  ecc.  In  una  gu- 
stosa appendice  stanno  quelle  di  un  dantista  che 
fa  parte  per  sé  stesso  »  :  quel  Matteo  Romani, 
ari  iprete  di  Campègine,  il  quale  «  emendava  »  il 
testo  del  poema,  chiedendo  licenza  di  leggerlo 
come  lo  credeva  caduto  dalla  penna  del  suo  au- 
tore »  e  invece  che  Mossi  la  voce-  (> anime  affan- 
nate, leggeva:  Musei  la  voce  :  O  anime  a  fé  'amate, 
e  invece  che  Si  forte  fu  l'affettuoso  grido,  Risposto 
fu  all'affettuoso  grido  !  Indici  copiosi  e  bene  ordi- 
nati corredano  il  volumetto. 

Fedele  Romani:  Ombre  e  Corpi.  (Città  di  Ca- 
stello, Lapi).  —  Sono  due  opuscoli  danteschi:  uno 
intitolato  //  secondo  cerchio  dell'Interno  di  fante. 
l'altro  La  figura,  i  movimenti  e  gli  atteggiamenti 
umani  nella  Divina  Commedia  e  nei  Promessi 
Sposi.  Xel  primo,  il  Romani  studia  l'episodio  di 
Francesca  da  Rimini  secondo  i  criteri  della  cri- 
tica estetica,  nel  campo  della  quale,  come  egli 
bene  avverte,  «  tutte  le  opinioni  logiche,  sincere 
e  fortemente  sentite,  hanno  il  diritto  di  essere 
manifestate,  e  hanno  tutte,  in  un  certo  senso,  lo 
stesso  valore,  se  non  sempre  la  stessa  bellezza.  » 
Questo  è  il  pregio  e  ad  un  tempo  il  diletto  di  si- 
mili studi,  alle  conclusioni  dei  quali,  qualunque 
sia  la  logica,  la  sincerità  e  la  forza  del  sentimenti  1 
dei  loro  autori  —  e  non  comuni  sono  quelle  del 
Romani  —  è  sempre  possibile  opporne  altre.  L'au- 
tore ha  dunque  ben  fatto  esponendo  le  proprie 
osservazioni  sul  celebre  episodio  astenendosi  dalle 
polemiche;  sebbene  ribatta  l'opinione  del  I  v 
Sanctis,  secondo  il  quale  la  ligura  di  Francesca 
sarebbe  annientata  se  non  vi  fosse  in  lei  la  co- 
scienza del  peccato. 

Nel  secondo  suo  lavoro,  paragonando  l'arte  di 
Dante  a  quella  del  Manzoni,  l'autore  si 
di  dimostrare  come  le  ombre  dell' Alinghieri  sieno 
più  ricche  di  consistenza  corporea  e  piti  visibili 
delle  persone  vive,  dei  veri  corpi  del  romanziere 
Lombardo.  Questi  avrebbe  l'occhio  del  poeta  più 
che  quello  del  pittore,  mentre  in  Dante  le  due 
l.n  ulta  si  uniscono  felicemente.  Il  Romani  dichiara 
che  non  avrebbe  neppure  pensato  a  stabilire  un 
confronto  tra  i  due  scrittori  «  se  non  fosse  che  i 
nomi  di  Dante  e  di  Manzoni  sono  spesso  accop- 


I     LIBRI 


Dì 


piati  insieme  per  più  ragioni,  ma  specialmente 
come  quelli  dei  due  più  grandi  scuttori  di  carat- 
teri che  possiede  la  nostra  letteratura  :  bene  inteso 
che,  anche  in  questo,  il  posto  d'onore  è  di  Dante.  » 
Bene  inteso,  certamente;  ma  appunto  per  ciò  l'op- 
portunità del  paragone  non  è  discutibile  'i  Ad 
modo  il  Romani  non  si  restringe  a  dimostrare  le 
deficienze  delle  rappresentazioni  manzoniane  ri- 
spetto alle  dantesche  ;  ma  loda  e  propone  ad 
esempio  l'arte  del  romanziere  tutte  le  volte  che 
questi  raggiunge  l'eccellenza  ;  e,  per  concludere, 
la  lettura  di  queste  pagine  sarà  molto  profittevole 
agli  studiosi  dei  due  grandi  scrittori  e  delle  belle 
lettere. 

STORIA. 

Carlo  Errerà:  L'epoca  delle  grandi  scoperte 
geografiche.  (Milano,  Hoepli),  L.  0,50.  —  L'au- 
tore divide  la  storia  della  conoscenza  della  Terra 
in  tre  grandi  epoche  :  nella  prima,  di  remota  pre- 
parazione, lentamente  si  svolge  l'opera  degli  an- 
tichi ;  nell'ultima,  di  inesaurito  perfezionamento, 
ferve  senza  limiti  la  seria  e  riflessiva  opera  degli 
uomini  d'oggi  ;  sta  in  mezzo  alle  due  quel  periodo 
veramente  fondamentale  ,  durante  il  quale,  dopo 
che  tanta  parte  della  cultura  antica  crollò  sotto  i 
colpi  dei  Barbari,  i  popoli  mediterranei  non  solo 
riconquistarono  le  nozioni  perdute,  ma  raggiunti 
e  oltrepassati  i  confini  della  Terra  creduta  un  tempo 
abitabile,  si  slanciarono  alla  scoperta  del  mondo. 
Questo  periodo,  che  si  chiude  col  viaggio  intorno 
al  globo  della  l 'ictoria  di  Magellano ,  se  non  ha 
il  carattere  di  altezza  intellettuale  propria  all'età 
nostra,  e  se  è  dominato  dai  fini  utilitari  e  dal  dis- 
ordinato spirito  di  avventura,  è  il  più  importante 
ed  il  più  attraente  :  e  l'Errerà  lo  narra  a  parte  a 
parte,  cominciando  con  l'influenza  del  Cristiane- 
simo, delle  evangelizzazioni,  dei  pellegrinaggi,  delle 
Crociate  sulle  conoscenze  geografiche  :  seguendo 
la  storia  della  scoperta  dell'Asia  con  l'opera  di 
Giovanni  del  Pian  de'  Carpini  e  di  Guglielmo  di 
Rubruk,  dei  Polo  e  dei  loro  successori,  passando 
alle  regioni  settentrionali  coi  Normanni ,  cogli 
Zeno,  e  alla  via  marittima  per  le  Indie  coi  prede- 
cessori di  Colombo:  fermandosi  all'opera  del  grande 
Genovese,  del  Vespucci  e  del  Magellano.  L'autore 
attinge  alle  migliori  fonti,  e  correda  la  sua  dotta 
e  piacevole  esposizione  con  molte  riproduzioni  di 
carte  antiche,  di  schizzi,  di  ritratti. 

FILOSOFIA. 

Agostino  Nardelli:  Errori  Umani.  (Treviso. 
Tipografia  della  Gazzetta)  L.  1,25.  —  L'autore  non 
crede  che  al  progresso  scientifico  ed  all'accresci- 
mento del  benessere  corrisponda,  nell'età  nostra, 
un  perfezionamento  intimo  :  anzi  egli  ha  scritto 
questo  libretto  per  mettere  in  evidenza  gli  errori 
umani  che  hanno  prodotto  i  danni  morali  :  il  lusso, 
la  presunzione,  l'abito  della  menzogna,  la  tene- 
rezza e  l'indulgenza  soverchia  nell'educazione,    i 


piaceri  viziosi  del  tabacco  e  del  vino,  i  falsi  cri- 
terio nella  scelta  delle  professioni.  Tutto  ciò  che 
il  Nardelli  asserisce  intorno  a  questi  argomenti  è 
giusto  ;  ma  le  sue  osservazioni  non  sono  molto 
profonde  ne  hanno  una  grande  originalità.  Ed  è 
proprio  da  credere  che  il  vizio  dell'ignoranza  pre- 
sentuosa  si  manifestasse  e  si  diffondesse  rap  !  - 
mente  dopo  la  Rivoluzione  francese  ;  e  che  la  men- 
zogna sia  divenuta  oggi  la  regola  mentre  un  tempo 
era  «  eccezione  rarissima?  »  Quelli  che  l'autore 
chiama  errori  umani  meritano  propriamente  que- 
sto nome  ;  ma  essi  non  sono  né  nuovi  né,  pur- 
troppo, tanto  facilmente  correggibili.  Con  belle  e 
degne  parole  egli  propone  che  si  ponga  mente  non 
tanto  all'istruzione  quanto  all'edusazione.  e  1  he  se 
ne  riformino  i  metodi:  e  questo  è  certamente  un 
dovere  che  bisogna  compiere  anche  se  non  è  pos- 
sibile sperarne  il  mutamento  della  umana  natura. 

Rozan  :  La  Bontà.  Traduzione  di  Gioconda  Ai- 
raldi  Cazzuli  (Milano,  Cogliatii,  L.  2.  —  Come  dice 
Carlo  Leveque  nella  sua  lettera-prefazione,  non  è 
cosa  facile,  ai  nostri  giorni,  scrivere  un  libro  inte- 
ressante sulla  bontà  :  tra  il  luogo  comune  e  il 
trattato  filosofico,  la  strada  è  stretta.  L'autore  ha 
saputo  scoprirla  e  seguirla.  Egli  ha  lasciato  ai  fi- 
losofi di  professione  le  loro  formule  e  le  loro  dis- 
sertazioni, per  esaminare  semplicemente  le  condi- 
zioni fatte  all'uomo  nella  nostra  società,  e  il  ge- 
nere di  perfezionamento  al  quale  deve  tendere  per 
arrivare  al  bene.  Nella  debolezza  ravvisa  il  mas- 
simo nostro  difetto  :  e  l'opinione  del  Lacordaire 
che  disse,  cominciando  una  delle  sue  prediche  in 
Notre-Dame  :  Voi  non  siete  cattivi ,  signori  ; 
siete  deboli,  »  è  anche  la  sua.  <  Debolezza  d'intel- 
letto e  di  carattere,  »  afferma  per  conto  proprio, 
il  motto  della  natura  umana  e  spiega  i  nostri  errori 
e  le  nostre  colpe  assai  meglio  della  parola  catti- 
veria. Egli  rintraccia  i  deplorevoli  effetti  di  queste 
debolezze  nella  sete  delle  ricchezze,  nelle  pretese 
dell'egoismo,  nella  passione  della  vanità,  nella  cu- 
pidigia dei  piaceri,  nei  rigori  della  giustizia,  nelle 
crudeltà  dello  spirito:  e  a  tutte  queste  forme  del 
male  contrappone  quelle  della  bontà.  Dopo  avere 
cosi  fatto  l'analisi  dei  buoni  movimenti,  li  1  ompone 
in  una  specie  di  sintesi,  dimostrando  come  dev'es- 
sere il  figlio,  il  padre,  l'amico  e  l'uomo  in  gene- 
rale. Analisi  e  sintesi  sono  sottili  ed  acute;  tutto 
il  libro  è  denso  di  pensiero,  pieno  di  concettose 
sentenze  dell'autore  e  dei  maestri  sui  quali  egli  ha 
studiato.  La  conclusione  è  quella  stessa  che  la  sa- 
pienza antica  ha  trovata  da  secoli,  ma  che  biso 
sempre  ripetere  —  visto  che,  disgraziatamente,  gli 
uomini  la  dimenticano  troppo  spesso  —  :  il  disin- 
teresse è  la  stessa  virtù,  la  stessa  bontà  ;  non  alla 
felicità,  ma  alla  tranquillità  si  deve  aspirare  e  si 
può  pervenire. 

FOI.K-I.11RE, 

Giovanni  Giannini:  Canti  popolari  toscani.  (Fi- 
renze, Barberai,  L.  2,25..— Il  compilatore  di  que- 
sto  volume   si    è  giovato   di  tutte   le    raccolte   di 


32 


!  \    LETTI  RA 


canti  popolari  toscani  finora  pubbli  min- 

ciare  eia   quelle  del  Tommaseo  e  del   Tigri,  ed 
escludendo   soltanto  quelle  che  gli  parvi-  conte- 
nessero poesie  non   propriamente  popolari  o  tra- 
e  dovute    garanzie  di  fedeltà.  I  rac- 
endo   lo    scopo   di  dare   occasione   di 
studio  ai  filologi  ed  ai  cultori   della  demopsicolo- 
gia,  non    hanno    badato  alle  qualità    artistiche  ed 
singoli   canti,  e  insieme  con  quelli 
stupendi  hanno   messo  i  mediocri,  i  brutti,  gli  in- 
sulsi e  i  triviali.  Il  Giannini,  por  offrire    una   pia- 
le   lettura   ad  ogni    classe    di    lettori,  ha   tra- 
i  canti  più  belli,  ed  ha  quasi  sempre  avuto 
nella   sua   scelta  la  mano    felice.  Il    grazioso   suo 
volumetto  è  diviso  in  sette  parti,  nelle  quali  sono 
rispettivamente  distribuite  le  Ninne-nanne,  le  Can- 
tilene, le  Novellette,  i    Canti    fanciulleschi,    i    Ri- 
spetti e  gli  Stornelli,  le  Canzoni  narrative  e  i  Canti 
di  questua.  In  apposite  note  sono  spiegate  le  voci 
e  frasi    vernacole  e  sono   enumerate  le    principali 
varianti. 


SC  I  E  N  ZE. 

Dott.    Ermanno    Giglios-Tos:    Lrs  problema 

(I.™  partie).  Turin,  chez  l'Auteur,  Palais  Cari- 
gnano,  igoj.  —  Quando  si  affronta  un  problema 
complesso,  come  è  quello  che  ci  presentano  i 
fenomeni  che  costituiscono  la  vita,  è  opportuno 
tentare  di  scinderlo  in  elementi  più  semplici  o  di 
studiare  ciascheduno  di  essi.  E'  il  sistema  se- 
guito quasi  sempre ,  e  che  sarebbe  certamente   ot- 

i  se  non  portasse  con  sé  un  inconveniente 
difficilmente  evitabile;  quello  cioè  di  esser  portati 
ad  attribuire  ad  alcuni  elementi  una  importanza 
prevalente  in  modo  da  giungere  a  credere  il  pro- 
blema complesso  risolto,  quando  questi  elementi 
vengono  sufficientemente  rischiarati.  La  storia  delle 
scienze  mediche  permette  di  vedere  quest'  err>  're 
perpetuarsi  attraverso  alle  età;  i  due  aspetti  princi- 
pali delle  manifestazioni  vitali,  cioè  le  modificazioni 
fisiche  e  quelle  chimiche  degli  organismi  viventi, 
furono  per  sé  presi  come  essenziali  e  si  considerò 
la  vita  alternativamente  come  un  fenomeno  essen- 
zialmente tisico  o  puramente  chimico.  Il  libro  del 
Giglio-Tos  è  un  singolare  esempio  di  queste  ten- 
denze unilaterali,  ed  è  destinato  a  prender  posto 
cogli  altri  eguali:  i  quali,  se  pure  la  scienza  potè 

arsene,  sono  tuttavia  da  considerarsi  come  fal- 
lai i  tentativi.  Nei  problemi  della  vita,  il  Giglio-Tos 

gè  essenzialmente  fenomeni  chimici,  e  fra  questi 
predomina:  la  assimilazione,  per  cui  un 
reni    giunge  a  produrre  i  materiali  iden- 

i  quelli  di  cui  si    compone  il  suo  corpo,  me- 
diante l'esenzione  di   materiali   estranei  e  diversi. 
essi  chimici  nella  natura  morta. 
per  cui  da  un  <  orpo  trattato  con  opportuni  reagenti 
e  per  una  catena  di  reazioni  si  giunge  alle  rigene- 

■ne  del  corpo  primitivo,  è  per  lui  il  punto  di 
partenza  di  una  serie  di  considerazioni  dalle  quali 

mole  dedurre  le  leggi  fondamentali  della  ma- 
teria vivente.  Le  quali  conclusioni  alla  lor  volta  in 


gran  parte  sono  verità  che  non  hanno  nulla  di 
nuovo,  e  in  piccola  parte  sono  pure  ipotesi,  che 
nessun  fatto  prova.  Questo  è  uno  dei  difetti  princi- 
pali del  libro,  che  lo  mette  in  cosi  stridente  disac- 
cordo con  quelli  che  ai  giorni  nostri  si  occupano 
di  argomento  analogo  ;  il  carattere  cioè  puramente 
deduttivo  del  ragionamento,  in  cui  una  premessa 
non  giustificata  sufficientemente  da  dati  di  esperi- 
mento, diventa  poco  a  poco  da  ammissibile,  pro- 
vata e  da  provata  assiomata.  E  cosi  si  costituisce 
un  sistema  artificiale,  starei  per  dire  scolastico,  in- 
tendendo di  adoperare  la  parola  nel  suo  significato 
di  costruzione  artifiziosa  di  un  edifizio  di  dottrine, 
senza  alcuna  preoccupazione  della  verità  loro  as- 
soluta. 

Evidentemente  il  restringere  la  vita  nei  limiti  in 
cui  l'egregio  autore  la  chiude,  è  un  non  ricono- 
scerne le  caratteristiche  ;  e  se  una  molecola  d'acido 
acetico,  per  il  solo  fatto  che  messa  in  contatto  suc- 
cessivamente con  varii  reattivi  può  trasformarsi  in 
altri  corpi  e  ridiventare  acido  acetico,  è  dall'autore 
assimilata  a  un  corpo  vivente,  deducendosi  le  leggi 
con  speciali  ragionamenti  da  questa  reazione,  ciò 
vuol  dire  che  il  dottor  Giglio-Tos,  benché  zoologo, 
vede  nella  vita  qualche  cosa  di  molto  diverso  da 
quello  che  vi  vedono  i  biologi  non  solo,  ma  tutta 
la  gente  comune. 

Non  nego  che  tratto  tratto  un  libro  generale  che 
riassuma  lo  stato  delle  nostre  cognizioni  e  se  ne 
serva   come   punto  d' appoggio  per  salire   a   con- 
templare orizzonti  d'ipotesi  geniali  che  nel  futuro 
troveranno  il  loro   cimento,  possa  esser  utile.  Ma 
per  queste  leve  del  pensiero  sono  necessarii  punti 
d'appoggio  più  solidi  di  quello  che  il  Giglio-Tos  ha 
assunto.  Egli  si  diparte  dalla  sua  reazione  tipica, 
e  dimenticando  l'aureo  precetto  «  comparatio  non 
est  ratio  » ,  da  una  analogia  affatto  rudimentale  de- 
duce regole  e  leggi,  con  raro  coraggio.  Egli  incappa 
poi  in  altri  scogli.  Ha   bisogno   di  avere  sostanze 
organiche  come  basi  delle  sue  biomolecole,  e  per- 
ciò nega  che  una   sostanza  inorganica  possa  rige- 
nerar sé  stessa;  ma  in  che  cosa  differisce  il   rige- 
nerarsi dell'acqua  in    moltissime    reazioni,  o  il  ri- 
generarsi dell'acido  nitrico  nelle  camere  di  piombo, 
dalla  rigenerazione  dell'acido  acetico  coi  suoi  eroici 
reattivi?  Eppure  i  primi  sono  per  lui  fenomeni  che 
si  passano  nella  materia  bruta  (vedi  potenza  della 
tradizione  che  gli  fa  chiamare  bruta  quella   stessa 
alla  quale  egli  vuol  ridurre  l'essenza  della  vita),  e 
costituiscono  una  reintegrazione,  mentre  il  secondo 
è  il  simbolo  del  puro  mistero  della  rigenerazione. 
Ad  un  chimico  il  decidere  sulla  questione. 

l'n  altro  scoglio;  il  Giglio-Tos  scrive  il  suo  libro 
i  ontro  avversarii  che  alzano  le  insegne  della  forza 
vitale  ;  ma  gli  avversari  sono  morti,  egregio  dottore, 
e  la  loro  dottrina  seppelita;  seppellita  come  la 
dottrina  che  Ella  combatte,  che  la  respirazione  sia 
una  combustione,  soprattutto  poi  nel  significato  che 
che  Ella  dà  a  queste  parole,  il  quale  può  solo 
realizzarsi  nel  caso  del  carbone  che  arde. 

Seppelliti  pure,  se  pure  nacque  mai,  la  dottrina 
che  i  microbi  (col  qual  nome  l'autore  indica  pro- 
babilmente l'intera  classe  degli   seizomiceti)  siano 


I     LIBRI 


53 


da  mettersi  fra  gli  organismi  più  semplici  parago- 
nabili ai  suoi  prediletti  biomani.  Quello  che  sap- 
piamo invece  della  vita  e  della  composizione  di 
questi  minutissimi  organici,  ce  li  dimostra  assai  com- 
plessi nelle  loro  funzioni  chimiche.  Probabilmente 
le  cellule  più  semplici  nel  loro  funzionare  devono 
cercarsi  negli  organismi  superiori,  dove  le  divisioni 
delle  funzioni  è  di  regola,  non  in  quelli  monocel- 
lulari in  cui  tutto  si  accumula  in  poco  spazio  e  poca 
materia.  In  ogni  caso  i  microorganismi,  esseri  pa- 
rassitari viventi  in  condizioni  eccezionali  e  dissi- 
mili dalla  massima  parte  dei  viventi,  non  possono 
essere  presi  come  tipo  di  esseri  elementari. 

I  neovitalisti  d'oggidi  non  negano  che  le  singole 
manifestazioni  della  vita  obbediscano  alle  leggi 
comuni  della  natura;  ma  vedono  nella  successione 
ritmica  e  nella  capacità  adottiva  degli  organismi, 
per  tacere  d'altre  più  misteriose  ed  elevate  abitu- 
dini, qualche  cosa  che  non  può  rappresentarsi  coi 
simboli  e  colle  formole  che  per  ora  possono  rap- 
presentare e  spiegare  i  fenomeni  comuni  della  ma- 
teria cosidetta  morta. 

L'aftrontare  i  problemi  che  il  Gilio-Tos  si  è  posto 
innanzi  è  prova  di  ardire  scientifico  lodevole  ,  e 
la.  giovanile  audacia  dell'autore,  che  evidentemente 
presume  di  aver  gettato  molta  luce  sulla  questione 
ardua,  può  fare  sperare  bene  di  lui,  quando  si  as- 
soci alla  calma  e  ponderatezza  la  soda  ed  equili- 
brata preparazione  scientifica.  Una  cosa  ancora  : 
io  mi  domando  quale  è  la  ragione  per  cui  egli 
italiano  e  assistente  in  una  Università  italiana  si 
serva  della  lingua  francese  per  enunciare  le  sue 
idee;  forse  che  l'esser  scritto  in  italiano  ha  mai 
impedito  ad  un  libro  buono  d'esser  apprezzato  ? 
Non  può  questa  scelta  di  una  lingua  straniera  es- 
sere il  risultato  di  un  errore  di  giudizio  sulla  por- 
tata dell'opera?  Io  non  voglio  addirittura,  come  il 
critico  del  Nature,  chiamare  quello  del  Gislio-To; 
un  libro  ambizioso.  Ma  certo  la  prefazione  rac- 
chiude promesse  così  grandi  che  nessun  biologo 
oggidì  oserebbe  sperare  di  attendere,  e  non  è  dun- 
que meraviglia  che  neppure  il  geniale  naturalista 
torinese  vi  arrivi. 


OPERE    VARIE. 

Cesare  Airaghi:  Scrittivarl.  (Città  di  Castello, 
Lapii,  L.  2,75.  —  Il  tenente  colonnello  Antonio 
Pezzini  e  il  tenente  Di  Giorgio,  ai  quali  l'eroico 
colonnello  Airaghi  rimise  per  testamento,  prima  di 
partire  per  la  guerra  d'Africa  incontro  a  una  morte 
gloriosa,  tutte  le  sue  carte  affinchè  vedessero  che 
cosa  se  ne  poteva  fare,  hanno  scelto  alcuni  suoi  scritti 
inediti  e  unendoli  ad  alcuni  di  quelli  già  pubbli- 
cati, ne  hanno  composto  questo  bel  volume,  i 
proventi  del  quale  pensavano  di  destinare  all'ere- 
zione di  un  modesto  monumento  alla  memoria 
dell'autore,  ma  hanno  invece  ora  destinato,  con  idea 
più  degna  della  modestia  di  lui,  a  beneficio  della 
Dante  Alighieri.  Meglio  che  al  marmo,  il  nome  del- 
l'Airaghi  è  affidato  a  queste  pagine,  nelle  quali  si 
rivelano  le  sue  grandi  e  belle  qualità  di  uomo  e  di 


soldato  :  il  senso  del  bello,  il  sentimento  del  do- 
vere, lo  spirito  filosofico,  la  scienza  della  milizia. 
Diamo  l'indice  degli  scritti  qui  contenuti  :  Il  frutto 
proibito,  Il  bene.  Le  arti  belle,  Dello  spirito  mili- 
tare in  Italia,  Questionario  al  Mosso  sulla  fatica. 
Il  lìbero  arbitrio  e  la  necessità  storica.  L  'umanita- 
rismo e  la  lealtà  itegli  usi  di  guerra.  Del  metodo 
negli  studi  militari,  L'iniziativa  e  gli  studi  militari 
in  Italia,  Programmi  scolastici.  Sbarchi,  Che  cosa 
sia  la  guerra.  Il  Dembelas,  Programma  del  mio 
insegnamento  dì  tattica  alla  Scuola  dì  guerra.  Se- 
guono alcune  sue  versioni  metriche,  molto  fedeli 
e  felici,  dal  tedesco,  e  chiudono  il  libro  i  versi 
dettati  in  memoria  di  lui  dalla  Lippert,  dalla  mar- 
chesa Venuti,  da  Tommaso  Cannizzaro,  dallo 
Zuppone  Strani  e  da  Emilio  Di  Natale. 

Alfredo  Uxtersteixer  :  Storia  della  musica. 
(Milano,  Hoepli),  L.  3.  —  La  nuova  edizione  di 
questo  manuale  si  raccomanda  per  gli  ampliamenti, 
le  aggiunte  e  le  correzioni  che  l'autore  vi  ha  in- 
trodotti, usufruendo  degli  studi  recentissimi,  come 
egli  stesso  dice,  «  per  rettificare  date,  completare 
ed  anche  mutare  opinioni  ed  asserzioni  non  sem- 
pre giustificate.  »  Quanto  alle  asserzioni  ed  alle 
opinioni,  si  potrebbero  modificare  ancora  qua  e 
là,  ed  è  naturale  che,  a  questo  riguardo,  si  trovi 
materia  da  discutere  ;  ma  all'  autore  va  tributata 
ampia  lode  per  aver  dato  all'opera  sua  un  più 
armonico  sviluppo  di  parti  e  una  maggiore  esat- 
tezza di  informazioni. 

Felige  Barnaiìei  :  La  villa  pompeiana  scoperta 
presso  Boscoreale.  (Roma,  1901).  —  Quale  bril- 
lante argomento  non  sanno  rendere  arido  e  fasti- 
dioso gli  eruditi  pedanti  ?  Quale  arido  e  fastidioso 
argomento  non  sanno  rendere  piacevole  gli  eru- 
diti d'ingegno  e  di  spirito  ?  Ma,  pur  troppo,  come 
sono  frequenti  i  primi,  e  rari  i  secondi  ! 

Ad  ogni  modo  rallegriamoci  oggi  d'aver  trovato 
il  più  geniale  fra  i  rari  in  Felice  Barnabei,  così 
dotto  e  così  bell'indagatore  d'  antichità  e  narra- 
tore di  storia  e  risolutore  di  problemi  archeolo- 
gici. 

Già  la  sua  memoria  sulla  nave  romana,  dormente 
in  fondo  al  lago  di  Nemi,  era  stata  prova  delle 
varie  attitudini  interessanti  dell'  autore,  che  oggi 
ci  ha  offerto  il  più  completo  dei  lavori  nella  rela- 
zione all'oli,  ministro  Nasi  relativa  alla  scoperta 
della  villa  di  Publio  Fannio  Sinistore  presso  Bo- 
scoreale, fatta  da  quel  fortunato  uomo  che  è  l'on. 
De  Prisco.  Il  quale  pare  che  al  voto  della  Com- 
missione (che  le  pitture,  rinvenute  in  ess.i.  meri- 
tano d'essere  conservate  allo  Stato)  sia  per  rispon- 
dere.... mandandole  all'estero  a  far  fede  della  no- 
stra gloria  passata  e  della  nostra  miseria  presente. 

Ma,  mettiamo  a  parte  le  melanconie  e  diamo 
una  rapida  scorsa  allo  studio  del  Barnabei.  Dopo 
uno  sguardo  generale  alla  topografia  della  regione 
pompeiana,  per  considerare  la  villa  rispetto  agli 
altri  punti  archeologici  già  scoperti  in  passato  e 
noti  per  aver  fornito  tesori  (mandati  anch'essi  dal- 
l'on.  De  Prisco,  con  vera   costanza   di    propositi, 


•'I 


LA  LI  n  n;  \ 


all'».  'autore  descrive  la   disposizione  della 

con  le  varie  parti  destinate  ai  padroni,  ai 
servi  e  agli  usi  agricoli.  Sulla  scorta  d'alcuni  gra- 
fiti apparsi  nello  stuo  ne  e  de'muri), 
e  d'ali  une  lettere  incise  sull'orlo  d'  un  vaso  di 
il  Barnabei  stabilisce  che  la  villa,  quando 
fu  sepolta  dai  lapilli  e  dalle  ceneri  della  famosa 
eruzione,  apparteneva  a  Publio  Fannio  Sinistore 
che,  però,  non  ne  era  stato  il  costruì' 

Alla  parte  topografica  e  storica    segue   una  mi- 
nuta de-  degli  ambienti  e  delle  loro  de co- 
.1  quale  il  Barnabei    passa  dal  peri- 
stilio alla  sala  detta  degli  istrumcnti  musicali,  dal 
labthto  al  triclinio  e  al  cubicolo,  tutto  raffrontando 

esimili  edifici  e.  su  tutto,  alla  casa  di  Livia 
sul  Palatino.   Ed  anima,    come   abbiam    detto,  il 

scritto  con  tale  efficacia  da  darci  l'illusione 
di  trovarci  nella  realtà,  rendendoci  immemori  dei 
molti  secoli  che  ci  separano  dal  giorno  in  cui  la 
superba  villa  era  intatta  e  abitata,  e  dei  molti  chi- 
lometri che  ci  separano  da'  suoi  ruderi. 

André  MELLERIO  :  Rome,  la  question  d'art  et  la 
guestùm  politique  (Paris.  I-'leury).  —  L'editore,  nel 
ra<  comandare  al  pubblico  questo  opuscolo,  pre- 
vedeva che  «  certe  affermazioni  susciteranno  vivaci 
polemiche  nel  mondo  intero.  »  La  profezia  si  sta 
compiendo,  perchè  molti  giornali,  particolarmente 
francesi,  si  sono  occupati  e  si  occupano  del  lavoro 
dei  Mellerio.  Il  quale,  considerando  che  l'arte  ai 
nostri  giorni  non  può  vivere  fuori  della  politica  e 
della  quistione  sociale,  si  propone  di  studiare  quali 
effetti  la  prodotto  e  produrrà  a  Roma,  nei  riguardi 
artistici,  l'unità  italiana.  Il  tema  è  certo  degno  di 
studio,  e  lo  studio  potrebbe  essere  proficuo ,  se 
condotto  con  la  competenza  della  quale  il  Mellerio 
ha   dato   già    prova   in   altri  suoi  lavori  di  critica 


d'arte.  Se  non  che,  la  sola  competenza  non  basta: 
occorre  avere  la  serenità  dell'animo,  l'imparzialità 
del  giudizio,  e  di  queste  qualità,  che  mancano  di- 
sgraziatamente a  quasi  tutti  gli  stranieri  ricercatori 
delle  cose  nostre,  non  si  può  dire,  con  la  migliore 
\>lc>ntà  del  mondo,  che  l'autore  dia  prova.  Co- 
mincia egli  bensì  con  l'affermare  che  le  sue  rifles- 
sioni sono  derivate  dalla  diretta  osservazione  dei 
fatti  durante  un  viaggio  da  lui  compito  tra  noi 
nell'autunno  del  iooo;  ma  purtroppo  egli  non  vede 
tanto  con  gli  occhi  suoi,  quanto  con  quelli  del 
Geffrov,  del  Bonnefon,  come  ha  opportunamente 
dimostrato  Diego  Angeli  in  un  articolo  del  Mar- 
zocco (N.°  del  I."  settembre).  E  il  Gcltroy,  diret- 
tore della  scuola  francese  d'archeologia,  non  per- 
donò al  Governo  italiano  di  essersi  opposto  alle 
prepotenze  dell'  Ecole  de  Rome,  e  il  Bonnefon 
diede  prova,  nelle  sue  lettere  aWEclair,  di  troppa 
ignoranza  e  di  troppa  mala  fede.  Per  conto  suo, 
il  Mellerio  sarebbe  un  fedele  osservatore  se  non  si 
lasciasse  fuorviare  ;  e  cominciando  con  l'allermarsi 
neutrale  nel  conllitto  tra  le  due  potestà  che  si  tro- 
vano a  fronte  in  Roma,  finisce  con  l'affermare  che 
la  città  eterna  non  si  è  data  all'  Italia,  ma  che  è 
stata  «  per  cosi  dire  »  violata  !  Egli  dice  che,  se 
le  condizioni  politiche  presenti  si  prolungheranno 
indefinitamente,  lo  scempio  di  Roma  artistica,  già 
iniziato,  si  aggraverà,  perchè  essa  non  potrà  ve- 
ramente divenire  metropoli  moderna  se  non  a  co- 
sto di  sacrifizi  simili  a  quelli  che  furono  «  perpe- 
trati >  a  Parigi.  Se  il  Papato  dovesse  andar  via  da 
Roma,  soggiunge,  la  città  perderebbe  la  sua  fon- 
damentale ragion  d'essere  e  la  sua  trasformazione 
in  centro  industriale  s'imporrebbe.  Finalmente,  il 
Mellerio  conclude  con  l'affermare  che,  se  il  Go- 
verno italiano  abbandonasse  Roma ,  solo  allora 
questa  sarebbe  restituita  all'ufficio  suo  ! 


li.  Lettore. 


-*-=»- 


S  *  vT   g 


•^  Diviste 


SOMMARIO  : 


(.'ose  di  Marina,  pag.  55  —  Il  sultanato  dei  Migiurtini,  pag.  57  —  Storie  antiche,  pag.  59  —  La  corazza  di  seta,  pag.  61 
—  Le  supremazie  della  donna,  pag.  62  —  Nel  mondo  dei  fumatori,  pag.  63  —  Salome  nell'arte,  pag.  65  —  Un 
seminario  di  domestici,  pag.  66  —  Donne  giornaliste,  pag.  66  —  I  negri  in  America,  pag.  67  —  Un'inchiesta  sulle 
Forze  occulte,  pag.  69  —  Un  miracolo  di  ingegneria,  pag.  72  —  Le  principesse  disponibili,  pag.  73'—  Il  movi- 
mento femminista  nel  mondo,  pag.  75  —  La  sieroterapia  della  febbre  tifoidea,  pag.  77  —  Come  trionferà  l'Inghil- 
terra, pag.  78  —  Il  convento  de' Mechitaristi  nell'isola  San  Lazzaro  presso  Venezia,  pag.  79  —  Tommaso 
Salvini  e  un'attrice  americana,  pag.  81  —  L'aquila  di  Savoia,  pag.  82  —  Le  tragedie  dell'  oro,  pag.  83  —  La 
Nuovaiorchite  ,  pag.  S5  —  Il  tabacco  e  gli  scacchi  rispetto  alla  civiltà,  pag.  85  —  Il  gran  serpente  di  mare, 
pag.  86  —  Shakespeare  o  Bacone?,  pag.  89  —  Come  nascono  le  mode,  pag.  89  —  Come  si  arricchì  Cham- 
berlain,  pag.  89  —  La  legalizzazione  del  linciaggio,  pag.  90  —  In  un  circo  equestre,  pag.  90  —  L'eroica  Mi- 
lanese, capostipite  di  sei  dinastie,  pag.  93  —  Libri  costosi,  pag.  95. 


Cose  di  (Darma 


La  Rivista  Marittima,  periodico  mensile  che  si 
stampa  in  Roma  sotto  gli  auspici  del  Ministero 
della  Marina  e  conta  oramai  34  anni  di  vita,  è  iiv 
dubbiamente  una  delle  più  complete  ed  importanti 
riviste  di  cose  marittime,  che  fa  onore  all'Italia  ed 
alla  nostra  marina  da  cui  esce  il  maggior  numero 
degli  scrittori  che  vi  collaborano.  Se  non  fosse  una 
rivista  italiana  sarebbe  certo  dichiarata  nel  suo  ge- 
nere la  prima  del  mondo:  che  fuori  d'Italia  le  si 
dia  una  grande  importanza  lo  prova  il  fatto  che  da 
parecchi  anni,  anche  da  prima  che  venisse  la  moda 
della  rivista  delle  riviste,  quasi  tutti  i  giornali  ma- 
rinari di  altre  nazioni  ne  riassumono  o  traducono 
i  più  importanti  articoli  o  ne  riportano  per  lo  meno 
l'ndice  delle  materie  con  qualche  commento.  Si 
vuole  di  più?  In  principio  appunto  di  quest'anno 
il  capitano  di  vascello  nella  R.  Marina  spagnuola 
Don  Victor  Maria  Concas,  già  capo  di  stato  mag- 
giore della  squadra  dell'ammiraglio  Cervera  du- 
rante la  guerra  ispano-americana,  volendo  pubbli- 
care alcuni  commenti  agli  scritti  critici  che  hanno 
veduto  la  luce  nei  vari  giornali  del  mondo  a  pro- 
posito della  guerra  cui  egli  prese  parte,  chiese 
ospitalità  alla  Rivista  Marittima  che  gli  stampò  tra- 
dotto un  lungo  articolo  dal  titolo  internazional- 
mente latino  di  :    Quod  justum  est  judicate. 


La  Rivista  Marittima  all'aprirsi  del  nuovo  se- 
colo ha  avuto  la  felice  idea  di  pubblicare  una  serie 
di  articoli  ciascuno  dei  quali  riassumesse  il  cam- 
mino fatto  dai  vari  rami  della  marina  nel  passato 
secolo  e  fosse  come  la  storia  di  ciascuna  delle  ma- 
nifestazioni della  vita  marinara.  Apre  la  serie  nel 
numero  di  gennaio  un  articolo  di  storia  del  profes- 
sore C.  Manfroni,  conosciutissimo  eultore  di  sto 
ria  della  Marina  italiana,  e  segue  in  febbraio  un 
articolo  del  professor  K.  (  ìelcich,  che  tratta  lo  svi- 
luppo delle  scienze  nautiche  durante  il  secolo  XIX. 
Il  numero  di  marzo  ha  un  articolo  del  tenente  di 
vascello  A.  Bonaldi  sulla  Meteorologia  nel  se- 
colo XIX,  articolo  che  si  potrebbe  rhiatiiari  Iti 
Storia  della  Meteorologia  Xautica,  poiché  questa 
all'altezza  di  scienza  non  assurse  ohe  dm, mie  tale 
secolo.  L'articolo,  interessante  e  accessibile  anche 
ai  profani  delle  cose  del  mare,  riassume  le  varie 
teorie  e  mette  in  sodo  quanto  di  tale  scienza  si  può 
attendere  e  quanto  fa  parte  ancora  dell'astrologia. 
In  aprile  e  in  maggio  il  Bonamico  trattò  della  stra 
tegia  e  della  tattica  navale  con  quella  competenza 
che  i  suoi  numerosi  scritti  gli  hanno  dimostrata  e  che 
universalmente  irli  |  riconosciuta.  Il  numero  di  giu- 
gno porta  un  articolo  dell'ingegnere  navale  C.  Lau- 
rent i.  più  interessante  pei  profani  che  non  siano  i 
due  precedenti,  giacché  fa  la  storia  della  Naviga- 
zione Subacquea  nel  secolo  passato  e  segna  né  con 
soverchio  entusiasmo  né  con  troppa  sfiducia,  ma  con 


56 


ì  \  ii  n  i  r  \ 


giusl  I         indicando  l'indi 

ni  I  quale  i  sottom  i 

un   iì  eri  imento     Nei   successivi   nu- 

me ri  di  li  I  ottobre  ti  ati  an  i 

il  col  Slai    ni   l'evoluzione 

della  difes  ra,  l'ingegnere   \    Ruggieri  i  prò 

delle  navi  da  d    il 

medii      i  '    \l    Belli  lo  s\  iluppo  dell'igii  ni    navale 
nel  secolo  XIX    Finalmente  nel  numeri    'li  novem 

Malfatti,  ili  cui  i  lettori  della  A' 
sta  Marittima   conoscono  da  lungo  tempo  la  rara 
competi  iza   teorica  e  pratica  in  fatto  ili  macchine 
marine,  fa  la  apparati  motori  marini 

nel  secolo  XIX. 

E  la  sintesi  navale  della  Rivista  Marittima  non 
è  con  ciò  finita,  ma  avremo  ancora  nel  nuovo  anno 
articoli  sull'artiglieria,  sulle  anni  subacquee,  sulle 
costruzioni  e  su  tanti  altri  argomenti  che  possono 
are  l'intei  chiunque  voglia  conoscere  i 

e  lo  staili"  attuale  della  marina  da  guerra. 
E'  i  pubbli  azione  finita  le  varie 

monografie   siami  raccolte  in  un  solo  volume  che 
compen  i  a m   la  sintesi  il    del   libro  la  sin 

ntrapresa  dalla   "Rivista  Ma- 
rittima. 

Ma  oltre  a  quelli  accennati,  la  Rivista  ha  nel- 
l'anno altri  scritti  di  interesse  generale  Storico  0 
tecn  notevoli. 

Cristoforo  Manfredi,  facendo  seguito  ad  articoli 
dell'anno  precedette  in  cui  aveva  dimostrata  im- 
possibile l'invasione  della  valli  del  Po  da  parte  di 
un  nemico  pi  dalla  Francia  che  non  po- 

li la  padronanza  ilei  mare,  attac- 
cai contemporaneamente  dalla  frontiera  Genova- 
Venl  miglia,  dimostra  nel  numeri)   ili  gennaio  che 

qual  I  in potesse    attaccare    insieme 

dalli  Ipi  i  d  di  cui  avesse  il  dominio,  tut- 
tavia l'invasione  'lilla  valle  del  Po  sarebbe  per  lui 
non  solo  superflua  ma  assai  più  rischiosa  che  non 
un'invasione  'lai  mare.  Lo  stesso  scrittore,  nel  nu- 
mero di  maggi",  partendo  dal  fatto  che  la  popola- 
i  aumentano  in  un  paese  coll'au- 
mentar  dei  mezzi  ili  sussistenza,  mostra  che  questi 
dipendono  essenzialmente  itagli  scambi  che  si  fanno 
pi  i  via  ili  mai  i    m     a  fi  rza  che  può  togliere 

ad  un  paese  tali  n  i  na  flotta  nemica  die  in- 

teri-, mp  i  nbt,  è  interesse  non    oli    di  Ile  pò 

polazioni    litoran [latamente     minacciate. 

ma  anche  di  quelle  continentali,  che  unì  narina 

rja  :  -I        mari  nazionali.  In 

un  terzo  articolo  nel  mine  gosto-settembre 

le,  -  .liniostra  poi  infine  come:    in  una 

guerra  fra  la  Duplice  e  la  Triplice  le  sorti  d'Italia 
i  .li  scritti  di  I  Manfredi,  inte- 

.'i      i  fani  "    

per  la  vivacità  delle  argomentazioni  e  pil- 
la spigliata  e  brillanti 
Nel  numero  i 

Emanuel    l  '  u  '«e 

pi  i  i\  .ili  delle  pi  ini  ipali  ni 

ed  i  tipi  di  navi  di  feriti,  paragonandoli 

tro  p  tipi  nostri.  L'ai 

foni 


tende  a  dimostrare  l'impossibi- 
lità 'li  fai  pn  grammi  a  lunga  scadenza,  come  altra 
volta  si  e  Luto  da  noi,  fissando  il  numero  delle  navi 
ed  i  tipi  .la  costruire  in  un  determinato  periodo 
anni.  «  1  programmi,  egli  conchiude,  devono  essere 
i  finanziar!  <  .1  essere  compilati  dopo  l'e- 
same i    i  i]  provazioni   del  tipo  .li  nave  che  si  può 

mettere    imme.  li. il  aulente    in    cantiere    COÌ     fondi    più 
o  meno  limitati  disponibili  oggi  e  non  già  con  quelli 

sperabili  in  futuro  ...  I..    stesso  autori    ha  poi  nel 
numero  ultimo  .li  novembre  un  articolo  assai  in 
ressante  sulla    Fisionomia  attuale  del  piccolo  navi- 
glio, nel  quale  prendendo  le  mosse  dalla  pi  rdita  del- 

liniera  inglese  (  'obra  i    i  li  He  a\  ai  ii 

che  subirono  molti  altri  dtstroyers  per  debolezza  dello 
-ilo,  vuol  giungere  a  dimostrare  che  tali  tipi  ili 
piccole  navi  sono  sul  loro  tramonto  in  i-ausa  dell'ap- 
parire ili  nuovi  congegni  sommersi  o  sommergibili 
e  del  perfezionamento  raggiunto  nelle  piccole  ar- 
tiglierie a  tiro  rapidissim 1  automatico.  Né  man- 
cano in  questo,  come  negli  altri  anni,  articoli 
originali  di  storia:  infatti  nel  numero  «li  marzo  il 
contrammiraglio  Giuseppe  Gavotti,  conosciuto  per 
le  sue  pubblicazioni  ili  storia  dell'arte  militare  ma- 
rinaresca, tratta  della  tattica  navale  nei  libri  ili  sto- 
ria dai  più  antichi  a  quelli  moderni  ;  e  nel  numero 
di  ottobre  il  professore  Ulisse  Grifoni  dimosti 
saurientemente  che  non  fu  Magellano  a  scoprire  lo 
Stretto  che  porta  il  suo  nome,  come  non  fu  Amerigo 
Vespucci  a  scoprire  1  America. 

La  Rivista  Marittima  ili  quest'anno  contiene  poi 
ancora  altri  articoli  di  interesse  minore  ed  ali  ri  an- 
cora che  pel  loro  carattere  assolutamente  tecnico  o 
matematici i  non  possono  a\er  interesse  che  per  un 
numero  limitato  di  persone  e  che  io  quindi  p 
si  ittO  silenzio. 


L'articoli  del  (  Irifi  ni,  al  quale  abl 
nato,  i  singolarmente  interessante.  L'autore 
che  Magellano  non  solamente  non  ha  scoperto  lo 
stretti  che  farla  il  suo  nomi,  ma  non  ha  circumna- 
vigato la  Terra,  ne  ha  mai  pensato  a  circumnavi- 
garla. Ora  tutti  sanno  che  Magellano  deve  l'immen- 
sa lama,  che  da  circa  qual  ro  secoli  circonda  il  suo 
nome,  alla  scoperta  di  questo  stretto  ed  al  primo 
viaggio  di   circumnavigazione  terrestre  (i). 

L'autore,  dopo  di  avere  svolto  una  serie  di  argo- 
menti variatissimi  a  conferma  della  sua  asserzione, 
chiude  con  queste  parole,  che  sono,  per  cosi  dire,  la 
sintesi  di  tutto  l'articolo: 

i.  Ed  ora  continuino  pure  gli  stOrii  i  l  d  i  geografi. 
se  in  avranno  ancora  l'ardire,  ad  affermare  che  l'ita- 
liano Pigafetta  ba  assei     i  il  falso  nella  sua  rela- 


(i\  Infatti  Antonio  Herrera,  uno  del  maggiori  storici 
che  conti  la  Spagna,  parlando  de!  viaggio  'li  Magellano, 
dice  che  dalla  creazione  dell'uomo  non  ricordiamo  alcun 
avvenimento  che  pei  importanza  possa  paragonarsi  al 
primo  viaggio  'li  circumnavigazione ,   ed   il   grande 

lunge  fino  ad  affermare  che  Magellano  ba 
fatto  anchi  più  'li  Colombo  ■  sollevando  la  Terra  dalli 
spalle  ili  Atlante  e  facenti  •■    nell'etere  >. 


DALLE    RIVISTI 


zione,  e  che  il  portoghese  Magellano,  traditore  e  pla- 
giario ad  un  tempo,  è  da  anteporsi  a  Cristoforo 
Colombo,  come  afferma  il  Reclus,  o  che  è  da  porsi 
addirittura  sugli  altari  come  vorrebbe  lo  storico 
Antonio  Herrera. 

Magellano,  checche  ne  dicano  il  Kohl  ed  il  Re- 
clus, non  ha  mai  sognato  «  di  sollevare  la  Terra 
dalle  spalle  di  Atlante  e  di  farla  girare  liberamente 
nell'etere  ».  Lo  scopo  del  suo  viaggio  è  stato  molto 
meno  nobile  e  molto  più  modesto  ;  egli  ha  voluto 
semplicemente,  seguendo  una  via  appresa  dalle  car- 
te del  Behaim,  togliere  le  Molucche  alla  sua  patria 
e  renderle  ai  nemici  di  essa,  pervenendovi  attraver- 
so uno  stretto,  da  altri  raggiunto  prima  di  lui. 

Lo  stretto  di  Magellano  scoperto  da  altri  D 

Che  cosa  v'è  di  strano?  Tutti  sanno  che  l'Ame- 
rica, checche  ne  dicano  alcuni  americanisti,  chiamasi 
così  da  Amerigo  Vespucci  ed  a  molti  è  noto  che 
Behring  non  solo  non  ha  scoperto,  ma  non  ha  nep- 
pure traversato  lo  stretto  che  pi  irta  il  suo  nome. 

Se  l'ardita  tesi,  sostenuta  dal  collaboratore  della 
Rivista  Marittima,  fosse  riconosciuta  vera,  cambie- 
riebbe  radicalmente  una  delle  più  importanti  pa- 
gine (forse  la  più  importante)  della  storia  della  na- 
vigazione, e  la  figura  di  Magellano  verrebbe  ridotta 
a  modeste  dimensioni. 

Richiamiamo  l'attenzione  e  l'esame  dei  compe- 
tenti sull'interessante  questione. 


Il  sultanato  dei  (Digiuftini 


iDa  un  rapporto  del   console  Pestalozza,    riferito  dall  Ita- 
lia Coloniale,  di  dicembre  . 

Il  cav.  G.  Pestalozza,  regio  console  generale  in 
Zanzibar,  il  quale  visitò  nel  novembre  del  1899  i 
principali  scali  a  nord  ilei  Benadir,  espone  che 
questa  tribù  (cabila)  ha  per  sultano  Osman  Mah- 
ìmni.  e  comprende  vani  rami  (fackida),  1  qua- 
li si  suddividono  poi  in  casati  (rei).  Sono  rer 
speciali  quelli  degli  Haddad  e  dei  Khadem:  i  pri- 
mi, d'origine  straniera,  si  dedicano  alla  lavorazione 
del  ferro  ;  i  secondi  sono  liberti  d'origini  diverse  , 
trattati  come  razza  inferiore  e  adibiti  a  lavori  ser- 
vili: si  possono  sposare  soltanto  fra  loro.  Le  tre 
fachide  più  importanti  sono  quelle  degli  Omar 
Mahmud  e  degli  Issa  Mahmud:  abitano  l'estremo 
meridionale  della  regione,  si  occupano  di  pastori- 
zia, hanno  gran  numero  di  cammelli  e  cavalli,  e 
la  loro  dipendenza  dal  sultano  è  più  nominale  che 
di  fatto,  come  prova  il  non  aver  risposto  al  recente 
suo  appello  e  il  mostrarsi  amici  di  Jusuf-Alì.  I 
Suacron,  abitanti  del  litorale  da  Bargal  fin  presso 
Menija  e  più  specialmente  in  Alula  e  nelle  sue 
vicinanze  dirette,  formano  un  nucleo  abbastanza 
forte  e  rispettato  ;  sono  ligi  a  Jusuf-Alì  e  agli  or- 
dini del  Governo  italiano. 

I  punti  abitati  del  litorale  sono  i  seguenti  : 

El-Har. 
Questo  nome  significa  in  somalo:    pozzo   ripara- 


5? 

tu;  fondatore  del  villaggio  fu,  alcuni  anni  addie- 
tro, Jusuf-Alì,  il  quale  vi  trasporta  talvolta  la  sua 
residenza,  perchè  si  trova  COSÌ  più  vicino  alla  sta- 
zione di  Harabera ,  ove  convengono  tutti  gli  ar- 
menti della  regione. 

El-Hur  sorge  sopra  una  piccola  duna  di  sabbia 
arenaria  compatta,  alta  circa  15  metri  sul  mare. 
In  prima  liena  sorgono  tre  casette  in  muratura,  su 
una  delle  quali  sventola  il  tricolore  italiano:  è 
abitata  dal  capo  del  villaggi",  Ahmed,  cognato  di 
Jusuf-Alì.  Il  villaggio,  fornito  di  abbondante  ac- 
qua potabile,  è  di  30  capanne.  La  spiaggia  non 
offre  riparo  alle  grandi  navi.  Per  lo  sbarco  dei  bat- 
telli, c'è  una  scogliera  a  fior  d'acqua,  che  costitui- 
sce pure  un  piccolo  riparo  contro  il  monsone  del 
sud.  Commercio  quasi  nullo:  poche  pelli,  pochis- 
sima gomma.  Qualche  veliero  indigeno  sbarca  po- 
che ceste  di  datteri  ;  per  terra  si  spedisce  vino  a 
Mogadiscio  e  qualche  capo  di  bestiame. 

Obbia. 

E'  più  importante  di  El-Hur,  come  sede  del  sul- 
tano, sulla  cui  casa  in  muratura  sventola  la  ban- 
diera italiana.  Si  presenta  discretamente  dal  mare 
ed  è  composta  di  una  ottantina  di  capanne.  Sorge 
sopra  un  piccolo  promontorio,  il  cui  prolungamento 
in  mare  forma  come  una  banchina  naturale.  Questo 
riparo  si  prolunga  per  150  metri  circa:  e  utilissimo 
per  lo  sbarco  durante  i  due  monsoni.  Uno  scoglio; 
che  forma  come  un  isolotto  più  al  largo,  permette 
di  ripararsi  ai  velieri  indigeni  di  piccola  portata. 
Le  grandi  navi  debbono  stare  in  rada  aperta. 

Il  commercio  è  in  mano  del  sultano  e  ile' suoi 
parenti;  consiste  nello  scambin  di  pelli,  gomma, 
pescecane,  burro  e  bestiame,  contro  dura,  cotonate 
e  datteri  del  golfo  Persico.  Ammonta  a  40  mila 
rupie,  ed  è  favorito  pure  dal  rinvenimento  di  una 
discreta  quantità  di  ambra  grigia,  la  quale  è  but- 
tata dal  mare  sulle  coste  somali  e  fa  la  fortuna  non 
tanto  di  chi  la  trova  a  caso,  quanto  del  capo  G  del 
sultano  che  l'acquista  per  poco  e  la  rivende  a  caro 
prezzo  in  Aden. 

Obbia  dispone  di  due  sambuchi  di  portata  me- 
dia e  di  qualche  canoa  da  pesi 

Hafun. 

Dopo  aver  tenuto  parola  di  Garad,  che  ha  poche 
capanne  e  cattivo  ancoraggio;  di  Ilig  (in  somalo 
significa  dente),  che  sta  sotto  il  capo  Ras-el  kheil 
ed  ha  una  trentina  di  capanne  abitate  da  pescatori 
ngine  somala  con  un  pozzo  d'acqua  salmastra, 
e  un  ancoraggio  impossibili'  con  vento  forte  di  est, 
ma  riparato  durante  il  monsone  del  sud  :  di  .Vogai, 
abil  ,  -lii  somali  dediti  alla  pesra  del  pesce- 

identi,  come  quelli  di  Ilig,  dal  capi 
gli  Issa  Mahmud,  con  una  vallata  nell'interno,  dove 
ogni  coltivazione  sarebbe  possibile;  di  Var-Es-Ga- 
Uh,  con  due  0  tre  famiglie  di  pescatori  e  le  rovine 
d'una  casa  in  muratura  ;  di  Maabes,  ovvero  Orghi- 
lehe,  che  ha  un  discreto  numero  di  capanne,  prò- 


58 


LA    LETTI  RA 


di  palme  dum  per  sin.  .    e 
ecane,  pelli,  burro  e  penne  'li  struzzo, 
abbastanza  frequentata  dai  velieri  «-Ih-  vi  tro- 
vano ottimo  riparo  contro  il  monsone  'ti  sud-ovest, 
parla  ili  Hafun,  località  importante  di 
rito  capanne  che  si  stendono  per  circa 
un  chilometro  lungo  la  spiaggia.  Discreta  è  l'acqua, 
i   dintorni  sono  aridi.    Le  sta  vicino  la  laguna  di 
Hordia,  dalle  cui  saline,  situate  a  20  chilometri  a 
.lei   villaggio,  questo  ricava    il   maggior 
utile.  Vi  Sono  da  sei  a  settecento  mucchi  di  sale, 

■ rappresentano  2   nula  tonnellate; 

raddoppiando  e  amile  triplicando  questa  cifra,  non 

ino  mai    più  «li  6    mila  tonnellate  quelle  ora 

prodotte  <lalle    saline;    mentre   la    produzione,    con 

poco  lavoro,  potrebbe  divenire  enorme.   L'usufrutto 

■  Ielle  saline  è  riservato  alla  popolazione  di  Hafun; 
'I  prodotto  '-  venduto  ai  velieri  arabi  che  si  recano 
alla  pesea  nel  Benadir  0  allo  Zanzibar  e  si  fermano 
tutti  ad  Hafun,  dove  col  sale  formano  0  comple- 
tati') il  carico.  Questo  sale  è  il  preferito;  a  Zanzi- 
bar giunge  in  piccola  quantità  e  si  paga  molto  raro. 
In  Hafun  vale  da  6  a  io  talleri  per  ogni  100  sac- 
'iietti.  La  tassa  frutta  circa  4500  talleri,  dei  quali, 

iti   1000  talleri  per  spese  diverse  e  di  ospita- 
ni    resi  ino  3500  ■  una  metà  di  questa  somma 
va  al  rapo  del  villaggio  ed  agli  anziani,  l'altra  metà 
al  sultano  Osman  Mahmud. 

R  nord  di  Hafan. 

Andando  verso  settentrione,  s'incontrano  Manda, 
villaggio  di  -o  capanne  e  300  abitanti,  con  5  ve- 
lieri e  altre  piccole  barche  ;  Hordia,  con  350  abi- 
tanti, dediti  alla  pesca  del  pescecane  e  della  ma- 
dreperla ;  Binna,  riunione  di  circa  20  capanne  di 
pescatori  ;  Dan  Ali,  località  con  50  capanne  e  2 
case  in  muratura,  una  del  fratello,  l'altra  dello  zio 

■  lei  sultano;  i  200  abitanti  posseggono  600  barche 
da  pesca;  Grerirod,  con  una  casa  in  muratura  e 
20  capanne,  residenza  del    cieco  e  vecchio  pro-zio 

sultano;    Bargan,  villaggio  importante  di   400 

anti,  con  esportazione  di  gomma  ed    incenso-, 

/    hen,  con  20  capanne  e  boschi  di  palme  daltifere  : 

con    150  pescatori  e  approdo  relativamente 

uro. 

Bereda  e  Mula. 

la  resilienza  abituale  del  sultano  Osman 
Mahmud,  il  quale  vi  possiede  una  bella  casa  di 
danneggiata  fortemente   dal   botn- 
nto  della  regia  nave  Colombo.   Vi  sono   io 
ura  1     [20  capanne,  con  una  popola- 
zione 'li  400  abitanti,   i  quali  dispongono  dì  6  ve- 
lieri e  di    io  bar*  ' 

di  dura,  datteri,  riso  e  cotonate; 
esportazii  jo  a  50  mila  chilogrammi  di  ma- 

dreperla  e  qualchi  0  di  sanili  di  pelli,  di 

gomma  e  d'ino 

Alida   ha   più    di    200  capanne  e  2  case    in  mu- 
ratura,  a   due    pia  1  dere    e    ti 
merli,  una  del  sull  l'altra  del  suo  pri- 
Mahmud  Ali  rappresenta  il  fratelli!  sul- 
amministra  in  suo  n  I      petto  di  Aitila 


è  triste,  l'acqua  potabile  vi  difetta.  Rada  ottima  in 

ogni   stagi -,  Minata  sulla  rotta  naturale  e  diretta 

di  tutti  i  piroscafi  che  navigano  per  l'Africa  orien- 
tale e  meridionale,  per  l'Australia,  per  li  fri 
orientali,  per  l'estremo  Oriente;  ed  anche  molte 
navi  dirette  a  Bombay,  che  non  hanno  toccato  Aden, 
vanno  a  visitare  Aitila  per  poi  prendere  una  retta 
più  sicura.  Produzione  di  gomma  ed  incenso;  ab- 
bondanza di  tonno  e  d'ogni  specie  di  pesce.  La  ma- 
dreperla si  trova  lungi»  tutta  la  ''usta.  Gli  abitanti. 
circa  500.  sono  di  indole  buona,  ed  abituati  al  1 
tatto  con  gli  Europei  Da  Alula  ad  Aden  corrono 
350  miglia. 

Riassumendo. 

Gli  scali  11  punti  abitati  dal  litorale  dei  Migiur- 
t  ini  sono  in  tutto  31  ;  il  paese  è  ricco  di  suini  spe- 
cialmente al  sud  e  al  nord,  di  cammelli,  di  cavalli 
pn  "li  ma  resistenti  ;  non  vi  mancano  gli  ovini  ;  il 
burro,  la  madreperla,  la  gomma,  l'incenso  e  i  pro- 
di itti  della  pesca  esportati  rappresentano  un  valore 
di  1.714.000  lire;  il  traffico  generale  si  può  calco- 
lare, senza  esagerazione,  che  salga  a  3  milioni  di 
lire. 

1  Somali  migiurtini  non  furono  sinora  sottoposti 
ad  alcuna  tassa.  Essi  sono  prevenuti  contro  il  si- 
stema fiscale  già  in  vigore  nell'Eritrea.  Il  Sultano 
e  i  notabili  mandarono  informatori  nella  nostra  co- 
lonia, e  al  Pestalozza  molti  migiurtini  dissero  di  sa- 
pere che  tutto  era  ben  regi  iato  nell'Eritrea,  ma  che 
gli  Italiani   facevano  pagare  troppo  tasse. 

Gl'indigeni  non  hanno  mai  preso,  ne  prendono 
alcun  provvedimento  per  estendere  le  piantagioni 
delle  acacie  gommifere,  le  quali  suini  allo  stato  pri- 
mitivo e  boschivo,  né  tutte  utilizzate.  I  Somali  si 
accontentano  di  allontanare,  quanto  è  possibile,  le 
mandre  da  quei  boschi,  assegnati,  per  diritto  di 
cessione  11  di  acquisto  o  di  uso,  alla  loro  operosità. 
11  Sultano,  i  suoi  parenti  e  i  notabili  in  genere  che 
dispongono  di  mezzi  per  far  raccogliere  le  gomme 
e  le  resine,  anticipano  a  quegli  individui,  che  do- 
vranno a  suo  tempo  intraprendere  il  lavoro,  un 
numero  di  sacchi  di  riso,  0  di  datteri,  0  di  dura,  che 
valutano  generalmente  al  doppio  del  valore;  i  lavo- 
ri, a  loro  volta,  dovranno  restituire  quanl 
più  possibile  sacchi  dì  gomma  "  di  buban,  ma  non 
mai   meno  del  qua  ricevuta  II  prodotto  è 

portate  in  Aden  11  Bombay,  ed  ivi  è  venduto  per 
OontO   del    proprietario    il    quale    preleva     il     valore 
.Ielle  anticipazioni,  poi   divide  l'eccedenza  a  metà 
terzi  fra   lui  e  i  lavoratori. 

Quanto  ai  periodi  dell'anno  durante  i  quali  quelle 
popolazioni   possono  utilizzare  le  loro   navi    pei 
municare  con  l'Arabia,  con  Bombay  0  con  Zanzi- 
bar, il  monsone  di  sud-ovel  comincia  a  farsi  sentire 
debolmente  su  quella  eosta  in  principio  di  maggio. 
rinforza  dalla  metà  di  giugno  a   metà  settembre, 
per  diminuire  gradatamente  e  cessare  in   principio 
dì     novembre;     quello  da    nord-est   segue   la    Bb 
progressione  e  diminuzione  da  novembre  1  magi 
il  tempo  l'iù  utile  alla  naviga/ione  è  . niello  che  1 
dal  cessare  della  veemenza  di  un  monsi  ne  al  prin- 
cipiare dell'altro. 


DALLE    RIVISTI 


59 


Stoffe  antiche 


.Da  un  artìcolo  di  L.  A.  Gandini,  nella  Rassegna  d'Arte). 

La  signora  Isabella  Errerà  ha  messo  insieme  una 
collezione  di  stoffe  antiche,  rare  e  preziose,  che  ha 
descritte  con  ammirabile  intelligenza  in  un  Cata- 
logo pubblicato  a  Bruxelles,  presso  la  libreria  Falk 
Fils.  E'  questo  un  importante  contributo  all'antica 
arte  tessile,  arte  che  va  considerata  come  eminente- 
mente decorativa. 

La  collezione  della  signora  Errerà  è  stata  da  lei 
donata  alla  città  di  Bruxelles,  alla  quale  tempo  ad- 
dietro ella  aveva  donato  un'altra  collezione  di  stoffe 
copte,  provenienti  probabilmente  da  necropoli  egi- 
ziane del  V  o  VI  secolo.  Nel,  suo  libm,  l'autrice  ha 
voluto  tener  conto  del  giudizio  dei  migliori  scrittori, 
i  quali  non  sono  sempre  d'accordo,  perchè  disgrazia- 
tamente lo  studio  dell'arte  tessile  manca  di  base  e 
resta  anche  oggi  un  pio  desiderio. 

La  figura  1,  (N.  29  del  Catalogo)  rappresenta  una 
stoffa  di  seta  e  lino  azzurro  (forse  del  colore  detto 
Alessandrino)  con  fili  d'oro  ed  altri  di  materia  ani- 
male. Appartiene  al  secolo  XIII  o  XIV.  La  scrit- 
trice avverte  che  un  eguale  tessuto  fu  giudicato  ita- 
liano del  nord  dal  Cale,  spagnuolo  dal  Bock,  e  che 


Fi* 


il  Museo  di  Cluny  lo  ha  classificate  come  orientale, 

mentre  quello  di 
South-Kensington  l'ha 
considerato  come  luc- 
hese.  Il  Gandmi  ir 
dina  a  giudicarlo  spa 
gnuolo,  col  Bock  ,  ri- 
ci  'in  scendo  i  caratteri 
moro-ispani  tanto  lu- 
gli ornamenti  centrali 
quanto  nelle  curve  che 
dividono  i  comparti- 
menti. 

Altro  tessuto  di 
molto  pregio  è  quello 
rappresentato  dalla  fi- 
gura 2  (43  del  Catalo- 
go). Il  fondo  è  di  seta 
azzurra  ,  coll'opera  di 
seta  bianca  e  oro  con 
leggieri  rilievi  pure  di 
seta  bianca.  Nel  dise- 
gno dell'opera  vedon- 
si  cervi  affrontati,  ac- 
covacciati sotto  una 
pioggia  di  raggi  che 
escono  da  nubi  fatte  a 
foggia  delle  onde  del 
mare.  Un  eguale 
tessuto  fu  giudi- 
cato lucchese  del 
secolo  XI  IT  a 
XIV  dal  Borie.  LI 
Gandini  resta 
perplesso  tra 
le  diverse  opi- 
nioni, ma  propen- 
de a  giudicare  questa  stoffa  di  fabbricazione  si- 
ciliana ;  perchè,  se  i  raggi  e  i  ceni  sono  deri- 
vazioni orientali,  questi  simboli  furono  (Tolte 
volte  imitati  dai  tessitori  siciliani.  E  questo 
tessuto  potrebbe  anche  essere  un  avanzo  dei 
limosi  falii  radiati,  tanto  spesso  menzionati 
dagli  storici  'lei  bassi  tempi. 

Nella  figura  3  (127  del  Catalogo)  vediamo 
un  velluto  rosso,  forse  Cremisino,  a  grandi 
rosoni,  banche  d  oro,  lavoro  •  unitalo  e  fi  rse 
italiano.  La  signora  Errerà  notò  nel  Museq 
dell'I  ri  mitaggio  a  Pietroburgo  un  quadro  del 
re  pittore  furbaran,  rappresentante  San 
Lorenzo  vestito  d'una  dalmatica  ornata  ili  ro- 
soni eguali  a  quelli  'li  questa  stoffa  ;  ciò  Con- 
tona il  giudizio  ohe  questo  tessuto  presenti 
caratteri  arabo-spagnuoli,  tanto  perla  for- 
ma dei  rosoni,  quanto  per  quella  speciale  dello 
foglie  a  lancia  e  dei  nodi  d'amore  ''he  uni- 
scono i   rosoni  stessi. 

Una  stoffa  preziosa,  che  merita  una  spe- 
ciale menzione,  è  quella  della  figura  4  (186 
del  Catalogo).  Il  Tancbaxd  la  indica 
una  reminiscenza  1  dentale,  ma  '■■  lavoro  vene- 
ziano, del  secolo  XV.  La  signora  Krrrra  trovò 
che  un  ignoto  pittore  italiano  del  '300  la  co- 
lli.', nella  stoffa  dell: detta  del   Soc- 


Fig. 


6o 


LA    II    [TURA 


tors  ivata   nel 

Mus  fal- 

lii h. mi 
meni  indo  gli 

armadi  i 
di    una    delle 

alia- 

ne .   il  tessuto  da  lui 

al  Mu 

I      :  dì        \  I 

la    illuni    5 

(  |oS  ilei  i    si 

ha  una  tela  a  fondo 

azzurro,  stampata    in 

nen  ■  gno   rap 
presi 

Vnlli      appOSti       SUI  tu      i 

i  raggi.  Ciò  ■ 
e,li  dà  carattere  ■'•  un 
albero  che  su  nel  ten- 
ie- radici  di- 
latate e  i  rami  a  fo- 
glie 'li  cuore  simme- 
tricamente eretti .  che 
ricordano  un   famoso 

aurum  cum  arbore  vitae  dell'inventario 
v  III    E'  pi  he  l'uno  e  l'altro 

sieno  sinci  trambi  siano  di  fabbrica- 

zione siciliana. 


I  i  II  ima   parte  del 

Catalogo    è    riservata 

una     interessante 

collezione    'li    tessuti 

Stampati  in  seta  .  in 
l'atta  ec- 
cezione  'li  pochi  fra  i 
quali  due  velluti  «li  la- 
na vi  rde  impn  ssi . 
classificati  ili  fabbrica 
spagnuola,  acquistati 
.i  Madrid  (il  primo 
colle  anni  di  Filip- 
po 11.  1  altro  '■■  'i  ui^li 
della  Casa  di  Francia) 
tutti  furori  n  iti  a 
(  'i  ili  mia,  il  che  indur- 
rebbe   a    credere   che 

sero  tele  cl.-l l« ■  n 
fabbriche   antiche    re- 
nane. 

Ail   aldine  per.'i  di 
ste    il    Ca 
qualche     fonda- 
mento at  tribù 
gine  italiana. 


- 


Flg.   5- 


DALLE    RIVISTE 


òl 


Iia  corazza  di  seta 


(Dalla  Illuslrirtc  Zeìtung,  del  2S  novembre). 

...  La  corazza  del  geniale  inventore  polacco  Jan 
Szezepanik  scioglie  un  problema,  che  gli  attentati 
hanno,  sciaguratamente,  reso  d'attualità  :  essa  di- 
fende la  parte  del  corpo,  da  quelle  coperte,  dai  colpi 
d'armi  da  fuoco  e  da  punta.  Eppure  non  è  fatta 
d'acciaio  o  d'altro  metallo,  ma    semplicemente    di 


lasciano  su  questo  tessuto  neppure  traccia  di  sé.  Ma 

ancora  più  drammatiche  ed  impressionanti  riescirono 
le  prove  di  tiro  fatte  su  un  uomo,  riparato  il  1 
di  questa  corazza.  I  colpi,  tirati  con  un  revolver  di 
7    millimetri,    alla    distanza    d'un    braccio,  colpi- 
rono tutti  il  segno,  ma  assolutamente  senza  effetto 
Le  palle  si  ripercossero   Milla  corazza  di    seta   0 
chicchi  di  grandine  su  una  corazza   di  ferro  e,  con 
la  punta  contusa,  ripiombarono'  a  terra.  Nei   punti 
percossi  si  vedono  soltanto  delle  piccole  macchie  gri- 
gie.  Naturalmente,   nulla  impedisce  che  i   più  pru- 


Alla  prova. 


seta.  Rassomiglia  anzi  ad  un  panciotto  e  precisa- 
mente come  quello  d'un  solito  gilet  è  la  schiena  della 
corazza.  Soltanto  sul  petto  si  stende  il  tessuto  pro- 
teggitore  dello  spessore  press'a  poco  d'una  stoffa 
d'un  soprabito  invernale.  La  corazza  è  chiusa  da  un 
lato  da  uncinfed  occhielli.  Pesante  a  mala  pena  un 
chilo  e  mezzo,  può  facilmente  portarsi  sotto  gli  a- 
biti.  Il  tessuto  liscio,  giallo-pallido,  è  formato,  co- 
me dicemmo,  di  seta  grigia  e  la  sua  capacità  di  re- 
sistenza alle  palle  e  all'acciaio  dipende  unicamente 
dall'elasticità  e  dalla  coesione  dovute  allo  speciale 
intreccio  de'  fili. 

De'  furiosi  colpi  di  bene  appuntito  pugnale  non 


.  oltre  che  la  corazza  sul  petto,  ne  portino  una 
anche  sulla  schiena  e  della  stessa  stoffa  si  facciano 
fare  bracciali  0  gambali. 

Lo   Szezepanik,  giovanotto  di   ventisette  anni,  ha 
cominciato  col   fare  il  maestro  di    scuola  d'un  vil- 
laggio. Adesso,  una     -  !   spulale   porta  il  ni 
delle  sue  invenzioni  e  ne  trae  prati. -  profitto,   per- 
sse  ni  n  si  limitano  .ili.  idòno 
mi  [te  parti  dell'industria  tessile. 
I  cartoni    da  tessitura   che  si    fanno,    secondo   nn 
suo  metodo,  mediante  la  fotografia  e  l'elettricità,  si- 
gnificano un  grande  progresso  nella  produzione  dei 
tessuti  e  il  suo  telaio  a  tre  colori,  sul  quale,  ap- 


1  \    LETTOR  \ 


punì  ì  suti  in  tut'.'  le 

tinte  naturali,  gli  hanno  procacciato  grande  fama. 


w 


La  corazza. 


Appunto  questi  suoi  studi  e  questi  suoi  esperii! 
intonili  alla  tessitura  lo  hanno  condotto  a  formare 
degli  intrecci  di  lìli  ili  straordinaria  resistenza  e,  di 


© 


I  ••  -i »  i  i  colpi. 

,    essuto 

intangibile.    Egli   ha   inventa'",   la  corazza senza 

voler 


lie  supremazie  della  donna 

Da  un  articolo  di  Paola  Lombroso,    nella  Nuova  Anto- 
logia, del   I"  dicembre  . 

lanini  femministi,  i  quali  attribuiscono  alla  don- 
na le  qualità  e  facoltà  virili,  quanto  agli  anti-fem- 
ministi  i  qual 

dell'ui t]  alla  non  meno  incontestata  inferiorità 

a  donna,  sono  nel  torto.  Uomini  e  donne  sono  in- 
elementi che,  se  non  si  i  quivalgono,  si  integrano. 
La  superiorità  organica  dell'uomo,  da  tanto  tem- 
po riconosciuta  a  segno  che  il  sesso  maschile  si  chia- 
nella  maggior  forza  dei  muscoli, 
nel  maggior  pesi  del  cervello,  nella  maggiore  resi- 
stenza dello  scheletro  osseo;  ma,  còme  prontezza 
e  rapidità  di  adattamento  alla  vita  e  alle  condizioni 
dell'ambiente,  la  donna  è  superiore  all'uomo,  \m- 
che  essa  sa  scegliere  molto  meglio  il  proprio  tei 
di  cultura.  Nascono  più  femmine,  infatti,  dove  le 
conili/ioni  sociali  sono  più  prospere  e  nelle  famiglie 
signorili;  nei  tempi  di  calamità,  di  guerra,  di 
cadenza  sociale  e  nelle  famiglie  popolane  nas 
più  maschi.  In  ogni  paese,  al  momento  della  na- 
scita,  sono  più  numerosi  i  maschi:  105,  no,  e  tal- 
volta 117  su  100  femmine;  ma  poi,  tra  gli  adulti. 
sono  più  numi-rose  le  femmine  rhe  i  mas  I 

medico  all'ospedale  di  Dublino,  osservò  che  n 
z'ora  dopo  la  nascita,  la  mortalità  stava  nelle  pro- 
porzioni di    una  femmina   contro   16  maschi,  nella 
prima  ora  di  3  femmine  su  16  maschi,  e  nelle  prime 
sii  ore  di  6  femmine  su  ^g  maschi. 

Il  limite  dell'età  è  anche  più  grande  per  le  fem- 
mine. In  Inghilterra  si  trovarono  104  centenarie  in 
paragone  di  46  uomini;  in  Francia  46  contro  27. 
Qui  sta  vita  più  lunga  si  spiega  con  la  maggiore  re- 

enza  al  male.  Le  donne  sopportano  meglio  che 
gli  uomini  le  operazioni,  e  Billroth,  quando  ne  dove- 
va tentare  una  nuova,  la  eseguiva  nrima  sulle  donne. 

Di  più  la  donna  ha  il  genio  della  specie  nel  ten- 
dere ad  assicurare  è  a  migliorarla,  nel  difendere  e 
perfezionare  l'eredità.  In  una  famiglia  in  cui  il  pa- 
dre 0  la  madre  sono  malati,  il  pericolo  di  ereditare 
la  malattia  è  maggiore  quando  è  ammalato  il  padre, 
e  un  maschio  eredita  più  fa  :  male  che  non 

la  femmina;   nelle  femmine,  quando  lo  ereditano, 
tende  ad  attenuarsi  ;  nei  maschi  -  a.  Queste 

facoltà  si  riconnettono  alla  funzione  specifica  fan 
minile:  la  maternità,  nella  quale  la  donna  ha  rag- 
giunto un  quadro  di  perfezii  ne  maggiore  di  quello 
[  unto  dall'uomo  nella  sua  qualità  1  :   la 

llettualità.  Oltre  a  questa  su]  organica. 

la  donna  ne  ha  un'altra.  Se  l'uomo  ha  inventato  la 
1  ivile  e  sociale  e  le  ha  dato  forma,  la  donna  ha 
trovato  la  formula  della  vita  domestica.  La 
l'agricoltura,  la  medicina,  l'arte  del  filare,  del  tes 
sere,  del  cucire,  del  cucinare,  sono  state  trovate  dalla 
donna:  un  recente  libro  inglese,  "Corigmt  dtlPin- 
.  rivendica  degnamente  queste  invenzioni 
femminili.  La  donna  primitiva  che  stanca  ed  affa- 
mata arriva  all'accampamento  e  i»r  difendere  il 
suo  bambino  dal  sole  0  dalla  pioggia,  pianta  tre  r.i 
mi  in  li  copre  di  larghe  foglie,  L'otta  le  pri- 

mo di  ll'inven, 


DAL 


RIVIS  i  I 


del  fuoco  è  oscura  ;  ma  se  non  lo  trovò  la  donna, 
essa  ne  fu  sempre  custode  e  guardiana  :  in  menu  ► 
ria  di  questa  antica  funzione  troviamo  le  Vestali. 
E  mentre  l'uomo  utilizza  il  fuoco  nella  fucina  per 
fondervi  armi  da  guerra,  la  donna  piantava  il  t 
colare  sormontato  dallo  spiedo  o  dalla  pentola.  Tutta 
l'arte  della  cucina  e  delle  stoviglie  e  un'arte  femmi- 
nile. Quandi  i  non  esistevano  recipienti,  la  donna  pri- 
mitiva cominciò  a  intessere  con  fibre  vegetali  cane- 
stri e  panieri  i  siti  come  nessun  | 
moderno  saprebbe  farne;  poi,  per  renderli  più  re- 
sistenti, pensi',  di  rivestirli  d'argilla,  e  poi  li  mise  sul 
fuoco,   creando    la  prima   pentola  che  anche  oggi 

rva  la   forma,   le  anse,  i  manichi    della  o  ■ 
Anche  i  ggi,  presse  i  servaggi  più  evoluti,  l'industria 
delle  stoviglie  è  affidata  alle  donne.  Altrettanto  di- 
casi dell'industria  tessile;  e  nella  leggenda  è  sempn 
la  donna  che  cuce,  tesse  e  fila  ;   Aracne,   le  Parche, 
Penelope,  Lucrezia,  Berta.  Margherita.   Con  quanta 
sagacità  le  donne  seppero  trovare  le  fibre  e  ridurle 
a  materia  tessile!  Prima  cominciarono  a  torcer,    il 
filo  tra  le  dita  ;   poi  inventarono  il  fuso  e  la  conoc- 
chia. Trasseni    la  fibra    dalla  calma,  dall'asti 
dalla  canapa,   dall'aloè,  dal  lino,  dal  bambù,   dal- 
l'ortica, dal   cocco;   nel   regno  animale  utilizzarono 
il  pelo  dei  cani,  dei  ruminanti,  la  lana  delle  pecore, 
l'aereo  filo  del  bacìi.  Fu  la  donna  quella  che  trovò; 
in  Cina  l'uso  del  baco  da   seta:   a  Pechino  l'altare 
del  baro  è  dedicato  a  colei  che  lo  scoprì:  Juen-Tsi 
moglie  di  un  antico  Imperatore;  ogni  anno  l'Impe- 
ratrice regnante  fa  sagrifici  in  onor  suo.  Invenzi.  ine 
femminile  è  anche  il  primo  telaio  ;  e,  dopo  il  telaio, 
le  donne  trovarono  anche  le  forme  in  cui  il  tessuto 
poteva  trasformarsi:    ne  fecero  vesti,  vele,   coperte 
e  stuoie.  L'arte  della  tintoria  è  anch'essa  femminile: 
le  prime  donne  utilizzarono  per  essa  le  terre,  il  succo 
delle  erbe,  gli  animali  :    le    Indiane  fanno  il    nero 
la  r/itis  an  mari. -a.  il  giallo  d'ocra,  la  gomma  e 
glie  di  simulacro  ;  il  giallo  coi  fiori  della  1 
Ionia,  il  rosso  con  la  cocciniglia  e  le  radici  del  cerco- 
corpus  pamtifolius  ;   le  donne  del  Guatemala  usano 
l'indaco  per  l'azzurro,  la  cocciniglia  per  il  n 
l'indaco  mescolato  col  rosso  di  limone  per  il  nero. 

La  stessa  agricoltura  è  dovuta  alle  donne.  I  Greci 
consacrarono  poeticamente  il  fatto  rappresentando 
una  donna  il  nume  che  presiede  alle  messi  :  (  !e 
rere.  alla  quale  diedero  per  ancelle  Flora  e  Pomona. 
Gli  uomini  primitivi  vivevano  alla  giornata,  an- 
dando da  un  luogo  all'altro  ;  la  donna,  che  per  l'i- 
stinto della  maternità  è  stata  sempre  previdente,  tra- 
sportò e  adunò  alcune  piante  preziose  delle  foreste 
in  certi  luoghi  determinati  per  trovarle  quandi 
ne  fosse  bisogno.  In  certe  popolazioni  Mohave,  tra 
le  quali  sono  serbati  gli  usi  primitivi,  si  può  seguire 
perfettamente  il  fenomeno. 

E  alla  donna,  in  gran  parte,  si  debbono  le  arti 
sussidiarie  dell'agricoltura,  come  l'allevamento  de- 
gli animali  domestici.  Accadeva  spesso  che  l'uomo 
portasse  dalla  caccia  lanimale  ucciso  e  il  suo  pic- 
colo vivo  :  la  donna,  cui  era  affidata  la  cura  di  que- 
st'ultimo, s'accorgeva  che  poteva  essere  utilizzato 
non  soltanto  come  carne  da  macello.  Così  trovò 
che  il  formichiere  mangiava  le  formiche  che  invade- 


vano la  casa,  che  la  gallina  faceva  le  uova,  che  il 
bue  poteva  aiutarla  nei  trasporti,  che  la  vacca  dava 
il  latte,  e  inventò  cosi  il  pollaio  e  la  stalla.  Una  con- 
aa  di  questo  fa  iva  nel  linguaggio:  in 
sanscrito,  i  vocaboli  che  designano  i  membri  femmi- 
nili della  famiglia  hanno  tutti  attinenze  con  le  loro 
funzioni  pastorali:  mungitrice  di 
burro,  guardiana  delle  vacche,  ecc.  E  la  donna  giun- 
se a  dare  la  sua  mammella  ai  giovani  animali  che  le 
erano  portati. 

Queste,  conclude  l'autrice,  sono  le  vere  beneme- 
renze della  donna,  le  quali  valgono  in  suo  fa\orr 
molto  più  che  non  la  conquista  di  contestate  virtù 
virili  rhe  i  femministi  si  affannano  ad  attribuirle. 

■  ■♦*!»»■■ 

Nel  mondo  dei  fumatori 

Da  un  articolo  delle  Lectures  pour  lous ,  di   dicembre  . 

Un  personaggio  di  Molière  ilice  che  niente  egua- 
glia il  tabacco,  che  il  tabacco  è  la  passione  dei  ga- 
lantuomini e  che  chi  vive  senza  tabacco  e  indegno  di 
vivere.  Quanti  non  ripeterebbero  oggi  questo  afori- 
sma? Eppure  il  tabacco  fu  introdotto  la  prima  volta 
in  Francia  come  un  medicinale,  quando  Giovanni 
Xici.t.  ambasciatore  in  Portogallo,  lo  portò  alla 
Corte  di  Caterina  dei  Medici.  L'erba  a  iveva 

le  reputazione  di  essere  «  amara,  disseccante  e 
dorè  infetto  ».  ma  dotata  ili   meravigliose  proprietà 
curative.   Pira  impiegata  contro  ogni   sorta  di  mali: 
idropisia,   ulceri,   scrofole,   e    in   tutte  le   forme,   in 
pillole,  in  sciroppi,  in  balsami,  in  ri,  e    con 

notevole,  con  felice  successo.   Non  si  dice  forse  che 
un  rimedio  nuovo  guarisce  sempre,  durante  un  certo 
■  ?... 

Ma  a  poo  a  poco  il  gusto  del  tabacco  si  diffuse 
e  invalse  l'uso  di  fumarlo  nelle  pipe.  Adottato  dai 
soldati,  dai  marinai  e  da  quelle  persone  che  in  ogni 
tempo  tanno  consistere  l'eleganza  nell'incanagliarsi, 
esso  incontrava  però  una  grave  difficoltà  per  entrare 
negli  usi  della  buona  società:  l'antipatia  di  Lui- 
gi XIV.  Il  gran  re  giudicava   il   fumo  nauseai" 

strano  ali  etichetta,  quindi  aveva  rigorosamente 
vietato  che  si  fumasse  negli  appartamenti  e  nei  giar- 
dini di  Versailles.  Chi  potè  infrangere  il  divieto  fu 
Jean  Bart.  L'aneddoto  è  famoso.  L'illustre  mari- 
naio aveva  ottenuto  un'udienza  dal  re;  ma.  i  3SI 
quest'ultimo  occupato,  dovette  fargli  tare  una  lunga 
anticamera;  stanco  d'aspettare,  Jean  bar'  tirò  fuori 
la  pipa,  la  riempì  di  tal  >  fu- 

mare. L'odore  penetrò  fino  al  gabinetto  del  re;  Lui- 
gi XIV  domanda  il  tu  mie  dell'audace  che  osa  fu- 
mare negli  appartamenti  regali,  e  gli  rispondono 
un  marinaio  il  quale  pretende  d'avere  ottenuto 
un'udienza    sovrana. 

-    Il  solo  Jean  Bart  -  n       I  XIV   — ■ 

è  capace  di  far  ciò!  —  e  ordina  che  I  pas- 

sare. 

Un'altra  volta,  a  Marly,  il  re  traversava  il  castello 
e  passava   presso  gli  appartamenti  della  duch 
di  Borgogna,  quando  avvertì  un  odore  insolito:  en- 
balordito:  la  duchessa  e  la  principessa 
del  sangue   facevano   baccano  l«  [uavite  e 

fumando   le  pipe  come  vecchi  soldati.  A  guisa   di 


(.  |  LA    LETTURA 

|uelle  illustri  dame  avevano  mandato 
.!  pi  Svizzeri  al  corpo  ili  guai 

levano  fui  vano  il  ta- 

l  B  use  rapidamenl 

sotto  il  primo   [m]  ero     Nap  ■ 

nsumò  un  numi  i  i  e  'li 

.  nei  momenti  di  collei  i 

iva. 

l'uso  'li  fumare  non  è  più  ui 

.  ma  una  vera  passione  indomabile.  Già  la 

non  a.\e\  te,  non  poteva    scrivere 

alle  l'i  >ve  di  un  dramma,  tratto  da 

,  ella  i  sa  in  una  specie  ili 

nenti  ■  dèi  teatro  vietai  a 

fumasse;    :  re  che  ella  si  destasse, 

retta,   An 
,  >  ni    111   fumava  continuamente  e  se  nel 
•  di  una  conversazione  il  tabacco  veniva  a  man- 
i,  ri.>n  parlava  più.  non  dava  più  ascolto  al- 
i    si  torceva  nervosamente  i  baffi. 
in  fumatore  fa  a  meno  del  cibo  e  'Ielle  be- 
^m  n  'lei  tabacco.  Stanlej  scoperse  in  A- 
libertà  un,    di  i  sui >i  compa- 
tti tenuto  '1. ii  selvaggi  in  una  lunga  e  dura  cat- 
tività:   le  prime  parole  che  |  ronunziò   furono 
per                 lei  tabacco,  ed  avutolo  si  mise  a  fu- 
mar'               samente,  dop  usò  a  ringra- 
e  il  suo  liberatore 

issami,  anche  questa  si  com- 
plica  con  alcum  bizzarre  manìe.   Prosp  i     Mi  rimée 
fumava  altro  che  sigarette  fabbricate  da  lui  ta- 
gliuzzando  sigari  itti  quali  nascondeva  l'orìgine  mi- 
ti   mai   «dallo  Péjissier  rifiutava    sdegno- 
ili  avana,  e  non  fumava  se  non  sigari  da 
un  soldi     I    imperati  ire  G  no  i  urna   si  mpre  la 

di  sigari  che  gli  costano  un  franco  e 
mezzo;    suo  zio    Edoardo  VII  si   fa  confezionare 
ciali  di  straordinari'  ensioni,  lunghis- 

simi .  ino  la   modesta  somma 

di  5   franchi. 

Tra  i  fini.  il  generale  Lassa 'ie, 

l'eroe  di  Wagram.  La  sua  pipa  era  gigantesca;  la 

canna  era  lunga  70  centimetri  e  un'aquila  d'argento 

ne  sormontava  il  coperchio;  egli  la  teneva  in  bocca 

iglia  e  N  non  pi  tei  a  perdo- 

1    ria.  l'n  giorno,  di  grande  1 

1  I  issalle  chiese  all'Impera- 
1        di     reggimenti  di  cavalleria 
rdia.   ■  Quando  il  generale  !.. issalle   non 
non  fumerà   più  »  :   ■ —  tale  fu  la  ri- 
rana. 
Il  tal  mmesse  e  di  re- 

rei  1860  un  fumatore  riuscì  a  fumare  50  si- 
un  abitante  di  Roubaix  ne  1 
86  in  senza  soffrirne. 

:     i'    suicidio    per 
•      di    ip/itii 
■  mia  nel  fui 
I 
h.  In  vo  nere 

lai  la  paralisi  grne- 
■ 
all'ai  '  indosi  in  gravi  ìm- 


•1   finanziar!   ed   essendo  -  0  di    fa- 

issicurò  la  vita  pi      o  moli pagnie, 

e  dii  mori  di  urimen      a  di 

consunzione.   Si  era  intossicato  a  ragii  ;6  si- 

gari al  giorno:  ne  aveva   fumato  17  mila. 

In    Francia,  durante  il    1899,  si    consumi 
37-388.479  chilogrammi  di  tabacco,  con  una  mi 
di  quasi  un  eh  na  per  abitante  con  325  mi- 

lioni d'entrata  pei  -  mo- 

desto paragonato  a  quello  degli  Olandesi  e  dei    ri 
deschi    \i  11  '    i.iro  «lio  un  abitante  di  Amsterdam 
sumi  lui   >i  I"  50  chilogrammi   di  tabarro  in  un 
I  Mirami-   l'intera    sua   vita,    un    simile   fuma- 
tore ha  consumato  due  vag  eco    I      1  i;>e 
olandesi  sono  famose:   si  no  ninnile  di  canne  n 
lunghe  e  sapienti-minte  curvate,   di    un   mostruoso 
fi  rnello  di  porcellana  capace  di  ,?o  grammi  di  ta- 
bai-i-o  e  di  un  coperchio  metallico.  Anche  in  Amei 
si  fuma  molto,  e  non  è  raro  vedere  delle  donne, 

cialmente  delle  ni  gre,  Da  I  ire  ai  lavori  domestici  con 
una  pipa  in  bocca. 

Viceversa,  il  paese  dove  si  fuma  meno  è  la  Spa- 
gna. Non  si  direbbe,  \  isti  1  che  la 
una  specie  d'istituzione  nazionale;  ma  la  cosa  si 
ga  facilmente  se  si  pensa  che.  mentre  gli  Spa- 
gnuoli  abitanti  delle  città  fumano  molto,  i  contadini 
si  ne  astengono  quasi  totalmente.  Ma  in  [spagna,  a 
Siviglia,  vi  sono  le  più  pittoresche  manifatture  di 

ICCO.    In   Andalusia   si   dice:    «  Chi    non  ha  \ 
Triana  non  ha  visto  nulla  ».  Triana  e  il  sobborgo  di 
:    1  dove  abitano  5000  sigaraie. 

Quelli  '  he  ci  danno  dei  punti,  e  che  anzi  critii 
il  nostro    modo  di   fumare,  sono  gli  Orientali.    I 
aggiungono  al  tabacco  il  san. lai",  le  foglia  di  r.  sa, 
l'oppio,    con    i   quali   mezzi    ottengono   innumerevoli 
qualità  Lnebbrianti. 

E,  per  finire,  è  il  tabacco  realmente  dannoso  alla 
salute?'  Molti  dottori   lo  ino,   e   dicono  che 

esso  e,  .ni  ime  un  alcaloide  vii  ■  nicotina,  vna 

sola  goccia  della  quale,  introdotta  nella  glandola  la- 
crimale di  un  coniglio,  lo  fulmina.  Si  cita  un  fuma- 
tore che,  consumando  una  ventina  di  pipi  al  giorno, 
perdette  la   memoria  dei   nomi    propri,  uella 

di  un  gran  numero  di  sostantivi.  Si  dice  pure  che 
la  difficoltà  di  esprimersi,  in  Napoleone  III.  pi 
nissr  dall'abusi,  del  tabacco.  Consultate  le  liste  dei 
laureati  della  Scuola  politecnica  di  Francia,  si  è- 
trovato  che  fra  i  primi  venti,  sei  soltanto  erano  fu- 
matori, mentre  dal  .(O"  al  6o°  ce  n'erano  lindi 
diciassette  dal  1  jo"  al  160°. 

Il  tabacco  non  attacca  solo  il  cervello,  ma  tutte  le 

funzioni,  l'n  medico  ''In-  esaminò  63  fumatori  dai 

66  anni,  trovò  che  \")  soffrivano  di  dispepsia, 

_•  1  d'angina  -ranni'  sa,  38  d'insonnia  abituale.  ;  di 

spini  --\   di  palpitazioni   di 

Queste  Ultime  SOnO  di    tal   natura    da   d.    -rmi- 

ina  .li  1  '  tto.  I. 'abuso  .1-  .  può  an- 

|    ... 

\l  1  in  tutti  gli  esempi  che  si  adducono,  si  tratta 
sempre  di  abusi  enormi    L'uso  ragionevoli 


Salome  nell'arte 


I  la  uno  studio  ili  Maria  Luigia  Becker,  nel  Biilnn-    unti 
Il  eli,  di  dicembre. 

Anche  prima  che  Sudermann  col  su"  Johannes, 
minai  rivelato  dal  Nani  anche  all'Italia,  venisse  a 
far  rivivere  sulla  scena  l'enigmatica  Salome,  altri 
poeti  avevano  tentalo  in  mudi)  assai  diverso  il  pro- 
blema di  quella  biblica  lìgura. 

Xel  dramma  Erodìade,  di  S.  G.  Pfaff,  pubbli- 
cato a  Cassel  nel  iSó  4,  Salome  non  è  che  uno  stru- 
mento, privo  di  volontà,  in  mano  di  Erodiade,  un 
essere  timido  e  quasi  annichilito  dinanzi  alla  pos- 
sente sua  madre.  Le  sue  grazie  giovanili  vengono 
gettate  ai  Romani  come  una  specie  di  esca.  Non  è 
torse  Salome  l'erede  del  trono  d'Israello  ?  Più  d'una 
mano  si  stende  cupida  verso  di  lei.  L'amore  di  Sa- 
lome vorrebbe  dire  un  regno.  E  quale  prova  d'a- 
more e  d'obbedienza  alla  madre,  quando  questa  l'in- 
vita a  danzare  portandole  il  reciso  capo  del  Battista. 
Raccapricciando  Salome  esclama:  «  Una  testa  gron- 
dante sangue,  quale  orrore  !  »  Ma  l'ironico  e  ridan- 
ciano trattilo  d'Erodiade:  «  Ballare  con  la  testa  del 
fosco    Battezzatore,   quale  magnifica    idea!  ». 

In  modo  già  più  poetico  e  poderoso  Max  Bruns 
fa  suo  questo  tema.  In  un  poema  storico-psicologico 
«  Il  Battezzatore  »  cerca  spiegare  la  catastrofe  di 
Giovanni  con  l'assurdo  della  sua  vita  ascetica,  peri- 
coloso specialmente  in  una  Corte  come  allora  era  l'i- 
sraelitica. Il  suo  poema  è  assolutamente  l'antitesi 
ili  quello  recente  di  Josef  Lauff  (il  noto  maggiore 
d'artiglieria  -  -  poeta  cesareo  dell'imperatore  Gu- 
glielmo) che  dipinge  Antipas  quale  un  dissoluto,  un 
debole,   vizioso  discendente  dal  grande  Erode.... 

Una  tragedia,  Salome,  scrisse  pure  l'inglese  Oscar 
Wilde.  Il  poderoso  argomento  è  tutto  concentrato  in 
un  atto.  La  nota  supersensitività  di  Wilde  ha  sa- 
puto ritrarre  con  grande  finezza  la  profonda  infer- 
mità psichica  dei  caratteri  che  come  quello  di  Salo- 
me paiono  fatti  a  bella  posta  per  lui.  Ve  una  indici- 
bile poesia,  una  profonda  bellezza  in  questo  lavoro, 
ma  anche  alcunché  di  malaticcio,  di  decadente.  E  an- 
cora più  malsane  sono  le  incisioni  che  adornali"  il 
libro.  Si  direbbe  che  Beardsley  le  abbia  disegnate 
con  mani  grondanti  sangue.  Sali  me  è  per  questi  Bri- 
tanni la  figlia  regale,  come  l'arte  e  il  sentimento 
umano  l'hanno   foggiata  da  un   millennio  e  mezzo: 

femmina  e  tigre,  danzante  sull'orlo  d'un  abiss n 

le  fiamme  nel  cuore  e  il  fremito  ai  polsi.  E'  la  pic- 
cola principessa,  simile  all'ombra  d'una  rosa  1 
in  uno  specchio  d'argento  e  «  i  cui  piedi  ■■  no  come 
bianche  colombe  e  le  mani  come  bianche  farfalle 
svolazzanti  ».  L'ama  il  figlio  del  re  siriaco,  di  cui 
il  Tetrarca  ha  fatto  uno  schiavo,  e  la  vede  ogni  dì 
e  si  consuma  di  bramosia.  Ed  ecco  nella  notte  bi- 
nare ella  viene  a  lui:  «  Mostrami.  Johanaan,  mo- 
strami colui  che  là  giù  predica  penitenza  e  di  cui  la 
ascende  dalla  vecchia  cisterna:  da  quella 
stessa  cisterna,  nella  quale  il  padre  di  Salome  sof- 
ferse e  gemette  dodici  anni  mentre  sua  moglie  Ero- 
diade  e  sua  figlia  Salome  erano  diventate  proprietà 
del  fratello.   Volonterosa  mercede  promette  la  prin 

La  Lettura. 


•  Al. II.    RIVISTE  65 

etpessa  .il  giovane  innamorato  ma...  mostrami  Jo- 
hanaan !  » 

E  cosi  il  ]  mieta  abbandona  la  ci  ,;.  rna  E  li 
nel  giardino  ,1,1  palazzo  reale  gli  si  protendono 
candide  braccia  e  la  figlia  d'un  re  gli  mormora 
ii  Io  ti  amo.  Johanaan  :  Amo  le  tue  membra  bian- 
chi come  li  neve  che  copre  i  monti  della  Giudea. 
Voglio  baciare  la  tua  bocca,  Johanaan  ». 

L'ascolta  il  giovane  siriaco  e  procombe  morto 
ai  piedi  di  lei,  mentir  ella  continua  a  gemere: 
«  Voglio  baciare  la  tua  bocca,  Johanaan!  »  Ma 
1  austero  Battista  ritorna  alla  sua  cisterna  impre- 
cando: «  Maledetta  sii  tu,  figlia  di  Babilonia!  Con 
■  une  venne  il  Male  nel  mondo!   » 

Saltellando  allora,  co'  bianchi  piedini,  nel  san- 
gue del  giovane  siriaco,  la  principessa  si  volge  al 
Tetrarca  e  implora  da  lui  la  testa  del  II. mista.  Ero 
de  inorridisce.  (  in  è  troppo  anche  por  il  Tetrarca 
avvezzo  al  sangue.  Le  offre  in  cambio  tutti  i 
tesori,  ma  invano.  E  allora  una  sete  di  sangue  s'im- 
padronisce anche  di  lui  ed  egli  ordina  la  ni.  irte  di 
lei  come  quella  del  Battista...  Se  profondamente 
drammatico  è  questo  elaborato  dell'inglese  Wilde. 
tutto  lirico  è  quello  di  Teodoro  Suse.  Come  in  un 
sogno  si  svolgono  i  suoi  quadri  :  un  luminoso  sogno 
che  diventa  sempre  più  ardente,  angoscioso,  crui 
Simile  a  Semele,  la  figlia  del  re  non  vuole  avere  per 
sposo  un  Dio  e  trovò  un  uomo:  una  profonda, 
fine  psicologia,  cui  però  manca  ogni  forza  che  scuota 
l'animo  e  lo   signoreggi... 

Anche  la  moderna  pittura  s'impadronisce  più  e 
più  sempre  della  figura  di  Salome.  L.  Corinth  ci 
mostra  la  bella  figlia  del  re  attorniala  dai  carnefici. 
Altra  donna  è  quella  di  blitz  Klcrs!  Sembra  una 
tigre,  paga  della  preda,  che  ha  conquistata  per  sé 
e...  per  la  madre!...  Caratteristico  dipinto  è  quello 
di  Gustavo  Moreau:  in  una  sala,  simile  a  un  tem- 
pio, siede  il  re  sull'alto  del  trono  bizantino;  e  sul 
tappeto,  cosparso  di  fiori,  la  figlia  del  re,  avvolta 
in  lievi  veli  indiani,  adorna  di  gemme  egiziache  ed 
.issile,   un    fior   di    loto    nella    candida  mano.    Tutti 

questi  pittori  confermar i  il  versetto:  ii    Questa 

la  donna,  che  per  me  è  Salome,  la  donna  che  è  più 
fotte  di  me  ».  A  questa  schiera  d'opere  'l'arto  appar- 
tiene anche  la  dolce  beltà  slava  del  noto  quadro  di 
Muchas.  Pochi  dominarono  il  loro  tema  e  di  quei 
pochi  fu   latticelli. 

i  ' r  un  pud-io "i ■  Li  sua  s.i  li  'mi- 
Fredda,  cupa,  spietata,  sciente  delle  crudeltà  che 
commette,  sciente  anche  dell'onnipotenza  della  ma- 
dre sua... 

E  infine,  ciiiin    mai  le  donne  inti  i  no  qui  Ila 

donna,  quell'essenza  del  peccato  Nell'Esposizioni 
di  Parigi  v'era  una  Salome  della  norvegese  Frida 
Hansen,  una  delle  più  insigni    donne  ed  artiste 

:   tempi.    Ignuda,    a    mala   pena  circonfusa  di 
veli,   un  bianco  corpo   luminoso   in  tutto   1"  spi 

dure   della   nordica   giovinezza,   Sta    inghirlandai. 

fii  li.  fra  le  donne  dalle  magnifiche  vesti  variopinti 

M  i   nes  luni  i  fi  irse    I  rasi,  rmò    in    noi  Pimmag 
di  Salome  come  la  tragedia   di  Sudermann.   La  bal- 
lale peccatrice,  odiatrice  e  tornirli  ;sa,      fatta  per  lui 
la  donna  innamorata  e  spregiata. 

5 


MI. 


LA    III' 


Un  seminario  di  domestici 


-!.,1   5  liuti- 

liste  a  Bei  I 

i  del 

[egli  allievi  è  molto  \  aria  :  molti 

stituto  subito  dopo   la  cresima,  altri 

i       :     inducono 
-i-  d'istruzi  ne,  i  he 
un  pane  modesto  ma  più  sicuro  che 
rum  , jiiL-llo  'li  molte  altre  professioni.  Adesso,  pei 
i  ro  che  si  guono   que'  «  <"<  >rsi  i  vi 

hanno  anche  vari  commessi,  uno  scritturale,  un  far- 
macista I 

Naturalmi  ninando   il  programma   d'uno 

ili  q  -',  non  si  possono  trovare  tanto  delle 

•  materie-  •  facili  •<  difficili  quanto  delle  «  grosso- 
lane» e  delle  «tini».  Tra  le  più  grossolane  è  forse 
la  puli/ia  della  casa,  delle  vesti,  degli  utensili; 
la  più  fine  l'insegnamento  pi  l  rancese  e  del- 

l'indir- .    Complessivamente   la   scuola  conta    ven- 

I      o   gli   allievi   intenti    ai    vari  rami   di   pulizia, 
('hi   lustra  scarpe,  ehi   p  ni  sin-  e  velocipedi  ; 

altri  imparano  a  rifare  terso  e  lucente  un  fucile  da 
:  altri  ancora  hanno  innanzi,  quali  proble- 
mi di    pulitura,    lampade,    portelli  da  stufa,   arredi 
milil  e,  bicchieri.    Naturalmente  all'arte  del 

lucidare  i  parquets  ciato  un   posto   distinto, 

Dei       professori  >■   specialisti    insegnano  ai  futuri 
he  i  loro  padroni,  per  quanto  viag 

e  male:    i  migliori 

mi  pratici   per  impaccare  la  roba,  per  metterla 

nelle  \  al;L 

I.a  parte  più  insigne,  diremo  così,  delle  faccende 

d'un   don  i tu  Ila   di 

servire  .i  tavola  La  --cuoia  l'insegna  in  tutti  i  suoi 

particolari,    praticamente.    Quattro   scolari    siedono 

a  mensa:    fanno  la   parte  dei  «  signori  ».   Due 

iina  e  elianti   bianchi,   servono.    L'uno 
-ii  un  vei  liana  un  pesce, 

ahimè,  di  carti  ne!   I     Itro   •  trsa,   da  una  boti 

i   I  |      nessun     elltU 

■    -    Ma   devono  aver   ; 
I  loro  colleghi  in  funzione  devono  imparare  come, 

he.      i 
VI   I-  UHI    il 

viti"  M  .   i   liquori:    tutte  delizie  ga- 

tte dal   cartoni 

•ne  inservienti 
e  <  -ano  anche  le'  più  ni  ce- 

suali  modi  ili  dire  francesi  ed  inglesi. 
in:    la  fantasia  del 
mi    in  cui  pos- 
I  tarsi  ad  una  si- 
gnora |«-r  tre-  portarle  una  lettera, 
un  mazzo  di  t  npagnare  in  viaggio 

un  i  ■■  mentale  o  tppia 

ve    annui 
le  ..lutare,     inchi- 


narsi ,   aprire   porte,    usci    e    sportelli,    e    cosi  via 
i  ia. 
Molti  de1   suoi  scolari  —  questo  è  il   vanto  del 

direttore  sono    già    siati    spediti   anche   in    Fran- 

cia, in  Inghilterra,  in  balia,  in  Russia.  V vette Guil- 

bert    e   andata   a    quella,   singolare    ina    Utile,    scuola 

a  cercarvi  un  domestico  per  la  sua  villa  di  Parigi. 


Donne  giornaliste 


In    Inghilterra    molte  donni  strette    a    re- 

stare senza  manto  e  a  cercarsi  un'altra  occupazione. 
■nudismo  è  l'unica  professione  per  la  quale  si 
crede  che  non  occorrano  tirocinio  prelimi- 

nari: e  quindi  le  donne  inglesi  provano  facilini 
il  desiderii i  di  abbrac  tarlo. 

Ma  la  signora  Lowndes  pone  sull'avviso,  neH'£fl 
glish  Illustratili  Magatine,  le  sue  connazionali: 
per  una  ragazza  è  puh  pericoloso  abbracciare  il  . 
nalismó  che  un  giovanotto,  specialmente  se  non  è 
fornita  ili  una  bella  dote  che  le  permetta  di  vivere 
qualche  anno  senza  stipendio.  Anzi  l'articolista 
suggerisce  alle  sue  giovani  amiche  che  vogliono  ar- 
ricchirsi con  la  penna,  di  viaggiare  prima  per  tre  0 
quattro  anni  all'estero.  Gli  inizii  della  carriera  si  no 
assai  più  difficili  di  quanto  non  si  possa  SUppoi 
i  guadagni  non  sono  molto  lauti:  ciò  non  impedisce 
i  Londra  si  siano  già  fondate  due  associazioni 
per  le  donne  giornaliste.  Anche  le  migliori,  che  ora 
fanno  parte  delle  più  importanti  redazioni,  hanno 
incominciato  Col  mandare  qualche  corrispondenza 
da  una  città  di  provincia  a  un  modesto  giornale.  II 
successo  delle  giornaliste  non  è  sempre  eguale:  un 
tempo  si  apprezzavano  assai  le  spécialiste:  ora  sono 
in  auge  quelle  che  sanno  adattarsi  ai  vari  generi 
richiesti. 

La  guerra  è  stata  fatale  alle  donne:  nel  iqoo  i 
mali  erano  saturi  di  materia  militare,  e  la  colla- 
borazione femminile  era  spietatamente  respinta. 
Le  dmine  si  posero  a  studiare  gli  argomenti  guer- 
reschi, i  il  scrivere  scene  di  eroismo:  ma  quando 
impararono  a  toccare  il  tasto  bellicoso,  i  lettori  ave- 
vano già  le  orecchie  intontite  e  non  ne  volevano  più 
sapere. 

Quasi  tutti  i  grandi  giornali  londinesi  hanno  una 
donna  in  redazione,  e  non  già  per  gli  articoli  di 
moda  o  di  argomenti  domestici,  ma  per  i  servizi  più 
importanti,  quali  sarebbero  i  colloqui  con  gli  uomini 
usa  che  questi  devono  mostrarsi  più 
cortes  n  una   signora.  La  più  nota 

.    miss   Billington,  redattrice  del  Daily  Telegrafo. 
Lino  a  poco  tempo  fa  miss  Flora  Shaw  redigeva  la 
parte  coloniale  nel  Times:  miss  Friederichs  tratta 
perfino  la  politica  nella  liberale   Westminstet 
tette.  La  s  I  Irawford  è  la  corrispondente  pari- 

gina del  Daily  News:  e  ni'  londinesi 

sono  con  dei  giornali  del  continente. 

L'articolista   dà   molti    consigli    alle  sue    ipovani 
colli  li  altri  ve  n'ha  di  curiosi.  Ella  li  esorta 

a  studiare  la  legge  sulla  diffamazione,  e  a  non  im- 
portunar tropp  ■  subito  pagate. 


DALLE    KlYKi  | 


I  negpi  in  America 


i  Da  un  articolo  di  F.  E.  Osthaus,  nella   Weite   ÌVelt). 

Teodoro  Roosevelt  ha  dato,  ancora  una  volta,  oc- 
casione a'  suoi  amati  compatriotti  dì  scrollare  la  te- 
sta, stupefatti  e  malcontenti.  Come  si  sa,  ha  trattato 
proprio  come  un  suo  simile  il  negro  Booker  T.  Wa- 
shington, presidente  della  scuola  industriale  ed  a- 


Un  negro  d'America. 


gricola  di  Tuskeger  nell'Alabama  ed  anzi  lo  ha  per- 
sino invitato  alla  sua  tavola  nella  Casa  Bianca  !  Mai, 
prima  d'allora,  un  cittadino  «di  colore»,  un  negro, 
aveva  messo  i  suoi  piedi  sotto  il  desco  della  Casa 
Bianca,  che  per  l'americano  è  qualche  cosa  di  sacro 
ci  ime  il  Kremlino  per  i  Russi.  L'avvenimento,  quando 
fu  noto,  destò  pertanto  il  maggior  stupore  e,  special- 
mente ne'  vecchi  Stati  schiavisti  del  Sud,  anche  la 
maggiore  indignazione.  Il  senatore  Tillmann,  della 
Carolina  settentrionale,  si  sfogò  persino  esclamando 
che:  «in  seguito  a  questo  fatto,  noi  del  Sud  saremo 
costretti  ad  ammazzare  centinaia  di  negri  affinchè 
non  dimentichino  la  parte  che  spetta  loro!  »  Addi- 
rittura ! 


"7 

Que       bufera,  di  cui  fu  innocente  cagione  quel 
l"  dagogo   nero,   e  questi  pii  desi. Ieri  del 

no  caratteristici  per  la  situazione  che,  negli  Stati 
Uniti,  è  fatta  ai  negri.  Malgrado  il  famoso  i 
tordicesimo  emendamento  alla  Costituzione  fedi 
approvato  nel  1864,  durante  la  guerra  civile,  e  he 
conferisce  ai  negri  i  pieni  diritti  di  cittadini  degli 
Stati  Uniti,  e  benché  anche  per  quelli,  suoni  la 
boante  frase  della  Costituzione:  «  Tutti  gli  uomini 
sono  uguali,  tutti  nascono  liberi  »,  ben  poco  e 
vedere  di  questa  eguaglianza  per  i  a  fratelli  »  di 
e  lore;  specialmente  nel  Sud  i  bianchi  difendono  il 
loro  predominili  con  ugni  mezzo,  ma  specialmente 
col  fucile  e  la  rivoltella.  Per  mantenere  questa  su- 
premazia i  bianchi  cercano  pure  di  conservare  i 
negri  nella  loro  ignoranza.  E  si  capisce!  Gli  S'ali 
del  Sud  hanno  decretato  che  soltanto  coloro  che 
sanno  leggere  sono  ammessi  al  voto  elettorale.  Que- 
gli Stati  perciò  non  istituiscono  scuole  per  i  negri 
e  non  li  ammettono  nelle  scuole  de'  bianchi!  Che 
giovano  allora  l'Università  per  i  negri,  istituita  dai 
Vanderbilts  ''  (  'he  l'Istituto  scolastico  di  Bunker  Wa- 
shington? Soltanto  pochi  possono  approfittarne,  men- 
tre la  grande  massa  cresce  nell'ignoranza,  degna  dei 
«  buoni  tempi  »  della  schiavitù. 

Nelle  grandi  città,  specialmente  del  Nord,  è  prov- 
veduto un  po'  meglio  all'istruzione  de'  negri.  A 
Nuova  York,  per  esempio,  le  scuole  comunali  son  < 
organizzate  nel  medesimo  modo  per  i  neri  rome  per 
i  bianchi,  e  sono  loro  annessi  de'  giardini  infantili 
alla  Frobel.  Ma  anche  a  Nuova  York  le  scuole  per 
i  bianchi  sono  completamente  divise  da  quelle  dei 
neri  ed  ivi  pure,  come  persino  nell'intellettuale  Bo- 
ston,  il  negro  è  considerato  come  un  cittadino  di  se- 
conda classe.  Ivi  pure  i  neri  non  devono  metter 
piede  nelle  taverne  e  ne'  restaurants,  dove  bazzi- 
cano i  bianchi  ;   nessun  albergo  li  accetta  ;   ne'  treni 

1  roviari  sono  loro  riservati  speciali  vagoni.  Sul  pal- 
coscenico li  tollerami,  come,  per  esenipiu,  nel  relè 
lire  «ballo  delle  offelle»  nel  Madison  Square  Gar- 
den; ma  tra  gli  spettatori  non  possono  sedere  che 
all'ultimo  posto,   nella   piccionaia. 

La  danza  delle  offelle.  rosi  detta  perchè  la  coppia 
vincitrice  è  ricompensata  con  una  ofrella,  è  un  ri- 
cordo dei  tempi  della  schiavitù.  Non  è  un  ballo  ton- 
do come  i  nostri.  Le  coppie  scivolano,  piuttosto,  sul 
podio  o  nella  sala,  formando  ogni  fatta  di  bizzarre 
figure.  E  il  premio  spetta  a  quella  coppia  che  sa 
muoversi  in  modo  più  elegante  e  grazioso. 

Chi  vuol  conoscere  la  vita  del  negro  americano 
lo  cerchi  però  nel  Sud,  negli  Stati  ex-schiavisti.  Ivi 
lo  si  vede  ancora  come  la  natura  lo  ha  ereato  e  come 
le  tristi  condizioni  di  quei  tempi  lo  hanno  fatto: 
pigro  ed  ignorante,  innocuo  sinché  in  lui  non  si 
desta  la  bestia,  ad  un  tempo  bambinesco  e  crudele, 
cristiano  ma  pieno  di  superstizioni,  sobrio  e  sem- 
pre allegro,  straordinariamente  desideroso  di  piac  ri 
e  .li  sfoggio.  S'incontrano  a  migliaia  le  nere  che, 
sullo  porte  delle  loro  capanne  e  Con  tanto  di  pipa 
in  bocca,  si  scaldano  al  sole.  Esse  sono  contenti 
contenti  sono  [ture  i  loro  uomini,  se  possono  a 
ogni  giorno  il  loro  piane  di  granoturco  e,  'li  tratto 
in  tratto,  un  pezzo  di  carne  de'  loro  maiali,  detti,  per 


68 


LA   i  i  i  ; 


la  loro  ii  a  rasoio  ».  Se  | 

man  ha  ammazzato  un  possum,  il  gr 

1  lon>  giubilo  non  ha  confine,  perchè 

|kt  w\  possum  con  patate  dolci  non  c'è 

non  sua  primogenitura.  Assolutamente  ne- 

felicità  è  però  il  Bandanna,  la  ]  ez 

he  le  donne  cingono  intorno  ai 

loro  capelli  lanosi  e  la  pipetta  o  il 

.ioni  >'.  Tanto    per   variare,  la  m 
ta  entro  a 
in  polvere  e   «li   sciroppo  e  si 
amalgama  dietro  i  denti  ;  e 
anche  più  d'una  donna  bianca  che  ci  prende  gusto! 
Naturalmente,  ri    sono  anche  delle  eccezioni.  Vi 
hanno  dei  negri,  che,  grazie  alla  loro  attività  e  alla 
tena  I  itti  agiati,   anche   milionari. 

cialmente  da  quando  l'industria  ha  fatto  il  suo  Mi- 
niai. •  negli   Stati  del  Sud  e  le  filature  di 
i    pullulano  come  lunghi.  In  queste  fabbriche 


le  giovani  negre  trovani  da,  non  troppo  ta- 

ioni  ;  e  per  lo  più  som  i  sane  e  n  'bu- 
ste, temperate  ed  ,  mpre  pronte  alla  celia. 
Queste  operaie  sono  anche  quelle  che  megli' 
vano  le  tradizioni  della  canzone  pop  rica- 
na,    la  canzone    delle   |                ni,  di    cui    Anti 

tte   le  migliori. 
Booker  T.  Washing  forse  il  più  rep 

però  una  prova  vivente  che  an- 
che di  cultura.  Ex-schia- 
appropriarsi,  attraverso  inaudite  dif- 
m.  i  tesori  della  sapienza  e  nel  mondo  scienti- 
gode  di  tale  fama  che  l'Università  di  Yale,  in 
occasione  del  proprio  giubileo,  lo  nominò  - 
al  Presidente  degli  Stati  Uniti,  al  diplomatico  giap 
ponese  Ito  e  ad  altri  uomini  di  Stato  e  dotti  d'i 
parte  del  mondo    -    suo  dottore  onorario. 

Pi      i  esser  facilita'  molti  altri  suoi 

fratelli  di  razza  e  di  sventura  di  seguirne  I 


Una  negra  d'America. 


DALLE    RIVIS  i  I 


Un'inehiesta  sulle  Forze  occulte 


Uh  grande  giornale  parigino,  il  Matin,  ha  inca- 
ricato un  suo  redattore,  Giulio  Blois,  di  compiere 
un'inchiesta  sui  misteriosi  fenomeni  dello  spiriti- 
smo, dell'occultismo,  della  seconda  vista,  ecc.  ;  e  il 
Blois  ha  iniziato  il  suo  lavoro  recandosi  nel  Belgio, 
dove,  sotto  la  guida  del  cittadino  Foccroule,  diret- 
tore del  Mcssagcr,  giornale  spiritista,  è  andato  a 
visitare  un  villaggio  «spiritico».  Il  Foccroule,  che 
sta  a  Liegi,  ha  cominciato  col  dirgli  che  un  quarto 
dei  Liegesi  sono  spiritisti,  quantunque  la  maggior 
parte  di  loro,  avvocati,  giudici,  impiegati,  nascon- 
dano la  loro  fede  e  si  facciano  mandare  il  Messager 
fermo  in  posta,  con  le  semplici  iniziali  per  tutto  in- 
dirizzo; nondimeno  Leone  Denis,  il  grande  apo- 
stolo dello  spiritualismo,  ha  ottenuto  di  tenere  le 
sue  conferenze  dinanzi  a  un  migliaio  di  persone: 
la  moglie  del  Foccroule  scrive  lei  stessa  le  fascette 
degli  inviti  e  sua  figlia  impacca  i  libri  di  propa- 
ganda, per  zelo  alla  causa. 

Il  villaggio  spiritista. 

'  A  Poulseur,  il  villaggio  degli  spiritisti,  Giulio 
Blois  e  il  suo  cicerone  entrarono  in  una  piccola  lo- 
canda tenuta  da  una  cugina  di  quest'ultimo,  spiri- 
tista naturalmente  come  lui.  Si  presentò  ad  essi  una 
donna,  la  vedova  di  Giuseppe  Leruth,  apostolessa, 
la  quale  li  condusse  in  una  casetta  molto  pulita, 
ornata  del  ritratto  di  Allan  Kardec.  Mentre  gli  «  al- 
tri »,  cioè  i  cattolici  sono  alla  messa,  gli  spiritisti 
ordinano  la  loro  processione:  la  figlia  della  Leruth 
aiuta  la  madre  a  tirar  fuori  la  bandiera,  nella  quale 
si  leggono  questi  motti  :  «  La  morte  è  soltanto  la 
fine  di  una  delle  nostre  tappe  verso  il  meglio  »  — 
«  Temere  la  morte  è  disconoscerla  »  ;  sull'asta  c'è 
uno  scudo  dove  è  dipinta  una  mano  che  tiene  una 
fiaccola,  con  la  leggenda  :  «  Verso  Dio,  per  mezzo 
della  scienza  e  della  carità  ».  Il  corteo,  composto 
di  donne,  di  fanciulli,  di  operai,  un  centinaio  in 
tutto,  si  avvia.  La  Leruth  narra  al  giornalista  che 
ella  era  cattolica  prima  di  divenire  spiritista,  e  che 
ruppe  con  la  religione  quando  il  curato  ricusò  di  con- 
fessar lei  e  suo  marito. 

Intanto  il  corteo  arriva  al  tempio  spiritico , 
posto  vicino  alla  chiesa  cattolica,  fra  il  cimitero  e 
la  Casa  del  Popolo.  E'  un  edifizio  più  alto  degli 
altri,  con  un  tetto  acuto  che  pare  un  campanile. 
C'è  dipinto  un  occhio  nel  vertice,  con  due  motti  : 
«  La  sola  fede  incrollabile  è  quella  che  può  guar 
dare  a  faccia  a  faccia  la  ragione  in  tutte  le  età  del 
genere  umano  »  e  «  Nascere,  morire,  rinascere,  pro- 
gredire senza  fine,  tale  è  la  legge  »  :  questa  se- 
conda  frase,  che  riassume  l'evangelo  di  Allan  Kar- 
dec, si  legge  anche  sulla  sua  tomba,  al  Pere  La- 
chaise. 

Il  presidente,  Leone  Foccroule,  cugino  del  cice- 
rone ,  prende  posto  siili'  unica  poltrona.  «  Preghia- 
mo! »  dice.  La  signorina  Leruth  apre  un  libriccino 
e  legge  un'invocazione  al  «  Dio  clemente  e  miseri- 
cordioso  che  permette  il  commercio  col  mondo  spi- 
ritico per  il  nostro  progresso  »,  e  supplica  che  I 


69 

allontani  «  gli  spiriti  leggeri  e  beffardi  ».  11  tempio 
è  tutto  pieno  d'iscrizioni  sul  gusto  di  quelle  rife- 
rite; una  carta  astronomica,  una  stufa,  una  tavola 
dì  legno,  un  campanello,  e  dei  plìants  formano  tutto 
il  mobilio.  Il  cicerone  dice  al  giornalista:  ■<  Aveva- 
mo una  volta  un  Crocefisso  sul  busto  di  Allan  Kar- 
dec, ma  l'abbiamo  sostituito  con  un  Gesù  magnetiz- 
zatore», cioè  con  una  cromolitografia  rappresentante 
('risto  che  guarisce  il  paralitico. 

La  folla  dei  fedeli   intona  un   cantico  d'una    I'  ri 
tezza  snervante,  che  è  stato  dettato  dagli  spiriti,  mu- 
sica e  parole: 

Heureux  celili  qui  croit, 
Heureux  qui  marche  droit, 

Dans  tes  chemins  ; 
Aussi  toujours,  Seigneur, 
Règne  dans  notre  coeur, 
Car  notre  vrai  bonheur 

Est  dans  tes  mains! 

Molte  bambine  cadono  in  estasi,  una  cambia  di 
personalità  e  racconta  con  un  filo  di  voce  l'avven- 
tura di  una  fanciulletta  smarritasi  nei  boschi  ;  nel 
«  i  di  un'altra  giovanetta  caduta  in  estasi  un  al- 
tro spirito  narra  la  storia  di  una  nobile  dama  mu- 
rata nel  suo  castello;  altre  fanciulle,  medium-scrit- 
trici, sono  agitate  dal  delirio  grafomaniaco,  e  scri- 
vono la  storia  di  donne  morte,  battute  in  vita  dai 
mariti  ubbriaconi...  Così  passa  l'ora,  in  un  turba- 
mento mezzo  religioso  e  mezzo  magnetico.  Una 
nuova  preghiera  per  gli  «  spiriti  penanti  »  chiude 
la  seduta.  La  porta  si  apre,  la  signora  Leruth  ri- 
prende la  bandiera,  e  il  corteggio,  uscendo  per  le 
vie,  intona  il  canto  della  Risurrezione: 

Nous  mourrons,  mais  pour  renaitre 
La  vie  n'est  qu'un  doux  sommeil... 

11  guaritore  Luigi  Antoine. 

In  un  secondo  articolo,  Giulio  Blois  narra  la  vi- 
sita fatta,  nel  villaggio  di  Jemappes  sulla  Mosa, 
a  Luigi  Antoine,  che  i  nemici  dello  spiritismo  chia- 
mano «il  Ciarlatano»,  e  che  i  credenti  onorano 
col  nome  di  «  Guaritore  ».  Anche  in  questa  visita  il 
giornalista  è  guidato  dal  Foccroule,  il  quale  venera 
PAntoine  come  un  santo.  I  due  arrivano  dinanzi  a 
una  casa  che  sembra  un  edifizio  pubblico,  una  cli- 
nica o  la  sede  municipali-  di  un  paesi'ttu  I  a  porta 
è  aperta;  nella  sala  d'aspetto  stanno  molte  clienti, 
di  tutte  le  età,  di  tutti  i  tipi  sociali;  la  mai:. 
parte  tengono  in  collo  i  loro  bambini,  per  i  quali, 
e  non  già  per  loro  stesse,  sono  venute  a  chiedere 
l'opera  del  mago.  Foccroule  introduce  il  giornalista 
mila  camera  molto  povera  e  quasi  nuda  di  que- 
st'ultimo. E'  un  microcefalo,  coi  capelli  cortissimi, 
la  barba  di  un  giorno  e  una  tinta  l  su  tutta 

la  persona:    parla  con   difficoltà,  o  perchè  il   Fi 
cese  non  gli  è  familiare  o  perch  >o.  «  Si  u 

sate  »,  dice  al  reporter,  credendo  che  questi  sia  un 
ade]'  te,  ma  io  non  potrò  rispondervi 

za  prima  aver//)  consultato.    Non   faccio  nulla    sei 
ili  Lui  ».  Lui  è  la  guida  misteriosa  dilla  quale  non 
liene  il  nome:  talvolta  crede  che  sia  l'anima 
del  curato  di  Ars.  tal'altra  quella  del  dottor  Demeu- 


/ 


I  ' 


LA    LETT I 


cui  ritratti  a  matita  pendono  alle  | 
canto  ad  alcuni  cartelli  contro  l'alcoolismo.  ■  / 
mi  appare  ».  .   dopo  che  l'Essi  re  tri 

pronunziato  favorevolmente  al  nuovo  ve- 
nuto, ■  come  una  nube  luminosa  quando  io  riusci- 
.  ma  quando  chi  viene  a  me  non  ha 
la  fi  nia  guida  se  ne  va  ed  io  lo;  e 

da  si  Ed  a  richiesta  del  gior- 

nalista  risponde  che  è  magnetizzatore,  ma  che  il  per- 
venuto quando  ha  acquistato  la 
fede  quella  che  guarisce.  Se  crediamo 
che  cesseremo   d'essere  infermi,    la  malattia   se  ne 
E  narra  che  era  o]  minatore,  e  quando 

tornava   a  casa  la  sera,   il  ricordo  'li  tutte   le 
tille   della    fucina    .  va    negli  occhi.  «  Nella 

notte,    mentre  dormivo,    somigliavano  alle   stelle. 
Me  stelle  mi  dicevano:  \    olta  bene,  Luigi 

line,  e  comprendi.  Il  fuoco  della  fucina  rende 
il  ferro  malleabile,  e  allora  l'uomo  ne  fa  ciò  che 
vuole.   L'anima  tua  è  un  fuoco  anch'essa.  Noi  le  da 

ire  la  materia  e  la  carne 
degli  altri  uomini,  e  i  sordi  udranno  e  gli  zoppi 
cammineranno....  » 

Entra  una  madre  con  un  bambino  che  ha  le  gam- 
be storte  e  il  corpo  coperto  'li  macchie  rosse.  Luigi 
Antoine  impone  le  mani  su  quelle  povere  membra 
sformate:  il  piccolino  trasalisce  di  tratto  in  tratto 
come  per  un  bruciore.  Poi  il  taumaturgo  gli  ordina 
di  camminare,  di  correre,  e  quello  cammina  infatti 
•rre  con  le  gambette  in  convulsione.  Realmente 
sta  meglio,  ride,  salta  nelle  braccia  di  Antoine; 
non  che  sia  guarito,  ma  è  come  elettrizzato. 

uno  insulto  sul  cibo  da  dare  ad  uno  zoppo. 
Ant'  i>:sce  la  carne  suina,  permette  soltanto 

le  patate  col  burro,  senza  grasso.  Questi  particolari 
culinari  sono  ascoltati  religiosamente,  come  se  uscis- 
sero dalla  bocca  di  un  Dio. 

Poi  viene  una  vecchia.  Antoine  le  tocca  la  fronte. 
e  dopo  un  minuto  pronunzia  la  sua  diagnosi.  Ad 
ogni  sintomo  che  egli  enumera,  l'inferma  esclama: 
•  Proprio  così!....    E'  proprio  così!...  » 

Il  giornalista,   prima   di  rsi,  domanda  al 

mago  che  cosa  pensa  dei  medici.  Egli   non  ne  dice 
nulla  di   male    ■    Velie  malattie  essi  curano  gli    ei 
fetti  ;  io  bado  alle  cause.  Essi  hanno  firmato  in  cen- 
tocinquanta   una   petizione  contro   di   me:    la  mia 
missione  è  loro  d'impaccio.  Sono  stato  condannato 

però  a  pochi   franchi,  ed  anchi latamente. 

on  chiedo  denaro;   i  non 

distribuisco  r  proil  lirmi  ?...  » 

giornalista  se  ne  torna  a  Liegi,  pensando  a 
ciò  che.  prima  di  morire,  scrisse  Charcot,  lo  stu- 
dioso   dell'ipnotismo,    in    un    articolo   intitolato    /  a 

Quel  geniale  osservatore,  1- 
ma'  mandava  a    Lourdes  gl'infermi    • 

«priva  la   facoltà  di  • 
I       fede  non  solleva  soltanto  le  montagne  ;   può  an- 
che rendere  la  salute,  perchè  è  una  se.  reta  soi 
della   vita.   Un   altro  scienzia  'e, li-  allo  spiri- 

chimico  Guglielmo  Crookes,  ha  pure 
scritto:  •  Qualunque  siano  i  meriti  della  medicina 
attuale,  tutto  quel  che  essa  può  fare  •■  il  ridestare 
nell'infermo  ciò  che  chiamerei   vis    medie atrix,  vuol 


'ine  la  forza  di  guarirsi,  o  meglio  la  volontà  di  vive- 
ie.  Nessuno  pertanto  guarisce  nessuno,  ma  l'amma- 
lai', si  guarisce  da  sé,  e  il  medico  non  è  stato  altro 
che  un  aiuto,  colui  che  ha  ridestato  la  vis  medicotrix 
assopita  ». 

Gli   occultisti. 

Continuando  la  stia  inchiesta,  il  Blois  narra  d'a- 
vere incontrato  a  Parigi  il  dottor  Papus,  capo  de- 
gli occultisti.  E'  corpulento,  ma  svelto;  ha  una 
bella  barba  assira  e  occhi  sfolgoranti  e  CU])'!  ad  un 
tempo.  E'  laureato  in  medicina,  ha  passato  undici 
anni  negli  Ospedali  di  Parigi  e  il  suo  vero  non 
l  asse.  Chiestogli  come  fosse  arrivato  ad  ammet- 
tere la  telepatia,  la  fotografia  dell'Invisibile,  ecc., 
il  redattore  del  Maini  ne  ebbe  queste  risposte: 

o  Non  vi  enumererò  le  prove  psicologiche  che 
ogni  giorno  fortificano  le  mie  idee:  scomparsa  di 
tutte  le  cellule  materiali  del  corpo  in  meno  di  sette 
anni,  come  risulta  dalle  esperienze  di  Flourens  ; 
morte  di  ogni  cellula  nervosa  dopo  la  produzione 
dell'idea,  secondo  Claudio  Bernard;  battimenti  rit- 
mici di  alcune  cellule  del  mesoderma  che  costitui- 
ranno il  cuore  prima  della  nascita  dei  filetti  ner- 
vosi, ecc.,  ecc.  Partendo  dal  materialismo,  i  i 
essere  stato  un  ardente  difensore  del  darvini 
sono  arrivato  a  poco  a  poco  a  credere  che  l'evolu- 
zione rappresenti  solo  la  metà  d'un  ciclo  ben  co- 
nosciuto dagli  antichi.  Ho  preso  gusto  ai  libri  degli 
alchimisti,  e  oltre  la  medicina  contemporanea  ho 
studiato  l'antica  scienza  ebraica,  ho  imparato  l'e- 
braico ed  ho  tradotto  il  Sefer  Jesirah.  Ho  compreso 
che  i  moderni  non  conoscono  nulla  deli  i  an- 

tica, ho  voluto  vendicare  quest'ultima  e  così  sono  stato 
condotto  alla  spiritualismo  scientifico.  Sui  cadaveri 
delle  sale  anatomiche  ho  venerato  le  tradizioni  zin- 
garesche sui  rapporti  tra  le  linee  della  mano  e  l'età 
della  morte.  Ho  frequentato  i  laboratori  dei  dottori 
e  degli  scienziati  e  vi  ho  fatto  esperienze  preziose  e 
concludenti  sui  fenomeni  di  transfert  ipnotico,  sui 
fatti  di  esteriorizzazione,  sulla  fotografia  dell'Invi- 
sibile. Sono  così  arrivato  sperimentalmente  alla  cer- 
tezza della  continuità  dell'esistenza  dopo  la  morte 
fisica,  ed  a  conclusioni  grazie  alle  quali  si  uscirà 
dalla  fede  ingenua  imposta  dai  vari  cleri  per  affer- 
mare l'esistenza  di   esseri    invisibili  e  la   missione 

divina  di  ('risto.  Gli  Occultisti  sono  riuniti  in  gruppi 
che  si  danno  la  mano  per  combattere  il  material 
ateo.  Nei  Congressi  del   i88oedel  igoosi  sono  tro- 
vati insieme  i  delegati  di   più  di  40  mila  aderenti. 

Vbbiamo  120  giornali  e  riviste  in  tutte  le  lingue. 
D'accordo  sulla  sopravvivenza  dopo  la  morte  e  sulla 
possibilità  della  corrispondenza  tra  il  mondo  visibile 
e  l'invisibile,  alcune  scuole  differiscono  soltanto  sulla 
quistione  della  re  incarna/ione,  quantunque  la  mag- 
gior parte  degli  Europei  sia  per  l'affermativa.  La 
de  differenza  Ira  noi.  occultisti,  e  gli  spiritisti 
.'■  una  semplice  quistione  di  metodo:  noi  procedia- 
mo per  eliminazione.  \jn  spiritismo  si  pu..  sin 
da  solo,  con  l'aiuto  di  qualche  libro;  per  il  magne- 
tismo occorre  un  anno  di  studio  alla  scuola  spe- 
ciale;    per    essere  ammessi    nelle   scuole  OCCull 

■      rre  una  più   seria   prepara/ione.    Voi  distingui.!- 


ALLF    RIVISTE 


mo  tra  i  professionisti  e  i  dilettanti,  e  vogliamo  for- 
mare dei  critici  istruiti,  capaci  ili  analizzare  un  fatto 
di  ossessione,  di  svelare  gli  artifizi  di  un  medium  e 
di  decifrare  i  manoscritti  ebraici  e  sanscriti.  Al 
num.  4  della  via  di  Savoia  è  la  sede  della  nostra 
Scuola  superiore  libera  delle  scienze  ermetiche.  I 
corsi  principali  abbracciano  lo  studio  delle  forze 
psichiche,  dei  fenomeni  di  magìa,  di  magnetismo  e 
di  spiritismo  ;  più  le  tradizioni  religiose  e  filoso- 
fiche e  gli  elementi  dell'ebraico  e  del  sanscrito.  Nei 
a  rei  pratici,  si  studia  la  psicometria,  cioè  l'impres- 
sione nell'Invisibile  delle  immagini  degli  esseri  e 
delle  cose,  e  si  compiono  gli  esercizi  della  preghiera 
che  noi  consideriamo  come  superiore  alla  magia. 
Abbiamo  sette  professori  titolari,  tra  i  quali  Sedir, 
il  dott.  Rozier,  Schin,  Phaneg,  Selva  e  Saturninus  ». 
Richiesto  se  la  professione  di  occultista  è  rimu- 
neratrice,  Papus  ha  risposto  negativamente,  dicendo 
che  spesso,  anzi,  gli  occultisti  rimettono,  nella  ri- 
cerca dell'anima  umana,  le  loro  economie.  Egli  è 
però  sicuro  che  la  scienza  di  domani  preciserà  le 
forze  psichiche  come  quella  di  ieri  ha  precisato  le 
fisiche,  e  negli  spiritisti,  nei  magnetizzatori,  nei 
teosofi  o  cabalisti  cristiani  vede  altrettanti  franchi 
tiratori  che  mettono  insieme  i  fatti  ai  quali  le  acca- 
demie daranno  più  tardi  la  cittadinanza  scientifica. 

Gii  spiritisti. 

L'autore  degli  articoli  che  qui  riassumiamo,  narra 
poi  d'aver  parlato  a  Roma  con  monsignor  Battendier 
reduce  da  un  viaggio  di  studio  presso  gli  spiritisti, 
i  teosofi,  ecc.  Interrogato,  il  monsignore  rispose  che 
il  protestantismo  non  è  più  causa  d'inquietudine 
alla  Chiesa,  ma  che  essa  considera  lo  spiritismo  co- 
me veramente  pericoloso.  Esso  fa  proseliti  coi  pre- 
stigi che  opera  e  incatena  le  anime  combattendo  con 
la  dottrina  della  re-incarnazione  i  dogmi  fondamen- 
tali della  Chiesa  cattolica:  il  Cielo  e  l'Inferno.  Co- 
me religione,  lo  spiritismo  è  una  eresia,  o  piuttosto 
la  restaurazione  di  vecchie  eresie  ;  è  dunque  da  con- 
dannare ;  ma  la  maggior  parte  dei  suoi  fenomeni 
rientrano  nel  campo  della  psicologia  e  della  fisica. 
La  Chiesa  si  pronunzierà  definitivamente  quando  la 
distinzione  sarà  stabilita  e  la  scienza  si  sarà  pro- 
nunziata. 

Giulio  Blois,  confermando  questo  modo  di  ve- 
dere, soggiunge  che  nello  spiritismo  ci  sono  due 
parti  distinte:  una  religione,  e  dei  fenomeni.  La 
religione  spiritista  non  ha  nulla  di  molto  originale: 
è  il  deismo  ordinario,  con  l'aggiunta  del  domma 
neoplatonico  della  re-incarnazione  terrestre  o  della 
evoluzione  delle  anime  sui  piani  estraterrestri  e  nelle 
stelle.  Gli  spiritisti  ammettono,  oltre  il  corpo  e  l'ani- 
ma, un  terzo  elemento  :  il  peri-spirito,  cioè  una  specie 
di  fluido  che  permette  a!  morto  disincarnato  di  agire 
ancora  nel  dominio  della  materia,  ed  a  certi  vivi, 
chiamati  m.edium,  di  penetrare  nel  mondo  degli  spi- 
riti. I  medici  trattano  questi  ultimi  da  isterici  e  da 
malati  ;  certo  sono  organismi  molto  nervosi  e  do- 
tati di  grande  immaginazione.  Le  loro  rivelazioni 
sono  fluttuanti,  oscure  e  contradditorie:  gli  spiriti 
variano  d'opinione  secondo  i  medium  per  bocca  dei 
quali    parlano. 


7' 

Lo  stato  m  .  conta  molte  pi 

rag   uardevol  I  lenis,  autori    de!    o  li  bre    li 

bro   /'  >p,    la  morte  :    Camillo  Chaigm    i 
dell'immortalismo  :  Gabriele  Delanne,  ricercatore  in 
faticabile  e  diretti  -  R  ,„, 

rate  dello  spiritismo  :  Beaudelot,  ingegnere  divenuto 
apostolo  ;    la  rath,  il  cui    sali 

riunisce  centinaia  di  Svendenborghistì  liberi  pie 
sieduti  dallo  scultore  Allaxd;  il  generale  Arnatde, 
e  tanti  e  tanti  altri.  I  credenti,  nella  sola  I 
va, -Mirri,,  secondo  i  calcoli  del  dottor  Philips, 
meno  di  400  mila.  L'ufficio  centrale  è  in  via  S.  Gia- 
como, dove  la  vedova  di  Leymarie  presiede  gli  ul- 
timi Kardeckisti.  Leymarie,  successore  di  Allan  Kar- 

.  sopportò  una  specie  di  martirio:  fu  imprigio 
nato  per  i  tiri  del  fotografo  Bugnet,  il  quale  fab- 
bricava fantasmi  con  bambole  e  vecchi  pezzi  di 
stoffa... 

Ed  ecco  che  cosa  ha  detto  la  vedova  Leymarie  al 

giornalista  che   la  intervistava  : 

«  Lo  spiritismo  ha  oggi  cinquantatrè  anni  precisi, 
essendo  nato  in  America  nel  1848.  Sette  anni 
dopo,  nel  1855,  i  suoi  adepti,  nella  sola 
America ,  erano  dodici  milioni.  Un  poco  più 
tardi  il  giudice  Edmonds,  senatore  e  presidente 
della  suprema  Corte  di  giustizia  di  New  York,  con- 
tava 3  milioni  di  nuovi  aderenti.  Allan  Kardec  fu 
l'apostolo  europeo  ;  i  suoi  libri  sono  tradotti  in  tutte 
le  lingue,  e  nel  1870  gli  spiritisti  erano  20  milioni 
in  tutto  il  mondo.  Oggi  anche  illustri  scienziati  co- 
me Lombroso,  Richet,  Ocnorowiz,  de  Rochas,  Flam- 
marion,  Janet,  ecc.,  studiano  questi  fenomeni  dei 
quali  prima  si  rideva.  E'  vero  che  essi  parlati,,  ,11 
suggestione,  d'incosciente,  d'automatismo  psicologi- 
co, e  di  altre  cose  altrettanto  oscure,  mentre  sarebbe 
più  semplice  ammettere  che  le  anime  dei  nostri  pa- 
renti ed  amici  tornano  a  noi  per  consolarci.  Ma  al- 
cuni di  essi  sono  veramente  dei  nostri:  De  Rochas 
crede  agli  spiriti.  Crookes  non  ha  mai  smentito  le 
esperienze  che  fece  per  due  anni  con  Fiorenza  Cook, 
durante  le  quali  apparve  un  fantasma  che  egli  fo- 
tografò, la  famosa  Katie  Kuig  ;  ne  quelle  fatte 
con  Home,  il  quale  si  librava  per  aria  con  l'aiuto 
degli  spiriti.  Spiritisti  sono  e  furono  anche  il  pn>- 
fessore  Aksatoff,  consigliere  del  defunto  Zar;  l'a- 
stronomo Zoellner.  il  grande  naturalista  Russell 
Wallace,  e  Balzai-,  Vittor  Hugo,  Sardou,  Vacquerie, 
Valabrègue,  ecc....  » 

Il  redattore  del  Matitt,  per  conto  suo,  dice  che 
dopo  aver  osservato  innumerevoli  medium,  dopo  a- 
ver  fatto  appositi  viaggi  sino  in  India,  dopo  aver 
letto  tanti  libri,  e  tentato  tante  esperienze,  e  so- 
stenuto tante  discu  sioni  con  gli  aposl  j,  av- 
versari della  dottrina  spiritica,  non  crede  assolu 
tamente  alle  materializzazioni,  ai  fantasmi  di  carne 
■  ■  d'ossa.  A  Londra  egli  ha  esperimentato  il  famoso 
medium  dell'illustre  Crookes.  ed  ha  accertato  che  il 
medium,  con  grossolani  artifizi.  'arte 
delle  apparizioni.  Il  Blois  non  crede  neppure  alla 
(""'"grafìa  degli  spiriti:  tutti  i  fi  tografi  che  la  pra- 
ticarono finirono  male,  al  correzionale.  Da  I  I 
ad  Fusapia  Pai  ad  Anna  Rothe,  tutti  i  me- 
dium che    producono   effetti    fisici,    furono    sorpresi 


LA   LI  l'I  I  r<  \ 


nell'atto  ire  ia   buona,   fede,  come  volgari 

I  ggior  pai  nunici 

/imi  i  iti  ottenu  |        coi  medium 

ina  tale  stupidità  che  non  mi  i  itano  'li  es 
Ma  si  dei  eluder  non 

nulla  nello  spiritismi  i,  n  né  come 

fatti     \    :         in  esso  uria  la  nuova  psi 
una  parte  della  fisica  confinante  con  la  psicologia. 
Come  il  magnetismo,  esso  ha   attirati'  l'attenzione 
sul  smini-  provi cato  ed  ha  rione 

dell'ipnosi  e  della  suggestione,   I   medium  a  incar 
■  a  studiare  i  cambiament  i  della 
altri  complessi  problemi  della  pazzia 
m    della    sensibilii 
della  rice  si  tenta  oggi  'li  spiegarla  razio- 

nalm  uas    meo    nii  amente.    La    ti     patia  - 

uscita  dallo  spiritismo.  Esso  ci  darà  forse  altre  cose, 
ni  modo  ci  mette  sulla  via  d'una  scoperta 
ancora   indecisa,  ma  che  il  secolo  nuovo  pra  iserà 
unenti':    1' 'esteriorizzazione  del  pensiero.  11  pen- 
può  accumularsi,  moltiplicarsi, 
agire  sulla  ma  i  iggiare  intorno  a  noi.   Le  ta- 

vole |  alianti        quando  non  vi  sono  frodi  -     prò 
vann  .iir  le  anime  dei  vivi,  non  già  quelle  dei  morti, 
ono  uscire  dall'involucro  corporeo  e  darci  l'illu- 
un  essere  nui  ivo.  Questo  è,  secondo  il  Bli  >is, 
indubitabile.   Noi   emaniamo,  durante  le  sedute   di 
■  istmi  e  di  I  elli    |iiali  non  ab- 

biamo  coscienza   o  che  posson   drizzarsi   dinanzi  a 
noi  e  risponderci  come  se  fossero  energie  a  noi  stra- 
niere. C'è  ancora  qualche  altra  cosa?  Vi  sono  en- 
tità I      ri  ili  noi?  Qui  siamo  in  pieno  mistero. 
Lo  spiritismo,  comunque,  ci  ha  ricordato  quale  im- 
portanza ha  per  i  vivi  la  memoria  e  la  perpetua  in- 
fluenza dei  ninni  ed  ha  svegliato  nelle  anime  oscure 
:    seni  mieliti  i    dell'immortalità    senza    del    quale 
nità   veramente   superiore.  Questi  suoi 
titoli   gli   fanno   perdonare  le   tante  riarlatanerie  e 
31  ii  cchezze. 


Un  mipaeolo  di  ingegneria 


("hi    •     i         dall'India  alla  Cina,  con  la   ferrovia 
.-isa  le  montagne  di  burina,  può  ammii  in 
nella    gola  di    Gokteik    una   straordinaria   opera    di 
a:  il  più  idotto  del   mondi  i,  i 

i    pochi   li"  -  nini-ani. 

:  i  ■    pri  ifi  ndissima,  so  «cesa  .    i  |uandi  i  tre 
anni  costruendo  la  ferrovia,  il  Governi 

ingli  ssun 

i  ersi    l'incarico  di  erigere   il 
e  di  tee        I    Vcciaie- 
ria  di  Steelton,  in   Pennsylvania,  esaminò  il  concoi 

l     mìi.i  :  .  sse  furom 
i  elton  si  stai 
preparando  d  poni  de.   «  Sudate,  o  fuochi, 

reparar   m  !  In  nane  le  fot 

migliaia,      he 

di  mano  in  mano  .i  Nuova  York,  per 
ivi.  Quandi  i  l'ultimo  pezzi  i  i 


n i  tra  gli  operai  il rentai  inque  migliori,  che 

si  recarono  a   Londra,  e  di   là  la  valigia  delle 

Indie  si   portarono  a   Rangoon.    (  'i  volle  un  mi 
perchè    il    poderoso    materiale  potesse  superare   le 
rocentocinquanta  miglia  tra  Rangoon  e  Bui 

(ili  operai  avevano  già  preso  p  i  grandi  la- 
vori sul  Mississippi  e  sul  Niagara,  ma  quando  vi- 
deri  la  gola  di  Gokteik,  tagliata  a  picco  nelle  rol- 
line, dui, it. irmio  di  potersi  accingere  all'opera.  Si 
dovevano  elevare  all'altezza  di  oltn  no  metri  sul 
Pinlii  della  valle  pezzi  di  metallo  di  venti  tonni 
late  ciascuno,  e  da  una  sponda  all'altra  correi 
irca  l 'it' cento  metri. 

Le  torri  centrali  del  viadotto  riposano  sopra  una 
serie  di  ponticelli  naturali,  formati  ili  grossi  massi. 
sotto  'ni  passa  il  fiume,  largo  una  cinquantina  di 
metri.  Si  cominciò  col  costruire  un  grandissimo  pon- 
ti- provvisorio  per  il  trasporto  dei  materiali.  Poi 
si  compose  un  alno  ponte  mobile,  munito  di  un 
braccio  gigantesco  lungo  sessanta  metri,  che  serviva 
per  portare  in  alto  i  pezzi  d'acciaio. 

Era  da  solo  un  congegno  mirabile,  che  gli 
indigeni  attribuivano  a  magìa  11  ponte  era 
largo  da  contenere  una  vera  officina,  uno  studi"  pei 
gli  ingegneri:  vi  erano  installati  il  telefono  e  una 
stazione  di  segnali.  Pei  mezzo  di  corde  e  carrucole 
il  braccio  sollevava  enormi  pesi  in  pochissimi  istanti. 
e  poi  rivolgendosi  li  deponeva  sul  viadotto  in  co- 
struzione. Quando  una  torre  di  questo  era  finita,  il 
ponte  mollile  veniva  trascinato  innanzi  da  una  li 
motiva  fino  al  punì"  ove  SÌ  doveva  posare  la  torre 
successiva.  Il  braccio  era  bilanciato  da  un  fortissi- 
mo contrappeso.   Per   innalzare  le  parti   del  | te 

tra  una  torre  e  l'altra,  si  faceva  passare  il  poti 
argano  sopra  una  delle  torri  stesse. 

Gli  indigeni  erano  impiegati  per  ribadire  i  chio- 
di: ma  essi  rifiutarono  il  martello  ad  aria 
pressa,  rome  uno  strumento  di  abolirò,  e  l'ausarono 
rosi  un  grande  ritardo.  Inoltre  era  assai  ditti'  ile 
trovare  operai:  si  dovette  percorrere  tutta  l'India 
per  raccoglierne  alcune  centinaia.  Gli  Americani 
mal  resistevano  alla  canicola  e  alle  febbri:  quando 

poi    soffiava    il   vento,   il    lavoro  riusciva   impossibile, 
perchè    lo    scheletro  d'acciaio   del    ponte    si 
come  la   cima  di   un    albero. 

L'Acciaieria     di     Steelton    aveva    ricevuto    l'ordine 

di  preparare  il   materiale  in  aprile:   in  ottobre  la 

bandiera    americana    sventolava    sul    ponti -v  ia. lotto  , 

che  è  certo  il  più  poderoso  del  mondo,  poiché  mi- 
sura circa  ottocento  metri  di  lunghezza,  cent". 
metri  di  altezza  sulla  valle  e  centosettanta  sul  fiu- 
me, e  pesa  circa  cinquemila  tonnellate.  Gli  altri 
lebri  viadotti  sulPErie  in  Pennsylvania,  nel  Texas, 
nelle  Ande,  hanno  tutti  dimensioni  minori  e  furono 
eretti   in  condizioni   meno  difficili. 

L'opera  è  descritta  diffusamenti  nel  Munsty's 
M agazine  di  dicembre. 

I  bbene:    pare  che  quei"  sia  un  miracolo 
pato.  Il   governo  inglese  si  è  accorto  troppo  tai  li 
hi    la  via  scelta  non  è  la  migliore  per  congiun 
I  [ndi  '   alla   (  "ma.  ed  ha  fatto  sospendere  i   i 
poco  oltre  la  gola  di  ('."kteik. 


DALLE    K1V1M  I 


73 


he  principesse  disponibili 


<Da  un  articolo  del  dott.  A.  de  Wilke,  nella   W'eìlc  W 

....  La  Germania  è  stato  detta  il  semenzaio  di  Ile 
principesse  di  sangue  azzurrissimo,  ancora  dis] 
bili  per  tutti  i  sovrani  d'Europa  e  i  loro  augusti  pa- 
renti. Però,  oltre  quelle,  cercando  bene,  altre  se  ne 
trinerebbero.  Vivono  tra  altro,  benché  in  esilio,  tre 
linee  de'  Borboni.  Quella  che,  un  giorno,  regnò  sulle 
cosidette  «  Due  Sicilie  »  ha,  per  esempio,  a  sui 
capo  il  conte  di  Caserta,  cui  la  moglie  e  cugina. 
Antonietta  di  Sicilia,  diede  undici  tìgli,  tra  cui  vi 
hanno  ancora  parecchie  ragazze.  Da  quando  il  suo 
primogenito  si  è  ammogliato  con  la  maggiore  so- 
rella del  re  di  Spagna,  il  conte  di  Caserta  lascia 
spesso  le  sue  splendide  ville  di  Cannes  o  della  Sa- 
voia per  passare  qualche  tempo  a  Madrid,  dove  le 
sue  figliuole  sono  congiunte  da  cordiale  amicizia 
alla  seconda  sorella  del  re,  l'infante  Maria  Teresa, 
che  nell'espressione  del  volto  e  nell'atteggiamenti 
è  il  vero  ritratto  di  sua  madre,  la  regina-reggente 
Maria  Cristina:  lo  stesso  sguardo  serio,  gli  stessi 
tratti  melanconici.  Non  è  un  mistero  che  la  vita  nel 
palazzo  reale  di  Madrid  non  è  troppo  allegra.  Ma 
ciò  non  impedisce  che,  da  buona  parente,  anche  la 


Margherita  Maria  d'Austria-Toscana. 


Pia  di  Borbone-Sicilia. 

contessa  di  Madrid,  che  suole  villeggiare  una  parte 
dell'anno  nel  suo  castello  di  Villamanrique  presso 
Siviglia,  sia  sovente  ospite  della  Corte  di  Madrid. 
La  madre  del  duca  d'Orléans  era  ella  stessa  una 
bella  signora  e  questa  dote  ella  ha  trasmesso  alle 
sue  quattro  figlie:  la  regina  di  Portogallo,  la  du 
hi  ;a  d'Aosta,  la  duchessa  di  Guisa  e  la  princi 
pessa  Luigia.  Specialmente  quest'ultima  è  un  mo 
dello  di   fiorente,  bionda  giovinezza. 

11  granduca  di  Toscana  e  il  duca  di  Parma, 
perdute  le  loro  corone,    se    ne    andarono  entrambi 
in  Austria,  il    primo   a  Salisburgo.    l'altro    nel 
stello  di  Schwarzau  sullo  Steinfeld.  Entrambi  han- 
no figliuoli  in  abbondanza.  Il  granduca  di    I 
ne   ha  nove,  il  duca   di    l'arnia,    suocero  dell'altro, 
ne  conta  ben  diciotto!    Le   principesse   di  Tosi 
presero  parte  attiva  alle  feste  della  Corte  vieni 
m, -nire  le   loro  cugine   parmensi    poco   vi  si    fecei 
vedere  nelle  occasioni  ufficiali. 

I    i    Casa   imperiale   ili    Russia    ha 
una  giovane  principessa   già  da  n  la 

duchessa   Elena,  figlia  del  granduca   Vladim  n 
dello  Zar.  La  granduchessa  è  una  beli  a  da 

gli  occhi  bruni       già  pii  ;  e  sposa  a 

questo  od  a  (itiello  dopo  che  le  si  i 

con  un  principe  tedesco  improvvisamente  andai 


Beatrice  di  Borbone-Parma. 


Maria  Immacolata  di  Borbone-Sicilia. 


Margherita  di  Gran   Bretagna  e  Irlanda. 


Vittoria  l'atrizia  di  Gran    Bretagna  e  Irlanda. 


DALLE    RIVISTE 


a  monte.  Ma,  a  quanto  pare,  ella  nutre  una  se\ 
inclinazione  per  il  principe  Luigi  Napoleone,"  che 
serve  nelle  Guardie  russe;  e  questa  diceria,  spesso 
smentita,  forma  sempre  le  speranze  del  partito  bo- 
napartista, tanto  più  che  la  famiglia  Bonapart 
estinguerebbe  se  nessuno  de'  due  fratelli  prendesse 
moglie.  Anche  la  linea  cadetta,  che  deriva  da  Lu- 
ciano, il  secondo  fratello  di  Napoleone,  correrà  la 
stessa  sorte  perchè  il  principe  Rolando  Bonaparte, 
noto  per  i  suoi  studi  scientifici  e  per  il  suo  inatri- 


Maria  Bonaparte. 

monio  con  la  figlia  del  signor  Blanc,  il  fondatore 
della  bisca  di  Montecarlo,  non  ha  che  una  sola  figlia 
diciannovenne,   la  principessa  Maria  Bonaparte. 

Dal  pericolo  d'estinguersi  salva  è  invece,  per  ve- 
rità, la  dinastia  inglese  !  Delle  moltissimi  nipoti 
della  regina  Vittoria  tre  stanno  già  poco  lontane 
dalla  dolce  età  d'Imeneo:  le  figlie  del  duca  di  Con- 
naught,  principessa  Margherita  e  Vittoria,  e  la  so- 
rella del  giovane  duca  di  Coburgo,  principessa  Alice 
d'Albany. 

La  principessa  Xenia  di  Montenegro,  sorella  mi- 
nore della  regina  Elena  d'Italia,  ricevette,  come 
questa,  in  casa  del  loro  padre,  una  eccellente,  in- 


75 

tellettuale  educazione  e  non  è  meno  leggiadra  della 
sorella.  La  sana  bellezza  «iella  principesca  dinastia 
montenegrina    e    le  cure   rivolte    alla   cultura    di 
spirito    non  sono  rimaste,  oltre   all'amicizia   con    la 
Russia,  estranee  al  fatto  che  il  principe  del   M 
negro  è  ormai  equiparato  in  araldica  agli  altri   So 
vrani   d'Europa  e  le  sue  figliuole  sono  considei 
come  «  eccellenti    partiti  ». 


Il  movimento  femminista  nel  mondo 


(Da  un  articolo  di  Kaethe  Schirmacher,    nella  Revue  del 
i°  dicembre). 

In  Germania. 

La  Società  generale  delle  donne  tedesche  ha  te- 
nuto ad  Eisenach  una  riunione  per  discutere  la  fon- 
dazione di  orfanotrofi,  l'insegnamento  dell'orticol- 
tura alle  donne,  l'istituzione  di  uffici  d'assistenza 
giudiziaria  e  la  necessità  di  ammettere  le  donne  tra 
i  funzionari  comunali.  Un'altra  riunione  dovevano 
tenere  a  Berlino,  e  precisamente  in  una  delle  sale  del 
Reichstag,  le  delegate  della  Federazione  delle  So- 
cietà femministe  progressiste  ;  ma,  appena  finita  la 
prima  adunanza,  nella  quale  si  era  discusso  intorno 
alla  quistione  operaia,  un  rappresentante  del  Pre- 
fetto di  polizia  si  presentò  chiedendo  di  assistere 
alle  udienze  ulteriori.  Il  Direttore  del  Parlamento 
tentò  di  opporsi,  dicendo  che  non  sarebbe  stato  am- 
messo nessun  agente  di  polizia  in  uniforme;  ma, 
insistendo  il  Prefetto  di  polizia  da  una  parte,  e  re- 
sistendo il  Direttore  della  Camera,  la  presidentessa 
del  Congresso,  signora  Cauer,  e  la  sua  aiutante  di 
campo,  signorina  Auspurg,  deliberarono  di  indire 
altrove  la  riunione  per  discutere  intorno  alla  coedu- 
cazione, all'assicurazione  contro  le  malattie  e  al- 
l'educazione politica  delle  donne. 

Il  Municipio  di  Eidelberga,  nella  Prussia  orien- 
tale, si  è  dichiarato  partigiano  dell'eguaglianza  dei 
sessi  (beninteso,  rispetto  ai  doveri,  e  non  ai  diritti). 
Esso  ha  ingiunto  ad  ogni  donna  e  ad  ogni  fanciulla 
contribuente  di  prestare  il  loro  concorso  in  caso  di 
incendio,  <t  tranne  nel  caso  che  si  possano  debita- 
mente e  validamente  scusare,  o  che  paghino  una  tas- 
sa di  6  marchi  per  essere  sostituite  ». 

Nel  Granducato  di   Baden   fa  rapidi  progri 
sistema  della  coeducazione  discusso  a  Berlino.   Vi 
sono  più  di  300  giovinette  le  quali  attualmente  se- 
guono i  corsi   medi  e  i   superiori   negli  stessi   licei 
dei  giovai! 

Ad  Amburgo  si  è  aperta  una  Scuola-riforma  per 
le  fanciulle:    essa  si    propone  di   riformare   inti 
mente  i  metodi  e  i  programmi  attuali  dell'insegna- 
mento secondario  delle  signorine. 

Le  Università  bavaresi  sono  state  autorizzate  dal 
Ministro  ad  ammettere,  ma  come  uditrici  soltanto, 
le  fanciulle  munite  del  diploma  di  baccelliere  d'un 
ginnasio  0  d'una  scuola  reale. 

Il  sotto-segretario  delle  Poste  e  Telegrafi  si  è  di- 
chiarato contentissimo  del  servizio  delle  telefoniste. 
Gli  stipendi  sono,  per  le  apprendiste,  di  2  franchi 


"I I 


1    \     1  1    III   l< A 


pi  ma  nomina  li 
Moo  franchi  l'anno,   più  (>oo   franchi  d'indennità 
d'ai  no  |  ni  arrivare  fino  a  2500  tran 

«•hi.  oltre  l'indennità.  A  Parigi  gli  stipendi 

da  1000  a  2000  franchi,  con  joo  franchi 
tanto  per  l'alloggio. 

I       irtrici,  nella  patria  di  Schiller  »        1 

11   100  marchi  il  mese,  e  t al- 
l'i r  venire  in  loro  aiuto,  la  n  i 
■  vi,  a  Berlino,  ha  creato  un  dep 
di  abiti,  'ii  costumi,  ili  cappelli,  ili  oggetti  ili  ve- 

1         gni  ire  si  >n<  1  state  pregai 
mandare  gli  abiti  che  smettono  dopo  averli  portati 
una  -         *   li  fa  rinfrescare,  e  li 

vende  alle  sue  aderenti     \   Berlino  ed  a  Breslau  si 
è  iniziata    l'organizzazione   sindacale  delle  operaie. 
in  riunite  800  nella   Camera   di  Berlino  e 
1500  in  quella  di  Breslau.  L'ima  città  e  l'altra  sono 
ll'industria  del  vestita 

In  Ffaneia. 

fondata  una  nuova  Società  femminista:  la 

del    suffragio   delle  donne.   Essa   espone   i 

seguenti  argomenti  per  sostenere  la  sua  tesi-  «  Le 

donne    sono   elettrici    ed    eleggibili   al    consiglio    dei 

Pi  ibiviri  ;    pai  all'elezione  dei   giudici   dei 

0;  sono  elettrici  ed  eleggi- 
bili ai  Consigli  d'insegnamento  dei  dipartimenti  . 
al  ('  uperiore  dell'istruzione  pubblica  e  al 

re    del    lavoro  :    perchè,   dunque, 
non    sarebbero  ed   eleggibili   al    Consiglio 

municipale?»  Come  mezzo  di   propaganda,  le  fon- 
dati nuova    Società    hanno    inventato   un 
■  francobollo   femminista  ».  destinato  ad  accompa- 
re,  sulle  lettere,  il  francobollo  da  15  centesimi. 
■  ultimo  porta,  in  rosso,  l'iscrizione  dei 
«  Diritti  dell'Uomo  »,  così  quello  femminista  porta, 
in   azzurro,   l'iscrizi  Diritti  della  Donna  ». 
Le  elezioni  ai  Consigli  del  lavoro  hanno  dato  una 
grande  soddisfazione  ai  femministi:  due  candidate 
sono  riuscite:    la  signorina  Lévy,   presidentessa  del 
sindacato  delle  donne  steno-dattilografe,  e  la  signo- 
rina Bouvier,  del  sindacato  delle  sarte. 

Nel  Belgio. 

Camera  belga  ha  da  discutere  il  progetto  di 
al   suffragio  comunale,  provinciale  e 
politico   di   tutti    i   nazionali,    senza    distinzione   di 
enerale  del  Partii  0  so- 

cialista  ha  approvato,   a   questo  0,  un   or- 

lla  signora  Vandervelde,  la  quale, 
|ue  l'eguaglianza  politica  dei  due  sess 
uno  dei  principi  essenziali  del  socialismo, 
nondimen  1  1  che  la  rivendicazione  immediata 

del  diritto  all'elettorato  legislativo  minaccia  di  com- 
■    l'unità  i '.artigiani   del   suf- 

uomini,  ha  proposti  1  di  so- 
il  movimi  del  suffragio  uni- 

le  delle  donne  finché   gli   uomini  non   avranno 
nito   il    li.ro. 

Nella  Scandinavia 

Le  1  t  il   suffragio  comunale  e 

I  oliti...    il    Pi  proporrà  al 


nuovo  Gabinetto   liberale    d'accordar  fragio 

municipale  alle  donne  contribuenti.  I  cinque  posti 
d'ispettori  del  lavoro  creati  in  Danimarca  saranno 
dati   ai  candidati   più  adatti,  senza  distinzione  di 

In  Austria. 

Le  donne  hanno  avuto  una  parte  notevole  nelle 
ultime  elezioni  politiche  in  Boemia.  Si  trattava  di 
eleggere  i  deputati  al  Landtag.  Le  donne  grandi 
proprietarie  votano  per  procura;  le  cittadine 
pagano  un  certo  censo  possono  votare  direttamente. 
Molte  donne  appartenenti  al  partito  tedesco  non 
hanno  temuto  di  mescolarsi  alle  folle,  per  dare  il 
loro  voto  al  candidato  nazionale:  altrettanto  hanno 
fatto  le  czeche. 

La  rivista  femminista  viennese  intitolata  /  "Do- 
cumenti della  donna  dà  notizie  sulle  donne  steno- 
grafe in  Austria.  Xel  1842,  quando  furono  fondai: 
i  primi  corsi  ili  stenografia,  il  ministero  dell'istru- 
zione pubblica  ne  escluse  le  donne.  Più  di  trent 
passarono  prima  che  le  donne  fossero  ammesse  al- 
l'esame di  Stato  di  stenografia  (1874).  Xel  1884 
questo  insegnamento  fu  esteso  alle  allieve  delle 
scuole  di  commercio;  ma  la  maggior  parte  delle  si- 
gnorine devono  ricorrere  all'insegnamento  privato. 
Esse  conquistano  i  posti  negli  uffici  dei  notai,  dei 
commercianti,  ma  sono  mal  pagate  :  hanno  da  40 
a  60  franchi  il  mese.  Negli  uffici  dello  Stato. 
gnorine  steno-dattilografe  hanno  da  3  a  4  franchi 
al    giorno. 

A  Budapest  si  è  insiedata  la  prima  dottoressa 
in  medicina. 

In  Russia. 

Regna  un  certo  liberalismo  nel  campo  dell'istru- 
zione pubblica,  e  sono  stati  aperti  dei  corsi  uni- 
versitari per  signorine,  a  Mosca:  450  allieve  vi  si 
sono   iscritte.  A    Pietroburgo  cotesti   corsi   già  esi- 

I.a  Russia  conta,  oltre  le  dentaste,  624  medi 
chesse.  Le  medichesse  dello  Stato  hanno  diritto  alla 
pensione.  L'insegnamento  secondario  è  stato  esteso. 
nell'Impero,  anche  alle  suddite  maomettane.  Grazi, 
alla  dotazione  di  un  rio  riante  di  Baku,  un 

liceo  di  fanciulle,  di  cui   la  Zarina  ha  accettato  il 
mato,  .    stato  aperto  in  quella  città:  le  allieve 
vengono  dalle  diverse   parti   della    Russia   maomel 
tana. 

In  Isvizzera. 

La  Commissione  federale,  incaricata  di  redigere  il 
nuovo  Codice  civile,  ha  invitato  le  donne  .1   tarsi  r.ip 

ntare  da    >'m<-  delegate,   scelte   tra  le  comp 
del  Comitato  della   Federazione  delle  Società 
femministe  svi.- 

In  Italia. 

I  autrice  dell'ari    <  ili  1  pai  la  1  lei   recente  scio]  en  - 
delle  telefoniste  milanesi,    le  quali,   guadagnando 
ia  35    lire   il   mese,  ne  chiedevano  '10.    In    l'n 
gheria,  os  mpre  l'autrice,  ^n^  .  da 

600  a    700  franchi  il   mese  non   è   parso  suffii   • 
alle  impiegate  delle  ferrovie  dell.    -  1.    tele- 


l'U.l  E    H\\  lì 


toniste  italiane  sono  dunque,  sotto  l'i  o  >no- 

mico,  amerà   più  modeste  che  le  loro  colleghe  un- 
gheresi ». 

In  Inghilterra. 

11  femminismo  inglese,  come  movimento  si  i 
non  è  molto  vivo  nel  Regno  Unito;  ma,  individual- 
mente,  le   Inglesi  continuano  a   farsi  onore.   Sotto 
lady  Somerset  persistono  nella  lotta  contro  l'ai 
Come  ispettrici  sanitarie  e  del  lavoro,  rendono  im- 
portanti servigi.  Miss  O'Kell,  ispettrice  del  disi: 
di    Marvlebone,   dichiara,  in   seguito   a  una   ini 
sta  sull'alimentazione  delle  lavoratrici  dell'Ovest  di 
Londra,  che  la  maggior  parte  di  quelle  donne  s 
insufficientemente  nutrite:    la   signorina  reclama    la 
azione  di  trattorie  a  buon  mercato. 

Negli  Stati  Uniti. 

Le  donne  americane  avranno  la  soddisfazione  di 
veliere  una  delle  loro  sorelle  figurare  nel  Pantheon 
nazionale,  a  Washington:  vi  si  innalzerà  il  busto 
della  filantropa  Francesca  Villard,  fondatrice  del- 
l'Unione universale  delle  donne  per  la  temperanza. 

Furono  licenziate  molte  impiegate  alle  poste , 
molte  istitutrici,  ecc.,  durante  gli  ultimi  mesi  della 
presidenza  di   MacKinley,  ed  alcuni  interpretarono 

sto  fatto  contro  le  donne,  supponendo  che  si  fos- 
sero mostrate  inadatte  ai  loro  uffici.  Invece  la  ra- 
gione del  licenziamento  fu  tutt'altra  :  quelle  impie- 
gate non  erano  elettrici  :  e  le  persone  interessate 
pretendono  che,  accordando  impieghi,  si  debbono 
ottenere  altrettanti  voti  per  il  proprio  partito. 

In    Bulgaria. 

Il  movimento  femminista  è  in  questo  paese  più 
progredito  che  non  si  possa  supporre.  Vi  sono  già 
27  Società  femministe,  le  quali  stanno  per  fondersi 
in  una  Federazione  nazionale  che  dovrebbe,  come 
tutti  gli  altri  gruppi  nazionali  dello  stesso  genere, 
far  parte  del  Consiglio  internazionale  delle  donne. 

Il  Congresso,  che  ha  studiato  questo  disegno  di 
Federazione,  ha  discusso  anche  intorno  all'insegna- 
mento delle  donne,  ha  chiesto  la  creazione  di  ginnasi 
e  di  scuole  professionali  di  giovinette,  l'ammiss 
delle  donne  alle  Università  e  allo  studio  ed  all'e- 
sercizio della  farmacia. 

In    Egitto. 

sigliere  alla  Corte  d'appello 
del   i  e  titinua    la  campagna   femminista.    11 

libro  Fabrir  al  Mirai  (1889),  nel  quale  egli  re- 
clamava, per  la  donna  turca,  la  stessa  situazione 
delle  donne  europee,  aveva  provocato  vive  proteste 
da  pane  dei  fedeli  maomettani.  L'autore  risp 
con  un  secondo  libro.  La  donna  nuova,  nel  quale 
narra  il  passato  della  donna  mussulmana,  chiede 
la  sua  emancipazione  nel  presente,  e  si  occupa  della 
quistione  tutta  orientale  del  velo. 

Nel   Giappone. 

E'  stata  fondata   ^    I  ma   scuola  d'insegna- 

mento sui  eriore  per  le  donne;  le  allieve  vi  saranno 


preparate  all'esame  di    lingua  ir  to  il 

quale  si   accede  alle    funzioni  di    Stato.    Forse   nel 
Giappone  si  vedranno  le  prime  ministri 

\     iie  a  Tokio  le  donne  hanno  riformato  il  loro 
urne  da  bambola,  tanto  poco  pratico.  Ed  a  V 
gasaki  le  Giapponesi  hanno  fondato  una  Societ. 
1.  purezza  sociale  »:    le  aderenti  dichiarano  che  non 
sposeranno  se  non  uomini  la  cui   reputazione   tuo 
rale  sia  intatta. 


ita  sieroterapia  della  febbre  tifoidea 


Da  un  articolo  c}el  dottor  J.  Héricourt .  nella   Ret'iie  del 
i°  dicembre). 

Pochi  anni  dopo  l'introduzione  del  metodi 
roterapico,  il  dottor  Chantemesse,  professore  alla 
Facoltà  di  medicina  di  Parigi,  in  collaborazione  col 
dottor  Vii  lai.  tentò  di  preparare  un  siero  anti-tifi  s  . 
inoculando  i  virulenti  bacilli  negli  animali  ;  ma  il 
siero  così  ottenuto  non  aveva  esercitato  una/ 
terapeutica  sull'uomo  infermo,  e  solamente  negli  a- 
nimali  aveva  prodotto  qualche  effetto  preventivo  : 
i  topi  che  erano  stati  trattati  con  esso  non  prende- 
vano più  la  tifoidea  sperimentale,  ma  quelli  nei 
quali  s'iniettava  il  siero  dopo  l'iniezione  dei  bacilli 
virulenti  non  presentavano  nessuna  attenuazione  nel 
corso  della  malattia. 

Bisogna  considerare  che  i  principali  e  più  gravi 
sintomi  della  febbre  tifoidea  dipendono  dall'avve- 
lenamento del  sistema  nervoso  centrale,  e  partico- 
larmente del  cervello,  avvelenamento  prodotto  dalle 
tate  nei  focolari  bacillari  sviluppati 
nelle  pareti  del  tubo  intestinale.  Forse  per  qu 
considerazione  il  dottor  Chantemesse  ha  abbando- 
nato la  ricerca  del  siero  anti-tifoso  mediante  il  pro- 
cesso dell'infezione  bacillare,  ed  ha  tentato  il  pro- 
cesso delle  tossine,  cioè  ha  sottoposto  gli  animali 
produttori  del  siero  non  più  all'infezi<  ta  dei 

microbi,  ma  all'intossicazione  con   le  tossine  elabo- 
rate da  cotesti  microbi  nelle  loro  culture.   Con 
sto  processo  —  che  è  quello  col  quale  si  ottiene  il 

1  ant i-difterico  —  il  dottor  Chantemes 
tenuto  un  siero  la  cui  virtù  è  oramai  <:  a.   In 

una  delle  sale  dello  sperimentatore,  su  34   malati 
cui    fu    inoculato,  tutti   34   guai 
mentre  negli  altri  ospedali  la  mortalità  era,  sec  1 
le  statistiche  ufficiali,  del  25  per  100.  Ma  una  espi 
rienza  più  convincente  è  quella   fatta  nell'Ospedale 
Tenon,   dove  30  ammalati  di  tifoidea  fui 
culati.  e  gli  altri  non   lo  furono:   orbene:    tra 
condì  la  mortalità  sali  al  31,8  per  100.  ma  tra  i  pri- 
mi  i  morti  non  furono  ro,  quanti  avn 

•ondo  questa    :  one,   ma   appena  4. 

alisi    di    queste    cifre    è    ancora     più    confor- 
tante, perchè   sopra   100   infermi   trattati    col    - 
tutti   quelli  che   lo  ebbero   inoculato  prima  di 
lavo  giorno  guarirono,  e  tra  gli  altri  6  soltanto  - 
morti.  La  mortalità  è  ridotta  dunque  al  6  per  100. 
il  che  vuol  dire  a  un  quinto  di  quella  che  si  avvera 
senza  la  sieroterapia. 

Anche  l'esame  clinico  degli   ammalati  soft 


LA   I  I   l'i  :  RA 

a  questa  cura  ne  conferma  l'efficacia.  L'iniezione  del 
prima  che  siano  passati  otto  giorni  dall'inizio 

.  |  ir.  «  Iure  in  poco  tempo,  nella  mag- 
.  un  abbassamento  del! 
Ila  guarigione;  se  l'iniezione  è  stata  fatta 

tasdivami  di  ipo  l'ottavo  gii i,  non  si  i  > 

tiene  una  caduta  repentina  della  temperatura,  ma 
una  discesa  più  leni  i  da  un  rialzo;  bisogna 

all<  i  ne.  In  geni  rade,  il  pnl.su  ral- 

battiti  in  podi 

tre  gii  'i  ni,  la  pressione  sangu 
toma  ali  i  naie  e  la  poliuria  Si- 

mi-  molto  frequente, 
mpai     sp<  5so  qualche  ora  dopo  1  inocula- 
iiu-   microscopico  del  sangue  si    vede 
che  -vi  ore  bastano  perchè  gli  elementi  sanguigni  ab- 
biano subito    la    modificazione  caratteristica    della 
-tua. 
La    ur.i  sieroterapica,  finalmente,  non  è  incompa- 
i  l'ordinaria  cura  della  tifoidea,  cioè  bagni 
e  Invalidi-  abbondanti.   Soltanto  il  chinino, 
la  caffeina  e  le  iniezioni   di  acqua  salata   (volgar- 
mente siero  artificiale)  devono  esseri'  abbandonati  ; 
ma  l'azione  del  chinino  e  della  caffeina  è  così  pro- 
blematica,  che  astenersi  da  questi  rimedi  non  o  m 
promette  nulla.  L'iniezione  del  siero  non  impedisce 
le  ricadute;  e  nuove  iniezioni  devono  esere  praticate 
quando  queste  si  preparano  e  si  annunziano.  Quin- 
dici ii  cubi  è  la  dose  che  il  Chantemesse 
inietta  in  una  sola  volta  sotto  la  pelle;  nei  fanciulli 
e  nei  casi  benigni  può  essere  ridotta  alla  metà.  Le 
iniezioni   devono  essere  praticate  al    primo  sospetto 
di  fi  dea,  perchè  il  secreto  della  cura  con- 
siste nel  farla  quanto  più  presto  è  possibile.  E  non 
re,  nei  casi  dubbi,  penili    l'iniezione  non 
produce  per  sé  s'essa  nessun  inconveniente  ed  è  del 
innocua. 


Come  tpionfepà  l'Inghilterra 


l'n  i  io,  un  mese  dopo  l'incoronazione  di 

re  E  doari  indi   Potenze  europee  manda- 

no un  ultimatum  al  Governo  inglese,  imponendogli 
di  concedere  entro  due  giorni  piena  autonomia  ai 
ii  Salisbury  si  mette  le  mani  nei  capelli, 
raduna  il    Parlarne!  .numi    in   tutte 

le  parti  del  globo,  e  chiede  indarno  una  dilazione 
per  dar  tempo  ali  i  rere  a  difendere 

il  Elegno  Unito.  Ad  ac  sgomento,  l'Ame- 

onde  la  sua  o  un]  ia  enza  e  si  ai 
i  di   dichiararsi   neutrale.    L'Irlanda   accogl 
ila  prossima  invasii me  con  l uochi  di  g 
iltanto  dop,,  che  il  I  >uca  di  <  !onnaught 
ri  ito. 
i  ìi       dichiarata  :    il  g ii uno  seguente  due 

nella   Manna.   L'In- 
r>hiì-  '  ni.  e  l'Europa  ne 

P  i-m'     I  l.l  \  : 

rata  la  loti      l      squadra  inglese  del  Mediten 
i-  bloccata  nel  porto  di  Gibilterra  ri 

tinaia  di  piroscafi  mercantili  su  cui  sventola  la 


dieta  britannica  sono  catturati  e  condotti   sulla  co 
sta   h. incese. 

Intanto,  protetto  dalla  vittoriosa  fiotta  alleala, 
un  poderoso  esercito  tedesco  si  prepara  allo  sbarco 
presso  le  bocche  del  Tamigi  per  marciare  su  Lon- 
dra. Guglielmo  II,  malgrado  la  sua  anglofilia  e  i 
vincoli  che  lo  legano  alla  Casa  regnante  d'Inghil- 
terra, ha  dovuto  lasciarsi  trascinare  alla  guerra  dal 
sentimento  popolare. 

La  situazione  è  disperata  per  il  generalissimo 
lord  Rjoberts,  quando  gli  si  presenta  un  giovane  in- 
gegnere che,  compiendo  un  voto  di  Faraday,  ha  sco- 
prilo il  modo  di  riprodurre  il  fulmine.  Si  tratta  di 
una  macchina  semplicissima,  da  cui  si  sprigiona  un 
fluido  elettrico  che  rade  al  suolo  intanto  incontra 
lino  a  venti  miglia  di  distanza  E'  la  manna  del 
cielo  per  il  povero  lord  Roberts,  che  fa  subito  por- 
tare la  macchina  alla  fiocca  del  Tamigi:  l'ingegnere 
tocca  un  rubinetto,  e  in  men  che  non  si  dica  l'in- 
tera flotta  nemica  cola  a  fondo  o,  per  meglio  dire, 
svanisce  in  una  nuvoletta  di  fumo.  Poi  la  macchina 

rivolta  contro  le  truppe  appena  sbarcate:  il  pri- 
mo colpo  è  sbagliato  e  fa  andare  in  fiamme  un  vil- 
laggio della  costa,  ma  il  secondo  non  lascia  più  sul 
terreno  che  un  paio  di  reggimenti. 

L'arsenale  di  Woolwick  fabbrica  subito  altri  cin- 
quecento cannoni-fulmine:  Calais,  Boulogne  e  gli 
altri  porti  francesi  scompaiono  dalla  faccia  della 
terra,  e  la  Francia  si  affretta  a  ritirarsi  dalla  coa- 
lizione. La  Russia  cerca  ili  rifarsi  invadendo  l'In- 
dia, ma  basta  un  paio  di  cannoni  spediti  in  fretta 
a  Cabul  per  annientare  l'esercito  invasore.  Gli  altri 
alleati  hanno  tenuto  un  consiglio  'li  guerra  all'Aja, 
sotto  la  presidenza  del  maresciallo  Waldersee,  i  Vi 
gliono  tentare  un'ultima  prova.  Lo  stesso  Gugliel- 
mo II  assume  il  comando  e  attacca  l'esercito  in 
sbarcato  sul  Reno.  E'  inutile  aggiungere  che  dopo 
un  quarto  d'ora  quasi  tutti  i  corpi  d'armata  alleati 
sono  ridotti  in  cenere:  e  la  cenere  in  cifra  tonda 
rappresenta  un  mezzo  milione  di  Uomini.  Per  un 
ordine  speciale  di  re  Edoardo,  gli  artiglieri  di  Giove 
hanno  avuto  cura  di  risparmiare  Guglielmo  II  e  il 
suo  Staio  maggii ire. 

L'Europa   accetta    senza  esitare   le  condizioni   im- 
postele:   paga  una   somma   favolosa,  abolisce  gli    e- 
serciti,  e  si  obbliga  per  sempre  a  riconoscere 
unica  arbitra,  in  caso  di  dispute.  l'Inghilterra. 


Questo  meraviglioso  brano   di   storia   è    nari 
con  copiosi   particolari,  al  posto  d'onore,  nétt'Uni- 

i;         ne,  ed  è      '      ';■  ignaro  da  numi 
illustrazii  ri  lori,  in  cui   si    vi  de,  ad  i  si  mpio, 

Guglielmo  II  che  dopo  la  sconfitta  consegna  la 
spada  al  generale  French....  penili-  non  si  ,  auto 
il  tempo  di  richiamare  Kitchener  e  ili  dargli  il  co- 
niando iti 

11   racconto   h  grottesco,  ma  meritava   un  cenno 

penili'-  dimostra   come   si  coltivi  e   a   qual    punti,  ar 
rivi   l'orgoglio  nazionale  nell'ambiente  della  piccola 
inglese. 


DALLE    Kl\  1S  i 


Il  convento  de'  fflechitapisti 
nell'isola  San  Itazzaro  presso  Venezia 


(Da  uu  articolo  del  dott.  A.  SolokowsLy,  nel)' Ueber  Land 
und  Meer). 

....  Fra  le  curiosità  di  Venezia  non  ultima  è 
quella  del  convento  de'  monaci  armeni,  detti  Mechi- 
taristi,  nell'isola  di  San  Lazzaro.  In  dieci  minuti  la 
gondola  ci  porta  dal  Lido  a  questa  che  è  la  più  pic- 
cola delle  isole  dell'estuario  e  che  deve  il  suo  nome 
a  un  lazzaretto  pei  lebbrosi,  che,  in  altri  tempi,  vi 
esisteva. 

Dal  1716  l'isola  è  proprità  dell'ordine  de  Me 
chitaristi,  che  ha  celebrato,  or  non  è  molto,  l'anni- 
versario bisecolare  della  sua  esistenza  e  che  fu  fon- 
dato nel  1701  dal  monaco  armeno  Pietro  Bedros- 
sian  «Mechitar»  (il  consolatore).  Scopo  di  tutta  la 
vita  del  fondatore  e  dell'Ordine  da  lui  istituito  fu 
il  rinascimento  del  suo  popolo.  Mechitar  e  i  suoi  a- 
depti  appartenevano  originariamente  alla  Chiesa 
armena  non  unita  alla  cattolico-romana  e  dipendeva 
dal  Patriarca  armeno  di  Costantinopoli.  Ma  le  sue 
simpatie  per  l'Occidente  lo  resero  sospetto  al    Pa- 


triarca, onde  egli  ben  presto  trovò  opportuno  d 
migrare  nella  Morea  sotto  la  protezione  del  leoni 
San  Marco,  che  gli  accordò  il  permesso  di  istituire 
un  convento  e  una  chiesa  a  Modon.   [vi,  poco  dopo, 
l'Ordine  de'  Mechitaristi  si  convi  Ila  parte 

della  Chiesa  armena  che  è  unita  alla  cattolica}  e 
papa  Clemente  XI  confermò  nel  17  ì-1  i  Mechitaristi 
quale  Congregazione  religiosa  e  conferì  loro  —  che 
sino  a  quel  momento  avevano  vissuto  secondo  le  re- 
gole de'  Basiliani  greci  —  degli  statuti  secondo  le 
regole  di  San  Benedetto.  Ma  anche  nella  Morea  i 
Mechitaristi  non  dovevano  rimanere  a  lungo.  Le 
ostilità,  scoppiate  nel  17  14  fra  i  Magiari  ed  i  Tur- 
chi, li  indussero  a  trasportarsi  in  un  più  quieto  am- 
biente, a  Venezia,  dove  il  Senato  della  Repubblica 
donò  loro,  nel  17 16,  l'isola  di  San  Lazzaro. 

Ciò  che  forma  ancora  oggi  la  caratteristica  dei 
Mechitaristi  di  San  Lazzaro,  oltre  al  carattere  na- 
zionale della  Congregazione,  è  la  sua  attività  de- 
dicata, quasi  interamente,  in  servizio  della  scienza. 
La  loro,  più  che  una  Congregazione,  la  si  potrebbe 
anzi  chiamare  piuttosto  una  associazione  di  dotti 
viventi  secondo  certe  date  regole  monastiche.  Infatti, 
dal  1806  hanno  assunto  anche  il  titolo  ufficiale  di 
Accademia  e  mostrata  la  loro  mancanza  di  pregiu- 
dizi con  le  nomine  di  membri  d'onore  accordate 
anche  a  degli  acattolici.  Fedeli  alle  aspirazioni  del 


Nel  convento. 


I   \    LETTl'RA 


i  nel   17 15   in    |Ui  I 
mpre  serbato  pi  t  so  ipo  prill- 
ili \  amento  morale  de1  loro  ci  mnaz 
mondo,   scopo  che  tentano  conseguire 
io  rivolte  allo  studia  della  lin 
della  sua  letteratura  ed  ani  h 


1  11  sacerdote  Mechitarista. 


u  quel  loro  antico  idioma  le  opere  classi- 
che d'ogni  altro  popolo.  La  biblioteca  del  convento 
ntan    la  volumi  1 1 :  1  semplare  è  la 
loro  tipografia,  dal!  he  un  pei  odico 

il   Pur   Mavtl,   destinato   a    promuovere 

la  cultura   degli    Armi  1 :  loro, 

nati  in  vari  paesi,  come  una  specie  di  nui 
spini  ' 

V     loro   riti    ecclesiastici  i   Mechitaristi    di   San 

1   lin- 
mi ilti    par1  i  del  1        ile,  ciò 

da 
stoffi  trapunte,   dà  alle 

loro 

uro  di  trovare   in  Sai 

lienza.  Ap]  sciata 

la,  trovati-  nel  .  adorni  1  'li    fii 

ugli,  un  prete  in  lunj  ilare, 

ne,  quasi 
sempre  parlandp  nella  lingua  del  visitatore   I  1 

B  Forma  a  ra 

0  di  San  I  e,  tra 


altro,  ben  duemila  antichi  1  armeni.    Nel 

1  I  di  Pietro  An- 

tonio Novelli,  forse  la  miglii  re  opera  'li  questo  mae- 
l  .  ni  a,  d  trutta,  in  parte,  da  un 
[833,  veni  1    ndo  i  pri- 

mi disegni  e  ci  si   pi'  un  elegante  tipo 

dello  stili  .1  motivi  di  deci irazii ine 

i        1    monumento  è  il  sarcó- 
;  tirai.,  sul  sui i  ingressi  1  prin- 

ipale  e  che, dio    1    le  epigrafi   latine, 

Ise  un  ili  gli  avanzi  mortali  d'un  Costantino 
/invola,  pio  discepolo  di  San  1  azzaro,  amico  e  di- 
fensore della   sofferente   umanità. 

La  chiesa  ed  il  convento  sono  circonda 
lini,  bellissimi  s]  ei  ialmi  nte  nella  stagione  ■ 
e  quanto  mai  1  1   per  i  loro  -ruppi  ili  magno- 

l -•  e  «li  cipressi.  Su  un  piccolo  poggio  stormiscono 
livi,  che  s'intitolano  da  lord  Byron,  perchè  il 
;randi  poeta  britanno  ivi  amava  sostare,  quando, 
durante  la  sua  dimora  a  Venezia,  dal  1817  al  1819, 
soleva  venire  spesso  nei  convento,  dei  cui  abitatori 
erasi  fatto  amico  e  dai  quali  s'era  fitto  in  mente  di 
apprendere  il  loro  idioma,  Forse,  dopo  il  basco,  il 
più  difficile  di  'pianti  ani-ora  si  parlino  in  Europa. 
Ma,  più  ancora,  ivi  egli  cercava  riposo  ed  all'am 
Tommaso  Moore  scriveva  che  quel  convento  presen- 
tava tutti  i  vantaggi  e  nessuna  delle  incompatibilità 
della  vita  monacale.  Egli  prendeva  vivo  interesse 
ai  lavori  de'  Mechitaristi  e  collaborava  alla  tradu- 
zione inglese  d'un  manoscritto  armeno,  che  contiene 
l'apocrifo  epistolario  fra  San  Paolo  e  gli  Anziani 
della   comunità    de'   Corinzi. 


Sacerdoti   Mechitaristi. 


DALLE    RIVISTE 

Tommaso  Salvini 

e  un'attpiee  americana 


11  MacClure's  M agazine  pubblica  alcune  pagine 
dell'attrice  americana  Clara  Morris  intorno  a  Tom- 
maso Salvini.  Pare  che  l'America  —  la  quale  non  è 
certamente  la  patria  della  modestia  —  non  abbia 
fatto  buon  viso  all'autobiografia  dell'illustre  attore, 
perchè  questi  vi  usa  troppo  di  frequente  il  pronome 
personale.  La  Morris  si  propone,  per  così  dire,  di 
riabilitarlo. 

«  E'  strano  —  ella  scrive  —  come  il  Salvini  abbia 
dato  di  se  un  ritratto  così  poco  fedele.  Ho  recitato 
con  lui,  e  l'ho  sempre  trovato  di  modi  cortesissimi 
e  di  carattere  modesto,  quasi  schivo.  Era  pazientis- 
simo durante  le  lunghe  prove,  ancor  più  noios 
lui  perchè  i  suoi  compagni  parlavano  una  lingua 
a  lui  ignota.  L'amore  della  scena  e  l'amore  del  ri- 
sparmio si  erano  trasformati  in  lui  in  vere  passio- 
ni: della  sua  economia  si  narravano  molte  storielle 
curiose,  ma  la  sua  personale  frugalità  non  gli  im- 
pediva di  essere  più  che  generoso  coi  suoi  cari. 

«  Ad   una  prova  della   Morte  civile   avvenne  un 
piccolo  incidente  che  dimostra  la  gentilezza  di  Sal- 
vini,  il  quale  non   seguì  l'abitudine  delle  stelle  di 
palcoscenico  di  considerare  come  una  impertinenza 
ogni  consiglio  loro  dato.  Mentre  io  studiavo  la  mia 
parte  di  Rosalia,  mi  accorsi  di  un   bell'effetto  che 
si  poteva  ottenere  con  una  variante  assai  semplice. 
Io  dovevo  portare  sul  petto  la  croce  nera  che  pende 
al  collo  delle  contadine  abruzzesi  :  durante  una  sfu- 
riata di  Corrado,  pensai  che  se  avessi  levato  la  croce 
innanzi  a  lui,    il  grande  attore,  rappresentando  un 
personaggio    superstizioso,    avrebbe  saputo    trovare 
una  mimica  efficace.    Xe  parlai  al  figlio  di   Salvini, 
che  mi  chiese  subito  con  calore  se  il  padre  lo  sa- 
peva. «  Santo  cielo!  —  esclamai  —  ma  volete  che 
io  dia  un  consiglio  a  Salvini,  tanto  più  in  una  parte 
che  egli  rappresenta  da  venti   anni?  Non  mi  passa 
manco  per  la  mente  ».  Ma  il  giorno  dopo,  durante 
la  prova,  Salvini  pregò  il  figlio  di  mettersi  al  suo 
posto,  perchè  io  potessi  mostrargli  in  che  consisteva 
il  mio  consiglio.  Quando  io  levai  la  croce  innanzi  al 
gii  «vane  Alessandro,  Salvini   interruppe  con  un  gri- 
do la  scena,  riprese  il  suo  posto,  e  mi  fece  tornar 
daccapo.  Egli  ripetè  la  sua  parte,  diede  nel  suo  so  , 
pio  d'ira,   e  allora  innanzi   ai  suoi  lineamenti  con- 
vulsi levai  il  crocifisso.  L'attore  trattenne  il  respiro, 
con  uno  stupore  sacro  negli  occhi,  lentamente  porse 
il  viso,  mentre  io,  indovinando  il  suo  pensiero,   av- 
vicinavo il  crocifisso  alle  sue  labbra  tremanti,  e  poi 
singhiozzando  reclinò  il  capo  sul  mio  petto.  Gli  at- 
tori stessi  erano  commossi  delia  scena  resa  magistral- 
mente.   Salvini  rivolse  quindi    alcune  parole  affret- 
tate al  figlio,  che  me  le  tradusse:  «  Come  mai  ab- 
biamo trascurato  questo  effetto  per  tanti  anni  ?  Va 
benissimo:   di'  alla  signora  che  lo  ripeterò  sempre». 
La  recita  bilingue  produceva  qualche  volta  certi 
inconvenienti.  Per  l'attrice  americana  riusciva  sulle 
prime  assai    difficile  indovinare   quando   l'attore  a- 
veva  finito  il  suo  discorso,  interrotto  spesso  da  lun- 
ghe pause.  Una  sera  in  un  palco  di  proscenio  alcuni 
La  Lettura. 


81 

spettatori  chiacchieravano,  disturbando  gli  attori: 
Salvini,  irritato,  dava  segni  di  impazienza,  e  alla 
fine  tacque.  La  Morris  credette  giunta  la  sua  pausa 
e  piese  a  parlare.  Salvini  si  rivolse  verso  di  lei  co- 
me una  furia:  ella  comprese  che  aveva  sbagliato, 
ma  dimenticò  la  parte,  offesa  da  quel  contegno,  e 
protestò  con  una  mimica  eloquente.  Allora  Saivim 
si  calmò,  mormori)  un  pardon,  le  fece  cenno  di  ta- 
cere e  proseguì.  Il  pubblico  credeva  che  si  trattasse 
del  dramma. 

La  Morris  descrive  anche  una  serata  burrascosa, 
che  il  Salvini  seppe  dominare  con  impareggiabile 
sangue  freddo. 

Si  recitava  {'Otello.  All'ultimo  atto  l'attore  a- 
veva  soggiogato  il  pubblico  con  le  sue  tragiche  furie. 
Il  letto  su  cui  Desdemona  —  la  Piamomi,  a  cui  i 
giornali  americani  scortesemente  rimproveravano 
le  dimensioni  non  cinesi  delle  calzature  —  doveva, 
essere  soffocata,  era  posto  in  un'alcova  velata  dai 
cortinaggi.  Otello  aveva  appena  compiuta  la  sua 
vendetta,  e  usciva  dall'alcova,  per  aprir  la  ramerà 
ad  Emilia,  quando  una  sonora  risata  scoppiò  nella 
sala.  Il  cortinaggio  era  troppo  corto,  e  lasciava  scor- 
gere i  piedi  della  signora  Piamomi  che.  risuscitando, 
si  era  posta  a  sedere  sul  fianco  del  letto  e  vi  si  don 
dolava.  L'incanto  era  rotto,  ma  Salvini  continuò 
imperterrito.  Il  pubblico  cercò  di  frenarsi.  Otello  si 
avvicinò  all'alcova  per  mostrare  ad  Emilia  il  cada 
vere  .Iella  moglie.  Allora  i  piedi  della  signora  Pia 
monti  risalirono  dolcemente  sul  Ietto,  e  un'altra  ri- 
sata fragorosa  echeggiò  nella  sala.  Ma  Salvini  e- 
ruppe  nella  sua  invettiva  finale  con  tanta  e  inso- 
lita foga  che  l'uditorio  ne  fu  nuovamente  scosso  e 
cedette  ancora  all'incanto. 

«  Salvini  -  dice  la  Morris  --ci  ha  descritto 
nel  suo  libro  i  suoi  trionfi,  ma  senza  mostrare  come 
sia  riescito  ad  ottenerli.  Quale  lezione  sarebbe 
stata  per  i  nostri  indolenti  attori  !  Anche  all'apogeo 
della  sua  carriera,  egli  compiva  le  più  umili  opere 
che  gli  altri  lasciano  ai  camerieri.  Ogni  sera  prima 
della  recita  passava  qualche  ora  nel  camerino,  con 
un  grembiale  ai  fianchi,  a  spazzolare  gli  scudi,  le 
armi,  gli  elmi,  a  preparare  la  parrucca  e  altri  si- 
mili cose.  «  Questo  lavoro  —  diceva  —  è  una  parte 
della  mia  professione,  e  non  posso  vergognarmene. 
Mentre  io  lavoro,  penso  alla  mia  parte,  lincile  ho  di- 
menticato tutto  il  resto  ».  Ed  è  un  peccato  che  l'au- 
tobiografia non  acci  uni  a  questi  piccoli  particolari. 
Quando  era  vestito  e  pronto  per  la  scena,  Salvini 
si  recava  a  passeggiare  in  un  corridoio  oscuro,  in- 
nalzi e  indi, -ini.  talvolta  in  atto  languido,  talvolta 
con  aria  marziale.  Gli  chiesi  una  volta  perchè  si  met- 
teva a  passeggiare  così,  e  mi  rispose  che  stava  en- 
trando nel  seo  personaggio.  Frattanto  gli  altri  at- 
tori chiacchieravano  fumando  una  sigaretta. 

«  Soltanto   chi   Io   ha  veduto  nell'Ote/h  e   nella 
Morti  può  apprezzare  pienamente  l'arte  mera- 

vigliosa di  Salvini.  Io  conservo  di  lui  nella  fama 
due   immagini:    nello    splendore   della   sua    fora 
quando  atterra  Jago,  e  sotto  la  sua  armatura  di  sol- 
dato mostra  la   ferocia  di  una  giovane  fiera,  pazza 
di  gelosia:  e  Corrado,  l'uomo  forte,  abbattuto  dalla 
sciagura  e  dalla  malattia,  col  pallore  del  carcere  sul 

6 


LA    LI  'l'I  I  R  \ 


incerto,  i  modi  umili,  gli  occhi  pieni 
l   i  vedo,  gigante  pn  strati >,  timid 
ih-,  nell'atti i  in  cui 
supplicante,  .1  baciate  le  mani   del  sacerdote.  Che 
importa  se  il  Salvini  ha  posto  nel  suo  libro  troppi 
pi.  m  mal      Pai  Ire  adorato,  gentili) 

unir  attore  di  i  sui  >i 
giorni.  Non  v'è  che  un  Salvini,  ed  e  sua  colpa 
~J  ». 


li'aquila  di  Savoia 


Dalla  niuslrirte  Zeitung,  del  5  dicembre  . 

Per  molti  gii  irnali  (dell'i    ero)      corsa  la  n 
che  l'Italia  abbia  adottato  un  nuovo  stemma.  Ci  af- 

assistente. 

L'Italia  ha  riformato  i  segni  araldici  su  una  parte 
delle  sin-  monete  e  de'  suoi  francobolli,  ma  né  I" 
stemma  del  Regno  né  quello  della  Casa  reale  hanno 
altre  modificazioni,  tranne  quelle  poche  in- 
trodotte  ancora   durante  il  regno  d'CmbertO. 

Lo  stemma  d'Italia  è  sempre  formato  dallo  scudo 
con  la  croce  bianca  in  campo  rosso,  che  prima  si  tro- 
va ne'  suggelli  di  Pietro  11  conte  di  Savoia  ed  ora 
è  sormontata  dalla  corona  e  dalla  0  stella  d'Italia  » 
a  cinque  imute. 

Lo  stemma  della  Casa  reale  è  identico  a  quello, 
ma  è  sormontato  dall'elmo  reale  con  nastri  azzurri 
e  d'oro  e  dalla  croce  d'oro  tenuta  da  due  leoni  natu- 
rali, ed  è  circondata  dalla  grande  catena  dell'An- 
nunziata e  dai  gran  cordoni  degli  altri  Ordini  della 
Monar'  Ina,  il  tutto  sullo  sfondo  del  padiglione  di 
velluto  azzurro,  foderato  di  bianco,  sormontato  dalla 
-I  ma  d'oro  e  dalla  stella   d'Italia. 

Ji  emblemi  araldici  di  Casa  Savoia  v'hanno 
però  anche  l'aquila  ad  una  e  a  due  teste,  il  grifone, 
il  serpe,  il  nastro  col  imito  F  K  RT,  i  cosidc'ti 
nodi  savoiardi,  ecc.  Re  Vittorio  Emanuele  III  ha 
ora  ordinato  soltanto  che  le  monete  e  1  francobolli, 
anzi'  '  .a.  lo  scudo  coronato  con  la   ero  v 

bianca  in  campo  rosso,  portino  l'aquila  ad  una  te 
lv  fu  lo  stemma  della  linea  anziana  della  sua 
Casa,    quella   de'  conti    di    Moriana  e    Piemonti  . 
principi  d'Acaia  e  Morea,  Come  lo  mostra  il  no 

no,    proveniente   dall'Archivio  dell'ufficio   aral- 
dico,  è  un'aquila  p  me  araldica  0,   come  si 


dice  in    balia.  ..    frinì, ile   )..  con   lo 

sul  j  utigli,  sormontato  dalla 

n  1  f  ali .  1  1  ni  nastri,  col  motto  l    I    l<  T.  si  svol- 
1  intorno  allo  scettro    Ed  è  questo  uno  degli 


•■  :  -  ■  •»■- -5»  ■ 


antichi  emblemi  araldici  di  Casa  Savoia,  che  si  a  Io- 
pera  soltanto  per  scopi  speciali,  mentre  gli  stemmi 
della  Casa  e  dello  Stato  rimangono  inalterati.  (E1 
he  sui  francobolli,  invece  di  questa  svelta 
ed  eleganti'  figura  araldica,  se  ne  sia  disegnata  una 
1  e  che  è  sormontata,  per  giunta,  da  una  corona 
né  punto  né  poco  regale.  .V.  d.   /'rad.) 


DALLE    RIVISTI 


83 


he  tragedie  dell'oro 


Sulla  vetta  di  una  collina  nella  California  meri- 
dionale, in  vista  della  linea  ferroviaria  del  Sud- 
Pacifico,  l'oro  si  può  raccogliere  a  piene  mani.  Lo 
si  trova  a  pezzi  sul  terreno,  e  in  gran  parte  abba- 
stanza puro  da  poter  essere  cambiato  alla  zecca  con 
moneta.  Non  vi  sono  leggi,  non  vi  sono  tribù  sel- 
vagge che  lo  rendano  inaccessibile. 

La  località  giace  tra  il  32.30  e  il  34  di  latitudine, 
e  il  115.30  e  il  117  di  longitudine:  la  piccola  ca- 
tena di  collina  non  è  punto  difficile  a  salire,  e  il  te- 
soro è  sulla  cima  centrale  più  alta.  Fu  visitato  al- 
meno da  quattro  persone  nell'ultimo  mezzo  secolo: 
ciascuna  di  esse  raccolse  la  quantità  maggiore  di 
oro  che  poteva  portare,  e  alcuni  pezzi  sono  ancora 
in  mostra  nei  musei  minerari  dell'Ovest. 

Si  può  anche  essere  più  espliciti.  Dalla  vetta  pre- 
ziosa si  può  scorgere  il  fumo  dei  treni  che  passano 
presso  la  stazione  di  Salton.  Se,  volgendo  all'ovest 
dal  forte  Yuma  lungo  la  linea  messicana,  e  poi  vol- 
tando al  nord,  uno  riesce  a  indovinare  la  strada 
buona,  vedrà  sorgersi  innanzi  le  tre  collinette,  e 
scalando  la  più  alta  potrà  dire  di  aver  ritrovato  la 
miniera  perduta  di  Pegleg,  che  ha  fatto  un  numero 
di  vittime  superiore  a  quello  di  molte  battaglie. 

Il   Pegleg. 

Il  Pegleg  è  la  più  grande  delle  miniere  the,  dopo 
aver  aperto  per  qualche  tempo  i  loro  tesori  all'uomo, 
furono  perdute  di  vista.  Xon  è  un  mito,  come  av- 
viene di  molti  altri  giacimenti  d'oro  che  esistono 
soltanto  nella  fantasia  dei  cercatori.  La  sua  esi- 
stenza può  essere  provata  con  testimonianze  che  sa- 
rebbero accettate  in  ogni  tribunale:  la  sua  storia  è 
una  serie  di  tragedie. 

Il  primo  a  scoprirla  fu  un  tale  Smith,  intorno  al 
1850.  Egli  si  recava  da  Yuma  a  Los  Angelos,  e  in- 
vece di  seguire  il  sentiero  che  va  da  una  sorgente 
all'altra,  tentò  di  traversare  il  deserto  e  la  catena  di 
colline.  Ma  si  smarrì  e  volle  salire  sulla  vetta  di 
una  collina  per  orizzontarsi:  ivi  trovò  molti  strani 
pezzi  scuri  e  pesanti.  Xe  raccolse  alcuni  per  curio- 
sità, senza  comprendere  che  si  trattava  di  oro,  per- 
chè la  febbre  del  dio  giallo  non  aveva  ancora  invaso 
quella  regione:  e  li  portò  seco  con  altri  oggetti  per 
ricordo  del  viaggio.  Alcuni  anni  dopo,  fece  vedere  la 
sua  collezione  ad  un  amico,  che  aveva  pratica  del- 
l'oro e  che  riconobbe  subito  il  pregio  dei  pezzi  cu- 
riosi sotto  il  loro  colore  bruno,  dovuto  probabil- 
mente a  qualche  lega  naturale,  ma  che  i  Californesi 
attribuirono  poi   ai  raggi  del  sole. 

Il  povero  Smith  istupidì  quando  seppe  che  aveva 
perduto  una  ricchezza  favolosa,  ma  nei  momenti 
di  lucido  intervallo  a  coloro  che  lo  assediavano  narrò 
quanto  si  ricordava  intorno  alla  località  del  tesoro. 
A<1  uno  ad  uno  gli  amici  se  ne  andarono  a  investi- 
gare ogni  palmo  di  terreno  sulle  colline  di  Yuma, 
e  per  parecchi  anni  vi  si  rinnovarono  senza  tregua  : 
ancora  oggi  si  trovano  gli  scheletri  dei  primi  cer- 
catori. 


Un  giorno  un  s,  il  forte  VTuma, 

che  è  posto  sul  confine  tra   la   California  e  il    ' 
sico,  arrivò  nella  1  San    Bernardino  in  I 

torma,    con   una  certa  quantità    dei    preziosi    ]  ezzi 
neri.  Egli  sapeva  dove  si  trovavano:  descrisse  li 
colline,  e  la  vetta  su  cui   giacevano  le  pepite,  ma 
non  volle  far  da  guida  a  nessuno  finché  non 
sumò  tutto  il  danaro  che   aveva    ricavato  dall'oro. 
Allora  parti  con  una  mezza  dozzina  di   compagni  e 
con  un  buon  convoglio  di  muli.  Molta  gente  seguì 
la  spedizione  da   lontano  spiandone  le  tracce, 
furono  perdute  all'est  di  Wanur.  Cinque  anni  d   pò, 
alcuni  cercatori   trovarono  scheletri    di  uomini  ,•   di 
animali    ai    piedi    delle    montagne  di   Cuyamaca  a 
trenta  miglia  da  Salton:  uno  degli  schi  rtava 

nel  cranio  il  foro  di  un  proiettile.  Del  soldato  e 
dei  suoi  compagni  non  si  ebbero  più  notizie,  ed  è 
assai  probabile  che  essi  siano  finiti  tragicamente  ai 
piedi  del  Cuyamaca. 

L'oro  misterioso. 

Mentre  si  stava  costruendo  la  ferrovia  a  noni  di 
Yuma,  presso  l'attuale  stazione  di  Salton,  gli  operai 
videro  sopraggiungere  una  donna  indiana,  sfinita, 
esausta  dalla  stanchezza  e  dalla  sete.  La  soccorsero 
e  trovarono  che  ella  teneva  avvolte  in  un  fazzoletto 
almeno  due  libbre  di  oro  scuro.  La  donna  narrò 
che  ella  e  suo  marito  si  recavano  a  Cocopah,  quando 
perdettero  la  loro  provvista  d'acqua  :  nel  cercare  una 
sorgente,  si  smarrirono  e  dopo  due  giorni  capitarono 
su  una  collina,  da  cui  avevano  veduto  il  fumo  dei  la- 
vori ferroviari.  Ivi  avevano  trovato  l'oro.  Il  marito 
era  morto  di  stenti  cammin  facendo.  La  domiti  co- 
nosceva il  valore  dell'oro  e  non  volle  dare  alcuna  in- 
dicazione. Ella  aveva  probabilmente,  secondo  l'uso 
indiano,  fatto  il  giro  del  campo  prima  di  entrarvi, 
perchè  gli  operai  non  potevano  dire  precisamente 
da  quale  parte  era  venuta.  Molti  di  essi  abbando- 
narono il  lavoro,  in  cerca  della  collina  misteriosa, 
per  popolare  il  vasto  cimitero  del  Pegleg.  La  donna 
indiana  tornò  alla  sua  tribù,  e  nessuno  di  quelli 
che  l'avevano  incontrata  potè  poi  rivederla. 

Un  guardiano  di  vacche  di  Warner,  allontana- 
tosi per  alcuni  giorni  senza  permesso,  tornò  con  una 
notevole  quantità  di  oro.  Per  qualche  tempo  sfoggiò 
uno  sfarzo  non  mai  veduto  nei  dintorni  di  San  Ber- 
nardino. Aveva  una  sella  d'argento,  il  cappello  in- 
crostato di  argento,  i  cavalli  più  belli.  Quando  la 
sua  fortuna  scemava,  scompariva  per  alcuni  giorni  e 
tornava  più  ricco  di  prima.  Centinaia  di  uomini  ten- 
tavano di  seguirne  le  trarre,  ma  egli  li  eludi  va 
tutti.  Peri  in  un  duello  all'uso  catalano  con  un  ri- 
vale: aveva  in  deposito,  presso  una  banca  di  A\ 
ner,  ventimila  lire  in  oro  greggio. 

La  gente  del  paese  venne  invasa  da  nuova  febbre 
■  li  ricerche.  Lo  sceriffo  Tom  Carver  aveva  incontri 
una  volta  il  guardiano  di  Warner  che  tornava  dalle 
sue  gite  misteriose:  partì  da  quel  punto  con  un 
amico,  sperando  di  trovare  il  Pegleg.  Un  giorno  la- 
sciò l'amico  al  basso,  per  salire  a  piedi  sopra  una 
collinetta:  non  tornò  più,  e  non  si  trovò  più  alcuna 
traccia  di  lui. 


84  l  A    l  ETTUR  \ 

il    l'egleg  è  la  miniera  'lì    Brey- 
.  I.i  quale  porta  il  nome  dell'uomo  che  l'avrebbe 

tpitò  un  pomi'   in  una   città   'Iella 

California  meridionale,  con  un  sacco  ili  quarzo  au- 
riferi-, ricco  'li  un>  più  ili  ogni  altro  quarzo  cono- 
scili' ■  ca  terra.  Egli  pari  I  per  tornare 
alla  miniera,  ma  non  li>  si  vide  più:  più  tarili  un 
neyf<  gle  aveva  confi  ;sati i  'li  aver 
trovato  il  sacco  'li  quarzo  tra  le  mani  ili  un  cadavere 
nel  deserta 

Una  i  reni  ina  d'anni  fa,   sul  confine  ilei    Nuovo 
M  'n  trovato  un  mulo  con  una  sella  nuova  da 

cui  pendevano  'lui-  sacchi  ili  cuoio  pieni  di  mine- 
rale di  incredibile  ricchezza,  ma  senza  alcuno  in- 
dizio «lei  pi. 'pi  etarii  Si  cercò  per  cento  miglia  al- 
l'ingiro  la  miniera  ila  cui  doveva  provenire  il  miste 
-,  ma  non  si  trovò  nulla.  Tuttavia  la 
miniera  è  stata  battezzata  col  nomi-  .li  burro  o  mulo 
nera, 

cercatori  sono  caduti  vittime  degli   Indiani. 

Il  più  celebre  e   Mansfield  che  ha  lasciato   il   nome 

ad    una  strada    in    quel    pericoloso   deserto;    aveva 

miniera  ricchissima,  ma  un   giorno  si 

ni   un  villaggio  indiano  per   farsi  aggiustar  la 

sella,  e  vi  fu  ucciso. 

Alcune  vecchie  miniere  perdute  sono  state  nuo- 
vamente •-coperte.  Un  paio  d'anni  fa  Isacco  Newton 
rler,  mentre  cacciava  nel  Cihuahua,  nel  Messico, 
trovò  una  vecchia  galleria,  con  la  bocca  in  muratura. 
I.a  tradii  ale  diceva  che  si  trattava   di  una 

miniera  aperta  dagli  Spagnuoli  e  abbandonata  per 
lità  degli  Indiani.  Ora  la  miniera  è  in  attività, 
rimunerai  rice:    ma  non  vi  si   trovano   i   tesori 
delle  Mille  ed  mia  notte  comi  vorrebbe  la  leggenda 
i  io-messicana. 
Una    miniera    ancor   più    ricca   venne  rimessa  in 
sul  confine  tra  il  Messico  e  il  Texas,  presso  il 
forte   Hancock.    Ui  tore  si   era  imbattuto  in 

una  cava  abbandonata:  la  fece  lavorare,  traendone 
discreto  profitto.  Si  formò  una  compagnia,  e  i  capi- 
talisti vollero  allargare  i  lavori  aprendo  una  galle- 
ria: quale  non  fu  la  meraviglia,  dopo  i  primi  saggi 
sui  fianchi  della  collina,  di  trovare  una  parete  in 
muratura,  la  quale  chiudeva  l'accesso  di  una  lunga 
galleria:  al  fondo  giaceva  un  filone  ricchissimo  di 
minerale  aurifero!  I.a  galleria  era  sbarrata  a  mezzo 
da   una  pi  a  di  mano  spaglinola,    l'i 

bilmente  gli   Spagnuoli   l'avevano   abbandonata   in 
U  ">  a  una  rivolta  di   Indiani,  parecchi  secoli  ad- 
ita miniera  di  Whlte. 

più  interessante  è  quella   della  miniera 

di  White.  nel!.-   \i  White  era  un 

re  d'oro   della  California,  che  amava 

girar  solo,  non  concedendosi  che  il  lusso  di  un  servo 
indiano  Tri  giorno,  nel  1858,  capitò  a  li  sta  di-ca- 
vallo:"! ''..1  recò  da  un  saggiatore  tede- 
11  pezzi  di  minerale:  il  saggiatore  gli 
dini  liie  migliaia  di  dol- 
lari  in  oro.    una    quindicina.    I.a   scoperta   non 


restare  segreta.  La  sera  stessa  vi  fu  un  comizio  pre- 
sieduto dal   fratello  dell'ex-senatore  Sharon  di  V 
vada.    Un  comitato  si  recò  a  svegliare  White,  ed  a 
dirgli  che  egli  doveva  condurli  alla  miniera. 

White  li  mandò  ad  un  paese,  dove  l'oro  non  ab- 
ituila: ma  una  nuova  commissione  tornò  alla  ca- 
rica con  un  argomento  più  persuasivo,  una  corda. 
White  acconsentì,  e  l'entusiasmo  dei  minatori  non 
svanì  quando  egli  disse  loro  che  il  giacimento  si  tro- 
vava a  più  di  centocinquanta  miglia  di  distanza,  al 
nord  del  Nuovo  Messico.  Due  giorni  dopo,  Testa-di- 
cavallo  era  abbandonato:  non  vi  restava  più  un 
solo  abitatore. 

La  colonna,  guidata  dallo  Sharon,  con  un  lungo 
convoglio  di  approvvigionamento,  si  pose  in  viaggio 
attraverso  le  Montagne  Rocciose.  White  era  alla  te- 
sta, circondato  da  quanti  avevano  potuto  procu- 
rarsi una  cavalcatura:  gli  altri  seguivano  a  piedi. 
In  due  o  tre  giorni  la  colonna  si  assottigliò:  i  più 
deboli  rimasero  indietro,  sprovvisti  di  tutto  in  una 
regione  selvaggia:  gli  altri,  per  continuare,  non 
servarono  più  che  lo  stretto  necessario. 

La  sera  del  quarto  giorno  apparve  in  lontananza, 
al  di  là  di  un  [>iano  deserto,  una  catena  di  roccie 
grigie.  La,  disse  Vhite,  era  l'Eldorado.  I  cercatori 
affranti  si  addormentarono  con  la  visione  affasci- 
nante negli  occhi. 

All'albeggiare  si   svegliarono,   ma  non  trovai 
più  White.  Era  scomparso,  mentre  essi  dormivi 
col  suo  Indiano.  La  storia  delle  sofferenze  e  degli 
stenti,   narrata  dai   pochi  superstiti  che  riuscirono  a 
tornare  alle  loro  abita/ioni,  non  impedì  che  altri  ri- 
tentassero la  disperata  impresa. 

Tre  anni  dopo  White  ricomparve  nella  città  -lei 
Lago  Salato  con  altri  pezzi  di  minerale  aurifero: 
comperò  alcuni  oggetti,  non  volle  dir  nulla  intorno 
alle  sue  avventure,  e  la  sera  parti  di  soppiatto. 
Di  lui  non  si  ebbe  più  notizia:  della  sua  misteriosa 
miniera  si  parlò  almeno  una  dozzina  di  volte,  come 
se  fosse  stata  scoperta,  ma  non  mai  con  fondamento. 

Il  lago  d'oro 

La  storia  più  curiosa,  e  che  in  California  è  cre- 
duta come  un  articolo  di  fede,  è  quella  del  lago  di 
Lingard.  Litigarli  era  un  cercatore  che  verso  la  fine 
del  1853  capitò  a  Nelsonpoint  nella  bottega  di  un 
tal  Carrìngton,  ove  comperò  alcune  provviste  pa- 
gando —  come  si  usava  allora  in  quella  regione  — 
in  oro  greggio.  Ma  invece  di  dare  della  polvere  d'oro 
offriva  grosse  pepiti.  Tornò  più  volte  nei  mesi  se- 
guenti a  fare  altre  provviste,  finché  alla  fine 
l'anno  seguente  arrivò  a  mani  vuote. 

Allora  narrò  all'oste  Carrington  le  sue  avventure. 
Nel  novembre  del  1853  si  trovava  nelle  alte  Sierre 
i  <  di  oro:  essendogli  mancate  le  provvigioni 
divise  di  scendere  a  Nelsonpoint  traversando  le 
montagne  per  far  più  presto.  Non  pioveva  da  molto 
tempo  e  le  sorgenti  erano  inaridite.  Un  caldo  [io- 
meriggio,  dopo  aver  sofferto  la  sete  per  ventiqu B 
ore,  scorse  da  lontano  un  ampio  lago.  Vi  aCCOTSe, 
e  avvicinandosi  alla  riva  incontrò  un  ruscelletto  che 


DALLE    RIVI-  i  1 


85 


scendeva  a  cascatelle  dalle  rocce  avviandosi  al 
lago  in  un  breve  letto  di  ciottoli.  Cadde  sulle  ginoc- 
chia e  si  chinò  avidamente  per  spegnere  la  sete,  ma 
indietreggiò  per  lo  stupore:  i  ciottoli  del  fondo  e- 
rano  per  metà  di  oro  puro. 

Passò  la  notte  accanto  alle  sue  ricchezze.  Al  mat- 
tino raccolse  dal  ruscelletto  —  che  tra  la  cascata  e 
il  lago  non  misurava  più  di  sei  metri  —  il  maggior 
numero  di  ciottoli  d'oro  che  poteva  portare,  e  si  di- 
resse a  Xelsonpoint.  Ma  dopo  alcune  miglia ,  op- 
presso dalla  fatica,  pensò  di  nascondere  la  mag- 
gior parte  del  suo  carico  ai  piedi  di  un  alto  albero 
che  sorgeva  tra  un  dirupo  e  un  punto  del  lago  e  che 
poteva  facilmente  essere  riconosciuto.  Scese  quindi 
a  Xelsonpoint  a  farvi  i  suoi  primi  acquisti,  e  poi 
tornò  in  cerca  del  suo  tesoro.  Ma  nel  frattempo  le 
cateratte  del  cielo  si  erano  aperte,  e  Lingard  non 
riuscì  più  a  trovare  il  ruscelletto  incantato,  per  quan- 
to girasse  attorno  ad  un  lago  che  gli  sembrava  quello 
della  fortuna.  Xon  riuscì  neppure  a  ritrovare  la  via 
dell'albero.  Per  un  anno  intero  continuò  le  ricerche, 
finché  gli  rimase  un  pezzettino  d'oro:  ridotto  a  mani 
vuote,  si  rassegnò  a  parlarne  a  Carrington. 

Questi  gli  fornì  il  necessario,  e  poi  lo  seguì  con 
alcuni  amici,  ma  indarno:  Lingard  resistette  sulla 
breccia  per  venti  anni  :  il  ruscello  e  l'albero  erano 
scomparsi  come  in  un  sogno. 

Charles  Michelson  —  che  raccoglie  queste  narra- 
zioni in  un  articolo  del  Munsey's  Magazine  —  in- 
contrò l'anno  scorso,  mentre  era  a  caccia  sul  fiume 
Iroquois  nell'Oregon,  un  vecchietto  che  gironzava 
intorno  al  campo  dei  cacciatori  minacciando  col  fu- 
cile chi  si  allontanava  solo.  Era  un  tedesco  impaz- 
zito, che  da  giovane  aveva  trovato  in  quei  paraggi 
una  miniera  e  che  si  era  accinto  a  scavarla  con  un 
compagno:  gli  Indiani  li  avevano  assaliti,  e  il  com- 
pagno era  rimasto  ucciso:  il  giovane  si  era  sal- 
vato con  una  piccola  quantità  di  oro.  Andò  all'e- 
stero, guadagnò  faticosamente  il  danaro  necessario 
per  aprir  la  miniera  e  tornò  nell'Oregon  :  ma  non 
potè  più  trovarla,  ed  era  forse  ancora  impazzito  in 
quelle  selve. 

L'elenco  dei  tesori  perduti  è  interminabile.  La 
storia  più  autentica  è  quella  della  miniera  di  Lee. 
Era  una  vera  miniera,  non  un  deposito  di  pepiti. 
Lee  la  lavorava  con  un  compagno,  e  aveva  costruito 
una  piccola  fornace.  Parecchi  capitalisti,  tra  i  quali 
il  governatore  Waterman,  avevano  in  animo  di  com- 
perarla :  ma  la  miniera  si  trovava  in  una  regione 
selvaggia  tra  le  montagne,  e  non  l'avevano  mai  vi- 
sitata. Un  giorno  Lee  scese  a  San  Bernadino,  a 
comperar  polvere  per  le  mine  e  provvigioni,  di- 
cendo che  doveva  affrettarsi  a  tornar  subito  perchè 
il  compagno  era  rimasto  senza  cibo.  Il  mattino  se- 
guente Lee  fu  trovato  morto  fuori  di  città,  ucciso 
da  una  palla  di  fucile.  Mancava  ogni  traccia  del- 
l'assassino. Pensando  che  il  compagno  di  Lee  sa- 
rebbe morto  di  fame,  lo  stesso  governatore  partì  con 
una  squadra  di  uomini  per  soccorrerlo,  ma  ritor- 
narono senza  aver  trovata  la  miniera  e  non  senza 
aver  corso  il  pericolo  di  perire  di  stenti. 


Ita  fluovaiopehite 


(Dalla  Revue  Biette,  del  7  dicembre  . 

Col  nome  di  nuovaiorchite  il  dottore  americano 
—  siamo  in  America  !  —  John  H.  Girdner  battezza 
una  malattia  locale  che  egli  afferma  d'avere  stu- 
diato durante  venticinque  anni  e  intorno  alla  quale 
pubblica  un  opuscolo  molto  letto  e  molto  discusso. 

I  sintomi  di  questa  nuova  infermità  sarebbero  fi- 
sici e  psichici  ad  un  tempo.  Muralmente,  essa  si  ri- 
velerebbe con  una  megalomania  più  grave  e  peri- 
colosa dell'ipertrofia  mentale  degli  ali-tanti  ili  Bo- 
ston e  dell'elefantiasi  morale  degli  indigeni  di  Chi- 
cago. I  sentimenti  di  chi  ne  è  affetto  si  distinguono 
per  essere  deboli,  brevi  e  rari.  Fisicamente,  si  nota 
la  rapidità  e  la  nervosità  dei  movimenti  che  sareb- 
bero, nella  maggior  parte  dei  casi,  anche  inutili 

Come  terapia,  il  dottor  Girdner  consiglia  la  mira 
dell'aria  e  quella  della  luce  applicata  al  cervello  ed 
al  cuore.  Ma  forse  si  potrebbe  fargli  osservare  che 
la  nuovaiorchite  è  una  malattia  oramai  endemica  nel 
nuovo,  non  che  nel  vecchio  mondo,  dovunque  gli 
esseri  umani  sono  agglomerati  in  numero  superiore 

a  cinquanta. 

■  ti»*  " 

Il  tabaeeo  e  gli  seaeehi 

rispetto  alla  civiltà 

(Dalla  Revue  Biette,  del  7  dicembre  . 

In  altro  luogo  del  presente  fascicolo  i  nostri  let- 
tori troveranno  molte  notizie  curiose  intorno  al  ta- 
bacco ;  qui  è  degna  di  menzione  l'opera  di  ino  -"  rit- 
tore  inglese,  il  quale,  in  un  grosso  volume  intito- 
lato L'erba  sovrana  (Grant  Riehards,  editore,  a  Lon- 
dra), canta  le  lodi  del  tabacco.  Egli  osserva  che  vi 
è  coincidenza  «  fra  l'introduzione  del  tabacco  nel 
vecchio  continente  e  gli  essenziali  progressi  della 
nostra  moderna  civiltà  ».  Ed  egli  conclude  che  que- 
sta è  conseguenza  di  quello.  L'età  dell'oro  dell'In- 
ghilterra fu  l'èra  del  tabacco;  i  giganti  della  lette- 
ratura, della  politica,  dell'azione,  furono  ispirati  dal 
fumo  del  tabacco,  e  si  può  anzi  dire  che  l'Impero 
britannico  fu  fondato  in  mezzo  a  una  nuvola  di 
fumo. 

Un  altro  Inglese,  il  signor  Antony  Guest,  trova 
che  il  sintomo  della  civiltà  superiore  non  è  già  il 
tabacco,  ma  il  giuoco  degli  scacchi.  E  in  prova  ad- 
duce questi  fatti  :  che  tutta  la  Spagna,  ai  tempi  del 
suo  splendore,  andava  matta  per  gli  scacchi,  come 
pure  l'Italia  della  Rinascenza.  Oggi  invece  gli  Spa- 
gnuoli  non  giuocano  più  a  questo  giuoco,  e  gii  Ita- 
liani appena  ricominciano  a  tenerlo  in  onore  ;  La 
Francia,  dopo  la  Rivoluzione,  non  lo  coltiva  più; 
e —  sempre  secondo  il  si     1  -  dal  1789  in  poi 

i  Francesi  non  hanno  esercitato  più  nessuna  influen- 
za sul  mondo.  La  Germania  e  la  Russia  cominciano 
ora  a  giocare  agli  scacchi  .  Nella  Gran  Bretagna, 
negli  Stati  Uniti,  nel  Canada,  in  Australia,  nella 
Muova  Zelanda,  i  cittadini  ci  si  appassionano  con 
un  vero  furore.  E,  per  conseguenza,  Ride  Britannial 


86 


A    LETTURA 


Il  gran  serpente  di  mare 


i  !  i.i  un  arlicolo  del  l\i!I  Mail  i 

I  penti  di  mari-  ricorre  spesso 

ite  strani i  i  Besso,  se  ne  è  occupata 

anche  la  i  I     un  argoi sento  che  pai la  alla 

-  ma  il  signor  M.ithius  Dumi,  autore  del- 
I'aiticolo  <lrl  /',;//  Mail  Magasine,  ammette  che  il 
fami"-"  xrpi  esistere  nella  realtà,  o   al- 


si  ulTre  alle  nostre  ricerche.   E  se  si  pensa 
il  gorilla  non  è  stato  scoperti,  se  non  ili  recente,  è 
le  persuadersi  che  in  avvenire  dalle  oscurità  degli 
oceani  ora  inaccessibili  verranno  delle  sorprese. 

Comunque,  è  certo  che  nelle  storie  e  nelle  leggende 
si  parla  molto  del  serpente  ili  man-.  Livio  parla  di 
uno  di  questi  animali,  lungo  120  piedi,  che  divorò 
molti  soldati  al  tempo  delle  guerre  puniche.  Essendo 
invulnerabile  alle  armi  ordinarie,  dovette  esser, 
salito  con  le  catapulte  eri  altn-  macchine  da  guerra 
usate  contro  le  torri  fortificate,  l 'mne  fu  morto,  l'ac- 


Vn  serpente  di  mare  norvegese. 


possano  nel   mare  creature  simili   ai 

serpenti  Nel  mondo  orientale  i  serpenti  lunghi  quat- 
tro n  infrequenti  in  mare. 
Perchè  'Imi. pie  dubitare  che  si  possano  trovare  negli 
Dti  'li  ancor  maggiori  dimensioni,  dal 
momento  che,  pur  m.n  vedendo  nelli  i.'que 
ioh  animali  piccolissimi,  noi    o    ìdentali  siamo 

ad   .mini. Iter.-  l'esistenza  delle  balene?   Chi 

sa  quante  altre  forme  di  vita  animale  a 

marimente    sconosciute   esisi  Ila    profondità 

un  terzo  della  superficie  del  pia- 


qua  s'insozzò  talmente  del  suo  sangue,  1  mpì 

a  tal  segno  de'  vapori  nocivi  eman  urti  dal  sin.  ca- 
davere, che  l'esercito  dovette  portare  le  tende  molto 
lontano.  Di  questo  stesso  serpente  parlami  pure 
1  li  .1. .  e  Seneca  e  Plinii  1. 

Di  un  altro  paxla  Dindon.  Siculo.  Questo  secondo 
era  lungo  sessanta  piedi;  viveva  ordinariamente  in 
acqua,  ma  a  volte  prendeva  terra  e  divorava  il  be- 
stiame i'he  viveva  presso  le  rive  del  mare.  Si  orga- 
nizzò una  spedizione  per  ucciderlo,  ma  la  si 
fu  messa  in  fuga  e  quanti  non  ebbero  tempo  di  fug- 


DALLE    RIVISTE 


gire  furono  divorati.  Finalmente  fu  colto  in  una 
fortissima  rete,  trasportato  in  Alessandria  e  donalo 
a  Tolomeo  II,  collezionista  di  varietà  zoologiche. 

Venendo  a  tempi  meno  remoti,  l'arci^ 
Upsala,  in  Svezia,  riferisce  come  i  navigatori  delle 
coste  norvegesi  concordassero  nell'attestare  l'esisten- 
za di  un  serpente  enorme,  che,  benché  solito  a  vivere 
nel  mare,  usciva  talvolta  alla  riva  a  divorare  agnelli, 
vitelli  e  maiali,  e  spesso  atterriva  i  marinai  levando 
il  capo  minacciosamente  dalle  onde  e  prendeva  pure 
gli  uomini  dalle  navi.  Questo  campione  aveva  capelli 


§7 

centinaia  che  possono  attestare  d'avei  visto  di 
quei  serpenti.  Ho  fatto  accurate  indagini  e  non  no 
trovato    persona  intelligente  che  non  fosse  pronta  a 

intime  l'esi  I    molti  dei  nostri  navìg 

settentrionali  trovano  strano  che  questa  esistenza 
possa  mettersi  in  torso:  tanto  varrebbe  dubitare  che 
vi  fossero  anguille  e  merluzzi  ». 

Veniamo  a  tempi  più  recenti.  L'n  ottobre  1848. 
il  capitano  M'Quhae,  «Iella   corazzata    inglese  I  >, 
dalus,  inviava  al  ministro  della  Marina  questa  rela- 
zione: 


Il  serpente  veduto  dal  Dedalus  nel   iS 


al  capo,  occhi  fiammeggianti  e  ruvide  squame  per 
tutto  il  corpo  nerissimo.  Lo  stesso  arcivescovo  di 
Upsala  parla  di  un  altro  serpente  esistente  presso 
l'isola  di  Mors,  nella  diocesi  di  Hamme,r,  e  pre- 
sentante, a  quanto  si  può  giudicare,  tutte  le  carat- 
teristiche del  plesiosauro  ora  estinto. 
Più  tardi,  il  vescovo  di  Bergen  scrive: 
«  Io  ho  dubitato  dell'esistenza  del  serpente  di 
mare  lungo  tempo,  ma  ogni  dubbio  venne  meno  in 
seguito  alle  testimonianze  rese  da  pescatori  e  mari- 
nai norvegesi   assolutamente  degni  di  fede.   Ve  ne 


«  Ho  l'onore  di  riferirvi  che  il   6  agosto  scorso, 
alle  ore  5  pomeridiane,  con  un  ti  n  lUVO- 

loso,    il   marinaio   Satoris   ravvisò  un    oggetto  inso- 
lito che  si  avvicinava  rapidamente.    Egli  segnalò  la 
all'ufficiale  di  guardia,  tenerne  Edgardo  Drum- 
mond,  col  qui  ìseggiavo  sul  ponte.  Ci  met- 

temmo   in    osservazione,  e   scorgemmo    infatti    un 
enorme  serpente   ohe  tei  ta  e  spalle  quattro 

piedi  fuor  d'acqua;  e  si  scorgeva  alla  superficie  del 
mare  una  ^no  corpo  lunga  circa  20  me- 

tri :    la    parte     visibile    non    aveva    alcun    m 


88 


LA    LETTURA 


menti  «itale  né  verticale;  tuttavia  l'anin 

procedeva  con  grandissima  rapidità  e  ci  passò  così 
vicino,  che  a  quella  distanza  avrei  certamente  rav- 
visato un  uomo  di  mia  conoscenza.  Il  diametro  del- 
l'animale dietro  la  testa  mi  parvi-  presso  a  poni 
quello  di  un  serpente  comune.  11  colon-  era  bruno 
scuro,  giallastro  intorno  alla  gola  Non  aveva  pinne, 
ma  piuttosto  qualcosa  coinè  la  criniera  d'un  cavallo: 
lighe  ti  sa  pente  fu  visto  da  <liverse 
ne    Ne  faccio  fare   un  disegno   valendomi  ili 

uno  schizzo  preso  sul   momento  ». 


d'aver  velluto  l'8  luglio  1875  due  balene,  una  delle 
quali  era  avvinta  in  due  spire  da  un  animale  che  sem- 
brava un  enorme  serpente  e  che  misurava  soltanto 
nel  capo  e   nella  coda  non  contando   la   parte   del 

Corpo  avvolta  intorno  alla  balena  30  piedi.  Il  ser- 
e  lece  girare  la  sua  vittima  durante  àrea  quin- 
dici minuti  e  poi  la  trasse  soli  acqua  a  capofitto  ». 

l'no  spinarolo  simile  fu  veduto  dalla  corazzata 
1. ondmi  nel    1875. 

l'n  altro  seri  ente  fu  visto  ni  [877  dal- 

l'equipaggio dello  yacht  reale  Osborne  e  il   28  gen- 


II  serpente  veduto  dalla  nave  /Vi. 


Il  capitano  Harrington,  della  nave  Castilian,  ri- 
feriva al  Times  il  5  febbraio  1858  che  il  12  dicem- 
I  re  dell'anno  precedente,  a  dieci  miglia  N.  E.  di 
E  lena,  egli  e  i  suoi  ufficiali  furono  stupefatti 
dalla  vista  di  un  colossale  animale  marino  che  pas- 
sava col  capi  fuor  d'acqua  a  meno  di  venti  metri 
dalla  nave.  La  testa  misurava  circa  due  metri  e 
mezzi  '  di    diametro. 

11   io  gennaio  1896,  marinai  fecero  la   se- 

guente deposizione   giur 

«  Noi  sottoscritti,  marinai  del  barco  Pau/iii  di 
landra,  dichiariamo   solennemente  e    sinceramente 


naìo  1879  dal  vapore  City  of  Baltimore  nel  golfo  .li 
Aden. 

All'esistenza  di  questo  animale  misterioso  credono 
del  resto  il  prof.  Gosse,  il  dott.  Cray,  il  prof.  Agas- 
siz  ed  altri  scienziati.  11  capitano  di  un'altra  nave  da 
guerra  inglese,  Fly,  riferisce  d'aver  visto  nel  golfo 
di  California,  a  mare  calmo  e  limpidissimo,  un 
grande  animale  marino,  il  cui  collo  somigliava  a 
quello  d'un  alligatore,  ma  era  molto  più  lungo  \ 
veva  quattro  pinne:  le  anteriori  molto  più  lunghe 
delle  posteriori.  E  a  detta  del  prof.  Newman,  e 
sta  la  più   interessante  scoperta  del  secolo  XIX. 


1  pente  <li  mare  antidiluviano. 


DALLE    KIYIM  ! 


Shakespeare  o  Bacone? 


E'  nota  la  controversia  che  si  dibatte  da  lunchi 
.....  ^ 

anni    dagli   eruditi  inglesi    intorno  a   Shakespeare: 

alcuni  pretendono  che  l'immortale  drammaturgo  non 

abbia  mai  esistito,   e  attribuiscono  le  sue  opere  al 

filosofo  Bacone  da  Verulamio. 

La  Nineteenth  Century  and  After  nel  fascicolo 
di  dicembre  pubblica  un  articolo  del  professore  Mal- 
li»!:, che  solleva  in  Inghilterra  non  poco  rumore. 
Il  Mallock,  divulgando  una  scoperta  fatta  da  una 
signora  americana,  afferma  che  Bacone  usò  nelle 
sue  opere  conosciute,  e  specialmente  nel  Novum  Or- 
gammi,  un  cifrario  segreto,  lasciandovi  scritte  molte 
cose  stupefacenti  che  egli  non  poteva  narrare  ai 
suoi  contemporanei.  Tra  l'altro,  a  più  riprese,  Ba- 
rone si  dichiarerebbe  di  essere  l'autore  delle  trage- 
die di  Shakespeare,  affermando  di  aver  preso  a  pre- 
stito il  nome  di  Shakespeare,  che  era  il  migliore 
attore  di  quell'epoca.  Dell'esistenza  di  Shakespeare 
non  si  può  dubitare:  poco  tempo  fa  si  è  scoperto 
in  Vaticano  un  documento  che  prova  come  egli  fosse 
cattolico. 

Bacone  inoltre  confesserebbe  di  essere  figlio  della 
regina  Elisabetta  e  del  conte  di  Lancastro,  che  si 
erano  sposati  segretamente  prima  che  ella  salisse  al 
trono. 

La  Nineteenth  Century  è  la  rivista   inglese   più 
autorevole,  ed  è  facile  prevedere  che  la  disputa  si 
riaccenderà  più  viva  del  consueto. 
■ i  <ii»i  ■  

Come  naseono  le  mode 


La  Revue  hebdomadaire  ha  cercato  e  trovato  la 
curiosa  origine  di  talune  mode  che  dall'Inghilterra 
vengono  poi  importate  in  altri  paesi.  Per  esempio, 
la  moda  di  rialzare  i  pantaloni  in  fondo,  data  da 
una  certa  giornata  di  corse  ad  Ascot,  in  cui  il  prin- 
cipe di  Galles  —  ora  re  d'Inghilterra  ■ —  visitando 
le  scuderie  dei  cavalli,  rialzò  i  propri  pantaloni  per 
non  insudiciarli  nelle  lettiere  dei  cavalli  slessi.  Poi, 
uscendo  dalle  scuderie,  dimenticò  di  abbassarli,  e 
tanto  bastò  perchè  dopo  mezz'ora  cento  eleganti 
rimboccassero  i  pantaloni,  benché  in  cielo  splendes- 
se il  sole  e  il  terreno  fosse  asciutto  come  l'esca.  An- 
che quella  che  ora  è  regina  d'Inghilterra  dette  spes- 
so il  tono  della  moda  senza  volerlo.  Così  una  /olta 
avendo  sequestrato  al  duca  di  York,  che  aveva  al- 
lora sei  o  sette  anni,  una  bacchetta  colla  quale  aveva 
percosso,  giocando,  le  principessine  sue  sorelle,  si 
mostrò  attorno  con  quella  bacchetta  in  mano.  Non 
ci  volle  altro  per  vedere  tutte  le  eleganti  misses  ar- 
marsi di  una  bacchetta  per  la  passeggiata. 

A  Londra,  l'uso  comanda  di  portare  il  basterne 
durante  la  giornata,  ma  un  giovinetto  elegante  sa- 
rebbe squalificato  se  portasse  il  bastone  la  sera  e 
specialmente  in  teatro,  perchè  il  principe  di  Galles 
non  portò  mai  il  bastone  in  teatro.  E  poiché  si  è  a 
parlare  di  bastoni,  si  aggiunge  che  il  bastone  può 
essere  rotto  e  poi  aggiustato  con  filo  impeciato.  Tare 
che  questa  bizzarria  sia  molto  chic. 


89 

Ed  ecco  altre  bizzarrie  della  gente  snob.  Nel  1895, 
quando  in  Inghilterra  infieriva  la  crisi  agrana,  il 
mondo  elegante  si  piaceva  di  viaggiare  nei  vagoni 
di  terza  classe,  bene  inteso  con  vestiti  all'ultima 
moda,  ma  un  po'  consumati.  I  contadini  gongola- 
vano nell'avere  per  compagni  di  viaggio  lordi,  du- 
chi e  pari  del  Regno.  Una  moda  simile  regnò  in 
Francia  all'indomani  ili  un  famoso  krack  lan 
rio.  La  gente  alla  moda  prese  ad  andare  a  far  cola- 
zione ai  Bouillons  Dnval  a  due  franchi,  ma  non  si 
arrivò  fino  al  punto  di  portare  abiti  consumati  così 
da  mostrare  la  trama,  come  avevano  fatto  gli  ele- 
ganti inglesi. 

I       I      ■     »      «      I  I 

Come  si  affieehì  Chambeplain 


Chamberlain,  il  ministro  inglese  di  fama  mon- 
diale, discende  da  una  famiglia  di  mercanti  di  cui  si 
conservano  pochissimi  ricordi  genealogici.  Il  padre, 
magro  al  pari  di  lui,  severo,  tenace,  era  un  onesto 
fabbricante  di  scarpe.  A  sedici  anni,  nel  1852,  il  pri- 
mogenito Giuseppe,  che  aveva  frequentato  le  scuole 
nei  sobborghi  di  Londra,  troncò  gli  studi  e  si  diede 
al  commercio  seguendo  le  orme  paterne.  Per  due 
anni  si  recò  ogni  giorno  alla  fabbrica  su  cui  da  un 
secolo  stava  la  scritta  0  I.  Chamberlain  e  tì„li,  mer- 
canti di  scarpe  »,  vi  teneva  i  conti  e  vi  imparava 
anche  il  lavoro  del  trespolo  in  mezzo  agli  operai. 

Avendo  uno  zio  aperto  una  fabbrica  di  viti  a  In'r- 
mingham,  e  avendo  il  padre  posto  in  quell'azii  rida 
una  parte  del  capitale,  il  giovane  Chamberlain  si 
trasferì  a  Birmingham.  Per  qualche  tempo  l'azienda 
non  fu  molto  rimuneratrice,  specialmente  per  la 
grande  concorrenza.  L'introduzione  del  vapore  nel- 
l'officina, danneggiando  i  piccoli  produttori  dei  din- 
torni, arrecò  un  grandissimo  vantaggio  alla  ditta 
Xettleford  e  Chamberlain,  che  comperarono  il  bre- 
vetto per  una  nuova  vite. 

La  manifattura  andò  allargandosi  negli  anni  se- 
guenti. Chamberlain  —  che  a  venticinque  anni  era 
già  vedovo  con  due  figli  —  istituì  scuole  e  sale  di 
ritrovo  per  i  suoi  operai,  mentre  spiegava  una  non 
comune  abilità  commerciale.  La  concorrenza  mi- 
nacciava di  rovinare  ancora  l'azienda,  e  i  proprie- 
tari si  decisero  ad  acquistare  a  caro  prezzo  le  su  sse 
fabbriche  concorrenti.  Il  colpo  riuscì,  e  i  guadagni 
si  moltiplicarono.  Il  futuro  ministro  fu  allora  ac- 
cusato di  aver  raggiunta  la  fusione  commerciale  delle 
ditte  rivali  con  mezzi  minatori,  ma  l'accusa  poi  sven- 
tata era  dovuta  alle  agitazioni  politiche  che  tur- 
bavano allora  il  paese.  Chamberlain  militava  in 
quell'epoca  nel  partito  radicale  avanzato. 

Chamberlain,   dieci  anni  dopo  la   fusione,   las 
l'industria  delle  viti   che  gli  aveva  fruttato  una  co 
spicua  fortuna,  pi  1    dedicarsi  alla  vita  pubblica,  in 
cui  aveva   fatto  il  primo   passo   nel   1809,  entrando 
nel  Consiglio  comunale  di  Birmingham. 

La  ditta   Nettleford  e  Chamberlain   non   pi 
soltanto  viti,  ma  anche  uni-ini,   punte,  filo  di  fi 
ed   altri   oggetti   consimili,  ed   impiega  ben  quattro- 
mila operai.   I.a  fortuna   di  Chamberlain   giovò  an- 
che alla  sua  famiglia,  perchè  i    fratelli   e  i  nipoti 


QO 


LA    LETTURA 


,li  h  are  in  gì  ' ■•'•  e  formarsi 

;     i    itello  Anni 
listi  della  fabl  sj  le- 

sivi   K.ynocks 

■  industriali  di  Chamberlain  si  no 
iella  pubblicai  riunes  made  ■»  bu- 


In  un  cineo  equestre 


ha  legalizzazione  del  linciaggio 

:  AY  ne  Biette,  del  ;  dicembre. 

rte  del  Pri  Mai  Kinley, 

la  paura  renici  è  salita,  negli  Stati  Uniti 

u  a  un  grado  stri  ma    Un  ri- 

tadino  jankee,  il  sig.  Edwin  Lehmann 
sso  commerciante  'li  Menfi,  dirige  una 
mali  del  su<>  paese  p  dere  nii  nu- 

li sistema  na  lei  linciaggio  sia  de- 

bitamente sanzionato  dalle  leggi  ! 

L'umanitaria  idea  dell'egregio  Lehmann  Johnson 

nata  mentre  egli   udiva   un  uomo  che,  in 

senza  di  duemila  suoi  concittadini  era  sepolto  <  ivo 

dalla  folla,  a  Winchester,  nello  Stato  del  Tennesee. 

I    .        igurato  aveva  UCCÌSO  la   propria  consorte,  «  a 

Freddo»,  —  assicura  il  degno  negoziante;  il 

quale  soggiunge:  a  Non  esito  a  dichiarare  che  questa 

ra  più  crudele  del  delitto  che  essa 

puniva  ».  Ma  la  soddisfazione  del  cittadino  ameri- 

10  non  fu  piena  ;   egli  si  dolse  che  il  castigo  non 

con  l'intervento  dei  pubblici  ufficiali 

se    .ione  d'una  sentenza  della  «giustizia!» 


(Da   un  articolo  di   Werner    Kurt,   nella    H'rtte    \\  ,11 ,    del 
6  dicembre  . 

Succede  spesso  che  un  giovane,  preso  da  vivo  a- 
more  per  lane,  abbandoni  la  casa  patema  per  la 
:.  ni  i  non  si  è  mai  udito  che  ciò  sia  stato  fatto 
da  un  ragazza  Più  che  dal  teatro,  i  ragazzi  ■•  no 
Itti  dal  circo  equestre  che  visita  di  tanto  in  tanto 
la  loro  città  o  il  loro  villaggio.  L'arte  teatrale  che 
si  rivolge  all'ititeli'  non  la  capiscono; 

capiscono  invece  le  esei  i     degli  ammali  e  gli 

acrobatismi  degli  uomini  e  vi  prendono  diletto. 

E  si  direbbe  che  nella  vita  dell'umanità,  in  ge- 
nere, avvenga  la  stessa  cosa  che  avviene  nella  vita 
dell'individuo.  Duemila  anni  or  sono,  Giovenale 
poteva  dire  del  pupi  .lo  romano:  Duas  tantum  res 
atuàus  optai,  -pattern  ti  circenses:  di  due  cose  sole 

,'•  curioso:  il  pane  e  i  giuochi  del  cirro.  Oggi,  per 
contro,  I  mi'  tesse  si  rivolge  principalmente  al  ti 
e  i  circhi  sono  in  decadi  ai  •  Vero  i  he  1 1  rte  p  se 
di  cui  s'aveva  spettacolo  nel  circo  romano,  ora  si  ve- 
dono altrove:  ad  esempio,  le  corse  di  cavalli  e  di 
carri.  Nel  circo  moderno,  da  principio,  si  cercavano 
anzitutto  esercizi  di  equitazione,  cavalli  ammae- 
strati, buffonate  di  clowns.  Più  tarili  si  prese  ad  am- 
maestrare altri  animali  oltre  i  cavalli,  e  poi  si  die- 
dero veri  e  grandi  spettacoli  coreografici.  Lo  sfarzo 
e  la  grandiosità  si  sostituirono  in  gran  parte  in 
go  dell'abilità  ;  e  oramai,  benché  il  circo  trovi  an- 
cora il  suo  pubblico,  la  decadenza  è  certamente  in- 
cominciata. 

In  tempo,  quando  un  circo  voleva  dare  spetta- 
colo in  una  città,  piantava  le  sue  tende  in   luoge  a- 


II  doppio  salto  mortale. 


DALLE    RIVISTI 


perto  e  quivi  dava  le  sue  rappresentazioni.  Ora, 
cresciuto  sempre  più  l'apparato  decorativo,  aumen- 
tati il  personale,  gli  animali,  gli  attrezzi,  gli  orna- 
menti, in  alcune  delle  città  più  importanti  si  co- 
struiscono veri. edifici  stabili.  In  America  tuttavia 
quest'uso  non  è  seguito.  Bailey  e  Barnum,  per  esem- 
pio, viaggiano  sempre  con  tutto  il  loro  materiale 
e  a  volte  traversano  anche  con  esso  l'Oceano.  Si 
capisce  che  là  le  imprese  debbano  essere  più  grandi 
ancora  che  in  Europa.  Gli  impresari  non  si  aumen- 
tano di  un  solo  maneggio,  ma  ne  tengono  tre  in 
cui  si  dà  spettacolo  contemporaneamente.  E  vi  si 
vede  un  po'  di  tutto:  v'è  il  circo  propriamente  detto, 
v'è  il  serraglio,  v'è  una  menagcne  e  tutto  un  museo 


91 

in  aria,  reggendosi  sulle  mani.  Il  capotila  fa  l'eser- 
1  già  perfettamenti  .  non  rosi  gli  altri.  Uno  la- 
scia che  il  corpo  s'inchini  troppo  a  destra,  un  altro 
si  lascia  andar  troppo  a  sinistra  ;  questo  non  riesce 
a  piantar  bene  le  mani  al  suolo,  quello  piega  le  gi- 
nocchia, l'ultimo  è  ancor  così  debole  sulle  brao 
che  non  si  regge  e  minaccia  di  battere  il  naso  a  terra 
da  un  momento  all'altro.  Se  questo  caso  gli  su  - 
desse  durante  la  rappresentazione,  tutti  lo  imite- 
rebbero, come  se  si  dovesse  proprio  far  così,  e  il 
pubblico  riderebbe.   Ma  ora  non  si   scherza. 

Entrano  un  cavallerizzo  ed  una  cavallerizza  che 
eseguiscono  i  loro  esercizi  audaci  e  pericolosi.  Essi 
sanno  già  farli  con  perfetta  sicurezza,  ma   bisogna 


Un  elefante  equilibrista. 


di  cose  talmente  orribili  da  far  perdere  l'appetito 
all'uomo  più  affamato.  Non  si  può  negare  ad  ogni 
modo  che  nelle  rappresentazioni  si  veggano  cose 
interessanti   e  notevoli. 

Ma  ancor  più  interessante  di  una  rappresenta- 
zione è  una  prova.  In  tanti  casi  ha  maggiore  at- 
trattiva il  divenire  che  l'essere  !  E  nello  stesso  tem- 
po la  prova  dà  un'idea  schietta  —  quale  non  può 
mai  darla,  s'intende,  lo  spettacolo  —  del  modo  come 
si  trattano  tra  loro  le  persone  addette  al  circo,  delle 
loro  consuetudini,  dei  loro  costumi.  Diamo  durque 
un'occhiata  a  quello  che  succede  in  diverse  parti. 
La  prima  cosa  che  ci  si  presenta  è  una  lunga  fila  di 
clowns  che  fanno  le  loro  esercitazioni  con  la  mas- 
sima serietà  ;  non  si  direbbe  certo  che  quegli  uomini 
dovranno  poi,  a  spettacolo  cominciato,  preoccuparsi 
principalmente  di  far  ridere  la  gente.  Ora  essi  de- 
vono stare  tutti  in  linea  regolarmente,  con  le  gambe 


che  si  tengano  in  continuo  esercizio.  Qui  più  che 
altrove  vale  la  verità  che  il  riposo  significa  andare 
indietro.  E'  necessario  ripetere  sempre,  instancabil- 
mente, le  stesse  cose,  gli  stessi  salti,  gli  stessi  giuochi 
di  cui  occorre  poi  dare  spettacolo  al  pubblico.  Lo 
stesso  si  dica  del  ginnasta,  che  deve  fare  il  loppio 
salto  mortale,  e  che  compierà  domani  dalla  schiena 
d'un  elefante  l'esercizio  che  ora  compie  sulla  nuda 
terra. 

Il  ciclista  va  pedalando  sopra  un  filo  d'ai 
e  tiene  in  mano   una  lunghissima  asta   che  l'aiuti 
a  tenersi  in  equilibrio.  L'esercizio  è  difficile,  e  più 
ancora  è  difficile  in  pubblico  che  nella   prova. 
che  durante  lo  spettacolo  c'è  pericolo  che   la  • 
plice  presenza  della  gran   folla  taccia  perdere  al 
dista  l'estrema  calma  necessaria.   Intanto  egli  porta 
una  donna  sulla   sua  bicicletta.  E'   uno  spetta 
che  fa  provare  la  vertigine. 


02 


LA    LETTURA 


Esercitazioni  di  clowns. 


Interessantissimi  sono  i  sistemi  usati  per  am- 
maestrare gli  animali.  Non  è  possibile  descriverli 
tutti,  ma  certo  si  è  arrivati  a  risultati  meravigliosi. 
rano  più  soltanto  il  cavallo,  il  cane,  le 
scimmia.  A  tutti  gli  animali,  miti  e  feroci,  stupidi 
e  intelligenti,  grossi  e  piccoli,  si  insegnano  esercizi 
stravaganti  e  difficili.  Se  si  tolgano  i  pesci,  si  può 
dire  che  tutti  gli    animali  abbiano  trovato    il    loro 


maestro,  che  li  fa  obbedire  con  le  buone  e  con  le 
cattive,  assai  più  con  le  buone  che  con  le  cattive. 
Ci  vuole  pazienza  e  bontà  all'infinito,  perchè  le  be- 
stie non  tornino  bestie,  e  gli  allievi  non  saltino  ad- 
dosso al  maestro. 

Non  è  certo  questo  l'ultimo  e  il  meno  grave  dei 
pericoli  cui  sono  esposte  le  persone  addette  ad  un 
circi  i  moderno. 


ipedismo  aereo. 


DALLE    RIVISTE 


li'epoiea  (Dilanese, 

capostipite  di  sei  dinastie 


(Da  uno  studio  della  baronessa  Lodovica  di  Bodenhausen, 
nel  Nord  und  Siid,  di  dicembre). 

....  Come  un  carattere  d'antica  grandezza  ci  si  pre- 
senta Caterina  Attendolo  Sforza,  alla  fine  del  se- 
colo decimoquinto.  E  l'interesse  per  la  sua  storica 
individualità  è  reso  maggiore  dal  fatto  che,  mari- 
tata in  terze  nozze  a  Giovanni  de  Medici,  da  lei  pro- 
vennero le  stirpi  de'  granduchi  di  Toscana,  degli  Or- 
léans, degli  Stuarts,  de'  Borboni  ormai  espulsi  da 
Napoli  e  da  Parma,  della  famiglia  regnante  di 
Spagna. 

. . .  Suo  padre,  il  duca  Galeazzo,  venne  ucciso,  il 
giorno  di  Natale  del  1476,  nella  chiesa  di  Santo  Ste- 
fano. Ma  allora,  già  da  tre  anni,  Caterina,  benché 
giovanissima,  era  andata  in  moglie  a  Girolamo  Ria- 
rio,  nipote  del  papa  Sisto  IV.  Veramente  principe- 
schi furono  i  doni  di  nozze:  due  vesti  di  broccato 
d'oro  e  di  velluto  verde,  adorne  di  1538  grandi  e 
1380  piccole  perle,  un  collare  di  429  grandi  perle, 
innumerevoli  gioielli,  una  borsa  d'oro  e  d'argento. 
Nel  1477  Caterina  seguì  a  Roma  il  marito  fatto 
principe  d'Imola  e  Forlì  e  capitano  generale  dell'e- 
sercito pontificio.  Ed  ivi,  alla  splendida  Corte  dei 
Papi,  ella  passò  i  più  bei  giorni  della  sua  vita,  il- 
lesa dalla  corruzione  e  dalle  dissolutezze  del  mon- 
do che  la  circondava.  Ma  se  la  purezza  dell'animo  e 
la  sincera  pietà  la  difendevano  da'  vizi,  la  rende- 
vano straniera  al  marito,  che,  vero  flagello  di  Roma, 
facevasi  odiare  per  la  spietata  tirannide  e  la  sel- 
vaggia crudeltà.  L'unica  comunanza  d'aspirazioni 
fra  Girolamo  e  Caterina  era  l'ambizione. 

Nel  1481  ella  visitò  per  la  prima  volta,  col  ma- 
rito ,  i  propri  Stati  :  Imola  e  Forlì  ,  e  cu  là  an- 
darono a  Venezia,  dove  Girolamo  doveva  fungere 
da  Legato  del  Papa.  Suo  pretesto  ufficiale  era  un 
trattato,  che  il  Pontefice  voleva  stipulare  con  la  Re- 
pubblica in  difesa  dai  Turchi,  perche  la  barn 
della  mezzaluna  già  sventolava  ad  Otranto  e  una 
squadra  turca  incrociava  nell'Adriatico.  Segreta- 
mente però  Sisto  IV  mirava  ad  allearsi  a  Venezia 
contro  il  duca  Ercole  d'Este,  per  ridurre  anche 
rara  in  signoria  del  Riario,  mentre  Modena  e  Reg- 
gio, le  due  città  vassalle  di  Ferrara,  sarebbero  state 
annesse  alla  Repubblica. 


Con  tutte  le  pompe,  che  Venezia  sapeva  sfog- 
giare in  simili  occasioni,  vennero  ricevuti  i  Riario. 
Centoquindici  dame  attendevano  la  «  contessa  Ca- 
terina» al  confine,  e  alle  feste,  date  in  onere  si 
ilei  marito,  le  dame  veneziane  portavano  splenda  le 
vesti  del  valore  di  oltre  trecentomila  fiorini  d'oro. 
Ma  le  trattative  d'alleanza  non  approdarono,  e,  più 
che  discretamente  disillusi,  Caterina  e  Girolamo  pre- 
sero il  cammino  del  ritorno,  anche  questa  volta  pas- 
sando per  Imola  e  Forlì.  Frattanto  però  gli  Orde- 
laffi,   che    prima    avevano   tenuto   in    loro    signoria 


93 

quelle  contrade,  avevano  ordito  una  congiura  e  que- 
sta, detta  «  la  congiura  degli  artigiani  »,  perchè  vi 
prendeva  parte  specialmente  il  popolino,  fu  da  Gi- 
rolamo Riario  soffocata,  alla  lettera,  nel  sangue. 

E'  notevole  che  Caterina  non  prese  parte  alcuna 
a  queste  cruente  persecuzioni  ;  ella  sapeva  od  in- 
tuiva che  le  congiure  che,  sempre  rinnovandosi,  mi- 
ravano alla  vita  ili  Girolamo,  erano  appoggiate  ila 
Firenze.  Perciò  ella  già  pensava  ai  mezzi  per  assi- 
curare, ad  ogni  modo,  la  signoria  di  quegli  Stati 
ai  suoi  figli,  non  come  a  rampolli  dell'odiato  Ria- 
rio, nipote  del  Papa,  ma  come  a  quelli  di  lei,  di 
Caterina  Sforza,  sorella  del  giovane  dura  di  Mi- 
lano e  nipote  di  Lodovico  il  Moro,  reggente  in  no- 
me di  quello,  e  da  molti  anni  fedele  alleato  della 
Repubblica  fiorentina.  La  sua  segreta  politica,  che 
consisteva  nel  fare  dei  nemici  di  Girolamo  gli  a- 
mici  suoi  propri,  diede  poi  ragione  sinanche  al  so- 
spetto che  ella  non  fosse  proprio  estranea  all'assas- 
sinio, poi  avvenuto,  del  marito,  ma  giova  dire  che 
nulla  provò  questa  accusa  ;  e  non  maggiore  con- 
sistenza ebbero  le  calunnie,  che  volevano  fare  di 
Caterina  l'amante  del  papa  Sisto  IV.  Il  suo  onore 
di  donna  era  difeso  dallo  stesso  Pontefice.  Quando, 
per  esempio,  un  pittore,  in  un  certo  suo  quadro  di 
una  rassegna  delle  truppe  pontificie,  osò  dare  a 
due  figure  della  folla  —  un  francescano  e  una  gio- 
vane donna  che  sembrava  in  grande  dimestichezza 
con  quello  i  tratti  del  Papa  e  di  Caterina,  Si- 
sto IV  entrò  talmente  in  furore  che  fece  bastonare 
l'artista  e  a  stento  questo  sfuggì  ad  ancora  più 
duro  castigo.  Quest'episodio  fu,  d'altronde,  uno  de- 
gli ultimi  della  vita  del  Papa:  il  12  agosto  [484 
morì  Sisto  IV,  cui  la  Spagna  dovette  l'Inquisizione, 
l'Italia  il  fatale  nepi  t'snio,  ma  Roma  e  il  inondo 
dell'arte  la  Cappella    Sistina. 


Caterina  comprese  tosto  che  la  morte  di  Sisto  IV 
annientava  d'un  tratto  tutti  i  castrili  in  aria  dei 
Riario  e  che  per  lei  trattavasi  ormai  soltanto  di  di- 
fendere i  vantaggi  acquisiti.  Il  marito  indugiava, 
ma  Caterina,  fattesi  risolutamente  aprire  le  porte  di 
('astri  Sant'Angelo,  vi  si  rinchiuse  con  un  niu  ieo  di 
forti  soldati  e  mandò  a  dire  al  Sano  Collegio  che 
ella  era  pronta  a  difendere  .  occorrendo  con  la  forza, 
il  castello,  che  da  Sisto  IV  era  stato  affidato  al 
conte  Riario.  quale  suo  capitano  generale.  Ma  i  car- 
dinali non  potevano  rinchiudersi  in  rum-lave  sin- 
ché non  fossero  signori  della  cittadella,  perchè  il 
possesso  .li  questa  decideva  anche  di  quello  del  Va 
ticano  e  della  città,  nella  quale,  dopo  la  morte 
Papa,  regnava  uno  sfrenato  tumulto.  Il  popolo  si 
precipitò  sul  palazzo  de"  Riario  e  vi  distrusse  tutti 

esori  d  1  r  cardinali  erano  tanto  spaventati  che 
alle  esequie  di  Sisto  IV  soltanto  undici  Eminenze  as- 
sistevano. Gli  altri  non  avevano  arrischiato  di  rfn  arsi 
in  I. atera.no  passando  dinanzi  a  Castel  Sant'Angelo. 
Così  il  Sacro  Collegio  si  vedeva  tentilo  in  isracco 
da  una  donna  appena  ventenne,  di  cui  il  mondo  am- 
mirava l'audacia  e  il  coraggio. 

H tini,  uno  de' migliori  cronisti  ili  quel  tempo, 
dice  Caterina  «saggia,    valorosa,    intraprendente , 


LA    LETTURA 


;iuin  muta  da  tutti  i  soldati  i    I 

ili  grande,  imponente   statura,   ili  nobile,  finissimo 

iprè  armata  d'una  spada  bene  aguzza  i 
d'un  ben  Fi  imita  ili  ducati. 

\    i  ii. Im. ili  in  ni  restò  altri  i  da  Fare  i  he  venire  .1 
>    Gii   Ianni  furono  assicurati,  alla 

prebende  sino  allora  godute  quale  capi- 
di  Imola  e  Forlì,  un  ini 
ni//  'li  1  palazzi  '  r  otti  mila   du- 

1  a    el    Sant'Angelo   fu 
Gii  lami  1  - 1  laterina  lasc  ari  im  1  Roma. .. 
•  !ii  anni  dopo,  Girolamo  Rìarìo  fu  ucciso  da 
ell'Orso,  capitano  delle  sue  guardie,  e  da 
giurati,  che  ricevevano  istigamenti  ed  ap- 
Medici  ili  Ri  1  1  »rdelafB,  gli  ex- 

n  ili  Forlì.  Il  popolo  mise  a  sacco  ed  a  ruba 
itello.   Illese  restarono  a  mala  pena    le 
della  contessa  Caterina  e  de'  suoi  figli    Ma 
non  un  momento,  malgrado  la  disperai. 1  sua  situa- 
r   -  1  donna  vacillò.  «  Muzio  Attendolo 
e  il  duca  Francesco  Sforza,  vostri  antenati,  —  di- 
a'  figli  maggiori     -  non  seppero  mai  che 
paura  !  »  Il  irò  api  stolico    Savelli 

ria  alla  balìa  degli  Orsi  assegnandole 
per  rifugio  la  tome  di   San  Pietro,  e  i  pietosi  sol- 
dati le  procurarono  del  latte  per  i  minori  figli,  per- 
lii     non  erano  più  in  caso  di  nutrirli. 
\,-|:  ssuno  si  moveva  in  favore  della  contes- 

■  na  la  cittadella  di  Rovaldino,  difesa  dal  capi- 
Feo,  resisteva  ancora.  I  capi  della  città,  non 
mti    appigliarsi,  credettero  essere 
scaltri  ini  sa  a  recarsi    ella  stessa 

nel  castello  per  ordinarvi  la  resa  al  fedele  Feo.  Ella 
iva  nella  torre,  quali  ostaggi,  i  suoi  figli  ;   non 
ano  chiamarsi  sicuri?  Ma  le  ore  trascorsero  e 
il  (Iran  Consiglio  e  la  folla  si  accorsero  che  Cate- 
rina li  aveva  canzonati.  Invano  anche  Checco  Orso, 
l'uccisore  di  Girolamo,  afferrò  uno  de'   figli  di  Ca- 
1  1 .  dinanzi  al  castello,  sui  cui  spalili  ella  sta- 
va, appuntò  il    pugnale  al  petto   del  ragazzo.  Ma 
lina  nemmeno  per   tanto  spasimi'   si    lasciò  in- 
timorire. Ritta  la  persona,  si  mostrò  tutta  quanta  al 
popolo  esclamando:  «  Guardate,  0  stolti,  se  io  non 
larti  risce  ancora  altri  figli  !  j>  Ella 
■  ita. 


nane  appresso  —  durante  le  quali  i  cannoni 

della  1  1    facevano   fu sulla 

-  un  1  n  lanese,  spediti  1  dal   dui  a    in 

della  nipote,  eira  indi  1  la  città  :  prile 

148.-  -,  quale  reggente  per  il  suo  primi 

1       viano,  riceveva  gli  omaggi   de1  vinti.  L'in- 
■  rina  a   Fi  irli  fu  trionfale. .. 

uenti  ella  si  dedicò  esclusivamente 

■  uni  figli  e  al  Itene  1  le    lui  à  Stai  i. 

possesso    fondiario  contro  la  riscossane 

itiva  delle  gabelle  ■■  fondò  il  Monte  di  1 

la  prima  Banca  pubblica  di  queste  pr<  :  rapo 

della  quale  chiamò  un  israelita  l  La  rico- 

perTon  -  usi  ir  ■  di- 

Rovaldino,    che     frattanto   aveva    preso    in     moglie 

tra  d    Cati  rina,  fece  venire  poi  que- 


sta in  il istichezza  col  fratello  di  Tommaso,  Gia- 

Feo.  Ben  presto  ella  si  sentì  presa  d'amore 
per  il  bello,  culto  e  valoroso  uomo.  E  col  cons. 
del  duca  1 .1 11  Invici  1  il  Muro  ella  contrasse  con  Gia- 
como Feo  un  matrimonio  segreto,  quale  era  ne 
sario  per  non  perdere  1  suoi  diritti  di  tutrice  de'  fi- 
gli... Ma  non  andò  guari  che  Giacomo,  nominato 
\  ii  e  signore  di    Forlì  ed   Imola,  capitano   generale 

Olila  contea  ed  anche,  per  intercessione  di  Caterina, 
l '.none  francese,  si  atteggiò  a  tiranno  di  lei,  de"  suoi 
figli  e  dello  Stata  Un  giorno  egli  si  lasciò  indurre 
dall'ira  a  dare  uno  schiaffo  ad  Ottaviano,  il  figlio 
maggiore  di  Caterina,  il  futuro  signore  di  Eorli.  I'oco 
dopo,  durante  una  partita  di  caccia,  anche  Giaci  mio 
perì  sotto  il  pugnale  de'  suoi  nemici.  Caterina,  «  h<- 
l'amava  sempre,  volle  trarre  aspra,  feroce  vendetta 
degli  uccisori.  Essi  furono  sottoposti  a  ogni  fatta 
di  torture.  Un  prete,  che  era  stato  complicato  nella 
mgiura,  fu  legato  alla  coda  d'un  cavallo  e  tra- 
scinato così  per  le  vie  scoscese  sinché  fu  fatta  cruen- 
ta poltiglia.  Non  le  donne,  non  i  figli  de'  congiu- 
rati   ebbero  grazia... 


Ma  il  destino  de'  Riario  sembrò  offuscarsi  vera- 
mente soltanto  tre  anni  dopo,  quando  Caterina  osò 
rifiutare  la  mano  della  bella  figlia  di  papa  Borgia, 
la  poi  tristemente  famosa  Lucrezia,  per  suo  figlio 
Ottaviano.  Mentre  Luigi  XII  si  cingeva  a  Milano 
la  corona  ducale  e  con  la  fuga  di  Lodovico  il  Moro 
veniva  meno  a  Caterina  il  suo  valido  ausilio,  Ce- 
sare Borgia  traeva,  con  forte  nerbo  d'armati,  in 
Imola  e  Forlì.  E,  infatti,  malgrado  il  valore  di  I  1 
terina,  di  suo  figlio  Ottaviano  e  del  popolo,  Imola 
ben  presto  dovette  capitolare.  Ed  anche  nella  c:ttà 
di  Forlì  il  terribile  duca  entrò  il  19  dicembre  1500. 
Ma  la  cittadella  resisteva  sempre  e  la  difesa  che 
Caterina  ne  fece  restò  per  ogni  tempo  famosa 
Dame  Catherine  soits  forme  femmine  monlTa  ma- 
seni  in  eourage,  dissero  di  lei  i  cronisti  dell'ep 
Stanco  d'attendere,  vedendo  inutili  tutti  gli  sforzi 
dei  suoi,  Cesare  Borgia,  alto  a  cavallo  sul  suo  bian- 
co arabo  destriero,  fece,  un  bel  mattino,  annunziare 
da  trombe  e  tamburi  che  invitava  Caterina  ad  un 
colloquio. 

Madonna  -  le  gridò  dal  pie  delle  mura,  a- 
gitando  rispettosamente  il  suo  cappello  dalle  lun- 
ghe piume  bianche  —  Madonna,  voi  sapete  clic  mu- 
tabile è  la  fortuna!  1"  vi  annuirò  e  m'inchino  al  vo- 
stro eroismo.  Ma  vi  prego,  non  resistete  più  oltre; 
arrendetevi  e  alle  vostre  persone  sarà  usato  ogni  ri- 
ci  trdo. 

Immota,  ('aterina  ascoltò  l'arringa.  Non  un  segno 
di  commozione  apparve  sul  suo  bel  volto. 

linea,   ella  rispose,  io  sono  ima    Sfor/a.  la   fi- 
.  li-I  ruolini  che  non  sapeva  che  fosse  paura,  e  ri- 
mali" sulle  su,-  orme  sino  alla  morte.  Quanto  alle 
vostre  promesse,  sa  tutta  Italia  ciò  che  vale  la  pa- 
rola d'un  Borgia  1 

Poi    adunati    intorno   a   sé    i   suoi    capitani.    50g 
ginn 

—  Io  tengo  alto  l'onore  della  mia  stirpe,  perchè 


DALLE    RIVISTI 


05 


mai  fra  noi  s*ebbero  vili  e  traditori.    Questa  è  la 
differenza  fra  gli  Sforza  e  i  Borgia! 

Occorsero  ancora  molte  settimane  d'assedio  e 
prove  d'incredibile  valore  perchè  Cesare  Borgia  si 
potesse  dire  vittorioso.  Né  egli  risparmiò  umilia- 
zione alcuna  alla  sua  nemica.  Stretta  in  catene  d'oro 
ella,  si  dice,  dovette  persino  cavalcare  nel  suo  se- 
guito all'  ingresso  trionfale  di  Cesare  Borgia  in 
Roma  ! 

Un  lungo  anno  la  infelice  fu  rinchiusa  nel  tene- 
broso carcere  di  Castel  Sant'Angelo  e  quando,  per 
intercessione  della  Repubblica  di  Firenze,  ella  fi- 
nalmente riebbe  la  libertà,  le  sue  forze  erano  esau- 
ste. Le  sue  terze  nozze  con  Giovanni  de'  Medici  non 
furono  che  un  lampo  di  gioia,  una  promessa  di  glo- 
ria, della  quale  certo  ella  non  intravedeva  tutto 
l'avvenire.  Sette  anni  l'eroica  donna  d'un  giorno  , 
visse,  tranquilla  ed  infermicela,  a  Firenze  e  il  28 
maggio  1509  vi  chiuse  gli  occhi  al  sonno  eterno. 


Libri  costosi 


(Da  un  articolo  del  signor  Frank  Rinder,    nel    Pali  Mail 
Magaziiie,  di  novembre  . 

La  caccia  ai  manoscritti  e  ai  libri  rari,  fatta  con 
criterio  e  abilità,  può  essere  enormemente  rimune- 
ratrice.  Uno  dei  più  famosi  collezionisti  inglesi,  il 
conte  Ashburnham,  comperò  verso  la  metà  del  se- 
colo XIX  una  raccolta  di  manoscritti  per  duecento- 
mila franchi  e  la  vendette  nel  1883  per  oltre  un  mi- 
lione. Un'altra  raccolta,  comperata  per  150  mila  lire, 
fu  venduta  per  oltre  800  mila  ;  un'altra  ancora , 
acquistata  per  un  milione  e  mezzo,  fu  rivenduta  per 
cinque  milioni  e  mezzo.  La  bibliomania  non  s'arre- 


oofautermcra  aoora  ctlaàtntfum 
ìufiì  mirò  ìnfima,  prati?  npufc  ma 
libtt-uotat  brcTtrtjrquf  noe  tjtntura 
ararne  Sàrtia  riltmrartfitniì  orooue 
0$  cUat.Iaxiua  uagtcta:iO  t  Ituìtit*. 
ftuartf  uant&ateiquÉ  murai*  unta* 
raue.fcwr9  tìcaWatarìrarqttufont^ 
rara  pnomt  Jiijlf  traitp  libri  raoru: 
quoe^mrit  tuorarb^o  etgt  anrilar. 
èttim,raria$  maini  tariutrtt  moni* 
uni  a  itju  alio  naunqui  apuO  illoa 
ìofra  bmnurn  oirit.  ìSrinOt  wbtotit 
foprbnu  io  rft  iubiru  lìtajitt  in  alimi 
tópìngut  rum-troia  in  tatto  inaiai: 
fra  i$  nateat  rfiQoria.  lamia  Itimi* 
tur  famiutqunn  noo  rccjmm  prati  i 
&rJmOiam?.Cmart?  maladjim  io  i 


Il  bibliomane. 


Ina  pagina  della  Bibbia  di  Mazarino. 

sta  innanzi  a  nessun  prezzo  anche  elevatissimo.  Nel 
18 12  una  copia  della  prima  edizione  del  teatro  Sha- 
kespeariano fu  comperata  per  2500  franchi  e  una 
copia  del  Deaamerone  .  stampata  a  Venezia  nel 
15  71.   fu  pagata  circa   57  mila  lire. 

Oramai  soltanto  i  collezionisti  ricchissimi  pos- 
sono aspirare  a  ricche  raccolte  dei  primi  libri  stam- 
pati, e  siccome  a  poco  a  poco  questi  libri  vani 
finire  in  pubblici  musei  o  in  mano  di  persone  poco 
disposte  a  venderli,  si  comprende  che  il  loro  prezzo 
debba  andare  continuamente  crescendo.  Il  primo  li- 
bro completo  stampato  con  tipi  mobili  si  ritiene  ge- 
neralmente essere  la  Bibbia  del  Mazarino,  finita 
certamente  prima  del  15  agosto  1456-  Una  copia 
famosa  è  quella  di  Ashburnham,  che,  acquistata 
per  12,500  lire,  fu  venduta  per  centomila.  Un  Sal- 
terio latino,  stampato  da  Fust  e  Schoeffer  nel  1469, 
comperato  per  3500  lire,  fu  venduto  per  120  mila 
lire,  il  massimo  prezzo  che  si  sia  mai  pagato  in  In- 
ghilterra per  un  libro.  Un'altra  Bibbia  di  Fust  e 
&  hi  effer,  fu  acquistata  da  Ashburnham,  che  acqui- 
stò pure  contemporaneamente  una  Bibbia  di  Gu- 
tenberg, pagando  per  tutte  e  due  15  mila  lire.  Il 
negoziante  che  gli  aveva  venduto  i  libri,  soddisfat- 
tissin  tifare,  gli  regalò  per  soprammer 

una  Bibbia  Pauperum,  libro  rarissimo.  I  tre  libri, 
venduti  più  tardi,  fruttarono  140  mila  lire. 


La  prima  stamperia  fu  impiantata  in  Inghilterra 
da  Guglielmo  Caxton  nel  1477.  I  suoi  primi  libri 


•  m                                                                  LA   LI  IH  R  \ 

hanno  oggi  un  valore  enorme.  Ls              di  Troni,  amichi.  Molti  libri  editi  nel   secolo  XIX   ilivenuti 

che  un  tempo  si  aveva  per  3  scellini  (L.   3,75)1   fu  rarissimi  nel  commercio,  sono  cresciuti  enormemente 

vt-n. Ima  nel  1S85  per  45  mila  lire;  e  Re  Arturo,  che  di  valore.  E  lasciando  anche  i  primi  autori  del  se- 

B  Circa  tre  lire  e  mezza,  fu  venduto  per   piasi  colo,   pure  accennando  solo  ai  viventi,  si  può  ricor- 


!  oc 


-37> 


r 


ira 


ratte  ffultmws  tomàio, 
5  teme  reta-f  aitato  flottar- 

Xultate  in 
Otiti  ttnorrr 
ófitemfì) 
■pfateio  Uerc 


Dal  Salterio  latino  di  Kust  e  Schoefltr. 


50  mila  lire.  L'aumento  è  colossale,  ma  bisogna  con- 
1  il ii- >  rappresenta  un  capitale  immo- 
li, lizzato:     i     tre     scellini      investiti     originai  i. munir 

nella  Storia  di  Troia,  sor  divenuti  36,400;  ma  se 
inveo  e  impiegati  all'acquisto  del  libro,  i  tre 

scellini    fossero  stati  messi  ad  interesse   composto 
al  cinque  1  er  -  •  nto,  il  guadagno  sarebbe  stato  mag- 
ggi  se  ne  avrebbero  presso  a  poco  64  mila, 
profitti  della  raccolta  di  libri  rari,  bi- 
sognerebbe tenn  questo  fatto. 


Ma  i  prezzi  alti  non  si  trovano  soltanto  tra  i  Libri 


^«-^r 


dare  che  un  volumetto  di  poesie,  dato  alle  stampe 
da  Rudyard  Kipling  quando  aveva  sedici  anni,  fu 
comperato  ultimamente  per  135  sterline,  ossia  3375 
franchi!  Chi  pagò  quella  somma  enorme  credette 
che  l'esemplare  che  acquistava  fosse  l'unico  in  com- 
mercio. Dopo  ne  vennero  fuori  altri  che  si  vendi  I 
a  80  franchi!  I  Poemetti  di  Keats,  che  nel  1894 
furono  messi  in  vendita  al  prezzo  di  40  franchi, 
era  non  s'hanno  per  meno  ili  700.  Un'edizione  di 
Chaucer  fu  pubblicata  nel  i8q6  al  prezzo  di  500 
1  hi    Nel  luglio  scorso  se  n'è  venduta  una  copia 

a    2075    franchi     Come   si    vede,    certi    libri    DOSS 

lare  delle  piccoli    fortune,  ed  anche  delle  grandi! 


.'•"•.   ->.  <• 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore. 


Milano,  1902.  —  Tip.  del  iella  Sera. 


Gai.uzzi  Giovanni,  gerente  1 > e\po>isabile. 


LA  "  REMINGTON  N.  7  „  E  LA  PIÙ  DIFFUSA  IN  TUTTO  IL  MONDO 


Parigi  1900  -  GRAND  PRIX  -  Parigi  1900 


La  macchina 
per  scrivere 


R 
E 
M 
I 
N 
G 

O 

N 


La  prima 

fra  tutte 
le  macchine 
per  scrivere 

è  sempre 

La  più 

moderna 

La  più 

pratica 

La  più 
perfezionata 

LA 

Remington 

ha  ottenuto 
sempre  le  più 

Alta 

Onorificenze 


LA  MACCHINA  PER  SCRIVERE  "  REMINGTON  „ 

È  LA  PIÙ  ECONOMICA,  PERCHÈ  LA  SUA  DURATA  È  SUPERIORE 

A  QUELLA  DI  QUALSIASI  A  ITRA  MACCHINA 


M  fate  acquisto  di  macchine  per  scrivere  senza  chiedere  una  Remington  N.  7  in  prova  all'AGENTE  GENERALE 
CESARE  VERONA  —  TORINO,  Via  Carlo  Alberto,  20. 

Suooursali  s 

ROMA,  Via  Due  Macelli,  9  —  GENOVA,  Vi»  Carlo  Felice,  11  —  MILANO,  Corso  Vitt    Email.,  5. 

L' EDISON  MINEOGRAP  è  l'apparecchio  di  riproduzione  più  pratico  e  più  semplice  per 
fare  circolari,  prospetti,  listini,  musica.  Riproduce  in  migliaia  di  copie  qualsiasi  scritto 
senza  alcuna  spesa.  —  Chiedere  catalogo  e  prove  a  CESARE  VERONA  -  Torino. 


%  VI  SONO  PIÙ  DI  3000  MACCHINE  "  REMINGTON  „  IN  USO  IN  ITALIA 


Stampato  completamente  colla  macchina  -  Fulirur  -  NEUIOI.O  e  (_'.  ■  TOKINQ  -  Milani»  ■  (.rniiy;». 


1>I     NOTTK 


R  icconto    di    V.    G.    KOROLENKO 


'.   /.  B.).  —  Continuazione  <■  fine,  vriii  numero  precedente. 


1  bambini  rimasero  taciturni.    I  uno 

-.un  a  tog!  itosi 

sul  I                 la  fiamma  iridava  al- 
ti 

ii     .;  mano  più  pii  i  ola  l'i 
fuori,  mentre  sui    bambini  i    lava    comi     una 
lina  d'oscurità,  s'udiva  il  cader  della  p  il  ni- 

ni..re  dell  I  >ra  si    spiegavano  la  strani 

della 

La  malattia  della  mamma  ed  i  suoi  presentimenti, 
le  preoccupazioni  del  babbo,  il  ricordo  ili  zia  Katia, 
il  trambusto  notturno,  le  voci,  i  pianti,  i  gemiti, 
unto  andava  spiegandosi  E  anche  1"  s  ettico  Mark 
era  -  ire  la  teoria  ■  1  < - 11  ;\  nascita  e- 

Una  vita  nuova  era  per  entrar  nella  casa,  ma  an- 
che la  morte  stendeva  le  sue  ali  sopra  il  capo  della 
inanima,  e  a  j h  « ■■  >  a  poco  uno  strano  spavento  con 

-a    le   anime   infantili. 
Vso  ita,         disse  piani  i   Mark. 
«"he  vuoi:'        chiese  Vassia  anche  più  piano. 
gli   si  avvicinò  all'orecchio,  come   temesse 

l'eoo  'Ielle  sue   pan 'li- 
li.  se  quel  che  mi  hai  raccontato  è  vero, 
Due    levono  essere,  sì,  devi  ino  essere  qui  vicini... 

n • .  propose    Vai 

tutto  tremai 

ii  he  la  vecchia      Va  tu,  a  svegliarla, 
lo?..     Lo  ho  paura. 

—  Anche...  Anch'io!  —  dovette  confessare  il 
coragg  Mark. 

I  due  fratelli  s'accostarono  istintivamente.  L'o- 
scurità pi  lalla  'an'lrla  semispenta  pareva  al- 
lontanar la  pi  condnceva  alla  camera  delle 
sorelli  i  governante;  1  bambini,  soli,  udivano 
un  mormorio  l  al  .lisopra  'Ielle  loro  testi- 
Infine  Mark  si  decise  a  smo  '  le  dita  la 

;  i  : rata  illumini  i  la  i  amerà, 

coperte  a  terra  e  la   porta  delle 
baml 

Vado  a  annunziò  Mark.  Ed  eri 

-  nella  camera,  chiamò  la  vecchia,  che  si  .lri//" 
presti  i,  col  \  iso  sci  invi  >lto. 

i  *. .  i  ria  cominciati  i  ?  Ed  ii  i, 

.  donno  ancora  ! 
I  - latosi  un   fazzoletto  in  testa,  infilò  li 

ii  '  ranquilli    [o  torno  sul 
tua   spari  nel  corridoio,  mentre  Mark, 

■•■ilo  '  on  una  smorfia  'li  i 

.  a  : 

I     and  ita  via!   <  he  stupida  ! 

—  Già,  era  meglio  lasciarla   dormire.  Chi 

bine. 

M  .    le  bambii ran    già   destati  .    si 

ndere  dal 


li  iti  i.   e  ni    un   momenti  i  o  im]  ai  mio   sul   limil 
tenendosi  pei  le  mani. 

Bui  m  giorno,  ci   qui   anche  noi  ! 

disse  Ma  -  ia  al  li    i  ami  nte,  facendo  una  ri  i 
a    Era  tutta  iveva  v  isto  che  il   ! 

della  governante  era  vuoto. 

Piano,  stupì. la  1        le  gì  idò   Mark.  -     l 'alla 

ria  >ce  una  nui  n  a  baml 
Piano  tutti  !  -     disse  Vassia  autorevolmente, 
re  stava  in  ascolto.   Le  bambine,  docili,  sedei 
ero  intoni. i  alla  candela  e  rima  i    pure  ad 

ascoltare. 

VII. 

( '"I  cessar  della  pioggia,  si  udivano  meglio  i  ru 
mori,  lo  stormii  delle  piante,  i  latrati  d'un  cane  e 
un  certo  frastuono  che  andava  creso  .  vi.i- 

namlosi   rapidamente. 

Qualcuno  arriva  in  carrozza,         disse    M 
\, i :    .li  \  essere  in  città. 
In  mezzo  al  sonno  ed  al  silenzio  notturno,  tutti 
ascoltavano   il   rumore. 

(  "hi  '■'  hti'\  a  e  d  ive  si  correva,   in   una  n 
così  strana  ?        pensai  a  Vas 

A  lui  sembrava,  nella   strada   lana  <■  deserta,  'ìi 
vedere  unti  piccola  carrozza,  ma  assolutami 
cola,  con  piccole  ruote  .li  metallo;   ed  i  piccoli  ca- 
vallucci correvano  in  fretta,  battendo  lo  zoccolo  sul 

'l'iato,    mentre    il    piccolo   Cocchiere   li   ai// 

la  frusta.  Chi  dunque  poteva  passar  così  tardi 
le  strade  della  città  addormentata? 

Il    rumore  andava    avvicinandosi,    poi   si   spense 
d'un  tratto,  perchè,  terminato  il  lastrico  della  i 
la  carrozza  passava  sul   terriccio  della  campaf 

Traversano  il  campo.      Veng >  da  noi,  — 

.  issen  o  Mark. 

La  casa,  quasi  fuoi  .li  città,  era  presso  a  un 
opriti,  d'erbe  selvatiche.    Chi  poteva   giuri 
una  notte  simile,  quando  stava  per  nascere  il  barn 

lo? 

Trattenendi  >  il  respiri  >,  i  fratelli  asi  ■  Il  ai  ani 
si  la  |  urta  i'l  entrar  nel  cortile  la  carrozza    Poi,  ni  ' 

I  altra    parie  'Iella  rasa    s'udirono   .Ielle   VOCI. 

Manno     ponato     il     bambine!  chiese 

M  ascia. 

i  ai  i,  tu  ' 
Vassia  ascoltava  e  sudava  immaginandosi  un  qua- 
dro strano.  Palla  carrozza  scendevano  gli  angeli,  e 
.lo  con   precauzione  il  bambino,  I"  affidavano 
alla  man  '..m  gli  auguri  dicendo: 

Prendetelo  per  voi.  e  state  tutti  b 
Ma  era  strano  che  in  casa  regnasse  aurora  il  si- 
lenzio e  non  s'udissero  grida  <li  gioia. 

Qualcuno  si  avvicinò   alla  porta    della    e 
dove  abitava  la  vecchia  zia,  che  non  usciva  mai  d 
sua  camera,  e  Vassia  udì  : 

Grazii     i  Dio,        irri         I  Ora    tutto   .unirà 
bene.  


9 


TOSSI 


TOSSI  ,    ._      _  CATARRI 


35  anni 


di  successo 


IL     MIGLIORE     DEI     KIMRDII 

CONTRO     LE 

-^cf^-  nr  o  ss  Si  i 


su^ 


preferito  agli   nitri 

per  la.  costante  efficacia,  il  gusto  squisito 

e  la  più  assoluta  innocuità 


"1 
ru 

s 


ESTRATTO  PAN  E  li  A  J 

DI   CATRAME   PURIFICATO 

Gusto  gradevole  •-  Massima  tollerabilità  •■  Effetto  sicuro 

sono  i  pregi  di  questo  prodotto  che  lo  fanno  raccomandato  dai  medici, 
gradito   dai  pazienti,  in  tutte  le  forme  catarrali   acute  e  croniche. 


I  prodotti  FANERAJ  si  vendono  in  tutte  le  buone  Farmaci 

Opuscoli  gratis  richiesti  al  Premiato  laboratorio  Dott.  ENRICO   uANSEL   A  C.    .uoceor     11  0    PANt(c»i 

Livorno     <Tos»o*=»r-»fc»). 


M    NO 


t  i'i.  I  .1   povera   si- 

om'è  difficile! 
que. 
In  istante  app  ■<  ^.i  nella  i 

Lo  scia; 
lato  rando  i  capelli  in  disordine. 

i  .1  tutta  lagno  i  neoimeni 

bambine  non  eran  più  a  letti  •.  i  rugò 
■    una  candela  che 
nan 

iti    III 

I  he  m 'ii  ne  capi\ ano  nulla,  si  guai 

.   mentre  ;    fi 
riunì  i>  l'altri  i  comi] 
pei  formare  il  coroe  riempir  la  camera  ili  sin- 
\l  i  tutti    era   troppo  spaventevole     : 
non  riconoscevan  più  nemmeno  il  fra  fuo 

;tiar  del  vento. 
una  porta  lmitana  si  apersi   e  una 
ite: 
Benissimo,   benissimo!  —    Poi  un   lungo  so- 
spiro  'li  sollievo  passò   lento  sulla  rasa  silenziosa. 
i.  pur  non  rii  spiegarsi   nulla,   si 

ilice.   Stava    pei     iddi  rmentarsi,  vinto 
dalla  stanchezza;   anche  la  piccola  Sascia  dormiva 
ma. 
Ed  io  so  chi  è  arrivato!         annunziò  forte 
Mark,  che  non  aveva  sonno. 

Ma  e  si  ttile,  il 

pianto  d'un  bambini     I  i  cosa  era  tan^o  inaspettata, 
che  Sascia  riaprì  gli  occhi,  alzò  la  testa,  e 

disse: 

1 1  bambinetto  pian) 
('■li  altri  si  in  piedi.  Mascia  batteva  le 

mani,  e  Mark  si  precipitò  alla  porta,  gridando: 
Indiamo  ili  là  ! 
i  si  arrestò  d'un  tratto,   sulla   soglia, 
ino?        di 
l'ir  una   volta    non   sarà    niente      -   assicurò 
Mark,  il  quale  voleva 
in  così    1  •  E   voi,  l'ami' 

ni. 
\l  divei  samente. 

me  sei  gentile!  Perchè  non  rimani  tu.  in- 
-  Andiami     :  .   andiamo  eira!        aggiun- 

liutando  la   pi  5  scia. 

pi   gò  Vassin,  il  (piali' 

ii  vento  caldo 
nido  soffiò  Iure  in  faccia  quando  schiusero  la 

illuminato   'la   una    rami,  l.i 

qualcuno  vi  aveva  dimentii  ito    l'alia  porta  si 
mi-aperta  s'intravedeva  un  lembo  di  ci  cato 

un-  degli  alberi.  I  bambini  sentii 

iw-  dall'aria.  Mark,  che 

litri,   apri   adagio  un   usci"  pel   quale 

rari  no  ni  Ila  prima  carni  i 

I  ,,  vano  in  nuovo  .  sbirciando 

Iella  mamma,  i  bimbi  videro 

ibbo  chinato  amorosamente  verso  il  letto;  una 

iuta  t  rav  i  ■ 

Mark  -  ;   pel  brai 

■ 

II 

'  Mi  hele. 

!  Enrico,  pei  seduto    ■ 


la  lampada,  e  nel  pallido  viso  brillavano  gli  occhi, 
che  semi  i  indi  del  solito.  Michele,  senza 

giacca,  le  maniche  rimboccate,  si  asciugava  le  mani. 

(  'In-    farciamo  adesso  ?         di  mandi  •  \ 
il  quale  aspettava  sempre  le  decisioni  del   fratello. 

—  Non  su,         rispose  Mark,   nascondendosi  in 
un  angolo  oscuro,  ove  gli  altri  In  seguirono, 

1  i  ]in  senza  degli  zii  li  stupiva, 

Lo  zio  Enrico,  il  quale  era   una  volta  molto  al- 
tri il  ni  "  ri,  di  ipi    ;-i    '  d'un  i 
bambina  e   la  morte  contemporanea  della   moglie, 
era   andato  a  stabilirsi  in   un'altra  ritta.   Tutte   le 
volte  che  veniva  a  trovare  i  parenti,  i  bambini 

\  ano  del  sui  i  mutamenti  ni  ivano  imj 

riati  davanti  a  lui. 

i ."  /io  Michele  era  molto  più  giovane;  aveva  <<•- 
ehi  celesti,  i  capelli  biondi,  un  viso  ■  e  fre- 

sco. Vassia  si  ricordava  quand'era  studente;  i>"i  i 
bambini  ricordavano  d'aver  udito  he  si 

era  innamorato  d'una  signorina,  che  faceva  le  ope- 

i     "ili  chirurgiche  e  che    non   crei  leva    più    in    DÌO. 

I  utti  gli  studenti  cessa li  credere  in   l»i"  pi  : 

tagliano  i  cadaveri  e  non  hanno  paura  di  nulla.  M 
poi,  'piando  diventano  vecchi,  cominciano  di  nuovo 
a  crei  !'  re  e  domandano  perdoni  i  a  Dio;  se  no,  può 
capitare  loro  qualche  disgrazia  come  al  vecchio  dot- 
tore, che  i  bambini  avevan  conosciuto.  Il  povero 
dottore  era  morto  sul  colpo,  perchè  gli  era  scop- 
piato il  ventre. 

Lo  /i"  Michele  badava  poco  ai  bambini,  ai  quali 
uva  d'esser  da  lui  disprezzati  perche  tran  tTO] 
i    piccoli. 

Ora,  quando  lo  videro  illuminato  dalla  lampada, 

10  trovarono  molto  cambiato,  con  la  faccia  molto 
contenta    e  superba.    Gli   occhi    gli    luccicavano,    e 
sulle  labbra  errava  un  Sorriso,  malgrado  il  desiderio 
di   conservarsi    serio.    Infine,   non    potendo   ri 
accese  una  sigai  disse  a  Enrico: 

I  li.  ionie  ti  pare,  Enrico'  Son  riuscito  bene? 

11  caso  era  molto  grave,  e  quel  vecchio  dottore  a- 
vrebbe  'irto  mandato  all'altro  mondo  la  madie 
o  il   bambino,  o  tutte  due  insieme. 

—  E'  vero.    Bravo  Michele!   Siamo  arrivati  ap- 
,i  tempo..     Forse,  due  anni  or  sono,  se  anche 

presso  la  mia  l.  -  e  con  voce  spenta,  sen/i 

lini  re,  aggiunse:  —    La  nascita  e  la  morte  stan  così 
vicine  '.    E'    un   gran   misten  i 
Michele  alzò  le  spalle. 

Questo  mistei  .         disse,     -  l'abbiamo  stu- 
!   fondo. 
I    bambini    rimanevano   sempre   indecisi,   poiché 

tutto    pareva    rientrare    nell'ordine    normale    ed 

temevano  di  essere  rimproverati  davanti  agli  zii. 

Ma  in  quell'istante  s'apri  improvvisamente  la 
porta  e  qualcuno  guardò  dalla  fessura.  I  bambini, 
i  quali  credevano  veder  comparire  la  governante, 

ma,  coi  capelli  e  la 
bari  i  .  e  indi  a  pò."  comparve  la  figura  di 

un  contadino,  vestito  di  un  k<if/<i?i.  con  enormi  sti- 
vali e  con  la  frusta  in  una  ni 

I  si    guai  dò  attorno,  tossi  piano  e  si  gì 

nuca  esprit]  ivano  in  lui  uno  stra 

ordinario    impaccio,   il  che  eccitò   hi  simpatia 

ii  Vbituati  gli  occhi  all'oscurità  del  corri- 
doio, il  contadino  si  accorse  della  presenza  dei  bim- 
bi, e  tutto  contento  si  avvisino  loro,  dicendo: 


"t1"'!"""'  .''.'■""■■■  .i-fi..-i.i;i-.-»-t'»'.:i.in.tr-^nì-TTT^n-,J  ■■-'!■ -r  -.    ,  -  .  .-y^fif^l-wnn  a  -i^tt  ttttt  .rTirTn^nrwr  nn«tiP.n-iPi.ui,nn-li^-!  ■-,.■■.,,.,,.■■■   „,. 


Alcune  attestazioni  sulle  Premiate 
SPECIALITÀ  FATTORI 


V 


....  Le  vostre  Pillole  Depurative  Univer- 
sali sono  portentose.  Da  quando  ne  faccio  uso 

non  mi  sento  più  crampi  e  dolori  di  stomaco. 
E'  scomparso  anche  il  gonfiore  di  ventre   ca- 
gionato da  un  invecchiato   e   persistenti 
stricismo.  Ora  mi  sento  perfettamente  gua- 
\  rito.  LUIGI  SCARMANAN,  fornaio. 

Copparo  (Ferrara). 

....  Ho  esperimentato  le  vostre  Pillole  Uni- 
versali e  le  trovai  di  srrande  efficacia. 
Nieosia.         Can.  don  VINCENZO  FURNO. 

....  Sono  molto  soddisfatto  delle  loro  Pillole 
Universali  Fattori.  Dal  primo  giorno  che 
cominciai  la  cura,  tosto  sentii  un  migliora- 
mento, come  pure  mia  sorella  sofferente  al 
pari  di  me  da  disturbi  gastrici  con  gonfiezza 
di  ventre.  Sono  veramente  prodisiose,"le  consi- 
gliai a  qualche  mio  amico.  FUSETT1  SILVIO. 
Riva  d'Ariano  Polesine  (Rovigo). 

....  Favoriscano  spedirmi  un'altra  scatola  di 
Pillole  Depurative  Universali,  da  Lire 
due.  Trovandomi  quasi  libero  dai  tormenti  ca- 
gionati da  una  malattia  insopportabile,  non 
posso  a  meno  che  ringraziarli  ie  mille  volte. 
Con  tutta  stima  li  saluto.  SERRA  ANGELO. 
Monteluponi  (Iglesias). 

....  Le  loro  Pillole  Depurative  Univer- 
sali mi  hanno  giovato  molto,  perciò  li  prego 
a  spedirmene  u  .'altra  scatola  da  L.  2.  Infinite 
Il  di  a  questo  loro  potentissimo  terapeutico  il 
solo  ed  unico  sollievo  all'umanità    soffi 

Una  stretta  di  mano  colla  più  viva 
scenza.  ALCIDE  DALLARI. 

Scandiano  (Emilia  |. 

COBRIEBE  SANITARIO 

Dirett.  Cav.  D.r  Vincenti 

Note  pratiche  di  terapia. 

La  Cascarci  Sagrada  nelle  forme  gastroente- 
>■  che.  —  L'uso  e  la  prescrizione  ili  pre] 
a  base  di  Cascara  Sagrada  vanno  diffonden- 
dosi man  mano  che  viene  confermandosi  la 
speciale  efficacia  di  tale  sostanza  sulla  fun- 
zione digestiva. 

Si  spiega  e  si  giustifica  adunque  la  fiducia 
che  medico  e  pubblico  hanno  nelle  Pillole 
Universali  Fattori  che  sono  appunto  a  base 
di  Cascara  Sagrada  e  s'impiegano  razionalmen- 
te nei  vari  disturbi  dell'apparato  digerente. 

Di  facile  e  comodissima  somministrazione,  di 
effetto  pronto  esse  dh  ennero,  inbreve.il  rimedio 
preferito  da  quanti  soffrono  dispepsie  e  catarri. 

La  parola  al  sin.  prof.  dott.  COLMAYER  di  Napoli 

Le  Pillole  Universali  Fattori  sono  state 
a  da  me  largamente  sperime   tate  in   individui 
alfetti  da  torpore  di  fegato  e  da  ingorgili  epa- 
tici e  persino  da  catarri  dei  dotti  biliari; 


T 


Quindi  atte!  itano   la   secre- 

zione biliare,  riuscendo  così  uno  dei  un: 

igoghi.  1  pure  utilissime  nelle 

stitichezze  determinate  da  torp  uscoli 

intestinali,  special  mi  individui   con- 

valescenti •  ■  di  debole  eostitu/i 
Napoli.  D.  COLMAYER 

lied.  dell'Osp.  Clin.  e  del  Neurocomio  di  Miano 

....  Ho  esperimentato  con  successo  sorpren- 
!e  Pillole  solventi  Fattori  contro  le 
emorroidi    e    l'Unguento  antiemorroidale 
Fattori.  VINCENZO  MALI  BONE. 

Ritsi  (Caltanisetta).  

....  Trovo  efficacissimi  i  vostri  prodotti  anti- 
emorroidali.         Prof.  PASSERA  GIOVANNI. 
Colmegna    Lago  Maggiore). 

....  Ho  ottenuto  un  ottimo  risultato  coll'uso 
delle  vostre  Pillole  antiemorroidali  Fat 
tori.  RI  --H  PASQUALE. 

Torii:  -ietta.  3. 

....  I.e  Pillole  solventi  Fattori  mi  hanno 
fatto  benissimo.                 PIETRO  MUSS,  pp. 
'/. .  ra  (Dalmazia  

....  Le  Pillole  solventi  Fattori  e  1  Un- 
guento Fattori  ini  hanno  fatto  bi 

PIETRUZZ1  LEOPOLDO. 
un.     islr.  'li  Feltre. 

....  Anche  il  dott.  Favai-i  nel  suo  periodico  // 
Dottore  di  Casa  d'igiene  popolare  e 
medicina  domestica,  nel  32  numero  di  settem- 
bre 18P9.  elogia  grandemente  i  preparati  an- 
tiemorraidali  Fattori. 

....  L'anno  scorso  ho  comperato  da  questa 
Ditta  una  scatola  .li  Pillole  solventi  Fettori 
ed  un  vasetto  di  Unguento  antiemorroi 
dale  e  un   Mino  trovalo  bene. 

PIETRO  Don.  TOMAT1S. 
Curenno    Genova  . 

....  La  cura  fatta  l'anno  scorso   mi    pi 
Un. ira  dai  dolori  reumatici. 
Castelluccio  Inferiore.  CARLO  ROBERTI. 

...  Il  vostro  Elisir  anti gottoso  Fattori  lo 
Dott.  PAOLO  KAMI. 

Ba  S  i  nagna. 

....  Avendo  la  sottoscritta  ottenuto  col  vostro 
Elisir  Fattori  ita  guarigione  ( 

ha   raccomandai. .  la  cura  ad 
una  -  dizione 

di   due   ila. ■oni.  Distinti   saluti. 

M  ORIETTA  BRAMBILLA. 

Lu  -  ilendide. 

....  Avendo  fatto  esperienza  che  il  vostro  Eli- 
sir Fattori  è  e    radicale, 
ho  indotto  un   altro   !                 di   Lecce  a    farne 
acquisto.        Devot  MARCELLINA  di  i 
Lecce  (Educatorio  delle  Marcelline 


*■■ ?■-■•*■■ ■■■F..'.^..1. .■.,■„■,:.,- ■    i, J"r- 


ìgflUBfegg 


■  J.'.. MjJJuJJJJJJ.Jmj.»»i>»i u.j.jjjir.ri'rrrrMjlMJ: 


IO    NOTTE 


Chi  S  no? 

Ah,  avete  portato  miri, 

domandò  \ 
•  'li'-  bau  |    tiat< >  i  due  signori, 

ma  non 

ppiamo  neppnr  noi,        rispose  il 
M 

lì  che  devi  fare,  signorino  J        prò 

Va     

M    hele  se  devo  staccare 

.illi 

Va      tu  sti 

io  ho  paura.  Non  oso  entrare.  Va'  tu,  che 
eran  di  o 
Ma  di  che  hai  paura  ? 
Non  mila    \  .1    va'  ! 

I     il  Mark  clal  SUO  angolo  verso 

la  porta.  Mark,  turbato  di  d  rsi  agli  zìi 

di  a  I"  rniirsi,   ma  la 
mano  dell'uomi  idolo. 

Da    dove   \  iene  quest'aria  ?         mormorò   la 
le  della  mamma. 

Mi  hele  si  volse  alla  ;  [ora  Mark, 

'i'lo  'li  es  unente 

innanzi  aj  atori  meravigliati. 

niello  lì.  incominciò    Mark. 

a  voce  alta,  coll'intenzione  'li  attribuir  la  colpa  del 
l'inconveniente  al  contadino,  —  egli  dice  di  doman- 
dare se   '  valli. 

''hi'  Dove?       chiese  il  babbo,  uscendo  dalla 
camera  da  letto. 

—  Questo  contadino. 

Ma  il  poveraccio  s'era  nascosto  dietro  la  porta. 
M      ia  indignato  gli  ^ridò  : 
Perchè  ti  nascondi?  Sei  furbo:  hai  spinto  in- 
nanzi  Mark  e  noi  scappare. 

Michele  prese  un   lume  e  alzandolo   illuminò  il 
gruppo  dei  bambini  seminudi. 

Oh,  oh,   quanti   sono!  —  egli  gridò.  —  C'è 

anche  1  niello  stupido  cocchiere.  Vieni,  vieni  avanti! 

Ma.,     io  vole\a  soltanto  domandare  se  devo 

Ili... 
Stupido,  chiudi  la  porta  e  aspetta   nel  corri- 
doi..      I    ■  !..  bambini,  ditemi  un  po'  come  vi  tro- 

I    due    fratelli     tacevano,    attristati    di     dover    ri- 
spondi ri    .1  M  ichi  le  e  di  non  aver  trovato  nulla  delle 
maravigliose   1  11  ttavan   di   vi  dere. 

Abbiamo   sentilo  piangere  il  bambino,-  -dis- 
se \l 

E  allora  ? 

.amo  curiosi   ■  veniva, 

Milk,  accigliato. 
il  problema!        esclamo  io  zio  Enrico, 
prendendosi  ti  ia  la  piccola  Sascia  —  Fa- 

dallo    Zio    Michele. 
I.  hanno    trovato   sotto    un    cavolo,  spiegò 

M  11  noncuranza. 

/'•:         eslamò  Mark  irritato.      -   - 
pian  :ia  bugia   Fui  .ri  piove,  e  il 

bambino  si  sarebbe  raffredda 

m-      lo     zio 

Trova   un'altra    spiegazione, 

Michele  ! 

l.'han  mandati  1  '\.<ì  1  iel n  un  filo. 

<  Ih,  ite  pure  '        disse   Mark,  riscal- 


dandosi e  indignandosi.  -      Voi  non  sapete  nulla; 

noi    SÌ,   In  sappiami  i  ! 

—  E'   'ini'  sa  ! 
No. 

I.    chi  dlliii|iu    f 

1  ■  ■  i\  anni,   il    bottegaio  ! 

Ma  he  vi  ha  detto,  lo  scienziato 

inni  ? 
Racconta  tu,  Vassia,        disse  Mark. 

No,   racconta   tu   si  rispose  Vass;a.  .1 

Ics,,  dal   tono  leggero  con   cui  aveva   parlato   lo  zi,, 
M  i  e  hele. 

Va  benissimo,  racconterò  io,  esclamò  Mark 
con  una  voce  provocante,  facendosi  innanzi, 
l-'.cco:  Dio  ha  'hu-  angeli... 
E  raccontò  la  storia  udita  da  Giovanni,  pigliando 
coraggio  a  man,»  a  mano  che  s'accorgeva  della  cu- 
riosità svegliata  nell'uditorio  dalle  sue  pan. le.  Per 
lin  la  mamma,  dall'altra  camera,  gli  diceva  di  par- 
lar più  teli.-  perchè  potesse  udire  anche  lei:  lo  zio 
Enrico  andava  fissandolo  co'  suoi  grandi  occhi,  ed 
d  [>adre  sorrideva  dolcemente  Michele  pure  non  na- 
scondeva l'interesse  destato  in  lui  dal  racconto. 

—  Ebbene.  Vero  tutto  CÌÒ?  I  cimino  Mark, 
rivolgendosi  agli   ascoltatori. 

Tutto  vero,  tutto  verissimo,  bambino  mio,  — 
nspi.se  lo  zio   Knrico. 

Ma  Michele,  volgendosi  impaziente  al  ragazzo, 
interruppe: 

Non  creder  nulla,  Mark  ;   son  tutte  scioc 
ze!...   Che  idee,  —  aggiunse  poi,  a  Enrico,  —  che 
idee!  Riempir  la  testa  rlei  ragazzi  con  queste  stupi- 
daggini ! 

Allora,  spiega  tu,  se  puoi... 

—  Sai  bene,  che  io  potrei  spiegare. . . 

—  In  qua!  modo? 
Michele  rise. 

—  Spiegherei  la  fisiologia  in  modo  facile.  Al- 
meno sarebbe   la  verità. 

—  E    perchi-  ? 

—  Tu  sai  poco,  credendo  di  sapere  tutto!  I  bam- 
bini, invece,  intuiscono  il  mistero,  e  s'ingegnano  a 
penetrarlo  con  immagini  facili...  A  me  sembra  che 
essi,  piuttosto,   s'avvicinano  alla  verità. 

M  ichele  si  alzò  in  piedi. 

—  Potrei  risponderti.  Knrico,  ma  non  è  quest  > 
il.-  il  tempo  ne  il  luogo.  Ti  consiglierei,  per  esempio, 
di  seguire  le  teorie  di  Giovanni  quando  dovessi  a- 
gire  come  ho  agito  io  ora,  e  in  questo  caso  l'amma- 
lata   sarebbe   morta... 

—  Oh,  si  muore  anche  a  dispetto  dei  medi 
scienza,  ed  io  pur  troppo  Io  so. 

—  Un  caso  eccezionale. . . 

—  Aspetta  un  poco,  e  capirai  anche  m  che  cosa 
vuol  dire  la  morte  d'una  persona  amata... 

—  La  verità  è  superiore  ai  sentimenti   personali! 
rispi   .-  Michele,   per  troncare  la  discussione. 

Vili. 

Nella    camera    tomo  il  silenzio;    i   bambini   eran 
inali,   non  essendo  riusciti  a  capire  una  parola 
di  uni. .  quel  dibatt 

Frattanto   il    contadini!,    obliati,    in    anticamera, 
capolino  dalla    porta. 

—  Dunque,  devo  o  no  staccare  i  cavalli?—-  egli 

I  pi. .). inda  tristezza  nella  \oce. 


ISTITUTO    flERO-EIiETTHOTERRPICO    Di    TORINO 

MALATTIE  DeF  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di   Torino. 

(Aiuto:  Dott.  G.  F.  MURIALD) 

Via    della    Zecca,   37,    piano   terreno 


E  l'unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamìche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  -meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  dì  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  15  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici,  Nebulizzazioìii 
medicate,  Bagno  idro-elettrico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi),  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura 
speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio)  della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace 
anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi  di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi 
e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati  ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia  e  Radiografia  del  torace  a  scopo  diagno- 
stico, mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che  avanzate,  e 
nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


A  Al  Ai  A  Al  A 


II  più  soludUe, 
Il  pili  sano  e  nutriente  e  perciò 
11  più  raccomandato  dai  medici, 
Il  più  gustoso 

di  tutte  le  marche. 


f-^^^^J^^^^i^^^^^^^^^ 


é^&a^6d^Sè^&S^65^53^63^& 


VINO    MARCEAU 

Premiafo  con  Grande  Diploma  d'Onore  e  Grande  Medaglia  d  Argento 
Guarisce:  Scrofola  —  Rachitide  —  Dermatosi  I  loro 
anemia  —  Tubercolosi  iniziale.  Ottimo  ricostituente  ielle 
malati i>  nervose  ed  esaurienti  e  nelle  lungi 
rli  malattie  infettive.  —  Preparato  cliimico  nuovissimo  del 
Prof.  D.  T*.  Sersrent,  Trevlgllo.  In  Milano,  presso  la  far- 
macia C.  Erba.  Zambeletti,  Biancardi  e  C.  —  L.  2  al  flac. 


i  conservano 
leu  <lo  fa- 
Uni Ielle  botti  d  i 

PREMIATO      riLTRO 


TUTTI  I  VINI 

lihiiento  sul  oocchil 
mano     il     Bolo     Pi 

FRATTiHi.iii'i'uraiore  dell  aria  entranti 
nella  botte,  altrimenti  generatrice  dell'A 
cido    e  del  Fiori. 

Per  botti  sino  a    600  litri   I,.  5    frali   0  nel 
-  10'      I. 
"si  vende  ovunque.  Chiedere  con  I         tto 

unscolo  lllustr.  gratis  ai  soli 
LAZZA K  &  MARION  -  Treviso 

30,  Via  Palestro. 


hi    NOTTE 


\l  de  in  un'a  ita. 

I  -  ogli  subire  cri 

I  ii .  .i  quel  '-In-  ti  ricordi,  dove 
anda  la  vettui 

\l   .    redo,  - 

i  h 

no? 
unti    Voi  volete  sempre  s 
«are 

Allora,  perchè  i  cavalli  dovrebbero  rimanen 
to  la  piog| 

."  anrh'in  così,       disse  tranqi 
Ni  mi  piove,  ma  pei  i  ca- 

vall  Allora  v:  locarli.. .  Dovi 

dirn  na... 

E,  tutto  contento,  il  contadino  se  ne  andò. 
oi,  bambini,  andate  a  dormire,  presi 
lino  il  padre. 

I        e...  e  la  bambinetta?  — domandò  Ma- 
gi ndo. 

causa  di  tanto  trambusto  stava  in  ca- 
mera da  letto,  la  mamma  ordinò  alla  balia  di  n  i  ari 
il  neonato  ai  fratellini.  Tra  le  fasce  bianche  appa- 
riva la  piccola  testa;  gli  occhi  erano  aperti  ed  ave 
vano  uno  sguardo  quasi  meditabondo,  quello  sguar- 
do che  dà  talora  alle  fisionomie  dei  bimbi  un'e- 
ssione  da  persone  grandi.  La  neonata  si  stirava 
sbadigliando. 

(li.-  smorfiosa,  —  osservò  Mascia,  senza  ben 
saperne  il  perchè. 

rido  nel  corridoio.  Mascia  e  .Sascia  s'affret- 
tarono nella  loro  camera;  ma  Vassia  e  Mark,  a- 
vendo  visto  dalla  porta  semi-aperta  che  il  contadino 
Staccava  i  cavalli,  corsero  in  cortile. 

Il  contadino  legò  i  cavalli,  poi  scaricò  dalla  car- 
mi grande  baule,  e  deponendolo  a  terra,  disse 
bonariamente  a  Mark. 

—  Pare  che  sia  nato  qualche  cosa,  ria  voi? 
Non  qualche  cosa,  ma  una  bambina... 

Ma  perchè  i  signori  facevan  questione 
tra   di   loro? 

Ti  spiego  :  vedi,  noi  di'     .  n he  Dio  ha  il.u- 

li... 

'i.   no  ;   non  due.   ma  moli  i ... 


E'  vero,  dunque    E  zio  Michele  dice  che  son 
tutte  sciocchezze 

No,    no,   non  credere.    Il   signorino  dice   i 
pei    ridi  re,        e  il  contadino  si  unse  a  ridere  egli 

pure. .. 

I   bambini  sentirono  per  lui  un  grande  ris 
Allora,  diiii'i'  i         angeli  poi 

i    li. un' 

\l  i  sì,  sicuro.  <>  meglio,  i  bambini  li  portano 

une,    e  gli    angeli   danno    loro   l'anima...    Però 
lasciatemi  ani  I  o  pi  irtare  que- 

ti    i Mule  in  casa 
Vassia  e  Mark,  rim.isn  soli,  si  sentirono  superili 
nferma  alla  loro  teoria,  ottenuta  dal  vettu- 
rale; '    amili'  rdarono  il  cielo;   poi  s'accor- 
sero d'essere  in  cortile,  cui   piedi  nudi,  in  camicia, 
mentre  il  vento  fresco  soffiava  loro  intorno;   le  | 

nere  rifletti  vano  il  cielo  stellato.  E  ai  bambini 
sembrava  \eder  nel  cielo  il  volo  d'un  angelo  luroi- 
.  mentre  un  altro  apriva  le  ale  scure.  S'.ttn  ''erti- 
nuvole  vaganti. 

I  ni"   già  deciso  di    attendere  la    levata 

del  snle,  quando  la  governante,  accortasi  della  loro 
•.!.  comparve  sulla   porta,  gridando; 
—  Via.  via,  cattivi   bambini,  via  in  i 
T    bimbi    corsero  attraverso  lo  strettii    passaggio 
lasciato  dalla    persona   della   governante;    il   primo 
a  slanciarsi  fu  Vassia,  prediletto  dalla  vecchia,  ed 
ebbe  un  ceffone  abbastanza  leggero;  ma  quello  ap- 
plicato a  Mark  risonò  per  tutto  il  corridoio. 

Mark  si  fermò  dignitosamente,  e  disse  alla  donna  : 
Credi    forse   d'avermi   fatto  male?    Nean-he 
per  sogno!   Nessun  male,    hai   capito?... 


Mezz'ora  dopo,  la  'alma  e  il  silenzio  regnavi 
tutta  la  casa,  ma   non   tutti   dormivano. 

Il  padre  pensava  che  con  la  nascita  della  bam- 
bina eran  cresciute  le  spese,  ma  non  era  cresciuto  1" 
Stipendio.  La  madre  pure  pensava  questo,  gliar 
dando  la  bambina  e  piangendo.  Michele  s'addor- 
mentò, convenendo  seco  stesso  che  la  vita  è  pr 
bella.  Ed  Enrico,  gli  occhi  fissi  nell'oscurità,  n 
i.n.i  sulla  morte...    Che  cosa  era  la  mi  irte' 

Solo  i  bambini  dormivano  sogni  placidi  e  Felici 


F  I  N  E. 


DUE  NOVELLE  DI  MASSIMO  GORKI 


IL     KHAN     E     si'o     PIGLIO 


Regnava  allora  sulla   Crimea  il   Khan  Mas- 
solaima-el-Asvab  che    aveva     un    figlio    chiamato 
i...  » 
hio  tartaro,  povero  mendicante  cr 

'i".  una  delle  tante  an- 
tiche lep:  la  di  genera- 
zioni  a  Crimea,  attorno  a  lui,  sulle 
rovine  del  palazzo  del  Khan  demolito  dal  ten 

aliuni  tartari,   avvolti   in  chiare   zimarre  e     coperti 
il  capo  di   berretti  trapunti  d'oro  ivano  se- 

duti.   La  voce  del  mendico'  e  tremula:  il 

sembrava  pietra:  le  pupille    non    riflettevano 


nessuna  immagine,  ma  solo  una  vaga  serenità;  le 
parole  uscivano  una  dopo  l'altra  dalle  labbra  come 
se  il  narratore  le  avesse  mainiate  a  memoria. 

Il  Khan  era  vecchio,  disse  il  cieco,  ma  teneva 
nell'harem  molte  donne  che  lo  amavano  per  la 
sua  vigoria  e  per  le  sue  carezze  piene  di  fuoco  e 
di  soavità.  Le  dorme  amano  sempre  chi  le  carezza 
(osi.  anche  se  abbia  i  capelli  bianchi  e  il  volto 
solcato  di  rughe:  la  bellezza  è  nella  forza,  non 
nella  morbidezza  della  pelle  o  nel  colorito. 

!    lite  amavano   il     Khan.     Ma    egli    prediligeva 
una  prigioniera  figlia   d'un  cosacco  delle  ste] 


Attenti  MADRI!! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini:  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  clie  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  saluti-  dei   vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coli 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;   il    miglior    mezzo  per  lare  i 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Cafle 
Malto  Kueipp.  Il  Caffè  Malto  Kueipp  ha  gusto  piacevolissim 
un   forte   nutriente,  come  constatato  da   tutti   i   medici.  Adoperatelo  i 
tete  fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancati-  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  drogbiei 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


flflDlATOfU,  CflliDfllE 

ed     accessori 

Per  impianti  di  riscaldamento 

ad  acqua  calda  (termosifoni)  o  va   ore 


V.   FERRARI 

MILANO 

Via.  Alessandro  Manzoni  N.   1<  > 


CATALOGHI  A  RICHIESTA 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RI  jfres:ativo  e  depurativo  del  sangue 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

ni  ote  del  defunto  prof.  Girolamo  Pagliano  premiato  al- 
l'Ks  osizione  nazionale  farmaceutica  1891  ed  a!l  Esposizione 
i. azion;ilc  d'Igiene  1  tOO  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere   sulla  boccetta  e  sulla 
Ij  La  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


^& 


Laboratorio  Pacelli,  uio™" 


EDIZIONE  POPOLARE 

delle  Opere  di 

G.    VERDI 

Ia    rrnir    19  OPERE  per  Canto  e  Piano 
JLi  i  1  L  Pianoforte  solo 

da  Lire  1.50  a  Lire  5.—  nette 

Magnifici  volumi  -  Carta  di  lusso  -  Copertina  a  colori 

editori -G.  RICORDI  &C.-E0IT0RI 

MILANO 

Romsi-Napoli-Palermo-P.irieri-Loiiilru-  Lipsia 

Presso  tutti  i  Negozianti  di  Musica,  Editori  e  Librai 


.inaripiie  OA3^E2£!BD 

"torni  se  ne  vede 
l'effetto  benefico)  dell'anemia, 
clorosi,  pulì  dezza  dei  volto)  sii 
ottiene  con  l'uso  del  rinomato 
FERRO  PACELLI  che  è  effica- 
cissimo perchè  digeribilissimo, 
senza  moto  ed  in  qualunque 
ne.  FU..  2. SO.  per  pOStaL  2.65. 
Vendesi  in  tutte  le  farmacie) 


■V"  <"<£r»  "y* 


SVILUPPO  DEL  SENO. 

bellezza,  nengtituz'one,  solidità 

in20"éMn"one„PilulesOrientales" 

del  si£.  J.Rutiè  chimico farm.  5  PassaseVer- 
doau.  Parigi.  1,  «etiche  per  la  salute,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,35. 
Dep.  in  Milano:  farm.  Zambelettl,  piazza 
S.Carlo.  6.  —  Uuenoi  Ayre»  C.  Ferrei.  615 
647.  Calle  Covo. 


l'I  I    \"\  I  I  I  I 


M  VSSIM»  I    l  il  >KI\I 


del  Dniepr  e  sempre  la  carezzava  più  volentieri 
che  le  altre   donne   dell'harem,    che   puri 

nto  >li  diversi  paesi  e  tutte  belle  come  i  fiori 
i  e  tutte  beate.    Il  Khan  consentiva 

i  apparecchiasi «ro  loro  piatti  prelibati  e  con- 
seativa  che  danzassero  e  giuocassero  a  loro  piaci- 
ment  i  Ma  la  figlia  del  Cosacco,  sua  proferita,  egli 
la  chiamava  spesso  in  una  torre  di  dove  si  vedeva 
limare,  e  dove  egli  la  colmava  'li  i  u  lari, 

di  tutte   li  possibili:    cibi    squisiti,    stoffe 

magnifiche  di  colori,  0|p,  pietre  preziose  d'ogni 
varietà,  musica,  uccelli  rari  di  paesi  lontani  e  ca- 
rezze ardenti  di  limami  : 

in  lei  egli  si  chiudeva  nella  torre  durante 
riposando  Belle  fatiche  della  vita, 
tranquillo  che  la  dignità  del  Khanato  non  sarebbe 
stata  messa  a  repentaglio  dal  figlio  Algalla,  quel 
te  un  lupo  le  steppe  russe  e 
sempre  ne  traeva  lauti  ruttino,  donne  nuove  e 
nuova  gloria,  lasciandosi  dietro  orrori  e  rovine  fu- 
manti, cadaveri  e  sangue. 

Un  giorno  che  Algalla  tornava  da  una  scorreria 
in  terra  russa,  si  apprestarono  grandi  feste  in  suo 

re.  Invitati  tutti  i  principi,  si  diedero  giuochi 
e  festini,  si  scagliarono  treccie,  per  esercizio,  negli 
occhi  ai  prigionieri  e  si  bevve  multo  alla  gloria  di 

Ila  ardito  e  gagliardo,  terrore  dei  nemici  e 
colonna  del  Khanato.  Il  vecchio  Khan  si  inorgo- 
gliva della  gloria  del    figlia.    Vedere    in    lui   tanto 

re,  poter  pensare  che  alla  propria  morte  il  Kha- 
ebbe    rimasto   in  mani  sicure,  gli   faceva 

.  Egli  si  sentiva  felice  ;  ed  a  mostrare  al  figlio 
innanzi  a  tutti  i  principi  e  i  maggiorenti  radunati  a 

1  ietto  quanto  fosse  grande  il  suo  amore,  presa 
in  mano  una  coppa  di  vino,  disse  : 

Tu  sei  un  buon  figlio,  Algalla!  Gloria  ad 
Allah  e  benedetto  il  nome  del  suo  profeta. 

Tutti  in  un  coro  di  voci  potenti  glorificarono  il 
nome  del  profeta.  E  il  Khan  proseguì: 

-  Allah  è  grande.  Me  vivo  ancora,  egli  ha  fatto 
rifiorire  nel  mio  figlio  coraggioso  la  mia  prima 
età:  ed  iu  vedo  coi  nviei  occhi  di  vecchio  che 
ancora  quando  il  sole  sarà  ottenebrato  alla  mia 
vista  e  i  vermi  mi  roderanno  il  cuore,  ancora  vivrò 
nel  mio  figliuolo.  Allah  è  grande  e  Maometto  è 
suo  profeta.  Io  ho  un  buon  figliuolo  dalla  mano 
sicura,  dal  cuore  ardente  e  dallo  spirito  illumi- 
nato. Ora  dimmi,  Algalla,  che  vuoi  tu  dalle  mani 
di  tuo  padre  ?  Dimmelo  ed  io  ti  darò  ciò  che  tu 
vorrai... 

Non  aveva  qua»i  finito  di  parlare  il  vecchio  Khan, 
.  he  Tolaik  Algalla  si  levava  con  gli  occhi  scin- 
tillanti come  i|  mare  la  notte  e  ardenti  come  quelli 
di  un'aquila  della  montagna,  e  diceva: 

-  Padre  sovrano,  dammi  la  prigioniera  russa. 
Il   Khan  tacque   un    istante   quanto   bastasse  ad 

acquetare  il  fremito  del  cuore,  indi  rispose  forte  e 
fermo  : 

-  Prendila.   Finito  il  banchetto  l'avrai. 

Il  v.-'  alla  s'illuminò:  gli  splendeva  negli 

occhi  una  gioia  immensa.  Egli  si  drizzò  sulla  per- 
a  quant  era  alto  e  disse  al  Khan  suo  padre: 
Padre  sovrano,  io  so  il  valore  di  ciò  che  tu 
mi  doni.  Io  so....  Ecco,  io  sono  tuo  schiavo.  Pren- 
dimi il  sangue  a  goccia  a  goccia  lentamente.  Pei 
te  io  Mino  disposto  a  morire  venti  volte. 

-  Nulla  voglio,  rispose  il  Khan,  e  la  tota  bianca 
i  .lionata  dalle  vittorie  si   l  al   pento. 

Terminato  il  banchetto,   tutti  e  due  osciroi 
palazzo,  avviandosi    all'harem,  taciturni  l'uno  ac- 
i  ant  i  all'altri  ■. 

La    notte    era     buia.    Le    nubi     stese    sul 
me  un  tappeto  spesso  non  lasciavano  vedere  né 
la  luna  i  Ile. 


l'adre  e  tiglio  camminarono  gran  tempo  nell'o- 
scurità.  Finalmente  il  Khan  disse: 

—  La  mia  vita  si  va  di  giorno  in  giorno  estin- 
guendo; il  mio  vecchio  cuore  batte  sempre  meno 
forte  e  il  fuoco  mi  si  spegne  in  petto.  Le  carezze 
appassionate  della  prigioniera  erano  la  luce  e  il 
calme  della  mia  vita....  Dimmi,  Tolaik,  dimmi,  ti 
è  veramente  necessaria-'  Prendimi  cento  donne, 
prenditi  tutte  le  mie  donne,  lasciami  quella. 

Algalla  taceva  sospirando. 

(,'uanto  tempo  vivo,  .incora?  Pochi  giorni 
forse  mi  restano.  E  quella,  la  prigioniera  russa, 
era  la  gioia  estrema  della  mia  vita.  Ella  mi  conosce 
e  mi  ama.  Se  la  perdo,  chi  mi  amerà  più?  Chi 
mi  amerà,  me,  vecchio?  Nessuna  delle  mie  donne, 
Algalla,  nessuna  !.... 
\  Inaila  taceva  sempre. 

—  Come  potrò  vivere  sapendo'a  abbracciata  da 
te,  sapendo  che  dorme  con  te  ?  Innanzi  ad  una 
donna,  Tolaik,  non  v'è  nò  padre  né  figlio.  Innanzi 
ad  una  donna  siamo  tutti  uomini  ,  figliuolo.... 
Come  finirò  dolorosamente  i  miei  giorni!....  Sa- 
rebbe stato  meglio  che  si  fossero  riaperte  le  vec- 
chie ferite  del  mio  corpo  sgorgando  sangue  ,  me- 
glio, figliuolo,  che  vivere  dopo  questa  notte. 

Algalla  taceva  sempre....  Alla  porta  dell'harem 
si  fermarono  e  rimasero  a  lungo  pensosi  a  capo 
chino  senza  dir  verbo.  La  notte  intorno  era  nera; 
le  nuvole  correvano  pel  cielo;  il  vento  cantava 
agli  alberi  come  una  canzone  triste  scotendoli. 

—  L'amo  da  tanto  tempo,  padre,  disse  piano 
Algalla. 

—  Lo  so,  ma  ella  non  t'ama. 

—  Se  penso  a  lei  mi  si  spezza  il  cuore. 

—  E  il  mio  cuore  di  che  credi  tu  che  sia  pieno? 
Tacquero  nuovamente.  Poi  Algalla  disse: 

—  Ha  ragione  il  saggio.  La  donna  reca  sempre 
danno  all'uomo.  Bella,  stimola  negli  altri  il  desi- 
derio e  dà  il  marito  in  preda  alle  torture  della 
gelosia.  Brutta,  fa  che  l'uomo  soffra  alla  vista 
delle  altre.  E  quando  ella  non  è  né  bella  ne 
brutta,  l'uomo  l'abbellisce  prima  nel  suo  pensiero 
e  poi,  come  s'avvede  d'esser  caduto  in  errore, 
soffre  per  lei,  per  la  donna. 

—  La  saggezza  non  risana  il  dolore  del  cuore  ! 

—  Bisogna  che  noi  abbiamo  pietà  l'uno  dell'al- 
tro, padre. 

Il  Khan  levò  il  capo  e  fissò  il  figlio  dolorosa- 
mente. 

—  Uccidiamola'....  proseguì  Tolaik. 

—  Tu  ami  te  stesso  più  che  lei  e  me,  rispose 
il   Khan. 

—  E  tu  pure  l'ami. 
Tacquero  di  nuovo. 

—  Sì,  anch'io   l'amo,  flisse  il    Khan   con    vi 
triste. 

—  Dunque  l'uccideremo? 

—  Io  non  posso  dartela,  gridò  il  Khan,  non  e 
possibile  ! 

—  E  io  non  so  più  patire.  Strappami  il  cuore 
o  dammela. 

Il   Khan  tacque. 

—  Precipitiamola  dall'alto  della  montagna  giù 
in  mare,  insistè  Algalla. 

—  Precipitiamola  dall'alto  della  montagna  gin 
in  mare,  rispose  il   Khan,  come  un'eco. 

Entrarono  insieme  nell'harem  ov'ella  dormiva 
stesa  su  un  tappeto  stupendo,  e.  giunti  Innanzi  a 
hi.  si  soffermarono  a  mirarla.  Il  vecchio  aveva  il 
volto    solcato  dalle    lacrime   che    gli    scendevano 

sulla  barba  splendenti me  perle  tra  i  (ili  d'ar- 

o;  ma  il  tiglio,  che  aveva  gli  occhi  scintillanti 
e  stringeva  i  denti  e  fremeva  tutto  di  passione  re- 
pressa, destò    la  figlia   del  cosaci  ...   Fila    apri    gli 


Per  pulire  ì  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCULZ  Jun.  -  Leipzig. 
In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a   io,   i5  e  3o  centesimi.    Chiedere 
sempre  le  scatole  colla  marca  depositata  :  "  Globo  sopra    fascia    rossa  ,,    e 
rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse  darvi  altra  marca. 

Vendita  esclusiva  all'ingrosso:  AIAX  FRANK  -  .HI LINO. 


f&p-.cvs'^xri 


..,;,, 


1SININJ) 


«""«'NEGRI 


®«*« 


mì^&fé^^è::-  ■  i 


ivmRKg 


PELI  0  LANDGGINE 


del  viso  e  del  corpo 
spariscono  per  sem- 
pre col  DEPILE- 

NO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott»  Boernaave.  Flacone 

oon  istruzione  L.  3  [franco  L.  3.50). 


coir  ACQUA  CELEBTE 
ORIENTALE,  tintura 
Istantanea,  che  si  applica  ogni 


CAPELLI  NERI 

»j  giorni  ai  può  dar©  ti  capelli  bianchi  o  frigi  o  alla  barba 
Quella  tinta  naturale  che  più  si  desidera.  È  affatto  innocua  — 
Flacone  L.  2.00  (franco  L.  3.10). 

PAI  I  ^urÌ°nÌ<  occhi  di  pernice,  eco.  Guarigione  pronta 
L|fl  I        I  *  Pfrnunwite  con  fole  poohe  applicazioni  dell'in- 


SORDITÀ 

(franco  L.  2).  istruzì 

SI  DIMAGRISCE  h 

L'OBESITÀ*  e 

e  senza  tnconven 
carissime  contro  i 
apoplessia,  ecc.  C 
(L.  4.76  franco  d 

GRATIS 


6  permanente  con  fole  poohe  applicazioni  del 
Mitilo  OnUl/turo  OOHNAIilIOi.  FUoone 
litrurioa»  L.  1  (ftiaoo  L.  1.80). 

Dndirizzart  lettere,  vaglia  e  cartoline  vaglia  unicamente  all' 

OFFICINA   CHIMICA   DELL'AQUILA 


E  MALI  D' OKECUHJ.O  si  ^uanscoao 

osando  il  linimento  auuntico    UD1T1NA 

del  dottor  W.  T.  Adair.  Boccetta  L.  1.75 

(franco  L.  2).  Istruzione  gratis. 

poche  settimane  pren- 
dendo ogni  giorno  alcune 
PILLOLE  CO  N TUO 
L'OBE8ITA*  del  dott.  Grandmali.  Rimedi»  di  sicuro  effetto 
e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'adipe,  sono  pare  indi- 
catisBime  contro  i  disturbi  digestivi,  stitichezza,  emorroidi,  asma, 
apoplessia,  ecc.  Gratis  opuscolo  spiegativo.  L.  4.50  la  scatola 
(L.  4.76  franco  di  porto), 

IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.  Consigli 
pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati.  —  Guida 
per  le  famiglie.  — od  pag.  illusir.,  si  speaisca 
a  chiunque  dietro   invio    di   semplioe  carta  da  visita  colle  ini- 
ziali M    S.  S. 


n  ILANC 
Via  S.   Galoccro.    25 


lì  ^     p) 


Volete  digerir  Lene?? 


FERRO  CHINA  BISLERI 

RICOSTITUENTE  DEL  SÀNGUE 

Sono  lieto  di  poter  dichiarare  —  scrive  il  chiaro  prof.  L.  Vanni  della  R.  Univer- 
sità di  Modena  —  che  avendo  avuto  più  volte  occasione  di  sperimentare  il  FERRO 
CHINA  BISLERI  ne  constatai  in  notevolissimi  vantaggi  come  liquore  eupeptico  e 
tonico. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


VI 


l.l  l     NOVELL]     hi    M  ESSIMI  i    I  .'  >b'M 


occhi  né  vide  Algalla,  ma  sol.,  il  Khan  e  gli  offri 
le  labbra 

Bai  iami  ! 

Preparati,  disse  il  Khan  teneramente,  tu  ver- 
rai •  •  'ii  noi 

i  ella  vide  Algalla,  vide  il  piani 
chi  i"  e,  poi»  ni  I...    1 1  imprese 

disse    Vi  ngo.  Né    l'uno   né   l'altro, 
L'avete  stabilito.  I  vostri  cuori  sono 
ivete  stabilito.  Vengo  ! 
Mossero   tutti   tre  verso  il  mare   senza   più   pa- 
ni,  per  gli  stretti    sentieri.  11  vento 

iovane       sentì  starna  ili  cammi- 
nare, ma.  fiera    com'era,   non  voleva  lagnarsi.  II 
tigli.,  del  Khan,  tuttavia,  avvedutosi  ch'ella  restava 
indietro,  le  di 
Hai  paura? 
Ella   gli   lanciò    un'occhiata  piena  di  sdegno  e 
il  piede  ins.iirjiiin.it. .. 
Ti  porterò  io,  disse  Algalla  tendendo  le  brac- 
Ma  ella  si  strinse  al  collo  del  vecchio  che  la 
sollevò    '"ine    una    piuma,  mentre   ella  con   gesti 
aggraziati    allontanava  i  rami    che    avrebbero    po- 
tuti,   largii    male   agli    occhi.   Tolaik,    che   veniva 
dietro,  disse  al   padre  : 

Las.  iami  camminare  innanzi.  Mi  vien  voglia 
di  darti  una  pugnalata. 

-  Passa  avanti,  l'er   questo   desiderio   Allah  ti 
manderà    a  perdizione  o  ti    perdonerà    secondo  il 
volere.  Quanto   a  me.  padre  tuo,    ti  perdono 
con  tutta  l'anima.  Io  so  che  cosa  sia  l'amore. 

Ecco  finalmente  il  mare  cupo  e  sterminato.  Le 
onde  ai  piedi  del  dirupo  rendono  un  frastuono 
sordo  e  profondo  che  sembra  un  canto  soffocato: 
un  senso  di  terrore  fa  tremare  il  cuore  e  l'ag- 
ghiaccia. 

-  Addio!  dice  il  Khan  baciando  la  giovine. 

—  Addio!  dice  Algalla  inchinandosi. 

Ella  contempla  l'abisso  ove  cantano  le  onde,  e 
indietreggia  stringendo  le  mani  al  petto. 

—  Gettatemi  voi  nel  baratro,  dice. 

Algalla  pretende  verso  lei  le  mani  con  un  ge- 
mito, ma  Tolaik  l'avvince  con  le  braccia,  la  stringe 
forte  forte,  la  bacia,  la  solleva  quanto  più  può  e 
la  precipita  dall'alto  della  roccia  giù  nel  mare. 

La  burrasca  nel  fondo  suonava  cosi  lugubre  e 
cosi  selvaggia  che  gli  uomini  non  udirono  il 
tonfo  del  corpo  che  s' inabissava  nell'  acqua.  Né 
grido    né   suono,    nulla.    Il    Khan    si  sporse  sulle 

Cietrc  e  affissò  lo  sguardo  in    silenzio   nelle    tene- 
re   Irntanc,    là    dove  il  mare  si   confondeva    con 
le  nubi   e  le  onde  cozzavano   sotto  le  raffiche  del 


veni  gitava    la    barba   bianca   del  vecchio. 

Tolaik,  ritto  accanto  a   lui,  si   copriva   la   faccia 

le  mani  ,  silenzioso  e  immobile  tome  un 
sasso.  Le  ore  passavano  Cassavano  pel  cielo  una 
dopo  l'altra  sospinte  dal  vento  le  nuvole  tene- 
brose e  grevi  come  i  pensieri  del  vecchio  Khan 
disteso  sul  dirupe  alto  sopra  l'<  Iceano. 

Andiamo,  padre,  disse  Tolaik. 

—  Aspetta...  mormorò  il  Khan,  come  tendendo 
l'orecchio...  Ancora  silenzio.  Le  nuvole  non  fini- 
vano mai  di  passare.  Il  vento  infuriava  tra  le  ca- 
vità delle  rocce  e  urlava  tra  gli  alberi. 

—  Andiamo,  padre.... 

—  Aspetta  ancora. ... 
Algalla  ripetè  più  volte: 

—  Andiamo,  padre.... 

Il  Khan  non  voleva  allontanarsi  dal  luogo  ove 
aveva  perduto  il  coni  ilo  dolcissimo  dei  suoi  ultimi 
giorni. 

Finalmente  s'alzò,  fiero  e  possente,  corrugando 
le  ciglia,  e  disse  con  voce  sorda  : 

—  Andiamo. 

Si  diedero  a  camminare,  ma  presto  il  Khan  si 
arrestò. 

—  Perché  ce  ne  andiamo?  Dove  vado,  Tolaik? 
Perchè  vivrò  se  tutta  la  mia  vita  era  in  lei  ?  Io  sono 

■  hio.  Ora  non  mi  ameranno  più,  nessuna  mi 
amerà  più,  e  se  non  si  è  amati,  a  che  vivere  sulla 
terra  ? 

—  Tu  hai  gloria  e  ricchezza,  padre.... 

—  Dammi  uno  dei  suoi  baci  e  prendi  tutto.  Tutto 
il  resio,  vedi,  è  cosa  morta.  Solo  I'  amore  di  una 
donna  è  vivo.  Chi  non  l'ha,  quell'amore,  non  ha 
la  vita,  è  un  povero,  è  un  mendico,  i  suoi  giorni 
sui!  deserti  e  sconsolati!  Addio,  figliuolo.  Scenda 
sul  tuo  capo  la  benedizione  d'Allah  e  ti  accom- 
pagni tutti  i  giorni  e  tutte  le  notti  che  tu  vivrai. 

—  Padre  !  Padre,  disse  Tolaik  e  non  seppe  dir 
altro,  perchè  ad  un  uomo  cui  la  morte  arride  che 
cosa  si  può  dire  ? 

—  Lasciami.... 

—  Allah.... 

—  Allah  sa.... 

Rapidamente  il  Khan  s'appressò  all'abisso  e  si 
lanciò.  Il  figlio  non  lo  rattenne  perchè  non  ne 
ebbe  il  tempo.  Né  anche  ora  si  udì  nulla,  né  un 
grido  né  un  tonfo.  Le  onde  flagellavano  l'abisso 
e  il  vento  mugolava  canzoni  selvaggie.  Tolaik  Al- 
galla fissò  a  lungo  il  mare.  Poi  disse  ad  alta  voce. 

—  Allah!  dammi  un  cuor  saldo  come  era  quello 
di  mio  padre  ! 

E  s'allontanò  nella  notte. 

...  Cosi  mori  il  Khan  Massolaima-el-Asvab.  e 
Tolaik  Algalla  divenne  Khan  della  Crimea...  » 


SASUBRINA 


La  rotonda  finestra  della  mia  cella  dava  sul  cor- 
della  prigione:  era    molto  alta,   ina.   arrampi- 
Sulla  tavola    appoggiata   al  muro,   potevo 
vedere    unto   .  io  ,„  ,|U,.|    cortile,  e 

tempo    udivo  i  piccioni  del    tetto  tu- 
gentilmente   sulla  mia  testa.  Da  queir. 
vatorio  avevo  .m.  he  l'agio  di  scorger.-  gli  abitanti 
,1''1  il    più    allegro    fra 

tutti  quegli   uomini  dall'aspetto  tesi 

chiamava Sasubrina  Era  un  noni  corto, 

dalla   faccia   rossiccia,  dalla   fronte   alta,  sotto   la 
quale    brillavano   i  grandi    occhi  chiarì  e 

ardenti.  Portava  iì  sulla  nui  a,  e  dalla  te- 

sta rasa  le    orecchie   si   allargavano  nte. 


Egli  non  abbottonava  mai  il  collo  della  camicia 
ne  l.i  giubbetta,  e  ogni  movimento  dei  suoi  muscoli 
rivelava  un'anima  immune  dall'irritazione  e  dallo 
Si  l raggiamento.  Col  riso  sempre  sulle  labbra,  in- 
capace di  star    fermo  e  zitto,  era    l'idolo  dei 

iti:  una  folla  di  camerati  lo  attorniava  conti- 
nuamente. Sapeva  farli  ridere,  li  distraeva  con 
gli  inesauribili  scherzi,  e  quella  schietta  gai. 
rischiarava  la  noia  della  loro  vita  oscura.  Dna 
uscì  dalla  cella,  per  la  consueta  passeggiata, 
preceduto    da    tre    topi    ingegnosamente    atta. 

uno  spago  a  guisa  di  redini.  Sasubrina  cor- 
reva loro  dietro  per  il  coitile,  -ridando  .he  viag- 
giava   in     una     carrozza    a     tre   .avalli.   Sbalorditi 


Scheuerin 

il  migliore  sapone  per  cucina;  chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti   d>  ge- 
ne„  -aUnghi^^—i^pe^^e^  _  ^ 


Nel  venturo  anno 
questi  importanti 
magazzini  verranno 

TRASLOCATI 

nella  nuova  sede       /< 
Corso  Vittorio  Emanuele 
(angolo  Via  S.  Paolo,  2) 


Si  continua  la 

LIQUIDAZIONE 

di  tutti  gli  articoli 

40  lo  DI  RIBASSO 

sui  prezzi  di  marca 

Articoli  d'illuminazione 
Articoli  in  pelle 


ARTIGLI  PER  REGM)/^ 


senza   «u.oo» 
t?     senac»     odore 


r> 


(  ^m 


LAMPADA 
r*0  inCANDESCENZa"1 

"HARD,, 

1000  ore  oarantttt  | 
01  luce  inalterata 

rappresentanza 

E 

DEPOSITO 

AUGUSTO  HaaS) 

MILANO 

i  in  unno  ««m  i 

ILff 


Nessuna  spesa 

per  la  manutenzione. 

N.    I    Palla  L.   3 
N.  2  Oblongo  L.  4 

Per  Posia  Cent.  SO  in  Più. 

F.  PASSADORO 

Pia  S.  Tomaso,   3 

MILAXO 

Catalogo  di  novità 
contro  cartolina  doppia 
con  risposta  in  bianco. 


DEPOSITO 

Carhoni  elettrici.  Accesso- 
ri per  impianti,  Isolatori  al 
porcellana,  Conduttori  elet- 
trici, Spazzole  per  dinamo. 

AUGUSTO  HAAS 
Milano,  Tia  PietroJVerri, 

"R INÒMÀTI SSIMA- DTtT  A" 

Per  sole  L.  15  75  e  X..  19  75 

e  metodo 

UNIVERSALE 

prrSignoripeL.  10.50  fi 
ChieofrellÒATAliOGO  gratis 
Ocarine  -  Corde 
Metodi  -   Chitarre 

V.    M ACCOLITI 

ViaCesareCorrenti.7  -  Milano 


LA  NUOVISSIMA 


di  radiosa  inglese  con  si- 
stema isolatore  Clelia  ni- 
cotina è  i«s«-«t»©ro»lle- 

Inviare  L.  2,50.  se  con  bocchino  .orno 
brèsil  L  3.50,  alla  fabbrica  pipe  di  Mau- 
rizio Pisetzky,  via  Vittoria.  21,  Milano,  e 

la  riceverete  franco:  per  l'Estero  cente- 
simi 35  m  più.  Ogni  pipa  ha  impresso  il 
nome  M.  Pisetzky. 

SI  É  PUBBLICATO 

,«  onesti  giorni  II   ». 

■ 

1.  in  »,        i 

GRATUITAMENTE 

'-— — 

ipuia 


\  Il 


hi  I.    NOVELLI     l'I    M  \sMU'  '   <  ,<  (RKI 


dalle  sin-  grida,  i  topi  si  dimenavan me  altret- 
tali!                              ii  mieri  ciri  -  ist  unti    i  idevano 
mbi   guardando  Sasubrina  e  il  su"  equi- 

gli  dove,  :  venuto  al  ndo  per 

ino,  e  non  trascurava   niente  per 
rapL  pò     talvolta  lesne  invenzioni 

ncollo  al  maro,  non  su 
con  quale   sostan  pelli  d'un   ragazzino  pri- 

■  lie  sonnecchiava   con  le   spalle  alla  pa- 
nel momento  che  i  capi-Ili  cominciavano  ad 
appiccicarsi,  Sasubrina  lo  ite:   il 

ni  piedi,  ma  rio  angendo 

il   capo   le   magre  mani    I    carcerati 
piarono   a   rìdere:    Sasubrina    gongolava,  l'iti 
tardi  dalla   finestra,  colmare  'li  carezze  il 

povero  i 

Insieme   con    Sasubrina,  la  prigione  aveva  un 
altro  lavo  rito:  un    gattino  rosso,  grasso  e  vivacis- 
i,  che  tutti  carezzavano.  »  Igni  volta  che  i  car- 
cerati uscivano   per  la   passeggiata   quotidiana,  I" 
trovavano,  e  giocavano  a  lungi  >  con  lui.  Se  lo  pas- 
savano  di  mano  in  mano,  lo  inseguivano   intorno 
■rtile  ,  e  allora  esso  poteva  impunemente  graf- 
fiare  i  visi   animati   da   quei  giuochi.  Quando   il 
ntrava   in  iscena,  nessuno   badava  più  a 
.1  brina,    il   quale   non   era   molto   contento    di 
quella    preferenza.  Dentro  di  se,  Sasubrina  si  sti- 
mava artista,  e  come  tutti  gli    artisti  era   eccessi- 
vamente   vaniti  iso.  Quando  il  suo  pubblico  si  oc- 
cupava  del  gatto,  o  lo    lasciava  solo,  egli   si  riti- 
rava   in   un   angolo   del   cortile   e  di  li  osservava 
gli  obbliosi  suoi  camerati. 

[o  lo  vedevo  dalla  mia  finestra,  e  comprendevo 
quanto  dovesse  soffrire.  Una  cosa    mi  pareva  ine- 
vitabile: Sasubrina  ammazzerebbe  il  gatto  alla  prima 
sione;  e  sentivo  pietà  del  gaio  prigioniero  che 
metteva  tanto  ardore  nel  voler  attirare  da  solo  l'at- 
tenzione dei  compagni  ;    perchè  so  che  niente  uc- 
i  ide  tanto  presto  l'anima  quanto  la  sete  di  piacere 
lumini. 
nando  si  vive  chiusi  in  una  prigione,  gli  stessi 
in  dei  muri  diventano   interessanti.    Si  capirà 
li  facilmente  con  quale  attenzione  io  seguissi 
il  piccolo  dramma  del    cortile    intemo,  la    gelosia 
uomo  contro  il  gatto.  Si  capirà  anche  l'impa- 
zienza con  la  quale  ne  aspettavo  lo  scioglimento. 

l'n  giorno  che  il  cielo  era  chiaro  e  il  sole  splen- 
deva, mentii  i  carcerati  si  sparpagliavano  per  il 
cortile,  Sasubrina  scorse,  in  un  angolo,  un  secchio 
pieno  di  una  tintura  verde  dimenticato  li  dagli 
operai  die  avevano  verniciato  il  tetto  della  pri- 
gione. Egli  s'avvicinò  al  secchio,  restò  un  momento 
pensieroso:  poi.  intingendo  il  dito  nella  vernice, 
se  lo  passò  sui  baffi:  la  vista  di  quei  baffi  verdi 
su  quella  faccia  rossa  eccitò  le  risa  di  tutti, 
l'n  prigioniero  adulto,  volendo  imitare  Sasubrina, 
cominciò  a  tingersi  il  labbro  superiore;  ma  Sasu- 
brina. immersa  la  mano  nel  secchio,  gli  impiastric- 
ciò di  colore  tutta  la  faccia:  l'adulto  si  dibatti  va 
teva  la  testa  in  tutti  i  sensi.  Sasubrina  sganc- 
iava intorno  a  lui  :  gli  astanti  si  torcevano  dalle 
risa  e  incoraggiavano  con  allegre  acclamazioni  il 
loro  bullone. 

A  un  tratto  o  apparve:    s'avanzava 

lemme  lemme,  alzando  graziosamente  le  zampette 
una  dopo  l'altra,  dimenando  la  coda  che  teneva 
ritta  lente-mente  non  aveva  paura  di 

rtre  tra  i  piedi  della  gente.  I  prigionieri  si  af- 
vano  intorno  a  Sasubrina  e  al  SUO  >  otnpagno, 
i  stropii  i  iava  vigorosamente  la  laccia  per  por- 
tarne via  lo  strato  viscoso  d'olio  e  di  verderame. 
Fratellini,  —  grido  qualcuno — eco  Miscka! 

—  Ah,  birbante!  Miscka! 

—  Il  cosettino  ro 


Afferrarono  il  micino,  che  passò  di  mano  in  mano, 
vezzeggiato  da  tutti. 

—  Com'è  ben  nutrito  I  Che  grosso  ventre! 

—  E  come  cresce  presto  ! 

E    come  gralfia  bene,   il  cattivone  ! 

—  Lascialo:  salterà  abbastanza  da  solo! 

'  .li  voglio  presentare  le  spalle:  salta,  Miscka! 
Non  c'era  più  nessuno  intorno  a  Sasubrina: 
questi  restava  solo,  asciugandosi  i  baffi  tinti  di  ver- 
nice e  guardando  il  gatto  che  saltava  allegramente 
sul  dorso  e  sulle  spalle  dei  carcerati.  Tutti  si  di- 
vertivano e  le  risa  non  avevano  fine. 

_ —  Fratellini  !  Tingiamo  il  gatto!  —  disse  la  voce 
di  Sasubrina,  e  quella  voce  aveva  un  non  so  che 
di  lugubre.  Pareva  che  Sasubrina,  proponi 
quel  divertimento,  chiedesse  nello  stesso  tempo  il 
permesso  di  accordarlo  a  sé  stesso.  I  prigionieri 
cominciarono  a  gridare  tutti  insieme. 

—  Ma  ne  creperà  !  —  disse  qualcuno. 

—  Crepare  per  un  po'  di  vernice  ?  Che  scioc- 
chezza! 

—  Via,  Sasubrina:  tingilo!   Fa  presto! 

Un  giovanotto  dalle  larghe  spalle,  dalla  barba 
rossa,  color  di  fuoco,  esclamò  animatamente:     . 

—  Che  nuova  farsa  ha  inventata,  quel  buffone  ! 
Sasubrina  già  teneva    il    gatto    nelle    mani  e  lo 

portava  verso  il  secchio  della  vernice: 

i. nardate  un  poco,   fratellini  miei, 
Guardate  un  poco  c|ui  : 
Si  dà  il  verde  al  gatto  rosso. 
Lo  si  tinge  cosi  ! 

cantava  Sajubrina,  e  le  risa  salivano  al  cielo;  i 
carcerati  si  avvicinavano  al  secchio  tenendo-ii  i 
fianchi.  Io  vidi  in  qual  modo  Sasubrina  prendeva 
il  micio  per  la  coda  e  lo  tuffava  nel  secchio.  Egli 
ballava  e  cantava  ad  un  tempo: 

—  Aspetta  un  poco!   Non  miagolare! 
Non  tormentare  il  tuo  padrino  ! 

Le  risa  divenivano  sempre  più  clamorose.  (Qual- 
cuno pigolava  con  voce  acuta  : 

—  Oh  !  Oh!  Giuda! 

—  Ah  !  Ah  !  Babbo  mio  !  —  gemeva  un  altro. 
Sbuffavano,  soffocavano  :  il  riso  curvava  il  corpo 

di  quegli  uomini,  lo  torceva  in  una  specie  di  con- 
vulsione isterica.  Quel  riso  possente  cresceva  sem- 
pre, l'aria  ne  era  come  scossa.  Alle  finestre  della 
prigione  s'affacciavano  alcune  donne  con  le  teste 
coperte  da  sciai  letti  bianchi;  quei  visi  sorridevano 
vedendo  ciò  che  avveniva  nel  cortile.  Il  sopra- 
stante, con  le  spalle  appoggiate  al  muro,  si  teneva 
con  le  mani  il  pancione  prominente  ;  il  suo  grosso 
riso  risonava  tutto  intorno.  I  carcerati  avevano 
formato  un  cerchio  intorno  al  secchio;  nel  centro 
stava  Sasubrina,  il  quale  cantava  piegando  i  gi- 
nocchi estendendo  le  gambe  in  tutte  le  direzioni: 

—   Bella  la  vita,   fratellini   miei! 

C'era  una  volta  una  gattina  grigia  : 
il  (tatto  rosso  nacque  un  di  dia  lei; 
Mi  guardatelo  adesso:  è  un  gatto  venie!... 

—  Basta  !  Il  diavolo  ti  porti  !  —  gemè  il  carce- 
rato dalla  barba  rossa, 

Ma  Sasubrina  era  in  vena.  Intorno  a  lui  risonava 
il  riso  lolle  di  quegli  ubbriachi  dalla  gioia,  e  Sa- 
subrina sapeva  che  lui,  lui  solo  li  faceva  ridere. 
In  ogni  suo  gesto,  in  ogni  smurila  del  suo  viso 
mobile  e  bullo,  i  suoi  sentimenti  si  rivelavano  ni- 
tidamente, '-  la  felicità  del  trionfo  faceva  vibrare 
tutta  la  sua  persona.  Ora  egli  teneva  il  gatto  per 
la  testa,  e  scuotendo  dal  suo  pelame  il  soverchio 
della  vernice,  ballava   e    improvvisava  senza  stan- 


PREMIATE  SPECIALITÀ  MEDICINALI 

raccomandate  dalle  piti  distinte  celebrità  mediche 


^SSSSSSSSSS5S5SSSSSSSSBSSSS'i3 


ry 


l'ELIXIR  ANTIGOTTOSO  FATTORI 

è  il  più  efficace  di  tutti  i  rimedi  conosciuti  per  combattere  e  guarire  n 

la  Gotta,  l'Artrite,  i  Reumatismi  eia  Renella  ifi 

(VENTI  ANNI  DI  SUCCESSO  MONDIALE)  I 
L.  2  la  boccetta  in  tutte  le  Farmacie  —  Opuscolo  gratis  dietro  semplice   richiesta  dai    Chi-   iG 

mici-Farmacisti   G.  FATTORI  &  C.  W 
MILANO  =  Via   Monforte,   16  =  JVIIl^^V^fO 


isssa 


/"pillole  universali 

di  CASCARA  SAGRADA 

eontro  la  Stitichezza, 
difficili  Digestioni, 
Gastricismo,  Emicrania 

Effetto  pronto  e  sicuro.  -|  Guarigione  perfetta.    -  Opuscolo   gratis- 

—  Scatola  di  25  pillole  L.  1. —   Scatola   di  60   pillole   L.  2.—  in   tutte    le    Farmacie   e   dai 
.1       Chimici-Farmacisti 

1^    G.   FATTORI  &    C.,  filano,  Via  Monforte,  16 


PILLOLE  SOLVENTI  FATTORI 

ed  UNGUENTO  ANTIEMORROiIUEE  Fattori 

— per   curare   e   guarire   le- EMORROIDI  '  internerei   esterne 

(ura  facilissima,  vantaggio  immediato,  guarigione  perfetta 

(opuscolo  gratis  dietro  semplice  richiesta.  —  Scatola  pillole  L.  2.50.  —  Vaso  Unguento  !..  2. 
Dirigere  le  richieste  ai  Chimici-Farmacisti 

G.  FATTORI  &  C.  -  MILANO  -  Via  Monforte.  16. 


IH 


ni 

a 


"=;  t=E.ssssssssssssìSSSD'ss5.ia 


I  rivenditori  rivolgansi  esclusivamente  al  signor  TRANQUILLO   RAVASIO  -  MILANO 
Depositario  di  tutte  le   Acque  Minerali,  Specialità  Medicinali  e  Marsala  Ingham. 


\  II! 


DI']     MAINI     DI    M  \: — •!  W IRK1 


ik'ir  artista  1 1  msi  io   della  vit- 

—  Fratellini,  cerchiano  n<  1  calendario; 
Al  micio  nostro  un  bel  nome  daremo; 
le  I"  >  Maineremo? 
Intorno  a  lui.  unti    ridevano   Della   folla   scossa 

da  u  gioia.  Sui  vetri  orlati  di  ferro  il 

brillava,  :  izzurro  splendeva,  gli  stessi  vec- 

i  hi  muri  sporchi  lenevolmente.  I  na 

i  sulla  tristezza  ili  quei 
ri   lugubri  e   grigi.   Il   riso,  benefico   come  il 
ifica  I"  stesso  fango. 
Mettendo  il  micino   sul!  erba   che  cresceva  nel 
Sasubrina,  editato,  sbuffante,   coperto   ili 
siul  nuava   il  suo   ballo  selvaggio.  Ma  il 

iis,,  cominciava  a  spegnersi.  Era  troppo.  LJn  uomo 
emise  ancora  quali  >  convulsivo;  si  udirono 

lue  ii  tre  singhiozzi,  poi  tutti  tacquero, 
tranne  Sasubrina,  che  continuava  a  cantare  ed  a 
ballare  :  e  il  patto  che  si  trascinava  sull'erba  con 
un  miagolio  dolce  e  pietosi,.  Era  appena  ricono- 
scibile su  quella  massa  venie,  e  forse  la  vernice 
lo  accecava  o  impacciava  i  suoi  movimenti:  stri- 
si i.iva.  si  trascinava  stupidamente  sulle  zampette 
tremanti,  poi  s'arrestava,  come  congelato,  miago- 
lando sempre. 

Ma  guardatelo  un  poco,  o  brava  gente: 
Il  gatto  verde  va  cercando  un  angolo! 
Mistica,  il  gattino  che  eia  un  tempo  rosso, 
Dove  andare  a  cacciarsi  or  più  non  sa! 

iubrina    traduceva  con   le   sue   parole   tutti  e 
.intenti  del  gatto. 

-  Razza  di  rane  !  Sei  molto  abile  !  —  gli  disse 
il  giovanott d  la  barba  rossa. 

Il  pubblico  guardava  il  suo  bullone  con  occhi 
sazii. 

-  Come  miagola!  — notò  il  prigioniero  adulto, 
designando  la  bestiolina  con  una  mossa  del  capo 
e  voltandosi  verso  i  compagni. 

ivano  in  silenzio  l'animale. 
Resterà  verde  per  tutta  la  vita?    -  interrogò 
l'adulto. 

Ma  vivrà    poi   molto?  —  riprese    un    vecchio 

•  erato,  chinandosi  sul  gatto.  —  Si  asciugherà  al 

s.le.  avrà  il  pelo  tutto  appiccicato,  e  poi  creperà.... 

Il   eatto  miagolava  in  modo  tanto  straziante,  che 

una  reazione  si  produsse  tra  i  prigionieri. 

Sta  per  morire  —  disse  l'adulto. 

—  Se  lo  lavassim 

Nessuno  rispose.  La  piccola  pallottola  verde   si 
■  lava  ai  piedi  di  quegli  uomini  grossolani.  Era 
una  pena  vedere  l'affanno  della  povera  bestia. 

—  UtT!  mi  pare  d'esser  cotto!  —  esclamò  Sasu- 
brina,  gettandosi  a  terra. 

N'oli  fili  badavano    più.   I, 'adulto  s'avvicinò  alla 

Molina,  la    prese    tra,  le    mani,  poi    la  rimise  a 

terra,    pensando:    —      E  tutto  un  fuoco!  >  Allora, 

i  camerati,  pronunziò  con  voce  lamentosa 

qui 

Miscka  !    Non   avremo   più    Miscka! 
Perchè  abbiamo  ucciso  questa  povera  bestiolina? 
Il  gatto,    ridotto   a  un  batuffolo   verde  e   infor- 
me,    si     trascinava    ancora    sull'eri, a.     \ 
d'oi  dei  su,  ti    ni,  ,\  unenti, 

ma  ino  di  quei  visi  ,  'era  più  l'ombra  d'un 

l'ulti  stavan  /itti.   !r  sti,   miserabili  qu 

il  ga  ■  va  i  he  questi  >  avesse  1 1  imunii  ati  i  loro 

—  riprese  l'adulto,  alzando 
Misi  Ica,  e  lo  ama- 
,0   tutti....    Perchè  lo   tormentate      .   Sari 
derlo.... 
I>i  chi  è  la  colpa?      gridò  irosamente   ilpri- 
dalla  barba  ro  ■  tato    lui .    quel 


—  Ma   non    sono   stato   solo!....  Eravamo   tutt 

ili,,!....  —  replicò  Sasubrina  conciliante. 
Tutti?  Non  è  vero!  La  colpa  è  solo  tua!  si. 

tutta  tua  !.... 

Non  ■'■  il  caso  di  muggire  cosi,        rispose  pa- 
e iti,  ament  -  Sasubrina. 

Il  vecchio  carcerato  presi  la  povera  bestia,  ed 
esanimandola  con  attenzione  consigliò: 

Se  la  bagnassimo   nel  petroli,,,  la    pittura  se 
in    andrebbe. 

—  Secondo  me,  sarebbe  meglio  prenderlo  per 
la  coda  e  buttarlo  dietro  il  muro,  —  disse  Sasu- 
brina, aggiungendo  astutamente  :  -  r.  la  cosa  più 
semplii 

—  Come  ?  —  esclamò  quello  dalla  barba  rossa. 
—  E  se  facessi  io  altrettanto  con  te  ?  Che  cosa 
diresti  ? 

—  Diavolo!  —  disse  l'adulto,  e  strappatoli  gatto 
dalle  mani  del  vecchio,  scomparve  non  so  dove, 
seguito  da  alcuni. 

Sasubrina  restava  solo,  circondato  da  gente  che 
lo  guardava  con  occhi  cupi  e  cattivi  :  pareva  (  he 
aspettasssero  qualcosa  da  lui. 

—  Ma  io  non  sono  il  solo  colpevole,  fratellini  — 
cominciò  egli,  con  aria  pietosa. 

—  Taci!  —  gridò  il  giovinotto,  girando  un'oc- 
chiata per  la  corte.  —  Tu  dici  che  non  sei  solo. 
Chi  è  dunque  con  te  ? 

—  Ma  tutti  voi  ! 

—  Cane  ! 

E  il  prigioniero  dalla  barba  rossa  gli  assestò  un 
terribile  pugno  sulla  faccia  ;  il  pagliaccio  indietreg- 
giò d'un  pass,,;  un  altro  camerata  gli  scagliò  un 
pugno  sulla  nuca. 

—  Fratellini  !  —  supplicava  Sasubrina,  ansiosa- 
mente. 

Ma  i  fratellini,  vedendo  che  i  soprastanti  non 
c'erano,  si  avvicinarono  circondando  il  loro  ex- 
favorito e  con  qualche  calcio  lo  gettarono  a  terra. 
Da  lontano ,  quel  gruppo  compatto  poteva  pa- 
rere una  comitiva  un  poco  animata.  Ogni  tanto 
risonava  il  rumore  sordo  dei  colpi  dati  a  Sasubrina: 
lo  colpivano  lentamente,  senza  irritazione,  cogliendo 
il  momento  propizio  nel  quale,  torcendosi  dal  do- 
lore come  un  serpente,  egli  presentava  una  parte 
favorevole  a  una  pedata.  La  scena  durò  tre  minuti. 
A  un  tratto  s'udì  la  voce  del  soprastante: 

—  Perdinci,  non  ne  avete  ancora  abbastanza  ? 

I  carcerati  misero  line  alla  tortura,  ma  non  su- 
bito. Uno  dopo  l'altro  lasciarono  Sasubrina,  e 
ognuno,  andando  via,  si  congedava  con  un  calcio. 
Quando  tutti  si  dispersero,  egli  restò  disteso, 
coni;  le  spalle  gli  tremavano  :  piangeva,  forse  ;  poi 
si  mise  a  sputare  ed  a  tossire,  poi  cominciò  a  sol- 
levarsi cautamente,  come  se  temesse  di  dissolversi 
in  polvere.  Con  la  sinistra  s'appoggiò  al  suolo  e 
piegò  una  gamba,  urlando  come  un  cane  idrofobo; 
lilialmente  si  mise  a  sedere. 

—  Non  far  la  scimmia!  —  gli  gridò  severamente 
ilo  dalla  b. uba   mssa. 

Sasubrina  fere  ancora  qualche  movimento  ,  poi 
sorse  in  piedi,  barcollando,  si  dilesse  verso  uno 
dei  muri  della  prigione  :  con  una  mano  si  premeva 
il  petio.  con  l'altra  s'  appoggiava  al  muro,  e  oppi 
tanto  si  Fermava,  abbassando  il  capo.  Tossiva:  io 
vidi  le  goccie  del  sangue  'filare  a  terra,  spie,  andò 
in  rosso  sul  fondo  grigio  dei  muri.  Sasubrina 
curava  che  il  saie  ne  i  adesse  a  terra,  affinchè  nes- 
suna stilla  macchiasse  la  fabbrica  imperiale. 

Si  prendevani  >  beile  di  lui. 

Da  quel  giorno  il  gatto  disparve.  Sasubrina  non 
ebbe  più  rivali;  resto  solo  ad  attirare  l'attenzione 
.1  divertire  i  cari  eiati. 

M  VSSIMO  I  rORKI. 


Anno -Il 


Nvm2 


•La- Lettura- 


BBRAIO 


RIV[5TA-AEN5!LE 
DEL(pRRlE.RL- 
b-DELLA-3£RA- 


CASTA    DIVA 


[Continuazione,   vedi  numero  pre<edent    . 


in. 


ardo  Parvis  era  un  polemista  ed  un  Gi- 
ratore violento  e,  certe  volte,  persino  ag- 
gressivo. Sul  terreno,  in  quegli  anni  in 
cui  i  duelli  erano  ancora  di  moda,  era  stato  un  av- 
versario pronto  e  assai  temibile;  tuttavia  nel  suo 
carattere  c'era  un  fondo  di  timidezza  che  pure  nelle 
lotte  della  tribuna  parlamentare  e  nelle  vicende  ru- 
morose della  vita  pubblica  non  era  ancora  riuscito 
a  vincere  interamente.  Anzi,  questa  sua  timidezza, 
non  scemava  punto,  ma  al  contrario,  si  faceva  più 
viva,  a  mano  a  mano  che  aumentavano  la  sua  fama 
e  la  popolarità  del  suo  nome. 

Al  primo  presentarsi  in  un  teatro  o  in  una  sala  o 
in  qualunque  altro  luogo,  in  mezzo  alla  gente,  egli 
iimaneva  un  istante  confuso,  impacciato  da  tutti 
gli  sguardi  curiosi  che  gli  si  fissavano  addosso.  Egli 
doveva  sempre  fare  uno  sforzo  per  vincersi,  per 
mostrarsi  sicuro  e  disinvolto  ;  ma  questo  sforzo 
non  sempre  gli  riusciva  e  allora  il  Parvis  nascon- 
deva la  propria  timidezza  sotto  un'apparenza  seria, 
quasi  dura,  pronunciando  poche  parole  tronche  e 
imperiose. 

Quel  primo  giorno,  in  montagna,  entrando  per 
far  colazione  nella  grande  sala,  lunga,  bassa  e  così 
affollata  e   rumorosa  della  locanda,   egli  senti   an- 

La  Lettura. 


cor  più  viva   e  più  fastidiosa  queir  impressione  di 
debolezza  che  lo  turbava  e  lo  impacciava. 

Le  due  lunghe  tavole  erano  piene.  Non  un  posto 
vuoto.  Subito,  al  suo  presentarsi,  era  cessato  per  un 
istante  il  cicalio  e  il  risonare  delle  posate  e  dei  cri- 
stalli :  tutti  gii  sguardi  si  erano  alzati  e  fermati  si  - 
pra  l'onorevole  Parvis. 

«  Per  un  ex-ministro  era  ancora  giovane  !  E  molto 
elegante!...  Aveva  un  aspetto  simpatico!...  — Do- 
veva avere  del  talento  '  —  ("erto,  per  arrivare,  sia 
pure  soltanto  alle  «  Poste  e  Telegrafi  »,  di  talento 
ce  ne  vuole  !  » 

E    io  rissavano   con    ostinata  curiosità  aneli 
occhi  neri,  nerissimi,  della  bella  signorina  del  gran- 
de cappellone  tutto  bianco  e  tutto  rosa. 

Gerardo,   aveva   veduto  l'amica  di  Teo,  pru 
guardarla;   anzi,  più  die  averla  vista,  l'aveva  sen- 
tita. 

—  Che  ci  ne!   Era    lì,   proprio   lì,    di 

nanzi,  in  faccia  al  suo  tavolino! 

Per  restar  solo,  per  non  conoscere  nessuno,  l'ono- 
revole aveva  ordinato  per  sé  un  tavolino  a  parte, 
e  gin  e  preparato  proprio  in 

eia  all'amica  ili    Teo  ! 

Il  primo  cameriere,  in  atto  di  grande  deferenza, 
aspettava    i  su  i,   porgendogli    la   lista    del 

giorno. 

Gerardo  la  guardò  un  momento. 


o8 


LA    LETTURA 


Di.  -  '  ll/.l. 

una  alla  mil 

:rv  un  bu  ind  au  beiti 

me  volete.  Quello  chi  Pi  i  h 

pn  si 
l 
\  ellenza  e  niente  vino!  Soda  e  co 

i   li-  mani  la  Tribuna,  e  mei 
mincia  a 
terla  •  senza  pareli'. 

il  gli  riuscivano  ilei  tutto 

t  dovrò  tare  pei  impedire  le 
menti  e  i  complimenti  ! 
■  erano  ricominciati  oni,  e 

a  inani»  a  mani'  divenl  e  rumo- 

!  e  pronunzie  delle  varii  avano  p:ù 

Fra  quel  brusìo  festevole  e  cerìmonii 
l  piemonti  rideva  al  toscano,  il  na- 

tano  e  il  siciliano  al  milanese  e  la  parlata  ve 
romana  •  a  e  meli  »  ; 

Ma  ben  chiara,  scolpita,  fra  quelle  milli 

.  _    ngeva  hio  la  va 

•  li  quella  tal  signorina  —  l'amica  ili  Teo. 
P 
Cariava  benissimo  ;  senza  tradire  nessun  dialetto. 
1>  dell'alta  Italia...   milanese  no.  L'a 

\relili-  veduta  qualche  volta  a  Milani). .. 

gnorina?  —    Perchè   signorina?...    —  Che 
Prospei  i  re   henis- 

-  gnora. 
rdo,  culla   scusa  di   voltare  la  pagina  della 
" .-.  lanciò  un'altra 

lorina    !  I  signorina!.   .  Ture,  per 

re   una  signorina  è   molto  disinvolta!  Troppo 
disinv 

Seduta  in  mezzo  a   due  giovanotti,   rhe  sembra- 
timi piuttosto  due  giovinetti,  col   viso  sbarbato  *e 

ibboni ..in',    e  Tolta  capi- 
gliatura, ella  parlava  molto,  ridi  va  molto,  si  moveva 

-  gW  ri'!.  ■  ,  '. 

il    cameriere  eoi   chateaubriand;     l'onore- 
ril  one  la  Tribuna,  e  intanto  guarda  aurora   il 
sa  e  i  due  vicini. 
Dalle  giacche  bige,  larghissime,  spuntavano  i  colli 
impiccati  negli   alti  solini  rigidi 

Che  caricati  l    m  la  marea  autentica  del- 

■  illiti   fatua  e   pretenzi. 

-i    per    piacere    alle 

E  al  Parvis,  sfugge  un  sospiro.  E'  forse  il  ram- 

1  ;  liosa  lei,  di  quei  due  li. 

.a  un  caldo    fiore   dell'Oriente*,  i 

* 
Eh!  Mah !...  Po- 

te  del    (  lonsiglio .  ma    j 
non  lo  ritorno  più,  pui 

i    la  pi, u 
alla  per  sem| 


\     \!  ■  ■  ■  i .  .  ]  i    Ha  a  le!  -\  iti   I  un  mi  i,  |ht 

fortuna,  di  breve  durata.  Sin  da  quel  giorno,  allora 
di   pranzo,   la    sua  entrata    nella  sala   non   fece   più 
i  nessuno. 

Come  iii.n-       La  bella  amica  di  Teo  è  partita? 
pensa  Gerardo  mettendosi  a  sedere,  ma  poi 
la  vede  al  suo  («.sto,  fra  i  i  cavalierini  ri- 

gidi,   impettiti    e   augi!  ne   due   cavallette, 

nell'aiuto  di   Sei 
'       ■   I 

Ma  ii :'è  più  il  cappi  111  ine  !       Peccato  ! 

\i  ssuna    signora    aveva    il   cappello.    Gli    uomini 
in  smoking  o  in  frak,  le  signore  in  toilette;  non  c'era 
più   nella   sala    l'allegria   espansiva    della    mattina; 
correva    invece   per   le    <\uv    lunghe   tavolate    un 
•  i  mpassara  di  grani  le  sussiego  e  di  mu 

—  l'i  -   iva  ras  beni  con  quel  grandi 
pello  alla  moschetterà  ! 

Mentre  l'onorevole   pensa   ai    cappellone,    il   si- 
gnor Vincenzo  —  il  primo  '.unii  aspetta  i 
i  '  lini. 

—  Date  aii'he  a    me   il   pranzo  del  giorno!        11 
solito   della   pensione. 

L'inchino  del  sigm  i    Vincenzo  vi   la    involonta- 
riamente meno  profondo,  'l'ante  raccomandazioni  e 
tanto  strepito  per  un  ministro...  che  non  ordina  nem- 
10  un  extra  e  beve  la  soda  ! 
Bel  ministro  e   bel   Governo  «  da  carovana!  ». 
L'onorevole   Parvis  s'ao  ssere  un  po'  in 

>so  nella  considerazione  del  signor  Vinceru 
nota  pure  di   non  destare  più  nessuna  curiosità  nel- 
l'amie.i   di    Teo,    la     piale   mangia   di    buon   appetito 
e  amie  alla  mattina   parla,  ridi,  scherza...  ma  senza 
i  i  "parsi  affatto  di  Sua   Eccellenza  ! 

ili  un  tipo  espressivo;  tuttavia  dev'esser* 
una  ragazza  inconcludente!  Come  può  divertirsi 
tanti  ai  discorsi  di  que'  due  scimuniti?...  —  Perchè 
seno  due  scimuniti!...  Positivo!...  —  Senza  cap 
pello  ci  perde  moltissimo!   E'  molto  meno  bella; 

ri  il    SI  mota    più    lei  '. 

—  Desidera    Senapi 

—  domanda  il   signor  Vincenzo  passandogli  vicino. 

—  Datemi  il  Si         e  il  Corriere  detta  Sera. 

1     i  :     ni,  1  ne  e  l'altro  comincia  a  leggere  i  due 

'.ili. 
Dio,  la  politica!  ..   Sembra  una  cosa  tanto  grande 
e  non  ;•  ehe  un  pettegolezzo  cosi  piccolo!  — 
ruffe  chio//i  ti         -  Invidie  e  gelosie,  ambizione  e 
volgarità!  E'  proprio,  colla  scusa  di  tari 

quello  degli   altri  ! 

L'amica  di  Teo  a-,  una  voce  ben  singo- 

lare! t 'he  voce  strana!  Non  era  forte,  eppure  come 
sentiva    bene,    anche    da    lontano  !    Che   bella 
.  calda,  penetrante! 
■ —  Una  bella  voce  è  una  gran  U-lla  cosa!  Deve 
avere  anche  dello  spirito,  la  signorina.  Quelle  due 

mummiette   VÌVI      -mio  condotte  per  il  naso         S 
de  elle  e  un  piacere!  ( '"ine  m  le  i  li  gusto  e  Co- 

me ride   bene!   Sfido  io  a    non   rider   Ix-ne  con  i|uei 
denti'   (In-  bianchezza!   E1  una   bocca    abbagliante' 
I  bei  denti  sono  una  gran  bella  cosa!  —  Che 
N        deve   essere   più  giovanis 
' 


I    VSTA    1  «1\  A 


99 


L'onorevole  Pai  vis  l'osserva,  questa  volta  con 
coraggio,    attentamente. 

La  giovinezza  trionfava  in  lei,  in  tutto  il  suo 
pieno  rigoglio:  ogni  linea,  ogni  contorno  era  vi- 
vente e  fiorente,  mentre  il  volume  enonne  e  capric- 
cioso  dei  capelli  nerissimi  sembrava  dare  alla  sua 
carnagione,  un  brunito  di  sodezza   e  di   forza. 

—  E  pensare  che  con  tante  belle  ragazze  e  con 
tante  belle  donne  che  ci  sono  al  mondo,  io  ho  speso 
le  ore  migliori  della  mia  vita  con  Saracco. . .  e  con 
Zanardelli  !  —  Al  diavolo  il  Governo  e  la  politica, 
la  Camera  e  il  Senato  !  —  E  sua  madre?  —  Ci  sarà 


-  verso!  —  Prospero  continuava    passo  pa 

trascinandoselo  dietro,    inesorabile  e  muto  come   il 
destino. 

Teo  si    arrabbia,    brontola    riottoso,    ma    intanto 
medita  il  colpo,  e  sta  attento. 


Un  po'  innanzi,  passato  l'albergo,  la  valle  si  a]  re 
spaziosa  e  libera,  tutta  verde  di  abeti;  e  in  fondo 
alta,  nuda,  rocciosa  la  vetta  del  monte  Cimone  pren- 
de, in  quell'ora  del  crepuscolo  estivo  e  dopo  l'ultima 


la  mamma  ;  certo.  —  Dov'è  ?  —  La  vecchia  gialla 
che  le  sta  di  faccia?  —  No!  No!...  Non  le 
somiglia  affatto  !  Più  che  altro ,  ha  l'aria  di  essere 
un'istitutrice.  —  Ad  ogni  modo,  madre  o  istitutrice, 
perchè  non  le  sta  accanto  ?  Una  ragazza  seduta  in 
mezzo  a  due  giovanotti...  che  le  fanno  la  corte... 
Come  sono  cambiati  i  costumi  e  gli  usi  del  mondo  : 
A'  miei  tempi... 

Ma  a  questo  punto,  mentre  l'onorevole  Parvis,  oc- 
cupato da  così  gravi  pensieri,  si  serve  distrattamente 
dell'arrosto  e  dell'insalata,  è  richiamato  d'improv- 
viso alle  piccole  realtà  della  vita  e  dell'Abetone  da 
una  gravissima  disobbedienza  commessa  da    1 

—  Com'era  stufo  il  povero  Teo  di  passeggiare 
su  e  giù  dinanzi  alla  locanda,  legato  e  tenuto  al 
guinzaglio  dal  vecchio  Prospero  !  Ogni  tanto  dava 
una  grande  strappata  e  tentava  di  mordere  il  lac- 
cio. Peggio  ancora  quando  passava  vicino  al  por- 
tone dell'albergo:  si  fermava,  puntando  le  quat- 
tro zampe,   si  allungava  prodigiosamente.   Ma  non 


doratura  infocata  del  sole,  una  tinta  arancia,  poi 
violacea,  poi  quasi  rosea,  in  sullo  sfondo,  limpido  e 
del  cielo  azzurrino. 

La  giornata  non  era  mai  stata  tanto  bella,  riè  il 
tramonto  tanto  maraviglioso.  Prospero  contempla 
a  bocca  aperta,  e  Teo,  che  lo  vede  in  estasi,  non 
one:  una  terribile  strappata  e  via  come 
una  saetta!  Infila  la  porta  dell'albergo,  infila  l'u- 
scio della  sala  da  pranzo  e  sempre  a  tutta  carriera 
e  sempre  tirandosi  dietro  il  guinzaglio  passa  si 
le  tavole,  fra  le  gambe  della  gente,  fra  le  sottane 
delle  signore,  fiutando,  annusando,  frugando  di 
qua  e  di  là  in  cerca  del  padrone  di  cui  sente  l'odore, 
ma  non  trova  ancora  le  traccia. 

Il  monotono  sussiego  della  table  d'hòte  è  rotto 
come  per  incanto:  due  vecchie  inglesi — detestate  alla 
lor  volta  dai  villeggianti,  per  L'odio  che  portano  alla 
sigaretta  —  si  alzano  spaventate  e  inorridite,  sbat- 
tendo i  tovaglioli  per  difendersi.  Teo,  credendo 
l'atto  uno  scherzo  e  un  incitamento,  corre  loro  ad- 


1 00 


LA    LETTURA 


lì  andò.    I  utti  rid    i         molti 
ii  del  chia 

lama    l'amica,  colla  sua 
languida  <■  più  tenera  e  con  un  ai 
anni  ■  •    sione. 

Piccolo  caarol 
l         reo  t  -  —  L'i 

•    ila  il  sangue  più  dell'i] 
Ile  due  vecchie  ingli 
reo!  Qui  :  Subito! 
om prende  al  tono  che  non  è  il  momento  ili 
otto  la  tavola,   poi 
•  fuori  quatto  quatto,  tutto  basso,  tutto  lungo, 

tutti  bil    i.uuiii    il 

padrone 

nzaglio  e  di   colpo,  solle- 
vandolo mezzo  da  terra,  lancia  il  poveri    re    Fra  le 
■  che   aspettava  timoroso  sull'u- 
dv  a  sua  vi  Ita  acchiappa  il  rane  e  scompare. 
Povero  '       Che  cattiveria  ! 

L'onorevole  sente  appena  queste  paini.-  volare 
nell'aria,  sente  il  lamento,  il  rimprovero  che  gli  è 
< lirett- >  e  toni  re  al  suo  tavolino  i  on  una 

faccia  rosi  scria  e  Iona,  come  se  non  si  tn  vasse  di- 
nanzi ai  .piani  ili  un  pollo  arrosto,  ma  .li  fronte  ad 
una  schiera  ili  i  istruzii  misti  ! 

Passata   la  collera,  gli   resta   in  corpo  la   stizza. 
Va    presto  su,  nella   sua  stanza  per   dormire.   I  .•  >  ha 
'uzza  delle  ilue  notti  passate  in  fer- 
r..\u  e  pili  ancora  dell'aria  diversa  della  montagna. 
Ma  prima  ili  coricarsi,  ila   una  lavata  ili  testa,  so 
.  al  povero   Prospero,  elle  laseia   passare  la  hur- 
atare  e  questa  volta  senza  metter  mn 
orto. 
. '.'•  quella  bestiai-ria  maledetta? 

I 

Prospero  indica  una    poltrona  in    fonilo   alla  ca- 
mera  sulla  quale  c'è    una   e.  .perla  e  sulla  coperta 
'  Ito,    in..  .:...   senza 

parere,   a  tutta   la   grande  sfuriata. 

Se  1..  lai  un'altra  vi         5e\  ieni  in  sala,  un'al 


■  ■Ita.  stai 


E   i  '..  rardo,  .'he  ormai  s'è 


ito.   alza  ancora  la  mano,  ma  nell'atto,  più  che 
una  minaccia,  c'è  adesso  un  imito      Teo  ni 
muove:  iz  1  i  occhi  bi  .  guardano  .la  un'al- 

tra pane:   invece  .li   Prospero  è  lui.  questa  volta, 
i  musi,  al  padi 

Ha    più  fierezza  e  più  carattere 
ili   molti   n  ghi  ' 

i  icina  al  povero  1 

rio  e  far  la  pace,  ma  a  un  tratto  si    ferma 

cena  .Iella  succursale  ili  faccia 

da  dell'albergo  riservata  al  ballo,  alla  musica 

'■  ali  e       dopo  i  primi  accordi  incerti 

'l''1   I  nell'aria  una  bella 

o,  limpida  e  squillante,  un  canto  largo 

he  riempie  tutta  la  tutta  la  valle. 

M 


Prospero,  ve- 


E'   la  borbotta 

dendo  il  padri  me  o  ine  incantato. 
Quale 

I  hi. -11.1    ilei      I  | 

Non  c'era  dubbio:  i  .lue  ce  .lei  t'adoore,  avevano 

stessa    inti  e   ■    di  i    due    aa    del    «  pii 

coati 

E'  una  signorina  .li  famiglia  molto  m  b 

1  vuo lare  sul  teatro  lo  stesso,  perchè  non  ha 

più  né  padre,  e  ha  pochi  soldi, 

i  '..me  lo  sai         l 'hi  te  l'ha  detto? 
l  i  signora  Clotilde. 
I-i  chi  è  questa  signora  t  Hot  il  de? 
-Lai  ih n-ma.   Siam.,  vicini   .li 

tavola.   —  La  signorina  è  una  marchesa.   Mar  I 
.1  A,lbaro  di  <  ìenova. 

I  ■  i   n  iil  servitore  stupiti  i 

—  Oh  bella!  Quella  mutria  taciturna  del  si- 
gnor Prospero  che  all'Ai  .etono  diventa  loquace  e  pet- 
to-, ilo  ! 

IV. 

L'onorevole  i'arvis  non  donni  bene  quella  prima 
notte:  anzi,  non  dormi  affatto.  Era  troppo 
stanco  e  troppo  agitato.  E  poi  non  era  ancora  abi- 
tuato  ali. nia.   al   clima,   alla   montagna   alta. 

Non    polendo  dormire,  era  rimasto  tutta 
preda  al  a  Je t'adoore!  »,  anche  dopoché  la  marche 
sina    d'Alban.,    ricevuto   una   duplice   salva    di     ip 
plausi,  si  era  ritirata  con  la  sua  istituti  i  an 

a  di  rinire. 

II  I'arvis  aveva  sentito  i  complimenti  che  le  erano 
fatti  giù  in  istrada,  i  saluti  e  il  ricambi,,  della 

Inolia    notte. 

Sul    teatro!  .      Sarebbe    andata   a    finir  male! 

1.  onorevole  Parvis,  che  in  vita  sua  era  stato  assai 

pi  co  a  teatro  .-che  non  era    fi  rse  mai    salito  ■-opra 

un   palcoscenico,    aveva  tutti  i    pregiudizi  comuni    a 

chi   vede  da  lontano  le  quinte  e  i  camerini. 

—  Sola  e  libera?.      Sul  teatro I 

Gerardo  ora  contrariato  e  indispettiti..  L'onda  di 
simpatia   era    svanita     Egli,   ad   un    tratto,    provava 
ti  del  risentimento  contro  la  n  na.   E   iì, 

nel  buio,  dalla  Gilda  alla  Fos  a,  tutte  le  eroine  d 

he   ricordava,   gli    passavano    dinanzi 

più  provocante. . .  ma  tutte  col  viso, 

colla  I  on  gli  occhi  della  giovane  e  bella  a- 

di    'beo. 

Farà  certo   fortuna   con  quella  sua  bellezza! 
E  an.'he  cu  quell'espressione  che  sa  dare  al  co 
e  al  «  Je  t'adì»  rei  i 

Ani!       \  'i  si    può  dormire  all'Abetone I. 

lira  venuto  per  godere  il  fresco  .    invece  soffriva 
un  caldo,  iin'.i  I  no  la  smania  ad- 

t'he  letto  incomodo I.      E  quanta   gente  an- 

\la    a    lui  che  cosa    importava    della   gente"    Era 

vi  unto  ali  Abeti  me  i  ei   passi  sare 

con  la  testa  e  con  li  avrebbe  fatto  una  vita 

solitaria.  Poi  aveva  tante  cose  da  leg- 

■  ere  e  tanti  articoli  da  scrivere! 

—  Non    voglio   conoscere    nessuno   e   non    voglio 

n    nessuno    lunghe  escursioni,    faticare 


•    \S*1 


Idi 


tanto  da  pcter  dormire  e  poi    i  tavolino!...    E   se 

qui  non  mi  vedrò  sicuro,  cambierò  locanda...  e  se 
ne,  anche  paese  ! 

La    mattina  dopo,  si   alza    prestissimo,   gii 
bosco  per  un  paio  dorè  e  poi,  evitando  la  gente,  ri- 
torna all'albergo  e  sale  in  camera  sua,  dove  trova 
Teo  che  gli  fa  quattro  salti  e  una  corsa  in  giro,  ma 
che  toma  subito  ad  accucciolarsi,  avvolgendosi  in  - 
stesso  sulla  poltrona. 

-  Ha   sonno!  E'  stanco,  povero   piccolo!... 

Gerardo  non  s'è  accorto  di  chiamarlo  piccolo, 
«  povero  piccolo  »  come  l'ha  chiamato  la  signorina 
del  cappellone. 

—  Povero  piccolo!...  Tu  dormi  ed  io  mi  inetto 
a  lavorare 

Infatti,  siede  al  tavolino  e  comincia  il  suj  primo 
articoli»  al  Daily  Express. 

Ma  quando  si  donne  male,  non  si  può  poi  scri- 
vere bene.  E'  impossibile!  —  L'onorevole  Parvis 
quella  mattina  non  è  di  lena. 

E  poi  il  pianoforte  della  succursale  che  non 
tace  mai. 

—  E'  un'ira  di  Dio!...  E'  proprio  la  terra  dei 
suoni  e  dei  canti,  l'Abetone  ! 

Ma  non  sono  gli  accordi  della  sera  innanzi  ! 
Xen  sono  gli  accordi  della  romanza  di  Massenet  ; 
non  è  il  Je  fadoore! 

L'onorevole  Parvis  resta  per  una  buona  mezz'ora 
assorto  e  pensoso. . .  e  la  carta  che  ha  dinanzi,  per 
quella  mattina,  rimane  bianca  e  intatta. 

—  Andiamo,  Teo!  Andiamo  a  fare  un'altra  pas- 
seggiata !  L'articolo  al  Daily  Express  lo  scrive 
remo  dopo  colazione. 

Si  era  di  piena  estate,  eppure  lassù  si  respirava 
un'aria  fresca  di  primavera  !  Il  verde  ancora  tenue 
sotto  il  verde  carico  e  cupo  dei  vecchi  abeti  ;  nei 
prati  le  margherite  e  i  vergiss,  nelle  rive  ombrose  fra 
il  murmure  del  rio  e  lo  spianciare  della  cingallegra, 
le  violette  e  le  fragole.  La  primavera  !  La  prima- 
vera ! 

Come  consola  gli  occhi,  come  accarezza  il  viso  e 
penetra  nel  sangue  ed  anche  nel  cuore  con  un  infi- 
nito e  dolce  benessere! 

—  Mi  sento  più  giovane  in  montagna!  -  An- 
diamo Teo  !  Andiamo  a  fare  una  bella  passeggiata  ! 
Siam  qui  per  riposare  e  non  per  lavorare!...  Ci 
divertiremo,  mangeremo  di  buon  appetito  e  ci  fa- 
remo buona  compagnia  !. . .  Noi  soli,  sempre  soli  !. . . 
E  tu,  bravo  Teo,  sta  attento  e  fa  la  guardia  !  Se 
vedi  un  seccatore  da  lontano  abbaia  !  E  se  ti  viene 
vicino,  ringhia  e  mordi  !  Qui  non  sei  costretto  a 
tare  la  museruola  ;  all'occorrenza,  approfittane  ! 

Teo,  che  ha  ascoltato  il  lungo  discorso,  stando- 
sene attento  con  una  gamba  davanti  ripiegata  e  so- 
spesa, con  la  testa  inclinata  da  un  lato,  alzando,  al- 
largando le  grandi  orecchie,  fissando,  dilatando  le 
pupille,  fa  un  atto  di  assenso  con  un  piccolo  star- 
nuto e  via  come  il  vento,  giù  dalle  scale,  guaiolando 
prima,  non  di  dolore  ma  di  gioia,  e  poi  fuori  al- 
l'aperto, innalzando  lui  pure  il  suo  inno  alla  prima- 
vera e  alla  montagna  con  festevoli  latrati  che  echeg 
giano  risonanti  nel   silenzio  della  valle! 

Ma  in  quanto  al  non  fare  conoscenze,  il  signor  Mat- 


teo è  di  tu't  Lìti  'ii  tutt'altri  gusti  de '• 

norevole   Parvis!   All'Acetone  lui   vuol   vivere    nel 
bel  mondo,  giuocare  con  tutti,  divertirsi  con   tul 
E  specialmente  con  le  signore!  Quando  ne  vi  de  una 
in  distanza  si  acquatta,  prima,  allungandosi    e  poi 
prende  la  corsa  sa  a. '.dosso. 

—  Teo  !  Qui,  Teo  ! 

Il  grande  stradone  fiancheggiato  dagli  abeti  co- 
mincia a  popolarsi.  Dai  boschi  spuntano  le  signore 
nelle  bianche  toilelles  mattinali,  circondate,  seguite 
dagli  eleganti  cavalieri.  E  Teo,  ormai  reso  popolare 
dalla  scena  del  giorno  innanzi  colle  due  vecchie  stiz- 
zose, riceve  da  tutti  saluti  e  carezze,  che  gli  sono 
prodigate  anche  per  ingraziarsi   il  padrone. 

—  Teo!  Qui  !...   Teo! 

Teo  si  volta  un  momento  colla  testa,  sbatte  le 
orecchie  lunghissime,  ricadenti  come  foglie  di  lat- 
tuga appassita,  e  poi  ili  nuovo  salti,  giravolte,  ce- 
rimonie, di  qua  e  di  là,  con  tutti  quelli  che  incontra, 
purché  sia  gente  ben  vestita. 

A  un  certo  punto,  dove  la  strada  si  biforca  nel 
bosco,  l'occhio  di  Gerardo  si  fa  torbido,  il  viso  ac- 
cigliato: 

—  Teo  !  Qui  !  Teo  ! 

Ha  visto  sbucare  dal  verde  folto  il  grande  cap- 
pellone a  trine  bianche  e  a  nastri  rosa,  seguito  dai 
due  soliti  giovinotti  o  giovinetti,  vestiti  pure  di  chia- 
ro, il  berrettino  bigio,  e  con  in  mano  le  racchette  e 
la  reticella,  con  le  palle  del  tennis. 

—  Teo!  Qui!  Teo! 

Ma  che!...  Teo  si  è  già  abbassato,  allungato  e 
all'invito  di  un  —  piccolo  caaro!  caaro!  caaro!  — 
si  precipita  incontro  alla  sua  amica  del  dà  innanzi, 
le  salta  addosso,  riesce  a  leccarle  la  faccia,  poi, 
sempre  di  corsa,  torna  indietro  a  far  testa  al  pa- 
drone, e  poi  di  nuovo  alla  signorina,  e  poi  di  nuovo 
al  padrone,  come  per  far  capire  alluna  e  all'altre 
che  ormai  devono  essere  amici  tutti  e  tre! 

La  bella  marchesina  saluta  l'onorevole  Parvis 
con  un  cenno  grazioso  e  signorile  del  capo:  i  due 
giovanotti  o  giovinetti  si  fermano  a  due  passi  di 
distanza,  diritti,  come  due  aiutanti  di  campo,  sco- 
preni  li  >si  rispettosamente. 

Non  c'è  verso  !  L'onorevole  Parvis  deve  salutare, 
deve  fermarsi,  deve  parlare. 

—  E'  una  grande  seccatura  questa  mia  bestiola  ' 
Si  permette  troppe  confidenze,  e  si  prende  troppe 
libertà  !. . . 

—  E'  tanto  caaro! 

—  Il  mio  servitore. . .  E'  stata  un'idea  infelice 
del  mio  servitore,  quella  di  tirarselo  dietro,  fino 
quassù!   Giù!    Fermo!    Besriaccia   sconveniente! 

—  Teo,  una  bestiaccia?!  Oh,  povero  piiccolo! 
Teo,  con  il  petto  giallo  sporgente  e  le  gambette 

anteriori  puntate  ad  arco,  scrolla  la  testa  e  starnuta 
di  nuovo  con  l'atto  di  dire  anche  lui  di  no,  che  non  è 
una  bestiaccia. 

—  E'  carino,  carino,  carino!  E'  un  tesooro,  lui  , 
è  un  amoore!  Soltanto  l'intelligenza  h  ha  dimo 
strato  ieri  sera  ! 

—  Già,  interloquisce  uno  dei  due  pallidi  cava- 
lieri. Quando  voleva  mangiare  il  naso  a  miss  Kean 
e  a  mrs   Brand  ! 


[02 


LA    LETTURA 


La  raarchesina  ride,  ci  >n  tuti  denti  lui 

hinand  si  e  tenerli 

■  ioni  sulla  l n issa  testa  di  rasi >. 
i  i 

ia  un  barbaglio  agli  occhi  e  sente  una 
tutto  il  corpo:  il  barbaglio  di  quella  bocca, 
di   i ji  il.  ssa  dei  due  bai 

irla   '!•■!  •  :    . dorè 

ria  . 

ma  all'albergo,  marchesina? 
Vicino  all'albergo;   al  tennis.    Facciamo  due 
ore  di  tennis  tutti  i  giorni,  prima  di  colazione.  Li 
giuoca  al  tenn 

e    Parvis,   guardando  la   marchesina, 

mette   involontariamente   un   sospiri),    un    rimpianti! 
in  quel  verbo  giuocare  al  tempo  passi 

narchesina   è   molto   intelligente;    coglie  al 
nazione. 

V  sso,  non  giuoca  piii?J...  E'  naturale!  A 
Roma!  La  Camera!  Tante  occupazioni  !  Tanto  /,/ 
VOoro\  Ma  qui  \orrà  lx-n  riposare  un  po'!  Farà 
qualche  partita  con  noi?  Accetta  una  sfida? 

vi  Ige,  senza  aspettare  risposta,  ai  due  giovi- 
notti  rimasti  fermi,  impalati  e  li  chiama  per  pre- 
sentarli : 

Se  i  '  rmette,   Eccellenza*. . . 

Non  sono  piii  un'Eccellenza! 

Come  devo  dire,  allora?...  Onorevole?...    Se 
permette,  onorevole,  le  presento  il  conte  Annibale  e 

Mattioli,    miei   cugini. 
L'onorevole  Parvis   saluta    l'uno  e  l'altro,  con  una 
stretta  di   mano,   e  tutt'insieme    ritornano   lino    ai 
rampo  del   tennis,   che   è  giù,  basso,  in  una   conra 

0  sotto  l'alberg 

L'orn  revi  le  cammina  al  fianco  della  marchesina 
l>  Mbaro,  con  Teo  che  gli  passa  fra  le  gambe.  Ce- 
'■  Annibale,  Che  non  hanno  dei  due  grandi  con- 
quistatori altro  che  il  nome,  rimangono  dietro,  seilì- 
pre  a  <l\u-  pasi  di  distanza. 

I  narchesina  parla  e  fa  ammirare  il  paes. 
li  norevole  tace  e  ammira  la  marchesina.  —  Come 
amabile  e  vivace,  pur  rimanendo  sempre... 
bambina!  Ni  n  i  civetteria,  è  schiettezza,  è  natura- 
lezza giovanile  la  sua!.  Ha  bandite  —  si  vede — 
tutte  ii  il  ti.  nitte  le  ipocrisie  del  gran 

moni  •  r  altro,  ne  conserva  tutta  la  grazia  si- 

gnorile. E'  proprio  «  m  Ila  punta 

uelli  meravigliosi  1..     E  che 
ieri,  ncrissimi  !..    1  ).i  perder» i  denl n >. 
l'anima  e  il  corpo  ! 

1  '    I     inainola  !    Teol 

bile !. . .   Aveva 
da  lontano  le  due  vecch  re,  i        ra  messi i  a 

r    saltar  li  ro   addi 
reo,  qui  ! 

na  sulle  •  -  d. ili  aria  birichina, 

!"     !  La  bella  fan  mila  , 
ridendo,    lo  piglia   in    bl  -  il  i  e  ba 

li   nuovo. 

1 


Il  Parvis  ne  è  ormai  più  che  persuaso:  1. 
rinunzian  .      i    [uel   momenti  i  speranza  di 

solitudine,   ad  Ogni    proposito  di   non    voler   lare  co- 
nosci':.-..   I  .i    signorina  D'Albaro,   prima   ancora  di 
il-,  li.  al  tennis,  è  circondata  da  una  frotta  di  vil- 
.  i  he  appiì  hti.mi .  dell'i  i  -  a sii me  pei  i  - 

revole   Parvis.  Molti,  anzi,  dichia- 
di  averlo  già  visto,  già  conosciuto  altre  vi 
e  ' -it  ino  luoghi,  date,  particolari. 

Ili  qualcuno,   il   Parvis  si  ricorda  davvero:   di   un 
vecchio  generale,    fra  gli  altri:    il  generale    Bonfei 
reri,  messo  da   parecchi   anni  in  posizione  ausiliaria 
dalla  gotta  e  dai  reumatismi. 

Aildio  solitudine!   Addio  quiete!  Addio  pace! 
Giunti  vicino  al  tennis,  la  marchesina  ripete  l'in- 
vito: l'onorevole  scrolla  il  capo,  ringraziandola  con 
un    inchino. 

Oggi?  no?  Proprio  no?...  Ma  domani?... 
Domani  sì?...   Promette? 

Giuocare  al  tennis'  lo3...  Ma  io  non  sono 
più  un  giovanotto!..    Sono  vecchio,  marchesina! 

—  Vecchio?.. .   /., 

Quanti  <•.  in  quel  lei!  ..  E  tutti,  uno  più  delizioso 

ilell'altro! 

—  Bella  ragazza!  —  esclama  il  general-  Bon 
ferreri,  rimasto  solo  coll'onorevole.  L'onorevole  lo 
guarda:  il  generale,  lungo  lungo,  seo  .  un 
po'  dondolante  sulle  gambe  malferme,  ha  i  capelli 
e  i  grossi  baffi  d'un  bianco  d'argento,  che  danno  ri- 
salto al  rosso  vivo  della  faccia.  Quell'ammira- 
zione per  la  marchesina  è  tutta  paterna.  —  Bella 
ragazza...  e  buona!  Le  piace  scherzare,  divertirsi. 
ma  non  c'è  nulla  da  ridire  sul  conto  suo! 

Il    Parvis  ha    uno  slancio   di  simpatia   per  il  ge- 
nerale e  lo  piglia  sotto  braccio...  senza  appogg 
troppo. 

-  Quando  l'avete  conosciuta,  onorevole? 

-  Stamattina  ;  un  momento  fa.  E'  stato  Teo  a 
presentarmi. 

-  La  signorina  D'Albaro  viene  all'Abetone  tutti 
gli  anni.  Conosce  tutti!  Qui,  è  come  un  po'  la  pa- 
droncina. . .  di  i 

—  Ed  è. . .  sola  ? 

La  signora  De  Paolis,  la  sua  antica  gover- 
nante o  istitutrice,  adesso  è  la  sua  «lama  di  compa- 
gnia. Bisogna  sentirla  cantare!  Come  canta!  E' 
una   l'atti  !  Una  Stoltz! 

La  sigin  r.i   I  ie   Paolis  ? 

No,  che!  La  marchesina  Sofia!       La  fan 
ire!    Sentirete!...    Una    voce!    Un    talento!... 
Straordinario!   Ha  l'intenzione  di  andare  sul  teatro 
e  farà  bene. 

Farà  male,  ('dovane,  bella  e  sola... 

Non  c'è  pericolo!  E'  una  donnina  piena  di 
giudizio!  ■     tener    testa    a    \)n    reggimento! 

Oh,   sono    molti   anni   che  la   COnOSCO.    E    p"i    è    d'un 
i     ,   I  ledilo,    positivo.    Sapete   colli' 

chiamo  io,  per  farla  arrabbiare?...  Nolte  dì  gelo! 
.  pei   Farla  ridere,  la  casta  diva! 
<  I       rrendo,   son     giunti,  passo  passo,  fin 

sulla   soglia  dell'albergo    I  Parvis,  salu- 


'"I 


LA    LETTI  RA 


tamii  i  il  g  con  grande  e 

sentita  effusione. 

ntissimo  di   aven 
rale  !  Sp<  ro  i  he  ci  vcd 
.;nia. 
Che  bella  mattina!  Che  aria  buona!       ( "!i< ■  bel 
cielo  lina]   do! 

K  il  Parvis,  messo  ili  buon  umore  dall'aria 

cale  cantarellando,  Appena  incamera, 

chiude  la  finestra    in  faccia  alla  succursale,         vi 

iva  troppo  sulc,       e  apre  l'altra  di  fianco,  dalla 

quale  n  na  nut.i  la  vallata  e  si  vede  proprio 

!  giuoco  del  tennis. 

rimane  a   lungo  alla   finestra,  ma  tenendosi 

■  i      i   pers  iane. 

verde  '  <  !he  aria  di  liziosa  !..   E  che 
fragranza,  che  buon  odore  'li  pino! 

■  che  il   padrone  non  si  occupa  di  lui, 
<   sparito.   E'  andato  in  cerca   'li   Prospero  e  «iella 


V. 


In  un  giorno  solo,  Gerardo  Parvis  ha  fatto  niiw- 
n  tutti  gli  abitanti  di  Boscolungo. 
Buona  gente,  in    ('ondo;    abbastanza  simpa- 
tica ! 

dimostrano  molta   deferenza,   mollo    stima  e 

molta   ammirazione:    tutte  rose  che   in   faccia  alla 

marrhesina  D'Albaro  lusingano    il   suo    amor   pro- 

e  la  sua  vanità.  Ma  non  fa  il  grand'uomo  per 

m  n  sta  in  sussiego.  E'  semplice,  alla  mano; 

legni  e  pieno  di  brio.   Si    diverte   soprattutto  a 

punzecchiare,   come  fa  il  generale,  la   marchesina 

Sofia. 

!       t  he  bel  nome  !. . . 

Ha   preso   passione   alla    musica   —    proprio  lui, 

revole  Parvis,  che  non  ne  capisce  niente!  —  E' 

vero,   tuttavia,   che    Massenet   non   è  Wagner...    e 

che  si  finisce  sempre  colla  romanza  del   Massenet: 

fé  fadoorel 

Onesta  romanza,  adesso,   la  maHu-sina  la  canta 
Ulto   per  l'onorevole   Parvis..     e  cantandola,   lo 
guarda,  lo  fissa  co'  suoi  orchi  neri  neri,  nerissimi... 
/<•  fadoorel 

i  la  romanza,  mentre   il  pubblico  appiaude. 

la   marchesina    si    avvicina   all' revole    Parvis   e 

con  dolcezza,  con  soavità,  con  bontà,  gli 
domanda   sempre: 

ritento,   signor  Par 
Il    Parvis  risponde: 

—  Si,   grazie. . .    —    e  rimane  incantato  ed   esi 
tante  e  studia  e  pensa  per  ben  capire  il  signifii 
di  qi  à,  di  quella 

'  riudizii  .  I  ìerardo  mio    Giui         !  Potresti  i 
iUO  padre!   Domani,  niente   passeggiata!  Scen- 
der. ,,.  unni  no    a    CO 
lazioni   '     11"   da    lavorare;     li"  da    rispondere    a   un 
mucchio  di  lettere. 

ritiene   la  parola  data   a                       II  giorno 
dopo,  appena  alzai  .   Teo, 

lie  VUOI    I  .innaspa   con   le  zai  tro  le 

rdo  gli   tira  un   po'   |  |  ,n-/ 


/.ni. l'ilo    ,     |      manda    a     .  con     Pro- 

'  liudiz  ■  !  ( ,  .  n  U..  gna  perdere  la 

r        essi  n-  su- ,  padre  ! 
Se  a>  esse  una   figliuola  cosi  bella  e  cosi  buona, 
comi  bene  !  E  se  ci  fessi 

vera  Fla\  ana,  ■    mi    ni      irebbe  gelosa  ! 

Povera  i  lai  tana,  non  ci  sei  più,  proprio  più  ! 

Lavora,    lavora    in   fretta,  e  per   un  po'  di    tempo 

'•  a  non   pensan    ad   altro.    In   uri  paio  d'ore   ri- 

Sponde  a   tutte    le    lettere    e    comincia    a    scrivere    al 

Daily  i         .,  quando  sente  a  bussare... 

—  Toc.    tOC,    toc. 

Si  volta,  è  reo,  sulla  soglia,  chi  dimenando  la 
coda,   la  Latte  contro   l'uscio. 

—  Toc,    toc,    ti  - 

reo!       \  uni  qui  !  Teo! 

Ma  Teo.  acca  iti  che  il  padrone  è  ancora  lì,  in 
camera,  che  non  i  andato  via,  invece  di  entrare  spa- 
risce di  nuovo,  e  dopo  un  momento  lo  si  sente  ab- 
baiare  giù.  dietro  l'albergo. 

Il   Parvis  va  alla   finestra  : 

Eccolo  là,  il  cappellone  rosa! 

La   marchesina    giuncava  al  tennis  e   Teo,   abba- 
iando correva  dietro  -die  palle.  La  marchesina  \ 
l'i  morevole    alla    finestra  : 

Pasta!  Non  si  lavora  più!  Venga  giù!  Venga 
a  sgridare     al  suo  Teo!...    Non  ci  lascia  giuoc 

Il  Parvis  scende  di  corsa  e  poi,  quando  la  partita 
è  finita  e  gli  altri  si  fermano  a  raccogliere  le  palle 
e  le  racchette,  egli  invita  la  marchesina  a  fan-  n 
passi»    nel    bosco,    all'ombra,    come   raccomanda    l'i 
giene.  Teo  li  segue,  dando  la  caccia  ai  grilli  e  alle 
cavallette. 

Com'è  accesa   in    volto!    Com'è    riscaldata' 
Si  slan  'i  i  e  ippo  ! 

Non  .'•  vero!  Mi  sento  cosi  bene!        Ho  t 
brutta  cera  !J 

E  la  marchesina  lo  guarda  sorridendo;  sa  anche 
troppo   di  averla  buonissima   la  cera! 

I"  ho  diritto  di    farle    la    predirà,    signorina' 

Perchè    .  diritto? 

—  Perchè,      pomi  essile  suo  padre! 

—  Avrei  un  papà  giovane  e  un  liei  papà  ! 

—  Le  farebbe  piarere  ..  se  io  fossi  suo  padre? 

—  Mooltoì 

•  .manta  tenerezza  e  quanta  grazia!  La  marchesina 
Solia  guarda  fissa  negli  occhi  l'onorevole  Parvis, 
ed  '    lui  questa  volta,  il  forte  parlamentare,  che  al. 

l  ass  i  i  suoi. 

Li   pressi  i,  i  i    un   piccolo  numerinolo 

Mi   siedo  qui.    Permette,   signor  papà? 
Si   copra  :    se  piglia    freddo   le  f.ir.i    male.    Si 
l.i  giacca. 
(  ibbediso  •    .  pa 
Il    Parvis  resta   in   piedi    e  Teo   si   allunga   .lima- 
lo entro  le  sottane  della   marchesina  per   farsi 

Mi  dica    propi  io  la   vi  riti,  marchi 

I  .   dir.,  sempre  la   v.-rità. 
L'onorevi  Ir  Parvis  esita,  poi  dopo  un   momenti 

ripiglia    con   un   leggero  tremito  nella   v 

"a  vi  rari  trazione  d  andare  -ni  teatro? 


CASTA    IUVA 


to5 


La  marchesina  lo  guarda  fissa  un  istante,  pi 
bassa  a  sua  volta  gli  occhi  e  ha  un  lampo  di  rossore 
che  le  corre  fin  sulla  fronte. 

—  Risponda...     Sia    buona..      Risponda. 

—  Adesso...  non  l'ho  più. 

Il  cuore  dell'onorevole  lotta  violentemente. 

—  E'  molto  tempo  che  non  l'ha  più  ? 

La  marchesina  lo  guarda  poi  abbassa  ancora  gli 
occhi  e  risponde  «  di  no  »,  ma  soltanto  con  un  cenno 
del  capo. 

Rimangono  tutti  e  due  silenziosi,  poi  è  lei,  la 
prima  a  parlare: 

—  Che  ora  è  ? 

—  Le  undici  e  mezzo. 


—  Uisogna  ritoi  Facciamo  troppi 

l,i  cola/ione. 

-   Ritorniamo   ]  ure 

E  di  nuovo,  per    puisi  tutta  La  strada,  non  p, 
più   ne  l'uno,    né  l'altra:    sembrano  solo  intenti   a 
guardare  Teo,  che  ha  ripresa  la  sua  i 
dei  piccoli  saltetti  graziosi  e  comicissimi. 

Cerardo  Parvis  pensa  alle  ultime  parole,  sopì  ti 
tutto  a  quell'ultimo  no    della  marchesina:   questa, 
invece,  deve  avere  tutt'altro  in  mente,  perchè  giunta 
\  i  ino  all'albergo  esclama  con  un  sospiro: 

-  All'Abetone,  però,  c'è  un  grande  inconvenim 
te:  la  posta  una  volta  sola  al  giorno...  e  non  ar 
riva  mai  ! 


<  (  'n:!.  nua  ) 


'  il  RI  'I    IMI  '      Ri  i\  I    1  I   \. 


*m^ 


LA  PORTENTOSA  CHIAVE  DI  BACONE 


■jcesco  Bacone  —  barone  di  Verulamio 
visconte  di   Sant'Albano,  if  vou  /■;, 
ha  avuto  la  geniale  idea  di  tornare  al 
mondo  munito  di   una    chiave   miracolosa.    E*   una 
chiavi  d'oro  ma  un  magistrale  grimaldello? 

La  questione  è  sub  jua     .  per  he  l'autorevole  per- 
sona, ato  citato  immantinente  innanzi  ai  tri- 
bunali, ove  gli   avvocati   discutono  con  tanto  calore 
mio  al  suo  caso  che  pei  ora  l'unica  deduzione 
possibile  è  l'intontimento.    Ma  ciò  non  toglie  che  si 
tratti  del  più  strano,  più  curioso  e  più  interessanti 
problema  di  cut  gli  studiosi  si  stiano  ora  occupando. 
Non  è  la  prima  volta  che  accade  a   Sir   Francis 
di  essere  chiamato  in  giudizio.   Già  durante  la  sua 
vita  mortale  aveva  dovui    comparire  innanzi  ai  suoi 
l'ari,  che  lo  avevano  balzato  dal  seggio  di  grande 
re  del  regno  al  banco  degli  accusati.   Era 
.   innanzi  al  magno  con- 
sessi  Mte  di  porpora  e  di  ermellino,  aveva 
umilmente  chinato  il  capo,  confessando  al  suo  sue 
•  i  le.  <  '  ime  un  qualsiasi  pa- 
namista  moderno,  l'ex-ministro  ammetteva  'li  essersi 
lasciato  corrompere,    E    si    era   quindi    ritirato   alla 
vita    modesta   e   silenziosa,    occupando    tranquilla- 
SUOÌ   ultimi    anni    negli    studi    prediletti,    i 
indugiandosi   ogni  mattino  sotto  le  coltri  per  smen- 
tir'- il  noto  verso  dantesco  e  dettare  al  segretario 
risia     concepiti   durante   l'insonnia  notturna: 
■  ■ri  alti  e  nobili,  di  una  saggezza  salomonica, 
di  una  impassibili'  di  una  profoni 

ina    mente   sdegnosa 

•  e  della  vita,  della  :  del 

r  oblio. 

•  Ira  non  sono  più  i   SUOÌ    lari  che  lo 
-■  :    ohimè  !   La  di  anzi  piuttosto  no 

ile,  >•  pei  colui"  di  sventura  la  colpa  chi 
'!''■'  più  gravi    di  quella  da   lui 


commessa  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  civili.  Si 
può  perdonare  anche  ad  un  nobile  lord  se  non  è 
prudente  come  Ulisse  e  non  si  tura  le  orecchie  con 
la  cera  per  resistere  al  canto  delle  Sirene  auree: 
ma  non  gli  si  pot rebbi  perdonare  se  si  prendesse  il 
gusto  di  diffondere  le  più  nere  calunnie  sul  0 
dei  più  alti  personaggi,  se  si  volesse  appropriare  la 
roba  d'altri  e  per  sopramercato  mistificare  il  mondo 
intero. 

Così  è:  Sir  Francis  era  tornato  con  la  buona  in- 
tenzione di  distrarre  i  suoi  tardi  nipoti  dalle  me- 
lanconie della  vita  contemporanea,  di  aprir  loro  con 
la  sua  chiave  un  paradiso  .li  meraviglie,  di  esal- 
tarli nella  contemplazione  di  tragedie  regali,  di 
seri  dissepolti.  Ma  in  patria  non  si   pi  pro- 

feti neppure  postumi,  neppure  dopo  tre  secoli    di 
tomba,  fili  ingrati  nipoti,  invece  di  fargli  buon  viso. 
di  inchinarsi  innanzi  alla  solennità  dei  suo  ino 
gli  intentano  una  causa  di  diffamazione  e  di  truffa. 
E  buon  per  lui  se  potrà  uscirne  non  pili  m 
ili  quel  che  sia  uscito  dal  processo  dell'Alta  Corte; 

CI  une  allora  si  O  mi  prese  I  lenissimo  che  egli  non  volle 

i  i fendersi  perchè  sapeva  di  essere    ."luto  in  di- 
zia  del   Re,   mentre  avrebbe   potuto  facilmente    pro- 
vare che  i  danari  incriminati  ciano  vt.u i  estorti 

ì,  così  ora  potrà   dirsi   fortun 
sue   colpe    saranno    riversate    sulla    schiera    ■ 

tri  ppo  fen  i<  li  si  guati. 

Prima  di  entrare  nel  regno  delle  mera-, 
il   risi  rtO    Bacone  ci   unita.  COnvien   rinnovare    ii 

cenza  del  nobili-  personaggio,  alquanl  i  sbiadita, 

—  se  non  erro,  per  molti  -  dopo  i  ricordi 
stici.  La  (ama  di  filosofo  lo  dipinge  alla  fantasia 
come  una  figura  rigida,  austera,  a  cui  ben  si  addice 
di  portare  la  parrucca  e  il  manto  del  supremo  ma- 
llo del  n-eno  Eppure  già  nella 
a  i]  persona  i  tedratico 


I.A    PORTENT»  tSA    CHIAVE    hi    BAI  ONE 


in- 


di quanto  si  potrebbe  credere.  Fu  cavaliere  galante, 
portò  con  eleganza  il  giustacuore,  lo  spadino  e  il 
cappello  piumato:  roteò  come  una  stella  di  prima 
grandezza  nel  secolo  d'oro  della  storia  inglese,  in- 
torno al  sole  dell'Augusta.  Il  padre  Sir  Xicholson 
Bacon,  grande  dignitario  dello  Stato,  lo  aveva  man- 
dato all'Università  di  Cambridge,  ove  non  si  par 
lava  a  quel  tempo  che  latino,  greco  ed  ebraico: 
dopo  due  anni  il  portentoso  giovinetto,  non  ancora 
sedicenne,  scrisse  al  padre  che  a  Cambridge  non 
aveva  più  nulla  da  imparare.  Tornò  a  Londra,  e 
poco  dopo  si  recò  con  una  ambasciata  inglese  in 
Francia,  ove  partecipò  per  qualche  tempo  alla  vita 
gaia  e  galante  della  Corte  di  Navarra.  La  morte 
del  padre  lo  richiamò  a  Londra,  ma,  con  disi  i 
stupore  degli  stessi  contemporanei,  il  padre  non  gli 
lasciò  alcuna  sostanza. 

Costretto  a  guadagnarsi  la  vita  col  lavoro,  si 
diede  all'avvocatura,  e  a  venticinque  anni  era  man- 
dato al  Parlamento.  La  sua  eloquenza  scorreva  cosi 
arguta  e  piacevole,  che,  al  dire  di  un  biografo,  gli 
uditori  vedevano  con  terrore  avvicinarsi  la  fine  del 
discorso.  Per  quanto  si  voglia  esser  scettici,  riman- 
gono indiscutibili  testimonianze  del  fascino  che  si 
diffondeva  intorno  a  lui  e  che  lo  faceva  porre  così 
in  alto  nella  ammirazione  dei  contemporanei.  Sfog- 
giava la  sua  straordinaria  coltura  specialmente  nei 
salotti  letterari,  ove  lo  chiamavano  —  nella  lingua 
italiana,  allora  di  moda  in  Inghilterra  --  il  «  si- 
gnor dolce  ».  Volendo  ricomporre  la  sua  figura  non 
sulle  opere  da  lui  lasciate,  ma  sulle  impressioni  dei 
contemporanei  ,  bisogna  immaginarlo  non  come  un 
arido  filosofo,  ma  come  un  artista  raffinato,  bril 
lante,  vivacissimo,  una  mente  capace  di  dirigere  le 
sorti  di  una  nazione,  se  non  avesse  preferito  re- 
gnare nel  mondo  delle  idee. 

Finché  visse  Elisabetta,  l'elegante  oratore  rima  ■  ■ 
lontano  dal  potere,  a  cui  lo  chiamò  tardi  l'avvento 
di  Giacomo  I.  Caduto  in  disgrazia  e  destituito,  at- 
tese alla  pubblicazione  delle  sue  opere,  e  cinque 
anni  dopo,  nel  1616,  morì  a  66  anni. 

Le  lodi  che  furono  prodigate  alla  sua  memoria 
sono  liriche,  ma  portano  i  nomi  di  Addisdn  ,  di 
Macaulay,  di  Pope  e  di  altre  persone  non  fardi 
all'adulazione  e  all'entusiasmo.  Pope  lo  dice  addi- 
rittura il  più  gran  genio  che  l'Inghilterra,  e  forse 
ogni  altra  nazione,  abbiano  mai  avuto.  Il  saggio  di 
Macaulay  è  una  lucida  sintesi  dell'opera  baconiana 
—  l'inizio  della  filosofia  sperimentale,  di  cui  sono 
gettate  le  basi  nel  Novum  Organimi  -  e  dei  suoi 
intenti,  che  non  erano  solo  scientifici  e  astratti,  ma 
di  propaganda  morale,  secondo  i  precetti  utopistici 
espressi  «  sotto  il  velame  delli  versi  strani  «  nella 
fantasia  della  Nuova  Atlantide. 

Il  bagaglio  letterario  lasciato  da  Bacone,  oltre  ' 
due  opere  accennate,  comprende  pochi  altri  volumi, 
la  maggior  parte  scritti  in  latino,  tra  cui  il  /' 
Augmentis  Scientiarum,  il  Sylva  Sylvarum,  zibal- 
doni di  pensieri,  di  citazioni,  di  insegnamenti,  al- 
cuni opuscoli,  una  tragedia  su  Enrico  VII.  Benchi 
il  Novum  Organum  sia  colossale,  le  proporzioni 
delle  opere  baconiane  non  sembrano  in  rapporto  eoo 
la  straordinaria  attività  attribuitagli  dai  suoi  con 
temporanei.  Del  periodo  più  fecondo  della  vita   si 


hanno  pochissimi  frutti:  i  libri  lasciati  furono  scritti 
nell'eia  matura  e  pubblicati  negli  ultimi  anni  della 
sua  esistenza.  Gli  scritti  minori  rivelano  in  lui  un 
.duo  della  poesia,  una  vivacità  di  stile  che  avreb- 
bero dovuto  formarsi  nel  periodo  della  giovinezza 
r  dell'età  virile:  ma  di  quell'epoca  non  si  ricordano 
di  lui  che  i  trionfi  oratori  e  galanti.  Alcuni  bioj 
lo  dipingono  ''omo  un  Amleto,  incerto  della  sua  via. 
Certamente  alcuni  tratti  della  sua  figura  sono  enig- 
matici,  o  —  per  usare  un  termine  di  Leonardo,  raro 
a  D'Annunzio  —  ermetici. 

Ponete  di   fronte  a   lui,  --  geniale,  coltissimo, 
1:01110  di  mondo,  miracolo  di  sapere  e  di  attività,  - 


r 


tMj*t£K£iL*-**- 


Traili 

4  Li*  ■ 


Shakespeare. 
(Dal  tìnsi»  posto  tulio  sua  tomba  a  Slralj  ■    ■ 

la   figura  incerta  di  Shakespeare,  quale  esce  dalle 
nubi  storiche  in  cui  è  avvolta.  Poco  o  nulla  si  0 
nosce  della  vita  del  grande  poeta,  e  il  poco  non 
tale  ila  accontentare  coloro  i  quali  ritengono  che 
debba  esistere   un  certo   rapporto  tra   le  open-  e   la 
vita  di  uno  M-riitore.    Si  direbbe  anzi  che  sarebbe 
un  bene  per  la  lama  dì  Shakespeare  se  la  Mia 
stenza  fosse  interamente  sepolta  nella  sacra  nel  b 
poiché  ii  «    li'  pieno  il  cuore  delle  imagini 

,1,    Ofelia,   di    1  ordì  lia,   di    Miranda,   non   sussulti 
di  disgusto  pensando  che  il  poeta  di  quelle 
.1  ligure  era  tozzo,  brutale,  alcoolista  come  1 
staff  e  eh.    moli    a   56   anni   per  le   soverchie   1 
zioni. 

\aio   in   un   borgo   della  media  Inghilterra     1 
famiglia   poverissima,    ebbe   la  sola  istruzione  che 
si  poteva  ottenere  nelle  campagne:  e  pare  anzi  che 
il   padre  non    lo    abbia    lasciato  sedere  a   lungo   sui 


to8 


ne  .   <  1<  >i  k  • 

lawaj  i  sepi  dta 

l'edera,  è  la  i  pellegrina]  ri        tu 

Icun    ann    i    ■       i  ùantò 
la  ii  I      idra,  ("hi 

dissidi  domesl  ci,  chi  alla 
i  di  mi  signore  del 
violato  ti 
\   Londra  In  si 
i  un  macellaio,  che,  secondo 
.  gli  avrebbe  poi  suggerita  una  ar- 
1 1  Itelli  e 
ma   poi  le  sui  perdi  «k  i.   1 

n  iraggii 
che  per  qualche  circostanza  ignota  riuscì 
re  a  Coi  isi  ammirare  per  il  sui i 

tori  e   ad   incamminarsi 
della  gloria,  mentre  la  moglie  continuò 
per  un  decennio  a  vivere  i  •      uà. 

Un'altra   versione  più  verosimile  —  suffragata 
da  parecchie  testimonianze  —  dire  invece  che  Sha- 
kespeare dalla  bottega  > ì«-i  macellaio  passò  ad  un 
■    semplice   servo,  e  che  il  capo- 
co,  notate  11-  sue  attitudini  alla  scena,  gli  af- 
fidò poi  qualche  parte.  Cominciò  così  a  guadagnare 
stringere  conoscenza  coi  personaggi  dell'aristo- 
.1.  che  non  disdegnavano  di  frequentare  le  scene 
e  le  quinl 

Un  paio  d'anni  dopo  aver  venduta   la  carne  agli 
Ila  bottega,  il  giovane,  che  aveva  non 
di  25  anni,  faceva  recitare  la  sua  prima  ci 
media  «  Pene  d'amor  perdute  ».  zeppa  di  citazioni 
iche  non  comuni,  e  indizio  evidente  di    gran- 
ula coltura,  mirabile  in  un  giovane  che  aveva 
dovuto  vivere  tra  gli  stenti.  La  commedia  era  se- 
distanza  da  Giulietta  e   Romeo,  dal 
Mei  Vcnciti   e   da    altre   tragedie,    (  he   lo 

in  scena,  fin- 
ché dopo  una  dozzina  d'anni,  arricchitosi,  tornò  al 
•io  di  Siratford.  vi  comperò  una  villetta  e 
vi  pass.',  il  resin  della  sua  vita,  dettando  ogni  tanto 
altre  tragedie.  Amleto  comparve  nel  1602,  poco  pri- 
ma della  morie  di   Klis.ìl 

Per   uno  delle    più 

''1  lavorava  che  per  l'amor  del  gua- 
ri   più   entusiasti    non    sanno 
rodere  un  senso  .li  rammarico  pensando  che  egli 
era  di  un  carattere  aspro,  attaccabrighe,  e  che  pa 
la  maggior   parte  dei    suoi   ultimi  anni    a  Siratford 
litigando  coi  vicini  e  con  le  autorità    r*r  questioni 

a  dirsi,  l'autore  di  tante  e  tante  migliaia 

ite  al 
riti  legali, 

1    nito 

-  ritta    di 
Sha  • 

•    1616  prima  che  delle  sue  1  1    ri    vi 
ina  :  e  quando  si  pensò 
dero  capitare  sulle  loro 


■r.i  «li  una  cai:  [  uale, 

chiarissima. 

che  in  quei  tempi  gli  autori  drammatici 
sempre   attori,   e   si   accontentava:. 
«re  per  la  compagnia  senza  cu- 
rarsi  di   darle  alle  Stali  |        -  .'are   la   fecon- 
dità degli  autori  italiani   di  quel  tempo,  basterà  no- 
tare che  un  capocomico  fran  eo  di 


rfGfafo* 


nr  v-^i'u  -  ^&tffi^ 


Li-  firme  di  Shakespeare. 


5XV 


Shakespeare,  Alessandro  Hardy,  scrisse  non  meno 
di  settecento  lavori  scenici,  dandosi  la  briga  di  pub- 
rne  soltanto  una  minima  parte.  Ma  si  può  no- 
tare che  tra  i  ■trecento  lavori  non  ve  n'ha  neppur 
uno  degno  d'immortalità  come  una  pagina  di  Sha- 
kespeare, e  il  confronto  non  vale  quindi  a  diminuire 
la  meraviglia  che  le  scarse  notizie  intomo  al  poeta 
di  vono  destare. 

1  facile  ci  mprendere  come  gli  studiosi  inglesi, 
contemplando  le  due  maggiori  ligure  del  regno  di 
Elisabetta,  l'una  e  l'altra  sotto  qualche  aspetto  enig- 
matiche, siano  stati  colti  dalla  tentazione  di  pensare 
a  qualche  misterioso  legame  che  le  unisce.  E  nacque 
l'ipotesi  che  le  tragedie  di  fama  immortale  fossero 
state  scritte  da  Bacone  —  che  per  qualche  suo  se- 
greti! motivo  non  aveva  voluto  apparirne  l'autore 
— •  e  recitate  da  Shakespeare.  L'ipotesi  non  venne 
soltanto  gettata  al  vento,  perchè  esiste  su  di  essa 
una  intera  letteratura  composta  di  oltre  duecento 
volumi,  a  cui  «piasi  tutti  i  più  noti  scrittori  inglesi 
da  un  paio  di  secoli  in  qua  hanno  portato  il  loro 
granello  o  il  loro  macigno.  Anche  chi  non  prese 
pane  alla  discussione  non  si  astenne  dal  manife- 
stare  il  proprio  giudizio,  e  1"  stesso  Byron  —  mal- 
grado le  sue  :  Scapigliate  che  avrebbero  do- 
vuto indurlo  a  parteggiare  per  il  genio  sbixriato 
d'improvvisi,  nel  cervello  del  profugo  da  Stratford 
si  schierò  ira  gli  avversari  della  tradizione  or- 
todossa,  in  favore  dell'ipotesi  baconiana,  I. e  centi- 
naia di  volumi  possono  sembrare  una  vana  discus- 
sione letti  pn  tratta  in  m  diosa 
ci  une  una  seduta  di  vecchi  accademici  incipriati  e 
eri:  ma  la  sottigliezza  dell'indagine  induttiva 
COSI  acuta  ed  elegante  che,  lasciando  in  di- 
sparte gli  accessori  polemici,  —  ora  insulsi  ed  ora 
ome  avviene  in  tutti  1  dibattiti  storici  e  let- 
terari,       si  può  seguirla  con  un   .erto  compiaci- 


1   \    Pi  (RI  ENTOSA    l  HIAVE    DI    B 


mento  durante  le  orae  suòsecivae.  La  statisti. -a  di- 
mostrerebbe probabilmente  che   i  partigiani  di 
cone  furono  la  maggioranza:  in  ogni  modo,  se  non 
riportarono  mai   vittoria,  se  contro  di  essi  si   pi 
tarono  le  armi  del  ridicolo,  essi  poterono  confoi 
tarsi  vedendo  che  il  dubbio  continuava  ad  aleggiare 
sulla  nube  impenetrabile,  da  cui  non  si   potei 
sciogliere  le  due  figure. 

L'iconografia  si  intromise  e  contribuì  a  intorbi- 
dare la  questione,  o  forse  inconsapevolmente  cercò 
di  scioglierla  secondo  i  desideri  dei  baconiani.  Il 
bassorilievo  sulla  tomba  di  Shakespeare  lo  riti  te 
fedelmente  con  la  faccia  tonda,  larga,  le  forme  pie 
ne,  tozze,  di  cui  parlano  i  suoi  contemporanei,  e  che 
sono  una  maschera  poco  adatta  al  grande  poeta.  E' 
vero  che  Falstaff  quando  era  paggio  era  sottile,  sot- 
tile, sottile,  e  che  anche  Shakespeare  nella  giovi- 
nezza potè  rassomigliare  ad  Amleto:  ma  d'altra 
parte  ì  tratti  voluminosi  conservati  sulla  pietra  fu- 
neraria del  tragediografo  corrispondono  in  singoiar 
modo  al  ritratto  morale  non  troppo  onorevole  che 
di  lui  ci  venne  tramandato.  Forse  per  eliminare  lo 
stridente  contrasto,  gli  editori  e  i  biografi  di  Sha- 
kespeare si  mostrarono  meno  scrupolosi  e  fedeli  del- 
l'artista funebre,  e  nelle  illustrazioni  il  volto 
poeta  andò  assottigliandosi,  allungandosi,  si  adornò 
di  una  elegante  barba  a  punta,  di  due  occhi  pro- 
fondi, si  rivestì  di  dignitosa  compostezza,  e  acquistò 
una  curiosa  rassomiglianza  col  ritratto  del  nobile 
ed  illustre  cavaliere  Francesco  Bacone. 

Ora  si  dovrebbe  entrare  nel  regno  delle  meravi- 
glie, ma  per  averne  una  impressione  più  viva  è  ne- 
cessario dare  prima  un  altro  rapido  sguardo  ad 
alcuni  strani  avvenimenti    storici. 

Il   lunghissimo   regno  di   Elisabetta  non   fu  così 
solenne  e  pericleo  come  vorrebbe  la  frase  conven- 
zionale  che    lo   definisce   nella   storia    inglese.    La 
stessa  Sovrana  è  una  figura  meno  semplici-,  meni 
diafana  di  quanto  lo  voglia  far  supporre  la  fama. 
Se  durante  i  nove  lustri  in  cui  ella  campeggiò  sulla 
scena,  tenendo  con   mano  ferrea  le  redini   <:       pi 
tere,  la  nazione  superò  crisi  gravissime,  sciolse  vin- 
coli umilianti,   rintuzzò   attacchi    formidabili,   g 
le  basi  di  una  fortuna  colossale,  l'epoca  fu 
agitata,  tenebrosa.   Gli   splendori  tudoriani   fui 
talvolta  bagliori  di  incendi  :   il  secolo  d'oro  rosseg- 
giava anche  di  sangue. 

Era  del  resto  l'epoca  sconvolta  in  cui  nella  So  zia 
la  mite  amorosa  Maria  lasciava  che  si  accendessero 
migliaia  di  roghi,  e  in  essi  a  Parigi  in  una  sola 
notte  quarantamila  persone  cadevano  al  ri  eco  di  una 
campana  funebre,  al  cenno  di  una  donna  implaca- 
bile. Elisabetta  era  salita  al  trono  con  l'anima 
ghiacciato  dalle  fosche  tragedie  domestiche.  Ella 
doveva  forse  tremare  di  sentire  nelle  vene  il  fu 
saturnio  del  padre  Enrico  Vili,  o  la  febbre  di  pas- 
sione della  madre  decapitata.  La  sorella  Maria  in 
cattolica  le  aveva  lasciato  uno  scettro  grondante  di 
sangue,  e  nel  sangue,  ad  un  tempo  dei  cattolici  e 
dei  puritani,  intinse  subito  le  mani  delicate  la  gio- 
vane Regina.  La  prigionia,  in  cui  la  sorella  le  ave- 
va fatto  scontare  i  sentimenti  antipapali,  l'aveva 
preparata  ad  aspre  cose. 


[09 

Ambita  (lai  cogn         !  ilippo   II      -  che  indamo 
lento    poi   di    vendicarsi   del   rifiuto  mandando  la 
grande  Armada  ad  infrangersi  contro  le  coste 
glesi  —  e  da  una  schiera  di  principi  euri  pei,  Elisa- 
betta volle  passare  alla  storia  col  titolo  di    reg 
vergine  e  si  impose  una  maschera  impenetrabili 
virago.    Palpitava    sotto    di  essa  il    cuore   di   una 
donna?  o  la  1  ere  assoluto,  dispoti     . 

poco  a  poco  conquistato,  aveva  spento  i  germi  di 
ogni  affetto ?  Certamente,  il  culto  di  se  stessa  fu  il 
maggiore  della  sua  vita,  e  assunse  forme  morbose 
quando  ella  volle  nascondere  le  ingiurie  del  tempo 
sotto  lo  sfar/o  delle  vesti  e  le  adulazioni  dei  corti- 
giani. 

Bella  non  fu  mai,  benché  i  poeti  la  licessero  a 
più  bella  creatura  del  mi  mio:  ma  nella  giovinezza 
dovette  essere  graziosa,  e  impersi  col  fascino  della 
sua  cultura  e  della  sua  dignità.  I  ritraili  comuni  1  1 
dipingono  goffamente  sepolta  nelle  vesti  spiegate 
a  coda  di  pavone:  l'italiano  Zucchero  le  si  mo 
più  benigno,  e  corresse  le  linee  del  volto,  facendo 
brillare  la  fronte  spaziosa  e  intelligente  51  tto  i  ca- 
pelli e  la  corona,  allungando  spiritualmente  il  men- 
to, e  lasciando  scorgere,  tra  le  vesti  pompose  ad  arte 
sfumate,  le  grazie  del  seno.  La  donna  appare  si 
la  fredda  maschera. 

Il  ritratto  appartiene  a  Roberto  Cecil,  marchese 
di  Salisbury,  che  è  stato  per  molti  anni  il  ministro 
di  Vittoria,  come  il  suo  avo  Guglielmo  Cecil,  o 
di   Burleigh,   fu  il   fido  consigliere    di  Elisal 
La  storia  si  ripete.   Ma  per  Vittoria    non   v'era  0 
maggio   più   sgradevole   del    paragonarla   all'ante 
nata,  di  cui  aveva  oltrepassato  di  tre  lustri  gii  anni 
di  regno  e  di  cui  aveva  superato  gli  splendi  in.   li 
suo  animo,   riboccante    di   sentimentalità  tedesca, 
non  provava  alcuna  simpatia  per  la  donna  aspra, 
gelida,  crudele,  che  non  tradì  mai  i  segreti  del  au- 
re, per  lasciarli  in  balìa  alla  maligna  leggenda.  E 
questa  non    vuole  ammettere  che  i   favoriti   titolari 
della  Regina  avessero  accessi  1  alle  sue  stanze  sol- 
tanto per  consigliarla  negli   affari  di  Stato. 

Vittoria  invece  numerava  con  compiacenza  i  glo- 
buli di  sangue  che  le  scendevano  dagli  Stuart,  ;': 
tenerendosi  fino  alle  lagrime  sulla  sorte  della  sven- 
turata Maria  di  Scozia.  La  dolorosa  tragedia, 
commove  le  anime  sensibili  ed  inspirò  grandi  poeti, 
è  aneeia  avvolta  nel  mistero.  Da  oltre  tre  secoli  gii 
studiosi  si  affannano  per  sollevarne  un  lembo, 
senza  riuscirvi.  I  libri  che  ne  trattano  formane 

ra  biblioteca,  a  cui  da  pochi  giorni  si  è  aggiunto 
un  grosso  vi. lume  di  un  di  vaglia,  che  non 

risolve  affatto  la  questione.  Con  argomenti  di  e- 
gual  valore  si  può  affermare  o  negare  che  Maria 
scrisse  fanetto,  su  cui  i  giudici  ba- 

sarono la   loro  condanna  e  per  le  quali  Elisabetta 
firmò  la  sentenza  di  moi         I 
provavano   la   compi    ita    di    Maria    nell'assassinio 
del  51  ■  ma  la  Regina  proti  be  sul 

patibolo  di  n>  .il  averle  m 

Un'altra  tragedia  che  offuscò   il  regno  di  Elisa 
betta  è  ancora  in  gran  parti  Nel  1588 

morì  il  conte  di  Leicester  che  per  molti  anni  era  sta- 
to agli  occhi  di  tutti  il   favi  Ila  Regina.  Le 


no 


LA    I  ETTI  R  \ 


simpatie  'li  questa,  che  allora  era  già  sui  55  anni, 

si  r  .  pi.i   un  giovane  cortigiano,  che   Ma 

caulay  ha  chi. mia'  mento  della  Corte*    del 

">.  modello   'li  cavalleria,  munifico   mecenate, 

•  alidi    virtù,    di    granili    talenti,    ili    granili-   CO 

.in  ».   Il  conte  Roberto  di   E  s  ex,  eleganti 

Fu  ad  un  tempo  il  favorito  della  Regina  e 
lo  del  popoli  ■.  I  1    ■_'  li  sie  dei   l  ecil  lo  condu 
alla  rovina.   Era  scoppiata  una  rivolta  in  Ir 
land  '    ci!  indussero  la  Regina  a  mandarvi  il 

sse  ili  gloria.  Ma  l'Es- 

1  vinto,  in  .  i-  i  siini  avversari]    lo 

mnare  per  codardia.  Esasperato, 


ONE     I    V  NI.'  Il  LI.  1  '. 

il    gi'. .mi-  radunò  alcune   centinaia    di    uomini,  e 
confidando  nelle  simpatie  del  popolo  si  gettò  per 
le  vie  di  Londra  chiamando  alla   ribellione.   Il  po- 
non  si  11  -  l  ssex  lu  rinchiuso  nella  torre. 

Lo  si  nini. nini    per    alto   tradimento.    Francesco 
hi-  dall'Esse»    era  stato  grandemente  be- 
neficato e  che  sulle  prime  1"  aveva  difeso,  dovette 
a  maliin  1  -neri'  durante  il  processo  l'accusa. 

.1    110:1    firmò  la   sentenza    di   morte  se  non 
dopo  lunghe  angosciose  tergiversazioni. 

_ ■■;nla.   popolare    in    Inghilterra,    vuole 
che  la  Regina  avesse  dato  al    favorito  un  .niello. 
perchè  nell'ora  del  pericolo  lo  mandasse  a  lei  come 
■     Negli    ultimi    giorni    della 
orda,  il  1  mei  lo  ad   un    fan- 

ciulli li  p  rtarlo   ad    una    delle  sue  CU- 

1  ceva  il  nome    Ma  il  fanciullo  in- 
aiale, e    lo    portò    ad   un'altra  cugina,    la 
■  di  Nottingham,  eh  rrìma  avversaria  di 

non  volli  re  i  anelli  1  alla  Regina. 

!  ■  se  indamo  il  ihi-s-~.il  rio,  1   1  n  di 

che   l'Essex  fosse  ti  ro  per  invocare  la 

;  Essex    mi 
lira.  La  \    tin|  barn,  \ 

•  morire,  chiami  1  al   suo  letto  la 
■  il  tradimento:   la  cop 

lilla  mori- 
la 


Ora    I  B; le  apre  con  la  sua  chiave  — 

o  col  mio  grimaldello  la  porticina  segreta,  e  sol- 
leva il  p.t  in-  secoli  il  velo  dei  misteri.  Inchinatevi 
innanzi  a  lui:  culi  ha  indossato  il  manto  regale,  e 
gli  araldi  lo  proclamano  Francesco  1,  per  diritto 
divino   Re   d'Inghilterra. 

«  Il  inondo  non  dà  a  me  il  titolo  che  compete  ai 
primogeniti  della  Casa  reale.  Il  mio  nome  è  Tid- 
der  ('ruilor).  eppure  si  parla  di  un-  come  Bacone, 
anche  da  coloniche  sanno  come  la  Regina  mia  ma- 
dre passò  a  nozze  legali  nella  torre  di  Londra  col 
conti-  Hi  Leicester,  in  giusto  tempo  prima  della 
mia  nascita  ». 

Il  conti-  di  Leicester  aveva  la  disgrazia  di  aver 
già  preso  moglie,  quando  la  giovane  Principessa, 
in  gli  ozi  della  prigionia,  si  accese  di  lui  e  gli  diede 
le  maggiori  prove  d'amore,  di  cui  portava  già  il 
frutto  quando  la  morte  precoce  della  sorella  le 
schiuse  la  via  del  trono.  Ma  la  contessa  di  Leice- 
ster mori  anch'essa  poco  dopo,  e  la  Regina  celebrò 
le  nozze  segrete  col  favorito  nella  casa  di  Ioni  Pem- 
broke.  Il  «  Principe  di  Galles  »  nacque  nel  gen- 
naio 1559,  e  fu  affidato  alla  moglie  del  ministro 
Bacon,  che  lo  fece  battezzare  come  suo  figlio.  Qual- 
che voce  sulla  maternità  della  Regina  corse  in  quello 
e  negli  anni  seguenti,  ma  la  prigione  impose  pre- 
sto il  silenzio:  e  il  fatto  è  confermato  dalla  storia 
Al  primogenito  tenne  dietro  due  anni  dopo  un  fra- 
tello, che  fu  egualmente  trafugato  nella  famiglia 
di   Essex. 

Il  «  Principe  di  Galles  »  crebbe  spiegando  tali 
incanti-voli  doti,  che  il  Cerai,  il  quale  era  a  parte 
del  segreto  ed  avea  soggiogato  l'animo  della  Re- 
gina, non  tardò  ad  inspirarle  il  timore  che  il  giovi- 
netto volesse  tentare  l'impresa  di  Assalonne,  ru- 
bare il  cuore  della  nazione  e  infondere  al  popolo 
il  desiderio  di  un  re.  Lo  studente  di  Cambridge  era 
tornat  >  con  un  corredo  inestimabile  di  dottrina,  e 
vinceva  gli  animi  col  fascino  dell'ingegno  e  della 
persona.  Un  giorno  a  Corte  sorprese  sul  labbro  di 
Elisabetta  i!  mistero  della  sua  nascita:  meditò  e 
scrisse  V Amleto  Polonio,  ossia  Cecil,  lo  seppe,  ed 
indusse  la  Regina  ad  esiliare  il  portenti  so     perioo- 

giovane,  il  quale  ricevette  l'ordine  improvviso 
di  accompagnare  l'ambasciatore  che  si  accingeva  a 
recarsi  alla  gaja  Corte  di  Francia.  Ivi  il  0  Prin- 
cipe  »  dimenticò  i  dubbi  e  le  incertezze,  di  cui  si 
sentiva  pieno  l'animo,  nell'amore  della  dolce  e  bella 
Margherita,  sorella  ilei  re,  che  «  fece  del  suo  ■  norc 
innocente  un  paradiso  ».  L'ottimo  ambasciatore  b- 
\  rebbi-  voluto  combinare  un  matrimonio,  ma  gli  si 
impose  di  non  mostrare  troppo  /rio:  Margherita 
sposò  Enrico  di  Navarra,  ma  il  cuore  del  gii^ 
vane  innamorato  non  conservò  per  lunghi  anni 
altra  immagine  che  la  sua.  Anchi  quando, 
giunto   al   nono    lustro,    il   a   Principe  1   si    rassegnò 

no  illustri  nozze,  il  ritratto  di  Margherita  «  re- 
stò appeso,  nella  pura  limpida  lx'llc/za  dei  primi 
giorni,  sulle  pareti  della  memoria,  mentre  la  sua 
amorevolissima  presenza  continuava  ad  occupare 
il  cuore  e  la  mente».  Prima  di  lasciar  la  gaja  Corte, 
il   giovane  poeta  consacrò   il  suo  amore  scrivend  • 

etto   e   Romeo. 


LA    PORTENTOSA    i  IMAM-    hi    BA<  I  iNJ 


I  I  I 


La  murte  del  padre  putativo  lo  richiamò  a  Lon- 
dra: ma  con  grande  delusione  il  giovane  si  trovò 
solo,  abbandonato.  La  vigilanza  cupa  di  Cecil  lo  te- 
neva lontano  dalla  Corte:  il  popolo  lo  avrebbe  ri- 
tenuto pazzo  se  avesse  gridato  la  sua  origine:  le 
oscure  minacele  regali  gli  pendevano  sul  capo.  Im- 
maginate quale  fu  lo  strazio  di  quella  giovinezza. 
Le  doti  naturali  lo  traevano  verso  il  teatro.  Anche 
altri  nobili  lo  frequentavano  in  quel  tempo  e  vi 
facevano  recitare  qualche  lavoro  con  nomi  presi  a 
prestito,  perchè  sarebbe  stato  indecoroso  per  un  ca- 
valiere calzare  il  coturno.  L'autore  di  Amleto  in- 
contrò un  oscuro  attore,  venale  ma  intelligente,  col 
quale  fece  amicizia,  e  gli  affidò  alcune  commedie 
e  Giulietta  :  non  gli  parve  ancora  opportuno  il  tem- 
po per  far  recitare  V Amleto.  Ma  il  destino  della 
sua  vita  lo  incalzava:  l'attore,  che  gli  prestava  il 
nome,  Shakespeare,  recitava  anche  al  teatro  di  Cor- 


staurazione  di  tutte  le  arti  e  le  scienze,  secondi,  i 
principi  adombrati  nel  Novum  Organimi  e  ancor  più 
chiaramente  espressi  nella  \  ■•  Atlantide.  11  poe- 
ta sognava  di  redimere  1  umanità,  e  il  suo  I  a 

aveva   pienamente   travolto  nella  meravigliosa  uti 
pia  gli  amici   fedeli,  1  discepoli,  che  si  illudevano 
di   vederlo   un   giorno   predicare  gli    alti    insegna- 
li   nti  dal  trono.  Ma  il  suo  regno  non  era  di  questo 
moni  lo. 

La  Sovrana  lo  teneva  lontano.  La  turbava  ì  ini 
mensità  del  sapere  di  quella  mente.  Il  cuore  della 
vecchia  madre  si  era  impietrito  per  il  primogeniti  . 
11  suo  affetto  si  concentrava  sul  tiglio  più  giovane, 
meno  saggio  e  più  ardente,  più  audace  e  meno  peri 
coloso.  Ma  in  realtà  era  l'astuto  Cecil  che  volgeva 
a  suo  piacimento  ambo  le  chiavi  del  cuore  regale. 
Egli  aveva  inspirato  l'odio  per  il  temibile  Prin- 
pe  ereditario,  ed  aveva  fatto  cadere  le  preferenze 


Bacone  e  il  suo  pri  51    ITO   PADRE,  il  tonte  di   Leicesti  i 


te,  e  dalla  scena  il  futuro  erede  del  trono  voleva 
toccare  il  cuore  della  madre,  chiusasi  in  una  co- 
razza impenetrabile  di  egoismo.  Le  tragedie  che  a- 
vevano  insanguinato  il  trono  inglese  furono  rievo 
cate:  e  un  giorno,  quando  apparve  sulla  scena  la 
tetra  figura  di  Riccardo  II,  la  fredda  Regina  ebbe 
un  tremito  di  paura,  e  sospettò  nell'inteuLo  de) 
drammaturgo  terribili  allusioni.  Allora  Cecil  mandò 
a  chiedere  al  vescovo  di  Londra  informazioni  pre- 
cise sul  conto  di  quel  Shakespeare.  «  E'  stato  un 
rozzo  garzone  di  macellaio,  e  non  mi  pare  possibile 
che  abbia  potuto  scrivere  le  tragedie  attribuitegli. 
—  rispose  il  vescovo  —  ;  si  vuole  anzi  che  le  abbia 
scritte  il  vostro  cugino  visconte  di  Sant'Albano  ». 
Cecil  cercò  di  trarre  in  rovina  il  cugino,  ma  questi 
seppe  evitare  il  pericolo,  e  per  maggiore  misura  di 
prudenza  distribuì  i  suoi  nuovi  lavori  drammatici 
fra  parecchi  altri  amici  —  Marlowe,  Spencer,  Ben 
Jonson  —  che  erano  legati  a  lui  da  vincoli  segreti. 
Con  essi  egli  aveva  fondato  l'ordine  della  Rosa- 
croce, che  si  proponeva,  tra  i  simboli  e  i  riti,  la  re- 


sul  cavaliere  elegante  e  innocuo.  L'affetto  materno 
ini  use  a  questo  l'ambizione  e  l'energia:  Cecil  si 
ciedette  perduto  e  si  affrettò  a  perdere  il  favorito. 
Alluni  si  svolse  ima  tragedia  degna  degli  Arridi. 
Il  Conte  fu  mandato  in  Irlanda:  nel  frattempo  il 
ministro  istillò  nell'animo  della  Sovrana  il  sottili 
veleno  del  dubbio.  Le  fece  balenare  il  sospetto  chi 
anche  il  secondo  figlio  meditasse   l'impresa  di    \- 

une:   e  quando  il  Conte  tornò,  il   perfid 
gliere  lo  spinse  veramente  a    tentare  la  folle   ini 
presa.  Ve  lo  spinse  con  arte  mirabile,  infiammando 
da  un  lato  i  sospetti  di  Elisabetta,  e  dall'altro  ir- 
ritando e  aizzando  il  cugino  con   ingiuste  condanne 
in  modo  da  provocare  una  subita  ribellione.   L'Es 
sex  impugnò  le  armi  e  scese  nella  via.   Il  suo  di 
Stino  era  segnato. 

Ma  l'astuzia  ceciliana  non  era  paga,  e  persuase 
la  Regina  a  liberarsi  ad  un  tempo  di  entrambi  i 
figli.  Ella  era  così  grande  ed  unica,  che  l'edificio 
dell'ammirazione  erettogli  dal  mondo  sarebbe  rol 
lato  d'un  tratto,  se  si  fosse  mai  conosciuta  la  sua 


1 1 J 


LA    MI  li  R  \ 


matem  ti    I    il  fido    onsiglii  n    le  suggerì   il  modo 
ili    |  .1    ribelle  anche  il    primogenito.    La 

ire  lo  chiamò  al  suo  cospetto  e  gli   impose  Hi 
l'accusa  contro  il  fratello.   Il  t r . > 

(litio  '!i  quell'ora  non  m  può  rendere  a  par        La 
na   minacciava  la   morte:   «  morte  per   morte, 
<■  fratello  per  fratello  «    Sarebbe  stata  1. 

Ise  imprese  \  agheggiate 

sarebbero  cadute  nel  nulla.  Il  Principe  chinò  il  capo. 

Il  fratello  languiva   nella  torre,  <"•>■  {gi  si 

■  nlla  parete  'li  ima  cella  il  suo  ni  «ne, 

,  i<  ["udor  ».    In  un  oolloquio   tempestoso, 

Francis  tentò  il»   farsi   perdonare    il   fratricidio: 

uni.  cogliere  1<>  scettro, 

:  i  ■ '  ■    re- 

itrari  bi  sarebbero  piriti.    Il  capo  'li  Roberto 

,   si  un-    Mi  .mi  he  il  fratello  era  per- 

duto      I  ''lira  che  egli 

ib    m        -  '1     melare  la  sanguinosa  ma 


dovette  dubitare  se  egli  sarebbe  mai  riu- 
3  i  incere  il  destino  d'Amleto. 
I.a  Regina  muri    l'anno  seguente.  I  Cedi  ave- 
preparato  la  via  al  mimo  re.  L'ironia  della 
sorti    i  iceva   succedere  .ni    Elisabetta  il   figlio   <Ji 
Maria  Stuart.  Amleto  traversò  nuovi  giorni    ti  dub» 
L'antico  demone   gli  consigliava  di    gettar  la 
maschera,   'li   dichiarar  guerra   all'usurpatore    Mi 
l'Inghilterra  era    felice:    gli  onnipotenti   Cecil    lo 
odiavano:    Polonio  non  era  u  i  iso  che  in  ef- 

figie:  i  testimoni  e  le  prove  dei   suoi  diri 
scomparsi:    il  popolo  lo  avrebbe  creduto  pazzo    I 
chinò  ancora  la  testa,  e  si  lascio   imporre  da  Già 
corno  I  il  manto  di  granile  cancelliere. 

lira  ormai  persuaso  che  il  suo  regno  non  eia  di 
questo   ninnilo.  E  volle  assicurarsi   per  l'avvenire  il 
regno  nel   ninnilo   ilei   pensiero:    volle  dettare   il  te- 
stamento della  sua  dottrina  e  della  sua  vita.    I 
temporanei  non  potevano  porgergli    iscolto:   né 


Bacon:    i    ti    suo  presunto  fratello,  n    conte  di  Essex. 


'•hia.  E  per  colmo  di  malvagità,  gli  ordinò  di  pub 
blicare  un  opuscolo  per  dimostrar  giusta  la  con 
danna  di  Essex,  deprecata  dal  popolo 

G      avvenimenti    incalzavano.   La  rigida    fibra 

•  Regina  era  scossa.  E  una  sera  il  poeta  —  a- 

h    pure  dai   rimorsi   —  voile   far  recitare 

la  prima  volta  l'Amleto.  Con  quale  ansia  spiò 

sul   volto    materno  un    segno  di   commozione   o  di 

\        ri(    n late  la  scena  in  cui  il   giovane 

Prii"  narca  vuol  sorprendere  la  colpa 

hi   della  madre,  mentre  gli  attori  di  < 

■  i  oline  di  lui  il  dramma 

'•  grava  sulla  Casa  reale:    pensate  che 
nto  l.i  duplice  finzione  scenica  ris[ 
ne   un    pallido    riflesso   alla    tragedia    vera 
•  '■■Il  autore.   (,'i  più  il  pallido  giovini 

:       I 

zinne  dell'ori-  I   la   un    uomo  sui  quaran 

.    ma   con    gli   occhi    bruciali 

■  la  una  fiamma  inti  ed  in  quel  momento  an 


avrebbero  inteso  la  profondità  de'  suoi  insegna- 
menti, né  il  re  gli  avrebbe  concesso  di  narrare  le 
sue  vicende.  Non  bastava  annunciare  la  verità  ai 
discepoli  ;  nella  tradizione  orale  la  verità  si  sa- 
rebbe  offuscata  e  contaminata.  Affidare  gli  scritti 
al  più  devoto  amico  nini  sarebbe  stato  assai  più  s:- 
curo. 

Allora  nella  sua  fervida  mente  nacque,  .si  svolse 
un  progetto  audace.  Egli  dovette  temere  sulle  pri- 
me che  un  vento  di  pazzia  lo  travolgesse:  che  i 
personaggi  folli  delle  sue  tragedie  gli  si  agitas- 
sero intonio  pi  r  vendicarsi  di  lui. 

Egli  stava  pubblicando  le  sue  opere,  alcune  col 
mio  nome,  altre  coi  nomi  degli  amici  fra  i  quali  le 
aveva  distribuite.  I.a  storia  della  sua  vita  e  molte 
sublimi  concezioni   del  suo  pensiero  non   potevano 

r  la  luce.  Ma  in   qualche  modo  dovevano  es- 
sere tramandai  ''-ri.  perchè  un  tempo  la  sua 

i  volasse  con  ali  d'aquila  verso  i  secoli  lontani, 
fi  con   arte  sottile,  mirabilmente  industriosa  e  seni 


LA    PORTENTOSA    CHIAVE    IH    BACONE 


[l3 


plice,  egli  sciolse  nelle  pagine  dei  gròssi  e  ruzzi  vo- 
lumi i  tesori  segreti,  gemme  di  poesia,  diamanti  di 
pensiero,  perle  di  dolore.  Stimma  ars  est  celare 
qrtetn. 

Egli   stesso  prevedeva  che  il  mondo   Io  avrebbe 

sulle  prime  deriso,  non  potendo  prestar  fede  alla 
grandezza  del   suo  genio.    «  Ma    io  va   — 

guardo  al  lontano  avvenire,  di  secoli  non  di  anni: 
l'opera  mia  è  [>er  una  terra  remota  nel  tempo. 
L'Europa  coglierà  allora  la  gran  messe  matura, 
come  il  contadino  miete  il  grano  indorato  dal  sole. 
Io  semino  ora  nella  solitudine:  l'età  futura  tro- 
verà nel  mio  campo  le  spighe  immortali  più  di 
dell'ambrosia...  E  il  mio  nome  volerà  di  terra  in 
terra  lodato  dai  figli  degli  uomini,  e  le  vecchie  dotte 
nazioni  indagheranno  nel  mio  nome  nuove  leggi 
della  natura  ». 

Ogni  pagina  contiene  un  grido,  or  di  amarezza 
or  di  entusiasmo  ;  e  le  vicende  della  vita  di  «  Fran- 
cesco I  »  sono  ricordate  ad  ogni  tratto  con  una  in- 
sistenza angosciosa.  Si  direbbe  che  al  volger  delle 
pagine  si  levi  verso  il  volto  del  lettore  il  soffio  di 
follia  da  cui  l'autore  temette  di  sentirsi  avvolto. 
Ma  il  metodo  stesso  adottato  per  tramandare  i  se- 
greti ai  posteri,  lo  costringeva  a  ripeterli  a  fre- 
quènti intervalli,  or  con  brevi  parole  or  con  lunghe 
narrazioni.  E  così  tutti  gli  avvenimenti  di  quell'e- 
poca turbinosa,  su  cui  la  storia  non  potè  gettare  lo 
sguardo,  rivivono  nella  loro  fosca  luce.  La  storia 
vera  della  fine  di  Essex  è  narrata  segretamente,  per 
un  pietoso  contrasto,  in  quelle  stesse  pagine  di  ac- 
cusa che  la  Regina  aveva  imposto  all'autore.  Il  ni- 
pote proclama  altamente  l'innocenza  di  Anna  Bo- 
lena,  e  il  poeta  rende  omaggio  alla  bellezza  e  alla 
sventura  di  Maria  Stuart,  lavando  del  sangue  di  lei 
le  mani  di  Elisabetta.  La  morte  dell'infelice  Re- 
gina di  Scozia  è  da  lui  attribuita  alla  congiura  di 
Cecil  e  di  Leicester  che  indussero  il  segretario  di 
Elisabetta  a  prestar  loro  il  sigillo:  egli  ne  descrive 
con  arte  e  con  commozione  profonda  gli  ultimi  i- 
stanti.  e  conclude:  «  Così  finì  Maria  di  Scozia:  io 
ne  ho  scritto  la  triste  storia,  e  nel  mio  cuore  ia  sua 
bellezza  vive  ancora,  pura  e  dolce,  come  se  ella 
fosse   ancora  tra   i  viventi  ». 

Ma  gli  avvenimenti  non  sono  soltanto  accennati 
con  ricordi  personali.  Sono  fusi  in  tesori  artistici. 
Alla  parte  segreta  de'  suoi  volumi,  il  poeta  affidò 
le  opere  che  riservava  al  diletto  delle  future  gene- 
ra/ioni. Sono  drammi  storici,  tragedie,  commedie, 
poemi,  traduzioni.  Le  opere  drammatiche  hanno  per 
argomenti:  Elisabetta,  Essex.  Leicester.  Edoar- 
do TIT.  Enrico  VII.  La  rosa  bianca  d'Inghilterra. 
Marlowe,  Anna  Bolena,  Maria  di  Scozia.  Le  tre 
commedie  hanno  i  titoli  curiosi:  I  sette  savii  di  Oc- 
cidente, Salomone  II.  La  trappola  per  i  topi.  1  poeti 
cantano  la  grande  Armada,  Cristo,  la  Nuo\  .  \ 
tlantide. 

La  grande  opera  era  compiuta.  Nel  frattempo  lo 
avevano  colpito  le  disgrazie  e  le  persecuzion 
povero  e  abbandonato,  ed  aveva  sperato  un    regni 
Ma    l'anima    sua    era    finalmente    paga.    La    mat- 
tina   di    Pasqua   del    1616 .   pensando     foràe  alla 
miracolosa   risurrezione,    spirò    serenarne  1. 

La  Lettura. 


Mia    tomba,    nella    chiesa    di    Sant'Albano  ,  un    di- 
sce]  ■  un    misterioso    motto    la- 

tino,  il  segreto  della   Rosacroce:    e  in    una  torre, 
.  ve  sono  scolpiti  i  nomi  dei    Re,   una  mano  ignota 
nò  più  tardi  tra  quelli  di   Elisabetta   e  di   Gia- 
como, il  nome  di  Francesco  I. 

E'  il  velo  della  storia  che  si  e  sollevato,  0  il  Se- 
Uno  di  una  mente  inferma  che  sboccia  al  sole  della 
intensa  vita  moderna?  E'  un   filone  d'oro  di    va 
inestimabile  che  si  è   s<t<perto,  o  è  una   fatua  fo- 
•  /a  che  illude  lo  sguardo? 

E'  una  mite  e  modesta  signora  americana  che 
ha  traversato  l'Atlantico  per  venire  a  scavare  nelle 
profondità  .lei  Museo  Britannico  il  tesoro  nascosto. 
Sol  >  l'immane  cupola  che  sembra  coprire  la  più 
ricca  caldaia  di  erudizione  e  di  scienza,  l'ho  ve- 
duta anch'io  qualche  volta  cuna  sui  lumi 
del  seicento,  occhialuta,  intenta  a  trascrivere  mac- 
chinalmente segni  misteriosi,  che  un  piccolo  drap- 
pello di  seguaci  veniva  poi  interpretando.  Chi  a- 
veva  gettato  uno  sguardo  su  quelle  carte,  aveva 
sussultato  di  meraviglia:  ma  i  dotti  e  i  personaggi 
autorevoli  avevano  sdegnato  di  occuparsene  1 
apporre  il  loro  suggello  allo  strano  documento.  La 
signora  non  se  ne  diede  per  intesa:  e  giunta  al 
termine  del  lavoro,  affidò  senza  rumore  alle  stampe 
la  scoperta,  in  un  libro  denso,  serrato,  privo  di  ogni 
lenocinio  e  affascinante  come  un  abisso.  Ella  non 
si  curò  nemmeno  di  ricostruire  la  storia  decifrata 
in  una  narrazione  organica,  secondo  il  cenno  che 
io  ho  cercato  di  darne.  Lasciò  che  le  pagine  esu- 
mate parlassero  da  sole  con  l'eloquenza  delle  an- 
gosciose ripetizioni,  col  loro  turbamento  che  a  volte 
a  volte  le  fa  credere  uscite  da  una  mente  in  preda 
alle  vertigini.  Ella  non  si  atteggia  a  profetessa, 
ma  a  discepola  fervente. 

I  ;  -ignora  Elisabeth  Wells  Gallup  non  è  stata 
eco.  la  prima  a  scoprire  e  a  rivelare  il  mistero.  Già 
una  dozzina  d'anni  fa  un  altro  studioso  americano, 
Ignazio  Donnelly,  aveva  pubblicato  un  libro.  «  Il 
grande  crittogramma»,  ritessendo  in  modo  nuovi 
una  portentosa  biografia  di  sir  Francis  Bacon.  M 
la  sua  teoria  era  stata  sepolta  sotto  il  ridicolo: 
egli    non  con   sufficiente  chiarezza   il   si- 

.1.  che  lo  aveva  guidato  nella  scoperta,  e  si  finì 
col  dire  che  aveva  avuto  le  traveggole.  Il  suo  ; 
infatti   portava    molti   indizi  che  non  lo  din*  - 
vano   il   frutto  di   una    mente  limpida,  e  sana:    e   il 
povi  n    111  >ei     morì,  or  non  è  n 
piamo   Nel   1895  un  altro  studioso,  il  dottor  Owen, 
pletò    la    so,]  erta   del    Donnelly,   ma  anche  il 

SUO    libro    si    sprofondò    nel  blio: 

il    mondo  non   gli    voleva    porgere  ascolto.   L'uno    e 
l'altro   avevano  avuto  il  torto  di    voler  mostrare  le 
comuni  mortali,  dopo  aver  posto  una 
corno  ai  loro  tttra- 

labirinto. 
Più    sincera    e    prudente,    la    signora    Wells  — 
la    | ,  èva  ]  1    anno  all'*  >wen        h 

mess  volume  la  spiegazione  del  si 

lei  !    suoi   due    predecessori   avo- 

Shakespeare   una  chiave 

8 


'  '  I 


l  A    I  ETTI  R  \ 


na  :   ella   pensò  chi    vi    ne  dovi  va  ra 
sere  un'altra  assai   più  semplice.    L'idea   le  venne 
da  un  capitolo  che  Bacone  consacrò  alla 
grafia  nel    De    Augmentìi    scientiarum. 
In  « 1 1 1 . -^ ■ . .  trattato  il  filosofo  spiega  un  alfhabe- 
tutu  ni  di  sua  invenzione.  Ed  è  l'ai f ab 

mi  i  ni    ,    t.  ndari  h  pienti  tutti  i 

telegrafici  e  tutte  tziofti   del  mg 

un  punto  e  una  lineetta,  con  due  fasci  di  luce, 
con  due  suoni  diversi,  con  lo  sventolìo  di  una  ban- 
i  qualsiasi  segno  insomma  ripetuto  e  al- 

-  fisse  si  può  e porre  qual- 

alfabero.    E1  il   metodo  più   ingegnoso,   più 

semplice  e  più   sicuro  per  le  comunicazioni  in  cui 

non    si   può  far  uso  dell'ali  nume:    e  Ba- 

dìce  nel  più  grave  latino  di  averlo  usato  nella 


io  a  significare  a,  e  le  lettere  in  corsivo  rappre 

ii"  il  b.  Da  ogni  gruppo  ili  cinque  lettere  scrìtte 

impair  si    potrà  estrarre  un'altra  lettera.    Ma 

un  esempio  varrà  più  ili  qualsiasi  spiegazione.   In 

-..Manin  secondo  questa  crittografia   nei  pruni  due 

versi,  i>  pi  essere  più  esatti  nelle  prime  cinquanta 

n   d  ll'ode  «  Ula  Regina  d'Italia  »  il  nome  del 

l'Augusta  Donna  a  cui  essa  è  dedicata.  Lo  si  porrà 

poi  estrarre  secondo  questo  diagramma: 

Ondo    .-'lenisti/    quali;    a   >ioi\socol\\ 

'   b   1'   -i         bll  a  a  a  a|b       a  a  a  .i|a      a      bbalaabb  bla 

M  A  R  G  H 

S;       m  ii/e  e  beli  /a      til    /r  a  m  a  I  ndar  olno.. 


I  |b  A  fl     •■  .1    a  /'  a 


E 


R 


1 


Là  Regina  Elisabeth  a. 


'  a  Parigi,  per  la  corrispondenza  amo- 

\i    punì  eetti    dell'alfabeto  Morsi 

■ni    le    letti  b,     Mescolando   «meste   «lue 

lettere  a  k1""!»!''  di  cinque,  si  può  formare  un  alfa- 

|2  fa     lido   rapi^       ni  m     1  A 

il  B  da  quattro  a  e  un  b,  e  cosi  ili  se- 
ndo  il  segui  nte  spo  chietto: 

ansai     ii  aaaab;  C  aaabs     D  aaabb ; 

tabu     1-  aabab;  G  aabba;   il  aabbb; 

I       abaaa;  K  abaab;  L  ababa;  M  ababb; 

N  —  abbaa    O  abbab;   P  abbba;  Q  abbbb 

K       ima. i.i .  s  baaab;  T  baaba;  V  baabb 

W  -=  babaa;  X  babab;  V       babba;  /  babbb. 

■  ■  o  stampate  con  due    arattei  i  'li 
ne  le  lettere  in  carattere  inni,  ab 


Orbene,  pensati-  che,  come  il  nome  ili  Margherita 
esce  con  tanta  limpidezza  «lai  due  fervidi  versi  pet 
una  semplicissima  convenzione  tipografica,  così 
dalle  seimila  pagine  delle  opere  di  Bacone,  di  Sha- 
kespeare, ili  Marlowe  e  «l'altri  poeti,  è  uscita  la 
avigliosa  storia  del  vero  Amleto,  si  estraggono 
a  le  spighe  più  dolci  dell'ambrosia  •  che  devono 
deliziare  il   ninnilo. 

La  signora  Wells  -,  avuta  l'idea  che  Barone 
non  poteva  aver  esposto  l'alfabeto  bilaterale  senza 
uno  scopo  recondito        esaminò  attentamente  le  e- 

ili/iuni    del   seicento,    e   vi   intravide  i   due  caratteri: 

allora  con  lun|  pa  ite  lavoro  di  anni  si  accinse 
a  trascrivere  dai  volumi  in  folio  le  stupefacenti  ri- 
velazioni. Sotto  le  lenti  i  suoi  occhi  si  stancarono, 


I  A    PORTENTI  >SA    l  HIAVE    bl    BA<  ONE 


1  l.) 


quasi  si  spensero,  prima  che  l'opera  fosse  compiu- 
ta: altri  tesori  sono  nascosti  nelle  vecchie  carte: 
ma  era  tempo  che  il  mondo  ammirasse  i  tesori  dis- 
sepolti. 

Il  libro  usci  pochi  mesi  or  sono  al  di  là  dell'A- 
tlantico, e  pochi  se  ne  accorsero.  Ma  il  mese  scorso 
la  più  grave  rivista  inglese  non  potè  trattenere  un 
grido  di  ammirazione.  Non  era  dunque  un  nuovo 
sogno  fantastico?  Prima  ancora  di  esaminare  il  li- 
bro, le  oche  della  tradizione  starnazzarono  le  ali 
svile  colonne  capitoline  del  Times:  e  sui  larghi 
spalti  del  magno  giornale  si  ingaggiò  la  più  fieTa 
battaglia  letteraria  che  si  sia  mai  combattuta  dopo 
l'epica  lotta  intorno  ai  poemi  ossianici.  La  batta- 
glia non  è  ancor  finita:  le  armi  delle  citazioni  e 
•  lei  raffronti  storici  non  sono  ancora  spuntate:  l'ar 
tiglieria  del  più  schietto  apriorismo  continua  a  tuo- 
nare che  la  vittoria  non  sarà  dell'assurdo.  A  che 
prò'  descrivere  le  fasi  dello  scontro?  Gli  spettatoli 
pensano  che  si  tratta  di  un  inutile  spargimento  di 
inchiostro,  perchè  l'arbitrato  della  pace  non  ha  mai 
avuto  un  compito  più  facile.  Calmati  gli  ardori  bel- 
licosi, gli  avversari  possono  incontrarsi  sotto  la  cu- 
pola del  Museo  Britannico  ed  estrarre  insieme  dalle 
vecchie  carte  una  edizione  riveduta  e  corretta  della 
meravigliosa  storia. 

Ahimè,  l'impresa  non  è  così  facile  e  schematica 
come  si  può  supporre.  I  volumi  preziosi  non  cedono 
facilmente  il  loro  segreto:  essi  non  sono  stampati 
con  due  caratteri  diversi:  le  differenze  fondamen- 
tali che  costituiscono  la  chiave  crittografica  non 
sono  che  sfumature  ottenute  con  due  «  fondite  » 
di  una  stessa  forma  di  carattere.  E  per  interpretare 
rettamente  i  segni  delicati,  occorre  anche  una  certa 
inspirazione.  E'  1'  «  inspirazione  »  della  signora 
Wells  che  minaccia  di  far  crollare  l'intero  mirabile 
edificio,  più  che  la  scoperta  di  una  traduzione  del- 
l'Iliade  e  dell'Odissea  che  Bacone  avrebbe  sepolti' 
nell'alfabeto  biliterale  senza  alcun  verosimile  mo- 
tivo. Tuttavia  per  questo  si  può  pensare  che  il 
lungo  esercizio  della  crittografia  avesse  turbato  al- 
quanto l'intelletto  dell'autore,  e  che  l'abitudine  del 
seppellire  i  tesori  ancora  ignoti  lo  inducesse  ad  inu- 
mare anche  i  tesori  dell'antichità  greca  ripuliti  con 


la  lima  inglese.  Ma  se  la  dimostrazione  non   sarà 
chiara,  matematica,  gli   avversari   della  rivelazione 
non  si  daranno  per  vinti:  al  soffio  esoterico  dell  «  in- 
spirazione» la  storia  svanirà  per  la  maggioranza 
mortali. 

Il  mistero  affascina:  ma  l'elemento  oltrenaturale 
infonde  la  diffidenza.  La  grandissima  importa 
della  scoperta  sta  nel  fatto  che  si  deve  poterne  daa 
le  prove  più  lampanti.  Le  otterrà?  Allora  cadran- 
no tutte  le  obiezioni  di  ordine  morali-  finora  accu 
mulate:  e  si  ammetterà  che  Bacone  abbia  potuto 
usare  la  crittografia  per  uno  scopo  altissimo,  come 
l'usava  per  diletto  bizzarro  Leonardo  da  Vinci.  Si 
potrà  anche  pensare  che  nelle  lunghe  veglie  dei  se 
coli  scorsi  altri  scrittori  affiliati  alla  Rosacroce  af- 
fidassero al  cifrario,  i  loro  pensieri  segreti,  e  che 
nelle  biblioteche  europee  tesori  innumerevoli  atten- 
dano la  luce. 

La  questione  è  sub  judice.  Per  ora  la  patria  di 
Bacone  non  osa  acclamare  la  sua  risurrezione,  e 
non  gli  si  mostra  troppo  benigna.  «  Francesco  I  » 
ebbe  anche  la  disgrazia  di  ereditare  dal  «  padre 
putativo  »  un  nome  che  si  presta  ad  orribili  strazi. 
TI  bacon  è  la  carne  di  un  animale  immondo,  di  cui 
gli  Inglesi  fanno  strage  al  loro  »  rompi-digiuno  », 
ossia  a  quella  piccola  colazione  che  comprende  di 
solito  un  paio  d'uova,  un  buon  pesce  fritto  o  un 
buon  pezzo  di  lardo,  una  tazza  o  due  di  the,  e  una 
discreta  dose  di  pane  spalmato  di  burro,  di  miele, 
di  marmelade  e  di  altri  dolciumi.  Il  poeta  Cole- 
ridge —  quando  ferveva  la  discussione  ad  argo 
menti  morali  su  Bacone  e  Shakespeare  —  un  mat- 
tino fece  inorridire  i  suoi  amici  dicendo  loro  che 
aveva  mangiato  un  buon  piatto  di  Shakespeare. 
Anch'io  chiesi  stamane  alla  mia  graziosa  vicina  di 
tavola:  «  La  signorina  prende  un  po'  di  Shake- 
speare5 ».  Ma  dalle  rosee  labbra  scese  un  Dotti  b 
s'dly,  che  io  trasmisi  mentalmente  a  Coleridge  e 
che  amareggiò  tutta  la  mia  marmelade. 

Londra,    gennaio   1Q02. 


P.  Croci. 


Impresa  halle  «  Opere  di  Bacone»,  1704. 


IL    PIOPPO 


Sopra  l'umido  suolo  alto  levato, 
precinto  il  capo  di  dolce  verdura, 
Sta  il  pioppo  ;  e  -cede  lungi  alla  pianura 
nascere  il  sole  come  un  roseo  fiato. 

Lente  'cede  le  mucche  andar  pel  prato, 
e  il  mandrian  sedere  alla  frescura, 
e  poi  a  sera  dentro  Paria  oscura 
accendersi  improvviso  il  del  stellato. 

Tacito  vede.   Ma  se  un  voi  di  --cento 
F urta  in  passare,  o  se  d'uccelli  un' onda 
rapida  /'//-ceste  il  suo  grembo  d'argento: 

brilla  egli,  e  vibra;  e  t'anima  sonante 

-aia.  e  di  sua  gioia  inonda 
ampi  e  l'aere,  armonioso  amante. 


sonetti  r i 7 

LA    NUBB 


La  nube  che  languìa  già  nel/a  valle, 
vedendo  il  sole  uscire  dall'  aurora 
di  roseo  lume  tosto  si  colora, 
e  s  alza,  6  segue  lui  per  F erto  calle. 

Ma  volubile  al  sole  dà  le  spalle 

se  appena  il  vento  con  desio  la  sfiora  ; 
del  novo  amante  cieca  s'innamora, 
cede  a  sue  voglie,  e  fugge  per  la  valle. 

Ebbro  il  vento  la  porta  tra  le  braccia, 
con  lunga  furia  la  stringe  e  la  morde, 
poi  sazio  verso  il  morite  la  ricaccia. 

La  derelitta  in  un  suo  fosco  manto 
si  fascia,  e  gitta  sue  querele  sorde, 
e  rompe  in  largo  rumoroso  pianto. 


L'ORTO    ABBANDONATO 


Neil* orto  abbandonato,  a  lièti  errori 
correan  le  piante  ;  e  in  dolci  abbracciamenti 
stringevansi,  mescendo  loro  amori, 
pronubo  il  sole  e  paraninfi  i  venti. 

E  Primavera  a'  combaciati  cuori 
da  balconi  di  nuvole  fuggenti 
serti  gittava  di  rubini  e  d'ori 
e  diademi  di  perle  fulgenti  : 

Quando  crucciosa  un'ombra  umana  venne, 
e  i  dolci  lacci  franse,  e  i  vaghi  errori 
severamente  castigò  e  contenne. 

Stettero  allora  con  cambiata  faccia 
le  piante  assorte  in  lor  feri  dolori 
tendendo  in  van  le  mutilate  braccia. 

Angiolo  Silvio  NovàRO. 


:rtT'T-7, 


^^•%^^^SÉi*^f^^ 


2^  '1  *T 


SANTOS   DU]WONT 


I^e     esperienze     nella     rada     di     Monaot 


A  falla  elegante  cosmopolita,  che  cinquan- 
ta coppie  di  treni  della  Paris-Lyon-Médi- 
e,  con  invidiabile  precisione  d'o- 
rari, giornalmente  addensano  nella  terra  di  cui  Al- 
berto I  è  principe  e  sovrano,  ivi  trova  que- 
st'anno un'attrattiva  di  più,  coronamento  straordi- 
nario della  grande  saison  mondana. 

I  giardini  eternamente  fioriti,  da  cui  si  spande  un 
profumo  intonso  penetrante,  il  mare  ognora  tran- 
quillo e  sereno  come  il  cielo,  i  sogni  di  ricchezza  che 
ognuno  intravede  mentre  l'oro  ricopre,  senza  distin- 
zione di  nazionalità,  le  lunghe  tavole  verdi  del 
trenti  et  quarante,  o  la  pallina  d'avorio  compie  con 
pazza  resistenza  i  suoi  giri  veloci  sulla  conca,  po- 
polata di  cifre,  della  roulette,  sono  pel  momento  e- 
cl  issati. 

Tutte  queste  seduzioni,  da  cui  vi  sentite  presi  ap- 
pena ponete  il  piede  nel  piccolo  e  fiorente  Princi 
paio,  hanno  ceduto  il  passo  alla  ansietà  febbrile, 
con  la  quale  sono  attese  le  ascensioni  che  sopra  la 
graziosa  rada  di  Monaco  sta  per  compiere,  con  il 
suo  pallone  dirigibile,  l'intrepido  aereonauta  brasi- 
liano Dumont. 

li  ipo  il  trionfo  di  Parigi,  dove  guadagnò  1  otto- 
bre decorso  il  grand  prix  di  centomila  lire,  gira 

ino  alla  torri-  Eiffel  e  ritornando  poi  al  punto 
«li  partenza.il  parco  di  Saint-Cloud,  sono  queste  le 
esperienze  che  nuovamente  assorbono  tutto  il  suo 
entusiasmo  e  la  mirabile  giovanile  energia. 

Alb  !  h in iou;   appartiene  ad  una  delle 

più  ricche  famiglie  del  Brasile,  ma  l'esser  posses- 
sore «li  una  grande  fortuna  non  gli  ha  impedito  di 
dedicarsi,  sino  da  giovinetto,  e  con  vero  intelletto 
d'amore,  alla  soluzione  del  grave  problema  della 
navigazione  aerea.    Nato  nel   1873.  manifestò  sem- 


pre notevolissime  attitudini  alla  meccanica,  e  alle 
scienze  in  generale. 

Aveva  un  anno  —  è  egli  stesso  che  lo  racconta  — 
quando  iniziò  i  suoi  studi  aeronautici.  Dei  piccoli 
palloni  di  kautciù,  che  faceva  scoppiare  per  ve- 
line cosa  vi  fosse  dentro,  dovevano  essere  il  campo 
delle  sue  infantili  ricerche  terrene!  La  compiuta 
conquista  dell'aria  gli  fa  pensare  con  compiacenza 
al  non  fallace  auspicio.  Più  grandicello,  conduceva, 
lungo  le  praterie  dei  possedimenti  paterni,  delle 
veree  proprie  locomotive,  le  quali,  donategli  a  scopo- 
ili  diletto,  meravigliosamente  servirono  a  farlo  cre- 
scere sprezzante  del  pericolo,  calmo  nell'azione,  in- 
crollabile nei  propositi.  Condotto  giovanissimo  in 
1  lancia,  fu  soltanto  per  l'opera  costante  di  lui  che 
la  questione  della  diiigibilità  dei  palloni  prese  nuo- 
vo vigore.  Dal  1898  al  1901  è  tutto  un  periodo  ili 
studi  incessanti,  di  tentativi  non  sempre  fortunati, 
di  trasformazioni  suggerite  dalla  esperienza,  fino 
a  1  he  l'aereo  congegno  non  uscì  completo  nel  tipo, 
il  quale  contando  nel  suo  recente  passato  una  vit- 
ti ria  clamorosa  come  quella  dell'anno  decorso,  si 
appresta  ora  a  ben  più  ardua  e  risolutiva  prova. 

Il  primo  pallone  sferico  da  Santos  Dumont  fatto 
uri-,  unicamente  per  suo  uso  personale,  fu  il 
Brisil,  che  nel  1898  ricevette,  nel  Giardino  d'accli- 
matazione a  Parigi,  il  battesimo  dell'aria.  La  mi- 
nuscola aeronave  subì  da  allora  la  volontà  di  colui 
che  la  conduceva  coraggiosamente  a  spaziare  nelle 
ni,  e  i  successivi  esperimenti  non  fecero 
che  confermare  la  serietà  indiscutibile  della  scoper- 
ta. Ma,  non  senza  pericoli  gravissimi  si  svolsero 
tali  ascensioni.  In  una  di  esse,  Santos  Dumont  cad- 
de da  una  altezza  di  .100  metri,  non  riportandone 
miracolosamente  alcun   male,  e  un'altra  volta  ebbe 


SANTI  >S    DI   MiiN  I 


I  MI 


a  compiere  una  discesa  in  ragione  di  4  o  5  metri  per 
secondo.  «  Io  ho  potuto  dar  varietà  ai  miei  piaceri  ■ — 
egli  disse  con  molto  spirito  allora.  —  Montato  in 
pallone,  sono  disceso  in  cervo  volante  !  » 

Dal  Brési!,  attraversi,  una  serie  di  continui  per- 
fezionamenti, l'ardito  brasiliano  giunse  a  costruire 
il  Santos  Dumont  numero  6,  vincitore  del  grand 
prix,  adesso  in  attesa  di  riprendere  il  volo  dal  co- 
lossale hangar   della   Condamine. 


Di  fronte  al  piccolo  golfo,  cui  servono  comi 
immenso  anfiteatro  le  alte  montagne,   cosparse    di 
bianche  case,  di  ville  grandiose  ;    là  dove  si  scorge 
ila  un  lato,  nella  punta  estrema,  il  giardino  di  Mon- 


pel  quale  Santos  Dumont  non    risparmia   parole  «li 
calda,  ammirazione,  ha  presieduto  il  signor  Cabirau, 
nere  della  Sodi  11  dei  Bagni  di  mi 
Per  chi  ancora  non  lo  sapesse,  sotto  questa  ditta 

sociale  comprendone!  i  possessori   d'azioni         si  i 

fera  che  allesso  tendano  al  ribasso         d(  I   bi  1 

Casino  di  Montecarlo.  Sembrerà  un  non  senso, 
ma  a  me  non  pare.  La  differenza  è  semplicissima. 
Dal  mare,  fatto  il  bagno,  si  ritorna  vestiti:  dal 
('asino,  tatto  il  giuoco,  se  ne  esce  .solamente  spo- 
gliati ! 

Attigua  all'immenso  capannone,  trovasi  la  pic- 
cola officina  dove  dovrà  esser  fabbricata  l'idrogeno, 
con  cui  sarà  gonfiato  il  pallone:  costruzione  tanto 
semplice   quanto  pratica. 


II.    CANTIERE    DI    SANTOS    DUMONT. 


tecarlo  dall'aspetto  orientale,  baciato  quasi  dalle 
onde;  e  dall'altro,  svelto  e  severo  appare  il  castello 
principesco  su  cui  sventola  sempre  una  bianca  ban- 
diera, là  dove  le  tre  piccole  località,  in  cui  il  prin- 
cipato si  divide,  appaiono  nettamente  distinte,  è 
sorto  il  grande  cantiere  dove  Santos  Dumont  la- 
vora. 

La  strana  costruzione  in  muratura,  legno  e  zinco, 
che  attira  subito  l'attenzione  di  chi  transita  per  il 
boulevard  della  Condamine,  occupa  60  metri  in  lun- 
ghezza, è  alta  quasi  15,  e  larga  13.  Ingegnosa  e  im- 
ponente la  porta  principale  dell'aerodromo,  da  cui 
il  pallone  totalmente  gonfiato  dovrà  esser  tratto  per 
innalzarsi  nello  spazio.  Due  soli  uomini  possono  a- 
gevolmente  far  scorrere  quelle  gigantesche  imposte 
di  ferro.  Alla  perfetta  esecuzione  del  costoso  lavoro. 


Santos  Dumont   passa    intere  le  sue  giornal 
tendendo  adesso  alla  montatura  della  punire  armée, 
la  paite  inferiore  dell'aeronave,  càio  ridato  dai  sui  1 
operai,   condotti  appositamente  da.    Parigi,  echi 
coadiuvarono  già  nelle   precedenti   ascensioni. 

Nessun  dettaglio   sfugge  alla   sua  1    :/ione: 

nessun  pezzo  che  faccia  parte  degli  organi  essen- 
ziali del  suo  dirigibile  v  ien  collocato  al  proprio 
posto,  prima  che  egli  lo  abbia  accuratamente  esa- 
minato, l'ifi  di  una  volta  si  è  s< 
dico  tirando  i  fili  di  acciaio,  esperimentando  le  de- 
licatissime valvole,  o  facendo  agire  il  portentoso 
motore,  l'anima  dell'aeronave.  E  tutto  ciò  non  per 
inevitabile  necessità,  ma  per  brama  di  perfezione 
assoluta,  con  fede  di  apostolo. 

Si  devi-  ancora  procedere  alla   immissione  del  gas, 


I  2" 


LA    II    M  i   i    •> 


e  |>'i   ii    palli  iverà  in  compii  to  ili 

guei  r.i 

11   5  •uoiil  niiiin  ro  i      mi 

hanno    asserito  alcuni  giornali,  nessuna  m 

rione  ha  subito  da  quando,  in   19  minuti  e  ,s°  se" 

condì,  compiva  vittoriosamente    il    tragitto  regola 

Eiffel    \ eppure  il  unni 


ni  miiio  il  pallone,  e  che  sostiene  la  navicella,  il 
motore,  l'elice  e  gli  accessori,  il  tutto  |x-r  una  lun- 
1  ih  appena  18  metri.  Questo  scheletro  in 
legno.  .1  sezione  triangolare,  capo  d'opera  di  lq 
rezza  e  di  solidità,  non  pesa  che  s°  chilogrammi. 
i  Formato  da  un  insieme  ili  travicelle  ■  -nr\  il 
congiunte   da   traverse    finissime  'li    legno,  tenute 


L'INGRESS I     CANTIERE. 


I    SS<     SÌ    |'i' 

dall'anno  tra 
1  i  |.iii  completo  e  definitivo  suo  • 
Il        metri  di  larghezza  e  33  ili  lunghezza;   ha 

1  I".  '•  sposta   800  chilo- 
mi    'l'aria.   L'involucro  pesa    uo   chili,  ed  il 

cono, 
r  paragi  nafc  1  ad   un  enormi 

ncipale  del    1  allone  'li 
1  '  1  ,1   1  ni' 


giunture  d'alluminio,  e  rese  lisse  da  una 
ncrociatura  'li  ali  d'acciaio:  gli  stessi  che 
si    usano  per  corde  'li   pianol.  «1  i. 

Santos  Dumont  è  staio  il  primo  a  fare  1 
questi  fili,  in  aerostatica.  Ter  la  loro  debole  supei 
rimpiazzano  molto  bene  le  corde  ili  canape  de- 
gli   anteriori     palloni    dirigibili,     la     resistenza    'Ielle 

quali   era  paragonabile  -il   palloni    stesso.  Pei  una 

innovazione  non  meno  1. .minala,  rinunziando  alla 

e  alla  coperta  che  avviluppano  gli  altri  sistemi. 


SAN  I'  »     hi  MON  I 


I  _'  ! 


da  Henry  Giffard  a  noi,  ha  jx  >i  fissato  i  suoi  fili  di 
sospensione  direttamente  sulla  stoffa  del  pallone 
per  mezzo  di  piccolissimi   bastoni. 

A  7  metri  dall'estremità  posteriore  dello  schele- 
tro, trovasi  sospeso,  a  mezzo  anch'esso  di  fili  d'ac- 
ciaio, il  motore  a  petrolio  Buchet,  della  forza  di 
16  cavalli  :    pare  un  ragno  in  mezzo  alla  sua  tela. 


pienamente  a  tutte  le  esigenze  della  solidità  e  della 
leggerezza.  Da  quel  punto  avanzato  della  aeronave, 
l'audace  brasiliano  può  attendere,  senza  ostacolo  ve- 
runo, alle  difficili  manovre  con  cui  regola  il  suo  i 
mino. 

Tutti  i  fili  di  acciaio  coi  quali  vien  dato  il  movi 
mento  al   motore,  all'elica,  e  al   timone,   si  trxn 


San lus  DuMON i . 


Possiede  4  cilindri,  ed  è  direttamente  collegati 

l'elica  per  mezzo  di  un  albero  vuoto.  L'elica  trovasi 
dunque  dietro  alla  navicella,  mentre  nel  modello  nu- 
mero 4  era  collocata  anteriormente;  essa  ha  4  me- 
tri di  superficie  e  può  fare  più  di  210  giri  al  mi- 
nuto. La  navicella,  interamente  in  vimini,  h  inca- 
strata nella  patire  a  metri  3,60  dalla  punta  ante- 
riore, e  non  nel  centro,  nell'intento  di  ben  dividere 
il  peso  sulle  corde  di  sospensione.  Santos  Dumont 
ne  è  stato  l'inventore,  e  la  piccola  cesta  corrisponde 


unitamente  al  manometro,  di  fronte  alla  navicella. 
11  loro  uso  è  reso  più  pratico  da  una  specie  di  ma- 
nopola con  cui  terminano. 

Allo  scopo  di  evitare  le  oscillazioni  e  di  assicu- 
rare la  rigidità  del   sistema,   il  pallone  reca,  vi 

cuna  d    le  sue  estremità,  una  lunga  traversa 
pendio  ilare  congiunta  al  pallone  per  i  suoi  due  e 

Un  ventilatore  in  alluminio,  collocato  sopra  il 
motore,  manda  continuamente  al  pallone  l'aria  ne- 
cessaria per  mantenerlo  sempre  perfettamente  gon- 


I 


LA    11  TI  I   R  \ 


fio,  e  un  |ua  di  20  litri,  sormonti 

(sicura  il  i  dei 

cilindri    li  qui 

novre  del  movimento  verticale  e  d'equi- 
nto  delicate  che  fondamentali  l 'u 

moni  :i.  I<  ■j«-r;i  un  guide-i    '■. .  che  altro  non  è  fuoi 
che  una  ...rd.i  piul  rossa,  del  peso  'li  so  chi- 

spesa  sul  davanti  dall'aeronave 
.1  fune  la  si  trova  in  tutti  i  modelli  ili  pal- 
lone   -  Dumont  però  ne  fa  un  uso  ti  >talmi 
nuoi 

noie  salire,   la  ritira  con  una  funicella 
1  il  centro,  e  allora  la  punta  anteriore  del  pal- 
lone  si  alza  e  tutto  il  sistema  aereo  si  solleva  gra- 
zie all'impulso  dell'elica:    se   invece  vuole  discen- 
.  lascia  il  guide  rape  libea»,  mi  suo  peso  gra- 
dui davanti   ilei    pallone.  L'inclinazione  del- 
e  in  un  senso  giusto,  basta  dunque  ad   assicu- 
rare-  L'ascensione,    la   discesa  e  l'equilibrio  del    si- 
stema. 

Ed  ora,  saliamo  un  poco  sulla  parte  superiore 
■  lei  pallone,  nella  quale  elementi  vitali  per  il  rego- 
lare funzionamento  ilei  portentoso  organismo  aereo, 
sapientemente  distribuiti. 
L'involucro  ì-  in  seta  del  Giappone,  fortissima, 
bianca  e  trasparente  ;  ripetuti  bagni  ili  olio  di  lino 
la  rendono  impermeabile. 

Sopra  il  pallone,  nella  parte  anteriore,  trovasi 
una  valvola  di  40  mi.  ili  diametro,  la  quale  viene 
aperta  con  una  corda  passante  dentro  una  manica 
di  seta  verniciata,  cucita  sotto  l'involucro,  e  verti- 
calmenti  cadente  sulla  navicella,  alla  portata  della 
0  dell'aeronauta.  Inoltre  due  pareti  da  strap- 
pi rsi,  necessitando  un  pronta  sgonfiamento,  sono 
guidati-  sul  davanti  e  sul  di  dietro:  l'aeronauta  può 
romperle  all'istante,  tirando  le  corde  che  giungono 
alla  cesta  dov'egli  trovasi. 

Nell'interno  dell'aerostato,  cucito  nella  parte  sot- 
dellu   involucro,   e  pri-cisamente  nel  cent n>. 
è  collocato  un  altro  piccolo  pallone  {ballomtet)  di  60 
alimentato  d'aria  dal    venti- 
latore,  di   cui    abbiamo  sopra  parlato,    e  che  ha   la 
si-ojw,  di  regolare  le  variazioni  di  volumi-   prodotte 
dall'idrogeno.  Questo  palloncino  è  munito  inferioi 
mente  di   una  sola  valvola;   il   pallone  ne  ha  due. 
possono  automaticamente  aprirsi   dall'interno 
all'esterno  sotto  la   pressione   dell'aria  o  dell'idra 
gena.  Le  loro  molle  sono  regolate  in  guisa,  che  la 
vaivi  ballonnet  si   apre  per  la  prima   dando 

usi  ita    all'aria,   mentre   le  valvole    del    pallone    non 

poss perdere  il  gas  che  soltanto  negli  ultimi  i- 

stanti.    quando  li-  circo 

Sono  qui  generali  del  sistema  che  San- 

liiimi.nt.  dopo  fondamentali   cambiamenti  ap 
|H>rtati  al  primo  tipo  di  sua  invenzione,    ti   /" 

ha   1  Sortagli    lardila   idea   di   utilizzare   per 

la   lo        rioni  il  motore  a  petrolio,   la 

Cominciando  ad  usami-  uno  della   forza   di  ap 

illi  e  mezzi  1    Mano  mani  1  salirono   a 

.  il  pallone  numero  6,  col  quale  sta  per  ripren- 

peril  ninto  ai   [6  invaili.  Vi 

nfine  sapere  quanti   ne  avrà  a  ne  il 

pallone  numero  7.  che 


sioni    preliminari   con   tanta   curiosità  Sem- 

plicemente    15!  Ciò  è  quasi  spaventoso,   ma  vi  si 

prestar   fede  Santos   Dumont,  quantunque  a- 

l 'il  nato  a  gonfiar   palloni,  non   sa  gonfiate  le  cifre! 

Con  d  rapido  perfezionamento  del  motore,  il 
forte  aeronauta  ha  curato  di  raggiungere  altresì  la 
i  leggerezza  del  sistema  e  la  piccolezza  delle 
11.  nell'intento  di  renderlo  facilmente  tra- 
sportabile. E  a  queste  ha  sacrificato  qualsiasi  per- 
sonale comodità.  Col  modello  numero  1  si  arrischiò 
persino  a  compiere  delle  ascensioni  a  cavallo  sovra 
un  bambou  che  gli  serviva  da  sella,  spingendo  in- 
nanzi il  suo  aerostato,  come  un  triciclo  a  petrolio, 
a   forza  di  pedali  ! 

Del  suo  ardimento  egli  sta  nuovamente  per  dare 
una  fulgida  prova  E'  la  prima  volta  che  un  pallone 
allungato,  fornito  di  un  motore  e  di  un  propulsore, 
va  ad  avventurarsi  in  pieno  mare,  alla  mercè  di  quei 
mezzi  meccanici  sulla  cui  fedeltà  non  si  può  cieca- 
mente giurare,  fili  alberi  fronduti  del  bosco  di  Bou- 
logne  o  gli  alti  comignoli  delle  case  parigine  non 
si  opporranno,  adesso,  al  suo  veloce  andare. 
Ma  Santos  Dumont  non  si  preoccupa  neppure  dei 
tradimenti  dei  venti  0  dell'acqua  ingannatrice:  una 
fede  incrollabile  tutto  l'invade,  e  il  trionfo  asso- 
luto della  scoperta  gli  sta  assai  più  a  cuore  della 
siessa   sua  persona 


E'  dalla  viva  voce  dell'  uomo,  il  quale  in  questo 
momento  attira  su  di  sé  e  su  l'opera  sua  l'atten- 
zione e  le  simpatie  dell'universale,  che  io  ho  potuto 
raccogliere  le  speranze  con  le  quali  egli  si  appresta 
alle  novelle  prove,  e  la  narrazione  minuziosa  del  si- 
stema aereo,  che  da  lui   prende  il  nome. 

Santos  Dumont  era  all'hangar,  contemporanea- 
mente santuario  ili  scienza  e  salone  di  ricevimento. 
Stava  ponendo  in  prova  il  motore,  e  si  aggirava 
irrequieto  attorno  allo  scheletro  ancora  incompleto 
del  suo  pallone,  [>er  esaminare  se  ogni  cosa  fosse 
a  suo  posto.  Il  giovane  aeronauta  brasiliano  non  è 
certo  un  atleta  ;  la  sua  altezza  raggiunge  soltanto 
metri  1.60:  di  peso  non  supera  i  50  chilogrammi. 
l'na  costituzione  ideale  per  chi  deve  sollevarsi  nel- 
1  aria,  sopra  un  congegno  che  esige  la  massima  eco- 
nomia   di  peso.   E'  una  figura  assai  geniale,  dallo 

nudo  vivace  e  mobilissimo:  pelle  abbronzata  . 
una  selva  di  capelli  castani,  e,  viceversa,  dei  baffi  ap- 
pena  marcati.  Veste  elegantemente,  ma  senza  pre- 
unzioni,  proprio  all'inglese,  e  il  suo  costume  non 
trasforma  nemmeno  quando  procede  agli  esperimen- 
ti   Porta  costantemente  i  guanti. 

Un  sorriso  di  soddisfazione  illuminava  il  volto 
di  Santos  Dumont  11  motore  aveva  corrisposto  a 
tutti  i  suoi  desideri:  ottusa  occasione  per  fargli 
noie  in  scopo  della  una  visita.  Egli  conversava  con 
il  suo  più  lido  amico  e  collaboratore,  Emmanuel 
V'unì'-,  che  dal  debutto  lo  ha   seguito  sino  ai  trionfi 

di  Parigi,  e  tuttora  lo  segue  cooperando  con  indo- 
nnii.ile  energia  alla  soluzione  del  grande  problema 
della   locomozione    aerea.    L'Alili  il    nome    del 

quale  ii""       nuovo  nella   Lettura  che   riferi  da   rivi- 


L'  INTERNO   DEI.   CANTIERE, 


La    «    POI  TRE    AK.M1.I.    >. 


i  _>  |  LA  LETTURA 

Me  [ualche  interessante  suo   articolo  — 

ha   senza  dubbio  una  competenza  speciale  in  mate- 
ria, <-d  intani  la  i  -,  n  ndo  erudite  o nfa 
snll                  >li  Santos  Dumonl 
sima                  -mula    appartenente    alla    famiglia 

lìirttlil 


esperienze,  innalzandomi  sopra  la  rada  di  \l  n 
l  .  sortite  si  ripeteranno  ogni  giorno,  lino  a  quando, 
avuta  la  conferma  del  perfetto  andamento  del  mio 
sistema,  mi  attenterò  a  traversare  il  Mediterraneo 
partendo  da  Monaco  e  coll'intenzione  dS  discendere 
in  Corsica.  Costruirò  allora  un   pallone   di  molto 


'; 


II.    PROF.     \ 


fu  il  trait  d'union  tra  il  vincitore  del  grand 
■  \t-  queste  pagine, 
lumonl   s    manifestò  subito  di  uni 
inabilità,  e  non   nascose  il  suo  gradim 
appreni  i  in    Italia  vi   fossi 

ai    suoi    lavori.    Mi 
aminare  la    /><>ttn  .   di  ogni 

mirabile  organismo  spiegandomi  la  costru 
unzionamento  ;  quindi  aggiunse: 

palli  ne,    io  tra    breve   ini/iiTo   K 


ggiori  proporzioni,  che  sarà   il   mio  numero  7.  e 

rirà  dai  precedenti  soltanto  nelle  dimensioni 

e  nella  potenzialità  del  motore.  Avrà  la  lunghezza 

di  4Q  metri,  ed   il  motore  sarà  di  45  cavalli. 
— ■  E    in  quanto  tempo  contate  di  compiere  la 

—  Se  non  mi  accadono  incidenti,  quattro  ore  sa- 
ranno sufficienti  pei  giungere  nell'isola.  Non  sono 
che  -'oo  chilometri  di  disianza.  In  man-  non  si  in- 
contrano ostacoli,  e  perciò   la  velocità  è  maggiore. 


SANTOS    DUMI  >\  l 


123 


Inoltre  le  ricerche  sull'equilibrio  e  sulla  direzione 
se >n< i  più  facili  che  in  terra,  dove  il  pallone  corre 
il  rischio  di  imbattersi  in  albe 

—  Ritenete  che  il  vosS  ma  possa  dare 
sempre  migliori   risultati  ? 

—  Il  mio  dirigibile,  attraverso  sei  successive  tra- 
sformazioni, è  divenuto  in  quattro  anni  un  modello 
semplice  e  razionale.  In  meno  di  un  mese  può  es- 
sere costruito  in  tutte  le  sue  parti.  Svolto  in  pro- 
porzioni più  considerevoli,  potrà  quanto  prima  es- 
sere  adottato,  come  tipo  di  pallone  militare,  da  1 1 

le  nazioni  del  mondo.  Attualmente  gli  stabilimenti 
militari  di  aerostatica  sono  ancora  al  pallone  frenato. 

—  E,   tornando  alle  vostre  esperienze,    perchè 


inapplicabile.  Sono  tutti    progetti  destinati   a  rima- 
ner sempre  tali.  Figuratevi,  che  per  mostrare  la  fi 
ma  del  suo  [-.aliene.  Deutsch  gon- 

fiarlo d'aria,  ed  a  sospenderlo,  senza  -ntro 

una  galleria   della  esposizione  d'automobili  a  Pa- 
rigi! Anche  a  Santos  Dumont  avevano  richiesto  di 
esporre  in  quella  galleria  il  numero  6  vinci: 
centomila  lire.   Sapete  cosa  egli    rispo  tal- 

mente così  : 

<i  —  hi  ne m  espongo  il  mio  elirigibile  che  in  piena 
aria.  Lascio  le  gallerie  agli   altri.    Ognuno    fa 
che  può  '.  » 

—  Accanto  al  pallone  di  Deutsch  —  contini 
me  —  sta  pure  immobile  la  navicella  del  pallone 


Santos  Dumosi 


H 


L  \    n  \\  [CELLA    DEL 


non    vi  dirigeie  con  l'aeronave  ad  una  delle  coste 
italiane? 

—  Io  vado  in  tutte  le  direzioni,  quando  esse  sia- 
ne i  utili    alle  mie  ricerche. 

Non  volli   occupare  più  oltre  il  tempo  pi 
del  gentile  e  simpatico  brasiliano  e,  ringraziandolo, 
pn 'seguii   con  Emmanuel   Aimé  —  del  pensiero  di 
Santos  Dumont  interprete  autorizzato  —  la  mia  con- 
versazione. 

—  Volete  voi  dirmi  cosa  pensate  degli  altri  si- 
stemi di  navigazione  aerea,  basantisi  su  principi 
fé  ne  lamentali,  diversi   da  quelli  che  l'amico  \ 

ha  preso  a  seguire? 

—  Non  ci  sono  altri  sistemi  seri  —  risposemi 
senza  incertezze  il  mio  interlocutore  —  che  differi- 

.<>  da  quello  di  Santos  Dumont.  Ciò  che  haniv> 
fatto  Severo,  Renard,  Roze  e  Deutsch  è   illogico   e 


del  colonnello  Renard.  Non  ha  fatto  un  solo  viag- 
gio da  15  anni,  e  il  pubblico  sorride  vedendo  questi 
due  sistemi  incapaci  di  affrontare  le  difficoltà  del- 
l'amie isfera. 

Ben  diverso  da  questi  aeronauti  ila  camera ,  co- 
me li  chiamano  a  Parigi,  Santos  Dumont  continua 
incessantemente  la  serie  «lei  sui  i  esperimenti,  sfi- 
dando i  venti.  L'estate  scorsa  lavorò  .1  Parigi,  e  il 
successo  ne  è  notoj  adesso  lavora  a  Monaco,  e 
prende  il  Mediterranée,  come  campo  delle  sue  eser- 
citazioni. 

—  Ma    pure .   osservai  ,    talune»   elegli   aeronauti 

che    avete   nominati,    sembra   si   venga  validamente 

preparando  al  granile  concorso  che,  |>el  corrente  an- 

stato   annunziato  a  Parigi. 

Se  nel  1902  si  terrà  in  Erancia  una  gara  ae- 

lonautica  :  <iT'd 


1  21) 


LA    II   III  R  \ 


■  li  prendervi  parte.   Unicamente  per     marciapiede,  grato  della  interessante  conversazione 
anizzaforì   ili   tuli-  concorso,     .il  brillante  scienziato. 
lu-  volevano  o  lantos  1  >umont  , 


"ila   lire  guadagnati  ,    •  bandirlo, 

ura  '!u-  egli  possa  ancora  riuscire  vincil 
il     letto  '-In'   Santos    Dumonl   si    dispone   a 


Santos  Dumont    si  trova  a   Monaco  dalla  metà 
rlrllci  so  tso  dicembri .  ed  è  ospite  del  duca  ili  Dino, 


li.  *  Santos  Di  .mon  i 


un  volume  pei  la  storia  delle  sue  ascen-     marchese  ili  Talleyrand 
sioni,  figlia  del  iluca  è  sposa 

Nulla   'li  più   inesatto.   Santos   Dumonl    non     ripe  ili  Poggio  Suasa, 
scrive  in  di   vi  lari  !  italiana  ili   Berna. 

I-    :  anche 

volta  il  volo  potrà 
i  iusciri     proficuo    pi  i     la 

Non      n.       dubito     al- 
latto.   Da    questo  mirabile 
teatro  ili   esperienze,    uni- 
co  al  niondo.    proti 
un    semieirr.  'lo   ili    monta 
gne.     il     giovine     inventore 

-i  spingerà  -ni  mate.    Egli 
non  si   prò  ccuperà  che  di 
itro    i    venti,    o 
ili   trarre  profitti  i  ili  11 

lilite  sulle   diver- 
tudini.    l'i  e  li 
oiio  nostri  nemici  , 

prendere,  divenire    i   nostri 

migli  iti.     lo    ho 

avuto  e     'li     s.-ri 

ià  .    ma   noti   sa- 

i  ile  il  ripeterlo  a  voi 

I   venti    sono   i  trot 

roulanti     dell 

i  he  ci  offrono  gra 

le   loro  piatta- 

i  >-,|    in 

I      infilai    anch'io  il  l'asi  i  NsioNi 


e  prìncipe  ili    l'érigord.  La 
a  di -n  Marn '  Ruspoli,  prin- 

.  rei  ario   alla    Legazione 

La  meraviglit  sa  villa  , 
In-  sorge  su  un'altura  di 
fronte  a  Montecarlo,  con- 
tornala da  grandiosi  pal- 
mizi, è  un  vero  museo  di 
I  ii/i'  se  rarità.  Due  co- 
lonne giapponesi .  le  uni- 
che potute  trasportare  in 
Europa  per  s]  eciale  eoo 
cessione  dell'  Imperatore 
lei  Giappone,  sorgono  al- 
l'ingresso. Nella  sala  d'ar- 
mi credo  che  pochis 
simi  potranno  vantarne 
'Ielle   simili  in  .tasi,    tra 

l'altro,  l'elmo  ili  Giovan- 
na d'Arco,  il  pugnale  di 
Cesare  Borgia,  le  armatu- 
re di  Carlo  V  e  ili  Fran- 
cesco I.  eil  una  lunga  fila 
■  li  elmi  degli  ammiragli 
lun-lii  caduti  a  Lepanto 
Ritratti   e  quadri    di   ine- 

31  un. il. ile   pregio,   e    ili  ogni 

sciiol. i.  adornano  le  pare- 
li delle  magnifiche  sale. 
\on  so  dimenticare  il  più 
bel  <  'risto  che  si  conosca 
ni  arie,  uscito  dal  pen 
nello  del  divino  Molares. 
Dovunque  una    profusione 


SANTOS    l'I  \\i  >\  I 


di  cose  d'altissimo  valore,  provenienti  dalle  più 
estreme  legioni,  e  distribuite  con  impareggiabile  gu- 
sto artistico. 

Il  duca   di   Dino,   oltre  essere   uno  dei   più    forti 
collezionisti  europei,  è  quanto  v'ha  di  maggiormente 
perfetto  nel  gran  mondo.  Visse  un  po'  dappertum 
studiando  i  costumi  dei  popoli,  e  fu  anche  snidalo 
valoroso. 

Alla  sua  villa,  davvero  regale,  salgono  ora  inces- 
santemente gli  ammiratori  di  Santos  Dumont,  in 
gran  parte  ricchi  americani,  recantisi  a  rendere  r> 
maggio  all'  intrepido  aeronauta.  Anzi  si  annunzia 
di  già  che  alcuni  grandi  yachis  americani,  segui- 
ranno, unitamente  alla  Princesse  Alice  del  Principe 
di  Monaco,    le  sensazionali  esperienze. 

La  stanza  da  letto  di  Santos  Dumont  è  semplice 
e  severa.  Sui  mobili,  unicamente  una  grande  I 


'27 

grafia  dell'ultimo  record  di  Parigi,  ed  il  ritratto  di 
Edison,  dedicato  «  al  re  degli  aeronauti  ».  Quei 
due  quadri  sono  gli  assidui  compagni  de'  suoi  sogni 
di  gloria  ! 

La  sovranità  sua  Santos  Dumoui  ora  in  prp 
cinto  di  affermarla  sul  mare  infinito:  in  alto,  in 
alto,  verso  il  sole.  Illumini  un  raggio  del  gra 
vivificatore  il  periglioso  cammino  dell'ardito  aereo 
esploratore,  e  gli  conceda  di  segnare  a  caratteri  don. 
sull'aerostato  che,  lungo  la  deliziosa  Costa  Azzur- 
ra, sorvolerà  tra  breve  sopra  il  Mediterraneo  tran- 
quillo, l'ambita  leggenda  Excelsiorl 

Principato  di   Monaco,  gennaio   1Q02. 


Edgardo  Gavi  uni. 


La  camera  di  Santos  Di  moni    nella  villa  Perigord. 


LA     LOC.GIA 


Su  la  loggia  deserta  alto  è  l'ini  rigo 

rossi  rami  :  e  sia  sotto  Fa  librate  io 
ella  come  se  quel  purpureo  laccio 
fosse  un  castigo. 

Bianca,  di  marmo.  E il  marmo  è  pur  talvolta 

d'una  giallezza  madida,  sì  come 
guancia/  premuto  da  le  fredde  chiome 
d'una  sepali  a. 

Che  il  lem  pò  rabescò  --cerili  paro/e 

tra  grado  e  grado:  e  ai  balaustri  snelli 
crebber  nel  sonno  pallidi  capelli 
di  vetriole. 

Autunno  fuma  languido  solt'essa 
maravigliosamente  addormentato  ; 
,    il  mare  è  calmo,  come  un  cuor  placato 
d'una  promessa. 

Tanto  calmo  che  sembrano  le  relè 
posar  leggere  tome  nubi  :  e  pare 
che  il  mar  sia  cielo,  e  il  del  slamare;  un  mari- 
sparso  di  -cele. 

Ani  unno,  è  questo  il  tuo  ultimo  spirto 
questo  che  esala  l'aria  <f argento, 
questo  che  reca  a  l'alia  loggia  il  --cento 
odor  di  mirto? 

Odor  di  rose  un  dì  Ilari  te  dai 

:  ili  manna  ;  odor  ili  dalie:  odore 
di  non   so  qual  misterioso  fiore 
morto,  che  amai? 

(>  non  delti  antichi  anni  essa  è  fragrai: 
quand' io  salivi^  a'  tuoi  rigidi  steli, 
lo-  irdavo  accendersi  nei  cieli 

la  mia  speranza? 


LA    I  OGGIA  I2d 

Quando  per  questi  gradi  Lidia  carezza 
di  passi:  lu  che  ad  incontrarmi  uscivi, 
o  in  questi  nata,  o  in  quai  dormente  clivi, 
mia  fanciullezza? 

UJLutunno  allora  anche  sognava  ai  piani, 
ma  non  coni  oggi  sconsolato:  era 
come  uno  specchio  della  Primavera 
nelle  sue  mani: 

né  sa  Ila  l'ombra  in  vortici  si  spessi 
verso  la  loggia,  né  ve  dea  sì  triste 
lume  di  stelle,  or  si  or  no  traviste 
dentro  i  cipressi. 

Poi  molti  Autunni  volsero,  di  tanti 

vespri  gravando  a  l'alta  loggia  il  peso  : 
molli  roghi  fiorir,  via  per  lo  acceso 
cielo,  amaranti; 

ed  io  qui  venni  e  ben  tu  meri  a  fianco 
o  Giovinezza,  e  sulla  fronte,  e  sulla 
bocca  io  sentivo  il  tuo,  bianca  fanciulla, 
zendado  bianco, 

leggero  ondare:  e  salivam  per  queste 
scale,  tra  i  bussi:  e  la  marmorea  spira 
fremer  parca  come  una  immensa  lira 
per  la  tua  veste. 

■  ih  !  quanto  tempo  !  E  tu  vai  tunge:  e  guardi 
pensosa:  e  a  tratti  taci/ a  ristai: 
ah  ben  tu  sai  che  il  Tempo  fugge;  sai 
ben  ch'ora  è  tardi : 

e  tra  non  molto  ti  vedrò  sparire 

tra  i  gialli  bussi,  con  tuo  pie  mortale 
scendendo  quelle  che  già  far  le  scale 
de  l'avvenire. 

E  solo  io  guarderò  gravar  l'intrigo 
dei  rossi  rami  :  e  nel  porpureo  laccio 
giacer  la  loggia,  come  se  l'abbraccio 
fosse  un  castigo: 

vedrò  F Autunno  vaporar;  sognare 
sogni  d'amante  tenero  e  fedele, 
e  il  ciel  sparso  di  nubi,  il  mar  di  vele 
candide  ombrare. 

(  Cosimi  i  Giorgieri  Contri. 

La  Lettura.  l' 


GLI    flLiI|VIE14TI    FALSIFICATI 


el  febbrile  lavorìo  dell'umano  intelletto  la 
scienza  che  in  questo  ultimo  periodo  di 
anni  ha  maggiormente  progredito,  è  cer- 
tamente la  chimica  ;  è  con  l'aiuto  di  questa  che  l'in- 
dustria ha  potuto  compiere  in  poco  tempo  passi  gi- 
ganteschi, raggiungendo  i  più  straordinari  ideali, 
portando  a  resultati  pratici  le  teorie  più  compli- 
che sembravano  astruse  soltanto  pochi  lu  tri 
or  sono.  Ben  la  definì  il  Davy  quando,  in  uno  slancio 
di  sublime  entusiasmo,  non  esitò  a  chiamarla  la 
ma  delFawenire,  appena  compiuti  gli  studi  sul- 
la composizione  dei  primi  elementi  organici.  Oggi 
tutto  il  movimento  delle  applicazioni  tecniche  s'im- 
pernia nella  chimica,  che  dà  ancora  tanto  e  tanto 
da  sperare  al  mondo  degli  studiosi. 

Mori  passa  giorno  senza  che  qualche  nuova  sco- 
perta arricchisca  il  già  non  piccolo  patrimonio  delle 
chimiche  discipline,  con  vantaggio  enorme  per  la 
in  stra  società. 

Purtroppo  al  lato  buono  di  questo  straordinario 
progredire,  contrasta  il  fatto  che  non  tutte  le  appli- 
cazioni recenti  si  rivolgono  a  nostro  beneficio,  al- 
cune di  esse  essendo  anzi  di  danno  alla  buona  fede 
del  commercio  ed  all'igiene. 

Nella  chimica  bromatologica,  in  quella  varietà 
della  scienza  che  si  occupa  delle  sostanze  alimentari, 
tale  inconveniente  è  più  rimarchevole.  Cercando,  scru- 
tando la  natura  degli  alimenti  si  è  potuto  stabilire 
la  loro  rom posizione  centesimale,  in  tal  modo  che 
riesce  facile  sostituire  l'artificiale  al  naturale  o  per 
lo  meno  trasformare  questo  in  guisa  che  la  parte 
prima  della   sostanza   sta  sola  a    rappresentarne  la 

1     1  •    i    i/ione.  Abbiane  i 
innumerevoli  falsificazioni  dei  vari  generi  commesti- 


bili che  oggi  invadono  i  nostri  mercati  in  una  pro- 
porzione veramente  allarmante. 

In  una  maniera  più  rudimentale,  la  falsificazione 
degli  alimenti  si  praticava  anche  nei  primi  secoli 
dell'era.  Troviamo  citati  negli  antichi  autori  editti 
emanati  per  reprimere  l'estendersi  della  frode.  Car- 
lo V,  nella  sua  famosa  ordinanza  conosciuta  col  no- 
me di  Carolina,  sanciva  la  pena  di  morte  a  quei  fal- 
sificatori recidivi  che  avessero  già  dato  luogo  a  ri- 
chiami e  che  mettessero  nelle  loro  frodi  tanta  ma- 
lizia da  renderne  difficile  il  riconoscimento. 

Man  mano  che  gli  studi  progredivano  si  perfe- 
zionava l'arte,  se  così  si  può  chiamare,  dei  disonesti 
negozianti,  tanto  da  rendersi  addirittura  indispen- 
sabile per  gli  Stati  il  garantirsi  contro  di  loro  con 
apposita   legislazione    sanitaria. 

Con  la  chimica  dunque  si  possono  compiere  le 
più  perfezionate  falsificazioni,  come  con  l'aiuto  di 
essa  si  hanno  tracciate  le  vie  per  riconoscerle  e  spe- 
cificarle. 

Facciamo  dunque,  cortesi  lettori,  un'escursione 
in  questo  campo,  escursione  che  non  può  non  riu- 
scire vantaggiosa  alla  vostra  salute  ed  anche  alla 
vostra  borsa. 

I_e  farine. 

Le  farine  ed  il  vino,  come  gli  alimenti  di  uso  co- 
mune, sono  stati  i  prodotti  intorno  ai  quali  mag- 
giormente si  è  sbizzarrita  la  fantasia  dei  disonesti 
speculatori. 

Avere  nella  panificazione  un  maggiore  prodotto 
con  minore  quantità  di  farina,  ecco  lo  scopo  che  t'itti 
i  fornai  di  questo  povero  mondo  cercano  raggiun- 
gere con  ogni  mezzo.  E  ci  riescono  con  sufficiente  sue- 


.1    ALIMENTI    IWI.SIIh    \  I 


i3i 


cesso  !  Incorporando  nella  massa  una  materia  che 
rattenga  in  forte  dose  l'acqua  e  che  costi  poco,  si 
raggiunge  l'intento;  la  fecola  di  patata  sembra  fatta 

apposta.  E'  nullo  il  suo  valore  nutritivo,  ma  qt 

poco  vuol  dire,  è  pure  nullo  il  suo  costo  !  Alla  pani 
Reazione  si  ha  un  bel  prodotto  bianco,  spugnoso  e 
che  soddisfa,  se  non  lo  stomaco,  certo  l'occhio  del 
compratore.  Uno  crede  di  mangiare  cento  grammi 
di  materia  azotata,  mentre  non  fa  che  introdurre  nel 
suo  organismo  soltanto  il  venti  di  questa  e  l'ottanta 
per  cento  di  acqua,  non  sempre  pura.  Anche  la 
frode  nel  peso  è  oggi  delle  più  comuni,  mettendo 
nell'impasto  delle  sostanze  minerali  ;  e  qui  si  può  li- 
beramente scegliere  dalla  sabbia  allo  spato  pesan- 
te ,  si  riesce  ad  aumentare  il  peso  in  una  maniera 
perfetta.  Le  ceneri  di  un  buon  pane  non  dovrebbero 
passare  la  percentuale  del  due  ;  nella  mia  pratica 
ne  ho  trovati  di  quelli  che  arrivano  ad  averne 
perfino  il  15  per  cento.  Una  vera  ingestione  ter- 
restre ! 

Si  sente  sgrigiolare  sotto  la  pressione  dei  rienti, 
ma  non  ci  si  bada  più  che  tanto,  ed  il  fornaio  dà 
commissioni  di  grosse  partite  di  caolino  —  come  se 
dovesse  fabbricare  delle  porcellane  invece  che  del 


pane  ! 


Il  vino. 


Il  povero  prodotto  della  vite  è  in  generale  ridotto 
in  cosi  cattive  condizioni  che  si  stenta  a  riconoscerlo. 
Il  meno  che  gli  possa  capitare  è  di  essere  battezzato. 
Non  crediate  che  le  frodi  nel  vino  siano  un  por- 
tato della  nostra  civiltà,  no;  anche  in  antico  la 
pratica  dell'annacquamento  fu  esercitata  su  vastis- 
sima scala.  Questa  bevanda  si  fabbrica  anche  con 
sostanze  estranee,  e  resterà  caratteristico  il  consi- 
glio dato  da  un  oste  ai  propri  figli  che  aveva  chia- 
mati intorno  al  suo  letto  di  morte:  «  Ricordatevi, 
figli  miei,  che  con  tutto  si  può  fare  il  vino,  perfino 
con  l'uva  ». 

Se  comperando  un  vino  credete  di  alimentare  il 
vostro  sistema  nervoso  con  un  liquido  che  contenga 
il  12  per  cento  di  alcool,  come  vi  è  stato  garan- 
tito, sbaglierete  di  grosso;  sarà  molto  se  la  propor- 
zione si  mantiene  ad  un  terzo  dell'indicata. 

Dando  acqua  in  larga  dose,  occorre  correggere  il 
colore  smorto  che  la  bevanda  acquista,  eri  erro  sor- 
gere la  necessità  della  colorazione  artificiale.  Le  ma- 
terie adatte  allo  scopo  le  forniscono  tutti  e  tre  i 
regni  della  natura  ;  la  speculazione  le  ricava  con  suo 
maggiore  profitto  da  quello  minerale  servendosi  dei 
colori  derivati  dalla  distillazione  del  catrame.  Avete 
mai  fatta  osservazione  al  bel  colore  rosso  splen- 
dente dell'inchiostro  che  sta  nel  calamaio  sulla  vo- 
stra scrivania  ?  Quell'inchiostro  è  una  soluzione  di 
anilina  ;  ebbene  essa  può,  al  momento  opportuno, 
essere  mescolata  ad  un  vino  scolorito  e  dargli  cosi 
la  vivacità  voluta.  Ci  pensate  un  po'  il  vostro  sto- 
maco ridotto  alle  funzioni  di  calamaio  ? 

Il  colore  non  sempre  basta;  talvolta  il  vino  mi- 
naccia di  alterarsi  ed  allora  una  buona  dose  di  aci- 
do solforico  gli  prolunga  la  travagliata  esistenza, 
aspettando  il  giorno  in  cui  verrà  a  corrodere  i  no- 
stri intestini. 


Per  la  conservazione  si  pone  pure  in  pratica  la 
gessatura.  Si  effettua  aggiungendo  del  solfato  di 
calcio;  si  ritiene  oggi  dovere  ascrivere  ari  una  vera 
solisi  ideazione  questa  correzione,  tanto  più  che  non 
è  improbabile  che  il  detto  sale  sia  dannoso  all'eco- 
nomia animale.  La  nostra  legge  sanitari, 1  determina 
le  modalità  della  gessatura. 

Il  vino  è  suscettibile  di  altre  numerose  metamor- 
fosi; ne  ho  analizzato  un  campione  fabbricato  di 
sana  pianta.  Eppure  sul  collo  del  fiasco  era  tanto 
di  etichetta  che  affermava  la  sua  legittima  prove- 
nienza da  una  delle  più  reputate  fattorie  della  To- 
scana !  Molti  aggiungono  al  liquido  dell'acido  sa- 
licilico, e  ciò  allo  scopo  di  non  permettere  ulteriori 
fermentazioni  ;  la  dose  di  quest'aggiunta  è  così  -te- 
nue da  non  preoccupare  l'igienista,  come  è  assai 
raro  il  caso  di  presenza  di  saccarina,  principio  dol- 
cificante la  cui  fabbricazione,  del  resto,  è  oggi  tute- 
lata ria  un'apposita  legge. 

Un  commerciante  di  Troyes  comunica  alla  Rivi- 
sta vinicola  un  processo  sperimentale  semplice  ed 
utilissimo  per  conoscere  subito  la  natura  dei  vini. 
Tutto  l'apparecchio  consiste  in  un  pezzo  di  carta  mar- 
tellata. «  Io  impiego,  dice  il  Guny,  un  sistema  faci- 
lissimo per  fare  l'analisi  del  vino.  Si  accosta  al 
vero  con  approssimazione  ;  ma  in  caso  urgente  nelle 
cantine,  dove  assai  spesso  non  si  possono  tenere  ap- 
parecchi voluminosi  e  ove  manca  il  personale  tec- 
nico, può  rendere  dei  buoni  servizi.  Di  più  non  si 
possono  analizzare  tante  qualità  di  vino  quante  se 
ne  comprano  in  una  giornata,  e  dedicare  a  ciascuna 
un  quarto  d'ora  per  l'analisi  almeno.  Con  questo 
sistema,  in  meno  di  un  minuto,  si  ottiene  il  medesi- 
mo resultato.  Porto  meco  della  carta  martellata  e 
spessa.  Lascio  cadere  una  sola  goccia  del  vino  da 
saggiare  sulla  carta;  una  cosa  si  produce.  In  prin- 
cipio più  il  vino  è  alcoolico  e  meno  egli  avrà  for- 
mato un  circolo  bianco  attorno  alla  nascente  mac- 
chia verde,  e  ciò  si  comprende  dato  l'assorbimento 
della  carta.  Questa,  per  capillarità,  presenta  nel 
suo  circolo  bianco  tutta  la  materia  fluida  del  vino, 
e  lascia,  nel  circolo  interno,  la  parte  solida  che  si 
compone  di  estratto  secco,  tannino,  materie  colo- 
ranti, ecc.  Questo  per  l'alcool.  Adesso,  per  quello 
che  riguarda  il  colore,  bisogna,  onde  garantire  l'as- 
senza di  materie  coloranti  estranee,  che  il  cerchio 
esterno  sia  rimasto  bianco.  Il  cerchio  interno  deve 
essere  verde-bottiglia  più  o  meno  carico  in  propor- 
zione del  colore  naturale.  Per  le  materie  solide, 
esaminando  la  carta,  potrete  rimarcare  che  il  cerchio 
interno  è  verde  ;  ponetela  contro  la  luce  e  guarda- 
tevi attraverso:  più  il  vino  abbonderà  in  estratto 
secco  e  maggiore  sarà  il  deposito  lasciato  sulla 
carta  ». 

Il    latte. 

Il  latte  è  l'alimento  più  perfetto  del  quale  l'uomo 
disponga.  Sostanza  ricca  di  principi  attivi,  si  può 
considerare  come  completamente  naturale,  o  meglio 
si  potrebbe,  perchè  anche  per  il  latte  l'adulterazione 
si  esercita  in  maniera  veramente  inquietante.  Di- 
sgraziatamente vi  è  spesso  una  grande  differenza  fra 
la  composizione  del  latte  normale  e  quella  dei  prò- 


[32 


LA    LETTURA 


Molto   'ii   rado   si  ha 
he  un   latte  puro  e  intiero.   I 

come  fai  'l'ag- 

giunta dell'acqua  e  che  assai  raramente  si  fa  uso 
di  al  anche  ammettendo   la    potabilità 

dell'acqua,  pure  quest'addizione  ha  tutto  il  carattere 
lidi.  diminuisce  il  valore  alimen- 

tare del  prodi  rve  ■>  compensare  1"  screma- 

mento  avvenuto. 

Il  burri >  si  trova  in  sospensione  nel  latte;  ora 
quest  i  -  iati  ri  i  lciss.i  ,'•  più  leggera  del  liquido  nel 
quali  col  riposo  i   globuli   si  separano  ve- 

nendo alla  superficie  e  formando  la  crema  che  con- 
tiene circa   il  40  o/o  di  grasso.  I  negozianti  tolgono 
abitualmente  tale  prodotto  e  smerciano  il   latte  di 
ne  iutiero. 

La  densità  elei  liquido  viene  però  ad  essere  note- 
volmente  diminuita  ed  il  densimetro  rivelerebbe  la 
frode.  Allora  che  cosa  si  fa5  Si  cerca  con  l'aggiunta 
di  sostanze  estranee  compensare  l'abbassamento  e 
si  ricorre,  per  raggiungere  lo  scopo,  ad  emulsioni 
nte  ed  oli 

j 'erato  anche  il  cervello  di  montone. 
Per  impedire  il  sollecito  inacidimento  si  aggiun- 
gono: carbonati  alcalini,  ammoniaca,  borace,  sali- 
cilato sodico  e  benzoato  di  sodio,  Uacido  salicilico, 
il  benzoato,  e  ag  ono  come  antisettici  e  antifer- 
mentativi ;  essi  producono  però  un'azione  locale  ir- 
ritante e  quindi  il  loro  uso  sarà  sempre  da  condan- 
narsi. L'aggiunta  di  carbonato  sodico,  fatta  in  giu- 
sti limiti,  è  innocua. 

La  quantità  massima  tollerabile  è  di  grammi  1  1/2 
per  litro  Molte  volte  per  ritardare  l'inacidimento, 
non  volendo  ricorrere  ad  aggiunte  di  sali,  si  usa 
bollirlo  :  questa  non  è  una  frode,  ma  si  può  anzi 
considerare  come  una  cautela  igienica,  purché  il 
rivenditore  sia  tanto  onesto  da  non  fornire  latte 
munto  ila  qualche  tempo. 

Per  impedire  l'annacquamento  si  sono  dai  Co- 
muni emanate  una  quantità  di  disposizioni,  ma  tutto 
è  risultato  inutile;  il  contadino  prima,  il  lattaio 
dopo,  hanno  l'assi. luto  bisogno  di  allungare  con  l'ac- 
qua il  pi  Ila  mungitura;  figuratevi  che  in 
il  pregiudizio  che  non  annacquando  il 
ono  i  coloni,  si  sdegna  ed  il 
suo  petto  rimane  sterile! 

Il  burro  e  il  formaggio. 

Il  burro  è  uno  dei  prodotti  alimentari  che  si  fai 
si  fica  con  m,^.  [iienza.  La  frode  più  comune 

è  quella  i  ite  nel  sostituire  al  burro  di  latte. 

in  tutto  o  in  parte,  un  altro  grasso  qualunque  ed  in 
particolare  modo  la  margarina.  Mège-Mouriès  nel 
1870  trovò  questo  surrogato  estraendolo  dal  grasso 
di  line,  sbarazzato  dal  sangue  e  dai  tessuti  aderenti. 
La  prim  la  s'impiantò  a   Pa- 

rigi e  da  questa  ne  vennero,  in  breve  volgere  di  anni, 
altre  numerosissime  in  tutti  gli   Stati  del  mondo.  1 
sol.i  I  1000  ne  produsse  per  28  milioni 

di    '  'ili    Stati    Uniti    ne  esportarono    per   20 

milioni  di  lil il  '  mi- 

:  industria   prendeva   piede, 
can'  linuire  il  prezz  udita 


modificando  il  primitivo  processo,  e  sostituendo  al 
odi  bue,  diversi  grassi  animali  o  vegetali,  quali 
l'olio  di  arachide,  il  burro  di  cocco,  l'olio  di  coto- 
ne,  ecc.    Per   Coli  rare  il    burro   artificiale   si  è  fatto 
uso  del  legno  giallo,  del  succo  di  carota,  dello  zaf- 
:  anche  di  materie  gialle  coloranti  derivate 
dal    catrame,    sale    alca/ino  del   dimtrocresolo,  che 
0  un  notevole  potere  tos 

Astrazione  fatta  dall'impiego  di  sostanze  vele- 
nose nella  fabbricazione  della  margarina,  è  neces- 
sario considerare  quale  influenza  ha  essa  sulla  pub 
blica  salute.  Questo  prodotto  può  rimpiazzare  il 
burro  nell'alimentazione?  Il  Consiglio  di  Salute 
dilla  Senna  incaricò,  l'ino  dal  primo  apparire  sul 
mercato  della  margarina,  Doudet.  di  studiare  circa 
gli  effetti  fisiologici  che  il  nuovo  surrogato  poteva 
apportare.  Lo  scienziato  francese  dichiarò  che  la  mar- 
garina del  Mège  era  di  sapore  gradevole,  di  buona 
qualità,  infine  che  per  le  piccole  borse  poteva  benis- 
simo sostituire  il  burro  di  latte.  Il  Consiglio  ne  au- 
torizzò la  vendita  a  condizione  che  non  fosse  smer- 
ciata sotto  il  nome  di  burro.  Qualche  anno  dopo, 
l'Accademia  di  medicina,  essendo  stata  consultata 
dal  ministro  dell'interno  francese,  nominò  una  Com- 
missione di  tre  membri  per  studiare  l'argomento, 
ed  il  responso  di  questa  non  fu  molto  favorevole  al- 
l'industria che  nasceva.  Certi  accademici  ,  basan- 
di  si  sopra  considerazioni  teoriche,  emisero  il  parere 
che  la  margarina  dovevasi  emulsionare  difficilmente 
e  che  non  fosse  facilmente  digeribile.  Il  Mayer  com- 
battè vittoriosamente  quest'argomentazione  con  nu- 
merose esperienze,  e  con  lui  illustri  medici  america- 
ni, inglesi  e  tedeschi  nel  seguire  degli  anni,  prova- 
rono che  la  margarina  ottenuta  razionalmente  e  da 
buona  materia  prima  non  può  recare  nocumento  al- 
l'eCOni  'tuia    animale. 

E'  ]  ero  sempre  sottinteso  che  si  tratti  di  un  pro- 
dotto di  prima  qualità  e  non  ricavato  da  un  grasso 
qualunque.  NTell'esporre  il  suo  processo,  Mège  insi- 
a  sul  fatto  che  il  grasso  da  servire  alla  lavora- 
zione fosse  fornito  da  animali  provenienti  dai  pub- 
blici macelli  e  bene  osservati,  prima  dell'abbatti- 
mento, da  esperti  veterinari.  Ora,  allo  scopo  di  fare 
concorrenza,  ceni  produttori,  come  ho  già  detto, 
traggono  profitto  da  ogni  sorta  di  grasso  non  curan- 
done la  provenienza,  e  si  hanno  così  margarine  che 
portano  seco  i  germi  di  una  notevole  categoria  di 
malattie  d'infezione,  non  bastando  la  temperatura 
usata  nella  fabbricazione  a  distruggere  i  bacteri  ed 
i  microrganismi  che  si  trovano  nei  tessuti. 

Risulta  dunque  evidente  che  l'autorità  ha  l'ob- 
bligo di  tutelare  quest'industria,  oltre  che  per  il  lato 
igienico  anehe  per  quello  economico,  rispetto  ai  con- 
sumatori, perchè  non  è  giusto  che  si  faivia  pagare 
per  burro  un  prodotto  che  non  ha  le  qualità  di 
lindo  e  che  gli  sta  molto  al  disotto  per  prezzo  e 
1  er   sapore. 

In    Italia    abbiamo    la    legge  del   luglio   iSg.)   che 
ila  la  materia,  e  la  sua  applicazione  ha  dato  bui 

lussimi    risultati,   circoscrivendo   di    mollo   la    fi 
Il    formaggio  si  ha  dal  coagulamento  di  latte  in- 
0   parzià  innato,   riunendo   il 

-    facendone  dei  pani  di  varie  forme  e  dimensioni, 


GLI     ALIMENTI    I  A.LSI1  h  ATI 


[33 


che,  a  seconda  della  qualità,  si  consumano  suini 
oppure  dopo  avere  soggiaciuto  ad  una  lunga  matu- 
razione. Lo  compongono  quindi  i  medesimi  prin- 
cipi del  latte  in  vario  modo  modificati.  Sono  in  mag- 
gioranza nel  cacio  le  sostanze  albuminoidi,  e  si  han- 
no poi  il  grasso  ed  i  sali  minerali.  A  parità  di  peso 
e  di  volume,  il  formaggio  ha  un  potere  nutritivo 
assai  superiore  a  quello  della  carne. 

Il  cacio  si  falsifica  con  aggiunta  di  sostanze  or- 
ganiche, amido,  fecola,  ecc.  ;  si  falsifica  pure  toglien- 
do prima  al  latte,  che  deve  servire  alla  fabbricazione, 
tutto  il  burro  che  contiene  sostituendolo  con  grassi 
estranei,  compresa  la  margarina.  Si  addiziona  inol- 
tre con  sostanze  minerali  come:  dreta,  spato  pesan- 
te, sali  di  piombo,  ecc.  Del  resto  è  impossibile  ci- 
tare tutte  le  falsificazioni  che  già  si  sono  fatte,  si 
fanno  e  seguiteranno  a  farsi  sul  cacio,  perchè  con- 
tinuamente se  ne  scoprono  delle  nuove.  Ad  esempio, 
alcune  specialità  tedesche,  affinchè  affrettino  la  ma- 
turazione o  meglio  per  dare  loro  precocemente  l'a- 
spetto della  putrefazione,  vengono  sottoposte  ad  un 
trattamento  di  sali  di  rame. 

Non  parliamo  poi  del  come  poco  pulitamente  si 
fabbricano  i  formaggi  ;  l'igiene  non  ci  guadagnereb- 
be davvero.  Basti  dire  che,  sempre  per  migliorare  la 
specie,  si  è  ricorso  perfino,  secondo  Halle,  all'im- 
mersione  delle  forme  nell'orina  umana  ! 

L'olio  di  oliva,  il  più  usato  nell'economia  dome- 
stica, si  falsifica  aggiungendovi  dell'olio  di  cotone, 
di  sesamo  o  di  arachide.  Qui  si  tratta  piuttosto  di 
una  frode  commerciale  che  di  un'adulterazione  nel 
senso  igienico  della  parola. 

L,'  alcool. 

Lo  straordinario  sviluppo  che  ha  preso  ai  giorni 
nostri  Palcoolismo  ed  i  tristi  effetti  che  esso  pro- 
duce, rendono  lo  studio  delle  bevande  spiritose  della 
massima  importanza  per  l'igienista. 

L'ubbriachezza  è  quasi  vecchia  come  il  mondo,  — 
la  storia  di  Noè  ce  lo  insegna,  —  ma  la  piaga  dell' al- 
coolismo  data  da  circa  ottanta  anni.  Descritta  per 
il  primo  nel  1852  da  un  medico  svedese,  Huss,  que- 
sta malattia  è  il  risultato  della  moderna  scoperta 
della  distillazione  degli  alcools  industriali,  ricavati 
dalle  patate,  dal  mais,  dalle  barbabietole,  ecc.  Per 
molto  tempo  ci  si  è  contentati  di  bere  il  vino,  la 
birra,  il  sidro,  ecc.,  o  al  più  dell'alcool  ricavato  dal 
vino  e  quindi  l'alcoolismo  non  si  è  manifestato  che 
ai  primi  del  secolo  scorso. 

Oggi  l'ubbriacarsi  non  soddisfa  più  il  parassita; 
egli  vuole  stordirsi  nel  minor  tempo  possibile  e  con 
minima  spesa,  ed  all'antica  giocosa  ebbrezza,  s<  ini  1 
succedute  le  ingiurie,  le  violenze  e  i  delitti.  La  qua- 
lifica di  acquavite  dovrebbe  con  maggiore  proprietà 
mutarsi  in  quella  di  acqua  della  morte. 

Quale  è  dunque  la  causa  di  un  simile  cambia 
mento?  E'  presto  detta:  mentre  prima  si  ricavava 
l'acquavite  dalla  distillazione  del  solo  vino  e  lo 
spirito  non  produce,  in  piccola  dose,  che  disturbi 
passeggeri,  senza  lesioni  alla  massa  cerebrale, 
invece  tutti  i  bars  di  questo  mondo  vendono  bevande 
confezionate  con  spiriti  di  tutte  le  provenienze,  ric- 
chi di  una  forte  percentuale  d'impurità- 


Imi  verso  il  1824  che  si  cominciò  a  distillare  il 
grano,  nel  1840  si  estrasse  alcool  dalla  barbabie- 
tola, e  nel  1855  sorsero  le  prime  distillerie  che  usa- 
vano come  materia  prima  il  riso,  il  mais  ed  altre 
sostanze  farinacee.  Girard,  in  una  comunicazione 
fatta  all'Accademia  (1895),  dimostro  come  la  fab- 
bricazione  dello  spirito  di  vino  sia  diminuita  in 
Francia  di  700,000  ettolitri,  mentre  che  quella  dello 
spirito  ottenuto  dai  cereali  avesse  raggiunta  la  ci- 
fra di  [,943,602  ettolitri.  In  Austria-Ungheria  si 
fabbrica  generalmente  alcool  di  barbabietola.  La 
distillazione  del  grano  ci  è  stata  insegnata  dagli 
Stati  Uniti. 

Tutte  le  bevande  spiritose  consumate  ai  giorni 
nostri,  compresi  alcune  volte  i  vini,  contengono  de- 
gli alcools  preparati  dall'industria,  e  che  differisco- 
no assai  dal  punto  di  vista  della  loro  origine,  della 
loro  composizione  chimica,  delle  proprietà  fisiche  e 
soprattutto  per  l'azione  che  esercitano  sul  corpo  u- 
mano.  La  forma  più  propizia  a  mascherare  gli  al- 
cools impuri,  è  quella  dei  liquori  che  si  vendono 
sotto  la  qualifica  di  stomatici,  digestivi  e  nei  quali 
delle  sostanze  aromatiche  e  zuccherine  mascherano 
il  cattivo  gusto  originale,  ed  espongono  i  consuma- 
tori a  tutti  i  danni  dell'avvelenamento. 

Il  principio  tossico  proviene  da  una  cattiva  retti- 
ficazione. Allorché  si  è  ottenuto  I'alcools  dai  cereali, 
assai  spesso  non  se  ne  cura  con  la  voluta  ocula- 
tezza la  purificazione,  in  maniera  che  il  prodotto 
contiene  ancora  buona  quantità  di  aldeide.  E'  que- 
sto un  principio  eminentemente  nocivo.  Essa  pro- 
duce, in  deboli  dosi,  un  effetto  irritante  sugli  or- 
gani respiratori,  dà  origine  a  vertigine  ed  a  soffo- 
cazione ;  il  Prerie  paragona  la  sua  azione  a  quella 
dell'acido  solforoso.  Accade  sovente  che  l'aldeide  si 
decompone  dando  luogo  Gaettone,  veleno  potente, 
a  dell'etere,  ad  un  olio  essenziale  e  a  dei  prodotti 
pepati  dei  quali  una  millesima  parte  basta  per  fare 
prendere  all'alcool  quel  sapore  mordente  così  accetto 
ai  vecchi  bevitori.  Il  cognac  ,  il  rhum  ,  il  gin  ,  il 
kirsch,  il  maraschino,  ecc.,  preparati  da  prima  di- 
stillando i  prodotti  della  fermentazione  della  canna 
da  zucchero,  delle  ciliege,  delle  pesche  di  Dalma- 
zia, ecc.,  si  ottengono,  oggi,  aggiungendo  agli  al- 
cools industriali  dell'essenza  di  cognac  .  di  rhum  , 
di  kirsch,  ecc.,  che  non  hanno  altro  scopo  che  quello 
di  mascherare  il  cattivo  gusto  dell'alcool  adoperato 
e  di  facilitare  la  frode. 

E'  interessante  di  esaminare  ciò  che  sono  in  realtà 
queste  diverse  essenze  artificiali.  In  generale  si  trat- 
ta di  composti  chimici  tossici  che  somigliano  in  mo- 
do  maraviglioso  ai  prodotti  naturali  tanto  nel  gusto 
come  all'odore.  L'essenza  dì  cognac  si  può  avere  trat- 
tando con  l'acqua  forte  il  burro  ili  cocco  ed  eteriz- 
1  gli  acidi  grassi  ottenuti  ;  quella  «li  rhum  si  ha 
col    /  d'etile,  ed  anche  distillando   un  mi- 

scuglio di  amido,  di   perossido   di  manganese  e  di 

Il  kirsch  ed  il  marosi  hino  si  fabbricano  mediante 
un  aroma  composto  di  benzo-nitrito  e  di  aldeide-ben- 
zoica,  sostanza    nociva    che  produce  degli    accidenti 
nlsivi    tetaniformi     I    pretesi    operativi,  che   il 
Trousseati  qualifica  1  ome  le  '  sto- 


\.l\  l  \    LETTI  R  \ 

bj..,   tutti  i  bitta  amori  di  tutte  le 

specie,  aldini   dei  quali  in  forza  ili  una  grandi 
dame  godono  estimazione  generale,   non    riescono 
meno  rune:       l   '   maggior  parte  sono  confezionati 
con  artificiali,  \'ald>  r,   il  salici- 

lato Farò  uni. ne  infine  che  sono  ap- 

punto quelle  pi  rsone  che  fanno  grande  uso  di  que- 
sti- I  he  hanno  minore  appetita 

e  dei  liquori  si  fa  in  generale  con 
matei  riti  del    catrame,   alcune  delle  quali 

bite  quindi  dalla  nostra  legge  sa- 
nitaria 

Le  droghe. 

•  un  pranzo  succolento  una  buona  tazza   di 
caffè  t    sempre  accetta;  difficilmente  però  si  ha  la 
ezza  che    l'infuso  che  s'ingerisce  sia   prodotto 
dalla  coffea  ara 

Nel  ma  i  numero  dei  casi  quel  liquido  nera- 
stro che  appaga  il  vostro  occhio,  non  è  che  il  risul- 
tato soluzione  di  strane  materie  organiche, 
nella  loro  natura  di  a  ben  diverso  scopo  da 
quello  al  quale  sono  costrette  dall'ingordigia  di  lu- 
cro dì  alenili    droghieri. 

In  generale,  il  caffè  viene  venduto  sotto  qui  sta 
tre  forme:  in  grano  e  crudo,  in  grano  e  torrefatto 
e  macinato.  Le  falsificazioni  trovano  più  spesso 
la  loro  applicazione  nel  caffè  in  polvere.  Un'infinità 
di  semi,  di  radici,  di  frutti  secchi,  è  stata  adope- 
rata per  mescolare  col  vero  caffè.  Il  migliore  con- 
siglio che  si  possa  dare  è  quello  di  fare  acquisto 
del  caffè  in  chicchi,  per  quanto  anche  sotto  questo 
aspetto  11  :  da  stare  molto  tranquilli,  essen- 

dosi l  illiriche  che  producevano  caffè  arti- 

ficiale, fatto  cioè  cui  terra,  materia  colorante,  ecc. 
Or  sono  alcuni  mesi  a  Granata,  in  Spagna,  l'auto 
rità  potè  scovare  una  di  queste  fabbriche  che  aveva 
messo  il  suo  nido  in  un  vecchio  palazzo  diroccato  e 
che  tutti  credevano  deserto  Là,  nottetempo,  si  da- 
va convegno  una  diecina  di  operai  i  quali  con  ap- 
posite marchine,  acquistate  in  Germania,  per  la 
somma  di  lire  sessantamila  .  fabbricavano  il  caffè 
artificiale.  All'analisi  il  prodotto  si  presentò  com- 
posto di  coria,  fichi  abbrustoliti  e  materia 
colorante  adattata. 

Il  lato  si    falsifica   o m  aggiunta  di  buo  ie 

di  cacao  tostate,  di  mandorle  dolci,  ghiande,  gomma, 
destrina,  zucchero  scadente,  balsamo  del  Perii,  ter- 
ra, ecc. 

Arn  lm  il  pepe  è  soggetto  a  continue  falsificazioni. 
Esse  si  esercitano  in  modo  particolare  sul  pepe  ma- 
cinai -  pertanto  ottenuto  pepe  artificiale  in 
grani  adoperando  una  pasta  composta  di  farina  e 
di  una  materia  attiva  qualunque:  pimento,  pire- 
tro, eo  !  '-  fals  Reazioni  del  pepe  marinato,  segna- 
late da  diversi  autori,  sono  numerose:  ne  darò  una 
breve  enumerazione  :  vi  si  mescolano  differenti  spe- 

i       ie,  di  cereali  e  di  legumi' 
materie  minerali  diverse,  polvere  di  noccioli  di  n'iva 
o  di  datteri,  gambi  di  pepe,  polvere  di  focaccie  ot- 
tenute dalla  compressione  di   semi  oleosi,  gusci  di 
di  lauro. 

:  i  nte  qui  ste  differenti 


falsificazioni,  molte  delle  quali,  del  lesto,  non  si  sono 
trovate  che  una  sola  volta;  mi  limiterò  a  considerare 

quelle  che  ho  avuto  occasione  di  constatare  nella 
mia  pratica   di   laboratorio. 

I  e  materie  minerali  (sabbia,  terra)  si  riscontrano 
assai    spesso  nel  |  epe  nero  ed  esse  sono  sovente  la 
consegui  n/a  dell'aggiunta   dei   detriti  della   macina- 
prima  della   sostanza 

La  fecola  di  palate  serve  per  falsificale  il  pepe 
In. meo.  Per  vendere  il  pepe  in  grani  è  neces* 
liberare  questi  da  tutte  le  scorie  inutili,  e  tali  ca- 
scami vengono  poi  utilizzati  nella  macinazione  del 
pepe  in  polvere.  l>a  che  cosa  essi  sono  costituiti? 
Dai  detriti  dei  peduncoli,  dalle  scorie  del  |>epe  e  da 
molta  quantità  di  sostanze  minerali  provenienti  dalla 
raccolta  (20.   25  o  o). 

I    detriti   si  vei  I   resto  separatamente  ed 

hanno  un  prezzo  che  varia  da  35  a  40  franchi  per 
chilogrammo.  La  così  detta  poivreltc  non  è  altroché 
farina  ottenuta  da  un  debole  arrostimento  e  suc- 
cessiva macinatura  dei  noccioli  di  oliva.  Il  prodotto 
così  ottenuto  imita  il  pepe  in  modo  veramente  per- 
fetto. Il  suo  impiego  è  assai  rimuneratore  perchè 
la  foivrette  costa  da  io  a  15  franchi  il  chilogrammo, 
in  maniera  che  aggiungendone  solamente  il  io  o/o 
al  prodotto  naturale,  che  vale  200  franchi,  per  e- 
sempio,  si  arriva  a  farne  discendere  il  prezzo  di 
rivendita  a  sole  lire  183.  Sul  pepe  bianco  il  beneficio 
è  ancora    maggiore. 

I  utte  le  droghe  subiscono  la  sorte  del  pepe.  Esse 
vengono  spietatamente  trasformate  dai  disonesti 
speculatori.  Per  lo  zafferano,  pianta  relativamente 
cara,  la  fri  de  si  è  specializzata.  Si  sono  trovati  cam- 
pioni di  zafferano  che  di  questa  sostanza  non  ave- 
vano che  il  nome:  il  prezioso  vegetale  era  sostituito 
con  parti  di  altre  piante,  coi  fiori  colorati  artificial- 
mente della  calendula  officinalis,  con  quelli  del  car- 
f/iamus  triictarius,  ecc.  Si  è  pure  praticata  la  frode 
di  estrarre  lo  zafferano  buono  con  alcool,  e  di  ridar- 
gli quindi  il  colore  con  prodotti  del  catrame;  per 
aumentare  il  peso  lo  si  suole  inumidire  con  sciroppi, 
con  gelatine  e  vi  mescolano  infine  anche  sostanze 
minerali. 

II  the  si  falsifica  tanto  nei  luoghi  di  produzione 
come  nei  mercati  europei  dove  si  smercia.  Le  falsi- 
ficazioni principali  alle  quali  è  soggetto  sono  le  se- 
guenti: per  fargli  assumere  un  aspetto  più  attraen- 
te, si  colorisce  artificialmente  mascherando  cosi  l'ag- 
giunta di  materie  estranee.  11  colore  si  dà  con  una 
delle  sostanze  seguenti:  gesso,  bleu  di  Prussia,  cur- 
cuma polverizzata,  cromato  0  bicromato  1 
indaco  e  sali  di  rame.  La  frode  maggiore  si  compie 
però  mescolando  al  the  buono  delle  foglie  già  esan- 

per  l'infusione  subita.  Le  foglie  usate,  diciamo 
da  prima  immerse  in  una  soluzione 
concentrata  di  gomma  arabica  che.  seccando,  ridona 
loro  la  lucentezza  e  la  forma  arrotondata,  si  colori- 
scono quindi  artificialmente.  Si  è  arrivati,  per  ven- 
dere con  maggiore  profitto,  1  re  al  veto  the 
lie  di  vegi  tali  diversi. 

Lo  zucchero  può  essere  falsificato  o  con  aggiunta 

di   marmo,   di   amido,  di    glucosio  liquido  o  con  ec- 

d'acqua.    Queste   frodi  non  sono  però   molto 


GLI    Al. IMI. \  I  I 

praticate  essendo  facile  il  riconoscerle  basandosi 
semplicemente  sui  caratteri  organolettici  del  pro- 
dotto. 

La  birra. 

Nei  paesi  meridionali  si  usa  come  bevanda  da 
pasto  il  vino,  ma  la  vite  non  potendo  vegetare  nei 
climi  freddi,  cosi  nel  settentrione  si  consuma  la  bir- 
ra. E'  questo  un  liquido  alcoolico  che  si  prepara 
principalmente  con  sostanze  amidacee  e  con  luppolo, 
e  deve  esser  consumato  durante  la  fermentazione. 
Nella  fabbricazione  della  birra  la  sostanza  amida- 
cea è  destinata  a  dare  lo  zucchero  necessario  alla 
produzione  dell'alcool,  poiché  questo  si  ha  dallo 
sdoppiamento  dello  zucchero  nei  suoi  costituenti  chi- 
mici. Si  usa  l'orzo  costando  assai  meno  degli  altri 
vegetali  ed  essendo  pure  di  facilissima  lavorazione. 
Il  luppolo  compie  un  doppio  uffizio:  assicura  da 
una  parte  la  conservazione  della  birra,  serve  dall'al- 
tra a  donare  a  questa  bevanda  il  sapore  ed  il  pro- 
fumo che  le  sono  propri. 

Anche  la  birra  viene  falsificata  con  l'aggiunta  di 
acqua;  e  questa,  essendo  la  frode  più  economica 
per  chi   la  commette,  è  abbastanza  diffusa. 

Per  correggere  l'acidità  che  può  prendere  per  un 
principio  di  decomposizione,  vi  si  suole  aggiungere 
del  carbonato  sodico,  calce  e  potassa,  così  pure  vi 
si  mette  dell'acido  solforico  per  chiarificarla  ;  que- 
sta, come  i  carbonati,  si  riconoscono  mediante  me- 
todi particolari  che  ci  fornisce  la  chimica  analitica. 
La  birra  fabbricata  col  sostituire  l'orzo  germogliato 
con  sciroppo  di  fecola  od  altre  sostanze  analoghe, 
acquista  un  sapore  assai  meno  gradevole  della  vera 
birra  fatta  con  orzo.  Alcuni  rivenditori  dopo  averla 
acquistata  dai  fabbricanti  vi  sogliono  aggiungere 
dell'acqua  mettendovi  pochi  grammi  di  zucchero  per 
ogni  bottiglia.  In  tal  modo  dopo  alcuni   giorni,  spe- 


I  ALSIFK  A  1  I 


i35 


cialmente  in  estate,  la  fermentazione  alcoolica  vi  si 
sviluppa  di  nuovo  con  energia  e  la  birra,  sebbene 
diluita,  si  fa  molto  spumante,  restando  però  tor- 
bida per  i  globuli  di  fermento  o  per  le  altre  materie 
solubili  che  contiene    in  sospensione. 

La  birra  intacca  facilmente  i  vasi  di  rame,  di 
piombo  e  zinco,  ed  agisce  pure  sulla  vernice  piom- 
bifera dei  vasi  di  grès.  Intacca  i  tubi  ed  i  recipit  ntj 
di  piombo  anche  quando  questo  è  in  lega  col  90  o/o 
di  stagno.  Fra  le  frodi  più  frequenti  sono  da  an- 
noverarsi quelle  per  le  quali  si  usa  sostituire  il  lup- 
polo, sostanza  assai  cara,  con  materie  amare  che  lo 
surrogano. 

1  ;i  birra  viene  falsificata  con  oppio,  noce  vomica, 
e  coi  suoi  alcaloidi,  coccola  di  Levante,  aloè,  gen- 
ziana, quassio,  assenzio  ed  acido  picrico,  sostanze 
che  non  possono  sostituire  vantaggiosamente  il  lup- 
polo ne  dal  lato  igienico,  ne  in  modo  da  rendere  la 
bevanda  egualmente  saporita  ed  atta  a  conservarsi. 

Per  dare  alla  birra  un  colore  più  bruno  si  ado- 
perano molte  volte  il  succo  di  liquorizia,  la  radice 
di  cicoria  torrefatta,  lo  zucchero  caramellato  e  le 
buccie  di  sambuco.  Le  frodi  con  stricnina  ed  altre 
sostanze  velenose  sono  assai  rare. 


Questo  mio  primo  articolo  è  già  di  proporzioni 
ragguardevoli  ;  se  me  lo  permettete,  cortesi  lettori, 
vi  tratterrò  in  altro  mio  scritto  dei  metodi  pratici  per 
l'analisi  degli  alimenti  falsificati  e  delle  innumere- 
voli alterazioni  di  ordine  biologico  e  parassitano 
alle  quali  sono  soggette  le  sostanze,  la  carne  in  mo- 
do particolare,  che  servono  a  formare  la  vostra  men- 
sa quotidiana. 


G.  B.  Baccioni. 


BlCKKDKTriNo.  BUNBOKTTINA. 


Cappi» •>  [NO. 


Cappuccina.  Domenicano.  I  'omknicana. 


Gli   Ordini  religiosi 


-K3E3-- 


vete  mai  provato,  viaggiando  in  ferrovia, 
a  fare  osservazione  alle  chiese  ed  ai  con- 
venti, che  stanno  sulle  cime  dei  colli  e 
dei  monti  ?  Non  c'è,  si  può  dire,  una  bella  posizione 
di  natura,  che  non  sia  stata  scelta  come  la  sede  di 
un  monastero.  Si  suol  dire  che  i  frati  hanno  avuto 
buon  gusto.  E  non 

solo     buon     gusto    , 

nella     scelta 
luogo  ;    anche    nel 
disegno  della   loro 

l,  della  eh 
nella     simmetria 
delle    parti  .    nella 
bellezza   degli    or- 
nati, i  conventi  in- 
ni   il  buon  ^li- 
sto    artistico     dei 
fondatori.  <  l'è  nn- 
di    arte 
nei  cento  conventi 
d'Italia,  che  si  po- 
trebbe     illustr.no 
tutta     una     storia 
dei- 
delie 
ani  figurative,  sce- 

qua  e  là,  nei  monumenti  dei  religiosi  i  tipi 
essivi,  che  ancora  rimangono,  testimonio  delle 
diverse  età  ale,  quan 

do  il  saperi-  e  l'arte  vivevano  quasi  .  unente 

nei  conventi,  come  in   luogo  sicuro,   la  erezione  di 
una  badia  ritraeva  facilmente  1"  spirito  conservatore 


La  coi      ioni    d'un  ospite  alla  Grande  Certosa. 


dell'Ordine:  il  farne  la  struttura  bella  e  ricca  ri- 
spondeva ad  un'esigenza  sociale  dell'Ordine  stesso. 
E'  così  che  la  storia  degli  Ordini  religiosi  ha  arric- 
chito l'Italia  di  monumenti  maravigliosi. 

Quando  il  senso  estetico  era  decaduto,  non  venne 
mai  meno  nei  religiosi  il  sentimento  della  natura, 

che ,  mentre  essi 
ivano  di  ritrar- 
si dal  mondo,  li 
spingeva  a  portare 
la  loro  cella  di  so- 
litili line  in  un  luo 
go  eminente,  don 
i  le  rontemplare  be- 
ne le  bellezze  della 
natura  vergine. 

Ma  i  tempi  pas- 
sano:   degli    Ordi 
ni   religiosi,  alcuni 
caddero,   altri   sol 
sen  i;  ed  i  molti  con- 
venti  ebbero  a  su- 
bire le  vicende  fa- 
tali del  tempo:  al- 
cuni    stanno    sem- 
pre, e  sono  nioim 
menti    d'arte    per- 
fetta;  altri,  o  abbandonati,  o  presi   di  mira  dalle 
violenze  della  guerra,  rovinarono;  altri  ancora  han- 
no subito  una  trasformazione  quasi  più  radicale, 
indo  ad  altro  uso.  o  di  collegio,   0  di  caserma, 
o  di  carcere.  Sta  si  mpre  però,  che  la  casa  dei  religio- 
na  di  un  monumento  conservato  nel  suo 


GLI    uRIUM    RELIGIOSI 


!.. 


spirito,  o  come  una  rovina  illustre  di  altri 
tempi,  o  trasformata  in  tutt'altra  abitazione, 
la  vediamo  dappertutto.  E  c'è  poi  questo  'li 
notevole:  che  ogni  convento,  nella  sua  strut- 
tura, ritrae  lo  spirito  delle  varie  regole  mo- 
nastiche ;  luna  consentiva  che  i  suoi  religiosi 
avessero  una  grande  abbazia,  come  accadeva, 
nel  medio  evo,  quando  l'abate  era  una  po- 
tenza feudale  ;  l'altra  imponeva  ad  ogni  mo- 
naco una  casetta  isolata  dalle  altre,  raccolte 
però  tutte  da  uno  stesso  muro  di  cinta  ;  un'al- 
tra ancora,  quella  di  Assisi,  avrebbe  imposto 
la  povertà  della  cella,  pure  dando  ogni  mag- 
gior splendore  al  tempio. 

Curiosa  poi  quella  terminologia  partico- 
lare, che  si  riferisce  agli  usi  del  convento , 
alle  tenui  esigenze  del  loro  vitto,  o  al  genere 
di  lavoro,  al  quale  si  sono  dedicati  i  religiosi 
di  una  data  regola.  Così  abbiamo  il  liquore 
dei  Carmelitani,  la  bénèdectine,  la  chartreuse 
famosa,  quella  di  Grenoble,  che  distillata 
invece  in  Italia,  nella  Certosa  di  Firenze,  è 
poi  il  liquore  Val  d'Etna  ;  poi  VEucalipius, 
che  ci  richiama  la  bonifica  laboriosa  e  pa- 
ziente dell'agro  romano,  per  opera  dei  Trap- 
che>fanno  talvolta  la  prosperità  del  convento, 
ed  anche  del  vicinato.  Oltre  alle  distillerie , 
moltissime  case  religiose  hanno  dovuto,  nel- 
l'età moderna,  dedicarsi  a  qualche  traffico , 
per  dare  un  coefficiente  pratico  al  loro  lavoro, 
e  per  cavare  i  mezzi  di  una  maggiore  prospe- 
rità. Si  calcolava  che  in  Francia  fossero  cir- 
ca 1500  i  conventi,  che  esercitavano  1  com- 
merci: e  si  è  visto  più  di  un  Municipio,  in 
occasione  della  legge  nuova  sulle  Associazio- 
ni, intervenire,  per  impedire  che  se  ne  ;  ndas=e 
una  data  casa  religiosa,  la  quale  avrebbe  fot- 
tratto  al  Comune  un  cespite  importante  di 
risorsa.  Il  dizionario  della  cucina  cenobitica 


San  Paolo  e  Sant'Antoni!)  eremiti. 


San  Simone  Stilita. 


non  è  tanto  ricco,  per  venta: 
per  quanto  i  novellieri  nostri 
abbiano  stereotipato  il  religioso 
in  una  figura  pingue  e  prospe- 
rosa, la  Cucina  del  convento  non 
dà  poi  molta  fatica  alla  memo- 
ria: il  risotto  alla  certosina,  e 
il  caffè  cappuccino,  ecco  tutto  ; 
senza  dire  che  il  caffè  cappuc- 
rino  ha  preso  il  nome  dal  co- 
lore di  I  sai  'li1  io,  più  che 
dalla  dieta  semplice  dei  Frati 
Minori.  Dove  il  lavoro  dei  frati 
e  delle  monache  ha  esercitato 
una  certa  influenza  è  nella  far- 
macia :  l'empirismo  è  tante  vol- 
te questione  di  pazienza  ;  <  ri 
naturale  che,  in  passato,  quandi  1 
la  virtù  delle  erbe  era  cerc;u 
studiata   con   lente  osserva/ 

ditative,  riuscisse  non  di  raro 
alla  pazientissima  ricerca  del 
monaco  di  mettere  insieme  enei 


i38 


LA    LETTURA 


dato  ■.  quella  bevanda  salutare,  che,  consi 

derata  la  qualità  dell'inventore,  poteva  ir.  vare  qual- 
ina. 

amo  ad  una  nuova  fase  storica:  quella 
delle  soppressioni,  che  anch'esso  pan-  obbediscano 
alla  legge  dei  ricorsi  del  Vico,  come  l'incameram 
della  proprietà  ecclesiastica.  La  recente  dis 
di  legge  in  Francia  ha  determinato  l'i  lonta- 

di  alcune  Congregazioni;   c'è  chi  si  è  alianti 
davanti  al  pericolo  cappuccino,  all'invasione  certo- 

,  ed  altri  pericoli  consimili,  dai  quali  s'ha  ben 


li.  m<  inaco  Tei  ew  io  i. 

.  a  temere  oggi  in  un  paese,  che  sappia  vivere 
con  libertà,  sviluppando  le  sue  risorse  del  benessere 
Comune.  Certo  pero  che  gli  ultimi  avvenimenti  di 
Francia  e  di  Spagna  ci  portano  a  studiare  da  vicino 
il  fatto  ilei  monachismo,  nella  sua  origine  e  nello 
iiu-nto  successivo. 
Lo  studio  con  ,  privo  'li  interesse  per  noi  in  Ita- 
lia, dove  fu  la  rulla  del  monachismo  in  Occidente. 

* 
*    * 

Il   monachismo   è    un    fatto   dei    più    intere 
nella  vita  religiosa  ili  un  popolo;  il  vedere  dei  gio- 
vani, «Ielle   fai  1    t:"r.-  dell'età,  (pianilo  si 
'manzi  la  vita,  vederli  battere  in  riti 
rata  dal  mondo  della  famiglia,  dalle  lusinghe  del 
l'amore,  per  rinchiudersi  in  un  chiostro  ed  ivi  E 
una  esistenza  di  ai  egregati,  forse  per  sem- 


I  te.  .lai  consoi  le,  desta  nell'anima  un  sei 

misto  ili  compassione  e  ili  ammirazione.  Per  chi 
vive  la  vita  reale  e  fervida  del  gran  mondo,  l'idea 
monacale  dà  l'effetto  come  di  uno  spettro;  altri  cre- 
dono che  la  solitudine  della  cella  sia  una  aberrazio- 
ne della  vita  ;  ma  si  capisce  che  per  valutare  con 
discrezione  il  senso  e  la  portata  del  monachismo  bi- 
ia  guardarlo  dal  punto  di  vista  religioso.  Ci 
sono  dei  momenti  nella  \  ita  che  ci  sentiamo  invasi 
da  \\\\  senSO  di  Stanchezza  delle  cose:  dopo  un  pe- 
riodo di  vita  molto  agitato,  subentra  facilmente  un 
bisogno  di  quiete,  di  silenzio,  che,  per  le  anime  di 

indole  religiosa,  si  trasfonde  in  un  vago  desiderio  di 
riposo  monacale.  !•'.'  noto  che  dopo  la  rivoluzione 
francese  i  noviziati  si  popolarono,  e  specialmente 
quell  stri  più  rigidi.   Non  era  solo  un  biso- 

pai.-,  ma  una  rea/ione  del  s.  nso  morale,  che 
domandava  una  riparazione,  dopo  gli  accanimenti 
orribili  della  tirannia  e  del  sangue. 

Ma  non  è  solamente  un  bisogno  di  quiete  mistica 
o  il  sentimento  di  un  restauro  morale,  che  rese  po- 
polati  i   monasteri;    c'è   anche  un   alito  finissimo  di 
:   la  poesia  della  cella. 

(>  una   cella,   mihi  abitatici  dulcis   amala 
Scmpcr  ni  acteruum,  o  mta  cella,  vale! 

('..si  dava  l'addio  alla  celletta  sua  il  mo- 
naco Alenino,  sul  punto  di  lasciare  il  mona- 
stero, per  andare  alla  Corte  di  Carloniagno. 
{■'.,  rivolto  al  paesaggio  bello,  che  era  cerulee 
al  chiostro:  i  Io  non  vedrò  più  i  boschi  che 
ti  recingono  coi  rami  intrecciati  e  la  fiorita 
verzura,  i  tuoi  paraggi  ricchi  di  erbe  aroma- 
tiche e  salutari,  le  tue  acque  pescose,  i  tuoi 
frutteti,  i  giardini  tuoi,  dove  al  giglio  si 
frammischia  la  rosa.  Non  udirò  più  gli  au- 
gelli che  cantavano  mattinieri  come  noi,  lo- 
dando a  lor  modo  il  Creatore,  né  gli  insegna- 
menti d'una  saviezza  dolce  e  santa,  che  ri- 
sii, mavano  a  un  tempo  colle  lodi  dell'Altis- 
simo, su  labbra  pacifiche  sempre  come  i  cuori. 
Cella  diletta!  Io  ti  piango  e  ti  rimpiangerò 
per  sempre  !  » 

Se  dunque  il  consiglio  evangelico  della 
fuga  del  mondo  era  il  principio  determinante 
del  monachi sm.  i.  certo  altri  elementi  lo  cìo- 
vettero  favorire:  le  attrattive  del  riposo,  il 
sentimento    della    natura,   la    poesia    del    deserto. 


Perché,  la  vita  claustrale  non  e  un  fenomeno  e- 
sclusivamente  cristiano.  <'di  Kssem,  contemporanei 
di  San  Giovanni  Battista,  erano  ilei  solitari,  che 
fuggivano  hi  città,  per  vivere  nelle  pianure  isolate 
.Li  Mar  Morto;  e  San  Giovanni  stesso  fu  un  ere- 

ii  Ma    del    deserto.     La    scuola     l'i  "He    sue 

prescrizioni  sociali,  Diogene  nella  sua  botte,  se  non 
'ano  la  tendenza  d'una  religione,  sono  pu- 
re la  manifestazione  di  un  ascetismo  filosofico,  che 
disponeva  meglio   lo   spirito    alla    ricerca    della   ve- 

Dove  troviamo  una  forma  vera  .fi  ascetismo  re- 
ligioso  e  nelle  religioni  dell'India  e  fra  i  Mussul- 


«.Ili  iRDINI    RELIGIOSI 


mani.  Fra  questi  specialmente,  forse  per  influsso 
del  fatalismo  inerente  all'Islam,  si  svilupparono 
moltissimi  Ordini  religiosi.  Ed  è  un  fatto  curiosis- 
simo che  uno  di  essi,  l'Ordine  dei  Chadelya,  ha  in- 
sinuato molte  infiltrazioni  nella  Compagnia  dei  Ge- 
suiti ;  si  può  desumere  dagli  studi  più  recenti  che 
Sant'Ignazio  di  Loyola  ha  formato  il  piano  del  suo 
Ordine  su  quello  di  parecchie  Congregazioni  mus- 
sulmane. 

Così  il  potere  del  Generale  dei  Gesuiti  è  un  fac- 
simile di  quello  del  Cheikh,  padrone  assoluto  delle 
anime,  dei  corpi,  delle  riputazioni  ;  e  la  famosa  ob- 
bedienza cadaverica  dei  gesuiti  al  loro  capo,  da- 
vanti al  quale  devono  essere  perindt  ac  cadaver , 
come  un  cadavere,  è  identica  nella  prescrizione  isla- 
mita :  «  Tu  sarai  nelle  mani  del  tuo  Cheikh  come 
un  cadavere  nelle  mani  del  lavatore  di  morti  ». 

Nel  Cristianesimo  la  vita  monacale  è  piena- 
mente giustificata  dallo  spirito  della  perfezione 
cristiana,  ed  ha  la  sua  ragione  d'essere  nel  dovere 
generico  della  santificazione  individuale.  A  questo 
si  arriva,  secondo  il  Vangelo,  per  tante  vie,  restando 
ognuno  in  quella  condizione  sociale  dove  è  cresciuto  ; 
ma,  certo,  se  l'individualismo  dell'anima  santifi- 
cata è  il  putte  tu  tn  salicns  della  attività  cristiana,  è 
più.  che  logico  che  altri  possa  segregarsi  dalla  so- 
cietà, per  raggiungerlo  con  maggior  sicurezza.  La 
ragione  messa  in  campo  da  molti  sociologi,  che  il 
celibato  claustrale  sottrae  alla  società  una  parte  no- 
tevole degli  elementi  procreatori,  ha  un  valore,  se 
guardiamo  alla  statistica  ;  ma  di  fronte  al  princi- 
pio della  libertà  personale  non  può  aver  forza,  e 
di  fronte  alle  ragioni  evangeliche  perde  la  sua  ef- 
ficacia. Insomma,  dal  punto  di  vista  materialistico, 
il  chiostro  può  apparire  come  un'aberrazione  da  cor- 
reggere; ma  in  una  concezione  spiritualista  della 
storia  e  dell'individuo,  l'ascetismo  dei  solitari  e  delle 
comunità  religiose  è  un  diritto  come  tutti  gli  altri, 
che  va  rispettato,  specialmente  quando  ci  presenta 
lo  spettacolo  di  una  esistenza  che  vive  di  sacrificio 
e  si  consuma  a  sollievo  delle  umane  sofferenze. 

*** 

Nel  monachismo  vanno  distinte  due  forme:  i 
monaci  solitari  od  eremiti,  e  le  comunità  religiose. 

I  solitari  o  eremiti  li  troviamo  nei  primi  tempi 
del  Cristianesimo.  Specialmente  dopo  l'impero  di 
Costantino,  la  Religione,  al  contatto  della  nuova 
prosperità  ottenuta  coll'editto  di  Milano,  subì  un 
rilassamento  nello  spirito  e  nei  costumi  dei  cre- 
denti ;  gli  stessi  Padri  della  Chiesa  riconoscevano 
unanimi  la  precoce  decadenza  del  mondo  cristiano, 
come  la  si  legge  nell'opera  classica  del  Montalem- 
bert  sui  Monaci  d'occidente.  Non  c'erano  più  i 
Martiri  belli  a  tener  vivo  e  glorioso  il  vessillo  della 
Croce;  ai   Martiri  sottentrarono  i  monaci. 

L'Egitto  fu  la  terra  eletta  dei  solitari.  Là,  nella 
gran  quiete  del  deserto,  venne  inaugurata,  per  ta- 
cito consenso  di  molti  eremiti,  l'èra  del  monachi- 
smo. E  si  trovarono  là,  disseminati  per  una  distesa 
vastissima,  ognuno  nel  suo  romitorio,  questi  asceti  ; 
dapprima  vi  si  erano  rifugiati  per  sfuggire  alla 
persecuzione  di  Diocleziano  ;  poi,  per  conservare 
meglio    lo   spirito    cristiano,    quando    la   disciplina 


dei  cristiani  s'era  rallentata.  Il  monachismo  del 
serto  rappresenta  una  reazione  contro  la  rilassatezza 
del  mondo  cristiano  ;  ne  furono  padri  gli  eremiti 
Paolo,  Antonio,  Pacomio.  La  Tebaide,  popolata 
da  questi  anacoreti,  divenne  un  nome  illustre  e  popo- 
lare. Famoso  tra  tutti  Sant'Antonio  abate,  per  quel- 
l'aureola di  fama  e  di  leggenda  che  si  riscontra  nelle 
sue  tentazioni.  Quella  tal  bestia  volgare  che  vediamo 
nei  dipinti  ai  piedi  del  Santo,  e  che  sembra  grugnire 
'•i.ntro  di  lui,  rappresenta  una  poco  graziosa  tra- 
sformazione del  demonio  tentatore.  Un  altro  soli- 
tario curiosissimo  è  San  Simone  Stilita,  che  abitava 
in  Siria,  ed  aveva  scelto  per  romitaggio  la  cima  di 
una  colonna,  dove  passò  tanti  anni  di  penitenza, 
secondo  la  tradizione  vuole,  affliggendo  il  corpo  e 
predicando  incessantemente  ai  molti  e  molti  che  ac- 
correvano a  contemplar  il  fenomeno  mirabile  e 
strano.  Bellissima  fra  le  altre  la  figura  del  monaco 
Telemaco,  al  tempo  di  Onorio:  udendo  narrare  gli 
spettacoli  sanguinosi  dei  gladiatori,  esce  dalla  soli- 
tudine sua  di  Frigia,  s'avvia  a  Roma,  vi  giunge, 
entra  nel  Colosseo  stipato  di  popolo  avido  di  san- 
gue, e  tenta,  solo  ed  inerme,  di  opporsi  ai  giuochi 
sanguinari.  Il  popolo  si  inquieta,  si  alza  indignato, 
e  il  generoso  Telemaco  è  abbattuto  a  colpi  di  pietre. 
Si  racconta  che  fosse  l'ultimo  sangue  versato  nel 
Colosseo. 

Dopo  questo,  sembrerà  strano  che  anche  il  mona- 
chismo d'Oriente  sia  degenerato.  Eppure ,  rilassa- 
tasi la  disciplina,  gli  eretici  fecero  molte  reclute 
fra  i  monaci,  che  a  poco  a  poco  decaddero  comple- 
tamente, mentre  il  monachismo  si  sarebbe  poi  svi- 
luppato in  Occidente.  Dei  casi  sporadici  di  vita  e- 
remitica  ce  ne  sono  sempre,  del  resto.  Piero  l'Ere- 
mita, l'apostolo  della  prima  Crociata,  fu  un  mo- 
naco solitario.  Un  tipo  completo  del  genere  è  Be- 
nedetto Giuseppe  Labre,  nativo  di  Francia,  morto 
a  Roma  nel  1783,  dopo  aver  vissuto  anni  ed  anni 
in  un  vero  covile  del  Colosseo.  E'  stato  canonizzato 
da  Leone  XI IT. 

In  Occidente  si  svilupparono  di  preferenza  i  Mo- 
naci raccolti  in  famiglie,  sotto  una  regola  partico- 
lare. San  Benedetto  è  il  principe  della  vita  mona- 
stica. Nato  nel  480,  la  sua  vita  cade  nel  pieno  dei 
tempi  barbarici  ;  fonda  l'Ordine  dei  Benedettini,  che 
ebbero  come  Santuario  principale  la  grande  abbazia 
di  Montecassino.  Questo  convento  ha  avuto  il  suo 
storico  nella  persona  del  Padre  Tosti  benedettino, 
che  arrischiò  di  divenire  celebre  e  quasi  popolare 
per  il  suo  opuscolo  sulla  conciliazione  più  che  per 
le  molteplici  opere  storiche.  L'elemento  principale 
della  regola,  il  lavoro  e  l'obbedienza.  L'influenza 
dell'Ordine  Benedettino  fu  enorme,  specialmente 
nell'efficacia  del  loro  apostolato  in  mezzo  ai  barbari, 
che  erano  i  padroni  dell'Occidente.  Paolo  Diacono 
era  monaco  cassinese.  Tutti  poi  sanno  la  grande  be- 
nemerenza storica  «li  questo  Ordine  riguardo  alle 
lettere,  per  la  trascrizione  e  conservazione  dei  codici, 
e  le  miniature  finissime,  che  sono  tra  i  più  preziosi 
cimeli  dell'arte  medievale. 

Dall'albero  benedettino  diramarono  varie  Con- 
gregazioni, di  cui  più  celebri  quelle  dei  Cistercensi 
e  di  Clugnì. 


'  V 


i  a  i-i  i  ri  r  \ 


l'n  <  >r. I,n  la  regola  d    San  Be 

quello  di  ih1.hu  da  San  Bru 

none  che,   pei  sfuggire  all'onore  del  vescovado  di 

is,  si  portò  con  sette  compagni   nei  monti  sel- 

Ifinato,  dove  fi  i  '  ariosa 

•  li   Grenoble,   adottando   la  regola   benedettina  nel 

e    primitivo,    anzi    facendola    più   rigida, 

da  far  rivivere  le  penitenze  dei   Padri  del 


fe>: 


La    <  .k  INDE    CER  I  OSA. 

serto.  Digiunare  otto  mesi  dell'anno;  non  mangiare 
mai  carne,  anche  se  ammalati  ;  non  comprar  pesce, 
e  solo  cibarsene,  se  viene  offerto;  la  domenica  e  il 
giovedì  uova  e  cacio  ;  al  martedì  e  sabato  erbe  cotte  ; 
gli  altri  giorni  pane  e  acqua;  preghiera,  e  lavoro 
manuale,  ecco  le  loro  occupazioni.  Nel  secolo  XV II 
«lavano  più  di  170  Certose:  famosa  sempre  la 
Grande  Certosa,  ben  sei  volte  incendiata,  quella 
monumentale  di  Pavia,  oggi  abbandonata,  di  Fi- 
renze, custodita  appena  da  pochi  religiosi,  e  quella 
di  Napoli. 

Una  riforma  ancor  più  rigorosa  della  regola  be- 
nedettina è  la  'frappa.  Fondatore  dei  Trappisti  fu 
Rottoti,  conte  di  Perche,  e  data  dal  ino;  la  loro 
regola,  alquanto  rilassata  col  tempo,  ricondotta  poi 
al  rigore  primitivo  dal  P.  Rancé,  è  tanto  austera  e 
affliggente,  che  non  fu  mai  approvata  dalla  Santa 
Sede.  Quanto  al  nutrimento  il  loro  pane  è  quello 
che  noi  diremmo  integrale,  ma  molto  integrale  ;  al 
tri  cibi  sono  i  vegetali,  condimenti  1  sono  vegetali  e 
sale;  il  tutto  in  misura  scarsa,  che  si  fa  scarsissi- 
ma nei  molti  digiuni.  Obbligati  al  silenzio  continuo, 


Il  convento  di  Montecassino. 

si  occupano  in  lavori  manuali,  a  dissodare  la  terra, 
come  se  la  famiglia  loro  fosse  morta,  ed 
non  avessero  altra  meta  che  la  fossi    Qu 
il  Trappista  è  presso  a  morire,  l'infermiere  lo  co- 
rica in  terra  su  ]xx-a  paglia  di  cenere    ! 
■  lo  stabilimento  della  Trappa  nell'A- 
l  del    Sud,  con  1  ili    1              'le,  scuole  per  i  pi 
rea  62  milioni. 


La  regola  di  San  Benedetto,  applicata  e  rifor- 
mata in  vario  minio,  con  nomi  particolari,  governò 
1  piasi  sola  nei  secoli  medievali,  e  costituisce  oggi 
.ni' om  l'elemento  fondamentale  degli  Ordini  reli- 
giosi propriamente  detti  ;  dite  Camaldolesi,  dite  Ci- 
stercensi, monaci  di  Yallombrosa,  sono  continue  ra- 
mificazioni del  medesimo  albero,  sbocciate  e  fiorite 
quasi  nel  medesimo  tempo,  intorno  al  secolo  XI, 
quando  una  grande  corruzione,  a 
base  di  simonia,  di  eresia,  di  sci- 
sma e  ili  concubinato,  s'era  infil- 
trata nella  vita  della  Chiesa  e  de- 
gli Ordini  già  esistenti. 

Ma  anche  i  nuovi  istitituti  non 
ro  che    un    riparo  momenta- 
neo;  sulla  fine  del  secolo  XII  le 
condizioni  morali  del  clero  erano 
infelicissime;    la  Chiesa   sentiva 
il  bisogno  di  una  riforma  più  in- 
tima, più  duratura.  Per  riformar- 
si così  non  c'era  che  ricondurla  al 
Vangelo,  spogliandosi  di  tutti  gli 
elementi    mondani,  che  atrofizza- 
vano  gli    organi   sani  della  vita 
religiosa.  E'  questa  l'èra  degli  Ordini  Mendicanti, 
soni  i-oll'auspicio  della  povertà  evangelica. 

I  due  famosi  sono  il  Francescano  e  il  Domenicano. 
San  Francesco  di 
Assisi ,  questo  poeta 
santo  della  povertà  e 
della  natura  nato  nel 
1182,  dopo  una  gio- 
vinezza laica  udita 
in  visione  una  voce: 
a  Va,  o  Francesco , 
ristora  la  mia  casa , 
che  rovina  »,  si  dà  ad 
un  vivere  penitente 
ed  istituisce  quella 
famiglia  di  religiosi 
poveri,  che  doveva  a- 
vere  tanto  sviluppo 
e  tanta  simpatia.  An- 
cora oggi,  i  Fra!  1  Mi- 
nori, come  li  chiamò 
mi  '  lestamente  San 
Francesco,  sono  i  più 
popolari.  I  France- 
scani, presi  insieme 
le  tre  grandi  famiglie 
primogenite,  Conven-= 
ventuali ,  Frati  Mi- 
nori ,      Cappuccini , 

raggiungono  una  potenza  numerila  imponente.  Chi 
computasse  a  30,000  il  loro  numero,  nei  molti  con- 
venti  sparsi  per  il  mondo,  sarebbe  forse  al  di  sotto 
del  vero. 

I   1  lappuccini,  che  rappresentano  quasi  un  terz»  di 
questo  esercii'  ano,    sono  in    Italia   circon- 

dali da  particolare  simpatia,  dopo  che  il  Manzoni 
ne  ha  '1  tipo  nella  figura  del  Padre  Cri- 

no.  Il  cosi  detto  'IVr/t  irdine  francescano,  a  cui 
possono  1ar  parte  aiuhe  i   laici  d'ambo  i  sessi,  re- 


K2 

L*,' 

■ÉJtA 

¥ 

B&BC 

fLJt 

^fféSsawK* 

•»m«*MHflbj»-'-     ] 

San  Benedetto  Labkk. 


GLI    OH1UM    RELIGK  iSl 


stando  nella  loro  condizione  e  posizione  sociale,  al- 
larga anche  più  l'influenza  pacifica  di  San  Fran- 
cesco, che  è  sempre  influenza  morale,  aliena  da  ogni 
inframmettenza.  Dante  Alighieri  era  francescano  del 
Terz'Ordine. 

L'altro  Ordine,  dei  Domenicani,  sorse  contempo 
rancamente ,  ma  con  un  intento  suo  proprio. 
San  Francesco  mirava  ad  una  riforma  evangelica 
dei  costumi;  San  Domenico  volle  specialmente  op 
porsi  alle  eresie,  che  sotto  il  nome  di  Valdesi,  Ca- 
tari, Petrobrusiani,  minacciavano  L'unità  della  dot- 
trina. I  suoi  monaci  ebbero  il  nome  di  Frati  predi- 
catori; la  stella  dell'Ordine  è  San  Tomaso  d'Aquino. 
L'Ordine  Domenicano  ebbe  uno  sviluppo  poderoso, 
annoverando  nel  suo  seno  uomini  di  alto  merito  e 
molti  dignitari  della  Chiesa  ;  ma  lo  stesso  pro- 
gramma nativo,  che  li  portava  a  combattere  l'eresia, 
li  introdusse  a  gonfie  vele  nel  mare  agitato  dell'in- 
quisizione, dove  spicca  la  figura  lugubre  del  P.  Tor- 
quemada.  Oggi,  il  domenicano  è  un  religioso  dato 
allo  studio  ed   alla    predicazione. 

Un  altro  Ordine  di  mendicanti  è  quello  dei  Car- 
melitani, che  ripetono  il  nome  dal  monte  Carmelo, 
e  cercano  di  riattaccare  in  qualche  modo  la  loro  ori- 
gine ai  tempi  di  Sant'Elia.  La  regola,  approvata 
nel  1224,  subì  varie  riforme,  tra  cui  la  più  radicale 
e  completa  quella  operata  da  Santa  Teresa,  che  la 
attuò  nei  monasteri  femminili,  e  la  fece  adottare 
anche  dai  frati  dello  stesso  Ordine.  Si  dividono  in 
due  grandi  famiglie,  i  Carmelitani  Calzati  e  gli 
Scalzi. 


Dopo  le  Congregazioni  dei  Monaci,  impostate  ge- 
neralmente sulla  regola  di  San  Benedetto,  e  quelle 
degli  Ordini  Mendicanti,  vengono  quelle  dette  dei 
Chierici  Regolari,  tra  cui  campeggia  l'Ordine 
dei  Gesuiti. 

Il  Gesuita!...  Ecco  un  nome  di  guerra  e  di  equi- 
voco. Il  parlare  dei  gesuiti  spassionatamente  non  è 
facile  cosa  ;  in  generale,  l'opinione  pubblica  li  fa  se- 
gno di  invidia  e  di  contraddizione.  Eppure,  se  si 
pensa  che  dopo  tanti  attacchi,  tanta  persecuzione  ci- 
vile e  religiosa,  dopo  essere  stati  soppressi  da  un 
Papa,  sbanditi  da  molti  Governi,  vivono  ancora  or- 
ganizzati perfettamente,  e  sono  l'Ordine  più  forte 
di  numero,  più  florido  di  mezzi,  più  cosmopolita, 
più  dominatore,  si  rimane  meravigliati  di  una  così 
tenace  coesione,  che  fa  pensare,  senza  volerlo,  alla 
resistenza  dei  Semiti,  sempre  fermi  e  prosperosi  in 
mezzo  alle  ire  dell'antisemitismo. 

La  prerogativa  o  l'arte  0  la  missione  del  gesuita 
è  di  lavorare  nel   mondo  dei   ricchi,  e  di  cono 
assai  bene  il  metodo,  anzi,  i  metodi  di  signoreggiarli 
sottomano.  Altra   prerogativa   è   di   essere  eccellenti 
creatori  di  istituti  d'educazione   per  giovani   di    fa- 
miglie ricche;    che  se  non   sanno  proprio  educar 
conoscono  tutte   le   risorse  dell'istruzione    model 
Terza  prerogativa,  essi  si  sono  fatti  i  paladini  del 
Papato,   costituendosi    come   un'armata   al    servizio 
della  Santa  Sede:  solo  che,  non  di  rad',   io  ade  che 
il  duce  li  deve  seguire,  pur  sembrando  di  guidarli. 


'   1' 

Quarta  prerogativa,  una  mirabile  elasticità  'li  d 
trina,  di  coltura,  di  usi,  di  condotta,  una  straordi- 
naria facilità  di  adattamento  a  forme  diverse  di 
vita.  Sommati  insieme  questi  elementi  del  program- 
ma gesuita  ci  danno  qualche  spiegazione  della  loro 
fortuna  e  della  loro  potenza;  e  spiegano  in  pari 
tempo  la  reazione  continua  che  suscitano  dovunque, 


La  visioni:   hi   San   FRANCESCO. 

per  quel  loro  spirito  di  supremazia,  che  non  am- 
mette rivali  in  nessun'altra  istituzione. 

Il  fondatore  fu  Sant'Ignazio  di  Loyola,  prima 
soldato,  poi  solitario,  infine  creatore  del  nuovo  Or- 
dine, che  doveva  opporsi  alla  Riforma  Pro!  stante 
Oggi  non  si  può  ben  dire  quale  sia  il  carattere  spe- 
ciale del  loro  programma  monastico;  ma  forsi 
studio,  la  di  collegi  e  l'apologia  della  re 

ligione  sono  le  tre  cose  a  cui  mirano  di  preferenza 
come  corpo  sociale. 

L'esercito  gesuita  supera  forse  i  trentamila;  ma 
la  statistica  in  merito  è  difficilissima.   Pi  però 

mla    ,  ntraddizioni    di  cui   sono 

fatti  segno,  bisogna  distinguere  nel  loro  Ordine  i 
religiosi,  che  attendono  all'esercizio  della  vita  mo- 
nastica, e  il  partito  dei  dominatori,  politicanti,  che 
trovano  modo  di  dar  noie  ai  Governi,  di  soppian- 
tare .udì  Ordini  rivali,  di  attirare  nelle  loro  mani  le 


i.|j  i  a  1 1  i  ri  b  \ 

tellettuali  e  materiali)  che  possono  aggiun- 
gere credito  e  forza  al  partiti i. 

Una   norma   tattica  di    costoro  <■   di    comparile 
il   a  -  bile,   per    Lai  n  amente  sol 

t'acqua,     [li  s<  no    tra    i   più   fiorenti , 

non    ci    manca    nulla  ;    le    famiglie    più    indiffe- 
ria    religiosa,    se   non   pure   ostili,   non 
mancheranno  ili  man. lare  i  figli  dai  Gesuiti  :  ma  gli 


Fk  km  BSC  im    in    I  ORO. 

educatori  sanno  instillare  abilmente  le  loro  preoc- 
cupazioni politiche.  In  Italia  i  giovani  usciranno  più 
o  meno  religiosi  ;  ma  certo  la  loro  fede  politica  sarà 
<li  diffidenza  o  di  sprezzo  a  Casa  di  Savoia.  In  Fran- 
cia, dopo  la  legge  di  Waldeck-Rousseau,  i  Gesuiti 
non  hanno  creduto  di  chiedere  l'autorizzazione  a  ri- 
manere, persuasi  che  o  questa  non  sarebbe  stata  ac- 
cordata, oppure  li  avrebbe  sottoposti  ad  un  con- 
'  r.llo  per  loro  insopportabile.  Poiché  tutti  sape- 
vano la  connivenza  dei  Gesuiti  col  partito  naziona- 
lista. Ora,  i  Gesuiti  non  stanno  sotto  a  nessuno; 
l'unico,  a  cui  dicono  'li  sottostare,  è  il  Papa.  Ed  è 
tanto  affermativa  questa  loro  attitudine  dominatrice, 
che  il  Generale  dei  Gesuiti  è  chiamato  in  gergo  il 

i  nero.  La  Civiltà  Cattolica  è  in  Italia  il  loro 
organo  più  intransigente;  si  dirige  quasi  esclusi- 
vamente al  clero  ed  ai  vescovi,  ed  è  ritenuto  come 
l'interprete  più  genuino  del  Vaticano  regio. 

■  re  ai   Gesuiti,   altri   Ordini   di  Chierici  Rego- 
lari, viventi  specialmente  in  Italia,  sono  i  Barnabiti, 
"laschi,  gli  Scolopi:  questi  ultimi  specialmente, 
ed  anche  i  Barnabiti,  sono  dedicati  all'istruzione, 
ma  con  indirizzo  più  largo  e  più  sereno. 


che  davano  man  torte  ai  Nazionalisti  in  un  coi  Ge- 
suiti ;  e,  mediante  un  loro  giornale  La  Crmx,  che 
pubblicavano  in  tanti  dipartimenti  francesi,  propa- 
gavano con  somma  efficacia  le  loro  idee  e  le  ardite 
tendenze  nazii  \nche  questi,  come  i  Gesuiti, 

non  vollero  chiedere  l'autorizzazione  al  Governo,  e 
preferirono  scomparire,  come  Ordine,  dal  suolo  fran- 
cese. 


Chiudiamo  questa  rivista  brevissima  e  incom 
pietà.  A  voler  parlare  di  tutte  le  case  religiose,  an- 
che dicendo  poco,  ci  sarebbe  da  occupare  molti  fa- 
scicoli della  Lettura.  Basta  osservare  che  non  si  è 
detto  nulla  delle  comunità  femminili;  eppure  si 
può  dire  che  quasi  ogni  Ordine  di  religiosi  ha  un 
Ordine  parallelo  di  religiose,  governate  da  una  re- 
gola affine.  Così  ci  sono  le  Benedettine,  le  Carme- 
litane, le  Clarisse  colla  regola  di  San  Francesco,  le 
/ ii'/ncnicane,  e  via  di  seguito;  oltre  poi  alle  case 
sorte  con  una  regola  propria  ed  esclusiva  delle  Suo- 
re, dedicate  ai  poveri,  agli  infermi,  agli  spedali, 
alle  carceri,  agli  asili,  alla  educazione  delle  fan- 
ciulle, alla  vita  contemplativa,  una  sequela  initer- 
rotta  di  nomi  e  di  divise  monacali,  che  si  contano  a 
centinaia. 

Una  adorazione  di  religiose,  le  Dame  del  Sacr* 
Cuore,  sono  governate  dallo  spirito  dei  Gesuiti  e 
volgarmente  chiamate  gesuitesse  ;  è  un  Ordine  ricco 
assai.  In  Francia  hanno  seguito  la  sorte  dei  Gesuiti, 
emigrando  altrove.  Siamo  dunque  dinanzi  ad  un 
fatto  grandioso  e  molteplice,  un  fenomeno  religioso 
e  sociale,  che  obbedisce  a  leggi  storiche  determinate, 
sorge,  grandeggia,  si  riforma,  si  modifica  secondo 
i  bisogni  nuovi,  declina,  scompare  in  un  aspetto,  ri- 
sorge sotto  un  aspetto  nuovo  ;  ma,  insomma,  è  di- 
venuto un  elemento  vitale  della  vita  religiosa.  Dap- 


FR  \m  ESCANB    in    coro. 


Rimangono  le  Congregazioni  Ecclesiastiche, 
i  numerose,  di  cui  alcune  aventi  per  base  l'apo- 
stolato fra  gli  infedeli,  altre  l'educazione  col  mezzo 
1  .   altre  la  cura  degli  infermi.  Vogliamo 

accennare  l'Istituto    della   carità,    fondato   dà] 
'uni,  sviluppato  special- 
te  iti  Inghilterra,  e  gli  A  di  Fi  meia, 


prima,  quando  la  comunità  cristiana  degenerava 
nella  pace,  si  determina  l'esodo  dal  mondo  dei  Padri 
del  deserto;  nel  deserto  si  temperavano  gli  spiriti 
colla  penitenza,  ed  erano  una  tacita  protesta  contro 
la  mollezza  della  nuova  generazione  cristiana.  In 
seguito,  il  monachismo  occidentale  'li  San  Bene- 
detto, mentre  intende  ad  una  vita  di  cristianesimo 


GLI    uRldM    RELIGIOSI 


austero,  si  dà  all'apostolato  fra  i  popoli  barbari,  e 
nella  quiete  della  biblioteca  claustrale  provvede  alla 
custodia  delle  lettere  antiche. 

Quando  i  costumi  si  fanno  più  corrotti,  e  la  cor- 
ruzione pervade  anche  il  chiostro,  nascono  le  rifor- 
me della  Regola  ,  con  tendenza  al  rigorismo.  Più 
tardi,  allorché  pare  che  una  completa  mondanità  si 
sia  imposta  a  tutte  le  forme  di  vita  sociale,  ecco  ap- 
parire gli  Ordini  Mendicanti  ad  innalzare  il 
siilo  della  povertà  evangelica.  Contro  la  Riforma,  i 
Gesuiti.  Nell'età  moderna,  una  lunga  serie  di  nuove 
Associazioni  monasti- 
che dedicate  di  prefe- 
renza alle  opere  di  ca- 
rità o  all'istruzione , 
quasi  per  accompagna- 
re il  cammino  del  pro- 
gresso, che  nello  svi- 
luppo del  pensiero 
scientifico  e  dell'azio- 
ne sociale  umanitaria 
avrebbe  cercato  i  mi- 
gliori allori. 

Ma  il  mondo  cam- 
mina, gli  istituti  invec- 
chiano: esaurito  il  lo- 
ro compito,  pel  quale 
erano  stati  chiamati  in 
vita,  decadono.  Al 
qual  proposito  fanno 
le  seguenti  parole  del 
Cavour,  dette  alla  Ca- 
mera dei  Deputati  il 
17  febbraio  1855,  al- 
lorché si  discuteva  un 
progetto  di  legge  per 
la  soppressione  di  al- 
cune comunità  reli- 
giose : 

«A  mio  avviso  , 
«  tutti  gli  Ordini  reli- 
«  giosi ,  quantunque 
«  promossi  da  persone 
»  aventi  per  principale 
«  scopo  la  loro  eterna 
«  salute  ,  il  maggior 
«  bene    della    religio- 

«  ne ,  sono  stati  fondati  altresì ,  sino  ad  un 
«  certo  segno ,  per  soddisfare  ad  alcuni  bisogni 
«  sociali  dell'epoca  in  cui  venivano  istituiti.  Vado 
«  convinto  che  tutti  gli  Ordini  religiosi,  i  quali 
«  hanno  avuto  vita  lunga  e  prospera,  i  quali  si  sono 
«  moltiplicati  e  dilatati,  tutti  questi  Ordini  reli- 
t  giosi  ne!  loro  nascere,  corrispondessero  ad  un  reale 
«  bisogno  della  società  ». 

L'osservazione  è  tanto  nel  vero  —  e  Cavour  an- 
che in  questo  mostra  l'ugna  del  leone  —  che  molti 
Ordini  già  fiorenti  decaddero  per  lenta  consunzione 
e  sparvero;  altri  si  rilasciarono  tanto  nella  disci- 
plina, da  dover  essere  completamente  riformati;  al- 
tri ancora  vennero  soppressi  dall'Autorità  religiosa; 
altri  infine  dalla  Autorità  civile. 

Attualmente  le  case  religiose  sono  assai  diffuse. 


San  i    Ign  IZK 


1  ]■• 

e,  quello  che  è  curioso,  è  non  solo  la  potenza  nume 
rica  di  alcune  Congregazioni,  ma  la  loro  potenzi  eco 
nomica.  Del  resto,  il  fatto  ha  la  sua  spiegazione:  un 
po'  le  donazioni,  i  legati  testamentari,  e  le  molteplici 
industrie  alle  -piali  i  religiosi  si  sono  dedicati,  ecco 
i  cespiti  della  loro  ricchezza.  La  quale  tende  sempre 
ad  aumentare;  perchè  ne  entra  facilmente,  da  tante 
parti,  per  tante  guise,  e  difficilmente  ne  esce, 
essendo  uso  nei  religiosi  di  alienare  i  beni  della  co- 
munità. E'  chiaro  che,  andando  innanzi  cosi,  a  lungo 
andare,  tutto  finirebbe  nelle  mani  delle  Congrega- 
zioni ;  ed  è  eziai 
naturale  che  un'orga- 
nizzazione economica 
cosi  sviluppata,  e  in 
via  di  nuove  conqui- 
ste, metta  in  appren- 
sione un  Governo.  Gli 
Assunzionisti  in  Fran- 
cia, capitanati  dal  P. 
Bailly,  i  Gesuiti,  coa- 
diuvati indirettamen- 
te dai  Domenicani,  a- 
doperando  come  leva 
il  giornalismo,  e  di- 
sponendo di  forti  ri- 
sorse finanziarie,  dato 
che  si  fossero  gettati 
nell'arena  politica  prò 
0  contro  Dreyfus,  prò 
o  contro  la  Repubbli- 
ca ,  dovevano  impen- 
sierire li  1  Stato  ,  come 
accadde,  e  determina 
re  il  nuovo  progetto  di 
legge. 

Del  resto,  diciamolo 
più  apertamente:  o 
una  data  istituzione  ili 
religiosi  si  tiene  rel- 
l'ambito  della  \  ita 
claustrale,  nell'eserci- 
zio delle  opere  ili  ca- 
rità, ed  allora  è  giu- 
sto che  goda  la  liber- 
ta, a  cui  tutti  abbiamo 
diritto  ;  oppure  inva- 
de il  campo  delle  attribuzioni  dello  Stato,  ed  allora 
lo  Stato  ha  ragione  di  far  valere  i  suoi  diritti.  A  nes- 
suno verrebbe  in  mente  di  gettare  un  sospetto  sul  bui  in 
cappuccino  0  sulla  stura  di  carità;  mentre  tutti 
sanno  l'opera  demolitrice  che  esercita  il  gesuita  nei 
suoi  collegi  e  colle  sue  pubblicazioni,  a  danno  d 
l'unità  d'Italia. 

intanto  ai  collegi  in  genere,  alla  crescente  prò 
sperità  di  quelli  diretti  da  Corporazioni  relig 
ed  alla  decadenza  dei  governativi,  che  cosa  dire5 
Se  il  pubblico  ha  fiducia  in  quelli  più  che  in  qui 
a  che  prò  fare  dei  lamenti?  Il  Cavour  pensava  chi- 
fosse  non  solo  utile,  ma  necessaria  la  coesistenza 
di  collegi  religiosi  e  collegi  laici,  e  ciò  per  intento 
di  emulazione;  ma,  aggiungeva,  parlando  alla  Ca 
mera  :  a  Fate  solo  che  l'insegnamento  laico  sia  mo- 


Lojoi  l. 


'  Il 


LA    LETTURA 


ben  ordinato ;  state  pui  oerti  che  vincerà 
la   prova  nza  delle  Corpora 

udiamo  agli  ultimi  dati  statis 
re  rho  il  pan-ri-  suo  non  venne  a- 


M.i   gli  Ordini  religiosi  continueranno   a   vivere, 
ve,  in  una  torma  o  nell'altra:  ceri 
avranno  delle  mutazioni;  le  nuove  esigenze  riehie- 
deranno  qualche  applicazione  nuova   del    principio 
monastico;   ma  non  si  potrà  mai  impedire  ad  una 
fanciulla,  che   intenda  dedicarsi   alla  preghiera  ed 
1    prendere  il  velo  del  sacrifizio,  e  ad 
un  uomo  libero,  che  aspiri  all'ascetismo,  di  ritirarsi 
a  vivere  o  nel  deserto,  o  in  un  chiostro.  La  vita  ce- 
nobitica  è   un   portato  della   religiosità,    reprimere 
gli  abusi,   sta    bene;    ni.i   sarebbe    strano  e    ingiusto 
che  la   libertà,  tanto  reclamata  da  tutti    per  tutti, 
'asciasse  poi  vivere  in  pace  chi  altro  non  cerca 
che  pace. 

broso  in  un  suo  articolo  nella  Nuova 
.'ogia  (i  settembre  1901V  tratteggiando  la  po- 
sizione del  pericolo  nero  in  Francia,  ha  voluto  dir! 
un  po'  l'allarme  al  nostro  paese.   Ma,  da  noi,  non 
|    ricolo  O  nero,  o  cappuccino:    in   Fran- 
ge diverse  forze  vive  tendono  a  distruggersi  l'un 


l'altra;   da  noi,   invece,  grazie  a.  Dio,  c'è  un  senti- 
tzionale  più  discreto  e  più  sano,  anche  se 

appare  m  roso.  La  tendenza  a  consolidare 

l'Italia  nuova  è   .incora   il  programma  minimo  che 
ii   partiti  hanno  comune.    I   religiosi  dei    diversi 
Ordini,  per  parlare  sulle  generali,  non  entrano  in 
ito    lavoro    antagonista    dei    partiti    nazionali; 
Fatta  eccezione  di  :  Gesuiti,  che  lo  spirito  reaziona- 
rio  l'hanno  nelle    vene,   e  coli  atteggiamento  loro 
giannizzeri  del  Papato,  del  Papato  temporale  in 
modo  speciale,  sono   i   più   caldi  oppositori   dell'u- 
I  Italia.   11  che  non    impedì   che,  qualche  anno 
fa,  il   loro  collegio  di   Mondragone  avesse  trovato 
una  piccola   legione  di   uomini   politici,  che  propo- 
nevano il  pareggio  delle  sue  scuole.   Eppure  il  me- 
todo educativo  dei  Gesuiti  è  di   fare  dell'alunno  0 
un  gesuita  o  un  anti-italiano:   questo  intento  lo  si 
unge  con  tutta  la  ricchezza  e  la  modernità  dei 
mezzi  educativi,  .(ira.  il   perseguitare  è  una  forma 
vieta  e  barbara  ;    il  difendersi  è  semplicemente  un 
re    dello    Stato.   Ma   sarebbe  un   grosso  errore 
l'involgere  in  un  solo  apprezzamento,   poniamo,  il 
gesuita   politicante  e  il  buon   francescano,  ossia  il 
non  voler  distinguere  nelle  diverse  Corporazioni  mo- 
nastiche quelle  che   vivono   e  lascian   vivere,  dalle 
altre,  che,  per  istinto  di  predominio,  possono  essere 
nello   Stato  un  elemento  perturbatore. 


Certosino.  Certosina.  Trapi 


Carmelitano.  Carmelitana. 


SOMMARIO: 


Letteratura  e  Critica.  —  Il  *  .Verone»  di  Arrigo  Botto  I  Romualdo  Giani  i. 
Romanzi  e  Novelle.  —  Ceneri  di  mirto  i  Fosco  Marte). 
Poesia.  —  Kit  un'  l  Marco  Lessona). 

Belle  Arti.  —  L'art,-  mondiale  a/la  lì'  Esposizione  di  Venezia  (Vittorio  Pica). 
Storia  Contemporanea.  —  /  Boeri  e  la  guerra  Sud  Africana  (Federico  Rompeli. 
Filosofia.  —  Nuovi  studi  sul  Genio  (Cesare  Lombroso). 

Sociologia.  —  Problemi  odierni  fondamentali  dell'economia  e  delle  finanze  (N.  <;.  Pierson)  —  Femminismo  sto- 
rilo (Sfinge). 


LETTERATURA  E  CRITICA. 

Romualdo  Giani  :  //  X croni  dì  Arrigo  Botto. 
(Ti  Tino,  Bocca).  —  La  tragedia  del  Boito  fu  oggetto 
di  vari  giudizi  ;  ma,  in  generale,  l'attenzione  di  quan- 
ti la  esaminarono  restò  avvinta  dall'opera  letteraria 
a  segno  da  far  dimenticare  che  essa  sarebbe,  che 
era  già  indissolubilmente  unita  con  l'opera  musi- 
cale. Romualdo  Giani,  critico  d'arte  erudito  ed  e- 
legante,  ha  avvertito  questo  errore,  ed  ha  quindi  po- 
tuti, mettere  in  evidenza  ed  apprezzare  tutto  ciò  che 
gli  altri  critici,  per  non  essersene  guardati,  disco- 
nobbero o  biasimarono  nel  lavoro  del  Boito.  Il 
Nerone  non  è  un  componimento  poetico  da  tradursi 
nei  suoni,  bensì  un'opera  sorta  da  un'ispirazione 
poetica,  plastica  e  musicale  ad  un  tempo;  la  pri- 
ma opera  italiana  informata  al  conretto  che  nella 
vera  tragedia  il  verso,  il  canto,  la  sinfonia  e  la  mi- 
mica, sorgendo  contemporaneamente  da  uno  stesso 
o  stato  dionisiaco  dell'anima  agognante  di  rivelare 
il  suo  sogno  d'ebbrezza  »  —  sono  parole  del  Nietz- 
sche -  debbono  essere  cos'i  intimamente  disposati 
ed  uniti,  da  formare  un  tutto  indissolubile. 

TI  motivo  di  questa  ispirazione  complessa  e  mul- 
tiforme, se  è  derivato  dalla  storia  di   Nerone,  non 
consiste  e  non   poteva   consistere  negli  avvenimenti 
particolari   della  sua  vita.   Quei  critici,   avverte    d 
Giani,  i  quali  credettero  che  l'argomentò  dell'opera 
fosse  la  vita  di  Nerone,  ebbero  ragione  di  dii     eh 
la   tragedia    restava    senza  catastrofe,   e    più   ne  a- 
vrebbero  anche  avuta  se  avessero  detto  che  una  vera 
e  propria  a/ione   mancava   addirittura;    m 
ment^  dell'opera  è  un  altro,  più  vasto,  più  intimo: 
è  il  o  ntrasti    scoppiato  nel  mondo,  in  quell'ora  fa- 
tale della  sua  storia,   fra  due  dottrine,   dui    mi  rali, 
due  fedi;    tra  la  lussuria  e  l'amore;   tra  l'ebbi 
di  godimento  e  di  dominio,  e  l'ardore  di  sacrifizio 

La  Lettura. 


e  di  rinunzia;  tra  la  line  di  una  decadenza  e  l'ini- 
zio d'una  resurrezione.  Questo  soggetto  poteva  sol- 
tanto determinare  nell'anima  dell'artista  lo  «  stato 
dionisiaco  »,  il  sogno  creatore,  e  la  complessa  sua 
creazione  doveva  chiedere  a  più  arti  i  loro  modi  e- 
spressivd.  11  che  non  vuol  dire  che  esse  abbiano  gli 
stessi  uffici  e  stiano  negli  stessi  rapporti.  Al  con- 
trario; e  il  Giani,  nelle  pagine  meglio  studiate  del 
suo  bellissimo  studio,  esamina  appunto  in  quali 
proporzioni  la  poesia,  la  musica  e  la  mimica  con- 
ci nano  a  produrre  gli  effetti  nelle  varie  parti  del- 
l'oliera.   Per   esempio:    nel   Trionfo   (line    del   primo 

atto),  la  rappresentazione  è  quasi  tutta  plastica,  qua- 
si  interamente  dovuta  alle  immagini  visive;  quindi 

la  parola  è  usata  soltanto  per  dare  significazione  al 
grido:  non  vi  sono  periodi  0  frasi  regolari,  non  ag- 
grumiamomi di  sistemi  di  metri,  ma  solo  esclama- 
zioni e  interiezioni  ;  la  stessa  musica  qui  non  trova 
1  fogo  a  forme  simmetriche  e  chiuse  di  anodi  clan 
di  monodie,  di  cori  ;  ma  solo  a  varietà  di  tonalità 
e  di  ritmi,  dì  discordi  e  ili  a  cordi.  Altrove,  nella 
scena   ÒsYL'Oppidum    (pi  ima   parte-  del   quarto  a 

le  manifestazioni    delle  varii    ani   procedono   I 

congiunte,  ma  prevalendo  a  volta  a  volta;  poiché 
agli  episodi,  alla  contesa  intomo  all'auriga,  alla 
stilai, i  il' Ma  lolla,  agli  apparecchi  del  supplizio,  al 
eo  delle  Dirci,  dà  valore  la  mimica;  la  parola 
domina  invece  nei  diali;  h    Fra    Simone  e  Gobrias, 

Ira  Tigellino  e  \i  n  ne.    fra    Nei :  la    Vi  stale, 

one  procede;  e  la  mu 
vrana   m  iì  •  spri  ssii  ni  imi  riti    in  altri 

ghi,    seni  imeni  i    ed    immagini,    '  I  li  'ih     i,  in    ,  i    li 

'ii    al    pensieri  :  ;     allora    il    e.  in 

e    ■    ii-  i li  la  musii  ' 

giunge  il   sin i  comn  ono  già  di  finite  e 

i  -  sì,  per  i  sempii  r,  nell  ora  di  Nerone 

sulla    li  s-;i    ,1,  ve  depone  l'urna  o  ri    le  a  neri    ma- 
io 


i  )i  i  LA    LETTURA 

teme,  o  la   decadenza  romana 

da  Sun  n   \l   .      La  parola  primeggia  ancora 
quando  ritrai-  un  f:  ne  una  situazione  od 

declamazione  ne  dovrà   essere  nitida, 
e  quasi  scolpita,  come  nelle  formule  del 
riti >  ili  Sin»  ii  ntenze  'li  morte  che  l'In 

i  ecc.  Invece  1"  stile  la 

amente  alla  music    i  alla  mimica 
parola  rapida  e  precisa  abbozza  ili  scorcio  l'i- 
dea, quando   l'azione   più  urge,  quando,  per  esem 

\  roano  ansiosi  nelli  <  S/ 

r:nn  I    ibi   i    i     >e    [ui   la   poesia  ni  «1  i 

svolg  nunzia,  la  parola  si  dissolve  tutta  nei 

suoni  'pianilo  l'ispirazione  lirica  è  si  rta  la  prima  e 
.   [uando  la  passione  travolge  ogni  cosa 
e  la  i  ■    nell'ultima  scena   d'amore 

nel  delirio  dell'ultimo  atto, 
la  musica  dovrà  o  >ni  inuare  la  poesia 
e  la  nota  intrecciarsi  alla  parola  in  un'unica  forma 
armoniosa,  dove  il  seii'iim  un  <  pensosi»  e  raccolto 
e  la  commozione  non  trascende  ma  si  diffonde  nel- 
l'animi: esempi  la  scena  dei  «'risii. mi  nell'orto,  l'i- 
dillio di  Fanuel  e  Rubria,  l'addio  del  Nazzareno  al 
ili.  la  confessioni  e  la  visione  estrema  della 
martire. 


padre:  «  Padre  nostro  che  sei  ne'  cieli...  »,  riferì 
il  Sermone  sulla  Montagna  nelle  parole  di  Fanuel: 
■  I  vedendo  le  turbe  ad  udir  pronte.. v.  »,  ripetè  la 
parabola  delle  Vergini  delle   folli  nell'al- 

legoria di  Rubria:  «  Veglia  la  saggia  vergine...  ». 
Nell'addio  di  Fanuel  ai  fratelli,  pensieri  e  frasi 
sono  tratti  dalle  Lettere  apostoliche  e  dall'Esi 

one  agli    Efesi;    il  condannato  si  avvia  al  sup 
pli/io  ripeti  mio  le  paioli-  di  i    Simbolo  apostolico. 
Se  Rubria  cerca    di   accordare    nell'indotta  mi 
due  opposte  fedi,  il  Giani  osserva  che  questo  raso 

immaginato  dal  Boil ri  devi    parere  incredibile, 

poiché  molte  volte  occorse  realmenti  :   a   Pi 
i  Simmaco,  ad  Aconia  Paolina.   Dissero  aliami  eri- 
lii-i  che  non  negli  orti  ma  nelle  catacombe  si  aduna- 
vano i  Cristiani;    il  Giani  risponde  che,  avanti  la 
persecuzione,  essi  si  raccoglievano  nelle  case  dei  più 
notabili  o  agiati;  case  che  non  è   strano  aves 
orti.    Perchè  questi    Cristiani   cantano:    «  0  date  a 
piene  —   mani    le  rose...   i  si   rimproverò  al    Bi 
che  i  suoi  neofiti  sapesseri   Orazio;  il  critico  rispon- 
de che  la  poesia  e  l'arie  cristiana  derivarono  imma- 
gini e  motivi  non  pochi  dal  paganesimo;  e  che, 
mai,  il  o  Manibus  date  fflia  plenis...  »  non  è  di  O- 
razio,  ma  di  Vergilio. 


Né  il   Giani   si  è  contentato  di   spiegare  cosi  l'in- 
tima  economia    del    lavoro  d'arte;    egli  ha  voluto 
anche  rintracciare  le  fonti  alle   quali   il    Boito  at- 
tinsi, strare  con  quanta  scienza,  oon  quanto 
nti.  il   mirabile  artista  è  riuscito  ad  evo- 
millenari  sepolcri  Nerone  e  Tela  che  lu  sua. 
Prima  ancora  di  compiere  questa  ricerca,  il  valen- 
;a    in   rassegna   gli   altri    N croni 
dell'arte:    quello   rammorbidito  e    raggentilito    del 
del     Bacine,    quello    soltanto   violento   e 
i  dell'  Mlieri.  l'altro  borghesemente 
Sta  del  (  'ossa,  e  giudica  che  solamente  nel  Paolo 
del  Gazoletti  e  neW  Assuero  dell'Hamerling  il  vero 
della   storia   e   il    mondo   in    mezzo    al 
quale  vi  se  sono  abbozzati.  Arrigo  Boito  ha  quasi 
■   -lite  derivato  dalle  storie,  dalle  tradi- 
zioni, dalle  leggende.   La  cristiana   figura  di   Fanuel 
i  lai  passi  dei  Fatti  e  del  le  I  lettere  de- 
gli  apostoli:    in    Asteria    rivive   il    mito   dellFIena 
cortigiana;    Terpnos,    Sporo.  Tigellino,   M.   Anneo 
noe  in  pam-  Rubria  appartengono  alla  storia. 
Fu  dello  che  il    Botto  tradisse  la   verità,    facendo   di 

no  un  familiare  del  Cesare;   il  Giani  confuta 
he  Lucano  o  lebrò  le  «  virtù 
lari   di    Nerone  ».  e  fu    da   lui   nominalo  que 
augure.    Nel    personaggio    di    Simone    si 
Matteggia  la    tradizione  dell'  Antimessia:    tutte  le 
credenze  aberranti  fuse     al  poeta  nel  si- 

monismo,  simbolo  d'ogni    falsa   dottrina,  cui   OppO- 
pt  i  del   sentimento  cristiano.    L'inno  di 

Gobi        «  Pi  Logos,   \nthro- 

pos  ».    e   il    sacrifizio  del    sangue    sono   derivati    dai 
della    religione   di    Mitra     I     nella   ra| 

mondo  cristiano   l'artista,  comprendendo 
i  ■  potuto 
tradusse  addirittura  dai  testi    la  D 


Ma  come  la  figura  del  protagonista  fu  quella  in- 
torno alla  quale  più  si  esercitò  l'ingegno  dei  cen 
cosi  il  Giani  dimostra  che  qui  appunto  essi  furono 
meno  giusti.  Il  Nerone  del  Boito,  retore  e  malvagio, 
paz.z.o  e  crudele,  superstizioso  e  beffardo,  traviato 
artista  e  ridcvole  poeta,  infinto  sin  nei  terrori  e  men- 
titore sin  nei  rimorsi,  perseguitato  dalle  ombre  e 
spezzato!  degli  iddii,  istrione  e  COI  '        ire  e  An- 

ticristo, trionfatore  dei  contemporanei  e  sacro  al 
vituperio  dei  venturi,  balza  mirabilmente  vivo,  dice 
il  critico,  da  un'intima  compenetrazione  della  storia 
con  la  leggenda.  In  fondo  al  malvagio  bizzarro  sta 
in  lui  il  retore;  la  sua  follia  —  come  avverti  il 
Renan  --  fu  una  perversione  letteraria.  E  questo 
segno  è  impresso  mirabilmente  nel  personaggio  di  1 
BoitO.  Si  legga  l'orazione  funebre:  lo  scolare  di 
Seneca  comincia  con  una  reminiscenza  della 
ghiera  eschilea,  ma  guasta  l'imitazione  con  imi 
gini    forzate  e  con   giuochi   di    parole.    Qui    il    p 

fu  accusato  di  non  aver  saputo  esprimere  oonven 

nte  il   dolore,   mentre   l'arte  stia  sapiente  i 
sciente    volle   appunto   significare    la    freddezza 
toma  di  quel  tristo.  Si  confrontarono  i    w-rsi   del 
Boito   con    la    divina    ]x>esia    di    Sofocle    m-WAn/t- 

-.   paragone    assurdo,    poichi     Nerone    e 
mosso  dall'affetto  o  da  altro  sentimento  geni 

seppellire    le    ceneri     in  l  dia     5Up 

zione.  Si  imputò  a  difetto  dell'educazione  roman- 
tii  i  del  Boito  l'esagerazione  delle  paiole  e  dei  gesti 
del  protagonista,  mentre  il  poeta  la  volle  espi. 

mente  ottenere,   come  segno  dei   tempi    di   decadi 

da  lui   rappresentati;    decadenza  alla  quale  11 
manticismo    rassomiglia     naturalmente.    Si    osservò 
che  la  maledizione  della   madre  rammentata  da    \i 
e  ne  è  contraddetta    dalla  narrazione  di    Tacito,  ol 
i  pai  i"  della  maledizione,  ignoti 


al  paganesimo,  sono  cristiani  ;  il  Giani  adduce  l'au- 
torità di  Cicerone  e  di  Plinio  circa  l'uso  del  verbo 
maledicere,  e  risponde  che.  mentre  il  racconto  di 
Tacito  non  toglie  che  Nerone  potesse  credere  all'e- 
strema imprecazione  materna,  sta  il  fatto  che 
quando  il  ricordo  del  delitto  era  ancor  vivo,  un  imi- 
tatore di  Seneca  attribuì  ad  Agrippina  l'impreca- 
zione famosa  :  «  Hie  est,  Me  est  foediendus,  mou- 
strum  qui  tiilì  iulit  ».  Non  si  volle  che  Nerone  po- 
tesse tremare  dinanzi  al  Mago;  mentre  sta  il  I 
riferito  da  Tacito,  che  il  Cesare  tremo  dalla  paura 
per  tutte  le  membra  nel  tempio  di  Vesta  Si  ag- 
giunse che  il  ricordo  del  delitto  non  dette  mai  a 
Xerone  il  terrore  che  il  Boito  gli  attribuisce  per  la 
supposizione  che  Roma,  il  Senato  e  la  plebe  lo  ac- 
colgano con  fieri  propositi  di  vendetta  ;  ma  di  que- 
sti propositi  il  protagonista  non  parla,  e  le  sue  pa- 
role rendono  esattamente  la  narrazione  di  Tacito. 
La  fedeltà  non  consiste  solo  nelle  parole  e  negli 
atti  ;  ma  tutta  la  psicologia  del  personaggio  della 
tragedia  è  quella  della  figura  storica.  Nel  folle  so- 
gno dellimeneo  con  la  dea  è  il  «  cupi/or  incredibì- 
lium  »  ;  nell'ostentato  ricordo  delle  turpi  nozze  e 
del  sacrilegio  e  del  matricidio  è  la  vanità  del  delin- 
ite  e  del  pazzo.  Il  sentimento  espresso  a  Tigel- 
lino  durante  l'incendio,  ha  rilievo  dalle  stesse  stori- 
che frasi  riferite  da  Svetonio.  Nei  minimi  partico- 
lari si  rivela  lo  studio  profondo  compito  dal  poeta 
per  l'amore  della  verità,  dell'esattezza,  della  preci- 
sione. Xel  coro  delle  Eumenidi,  quando  risuona 
furio:  a  Matricida!  »  Nerone  non  risponde  come 
dovrebbe:  o  Pensi  che  il  suo  sangue  sia  stato  senza 
ragione  versato?  »  ma  grida  invece:  «  Atroce  ma- 
—  Fiera  murena  al  mio  scettro  annodata!  ». 
Il  retore  rammenta  qui  l'immagine  della  murena  che 
è  nelle  parole  di  Oreste,  nelle  Coefore.  Infinite  al- 
tre volte  il  suo  linguaggio  è  enfatico  studiatamente  ; 
ma  quando  l'intima  natura  del  personaggio  pro- 
rompe, allora  il  Boito  lo  fa  parlare  con  estrema  e 
brutale  vivacità.  E  lo  stile  muta  coi  personaggi  e  si 
adatta  all'indole  e  all'educazione  di  ciascuno:  è  soa- 
vemente semplice  nei  Cristiani,  pomposo  e  fastoso 
nel  Mago,  fantasioso  e  fiorito  in  Asteria.  E  tutta 
questa  varietà  di  espressioni  ha  rilievo  dalla  va- 
rietà dei  ritmi.  Come  nell'opera  del  Wagner,  così 
nel  Nerone  del  Boito  le  forme  metriche  sorgono  a 
un  tempo  con  l'immagine  e  col  pensiero:  l'endeca- 
sillabo del  dialogo  discorsivo  cede  nei  momenti  più 
!:riri  ai  ritmi  ascili  e  brevi,  ed  alle  strofe  animate 
ed  irrompenti  dove  la  passione  più  incalza;  e  il 
linguaggio  dei  Cristiani  suona  sempre  nel  verso 
sillabico  e  rimato  che  si  fissò  poi  negli  inni  della 
nuova  liturgia,  mentre  i  pagani,  e  Nerone  segna- 
tamente, si  valgono  dello  sciolto  o  del  verso  armo- 
nizzato di  antichi  ritmi.  Mentre  il  Carducci  ha  ri- 
prodotto il  suono  dei  versi  greci  e  latini  letti  se- 
condo l'accento  grammaticale,  il  Boito.  seguendo 
l'esempio  dei  moderni  poeti  inglesi  e  tedeschi,  e  l'e- 
zione  di  Giuseppe  Chiarini,  ha  preso  a  fonda- 
mento della  quantità  l'accento  della  parola  ed  ha 
tuito  la  sillaba  accentata  all'arsi,  l'atona  alle 
tesi.  Egli  ha  tentato  anche  l'alliterazione,  si  è  ser- 
vito della  rima  al  mezzo  e  della  rima  .  d  ha 


I      I .  I  B  R  I  [47 

trovato  intrecciamenti  nuovi  di  ritmi  diversi,  ser- 
bando, in  una  stessa  melodia,  i  suoni  dell'endeca- 
sillabo e  del  settenario. 

In   questo   ma  [ueste   parole,    Romualdo 

Ciani  definisce  e  misura  il  valore  dell'opera  di  Ar- 
rigo Boito.  Noi  non  abbiamo  qui,  naturalmente,  po- 
tuto far  altro  che  rilevare  i  passaggi  principali  del 
suo  libro,  essendo  impossibile  seguirlo  in  tutte  le  dì 
mostrazioni.  in  tutte  le  citazioni,  in  tutti  gli  esempì. 
Ma    per  concludere... 

«  —  No  »,  è  il  caso  di  ripetere  con  l'autore. 
«concluderemo  poi,  quando  ci  sarà  nota  la  musica». 
Per  ora  non  c'è  da  far  altro  se  non  augurare  che  il 
poi  significhi  Presto,  anzi  prestissimo. 

ROMANZI    E    NOVELLE. 

Fosco  Marte:    Ceneri  di  mirto  (Firenze.  Luma- 
chi),  L.  2.50.  —  Il  romanzo  è  dedicato  a   Maurizio 
Maeterlinck,  e  basta  leggerne  una  pagina  per  inten- 
dere come  la  filosofia  e  lo  stile  del  Tesoro  degli  li- 
mili e  della  Saggezza  del  destino  abbiano  prò 
molta  impressione  sul  giovane  autore.  Egli  trascrive 
e  nella  prima  pagina  del    suo  libro   il   giudizio 
dello  Schopenhauer:  a  Un  romanzo  è  tanti 
bile  e  pregevole,  quanto  più  penetra  nella  \ 
riore  ed  ha  meno  avventure  ■  0  la  favola  di 

queste  Ceneri  di  mirto  non  potrebbe  essere  più  sem- 
plice; il  che  non  vuol  dire,  purtroppo,  che  sia  tutta 
logica  e  verosimile.  La  protagonista.  Leonia, 
sato,  per  salvare  dal  disonore  il  padre  suo,  un  di- 
plomatico danaroso  ma  vecchio,  il  quale,  dopo  ap- 
pena sei  anni  di  matrimonio,  è  colpito  dalla  paralisi. 
La  vita  di  lei  trascorre  vuota  e  triste,  quando  un 
giorno,  visitando  la  Galleria  dei  Pitti,  ella  conosce 
il  pittore  Icilio  Monardi  in  un  modo  alquanto  ori- 
ginale: costui,  mentre  copia  la  Madonna  del  Gran- 
duca, scontento  di  sé  stesso,  sfonda  la  propria  tela  ; 
e  al  grido  di  Leonia,  si  volta  dicendo:  «  Che 
vi  sorprende,  signora?  Io  non  sono  un  copiatore  di 
professione,  ne  saprò  piegarmi  a  lavorare  sulla  fal- 
sariga di  nessuno...  ».  In  poche  parole:  Icilio  e 
Leonia  si  comprendono  e  si  amano:  egli  rivela  a 
lei  la  \ita,  ella  sostiene  ed  ispira  il  lui    Nien- 

te li  turba  o  disturba:  il  marito,  il  vecchio  barone 
Alvisi,  è  sempre  inchiodato  sopra  una  poltrona, 
mezzo  inebetito,  e  nessuno  dei  due  se  ne  dà  p 
siero.  Se  non  che,  conseguita  la  gloria  grazie  ad  un 
dro  dipinto  nella  febbre  dell'amore  e  con  lei 
come  modella,  Icilio  sente  il  bisogno  di  avere  que- 
sta donna  tutta  per  sé;  ma  Lamia,  che  fino  ad  ora 
non  si  è  neppure  rammentata  d'appartenere  ad  un 
altro  uomo,  prova  improvvisamente  il  dovere  e  il 
bisogno  di  restare  accanto  all'invalido  consorte,  per 
curarlo  affettuosamente.  Contrarialo.  lei! 
va  a  Parigi,  di  dove  scrive  dapprima  assiduarn 

1  ..mia.  ma  poi  la  trascura  Ella  se  ne  addolora, 
ma  non  lo  importuna  con   le  pn  ■  suo 

dolente,  quando  un  rte  muo- 

re. Leonia  si  ance  che   1   il    •  ni  n  v 

a  raggiungerla:  ella  non  gli  ha  però  scritto  e  nep- 
pure mandato  la  p  natia  ;    il 
amante  ha  l'obb                  ere  che  è  vedova  perchè 
la  notizia.'-  stata»  ripetuta  da  tutta  I:  ».  Il 


14» 


LA    LEI  I  I  RA 


fatto  .'    che  Icilio  ha   un'altra   i 

:     lia,  e   ini 
l  ancora  parlarle  d'amore  :  ina  ora 

lo  ama  più,  o  non  ha  |»u  fede  in  lui,  < 

l  ra  troppo 

re  non  si  è  messo  di- 

e  li   fa  p 

,], 

rre  il  suo  quadro, 
Manda  il  tuo  quadi  ro  al 

andò  il  quadro  ,  Icilio  dice 

vite  sono  legate  dal   serto  d'al- 
».  Anche  nello  stile  è  palese  1"  studio  d'imi 
ri  imaginifici  :  il  male  è  per.',  che  l'auti  re 
parla  <li  una  «  insensibilità  ili  vibrazioni  »  che  Leo- 
isa,  e  diceche  la  medesima  Leonia 
sangue  calmo,  il   suo  cervello   riflessivo, 
■  conclusioni    positive  che  impoveri- 
il  privilegio  del  cuore  e  aio  come  tatti 

le  follie  che  si  erano  consumate  da  loro 
O  violento  degù   archi  melo- 
u  ta   la  -lu  suscettibilità  ner- 
sensibilissima  all'espressione  musicale  ».  e  che 
l  I   [cibo,  "  dopo  il   compimento  della  cosa 

soprannaturale,  hanno  acquistato  il  diritto  ai  loro 
legami  che  li  esi  rierano  da  tutto  ciò  che  ormai  non 
li  riguarda  più  t.  L'autore,  il  cui  ingegno  innegabile 
■  una  falsa  via,  chiama  umile  la  veste 
artistica  del  suo  romanzo.  Così  fosse  umile  vera- 
mente. Essa,  al  contrario,  è  gonfia,  ammanierata, 
rata. 

POESIA. 

\1  \rco  Lessona:  Ritmi.  (Streglio,  Torino),  li- 
re i.  —  Dice  l'autore,  nella  Preghiera  con  la  quale 
si  apre  il  volume,  che  il  «  tenue  ritmo  »  del  verso  si 
perde  nel  continuo  rumore  della  vita;  e  tenue  ve 
rami  ilvolta  temùssimo,  è  il  ritmo  di  questi 

versi  suoi,  n  In  piazza  Sant'Andrea,  alle  otto  e  mez- 
za di  sera,  le  trombe  degli  alpini  suonan  la  ritirata, 
ola  piaz/a.  sempre  tranquilla  e  deserta  coi 
suoi  palazzi  antichi  e  la  chiesa  alta  e  scura,  subito 
si    riempie   di    ODI  ni   uno   sciame   di   bimbi 

hiamazzando  e  ridèndi  i  ».  Questi  a  ino 
i  primi  distici  di  un  componimento;  un  altro  co- 
mmi 'ii.i,  questa  mattina  d'a- 
prile e  proprio  bella,  ed  è  un  vero  piacere  andar  qui, 
lungo  il  fiume,  con  lei  a  braccio,  per  questo  vii 
pioppi...  •.  Talvolta  non  solo  il  ritmi  itenue 
che  i  versi,  trascritti  uno  dopo  l'altro,  possi  no  sem 
l.r.i;  tati  ;  ma  troppi  i  di- 
messa e  veramente  prosaica  '<■  la  stess  ione: 
«  Te  ne  ricordi  ancora  di  quell                         I 

ino,  all'Albero  fiorito?  Te  ne   ricordi 
di  quella  frittura.  i  tanto,  e  di  quel 

...  Ma       l  i.  quando  vuole,  sa 

pur-  sioni  ed  accenti  più  ar- 

mi n  e  nel  Pi  nel  Canto  delle 

Barbari,   nel   Fiumi .  i  ri  turno 

he  nel    /'  inni  all' Inferi. 

oppo  mai   '  ni  ne   baudeli 

Il   '  ritorna  più   spesso  in  questo  volu 


i .  nel 

l'attimo  felice,  di  g  del 

ni.  ili  gusi.ue  senza  preferenze  le  diverse  I 
me  della  l.elle//a  ;  ii. in  mancano  però  altri 

p  li   nobili  ed  austi  risigli  della  sti 

ti.  i/i.  ne  da  appi  in  re,  le  li  di  della  ri- 

nunzia   e    i   SI  rrisi  dinanzi   alli  umani-  e   a 

in  mie  della  vita. 

BE  1.  I.  E    A  R  T  I. 

Vittorio  Pica;  L'arte  mondiale  alla  IV  Espo- 
m  di  l'i  n<  ■  il-  rgami  .  I  si  unto  italiano  di 
arti  grafiche),  1..  a.  Basterebbe  rammentare  che 
questa  nuova  ..pera  del  valente  scrittore  napoletano 
ha  ottenuto  il  primo  premio  al  concorso  delie  criti- 
che sull'Esposizione  veneziana,  pei    fame   l'eloj 

Non   uno    degli    atteggiamenti    dell'arte   COntemp 

nea  sfugge  ..l  Pica,  e  di  tutti  egli  assi  gna  le  origini, 
le  ragioni,  i  vantaggi,  i  pericoli.  L'imitazii 

stranieri,  quella    che  egli  chiama  i    nordica 

.'.  dice,  un.,  dei  caratteri  salienti  .1.  Ila  pre- 
transitoria  dell'arte   italiana;    e   contro    l'imitazione 
pedissequa  egli  mette  in  guardia  i  nostri  artisti,   di- 
stinguendo  però  ad   uno  ad   uno  gli    imitatori  inco- 
scienti  da  quelli    nei   quali    lo  studio  dei    nordici  ha 

prodotto  naturalmente  effetti  benefici.  Reciproca- 
mente dimostra  quali  altri  Italiani  si  sono  mani, 
fedeli  ai  dettami  d'una  recente  tradizione  nostrana 
troppo  spesso  povera  e  gretta,  mentre  alla  grande 
tradizione  gloriosa  del  Quattrocento,  del  Cinque- 
cento, del  Seicento,  si  vedono  fedeli  soltanto  gli  stra- 
nieri, i  francesi,  gli  Inglesi,  i  Tedeschi.  Nelle  SI 
tele  del  Corot,  del  Dupré.  del  Daubigny  e  del  Millet, 
vede  la  prova  che  il  paesaggio  è  stato  la  gloria  più 
fulgida  e  più  pura  dell'arte  francesi-  nel  secolo  de- 
cimonono,  e  dei  paesisti  che  hanno  esposto  a  Ve- 
nezia addita  i  pregi  e  i  difetti  fermandosi  partico- 
larmente sulla  mostra  ri  va  del   Fontanesi. 

Dopo  aver  ti  CCati  ■  dei   pittori   di  marine,  passa  ai  bi- 
blici,   cominciando   dal    grande     Morelli,    e   distin- 
guendo  in  due  gruppi,    l'inglese  e  il  germanico,    i 
novatori;   poi  ai   simbolisti,  al  Boecklin,  al   Bume 
fones,   al  Latoùche  ed   i   nostri    Previati,  Laurent! 
e  Mentessi,  e  quindi  si  ferma  sugli  innumere 
listi,  ritrattisti,  animalisti,  .li  ogni  nazione  e  di  ogni 
singolo    artista    cogliendo   e   additando    i    particolari 
caratteri.    Con    la   stessa   diligenza    e   con    lo    st. 
acume  ragiona  degli  acquafortisti,  dei  di 
degli  scultori,  dei  medaglisti    II  bellissimo  volume. 
ricco  di  circa  invento  illustrazioni,  fra  riproduzioni 
di  quadri  e  ritratti   d'artisti,   è  un  rito  che  i 

futuri  storici  dell'arti  non   potranno 

rjsi   dal  consultare. 

STORIA    C  >\  flMI'i  IRANEA. 

Fedi  Rico  1  '  sud  afri- 
cana.   (Milano.     Hoepli),    L.     1.50.    -  1    .nitore   di 
qui  sto    libro    illusi  i                  mente   una  mi 
pagina  d              la  gloriosa  resisi  un  pugno 

di     prodi     ini'                  dall'amor    patrio  ha     stipuli 

o|,|  .in    .il.-  fi  !<■  d'una  «Ielle  ii 

mondo.    Il  generali  1  Pfiftei  ha  det- 


tato  l'introduzione,  nella  quale  narra  come  l'Africa 
meridionale  si  acquistò  un'importanza  storica  mon 
diale,  dal  giorno  che  gli  Olandesi  fondarono  la  pri- 
ma stazione  ili  rifornimento  sulla  via  delle  [ndii  a 
Tafelbay,  fino  allo  scoppio  dell'attuale  conflitto.  11 
testo  ilei  libro  e  le  copie  sissime  illustrazioni  ci  di 
scrivono  e  mostrano  i  costumi  dei  Boeri  in  pace  e  in 
guerra,  i  loro  maggiori  uomini,   li  campi, 

combattenti,  le  armi.   Sono  più  di  cento  le  nitide 

figure   ohe  quasi   ad   ogni    pagina   corredi l'eie 

gante  volume,  in  fondo  al  quale  sta  una  cronaca 
degli  avvenimenti  guerreschi  dal  4  giugno  [899  al 
30  novembre  del  igoi  e  una  rana  delle  due  Repub- 
bliche sud-africane. 

FILOSOFIA. 

Cesare  Lombroso:  Nuovi  studi  sul  Gerì  0.  Vo 
lume  I  :  Da  Colombo  a  Manzoni.  (Palermo,  San- 
dron),  L.  3.  —  La  teoria  della  degenerazione  e  della 
nevrosi  ilei  genio,  alla  quale  il  Lombroso  deve 
tanta  parte  della  sua  lama,  era  stata  ultimamente 
fatta  segno  a  molti  e  vivaci  attacchi;  con  questo 
primo  volume  di  una  nuova  serie  di  studi,  Tintore 
intende  rispondere  principalmente  a  due  suoi  op- 
positori:   il    Bovio  e  il   Tamburini. 

'Disse    il    primi»    che    la    dottrina    lombrosiana 
è  in  gran    parte  fallace,  perchè  il  Lombroso   non 
adduce  esempi  di  veri  e  propri  geni,  ma  di  geni  falsi 
e  discutibili,  di  genialoidi.  Il  Tamburini,  d'accordo 
col  Padovan,  osservò  che,  per  sostenere  la  tesi  della 
nevrosi  degenerativa,  il  Lombroso  si  servì  di    geni 
unilaterali   e  realmente   nevrotici,  come  il    Tasso,   il 
Poe,  il  Rousseau,  il  Lenau;   ma  non  si  attentò  di 
affrontare  l'analisi  dei  sani  ed  universali.  L'accusate 
risponde    esaminando    attentamente    il    carattere    e 
l'opera  di  Cristoforo  Colombo  e  di  Alessandro  Man- 
zoni   (jdie  il   Bovio  appunto  nominò  come  geni  au- 
tentici ed   esenti   da    Ogni   stimmate   degenerativa),  i 
più  brevemente  dello  Swendeborg,  del  Petrarca,  del 
Pascal,   ed-.   Seiioncliè,  nel  caso  del  Colombo,  pare 
che  tutta    l'analisi   del  Lombroso  sia   precisamente 
diretta  a  negare  le  vere  qualità  del  genio  al  grande 
navigatore  gì  ni  vose,  di  1  quale  diceche  l'idea  di  rag- 
giungere l'India    per  la   via  d'occidente  non   fu  sua, 
e  che  sbagliò  nei  calcoli,  e  che  non  comprese  d'avere 
sbagliato  neppure  dopo  il  primo  e  il  secondo  viag- 
gio, e  che  s'appoggiò  a  una  ipotesi  spropositata,  e 
che  fu  in  tutto  d'una  enorme  ignoranza,  e  che  do 
vette  la  sua  gloria  alla  semplice  ostina/ione  nell'er 
rore.  Tutti  gli  altri  difetti  che  l'autore  trova  nel  Co- 
lombo,   l'abito  della  menzogna,    l'istinto  della    cru- 
deltà, il  delirio  delle  grandezze,  sono  difetti  morali 
i  quali  potrebbero  provare  l'origine  morbosa  del  ge- 
nio sin  1,  anni ie -se  che  '  gli  possedesse  un  vero  genio  : 
ma  s<'  il  Colombo  fu.  come  vuole  l'autore,  plagiario 
nell'idea  e  ignorante  nell'attuazione,  e  debili  re  della 
fortuna  al  mero  errore,  è  possibile  considerarlo  co- 
me un  genio  sovrano?  A  che  co, a.  valgono  le  qualità 
che  il  Lombroso  gli  concede  nelle  ultime  due  pagi- 
nette  del   suo  studio,   dopo  che  in  sette  capitoli   gli 
ha  negato  tante  cose  essenziali  ?  Egli  protesta  nella 
prefazione  contro   l'accusa   che  le  sue  analisi  dimi- 
nuiscano il  prestigio  del  genio;  e  certo,  studiando 


I     LIBRI  14(1 

le  macchie  del  sole,  l'astronomo  n<>n  ne  nega  1  1»  ne 
liei  ;  ma,  in  questo  caso  del  Colombo,  e  non  solo  in 
questo,  sebbene  qui  con  ri  che  al 

trovo,  il  nostro  insigne  psichiatra  non  .acci  rge  di 
negare  appunto  la  stessa  qualità  d'astro,  di  genio, 
all'uomo  cui  inii  concede  né  la  grandezza  dell'ani- 
mi   né  1  [uella,  che  più   imp  irta,  della  si.  ;sa  mi  1 

SOCIOLOGIA. 

\     (  i.    PlERSnN:    l'r;>h'.  ■  ,  inudamcnlalì 

dell'economìa  e  delle  Ianni  e.  (Torino,  Roux  e  Via 
ungo),  i,.  5.  -     Pregio  singolare  di  quest'opera,  e- 
amenti    tradotta  in  italiano  dal  dottor  Erasmo 
Malagoli,  è  il  tenere  la  via  di  mezzo    fra   i  troppo 
pondi  '.ni  e  i  troppo  succinti  compendii,  e 

il  rivolgersi  tanto  a  coloro  cui  i  problemi  di  politi,  a 

s.  eiale  s.iii)  già    familiari   quanta  a   coloro   elle  non 

hanno,  ma  pur  dovrebbero  avere  dimestichezza  con 

essi.     I    lettori    di    media  cultura  ehi-  sono   il   più 

gran  numi  ro        troveranno  queste  pagine  del  lai  e  con 

tanta  chiarezza,  ordinate  con  tanta  eleganza,  avvalo- 
rate da  tanti  esempi,  dilucidate  da  tanti  paragoni, 
da  render  facile  e  pronta  l'intelligenza  delle  questio 
ni  più  grava:  il  protezionismo  e  il  libero  scambio,  il 
pauperismi  e  1  suoi  rimedi,  le  macchine  ed  il  sa- 
lario, la.  riduzione  della  giornata,  di  lavoro,  il  col- 
locamento dei  disoccupati,  la  moneta  ed  i  suoi  tipi, 
le  banche  ed  il  credito,  le  crisi  commerciali  e  le 
loro  conseguenze,  i  sistemi  tributari  e  le  loro  ri- 
lumie.     Il     Pierson    non    espone    qui    metodicamente 

le  teorie  della  cattedra  ;   discute  invece  praticami  riti 
questi  pratici  argomenti  .   tenendo  conio  delle  teorie 
solo  quando  e  di  ive  è  necessario. 

11  libro  non  è  riuscito  accademico,  perchè  non 
è  un  accademico  l'autore.  Ministro  del  suo  paese, 
più    tardi    presidente    del    Consiglio    della    ('olona, 

egli  ni  11  ha  tanto  pronunziato  orazioni  dalla  tri- 
buna,  quanto  studiato  ed   attuato  piani   di  riforma 

nel   suo  Gabinetto.   Sua  è  quella   rii ta    fiscale 

olandese   che  va  annoverata   tra    le  più    democrati- 
hi     compiute  ai  nostri  giorni.   Narra    il    traduttore, 
nella  prefazione,  che  il  sistema  tributario  olan 
poggiava,   per  la   massima  parte,   su    imposte    indi- 
rette, e    le    dirette  erano    tanto   male  ordinate  e  .lise 

gualmente  repartite  che,  in  definitiva,  le  classi  più 
colpite  erano  le  inferiori.  Il   Pierson  per  prima  cesa. 

abolì    l'imposta   sul    sapoi Lusse   di   due  terzi 

quella    sul    sale:    diminuì    anche    i    diritti     di     ri 

strazione  degli  atti  di  trasferimento  degli  immo- 
bili; nelle  ini]  iste  indirette  arditamente  introdusse 
i  principi  della  diversificazion  1  progress 

lottopi  m  ndo   a   imposta    tutti    i    redditi  .   ma    col 
pendo    quelli    derivanti    dal    patrimonio    più    for- 
temente di  quelli  derivanti  dal  lavoro,  e  graduando 
l'aliquota    dell'impi  ita        senza    1.  meo  1    davanti 

all'accusa  di   socialis :  di  confisca         secondo 

una    i.i' -  res  1  nte  col  crescen    di  I   reddito,  in 

omaggio  al  principio  della  capacità  contributiva. 

[1    senso    pratico    dello    statista    si    rivela    ni 

libro.  Qui  l'autore  atti  nde  assiduamente  a  sg  m 
orare  il  campo  dagli  errori,  dai  pregiudizi,  dalli 

upi  rsl  i/'n, ni.    quasi    duerni lalle     leggende  ,      più 

frequenti  e  funeste  nelle  discipline  sociali  che  non 


i3o 


LA    II   i 


nelle  storiche  o  nelle  mediche    Scambiare  la  causa 
per    l'effetto,   confondere    il    necessario    col    suffi- 
nsiderare  la   probabilità  come  necessità, 
ferra  che  si  vede,  cercare  l'assoluto,  cri 

dere  nelli    panacee;  questi  ed  altri  non  meno  per- 
-I   pensiero  impediscono   il   progresso 
della  '     Pierson  li  denunzia,  e  in  tutte  le 

sur  dimostrazioni  procede  con  un  ■   con  una 

prudenza,    con    una    equanimità    che    gli     procu- 

nno        che  gli  hanno  anzi  già  procurato  — ■  il 
plauso  d  dei  quali  critica  le  dottrine: 

dei  isti  da  una  parte,  dei    socialisti  dal- 

l'altra. L'autore  ha  le  sur  ide  i  e  le  di- 

mostra; ma  non  tace  le  ragioni  degli  avversari; 
talclir  la  lettura  del  libro  suo  riesce  un  prezioso  e 
salutale  esercizio   della    mente,  e  conferma  quella 

ide  verità  che  lo  Spencer  enunzia  nell'opera 

già   i  he    tutte  le  scuole  e   tutti    i  partiti  do- 

vrei il  ito    meditare:     «   Lo   studio   della   scienza   so- 
ciale, s, -mi,,  metodicamente  col   risalire  dalle  cau- 
si-  pn  ssinie  alle   remote  e  col  discendere  dai  primi 
i    secondari    ed    ai   terziari,    dissiperà     l'  illu- 
■    tanto  diffusa   che   le   piaghe  seriali    possano 
tlmente  guarite  •.    Nell'invitare   tutti  i 
volenterosi  a  fare  ciò  che  è  umanamente  possibile, 
il   Pierson    e   davvero  quell'uomo  appartenente  «  a 
un  tijxi  più  eli '.aio  ■     -  secondo   l'espressione  del 
i    inglese  —  «  che   unisce  l'energia  del   fi- 
lanti i  calma  del   filosofo  ». 

GÈ:  Femminismo  storico.  (Milano,  Società 
editrice  La  Poligrafica,  1901.  -  Sfinge?  Perchè 
dbnirno  misterioso  in  testa  a  un  libro 
chiani.  buono,  semplice,  onesto"-1  Forse  chi  lo  scrisse 
volle  stimolare  la  curiosità  dei  lettori  e  interessarli 
alla  1  -i  l  del  uoveri  nome?  In  certe  pagine,  lievi 
■trine,  si  scorge  tutto  il  gusto  femminile;  nel- 
l'energia originale  d'altre,  vibra  qualcosa  dell'ani- 
ma romagnola  ;  in  altre,  ancora,  piene  di  finezza,  si 
rivela  qualcosa  di  nobile  e  d'aristocratico.  Saremmo 


noi  sulla  strada  di  sco]  rire  il  vero  essere  di  que- 
sta leggiadra  Sfinge,  che  non  cela  nessun  sentimento 
dell'anima  delicata  ? 

Il  suo  libro,  ad  ogni  modo,  e  squisitamente  fem- 
minile, nulli  siaute  il  titolo  che  sembra  contenere 
1  minacele  d'invasione  nel  campo,  0  meglio  nelle 
facoltà  e  nei  diritti  del  cosidetto  sesso  forte.  Ma 
per  fortuna  anche  le  care,  belle  eroine,  di  cui  Sfìnge 
ci  parla,  non  conobbero  ne  la  brutta  parola  0  fem- 
minismo »  né  il  vano  e  pericoloso  significato,  E 
Stinge  medesima,  che  l'ha  messa  nel  titolo  del  suo 
libro,  è  una  donna  nel  dolcissimo  senso  antico,  mo- 
derno, anzi  derno!  Ella  studia  le  sue  sorelle  glo- 
riose, di  cui  tanti  dotti  si  occuparono  prima  di  lei, 
nella  loro  anima  dolorosa,  nei  loro  amori,  nella 
loro  grazia  onnipotente  ed  incosciente,  nei  loro  e- 
roismi  inattesi,  nelle  loro  mirabili  intuizioni.  Esalta 
Isabella  d'Este  Gonzaga  nella  molteplice  sua  pas- 
sione per  ogni  cosa  bella,  per  ogni  profumo  della 
prodigiosa  fioritura  artistica  della  Rinascenza;  a- 
dora  Giulia  Récamier  nel  vivo  contrasto  d'una  av- 
venenza che  non  si  cela  e  d'una  virtù  piena  di  vigi- 
lanza ;  rianima  Laura  sfiorita  nelle  imitazioni  pe- 
trarchesche; piange  il  martirio  di  Maria  Anton- 
i-osi sproporzionato  alle  leggerezze  che  talora  ne  ve- 
larono l'intima  bontà  ;  scusa  Cleopatra,  assumen- 
done la  difesa  con  un  atteggiamento  leggiadro  d; 
avvocato  provocatore  che  interessa  e  piace;  lini;' 
Gaspara  Stampa  per  la  sua  tenacia  d'affetto,  pel 
fervore,  la  devozione,  la  dedizione  completa,  quan- 
tunque rivolte  ad  un  uomo  che  non  meritava  tanto; 
spezza  infine  una  lancia  in  favore  di  Giorgio  Sand 
accusato  d'aver  distrutta  la  giovinezza  d'Alfredo  de 
Musset.  Il  femminismi*  eli  Sfinge  contiene  dunque, 
ni  ni  la  fisima  di  mascoìitiare  le  femmine,  ma  di  e- 
saltare  le  loro  virtù  e  le  loro  passioni  dinanzi  al- 
l'egoismo maschile  e  dinanzi  alla  storia,  ciò  che 
sa  ottenere  con  interesse  e  soprattutto  con  granile 
garl  o  e  grande  finezza. 

II.    Ll'TTORE. 


:n   ,  e- 


-^V'A 


'  '  -       : 


DIVISTE 


SOMMARIO 


Francesca  da  Rimini  e  i  Polentani,  pag.  151  —  L'ideale  femminile  nel  Rinascimento,  pag.  154  —  Le  piccole  mera- 
viglie della  natura,  pag.  158  —  L'arte  di  dipingere  coi  francobolli,  pag.  161  —  Per  la  fortuna!,  pag.  163  — 
Nel  mondo  ignoto,  pag.  165  —  L'avvenire  dell'oro,  pag.  168  —  Come  i  diamanti  si  trasformano  in  brillanti 
pag.  169  —  I  Filibustieri,  pag.  171  —  1  balocchi  e  la  loro  origine,  pag.  174  —  L'arte  assira,  pag.  175  —  Gli 
occhiali  di  Bismarck,  pag.  178  —  Il  contributo  dell'Italia  al  progresso  del  secolo  XIX,  pag.  178  —  La  scimmia 
a  tavola,  pag.  180  —  Ciò  che  rendono  i  teatri  francesi,  pag.  183  —  La  Corona  ferrea,  pag.  184  —  La  produ- 
zione del  carbon  fossile,  pag.  185  —  Un  cavo  sottomarino,  pag.  186  —  La  Corea,  pag.  188  —  Le  bizzarre 
forme  de'  fiocchi  di  neve,  pag.   191. 


ppaneesea  da  Rimini  e  i  Polentani 

(Da  un  articolo  di  Corrado  Ricci,  nell' Empoi ■  iitm,   di  di- 
cembre). 

Una  vecchia  maga  predisse  a  Guido  da  Polenta: 
«  Tu  e  la  tua  famiglia  avrete  gloria  d'amore  e  di 
sangue;  poi  uscirete  tutti,  sulla  via  della  morte,  da 
Porta  Anastasia  ».  Guido,  ardito  e  superstizioso  ad 
un  tempo,  fece  murare  questa  Porta  che  s'apriva 
a  nord  delle  mura  di  Ravenna  e  che  da  allora  fu 
detta  Porta  Serrata.  Essa  mutò  più  volte  nome,  ma 
ancor  oggi,  quantunque  della  vecchia  porta  non  e- 
sista  più  una  pietra,  il  popolo  chiama  Serrata  quella 
che  fu  riedificata  nello  stesso  punto.  Poco  resta  an- 
che delle  infinite  case  Polentane  già  sparse  in  Ra- 
venna e  ricordate  nei  documenti.  E'  da  escludere 
dalle  costruzioni  della  celebre  famiglia  l'elegante 
palazzetta,  ora  dei  Minzoni,  nella  quale  una  falsa 
tradizione  assevera  esser  nata  Francesca.  Del  pa- 
lazzo ili  Guido  Novello  da  Polenta  restano  appena 
le  brune  muraglie,  ed  alcuni  grevi  modiglioni  ;  la 
torre,  la  porta  e  le  bertesche  avevano  raggiunto,  du- 
rando più  di  cinque  secoli,  la  metà  del  XIX  ;  ma 
fun  .ni  r  abbattute  nel   1860   e  nel   1877. 

Accanto  a  questo  palazzo  sorge  la  chiesa  di  San 
Francesco,  dove  erano  molte  sepolture  polentane  : 
ma  una  snla  ne  è  rimasta,  quella  del  settimo  Osta- 
ste ;  forse  l'ira  dei  Ravennati,  fomentata  dall'odio 
dei  veneziani,  si  fermò  dinanzi  a  quest'ultima  per- 
chè vide  l'immagine  del  defunto  ravvolta  nella  ve- 
ste di  San  Francesco.  Vicino  all'altra  vetusta  chiesa 
di  Sant'Agata  sorgevano  le  case  dei  primi  signori  da 


Polenta,  e  qui  Francesca  dovette  essere  frequente- 
mente condotta  a  pregare.  Una  terza  chiesa  raven- 
nate, Santa  Chiara,  fu  costrutta  dalle  fondamenta 
da  una  polentana:  Chiara,  figlia  di  Geremia;  non 
ne  resta  che  un  fianco  e  l'abside  ;  nella  navata  sì  è 
imposto  un  teatrucolo    di    filodrammatici. 

Del  castello-  esistono  miseri  ruderi  sformati  e 
convertiti  in  dimora  di  miserrima  genie.  1  Polen- 
tani, affermatisi  con  la  forza  e  l'audacia,  lo  avevano 
costrutto,  e  Guido  Minore,  padre  di  Francesca,  ne 
aveva  ottenuto  l'investitura. 

Di    ritratti    veramente   autentici  ,    non    resta   che 
quello  di  Ostasio,    scolpiti»  su   quel   suo  sepolcro 
del  quale  si  è  già  parlato.  Altri  se  ne  indicano  urlìi- 
pitture  trecentistiche  d'i   Santa  Maria  in   Porto  fu 
ri;   ai  lati   del  prebisterio,    negli  affreschi   inferiori, 
si  vedono  due  gruppi  di  figure:   a  sinistra    due  UO 
mini,  uno  dei  quali  ha  tutti  i  tratti  caratteristici  del- 
la   figura    di    Dante,   l'altro   si    vuole   ma    non    si 
può  provare  che  sia  Guido  Novello;    a  destra,  due 
giovani    donne  che   s'affacciano   a  un  balconcino: 
una  inghirlandata  e  ardita,  l'altra  più  bella  e  timida 
nella  veste  monacale.  Nella  prima  si  pretende  scoi 
gere    Francesca,    nella   seconda    Chiara,    fondatrice 
ilei   monastero.    Non   manca    chi   in  questo  gruppo 
ciede  espressa  la  tradizione  dell'ancella  che  spinge 
Francesca  a  vedere,  da  una   finestra.    Paolo  rhe  le 
si  mostra   d'inganno  come  colui   rhe  dov  rebbi 
sarla.  Ma  dinanzi  a  lei,  invece  di  Paolo,  sta  Et 
che  assiste  alla  strage  degli  Innocenti. 

Lo  stemma   dei   signori   da    Polenta,  secondo   a 
cimi  commentatori  di  Dante,   il  quale  parla  dell'yl- 
quilti  dei  Polentani,  era  un'aquila  vermiglia  in  cam- 


1.1- 


l..\    LETTURA 


l>..  giallo.   M  par     hi  storici 

si  ricava  che  in  non  ebbero  un  - 

ma.   Nessun  mnia    dell; 

in  Ravenna  e  fuori:  quelli  sfuggiti  all'odio  dei  ne 
la  t  uria  della  rivoluzii 

i  .in.!.,  a  far  fede  del- 


i  polcrale  di  Ostasio  da  l'oleata. 

l'ini;  i  l'aquila  che  abbatte  la  donnola  affer- 

irro. 


e  dei  1''  i  'li   Fran- 

monumenti.   Venendo  all'arte,  se  un  solo 
furono  ispirati   dai    I'1 
ni:    il  dipinto  'li  Giovanni  Mochi  e  due  illu- 
strazioni        '  ila  Storia  veneta, 
intorno  all'episodio  di  I  un'intera 

.    II. UHI.-    due.    SVOl 

iti:    o    la   i ragica    unirti-  ili 
.  n  il  Inm  Milo  iii-lla  ■  liniera   in 
•a  ». 


L'ind  di stia  'Ini    i  dui    Frati  Hi 

Gianciotto  Malatesta  non  erano  più  fan- 
ciulli   uri    1263,  perchè  un    breve  pontificio  .1. 
novembre  ili  quell'anno  dice   che  entrami 
1  ravveduti  ili  certe  pensioni  a  carico  dei 

1  na,   prò    sineei  ne  quam 

Romanam  ecclesiam  ;  e    in  un  atto   ilei 
11  •  chiamati  scolari  -.   I'.  uni  dopi ., 

1  ■■    bili  11  (  ìhiaggiuolo  .  dalla  1  |i 

due  figli.   El  ii     l 

n  11/r.  restò  in  i  ai  ii  1  p  co  più  di 

arsene.     F  raro  1  »  .1.    dalle   nozze   a  'ii 
Me  quali  ni  'ii  si  b  .n.  im  e  la  data, 
ima  figlia,  chiamata,  o  1  nome  dell'ava  paterna,  Con- 

rdia    1  '     ragica   lei  due  amanti  dovetti 

re  in  Rimini,  nel  1285.  I  poeti  fecero  'li  1' 
un  eroe,  un  valoroso  condottiero,   nienti. 
dell'Ottimo  commento  lo  disse  «  molti 
l  »  ■  ■    mi  Ita    cosi  1  iti  1  '!■    .'.   ma  acconcio  più  a  ri] 

a   travaglio;  e  i  documenti  e  le  notizie  chi    si 
hanno  confermano   questa  opinione,    cominciando 
dalla  sua    dianzi  narrata   rinunzia  all'ufficio  di  ca- 
pitano del  popolo  in  una  citi  '■  Gian- 
riotti             1                               di   Pai  di  1  :  defi  rme, 
risi  luto,  battagliero.   Il  Ba   acci  .  che  ebbe  parenti 
in  Ravenna  e  che  vi  si   reni  più  volte,  raro  l 
scrisse  che    Francesca  non    era   stata    promessa  a 
.  I    usi  a    Panili,  che  p"i  per  inganno  le 
fu  ti. Ite.  L' Anonimo  fiorentino,  come  più  tardi  ("li- 
miamo Ressi  e  il  Clementini,  raccontarono  la  stes- 
sa l'usa:  il  raco  ni.   è  ni  parte  diverso  nelle  eh 
pubblicate  ila  Inni  Vemon,  e  nel  commento  'lei  Lan- 
dino, ma  appunto   perchè    diverso,    prova  che   di- 
ersa  era    la  fonte  e.  indirettamente,  che  era  opi- 
o  lumie  'he  a  Francesca   fi  sse  pn  mi  sso  uno 
lineili   Malatesta,   e  poi  fnsse  data   all'altro. 
Rispetto  alla  parte  segreta  'Ielle  relazioni  fra  i  'Un- 
ii i,   nessuni  1  nffre  notìzie  (eil  è  naturale)  se  nuli 

parafrasate  da  Dante  Sulla  inerte,  appena  <|ual- 
che  particolare  forse  inventato  dalla  fantasia  ovv- 
iata ilei  pubblico.. 

Gli  episodi    min  mancherebbero  «li  varietà;   ma 
nessuno  degli  artisti  si  è  allontanato  dai  soliti:    i 

ilue  amami  chi    Voi  i   ■  .1    l'ante  0   ililegua- 

li     r  perso  »,  oppure  che   lasciano  cadere 

il  libro,  osi  baciano  mentre  sopravviene  Gianciotto. 

Un  gruppo  in  marmo  si  trova  in  casa   Bellenghi, 

a   Ravenna;    un  altro  tu  acquistato  'la   Ioni  Glad- 

a   Parigi;   un   altro,  scolpito  'la   Felicita  de 

Favi  :i  .  ■    i ti    dal  o  «ite  Pourta    -    ["re  bas- 

sorilii  \  i  si  ni i  siali  scolpiti  da   Antoni,    i 
sizione  'li  Parigi  ilei  1831),  ila  Gaetano  Motelli 
sposizione  di  Londra  del  1852)  e  Leoni   I  uigi  Buzzi 
(Firenze    ri 

L'elenco  dei  pitti >ri  è  molto  più  lungo  e  non  an- 
cora .    dai    miniatori    trecentisti    sino    allo 
11111//.1  e  al    Dorè:   vi  si   trovano  i   nomi   ili 
Carlo  Ai  Giuseppe  Bezzuoli  (1816)  di  Fran- 
B  ccaccini   (1858),  ili   Arnoldo  Boecklin,  ili 
Uessandro  Cabanel,  di   Giulio  Carlini  (1857),  ili 
lo  Carpiani  (1838).  ili   Felice  Cataneo  (iS.'u), 
ili  Cosimo  Cosmi  (1839),   'li   Paolo  Delaroche,   ili 
Descoudri    de   Dusseldori   (1851),  di   Henri   Decai- 


DALLE    Rl\  IS 


[-53 


sue  (1841),  ili  Laderèze  (1852),   di   Cesare  Dusi 
(1831),    di   Achille    Farina   (1845).    di    Frano 
Foumder  (182S).   di    Romualdo    Franchi   (18 

Giuseppe  Frascheri,    il  quali  Paolo  e 

Francesca  tre  volte;  di  Francesco  Giuliani 
di  Gian   G  Henner,  di  Giovanni   Ingres,  «li 

Gaspare  Landi,  di  Carlo  Ernesto  Liverati  (1833), 
di  Enrico  Monti  (1842),  di  Nicolò  Monti,  ili  li  u 
seppe  Pelavero  (1852),  di  Gaetano   Pia  [820), 

di  Francesco  Ppdesti,  dà  Gaetano  Previati,  di  Dante 
Gabriele  B    ss       .  di  Attilio  Runcaldier,  di  Ni 

ri,  dì  Ar\  Scheffer,  di  Gi  rgio  Watts.  A  que- 
ste opere,  ispirate  dalla  pietà  dei  due  cognati,  s 
da  aggiungere  altre  che  rappresentano  Dante 
cade  privo  di  sensi  dopo  il  racconto  di  Francesca: 
due  dipinti  di  Yogel  di  Volgestein  ;  un  terzo 
quadro  è  di  Rober  von  Langer  e  un  bassorilievo  in 
metallo  di  San  Rubino. 

Venendo  alla  letteratura,  i  due  che  hanno  trat- 
l'argomento  considerandolo  nell'arte,  nella 
storia  e  nella  critica,  sono  Luigi  Morandi  (Città  ili 
Castello,  1884)  e  Carlo  del  Balzo  (Napoli,  1895). 
La  parte  storica  e  stata  trattata  ampliamente  da 
Luigi  Tonini,  anche  polemizzando  con  Marino  Ma- 
rini, ostinato  a  credere  che  la  fine  dei  due  amanti 

-  ■  succeduta  a  Sant'Arcangelo.  Sullo  stesso  ar- 
gomento scrive  Nicola  Santi,  come  senza  novità 
riassunse  la  storia  Carlo  Yriarte.  Nella  letteratura 
romantica  si  registra  una  fredda  novella  di  Filippo 


1  1  .   un'altra   di   G.   Alberi  ,   un'altra 
Jucrs,  una                li   Rem-  Delorme  e  : 
quinta   di   [Idi                I         venni.    Fra   le  tragedie, 
oltre  quella  ni                    -  Ivio  Pellico,  sono  da  ci- 
tarne altre  di  Eduardo  Fabbri  (1822),  di  Luig    U 
lacchi  (1824).  di  Anti   do  Viviani  (1834), 
Rapisard                     Stephens  Phillips  e  quella  del 
l'Annunzio.   Falle   tragedie  soni    1  erse 
parodie:   una  di  Anti   lio   Perito  (1867),  una  si 
da  di   Francesco   Cristofori  (1872)   e  una  terza  di 
I  i'.iiì                 V                   1  1887  ).     Maggi  re    è   il    nu- 
mero delle  opere   in  musica:   de!    erali  (Vene- 
zia, 1829),  dello  Staffa    (Napoli,    1831),  del   Four- 
nier-Govre  (Livorni  .   1832),  del  Boi 
1837),  del  Devasini  (Milano,  1841 1,  del  Cane!     I  Vi 
.    [8  1.3  1.   1  li  I    Brancai  cii    (\  enezia,    1844),  del 
Mi  scuzza  (Malta.    1877),  di  Hermann  Gotz  (Mann- 
heim,   1877)  e-  di  Ambrogio  Thomas  (Parigi,  188 
Nessuna  è  nata  vitale;   un'altra  ne  sia   musicandi 
Luigi  Mancinelli  su    libretto  del    Colatati. 

Di  poesie  se  ne  hanno  poche,  e  cattive.  1  ehi  sa- 
1  l 'ante  si  mo  infiniti  ;   il  n   iggii 
è  Francesco  De  Sanctis;    sono  da  ricordare  an 
l'amenissimo  don  Matteo  Romani.   Nicolò  Far 
il  Kraus,  lo  Si  il   Filomusi  Guelfi;  il   N 

foro,  il  Salza,  il  Poggi,  il  Maschio,  il  Ronzi,  il  R 
dani,  il  Pahzacchi,  il  Genovesi,  il  Termine  Trigona 
e  finalmente  lo  stesso  Ricci,  autore  dell  articoli 
abbiamo  qui   riassunto. 


Ir^l^B                                                                                                                                                                                                                       *£*'              r3tXk 

Presunto  ritratto  di  Francesca. 


i.»j  LA    1.1   I  li  i-  \ 

Ii'ideale  femminile  nel  Rinascimento 


(Da  un  articolo  della  rivista   VelHagen  unii  Klasings  Ufo- 
natsh 

Il  bello  non  è  una  convenzione,  né  una  creazione 
rtisti  o  ili  legislatori)  ma  ha  la  sua  essenza  e  per 
dire  la  sua  anima,  vibrante  in  tutto  il  gran 
tre»  della  natura. 

ualcosa  che  fiorisce  da  s  i  flora 

l  di  una  riviera:  o  ni  uomo  anche 

primitivo  o  fanciullo  dovrebbe  trovare  in  sé  la 
tilla  dell'invenzione   artistica.    Il  gusto    line   e 
sito  nella  concezione  e  nella   riproduzione  del  hello 
.    i    tri    quindi   sostituire    senza    difficoltà    i 
trattati  dell'estetica  e  dell'arte  storica. 

via  anche  l'arte  storica  ha  una  grande  im- 
;>.  rtanza. 

La  pittura,  la  scoltura,   la  musica  fiorirono  sem- 
inile religioni,  sia  presso  le  are  druidiche,  sia 


Fu. uro   I.ii-i  I. 


Madonna. 


le  ardimentose  cupole  cristiane:  non  sempre 
uguale  però  ne  fu  lo  stile,  dovendo  questo  rispon- 

naturalmente  all'evoluz  ca  e  ai  diversi 

particolari  che  ispiravano  l'artista.  Cosi,  ad  e- 
- ■  -in [  •« ..   l'arte  del    Rina  I  ur  unendosi   alla 

religione,  durante  l'opulenza  dei  Papi,  dei  ■  mostri. 
dei  prìncipi,  conservò  sempre  la  sua  intima  natura 
alquanto  mondana,  che  sotto  le  froi  se  di 

angeli  in  preghiera  lascia  forse  leggere  un'idea  ten- 
l  :        — lo  di  I  fasto  e  dei  n  i  ra  il 

lo  dell'umane  rto  dalle  rovine  che  a- 

Vtila  e  Genserico,  era  insomma  il   Rina- 


Si  intento.  La  maggior  parte  delle  opere  d'arte  era 
però  destinata  alle  chiese  e  ai  conventi,  onde  i  temi 
artistici   tutti  si  aggirano  nel   ciclo   r .  I  clau- 

strale. Scompaiono  cosi  le  pallide  madonne  ilei  due 

cento,  lasciando  trionfare  figure  ardite  di  femmi- 
nile gioventù,  e  non  potendo  gli  spenti  dei  dell'O- 


Lorenzo  in  Credi. 


La   Maddalena. 


limpo  discendere  più  sulla  terra,  vi  discendono  però 

i  Santi  cristiani  che  vengono  plasmati  da  modelli 
viventi.  Cosi  gli  artisti  più  non  dipingeranno  le 
loro  Madonne  in  un'estasi  0  in  un  sogno  di  pre- 
ghiera, rapiti  nelle  pallide  visioni  ultramondane, 
ma  le  empieranno  dalle  teste  procaci  delle  belle 
tentine,  fatte  posare  un  istante  sotto  l'azzurro  me- 
_■  l'iato  del  cielo  d'Italia. 

E'  una  tendenza  realistica,  è  il  trionfi  della 
minilità   sulle  visioni,  ('osi   l'arte  del    Rinascimento 
si  esplica  principalmente  in  studi  di  teste,  in  ritratti 
di  Veneri  e  in  riproduzioni  di  bellezze  profane. 

L'arte  nuova  del  500  è  cosi  la  negazione  asso- 
luta dell'arte  mistica  del  Medio-evo,  arte  1  he  non 
tendeva  alla  riproduzione  della  realtà,  ma  ad  un 
indefinito  e  povero  simbolismo,  al  quale  bastava 
per  significare  un  re  morto  porre  su  una  tomba  una 
11  .rona  e   una  spada 

L'evoluzione  da  questa  povera  arte  simboli) 
so  l'arte  trionfale  del  Rinascimento  si  operò  sul.» 
lentamente.  Cominciò  al  perii»  lo  dei  trovatori  e 
delle  buie  leggende  d'amore  cantate  ai  piedi  dei 
1  Hi  feudali,  cominciò  nelle  giostre  e  nei  tornei, 
quando  la  donna  cominciava  appunto  ad  ispiran- 
te ardimi  iiios.-  imprese  della  cavalleria.  C.  .d'in- 
gresso della  donna  nel  dramma  grandioso  delle 
lette    medievali    comincia   il    perìodo    fiorente    della 

unile  bellezza 

E  qui  appunto  si  sveglia  Giotto,  il  Muse  di  una 
nuova  pittura. 

A  lui.  nei  claUStri   e  negli  eremi  silenziosi,   sorrise 

l'idea  di  strappare  alla  testa  umana  la  rigida  espres- 
sato, di  guisa  che  la  figura  acquisi 


Botticelli.  —  Ritratto. 


Raffaello  —  La  Madonna  del    Granduca. 


Gaudenzio  Ferrari.  —  Madonna. 


1.1' 


LA    LEI  i  I 


un. in .  pulsarli  i  quasi 
i  panneggiamenti  che  più  non  < 

nuscoli.  Egli  ritrae  la  natura  nella  sua  ve 
rità  ;  egli  inizia  l'èra  della  rivoluzione  pitti  rica  che 

nel  Rinàscimi  i  nel  ■  i-'5 

ne  :  suiio  il  suo  pennello  aumenta  ari 
la  pi  Iella   figurazione  pittorica;   finalmente 

e  le  vene  puls 
te,  e  i  seni  robusti  ed  angolosi   palpitano  nelle 
forti  figure  muliebri:   è  un   realismo  quasi  bru 
che  trionfa  sotto    il    sin.   scalpello,   lasciando 

e  dal   bronzo  balzare  vivi  e  palpitanti  i 
capolavori  del  bello  femminile. 


Wl  quattrocento  la  rivoluzione  artistica       Ila  I» 
muliebri  i        i  mpre  più,   vi   còni  i  i 

■  Mimi,  audaci  o  licenziasi,  pei  quali  le  belle 
'  i    arrossii  ani  i   di    posare   'li 

ì '.misti  in  tutta  la  pompa  della  bellezza. 
I  i  moda  pure  portava  grandi  mutamenti  alla  bel 
lev/a   femminile:    i  capelli  che  venivano   levati  ai 
mg  ii  della  Fronte  rendevano  questa  più  spa 
tondeggiante:  le  sopracciglia  strappate  con 
stoico  martirio,  pelo  per  pelo,  colli    pinze,  aceri 

l'espi    isioni  della  femminilità  .  le  acci  meiature 
ed  i  veli  del  capo  davano  .ili'-  teste  una  fine  espres- 
ili  melanconia  e  'li  idillii .. 
E  qui  già  si  delinea  il  trionfo  del  Vermocchio,  ili 
Filippo  lappi,   ili    Sandro  Botticelli,   'li    Piero  ili 
imo,  finché  quando  il  quattrocento  si  è  del  tutto 
ncipato   dalle   ultime   reliquie  del    Medio-evo, 
ndo  il  sapere  è  al  fastìgio,  quando  le  guern    tai 
io  dinanzi   ai  trionfi    dell'arte,    spunta   sull'oriz- 
zonte Le  nan In  ila  Vinci.  La  sua  (  ìioci  nila  0  Monna 
I    sa  i    la  prova  migli  n-  del  perfezii  namento  rag- 
giunto nella  figurazione   dell'id    di     femminile.  La 
■  li   qui  sia    donna   meravigliosa    è  \m 
sorri  eri  i  a  -   di  nobiltà  che  si  diffonde  sulla 

fronte  e  agli  angoli   della  bocca,  è  un'espressione 
I     da  d    verità  i    insii  me  'lì  idealismo  che 
una    spirituale   intuizione    della    natura.    A 
lavoro  finito   i    ritratti    vinciani    dimostrano  l'ani- 
hi    si  distende  sui   lineamenti  e  li  abbellisce, 
non  pi-r  vile  adulazione  ma  per  arrivare  all'espres- 
più  elevata  dell'idealità  femminile. 


1 1  modello  in  i  [uesti  i  ti  m|  o  diventa  la  ba  ;i 
ni.-:  essa  però  si  rve  a  dare  le  grandi  li 
.    il  in.  \  imenti i  pei  (5  si  'lire,  non  l'espi  di  Ila 

,  che  Leonardo  tra  la  una  sublime 

visione  dell'ideale. 

Ma  i  tempi  erari    ormai  i i    I  .nini, 

Soddoma,  Gau zio  Ferrari,  tutto  insomma  il  ce- 
nacolo artistico  ili  Leonardo  da  Vinci,  possono  con- 
cretare qua  un  canone  speciale  l'ideale  della 
mi.  \  a  belli  zza   femminile. 

\.  i isulta  r'  -i  una  testa  'li  donna  dalla  I 
ovale,  dalla  fronte  alta,  dal  profilo  diritto,  dai  ca- 
pelli nie  ' .miniati  che  coronano  la 
modellatura  dell'insieme.  Il  i  riuso  del  primo 
Rinascimento  scompare  per  farsi  affilato  con  una 
curva  leggermente  disegnata,  i  ti  mando  rosi  alla 
gramli    traili/ioni    dell'arte  greco-romàna, 


Ma    l'idealità     femminile    comin  Miniente 

la  parabola  della   discesa    Michelangelo,  geni. 
gantesoo,  eternamente  sognante  i  ciclopi  e  le  cupole 
immense,  volle  imprimere  la  grandiosità  anche  sui 
'iil"  li  volti  femminili  e  loro  tolse  quella  morbida 
'■quasi  vellutata  plasticità  della  quale  avevano 

riso    le    teste    preraffaellesche. 

Ultimo  del  grande  ciclo  del  Rinascimenti 
infine     Raffaello  ehe   giunse    all'ultima    inarru 
espressione  del  bello  femminile. 

E   un  tipo  ninno  che  risponde  al  fui/  «Iella  nui  va 
creazione  artistica;  un  tipo  ehe  rimarrà  fon 
sublime  espressione  del  gènio  umano. 

abbiamo   così    un  dolcissimo  volto   femminile   a 
forma  rotonda  coronato  'lai  capelli  lisci,  quasi  <li 

seta. 

Questa   nuova  espressioi      di  Ila  belli 
a   Raffaello  nelle  loggie  di  Ri  ma  presso  i  grandi 

ricordi  dell'arte  e  della  classicità  :    ma  non  gli  bastò: 
nella  dalatea   cercò   non   più    ai   ruderi   di    Ri  ma    ma 

ai  si  gru  del  suo  genio  divinatore  il  tipo  più  grande 
della  belli //a  muliebre  e  lo  trovò  col  trioni"  del 
l'idealismo. 

Con  lui  si  chiude  l'epopea  artistica  del  Rii 

mento:   dai   i lì   incerti  studi  di  anatomia,  a 

verso  il  realismo  delle  modelle  fiorentine,  siami 
nalmente  arrivati  alla  concezione  ideale  della  fem- 
minilità, alla  spiritualizzazione  dell'amore. 


Lkonardo.  —  Lucrezia  Crivelli. 


Leonardo.  —  Testa  ideale. 


-Ifli       ^ ^ 

. 

: 

Va*'-     n 

_ 

! 

ikoo.  —  Stadio. 


(58 


1  A     LI. TI  URA 


he  pieeole  meraviglie  della   natura 


(l>a  un  utlcolo  di  John  J.  W«rd,  nei  Good  Words,  gen- 

")• 

Pochi  immaginerebbero  che  la  bocca  di  una  lu- 
essere  un  oggetto  interessante  ili  stu- 
dia Eppure  così  è.   I    "   ■  re  dell'articolo  ne  è  i»  r 
-  ■  i'  lo  dimostra  con  le  sue  parole  e  le  sue  foto- 
. .   I  a  bocca  ili  una  lumaca  ordinaria,  ili 
«lucile  che  anche  si  mangiano,  contiene  non  meno 


a   una  nuova  Bla,  ili  guisa  che  alla  fine  non 
manca  niente. 

Perchè  qualche  lettore  non  resti  incredibile  su 
o  numero  sterminato  di  denti,  l'autore  ripro 
la  fotografìa  (fig.  i>  presa  da  lui  ili  parte  del 
]  alato  di  una  lumaca  quale  si  vede  al  m'u 
col  suo  gran  numero  di  denti  Questa  dentiera  è  tor 
midabile  se  non  |»t  la  grandezza,  almeno  pel  nu- 
mero delle  anni  che  servono  magnificamente  a 
ridere  i  vegetali,  come  sa  ugni  giardiniere.  Dalla 
dentatura  si  può  benissimo  distinguere  ogni  genere 
ed  anche  i  ie:    in  molti  un Muschi  li   - 


Fig.   i. 


Fig.  2. 


di  140  file  di  denti,  e  ogni  fila  contiene  151  denti, 
per  modo  che  in  tutto  i  denti  sono  21,140:  di  che 
disperare  un  dentista!  Ma  le  lumache  non  hanno 
alcun  bisogno  di  cure  artificiali  per  i  denti.  Quando 
una  fila  si  consuma,  quella  che  sta  dietro  viene  a- 
vanti  prendendone  il  posto,  e  in  fondo  alla  serie  si 


tura  di  questi  organi  basta  ad   individualizzare  la 
specie. 

L'autore  ha  fotografato  (figura  2)  in  dimensioni 
molto  maggiori  parte  della  figura  1.  a  mostrare  la 
struttura  e  lo  sviluppo  dei  denti.  Questi  sono  traslu- 
cidi, brillanti.  Illuminati  e  guardati  attraverso  il  mi- 


ì 


IiAI.Ll'.  RIVISTI                                                                 [5o 

croscopio,  fanno  un  bellissimo  vedere.  Alcuni  sono  stinati  a  provare  i  vari  succhi  prodotti  in  tanta  ab 

sposti  come  file  da  baionette,  o  di  aghi,  ecc.,  men-  bondanza   dai    fiori  e  dai    frutti  maturi   dei  nostri 

tre  altri  hanno  Torlo  seghettato.  Una   delle  figure  giardini.  La  proboscide  ha  la  grossezza  di  un  ci 


Fig.  4. 


F'g-  5- 


che  riproduciamo,  la  terza,  mostra  anche  alcune  file 
di  denti  dello  stesso  palato  e  di  natura  diversa. 

Le  prime  tre  illustrazioni  raffigurano  palati  par- 
ticolarmente adatti  alla  masticazione  dei  vegetali; 
l'illustrazione  num.  4  rappresenta  il  palato  di  una 
lumaca  di  abitudini  carnivore.  Pei  vermiciattoli  di 
costituzione  molle,  ci  vuole  un  apparato  di  natura 
alquanto  diversa.  I  denti,  come  si  vede  dalla  figura, 
sono  lunghi,  sottili,  barbificati  e  ricurvi,  col  taglio 
rivolto  all'interno,  verso  la  gola.  Un  verme  preso 
entro  quella  serie  di  2500  spine  incurvate  messe  in 
moto  dai  muscoli  non  ne  esce  più  vivo! 

Mi  'Iti  insetti,  come  le  mosche  0  le  farfalle,  sono 
muniti  di  proboscidi.  La  figura  numero  5  rappre- 
senta la  proboscide  di  una  farfalla  comune,  simile 
a  quella  delle  altre  farfalle.  Ha  l'apparenza  di  una 
molla  di  orologio.  Distesa,  sene  a  succhiare  il  net- 
tare dei  fiori.  Le  piccole  appendici  che  si  vedono 
alle  estremità  si  suppone  siano  organi  del  gusto,  de- 


Consiste  in  due  tubi  vicini  che  l'insetto  può  allon- 
tanare  o  dividere  secondo  che  vuole. 

Tra  le  varie  fotografie  di  cui  l'autore  dà  ripro 
duzioni  nei  Good  Words,  ve  n'ha  una  ov'è  riprodi 
un  pezzo  di  ala  d'una  farfalla  (figura  8).  Sulla  mem- 
brana dell'ala,  come  tutti  sanno,  si  trovano  minu- 
tissime squame  che  vengono  via  al  solo  contati 
che  son  quelle  che  danno  all'insetto  i  suoi  magni- 
fici colori  vistosi.  Le  squame,  disposte  su  entrambe 
le  facce  della  membrana,  sono  sovrapposte  come 
sulla  pelle  di  un  pesce.  La  membrana  poi,  sebbene 
sottilissima,  è  costituita  da  diversi  stati  sovrapposti. 

Un'altra  fotografia  (figura  7)  rappresenta  la  testa 
e  le  spalle  di  una  mosca  comune.  Si  vede  benissimo 
la  struttura  singolare  della  parte  superiore  del  pri- 
mo e  del  secondo  paio  di  gambe.  Sulla  parte  ai 
riore  del  capo  si  vedono  come  due  proboscid 
sono  gli  organi  con  i  quali  la  mosca  punge  la  no- 
stra epidermide  quando  la  sete  di  sangue  s'im] 


Fig.  6. 


1 1 1. . 


LA    LI  T  ' 


che  succede  molto  spesso    La  osa  più  semplici 

i   piuttosto  piccola.    1 1  Farla      mondo  ! 

impresa.   Sottoporre  un  l  n'aJtra  i  re  illustrazioni  (figura  6)  rap« 


FÌB 


alla  macchina   :  tire  le  sue  abitu-     presenta  la  polvere  che  rimane  sulle  dita  dopo  «he 

dini  vivaci,    persuaderla   ad   assumere  un  contegno      s'è  uccisa  o  toccata  una  tignuola. 


Fig.  8. 


DALLE    RIVISTE 


IDI 


li' afte  di  dipingere  eoi  francobolli 


Non  è  più  necessario  adoperare  i  ci  lori  per  di- 
pingere, né  i  francobolli  servono  soltanto  ad  essere 
appiccicati  sulle  lettere.  Il  signor  J.  Van  Wylick, 
di  Liegi,  nel  mese  di  agosto  del  1900  espose  a  Pa- 
rigi cinque  quadri  confezionati  coi  francobolli:  due 
paesaggi,  due  soggetti  religiosi  e  un  quadro  di  ge- 
nere. Il  più  grande  misurava  1  metro  e  3  centimetri 
per  74  centimetri;  il  più  piccolo  37  centimetri  per 
30.  Il  meglio  riuscito  rappresenta  Gesù  che  fn 
il  vangelo;   il   fondo  era  composto  con  francobolli 


era  dispiacevole.    Nondimeno  questo  usta 

fu  incoraggiato  con  una  a  d'argento,    il  si- 

gnor  Bizot,  chi  inch'egli  esposto  dei    [uadri 

ottenuti  o  ni  lo  stesso  [  recedimenti  >,  ne  ebbi  un'altra  ; 

medaglie  di  bri  inzo  otti  [in  e  i! 

Vari  Elven,  di  Milano. 

Le  due  regole  inviolabili  di  questa  riuova  arte 
sono  queste:  1"  la  decorazione  si  ottieni 
mente  coi  francobolli;  20  ogni  ritocco  è  una  1  rode. 
L'artista  si  può  servire  delle  obliterazioni,  ma  non 
deve  abusarne.  Egli  procelle  in  questo  modo:  mette 
dapprima  i  francobolli  nell'acqua,  durante  un'ora, 
per  distaccarli  dalla  carta  dove  sono  incollati.  Quelli 
che  si  stingono  rivelano  di  non  essere  ado]  erabili. 


Ritratto,  da  Rembrandt. 


svizzeri  da  1  lira,  interi  0  ritagliati  per  dar  luogo 
alle  figure: a  breve  distanza  l'illusione  era  perfetta, 
tranne  che  il  quadro  somigliava  alle  opere  dei  pri- 
mitivi. Vi  si  notava  quella  semplicità  un  po:  ri- 
gida che  contraddistingue  le  pitture  ilei  XII  e  del 
XIII  secolo;  la  prospettiva  era  però  osservata.  Le 
carni  e  le  pieghe  delle  vesti  erano  ottenuti  con  tran- 
ci bolli  di  diversa  provenienza.  Bisognava  avvici- 
narsi molto  per  leggere  sulle  stoffe  e  sulla  scorza 
degli  alberi  le  lettere  e  le  cifre  attestanti  l'origine 
dei  materiali  impiegati:  Rep.  fratte,  oppure  /'■ 
gè.  Un  altro  dei  paesaggi  esposti  dal  Van  Wylick 
rappresentava  i  dintorni  di  Delft,  con  buoi  e  mon- 
toni pascolanti  nella  campagna  :  quadro  sul  gusto 
dei  Fiamminghi;  ma,  da  vicino,  l'impressione  ri- 
sentita  nello  scorgere  la  sovrapposizione  dei  bolli 

La  Lettura. 


Gli  altri  si  lasciano  seccare  sopra  degli  asciugamani, 
poi  tra  fogli  di  carta  sul:. mie  e  poi  Sotto  un  pi 
sotto  un  torchio  da  registri  copia  [uando 

bene  asciutti,  si   o  in 

tante  scatolette   ili  uno  di  ciasi  una   : 

s'incolla,    cniin-   campione,    sul    coperchio;    ed 
1    onta    in  tal  modo  la  tavolozza  del  ! 
avere  delle  pica  ile  I 

fi        e   un   tempe 1      una 

ina  detta  Sied  lani  etta,  molto  fìi 

ente   dalle  due  parti,  e  finaln  pi  ni 

di  divi  mie/za   destinati   alcuni    a  incollo 

pezzetti    dei    francobolli,    altri    a    clan 
smali 

Quan  I      1        qu     eriali  I  artista 

traccia  sulla  tela,  con  una  matita  molto  appuntata, 

11 


ÌOJ 


LA    LETTURA 


le  linee  dello  :       gli  ha  da  dipingere  un 

bleuet,  prende  un  frati  b  25  centesimi  az- 

zurro scurii  del    1850  e  vi  ti  (itomi   < lei  pe- 

tali ;    ne  prende   poi   degli  altri    da  ;o   centesimi 


in  modo  che  la  penna  non  incontri  dei  corpi  duri. 
altrimenti  potrebbe  r.>mpersi.  Se  culi  commette  un 
errori  da  rifare:  se  una  tinta  man 

ca,  b  il  francobollo  adatto,  e  quando  ri 


l'n  paesaggio  dipinto  coi    rancobolli. 


Imitazione  di  un  quadro  di  Boucher. 


I  nini  su  verde  per   il  ramo 

verdi,  attuali,  per  le  foglie  di  diritta. 
■1  la  penna  SU 

■      l  Ila  i  fra;  ili  carta 


nalmente  questo  lavoro  paziente  da  mosaicista  è 
finito,  quando  il  quadra  •  secco,  si  lava  la  tela  con 
una  spugna   imbevuta  d'acqua  fresca,  che  ln- 

esso  senso,  per  far  scompa- 


DALLE    KIYIS'I 


[63 


rire  qualunque  traccia  di  gomma.  Allora  l'artista 
può  giudicare  dell'effetto  e  operare  i  ritocchi,  sem- 
pre mediante  francobolli  interi  o  ritagli  di  franco- 
bolli. Ventiquattro  ore  dopo  che  il  quadro  è  ascii 
dopo  i  ritocchi,  si  prende  con  un  pennellino  una 
goccia  di  vernice,   si  lascia  cadere  sopra   una  parte 


Arazzo  giapponese  eseguito  coi  francobolli. 

della  decorazione  e  si  distende  sul  tutto  ;  poi  si  ri- 
comincia con  un'altra  goccia,  finche  lo  strato  di  ver- 
nice è  giudicato  sufficiente.  Si  lascia  nuovamente  a- 
sciugare  il  quadro  durante  otto  giorni,  dopo  di  che 
non  resta  da  far  altro  che  metterlo  in  cornice. 

I  lavori  così  ottenuti  non  sono  sempre  riusciti: 
al  contrario,  sopra  cento  quadri,  due  appena  hanno 
qualche  valore.  Per  questa  ragione  i  prezzi  ne  - 
molto  elevati.  Un  piccolo  paesaggio,  rappresentante 
due  cervi  che  bevono  in  un  ruscello,  è  stato  venduto 
300  franchi:  seimila  francobolli  erano  stati 
perati  per  metterlo  insieme.  Altri  quadri,  più  gran- 
di, hanno  raggiunto  il  prezzo  di  3000  franchi  :  la 
loro  confezione  ha  richiesto  nove,  dieci,  talvolta  do- 
dicimila francobolli.  Un  fratello  della  Dottrina 
cristiana,  fondatore  di  una  casa  d'istruzione  in  Al- 
vemia,  ha  eseguito  coi  francobolli  un  quadro  rap- 
presentante, con   tutte  le  minime  particolarità,  con 


L'esattezza  d'una  fotografìa,  il  suo  immenso  stabi- 
limento: il  quadro  è  lungo  un  metro  e  mezzo  e  lar- 
go 65  centimetri. 

Ni  'ti  s  si   1  Lipingi  1 li  ;    |uadi  i  con  questo 

sistema,  ma  si  decorano  1  piatti.  All'espi  sizione  fila- 
telica di  Londra,  nel  iSqo.  figuravano  delle  porcel- 
lane nere,  nelle  quali    si  staccavano   in  eh;. irò  dei 
liori  e  degli  insetti.   Alcune  signore  1  landi 
ghe  hanno  alti  posto  dei  veri    fiori  artificiali, 

non  già  incollati  sopra  un  fondo,  ma  montati  sopra 
lo    St(  Il  ». 

Siamo,  come  si  vede,  mollo  lontani,  dal  tempo 
nel  quale  i  primi  collezionisti  si  contentavano  di 
ni' mare  dei  paramenti  0  di  decorare  una  stanza! 
Ma,  nel  mentre  chi  dipinge  coi  Francobolli  ammira 
1  propri  lavori,  altri  collezionisti  li  trattano  da  bai 
bari  e  da  vandalo.  Non  è  un  delitto  di  leso-filateli- 
smo  tagliare  dei  francobolli  rari  come  quello  ver- 
miglio da  1  franco  della  Repubblica  o  come  il  2 
■-.    antico  di    Spagna?... 


Per  la  fortuna! 


I  »a  un  articolo   del    signor    Lewis    Perry 
Magatine,  fascicolo  di  dicembre). 


nello    St tatui 


L'autore  di  questo  articolo,  un  giornalista,  ri 
aver  veduto  durante  le  sue  molteplici  peregrinazioni 
ogni  fatta  di  collezioni  ili  curiosità,  ma  soltanto  di 
recente  gli  capitò  di  vedere  una  raccolta  di  mascot- 
te s  per  uso  dei  giuocatori.  La  vide  nell'isola  di  Wight 
in  casa  di  un  vecchio  lupo  di  mare  che,  avendo  pe- 
stato servizio  lungo  tempo  sui  battelli  che  attraver- 
sano la  Manica,  aveva  avuto  occasione  di  cono- 
scere gran  numero  di  giuocatori.  La  raccolta  è  ricca 
di  stranezze.  V'è,  ad  esempio,  un  pezzo  di  carbi   te 


l'n  pezzo  di  carbone  prezioso. 

che  all'aspetto  non  ha  nulla  di  straordinario:    pure 
o  »lui  che  lo  ni  'u  l'avrebbe  dato  via 

tutto  l'oro  del  mondo.  Egli  l'aveva  trovato  un  giorno 

che,    dopo   aver   giui  1     Monte- 

carlo  e   perduto    sino   all'ultimo   centesimo,    passeg- 
a    m  rido   il    suicidio    In    prossimità  di   una 

nave  da  cui  si  stava  scaricando  il  carbone:    l'aveva 
trovato....   in   fondo    alla    propria    tasca     Pensando 

1   sse   buon    segno,  superstizio 
tutti  i  giuocati  1  in  prestito  una  picco!  1  si  m 

ma  e  tornò  alla  bisca.  Quando  venne  via.  la  mal 


'"I 

lina  segu  va  vinto  .^o.ooo  franch     l     :.>  al 

lora  in  i  sempre  e  diva 

stanco  ili  giuocan   >■  contento  della   fortuna   i 
turila    n  Inghilterra,  regalò  il  pezzo  'li  carbone  al 


LA    LETTURA 


1  ire  sacchetti  di  sale. 

capitano  collezionista.  Nella  collezione  v'è  pure  un 
dito  tolto  alla  inano  di  un  settimo  figlio.  Quel  dito 

iicniic  ad  un'attrice  che  1"  teneva  sempre  seco 
giuocando,  e  i  empre.  pare.  Inuma   fortuna, 

Sno  al  giorno  che,  essendo  caduto  in  terra  e  andato 
in  pezzi,  perse  l'incanto:  e  l'attrice  perse  la  for- 
tuna. 

Un  s    ro  giù  va  per  mascotte  tre  uova 

chiu-  l     i     faceva  vedere  la 

amici    affermando  ch'essa   gli   portava 

na,  ma  che  se  un  solo  uovo  si  fosse  rotto,  la 


P  min. i  sarebbe  venuta  meno.  Una  sera  quell'u  imo 
fu  trovato  assassinato  e  non  gli  si  rinvenne  ind 
la  scatola.  Questa  si  trovò  indosso  all'assassino  che 
l'aveva  rubata  e  che  fu  tratto  tosto  in  arresto.  A- 
perta  la  scatola,  si  vide  che  un  uovo  era  rotto. 

Un  nostro  disegno    riproduce   un'altra   ma 
il  cui  antico  possessore  assicura  che  gli  portò  gran 
fortuna.   Si  tratta  ili  tre  sacchetti  ili  seta,   Li.!! 
un  tempo,  contenenti  del  sale.  Appartennero  ai 

nuolo  che  fu  giuocatore  ostinato  e  si  ritirò  pei 
da  questa  sua  occupazione  abituale  straordin.i ria- 
mi il 

Quantun  |ue  il  ferro  di  cavallo  sia  in  buona  fami 
presso   i   superstiziosi,   non  sono  certo  frequenti  le 
mascottes    come    quella    rappresentata    nell'uri 
delle  illustrazioni  qui  unite.     Si  tratta  di  un   |i 
ili  cuoi"  tagliato  in  forma  ili  ferro  ili  cavallo    E 
chi  tagliò  il  cuoio  non  si  valse  ili  un  cuoio  |u; 
que:   impiegò  il  cuoio  preso  da  una  scarpa  di  una 


Un  «ferro  di  cavallo*  singolare. 

vecchia  che  aveva  fatto  un  pellegrinaggio  a  Lcui- 
iles  percorrendo  in  tre  giorni  89  miglia.  Perchè  quel 
cuoio  ào\  ir  fortuna   non  si  capisce  he.ie. 

Ma  in  queste  cose  ehi  ragiona? 


Tre  uova  che  cagionarono  un  assassinio. 


DALLE    RIVISTI 


r65 


Nel  mondo  ignoto 


La  Lettura  diede  nel  fascicolo  ili  Gennaio  il  sunto 
dei  primi  articoli  pubblicati  sul  Matin  da  Giulio  II. 
intorno  alle  forze  occulte.  Poiché  l'argomenti .  .'■  di 
quelli  che  eccitano  curiosità  e  interesse  in  ogni  or- 
dine di  lettori,  crediamo  di  non  far  cosa  .sgradita 
seguendo  il  Blois  nei  suoi  nuovi  articoli,  i  quali 
sono  anche  più  ricchi  di  cose  notevoli  che  non  i  primi. 

I  teosofi. 

Il  redattore  del  Matin,  dopo  aver  notato  che  tutto 
questi,  movimento  verso  il  di  là  è  una  reazione  con- 
tro il  nullismo  materialista,  si  occupa  della  scuola,  o 
per  dir  meglio  della  religione  dei  Teosofi,  i  quali 
(ormano  una  vera  e  propria  chiesa,  con  dogmi,  con- 
cilii  e  clero,  e  pretendono  di  ricevere  i  loro  insegna- 
menti da  infallibili  maestri:  i  Mahatmas,  abitatori 
dell'Himalaya  e  del  Thibet,  pronti  a  rivelarsi  in 
ogni  luogo  del  mondo  a  coloro  che  giudicano  degni 
dell'insigne  favore. 

_  La  Società  teosofica  fu  fondata  nel  1875  a  Nuova 
\ork  da  una  slava,  la  signora  Blawatsky,  e  da  un 
Americano  il  colonnello  Olcott  ;  ma  il  suo  ufficio 
centrale  è  passato  a  Londra.  In  Francia  l'apostolo 
della  teosofia  è  il  dottor  Pascal,  il  quale  da  Tolone, 
dove  guariva  le  persone  con  l'omeopatia  e  il  ma- 
gnetismo, passò  a  Parigi  dove  fu  iniziato  ai  nuovi 
misteri.  La  gran  sacerdotessa  Annie  Besant  eser- 
citò una  decisiva  influenza  su  lui,  e  il  viaggio  in 
India,  dove  egli  vide  i  yoghi  traversare  tranquilla- 
mente, senza  bruciarsi  neppure  i  piedi,  enormi  roghi. 
finì  di  affascinarlo. 

Intervistato  dal  Blois,  il  Pascal  ha  detto  che  la 
Società  teosofica  conta  oggi  più  di  cinquecento  se- 
zioni diffuse  in  tutte  le  parti  del  mondo,  dalla  Fin- 
landia  all'Australia,  e  che  nella  sezione  parigina, 
dal  15  ottobre  al  15  luglio  di  ogni  anno,  si  tengono 
dei  corsi  aperti  gratuitamente  a  tutti  coloro  che  vo- 
gliono studiare  la  nuova  dottrina.  Una  guida  è  ne- 
cessaria ai  neofiti,  perchè  altrimenti  l'iniziazione  po- 
trebbe essere  pericolosa.  Secondo  la  scuola,  gli  uo- 
mini arrivati  a  un  alto  grado  dell'evoluzione  pos- 
sono, mediante  uno  speciale  addestramento,  svilup- 
pare la  capacità  dei  loro  sensi.  Esistono,  nel  mondo, 
una  quantità  di  corpi:  l'evoluzione  generale  si  com- 
pie mediante  la  loro  successiva  elaborazione.  Per 
esempio:  nel  minerale,  la  materia  fisica  si  orga- 
nizza in  atomi  ed  elementi  chimici  che  producono  il 
calore ,  l'elettricità ,  ecc.  ;  tra  i  vegetali  più  svilup- 
pati (sensitiva)  e  tra  gli  animali  appare  la  fai 
di  -entire.  La  sensazione  è  il  risultato  di  una  vibra- 
zione più  sottile:  la  materia  iperfisica.  Negli  animali 
superiori  e  nell'uomo  appare  un'altra  qualità:  l'in- 
telligenza, risultato  di  uno  stato  ancora  più  alto  della 
materia:  la  materia  mentale.  Attualmente,  il  ci  rpo 
mentale  non  ha  chiara  coscienza  se  non  dalle  vibra- 
zioni dell'universo  che  gli  giungono  attraverso  il 
corpo  fisico  e  ciò  perchè  il  corpo  fisico  è  quello  che 
si  formò  prima  e  che  è  più  sviluppato  ;  ma  il  corpo 
iperfisico  (il  corpo  delle  sensazioni)  e  il  corpo  men- 
tale, benché  organizzati  più  tardi,   hanno  tuttavia 


1    [uistato  una  certa  sensibilità.  Per  questa  ragione, 
dopo  la  morte,  quando  la  cai  uomo 

sentirà   per  mezzo  del   suo   involucro    iperfisico,    il 

quale   lo  metterà   in   relazione  col   dì   la.   con    1. 
mondo. 

Due  pionieri  \  ivi  sono  penetrati  in  questo  mondo 
misterioso:  il  teosofo  Leadbater  e  la  teosofessa  An- 
nie Besant.  Essi  hanno  col  loro  veicoli  perfì  co  in- 
frante le  porte  dell'altro  mondo  —  o  piano  astrale 
—  il  quale  non  è  altro  che  il  luogo  chiamato  purga- 
torio dai  Cattolici,  kamalo-ka  (piazza  del  Deside- 
rio) dagli  Indù  e  kades  dai  Greci.  Questo  mondo 
di  là  è  più  gradevole  del  nostro,  tranne  che  per  gli 
assetati  di  voluttà  grossolane.  Costoro  vi  soffrono 
il  supplizio  di  Tantalo:  il  desiderio  ha  sede  nel- 
l'involucro iperfisico,  ma  il  suo  appagamento,  l'eb- 
brezza, è  data  solo  dalla  carne;  e  siccome  quest'ul- 
tima è  scomparsa,  la  soddisfazione  diventa  impos- 
sibile. Nelle  regioni  più  dense  di  questo  purgati  I 
vi  è  un  angolo  dove  si  pigiano  i  disincarnati  in  preda 
alle  più  basse  passioni,  i  delinquenti,  i  suicidi,  ecc.: 
costoro  soffrono  talvolta  terribilmente,  per  lunghi 
anni.  Ma  essi  sono  poi  liberati,  perchè  l'involucri, 
iperfisico  non  dura  più  d'una  trentina  d'anni,  e  quin- 
di si  dissolve,  come  si  è  dissolta  in  terra  la  materia 
fisica.  Avviene  allora  la  seconda  morte,  e  sopravvive 
soltanto  il  corpo  mentale;  il  quale,  perduti  i  due 
involucri,  resta  aperto  alle  vibrazioni  di  un  mondo 
nuovo:  il  paese  della  pura  intelligenza,  il  cielo.  Ma 
gli  esseri  superiori  vanno  ancora  oltre  il  cielo,  nei 
mondi  che  gl'Indù  chiamano  nirvana,  dove  s'inabis- 
sano in  Dio. . . 

Secondo  i  teosofi,  l'Invisibile  è  pieno  di  miliardi 
e  miliardi  di  forme,  delle  quali  noi  conasciamo  sol- 
tanto quelle  che  possiamo  comprendere  e  percepire. 
Quando  l'uomo  potrà  vedere  e  maneggiare  l'etere, 
allora  entrerà  in  relazione  con  gli  esseri  ignoti.  Tutte 
le  forze  sono  altrettanti  esseri:  l'elettricità,  per  e- 
sempio,  è  un  essere.  Come  l'uomo  dirige  gli  animali, 
parimenti  'gli  esseri  invisibili  che  rappresentano  le 
forze  della  natura  possono  essere  diretti  da  colori. 
che  sanno.  Il  volgo,  assetato  di  occulto  e  di  magìa, 
diviene  lo  schiavo  di  jiieste  energie  mentre, crede  di 
padroneggiarle.  E'  facile  attirare  gl'invisibili  ;  ma 
essi  allora  si  servono  dell'imprudente  che  li  ha  atti- 
rati come  d'uno  strumento:  egli  è  alli  ra  pre  0,  os- 
sesso. In  questi  casi  si  verificano  fenomeni  simili  a 
quelli  dei  convulsionari  di  San  Médard  e  degli  Ais- 
1  medium  che  producono  effetti  tìsici,  sono 
stati  zimbello  di  1     eri   imbibili.  I  veri  teosofi,  in- 

.  attendono  a  sviluppare  le  forze  che  pus  1 
servire  alla  si  lidarietà  umana  e  all'evoluzione.  Essi 
apprendono  ai   loro  simili    il   modo  di    riempire  la 
Ltmosfera  mentale  di  luce  e  d'amore.. 

La  telepatia. 

Dopo  aver  passato  in  rassegna  le  dottrine  spiri- 
l 'Miste  e  teosofiche,  il  Blois  avverte  che  nes- 
sun scienziato  autentico  le  segue.  Gli  silenziati  veri 
stilino  tanto  lontani  dalla  cieca  credulità,  quanto 
dalla  più  cieca  incredulità  ;  Carlo  Ric.het,  eminente 
tisiologo,  così  ha  formulato  il  programma  dei  dotti 
relativamente    a  questi    problemi:    «  Rigorosi  nel- 


i66 


i  \  i  .1  in  i<\ 


l'esame,  audaci  nel  Tip  i  Con  tale  pr 

il   Myers,  professore  all'Università  di   Cambrì 

morto,  fondò  a  Londra  la  Società  'li  ricerche 
psichiche,  che  ha  reso  grandi  sen  i/i.  svelando  da 
una  parte  i  maneggi   della  1    Blawatsky, 

mdo    1  inganno    delle    1  ìriti- 

che,  ecc.,  ma   studiando  positivamente   dall'altra 
f. -ni' meni  della  chiaroveggenza,  della  trasmissi 
dei  pensii  mdo  i  fondamenti  di  una  nuova 

scienza,    la  telepatia. 

Questa  ■  <  ramai  ammessa  quasi  universalmente. 
1  professori  Rachel  e  Marillier,  i  dottori  Dariex, 
1  e  Halle,  il  filosofo  Ribot,  il  poeta  Sully 

Prudhomn  almente  l'astronomo  Flammarion 

credono  all'apparizione  dei  fantasmi  delle  persone 
vive.  Il  Flammarion  ha  testualmente  scritto:  «  L'a- 
zione di  uno  spirito  sopra  un  altro,  a  distanza,  senza 
l'intervento  della  vista,  dell'udito,  del  tatto  o  degli 
altri  sensi,  •  un  fatto  scientifico  certo  come  l'esi- 
ettricità,    dell'ossigeno  0  di   Sirio  ». 

Fin  dai  tempi  più  antichi  i  presentimenti  si  sono 
verificati  Cicerone  narra  di  un  suo  sogno  telepatico 
avveratosi.  San  Benedetto  vide  una  notte  in  cielo 
una  luce  che  somigliava  a  Germano,  vescovo  di  Ca- 
lma: mando  un  messaggero  in  questa  città  e  sepne 
che  Germano  era  morto  nello  stesso  momento  che  gli 
appariva.  Più  tardi.  Swendenborg,  trovandosi  fuori 
di  Stoccolma,  in  un  paesuccio,  si  sentì  male  e  vide 
in  una  specie  di  allucinazione  la  sua  casa,  nella  città, 
investita  dalle  fiamme  d'un  incendio.  Le  persone 
mandate  a  Sti  «-colma  tornarono  confermando  in  tutti 

I  particolari  la  visione  dello  Swendenborg;  Kant  fu 
chiamato  a   verificare  la  verità  del  caso  e  dovette, 

I  he   a   malincorpo,   ammetterla. 

II  Blois  cita  quindi  alcuni  fatti  telepatici  avvera- 
tisi ultimamente  a  Parigi.  11  chirurgo  Guinard  ave- 
va come  dentista  un  certo  L. ..  e  una  notte,  preso 
da  un  gran  male  di  denti,  non  potendo  dormire,  si 
mise  a  lavorare  ad  una  memoria  sulla  cura  chirur- 
gica del  cancro  allo  stomaco.  La  mattina  dopo  corse 
dal  dentista  perchè  il  male  ai  denti  continuava  an- 
cora più  forte,  e  il  dentista  gli  disse:  «  Ho  sognato 
di  voi  tutta  la  notte  in  un  incubo  terribile:  mi  pa- 
reva che  avessi   un  cancro  allo  stomaco  e  che  voi 

sul  punto  di  operarmi...  » 
Il  Dieulafcv,  dotto  scrittore,  ha  narrato  al  Blois 
un  altro  caso  di  telepatia.   I  .  trovandosi  in 

un  villaggio  presso  Tolosa,  vide  in  sogno  suo  co- 
In-  abitava  a  boni. mx:    il  parente  gli  ap- 
parve molto  ammalato:    il  domani  ricevette  un  te- 
imma  annunziarne  che  suo  cognato  era  morto 
durante   la    notte.    Lo  stesso    Dieulafoy,    a   Parigi, 

Ielle  barelle,  dove  giace- 
vano dei  corpi  irrigiditi,  traversare  il  suo  salotto  ;  il 
in,,  dopo  ri.  èvette  una  lettera  del  suo  uomo  d'af- 
fari, il  quale  gli  annunzi. iva  che  il   mezzadro  si  era 
annegato  quella  ti-  ne  con  la  figliuola:   i  ca- 

daveri erano  stati  |>ortati  a'easa  in  barelle  del  tutto 
simili  a  quel  n  sogno. 

Più  meravigliosa  è  .incora  l'esperienza  di  Buca 

.   nella  quale  la  prò  [■patiia    non    solo  è 

■  '  ■  tografare. 

II  i:<  .  che  si  trovava  a  Campana,  pr  : 


al  pn  I'  •  ore  Hasdeu  di  apparirgli,  a  data  fissa,  in 
Bucan       1  -    due  città  disiano  press'a  poco  quanto 

gì  da  Calais.  1. a  sera  stabilita  l'Hasdeu  disp 
un  apparecchio  fotografico  presso  il  proprio  li 

e  fistiali  non  si  addormì,  a  Campana,  se  non  prima 
\dlle,  con  la  tensione  .li  tutte  le  su.  fa  1  Ita  mentali, 
apparire  dinanzi  alla  lastra  dell'amico.  Dormendo, 
d'avere  infatti  impressionato  la  lastra,  e  ne 
avvertì  il  professor  P...  Onesti  si  recò  a  Bucarest 
e  irovò  l'Hasdeu  intento  a  sviluppare  la  negativa: 
sul  vetro  apparvero  tre  immagini,  una  delle  quali 
riuscitissima:  la  figura  del  dottore  con  gli  occhi  fissi 
all'otturatore  dell'apparecchio,  la  cui  estremità  me- 
tallica era  illuminata  dalla  luce  dell'apparizione... 

11    •  biometro  »   e  le  fotografie  dell'anima. 

Ma  questi  risultati,  quantunque  meravigliosi, 
sono  oltrepassati  da  quelli  ottenuti  a  Parigi  dal  lot- 
ti >r  Ippolito  Baraduc,  che  il  Blois  chiama  Paracelso 
parigino.  Il  Baraduc  ha  scoperto  l'Anima  del  Mon- 
do, e  l'ha  battezzata  col  nome  di  ZotUre,  che  vuol 
dire  «  etere  vivente  ».  L'anima  individuale  di  cia- 
scuno di  noi  respira  cotesta  secreta  vita  dell'universo. 
Il  dot  ti  ir  Baraduc  procede  per  via  di  esperienze  pre- 
cise, ottenute  mediante  [Strumenti  scientifici.  Uno  di 
questi  è  il  biometro  col  quale  si  registra  la  respira- 
zione dell'anima.  Consiste  in  un  ago  di  rame  sospeso 
a  un  filo  di  seta  e  disposto  a  due  centimetri  sopra 
un  quadrante  il  quale  sormonta  un  rocchetto  di  1.15 
metri  di  sottilissimo  fil  di  ferro,  in  una  boccia  ripa- 
rata dalle  variazioni  della  temperatura  e  dalle  vi- 
brazioni esterne.  <  "uest'ago  ha  la  strana  proprietà  dì 
essere  influenzato,  senza  contatto  diretto,  attraverso 
la  parete  di  vetro  della  boccia,  dalla  presenza  di 
una  persona.  Non  si  deve  far  altro  che  dirigere  la 
mano  perpendicolarmente  alla  punta  dell'ago,  in 
modo  che  l'estremità  delle  dita  resti  a  tre  centimetri 
dal  quadrante:  dopo  tre  minuti  di  posa,  l'ago  è  at- 
tirato o  respinto  dalla  forza  che  si  sviluppa  dallo 
sperimentatore,  forza  che  attraversa  tutte  le  so- 
stanze cattive  conduttrici  del  calore  e  dell'elettricità. 
Durante  quattro  mesi  il  dottor  Branly,  tìsico  1 
per  i  suoi  studi  sulla  telegrafia  senza  fili,  fece  espe- 
rienze col  Baraduc  su  questo  biometro,  e  concluse 
che  l'elettricità  e  il  calore  non  avevano  n 
vedere  coi  risultati  ottenuti,  i  quali  sono  dovuti  a 
una  nuova  energia,  a  una  forza  ignota  inerente  al 
corpo  umano.  La  scoperta  del  Baraduc  è  dovuta  a 
io  anni  di  ricerche  ed  a  circa  4  mila  osservazioni. 
Egli  dichiara  di  avere  osservato  che  ciascun  indi- 
viduo impressiona  l'apparecchio  secondo  il  tempera- 
mento e  lo  stato  della  salute:  quindi  questa  forza 
sari-Mie  la  stessa  fona  vitiiìc.  Lo  sperimentatore  e 
arrivato,  assicura,  a  questo  risultato:  che  i  numeri 
ro",  :o".  30"  sul  suo  quadrante  hanno  un  significato 
biometrico  come  le  cifre  35°,  37°,  400  hanno  un  si- 
gi liticato  calorifico  nel  termometro  clinico.  Nelle 
esperienze,  si  serve  di  due  biometri,  uno  per  la  mano 

diritta  ed  uno  per  la    sinistra,  giacché  vi   <    fra  esse 

una  differenza  :  la  destra  sarebbe  fisica,  esprimerebbe 

l'attività,  la  salute;  la  sinistra  sarchile  psichica, 

■  che  accade  nel  cervello  0  nel  cuore. 


RIVISTE 


Come  i  polmoni  e  lo  stomaco,  respirando  e  digeren- 
do, alimentano  il  corpo,      sì  l'anima  inspira  ed  i 
ra  l'anima  universale,  il  Zoetere,  l'assimila  e  l'espelle. 
Il  biometro  misura  questa  funzione... 

Il  Blois,  durante  l'intervista  oon  l'inventore,  vide 
arrivare  una  signora.  Il  dottor  Baraduc  la  cono, 
dinanzi  al  biometro  ;   l'osservazione  dello  strumento 
diede  questa  formula:   att.   10  /  alt.    1 S\  «  Voi  vi- 
vete nel  piano  materiale  »,  fu  il  responso   del   dot- 
tore :  a  siete  una  biliosa,  un'ardente,  una  violenta  ». 
La  signora  si  fece  rossa,  e  confessò  che,  quantunque 
oon  fosse  sempre  così,  pure  poco  prima  aveva  avuto 
una  scena  d'inferno  col  marito.  Il  Baraduc  la  invitò 
a  tornare  più  tardi,  per  fare  una  nuova  prova,  dopo 
che  i  suoi  nervi  si  fossero  calmati.  Ella  tomo  ini 
e  il  biometro  segnò  att.  30  j  att.  jo.  «  Queste  cifre 
rivelano  che  siete  spiritualista,  ragionevole  e  calo 
disse  il  dottore  ;  e  la  signora  confermò  che  si  era  ri- 
conciliata col  marito  e  che  il  suo  spirito  si  era  sedato. 

Ma  il  Baraduc  ottiene  risultati  ancora  più  stupe- 
facenti fotografando  le  emozioni.  «  Poiché  la  forza 
vitale  è  movimento,  e  si  esteriorizza  »,  dice  egli,  «  de- 
ve essere  anche  luce,  quindi  deve  impressionare  le 
lastre  fotografiche  ».  Egli  procede  col  metodo  a  sec- 
co, senza  contatto,  con  o  senza  apparecchio,  nell'o- 
scurità totale,  attraverso  la  carta  nera  o  nella  camera 
oscura.  La  lastra  fotografica  è  da  lui  avvicinata  alla 
fronte,  al  cuore  o  alla  mano  del  paziente,  e  resperi- 
mentatore ottiene  la  fotografia  degli  effluvi  elettrici 
vitali  e  delle  radiazioni  nervose.  Il  Gebhart,  nella 
Revue  scientìfiaue,  ha  affermato  che  queste  pretese 
fotografie  dell'invisibile  non  erano  altro  che  nega- 
tive male  riuscite:  le  macchie,  le  immagini  che  vi  si 
scorgevano  dipendevano  da  difetti  dello  sviluppo  ; 
ma  il  Baraduc  risponde  che  egli  agita  a  dovere  il 
bagno,  e  che  sulle  lastre  impressionate  si  ottengono 
dei  risultati,  mentre  su  quelle  intatte  non  appare 
nulla.  Del  resto  egli  assicura  d'aver  dato  a  svilup- 
pare le  sue  lastre,  per  maggior  sicurezza,  a  fotografi 
di  professione,  e  che  nel  Congresso  fotografico  del 
r89Ó,  a  Nancy,  fu  unanimemente  riconosciuto  che 
si  trattava  di  negative  veramente  impressionate,  e 
non   di  difetti   di  sviluppo. 

Nelle  fotografie  così  ottenute  si  vedono  come  dei 
vortici,  dei  turbini  che  rappresenterebbero  in  qualche 
modo  il  brivido  cosmico,  l'onda  vitale;  poi  le  im- 
pressioni si  precisano,  e  in  una  specie  di  fiotto  di  di- 
sperazione traspare  il  viso  di  un  fratello  perduto  : 
dalla  fronte  d'un'estatica  guizza  come  una  lingua 
di  fuoco  ;  e  si  vedono  ancora  le  perle  prodotte  dalla 
preghiera,  una  specie  di  purissima  neve  nata  da  un 
cuore  innamorato,  la  nube  pallida  sprigionata  dalla 
soddisfazione  di  un  gatto  che  fa  le  fusa.  Il  Baraduc 
chiama  psichicone,  cioè  immagini  dell'anima,  certe 
forme  ancora  più  particolareggiate.  La  forza  vitale 
è  eminentemente  plastica  e  l'immaginazione  e  la  vo- 
lontà la  plasmano  a  modo  loro. 

Pensando  intensamente  a  un'aquila,  un  ufficiale 
produsse  sulla  lastra  fotografica  l'immagine  flut- 
tuante di  questo  uccello  :  una  spiritista  che  si  cre- 
deva in  rapporto  col  dio  del  pianeta  Mercurio  diede 
per  risultato  un  busto  di  Ermete  :  e  più  stupefacente 
e  quasi  miracolosa  è  la  figura  d'una  fanciulla  r. 


[67 

impressa  sulla  negativa  dalla  madre  inconsolabile... 
11    Baraduc  assicura  eh  1  ata 

una  nuova  lastra  fotografica  più  squisitamente  im- 
pressionabile, adatta  alle  luci  minime,  si  otterranno 
prove  ancora  più  sbalorditive.  Intanto  a  Nuova  York 
le  sue  psichicone  fanno  furore,  e  sono  state  adottate 
dalle  signorine  per  verificare  se  i  loro  spasimanti 
le  amano  .l'amore.  Prima  di  fidanzarsi,  esse  sotto- 
pongono il  candidato  alla  prova  fotografica:  se  egli 
proietta  sulla  lastra  l'immagine  della  sposa  deside- 
.  vuol  dire  che  è  veramente  innamorato;  se  non 
proietta  nulla,  oppure  un'immagine  piana,  vuol  dire 
che  uccella  soltanto  alla  dote... 

Il  miracolo. 

I  ntinuando  il  suo  studio.  Giulio  Blois  si  occupa 
della  quistione  dei  miracoli,  e  nota  che  essa  può  a- 
vere  due  soluzioni:  o  quel  ohe  si  chiamava  antica- 
mente miracolo  è  oggi  spiegabile  con  le  leggi  scienti- 
fìche  —  opinione  che  fu  quella  del  Renan  e  dello 
Charcot  —  oppure  si  ammette  il  diretto  intervento 
eli  Dio,  il  quale,  per  uno  scopo  superiore,  sospende 
l'effetto  di  qualche  sua  legge  —  e  così  pensano  i 
crei  lenti. 

II  dottor  Maurizio  di  Fleury.  medico  e  filosofo 
valentiss ■••  re   della  Medicina   dello   spirilo. 

1  quale  ha  studiai.]  la  misteriosa  della 

vita  psichica  sul  corpo,  rispondendo  all'intervista 
del  Blois.  afferma  che  la  grandissima  maggioranza 
dei  miracoli  conosciuti,  sono  in  tutto  simili  in  casi  di 
guarigione  repentina  osservati  alla  Salpetrière.  In 
questo  Ospedal.  si  vedono  spesso  l'effetto  di  una 
commozione,  di  una  doccia,  di  una  suggestione,  gua- 
rire malattie  vecchie  di  molti  anni:  cecità,  sordità 
e    paralisi    neuropatiche. 

Recatosi  a  visitare    il   romanziere  Huysmans,   il 
quale,  come  è  noto,  vive  una  vita  quasi  monasl 
presso  il  monastero  benedettino,  gli  ha  risposto  che 
molti  dei  fenomeni  straordinari  un  tempo  attribuiti 
all'azione  divina  non  sarebbero  più,  ogf  rati 

come  miracoli.  Dio  0  mpie  simili  atti  rarissimamen- 
te, e  non  è  a  di  quel  reporter  che  un 
giorno,  a  Lourdes,  domandava  ai  medici  a  qual  ora 
avvenivano  i  miracoli.  La  Chiesa  adopera,  per  de- 
signare questi  prodigi,  le  parole  di  grazia  ricevuta, 
di  favore.  L'n  miracolo,  per  essere  ammesso  dalla 
1  '  rte  di  Ri  ma,  esige  un'inchiesta  che  dura  talvolta 

li,  .   la  maggior  parte  delle  guarigione  di  Lonr- 

sarebbero  ricusate  in  un  processo  di  canonizza- 
zione. Le  guarigioni  nervose,  quantunque  sur 

.  non  provano  gran  cosa:  ma  talvolta  si  vede 
guarire  a  un  tratto  il  lupus,  un  tumore,  una  piaga: 
il  cr  :  1*  riconoscere  in  qu 

il  miracolo,  ('erto,  bisogna  studiare  molt. .  atten- 
tamente tali  prodigi;  ma,  se  lo  studi.,  manca,  la 
colpa  è  dei    medici  :    le  autorità  eccli  non 

di  meglio  che  essi  facciano  le  loro  osserva- 
lo,! Lo  <  'harcot  mandava  lì 
gli  ammalati  incurabili  ;  e  se  egli  si  spiegava  li- 
guarigioni  ottenute  nei  casi  d'isteria,  era  molto  più 
imbarazzato  dinanzi  ai  prodigi  cristiani. 

aggiunto   Joris    Karl    Huysmans,   questi   ha 
rincarato  la  dose.  Ha  incolpato  il  dottor  Richer  di 


...s 


LA    LETTURA 


avere  assimilato  il  Luisa  1   iteau,  la  stigma- 

tizzata, a  un  sopprimendo 

tutte  le  circostanze  imbarazzanti,  o  me,  per  i  sempio, 
qui  •  Luisa  distingueva,  senza    vederla  i    n 

gli  nvhi,  l'ostia  nel  tabernacolo,  e  indovinava  se 
it.i  consacrata  >>  no.  Anche  Zola,  a  Lourdes,  vide 
una  -  intanea  'li  lupus:  orbene,  narran- 

dola nel  libro,  per  negare  il  miracolo,  dissechi 
stata  lenta  e  progressiva 

La  forza  psichica. 

Il  Bl  .1  che  la   scienza  moderna,  finora 

re  il  mi  indi  >  fisico,  debba,  sei 
fedele  al  suo  metodo  rigoroso  ed  alla  sua  cri- 
tica severa,  rivolgersi  al  mondo  psichici  ,  Ni  1  campo 
della  he  è  ancora  ai  suoi  primi  balbet- 

tamenti, deve  esercitarsi  l'osservazione  e  l'esperienza 
scientifica. 

Il  Crookes  già  amm  i  nza  d'una  forza  psi- 

chico, dalla  quale  dipenderebbero  quelle  emanazioni 
ohe  il  Baraduc  misura  o  J  suo  biometro.  Questi i  stru- 
mento non  sarebbe  originale;  il  dottor  Foveau  de 
Courmelles   scrive  una  lettera  al  Blois  per  rivendi- 
care la  priorità  del  magnetometro  dell'abate  Fortin, 
col  quale  il  Richet  e  il  IV  Rochas  fecero  delle  espe- 
rienza nel   i8qo.   La  Rivista  universale  delle   nuove 
■izioiu  parlò  di  questo  strumento;   anche  il  Fi 
ebbe  ad  occuparsene.  Il  Baraduc  risponde  che 
a  il  magnetometro,  ma  che  questo  strumen- 
to è  una  ci  sa  diversa  dal  suo  biometro.  (  'ni  primo  si 
misurano   le    influenze  cosmiche   e   meteorologiche, 
•  '■ondo  la  vitalità  umana.  Le  differenze  tecniche 
io  nell'immersione  e  nella  torsione  del  filo 
nell'inclinazione  dei  fili  del  rocchetto. 
L'n  altro  osservatore.  Gastone  Méry,  che  si  occupa 
del   Meraviglioso  con   fede  di  cattolico  e  che  lanciò 
la   famos  n  rina   Couesdon,   obbietta 

al  Baraduc  che  sul  biometro  non  è  esclusa  l'azione 
del  calore  per  il  solo  fatto  die.  tra  le  sostanze  di  cui 
l'apparecchio  è  rivestito,  c'è  anche  uno  strato  di 
ghiaccio;  perchè  con  una  lente  di  ghiaccio  si  può 
anche,  es]  e  facendone  concentrare 

i  raggi,  accendi  II  Baraduc  risponde  che  egli 

non  si  serve  d'una  lente,  ma  di  un  blocco  di  ghiac- 
l'influenza  del  calore  umano  sull'ago  del 
he  eliminala  da  un  involucro  di  rame 
ddatura. 

LI   magnetometro  dell'aliale    Fortin    e  il 
Baraduc,  il  dottor  Joire,  di  Lilla, 
òro  di-Ila   Società  d'ipnologia   e  di  psicol 
di  Parigi  e  presidente  della   -  degli  studi  ps;- 

i-hi'-i  di  Francia,  ha  inventato  un  altro  ro 
della  i.  E'  composto  di  un  ago.  nel    en 

in.  del  piale  si  trova  un  pernio  d'acciai"  molto  icu- 
min.  o  pernio  riposa  con  la    punta  sull'e- 

ia d'una  colonnetta  di  vetro  colli 
nel  centro  dello  strumento;  sotto  l'ago  c'è  un  qua- 
drante graduai  non  è  sospeso,  non 
la   forza    di  torsione  del   filo;    di   più 
l'attrito  è   ridotto  al   minimo:    una   punta  d'ao 
s.pra  una  superfice  di  retro.  1     anche  soppresso  il 

B     tduc, 
I  Joii      guastava  Con 


suo  nuovo  biometro,    il  Joire  ottiene,  quando  una 
persona   accosta  la  mano   all'ago,  una  devia/ 
angolare  notevole:  di  .io,  6o  e  anche  75  gradi    I 
azione  avviene  quasi  sempre  nel  senso  dell'at- 

ii  ne,  '■  con    la  mail"  di  5tra   è   maggiore  che  non 
I  aghi  :    ne 

ha  adoperati  «li  legno,  di  cartone,  di  paglia,  di  ve- 
tro, di  diversi  metalli.   I   risultati  non  variano  mi 
ma  gli  aghi  di  cartone  e  di  paglia  sono  i  più 
sibili.  Nessuna  delle  forze  risichi 
calamita,  né  l'elettricità,  né  la  luce,  né  il  cai 
ducilo  la  deviazione  dell'ago:    solo  la  mano  delle 
pi  rsi  'ne  dà  questi i  risultata  Per  escludere  gli  effetti 
dello  scuotimento  del  suolo,  il  Joire  ha  sospeso  lo 
strumento,  mediante  corde,  ai  muri,  tenendo  lontano 
lo  sperimentatore:   i  risultali  sono  Stati  sempre 
tivi.  Quindi  egli  li  attribuisce  alla  forza  nervosa 
emana  dagli  uomini.   Con  questo  strumento  egli  ac 
certa    l'esistenza   di   essa   forza,   ma   non    la   misura. 
Per  misurarla,  si   serve  d'un  apparecchio  nel  quale 
I  ago  i  '  mie  da  un  filo  di  capello:  lo  sfi  go  roso  ne- 
cessario  dalla   torsione  del  capello  serve  alla  misu- 
ra/ione.   Con  questo  medesimo  apparecchio,   il    ;uo 
inventore  è  arrivato  a  modificare  gli  stati  psichici, 
sottoponendo  i   pazienti  alle  radiazioni  di  luce  •• 
lorata.  :  servendosi  dà  diversi  raggi  del  prisma  (me- 
diante lampade  elettriche  diversamente  colorate),  egli 

ne  effetti  differenti.   E  infine  egli  sta  studi' 
di  produrre  questi  effetti  non  più  col  far  appressare 
la  mano  al  biometro,  ma  con  la  sola  azione  della  vo 
lontà  del  paziente,  a  distanza. 

La  forza  nervosa  che  il  dottor  Joire  studia  e  mi- 
sura, e  di  crii  il  De  Rochas  mostra,  con  stranissime 
esperienze,  le  esteriorizzazioni.  ;■  quella  che  il  < 
kes  ha  chiamato  forza  psichica,  il  Baréty  forza  neu- 
nca.  gli  occultisti  corpo  astrale,  gli    spiritisti 
spirito,  i  magnetisti  fluido  magnetico. 

Oltre  ai  magnetisti,  agli  spiritisti,  ai   teo 
un'altra   scuola  che  si   occupa    ilei    Mondo    ignol 
quella  dei  Satanisti.  Xe  parleremo  nel  prossimo  fa- 
Io.  riassumendogli  ultimi  articoli  della  cui 
sissima  inchiesta  di  Giulio  Blois. 


L'avvenire  dell'oro 


Il  prof.  Harvard,  nell'armadi  Nuova  York,  pub- 
blica un  articolo  interessante  sull'avvenire  dell'i 
Attualmente  l'estrazione  del   metallo  prezioso  insta 

un  terzo  di  quanto  costava   nel   1850  ed  in  si  _ 

indie  meno.  Tra  una  ventina  d'anni  le  mi- 
niere daranno  annualmente  oltre  Avr  miliardi  e  mei 
questa  produzioni-  tntenersi  per  moiti 

decenni  successivi.   Effetto  di  piò  sarà  un  aumento 
generale  dei  prezzi,  ma  siccome  questo  aumento  di 
prezzi  a  sua   volta  produrrà  un  anniento  delle  spi 
delle  miniere  doro,  si  verrà  a  co 
min-  per  tal  guisa  una   spi  eie  di  freno  naturale,  die 

non  inizierà   la  sua  azione  automatica  se  non 
dop  inno  avvenuti  gravi  perturbamenti  nei 

valori. 


DALLE    RIVISTE 


Il   MI 


Come  i  diamanti 

si  trasformano  in  brillanti 

(Da  un  articolo  di  Hans  Ostuald,  nel   Welt  Spiegel). 

Qui  sto  interessante  studio  diventa  di  gran 
tualità  poiché  in  Amsterdam  gli  operai  addetti  alla 
lavorazione  de'  diamanti  si  sono  messi  in  isciopero 

ed  è  in  quella  città  che  per  la  massima   parte,  ar- 


si taglia  il  diamante. 

viene  la  difficile  e  delicata  trasformazione  de'  dia- 
manti ne'  ben  più  belli  e  preziosi  brillanti.  Mentre 
i  diamanti,  come  li  fornisce  la  natura,  sono  noti  da 
antichissimi  secoli,  fu  soltanto  nel  1470  che  vennero 
faccettati  in  Europa  i  primi  grandi  diamanti  e  rile- 
gati- a  foggia  di  pendenti.  Già  allora  0  brillava  » 
veramente  per  questo  lavoro  un  compatriota  1 
attuali  faccettatori  di  diamanti,  l'israelita  olandese 
Berquem.  Si  crede  anzi  ch'egli  sia  il  vero  inventore 
dell'arte  di  faccettare  i  diamanti  e  trasformarli  in 
bellissimi  brillanti.  Tutta  l'industria  delle  pietre 
preziose  ebbe  poi  molto  a  soffrire  per  le  continue 
guerre  dal  1790  al  1815.  Xel  1824  non  viveva  più 
in  Amsterdam  che  un  solo  f  accecatore  di  diamanti, 
mentre  prima,  per  ben  tre  secoli,  gli  ebrei,  espulsi 


dalla  Spagna  e  dal  Portogallo  e  pietosamente  quan- 
to intelligentemente  ospitati  nella  città  olandese  vi 
avevano  creato  e  mantenuto  in  fiore,  oltre  che  le 
scienze  fisiche,  1  matematiche,  anche,  come  conse- 
uenze  pratiche,  le  industrii'  ottiche  e  questa  dei 
brillanti.  Sino  allora  non  si  era  andati  più  in  là  — 
e  ciò  per  cura  1  operai  di  Bruga  —  della  cosidetta 
fai  o  ti  lzì a  ti  >etta. 

Le  prime  1  fficine  erano  «iti  molto  differenti  ila  Ile 
attuali,  e  l'arte  di  faccettare  era  il  monopolio'  .li  po- 
che persone.  Ma  col  crescere  dell'agiatezza  nella 
prima  metà  del  secolo  decimonono  si  ridestò  in 
Olanda  anche  l'industria  de'  brillanti  e,  p  ù  1  he  mai 
tutta  quanta  in  mano  d'operai  israeliti,  ebbe  mo- 
menti di  vero  splendi  re 

Quando  nel  1S44  vennero  scoperti  nuovi  giaci- 
menti di  diamanti  presso  Bahia,  e  l'industria  non 
dovette  più  limitarsi  al  materiale  proveniente  dalle 
Indie  e  dalla  Malesia,  si  fondarono  d'un  tratto 
quattro  grandi  fattorie.  Per  lo  passato  ;  diamanti 
venivano  dati  dai  negozianti  di  pietre  preziose  ai 
singoli  faccettatori  e  la  mano  d'opera  necessaria  a 
quel  lavoro  incoraggiava  l'industria  domestica.  Ma 
lo  sviluppo  della  tecnica  condusse  al  sistema  delle 
grandi  fabbriche  e  della  grande  industria.  I  faccet- 
1  comperavano  quel  materiale  greggio  che  prima 
evann  dai  mercanti  soltanto  per  trasformarlo. 
E  il  materiale   lavorato,  ma  ancora   misto,  lo  cede- 


Si  mettono  i  diamanti  negli  imbuti. 


'7" 


LA  LETTURA 


vano,  alla   lori  ti,  i  ui  spettava   la 

briga  della  scernita  delle  pietre  grandi  dalle  piccole, 
trillanti  dalla  più  bell'acqua  dai  difettosi. 
Presentemente  esistono  in    Amsterdam  circa  set- 
tanta fattorie,  cui  sono  addett  mi!  i  faccet- 
tatoli  di  diamanti.  Una  sola  «li  quelle  urtimi 

mille  operai.  L'attività  di  questi  con- 
■  nel  tagliare,  segare,  arrotondar 
luci. lar.'   i  diamanti.    11    ma  raggio  si  chia- 

ma ì  Brut  ed  è  veramente  bruttino  an- 


co; in  questo  si  fa  penetrare  un'acuta  lamina  d'ac- 
ciaio; la  si  percuote  con  un  martello;  e  il  pezzo 
-1«  rgente  salta  via.  Naturalmente  per  far  ciò  è  ne- 
cessaria una  profonda  cognizione  delle  forme  dei 
riistalli  ;  ma  ormai  |ht  gli  operai  israeliti  d'Amster- 
dam queste  cognizioni  formano  una  tradizione.  Sol- 
tanto alcuni  pezzi,  che  a  causa  della  loro  forma,  non 
possono  recidersi  o  ono   segati  mediarne  un 

ilio  d'acciaio  cosparso  di  polvere  di  diamante. 
Terminata  quest'operazione,  comincia  quella  dello 


Si  faccettano  i  diamanti. 


zi  ch>  fa  tampoco  sospettare  ai  profani  che  in 

lui  si  celi  il  fuor. ir  la  Iure  dei  brillanti.  D'altr<  i  di 
si  possono  tagliare.  Tutte  le 
altre  pietre  pi  n  scheggie.   Il  dia- 

mante invece  si  lascia  tagliare  nelle  sue  otto  faccette, 
■  ■   segn  te  dalla  natui  i  m/i  che  a 

taglio  si  sia  venuti  in 
oltanto  nel    1850  per  oj  1  in- 

\\  .diastoli. 

1  manti    greggi,   tranne   nella   parte   che   de- 

,1,  amputata,  vengono 

k  Itiglia  di  coli  '  e  sabbia, 

■<i  pietrifica   Con  una  sottile  pun- 

diamanti  ce  ri  0  un  lieve  sol- 


strofinamento,    vale   a  dire  che  due  diamanti  ven- 
gono strofinati  l'uno  sull'altro  là  dove  si   vogliono 
formare  le  faccette.  Questo  strofinamento  de'   lue  dia- 
manti, infitti  su  verghette  di  mastice,  si  fa  su  un 
recipiente  di  ottone,  ai  cui  orli  due  piccole  sbarre 
iaio  sorreggono  le  verghette  di  mastice  e  il  cui 
0  .■  crivellato  da  centinaia  di  minutissimi  fo- 
rellini.  Attraverso  questi  cadono  i  residui  che  coi 
pezzi  più  grandi  rrrisi  e  COI  diamanti  di  cattiva  qua- 
lità vengono  ridotti  a  un  polviscolo  il  quale,  dopo, 
serve  ad   arrotare  e  pulire  i  diamanti   da    imbrillan- 
I    diamanti,  infissi  nelle  verghette,    vengi 
strofinati  l'uno  '''u  l'altro  sinché  le  faccette  si 
I  resenta me  piccoli  dagli  incerti  con- 


DALLE    RIVISTE 


'7' 


torni.  Sono  ancora  grigio-scure  e  tutta  la  pietra  è 
opaca,  simile  piuttosto  dell'acciaio  brunito.  E'  in 
questo  stato  che  lo  riceve  il  f  accettatore  propriamente 
detto. 

I  faccettatori  siedono  in  modo  assolutamente  di- 
verso dagli  altri  operai.  Volgono  la  schiena  alla 
luce  e  man  mano  prendono  i  diamanti  da  certe  coppe 
di  rame  in  forma  di  mezze  palle,  in  cui  le  pietre 
sono  state  collocate  entro  a  una  miscela  di  piombo 
e  stagno.  Le  lastre  d'arrotamento  sono  fatte  di  ferro 
fuso  e  si  volgono  intorno  a  un'asse  verticale.  Allo 
strofinamento  serve  il  polviscolo  di  cui  abbiam  fatto 
cenno,  misto  a  finissimo  olio  d'oliva  e  di  cui. 
un  piumino,  si  cospargono  le  lastre.  .Affinchè  queste 
abbiano  lo  stesso  peso  e  si  volgano  di  conformità, 
si  arrotano  sempre  due  diamanti  ad  un  tempo  su 
una  lastra,  l'uno  di  fronte  all'altro.  La  maggiore  ce- 
lerità fu  concessa  però  anche  a  quest'industria,  co- 
me a  tutte  le  altre,  dal  vapore  e  dall'elettricità.  Una 
lastra  di  arrotamento  dei  diamanti  fa  ora  trenta  giri 
al  secondo  !  E  per  il  lavoro,  cui  prima  erano  neces- 
sari due  anni,  bastano  adesso  trentotto  giorni  !  Così 
la  «  Stella  del  Sud  »,  diamante  del  Capo,  di  254  ca- 
rati, fu  trasformata  dall'abile  operaio  Voorsanger 
in  trentotto  giornate  di  lavoro  —  ognuna  di  dodici 
ore  -<—  in  un  brillante  di  primo  ordine  del  peso  di 
125   carati. 

I  più  preziosi  diamanti  vengono  ancora  sempre  af- 
fidati ai  faccettatori  di  Amsterdam,  benché  simili 
fattorie  si  trovino  e  lavorino  bene  —  quasi  sempre 
però  con  degli  operai  israeliti  olandesi  —  a  Londra, 
Parigi,  Nuova  York,  Hanau  e  Berlino.  Anche  i  pic- 
colissimi diamanti,  che  esigono  le  maggiori  cure , 
vengono  sempre  lucidati  di  preferenza  ad  Amster- 
dam. Le  spese  di  faccettamento  importano  spesso  la 
metà  del  valore  delle  pietre.  La  diminuzione  del  peso 
scende,  di  per  se  stessa,  al  quaranta  o  cinquanta  per 
cento.  E  tuttavia  le  mercedi  degli  operai  sono  an- 
date molto  diminuendo,  della  qual  cosa  gli  operai 
stessi  hanno  la  maggior  colpa.  Sedotti  dagli  im- 
mensi guadagni  de'  vent'anni  scorsi  facevano  troppo 
il  comodacelo  loro  e  insegnarono  l'arte  a  dei  cosi- 
detti  «  seni  »,  che  dovevano  lavorare  per  loro.  Ma 
quando   i    ■  servi  »  ne   seppero  abbastanza,    assun- 


cioè   assolutamente   senza  colore.   Di  1  seconda 
qua  »  sono   i   diamanti  un   po'  giallastri  e  che  mo- 
strano ile'  piccolissimi  difetti.  Invece,  gli  esemplari 
più  difettosi   hanno  a  mala   prua  il  valore  d'un  ter- 


Primo  stadio 
del  brillante. 


Prima 

pulitura. 


Seconda 
pulitura. 


Brillante 
da  un  lato. 


Ultima 

pulitura 
dall'alto. 


Rosetta 
da  un  lato. 


zo!  Anche  le  cosidette  rosette  si  possono  avere  alla 
metà  prezzo  d'un  brillante  d'uguale  peso  e  d'uguale 
bontà.  Manca  loro,  con  la  metà  del  corpo,  la  in- 
tensa luce.  Le  maggiori  pietre,  i  cosidetti  solitari, 
non  hanno,  d'abitudine,  prezzo  di  mercato,  ma,  come 
degli  oggetti  d'arte,  un  prezzo  d'affezione. 


I  Filibustieri 


Giorgio  Molli,  a  proposito  del  conflitto  tra  Co- 
lombia e  Venezuela,  ragiona  intorno  ai  'Filibustieri 
nei  fascicoli  di  Dicembre  e  Gennaio  della  Natura 
ed  Arte. 

I  due  Stati  in  guerra  si  adagiano  nella  parte  meri- 
dionale del  mare  Caraibico,  il  quale  è  grande  quanto 
il  nostro  Jonio  e  l'Egeo  e  da  quando  vi  penetrò  la 
prima  nave  europea  non  ebbe  mai  pace.  Tutte  le  na- 
zioni europee  vi  ebbero  colonie,  e  cercarono  di  strap- 
parsele o  di  devastarsele  a  vicenda  ;  così  Napo- 
leone, volendo  colpire  gli  Inglesi  nel  Mediterraneo, 
dove  Nelson  si  era  stabilito  da  padrone  alla  Mad- 
dalena, mandò  due  squadre  alla  Martinica,  di  dove 
tornarono  per  farsi  distruggere  a  Trafalgar.  In  que- 
sto classico  mare  delle  Indie  orientali  navigavano 
i  galeoni,  aspettati  al  varco  dagli  arditi  filibustieri; 
1  ggj  i  due  Stati  belligeranti  vi  hanno  una  marina  in- 
significante. Il  Venezuela  possiede  alcune  canno- 
niere lagunari  e  un  yacht,  VAtalanta,  ''he  ha  armato 
con  cannoncini  a  tiro  rapido:  la  Colombia  rum 
un  ahn-  yacht,  il  Namouna,  e  lo  armò;  ma  esso 
fu  sconquassato  dalla  respinta  dei  pezzi 
questi   furono  sparati. 


Diamanti  grezzi. 


sero  essi  stessi,  per  conto  proprio,  il  lavoro.  E  la 
mano  d'opera  diventò  troppo  numerosa  e  le  mei 
discesero.  Adesso,  una  lega  degli  operai  tenta  di  mi- 
gliorare la  loro  triste  situazione.  Molti  de'  migliori 
fabbricanti  e  gioiellieri  li  appoggiano.  Ed  è  pure 
nel  loro  interesse  di  conservarsi  delle  forze  oneste 
ed  intelligenti. 

Anche  la  cosidetta  pietra  di  fantasia,  i  diamanti 
dalla  tinta  verdastra,  rossiccia  od  azzurrina,  si  pa- 
gano ad  alto  prezzo,  più  di  quelli  di  «  prima  acqua  », 


Sono  celebri    le  imprese  compiute  nel  mare  Ca- 
raibico da   Mombars   lo  sterminatore,  da    Morgan, 

dal  capitano  Grammont,  dai   Fratelli  della  Costa,  i 
tesori   rapiti   ai   galeoni,   le  eroiche  e  terribili   1  ; 

Filibustieri.   Né  gl'Italiani  vi  furono 
ma  essi  non  si  misero  coi  Filibustieri,  anzi    li   < 

roiio  e  se  ne  fecero  rispettare.    Nei   santuari 
della  Liguria  doni  di  marinai   che   risal- 

al  secolo   XVI  [   e  ra] 
guarigioni,  scampate  prigionie  e  pericoli  felicemente 


n2 


LA    LETTURA 


rati  nel  mare  delle   Indie:    sono  ricordi    d 

ntro  i  Filibustieri  dai   Liguri   na 
navi  della  Grìglia,  compagi 
indi  privilegi  per  la  tratta  e  per  il 
ciò  dei  Negri  nei  vice-reami  delle  Indie  spagnu 
ueste  navi  genovesi  portassero  carichi  pn 
[uanto  al  ritomo,  e  non  na- 
sempre  come  gli  Spaglinoli   in  com 
ma  -  ivei  ani  i  imparati  i  a   ri 

irli. 


Chi  erano  i  Filibustieri  ? 

Spagnuoli,  possessori  alla  fine  del  secolo  de 
cimottavo  di  quasi  unta  l'America,  non  si  curavano 
d'altro  che  delle  miniere  d'oro,  d'argento  e  'li  gem- 
me e  ilella  coltivazione,  per  mezzo  di  schiavi,  di 
pochi  prodotti  tropicali.  Dalla  madre  patria  parti- 
rli, grandi  na\  Ili  e 
di  circa  quarantotto  cannoni 
•i  più  di  500  persone  a  bordo;  esse  erano  cari- 
che di  armi,  munizioni,  seterie  e  altri  prodotti  curo 
pei  e  portavano  pure  grandi  somme  per  l'acquisto 
dei  prodotti  coloniali.  Alle  piccole  Antille  si  erano 
impiantati  gì'  Inglesi,  i  Francesi,  gli  Olandesi  ed 
anche  i  Tedesi  hi.  Ad  Haiti,  che  Colombo  aveva  bat- 
tezzato Hispaniola,  e  che  allora  si  chiamava  San  Do- 
mingo, nonostante  il  dominio  spaglinolo,  erano  riu- 
sciti ad  impiantarsi  molti  coloni  francesi  con  pa- 
li inglesi.  Alcuni  di  essi  coltivavano  il  tabacco 
e  i  prodotti  del  suolo,  ed  erano  detti  abitanti;  altri 
cacciavano  i  tori  e  le  vacche  e  i  cinghiali,  ed  erano 
chiainiti  bucanieri.  Presto  però  i  Francesi  e  In- 
glesi vennero  a  conflitto  con  gli  Spagnuoli.  i  quali 
armarono  delle  compagnie  permanenti  per  estir- 
parli dall'isola.  Allora,  essendo  in  onore  la  guerra 
da  corsa,  tanto  che  il  governo  francese  accordava 
lettere  di  corsa  a  chi  ne  voleva,  i  bucanieri,  caccia- 
tori rotti  a  ogni  fatica,  si  cambiavano  in  filibustieri 
o  corsari,  o,  per  dire  anche  meglio,  pirati.  Dapprima 
cominciarono  a  imbarcarsi  coi  mercanti  ai  quali 
vendevano  le  pelli,  il  tabacco  e  la  carne  salata; 
ma  poi  i  più  intraprendenti  si  prowedettero  di 
nav  degli  stessi  loro  nemici  spaglinoli.  Pro- 
curatosi un  (-anotto,  vi  s'imbarcavano  in  20,  jo 
ed  anche  più;  spiavano  negli  stretti  fra  isola  e  i- 
sola  la  nave  spaglinola  0  anche  d'altra  nazione,  le 
si  accostavano  a  furia  di  remi  profittando  della  cal- 
ma, o  del  vento,  o  delle  correnti  contrarie;  giunti 
a  tiro  di  fucile,  cominciavano  a  sparare  i  moschetti, 
e  ad  [pò  quei  \  iatori  abbattevano 
un  nomi  ;  p,  ,i  si  slanciavano  all'arrembaggio  men- 
tre uno  di  essi,  rimasto  nella  barca,  ne  rompeva  il 
fon'1  si  Mimili'  r  e.  C  ■  a  poco, 
i  filibustieri  misero  insieme  intere  flotte  e  compirono 
ini|  '                             sembrano    incredibili. 


Ver  •  pica  fu  qui  a  dal  capo  fili- 

Morgan,    il  quale  rinvi   a  distruggere  la 

1      -ni   non  era  d'i  vol- 

l    glio  d'un  a{  :  paese  di  Cal- 


ili spinto  alla  vita  del  mare  dal  suo  spirito  ir- 
requieto,  e  crebbe  alla  scuola  d'un  altro  illustre  fi- 
libustiere, il  Manswelt,  il  quale,  non  essendo  riu 

re  I'. in. 1111.1.  si  era  ritatto  su  l  'artagena. 

Panama,    anche  prima  dei    pirati,   ave! 
le  cupidigie  di  chiarissimi    ammiragli,  di    Hawkins 
prima,  e  poi  del  gran  Drake;   ma  nessuno  ri  1 
anzi  quest'ultimo  morì  dì  crepacuore  per  la  mancata 
impresa   proprio  sotto  ;.  castelli  di  Porto-Bello,  se- 
rie di  magazzini  in   fondo  ad   una  bella  baja.   I  ne- 
gozianti   vi    affluivano   per    l'arrivo   dei    galeoni,   e 
l'affitto  d'una    'amerà    per   quattro  o  sei    settimai 
al  massimo  per  due  mesi,  vi  costava  da   400  a  500 
feudi  !  Durante  il  resto  dell'anno,  P  lo  restava 

erto  per  la  malaria.  Duemila  muli  mantenevano 
le  comunicazioni  con  Panama.  Morgan  aveva  già 
Ini"   un   colpo  di  mano  su    Pori  durante 

le  trattative  per  il  riscal  ra  il  fili- 

bustiere e  il  Presidente  di  Panama,  don  Juan  Pi 
rli  Gusman,  vi   fu  uno   scambio  di   cortesie.    11    Pre- 
1  ite    mandò    a   Morgan   dei   viveri    freschi,   <hie- 
dendo  che  in  cambio  gli  mandasse  uno  dei  terribili 
moschetti    dei    filibustieri,    lunghi    quattro    piedi    e 
mezzo,  capaci  di  lanciar  palle  da  sedici  alla  libbra. 
Morgan  glie  ne  mandò  mi. itti,  e  don   Juan    Pi 
nel  ringraziarlo,  gli  fece  tenere  un  anello;  Morgart, 
ringraziando  a  sua  volta,  rispose  che  pel  mon 
gli   aveva   fatto  vedere  l'arme   dei   filibustieri,    ma 
elle,  per  meglio  compiacerlo,  presto  gli  avrebbe  ino 
strato   in   Panama  come  essi  la  maneggiavano,    l'e.'i 
questi  erano  accorsi  da  tutte  le  parti,  in  numero  dì 
2200,  con  trentasette   navi,   la    minore  delle  quali 
aveva   quattro  cannoni,  e  la  ma  trentadue. 

Passata  la  rivista,  secondo  l'uso  dei  fratelli  della 
('osta.  Morgan  radunò  tutti  a  parlamento  per  - 
dere  l'obbiettivo:  egli  propose  il  saccheggio  di  Car- 
tagena  o  di  Vera  Cruz,  poi  fece  intravedere  la 
quista  di  Panama,  le  cui  immense  ricchezza  erano 
ancora  intatte,  perchè  nessuno  ancora  l'aveva  sac- 
cheggiata.  Ma  una  grossa  guarnigione  la  difendeva 
e  per  giungervi  era  necessaria  una  marcia  attra- 
verso  l'istmo. 

L'impresa  poteva  parer  folle;  ma  a  Panan 
ratio   i   tesori  del    re  di    Spagna,  1   denari  dei  geno- 
vesi mercanti  di  schiavi,  le  ricchezze  private  e  qu 
dei    numerosi  conventi    con  le  chiese  coperte  d'ar- 
gento; quindi  l'assalto  fu  votato  con  grandi  accla- 
mazioni. Fu   fatta  allora,  secondo  l'uso,  la  Ch 
■pardi,  cioè  il  contratto  che  regolava  le  parti  di  cia- 
rlino. 

A  Morgan,  come  capo  supremo,  si  assegnò 
per  ogni  100  uomini  il  lotto  d'uno;  a  ogni  capitano 
di  nave  si  assegnarono  dodici,  dieci  od  otto  lotti. 
lido  l'importanza  della  nave  stessa  ;  a  chi  pian- 
tava la  bandiera  inglese  sopra  una  fortezza  nemica. 
50  piastre;  a  chi  faceva  un  prigioniero,  quando  si 
aves  1  di  notizie  del  nemico,   100  pastre; 

per  ogni  granata  buttata  in  un   forte  5  piastre;    per 
ogni  1  lizione  una  ri  pro- 

porzionata al  merito  dell'azione  pu- 

re le  indennità:    1050  scudi  per  la  perdita  delle 
gambe,  oppine    15    schiavi;    per  una   gamba 
600  scudi  o  6  schiavi  ;  per  le  due  braccia  1800  seu- 


DALLE    RIVISTE 


<7-> 


di  o  18  schiavi  ;  per  un  solo  o  una  mano  600  scudi 
o  6  schiavi  ;  per  un  dito  o  un  occhio  100  piastre  o 
uno  schiavo  ;  per  i  due  occhi  1000  scudi  o  io  schia- 
vi .  per  qualunque  ferito  grave  500  scudi  o  5  sci 
vi  ;  nulla  per  la  morte,  giacche  i  filibustieri  non  a- 
vevano  ne  famiglia  ne  tetto.  Al  chirurgo  furoni 
segnati  200  scudi  e  100  al  carpentiere,  oltre  alla 
loro  parte  di  bottino.  Stabilita  la  Chasse  parta,  in 
virtù  della  lettera  di  corsa  ottenuta  dal  comandante 

1  Giammaica,  Morgan  conferì  la  patente  ai  ca- 
pitani di  nave  e  ricevette  il  giuramento  di  tutti  i 
filibustieri.  Poscia  divise  la  sua  flotta  in  due  squa- 
dre, di  una  delle  quali  prese  egli  stesso  il  cornai 
inalberando  la  bandiera  reale  inglese  e  quella  del 
Parlamento;  affidò  l'altra  ad  un  luogotenente.  T! 
16  dicembre  1670  le  navi  filibustiere  fecero  rotta 
per  l'isola  di  Santa  Caterina,  posta  all'altezza  del 
Nicaragua  e  benissimo  fortificata.  Morgan  vi  sbar- 
cò 1000  uomini,  i  quali  vi  passarono  la  notte  sotto 
la  pioggia.  Gli  Spaglinoli  ne  avrebbero  avuto  ra- 
gione se  avessero  fatta  una  sortita  ;  ma  il  governa- 
tore pensò  meglio  di  proporre  la  resa  purché  s  fos- 
sero salve  le  apparenze  ».  Egli  finse  una  sortita  ('ti- 
rante la  quale  i  filibustieri  lo  fecero,  col  suo  anti- 
cipato consenso,  prigioniero:  allora  le  truppe  spa- 
gnuole  consegnarono  la  fortezza  dopo  avere  sparato 
molte  cannonate  a  polvere!  Morgan  rese  la  libertà 
ai  forzati,  tra  i  quali  c'erano  un  mulatto  e  due  in- 
diani di  Panama  :  e  il  capo  dei  filibustieri  aveva 
voluto  espugnare  l'isola  sperando  appunto  di  tro- 
varvi qualcuno  di  Panama  che  potesse  servirgli  da 
guida.  Il  mulatto  accettò  con  entusiasmo,  ma  gli 
Indiani  si  rifiutarono.  Furono  torturati  :  uno  spirò 
sotto   i   tormenti:    l'altro,  meno  forte,  consentì    di 

re  anch'egli  da  guida. 


Appena  avute  le  guide,  Morgan  spedì  il  capitano 
Brandelet  perchè  s'impadronisse  del  forte  di  San 
Lorenzo,  il  quale  si  ergeva  sopra  una  roccia  a  sette 
chilometri  dal  punto  ove  ora  sorge  la  città  di  Colon. 
Vedendo  giungere  delle  navi  con  bandiera  inglese, 
gli  Spaglinoli  aprirono  il  fuoco  delle  loro  batteri"; 
i  filibustieri  gettarono  l'ancora  nella  vicina  cala  delle 
Maranjas,  e  nella  notte  sbarcarono  in  quattri  «'ente, 
lasciando  cinquanta  uomini  a  bordo.  Per  avvicinarsi 
al  forte,  gli  assalitori  non  dovevano  percorrere  più 
di  quattro  chilometri;  ma,  non  potendo  esporsi  al 
tiro  dei  cannoni,  furono  costretti  a  procedere  al  co- 
petto,  in  mezzo  alla  foresta  ad  aprirvisi  una  via,  !  1 
troclta,  tagliando  con  l'accetta  liane  ed  arbusti.  1  '  pò 
una  lunga  fatica,  arrivarono  verso  le  2  del  t  omerig- 
51  pra  una  collina  da  cui  si  vedeva  la  fortezza 
la.  I  tiri  del  cannone  non  recavano 
tanto  danno,  quanto  le  frecce  degli  Indiani  (he  sta- 
vano dietro  alle  palizzate  e  conficcavano  al  suolo. 
trapassandoli  con  le  saette  lunghe  ed  acutissime,  i 
filibustieri  coricati  per  schermirsi  dalla  mitra. 
•  'di  Spagnui  li,  dal  canto  lori  .  avevano  anch'i  ss 
liuto  molta  gente  perchè  i  filibustieri  tir;o 
tro  i   serventi  dei  pez/i  ano  affac- 

rsi  alle  cannoniere.  Ma  la  peggio  toccava  agii  as- 


mti,  e  già  costoro  parlavano  di  ritirarsi,  quando 
uno  di  essi,  ferito  alla  spalla,  si  strappò  la  freccia 
dalla  ferita,  esclamando:   «   A  ,  fratelli  miei: 

tarò  perire  tutti  gli  Spagnuoli  !  »  1  dalle 

tasche  del  aitone,  rannodo  all'asta  della  freccia,  la 
t     1     scorrere  dentro   la  canna    del    fucile,  accese   il 
a  ione  e  tiro  la  freccia  ari 'lente  sopra  una  delle  case 
del    forte.    11   suo  esempio   fu    tosto    imitato,  e    le 
frecce  appiccarono  un  incendi.  >  generale,  ("alata   la 
notte,  gli  Spagnuoli  non  poterono  più  vedere  i 
rati;    mentre  questi,  alla  luce  delle  fiamme,  di 
guevano  quelli,  talché,   avvicinatisi,   poterono    ber- 
sagliare chi   tentava    domare  l'incendio.   Col  vento 
della  notte,  questo   penetrò  nei  forti  e   fece  anche 
esplodere  una  polveriera;  ma  ciò  che  colm 
i   filibustieri  fu  il   vedere  che  ardevano  le  palizzate 
e  le  gabbionate,   le  quali  poi,  crollando,   colmarono 
il  fossato;   sopraggiunto  il   nuovo  giorno  gli 
dianti    poterono    cosi  slanciarsi   all'assalto,   e    vinta 
la   resistei     1      1  fli    Spagnuoli,  entrare   nella    foi 
tezza.  Non  vi  trovarono  vivi  che  14  uomini  e  io  fe- 
riti :    gli  altri  290  difensori   erano  tutti  morti. 


Gli    avventurieri  trionfanti   furono   raggiunti    da 
Morgan,  apj  eiia  questi  seppe  che  il  forte  era  si 
espugnato,  e  subito  cominciò  la  marcia  su  Panama, 
compita  attraverso  paludi    e    boschi    impenetrabili, 
in  mezzo  alla  fame,  alla  pioggia,  alle  imboscate  de- 
gli  Indiani  e  degli    Spaglinoli:    una  volta,  per  tre 
giorni  interi,  i  pirati   non  masticarono  altro  che   fi 
glie;  trovati  dei  cofani  di  cuoio  in  una  trincea  ne- 
mii-a,  li  disfecero,   misero  a  rinvenire  il  cuoio  nel- 
l'acqua, lo  grattarono  del  pelo,  lo  tagliarono  a  pi 
e  arrostitolo  lo  mangiarono  come  fosse  un  cibo  de- 
lizioso. Dopo  otto  giorni  giunsero  in  vista  del   Pa- 
cifico, dove  scorsero  un  galeone  spagnuolo  chi    vi 
gava  verso  le  isole  del  Gold,  delle  Perle.  Il  giorno 
seguente    trovarono    l'esercito    spaglinolo    nella    Sa 
vanna:  era  composto  di  400  cavalli,  2000   fan! 
roped,  600  indiani,    200  mulatti  e  2000  tori  da  guer- 
ra :   il  Presidente  di  Panama  in  persona  1"  coman- 
dava. Morgan  fece  inoltrare  cautamente  200  dei  sui  1 
lungo  il  margine  di  una  palude,  mentre  il 
filibustieri   si  avanzava  urlando.   Ma.  nel  punto  che 
la   cavalleria  e  la  mandra  dei   tori   si  slancia; 
contro  gli  assalitori,  i  200  pirati  imb 
il   fuoco.    In    meno  di   2  ore.   l'ini 
gnuolo  fu  disfatto,  lasciando  600  morti  sul  ten 
mentre  iosa  che  sembra   incredibile     -      i    filibu- 

ioltanto  2  morti  e  2  feriti.  Vinta  1 
sistenza  delle  barricate  di  Panama,  i  pirati  penetra- 
0  nella  città.  Questa  da  fi  a  7  mila  case 

di  legno  di  cedro,  O  n  qualche  edilìzio  in  muratura: 

8  • 
samente  ricchi  e  un  ospedale:  fin  dal  1651  era  stata 

ta  una  Università.   Morgan,   per    incutere 
vento  ai    fac   Iti  si   Spaglinoli  che  si    erano  rifu: 
nelle  vicine  ville,  fece  a]  piccare  il  fi 
fui  11  del   perimetro  della  città;  ma  il  vento  sp 
[e  ù  1  rsoil  centrò,  e  il  mattino  seguente  della 

Panama  non  restava  in  piedi  altro  che  la 


'71 


dente  (dove  si  era  a 
.  due  mon  oche  altre  case!  Ni  Ile  rovine 

dell'incendio   i    filibustieri  trovai  ntità 

<li  oggetti  preziosi,  e   il  saccheggio  dei 

dinl  moltissimo:   i 

■  di   torture,   rivelavano  i  nascondigli  'li    ni 
ricchezze  Ma  le  più  grandi  erano  al  sicuro,  su 
ravisto  nel  G  Ifo  delle  Perle,  sul  quali 

del  Re  e  dei  G  ver- 

e  d'argento  ne  costituivano  la   zavorrai 
M  catturarlo,  ma  dovette  rinunziarvi 

1   ritomo,  trasportando  seco  una  colonna 
di  circa  i  joo  ]  i  i  lei  quali  erano 

•  loii!  tire  indici- 

bili, sotti  ime  ed  timi'1".  attraverso  le 

palm li  e  le  foreste  impenetrabili,  senza  cibo,  in  com- 
]<  i  pirati.  Molti  si  riscattarono  con  denaro 
M  rgan  bln-rò  finalmente  gli  altri  prima 
di  rientrare  nel  forte  di  San  Lorenzo.  Qui  fu  fatta 
la  divisione  del  bottino,  il  quale  diede  occasione  a 
tumultuose  pri  ari  persuasi  che  Morgan 

suoi  lidi  s  i  parti  del  leone.  Ma  il 

re,  pi  ma     !"-  i  recalcitranti  gli  riprendes- 
,1  mal  tolto,  <ene  fuggì  di  notte  e,.n  tutte  le  sue 
ricchezze,  approdò  alla  Giamaiea.  chiese  ed  ottenne 
in  isposa    la    figlia  del   Governatore,  e  divenne   un 
l  ultissimo,  coperto  d'onori  e  capo- 
stipite di  una  famiglia  illustre. 

Panama  fu  riedificata  e  pareva  che  dovesse 
tare  nuove  e  maggiori  ricchezze;  ma  poi  sopravven- 
ne la  decadenza  della  Spagna  e  l'esaurimento  delle 
miniere.  Impoverita,  la  città  acquistò  con  la  libertà, 
rivoluzione  accesa  da  Bolivar,  il  triste  pri- 
vilegio delle  guerre  civili. 

1  '  ;<  perta  delle  miniere  di  California,  provo 
cando  un  gran  passaggio  di  avventurieri  per  l'istmo, 
le  diede  un  fugace  splendore.  <  >ggi  è  una  vasta  ro- 
vina. La  I  porta  i  passeggeri  sbarcati  a  Colon, 
che  subito  si  imbarcano  di  nuovo  sul  postale,  e  Pa- 
nama, dopo  una  breve  vitalità,  ripiomba  nella  sua 
sonnolenza 

Anche  i  pochi  lavori  del  Canale  sono  una  lamen- 
vina  Altri  filibustieri,  non  meno  rapaci  di 
quelli  del   1670.   hann<  izionisti   del 

canale.  L'ultima  stima  dei   lavori,  compresa   la  con- 
no il  tulio  a  35  milioni  di  dollari. 
L'n  .r.uden  abbandonato  nelle  trin- 

.    le  liani  travate  di    ferro  che   la 

non  ha  corrose;    le  alluvioni   hanno   abbai- 
le dighe  e  i  terrapieni.  Sono  passati  pochi  anni 
fiali.  ì      e  dei  lavoi  nei  cimiteri 

che  perai 

mpars      e  croci  piantate  sulle  migliaia   di 
ri  cinesi   falciati  dalle  febbri 
Morgan,    il   filibustiere,  offriva  almeno   il 
1  alle  pali  'ili  speculatori  di  Nuova 

1  ave 
0  mai  affrontato   la   malaria  dell'istmi       I 
1  ure  la  affrontar  n  ulalori  francesi  che  ab- 

bandonavano operai  e  intraprenditori  senza  pane  e 
-•hinino,  più  ni  del  pane. 

include  il  Molli  :   «  fu  più  o- 
n  an  •  Mi  rg  in  !  ». 


LA    LETTURA 

I  balocchi  e  la  loro  origine 


1  la  un  art.  di  Petrus  Durel,  nella  Noui'elle  Rame,  15  d 

All'esposizione  universale  di  Parigi  due  sole  fu- 
rono le  domande  p  dai  fabbricanti  di  ba- 
locchi;   oggi,  all'esposizion 

di  trastullo  per   i  bambini,  tenuta  a  Parigi,   si  con- 
tano 273  partecipanti.  Questa  classe  di  industriali 
far  sua   la  sentenza  di  Leibnitz  :   0  Gli   uomini 
non  dimostrarono  mai   tanta  sagacità  quanto  nella 

invenzione  dei  giuochi   ». 

Anticamente,  al  tempo  di  Roma,  si  seppellivano 
i  bambini  coi  balocchi  che  avevai  0  a  diver- 

tirli: questi,  ritrovati  oggi  ri  ri,  hanni    fatto 

conosi  i'i  quali  erano  i  passatempi  dei  bambini,  e 
il  principe  di  Biscari,  archeologo  catanese  vissuto 
nel  secolo  passato,  li  descrisse  nel  suo  Ragiona- 
mento sopra  gli  antichi  ornamenti  e  trastulli  dei 
bambini. 

Gli  antichi  fabbricavano  piccoli  balocchi  di  le- 
gno o  di  terra  coita,  come  si  rileva  da  alcuni  aned- 
doti riferiti  dagli  storici.  Un  giorno  Lisimaco,  vo- 
lendo spaventare  un  amico,  gli  gettò  sul  mantello 
uno  scorpione  di  legno  dipinto;  Callistrato  scolpì 
una  formica  in  un  pezzetto  d'avorio;  Aristotile,  in 
tempi  ancora  più  antichi,  c'insegna  che  già  cono- 
1  i  balocchi  automatici.  Svetonio  dice  di  Au- 
gusto che  abbandonò  l'equitazione  e  la  schei  ma, 
dopo  la  guerra  civile,  e  si  mise  a  giocare  alla  palla 
ed  al  pallone.  Muzio  Scevola,  Alessandro  Severo, 
Mecenate  e  Cesare  erano  molti  destri  alla  palla. 
Le  strenne,  a  Roma,  erano  associate  alla  prima- 
vera: si  distribuivano  quando  cominciavano  a  spun- 
tare le  foglie  degli  alberi.  Fanciulli  e  fiori  erano 
celebrati  ad  un  tempo.  I  bali  «-chi  distribuiti  come 
strenne  consistevano  in  uccelli,  lepri,  serpenti,  ca- 
valli, muli,  tartarughe,  scimmie,  ed  altri  animali  di 
terra  cotta,  e  in  minuscoli  servizi  e  addobbi  dome- 
stici della  stessa  materia.  Molto  in  voga  era  il  si- 
stro,  formato  di  fili  di  ferro  penetranti  in  quattro 
buchi  successivi  praticati  in  un  pezzo  di  legno  a 
foggia    di   forca. 

Camulogeno,  scrittore  perito  combattendo  nel 
52  a.  ('..  nel  suo  libro  intitolato  Passeggiate  at- 
traverso la  Roma  d'Augusto  descrive  i  fanciulli  in- 
tenti ai    loro  giuochi   con  le  noci  :   alcuni  s'ingegna- 

0  di  farle  entrare,  scagliandole  da  lontano, 
stretto    collo  di   un'anfora;    altri   di   abbattere   allo 
stesso  modo  un  castelletto  di  noci,  altri  a  farn  : 
dere  una  dall'alto  di  una  tavoletta  inclinata  dinanzi 
a  una  fila  di  altre  noci.  ecc.    I  fanciulli  più  grandi 
giocavano  ai  soldati  ed  ai   giudici. 

Tra  i  Greci  i  fanciulli  giocavano  a  cavalcare  sulle 
canne.    U Urania    era    il    giuoco   del    padani. i_ 
[ppodameia,  di  cui  parla  Pausania,  aveva  un  ba- 
locco consistente  in  un  letticciuolo  da  bambola  Una 
bellissima  bambola  fu  trovata   nel   s  del- 

l'imi' Maria,  figlia  di  Stilicene  e  moglie  di 

rio.  Quel  mulinello  di  li  inali  i  ragazzi 

ppdiie.  ,no   uno   stridulo    minore   il   giovedì   e  il   ve- 
nerdì  santo   fu    inventato,   dicono,   da    quell'Archita 
a  cui    dobbiamo   l'invenzione  della   vite    e  della   pu- 
lii- erano  molto  comuni  ed  a  buon 


DALLE    RIVISTI 


'7-1 


mercato,  come  si  rileva  da  un  passaggio  di  Ai 
fare.  Apollonio,  discej 

balocco  che  Venere  promise  ali 'Am  in   i   che  i 
l'infanzia   di  Girne:    una    sfera    formata  di  cerchi 
d'oro  che  si  piegano  e  girano  intorno  agli  altri.  An- 
che tra  i  Greci  il  giuoco  della   palla  era   molto  in 
onore,  come  si  desume  da  Omero. 

Venendo  a  tempi  più  vicini,  un  monaco,  il  cele- 
bre Bacone,  inventò  uno  dei  più  celebri  balocchi  : 
la  lanterna  magica.  Facendo  esperienze  sulla  na- 
tura delle  ombre,  studiando  la  loro  estensione  e  la 
loro  decrescenza,  egli  ideò  questo  strumento  ottico  ; 
il  quale,  con  lo  smisurato  ingrossamento  delle  im- 
magini degli  oggetti,  fu  causa  che  l'inventore  fosse 
considerato  come  un  mago.  Queste  voci  arrivarono 
fino  al  papa  Clemente  IV,  il  quale  ordinò  a  Bacone 
di  venire  a  Roma  per  giustificarsi.  Egli  venne  in- 
fatti, e  spiegò  tanto  bene  l'innocente  suo  strumen- 
to, che  il  Papa  lo  raccomandò  a  tutto  il  clero.  Più 
tardi  un  gesuita,  il  padre  Kircher,  perfezionò  l'in- 
venzione del  monaco  inglese. 

Durante  il  medio-evo,  le  più  celebri  fabbriche 
di  balocchi  furono  quelle  degli  ebanisti  del  Limou- 
sin,  degli  scultori  del  Jura  e  dei  meccanici  di  No- 
rimberga. La  Germania  ha  serbato  il  mi 
dei  soldatini  di  piombo:  la  fabbrica  Heinrichsen 
occupava,  poco  tempo  addietro,  800  operai  ed  r> 
peraie,  con  una  produzione  di  100  mila  soldati  al 
giorno,  rappresentanti  il  capitale  di  un  milione  di 
marchi  l'anno.  A  Limoges,  in  Francia,  c'erano,  sul 
finire  del  Trecento,  i  maestri  dell'arte  del  bimbelot 
che  divenne  più  tardi  il  bibelot,  e  deriverebbe  dal- 
l'italiano bambo  o  bimbo.  La  parola  jouet  apparve 
più  tardi  nella  lingua  francese.  Tutti  gli  olij 
scolpiti  nell'avorio,  al  tempo  delle  strenne,  veniva- 
no in  gran  parte  da  Limoges  ;  da  Norimberga  quelli 
di  bosso.  Gli  arabi  di  Spagna  erano  molto  esperti 
nella  fabbricazione  di  piccoli  cigni  i  cui  movimenti 
erano  diretti  a  volontà:  questi  balocchi  furono  il 
primo  passo  verso  i  fantocci,  i  quali  ebbero  gran 
voga  a  Parigi  nella  metà  del  Settecento.  Il  giuoco 
dei  birilli  risale  al  secolo  XII  ;  quello  del  palla- 
maglio e  del  bìlbnquet  furoreggiarono  sotto  En- 
rico III.  Il  bigliardo  fu  sostituito  al  pallamaglio. 
che  implicava  troppe  esigenze:  Luigi  XIV,  i  si- 
gnori di  Venderne,  di  Villeroy  e  di  Grammont  vi 
si  distinsero. 

Tra  i  più  recenti  balocchi  per  fanciulli,  quelli 
che  fecero  maggior  fortuna,  l'anno  scorso,  a  Parigi, 
furono  il  lustratore  «li  stivali,  il  signore  che  sa- 
luta, inventato  dal  figlio  di  Rochefort  :  il  falcia- 
tore, la  lotta  tra  l'Inglese  e  il  Boero,  ecc.  Una  sta- 
tistica del  1857  ci  apprende  che  i  fabbricanti  e  i 
lavoranti  di  balocchi  parigini  salivano  a  2162,  e 
che  la  produzione  rappresentava  un  valore  di  fran- 
chi  3,661.000. 

C'è  oggi  a  Parigi  una  Camera  sindacale  dei  fab- 
bricanti di  balocchi,  composta  di  circa  200  membri  ; 
ma  soltanto  le  maggiori  fabbriche  vi  sono  rappresen- 
tate. Ce  n'è  molte  di  più  a  Parigi  e  in  Francia,  vi 
sto  che  questa  nazione  esporta  ogni  anno  per  34 
milioni  di  balocchi.  Oggi,  come  in  altri  tempi,  il  ba- 
locco che  tiene  il  primo  posto,  è  la  bambola 


Ii'apte  assira 


(Da  un  articolo    di     Latouche-Tréville    nella   Revue    del 
15  dicembre  . 

1  direttori  della  Rivai   Institution  di   Londra  si 
sono  resi  benemeriti  degli  studi  archeologici  1 

tido  eseguire  non  solo   le   fotografie,  ma  anche 
i  calchi   dei   tesori   artistici   assiri    tornati   alla 

igli  scavi  1 
1   tyard,  del    (Cassarti,  del   LÓftus,  1  .1  di 

Assar  che    [uesti  dotti  hanno  fatti  .  ebbe,  in 

tempi   remotissimi,   un'importanza  che  non   ebben 
nessuna  delle  sue  rivali.  Sede  d'un  impero  che  pa- 
reva dovesse    pesare  eternamente  sui  destini  umani 
e  che.  durante  un  lungo  periodo  di  tirannie,  sch 
ciò  realmente  il  mondo,  questa  orgogliosa  città  ave- 


Sennacherib. 

va  talmente  perduto  ogni  splendore  fin  dal  VII    51 
colo  a.  (      da  re  nel  più  do  obblìo  e  da 

seppellirsi    sotto  le  sue  propi 

so  dinanzi  al  luogo  dove  essa  .  non 

ne  fece  nessuna  menzione.   A  Magno  vi  si 

rendo  di  calpestare  il  su  \  ano 

1  pala  imitava,  ma  non  vi 

■  della  loro  esisti  nza   Roma 
vi   fondi,  una   colonia   01  nza  che  i   suoi    le- 

gionari sapessero  che  cosa  vi 
Cancellata  da  tutte  le  meri    1    ,  Ninive  dom 
in  silenzi  le  sue  macere,  ma  ciò 

stesso,  sottratta  ai  saccheggi  degli  Arabi.  Di    lei  re- 
stava soltanto  un  nome,  la  cui  stessa  ortografia 
incerta.  Q  ;  I  ayard  la  I 

polcro,  vi  fu  un  movimento  di  ammirazione  in  ti 
il    mi  ile:    agli   inv-hi    stupefatti   appan 

templi,   pala/.-  .  I        della  guerra  e  d 

pace,  centinaia  di  testimonianze  della  grandezza  di 


'?' 


LA    LETI  I  RA 


quel  pianto   nella 

[si  .             ai               .  giato 

teli. 

\i  no,  grazie  all'esame  'li 


ornai. i  ed  urlata;  sulle  spalle  cade  una  specie  di 
cappa  'li  magnifico  lavi  ro.  Il  re  p"rta  la  tiara  e  tie- 
ne in  mano  l'arco  mistico  che,  'li  regno  in  regno, 
era  tramandati  -  ato:    dono  —  i 


Leone  alato  con  testa  d'uomo. 


iti    ruderi,  rischiarate  di    nuova  luce.    Si  è  po- 

•  abilire  la  parentela  tra   l'arte 

iiieia  e  greca,  parimela  ili  cui  nessuno  può 

li  dubitare  e  che  mette  i  monumenti  assiri  come 


vano  —  della  dea  delle  battaglie.  Istar.  Le  braccia 
del  re  sono  nude  e  coperte  da  braccialetti;  l'atteg- 
giamento della  figura  rivela  l'autorità  di  colui  che 
portava  il  titolo  di  «  Padre  del  popolo  d'Assiria  •. 


Leone  che  serviva  come  unità  <h  peso. 


dell'architi  ttura    I 

Usuri       ;        ìi 
temuti  monarchi.  >■ 
doppia  |  tzione  di 

gli  i  imamenti  relativi  ai- 
all'altra    !  I  I 


La  statua  di  Assurbanipal  è  anche  designata  o  1 
ne    li  Sardanapalo:   rappresenta  il  re  cane  ap- 
parve ai  sudditi  nella  m  :  in  cui  si  compì  la 

rovina   di    Xinive.    Egli    porta    II  costume  di   gUl 
ed  ha  la  fronte  cinta  del  diadema  tempestato  di  pie- 
in    pn  zìi  -   .    la  \  stringe  il  nde 


DALLE    RIVISTE 


I 


I  / 


lino  ai  ginocchi,  lasciando  scoperte  le  gambe  attorno 
alle  quali  si  allacciano  dei  nastri.  Una  cintura  di 
stoffa  circonda  la  vita  ;  la  mano  destra  rial/ala  chiu- 
de  il  pomo  d'una  spada  leggera  :    la  posa  è  piut- 


r.a^t* 


La  scena  del  giardino  nel  palazzo  d'  Assurbanipal. 

tosto  graziosa.  Assurbanipal ,  gran  guerriero  di- 
nanzi ai  nemici,  era  un  principe  effeminato  quando 
si  dedicava  ai  piaceri  della  vita  'li  palazzo.  L'arte 
e  la  letteratura  lo  sedussero:  a  Ninive  si  fece  co- 
struire un   edifizio  (il  palazzo   nord  di  Kuyungik) 

La  Lettura. 


dove   riunì    le  più  belle  opere  di  scultura  assira  e 
gli  splendidi  tributi  di  Tiro,  dell'] 
nella  biblioteca    stavano    ventimila    ta  sulle 

quali  erano  scritti  gli  annali  del  regno,  dalla  ( 
/ione  ilei  mondo  e  dal  Diluvio,  con  la  copia  degli 
inni,  dei  poemi  e  delle  epopee,  quali  la  Discesa  di 
[star  all'inferno  e  la  Leggenda  d'Istubai      x     ai 
non  mancavano  le  opere  d'astronomia,  'li  zoologia, 
',  catalogai  di  animali,  di  uccelli  e  di  p 

l'iena  di  espressione  è  anche  la  statuetta  della  mo- 
glie di  Sardanapalo:  la  regi]  <:i  d'una  Vi 
lunga,  ma  meno  ornata  che  non  quella  del  re;   con 


Sardanapalo. 

la  destra  porta  alle  labbra  una  coppa  che  era  proba- 
bilmente d'oro.  Ma  la  «  scena  del  giardino  »  ha  un 
interesse  speciale,  perché  e  una  dell'-  rare  sculture 
assire  che  diano  indicazioni  sulla  vita  privata  dei 
sovrani.  Il  giardino  è  un  vero  paradiso  orientale 
pieno  di  fiori  rarissimi  ;  il  re  è  sci 

e  il  letto  d'avorio  sul    piale   ripi 
con  arte  squisita.  In  faccia  a  lui,  siili 
sta  la  regina,   riccamente  orti 
Intorno,  i  servitori,  gli  eunuchi  reggenti  gr. 
tagli  e  un  citaredo  che  suona  il  suo  strumento. 
Tra  le  sculture  simboliche  è 
■  con  testa  d'uomo.    Layard,  nella  ra  su 

Ninive,  racconta  che  restò  spesso  in  contempla: 
dinanzi  a  questo  emblema  n  :       testa   u- 

12 


dà  .ili 


LA    LETTI 


'animale  l  ne  della  potenza  iti- 

li  corpo  leonino   significa   la    foi 

: 


La  regina,  moglie  'li  Sardanapalo. 

I  pensiero  e  la  volontà  divina.   Queste  ligure, 
Lrdiane  alle  porte  dei  templi,  par- 

avano  quasi   ai  sacrifizi,  e  ricordavano  ili  età 
in  età  le  cerimonie  itenevano  i  popoli  som- 

messi con  la  potenza  del  terrore  e  della  comma 
sacra. 


Gli  occhiali  di  Bismarek 


I;  ili   Breslavia,  prof.    Ermanno 

Cohn,  pubblica   nella  Berliner   Klinische   Wocken- 
tchrift  un  interessante  studio,   dal  quale  si   rileva 
che  Bismarek        •  l'uomo  dallo  sguardo  d'aquila  « 
[li  \iiti  nio   de 

Werner,  in  un  suo  articolo:  >  il  i  rincipe  Bismarek 
e  l'arte  »,  aveva  ra  della  guerra 

fr.ir  .    he  cominciò  a  far  supporre  al  dotto 

oculista  che   Bismarek   I  I 

mi    prima  a    WVrnrr   e    poi  al   principe 

Eri  rck.  E  i  |uest'ultimo  i  isp  se  con  una 

diffu  <rra  che  il  suo  giuri 

ivani  anni,  d'una  ottima,  acutissi 


ma  vista  e  soltanto  in  età  .li  anni  quarantaqual 
trovandi  si  ali  '  /enne  a  scoprire  che.  munito 

d'una  ricava,  gli  riesciva  "li  tirar  meglio.  Per 

da  allora,  in  campagna,  sia  in  carrozza,  sia  a 
cavallo  e  sia  andando  a  piedi,  portava   sempre 
- 1  chiali  ;  in  città  ne  l  ai  sol- 

tanto nel  Pai  lamenti  i  o  in  numeri  «a  I  a  e\  a 

uso  d'un  occhialino  e  della  vecchia   forma,  in  cui 
una   lente    s'incastra   nell'altra,    Bismai  iava 

fare  ì  sui  i  occhiali  con  un  fusto  diverso  dal! 
male,  in  modo  riti  stessero  alquanto  più  lon 

tane  dagli  i  echi  ;  e  ciò  ;  erano  al- 

quanto protuberanti  e,  quando  l'aria  era  mossa, 
ri  I  mente     lagrima  vano. 

Era  questa  anzi  la  seni]  ne  per  la  quale, 

.1  sui    i     p  i    re,  Bismarek  doveva  poi  sovente  leg- 
gi re  rie'  giornali  che,  in  certi   da  isioi 
menti  esimili,  egli  «  aveva  pianto  ili  commozione  o. 
Se  ne  guardava  bene!  In  casa,  Bismarek  non 
tava  mai  occhiali,  eppure,  nelle  notti  insonni, 

a,  per  ore  ed  ore,  alla  luce  '1  una  si  ila  candela, 
anche  gli  stampati  dei  più  piccoli  caratteri.  Se 
do  (pianin  pi.tè  determinare  il  prof.  Cohn,  Bismarek 
era  lievemente   miope,  come  Goethe  e  Bi 


Il  contributo  dell'Italia 

al  progresso  del  secolo  XIX 


Da  un  articolo  della  signora  Paola  Lombros  i-Carrara,  nella 
Freie    Wort,  di  Francoforte  spM). 

...    L'Italia    può  considerare  con  un  certo  orgi 
glio  i  suii  contributi  al  progresso  del  secolo  scorso, 
mIuuì  che   debbono  tanto  più   apprezzarsi   in- 
qrantochè,  dopo  le  invasioni  niche,  ella  . 

ceva  estenuata  ed  affranta  e  nella  seconda  metà  del 
secolo  le  sue  migliori  forze  dovettero  spiegarsi  per 
la  lotta  in  i  ro'  dell'indipendenza  e  dell'unità. 

Già  nel  primo  anno  del  secolo  decimonono  Ales- 
sandro Volta  rendeva  <li  pubblica  ragione  la  sua 
seoperta  della  pila  voltaica,  ehe,  mercè  li  sue  mol- 
teplici applicazioni  nella  scienza  e  nelle  industrie, 
doveva  ben  presto  creare  una  vera,  completa  rivo- 
luzione. Così,  l'inglese  Morse,  partendo  dal  prin- 
cipio della  pila,  inventò  il  telegrafo,  i  cui  fili  con- 
giungo  iggi    i    più     lontani    popoli    in    una    tal 

comunanza  d'idee  e  di  sentimenti  quale  il  mondo 
mai  prima  aveva  veduto.  Così  pure  deriva  dalla 
scoperta  di  Volta  la  luce  elettrica,  die  orinai,  espel- 
lendone il  gas.  illumina  le  tenebre  notturne  sia  delle 
maggiori  l  de'  miseri  abituri,  con   una  luce 

di  pieno  meriggio;  e  non  è  soltanto  di  grande  be- 
neficio agli  occhi  ma.  nelle  SUI  numerose  applica 
/ioni  secondarie  nelle  gestioni  tecniche,  o  rrisponde 

.die  più    Urgenti    leggi    dell'igiene  e    diminuisce    i   pe- 

\i  111-  miniere  scavate  nelle   latebre  della  terra 

[le  costruzioni   delle  fondamenta  de'   ponti   nella 

ndità    lelli   ao |ue,  I  ni  si  inguibile  scintilla  i 
mente  il  lavori i  degli  uomini,  che 
ma   erano,   tanto  di  sovente,    esposti   all'asfiss 
in  quell'aria  pn  sto  appestata  dalle  lampade  ad  olio 


DALLE    RIVISTI 


.1  a  petrolio.  Le  parole  scritte  e  le  parole-  pn  ni 
ciate   vengono   trasmesse  dall'elettricità;    i  campa 
nelli  elettrici  rendono  sicuro   L'esercizio  ferroviario, 
annunziano  il  pericoli    del  fuoco,  difi   tdono  dai  la- 
dri...  Anche  nella  liquefazione  de'   metalli   la  pila 
elettrica  ha  pn  stato  pure  i  migliori  servizi,  ha  \ 
il  metallo   più    resistente,   il  platino,  e,  con   la 
vano-plastica,  ha  reso   l'arte  accessibile  anche  alla 
più  povera  gente.  Si  può  anzi  dire  che  li 
fi  ndamentali  nell'elettricità  si  no  dovute  a  degli    tà 
liuni.  Antonio   Pacinotti ,  un  modesto  professore  di 
tisica,  pubblicava  nel   1S75.  in  un  giornale  di  Pisa. 
la  sua  teoria   delle  trasformazioni   della  forza  1 
trica  in  meccanica,  in  luce  e  calore  e  forniva  la  di- 
mostrazione della  sua   tei  ria,  costruendo  di  sua  ma- 
no il  primo  congegno  eleUricodinamico.  Oggi  la  dì- 
namo è  la  più  poderosa  sorgente  di  forze,   mercè  la 
(piale  si  muovono,  quasi  trastullandosi,  le  masse  più 
pesanti,  sieno  gme  gigantesche,  enormi  cannoni    di 
1  cra/zate  ,   immensi   telescopi    d'osservatori,  carroz 
zi  l'i  di  trams  e  di  ferrovie.... 

(dire  ciò,  nel  18S0,  l'italiano  Galileo  Ferraris 
faceva  la  grande  scoperta  del  trasporto  della  forza 
elettrica.  Prima  di  lui  l'energia  elettrica,  nel  suo 
trasporto  dalle  sorgenti  a  grandi  distanze,  perdeva 
tanto  d'intensità  che  il  vantaggio  del  trasporto  ne 
veniva  posto  addirittura  in  forse  Ma,  grazie  alla 
sua  invenzione,  la  forza  delle  grandi  cadute  d'ac- 
qua si  lasciano  trasportare,  senza  soverchie  per- 
dite, a  straordinarie  distanze  ne'  centri  industriali. 
ceree,  negli  ultimi  quindici  anni,  l'hanno  già  dimo- 
strato i  grandi  impianti  di  Terni,  di  Tivoli,  di  Pa- 
demo,  di  Francoforte,   di  Sèvres,   del  Xiagara. 

Infine,  quasi  continuando  quelle  gloriose  tradi- 
zioni, dobbiamo  a  Guglielmo  Marconi  di  P<  legna 
l'insigne  applicazione  della  teoria  di  Herz  alla  te- 
legrafia senza  filo,  probabilmente  destinata  a  sur- 
rogarsi ai   presenti   nostri    telegrafi. 

Xè  meno  solerte  fu  l'Italia  in  altri  campi  della 
tecnica.  Xel  1847  l'italiano  Sobrero  inventava  la 
nitro-glicerina,  che,  resa  innocua  nella  preparazioni 
dal  geniale  processo  Nobel,  non  soltanto  diventò 
un  formidabile  mezzo  di  distruzione  e  una  delle 
1  iù  efficaci  armi  in  guerra,  ma  spiegò  anche  la  sua 
benefica  influenza  civile  nel  lavoro  delle  miniere  nei 
traforo   de'  monti,  nella  congiunzione  de'   mari. 

Nelle  scienze  esatte  Francesco  Siacci  fondo  la 
balistica,  e  diede  alla  fabbricazione  delle  armi 
da  fuoco  una  base  scientifica.  Schiaparelli,  il  uiù 
popolare  tra  i  viventi  astronomi,  scoperse  le  1  ed 
molte  comete  e  venne  in  gran  fama  grazie  ai  «  ca 
nali  di  Marte  »  ed  altre  soluzioni  di  celesti  proble- 
mi.  Ma  anche  nella  biologia  e  nella  medicina  gli 

italiani  raccolsero  superbe  e  ricche  messi.   E    e 

ron  l'elettricità  aveva  dischiuso  tutto  un  nuovo  n  1 
do  alla  scienza,  così  l'Italia  creò  anche  un  nuovo  ra 
mo  di  biologia:  l'antropologia  criminale  e  la  si  •  11 
logia.   Per  queste  il   delinquente  è  un    essere   anor- 
male, i  cui    istinti    atavistici,   ridestati   da   cagioni 
morbose,  quali  l'epilessia  .   la  pazzia,  l'ale    lismo. 
necessariamente   lo  condannano  al    delitto     Non    si 
tratta   più   di   far  espiare  la  colpa  d'un    individuo 
con  delle  pene,  cui  si  annette  sempre  ancora   il 


17.) 

n     della    vi   chia   vendetta,   ma    di    1  isanare  un 
malato  e  difendere  la  società  dalla  innata  sua  pi 
1  o  I'  sita.  F.  dal  delinquente  nati  era      I 

peno  li       delit   | 0    a       lale,  1  he  si  iltanto  dà 

gli   impulsi  estemi,  quali   la  lame,   la    vendetta,  il 

vo  esempio  o  I  ducono  in  fallo  e  contro 

il    quale     la    società    deve    difendersi    con    la     sorvi 

"/a  ma.  soprattutto,  COTI  l'educazione  de'  fan- 
ciulli poveri  ed  abbandonati,  col  razionale  avvia- 
m,  ,to  dell'emigrazione,  eo:i  le  ]  topi/;,  .  .  .,ni  di 
lavi  ro  e  cosi  via. . . 

Questa  nuova  scuola,  fondata  da  Cesare  Lom 
broso,  si  conquista  in  Italia  gran  seguito  mercè  Fin- 
Ferri,  che,  con  la  sua  «  so  ii  I  (già  criminale  », 
ampliò  il  campo  dell'antropologia.  Altri  celebri 
campioni  di  questo  secolo  divennero  poi  Garofalo 
con  la  sua  a  criminologia  »,  Mano  co'  suoi  «  carat- 
teri de'  delinquenti  ».  Sighele  e  in  ispecie  Ferrerò 
0  '  suoi  studi  psicologici  basati  sulle  nuove  doti  rine. 
In  breve  questa  scuola  italiana  divenne  interna- 
tale. 

Ma  anche  altre  grandi  so  pi  rti  vennero  fa  I  1 
gli  italiani  nella  medicina.  Ugo  Bassi,  il  cui  nome 
rimase  quasi  ignoto,  scoperse  nel  1848  la  causa  del 
calcico  de'  bozzoli  ed  anche  il  mezzo  per  comi. 
terlo.  onde  l'Italia  potè  diventare  uno  de'  più  insi- 
gni centri  del  setificio;  |  iù  ancora:  quale  precur- 
si  io  di  Pasteur  e  di  Kock  riconobbe,  durante  una 
epidemia  di  colera,  che  anche  quello,  Come  tanti  al- 
tri morlii,  ira  causato  da  micro-organismi,  analo- 
ghi a  quelli  che  produoevano  il  ialino  de'  bachi  e 
perciò,  in  ugual  modo,  si  poteva  combattere  con  l'i- 
solamento e  la  disinfczione. 

Xegli  anni  1858^860,  Paolo  Mantegazza,  indoi 
tovi  dalli  vista  d'un  gallo,  nella  cui  cresta  era  in- 
nestata una  coda  di  gatto,  attese  a'  suoi  studi  sul 
l'innesto  animale,  che  diedero  il  colpo  mortale  alla 
teoria  vitalistica.  Un  altro  italiano.  Passini,  inventò 
un  nuovo  un  lodo  per  l'operazione  dell'ernia,  che 
diventò,  con  ciò,  una  delle  classiche  operazioni  chi- 
rurgiche; De  Castro  trovò  l'operazione  dell'ascesso 
del  fegato  e  nel  1860  mio  padre,  dopo  faticosi  studi, 
assai  meno  noti  di  quelli  intorno  all'antropologia 
criminale.    Scoperse    l'origine   della    pellagra    nel    gì  a 

none  guasto.    lutine,   recentemente,    Sanarelli    - 
perse  il  bacillo  della  febbre  gialla  e  il   mezzo  pei 

annientarlo. 

Nella    filosofia,  nella    socioL  ella   storia. 

nella  filologia  pure  l'Italia   stampò  le  le  del  suo 

genio.  A  lei  appartiene  Carlo  Cattaneo,  grande  so 
ioli  .  rico   fra  quanti   ne    vanti    la    moderna 

Europa,   spirito  chiaro   ed  eclettico...   Suo  contem- 
poraneo era   Paolo    Marzi  lo.  suoi   «  ne 
menti   storici  della   parola   »  l'ondo  un  nuovi 

d'esplorazione  della   storia,   basato   sulla    filologia.  1 
Altro   filologo  insigne  e  in  pari  m  logo   è 

l'ani  ora    viventi     Graziadii      Ascoli,  che  deli  rminò 
l'antica  parentela   delle    lingue  ariane,    semitiche 
zingaresche  e  l'unità  di  tutte  le  lingue-  Ialine  e  dei 

dialetti.    In  1  norando    riconi 
meriti    l'Inghilterra,    or   sono   m  nt'anni.    gli    offi 
la  cattedra  d'Oxford.  E'  pure  tra  i  vivi  lo  Spencer 
d'Italia,  Roberto  Ardigò,  il  fi  n    della  morale 


i8o 


LA    11    [TURA 


i  e  della  quale  scienza  positiva, 

il  prii  i  r. munti-  italiani •  St 

laro  e  Achille  Loria,  che,  ritornando  al  co 

la  teoria  dell'influenza  delle  ira- 
jli  studi  si 
fama  europea.    In  italiani'.    Panizzi,  or 
a  del  «  British  Musi  uni  •, 
dell-  i  Uda,  invi 

Ite  'li    filari  i 

i  cappuccini  italiani  ebbero  pei  primi  I  «ione 

ii  residui  legni 

■  mi»   ■ 

La  scimmia  a  tavola 

(I>.i  ano  studio  di  Wilhelm    Biilsche,    nella   II  oche ,    del 
gennaio  . 

Vosmaer  raccontò,    a  suo  tempo,  ai 
inondo  stupri,  gesta  dell'orang-utang    Fi  mi 

nino   che  il  ^o  giugno  177''  èra  giunto  nel  serraglio 


del    principe   d'Orange.    Proveniva  da    Bi  meo  ma, 
già  da  un  anno,  era  stato  addon  - 
del  Capo  di  Buona   Speranza.    Ne    suoi   boschi   tu 
rivi  tturalmente,  nudriti  te  di 

tali  e  in  el   celi  Lire  frutt'    del   Durian, 

tant"  sap  into.. .   pi://'  ileiite  .  ma  nella  - 

\  itù  ben  pn  sto  si  avvezzò  alle  1  li 
vi  ila  e  nulla  gli  piaci  \  a  più  buon  arri  -ito  1 

buon  pesce.   Armato  di  e  ili   forchetta  sene 

trinciava  de'  grandi  pezzi.   K  se  gli  si  ammanh 
ilelle  frag  iva  alla  borra  una  dopo  l'al- 

tra ci  'i  la  fon  itre  ri  ni  l'altra  mano  teneva 

itti  1.  La  sua  lu-\  ani  ita  era  l'acqua,  ma 

feriva   il   \  un  >  e    spo   almente    il    di  ili  -    Ma  I: 
Sturava  abilmi 

te  da  un  bicchiere  di  birra    Dopo  la    1  1  pu- 

liva le  labbra  e  faceva  destramente  uso  dello  stuz- 
zicadenti. E  dire  che  qi  Iemali  appaiteneva 
alla  famiglia  di  quegli  orang  :    cui,  sino  ai- 
lora,   si  <  r.i    patl.ui>    soltanto   rome  ili    veri   mi 
più  grandi  degli  uomini  e  immensamente  robusti,  rhe 


<  .1  inseparabili. 


DALLE    RIVIS  l  I 


|Si 


L'orang-utang. 


irrompevano  dalle  foreste  correndo  sulle  gambe  an- 
teriori, e,  co'  tronchi  nodosi,  bastonavano  a  morte 
gli  uomini  e  rapivano  le  donne. 

Persino  al  Dajak  ,  all'  indigeno  di  Borneo  ,  cui 
l'orang  è,  a  così  dire,  un  vicino  di  casa,  il  gran  sci- 
noli, dall'irsuto  vello  rosso,  è  ancora  sempre  come  un 
essere  soprannaturale.  Il  a  Maias  ».  com'egli  lo  chia- 
ma, è,  per  lui,  un  in  uno  stregato.  Chi  ne  uccide  uno 
viene  terribilmente  punito  dall'Ignoto.  Sul  monte 
Kedang,  in  alto  in  alto,  è  la  reggia  d'Urmaia,  il  re 
delle  scimmie.  Tratto  tratto  egli  esce  dalla  sua  ca- 
verna. Ma  al  chiaro  di  luna  tutta  «  la  Corte  »  ir- 
rompe. Sbucano  primi  i  cinghiali,  poi  gli  orsi  neri 
e  finalmente  centinaia  di  giganteschi  orangs  e, 
sotto  la  loro  scorta  fedele,  a  solenni  passi  ini 
finalmente  il  vecchio  rajà  degli  scimi  :  e  tutta  la 
compagnia  scorrazza  per  le  solitarie  foreste  vergini 
dell'isola.  Così  raccontavano  i  cacciatori,  cui  erto 
non  difetta  il  coraggio,  al  professore  Emilio  Se- 
lenica quando,  assieme  alla  sua  valorosa  moglie  (la 
nota  apostolessa  della  pace),  visitò  Borneo  e  ne  ri- 


ò  non  soltanto  delle  rilevanti  ni  :ii  ni  i  ii  ntifiche, 
ma  anche  l'inspirazione  per  il  bellissimo  libro: 
Mondi  soleggiati. 

Al  i-i    i't'      d'un   vecchio  orang-utang    sì 
prende  come  siano  nate  queste  leggende.   Il  giovane 
e  specialmente  il  giovanissimo  è  tutt'altro  ''hi-  fanta- 
smagorico: è  semplicemente  comico.  Ma  il  vecchio! 
Le  sue  braccia,  in  confronto  del  corpo,  hanno  qual- 
cosa del  polipo.  In  tutti  i  movimenti   sono  li-  brac- 
he,  in  contrasto  con  le  corte  gambe  e  con   la 
tonda  testa,  sembrano  avere  la  parte  dirìgente.    Il 
lo  corpo  a  tamburo  si  muove  soltanto,  come  una 
specie  di  goffa  appendice,  quando  le  braccia 
gitano.    L'occhio   è  straordinario.    Nessun   altro  oc 
chio,  né  di  animale  né  d'uomo,  pi  i  al- 

l'oochio  dell'orang.  Ne'  maschi  «li  alcuni-  specie  cre- 
sce poi  Un  certo  orribile  tumore  sulle  mandibole 
che  dà  a  tutto  il  volto  un  carattere  mostruoso  e  in 
questo  mascherone  scintillano  gli  occhi  con  tutta  l'a- 
cutezza   satanica   del   «  cattivo  occhio  ». 

Ito    diverso   però   questo   tipo   del    muso    del- 


[82 


LA    LETTURA 


cimp  -ni'  i  '. 

l'i  n 

d'un  lui  ultimi  Mi 

li,  ili  cui  i  grandi 

[']  ruiva  d'un 

■  j  più  caldo  dell'attuale,  vivi  I  i  in 

i.i .  in  Svezia  .  dell  ■  ìmtnii  . 

simili   le  ilio  scimp  altre    più  al 

1   /èva  anche  nell'In- 
ello,   indigi  no  nel   con 
linei  abitatori 

■  li  di 

Venii  rti  •  è,  d'altronde,  pi  r  questi  «  uo 

mini    ili  li  nifii  -i  .   in  mal 

uomo,  utang,   il  b  ui  utenza  ili 

e.   L'interesse,  che  gì    ui  mini   i  ivolgono  .1  que 
sti  es  rio  di  l  radui  ii  vivi,  n« 

maggior  nun  1  logici.  Da 

ura    "'.'>    poi  azione   ili 
Ma    soltanto  un   ben    piccolo  numi  1 
giui  |  lido  lontano!  E  su  questo  strani 


mercato  la  domanda       ormai   tanto  più    forte  del 
inquantoch    ai   giardini  zoologici   d'Euro- 
pa  -1   uniscono  adesso,  nell'ambizione  del  1 
quelli  degli  Stati  Uniti. 

L'i  rang-utang,  agile,  1  e  robusto,  non  si  la- 

l  ligliare,  dagli  indigeni  di  Boi  r: 

con  lai ame  e  1  >n  la    1  ti  che  gli  si  im]  ongi 
udì  lo  sull'albero  in  cui   si  trova  1  ul 

I  1  iai  n  l'unica  1  evanila  che  \  iene  mess 

sua  disposizii  me.  Ma,  fatto  pi  un  ; 

naie  si  abitu  alle  usanz  ■  umane 

le  a  tavola,  beve  dalla  scodella,  mangia  col 
chiaio.  Certo,  nella  sua  selvaggia  esistenza,  v'ei 
■  1  le'  In  -.  i  germi    di   cultura     i  .   ini  atti,  non 
tanto  egli    fa    uso  d'armi:    di  tronchi  d'albero,  clu 
agita   come  spai  eie,  e  d    gn  ;si    m  .•  1  e  di 

l  mila  spini  «e,  che  geti  a  con  e  >u  suoi  pei 

secutóri,  ma  sa  prepararsi  addirittura  una   lotta,  in 
tutte  le  regole,   sulla   vetta   degli    alberi.  Comi 
unnr  1        1    aia    'I  gì  io  di  foglie,  e  altre  larghi 

lie  gli  1  unni  le  veci  di  le  izuol  1  e  Nei 


DALLE    RIY1S1 


[83 


Beatitudine. 


Muse<.>  berlinese  di  storia  naturale  v'è  uno  ili  que- 
sti letti  dell'orang-utang.  Selenica  lo  ha  portato  «la 
Bi  rn<  .  Le  foglie  sono  appassite,  ma  vi  si  vede  an- 
cora tutta  la  costruzione,  diremo  quasi  artistica,  e 
cui  occorse  una  «  mano  »:  quella  stessa  mano  elu- 
sa servirsi  poi  del  coltello  e  della  forchi 
ntiiit- 

Ciò  ehe  rendono  i  teatri  francesi 

Il  visconte  Giorgio  d'Avenel,  studiando  il  mec- 
canismo della  vita  moderna  nella  lieviti  des  deux 
mondes,  si  occupa  del  teatro,  degli  autori,  del  pub- 
blico, e  di  alcune  curiose  notizie.  Vi  sono  opere 
teatrali  che,  quantunque  cadute  nel  domili!'  pub- 
blico, vanno  ancora  soggette  ai  diritti  di  proprietà 
letteraria:  i  proventi  che  se  ne  ricavano  servoro 
impinguare  la  cassa  di  Si  Corso  della  Società  degli 
autori  francesi.    Così    Mi  li  re  nudo  sette  mila 


annate  buone.    L'ann 
ritti  percepiti  da  quella   Società   fu   di   .5.740.000: 
nel     1855    era   stato  di    1.300,000.    I    diritti   di   una 
mata  salgono   a  120.000  franchi  alle    \ 
a    160,000    al   Ytii"  <    185,000 

S    Martin,  e  vanno  in  una  sola   tasca    - 

i      1    durante  ui  •  alla  300 

rappresentazione    La    media  delle  còmmi 
sentate  ogni  anno  è  di  700  :  se  ni 
250  a  300  ;  di  una  ventina  si  ricorda  il  titolo  1  anno 

taurini.  Alla  Commedia 
Francese  la  media  serale  è  di  5000  (ranchi  ;  se  un 
lavoi  frutta  almeno  3800  è  soppi 

che  non  copre  le  spese.  All'i  ' 

pò  di  lui  vengono  Wagro  r,  M 

,    Mi  -     Mollili.    !  ' 

ncassi:    il  Ca 
650,000  franchi.  l'Olimpia  900,000.  le  Folies 
,    1.300,000. 


'sl 


LA    il   IM  RA 


ha  Corona  ferrea 


(Da  un  artici,»  di  Adolfo  Venturi,    nella    Nuova    Anto- 
del  i    gennaio  . 

/•',  m  :  fu  eh  amata  una  corona  di  Mi  i 
il  secolo  XIII    nell'opera  De  regimine  principe  at- 
tribuita a  San  Ti  mmaso  <   nella  cronaca  ili  Rolanr 
dino  '  '      >'i"i  >tu  detta  quella  di  Acqui- 

sgrana,  ,'1  aurea  quella  <li   Roma    I  i    era 

ferrea    li  U'italico 
lira  del  dominio  imperiale;   i   Papi   ponevano 
sul  i  i  ;  |ui  -t'ultima,  dopo  che  essi 

a\ev  I,  due  prime.  Ma  quando  Errico  VI 

volle  incoronarsi  con  la  corona  ili  Monza,  questa 
u, ai  si  trovava  più  nella  Basilica:  i  signori  della 
Torre  l'ai  gno.  Furono  invano  mi- 

riuniche  dal   Cardinale  legato  e   dal 
I  ino   pontificio,  e  invano  Errico  VI,  giunto 


candosi  dalla  sua  Corte,  corse  all'altare  maggiore 
.1  Sant'Ambrogio  e  se  la  cinse  da  sé,  esclamando: 
Dio  me  l'ha  ilala,  furiar  a  chi  la  tocca.  La  toccò  la 
Sani  llleanza,  che  la  diede  a  Ferdinando  I.  Mei 
is.i,  la  corona  andò  in  esilio  a  Vienna,  e  rimpa 
nel  t866,  dopo  la  pan-  con  l'Austria.  Vittorio  K- 
manuele,  nel  riceverla,  disse  alla  Commissione  ili 
patriotti  veneti  che  glie  la  recarono:  «  Signori,  la 
corona  ili  fera  viene  pure  restituita  in  questo  gior- 
no solenne  all'Italia  ;  ma  a  questa  corona  io  ante- 
pongo quella,  a  me  più  cara,  fatta  con  l'amore  «lei 
popoli  ». 

Queste  le  \  ìcende  della  o  «rona  ;  ma  quando  giun- 
se essa  alla  Basilica  ili  Monza?  Favola  è  il  rac- 
conto  di  fìalvaneo  della  Fiamma,  secondo  il  quale 
Massimiano  imperatore,  abdicando,  lasciò  il  dia- 
dema  ai  Milanesi  perchè  i  re  con  esso  fregiati  dalle 
loro  mani,  fossero  subito  riconosciuti  re  di  tutta 
l'Italia.  Alcuni  storici  del  secolo  XIV  e  XV  fecero 
derivare  la  corona  da   Pipino  e   da    Carlomagno,  e 


Collare  trovato    a  Kazan 
riprodotto  dal  Bayer. 


SMS^iS*^'* 


Corona  ferrea 
nell'incisione  data  dal  Bayer. 


a   Milano,  bandì  l'ordine  che  fosse  restituita:  egli 
dovei  rsi  d'un'altra  corona,  lavoro  del   regio 

Orafo    Lamio  de'   Senni. 

li     'Tona   impegnata   e  nascosta  Iti  riscattata  da 
•  •   Visconti;   ma,  infuriando  in  Monza   le  la 
zioni  guelfe  e  ghibelline,  quattro  canonici  la  si  ttei 
ranmo,  giurando  di  palesare  il  nascondiglio  solo  in 
punì"  di    liliale.    Uno  di  essi,  ammalatosi  nel    i.S-'l 

remi,   rive  lo  il  sego  t. , 
all'ai  '    M  I  in     Ucardo,  il  quale  fece  dis- 

seppellire la  corona  e  la   mandò    ad  Avignone.    1 
Monz        otte  '       I      -,•    loro   resi  imita  ;    tra- 

Sport  '■Mini,,   nella   basilica   amili'  Stana,    servì 

all'incori'  :   Sigismondo  d'Ungheria;    poi 

Roma  fregiò  la  fronte  di    Federico  111. 

'  arto  V,  rispondendo  ai  Monzesi  di 

noni  o  a  correr  dietro  alle  corone,  ma  «lì  vi 

d'ersi  ro,  la  ricevi  tte  dalli-  mani  di  •  Ile 

■  VII.  Fntro  allora  in  is  ina  la  corona  che  dal 

lo  XVI    in  poi   fu  delta  ferrei;    l'antica,   ornata 
dia   sommità,   dilla    quali     si    ,     parlalo    fi 
non  servi  pie.    M  i     1  o  rchio  usato  in     uà 

.    die   si    do  irlo   d'un 

d'oro  incastonato  di  | .  i  le.  Venne 
ardi  la  volta  di  Napoleone  I,   il  quale. 


alcuni  moderni  hanno  seguito  la  loro  opinione;  ma 

questa  ipotesi  della  derivazione  carolingia  non  ha 
alcun  appoggio  nei  fatti,  ed  è  solo  avvalorata  da 
un  documento  falso.  Un'altra  ipotesi,  -uggì  ma  al 
Ligonio  da  scrittori  milanesi,  riporta  la  corona  al 
li  mpo  di  Teodolinda,  con  una  certa  verosimiglianza 
pei  i  doni  che  '  illesi  a  regina  lascio  alla  Basilica  di 
San  Giovanni  di  Monza,  da  lei  fondata;  ma  tale 
verosimiglianza  diede  luogo  a  congetture  audaci, 
a  strane  suixTstizioni  e  alla  leggenda  che  la  corona 
fosse  il  reliquiario  d'un  chiodo  della  croce  del  Re 
dentore,  Sant'Ambrogio,  nella  orazione  funebre  1 1  i 

I    ■  di  e  O,    disse   eh,-   Sant'F.lena   cercò   i   chiodi 
quali    fu  Crocefisso  il  Signore,  e   li   trovò:    con  uno 
.li  essi   lo,-   lare  un  diadema  e   lo   mandò   al    B§ 
Costantino.    Per  poter  riferire  questo  racconto  alla 
e,  nnia  di   Monza,  si  volle  che  essa    fosse  recata  da 
Teodosio  e  Onorii    in  Italia,  dove  sarchile  pas 

in  in,,  ,li  conquista,  ai  re  longobardi,  o che  I 
donata  da   Foca  ad    Agilulfo,  ,,  che  (osse   tolta    da 
S.ini.i   Sofia   per  Costantino  Tiberio,  il   quale    l'a- 
vrebbe    -•       lata     al     papa     Gì  che  ,     a     Mia 
.  l'avrebbe  in.nn  lata   a    l'end  'Inula.   Non  valse 

re  '  In-  d  togliere  da  Sai  'e  con  'in-  di 

dicate  a  Dio  era  un  sacrilegio,  né  v.ds,-  il  silenzio 


DALLE    RIVISTE 


[85 


delle  lettere  di  Gregorio  a  Teodolinda,  ne  valsero 
tanti  altri  argomenti  contrari  a  distruggere  que- 
sta leggenda.  Un'allusione  al  significato  della  co- 
rona corse  prima  della  fine  del  seo  do  XVI  ;  essa 
attesta  l'ignoranza  assoluta  che  si  ebbe  della  sacra 
reliquia,  che  pure  doveva  ricordare  al  mondo  il 
fatto  della  redenzione;  poiché,  a  proposito  del  dia- 
dema che  si  credeva  la  contenesse,  il  vescovo  di  Co- 
stanza disse  che,  come  il  ferro  doma  tutti  i  metalli, 
così  l'Imperatore,  col  valore  delle  armi  italiane  e 
principalmente  dei  Milanesi,  avrebbe  domato  tutte 
le  altre  nazioni  ;  ma  i  Milanesi,  invidiosi  dell'onore 
di  Monza,  sfregiarono  la  corona,  chiamandola  di 
paglia,  per  dire  che  erano  essi  forti  e  ferrei,  non  i 
borghigiani  monzesi. 

In  origine,  la  corona  di  Monza  non  fu  ne  un  cer- 
chio per  incoronazioni,  né  una  corona  votiva.  Non 
fu  un  cerchio  per  incoronazioni,  perchè  tanto  pic- 
cola da  non  coprire  la  testa  a  un  fanciullo  ;  tanto 
che  più  tardi,  per  renderla  adatta  a  questo  scopo, 
dovette  essere,  come  si  è  detto,  ampliata  con  un  cer- 
chio concentrico.  Essa  non  corrisponde  a  nessuno  dei 
tipi  classici  e  bizantini,  tanto  che  alcuni  vollero 
crederla  una  corona  votiva  appesa  con  catenella 
innanzi  a  un  altare  di  San  Giovanni.  Ma  il  modo 
nel  quale  è  formata  e  la  mancanza  degli  appicca- 
gnoli 'impediscono  di  accettare  simile  ipotesi.  Con- 
frontando la  corona  ferrea  con  quelle  votive,  le 
quali  hanno  un  gran  diametro  e  la  fascia  circolare 
molto  alta  e  mancante  di  articolazioni  (mentre  nella 
monzese  la  fascia  è  composta  di  sei  lamine  riu- 
nite da  cerniere  dentro  alle  quali  passa  uno  spillone 
d'ore),  si  deve  escludere  che  sia  una  corona  votiva. 

Essa  non  può  essere  altro  che  un  torquis,  un  col- 
lare. L'uso  dei  torques  era  comune  ai  tempi  romani  : 
li  portavano  le  donne  e  gli  uomini,  i  soldati  e  i  bar- 
bari, ed  anche  gli  stessi  vescovi.  Le  dimensioni  della 
corona  ferrea  corrispondono  con  quelle  d'altri  tor- 
ques sparsi  nei  musei  d'Europa  ;  il  suo  diametro 
di  15  cent.,  è  lo  stesso  dei  torques  trovati  in  Isviz- 
zera  e  di  pochi  millimetri  superiore  al  collare  del 
museo  di  Monaco;  né  l'altezza  di  quasi  5  cent,  può 
dirsi  enorme,  non  sorpassando  quella  dei  colletti 
moderni.  L'articolazione  delle  lamine,  come  esclude 
che  la  corona  ferrea  servisse  a  circondare  il  capo 
e  che  fosse  un  ex-voto,  si  spiega  benissimo  con  que- 
sta ipotesi,  giacché  per  cingere  il  collo  con  un  og- 
getto metallico  tanto  grande  e  non  elastico,  la  ne 
sita  delle  cerniere  è  evidente.  Il  torquis  ha  nell'orlo 
inferiore  54  forellini  distribuiti  a  due  a  due,  per  i 
quali  passavano  fili  d'oro  sostenenti  perle,  gocce 
d'ametista  e  fusetti,  come  nelle  collane  a  lamina 
gemmata  dell'  imperatrice  Arianna  ;  costume  che 
durò  lungo  tempo  e  che  si  riscontra  persino  nella 
collana  a  cerniere  dell'  imperatrice  Irene ,  sulla 
pala  d'oro  in  San  Marco,  a  Venezia.  Quando  venne 
meno  l'uso  del  torquis  di  Monza,  ossia  quando  l'or- 
namento personale  fu  donato  alla  chiesa,  affinchè  le 
lastre  non  formassero  un  insieme  spezzato,  fu  messo 
loro  internamente  un  vecchio  cerchio  di  ferro  che 
doveva  saldarle  in  forma  tonda.  Questo  cerchio  fu 
tratto  da  altro  oggetto,  probabilmente  da  un  va- 
sellaio che  esso  cingeva  ;    infatti   ha  sette  fori  inu- 


tili, bastando  gli  altri  avelli  che  rin- 

forzano il    monile. 

Quanta  all'origine,   basta  ossi  1    caratteri 

del  torquis  di  Monza  ]<-r  escludere  che 
nesse  al  l'oreficeria  del  secolo  IX.  come  \ogIi,, no  il 
Barbier,  il  de  Montault,  il  Kondakoff  e  il  M 
nier.  Essa  somiglia  moltissimo  a  due  collari  trovati 
a  Kazan,  in  Russia,  lungo  la  strada  maestra  delle 
invasioni.  TI  Bayer,  che  li  illustrò  nel  1736,  vide  il 
riscontro  di  essi  con   la  a  ro  1,  e  li  chiamò 

corone,  nonostante  la   lori    piccolezza,   come  il  tor- 
quis di  Monza    tu   detto  corona  parva  in  un  antico 
inventario  della  Basilica.    Questi  due  collari  trovati 
sotterra  pressi    Kazan,  sulle  rive  del  Volga,  rischia- 
rano improvvisamente  la  storia  della  corona  ferrea 
In  tutta  la  Scizia,  dal  Mar  Nero  agli  Urali,  s'i 
il  costume  di  cingere  il  collo  e  d'attorniare  li    brac- 
cia di  cerchi  d'oro,  secondo  l'uso  orientale.  I  Greci, 
che  vivevano  in  frequenti  rapporti  con  gli   Sciti,   li 
aiutarono  a  modificare  i  modelli  assiri  e  persiani  in 
ellenici.  Invece  delle  teste  di  belve,   dei  leoni  aco 
sciati,  dei  grifi  alati,  l'arte  classica  dette  i  bei  fiori, 
le  belle  rose  della  corona  e  i  begli  smalti.  Sul   suolo 
della  Scizia,  al  limitare  dell'Oriente,  si  era  formata 
un'arte  che  le  orde  barbariche  sopraggiunte  racco! 
sero,  svilupparono  e  sparsero  nell'Occidente   I  1  I 
discendendo  nel    III    secolo   dalla   strada    maestra 
delle  invasioni  verso  il  Mar  Nero,   s'impadronirono 
del  nostro  torquis,  simile  agli  altri  due.  che  al  p 
sar  della  furia  barbarica    furono  sepolti  sulle  rive 
del  Volga.    Lo  tolsero  forse  dal  collo  d'una   regina 
scitao  lo  strapparono  dal  corpo  di  un  vinto  re.  (  li  1; 
servato  nella  nobile  tenda  d'un  capo,  passato  ai  suoi 
iliscendenti    ed    eredi,  ornò   probabilmente  la  bella 
e  pia  Teodolinda,  la  quale,  venuto  meno  l'uso  di  ve 
stire  i  defunti  con  gli  ornamenti   che  pi  rtarono  in 
vita,  offerse  a  Dio,  morendo,  come  esprime  la  for 
mola  del  suo  Evangelario,  ciò  che  le  era  stato  do 
rato  da  Dio.  Come  Luitprando  offri  all'altare  di 
San  Pietro  in  Roma  il  suo  cinturone  e  la  sua  spada. 
Teodolinda  diede  a  quello  di  San  Giovanni  di  Mon- 
za   gli    ornamenta   muliebra,    il   torquis    splendido, 
l'aureo  pettine  e  il  dono  augurale  della  gallina  coi 
pulcini   d'oro. 

■     <MI»i   

Ita  produzione  del  eapbon  fossile 

Un  corrispondente  ila  Londra  comunica  a!  Siedi 
,!i  i'.o  1    1  alcuni    cifre  circa        pri  duzione  del  cai 
bon  tossii-.  Nel  1900  la  produzione  totale  di  qui 
combustibile  nel  mondo  fu  ili  tonnellate  757  milii  : 
Sono  in   tesi  1   a  questa   produzione  tre   paesi  :    In 

gli  tterra,  SI  iti  Uniti  ,1  \i 1  a  e  1  lei  man  a  chi 

si  li  detteri    616  milioni  di  1 Ila  poi 

1  \n-tiia.  l'Ungheria,  la  Francia, 

Ile  complessivamente  produssero  111  milioni  ih 
e:   22  milioni  e  mezzo  'li  tonnellate  s 
prodotte  da  cinque  altri              1  ili  anad 

Giappone,   l'India,    la  Nuova   Galles  del  Sud  e  la 
ni.  Il  resto  è'  ,1  11-  da  altri  pai  -  .  ne  suno  dei 
quali,  ad                    di   l'Africa   del  Sud,  ■■-•trai'  dar 
suolo  piti  di  un  milione  ili  t ellate  alla 

Quanto  al  consumo  di  !  carbone  minerale,  si  ri 

in    ai -  '  >i"'     Nel    1883,    1         ' 

do  Intel 0  imai  1  no    184   nuli' mi   di    tonni 

late:  nel  1900  se  ne  sono  bruì  iati  più  di  700  noi  oni 


IN. 


LA    1.1   I  I  l  RA 


Un  cavo  sottomarino 


dei  conduttori  isolati  per  scoprire  e  ripa- 
rare  immediatamente  i   difetti. 


(Dalla   «'  .       WeU  . 

dopo  quindici  anni   ili  tecnica,  un  cavo 
pianta  per  così  'lire  giuocando.   S 
ndo  la  tempesta  solleva  le  onde  sbatti 
qua  e  la  u.i\r  e  cavo,  l'impianto  del  cavo  è  anche 
ifncile.  In  temp  i\  ano  ben 

Quando  Werner  Siemens,  sedici  anni 
ralle  stabilire  con  mezzi  meccanici  me 
sviluppati    un    cavo    sottomarin 
maro  nave  portante  il  cavo  andasse  a  picco. 


<  >jmi  cavo  ha  per  conduttore  elettrico  una  fune 
ili  lìli  ili  rana-  (sette)  che  ne  costituiscono  l'anima. 
I!  conduttore  si  circondadi  guttaperca,  kautschuk, 
piombo,  ecc.  Fabbricato  il  cavo,  bisogna  naturai- 
menti  rio  ad  una  prova  accurata  p 

tare  che  il  rivi  sia  buono  e  sia  in 

la    penetrazione  dell'umidità  nell'interno.    Infin 
ste  il  tutto  ili  una  armatura  ili   filo  ili   terr< 
altro,  e  il  cavo  è  pronto  per  essere  deposto  in  m 

I   '    nave  destinata  a  portarlo  deve   esseri 


La  partenza  della  nave. 


M      l'esperienza  |  i   frutti.   Oramai   si  sa- 

rtare   un   cavi  i    e 
il  iara  solido  che  anche  oggi, 

dopo  quindici  anni,  tiene  il  ni 

tutti  i  pn  igressi  della  tec- 
richied     gran 
molta  cura.  11  cavo  deve  venir  giù  daU 

è  arri  iti  ilato  inti  imo  ad  un  coni 
senza  interruzione  di  sorta.  Ogni 
pi. ria  un  gra 
tinua  ad  andare  ancora  un  poco,  non  potendo 

ntinùamenb 
i.i  massima  cura  regolare  la  velocità  della  navi 
•  ■  dello  s  i  basi        i  pi   f  indite 

delle  n  avvenga  che  si  maini: 

ip.p|i.i  cavo,  né  che  questo  sia  l ■  sul  fon- 

do. Ain  hi  sempre  le  pn 


tutto  di  grande  tonnellaggio  e  munita  deg 
rc-vlii  pel  carico  <•  la  de]  del  cavo,  la  .piale 

i  ffettuata  per  via  ili  congegni  precisi  e  sicuri 
che  regolano  l'immersione  con   precisione. 

L'articolo  della  Weite    Welt  è  accompagnato  da 
illustrazioni  ili  cui  alcune  sono  qui  ripro- 
dotte.   Si  tratta  ili   fotografie  presi-   durante  l'im- 
pianto ili  un  cavo  tra  il  continente  euro]  \ 
merica.   La  prima  rappresenta  la  poppa  della  nave 
al  momento  della  partenza.   Una   seconda  rappre- 
senta  il  cavo  all'arrivo  sulla  costa  ove  viene  l 
da  gran  numero  ili  pi  r»  ne  1 1  ste  su  diversi  barche  e 
zattere.  Quando  si  è  arrivati  a  toccare  la  terra,  hi 
un  letto  pel  cavo  che  dall'acqua  vie- 
ne- sulla  spiaggia  e  deve  andare  a   finire,  natural- 
te,  nella  Cable-housi    l        rza  illustrazione  rap- 
ita appunto  lo  scavo  ili  questo 


Il  cavo  è  tiralo  a  terra. 


Il  «  letto  »  pel  cavo  sulla  costa. 


UH 


IfS? 


LA    LETTURA 


La   Corea 


[Da  un  articolo  di  1  mesto  von  Hesse  Wartegg,   nella  ri- 

■i  litui  AV.i  Ushefte  . 

alla  guerra  del  i S«> }  tra  Giappone  e  ("ma. 
sto  regno  giain'.c  press,  a  poco  quanto 
la  i  ìran  Bn  lagna  e  pi  >p<  lati  da  otti  d  eci  mi 
lioni  di  abitanti,  incapace  «li  vita  autonoma,  era 
di'  influenza  inglese.  Da  principio  il 
Giappone  voleva  soltanto  sottrarre  la  Corea 
influenza  n  indipendente;   ma   suo 

■    nuli    si  ili  i   la   Cerea,    ina 
anche  parte  della  Manciuria.  L'intervento  della  Gei 
mania,  della    :  l  Ha   Russia   impedì    che   il 

Giappot  l'intento,  serbando   la   Man- 

ciuria ai  Cinesi  e  l'indipendenz  apparente 

1  una   e  'ine    l'altra    terra    sono 

destinate  .1  divenire  tosti    •■  tardi   possessi  russi. 

La  Corea,  del   resto,  è  premio  la  cui  conquista 
giustificherebbe  sacrifizi    anche   grandissimi. 

j.a  terra  nalmente  fertili .  si  bbi  ih-  i  (  '< 

reani  siano  ben  lontani  dal  trarne  tutti  i  frutti  che 
potrebbero.  Amministrato  coi  nostri  metodi  occi- 
dentali, il  p.  1  :  di  una  prosperità  infini- 
tamente maggiore,  e  questo  sarebbe  certamente  av- 
venuto ila  gran  tempo  se  la  Corea  (esse  stata  co- 
nosciuta dagli  Europei.  Ma  sino  al  1880  circa  quel 
regno  fu  completamente  precluso  agli  stranieri:  nes- 
suno poteva  entrarvi;  chi  l'avesse  tentato  sarebbe 
andato  incontro  a  morte  certa.  Xel  1865  il  padre 
del  re  presente  fece  trucidare  nel  modo  più  orribile 
nari  francesi  e  duemila  indigeni  convertiti 
al  cristianesimo.  lidia  penisola  non  si  conoscevano 
se  non  le  coste,  e  queste  non  erano  molto  attraenti. 
L'autore  dell'articolo,  la  prima  volta  che  approdò 


n^'f 

W  w  ]  'à 

■■  vivi 

S 

ffl 

HHv     ^JP 

Il  re  di  Corea. 


'ne  di 


sulla  terra  coreana  da  una  nave  giapp'  tem- 

po della  guerra  con  la  Cina,  fu  stupito  dalla  deso- 
lazione della  costa,  spoglia  di  case  e  di  vegetazioni, 
nuda  e  deserta. 


Ma  non  sempre  fu  così.  Nei  secoli  andati  il  po- 
polo coreano  fu  civile,  non  inferiore  al  cinese.  I 
Giapponesi  hanno  .ip]  reso  dai  loro  vicini  cureani 
molte  delle  arti  loro  più  importanti)  la  stampa,  la 
fabbricazione  della  porcellana  e  della  carta,  ecc. 
Tra  la  Cina,  la  Corea  ed  il  Giappone  inti  rcedevano 
vive  e  costanti  comunicazioni  marittime  e  commer- 
ciali, tinche  l'invasione  della  bellicosa  razza  man- 
ina in  Cina  mise  termine  a  questa  prosperità.  Le 
schiere  audaci,  condotte  dagli  antenati  degli  attuali 
governanti  della  Cina,  conquistarono  l'Impero  di 
\1  '  .  1-  ii  Re  'he  dominava  allora  sulla  Corea,  te- 
memi. >  ugual  sorte  dC  si;-,  paese,  non  si  contentò 
di  cingere  il  su.,  regno,  lungo  il  contine  mancese, 
di  un  muraglia  che  era  coinè  un'edizione  mi- 

glia della  Cina,  ma  volle  an- 
che  .In-  al  confine  stesso,  su  una  stns.-ia  di  terra 
larga  molti  chilometri,  si   facesse  il  deserto  radendo 


DALLE    RIVISTE 


al  suolo  città  e  villaggi  e  traendo  via  gli  abitanti. 
Oltre  a  ciò  si  distrussero  tutti  gli  abitati  lungo  le 
coste,  e  questi  provvedimenti  furono  mantenuti  se- 


T89 

Il  re  attuale  del  paese  è  uom<    •  '•  U>le.  completa- 
mente (luminato,  sino  alla  guerra,   dalle  mi  gli,     a 
gli  eunuchi,  dai  preti  e  dai  mandarini,  che  lo  tene- 


Porta  occidentale  di  Seul  e  case  della  città. 


Nel  ministero  delle  finanze. 


veramente  sino  una  ventina  d'anni  or  sono.  La  Co- 
rea fu,  con  queste  misure  di  isolamento,  salvata  da 
qualsiasi  invasione  ;  ma  per  oonverso  il  popolo,  op- 
presso e  sfruttato  da  mandarini  rapaci,  retrocesse 
in  uno  stato  di  barbarie. 


vano  in  uno  stato  di  isolamento  assoluto,  n    riti 
Provincie  erano  mal  governate  dalla  nobiltà.   I  man 
danni   non  potevano  tenere  un  governo  più  di 
anni  :  e  in  quel  breve  periodo  rubavano  a  man  salva 
per  sé  e  per  gli  amici,  pel  presente  e  per  l'avvenire. 


l'I' 


LA    LETTURA 


l'i  :  ,  il  popolo,  misi  to,  non  si  cui 

i   i  :  .11  he  i'i"  .'il" 
chin .  i  ]vn>  at,>  dove> ani ■  poi  essere 

rubate  dal  pi  tente?  Pei  nobili,  il  lavi 

-.1  indegna    Li    vìe  i  rano  in  uno  stati 

.    lue  giorni  eli  distanza  dalli 
rivano    i  porti         l'Estri  mo   <  • 

iasi  iare  'I   suo    pa 
i  88  i   fu  i"  rmi  ssi  ■  agli    F  un  pei   'li  ri- 
ir  pari  i  del  n 


L'i       re  che  ^  apitale  Seul,  dice  che  sino 

m    tem]  eri i    templi,  né 

riè  teatri,  i  alberghi,  né  inumi- 

le vie,  ii  ■  acquedotti,  né  Pognatun  . 
menti-:  la  città  era  un  ammasso  'li  capanne  orri 
bili  ra  un.  po'  consii 

voice  la  muraglia  che    i  i    ne  impedisce 

l'espansii  n      1   -  pi  rte  si  chiudpno  al  tramonto  e  si 
aprono  all'alba.  La  m  tte  nessuno  può  uscire. 

induce  al  palazzo  reale  é  Gancheg 
ruzii  ni  che  l'autore,  vedendi  le,  aveva 
Ile    reali.     Erano    i    ministeri!    Entra 
H        Waj  ■  i   minisi  ri  fìanchegi 

dai  loro  impiegati,  se, in  i  unente  '-"1  cappello 
la  pi]  a  in  bocca.  Se  quei  rispettabili  fun- 
zionari debbono  sci  nza  abbandonare  la  pipa 
pn  ndono  il  p  racciam  sulla  carta  stesa 
al  suolo  i  caratteri  cinesi,  poiché  la  lingua  ufficiale 
della  '    rea  i    il  cinese. 

I  mandarini  e  gli  ufficiali  non  vanno  mai  a  piedi. 
Andare  a  piedi  per  uno  di  quei  signori  sarchile  ta 

quanto  lo  sarebbe  per  un  ufficiale  eu- 
ire  scalzo  per  la  strada. 

II  corteo  di  un  generale  coreano  merita  d'essei 
viste  Pri  raldi  recanti  in  cima  a  lun- 
ghe aste  dui  tavole  su  ui  critto:  «  Pare  »,  e 
«  Lasciate  libero  il    passo  »     Seguono:    un   impu 

lo  in  mezzo  alla  strada,  reca  una  borsa 
■Imitici   biglietti  ili   visita  del  ge- 
nerale;  una  guardia  del  corpo  di  dodici  uomini  ar- 
di fucili,  comandati  da  due  sotto-ufficiali  e  ac- 
pagnati  da  due   tri  mbetl  eri  ;   e  .  in    mezzo  ad 
il  generale  a  cavallo  d'un  pieci,,  ,„  ney,  e  as- 
o  da    un    palafreniere  che  tiene  il  cavallo  a 
maini  e  un  altro  chi  i     '•'  me  dell'ec- 

celso signore  per  ricéverne  gli   ordini. 


In  pochi  paesi  le  donne  sono  cesi  poco  conside- 
1  '■  i        l   ivorano  da   mattina  a  ni  tte 


Coreana  in  abito  da  strada. 

avanzata,  mentre  gli  uomini  oziano.  Sono  vere  schia 

ve,   relegate  nelle   stanze  più    remote,    isolate 
giunta,  perché  trattami  poco  con  gli  uomini,  ed  anzi 
le  sorelle   non    possono  trattare   affatto  coi    fratelli. 
Tutto  questo,  per  altro,  col   tempo  muterà.  Già 
i  Giapponesi,  nel  breve  periodo  di  tempo  che  res 

Sera  praticamente    il    paese  do] 

del  giovine  re.  seppero  spingere  la  Corea  sulla  via 
della  modernità,  ed  i  Russi  continuano  ora  alacre- 
mente l'opera  loro.  Seul  ha  fatto  progressi  enormi; 

•    mmerCJO  è  aumentato;    lo  Stato  non  ha  |  iù  i li- 
biti, anzi  |"  ssiede  fondi  cu  cui  potrà  provvedere 
i  ferri  vie,  poste,  telegrafi.  Il  re  ha  un  palazzo  i 
cente  e  il  Governo  anche. 

Ma  Giappone  e  Russia  si  contendono  la  supre 
mazia  sul  ugno  riformato,  e  la  sua  sorte  probabil- 
mente  non  sarà   doisa    senza  gravi   lotte. 


I   il  ma  del    re  di   ('orca. 


DALLE    RIVISTI 


IQl 


Iie  bizzarre  forme 

de'  fioeehi  di  neve 


Da    uno    studio    di    Schenkling 

Gai  li  n  i. 


Prevot,    nel    Haus-Hq) 


La  formazione  della  neve  si  basa  sulla 

tri  corpi  nel   mo 


La  neve  non  è  pertanto  che  del  vapore  acqueo, 
gelato  in  una  data  forma,  Ogni  fiocco  di  neve, 
che  cade,  forma  un  corpo  chiuso  in  sé  stesso,  mia 
figura  regolare  e  leggiadra,  più  o  meno  complicata 
e  costituita  da  una  grande  quantità  di  piccoli  cri- 
stalli a  forma  d'ago. 

l'i  r  pianto  però  si  sottopongano  a  |  aziente  disa- 
mina questi  cristalli  sempre  vi  si  troverà  prevalente 
la  stessa  idra,  sempre  la  stessa  forma  fondamentale: 
Questa  forma  .'•  il  si  i  ed  appai      ni  cdo 


'  & 


. 


mento  in  cui  dallo  stato  liquido  passano  a  quello 
solido.  Ed  è  la  legge  della  cristallizzazione,  questa 
attività  misteriosa  e  magica ,  che  improvvisa ,  in 
ir.en  che  non  si  dica,  la  sua  creazione  e  manifesta 
tutta  la  sua  influenza  nell'aria  imeni  ile.  Onesta 
legge,  che  mira  quasi  esclusivamente  a  delle  I 
diritte,  impone  alla  parcella  vaporosa  dell'aria  di 
assumere,  congelandosi,  una  determinata  forma. 
Quando  ciò  è  avvenuto  i  nuovi  corpicini  cadono: 
nevica  ! 


le  espressioni   della  cristallografia,   al   sisti 

ad  asse  unica  o  ad  asse  triplice.  Per  ren- 
ili ni  facilmente  intelligibile,  caro  lettore,  qui  >to  vo 
cabolo  tecnico,    ti 

congiungi  gli  angoli  delle  figure  con  tre  linee  dii 
correnti  attraverso  il  punto  centrale.  In  questo  pun 
tu  configgi  j"     mi"  spillo,  che  formerà   la-M-  prin- 
pale  mentre  le  tre  linee  diritte  formeranno   le    i 
secondarie.  Cosi,  senza  saperlo,  hai  fatto  tanto  une 
Studio    '-rista:  quanto     uno     studio     della 


IQ2 


LA    1.1.  Il 


i.i  figura  forma  la  base  ili  rutti  i 
cristalli  nevosi  (Ili  svariatissimi  modi  cori  cui  però 
i  cristalli  od  aghi  di  ghiaccia,  sottilissimi  e  spesso 
distinguibili  soltanto  .il  microscopio,  si  formano  e 
sformano  lung  ridane,  danno  alla  pie- 

varia  assai,  ma  sempre 
.  nuno  può  fare 
l'inverno  del  1845-46,  per  esempio,  il  cuoco  di  Corte, 
1-  rat"-<  -      l<<    'li   1  Dresda,  non 

meno  di  iu»  varie  torme  ili  cristalli  ili  neve  e  l'in- 
resby,  or  mt'anni,  ne  scoperse  nel 

Mar  Glaciale  un  numero  anche  maggiore. 

stalli  della  neve,  in  una  dal  •■■  non 

si  >n<>  mai  —  questo  è  certo  —  identici  l'uno  all'al- 
Certo  è    i*.-r.'>.   d'altro  canto,  che   scino  simili, 
onde  se  ne  trac  la  conseguei  condizi  .ni  del- 

l'aria d<!  prevalentemente  unifor- 

mi in  quelle  date  nevicate.  E  poiché  è  positivo  che, 


nto  della»  u  mperatura,  anche 
dei  fiocchi  ili   neve  si  mutano,  sembra   provato  che 
il  grado  ili  calore  esercita  una  e 
sulla  loro   formazione.  Quali  altri  fattori   —  oltre 
il  contenuto  di  vapore,  il  grado  ili  calore  e  la  mobi- 
lità dell'aria  —  sieno  in  giuoco,    difficilmente  può 
dirsi  ;   certo  anche  l'elettricità   v'ha  la  sua  parte. 
Dobbiamo,   d'altronde,   distinguere    i    fiocchi    di 
dai  cristalli  di  neve.  1  primi  formano  la  mag- 
gioranza perchè  i  metalli,  liquefacendosi  alla  su] 
fide,  si  appendono  o  s'intrecciano  gli  uni  agli  altri. 
Perciò  quando  il  freddo  è  poco   intenso,  ved 
dei  fiocchi  di  neve  anche  della  grandezza  d'un  uovo 
di   colombo,    mentre,   quando    il    freddo  è   più   rigo- 
roso, vediamo  de'  singoli  e  staccati  cristalli  di  1 
molto  asciutti  e  bene    delineati,   che   cadono 
lentamente,  aggirandosi  su  sé  stessi  e  ci  colpiscono 
in  volto  come  acuti  spilli... 


m&&^r<^~ 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore. 


Milai  -   Tip.  'lei  della  Sera. 


Galluzzi  Giovanni,  j,r<r,ntc  responsabile. 


tAlSi-!-(cS    li  lui 

TOSSI 


TOSSI  ,_      _.  CATARRI 


35  anni 


successo 


IL     MIGLIORE     DEI     RIMEDII 

CONTRO     LE 


JL   -^cf^ 


preferito  agli  altri 

per  la  costante  efficacia,  il  gusto  squisito 

e  la  più  assoluta  innocuità 


~25S~ 


ESTRATTO  PANEHAJ 

DI  CATRAME   PURIFICATO 

Gusto  gradevole  •-  Massima  tollerabilità  -•  Effetto  sicuro 

sono  i  pregi  di  questo  prodotto  che  lo  fanno  raccomandato  dai  medici, 
gradito   dai  pazienti,  in  tutte  le  forme  catarrali  acute  e  croniche. 

I  prodotti  PANERAJ  si  vendono  in  tutte  le  bnone  Farmaci 


Opuscoli  «gratti  richiesti  al  Premiato  Laboratorio  Dott.  ENRICO   lANSEL   A  C.   mooaisar     di  0    PANfcfUi 

Livorno     IToaoana). 


kl 


lr\ 


ES^gVv  PS&ffià 


Stampato  completamente  eolla  macchina  a  Fnlrrnr  -  NEIJIOLO  e  C.  -  TORINO  -  Milano  -  Genova. 


Un   fanciullo   eroe 


(Traduzione  di  ROBERTO  FAVA) 


i.  allora  undici  anni  all'indica. 
Nel  mese  ili  luglio  ebbi  da'  miei  genitori  il  per- 
uidai  .1  ['.issare  un  po'  ili  tempo  presso  il 

nnstro  parente  T.    W ,  in   un   villaggio  vicino   a 

a. 
Trovai  in  quella  rasa  una  cinquantina  d'invitati... 
■  ntai.  ma  forse  erano  anche  'li  più.  Si  fa- 
colà  una  vita  allegra  e  rumori  sa.   Pareva  una 
i  senza  fine.  Probabilmente  il  nostro  ospite  si 
proposto  ili  dar  fondo  il  più  presto  possibile  a 
tutta   la  sua  immensa  sostanza:   e  vi    riuscì,  poiché 
non  .  ni  tempo  che  se  n'era  andato  sin  l'ul- 

timo solilo.  Ail  ogni  istante  giungevano  nuovi  fore- 
stieri. Mosca  era  vicinissima,  talché  quelli  che  par- 
tivano non  facevano  che  lasciare  il  posto  ad  altri 
invitati  e  le  feste  si  seguivano  senza  interruzione. 
Ogni  giorno  erano  nuovi  divertimenti:  escursioni  a 
cavallo  nei  dintorni,  passeggiate  pei  boschi  e  lungo 
i  fiumi,  partite  di  caccia,  pranzi  sui  prati  e  cene  sul- 
la grande  terrazza  della  casa,  la  quale  era  circon- 
da una  triplice  fila  di  piante  di  fiori  preziosi,  che 
impregnavano  l'aria  della  notte  dei  loro  acuti  pro- 
fumi. Le  signore,  che  per  la  più  parte  erano  belle, 
acquistavano  anco  maggior  fascino  dalla  luce  abba- 
gliante della  terrazza,  coi  loro  volti  eccitati  dagli 
nimenti  della  giornata,  coi  loro  occhi  scintil- 
lanti. S'udivano  parole  scherzevoli  frammiste  a  risa 
'ine.  si  ballava,  si  suonava,  si  cantava.  Quando 
il  cielo  si  oscurava  e  si  faceva  minaccioso,  si  forma- 
vano quadri  viventi,  si  scioglievano  sciarade  ed  enig- 
mi e  si  rappn  si  stavano  persino  |  riduzioni  teatrali. 
Alcuni  declamavano,  altri  raccontavano  storielle  ed 
anedd  A  i  d'i  igni  sorta. 

Fra  gli  ospiti  ve  n'erano  alami   che  attiravano  su 
'■■  tutti.  Naturalmente  non  manca- 
vano ne  le  calunnie  né  le  esagerazioni,  poiché  senza 
>e  il  mondi >  i  i       ti  re,  mi  n 

milioni   d'uomini  come  le  mosche.  Sii 
nmi  avevo  allora  che  undici  anni  e  la  mia  atti  -n. 
era  attratta  da  tutt'altre  cose,  non  osservavo  minu- 
iianto  accadeva  e,  se  anche  osservavo  qual- 
che o  sa,  non  \  edevo  tutto.  Solo  più  tardi  ho  riflet- 
ti! qui  I  ti  mpi  i  non  mi  po' èva  far 
hi   I:    parte  risplendente  del  quadro  — 
dorè,  quel    ru- 
more, tutte  queste  ciwe,  ch'io  sino  allora  non  li- 
mai .  mi  stordirono  talmi   i        b 
-prnii  giorni  mi  sentii  del  tutto  e  la  mia 
pili-.  ■ 

Ma   o  ra    i  nti  •  tutto  coi  -  i  di  \\\\  fai 

lo  di  undici  anni:  e  senza  dubbio   io  era  allora  un 


fanciullo,  null'altro  che  un  fanciullo.  Molte  di  quelle 
signore,  accarezzandomi,  non  pensavano  neppure  a 
tener  conto  della  mia  età.  Cosa  strana  però!  Un 
•  ito  sentimento  che  io  stesso  non  riuscivo  a  com- 
prendere sera  impadronito  di  me:  qualche  cosa  di 
nuovo  sino  allora  incominciò  ad  agitarmi  il  cuore, 
il  quale  perciò  batteva  sovente  come  in  preda  a 
terrore,  mentre  il  volto  si  copriva  d'un  subito  ros- 
-  ire.  Talora  mi  vergognavo  e  mi  sentivo  offeso  dei 
privilegi  che  mi  si  accordavano  per  la  mia  età  fan- 
ciullesca. Altre  volte  rimanevo  come  su  rdito  e  mi 
nascondevo  in  qualche  luogo,  dove  nessuno  potesse 
scorgermi,  per  rimettermi  e  per  richiamare  alla  me- 
moria qualche  cosa  che  mi  pareva  di  aver  rammen- 
tato benissimo  sino  a  quell'istante  ma  che  m'era  sfug- 
gito d'improvviso  dalla  mente.  Altre  volte  ancora  mi 
pareva  di  nascondere  qualche  cosa  agli  occhi  di  tutti 
e  per  nessuna  cosa  al  mondo  avrei  voluto  dirne  una 
sola  parola,  perchè  essendo  un  piccolo  fanciullo  ne 
avrei  avuto  vergogna  sino  alle  lagrime.  In  breve 
giunsi  a  sentirmi  come  in  una  specie  di  solitudine, 
in  mezzo  al  rumore  che  mi  circondava.  Eranvi  altri 
fanciulli,  ma  tutti  erano  o  più  piccoli  o  più  grandi 
ili  me:  d'altra  l'arte,  non  li  desideravo.  Certo  è  che 
non  mi  sarebbe  accaduto  ciò  che  mi  accadde,  se  a- 
vessi  avuto  colà  dei  compagni  di  giuoco  della  mia 
età. 

Agli  occhi  di  tutte  quelle  belle  signore,  io  era  an- 
cora un  piccolo  essere  impersonale,  con  cui  ama- 
vano qualche  volta  d'intrattenersi  e  con  cui  si  po- 
teva giuncare,  come  si  usa  con  un  bamboccio,  Spe- 
cialmente una  di  esse,  una  bionda  incantevole, 
una  ricca  e  folta  capigliatura  quale  non  avevo  mai 
veduto  e  liliale  non  ■ ',  più.  pareva  avesse  giu- 

rato di  non  lasciarmi  in  pace.  Il  riso  provocato  dalle 
sue  monellerie  la  rallegrava:  io  invece  ne  rimanevo 
impacciato  e  confuso.  In  collegio,  le  compagne  l'a- 
vranno chiamata  certamente  «  la  mariuola  ».  Era 
maravigliosamente  bella  e  nella  sua  bellezza  eravi 
qualche  cosa  che  risaltava  agli  occhi  al  primo  ve- 
derla. Naturalmente  .essa  non  aveva  nulla  di  comune 

con    quelle    bionde    piccole,    timide,    molli     come    la 
piuma.  Non  era  di  statura   molto  alta,  né  di  grossa 
corporatura,   ma   aveva    lineamenti    fini    di    un   d 
gni  '    mai  -  -     i    nella   sua    figura    qua 

che  ti   faceva   l'impressione  del  luccicare  dei 

lampi:    tutto  in  lei  era  fuOCO  e  vaia.   1   suoi  occhi  pa- 

o  mandare  scintille:  risplendevano  come  dia- 
manti. A  nessun  prezzo  avrei  cambiato  quegli  splen- 
didi occhi  azzurri  con  altri  neri,  fossero  pure  più 
neri  dei  più  neri  occhi  delle  andaluse.  La  mia  bion- 


R.  BEMPORAD  &  FIGLIO  -  Librai-Editori 

FIRENZE  —  Via  del  Proconsolo,  7  —  FIRENZE 
Nuove  pubblicazioni. 

CARLO  PALADINI 


LE  AVVENTURE  DI  TIII  TIII  E  DI  GIANFUTOTO 

e  ditti  racconti  cinesi  per  i  giovinetti 

Splendido  volume  in-8°  illustrato  da  G.  G.  Bruno.  Ih  brochure  L.  3.50,  legato  L.   5. 


YORICK 


IL 


Liitfo  delle  Fate 

di  G.  PERRAULT 

tradotto 

ad  uso  dei  bambini  burnii 

pubblicato  a  cura 

di 

YORICKSON 

e  illustrato  splendidamente 
da 

EUGENIO  CECCOXI 


ALBERTO  CIOCI 
(autore  di   lucignolo,  ecc.) 


Un  volume  in-8  L.  2.  legato  L.  3,50 


M     ^   500  Vignette 

1.  "PREZZO  L.2l\l  LEGATO 

\jNN$PEN^BILElF0FIREHZE 


LIBRO    PER  I   RAGAZZI 


Illustrato 

da 

G  E  re  T  y 


Un  voi.  i n-1  fi»  (Coli,  Azzurra) 

Prezzo   L.  2,   legato   L.  3 


GIUSEPPE     CONTI 
(autore  di  Firenze    Vecchia) 


Fatti  e  aneddoti  di  Storia  Fiorentina 

(SECOLI     XIII-XVIII) 

Splendido  volume  in-8'  eon  97  illustrazioni 

Prezzo:  Lire  ì>  —  Legato  elegantemente      ....       Lire   <>.."><> 


PROF.  ENRICO  KLINGER 


NEL     PAESE     DEI     GRIGIONI 

con    numerose   fototipie 
Elegante  volume:  —  Prezzo Lire  3 


Dirigere  commissioni  e  cartoline-vaglia  agli  Editori  R.  BEMPORAD  &  FIGLIO  -  FIRENZE 


Il 


I  N    I  ANI  II  I  1.'  i    EROI 


da  poi  lo  porsi  a  pari  di  quelle  brune 

,-.\\ì-.  valente  pittore,   il  quale  ha 

j^ì ti r.i t . •  m-'   -i  che  sarebbe   pronto  a  rom 

|htsì  il  collo  pur  che  gli  si  permettesse  'li  to 

del  'In"  li 
giungere  che  sebbene  la  mia  bella   lussi-  maritata 
nque  anni,  pareva  la  più  allegra  ili  tutte  i 
,u..  riso  da  pazrarel  i  era  a     u  ne  una 

ribina.  Quando  rideva,  le  sue  labbra    parevano 
una  l  che  ha  dischiuso  appena  il  bocciuolc 

.  purpureo,  esalante  soavi  profumi,  al   primo 
che  è  irrorata  ancora  ili  fresche 
rugiada. 
Mi  rio  rdo  che  il  giorno  appresso  alla  mia  venuta 
si  rappresentò  una  commedia.    La  sala  era  piena, 
non  v'era  neppure  >ui  posto  vuoto,  io  aveva  ritar- 
dato e  dovetti  star  in  piedi.    La  commedia  era  al- 
legra e  m'interessava.  Mi  Feci  più  dappresso  al  pai- 
o  e  senza  accorgermene  mi  spinsi   fino  alle 
prime  file,  dove  mi  fermai   presso  alla  sedia  di  una 
signora.  Fra  la  mia  bionda,  cui  però  non  conoscevo 
ancora.  E  caddi  in  estasi  alla  vista  delle  sue  spalie 
maravigli*  se,  rotonde,  incantevolmente  belle,  piene 
me  una  cascata  di  neve,  sebbene  allora 
avrebbe  dovuto  essermi  del  tutto  indifferente  il  guar- 
dare di  una  bella  donna  o  il  cappello  guer- 
nito  di  nastri  rossi  ohe  copriva  i  capelli  grigi  di  una 
riama  venerabile  seduta   in  prima    fila.  Vicino  alla 
mia  bionda  stava  una  ragazza  matura,  una  di  quelle 
che,  come  ebbi  occasione  di. osservare  più  tardi,  si 
pongono  d'ordinario  presso  a  donne  giovani  e  belie, 
perchè  attorno  a  queste  suole  aggrupparsi   la  gio- 
ventù. 

Ma  ciò  non  importa.  La  ragazza,  appena  si  fu 
accorta  ch'io  osservavo  la  sua  vicina,  si  volse  a  que- 
sta e  sorridendo  le  sussurrò  alcune  parole  alt'oiec- 
chio.  La  bella  bionda  guardò  tosto  dalla  mia  pare, 
e  nella  semi-oscurità   della  sala,  lo  ricordo  co-ri'.-  se 

■  adesso,  i  suoi  occhi  mi  fulminarono,  sì  ch'io 
tremai  quasi  spaventato.  Quella  maravigliosa  ciea- 
tura  sorrise. 

—  Ti  piace  la  commedia?  —  mi  chiese  essa  con 
aria  tra  maliziosa  e  canzonatoria. 

—  Sì,  —  risposi   guardandola  con  una  ammira- 
rli" probabilmente  le  faceva  piacere. 

M  .  tal  in  piedi?  Ti  stancherai.   Non 

uno,    -       io    ris|«isi,    incantato   niù   della 
premura  ch'ella  si  prendeva  per  me  che  de'  suoi  or> 
intillanti.    Sentivo  una  vera  felicità  d'aver   fi- 
nalmente trovato  un'anima  buona,  con  cui  poter  di- 
le  mie  pene. 
1 1  la  ogni  parte,  ma  tutte  le 

-paté  —  aggiunsi  poscia,  come  ramma- 
■  'ni  con  lei  di  non   poter  trovare  un  posto. 

—  Vieni  qui         disse  con   vivacità   la  bella  si 

sempre  pronta  a  dare  esecuz 
ad  i  :  pass  asse  pel  capo.       N 

qui  e  siedi  sulle  ni  a   aia  ! 

ripetei  io  sorpreso. 
H        i  detto  che  i  privilegi  che  mi  si  aco  'rilavano 
per   riguardo  alla  mia   età   fanciullesca    incomincia- 

■  ad  offendermi  e  f  .unente  vergognare. 


Ma   quella  signora,  per  ridersi  di  me,  mi  prodi 
tali    privilegi  ancor  più  ostensibilmente  che  le  altre. 
<  due  di  questo,  io  che  a  casa  era  stato  sempre  un 

//<>  timido  e  ritroso,  incominciavo  a  farmi 
ci.iio  al  coiii.uto  ili  tutte  quelle  signore  e  fui  pi 
ila  una  mal  dissimulata  stizza  alla  proposta  lattami 
dalla  bionda  dama. 

—  Sì,   sulle  ginocchia  !    Perchè  non  vuoi    si 
sulle  mie   ginocchia?  —  continuò   ella  con  ostina- 
zione   i  a  ridi  re  sempre  piii  forte.    Sa    Iddio 
perchè  rideva  '.   Rideva  forse  della  sua  idea  o  della 
mia   stizza?    Lo    ignoro!... 

Io  arrossii  e,  nel  mio  smarrimento,  mi  diedi  a 
care  collo  sguardo  un  lui  go  dove  naso  ndi  rmi 

mi    prevenne.   Senza    che  me  n'a  .    mi 

prese  per  una  mano,  sì  ch'io  non  potevo  più  fuggire, 
e  me  la  strinse  fra  le  su.  dita  ardenti  e  tiranniche  e 
incominciò  a  torcermela  producendomi  un  dolore 
così  acuto,  ch'io  fui  costretto  a  piegarmi  nel  modo 
più  ridicolo  e  a  raccogliere  tutte  le  mie  forze  per 
non  mettermi  a  gridare.  Facendo  questo  io  mi  sen- 
tivo confuso,  stizzito,  persino  spaventato.  Non  po- 
tevo capacitarmi  come  esistano  simili  dame  strambe 
che  —  Dio  sa  il  perchè  —  si  divertono  a  dire  a  dei 
ragazzi,  e  ancora  in  presenza  di  tutti,  sciocchezze  di 
tal  genere  e  a  torcere  loro  le  mani.  11  mio  volto  espri- 
meva probabilmente  tutto  il  risentimento  che  mi 
bolliva  nell'animo,  poiché  la  strana  signora  rideva 
come  una  pazza  e  mi  dava  dei  pizzicotti  e  mi  rom- 
peva le  mie  povere  dita.  Essa  non  capiva  più  nella 
pelle  dal  piacere  di  essere  riescita  a  fare  una  mr  ind- 
iata, a  far  stizzire  un  povero  ragazzo  e  a  prendersi 
gioco  di  lui,  per  quanto  era  in  suo  potere,  natural- 
mente. 

La  mia  condizione  era  delle  più  deplorevoli.  Da 
principio  mi  sentivo  vergognato  perchè  tutti  si  erano 
voltati   verso   di    noi,    alcuni    maravigliati,    altri    ri- 
dendo, giacche  avevano  subito  compreso  che  la  lidia 
dama  ne  aveva  fatto  una  delle  sue.  Ma  nello  si 
tempo  mi   veniva  da   gridare   forti     perchè  essa  mi 
stringeva    le    dita   furiosamente,  quasi  si   fosse  ap- 
punto proposta  di    tanni  strillare.  Io  però  mi  si 
zavo  di  sopportale  d  dolore  con  sti  icismo  spanano, 
temendo  che  le  mie   grida  producessero   panico  nei 
presenti  e  disturbassero  la  rappresentazii  ne.  Ad  un 
dato  ni' un  ut. i  mi  sentii  preso  da  vera  disperazione 
e  incominciai  a  lottare  con  tutte  le  forze  colla  mia 
persecutrice  per  liberarmi  dalle  sue  mani  ;  ma  i  ssa 
era  molto  più  forte  di   me.    Finalmente  non  pi 
più   trattenermi   ed  emisi   un   grido    Era   questo  lin- 
eila  aspettava.   Mi    lasciò  tosto  libere  le  mani    i 
voltò  come  se  nulla  fosse  acca     ito,  i    mi    non   fi 
stata   lei,  ma  qualcun   altro,  a  tormentarmi.   Il  suo 
contegno   somigliava  a  quello  di    uno   scolaro  che, 
profittando  del  momento  in  cui  il  maestro  gli  v 
le  spalle,  distribuisce  pizzio  Iti  piccoli 

boli,  dà  un  colpo  di  gomito  al  vie-ino  ed  ha  già 
ripreso  la  posizione  dell'alunno  diligente,  curvo  sul 
libro   ;i    studiare   la    lezione,   quando   il   maestro,   ii- 
•  rumore,  si  vi  Ita  infuriato. 

Per  mia  Sorte,  pero,  in  quel  momento  l'attenzione 

ili  tutti  era  attratta  dalla  recitazione  magistrale  del 
pite,  che  rappresentava  la  parte  principale 


rer   punre  i  meiaiu  aaoperaTe  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FR1TZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata:    «  Globo   sopra   fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro    fornitore    vo 
darvi  altra  marca. 


Vendita  esclusiva  all'ingrosso:  »drA.X  X^*«A.JV1C  -  MILANO. 


PELI  0  LANUGGINE 

COI  DEPILENO,  Depilatorio  inno 
rhaave.  FUcone  con  istruzione  L.  3 

CAPELLI  NERI  B 


del    viso    e    del 
corpo   sparisco- 
no   per    sempre 
Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
on  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


ACQUA  CELESTE 

ORIENTALE  ,  tintura 
itanpa,  che  si  applica 
Ogni  20  giorni  si  può  dare  ai  capclii  bianchi  0  grigi  o 
alla  barba  quella  tinta  naturale  che  più  pì  desidera.  E' 
affatto  innocua.  —  Flacone  L.  2.50  (franco  L.  3.10). 


CALLI 


duri  ni.  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  console  poche  appli- 
cazioni dell  infallibile  Callifugo    COBHA- 
ItrNE.  Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30). 

Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 

OFFICINA  CHIMICA  DELL  AQUILA 


SORDITÀ 

Boccetta  !..  1.75  ' 

SI  DIMAGRISCE  ì 

TRO  L  OBESI 

curo  effetto  e  se 
dipe,  sono  pure 
stitichezza,  emoi 
scolo  sniegativo. 

GRATIS 


E  MALI   D'  ORECCHIO   Bj    ^icir 

scono    usando   il    li  Dimenio    acusilc 
UDITIUA  del  dottor  W.   T.  Adair. 
Boccetta  L  1.75  (fren^o  L    2).  Istruzione  gratis. 

n  poche  settimanepren- 
dendo   ogni    giorno    al- 
cune PILLOLE  CON- 
TRO L  OBESITÀ'  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  incoiivcnienti.  Oltre  distruggere  l'a- 
dipe, sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi    digestivi, 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  Gratis  opu- 
olo  sniegativo.  L.  4.50lascatolaiL.4.75  franco  di  porto. 
IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.   Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati* 
—  Guida  per  le  famiglio.  —  52  pag.  Il- 
lustrato, si  spedisco  a  chiunqne  dietro  invio  di   semplice 
carta  da  visita  colle  iniziali  M.  S.  S. 


IVI  IT.,  A.  IVO 

Via  S.  Calocero.  25 


Volete  digerir  bene  f? 


FERRO  CHINA  BISLERI 

RICOSTITUENTE  BEL  SANGl'E 

Sono  lieto  di  poter  dichiarare  —  scrive  il  chiaro  prof.  L.  Vanni  della  R.  Univer- 
sità di  Modena  —  che  avendo  avuto  più  volte  occasione  di  sperimentare  il  FERRO 
CHINA  BISLERI  ne  constatai  in  notevolissimi  vantaggi  come  liquore  eupeptico  e 
tonico. 

P.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


mmww.M  »■#> 


VINO    MARCEAU 

Premiafo  con  Grande  Diploma  d'Onore  e  Grande  Medaglia  d  Argento 
Guarisce:  Scrofola  —  Rachitide  —  Dermatosi  —  Cloro- 
anemia  —  Tubercolosi  iniziale.  Ottimo  ricostituente  nelle 
malattie  nervose  ed  esaurienti  e  nelle  lunghe  convale 
di  malattie  infettive.  —  Preparato  chimico  nuovissimo  del 
Prof.  D.  L.  Seryent,  Treviglio.  In  Milano,  presso  la  far- 
macia C.  Erba.  Zambeletti.  Biancardi  e  C.  -  L.  2  al  tlac. 


*ft  .-'i*^'' 


N&-- 


>"UX 


-&• 


<t£t*  r^n  "$n  **&* 


TUTTI  VINI     -'conservano  ottima- 

IU111     1     Hill    niente  applicando  fa- 
cilmente sul  coc<  binine  delle  botti  messe  a 
mano     il     solo     PREMIATO     FILTRO 
FRATTINZ,  depuratore  dell'aria  entrante 
mila  l")ttf.  altrimenti   generatrice  dell'A- 
ddo   e  dei  Fiori.  y 
l'er  botti  sino  a    600  litri  L.  5  >  franco  nel 
,        ,     -  500U     .     "IO'     ttegno. 
si  v.-nde  ovunque.  Chioderò  con  biglietto 
■     Ita  opuscolo  illusi r.  gratis  ai  soli  fabb. 
LAZZAR  X  MARCON  -  Treviso 

30,  Via  Palestre 


Ili 


l  \    I  ANI  III  LO    El 


urli  una   commedia    |ualunque  'li 

!>e. 
Tutti  applaudivano  ed  I   mó 

nell'angolo  più  ascoso  della 
dietro  ad  una  colonna,  guardavo  con  un  senso  quasi 
■  li  spavento  il  punto  d  duta   la  strana   si- 

mi  imi. iva  seni] 
il  fa  alle  labbra.  E  seguitò  :i  lungo  a  cei 

carni  sguardi   scrutatori  per  tutti  gli  angoli: 

<-\  idi  i    le  rincn  i  i  stupida 

lotta   fi  sse  termin  ito  e  pi  nsa 

..lira  pazzarella 
(  !osì  incominciammo  a  o  ini  i  la  qui  Ila    i  ra 

m  mi  lasciò  più  in  pace. 
Mi    perseguitava,   mi  martoriava,   mi   tirani 

i.i  misura  e  senza  alcuna  compassione. 
Mi    (  uesto  tiro  birbone:  ili  mostrarsi  inna- 

morata pazza  'li  me  per  mettermi  in  ridicolo.  Ciò 
naturalmente  mi  stizziva  e  mj  faceva  arrabbiare  sino 
a  piangerne.  Talvolta  la  mia  situazione  era  rosi  di- 
sperata, che  mi  veniva  voglia  di  battermi  colla  mia 
scaltra  adoratrice.  11  mio  ingenuo  imbarazzo  e  la 
mia  ino  vieppiù  stuzzicare  la  bella 

dama  a  tormentarmi.  Era  addirittura  senza  miseri- 
cordia  ed  io  non  sapeva  come  sfuggirle.  Il  riso  che 
scoppiava  d'ordinario  intorno  a  noi  e  ch'essa  sa- 
provocare  cosi  bene,  l'incoraggiava  a  nuove 
pazzie.  I*a  ultimo  i  simi  scherzi  aveano  incomin- 
ciato ai  1  eccedere  i  limiti  del  convenevole.  Come  mi 
ira,  essa  si  permetteva  troppo  con  un  ra- 
gazzi ti ii  com'ero  io  in  quel  tempo. 

M  i     osi  era  la  sua  natura.   Seppi  in  seguito  che 
era  il  marito  suo  che  la  guastava  <, >n  soverchie  ca- 
rezze —  un  uomo  grasso  e  tozzo,  con  una  faccia 
i    ìsa,   gioviale,  vivace  e,  a  quanto  pareva,  ricchis- 
simo. Irrequieto  ed  occupato  come  era,  non  poteva 
fermo  più  «li  due  ore  al  giorno  nella  villa  del 
nostro  ospite.    Ogni  giorno,  qualche  volta   persino 
due  volte  al  giorno,  si  recava  a  Mosca,  e  sempre  per 
affari,  come  egli   stesso  assicurava.  Difficilmente  si 
sarebbe  trovato  un  essere  più  buono  di  questa  figura 
dolce,  che  t'ispirava  confidenza  di   primo 
acchito     Non    soltanto  amava  la  moglie  sino  alla 
pazzia,  ma  l'adorava  comi-  un  nume.  Non  le  impo 
limiti  in  nessuna  o         Essa  aveva  amici  e  a- 
miche  in   gran  mimerò:   anzitutto,  perchè  era   diru- 
te alcuno  che,  avvicinandola,  non  l'amas- 
se;    in  secondo  luogo,  perchi    quella   gaia  farfalla 
non   era   troppo  severa   nella    sciita    dei   suoi   amici, 
<lo  il  suo  i  molto  ]  iiù  se- 

rio di  quello  che  si  potrebbe  supporre  dal  mio  rac- 
conti .. 

le  su.-  anni  lic  essa  amava  e  distingueva 

specialmente  una  giovane  signora,  sua   lontana    pa- 

'  l'irte,    in    quei    giorni,   della 

ra  società.   Esisteva  fra  esse  un  certo  tal  quale 

lega.:  e  gentile,  uno  di  quei  legami  che  si 

stringono  talvolta  quando  s'ii  di        iratteri 

ri,  di  cui  l'uno  è  più  profondo,  più 

più   puro,  mentre  l'altro,  ni  desto  i    mite, 

■  i  del  primo  e  ne  subisce  con  pia 

nel  cuore  un  i  ulto  pieno 


di  soave  compiacenza.   1  rapporti  reciproci  chi 
stabilisci  no  1 1  i  simili  i  rio  che  vi  può 

essere  'li    più    delicato  e  gentile:    amore  infiniti 
condiscendenza  dall'una  parte,  an  tima   dal 

l'altra  —  una  stima   che  va  tant'oltre,  da  divenire 

limole  di  comi'. une  troppo   agli  ocelli  dell 

raggiunge  il  suo  punto  culmi- 
ite    nella   litania    gelosa,    febbrile,    di    accostarsi 
SI  mpre  più  ad   esso  o  Ila    mente  e  i 

Le  'In--  amichi  la  stessa  età,  ma  eravi 

fra  esse  una  differenza  immensa  in  tutto, 
ciando   dall'esterno.   Anche  la  signorina   M... 

i  '.  ma   ni  Ila  sua  bellezza  eravi  qua  i  che 

la  distingueva  da  tutte  le  altre  belle  dame.  Era  in 
lei  qualche  cosa  che  le  cattivava  irresistibilmente 
la  simpatia  di  tutti,  o  meglio,  che  ispirava  una  sim- 
patia nobile  e  pura  a  tutti  quanti  s'incontra 
lei.  Vicino  ad  essa  ognuno  si  sentiva  più  calino,  più 
libero  e  più  a  suo  agio,  sebbene  i  suoi  grandi  occhi 
malinconici  e  pieni  di  fuoco  e  di  vita  si  volgessero 
attorno  timidi  ed  inquieti,  come  temessero  sempre 
qualche  ci  lile  e  di  minaccioso.  Questa  stra- 

na apprensione  dava  talvolta  a'  suoi  lineamenti  dolci 
e  lini  —  che  rammentavano  le  immagini  delle  Ma- 
donne italiane  --    l'impronta  di  uno  sconforto  - 
profondo,  che  anche  quelli    che    l'osservavano   si 
sentivano  presi   da  un  senso  di  vivo  rammarico.  In 
quel  volto  pallido  e  magro,  nella  bellezza  perfetta 
delle   linee   pure  e   regolari,    si   scorgevano  ani 
attraverso  al  velo  di  una  perenne  mestizia,  i  tratti 
morbidi  della  fanciulla  —  lo  splendore  di  una  feli- 
cità calma  ed  ingenua,  che  qualche  anno  prima  do 
veva  aver  irradiato  quegli  occhi   pieni   di  soave  in- 
canto.   Il   sorriso    dolce,   ma   timido   e   indeciso,  che 
errava  talvolta  sulle  sue  labbra,  t'ispirava,  tuo  mal- 
grado, una  così  dolce  e  viva  compassione  per  quella 
donna,   che  oramai    non  v'era  più  nessuno  che  non 
(trovasse  per  essa  un  sincero  e  profondo  sentimi 
di  commiserazione.  Con  tutto  questo,  la  soave  crea- 
tura si  mostrava  sempre  silenziosa  e  chiusa,  sebbene, 
quando  si  trattava  di  dolori   altrui,  nessuno  più  di 
lei   fosse  prodigo  di    attenzioni   e  di    dimostrazioni 
uose. 
Sonvi  donne,  che  nella  vita  sostengono  la  parte 
di  suore  della  carità.   Ad  esse  non  bisogna  nasi 
di  re  nulla,  nulla  almeno  di  ciò  che  amareggia  e  ch'- 
addolora il  cuore.  Chi  soffre,  può  ricorrere  ad  i  sse 

rumato  da  a  i  da  speranza  e  senza  timore 

di  essere  respinto,  poiché  rat i  sono  quelli  che  cono 
scono  di  che  amore  paziente  e  senza  limili,  di  che 
pietà  affettuosa  è  capace  un  cuore  dì  donna.  Te 
ili  simpatia,  di  conforto,  di  speranza  sono  nasi 
in  questi  animi  puri.  F.ssi  sono  spésso  provati  dalla 
sventura,  giacché  chi  molto  ama  i  destino  che  debba 
molto  soffrire,  ma  celano  con  cura  agli  occhi  dei 
curiosi   le  proprie  ferite,   poiché  il    dolore   profi 

ride  ai  profani.  E  non  si  lasciano  spau- 
rire né  dalla  tenta  profonda  e  purulenta,  né  dal 
lezzo  pestilenziale  che  questa  esala.  Chi  si  avvicina 
a  questi  esseri,  e  già  degno  di  loro,  che  sembrano 
nati   ]x-r  compiile  n,  ,l,ili  azioni. 

la  signora  M ....   era  alta  di  statura,  flessuosa  e 

nella.  In  tutti  i  suoi  movimenti  si  notavano  strane 


Ax^nO     3C. 


ISTITUTO  AERO-EIiETTROTERflPICO  Di  TORINO 


Anno    X 


ri 


r>ei"    ira.    oura    «it-m- 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  dì  Torino. 
Via    della    Zecca,   57,    piano   terreno 


É  l'unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità ,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate,  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritetiuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  sì  spedisce  gratis. 


A&dì&Mì*&M>^^ 


II  più.  soiu€Ue, 
Il  più  sano  e  nutriente  e  perciò 
11  più  raccomandato  dai  medici, 
Il  più  gustoso 

di  tutte  le  marche. 


<$*« 


I  SEGRETI  DELLE  SIGNORINE 

•di  A.  Lichtenberger,  traduzione  di  E.  Nevcrs,  opera  deliziosamente 
curiosa,  morale,  istruttiva,  che  ebbe  un  immenso  successoria  Fran- 
cia. Lire  Diie.  Mandare  vaelia  al  Giornale  delle  J)Mnf,  Via  Po, 1, 
Torino.  A  richiesta  si  spedisce  gratis  l'elenco  dei  51  volumi  delia 
Biblioteca  delle  signore  che  comincia  colla  «  Casa  mia  >  della  Guidi  e 
termina  col  <  Galateo  della  Borghesia  •  e  colle  <  Lettere  d'amore  di  una 
gentildonna  inglese   »  volume  quest'ultimo  che  ècercatissimo  (li.  2). 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVI)  E   DEPURATIVO  DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto   prof.  Girolamo    Fagliano  premiato  al- 
osizlone nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  IMO  >"n  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 
atscoli  la  nostra  inarca  depositata.  x" 


Non  abbiamo  succursali. 


NAPOLI,  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


FERNET-BRANCA 

del  FRATELLI  BRANCA  di  MILANO 

I  soli  che  ne  posseggono  il  vero  e  genuino  processo. 


AMARO,  TONICO,  CORROBORANTE 
DIGESTIVO 

guardarsi  dalle  innumerevoli  contraffazioni 


IV 


UN    FANCIULLO    l  ROE 


anomalie.  Ora  erano  lenti,  gravi  e  solenni,  ora  frel 
come  quelli  di  una  bambina.  Nel   tempo  i- 
i  i  suoi  gesti  denotavano  una   i  imis- 

nza  difesa,  il  quale  pareva 
non  cercasse  appoggio  ad  alcuno. 

Ho  già  detto  che  le  persecuzioni  della  mia  bionda 
tiranna   mi   empivano  di   vergogna    e    mi    facevano 
re  sim ■  .1  Ma  era.)     incora  un'altra 

■  ■he  mi  faceva  tremare  verga  a  verga  —  una 
stupida,  che  nascondevo  a  tutti  e  al 
cui  s  ero  mi  sentivo  tutto  imp  ton- 

ili sentimento  strano  di  vergogna  e  ili  paura 
mi   5  a  l'animo  ed  io,  silenzioso,  andavo  a 

.1  rapo  chino,  in  un  angolo  nascosto 
penetrare  gli  sguardi  scrutatori 
eni  'li  scherno  < Iella   bella  bionda  dagli  occhi 
azzurri.    In   una   parola,   io   era   innamorato.   Debbo 
confessare  che  era  una  sciocchezza.  Alla  mia  età, 
!  ile.   Mi  perchè,   fra  tutte  le 

persone  che  mi  circondavano,  un  volto  solo  attirava 
tutta  la  mia  attenzione?  Perchè  ini  piaceva  seguire 
lei  sola  oillo  sguardo,  sebbene  in  quel  tempo  non 
mi  sentivo  affatto  portato  ad  ammirare  gli  occhi 
delle  signore  e  a  fare  la  conoscenza  di  esse? 

Ciò  mi  accadeva  specialmente  la  sera,  quando  il 
tempo  piovoso  costringeva  tutti  a  stare  in  sala  ed 
lo.  nasnsto  in  un  angolo,  in  mancanza  di  una 
qualunque  distrazione,  volgevo  gli  occhi  da  tutte 
le  parti.  Raro  avveniva  che  qualcuno  parlasse  con 
me,  all'infuori  della  mia  ix-rsecutrice.  In  quelle  sere 
io  provavo  una  pena  da  non  dirsi.  Guardavo  le 
persone  che  avevo  dintorno,  ascoltavo  i  loro  di- 
^i,  spesse  volte  senza  comprenderne  neppure  una 
parola,  e  poi  lo  sguardo  dolce,  il  sorriso  incerto  e  il 
tei  volto  della  signora  M...,  Dio  sa  il  perchè,  atti- 
ravano tutta  la  mia  attenzione,  tutto  il  mio  interes- 
samento, e  mi  affascinavano.  E  questa  impressione 
strana,  indefinibile  ma  ineffabilmente  dolce,  non  mi 
lasciava  più.  Passavano  sovente  ore  intere  senza 
ch'io  potessi  togliere  lo  sguardo  da  lei.  Studiavo 
.  ogni  suo  movimento,  tendevo  l'orec- 
chio a  tutte  le  vibrazioni  della  sua  voce  limpida 
come  l'argento  e,  cosa  strana,  il  risultato  delle  mie 
nazioni,  assieme  ad  una  impressione  di  dolcez- 
za e  di  preoccupazione,  era  una  specie  di  curiosità 
indefinibile.   Sentivo  di  seguire  un  mistero. 

Mi   riescivano  molto  penosi   gli  scherzi  maligni 
della  bionda,  quando  la  signora  M. ...  era  presente. 
Mi   pareva  che  questi  scherzi  e  le  persecuzioni  co- 
mii-he  cui  ero  fatto  segno  mi  abbassassero.  Quando 
poi  avevano  per  effetto  uno  scoppio  di  riso  generale, 
cui  qualche  volta  prendeva  parte  anche  la  signora 
M       ,   io  allora,  vinto  dal  dolore,  disperato,   mi  li- 
beravo dalle  mani  della   mia  tiranna  e  fuggivo  di 
ti  nella  mia  camera,  dove  passavo  solo  il  rima- 
nente della  giornata,  non  0  Tarmi   in 
sala.  D'altra  parte,  io  stesso  non  comprendeva  che 
1  significassero  questa  vergogna  e  questa  irrita- 
le da  cui  ero   preso:     io  era   affati  lente 
del  fenomeno  che  si  svolgeva  nel  mio  interno,  l 'olla 
signora  M        non  avevo  del             ra   due  parole. 

1,  la  colpa  era  soltanto  mia.  perchè  non    1 
ancora  pi  tuto  decidermi  a  farlo.  Ma  una  sera,  dopo 


una  giornata  ]>er  me  insoffribile,   durante  una  pas- 
seggiata  io  era   rimasto  dietro  a  tutti  ;    mi   sentivo 

0  stanco  e  ini  ionio  a  casa  pas- 

sando pel  giardino. 

Seduta  su  una  panca,  in  un  viale  solitario,  trovai 
la  signora  M....  Era  sola.  Evidentemente  aveva 
cercato  a  bello  studio  la  solitudine.  Teneva  il  capo 
Curvo  sul  petto  e  con  una  mano  stringeva  un  fazzo- 
letto. Era  così  immersa  ne'  suoi  pensieri,  che  non 
s'accorse  ch'io  me  le  ero  avvicinato.  Oliando  mi 
scorse,  si  alzò  lesta  dalla  panca,  si  volse  ed  io  os- 
servai che  si  asciugava  gli  occhi  col  fazzoletto.  Ave- 
va pianto.  Dopo  essersi  asciugate  le  lagrime,  mi 
sorrise  e  s'avviò  meco  verso  casa.  Non  mi  ricordo 
più  di  che  parlammo:  rammento  solo  che  ad  ogni 
istante  essa  renava  qualche  pretesto  per  allonta- 
narmi. Ora  mi  pregava  di  coglierle  un  fiore,  ora 
di  guardare  chi  passasse  a  cavallo  per  un  altro  viale. 
E  appena  io  mera  discostato,  essa  portava  il  faz- 
zoletto agli  occhi  e  tergeva  le  lagrime  ribelli,  che  le 
sgorgavano  di  continuo  dagli  occhi  e  pareva  non  se 
ne  volesse  più  disseccare  la  sorgente.  Compresi  che 
probabilmente  l'importunavo,  giacché  mi  allonta- 
nava così  spesso.  Ma  essa  pure  s'era  accorta  ch'io 
aveva  veduto  tutto.  Malgrado  ciò,  la  povera  signora 
non  poteva  padroneggiarsi  ed  io  sentivo  per  lei  tan- 
to maggiore  compassione.  In  quel  momento  io  era 
furioso  contro  me  stesso  sino  alla  disperazione,  non 
potevo  perdonarmi  la  mia  indiscrezione  e  la  mia 
inettezza,  ma  non  sapevo  come  rimediare  senza  dar- 
mi a  conoscere  d'aver  (osservato  il  suo  dolore.  Le  cam- 
minavo perciò  silenzioso  al  fianco.  Ero  del  tutto 
sconcertato  e  non  riuscivo  a  trovare  neppure  una 
parola  per  sostenere  a  monosillabi  la  nostra  conver- 
sazione. 

Questo  incontro  mi  aveva  talmente  impressio- 
nato, che  per  tutta  la  sera  osservai  con  grande  at- 
tenzione, cercando  non   farmi   scorgere,    la  signora 

M ,  e  non  tolsi  mai  lo  sguardo  da  lei.  Ma  essa 

mi  sorprese  due  volte  nelle  mie  osservazioni.  La  se- 
da  volta  mi  sorrise.  Fu  quella  sera  l'unica  volta 
che  le  sue  labbra  si  atteggiassero  ad  un  sorriso.  La 
tristezza  non  le  era  ancora  scomparsa  dal  volto,  che 
era  pallidissimo.  Per  tutta  la  serata  si  trattenne  a 
discorrere  con  una  vecchia  signora,  maligna  e  liti- 

1,   che  nessuno  amava  in  causa  -  -  pi-  >- 

naggi  e  della  sua  maldicenza,  ma  che  tutti,  per  lo 
stesso  motivo,  temevano  e  cercavano  tener  buona. 
Vi  rso  le  dieci  arrivò  il  marito  della  signora  M 
Sino  allora   io    l'aveva   osservata   con   molta    atten- 
zione,  senza    mai    levare  gli  occhi   dal     pallido  mio 
volto.   All'entrare  inatteso  di  suo  marito,  la  vidi  pre- 
sa da  un  tremito  per  tutto  il  coqio  e  il  suo  sembiante 
si  fece  addirittura  Inauri'  '-ome  una  ]*-/za   di    lino. 
Questo  fatto   non   passò  inosservato  neppure  agli 
altri.  Udii  da  una  parte  un  dialogo  interrotto,   dal 
quale  compresi  che  la  povera  signora  M....  era   in- 
felicissima   Si  diceva  che  il  marito  di  lei  era  geloso 
..  ino  un  aralm,  non  perchè  le  volesse  bene,  ma 
puro  egoismo.  Era  un  uomo  di  mondo,  un  tìgli"  del 

lo.    c-on    idei-   nuove   di   cui    andava   orgogl 
Era  alto  e  forte,  con  capelli  e  mustacchi   neri,  una 
faccia  piena  e  incantata  di  sé,  denti  bianchi  con 


Attenti  MADRI!! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  odi  un  terzo  il  Carle 
Malto  Kueipp.  Il  Caffè  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


RADIATORI,  CRLiDAIE 

ed     accessori 

Per  impianti  di  ri sca  /(lamento 

ad  acqua  calda  (termosifoni)  o  va;  ore 

+~~-, 

V.    FERRARI 

MILANO 

Via  Alessandro  Manzoni  N.  IO 


CATALOGHI  A  RICHIESTA 


ANXO     NOXO 

RIVISTA  PER  LE  SIGNORINE 

^  >  » — 

PERIODICO  MENSILE  DI  LETTERE,   SCIENZE  ED   ARTI 

diretto  da  SOFIA  BISI  ALBINI 

con  la  collaborazione  di  valenti  scrittori  e  scrittrici 

È  pubblicato  in  fascicolo  di  96  pagine  in-8.  —  Si  spedisce 

Fascicolo  di  saggio  a  chi  ne  fa  richiesta  con  cartolina  po- 

'i.-ile  doppia,  diretta  all'Amministrazione. 

ABBONAMENTO   ANNUO: 
ITALIA:  L.  IO.  —  ESTERO  (Unione  Postale):  L.  ia,SO. 
GRANDI  PREMI  GRATUITI  E  SEMIGRATUITI. 
Gli  abbonamenti  si  ricevono  ali  Amministrazione  del 
Periodico:  DITTA  GIACOMO  AGXE'.LI,  e  presso  an- 
che tutti  i  RR.  uffici  postali  del  Regno- 


EDIZIONE  POPOLARE 

delle  Opere  di 

G.    VERDI 


r  SERIE 


Guarigione  certa  delle 

EMORROIDI 

e  garanzia  assolata.  Scrivere 
alla  Ditta  A.  Dodero  e  C, 
Genova. 


y^^ 


Laboratorio  Paci,  lì 


vomii 


(dopo  8  o  10  giorni  se  ne  cede 
l'effetto  benefico  t  dell'anemia, 
clorosi,  pali  dezza  del  rollo)  si 
ottiene  con  l'uso  del  rinomato 
FERRO  PACELLI  che  è  effica- 
ìssimo  perchè  digeribili* 
Bensa  moto  ed  in  qtialunquestagio- 
ne.  PI.  L.  2.60,  per  posta  L.  2,66. 
Vendesi  in  tutte  le  farmacie,  da 
A.  Manzoni.  Milano-Roma  e  dal 
laboratorio  Pacelli,  Livorno. 


19   OPERE   per  Canto  e  Piano 
e  per  Pianoforte  solo 
da  Lire  1.50  a  Lire  5.—  nette 

Magnifici  volumi  -  Carta  di  lusso  -  Copertina  con  ritratto 

editori  -  G.  RICORDI  &  C.  - EDIT0RI 

MILANO 

Boma-Napolì-Palermo-Parigi-Loiidra-  Lipsia 

Presso  tutti  i  Negozianti  di  Musica.  Editori  e  Librai 

SVILUPPO  DEL  SENO 

bellezza,  ricostituz'one,  solidità 

ln  *"""""  Me„PNulesOrientales" 

del  8ig.  J.K.  '■■  chimico  farro..  5  PassaceVer- 
deau.  Parigi,  i  aefìcbe  per  la  salate,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Hoc 
cella  con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,36. 
Dep.  in  Milano:  fami.  Zambelettl,  piazza 
S.  Carlo.  t>  —  Buenos  Ayre»  C.  PerreL  MS 
W7,  Calle  Coro. 


I  \    FANCIULLO    li 


D'  \  di  un  cai  a  l 

imavano  [''astuto. 

ìociali  certi 
uomini  che  si  soni  degli  al- 

he  non  vogliono  far  nulla  e  che,  appunto  in 
in  cui  vivi  I  pi  sto  del 

re  un  gomitolo  di  grasso.  Molte  volte  li   sentii 
mze  imbarazzanti  e  sfa 
voli,  che  hanno  li  ;  .  ni m  ]m>s- 

uparsi   ili   nulla,  talché  non  è  gradevole 
aver  Soni    fras    ip  crite  e  ridicole, 

le  hanno  som  re  in  1  l  ''al- 

tra parte,  taluni  ili  questi  burloni  -     che  non  pos- 
tar lavoro  perchè   non  ne  hanno  mai  cer- 
i  a  far  cn-i lcn-  a  tutti  che  al 
•  del  cuore  non  hanno  un  gomitolo  ili  grasso, 
ma,  come  si  dice  in  gì  nere,  qualche  cosa  ili  ■  multo 
profondo  »:    —  chi-   sia    poi    questo  qualche    cosa, 
non  dirlo,   naturalmente  per   educazione, 

pure  il  miglior  chirurgo.  Questi  signori  nascono 
■  tendenza  a  mettere  in  ridicolo  ogni  cosa  nel 
modi  -"lano,  a  ci  in< lannare  senza  esaminare, 

a  disprezzare  alte/.  tutto  quanto  cade  sotto 

i  loro  occhi.  Non  avendo  altra  occupazione  che  quella 
«li  osservare  le  debolezze  e  gli  errori  ilei  loro  simili 
e  di  gridarli  ai   quattro  venti   e  non  avendo  da  lot- 
tare col  etti  in-,  riescono  faci  1  niente,  usando  certe  pre- 
cauzioni,   ad   aver  nel    mondo.    Essi   sono 
gli  altri  uomini  esistono  solo  per  lavo- 
rare in  loro  vece,  che  tutti,  all'infuori  delle  loro  ri- 
spettabili |  ersi  ne,  non  sono  che  babbei  e  semplicio- 
ni. A  sentir  loro,  gli  altri  sono  come  gli  aranci  o  le 
spugne,  che  si  possono  spremere  a  piacere.  Dapper- 
i  >  padroni   della  situazione  e  se 
un  ordine  così  perfetto  regola  l'universo,  ciò  si  deve 
solo,  secondo  loro,  al  fatto  ch'essi  sono  così  saggi  e 
pieni  ili  carattere.   Nella  loro  smisurata  super- 
bia non  ammettono  ch'essi  pure  hanno  dei  difetti, 
hanno  grande  rassomiglianza  con  quel   genere 
di  bricconi,  d'ipocriti  e  di   Falstaff,  pei  quali  l'in- 
•  divenuto  una  seconda  natura,  sì  che  credono 
esser  cosa  necessaria  ch'essi  vivano  unicamente  per 
commettere  scempiaggini  e  furfanterie.   Ed  hanno 
fatto  tanto  per  convincere  gli  altri  ch'essi  sono  uo- 
mini giusti,  che  finiscono  per  credere  essi  stessi  di 
essere  rei                  lantuomini  e  per  ritenere  sul  se- 
ne le  lori               ate  vanno  messe  in  conto  d; 
azioni  oneste.  Questi  farabutti  non  hanno  coscienza 
e  non  giungono  mai  a  trovarsi   nella  situazione  de- 
licata di   pensar  male  di    sé  stessi.  Innanzi   a  tutto 
la   loro  aurea   persona,   il   Molccco,   il   Baal,    il 
loro  prezioso  «  To  ».  Tutta  la  natura,  tutto  il  ninn- 
ilo non  è  per  essi  che  uno  specchio  immenso,  maravi- 
glioso,  fatto  apposta  perchi  essi  vi  ammirino  la  loro 
propria  i  tro  a  sé  nessuno  né 
nulla:  ciò  spiega  perch       m  i  .    non  vede  nel 
mondo  nulla  di   buono  né  di   Lello.    Per   ogni  i 
hanno  pronta  una  frase  e  -      ciò  I  irò  ha  un 
valore  immenso       la  frase  più  moderna.  Essi  stessi 
contribuiscono  molto  a    rendere  di   moda   una    tal 
urarle  il   successo,   la   vanno 
za  alcun  motivo,  a  tutti  gli  angoli  di 
strada. 


.nio  per  comprendere 
una  illuda  e  |ht  darsi  l'aria  d'averla 

stessi  inventata    Hanno  alla  mano  una  intera  |  ro\ 
vista  di  trasi  quando  vogliono  esprimere  profonda 
simpatia  per  qualche  impresa  umanitaria.  Sono  trop- 
po poco  colti  per  riconoscere  il  vero  in  una  forma 
irregolare,   imperfetta  o  transitoria,   e   respingono 
tutto  ciò  elle  non  e  pi  ino  •■  alla   [xirtata  della 
intelligenza.  Ognuno  di  essi  è  un  uomo  ben  nul  i 
che  ha  passato  tutta  la  vita  fra  i  piaceri  e  non  sa 
elle  cosa  sia  il  bisogno.  Sono  uomini  che,  non  a 
do  mai  fatto  nulla,  non  sanno  quanto  sia  difficile  il 
compiere  un'impresa  qualsiasi:  per  questo  cons 
ratio  come  un  delitto  che  qualcuno,  nel  tumulto  della 
\  ita,  osi  toccare  in  qualche  modo  il  loro  grasso  «  Ioi. 
Un  simile  peccato  non  lo   perdonano  mai:    vi  pen- 
sano di  continuo  ed  ;■  per  loro  una  voluttà  il  vendi- 
carsene. In  una  parola,  un  uomo  di  tal  fatta  non  è 
che  un  sacco  immenso,  gonfiato  oltre  misura  e  pieno 
di  sentenze,  di  frasi  alla  moda  e  di  aforismi  d'ogni 
maniera  e  d'ogni  qualità. 

Del  resto,  il  signor  M...  aveva  pure  le  sue  spe- 
ciali originalità  ed  era  un  nomo  ammirevole.  Par- 
lava molto  e  sapeva  narrar  bene,  talché  raccoglieva 
sempre  intorno  a  sé  un  circolo  di  ascoltatori.  Quella 
si  ra  era  riuscito  in  modo  speciale  ad  impressionare. 
Dominava  la  conversazione.  Era  allegro,  ben  di- 
sposto, e  attirava  l'attenzione  di  tutti.  La  signora 
M —  invece  pareva  un'inferma.  Il  suo  volto  aveva 
un'impressione  di  sì  profonda  tristezza,  che  mi  sem- 
brava che  ad  ogni  istante  le  lagrime  dovessero  scen- 
derle dalle  ciglia.  Tutte  queste  cose,  rome  ho  già 
detto,  m'impressionavano  molto  e  mi  empivano  di 
stupore.  M'allontanai  dalla  sala  colla  sensazione  d< 
una  strana  curiosità  e  per  tutta  la  notte  sognai  il  si- 
gnor M....,  sebbene  prima  assai  di  rado  avessi  a- 
vuto  dei  brutti  sogni. 

Il  mattino  seguente  fui  chiamato  a  studiare  al- 
cuni quadri  viventi,  ai  quali  dovevo  io  pure  pn  nder 
parte.  La  rappresentazione  di  essi  e  di  una  comme- 
dia, dopo  cui  si  sarebbe  ballato,  doveva  aver  luogo 
cinque  giorni   dopo,  in  di  una  festa  do- 

mestica, dell'onomastico  cioè  della  figlia  minore  del 
nostro  ospite.  A  quella  festa  improvvisata  dove- 
vano venire  da  MÒS  a  e  dalle  ville  circonvicine  circa 
un  centinaio  di  nuovi  invitati,  cosicché  in  tutta  la 
casa  eravi  un  da  fare  indescrivibile.  La  prova  o  me- 
glio l'ispezione  dei  costumi,  era  stata  fissata  pel 
mattino.  Il  nostro  istruttore,  il  noto  artista  K...., 
che  per  la  parentela  e  per  l'amicizia  che  lo  legava  al 
nostro  ospite  aveva  accettato  di  organizzare  i  qua- 
dri viventi  e  di  dirigere  le  prove,  crasi  recato  in 
città  ]ier  l'acquisto  di  vari  i  :  rrenti    per  il 

teatro  e  per  la  preparazione  definitiva  della  festa, 
cosicché  non  v'era  tempo  da  perdere.  Ad  uno  dei 
quadri  viventi  prendevo  parte  io  assieme  alla  si- 
gillila M....  Il  quadro  rappresentava  una  scena  del 
medio  evo:  La  castellana  e  il  suo  /X7i,'.t,''''.  Provavo 
un  panico  da  non  dirsi  quando  mi  recai  alla  prova 
assieme  alla  signora  M.  ..  Mi  pareva  che  ella  avreb- 
be letto  immediatamente  ne'  miei  occhi  tutti  i  p 
i-  le  supposizioni  che  dal  giorno  innanzi  mi 
ivano   per  il  capo     Oltre  di  questo,   mi   par 


Scheuerin 

il  migliore  sapone  per  cucina  ;  chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti    di  ge- 
neri casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 

Vendita  esclusiva  all'ingrosso  MAX  JB*RA.:VK:  =  MILANO. 


aA*£8^^&^fé&&g^&         fc£*5h 


Nel  venturo  anno 
questi  importanti 
magazzini  verranno 

TRASLOCATI 

nella  nuova  sede 
Corso  Vittorio  Emanuele 
(angolo  Via  S.  Paolo,  2) 


ARTICOLI  PER  REGALO 


Si  continua  la 

LIQUIDAZIONE 

di  tutti  gli  articoli 

40  io  DI  RIBASSO 

sui  prezzi  di  marca 


Articoli  d'illuminazione 
Articoli  in  polle 


MILANO 

Corso  Viti.  Eman.  N.  isV^NDOIiE  e  CANDElìABRI 


3IAXDI  GORKY 


IL  DRAMMA  DEL  PORTO 


E'  il  più  attraente  racconto  del  grande 
scrittore  russo  :  il  primo  volume  che  si 
pubblica  in  Italia.  La  traduzione  di  Olga 
Pages  è  preceduta  da  una  prefazione  della 
nota  scrittrice  sarda  Grazia  Deledda.  — 
Un  elegante  volume  in-16°  con  copertina 
in  cromo  L.   1,50. 


I  volumi  illustrati  della  Col- 
lezione "  ELENA  ,,  sono  il 
maggior  successo  librario  del 
giorno. 

E.  Panzacchi.  -  L'arte  nel  secolo  XIX. 
Neera.  -  La  villa  incantata. 
G.  Menasci.  -  L'Autunno. 
A.  Rosselli.  -  Felicità  perduta. 
V.  Corcos.  -  Mademoiselle  Leprince. 
Térésah.  -  «  Al  Piccolo  Parigi  ». 

il  volume  -  UNA  LIRA  -  il  volume. 


indirizzare 


issioni-V3o,,i  agi  editori  S.  BCLfORTE  e  C.  -  Livorno 


Scaldabagni  a  gas  istantanei 

I  PIÙ  EFFICACI,  ELEGANTI 
E    CONVENIENTI    DEL    GIORNO 


Un  bagno  caldo  in  IO  minuti 
colla  spesa  di  20  centesimi 


Cbl  -v-uol   persuadersi 

prima  dell'acquisto 

può    vederli    funzionare 

Vasche  da  bayno 
^Mn  molte  forme 
-Ali  grhisa  smalta- 
ta e  di  zinco  — 
Accessori  -  Mes- 
sa In  opera  —  Ri- 
parazioni. 

Carlo  Sigismund 

MILANO 

38,  Corso  Vittorio  Emanuele. 
PREZZI  CORRENTI  A  RICHIESTA. 


VI 


I  \    l  av  IULLO    M 


sempre  'li  dovei  espiare  verso  'li  lei  un  pi  i 

die  avevo  osservato  le  sue  lagrime  <•  l'avevo 
b    reprìmi  re  J    do!         senza   volerlo  essa  dovi 
guardarmi  ili  mal  ooch  le  ero  stato  com- 

,  desiderai  mondo  indiscreto  del  suo 

dolore  Ma,  sia  lode  a  l>iid  non  mi  toccò  nulla  di 
evole:  passai  puramente  e  semplicemente  inos- 
servato. Essa  p.ir\ i-  nini  prestare  alruna  attenzione 
né  alla  prova,  né  a  me.  Era  distratta,  triste,  pen- 
sa, Si  vedeva  chiaro  che  un  grave  dispiai 
l'opprimeva.  Come  ebbi  terminata  la  mia  parte, 
cors  irmi  abiti  e  dieci  minuti  appresso  uscii 

sulla  terrazza  ;  cedeva  al  giardino  Nello 

ante  venne  sulla  terrazza,  per  un'altra  por- 
ta, anche  la  sigm  ra   M....,  e  proprio  in  faccia  a 
.  ammirato  ili  sé  stesso,  il  marito 
di  |{  rnava  dal  giardino  dopo  avervi  con- 

una  numerosa  troupe  ili  signore  e  averle  date 
•nsegna  ad  un  cavaliere  che  non  aveva  nulla  da 
fare.  I  .1  signora  M    .  .  non  se  il  perchè,  parve  presa 
■  da  subito  smarrimento  e  fece  un  lieve  moto  di 
impazienza,  che  denotava  in  lei  una  certa  agitazione. 
Il  suo  tiranno,  che  accarezzandosi  .'un  compiacenza 
i  mustacchi,  cantarellava  senza  alcun  pensiero  una 
melodia,  aggrottò  le  sopracciglia  incontrandosi  colla 
glie  e  la  guardò,  come  mi  sovvengo  adesso,  con 
occhi  da  inquisitore. 

—  Vuoi  uscire  in  giardino?  —  le  chiese  egli,  ve- 
dendola con  l'ombrellino  e  con  un  libro  in  mano. 

—  Xo,  vado  nel  boschetto,  —  rispose  la  giovane 
signora,   arrossendo  leggermente. 

—  Sola? 

1     m  lui...  —  fece  la  signora  M accennando 

a  me.  -  Al  mattino  passeggio  sempre  sola  —  sog- 
giunse poscia  con  voce  malferma,  con  un  tono  da 
cui  si  capiva  che  per  la  prima  volta  in  vita  sua  di- 
ceva una  bugia. 

-  Hum...  Ed  io  ho  accompagnato  là  in  questo 
momento  tutta  la  società.  Si  adunano  tutti  là  presso 
al  chiosco  dei  fiori  per  accompagnare  il  signor  X — 
parte  Sai  che  è  accaduta  una  disgrazia  laggiù 
a  Odessa'-'  Tua  cugina  (egli  parlava  della  bionda) 
piange  e  ride  nel  tempo  istesso,  non  si  capisce  nulla 
davvero  del  suo  contegno.  M'ha  detto,  passando  ad 
altro  discorso,  che  tu  sei  in  collera,  non  so  perchè, 
col  signor  X e  che  per  questo  non  vuoi  accompa- 
gnarlo. E'  ver'  > 

—  L'ha  detto  per  ischerzo,  —  rispose  la  sigm  ira 
M.      scendendo  gli  scalini  della  terrazza. 

Qui  inique  il  tuo  cavaliere  permanen- 

te? use  il  signor  M...  storcendo  la  bocca  e 

all'occhio  il  monocolo. 

—  Puh!  —  gridai  io,  infastidito  di  quella  sua 
canzonatura  e  di  quel  suo  beffardo  scrutare  col  mo- 
nocolo. Gli  risi  sul  naso  e  mi  posi  a  -.end,  re  sal- 
tando i  gradini  a  tre  per  volta. 

Buon  via  rmoi      I  signor  M se- 

ardo.  Ben  inte  >,  appena  la 

signora  M....  mi  fé'  segno  col  dito,  me  li-  avvicinai 
e  assunsi  l'aria  di  u  tato  avvertito  un'ora 

prima  '■  che  da  un 

lei.  Mori  sa]  evo  p 

trovata  1  ta  e  per  quale 


sco|h.  avesse  ricnrs.r  a  quella  piccola  bugia.    Perchè 

non  aveva  detto  puramente  e  semplicemente  die  an- 

I    polla?    Adesso    non     sapevo    come    guardarla. 
Benchi    confuso  al   massimo  grado,   a    poco   a   \- 
cominciai  a  guardarla  in  faccia,  ma  me  un'ora 

innanzi,  non  badava  neppure  né  a'  miei  sguardi  fur- 
tivi, né  alla  mia  muta  interroga/ione.  Nel  suo  a- 
spettO,  nella  sua  agita/ione,  nel  suo  stesso  incedere 
si  vedeva  ora  più  chiara  die  mai  una  preoccupazione 
piena  di  rammarico.  Essa  si  dirigeva  evidentementi 

verso  un  luogo  stabilito,  affrettando  si  npn  imi  il 
passo,  e  guardava  inquieta  dalla  parte  del  giardino, 
lo  pure  era  in  attesa  di  qualche  cosa  d'indefinito, 
che  non  sapevo  spiegarmi.  Ad  un  tratto  risuonò  die- 
tro di  noi  un  trottare  di  destrieri.  Era  una  numerosa 
comitiva  di  signori  e  di  dame  a  cavallo  che  accom- 
pagnavano quel  signor  X....,  che  lasciava  così  ina- 
sixttat amente  la  nostra  società. 

Fra  le  dame  si  trovava  anche  la  mia  bionda,  di 
cui  aveva  parlato  il  signor  M....  quando  aveva  rac- 
contato delle  sue  lagrime.  Ma  essa  rideva,  secondo 
la  sua  abitudine,  come  un  ragazzo  e  galoppava  al- 
legramente sul  suo  bellissimo  cavallo  nero.  Quando 

il  signor  X ci  ebbe  raggiunti,  levò  il  cappello  ma 

tenza  fermarsi  e  senza  scambiare  colla  signora  M — 
neppure  una  parola.  In  breve  tutta  la  comitiva  scom- 
parve dai  nostri  occhi.  Guardai  la  signora  M....  e 
fui  quasi  sul  punto  di  lasciar  andare  un  grido  di 
stupore:  era  bianca  come  un  lino  e  grosse  lagrime 
le  scendevano  dagli  occhi. 

I  nostri  sguardi  per  caso  s'incontrarono.  La  si- 
gnora M arrossì.  Si  volse  per  un  istante  e  sul  suo 

volto  mi  parve  di  leggere  chiaramente  l'inquietudine 
e  l'imbarazzo.  La  mia  presenza  era  importuna,  più 
importuna  ancora  di  quello  che  non  fosse  stata 
il  giorno  innanzi  —  questo  era  chiaro  come  la  luce 
del   giorno.    Ma  come  allontanarmi?   Ad    un   tratto 

la  signora  M come  avesse  indovinato  ciò  che  si 

passava  nel  mio  interno,  aperse  il  libro  che  teneva 
in  mano  e,  sforzandosi  evidentemente  di  non  guar- 
darmi, disse  arrossi  ndo: 

—  Ah!  è  la  seconda  parte.  Mi  sono  sbagliata. 
Vammi  a  prendere,  ti  prego,  la  prima  parte. 

Non  ero  così  ingenuo  da  non  comprendere.  La 
mia  parte  era  finita  e  la  bella  signora  non  poteva 
mandarmi  via  con  maggior  garbo.  Fuggii  col  suo  li- 
bro, senza  più  voltarmi  verso  di  lei.  Ter  quel  giorno 
la  prima  parte  rimase  tranquilla  sul  tavolo  della  si- 
gnora M 

Non  conoscevo  più  me  stesso:  il  more  mi  batteva 
come  sotto  l'impressione  di  \u\  continuo  timore,  fa- 
cevo ogni  possibile  per  non  incontrarmi  colla  si- 
gnora li....  Guardavo  invece  con  una  strana  curio 
sita   quella   fatua    persona,  sempre  in   adora/ione  di 

sé  stc>sa.  del  signor  M come  se  qualche  cosa  di 

speciale  avesse  dovuto  avvenire  fra  me  e  lui.  Non 

aprendo  affatto  che  e, .sa  si  nascondesse  in  questa 

mia  comica  curiosità.  Mi  ricordo  solo  che  m'aveva 

preso  uno  strano  smarrimento  in  causa  di  tutte  le 
e, .se  .he  avevo  avuto  occasione  di  vedere  in  quella 

melina.    1  .a    tuia    giornata   era   appena    incominciata 

ed  era  già  per  me  troppo  ricca  di  avvenimenti.  Quel 

0,0  si   pranzò  molto   per  tempo,    per   la   sera  si 


I*£-  uovo 


0 
0 

H 

l 
H 

H 

0 

M 


(BURRO  NATURALE  DI  NOCE  01  COCCO 

Purissimo  Burro  Vegetale 

Insuperabile  per  cucina! 


(PATÉ  NT) 


In  Vendita  press^ogni  buon  salumiere  droghiere  ecc. 


Q 

0 

0 


H 

D 
0 


Opuscolo  gratis  a  chi  ne  fa  richiesta  alla  Ditta 

The    Anglo-Italian    Commerce    C.° 


MILANO 


V  i  a     Da  *-i  t  e  . 


GENOVA 

Via     ».     Sebastiano,     1». 


Per  sole  !..  15  75eli.  19  75 


JKdSo 


U1V  „  ViCl-*j!*A.JLv  t£ 

per  Signoripe  L.  10.50  frane 

Chiedere  UUATALOG  0  gratis 

Ocarine  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

v.   MACCOLINI 

Via  Cesare  Correnti,  7  -Milane 


OC 


X 


sgpj? 


'W  -s  , 

iD=   g  ro  ro 

!Ì5r  o  «  " 
£>EE 

©.g  g 
03  f=g> 


in 

-Sa'  c= 


cu 


:    '*3Sl' 


SI  E  PUBBLICATO 

in  questi  giorni  il  nuovissimo  Catalogo  Generale  Illu- 
strato elio  contiene  le  punuìiozioni  scolastiche,  edneative, 
istruttive,  morali  e  di  amena  lettura  dell'antica  Casa  Edi- 
trice Ditta  Giacomo  Agnelli,  di  .Milano  (Amministrazione 
d  1  Periodici  Rivista  per  le  Signorine  e  $  itola  Secondaria 
Italiana).  Esso  è  nn  bel  voi.  in-8°,  di  pag.  180  circa,  che  la 
Ditta  medesima  spedisce 

GRATUITAMENTE 

^franco  di  porto)  a  ti  t lì  coloro  cui  potesse  interessare,  qua- 
lora ne  facciano  domanda  direttamente  con  cartolina  po- 
Ft  le  riempia. 


PIPA  STELLA  POLARE 

unica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  gire- 
vole in  tutte  le  parti,  antinico- 
tinora,  con  apposito  riservatore 
(Vedi  disegno).  Il  fumo,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  fresco  e  gradevole  alla 
laringe. 

~tt~~. — ~^tt!— ^k  H iccrc ti  161 3 

— > — ■ — "_    "       presso 

Rivenditori,  oppure  spedite  L.  3  alla  Fabbrica  di 
pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 

Vicino  al  Ponte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 

Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 

la  Marca  LEONE. 


LA  NUOVISSIMA 


FIFA  LEI» 


di  radica  ing-lese  con  sistema  isolatore    della  nico- 
tina è  insuperabile. 

Inviare  L.  2,50,  se  con  bocchiuo  corno  brusii  L  3,50, 
alla  fabbrica  pipe  di  Maurizio  Pisetzky,  via  Vittoria  i 
Milano,  e  la  riceverete  franco;  per  l'Estero  centesimi  35 
in  più.  Ogni  pipa  ha  impresso  ii  nome  M.  Pisetzky. 


VII 


I  \    FANCIULLO    I  Ri  »E 


ilio  ad   un  vi- 
ta campesi  re: 
tutti  frattanto  si  affrettavano  per  potersi  preparare. 
Di  «ni  io  non  sognavo  che  questi  iata 

jpiti  si  erano  adunati  a 
i.  in  a  bello  studio  mi 
agli  altri  e  mi  nascosi  dietro  una  tri- 
i  sita  mi  pungeva,  ma  non 

vili.-.  ntarmi  dinanzi   ali 

i   \i        \  olle  però    '■  caso  che  mi  pi  n 
ino  dalla  mia  persecutrìce,  dalla  dama  bionda. 
Qui  ì  in  lei  un  fenomeno  ma- 

.  qualchi  I  ncredibile:    s'era   fatta 

bella    Non  so  pi  rchè,  né  in  che  modo, 
ma  nelle  donne  simili  fenomeni  si  verificano  abba- 
lli quel  momento  si  trovava  fra  noi 
un  i  -  ivane  alto,  pallido,  adoratore 

dichiarato  della  nostra  bionda.  Egli  era  venuto  da 
-tituire  il  signor  X...  Del  signor 
\  circolava  la  voce  che  fossi-  innamorato  pazzo 
della  Mia  bionda.  Quanta  al  nuovo  venuto, 
egli  ii    lei    ila    lunga    pezza    sullo    stesso 

piti'  B  ;  nella  commedia  di 

Shakes]  >  to  allarme  per  titilla.  In  una  pa- 

nila, la  biònda  aveva  quel  giorno  un  successo  straor- 
dinario. I  suoi  scherzi  e  i  suoi  motteggi  erano  o  sì 
graziosi,  di  una  ingenuità  così  intima,  cosi  impru- 
dente e  pur  così  perdonabile;  ed  essa  stessa  era 
così  fiduciosa  nel  proprio  spirito,  così  sicura  del- 
l'approvazione e  dell'entusiasmo  generale,  che  tutti 
non  facevano  che  renderle  speciali  omaggi.  Intorno 
a  lei  s'era  radunato  un  circolo  di  ascoltatori  che  l'am- 
miravano e  la  guardavano  estasiati.  Essa  non  s'era 
mai  mostrata  così  affascinante.  Ogni  sua  frase  era 
un  tratto  di  spirito  arguto  e  scintillante,  che  veniva 
cólto  a  volo  da  tutti  e  circolava  di  bocca  in  bocca. 
Nessuna]  troia  sua  passava  inosservata.  Pareva  che 
ninno  si  fosse  aspettato  da  lei  tanto  gusto,  tanto  spi- 
rito e  tanta  intelligenza.  Tutto  ciò  che  era  di  buono 
in  lei  non  poteva  mostrarsi  per  colpa  della  sua  biz- 
zarra irrequietezza  e  delle  sue  burle,  che  talvolta  ti- 
ravano al  buffonesco.  Era  cosa  rara  che  si  osservas- 
sero in  quella  donna  delle  buone  qualità,  e  anche 
quando  si  osservavano  non  erano  credute,  tal  li  qui 
sta  volta  il  successo  insolito  ch'essa  otteneva  era  pure 
nrpagnato  da  qualche  sussurrio  di  ammirazione. 
D'altra  parte,  a  questo  successo  contribuì  pure 
una  circostanza  speciale,  abbastanza  piccante,  la 
parte  cii«-  imposta  al  marito  della  signora  M —  La 
mia  bella  bionda  s'era  proposta,  con  grande  gioia 
di  tutti  i  giovani  presenti,  di  attaccarlo  con  veemen- 
za por  diversi  motivi  secondo  lei  abbastanza  I 
dati,  [ncominciò  contro  li  lui  un  attacco  in  regola 
ingenti,  motteggi  e  sarcasmi  >ra  saiv 
n  astuzia,  con 
allus  Ste  e  trasparenti,  —  uno  <li  quegli  at- 

tacchi  che  vanno  diritti  alla  meta  e  dai  quali  non  •'■ 
lersi  perchè  non  si  sa  da  qua!  parte 
.   --  uno  di  quegli  attacchi  infine,  che  stan- 
■  la  vittima  in  inutili   sforzi  finché  ossa,  ridi  na 
alla  disperazione,  sratta  in  un  comico  furore, 
ivo,  ma  mi  pareva  che  ti 
improvvisato,  Ix-nsi   fossi-  stato 


preparato  prima.  Questo  dm-Ilo  disperato  era  già 
incominciato  a  pr.m  t>.  D  perchè  il  fri- 

gno! M  il.  ti  depose  così  presto  le  armi.  Egli  fu 
costretti  a  fai  api  olio  .1  tutta  la  sua  presenza  di  -pi- 
rito.  •  sua  perspicacia,  a  tutta  la  sua  inusi- 
tata abilità  pi  1  i" 

per  non  divenire  zimbello  'li  tutti   i  presenti.  Ciò 
niva  fra  le  più  grasse  risa  di  quanti  assistevano 
olla  lotta.    -  1    -ignora  M 

faceva  di  tanto  in  ni  sfi  rzo  per  acqui 

la  stia  imprudente  amica,  la  quale  alla  sua  volta 
sentiva  una  voglia  irresistibile  di  descrivere  il  ma- 
rito geloso  come  un  balordo,  un  Barba-bleue,  a  giu- 
re '\.i  quanto  mi  rammento  e  dalla  parte  eh 
volle  far  ra]  presa  he  a  me  in  questa  batta- 

glia di  parole. 

Ciò  avvenne  tutto  d'un  tratto,  nel  modo  più  gra- 
zioso, quando  meno  me  lo  aspettavo  e,  secondo  ogni 
apparenza,  non  senza  intenzione  da  parte  della  bion- 
da signora.  Senza  sospettare  nulla  di  male,  me  ne 
stavo  proprio  in  quel  mi  mento  in  una  posizione  in 
mi  potevo  es>ere  veduto  da  tutti.  Avevo  dinienti- 
rata  la  mia  prudenza  di  1  rima  e  grand'-  fu  il 
turbamento  quando  mi  vidi  oggetto  della  geni 

attenzione    I   avversaria  del  signor  M mi  desrris- 

s  ■  cornei  un  nemico  giurato  ed  un  rivale  implacabile 
di  lui,  essendo  innamorato  cotto  della  sua  signora. 
Giurò  che  aveva  delle  prove  per  dimostrare  la  vera- 
cità di  questa  asserzione  e  soggiunse  che,  per  esem- 
pio, proprio  in  quel  giorno  aveva  osservato  nel  bo- 
schetto. . . 

Essa  non  potè  terminare  la  frase,  perchè  proprio 
in  quel  momento  io  l'interruppi  rumorosamente. 
Questo  attacco  era  tanto  maligno  ed  era  stato  ser- 
bato in  modo  così  perfido  come  razzo  finale  per  dare 
alla  faccenda  una  soluzione  comica,  rhe  fu  salutato 
da  uno  scoppio  generale  di  sonore  risate.  E,  sebbene 
indovinassi  già  fin  d'allora  che  non  ero  io  quegli  che 
doveva  maggiormente  irritarsi  di  simili  tirate,  mi 
sentii  rosi  preso  da  vergogna  e  da  disperazione,  che, 
senza  quasi  rendermi  conto  di  ciò  ohe  facevo,  mi 
feci  strada  fra  le  due  file  di  sedie  rhe  mi  stavano 
davanti  e,  volgendomi  alla  mia  tiranna,  gridai 
voce  soffocata  dalle  lagrime  e  dall'affair 

—  E  non  vi  vergognate...  dire  in  farcia  a  tante 
signore. ..e  ad  alta  voce...  una  così  brutta...  men- 
zogna?!... Siete  forse  una  bambina  piccola...  da 
fare...  di  tali  cose?...  Che  diranno  tutti  questi  si- 
gnori?... Voi  che  siete  così  grande...  una  signora 
maritata! 

Ma  ni  n  potei  finii'  :  uno  scoppio  di  applausi 
sordanti  me  lo  impedi.  T.a  mia  risjxista  aveva  prò 
vocato  un  ven  furore.  I  miei  gesti  ingenui,  le  mie 
lagrime  e  più  ani-ora  il  fatto  ch'io  mi  faceva  in  certo 
qua!  modo  il  difensore  del  signor  M....  —  tutto 
ciò  aveva  pndi  ito  una  ilarità  da  non  dirsi  e  ancora 
adesso,  quando  ri  penso,  mi  seni.,  supremamente 
ridicolo...  Ero  addirittura  fuori  di  me  e,  coprendomi 
mani  il  v<  Ito  rosso  come  una  ciliegia,  fuggii 
urtando  violenti  ntro  un  domestico  e  1 

sciando  la  li  ri  cava  in  n 

e  mi  rifugiai  di  sopra  nella  mia  camera. 

folsi   dalla  serratura  la  chiave,  posta  esternamen- 


' 


LA  «  REMINGTON  N.  7  »  E  LA  PIÙ  DIFFUSA  IN  TUTTO  IL  MONDO 

Parigi  1900  -  GRAflD  PRIX  -  Parigi  1900 


La  macchina  I 

per  scrivere 

REMINGTON 

la  prima  fra  tutte  le  macchine  per  scrivere 

è  sempre  la  più  moderna,  la  più  pratica, 
la  più  perfezionata. 
La  REMINGTON  ha  ottenuto  sempre 

le  più  alte  onorificenze 


La  macchina  per  scrivere  "  Seminatoti  „ 

è  la  più  economica,  perchè  la  sua  durata  è  superiore 

a  quella  di  qualsiasi  altra  macchina 


Non  fate  acquisto  di  macchine  per  scr.vare  sen^a  chiedere  una 
REMINGTON    N.    7    in    prova   all' IGENTE    GENERALE 

CESARE     VERONA 

TORINO  -  Via  Carlo  Alberto,  20  -  TORINO. 

Succursali  : 

ROMA,  Via  Due  Macelli,  9  --  GENOVA,  Via  Carlo  Felice,  11 
MILANO,  Corso  Vittorio  Emanuele,  5  --  NAPOLI,  Via  Ruma,  396. 

ÌL'EDISOX  MIME0GRAPH  è  l'apparecchio  di  riproduzione  più.  pratico  e  più 
semplice  per  fare  circolari,  prospetti ,  listini,  musica.  Riproduce  in  mi- 
gliaia di  copie  qualsiasi  scritto  senza  alcuna  spesa.  —  Chiedere  catalogo 
e  prove  a  CESARE  VERONA  -  Torino. 


VII] 


l  N    I  ANCI1  LD  i    I  R(  'I 


te,  e  mi  chiusi  dentro.  Avevo  Fatto  I  rchè  i 

min  persecutori  mi  seguivano.  Non  era  passato  un 
minuto,  che  il  mio  uscio  era  assediato  da  una  quan- 
tità di  belle  signore.  Udivo  il  loro  riso  limpido,  i 
loro  motteggi,  le  loro  voci  melodiose:   gorgheggia- 

■  tut ti-  in  una  volta  come  rondinelle.  Tutte 
tutte  mi  pregavano,  mi  supplicavano  ili  aprir  loro 
l'uscio  sol.,  per  un  istante  Mi  giuravano  che  non  mi 
sarebbe  accaduto  il  più  piccolo  inconveniente,  che 
vota  mi  <li  baci.  Si  poteva  dare 
qua!  di  più  spaventevole  di  questa  nuova 
minaccia  ?  Io  mi  sentivo  ardere  di  rossore  e  nascon- 
der il  volto  nei  cuscini  del  letto  Ad  aprire,  non  ci 
pensavo  affatto:  non  respiravo  neppure  Esse  conti- 
nuar no  a  lungo  a  battere  all'uscio  e  a  pregarmi, 
ma  ■  insensibile  e  si  rdo,  o  me  poteva  rima- 
ceri.,  un  ragazzo  di  undici  anni. 

Ma  che  fare  ad  l         he  avevo  tanto  temuto 

er:i  avvenuto.   Tutto  era  scoperto.  Ciò  ch'io  aveva 

sto  e  custodito  tanto  gelosamente  era 

oramai  in  bocca  a  tutti...  Vergogna  e  scandalo  e- 

terno  mi  aspettavano  ! . . . 

lo  non  sapevo  con  precisione  che  osa  dovessi  te- 
mere, ma  temevo  qualche  cosa  d'indefinito  e  trema- 
vo come  una  foglia  al  pensiero  che  questo  qualche 
cosa  poteva  compromettermi.  C'era  una  cosa  che 
sino  a  quel  momento  io  aveva  ignorato  se  era  buona 
o  cattiva,  onesta  o  disonesta,  lodevole  o  degna  di 
biasima  Appena  adesso,  nella  mia  vergogna  e  nel 
mio  dolore,  riconoscevo  che  quella  cosa  era  ridicola 
e  condannabile.  Nel  tempo  istesso  sentivo  istintiva- 
mente che  una  sentenza  come  questa  è  falsa,  cru- 
dele, disumana,  ma  ero  vinto  ed  annichilito.  Il  pro- 
cesso della  coscienza  s'era  come  arrestato  in  me  ed 
io  era  entrato  in  uno  stadio  d'imbarazzante  incer- 
tezza. Non  potevo  comi. attere  la  sentenza,  ma  non 
potevo  neppure  giudicarla  bene:  mi  pareva  d'avere 
come  annebbiato  il  cervello,  sentivo  che  il  mio  cuore 
era  -  so  inumanamente  e  copiose  lagrime  di 

impotenza  mi  scendevano  dagli  occhi.  Ero  irritato  in 
sommo  grado.  Fermentavano  in  me  il  dispetto  e  Po- 
sentimenti  a  me  ignoti  sino  a  quell'istante,  per- 
tanto  per  la  prima  volta  in  vita  mia 
provai  le  strette  del  dolore  vero,  il  bruciore  dell'of- 
.  dell'insulto.  Tn  me,  che  ero  appena  un  fan- 
ciullo, un  sentimento  nuovo,  ciuto,  che  non 
s'era  ancora  del  tutto  sviluppato,  era  stato  colpito  in 
moilo  crudo  ;  il  seni  imi  riti  -  del  pud'  ire,  tenero,  puro, 
gentile,  era  stato  sfacciatamente  buttato  in  publieoe 
preso  a  scherno:  la  mia  prima  sensazione  estetica 
era  -              sa  in  ridere.  Naturalmente,  non   sape- 

■  molto  quelli  che  si  prendevano  giuoco  di  me: 
non  sospettavano  nepmire  le  mie  pene.  A  questo 
punto  mi  sovvenni  di  una  nuova  circostanza,  cui 
prima  non  avevo  pi  preoccupa 

ne  ti  masi  coricato  sul  letto,  in  preda  al 

dolore  e  alla  disperazione,   col  Capo  nascosto  nei 
iali     Sentivo  di   tratto  in  tratto  ilei   brividi   di 
freddo,   una    febbriciottolà    mi   serpeggiava   per  le 
vene. 


Due  punti  interrogativi  mi  davano  una  pena  da  non 

dirsi.  Che  av.  va  visto  nel  boschetto  quella  bionda 
malaugurata  e  che  cosa  mai  aveva  potuto  intrawe- 
fra  me  e  la  signora  M....?  Come  avrei  io  po- 
tuto guardare  ancora  in  faccia  la  signora  M.  .  senza 
morire,  in  quell'istante,  di  vergogna  e  di  disp 
zione? 

Un  baccano  insolito  nella  corte  mi  scosse  final- 
mente dallo  stato  di  torpore  in  cui  mi  trovavo.  Scesi 
dal  letto  e  mi  accostai  alla  line, tra.  Tutta  la  corte 
i.i  piena  di  carrozze,  di  cavalli  sellati  e  di  servitori 
die  correvano  qua  e  là.  Pareva  che  tutti  si  disp. 
sero  a  partire.  Alcuni  cavalieri  erano  già  in  anione, 
altri  ospiti  salivano  sulle  carrozze.  Allora  mi  ram- 
mentai della  passeggiata  che  si  era  progettata.  Fui 
preso  a  poco  a  poco  da  una  certa  inquietudine  ' 
cavo  collo  sguardo  il  cavallo  ch'ero  solito  montare: 
non  vedendolo,  aimpresi  ch'ero  stato  dimenticato. 
Non  potei  più  padroneggiami i  e  corsi  io  pure  in 
corte,  senza  più  pensare  all'incidente  spiacevole  che 
m'era  accaduto,  né  alla  vergogna  ch'io  aveva  sof- 
feita. 

In  i  cattiva  notizia  mi  aspettava.  Per  questa  volta 
non  v'era  per  me  né  un  cavallo  da  montare,  né  un 
posto  in  una  carrozza:  dovevo  quindi  rimanere  a 
casa. 

Sorpreso  da  questo  contrattempo,  rimasi  immo- 
bile a  guardare  la  lunga  fila  di  carrozze,  calessi  e 
carrettini,  dove  non  era  il  più  piccolo  posto  per  me, 
e  ai  cavalli  sellati  che  impazienti  battevano  il  suolo 
coi  piedi.  Uno  dei  cavalieri,  non  so  per  qual  ragione, 
era  in  ritardo.  Non  aspettavano  più  che  lui  per  par- 
tire. Il  cavallo  a  lui  destinato  era  pronto  e  mordeva 
il  freno  e  scavava  colle  unghie  ferrate  il  terreno  e 
ad  ogni  istante  trasaliva  impennandosi.  Due  garzoni 
della  stalla  lo  tenevano  pel  freno  e  tutti  l'osserva- 
vano tenendosi  ad  una  rispettosa  distanza. 

Era  un  vero  peccato  che  non  potessi  andare  io 
pure.  Oltre  al  fatto  che  erano  giunti  altri  forestieri 
e  tutti  i  cavalli  e  tutti  i  posti  erano  impegnati,  s'è 
ratio  anche  ammalati  due  cavalli  da  sella  e  uno  di 
questi  era  appunto  il  mio. 

Ma  io  non  era  stato  il  solo  a  soffrire  delle  - 
guenze  di  queste  circostanze.  Accadde  che  neppure 
per  il  nostro  nuovo  ospite,  il  giovane  pallido  di  cui 
ho  già  parlato,  si  trovava  un  cavallo.  Per  evitare  di- 
sgusti, il  jiadrone  di  casa  fu  cosi  retto  a  ricorrere  ad 
un   mezzo  estremo:   pose  a  disp.  dell'ospite 

uno  stallone  indomabile,  non  abituato  alla  sella,  av- 
vertendo! r  non  avere  rimorsi,  che  nessuno 
era  mai  stato  capace  di  cavalcarlo  e  che  da  m 
tempo  l'avrebbe  venduto  se  avesse  trovato  un 
pratose  II  giovane  dichiarò  che  era  abbastanza  buon 
cavalcatore  e  che.  in  ogni  caso,  avrebbe  montato 
qualsiasi  cavallo  pur  di  prender  parte  allVs  :ursione 
L'altro  l  .  ma  mi  parve  notare  sulle  sue  labbra 
un  sorriso  equivoco  e  malizi. 


i  Continua). 


!•' '.  M.  DOSTOJEVSKI. 


AhlMO-ll 


Nv/a  3- 


•La  Lettura 


Marzo 


RM5TA-AEN5ILE 
DEL(pRRIE.RE- 
^DtLLA-5tRA- 


II  ritratto  mascherato 


PERSONAGGI. 

i'i    ilia  Mannelli  vedova  Festi. 
Professore  Mannelli  )  „,    •  „-t„„; 
Signora  Mannelli        )  SU01  geniton- 
Cavaliere  Francesco  Festi  —  suo  cognato. 
Dottor  Trechi  —  notaio. 
Signora  Trechi  —  sua  moglie. 
Giovanni  —  domestico. 

La  scena  è  in  casa  di  Cecilia  Festi  Mannelli.  Rappre- 
senta uno  studio  di  scrittore,  ammobiliato  con  elegante 
semplicità.  Due  librerie,  un  caminetto  col  fuoco  acceso, 
un  ritratto  grande  di  Cecilia,  un  tavolino  per  fumare, 
parecchie  sedie  e  poltrone,  un  canapè,  una  scrivania 
con  una  lampadina  elettrica  spenta  e  un  giornale  spie- 
gato fra  libri  e  carte  in  disordine 

Cecilia,  sola,  siede  alla  scrivania  di  contro  alla  imi 
trona  vuota  dove  avrebbe  a  sedere  il  padrone  dello  stu- 
dio. Veste  a  lutto  pesante.  Tiene  le  braccia  incrociate 
sulla  scrivania  e  la  fronte  reclinata  sul  dorso  della  mano 
destra.  Oltre  alla  porta  di  mezzo  lo  studio  ha  due  porte 
laterali  che  mettono  l'una  nelle  stanze  di  Cecilia,  l'al- 
tra nella  biblioteca.  Si  bussa  lievemente  alla  porta  di 
mezzo. 


Cecilia    {trasalendo  e   levando  il  capo) 

Chi  è  ?  (si  alza  ni  piedi  e  guarda  turbata,  lacri- 
mosa, verso  l'uscio).   Avanti! 

uni) 


Giovanni 

Scusi,  venivo  per  il  fuoco  (accomoda  co::  le  mol- 
le 1  tizzi  del  caminetto).  Se  viene  qualcuno,  la  si- 
gnora riceve  ? 

Cechi  a   (dolcemente) 

Ma,  mio  Din.  Giovanni,  non  ve  l'ho  detto  che 
alle  due  devono  \enire  min  padre,  i  fratelli  e  le 
Ile  'lei  povero  padrone  ?  Non  vi  ho  detto  che 
ricevi/  questi  e  non  altri  ?  Non  vi  ho  dato  anche 
una  nota  ?  Vi  prego,  Giovanni,  cercate  'li  aver  un 
po'  di  memoria  in  questi  momenti. 

I  ÌIOVANNI 

Perchè,  a  dire  la  verità,  signora,  la  nota  si  è 
bruciata  n 

Cecilia 

Ma  chi  l'ha  bri 

Giovanni 

I,,   ni  e   I.a  cameriera  dici-  che  non   1  ha 

.■  lo  stesso  dice  la  cuoca.  Ma  non  im- 
ito inteso:  ricevere  i  signori  ch'erano 
ri,   durante.... 

La  Lettura.  1  ; 


'"I 


1  \    I  111 URA 


l       ii  i  \ 


Ma  n.  .  ■  il    i  IH  vanni,  f  E 

le  ni  ite,  ma  i  miei  'Menati   lo  di >\ reste  ben 

sapere  che  non  c'i  rano,  che  hanno  seguito...  (a 

i  il  povero  padrone.  1  *  ro,  dunque,  le  mie 
■  ■  ■  >si  ire. 

GlO\  INNI 

per  andarsi  tu 

Ci     11  i  \ 

\  :   Anche  il   notaio.  E  nessun  alti       \ 

to  ?    Nessun  altro. 

I  ÌI0VANN1 

(  'hi  è,  signora,  il  notaii 

»    i  CILIA 

Credi  1  dottor  Trechi.  Fatevi  dire  il  no- 

me. Ve  Io  dirà   lui,  del   resto,  ch'è  il  notaio.  Deve 
qui  alle  due. 


Giovanni 


Hn  ini 


I    1  I    IMA 


(S'inginocchia  di  slancio  alla  scrivania  e  vi  af- 
mani  congiunte). 

DH    Dio   l'i'    !  Caro  caro  caro  !   (Singhioi 

un  tocco  di  campanello  interni*.  Cecilia  si  < 
s/a  un  momento  in  ascolto,  poi  si  clima,  bacia  lun- 
gamente un   manoscritto,   posa   le  labbra  sulla   lam- 

na  elettrica).  Anche  te  che  l'hai  servito  ! 
(.Entra    Ciò;-, imi;). 

(  in  IV  WM 

Signora,  ci  sarebbe  la  signora   Trulli. 

("ec  II  i  \ 
Ma  Signoi  .  Giovanni,  non  vi  ho  detto...  ? 
Giov  inni 

gnora,  ma  siccome  è  la  signora  del  signor  no* 

Lo.  ■.  cosi   ho  creduti  >  chi    I  n 

1  11  I  \ 

Andate,  dite  che  mi  rincresce  ma  che  non  vedo 

'  ■    ni  mil.i-.se  a  dire 

quali :  voi. 

i  Siov  inni  (imbarazzato) 

I 


1  ,a  signi  ra  Ti 

(entrando  precipitosa  a  mani  giunte) 

Mi   perdoni,  mi  perdoni,  !  Un  m^ 

mento,  un  momento  solo  '.  Sento  quanto  sono  indi- 
ili  una  parola,  di  un  i    ■  ila  ; 
la  1  |  ■  nni  che  non  sì  muovi 

ii  i  \  (con  doli  i 
ma  non  senza  qualche  risentimento  nella  . 

Mi  rincresce,  signora.  .   perchè  proprio  non  vedo 
nessuno...    Lei   capisce...    non   potrei...   (La   signora 
'/'rcc/ii  guarda  Giovanni  che  alla  sua  Tolta  inter- 
di chi  la  padrona). 

Cei  i  i  i  \   (///   tono  rassegna 
Andate,  Giovanni  (Giovanni  esce). 

La  sigimi. i   Trechi    (ausante) 
Si  tratta  di  una  rosa  terribile,  signora. 

1     i  ii  i  \  (  in  i  feri  nte) 
Non  so...  dira  presto. 

La  signora   'Trechi 

lo  ho  i  miei  genitori  e  i  miei  fratelli  in  una  pò 
si/ione  tristissima.  Ne  avranno  Forse  .un  In-  colpa 
ma  insomma  sono  genitori  e  (rateili!  Mio  marito 
per  un  certo  tempo  li  ha  aiutati  e  poi  non  ha  rif- 
iuto più,  mi  ha  proibito  anche  a  me  di  far  più 
niente  per  loro.  Gli  ho  disobbedito  una  volta 
h.i  saputo,  c'è  stata  una  scena  spaventosa,  voleva 
cacciarmi  di  casa.  Un  anno  fa  questa  povera  pente 
aveva  bisogno  di  cinquecento  lire  per  evitare 

roM     tristissime,    bruttissime.    Non    le  trovava» 

nessuna  pace  e  io  non  le  avevo.  Dio  mio.  come  si 
fa?  Siccome  vedevo  qualche  volta  Suo  marito  che 
veniva  dal  mio  per  affari  e  sapevo  ch'era  ricco, 
ch'era  tanto  generoso,  mi  feci  coraggio  e  lo  p> 
di  prestarmi  quel  denaro  che  gli  avrei  poi  resti- 
tuito un  po'  per  volta.  Egli  fu  così  buono  da  pre- 
starmelo e  io  gli  rilasciai  un'obbligazione.  Mi  feci 

promettere  il  segreto  assoluto,  sa.  e  mi  figuro  che 
non  avrà  parlato  neppim  con  Lei.  Cinque  giorni 
sono,  lo  stesso  giorno,  credo,  che  cadde  ammalato, 
ho  finito  di  restituirgli  il  denaro,  sulle  scale  di 
mia.  Egli  non  aveva  con  sé,  naturalmente,  la  mia 
obbligazione  e  mi  promise  di  portarmela,  che  poi 
In  impossibile.  Mi  disse  che  la  teneva  nella  scriva- 
nia del  suo  studio.  M'indicò  anche  il  posto   preci 

so.  So  che  Ira  poco  deve  venir  qua  mio  marito  a 
prendere  il  testamento,  proprio  nella  scrivania  del- 
lo studio;  me  l'ha  diiio  lui  mezz'ora  la  chi-  ne  a- 
v.\.i  L'incarico  dal  cavalier  Pesti,  suo  cognato.  Ca 
pisce,  signoi. i,  si-  vide  l'obbligazione,  eoi  carattere 
di  mio  marito,  sarà  la  rovina  mia  e  .Iella  mia  fami- 
glia    1     come  '■   possibile  che  non  la  trovi?    Farà 

il.-    lutti       Ir    e. ole    redo.     I  ...    studio    e    .|Uesto.     \r 

ro?  Allora    la   scrivania   è  quella   lì.   La  supplir 
scongiuro,  signora,  sr  Lei  mi   dà   la  chiave,  in  due 


Il     RITRATTI  '    MASCHERATI  i 


l'i.' 


n. imiti  Lei  ha  la  bontà  di  andar  ad  avvertire  che 
non  entri  nessuno,  io  apro,  prendo  la  carta,  chiudo 
Le  rendo  la  chiave  e  fuggo.  Se  lo  incontro  gli  diro 
che  sono    venuta  per  le  condoglianze. 

Cecilia 

Ma  io  n<m   L'ho,   la  chiave.  L'ho  data  a  m 
dre  l'altra  sera  e  mio  padre  deve  averla  ci 
subito   a   mio  cognate. 

La  signora    Trechi 

Ah  mio  Dio!  A  quale  Suo  cognato?  Al  cava- 
lier  Francesco,  m'immagino.  Dio,  se  avess 
L^  conosco  tanto  il  cavalier  Francesco.  Non  po- 
trebbe, signora,  far  rimandare  a  domani  ?  Lei  è  an- 
cora così  scossa,  poveretta,  così  sofferente.  Ieri  il 
funerale,  oggi.... 

Cecilia  (si  allontana  dalla  signora  Ticchi 
gitasi  mal  sopportando  questi  compianti) 

La  prego.  La  prego.  La  prego.  Scusi.  n<  in 
rimandare,  non  dipende  da  me.  non  posso  proprio, 
scusi.  Guardi  che  Suo  marito   sarà  qui  subito. 

La  signora  Trechi 

Provi,  signora  !  Dica  una  parola  ! 

Cecilia 

Ma  no,  cosa  vuole  che  dica  ?  Che  ragione  vuole 
che  trovi  ? 

La   signora  Trechi 

Senta,  almeno  cerchi  che  mio  marito  non  frughi 
tanto,  non  guardi  tanto!  Ci  sarà  anche  il  cavalier 
Frani >  - 


Cecilia 


Sì. 


La  signora  Trechi 

Ah!  E  allora,  non  potrebbe  Lei  fare  in  modo 
che  invece  di   mio  marito  aprisse  lui  ? 

Cecilia 
Questo  sì,  se  sarà  possibile.  (Saluta  del  e 

La  signora  Trechi 

Grazie,  lo  faccia,  lo  faccia!  E  mi  perdoni!  (E- 
sce). 

(Cecilia  preme,  dopo  un  momento  di  attesa,  il 
bottone  del  campanello  elettrico.    Entra   Giovanni). 


Comandi. 


E'  uscita? 


Giovanni 


Cecilia 


Giovanni 

S  --ignora. 

Cecilia 
Ma   perchè  l'avete  fatta   entri 

Giovanni 

Scusi,  signora.  1<    veramente,  siccome  Lei  ha 
to   del   signor  notaio  e  anche  la  signora  ha   detto: 
che  c'è  la  moglie  del  nota  venuto  a 

prendere  gli  ordini  e  intanto  la  signora,  invece  di 
aspettare,  non  so  che  signora  sia.  mi  ha  seguito. 

Cecilia 

Bene,  vi  raccomando,  quelli  che  ho  detto  e  nes- 
sun altro,  nessuno,  nessuno  !  E  se  insistono,  non 
venite  a  prender  ordini,  insistete  anche  voi  che  se 
ne  vadano.. 

Giovanni 

S    -ignora,  ho  inteso   (Esce). 

Cecilia  (sola) 

Dio  mio,  come  può  affannarsi  tanto,  quella  don- 
na ?  Come  sarei  felice,  io,  s'egli  potesse  cacciarmi 
di  casa!  —  Ah  Signore,  almeno   lo  ti  su- 

bito questo  testamento  !  Almeno  non  mi 
tanto  le  mani  nelle  sue  carte!  Forse  non  sono  stata 
sincera,  io,  con  quella  povera  donna.  (Si  ode  un 
tocco  di  campanello).  Saranno  qui,  adesso.  —  For- 
se le  ho  promesso  di  guardare  che  il  notaio  non 
frughi  come  se  avessi  pietà  di  lei  e  invece  non  è 
vero,  il  mio  orrore  è  di  quelle  mani  che  prende- 
ranno la  sua  chiave,  che  apriranno  la  sua  scrivania. 
Oh  Signore,   Signore,    Signore  ! 

(Entra  Giovanni) 

Giovanni 

Il   signor  cavalier  Francesco. 

(Entra  Francesco  Festi.  Cecilia  gli  va  incontro, 
gli  stende  le  mani  in  silenzio.  Francesco  le  prende 
le  mani,  l'attira  a  se,  la  bacia  in  fronte.  Nessun  al- 
tro salìiio  e  scambiato). 

Francesco  (a  voce  ba~ 

Temevo  d'essere  in  ritardo. 

Cecilia  (colla  stessa  s 

Io  non  so  mai,  adesso,  che  ore  s 

Francesco  (guarda  /'< 

Le  due  non  sono  ancora  suonate',  mancano  cin- 
que minuti. 

(Pausa.   I  due  siedono,  lontani   l'uno  da/fa!!' 

Francesco 

Pietro  non  viene  mica,  sai.  Neppure  Valentina. 


IQO 


LA    M   ITI  B  \ 


S'ep]  un    M  ch'è  inutile    \  et 

tutti.  E   i 

ii  1  \ 

Viene  certo,  perchè  non  ha  mandato  a  *  1  i r  niente. 

Francesco  (sempre  a  <ssa) 

.ita  una  dimostrazione  immensa,   ieri.   Pro- 
opre  il  viso  con  le 
man  pattuì).    Hai   visto  i    giornali   ili   sta- 

mattina"''  (i  scuote  il  capi>  silenziosamente). 

Sun  pieni  di  articoli  e  tutti  belli.  Te  li  ho  portati. 
I      Pia  non  fa  segno  di  ringrà- 
.  né  di  prenderli).  Li  metto  qui,  sulla  scrivania. 
erai    (Pausa).  L'ultima  volta 
l'ho  veduto  in  stato  qui,   proprio  qui. 

Mer  rso,   alle  cinque.  Si  sentiva  già  male, 

qui  c'erano  quiri  liei  R  aumur,  io  soffocavo  e  lui 
aveva  freddo,  stava  al  caminetto.  Ricordo  che  l'ho 
dato,  anzi,  e  lui  si  è  seccato,  si  è  inquietato  più 
del  ragionevole.  Non  ne  ho  fatto  caso,  sai  che  il 
povero  Cari  .    |ualche  volta,  era  piuttosto  suso 

Cecilia  (vivacemente) 

\<  .  no,  non  è  vero,  mai  non  era  suscettibile,  a- 
rdere  la  pazienza  tutti  i  giorni  con 
me,  non  la  perdeva   mai.   Anche  qui,  quante  volte 
mentre  lui  lavorava,  non  sor  venuta  a  leggere  pro- 
di tacere  e  poi  ogni  momento  era  una  do- 
manda, anche    ciocca   tante   volte,  per   farmi  spie- 
una  cosa  o  l'altra,  perchè  capisco  così  poco!  E 
lui    era     sempre     buono,    mi     rispondeva     sempre. 
(Pausa). 

Francesco 

che  mn  mi  posso  toglier  dal  cuore  quella  ro- 
manza che  ci  hai  cantato  martedì  sera,  proprio  mar- 
tedì sera. . . 

(ondosi) 

Non   dirmi,    non    dirmi   questa    cosa    perchè    l'ho 

pre  anch'io    |ui    alla  gola!   Mi  pan-  di  averla 

chiamata  io  la  morte!  E   gli  piaceva  tanto!    D 

che  sei  andato  via  tu   me   l'ha  fatta  due 

■  ledi     mattina    l'ha    canterellata 

SO  quante   volte    lui,    diceva   di    non    potersene 

-re: 

rima  tu  mi  dai  cagion  di  duol 

M:t     p 

Ah  perchè   1 1  i    parevani  ■  i  sta   per  lui   e 

peri.  uelle  romanze  dell' •  Amor  di  donna  ». 

par.-  die  l'abbia 
io.  la  mori  nche  tu  ' 


I    R  \Nl  ESCO 

(Si  alza,  va  a  lei  con  le  inaiti  tesi 

i  Hi    ma  Cecilia!  Cara  Cecilia!  <  '  (En- 

tra  Giovanni). 

(  '.un  INNI 
Il  signor  professore. 

1    ECILIA 

:  (Fa  un  ^esti>  a  Francesco  come  per  dirgli 
di  troncare  e  va  incontro  al  professor  Mannelli  clic 
entra.  Si  abbracciano  in  silenzio,  lungamente.  Poi 
Mannelli  e  Francesco  si  stringono  la  mano,  pure  in 

\\  \\  NELLI 

Se  \iioi   dare  un  bacio  a   mammà  è   nel    tuo  sa- 
lotto. Qua  non  viene.  Anzi  devi  scusarmi  se  ho  p  r 
dina  un   po'   la    pazienza  con  Giovanni  che  fa 
difficoltà   a  lasciarla   entrare  perchè  tu   non  gliel'a- 
vevi  detto. 

Cecilia 
Vado.    (Esce). 

M  WNF.I.LI 

(ansioso  e  commosso,  a  Fraine* 
Cosa    le  pare  di  Cecilia?  Come  La  trova? 

Francesco   (con  agi/a:ione   improvvisa). 

Senta,  ora  che  uscita.  Io  devo  assolutamente  fare 
una  cosa  ;  devo  aprire  la  scrivania  e  prender  fuori 
delle  carte  prima  che  ritorni  lei  e  prima  che  venga 
ì     chi. 

M  \nnelli  (meravigliato) 

Delle  carte?  Xeni   so,   dico. ...    faccia...    forse  po- 
trà dirmi...  mica  per  niente...  li 

non  so.   infatti. . . 

I   B VNCESCO 

Allora.    I.e    dirò.    (ìià    non   è   il    momento  di    far 
ionie,   questo.   Ito  visto  qui.  cinque  minuti    fa, 
la  signora  T  rechi. 

M    nnelli  (trasalendo) 

<  ' ■  -  La    !  io  In  ha  .unto  l'imprudenza  di  venir 

qua  3   Ter  i 

I   R  ANCESCO 

Ecco,   i'  i  tu  in  SO  Si  I        non 

.ne  lo  ha  detto  e   ii    non  gliel'ho  domanda:'.    L'ho 

travata  in  fondo  alle  scale  che  mi  aspettava.  Appena 

mi  ha  visto  mi  ha  afferrato,  i  irio  alTer- 

tnni). 


IL    RITRAT 

Giovanni 
Il  signor  dottor  Trechi. 

Trechi    (entrando,  i  on    vod    stras 
Con  permesso. 

M  wnelli  (a  Giovanili) 

Avvertite  la  signora. 

(Trai::,  Mannelli  e  Feslì  si  dàini  ,  nte 

il  buon  giorno,  senza  stringersi  la  mano.  Giovanni 
esce). 


Trechi 

('hiedo  scusa  di  aver  tardato.  Som.  stato  a  un 
pelo  di  non  poter  venire  perchè  ho  incontralo  poco 
lontano  da  qui  la  mia  signora  che  si  sentiva  male. 
Ho  dovuto  accompagnarla  fino  a  casa  e  se  avi  s>i  a- 
scoltato  lei  ci  sarei  rimasto. 

Francesco 
Senta,    se  crede,  possiamo  rimandare. 

Trechi 
Oh,  si  liguri  ! 

Francesco 
Ma  si,  rimandiamo! 

Trechi 

Ma  neppure  per  idea  !  Sono  tranquillissimo.  Se 
guardassi  ai  nervi  di  mia  moglie  !  Conosco  la  cura, 
quattro  parole  secche;  scommetto  che  a  quest'ora 
sta  benissimo. 

Francesco   (a  Mannelli) 

Scusi,  professore.  Come  Le  dicevo,  ci  sarebbe  da 
vedere  questa  cosa  in  biblioteca.  Vuol  favorire  poi- 
chi   mia  cognata  non  è  ancora  qui? 


M  \NNELLI 


Come  crede. 


Francesco  (a  Trechi) 

Scusi,  dottore.  (Esce   con  Mannelli   per  la  porla 
della  biblioteca.  Entra   Cecilia). 

Trechi  (con  un  profondo  inchino) 
I    miei  complimenti. 

Cecilia  (dolcemente) 
Buon   giorno    Scusi:    mia  padre?  Mio  cognati   - 
Trechi 

Sono  usciti  adesso,  per  di  là. 

Cecilia  (aprendo  l'uscio  della  biblioteca) 
Papà  !  Son  qui. 


0   MASCHERATO  P  17 

Mannei  li  (di  dentro) 
Veniamo  subito.  (Pausa). 

Trechi  t  sommessamente) 

Un  colpo  granile.    (Pausa).   La   scrivania 
Sta,    non   .     vero,     signora? 


(  'echi  a  (coi  rotta) 


Sì,  questa. 


M  \  --.M  1  1  1  (rientrando) 


Mi  rincresce,  il  cavaliere  non  trova  la  chiave.  Du- 
bitava di  averla  dimenticata  in  biblioteca,  ma 
non  c'è.    (Sopraggiunge  il  cavalier   Francesco). 

V RANCESCO 

Me  ne  rincresco  tanto,  non  c'è  proprio.  Ho  pania 
che  bisognerà  rimandare  per  forza. 

Cecilia 

Io  l'ho  data    a  papà    l'altra    sera,   la   chiave. 

Mannelli 

I  io  1  ho  data  al  cavaliere  la  sera  stessa  Si  ca- 
pi m -e  che  l'avrà  lasciata  a  casa. 

Francesco 

Dev'essere  così.    Io  sto  molto  lontano   e  poi,  nel- 
l'incertezza...  Mi    pare  che  si  passa   benissimo  ri 
mandare  a   domani  alla  stess'ora. 

Trechi 

laco,  \eramente  ho  avvertito  il  Pretore  che  si  sa. 
rebbe  andati  da  lui  per  la  lettura  versa  le  due  e 
mezzo,  circa.  Sarà  lì  ad  aspettarci.  Potrei  andar  io 
a  dirgli  la  cosa,  ma  poi  domani  sono  impedito. 
(Francesco  e    Mannelli  si  appartano  con  Cecilia'). 

Francesco  (a  voce  bassa) 

Se  domani  proprio  non  può,  ne  chiamiamo  un 
altro,  ecco.  Cosa  ti  pare? 

(Intanto  Trechi  si  è  avvù  //.ito  alla  scrivan  a, 
leva  di  tasca  delle  chiavi  e  ne  fa  la  pi. 


\l  >  «NI  I  I  I 


Ter  me,    benissimo. 

Cecilia 

Sì,  sì,  ne  chiamiamo  un  altro,  pare  anche  a  me. 
V  li  3S0  glielo  dite. 

Francesco  (voltandosi) 

Senta,  dottore. 

Trechi 

(fa  girar  una  chiave   nella  toppa) 

Signori,  è   aperto.   Io  ho  una  chiave  mira 
(Mos'ra  la  chiave  e  se  la  rimette  in  tasca). 


ioH 


mia). 

i    ap,  rt,       \  Mi  i"  n  oni  ■  i    . 

vorrei  tanto  cercarla  io  ques 

Vnche  voi  mi  per- 

TW  ft    tClllp").     NI  WM  Miri   RANI  f.sco 

No,  no,  no,  no  I 

Cecii  IA 

Ma  perchè,  ■■'  che  nessuno  le 

\i  co  che  se  li 

Fammi  questa  grazia,  E  raw  i     i 

Mannelli 

i  'ara.  ti  ri  .ninnivi  trorjp 

[LIA  (attonita) 

Mi  commovo  troppo,  papà?  Tu  mi  dici  che  non 

mi  devo  ropp       Tu   credi  che  se  non 

quelle  carte,      questa  è  amara,  sai,  papà  mio. 

Francesco 

\,  .  cara,   intendilo,  tuo  padre  dice  che  sarebbe 
un  si  prappiù  di  angoscia  superiore  alle  tue  fi  rze. 


LA    LETTI  RA 

Tre<  hi 
Se  venissi    Farebb    |  Fi  sti,  non 


■    già  ! 


Mannelli 


Francesco 


Guarda,  farà  tuo  padre,  ch'è  tuo  padre,  oppure 

farò   io  che  sono   il    fratello  di  Carlo  {a  Trechi). 

Scusi  i    capirà  {Trechi  fa  un  gesto 

di  acquiescenza.  Francesco  apre  prontamente  il  cas- 

.  si  (luna  a  leggere).    Ecco,    ecco,  guarda   chi 

!    (Prende  una  e  art  a   e   spinge  il  cas- 

■   ,     Eccolo  trovato.   Fra  proprio  sopra. 

M  wnelli  {contento) 

Bene.  Vedi,  cara,  che  non  si  è  rovistato,  che  non 
nte? 

Trechi 
E'  chiusi  ipi  no  il  testamenti.  - 

Francesco 
uso. 

Trechi 

Allora  I"  apriremo  in  Pretura.  Si 

dian  i  'di.   Li  prego  di  \ 

e  due  i  on  me  pi  r  udir,    la   lettura. 

\I  \NNELLI 

I,  e  venga  anch'io  do. 


i  u  ? 

\NCESCO 

(  'erto  {a  Trechi).  Vui  ! 

Tri 
Volontieri  {chiude). 

Cecilia 
Adesso  mi  pare  che  possiate  lasciare  apei 

Tri-.<  ih 

Senta,  signora.  (Presenta  la  chiave  a  Cecilia)  que 
sta  chiavi   non  mi  eco  rre.   Io  la  lascio  a  lei  fii 
che   avranno  trovata    l'altra. 

Mannelli 

\,  ,ii   s'ino  nindi  ! 

Cecilia  {che  ha  presa  la  chiave) 
Poiché   è  tanto   gentile.  Il"    piaci 

,i\  i  ria. 

{Trechi  e  il  cavalier  Francesco  salutano   Cecilia 
ed  escono.   Mannelli  rimane  indietro). 

Mannelli 

Cecilia,  adesso  vai   da  mammà,   vero?   Stai  nel 
tuo  salutili,  con  lei?  lo  ritorno  appena   finito.  Anzi, 

se  permetti,  lascio  qui  un  libro  che  m'incoi la  un 

poco.    Andiamo,   cara.   Ti    voglio   condurre    io,    da 
mammà. 

Cecilia 
No,   papà,  ti   prego.  Invece  mandamela  qua  lei. 

Mannelli 
Ma  perchè  "J  Vieni  '. 

Cecii  ia 

\n,  no,  ti  scongiuro;  per  mammà  è  lo  stesso,  io 
starei  sempre  qui,  giorno  e  notte.  {Entra  la  signora 
Mannelli). 

La  sigm  ra  M  \nnelli 

Si  no  partiti?  Ah,  papà  è  ancora  qui. 

Mannelli 

Vado.    Persuadi  tu  Cecilia    di   non    restare  qui   a- 
.    Ci  è  stata  tutto  il  giorno,  è  troppo!  {E 

l  a  sigm  ira  M  uxnelli 
Non  vuoi   proprio  venir  via? 

ii  i  \ 

\,  .  mamma,  no.  (<  nendosi  di  qual- 

che ,  osa)    \h  -  .  anche  questo;  una  1 1  "tira 

da  tranquillare. 

i  .  signora  Mannei  i  i 

Chi  ?  l 'he  creatura  ? 


IL    RITRATTO    M  VSCH1  R  Vl'o 


[99 


Cecilia 
Niente,  devo  cercar  ilelJe  carte  nella  scrivania. 

La    signora   Mannelli 
Posso   aiutarti  ? 

Cecilia 
Cóme  vuoi.  Però  è  meglio  che  taccia  io. 

La  signora  Mannelli 
Senti,  cara.  E  non  prenderesti  qualche  cosa,  pri- 
ma? La  tua  gente  mi  ha  detto  che  non  hai  ai 
preso  nulla,  oggi.  Xon  puoi  andar  avanti  cosi.  Ce- 
cilia. Pensa  che  potresti   anche  trovarti,  chi  sa,  in 
uno  stato!... 

Cecilia  (interrompendo) 
Xo,  mamma  mia,  non  parlarmene.  Dirai  chi  di 
vrebb'essere  un  conforto,  ma  io  non  lo  voglio  ap- 
punto per  questo.  I  conforti  della  mia  fede,  quelli 
si  ;  altri  no,  no,  no.  E  se  tu  sentissi  come  sto  bene  ! 
Non  sono  mai  stata  così  bene.  Cerchiamo  questa 
carta,  ora. 

(Siede  alla  scrivania,  vi  punta  ì  gomiti  e  strin- 
gendosi il  viso  fra  le  mani  sì  affisa,  come  trasogna- 
ta, nel  vuoto,  recita  con  voce  fioca): 

La  prima  tu  mi  dai  cagion  di  duol 

Ma  passa  il  cor. 

Spietato,  immerso  nel  profondo  sei 

Mortai  sopor. 

La  derelitta  guarda  intorno  a  sé 

Tutto  è  squallor 

Xon  ho  più  amor  —  vissuto  hai  tu 

Io  non  son  viva  più. 

Sai,  mamma,  che  l'ho  chiamata  io  la  morte? 
La  signora  Mannelli 

Cecilia  !  Come  puoi  dire  queste  cose  ? 
Cecilia 

Lo  dico  e  lo  penso,  mamma.  Perchè  vedi,  lo  sai 
bene,  io  le  cantavo  tanto  quelle  arie  dell'  «  Amor  di 
donna»  di  Schumann.  Tutte,  ma  sopra  tutte  «La 
mente  mia  si  smarrisce»  e  questa.  L adoravo,  quel- 
la poesia,  quella  musica.  Dici  di  no,  mamma  mia, 
che  non  l'abbia  chiamata  io,  la  morte  ? 

La  signora  Mannelli 
Cecilia!   Tu  mi  hai  rimproverate  delle  supersti- 
zioni, qualche  volta,  colla  tua  dolcezza.  "Ma  questa 
cose?  Dimmi  '. 

Cecii  1  \ 

Ti  pare  una  superstizione,  mamma?  Ti  pare  che. 
sia  peccato  di  pensare  così?'  Allora  non  perts  rò 
più  così,  non  penserò  più  così.  Il  Signore  mi  pei 
donerà  perchè  non  mi  è  venuto  in  mente  che  fosse 
peccato.  E  non  ne  sono  mica  proprio  sicura,  .sai, 
ancora.  Però,  nel  dubbio,  non  bisogna,  vero?  Non 
ho  mai  avuto  tanto  orrore  di  far  peccati,  mamma, 
come  adesso  che  devo  pregar  per  Lui  e  prepararmi 
ad  andar  con  Lui  ! 

La  signora  Mannelli 

Bambina  mia,  non  ne  hai  mai  fatto,  tu,  dei  pec- 
cati. 


ILI  A 

(coprendosi  gli  occhi  con  le  mani) 
Oh  inanima,  mamma  fa)  E  intanto  mi  di- 

I \  ora  della  carta.   (Apre  1!  cassetto). 

La  signora  Mannelli 
1  .ascia   che  ti  aiuti. 

Cecilia 
Sì,  sì  aiutami.   Tanto  tu    non   parlerai.    Peri 
tratta   di   un   segreto,    bisogna   trovare    una    lettera 
della  signora  Trechi. 

La  signora  Mannelli    (scattando) 
Della   signora    Trechi? 

Cecili  \ 
Sì,  della  signora  Trechi.   Una  lettera   in  cui  si  ri- 
conosce   lebitrice   di  cinquecento    lire  che  Carlo  le 
aveva  prestate. 

La  signora  Mannelli 
Ma  perchè  la  cerchi  adesso? 

Cecilia 
Perchè  è  stata  qui  lei,   poco   fa,   tutta  affannata 
per  la  paura  che  suo  marito,  facendo  passar  le  car- 
te,   qui    dentro,    la    scoprisse.    Suo    marito    non    sa 
niente  e  guai  se  sapesse.  Voleva  levarla    lei,   ma  io 
non  avevo   la  chiave.    Adesso    penso    di    cercarla  e 
di    mandargliela  perchè  si  dia  pace,   povera  donna. 
La  signora  Mannelli 
Cara  te,   lascia  un  po'  stare.   La  cercherà  papà, 
quando  ritorna.  Credo  che  sarà  qui   stillilo. 

Cecilia 

Nò),  a  papà  non  lo  voglio  far  sapere.  Mi  pare 
ili  aver  capilo  che  la  signora  Trechi  gli  sia  antipa- 
tica. Non  vorrei  che  poi  facesse  delle,  supposizioni 
poco  caritatevoli  sull'uso  di  quel  denaro.  (F.eva  dal 
cassetto  e  porge  a  sua  madre  un  fascio  di  carte). 
Fa  passar  queste,  tu,  intanto.  Sarà  bene  di  levar 
fuori  tutto.  Ah,  Dio  mio!  (/-'ruga  nel  cassetto  per 
raccogliervi  sulla  fiocca  tutte  fé  carte).  Qui  in  fondo 
c'è  anche...  (Leva  una  fotografia,  s'interrompe,  '0 
guarda). 

La  signora  Mannelli 

(  '1  s'è  ? 

Cecili  \ 
(a  voce  bassa,  ma  nini  turbata,  guardando  sempre 

la  fotografia). 

Una  leti  grafi. 1.  Una  signora  in  toilette  da  ballo, 
11  11   l.i  maschera.  (Pausa). 

La  signora  Mannelli 
voce   un  po'  tremante) 
Con  la  maschera?  Lasi    1   vedere. 

Cecilia  (le  porge  la  /olografia) 
E  anche  delle  lettere  ci  sono.  Sarà   forse  qui   la 
lettera  della  signora  Trechi. 

La  signora   Mannelli  (vibrata) 
Dammele.    Le    passerò   io.    La    fotografia   non   è 
della   Trechi. 


Jl  II  I 


LA    LETTURA 


mquillà) 
Non  h  he  sia  della   ricchi,  io. 

La  s  Mannelli 

he  I"  supponi 

I      CILU    ('.'.  ' 

[o?  Non  supponevo  niente,  Del  resto  mi  pare 
che  sia  di  I  hi.  Non  l'ho  mai  vista  sorridere, 
ma  ■  Sia  di  Ila    I  rechi  o 

non  sia  della   rred  na,  pei  me  fa  I"  stesso. 

La  signora  Mannelli 
S'intende  bene     l'i  «  1  i r ■" »  io  che    fi  o  rafia        E1 
i  che  somiglia  alla  Trech     Mi  ricordo  che  Carlo 
l'ha  veduta  a  Milano,  in  Galleria,  un  giorno  che  si 
pass  nsieme  noi    due,  mentre    tu   scrivevi 

lettere  ali  G  làuta  e  l'ha  comperata. 

I    adesso  dammi  le  lettere  pi 

Cecilia 
Te  le  darò  ma  non  c'è  nessuna   premura! 

La  sigrn  ira  M  innelli 
Oh  lo  so!  Dicevo  perchè  ci  sbrigassimo.    Me  le 

dai  ?  (Butta  il  ritratto  sulla  scrivania). 

Cecilia 
Perchè  lo  butti  via  così,  quel  povero  ritratto? 

I  a  signora  Mannelli 
Dammi  le  lettere,  andiamo,   facciamo  presto,  se 
papà  non  ha  da  saper  niente.   E  tu  prendi  fuori   il 
.   intanto. 

Cecilia  (balzando  in  piedi) 
Mamma!  Tu  mi  fai  male,  sai.   Perchè  io  ti  ca- 
pisco,  tu  ha  dei   sospetti,  di    la  verità  ! 

La    signora    Mannelli    (atterrita) 
Ma  no,  non  tiu  sospetti,  non  ho  sospetti! 
Cecii  ia 
ne  crescente  e  con  lagrime) 
Sì,  sì,  tu  hai  sospetti.  Mi  fai  male,  mi  fai  male, 
mi  fai  male!   E    non  è  la   prima    volta  che  mi    fai 
male.  Tu  e  anche  il  papà.  Sì,  anche  il  papà  ' 

La  signora  Mannelli 
Ma  no.  cara!  Ma  quietati! 

t  Iecilia  (agilalissima) 

Si.  sì,  si  !  Quante  volte  l'ho  capito  che  avevate  dei 
etti  1  Non  avete  mai  detto  nomi,  ma  discorsi 
vaghi  me  ne  avete  fatti  tanti!  «  Meglio  che  Carlo 
non  vada  qui.  meglio  che  Carlo  non  vada  lai,  op 
pure  «  vacci  anche  tu.  non  lasciarlo  andar  \ 
e  tante  pan. le  così.  Credete  che  non  abbia  capito? 
Credete  che  non  mi  abbia  fatto  male":'  Non  ni  co- 
noscete^ ne  tu  né  il  papà  Scusa,  mamma,  non  ca 
pite.  proprio  non  capite  che  ferir  lui,  per  me,  ì 
..  .   mille  volte  peggio  che  ferir  me.  In  passato 


Soffrivo  dentro  di   me,  ma  tacevo.   Adesso 
morto,  no,  non  taccio.  E  comi  .  i    n  -rto!  Con 
quella  dolcezza  di  parole  che  mi  ha  detto,  i 

Diazione  delle  parole  che  gli  ho  detto  io,  col  suo 
Signori    nel  petto,  con   il  Crocifisso  in  man...  )■;   tu, 

ma.  mi  x  ieni    fuori,     li  II  5Si  .   Con   quesl  i   mi 
bili  sospetti,  con  queste  offese  !  Sì,  sì.  tu  hai  paura 
che  io  s.-.  i  ia  chi  sa  cosa  !  Mamma,  mamma,  tu  non 

il   Lene  che  gli   voglio  io  !   Tu  non   puoi 

capire  i  he  se  m  ri  fi  ì   •  stato  |ht  la  religione,  pi 

del  Signore,  io  avrei  calcolato  niente  il  mio 
soffrire  se  un'altra  donna  meno  stupida  di  me,  me- 
no ignorante  di  me  lo  avesse  potuto  rendere  più  fe- 
bee! Se  avessi  capito  che  ci  tosse  qualche  cosa,  sai 
jiu  l  che  a\  rei  fatti  ivrei  pn  i  il  Sigi  ic  di 
Ianni  morire  e  se  il  Signore  mi  avi  sse  fati  a  ia  gra- 
zia sarei  morta  in  pace,  tanto  in  pace,  Unto  coti 
tenta.  Non  sai  che  non  ho  mai  potul  intendere 
come  si  sia  innamorato  di  me,  Carlo?  Non  t.  per- 
metto di  offenderlo.  Dio  mio,  mi. minia,  ho  paura  di 
dimenticarmi  che  sei  la  mia  mamma.  Scusa,  scusa, 
scusa.  Ma  tu  non  le  gnu  ...  incile  lettele,  nep- 
pure una  ne  guarderai  ;  e  neppure  io  le  guarderò, 
adesso;  mi  parrebbe  d'insultare  il  mio  caro,  il  mio 
i  re,  il  mio  tutto  dopo  Dio.  Prendi,  mamma  mia 
(/(•  consegna  le  lettere)  va.  bruciale,  bruciale  subii..! 
S  i  .-  denti.,  l'obbligazione  brucierà  e  in  ogni  tr 
io  scriverò  a  quella  signora  che  nessuno  l'ha  vista 
e  che  l'ho  disti  u 

La  signora  Mannelli 
(aitasi   supplichevole,   tenerissima) 
Sì,  ma  cn  di,  cara... 

(  'l.i    ILI  \ 

Va.  va.  va.  brucia,  brucia,  brucia!  E  poiché  sai 
che  il  ritratto  ;•  un  ritratto  o  mpi  rati  .  brucialo  pure 
anche   quello,   brucia,    brucia! 

La  signora  Mannelli 
Si.  si.  cara.  (Butta  le  lettere  e  il  ritratto  sul  fuo- 
co    Cecilia  l'ha  seguita  sin  quasi  al  caminetto). 

Cecii  i\ 
11, ii  bruciato  ?   Hai  bruciato  tutl 
La  signi  ni   M  INNEl  LI 
lei) 

Si,   SI.    tutto. 

I    I  .   1 1  IA 

(  )h.   mamma   mia  ! 

(Le  si  getta  ùnglnozzando  fra  le  braccia.  Cala 
la   tela). 

Antonio   I    ca  :zaro. 


Nmi.    -    I    versi    di    Chamisso,    musicati    da    Robi 
Schumann.  son  riferiti  nella  traduzione,  assai  efficace,  del 
conte  Vittorie  di   MarmoiitO. 


■■•  ■  \/:~:':  y 


nr 


CASTA    131  VA 


{Continuazione  e  imr,    vedi  numero  precedente). 


VI. 


Il  generale  Bonferreri,  che  i  veneti  della  colonia 
chiamavano  a  general  gambe  de  pano»,  se  appunto 
stava  male  in  gan'be,  era  altrettanto  forte,  anzi  du- 
ro di  testa.  Di  solito,  non  gli  venivano  in  niente  più 
di  due  idee  all'anno,  una  d'estate  e  l'altra  d'inverno, 
ma  poi  l'idea  gli  restava  dentro  fisa,  come  un  chio- 
di nel  muro,  per  tutta  la  stagione.  In  quell'anno, 
a  Boscolungo ,  l'idea  estiva  era  il  matrimo 
uhi  dell'onorevole  Parvis  con  la  marchesina  d'Al- 
baro:  due  bei  nomi  ,  uno  vecchio  e  uno  nui>\<>. 
per  tutti  i  gusti,  e  anche  due  belle  persone.  C'era, 
evidentemente,  molta  simpatia,  perchè  si  trovavano 
insieme  spesso  e  volentieri...  —  Lui  sembrava  ap- 
passionato per  la  musica,  lei...  per  i  cani  —  Dun- 
que, un  bel  matrimonio!...  Un  bellissimo  mairi 
monio  ! 

E  pensandoci  sopra,  queste  nozze  sarebbero  state 
appunto  convenientissime.  almeno  per  il  generale, 
sotto  tutti  gli  aspetti.  Egli  era  un  vecchio  amico  della 
marchesina  e  all'Abetone  avrebbe  avuto  campo  di 
diventarlo  anche  dell'onorevole.  Lui  pure,  il  gene 
rale.  —  perchè  no!  —  si  sarebbe  stabilito  a  Milano. 
Sarebbe  andato  in  villa  dai  Parvis  a  passare  l'au- 
tunno ;  poi  in  città,  in  casa  Parvis.  a  pranzare  la 
domenica...  e  qualche  altro  giorno  della  settimana. 
A  teatro,  avrebbe  avuto  il  palchetto  dei  Parvis 
dove  avrebbe  fatto  da  cavaliere  alla  marchesina 
Sofia,  quando  l'onorevole  sarebbe  stato  a  Roma. 

—  Sì!  Sì!  Il  matrimonio  è  più  che  conveniente, 
è  necessario  ! 

Oramai  «  Gambe  de  pano  »  sente  il  bisogno  di 
avere  una  famiglia...  altrui. 


Egli  comincia  col  decantare  e  col  far  ammirare 
la  ragazza  all'onorevole,  come  fosse  «  un  puro  san- 
gue »     di  cui  volesse   proporre  l'acquisto. 

—  Guardate,    onorevole,    che    bella     incollatura' 
— ■  Bellissima  ! 

-  Che  portamento  superi»)!...  E  che  ginger! 
Ma  nello  stesso  tempo  di  bocca  gentile!  Garanti 
sco:  parola  donno-!  Mente  morso,  niente  briglie! 
Si   lascia  guidale  uhi  un    lilo  di  seta  rosa! 

Nella  foga  dell'entusiasmo  «  Gambe  de  pano  » 
sa  trovare  anche  l'immagine  poetica  :  ma  pure,  non 
perde  tempo  in  chiacchiere  e  viene  subito  e  diritto 
all'assalti). 

Sono  Otto   giurili,    in    punto,   che    Ceiaiili)    l'anis 

è  arrivato  all'Abetone.    E'  appena  finito  il   prai 
e  passegggia  su  e  giù  col   Bonferreri   dinanzi  alla 
succursale.  La  sera  è  dolce  e  tepida:  una  di  quelle 
due  o  tre  sere  primaverili,  che  l'Agosto  concede  alla 
montagna.  La  luna  immobile  -      inonda   l'etei 
e  dall'orizzonte  pallidi,  e  luminoso   la  catena  dei 
monti   e    il   profilo   frastagliato  della   pineta 
brano   avvicinarsi,   sembrano  unirsi    in    un'intim 
consapevole  ed  affettuosa. 

Ma  Gerardo  non  vede  né  la  luna  d'argento,  né 
le  stelle  d'oro,  né  il  cielo  bianco,  né  la  terra  nera. 
Sofia  canta;  egli  non  vede:  ascolta.  La  sua  anima 
e  i  suoi  sensi  provano  il  fascino,  il  languore  di  tutti 
gli   ooo  del  fé  t'adooorc! 

Onorevole,    una   buona  idea. 

Il  Parvis  ha  una  scossa. 

-  Voi.  generale?...   Sentiamo. 

—  Dovete  prender    moglie. 

—  Prendere   moglie? 

—  Penso  io  a  tutto  '■ 


Jl'j 


LA    LETTURA 


1  le.    I  n  i\  atemi 
intanto  una  rm  igl  e,   pi  ii  ne   disci  irreremo. 
I  ta. 

1 1  Pan  i-  -:  li  rma  serio,  inquieto. 

I         san  i 

I  .1  ìst  :  a 

<  !•  .  !   il  colpi    .-  però  risponde  an- 

un'alzata  'li  spalle: 

I I 

Ma    l'altro  replica  spiccando  le  sillabe: 

Ed  è  'la\ veri i  una  creatura 
ila  far  diventare  matti  I  Vorrei  essere  in  voi  per  una 
pei   spi  sai  la  io  ! 

di  scherzare  I 
Chi  di  strano?  La  ragazza  vi  piace. 

Noi  .  vi  -piaci  molto:    si   vede  ad  occhio 

nudo. 

Il  cai  ssati  :   vien  gente  in  istrada. 

—  Parlate  sottovoce  ! 

E  vi  -  Geranio  sente  i  baffoni  bianchi 

eil   ispidi   ilei  geni  i  gli  sfiorano  l'orecchio: 

I   lei. 

'   (  lambiamo  discorso  ! 

-  Vi  guarda  in  un  certo  modo!...  Quando  voi 
li    punzecchiate  finge  di  arrabbiarsi,  ma  le  rìdono 

occhi!  E  poi,  vi  lete  una  prova?  In  tanti  anni 
non  è  mai  andata  sola  a  passeggiare,  Con  nessun^. 
e  con  \  i  li  sì. 

—  Min-  M'Ite! 

ie  ve  ne  ricordate!      -    Il   generale  molto 
soddisfatto  di  igliere  in  trappola  un'Eccel- 

lenza, scoppia  in  una  risata  rumorosa. 

Il    !  venta   ancora  più  serio,  quasi  torvo: 

vuol  mettere  fine  allo  scherzo. 

unta  a  passeggiare  con  me...  lo  po- 
teva  Lo.-.  Non  sono  più  un  ragazzo.  Potrei  essere 
suo  padre. 

11  generale  si  scosta  un  attimo  fissandolo  attenta- 
mente con  l'aria  di  fare  una  stima. 

—  Quanti  anni  avete? 

—  Sono...   dopo  i    quaranta,  da  un  pezzo. 

-  L'uomo,   fino  a    che  non   ne   ha  cinquanta,    e 

i  pò,  ne  ha  sempre  quaranta. 
pun   .    ma   la  signorina  d'Albani  ne  avrà 
venti,   ventiline!  Quanti  ne  ha,  generale? 

Ventidue  che   vanno  per  i   ventitre.   E'   più 
ime   ragazza,  di  voi.  come  ex-ministro. 
I  i  i  a,  se-' 'lei' ■   la  condizii me  dell'indivi- 

duo.  Mi  tti       in  capo  a  un  uomo  di  quarantanni  un 
tto  di  capitano  e  avrete  un  vecchio  ol  eso:  met- 
quello  coi    distintivi    di    colonnello    e    avrete 

I      .d'ora    voi,    chi  ?    —     Il 

Parvis  comincia  quasi  a  divertirsi  agli  aforismi  dei- 
lamie...  Ma  «  Gambi  de  pano  •  rispondi  con  un 
doloroso  sospiro: 

'.  si  hanno  si  mpre  più  anni, 
dtà,  di  quelli  ehi-  si  din 
\  qui. tu  punto,  quasi  a  conferma  dell'asserzione, 
ba    una    spa  ie   di   traballameli!-  >.     I 
il   signor   l'it.,  che  gli   ;•  piombato  addosso  im- 
l 'impeto. 

—  Sapi  ■  Fermo...  (  ìiù  ! 


Ma  Teo,  i       arsi,  continua  con   le  fe- 

'ii    i  salti   indiavolati. 
Il  generale  rinuncerebbe  assai  volentieri  a  tante 

Ui  se   espansioni.    Le  Zampe   del   rane  gli 
insudiciano    le    falde   del    soprabito    nero;    un    : 

un  po'  lustro,  che  tradisce  la   pensione 

Al!  ISSO    basta  !      I 

a  raplimi  nti  ! 

reo  spicca   un    altro  salto:    gii    strappa  qua 
bottone  della  si  ttoveste. 

—  (  ìiù  .     E   finiamola  ! 

Alla  voce  mi)  ne,  Teo  si  acquat- 

birciandalo    di    soppiatto,    mentre,    per    rabbo- 
nirlo, gli  passa   fra  le  gambe  scodinzolando. 
Di  ve  siete  stato  finora?  -      Prospero  di 
1"    gli  esce  di  fra  le  gambe,  allungandosi, 
seiam lo.  terra  terra. 

I  li  ve  siete  stato? 

I'"   si    torce   e  si  avvoltola  rimanendo  diritto, 

distesi,  sul   dorso,  con  le  gambette  corte,  ripiegate. 

Rispondete!    Si    risponde!   Dove  siete  stato? 

li"    si  raddrizza,   si  alza,   squassa  le  orecchie,  e 

allunga  e  spinge  il  musetto  contro  il  padrone:  gli 

risponde  come   può,    in  tutti    i  modi,    sforzandosi 

[uasi  per  trovare  la  parola  che  non   ha. 

Ma  intanto  ecco  Prospero  che  sopraggiunge,  Pro- 
spero minaccioso  a  sua  volta,  e  in  atto  d'accusatore. 
Teo  corre  di  nuovo  a  mettersi  vicino  al  padrone  e 
li  '  guarda. 

Pi  rchè  non  lo  tieni  con  te,  questo  cane? 
Prospero  mastica  una  mezza  frase  che  non  si  ca- 
pisce,  poi    conclude  più    intelligibilmente: 

—  Cerca  Mimi;    scappa. 

—  Chi  è  questa  Mimi' 

Il  vecchio  resta  muto  un  momento:  si  ode 
il  leggero  tintinnio  di  una  piccola  bubbolina. 
Teo  rizza  il  muso,  fissa  gli  occhi,  gli  si  gonfiano  le 
'!■■  chie. 

—  Eccola  là  ! 

Una  bestiola  bigia,  arruffata,  tonda  tonda,  mezzo 
rane  e  mezzo  gatto,  con  un  grande  collarone  d'ar- 
gento, esce  in  quel  punto  dall'albergo:  per  un  tratto 
di  strada,  fin  che  dura  la  luce  dei  lampioni,  la  si 
\i  le  camminare  di  sghembo  su  tre  gambe,  che  sem- 
brano  <\w.   dietro  una  vecchia  americana. 

I.a  brutta  bestiola  è  Mimi:  Teo  la  fissa,  ritto, 
immobile  finché  può  vederla:  poi  quando  sparisce 
mi  buio,  via  coinè  un  Ianni"  per  raggiungere  Mimi. 

—  Teo!  Teo!  Teo!  Qui,  Teo!  grida  Prospe- 
ro, mettendosi  egli  pure  a  correre. 

Si  diffonde  rapidamente  la  grande  notizia: 
reo  '■  innamorato,  innamoratissimo  di  Mimi,  arri- 
vata quel  giorno  stesso   da   ('migliano. 

—  Caaro  il  suo  Teo!   Com'è  facilmente  infiam- 
li  !  ('auro!        E'  la  marchesina  che  si  affai 
ad  un  tratto  sulla  soglia  della  succursù 

E'  imbacuo  ita  in  un  mantello  rosso  e  sono  d 
riverbero    del    lampione    appare    in    un   conti 

.lieo  di  luci   e  di  ombre.  Che  bel   diavoletto 
i  il'    neri,  eoli    quegli   occhi   neri,    liain 
meggianti  I  Più  l<ello  di  qualunque  angelo  biondo I 
Vncora   non    ha   finito,   il    suo    sigaro5 
Si  ria,  nla  11    l'arvis  e  lo  fissa  si- 


I  ASTA    hl\  A 


20  j 


cura:  il  L'arvis,  invece,  non  può  sostener  niello 
sguardo;  è  intimidito  per  il  discorso  di  poco  prima 
del   generale. 

—  Eravamo   qui...    intenti   a    sentirla  cantare! 

—  Lo  sapevo;  e  per  farle  piacere  ho  cantato 
la  sua  romanza  ! 

La  bella  fanciulla  rispondi  i  ite,  persino  un 
po'  ardita. 

L'onorevole  ha  la  voce  bassa  e  alterata. 

—  Venga  con  noi  !  Venga  a  giuocare  !  Miss  Kean 
e  Mrs  Brand  sono  partite  !  La  sigaretta  è  permessa 
e,  se  vuole. . .  anche  lo  sigaro  !  Faremo  un'eccezione 
per  lei  !  Ma  venga  a  giuocare  !  Giuoco  anch'io  sta- 
sera, perchè  la  chov.ette  è  a  scopo  di  beneficenza! 

—  Cioè? 

—  Si  fa  così  :  chi  perde  perde  e  la  vincita  è  de- 
stinata al  povero  burattinaio  di  Boscolungo.  E'  il 
solito  che  viene  quassù  tutti  gli  anni.  Pensi,  gli  è 
appena  morta  la  moglie.  E'  rimasto  solo  con  tre 
figliuoli.  Una  ragazzina  di  dodici  anni  con  un  vi- 
sino  pallido  pallido,  tanto  intelligente  e  due  bimbi 
piccini,  piccini,  biondi,  bioondi,  due  amoori  di  pììc- 
coli,   due  tenerezze  caarc... 

L'onorevole  attratto  da  tante  vocali  d'oro  segue 
la  marchesina  nella  sala  dove  si  giucca,  disposto 
a  perdere  tutto  il  suo  patrimonio,  se  occorre. . .  e 
anche  la  testa  per  sopramercato.  La  marchesina  è 
allegra  e  felice  :  per  amore  del  burattinaio,  suo  pro- 
tetto, si  fa  un  giuoco  d'inferno  e  Sua  Eccellenza 
perde  più  di  tutti  e  con  grande  piacere.  Sofia  lo  ha 
voluto  accanto,  al  tavolino  di  giuoco  e  gli  ride 
proprio  sotto  il  naso,  con  quei  denti  bianchi,  e  quella 
bocca  da  baci.  Lo  guarda,  lo  fissa  e  gli  dice  tante 
cose,  col  solo  guardarlo  :  sono  risposte,  osservazioni, 
arguzie,  che  si  riferiscono  a  questo,  o  a  quello,  alla 
parsimonia  del  generale,  alla  goffa  prodigalità  di 
Cesare  e  di  Annibale,  gelosi  l'uno  dell'altro,  e  che 
pare,  cominciano  ad  esserlo  un  po'  tutti  e  due.  di 
Sua   Eccellenza. 

Il  Parvis  è  beato  ;  si  diverte  a  stuzzicare  la  mar- 
chesina, ma  il  frizzo  non  punge  e  gli  occhi  riman- 
gono incantati. 

l'na  volta,  nel  passarle  il  mazzo  delle  carte,  ir- 
resistibilmente le  stringe  la  mano,  ed  ella  risponde 
alla  sua   stretta  guardandolo  calma,   tranquilla. 

Intanto,  c'è  chi  fa  la  proposta  di  una  grande  rap- 
presentazione del  burattinaio  dinanzi  all'albergo. 
La  proposta  è  accolta  con  entusiasmo  e  subito  Sofia 
invita  l'onorevole  ad  essere  il  suo  compagno  di 
questua. 

Gerardo  starebbe  ancora  più  volentieri  lì,  accanto 
alla  marchesina  ;  sarebbe  completamente  felice. . . 
se  lì,  non  ci  fosse  anche  il  generale.  Ma  questo  ha 
un'aria  prudente  e  dignitosa.  Lanciata  la  bomba. 
«  Gambe  de  pano  »  spiega  una  straordinaria  diplo- 
mazia. 

E  la  marchesina  ? 

Gerardo  non  capisce  più  niente:  tanta  amabilità, 
tanta  confidenza,  tanta  simpatia?  E  insieme  tanta 
sicurezza  ? 

Ingenuità...  o  civetteria?  Che  cos'è?  Cos'è?  Ma 
che  cos  e  ?. . .  Fosse  vero  ?.  .  Davvero  una  grande 
simpatia...  per  lui? 


Quella  stretta  di  mano  in  risposta  alla  sua?... 
Che  cosa  h.i  voluto  esprimere  quella  stretta  di 
mani  i  - 

L'ex-ministro   mentre  è  beato,   lì,   vicino  a 
mentre  non   darebbe  quel    posto   per  nessun  altro, 
neppure  a  capo  del  Ministero,    si   sfoga   fra  sé  in 
linoni  proponimenti. 

—  Bisogna    usare  prudenza;    bisogna   lavorare, 
rimanere  in  camera  tutto  il  mattino,  tutto  il  gio 
per  non  compromettersi,  per  non  compromettere  la 
marchesina,  per  evitare  la  chiacchiera,  i  pettegolezzi, 
i  commenti!  —  Pensa  persino  di  partire. 

—  Sì,  se  il  generale  torna  da  capo  con  quel  di- 
scorso stupido...  si  fanno  i  bauli  e  si  parte!  Ma 
intanto  che  matura  in  mente  così  fieri  propositi  non 
si  accorge  di  dare  importanza  al  più  piccolo  atto 
di  Sofia,  ad  ogni  sua  parola  più  indifferente,  ad  ogni 
suo  sguardo,  a  tutto  di  lei.  Non  vede  che  lei,  non 
sente  che  lei  ! 

E  quella  stretta  di  mano  ?. . .  Come  .  a  poco  a 
poco,  diventa  importante  e  grave  quel  piccolo  epi- 
sodietto  ! 

Quella  stretta  di  mano  della  sincera,  della  alle- 
gra fanciulla,  diventa  quasi  una  promessa.  Oppure 
una  civetteria...    Una   grande  civetteria! 

Altro  che  riposare;  altro  che  dormire!  Egli  era 
molto  più  tranquillo  e  dormiva  meglio  a  Roma, 
dopo   le  sedute    più  tempestose  in   Parlamento! 

Anche  quella  notte  rimase  un  pezzo  alla  fin. 
l'afa  era  insopportabile...   e  dalla   sua  finestra  ve- 
deva quella  di   Sofia. 

La  stanzetta  era  illuminata.  A  un  tratto .  pure 
Sofia  venne  alla  finestra. 

Il  cuore  del  Parvis   battè  con  violenza. 

—  Veniva  per  lui  ? 

Nò.  La  fanciulla  lasciò  la  finestra  aperta  e  si 
sedette  a  un  tavolino.  A  leggere  o  a  scrivere  ? 

—  Scriveva?...  A  chi  scriveva?...  Di  notte?... 
Tutta  notte? 

Gli  occhi  di  Gerardo  diventarono  seri,  poi 
torvi . . . 

A  chi  scrive?   A  chi  continua  a  scrivere?... 

Finalmente  Sofia  si  alza,  chiude  la  finestra,  e 
dopo  un  momento  anche  il  lume  si  spegne. 

Gerardo  respira!  Prova  un  senso  di  sollievo: 
chiude  a  sua  volta  la  finestra  e  si  corica.  Ma  ni  n 
vuol  più  restare  in  camera  la  mattina  dopo,  a  la- 
vorare.  Tutt'altro! 

Ha    la  smania   che   sia   giorno,   per    correre  giù, 
in  cerca  della  marchesina   e  sapere,   —  scherzai 
ridendo,    punzecchiandola,  —   a  chi  ha  scritto  così 
a  lungo,   durante   la  noti 

VII. 

11  generale  non  disse  più  una  parola  a  Geranio 
Parvis  intorno  il  suo  matrimonio;  anzi  cercava  di 
nominare  la  marchesina  il  meno  possibile.  Pure 
Stava  attentissimo,  osservava,  spiava  ogni  più  | 
colo  incidente  ed  era  molto  soddisfatto  del  coi 
procedevano  le  cose.  Prima  ili  colazione,  dopo  il 
tennis,   passeggiata  igienica    della    marchesina  col- 


20  |  LA    LETI 1  RA 

1  onoi  svoli  lazione,  musica.  Dop    | 

.    iiir.i  pass  unti  i  giorni   un   ]><>'  più 

lunga,  u,  arrampicandi si  lezzo  al  l« 

i  vecchi  abeti  del  .'/</.  o  giù  per  la 

strada   provinciale  verso    Fiumalbo;  e   la  sera,  di 

nuovo  un:-  \    i  Je  t'adoore  »  adesso,  si  erano 

■  imi:   Yadieu  de  l'i:  [robe  e  la  serenadt 

['onorevole,  che  le  sedeva   accanto,  al 

pian'  tpire   la    musica   tanto 

iper  Miliare  le  pagine  al  momenti 

I     l.  Sicuro,  anche  Teo  faceva  la  sua  parte! 

Come  il  leardo  pomellato  della  tavola  rotonda,  gì 


Cesare  e  Achille,    pittori  dilettanti,   dipingono  gli 

scenari  e  gli  avvisi  illustrati,  la  marchesina  pn 
una  mim >\ a  toiletti  sfolgorante  per  la  bella  Ircana, 

e  per  le  damigelle  d'onore.  Sua  Eccellenza  Inda  il 
tali  ut.,  artisti...  dei  suoi  due  rivali  oramai  pie 
niente  sconfìtti  ed  anche  rassegnati,  e  ammira  la 
grazia,  la  bravura  e  più  di  tutto  le  manine  della 
marchesina.  Due  mani  bianchi  e  in.nl/nle.  lunghe, 
sottili,   con   le  unghiette  lucenti  come   II  cristallo. 

— ■  Che  bella  man...    la  sua!   Con    l'espressione 
del   carattere  e  dell'intelligenza  1 

-   Oooh  !        Ma  che  cosa  di.  e.  signoi    Parvisl 


y^jJJ^- 


*r'' 


rava  attorno  pei  Boscolungo  coi  colori  della  bella: 
un  nastro  rosi.  uguale  ai  nastri  del  cappellone  — 
con  un  magnifico  fiocco  e  i  bubbolini  d'argento: 
il  tutto  ricamato  e  regalato   dalla   casta  dì 

«  Gambe  eie  pano  «  gongolava!   Soltanto  quando 
'.'■dini  si  oscurava  in  viso: 
Maledetto  cane  e  maledetti  bubboli!.       Fra- 
stornano la  testa  : 

E  tornava  per  la  millesima  volta  a  esamin 
studiare  e  a  fregare  col  dito,  comi  per  tarlo  sparire. 
un  ricordo  dei  dentini  di  Teo.  che  era  rimasto   inde 
lebile  in   tondo  alla    falda  del  soprabito,  << >n    la 
forma  di  un  pinolo   sette. 

Intanto   ferve  il  lavoro  per  la   rappresentazione 

dei  burattini:  e  all'Acetone  non  si  parla  d'altro.  E' 

i  Stenterello  cuoco  t  genera 

le   in  capo  alla   corte   della  bella  Ir^aua.  Tutto    il 

mondo   ai  lato    in    preparativi  ; 


l  n'espressione  intelligente,  le  mani?  Le  mani  non 
hanno  occhi,  e  l'intelligenza  è  espressa  dagli  occhi! 

—  Si,  appunto!  Oueste  sue  manine  hanno  bene 
gli  occhi:  due  oochiettini  turbissimi. 

Sofia,   si    diverte. 

—  Dove  soni  >  ? 

Lì,  guardi  li!  —  I^t  indica  le  due  fossettine 
della  mano.  —     Eccoli  li,  e  come  ridono! 

Sofia  ride  davvero;  di  gusto,  guardando  la  ma- 
il, d/aiidol.i,  allungandola,  facendo  sparire  le  fos- 
sette,   n    facendole  riapparire  più    tonde. 

—  Ridere?  Di  che  cosa   dovrebbero  ridere? 
-  Di  me.  -     Il    l'arvis    si  corregge  subito. 

Del  papà  ' 

—  Pen-hè? 

—  Non   so 

—  Perché  è  un  papà  troppo  gióvane I  Poi...  sa- 
iel.be  forse  un    papà  troppo    indulgente! 


I    Wi'A    DIVA 


205 


E  si  finisce  sempre  che  il  papà  bacia  la  manina 
che  la  figliuola  gli  offre  scherzando,  ridi- 
li giorno  della  rappresentazione  —  la  rappresen- 
tazione deve  aver  principio  alle  ore  due,  in  pu 
—  è  l'onorevole  che  sceglie  il  posto  più  adatto  nel 
bosco  dietro  l'albergo,  e  che  presiede  all'impiantii  del 
teatro  e  alla  divisione  dei  posti  di  platea.  N'ella 
prima  fila  i  bambini,  nella  seconda  le  signore,  in 
fondo  gli  uomini. 

E  Teo?. ..  Il  signor  Matteo,  dove  lo  si  mette? 
Fra  i  piccini  o  fra  gli  uomini  grandi?  E  se  non  sta- 
rà fermo?...  Se  abbaierà?  Teo  avrebbe  certo  mes- 
so in  pericolo  il  buon  successo  della  rappresenta- 
zione. Era  già  colpevole  di  un  grave  reato: 
mentre  si  stava  innalzando  la  baracca ,  aveva 
rubato  il  sire  di  Trebisonda  .  padre  d'  Ircana  ;  era 
fuggito  .  scappato  a  nascondersi  in  un  cespuglio 
e  gli  aveva  strappato  la  corona,  la  barba  e  divo- 
rato il  naso!...  A  tanto  strazio,  figurarsi  il  dolore 
e  gli  strilli  di  tutti  i  bimbi  che  riempivano  il  bo- 
sco e  lo  animavano  con  le  loro  vocine  e  lo  picchiet- 
tavano di  bianco  e  di  rosso  con  i  loro  vestitini  :  an- 
geli ed  uccelletti   insieme. 

Il  generale,  energicamente,  propone  di  chiudere 
Teo  nella  rimessa  dell'albergo  :  Prospero  si  offre  di 
condurlo  a  passeggiare  finché  dura  la  recita  ;  ma  So- 
fia legge  fra  le  rughe  del  faccione  ingenuo  e  buono 
il  rammarico  di  perdere  il  trattenimento  e  allora 
dichiara  senz'altro  che  Teo  resterà  con  lei,  sopra 
una  seggiola  accanto  a  lei  ! 

—  Sarai  buono?  Prometti  che  sarai  buono,  buo- 
no, buooono  ? 

Il  generale  scrolla  il  capo  malcontento,  borbotta 
che  è  un'imprudenza,  un  capriccio,  una  pazzia,  ma 
Teo.  invece,  che  è  stato  attento  al  dibattito,  pie- 
gando la  testina  e  dimenando  la  coda,  risponde  di 
sì,  che  sarà  buono,  con  uno  starnuto  ed  un  saltetto 
di  gioia. 

E  infatti  per  tutto  il  tempo  che  dura  la  com- 
media, Teo  rimane  immobile,  sulla  seggiola  accanto 
alla  marchesina.  intento  alla  baracca  e  ai  burattini. 
Quando  Stenterello,  con  il  manico  della  scopa, 
bastona  gli  sguatteri  che  non  fanno  il  loro  do- 
vere, sollevando  l'entusiasmo  dei  bambini,  Teo  con 
gli  occhi  fissi,  allunga  il  muso,  odorando  col  na- 
setto lustro  e  timido  verso  la  baracca,  ma  non  ab- 
baia nemmeno  allo  sparo  dei  petardi  che  annun- 
ziano l'ingresso  solenne  di  Stenterello,  creato  gene- 
v  ralissimo,  alla  corte  della  bella  Ircana.  spari  in- 
diavolati, che  portano  lo  spavento  e  lo  scompiglio 
fra  le  testine  rotonde  e  ricciolute  della  prima  fila. 
Furono  treeentocinquantatrè  lire  d'incasso  che  il 
Parvis  fece  diventare  cinquecento.  Una  vera  ric- 
chezza ! 

La  marchesina  Sofia  ripone  la  somma  in  una 
busta,  mentre  il  generale  parla  di  interessi,  di  li- 
bietti.   di  Cassa  di    risparmio. 

—   Xo,  no!  Bisogna  portar  subito  il  danaro  alla 
povera  piccina    pallida    pallida,    dagli  occhi 
buoni  e  tanto  intelligenti!  Caaral...  Tesoorot ... 

Il  burattinaio  e  la  sua  famiglinola  —  la  figliuo- 
letta  e  i  due  bambini  —  dm-   poveri   esseri  n 


rachitici,  con  un  enorme  sudici  e  mocciosi, 

ivano   uri    'oro   ,,//<  ..    o  meglio,    nella 

loro  casa  di   legno,   ambulami'. 

Quando  l'onorevole,  e  la  marchesina  giunsero  al 
largo  erboso,  dietro  gli  alberi,  alla  fine  dell'abitato, 
1  burattinaio  aveva  piantate  le  tende,  dal  breve 
fumaiolo  di  lamiera  che  sovrastava  al  tetto  del  car- 
ro usciva  un  pennacchi  di  fumo  azzurrognola; 
ma  tosto  non  lo  si  distingueva  più  ;  svaniva  sul 
tornio  i!tl  lirlo.  reso  di  un  azzurro  languido,  nella 
grande  luce  ultima,  prima  del  trameni 

La  fanciullata  pallida  dagli  occhi  intelligenti, 
colata  presso  l'usciolino  del  carro-omnibus,  ta- 
ceva cuocere  un  po'  ili  cena  in  un  vecchio  tegame 
sopra  un  tornei  letto  di  ghisa;  e  le  cipolle,  friggendo, 
mandavano  intorno  certe  zaffate  grasse,  di  stantio, 
che  sembravano  più  acri  e  più  nauseanti  fra  i  miti 
profumi  dei  prati  in  fiore  e  la  fragranza  della  vi- 
cina pineta. 

Il  burattinaio  era  seduto  sopra  un  muric- 
-  tiolo,  masticando  tabacco  per  ingannare  l'appetito, 
e  sembrava  assorto  nel  rabberciare  il  cranio  nero 
di  un  Matamorb.  sul  quale  la  spatola  di  Arlecchino 
aveva  picchiato  troppo  forte  per  ordine  di  Stente- 
rello. Il  capocomico  vagabondo  delle  teste  di  legno. 
quando  era  nascosto  nella  sua  baracca  e  stava  in- 
fondendo una  parodia  ili  vita  ne  suoi  fantocci,  po- 
teva essere  immaginato  un  uomo  simpatico,  all' 
ed  anche  geniale.  Ma  lì.  visto  in  quell'atteggiamen- 
to, alla  luce  del  giorno,  appariva  soltanto  quello 
che  era  in  realtà:  un  villano,  tra  lo  scaltro  e  l'as 
sonnato  ;  un  mezzo  bruto  dal  viso  gonfio  e  livido 
e  dallo  sguardo  spento  dall'acquavite. 

All'estremità  di  una  delle  stanghe  del  carro,  le- 
gato con  un  cencio  di  corda  stava  il  vecchio  asino 
del  burattinaio,  magro,  spellato,  malinconioso,  sin- 
tesi moribonda,  o  quasi,  di  tutte  le  tristézze  e  di 
tutti  gli  Stenti,  le  fatiche,  i  patimenti  raccolti  in- 
torno a  quel  poveri  carro  disgraziati  che  portava 
attorno  la  commedia  ime  e  della  miseria. 

Quando  Teo  vide  la  brutta  bestiaccia,  non  ne 
riconobbe  subito  la  razza,  si  fermò,  sospettoso,  fiu- 
tandolo alla  lontana,  non  arrischiando  di  avvici- 
narsi... e  l'asino,  a  sua  e  ca- 
nuto verso  l'aristocratico  Teo,  ''osi  lustro,  così  ele- 
ganti  i  nastro  rosa  dal  largo  fiocco,  il  d 
di  S  le  Fiutava  anche  il  ciuco  per  r 
ma  più  che  fiuto,  il  suo  pareva  sospiro:  un  sospiro 
che  usciva  dalla  povera  e  martoriata  carcassa,  ta- 
tuata di  piagl        di  gt 

i        nàsti         ■'''  cuore,  diarista  di  que- 
gli infelici.  --  la  ragazzina,  i  <\w-  bimbi  ed  anche  la 
ia  ;     -,  ma  volle  veder  dentro  nella  baracca.  Dal 
vano  aperto,   un  raggio  del  sole  basso,   entrava  di- 
ritto nell'interno  del  carro       Quali  tri  greti  fra 
tarlate   e  sconnesse!   Là   dentro  si    fa- 
i  da  mangiare  e  si  dormiva  in  quattro.    Si  a 
mutavano  i  cenci,    i   buratti'                   ne,    gli  avanzi 
dei  magri   pasti,   il  bottino  ik-i    furtarelli  campestri 
del   burattinaio  ed   anche    dei   due  marmocchi    i 
cinsi.   Sopra  mensole   Si                  da  funicelle,    vecchi 
;  —  il    re]               per  le   grandi  rap 
entazioni    —  misti  a  mazzi  di  rape  e  di  can 


200 


I  A    1.1  TI  IRA 


a  pezzi  'li   pane  raffermo  <■  di  cacio  ammuffii 

o  ir.  n,  nti  liquidi  sospetti, 
i  attini  mu- 
tilati, decapitati,  sventri  Ule  pareti,  immagini 
sacre,  il  ritratti'  ili  Garibaldi,  canzoni  popolari  il- 
lustrati-: un  vecchio  schioppo  arrugginito,  con  una 

Ili  >;i  di  chi 
n  un  angolo,  un  vasetto  'li  garofani  che  pn 
deva    I  uori    dal     fini  si  i  ini  i    un    bel    i  ami  i    i 
di    bottoni    '"ti    uialche    fiore    sbocciato,    aperto, 
i  ome  sitibondo  d'i  !  Il  -  ra  il 

iulletta  pallida  dagli  occhi  tanto 

iti,    come  suo  doveva    essere  il    giaciglio 
dall'altro  can  sudicio,  meno  scomposto  ili 

quello   dei  bimbi... 

Il  burattinaio  dormiva  certo  più  in  fondo,  laggiù, 
sopra  quel  mucchio  ili  vecchi  panni,  ili  pacchi,  'li 
stuoie  non  si  vedeva  bene...  nemmeno  il  sole 
voleva    entrare   fin   là  ! 

Sembrava  che  in  quei  pochi  metri  ili  spazio,  una 
ja  vita  randagia  avesse  accumulato  tutte  le  re- 
toccheria  incontrata  su  tutte  le  strade, 
in  ogni  pai  si .  in  ogni  si  sta  e  si  ostinasse  a  metter. 
i.i.   ogni    giorno  di   più,   senza   rimuovere 
nulla,  senza  nulla  rinnovare,   in   una  specie  di  osti- 
nazione incosciente,  ili  compiacimento  infingardo... 
La   fanciulletta    dagli    occhi   intelligenti   capiva 
tutta  la  bruttezza,  l'orrore  di  quel  suo  antro  ambu- 
lante? 

Chi   sa5...    Quel      iore,     |Uel    garofani»,   messo   lì, 
certamente  da  lei,  vicino  alla  finestretta,   non  era 
un  rimpianto,   un  desiderio,  un  anelito  verso 
he  '  osa   'li   bello,  'li   gentile? 
Anche  l'onorevole   Parvis   era   rimasti'  colpito  ila 
quel  triste  spettacolo.  Egli  ripensava  alle  granili  e 
tempestose  discussioni  della  Camera  ed  alla  facon- 
dia .   agli   strepiti    dei  socialisti.    A  quella  piccola 
gente  lì,  chi  mai  ci  pensava?  Non  aveva  «  Camera 
del   lavoro  «  non  aveva  «  Società  umanitaria'...  ». 
Oh.   prima  che  penetrasse  fin  dentro  a  quella  ba- 
racca  il  beneficio  degli  sgravi*. 

Come  tutti  gli  uomini    del   Parlamento,  anche    i 
più  avanzati,  anche  i  più  scalmanati  erano  lontani 
col  loro  pensieri,  col  loro  cuore  e  con  le  loro  chiac- 
chiere, da  tutta  quella   miseria  materiale  e  morale! 
Invece  Sofia      Sofia  sì.  Pur  così  delirata  e  squi- 
sita nella  vita  e  nei  gusti,   lei,   un  vero  fiore  fra  la 
e  i  merletti,    li  !  i  ìrconfusa  di    grazia,    di  soa- 
vità e  di  profumo,  lei  non  mostrava  né  ripugnanza. 
so:  non  era  e  non  appariva  altro  che  pro- 
fondamente commossa  da  una  viva,  da  una  grande 
pietà. 

1    bimbi   aveva  un   ditino  malcom 
Sufi.'  rtare  dell'acqua,  lo  lava  delicatamente 

ipre  col  taffetà  che  ha   -■  mpre  con  sé.   E  nel 
egnare  il  danaro  alla  sorellina  maggiore,  rima- 
rdita,  trasognata    incapace  di  din- una  pa- 
rola, le  fa  raccomandazioni  e  le  dà  consigli...  Sofia 
•  che  li  sua  presenza  fa  del  bene  là  dentro,  e 
•   ne  andrebbe  mai. 

ciò  che  vi  è  di  brutto  e  di  immondo  in 
i  li  non  l'ha  offesa  :  ella  non  ne 
te  che  le  sofferenze  e  le  lacrime. 


—  Quanti  dolori,  non  i  vero?  dice  Sofia  al 
Parvis,  mentre  riprendono  il  sentiero  del  bosco,  av- 
viandosi verso  casa.  Quanti  dolori,  che  nessuno 
vede,  ai  quali  nessuno  può  provvederci... 

K  quest  ih  m  si  agita  e  non    impi 

non  lii  comizi,  né  scioperi.   E  tutti,  tutti  quanti  ab- 

I  iamo   la    o  Ipa  di  lasciar  vivere  e  crepare   tanta 

gente,    tanti    uomini.    ,    ionie   bestie  ! 

Quei   din-  pii  '  ini,  poveretti. .. 

—  Erano  brutti    as 

Non  Iodica!  I  bambini  non  sono  mai  brutti! 
Sono  disgraziati,  sofferenti,  ammalati,  ma  non  < 
mai  brutti  ! 

Ama  molto,  lei,  i  bambini  ? 

—  Sì. 

—  Le  piacciono  moli 

—  Tanto,  tanti  '. 

-  E  se...  —   il  Parvis  si  fa  forte  e  le  domanda 
sorridendo:     -  E  quandi,  avrà  un  bambino  suo? 

La  fanciulla  diventa  rossa;  una  fiamma.  China 
gli  occhi,  un  istante,  ma  poi  li  rialza  raggianti,  con 
una  luminosità   piena  di   dolcezza  e  di  lacrime: 

Non  è  forse  il  perchè  di  tutto,    nella   nostra 
\ita  ? 

Gerardo  la  guarda:  ella  sospira  e  per  un  lungo 
tratto  di  strada  rimane  raccolta,  tutta  in  se  stessa, 
e   ]X-nsicro.sa. 

Il  Parvis  che  le  cammina  accanto  passo  pas- 
so, sente  l'odore  acuto  della  massa  folta,  con- 
fusa, ondulata  dei  capelli  neri.  Egli  guarda, 
tinua  a  guardare  e  sospira.  Sono  così  neri,  quei 
capelli,  così  neri  e  lucenti  che  abbruniscono  la  bella 
nuca  rotonda  e  forte  sotto  il  grande  cappellone 
tutto  bianco  e  tutto  rosa. 

E  intanto,  guardando  e  sospirando,  i  suoi  pro- 
positi di  saviezza,  i  suoi  disegni  di  prudenza  sva- 
niscono tutti    insieme    rapidamente. 

Sì:  il  generale  Bonferreri  aveva  colpito  giusto.  Sì; 
gli  piaceva  molto  quella  bella,  quella  giovane  crea- 
tura, cosi  giovane  e  così  bella!  Ma  voleva  star  a 
vedere  qualche  mesi,  voleva  aspettare  ancora,  al- 
lontanarsi per  qualche  tempo. .  Voleva  mettere  alla 
prova  si-  stesso,  il  proprio  cuore,  la  propria  pas- 
sione. Sì,  questo  bisognava  fare:  allontanarsi,  al- 
lontanarsi da  lei  a  qualunque  costo!  Scrivere  a 
Genova,  andare  a  Genova,   sapere,    informarsi... 

Ma  intanto  guarda,  continua  a  guardare  e 
spirare.   No,  no;  non  è  nera,  è  bianchissima  la  bella 
nuca   rotonda  e   torte:   è   la   radice  dei  capelli  folti, 
è  la    lanurie  dei    capelli    più    fini,    che   la   rendono 
bruna  . . 

Bisogna  informarsi,  bisogna  sapere,  prima,   tante 
COSel    Bisogna    scrivere,    bisogna   andare  a    Geni 
Genova I  Genova!...  Come  in  quell'istante  la  vede 
bella,  Genova,  in  faccia  al  mare,  piena  di   luce,  pie- 
na   di    sole  ! 

('he  cosa  ne   sa   lui,  della  marchesina   d'Albi; 

—   ('io, -he    gli    ha   detto    il   generale:    niciil'all  r< 

II  generale,  del  usto,  i-  un  bravo  uomo,  un  peri 

inolilo.       Egli   poi,    il    Parvis.  e   riuscito  anche 

ipere,  finalmente,  ciò  che  più  gli  preme,  —  a 

chi  la  marchesina  scrive  tanto  boi  sì  a  lun- 

i.  finalmente,  perch.-  aspetta  con 


LA    LETTURA 


.i  IN  ra  di  i  i  mpre 

hi-  non  si  può  vivere  all'Ai»  toni 
'■"li  la  |« sta  una  —  La  mai 

chesina  scrive   alle  sui  aspetta   letti  n    e 

Lille  sue  ami  he.  Ne  ha  molte,  sparse 
in  tutta  Italia,  ma  sono  tre,  le  più  intime,  le  più 
care;  dui  di  Genova  e  una  ili  forino:  l'Ippolita, 
la  Felirina  e  la  Pouf  Me. 

C<  i  ■   .     \ uol  bene  alle  sue  ami 

elle!...    Buona  e   sincera!  Sopattutto  sincera.    Che 
bella  ci  sa  la  sino  i 

Perchè  aspettare  ancora  a   parlare,  ad  aprirle  il 
cuore;  Per   informarsi,   per    sapere...         Sa 

Fnfi limarsi  ili  che  o sa  ?  Mi m  lo  sa 
che  è  buona,  affettuosa,  tenera,   min  In  veile  che  e 
i   bella       .  tanto,  tanto,  troppo.  . 
Cara,      figliui  ila. 
Sofia  si   ferma   e  lo   guarda    interrogandolo  con 
gli  occhi  i  idi  nti  : 

—  Signor. . .    ]>  in  i 

un  trem  to   negli  oc  :hi,  e  gli  trema 
l.i  voce: 
Papà?...    Risponda,   marchesina,  -      Papà? 
Proprio.  .    sempre. . .    soltanto  papà  ? 

La  laminila  ha  un  sussulto  e  il  suo  viso  si  tra- 
sforma mentre   si    allontana  d'un   passo,  istintiva 

mente: 

reo  Dov'i    reo  ?, . .  Dov'è  andato  Teo? 

(  'he  impi  rt.i  adessi  >,  'li  Teo  i 
E'    rimasto    indietro!    S'è    perduto!    Non    c'è 
più!        E  Sofia  chiama  torte,  con  tutta  la  sua  bella 

[Vn  !    Teo  !     l'eo  ! 

Il    l'arvis    fa  un  passo,   la  raggiunge  e   le  afferra 
una  maini. 

Risp  mi  la  !    I  (ève    i  ispondere  ! 

—  Ma.      Teo!... 

I  '  corso  avanti  !  l'ho  visto  io!  E'  a  casa  !. . . 
Von  si  tratta  di  Teo;  mi  guardi:  si  tratta  di  me. — 
di    un    uomo,  della    felicità,   dell  avvenire,   della 

vita  di  un  uomo!       Ma  non  capisce?.,    ma  non  ha 
capito?—     Il   l'arvis  cerca   di    afferrarle  anche  l'al- 
tra ni. ino  e    fa  per  portarsele  tutte  due  alla  bocca: 
Von    ha    ancora  capito? 

ritrai    O  itala,   scioglie  le   mani 

da  quella   strel  a  il    l'arvis  muta,  con  una 

grandi      spri  >sione  di   maraviglia   dolorosa, 

\  Gerardo  si   oscura  la  vista:  sente  la  terra  che 

gli   ili  ni    piedi  : 

II. i  capiti     ■■      e  mi   i    p  di    no?...   E' 

un  « 

.    più    che    attonita,    è  come  atterrita:    fissa 

quel  volto  pallido,  contraffatto  dall'ansia,  dall'an- 

Poi  è  lei  stessa  che  gli  afferra 

una   n  rinj        on  forza,  con  tutta  la 

le  corri  ino  agli  occhi. 

1     Vmii  i  i'i   ;  nioo  mio  ! 

Ili  ■     te   pan  ile.    in  questo  dolore 

della  bui  lilla,  che  la  sua  condanna  è  ine- 

ta  un  istante,    poi  le  domanda.  1 1  in 
una  voci  ma 

ferma  e  scura  : 

\i  e  tempo?   Ni  ssuna    ;peran 

(lino. 


Risponda:    mai    ,   nessuna    speranza?...    Mi 

risponda. 

Sofia  alza  il  capo  lentamente  e  lo  guarda  :  ha  una 
ride,   una    profonda    pietà    negli  occhi  dolcissimi. 
Vorrebbe  parlare,  non  sa.  non  ne  ha  il  coragg 
Allora   leva  dalla  tasca  di-ila   giacchettina   un  l 
li  amma  arrotolato,  e  glielo  dà  : 
Legga. 
Il    l'arvis  la  lissa;    guarda   il  telegramma  come 
per  indovinare,    poi  apr    i     [e| 

«  Mamma  1 1  intentissima  -  rà  lei  babbo 

som .  felice.  \  rDREA. 

-  A  lei.  —  Il  l'arvis  le  ritorna  il  telegramma: 
Un  sonisi,  cattivo  gli  increspa  le  labbra.  —  Sia 
tutto  come  non  detto...  E,  soltanto,  mi  usi  la  li- 
ri  //a.  di  dimenticare   le  mie  stupide  parole. 

I  UttO  31  ferma  per  un  istante:  anche  i  due  cuori 
non  battono  in  quell'istante... 

II  boSCO,  folto  in  quel  punto,  dopo  un  breve 
tiatto,  diradandosi,  si  apre  sulla  strada  maestra. 
Sofia  si  arresta  per  poter  discorrere,  li.  senza  essere 

veduti. 

Signor  l'arvis,  si  fermi!  Ascolti...  ho  aneli  io 
da  parlarle!  Lei  non  mi  deve  disprezzare,  non  mi 
deve  giudicar  male...  e  non  mi  deve  odiare!  Sof- 
ferei tmppo:  voglio  sempre  essere  stimata  da  lei! 
Con  Andrea  -  con  mio  cugino  —  ci  siamo  fidan- 
zati da  due  anni.  E  da  un  anno  e  mezzo  non  lo 
vedo!  E'  in  marina:  ufficiale.  !•'.'  stato  in  Cina:  è 
tornato  soltanto  da    pochi   giorni. 

—  Io  non  ho  il  diritto  di  chiederle  niente;  non 
ho   diritto  di   saper  niente! 

Sì,  invece:  tutto!  Deve  sapei  tutto!  Voglio 
spiegarle  tutto!  Mi  ha  dato  un  grande  dolore,  sa,  e 

10  merito!   Lo  merito,    perchè   senza  saperlo,  cn 
sènza  saperlo,  sono  stata  leggera  con  lei!  Ho 
gl'iato  ;    l'ho  ingannato  ! 

—  No...   no! 

Sì.  mi  lasci  dire!  L'ho  ingannato,  ingannan- 
do me  slessa  nell'interpretare  la  mia  simpatia  per 
lei.  Mi  lasci  dire!  Mi  lasci  dire,  mi  ascolti!  Non 
ci  vedremo  più,  ma  io  vi  iglio  dirle  tutto,  tutto,  unto  ! 

11  sentimento,  la  simpatia,  lo  chiami  come  vuole. 
ciò  che  io  sento  per  lei.  è  vero,  è  sincero,  è  foi 
Sapesse...  è  proprio  così.  Io  le  voglio  bene.  In 
lune  fatto  di  stima,  di  fiducia,  di  confidenza!  1 
cosi  bella,  cosi  buona  la  nostra  amicizia  e  mi  ad- 
dolora tanto  tantn  di  doverla  perdere!  Ho  sba- 
gliati!,  ci   siami!    ingannati. 

No... 

In,  io!  Mi  sono  ingannata!  Peccato I  L 
scherzava  quando  mi  chiamava  »  cara  figliuola», 
io  invece  credevo,  mi  era  illusa!  Fosse  proprio  cosi, 
proprio,  coinè  una  figliuola!  Lei  scherzava  ed  io 
ho  avuto  tort.i  di  non  capire,  di  aver  preso  il  suo 
scherzo  sul  serio I   Ridevo  e  scherzavo  anch'io  quan 

dicevo  «  sigm.r  papà  >•  ;   ma   pure,   ni  I  dirlo. 
seniivn  in  me  una   grandi    tenerezza  e   un    grande 
rimpianto!   Pensi,  i<>  non  l'ho  conosciuto  il  mio  pò 
vero  babbo,   e   ho  conosciuta  appena  la  mia  mani 
ma  !  I.    un  rande,  sa,  nella  vita,  non  avere 

il   papà  .   non    avere    la    sua  I.     un   vuoto 

nemmeno    l'amore  non    riesce   a  rolmare!   Ho 


sbagliato!  Xon  dovevo  scherzare  con  lei,  come  ho 
scherzato!  Ma...  avrei  mai  potuto  pensare,  imma- 
ginare che  lei,  proprio  lei.  un  uomo  così  ili  merito 
e  di  spirito,  così  grande.  —  ne  parlavano  tu-u  con 
tanto  rispetto,  con  tanta  ammirazione,  quando  i 
veva  arrivare  quassù  :  Avrei  potuto  mai  immaginare 
the  ella  prendesse  così  sul  serio  una  ragazza  o 
me.  una  ragazza  frivola,  che  non  sa  niente,  che  non 
saprebbe  lare  un  discorso  con  un  po'  di  giudizio... 
Io  credevo  che  lei  si  divertisse  a  star  con  me,  ap- 
I  unto,  perchè  con  me  non  aveva  da  pensare  a  nien- 
te '  Così...  un  po'...  come  con  Teo ! 

Gerardo  scrolla  il  capo,  vuole  interromperla. 
—  Mi  lasci  dire  !  Mi  lasci  dire,  mi  lasci  dir  tutl 
Poi,  a  poco  a  poco,  senza  accorgermene,  lo  scherzo 
per  me  diventava  realtà...  o  idealità,  come  vuole! 
Lei  è  tanto  buono,  tanto  diverso  degli  altri,  tanto 
superiore  agli  altri.  Dice  cose  così  giuste  che  colpi- 
scono e  fanno  pensare!...  E  io  ho  sognato,  ho  spe- 
rato... Se  davvero,  col  tempo,  diventasse  proprio  un 
amico,  un  buon  amico. . .  se  diventasse  davvero. . 
un  po'  il  mio  papà?  L'amico  nostro,  buono!  —  So- 
iia  si  corregge  subito  —  l'amico  mio,  che  mi  avreb- 
be guidata,  consigliata,  confortata.  Sì,  confortata, 
perchè  la  vita  non  è  mai  senza  lacrime,  anche  quan- 
do si  crede  di  essere  felici!  E  in  cambio,  di  questa 
sua  amicizia,  di  questo  suo  affetto,  io  sentivo  e 
sento .  che  avrei  potuto  darle  lealmente .  e  a- 
pertamente  una  parte  così  buona  della  mia  a- 
nima,  della  mia  tenerezza!  Xon  è  possib 
Non  è  più  possibile.  Lo  capisco!  Lo  sento!  Per 
questo  non  ci  vedremo  più,  non  ci  parleremo'  più  ! 
Ecco,  le  ho  detto  tutto!  Adesso...  Addio!  Ma  pu- 
re. . .  questo  mio  sentimento .  questo  mio  grande 
rimpianto  lo  proverò  sempre,  sempre  !  Io  adesso 
torno  indietro  ;  è  meglio  che  non  ci  vedano  insie- 
me ;  e  poi  devo  avere  la  faccia  stravolta...  Si  ri- 
cordi sa,  così...  come  le  ho  detto,  un  gran  bene! 
Sempre,    sempre  !    Per  tutta   la  vita  ! 

Sofia  si  volta  a  un  tratto  con  la  voce  rotta  da  un 
singhiozzo  e  si    allontana    rapidamente,  quasi   o  r 
rendo:    il  grande  cappellone    tutto  bianco    e  tutto 
rosa   si  perde  e  sparisce  nel  buio,  fra  i  tronchi  ve 
chi  e  diritti,   in  fondi)  al  lungo  viale. 

Il  Parvis  ritorna  verso  l'albergo,  camminando 
in  fretta,  a  capo  chino,  senza  veder  nessuno,  senza 
salutar    nessuno. 

—  La  posta.  Eccellenza. 
E'  il  portiere  che  gli  presenta   il  solito  fascio  di 

lettere,  di  giornali  e  di  libri. 

Il  Parvis  lo  prende  macchinalmente  e  straccia  la 
busta  della  prima  lettera,  senza  nemmeno  guar- 
darla. 

—  Il  mio  servitore,  dov'è  ? 

—  Era  qui  adesso. 

—  Fatelo  chiamare,  subito.  E  il  mio  conto,  su- 
bito. E   una  carrozza. 

Il  portiere  fa  un  atto  di  meraviglia: 

—  Parte,   Eccellenza  ? 

—  Sì. 

—  Prende   il   diretto  per  Roma  o  per  Milano? 

—  Per  Roma. 

—  Vorrà  pranzare,  prima.  Le  ordino  il  pranzo? 

La  Lettura. 


t    \-  !  \    DIVA  209 

—  No.    Pranzerò  a  San  Marcello    0  a   Pracchia. 
L'onorevole    Parvis     parla  speditamente,  con   la 

voce  sicura,  con  tono  risoluto  la  sua  faccia. ..  è  la 
solita,  di  tutti  gli  altri  giom      Soltanto  ha  le  lab- 

1  ia    p  rate   e    in    mezzo  alla  fronte   e    ap 

parsa  una  piccola  ruga:    una  ruga  diritta,   dura  e 
non  c'era  prima. 
Fa  le  scale  tranquillami  riti  .  ma  j  1  i  1  citrato  in  ca- 
aiude  l'uscio  con  un  impeto  dì  collera.  Ra- 
pidam  ■  nasi    macchinalmente   prende    la  pic- 

cola valigia  a  mano  e  la  riem]  ie  di  lettere,  ili  carte, 
di  libri:  vi  caccia  dentro  hi  scatola  delle  sigarette, 
i  danari,  le  spazzole,  il  berretto  da  viaggio,  l'ora- 
rio. —  E  il  portafogli-  1  ii  \  Non  ricorda  se 
lo  ha  messo  nella  valigia...  Lo  cerca  con  la  mano... 

—  Eccolo. 
Ma   invece    del   portafogli    è   L'astuccio   di    pelle 

il  ritratto  ili  Flaviana. 
Lo  guarda,  ma  senza  commuoversi  :   freddamente. 

—  Sei  vendicata!  Come  sei  vendicata! 
Ripone  il  ritratto  e  non   pensa  più   al  portafogli. 

continuando  inveire  a  cacciar  roba  nella  valigia, 
tutta  la  roba  che  gli  capita   sotto  le  mani. 

A  un  tratto  si  riscuote,  trasalisce:  qualche  cosa 
di  fresco,  di  umido  è  passato  sopra  la  --uà  taccia: 
è  il  nasino  nero  di  Teo;  è  Teo  che  è  saltato  sul 
tavolo. 

—  Via  !  Va  via  ' 

Lo  caccia  giù  dal  tavolo,  d'un  colpo,  ma  Teo  ri- 
torna all'assalto,  gli  corre  fra  le  gambe,  lo  fa  in- 
ciampare ! 

—  Maledetta   bestia! 
Gli  dà  un  altro  colpo  così  forte,  che  lo  fa  rotolare 

sul  pavimi 

Teo  non  guaisce,  corre  a  nascondersi   sotto  il  ca- 
i-ape. 
■ —  Comanda?. . . 

E'  la  voce  di  Prospero,  entrato  dietro  a  Teo,  ma 
che  Gerardo  non    ha  veduto. 

-   E'    un'ora  che  aspetto,    vivaddio!  Mai  al  tuo 
pi  isto  !    Mai  ! 

Prosi  ero  non  risponde:  la  sua  faccia  rasata, 
scura,  sembra  diventata  di  bronzo 

—  Il  mio  baule,  la  mia  roba,  sul  into  la 
mia.    Tu    partirai   domani,    per  Milano 

E  non  dice  più  una  parola.  Rimane  immobile, 
muto,  diritto,  le  braccia  dietro  il  dorso,  fissando  il 
baule  che  Prospero  riempie  lentam 

Soltanto,  quando  sta  per  salire  in  carrozza,  non 
può  trattenere  un   impeto,  un  moto  di  stiz 

E'  il  generale  che  lo  chiama,  che  lo  ferma.  Il  ge- 
nerale, gli  occhi  sbarrati,  i  baffi  irti,  la  bocca  a- 
perta  un    punio  d'interrogazione: 

—  Ritornate    presto,    onorevi 

—  X11.    Xon    torno    più. 

—  Come?...    Non    tornale   più? 

—  Il  ito  un    telegramma:     sono  eh, 
a  Roma  d'urgenza.    Affari  issimi.    Bui 
permanenza,  generale;   e  sempre  in  buona  salute... 

M 
La  carrozza  parte.  «  Gambe    de   pino  »    rimane 
fermo,  in  mezzo  alla  strada,  seguendone  con  l'occhio 
stupito    la   rapida   discesa. 

14 


Ili 


LA    LETTURA 


Pros]  'i  la  faccia  Mina,  annuvolata, 

ma  subito  in  camera  del  padrone,  |ue 

partito,  e  si  china  ginocchioni,  guardando  sotto 

il   E 

\  ani  qui  !.     Teo !..        \  ■  i  ■ 

non  risponde,  non   si    muove  I      '   \  ieni   qui! 

I 
I  topo  un  momento,    reo,  i  |uatti  i  quatl 

k-  orecchie  basse,  la  coda  na- 

zampe  ili  dietro:    si  avvicina  a    Pro 

:   i«lcir.i  la  faccia,  poi  corre  ili    nuovo  ad 

-i   nel  suo  nascondiglio. 

Prospero   scrolla   il    capo:    se  ne  va  chiudendo 

l'uscio  adagio  adagio,  ma  poi  ritmila  subito  con  la 

zuppa  'li  pane  e  >li  carne. 

La  pappa        reo!..-.   Buona  la  pappa! 
Teo  riappare  quatto  quatto,  odora  il   piai;»',  poi 

gli  dà  contr in  il  muso,  rifiutandolo,  e  ili  nuovo 

si  rifugia  sutin  il  canapi. 

Teo  !..     reo!        Povero  Teo! 

Vili 

Com'era    vertiginosa    quella    discesa.   Il    Parvis 
preso  da  un  senso  di  sconforto,  'li  oppressione, 
di  tedio 

Quando  si  irnvò  'li  nuovo  improvvisamente  alla 
ne  ili  Pracchia,  senza  mai  aver  detto  una  pa 
rola  al  vetturino,  gli  parve  ili  essersi  destato  ila 
un  sogna  11  solito  rumore,  il  solito,  frastuono,  il 
solito  caldo,  la  solita  polvere,  il  sudiciume,  i  sa- 
luti ossequiosi  del  capo-stazione,  ilegli  impiegati:  il 
correre  affaccendato  dei   facchini. 

'  '  une  ormai  erano  già  lontani  l'AbetOrie,  il  bosco, 
il  viali-  Elena!  Quanta  tempo  era  passato  in  un'ora 

Rie  ito  in  un   angolo   del  suo  scomparti- 

mento, non  si  muove  più.    Non   scrive,   non  li 
non  apre,  non  tocca  nemmeno  la  valigia. 

\   ■  hia,    ri  conduttore    spalanca  lo  spor- 

teli", come  il  si  dito. 

—  Desidera  i  giornali  del  mattino,   Eccellenz; 

—  V 

Lo  sportello  si  richiud  G  rardo,  sempre   im- 

le,  rincantucciato      richiude  le  palpebre...  ma 
hiudere  gli  occhi.  11  treno  ci  rre  vi 
mente  lui  desolata  campagna  romana. 

I  arida,    |ua   e  minata    ili  ru- 

deri ,    ili    avanzi,  e    ili    castelli    diroccati...     Un 
le     cimitero    ili     cui     il     vento    secolare    ha 
i  i  cippi,  !  le  croci. .     Ma  <  ìerardo 

che  boschi  é  prati...   uno    spazio    infi- 
nito ili  verde,  e  in  fondo  in  fondo  e  poi  vicino,  più 
vii-ino.,    il  cappellone      il  grande  cappellone  tutto 
a  . 
I  ■  lei,  lei  !.       I        ■    '    / ,  '       Jt 

Sari    sempre  cosi?    Dovrò   vederla    sempre, 
mai  chiudi  re  gli  i  echi   della  me 
gli  occhi  dell'anima,  •■  non  vederla  più 
tranquillo,   feli 
Oh  Flaviana,  povera   la  mia   Flaviana  rara. 


\  Ri  revole  Parvis  grilla  con  tutti,  stra- 

pazza tutti:  appena   sceso  all'albergo  ]k  r  le  ■ 

poi  al  ristorante  per  la  colazione,  poi  da  Ajar 
gno  per  l'articolo  della  Tribuna  II  Governo  "r 
mai  e  una  bara  <  .<,  i  partiti  una  commedia  :  il  | 

è  in   rovina,   la  si  i  1      rieri 

biliare,  ingiusto,  aggressivo,   violenta 
(  'he  ha  l'onorevole  Pan  is  • 
\e\  rastenia. . . 

I  più  sorridono  con  malizia  : 

Nevrastenia  ..  prodotta  dalle  dimissioni  da» 
te  e  che  furono  acci  ttate  troppo  presto  !  1 1  bru- 
ciore ili   aver  perduto  il  potere!... 

- —  Non  ha  equilibrio,  non  ha  prudenza.  (Ili 
manca  la  serenità,  la  stabilità  ilei]  uomo  di  governa 

—  E'    troppo    impetuoso,    violento!     K     mi 

II  Parvis  se  ne  va  ila  Roma  dopo  una  settimana  ; 
ha  levato  il  saluto  a  tre  o  quattro  persone  ed  e 
stato  sul  punto  'li  avere  un  lineilo. 

Sono  stufo  ih  '|nest, i  vita,  'li  questa  baraon- 
da, di  unte  queste  liti!  Manderò  le  mie  dimissioni 
anche  da  deputato!  Voglio  viaggiare,  viaggiare... 
Viaggiare  in  paesi  lontani,  nuovi,  diversi  dai  no- 
stri ! 

E  pensa,  in  cuor  suo.  a  un  paese  ili  ghiaccio,  ili 
neve,  o  scolorito,  o  giallo,  ma  senza  un  filo  di  ver- 
de! Là,  finalmente,  non  lo  avrebbe  veduto  più  . 
mai  più,  quel  grande  cappellóne  tutto  bianco  e  tutto 
ri  isa  ! 


Quando  a    Milano  sta  per  entrare  in  casa.    Pro 

spero  gli  viene  incontro,  la    :  tralunata,  bor- 

bottando    malche   parola  che  Gerardo  non  capisce 
bene. 

Che    C'è  ? 

reo  ha   preso  il   cimurri  •       Sta. . .  maliss. 
11  resto  si    pen  le.  vola  per  aria. 

—  Xon    hai  chiamato    il    signor   Lodetti?... 
[1  sigrn     I    '''-ni  è  il  veterinaria 

Prosp  .  borbottando:  si  capisce. 

s'indovina  che  m  n  c'è  più  niente  da  fare 

—  DcVi 

Prospero  va  innari  «  une. 

Attraversano    l'anticamera,   il    -  lo  studio, 

la  stanza  da  letto,  il   gabinetto  'li   toiletti        N 

laroba,  si  il  tettuccio  del  |h>- 

nTii  Teo:    una    cesta   rotonda,  e  un  vecchio   plaid 
ira  la   i  aglia. 
-   Il   pulr  ne  !    !'ii>  !         I  !    padri  l 
Prospero    ha    un   suono  tremuli.,   un   accento  in- 

SolitO  i"  1!.' 

I     qui  il  padrone,  Teo. . 

I  povero    I   i  mormora  il  Pan 

sua  volta,    avvicinandosi  alla  cuccia.  Teo  fa   uno 
sforzo...  si  alza  a  stento  sulle  due  gambe  anteriori  : 
ha  il  licione  grosso,  sformato,  che  non  può  più  i 
Eppure,  fa  \\n  grande  sforzo,  barcollando 
cerca,  allunga  il  muso  verso  il  padrone,  e  muove 
ancora    adagio    la    roda.      ma    è    l'ultimo    slor 
zo :   i  giù  nella  cuccia,  abbandonandosi,  le 

gamb  ite,  il  respiro  affannoso,  come  un  ran- 


A    DIVA 


2  I  I 


i  .  un  lamento  doloroso,  che  Cftntimta.  che  conti- 
nua, mentre  l'occhio  rimane  aj>erto.  con  la  pupilla 
vitrea,  dilatata. 

—  Teu,   povero  Teo. . . 

Geraldo  si  china  per  accarezzarlo,  e  allora  il  la- 
mento .Ioli iroso,  il  rantolo  si  fa  più  sommesso 

—  Teo,   povero  Teo. . . 

Gerardo  continua  ad  accarezzarlo,  ;ul  accarez- 
zarlo... ma  poi  quando  fa  per  allontanare  la  mano, 
il  rantolìi,  il  lamento  diventa  più  forte,  più  lungo, 
disperato  e  Teo  gli  volge  l'occhio  umano,  che 
ravviva  in  quell'ultima,  suprema  espressione  del  do- 
lore e  della  morte. 

Prosperi)  porta  uno  sgabello:  Gerardo  siede  e  ri- 
mane sempre  vicino  a  Teo.  accarezzandolo,  finche  il 
rantolo,  ohe  continua,  rhe  continua  per  un'ora,  per 
due  ore.  si  fa  più  affannoso,  più  doloroso,  terribile, 
poi  a  poco"  a  poco  più  lento,  più  sommesso,  finchi 
finisce...  finche  non  si  sente  più...  Teo.  dopo  un 
ultimo  sussulto,  rimane  fermo,  immobile,   disteso. 

Gerardo  ha  il  cuore  gonfio,  stretto:  li.  nella  cuc- 
i  ia,  accanto  al  povero  Teo.  c'è  ancora  il  nastro  rosa, 
regalato  da  Sofia. 


..."  La   mattina   dòpo,    all'alba,  nel   piccolo  giai 
dino  della  rasa,  il  portinaio  sta  scavando  una  buca  : 


Prospero  ha  pprtato    l'eo,   rigido.  .   avvolto 

in  un  panno  bianco. 

Gerardo,  è   pallido,  ha   gli  occhi  stravolti. 

Mentre  il  portinaio  prepara  la  piccola  fossa,  Pro 
spero  scopre  il    testone   di   Teo,    poi   lo  ricopre  di 

nuovo. 

Ei  co  fatto!         esclama  il  portinaio,   al 

niente.    —    Dia    qua;    signor    Prospero! 

E  Stende  le  mani  per  prendere  il  lungo  involto 
bianco. 

Prospero  non  dice  nulla,  si  alza,  e  sotto  gli  oc- 
chi di  Gerardo  '.  sempre  ritto,  muto,  pallidissimo, 
depone  Teo,  delicatamente,  nella  tossa,  e  lo  copre, 
lo  ricopre  con  il  panno  bianco,  per  difenderlo  dalle 
palate  di  terra,  umida  e  nera. 

11  portinaio  riempie  la  buca  in  fretta,  poi  vi  di- 
stende .-opra  la  terra,  rassodandola  con  quattro  col- 
pi  di  badile  Ix'ii  forti,  tiene   assestali: 

—  beco  finito  ! 

Allora,  allora  soltanto  dal  petto  del  l':ir\  is  pro- 
rompe un  urto  di  singhiozzi,  uno  scoppio  di  pianto 
dirotto,   desolato. 

Egli  rientra  nella  sua  stanza,  si  butta  attraverso 
il  letto,  piangendo  anema.  slogandosi.  Finalmente 
ha  trovato  la  via  delle   lacrime. 

—  binilo!     Finito!     E'   proprio    tutto   finito! 

Gerì  m  \\i'  i    Ri     i  i  i  \ 


LA  LEGGENDA  DELLA  MANDRAGORA 


[a.  il  Dio  del  Sole  era  vecchio  e  malaticcio, 

se  in  conseguenza  d'uri  brutto  scherzo 

fattogli  da  [side,  che,  vogliosa  di  posse- 

o  dei  potenti  sortilegi,  aveva  fatto  pun 

gere  il  padrone  da  un  serpentello  velenoso,  offren- 

dosi  poi  di  guarirlo. 

Ka   era  dunque  vecchio  e  gli   uomini  mormora- 
ro  'li  lui  ;   lo  seppe,  se  ne  offese,  convi 
il  consiglio  'li   famiglia  e  deliberi'   ili  inviare  l'oc- 
chio divino,  la  Dea  Ator  a  castigare  gli  uomini,  ra- 
e,    prima  che  avessero  sentore  della   cosa 
>.  dove  gli  Dei  '1  Egitti  i  non 
han  più  presa.  Ator  prese  il  suo  mandato  a  cuore, 
ungi  in  coltello  nella  valle  del  Nilo  e 
Io  adoperò  così   -  ente   che    grande  esten- 

sione ili  terre  rosseggiava  'li  sangue.  Il  vecchio  Ra 
vide  che  'li  questo  passo  egli  non  avrebbe  avuto  più 
sudditi,  eli-m'  nipre   indispensabile  a 

uire  un  Re;   rirhi  anguinaria   Dea,  la 

affamata  Ma   essa  ri- 

-ix '-•  indo  sterminava  gli  uomini  il  suu  cuo- 

guitò  La  sera  finalmenti  il  sonno 
e  la  stanchezza  la  presero,  e  Ka  convocò  in  fretta  i 
suoi  ri.  quelli    agili    e  rapidi  che  volano 

come  il  vento.  ■  Correi         I     fantina  e  portatemi 
te  mandi       re  potrete  cogliere  ».   Giunsero  le 
piair  rdinò  al  mugnaio  della  sua  città  l'ira 

ittà  ili  Ka.   Heliopolis  dei  Greci)  <li  pec 

in    i  'I    SUCCO  alla    birra  .  he 

a  i  reparando  dall'orso  ;    vi   ag 


tanto  -annue  umano  e  preparò  7  mila  orcioli  ili 
questa  bibita.  Ka  l'assaggiò,  la  trovò  <li  suo  gra- 
dimento e  rispondente  alle  sue  viste  e  ne  inondò  la 
terra  d'Egitto  che  ne  fu  coperta  per  l'altezza  di 
quattro  palmi  La  Dea  svegliatasi  col  sole  vide  que- 
st'inondazione  «  e  il  suo  volto  si  1  addolcì  :  ma 
quando  ebbe  bevuto  anche  il  cuore  si  ammansò  .  se 
n'andò  ebbra,  senza  più  vedere  gli  uomini  ». 

Mi  pare  una  gloriosa  maniera  d'entrare  nelle  leg- 
gende, e  non  so  quale  altra  pianta  possa  rompe 
tire  mila  mandragora  per  la  nobiltà  di  sua  origine. 
Non  reno  il  frutto  del  misterioso  albero  dell'Eden, 
ehe  ebbe  a  protagonisti  del  suo  dramma  una  povera 
prima  coppia  d'uomini  inesperti  e  curiosi  e  un  ma- 
ligno serpentello.  Le  favole  egiziane  hanno  le  im- 
ponenti   proporzioni   dei   loro    monumenti. 

Ma  tutto  questo  è  leggenda,  leggenda  formatasi 
torse  qualche  centinaia  di  anni  dopo  l'epoca  in  cui 
i  fatti  miracolosi  sarebbero  avvenuti  e  messa  in- 
sieme dai  teologi  egiziani  nell'ordinare  gli  elementi 
della  loro  complicata  teogonia.  Il  vero  ,'•  ques 
che  gli  Egizii  conoscevano  un'erba  velenosa;  che 
quesrerba  era  probabilmente  la  mandragora  dei 
ri  botanici,  echecresceva  nell'alto  Egitto;  che 
sapevano  prepararne  miscele  inebbrianti ,  mes 
landone  i  succhi  colle  bevande.  Di  che  natura  sia 
poi  il  veleno,  lo  si  può  arguire  dai  sintomi  che 

1  la  Dea:   la  leggenda  la  mostra  ebbi 
chi  lucenti,  e  incoi  al  loro  ufficio  dopo  alzatosi  il 

sole. 


LA  LEGGENDA  DELLA  MANDRAGORA 


2l3 


L'ebbrezza  è  un  sintomo  che  può  esser  comune  .1 
molte  intossicazioni  e  che  non  è  ben  definibile  ;  in 
generale,  è  una  alterazione  passeggera  delle  facoltà 
mentali  per  cui  si  smarrisce  la  capacità  a  osservare, 
a  riflettere  e  a  temperarsi  e  si  acquista  una  esage- 
rata disposizione  ad  associare  visioni  di  pensieri, 
più  che  pensieri,  a  disordinati  movimenti  del  corpo. 
E'  una  specie  di  violento  e  incoercibile  stato  emo- 
zionale, e  come  tale  può  prodursi  anche  senza  il 
soccorso  di  droghe  o  di  farmaci.  Una  successione 
rapida  di  inusitati,  meravigliosi,  incomprensibili  fe- 
nomeni, che  colpiscono  vivamente  l'immaginazione, 
produce  nelle  menti  semplici  uno  stato  d'ebbrezza. 
Il  bambino  ed  il  selvaggio  gridano,  saltano,  ridono 
e  piangono  ad  un  tempo,  s'arrossano  in  viso,  palpi- 
tano, escono  in  parole  sconnesse  quando  si  presenta 
a  loro  uno  spettacolo  nuovo  e  gioioso,  un  giocai 
ti  lo,  un  dolce,  una  vistosa  stoffa  colorata  o  pezzi 
ili  vetro  brillanti. 

Più  determinati  sono  i  due  altri  fatti,  che  si  rife- 
riscono all'occhio  della  Dea  avvelenata.  1  poeti  par- 
lano spessi  dell'occhio  splendente,  come  tutti  noi 
parliamo  di  .echi  belli,  grandi,  espressivi.  E'  inte- 
ri- il  determinare  le  condizioni  fisiche  per  cui 
hio  ci  rivela  cosi  rapidi  ed  efficaci  mutamenti 
d'espressione.  Un  primo  esame  ci  prova  che  l'oc- 
chio che  noi  facciamo  protagonista  di  queste  azioni 
non  ha  gran  che  a  farci.  Parlo  dell'occhio  vero,  di 
quell'organo  che  è  destinato  a  vedere,  che  è  tatto 
di  una  sfera  annidata  nell'orbita,  la  quale  per  un 
polo  è  unita  al  cervello  mediante  il  nervo  ottico. 
mentre  la  zona  polare  opposta  appare  all'esterno 
per  l'apertura  delle  palpebre,  e  mostra  il  cerchio  mu- 
tabile dell'iride  contornato  dalla  pallida  sclerotica 
(il  bianco  dell'occhio)  e  perforato  dal  forellino  della 
pupilla,  nero  e  profondo  come  un  pozzo,  per  cui  si 
scende  direttamente  nelle  profondità  dell'anima.  Al- 
l'infuori  della  facoltà  che  ha  di  volgersi  in  diverse 
direzioni,  affermando  cosi  eloquentemente  il  do- 
minio dell'uomo  sullo  spazio,  l'occhio  in  se  non  può 
mutare  d'aspetto  se  non  in  quanto  l'apertura  della 
pupilla  può   farsi  più  o  meno  larga.  Se   l'iride  è 

Ì molto    scura,    il  mutare  delle  dimensioni  della  pu- 
pilla può  passare  inosservato,  se  è  chiara  invece 
più  evidente;  questo  cambiamento  è  però  difficile  a 
riconoscersi,  perchè  la  pupilla  non  si  contrae  rapida- 
mente e  si  dilata  soltanto  all'oscuro,  cioè  appunto 
quando  è  più  difficile  osservarla.  In  alcuni   animali 
invece,  fra  cui  i  gallinacei,  l'occhio   appare   conti 
nuamente  irrequieto  e  mutabile,  perchè  il  contrasto 
di  colore  fra  l'iride  e  la  pupilla  rende  manifi 
dilatarsi  e  lo  stringersi  del  cerchio  nero  centrale. 

Alla   espressione  abituale  e  giornaliera  dei  sen- 
timenti la  pupilla  umana    in   complesso  partecipa 
1.  poiché  quando  c'è  lume  sufficiente  perchè  1  oc- 
chio possa  osservarsi,  la  pupilla  suole  avere  sempre 
lo  stesso  diametro. 

Vi  partecipano  invece  vivamente  altri  aco 
dell'occhio  ;  le  lagrime  anzitutto,  le  quali,  allorché 
stanno  formandosi  abbondanti  senza  che  tuttavia 
trabocchino  dal  margine  della  palpebra,  danno  un 
luccicare  dell'occhio  che  pare  vi  si  immerga.  Sono 
«  gli  occhi  natanti  nel  lume  n  cantati  da  Carducci. 


Vi  partecipa  il  giro  esterno  che  va  dal  si  pracci- 
glio.  lungo  la  fronte,  sui  polsi,  per  la  palpebra  infe- 
riore fino  alla  radice  del  naso.  L'alzarsi  0  il 
.Ieri-  dell'arco  che  spiana  la  via  dell'occhio  d  la  chiu- 
de, lo  oscura,  lo  nasconde,  lo  dirizza;  il  rìdere 
delle  sottili  aluzze  che  irradiano  a  ventaglio  all'an- 
golo esterno  o  solcano  di  linee  parallele  la  palpebra 

mire  ;  lo  spalancarsi  della  rima  palpebrale  che 
disegna  nel  bianco  immacolato  la  meraviglia  de! 
1  iccolo  cerchio  attonito;  il  socchiudersi  che  pare 
l'invito  discreto  d'una  porticina  che  si  apre  nell'a- 
nima e  si  rinchiuderà   dietro  di    voi;   e  i  misteriosi 

oli  lumi  che  s'accendono,    scompaiono,  eri 


HkSS£-,£!.S« 


Imo.    1. 


|  Vedi  appunti  a  pai:. 


vibrano  a  seconda  delle  ombre  e  delle  luci  che  que- 
.11  panneggiamenti  esterni  sapienti  accordano  alla 
levigata  superficie  interna;  ecco  il  segreto  dell'e- 
spressione dell'occhio,  ecco  le  sillabe  del  suo  divino 
linguaggio. 

E  torniamo  alla  nostra  feroce  ubbriacata.  11  suo 
occhio  non  è  più  umano;  esso  non  è  più  l'occhio 
sano,  il  vigile  guardiano  e  maestro  della  men 
ebbro  come  il  cervello,  esso  manda  bagliori,  si  ri- 
fiuta al  suo  ufficio  e  teme  il  ui  riceve  l'ali- 
mento.  Non  sono  dunque  gli  abituali  cambiamenti 

iressione  che  dobbiamo  cercare  in  lui.  Qu; 
mutamento  più   grave  si  è   fatto,  che   non  è   arduo 
immaginare.  La  Dea  è  avvelenata   dall'atropina. 

E'  l'atropina,  l'alcaloide  contenuto  nella  ma 
gora,  nella   belladonna,  nello  stramonio,   nel   l 
1:110.  in  tutte  queste  piante  che  la  tradì 

-  alle  idee  di  oscurità  e  di  sortilegi,   di  tu- 
rare 0  di   letargo  che  ha  alterato  l'occhio  suo. 
ha   sconvolto    il   suo  cervello,   ed    ha   intenerito    il 
suo  cuore.   E'   l'atropina  che  ha  dilatata  la  sua   pu- 


-!  14  LA    LETTI  R  \ 

pilla,  allargando  .i  dismisura   il  nero  cerchio   (ino 

gine  della  sclerotica,    si  che  su  quel 

fondo  le  lui  ;  mene  meno  vivi    i  isaltano  e 

danno  all'occhio  quel  fosco   lumeggiare; 

he  togliendo  all'occhio  la  capacità  a 

■-bai'  pei  cui  entra  la  luce  diurna,  e  ini- 

bendo  alla  lente  cristallina  la  sua  motilità,  ha  pei 

messo  che  l'i  echio  fosse  inondato  ili  raggi  che  si  iri- 

>ensi  i,   sì  che  l'immagine  si  pinge 


non    potrebbe    t .ir-i  di  nessun'altra  alterazione  d& 
scrittaci  dagli  amichi. 

[quali,  del  resto,  conobbero  queste  piante  e  lete 
incucili,    per  essi  naturalmente  l'effetto  princì] 

i  ii  la  turbata  funz •  ceri  brale  .  ad  essa  ati  i  ibui 

a  vedere,  come  nel  lam]  eggiare 
dell'occhio  neri  e  smarrito  videro  li 

dell'interno  fuoco.  Gli  altri  fenomeni  dell'avvelena 
mento  da  atropina  o  sfuggirono  all'esame  dei  me 

■■■■■■ 


HI  U»J£Jl"TI*ArtSlJ 

,'j      TV-.:!  vii  J  i' 
;    ."'Olir.  r..n-,-,i 

U^trt4avj-"t'5'-l 

.   ■,-.',.'  '/>»» 
rtV»l      ~  ^ù\ 

11)  ".>>  "v .jini.1 

.     I.    '^,-,;j.J'j 
•      .    •i|-»      -___ 

•  irtnrfjh 

».ep;|'..'lV.      OI".r 

'  ..." .  i  :.  /  ■•■  ir-  ..„'>    ìi-iìti 

.imi.  ■■.»'' 

t      I  i 

'multiti.-  \,  iJJi    [:>r,-  'n 

'   --.jmjé      J-fi  '  o  •'  »  rf  i'.  i  . 

ft   "*±SÉK.  ***"*  '"•' sQ?' " ''  ' 

-  ftsk^       — Ji     ^     -•'! 


•VWUp-. 
•l/i|<'V-     >«i«U|-IlJ    '  f-'U  .'-'r-j^ì  ~j.< 

-•ti'jitUuri  jj/n.-.-.o.  •tjt\x'xì\'*i\  .v*ì*"-jv5>  ti~f,j:!- ,<• 

•»»«  -»M»r\«nj.-3,n'«»iy»'*>»a»\Jj-iJ',J0    -ir»'0.-^i  V'/ij./» 
■oli  ■  >.  li-iiv»  «i  '.'»:'*  >4i     f£>'.i/r5;Ji  •■']•<».>   '.ijo-*J, 
'ini  Au-><jjr>fitr*  •-^w.cjj^'tjift  >>-tiu:g^^^H 
..-I  Tf*l?A\.nt**i  Jui-C.4  f".  ;i±'    -i, 

'     '     •  •.  •!•.-!     ^.i*».ii-nii;''l'-.  "i  ,»'•'<■'/■  y. 

l'i...    2. 


indefinita  e  torbida  Milla  retina,  L'occhio  ilella   Dea 
avvi  -me  l'obbiettivo  della  camera  oscura  a 

•  ui  si  tolgono  i  di i  i  rammi  e  che  non  si  pui  i  mi    en 

.1     fUl  getti      Vicini.     !..  .11     ile 

finisce  che  gli  sfondi  ;   il  primo  piano  è  incerto  e  la 
ifica  nell'intensa  luce  e  nella  indetei 
minatezza  dei  contorni  dà  immagini  grigie,  un 
i 
Sia  dunque  mandra  il  Dio  del  Sole 

Furiosa  figliuola, 
ra  rto  è  una  del  gruppi  i 

i  '  pj{j    icura 


dici  d'allora,  o  furono  inter]  me  conseguen 

za  del  delirio  maniaco;  l'incapacità  a  percepir  la 
luce,  il  battere  precipitoso  del  polso,  l'arsura  della 
lanci  disseccate,  erano  considerati  come  sintomi 
dell'ebbrezza.    \<>i    ne    sappiamo    ili     più  ;    cono- 

mo    l'azione    violenta     eccitatrice     della 
teccia     cerebrale    che      può    giungere     al     punto 
di   determinare  veri   aco  lettici,    ma    la    se 

pariamo  dagli  effetti  del  veleno  sull'occhio,  sulle 
secrezioni  delle  ghiandole,  sui  muscoli  lisci  e  sul 
cuore  Vbbiamo  anche  imparalo  a  conoscere  e  in 
pane  a  fabbricare  delle  vane,.,  di  atropine,  in  cui 


LA    LEGGENDA    DEI  1   \    MANDR v 


210 


si  ha  solo  luna  o  1  altra  azione,  come  sappiamo  a 
doperare  il  veleno  in  modo  ila  avere  soltanto  lineilo 
ilei  suoi  effetti  da  cui  ci  ripromettiamo  qualche 
vantaggio.  Così,  instillando  nell'occhio  tenui  traccie 
d'atropina,  riesciarno  a  dilatare  la  pupilla  sen- 
za che  si  produca  nessun  altro  degli  effetti  \'' 
rjefici  ('osi  pure  sappiamo  che  \i  sono  varietà  di 
atropina  che  non  producono  accessi  ci  mania,  ma 
calmano   e   addormentano. 


I.a  mandragora  ricompare  nella  leggenda  in 
torme  che  mostrano  essersi  intorno  ad  essa  raccolti 
altri  elementi  di  terrore.  E  con  essa  le  sue  affini  che 
ho  nominato,  la  belladonna,  lo  stramonio,  il  gius- 
quiamo, piante  sparse  in  tutto  il  continente  .il 
ropa.  che  i  greci  non  hanno  saputo  distinguere  bene 
le  une  delle  altre,  e  di  cui  alcune  som  i  state  d<  signate 
col  nome  di  stricnon,  in  cui  troviamo  la  stessa  ra- 
dicale del  nome  strige,  che  designa  il  gufo,  anche 
esso  incapace  di  tollerare  la  luce  del  sole.  Fra 
sti  stricnon  vi  sono  specie  innocue,  come  la  comune 
dulcamara  ;  le  tossiche  sono  chiamate  stricnon  .  pn<>- 
ticon,  stricnon  manie  on  ;  questo  è  probabilmente  la 
pianta  che  Saladino  d'Ascoli  nel  suo  Codi  pendi  uni 
aromatari  orum  (circa  1450)  chiama  Solarum  fu- 
riale, e  che  si  trova  poco  dopo  descritta  e  figurata 
dal  celebre  medico  senese  Pietro  Andrea  Mattioli. 
il  piale  afferma  che  a  Venezia  la  chiamano  erba  bel- 
ladonna. Di  dove  proviene  questo  nome?  Forse  dal 
fatto  che  questa  pianta  o  altre  consimili  entravano 
nella  composizione  dei  filtri  amorosi,  che  a  Vene- 
zia, città  elegante  e  dissoluta,  si  preparavano  e  si 
smerciavano,  forse  dall'impiego  che  si  faceva  di  ess,, 
per  rendere  gli  occhi  scuri  e  lumeggiami.  Qui 
impiego  della  belladonna  si  trova  ancora  ai  nostri 
tempi;  vi  sono  disgraziate  che.  per  dare  alla  loro 
tisonomia  non  so  qua]  fascino  d'ebbrezza  bacchica, 
si  applicano  dei  dischi  d'atropina  nell'occhio  ri- 
nunciando a  guardare  nell'intento  d'esser  guard 

La  mandragora  si  tenne  sempre  distinta  per  no- 
me e  per  caratteri  dal  gruppo  affine  degli  stricnon; 
benché  meno  pericolosa  perchè  meno  ricca  d'atro- 
pina, benché  i  suoi  fiori  e  le  sue  bacche  siano  d'a- 
spetto meno  triste  delle  sue  congeneri,  essa  continuò 
a  raccogliere  intorno  a  se  paurosi  miti,  e  a  ra]  p 
sentire  potentissime  virtù.  E'  un'erba  che  non  alza 
dal  suolo  il  ciuffo  compatto  delle  sue  foglie  ovali 
e  ondose,  dall'odore  grave;  fra  le  foglie 
su  uno  stelo  corto  i  fiori  violacei,  che  maturano  I 
che  giallognole;  nella  terra  si  sprofonda  una  ra- 
dice grossa,  lunga,  conica,  simile  a  una  carola. 
s|,rss,,  spesso  hi  ,,  tripartita  nel  suo  decorso,  mu- 
nita di  poche  e  sottili  barbe.  Tutta  la  pianta,  fron- 
da e  radice  contengono  un  succo  velenoso;  ma  la 
radice  è  più  reputata  ed  intorno  ad  essa  la  leggenda 
ha  ordito  le  più  fitte  trame. 

Già  Plinio,  il  grande  raccoglitore  degli  errori 
popolari  degli  antichi  .  amante  delle  supersti- 
zioni  e  dispregiatore  della  scienza,  ammonisce  dei 
pericoli  a   cui  va  incontro  chi  rad  iba: 

«  chi  vuol  scavare  la  radice  di  mandragora  si  guardi 
dal   mettersi    contro  vento;     inscriva  in- 


tonili colla   spada    e    poi    m'ji  i  guardai  l'oc 

-  ».  Tranne  quella  dell'evitar  il  vento  contrario, 
pud  giustificarsi  cui  desiderio  di    .Mirarsi    all'o- 
dore deli  che  si   pretende  narcotico,  le  al- 
tre sono  prescrizioni  magiche,  cioè  cerimonie  aventi 

ittere  di    scongiuro   per   impedire  alle  potenze  ar- 
cane della  piani. 1  d'esen  naie  d  lom  malefici  >  influsso. 
A  radice  cosi   terril  poteva  assegnarsi    la 

volgare    forma   ordinaria:    qualche  cosa  doveva  nel 
SUO    a  1     mah  agita    di    sua    natura. 

pre    quando    le    leggende     paurose     ricori 


Fio 


irti   rappresentative,  queste  adat- 
tano la  rappresentazione   al  cara  nato  al- 
l'oggetto che    riproducono,    in    modo    che   funai 
sola    sia  sufficiente              1  tentarlo  in  tutti   i  suoi 

ilnienlc    nei     |  opoli     primi!  ivi    0    nelle 

epoche  di   do  ttuale,   questa  tendenza 

idealistica  delle  arti  rappres 

nella  sua    ingeni  ice  efficacissima.   In  tutto   il 

medio-evo  le  piarne   furono  rappresentate    secondo 
un  tipo  fi  enzionale,  il  quale  era  destinato  a 

•i    in   luce  quelle  particolarità   —  vere   od    im- 
maginarie—  che  caratterizzavano    la   pianta   ste 
e  la  sua  a 

Ed    ecco  con,,-  la    ■  Ha  mandragora   nelle 

ligure  della   pianta 
il  ciuffo  in  alto,  eh 

indifferei  le  alterazioni, 

l'n  codice  preziosi,  che  dalla  biblioteca  borbonica 

i  ale  di  Vienna,  om 


210 


I  \    l  ETTI  R  \ 


<li  liguri-  ili  piante  disegnate  nel  settimo  secolo,  ci 
mostra  le  due  mandragore,  maggiore  e  min  ri  (ma 
schio  e  femmina)  colla  rosetta  'li  fog  li   bacche 

benissimo  riprodotte,  ma   la  radice  ha  già  un  con 
torni»  umano  colla  testa,  li-  'Un-  braccia  e  le  gambe 
ottigliano  in    ramoscelli    serpeggianti,    l  ri 
altro  codice  'li  poco  pò  .'ella  biblioteca  ili 

I  i  oca,  .lilla  fine  del  secolo  ninni,  ha  la  figura  della 
man  colla   radice  completamente    antropo 

moria.  Si  direbbe  che  nei  tre  secoli  che  separano 
1  un  codice  dall'altro,  tu-  secoli  ili  decadimento 
ntifico,  che  vuol  dire  «li  trionfo  della  supersti 
nte  del  i  lisegnati  ire  si  sia  sempre  più 
offuscata.  <  >  piuttosto  nano  tempi  in  cui  non  si  pen- 
sava più  a  ricorrere  al  modello  vivente,  da  cui  certo 
il  disegno  del  codice  più  antico  era  stato  tratto. 
Nella  riproduzione  sistematica  da  ligure  sempre 
più  lali        naturale  rhe  s'esagerasse   sem- 

pre più  quello  che  voleva  mettersi  in  rilievo.  Un  al- 
tro i  della  figura  è  da  notarsi:  la  spropor 
zione  fra  la  radice  umanizzata  e  la  parte  aerea  della 


0- 


Fig.  4. 


I  i  tnta,    utta  a  detrimento  ili  quest'ultima  ;   processo 

questo  che  venne  sempre  allottato  per  significale  la 

dignità  maggiore  d'una   parie  rispetto  all'altra  ;  an- 

Faraoni ,   scolpiti    nei    piloni  dei   templi   in 

atto  'li  saettare  il  nemico,  sono  giganti  che  combat- 

-  1    ercito  'li  nani. 

La  leggenda  ha  già  fatto  un  passo  innanzi  dal- 

Plinio  ;   ormai  ogni  scrupolo!    S iparso. 

nessuna  voce  vivente  oserebbe  ancora  in  quell'epoca 
richiamare  alla  verità  .    i  botanici  greci,   Teofi 
e  Dioscoride.  cosi  esatti  e  sobri,  così  schivi  ili  fiab 
1  on  1  san  Micro  forsi  L;  il  solo 

nome  loro  vi1  me  su      Ilo  a 

compilazioni  affrettate,  ad  estratti  dei  loro  liliri. 
passati  ila  Bisanzio  ai  barbari  al  di  là  dei  Balcani 
tradotti  nella  lingu  biti  di  tutto  il 

d'errori  popoli   primitivi    1 

vano 

1  la  della  ni  indragi  1     1  » 
ad  un  colli. .'.li  I ,ui  1  a  dell'i ittavo  rai luco 

dal  latino  esto: 

«  I    latini   chiamano  la  ora  malun 

ano  antropomer  1-  1  erchè  la 


e  ha   loruia   d'uomo,  la  corteccia  della  qu 
infusa  in  vino,  dassi  a  bere  a  quelli  che  si  opera 
I»  1  la  loro  salme  (questp  accenno  prezioso  allo  im- 
piego della  Diandra)  ora  o ìco  delle  1 1]  1 

razioni  mi  porterebbe  molto  lontano  dal  m 
mento,  e  l"rsr  m  rvirà  ili  punto  di  partenza  per  un 
altro  studio)  ;  i  quali  come  presi  da  sopore  non  sen- 
iinio  il  dolore.  Ve  ne  ha  dm-  Specie:  la  femmina 
li.-  loglio  .oiiir  la  lamica  e  il  frutto  simile  a  'niello 
del  pruno,  il  maschio  invece  ha  foglii  come  di  rapa. 
Coglila  perchi  grande  è  la  visione,  grandi  i  \< 
fici  suoi  ;  e  come  tu  vi  giunga  io  ti  spiego.  Di  notte 
splende  come  una  lucerna.  Appena  la  scorgi  con- 
ducili- un  ferro  intorno  al  capo  perchè  non  ti  fugga  . 
poiché  ha  tanta  virtù  che  si-  viene  a  lei  un  uomo  im 
mondo  subito  fugge  innanzi  a  lui.  Adunque  la  cir- 
■  induci  ini  lino  escavi  intorno  senza  toccarla  col 
lerro  e  poi  diligentemente  smuovi  la  terra  innanzi 
con  uu  palo  d'avorio.  I-i  allorché  scorgerai  il  pii 
di  quest'erba  mandragora  e  la  sua  mano,  la  leghe- 
tai  con  una  fune  nuova,  e  l'altro  capo  lo  legherai 
^__  al  collo  d'un  cane  che  avrai  affamato 
prima;  e  gli  metterai  poco  lungi  del 
pane  come  esca  perchè  possa  sradi- 
.  are  l'erba.  Ma  se  non  vorrai  ingan- 
nare il  cane  (poiché  si  .lìce  che  quest'erba 
abbia  tanta  divinità  da  ingannare  [ucci- 
dere] sul  momento  chi  la  svelle),  se  dun- 
que non  I"  \orrai  ingannare  fa  fan-  una 
grande  pertica  che  funzioni  da  mangano». 
E  qui  descrive  come  la  pertica  arrove- 
sciata a  cui  sarà  attaccato  il  capo  della 
Inni-  nel  tornare  a  sé  sradicherà  l'erba,  1  he 
potrà    allora   1  i    e   si   metterà    in 

una  ampolla  di   vetro. 

L'eco  di  questa   leggenda  si   prolunga 
mi  secoli.  Shakespeare  in  Romeo  e  Giu- 
lietta vi  aggiunge  un  particolare  più  dn 
matico:     la     pianta     che    si    sente    svellere 
manda  urli  strazianti,  che  fanno  impazzire 
eie  li  sente:   «And  shrieks  like  mandrake  tom 
of  the  earth.  that  living  mortals,  hearing  them,  run 
mail.   » 

Mi   la  leggenda   non  i-  che  la  prova  della   impoi 
tanza  che  s'attribuiva  alla  pianta.   Come  ai  tempi 
favolosi  di  ka.  cosi  lungo  tutta  l'antichità  e  il 
dio  evo,    la   mandragora   si    tenne   poi         ;  li    c- 

saltare  l'uomo,  di  inebbriario  in  sogni  di  delizia  che 
agitavano  tutte  le  energie  corporee,  e  infine  di  .ni 

dormentarlo.    Nella  medicina,    la  mandragora   prean 

nunzia    il   cloroformio,    comi-   preannunciò    1 

pina. 

<  Consigliata  raramente  ni  iti,  perchè  i  n 

ivano  dinanzi  ad  un  rinn-.li"  .li  così  eroica  ripu- 
tazione,  essa  trionfa  nei  rimedi  secreti,  nei  filtri  u 
sa'!   a  richiamale   Ir  forze  0  I    irle  per  e 

bili.    \ umen si   ao  enni    .<    1  |uesta  credenza    si 

li. e nella  letteratura.  Ma  se  si  va  a  fondo  nella 

rea  della  s-oria  di  questo  farmaco,  si  scorge  chi 
esso  ■    soprattutto  vantato  nella  medicina  popolare. 
mentre  gli  autori  classici  non  gli  riconoscon 
miracolose  \iriii.    [ppocrate  la   nomina,  Galeno  v 
torna  spesso  „,]  r.i  nel  libro  sui  rimedi  semplici,  ma 


LA  LEGGENDA  DELLA  MANDRAGORA 


_M 


/ 


si  contenta  di  accennare  alle  sue  proprietà  narcoti- 
che, all'udore  suo  disgustoso,  alla  necessità  di  non 
usare  dosi  troppo  forti  e  alle  sue  proprietà  refri- 
geranti. Dioscoride  pure  ne  discorre  distesamente 
senza  esagerare  punto  la  sua  azione,  mettendone  in 
vista  quelle  qualità  che  noi  riconosciamo  ancora  nelle 
piante  affini  che  racchiudono  gli  alcaloidi  del  tipo 
dell'atropina.  Il  botanico  senese  che  ho  già  nominato, 


donati    dalla  scienza,   brancolano  per  afferrarsi   a 
qualsiasi  tavola  di  salve/za. 

L'antropomorfismo   «Iella    radice    di   mandragora 
è  stato  un  dogma  per  m  i  ■<;  un  disegnatore 

di  piante  medicinali  non  stimava  poter  dare  un 
giusta  della  pianta  se  non  ci  metteva  qualche 
d'umano  nella  radice.  Chi  sa  come  il  Mattioli  dovi 
sorvegliare  il   suo  artista    per    avere    Ir  due  belle 


I**H 


Fio. 


Mattioli,  anch'esso  non  riconosce  alla  mandragora 
virtù   speciali,  e  anzi  si   ride  di  quelli  che  ere-: 

abbia   forma  umana   nelle  radici.    K'  probabile 
che   Machiavelli,  acuto  e  fri  sservatore.  poco 

piopenso  a  credere  alle  fiabe,  avesse  anch'egli  la 
stessa  opinione  su  quest'erba,  e  che  l'abbia  intro- 
dotta nella  sua  commedia  Lei  mandragora  .  - 
perchè  la  scena  si  passa  f  r  i  gente  ignorante  e  scal- 
tra, cioè  in  quel  ceto  che  costituì  sempre  ed  in  ogni 
epoca   il  fondamento  e  il   s        a  -Ila  medicina 

ciarlatanesca  volgare,  di  quella  medicina  che  anche 
oggidì  sussiste  ancora  daccanto  all'altra,  e  a  cui 
forse  molti,    anche   colti,    ricorrono  quando,  abban- 


figure  di  mandragora  che  illustrano  il  suo  libro  . 
tirannia  della  tradizione  era  tale  che   in  un  erbario 
della  biblioteca  eli    Pavia        che  a  mio  parere  non 
può  essere  anteriore  al  secolo  XVI,  e  che  contiene 
impronte  di  erbe  ottenute  dalla  pianta  stessa  h 
sulla  carta  —  la  figura  della  mandragora  mostra  in 

o  nel    fittone  una    fisonomia   meravigliata 
ride  e  ior^e  nella  mente  dell'art 
lo  si  h  ■  ile  del  lungo  inganno  ordito  alla 

dulità  umana. 

Ma  se  anche  i    pittori  avessero  rinunciato  all'uf- 
ficio  di  umanizzare  la  radice   di    mandra;. 
per  questo  sarebbe  mancata  l'esca  all'errore  popolare. 


2l8 


LA    LETI  l  RA 


si  vendevano  secri  i piccoli 

omiciattoli  barbati   fatti  di   radici  'li  mandragora; 

li  li  chiamano  Al- 
runiken,  «la  Alraun  che 
nome  della  pianta;  si  chia 
niavano    anche     Galgen- 
miinnchen,  omuncu.li  della 

.   perchè    una    1 1 
zione  dai  crudi  particolari    ] 

rano  o 

un-  fi  isse  familiare  in  tutti 

i  suoi  multiformi  fenome-    ; 

ni  i     il    supplì 

zio  della    imj  i  ne,  li 

,      ere    ai    piedi 

del   patibolo    .1    cui    fosse 

i  un   innocen- 

1       i  i  «netti   si   vesl  i 

i,   vi  chiude\  ano  gèlo 

samente  in  casse,  ci  face 

va    loro    parte    dei    pasti 

quotidiani  .  si  lavai  ano  e 

ripulivano    per    averli 

propizi    nelle     operazioni 

magiche;  nella  ricerca  dei 

1  :.      e      I  er     .-Unici,-     le 

ili  Mi  cui  la 
mandragora  in  ogni  tempo 
ebbe  il  privilegio. 

Inni    cose    lontane    «li    ; 
questo  nostro  seo  '1"  vente- 
simo, non  ,'■  vero?  Eppure     * 
io   credo  che  se   si    rovi- 
•  bene  si  troverebbe  in 
qualche  angolo  perduto  della  Germania  un  piccolo 

ciattolo  che   aspetta  il   suo  tempo  per  uscire  a 
propiziare  le  potenze  occulte. 

I   gli    deve   avere    la    coscienza    della   sua    rarità; 


I    IG.    6. 


Macca  più.  In  Italia,  del  resto,  la  lama 
non  s,    perduta*  delle  proprietà  benefiche  e  terribili 
dèlia  mandragora.  (  'hi 
rebbero  le  mie  lettrici 

issi  a  loro  che  un 
ire  d'un  orto  botanico 
pò  fa  una  pian- 
ta 'ti  mandragora  ad  una 
supplichevole  signorina . 
la  i  piale  la  voleva 
talismano  'li  felicità  ?  Se 
queste  righe  le  caimano 
sotio  gli  occhi.  Mirra  quel 
la  signorina  rhelan-i  se  la 
pianta  ha  adempito  il  suo 
ufficio  ? 

Voglii  ■  sperare  ili  si;  non 
ho  io  inteso  chi-  in  un  altro 
orto  botanico  'l'Italia,  non 
è  gran  tempo,  un  giardi- 
niere non  osava  trapian 
tare  la  terribile  radice,  e 
colui  che  lo  fece  in  vece 
sua  mi  irì  poco  'lupo  [  I  a 
leggenda  della  mandra- 
gora non  è  dunque  morta. 
Chi  sa  che  qualcuna  di 
quelle  virago  che  si  rac- 
colgono intorno  al  ta- 
Milo  verde  di  Montecarlo 
e  spiano  ansiose  il  vol- 
tarsi d'una  carta  noi 
rezzino  colle  mani  irre- 
quiete una  radice  di  man- 
dragora custodita  segretamente  nella  tasca  insieme 
agli   altri    amuleti    propiziatori 


Febbraio  t 


Piero  Gì  acosa. 


l'io.    I.  —  Il  primo  foglio  del   papiro  cosi  il«lt"  ili   Ebers,  che  contiene  una    raccolta  di  testi    relativi    all' 
dicina  umana  e  ai  rimedi.    Data  probabilmente  dall'anno   1350  av.   Cristo,   ma  il  contenuto  è  molto  più  antico.   Prima 
di  questo  importantissimo  testo  si  conoscono  papiri  relativi  alle  malattie  degli  animali,  ma  frammentari. 

Fig.  2.  —  La  leggenda  della  mandragora  dall'antico  erbario  di  Lucca.  La  pianta  e  legata  al  cane  assetato 
innanzi  a  cui  si  presenta  un  recipiente  che  contiene  acqua.  Data  l'importanza  attribuita  alla  radice,  essa  è  figurata 
molto  maggiore  della  parte  aerea  della  pianta. 

In..    ;.   —  Dal   Dioscoride  coi  commenti  di   Mattioli,  professore    1  Siena   nel  secolo  XVI.    I.a  pianta  e  la  radice 
t'unissimo  riprodotti 

li'..  (.  Due  piante  di  mandragora  del  celebre  Codice  Napolitano  del  secolo  Vili.  I.a  rappresentazione 
della  parte  aerea  della  pianta  è  molto  fedele.  Gli  accenni  al  mito  si  vedono  però  nella  corda  con  cui  una  delle 
l'ialite  è  legata  e  nelle  radici  che  hanno  evidentemente   figura  umana. 

FlG.    5.  Figura  della  mandragora  in  un  codice  della  biblioteca  di   Pavia    (Aldini    Cesellati     llerbari'im  .    La 

pianta  è  stata  riprodotta  sul  cale"  ottenni"  da  un  esemplare  tresco,   ma  l'artista  ha  aggiunto  di  su,,  una  testa  umana 

della  radice.  —  A/,'.  La  testa  è  1 vi  ibile  nella  fotografìa  «■  venne  rinforzata  coll'inchiostro. 

Pianta  di  mandragora  dall'erbario  dell'orto  botanico  di   Torino.  Manca  la  oidi,,. 


.-^s*£ 


--.• 


LÀ  MUNICIPALIZZAZIONE  DEL  PANE  A  PALERMO 

nei  secoli  decimosettimo  e  decimottavo 


I.  —  Può  sembrare  strano  a  prima  vista  che 
la  Municipalizzazione  del  servizio  del  pane.  la  quale 
per  molti  rappresenta  un'aspirazione  dell'avvenire, 
abbia  funzionato  a  Palermo  per  lungo  tempo  in 
epoca  che,  se  non  è  remota,  certo  appartiene  al  pas- 
sato. Ma  più  strano  ancora  è  il  fatto  che  di  questo 
avvenimento,  che  ha  la  sua  indiscutibile  importanza 
storica  e  che  avrebbe  dovuto  attirare  l'attenzione 
degli  studiosi  dei  problemi  sociali  ed  .economici  . 
nessuno  degli  scrittori  contemporanei  siasi  finora, 
a  mia  conoscenza,  occupato. 

Eppure  è  certo  che  le  storie,  le  cronache  ed  i  dia- 
ri, dai  quali  ho  attinto  le  notizie  che  sommariamen- 
te mi  accingo  ad  esporre,  non  sono  ignoti  od  inediti 
e  sono  anzi  passati  per  le  mani  di  centinaia  di  let- 
tori. E'  vero  che  la  storia  della  Sicilia,  specialmente 
quella  dell'epura  spagnuola  e  borbonica,  è  poco 
nota  nell'Italia  continentale,  ma  essa  invece  viene 
con  vero  amore  coltivata  dai  nativi  dell'isola.  E  se 
molte  ricerche  sono  state  a  preferenza   rivolte  alla 

ria  militare,  a  quella  del  diritto  pubblico  e  pri- 
vato o  alla  genealogia  delle  antiche  famiglie 
liane,  gli  studi  sulle  condizioni  e  sui  costumi  delle 
plebi  e  sui  fatti  storici  ai  quali  esse  parteciparono 

i  sono  stati  trascurati.  Difatti  è  abbastanza  noia 
ai  Siciliani  colti  l'organizzazione  delle  maestranze 
artigiane  di  Palermo,  la  quale  durò  dal  secolo 
mosesto  a  tutto  il  decimottavo,  e  la  rivolta  popolare 
di  Palermo  del  1647  venne  illustrata  da  una  buona 
monografia  di  Isidoro  La  Lumia.  Finalmente 
neanche  si  può  dire  che  la   storia  economica  della 


Sicilia  sia  rimasta  inesplorata  dopo  le  pubblica- 
zioni del  Cusumano  sulle  Banche  siciliane  delle 
poca  spagnuola  e  gli  studi  statistici  che  sulla  stessa 
epoca  fece  il  maggiore  Perni. 

Se   dunque    la   Municipalizzazione  de!    pane,    la 
quale  funzionò  così  lungamente  a  Palermo  «la  esserne 
rimaste  tracce  che  ancor  si  ritrovano  negli  usi  e  nei 
modi  di  dire  popolari,  non  e  stata  ancora  illustrata 
da    alcuno   scrittore,   io  credo  che  ciò    sia   avvenuti 
perchè  esisteva  la  cosa  ma  non   la  parola.   0  mi 
1  crchè  i  termini   adoperati   ad   indicare  l'istituzione 
erano  molto   diversi  da  quelli   moderni.   11  buon  Di 
Blasi  ed   il  Villabianca.  ad  esem] 
sullo  scorcio  del  secolo  decimottavo,  ci  parlano  - 
pre  di  colonna  frumentai   1.  di  paniti,  della  tri 
della   meccanica,  espressioni    quasi   tutte   1  •-cure  e 
ili  cui   non   s'intende,   a   prima  vista,   il   signifii 
convenzionale  che  alla  loro   epoca  avi  qui- 

stato  e  che  ni  nsen  ato  né  nella  li       ,11 

nei    dialetto.   Sotto  questi  vocaboli  strani  ed  eti 
eliti,  che  vagamente  facevano  supporre  meccanismi 
amministrativi   tramonti  empre,    lo  studi. 

specialmente  se  poco  versato  nelle  discipline  econo 
micln  riuscito  ad  indovinare  l'istitu 

ima  della  quale  appena  da  qualche  de 
comincia  a   parlare  e  che  solo  i    più  arditi   novatori 
vorrebbero   immediatamente  attuare. 

11.  I/anno    nel   qua!      ; 

a    Palermi  di    tare  della  compra  del   grano. 

della  manipolazione  e  della  vendita  del    pane   una 


2  2n 


LA    LETTURA 


funzione  assegnata  al  Comune  non  li"  potuto  pre- 
stabilire.  Un  documento  ufficiale,  >'lie  ha 

Il    tOItO    ,  SSere    posteriore    'li    due    snob    al 

fatto  vagamente  indicato,  autorizzerebbe  a  supp 

che  va   nel    is;<>.    Diversi   indizi  nni 

fermano  tale  congettura  e,  sebbene  sia  molto  pro- 
babile che  una  simile  funzione  sia  stata  assunta  dal 
Comune  per  gradi  e  non  sia  nata  urna  in  una  volta, 
credo  di  unii  errare  di  molto  affermando  che  essa 
già  in  pieno  vigore  a  Palermo  alla  fine  del  se- 
lz sti  incarnente  arrenato  poi  1  he 
nel   i'  Municipalizzazione  del  pane  nella  ca- 

pitale della  Sicilia  era  un  fatto  già  antico,  la  cui 
ne    andava     al    di     là     della    memoria    dei    vi- 
venti. 

Maggiore  importanza   ha  l'indagare  'inali  siano 
I'-  e,  .ndi/ioni    peculiari    della   società    palermi- 
.     le    quali     lei'ero    SÌ    'he    1  istituzione    di    cui 
ani-  venisse  adottai,!   e  durasse  per  secoli. 
E  qui   mi      d'uopo  d'uscire  alquanto    dal  tema. 
ristretto   che   sto   trattando    per    gettare    un    rapido 
rdo  sulla  storia   siciliana   dell'epoca  spagnuola. 
V  i    tra  'iti   di    storia    che  corrono    ad   uso  delle 
scuole  secondarie  ed   anche   in    lavori  di  autori  di 
o,  il  periodo  che  va  dalla  seconda  metà  del  se- 
colo decimosesto  al  principio  del   derimottavo,  du- 
iante  il  ciuale  l'influenza  diretta  od  indiretta  della 
Spagna   prevalse    nella   nostra    penisola,    è    segna- 
lato  per  l'Italia  o  me  un  periodo  d'uniforme  im- 
mobilità, di  decadenza  artistica,    intellettuale  e  so- 
ciale.   La    meritatissima    popolarità    dei   Promessi 
ha  pure  molto  contribuito  ad  imprimere  que- 
tto  nella  o  scienza  di  tutti  gli  Italiani   c- 
dierui.    per   i   quali    l'epoca    spagnuola  è   senz'altro 
Musivamente   quella  dei  bravi,  della  peste  e 
della  carestia. 

Un  simile  giudizio  non  e  esatto  o  almeno  non  è 
ilicabile  a   tutta   l'epoca   della    prevalenza    spa- 
glinola  in    Italia.    Anzitutto,    per  ben    giudicare  un 
ido  storico,  si  deve  paragonarlo  non  solo  a  quel- 
lo immediatamente   posteriore,    ma  anche  a  quello 
immediatamente  anteriore,  ed  un  paragone  di  que 
genere   metterebbe  subito  in  chiaro  che   bravi, 
peste  e    carestia  esistevano    in    Italia  anche  prima 
jli  Spaglinoli  vi  dominassero.  In  secondo  luogo, 
si-   si  studiano  attentamente  i  centocinquanta   anni 
che  corrono  dalla   metà    del       coli    decimi    esto  al 
principio   del   decimottavo,    si   constata   che.   almeno 
primi    cinquanta.     L'Italia    compi    sensibili    pro- 
ali.  La  legislazione  infatti,  per  quanto  an 

i  ora     imperfetta,    contenne    disposizioni     dirette    al 

bene  comune,  che  cerio  furono  anche  più  osservate 
che  nei  secoli  precedenti;  alitine  industrie  diven- 
nero più  attive,  la  prepotenza  privata  In  tenuta 
un  p  soi  -oo  ■  un  'li  i  edifici  puh 
olii  o impirono  molti  abbelliment  i 
edilizi  e  mig1  nnol re  pie  si 

darono  a   prò  delle  classi  diseredate,  la   popò 
la/ione  e  la  ricchezza  di  into aumentare 

Giuseppe  Ferrari,  uno  degli  scrittori  che  meglio  ha 

to   l'intuito  delli    condizioni   sociali   dei    secoli 
ebbe  già  a  rilevare  questo  progresso  relativo 
che  l'Italia  compi  verso  la  fine  del  cinquecento. 


[nveo   è  col  principiale  del  secolo  decimos 

ih.-  troviamo  non  già  un  regresso  ma  una  certa  im- 
mobilità in  Italia  ed  m  unta  l'Europa  meridio- 
nale, la  quale  dura  per  tutto  quel  secolo  e  nei  pruni 
uni  di  quello  seguente.  Immobilità  che  rappre- 
senta un  fenomeno  storico  molto  grave  e  caratteri- 
stico, poiché  contemporaneamente  facevano  rapi- 
dissimi progressi  i  p.usi  posi  i  verso  il  nord-Ovest 
d'Europa,  l'Inghilterra,  la  Francia,  l'Olanda  e  la 
'  ,  i  mania.  Fu  proprio  allora  che  il  Mezzog 
i  i o. q ri  venni  risolutamente  lasciato  indietro  e  '\.i 
allora  in  poi  la  distanza  perduta  non  ha  più  po- 
tuto riguadagnare.  Sicché  è  appunto  nei  renio  anni 
che  corrono  dal   id.'o  al  1720  che  bisogna  rinti 

ari     le    origini    della   presente   inferiorità   del    Por- 
togallo, della  Spagna  e   dell'Italia  e  specialmente 

di  II  balia    meridionale,     più     lontana    dal    centro    di 

Europa  e  che  con  esso  ha  avuto  minori  rapporti  e 
nella  quale  quindi  la  cennata  immobilita  secolare 
si  ••     più  accentuata. 

111.     -  La  Sicilia,  specialmente  nella  seo 

meta   del  cinquecento,    ebbe  un   periodo   di    relativa 
prosperità.  Essa  non  era  un   paese  conquistato,   una 
provincia  lontana,  ma  era  legata  alla  Spagna  da  una 
unione     puramente  personale  del  genere    di  qui 
dir   ora    congiungono    l'Austria    coll'Ungheria, 
Svizia   rolla    Norvegia,     \m-v.i    con    la    Spagna 
nume  il  Sovrano  rappresentato  nell'isola  da  un  Vi- 
ceré, ma    finanze,   amministrazione,   giustizia    1 
completamente  separate.   Distinto  pure  era  il  navi 
gì  io  di  guerra,  ed  a   parie  qualche  reggimento  sici- 
liano rei-lutato  con  volontari  che  al    servizio   .In 
del   re  di  Spagna  combatteva  per  lo  più  nelle   Fian- 
dre,   distinto    completamente    dallo    spaglinolo   era 
l'esercito  territoriale  siciliano  fornito  dai  Comuni  e 
dai    baroni,  che  aveva    il   non  lieve  carini  di    difen- 
dere  le  coste  dell'isola  dalle  incursioni    dei   Turchi 
e  dei    Barbareschi. 

La   flotta  siciliana,  durante  il   periodo  accennato, 
ebbi-   parie   segnalata    nella    grande   vittoria    di    Li 
patito,  sbaraglio  una  volta  da  sola  un  naviglio  turco 
al  Capo   Corvo,  volò   parecchie  volte  al   soci-orso  di 
Malta  e   sostenne  centinaia    di   pio-oli   ma    accaniti 
combattimenti  ora  sulle  roste  della   Sicilia,  ora   su 
quelle  della    Tunisia.   dell'Algeria,   dì    Tri]  oli     0 
gidì  siamo  abituati  a  considerare  la  civiltà  mai  mei 
tana  come  una  quantità  quasi  trascurabile  tra  i    la- 
tori della  sii. ria  drl  mondo,  ma  nel  secolo  decimo 
sesti  '  ni  anche  nel  de  ni"  >s<  ti  imi  ■  1   sa,  se 
perduto  il  suo  splendore  artistico  e  scientifico  1 

mulinava   verso  quella    barbarie    fanatica  di    cui 

dà    ora  spettacolo,  conservava  una   feroce   energia 
militare  e  dalla  Barberia  e  dalla  parte  d'Oi 
1  1    :enza  remiss'n  mi  uà  la  ci\  iltà  1 

ii  ,     quasi  tutti  gli  anni   le  navi 

guerra  sicil  ani    fao  ssero  la  li  1  sulle 

dell'Africa  se  si   volevano  impedire  le   scor- 
rerie ed  anche  gli  sbarchi  dei  Barbareschi  sulle 

della   Sicilia  La   Spagna.  Venezia  e  la  Sicilia 
resero  allora  al   resto  d'Europa  il  servizio  di   ; 
da  aj  1  li  un    man  n  nana  ;  ed  in 

questa    missione,  alla  quale  erano  chiamate  dalla 


LA    MUNICIPALIZZAZIONE    DEL    PANE    A    PALERMO 


2  2  1 


loro  posizione  geografica,  consumarono    per  secoli 
le  loro  forze  migliori. 

Delle  costituzioni  medioevali  europee  due  sole  so- 
pravvivevano al  principio  del  secolo  decimosettimo: 
l'inglese  e  la  siciliana.  La  siciliana  ebbe  sul  finire 
del  cinquecento  uno  sviluppo  più  precoce  di  quella 
inglese.  Le  tre  Camere  del  Parlamento1  siculo,  in- 
fatti, fin  d'allora  convocavansi  regolarmente  ogni 
tre  anni  e  non  solo  la  loro  approvazione  era  ne 
saria  per  la  riscossione  delle  entrate,  ma  una  Com- 
missione parlamentare  permanente,  la  famosa  de- 
putazione del  Regno,  esercitava  il  controllo  sulle 
spese  e  sorvegliava  che  il  potere  esecutivo  non  u- 
scisse  dai  limiti  della  legalità.  Anche  l'ordinamento 
del  potere  giudiziario  era  stato  sullo  scorcio  del  se- 
colo decimosesto  notevolmente  migliorato  e  le  nuo- 
ve leggi,  quasi  sempre  provocate  da  petizioni  del 
Parlamento,  erano  spesso  inspirate  dal  desiderio 
del  pubblico  bene,  inteso  naturalmente  nel  mi  li 
che  i  tempi  rendevano  possibile. 

Si  sa  che  la  monarchia  medioevale  era  in  fondo 
una  federazione  di  piccole  monarchie  rispondenti 
alle  grandi  baronie  e  di  piccole  repubbliche  raffi- 
gurate dai  Comuni.  Nell'alta  Italia  il  Comune  di- 
ventò esso  stesso  lo  Stato  ;  in  Spagna,  in  Francia 
ed  altrove  l'assolutismo  che  prevalse  dopo  il  mille- 
cinquecento soffocò  ed  assorbì  le  autonomie  locali  ; 
in  Sicilia  la  monarchia  temperata  dal  potere  del 
Parlamento  non  potè  distruggerle,  ed  esse  alla  loro 
volta  fornirono  sempre  al  Parlamento  una  base  di 
forza  politica,  un  sostegno  materiale  e  morale.  Men- 
tre quindi  -i  grandi  baroni  conservarono  quasi  in- 
tatte le  loro  giurisdizioni,  i  Comuni,  specialmente  i 
maggiori,  quelli  di  Palermo  e  Messina  sciagurata- 
mente rivali  fra  loro,  mantennero  gelosamente  gli 
ordinamenti  di  repubbliche  quasi  autonome  legate 
da  un   patto  federale  al  resto  del  Regno. 

E  che  tali  fossero,  infatti,  lo  dimostra  la  costitu- 
zione che  il  Comune  di  Palermo  guardò  pressoché 
intatta  fino  a  circa  un  secolo  fa.  Era  esso  un  vero 
piccolo  Stato  entro  lo  Stato  con  tutti  gli  organi  di 
uno  Stato.  Il  potere  esecutivo  vi  era  rappresentato 
dal  pretore  e  dai  sei  senatori  scelti  dopo  il  1584  dal 
licere  fra  i  cittadini  nobili;  solo  eccezionalmente 
due  dei  senatori  furono  popolani. 

Il  potere  giudiziario  veniva  esercitato  dalla 
Corte  pretoriana  .  dal  capitano  di  giustizia  e 
dai  consoli  delle  arti  funzionanti  quasi  da  tri- 
bunali di  probiviri  per  le  controversie  relative  ai 
rispettivi  mestieri.  Finalmente  il  potere  legislativo 
eia  affidato  al  Consiglio  del  Comune,  dove  tutti  i 
cittadini  aveano  teoricamente  diritto  di  parola  e  di 
vi  ili,  di  fatto  era  composto  dai  notabili,  sia  nobili 
che  ecclesiastici  o  popolani,  e  da  tutti  i  consoli  delle 
maestranze  artigiane  e  dai  loro  aggiunti.  II  Comu- 
ne aveva  il  suo  patrimonio,  il  suo  banco  e  perfino 
il  suo  esercito  costituito  da  un  piccolo  nucleo  di  sol- 
dati stanziali  e  dalle  maestranze  armati  ed  ordinate 
secondo  i  diversi  mestieri  sotto  i  loro  consoli.  Ad 
esse,  insieme  ad  alcuni  nobili,  spettava  la  cura  di 
custodire  le  mura  ed  i  baluardi  che  erano  proprietà 
cittadina  e  si  può  dire  che  costituivano  la  forza 
armata  preponderante  alla  quale  era  ordinariamente 


atri. lata   la    custodia   della    città  e  dell'ordine   pub- 
blico. 

IV.      -   Come   ha   rilevato  Guglielmo  Ferrerò, 
nella  sua  Storia  della  grandi  le<  idenza  di  R> 

ii/a.  nessuna  cosa  è  piti  contrari. 1  alle  vedute  ed  alla 
p<  litica    economica  dell'antichità,  e  si   può  aggiun- 
gere del  Medio  Evo  e  di  tutti  i  secoli  liti"  a  quello 
decimonono,  quanto  il  moderno  dazio  d'impoi  a 
ne  sul  grano. 

Infatti  nel  passato  ogni  paese  avea  a  1 
do  del  grano  una  preoccupazione  analoga  .1  quella 
che  era  pure  cosi  comune  per  l'oro.  Si  reputava  scia- 
gura che  tanto  il  prezioso  metallo  quanto  l'indi 
spensabile  cereale  andassero  fuori  dello  Stato  e 
viceversa  faceasi  ordinariamente  il  possibile  perchè 
gli  stranieri  li  introducessero  nello  Stato.  Partendo 
da  questi  principi  era  non  già  l'importazione  ma  la 
esportazione  del  grano  che  veniva  ostacolata,  anzi 
in  generale  addirittura  proibita,  e  solo  in  casi  .li  ab- 
bondanza eccezionale,  assolutamente  superiore  ai 
bisogni,  se  ne  permetteva  temporaneamente  l'estra- 
zione. 

L'applicare  tale  politica  era  naturalmente  più  dif- 
ficile nei  rari  paesi  che  ordinariamente  producevano 
10  jier  l'esportazione.  Questo  era  il  caso  della 
Sicilia,  che.  esportatrice  di  grani  all'epoca  romana. 
esportatrice  sotto  la  dinastia  normanna,  dopo  il  mil- 
lecinquecento, mercè  il  miglioramento  dell'agi  1 
tura  dovuto  al  progresso  generale  della  società  si- 
ciliana, diventò  la  naturale  provveditrice  di  tutti  i 
paesi  d'Europa,  e  ce  ne  era  quasi  sempre  qualcuno, 
nei  quali  un  mancato  raccolto  produceva  un  biso 
gno  temporaneo  ma  urgentissimo  di  questa  derrata  ; 
bisogno  che  faceva  sì  che  la  comprassero  ad  un 
prezzo  oltremodo  rimuneratore  per  i  produtti  iri 
siciliani. 

Ora,  ritornando  alla  ricerca  delle  origini  della 
Municipalizzazione  del  pane  a  Palermo,  era  inte- 
resse della  nobiltà  siciliana,  che  insieme  all'alto 
clero  secolare  e  ad  alcune  corporazioni  religiosi 
possedeva  quasi  tutte  le  terre  a  grano,  che  l'espor- 
tazione di  questo  cereale,  o  come  allora  dicevasi  la 
tratta,  fosse  permessa.  Al  contrario  gli  artigiani, 
che  ne  erano  esclusivamente  consumatori,  tenevano 
oltremodo  a  che  esso  non  rincarasse  e  s'industria- 
vano soprattutto  di  premunirsi  contro  quelle  bru- 
sche oscillazioni  del  valore  del  grano  che.  fino  a 
qualche  secolo  fa,  triplicavano  da  un  anno  all'al- 
tro il  costo  del   pane  e  producevano  Aerisi     - 

Ogni  anno  facevasi  in  Sicilia  il  cosi  detto  scan- 
daglio, cioè  calcolavasi  se  la  produzione  del  grano 
1      e  sovrabbondante  ai    bi  nsumo  in- 

timo e  se  ne  potesse  permettere  l'esportazione 
determinava,  nel  caso  affermativo,  anche  la  quai 
da  esportare.   Queste  indagini  statistiche  anche  oggi 

alquanto  fall.;  di  più  du 

tre  secoli  fa,  ed  allora   le  conseguenze  di  un  eri 
potevano  esser  tali  da   provocare   la  carestia  e  la 
guerra  civile.  Il  Viceré,  al  quale  ogni  anno  spettava 
il  carico  di    permettere  0  proibire  l'esportazione,   di- 
1  inevasi  periodicamente  fra  le  pretese  e  le  cupidi 


LA    LETTURA 


Iella  m  ibiltà,  i  nel  Parlamento  ed 

in  mano  della  quale  erani  cariche  dello  Si 

i   bisogni  del  fisco,  poiché   le  imposti  dalle 

tre  i  pagavano  principalmente  mercè  dazi 

d'esportazione  sui  grani  e  sulle  sete,  e  la  prudenza 
politica,   che  non   perni  pigliasse  .1  gabbo 

In  disperazioni-  della  plebe  annata  ed  organi; 
delle  grandi  ritta.  Non  bisogna  infatti  dimenticali 
che  \  cei  .  Governo  1    Parlamento,  quando  esso  a.- 
dunavasi  a   Palermo,  s  tto    il  cannone  dei 

baluardi    della    città    gelosamente   custoditi    dalle 
maestranze. 

In  questa  condizione  'li  cose,  ad  evitare  un  con- 
flitto, un  uno  ili  interessi  antagonistici  che  periodi- 
nte  rinnovavasi,  è  naturale  che  siasi  escogitato 
un  temperamento    che,   almeno  nelle  apparenze, 

Ogni     antagonismo     riusciva     ad     eliminare.     Uuesto 

temperamento  si  trovò  appunto  mediante  il  mono- 
pi. lin  della  vendita  del  pane  assunto  dal  Comune 
di  Palermo,  monopolio  ehe.  è  d'uopo  dirlo  subito, 
.1  sì  Che  il  pane  per  i  cittadini  non  rincarava 
mai  qualunque  (osse  il  prezzo  del   grano. 

V.  -  Era  vecchia  usanza  dei  Comuni  medioe- 
vali in  quasi  tutta  l'Europa  di  occuparsi  del  com- 
mercio  dei  grani  e  delle  grascie,  sia  stabilendone 
i  maximum,  o  proil>endo  l'esportazione  dei  generi 
di  prima  necessità,  ovvero  facendone  in  grande 
pro\  \  iste  che  rivendevano  a  prezzo  di  costo  ai  citta- 
dini. Quest'ultimo  sistema  si  conservò  alle  volte 
fino  al  principio  dell'era  moderna  e  Machiavelli 
nota,  a  titolo  di  lode,  che  in  tutte  le  città  liliere  te- 
deschi, il  Comune  teneva  sempre  nei  pubblici  ma- 
gazzeni  grano  e  legna  sufficienti  al  consumo  citta- 
dino di  un  anno.  Quest,.  sii-, su  sistema  pare  sia 
stato  ah  antiquo  adottato  dai  Comuni  siciliani. 
quando  i  loro  mezzi  lo  permettevano.  Esisti  mi. un 
un  reclamo  della  Università  israelitica  di  Palermo, 
la  quale  nel    ì.pji  i    col   Senato    perchè  ad 

non   erasi   attribuita  dal  Comune  una  quan- 
ti la   sua  importanza  mi- 
grano che  evidentemente  il  Comune  riven 
deva  ad  un  prezzo  di  favore    |!  1  ittadini. 

Quest'abitudine  dovette  suggerire  l'idea  al    Co 
mune    di   assumere    il   monopolio    della    maini 
zinne  e  della  vendita  del  pane,  stabilendo  per  questo 
prima  1  ita    un  prezzo  fisso  ed  inva- 

lon  facendo  percepire  alle  maestranze 
le  fluttuazioni  dei   prezzi   del  grano,  veniva  a    to 
ro  l'occasione   e    l'interesse   di    opporsi   al- 
di questa 

■I    nismi i  cos      laboi     1 

me  fu  quello  del  panific munale  di  Palermo,  si 

dovette  stabilir   gradatamente.   Forse  1  primi  forni 

municipali   si  aprirono  perdi,    non  tutti   1   cittadini 

ino  farsi  il  pani  rrpi  andi •  il  grano 

dal  Comune  a  partite  alquanto  rilevanti.  In  seguito 

ide     che,     quando    il    ('..ninni     non    rialzava     il 

prezzo  del  suo  pane,  ^li  ar  1      qu te- 

sse 1  esporl  i/i'  me  del  grano. 
Allora  p  ■  li  non  rincarare  mai 

munale,    ma   si  d  itare 

un  pei  la  pi  1 


1  ani  '  vendendo,  nei  temj  1  ^tia, 

il  pane  ad  un  prezzo  assai  interiore  al  costo;   ed  il 
rimedio  si  trovò  nell'adottare  il  monopolio   comu- 
nale della  vendita  del  pane,  munì  .pulii,  che  permei 
leva   di   spacciarlo,   negli    anni  di  abbondanza,    ad 
un   prezzo  alquanto  superiore  al  costo. 

Mi  sono  limitato  ad  affermare  che  prevalse  la 
Consuetudine  di  nuli  rincarare  giiimiuai  il  pane,  non 
soJo  perchè  non  bo  mai  tnivalo  aloinn  disposizio- 
ne tassativa   in   questo    sensi.,   ma   perche    ne   ho   UO- 

vato  citata  qualcuna  nel  senso  precisamente  con- 
trario. In  un  avvisi,  ,1,1  Comune  di  Palermo,  pub 
il.., ito  negli  ultimi  giorni  del  1775.  è  affermato  in- 
fatti categoricamente  che  «  le  leggi  prarn 
disposte  per  il  governo  della  città  fin  da  due  secoli 
prima  prescrivevano  al  Comune  di  vendere  le  v, 
vaglie  (i  misura  del  costo  e  delle  spese  ».  Aggiungo 
che  di  tanto  in  tanto,  .piando  il  Comune  era  tri 
oberato  e  trovavasi  in  debito  col  regio  erario,  ve- 
niva dalla  Corte  di  Madrid  e  poi  da  quella  di  Na- 
poli il  mònito  che  si  vendesse  il  pane  al  prezzo  di 
costo.  Ma  questo  mònito  rimase  quasi  sempre  ina- 
scoltato ed  una  volta  che.  |ier  le  insistenze  del  Vi- 
ceré e  ilei  ministri  del  regio  patrimonio,  si  volle  ob- 
bedire agli  ordini  precisi  venuti  da  Madrid,  scop 
piò  uno  dei  più  terribili  tumulti  che  la  storia  di  Si- 
cilia rammenti.  Evidentemente  la  invariabilità  del 
prezzo  del  pane  municipale  era  la  base  politica  di 
tutto  il  sistema,  rappresentava  la  clausola  fonda- 
mentale del  tacito  compromesso  fra  l'eccellentìs- 
simo Senato  di  Palermo  grande  di  Spagna  di  pri- 
ma classe  e  le  onorate  maestranze  della  città,  era 
lamia  adottata  da  queste  per  assicurarsi  la 
stabilità  dei  salari .  il  corrispettivo  del  permesso 
.1, 'l'uni. no  1,  nobili  ed  agli  ecclesiastici  di  esportare 
il  loro  grano  aumentandone  necessariamente  il  va- 
lore per  i  consumatori  nazionali. 

VI.  -  M;i  il  sistema  era  ad  ogni  mudo  artifi- 
cioso ed  aveva  una  falla  che  non  si  potè  mai  sal- 
dare. In  fondo  il  Comune,  sebbene  avesse  il  mono- 
polio della  vendita  del  pane,  non  OSÒ,  0  non  1 
mai  impedire  la  panificazione  privata  per  conto 
delle  singole  famiglie.  Quésto  diritto  dei  privati  fu 
anzi  espressamente  riconosciuto  nel  1648  dal  Con- 
siglio della  città.  Ora  è  assai  poco  probabile  che  le 

pi  vere  famiglie   degli   artigiani  abbiano  potuto  , 
prare  il   grano,  che  non  vemleasi   a  minuto,  e  mani 
polarsi   il    |)ane  per  conto    propri".    Ma   le  famiglie 
aristocratiche  Con  numerosa    servitù,  che  avevano  la 
comodità  del  forno  in  casa   e  potevano  tar  venire 
la    farina  dai   propri   fondi,   ed    i  conventi  ed  i  mo- 
nasteri dove  erano  numerosi    i    frati  e   le   monache, 
dovevano  trovare  vantaggioso   di   far--  il  pane  che 
consumavano  e  distribuivano  per  elemosina  ne 
riodi  di    ribasso   dei  .urani,  sui  quali  contava    il  1 
ninne  per  ristorale  la   colonna   frumeniaria,  ossia    il 

capitale  col  quali'  esso  esercitava  l'industria  del 
prestinaio.  Viceversa,  quando  i  grani  rincaravano  e 

la  colonna  t rumeni. iria  assottigliavasi  perchè  d  Co 
mune  vendeva  a  scapito,  1  forni  privali  si  spegne 
vanu.  tutti  compravano  il  pane  comunale  ed  il 
con»'  no  •!•  esso  notevolmente  cresceva 


LA    MUNICIPALIZZAZIONE    l'I 


ANE    A    PALERMO 


223 


Altre  causi  poi  concorrevano  all'i  stesso  effetto. 

Nelle  annate  di  vera  carestia,  una  moltitudine  ili 
poveri  da  tutta  1  isola  concorreva  a  Palermo  dove 
era  più  facile  l'accattare  qualche  elemosina  ed  il 
liane  almeno  non  rincarava  mai.  11  Comune  quindi 
dovea  provvedere  a  migliaia  di  nuove  bocche.  Si 
aggiunga  che  l'accentuarsi  della  differenza  ili  pri  ! 
zo  fra  il  pane  di  Palermo  e  quello  dei  paesi  vicini 
facea  sì  che  i  contadini  delle  terre  circostanti  ve- 
nissero a  farne  provvista  in  Palermo.  Ciò  natural- 
mente era  proibito,  ma  riusciva  impossibile  l'evi- 
tare il   contrabbando. 

Lo  storico  Di  Blasi,  che  visse  nella  seconda  metà 
del  secolo  decimosettimo  e  morì  vecchissimo  nel  pri- 
mo decennio  del  decimonono,  rileva  espressamente 
che  ad  ogni  carestia  a  Palermo  il  consumo  del  pane 
Comunale  aumentava  enormemente.  Egli  anzi  in  un 
passo  spiega  questo  fatto  affermando  che  privai  io 
generat  appetitum,  che  varrebbe  quanto  dire  che  la 
penuria  dei  grani  sovraeccitava  le  facoltà  digestive 
dei  Palermitani.  Egli  stesso  poi  nelle  pagine  pre- 
cedenti e  seguenti  ci  dà  la  chiave  dell'enigma  de- 
si rivendo  le  precauzioni  che  il  Senato  dovea  pren- 
dere perchè  non  si  esportasse  il  pane  fuori  della 
città,  che  consistevano  nel  chiudere  le  porte  della  città, 
meno  quattro  affidate  alla  guardia  di  gentiluomini  e 
dei  consoli  delle  maestranze,  nell'ordinare  ronde  so- 
pra le  mura  perchè  da  esse  non  si  buttasse  il  pane 
agli  affamati  abitatori  delle  campagne,  nel  visitare  ì 
bastimenti  e  le  barche  che  partivano  per  gli  altri  porti 
dell'isola  ed  anche  per  Napoli.  Nei  casi  estremi  si 
arrivava  a  razionare  il  pane  ai  cittadini,  vendendone 
ad  ogni  famiglia  solo  quella  quantità  che  era  sti- 
mata sufficiente  per  il  consumo  delle  persone  di 
casa,  con  un  sistema  perfettamente  identico  a  quello 
che  il  sedicente  spadaio  Ambrogio  Fusella  propo- 
neva all'ingenuo  Renzo   Tramaglino. 

In  complesso  i  limitati  guadagni  dei  periodi  di 
abbondanza  non  compensavano  le  perdite  degli 
anni  di  carestia.  Aggiungasi  che.  durante  la  fine  del 
secolo  decimosesto  e  nella  prima  metà  del  decimo- 
settimo, per  il  continuo  affluire  dei  metalli  preziosi 
che  venivano  dall'America,  il  danaro  perdette  molto 
del  suo  valore.  Tutti  gli  oggetti  rincararono,  sin  lil- 
la media  dei  prezzi  del  grano  diventò  molto  supe- 
re al  costo  immutabile  del  pane  che  si  vendeva 
dal  Comune  di  Palermo.  Questo  quindi  ci  rimise 
tanto  e  poi  tanto  che  creò,  precorrendo  i  tempi,  un 
debito  pubblico  enorme,  per  pagare  gli  interessi  an- 
nui del  quale  occorrevano  centocinquantamila  onze, 

circa  un  milione  e  novecentomila  lire.    Sio 
l'interesse,  mitissimo  per  l'epoca,  era  del  cinque 
cento,    così    il  debito  corrispondeva  ad  un  capitale 
•li  trentotto    milioni  di   lire  che.    dato   il   valori    chi 
avea  allora  il  danaro,  sarebbero  circa  cento  milioni 
di  oggi.  Somma  che  fa  veramente  paura  se  si  tien 
conto  che  la  popolazione  di  Palermo  alla  metà  del 
secolo  decimosettimo  non  potea  oltrepassare  le  cen- 
toquarantamila  anime  e  che  la  ricchezza   media,   e 
quindi  la   materia  tassabile,  era   inferiore  a  quella 
odierna. 

Per  far  fronte  agli  interessi  di  questo  debito  si  era 
naturalmente  ricorso  alle  tasse  a  larga  base,  ai  dazi 


sui  consumi    popolari;    cioè  sulle   Farine  eh 

vano  alla  manipola/ione   de]   pane  casalingo  e  dei 

maccheroni,   sul   vino,  sulle  Carni,  Sull'olio  e  sui    for- 
maggi. In  tomlo  si  manteneva  il   pane  a  buon  mer- 
cato a  spese  del  companatico.  Ma   neppure  qu 
risorse   bastavano    quando  nell'inverno   del    i  fi  (ti   ;; 
venne  una  carestia  che  consumò   le   ultime  riserve 
della  colonna   frumentaria  e  dell'erario  comunale! 
Mancava   già  il  credito,    sicché  si    dovette    ricci 
;n  prestiti   forzosi  prendendo  il  danaro  che  i  depo 
sitanti    tenevano  nel    Banco    comunale  e  corrispon- 
dendo loro   l'interesse  del  cinque  per  cento.  Qualche 
cosa  prestò  pure  l'erario  regio,  ma  finalmente  nella 
primavera    del    1647   s'impose  crudo  il  dilemma  di 
rincarare  il  pane  o  di  sospendere  il  pagamento  delle 
lande,  ora  diremmo  del  cupone  della  rendita.  ai  ere 
ditori  del  Comune. 

VII  -  La  crisi  avveniva  in  mal  punto  per  la 
corona  di  Spagna,  perchè  essa,  perduto  quasi  tutto 
il  suo  prestigio  militare  e  rovinata  finanziariamente. 
traversava  allora  un  momento  difficile.  Nel  1640 
era  già  insorto  il  Portogallo,  che  si  era  costituito 
in  monarchia  indipendente;  qualche  anno  dopo  in- 
sorgeva la  Catalogna  reclamando  la  sua  autonomia  ; 
nello  stesso  anno  1647  scoppiava  a  Napoli  quella 
rivoluzione  che  prese  il  nome  da  Masaniello  e  che 
resistette  per  più  di  un  anno  a  tutti  gli  sforzi  che 
la   Spagna    lece    per   soffocarla. 

In  quella  stessa  primavera  del  1647.  il  Viceré 
marchese  di  Los  Velez,  timoroso  di  perdere  i  da- 
nari che  nel  cuore  della  carestia  l'erario  regio  avea 
prestato  al  Comune,  provocò  un  ordine  tassativo 
della  Corte  di  Madrid,  il  quale  imponeva  che  si  rin- 
carasse il  pane  o  meglio  che  ne  lussi-  diminuito  il 
peso.  Vendeasi  esso  infatti  dal  Comune,  e  Vendesi 
ancor  oggi  a  Palermo,  in  forme  di  peso  uniforme 
e  costante  e  diminuire  la  quantità  contenuta  in  ogni 
forniti  pareva  un  fatto  meno  palpabile  e,  direi  quasi. 
meno  odioso  dell'aumento  del  prezzo.  Arrivò  l'or- 
dine verso  la  metà  di  maggio;  il  pretore  ed  i  sena- 
tori ne  sconsigliavano  l'applicazione,  molto  più  che 
era  caduta  di  recente  una  benefica  pioggia  che  assi- 
1  tirava  l'abbondanza  del  prossimo  raccolto.  Ma  i 
ministri  del  regio  patrimonio,  chi  tene1  ino  sopra 
ogni  cosa  alla  restituzione  del  pres  ito  fatto  al  ' 
munì',    insistettero  perchè    Fosse  in  imente  e 

seguito;  sicché  il  venti  maggio  nelle  b        '•      tuni 
cipali  ogni  pam-  die  si  vendeva  otto  grani,  ossia  di 

-  entesimi,  e  dovea   ;  •  sare  circa    n< 
venticinque  grammi,  comparve    diminuito    di   cento 
cinquanta  grammi. 

neno  pi 

maestrali/-  però  app 

invece  una  turba  dell'infimo  popi 
la  <iuale  sfondò   le 
ministri  del   patrimonio,   minacci.!  nobili  e   Vicet 

fu   per    quali  :  0  ■  appari  nte ite   padrona 

della  città.  Ma  quando  fu  1 ini  he  il  Banco 

del  Comune,  le  maestranze  accorsero  subito  .1  tute 
larlo 1  ntirono  a   n  pi  imere  la   ri- 

volta,   ma    prima   vollero  l'abolizione   delli 

dei  dazi  ili  consumo  sui  generi  di  prima  neces 


22. 


LA    l  i    ITU1 


giurati  1 1  senatori  due  fossen  i  pò 
polani.  Avendo  il  Viceré  frettolosamente  condì» 
in  un  lampo  la  turba  dei  s:  ori   Eu  dispei 

ne  ristabilito  ed  un  certo  Nino  La  Pilosa 
e  due  altri  infelici  vennero  giustiziati  come  capi  «  1* - 1 
tumulto. 

Abolite  le  gabelle  era  inevitabile  il  fallimento,  e 
difatti  il  Comune  sospese  il  pag  iti  delle  lan- 
re  Si  riunì  allora  il  Consiglio  del  Comune  per 
provvedere  ali  à  della  finanza  cittadina   e 

le  risoluzioni  che  in  esso  si   presero,  per  iniziativa 
un   sapi  ire  i  li  moi  lei  nità   si  n  pren- 
dente   In    fondo,   senza     i         ere    i  canoni   della 
i  senza  alcuna  nozione  della 
i  della  lotta  di  classe,    i  rappresentanti  delle 
itivo  energico  per  fai  gra- 
vare l'onere  tributario  quasi  tutto  sulie  spalle  degli 
dei  in  il 'ili.  1  lei  cinque  antichi  dazi  ili  consu 
i  quello  sulla  canii'  e      credi  té  di 
supplire  alla  d       enza  dell'erario  con  un  dazio  sul 
i  sull'orzi  '.  che  in  Sicilia  si  dà 

ai  cavalli  in  cambio  della  biada,  con  la  tassa  sulle 
carrozze  e  sulle  finestre  e  con  un  testatico,  ora  si  di- 
e  una  tassa  'li  famiglia,  da  ripartire  sui  bene- 
stanti. Comesi  vede,  era  un  vero  programma  finan- 
ziario i  dei  partiti  pupillari  del  secolo  ven- 
tesimi i. 

Nella  concita    one  del  momento  ed  in  mancanza 

di  dati  statistici,  che  allora  non  esistevano,  non  sì 

calcolare  neppure  approssimativamente  il  get- 

tìto  delle  nuove  imj  oste.  Non  si  trascurò  intanto  la 

one  ili  gravare  alquanto  la  mano  sui  nuovi 

iti  che  si  colpivano.  L'orzo,  ad  esempio,  veniva 

a  pagare  un  dazio  equivalente  circa  al  venticinque 

•  ■ni.i  del  suo  valore   ed  ogni  carrozza  tirala  dà 

due  cavalli   pagava  sessantacinque    lire    annue,  che 

corrisponderebbero    almeno     a    centocinquanta    ili 

Per  qualche  mese  le  cose  quietarono  nell'a 
tiva  dei  risiili. ni  della  trasformazione  tributaria; 
maestranze  e  nobiltà  però  vivevano  in  sospetto  con- 
tinuo e  ri  Molti  nobili  cominciarono  a  riti- 
rarsi nei  loro  feudi  e  ciò  irritava  le  maestranze  che 
ino  diminuire  la  elicmela  ed  il  lavoro. 

\  questo  punì"  ebbe  luogo  un  vero,  semplice  epi- 
sodio della  lotta  Ira  le  diverse  classi  sociali  ili   Pa- 
lermo, il  iiuale.  perchè  drammatico  e  pittoresco,  ha 
talmente    attirato   l'attenzione   degli    storici.    Ha 
molta  ari  on   l'altro  episodio,   generalmenb 

noto,  di  cui  a  Napoli  fu  principale  allori-  Ma- 
saniello, il  quale  rappresentò  il  preludio  tragico, 
durato  una  sola  settimana,  della  lunga  lotta  che, 
durante  gli  anni  1647  e  1648.  i  popolani  parici 

sostenner ntro  la  nobiltà  e  gli  Spagnuoli. 

Un  artigiano  di  P  iere,  a 

noni"  Gii  D'Alessi,  trova\  asi   appunto  a    Na 

poli  negli  otto  giorni  in  cui  l'infelice  pescivendolo 

i.ilii   fu  capitano  generale  del    popolo.  u> 

a  furor  'li  popi  riti ficato  dal  popolo.   Tornato 

era     ■    trovati    i  tempi  inquieti  e  sospettosi, 

rati  n    lai  1    dei  con- 

■    del  ninnili,    in-   popolo 

nessun'arte,  volle  imitare  Masaniello. 


Scippi, 1:0  il  tumuli",   menile    il    D'Alessi  COÌ  suoi 

tei  riusciva  a  cacciare  a  viva  forza  dal  palazzo 
naie  il  marchese  di    Los    Velez  e  la  sua  guardia 

spaglinola,    le  altre    arti    rimanevano    in    certo  ino, lo 

neutrali.   Ma  le  loro  fibre   popolane  scui 
quando  il  povero  orefice,    diventato   capitan  gene 

!  ile    delli  OnVOCÒ    i    Consoli     nella    chiesa    di 

San  Giuseppe,  fu  compilato  ulto  un  larghissimo 
prograinn  ve  riforme  democratiche  da  ap 

plicare  a  tutta  I  isola,  cosi  largo  che  comprendeva 
perfino  la  riduzione  della  rendita  fondiaria  e  la  con 

lisca  delle   terre    incoile. 

Il  pn 1    potere  dell'Alessi,  come  quelli 

del  suo  predecessore  napi  ili  no  il 

fatale  termine  di  una  settimana.  Più  mite  di  an 
1  '  ipei  a  11 1  palermitano  impedì  sen  ■ 
le  Vendette  personali,  ma  neppure  egli  seppe  evitare 
l'ubbriacatura   della    grandezza.    L'incarico  di   ine- 
briare   Il   capitan   generale   del    popolo,    che   a    Na 
poli  era  toccato   principalmente  allo  stesso  Vii 
conte  d'Arcos,  a  Palermo,  essendo  il  Los  Velez 
pato,   lu    volontariamente    assunto  dall'inquisii 
spaglinolo  Trasmiera,  da  don  Ottavia  Lanza  prin- 
cipe di  Trabia  e  da  altri  nobili  ed  e  ri.    I 
risultali   furono  identici:   si  eccitò  abilmente  la  ri- 
valità fra   i  pescatori  ed  i  conciapelli,  si  forni 

la   gelosia   dèi   consoli    delle    altre   arti    contro    l'ore 

Sce che  camminava  a  fianco  dei  principi  e  disponeva 
e  comandava  da  padrone  assoluto,  ed  una  giornata 
i  pescatori  uniti  ai  nobili  ed  ai  loro  satelliti  assali- 
rono il  capitan  generale  del  popolo  e  lo  uccisero 
coi  principali  segnaci  entro  il  suo  quartiere  gene- 
rale, nelle  viuzze  abitate  dai  conciapelli.  Con  lui 
mori  il  programma  democratico,  della  chiesa  di 
San  Giuseppe. 

Vili.  Ma  non    finivano   le  incertezze  sulla 

situazione  finanziaria  del  Comune,  né  veniva  meno 

quella    riforma  tributaria    in   senso   democratico    che 

era  stata  approvata  dal  Consiglio  della  città  e  san- 
.1  del  Viceré. 
Moriva,  due   mesi  dopo  I  Alessi,   il  marchi 
Los  Velez,  boriosa  nullità,  come  lo  definisce  I" 
rico  La   Lumia,  che  erasi   mostrato  assolutamente 
impari   alla  sua  difficile  missione,  e  lo  sostituiva   il 
cardinale  Teodoro   Trivulzio,  milanese  di  nascita. 
in  bile  di  casato,  valoroso  guerriero  in  gioventù, 
litico    accorto  nell'età  matura. 

Entrò    in    Falerni"    senza    alcuna    scorta     di    regi 

snidati   fidando  interamente  nella  lealtà  delle  ono 

rate  maestranze,  ed  il  suo  programma  riassunse  m 

pochissime  paiole,   di  'incile  che.  pei  quanto  abu 

e  per  quanto  si  prestino  a  nascondere  l'indeter 

11. ni. ne/za  dei  concetti  e  la  duplicità  dei  fini,  si  sen 
tono  sempre  volentieri:    pane,  giustizia  e  libro  nuo- 
vo. Realmente  si   applicò  subito  a  sradicare  molti 
abusi,  fece  in  modo  che  il  Comune  continuasse  a 

vendere    il    pane  alf.uilico    prezzoe   quanto  ai   prov 

vedimenti   pei   l'avvenire  lasci;,  che  il  tempo  li  ma- 

Intanto  la  sospensione  del  pagamento  degli  inte- 
ressi del  debito  comunale  avea  distrutto  ogni  ere 
■   privato  e  prodotto  tale  un  disastro 


LA    MUNICIPALIZZAZIONE    DEL    PANE    A    PALERMO 


225 


generale  che  il  danaro  non  circolava  più  ed  il  la- 
voro veniva  meno  agli  operai.  Le  nuove  imposte 
i lavano  un  gettito  del  tutto  insufficiente  al  bisogno, 
e  fin  d'allora  diventava  evidente  un  canone  della 
scienza  finanziaria  che  sarebbe  opportuno  di  tener 
presente  anche  oggi,  cioè  che  nei  paesi  poveri  e  gra- 
vemente tassati  una  parte  notevole  dell'onere  finan- 
ziario è  indispensabile  che  ricada  sulle  classi  po- 
vere. Gli  artigiani  inoltre  tolleravano  mal  volentieri 
la  tassa  sulle  finestre  ed  i  nobili,  colpiti  dalla  tassa 
di  famiglia  che  si  annunciava  gravissima,  minaccia- 
vano uno  sciopero  di  consumatori  e  parlavano  di 
ritirarsi  nelle  loro  campagne.  Si  risecarono  gli  sti- 
pendi a  tutti  gli  impiegati  del  Comune,  ma  si  vide 
che  il  profitto  era  scarso.  Crescendo  la  miseria  pub- 
blica e  privata,  gli  artigiani  toccarono  con  le  mani 
che.  per  quanto  i  viveri  fossero  a  buon  mercato, 
non  sempre  si  guadagnavano  i  quattrini  sufficienti 
a  comprarli,  e  le  cose  arrivarono  al  punto  che.  dopo 
circa  un  anno,  i  consoli  si  rivolsero  al  Trivulzio  pre- 
gandolo che  rimediasse  lui.  anche  restaurando  gli 
antichi   dazi  sui  consumi. 

Il  porporato  milanese,  da  vero  uomo  di  Stato,  non 
volle  profittare  troppo  del  momento,  rispose  perciò 
che  gli  antichi  dazi  erano  stati  aboliti  dal  Consi- 
glio-dei Comune  e  toccava  ad  esso  di  proporne  la 
restaurazione  totale  o  parziale.  Si  radunò  quindi  il 
Consiglio,  vi  intervennero  circa  duecento  fra  con- 
soli ed  aggiunti  e  fra  le  varie  classi  sociali  si  di- 
scusse, senza  soverchia  prepotenza  da  una  parte  ne 
vile  dedizione  dall'altra,  degli  interessi  reciproci  e 
di  quelli  della  città  e  si  venne  ad  un  mezzo  termine 
che  li  conciliava  tutti. 

Si  escluse  anzitutto  che  il  Comune  dovesse  fal- 
lire, in  primo  luogo  perchè  ciò  era  indispensabile 
per  ristabilire  il  credito  e  la  circolazione  del  danaro 
e  poi  anche  perchè  fra  i  creditori  vi  erano  molte 
Opere  pie  e  molte  famiglie  di  modestissima  fortuna. 
Ma.  precorrendo  al  solito  i  tempi  ed  anticipando 
un  provvedimento  del  Sella  e  del  Sonnino.  si  ridus- 
sero gli  interessi  del  debito  comunale  del  cinque 
al  quattro  per  cento.  Si  conservò  la  nuova  tassa 
stille  carrozze  ed  il  nuovo  dazio  sul  tabacco  e  quello 
dell'orzo,  si  abolì  la  tassa  sulle  finestre  ed  il  testa- 
tico o  tassa  di  famiglia,  si  conservò  il  dazio  consu- 
mo sulla  carne,  che  non  era  stato  mai  abolito,  e  si 
rimisero  un  po'  mitigati  quelli  antichi  sulla  farina, 
sull'olio,  sul  vino  e  sul  formaggio.  Si  abolirono  i- 
noltre  tutte  le  esenzioni  dai  dazi  che  godevano  gli 
ecclesiastici,  alcuni  funzionari  ed  il  Viceré,  il  quale 
diede  per  primo  l'esempio  di  rinunziare  al  suo  pri- 
vilegio. 

Con  questi  provvedimenti  fu  posssibile  di  pagare 
gli  interessi  ridotti  ai  creditori  del  Comune  e  di 
mantenere  la  Municipalizzazione  del  servizio  ilei 
pane,  il  cui  prezzo  però  fu  elevato  li  poco  più  di 
due  centesimi  al  chilogramma.  rispondenti  su  per 
giù  al  dazio  che  sulle  farine  pagava  la  panificazio- 
ne privata.  Il  Senato  in  cambio  promise  di  non  e- 
levare  il  prezzo  del  pane  per  dieci  anni  ;  gli  effetti 
di  questa  promessa  si  prolungarono  per  un  tempo 
indefinito. 

Restaurate  così    le   finanze    comunali,   ristabilita 

La  Lettura. 


la  pace,  il  cardinale  Trivulzio  seppe  talmente  atti- 
rarsi la  fiducia  delle  maestranze  da  indurle  a  to- 
gliere i  cannoni  dai  baluardi,  di  dove  minacciavano 
sempre  il  palazzo  vicereale,  ed  a  depositarli,  come 
in  terreno  neutro,  nell'arcivescovato.  Li  un 

pezzo,  cioè  lino  al  ró;ó.  quando,  avvenuta  una  bat- 
taglia navale  sanguinosa  nel  golfo  di  Palermo,  Ira 
la  flotta  olandese  e  spagnuola  da  un  lato,  alla  quale 
si  erano  unite  le  navi  da  guerra  siciliane,  e  quella 
francese  dall'altro,  sconfitti  con  perdita  di  molte 
navi  gli  alleati,  saltata  in  aria  fra  le  altre  la  nave 
siciliana  San  Giuseppi-,  il  popolo  di  l'alenilo,  pre 
testando  le  necessità  «iella  difesa,  riprese  i  suoi  can- 
noni, che  servirono  a  tutelare  l'incolumità  della  città 
e  quella  del  peso  del  pane  per  circa  un  secolo  an- 
cora. 

IX.   —  Pare  realmente  che  la  grande   riforma 
finanziaria  del   1648  sia  stata  efficace,   perchè  per 
lunga  pezza  non  si  parlò  più  degli  imbarazzi  finan- 
ziari   della  colonna   frumentaria  e  la   Municipaliz- 
zazione non  solo  fu  mantenuta  per  il  pane,  ma  venne 
estesa  anche  ad  altri  commestibili,  e  precisamente 
alla  carne  bovina,    all'olio  d'oliva  ed   ai  formaggi. 
Non  so  quando  precisamente  ebbe  origine  questo 
allargamento  delle  attribuzioni    annonarie  del   Co- 
mune. Gli  storici  ed    i   cronisti    del  secolo  decimot- 
tavo  ne  parlano,  al  solito,  come   di  cosa  già  stabi- 
lita.  Forse  cercando  bene  nei  diarii  e  negli   archivi 
ili  Palermo  si  potrebbero  trovare  notizie  importanti 
in  proposito.  E'  possibile  che  siasi  estesa   l'azienda 
dei   viveri   con  l'idea  di  risarcire  il    Comune  delle 
perdite  che  subiva  nella  vendita  del  pane;  difatti, 
per  qualche  genere,   come  per  l'olio,  comprando  al- 
l'ingrosso nei  momenti  dell'abbondanza,  che  ritorna 
a  periodi  quasi  regolari  di  due  anni  ciascuno,  e  ri- 
vendendo a  minuto  si  può  presumere  un  guadagno 
quasi  sicuro.  Questo  è  certo  che  la  invariabilità  dei 
prezzi  si    estese    ai   nuovi  generi   municipalizzati,   i 
quali,   una  volta  che  furono   slacciati  pel  conto  del 
Comune,  non  vennero  più  rincarati.  Nel  loro  prezzo 
in  origine  dovette  essere  compreso  l'importo  del  da- 
zio di  consumo,  che  sopra  di  essi  il  Connine  esigeva, 
l'ino  alla  metà  del  secolo  decimottavo.  fra  le  per- 
dite degli  anni  di  carestia  ed   i  guadagni  dei  tempi 
normali,  l'azienda  municipale  potè  tirare  avanti  sen- 
za troppi  imbarazzi.  Pare  che  sulla  fine  del  seicento 
ed  il   principiare  del    settecento    il   deprezzamento 
della  moneta  siasi  arrestato.  Siccome  poi   la    Monar- 
chia spagnuola.  ormai  nel  suo   periodo   di  massima 
decadenza,  non  curava  più  la  polizia  dei   man  ed  1 
corsari    barbareschi    ostacolavano    seriamente   ogni 
commercio,    diminuiva    sensibilmente    la    estrazione 
ilei    grani    siciliani.    Ciò  certamente  aumentava   da 
un  lato  la  miseria  pubblica  e  privata,  ma  dall'altro, 
producendo  un  rinvilio  dei  generi  di    prima    neces- 
sità,  dava   modo  alla  colonna    frumentaria    di 
lermo  di  risanguarsi. 

Xel  1713  la  Sicilia  veniva  ceduta  alla    Casa  di 
Savoia:  occupata  di  nuovo  dagli  Spagnuoli  nel  1719 
cadeva  tosto  in  potere  dell'Austria,  che  la  sfne 
quanto  era  possibile  lino   al    1734.   anno   in   cui   ti 
nalmente  Napoli  e  la  Sicilia  erano  costituiti  in  rea- 

15 


_•_■<• 


LA    1.1   IH  R  \ 


mi  indipendenti  e  separati,  uniti  dalla  solita  unione 
personale  sotto  Carlo  III  ili  Borbone.  1.  doveroso 
re  che  da  quell'anno  fino  alla  fine  del  se 
colo  decimottavo  !<■  due  regioni  fecero  progressi  in- 
tellettuali, sociali  ed  economici   rapidissimi 

Annientata  la  sicurezza  < l* - i  mari  e  quella  interna. 
lifioi  portazione  dei  grani    e 

dell'  uelty  nuova  dei  vini  e  degli 

olii,  crebbe  notevolmente  ta  popolazione,  aumentò 
la  ricchezza  ed  il  valore  delle  terre,  molte  di  essi 
erano  incolte  si  dissodarono,  ed  incominciò  fin  d'al- 
sso  di  intensificazione  delle  culture 
per  il  quale  la  vite,  l'olivo  ed  altri  alberi  fruttiferi 
si  andai'  colo  brado  ed  alla 

ricottura.    Ma  col   prosperare   della    ricchezza  e 
con  nercio  e  col  moltiplicarsi  della  popolazione, 
si   accentuò    anche   in   Sicilia  un   lenonicno.  che  del 
gioni   analoghe,  nella  seconda   metà  del 
ottavo  si  estese  a  buona  parte  d'Europa, 
il   rincaro  cioè  dei  generi  di  prima  necessità  e  spe- 
cialmente del  gratin,   delle  carni  e  dei   formaggi. 

A  Palermo  l'azienda  dei  viveri  comunali,  che  com- 
plessivamente cbiamavasi  sempre  culmina  frumen- 
taria.  ne  senti  presto  il  contraccolpi'.  Nel  1756  nes- 
sun appaltatore  osò  assumere  il  servizio  della  carne 
bovina  ai  prezzi  ormai  tradizionali  ;  il  Comune  e- 
sercitò  allora  la  vendita  di  questo  genere  in  econo- 
mia, ossia  per  gestione  diretta,  comprò  buoi  in 
Tunisia  ed  in  Calabria,  li  ingrassò  nelle  sue  stalle, 
li  macellò  e  rivendette  per  suo  conto  e  vi  scapitò  e- 
normemente.  Nel  1763  una  carestia  che  sopraggiun- 
si  finì  di  distruggere  il  capitale  della  colonna  fru- 
mentaria  ;  ricominciò  l'epoca  dei  ripieghi  e  dei  mu- 
tui, si  alienò  per  circa  tre  milioni  di  patrimonio  mu- 
nicipale, e  si  rimise  infine  nel  1 7  7  j  la  tassa  sulle 
finestre.  Malgrado  tutto,  diventava  sempre  più  im- 
possibile tirare  avanti,  i  viveri  che  si  vendevano 
nelle  botteghe  senatorie  cominciarono  a  diventare 
di  cattiva  qualità,  infine  scarseggiarono  e  nel  prin- 
cipiare  del  1773  gli  artigiani  dovevano  fare  a  pu- 
gni per  potere  comprare  un  pezzetto  di  cacioca- 
vallo. 

Fra  il  popolino  e  le  onorate  maestranze,  che  ve- 
devano il  sistema  dei  pnv/i  invariabili  seriamente 
minacciato,  il  malcontento  era  enorme.  Lo  sfacelo 
dilla  colonna  frumentaria  veniva  attribuito  alla 
cattiva  amministrazione  ed  alle  mangerie  degli  ul- 
timi pretori  e  senatori,  alla  loro  debolezza  verso  gli 
appaltatori  dei  viveri  e  versa  i  venditori  per  conto 
del  Connine,  soprattutto  poi  alla  protezione  che  il 
viceré  marchese  Fogliani  accordava  agli  abusi  dei 
grandi  e  dei  piccoli  ed  .dia  facilità  colla  quale  egli 
permetteva  le  tratte,  ossi.,  la  esportazione  dei  grani, 
degli  olii  e  dei  forr  illera\ a  il  contrabbando 

quand"  la  tratta  era  chiusa. 

X.      -    Il  marchese   Fogliani    non  era  un    gran 
signore,    un   viceré  alla   spaglinola,   ma  un   modesto 
e  laborioso  nobile  modenese  che.  entrato  al  sen 
tifila   Corte    di    Napoli,   colle    sue   doti    d'impiegato 
erti       '      '  npo  ed  a  luogo  en- 

trare in  grazia  ilei  superiori,  era  arrivato,  torse  col- 
I  appoggio  del  ministro  Tanucci.  altro  modenese  al- 
lora onnipotente  nel  governo  borbonico,  al  cospicuo 


posto  di  rappresentante  'lei  Re  in  Sicilia,  fra  le 
Ioli  che  gli  tributa  il  Di  Blasi,  onest'uomo  ma  sto- 
rico officiale  ed  incline  a  trovare  meriti  in  tutti  quelli 

elle     sla\  ano     111     allo,    ed     il    giudi  rodi  'Ice.    Iloll 

i"  di  abili  insinuazioni,  chi   ne  là  il  Villabian- 

c.i.   il  quale,  da   vero  nobile  siciliano,    trovava   che  il 

\  icerè  ih  ii  aveva  tenuti'  abbastanza  conto  della  na- 
.1    e    ilei    meriti    dello   scrittore    e  che  accordava 
troppa  in1  icia  e  confidenza  ai   paglietta  e  ad  altra 
gente  di  poca  levatura.     ■    (fi    li    il  formarsi  un  1 

li  |   caratti  re   1  Iella    persi  ma   che   allora 
reggeva  la  Sicilia  e  della  sua  parte  di  responsabilità. 
Nel   complesso    pare  die   sia   sialo   ut]   nonio   dab- 
bene ed  un  buon  burocratico,   molto  supe 

media  dei  prefetti  chi  il  Governo  italiano  manda 
a  preparare  le  elezioni  e.  incidentalmente  ad  am 
ministrare  le  provincie  dell'isola.  Anzi,  come  rico- 
nosce lo  stesso  Villabianca,  il  torto  principale  ilei 
Fogliani  sembra  sia  stato  quello  di  aver  durato, 
con  insolilo  esempio,  nel  viceregno  per  diciotto  anni 
continui. 

Infatti,  costituivasi  attorno  ad  ogni  viceré  una 
camarilla,  un  gruppo  di  amici  e  di  persone  di  con- 
fidenza che  lo  adulavano,  lo  servivano  e  nello  s 
tempo  lo  sfruttavano.  Ma.  siccome  ad  ogni  tre  anni, 
al  massimo  ad  ogni  sei.  i  viceré  cambiavano,  si  ve- 
niva a  stabilire  una  specie  ili  turno  fra  gli  ambi- 
ziosi e  gli  intriganti,  in  grazie  al  quale  quelli  che 
non  erano  in  auge  tolleravano  con  una  certa  pa- 
zienza la  loro  disgrazia.  Oliando  si  vide  che  il  turno 
non  era  più  rispettato  e  che  il  Fogliani.  allo  sca- 
dere di  ogni  triennio,  veniva  indefinitami 
fermato,  tutti  gli  odi.  tutte  le  ire  dei  disillusi,  del- 
l'immensa caterva  ili  coloro  che  desiderando  dal- 
l'autorità una  carica,  un  favore,  una  indebita 
renza  o  una  indebita  tolleranza  non  l'avevano  po- 
tuto ottenere,  si  concentrarono  contro  di  lui  e.  con 
sistema  non  ancor  disusato,  egli  fu  additato  al  [io- 
polo  come  la  personificazione  e  l'origine  di  tutti  i 
mali. 

Al  5  luglio  1773  si  rinnovava  il  Senato  tli  Pa 
lermo  e  tome  pretore  entrava  in  carica  ( 'esare  I 
tani  principe  lei  Cassero,  un  patrizio  che.  co- 
me pensatamente  fa  rilevare  il  Di  Blasi.  non  aveva 
debiti  con  nessuno  e  quindi  neanche  cogli  appal- 
tatori dell'annona  comunale  e  che  all'amore  del  pub- 
blico bene  univa  una  voglia  matta  di  popolarità.  An- 
nunzio subito  che  avrebbe  tatto  guerra  agli  abusi 
e  restaurata  la  colonna   frumentaria. 

E    per  qualche   mese   le  cose    andarono   realmi 
molto   meglio   e   per    l'aumentata    vigilanza    dell'au- 
torità municipale  <■  perchè  non  erano  tempi  di  care- 
ma   soprattutto  a   cagione  di  un  prestito  che 
ristorò  momentaneamente  l'azienda  dei  \  i\  ■ 
con  abnegazione  la  quale  bisogna  dirlo  non  era   sen- 
za precedenti,  il  pretore  garantì   sui  suoi  beni  pri- 
vati.    La    benemerenza    acquistata    con    qui 
dal  principe  del  Cassero   fra  le  maestranze  ed  il 
popolino  di   Palermo  non  ebbe  il  tempo  di  tramon- 
tare, perchè  nel  settembre  gli  si  manifestò  il  mal 

ili  pietra.    Per  isiglio  e  coll'opera  ili  un  dottore 

che  era   figlio    li  un  cameriere  ilei  Viceri  si  sotto 
pose  al  taglio  e  ne  mori. 


LA    MUNICIPALIZZAZIONE    DEL    PAN]      \    PALERMO 


227 


Non  ri  volle  altro  perchè  il  popolo  credesse  ad 
una  congiura  tenebrosa  del  Viceré  e  di  tutta  la 
Clicca  dei  truffatori  del  pubblico  danaro,  ai  quali  at- 
tribuì senz'altro  la  fine  del  benamato  pretore.  L'ira 
spontanea  degli  artigiani  per  la  rovina  della  colon- 
na trumentaria  e  del  sistema  del  prezzo  invariabile 
dei  viveri  venne  abilmente  concentrata  ed  incanalata 
contro  il  Fogliani.  si  tumultuò  ed  i  tumultuanti  ne 
chiesero  l'allontanamento. 

Convocati  i  consoli  dall'arcivescovo,  il  diciannove 
ili  settembre,  alle  esortazioni  del  prelato  affinchè 
persuadessero  il  popolo  a  desistere  dal  rivoluzio- 
nario proposito,  risposero  borbottando  fra  i  denti 
che.  se  il  Fogliani  colle  buone  non  se  ne  voleva  an- 
dare, avrebbero  trovato  essi  il  modo  di  rimediare 
a":  guai  di  Palermo. 

Difatti  l'indomani  i  cannoni  dei  baluardi  vennero 
ancora  una  volta  puntati  sul  palazzo  reale  ed  una 
turba  immensa  di  popolo  armato  marciò  contro  que- 
sta residenza  del  Viceré. 

Le  maestranze  non  comparivano  ufficialmente  ma 
il  grosso  dei  sollevati  era  formato  dai  loro  membri  e 
molti  consoli  erano  con  essi.  Il  palazzo  era  custodito 
da  due  reggimenti  di  regie  truppe,  uno  siciliano  1  al- 
tro svizzero,  ma  il  Fogliani  aveva  dato  ordine  assoluto 
di  non  tirare  e  di  non  versare  sangue  e  la  naturale 
conseguenza  di  quest'ordine  fu  che  i  soldati  vennero 
sopraffatti  e  disarmati  ed  il  Viceré  stesso  fu  fatto 
prigioniero.  Posto  immediatamente  nella  sua  car- 
rozza fra  sei  consoli,  che  coi  loro  corpi  gli  facevano 
scudo  contro  le  aggressioni  del  popolaccio,  venne 
trascinato  alla  marina  e  quivi,  sopra  la  prima  barca 
che  capitò,  fu  spedito  al  largo. 

XI.  —  La  cosa  finì  meno  tragicamente  di  come 
si  poteva  aspettare.  L'arcivescovo  assunse  momenta- 
neamente i  poteri  di  viceré,  la  città  rimase  per  al- 
cuni mesi  in  balìa  delle  maestranze  ed  il  pane  e  gli 
altri  commestibili  furono  per  allora  venduti  ai  so- 
liti prezzi  invariabili.  Il  ministro  Tanucci  scrisse 
che  il  Re  avrebbe  considerato  i  fatti  di  Palermo  con 
cuore  più  di  padre  che  di  sovrano.  Ed  infatti,  per 
allora  non  si  esigette  che  la  restituzione  dei  fucili 
tolti  ai  soldati  e  l'impiccagione  di  tre  o  quattro  sven- 
turati dell'infima  plebe,  designati  al  solito  come  capi 
del  tumulto,  e  l'erario  regio  prestò  intanto  senza  in- 
teresse ed  a  fondo  perduto  più  di  seicentomila  lire 
alla  colonna  frumentaria  perchè  essa  potesse  ancora 
per  un  poco  tirare  avanti. 

Poi  mandato  un  altro  Viceré,  che  non  fu  già  il 
Fogliani.  rinforzata  la  guarnigione  che  ebbe  l'ordine 
preciso  di  non  lasciarsi  più  disarmare,  un  pò  colla 
persuasione,  un  -o'colle  minacele  s'indussero  i  con- 
solati a  cedere  '    baluardi  ed  i  cannoni  al  cui  pos- 

•.  scrive  ii  Villabianca,  gli  artigiani  tenevano 
più  che  alle  loro  mogli.  E  poi  a  poco  a  poco,  e  colle 
dovute  precauzioni,  si  attaccò  il  sistema  delle  mete 
fi>se.   ossia  dei   prezzi  invariabili  dei  viveri. 

In  verità,  il  rialzo  generale  dei  prezzi  era  tale  che. 
riusciva  impossibile  di  mantenere  ancora  quelli  del 
1648.  Le  seicentomila  lire  fornite  dal  regio  erano 
nel  1774  furono  consumate  in  pochissimi  anni;  ad 
ogni  nuovo  appalto  che  il  Comune  indiceva  per  la 
fornitura  al  pubblico  della  carne,  dell'olio  o  del  for 


maggio,  se  si  voleva  che  l'appaltatore  conservasse 
le  antiche  mete,  bisognava  dargli  una  gros>.i  sov- 
venzione  del  genere  di  quelle  che  ancora  si  usano 
per  sussidiare  gli  impresari  dei  teatri  di  musica. 
he  si  cominciò  nel  1776,  anno  nel  quale  il  Co- 
mune prima  rinunziò  al  monopolio  della  vendita 
dell'olio,  autorizzando  qualunque  privato  a  fargli  la 
concorrenza,  e  poi  aumentò  il  prezzo  di  quello  che 
vendeva  nelle  sue  botteghe.  Identica  riforma  si  fece 
nel  1781  per  i  formaggi  e  finalmente  alla  fine  dello 
-  1  anno,  pi  ne  l'applicazione  all'anno  se- 

guente, si  estese  la  riforma  anche  al  pane. 

Del  resto  col  crescere  dei  capitali,  collintensifi- 
carsi  dell'agricoltura,  coll'aumento  della  popolazio- 
ne dell'isola,  la  quale  da  1.150.000  anime  nel  1714 
giungeva  ad  1.800.000  anime  nel  1798.  crollava 
tutta  l'antica  economia  dello  Stato  siciliano.  Nello 
^.■-mi  anno  1781  il  Governo  avea  riformato  tutto 
l'antico  sistema  delle  tratte  od  esportazione  del  grano, 
sottraendo  all'arbitrio  del  Viceré  il  permetterla  od 
il  proibirla  anno  per  anno,  ciò  che.  fra  parentesi, 
era  fonte  di  aggiotaggi,  favoritismi  ed  abusi  di  ogni 
genere,  ed  adottando  misure  che  erano  un  avvia- 
mento al  libero  commercio  dei  cereali.  Poi  anche 
per  la  sostituzione  delle  colture  arboree  a  quella 
dei  grani,  sostituzione  che  faceasi  sempre  in  più 
larga  scala  a  misura  che  aumentavano  i  commerci, 
i  capitali  e  le  braccia,  verso  gli  ultimi  anni  del  se- 
colo decimottavo  ed  i  primi  del  decimonono  finì  l'e- 
spi Ttazione  dei  grani  dalla  Sicilia  e  poco  dopo  ne 
cominciò  l'importazione  dai  porti  del  Mar  Nero,  e 
così  si  estinse  la  causa  prima  della  Municipalizza- 
zione del  pane  a  Palermo. 

Contemporaneamente  cambiavano  anche  le  ■•oli- 
dizioni  politiche  e  sociali.  Il  dispotismo  borbonico 
accoglieva  i  principi  della  rivoluzione  francese  in 
quanto  gli  giovavano  e  prima  risecava  e  poi  to- 
L-ieva  le  autonomie  ci 'mimali  e  scioglieva  le  corpo- 
razioni di  mestiere.  Finivano  perciò  le  onorate 
maestranze  di  Palermo,  che  davano  gli  ultimi  segni 
di  vitalità  durante  la  rivoluzione  del  1820.  e  final- 
mente, dopo  un  tentativo  di  adattamento  ai  concetti 
ed  ai  bisogni  moderni  fatto  nel  1812.  moriva  per 
sempre  nel  1816  l'antica  secolare  costituzione  si- 
ciliana e  finiva  l'autonomia  dell'isola  che,  divisa  in 
Provincie,  diventava  parte  integrale  del  nuovo  rea- 
me delle  due  Sicilie. 

Siamo  già  in  epoca  che  i  nostri  nonni  potevano 
rammentare  ed  in  essa  appunto  si  trovano  gli  ul- 
timi ricordi  della  Municipalizzazione  del  pane  e  di 
altre  derrate  alimentari  a  Palermo.  Dopo  il  1782. 
avendo  il  Comune  rinunciato  al  monopolio  ed  alle 
mete  fisse,  in  fondo  la  sua  azienda  assunse  il  sem- 
plice ufficio  di  tenere  quelle  botteghe  di  paragone, 
che  anche  oggi  di  tanto  in  tanto  s'istituiscono  nei 
peri,,, li  d  dei  viver:.    I  esperienza  dovette 

presto  dimostrare  che  la  concorrenza  privata  dava 
roba  migliore  ed  a  miglior  [tatto,  una  volta  che  il 
Comune  non  voleva  più  scapitare  nel  vendere  la 
sua.  Per,'»,  anche  dopo  che  è  finita  la  sua  ragion 
sere,  una  organizzazione  così  anno-.i  ••  ■  ■  rupli- 
cata  come  quella  dei  viveri  municipali  di  Palermo 
muore   ordinariamente    in    un    giorno,    sicché 


LA    I.KTTl'KA 


e  della   sua  esistenza   si  trovano   ancora  nel 
primo  decennio  del  secolo  decimonono. 

XII.  che  ì    terminata  la  parte  storica 

i  ibe  certo  molto  interes 
sante  studiare  dawicino  il  funzionamento  degli  isti- 
tuti annonari  >li  Palermo,  scrutarne  i  difetti  ed  i 
pregi  pratici  e  da  issi  trarre  lume  per  la  moderna 
quistione  della  Municipalizzazione  dei  pubblici  se 
\  i/i.  dir-  alcuni  vorrebbero  estendere  anche  al  pane. 

Dirò  subito  che  ciò  che  ho  potuti  >  accei  an 
proposito   non  ì    all'uopo  molto  interessante.  Anzi- 
tutto perchè  la  Municipalizzazione  ili  allora  ris] 

id  altre  idee,  ad  altri  bisogni,  a  condizioni  so 

diversissime  ili  quelle  presenti;  poi   perchè  i 

particolari   che   sarchi  pero    per   noi    più   interessanti 

[uelli  a  preferenza  taciuti  dagli  storici  e  dai 

cronisti,  non  già  per  malizia  od  ignoranza,  ma  per- 

se  allora  note  a  tutti. 

.VI  ogni  tuorlo,  dalle  notizie  che  ho  potuto  spigo- 
lare, risulta  anzitutto  che  la  Municipalizzazione  dei 
viveri  non  era  un  istituto  esclusivo  di  l'alenilo. 
Essa  funzionava  pure  a  Messina  ed  in  embrione 
qualche  cosa  di  analogo  vi  era  anche  nelle  altre 
e  terre  demaniali  della  Sicilia,  cioè  in  quelle 
che  tu  pi)  dipendevano  da  alcun  feudatario,  nella 
quale  il  Comune  se  non  altro,  all'epoca  del  raccolto. 
soleva  comprare  all'ingrosso  del  grano,  che  rivendeva 
poi  a  piccole  partite  ed  a  prezzo  di  costo  ai  citta- 
dini. 

La  qualità  dei  generi  venduti  per  conto  del  Co- 
mune di  Palermo  dovea  in  generale  esser  buona  . 
poiché  pochi  lamenti  ho  trovato  in  proposito.  Il 
pane  vein  Ica  si.  come  ho  detto,  a  forme  di  novecento- 
venticinque grammi  ciascuna  e  della  metà  precisa 
ili  questo  peso.  Vi  erano  poi  forme  anche  più  pic- 
cole, che  in  proporzione  costavano  un  poco  di 
più  .  forse  anche  perchè  erano  più  cotte  e  me- 
glio lavorate  e  rappresentavano  il  pane  di  lus- 
si i.  Ogni  forma  portava  il  bollo  del  Comune. 
ijiiest  uvo  di  vendere  il  pane  a  forme  di  peso  sta- 
bilito e  bollato  dal  fornaio  esiste  ancora  a  Paler- 
mo; dove  inoltre  per  affermare  che  il  prezzo  di  un 
oggetto  i  notorio  ed  invariabile  si  dice  che  è  come 
il  pane  in  piazza. 

Anche  la  carne  bovina  si  vende  ancora  a  Pa- 
lermo senza  l'osso  e  le  diverse  parti  dell'animale 
vengono  divise  con  precisione  anatomica  ed  ognuna 
ha  il  suo  prezzo  speciale.  In  solo  bue  dà  così  sette 
ualità  di  carne  diverse  e  pare  che  questa 
minuta  suddivisione  sia  l'ereilità  di  un'epoca  nella 
quale  il  mestiere  del  macellaio  venne  sottoposto  ad 
una  rigida  regolamentazione  burocratica.  Dell'olio 
formaggi  vi  erano  pure  diverse  qualità,  che 
naturalmente  aveano  prezzi  diversi. 

Il  Comune  provvedeva  al  servizio  dei  viveri  alle 
volti  |  ne  diretta,  alle  volte  per  appalti  che  di- 

ci v.msi  partili.  Il  grano  lo  Comprava  per  lo  più  me- 
diante grossi  conti  durata  ordinaria  di  cin- 
que anni,  durante  i  quali  una  compagnia  appalta- 
si obbligava  di  fornire  ppgui  anno  tante  mi- 
gliaia di  quintali  sempre  .-« 1 1  < >  stesso  prezzo.  Se  so 
praweniva  una  carestia,  il  grano  cosi  comprato  per 


i  iascuna  annata  non  bastava  più  e  bisognava  prov- 
ine dell'altro  ad  altissimi  prezzi.   Il    pane  pare 
poi   che   fosse  manipolato  e  venduto  in  economia, 

ma  il  Comune  dovea  avere  contratti  speciali  e  sta- 
bili colle  corporazioni  dei  mugnai  e  dei  panattieri. 
\i  gli  ultimi  decenni  della  Municipalizzazione  pare 
si  tollerasse  anche  la  vendita  di  pane  latto  da  (or 
nai  privati,  i  quali  però  dovevano  comprare  il  grano 
dal  Comune  0  coli  intervento  del  Comune.  ' 
Sti  panifici  privati  venivano  complessivamente  chia- 
mati la  meccanica,  e  sembra  fossero  fonti  di  abusi 
e  che  vendessero  pane  di  cattiva  qualità  torse  ai  più 
poveri  che   non   lo   poteano  pagare  in  contanti. 

La  vendita  dell  olio,  della  carne  e  dei  formaggi  B 
appaltava  per  lo  più  a  compagnie  di  speculatori 
nelle  quali  figuravano  insieme  nobili  e  popolani. 
La  prima  condizione  dei  capitolati  era  che  si  ven- 
desse ai  prezzi  delle  mete  fisse.  Ignoro  con  i|uali 
ine/zi  il  Comune  si  assicurava  il  risarcimento  del 
dazio  consumo  che.  sui  generi  appaltati,  era  stabilito 
fin  da  prima  del  1648.  Si  cedeva  agli  assuntori  del- 
l'appalto, oltre  al  diritto  di  monopolio,  probabilmen- 
te anche  l'uso  delle  botteghe  comunali.  Qualche  volta, 
come  ho  accennato,  perchè  gli  appalti  non  andas- 
sero deserti,  si  concedi  vano  agli  assuntori  anticipa- 
zioni di  capitali  ed  altri  premi.  L'esercizio  in  ge- 
stione diretta  era  generalmente  giudicato  conn 
vinoso. 

Il  contrabbando,  inevitabile  dove  ci  sono  mono- 
poli, esisteva  e  pare  fosse  punito  con  una  multa  di 
sessantacinque  lire  ogni  volta  che  veniva  legalmente 
constatato. 

Abusi,  naturalmente,  ce  ne  erano;  ma  non  do- 
vevano essere  molto  comuni  e  gravissimi,  se  si  con- 
sidera che  la  Municipalizzazione  dei  viveri  durò  a 
Palermo  circa  due  secoli.  Certo,  amministratori  che 
traevano  un  [privato  vantaggio  dal  maneggio  dell'a- 
zienda comunale,  non  ne  mancarono,  e  se  non  ne 
parlano  i  giornali,  che  ancora  non  esistevano,  vi  ac- 
cennano chiaramente  le  pasquinate  e  le  satire  di  cui 
alcune  ci  sono  rimaste;  nelle  quali  si  diceva  il  fatto 
loro  agli  altolocati  senza  che  gli  anonimi  autori  cor- 
ressero  il   pericolo  delle  querele  di  diffamazione. 

Del  resto,  se  alcuni  rubavano,  molti  dovettero 
essere  gli  amministratori  onesti  e  parecchi  quelli  so- 
lerti ed  accorti  ;  |  ciche  i  nobili  tenevano  molto  in 
generale  alla  popolarità  ed  al  buon  nome  dei  loro 
casati.  Inoltre,  quando  qualcuno  era  notoriamente 
concussionario,  rischiava  al  primo  fermento  popo- 
lare di  avere  messo  a  soqquadro  e  devastato  il  do- 
micilio, l'in  d'allora,  nell'occasione  di  queste  tumul- 
tuarie giustizie  popolari,  costumavasi  di  frantumare 
e  distruggere  tutto  seti/a  rubare  uno  spillo;  e  la 
forza  pubblica  arrivava  immancabilmente  a  cose  fi- 
nite e  limitavasi  ad  impedire  gli  incendi  e  gli  omi- 
cidi. 

Il  vizio  principale  del  sistema  era  innegabilmente 
la  ripugnanza  di  tutti  gli  amministratori  ad  elevare 
i   prezzi    delle  derrate,   anche  quando  ciò  era   assolo 

tamente  indispensabile.   <>gni  amministrazione  pre 

feriva  di  tirare  avanti  alla  meglio,  presentava  bi- 
lanci accomodati,  indebitava  il  Comune  e  lasciava 
la    situa/ione    più  che  mai  compromessa  ai    sui 


LA    MUNICIPALIZZAZIONE    DEL    PANE    A    PALERMO 


sori,  ma  non  voleva  assumere  la  responsabilità  e 
l'odiosità  del  rincaro.  Questo  vizio  deve  dar  molto 
da  pensare  ai  municipalizzatori  di  oggi,  tanto  più 
se  si  considera  che  oggi  le  amministrazioni  comunali 
sono  elettive. 

Infine,  per  chi  ne  abbia  voglia,  notizie  più  detta- 
gliate e  sicure  non  devono  mancare  a  Palermo  . 
dove  certo  si  troveranno  ancora  i  verbali  dei  Con- 
sigli del  Comune,  i  registri  delle  deliberazioni  del 
Senato  e  perfino  i  testi  dei  contratti  cogli  appalta- 
tori. Non  so  se  e  quanto  uno  studio  dettagliato  su 
questi  documenti  gioverà  ad  approfondire  i  proble- 
mi, che  ora  sono  all'ordine  del  giorno,  sui  nuovi 
servizi  da  affidare  ai  Municipi;  questo  so  che  esso 
getterà  una  luce  intensa  sulle  condizioni  economiche 
e  sociali  di  Palermo  e  della  Sicilia  di  due  secoli  e 
di  un  secolo  fa  ;  di  quella  Sicilia  che  non  fu  l'an- 
tenata ma  la  madre  della  Sicilia  odierna,  e  dalla 
quale  questa   per  eredità  direttissima  ha  ricevuto    1 


229 

succhi  vitali,  le  attitudini  morali  ed  intellettuali,  i 
difetti  ed  i  pregi,  e  tutte  quelle  singolarità  che  an- 
cora distinguono  l'isola  dalle  regioni  dell'alta  e  della 
media  Italia. 

Se  è  vero  che  si  vuole  ora  risanare  il  Mezzogiorno, 
bisogna  anzitutto  conoscerlo,  ed  a  questa  conoscen- 
za nessuno  Studio  può  giovar  tanto  quanto  ([nello 
degli  ultimi  secoli  della  sua  storia.  E,  poiché  amia- 
mo meglio  le  cose  che  comprendiamo  e  per  coro 
prendere  le  quali  abbiamo  molto  lavorato,  è  proba- 
bile che  le  ricerche  sulle  Municipalizza/ioni  di  Pa- 
lermo nei  secoli  diciassettesimo  e  diciottesimo,  atti- 
vando delle  correnti  di  simpatia  reciproca  fra  l'i- 
sola e  le  altre  regioni  d'Italia,  porteranno  il  loro 
contributo  a  quel  risorgimento  morale,  intellettuale 
ed  economico  della  Sicilia  che,  senza  dubbio,  sarà 
opera  del  secolo  ventesimo. 

G.  Mosca. 


r 


1/ 


Memorie  ili  architettura  del  Rinascimento  a  Milano 


a  prosperità  economica  che  Milano  at- 
traverso le  più   fi  irtunose   vicende  di 

~  yi|l  guerre  e  di  governi  potò  conservare, 
grazie  alla  sua  posizione  nella  monotona  distesa 
del  piano  lombardo  » ,  ebbe  a  provocare  ci  mtinui 
rinnovamenti  edilizi,  i  quali  contribuirono  a  di- 
sperdere le  memorie  dei  precedenti  periodi,  impe- 
dendo che,  a  somiglianza  di  altre  città  della  peni- 
sola, Milano  serbasse  nell'aspetto  suo  la  espres- 
sione di  un  determinato  momento  storico,  sugli 
altri  prevalente.  Così,  non  solo  le  troppo  scarse 
tra»  i  ie  dell'epoca  romana,  scampate  alle  ripetute 
devastazioni  e  trasformazioni  edilizie,  e  non  ancora 
al  completo  riparo  da  vandalici  propositi,  ci  fanno 
considerare  come  iperbolico  l'elogio  che  Ausonio, 
nel  IV  secolo,  fece  di  Milano,  paragonandola  ad 
una  seconda  Roma  nec  juncta  premit  vicinia 
Romae  >,  ma  le  stesse  traci  ie  del  lungo  periodo 
dei  bassi  tempi,  nei  quali  le  sorti  di  Milano  furono 
rcplicatamente  poste  a  dura  prova,  non  ci  aiutano 
in  alcun  modo,  se  non  con  qualche  raro  avanzo 
di  edifici  religiosi,  a  ricordarci  la  città  che  seppe 
mantenere  una   importanza   notevole   anche   nella 

ra  delle  invasioni.  Ben  poco  rimane  altresì  di 
quel  periodo,  a  noi  più  vicino,  dei  Comuni,  che 
in  Milano  trovò  quasi  una  personificazione:  e  il 
può  si  limita  a  qualche  edificio  che  della  vita 
pubi1  conserva    un    materiale    ricordo.  Solo 

col  periodo  visconteo,  e  megli.,  ancora  i  :ol  succes- 
sivo ■  che  ne  fu  la  naturale  continuazione, 
abbiamo  —  assieme  ai  maggiori  edifii  i  riassumenti 
le  varie  estrinsecazioni  della  vita  collettiva,  il  Duo- 
mo, il  Castello,  l'i  'spedale  Maggiore  —  qualche 
mem  la  vita  eivile,  della  vita  intima,  in 
aliuni  ed  iti  '  he  <  i  aiutano  a  maggiormente 
ricostituire  l'ambiente  di  quel   tempo. 

* 
*    • 

Pochi  sono  gii  avanzi:  ma  le  cronache  del   se- 

XV  e  XVI,  e  le  vecchie   descrizioni   di   Mi- 


Torre  nella  i  wv  Bazzero  in  via  Goranl 
Secolo   XI11. 

lano,  ci  serbano  il  ricordo  di  molte  altre  costru- 
zioni, oggi  .scomparse:  per  cui  l'asserire  che  Mi- 
durante  il  periodo  visconteo-sforzesco,  fosse 
i  ittà  da  potere,  per  abbondanza  di  geniali  mani- 
festazioni  d'arte,    gareggiare  coi   centri   che  oggi 


MEMORIE    l'I    ARCHITI    ITI  KA    DEI     RINASCIMENTO    A    MILANO 


23l 


ancora  si  presentano  come  i  più  importanti,  quali, 
ad  esempio,  Venezia  e  Firenze,  potrà  sembrare 
esagerata  affermazione  soltanto  a  chi  di  Milano 
non  conosca  che  l'aspetto  attuale,  essenzialmente 
moderno,  di  carattere  prevalentemente  commer- 
ciale ed  industriale  :  mentre  chi  sia  a  conoscenza 
delle  scarse  traccie  delle  varie  manifestazioni  d'arte 
che  un  di  ne  allietavano  l'aspetto,  sparse  in  ogni 
punto  della  vecchia  città,  chi  nei  cimeli,  oggi  rac- 
colti in  musei  pubblici  e  privati,  in  Italia  e  all'e- 
stero, riesca  ancora  a  ravvisare  le  reliquie  di  edi- 
fici e  monumenti  di  Milano  distrutti  o  spogliati, 
arriva  a  formarsi  il  concetto  di  ciò  che  doveva  es- 
sere questa  città  nel  quattri  icento  e  nei  primi  de- 
cenni del  cinquecento,  prima  che  la  dominazioc 
spagnuola  soffocasse  sotto  gli  sforzi  di  una  va<  uà 
grandiosità  di  forme  e  di  abitudini,  ogni  tradizio-- 
naie  caratteristica  di  genialità  e  di  eleganza. 

Poiché  si  può  dire  che  ogni  marmo,  ogni  fram- 
mento di  decorazione  pittorica,  oggi  raccolto  nel 
Musco  archeologico  al  Castello  Sforzesco,  o  nella 
Pinacoteca  di  Brera,  abbia  il  compito  di  perpe- 
tuare il  rimpianto  per  un  monumento  perduto  : 
della  vasta  chiesa  di  S.  Francesco,  rasa  al  suolo 
or  sono  cento  anni  per  far  posto  ad  una  caserma, 
ci  parlano  i  frammenti  dei  ricchi  suoi  mausolei 
oggi  dispersi  :  come  alcune  reliquie  del  monu- 
mento funerario  a  Gastone  di  Foix,  ed  alcuni 
frammenti  di  pittura  ci  ricordano  la  chiesa  di 
S.  Marta,  pure  distrutta  nel  secolo  XIX  ;  qualche 


di  S.  Maria  della  Rosa,  di  cui  rimangono  solo  al- 
cuni frammenti  di  ligure  dipinte  dal  "■  ione* 
lo  stesso  artista  che  lavorò  nella  chiesa  dei  Servi. 


Antica  casa  in  via  Cerva.  —  Epoca  viscontea. 

affresco  del  Foppa  e  del  Bramammo  rievoca  la 
chiesa  di  S.  Maria  del  Giardino  —  la  cui  navata 
aveva  la  larghezza  della  navata  maggiore  del 
S.  Pietro  in  Roma  —  demolita  al  pari  della  chiesa 


Oratorio  della   villa   PozzOBONELLl   l ora  distrutta). 
Principio  del  secolo  XVI. 

distrutta  or  sono  sessant'anni  per  ar  posto  al  co- 
lonnato pseudo-greco  di  S.  Carlo.  Altri  frammenti 
marmorei  ci  fanno  rimpiangere  la  distruzione  della 
facciata  di  S.  Maria  in  Brera,  alla  quale  lavorò 
Balduccio  da  Pisa,  oppure  di  S.  Gottardo  a  (  orte, 
la  cui  mirabile  torre  campanaria  sfuggi  di  recente 
alla  minaccia  di  una  mutilazione. 

E  se  tanta  iattura,  quale  non  toccò  né  a  Firenze, 
né  a  Venezia,  ebbero  a  subire  gli  edifici  e  le  me- 
morie attinenti  al  culto,  si  pensi  al  danno  ancor 
più  grave  toccato  alle  costruzioni  civili.  Dal  Pa- 
lazzo di  Corte,  che  sotto  la  semplicità  delle  linee 
del  Piermarini  serba  forse  ancora  le  traccie  del- 
l'antica struttura  della  Corte  Ducale,  dee. nata  dai 
migliori  pennelli  del  secolo  XV,  al  Palazzo  del 
Carmagnola,  mutilato  e  sconciato  pochi  anni  or 
sono,  ed  alla  Villa  Pozzobonelli,  alle  porle  di  Mi- 
lano, di  cui  si  salvò  solo,  sei  anni  01  soni,  la  ele- 
fante cappelletta;  dalla  Casa  Marliani  e  dal  Pa- 
lazzo Mozzanica ,  rasati  al  suolo,  al  Banco  Me- 
diceo interamente  rifatto:  dalla  Casa  Landriani, 
trasfigurata  nella  fronte,  alla  casa  Vimercati,  il  cui 
portale,  unica  testimonianza  dell'originaria  strut- 
tura, poco  mancò  fosse  venduto  or  sono  quindu  1 
anni  all'asta,  quante  rovine! 

Ciò  che  maggiormente  ci  attrista,  è  il  consta- 
tare come  molte  di  queste  rovine  siano  di  data 
troppo  recente,  e  come  lo  stesso  notevole  incre- 


32 


l.A    LETTURA 


mento  eilili/io,  cui  Milano  si  affidava,  appena  li- 
berata ila  tre  secoli  di  dominazione  straniera,  ab- 
bia   fatalmente  imposti,  o  troppo  facilmente  tolle- 


PORTA     DELLA    CASA     1)1    GASPARE    VlMERCATl 

IN  vi  \  FlLODR  \mm  \  i  ici.  —  Anno  1460  circa. 

rati,  gravi  sagrifici  per  il  patrimonio  delle  vecchie 
memorie:  sagrifici  tanto  più  dolorosi,  perchè  so- 
praggiunti mentre  nella  coscienza  pubblica  comin- 
1  iava  appena  a  germogliare  il  sentimento  di  ri- 
spetto per  (mei  patrimonio,  ed  il  desiderio  di  ri- 
parare ai  danni  che  le  precedenti  generazioni  vi 
avevano  apportato  per  il  prevalere  di  abitudini  ed 
ideali  troppo  discordanti,  per  negligenza,  o  ben 
anche  per  erroneo  indirizzo  nella  tutela  delle  vec- 
chie memorie. 


Dai  primi  anni  a  partire  dal  1859  —  durante  i 
quali  le  esigenze  edilizie  si  svolsero  senza  suffi- 
<  i<  nte  preparazione,  e  senza  riguardi  estetici,  prov- 
vedendo solo  al  materiale  incremento  della  città 
cogli  espedienti  più  comuni,  o  seguendo  concetti 
di  malintesa  monumentalità  —  venendo  ai  nostri 
giorni,  si  può  dire  che  un  passo  siasi  fatto  nel 
senso  di  conciliare  le  sopraggiunte  esigenze  della 
vita  con  qualche  sollecitudine  per  il  decoro  citta- 
dino, inteso  nel  senso  di  rispettare  ciò  che  attcsta 
il  passato  e  le  caratteristiche  di  Milano.  Sfortuna- 
tamente, il  risveglio  giunge  alquanto  in  ritardo: 
l'esempio  della  Casa  Missaglia,  che  al  piccone  de- 

ton  non  venne  abbandonata  se  non  dopo  che 
una  paziente  e  sagace  indagine  vi  riuscì  a  legi  1  re 
■  ime  in  un  palimsesto  l'originaria  struttura  e  de- 

sione  (i),  Don  può  a  meni  1  di  condurci  a  que- 


•  I   n nra  del  gennai 


sta  melanconica  riflessione:  chi  sa  quante  case  del 
vecchio  centro  di  Milano,  condannate  or  sono  più 
ili  trent'anni  alla  demolizione,  distrutte  1  iecamente 
al  lugubre  chiaror  delle  torcie,  tanto  s'imponeva  la 
impaziente  foga  demolitrice,  chi  sa  quante  di 
quelle  case  serbavano  ancora,  sotto  gli  imbratti  di 
secolari  trasformazioni,  le  geniali  traccie  del  quat- 
trocento, di  quell'epoca  in  cui  il  centro  di  -Milano 
non  era  che  un  alveare  di  artefici,  dal  quale  si 
spandevano  per  il  mondo  i  prodotti  più  ricercati, 
le  armature  e  le  spade,  i  velluti  ed  i  broccati 
d'oro,  i  gioielli,  i  bronzi! 

Quel  Coperto  dei  Figini,  che  solo  nella  memo- 
ria di  chi  ha  i  capelli  grigi,  rivive  colla  semplicità 
del  porticato,  dai  robusti  capitelli  adorni  di  targhi 
—  di  cui  un  saggio  si  trova  ospitato  oggidi  nel  1  a- 
stello  Sforzesco  —  recava  pure,  visibili  ancora,  al- 
cune traccie  delle  decorazioni  policrome  originarie; 
ma  chi  oggi  potrebbe  augurarsi,  non  dirò  di  tro- 
vare qualche  altro  avanzo  di  quelle  memorie,  ma 
di  rintracciarne  il  semplice  ricordo  grafico?  E  come 
quell'isolato,  molti  e  molti  altri  dovettero  sparire, 
per  far  posto  ad  una  nuova  città,  a  fabbriche  ma- 
stodontiche e  prive  di  espressione,  le  quali  hanno 
soverchiato  i  vecchi  edifici  pubblici,  sminuita  e 
soffocata  la  stessa  massa  marmorea  del  Duomi  1  : 
ed  altri  isolati  di  costruzioni  sorsero  senza  nep- 
pure rispettare  la  vecchia  conformazione,  rispon- 
dente ad  un  logico  orientamento.  Quanta  genialità, 
quanta  esperienza  della  vita  andò  sagrificata  in 
tale  incomposto  rinnovamento,  stentatamente  pom- 
poso nella  sua  mescolanza  di  graniti  e  di  cemento! 

Forse  che,  con  queste  parole,  si  afferma  in  me  il 
proposito  di  sostenere  la  tesi  per  cui  Milano  non 
avrebbe  dovuto  prestarsi  alle  nuove  necessità  della 
vita,  al  rapido  incremento  edilizio,  ed  alla  pro- 
sperità meritatamente  guadagnata  coll'onesta  at- 
tività dei  suoi  cittadini  ?  Tale  non  può  certo  es- 
sere il  proposito,  nell'  abbandonarmi  al  rimpianto 
di  ciò  che,  nell'ormai  lontano  ricordo  della  mente, 
si  affaccia  come  in  un  sogno:  ma  è  pur  lecito  il 
domandare  se  non  sarebbe  stato  possibile,  se  non 
sarebbe  stato  degno  veramente  di  Milano,  un  rin- 
novamento del  suo  centro,  il  quale  non  si  fosse 
affermato  soltanto  soverchiatore  del  passati  >,  ma 
fosse  stato  la  continuazione  di  caratteristiche  che 
era  pur  doveroso  rispettare  e  conservare,  come 
testimonianza  di  un  popolo  affezionato  alle  sue 
genuine  tradizioni.  E  ritornando  all'esempio  della 
casa  Missaglia  —  poiché  non  vi  sarebbe  ragione 
per  lasciar  raffreddare  senza  alcun  ammaestramento 
l'interesse  che  intorno  a  questa  si  è  destato  —  noi 
vi  troviamo  una  circostanza  propizia  per  sostenere 
come,  al  di  sopra  dello  stesso  valore  intrinseco, 
noi  dobbiamo  avere  presente  l'esempio  e  l'eccita- 
mento che  le  ingenue  e  spontanee  sue  decora- 
zioni ci  offrono.  Poiché,  se  è  doloroso  l'essere 
ridotti,  per  la  troppo  prolungata  indifferenza,  ed 
il  troppo  tardivo  riconoscimento  delle  sue  trai  rie. 
a  rassegnarci  alla  perdita  di  questa  che  è  ira  le 
ultime  memorie  di  architettura  civile  in  Milano, 
nobilitata  □  in  solo  dall'arte,  ma  dalla  stessa  sua 
destinazione,  pur  ci  rimane  il  compito  di  salvarne 


MEMORIE    DI    ARCHITETTURA    DEL    RINASCIMENTO    \    MILANO 


233 


la  memoria,  non  già  per  un  sentimento  di  erudita 
ed  egoistica  passione  di  antiquari,  ma  per  la  per- 
suasione che  il  ricordo  delle  sue  forme  decora- 
tive ,  accuratamente  rilevate,  non  debba  rimanere 
solitaria  attrattiva  e  distrazione  ne!  recinto  di  un 
museo  d'arte,  ma  sia  seme  ancora  fecondo  da  cui 
si  svolga  un  risveglio  estetico,  ed  un  rinnova- 
mento logico  e  geniale  nelle  odierne  condizioni 
dell'edilizia. 


chi  di  spontaneità,  di  freschezza  nelle  idee,  e  trop- 
po vi  prevalga  la  incosciente  e  meccanica  ripro- 
duzione di  viete  forme,  le  quali  nella  abusata  ripe- 
tizione hanno  perduto  ogni  carattere,  ogni  signi- 
ficato, ogni  sincerità:  cosicché  sempre  più  ritenni 
che  nel  sentimento  pubblico  il  desiderio,  l'aspira- 
zione verso  vaagi  rinnovata  vita  delle  manifestazioni 
dell'arte,  dovesse  richiamare  le  nuove  forze  verso 
queir  insegnamento    che    ancora    si    può    ritrarre 


Casa  Fontana,  ora  Silvestri,  in  corso  Venezia. 

Seconda  metà  del  secolo  XV. 


Quante  volte,  rievocando  la  razionale  sempli- 
cità delle  composizioni  architettoniche  del  Rina- 
scimento, l'accorto  impiego  dei  materiali,  l'intima 
correlazione  fra  l'ossatura  e  la  veste  decorativa, 
e  posando  poi  lo  sguardo  sulle  costruzioni  dei 
nostri  giorni,  avviene  che  io  mi  domandi  :  quale 
è  la  ragione  per  cui  un  complesso  notevole  di 
tradizioni  e  consuetudini  costruttive,  di  abitudini 
della  vita  intima,  e  di  esempì  di  ingenue  eleganze 
decorative  rimane  lettera  morta  e  non  parla  a 
noi  se  non  come  curiosità  da  museo,  che  si  debba 
ammirare,  ma  non  imitare,  né  riprodurre  ?  E  que- 
sta domanda  si  è  fatta  in  me  ancor  più  incalzante, 
dacché  nel  sentimento  pubblico  è  venuta  raffor- 
zandosi la  opinione  che  l'arte  dei  nostri  tempi  man- 


dalle  genuine  produzioni  di  altri  tempi ,  anziché 
dirigere  troppo  audacemente  lo  sguardo  verso 
una  mòta  troppo  astratta ,  sciupando  le  forze 
vive  in  tentativi  incoerenti,  quali  pur  troppo  rie- 
scono gli  sforzi  oggi  assorbiti  dal  miraggio  di 
un'arte  nuova,  la  quale  ci  illudiamo  debba  soddi- 
sfare ai  nostri  bisogni,  mentre  n>n  soddisfa  che  il 
passaggero  nostro  capriccio,  distrae  la  morbosa 
nostra  incontentabilità,  ed  è  pascolo,  per  un  fugace 
istante,  alle  incertezze  del  nostro  pensiero. 

Io  vorrei  che  un  concittadino,  desideroso  di  una 
casa  nella  quale  potere  ripartire  il  tempo  fra  la 
quiete  domestica  e  la  vita  degli  affari,  si  decidesse 
a  riprodurre,  in  una  delle  vie  di  Milano,  una  casa 
sul  tipo  di  quella  dei  Missaglia,  senza  per  questo 
proporsi  un  grave  sagrificio  per  il  denaro  da  im- 
piegare. Già  vi  erano  in  Milano,  nel  quattrocento, 


-•■;! 


I  A    LETTURA 


Casa  Landriani —  sede  dell'Accademia  si  iehtifico- 
i.ì:  i  rERARIA,  in  VIA   BORGONOVO.  —  Anno  1520  circa. 

delle  case  a  tre  piani,  di  una  altezza  quale  non  è 
concesso  oggidì  sorpassare  nella  maggior  parte 
delle  vie,  cosicché  la  ossatura  generale  dell'  edifì- 
cio non  troverebbe  alcun  ostacolo  a  svolgersi  ra- 
zionalmente e  vantaggiosamente,  pur  seguendo  le 
tradizioni  e  consuetudini  del  Rinascimento:  d'altra 
parte,  i  materiali  impiegati  non  verrebbero  certo  a 
richiedere  un  dispendio  maggiore  di  quello  assor- 
bito dalla  maggior  parte  ideile  moderne   case    ci- 


vili. Perchè  dunque  tale  ritorno  a  tradizioni,  non 
solo  belle,  ma  anche  pratiche  e  buone,  non  av- 
viene? Perchè  non  si  riprende  il  razionale  impii 
dei  materiali  ?  Forse  che  le  odierne  [consuetudini 
costruttive  offrono  una  maggiore  solidità,  o  più 
lunga  durata  alle  case  civili?  No  di  certo:  edift  i 
che  noi  ricordiamo  di  aver  veduto  costrurre  dai 
fondamenti ,  scorgiamo  troppo  di  frequente  biso- 
gnosi di  replicate  opere  di  rinnovamento,  dai  cor- 
nicioni venendo  agli  intonaci,  alle  balconata 
non  manca  l'esempio  di  case  che  si  dovettero  rico- 
strurre  di  sana  pianta  nell'intervallo  di  soli  venti- 
cinque anni.  Adunque  non  vi  è,  per  quanto  si 
cerchi ,  una  ragione  qualsiasi  che  giustifichi  il 
persistere  in  consuetudini  costruttive  né  belle,  nò 
vantaggiose,  trascurando  insegnamenti  positivi,  ef- 
ficaci,  per  tentare  solo  alla  cieca  un  nuovo  indi- 
rizzo nelle  forme  statiche  e  in  quelle  decorative. 


A  Milano  però  qualche  tendenza  verso  un  lo- 
gico ritorno  al  passato,  e  precisamente  al  pen 
del  Rinascimento  che  meglio  si  presta  a  fornirci 
elementi  di  pratica  applicazione ,  già  si  è  manife- 
stata. La  iniziativa  di  due  patrizi,  i  fratelli  (  ;iu- 
seppe  e  Fausto  Bagatti-Valsècchi ,  ha  già  da  un 
ventennio  dato  l'esempio  di  sincera  e  scrupolosa 
applicazione  dello  stile  del  Rinascimento  alle  mo- 
derne abitudini:  e  l'esempio  non  rimase  senza  in- 
lìuenza  e  senza  frutto.  Se  non  che ,  la  stessa  ec- 
cezionalità e  le  circostanze  dell'attuazione  hanno 
potuto  ingenerare  una  opinione  che  riesce  a  pre- 
giudizio dell'esempio  dato:  giacché  molti  hanno 
potuto  credere  che  tale  ritorno  verso  il  passato  im- 
plichi necessariamente  il  concetto  di  un  lusso, 
concesso  a  patrizi ,  non  soltanto  ricchi  e  disposti 
a  non  lesinare  nel  dare  soddisfazione  ai  loro  ideali, 
ma  disposti  altresi  a  sottomettersi  a  restrizioni  nelle 


1  i    *  rimi  ipai  1    mi  1  \  casa  Borromeo.  —  Epoca  viscontea. 


MEMORIE    DI    ARCHITETTURA    DEL    RINASCIMENTO    \    MILANO 


235 


abitudini  normali  della  vita,  pur  di  rispettare  par- 
ticolari esigenze  di  stile. 

In  realtà,  questi  dubbi,  che  possono  sembrare  in 
contrasto  colla  larga  applicazione  delle  forme  del 
passato,  non  sussistono:  l'esempio  delle  case  in- 
nalzate dai  fratelli  Bagatti-Valsecchi  potrà  essere 
eccezionale  dal  punto  di  vista  del  metodo  che  i 
due  patrizi  hanno  seguito,  procurandosi  a  caro 
prezzo  gli  elementi  originali  coi  quali  attuare  le 
loro  composizioni  ;  mentre  la  stessa  passione  per 
le  memorie  di  un'  epoca  che  seppe  accoppiare 
l'eleganza  colla  ricchezza,  non  poteva  a  meno 
di  condurre  al  risultato  di  edifici  i  quali,  più  an- 
cora che  dimora,  sono  da  riguardarsi  come  museo. 
Ma  io  credo  fermamente  che  se  alle  stesse  persone 


col  tramite  di  una  interpretazione  d'oltr'alpi.  Basti 
il  dire  che  i  più  belli  esempi  di  accordo  fra  l'ar- 
chitettura e  la  decorazione  pittorica  nell'  interno 
di  pubblici  e  privati  edifici,  figurano  in  modelli 
eseguiti  colla  maggiore  perfezione  al  South  Ken- 
sington  Museum. 

Milano ,  malgrado  le  ripetute  manomissioni  , 
conta  ancora  una  serie  di  esempi  di  edifici  civili, 
i  quali  ci  permettono  di  seguire  lo  svolgimento 
dell'architettura,  dalle  forme  più  tipiche  del  me- 
dioevo al  più  completo  Rinascimento;  una  serie  di 
esempi  che  nella  varietà  delle  forme  e  dei  metodi 
decorativi  dimostra  quan to  sia  erroneo  il  concetto, 
oggi  in  voga,  secondo  il  quale,  per  raggiungere 
uno  stile  nuovo,  occorra  abbandonare  (igni  tradi- 


CORTILE    DELLA    CASA    ALLEANO!,    ORA     1' 

Fine  del  secolo  XV. 


IN     VIA     BlC.I.I. 


le  quali  hanno,  con  fervido  culto  per  l'arte,  at- 
tuato questo  proposito  di  un  ritorno  al  passato, 
1  fosse  richiesto  un  giudizio  sulla  praticità  di  tale 
attuazione,  anche  dal  punto  di  vista  del  vantaggio 
materiale  che  si  può  raggiungere  dal  logico  im- 
piego di  forme  e  metodi  costruttivi  di  altri  tempi, 
la  risposta  non  mancherebbe  di  essere  in  senso 
favorevole,  ed  essendo  rafforzata  dall'  esperienza 
avrebbe  una  grande  efficacia. 

Ma  lo  strano  delle  condizioni  attuali  dell'archi- 
tettura civile  sta  principalmente  nel  fatto  che, 
mentre  noi  ci  acconciamo  con  eccessiva  facilità  a 
metodi  ed  a  prodotti  costruttivi  importati  d'  oltre 
alpe,  le  nostre  costruzioni  civili  dei  secoli  scorsi 
sono  studiate,  analizzate,  imitate  con  particolare 
cura  dagli  stranieri  ;  per  cui  avviene  talvolta  di 
sentirci  umiliati  vedendo  forme  decorative  tradi- 
zionalmente nostre,  essere  da  noi  accolte  soltanto 


zionc  del  passato,  ogni  metodo  di  riproduzione 
di  forme  già  usate.  In  secolo  solo  s'interpone  fra 
le  forme  schiettamente  medioevali  della  Casa  Bor- 
romeo, e  le  forme  non  meno  schiette  del  Rinasci- 
mento nella  Casa  ora  Ponti  :  e  fra  questi  due 
estremi,  quale  varietà  di  manifestazioni  tutte  ori- 
ginali, tutte  geniali,  sbocciate  dal  saggio  partito, 
non  già  di  rinnegare  le  forme  del  passato,  ma  di 
assorbire  le  tendenze  nuove  ed  assimilarle  poco  a 
poco  nella  tradizione  medioevalc:  la  quale  ha  po- 
tato cosi  raccogliere  i  nuovi  germi,  fecondarli,  raf- 
forzarli, finché  questi  ebbero  vita  propria,  e  la 
vecchia  tradizione  potè  ritenere  compiuta  la  sua 
funzione. 

E'  nella  varietà  delle  forme  olferta  da  quegli 
esempi  che  noi  dobbiamo  attingere  ispirazione  e 
consiglio  per  ravvivare  una  tradizione  che  può 
ancora  rispondere  alle  nuove  esigenze,  può  ancora 


236 


LA    l.LTTURA 


dare  risultati  i  quali,  Don  solo  dal  punto  di  vista 
dell'estetica,  ma  dal  punti)  di  vista  della  logica  e 
della  economia,  dovrebbero  avere  forza  sufficiente 
per  contrastare  il  passo  a  quella  architettura  senza 
carattere  e  senza  dignità,  che  Angelo  Conti  defi- 
niva rei  entemente  «  materiata  di  calcina  e  di  fango, 
ita  di  colori  dubbi  che  imitano  tutte  le  gra- 
dazioni delle  cose  sudine  e  ributtanti,  con  ador- 
namenti che  hanno  l'aspetto  di  immondizie  accu- 
mulate per  ischerno  o  per  dispregio,  dannate  a 
perire  in  pochi  anni,  come  la  fama  dei  mediocri 
che  le  edificarono.  » 

Im  \  Beltrami, 

/\.S".  —  Ai  concetti  suesposti  risponde  nel  modo 
più  lusinghiero  la  determinazione  presa  da  un 
gruppo  di  benemeriti  cittadini,    il    giorno   12  cor- 


rente, allo  scopo  di  conservare  la  Casa  dei  Mi 
glia,  della  quale  la  Lettura  diede  alcune  vedute 
nel  fascicoli)  dello  scorso  gennaio.  l)i  fronte  alle 
gravi  difficoltà  di  piano  regolatore  e  finanziarie 
che  si  opponevano  all'idea  di  restaurare  sul  posto 
quell'esempio  interessante  di  architettura  civile  mi- 
lanese del  secolo  XV,  venne  accolta  la  proposta 
dell'architetto  Gaetano  Moretti,  direttore  dellTf- 
licio  Regionale  pei  monumenti  di  Lombardia,  di 
ricostruire  quella  casa  su  di  un'area  adiacente  al 
gruppo  degli  edifici  monumentali  di  S.  Maria  delle 
lirazie.  Milano  avrà  cosi  un  altro  e  completo 
esempio  della  geniale  architettura  milanese  nel 
periodo  visconteo-sforzesco  ;  nel  quale  edificio  si 
propongono  i  promotori  della  ricostruzione  della 
Casa  Missaglia  di  formare  un  museo  che  ricordi 
la  fama  guadagnatasi  da  Milano  nei  secoli  XV  e 
XVI  nell'industria  delle  armature. 


Cortili-:  della  casa  dei  Grifo,   in  via  Vai  11  irosa. 
Fine  del  secolo  XV. 


4gffil£ 


— 5A.V  ^wC" 


^^^#^^^^^^1 


II  vino  e  la  poesia  del  vino  pre^o  gli  Arabi 


na  delle  più  desiderabili  ed  utili  Antolo- 
gie o  Florilegi  ovvero  Crestomazie,  come 
dicevano  più  seriamente  i  nostri  vecchi, 
sarebbe  quella  nella  quale  fossero  raccolte  da  tutte 
le  letterature,  popolari  o  dotte,  antiche  o  moderne, 
orientali  ed  occidentali,  le  più  belle  poesie  ispirate 
dal  vino,  o  che  del  vino  celebran  le  lodi.  Siffatta 
raccolta  di  canti  bacchici  o  ditirambici  o  simposiali 
(  Weinlieder  o  Trinklieder.  dicono  con  una  sola  pa- 
rola i  Tedeschi),  servirebbe,  tra  altro,  ad  illustrar 
molti  problemi  di  psicologia  popolare  ;  e  potrebbe 
considerarsi  come  il  prodotto  più  sincero  della  poe- 
sia umana  (almeno  per  quelle  genti  che  del  vino,  o 
di  altre  bevande  affini,  hanno  avuto  conoscenza  e 
gusto),  se  dappertutto  ha  valore  il  non  mai  smen- 
tito adagio  :  In  vino  verilas! 

Io  non  so  se  tale  Antologia  siasi  fatta  o  sia  per 
farsi,  jiè  se  altri  abbia  già  compiuto  un  qualche 
studio  comparativo  su  questo  importantissimo  ar- 
gomento. Penso  a  ogni  modo  che  non  riescirà  inu- 
tile preparare  alcun  poco  il  terreno,  perlustrando  un 
piccolo  podere  di  una  zona  tanto  vasta  ;  e  mi  occu- 
però degli  Arabi,  traducendo  alcuni  caratteristici 
canti  simposiali,  specialmente  dal  Delectus  vele- 
rum  carminimi  arabicorum  compilato  nel  1890  da 
Noldeke  e  Miiller,  ed  utilizzando  le  notizie  raccolte 
già  sull'argomento  dal  Perron,  dal  Goldzieher,  dal 
Jacob,  dal  Kremer,  ecc. 


La  vite,  come  oggi  ognuno  sa,  è  pianta  originaria 
dell'Asia  meridionale,  donde  si  diffuse  nell'Africa 
e  nell'Europa.  Le  genti  semitiche  nella  primitiva 
lor  sede  (Mesopotamia  o  Babilonide)  coltivaron  la 
vite,  e  ne  bevvero  il  letificante  liquore;  il  cui  ri- 
cordo trasportaron  poi  attraverso  il  mondo  nelle 
secolari  trasmigrazioni  verso  occidente,  insieme  col 
culto,  se  non  di  Bacco,  certo  della  sua  pianta  (dove 
il  suolo  si  prestava)  e  del  suo  liquido  simbolo,  rac- 
colto nelle  festanti  vendemmie  o  dalle  attese  impor- 


tazioni. Tutte  le  letterature  semitiche  hanno  lodi  e 
biasimo,  inni  e  maledizioni  sul  conto  del  vino,  di 
questo  «  rugiadoso  umore  »,  da  cui  discende  ai  mor- 
tali, giusta  le  parole  del  poeta,  «  il  sapiente  della 
vita  oblio  ».  Per  non  accennar  che  agli  Ebrei,  la 
Bibbia  nel  Vecchio  e  nel  Nuovo  Testamento  ram- 
menta i  pregi  e  le  funeste  conseguenze  della  gra- 
dita bevanda,  dalla  vendemmia  di  Noè  nella  Gerii  a 
agli  ammonimenti  di  temperanza  nelle  Lettere  apo- 
stoliche. Celebri  erano  in  Palestina  i  colli  vitiferi 
eie  vigne  di  Sodoma,  di  lezzael,  di  Sabama  o  Sibma, 
dei  monti  di  Samaria,  di  Abel.  di  Engaddi.  ecc. 
Abbondanza  di  vino,  prega  da  Dio  sul  suo  figliuolo 
Giacobbe,  il  vegliardo  Isacco.  Egli  --  si  dice  dal 
Signore  nei  Salmi  —  rallegra  il  cuor  dell'uomo  col 
vino  ;  e  la  madre  del  re  Lemuel  nei  Proverbi,  pur 
ammonendo  il  figlio  che  non  si  conviene  ai  re  ed 
ai  principi  d'esser  bevitori  di  vino  e  di  cervogia  , 
soggiunge  le  belle  parole:  «  Date  siceram  maeren- 
tibus,  et  vinum  his  qui  amaro  sunt  corde.  Bibant, 
et  obliviscantur  egestatis  suae,  et  laboris  sui  tu  n 
recordentur  amplius  ».  Nel  Cantico  specialmente  ap- 
pare quanto  lo  splendore,  il  profumo  ed  il  gusto  de- 
liziante  del  vino  fossero  cari  all'immaginazione  ed 
al  senso  degli  Ebrei:  indimenticabili  sono  frasi  co- 
me queste:  «  meliora  sunt,  o  pulchriora  sunt 
ubera  tua  vino  ;  —  guttur  tuum  sicut  vinum 
optimum,  ecc.  »  Ma  non  menu  frequenti  sono  i  passi 
dove  si  biasima  il  vino  e  l'ebbrezza,  e  se  ne  mostrano 
gli  effetti  disastrosi.  -  Vinum  et  mulieres  aposta 
tare f aciunt  (Ecclesiastico);  Formicatioet  vimini 
et  ebrietas  auferunl  ''or  (Osea)  ;  ovvero  si  danno 
precetti  di  moderazione  nel  bere:  Bonum  est  vi- 
num et  non  bibere.  --Et  nolite  inebriali  vino,  in 
quo  est  luxuria  ;  —  sed  modico  vino  utere  prop 
stomachum  tuum,  ecc.  -  TI  divieto  assoluto  del 
vino,  prima  che  nell'islam,  trovasi  in  altre  comu- 
nità religiosi-,  specialmente  per  determinate  class1 
'li  cittadini:  i  Bramani.  i  Nabatei,  i  Maniche-,  i 
Xazirei  e  i  Recabiti  nello  stesso  ebraismo.  Per  i  fi- 
gliuoli anzi  destinati  al  nazircato  (Numeri,  VI.  1-8). 


238  LA    LETTI  RA 

pare  che  anche  alle  madri  loro  nel  periodo  ili  gra- 
vidanza  I  del  vino:  Cave  ergane 

vinum  bibas  ac  siceram,  dice  I  angelo  alla  madie  di 
oro    nasci! 


II. 


Le  bevande  conosciute  dagli  Arabi  del  deserta 
tre:  I  .  il  latte  di  cammello,  o  'li  capra,  o  ili 
ovvero  conservato  ed  acidulo;  IL, 
l'acqua  più  pregiata  del  latti',  per  la  sua  scarsezza, 
quasi  sempre  sudicia  e  melmosa;  assai  di  raro  fre- 
limpida  ;  ila  ultimi',  anche  più  raro  e  più  pie- 
.  il  \iii".  Preparavasi  vino  da  diversi  prodotti: 
dall'uva,  dai  datteri,  dal  miele  (idromele),  dal  fru- 
mento e  dall'orzo  (birra).  La  produzione  dell'uva 
ii  la  cultura  della  vite  era  assai  scarsa  in  Arabia, 
a  causa  di  quella  temperatura  tropicale.  I  geogran 
registrano  il  numi-  di  alcuni  rolli  vitiferi  (Bacclius 
amai  e  olle  s,  ha  detto  il  georgieo  Vergilio)  sorgenti 
qua  e  là  nell'arida  penisola:  le  colline  di  Taif,  di 
Shibàm  ,n\  ovest  di  Sana,  qualche  rara  altura  del 
I  i-  del  Bahrain,  ecc.  Il  vino  era  dunque  un 
genere  d'importazione  e  anche  di  lusso,  come  ve- 
dremo, per  gli  antichi  abitatori  del  deserto:  veniva 
per  mare  sulle  coste,  0  per  via  di  carovane  dalle 
vinifere  di  Siria  e  di  Babilonia  -.  da  Androna, 
ila  Ana  sull'Eufrate,  da  Basra,  da  Sarkhad,  dalle 
dui-  Bait  Ras  sul  Giordano  e  presso  Aleppo,  da  Al 
Khuss  nei  dintorni  della  storica  Badesia,  ecc.  Il 
monopolio  della  importazione  era  quasi  esclusiva- 
mente in  mano  ai  Giudei,  che  percorrevano  in  tutte 
le  direzioni  il  deserto:  portavan  anche  vestiti  e 
Kuhl  (antimonio,  per  cosmetico  agli  occhi  o  cclli- 
rio):  andavan  da  un  accampamento  ad  un  altro, 
drizzava!]  la  loro  bettola  ambulante  nelle  fiere  so- 
ii  o  mercati  sacri:  eran  mercanti,  medici,  arma- 
iuoli, veterinari,  e  venivan  designati  col  nome  di 
tàgir,  ''he  vuol  dir  mercanti,  ma  in  origine  special- 
mente  ni.  rcanti  di  vino.  Trasportavasi  in  otri  e  va- 
lutatisi variamente,  talvolta  scambiavasi  un  otre 
di  vin<>  con  un  cammello  da  tre  anni,  talvolta  pa- 
gavasi  ron  destrieri,  giumente  o  schiavi,  od  anche 
con   monete  coniate. 

I  nomi  dati  al  vino  tra  gli  Arabi  preislamitici,  e 
rawissuti  poi  nella  società  mussulmana,  nono- 
stante Il  divieto  sacro,  erano  quasi  innumerevoli: 
per  lo  piii  erano  aggettivi  designanti  qualità  speci- 
fiche, gradazione  di  forza,  di  colore  o  di  aroma, 
poi  acquistavan  valore  di  altrettanti  sostantivi. 
Si   ebbi  il   hmpnìo.    il   caldo,   il   rinforzato,    il 

karkaf  che  dava  il  delirium  tremens,  il  benefacente, 
il   vecchio,    ['invecchiato,   {'irritante,    il  chiaretto    o 
chiarificato,   il  por/a/o  da  tonfano,  il   ben  maturalo, 
il   bianchetto  o  rosso  chiaro,    la  lacryma  Christi,  il 
vino  vergine  o  di  primo  succo,  il  ma'  zibìb  o  «  ac- 
qua di  zibibo  »,  che  rìcavavasi  cioè  dall'uva   pa- 
li colore  predominante  ira  però  il  rosso: 
da   mii-z  :/,/,/    0  «  sangui-  dell'otre  i>.  word    0    «  ro- 
i'  che  il  poeta    assomigliava  al  zafferano  o  al 
-  Ila.    Bevevasi  per  lo  più  tni 
lato  con  acqua  con  mieli   d'api,  sia  |>er  mi- 

sura economica,  sia  per  evitar  il  capogiro  e  l'emi- 


crania: profumavasi  anche  artificialmente  col  mu- 
schio, e  talora  formavasene  un  pondo,  infonden- 
dolo in   acqua  calda   aromatizzata  con  spezie. 

Il  vino  costituiva,  per  l'egoismo  materia 
dei  beduini,  insieme  con  la  voluttà  dell'unione  ses- 
suale, al  atyàbàn  o  o  le  due  cose  saporite  »,  i  due 
elementi  di  piacere  che  interrompevano  per  l'abita- 
tore del  deserto  la  monotonia  desolante  della  sten- 
tata e  pallida  sua  esistenza.  Bere  il  vino  era  un  ele- 
mento indispensabile  della  muruivwa  o  virtus  pa- 
gana; e  a  dispensatile  di  vino  »  reputavasi  una 
lode  caratteristica  dell'eroe  nazionale,  del  cavaliere 
senza  macchia  e  senza  paura,  del  perfetto  genti- 
luomo insomma.  Negli  elogi  autobiografici  che  ogni 
più  gran  poeta  fa  di  sé  stesso,  non  manca  mai  l'ac- 
cenno ai  calici  tracannati  in  compagnia  dei  sozii: 
anche  perchè  reputavasi  il  vino  qual  suscitatore  di 
generosi  moti  nell'animo,  debellatore  dell'avarizia, 
maestro  delle  garbate   maniere. 

«  Quand'io  ho  bevuto  vino  (dice  Antora),  pongo 
in  giuoco  i  miei  averi,  e  copioso  diventa  il  mio  ono- 
re,   né  può   venir  oltraggiato  ». 

Amr  figlio  di    Kulthùm: 

«  Tu  vedi  che  l'avaro  spilorcio  diventa  generoso, 
quando  a  lui   arriva  il  circolar  dei   bicchieri  ». 

lmrulqays  : 

«  Tu  sei  perituro,  goditi  dunque  il  mondo!  Cra- 
pula e  belle  femmine,  bianche  come  le  gazzelle  e 
brune  come   le  statue  degl'idoli!  » 

Al  Ashà: 

ci   Xel    ripostiglio  di   quanti   calici    colmi  dì  vino 
sfavillante   come  occhio  di  gallo,  io  entrai  la  mat- 
tina .   insiem  con  giovani  valorosi  ,  mentre   suona 
van  le  campane!  » 

«  Vino  puro,  color  di  zafferano  e  sangue  di  dra- 
go, che  mescesi  nelle  coppe,  e  poi  si  taglia  «  con 
acqua  ». 

«  Spargeva  nella  casa  un  aroma  penetrante  di 
muschio,  come  quello  che  le  carovane  apportano  dal 
mar  di  Dàrìn  ». 

Tarala  : 

—  «  Se  tu  mi  cerchi  nell'assemblea  della  tribù, 
tu  mi  trovi  ;  e  se  mi  dai  la  caccia  nelle  bettole,  tu 
mi  acchiappi  ». 

Queste  bettole  0  cantine  del  deserto  sono  freqUi  n 
temente  descritte  dai  poeti  beduini,  i  quali  si  van- 
tano d'averci  passati  interi  i  giorni  in  lieta  compa- 
gnia, trincando  e  gozzovigliando,  seduti  su  tappeti 
artisticamente  lavorati,  sui  quali  eran  rappresentati 
leoni  e  pollame  e  n  tutte  le  possibili  cose  >■.  dice 
uno  fra  essi.  Il  Jacob  osserva  che  possiam  rappre- 
sentarci questi  rustici  celiai  come  altrettante  botte 
gucce  di  forma  quadrata,  con  in  fondo  una  specie 
di  riposto  separato  da  una  cortina.  Il  vino  conserva- 
tisi negli  otri  e  in  boccie  o  brocche  dalla  base  pan- 
ciuta e  piatta  mezzo  sepolta  nel  suolo,  e  chiuse  alla 
bocca  con  terra  citta  sigillata.  Da  questi  recipienti 
si  ricolmavano  poi  i  bianchi  boccali  che  avean  la 
forma  di  oche  o  di  gazzelle,  a  quel  che  ne  dicono  i 
poeti  ;  eran  incoronate  da  odoroso  basilico  ed  ave- 
vano in  cima  una  specie  di  filtro  o  colatoio  di  lini  : 
ovvero  se  ne  riempivano  le  qulal  o  qilàl,  specie  di 
giare  o  mezzine  di  argilla  porosa    Sfescevasi  poi  il 


IL    VINu    E    LA    POESIA    DEL    VINO    PRESSO    GLI     \.RABI 


vino  per  bere  nelle  ciotole  che  potevan  essere  di 
legno,  ovvero  nei  calici  o  bicchieri  di  vetro,  versan- 
done per  lo  più  sino  a  mezzo,  e  poi  riempiendoli 
con  acqua:  ciò  che  dicevasi  tagliare  o  ferire  od  uc- 
cidere il  vino.  Nei  conviti  dei  gran  signori  o  delle 
corti  usavansi  coppe  o  calici  d'argento:  mes 
un  coppiere,  con  le  punte  delle  dita  tinte  di  firsàd, 
abbigliato  donnescamente,  con  orecchinoli,  girando 
tra  i  convitati  balbettanti  dall'ebbrezza,  che  gli  gri- 
davan  hàti  (dà  qua!),  e  colmando  il  secondo  bic- 
chiere quando  il  primo  non  era  ancor  vuoto.  Ma  i  |ue 
sto  era  lusso  nemmen  sognato  nelle  sudicie  hawànìt 
o  bettole  del  deserto,  la  cui  insegna  par  fosse  un 
ramo  verde  o  una  banderuola,  che  si  strappava  giù 
dai  delusi  clienti,  quando  il  vinaio  avesse  esaurito 
la  sua  provvigione.  Ma  finche  vino  ci  fosse,  si  fa- 
ceva baldoria  notte  e  giorno.  Il  trincar  mattutino, 
era  il  più  gradito  dai  fortunati  che  avessero  il  mez- 
zo di  procacciarsi  il  costoso  liquore.  All'alba,  quan- 
do le  «  biasimatrici  »,  cioè  le  mogli  brontolone  ed 
arcigne,  non  s'erano  ancor  levate,  i  beoni  accorrevano 
alla  hànùt  a  rinfrescarsi  l'uzzolo,  e  davansi  bel  tem- 
po cioncando  e  ascoltando  il  canto  della  qayna  o  can- 
tatrice.  che  per  lo  più  abbelliva  della  sua  presenza 
e  della  sua  voce  siffatti  ritrovi.  Eran  queste  le  povere 
e  spregiate  etère  del  deserto,  che  cantavano  accom- 
pagnandosi con  cembali  o  con  istrumenti  a  corde  ; 
il  loro  monotono  canto  somigliava,  dicono  i  poeti, 
al  ronzìo  delle  mosche  sopra  un  campo  coperto  di 
verzura,  e  veniva  ricompensato  dagli  estatici  ascol- 
tatori con  mancie  e  doni,  talvolta  del  mantello,  che 
si  gettava  loro  sopra.  Il  poeta  Hassàn  figlio  di  Thà- 
bit,  in  un  racconto  riportato  daWAganì,  narra  di  a- 
veme  viste  dieci  di  tali  cantatrici  :  «  cinque  greche, 
che  cantavano  alla  maniera  dei  Greci,  con  accompa- 
gnamento di  arpe  ;  ed  altre  cinque  che  cantavano 
alla  maniera  della  gente  di  Hira  ».  La  qayna  non 
poteva  certo  far  la  pudica  con  quei  rozzi  figli  del 
deserto;  dei  quali  il  poeta  Tarafa  nella  sua  Mual- 
ìaqa  descrive  gli  osceni  commenti  e  le  lihertà  che  si 
permettevano  su  di  lei,  «  molli  tenuique  corpore, 
cum  vestes  exuerit,  praedita  ».  I  sozii  avvinazzati 
le  gridavano  «  asmiìnà  »  (facci  udire!),  e  tacevano 
ascoltando,  sonnecchiando,  con  gli  occhi  rossi  e  im- 
bambolati ;  oppure  canticchiavano  anch'essi  oscene 
canzoni  satiriche,  accompagnandosi  con  flauti  fatti 
di  canna  forata  e  con  nacchere  a  sonagli.  Il  puti- 
ferio e  lo  schiamazzo  che  ne  nasceva,  è  da  Antara 
e  da  altri  poeti  assomigliato  al  nitrir  del  cavallo  di 
battaglia.  Altra  volta  gli  ubbriachi  eran  presi  da 
subite  commozioni  di  tristezza,  e  piagnucolavano  la- 
mentandosi. Labìd,  descrive  il  raglio  dell'onagro,  o 
asino  selvatico,  lo  dice  simile  talvolta  : 

—  Al  lagno  piagnucolante  di  un  beone,  a  cui 
sia  arrivato  di  sera  vecchio  vino  babilonese  entro  an- 
fore ; 

quand'egli,  dopo  averne  tracannato,  rammenta  i 
suoi  affanni,  e  lo  agita  un  vino  chiarificato  con  pura 
acqua  piovana. 

Non  si  creda  per  altro  che  la  incontinenza  nel 
bere  passasse  tra  gli  Arabi  preislamitici  per  incon- 
testata virtù,  al  contrario,  l'eccesso  era  riprovato  e 
attribuito  a  difetto  nelle  satire  personali   contro  il 


239 

nemico.  E  famoso  l'esempio  di  quel  Barràd,  susci- 
tatore della  seconda  guerra  sacrilega,  il  quale  fu 
solennemente  scomunicato  dalla  sua  propria  tribù. 
perchè  rollo  al  bere  e  alla  dissolutezza.  In  alcune 
particolari  circi  istanze,  'piando  (osse  in  lutto  per  la 
morte  di  un  congiunto,  ovvero  gl'incombesse  il  do- 
vere sacro  del  tha'r  (vendette  di  sangue),  anche  il 
Beduino  s'asteneva  dal  bere,  come  per  un  precetto 
religioso;  finché,  compiuto  il  suo  obbligo,  ei  non  po- 
tesse dire  ìlallal  li  a!  Khamr  (il  vino  mi  è  permesso). 
Ma  sino  a  quel  momento  si  era  sicuri  ch'egli  non  ri- 
metteva piede  nella  hànùt. 


ili. 


Ouesta  temporanea  limitazione  tradizionale  fu 
trasformata  dall'isiàm  in  un  assoluto  e  general  di- 
vieto, mediante  restrizioni  a  volta  a  volta  maggiori. 
Ecco  qua  tutti  i  passi  qoranici  che  trattan  del  vino 
ti  adotti  e  disposti  nell'ordine  cronologico  che,  fis- 
sato già  dagli  antichi  commentatori  e  tradizionisti, 
è  riconfermato  dagli  studi  del   Nòldeke. 

I.  —  Tra  i  segni  della  generosità  e  della  onni- 
potenza divina.  Maometto  nella  sùra  XVI  (mecca- 
na,  della  sez.  C),  enumera  parecchie  utili  bevande, 
l'acqua,  il  latte,  il  miele  ed  anche  il  vino,  nella  ma- 
niera seguente: 

«  Dai  frutti  delle  palme  e  della  vigna  voi  ricavate 
un  liquore  inebbriante  (lett.  ebbrezza),  è  un  pasto 
gradito.  Certo  ve  in  questo  un  segno  (od  argo- 
mento della  divina  provvidenza),  per  la  gente  che 
intende  ».  (v.  69). 

IL  —  «Essi  (cioè  gli  Arabi,  o  piuttosto  i  Mi: 
sulmani)  interrogheranno  intorno  al  vino  ed  al  gioco 
del  maysir.  Rispondi  :  In  entrambi  è  grande  ne- 
quizia. Sono  giovevoli  per  gli  uomini  ;  ma  più  gran- 
de ancora  che  la  loro  utilità  è  la  loro  nequizia  ». 
(Y.  216  della  sùra  II  medinese,  composta  nell'anno 
II  della  egira:  7  maggio  623-26-aprile  624  di  Cri- 
sto, poco  prima  il  combattimento  di  Badr). 

III.  —  «O  voi  che  credete,  non  v'accostate  alla 
preghiera  mentre  siete  briachi  ;  ma  attendete,  finché 
sappiate  quel  che  dite  ».  (V.  46  della  sùra  IV  medi- 
nese. dettata  fra  l'anno  III  e  V:  per  il  versetto  in 
questione,  assai  probabilmente  prima  dell'anno  IV: 
15  aprile  625  —  3  maggio  626). 

IV.  —  «0  credenti,  per  certo  il  vino,  il  gioco  del 
maysir,  le  statue  degl'idoli  e  le  frecce  divinatorie 
sono  un'abominazione,  una  delle  opere  di  Satana. 
Or  astenetevene,  acciocché  viviate  felici. 

«  Satanasso  non  vuol  altro  che  destar  fra  di  voi 
la  inimicizia  e  l'odio  per  mezzo  del  vino  e  del  maysir. 
e  così  distogliervi  dal  rammentar  Dio  e  dalla  pre- 
ghiera. Non  ve  ne  asterrete  dunque?  Obbedite  a  Dio, 
obbedite  all'Apostolo,  e  state  in  guardia;  che  se  de- 
vierete,  sappiate  che  il  nostro  Apostolo  non  ha  altro 
dovere  di  annunziar  chiaramente  (la  legge  di  Dio)  ». 
(V.  92-93  della  sùra  V  medinese,  composta  per  que- 
sta parte,  tra  l'anno  IV  ed  il  VI,  probabil mente  nel 
mese  rabì  I:   dell'anno  IV). 

Da  questi  passi  fedelmente  tradotti,  appare,  ad 
esaminarli  con  attenzione,  che  Maometto  non  emise 
mai  un  divieto  esplicito  e  categorico;   forse  pei 


2  |o  LA    LETTURA 

facilmente  prevedeva  di  non  putir  essere  in  ciò  del 
tutto  obbedito  né  volentieri  ascoltato  dai  Moslemi. 
In  senso  infatti  non  assoluto  intendono  questa  proi- 

ne  ali-uni  commentatori  qoranici,  quali  Galàlad- 
«lin  e  Zamakhsharì,  ma  solo  come  riferentesi  all'i 

are;  noi  ni  re  ali  i  i,  ad  i-sem- 
pio,  Jahya,  asseriscono  .1  \ <  r  il  Profeta  proibito  il 
vino  tanto  in  grandi-  misura  che  in  piccola»  E  que- 
sta seconda  opinione  prevalse,  almeno  in  ti 

L'apparente  motivo  che  indusse  Maometto  a  ban- 
dire il  vino  dall'uso  dei  Moslemi  fu,  secondo  il  Qj 

udì    esso  insieme  col  gioco  d'azzardo 
un'ii  i  diabolico,  serviva  solo  a  far  nascere 

ra  i  i  redenti,  distogliendoli  lai  loro 
ligiosi.  Ma,  c'unir  osserva  il  Jacob,  ia  moti- 
vazione del  Profeta  si  rivolge  ai  eredenti  e.  sebbene 
vera  in  parte,  non  pare  sufficiente:  tanto  più  se  si 
considera  ch'essa  è  in  aperta  contraddizione  col  pas- 
so  meccano  della  sùra  XYI  dove  invece  «  il  frutto 
delle  palme  e  della  vigna  »  è  presentato  come  dono 
e  argomento  di  divina  provvidenza.    Perciò  i  cóm 

atori    sentironsi    indotti    e  quasi    autorizzati     a 

r  altre  ragioni  che  confortassero  e  afforzassero 
quella  unica  addotta  dal  Profeta  a  legittimare  sì 
rigorosa  limitazione,  intollerabile  specialmente  alla 
indocilità  edonistica  dei  Beduini.  Dalle  fanta- 
sticherìe angelologiche  dei  Persiani  trassero  una 
fiaba  sugli  amori  dei  due  angeli  Ann  e  Manu  (già 
menzionati  nel  Qorano)  per  una  figlia  della  terra, 
che  aveva  loro  offerto  del  vino  «  Quamobrem  (leg- 
gesi  nella  Doctrina  Mahumeti,  tradotta  dall'arabo 
e  stampata  insieme  col  Qorano  a  Basilea  Fanno 
15501,  inibente  Deo,  appensi  sunt  per  catenas  ferreas 
per  pedes .  demissis  capitibus,  in  puteo  quodam 
Babvlonis.  ita  usque  ad  diem  [udicii  permansurì  ». 
Il  qual  esempio  della  divina  giustizia  avrebbe  in- 
dotto il  Profeta  dell'isiàm  a  predicar  l'assoluta  proi- 

>ne  del  fatale  liquore.  Tralascio  le  altre  più  ridi- 
cole fiabe  inventate  dai  volghi  d'Oriente  e  poi  d'Oc- 
cidente, a  legittimare  od  almeno  a  spiegarsi  siffatto 
divieto,  e  citerò  le  più  probabili  ragioni  addotte  da- 
gli eruditi  moderni,  riconoscendo  non  essere  am- 
missibile l'antipatia  personale  di  Maometto  0  citila 
sua  tribù  verso  il  vino,  da  aletmi  addotta  a  tal  ri- 
guardo, e  del  resto  rammentando  che  le  descrizioni 
del   Paradiso,  occorrenti  frequentemente  nelle  sùre 

'■ane,  fanno  larga  parte  ai  simposi!  del  liquore 
letto,  corrispondono  anzi  per  alcuni  tratti  ìlle 
hanawit  ed  alle-  orgie  descritte  dagli  antichi  poeti. 
Il  Marraccio  dunque  crede  che  Maometto,  pur  imi- 
tando nella  proibizione  del  vino  alcune  sette  ereti- 
che contemporanee  diffuse  nell'Asia  occidentale  (gli 
I  uarii,  i  Cataristi,  gli  Encratiti,  i  Severiani),  vi 
si  fosse  indotto  con  il  line  che  i  Moslemi  fossero  più 

iti   e  sjH-diti  nelle  battaglie,  ed  anche  a   fine  di 

r  l'enormi  spese  ni  ad  approvvigionare 

l'esercito  di  una  b  cosi  cura.  Ma  più  retta- 

menti  parmi  spieghi  la  cosa  il  Jacob;  il  quale,  no- 
prìmi  1  aca  nm  1  al  di\  ii  to  del  vino 
(contenuto  nella  sùra  II  v  :i'ii.  collegavasi  crono- 
logicamente con  le  prime  ostilità  di  Maometto  con- 
tro i  Giudei  d'Arabia,  e-  la  proibizione  definitiva 
della   sùra   V   cade  appunto   nel    perìodo  'li    aperta 


guerra  eli    sterminio  contro  di    essi  ;    intende    il   di- 
vieto  come   una   rappresaglia   0  piuttosto  una  mi- 
sura militare  di   guerra  guerreggiata;    misura 
rata   da  due  principali   molivi:    mici  n'oiioniico,  per 
boycottart    (com'oggi   si    direbbe)  un  traffico  il    aù 
monopolio  era  quasi   per  intero  nelle  mani   dei    Giu- 
dei;  l'altro  religioso,  per  impedire  che  nelle  // 
vht,  tenute  per  lo  più  da  bc  tt oberi  giudei  o  cristiani, 
si  tacesse  propaganda  contro  l'isiàm  e  opera  di  pn 
Si  litismo  in  prò  delle  due  religioni   nemiche. 


IV. 


A  ogni  modo  la  proibizione  qoramica  parve  agli 
Arabi  di  una  severità  angustiarne  e  insopportabile, 
non  tanto  ixer  la  cosa  in  sé  (che  pochi,  già  vedemmo, 
eran  tra  essi  i  fortunati,  i  quali  potessero  permettersi 
il  lusso  del  vino),  (pianto  per  l'idea  d'una  privaz'n 
imposta  loro  per  ragioni  ascetiche,  a  cui  tutto  il  li  ro 
modo  di  pensare  era  assolutamente  refrattario.  Co- 
me mai  infatti  poteva  nella  dura  e  indomita  cervice 
del  beduino  penetrar  la  persuasione  che  il  vino,  cele- 
brato dai  suoi  poeti  nazionali,  stimato  dai  padri  e 
dagli  avi  antichissimi  qual  incentivo  alla  virtù,  al- 
l'onore ed  alla  generosità,  dovesse  or  ritenersi  ci 
abbomìnevole  trovata  dello  Shaytàn,  o,  secondo  la 
espressione  prediletta  dei  Teologi  posteriori,  quale 
um  al  kabàir?  cioè  «madre  elei  più  grandi  peccati»? 
Dovranno  ancor  passare  ben  molti  secoli,  prima 
dalla  vita  e  dalla  letteratura  venga  a  poco  a  poco 
cancellata  la  aspirazione  e  la  lode  in  onor  del  vino. 
Nella  poesia  specialmente  la  descrizione  dei  simposii 
era  diventata  tanto  indispensabile,  che  si  riproduce 
tra  i  contemporanei  stessi  di  Maometto,  nei  vi 
dei  suoi  panegiristi  medesimi.  Ecco  qua  1  introdu- 
zione a  una  qasìda  di  Hasràn  f.  di  Thabit  in  me- 
moria della  espugnazione  della  Mecca  (anno  YIIT 
1  maggio  629-20  aprile   630). 

«  ...  Chi  mi  aiuta  contro  l'apparizione  di  una 
donna  dalle  chiome  fluttuanti,  che  mi  tien  li- 
neila notte  profonda,  che  mi  soggioga,  e  che  ha  fe- 
rito il  mio  cuore  d:  una  piaga  insanabile,  con  una 
bocca  deliziosa  come  vecchio  vino  di  Bayt  Ras  me- 
scolato con  acquaecon  miele?  E  giacchi'-  si  fa  parola 
di  beveraggi,  essi  debbon  tutti  cedere  al  buon  vino. 
A  questo  noi  attribuiamo  la  colpa,  quando  abhi am 
commesso  qualcosa  di  sconveniente,  sia  nelle  zuffe 
che  nei  litigi.  E  seguitiamo  a  bere,  e  il  vino  ci  fa  di- 
ventare  prìncipi  e  leoni,  cui  nessuna  pugna  spa- 
venta...  ». 

Se  l'autenticità  di  questa  qasìda  non  è  molto  si- 
cura, nondimeno abbiam  qui  sempre  una  prova 
serva  il  Goldzieher  -  -  del  fatto  che  la  coscienza  po- 
polare dei  primi  tempi  non  era  per  nulla  scanda- 
lizzata dal  trovar  menzione  del  vino  e  della  ebbrez- 
za in  una  poesia  religiosa.  I  p  et  i  1  he,  o  «ne  Hassàn, 
al  Astia,  I.ibid.  ecc.,  avevan  vissuto  parte  della  1  r 
vita  nella  Gàhiliyya,  nella  gaia,  spensierata  e  libera 
età  delle  Barbarie;  or,  pur  piegandosi 
la  rivelazione  di   DÌO  sul  halàl  wa  haràm.  su  quanto 

lecito  e  proibito,  non  potevan  fare  a  meao 

di  sospirare  tratto  tratto  verso  il  bel  tempo  passato, 
verso  gli   anni   lontani   trascorsi   alle  corti    dei   prin- 


IL    VINO    E    LA    POESIA    DEL    VINO    PRESSO   GLI    ARABI 


m 


pi  di  Gassàn  e  ili  Hira  o  s.  tt"  le  teiuie  di  i  gì 
rosi  eroi  del  deserto,  banchettando  ed  inaffiando  il 
palato  del  vino  smagliante,  che,  secondo  l'espres- 
sione d'uno  fra  essi,  «  occupa  il  dorso  e  i  piedi  ». 
Si  leggano  i  seguenti  versi  graziosissimi  di  un  altra 
qasìda  composta  dal  medesimo  Hassàn: 

—  Oh  con  qual  comitiva  banchettavo  io  un  gior- 
ni in  Gilliq  nel  tempo  lontano'.... 

—  Essi  ilavan  da  bere  a  chi  venisse  a  loro  acqua 
limpida  del  fiume  Baradà  mescolata  a  vin  puro  ; 

—  davano  a  bere  vino  annoso,  e  le  loro  figlie  al 
mattino   non   stavano  a    pestar  coloquintidi  : 

—  bianche  di  viso,  dal  nobile  nome,  ben  compo- 
ste  'li    naso,  eoli  antichi    ricami   (?).. 

—  Che  se  tu  vedi  aver  adesso  il  mii  |  per  la 
canizie  mutato  colore,  e  sia  divenuto  -  ..e  la 
secca  biancastra  erba  thigàm  ; 

—  fu  un  tempo  quando,  chi  mi  minacciasse,  ve- 
devano pronto  e  sicuro,  come  tossi  nel  castello  di 
Duma  o  delitto  la  rocca  di  Haykal. 

—  Già  ne  ho  bevuto  vino  nelle  loro  bettole,  cla- 
retto inno  col  profumo  del  pepe. 

—  Affaccendavasi  attorno  a  me  un  garzone  da- 
gli orecchioli  col  suo  calice,  e  mi  mesceva  la  seconda 
volta,  mentre  non  ancor  avevo  Mutato  la  prima. 

—  (Talvolta  io  gli  diceva:  )  —  Quel  che  mi  hai' 
dato  e  che  ho  rifiutato,   è  vino  ucciso  (cioè  annac- 
quato) :  possa  tu  morir  ucciso  !  Or  dammene  che  tu  n 
sia   morto  (cioè    del   puro). 

—  Son  tutt'e  due  (cioè,  vino  ed  acqua)  latte  di 
spremuto  umore  (dall'uva  O  dalla  nube):  ma  or 
porgimi  un  bicchiere  di  quello  fra  essi  due  che  più 
-    i  glie  la  lingua  : 

—  un  bicchiere  che  ballonzoli  con  quel  che  ha  nel 
sui  fondo,  come  ballonzola  la  cammei  la  cavalcata 
da  un  che  abbia  fretta. . . 

Questa  ed  altre  tracce  del  mondo  pagano  soprav- 
vissero ancor  per  lungo  tempo  nell'isiàm,  or  conti- 
nuate alla  chetichella  nella  intimità  della  vita  pri- 
vata, or  camuffate  e  travestite  (attribuendo,  p- 
sempio,  alle  lodi  del  vino  nella  poesia  un  semplice 
valore  storico  e  tradizionale),  ora  finalmente  Si 
nule  a  viso  aperto  in  barba  alla  legge  qoramica  ed 
alle  disposizioni  penali,  in  specie  nell'età  (piasi  mez- 
zópagana  e  tollerante  degli  Ommiadi.  Non  man- 
caron  casi  di  chi,  messo  con  le  spalle  al  muro,  pref  ri 
di  farsi  cristiano  anzi  che  rinunziar  pei  sempre  al 
vino:  ''osi  avvenne  del  generoso  Rabia  f.  di  Umayya 
sotto  il  califfo  Uthmàn  ;  mentre  un  altro  fieri  b 
duino,  costretto  dallo  zelante  Umar  a  separarsi  dalla 
propria  moglie  (sposata  nell'età  della  Gàhiliyya  roti 
nozze  che  l'isiàm  riteneva  incestuose)  e  smettere  di 
bere  il    vino,  diceva  : 

—  Per  tutto  quel  che  mio  padre  reputava 
giuro:    In  verità  (una  religione»  che  con  la  vio- 
lenza mi  separa  da  Malika  (la   mia  sposa),   è  una 
grande  infamia. 

—  Non  mi  preme  più  nulla  di  quel  che  il  De- 
stino apporti,  dappoiché  mi  si  pi  Malika  "1 
il  vini  i  '. 

L'ostinata  caparbietà  dei  Beduini,  assolutamente 
refrattari  allo  ascetismo  pietistico  dell'isiàm,  ci 

La  Lettura. 


ga    anche    quell'altro    cui     -      fa  irati     da 

Mas' udì  nelle  Praterie  d'oro,  di  quella  tribù  che  mm 

,  bevuto  vino   allorché  era  permessi   .   ma  dal 

■  mento  che  «  la  proibizione  venne  dal  cielo  »  non 
,-i    ni    Fu  più  uni    i  hi    si  serbasse  tem]  eranti . 

I   primi  calili.  Umar  (634-644)   specialmente,  fu 
rigidi   nel   mantenere    in   vigore   il    'Ionie   'l'i 
vino,  adoperando  spi  nezzi  violenti  e  punizioni 

esemplari.  Racconta  Jbn   Hishàm  nella  Vita  </< 
posto       (cii       di  Mai  un  ilio  : 

«  Umar,  emiro   dei   crei  tetto  di 

Maysàn  (presso    Basra)   Numàn  figlio  di  Adi, 

hio  dell'isiàm  fin  dal  tempi  dei  rifugiati  in  A- 

bissinia  ;  il  quale  dissi  : 

—  Non  e  stato  uh  rito  a  mia  mog  <  Hasnà,  che 
a  suo  marito  si  m<  sce  da  bere  in  calici  di  vi 

\erdi  1»  c'ali  ? 

—  Quando  io  ne  ho  voglia,  cantano  'lavanti  a 
me  i  capi  del  paese,  mentre  una  danzati  ce  sta  ritta 
sulla  punta  de,  piedi  acuti  a  me  canterii. 

—  Se  tu  mi  sei  buon  sozio  nel  bere,  mescimi  nel 
più  capace  bicchiere,  non  nel  più  piccolo  0  slab- 
brato. 

Forse  all'Emiro  dei  'redenti  dispiacerà  di  sa- 
pere che  noi  cionchiamo  nel  diruto  castello. 

Or  quando  i  suoi  versi  furon  raj  id  Umar, 

[uesti  disse:  sì,  per  Allah!  che  mi  spiace;  e  lo  de- 

E  quando  Numàn  s'a]  :  lui.  1  ei 

do  d'iscusarsi,  disse:  In  verità,  io  non  ho  nulla  fatto 
di  quel  che  hai  appreso:  l'ho  detti  si  Itanti 
io  sono  poeta,  ed  ho  largheggiato  in  abbellimenti  di 
le.  Ma  Umar  ripn  se:  Giuro  per  Allah,  che  tu 
non  reggerai  più  una  prefettura,  finché  io  viva,  dac- 
ché hai  detto  quanto  hai  detto  ». 

Questo  rigore,  mitigato  già  da  l'Ilmann.  il  terzo 
alito,  divenne  anche  più  rimessivo  sotto  la  tolle- 
rano a  degli  Ommiadi  (66i  ;;o>:  e  i  poco 
oti  Mosleiiii  trovarmi  facilmente  modo  di  far 
tacere  i  propri  scrupoli.  In  una  ica  narra- 
zione dall'Agoni,  il  celebre  eroe  Ami  figlio  di  M 
karib.  per  lare  dil  :  scrupoli  dall'animo  di 
un  suo  commensale  che  1  ber  A  ini  .  gli 
questo  curioso  ragionamento:  «  Sappi  dunque  che 
io  In.  letto  tutto  quel  che  v'e  da  li  Ha  prima 
all'ultima  pagina  del  sacre  Testo     ma  non  hi 

ato  1  he  vi  sia  proibito  il  vini     Si 
ti   :   «    V  11   vi    ne  asterrete  voi  >  »  (s    ra  "\    nel 
su  riportati  I.   Noi  due   rispi 

ida:  Nossij  ai  re  ;  a  che  1  »io  ha 
anche  abbiamo  taciuto.  Bi  n  ssim  1 
il  suo  compagno,  ben  1  ier  confuti 

nero,  cantaron  canzoni  e  trincarono  sim 
si,  Uyayna  lava  dal  suo  • 

questi   versi: 

Tu  hai  detto  ch'egli  è  permess 
lare  i  bicchieri  ricolmi  di  un  vino   scintillante  1 
baleno  in  buia  notte. 

Tu  hai  addotto  «  un 

che   riconduce  sulla   re 
bene  indirizzato. 

—  Tu    sei,  per  Ti  sul  celesti 

16 


242 

trono!  un  buon  esemplare,  a  cui  appellarsi  quan- 
do il  bacchi  itone  ci  vuol  tratt»  ner  da] 

Con  la  sentenza  di  Abù  Thaur  (cioè  di  Amr) 

il  divieto  del  vino  è  al ;ato;  e  la  sentenza  di   Vbù 

'!  haui      importante,  fondata  su  i  erta 

L'n  .ilt r. >  poeta  bacchico,  anche  dell'età  ommiade, 
Abùl  Hindi,  compone  pei   sé  questo  epitaffio: 

Una  vita  morto,  fatemi  un  lenzuolo  funebre 
di  tralci  ili  vile,  e  seppellitemi  in  un  torculare. 

D  nteresse  è  la  notizia  conservata  nel- 

V Agoni  di  una  gaia  compagnia  di  beoni,  costituitasi 
tra  1  e  immedia  amente  posterii  ni  a  Mai 

metto:  specie  di  club  goliardico,  ili  cui  <  ra  socio  un 
lì^li,.   del  pio   Alm  Avvilii  .ii    \  11  -i  1 1    11  degenere 
ripose  un  epigramma   trinoatorio,  tradotto 
dal  Goldzieher: 

Mescimi  dunque  nel  mio  bicchiere,  e  smetti  il 
biasimo. 

Rinfresca  le  ossa,  cui  attende,  mèta  estrema, 
la   putrefazione! 

Che  il  bicchiere  indugi  o  sia  trattenuto,  que- 
sta i    la  mi  >rte  : 

Che  invece  arrivi  a  me  il  bicchiere,  questa  è 
la  mia  vita. 

Finalmente,  se  sotto  Uthman  era  accaduto  che  il 
governatore  ili  Kuf.t  si  recasse  briaco  nella  moschea 
a  far  la  preghiera  del  mattino;  sotto  i  caliti  Om- 
miadi  si  giunse  a  tanto,  da  tenere  nella  moschea  un 
vero  simposio:  e  1"  attesta  Abùl  Mahàsin. 

mi  sconfinata   non  fu  più  possibile, 

quando  alla  dinastia  ommiade  (661-750)  sottentra- 
rono  gli  Abbàssidi  (751  1258).  La  cui  caratteristica, 
ili  ironie  allo  spiriti >  mondano  e  laico  dei  loro  pre- 
ssori,  fu  appunto  'li  ridare  allo  Stato  lo  stampo 
'l'istituzione  religiosa,  considerandosi  essi  come  ie- 
1  archi,  non  solo  possessori  della  sovranità  politica 
ma  anche  deU'imàmato  0  suprema  dignità  ilei  culto, 
successori  legittimi  e  coni  limatori  ilei  l'rofeta,  ilei 
piale  rivestivano  la  "Binda  o  mantello,  come  insegna 
ilei  potere;  e  assumevano  attributi  teocratici,  di 
chiarandosi  «  timorosi  di  Dio  »  e  ravvivando  (co- 
me dice  il  poeta  Merwàn,  del  califo  al  Mahdì)  la 
sunna  (cioè  la  consuetudine  nei  rapporti  religiosi 
undici)  del  Profeta  in  riguardo  al  Ica/o  c<?  ai 
vietalo.  Con  questo  nuovo  indirizzo  teorico  e  pratico, 
meni  logia  dommatica  prosperava,  e-  le  tra- 

dizioni profetiche riferentisi ai  pivi  minuti  particolari 
della  vita  moltiplicavansi.  assumendo  valor  ufficiale 
nell'applicazione  al  diritto  il  vino  e  i  suoi  fautori  e- 
ran  fatti  segno  alla  pia  generale  riprova/ione  Si 
ricominciò  allora  a  incarcerare  gli  autori  'li  p 
conviviali,  mentre  al  vino  anilavasi  a  poco  a  poco 
iiendo  il  ■ 

'  non  significa  che  la  proibizione  qoramica  a- 
vesse  acquistato  valore  assoluto  e<l  inviolabile:    le 


\    Il    III  R  \ 


proteste  dei  poeti  contro  gli   arcigni  teologi  conti- 
nuano per  tutto  il  secolo  secondo  e  ter/o,  e  le  lodi 
del  vino  e  le  descrizioni  dei  gai  simposii  rifioriscono 
qua  e  là,  meno  empie  nella  forma,  ma  non  meno 
vivaci  e  appassionate.   Il   più  gran    poeta  ili 
questo  perìodo,  Abù   Nuwas  (756-810?),  se  da 
ehio  diventò  pio  e  devoto,  nei  suoi  begli  anni  menò 
la  più  scapest rata  e  dissoluta  esistenza  'li  gaudi  1 
dedito  al   vino  ed  alle  femmine,    ha  meritato  tra 

Vrabisl  1  mi  idi  rni  di  1  »  1  idi  nte,  per  il  su.  u  1 
e  l'incostanza,    l'appellativo  'li   Heine  musulmano 
Nel  suo  Canzoniere  occupano  il  primo  posto,  1   per 
ilisposi/ione  e    per   merito,    le   poesie    conviviali: 
delle  quali  eccome,  ad  esempio,  pochi  versi  tra  i  me- 
ni 1   scollacciati  : 

Non  rimpianger  dunque  la  lx-lla  Hind  ;   non 
t'allietar  di   promesse.  Va  bevi   in  me/70  alle  rose   il 
-    liquore. 

-  lievi  la  coppa  che.  quand'ha  versato  la  sua 
onda  nel  gorguzzule  dei  trìncatorì,  infiltra  innesti 
la  sua  rosea  tinta  negli  occhi  e  per  le  goti 

-  Rullino  è  il  vino,  rilucente  come   perla   è  il 
calice  nelle  mani    della   bella    schiava    dalla    ta 
fine  e  voluttuosa. 

Beltà  affascinante  che  ti  p'irge  a  bere  e 
l'occhio  e  con   la  mano.   Così  tu    resti   preso  ila    du 
pi  ice  eKbrezza. 

Ma  il  più  indiavolato  amatore  1  cantore  del  vino 
fu  senza  dubbio  Alni  Mihgiàn.  contemporaneo  di 
Maometto,   guerriero  e   beone   famosissimo. 

Resosi  moslemo  -issai  tardi,  dopo  la  presa  della 
Mecca  (630),  non  volle  mai  saperne  del  divieto  del 
vino.  Bandito  perciò  dal  califo  Umar,  egli  si  rideva 
di  tutte  le  pene  e  di  tutte  le  proibizioni: 

—  Dammi  vino  da  bere,  o  sozio  ;  so  ben  io  quel 
che  Allah  ha  rivelato  in   riguardo  al  vino. 

-  Mescimi  vin  puro,  acciò  che  più  grande  sia  il 
mio  peccato;  giacche  solo  quando  i"  lo  bevo  sen- 
z'acqua, il  mio  peccato  è  completo. 

-  Quand'io  sarò  morto,  seppelliscimi  alle  radici 
d'una  vile,  acciò  che  le  sue  barbe  nella  terra  diano  a 
ben-  alle  mia  ossa. 

Ma    non    mi    seppellire    nel    deserto  ;     gi;> 
colà  io  temo,  una  volta  morto,  di  non  assaggiarlo  più. 

E    sia    irrigata  di   vino  muso  come  il  htlSS  la 
mia  tomba. . 

Così  la  poesia  del  vino  presso  gli  Arabi,  conti 
nuandosi  per  più  secoli  nell'età  moslema,  ad  onta 
della  proibizione  qoramica,  ha  il  valore  di  una  lunga 
e  vivace  protesta  che  i  residui  del  paganesimo  e  della 
intemperanza  prcislamitica  fanno  or  più  or  meno 
acremente  contro  l'indirizzo  pietistico  ed  asce) 
dato  all'isiàm  dalli  prevalente  teologia  ed  etica 
dommatica. 

GirsrppK  Gaurii  li. 


' 


-    SOMMAR  IO  : 


xiomanzi  e  Novelle.  —  Beffe  della  morie  e  della  vita  (Luigi   Pirandello     —    Carteggio    matrimoniali 
Alemagnai  —  //  Fascino  (Virgilio  Brocclii)  —  //  dramma  del  poi/"    Mi  xim  Gorki  . 

Poesia.  —  Gorgone  nova  (G.  Agenore  Magnoi  —  La  canzone  di  Venezia  (Carlo  Vizzotto  , 

Letteratura  e  Critica.  —  Attraverso  la  Spagna  letteraria.    I  Catalani     José  Li  un  Pagano)   —    La 
del  secolo  XVI  e  la  novellistica  anici  iure  e  contemporanea  in  Italia  (Giambattista  Pellizzaro). 

Filosofia.  —  Filosofia  pratica  lE.   D.  G.)  —  Dialoghi  di  Platone  tradotti  da   Rugg       ■  Bonghi. 

Sociologia.  —  Socialismo  contro  socialismo  (Giuseppe  Zoppola  . 

Biografia.  —  Epistolario  (Giuseppe  Mazzini  . 

Storia.  —  Storia  d'Italia,  dalla  caduta  dell'  Impero  romano  d'occidente  fino  ai  nostri  giorni    Licurgo  C 

—  Apostoli  e  statisti  i  Frar Cesco  Bertolini)  —  /  trai/ali  commerciali  della   Repubblica  ri. oca  G 

—  Storia  d'Inghilterra  dai  tempi  più   remoli  ai  nostri  giorni    G.   Bragagnolo  . 
Geografia.  —  Piccolo  annuario  geografico  e  statistico  (Giuseppe  Ricchieri). 
Musica.  —  L'arie  del  Clavicembalo  i  Luigi  Albeito  Villanis). 

Opere  varie.  —  Lo  spirilo  delle  maschere  (Giuseppe  Petraij  —    La    critiqne    miniane   et    Fra    Angeli 
Broussolle1. 


(Albeito 


conn> 


appelletti 

ino  A'ias) 


■o   ■].    C. 


ROMANZI    E    NOVELLE. 

Luigi  Pirandello:  Beffe  della  morie  e  della 
vita.  (Firenze.  Lumachi),  L.  2.  --  Beffardo,  od  i- 
ronico.  od  umoristico  secondo  il  significato  inglese 
della  parola,  è  il  Pirandello  nell'invenzione  e  nella 
forma  di  questi  racconti  ;  dove  si  vede,  per  esem- 
pio, Tommaso  Aversa  sposare,  a  sessantanni  com- 
piti, la  vedova  del  suo  amico  Giacomo,  al  quale 
rimproverò  continuamente  di  essersi  ammogliato 
troppo  avanti  negli  anni  ;  e  Liberto  Ciurma,  che  ha 
deliberato  di  annegarsi  per  evitare  la  vergogna  e  il 
castigo  d'un  furto,  prendere  un  bagno  di  mare  ad 
invito  di  Severino  Spàtoli  ;  e  le  tre  sorelle  Giorgia. 
Soave  ed  Irene,  sempre  deluse  nella  loro  aspetta- 
zione d'un  marito  finché  si  mantengono  oneste,  otte- 
nere finalmente  d'essere  sposate  dopo  che  ne  hanno 
fatte  di  tutti  i  colori  ;  e  la  signora  Lana  tornare  dal- 
l'altro mondo,  quando  la  credono  morta  ma  è  sol- 
tanto addormentata,  e  andarvi  definitivamente  quan 
do  pare  addormentata  ed  è  morta.  Nel  Se...  Turno 
rismo  diventa  tragico,  poiché  Lao  Griffi,  uccisore 
della  moglie  infedele,  perde  la  ragione  pensando 
alla  concatenazione  degli  eventi  che  lo  hanno  por- 
tato fino  al  delitto,  mentre  se  una  sola  di  quelle  cir- 
ci stanze  fosse  mancata,  il  suo  destino  sarebbe  stato 
tutt'altro.  Xel  Giardinetto  lassù,  il  tono  non  è  più 
ironico,  ma  poetico  e  patetico  ;  poiché  vi  si  narra  la 
storia  d'un  povero  vecchio  che  si  prepara  una  zoll  1 
tutta  fiorita  di  rose,  lassù,  al  camposanto,  e  vi  si  fa 
seppellire  insieme  con  una  creaturina  morta  ali  alba 
della  vita.  Tutte  queste  novelle  sono  molto  gus 
e  dimostrano  che  nel  Pirandello,  oltre  al  poeta  1  I» 
gante  noto  ai  nostri  lettori,  c'è  anche  un  elegante 
prosate  re. 


Alberto    Alemagna:     Carteggio    matrimoniale. 
(Milano.  Baldini  e  Castoldi),  !..  2.       E'proprioun 
bel  matrimonio,  questo  del  quale  l'Alemagna  ci  pone 
sott'occhio  il  carteggio!  Il  principe  di  Pianosa  Nepi 
sposa  il  suo  figliuolo   Fabrizio  alla    signorina    Or- 
tensia Galasso,  figlia  di  un  appaltatore  arricchito, 
e  pare  che  sia  una  bellissima  coppia  destinata  a 
vere  tra  i  sorrisi  dell'amore  e  della  vita  ;  quando  la 
sposa  scrive  allo  sposo  una  lettera  mollo  disinvolta 
rolla  quale  gli  dice  senza  tanti   riguardi  che  egli  si 
unisce  con  lei   per   puntellare  la  sua  «  antiqua  ma- 
gione ».  e  gli  consiglia  di  mandare  un  regalo  ili  con- 
gedo alla  amante,   e   di  non  badare  alla  spesa,  ora 
che  egli  sta  per  essere  ricco  'Iella  dote  di  lei,  e  fini- 
sce col  proporgli  di  avviarsi  verso  l'ignoto  avvi 
di  coniugi  da   buoni    amici,    senza   soverchia  sfv 
eia  e  senza  troppe  illusioni.  Lo  spisi   le   risponde 
«  da  mondano  impenitente  »   che       nosce    l'arte  di 
leggere  fra  le  righe,  e  le  di     1  he  le  ingiuriose  lu- 
di lei   non  significano  altro  che  olla  1"  ome 
marito  per  obbedire  alla   volontà    del  padre;   tutta- 
via  la  lettera  che  ella  gli  ha  scritta,  «  con  la  sua  in- 
genua impertinenza,  con  la  sua  franchezza  crudele» 
è  per   lui   a  un    impareggiabile  documento  psio 

1  ».  perchi-  gli  rivela,  o  a  traverso  l'irrui 
\  .'itile,  qualche  cosa  che  è  al  di  là  della  nosl 
convenzionale  e  che  la  vince  in  bellezza  ed  in  fa 

no  ».   l'are  dunque  che  egli   accetti  di  sposarla,  dopo 

[Mesi. 1  lettera,  perchè  non  crede  al  cinismo  della 
ciulla  e  la  stima  miglii  1 

parere;    quando,  da  un  altra  lettera  che  egli   sci 
a  un  amico,  si  vede  che  soltanto  la  necessità  di  sai 
\iisi   dai   debiti  lo  spinge  a  unirsi  con  una  donna 
1  he  lo  disprezza  e  che  egli  stesso  disprezza.  La  nota 
ironii  ;  pesso  ne 


•Il 


LA    l  1   [TURA 


altri  componimenti  dei   |uali  è  eonipos 

i  tti.  Fani  ropi  irzioni 

i  ensurabili  rispetto  alla 
Form  .1-1  tutti  notevoli  per  qualche  pregio  di 

inveì  mlmia. 

cm:  Il  1  I  Vi  lano,  la  a  Pi 

I      ì         (  Gabriele  1  aui  iana,  il 
protagonista  'li  qui  nzo  scrive  versi,  é  parla 

he  i |uando  deve  dire  pn  sem 

plic  ne  lui,  in  pi  «sia   parlano  gli 

,ilu  i  ,  i  icocchio  »,   l'in- 

verni i     la  prim  |  lessa  1  ,ilis  dice  a  I  ìa 

briele  :   i  Porgete  la  cop  vi  isi  re  palme  e  cu 

te  la  mia   ricchezza  ».  e  Gabriele  dice  a   lei: 

volessi  ad  alcuna   imagine  Famosa   as- 
■vi.  esiterei  ».  Tutto  il  libro  è  scritto  in  qu 
Pei    quel   che   concerne    l'invenzione    della 
Favola  e  la   psicologia  dèi  personaggi,  diremo  che 
Gabriele  Lauriana  è  stato  ammaliato  da  una  donna, 
Clara,  «  l'inimica  »,  ma,  stanco  della  lunga 

rifu        pressa  i  suoi  amici 
Almaceni,  e  li  s'innamora  della  signorina  Medina, 
nuora   ili    lui.   Ma.   sul    più  bello,  egli 
riceve  una    lettera   'li    (Mara,  nella  quale   l'am 

indottala  gli   annunzia    che  sta    per  maritarsi: 
bas  a  perchè,  ripn  cine  ma 

Ugni  Medina  e  ti  'ini  con  (  "la r.i.    LTna 

rida  volta  riesce  a  liberarsene,  e  sembra  che  ora 
non   erra  più    nessun  pericolo  e  che  la  dolce 
Medina   abbia  trionfato  della  perversa    rivale;    se 
non  che  arriva  la  p  ri  nei]    ss:    1  ilis,  e  soltanto  per- 
somiglia   a  Clai  pera   il   >w>  stessi i 

profumo,  Gabriele  tradisce  con  [uest'altra  signora 
la  giovinetta  pura  e  fidente.  Da  ultimo  l'autore  as 
ra  chi'  il  protagonista  ha  definitivamente  vinto 
il  lascino  impuro,  grazie  alle  prediche  ed  alle 
mi  del  socialista  Lorenzo  Arzila.  Credia- 
molo pure  i-  speriamo  che  culi  non  ricada  ancora 
una  volta,  Speriamo  pi  :  Brocchi  Fao 

i  ili  nuovi   Mini   stilili  creature  meno  inferme,  ili 

animo  pm    Fi  u  le,   n istante    i    difetti    ih 

[uesto  suo  romanzo,  egli  dimostra  ili   possi 
rime  attitudini  all'arte  narrativa,  ed  avrebbe  soltanto 
gno  «li   r.  nella    diretta    osservazione 

•  Iella  schietta  realtà. 

\I\xim  GORKI:  lì  dramma  del  porto.  (Livorno. 
Relforte),  !..  1,50.  1  la  piana  versione  italiana 
apparsa  in  volume  d'uno  scritto  del  giovane  e  cele- 
bre  1  re  russo.  La  scelta  è  si.ua  (elice.  Questo 

Dramma  del  porto  (nell'originale  Celkas,  dal  nome 
del  1  -'a  ira  i  più  forti  e  mirabili 

Griska  Celkas,  il  vecchio  ladro  ubbria 
1  ìavrila,  il  ;  narlo 

aiutarlo   in  ui  se    CI  iminose  ; 

■..ine.  lino  a  quel  giorno  onesto,  vede 

".ili    che    SOnO    I  rutto  'lei 

compito,  unte  le  cupidigie  si  de- 
0  in  lui.   Allora  un  dramma,  rap  uro. 

1]  .1  'ra  quelle  'ine  ■  reature  uni. me.  e  non  .  pos 
mostrare,  ali  1  producendo  qui 

on  quali  tocchi  sobri  ma  profondi  l'autore 


narra  il  leni. ito  omn  uh"  1    il  pentimento  'li  (ìavrila 
sfida    sprezzosa  'lei  vecchio  delinquente.    \l 

gnifiche  som  1   le  desci  iz i,    am  u  ielle 

rvazioni:  gli   uomini,  ilice  l'autore,  hanno 

ti)  i  treni,  i  piroscafi,  tulle  le  inarchine,  ina  le  loro 
1  rea/ioni  li  hanno  soggiogati,  hanno  vinta  ed  asser- 
ita la  l"to  personalità:  i  miserabili  caricatori  ro- 
vesciano nelle  pancie  ili  ferro  'Ielle  navi  migl 
di  sacchi  di  grano,  pei  poter  guadagnare  alcune  lil>- 
bre  'li  quello  stesso  grano  per  la  loro  propria  pan 
eia...  M  Dramma  del -p  Fa  eguito  una  novellina 
più  breve,  ma  altrettanto  beila,  sebbene  'li  diverso 

re:  Emettati  Pilai,  la  storia  ili  un  vagabondo 
die  aspetta  al  varco,  per  accopparlo  r  derubarlo, 
il  ricco  mercante  Oboimov,  ma  che  vede  invece  pas- 
sare sul    ponte,  presso   al  quale  sta   in  una 

.metta  tutta  in  lacrime  e  ferma  nel  proponili 
to  'li  buttarsi  nel  fiume  per  una  pena  d'amore:  al- 
lora Emelian  Pilai,  invece  che  uccidere  e  rubare. 
conforta  la  disperata  e  la  riconduce  salva  alla  casa 
patema.  La  traduzione  'li  questi  ilue  racconti,  pei 
quali  Grazia  Deledda  ha  scritto  una  breve  prefa- 
avrebbe    avuto    bisi  cata 

qu.!   e   là. 

POESIA. 

G.  Agenore  Magno:  Gorgone  nova.  (Napoli,  e- 
dizione  'Iella  «Matelda»),  !..  j.  Il  poeta,  rivol- 
gendosi a  \1iiss.1.  all' «  Eletta  »  che  ha  «  ledi 
I  rolisse  »,  alla  «  sorella  ili  Beatrice.  »  la  invita  a 
udire  il  m-m  che  Farà  «  più  terso  d'una  gemma  e 
più  puro  del  metallo  provato  a  la  fiamma  ».  Ottimo 
è  il  proponimento,  ma  questi  versi: 

è  fonte  di  dolcezza  che  «la  '1  viso 

della  diva  rapiste  Voi  di   Cnido 

la  strana  mi  dà  sensazione 

che  d'un  tratto  la  vita  mi  manchi, 

e  qualche  alito    ancora,   non   mantengono   la    pro- 
i.nss.i  dell'autore.    Egli   ha  una   particolare  inclina- 

l'i   la  stroi  i  senza  rima  i   sen   i  ritmo  pi. 
l  Ino.  nella  quii,   i    pie  che  mai  necessaria  i  ■ 
lenza  della   Forma,  la  bellezza  delle  paiole  e  delle 

immagini;    cose   che.    invece,     fanno    Spesso    di! 

in  qiie-ti  romponimenti.  L'autore  dice  alla  sua  don- 
na: «  il  vostro  sguardo  è  una  caverna  immensa. 
senza  lune,  infinita,  inesplorata  ».  ma  poi  qui 
ma  senza  lume  è  anche  ••  Folgorante  <\\u\  ful- 
l.e  \isioni  d'un  tempo,  impallidite. 
"  hanno  una  mite  ebbrezza  »  e  pan-  che  «  stormi- 
scano qual     sai    II    poeta    domanda  sso : 

..   Quale  poema  di   passione   vibrante  racchiude   e 
una  m. inni"  !     rispondi-:    «   Ella  contiene   nei 

scoi  brevi  petali  un  mondo  inconcepito  ».  La  forma 
è  qui  prosaica,  e  non  basta  la  disposi/ione  ti]  ogra 
fica  di  qtu  sic  parole  a  dar  loro  la  cadenza  p  etica  . 
il  pensiero  è  esagerato  e  propriamente  stravagante. 
Monostante  questi  difetti,  l'autore  rivela  qua  e  là 
buone  disposi/ioni  ;  se  stuellerà,  se  sarà  severissimo 
sso,  potrà  darci  qualche  saporoso  frutto 
di  ll'ingegno  -ii". 


I     L  I  B  R 


245 


Carlo  Yizzotto:    La  canzone   /     I  a.   (Bo- 

logna, Beltrami).  —  Rivolgendosi  a  una  «  violacea 
Signora,  »  l'autore  scrive  che  questa  sua  0]  era  0  gio 
ven ile»  è  una  ispirazione  «  pallida  ed  evani  nte,  sii 
(.urne  nel  silenzio  d'autunno  una  metallica,  preziosa 
armonia;  »  è  vero  che  questo  SUO  carme  aleggia 
«  meno  armonioso  e  soave  dei  vecchi  carmi  d'Al- 
ceo »;  ma  è  [iure  a  spontaneo  »  e  la  Signora  può 
pensare  ad  esso  «  come  all'eco  ili  una  mistica  mu- 
sica d'arpe  d'oro  e  di  gemmati  psalterii  ».  Nondi- 
meno, in  tutti  i  suoi  carmi,  l'autore  non  trova  mai 
ula  corrispondenza  a  quello  che  sento  »  e  non  dissi- 
mula che  ima  «  cieca  inquietudine  n  si  è  impadro 
nita  di  lui  «  mentre  io  riguardo  questo  canto  e  lo 
trovo  debole  e  vacuo  s'io  lo  confronto  con  il   poema 

dell'anima    mia  ».    Egli    rivolge   la   sua    voc he 

viene  dal  mare,  e  che  odora  del  man»  alla  Signora 
per  chiederle  se  ha  fatto  bene  pubblicando  queste 
rime.  (  'erto  avrebbe  fatto  bene,  volendo  pubblicarle, 
a  lasciar  da  parte  la  lettera-prefazione;  e  meglio 
ancora  avrebbe  fatto  se  fosse  tornato  stili  opera  sua 
per  correggerne  i  difetti.  Il  tema  è  bello,  nobile,  va 
sto:  Venezia,  la  sua  storia,  la  sua  gloria,  le  sue  scia- 
gure ;  ma  che  cosa  sono  quegli  «  inarchi  puri  »  sui 
quali,  di  notte,  vengono  «i  grandi»  e  vanno  alla  Sa- 
lute? E  l'onda  che  si  perde  lontano  come  può  essere 
paragonata  al  «profumo  d'una  chioma  bionda?»  E 
chi  è  quell'  «  immenso  »  il  cui  «  destino  »  è  vinto 
dal  0  rostro  d'avida  carena?  »  Chi  sono  gli  «eterni» 
che  vengono  «  sopra  del  colosso  che  vigila  sul  ma- 
re? »  Come  una  testa  può  essere  «  redimita  d'odio 
e  cinta  di  bassezza?»  E  i  neri  alcioni  «volano  lar- 
ghi stormi?  »  E  la  canzone  «  ferma  il  piumato  an- 
dare? »  A  pensarci  meglio,  è  bene  che  l'autore  abbia 
scritto  la  prefazione,  perchè  ci  ha  fatto  sapere  che 
l'opera  sua  è  «giovenile»  e  che  la  sua  Musa,  quan- 
tunque abbia  «  le  mani  ceree  e  la  voce  sonora  ».  è 
«  ancora  piccina  ».  Easci  che  cresca,  aspetti,  studi, 
tenga  da  conto  la  semplicità,  la  schiettezza,  e  le  sue 
nuove  opere  non  susciteranno,  come  egli  ora  teme, 
né  «  sdegni  »  né  «  ire  ».  ma  saranno  accolte  con  voci 
sempre  più  «  benigne  e  protettrici  ». 

LETTERATURA    E  CRITICA. 

Josi  Leon  Pagano:  Attraverso  la  Spagna  lette- 
raria. I  Catalani.  (Roma,  la  "Rassegna  nazionale», 
editrice),  L.  3,50.  —  Come  il  nostro  Ugo  Ojetti  nel 
suo  libro  Alla  scoperta  dei  lettera!!.  COSÌ  il  Pagano 
riferisce  in  questo  volume  una  serie  di  colloqui  imi 
Angelo  Guimerà,  Pompeo  Sener.  Giovanni  Mara- 
gali.  Giacinto  Verdogner,  Narciso  Oller ,  Ignazio 
Iglesias.  Francesco  Matheu,  Santiago  Rusinol,  ed 
altri  letterati  catalani.  Alla  Catalogna,  avverte  l'au- 
tore. «  appartengono  tutta  la  mia  ammira/ione  ed 
il  mio  rispetto  ».  E  certamente  quella  nobilissima 
regione  merita  l'uno  e  l'altra;  ma  questi  sentimenti 
debbono  far  giudicare  anche  opportuno  e  lodevole 
il  movimento  separatista  che  vi  si  è  determinato? 
Se  la  letteratura  catalana  è  fiorente,  l'unità  morale 
e  politica  della  penisola  iberica  deve  essere  peri  io 
smezzata?  In  Francia,  la  letteratura  provenzale  non 
ha  prodotto  ne  tentato  di  produrre  questi  effetti  ;   in 


Catalogna  sì,  e  il  Pagano  significa  apertamente  la 
sua  simpatia  per  questi  tentativi  e  questi   tendenze. 
Non  è  olii   il  luogo  di  discuterle,  basici. 1  averi    ai 
cennato  alle  intenzioni   dell'autore.   Il  quale,  del  re 
sto,  se  non   fa  vera  e  propria  opera  di  critico  lei 
i.irio.   traccia  con    molta   bravura   i   profili   dei 
autori  prediletti.   Il  bel  volume  è  ornato  di  nitidi  ri- 
tratti, ma  avrebbe  avuto  bisogno  d'una  più  atti 
revisione 

Giambattista  Pellizzaro:  ha  commedia  del 
secolo  XVI  e  la  novellistica  anteriore  e  coniti. 
ranca  ni  Italia.  (Vicenza,  Raschi).  L.  2.  —  L'autore 
ha  voluto  dimostrare  che  la  famosa  imitazione  clas 
sica  nel  teatro  comico  italiano  durante  il  Cinque- 
cento va  giudicala  con  molto  temperamento,  perchi 
esistono  molte  relazioni  fra  le  commedie  e  la  produ 
/ioni-  novellistica  anteriore  e  contemporanea.  Molte 
di  queste  relazioni  egli  pone  in  luce  e  documenta, 
come  pure  afaine  di  quelle  che  passano  tra  la  no- 
vella italiana  e  la  commedia  Ialina.  Il  Pelli//. là 

piova  di  soda  coltura  lettei  iria  e  di  sano  crii 
critico  ;  micce  però  al  suo  libro  il  non  essere  diviso 
né  in  parti,  né  in  capitoli,  né  in  paragrafi:  sono 
duecento  pagine,  piene  di  citazioni,  in  mezzo  alle 
quali  riesce  difficile  orientarsi  mancando  quàlunqu 
indice. 

FILOSOFIA. 

fi.  D.  ('..  :  Filosofia  pratica,   lettere  di  un 
a  suo  tiglio.  (Rocca  San  Casciano,  Cappelli),  L.  2. 

-  L'autore  crede  che  manchi  un  chiaro  concetto  di 
ciò  che  significa  filosofia;  ma,  col  desiderio  lod 
lissimo  di  fare  la  luce.  1  Ischia  di  accrescere  l'oscu- 
rità; perchè  non  vuole  che  la  filosofia  sia  conside 
rata  come  «  un  ramo  di  scienza  »,  ma  le  assegna  sol- 
tanto «  un  carattere  educativo  e  un  carattere 
rico  ».  riducendo  così  tutta  la  filosofia  alla  mordi-. 
che  ne  è  una  semplice   parte,  e  confondendo   la    di- 

1  iplina  '-"n  la  sua  storia.  Per  quel  clic  riguarda  il 
contenuto  del  libro,  lo  scrinile  1  li  1  1 1  n  con  rada- 
mente ai  materialisti,  l'esistenza  di  Dio  e  dell'ani- 
ma ;    ma  non  s'intende  bene  come  I  .noi  ta  in 

«  forza  e  materia,  ancorché   questa      a    sottilissima 

al  di  là  di  ogni  nostra  imma    n; ' 

bordinazione  dell'anima   a  Dio,    del  sentimento  u 
mano  al   divino,  l'autore  vede  la  salute,   e  ne!   cri 
stianesimo,  e  particolarmente  nel  cattolicismo    ti 
la   legge  migliore.  Giudica  '  quella 

interpretazione  della   parola    di   <  'risi-    sei  ondo 
quale  bisogna  rinunziare  ali. 
mina  quel  che  l'uomo  deve  fare  dinanzi  a  Dii 
stesso,   al  mondo   interiore,   alla    diurna,    alla    I  1 
eie,,  aii.i  nazione,  allo  Stato  ed  agli  altri  uomini 
in  generale  ;    ma  crede  1  he  tutti  1  danni  dipend 
dall'o  im  no  scevro  d'ogni  soggezione  ad  un 

autorità  spirituale  e   suprema,  sola  possibile  u nifi 
catrice  ».  Le  idei    del!  lu  ore  troveranno  so    en 
,■  contraddittori   nelle  divei  1       noi      hi      i  1  onten- 
l  1,     il  campo  filos  >fico .    ma  egli   avrebbe   pò 
farle  meglio  valere,  significandole  in  modo  più  lu 
eido.  con  logica  più  severa,  con  forma  più  • 


J  |<>  i  A    i.i   il  i  RA 

/'  I?  Bonghi. 

Volume  X.  (Torino,  Fratelli  Bocca),  L.  \.  Lon 
quesi  i  volume,  il  qu  i    iene   il  /  i 

"  Delia  B  1  /,  o  DelVl  'omo,   e  il 

Carmidc,  a  Della  Temperanza,  l'edizione  dell'opera 
!   compimento:    mancano  ancora   sol 
tanto  l'undecimo  <•  il  dodicesimo  volume,  già  in  coi 
li  stampa  ;  il  tredicesimo  ed  ultime  apparve  tera 
pò  addietro,  a         i     unenti     Non  è  più  il  caso  di 
rilevare  tutti   le  qualità  che  rendono  mirabile  la  ver- 
sione del    Bonghi.    Molti    si    provarono  a  tradurre 
Platone;    pochi  vi  riuscirono  con   lode  11   Fiorim- 
il   Bonotto,  l'Erizzo,  il    Maggi,  il  ("cinti,  che, 
tradussero  soltanto  qualcuno  dei   Dialoghi,  reni  va- 
ria fi  Dardi  Bembo  diede  tutta  l'opera;  ma 
h  sua  traduzione  è  intralciata  nella  dizione,  né  gode 
i  di  Fedelissima.   Pregevole  fu  quella  condotta 
mìo  V'errai;   ma  questa  del  Bonghi  l'ha  su- 
perata ed  è  in  ttittn  degna  del  filosofo,  che  meriti 
i  chiamato  «  1  ì  \  ini  >. 

SOCIOLOGIA. 

Giuseppe    Zoppola:    Socialismo  contro  sociali- 

(Milano,  Cogliati),  L.  3.  —  Per  dare  un'idea 
delle  idee  dell'autore  basterebbe  riferire  la  dedica 
del  suo  libro:  «  Al  Capo  della  Chiesa  e  al  Capo 
dello  Stato,  che  l'amor  del  bene  avrà  uniti  nell'ar- 
monia perfetta  tra  gl'interessi  sociali  e  l'Evangelo 
di  Cristo  ».  Sta  in  fronte  all'opera,  dopo  queste  pa- 
role, ed  a  guisa  di  prefazione,  una  proposizione  che 
l'autore  chiama  Teorema:  «  Il  socialismo  colletti- 
vista, 1  di  Stato,  verso  cui  ci  spinge  la  tendenza  de- 
mag'  ma,  è  o  ntrario  alla  natura  dell'uomo, 

tato  si  potesse  attuare  —  ciò  che  è  sommamente 
d:fri'  —  e,   attuato,  mantenere  —  e  questo  è  im- 

possibile 1  ndurrebbe  la  società,  di  regresso  in 

regresso,  al  [muto  donde  è  partita,  ossia  alla  primi- 
tiva barbarie  Si  giungerà  invece  al  vero  socialismo, 
degno  della  razza  che  a  ragione  pretende  esser  qual- 
cosa al  disi  pra  dei  bruti,  ossia  potranno  un  giorno 
gli  uomini  trovarsi  costituiti   in  una    sola   famiglia. 

ontentamenlo  ili  ognuno  e  di  tutti,  se,  rispet- 
tando la  legge  naturale  della  disuguaglianza,  sa- 
premo, eoli  una  organica  costituzione  politilo  so- 
ciale 1  con  un  .di'  idi  ale  religioso,  ricomporre  una 
giusta  armonia  —  rotta  ora  completamente  —  tra 
gl'interessi  diversi  delle  varie  classi,  la  morale  di 
tutti  e  il  generale  progresso  ».  Per  provare  la  prima 
parte  di  questo  teorema,  cioè  che  il  socialismo,  ci  me 
i  socialisti  lo  intendono,  ,•  contrario  alla  natura, 
l'autore  dimostra  che  i  falso  il  principio  sul  quale 
si  appi  cioè  l'eguaglianza  tra  gli  uomini-,   ma 

poiché,  anche  ammessa  la  naturale  e  nativa  diver- 
sità degli   uomini,    i   socialisti    potrebbero  opporre 

11  vista  del  bene  comune,  dobbiamo  vincere  la 

natura  e  rendere  gli  uomini  quanto  più  è  possibile 

eguali,  così   l'autore  dimostra  la  difficolta  d'attuare 

una   simile  idea  e  i  mali  ohe  ne  deriverebbero.  Ri- 

11    la   disi  ;  ai    la   1 1  mdieii  ne 

s.iria  dell'umano  progresso,  l'anturi-  passa  alla 

dimostrazione,  enumerando  gli 

mmessi   dalla    società,   rintracciandone  le 


cause  e  proponendone  i  rimedi  capaci  di  produrre, 
e  a  ri  01  di  logi  a  >  l'effetto  desiderato,  cioè  un  so- 
cialismo spontaneo  e  non  già  imposto.  Il  teorema  e 
il  rigor  della  logica  potrebben  dan  argomento  alla 
critica  di  'ss,  ivan-  che  la  filosofia  sociale  è  divi 
dalla  matematica,  e  non  può  esser  govei 

inflessibili  come  le  algebriche  e  geometri 
se  presenta   infiniti    problemi,   i  teoremi  le  som»  i- 
gnoti.  Qualunque  sia  l'opinione  del  lettore  relativa- 
mente alla  lesi   fondamentale  di-Ilo  Zoppola,  gli  ar- 
gomenti suoi,  come  quelli  che  egli  combatte,  hanno 

lutti  un  valore  relativo;  ed  egli  stesso,  da  ultimo, 
riconosce   elle    la    verità   e  tale,   di   sua    natura,   «   che 

non  può  //e//  esser  da  per  tutto,  e  perfino  m  ll'errore 
e  nella  menzogna  ».  Ciò  che  importa  è  l'esser  sin- 
ceri, e  della  sincerità  dell'autore  non  si  può  dubi- 
tare, 

BIOGRAFIA. 

Giuseppe  Mazzini:  Epistolario.  Voi.  I  (Firen- 
ze, Sansoni,  editore.  1902).  —  Questo  primo  volu- 
me delle  lettere  di  Giuseppe  Ma/zini  forma  il  XIX 
degli  Senili  editi  ed  medili  di  lui.  ed  e  per  noi  uno 
de-  pni  interessanti  e  vivi  e  personali.  Ernesto  Na- 
than  dire  benissimo,  nell'avvertenza  ai  lettori,  che 
'  pei  li  la  posterità  potesse  avere  d'innanzi  la  Vi  1  a 
figura  dell'uomo,  mal  conosciuta  dal  proprio  partito, 
e  forse  più  di  ogni  altro  grande  sfigurato  e  dimi- 
nuito da  livori,  invidie  e  calunnie»,  era  necessaria 
la  stampa  dell'epistolario,  che  nell'insieme  verrà  a 
li  miare  una  vera  e  propria  autobiografia.  Le  li 
alla  Sand.  alla  D'Agoult  e.  su  tutto,  quelle  alla 
madre,  già  conosciute,  non  bastavano  a  far  luce 
completa.  In  esse  i!  Mazzini  non  rivelava,  piti  che 
per  prudenza,  per  pietà,  le  infinite  ansie  e  molto 
meno  la  complessa  e  delirata  azione  politica.  Era 
perciò  necessario  raccoglier  molto  di  più.  perchè 
«  nulla  nel  suo  epistolario,  dal  più  semplice  bigliet- 
to agli  sfoghi  più  veementi,  ne  diminuisce  la  fi- 
gura, e  tutto,  fin  le  pieghe  più  nascoste  dell'anima. 
contribuisce  a  completarne  la  Gsonomia  e  a  renderla 
nell'aspetto  morale  ed  intellettuale  di  una  perfezione 
r;  ra  negli  annali    umani  ». 

L'epistolario  di  Lodovico  Antonio  Muratori,  di  cui 
sono  usciti  din-  volumi  in  questi  giorni,  riuscirà  più 
diffuso  nel  gran  numero  delle  lettere  raccolte  fra 
quante  furono  scritte  dall'insigne  storico.  Ma  sta 
invece  che.  levando  gli  anni  della  prima  gioventù, 
e  restringendosi  a  quelli  corsi  dall'esilio  alla  morte, 
il  Mazzini  srrisse  almeno  tre  lettere  al  giorno,  os- 
sia, in  complesso,  verso  quarantamila,  il  che  con 
durrebbe.  se  tutte  si  trovassero  e  pubblicassero,  ad 
occupare  un  centinaio  di  volumi.  In  tutti  1  modi  la 
parte  I accolta  sinora,  supera  già  il  numero  di  3500  ; 
e  che  presenti  un  interes  e  biografico  di   pri- 

m'ordine,  si  rileva  dal  primo  volume,  quantunque 

non  comprenda  che  le  lettere  appartenenti  al  1834, 
1  '.invilii  però  fare  la  debita  lode  agli  editori  per  non 
avei  inclusa  ogni  inezia,  come  si  è  fatto  pel  Bee- 
thoven, di  cui  si  sono  pubblicate  sino  le  lettere  alla 
la\ ainlaia. 

I  austera   figura   del    Mazzini    dalle    nuove   pa- 
gine balza   intera  nel  suo  carattere,  nel   suo  sommo  e 


li  i;  ri 


svariato  ingegno,  nel  suo  animo,  e  nell'alta  sua  idea- 
lità italiana. 

STORIA. 

Licurgo  Cappelletti:  Storia  d'Italia;  dulia  ca- 
duta dell'  Ini  pero  romano   d'occidente   fino    ai  n 

giorni.  (Genova,  Donath),  L.  7.  —  In  due  eleganti 
volumi  copiosamente  illustrati,  l'autore  narra  (iel- 
la gioventù  italiana  la  storia  del  nostro  paese  da 
Odoacre  e  Teodorico  alla  morte  di  Umberto  1.  Non 
è,  come  egli  stesso  avverte,  un'opera  critica,  ma  e- 
spositiva  ;  nondimeno,  giovandosi  dei  lavori  d'in- 
dagine, il  Cappelletti  distrugge  molte  leggende,  e 
non  si  attiene  soltanto  agli  avvenimenti,  ma  si  fer- 
ma sul  loro  significato;  e  non  ragiona  soltanto  delli 
vicende  politiche,  ma  anche  dello  stato  della  cul- 
tura. Razionalmente,  l'immensa  materia  è  distribuita 
in  parti,  e  ciascuna  parte  in  sezioni,  e  ciascuna  se 
zione  in  capitoli.  Il  libro  si  presenta  con  una  ve- 
ste che  invoglia  alla  lettura  ed  allo  studio. 

Francesco  Bertolini  :  Apostoli  e  statisti.  (Mi- 
lano, Hoepli),  L.  4.  —  Il  chiaro  autore  raccoglie 
in  questo  volume  una  serie  di  scritti  inediti  o  sparsi 
irv  diversi  periodici,  e  pertanto  difficilmente  ritrova- 
bili. Xe  è  venuto  fuori,  meglio  che  un  volume,  un 
libro,  vario,  ma  organico.  San  Francesco  d'Assisi, 
Roma  senza  Papi,  Milano  in  mezzo  a  due  secoli 
(il  XVIII  e  il  XIX),  Daniele  Manin  e  la  difesa  ai 
Venezia,  Clemente  XIV  e  la  soppressione  dei  Ge- 
suiti, l'opera  del  conte  di  Cavour  e  del  principe  di 
Bismarck  sono  i  temi  che  l'autore  svolge  magistral- 
mente ;  a  questi  studi  fanno  seguito  tre  commemo- 
razioni :  del  centenario  di  Marengo,  di  Giuseppe 
Garibaldi  e  di  Giosuè  Carducci. 

Gino   Arias  :    /  trattati    commerciali  della    Re- 
pubblica  fiorentina,  (Firenze,   Lemonnier),   Voi.    L. 
L.  4.  —  La  Lettura  diede  già  notizia  di  una  prece 
dente  opera   dell'Arias,  vincitrice  del   premio  della 
fondazione  Villari  :   Le  istituzioni  giuridiche  medie- 
vali  nella  «  Divina  Commedia  ».    Insieme  con  quel 
libro,   la    Commissione    giudicatrice    volle  premiare 
anche  questo  che  abbiamo  ora  sott'occhio,  nel  quale 
l'ancor  giovane  ma  già  valentissimo  autore  narra  la 
storia  economica  e  commerciale    fiorentina   nel  se- 
colo XIII,  desumendola,  nel  silenzio  dei  vecchi  crr, 
rùsti,  in  qualche  parte  dalle  opere  di  storia  generale 
fiorentina,  come  quella   del   Villari,  ma    principal- 
mente dalle  fonti  inedite.    L'Arias   ha   raccolto  una 
quantità  di  preziosi  documenti  negli  Archivi  di  Sta 
to  di  Firenze,  di  Bologna,  di  Siena,  e  nell'Archivi' 
segreto  vaticano,   e  se  n'è  giovato  per  rifare  dap 
prima  la  storia  esterna  dei  trattati  di  commercio,  ri- 
collegandoli con   la  politica  commerciale  fiorentina 
e  con  lo  svolgimento  progressivo  delle  energie  eco- 
nomiche, e  mostrandone  la  logica  successione  e  la 
importanza  nella  storia  politica  della  Repubblica  ; 
indi  per  esporre  la  storia  interna  di  ci  testi  trattati, 
il  che  vuol  dire  per  esaminarne  il  preciso  valore  B 
ridico  e  indicarne  i  principi  informatori,  ("ome  bene 
osserva  l'autore,    le  discipline   storiche,  già  minac- 
ciate dalla  retorica,    si    ritemprarono   nello   studio 


2A7 

delle  fonti;   ma  ora  corrono  pericolo  di   indugi. n 
troppo.    Egli  ha  saputo  et  tari    questo   rischio,   fa 
rendo  del  suo  libro  una  vei  1  evocai    m 
economica  fiorentina.  Le  belle  qualità  di  dottrina, 
di  metodo,  di  forma,  che  resero  tanto  pregevole  il  suo 
pruno  libro,  assicureranno  senza  dubbio  la  fortuna 
di  questo  primo  volume  della  sua  nuova  opei 
quale  è  sperabile  che  presto   seguano  gli   altri. 

G.  Bragagnolo:  Storia  d'Inghilterra  dai  tempi 
più  remoli  ai  nostri  giorni.  (Milane.  Hoepli),  L.  3. 
-  Attinta  ad  ottime  fonti,  sagacemente  ordinata  e 
lucidamente  esposta,  onesta  Storia  d'Inghilterra  ha 
il  solo  difetto  di  essere  un  poco  troppo  rapida  ;  ma 
l'autore  aveva  lo  spazio  assegnato,  e  nelle  trecento 
cinquanta  pagine  di  cui  poteva  disporre  ha  fa 
entrare  il  maggior  numero  di  notizie  e  di  commenti. 
Di  molta  utilità  riescono  le  tabelle  genealogiche  e 
rronologiche  die   la  corredano. 

GEOGRAFIA. 

Giuseppe  Picchieri  :  Piccolo  annuario  geogra- 
fico e  statistico.  (Bergamo,  Istituto  italiano  di  arti 
grafiche),  L.  1,50.  —  In  un  centinaio  di  pagine  sono 
qui  condensate  tutte  le  nuove  noti  zie  ottenute  negli 
anni  1900-901  intorno  all'astronomia,  alla  geogra- 
fia fisica,  alle  divisioni  degli  Stati,  alle  statistiche 
delle  popolazioni  e  delle  ferrovie,  alle  esplorazioni 
delle  terre  ignote  o  mal  note,  alle  colonie,  ecc.,  ecc. 
E'  un  lavoro  di  compilazione  che,  senza  pretend 
di  rivaleggiare  con  i  grandi  almanacchi  ed  annuari 
stranieri,  ha  la  sua  utilità,  e  merita  d'essere  bene 
accolto  perchè  possa  essere  continuato. 

.MUSICA. 

Luigi  Alberto  Villanis  :  L'arte  del  Clavicem- 
balo. (Torino,  Fratelli  Bocca).  -     Nel    1897,  a   To- 
rino,  fu    iniziata    dal  maestro    Ermenegildo  (orar- 
ilini  una  serie  di  concerti  storici,   i  quali  furono  ac 
compagnati  da  conferenze  illustrai i\ e  ili  <\  ute  al  Vii 
lanis.  Questa  è  la  prima  origine  del  presente  volu- 
me, nel  quale  l'autore  ragiona,  per  paesi  e  per  tempi, 
a  cominciare  dall'Inghilterra,  e  passando  per  l'Ita- 
lia.  la  Francia  e  la  Germania,  fino  ai  Paesi  Bassi, 
degli  strumenti  a  tastiera   e  dei    virtuosi   che  si  di- 
stinsero nel  l'adoperarli.    Tra   costoro  egli  ha  scelto 
(nielli   le  cui    opere   più  facilmente   giungono  ni 
moderne  edizioni  sotto  l'esame  del  pianista,   e  - 
ristretto  allo   studio  dei   maggiori   gru;  più 

perspicaci  sono  i  tran!  della  ti-  nomia  generale.  Il 
carattere  dell'ambiente  dove  ciascun  artista  svolse 
la  sua   operosità,   le  forn  11    imperanti  in 

ciascun    periodo,  la  qualità   dei    risultati   raggiunti 
sono  l'oggetto  delle  dotte  e  pazienti  indagini  del  Vii 
lanis.   le  quali    formano    tutt'insieme   un  notevolis- 
simo  rapitolo    della   storia  della  musica.    Per   ri: 

di  metodo,  per  bontà  di  fonti,  per  chiarezza  di  espo- 
sizione, l'opera  sua.  come  ha  meritato  di  essere  adot- 
tata nel  Liceo  Manilio  di  Venezia,  così  è  degna  di 
ornare  la  biblioteca  di  tutti  i  pianisti  e  in  generale  di 
tutti  i  culti  ri  della  musica. 


248 


i.\  i  iri 


R  E    V  A  RIE. 


Pi  1 1. ■  \i  :    /  maschere, 

I     .-.50.         E'  un 
nnero  in  ah  ii  tempi 
la  scena,  ni  n  si  lamente  dei  maggii  1 1  1    più  fa 
qual      \  ,  G   induia,   Meneg 

Pulcini  III.    1'  5  nche 

ili  qu  •    ni;.  1  1  !as 

sandn    1  -  •  Con  G  Ruz 

1  1    ■  utte  il   Petra    narra  l'oi 
e  la  fortuna,  descrive  il  costume  ed  il  carattere,  ed 
enun  ili  .muri  che  le  incarnar 

■  la  parte  del  suo  libro  egli  riferisce  una  quantità 
ili  aneddoti  curiosi  e  divertenti,  relativi  a  questi  at- 
e  maschi  re:  la  li  ttura  ni      pi  ice^  1  ile 
edistruttiva  per  quel  che  concei  tea 

_  iute  volume. 

J    <      Broussolli  :    /■■  critique  mistiquc  ci  Fra 

(Paris,  (  'in lini.       L'aub ire,  noto  e  -'unni'  1 

per  i  suoi  Pel  'tnibr*  e  per  la  sua  Gioventù 

del  P  ima  ad  occuparsi,  in  questo  grazio- 

arte-  ital  ind  1    la   fama 


iK-l  B  1  contro  coloro  che,  coscientemente 

irono  0  la   denigrarono. 
I  abbate  Broussolle  incolpa  i  contemporanei  dell'  V 
gelico  per  aver  ammirato  in  lui  il  santo  molto  più 

ri  ir  min  l'artista  ;  quesi re  della  critica  mistica, 

lunga  ito  nel  corso  ilei  secoli,  produsse 

pei  conseguenza  che  nell'Angelico   hi  discono» 
tutt'insieme  l'artista  e  il  santi     Ma  a  pi   0  pei  volta, 
e  principalmente  come  effetto  del  rinato  gusto  pei 

1  giu- 
stizia; e  il  Broussolle  riunisce  appunto  tutti  gli  ai 
gomi  |uali  si  prova  l'eco  I lenza  della  sua 

della    sua    tecnica,    ilei    sin.    disegno,    della    sua 
statica.    «  Fu  un  grande  artista 
egli    concludendo.  ■  Lasciamo  pure  la  critica    nu- 
rsi nel  celi  brare  in  lui,  con  una 
felicità  d'espressione  e  'li  convinzione,  il  cristi 
piuttosto  che  l'artista.  Ma  col  patto,  almeno,  ili  per 
mettere  all'altra  critica,  qualunque  sia  il   ri 
le  si  dia.  'li  spiegarsi  a  sua  volta  che,  in  Fra  A 

l'ari  sta  non  1  u  inferii  ire  al  cristiano  •.  11  vi 
lume  si  chiude  con  una  serie  ili  note  nelle  quali  l'au- 
tore dà  prova  di  larga  erudizione  e  di  spre- 
giud                1  rio. 


li.  Li  1  ["ore. 


^^V^&g^=*- 


fjy--^#  # 


^RIVISTE 


SOMMARIO: 

I.  :     i  dell'oro  nel  paese  dello  zio  Sani,  pag.  240  —  l'n'  oasi  d'arte:  Castiglione  Olona,  pag.  252  —   L 

«rafia  dei  lampi,  pag.  254  —  La  cura  del  moto.  pag.   257  —  L'avvenire  dei  popoli  di  lingua  inglese,  pi 
■  _  si  può  guarire  della  vecchiezza?,  pag.  261  —  La  guarigione  del  cancro?,    pag.  262    —    Come    nuotano 
animali?,  pag.   263  —  Fuori  della  realtà,  pag.  266  —  Sardine  all'olio,  pig.  270  —  Un  Nietzsche  cinese,  pag.  272 
—  L'arte  della  t'usa,  pag.  273  —  I  Dinosauri,  pag.  275  —  Fra  i  ragni,  pag    276  —  Per  la  redenzione  dei  de- 
linquenti,   pig.    279  —  La  casa  della  bambola  nei  secoli  scorsi,  pag.   281   —    La  vera    «  Signora  di  Monza?  >•• 
.  -   . 


ha  fabbrica  dell'oro 

nel  paese  dello  zio  Sam 

(Dalla   VfeUe  WeU). 

Presso  il  palazzo  monumentale  della  Tesoreria 
degli  Stati  Uniti  a  New-York  sorge  nella  Wallstreet 
un  doppio  edificio  rozzo  e  cadente,  che  sembra  quasi 
arrossire  de!  suo  squallore  e  nascondersi  dietro  gli 
altri  fastosi  palazzi  delle  vicinanze.  Eppure  e>s. 
nasconde  nelle  ciclopiche  muraglie  tantum,  quanto 
basta  per  comperare  provincie  e  regni.  E  la  fab- 
btica  dell'oro,  dalle  cui  fonderie  trabocca  poi  il  vii 
metallo,  che  feconda  la  vita  industriale  dell'Unione 
nord-americana  e  che  in  parte  si  riversa  sino  nella 
Europa  lontana. 

Nella  produzione  aurifera,  come  del  resto  in 
moltissimi  altri  rami  dell'industria  odierna,  gli  Stati 
Uniti  marciano  alla  testa  di  tutti  i  paesi,  grazie  an- 
che alla  guerra  sud-africana  che  ha  interrotta  la  pro- 
dizione  delle  miniere.  Nell'anno  1900  essi  produs- 
sero per  circa  80  milioni  di  dollari  :    nei  magazzini 


delle  tesorerie  di  Washington.  New  York.  S.  Fran- 
cisco, ecc..  erano  ammucchiati  alla  fine  del  1901 
più  che  540  milioni  di  dollari  in  oro.  oltre  i  630  mi- 
lioni di  oro  monetato  in  circolazione. 

La  maggior  parte  però  di  tale  enorme  produzione 
si  'leve  alfa  fabbrica  di  New  York  dove  se  ne  la- 
vora tale  quantità  da  poter  nascondere  con  quella 
In  cupola  della  Banca  d'Inghilterra.  Da  ogni  parte 
de!  mondo  e  in  ogni  forma  immaginabile  pio-, 
loro  e  l'argento   in  questo   palazzo   meraviglioso. 

Il  piombo  dai  denti  umani,  la  polvere  d'oro  dal- 
l'Alaska, i  vassoi  dalle  credenze  di  qualche  lord  in- 
glese, le  verghe  d'oro  dalla  Rodesia  o  dalla  Cina. 
tutto  viene  lì   portato  .    perfettamente   esaminai 
Fus     senza  alcuna  spesa  pel  pn  pi  etano. 

•  *• 

Per-  l'oro  si   dà  in  salario  un  mandato  di 
mento   per   la    Tesoreria,   oppure  una  risplend 
verga  d'oro,  per  l'argento  un  certificato  di  vai' 
banconota    nuova   di   stampa,   oppure    verghe   dar 
,1  il  metallo  è  entrato  nell'officina,  vien 
0  su  due  bilancie  di  precisione  e  ne  viene  stesa 
una  bolletta  col  peso  verificato.    Messo  poi  nei  ero- 


Lavorazione  dell'oro. 


■ 


halli:  rivisì  e 


->.>i 


giudi  e  fuso  ad  altissima  temperatura,  è  v.  rsato  ne- 
gli stampi  per  uscirne  sotto  forma  di  piastre  piai 
rotonde,  che  stritolate  fra  potenti  cilindri,  passano 
a  pezzi  nelle  mani  del  chimico  che  le  purifica  dal- 
l'argento, dal  rame  e  dalle  altre  impurità,  produ- 
cendo nel  fondo  del  crogiuolo  una  piccola  perla 
d'oro.  Il  metallo  è  una  seconda  volta  portato  nei 
forni  e  quindi  precipitato  ancor  bollente  nell'acqua 
freddissima  per  trasformarlo  in  minutissimi  gra- 
nellini. 

Vien  così  messo  nell'acido  nitrico  e  agitato  nella 
soluzione.  Questa  discioglie  l'argento  e  il  rame  e 
l'oro  purificato  precipita  al  fondo,  mentre  la  solu- 
zione, sottoposta  ad  un  processo  elettrolitico,  rida  i 
metalli  assorbiti. 

Tuttavia  il  grande  lavoro  di  selezione  non  è  an- 
cora compiuto:  l'oro  è  ancora  passato  tre  o  quattro 
volte  per  nuovi  processi  chimici  e  sol  quando  è  com- 
pletamente purificato  vien  gettato  una  terza  volta 
nei  forni  per  mutarsi  finalmente  in  verghe  che  si 
spargono  alla  conquista  del  mondo. 

Ogni  verga  misura  pollici  sette  e  tre  quarti  di  lun- 
ghezza, tre  e  un  quarto  di  larghezza  e  uno  e  mezzo 
di  spessore  con  un  valore  ili  circa  8000  dollari.  Così 


un  vagoncino  ripieno  di  verghe  pel  valore  di  tre  mi- 
lioni di  dollari  non  1  ;  pochi  no- 
mini possono   benissimo  trascinarlo. 

Tutti  gli  operai  portano  guanti  e  maglie  sommi- 
nistrati   dalla    direzione:    gli    abiti    la    sera    ven- 

10  ritirati  sotto  chiave  e  ogni  sabato  accurata- 
mente battuti  per  raccoglierne  la  polvere  d'oro  in- 
filtrata. 

I  .1  spedizione  dell'oro  avviene  di  solito  in  vi 
strette  in  piccoli  barili,  ognuno  dei  quali  ne  contii 
sette  ed  ha  un  valore  di  circa  50,000  dollari.  Rai 
colti  cosi  uno  11  due  milioni  di  bariletti  vengono  por- 
tati da  una  piccola  ferrovia  sino  alla  Wallstreel  si  oi 
tati   da   uomini    armati   di   revolver.    Ogni  bari  lei  io 
I  «  -.1  da  iqo  a  200  libbre  e  un  milione  ne  pesa  3800: 
quindi    i   7.082.583    dollari,  che  la  nave  «  Kaiser 
Wilhelm  »  trasportava  or  non  è  molto  in    Europa, 
pesavano   26.500  libbre,  il  carico  maggiore  che  s  a 
partito  da   New  York. 

E'  rarissimo  che  vada  perduta  qualche  verga  di 
oro  o  d'argento:  un'unica  volta  ne  fu  rubata  una 
da  un  vagoncino.  Altra  volta  un  bariletto  cadde  da 
bordo  nel  porto  di  Cherbourg  ma  fu  subito  ripe- 
scato. 


Tre  milioni  d'uro  in  sbarre. 


-!.>_' 


LA    LETTURA 


Un'oasi  d'arte:  Castiglione  Olona 

Ili  un  articolo  di  l-u>  .1  Delirami,  Della  Rassegna  d'Arte). 

territorio  varesini •  o  f ra  i  laghi  <li 

n  tutta  la  regioni 

ili.  è  tradizionale  l'attitudine  degli  abitam 

dedicarsi  alle  professioni  attinenti  all'edilizia,  e  a 

•iilcrsi  nelle  altre  regioni  ed  all'estero.  Da  più 

ili  ire.  liei  secoli  la  tradizione  e  la  storia  si  accordano 

iel  ricordare  una    non   interrotta   germinazione   di 

da  quei  luoghi  si  diffusero  pi  i  l'Italia  e 


glione    Olona,    a   pochi    chilometri  da  Varese.  Qui 
a  i  .mali//. ne  una  fase  caratteristica  nel- 
i    i  el l'arte,  cioè  quella  della  vecchia 
dizione  medievale  i  he,  agli  albori  del  Rinascimi 
■    nuovo  vigore  e  raggiunge  nuove  genialità 
primi  simi   germi   dell  influì  ma.    A   < 

glione,  accanto  alle  più  schietti'  manifestazioni  del- 
l'arte  lombarda,  così  festosa  nella  vivace  decorazio- 
ne laterizia,  troviamo  le  più  genuine  manifestazioni 
dell'arte  fiorentina,  come  la  chiesa  eretta  dal  i 
n  le  Branda  Castiglioni  nei  primi  decenni  del  se 
colo    XV,   esempio  ili  architettura  del   Brunelli 


tliiesa  del  Corpo  di  Cristo.  —  Architettura  del  Brunellesco, 


l'Europa,  <  1  :«•_■:  1 1  oscuri  scalpellini    e  muratori    agli 
aitisn  che  col  Inru  nume  illustrarono  la  patria  nei 
iti   più  insigni:  dal   Duomo  ili   Milano  al 
i  Mosca,  dalla  <  lertosa  ili  l'a\  ia  a  Sa 
nopi  ili,  dal  li  ili  di  <  orni  i  e 

Mi  «za  ai  palagi  'li  Piei  n  iburgi  >,  darla  < 
Miracoli  ili  Venezia  ai  Santuari  della   Sicilia. 
Reciprocati  uesta  terra  così  prodiga  ili  c- 

•  ispitalità  ad  ariisii  di  altri   n 
li,   dalle  cui  opere  le  traili/ioni  locali  seppero 
trarre  continuo  alimento.   Il  que 

presenta  nel  b  rgo  di  C 


e  gj  ii  del  battisteri  i    dipinti   da   Masi 

«7/i  i  secoli  '  pi  ima  i  he  i  i 

ila   Vinci  mettesse  a  disposizioni  l'u 

cale  'li   Milano  le  svariate  attitudini  del  prodigioso 
Sun  ingegno. 
Castiglione  è,  si  può  dire,  un'oasi  d'arte  perduta 
■    nella  sem]  licita  d'un  p 
iiiatu.  oltre  il  monotono  piano  lombardo,  dalle  pri 
mi  mentali  ondulazioni  del  terreno  dovute  alle 

E     alle   murene   del    fiume.    O    per    nn  . 

biai i  llona.   Dalle   chii 

■    xnacoli  ai  sepolcri,  ai  loggiati,  ai 


DALLE    RIVISTE 


253 


ponici,    ai   camini,  dagli  affreschi  del   batl  sten 
quelli  delle  sale,  Castiglione  Olona  ci  offre  .incera 
una  visione  della  passata  sua  prosperila  ;   una  gita 
lassù  ci  fa  rivedere  un  ambiente  d'altri  tempi    i 


Finestra   in   terracotta  della  casa 
del  card.   Branda  Castiglioni. 


permette  di  ricostituire  col   pensiero    la  vita   d'una 
prospera  borgata  del  secolo  XV. 

Il  suo  sviluppo  e  la  sua  prosperità  furono  opera 
si  ecialmente  elei  cardinale  Branda  Castiglioni,  che 


U.ia  porta. 


ne!  142,5  era  stato  tenace  difensore  delle 
chiesastiche  nei  trattati  contro  gli  Ussiti;  a  lui  si 
deve  l'appello  ad  artisti  della  Toscana.  Egli,  che 
volle  essere  effigiato  nel  bassorilievo  che  adorna  la 
lunetta  sulla  porta  della  Chiesa  collegiata,  dove  la 
locale  tradizione  campionese  predomina  ancora,  non 
volle  frapporre  indugio  ad  assicurare  alla  sua  pre- 


diletta  dimora  le  prime  mar 
scana   in    Lombardia.  La  chiesa  della   Villa  è  una 
vera    importa/ione    d'architettura   del    Brunelli 
che  si  contrappone    recisamente  alle  tradì/  1 
cali:  la  1  -  col  fregio  di  putti  reggi 

dei  festoni  —  motivo  che  si  vede  anche  dipinti 
battistero  di  Castiglione  per  opera  di    Masolini 
Panicale  — e  lo  stipite  della  porta  a  fogliami  ra\ 
genti  delle  ligure  di    Santi,    sono  manifesta 
rte  che    non  si    direbbero,  a  prima   impressione. 
dori  di  qualche  decennio   alla   venuta  in  Lom 
bardia  del    Filarete  e  del   Michelozzo.    La   scoi 
li  cale  però  non  si  lasciò  -  pi  tffare  dal  nuovo  indi- 
rizzo, e  dalla  tomba  dello  sti  ida  Castiglioni 


l'orla  della  Chiesa  di   Villa. 

3  chiesa  collegiata,  serbante  ancora  la  tradizione 
campionese,  alla  tomba  di  Guido   <  '.  nella 

-.1  della  Villa,  che  ha  tutta  la  grazia  dell'*  ' 
ileo,  si  vede  quanto  fosse  robu  ile  la  scu 

li  mbarda. 

Lo  stesso  dicasi  della  pittura;   poiché  l'op 
Masolino  da  Panicale,  se  fu  un  |  ritrito 

ato   dall'arte  toscana  alla  lombarda,  m 
citò  tanta  influenza  su  quest'ult'    a,   la  quale  ne  fu 
ammaestrata,    ma    non   rinuncio  alle  site   ini rin 
quali  à,  e  cioè  a 

ia  nel  disegno  1    nel   col  «     eppe  resi  sten 

anche        1      issa  influenza  di  Leonardo. 

I  )iego  Sant'Ar  risse  sul  25     :<>  di  Casti- 

•  ,,     presso  Varese,  una  speciale  monografia  illu- 
ita  da  50  tavole,  dalle  quali  sono  tratti  i  disegni 
qui  riproduciamo. 


-'•M 


LA    LETTURA 


lia  fotografia  dei  lampi 


.l/.i- 


(!'■>  mi  aiticelo  del   si^.    I.  Si  Lokyec  nel 
febbraio). 

1  lampi,  questi  brillanti  visitatori  che  sembrano 

splendore,    sono  ottimi  pei 

la   lastra  fotografica,  e  infatti   si  sono  ottenute  'li 


scono  l'o  Fortemente  rlie  la  retina,  sta 

rial  bagliore  improvviso,  per  qualche  secondo  poi 
vede  un'immagine  nera  ove  aveva  avuto  la  sensa- 
zione  'li  un'immagine  chiara. 

Perciò  non  si  |  i  !»■  m  vedono  lampi 

mentre  invece  se  ni  mi   fotografie.  Multi   si 

sono  domandati  se  queste  immagini  ottenute  nelle 
pellicole  non  siami  dovute  ,i  qualche  azione  chimica 


Fig. 


molte  bellissime  fotografie  che  fissano  l'aspetto 
torma  di  quei  fugaci  fenomeni  luminosi. 
Di  regola  il  lampo  »  là  un'immagine  chiara  su  un 


speciale  piuttosto  che  alla  reale  comparizione  ilei 
lampi  oscuri.  Dei  lampi,  s'intende,  non  si  |>ossono 
ottenere  fotografie  istantanee,  perchè  prima  che  l'o- 


2. 

i  oscuro,  ma  avviene  talvolta  che  si  ottengono  peratore,  al  comparii   d'uno  ili   quei   fenomeni   lui 

grafie  di  lampi  oscuri  Esistono  i  lampi  oscuri?  minosi,  abbia  fatti                la  molla  che  scopre  l'obJ 

Prima  di  affermarlo,  bisogna  tener  conto  del  fatto  biettivo,  il  fenomeno  è  scomparso.  Ci  vogliono  t ■  »- 

lampi  chiari,  per  la  lupi  luce  vivissima,  colpi-  tere  in   posizione  la  macchina 


Fig.  3- 


Fig.    J. 


Fig.  5- 


256 


LA    1.1. ITI  RA 


dalla  parte  ove  lar  lasciare  scoperto  I  <  >l>- 

vo  per  qualche  minuta  <  ira  si  afferma  da 
limi  che  i  laro  non  esistono,  che  le  imma- 

iiin  il'\ ute  a  parti- 
i  effetti  chimici  :    che  se  si 
a  della   macchina   :  a  immediatam 

il  lampo  s'è  verificato,  si  ottengono  sempre 
pi   luminosi;   mentre  se,  dopo  una   prima   foto 
ci  ira  la  pellicola  espi  sta,  la  lenua 
diffusa  e  il  bagliore  dei  lampi  successivi  oscu 
rano  la  prima  immagine. 

Ma  contro  questa  teoria  si  può  obbiettare  che 
spesso  nel  mezzo  «lei  lampi  usi-uri  si  vede  un  filo 
chiaro,  ciò  che  sarebbe   inesplicabile,  e  soprattutto 


si  possono  opporre  le  esperienze  di  lab  che 

danno   fotografie  di  scintille  elettriche  alcuni    delle 
quali  tipi  !  '  qui.    La  figura  .;  dà  esempi   ili 

diverse  scintille  scure,  chiare,  e  miste  chiare  e  scure. 

Riproduciamo  anche  alcune  fotografie  ili 
ni  limali.  I  ri  una  (fig.  ;  |,   |  resa  in  <  ìermani 
prossimarsi  di  un  temporale,  i  lampi  no  da 

nuvole  lontanissime,  verso  la  una.  e  l'intensità  «Iella 
i  via  che  il  lampo  s'avvicina.  Un'altra 
(fig.  6),  in  presa  durante  lo  stesso  tempi  rale. 
una  pioggia  dirotta.   La  figura   i  ikt- 

chè  'là   un  esempio  ili  diversi   -inni  .li    lampi; 
n'è  uno  orizzontale,  e  una  ^|  ecie  'li  pioggia  ili  lampi 
verticali. 


S/nsc/:i   Ialiti   nera. 


Striscia  nera  con  r,^a  chiara. 


icia  mia  con  larga  striscia  .  hiara 

o  chiara  con  bordi  se; 


Stri  sì  ni  tutta  chiara. 


Striscia  chiara  con   bardi  scuri. 


Striscili  chiara  coti  larga  striscia  scura. 


Strisciti  latta  nera. 


DALLE    RIVISTE 


Iia  cura  del  moto 


1  i.i  un  articolo  del  dott.  ottone  Thils.  nella  Cartenlaube). 

Siamo  avvezzi  a  considerare,  in  ogni  grave  inalai 
lia.  la  quiete  quale  un  indispensabile  mezzo  di  cura  , 
e  una   antichissima  regola  stabilisce,   per   esempio, 
che  le   membra  gonfie  e  indolenzite  debbano  rima 
nere  in   perfetto  riposo,   mediante  bendaggi,  sino  a 
che  ib dolore  e  la  gonfiezza  sono  scomparsi. 

Ma  negli  ultimi  decenni  questa  regola  è  stata  molto 
modificata.  Fra  altri,  dice  Runge  nella  sua  ottima 
idro-terapeutica:  «Come  ormai  sappiamo,  v'ha,  per 
quasi  ogni  sofferenza  organica,  un  periodo  di  tempo 
in  cui  la  necessità  maggiore  è  la  quiete  dell'organo 
malato,  sia  questo  il  cervello,  il  polmone  o  l'artico 
lazione  infiammata,  e  poi  un  altro  periodo,  in  cui 
Millanto  eccitandone  i  movimenti,  possiamo  combat- 
tere la  rigidezza  delle  membra  malate  ». 

Questo  principio  fu.  con  l'andare  del  tempo,  sem- 
pre più  confermato  ed  in  molte  malattie  la  quiete 
Miniai  è  riconosciuta  dannosa.  Specialmente  lo  si 
i  distata  nel  trattamento  delle  articolazioni  lese.  Già 
molti  anni  sono  intesi  dire  in  una  lezione  del  mio 
maestro  prof.  E.  de  Bergmann  :  «  Ammettiamo  che 
un  malato,  in  seguito  ad  una  recente  infiammazione 
leumatica.  abbia  il  ginocchio  contorto  e  immobiliz- 
zato da'  dolori.  Se  cloroformizziamo  il  malato,  ci 
riesce  facile  di  muovere  quel  ginocchio  e  stenderlo 
diritto.  Quando  poi  il  malato  si  desta,  egli  è.  per 
lo  più,  libero  dai  dolori,  benché,  invece,  prima  della 
cloroformizzazione,  al  più  lieve  contatto  del  ginoc- 
chio, addirittura  gemesse.  Dunque  sono  i  movimenti 
che  gli  hanno  attutiti  i  dolori.  Questo  fatto  fu  si- 
nora poco  osservato  e  ancora  meno  messo  a  pro- 
fitto ». 

Sino  a  pochi  anni  sono,  infatti,  il  moto  quasi  non 
consideravasi  quale   mezzo  per  combattere  i    dolori 


Fio.  t. 


-\~>7 

iigura  i  ci  presenta  uno  di  questi  semplicissimi  ap 
parecchi. 

Ho  veduto  spesso  come  de'  reumatici  mettevano 
dapprima  quasi  impercettibilmente  in  moto,  con 
questo  congegno,  il  loro  ginocchio  rigido  e  indolen 

zito,   ma    poi   man    mano   passavano   a    de'   più  forti 

movimenti  e  inline  constatavano  che   potevano  muO; 
Vere  il    ginocchio  senza    più   dolore  di    sena 

Perciò    anche    l'arte    medica    volle    e    seppe  lare 


e  generalmente  punto  quale  farmaci     per  le  arti- 
moni.  Si  adoperavano   i   movimenti   soltanto  |  er  ri- 
mediare a  delle  situazioni  difettose  e,  piuttosto  che 
altro,   come  un   male  necessario.    Soltanto  ne'  ti 
recentissimi  si  costruirono  degli  apparecchi  che  abi- 
litano i  malati   a  mettere  in  moto,    [nasi  senza 
lore  e  di  loro  propria  mano,  le  giunture  malate.  La 

La  Lettura. 


Fig.  2. 

grandi  progressi  in  questo  campo.  Lo  si  vede  chia- 
ramente nel  trattamento  ili  quelle  dita  irrigidite, 
tanto  frequenti  negli  operai  in  seguito  a  lesioni  me- 
diante macchine.  Non  è  remoto  il  tempo  in  cui  la 
loro  lana  si  operava,  anche  troppo  di  spesso,  se- 
condo l'antico  principio:  se  la  tua  mano  ti  annoia, 
tagliala!  Oggi,  anche  grazie  alla  legge  sulle  assicu- 
ri zioni  contro  gli  accidenti,  ci  si  va  un  po'  più  ada- 
gino. Si  sono  inventati  parecchi  congegni,  co'  quali, 
a  forza  di  tirarli  e  stiracchiarli,  si  rendono  nuova- 
niente  atte  al  lavoro  delle  dita,  che  prima  sarebbero 
state  spacciate.  Due  anni  fa  ho  curato  io  stesso  un 
garzone  falegname,  le  cui  dita  della  mano  sinistra, 
ni  seguito  a  grave  lesione,  erano  talmente  intirizzite, 
che  poco  o  punto  potevano  muoversi,  figli  si  eser- 
citò  per  molte  ore  al  giorno  con  un  mio  apparato 
(figura  2)  e  di  notte  teneva  le  dita  in  un  congegno 
die  gliele  tirava  di  continuo.  A  forza  di  tenacia 
riusci    a   rendere  nuovamente   abile   al   lavoro  la  sua 

ra    mano.    Certo,    ormai,    prima   di    dichiararsi 

storpiato  incurabile,  bisognerebbe  guardarsi  un 
po'  intorni   si  riconoscerebbe  allora  che,  mercè  pei 

severanti   esercizi,    anche    de"    mali    cronici    possono 

talvolta,  venire  rimo;  si,  Lo  dimo  itra,  tra  alni,  il  se 
gliente  casi  i  : 

Un  operaio  d'età  me  lia  fu  talmenl i  o 

cavallo  al  braccio  che     en    tamente  i    a  mala  pi  na 
.  a  sollevare  la  man posava   il  bri 

su  un  tavolo  e  lasciava  pendere  la  ii  ani  Oltre  Iorio 
■di  quello.    Ma    nel  corso   d'un    anno  la   mano,   gì 

a  degli  esercizi,  venne  rimessa   in  così  buono 
che  quell'uomo  è  ormai  di  nuovo  un   operaio  lai. 
vu.iiii.    'lei   meglio  pagati.    Nella   prin 
del  trattamento,  i  muscoli  affievoliti  potevano  a  mala 
pena   tirare    mio  grammi   d'un   dinamometro;    dopo 
il  trattamento  d'un  annone  tiravano  8oo.  La  forza 
i  j  dunque  centuplicata.  A  un   signore  di  cinquan- 
tanni lo  scrivere  riesciva.  da  quindici  anni,  sempre 

17 


258 


LA    1.1   I  li  I    \ 


più  difficile,  senza  che  se  ne  potesse  indovinare  la 

ili  »-•  ■  l  dinamometro  ili 
he  i  muscoli  del  pollice  erano  assai   inde 
boli  ti.  Il  pollice  destro  tirava  ben  trecento  grammi 
meno  >  ì*  - 1  sinistro.  Con  degl  !    mesi  e  mesi 

mi  riesci  tuttavia  ili  curare  quella  debolezza, 
i  he  il  ii,  scrivi     [uasi  senza  difficoltà  -il 

«una.    Simili  '-lira  del  crampo  degli 

si  rittori  u  de'  pianisti    non    sono  più  una  rarità. 

,i  e   .|   rappi  due  apparecchi 

dita. 
\     amente  meravigliosi   sono,   invece,    i  successi 
che  nelle  apposite  scuole  della  Scandinavia  si  ot- 
mo   nella  cura  degli   storpiati.    E   ancora  più 
coloro,  tra  questi  disgraziati,  che 
per  propria  volontà  ed  istruzione  autoctona  si  ele- 
vimi' ad  abilità  artistica.  11  chirurgo  berlinese  dot- 
tor Joarhimsthal  narra  d'un  suonatore  di  violino, 
alla  cui  mano  destra  mancano  l'indice  e  l'anulare. 
Malgrado   rie'.,  maneggia   l'archetto  così  bene  che 


è  un  rinomato  concertista.  Unthan,  l'eclettico  ar- 
tista senza  braccia,  è  noto  universalmente.  Co1  piedi 
piglia  e  maneggia  un  lucile  sì  da  colpire  un  alcione 
al  vola  11  dottor  Joachimsthal  mi  mostrò  la  foto 
grafia  d'un  giovane  di  ventinove  anni,  che  in  età  di 
quattro  niesi  aveva  completamente  perduto  l'uso 
delle  gambe.  In  seguito  a  ciò  si  abituò  a  camminare 
u-  mani  I  Può  reggersi  anche  sullo  schienale  di 
una  sedia  con   le  gambe  in  aria  e  gli  basta  a  tale 

pò  anche  una  mano  sola.  Come  artista  ila  ti 
'li   specialità  sbarca   il   lunari". 

Alla  vista  de  molti  storpiati,  cui  si  potrebbe  ilar 
lucilo  <li  guadagnarsi    il  pane  col   laverò,  bisogna 
imare    involontariamente:    ah.    come    sarebbe 
dappertutto  un  gran   numero  'li 
ei     gli    stor]ii.   come   vr   n'hanno    in    Dani- 
marca,   nella   Scandinavia,    in    Finlandia  !    E    più 
Ik-IIo    ancra     sarebbe    se    si    avessero    scuole,    nelle 
quali  con  degli  esercizi  fisici  si  prevenissero  le  'le 
bolezze  e  le  storpiature  'le'  sani.  1     anche  conside 

ratO     Ultto    rio     che.  il.inio.      si      l.l 

nelle    scuole   d'ogni    paese,    inni    ,     mai    paragonai  'ile 

alle  cure  preventive  che  l'antica  Grecia  dedicava  al 
benessere  fisico  'le  giovani,  [vi  si  considerava  ■ 

proprio  corpo.   Si  designava  un  noni" 

un  olio  ci  dirlo:   ..  uno  che  non  sa  né  leggere  né 

M"lio   tempo  e   molto    ilanaro    dedicava 

lo  Stato   ill'educazione  del  corpo  e  grandi  risultati 


si  conseguivano.    Le    statue    d'Apollo,    Menu 

I  liana  stri hi         I     en    glorificavano  la  gin- 
nastica   più    di    tutti    i     bei    discorsi,     Naturale. 

fatte  bellezze  8  vigorie  del  corpo  non  si  ottene- 
vano chi  i  ghi  '  vari  es,  ri  izi.  Ma,  ap 
punto  |  en  io.  gli  Elleni  erano  assolutamente  avversi 

ili  e  unilaterali  sforzi  degli  atleti  .  e  di 
i abile  é  i  In-  i >ggi  ■  ini  si  dedichino  all'ade 

tismi ie pi  ino  il  loro  corpo.  Quanti 

gli"  gioverebbero  lori  i  de'  razionali  esercizi  ginnas 

II  celebre  ginnasta  svedesi  ■  ■_■   era  .lei- 
mali       o     ria,   nell'Istituto  centrale  di  ginnastica 

Ima.   si    ringagliardì    tanto  che  diresse    poi 
l'Istituto    Stesso    per   quarantanni,   ciò,-   sino  al   suo 

"itanta. luesi i    generalmente    1"  studi"  preciso 

d'una  ginnastica  razionale  lo  dobbiamo  agi     - 

<  "a  nel  principio  del   si-colo  scorso  essi,  iiiediantt 

movimenti    ed  esercizi  de'  muscoli,  riescirono  non 

soltanto  a  diminuire  ma  anche  a  distruggere  com- 
pletamenti' le  gravi  sofferenze  del  cuore,  de'  nervi 
e  daltre  parti  dell'organismo.  Si  cominciava  con 
de  movimenti  lievissimi,  quasi  impercettibili, 
passava,  man  mano,  a  degli  esercizi  energici.  Anche 
oggi  l'arte  di  questo  metodo  di  cura  consiste  special- 
niente  nell'ottenere  gli  esercizi  in  giusta  misura. 
Uno  dei  migliori  testimoni  de'  risultati  che  se  ne 
possono  ottenere  è  il  noto  medico  Oertel.  salito  poi 
in  gran  fama  per  la  cura  cosidetta  di  Schwening. 
Egli  si  trovava  già  in  condizioni  deplorabili.  Era  i 
dropico  e  la  respirazione  gli  riesciva  difficile.  Cosi 
malandato  si  recò  in  montagna  e  accelerando 
si  mpre  più.  ma  un  po'  alla  volta,  il  passo  e  aste 
nendosi  dal  bere  qualsiasi  liquido,  seppe  liberarsi 
dalle  sue  sofferenze.  Dapprima  doveva  soffermarsi 
ogni  dieci  passi  per  prendere  fiato,  poi.  man  mano, 
potè  percorrere  lunghi  tratti  di  via  e  infine  ascen- 
dere anche  alte  montagne.  La  idropisia  scomparve 
con  gli  altri  guai. 

Di   non    dissimili   qualità    di    spirito  d'intrapi 
(lenza,  di  tenacia  e  di  energica   volontà  fruiva  quel 
libraio  di  Lipsia,  che  soffriva  d'asma  e  inventò, 
proprio  uso.    una   ginnàstica   della   respirazione 
lo  libere)  da  quel  malanno.  Generalmente  però 
scirà  di  rad"  ai  inalati  di  curarsi  <\.i  sé,  specialmi 
perche  alla  maggior  pane  fanno  difetto  la  costai 
e  la  lorza  di  volontà  necessarie.   Ne  sa  dire  qual 
cosa  in  proposito  il  celebri   chirurgo  Billroth.    1 
scrisse  ottime  regole  per    il  li  gli   affetti 

da    mali  cardiaci,    dimostrando  con»,   con   delle    a- 
scensioni  in  montagna,  possono  liberarsi  dalle   lurn 

lenze.  E  intitolò  il  su"  metodo;  «  cura  dei 
reno  ».  Ma  quando  egli  stesso  s'ammalò  di  ■  > 
non  osservi''  ni  TcrrainkuTtn,  né   le  oro. 

zioni  del  suo  medico.  Vennero  poi   pubbli' 
lire  di   Billroth.  le  quali  dimostrano  quanto   facil- 
ine del  miglior  medico  nulla  possa  in  con- 
seguenza del  carattere  del  malato. 

I  ..i  quiete  é  generalmente  più  dannosa  ai   i 
che  inni    li  giovani.    E'  un  fa  in  rilievo 

che  di  riveliti  dal  celebre  melico  Ermanno  We 
I  er  di  Londra,  che.  in  età  di  settantacinque  anni, 
intraprende  ancora  delle  ascensioni  in  monta- 
gna.    Intorno    ai    cinquantanni    ogni    fatta   'li    sin 


DALLE    RIVISTE 


tomi  al  cuore  ed  alla  testa  si  mostravano  minac 
cifisi.  Ma  con  un  regolare  movimento  all'aperto  e 
grande  moderazione  nel  mangiare,  si  liberò  comple- 
tamente delle  sue  sofferenze.  Egli  esige  specialmente 
che  ai  vecchi  si  imponga,  tratto  tratto,  una  dieta 
inulto  limitata.  Si  legga  spesso  sul  letto  o  sul  ta- 
volo da  lavoro  de'  malati  di  cuore  il  motto:  «  Uomo, 
non  t'arrabbiare!»  Io  credo  che,   in  molti   casi,  sa 


Fig.  4. 

rebbe  più  giusto  di  usare  le  parole  che  Shakespeare 
fa  rivolgere  da  Enrico  IV  a  Falstaff:  0  Scema  il 
tuo  corpo  perchè,  sappi,  la  fossa  si  spalanca  di- 
nanzi a  te  tre  volte  più  larga  che  agli  altri  uomini  ». 

Non  scarso  pericolo  per  la  vecchiaia  è  anche  la 

binazione  de'  vasi  sanguigni,  ma  anche  per  que- 
sta malattia  —  almeno  nei  suoi  primordi  —  sicuro 
e  semplice  sistema  di  cura  è  il  moto.  Curavo,  tempo 
fa,  un  vecchio  signore,  in  cui  la  calcinazione  delle 
vene  era  già  molto  avanzata.  Alle  dita  del  piede  de- 
stro già  si  mostrava  la  cancrena  senile,  che.  come  Io 
dimostrò  il  prof.  Zoege  de  Manteuffel  di  Dorpat. 
proviene  appunto  da  quella  calcinazione.  Ma,  grazie 
a  un  moto  regolare  all'aria  aperta  e  alla  modera- 
zione nel  mangiare  e  nel  bere,  questo  vecchio  si- 
gnore potè  guarire  e  mantenersi  per  molti  anni  an- 
cora capace  al  lavoro. 

Il  moto  è  anche  un  eccellente  farmaco  in  molti 
disturbi  degli  organi  digestivi  e  nelle  malattie  dei 
nervi.  Già  da  tempo  è  un  fatto  ben  noto  che  per 
quegli  indebolimenti  di  nervi,  che  sono  la  conse- 
guenza di  soverchie  fatiche  dello  spirito  e  del  corpo. 
la  calma  ininterrotta  è  molto  dannosa.  Stanley 
scrisse  che  invano,  col  soggiornare  in  parecchi  sili 
di  cura,  cercò  espellere  le  conseguenze  della  sua  tra- 
versata  dell'Africa.  Si  recò  allora  ne'  monti,  obbe- 
dendo  .1  un  irresistibile  desiderili  di  moto.  E  man 
mano  i  suoi  nervi  tornarono  in  ottimo  stato.  Ma  pei 
siiiu  contro  delle  vere  gravi  malattie  de'  nervi  - 
quale,  per  esempio,  l'atrofia  della  schiena  dorsale 
—  si  adopera,  con  buon  esito  il  moto.  Un  ufficiale  sve- 
dese, che  era  affetto  da  quel  marasmo.  tu  ristabi- 
lito siffattamente  dal  massaggio  e  dagli  esercizi  . 
da  poter  riprendere  il  servizio  e  marciare  ^|  esso 
1  per  venticinque  chilometri  al  giorno.  Per  ben  un 
anno  però  si  era  sottoposto  a  questo  trattamento. 
In  Isvezia  si  fanno  .  più  spesso  che  altrove  .  delle 
cure  cosi  lunghe  perchè  la  fiducia  nella  loro  effica- 
cia vi  è  avvalorata  da  una  esperienza  di  molti  anni. 

E  la  costanza,  relativa  al  male  che  si  vuol  combat- 


259 

tere,  è  uno  dei  coefficienti  maggiori,  indo  poi  che 
le  cure  dei  movimenti  anche  per  gli  tster 
malati  d'infiammazioni  articolari  e  1  bambini  storpi 
verranno  adottate  generalmente  soltanto  quando 
i  relativi  apparecchi  saranno  semplici  e  modici  sì 
che  possano  valersene  anche  1  inalati  meno  abbienti. 
E  questi  esercizi  a  così  dire  «  in  massa  »  l. iranno 
ottenere  tanti  e  così  grandi  mi- ressi  che  spariranno 
tutti  i  pregiudizi  contro  le  cure  dei  movimenti  ra- 
zionali. 


Ii'avvenipe  dei  popoli 

di  lingua  inglese 

1  Da  un  articolo  di  W.  T.  Stead ,   nel  Cosmopolilan,  gen- 
naio 1902 1. 

L'autore  narra  le  interessanti  interviste  da 
lui  recentemente  avute  con  tre  uomini  dei  quali  tutto 
il  mondo  anglosassone  riconosce  l'alto  valore  e  l'au- 
torità:  Cecil  Rhodes,  Andrea  Carnegie  e  Hiram 
Maxim. 

E  difficile  immaginare  tre  personalità  di  carat- 
tere e  di  altitudini  più  spiccatamente  diversi.  Rho- 
des, il  colosso  del  Sud  Africa.  In  dapprima  cerca 
torelli  diamanti,  poi  fondatore  d'imperi;  Carnegie 
cominciò  la  vita  quale  poverissimo  emigrante  scoz- 
zese ed  ammassò  poi  una  sostanza  gigantesca  con 
vertendo  in  oro  il  ferro  ih  Pittsburg;  ed  Hiram 
Maxim,  nato  negli  Stati  Uniti,  nel  Maine,  e  stabi- 
lito in  Inghilterra,  ove  Vittoria  lo  creo  baronetto, 
va  famoso  eoini-  il  più  grande  costruttore  di  stru- 
menti da  guerra  che  vanti  l'industria  anglo-sassone. 

Nonostante    la    differenza   di     patria,     di    occupa 
/ioni,  d'ideali,  tutti  e  tre.  parlando  dell'a\  venire  della 
loro    razza,  espressero  uni    impressionante  accordo 
la  stessa  opinione:    che.  cioè,    riunire  in  un   tutto 

omogeneo  le  dui;  grandi  famiglie  di  cui  questa 
razza  si  compone,  è  il  più  alto  dovere  che  incomba 
oggi  alla  Nazione  inglese  cornea  [uella  americana. 
Se  altia  gente  di  vista  ristretta   può  esitare  1    pei 

diasi  in  questioni  effimere,  quei  He  uomini  dall'in- 
telligenza aperta,  dalla  larga  esperienza,  hanno  già 
sviscerato  il  grande  problema,  si    può  din    appena 

si  ali  1.     Eccone    in    lue1,  ,  ,  mini. 

I  .a  razza  anglo  sassi  me  1  api,  elet- 

tivo uno.  l'ah ro  ereditai       ria  dui  i  fiscali: 

uno  1  rancamente  1  1 

seconda  del  momento  politico.  1  due  Stati  manten- 
gono pure  due  eserciti.  iì\]v  marini  due  corpi  di- 
plomatici e  consolari     I ianO,  in    una  parola,    ihtr 

entità     politiche     spesse      in      n  .      ino 

Ira   loro,   mentri    la    lingua,    la    religione,   gl'id 
morali,  la  vita  di  famiglia.    I  ma 

dei    rispettivi    popoli     SOI  '    •lalniente    identici. 

Non  solo  gl'interpellati  furono  unanimi  nel  ri- 
conoscere  la  ne 

t  agi  misn a    1 ro     pine     sin     ine/. 

conseguire  I"   scopo. 

Pei    giungere   alla  naturale   della    que- 

stione, essi  dicono,  occorre  tener  presente  che  il  cen- 
tro  d'unità  della   razza  è  ormai    p  da   Londra 


Jt  II  I 


LA  LÈI  rURA 


a  Wì  1  gì   ' ii  gra\  ita  »  lopoli 

come  pei  sistemi  planetari,  ed  il  fatto  Stati 

Uniti  hanno  popolazione  quasi   doppia  dell'Inghil- 
terra, fu  sufficiente  ad  operare   l'accennato  spi 
mento.  Il  Regno   Unito  sarà  sempre  la  patria  dei 
popoli  'li   lingua   inglese;  ma  esso  ha  gi 
ili  essere  il  si  .il  quale  naturalmente  essi 

gravitano. 

Come  l'>nl  Roseberj  nel  suo  indirizzo  agli  stu- 
denti dell'Università  'li  Già  s  os- 
servava,  col  linguaggio  energico  e  preciso  che  1"  di- 
stingue,  che,  se  la  pazza  tirannia  ili  Giorgio  III 
non  avesse  spinto,  sullo  scorcio  del  secolo  decimot- 
tavo,  le  tredici  colonie  ami  alla  ribellione, 
In  spostamento  sarebbe  avvenuto  insensibilmente, 
naturalmente,  ed  ormai  il  cervello  ed  il  cuore  della 
gratp  \  :  i  ne  indivisa  sarebbero  passati  senza 
se  dalle  riu-  del  Tamigi  a  quelle  del  Potomac. 
Non  \i  penso  mai,  il  grande  finan- 
ziere. —  senza  un  acuto  senso  di  dolore.  Se  la  razza 
angli» sassone  non  fosse  stata  brutalmente  divisa 
lue  dall'ostinazione  di  quello  stupido,  la  guerra 
sarebbe  sparita  dal  mondo  ben  prima  d'oggi,  per- 
chè nessuno  avrebbe  potuto  tirare  un  colpo  di  can- 
none senza  il  nostro  permesso,  e  noi  ci  saremmo 
bene    guardati    dall'accordarlo  ». 

Ma  Rhodes  è  uomo  d'azione  e  non  di  rimpianti  ; 
egli  pensa  che  quanto  non  si  è  latto  sin  qui,  si  possa 
e  si  debba  fare  in  seguito.  In  apparenza,  ciò  contra- 
ili la  sua  fama  di  fanatico  imperialista  ;  ma.  in 
realtà,  il  suo  ideale  è  più  vasto  della  semplice  estin- 
zione e  conservazione  dell'Impero  inglese.  Questo 
non  è,  ai  suoi  occhi,  la  metà  di  un  tutto  di  cui  la 
Repubblica  americana  forma  l'altra  metà  ;  e  l'Home 
Rule  irlandesi-  fu,  secondo  lui.  il  primo  alla  inevi- 
tabile ed  indispensabile  americani//a/ii  me  delle 
vecchie  istituzioni  britanniche.  Così  egli  pensa 
quantunque  naturali  riguardi  gl'impediscano  di  par- 
lare pubblicamente  in  tal  senso. 

Andrea  Carnegie  è  anche  più  esplicito  ed  ha  una 
a  visione  del  futuro.  Crede  non  sia  possibile 
Ottenere  il  completo  trionfo  della  democrazia  fin- 
ché l'Impero  ton  siasi  completamente  fuso 
nella  Repubblica  americana.  Il  Regno  Unito  po- 
trebbe  comodamente  dividersi  in  otto  Stati,  ciascu- 
no altrettanto  popolato  quanto  quelli  ili  Nuova  York 
e  di  Pennsilvania  ;  ed  egli  già  vede  vicino  il  giorno 
incui  i  sudditi  dell'altera  Monarchia  domanderanno 
il  glorioso  permesso  di  diventare  cittadini  della  Re- 
pubblica  americana  e,  mutando  nome,  diver- 
rebbe la  Repubblica  federale  di  tutta  la  stirpe  an- 
glo-sassoni Monarchia.  Chiesa  ufficiale 
sarebbero  releg  ricordi  di  \m  periodo  scom- 
parso, e  la  grande   Na                 ubblicanamente  01 

ganizzata,    dominerebbe  il   mondo. 

Hiram    Maxim,   senza   l'orno  OHI    la    fan- 

tasia,  constata  [iure  che  gli    Stati   Uniti  sono  ormai 
il  centro  vero  della  razza,  né  vede  foi  ld  ar- 

ri- il  naturali-  processo  di  evoluzione    verso  l'u- 

l         dunque  're    uomini  tipici    sostanzialmente 
nvenienza   dell'une  nel- 

l'interesse dell 


mondiale,  sulla  presente  supremazia  degli  Stati 
Uniti  e  sulla  necessità  assoluta  che  il  gran  fai'' 
compia,   prendendo    l'America   pei    centro  ed  adot- 
tando un   sistema  fedei  .ed  elastico. 

Un  giornalista  americano,  parlando  alla  sua  vol- 
ta con  l'autore,  afferma  che  l'Unione  americana 
non  sarebbe  disposta  ad  accettare  adesso  \in'r; 
ture  dell'Inghilterra  in  questo  senso,  la  quale  sa- 
rebbe invece  Stata  accolta  con  grande  favore  ven- 
tanni fa.  Carnegie,  per  contro,  sostiene  che  una  si- 
mile proposta  solleverebbe  in  tutti  gli  Stati  Uniti 
\ero  entusiasmo,  senza  distinzione  di  paniti  né  di 
i  lassi  s.  iciali. 

Per  quanto  riguarda  i  cugini  d'oltre  Oceano,  l'au- 
tore, —  che  è  inglesi-.        non  si  pronuncia  :  ma  egli 
■  manda   invece  come  l'idea    d'una    fusione  vei 
rebbe  accolta  dai  sudditi  di  Edoardo  VII, 
stretto  a    riconoscere   che  pel  momento    l'immensa 
gioranza  la  respingerebbe  con  orrore  e  chiame- 
rebbe traditore  della  patria  chi  i  rsene  ban- 
re.    Ma   fu  questa  sempre  la  sorte  prima  delle 
aidite  iniziative  che  poi    finirono  col  trionfare. 

L'autore  istituisce  un  parallelo  fra  ciò  che  av- 
vinile in  Germania  nel  secolo  scorso  e  ciò  che  pro- 
babilmente avverrà  nel  mondo  inglese  nel  nostro 
secolo  venti  sano.  L'Inghilterra,  dice,  rappresenta 
l'Austria  con  le  sue  tradizioni  ed  il  suo  conservato- 
rismo, in  una  parola  il  passato;  l'America  giovane, 
ardita,  intelligente  e  poco  scrupolosa,  rappresenta 
la  Prussia,  cioè  l'avvenire,  e  le  Colonie  inglesi  sono 
i  minori  Stati  germanici  che  subirono  l'evoluzione  e 
da  satelliti  di  quella  divennero  poco  a  poco  parte 
integrante  del  nuovo  organismo  nazionale. 

Molti  sintomi  fanno  sperare  che  l'ideale  anglo- 
sassone, a  differenza  di  quello  tedesco,  possa  com- 
piersi senza  spargimento  di  sangue.  Osservando, 
infatti  .  le  Colonie  britanniche,  si  vede  come  già 
nella  loro  organizzazione  politica  imitino  anziché 
la  madre  patria,  la  Repubblica  americana.  In  esse 
non  esistono  né  aristocrazia,  ne  Camera  ereditaria, 
né  Chiesa  ufficiale-,  i  deputati  sono  pagati  dallo 
Stato  ed  i  principali  uomini  politici  pensano  ed  a- 
giscono  americanamente.  Uniti  al  vecchio  tronco  da 
tradizioni  ed  affetti,  quei  paesi  sentono  |ktò  l'at- 
trazione della  Nazione  giovane  ed  energica,  alla 
i  ni  vita   pubblica  prenderebbero  parte  volentieri  e 

senza    SCOSSe. 

La  tendenza  imperialista  dominante  adesso  nella 
polii  -'■  ti"ii  può  che  affrettare  l'evoluzione. 

L'Impero  britannico  sui  '  sul  mu- 

tuo  consenso    e  non   sulla   forza.   Che   il   risus. 
spirito  di    Giorgio    III    manifestatosi    nella   guerra 
del  Sud-Afrii  ed  il  Can 

Australia,  tutte  le  altre  ('..Ionie  si  ribelleranno; 
ma.  troppo  deboli  |  i  sole,  passeranno  ; 

..    poco  a    far    parte  della    grande    Repubblica  ame- 
i  il  .ina. 

Quella  guerra  che  apparentemente  strinse  i  vin- 

i a  madre  patria   e  le   sue  lontane  figliuole. 

in  realtà  li  ha  rallentati  irrimediabilmente.  La  lunga 

di  un  pugn..  .1.   Rieri    ha  convinto   il 
li  no  australiano  che  in  casa  propria  anch'esso 
.uro    da   invasioni    straniere  e  che   la   fiotta   ingle 


DALLE    KIMM1 


2Ó1 


non  è  più  necessaria  alla  sua  difesa  :  e  lo  spetta- 
colo di  duecentomila  uomini  tenuti  in  scacco  da 
quindicimila  contadini  irregolarmente  messi  insie- 
me, non  è  tale  da  accrescere  il  prestigio  dell'Im- 
pero. 

Vi  sono  inoltre  potentissime  ragion:  economiche 
le  quali  attraggono  poco  a  poco  le  colonie  stesse 
nell'orbita  americana,  con  la  forza  sovrana  dell'in- 
teresse diretto. 

Ora.  se  tali  pronostici  non  sono  errati,  se  real- 
mente la  Gran  Brettagna  è  destinata  a  vedere  le  sue 
maggiori  colonie  staccarsi  da  essa  ad  una  ad  una 
per  diventare  americane,  quale  alternativa  le  res 
Già.  parecchi  anni  fa.  Carnegie  disse  che  l'Inghil- 
terra doveva  (i  fondersi  con  la  sua  minore  sorella 
sotto  pena  di  passare  in  linea  secondaria,  di  diven- 
tare un'entità  relativamente  trascurabile  negli  an- 
nali futuri  del  mondo  anglo-sassone  ». 

Le  sue  parole  suonarono  allora  offensive  ;  ma 
dato  che  l'evoluzione  sia  necessaria,  fatale,  conclu- 
de l'autore,  meglio  sarà  sempre  per  noi  metterci 
alla  testa  del  movimento  anziché  lasciarci  rimor- 
chiare, e  meglio  anzitutto  tenere  costantemente  sotto 
gli  occhi  della  Xazione  questo  grande  ideale  per 
impedire  che  una  inconsulta  opposizione  trascini 
prima,  o  poi  le  due  N'azioni  ad  un  rovinoso  conflitto 
parricida.  E'  questo  un  desiderio  degno  dell'entusia- 
smo e  della  cooperazione  di  tutti  gli  uomini  di  buo- 
na volontà,  al  di  qua  come  al  di  là  dell'Atlantico. 


Si  può  guarire  della  vecchiezza? 


I  Da  un  articolo  delle  Lectures  pour  tous,  di  gennaio). 

In  ogni  tempo,  a  dispetto  dei  pessimisti,  gli  uo- 
mini hanno  amato  la  vita  ed  hanno  cercato  o  so- 
gnato di  eternarla.  Anticamente,  il  privilegio  della 
gioventù  immortale  fu  attribuito  agli  Dei.  ma  i 
semplici  mortali  non  disperarono  neppur  essi  di 
ottenerlo  e  questa  speranza  è  espressa  nella  poe- 
tica leggenda  di  quella  ninfa  che  Giove  mutò  in 
fontana,  le  cui  acque  avevano  la  singolare  potenza 
di  ringiovanire  coloro  che  vi  si  immergevano.  Nel 
medio  evo  questa  favola  continuò  ad  aver  creili!'. 
e  nel  romanzo  di  cavalleria  intitolato  Huon  de  Bor- 
deaux, la  sorgente  magica  è  rammentata:  «  Viene 
essa  dal  Nilo  e  dal  paradiso  terrestre,  ed  ha  una 
tale  virtù  che  se  un  uomo  ammalato  beve  delle  sue 
acque,  tosto  guarisce,  e  se  è  vecchio  e  decrepito, 
torna  all'età  di  30  anni  •.  Questa  credenza  era  tanto 
radicata,  che  quando  Colombo  scoprì  l'America 
non  si  dubitò  che  la  fontana  mirabile  si  trovasse 
nel  nuovo  mondo,  e  cercandola  un  navigatore  spa- 
gnuolo  scoperse  la  Florida. 

Ma  nell'età  di  mezzo,  come  si  cercò  la  pietra  fi- 
losofale in  fondo  alle  storte  ed  ai  lambicchi,  così 
si  tentò  di  comporre  l'elisir  di  lunga  vita.  Xel  1590 
Bacone  raccomandò  come  adatti  a  prolungare  l'e- 
sistenza i  preparati  d'oro,  le  perle,  le  pietre  pre- 
ziose, e  citò,  come  esempio,  la  contessa  Desmonts 
arrivata  a  140  anni  grazie  al  liquore  d'oro.  Tin- 
tura d'oro,  sali  siderali,  essenza  degli  spiriti  del  sale 


erano  le  droghe  in  uso  per  arrestare  la  vecchiaia. 
TI  cavalier  di  San  Germano  inventò  il  the  di  vita. 
miscuglio  volgare  e  inefficace  ili  sandalo,  di  sena 
e  di  limxvhio.  1  1,  più  tardi,  compose  I  elisir 

mediante  l'infusione  di  certe  pian  l 'he- 

valier.  nel  1787.  pubblicò  un  libro  per  insegnar 
l'arte  di  ringiovanire.  Oggi  noi  non  crediamo  più  a 
queste  cose;  ma.  rimasto  intatto  l'amore  della  vita. 
e  trasformatosi  lo  spirito  pubblico,  si  cerca  nella 
scienza,  nella  fisiologia,  nell'igiene,  ciò  che  un  tem- 
po si  cercava  nell'alchimia,  nella  magia  e  nella  leg- 
genda. 

I  -  asi  di  longevità  sono  stati  studiati  ed  enume- 
rati attentamente,  come  quelli  dai  quali  dipende  il 
modo  d'impostare  la  quistione.  In  un  censimento 
dell'Italia  fatto  sotto  l'imperatore  Tito,  narra  Svi 
ionio  che  si  trovarono  3  uomini  ili  140  anni.  8  di 
r.35,  6  di  120.  63  di  no.  Attila  morì  a  124  anni.  1  n 
Inglese,  nato  nel  1483.  morì  nel  1651,  vivendo  168 
anni  e  vedendo  regnare  io  re.  A  Cleves,  nel  1666. 
viveva  un  vecchio  di  120  anni,  dalla  \ 
e  dai  denti  intatti.  Il  dottor  Hufeland  vide  a  Re- 
chingen,  nel  Palatinato,  un  vecchio  al  quale 
denti  rinacquero  dopo  che  li  aveva  tutti  perduti  ;  i 
nuovi  denti  caddero  dopo  sei  mesi,  ma  altri  ani 
ne  spuntarono.  La  statistica  ci  apprende  che  nel 
1870  c'erano  in  Europa  62.503  persone  che  ave 
vano  oltrepassati  i  cento  anni.  Al  Canada,  nel  1871. 
se  ne  contavano  421.  A  Buenos  Aires  vive  un  negro 
che  ha  150  anni.  In  Russia,  e  precisamente  in  Li- 
vonia.  un  altro  vecchio  arrivò  ai  168.  Un  Francese, 
ufficiale  degli  ussari,  fu  fatto  prigioniero  dai  Russi 
alla  Beresina  :  internato  a  Saratov.  si  diede  all'in- 
segnamento: impartiva  ancora  lezioni  a  110  anni, 
e  visse  fino  a  126  anni.  Più  straordinario  ,'•  il 
di  Pietro  Czortan.  morto  a  Temesvar,  in  Ungheria, 
a  195  anni;  il  suo  primogenito  ne  aveva  155.  In 
Francia,  tra  molti  casi  di  longevità  (famoso  quello 
dell'illustre  chimico  Chevreul),  se  ne  «ita  uno  sin 
irissimo:  la  contadina  dell'Alta  Garonna  vis- 
1  fino  a  158  anni,  nutrendosi  di  formaggio  e  di 
latte  di  capra:  il  suo  corpo,  ridotto  al  peso  di  21 
chilogrammi,   era  coperto  da  una  srgamena. 

Questi  casi  provano  che.  in  certe  condizioni   an- 
Oora  mal  note,   la  vita  può  prolungarsi  oltre  i  limiti 
ordinari.   D'altra  parte  si  sa  che  la  materia  vivente 
della  quale  siamo  composti,  p>>ssiede  un   potete  .li 
riproduzione,    un  potere  plastico  veramente  meravi- 
glioso.  Negli    animali   inferiori,    nelle  idre    d'acqua 
dolce,  questo  potere  è  massimo:    se  si  tagliano  in 
due.  ciascuna  delle  due  metà  ridiventa  un  anin 
completo;   la  coda,  le  zampe  e  gli  stessi  ooch; 
tiitoni    rinascono  tutte   le  volte   elle   sono  tagliati   0 
strappati.   Certe  parti   del    cervello  si   riprodui 
si  creano  una  seconda  volta,   dopo  che  sono   state 
asportate.  Negli  uomini,  la  fibra  logorata  dalle  ma- 
lattie e  dagli  abusi    si   restaura  ed  acquista  mi 

le  cure.  Perchè  gli  organismi 
.rati  dalla  vecchiezza  non  potrebbero  risor( 
allo  stesso  modo?  Gli  antichi  consigliavano  a  que- 
sto scopo  bi  speciali.  Plinio  raccomandava 
di  nutrirsi  di  serpenti,  per  I  enti  hanno  !a 
vita  lunga  :    altri  suggerivano  cose  più  stravaganti. 


MI- 


LA   LETI 


l'ile  scienziato  moderno,  un  discepolo   del    Pa- 
steur, il  dottor  Metchnikoff,   ha  trovato  invece  un 
siero  benefico  e  vivificante,  il  siero  anti-leucocitario, 
ombatten  Ma,  prima   '!i  vedere 

può  veramente  ci  imbatterla,   b  i  sa]  ere 

in  che  cosa  precisamente  consiste  la  vecchiezza. 

La  sua  pri ma  causa  è  il  consumo  dei  tessuti.  Una 
macchina,  con  l'uso,  si  logora  ;  altrettanto  avviene 
della  i    umana,  con   questo  ili   pan  in  ilari-. 

che,  mentre  la  i  che  va  '■"!  carbone  è  I 

d'acciaio  o  'li  ghisa,  noi  siamo  Fatti  della  stessa  so- 
i  andare  il  no  tro  i irganismi i.  In  altre 
parole,  siamo  come  una   macchina  che   fosse  fatta 
«li    carbone.    Le  cellule  dei  nostri  tessuti   bruciano 
no  e  notte  al  contatto  dell'ossigeno  portato  dai 
del  sangue,  ed  il  calore,  l'energia,  la 
forza  viva  prodotti  in  questo  modo,  fanno  lavorare, 
fanno  funzionare  la  nostra  macchina.  X<  >i  dovrem- 
mo pertai  nerircS  in  questa  confi  ''ge- 
nerale, se  non  fosse  che  le  nostre  cellule  posseggono 
la    meravigliosa   proprietà   «li    rinnovarsi    continua- 
mente, 'li    ricostituire  la    loro  sostanza  mano  mano 
che  si  brucia  e  si  distrugge.  Nel  sangue  che  filtra 
attraverso  le  pareti  ili   impercettibili  vasi,  chiamati 
trovano  i  materiali  necessari  alla  ri- 
■i/i'  in-,  materiali  che  non  sono  altro  se  non  gli 
alimenti  passati  nel  sangue  dopo  essere  stati  dige- 
riti. Disgraziatamente,  questo  potere   di   riparazione 
coti     lura   sempre.    Massimo  nella    fanciullezza,    si 
attenua  con  gli  anni,  e  nell'età   adulta   le  nostre  cel- 
lule non  poss.  in"  far  altro  che  mantenere   l'equili- 
brio                ne  il  giorno  in  cui  il  potere  d'assimi- 
ne  scema  e  si  esaurisce. 
\l.i   ni               il  consumo  dei   tessuti    produce  la 
hiezza  :    essa   è    anche  causata    dai   nemici    che 
sbaragliano  e  distruggono  le  cellule  organiche.  Que- 
sti nemici  sono  le  cellule  ntacrofaghe,  specie  di  va- 
gabondi  che    vivono  di    rapina   e    di   brigantaggio. 
Esse    formano   una    razza    particolare    dei   globuli 
bianchi  del  sangue.  Partono  dalla  milza  e  dai  ganglii 
linfa'  '  i  dove  sono  appostate  e  s'insinuano  nei  tessuti, 
incontrano  le  cellule  sedentarie,   le  cellule  nobili  del 
cervello,  le  cellule  lavoratrici  dei  muscoli  ;  e  se  que- 
ste sono  stanche,  esauste,  mal  nutrite,  e  in  una  pa- 
rola deboli,    i    macrofagi  le  assalgono  e  le   divo- 
si   atrofizzano   tutti    i 
nostri  tessuti,    le  ossa,  i  muscoli,  la  pelle. 

Ecco  dunque  il  ragionamento  fatto  dal  dottor 
hnikoff:  durante  la  vecchiaia,  noi  abbiamo  da 
una  parte  le  cellule  nobili,  che  sono  indebolite  dal- 
l'età, e  dall'altra  i  macrofagi  che  sono  rimasti  ga- 
gliardi e<l  aggressivi.  Possiamo  infondere  (orza 
alle  celluli  No:    Ebbene:  tentiamo  allora 

di  ridurre   all'impotenza    le  loro   nemiche,  mediante 
un  siero  simile  a  quelli  che  si   fabbi  ntro  i 

microbi  '  E  così  egli  ha  fatto:  ha  preso  un  pezzo  di 
milza  di  cavia  —  la  milza  è  in  tutti  gli  animali  il 
feudo  dei  macrofagi  -      lo  ha  pestato   nell'acqua, 
■  mulsione  di  n 

la    pelle    di   un  Coniglio. 

Il  irto  più   volte  questa  mie/ione  in  modo  ila 

nar  bene  il  coniglio  contro  i   macrofagi   delle 

■  avie.  e  allora  ha  visto  che  il  sn-ro  del  coniglio  aveva 


la  proprietà  di  uccidere,  dissolvendole,  le  cellule  ma- 
crofaghe    delle   cavie.    Ha   poi   ril  sperienza 

in  senso  inverso,  vaccinando  delle  cavie  contro  i 
macrofagi   dei  conigli,    ed  ha  ottenuto  così  un   altro 

suto  valido  contro  questi  ultimi.  Ed  ecco  trovato  il 
siero  .uni  leucocitario,  il  sien.  contro  la  vecchiaia... 
dei  conigli  e  delle  ca 

Se  anche  questi  sieri  si  potranno  iniettare  etti 
cacemente  nell'uomo,  la  vecchiaia  non  sparirà  ;  per 
che  saranno  bensì  .list rimi  i  macrofagi,  i  nemici 
delle  cellule  nobili  ;  ma  queste  continueranno  fatal- 
mente a  stancarsi,  a  estenuarsi,  a  logorarsi.  Vecchi 
eravamo,  e  vecchi  saremo.  Ma  la  scoperta  del  Metch- 
nikoff non  ;•  perciò  meno  notevole;  è  un  progresso 
della  sieroterapia,  e  potrà  condurre  a  nuove  ap] 
cazioni  di  questo  metodo. 

Ita  guarigione  del  eanepo? 

(Da  un  articolo  del  dott.  Caze.  nella  Revue). 

Iniziata  dal  dottor  Rutchins.  della  Carolina  del 
Sud.  la  cura  del  cancro  mediante  i  raggi  Roentgen 
avrebbe  dato  ultimamente  risultati  straordinaria- 
mente felici  al  dottor  John  E.  Gilman,  professore 
all'Accademia  medica  di  Chicago.  Questi  ha  aiTer- 
n  ato  al  corrispondente  d'uno  dei  maggiori  giornali 
di  Nuova  York  (YHerald)  che.  sottoposti  alla  cura 
dei  raggi  una  cinquantina  di  infermi,  ha  ottenuto 
altrettante  guarigioni.  Un  suo  collega,  il  dottor  Wel- 
dor,  ha  riconosciuto  che  almeno  in  due  di  tali  casi 
gli  effetti  della  'tira  sono  stati  veramente  insperati. 

Il  Caze  non  crede  di  potersi  pronunziare  sulla 
reale  efficacia  d'un  metodo  tanto  recente.  E  del  re- 
sto, dato  che  i  raggi  X.  traversando  i  tessuti  cance- 
rosi .  li  distruggano  radicalmente,  con  questo  la 
guarigione  non  sarebbe  ancora  assicurata.  Il  cancro 
e  uno  sviluppo  morboso  spinto  all'estremo:  i 
siiti  male  organizzati  si  alterano  e  riassorbono  in- 
fettando tutta  l'economia  organica.  Distrutto  e  por- 
tato  via,  il  cancro  rinasce,  sempre  pronto  alla  i 
diva.  La  sua  distruzione  mediante  i  raggi  Roentgen 
equivarrebbe  quindi  ad  una  asportazione  chirurgica. 
dopo  la  quale  non  si  può  garantire  che  il  processo 
morboso  non    ricominci. 

Ad  ogni  modo,  se  la  forza  benefica  che  si  attri- 
buisce ai  famosi  raggi  è  dubbia,  non  è  inverosimile. 
Misteriosi  per  la  loro  origine  e  per  il  loro  modo  di 
azione,  questi  raggi  hanno  una  strana  potenza,  e 
una  loro  nuova  applicazione  promette  di  sconvol- 
gere totalmente  la  scienza  della  elettricità.  La 
presunta  energia  salutare  può  essere  tanto  più  fa- 
rjlmente  messa  alla  prova,  quanto  che,  se  non  fanno 
bene,  non  fanno  male  certamente. 

Ed  a  proposito  della  nuova  cura  del  cancro,  I 
'  da  parecchi  medici  inglesi  un'osserva- 
zione che  non  manca  d'interesse.  l'are  che  la 
vrabbondanza  del  sali-  nell'organismo  sia  una  delle 
cause  che  producono  questa  diatesi.  L'abuso  della 
carne,  e  per  conseguenza  del  sale,  sarebbe  quindi 
gravemente  punito  nelle  classi  agiate,  tra  le  quali 
i  r.  i   la   più    str 


halli;  rivisti-: 


263 


Come  nuotano  gli  animali? 


(Da  un  articolo  di  Rob.   Bunsow,  nella    I! 

L'uomo,  studiando  il  nuoto,  si   iirni.it'  ad  e- 
sempio,  come  è  noto,  l'umile  rana  ;  ado]  era  le  brac 
eia,  come  una   specie    d'ali,   per  non    sommerà 
mentre  l'impulso  propriamente  detto  gli  è  dato  dalle 
gambe. 

Il  mammifero,  che  viene  a  trovarsi  in  acqua,  si 
comporta  in  modo  essenzialmente  diverso.  Nel  nuoto 
fa  i  medesimi  movimenti  che  nel  camminare,  sol- 
tanto alquanto  più  forti  e  perciò  gli  animali   sono 


niente  inetti  a  reggersi  nell'acqua,  e  se  vengono  but- 
tati in   acqua  in   età  di  quattordici  giorni,  mi- 
niente   vi   affogano.   Le  loro  madri   lo   sanno    tanto 
bene,   che   durante   l'allattamento    portano    la    | 

dove  non  giungono  le  ondate  del  ma 
re.    Mr.   YV.    D.   Elliot,  che  meglio  conosce   i  cani 
marini,  osservò  che.  benché  nati    in  luglio,    non  si 
trovano  mai   in  acqua  prima  della   meta  di    sei 
bre.  e  che  anche  allora  sono  straordinariamenti 
bili  e   si  stan  sai   presto.   Soltanto  alla   fine 

di  settembre  anch'essi  si  trovano  nell'acqua  proprio 
in  casa  loro. 
Oltre  ai  cani  propriamente  detti,  sono  quelli  ma- 
rini gli  animali    che  meglio  si   addomesticano  con 


Martora  nuotante. 


per  lo  più    nuotatori  migliori  e  ili   maggiore  resi- 
stenza che  non  l'uomo,  il   quale,  nuotando,    ti. 
sempre  in   posizione  non   naturale. 

Il  suo  abituale   incedere  non  lo   rende    idoneo  a 
nuotare,  mentre  gli  animali  non  hanno  che  da  o 
nuare  ne'  loro  movimenti  consueti  non  soltanto  per 

■r  nuotar  bene,  ma  anche  per  poter,  oltre  a 
portar  gravi  pesi.  E  persino  certe  tribù,  che  da  se- 
e  forse  da  millenni,  debbono  tutto   il  loro  si 

tamento  al  nuoto,  come  per  esempio,  gli  iso- 
lani del  Pacifico  e  del  Pitecirn,  i  più  valenti  nuo- 
tatori del  mondo,  che  vivono  con  la  pesca  delle 
perle  e  delle  spugne,  non  mostrano  alcuna  modifi- 
cazione delle  membra,  che  li  renda  più  adatti  a 
miotare.  né  lasciano  traccia  alcuna  dell'arte  loro  in 
rata  nei  loro  discendenti  ;  anche  questi  debbono  im- 
parare a  nuotare  proprio  come  «  i  topi  di  terra- 
ferma «  e  soltanto  il  prolungato  esercizio  ne  Fa  dei 
maestri  nel   nuoto.   Xegli  animali,   ove  si   l 

ne  di  alcuni  mammiferi  e  specialmente  de'  cani 
nielli,   delle   scimmie,   delle  giraffe    e   de    lama,    le 
vanno  bene  altrimenti.  Essi   nuotano  senz'altro 
appena  si  trovano  in  acqua  e  si  affili  -  o  alle 

'  mie  con  la  massima  fiducia,  sin  che.  in  un  lungo 
viaggio,  debbano  attraversare  un  corso  d'acqua  o 
sia  che  vi  siano  costretti  dai  loro  persecutori. 

imo  un  po'  i  migliori  tra  i  mammiferi  nuo- 
tatori: quello  della  famiglia  delle  foche    /' 
I  piccoli  della  foca  comune  (Ph  >ia)  sono 

si  può  dire  dalla  loro  nascita  ottimi  nuotatori.  Li 
ho  visti,  nati  appena  da  uno  o  due  giorni,  seguire 
le  loro  madri  nel  mare  più  grosso  evi  si  trovavano, 
pare,  assai  meglio  che  in  terra.  La  lontra  di  mare. 
invece,  che.  probabilmente,  discende  dall'orso,  e  che 
è  nota  per  le  preziose  pellicce,  dette  Sealskin,  o  il 
grande  e  grigio  cane  marino  {Halichserus  Gryfhus) 
sono,   nelle  loro  prime  settimane  di   vita,  assoluta- 


l'uomo;  ma  nella  loro  maniera  di  nui  reifi- 

cano assai  dai  primi,  e  come  le  balene  elle,  gli  è 
pure  non  sono  pesci,  ma  mammiferi,  nuo- 
tano a  m  :  sci.  Fanno  con  tutto  il  loro  corpo 
de' movimenti  ondulatori,  quali  sono  permessi  sol- 
tanto a  degli  animali  i  cui  corpi,  come  quelli 
pesci,  soni."  in  tutta  la  loro  lunghezza,  in  perle!;.. 
lui.,  I  piedi,  a  foggia  di  pinne  o  di  coda. 
vengono  da  loro  usati  soltanto  quale  timone,  ma 
non  per  spingersi  innanzi  o  per  retrocedere.   E  così 


Cane  marino  nuotante  alla  superfice  e  sotto  acqua. 

nuotando,  la  loro  celerità  è  tale  che  se  ne  videro 
di  quelli  che  in  sei  minuti  percorsero  1650  metri  e. 
in    questi,    trattemi.!.,    misero    soltanto   tre   volte    la 

■  fui  ri  d'acqua  per  respirare.  Si  muovevano 
dunque  sott'acqua  e  contro  corrente  con  una  velo 
.ita  ili  venti  chilometri  all'ora. 

A  mia   convinzione,  i  nuotatori  più    rapidi 
pari   tempo,  più  costanti,   sono,  tra   i  mammiferi,  i 
delfini,   che    trastullandosi    nuotano   presso   ai    I 

itici,    percorrenti  trentacinque   a   qua- 
ranta chilometri    all'ora. 

Subito  dopo  i   elei  tini  vengono,  come  valenti  nuo- 
tatrici,  le  lontre,    che  cominciano  a  diventar  rare, 


2U  |  LA    LETTI  RA 

tani  s  i  he  se   ne    l  a  nella  loro  patria, 

l'Alaska,    1     già  .^r.m   cosa  si-  un  buon  1 
nr  piglia  tre  in  tutta  la  mi     Il  noi  issimo  ne 

di   pellicce   Bmn  'li   Trondhjem,  mi   1  • 
Iti ■.  che,  nel    1899,   1  k  i  una  sola 


miferi,  eh                             1  ratto  si  affidano  ali  ai 
i|ua.  non  possono  imitarli.  Quando  si  inseg 10  col 

battello    Cervi,    buffali,    maiali   od   altri   animali 

tatisi  a  miutu  in  un  corso  d'acqua,  si  vede  che 
ino  la   loro  salvezza  in   una    rapida    fuga,  ma 


cJE 


' 


Scoiattolo  a  nuoto. 


pelle  'li  lontra,    ebbe  seimila  marchi  da  un  gran-  mai  tuff andosi  sotto  l'acqua  o  immergendovisi  di  più. 
duca  rnssii.. .  I  ng  de'più  imperterriti   nuotatori  è  il  martora 

Fra  i  mammiferi,  che  vivono  principalmente  sul-  Ne  uccisi  una  volta  uno  nel  lago  ili  Sternberg 

rraferma,    min    v'è    miglior   nuotatore  dell'  orso  viera).    mentri-,   enti   un   piccione    in   bocca,   nuotava 


9 


Lepre  nuotatore. 


nuota    per   delle    distanze    enormi   e  tra  la  spiaggia  e  l'isola  delle  Rose,  dove,  a  quanto 

ridato    d'ogni     parte   da' ghiacci    e    dall'acqua  pare,  aveva  la  sua  tana,  e  da  cui.  per  provvei 

freddissima,   mentre,  come    si    sa.   abitualmente  il  di  cibo,  doveva  recarsi  a  predare,  più  volte  al  gior- 

freddo  è  il    peggior  nemico  del  nuotatore,   l'n    con-  no.   in  terraferma. .. 


Istrice  a  nuoto. 


ladino  irlandese  vide  un  enorme  orso  bianco  giun 

dal     mare     alla     eosta.    elle,    dal     più     prOS 

bai li  ghiaccio,    distava  per  lo  meno  11- 

chilometri  !... 

i'     ii    mammiferi,  che  rimangono  gran   parte 
della  loro  vita  in  ai  |ua,  1  1  — n<  1  nui tare  a   pi 
loro,         poi     n'I'i  assai  fuori  dall'acqua  o  coperti 
■  1  intente  da  1  mella,  meni  re  gli  ali  ri  n 


Interessantissimi  come   nuotatori   sono  poi  i  topi, 
i  roditori  in  genere,  tra  cui,  nuotatori  per  eccellen 
za.  i   castori.   I  topi  in  generale  nuotano  a  perfe 
/ione,  e  quelli  che  dimorano  sulle  rive  sono  in 
fìdenza  con  l'acqua  tanto  quanto  i   loro  cugini 

:  1,1.  l  >egli  scoiattoli  ne  ho  intesi  1  1 ni  tre  d'o 

genere  •   in  tutti  1  sensi,  ma  io  stesso,  avendone 
veduto  uno  che  traghettava,  come  niente  fosse,  un 


DALLE    RIVISTI 


265 


nume  largo  venti   metri,  gettai  in  acqua  uno  scoiat-  mirabilia.  Ve  n'hanno  che  saltano  in  acqua  da  una 

tolo  mio.  Dapprima  sembrò  che  non  vi  si   trovasse  altezza  di  quaranta  piedi. 

affatto  a  suo  agio  e  fece  un  paio  di   salti  in  aria  Che  i  rinoceronti  e  gli  ippo]  otami  sono  dei  plon- 

come  per  scappare,  ma  ben  presto  si  mise   a  mio-  ^curs  e  dei  nuotatori  di  prim'ordine,  lo  sanno  tutti. 

tare  e  cm  tanta  velocità,  che  feci   fatica  a   ripren-  Meno  noto  è  che               in  :  nelle  Indie  devono  at- 


1 


Leone  a  nuoto. 


derlo  e  riportarmelo  in  barca.   Durante  il  nuoto   la  traversare  a  nuoto  ogni  santo  giorno  dei   larghi  tiu- 

testa  e   le  spalle  stavano  fuori   d'acqua,    mentre  la  mi  e  trasportare  gravi  carichi  da  una   riva  ali  altra, 

parte    posteriore  e  la   lunga  coda  rimanevano   im-  L'elefante  tiene,  nuotando,   la  testa  sino  agli   occhi 

mersè.  nell'acqua  e  ne  sporge  fuori  la  proboscide. 


Elefanti  indiani  a  nuoto. 


In  modo  ben  diverso  nuota  la  lepre,  che  tiene  a 
stento  la  testa  fuori  d'acqua  e  sporge  invece  le  co- 
scie  col  cosidetto  «  fiore  »  bianco-nero.  Io  credo  che 
il  lepre  sia  il  peggior  nuotatore  fra  i  roditori,  ma 
non.  come  alcuni  credono,  anche  il  più  pauroso. 
Ho  visto  io  stesso  una  bella  lepre,  che.  inseguita 
da  tre  maschiotti,  si  gettò  nell'acqua,  benché  fosse 
mezzo  coperta  da  lastre  di  ghiaccio,  nuotò  impavida 
tra  queste,  giunta  a  riva  si  diede  una  scrollatina  e 
scomparve  nel  bosco,  mentre  i  tre  galanti  rinun- 
ciavano alla  doccia  e  se  ne  andavano  lemme  lemme. 

Anche  tutti  i  ruminanti,  eccezion  tana  del  cam- 
mello e  forse  della  capra  sei-  no  buoni  nuo- 
tatori e  vanno  in  acqua  senza  farsi  tanto  pregare. 
Animali  mezzo  acquatici  sono  gli  elei.  Anche  le 
renne,  che  sporgono  fuori  d'acqua  soltanto  la  te- 
sta, sono  buone  nuotatrici.  Nei  circhi  si  vedono  di 
frequente  dei  cervi  rossi  che.  come  nuotatori,  fanno 


f 


Kangnrn  nuotanti-. 

Le  manovre  di  cavalleria  ci  dicono  quanto  buoni 
nuotatori  sieno  i  cavalli.   D'abitudine,   soltanto  la 


266 


LA    LEI  ! 


e  dall'acqua.  Anche  i  maiali,  sia  domi 
che  selvaggi,  sono  ottimi    nuotatori.    Il  porcospino 
e  il  pipistrello  sembrano        non  è  vero?       assolu 


0  del   Capo  in  acqua. 


nte  inetti  al  nuoto.  Eppure  io  ne  ho  visti  che 
■in  a  addirittura  prodezze.   E  il  por- 


Cavallo  a  Quoto. 


pino  si  bagna  anche  per  un  altro  motivo  :  entri 
nous:   per  liberarsi  dai  molti  e  troppi  insetti  che  lo 
io.  Anzi,  per  metterli  ben  bene  in  fuga,  fa 
persino  concorrenza   a   Tuffolina! 

■  •MI»" ■ — 

Puofì  della  realtà 

Come  abbiamo  promesso  ai  nostri  lettori  nel   fa- 
llo precedente,  riassumiamo  il  seguito  dei  curio- 
■    ii  del  Sfatiti  nei  quali  Giulio  Blois  e- 
samina  ancora  la   quistione  «Ielle  scienze  occulte  e 
riferisce  le  opinioni  di  uomini  come  il  Sardou,   il 
il   Bourgi 

Il  satanismo. 

ti  nino  un'inten  ista  dal 
bre  romanziere  Joris    Karl   Huysmans,    au 
■  li   [.ii  lì  a  \.  COmpetentissimO   intorno  al    satanismo.  I 
fenomeni  satanici,  per  lo  Charcol  i   pei   tanti  altri 
studi        elle  mal  nervose,  si  riducono  a  feno 

di  suggestione;   ma  l'Huysmans  crede  che  vi 
sia   qualche  altra  cosa.  Quantunque  abbia  dichia- 
he  egli  si  occupa  del  satanismo  soltanto  sotto 
l'aspetto  religioso,   pure  ha  confessato  ili  avere  as- 
sistito,   in  altri  tempi.  he   fermamente 
isero  demoniaci  i  Un  mi        ■■  •     |uasi  un 
i                nella  vita  ori  linai  ia,    è  difi 
•  -.i  ha,  in  certo  qual  modo,  delle  finestre,  degli 
spiragli  verso  l'Invisibile.  Oli  uomini  li  aprono 

occupandosi  di  occultismo,  di  spiritismo 

imo.  Se  il  diavolo  a  capre, 

io  ».  Il  Blois  gli  ha  obbiettato  che  tutte 

ih  ile  potrei  be  pur    darsi  chi  i  la 

e    che   pi  l'avveni 

1  i  imanziere  ha  risposti  >:  i  Lo 


fa   □  altro  che  mettere  a  portata 
dei  portinai    la  possibilità  del  Di   là.   E'  stato  in- 

ato    ad  u mo  delle  anime  intime.    Il 

Diavi  i"  ha  sentito  che  il  materialismo  perdeva  ter- 
reno, quindi  ha  cambiato  giuoco.  La  sua  suprema 
malizia  è  arrivata  a  far  dire  ai  suoi  che  egli  non  i 

Il   fatto  Solo  di   negare  il    |  liavolo  e  una    pi 

che  -i  '    in  sua  balìai..  E   l'Huysmans  rammentò  il 

0  del  poeta  Ei  luardo  1  lubus        amico  suo  e  del 

Blois  divenuto  demoni.!.  ..  .     pazzo  per  Colpa  delle 

'  he  di  Stanislao  de  '  ìuaita  e  morto 
vittima  di  quelle  pratichi  Gli  spiriti  evocati  dagli 
occultisti  »,  ha  detto  ancora  l'intervistato,  <  non  pos 

s ssere  altroché  demoni.  Ma  il  vero  satanismo 

è  il  satanismo  religioso.  Si  è  detto  che  io  diedi,  in 
Bas,  indicazioni  tanto  violente  da  sembrare  sospette. 
Che  errore!  Erano  semplici  zuccherini»  Ed  aperto 
un  vecchio  baule,  egli  ne  ha  estratto  documenti  sui 
quali  il  cronista  del  Matin  sorvola.  Sorvoliamo  an- 
che noi  su  certe  circostanze  che  quest'ultimo  riferi- 
sce,  e  ricordiamo  soltanto  che,  a  detta  dell'Huy- 
smans,  ia  messa  nera  si  celebra  nel  quartiere  d 
d  romanziere  abitava  un  tempo,  in  via  ili  SèvreS. 
Chiestogli  se  vi  assistette  qualche  volta.  l'Huy- 
smans ha  risposto  evasivamente,  dicendo  che  nel 
suo  n  .manzo  En  mute.  Duri  al  se  ne  confessa.  «  Molti 
particolari  che  io  ho  riferiti  seno  stati  presi  dagli 
archivi  di  Vintras,  eretico  eloquente  il  quale  compi 
molti  prodigi  diabolici  -,  Molti  preti  hanno  giudi- 
calo che  nelle  cose  narrate  dall'  Huysmans  vi  è  e^ 
sagerazione  e  vera  invenzione  ;  il  romanziere  ri- 
sponde che.  se  non  altro,  il  furto  delle  ostie  dimo- 
strerebbe che  vi  è  chi  compie  pratiche  sacrileghe  e 
sataniche. 

Le  seienze  psichiche. 

Passando  a  un  ordine  di  idee  meno  repugnante, 
il  Blois  ha  chiesto  una  relazione  sullo  sialo  presente 
delle  scienze  psichiche  a  uno  che  le  coltiva  in  aran- 
cia con  grande  zelo  e  con  molta  autorità.  Si  tratta 
del  colonnello  de  Rochas,  matematico  e  tisico  di  va- 
glia .  amministratore  della  Scuola  politecnica,  il 
quale  sarebbe  già  da  più  tempi»  generale,  senza  i 
pregiudizi  che  hanno  fatto  mal  giudi,  are  le  sin-  ri- 
cerche nel  campo  spiritico.  Il  Blois  ha  ]  reso  parte. 
da  dieci  anni  ad  oggi  .  a  tutte  le  esperienze 
del  colonnello,  specialmente  a  quelle  compiute  col 
famoso  Diedi//»!  Lina,  le  quali  fornirono  notevoli 
risultati  rispetto  alla  esteriorizzazione  della  sensibi- 
lità e  alla  suggestione  musicale.  \Y1  salone  del  de 
Rochas  si  riuniva  una  numerosa  e  scelta  compagnia: 
scienziati,  attrici,  ufficiali,  giornalisti.  Indù;  e  tutti 
sentivano,   in    mezzo  a  \m  rei  u/io.   il    venti- 

Cello  fresco  prodotto  dalle  uscite  del  corpo  astrale, 
i  .Mie  lana  si  doleva  di  dover  rientrare  in 
e  rivivere  sulla   terra,  come   se  realmente   fosse    pat- 
tila  per  qualche    regione   dell» 

1  o  che  cosa   scrive    II   colonnello  ile    Rochas   al 

giornalista:    rammenta  dapprima  fenomeni 

della  suggestione  verbale  siano  oramai  ammessi  da 
tutti:  cioè  conie.  parlando  a  certe  persone,  in  certe 
circostanze,  si  possano  determinare  in  loro  ceni 
impulsi    ai    quali    esse   difficilmente    resistono,    i  ■ 


DALLE    R1VIS 


267 


sta  suggestione  determina  non  soltanto  effetti  mo- 
rali, ma  anche  fisici,  specialmente  sui  nervi  sensi- 
tivi e  motori  e  sulla  circolazione  sanguigna.  Molto 
più  raramente  si  produce  la  suggestione  mentale. 
cioè  semplicemente  pensata,  e  non  formulata  con  le 
parole;  ma  i  ciarlatani  la  imitano  con  artifizi  più 
o  meno  grossolani.  La  suggestione  musicale,  cioè 
il  risveglio  di  sentimenti  determinati  mediante  frasi 
musicali  e  l'espressione  automatica  coi  gesti  ,  è 
stata  finora  studiata  solo  col  medium  Lina.  Quan- 
tunque il  numero  delle  esperienze  fatte  sia  ani 
troppo  piccolo,  il  de  Rochas  afferma  che  i  sensitivi 
di  questa  specie  non  sono  tanto  rari  quanto  si  po- 
trebbe credere.  L'esteriorizzazione  della  sensibilità 
D  nsiste  nel  fatto  che  certe  persone  percepiscono  le 
azioni  meccaniche  esercitate  a  qualche  distanza  dal 
loro  corpo  come  se  fossero  state  esercitate  sul  loro 
corpo  direttamente.  La  cosa  -1  svolge  cime  se  co- 
teste  persone  emettessero  delle  radiazioni  le  quali  . 
fuori  del  loro  corpo  sensibile,  ricevessero  le 
impressioni  come  le  1  icevono  interiormente  i  nervi 
sensitivi.  Questi  fenomeni  erano  stati  accertati  da- 
gli antichi  magnetizzatori,  ma  costoro  non  si  erano 
reso  conto  ilei  processo.  Benché  oggi  i  fatti  sii 
stabiliti  in  modo  irrefutabile  dagli  sperimentatori. 
la  Scienza  ufficiale  esita  ad  ammetterli  per  la  sola 
"ile  che  contraddicono  le  teorie  in  corso  sull'a- 
zione dei  nervi.  Alcuni  soggetti  asseriscono  di 
dere  gli  effluvi  sensibili  a  guisa  di  nebulose  più  0 
meno  splendenti.  Nella  sala  dei  dispacci,  al  .l/<z- 
iin,  sono  state  esposte  delle  fotografie  istantanee 
del  medium  Lina  prese  alla  luce  del  magnesio  dal 
Gheuzi,  direttore  della  Nouvelle  Revue  .  dal  Gai- 
lhard.  direttore  dell'Opera.  Le  strisele  luminose  che 
vi  si  scorgono  nettissime  sono  dovute  alle  emana- 
zioni di  Lina,  fortemente  esteriorizzata  ed  esaltata 
mentre  ballava  una  habanera  cantata  dalla  Calve 
e  accompagnata  al  pianoforte  da  Paolo  Vidal?  E' 
difficile  rispondere  dopo  una  sola   prova. 

C'è  ancora  l'esteriorizzazione  della  forza  motrice, 
la  quale  si  avvera  quando  alcuni  soggetti,  rarissimi. 
riescono  a  muovere  gli  oggetti  vicini,  senza  con- 
tatto, col  solo  sforzo  della  volontà.  Il  de  Rochas 
non  dubita  di  questi  fatti,  dopo  le  esperienze  fatte 
da  Daniel  Home  e  da  Eusapia  Paladino.  Finché 
questi  movimenti  non  erano  ottenuti  senza  contatto. 
si  potevano  spiegare  con  la  teoria  dei  piccoli  movi- 
menti incoscienti.  Oggi  questa  non  basta  più.  e  nel 
caso  dei  tavolini  giranti  senza  contatto  interviene 
una  forza  ancora  non  definita.  Cotesta  forza,  in 
certi  casi  eccezionalmente  favorevoli,  può  produrre 
in  una  persona  la  ripercussione  di  un'emozione  vio- 
lenta provata  a  distanza  da  un'altra  persona:  la 
qual  cosa  costituisce  il  fenomeno  della  telepatia. 

Finalmente,  dice  il  de  Rochas.  sono  stati  osser- 
vati con  abbastanza  frequenza  la  vista  degli  organi 
interni,  l'istinto  dei  rimedi  e  la  vista  a  distanza, 
uomini  di  alto  valore,  come  il  marchese  di  Pu\> 
gur.  il  capitano  d'artiglieria  Tardy.  il  generale  del 
genio  Xoizet.  il  dottor  Bertrand,  il  dottor  ("harpi- 
gnon,  ecc.  Oggi  si  osservano  più  raramente.  Il  de 
Rochas  non  ha  potuto  trovare  nulla  di  molto  con- 
vincente,  tranne  un  caso  di  vista  a  distanza  vera- 


niente  straordinario,  con  la  signora  Lambert.  Du- 
rante più  di  6  mesi,  essendo  addormita  magnetica- 
mente, ella  ha  visto,  in  tutti  i  particolari  della  vita, 
un  uomo  che  ne  lei  né  il  de  Rochas  stesso  conosce- 
vano, un  ingegnere  che  in  seguito  a  gravi  rovesci 
di    fortuna,  non   aveva  più  dato  r  Pei 

mezzo  di  un  oggetto  che  gli  era  appartenuto  e 

I  '  1  has  ]  1  se  in  man"  alla   I  ,ambert .  costei  lo 
ritrovò  nell'America  di     S  ede  il   nome   di 

città  e   degli    alberghi  dove    iveva   success 

ornato,   leggendoli    sui    muri   delle  stazion 
nei  i-anelli,  e  indicò  perfino  i  ti;. .li  dei  giornali 

i.i  nelle  mani  di   lui.   Il  de  Ridia-  verificò  che 
quelle    città,   quegli    alberghi,   quei   giornali,   di  cui 
ella  non  aveva  la  minima  idea  quando  era  desta,  e 
mente;  ma  quanto  al   personaggio,  le 
informazioni  assunte  non  corrisposero  a  quelle  d 
dalla  Veggente.  Vi  fu  qui.  dunque,  soltanto  una  se- 
rie di  sogni  concatenati   con  logica  perfetta  e    pre- 
sentanti, sopra  un  fondo  immaginario,   dei  partico- 
lari esatti  dei  quali  è  molto  difficile  spiegare  la  | 
venienza. 

L'opinione  del  Sardou  e  della  Holmes. 

!  1  1  come  Vittoriano  Sardou  sia  spiritista  con- 
vinto: il  Blois  non  poteva,  naturalmente,  tralascia- 
li di  rivolgersi  anche  all'autore  di  Rabagas.  Nella 
•ala  dèi  dispaivi  del  Maini  gno 

.ito  dal  Sardou  nello  stato  di  medianità  <■  rap- 
mante  la  casa  ili  Mozart  nel  pianeta  ('. 
Questo  disegno,  compito  in  pcx-hi  istanti,  con  l'in- 
coscienza assoluta  del  medium,  è  firmato  o  Bernardo 
Palissy  ».  e  quanti  lo  hanno  visto  lo  stimano  un 
vero  capolavoro  di  fantasia  leggiadra,  degno  del 
grande  artista  che  lo  avrebbe  tracciato  per  mano 
del  commediografo  insigne.  Quest'ultimo,  all'in- 
chiesta del  Blois.  ha  risposto:  «Sono  stato  dei  primi 
a  studiare  In  «  spiritismo  «  fin  dal  suo  inizio  —  una 
cinquantina  d'anni  addietro  -  e  sono  passati  1  dal- 
l'incredulità allo  stupore,  e  dallo  stupore  alla  convin- 
zione. Mi  occorrerebbe  un  volume  per  rispondervi. 
Mi  restringo  a  mandarvi  il  risultati!  di  mezzo  secolo 
d:oss  I   fenomeni  materiali  osservati  nelle 

piti   rigorose  condizioni   d'esame  non  sono  più  1 

il         e  per  la  più  gran  parte  sono  inesplicabili 
nello  stato  presente  delle  nostre  I     im- 

possil  onoscere,  in  un  gran  numero  di   casi. 

l'intervento  d'una  intelligenza  estranea  a  quella  de- 
gli operatori,  non   consistente   ne  nella  pi 
né  nella  risultante  dei    loro  prnpri  pensieri;    è  im- 
possibile ere,  nella  produzione  di  certi 
nomeni,   l'azione  di   esseri  ■■  ei  quali  r 
difficile  precisare  la  vera   natura        M    domai 
se  credo  alle  material;:  Naturalmente, 

che  ne  ho  ottenute  io  ■  medium 

-petto  ancora  che  mi    si  spieghi   per   mezzo    di 
_  iota  forza  psichica.  0  di   qua 
della   quale  io  dovrei  essere   in  una  volta  lai; 
il  testimone  e    la  vittima,   una  mano  invisibile    ha 
potuto  lasciare  sulla  mia  scrivania  un  mazzo  di 
bianchi  che  ho  serbato  per  anni    line!, 
in   polvere...  ». 

Il  Blois  si  è  poi  rivolto  ad  Augusta  Holmes,  mu- 


208 


LA    LETI 


gno,  Mini  nata   del- 

del   i    Montagna  d'are  e  dell'Inno 

a  Eros.  EHa  gli  ha  he,  tre  anni  ot  mimo.  >i 

iva   in  casa  d'un'amica  la  quale  era  piena  del 

rdo   del    defunto  Ambrogio    rhomas.    Sapi 

che  la  Holmi  s  si  occupava  di  spiritismo,  la  padi 

di  casa  la  pregò  di  evocare  appunto  l'autore  della 

\on.  E,  proceduto  all'evocazione,  1"  spirilo  del 

0  im]  -i   manifesti  ■    i   Ni  in  eri 

.  .1    per  comporre  le  grandi  opere  che  voi 
Il  mio  ver i  genei  leg- 

Pertanto  il  mio  capi ilavi irò  è  il  Par- 
hiere  della  ssi  verso  i  2:  anni. 

\l  0  distrussi  più  tardi    per  non  nuocere  alle 

mie  altre  opere  ».  Orbene,  la  Holmes,  che  non  aveva 
parlare  di   questo  lavoro  giovanile  del 
Thomas,  andò  il  domani  presso  l'editore  del  gran- 
ile maestro,  e  gli  chiese  se  questo  aveva  mai  com- 

■  un  Parrucchiere  della  Reggenza.  Fatte  le  op 

:  he  nei   libri   dell'editore,  si  trovò  che 
la  Casa  editrice  aveva  appunto  stampato  un'opera 

intitolata,  del  Thomas,  ma  che  questi    aveva 
•  rinato  che  1  5seio  le  tavole  liiogra- 

!...  l'n  altro  frequentatore  della  casa  dove  ap- 
parve lo  spinto  del  Thomas,  in  preda  alla  media- 
nità, si  sentì  posseduto  dallo  spirito  di  un  altro  ce 
lebre  compositore  :  Cesare  Frank,  già  maestro  della 
Holmes:  ad  un  tratto  quest'ultima  vide  apparire 
sull'orlo  ilei  proprio  abito  una/alca  rosea.  «  E'  il 
vostro  vecchio  maestro  |uello  che  ne  la  invia...  » 
udì  dire.  La  musicista  lavorava  allora  alla  sitilo 
nia  d'Andromeda;  lo  spirito  le  disse,  sempre  per 
bocca    del  medium:   «  C'è   un  errore   nella  seconda 

1  arte,  ottava  misura,  secondo  violino  ».  —  0  Errore 

i  copista?  »         domandò  la  compositrice; 
e    lo   spirito:    «  Del   copista  ».   Tornata    a  casa,   la 
Holmes  si  lece  dare  la  partitura,  e  scoprì  al  posto 
indicato  un  errore  del   copista,   che  le  era  sfuggito. 
M  1  queste  non  sono  le  sole  cose  strabilianti  ac- 
<  adute  alla  giovane  e  già  celebre  maestra.   Ella  ha 
narr.c*    al    Blois  d'avei    visto  una  tavola  da  pranzo 
25   persone,  così   pesante  che   parecchi  servi  do- 
no   mettersi    insieme    per    cambiarla     di    posto, 
sollevarsi   per  effetto  d'una  forza   invisibile  tino   al- 
l'altezza delle  spalle  di   lei.    Una  rosa  intrisa  di  ru- 
lì   per  lì.  e  caduta   nel  suo  piatto.  E- 
^pre-so  il  desiderio  che  un'altra  r.  s.i  fosse  infilata 
all'occhiello   di    uno    degli    astanti,   ella   ha    visto   il 
apparire    immediatamente    al    posto 
designato.  L'na  volta  la  forza  occulta  ihsse  che  era 
lo  spirito  del  duca  di  Fionsac.  «  Ebbene  ».  esclamò 
la    Holmes,  1  sari,  ben  contenta    di  chiacchierare 

VOi.     Sedetevi    vicino   a    me  n.     ["OStO    una    sedia. 
si   trovava   in  un  angolo  del   salotto,  fu  traspor 
tata  vicino  alla  poltrona  di  lei.   Ella  avi  va  sulla  ta- 
vola il  bicchiere  ani  disse:  1  Bevete, 

mio  I         !        Otto  i  S propri  O  chi   il  vino 

disparve,  bevuto  da  uni  bo    1  invisibile.  1  no 
'■ori.  volendo  burlarsi  del  fenomeni  1,1 

d   duca   di    Fri  I    un   impostore:    l'imprudente 

fu  n  !       •    gioia,  e  ben  pestato. . . 

'is  ha  chiesto  alla  sua  interlocutrice  se  elfi 

■  qualcuno  degli  ,;  nel 


linguaggio  ''.egli  spiritisti)  dell'Invisibile.  Ed  ella 
gli  ha  mostrato  le  reliquie  del  /)/  la:  una  peluria 
biam  ève,  piovuta  sul  suo  abito  dopo  che  ella 

disse    agli    spiriti,     durante    una    .seduta:    ■    Io   vi    a- 
1110  1  . .  »  ;   un  pezzo  di  carta  con  dentro   una   1 
di  capelli  castani  mezzo  grigi,  apparso   tra   le  sue 
dna  e  appartenente  —  secondo  disse  la  voce  del 
medium  -  apo  boero  Luigi  van   Steten,  preso 

e  ucciso   dagli   Inglesi;    una  statuetta    presenta 
improvvisamente  tra  le  sue  mani,  di  bruttissimo  .1 

Spetto  e  di  stile  asiatico.  A  proposito  di  quest'ili- 
inno  apporto,  la  Holmes  ha  detto  ehe  le  enei 
messe  in  moto  nelle  esperienze  spiritiche  non  sono 
sempre  buone  e  benefiche,  la  qua!  cosa  giustifiche- 
rebbe l'opinione  della  Chiesa  sul  satanismo.  Mi. 
tutte  le  volte  che  il  fenomeno  minaccia  di  divenire 
pericoloso,  basta  alla  Holmes  fare  il  segno  della 
pei  arrestarlo.  Quanto  alla  spiegazione  di  que- 
sti fatti,  escluso  assolutamente  il  ciarlatanismo  — 
perchè  la  compositrice  vigila  continuamente  —  l'o- 
pinione di  lei  è  che  noi  siamo  circondati  non 
soltanto  da  disincarnati  ,  come  credono  gli  spi- 
ritisti, ma  da  esseri  vivi  che  non  possiamo 
vedere .  ma  che  ci  vedono  e  spesso  si  diver- 
tono a  metterci  in  mezzo.  Sarebbero  una  specie  di 
umani  invisibili.  Vittor  Hugo  era  di  questo  stesso  pa- 
rere. Un  giorno,  a  Jersey,  gli  portarono  un  secchio 
d'acqua  marina,  nel  quale  egli  immerse  la  mano 
senza  trovarvi  nulla;  rovesciatosi  il  secchio,  e  spar- 
sasi tutta  l'acqua,  egli  vide  in  fondo  al  recipiente 
una  piccola  piovra.  Era  tanto  trasparente  che  nel- 
I  acqua  non  si  poteva  vedere.  Esseri  altrettanti  tran- 
slucidi all'aria  debbono  esistere  intorno  a  noi... 

Lettere  di  Giulio  Clapetie  e  di  Giovanni  hoppain. 

Il    redattore  del    Matin   si   e   rivolto   poi   a   Giulio 
(laretie.   il  quale,  incontrato  in  altri  tempi  il  in 
Eliphas    I.évv.    ed    essendo    amico   dello    Chat' 
scrisse  il  romanzo  Jean  Mornas,  nel  quale  sì  occupò 
da   precursore    dell'ipnotismo.    L'opinione  che  egli 
professa  oggi  intorno  allo  spiritismo  è  molto  cauta. 
«  Lo  spiritismo  è    potente  ».  scrive  egli   al    Blois. 
per   mezzo    dell'illusione.    Consola    i    vivi     fa 
creder  Ioniche  i  morti  ritornano.  Sembra  una  porti 
dischiusa    sul  mistero,   il   mistero    grande  ed  eterno 
che  dà  le  vertigini  al  genere  umano.  Esso  ha  la  sua 
poesia,  irresistibile  come  ogni  poesia  di  sogno.  Vit- 
tor Hugo  »,  —  conferma  il  Claretie,  —  t  vi  cn 
va,  fermamente.  Si  evocavano  gli  spiriti  a  Gueme 
sev  ;    nelle    lunghe  sere  del    nero    esilio.   Hautevillc 
House  si  popolava   di  fantasmi.   Il  coraggioso  e  spi 
ritoso  Dumas;  Dumas    padre  —  sì.  D'Artagnan    in 
persona  —  credeva  al  magnetismo,  come  suo  tìglio 
alla  chiromanzia...  lìalzac.  con  Ors<>l<:  Mirouet  e  in 
altri    libri,   cadde    in    pieno   magnetismo...    In    altri 
tempi.  la  magìa  era  una  semplice  curiosità  di  do! 
non  er.i    una   moda   come  Oggi.     E   lo  spiritismo  non 

va  da  certi  singolari  cenacoli.  Poi  uno  scienziato 
come  1  Irookes  ha  dato  la  sua  autorità  a  coteste  fan- 
tasmagorie, e  gli  spiriti  creduli  possono  rispondere 
con    un'apparenza   di    ragione   a   coloro  che    lente 
rannodi  negare  lo  spiritismo;        1  evocazione  d'un 

fantasma    i     forse    una   COSa    più   incredibile,    più   ir- 


DALLE    RI\  [Sì  I 


ìealizzabile  che  la  lettura  dell'interno  d'un  corpo 
umano,  per  così  dire,  attraversato  dai  raggi  Roenl 
gen?...  —  Ed  ecco  il  punto.  11  volge  confonde  vo 
lentieri  con  la  scienza  le  fantasie  o  le  illusioni  degli 
spiritisti.  Le  ammirevoli  ricerche  d'un  maestro  come 
Charcot  non  hanno  nulla  di  comune  con  le  facezie 
d'uno  che  mostrò  gli  spiriti  picchianti,  ma  la  folla 
giudica  altrettanto  straordinari  i  fenomeni  della  Sal- 
petrière,  i  miracoli  della  Lourdes  scientifica,  i|iianto 
le  visioni  degli  evocatori  di  fantasmi.  Sono  due  or- 
dini di  fatti  diametralmente  opposti  :  i  primi  osser- 
vati da  dotti,  i  secondi  accettati  da  compari...  » 
Come  si  vede,  l'amministratore  della  Comédie  Fran- 
gaise  non  ha  molto  fede  nei  medium  ;  ha  esperi- 
mentato con  la  celebre  Eusapia  Paladino,  e  non  ne 
è  rimasto  persuaso.  Egli  non  nega  però  tutto,  si- 
stematicamente. «  Credo,  infatti,  alle  forze  ignote. 
Ma  gli  studi  della  Salpetrière  mi  sembrano  più  con- 
vincenti che  non  i  misteri  dello  spiritismo.  Ciò  che 
ho  visto  di  più  chiaro,  in  conclusione,  negli  esperi- 
menti di  Eusapia  Paladino,  è  stata  la  scatola  me- 
tallica, con  musica,  che  mi  colpì  presso  alla  tem- 
pia... »  Egli  ammette  però  la  telepatia,  e  ne  ad- 
duce un  caso  tradizionale  nella  sua  famiglia.  «  Ho 
dei,  presentimenti  e  delle  superstizioni,  come  tutti 
gli  altri  uomini,  e  una  delle  mie  tradizioni  di  fa- 
miglia è  l'apparizione,  o  piuttosto  il  rumore  dei 
passi  dello  zio  di  mio  padre,  a  Nantes,  nel  mo- 
mento in  cui,  capitano  della  Guardia  imperiale,  egli 
cadeva  ucciso  a  Wagram...  ». 

Il  romanziere  Giovanni  Lorrain  è  stato  più  espli- 
cito. Ha  detto  di  avere  abitato  una  casa,  in  via  di 
Courty,  la  cui  atmosfera  era  una  gelatina  di  cultura 
di  forze  tanto  invisibili  quanto  malefiche.  «  E'  vero 
che  allora  ero  in  preda  a  strani  turbamenti  nervosi, 
che  attribuivo  all'etere,  del  quale  sono  gran  bevi- 
tore. I  terrori  e  le  angoscie  di  cui  ero  allora  vittima 
li  ho  narrati  in  un  libro.  Sensazioni  e  ricordi,  e  li 
ho  particolarmente  descritti  nel  capitolo  intolato: 
Racconti  di  un  bevitore  d'etere...  Le  mie  notti 
erano  atroci:  il  silenzio  della  camera  era  rotto  da 
rumoii  di  passi:  vi  si  camminava  sui  muri,  le  tende 
si  aprivano  tirate  da  mani  invisibili,  le  porte  si 
schiudevano  da  sole,  anche  quando  la  camera  era 
al  buio.  Quando  era  illuminata,  dei  piedi  nudi  ap- 
parivano sotto  le  portiere,  delle  mani  di  donna  u- 
scivano  dalle  cortine.  Dovetti  andare  all'albergo  e 
lasciare  quella  casa;  ma.  dopo  che  me  ne  lui  ari 
dato,  l'affittarono  a  un  vecchio  celibe,  il  quale,  in 
sei  mesi,  vi  impazzi  e  vi  si   uccise...  ». 

Intervista  eon  Paolo  Bourget . 

Il  Blois  ha  poi  ottenuto  un  colloquio  col  celebre 
romanziere   psicologo,    la   cui    fama    è  univo 
Quantunque   avverso  alle  interviste,  egli   ne  ha    ac- 
cordata una  al   redattore  del    Mettiti,    grazie  all'im- 
portanza dell'argomento  intorno  al  quale  questi  vo 
leva  interrogarlo.  E  l'autore  di  Mensonges  ha  di 
che.  per  la  vita  ordinaria,  di  tutti   i  giorni,  noi   uti- 
lizziamo   appena  una    ristretta   parte  della  nostra 
persona  morale,  appena  la  scorza  dell  Ve.  Esistereb- 
bero, sopra,  o  meglio  sotto  di  noi.  delle   forze 

splorate  ed  oscure  come  l'Oce: Queste  forzi 

sono  manifestarsi  a  un  tratto  e  rivelarci   l'avvenire. 


\  inazione  è  possibile.   I      t  coi  ni  Ila  lei 

tura  di  cause  non  pi  ima  corte.  «  Noi  arrh  iamo 
così   al    soprannaturale,   o    piuttosto   al  sopramior- 

male.  Sono  stato  condotto  a  concepire  questa  ti 

dopo  le  due  sedute  che  tenni  in   america  con  la  vi 

gente  Pipers.   Metter Ile  sue  mani,  m'entri    ella 

-i  era  addormentata  da  sé.  un  piccolo  orologio  da 
viaggio:  ella  seppe  dirmi  di  chi  quell'oggetto  era 
stato  proprietà,  cièche  faceva  in  vita  il  suo  posses- 
sore, e  in  ciir  lo  mori  (suicidio  per  immersioni 

in  un  accesso  di  pazzia).  Non  potè  invece  nominar- 
mi esattamente  il  paese  nel  quale  questo  suicidio 
avvenne.  Nondimeno  mi  descrisse  con  notevole 
esattezza  d  quartiere  che  io  allora  occupavo 
a  Parigi,  in  via  di  Monsieur  ;  me  ne  disse  il 
piano,  menzionò  una  scala  interna  che  metteva  nel 
mio  scrittoio,  li  vide,  sul  muro,  un  oggetto  che 
parve  stupirla  e  che  descrisse  senza  poter  dire  che 
cosa  fosse:  era  un  pezzo  di  sarcofago  egizio  che 
un  amico  mi  portò  dal  Cairo  e  che  era  appeso  sulla 
porta.  Vide  anche  un  ritratto  sul  caminetto,  e  lo 
prese  per  un  ritratto  di  giovanotto.  Era  la  fotogra- 
fia di  una  donna  che  portava  i  capelli  tagliali  corti  ». 
Questa  Mrs.  Pipers  è  stala  esaminala  dalla  So 
cietà  di  ricerche  psichiche  di  Londra  e  d'America, 
la  quale  ha  concluso  che  in  molti  casi  le  rivelazioni 

della  Veggente  non   si  possono  spiegare  se  non  

l'intervento  dei  morti  che  comunicherebbero  diret- 
tamente con  lei.  11  Iiourget  crede  anch'egli  alla  so- 
pravvivenza dell'anima  umana;  ma  qui,  ha  detto, 
«  non  si  tratta  di  scienza,  bensì  d'un  articolo  di 
fede  ».  E  nelle  sue  novelle  intitolate  Neflunevalt  <■ 
X Avversano  (la  prima  nel  volume  Voyageuses,  la 
seconda  nei  Recommencements)  ha  narrato  casi  di 
presentimenti  e  di  premonizione.  A  lui  personal- 
mente è  accaduto  di  prevedere  la  morte  di  Luigi 
(  hapron,  suo  collega.  ,  hroniqueur  parigino.  Un  gior- 
no il  Bourget  era  col  Maupassant,  col  quale  doveva 
recarsi  all'Ospedale  di  Loufcine.  «  Sono  ancora 
soli,,  I"mi|  ossi, me  ».  disse  al  Maupassant.  d'un  SO 
gno  insopportabilmente  intenso  :  ho  visto  Luigi  Cha 

i  ron   a{ izzante,  l'ho  visto  morire,  ed  ho  visto  le 

conseguenze  della  morte,  la   discussione  sulla    sua 

ifUzione    nei    giornali,     le     circostanze    dei     lune 

i ali.  eco  >,.   Il   Maupassant  gli   domandò:    "  Sapi 
L.ome    „•■,:>  „  —  «  E'   dunque   all'inalalo;-'  »   riispo  i 
Bi  urgel     Lo  Chapron   era    infatti    morente,    e    il 
Bi  urget  non  ne  sapeva  nulla       I  au  -le  di  Bel  Ami, 
i  miuiiqiie    volesse  spiegare    naturalmente   qui 

onfessò  pei  conto  su,,  al    Bourgi  I   ì  turba 
menti  che  egli  stesso  provava.  «    Ina  volta  su    d 
tornando  a  casa,  vedo  me  s',   so.       Vpro  la    poi 

:   vedo  sedie     -ailla    ima  5o  I  hi  una 

allucinazione.    Nello     ti     -  e:-   nento    in  i  ui   I  hi 

I    ,n  si    av.sse  due  diti 

,  no,,  si  avrebbe  paura  »...  «   II   M  u] 
allora   aveva   la   in, 

,  onclude   la  rvista    di, 

La   scienza   umana  e  la  ragion,-   hann 
mjti     mi  I  »a    molli   e  molti   anni   il   pi 

lra  nplatori  della  vita  umana  .   lo  Sha 

tre,  I,.,  proclamato:    Vi  si  no  più  cose  sul  i 

non  ne  s,  gni  la  nostra  filosofia  ». 


-7" 


LA    l.KTTl  KA 


Sardine  all'olio 


m  articolo  di  Cari  Eugen  Schmidt,  nella  H  I 

In  certe  date  epoche,  sempre  quelle,    li 
dine  fanno  la  l< t> >  comparsa,  in  quantità  cucirmi  — 

adetti  a  banchi  »  sulle  coste  spagnuole  e 
francesi  dell'Oceano   Atlantico.   Mentre  però  i   pe 

■ti  della   Vandea  pretendono  che  i   «  banchi  » 
dal  Sin!  e  si  dirìgono  verso  Nord,  i   pe- 
ni dicono  che  l<-  sardine  giungono  di- 
I l'alto  mare,  cioè  da  <  tecidente,  vera  i 
la   costa  e  scompaiono  poi   nuovamente  in  lineila 

;a  direzione.  Anche  intorno  alle  cause,  che  in- 
ducono  le  sardine  ad  emigrare,  un  anno  o  parecchi, 
per  pni  ricomparire  improwisamenti  a  miriadi. 
nulla  si  sa  ili  positivo.  Or  sono  dieci  anni  i  ban- 
chi di  sardine  —  che  quei  pescatori  chiamano  «  la 
manna   dei   Brettoni   »  non    si   fecero  vedere,   per 

<\ur  ii  tre  annate;  la  popolazione  litoranea  ne  fu 
rovinata,  immiserita  ;  il  Parlamento  francese  no- 
minò commissioni  e  delegò  dei  relatori  a  studiare 
la  questione  sul  pos  M  i  questi  onorevoli  relatori 
dovettero  constatare  semplicemente  che  i  pescatori 

■  nini  sapevano  a  quali  cagioni  attribuire  la  loro 
sventura.  Le  sardine  non  venivano  più:  questo  era 
certi'-  Ma  perchè?  Non  potevano  più,  nemmeno, 
sciaguratamente,    consolarsi     col     dire  :    «  vattel'  a 

i  !  » 
Improvvisamente  però,    mentre  gli  omei  si  face- 


vano sempre  più  acuti  e  più  disparati  i  commenti, 

l<  sardine  ricomparvero  e  in  quantità  tali  quali  a 
memoria  din  mi"  non  se  n'erano  vedute.  Ce  ucraini 
tante  i  he  i  fabbricanti,  temendo  un  ribasso  di  pi 
e  una  diminuzione  di  guadagno,  si  dichiararono 
solidali  e  decisero  di  non  e  imperare  più  sardine 
dai    pescatori.    Innumerevoli  candii    di  barche  pe- 

si  gettar a  mare.  Le  sardine  un  irte  non 

covarono  alt 'i  consumatori  che  le  Iure  consorelle 
vive.  E  così  vanni'  le  cose  per  la  pesca  delle  sar- 
dine: un  anno  troppo,  un  anno  niente.  L  un'indu- 
stria che,  per  quest'incertezza  del  raccolto,  rassomi- 
glia alquanto  alla  viticultura! 

Quando  degli  esseri  viventi  —  siano  essi  arin- 
ghe n  formiche,  sardine  od...  uomini,  vivono 
Mitne  a  milioni,  si  danno  una  certa  costituzione, 
SÌ  .  leggono  i  loro  funzionari  superiori  ed  inferiori. 
m  muovono  secondo  de'  piani  ben  determinati.  I  e 
m  n'ito  delle  sardine,  per  esempio,  talvolta  avanza 
in  larga  falange,  tal'altra  in  lunga  catena,  e  se- 
condo  che  le  circostanze  del  momento  impongono 
|uesto  o  |uell'ordine  di  marcia;  iver  l'aria 

d'un  romanzo,  ma  è  la  pura  verità  quanto  pe- 
scatori scandinavi,  olandesi  e  francesi  raccontano 
unanimamente  intorno  alla  disciplina  dei  banchi  di 
atinghe  e  di  sardine. 

Questi  eserciti  di  pesci  compaiono  nel  mese  di 
maggio  sulle  coste  della  Francia  e  vi  si  trattengono 
sino  a  dicembre  e  gennaio.  Ma  la  pesca  cessa,  in  ge- 
nerale, già  alla  metà  d'ottobre  e  ad  Ognissanti  tutti 
i  batteli  sono  già  messi  in  secco.  Quelle   loro  • 


l'ir  mettere  ad  essiccare  le  sardine. 


DALLE    RIVISTE 


-'7' 


Le  sardine  vengono  messe  in  scatola. 


dette  sardiniere.  che  si  formano  nei  porti   di  Con 
carneau.  Belle-Ile  e  specialmente  di  Douarnetie/.  cen- 
tro della  pesca  brettona,  sono  noti,  da  alcuni  anni, 
a  quasi  tutti  i    Parigini.   Ci   pensano    i  pittori  che, 
d'estate,  piantano  a  migliaia  le  loro  tavolozze  nelle 
piccole  città  di  quella  costa  e  nelle  primavere  suc- 
cessive mettono  in  mostra  al    Salon  i   risultati  della 
loro  pesca...    artistica.    Perei.,   tutti    hanno   un 
abbastanza  precisa  de'  battelli  di  pesca  e  de'  pesca 
tori,  delle   loro  reti,   i  loro  remi   e  gli  altri  loro  ar- 
ni si.  Si  sa  anche  che  i  nuovi  battelli  pescherecci  non 
vengono,    all'atto   del    varo,    battezzati   con    dello 
Sciampagne,  come  i  grandi   piroscafi,    ma  con  del- 
l'autentica acqua  beni   li        e  da  autentici  pri   !    Ed 
è    noto   pure  che   nelle   lunghe   serate    d'inverno   le 
donne  brettoni  siedono  interno  al    fuoco  del  camino 
non  per  filarvi  come  le  nostre  avole,  ma  atti 
servi     le  reti  per  la  prossima  stagione. 

Un  battello  da  pesca  è  lungo  dai  trenta  ai  qua- 
ranta piedi  ed  è  munito  ili  due  grandi  e  di  tre  pii 
cole  vele,  delle  quali  la  più  presso  a  poppa  porla  il 
nome,  che  della  gente  irrispettosa  affibbia  talvolta 
al  maestro  di  scuola:  semplicemente..,  tufecul. 
Oltreciò  ogni  barca  pescheravia  è  fornita  di  vari 
forti  remi,  necessari  per  le  manovre  durante  la  pe- 
sca. L'equipaggio  conta  dai  cinque  agli  otto  uomini 


e  -oliali',"  nelle  barche  piccolissime  e  formato  dai 
quattro  indispensabili:  il  padrone  o  capitano,  il  bri- 
gadiere ossia  il  marinaio,  il  novìzio  0  marinaio  '! 
seconda  e  il  mozzo,  ragazzo  dai  dieci  ai  quattordici 
anni.  Il  resto  dell'equipaggio  è  spesso  formato  ili 
contadini  del  paese  el„.  dui  ini  i  i  impagna  di 
pesca,  accorrono  ai  porti  e  s'improvvisano  pesca- 
tori. 

I  n:i  volta  i   baiteli  nevano  al   risi 

loro  padrone,  ma  adesso  la  maggior  parti- è  di  pn 
prietà  delle  fabl  n  iche,  che  ]  no  le  sardine 

in   scatola  e  le  mandano  pel   mondo.    Ce  ne  vuole 

prima  che    un    semplice   pesi  i    annate,  io- 

me  cosa  sua    propria,   una  I 
mila  i  ranchi  ! 

Uno  dei  più  interessanti  spetta  < ili  è  quel 
ci  presenta,  nel  giorno  di  San  Giovanni,   il  braccio 
di  maree  ireau.  11  parroco  dell'isola  di  Gì 

si  reca  in  quel  giorno,  rivestito  de   suoi  paramenti 
sacerdotali  e  igli  altieri  del  gonfaloni 

di  lì  isola,  dove 
tutto  il  popolo  s'imbarca  e  veleggia  alla  volta  del 
vicino  continente.   E  di  là  \ '■•  ■  »■  il  parroco  di 

i  con  la   |  barche  di  Larmor,  <  I  '\re  e 

Louis.  A  metà  via  del   braccio  di  mare  le  'lui- 
flottiglie  s'incontrano.  I  due  parroci  salgono  sul  me- 


)  -  > 


LA    1  !    [TURA 


battello,  >ul  quale  sta  anche  una 

altarino,    ["utte   le  altre  barche  si  pigiano  intorno 
a  quell'ara  nati  nt<     l  te  si  scoproni  i  e  da 

i  gole,  giovani  e  vecchie,  sale  la  pregh 


fra  le  mani  de  maschi,  mentre  a  tutte  le  altre 
operazioni  avei  ani  <  atteso  le  donne. 

Naturalmente,  quando  si  i    in  piena  stagione  di 
pesca,  ferve  il   lavoro  nelle  fabbriche.  Ed  è  un  in- 


olio nelle  scatole. 


de'  marinai.  l'Ave  Maris  stella.  La  benedizione  so- 
lenne, da  parte  de'  due  preti,  compie  la  poetica  ce- 

riia. 

\l  i    le  sardine   all'olio  hanno   anche   —  e  come! 
le  loro  vicende  prosaiche.  La  lunga  rete  rettan- 
viene  resa  allettante  per  le  sardine   mercè 
una    poltiglia,   detta  gueldre,  mista  di   molluschi  e 
di  pesce.  Ogni  manina  le  barche  escono  alla 
marina  e  ogni  sera,  se  non  prima,  tornano  al  porto. 
La  pesca  viene  ti  isti  i  messa  in  ceste  e  venduta  fresca 
al  mercato o,  nella  sua  maggioranza,  portata  alle  fab- 
briche.   Ivi.  quasi   tutto  il    lavoro  spelta  ormai   alle 
donni-    Esse  tagliano  la  testa  e  tolgono  le  interiora 
ai  pesciolini  ;   li  lavano   in  acqua  salala  e  li   depoti 
•   in  una  specie  di  rete,  per  asciugarli   col  bel 
<iì  sul  tett'  il ibriche  e,  se  il  tempi i  è  cai 

tivo.  in  apposito  locale,  dove  l'aria  è  sempre 

che  sieno  le  sardine,  vengono  messe 
nell'olio  bollenti- ;  e  di  là  si  traggono  ben  cotte  pei 
venire  disposte  in  quelle  scatole  di  latta  stagnata, 
che  tutti               io  '•  che  nelle  maggiori  fabbriche 
vengono  lavorate  in  proprie  officine,  tn  queste  sca 
tole                           ufi         e  numero  di  sardine,  si 
si  passano  poi  alla  saldatura  del 
Do]      di  che  si   mettono  a    bag 
ni.-ll  .!•  |ii,i  Imlli-ntc.   Li-  M-aiolf  che.  uscendone,  non 
mfie,  non  sono  buone  a  nulla,  e  inette 
all'  espor               ono    pur  quelle   che  .    \ 
rimangono  gonfie  anche  do]  i    nella  ter 

•a  normale    v                        da  applicare  le  e- 
buone  e  impaccarle  in  casse  di 
-  i  i  tornare  le 


\oro  pittoresco...  per  chi  lo  guarda,  ma  che,  a  quan- 
to pare,  mette  anche  di  buon  umore  i  lavoratori. 
Le  allegre  risate,  i  frizzi  di  quelle  centocinquanta 
donne,  de'  dieci  o  quindici  ragazzi  e  de'  l'orse  venti 
uomini,  che  formano  la  maestranza  d'una  fabbricai 
E  la  maggior  allegria  la  desta,  a  quanto  sembra, 
la  decapitazione  de*  pesci.   Povere  sardine! 

Un  Nietzsche  cinese 


Nella  Revue  bianche  il  signor  Alessandro  Mar 
parla  ili  un  filosofo  cinese  che  presenta  molti  punti 
.li   analogia   con   Federii  o   Nietzsi  hi      si   chiam 

Lao  i  sé    >  he    significa        II     vecchio  fa ill< 

I  ii     maestro    ili     Konn  I  sé .    che    noi     i  hiamiamo 

Conf ed     era     un   laflsico     cosi     prol 

do    che    Confuc ledesimo    confessava    ili     > 

e invilii. -i  in    che    a   metà.    Si  risse,    press  i 

al  tempo  dei  pr filosi  i  intonazione  del 

filosofo  cinese,  dice  l'articolista  della  Berne,  si 

corda   e [uella   del    Nietzsche;  Lao-Tsé   vatic 

con  oi  in  splendore,  non  senza  una  ironia 

i    apposta    per  esasperare   iiuelli   i  he 

credono  ili  essere  in   possesso  dellu   scien/.ii    \i   si 

trova  la  desima  distinzione  di  uomini  ai 

e  di  uon ri    ari    la    li      i  coi  ed 

ni  imo,  del   perfetto  che  dice        l"  sono  diverso  da 

tutti  .  ma  ii   I"      ii  he   un  Ite  lutta   la  sua  sui 

b       i  ntelletl  naie  a    poi  i  e  i  urne  un  assoluto  l  i 
indi)  idualità,    1 1 

ii  discepoli  :    le    allusi Imi- 

tane,   la  mar  io,  il   lusso  multicoli 

.    pressione,    l'intransigenza     individualista     nella 

essi ■  delle  idee  che  non  hanno  senso  se  non 

per  un'eletta  'li    persone,   tutto  ciò   dove\ 
i.-ue   un'attrattiva  ili  curiosità    in  quelli   ili      •■ 
vano  in  margine  della  società  confuciana 


DALLE    RIVISTE 


Ii'apte  della  fuga 


Da  un  articolo  delle  Leclures  poni   lons,  di  febbraio). 

Il  Rinascimento,  il  perìodo  storie  >  ,  :-  tanti 

enimenti    drammatici,   ili   conflitti,   di   vendi 
di  delitti,  è  quello  durante  il  quale  avvennero  le  più 
se   fughe. 

Benvenuto   Celimi,   imprigionato    al   Castel    San- 
t'Angelo, riduce  in  tante  -  ;  -        le  lenzuola,  le  na- 
if sotto  il  pagliericcio,  insieme  con  un  paio  di 
tenaglie  e  un  pugnale.    Poi.    in   una  n  zia. 

prende  con  se    tutte  ques  urrampica  sul 

tetto.  Di  là.   mediante   le   strisele  di  tela  annodate 

-rurale  a  una  tegola  sporgente,  si  lascia  an 
giù  in  fondo  al  primo  muro  del  castello  ;  ma  ne 
restano  ancora  'lue  altre.  Srendendo  dall'ultimo 
cadde  e  restò  due  ore  svenuto  ;  quando  turno  in 
sé.  aveva  la  gamba  destra  totta  in  tre  punti.  Tra- 
scinatosi  sulle  ginocchia  sino  alle  porte  di  Roma. 
dovette  difendersi  dai  cani  rhe  lo  assalivano  ,■  1,, 
mordevano,  e  finalmente  fu  raccolto  da  un  amico 

Il  ravalier  di  Pontgibaud.  chiuso  a  sedici  anni 
in  una  forte/za.  ne  fuggì  sotto  il  fuoco  dei  soldati 
della' guarnigione.  Costoro  lo  raggiunsero,  ma  1  e- 
neru  ;gio  del  giovinetto  li  stupì  a  segno  che 

lo  lasciar  mi  i  andare. 

gibaud  e  Cellini  concepirono  e  posero  a  ef- 
fetto   da    soli    i    loro    audari    disegni  ;    lo  seri- 
olandese  Grazio,   nel   1621,  riuscì  a  fuggire,    grazie 
all'aiuto   della   moglie,   in    un  rotano  dove   chiude- 
vano  la  sua  biancheria. 

Latude  dovette  la  salvezza,  nel  forte  di  Vincen- 
nes.  alla  sua  presenza  di  spirito:  scelto  un  giorno 
di  nebbia,  si  mise  a  correre;   i  custodi   si   gettai 

ro  di  lui.  gridando:  «  Ferma'....  Ferma!...  » 
Allora  si  mise  a  gridare  anch'egli  :  «  Ferma'.... 
Ferma!  ».  e  si  sottrasse  rosi  all'inseguimento,  fa- 
cendosi credere  intento  ad  inseguire...  sé  Stesso. 

Questo  Latude  riporta  la  palma  nella  storia  delle 
evasioni.  Per  far  fortuna,  aveva  immaginato  di  man- 
dare alla  signora  di  Pompadour  una  sr.it,  da  di  pol- 
vere inoffensiva  e  di  denunziarle  poi  un  compii 
ordito  per  avvelenarla.  Sperava  nella  riconoscenza 
della  marchesa  ;  gli  toccò  invece  la  Bastiglia,  in- 
sieme con    un  certo  Antonio    Allegre.   Non    potendo 

<\re  a  fuggire  dalle  por  e.  pensò  di  servirsi 
canna   del    ramino.    Essa    era    piena   «li    tante 
celle  e  sbarre,  rhe'  restava  appena   luogo  al  pas 
del    fumo,    e  poi.   giunti   in    cima,   sulla   ; 
i  due    prigionieri  dovevano  ancora   scendere    li 
il  muro  di  cinta,   alto  più  di  30 
da  un    fosso  e  da   un  altro  mun 
non  arrestarono  Latude  e  il  suo  compagi       Cui  la 
biancheria  rhe  possedevano  (il   solo  Allegre  aveva 
12  dozzine  di  camicie)  composero  una  scala  di  20 
piedi    per    salire    nella   canna    del    ramino,    e   una 
di  180  piedi  per  srendere  dalla  torre  nel 
due  rorde  della   stessa  lunghezza  per  sostenere 
ste  scale,  ere.  :    i  gradini,  in  numero  di   230.  furono 
fatti  colla   legna  rhe  fornivano    loro   per   il   fui 
n   la  suppellettile  della  prigione,   coi    ferri 

La  Lettura. 


2?3 

i  candelieri,   formò  dei  coltelli,  ui 
pulegj  ["jtta  questa   roba  tu  de] 

era 

per  un'altezza  di  quattro  piedi.   Il  lavoro  piti 

so  in  qui  '     ir  sbarre   nell'interno 

ma  del  camini  '-  I     dentri    i  due  pi  ij-ionieri 

evano  mantenersi    nelle  posizioni   più    | 

torturanti:    dopo  un'ora,   dovevano  disrenderne,   con 

le   mani    insanguinate.   Le  sbarre  erano  infisse   in  un 

remento  durissimi   .    I.  inule  e   il  suo  compagno  io 

rammollivano  soffiando   dell'acqua,  rhe    portavano 

chiusa  in  bocca.  I  preparativi 

cinque  interi  anni;    essa  tu  compita  il  2? 

i7;o  senza  altre  difficoltà,  ne  peripezie.  Ma,  quattro 

mesi   dopo,    Palude  era  arrestato  ad  Amsterdam    e 

nuovamente  chiuso  alla    Bas 

Un  emulo  di  Latude  fu  il  barone  di  Trenk,  uf- 
ficiale delle  guardie  erico  II.  Chiu- 

idla  cittadella  di  Cratz.   in   Silezia.  fuggì  una 
prima  volta,  ma  cai  Ide  1  ;  I 

li    dopo,    strappata  la  spada  al   ti  rhe 

era  venuto  a  visitarlo  nella  sua  cella,  si  apri  un 
passaggio   in  mezzo  agli  ufficiali  Idati,  col- 

pendo a  destra  e  a  sinistra,  buttando  a  terra  una 
sentinella,  ferendo  un'altra  e  scavalcando  la  prima 
palizzata.  Ma  il  piede  gli  s'impigliò  ira  due  sbarre 
e  un  lo  mantenne  in  quella   dolorosa   | 

zinne    finché  arrivarono    i   rinfoi        B  tuttavia 

ad  evadere,  dopo  una  cavalcata  epica,  a  testa  nuda, 
con  la  sciabola  rotta,  le  vesti  in  brandelli,  sopra  un 
cavallo  senza  sella,  in  compagnia  di  alcuni  ufficiali 
rhe  preferirono  la  diserzione  :n  rigori  della  disci 
plina  prussiana.  Ma,  come  Fannie,  in  ripreso  dopo 
qua!  0,  e  chiuso  nella   fortezza    di    Ma 

burgo,    dove  ne  pa  Carico   di  1 

una  cella  lunga  10  piedi  e  larga  8.  sotto  alla  quale 
era  la  fossa  dove  sarebbe  stato  seppellito,  con  una 
lapide  portante  il  suo  nome  e   una  lesta  di  morto. 

pensa  aurora  ad  evadere.   Riesce  .1  liberarsi  dei 
ferri   e  con    la   punta   del   coltello  comincia    .1    sdir 
/are    le   serrature    delle  porte:    è    giunto  alla  tei 
quando   la   lama  del  coltello  si    ri  cade  all'e- 

sterno. Col  ti  _li  in   mano  si    taglia  le 

vene;   ma  bendano   le  sue  piaghe  e  lo  guariscono. 

le  di 
mattoni,  del  sbar- 

ra di   ferro  delle  catene  .    pi  1,    quai 
entra    nella    prigione,   egli   Stendi  1     primo 

e  gli   si   para    d 

Ila  ;     ma.  dito,    gli 

cri  e  rivestono  le   porte  duna    lamina 

di  '  iva  una  galler  1  in  tanto 

pena,  rhe  dopo  un   giorno  .li    la- 
li    passarne   tre    in    riposi 
pera  aitine   la  libertà,   '  1   di 

Federi  oli'  dopo  18  anni 

di   prigionia  quasi  continua.    Finì   pi  non 

era  ghigliottinato  a  Par  e  I 

1     Re   'li     l'MIs- 
'di   fama. 
(  'on  qui- 
nta un  posto   ili. 


-:\ 


L A  LETTU  RA 


sanova  .li  Seingalt   Chiuso    nei    Piombi  di   Vene 

ibilire  una  corrispondenza  ep 
l ,,,  |  ioniero  che  sta  al  piano   di    sopra,  il 

in.. ti  i    ■  Balbi,  ed  I     '    il  tetto  che  li 

separa.    Per  disgrazia,  si  dà  -il  Casanova  un  com- 
pagno, che  è  una   spia.  Allora  comincia  una   inde- 
redibile  commedia:  abusando  della  vigliac- 
della  credulità  'li  questo  compagno,  il  Ca- 
gli confida  d'essere  sotto  la  protezione  della 
luale  gli  manderà  tosto  un  angelo  pei 
liberarlo    l  ai  _  lo  è  il  padri-  Balbi,  che  scende  dal 
cielo  per  il  soffitto  bucato.  11  Casanova,  ranci  di 
corde  e  di  abiti,  seguito  dal  Balbi,  si  arrampica  sul 
per  mezzo  d'una  specie  d'uncino  improvvisato, 
■re  il  monaco  gli  si  appende  alla  cintola.  Ai 

Ito  sullo  spigolo   superiori'  de!   trito,  dove   si  fer- 
ali moménto  a  cavalcioni,  comincia  una  perico- 
lata verso  l'apertura  d'un  granaio;  e, 
Imente,  sfondate  molte  porte,   traversate  una 

di    sale  e   di    scale,    i    due    fuggiaschi    ar- 
rivano a   pianterreno  del    palazzo,  traversano    la  cor- 
ina,  e  si  gettano  dentro  una  gondola. 

*% 

I  .     Casanova   sono    avventurieri   poco  iute- 

e  degni   di   storia  soltanto  per 

la  bravura  ed  il    coraggi...   Diverso   è  il  caso  del 

conte    di    Lavallette,  condannato  a    morte  dai    Bi  l 

boni  per  essere  rimasto   fedele  a    Napoleone  t.  La 

lebre.    come   una   delle    più    dram- 
mai,  e  d'I  prigioniero,  avendone  vana 
ilecitato  da  Luigi  XVII]  la  grazia,  lo  fece 
a    lui.     Presi   gli    accordi   op- 
imi, venne  a   trovarlo  in  compagnia   della 
Giuseppina;   e  meline  questa    Stava   presso    alla  lì- 
ia.  i  due  coniugi   scambiarono  i  loro  abiti.  Al- 
lora il  ci  l  tue    la  moglie,  coi  guanti  di 
lei  .-ci  fazzoletto  al  viso,  dà  il  braccio  a  Giusep 

pina  ed   esce,   passando   n.Ha   sala   della   cancelleria, 

dovè  il  custode  osserva:  «  Andate  via  presi... 

signora  contessa:   »    In   tondo  alla   sala,  il    guai 
no   non   apre  ;     l.is.  ano.     Nel   corpo    di 

una    ventina   di    S  .Ma'  i   si   scic  I   pei 

der  passare  la    |  ].a\  alleile,    l'inal- 

fuori  della  porta  e  i     uà  I      a  ar- 

rivano dinanzi   alla  portantina  ;  ma  uno  dei  porta 
tori    non  c'è.    Bisogna   aspettarne  \tn  altro.    Tassano 
alcuni   minuti  che  sembrano  un   secolo.    Finalmente 
la  portantina  si  muove,  e  depone  il   padre  e  la  figlia 
sul  Qua.  una  carri  //a  di  pi 

asco  al  Ministero  degli  esteri.  la 
nasci  sto   t8  rsi  i  quali   ries.  ,■  a 

are  e.  1    Belgio.    Fu     ra  ci   iS.-.-  e  neutre', 

in  Fi 

.  ma  quelle  prove  ten il. ili  le  fé 
.  en  •  perdi  ragli  .ni-. 

i  ome     l  ivalletti  .    Luigi     Bonaparte  ,    divenuto 

arili   l'ini]  ei, itoti-    \a|  ..In. ne    III.    rie.-. 

•  ■  a  un  travestimento.    Egli   aveva   per  la 
i    :     bellari    le  truppe  ;  ar- 
'  a  imprigii  un.  i  nel  i  astello  di  I  lam,  i 

in  Quintino.    \  anni.   Il   suo  aulico  di 

ii.  e  il  se  Carlo  Th 


lin.  che,  legalmente  liberi,  ciano  rimasti  press 
lllL  io  a    farlo  II  caso  h   aiutò. 

Verso  la  metà  del  maggio  1846,  fu  ordinata  la  ri- 
l  orazione  della  scala  e  dei  corridoi  del  castello.  Il 
Thélin  nolegi  irrozza  ad   Ham,  si  numi  di 

passaporti  1   aspettò  il  25  maggi".  Quel  giorni 

ine   di   Consuelo,   gli    operai    arrivarono  verso   le  6   e 

furono  sottoposti  al!  ispezione  ordinaria.  Il  priro 
Bonaparte  si  tagliò  nel  frattempo  i  baffi,  infilò  sul 
l'abito  una  -rossa  camicia  di  tela  tagliata  all'ai  ■ 

della   cintola,    si   annodo  al  collo  una   cravatta    az- 
zurra, indosso   sulla  camicia  una  blusa   pulita,  e  su 
questa    prima  blusa  una  seconda  in  i 
tutta   machie;    si    mise   in   testa   una    parruo 
sulla  parrucca  un  brutto  berretto;  si  sporcò  il 

di  tintura,    si  mise  delle  ciabatte  ai   piedi,   una    pipa 

,li  terra  otta  in  boo  a,  e  con  una  tavola  sulle  spalle, 
iis,,.    Il   Thélin  lo  precedeva.   Dica  rdie, 

soldati,  portinai    fecero  per  squadrare  il  falso  ma- 
novale;  ma   dovettero  tirarsi    da  parte  per  e\ 
l'urto  della  tavola   Due  operai,  sulla  strada  che   I 
parava   i   ponti   levatoi,   fuori    della  porta,   si   ferma- 
rono   esaminandolo   a' leni  aulente,  stupiti   di  non  co- 
noscere questo  loro  compagno;  e  già  dicevano  ad  alta 
voce  il  loro  stupore,  quando  uno  di  essi  esclari 
o  Ah!    L  Bertoni...  »    Questa  fortuita  somiglianza 
fu  la  salvezza  di  Luigi   Bonaparte.  che,  oltrepa 
l'ultima  cima  della  torte/za.  montava  sulla  carrozza 
noleggiata  da  Thélin,  prendeva  il  treno  di  Bruxel- 
les... e  due  anni  dopo  era  nomina'..  Presidente  della 
Repubblica  !... 

*   * 
Fra  tutte  le  evasioni,  quelle  che  eccitano  più  sim- 
patia s,,no    quelle    dei    snidati   dei   prigionieri    di 
guerra.  Nel   [689  Jean  Lari  e  Forimi  furono  | 
li  Inglesi.  Essi  corruppero  il  chirurgo  che  li  cu- 

l  (il  ]  orbin   aveva  sei  ferite)  edile  mozzi.  Qu 
videro  un  giorno  sulla    riva  una     scialuppa    ro 
giana  il    cui   (ladrone .  ubbriaco  fradicio,  don. 
profondamente.  Lo  trasportarono  in  un'altra  Farci. 

arci  re  e.  tirando  delle  pietre  ti 

stre,    avvertirono    i    prigionieri     che   nel   trattemi).. 
avevano  segato  le  sbarre.  Scendendo  lungo  il  1 
per  mezzo  d'una   corda,  essi   raggiunsero   la  bai 
dopo  ^\nr  giorni   di   penosa  navigazione   sbarcarono 
a  San  Mal... 

\.l  180Q.  durante  la  guerra  di  Spagna,  molti 
,  rigionieri  francesi  furono  condotti  sui  pontoni  alle 
Falcata.  Una  quarantina  di  loro,  vestita  1 
uniformi  s'impadronirono  d'una  scialuppa  venuta 
a  portare  la  provvista  dell'acqua  dolce  e  presero  il 
dando;  Viva  f Imperni' 
Nel  1870  il  generale  Ducrot.    fatto  prigion 

,1.    non  trovò  posto  nel   treno   che  dove'  a  con- 
durlo  da    Poni  en  Motisson   in    Germania.   ' 

-,   sciolto  dalla  '        dalla  staj 

e  coi    suoi   ufficiali  d'ordinanza,  il    Bossau  e  il    I  '• 

nella   casa    del   sindaco.    Li   tutti    e  tre 

rono   la  barba  e  si  travestirono;    venuta  la 
rio  dalla  città,   traversarono    interi    1 

e    oltrepasarono    le    linee    prus- 
siane. 


DALLE    RIVISTE 


275 


I  Dinosauri 


(Dalle  «  Memorie  di  viaggio  d'un  geologo  »  del  prof,  dot- 
tor E.  Fraas,  nella  Cartenlaubi 

...  Ci  trovavamo  in  uno  dei  più  interessanti 
menti    delle   formazioni   giurassiche    americane,   a 
Bone-Cabin  (la  «  casa  delle  ossa  »),  in  pieno  Wild- 
West. 

Un  lembo  dell'antichissimo  mondo  viene  qui  Strap 
pato  dal  suo  sonno  di  milioni  danni,  e  dalle 
pietrificate   l'esploratore  sa   ravvisarne  gli  al 


'èva  ancora.  Anche  i  mammiferi  e- 
rano   rarissimi,    e  rappresentati   soltanto    da 
insettivori;   ma  numerosi  e  grandi  e  formidabili  e- 
rano  i  renili.  Quel  periodo  ili  tempo  tu  il  loro  re- 
gno per  1  ccellenza. 

Ne  mari  tumultuavano  veri  greggi  di  ictiosauri  a 
foggia  di  immani  delfini,  di  plesiosauri  dal  lungo 
collo,  di  mostruosi  coccodrilli.  Sulla  terraferma  poi, 
fra  le  rapide  lucertole  e  le  pigre  tartarughe,  muo 
vevansi  giganteschi  dinosauri  terrorizzanti,  e  pei 
sino  l'aria  era  popolata  da  ^aiii    volanti. 

La    maggior    parte    dell'America    settentrii 
anche  in  quel  perìodi  1    ferma  e  fi  n 


I  Dinosauri. 


Innanzi  a  lui  risorgono  figure  strane.   La  fantasia 
corre  a  ritroso,  a  lungo,  a  lungo,  nella  storia   della 
terra.  Per  quante  centinaia  di  migliaia  0  per  1  pianti 
milioni  di  anni,  io  non  lo  so.  poiché  antichissima 
ra  terra   ed  anche    i   singoli    periodi    di  qui 
vita  sono  tanto  lunghi,  che  ivm   possono  calcolarsi 
ad  anni.  Il  geologo  ha  da  gran  tempo  rinunciai 
contare  con  cifre  d'anni  ;    s'appaga   di  determinare 
le  epoche  secondo  gli  strati  e  le  formazioni  e  le  pie- 
trificazioni. . . 

E  da  queste  pietrificazioni  sappiamo  appunl 
nell'epoca  giurassica   l'aspetto    della  super 
restre  era  assai   diverso   dal  presente.    La  magi 
parte    dell'Europa,   specialmente   nelle   regioni    del 
Giura,  de   Carpazi  e  anche  in  una  gran  parte  delle 
Alpi,    era  coperta   dal  mare.    Una  bizzarra   fauna, 
oggi  quasi  interamente  estinta,  popolava  quel  mare. 


un  grande  continente.    Ma   1 

ti,  e  nel  Canada,  allora,  nell  i 
Montagne  rocciose,  da    Moni  il  Wyo 

!  '  meridionale,    il  1 'oì 

sino    al      V      1  rie  e   il    NUOI    1    Mi  SSÌO  5Ì   stendi  - 

pianure   paludose  e  vasti    laghi.    In  quel 

cosidetto  «  di  depressione  •  \  le  loro  ai 

i   torrenti,  che  travolgevano  1  di 

le  sconfinate  paludi  sera  andata 
mando  una   lamia  adeguata  1  ssima,  qu 

dei  sam  ma- 

rnati per  le  loro  forme  anormali  ■ 
la  loro  grandezza. 

■  ■  che    i    dotti   d'Europa   abbiano  creduto 
razioni,   quando  \ 
loro  le  prime  notizie  di  queste  scoperte.  Erano, 


-7" 


LA    LETTURA 


ili  mai  viste,  vere  monta 
semoventi.  Ma  quanto  i    venuto  alla  luce  da'  lunghi 
ti  i  pienamente  i  dal  i  degli  espio 

tri  d  gni    oni  id  al- 
cuni ili  que'  o               un. iì  tali  che  la  ricostm 

zinne  degli  animali  stessi,  com'erano  da  vivi,  non  ci 
più  immagini  fantastiche,  ma  ci  rida  vera 
mente,  o  forse  con  piccolo  divario,  l'aspetto  di  quelle 
i  [uanto  i  [ueste  fosseri  i  gigantesche,  i  e 
In  prova  il  fatto  che.  come  io  vidi,  un  loro  osso  del 
femore  sorpassa  in  lunghezza  per  tutta  una  ti 
umana  una  pei  li  l'i  isso  che  mi  servì  pei 

m  mmeno  uno  dei  più 

Mi   .     ■      Chicago  ve  n  e  uno 
lungo  metri  2,15  i  mi      1  metro, 

imunemeni  il  mammuth  quale  il   mai 

I  erma  ;  ma  il  su' »  femi  ire  non 

ira  ni  ppure  la  metà    di   1  [uello  del   din>  isauro. 

I  n  anatomistta  crede  quasi  ili  sognare  quando 

mili    proporzioni,  attende   a    completare  tutta 

iniba,  anzi  tutto  il  corpo  dell'animale,  il  quale 

■    ■  ire  alto  dai  cinque  ai  sei  me 

tri,  cioè  il  doppio  di  un  elefante  ili  lia  grandez 

/.1.  e  'li  conseguenza  ancora  più  grande  e  più  grosso 
imuth  sinora  noto. 

letiamolo,  d'un  mammifero,  ma 

d'un  rettile,  che  col  lungo  collo  e  la  robusta  coda, 

veniva  ad  avere  una  lunghezza  ili  almeno  ventidue 

metri.  11  maggiore  elefante  non  è  più  lungo  di  sette 

metri  e  in   [uesta  cifra  sono  comprese  la  probosi  ide 

e  la  colla.   Senza  questi    ,,  accessori   ».    la   lunglie//a 

dell'elefante  non  è  di  più  che  cinque  metri.  F  tra  i 

rettili  oggi  viventi,  ira  i  coccodrilli,  ve  nTiatno,  si 

che  misurano   «liei  metri  di  lunghezza;    ma 

anrhi'  i  maggiori  esemplari  de'  nostri  Musei  si  limi- 

a  sei  0  seno  metri. 

Lo  strano i  poichequesti  mostri  di  venti  0 trenta 

ri  erano  assolutamente  innocui.    Il  piccolissimo 

110  con   la  debole  dentatura,  tutta  la  struttura 

del  corpo  con  le  alte  zampe,  dimostrano  che  il  lori 

legittimi)  propi  1  ra  un  pigi"  e  stupido  vt 

tari.-,  • -He  paludi  per  brucare  1 

erbe  da  mattina  a  sera.   Molto  intelligenti  non  erano 
1 .  pn  iporzii  ma  olo  il 

loro  cervello. 

L'anatomista  deve  ritenei      hi    i  d auri,   in  0- 

gni  loro  atto,  procedessero,   come  si  suol    dire,  coi 
di  piombo.  Eppui  [uesl  i  colossi  ;  .< 

liei     e    dall'aspetto    tert 

dersi  tranquillamente  la  vita.  Avevano  anzi  de'  for- 

i,  anche  tra  i  loro  a  «sanguinei.    Le 

le  vertebre  rosicchiate  che  si   trovano 

e  delle  battaglie   te 

I  lattute  da  quesl  1  m  diluviani,  <  >1 

etai   un.  \ ivevano  allora 
ani-in-  delle  specii  1  he  1  acci  ani  1  la  parte 

dei  no, in  animali  feroci.  Ni         ungev ano.  m  1 
di    proporzioni,   ali  agili 

e  dotati  di  terribili  mas  eli      l        ranissimi  dove 
vani  etto,  pereti  gura  e  ne 

qua! 
mali  comb  .  ano 

Ili  ! 


Fra  i  ragni 


(Da  un  articolo  del  Pali  Mal!  Maga 

L'astuzia  dei  ragni  è  proverbiale.  Tutti  sanno 
1  .ni  quanta  abilità  essi  sappiano  .  attillai,  la  pi 
e  sfuggire  ai  nemici.  Uno  simula  l'apparenza  d'un 
bottone  di  rosa  ed  esala  un  profumo  di  gelsomino 
per  attirare  gli  insetti  che  amano  i  fiori;  un  altro 
ha  rillessi  luminosi  che  lo  fanno  somigliare  ad  una 
goccia  di  rugiada  brillante  al  sole:  un  altro  dissi- 
mula la  propria  identità  sotto  il  colon  e  la  forma 
di  una  formica  velenosa  o  di  qualche  scarabeo  ri- 
pugnante. Questi  sono  ragni  dotati  di  eccezionali 
qualità  mentali  e  fisiche  ;  ma  v'ha  una  famiglia  di 
ragni  meno      nobili»,  tozzi  e  plebei  in  apparenza, 


I  due  nemici:   ragno  e  vespa. 

uria  famiglia  che  sarebbe  sterminata  da  secoli, 
non   avesse   certi    istinti    e    certe  abitudini  che  le 
hanno  consentito  di  resistere    agli    avversari    nella 
lotta  per  la  vita.  Si  tratta  di  una   specie    di    1 
1  he  si   labbi  il  a  nidi  singi  d .1 1  issimi. 

Questi  nidi,  nel  tipo  più  semplii  e  e  pi  imi! 
(«insistono  in  tane  fonde  da  tre  a  dodici  o  più 
liei.  no  all'ingiù  dalla   su  nolo 

e  rivestite  di  seta  pei  offrire  un  appo  piedi 

dell'animale  e  impedire  la  caduta  della  ti 
porta  della  tana-t;  fatta   di    minuti    frani- 

li di  terra,  di  materie  vegetali  e  di  seta  1  he  tien 
e.    hi'    imperniata    da    una    parti 
suolo  e  libera  per  tutto  il  resto,  più  o  meno  s|  1 

ndo  la   volontà    del    fabbricatore,    e   alquanto 
piii   larga  dell'api  rlura  della  tana,   per    mo 

non  possa  entrai  sotto.   Il  pern nsiste   in    una 

strisi  ia  di  seta  1 1  *1 1<  mi "1"  che   i   sui ii   ti s- 

suti  elastici,  quando  la  porta  si  apre,  sono  sottopo- 
sti a  pressione  e   tendono    .1    richiuderla.    Me) 


DALLE    RIVISTI 


-77 


in  opera  questo  congegno  così  complicato  e  per-  giorni,  esce  dall'uovo  la  nuova  creatura  che  divora 
fetto  non  è  cosa  facile,  a  prima  vista,  ma  la  cono-  i  ragni  accumulati  e  tuttora  assopiti  dal  veleno, 
scenza  dei  nemici  contro  cui  i  ragni  debbono  com-     cade  anch'essa  in  una  specie  di  letargo  e   si  tras- 


battere spiega  benissimo  la  cosa. 


Una  porta. 

I  nemici  capitali  di  questi  ragni  sono  le  vespe, 
non  le  vespe  ordinarie,  ma  certe  altre  vespe  più 
attive  e  formidabili  che  muovono  guerra  inces- 
sante e  spietata  contro  i  ragni  d'ogni  specie. 
Adulte,  queste  vespe  si  nutrono  di  frutta  o  di  net- 
tare, ma  giovani  vogliono  soltanto  alimento  ani- 
male, e  la  madre,  quando  sta  per  procreare,  deve 
provvedere  tal  nutrimento.  Essa  va  attorno  cer- 
io per  ogni  dove,  perlustrando  ogni  angolo, 
ogni  pollice  di  terreno.  Molti  ragni  son  facile  preda, 
perchè  al  solo  avvicinarsi  d'una  di  quelle  vespe, 
i  il  volo  ronzìo  che  l'accompagna,  cadono  per  ter- 
rore in  una  specie  di  catalessi;  altri  combattono, 
ma  senza  coraggio  e  senza  forza,  altri  tentano  in- 
vano di  fuggire  da  quel  nemico  rapido  e  coraz- 
zato, mun'to  di  un  pungiglione  che  inietta  un  ve- 
leno, il  cui  effetto   immediato  è  di  gettare  la   vit- 


- 


Una  tana  elevata. 

tima  in  uno  stato  comatoso  che  dura  parecchi 
giorni.  Il  ragno,  ferito,  viene  portato  in  un  locale 
apposito,  ove,  in  breve  tempo,  la  vespa-madre  aduna 
gran  numero  di  quegli  animali.  Ciò  fatto,  essa  de- 
pone là  il  suo  uovo  e  poi  chiude  quella  tomba 
vivente,  né  si  cura  più  d'altro.    Dopo   due   o   tre 


forma  in  una  crisalide  da  cui  esce  la  vespa  adulta 
che  (cndurrà  la  vita  stessa  che  conduceva  sua 
re.  Se  si  pensa  quante  sono  queste  vespe  e  il 
gran  numero  di  uova  che  le  femmine  depongono 
e  il  numero  ancor  maggiore  di  ragni  che  si  ri- 
chiedono per  nutrire  i  «neonati  (giacché  a  m 
vogliono  talora  anche  quaranta  per  ciascuno),  si 
capisce  che  tanta  persecuzione  debba  avere  un  ef- 
fetto decisivo  sulle  consuetudini  dei  ragni. 

Tornando  alla  specie  di  ragni  di  cui  l'articolo 
particolarmente  si  occupa,  le  tane  che  essi  si  sca- 
vano servono  mirabilmente  a   sfuggire    alle    perse- 


Tana  a  tre  porti 

cuzioni,  Nel  costruire  la  porta,  essi  cercano  di 
farla  visibile  il  meno  che  sia  possibile,  dandole  il 
colore  e  la  natura  del  suol,,  circostai]  m  sto 

è  nudo,  la  porta  ha  l'aspetto  di  terra  nuda;  se  il 
suolo  è  erboso,  il  ragno  si  dà  attorno  cercando 
erbe,  che  pianta  sulla  faccia  esterna  della  porta. 
Le  erbe  vi  pongono  radice  e  crescono,  per  modo 
che  è  impossibile  trovare  la  porta  se  non  si  sa 
ove  sia.  In  ciò,  i  ragni  non  fanno  opera  intelli- 
gente, ma  seguono  un  cieco  istinto  atavico.  L'au- 
tore dell'articolo  una  volta  rase  tutta  l'erba  ;  tt 
alla  tana  di  uno  di  questi  ragni  e  sulla  porta.  Il 
ragno,  avvedutosene,  cercò  in  giro  dell'erba,  e 
trovandola  vicino,  andi'i  a  cercarla  lontano,  e  tro- 
vatala, la  piantò  sopra  la  porta,  per  modo  che 
oramai  questa  si  scorgeva  benissimo  di  mezzo  a 
suolo  brullo.   I      -  male  faceva  così  perdi' 

un  numero  incalcolabile  di  generazioni  i  suoi  prò- 


I  \    I  ETTURA 

genitori  lucevano  cosi;  e,    ligio   alle    ■  onsuetudini     tana  e  vogliono  entrarvi  ad    ogni   costo,    non   co- 
ereditario,  vi  si  atteneva  anche  quando  riusciva  ad     nosce  fini     Pei  impedire  clic  l'avversario   nitri,  il 


un    risultato   opposto    a    quello    che    doveva    rag 
giungi 
Le  vespe  e  le  formiche  vanno  a  caccia  soltanto 


... 


vm 


■ 

La  tana  bloccata. 

il  giorno;  perciò  a  notte,  quando  i  nemici  hanno 
cessato  di  <v  lavorare  »  e  riposano,  i  ragni  si  met- 
tono alla  lor  volta  al  lavoro.  Senza  allontanarsi 
dalla  tana,  spiano  attentamente  la  preda  e,  a- 
docchiatala,  l'afferrano  in  un  baleno  e  se  la  tra- 
scinano entro  la  tana  per  divorarsela.  Una  volta 
sazi,  restano  sempre  sotterra  oziando.  Ma  la  per- 
severanza  delle  vespe,  quando  hanno  scoperto   la 


ragno    deve    aggrapparsi    con    le    zar  ii ori 

alla  porta  e  con  le  posteriori  alla  seta  di  cui  i 
vestita  la  tana.  Se  la  vespa  riesce  a    forzare    I'  in- 

IO,  quasi  sempre  il   ragno  ha  uno   scampo  co- 
stituito  da    una    tana    praticata    entro    la    lani 
chiusa   anch'essa   da   una   porta    simile    a   quella 
esterna. 

In  Algeria  v'è  una  varietà  di  ragni  che    per 
sere  meglio  all'altezza  degli  insetti  di  cui  si  <  il 

uiscono  tane  elevate  e  somiglianti  a  fasti  ve- 
getali. 


La  parte  posteriore  del  ragno. 

V'è  un'altra  varietà  che  stabilisce  il  proprio  do- 
micilio nei  tronchi  degli  alberi.  Gli  individui  di 
questa  specie  non  mettono  una  porta  all'uscita 
della  loro  tana:  non  ne  hanno  bisogno,  grazie 
alla  costituzione  poco  estetica,  ma  utilissima  del 
loro  corpo.  Questo,  di  forma  normale  nella  parte 
anteriore,  è  nella  posteriore  enormemente  gonlio, 
fatto  presso  a  poco  a  cilindro,  e  mozzo:  finisce 
con  una  superficie  piatta  e  dura  che  somiglia  ab- 
bastanza alle  cortecce  degli  alberi.  Quando  vo- 
gliono predare,  i  ragni  si  pongono  all'apertura 
della  tana  con  la  testa  alPinfuori,  quando  un 
-avvicina  un  pericolo,  restano  allo  stesso  posto, 
ma  chiudono  l' apertura  con  la  superficie  piatta 
che  termina  il  loro  corpo  e  su  cui  le  zampe  dei 
nemici  non  hanno  presa. 


t'n  ragno  singolare. 


DAI  l  E    RIVISTE 


279 


Per  la  redenzione  dei  delinquenti 

(Da  un  articolo  delle  Lectures  pour  tous,  di  gennaio). 

La  società,  nei  tempi  andati,  si  restringeva  a  di- 
fendersi dai  malfattori,  senza  tentare  di  correggerli. 
Allora  le  prigioni  erano  luoghi  orribili,  angusti, 
malsani,  privi  d'aria  e  di  luce.  Nelle  chartres  basses 
del  Petit  Chàielet,  un  ministro  di  Cari"  VI  ac- 
certava che  non  era  possibile  passare  un  giorno  sen- 
za esser  «piasi  asfissiati.  In  quelle  dell'abbazia  di 
Saint-German  des  Prés.  scavate  a  trenta  piedi  sot- 
terra, il  prigioniero  non  poteva  stare  in  piedi  e  vi- 
veva nell'acqua  stagnante  che  gocciolava  dai  muri. 
Fino  al  domani  della  Rivoluzione  francese,  un  uo- 
mo era  ancora  morto  alla  vita  sociale  quando  aveva 
passato  la  porta  di  un  carcere.  Ai  nostri  giorni,  poco 
tempo  fa.  gli  ultimi  bagni  della  Siberia  potevano 
dare  un'idea  di  ciò  che  erano  quelli  d'un  tempo. 
11  Dostoiewskv.  complicato  a  ventisette  anni  in  una 
cospirazione,  ne  passò  quattro  lassù,  e  descrisse 
quell'interno  nei  Ricordi  della  casa  dei  morti  ;  anche 
il  Tolstoi  ha  descritto  con  terribile  efficacia  gì  inu- 
mani sistemi  russi.  Risparmiare  al  condannato  le 
compagnie  perverse  e  pervertenti  è  stato  lo  scopo 
per  il  quale  si  creò  il  sistema  dell'isolamento  nelle 
celle.  Con  queslo  sistema,  egli  non  ha  mai  testimo- 
ni del  suo  decadimento.  Durante  l'ora  della  passeg- 
giata, il  silenzio  obbligatorio  lo  isola  così  bene  come 
i  muri  della  cella.  Si  evitano  in  tal  modo  le  influen- 
ze degradanti  dell'incarcerazione  in  ci  imune  e  quelle 
pericolose  amicizie  dalle  quali  nascevano  vere  asso- 
ciazioni di  malfattori  nelle  case  di  espiazione.  Nella 
calma  e  nella  pace  della  cella,  poi,  coi  buoni  libri, 
coi  buoni  consigli,  con  le  visite  del  prete  o  del  di- 
rettore, il  delinquente  è  avviato  al  pentimento.  Alia 
cura  morale  si  unisce  la  fisica.  Certa  gente  di  spi- 
rito superficiale  ha  scherzato  sul  preteso  lusso  dei 
penitenziari  moderni,  sui  ventilatori,  sul  gas.  ecc. 
«  In  tal  minio  ».  si  dice,  «  i  birbanti  stanno  meglio 
dei  galantuomini  ».  Sta  invece  il  fatto  che  un  va- 
gabondo trascurato,  abbrutito  dall'alcool  e  dagli  stra- 
vizi, se  è  messo  in  un  ambiente  luminoso  e  aerato. 
se  ha  l'obbligo  della  nettezza  e  dell'igiene,  piglia 
gusto  alla  nuova  vita,  e  la  rigenerazione  tisica  pre- 
para la  morale.  In  certe  prigioni,  il  condannato  ha 
facoltà  di  ornare  la  sua  cella  con  qualche  minuto 
oggetto:  quelli  che  ne  profittano,  quelli  che  si  crea- 
no l'illusione  di  trovarsi  a  casa  loro,  rivelano  d'es- 
sere sulla  via  del  ritorno  dalla  delinquenza  alla  u- 
manità    normale. 

Ma  il  vero  riscatto  non  può  essere  ottenuto  se  non 
con  un  rimedio  unico:  il  lavoro.  L'ozio  è  sialo  quasi 
sempie  la  causa  «lei  delitto;  il  lavoro  soltanto  può 
correggerne  gli  effetti  funesti:  lavoro,  beninteso, 
normale,  proficuo  e  remunerato.  C'è  una  forma  di 
lavoro  che  è  il  più  atroce  castigo:  il  lavorò  inutile, 
slerile.  senza  altro  oggetto  fuorché  sé  stesso.  Tale  è 
in  Inghilterra  Xliard-labonr.  A  Pentonville,  a  Mill- 
bank,  a  Holloway,  i  detenuti  sono  sottoposti,  sulle 
piime.  a  un  regime  il  quale,  nello  spirito  della  iegge 
inglese,  ha  lo    scopo  di    domare  i  caratteri    ribelli. 


Per    un  mese  e  talvolta   per  un    tempo  mole,  più 
lungo,  il  (detenuto)  fa  girare  il  tread-wheal 

(ruota  .1  gradini)  0  il  tread-m  :  (mulinò  .1  gradini). 
E'  un  immenso  cilindro,  guarnito  in  tutta  la  supei 
&cie,  di  gradini  0  palette  simili  alle  pale  di  un 
mulino.  Vestiti  d'una  semplice  cintura  alle  reni,  24 
condannali  vengono  a  mettersi  in  fila  sulle  palette 
d'una  di  questi'  macchine,  appoggiando  le  mani  a 
una  traversa  disposta  un  poco  al  di  sopra  della  loro 

A  un   segnale,  essi  debbono   |  osare    il   | 
sulla  paletta  0  gradino  superiore;   il  cilindro  gira  e 
presenta  successivamente  gli  altri  gradini,  sui  quali 
condannati  debbono  continuamente   arrampicarsi 
senza  mai  cambiar  di  posto,    basta  un  momento  di 
distrazione  per  non   arrivare  in  tempo   a  mettere   il 
piede  sulla  paletta:    allora  la  ruota   batte  violen- 
temente   sui    ginocchi   e   sulle    gambe    e   morti 
le  carni...   11  lavoro  così  compito  in   otto  ore  equi 
vale  a    un'ascensione  perpendicolare  di    8  chilome- 
tri e  mezzo  ! 


Il  supplizio  delio  sforzo  inutile  ha  altre  forme. 
Talvolta,  per  intere  giornate,  il  condannato  al  skot- 
dnll  (manòvra  della  palla)  deve  .trasportare  delle 
palle  da  cannone  da  destra  a  sinistra  e  da  sinistra  a 
destra,  indefinitamente;  tal'altra  deve  girare  la  ma 
novella  del  crani;,  una  specie  di  tamburo  per  metà 
pieno  di  sabbia:  la  manovella  mette  in  molo,  nel 
suo  interno,  una  ruota  con  godets  ;  ad  ogni  giro,  tra- 
versando lo  >trato  di  sabbia,  i  godets  si  riempiscono, 
e  poi  si  vuotano,  e  poi  si  riempiscono  ancora,  e  co 
sì  via! 

Per  fortuna,  se  la  penalità  inglese  ha  ['hard-la 
boiir.  ha  pure  il  lavoro  produttivo  e  rigeneratore. 
Itasi  a  visitare  i  cantieri  di  Portsmouth,  di  Chat  ani. 
di  Woking.  di  Dartmoor,  di  Brixton,  dove  1,500  0 
1500  COnvUts  lavorano  a  squadre  di  20  0  30.  soli,. 
la  vigilanza  d'un  guardiano.  Tanto  ordine  vi  regna. 
e  tanto  proficuo  è  il  lavoro,  che  «piasi  si  dimentica  di 
essere  innanzi  a  galeotti.  Magnifiche  opere  pubbli- 
che, le  dighe  gigantesche  di  Portland,  i  bacini  enor- 
mi di  Portsmouth  e  «li  Ohatam,  sono  opera  loro.  \ 
questo  modo  il  bagno  diventa  una  scuola  profi 
1  ale  dalla  quale  escono  eccèllenti  operai. 

In    Francia,  le  Case  centrali  di  Melun  e  «li    PasSJ 
sono   stabilimenti   industriali   dove  risuonano  i  mai 
tedi,    soffiali.,   le    fucine,   strillono    le    maccl ge- 
mono i  torchi:  vi  si  stampano  le  pubblicazioni  ni 
Sciali,    vi  si  tagliano  le  unitoli'                mpiegati 

«ledo  Sialo. 


Nel  Belgio  ogni  cella  è  un  pi 
ve  il   detenuto  ha   a  stia  disposizione  gli   strumenti 
più  delicati  «  costosi.  Se  la  o  Ila  ètri 
per  un  certo  mestiere,  il  pi  i   collocato 

una  spazi,  .sa  galleria. 

Dal  lavoro  con  questi  sistemi,  gli   sciagura 
hanno    meritato  d'essere  posti   al   Lamio  dal  civile 
consorzio,  ricavano  un  vantaggio  immediato,    il  pe- 
nitenziario stesso  amministra  i  loro  guadagni;  una 
parte   forma  il   peculio  di  riserva,   l'altra  la  massa. 


280 


LA    I.l   II  i  RA 


che  è  consegnata  ai  prigionieri  quando  hanno  scon- 
tato la  pena,  perchè  sopperiscano  ai  loro  primi  b 
sogni  appena  liberati.   Il  peculio  ili  riserva  è  di 
nato  ad  ottenere  qualche  supplemento  'li  vitto,  i  11 
puri-   può  essere  mandato  alla  famiglia.   In  media 
un  detenuto  guadagna  ,}i   centesimi   al  giorno,  sui 
quali  ne  economizza  10.  I  più  destri  arrivano  a 
dagnare  quasi  quanto  un  operaio  libero.   In  molte 
delle  prigioni  moderne,  e  specialmente  in    Inghil- 
u-rr.i  .    il   prigioniero   può  disporre  del   suo   desti 
alla  sua  condotta.  A  Pentonville  e  a  NI  il 
lunik  ogni  detenuto  riceve,  appena  entrato,  una  tes 
s<  r.i  ove  la  sua  condotta  è  notata  ogni  sera  coi  punti 
8.  7   e  iì.  secondo  che  egli  ha  compito  il  suo  la 
voro  perfettamente,  mediocremente  o  male.  Ognuno 
dei  giorni  dell  ività  bene  0  male  impiegati 

ha  una  diretta  influenza  sulla  sua  vita  penitenziaria, 
e  in  un  quadro  appeso  alla  parete  della  cella  egli 
può  vedere  sommati  i  buoni  pumi  e  1  cattivi.  Se  i 
punti  <-attivi  sono  molti,  egli  resterà  a  lungo  nella 
Probation  clas  di  prova),  mal  nutrito,  senza 

poter  né  ricever  vis  le  tere    I  '<  m  buoni  punti. 

e  e ise,  e  uh  aumento  'li  salari".  In  ogni 
rlassc  i  vantaggi  sono  regolati  matematicamente: 
nella  seconda  si  ha  diritto  di  ricevere  uqa  lettera  ogni 
6   mesi.  ■  1  ,  gnì    |    un  si,   nella  quarta  1  gni 

ì  mesi.  Finalmente  la  condotta  sempre  ottima  è 
premiata  con  la  dispensa  dalla  quinta  classe  e  con 
la  libertà  provvisoria.  Sopra  inoo  convicis  liberati 
nel    187 1.  solo  128  non   meritarono  nessuna   ridil- 


li   sistema    della   deportazione   nelle  terre   lontane 

1  XVII  e  XVI 1 1.  dal  desiderio  di 
sbarazzarsi  definitivamente  dei  malfattori:  la  vec 
chia  nelle  regioni    del   Mississippi 

e  nelle  isole  americane  per  non  aver  più  da  fare 
eon  loro.  M  !  la  piatirà  Inghilterra  vi  trovò  un  ec 
celli  nr:    essa   tuti 

irvi  quando  gli    Australiani    accol 
sito  fate  i  convogli  di  convicis.  La  Francia 

continua  invece  a  servirsi  di  questo  sistema  nella 
Guiana  e  nella  Nuova  Caledonia,  dove  i  condannati 

■dallo   le  ti  \ano   i    campi,    aprono   stra 

'  igni  forzato  passa  il  primo  anno  nelle  fai 
■    ,  1  mestiere  sotto  la  direzione 

iti  di  cultura  ;   poi  gli  si  assegna  un   pi 
di  terra,  ed  egli  si  mette  all'opera,  Per  i  primi  treni. 1 
l'amministrazione  gli    fornisce  dei  viveri  e  lo 
iso  di  malattia.  (  igni  mi  l'is]  e 

/ione,  per  verificare  i  lavori  ch'egli  ha  compiuto, 
finché  il  col  1  d   ha  n  cuperato  il  suo 

posto  in  mezzi  1  ali  Se  ha  1 

figli,  può  tarli  venire  presso  di  sé;  in  caso  contra- 
si  può   ti  Convogli  di  donne   arrivano 

al    convento  peniti  di   Bourail  :   quando    le 

suore  di  eppe  di  Cluny  le  dichiarano 

al   11  11 1  pu. .  \.  fare  la  sua 

raverso  l'inferriata  del   parlatori'      1 
l'ex-forzato  diventa  padri  lia  e  proprietario. 

Alla   \u  non  si  lro\ ano  sol 

roprietari  d  tri  :  alcuni 


ridono  il  loro  dominio  e  i.iniio  fortuna.   Nelle 

vicinanze  di  Bourail  e  Numea,  vi  sono  vaste  pian- 

■    di  tabacco,  eon  ampie  case,  eon 

carri   tirati   da    buoi    pei   trasportare  1    prodotti   .11 

niere.it  1  dell'isola  :  il  tutto  apj ne  al  delim  |UI 

.1  un  tempo.  I In  frani  ese  che  ha  Fatto  il  giro  della 
Caledonia  di  concessione  in  concessione,   l'ani"  \| 
inand.     ha   riferito  alcuni   fatti  molto  curiosi,  dai 
quali  appari  che,  laggiù  come  altrove,  le  orditi, 
molle  dell'atti!  na    producono   l'effetto  con- 

sueto: eon    la  responsabilità   si    sviluppano  l'ini; 
tiva  e  l'energia.  Un  ci  ito  S     .  per  esempio,  che  ha 
fatto    fortuna  eon  ["allevamento  dei  cavalli,  mostra 
orgogliosami visitatori,  nei  suoi  paddocks,  pa- 
recchi cavalli  che  hanno  vinto  alle  corse.  I   fratelli 
\       si  sono  arricchiti  eon  le  pelli.  Quando  la  loro 
concessione  diede  loro  i  primi  guadagni,  compra 
ni  1  dai  vicini  tutte  le  pelli  di  anin 
1  .non,,  e  ih    fecero  commercio.  La  qualità  del  cu 
era  buona,  il  prezzo  inferiore  a  quello  dei  fai 
canti  australiani.  Le  ordinazioni  piovvero,   e  i 
telli    V      sono  ora  degli   industriali  molto  conside- 
rati a  Numea    l 'a  un  decennio  a   |t  inno 
1  ittenuto  la  fornitura  1  Ielle    carpe  dei  forzai  i,  e  ni  I 

1  cu  le/ Iona  re  ogni  anno  per  conto  dello  Stato  venti- 
mila paia  di  scarpe,  ottengono  un  ragguardevole 
profitto. 

Il  patronato  dei  liberati   dal  carcere  fu  inizi; 
nel    1850    da   un   maestro  di    scuola.    l'Organ,   orga- 
nizzati re  delle    prigioni    d'Irlanda.    Inquieto   della 

che  aspettava  i  detenuti  quando  sarebbero  tor- 
nati in  mezzi)  alla  società,  visitò  ad  ima  ad  una 
tutte  le  l  attorie  e  tutte  le  1  ifficine  della  contea  di  Du- 
blino,  cercando  lavorò  per  i  prigionieri  che  stavano 
per  essere  liberati.  Niente  lo  stancò,  nessun  rifiuto 
lo  scoraggi.  Il  suo  esempio  fu  imitato.  Nel  1857  fu 
fondata  a  Londra  la  grande  e  potente  società  1 
\  aia  ai  i  oiwicts:    la  Discfiat   ed  P  I 

ciety.   Più    di    20  mila  condannati   sono  stali   da    lei 
finora  aiutati.  In  Francia  i  rifugi  del  Buon  Pas 
e  di  San' Anna  accolgono  con  grande  zelo  i  prigio- 
nieri liberati,    alcune  antiche  Confraternite  si  si 
trasformate  in   case  di    beneficenze:    l'Opera  di 

orti  ad  Ai\  ed  a  'l'olone;  {'Ufficio  della  M 

li     1      la  Sot  ('/<>  del  Patronato  dei  dete- 
nuti e  dei  liberali  a   Parigi,  la    quale,  quantunque 
hia   di  mezzo  si  due  anni  ad- 

dietro apri  in  via  Michele  Beuzol  u\\  asilo  modello. 
Cui  lavoro  e  l'istruzione  \i  si  operano  meraviglii 
guarigioni.   Un  che  ha  commesso  il  più 

orribile  delitto,  l'uccisione   della  prò]  ura, 

m     Vmi  Hi  osa  e  madre  di    lami 

glia.   Molte  altre  sono  state  redente  del  pari.  S 
100  detenuti      I    Patri  nati  1  ó    via  M  ichele    Beuzol 
ottiene  almeno    no  redenzioni  assolute,    definitive, 
senza  timore  di   ricadute.   Per  i  piccoli  delinqui 

la    Semi;',   la   recidiva    era   una 

1   del   75   per  cent".     Pareva    che    Parigi   e    i   suoi 

dintorni  fossero  un  focolare  di  delitti  d'impossibile 
risai:  I nvece  la    Si  cietà    di   Patronato  fon- 

data nel  [835  dal  Bérenger  \i  è  in  gran  parte  riu- 
scita, e  la  recidiva  è  oggi  scesa  al  5  per  cento. 


DA]  LE    KIVI- 


JS, 


ha  easa  della  bambola 

nei  secoli  scorsi 

Dalla  rivista  Velhagen  und  KUtsings  Monats/u 

La  sete  tormentosa  di  ricostruire  in  piccolo  tutto 
il  dramma  mondiale  che  ci  turbina  attorno,  ha  ra- 
dici   profonde  nella  natura  stessa   del    bambino. 

A  tracolla  il  terribile  fucile  inesplosibile,  nel  pu- 
gno che  trema  un'enorme   spada  di  legno,  comba 
tono  i  bambini  le  loro  finte  battaglie  coll'accanin 
to  disperato  di  una  lotta  campale.    E    sotto  le   vi- 
siere di  cartone  abbassate  trucemente  dinanzi  a  un 


pei    la  somiglianza  continua  che  il  mon- 
do   piccino  ha  col   resto    delle  cose,   quelle  case  di 
bambola  sono   fedeli  modelli  delle  costruzioni  mu- 
e  dell'abbigliamento  dell'epoca, 
raziatamente   però  sono  rare  le  bambole  ar 
rivate   tino  a  noi;    sia  portate  dal  caso,  sia  o 
affetto  al  vecchio  nonno  donatore,  sia 
l'altissimo  prezzo  delle  vesti  e  degli  addobbi. 

Ad  ogni  modo   tanto   esse  quanto  le   loro  case  ci 
si  no  preziose.  Queste  ultime  nella  loro  costruzionee 
emazione  sono  assai  diverse  dalle  attuali.  Una  di 
esse  è  riccamente  dipinta  all'esterno  ed  è  in  otti 

ora,  a  differenza  delle  altre  che  non  hanno 
troppo  resistito  alla  guerra  dei  secoli.  >j\n-,r  su- 
perstiti reliquie  dei  balocchi  infantili  appartengono 


Vestibolo  d'una  casa  di   bambole  (secolo  XVII  . 


nolino  sventurato,  <'he  deve  rappn  - 
mila  fucili  nemici,  gli  occhietti  dei  bimbi  scintil- 
lano del  medesimo  lampo  di  trionfo  che  illuminava 
forse  lo  sguardo  di  Napoleone.  Intanto  nella  cu 
cina  le  bimbe,  curve  con  materna  tenerezza  SU  una 
testina  ili  bambola  ammalata,  sanno  trovare  parole 
e  lacrime,  che  solo  una  madre  conobbe  sulla  loro 
culla. 

Ma  delle  battaglie  dei  fanciulli  e  delle   loro  vel- 
leità imperialiste,  nessun  documento  alla 
erità  :  essi  hanno  tutto  stritolato  nella  furia  della 
battaglia  con  somma  melanconia  del  babbo  che  i 
pagare  le  rovine. 

Ma    delle  bambole    delle    fanciulle    qualcuna   ha 
io  passare  i   secoli  e  arrivare  tino  a  noi,  chi  as- 
sopita ancora   nella  culla,   chi  stesa   nel  bagno,  chi 
ritta  nella  cucina,   strani  ma  non  trascurai 
menti  per  la  cultura    storica. 


tutte  por   un  caso  strano  alla  Germania  del 
sud  e  quasi  tin  ecolo  XVI I. 

Una  è  nel  Museo  industriale  di    Baviera,  cinque 
nel   Museo    internazionale   germanico  a    \ 
una  nel  Muse  le  di  boriino  e  una 

finalmente  nei  South  K  Museiim  a    Londra. 

L'importanza  di  questi  giocattoli  come  do  ui 

ene  poi  confermata  dal    fatto,  che  ossi  ri- 
spondono perfettamente  a  quanto  ci    tramanda! 
dei  costumi  dell'epoca  ser;-  mpo- 

ranei. 

Nella  casa  di  bambola  conservata  al  Museo   di 
Bi  t  Imio  si  apre  al  pian  terreno  un  bel  \ 
di  magazzino  e  di  bagno  (Iìl 

in   cucina  ed  a    sinistra 
bini,    ricca  di  giocattol  ra  di 

.  gentile  ma  Pure  a  sin 

.  |  tzione  e  di   sotto  un  bel   sotterra- 


Camera  da  letto 


Sala  da  pronao. 


DALLE    KIVIM'I 


283 


neo  con  una  vasca  spaziosa  (fig.  3).  Salendo  la  pic- 
cola scala,  sulla  quale  forse  tante  volte  rotolarono 
le  bambole  di    fanciulle    felici,   entriamo    direi 
mente  nella  sfarzosa  sala  da  pranzo  del  medesimo 
tipo  di  quelle  che  sappiamo  usate  anticamente    (fi 
gura   5)  e  infine  penetriamo  nella  camera  dà   1 
dove  un  superbo  baldacchino  arriva  quasi   al  sol 
fitto  (fig.  6). 

Ma    lasciando    tranquilla     questa    casa    gentile. 
un'altra  ne  troviamo  nel  Museo  di  Berlino,  nera  del 
lusso  di  un  patrizio  fastoso:  sopra  il  piano  terreno 
dove   si  apre  un  peristilio  si   innalzano    le  camen 
e  le  sale,  l'una  più  splendida  dell'altra. 

Da  tutte  noi  possiamo  dedurre  i  caratteri  archi 
tettonici  e  i  sistemi  edilizi  dell'epoca.  Cosi  noi  ve 
diamo  che  i  sotterranei,  la  cucina  e  la  dispensa  sono 
pavimentati  di  mattonelle  di  pietra,  mentre  le  ca- 
mere da  letto  e  i  salotti  hanno  sontuosi  tappi 
Bianche  sono  le  pareti  della  casa  rustica,  mentre 
gli  appartamenti  di  abitazione  si  cullano  fra  le  tap- 
pezzerie di  seta  che  si  stendono  drappeggiate  sul 
muro.  In  tutto  è  la  preoccupazione  continua  e  tor- 
mentosa di  riprodurre  in  quel  piccolo  mondo  i  mo- 
tivi architettonici  e  decorativi  dei  palazzi  e  delle 
case  reali:  gli  oggetti  di  uso  domestico  sono  ripro- 
dotti con  una  fedeltà  che  arriva  allo  scrupolo,  le 
panche,  i  letti,  i  secchiolini.  le  scranne,  gli  armadi. 
tutto  è  fatto  come  se  quelle  bambole  di  legno  fos 
sero  davvero  esseri  viventi.  Si  allineano  le  dure  pan- 
che nella  cucina,  si  stendono  le  soffici  sedie  nelle 
sale,  hanno  le  loro  stalle  i  cavalli  e  i  buoi,  i  loro 
letti  i   servi  coi   variopinti   pagliericci. 

Stanno  sulle  pareti  i  quadri,  qua  e  là  dissemi- 
nati i  libri  di  preghiera  e  di  scuola.  Anche  le  ca- 
mere per  la  notte  sono  curate  con  ogni  perfezione 
e  vi  troviamo  pure  letti  matrimoniali  con  baldac- 
chini e  pagliericci,  sotto  i  quali  non  manca  neppure 
un  bianco  oggetto  che  facilmente  si  vede  nella  no- 
stra illustrazione.  Le  sale  da  pranzo  hanno  un  rio  0 
corredo  di  piatti,  di  scodelle,  di  bicchieri,  di  col- 
telli, di  cucchiai,  di  anfore,  di  caraffe,  di  -  alii  1-  ni 
mancano  in  altri  angoli  della  casa  spazzole,  pettini. 
guanti  e  parrucche,  l'arsenale  eterno  della  vanità 
delle  donne  e  delle  bambole.  Altrove,  nella  cui 
si  arrampica  sulle  linde  pareti  una  ghiotta  fioritura 
di  pentole,  pentolini,  padelle,  casseruole,  testimoni 
inesorabili  di  ghiottoneria;  altrove  ciabatte,  ri 
pantofole,  occhiali,  specchietti,  penne,  pappagalli, 
mazzi  di  carte  da  giuoco,  scacchiere,  e  persino  al- 
cune statuine  di  cinesi,  t  tome  si  vede,  nel  regno  delle 
bambole  nulla  manca,  neppure  le  preoccupazioni 
per  una  lontanissima  questione  di  Oi 

Naturalmente  questi  costosissimi  g 
destinati  ad  allietare  le  esistenze  felici  di  ricchissi 
me  bimbo  0  anche  alla  decorazione  di  camere  arti- 
stiche come  gingilli  curiosi.  Cosi  almeno  leggiamo  di 
una  casa  microscopica  ehe  a  noi  non  .-  pervenuta 
e  che  rti  costrutta  ed  arredata  per  la  ramerà  del 
dura  Alberto  V   di  Baviera. 

Sarebbe  però  errore  il  credere  questi  m 
prodigi  del  lavoro  umano,  sémplici  curiosità  d 
bmctto.  come  da  una  grande  maggioranza  sono  pur 
troppo  stimati.  Essi  sono  anzi  spesso  capolavori  ar- 


tistici,  monumenti  di  un  genio  che  torse  su  quelle 
il  :  testine  di  bamb  ile  ha   sognato  in  uri 

visione  di   arte. 

Introdotte  dapprima  come  un  ingenuo  diverti- 
mento infantile,  queste  raso  e  queste  bambole  di- 
vennero più  tardi   un  oggetto  di    lusso  e  di   tasto. 

I  già  nel  1765  Paul  di  Stetten  scriveva  che  esse 
erano  copiate  con  tanta  precisione  dal  vero  e  tanta 
ricchezza  di  arte  e  di  materiale,  che  qualcuna  rosi. iva 
pusillo  1000  scudi  dolo,  povera  rosa  aurora  di 
fronte  a  20.000  lire  che  furono  pagate  dalla  du 
chessa  d'Orléans  nel    1722  per  un'unico  bambola 


Vecchia  bambola. 
Musco  internazionale  germanico  di  Norimberga  . 

aboia    meravigliosa  donata  alla  giovine   prii 
j  1  ssina  di    Francia  '. 

Nessun    divertimento  ,'•    più    raro  ali.-  bambine 
luanto  il  vestire  e  svestirò  la  bambola.  E'  1 1-: 
della  maternità  che  da  loro  meravigliose   intuis 

ut  uro    1    cento  volte  al  |  se  muteranno 

alla  piccina,  che   non   sento  ma  pure  sorride,   gli  a- 
biti  da  passeggio,  da  camera,  da    ricevimi 
,    a  1  !"■    ual  hi   sbrendoli 
bi   hanna    critto  le  loro  11  -   poi 

hann  1  ">■  t""1"1 

scopica  casa,  ritorni  alla  luce  dopo  ali 
i  ira. 
Ino  fu  appunto  ti  ritto  in  ve 

..  povero  pezzo  di  carta  che  dopo  ufi  oblìo  d 
coli  ci  narra  ili  una  bimba  1  he    u  orriso 

e  fu   felice. 


Vecchia  bambola  italiana. 


Bambola  del    Museo  <!i   Norimberga. 


Bambola 

del    Museo  di   .Norimberga. 


Vei  chie  bambole    M 


DALLI      WIN  l^i  | 


285 


Dove  ora  quella  bimba?  -  Melari 
ciniici  pensieri  del  regno  delle  bambole! 

Le  bambole  coperte  dei  loro  abiti  le 
troviamo  solo  nelle  case  principesche. 

Così  la  defunta  regina  Vittoria  d'In- 
ghilterra   ne    aveva   conservate    alcune 
colle  quali  aveva  giuncato  negli  anni  fe- 
lici della  fanciullezza,  quando  le  pre  i 
cupazioni   del    più  grande   Imperi 
mondo  non  ne  avevano  ancora  am 

giato   il   cuore.    Con   qual    animo  

qual   triste  sorriso  di    lacrime   avrà 

gli  ultimi  anni   cadenti  invidiato  quelle 

reliquie  di  una  giovinezza  rimpianta  ! 

La  sua  fedele  imitatrice  per  l'amore 
alle  bambole  è  la  giovine  Guglielmina, 
regina  d'Olanda.  Essa  le  ha  tutte  rac- 
colte in  un  piccolo  museo  di  famiglia  e 
ancor  oggi  di  lei  si  racconta  un  grazio 
sissimo  episodio  e  una  solenne  in 
rata   inflitta  ad  una  bambola  ribelle. 

—  Se  tu  non  mi  obbedisci,  aveva  gri- 
dato la  fanciulla,  io  ti  denuncerò  alla 
regina. 

Anche  il    nome  di   Elisabetta  di  Ru- 


La  stanza  dei  bambini  in  un 


Vecchia  casa  di  bambole.     M 


mimili  i  urinai  conosciuto  in  questo  regno  infan- 
tile. Essa  ebbe  la  parte  principale  in  una  riusci- 
tissima esposizione  «li  bambole,  che  assunse  una 
importanza  eccezionale  come  rivista  di  costumi 
storici  ed  etnografici. 

Celeberrime  sono  le  bamboli'  italiane  e  di 
ste    possediamo    un'interessante    raccolta    nelle 

arni  anno  fanno  l'attesa  loro 
parsa  attorno  al  presepio  di  Natale,  o  alla 
timana  santa  lungo  la  via  triste  del  Golgota. 

Ai    nostri   giorni    poi    il   culto   pi 
1  iamb  le  di  un  certo  interessi 
una  mania,   uno  sport   dei   pili   accanili. 
Nelle   espi  isizioni  compatì  mi  rabiln 

lonne  di    bambole    in   ri 

-ni!  i  moi  la  di  uno  a  più  seo  li  Fa     Ucu I 

esempio   madama  ('■crai'!    Piogey,  di 
gi,  ne  fanm  i       ilta,  vesteni  Ioli 

ci  ime  personalità  celebri  nella   storia. 

Ma    qual    differenza    f]  abitatrici 

dei  Musei  di  Berlin 

i  ma  !   Quelle  rigidi-,  in  li 
gli  co  i.   le  mani  inflessibili,  qi 

li   ooincr 

umano:    mani 

I  anno,  nella  Natali  ,  bianca  di 

neve  e  di  sogni  infatuili  >no  alle  vi 

di  tante  cameri  coltri  di 

culle  dove  al  mattino   le 
bacio     ii      ire   bamboli-. 

■lite  bimbe   felici,   I  hi 

nei  saloni  dei  i 
povero  i  '1 

ugna 

i  della  in 


>  SO 


LA    l.F.T'IVKA 


ha  vera  "  Signora  di  fflonza?  „ 


Da  nna  conferenza  '!i  Fi  ihardt,    nella   Samm 

In.  Kaftlicher  l'orlrSge,  d'Amburgo), 

Secondo  l'Eyssenhardt,  la  nora  di  Mori 

za»  —  «india  immortalata  dai  Pronti        S     ti  — 
arebbe    chiani.ua   al    secolo   Severetta    Zalugi, 
figlia  d'Ottavio,    ragguardevole    patrizio  'li    Acqui 
o,  per  essere  più  esatti,   sarebbe  stata  l'autobiogra- 
fia ili  questa  monaeella  il  un  convento  ili   cappuc 
cine  pavesi  che  avrebbe  offerto  al  Manzoni  la  tela, 
sulla  iiuale  egli,  con  maestria  d'artista,  trapunse  i 
i  ni  della  misteriosa  signora. 
I   l  yssenhardl  ebbe  la  ventura  ili  scoprire  nella 
Biblioteca  civica  d'Amburgo  la    copia  d'un  mano- 
scritto  proveniente  dalla  biblioteca  del    barone  de 
(Jffenbacb  in  l-'ran  ni  Menu  e  nel  quale  in 

ben  ,}Sj  pagine,  questa   Severetta  Zalugi,  nel  1624, 
narrava  al  suo  confessore  le  vicende  della  propria 
vita.  Ora  la  madre  'li  Severetta  era  una  Vertemà, 
la  cui  sorella  era  andata  in  moglie  ad  Ortensio  Bec 
caria;  e  poiché  anche  una   Beccaria    tu  poi  madre 
del  Man/0111,  nulla  ili  più  naturale  che,  nel  dome 
egli  abbia  avuto  visione  de' documenti 
dia  monaca.   1  «altro  canto,  uhm  sorella  di 
ivi    Zalugi  era   passata  .1  nozze  con  Bartolomeo 
('orìo.   podestà  d'Acqui,  ma  di  antica  famiglia  mi- 
ri  anelli-  tra    le  cane  ili  questo   il    Manzoni 

nfes  ione  di    Severetta.   Certo  è 

che  tra  i  casi,  narrati  come  propri,  dalla  monaca 
ili  Pavia  e  quelli  dal  Manzoni  attribuiti  alla  mo- 
naca ili  Monza,  corrono  molte  linee  parallele.  An- 
che Severetta  racconta  che.  ancora  prima  elicila  na- 
sse, la  madre  sua  la  volle  votata  a  Dio;  per  lei, 
cornei  alla  Signora  ili  Mon/a  »  i  trastulli,  concessi 
da'  genitori,    1  -  i fissi  e  bambole  vestite  ila 

ai  li--  .un  ra  ili  pietà  o,  per  <lìr  meglio, 

(ii  bigottismo  la  circondò  sin  ila  bambina;    e  tutto 
tu  messo  in   opera    per  tarla  persuasa   eh,-  resisten- 
za piii  bella  e  'lentia  —  e  la  sola  cui  ella  poti 
dovi  're  —  era  quella   ilei  le  0  spose  ilei  Si- 

ena, nella  sua  biografìa,  non  ha  ietto  far 
pizia  'l.-l  Manzoni  ;  ma  racconta  le  proprie  vicende, 
come  g  .1  si  vede  'lai  gran  numero  delle  pagine,  con 
molta   chiarezza   e  ide    lusso  ili   particolari. 

Anzi,  non  sappiamo  davvero  quanto  a  ragione  l'Eys 
senhardl  deplora  che  l'economia  'lei  suo  romanzo 
non  alilo. 1  permesso  al  Manzoni  ili  trarre  più  abbon- 
dantemente profitto  dalla  coi  e  o  autol  ii 
lia.  che  la  si  voglia  dire,  ili  questa  sua  antica  pa- 
titoli ili  Severi                        i  religii si  1 

'  un  1    gli    1  sercizi    spirituali  ; 
e  la  bimba  imitava,  ne'  suoi  giuochi,    le  devote  pra- 
I  ila  soleva  solersi  in  un  cantuccio  del 
invento  ".  Quam 
■  llina  minore  torno  a   casa   dalla  balia,  ebbe  an- 
icino in  quel  «  monastero  ». 

maci  Ile  e  si   fabbrica- 


vano altarini,  innanzi  ai  quali  pregavano  e  salmo 
diavano.    Appena    tane    grandicelle  le  condussero 
di  sovente  in  chiesa  e  si  instillò  l<  i".  come  supn 
lerio,  quello  di  accostarsi  alla  santa  comuni 
\l.i  poichi  ci. me  ancora  in  troppo  tenera  età  perchè 
l'arciprete    potesse  loro  concederglielo,    \' 
M'Ho  con    l'imitare   la    sacra   funzione  presso  il    loro 
.ih. in uni'  lavano  tanto  di  croce  su  un  pezzo  Jj 

I  .me   ed   imitando    i   gesti  e   le  parole   ile'   preti,   se  lo 

porgevano   a  vicenda.    Il   padre   di  Severetta  mori 

ne   più  che  trentenne  ;  e  forse  nulla  sep 

■  l.-l  vi. io  fatto  dalla  madre.    Ma  tanto  più   que 
operava  tenacemente  per  infondere  nell'animo  della 
fanciulla  la  sacra  vocazione.  Specialmente  la  si. 
della    passione   di    Gesù    le    veniva    race,, mata    con 
lauto   paih,",   che  spesso    la   bimba    scoppiava    in 
me.    Al   venerili   il    suo   letticciuolo   non   veniva 
riscaldato  affinchè  anch'ella  «  offrisse  qualche 
per   Nostro  Signore  >,. 

Le  conseguenze  ili  queste  pratiche  e  de'  non  infre- 
quenti digiuni  erano  singolari  visioni:  11  spesso  — 
racconta  Severetta  il  mio  corpo  si   sollevava,  nel 

sonno,  alto  sulla  terra,  e  vedeva  e  gustava  tanto  ih 
bello  che  si  credeva  volare  per  il  paradiso;  doman- 
dava allora  alla  mia  sorellina  se  aneli  ella  noi 
desse;  ma  ella  mi  rispondeva  sempre:  no  ». 
visioni  si  univano  i  miracoli  ;  e  così  mentre  i  bam- 
bini, si  sa.  rompono  tutto  quel  che  toccano,  la  pic- 
cola santa  ha  per  'Iute  miracolosa  —  e  se  ne  vanta 
—  di  risollevare  da  terra  intatto  tutto  quanto  vi 
getta. 

Profonda  impressione  aveva  latta  sull'animo  della 
piccola  Severetta  la  morie  del  babbo.  Ma  la  vi 
zinne  del  chiostro  le  fu  da  allora  alimentata  più  che 
mai.  La  zia  Dominila  Peccarla  approfittò  della  me- 
stizia della  sorella  per  farla  da  padrona  in  quella 
.  sa.  1  Mia  zia  -  scrive  Severetta  —  mi  affido  alle 
cine  d'un  Padre  Barnabita,  affinchè  io  imparassi  a 
servire  ancora  meglio  il  Signore.  Velia  mia  sempli- 
cità  0,  se  si  vuole,  ingenuità  credevo  tutto  quanto 
il  monaco  mi  diceva.  Cosi,  quando  egli  mi  annun- 
ziò che  nel  giorno  di  Sant'Andrea  voleva  Crocifig- 
gi uni  in  una  oscura  cella  del  suo  convento  e  aveva 
già  provveduto,  a  tale  scopo  una  grande  enee.  1" 
acconsentii  a  dimandarne  il  permesso  alla  zia.  tanto 
più  ili  gran  cuore  in  quanto  die  anche  quella  si  ino- 
strò  entusiasta  del  mio  martirio».  Perchè  il  Barna- 
bita abbia  poi  rinunciato  alla  crocifissione  della  fan- 
ciulla cu  f  ''elio;  ma  u  per  indenizzarla 

II  premiere  in  bocca,  ogni  venerili,  dell. 

e  la  lasciò  gagliardamente  fustigare  I 

('osi  visse  Severetta  sin,,  ai  quindici  anni.  Ed  an- 
che allora,  quando  la  zia  Dominila,  con  cui  viveva. 
,-  «  tornare  al  mondo  »  la  pia  fanciulla  era 
0  persuasa  iteli. 1  sua  missione  che  ogni  alti 
s'enza.  ir. itine  quella  a  lei  tracciata,  le  sembrava  0 
pera  infernale  1  «A  Novi  (dove,  a  quanto  pare,  Do 
mitili. 1   Be  era  con, letta  per  eoiler.si  un  po'  la 

vita)   .1    Novi  'vani,    indotti    a  ciò    per    im- 

pulso ilei  diavolo  "  dal  gran  nome  di  mia  zia.  co- 
mmei. 11.  ,11. .  a  desiderarmi  in  moglie  e  mi  diedero 
spesse  volte  ti  di  me 

('io  un  fece  tanto  dolore  clic  quando,  pei   la  puma 


DALLE    RIVISTI 


-— 


volta,  seppi  che  a  que'  giovani  faceva  ufficio  di  me- 
diatrice una  certa  mia  cuginetta.  le  diedi  un  pugno, 
in  tutta  la  regola,  sulla  h  C  a    Bi  ,         quei  gio- 

vani, per  ben  tre  anni,   riempissero  ogni  sera  tutti 
i  cantucci  della  nostra  casa  di   suoni  e  di  canti 
affaticassero  ad  impadronirsi  della  tortezza  del  uno 
cuore,  non  riesci   loro  mai.  grazie  a  Dio,   di  indurre 
i  miei  sensi  verso  siffatte  stoltizie  ». 

La  zia.  che.  sino  allora,  aveva  sempre  detto  desi- 
derare che   Severetta  entrasse  in  un  monastero,  era 
\enuta  in  altri  pensieri  ;   e  il  confessore,  un  vecchio 
parroco  di  Novi,  odi  quelli  che  vanno  alla  Intona». 
condividendo  pure  i  nuovi  disegni  della  zia.  la  i 
sigliò  a  far  portare  alla  fanciulla  fiori  ed  altri  «su- 
perflui ornamenti  »  e  a  condurla  ai  balli...  Gì 
disperazioni  della  fanciulla!  E  peggio  quando 
\ette  attendere   ai  preparativi  per  le  nozze   ili    due 
sue  cugine,  che  si  celebravano  nella  stes  iella 

zia  :  o  Io  provvidi  a  quanto  era  necessario  —  scrive 
Severetta  —  ma  mi  guardai  bene  di  farmi  vedere 
da  nessuno  degli  ospiti  '  » 

«  Il  pericolo  »  la  minacciò  poi  quando,  andando 
a  Bosco  Castello,  a  sette  miglia  da  Novi,  per  farvi 
visita  a  un'altra  zia.  la  ragazza  ebbe  per  compagno 
di  viaggio  un  suo  giovane  cugino.  «  prete  sì.  ma  as- 
sai poco  virtuoso...  b  E  tornata  a  Novi,  dove  la 
zia  ed  anche  un  suo  altro  confessore  vollero  in- 
durla a  prendere  parte  a  delle  teste  campestri  ed 
altre  «  sciocchezze  mondane  » .  le  parve  di  respi- 
rare quando,  grazie  al  vescovo  di  Tortona,  potè  en- 
trare in  un  monastero.  Ma  si  !  Avevano  scelto  lineilo 
ricco  ed  aristocratico  di  Sant'Eufemia.  E  quando 
Severetta  vide  i  finissimi  pizzi,  di  cui  erano  adomi 
gli  altari  e  i  vasi  sacri,  e  seppe  che  erano  stati  tutti 
lavorati  nel  monastero,  pensò  che.  «  in  un  simile 
convento,  non  doveva  più  esservi  tempo  per  il  ser- 
vizio di  Dio  »  e  tornò  a  casa. 

«  La  più  pericolosa  trappola  che  il  diavolo  m'ab- 
gia  preparata  —  racconta  poi  la  monacella  —  tu 
quando  il  fratello  del  marito  d'una  mia  cugina. 
venne  a  farci  visita.  Alcuni  giorni  dopo  giunse  an 
che  un  suo  fratello,  monaco  domenicano  ».  E  non 
trascorse  molto  tempo  che  il  primo  la  domandò  in 
moglie.  Per  giunta,  mentre  Severetta  pregava  pro- 
strata dinanzi  al  crocefisso  e  da  lui  supplicando  aita, 
entrò  una  sua  antica  fantesca,  che  viveva  tutta 
dita  alle  opere  di  carità,  e  la  consigliò  di  adi 
alle  nozze  perchè,  diceva.  Dio  stesso  vi  ha  man 

sto  ottimo  giovane  e  ve  l'ha  destinar.'  in  isposo. 
La  zia.  dal  canto  suo.  nulla  diceva,  ma  fai 
brare  molte  messe.    E.  finalmente,   quando  tutto  fu 
combinato  fra  la  zia  ed  il  giovane,  venne  il  confes 
-ore    e  perorò    anch'egli    la    causa    dell'innamorato 
giovane  e    del   matrimonio:    «  Io.  gli   rispi 
retta,  ero  sempre  intenzionata  di  prendere  il  velo; 
ma  se.  come  voi  pretendete,  è  Dio  stesso  che  inti 
farmi    vivere  nel    mondo,  fate   di  me  quel  che   vi 
piace!  »  E  poco  dopo,  mentre  ella  cerca  della  zia. 
ecco  che.  in  sala,  trova  il   giovane,  che  le  si  fa  in- 
contro   per    abbracciarla.     Immaginarsi  !     S 
sviene  e  la  portano  piangente  e  fuori  di  sé  nella  sua 
cameretta.    Anni   appresso,    scrivendo    la  sua  auto- 
biografia, questi  semplici  avvenimenti  le  si  presen- 


tano anzi  sotto  un  aspetto  soprannaturale:  «  un  mi- 
racolo mi  strappò  alle  braccia  dello  spi  .so  e  mi  tra- 
sporto in  men  che  non  si  dica  sul  pianerottolo  del 
piano  superiore  ». 

Non  ci  fu  verso:  la  zia  e  il  confessore  ili  \ 
dichiarare  al  giovane  che  Severetta  assolutamente 
voleva  andar  monaca  e,  dopo  aver  tutto  ma  invano 
ato  prima  per  dissuadercela  e  poi  almeno  per 
rivederla,  il  povero  deluso  pani.  Che  però  e  che 
non  è?  Appanno  allora  la  ragazza  comincia  a  soi 
trirr.  e  struggersi  in  pianti,  a  dimagrire  tanto  che 
mana  è  costretta  a  «  stringere  li  bustini 
delle  vesti  ».  Ella  dice  che  le  erano  ni  uen- 

/■■  delle  sue  bramosie  della  vita  claustrale.  Ma  poi 
le    sfugge  la  cont<  unto   che  ella 

«  una  seduzione  del  diavolo  ».  ma 
che  non  era  meno  naturale:  •  Io  maledivo  tutti 
loro  che  m'avevano  inspirato  il  pensiero  d'andare 
monaca  o  che  mi  avevano  incoraggiato;  anzi,  di- 
cevo a  tutte  le  madri  mie  conoscenti  dovrebbero  tor- 
cere il  collo  alle  loro  figlie  ap]  sse  loro  l'idea 
di  prendere  il  velo...  ». 

Eppure  —  contraddizione  muliebre!  —  malgrado 
que-  .  malgrado  i   consigli   di  due  cappuc- 

cini   e   quelli   della  madre  stessa,  che  adesso  anche 
ella  era   favorevole   a    un  matrimonio.   Severetta  si 
un  ni.  masten  >:   quello  delle    Benedel 
tine  in  Acqui  e  si   prepara  ad  entrarvi.  Ma  «  li 
dulazioni  dei  giovani,  ognuno  de'  quali  voleva  pren- 
dermi in  moglie»  e  che.   frattanto,   ila  inseguivano 
costantemente  »  avrebbero    tursi-  vinto  e  avrebbero 
fatto  della  pia  fanciulla  semplicemente  una  buona 
sposa,   se    invece,   appunto  men        Si      retta  sup- 
plicava da  Dio,  «un  accenno  intorno  alla  sua  - 
volontà  »  non  fosse  capitato  a  spron  battuto  un  n 
so  con  due  lettere:   una  della  zia  Domitilla  e  l'altra 
del  vicario  de' cappuccini  di  l'a\        l  anzi 

cosi  avversa  al   convento,    improvvisa: 
deva  altra  salvezza  per  la  nipote;  il  vicario,  natu- 
ralmente, l'assecondava.  Quale  miracolo  era  ques 

Semplicissimo:  sino  a  tanto  i 
rimasta  in  casa  a  curarla  e  servirla.  Domitilla   I 
caria  non  aveva  voluto  che    la  si   facesse  mona 
ma  adesso  che  era  tornata  a  n  se  ne  curava 

più  che  tanto!  Severetta  però  era  stata  edu 
po   nel    m  per   ricini  .-cere  questa    prosaica 

verità!  Ella  vide  nel  mi  un  cenno  del 

;    e  malgrado  i   consìgli    del  suo   confessore  di 
\    ini.  obbediva  finalmente,  si  può  di 
morta,  al  padre  guardiano  de'  cappuccini 

Ormai   non    c'era  più  d  nmeno 

la  mancanza   ili  un  cavallo  per  fare  il    \ 
Acqui    a 

ciulla.    Prese  congi  le  chiavi 

di   casa   alla  madre,  rinunciò  alla  sua    pai  • 
trimonio  materno  e  montò  in  groppa   al  cavallo 
preti-  ''he  aveva  i  i  rtato  il  ri 

e  una   fantesca  la   -  1  ' 

mitilla  la  pres  v,->- 

11  pa- 

vicario  delle  i-appi:  tei  santo 

Ilo  »   era 


,ss 


LA    LE  I  !  L'RA 


sporre  d'un  |  ■  invento  .  e   la  ba 

'  .li  questo,  suora  Onorata,  dichiarò,  a  sua  voi 
be  non  conosceva  il  cappuccino  e   non  aveva 
mai  :  ancora  una  volta 

ìtilla  ave>  ■  zza,  semplicemente 

Lndosi  sulli  d'un  frate   rimbambito.   I 

nalro  la  badessa  mandò  Severetta  dal 

la  rimandò  alla  badessa,  munita  della 

i ,:       obn    [615  li    porte 

del  mona  etro  Si  vereti  a   Zalugi, 

1  li  sui  'i  I  (omitilla. 

nolto  e  troppo  lusso  di  particolari,  Severetta 

uniamola  pui  ra  coi la    ;ua  au 

i 

1    11'.  sin  dalle  prime,  per  intr<>- 
durre  nel  monastero   alcune  regole  d'igiene,    tanto 
.  ■  lette  »  fu  to 

portare  fuori  dal  dormitorio  delle  novizie 
elementi  di  ap  0  mune,  la  cui   1  n 

1  non  contribuisce  all'abbellimento  della  vita  d 
I  .  daJ  canto  suo,  il  sostituto  confessore,  prima  ili 
ammetterla  ;ii  sacri  voti,  le  ordinava  ili  portare  una 
pezzuola  >li  velo  nero,  mettersela  sul  capo  la  re 
na  in  refettorio,  baciarla  1  darli  ogni  fatta  di  dolci 
nomi  0  cara  gioia  9, 1  1  presenza  ili  uni i.  Do 

pi,  I  rali    le  ordinò  poi  tra  altro 

■1  cauassi  li  occhi  ad  un  piano  ili  fasoli  »  1  am 
mani  ri  i  o  sale  alla  badessa  come  ringrazia- 

rti» per  il  1 .1  v •  ire  usatole... 
Ma  anche  nel  chiostro  Severetta  non  trovò  pace. 
1  era  robusta  abbastanza  prr  quella   vita.   Por- 
do  un  tino  su  per    le  scale  cadde   e  ne  ripoi 
delle  lesioni.  Nel  delirio  della  febbre  le  pareva 
lora  ili  ■■  diavolo  e,  respinte  le  seduzioni  ili 

■    immaginava  'li  assistere  alla  vita  e  alla  glo 
ria  ■       I  •■  della  Vergine  Maria.  Risanò,  n 

della    vita    mondana,    i    ricordi    del    pa 
la     martoriavano.     E     non     aveva     nessuno 
cui     confidarsi!     Nel   1618     però    udì  un  giovane 
prete  chi   predicava  nella  chiesa  del  monastero.  Le 
parole    le   fecero  profo  pressione.    S'in 

pe  '  he  era  un  geni  ivese  della    1  amiglia 
Mula     1    qua  mfessore  del    con 

vento  la  sua  volontà  sottopose  completamente  quella 


della  giovane  monaca.  Ella,  tra  alno,  era  ili  delicata 
complessi'  me  1  in  fatti  1  di  cibi  .   il  prete  le 

impose  'li   aver  ■  uno  1  di  ferro  •  <•. . . 

fu  !  Porse  però  appunto  questo  grande  interi 

in   1   verso  la  monacella  uhm'  su  tutte  le  tu 
rie  una  parli-  delle  suore.  Varie  delle  penitenze  >  h 
ero  non  possono  ridirsi.  Il  meglio  era  am 
quando  le  ordinavano  di  mangiare  seduta  sul  pi 
menti  1  o  da  una  so  ideila  itto.  Tal 

volta  doveva  stendersi  boccone  sul  suolo  e  le  •  buo 
ne  sorelle  »  passavano,  una  ad  una.  pestandole  la 
bocca    oi  piedi.  Il  tutto,  s'intende,  per  guarirla  dal- 

Queste  punizioni,  le  proprie  sue  contrizioni   e  le 
lunghissime    orazioni  ebbero,   infine,  una   unir. 
va  influenza  sulla  sua  salute.   Sentiva  rum  a 
mente  un   insi  le  bruciore   in  ei ni  1,  1  I" 

teva  mil  igan     oltanl I  ben-  m      i       a  <  >■  e  >l  <  " 

I  rirsi  di  pannolini  bagna       Pei      unta,  il  confes 
le  imponeva  di  passare  gran  pan.-  delle  notti  a 
n  re  »  le  sue  visioni  ».  E  di  giorno,  quando  s|  1 
riposare  nella  sua  cella,  le  monache  ne  aprivano  a 
fi  rza  l'uscio  e,  di  pieno  inverno,  «  stracciavano  la 
carta  della  finestra  ». 

Per  '  ircostanze  psicologiche,  non  bene  chiarite  da 
questa  cronaca,  la  situa/ione  di  Severetta  andò 
|mi  assolutamente  trasformandosi.  Ella  crebb 
riputa/ione  nel  monastero  tanto  da  larvi  rima- 
nila eeria  novizia,  malgrado  il  volere  della  ba- 
dessa  e  del  confessore.  Ed  anche  nella  città  si  sparse 
la  fama  della  sua  pietà.   E  quando,  in  1  alle 

penitenze  che  s'infl  «linciò    1    sputai    san- 

gue, i  l'imni  pavesi  le  mandarono  cibi  di  tacile  di- 
gestione,   ma    ch'ella   respinse   perchè  le   1  are' 
«  peccaminosi  ». 

Con   l'anno   1621   si   chiude  quest'autobiografia, 
che  firmò  nel  if>_'j.  Degli  altri  tre  anni  voli 

re  poi;  ma  ni m  li    fece  ni   pei    [uelli  né  per  altri. 
Né  --appiani"  che  di  lei  avvenne. 

1  1   empia         udiato  da  Eyssenhardt,  aveva  ap- 
partenuto, secondo  una  noterei  la  in  prima   pagina, 
all'  «  illu    ì        na    di   ma     \p>  illonia    Bi  ri  ia   1 1 
certamente)  rrotti.    Proviene  dunque  da    Pavia,   di 
cui  un  Li  irenzi  1  Trotti  fu  vescovo  e  vi  morì  nel  1 700. 


-SH*- 


i.H-i-  PF  ISA,  Direttore. 


•  : 


zzi  Giovanni,  responsabile. 


I 


IH 


ANEMIA  -  CLOROSI 


[Il 

IT 

R 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA   IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 

si  curano  e  si  guariscono  col  ift 

u 
a 
u 
a 

i 

il 

I 

n 


IL  PJV    ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

L.    1    la    bottiglia    in   tutte    le   farmacie 


SCIROPPO  PAGLIARI 

il  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CERA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia        in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


PER     USO     INTERNO     E     P3R     USO     ESTERNO 


ESTRATTO  PANERAJ 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

e>ffiocAoi»»l  «xi  o     nelle     *  o  r  m  o     >  ■ .-  i  t  .  i  jer*  <  •  i  \ 


Biogenol  Pagliari 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA   FISICA  E  MENTALE 


L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

|  Doti  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno  t 

u 


Stampato  completamente  colla  macchina  e.  Ful^iir  »  XEBIOLO  e  C.  -  TORINO  •  Milano  -  Genova. 


Un   fanciullo   eroe 


(Traduzione  di    ROBERTO   FAVA") 


minzione  e  fine,  vedi  numero  preledente  . 


In  .  he  faceva  tanto  a  fidanza 

.   propria  abilità  ili  cavalcatore,  neppure  il 

padrone  ili   casa   era  ancora  montato   in   sella. 

si  fregava  le  mani  con    impazienza  e  ad  ogni 

la  porta  il le  doveva  venire 

a]    :        Vnche   i  due  garzoni  che 
lo  stallone  sembravano  molto  curiosi. 
Qua  Hi  simile  al  sorriso  malizioso  del 

l  riflettersi    anche    nei  loro 
i  istesso  pareva   dal  suo  conte- 
che foss  rdo  col  padrone  e  coi  gar 
trava  superbo  ed  orgoglioso,  come  se 
ni  ito  il  essi  i  e  ossei  \  ato  da  alcune  doz- 
di  occhi  curiosi,  e  pareva  gloriarsi  in  faccia 
a  tutti  del  cattivo  nome  che  aveva,  come  fanno 
li  che  si  vantano  delle  proprie 
mdolo,  -i  sarebbe  di  tto  ch'esso  vo- 
i  pri    ocai      il  temerario  i  he  \  oleva  resi  i  in 
esto   temerario   giunse 

i  Imente. 

i   ,  ;      .,■  |  i   [atto 

ridere  tanto  a  lungo  e   veniva   innanzi  con 

, |>iii<>.    mettendo  i  guanti,    senza   nulla 

n    i  -      Mini,    redini  e  stava   pei   posare 

la  mano  sulla  criniera  del  cavallo,  ma  questo  si 

sulle  due  /ampi-  posteriori,  fra  le  grida  di 

balzò  dall'uri  lai 
rd      •   :         i   il   cavali  il    quale 

buf 

i    ini.  Mali 

di  rido   sempre  ad  impennarsi 

.  \  olar  \  ia  e  porta 
i  un  istante  come 


i.  guardò  attorno  e  vide  li 
tate. 

—  11  cavallo  è  stupendo  —  fece  egli  come  p 
lamio  fra  sé  e  sé  —  e  dev'i  —  re  anche  piace- 
vole il  cavalcarlo,  ma...  sapete  che  debbo  dirvi? 
E'  meglio  ch'io  resti  a  casa,  Così  dicendo  -i 
volse  al  padroni  ili  casa  e  sulle  sue  labbra  ap 
parve  un  sorriso  sincero,  franco,  che  ben  si  con- 
faceva col  suo  volto  buono  e  intelligente. 

—  E  con  tutto  questo  io  ti  stimo  mi  cavalca- 
tore eccellente,  te  lo  giuro        rispose  allegro  il 
padrone  del  cavallo,  stringendo  all'ospite  la  ma- 
il caloi  e  e  con  un  certo  qual  senso  ili  rico- 
noscenza.  —   Dico   questo    perchè   ili   primo 

i  ti  sei  ari-orto  con  che  bestia  feroce  avevi 
da  fare  Credimi,  sono  stato  negli  ussari  per  ven- 
titré anni,  eppure,  in  grazia  ili  questa  bestia  ho 
avuto  il  piacere  ili  provare  il  soffice  di 

per  tre  \  olte,  quante  volte  cioè  mi  son   | 
vato  a  cavalcare  questo  inutile  divoratoli'  di  fle- 
n li  biada 

—  Tancredi,  amico  mio  —  proseguì  egli  avvi- 
cinandosi al  cavallo        qui  non  v'è  pubblico 

ti\  indai  no  1  qui  un  padrone.   Il  tuo 

valòatore  non  può   essere,  si  vede,  che   qualche 
iew,   che  sarà  ora    in   qualche   vil- 
lo in  attesa  che  ti  radano  i  denti.  Via, 
ducetelo  w.\  di  qui  '   Indarno  l'avete  tratto  fuori 

dalla  stalla  !  —  e :luse  volgendosi  ai  garzoni 

e   frei  le  mani  dalla  contenti 

Debbo  i| sservare  <  hi    I  u    redi  j.:  1  i  ara 

■  ii  ali  una  utilità.   Inopi ...   per  la  compra  di  que- 
bestia,  che  egli  aveva  pagata  una  somma  fa- 
volosa pei  non  avere  che  la  magra  soddisfazione 


.A.lT.ll.O       .Tt. 


ISTITUTO  RERO-EIiETTROTEKAPICO  DI  TORINO 


Anno     -'V . 


p>ea*     le*    otiru.     dittile» 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »   nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,   37,   piano   terreno 


É  l'unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  coinpleta  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  coti  a  base  la  correzione 
di-Ile  lesioni  statico-dinamìche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  co  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  dì  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  dì  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  io  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicale,  fragno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza.  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  fura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 

della  tisi   polii are,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi   avanzati,   sì  che  z-j  mesi 

di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


VINO    MARCEAU 

Premiato  con  Grande  Diploma  d'Onore  e  Grande  Medaglia  d'Argento  , 

Guarisce:  Scrofola  —  Haeliitide  —  Dermatosi  —  Cloro- 
anemia  —  Tubercolosi  iniziale.  Ottimo  ricostituente  nelle 
malattie  nervose  ed  esaurienti  e  nelle  lunghe  convalescenze 
datti  e  infettive.  —  Preparato  chimico  nuovissimo  ilei 
Prof.  D.  L.  Ser^ent,  Trecìijlio.  In  Milano,  presso  la  far- 
macia C.  Erba,  Zambeletti,  Biancardi  e  C.  —  L.  2  al  tìac. 


SVILUPPO  DEL  . 

bellezza,  ricostituzione,  solidità 

.n8°"e6"aco.1e„PilulesOrientales" 

del  Big.  J. Ratte  chimico farm.  5  PassageVer- 
dean,  Parigi.  JJcnelicbe  per  la  salate,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boo- 
oetta  con  istraz.  franco  per  posta,  fr.  6,36. 
Dep.  in  Milano:  farm.  Zambeletti,  piazza 
3.  Carlo,  t.  —  Buenoi  Ayre»  C.  Perrel.  su 
647.  Calle  Cnyo. 


PELI  0  LANDGGINE  £ 

COI  DEPILENO,  Depilatorio 
rhaave.  Flacone  con  i strazio! 

CAPELLI  NERI 


del    viso    e    del 

^orpo   sparisco- 

per    sempre 

COI  DEPILENO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 

rhaave.  flacone  con  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


cllACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
istantanea,  clic  si  applica 
ogni  -jt)  giorni  si  pnn  dare  ai  capelli  Inanelli  o  grigi  o 
alla  burba  quella  tinta  naturale  che  più  si  desidera.  E' 
afl  Ltto  innocua.  —  Flacone  L.  2.50  (franco  L.  3.10  . 


CALLI 


duri  ni.  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dell'infallibile  Callifugo   CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1    franco  L.  1.30'. 

/i/dirizzare  lettere,  -vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente 

OFFICINA   CHIMICA 


SORDÌTÀÌ 

Boccetta  L.  1.75  (fri 

SI  DIMAGRISCE 


E  MALI  D'  ORECCHIO  si  guari- 
scono usando  il  linimento  acustico 
UDITINA  del  dottor  W.  T.  Adair. 
franco  L   2>.  Istruzione  gratis. 


ecetta  L.  1 

in  podio  settimanepren- 
dendo   ogni    giorno    ai- 
cune  PILLOLE   CON- 
TRO L  OBESITÀ'  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'a- 
dipe, sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi    digestivi. 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  Qratisopu- 
olo  sniegaiivo.  L.  4.50laseatoIa  L  4.75  franco  di  porto 
IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.  Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati. 
—  Guida  per  le  famiglie.        52  pag.  il- 
lustrate, si  spedisce  a  chiunque  dietm  invio  .li   semplice 
carta  da  visita  colle  iniziali  51.  S.  s. 

all' 

DELL'AQUILA   vJgS&Sg"- 


SI   UHI  SII  I  t'aiti  ini, 

GRATIS 


Volete  digerir  tene  11 


FERRO  CHINA  BISLERI 


HI  COSTITUENTE  DEL  SANGUE 

Vanni  della  R.  Univer- 
sperimentare  il  FERRO 
come  liquore    eujyptico    e 


Sono  lieto  di  poter  dichiarare  —  scrivevi  chiaro  prof.  li. 
sita  di  Modena  —  che  avendo  avuto  più   vòlte    occasione   di 
CHINA  BISLERI  ne  constatai  in   notevolissimi  vantaggi 
tonico. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


II 


l  \    I  ANI  Il  LLO    ERI  >l 


di  amn 

ito  L'antica  i  ipu^az ili  cui  godeva  i  o 

in.'  ufficiale  'li  i  ìmonta.  Con  tutto  questo,  il  no 

■  entusiasmato  del  suo 
non  aveva  smentito  il  proprio 
iveva  spaventato  un  ca>  aliere  bra 

Non  montate  dunque  in  sella?  —  gridò  la 
bionda,   La  'inai.'   \ ole1» a   ad    ogni    costo    <-  en 
ruita    dal    -u"    cavali*  1 1  avete     proprio 

pau 

.li  Dio,  '■  proprio  cosi  !  —  rispose  il  gio- 
\  .in. 

—  E  parlate  sul 

Non  h"  davvero  nessuna  coglia  di  rompermi 
il   ("il". 

Ulora  montate  presto  il  mi"  i  a\ allo I  Non 
al. l.i, il.'  nessuna  pini  bl,  è  molto  docile.  Non  dob 
biamo  più  "Un'  far  aspettare  tutti  per  noi:  in  un 
istante  Le  -.'III-  saranno  cambiate,  giacché  io  vo- 
glio cavalcare   rancredi.  Non  può  darsi  ch'esso 

.  sempre  <  :osì   maleducato. 

Detto  ■■  fatto.  Essa  smontò  dal     «.vallo  e 

lini  l'ultima  frase  quando  stava  già  dinanzi  a  noi. 

—  Conoscete  male  "Tancredi,  se  credete  che 
gli  >i  possa  mettere  La  vostra  sella  E  poi,  nep- 
pur  i"  vorrei  permettervi  di  rompervi  il  collo! 
Sarebbe  troppo  gran  peccato!  —  fece  il  padr 

i-a.  il  quale,  conforme  alla  sua  antica  abi- 
tudine, in  questo  momento  di  intima  soddisfa- 
zione, esagi  r .... . i  ancor  più  la  sua  ruvidezza  già 
senz'altro  -indiata  ed  affittata.  A  sim  avviso, 
questa  era  una  prova  di  carattere  buono  e  socie- 

vol Loveva  senza  dubbio  provocare  L'ammira- 

;  ili  <ìì; v.  Era  una  delle  -ne  idee  fisse, 

i;  suo  cavallo  di  battaglia  che  imi  tutti  cono 
\  amo. 

—  Ebbene,  mi"  piccolo  amico,  inni  vuoi  pro- 
sarti, tu  che  avevi  tanta  voglia  di  venire  con 
noi?    -di--.'  lardila  lima// appena  mi  scor 

'  :i  ennando  all'indomato  cavallo.  Essa  voleva 
evidentemente  aizzarmi,  giacché  avevo  commes 
.-"  l'imprudenza  di  venirle  dinanzi. 

—  Tu  certo  —  proseguì  —  non  sei  un  fa...,  ma 
.in..  '  in  -.1  un  eroe  beo  conosciuto  e  avrai 
"L'na   di   mostrarti  pauroso,    specie  quando 

gli   -'.'nardi   di  tutti    saranno  inulti  alla  signo 

la    M... 

La  della  signora   M.   era  \  icinissima 

"i. 
Il  mi"  ruiii.    ira  -tal.,  preso  da  dispetto  e  da 
indo  la    I. imida   dama    -era 

avvicinata  a  noi  per  montare  rancredi,  ma  

rivei        le  i      l  ho    sentito  alla    ma 
spettata  provocazione  da  lei  Lanciatami.   I  miei 
iiii-l.l, Ianni..  •  i ' i .- 1 1 1 •  i -  .,  nora 

\ .'i-ii  di   lei   in  atteggiami 


l'i'".  In  quel  momento  mi  venne  un'idea...  l'u 
i  aitar.'  di   un  minut".   meno   ancora    che    d'un 

minuto     un  ispirazione  istantanea,  rapida  e e 

"ii"  scoppio  di  polvere  accesa:  forse  perchè  la 
misura  era   colma    e    il   parossismo  dell'ira  mi 

aveva  dato  un  coraggi vo,  pel  quale  mi 

tivo  in  grado  di  schiacciare  tutti  i  miei  neri 
'•   una   voglia  pazza  di  vendicarmi   con   tutto  i] 
mondo  e  di  mostrare  che  uomo  in  fossi  —  t 
perchi    m  quell'istante  uno  strano  fenomeno  si 
ei  a  prodotto  Ln  me.   1 1  medioeA o,  di  cui  sin.i  al- 
lora  avevo   appena   sentito   parlare,    s'era  d'un 
tratto  svegliato,  come  per  miracolo,   india   mia 
mente.   Tornei,  paladini,  eroi  i    belle  dami'  mi 
passavano  dinanzi  agli  occhi  in  una  ridda  fan- 
tastica :  mi  pareva  inoltre  di  udire  un  cozzar  di 
spade  ''  gli  applausi  della  moltitudine  e,  in  mi  / 
/"  a  tutto  questo  rumore  confuso,  il  gridi,  pan 
roso  di  un  cuore  delicato,  che  si  sentiva  più  in 
clinato  alle  dolcezze  del  sentimento  che  all'esal 
fazione  del  successo  e  della  gloria.  N'"ii  su  come 
butte  queste  cose  passassero  por  la  mia  fanl 
So  sultani"  che  ebbi  come  l'impressione  che 
se  suonata  per  me  un'ora  fatale,  segnata  dal  de- 
stili".   M'avvicinai  a  Tancredi,  col  cuore  che  mi 
batteva  forte  forte. 

—  C'è  qualcun"  che  creili'  ehi"  abbia   paura? 

-  gridai  con  ardire  e  con  orgogli",  mentre   la 

vista    mi    si    oscurava    e    il    cuore    mi    scoppiava 

dall'emozione.  —  Ecco  adunque  di  che  s i 

pace!  —  E  afferrando  la  criniera  di  Tancredi 
posi  un  piede  nella  staffa  e  prima  che  alcuno 
me  lo  potessi»  impedire  ern  già  in  sella.  In  quello 
stesso  istante  Tancredi  si  Levò  sulle  due  zampe 
posteriori,  si  liberò  dalle  mani  dei  garzoni  alli- 
biti e  \ul"  via  come  il  vento. 

L'n  grido  di  terrore  usci  dalla  bocca  di  tutti  i 

presenti. 

Dio  sa  come  sono  riuscito  a  porre  l'altro  piede 
nella   staffa  '  Non  posso  comprendere  come  ho 

latin  a   i lasciar  rad.  re   le   redini.  Tancredi 

usci  con  me  dalla  porta  della  corte,  vnit"  a  de 

-tra   •'   -i   pose   8    e. .nere   al   galoppo.    Suhit"   udii 

di  dietro  a  me  le  grida  di  cinquanta  voci  e  que- 
ste grida  trovarono  nel  mio  cuore  quasi  spento 
un'eco  tale  .li  soddisfazione  e  di  orgoglio,  che 
non  dimenticherò  mai  più  quell'istante  di  follìa 

della    mia    eia    faneiulle-i  a.     l'ulto    il    saligne    mi 

sali  al  cervi  li"  ed  io  mi  sentii  tosso  ed  i  sal- 
tato: non  avevo  pii --una  paura:  non  cono 

scevo  più  me  stesso.  In  lutto  ciò  vi  era  senza 
dubbio  qualihi    cosa  dell'antica  cavalleria 

D'altra  pari.,  la  mia  apoteosi  cavalleresca  vai 
c inci"  e  lini  in  meno  di  un  istante  :  altrimenti 

al  | '  !      i  e  -ani. he  toccata  hi  ulta.    E  U"ii 

saprei    dire    nemmeno    e mi    sono  salvato, 

Avevo  imparai"  a  cavalcare,   ma  il  mio  cavallo 


Attente  MADRI!! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini  ;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Calìe 
Malto  Kneipp.  Il  Caffè  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


IL,  MIFlOGFlAF>IìE 

Cinematografo  per  dilettanti 

NUOVO  -  PRATICO  -  SICURO 

Fondato  su  un  principio  assolutamente  nuovo ,    sopprime 
totalmente  ogni  trepidazione. 

11  MIROGEAPHE  è  l'ultima  novità  che  permette  (li 
fare  con  la  stessa  lanterna,  e  senza  interruzione,  delle 
proiezioni  fisse  ed  animate  servendo  in  modo  speciale 
per  la  reclame. 

Il  nodello  B  qui  presentato  consta  di  una  lanterna  con  speciale  con- 
densatore, utilizzabile  per  ogni  genere  di  lampada,  dello  zoccolo  e  del 
movimento  cinematografico  con  obbiettivo  doppio  acromatico  a  breve 
fuoco  per  le  proiezioni  In  salotti,  ecc. 

Campleto,  pronto  a  funzionare,  lampada  esclusa,    Lire    1  50.    — 

Li   immagini  vengono  proiettate  nella  grandezza  da  un  metro  fino  a  tre  e  quattro  metri,  a  seconda  de mpada  usata, 

risultando  assolutamene    fisse  e  più  luminose  che  quelle  uii'imie  con  qualsiasi  altro  apparecchio. 


S 


L'ARCHIMEDE 


Lampada  ad  alcool,  appositamente  costrutta  per  le  lanterne  da  proiezione.  — 
Luce  brillantissima,  fissa,  pari  alla  lnoe  ossidrica,  senza  fumo,  né  odore.  -  Asso- 
lutamente senza  pericolo.  Brucia  l'alcool  ordinario    del   commercio,    dura    quattro 

ore  consecutive  con  un  deci] li  litro;  è  fornita  con  reticella  speciale  e   la  luce    può 

venir  raddoppiata  con  la     emplice  pn      ione  'li  una  pera  di  g ina. 

Completa,  con  pera  e  reticella     .    .     1 -^-O.  — 

Reticelle  di  ricambio  (franche  per  posta)      n  |.  - 


Con  ogni  appar hio  vengono  unite  le  necessarie  istruzioni.  —  Possiamo  fornire  il  Mirographe  modello  Misto  A. 

con  appai chio  per  prendere  da  sé  le  vedute  cinematografiche. 

Svariati33imo  assortimento  di  vedute  sempre  pronto 
ACCESSORI: 

Prezzo  dei  films  (pellicoli  l  di  6  metri,  500  vedine !■•  IO. — 

>        >        doppi,  di  12  nein.   Unni  vedute •    20-    ■ 

v  .        .        vergini,  positivi  e  negativi,  al  metro >      1. — 

Sviluppo  e  stampa  per  conto  dei  clienti. 
Per  schiarimenti  ed  acquisti  scrivere  alla  Ditta 

The  Anglo-Italian  Commerce  C° 

MILANO:  Via  Dante,  <J  GENOVA:  S.  Sebastiano,  1* 


Ili 


UN    FANCIULLO    ERI 


pm  ad  una  pecora  che  ad  un 
Ila    S'intende  che  9arei  caduto 
Tari  ivuto  lem]  bui 

ni  a  tei  ra  ma  aveva  fatto  torse  una  cinquan 
lina  di  passi  quando  prese  paura  ili  una  pietra 
-i  trovava  ad  un  lato  della  strada  e  voltò 
indietro  colla  celerità  del  fulmine.   Ancor  i 

i  per  me,  e non  sono  stato  lan- 

meti  i  di  distanza  i    ridotto  in  bri- 
cioli     rancredi  i  rta  e,  infuriato, 

spiccava  salti  a  destra  e  a 

nisti  Lai  mi  «li  sella, 

una  tigre  fosse  stata  sopra  di  lui  e  gli 

nfitto   nelle  carni    i   denti   e  gli  artigli. 

ira  un  minuto  secondo  e  sarei  i  aduto  :  stavo 

rdere  l'equilibrio,  ma  alcuni  cavalieri 

ei  ii,  per  salvarmi.   Due  gli  aveano 

chiuso  la  strada  a  fuggire  'li  nuovo,  altri  due  si 

i  l'uno  per  lato  sino  a  prendere  le  mie 

n  'lini  e  mi  tolsero  daJ  cavallo. 

Ero  pallido  e  potevo  a  stento  respirare.  Tre- 
mavo come  un  filo  d'eri  ti    pò  lo  ad  vento.  Quan- 
to  a   Tancredi,  esso   stava   immobile,  rome  se 
avi —  piantato  le  unghie  nel  terreno,  sbuffava 
mava   in  butte  le  ninni. ra.  furente  d'i 

quasi  zìi 11"  dell'audacia  impunita  ili  un 

iullo.    Intorno   ;i    me   ri-uonavano   grida    di 
stupore  e  di  spa^  auto. 
In  qii  sto  momento   il    uno    occhio    smarrito 
signora  M.  Essa  era  pallida  e  conni 
sa   e  —  non  dimenticherò  mai  quell'istante  - 
sentii  d'un    tratto    infìammarmisi  il  volto.    Non 
ivvenne  Bell'animo  mio  :  ricordo  so 
lo  che,   confuso  e  spaventato  di   quello    -tran" 
sentimento,  mi  allontanai  vergognoso,  cogli  oc- 
chi  rivolti  al  suolo.  Il  mio  sguardo  però  non  era 
it"  inosservato:  urna  stato  sorpreso  e  ru- 
bato. Gli  occhi  di  tutti  -i  volsero  alla  signora  M. 
ed  essa  i  irpresa  di  questa  attenzione  gè- 

nerale,  arrossi  d'un  tratto  come  un  fanciullo  e 
indarno  di  padroneggiare  la  propria  emo- 
zione 

'  -it"  •■  che  tutte  queste  cose,  ai 

lima    erano  moli licole,   ma  allora  ave 

vano  per  me  una  granii.'  importanza. 

In  quel  momento  per  me  imbarazzante  venne 
a  salvarmi  un  incidente  ingenuo  ed  inaspettato, 

che  diede  a  tutto  quell'avvenimento  i -tran.. 

colorito.    Colei    che  aveva  provocato    il  tumulto 
e  ci  llora  a  mia  implacabile  n  ■ 

un.  a    la  mia  bella  tiranna,  ad   un  tratto  i 
a  me  per  abbrai  anni    Non  aveva 

quasi  creduto  ai  propri  occhi  quando   io  aveva 
osato  accettare  la  sua  pro>  ocazion 
re  il  guanto  che  mi  aveva  Weva  prova 

lo  s|  rimorso  vedendomi  ca\  alcai  e  l  an 

.  :  ed  ora  che  tutto  era  finito,  l'aveva  pi 


un  tale  entusias per  la  mia  condotta  cavalle- 
resca che  al  colmo  dell'emozione  si  gettò  su  di 
me,   stringendomi  foi  te  al    suo   petto    I  lopo  un 
nte    rlla  guardò  con  piglio  ini  i  nuo  e  severo 
tutti  quelli  che  s'erano  raccolti   intorno  a  ni 
disse  mostrandomi,   in  un  atteggiamento  di 
ri.'i.i  e  d'importanza  quale  non  avevo  mai  o 
vato  in  lei  ; 

—  E1  una  cosa  molto  seria,  o  signori,  non  ri- 
'  — 

l.  non  si  curò  di  notare  che  tutti  le  stavano 
attorno  affascinati,  godendo  del  suo  entusiasmo. 

La  sua   co ozii improvvisa,     inaspettata, 

quel  volto  sei  io,  quell'ingenuità  sincera  qu 

lagri ste   che  li    luccicava legli    occhi 

■niv  allegri  e  son  identi  e  delle  quali  ni 
no  fin"  allora   l'avrebbe   ritenuta  rapar.',  erano 
in  quella  donna  cose  sì  nuove,  che  tutti  stavano 
a  guardarla  come  elettrizzati. 

Pareva  che  nessuno  potesse  togliere  lo  --nu- 
do da  lei,  per  non  peni,  re  lo  spettacolo  di  quid 

volto   superilo  arreso  dall .' .  n      Persino   il 

nostro  anfitrione  si  fece  rosso  come  un  tulipano 
i, 'lilie  cimi  a  sua  vergogna  •■       come 

egli  soleva  dire    -che  per  quasi  un  minuto  in- 
tero .ra  stato  innamorato  della  Leila  donna  che 
ospitava  Ben  inteso  che,  dopo  tutte  queste  e 
io  era  divenuto  un  cavaliere,  un  eroe. 

—  D.'l.u'ges  !  Ti.g'j.  illuni:  !  —  si  udì  all'in- 
torno. 

Vivaci  applausi  risuonarono  da  tutte  le  parti 

—  Sì,  .si.  la  futura  nostra  generazione!  —  ag- 
giunse il  padr di  casa 

—  Ma  egli  deve  venire  con  noi!  —  grido  la 
bella  dama  —  bisogna  che  gli  troviamo  un    pò 
sto.  starà  culi  me,  sulle  mie  ginocchia..  Ma  no, 
in.:  mi  siinn  sbagliata  : ..  -    soggiunse  poscia: 
e  non  potè  trattenersi  da]  rider,  al  ricordo  della 

tra   prima    conoscenza   Ma  menti'.'   rideva  mi 
arezzava  dolcemente  la  man.,  e  si  dava  ogni 

■  ni  a  per  colmarmi  di  ten  tri    ■• .  perchè  non 

si  a  sentirmi   offe-..   ..  vergognato. 

—  t  erto  !  certo  !  assentirono  alcuni.  —  De- 
ve venire  con  imi.  si  è  conquistato  il  proprio 
p..sto  ! 

K  la  cosa   fu   decise  sull'istante.  Quella   vec 

ebia    ragazza,     per    mezzo    della    quale    io     a\ 

fatto  conoscenza  eolia  bionda,  fu  subito  asse- 
diata da  tutti  i  giovani,  i  quali  con  bel  modo  la 

■urini"   di  re-lare  a    ra-a  e   di  cedere    il   | 

a  me.  Essa  accond  sorridendo,  ma  dentro 

nell'animo  le  si  agitavano  tutte  le  furie  d'Aver- 
ii".  dell'uscire  dalla  ...ile  la  sua  protettrice  — 
coli  i  che  m'aveva  tanto  p  ito  e  che   mi 

.i -lamica  —  le  gridò  che  l'invidiava 

e   eli.-  essa   stessa  sarebbe  volentieri  rimasta  a 

ea-a.    poiché    era   certo    Che    Sarebbe   caduta    una 

ia  ■  he  ci  a> rebbe  bagnati  tutti. 


'A4iA4A4^i 


Il  più  solu€Ue, 
Il  più  sano  e  nutriente  e  perciò 
11  più  raccomandato  dai  medici, 
Il  più  gustoso 

di  tutte  le  marche, 


P* 


^~ .  ,  i^-^f  1^S§ 


Nel  venturo  anno 
questi  importanti 
magazzini  verranno 

TRASLOCATI 

nella  nuova  sede 
Corso  Vittorio  Emanuele 
(angolo  Via  S.  Paolo,  2) 


Si  continua  la 

LIQUIDAZIONE 

di   tutti  gli  articoli 

40  io  DI  RIBASSO 

sui  prezzi  di  marea 


ARTICOLI  PER  REGAIA 


MILANO 


Articoli  d'illuminazione 
Articoli  in  pelle 


ara  «Iti.  E«,  i.  APEPObE  e  CANDELABRI 


.,■:...  ,j>. 

LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCALO   E    DEPURATIVO   DEL   SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto  prof.  Girolamo  Pagliano  premiato  al- 
l'Esposizione nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  allo  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 

atscola  la  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI,  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


PIPA  STELLA  POLARE 

|  unica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  gire- 
vole in  tutte  le  parti,  autinico- 
tinora,  con  apposito  riservatare 
(Vedi  disegno).  Il  fumo,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  fresco  e  gradevole  alla 
ìaringe. 


Guarigione  certa  delle 

EMORROIDI 

e  garanzia  assoluta.  Scrivere 
alla  Ditta  A.  Dodero  e  C, 
Genova. 


Laboratorio  Pacelli, 


Livorno 


«-<^^*  **V*-*  ■^vl>'  •*YÌJ 


Un  vero  balsamo  \"  dfdlii: 

ri  e  bruciori  di  stomaco,  cat- 
tiva digestione  (che  <l"  'lini- 
rea  0  >'i  acidità,  ca- 
tarro  gastro-intestinale   e    la 

Ciilnn    Pacelli 
Effervescente.  È  vantaggi 
sissima  invece  dell  i  cura  lattea 
tanto  noiosa  come  è  in,!-.  - 
bile  l'cr  quelli  che    menane,  vita 

■  fi.  Nelle  malattì 
dette  adoperare   solo   la  China 
Pacelli,  giacché   l'uso  continuo 
del  bicarbonato  di  soia 

1.50  e  2 
per  posta  L.  0,25  in  più. 

Vendesi  in  tutte  le  farmacie. 


L.   3 


mm^  Ricercatela 

^^^*    presso 
alla  Fabbrica  di 


Rivenditori,  oppure  sp. 
pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria.  21  -  Milano 

Vicino  al  Ponte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  0  35. 

Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stelli  Polare 

la  Marca  LEONI-:. 


LA  NUOVISSIMA 


PIPA  LEONE 


di  radica  inglese  con  sistema  isolatore  della  nico- 
tina è  insuperabile.  . 
Inviare  L.  2.50,  se  con  bocchino  corn"  bri  sii  I.  3,50. 
alla  fabbrica  pipe  di  Maurizio  Pisetzky,  via  \  ittoria,  21 
Milano,  e  la  riceverete  franco;  per  l'Estero  centesimi  35 
in  più.  Ogni  pipa  ha  impresso  il  nome  M.  Pisetzky. 


[V 


i  \    FANCIULLO    i  ROE 


Ed    Invi  ro,    <<■  -  va  avuto    ragione    nel  predire 
Dopo  un'ora  cadde  un  vero  diluvio 

e  |a  •  \<'-'i  puntn.  Fu i 

alcuni  capanne  di 

.,,,,,,  ,.  solo  alle  dieci,  con  un  tempo  umido 

i o  disporci  a  far  ritorno  a  ca 

ero   I  bbri  itante    Stavamo 
,alire  di  nuovo  sulle  carrozze,  quando  la  si 

gnoi  -'  str caviglia 

vestito  solo  d'un  abito  leggero  e 
-,   nulla  al  collo.   I"  l<    risposi  che 
LVUto   tempo  di    prendermi  il   man- 
ima  si  tolse  un  fazzolettino  di  seta 
portala  al  collo  e  !■>  passò  attorno  al 

lo    perchè   non   mi   raffreddassi,   assii  u 

randolo  con  uno  spillo  al  bavero  della  giacca: 

□  tale  prestezza,  ch'io  non  ebbi 

neppure   .1  tempo  ili   ringraziarla. 

Quando  fummo  a  casa,  andai  a  cercarla  in  un 

oltre  di    Lei,  si   trovavano  pure  la 

l,i la  e  quel  giovane  pallido,  che  in  muoI  giorno 

[uistata  la  fama  di  burnì  cavalcatore  per- 
chè n ni  aveva  avuti,  il  coraggio  ili  cavalcare 
Tancredi:  e  avvicinatomi  ad  essa,  le  porsi,  rin- 
graziandola, il  fazzoletto. 

—  Scommetto  che   avrebbe  conservato    volen 
ti, -ri  quel  fazzoletto!       di—.'  il  giovane  ridendo. 
I  ,   i,  jg0  ne'  -uni  occbi    che  eli    rincresce  sepa- 
rai 

\\rm  ragione,  affé  di  Dio!  —  fece  la  bion 
da.  Questa  è  un  buon  bocconcino!  — aggiun- 
,  crollando  il  capo,  ma  -i  fermò  a  tem- 
pii per  effetto  di  una  severa  occhiata  della  si- 
gnora M  -  la  'inale  di  eertu  limi  desiderava  elio 
andasse  più  oltre  con  quello  scherzo. 
p,  uscii  di  corsa. 

—  No,  nmi  scappare!  I  he  ragazzo  strano  che 
sei  '        di— e  l'astuta  signora,  la   quale    m     ra 

e  mi  prese  amichevolmente  per  una 

Dove\  i  puramente  e  semplicemente  te- 

nere  il   fazzoletto,   se  ti  faceva  tanto  piacere  a- 
verlo.  Bastava  dicessi  che  l'avevi  smarrito  e  ini 
tu  sarebbe  lini'"  li    Peri  he  non  l'hai  fati"  ?  Come 

v.    i    L'i.lfn    ' 

li, ,  ,,,1,,  .    -.,  un  prese  per  un  orecchio  e 
ro  divenuto  rosso  co- 
me  un   -ami 

-     \  li  mi    a -a.    inni    e    \  m  "  '    I'.' 

inula  la  nostra  inimicizia?  Si  o 
I,,  sorrisi  e  le  strinsi  la  mano   senza  parlare. 
Ebbi  m  '  Perchè  ma  pallido  i 

mi?  Hai  freddo? 

—  Si.  n  ne  ' 

i  ino  :   ciò  >'■  in   causa  delle  emo 
/.in,,,  troppo  violenti  !  Sai?  Coricati  -nini"  senza 

Cena      di. mani   mattina    imi,   hai   più 

mi  i  miei  consigli. 


\|,  mila    una  eam.  I  a   .     pareva   limito 

preoccupata  per Quando  volli  svestirmi, 

s:]  ;ni  lasc  ò  solo,  ami.,  ahi. a--...  mi  preparò  il 
the  ...  li  portò  -"la.  dopo  eh.-  m  ero  coricato. 
Fu  pure  i,  i  che  mi  portò  alcune  coperte  ealde. 
Queste  'uir  e  queste  attenzioni  mi  sorpresero  e 
coi  i"  profondamente.  Forse  per  ef- 
fetto delle  provate  .■ /.mni  e  della  febbre,  io  mi 

trovavo  in   questa  disposizione  d'animo,  ma  il 
fatto  '■  che  quando  mi    epara    da  essa  l'abbrac 
ciai  con  affetto  sincero,  e ■  un  amico  del  cuo- 
re. Nel  tempi:  istesso  pero  mi  m  erano  risvegl 
te   nella    mente   le.    impressioni  dei  giorni   pn 
denti:  ma   più  mi   veniva  da  piangere,   e  più   mi 
stringevo  con  emozione  al  petto  di  lei.  La  Leila 
dama  mi  guardava  con  tenerezza    ed  essa  pure 

s,  min  a\   .   e.  inum—a. 

—  Sci  un  ragazzo  buono  oltre  ogni  misura!  — 

sussurro  ella   guardandomi   affettuosa 

li  prego,  non  essere  piti  in  rollerà  con  me!  Non 
ti  arrabbi  e  i'ai  più  '.' 

In  una  paiola,  eravamo  divenuti  i  più  intimi 
ii   più    fedeli  amici. 

Quando  il  mattino  appresso  mi  svegliai,  era 
ancora  molto  presto,  ma  il  sole  riempiva  già 
tutta  la  stanza  della  sua  luce  potente.  Balzai  dal 
letto  -ano  e  vigoroso,  come  se  il  dì  innanzi  non 

a  Vi    -     1     avuto    l.i     I,    |.|.|.  -,    ull'.n    .ili/l     HI 

za  ebe  al  momento  non  sapevo  spiegarmi.    \ 
co    a   poco   mi   sovvenni    degli    avvenimenti    del 
giorno  precedente  :  avrei   dato  molto  per  pi 
abbracciare  come  la  sera   prima  la  mia  nuova 
amica  Ma,  come  ho  già  detto,  era  prestissim 
credevo  che  tutti  dormissero  ancora.  Vestitomi  in 
(retta,  scesi    In  giardino  e  di    là    mi    recai   nel 
boschetto,  dirigendomi  dalla  parte  dove  il  verde 
era   pili  folto   e  gli  alberi    spandevano   un    pmfu- 
i,  ,,  più  potente  di  re-ina  e  i  raggi  del  sole  a 
davano  bagliori  più  allegri  ,■  più  giocondi,  per 
che  erano  riusciti  a  farsi  strada  attraverso  al 

fitto  fogliame. 

Era  un  mattino  bellissi ,  Quasi  senz  i  accoi 

germane  m'inoltravo  sempre  più,  finché  giunsi 
all'altro  lato  del  boschetto,  vicino  al  fiume  Mo- 
sca che  scorreva  a  circa  duecento  passi,  alle  fal- 
de d.lla   e, .lima.    Dall'altra   pari,-    del  Bum 

,  rano  u ini  occupati  a  raccogliere  del  Beno.  Mi 

i,  ,,,,,,,  ,  conti  mplare  quella  Bla  di  falci  affilate, 
che  ad  ogni  movimento  del  falciatori-  risplen- 
devano  di    luce    eguale,    simili    a    serpi    di    film'.. 

nasc levano  per  poi   mostrarsi  di  nuo 

vo.   L'erba,  tagliata  sino  alle  radici,  volava  m 

-,  hi     pieni    e    compatii    e    SÌ    disponeva    ni    file 

imr, i diritte.  Non  rammento  più  'pianto  tem 

pò  rimasi  a--,, rio  in  quella  contemplazione.  Ad 

,,,,  tratto  udii  un  rimi. .re  mi  boschetto,  a  circa 
Venti   passi   da   me.    In    un    si'liliei".    che    dal    viale 


e s i s r«  per' ' 
I  pulire  / 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata  :    «  Globo   sopra  fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro    fornitore   volesse 
darvi  altra  marca. 
Vendila  esclusiva  all'ingrosso  :  AXA.X  FVRAJVK  -  MILANO. 

f  VETTURE    AUTOMOBIL/I  W 

deiia  Société  des  fiutomobiles  Qelatiap  di  parisi 


STRAITO /Unico* 

JSm  «**-?  , 

etto  Ch^^'i'iSM'     /^^^l 
atenziona 

'fiuoi/issinij  1 

enuwo  solknfoL/^"  j 

■  •      ■      /      ld  cfìrfd      /J^/'^y 
LipSIflyfntj  Schul/jui^ 

col  Globo^^? 


Massime  onorifìcence 
ovunque 

Solidità 


1°   Premio 

pel     minimo     consumo 

♦ 
Eleganza 


Unici  Rappresentanti  Depositarii  per  l'Italia: 

Corrado  prera  <>  C.  -  Milano 

CARLO    ALBERTO,    N.    33 

Motore  Brevettato  Zìi  re  h  e  r,  Lùthi  e  C.  da  HP.  1  \-\  Vi  T 

montato  su  bicicletta  fìECKRRliSULfflER  PFEIL  speciale  per  motori 

Velocità  40  55  Km.  l'ora  -  Peso  Motocicletta  Km.  35  40  -  Garanzia  per  6  mesi 

g  1 


Marcia 

silenziosa 


Supera 

le   più   forti 

salite 


Minimo 

Consumo 


Massima 
solidità   e 
scorrevolezza 


Unico 
Generale 


mPSE  GQ#D0  Ff(Ef(A  ^  C.  -  Milano 


Via  C.  Alberto 
33/ 


i  \    FANI  II  LLO    1  Ri  iE 


,,,-,,,  casa   padronale,    mi 

lo  sbuffare  e  I"  scalpitare  Un 
iva  entii  subito  il 

ilio  avi  ic inarsi  e  fermarsi  o  se  avevo  adito 

.   in  po'  di  tempo  il  rui e    ei    a  da a 

-     'i    ! i    'i liei 

.  il  mi  bosco  e  dopo  alcuni 
-i  udii  un  confuso  bisbigliare. 
M'avvicinai,  allontanando  con  precauzione   le 
irbusti  che  impedivano  il  passo  nel 
rimasi  impietrito  dalla  sorp) 

Gli  occhi  di  lei    risplendevano  d'entusiasmo! 

Era  com ssa  co non  l'avevo  mai  vista  i   co 

l>i< •>»■  lagrime  le  rigavano  le  guance.  In  gio- 
vane a  cavallo  le  aveva  presa  la  mano  e  la  ba- 
ciava curvandosi  sulla  sella    5i  erano  già  acco- 

tati  vedeva  che   aveva tolta   fretta 

Finalmente  egli  trasse  ili  tasca  un  piccolo  plico 
sigillato  e  lo  diede  alla  giovane  donna.  Poi,  sen 
udere  da  «avallo,  le  passò  un  braccio  al 
torno  alla  vita  e  le  die'  un   bacio  lungo  ed  ar- 
dente  :  e  dato  ili  sproni    al  destriero,  scomparve 
colla  vel  "ii .1  del  fulmine.   La  signora   F.  guar- 
dò verso  lui   per  alcuni  istanti,  imi.  pensierosa 
viò  verso   casa  pel   viale  del  bosco. 
In  la  seguii,  confuso  e  sconcertato  per  quanto  a- 
i  \  i-t<i    II  cuoi  e  un   batteva  forte.  Ero  atto- 
rto,   i    miei  pensieri  erano  disordi- 
nali, ma  mi  ricordo  che,  non  so  pi  r  qua!  tivo, 

si  ntivo  una  tristezza  indicibile.  Hi  tratto  in  trat- 
■  .  ■    i  so  il  fogliame,   il  suo  abito 
bianco.  La  seguivo  macchinalmente,  senza  pei 
derla  'li  vi-ta.  e  tremavo  al  pensiero  ch'ella  po- 
rsi   della   una  presenza.  Finalmente 
i  Ila  usci  sul  \iale  ghiaiatcì  rlie  conduceva  al  giar- 
dino. I"  attesi  un  mezzo  minuto  e  poi  uscii  alla 
mia  volta  dal  boschetto.  Ma  quale  non  fu  la  mia 
maraviglia  quando  sull'arena  rossiccia  del  viale 
osservai    un  plico  sigillato,  che  riconobbi  tosto 
pi  i-  quello  ehi    pnchi  istanti  prima  era   stato  con- 
iato  alla  signora  M.  I  Lo  raccolsi  tosto.   Av- 
volto in  una  carta  bianca,  esso  i portava  nes- 

prascritto.   Piccolo,  grosso  e  pesante,  pa- 

contenere  più  di  tre  fogli  di  carta  da  let- 

ini  I   plico  ■'  Senza  duh- 

in       o  la    piegazione  ili  tutto  il  se 
lo    l  orse  conteneva  tutto  ciò  che  N.   non  aveva 
potuto  dire  in  quei  brevi  istanti,  per  L'imminen 

Iella    affrettata   .-.para/ ,    Non    .  ra    in-ppur 

li  tanta   premura 

:  pei 

Dio   lo    a  I      lo  tornai   a   '-'citare   per  terra  il 

plico  in  modo  che  lo  si  pò  rgere  faci! 

i  perderlo  di  vista,   mi  nascosi  al 

margine  del    boschetto.  Credevo  che  la   signora 

rio  smarrito  e  torna 
indi  i  e   Ma  dopo  a\  er  atteso  qual 


Ilo  o  Cinque  minuti,   non  potei  più  pailr ■_ 

mi  :  raccolsi  ili  q\io\ o  il  pino,   io  posi  in  la 
e  mi  a\ \  i.-ii  per  i  agg lungi  re  la  signora  \i 
La    raggiunsi  appena  quando  si  trovava   già 

sul  viale  principale  del  giardino.  Ella  caj ina- 

va  verso  casa  con  passo  rapido  ed  affi 
COgli    OCChi    cluni    al    -nolo,    lo    non    sapi 
fare.  Dovevo  avvicinarmele?  Dovevo  darli    il  pli- 
co '.'  Ciò  ei  a  lo     lesso  come  dirle  che  sapevo  tut- 
to, che  a\ i  \ o  \ riluto  t otto.   Mi  sarei  fatto  i 
scere   alla    prima    parola.    E   come    l'avrei    guar 
data?  Come  m'avrebbe  guardato  lei  '  Aspettavo 

■'  tpre   Che    3Ì   aCO  e  di   ciò  che    le   era  a 

liuto  i   che  ritorna---. ■  indietro  per  la  stessa  -tra- 
ila dond'era  venuta,  per  cercare  ciò  che   aveva 
smarrito.   Allora  io,  senza  che  se  ne  avvedi 
avrei    potuto   gettare    il   plico    sulla   -traila 
ella  l'avr  'hhe  trov  ahi.   Ma  mi  ! 

Eravamo  già  vicini  a  casa  :  già  l'avea eser- 
vata !... 

Quella  mattina,  in  seguito  all'insuccesso  della 

i  a   oscure del   g  ionio   innanzi .  ne 

vano  progettato    un'altra,   ili    cui    io    non   sap 
nulla.  Tutti  perciò  -i  preparavano  alla  partenza 
e  facevano  colazione    sulla  terrazza,    lo  aspettai 
una   diecina  di  minuti   per  non   farmi   vederi 
sieine  alla  signora  M..  e  girando  attorno  al  giar- 
dino  entrai    in   casa    molto   tempo  dopo   di   lei  e 
per  la  parte  opposta.  Ella  passeggiava  sulla  ter- 
razza, colle  mani   incrociate  sul  petto,  e  studia- 
va  i.    secondo    ogni    apparenza,   di    dissimulare 
per  quanto  era  possibile,   il  dolore  accasciante. 
senza  speranza,  che  l'opprimeva  e  che  si  manife- 
stava ne    suoi  occhi,  nel  suo  incedere,  in  tutti  i 
suoi  movimenti.  Di   tratto  in  tratto  scendeva  le 
-cale    e   faceva  alcuni    passi   dalla    parte  del  bo- 
schetto, sul  viale  per  il  quale  era  venuta.  1  suoi 
occhi  cercavano  impazienti,  ansiosi,  con  impru 
(lenza  persino,  sulla  sabbia  del  viale   e  sulla 
razza.  Senza  dubbio,  s'era  accorta  dello  smarri- 
mento  ilei    plico    e   credeva  che  le  fosse    caduto 
vicino  a  casa  —  sì,  doveva  proprio  credere  i  m   la 
co  a  fosse  andata  cosi  !    Qualcuno  della  soi 
aveva  osservato  ch'ella  era  pallida  ed  agitata: 

anche   gli   altri   s'erano   accorti    di   ci"  e   incomin- 
ciarono ;i  farle    interrogazioni    sopra    interi 
zioni  sulla  -uà  salute,  Taluni  si  lasciavano  an- 
dare  anche    ad    esclamazioni    di    rammarico,     le 
quali  non   le  facevano   che  dispetto,  sì  eh' elli 
trovò  costretta  a  -cherzare,  a  ridere  e  a  mostrar 
-i  allegra.  Di  tanto  m  tanto  volgeva  l'occhio  ver- 
so suo    marito,    che   discorreva    con   due  signi 
in    fondo    alla   terrazza,    e    allora    la    prendeva    li 

i    inqu  iel  Ud lo    -d  SSO   tremito   che   l'av  e 

va   presa   la   sera    dell'arrivo   di    lui.    Io   -tavo    in 
disp.  la  mano  in   ta-ca  stringevo  forte  il 

plico  e    ivevo  un  desiderio   grande   che   il  caso 
mi  fa  re  alla  signora  M.  Volevq  farle 


Scheuerin 

il  migliore  sapone  per  cucina  ;  chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti    di    gè 
neri  casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 

Vendita  esclusiva  all'ingrosso  IVX^x:  PRAXK  =  MILANO. 


MALATTIE 

NERVOSE 
DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 
ESAURIMENTI 

fura   radicale  coi  suc- 
ri]] organici  del  Labora- 
torio Senuardiano   del 
DOTTOR    MORETTI 
MILANO,  via  Torino  N.  21. 
Opuscolo  gratis. 


'llllllllllllllllHllllllllllllllllllliniiiiiii' 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  !■.  15  75  e  L.  19  75 


e  metodo 


mSà 


UlVIVEKSAIvB 

per  Signorine  L.  10.50  tranco 

Chiedere  HUATALUlì (.> gratis 

Ooarlne  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

V.    MACCOLINI 

Via  Cesare  Correnti,  7  -Milano 


I  SEGRETI  DELLE  SIGNORINE 

di  .1.  Lichtenberger,  traduzione  di  E.  Nevers,  opera  deliziosamente 
curiosa,  morale,  istruttiva,  che  ebbe  un  immenso  successo  in 
Francia.  I^e  Due.  Mandare  vaglia  al  Giornale  tirile  Donne. 
Vis  Po,  1,  Torino.  A  richiesto  si  spedisce  gratii  l'elenco  dei  51 
volumi  della  Biblioteca  delle  signore  elle  comincia  colla  «  Casa 
mìa-  delle  Guidi  e  termina  col  <  Galateo  della  Borghesia  «  e  colle 
«  Ledere  d'amore  di  uva  gentildonna  inglese.  »,  volume  quest'ul- 
time ohe  è  cercatissimo  (L.  21. 


Medaglia  d'oro  -  Esposizione  Universale  -  Parigi  1900 
Fonderia  tli  Caratteri 
Fabbrica  di  3Xaeeliine 

Ditta  HEBlOhO 

Società  in  accomandita  per  Azioni 
Capitale  L.  2,000,000 


FILETTERIA 


&  Conop. 

OrJ±JJ-VJ±X<rOTIFIJi. 


TORINO 

Gas-atteri    da    Qp©;r©    ©    Faatagk,    Ess-isiaii,. 

Qe&©.scl@s,ìjL„  IFs-egi  ©  VigS5L©tt© 

Campioni  e  preventivi  a  richiesta. 

FVLGUB  *  IDEAL 

Macchina  tipografica  a  due  giri  Macchina  perfezionata  a  pedale 


Stadio  d'incisioni  Fotomeccaniche 

#  Fotoincisioni  in  zinco  ed  in  rama. 

Incisioni  artistiche  in  rame.  Sjjg 

Illustrazioni  per  Opere  e  Cataloghi.  V 


VI 


l  \    FANI  IMI"    I  ROE 


inquinai  i     con  uno  sguai 

do,  i  "ii  una  parola  sussurrata  in  fretta  e  ili  uà 

Ma  :n  endi 
do  sopra  'li  me,  li  01  chi  confu 

trei  '    la  era  e\  ìdentemente   in  preda  alla 

più  |i  mozione. 

sin.»  n  questo  n nin  non  conosco  il  suo  se 

590  non  so  nulla   più  'li  quanto  ho 
\ ed  oniaio  tin  'ini.  Tuo  darsi  benissi- 

mo che  ero  in   modo  tutto  diverso 

da  i  poti  i;i  presupporre  ili  primo  acchi- 

to. Forse  quel  bacio  era  stato  un  bacio  'li  addio, 
a  stato  l'epilogo,  il  primo  ed  unico  com- 

30  ili  un  a re  al  quali'  ella  aveva  sacrili 

paci     N    era  partito  :  l'aveva  la- 
per  sempre.  La  lettera  ch'io  strin- 
ili urino  che  l'osa  poteva  contenere  ?  Come 
giudicare  e  i  -  ime  condannarla  ?  I  !on  tut- 
to questo,  lo  svelamento  im]irov\  iso  di']  segreto 
stato  -'ii/a  dubbio  un  disastro,  un  colpo 
di  fulmine  per  lei.  Ed  oggi  ancora   i  icordo  l'  e- 
-  -ioin  ■  .1.-1  suo  \olto   in  ([uri  momenti  di  do- 
isa   incertezza:  tutti   i    suoi    tratti  portavano 
l'impronta  della  più  profonda  sofferenza.  Le  pa- 
reva  che   da   un    minuto    all'altro   il  suo  segreto 
dovi  re  svelato.  Qualcuno  poteva  trovare 

il  plico.  Esì o  senza  indirizzo,  l'avrebbe  aper- 

poi  '.'  ..  Tutto  ciò  non  era  forse  per  lei  rome 
entenza  di   morte?  E  qual  castigo 
imi  terribile  che  quello  di  cui  era 
,i  '  Essa  passeggiava  fra  i  suoi  prossi- 
-iudiei  !  Fra  qualche  istante  forse  quei  volti 
■   -i,i  ridevano  pieni  di  compiacenza,  le 
si  n  in  ironici  ed  implacabili  :  lo  scher- 

no, il  disprezzo  si   leggerebbero  mi  loro  tratti, 
ma  e  tenebrosa  calerebbe  sulla 
-  trita...  Ma  in   quel   tempo  io  non  compren- 
devo tutte  queste  cose  come  posso  comprenderle 
udicarle  adesso.  Allora  non  potevo  fare  che 
delle  supposizioni   e  delle  induzioni,  e   un  ram 
marico  grande  mi  prendeva,  perchè  sentivo,  sen 
nnpri  ridere  tutto,  i  he  un  pei  icolo  la  minai 
ciava    \d  ogni  modo,  qualunque  fosse  la  natura 
del  suo  segreto,  questo  era  sufficientemente  scori 
la  quegli  istanti  di  ansia  dolorosa,  se  pur.' 

■■  --ano  che  ogni     ilio  abbia  una  pena. 

Ad   un  tratto  risuonò  l'appello  alla   partenza. 
Tutti  furi  da  una  emozione  di  gioia,  da 

tutti   le  parti  s'udir risa  allegre  e  paiole  di 

giubilo,  di  li  a  rrazza  era  deserta. 

La  signora  M   aveva  ricusato  di  prende)   parte 
all'i  dopo  i  le'  m  ultimo  a\ e\ a  confes 

beni  Per  buona  orte  tutti 
rollo  con  tanta  sollecitazione,  che  non  eh 
tempo  'ii  toi  mentarla  con   parole  di  com 

irta  di    d amie  e  di   eoli 

ìi  '  i     a  casa  i  be  pochissimi.  Suo 

manto  le  indirizzò  alcune  parole,  alle  .piali  i 


rispose  'be  unii  m  preoccupasse,  che  prima  di 
i  si    sentirebbe    meglio.   Soggiunse  che   non 
era  il  caso  di  porsi  a  letto  e  che  piuttosto  avreb 
be  passeggiato  con  me  nel  giardino.        Cosi  .li 
cendo  guardò  verso  di  me.   Non  si   poteva  darà 

una  più  felice  combinazione  !    \ ii   di  ■ 

i  ii  ;  tante  appi-,  -  so  ci  mettemmo  m  cammino, 
Ella  pei  ,,'i  i'\  a  i  \  iai  i  ,•  i  sentieri  dondi 
venuta  prima,  cercando  rammentarsi  la  strada. 
,  d  -no  sguardo  osservava  attentamente  u  suo- 
lo, senza  lasciarne  un  palmo  inesplorato  Non 
rispondeva  alle  mie  pai-ole.  aveva  fors'anco  di 
menticato  che  la  seguivo.  Quando  fumino  giunti 
presso  al  punto  dove  io  aveva  trovato  il   plico, 

si  ter li  botto  e  con  voce  quasi  -penta  disse 

che  si  sentiva  peggio  e  elio  voleva  tornare  a  ca 
sa.  Ma  giunta  al  cancello  del  giardino  -i  fermo 
di  nuovo  e  stette  qualche  istante  -opra  pensiero. 
Le  sue  labbra,  ebbero  un  moto  di  dispera/ione. 
Sfinita  di  forze,  stanca,  risoluta  a  qualunque 
cosa,  rifece  la  strada  di  prima  e  dimentico  di 
camminare  dinanzi  a  me.  io  era  addolorato  nel 
più  profondo  dell'animo  e  non  sapevo  che  fare, 
Ci  recammo,  o  meglio  io  la  e lussi  (ino  al  luo- 
go dove  un'ora  prima  avevo  udito  lo  scalpitìo  del 
cavallo  e  assistito  poscia  alla  scena  fra  lei  e  il 
signor  X.  Quivi,  presso  un  grosso  olmo,  ti 
vasi  una  panca  costrutta,  grossolanamente  in  un 
gigantesco  blocco  di  pietra,  coperta  di  edera  e 
circondata  da  gel-omini  e  da  ro-e  canine.  - 
Tutto  il  boschetto  era  seminato  di  ponticelli. 
chioschi,   grotte  ed   altre  simili  sorpi  -  La 

Signora  M.  si  sedette  -lilla  panca  e  stette  pi  i 
alenili  minuti  ad  osservare,  senza  accorgersene, 
il    paesaggio   clic  si   svolgeva    dinanzi   ai   suoi 

cbi.  Poi  aperse  il  libro  che  aveva  portato  seco  e 
as-iinse  il  contegno  di  cbi  e  tutto  assorto  in 
lettura,  che  lo  interessa  al  sommo  grado  :  ma 
va  immobile,   senza  voltare  le  pagine,  senza 
gire,  in  una  completa  incoscienza.  Il  sole  splen- 
deva alto  -opra  di  noi.  -u  un  cielo  azzurro  cupo. 
lanciando    pei-   ogni   verso   fasci  di  luce  che  si 
frangevano  in  un  pulviscolo  d'oro  con   un    effet 
tu    stupendo.     I    falciatoli    erano   già    molto    Imi 
tali"  e  dalla   no-Ira  riva  appena   potevamo  distili- 

Mi.    niello   di  loro  -i  stendevano  lunghe  file 

<i i  Seno  falciai li   taiii,,  in   lam..  una   folata 

di  v ,  ni"  Ci  poi  lav  a  un  profilino  a.  ut"  e  deli- 
zi. ,-o.  Intorno  a,  noi  ri-uoiinva  un  concerto  di 
mille    voci   di    quelli   elle   -emiliano,    noli    I 

1   ..un.  ma  vivono  liberi  nell'aria,  che  tagliano 

eoli,,  loro  ali.  Ogni  fiorellino,  il  più  piccolo  libi 
d'erba,   .-alando  soavi  profumi,   pareva  due  al 

ii   atore       l 'adi  i  '    allegro  .■  felice  ! ,,  < ,, 

dai   la  Signora    M..    .'be    in    mezzo   a   lutto  qui 

■  di  vita  pareva  una  morta.    Due  grosse 

lagrime,    eh.,    il    dolore    violento   le    aveva     -tiap 

pai.-  dagli  ..eelii.  le  -i  erano  fermate  sulle  guan- 


CENTOMILA  LODEN 

in  stoffa  lana  impermeabile  che  ha  la  proprietà  di  poter  rimanere  sotto  la  pioggia 
per  mesi  senza  lasciar  passare  l'acqua,  e  quando  invece  non  piove  si  porta  come 
un  ulster  perchè:  tien  caldo,  non  puzza  e  non  diventa  duro  come  quelli  di  gomma, 
che  seccano  e  sembrano  incartapccoriti,  ma  i  miei  restano  sempre  belli  e  morbidi. 
N.  1  A  forma  Ulster  con  mantellina  smontabile,  maniche  e  cappuccio 
la  potersi   usare  a  tre  usi:   come  Paletot,  come  Ulster,  o  la  sola 

Mantellina;  colore  nero,  adatto  anche    per    sacerdoti    e    militari, 

oppure  grigio  o  marrone  per  tutti  .  .         .  .         .  .     L.    14, 95 

»    2  Idem    forma    Loden    con    Mantellina    intera,    cappuccio    ma    senza 

maniche,  nero  o  colorato.  .  .  .  .  .  .  .      »     12,  95 

3  Idem    forma    Impermeabile    a    pipistrello,  cioè   con    le    due    mezze 

mantelline  copri   manica  e  con  cappuccio       .         .         .         .         .      >     IO,  95 

Montnllino.      T  Aflfln  per  cacciatori,  agricoltori,  fattorini,  ecc.,  nera 
lUdlllollllld,     LUUCll  o  colorata,  lunga  cent.  85       .  .      »       6, 95 

Idem  lunga  un  metro  a  ruota  intera        .  .         .  .         .         .         .      »     12  — 

Idem  lunga  un  metro  e  20  a  ruota  intera >     15  — 

Pflìlt Amila  naia  (\\  nal7Ani  in  stoffa  lana  pesante,  elegante  di  un  va- 
llCillUWIld  Pdld  UI  LdlAUlll  loie  reale  di  L.  15  ciascuno,  sono  stati  bloc- 
cati dalla  nostra  casa  che  li  mette  in  vendita  ai  seguenti  prezzi:  Un  paio  cal- 
zoni L.  3,60.  Due  paia  L.  6,  60.  Quattro  paia  L.  12.  (Franco  di  porto  nel  RegnP. 

Un  milione  di  camicie  di  flanella.  &t:trr,utTio5 

solidissimi,  elegante  e  di  novità.  Sono  adatte  per  borghesi  e  militari.  Una  camicia 
L.  2.  Sei  camicie  Ti.   10,80.  Dodici  camicie  L.  21.  (Franco  di  porto   nel  Regno). 

Pflntftlttìlfl      PATlflPtfl     (\\     1 P TI 51      colorata'  morbide,  pesanti  per  letto  ad  una 

vJOillUllllld.  UUJJC1  LC  Ul  Idild  piazza  sono  state  da  noi  bloccate  e  si 
mettono  in  vendita  ai  seguenti  prezzi:  Una  coperta  L.  2,75.  Dne  coperte,  unite 
assieme,  formano  una  bella  coperta  per  letto  matrimoniale  L.  5,  70,  più  L.  0,60 
per  trasporto. 

Dirigere  le  rlotileste  ool  relativo  Importo  mia 

di  Liquidazione  Permanente       A4lCIl©l©       D©       01©IH©Ht© 

FORO  BONAPARTE,  74  -  MILANO 
Succursale  per  la  vendita:  "Vita  Mercato,  1-5=  -  JVtlIyAiVO 

ir  impetto  al  Mercato  delle  Frutta  di  Corso  Garibaldi) 

Franco 
di  porto 

V  cìlOre     JLv.    QkJ  ■*  -*>      tutti  ricevono: 

i.  Taglio  di  m.  3  Cheviot  alto  m.  1,40  nero,  bleu  o  marrone  o  Taglio  m.  7  stoffa  piquet  per  vestito  da  signora. 

2.  Coperta  di  seta  per  letto  ad  una  piazza,  o  coperta  di  lana  morbida,  o  servizio  da  tavola  per  sei  persone, 

o  paia  calzoni  confezionati. 

3.  Tappeto  Damasco  120  x  120,  o  maglia  per  uomo,  o  camicia  flanella. 

4.  Tappeto  orientale  o  due  candelieri  metallo  argentato. 

5.  Soppedaneo,  o  cravatta  seta,  o  porta  biglietti  seta. 

6.  Temperino  a  due  lame  taglientissime. 

7.  Notes  ricordo. 

8.  Bottoni  per  polsi  oro  doublé,  o  anello  oro  doublé  per  signora. 

9.  Una  scatola  di  sapone  contenente  tre  pezzi,  o  un  ventaglio. 

io.  Parigi,  volume  di  300  pagine  o  un  calendario  da  sfogliarsi  pel  1902. 

PRFMlfl      *-•"'  nomma  questo  avviso  ed  invia  L.  11  riceve  il  pacco  di  cui  sopra,  più  un  premio  a  sorpresa 

ruLlillo.     che  gli  può  fruttare  in  regalo  un  oggetto  di  L.   IO. 

Dirigere  le  richieste  alla  Premiata  Prima  Casa  di  Liquidazione  Permanente 
MICHELE  DE  CLEMENTE  -  Foro  Bonaparte,  74  -  Milano 

Vendita  anche  nella  succursale  :  VIA  MERCATO,  14 


DI  LIQUIDAZIONE  „  *  L  \  \ 


i 


VII 


UN   FANCIULLO   ERI 


i        ni  mio  potere  di  rianimai. .  ai  rendere 

maxrito,  e  non  sapi  vo 

e fare,   non  Dine  muovere  il  primo 

mi  il.  CÌSÌ  ili  a\\  i.  marni.  Ir.    ma  in  quel    i nento 

il  mi.,  vi  èva  di  fuoco  e  non  ero  in  grado 

di  farlo  Finalmente  mi  venne  un  pi  n  iero  fi 
avevo  trovato  il  mezzo,  mi  sentivo  riviven 
Di  bbo  fan  i  un  mazza  ?  —  li  in  tono 

che  In  '     il  ò  i  hi  e 

a  ari  tati 

•amm. ■!..  !  -  -  rispose  finalmente  con  vo 
debole,    abbozzando    un    leggiero    sorriso,   e 
.  assare  gli  occhi  sul  libro. 

E     ai  n  ~i  fa  oggi        Lo  gridai  rido  via 

tutta  l'erba  sarà  falciata  e  non 
-i  troveranno  più  fiori  '. 

vi    un    trailo    risuonò    l  appello    alla     par- 

N.  ii  erano  passati  che  pochi  minuti  e  il  mazzo 
Lto    Era  brutto,   meschino,   non  meri- 
tava d'essere  portato  a  casa;  ma  come  mi  nat- 
ii cuore  nel  i  ai  cogliere  i  Boi  i 
dovevano   formarlo  e   nel  legarlo  assieme  ! 
Avevo  colto  rose  selvatiche  e  gelsomini  ili  cam- 
po.   Sap    VO    Ln    VÌI  man/a    un    campo    (li    frinii,  n  1 1 1 

coi    i  e    piccai  dei  fiordalisi  e  delle 
hi   .li  grano,  avendo  cura  'li  sceglie 
li  He  più   piene  i    più  auree.   Non   Lungi  di 
la  m'imbattei  in  una  larga  distesa  di  «Vergi 
meinnicht».    Il  mio  ma//.,  incominciava   ad  in 
ni    in  po'  più  lontano  trovai  mughetti  e 
!ani  .li  campo  e  presso  il  fiume  dei  bellis- 
simi gigli  gialli. 

Nel   ritornare  al  posto   dond'ero  partito,   cer 

.■a\  .1  nel    boschi  tto   alcune   foglie    verdi    dentei 

ili    ontano  per  chiudere    il   mazzo,   e   per 

caso  trovai  un'intera  famiglia  ili  viole  tricolori, 

io  alle  (inali  —  con  mia  grande  gioia  -   sco 

te  ni  mezzo  all'erba  grassa  e  rada, 

delli    magnifiche  mannunli'  dir.  linguale  nnnu.i 

ili  gocce  di   rugiada,  s'erano  date  a  i scere 

il   l pigili Il   min  mazzo  era  pronto, 

Lo  i  on   fili  d'erba   lunghi  e  sottili,  che  Lo 

o  attorcigliati  formando  una  specie  di  funi 

i    e  .-.in   bel   graiin  \i   accomodai  dentro   il 

he   chiunque  avesse  dato   uno 

mi!    ii"ii    pulì  \ a   a  meno  di    osser 

\  ai  lo. 

Mi  diressi  poscia  vei  o  la  pania  dove  stava  se- 
ora   VI.  Lungo  il  cammino  mi  pan  e 
il  plico  desse  troppo  negli  lo  spinsi 

un  pò  più    addentro.    Man  maini  che   m'avvici- 
navo,   i"   nascondevo  sempre   più  tra  i    fiori,   e 

quan  in  i  dinanzi  alla   giovi torà,  il 

i  ii.p.'i  in.  ila  unii  e  ssere  quas  i   più 

I  nane.'    mi    bruciavano    dall',  'in.  i/i.. 

ni      mi  venivi  d  colle 


mani  e  di  fugg  ire     Via  i       i     nardo  i  miri  fioi  i 
in   modo  come   se   av .  sse   dimeni  icato  eli  io 
andato  a  raccoglierli  unente  per  lei 

Se    la   mi ■.une    un    ani. una.    pri     i     il    

ZO,    I"    POSÒ     Sulla    paura    senza   alzar. •    gli    occhi, 

inni.    -■■  glielo  avessi  dato  appunto  con  questo 
I  ...  e,  come  Ln  sogno,  turno  a  fissare  lo  sguar- 
do sulle   i  aunir   del    libro.    Mi    veniva   da   pian 
ir   per   il  mio    insuccesso.    Vlmeno   fossi 

ci li  ■  Ila    tenesse    i    fiori  '    Ma   se   li   avi 

dimenticati?    Preoccupato  da    questo  pensiero, 

mi  coricai  sul!  ei  ba,  -opra  il  fii li 

Capo   a] juitii    sulla   inailo,   chiusi    gli   occl 

i ì 1 1 ~ i  di  doni 

Non  perdevo  però  di  vista  la  signora  ed  aspel 
tino...  Passai  oiin  dieci  minuti  all'incirca.  Mi 
pai  èva  ch'ella  divenisse  sempre  più  pallida...  Ad 

un  trailo  mi  ve in  aiuto  un  felice  evento.  Una 

grossa  ape,  d'un  bel  giallo  chiaro,   venne  a  pò 
sarsi  -ni  mio  capo  e  volò  subito  dopo  dalia 
gnora    \l.   Questa  cercò  pi  una  di    mandai  la 
colla  mano,  ma  l'ape  pareva  che  a  bello  studi.. 
divenisse    -empir  più   seccante.    Finalmenl 
signora   M    prese  il  mio  mazzo  e  cercò  con  esso 
di  allontanare  l'ape.   In  seguito  a  questo  movi- 
mento il  plico  -i  sciolse  dai  fiori   e  cadde  pro- 
prio   -ul  libro.    Io   provai    un'emozione  da    non 
dirsi.    La   signora  M.  rimase  per  alcuni  istanti 
come    impietrita  dallo   stupore,   guardando  ora 
il  plico,  ora  il  mazzo  di  fiori.  Pareva  quasi  non 
potesse  creder.'  agli  orchi  propri.   Ad   un   trailo 
ai  i  ossi  e  rivolse  lo  sguardo  a  me.  Ma  Lo  l'avevo 
pi  i  Minila  :  tenevo  gli  occhi  socchiu  ii  e  fingevo 

sempre  di  dormire.  A  nessun  prezz a  l  a\  rei 

guardata  negli  occhi.  11  cuore  mi  Latti-, .   | 

ed    ero    in    preda    a    profondo   termi  i       Ci  me    un 

UCCI  llino    '  aduto    nelle    mani    di    un    pie.  olii    Ga- 

\  roche  di  campagna 

Non   -o  quanto  tempo  stetti    così  cogli  -hi 

socchiusi.    Forse  di tre  minuti.   Finalmente 

'  --a  ap.r-,'    il   pliro  e  -i   po-r  a   leu-ere   la    1,1! 

Divorava   lo  scritto  cogli  occhi    Li      uè  guance 
ardevano,  gli  occhi  scintillavano,  ogni  tratto  del 

SUO   volto  tremava   di    una    rnnzi ■   lieta,    to    in 

dovinai  che  in  quella  lettera  era  la  sua   felii 

e  che  il  dui a  -eoiypar-o  :  sentii  stringermi 

il  cuore  da  una  tristezza  calma  e  doler  ,•  dovetti 
far  forza  a  mr  medesimo  per  non  tradirmi. 
ià  un  tratto  s'udir delle  voci  che  si  a\  \ 

na  v  ano   ; 

—   Simiora  M.  !   Natalia'   Natalia  '  —  !■.-    i 

risj ma    si    le\  ò    dalla    panca  .  -i    av  \  ic 

i   pire.,  -ii   di  me,  die  fin  mpn    di  doi 

mire.  .•  sentii  die  mi  guardava  propi 

eia    I  e  pa  ip.  bi  '    in  i  1 1 1 ■  1 1 1 ; i \  ali",  ma  mi  dominai 

n    dischiusi    gli    ocelli.    Mi    -forzavo   ,1      i       pi 

lai  •    regolai  mi  nte,  con  calma,  mentre  il  cuoi  e 

mi  voleva   -(oppiare.    Ella   -i  chino   -u  di   me,   vi- 


LA  «  REMINGTON  N.  7  »   È  LA  PIÙ  DIFFUSA  IN  TUTTO  IL  MONDO 


Parigi  1900  -  GHA^D  P1RIX  ~  Parigi  1900 

Lia  maeehina 

per  serivere 

REMINGTON 

la  prima  fra  tutte  le  macelline  per  scrivere 

è  sempre  la  più  moderna,  la  più  pratica, 
la  più  perfezionata. 
La  REMINGTON  ha  ottenuto  sempre 

le  più  alte  onorificenze! 


La  macchina  per  scrivere  "  Remington  „ 

è  la  più  economica*  perchè  la  sua  durata  è  superiore 

a  quella  di  qualsiasi  altra  macchina 


Non  fate  acquisto  di  macchine  per  scrivere  senza  chiedere  una 
REMINGTON    N.    7    in    prova    all' 4 GENTE    GENERALE 

CESARE     VERONA 

TORINO  -  Via  Carlo  Alberto,  20  -  TORINO. 

Succursali  : 

ROMA,  Via  Due  Macelli,  9  --  GENOVA,  Via  Carlo  Felice,  11 
MILANO,  Corso  Vittorio  Emanuele,  5  --  NAPOLI,  Via  Roma,  396. 

\L EDISON  MIMEOGRAPH  è  l'apparecchio  di  riproduzione  più  pratico  e piiiì 
semplice  per  fare  circolari,  prospetti,    listini,    musica.    Riproduce   in    mi- 
gliaia di  copie  qualsiasi  scritto  senza  alcuna  spesa.   —    Chiedere  catalogai 
e  prove  a  CESARE  VERONA  -  Torino. 


VI  SONO  PIÙ  DI  3000  MACCHINE  «  REMINGTON  »  IN  USO   IN  ITALIA 


\  11 


1  \    I  AM  11  LL(  I    I  RI  IE 


«  ino,    v  icino,  com  i  atanni,   ed   lo   sentii 

.-■ul  mio  volto   il  -il.  alito  ardente.   Finalm 

ella  un  baciò  due  volte  sulla  mano  che  i vo 

sul  petto  e  calde  lagrime  caddero  su  di  e 

—  Natalia  !  Natalia  !  dove  sei?  —  si  udi 
nissimo  a 

—  Subito  !  -  -  rispo  oora    M.  culla  sua 

ti  i  ita  dalle  lagrime,  cosi  pia 
no.  che  io  solo  potei  udirla 

Ma  in  questo  momento  il  cuore  mi  tradì  rutto 
ii  sangue  mi  affluì  alla  faccia  e  nello  stesso 
istante  sentii  un  caldo  bacio  ardermi  le  labbra, 
Mandai  un  grido  ed  apersi  gli  icchi,  su  cui  ella 
aveva  appena  buttato  il  fazzoletto  di  seta  del 
-no   innanzi,   come    per  proteggerli   dal   sole. 

Ella  era  già  se parsa  [o  non  potei  che  udire 

il  rumore  «li  alcuni  passi  affrettati  Quando  mi 
vidi   solo,    mi    tolsi    dal    volto     il   fazzoletto   e   — 
so  in   tutto  il  mio  essere  da  un  sentimento 
di  gioia  Indescrivibile  —  lo   baciai.    Per  alcuni 
minuti  mi  parve  d  essere  cune  in  un  altro  un  un  lo. 
rauccio  affondato  nel  terreno,  la  mente  asser- 
ii un  -navi-  vaneggiamento,  e teniplavo  està 

tico  la  collina  che  mi  stava  di  fronte  —  il  prato 
iti  —  il  fiume  serpeggiante  a  vista  d'occhi 
Ira  iodi  e  villaggi,  che  si  scorgevano  come  punti 
appena  percettibili  nella  lontananza  luminosa 
—  la  foresta  che  appariva  all'estremo  orizzonte 


comi    una  lunga  striscia  di  vapori  azzurrognoli, 
e  un  oblio  dolce,  pim ocato  dal  sili 
che  un  circi  adava  mi  prese  e  mi  calmo  a  p 
a  poco  l'ai  imo  agitato.   Mi  sentivo  più  leggii 
respiravo  più  liberamente.  Ma  l'anima  mi  -i  con 
torceva    in   uno    spasimo    ineffabile   eppure  non 
privo  di   doli  e/za. 

11  mio  cuore  era  sbigottito  ed  allegro  nel  tempo 
is tesso,  perchi  aveva  indovinato  qualche  cosa, 
ed  a -p.t lava,  agitato  da  un  leggìi  ro  tremito.  VI 
un  tratto  si  scateno  la  bufera  interna.  Sentivo 

un  doline   accasciatile,  e ■  •  fossi  -tato  fi-rito. 

e  lagrime,  lagrime  di  doh'  urivano  dagli 

rechi  miei.  Mi  copersi  il  volto  colle  mani  e  — 
tremando  come  una  foglia  in  tutto  il  corpo  — 
mi  abbandonai  tutto  alla  voluttà  dello  -chiu- 
dersi dell'ai. ima  mia.  a  questo  sintomo  primo, 
e  ancora  indefinito,  dello  svegliarsi  della 
esistenza   interiore. 

In  questo  momento  io  era  giunto  al  termine 
della  mia  prima  fanciulle/za.. 

Quando,   due  ore  appri  SSO,  'ornai  a  casa,    non 
trovai  più  la  signora  M.   Era  partita  improv\ 
mente  per  Mosca  con  suo  marito    ,.  non  Ilio  più 
veduta. 

F  IN  I . 

F.     M.     DOSTOJEYSKl. 


•V; 


^^3 


h^ 


Ammo-II 


•Nvm  4« 


•La- Lettura- 


Aprile 


RIVI5TAAEN5ILE- 
DEL-(pRRILRE- 
DELLA-5ERA" 


902 


DIVORZIO    D'ANIME 


(Frammento    d'un    romanzo    inedito) 


uando,  dopo  la  discussione  col  patire.  Al- 
berto e  la  signora  salirono  in  casa  propria 
e  sedettero  a  tavola  cui  ragazzo,  nella  bella 
a  da  pranzo  che  dava  sulla  piazza  e  sul  corso, 
Alberto  s'accorse  che  sua  moglie  aveva  cambiato 
umore.  Ogni  volta  che  essa  aveva  qualche  cosa  con 
lui.  non  attaccava  già  briga,  non  si  mostrava  irri- 
tala: taceva  soltanto,  pigliava  un  atteggiamento 
passivo,  una  cert'aria  ili  rassegnazione  indulgente, 
he  si  esprimeva  in  un  sorriso  leggerissime  1.  E  que- 
sto gli  era  insopportabile.  Egli  preferì  di  lunare  sul- 
l'atto. 

-  Ti  pare.  —  le  domandò.  —  che  io  abbia  detto 
gn  issi  spropositi  ? 

Essa    tardò    un     momento     a    rispondere;     poi 
disse: 

—  Non  dico  questo;    ma...  ti  confesso  «'he  m'ha 
fatto  pena  sentirti  dir  quelle  cose. 

—  Perchè  ? 

-  Perchè...  non  so...  mi  pare  che  tu  ti  sia  mes- 
so per  una  strada...  che  non  è  la  tua;  per  una  stra- 
da rhe  ti  potrebbe  condurre... 

—  Alla  perdizione? 

—  Xo...  ma,  che  so  io?...  Alla  volgarità.   V  n 

La  Lettura. 


forse  la  parola  giusta,  non  so  esprimer?  bene  la 
mia  idea...    Non  mi  parevi  più  tu.  mentre  parlavi. 

Ma  come?  —  domandò  il  marito  sorridendo. 
-  E'  volgarità  il  dire  che  il  mondo  è  pieno  d'ingiu- 
stizie  e  di  miserie,  e  che  a  questi  mali  si  può  metter 
riparo  ? 

A  quella  domanda,  la  signora  rispose  con  uno 
dei  suoi  soliti  scambietti  donneschi,  che  era  di  sfug- 
gire a  una  quistione  saltando  in  un'altra. 

Ma  perehè.  -  domandò  dolcemente.  —  non 
tieni  ronio  di  tutto  quello  che  si  fa  per  la  gente  po- 
vera, di  tutti  i  denari  che  si  spendono  in  carità,  in 
ospedali  e  in  tante  altre  cose?  A  sentir  le.  pare  che 
ttn:i  1  '  [uesto  non  sia   nulla. 

-  Ma,  cara  mia;  io  ho  parlato  d'ingiustizia. 
Alla  ingiustizia  non  si  ripara  con  la  carità,  suppo- 
sto anche  che  questa  bastasse  ad  alleviar  tutti  i 
mali  ;  e  tu  vedi  che  non  basta,  che  è  come  un  ri- 
gagnolo  che  si    perde    in   un    deserto  di   sabbia.    La 

.arit.ì  presuppone  il  male,  ossia  la  povertà,  l'abban- 
dono; i  dunque  la  causa  del  male  che  bisogna  sop- 
primere, e  questa  causa  è  L'ingiustizia. 

Ma  1  piale  ingiustizia?  —  domandò  la  signo- 
ra, con  sincero  desiderio  di  comprendere. 


jQO 


LA    l  I   [TURA 


v  tto  dianzi,  un'ingiustizia  patente.  E' 

che  la  rii  de  è  prodotta  tutta  dal  lavoro,  in 

vece  ripartita  equamente  tra  >  lavoratori  che 

la  producono,  si  riduce  in  poche  mani,  nelle  quali 
si   moltiplica,  formando   nella  i  una 

se  privilegiata,  che  dispone  'li  tutti   i  mezzi  di 
sussistenza  del   maggior  numero,  e  perpetua  in  sé 
l.i  facoltà  d'arricchire,  d'istruirsi  e  ili  godere,  men 
tre  tutte  le  altre  rimangono  forzatamente  povere  e 

Ulti. 

gnora    stette  un   po'  sopra   pensiero;    poi 

—  Non  capiso  i. 
iggiunse: 
Ma  la  ricchezza  non  s'acquista  lavorando? 

vndii  lavorar  gli  altri        .  vuoi   'lire. 
endo  lavorar  gli  altri  ~j       Ma  il  nostro  vi- 

l  rireri.  per  esempio,  che  è  ricco,  non  lavorò 
per  arricchire?  Sai  che  principiò  facendo  il  mura- 
tore. 

Ebbene,  egli  principiò  ad  arricchirsi  appunto 
quando  cessò  di  lare  il  muratore,  per  prendere  degli 
appalti,  con  cui  faceva  lavorare  altri  muratori.  Se 
avesse  continuato  a  lavorare  rome  i  suoi  compagni 
non  sarebbe  arricchito  mai. 

Ma  ha  continuato  a  lavorare  in  ogni  modo: 
Ila  calcolato,  ha  diretto.,  che  so  io?  s'è  dato  moto. 
ha  messo  in  opera  la  sua  intelligenza. 

-  E  ti  pare  che  i  treo  quattro  milioni  che  mise 
insiemi-,  con  cui  potrebbero  vivere  duecento  lami- 
glie,  siano  un  compenso  giustamente  proporzionato 
al  lavoro  di  calcolo  e  di  direzione  che  egli  fece?  E 
che  sia  giusto  che  le  centinaia  di  lavoratori,  che  con- 
corsero  alla  formazione  della  sua  ricchezza,  e  senza 
ilei  > juali  non  avrelilie  pollilo  far  nulla,  abbiano  a- 
vuto  appena  da  campare  stentatamente,  faticando 

■re  al  giorno,  logorandosi  la  salute  e  rischian- 
do la  vita,  per  finir  all'ospedale?  Ti  par  giusta  la 
ripartizione? 

Ma  allora,  secondo  te,  tutte  le  ricchezze  sono 
di   mal   acquisto? 

]  lavanti  alla  legge,  no;  davanti  al  diritto  na- 
turale, si. 

Vuol  'lire  che  sono  di  mal  acquisto  anche  i  de- 
nari di  mio   padre  ? 

Ma.  scusami,  tuo  padre  non  li  ha  nemmeno 
ai  quistati,   li   ha  ereditati. 

Beni  ti:  sarebbero  dun  [uè  di  mal 

Sto  'lucili  di  mio   nonno,  che   li   guadagnò   fa- 
•  l'avvocato.   Li  ha  force  guadagnati,  lui,  fa- 
■  end  i  lavorar  gli  altri  ? 

No,  in  apparenza   Ma  egli  potè,  come  awo 

farsi  una  fortuna  in  grazia  dell'esistenza  d'una 

•     privilegiata,  die  era   in  grado  di   pagarlo  in 

misura   sproporzionata  all'utilità  sociale  del   suo  l.i 

voro,   appunto  pei  irricchita   i  nenti 

in  lon. lo  1 1  «a. 


Rimonta  alla  sorgente  'ii  qualunque  fortuna,  •  \ 
m  in    sempre  un'ingiustizia. 

li   signora  scrollò  il  capo,  in  atto  di  negazione, 
e  disse  che  non  sapeva  rispondere,  che  non  sapeva 
dimostrare    l'errore    essenziale    del    ragionami 
ma  che  non  era  persuasa,  che   sentiva  che     era  un 
errore.    E  concluse: 

Parliamo  d'altro,    -  col  suo  sorriso  di  indul- 
gente rassegnazione. 

Era  quel  sorriso  che  indispettiva   suo  marito,  un 
sorriso  che  arieggiava  quello  dello   suocero. 

—  E'  inutile.  disse  Alberto,  un  po'  stilo, 
queste  cose  non  le  puoi  capire.  E  non  è  colpa  tua. 
Tutte  le  donne  son  cosi.  Alla  donna  manca  assoli! 
tamente  l'amore  della  giustizia  per  se  stessa.  Sente 
pietà  per  la  miseria,  per  il  dolore  che  vede;  ma 
non  per  le  miserie,  per  i  dolori  lontani,  delle  molti- 
tudini. Non  sentite  che  la  pietà  acuta.  E  siete  carità 

tevoli    perche    la    carità    vi    dà    delle   soddisfazioni  ; 

non  siete  giuste,  perchè  nella  giustizia  v'è  un  di 
teresse  assoluto. 

La  signora  tacque  per  qualche  momento.    Poi  ri- 
spose in  inno  conciliativo: 

—  Sarà  cosi.  Non  ti  voglio  contrariare.  Tu  in- 
tenderai queste  cose  meglio  di  me.  Soltanto,  ti  prego 
d'una  cosa.  Giovedì  sera,  quando  saremo  in  casa  il 
tuo  padre,  per  l'anniversario  del  matrimonio.  , 
sarà  anche  il  mio,  non  entrare  con  lui  in  questi  di- 
scorsi. Tu  puoi  immaginare  come  la  pensi,  e  io  lo 
so.  perche  l'intesi  avantieri:  siete,  come  si  dice,  ai 
due  poli  opposti.  Sai  com'è  lui,  cosi  assoluto  nelle 
sue  idee,  così...  ombroso.  La  conversazione  cadrà 
certamente  sul  primo  maggio.  Promettimi  di  non 
dir  nulla. 

La  raccomandazione  sorti  un  effetto  opposto  al 
suo  scopo.  Da  un  pezzo  gli  dava  noia  quello  suo- 
cero, il  Commendati  ire.  senz'altro,  come  lo  chiama- 
vano, messo  sempre  innanzi  da  sua  moglie  e  dai  suo 
come  l'autorità  suprema  dei  due  casati,  il  principe 
intellettuale  della  parentela,  il  nume  che  non  hisu 
gnava  né  offendere  né  irritare.  Egli  rispose  con 
finta   pacatezza: 

—  0     perchè    mai    le    opinioni    che    esprimerei 
in  pubblico  non  dovrei  osar  di  esprimerle  in  preseli 
za  di  tuo  padre?  Che  a  lui  non  paiano  giuste,  ni  ri 

una  ragione  perchè  io  deliba  mentire.  Delle  verità 
sgradevoli   se  ne  sentono  dire  anche   i  re  ;   ne  può 
sentire   egli   pure.    Non   può    mica   pretendere  i; 
faccia  violenza  alla  mia  ragione,  alla  mia  coscienza 
e  al  mio  cuore... 

Ma  non  e  questo  ch'io  intendo  di  dire!   Ma  ra- 
giona  un    po'...    non   t'alterare. 

Non  t'alterare:  era  una  delle  sue  frasi  abituali, 
che  lo  irritava. 

Nessuno         riprese   la  signora        preti 

In-  in  parli  diverso  da  quel  che   pensi,    lo  ti   pi- 
soltanto  di  evitare   il  discorsi'    per  evitare  dei  guai. 


hl\'()K/[n    h  ANIMI 


-  Dei  guai?...  Il  peggior  guaio  che  mi  possa  ac 
cadere  è  che  egli  mi  dia  torto. 

-  Ma  tu  sai  come  s'irrita  e  quanto  gli  dura  l'ir- 
ritazione. Questo  solo  dovresti  evitare,  per  pruden- 
za. Si  debbono  dei  riguardi  a  un  uomo  rome  lui. 

-  Eh  cospetto!  —  esclamò  Alberto,  alzandosi, 
—  se  ne  debbono  a  me  pure.  E  ti  dico  schiettamen- 
te, poiché  è  un  pezzo  che  l'ho  in  cuore,  che  quella 
specie  di  magistratura  intellettuale  ch'egli  vuole  e- 
sercitare  sopra  di  me.  mi  secca  e  mi  offende,  e  che 
non  glie  ne  riconosco  il  diritto  ne  per  la  cultura  ne 
per  l'ingegno. 


291 

dere  sul   terrazzino,   rivolta    verso  la  piazza,  con  le 
braccia  incrociate  sul  petto,  in  atto  di  proti 

Alberto  si  mise  a  sedere  sul  sofà,  dal  lato  oppo- 
sto della  sala,  col  cuore  un  po'  stretto.  Altre  volte 
avevan  disputato  per  piccole  gelosie  di  lei.  0  per 
giudizi  discordi  intorno  a  persone  di  connine  cono 
scenza  ;  ma  la  discussione  non  s'era  mai  inasprita  : 
sua  moglie  aveva  sempre  ceduto  tutta  un  tratto, 
con  un  buon  sorriso,  mostrandosi  sinceramente  pei 
suasa  d'aver  torto.  Era  quella  la  prima  volta  che  la 
trovava  resistente,  e  col  presentimento  confuso  d'una 
resistenza  durevole.    No.  essa  non   l'avrebbe  mai   se- 


l.a  ignora  impallidì  leggermente,  s  alzo,  e  pi- 
gliando fra  le  sue  una  mano  del  ragazzo,  che  guar- 
dava lei  e  lui.  maravigliato  di  quella  disputa  inso- 
lita, disse  a  bassa  voce: 

—  Non  mi  hai  parlato  mai  cos'i  di  m/o  padre. 
M  hai  fatto  una  ferita  al  cuore. 

-  Cara  Giulia.  —  rispose  Alberto,  raddolcen- 
dosi a  un  tratto.  —  ne  ho  una  anch'io  che  è  sempre 
aperta. 

Essa  capì,  e  disse  col  pianto  nella  gola: 

-  E  una  tua  immaginazione.  Sei  tu  che  non  gli 
hai  mai   voluto  bene. 

—  Non  se  l'è  mai   fatto  volere. 

-  Ah  questo  non  è  vero!  —  ribatte  la  signora. 
e  voleva  dir  altro  ;  ma  non  potè,  e  mentre  il  ragazzo 
usciva   quieto  quieto  dalla  sala,   ella   s'andò   a  se- 


guito sulla  via  delle  sue  nuove  idee:  il  suo  carat- 
teie,  la  sua  educazione  vi  si  opponevano.  Era  buo- 
na e  gentile  d'animo  ;  ma  v'era  nella  sua  bontà  una 
certa  mollezza,  qualche  cosa  di  rattrappito  e  di  i- 
nerte.  che  le  impediva  d'uscire  dal  cerchio  egoistico 
della  famiglia,  dì  estrinsecarsi  in  qualsiasi  sacri- 
fizio che  non  avesse  per  oggetto  quelle  poche  per- 
sone la  cui  felicità  faceva  parte  della  sua.  L'edu- 
cazione tradizionale  che  si  dava  alle  ragazze  della 
sua  condizione,  aveva  fatto  di  lei  quello  che  essa  fa 
di  quasi  tutte:  un'anima  divisa  in  tanti  piccoli  so 
partimenti,  nei  quali  si  trovava  un  po'  di  religione, 
un  po'  di  pietà,  un  po'  di  letteratura,  un  po'  di  gen- 
tilezza mondana  e  un  po'  d'alterigia  di  classe,  tutto 
dosato  in  quella  certa  misura  e  messo  a  posto  con 
garbo,  perchè   fosse  tutto  in   buon  ordine  e  bello  a 


_•'._> 


LA    I  1   l  1  i  R  \ 


ma    nessun  sentimento  abba 

abbastanza  larga  e  profonda,  da  pò 

teme  usi  ire  un  ordine  'li  idee  e  i  me 

quelle  che  avevan  preso  dominio  nella  sua  mente  e 
nel   suo  cuore.  E   forse  non   li  poteva  comprem 
nemmeno.  Chi  Perchè  egli   l'amava. 

Una  mossa  che  sua  moglie  fece  in  quel  punto, 
appoggiando  una   guani  ,     i  una   mano,  gli  ri- 

cordò l'atteggiamento  eh  prendere,  per  lar- 

gii  il  hn  nandn  egli  Hi  tredici  anni,   essa  ili 


^m± 


•  lodi.  i.  v  eran  la  pi  ina  volta,  trovandosi 

le  loro  famiglie  a  villej  'auto,  nei  dintorni 

igliana.    A  -.  allora   a  volersi 

bene,  i irrendosi  nei  giardini,  con  un  risoche  non 

era  più  fanciullesco.  < 'un  quell'ai  «nto,  rssa 

gli  ricordava  i  primi  turbamenti  dei  sensi,  le  prime 
mestizie,  1  ebbrezza  violenta  e  maravigliosa  del  pri- 
mo b  i     eran  più  ritrovati  insinui-  per 
anni  ;    ma  per  anni  ella  era  stata  il  suo  desidi 
l'alimento  quasi  continuo  della  sua  immaginazione; 

il  profumo  dei  suoi 
ide  ili  bambina  .  e  quan- 
do il  raso,  riavvicinando  i  loro  parenti  a    Torino,  li 


messi  Cuna  in  I  ili  ro,  pi  cu  più 

ventenni,  lei  nel  fiore  della  bellezza,   lui  raggi 
■  li  Ila  sua  prima  gioì  ia  ili    scritti  ire,   egli  i  i 
preso  ila  una  passii  ne  così    irdenti     ila     gorm 
quelli  rlie  l'amavano,  ed  essa  da  un  amore  mi  no  im 
petuoso,  rime  voleva  l'indole  sua.  ma  così  risoluto 
e  tenace,  che  sin,  padre  e  sua  madre  avevan  dovuto 
rinunziare  a   combatterlo.    Il    padre,  ricco,   avrebbe 
voluto   uu    genero    pari   suo.    e  ili    natura   più   al 
alla  prò]  ria,  e  'li  professione  più  conforme  alle  sue 
simpatie:   anzi,  n'aveva  già  uno  in  cuore,  ignorato 
ila  lei.  e  che  s'era  già  dichiarato:  il  figliuolo  ilei  dol 
tor  Gerì,  suo  vecchii  amico;  ma  egli  pure,  oltre  che 
vinto  il. ili. i  volontà  immutabile  'Iella  figliuola, 
lasciato  un  po'   abbagliare,   lì   per  lì.  ila  quel  bel 
giovane  biondo,  già  quasi  celebre,  che  pareva    a- 
mato  ila  tutti,  e  a  cui  egli  pensava  che  la  gloria  let- 
■'1.111,1  avrebbe  aperto  un  giorno  altre  vie;  e  aveva 
acconsentito  COSÌ     al    matrimonio,    se    non    ili    gran 
cuore,  ili  buon  garbo.  Ma  Alberto  aveva  sentito  fin 
d'allora  fra  sèe  lo  suorero  un'antipatia  ili  tempi 
mento,    e    poiché,   parendogli    lo  sposo  aneor  molto 
giovane,  quegli  aveva  espresso  il   desiderio  che   la 
'■oppia  prendesse  casa  vicino  a  lui  o  al  padre  Bian- 
chini, egli   era    venuto  a    stare  vicino  a  suo  padre, 
per  non  aversi  a  trovar  sovente  con   l'altro,  e  pei 
sottrarre  a  l'influsso  di  lui  la  sua  sposa,  nella  quale 
già  pur  troppo,   benché  l'adorasse,  riconosceva  una 
vaga  impronta  paterna. 

In    quel    momento  appunto,   essendosi   sua    moglie 

voltala  di  fianco,  egli  osservò  la  rassomiglianza  che 

essa  aveva  Col  padre  nella  parte  superiore  del   i  :i|  0: 

la  natura,  per  fortuna,  ravvedutasi  in  tempo. 
arrestata  alla  radice  del  naso.  Ma  essa  riportava  miu 
padre   in  altre  piccole  rose,    in  certi    movimenti  del 
colli  ',  nel  modo  di  pronunzi 
prattutto  in  quel  sorriso  leggerissimo,  eoo  cui  a 
glieva  ogni  suo  moti"  o  giudizio  che  stimasse  strano 
e  contrario  al  buon  senso  o  ai  gusti  dominanti  nella 
i  lasse  signorile:  sorriso  diverso  affano  da  ogni  al- 
tro suo  solito,  e  rhe  gli  pareva  il   riflesso  dell'anima 
delio  suocero,    compenetratasi  un  momento  ron  la 
sua.  Ma  non  c'era  di  più,  e  ne  ringraziava  il  cielo, 
poiché  la  sua  antipatia    per  quell'uomo  era  andata 
.  n  si  endo  cogli  anni,  a  poco  a  poco,  come  un  mal 
sere  sordo.  Egli  aveva  scoperto  in  lui  un  sovrano  di- 
sprezzo   per  ogni   dote  o    fonila  d'attività    delle 
liio   rhe    non     portasse    l'uomo    in    alto    sulla    siala 
'i'  ll,i  gerarchia  ufficiale,  a  wo  grado,  a  un  titolo,  al- 
l'esercizio d'una  qualsiasi  autorità  riconosciuta,    i. 
sotto  a  quel  disprezzo,  un'avversione  profonda  per  lo 
per  il  poeta,  come  pi  i  un  nemico  istintivo 
dell'ordine  si  naie,  per  un  avvocato  nato  della  mala 
gente.  Non  doveva  aver  mai  letto  un  libro  di  le 
ratina.  Egli  l'osservava  alle  volte,   |uando  ne  api 
uno  per  caso  nel  suo  studio,  e  ne  scorreva  qualche 
rigo:  gli  vedeva  errare  Milla  faccia  un  barlume  di 


lilYoKZU  i    D  ANIME 


2Q3 


sorrisi  i  corri]  assionevole.  qualunque  fosse  l'autore  ed 
il  passo,  come  a  chi  legga  delle  puerilità,  delle  stram- 
berie, delle  gherminelle  di  parole  da  burloni  oziosi, 
delle  quali  gli  sfugga  il  significato  :  e  gli  faceva  rab- 
bia il  gesto  col  quale,  abitualmente,  richiudeva  il  libro 
di  un  colpo  e  lo  buttava  sul  tavolino.  E  come  s'era 
mutato  con  lui.  benché  si    sforzasse  di   nasconderlo. 
dopo  che,   tradito  dall'ingegno  e  dalla  fortuna,  egli 
era  rimasto  un   semplice   professore  di  liceo,  con  le 
ali  (Iella  gloria  spennate!  Egli  capiva  bene  che  lo 
considerava  come  un  fallito,  e  che  il  suo  disprezzo 
per  le  lettere  doveva  esser  cresciuto  a  più  doppi  da 
poi   che  gli   avevano  dato  quel  disinganno   in  fami 
glia.    Nessuna  simpatia   comu- 
ne v'era  tra  lui  e  lo  suocero, 
né  di  idee,  ne  di  persone  o  di 
cose;  mai  non  usciva  da  quel- 
la bocca  una  frase  che  espri- 
messe un  sentimento  suo;  tut- 
te le  mosse  di  quell'uomo,  tutti 
gli  sguardi  dei  suoi  occhi  spor- 
genti, d'un  luccicore  di  cristal- 
lo., il    riso    grasso   e    forzato, 
persino  il    suo   modo    di  cam- 
minare   maestoso   e    pesante. 
come  s'egli    sradicasse    i  piedi 
da    terra  per  trapiantarli  più 
avanti,  fino  ai  suoi  minimi  at- 
teggiamenti, che  Alberto  osser- 
vava senza  farsi  scorgere,  per 
forza  di  antipatia   attrattiva  . 
eran  tutti  l'espressione  muta  di 
pensieri    indeterminati    che    si 
urtavano  coi  pensieri  segreti  di 
lui.  In  dodici  anni  non  gli  era 
ancor  riuscito  dargli  del  tu.  E     . 
sarebbe  stato  un   sacrifizio  su- 
periore alle   sue  forze  l'andar  qualche  volta  a  casa 
sua.  se  non  fosse  stata  la  suocera,  la  signora  Paola, 
una  buona  signora   all'antica,  tutta   casa  e  chiesa. 
semplice  e  dolce,   piena  di  umile  ammirazione   per 
il  marito,  ma  che  voleva  bene  a  lui  come   a  un  fi- 
gliolo. 

Come  mai  era  uscita  da  un  tal  uomo  la  donna  che 
egli  amava?  Eppure,  ripensandoci  in  quei  mo- 
menti, egli  trovava  qualche  altra  rassomiglian- 
za, pur  troppo,  tra  il  padre  e  la  figliuola:  una  man- 
canza d'ideali,  un'ombra  di  scetticismo,  una  punta, 
benché  appena  sensibile  in  lei.  e  solo  a  quando  a 
quando,  e  in  certe  cose  soltanto,  di  gretteria.  E  in 
essa  pure  pareva  che  dormisse  il  sentimento  dell'a- 
micizia. Fuor  di  casa  non  aveva  mai  avuto  che  un 
affetto,  a  cui  era  legata  una  storia  dolorosa.  E  men- 
tre essa  continuava  a  tenere  il  broncio,  seduta  sul 
terrazzino.  Alberto,  quasi  per  riabbellirsi  nell'ani- 
mo l'immagine  sua.  riandò  col  pensiero  quella  sto- 
ria, che  le  aveva  inteso  raccontare  tante  volte,  e  ogni 


vi  Ita  con  nuovi  particolari,  e  sempre  con  viva  com- 
mozione. Il  fatto  risaliva  a  sei  anni  avanti  che  si 
sposassero,  quando  essa  era  in  villeggiatura  vicino 
a  un  paesetto  dell'alta  valle  del  Po,  dove  l'anno  pri- 
ma, aveva  preso  una  grande  simpatia  per  la  maestra 
comunale,  che  veniva  a  dark-  qualche  lezione  di  bota 
nica:  una  ragazza  bella  e  colta,  certa  Angiola  La 
riani,  di  pi  chi  anni  maggiore  di  lei  (allora  quindi- 
cenne), rimasta  oltana  da  bambina,  d'indole  austera 
insieme  e  dolcissima.  Essa  era  tornata  quell'anno 
alla  villa  con  grande  desiderio  di  riveder  la  sua  a- 
mica.  Ma.  nel  corso  di  quell'anno,  questa  era  stata 
oggetto  duna   ferocissima  persecuzione  da  parte  di 


un  signorotto  campagnuolo,  assessore  comunale  e 
tirannucolo  dei  dintorni  ;  il  filiale,  offeso  a  sangue 
dalle  sue  ripulse  sdegnose  e  dalla  manifestazione  pub- 
blica del  suo  disprezzo,  l'aveva  calunniata,  diffama- 
ta, torturata,  fatta  sospender  dalla  scuola  e  dallo  sti- 
pendio, e  ridotta  alla  miseria  e  alla  disperazione, 
suscitando  contro  di  lei  le  ire  ili  tutto  il  paese,  'l'or- 
nata là  la  signorina,  mentre  la  quistione  stava  nelle 
mani  delle  autorità  di  Torino,  e  ignorando  nei  primi 
giorni,  del  pari  che  la  sua  famiglia,  ogni  cosa,  la 
maestra  aveva  ripreso  le  sue  lezioni  senza  far  pa 
rola  dei  propri  casi,  stringendosi  a  lei  con  affetto 
sviscerato,  che  essa  le  ricambiava  con  tutta  l'anima, 
ma  impensierita  e  turbata  dalla  sua  profonda  tristez- 
za, della  quale  non  le  riusciva  di  larsi  dire  né  d'indo- 
vinar la  cagione.  La  cagione  era  che  in  quei  giorni 
appunto  le  autorità  avevan  mandato  \m  ispettore  a 
lare  un'inchiesta,  che  bottegai,  conladini  e  ragazzi, 
comprati  e  intimiditi,  avevan  mentito  infamemente, 
che  l'ispettore  era  stato  ingannato  o  corrotto,    -he  la 


294  LA  u-'  '  URA 

calunnia  aveva  vinto,  che  la  maestra  era  stata  con 
dannata  permessa,  e  che  meni  re 

|ues  va,  ella  si  trovava  ridotta  alle  pi 

le  la  pallidezza  mortale  che  la  sua 
alunna  cerca\ .1  «li  colorire,  scherzando,  col  suo  ba 
era  la  fame.  I  i     gnorìna  non  aveva  so 
'li  nulla. 

la  mi.i  maestra  era  mancata  alla  le- 

e  :    suo   padre,    informato   d'i  l'aver  a 

licenziata  bru  Inquieta  dì  m  m  vederla,  essa 

andar  ili  nascosto  con  la  giardiniera 

ni    Ma,  ì  atl  i  pi  chi  passi  per 

una  avevano  udito   un   rantolo  disperato, 

veniva  'li  dietro  a  una  siepe  Era  lei  che  s'era 
buttata  in  una  gora  immonda,  carponi,  lei  già  im- 
mersa  col  capo  e  col  busto  nell'acqua,  che  si  contor 

orribilmente,  delirante  e  frenetica,  cercando  la 
morte  nel  fango.  Strappata  ili  là  ili  viva  forza,  i 

tìnava  a  voler  morire,  già  enfiata  d'acqua,  col 
i  iso  infangato,  convulsa,  sformata,  quasi  muri  In  un  la. 
gridante  aiuto,  era  accorsa  gente,  l'avevan  presa  a 
braccia  pei  trasportarla,  e  mentre  la  prendevano,  ie 
eran  caduti  'la  una  tasca  del  vestito  fradicio  al- 
i-uni soldi  e  una  crosta  ili  pan  nero.  Appena  vistala 
salva,  la  signorina  era  svenuta  ;  e  portata  a  rasa,  si 
era  ammalata.  Finita  la  malattia,  non  grave,  ma 
lunga,  le  avevan  detto  tutto,  e  che.  divulgata  la  no- 
tizia lei  latto  dalla  stampa,  era  seguito  nel  paese 
un  rivolgimento  degli  animi,  stata  compiuta  una 
nuova  inchiesta,  la  ragazza  riconosciuta  innocente, 
chiamata  a  Torino,  rifatta  dei  danni,  e  mandata 
maestra  dove  aveva  chiesto,  in  un  villaggio  del  Lo- 
digiani'. Ili  là  essa  le  aveva  scritto,  dopo  qualche 
tempo,  una  lunghissima  lettera,  un  quaderno,  in 
cui  era  raccontata  la  storia  intima  dei  suoi  casi  e 
ilei  suoi  dolori,  ed  espresso  il  suo  infinito  affetto  per 
lei.  con  parole  che  l'avevan  fatta  singhiozzare  per 
una   giornata;    ma  dopo  quella,  non  gli  eran  più 

'•mite  altre  sue  lettere,  benché  ella  le  scrivesse 
più  volte.  Soltanto  l'anno  appresso  aveva  risaputo 
che  era  stata  trasferita  in  Sicilia,  dove  n'aveva  perso 
ogni  traccia.  Ma  di  quell'avvenimento  era  rimasta 
nel  cuor  suo  una  impressione  incancellabile:  una 
pietà  sempre  viva,  una  venerazione  per  l'amica  per 
duta.   per  la  sua  forza   d'animo   eroica    e  pei    ogni 

0  delio  mio  di  cui  si  ricordasse,  come  per  una 
santa,  e  una  cura  amorosa  di  quel  suo  manoscritto 
d'una  cosa  sacra;  e,  congiunto  a  questi  affetti, 
un  certo  concetto  tristo  dell'umanità,  nato  dal  di- 
sprezzo, dall'orrore  che  gli  dava  la  memoria  di  unta 
quella  gente,  uomini  e  donne,  poveri  e  signori,  bu- 
giardi e  vigliacchi  ino  villi]  erata  e  marto- 
riata  quella    povera   creatura.       Si.  da  qui  sta    Ionie. 

.i\a  suo   marito  in  quel  momento,  doveva   rwi 
derivata  quella  sua  freddezza  che  le  amiche  le  rim- 
proveravano, quella  mancanza  d'affetto  umano,  che 
I  fi    i : .    |i 


va  '.  \'on  occorreva  che  un'idea,  che  un  sentimento  di 
più.  per  dar  vita  piena  e  fiammante  a  quella  l>ella 
persona,  elicgli  amava  ancora  come  nei  primi  giorni 
sua. 
I     fissandosi    in   questo  pensiero,   la  guani. 

messa  in  piedi  sul  terrazzino,  e  spiccava  con  tutto 
il  busto.  Stretto  in  un  semplice  vestilo  lilla,  sul  verde 
i^1  delle  acacie  della  piazza  Kss.(  serbava  inalte- 
rate ancora  le  sue  lormedi  ragazza,  dima  snellezza 

e  d'una  eleganza  che  aitii.iv.ui  gli  sguardi  per  la 
via;  rispondeva  appunto  a  quell'ideale  di  donna, 
alta  di  Statura  e  di  contorni  virginei.  die  egli  aveva 
vagheggiato  fin  dai  suoi  sogni  di  giovinetto,  e  aveva 
in  ogni  atto  e  in  ogni  posa  una  mollezza  e  una  gra- 
zia, che  l'occhio  d'Alberto  studiava  ancora,  qualche 
volta,  come  pei  scoprire  il  segreto  della  sua  forza 
di  seduzione  Nel  suo  viso  bianco,  coronato  di  folti 
capelli  castani  ondulati,  gli  occhi  azzurri  e  1  denti 
bianchissimi  erano  come  due  splendori,  che  non  la- 
scia vari  vedere  l'imperfezione  dei  lineamenti,  e  ia 
rendeva  più  bella  un'aria  abituale  di  canzonatura 
infantile  e  benevola,  sotto  alla  quale  traspariva  la 
sensitività  squisita,  per  cui  mutava  viso  sotto  una 
carezza,  con  un'espressione  di  languire  incan- 
tevole. 

("un  questa  forza  teneva  ancora  potentemente  suo 
marito,  e  lo  sapeva,  e  non  sorgeva  un  dispetto  in 
lui  o  m\  malumore,  che  essa  non  riuscisse  a  vincere, 
non  con  impeti  violenti  di  passione,  ma  solo  con  la 
infinita  dolcezza  che  metteva  nel  suo  abbandono. 
Egli  le  sentiva  ancora  nei  capelli  la  freschezza  odo- 
rosa della  fanciullezza,  e  sulle  labbra  il  sapori 
primi  baci,  mentre  il  suo  braccio  non  s'accorgeva 
quasi  di  non  stringer  più  la  vita  d'una  bambina, 
egli  pareva  incredibile,  impossibile  in  quei  momenti 
In-  avesse  mai  a  sorgere  fra  di  loro,  lungo  il  giorno. 
un'ombra  di  discordia.  E  questo  pensiero  gii  resi- 
ni quel  punto  più  doloroso  il  dissenso  di  poc'anzi, 
E  appoggiato  il  capo  alla  spalliera  del  sola,  chiu- 
dendo gli  occhi,  penso  qual  nuovo  i-  potente  legame 
avrebbe  Stretto  Ira  loro  la  comunione  di  quella  gran- 
de idea,  come  avrebbe  rifuso  insieme  tutti  i  loro 
pensieri  e  tutto  il  loro  sangue,  acceso  un  se  ondo  a 
more,  aperto  una  seconda  vita,  suggellato  luna  al- 
l'altra le  loro  bocche  più  tenacemente,  col  fremito 
d'una  rinnovala  e  più  ardente  giovinezza.  E  ciò  pen- 
sando, con  gli  occhi  chiusi,  mise  un  sospiro  di  ram- 
marico, che  si  sentì  troncare  da  un  bacio. 

facciamo     la    pace,  gli    disse   caiezzevol 

mente  sua  moglie,  'limala  su  di  lui,  posandogli  le 
mani    sulle   spalle.      -    E,   sentendo    nel    bacio   ili    lui 

che  la  pace  era    fatta,  soggiunse  con  dolcezza:  — 

Ma  ii  i  i  ia  pa  e  e  ti  perdono  ^<\  un  patto:  pn 

mettimi  almeno  i  In-  giovedì  sera  non  entrerai  in  quel 
discorso  per  il  primo,  '•  che  se  ci  sarai  tirato  dal 
papa,  esprimerai  le  lue  idee  con  moderazione...  e 
con  rìspl 


DIVORZI!  i    li  ANIMI-. 


Jll.l 


Egli  sentiva  il  suo  alito  sulla  fronte:  promise,  e 
le  cinse  la  vita  col  braccio. 

Ma  quella,  lanciato  uno  sguardo  per  la  finestra 
alla  piazza,  gli   sguizzò  di  mano,  dicendo: 

-  Ce  la  signora  Luzzi  che  ci  guarda  col  cannoc- 
chiale. 

Alberto  guardò  e  vide  infatti  a  una  finestra  della 
casa  ili  faocia,  dall'altro  lato  della  piazza,  la  signora 
Luzzi  che  teneva  il  binoccolo  appuntato  verso  di 
loro. 

—  Che  impertinente  !        disse. 


—  Non  lo  dire,  —  rispose  la  moglie  sorridendo  . 
-  nella  signora  Luzzi,  vedi,  c'è  la  stoffa  d'una  so- 
cialista. 

Egli  prese  quello  per  uno  scherzo,  e  ne  rise  an- 
che lui,  mentre  il  ragazzo,  rientrando  e  vedendoli 
riconciliati,  faceva  atto  d'allegrezza  e  correva  ad  ab 
bracciare  suo  padre. 

Ma  il  seme  fatale,  del  divorzio,  che  era  in  quelle 
anime,  aveva  gettato  quella  sera  il  primo  germoglio. 


Edmondo  De  Amicis. 


SOPRA  UNA  LAMPADA  POMPEIANA 


r3K^&di;xKr^ 


/    co  :  di  pingue  oliva 

colma  e  la  vecchia  argilla  ; 
tocca  lo  stami-  il  rapido 
bilcu  d'una  scintilla, 

e   subito  n.sp/ende 

sul  breve  labbro  e  crepita 

la  fiamma  die  s'accende  e  si  ravviva. 


(in  le.  celando  un  foco 
la   fiamma  eoa  la  mano, 
spio  la  madre  i  pargoli 
l'ultima  notte  invano' 
o  fermo  il  tuli  et  fio 
dell'opra,  udir  le  vigili 
aia  eli  e  il  ere  pillo  ite' 


e  la  blanda  luce 
!,'//   staitela   fogli    indora 

d  dolor  dei  seeoli 
l'occhio    pensoso    esplora  : 
dì  là.  per  la  notturna 
pace  la  /ima  scivola 

ra   il   mar  taciturna    e  : 


v  riluce. 


Xarra  :    o  di  quali  porte 
sul  limitar  perivi, 
ave  di  baci  un  murmurc 
tra  un  ansar  lento  udiv 
Il  tetro  voi  dell'ore 
SOSpi  SO  i  i-i    ••iti  .Vi 
delirio  dell'amore  t  aclla  morte 


/'<  >,  in  .  lucerna  mite 
a  questo  eie/  nifi 
fin,  t  t  il  tedio 

de'  lugubri    soggiorni. 

nife  t obliqua  i 
illuminasti  ali  ditte. 
che  pel  cieco  partili  ,,  gno  iti  Dite 


un  sotteranco  rombo 

correa  dal  monte  al  piano. 

e  il  procelloso  in/ 

urlo  del  mar  lontano  . 

poi  dal  culmine  incenso 

bai: ii  la  vampa,   e  i  cardini 

parve  schiantar  l'immenso  orbe  del  i> 


SOPRA    I  \\    LAMPADA    POMPEIANA 


i    per  l  timbri  nere 

i  Ile  erranti  ?... 
,■  dell'ebbrezza  i  calici 
cascati  di  ninno  infranti. 
i  li  atterrite  genti 
di  qua  di  là  si  sbandano 

vagabondi  armenti  i  con  li  fiere 


29; 


1  Al  pai    i  ente 

«  sugge  un  malor  le  vene  \ 

■:  \orno  suo  precipita 
«  fra  disinganni  i  fette  : 
«  mi  iempre  in  cuor  gli  dura 
ci  dil  mal  ibi  fu  / assiduo 
«  rimpianto,  e  lo  tortura  amabilmente!  » 


E  ingombrano  la  fuga 
la  notte  i  la  mefite, 
e  {insensato  accorrere 
alle  comuni  usati  : 
ibi  paisà  ai  bimbi .' ...  una 
dentro  li  cune  1  miseri 
t implacata  Noverca  i  l:  trafuga. 


1       :   .■.'.spanilo   e  il  foco 
brevi  rattizzo  :  al 
iorn  su  l'ardui  pagine 
l'indocile  (insiero. 
i  insani  rinasic  un  tarlo 
dentro  il  cervello,  i  stridulo 
ritorna  a  succhiellarlo  a  poni  a  poto. 


Ma  da  un  timor  sospinta 
che  dentro  il  cuor  la  strugge, 

iorn  Cesi  ilio!  infuria 

l  ardente  piova  e  fugge 

■aiim  da    luoghi,  a  cui 

■oiiii  l'amorosa  vergine 

frananti  pir  altrui,  starna  e  non  -un/a. 


Risi  Mara  tu  alla  mente, 
vecchia  lucerna,  il  1 
un  ramuscel  di  lauro 
un  dì  spirai  ;  ma  solo 
oggi  al  mio  cuor  diletta 
fugar  la  nebbia  e  il  tedio 
di  questa  piccioli/la    ora   presente. 


Oh.  quanti  volte  appaia 
osò  levar  le  ciglia 
di  là  passando  trepida 
e  di  pudor  vermiglia! ... 
Tocca  le  amati  porli  ; ... 
un  cane  oltre  il  vestibolo 
lotta  invan  con  la  morte  e  la  ialina. 


Grande  è  (ir  !  aria  bruna 
il  ragionar  dei  morti 
mentre  di  là,  su  l'umido 
rabbrividir  degli  orti 
airvan  le  cime  al  vailo 
neri  1  cipressi,  i  parlano 
con  isso  il  mar  d'argento  e  con  la  luna. 


S       1  mia.  id  affannala, 
discinta,   arsa  le   chiome, 
pel  già  disirto  impluvio 
grida  tre  volte  un  nome!... 
dunque!...   e  di  lei   pietosa 
laudar  lento  de'  suoli 
ha  per  noi  lacrimosa  orma   seri 

Est  'Oi  del  rotto  velo 
li   miserandi  effigie. 
i  l  ombri  disti  parlano 
così  d'olire  lo  Stigie  : 
«  Penili  da    bui  soggiorni. 
«  mortai,  queste  reliquie 
«  a/li  chiare  ritorni  aure  del  cielo  ' 


Lascia  iìie  dorma  in  pace 
nel  grembo  della  Urrà 
«  chi  più  non  ode  il  garrulo 
«  suon  della  vostra  guerra. 
«  Noi  conseguimmo  il  vero 
«  che.  tu  persegui:   e  un  bri:: 
«  la  vita,  e  il  tuo  pan /irò  ombra  fugace  ». 


Xapoli. 


Guglielmo  Felice  Damiani. 


La  misura  del  tempo  e  le  zone  orarie 


loco  per  volta,  con  passo  lento  ma  sicuro, 
il  sistema  delle  zone  orarie  si  va  esten- 
dendo sempre  più  sulle  regioni  civili  della 
superficie  terrestre,  e  sono  facili  profeti  quelli  che 
-ii  prevedono  assicurata,  in  un  lutimi  più  o  meno 
remoto,  la  completa  vittoria  tinaie.  L'adesione  più 
recente  è  stata  quella  della  Spagna,  la  quale  ha  ìn- 
trodotto  il  tempo  di  Greenwich  (o  dell'Europa  occi- 
dentale) a  partire  dal  primo  gennaio  inoi,  ed  ha 
n  pari  tempo  adottato  la  numerazione  continua 
delle  ore  da  zero  a  24.  da  una  mezzanotte  all'altra. 
secondo  l'uso  moderno  italiano. 

Del  sistema  orario  a  zone,  detto  anche  a  fusi,  si 
parlò  inulto  in  Italia  alcuni  anni  fa.  quando  fu  di 
scussa  la  convenienza  di  adottarlo  nel  nostro  paese. 
surrogando  l'ora  di  Roma  con  l'ora  dell'Europa  cen- 
trale  Dopoché  la  questione  fu  risoluta  con  un  De- 
Reale  dell'agosto  1803  (1),  era  naturale  che 
I  argomento  passasse  in  seconda  linea,  tra  le  cose 
fati  itali    non  <•<•  più  Insogno  di  ritornare. 

ma.  dopo  otto  anni,  si  può  ritenere  opportuni 

1    Questo  Decreto,  dovuto  all'Iniziativa    dell'oli.    Gè 
naia,  mini  ■."ti   pubblici,  introdusse   col    i°  no- 

vembri   1893  due  riforme  distinte,  indipendenti    fra  loro, 
t'na  è  l'adozione  dell'ora  dell'Europa  centrale  nei  servizi 
ilici  di  tr;iv.  azioni  del  Restio:  l'attrae 

la  ni  aerazione  continua  delle  2.1  ore. 


'li  riparlarne,  specialmente  a  scopo  istruttivo  (1). 
Dapprima  richiamerò  brevemente  le  nozioni  fonda- 
mentali che  riguardano  la  misura  del  tempo  e  il  si- 
stema delle  zone  orarie;  poi  vedremo  quali  sono  le 
rondi/ioni  di  l'atto  relative  all'estensione  del  siste- 
ma sulla  superficie  del   gioì»,  terrestre. 

*    * 

La  misura  del  tempo  ,-  fondata  sul  moto  diurno 
■  lei  sole  da  levante  a  ponente,  moto  che  è  un'appa- 
renza, come  si  sa,  dovuta  alla  rotazione  diurna  che 
il  nostro  globo  compie  sul  proprio  asse  polare,  nel 
senso  da  ponente  a  levante.  La  culminazione  del 
sole,  ossia  il  suo  passaggio  al  meridiano  di  un  dai" 
luogo,  determina  l'istante  del  mezzogiorno  locale. 
che  è  vero  o  medio  secondo  che  si  considera  il  sole 
vero  oppure  un  sole  fittizio,  detto  il  sole  medio,  che 
viene  immaginato  per  facilità  di  ragionamento. 

Consideriamo  sulla  sfera  celeste   (fig.   1)   il  cir- 


1  In  una  tragica  e  recente  occasione  —  l'attentato 
contro  il  Presidente  MacKinle)  —  nacquero  qui  <la  noi 
delle  discussioni  intorno  alle  ore  di  partema  dei  tele- 
grammi che  recavano  in  notizia  in  Europa  e  intorno  alle 

■ni  l 'irrisuotidenti  nel  nostro  paese.  Si  potè  allora  COH 
Statare  I  be  non  è  sempre  facile  aver  sottomano  i  dati  itti 
merici  neci  risolverà  siilatti  piccoli  problemi,  che 

pure  occorrono  abbastanza  spesso  nel  lavoro  giornalistico 
e  nel  mond    degli  aifari. 


LA    MISURA    HKL    TEMPO    E    LE    ZONE    ORARIE 


colo  PAP'  che  va  da  un  polo  all'altro  passando  per 
il  sole,  cioè  quello  che  tecnicamente  si  chiama  il 
circolo  di  declinazione  del  sole,  od  anche  il  suo  cir- 
colo orario  ;  l'angolo  variabile  ZPA  (angolo  orario) 
che  ha  il  vertice  nel  polo  visibile  P  ed  è  compreso 
tra  il  meridiano  (fisso)  e  quel  circolo  mobile,  mi- 
sura a  ogni  istante  il  tempo  locale.  Qui  ci  riferia- 
mo al  caso  del  sole  situato  a  ponente  del  meridiano, 
cioè  al  caso  delle  ore  pomeridiane.  Nelle  ore  anti- 
meridiane, invece  l'angolo  orario  ZPA  del  sole  (fi- 
gura 2),  contato  dal  meridiano  verso  levante,  mi- 
sura l'intervallo  di  tempo  che  il  sole  impiegherà 
per  arrivare  al  meridiano:  ossia  misura  la  differen- 
za tra  il  mezzogiorno  e  il  tempo  vero  locale  nell'i- 
stante considerato.  Naturalmente  l'angolo  orario  va 
espresso  in  tempo,  in  ragione  di  24  ore  per  360  gra- 


299 

3  gradi  e  9  primi,  che  fanno,  in  tempo,  12  minuti 
e  36  secondi  ;   dunque  abbiamo   a  ogni  istante: 

Tempo  di  Venezia  uguale  Tempo  di  Milano  più 
i2m  36s  (1)  e  viceversa. 

Tempo  di  Milano  uguale  Tempo  di  Venezia  nir 
no  1 2"1  36s. 

In  conclusione,  dato  il  tempo  di  un  luogo,  si 
passa  al  tempo  di  un  altro  luogo  aggiungendo  la 
rispettiva  differenza  di  longitudine  (tradotta  in  tem- 
po) se  si  deve  andare  verso  levante,  e  sottraendola 
se  si  deve  andare  verso  ponente. 

Comunemente  non  si  hanno  idee  esatte  sul  modo 
rapido  con  cui  variano  i  tempi  locali  in  proporzione 
delle  distanze  dei  luoghi  in  longitudine.  Nei  nostri 
paesi,  intorno  a  45  gradi  di  latitudine,  la  varia- 
zione del  tempo  locale  arriva  già  ad   un  minuto  in- 


Fig.  1.   —    Sfera     ..-eleste,    veduta    da    un 
punto  esterno  situato  verso  ponente. 

A  =  luogo  del  sole,  a  ponente  del   meri- 
diano (ore  pomeridiane). 

NHSW  =  orizzonte  , 
NZSR  =  meridiano  \ 
N  =  nord  E  =  est 

Z  =  zen  il 
Popolo  celeste   h.n  e  i : .- 


FlG.    2     —    Sfera  celeste,    veduta    da    un 
punto  esterno  situato  verso  levante. 

A  =  luogo  del  sole,  a  levante    del  meri- 
diano (ore  antimeridiane"). 


del    luogo  terrestre  O,  centro  della  sfera 

S  =  sud  \V  =  ovest 

R  =  nadir 
P'  =  polo   celeste  australe. 


di.  cioè  di  un'ora 
ogni  grado. 


>gn  1 


gradi   e  di  4  minuti  per 


Ciò  premesso,  troveremo  senz'altro  evidenti  que- 
ste tre  proposizioni  : 

I.  —  Tutti  i  luoghi  terrestri  che  sono  situati 
sotto  un  medesimo  meridiano  contano  nello  stesso 
istante  fisico  lo  stesso  tempo  locale. 

II.  —  In  uno  stesso  istante  fisico  il  tempo  lo- 
cale è  differente  da  luogo  a  luogo,  quando  si  tratti 
di  luoghi  appartenenti   a  meridiani  diversi. 

III.  —  Se  di  tali  luoghi  ne  consideriamo  due, 
i  loro  rispettivi  tempi  locali  nello  stesso  istante  fi- 
sico differiscono  tra  loro  di  una  quantità  costante 
che  è  uguale  alla  differenza  di  longitudine  tra  i 
due  luoghi,  cioè  all'angolo  compreso  tra  i  loro  ri- 
spettivi meridiani,  misurato  in  tempo  invece  che  in 
arco  (nella  solita  proporzione  di  un'ora  ogni  15 
gradi). 

•  Per  esempio,  Venezi-  è  all'oriente  di  Milano  per 


fero  per  soli  20  chilometri  (all'incirca)  di  distanza 
nel  senso  est-ovest.  Ecco  una  tabella  che  contiene 
dei  dati  numerici  precisi,  cioè  il  valore  in  chilome- 
tri dell'arco  di  parallelo  che  corrisponde  alla  varia- 
zione di  un  minuto  nel  tempo  locale,  per  diverse 
latitudini   geografiche. 


Arco 

Arco 

LATITUDIMt 

d'i    parallelo 

Lati,  l 

di    parallelo 

equivalente 

<  .juivalcntc 

h  A  1-  I  C  A 

a  un  minino 

GEOGRAFI!     i 

r   un  minuto 

ili  tempo 

di   tempo 

km. 

km. 

G" 

27.8 

50° 

17.9 

IO 

27.4 

55 

IH.O 

20 

26.2 

00 

13-9 

3° 

-4-1 

70 

40 

21-3 

So 

4-8 

45 

19.7 

90 

0.0 

11I  giorni  e  le  ore  si  segnano  con  d  e  li,  iniziali  delle 
parole  latine  dies  e  hora,  e  cosi  pure  i  minuti  e  secondi 
di  tempo  si  segnano  con  le  iniziali  ni,  s,  per  distinguerli 
dai  minuti  e  secondi  d'arco  ai  quali  è  riservata  l'antica 
notazione  degli  apici  ('e  '  '). 


3oo 


LA    LETTURA 


immagìniami 

iguali  ili  15  gradi  l'uno  dal- 
l'alti .1  definire  2 1  tempi  lo 
-  .ili   .lift-  progri    -11  amente  ili 
un'ora  precisa  man   mano  che  si  va  verso  oriente 
nche  ci  li            mo  alla  considei  u  ii me  «li  que 
mpi  locali   iliwT.si.   .    mai  he  in  un 
dato  istante                       ei                  econda  delle 
1  restri,  un               1  ire  del  giorno. 


I1       (uel    che    precede    risulta    che    quando    si 
tmbiguità  un  istante  'li  tempo, 


e  riuscirebbe  utile  in  pare  chi  r.mu  della  scienza  \l 
dal  latu  pratico,  della  vita  civile,  è  manifesto  che 
l'ora  universale  troverà  sempre  difficoltà  gravissime 
adottata.  <■  San  :  p>-r  non  ilir 

-  (dice  il  Celoma   nell'Annuario  scientifu 
industriale  del  18851  che  gì  di  San  Fran- 

ad  esempio,   dovessero  contan    mezzogiorno 
verso  le  4  del  mattino  del   loro  tempo  locale.  E\ 
dentemente  gli  affari  e  la  vita  degli  abitanti  ili  una 
data  regione  non  possono  regolarsi  su  altro  tempo 

sul  lucali-,  u  al  più  su  un  tem]  0  che  ilal  la 
■  li  poco  differisca   ed  abbia  col   tempo   universale 
un  rapporto  assai  semplice  >. 

Ecco  perchè  le  conclusioni  votate  a 
Washington  circa  Torà  universale  sono  ri- 
maste  sterili. 


La  discordanza  dei  tempi  locali.  1 
stanza  sensibile  anche  tra  paesi  relativa 
mente  vicini,  non  poteva  più  rimaner  tra- 
scurala  nel  secolu   nostro,  dopo   l'inven- 
zione delle  ferrovie  e  dei  telegrati.  Cre- 
sciute  enormemente  la    rapidità,    la   fre- 
quenza e  la  facilità  delle  comunicazioni, 
si   riconobbe  tei    presto   la  necessità   ili 
una  unificazione  regionale  od  anche  na 
zìonale   delle  ore.   Questa  importante  ri- 
forma  fu  eseguita  nella  Gran  Bri 
nel   1848  (ora  di  Greenwich  per  l'Inghil- 
terra e  la  Scozia,  e  ora  di  Dublini     pei 
l'Irlanda),  in  Italia  nel  1866  (ora  di  Ru 
ma),  in  Francia  nel  i8qi  (ora  ili  P 
Questo  è   il  sistema  delle  ore  regionali  o 
nazionali  secondo  i  casi,  che  ila  principili 
furono  introdotte  nel  servizio  ferroviario, 
postale  e  telegrafico,  e  poi  ili  necessità  si 
estesero  a  tutti  gli  altri  usi  della  ( 
vile. 


—   Globo  terrestre   diviso   in    24   fusi   orjrii,   per   mezzo   di   meridiani   a    intervalli 
uguali  di    i;   gradi  (ossia   di   un'ora)  l'uno   dall'altro.    11   primo   meridiano   è   quello  di 

Greenwich. 

La   carta   è   una   projc/.iooc   ortografica    sopra   l'orizzonte   del  luogo  terrestre    definito 
0   meridiano   col   parallelo  boreale   di    5:    gradi. 


cessano  indicare  qua!  è  il  meridiano  terrestre 
-urne  ionie  regolatore  del  tempo.  Per  que 
.  come   per  quello   di    primo  meridiano  nel 
computo  delle  longitudini  geografiche,  ora  si  adotta 
dai   più    il    meridiano    di    Greenwich    (il   principale 
(  rsservatorio  inglese  e  uno  dei  principali  del  mondo), 
conclusioni  di  un  Congresso  speciale 
tenutosi  .1  w  ishington  nel  1884.  il  giorno  universale 
un   giorno  medio   solare)  comincerebbe  per 
tutto  il   mondo   alla   mezzanotte  del   meridiano  di 
Greenwich  e   dappertutto    porterebbe    la    data  vi- 
gente sotti  '  qu  Min.:  le  01  -  uno  uni 
dovrebbero  contare  per  24  ili  segiiitu.  a 
partire    dallo   «ero  (mezzanotte). 

scientifico  il  tempo.  0  (come  si  suol 
1  un  importanza  non  pi<  cola 


Le  ore  regionali  0  nazionali,  che  in 
conseguenza  della  loro  origine  erano  di- 
stribuite irregolarmente,  non  potevano 
tuttavia  soddisfare  al  bisogno  (sempre 
più  vivo  e  sentito  ai  giorni  nostri)  di  una 
unificazione  internazionale,  anzi  mondiale,  delle  ore, 
o  almeno  al  bisogno  di  una  facile  e  rapida  converti- 
bilità dell'ora  di  uno  Stato  nell'ora  di  un  altro.  A 
ciò  provvede  il  sistema  delle  zone  orarie,  il  quale 
ha  ricevuto  in  pochi  anni  una  notevole  diffusione. 
Con  esso  si  raggiunge  una  specie  di  unificazione 
mondiale  delle  ore.  senza  discordanze  eccessive 
diversi  tempi  locali  e  quindi   senza   contraddizioni 

1     le  parti   del  giorno  naturale  (mattina,   mezz 
-era  e  ih  itti 

L'idea  del  sistema  orario  a  zone  fu  sviluppata 
agli  Stati  Uniti  nel  1875  e  al  Canada  nel  1879.  ed 
ivi  venne  effettivamente  applicata  su  vasta  scala  nel 
1883.  Però  già  parecchi  anni  prima,  cioè  nel  1868. 
il  Governo  della  Muova  Zelanda  aveva  adottato 
ora  ninni. ile  quella  che  anticipa  di  undici 


LA    MISURA    DEL    fEMPO    E    LE    ZONE    ORARIE 


JOl 


e  mezza  rispetto  al  tempo  di  Greemvich.  dietro  ini- 
ziativa di  Sir  James  Hector.  direttore  dell'Istituto 
geologico  e  geografico  della  Nuova  Zelanda  in  Wel 
lington.  Anzi  fino  nel  1860  il  medesimo  sig.  Hector 
a  fatto  notare  i  cambiamenti  che  sarebbero  di- 
■.  entati  necessari  nel  computo  delle  ore  lungo  la 
gran  ferrovia  canadese  del  Pacifico  (1).  Ma  la  prio- 
rità assoluta  dell'idea  delle  zone  orarie  va  attribuita. 
per  quanto  si  sa,  al  nostro  Filopanti.  il  quale  trattò 
brevemente  dell'ora  universale  e  delle  zone  orarie 
nel  suo  libro  Miranda,  scritto  in  inglese  e  pubbli- 
cato in  Inghilterra  nel    1859  (2). 

Il  meridiano  iniziale  o  fondamentale  è  quello  di 
Greemvich.  A  partire  da  questo  (fig.  4  e  5)  si  con- 
siderano gli  altri  23  meridiani  che  dividono  l'equa- 
tore terrestre  in  intervalli  uguali  di  15  gradi  cia- 
scuno, e  s'immagina  di  numerarli  tutti  progressi- 
vamente, andando  verso  oriente,  da  zero  a  23  ;  si 
vengono  così  a  definire,  per  tutto  il  globo  terrestre. 
-4  tempi  diversi,  i  quali  corrispondono  rispettiva- 
mente al  tempo  di  Greemvich.  più  un'ora,  più  due 
ore.  più  tre  ore.  ecc..  restando  comuni  per  tutti  le 
afre  dei  minuti  e  dei  secondi. 

Questi  24  meridiani  sono  i  meridiani  centrali  di 
altrettanti  fusi  sferici  (fusi  orari),  ciascuno  dei  quali 
si  estende  per  7  gradi  e  mezzo  in  longitudine  (os- 
sia per  mezz'ora  di  tempo)  a  ponente  e  a  levante 
del  proprio  meridiano  centrale.  Tutti  i  luoghi  ap- 
partenenti a  un  medesimo  fuso  dovrebbero  adottare 


1  Queste  notizie,  riguardanti  la  Nuova  Zelanda,  erano 
fino  a  pochi  mesi  fa  poco  conosciute  in  Europa.  Vedi 
l'eccellente  Rivista  astronomica  inglese  The  Observatory, 
luglio  1901 ,  pag.  291  ;  dove  si  aggiunge  che  in  seguito  a 
ciò  la  Nuova  Zelanda  dovrebbe  venir  considerata  come 
il  primo  paese  che  abbia  adottato  il  sistema  delle  zone 
orarie,  purché  si  ammetta  di  comprendervi  anche  delle 
zone  la  cui  differenza  con  Greemvich  sia  uguale  a  un 
numero  dispari  di  mezz'ore. 

2  Ouesto  libro  dev'esser  diventato  rarissimo.  L'inge- 
gnere Giuseppe  Rocca .  nel  suo  pregevole  articolo  su 
«  L'ora  universale  »  Rassegna  Nazionale,  anno  XV 1 
Firenze.  1893  .  ne  ha  tradotto  e  pubblicato  il  seguente 
brano,  che  è  quello  che  ora  ci  interessa  : 

<  Conterete  i  giorni  per  tempo  universale  e  per  tempo 
«  locale.  Il  primo  giorno  dell'  anno  per  tempi  universale 

<  comincia  a  mezzanotte  vera  sul  meridiano  superiore  del 
«  Colle  Capitolino.  Per  l'Astronomia,  per  i  telegrafi,  per 
€  i  bastimenti  o  per  qualunque  altro  mezzo  di  comunica- 

<  zione  tra  punti  molto  distanti    della    Terra    sarà    usato 

<  questo  tempo  universale. 

«  Per  il  tempo   locale    dividete    tutta    la    superficie    del 

<  globo,  per  mezzo  di  meridiani,  in  24  zone  longitudinali. 
«  o/usi,  che  differiscono  l'uno  dall'altro  di  un'ora.  La 
«  prima  di  codeste  zone  avrà  nel  suo  meridiano  medio  il 
«  Campidoglio,  e  comprenderà  una  gran  parte  dell'Italia. 
«  della  Germania,  della  Svezia  e  dell'Africa. 

«  Per  tutto  codesto  fuso  il  giorno  locale  e  civile  cornili 
«  cera  quando  suonano  le  6  del  mattino  a  tempo  univcr- 
«  sale.  Per  tutto  il  secondo  fuso ,  procedendo  verso  occi- 
«  dente,  il  giorno  civile  comincerà  un'ora    dopo,  e    cosi 

<  via  via.  Con  questo  provvedimento  sarà  facilissima  la 
«  riduzione  reciproca  del  tempo  universale  e  dei  vari 
«  tempi  locali ,  gli  uni  agli    altri.    Per    esempio,  sapremo 

<  con  certezza  che  quando  saranno  14  minuti  di  una  de- 
«  terminata  ora,  dove  che  sia.  saranno  14  minuti  di  un'ora 
«  o  di  un'altra,  dappertutto  ». 


reme  loro  tempo  comune  il  tempo  medio  (ben  in- 
-  .  non  il  tempo  vero)  che  rigorosamente  sj  iette- 
rebbe soltanto  al  meridiano  centrale  di  quel  fuso. 
Questo  è  lo  schema  dei  fusi  orari  nella  sua  geo- 
metrica generalità.  Nell'applicazione  pratica  il  si- 
stema deve  ricevere  necessariamente  delle  modifi- 
cazioni. Le  linee  di  confine  tra  le  successive  zone 
orarie  non  possono  esser  dappertutto  dei  veri  meri- 
diani geografici,  ma  in  certi  tratti  del  loro  percorso 
devono  presentare  delle  irregolarità  più  o  meno  sen- 
sibili, dovute  alle  delimitazioni  politiche  dei  vari 
Stati,  a  confini  naturali  tra  regione  e  regione,  od  a 
speciali  vincoli  di  affinità  storica  o  di  prevalente 
movimento  commerciale.  Xe  segue  che  in  certi  casi 
la  differenza  fra  il  tempo  locale  e  il  tempo  nor- 
male della  zona  supera  il  massimo  di  mezz'ora  che 
sarebbe  fissato  dallo  schema  teoretico.  Ma  lespe- 
rienza  ha  dimostrato  che  anche  tali  discordanze  ec- 
cezionali si  conciliano  perfettamente  con  le  esigenze 

della  vita  pratica. 

* 
*    * 

Vediamo  ora  quali  sono  le  condizioni  di  fatto  e- 
sistenti  alla  superficie  del  globo  terrestre,  relativa- 
mente alla  diffusione  del  sistema  orario  a  zone.  Tali 
condizioni  sono  riassunte  nella  seguente  tabella  . 
dove  è  indicata,  nella  maggior  parte  dei  casi,  an- 
rhe  l'epoca  della  riforma  oraria  (1). 

Tempo  normale  =  Tempo  di  Greemvich  —  -  8" 
(Pacific    tinte): 

Dominio  del  Canada  e  Stati  Uniti Xov.    1S83. 

Tempo  normale  =  Tempo  di  Greemvich  —  7'' 
{Mountain    tinte): 

Dominio   del  Canada  e  Stati   Uniti Xov.    lS8$. 

Tempo  normale  =Tempo  di   Greemvich—-  6h 
(Centrai  tìnte  )  : 

\'ov.    188;. 

-Il 


Dominio  del  Canada  e  Sta: 


Tempo  normale  =  Tempo  di  Greemvich  — 
(Eastern'o  New  York  Unte): 

Dominio  del  Canada  e  Stati  Uniti Nov.    iS8ì 

Tempo  normale  =  Tempo  di  Greenwich  —  4" 
(Intere olonial  o  maritìnte  tinte)  (2): 

Dominio  del  Canada  e  Stati    Uniti N'ov. 


(11  Per  la  compilazione  della  tabella  e  per  le  ulteriori 
notizie  relative  alle  ore  ferroviarie  europee  mi  sono  valso 
principalmente  delle  seguenti  pubblicazioni: 

The  Obserz'atory,  numeri  di  febbraio  e  luglio  1901.  — 
G.  Ricchieri:  «  L'Italia  e  l'unificazione  mondiale  del 
tempo  col  sistema  dei  fusi  orari  »  (Milano,  1S92).  —  <.. 
Rocca:  «  L'ora  universale  >  (Firenze,  1893),  <  Les  fu 
seaux  horaires  en  Europe  »  1  Bruxelles,  1897),  e  le  tabelle 
stampate  nella  «  Guida-Orario  generale  pel  viaggiatore  in 
Italia  »  'pubblicazione  mensile  dell'editore  <;.  Civelli). 
Inoltre  alcune  notizie  mi  furono  gentilmente  favorite  dal 
medesimo  ing.  Rocca,  ispettore  principale  della  Rete  Me- 
diterranea. 

.  Si  crede  che  l'intercolonial  tinte  sia  poco  usato  e 
che  sulle  coste  orientali  del  Canada  le  ferrovie  usino  in- 
vece il  tempo  della  zona  oraria  contigua  a  ponente  (ea- 
stern  lime,  zona  orientale  degli  Stati  Uniti).  Questa  no- 
tizia è  data  dall' Observatory,  febbraio  1901.  pag.  90. 
Quanto  3lla  denominazione  di  New  York  tinte  che  sem- 
brerebbe invalsa  per  questa  zona,  si  può  notare  che  non 
va  presa  alla  lettera,  perchè  New  York  si  trova  a  4I1  56""  di 
longitudine  occidentale  da  Greenwich  e  non  a  5"  o". 


302 


LA    LEI  1  !  RA 


Tempo  normale  di  (  ìreenw  ich 

(Tempo  dell'Europa    occidentale)  : 

.  i , 

Bcl^l'  U 

■  <  ......  ìd. 

rempo  normale       rempo  di  Greenwich  |    i1' 

/  i  mfo  dell'  Europa  centrale)  : 

Aprile 

Norvegia  Genn 

Dani  aurea  Gìngna 

era  iJ.       id, 

Itali*  .  \ov. 

Germania  Aprile     .id. 
i  .  1879 

i*-Ungheria  (per  le  Otiob 

Serbia ...  M.. 

Turchi*  (/eie  di  Salonicco) Aprile     i<i. 

Stilo  lìbero  del  Congo 

Tempo  normale       Tempo  di  Greenwich  *    i!l 
1    mezzo  : 

Colonia  del  Capo  di   Buona   Sperai) u  . 

Orangc .        id. 

IVansTaal  id. 


rempo  normale        rempo  di  Greenwich   |    zh 

(Tempo  dell'Europa  orientale) 

Rumenta  ...  Ottob. 

irla    .     .  Maggio 

Turchi»  (rete  Ji  Coiiantìnopoli)  Aprile     id 

1 Ottob.    1900 

Naia)  Seti  cai.  189$ 

Tempo  in.rin  tempo  di  Greenwich  \   8h 

\ujttalia  occidentale b'ebbr.    189;. 

Tempo  normale       Tempo  «li  Greenwich    l    9h 

Giappone Gemi.     iSHH 

Tempo  normale        L'empo  'li  C.reenwich     \    qh 
e  mezzo. 

Australi*   meridionale M 

Tempo  normale       Tempo  di  Greenwich    ì-  ioh 

Victor!*    ....  ... 

New  South  \\  alea 

Quecnsland   .  ... 

■ini 

Tempo  normale         Tempo  «li  Greenwich    f    nh 
e  mezzo. 

Nuova    Zelanda 


l-cbbr.     i£  4; 
id.  id. 

id.  Ìd. 


lo"  Oy  I8fc  19*-       2Ò5"        2IX     ~TF~      23v  G* 

Mappamondo  in  projexionc  di  He  —  Emisfero  occidentale. 


quello  di  Greenwicli  e  le  longitudini  .uno  conute  d*  zero  a  180  gradi,  verso  tat-e  vano  uvei 

l    meridiani  tratteggiali  .sono   1  meridiani   centrali   dei  lingoli   U\\\   or»riÌ,  Otti*   i   meridiani    regolatori   del 


LA    MIM  RA    DEL 


I  MPi  >    E    LE    ZONE    ORARIE 


3o3 


In  Europa  l'adesione  al  sistema  delle  zone  orarie 
manca  l'inora  da  parte  del  Portogallo,  della  Fran- 
cia, della  Grecia  e  della  Russia.  Nella  Gran  Bre- 
tagna stessa  vi  è  un'eccezione:  l'Irlanda  non  segue 
il  tempo  di  Greenwich,  ma  quello  di  Dublino. 

Quanto  alla  Russia  europea,  il  servizio  ferrovia- 
Lio  è  regolato  quasi  dappertutto  sul  tempo  di  Pie- 
troburgo, che  anticipa  appena  di  un  minuto  rispetto 
al  temilo  della  zona  oraria  dell'Europa  orientale. 
Fanno  eccezione  la  Finlandia  (tempo  di  Helsing 
fors)  e  il  Caucaso   (tempo   di  Tiflis). 

In  Francia  l'unificazione  nazionale  dell'ora,  cioè 
l'abolizione  delle  ore  locali,  fu  eseguita  nel  i8qi.  e 
d'allora  in  poi  il  tempo  normale  per  la  Francia  . 
l'Algeria  e  ila  Tunisia  è  quello  di  Parigi.  Le  So- 
cietà ferroviarie  usavano  già  da  molti  anni  il  tempo 
di  Parigi  per  gli  orologi  esterni  delle  stazioni.  Ma 
per  un'antica  abitudine,  che  l'Annuario  del  Bureau 
des  longitudes  attribuisce  a  «  des  motifs  d'ordir 
purement  administratif  »  e  che  probabilmente  ebbe 
origine  da  intenzioni   pietose   verso  i   viaggiatori    in 


ritardo,  gli  orologi  interni  e  di  servizio  sono  tenuti 
in  ritardo  di  5  minuti  rispetto  al  tempo  di  Pari- 
gi (1).  Per  conseguenza  la  vera  ora  ferroviaria  fran- 
cese non  è  quella  di  Parigi,  ma  è  l'ora  di  Rouen. 
città  che  si  trova  a  5  minuti  (in  tempo)  di  longitu- 
dine occidentale  da  Parigi.  L'ora  di  Parigi  anti- 
cipa di  9  minuti  rispetto  a  quella  di  Greenwich  e 
quindi  ritarda  di  51  minuti  rispetto  alla  nostra  del- 
l'Europa centrale:  invece  l'ora  di  Rouen  anticipa 
appena  di  4  minuti  sul  tempo  di  Greenwich  e  quin- 
di ritarda  di  56  minuti  sul  tempo  dell'Europa  cen- 
trale. 

1, 'Malora  la  Francia  si  risolvesse  a  dare  la  sua  a- 
desione  al  sistema  delle  zone  orarie  fondato  sul  me- 
ridiano di  Greenwich.  lo  spostamento  del  meridiano 


(1)  Un'usanza  consimile,  ma  applicata  in  un  modo 
più  razionale,  era  quella  che  si  seguiva  anni  addietro  in 
alcune  nostre  grandi  stazioni,  per  esempio  in  quella  di 
Milano:  l'orologio  esterno  era  tenuto  avanti  di  5  minuti 
rispetto  agli  orologi  di  servizio,  che  segnavano  l'ora  di 
Roma.  In  occasione  della  riforma  oraria  (novembre  189,51. 
tale  abitudine  fu  smessa,  senza  inconvenienti  e  senza  la- 
gnanze del  pubblico. 


FlG  —   Mappamondo  in  proiezione  di  Mercatore.   —   Emisfero   orientale. 


tempo.   I  [imiti  L'Uditivi  delle  zone  orane  sono  rappresentati  .t.i  linee  continue  e  sono    tracciati    in  massima    pa 
COndo  la   orti   annessi   .il    libro   di   E.    von    Hessc    Wjrtcgg  ;    [),e  l:ntì:eiH;fit   naeh   Stttndenionfn.   etc,   Lipsia,    1K02. 


■  •"I 


LA    LETTI  RA 


sarebbe   relativamente 

>Io:  inveì  e  di  passare  i    i    Parigi   (ora  e»  ile  a 

per   Roiien  <or.i   ferroviaria),  quel  meri- 

iress .1   poco  per  I  <■  I [a\ re.  cioè 

per  il  principale  porto  comi  della    Francia 

sull'Atlani  irò  (i 


Relativamente  alle  regioni  extra-europee  e    che 
non  figurano  nella  tabella  data  più  sotto,  qui  non 
sarebbe  di  certo  il  luogo  opportuno  per  un  eli 
■  li  longitudini  geografiche,  comprendente  un  numera 


Confronto  fra  le  diverse  ore  ferroviarie  i-nnipiv. 


N. 


3 

6 

7 
8 

9 
io 
1 1 

i  : 

i  I 
i  I 

16 

'7 
18 

IQ 
20 
21 

22 

-3 
-I 


STATI 


Mi  RIDIANO 
regolai 
dell'oi  i 
ferroviaria 


Irlanda  .... 
Portogallo  .  .  . 
Spagna  .  :  .  . 
Inghilterra  e  Scozia 
Francia     .... 

Belgio 

(  "landa      .     . 
Lussemburgo     .     . 
Norvegia  .... 
Danimarca    .     .     . 
•era    ... 

Italia 

<  iermania  .  .  . 
Svezia  .  .     . 

Austria-Ungheria  . 

Serbia 

TurchiaK:  e 

I  u .    Rt  te       i 

Bulgaria  .... 
Rumenia  .... 
Russia  europea.  . 
Id.  :  Finlandia  .  . 
Id.  :  (  laui  .iso  .  . 
Grecia 


Dublino.  .  . 
Lisi  iona.  .  . 
Greenwich  .     . 

Id. 
Rouen  (i)  .     . 
Greenwich  .     . 

1.1. 
Europa  cent.    2) 

[d. 

Id. 

Id. 

Id. 

Id. 

Id. 

Id. 

Id. 

Id. 
Europaorien    5 

Id. 

Id. 
Pietroburgo     . 
1  lelsingfors.     . 
Tiflis.    .    .    . 
Atene      .     .     . 


■  ISPBTTIV, 

quando  è 

mezzodì 
al   tempo 

dell'Kuropa 
centrale 


Il        ni 

10  J} 

11  o 


I  I 

I I 
II 
1 1 
IJ 
I  J 

[2 

I  2 
12 
I  _' 
12 
IJ 


12  O 

IJ  .1 
lì  O 
[30 

13  o 

13    I 

12     |0 

iì  59 
12    (5 


Differenza 

d'ora 

col  tempo 

dell'Kuropa 

centrale 


1    25 

'  37 
1  o 
1    o 

0  56 

1  o 
I  o 
o    o 

,  .      0 

o    o 


o 
o 


0  □ 

o  o 

o  o 

0  .i 

o  o 


I  o 
I  o 
I  I) 
I     I 

0  40 

1  So 

o  35 


ANNOTAZIONI 


1,1)  Per  consuetudine  l'ora  ferro- 

viaria  francese  è  tenuta    in    ritarda 

di   ;  minuti  sui  tempo  di  Parigi,  .he 

M    in  poi  e  il    tempo    legale 

in   Francia  e  in  Algeria. 

(2)  Il  meridiano  dell'liuropa  cen- 
trale t  quello  situato  a  i;  gradi  di 
longitudine  orientale  da  Greenwich. 
In  Italia  qucMO  meridiano  passa  per 
l'Etna  e  per  Termoli;  In  Austria 
per  Gmund  (Bassa  Austria);  in 
Prussia   rcr    Slargar.!  (T'omeraiita). 


(.rtl    11   me  i diano    dell    I    . 
ricnt.ile   è   Quello   sii 
di  longitudine  orientale    .la  Green- 
wich. 


no  riassunti  i  dati  relativi 
ai  principali  Stati  d'Europa  (2). 


ne  notare  espressamente   queste   circostanze 
di  fatto;   il  meridiano  di  Greenwich  passa    a    meno    ili    S 
■tetri  a  ponente  ili  Le  Havre    più  esattamente  .1  soli 
26  secondi  di  tempo,  equivalenti  e  7sj'i  metri,   contati  a 
partire  dal  campanile  di  Notre  Dame,  segnale  trigonomc 
trico  .  quanto  a  lunghezza  di  percorso,    il    meridiano  di 
bbe  da  chiamarsi  un  meridiano  più   Iran 
che  traversa  tutta   la  Francia   o< 
de  da  Le  Havre  fino  a    I  arbes. 

ul  modello  di    quello    pubblicato 
dall'ing.  Rocca  nella  la- Orario  generale 

velli. 


più  0  meno  grande  di  località  rimarchevoli  della 
perfide  terrestre;  e  d'altra  parte  uscirei  dall'argo- 
mento del  mio  articolo.  Mi  limiterò  quindi  a  indi- 
care per  quanto  è  a  mia  cognizione  le  princi- 
pali fonti  a  cui  bisogna  ricorrere  quando  si  tratta 
di  cercare  la  posizione  geografica  di  una  data 
lità  e  non  si  crede  sufficiente  l'approssimazione 
con  eui  il  problema  si  può  risolvere  per  mezzo 
delle  earte  geografiche.  Ecco  le  opere  da  con- 
sultarsi : 

Yivikn  de  S\im    Martin  e  Rousselet, 
:i(iu    Dictionnairt    1/1   Géographic  universe/le  (( 
/ione  Hachette  di   Pai  gi,  in  7  volumi  con  supple- 
njoo).  — -  /.<<  Connaissattce  </<■<  temps, 
effemeride   astronomica   e  nautica   pubblicata  ogni 


LA    MISURA    DEL    TEMPO    I     LE    ZONE    ORARIE 


3o5 


anni'  dal  Bureau  di  -  longitudes  di  Parigi  e  che  con- 
tiene  una  copiosa  Tabli  des  positions  gèographi- 
ques  des  principaux  lieux  du  globe.  —  Le  posizioni 
degli  Osservatori,  ilate  annualmente  nel  Nautical 
Almanac  ili  Londra,  nel  Berliner  Astronomisches 
Jahrbuch,  neW'Almanaque  Nàutico  di  San  Fer- 
nando (Spagna)  e  néìY American  Efhemeris  di  Wa- 
shington. -  -  L'elenco  di  237  Osservatori  pubbli- 
cato da  Auwers  nel  voi.  XIX  (1896)  del  Geogra- 
phisches  Jahrbucli  di  Behm  e  Wagner  (Gotha,  edi- 
zione Perthes).  —  La  posizione  in  longitudine  di 
366  luoghi  terrestri,  data  nel  voi.  I  (1886)  dell'An- 
nuario geografico  teste  citato.  —  La  tavola  di  po- 
sizioni geografiche  delle  principali  città  marittime. 
.  isole,  scogli,  banchi,  ecc.,  contenuta  nel  Hand- 
buch  dcr  Schijfahrtskunde  (Manuale  di  Navigazio- 
ne) di  Carlo  Rùmker  (Amburgo,  1857).   Ma  l'o- 


pera più  ricca  in  materia,  almeno  per  quel  che  ne 
so  io.  è  il  V erseichniss  gcograpìuscher  Ortsbestim- 
mungen  (Catalogo  di  posizioni  geografiche)  di  Car- 
lo Ltttrow  (Lipsia.  1844):  libro  che  naturalmente 
è  invecchiato,  ma  che  può  rendere  ancora  utilissimi 
servigi. 

Da  ultimo  noterò  che  per  ridurre  al  meridiano 
di  Greenwich  le  longitudini  che  fossero  date,  rispetto 
a  Parigi  oppure  all'isola  del  Ferro,  bisogna  far  uso 
dei  seguenti  dati  : 

Longitudine  rispetto  a  Greenwich 

in  Arco  in  tempo 

2°   20'    14"  oh    9™    2I5   Est 

17  39    46  1    10      39  Ovest. 

Michele  Rajna. 


Parigi     .... 
Isola  del  Ferro  . 


^=*=&J 


\3L?^> 


La  Lettut  a 


r. . 


Il  Battesimo  d'Adamo 


\  luna  'li  settembre  cadeva  sui  boschi  <li 
j j i e >| >| > i  in  riva  al  Po,  al  ili   là  del  gran 
fiume   argenteo  che  sembrava   immobile 
nella  calma  della  sera.  Non  si  moveva  una  foglia, 
non    passava    anima    viva   sull'argini-    alto,    battuto 
ilalla   luna,  che  chiudeva  con    la   sua   linea  dritta  il 
breve  orizzonte  del  fiume.  Un  incanto  melanconico, 
i  di  silenzio  e  ili  chiarori  vaporosi,  regnava  sulla 
riva  verso  Cicognara;  al  di  là  del   fiume  i  boschi 
atti,    sotto  la  luna  radente,    parevano 
ni  agni-  profilate  sul  cielo  latti  i 
Maria,  col  suo  bambino  fra  le  braccia,  scese  cui 
nte  l'argine  e  s'avviò  pei   il  sentiero  sabbioso, 
Ira   i  cespugli  di  pioppi  e  di  saliei  elle  crescevano 
ibbia  umida  formando  un  bo- 
sco ni 

i  n    li  ■  e  d'eri  i  nel!  ai ia  immi bi- 

le: le  fronde  del  piccol  i  bosco  sfumavano  nel  chio- 
di   Uno  sii  ,ndo  vapi  'leso  ;    tutto    era    si 

leivi.i.   solitudine,   e    Mari  in  n  losi    perfi 

mente  sula.   cominciò   a  mormorare  parole  lamen- 
■    .    al  pico  ilini  '. 

posto  neppure  pei  piangi 
diceva  in  dialetti!  mantovano,        ebbene, 
amo  al  fiume:   il  Po  è  tanto  grande  che  può  ac 
i  mi    del  mot 
Me  iigolin  1 1  proseguì  procedendo  per 

ero        quando  tu  laggiù,  ove  dorme 

tuo  padre,  avevamo  un  palazzo.  Qui  non  ci  lasciano 
neppure  nella  sralla.  Ah.  le  vacche  stanno  meglio 
di  noi... 

Il  bambino,  che  avi  le bi 

della    madre,  e  le  Oli  i    il   meni.,  i  i.n   le 


'      ollino. 


give  appena  appena  dine,  sentì   qualcosa  di    s 
bagnargli  il  visino  e  le  labbra,  e  si  sollevò  volgendo 
alla  giovine  donna  i  grandi  occhi  violacei   pien 
un  sorriso  incosciente.  Mariina  credette  che  il  barn 
bino  s'accorgesse  del   suo  affanno.  <■  non  ebbe  più 
freno:   singulto  forte,  con  un   m  noso,  di- 

sperato, e  rivolta   al    piccino   ricominciò  a  moi 
lare  parole    insensate. 

Intanto  era  giunta  al   limite  della  riva,  e  sede 
sella  sabbia    In  quel   punto  il   Po  era   largo  più   di 
un  chilometro,  i   passava  con  la  maestà  di  un  brac 
ciò  di  mare  e  la  dolcezza  di  un   lag  .   fra   rivi 
scose  e  deserte  ;  al  nord  un'isoletta.  i  cui  pioppi  pa 
ie\ano   sospesi   Ira   la  luminosità  dell'acqua   e   del 
cielo,    divideva  il   fiume:    altre    isolette   di   sabbia. 
nude  e  scure,  macchia\  ani  i  1  ai  |iia  a  szuro 
'•  pai   >  ani >   nuvole  in   un  cielo  seri  no    Li    bianche 
torri   di   Viadana  svanivano,  all'orizzonte;    lo    - 
scio  dei   mulini    galleggianti    risuonava    nel   sonoro 
silenzio  del  fiume. 

1 1   i  ratto  di  riva   dove  stava    sedata  la  M  lì 
di  minava  una  lanca  (lista  d'acqua  morta),  che  un  i 
solotto  di   salii. ia  div  ideva   dal  fiume,  e  di 
vano   a    ripararsi    le  barche.   1  >in 

lunf ere,   pareva  dormissero  1 1  me  due  enormi 

ile  alla  riva.   Un'altra   v 
solcando  obliquamente  il  fìun  i  rompendo  col 

suo  punto   nero  il    latti  o  bagliore  dell'acqua  m 
luna  si  rifl  ome  un  guizzante  serpente  doro. 

Fu  in  vista  di  questa  luna  che  Mariina  si  calmò: 
il   bambino  s'era    rimesso   a   morsicchiarle 
menti    il  mento:    sol.,  di  tanto  in  tanto  sollevavi 
ii  stina  av  volta   in  un  fazzolettino.  vo!  andi 

cechi  attoniti  verso  il  fiume,  s'incantava  un  momen 

tino,  eoli  la  boccuccia  umida   spalane. ita.   poi  tornava 

a    morsicchiare. 


IL    BATTESIMO    1>  ADAMI  i 


3oy 


—  .S;  ■  (i)    mio,  —  mormorava    la   donna, 
co!  petto  ancora   ansante.  --  Ah.  no,   neppure  qui 
si  può  piangere.   In  nessun  posici  si   può  piang 
Ma  io  non  mi  muovo  'li  qui:  se  ne  an< Irà  ben  via  il 
vecchio. 

Per  un  momento  pensò  di  nascondersi    Ira   i  le- 
sinigli, ma  il  vecchio  barcaiuolo,  che  risaliva  l'acqua 
morta   puntando  il   remo  sul   basso   fondo,   l'aveva 
già  veduta  e  guardava  da  quella  parte.  Un  passeg- 
gero stava  seduto  nella  barca,  era  un  gioì  ine  ras 
(segatore  di  piante)  che  ritornava  in  paese  per  certi 
suoi    affamivi,  dopo   aver   lavorato 
pareri  aio  tempo  nel  bosco  della  ri- 
va op|  osta. 

—  Chi  è  quella  donna?  — 
chiese. 

-  E'  !a  Manina  G  i  bar-  .  ~     ~ 
butiiì.   —    rispose    il    vecchio    con 
voce   rauca:    e    non    pareva    dispo 
sto  a  d.ir  altro:   ma    il   rasghin  in- 

Ah.  la  Mariina?  Ma  non  era 
in    America'    Che   fa   li.    di    notte' 

—  Domandalo  a  lei. 

—  Ih,  coinè  siete  acerbo.  Bastia- 
niri.  Che  Taccia  l'amore  con  voi? 
Era  una  bella  ragazza:  ora  è  ve- 
dova, non  è  vero?  Suo  marito  è 
motto  in  America?  Dicevano  che 
aveva  lasciato  la  un  .gin-  ricca. 

Cisto  che  il  vecchio  non  aveva 
voglia  di  parlare,  il  rasghin  ag- 
giunse, parlando  come  fra  se: 

-  Ah.  ora  è  tornata,   la   Marii- 
na: avrà  dei  liei  soldi. 

Poi  gridò: 
I  Ibi  là! 
Il   bambino  tremò,   Maria  non  si  mosse,  non    ri 

spose. 

Il  vecchio  Bastianin, 
grosso,  approdò  proprie 
salutò  chiedendole: 

-  Cosa  fai  qui.  Barbutin  (2)?  Ancora  qui 
pie  qui  ? 

-  Prendo  il    f re-co.  dissella,    seccata. 

Il  vecchio,  che  la  chiamava  sempre  col  nomignolo 
che  da  piccola  le  davano  perchè  camminava  un  po' 
dondolandosi,  l'aveva  già  vista  parecchie  volte  li. 
in  quel  medesimo  punto,  verso  sera,  sempre  cupa. 
sempre  col  bimbo  che  le  morsicchiava   il  mento. 

—  Il   fresco   fa  male  a  quest'ora.         disse  il   ra- 
sghin, saltando  a  terra.  —  Era  scalzo,  altissimi 
gilè,  con  un  gran  naso  sul  viso  roseo. 

Maria  non  gii  rispose  neppure,  ed  egli  andò  via, 
a    lunghi    passi    silenziosi,    dopo    averla   esaminata 
da  capo  a  piedi  al  chiaror  della  luna,  men  re   Ba 
sManin    legava    lentamente  la    barca    ad   un    piuolo 
fissi  1  sulla  sabbia. 

—  E'  vestita  miseramente.  —  pensava  il  segato- 
re,  risalendo  l'argine.  —  non  doveva  esser  vera  la 


fortuna  dei  Giroflè.  Ma  anche  se  ella  avesse  dei 
m  Idi,  io  non  la  sposerei,  quella  donnina,  perchè  ha 
spacciato  già  due  mariti.  Il  primo  era  un  mercante 
vecchio,  il  secondo  un  mercante  giovine.  Marameo, 
il  terzo  non  lo  spacci  più. 

(inulto   sull'alto   dell'argine   si  volse   a   guardare 

il  bosco  lontano,  nella  cui   massa  nera  il  fuoco  dei 

un   rosseggiava   come  una  goccia  di  sangue.  II 

1  inottone  mise  le  mani  concave  intorno  alla  boc- 
ca, ed  emise  un  —  oooh  !  —  fortissimo  e  prolungato, 
che  la  sonorità   dell'acqua  portò   ai   rasghin   accam- 


*> 

■r- 


ritto  sulla   barca,   nero  e 
davanti  alla  donna,  e  la 


1  ?  Sem- 


fi  1  Zuflblino. 
(2)  Piccola  barca 


pati  nel  bosco  della  riva  opposta:  poi  egli  s  avviò 
al  paese  per  la  fuga  di  Sant'Antoni,  strada  in  di- 
■  a.  biancheggiante  fra  alti  platani  immobili  alla 
luna.  Un  piccolo  cero  in  un  candeliere  d'ottone  ar- 
deva davanti  ad  una  nicchia  ove  si  osservavano  gli 
avanzi  di  un  rozzo  affresco  raffigurante  Sant'An- 
tonio, in  un  muro  che  erasi  miracolosamente  sal- 
vato nelle  inondazioni  de!18o. 

Giunto  davanti  alla  nicchia,  il  rasghin  si  lece  un 
enorme  segno  di  croce,  e  passò  oltre  coi  suoi  lunghi 
I  assi  silenziosi,  pensando  ostinatami  n  e  alla  Marii- 
na. ai  soldi  che  ella  aveva  avuti  e  che  ora  non  aveva 
più.  ai  suoi  due  mariti,  il  vecchio  ed   il  giovine. 

-  Quest'ultimo  l'ho  conosciuto  bei  Igino 

della  Mariina.  --  si  ricordava  il  rasghin.  -  Era 
I  1  ivero  ci  me  mi  da  ra  >,  ma  tro\  a\  a  sempre  il 
quadrifoglio.   Io  non  ne  ho  trovato  mai. 

Eppure  è  morto!         mormorò  poi,   battendo 
le  mani  o  n  1    fatto  una  grande  scopi 

Si.  è  morto,  guarda!  E  lontano  ,'•  morto,  si.  in  A- 
merica,  e  giovine,  guarda'  E  la  Mari  sta= 

va  li  vicino  al  Po,  staserai'  Che  si  consoli  già?  In- 
somma! — ■  concluse,  rassegnandosi  a  non  indovi 
nar  nulla.,  ma   intanto,   sia  per  neces  pei 

riosità.  s'avviava  a  passare  davanti  la  casi  dei  Gi- 
roflè. Ora  qual  non  fu  la  stia  meraviglia  nel  vei 
f  he  in  casa  dei  do. ti    c'era  testa.  Si  udiva  un  suo- 
no vivace  e  armonioso  di  organetto,  ed  una  luce  vi- 
vissima, uscendo  dal  grande  portone  spalancato,  il- 


3o8 


LA    II    ITI 


laminava  un  buon  bai 

lava  la  furlana  da  un  gruppo  ili  vispe  ragazzette 
biondi 

notto, 
raseni  indo  il  muro  per  pai 

Ma  li  te  l'avevano  veduto  e  due  ili  esse, 

pur  ballando  on  la  co  ca  del 

biule  iwicinarono  e  lo  presero  in 

(  Ihè,  si  scarti  -  domandò  egli. 

Ni  risp.  e,  sempre  bal- 

lando.       I  Giroflè  hanno  vinto  la  lite 

Che  lite? 

lite.  Balla  anche  tu,  —  dissero  le  ragazze, 
sempre  danzandi  >. 

Lo  sghangherato  organetto  continuava  la  sua 
musica  trillante,  graziosa,  perfettamente  all' uni- 
sono con  la  dolcezza  delia  notte  molle  e  lunare. 
della  largii  strada  fiancheggiata  da  pioppi  e  pla- 
tani immobili,  delle  ragazzette  bionde  e  scalze  che 
ballavano  con  ingenua  grazia  sollevando  il  grem- 
biule ed  il  lembo  della  sottana. 

Rasghin,  Petrin,  bravo,  balla,  ballai  — gri- 
davano le  ragazze,  5  mdolo  un  po',  e  circon- 
dandolo. 

Egli  però  guardava  entro  il  portone  spalan- 
cato, nel  cui  gran  vano  illuminato  si  disegnava 
un  vigoroso  quadro  rusticano:  parecchi  volti  accesi 
d  uomini,  dai  cappellacci  sulle  ventitré,  e  tre  bei 
volti  di  donni-  giovani,  due  biondastre  ed  una  mora, 
intorno  ad  un  tavi  lo  carico  di  bottiglie.  L'n  gio- 
vine con  un  gran  ciuffo  bruno  sugli  orchi,  suonava 
l'organetto,  l'n  gruppo  di  persone  stava  a  guardare 
fuori,  ali  ombra  rasente  il  muro:  una  vecchia  gio- 
viale, bassa,  scalza,  calva,  si  staccò  dal  gruppo  e 
venne  innanzi  al  rasghin,  invitandolo  a  ballare  la 
furlana. 

Va  là.  vecciaì  -  diss'egli  con  disprezzo,  al- 
largando le  braccia. 

Balla,  Petrin,  balla  con  quella  bella  figliuo- 
la!     -  urlarono  gli  uomini  dall'interno  dell'andito. 

I  egli  si  mise  a  ballare  con  la  vecchia  scalza, 
che  '  dere  le  ragazzette  con  le  sue  mosse  da 
giovinetta,  i  suoi  salti  e  le  sue  smorfie. 

Ma  improvvisamente  il  suono  allegro  e  molle  del- 
--ò.    la  danza    lini;   e   Petrin    si    trovò' 
in  mezzo  alla  strada,   pensando  alla  Ma- 
nina che  piangeva  in  riva  al  Po,  mentre  i  suoi  al- 
1  divertivano. 

II  vecchio  Giroflè  gli  accennò  di  entrare,  e  il  ra- 
sghin entrò  mentre  la  vecchia  ballerina  quistionava 
col  suonati  ire  |  1  >n  le  avo  1  -  1  danzare 
che  un  brisin  di   furlana. 

-il    finta    collera.  io  sono 

ria,  ma  tu  divejitei  echio  di  me. 

Il  gii  szo  alticcio,  la  guardava  attraverso 

il  ciuffo  dei   suoi  capelli   neri  con  uno  sguardo 
po.  Anclie  il  v.  •    dio  Gir  'il-  ■  che  parev  a  un  gal 

col    viso  gonfio   ispido    di    peli   e   gli    occhi   ver 

ri   pieni  di  una  indifferenza    felina,  anche  egli 

0:    fumava  una   corta  pipa   0 
la  camici  puz- 

-  di   vino  e  di 


I  biavo,  rasghin,  disse  al  giovinotto,  bat 
tendogli  una  mano  sulla  mano.  -Tu  vieni  dal 
bosi  - 

-      1  [1 1  velino  la   Manina  in   riva  al    Po. 

\h  !  Ah     !  a  '.        osservò  il  vecchio, 

coi  denti  stretti  sul  cannello  della  pipa.  —  Ha  cal- 
do, la  Manina:  che  vada  a  farsi  benedire.  Tu  \ 
dal  bosco:  bravo. 

L'ho  lasciata  là.  insiteva  il  rasghin,  ma  il 
vecchio  pensava  ad  altro  che  alla  figliuola.  Fece 
siui. ire  una  bottiglia  dalla  donna  bnina,  osservando 
se  il  vino  scappava,  e  faci  n  ;  I a  : 

—  Zsss,    /SSS.  . . 

1    mentre  il  rasghin  beveva,  gli  raccontò  la  sioria 
della  lite.  Ebbene,  quel  bestione  di  lacum  il  Cirillo, 
il  mercante  di  grano,   aveva  delio  che  Giroflè  figlio. 
stabilito  a  l'arnia  con   la  moglie,  la  bella  bruna 
aveva  sturato  la  bottiglia,  s'arricchiva  perchè  la 
glie,  ecc.... 

—  Cosa  la  moglie? 

—  Tu  non  capisci  niente!  —  grillò  il  vecchio, 
togliendosi  di  bocca  la  pipa.  —   Perchè  I 

ecco! 

Fece  le  corna  con  la  mano  glassa  e  pelosa,  si 
volse,  sputò,  bevette. 

—  Ooh!        diceva   l'altro  con  meraviglia. 

—  Capisci?  Egli  lo  disse  nell'osteria,  davanti  a 
queste  persone,  che  ora  sono  qui   riunite  a  fes 
giare  la  nostra  vittoria.  Allora  noi.  taffati'.  una  bella 
querela.  Corpo  di  una  pipetta,  lievi,  rasghin.  Evviva 
l'allegria  ! 

—  Ewivaaa!   —  dissero  gli  altri   in   coro. 

—  Oh,  ed  è  stato  condannato?  —  chiedeva  me- 
ravigliato il  rasghin, 

—  No!  —  rispose  il  vecchio,  dandosi  un'aria 
solenne.  —  Abbiamo  ritirato  oggi  la  querela,  ma 
egli  ha  ritirato  la  calunnia  ed  ha  pagato  le  sp 
lievi;  un'altra  bottiglia,  morettina!  Ecco,  i  miei  fi- 
gliuoli son  venuti  da  l'arma  per  festeggiare  la  no- 
stra  vittoria. 

—  E  la  Manina,  perchè  è  andata  fuori? 
Corpo  d'una  pipetta!  Te  l'ho  detto,  perchè  è 

matta.   Non  vuol  divertirsi  !  Che  ci  fan-io  io? 

L'organetto  ricominciò  a  suonare  ed  il  rasghin 
volle  fare  il  galante  e  mostrarsi  riconoscente  del 
vino  bevuto,  invitando  a  ballare  la  Martina  Giroflè, 
sorella  della  Manina,  che  si  fece  un  po'  pregare,  ma 

infine   accettò. 

Ili  veduto  la  Mariina  in  riva  al  Po:  che  fa- 
ceva  laggiù? —  tornò  a  chiedere  il  giovinotto. 

M  ;i   ina.  biondastra  e  con  gli  occhi  indifferenti  e 
felini    come  quelli    del    padre,    rideva   sempre:     p.i 
uva  un  po'  semplice,  0  per  lo  meno  completamente 
ino  'sciente. 

Mariina  non  ama  divertirsi  :        disse'.-     Che 
o?  Piange   empre 

roviiciia.   ha   ragione.   -     osservò   il  rasgìltn. 
E'  vedi 

Vnche   l'altra   era    vedova,    ma    non    pian. 
son  sei  mesi  che  I   vedova:  perché  piange  an- 

—  E  i  soldi.  1  In-  ne  ha  Fatto? 

—  I  soldi?  Ahi  Ahi 


IL    BATTESIMI  i    l>  ADAMO 


—  Non  c'è  da  ridere.  Martina.  --  disse  ii  gio- 
vine, quasi  arrabbiandosi.  Tuttavia,  finito  il  Lalìo. 
cinse  la  vita  della  fanciulla  con  un  braccio  e  la 
condusse  a  passeggiare  verso  il   limite  della  strada. 

\  --uno  fece  osserva  one  per  la  confidenza  che 
egli  si  prendeva,  e  neppure  il  suonatore  d'organet- 
to, che  era  l'amoroso  di  Martina,  s'ingelosì. 

—  Senti.  —  disse  il  rasghin,  —  andiamo  a  pren- 
der la  Martina  ;  il  fresco  potrebbe  far  maie  al 
bimbo. 

Andiamo,    -  rispose  ella  con  indifferenza, 

—  Andiamo  incontro  alla  Ma- 
rtina. —  aggiunse  poi.  passando 
davanti  al  portone. 

Tre  ragazzette  li  seguirono,  can- 
tando la  canzonetta  del  bel  giardi- 
nieri  con    ritmo   dolce   e   malinco- 

—  I  soldi  della  Manina?  — 
disse  Martina,  come  parlando  fra 
sé.  —  Chi  li  ha  mai  visti?  Suo 
marito  gliene  lasciò  parecchi  di  ma- 
renghini,  laggiù  in  America:  ave- 
vano una  casa  da  signori  ed  un  gran 
negozio.  Essa  non  era  pratica  de- 
sìi affari  e  lasciò  andar  tutto  in  ma- 
lora-  Poi  tornò  qui  che  non  aveva 
neppure  scarpe.  Che  so  io? 

Si  mise  anch'essa  a  cantare,  poi 
tacque,  poi  rise  e  osservò: 

—  Tu  tornavi  dal  bosco?  — 
Rasghin,  perchè  dunque  non  vai  a 
casa  tua  ?  Troverai  la  polenta 
fredda. 

—  Io  non  mi  sposerò  mai.  — 
disse  poi.  seguendo  un  suo  intimo 
ragionamento.  —  Si  resta  vedove 
e  poi  gli  uomini  son  traditori. 

—  Ti  ha  tradito  dunque? 

—  Chi? 

—  Chi  "J  Me  lo  domandi. 

Essa  giurò  che  non  faceva  l'amore  con  nessuno, 
poi  finì  col  confessare  che  l'amoroso  la  tradiva:  egli 
voleva  far  il  galante  con  tutte:  quella  mattina  -  - 
sa  l'avevano  trovato  abbracciato  con  una  ragazza  di 
Roncadello  che  aveva  anche  lei  un  altro  amoroso- 
Erano  corsi  pugni  e  bastonate,  benché  il  ragazzo 
e  la  ragazza  affermassero  che  si  abbracciavano  per  i- 
scher/ 

—  Chi  è  là?  —  chiese  ad  un  tratto  il  rasghin. 
S'avanzava  un'allegra  comitiva  di  uomini  e  donne 

che  ridevano  e  vociavano.  Quello  che  sembrava  il 
capo,  l'anima  della  comitiva,  barcollava  alquanto 
e  gridava  : 

—  Dieci,  venti  marenghini  ?  Io  li  sputo.  Io  posso 
pagare  più  di  così  per  levarmi  un  capriccio. 

—  Bumh  !  E'  il  Grillo,  —  disse  Martina.  —  Egli 
è  stato  con  la  famiglia  all'osteria  per  farci  dispet- 
to :  si  vede  che  hanno  bevuto  assai  bene. 

E  si  rimise  a  cantare,  mentre  il  Grillo,  riconosciu- 
tala, a  sua  volta  alzava  ancor  più  la  voce,  gridando 
che  dieci  o  venti  marenghini  non  gli  importavano 
niente.  Così  le  due  comitive  s'incrociarono  e  passa- 


309 

rono  oltre:  e  il  rasg/un,  sebbene  in  ottimi  rapporti 
col  Grillo,  credette  cavalleria  non  salutarlo  per  non 
far  torto  a  Martina. 

—  Ora  passeranno  davanti   a  voi,  —  disse 

—  Certo:    sono   andati    apposta    all'osteria    per 
passare  'lavanti  a  noi  e  -  petto. 

—  Si  azzufferanno,  ora... 

■iali  azzuffare.         disse  Martina,  ridendo 
con  indifferenza. 

Verso  la  fuga   di   Saul' Antoni  videro  infatti    la 

Manina    che    ritornava    assieme  al     vecchio     bar- 


caiuolo: costui  le  dava  dei  consigli  con  voce  bassa, 
calma,  profonda,  ed  ella  ascoltava  a  capo  chino,  col 
bambino  assopito  sul  seno:  le  due  figure  si  dise- 
gnavano nere  sullo  sfondo  lunare  della  strada  bian- 
ca: un  canto  di  carrettieri  sfumava  sull'argine,  in 
lontananza  : 

Amoure,  annuire,  amour... 
La  rosa  Ve  un  bel  fiour... 
Martina  s'avviò   correndo  verso  la  sorella,   e   si 
gettò  sul  bimbo,  svegliandolo,  baciandolo  forte,  gri- 
dandogli  sul  visino: 

—  Eh  cosa!  Eh,  caro.  caro,  caro!  Eh  cosa,   eh 
cesa  volete? 

Il  bimbo  sorrise,  ma  la  Mariina  si  ritrasse  indie- 
stringendolo  a  se.  chiedendo  con  voce   amara: 
E'  finita  la  festa  ? 
M..i;ina    le   andò  dietro,  continuando   a    vezzeg- 
giare il   bimbo  che  mostrava  il   visino  sulla  spalla 
della  madre. 

Allora  la  giovine  vedova,  con  gli  occhi  ac- 
collerà, se  la  presecol  rasghin  che  le  stava  davi 

—  Siete  voi?  Che  fate  lì  'J  Avete  fatto  la 
Che  venite  a  seccarmi,  cialtrone,   villai 

Ma      riina...    che    avi  e.    spa- 

lancando gli  occhi,  sicuro  in  cuor  suo  di  non  meri- 
tarsi quei  rimproveri. 


LA    LETTURA 


—  '•.  — 

tTari. 

sseg      ri- 
bella: 

la  compagnia,  mentre   Mariina 
borr»  tt  e  Martii 

rleva 
meni'  ■ 

—  '  linguin  ! 

R;rc-  •  -  an- 

che da  lontano  fino  j!  prato  «Iella  eh  •  alla 

luna.  più  che   mai 

■.ltellante. 

—  Boi 

Sta  allegra:  tu  hai  venti- 
cinque anni,  io  ne  h    ottanti 

—  -  ella  rispose.  — 
Buona  sera.  Rastianin. 

G  nti   a!   grande  ponooe  spalancato,  il 

spettava  di  ve- 
dere: gli  invitati  erano  cresciuti  di  numero.  Presso 
il  ve  ne  di  co- 

lavano  la  beli.  -nte. 

ligi  jrava  una  bottigli. 

era  un  rag  :rlone.  minacciava  di  lasciar 

scappare  il  vino  spumante  e  di  bagnare  così  le  ■ 
ne.    }  -    ritraevano:  e  il  vecchio  Gi- 

rone guardava  attentamente  la  t»  «iglia.  imitando  il 
fiusno  .iella  spuma: 

—  S -  ine! 

—  Ma  gua-  I : 

le  mani. 

la  Mariina  entrare  nell'andito,  rasentando 

il  mi  iersi  in  un  canto,  pallida,  con  gli 

-alati  e  minacciosi,  pieni  di  dolore  e 

d'ira  selvaggia,  e  sentendo  oramai  soddisfatta  la  sua 

'he  aveva  appetir  .èva 

tornare  a  casa. 

II. 

Mariina  vegliava  ancora  pres- 
so il  biml  in  'tan:. 
rideva  rv                                    i  divinamente  gli  •• 

.    ella,    la  sventuratissima  vedova,  era  grazia 
se  f  ■  -esso 

l'alba  la  :p  vava  ai  Jia. 

Durante  quelle   interminabili,   terribili   insonnie. 
dal!>  -  schiena  rotta 

rimi  la    sua     mente    lavorava     in    modo 

spa 

l 
me  le  ombre  in  una  luce 

ì  un  guan- 
ciale 'li   piun  che    le  faceva  affluire 
-  ingue  alla  testa:    '  (fitta 
sopra   la                                 g                            fienile,  colle 

ra  ingoml  • 
• 
panr  • 
ragn 

dia   stalla 
■ 
una  - 


rmito  in  quella  stanza  anche  da 
za,  ma  allora  era  altra  cosa:  allora  la  ca: 
era  pulitina  e  an<  .,•  a- 

M    ri  ina  n<>n  l'avrebbe  cambiata 

le  belle  suo  se   «do  matrimo- 

\  Maria,  aveva   sedici  anni.  l^runa. 

simpatica,  .-.in  due  >o-hioni  furbi  e  teneri 

(  l'a\  -  '  '  'efettura  a  l'arma. 

•  |uando  andava   in   vacanza   al   paese,  di  cui   era  il 

Mai 
_    ava  alla  Madonna  della  scodella 
1  __         -  ne  un  gatto  la  si-ala  a 

piin -li.  per  recarsi  a  far  l'amore  o>n  Frar 
rofie,  suo  cugino  in  terzo  grado,   il  quale  aveva  se- 
anni  anch'--.    1>  ■->>  aver   fatto  all'ai:  M 
ria  dormiva  dieci  ore  filate 

Il  ve  -Urano  all'amore  de 

cugini,  e  di  tanto  in  tanto,  anche  ignorando  le  not- 
turne scappate  della  figlia,  le  dispensava  una  buona 
dose  di  schiaffi.  Per  questa  ed  altre  ragioni.  Mariina 
aveva  tradito  e  abt  Francesco  pr- 

ercante  di  grano,  uumosui  cinquanta 
anni,  che  parlava  poco  perchè  aveva  una  lingua 
_  --a  che  spuntava  fuor  della  bocca.  Dal  dispia- 
cere. Francesco  era  emigrato  in  America  .  a  New 
York,  dove  aveva  impiantato  una  piccola  fabbrica 
di  scope. 

Il  mercante  di  grano  era  mono  dopo  parecchi  an- 
ni, ed  i  suoi  parenti  s'erano  preso  tutto,  perchè  Ma- 
riina non  aveva  figliuoli:  ma  appena  tre  mesi 
Francesco  aveva  scritto  una  lettera,  listata  di 
per  rispetto  al  lutto  della  \  nomandola  e 

!endole  nello  stesso  terr.'  «cedergli 

la  mano  di  s[    - 


Maria  aveva  pianto  di        -  -         ne  ora 

fra-  sse  più  sedici   anni  e  avesse  le 

«   tallir 
>  in  italiano  ed  in  inglese,   il  vecchi 
,..leva  neppure  ques  'he  la  figliuola  lo 

r.i  di  una 
minacciava  di  bastonare 
riina.  va. 

Ulora  M 
una  sua  zia  tanto  ricca  quanto  era  ubbriacooa  ed  a- 
vara.  Questa  zia  aveva  stamento  al  nv 

:ale  la  teneva  sempre  oh; 
■he  ella  era  mezzo  pazza,  ma  in  realtà  perchè  i  pa- 
renti non  le  strappassero  un  nuovo  testamento.   Fat- 
ui «i   uomo  non  po' 
riina.  ma  fece  di  tutto  perchè  eli 

'-. 


IL    BATTESIM»  I    1'  ADAMO 


3n 


Wlle  sue  lunghe  insonnie.  Maria  ricordava  spe- 
cialmente le  impressioni  del  suo  primo  viaggio: 
l'altezza  losca  e  paurosa  degli  Appennini  nebbiosi, 
l'incubo  nero  e  ruim  so  «Ielle  gallerie  (perchè  Fran- 
cesco L'aveva  voluta  condurre  a  Roma  e  Napoli, 
ove  s'erano  imbarcati),  le  città  sulle  quali  la  notte 
pendevano  come  magiche  collane  di  enormi  perle 
(le  lampade  elettriche),  ed  il  giorno  erano  percorse 
da  piccole  ferrovie  senza  fumo:  e  poi  il  mare,  il 
mare  infinito,  il  mare  che  si  muoveva,  le  onde  dense 
rome  piombo  liquefatto,  che  s'aprivano  e  fuggivano 
davanti  ed  ai  lati  del  piroscafo  come  sj  aventate  dal 
passaggio  di  un  essere  terribile.  Ella  non  aveva 
veduto  mai  ne  le  montagne,  né  il  mare,  né  una 
grande  città.  Per  parecchi  mesi  visse  in  un  continuo 
sbalordimento,  nella  gioia  incosciente  del  bambino 
crw    comincia  a  percepire  le  cose. 

New  York,  immensa,  fumosa,  con  case  alte  come 
montagne  e  strade  larghe  come  il  Po.  aiutata  da 
gente  che  pareva  avesse  la  febbre  e  che  parlava  un 
linguaggio  sconosciuto,  continuò  a  tenere  la  giovine 
italiana  in  una  specie  di  sogno. 

Francesco  era  ricco,  parlava  inglese,  trattava  con 
signori,  aveVR  molti  conoscenti.  Come  Manina  era 
stata,  felice!  La  notte  non  poteva  dormire,  pen- 
sando alle  cose  vedute,  alle  cose  che  possedeva,  al 
suo  nuovo  stato:  non  poteva  dormire  di  gioia,  come 
ira  non   poteva    dormire  dì    dolore. 

Francesi, i  le  voleva  tanto  bene:  non  le  lasciava 
far  nulla,  non  le  parlava  dei  suoi  affari,  non  le  rim- 
proverava mai  il  passato,  i  cattivi  parenti  lontani. 
Anch'egli,  rome  tutti  i  suoi  compaesani,  era  allegro, 
burlone,  si  divertiva  a  far  degli  scherzi  alla  gente,  e 
rideva  sempre  Mariina  rideva  anche  lei:  per  due 
anni  non  fece  altro  che  ridere  e  godere.  1  due  spi  si 
mangiavano  bene,  andavano  spesso  a  passeggiare 
in  carrozza,  avevano  una  serva  americana  che  par- 
lottava l'italiano,  ed  aveva  il  grembiule  bianco  e  la 
cuffietta  come  una  cameriera;  frequentavano  i  cir- 
chi, i  serragli,  le  compagnie  di  saltimbanchi  ita 
liani:  spendevano  più  di  due  marenghini  al  giorno. 
ma  Francesco  aveva  sempre  molti  denari.  Mariina 
si    fece  Mia.  grassa,  con   le  mani   bianchissime, 

('ina  due  anni  dopo  il  matrimonio,  nacque  Ada- 
mo, il  bellissimo  bimbo  dai  grandi  occhi  violacei: 
fu  portato  :i  battesimo  da  Francesco,  dalla  came- 
riera e  dal  padrino  inglese;  e  siccome  trovarono 
una  funzione  suora  nella  vicina  parrocchia,  ed  il 
prete  non  volle  battezzar  subito  il  bambino,  anda- 
rono in  una  chiesa  lontana  e  fecero  compier  la  ce- 
rimonia dal  primo  preteche  trovarono.  La  Mariina 
scrisse  ai  parenti  annunziando  la  nascita  del  bimbo. 
ma  i  parenti,  che  le  scrivevano  raramente,  questa 
\olia  neppure  risposero.  Fu  il  primo  dolore  che  ella 
provò  dopo  due  anni  di  completa  felicità:  le  parve 
che  i  parenti  si  rattristassero  della  nascita  di  Ada- 
mino perchè  con  ciò  veniva  a  mancar  loro  una  prò 
babile  eredità.  E  cominciò  a  pensarci  su  tanto  e 
tantoché  Francesco   s'arrabbiava. 

—  E'  un  cattivo  augurio.  —  ella    liceva. 

—  E  lascia  che  sia  un  cattivo  augurio:  sei  matta 
a  pensarci. 


Ed  ecco  che  egli  una  notte  tardò  a  rientrare  in 
Mariina  aveva  sempre  un  po'  di  paura  quando 

egli  la  notte  lardava  un  po':  allora  l'infinita  città, 
ove  gli  uomini  si  smarrivano  come  in  una  foresta 
vergine,  gli  uni  sconosciuti  agli  altri  ;  allora  la  ci- 
clopica città  dove  le  case  raggiungevano  il  cielo  e 
brillavano  di  mille  occhi  gialli  come  mostri  sveglia-  - 
tisi  nella  notte;  allora  le  immense  strade  rifulgenti 
di  lumi  colorati  che  davano  all'aria  fuligginosa 
uno  strano  chiarore  d'acqua  e  di  sangue;  allora 
quel  mondo  rumoroso  e  pericoloso  come  il  mare, 
dava  a  Mariina  un  senso  di  terrore  istintivo,  di  so- 
litudine e  di  vuoto  che  le  ricordava  l'impressione  del- 
l'alto oceano  dalle  onde  dense  minacciose.  Aveva 
paura  che  a  Francesco  venisse  male  per  via,  o  che 
lo  aggredissero,  o  che  il  vortice  ignoto  della  città 
mostruosa  lo  inghiottisse.  Egli  una  notte  usciva  e 
non  tornava  più  :  ella  rimaneva  sola  come  in  mezzo 
ad  un  infinito  deserto  buio,  e  tutto  il  suo  essere  si 
gelava  e  si  pietrificava  a  quel  pensiero.  Ma  erano 
momenti  di  follia:  terrori  morbosi  come  quelli  che 
provava  ita  bambina  quando  le  pareva  che  un  essere 
mostruoso,  peloso,  dalle  mani  il  cui  solo  contatto 
doveva  far  morire  di  spavento,  dovesse  da  un  mo- 
mento all'altro  avvicinarsi  al  suo  letto.  Ecco  il  passo 
di  Francesco,  svelto  e  leggero  come  un  passo  di  fan- 
ciullo, risuonare  per  lo  scalone  di  marmo  ;  ecco  il 
tric-trac  della  chiave  inglese,  ecco  la  luce,  ecco  la 
gioia. 

Mariina.   sei  ancora  sveglia3 

—  Sì.  cominciavo  ad  addormentarmi  :  dove  sei 
stato  ? 

Egli  era  stato  a  far  la  partita  presso  un  vinaio 
italiano,  mezzo  milionario,  che  dipingeva  all'acqua- 
rello scenette  sentimentali:  un  suo  amicone.  Tutti 
erano  amiconi  di  Francesco  Giroflè. 

Intanto  si  spogliava,  metteva  la  sua  camicia  da 
notte  ricamata  in  rosso,  si  faceva  rapidamente  il 
segno  della  croce,  saltava  sul  letto,  e  spiegava  un 
giornale.  Mariina  metteva  il  muso,  si  agitava,  bor- 
bottava: egli  buttava  via  il  giornale,  sorrideva  e 
proponeva  alla  moglie  un  «  abbraccino  ». 

-  Leggi,  leggi  pure.  —  ella  diceva,  risentita.  — 
Io  ti  ho  atteso  -finora,  ma  la  tua  vera  mogliettina  è 
il  giornale... 

Egli  però  insisteva,  e  invece  di  un  «  abbraccino  » 
proponeva  un  «  piccolo  abbraccino  »,  uno  solo  solo. 

Allora  si  abbracciavano  come  due  bambini,  ri- 
dendo piano  piano,  baciandosi  sulla  fossetta  che  en- 
trambi avevano  sid  mento,  e  spesso  si  addormenta- 
vano cosi. 

Ma   una   notte   Mariina    dovette  attendere    l'in   a 
lungo  delle  altre  notti,  e  il  suo  terrore  immaginario 
si    cambiò  in    terrore  vero  quando   per  le   scale    ri 
suonò  un   passo  lento  e  strascicato  come  quello  di 
un  vecchio.  Fila  ascoltò  piena  di  spavento.  Chi  sa- 
liva a  quell'ora?  Quel  passo  lento  e  stras.  icato  pa 
reva  il  passo  del  mostro  peloso  e  deforme  che  Li  gì 
lava  nei  suoi  incubi  infantili,  bilia  accese  tremando 
il  lume. 

Il  tric-trac  della  chiave  si  confuse  con  un  gemito. 
e  Francesco  entrò;  entrò  ed  aveva  il  viso  giallo  le 
vesti  rosse  di  sangue. 


.;u 


LA    LETTI  R  A 


M    b  scollando.  — 

ai  nessuno:  è  nulla,  è  nulla. 

ali r. •.  per  non  morire  disperato,   per  non  dannarsi, 
o  chi  vi  per  quale  altro  mistero  psicologico    pi 

■  ii  spirare,  confessò  a  Manina  l'abbomi- 
1 1-  \ ■  *i< ■  \i  i  ferito  presso  una  donna  pei 

frequentava.  Mariina  v  ide  il  caos  in 
torno  .'.  -  .  Mi.i  perdonò.  Non  aveva  a  tra- 

sola nel  deserto  ardente,  nella  fo- 
nel  l'oceano  spaventoso  .della  immensa 
suo   Francesco  s'era  smarrito  e  affo- 
Neppur  uno  degli  amiconi  ili  lui  si  fece  vivo; 
neppure  il   padrino  del    piccolo   Aliamo;    mentre   i 
crediti  >ri    pion  ■  -.  ne   vedi  w  .1  o  in 

•11   un    frutto  verminoso.    Si  portarono  via 
tutto,  anche  il  vestitino  di  tulle  ili  Adamo,  anche 
mimili  bianchi  della  serva  americana.   K  que- 
urato       i  n  u  me  ed  ave*  a   pri  i\  ve 
duto  per  i  funerali,  che  aveva  telegrafato  ai  parenti 
ih  Mariina  e  andò  al  Consolato  italiano  per  avver- 
ine la  padrona  non  aveva  più  un  soldo,  rimase 
ultimo  momento:    quando  la 
padrona  ed  il  bimbo  furono  a  spese  del  Consolato 
imbarcati    in  una  nave  italiana. 

1.    Manina    fu  accolta   roti    indifferenza. 

senza  rimproveri  e  senza  dolore,  così,  come  se  tor- 
nasse  dalla  itera  di  Viadana,  dopo  due  ore  di  as 
senza. 

Ripre  ibitare  la  stanzaccia  sopra   la   stalla. 

irsi  sul  lettino  duro  dal  guanciale  di  piume, 

1   la  polenta,  a  spazz  ire  la  1  asa    II  vecchio  I  H 
roflè.  le  figlie,  il  genero,  tutti  in  casa  trattavano  la 

va  con  indifferenza,  seguendo  il  loro  metodo  di 
vita  come  se  ella  non  ci  fosse.  Stavano  beni     l  in 
ch'essi   fabbricavano  scope  durante  l'inverno,   ed  il 

ro  le  portava  poi  in  giro  per  il  Veneto  e  la  Val 
tellina  1,  a  casa,  orto,   \  gna:    due  bocche  di 

più   O  di   meno   inni  recavano  danno,   tanto  più  che 
Mariina   lavorava   in  casa^    ma  ella  ricordava  che 

le  avevano  scritto  quando  era  nato  il  bimbo, 
quando  era  morto  Francesco,  quando  era  rima- 
sta senza  UH  SOldo  al  di  la  del  verrino  mon- 
do ;  vedeva  che  i  suoi  parenti  non  prendevano 
parte  al  suo  dolore,  anzi  neppure  pensavano 
■  he  ella  potesse  e  quanto  potesse  soffrire,  e  s'imma- 
iva  1  In-  essi  non  solo  non  ero  ma   si  si  e 

•rodi   lei  e  del    piccolino.    Inoltre  odiava   la   VK 

1  piena  di  polvere  e  di  nidi  deserti,  puz- 
zatile d'umido  e  d'odor  di  zucca,  e  soffriva  nell'ab- 
erti  lavori  domestici,  e  non  poteva  ci- 
l 'arsi  della  polenta  e  dei  cibi  paes 

■n  era  il  presente  che  le  '-ausava  l'insonnia, 

1.  il  ricordo  d ;  ito  e 

111  non  sarebbe  mai  più.  Soprattutto  non  poteva 

1    tradimento   di    Francesco .  del    suo 

Francescocos  ■    osi  puro,  cosi  fanciullo,  così 

buono.  Ella  gli  aveva  perdonato,  e  se  tosse  vissuto. 

sì,  r.,si.  nella  dispei 
nen  Egli   1  aveva 

tradita! 

mi  mezzi  1  al  mare  tumulili,  so  e  te 


dell'enormi  rane  soli,  soli  1  ol  loro 

amore,  1  ol  loro  bimbo,  con  la  loro  lingua  sconosciu 
là  egli  l'aveva  tradita.  E  1  on  chi  !  E  con 
chi  I. . 

Sì,  anch'ella  lo  aveva  tradito  con  un  vecchio,  per 
pochi  denari;  ella  sapeva  come  si  tradiva,  eppure 
non    potei      ■  brutale  ti 

mento  del   m  1 

E  il  resti  Oh,  1  Ho,  Dio,  il  resto!  Tutto  il  ri- 
sto :  Tulio  l'incubo  spaventoso  della  solitudine,  della 
rovina  miseria,  di  I  lungo  v  iagj  terso 

le  onde  che  si  api  ivano  .-  1 1  _  nti  ed  ai 

dal  passaggio  di 
un  essere  terribile    \ppi  |  parapetto  del  pi 

te,  col  bimbo  che  guardava  il  mare  rome  affascinato, 

'  ella  fissa  delh    onde  con  una  ti 

malia  negli  occhi.   L'acqua  le  causava  quello  stesso 

ce  del  mostro  v.  Iloso  dalle  mani   molli,  che 
veva  terrorizzato  La  sua  infanzia.  Ella  provava  un 
indicibile  spaventi  1  e  ni >n  pi  _ire. 

III. 

Veniva  l'autunno,  quell'indescrivibile  autunno 
rapido  e  di  ili  e  dei   par  rionali   attravei  s 

da   grandi  fiumi.  Il  cielo  d'un  azzurro  grigiastro 
copriva  di  vapori  vellutati,  di  nuvolette  chiare, 
strie  rossastre;    a  volte  aveva   la  dolcezza   tiepida 
e  grave  di   una   immensa   pelliccia  tigrata,   a   vi 
era  pallido  e  profondo  come  pervaso  da  un  sogno 
malato;  al  tramonto  ardeva  di  nuvole  che  sembra 
vano   blocchi   di   sangue  coagulato,  incendiando   il 
fiume' e   la    pianura.   Le    foglie   ingiallivano    rap 
mente:    tutta  la  vegeta/ione  si    colorava,    la 
rosseggiai  I     ruggine,   i    pioppi    im- 

pallidivano l'è  entar1  biaro  bianchi  ar- 

genti   sfumati    sull'argento  pallido  delle   un 
ed  ogni  mattina  su  dalle  nebbie  mattinali  il   pai 
gio    pareva  emergesse  sempre   più  inalato,  semi 
più  malinconico. 

Tutto  il  paese  era  coperto  di  saggina  rossastra 
stesa  a  disseccare  lungo  le  strade,  sull'argine,  sulle 
piazze:  nell'aria  gravava  un  odore  di  mosto,  i  cortili 
sparsi  di  granoturco  sgranato  sembravano  coperti  da 
enormi  tappeti  d'oro  lulvo:  nei  viottoli  risuona 
vano  le  sonagliere  dei  Cavalli,  e  sull'argine  treni" 
lavano  le  canzoni  d  eri  in  giro  per  la  coni 

pra  delle  melighe  e  dell'uva. 

Amour t,  amourc,  amour... 
I  a  rosa  Ve  un  bel  liour. . . 

Ed    in   quella  grande  malinconia  autunnale  tutta 
ra    per    la    buona    raccolta    fai 
imminenza     dell  inverno    'ninno   e    giocondo. 
Solo  Manina  non  rideva  mai     E  Ila  aveva  un  11110- 
idoratore  in  vista,  il  lungo  rasghin  scalzo  ,•  ra 
pid".    che    ritornava    spesso    in   paese,  e   visitava  di 
1411I0   in    tanto   i   Corolle:     ma    la    vedova    non   se  ne 

geva  neppure,  tutl  nel  suo  cupo  do- 

Un   giorno  verso  il   trai  la    si  trovava   sul 

l'argine  quando  il  vecchio    Bastianin   la   invitò  »■! 
una  gitarella  in  barra.   Sulle  prime  ella  rifiutò:  che 


IL    BATTESIMO    I>  ADAMO 


3i3 


le   importava  andare   in  barca  od  a  p  l'anto 

non  si  divertiva  in  alcun  modo.  Ma  i!  vecchio  in- 
sistè. 

—  Andom.  Andiamo  a  prendere  un  tronco  che 
ho  segnato  presso  quell'isolotto  laggiù,  poi  tornia- 
mo subito.  Ti  verrà  l'appetito.  Adamìn  non  ha  pau- 
ra dell  acqua? 

—  Povero  sifolin,  egli  ha  veduto  ben  altre  acque, 
—  ella  disse. 

Ella  scese  nella  barca  ed  il  vecchio  cominciò 
a  puntare  i  temi  con  (orza:  egli  aveva  le  numi  enor- 
memente sviluppate  dall'uso  elei  remi  e  le  palme  ri- 
dotte ad  un  callo. 

Adamo  si  aggrappò  alla  madre,  guardando 
qua  con  gli  occhioni  spaventati  ;  ma  a  poco  a  p 
s'abituò  e  cominciò  anzi  a  divertirsi,  emettendo 
piccoli  eh!  eh!  con  relativi  slanci  di  lutto  il  Qorpi- 
cino.  La  barca  scivolò  lungo  il  fondo  appena  o 
lo  d'acqua  giallastra,  costeggiando  l'isola  di  sabbia 
nuda    e    scura   tutta   intagliata    dall'impronta   delle 
onde,   in  modo  che  pareva  un'isola  di  legno   .scol- 
pito, con  gli  orli  finemente  lavorati.  Qua  e  là  .-.pun- 
tavano dei    salici    e    dei    pioppi:    qualche  allodola 
saltellava    sulla    sabbia;    pesciolini   d'argento  guiz- 
zavano   come    virgole   vive   nella    trasparenza    del- 
l'acqua. 

La  barca  prese  il  largo,  e  Bastianin  cominciò  a 
raccontare  i  suoi  piccoli  guai.  Si.  anch'egll  aveva  i 
suoi  guai  :  fra  le  altre  cose  era  invidiato  e  p< 
guitato  dai  barcaiuoli  ragazzi,  e  specialmente  da 
quell'indiavolato  Iacum  YUslin  (l'uccellino)  che  di 
tanto  in  tanto  gli  nascondeva  i  remi,  o  magari  glieli 
rompeva. 

—  Finirò  col  romperglieli  io  sul  muso.  Ho  ot- 
tantotto anni,  ma  voglio  essere  rispettato  come  un 
uomo   di   cinquanta. 

Poi  raccontò  che  una  volta  era  andato  con  la  sua 
barca  lino  a  Ferrara,  e  che  il  suo  sogno  era  darri- 
vare  fino  a  Venezia,  e  poi  farsi  rimorchiare  dal  va- 
porino. Ma  ci  volevano  dei  bei  soldini,  ed  egli  non 
ne  aveva. 

I  remi  s'incrociavano,  salivano,  scendevano,  rom- 
pevano l'acqua  luminosa,  brillavano  come  l'accia 

A  lamo  rideva,  senza  alcuna  ragione  al  mondo,  bat- 
tendo la  manina  aperta  sulla  bocca  della  madre. 
L'ora,  l'acqua,  il  cielo,  erano  di  una  dolcezza  mera- 
vigliosa, t-  Manina  si  sentiva  come  cullata  da  un 
sogno  di  pace  infinita.  All'occidente  tutto  il  Po  ros 
seggiava  come  un  fiume  di  sangue,  riflettendo  le 
nuvole  rosse  del  tramonto,  mentre  giù.  giù.  ( 
oriente,  dilagava  e  svaniva  con  una  profonda  dol- 
cezza di  latte  azzurrognolo:  l'acqua  riproduceva  le 
rive,  i  boschi,  le  torri  emergenti  dal  verde  malato 
della  pianura,  le  isole  sulle  cui  alte  sponde  i  te- 
neri pioppi  sembravano  disegnati  con  la  biacca  sul 
cielo  di   velluto. 

II  vecchio  barcaiuolo  guardava  Manina,  corru- 
gando le  socr*"CC:gha  calve  per  nascondere  la  rude 
contentezza  dei  suoi  piccoli  occhi  da  topo.  Ah.  ecco, 
egli  vedeva  la  giovine  vedova  colorirsi  in  viso,  sor- 
ridere al  bimbo,  rasserenarsi:  egli  conosceva  i  buoni 
eflett'  d'una  gita  su'  fiume,  sul  gran  fiume  tenero  e 
seiio  .-.  n    un  vecchio  padre  ;  e  sapeva  i  consigli  savi 


dt  ll'acqua  corrente,  e  le  carezze  persuadenti  della 
biezza  .  e  la  pace  che  inspiravano  le  lontananze 
serene. 

—  Adamo  lo  faremo  barcaiuolo:  io  sarò  morto. 
.    ma   egli  si  farà  barcaiuolo:    diventerà  forti- 


vaio  (i):  farà  più  fortuna  di  [acum  perche  sarà 
pili  buono:  o  ti  piacerebbe  più  farlo  mugnaio,  dim- 
mi harbuim.  Muliner  o  portmcrl  cosa  ne  dici? 

—  \o.  —  rispose  Manina.  —  meglio  mercante. 

—  Ah.  i  mercanti!  —  sospiro  il  vecchio,  ricor- 
dando la  line  di  Francesco  Giroflè.  —  Non  mi  piac- 
ciono i  mercanti.   Sei  stata  alla  fiera  di  San  Gallo 

•a.  barbu 

—  No.  Che  ci  ho  da  far  io  nelle  fiere?  Ci 
Martina,  ed  ha  ballato  tanto  che  s'è  presa  il  mal  di 
gola:  inoltre  s'è  bisticciata  con  l'amoroso.  Silenzio. 


i     Colui  che  tiene  il  porto  e  con  la  barca    fa   attraver- 
sare il  fiume  ai  passeggeri. 


'4 


LA    M    [TURA 


La  bai  izii  sa  e  ra 

pida:    il  rumore  « K-i  molini  giungeva  affievolito,  la 

elio,  che  pareva  camminasse  sull'ori* 

allontanava  sempre  più,  e  la  riva  opposta 

i  sua  muraglia  di  I  nissima. 

va  nettamente  1<>  stradale  che  tagliai 

•  •  nel  mezzo,  con  uno  sfondo  azzurro   lontanis 

Ad  \r  Manina  ridivi  nne  cupa  e  inquieta. 

(  "hi< 

Do>      il   WKfctQ   tronco?  Torniamo  subito  in- 

irili. 
(  'hi  ti  aspettili? 

Ah,  è  vero,  non  nu  aspetta  nessuno:  anzi,  se 
inni  tornassi  farei  loro  piacere. 

\"n   parlare  così,   harbutin:  tu   sei   ingiusta. 
I      vero,   SÌ,    ^'itih  anche   ingiusta     Essi,    dopo 
mi  danno  da  mangia/e.  Ah,  cosa  faci-in  io  nel 
mondo,    Bastianin,  cosa   faccio   io  nel  mondo?  ■ — 
con  disperazione. 
E  al  tuo  bambino;,  non  ci  |  ensi  ? 
Ella  guardò  il  bambino^che  cercava  strapparle  un 
bottoncino  della  giacca,  coi  piccoli  ditini  rosei  ìrre 
quieti;  e  cominciò  a  baciarlo  ed  a  piangere. 

Tu  sarai  sventurato,  gli  diceva.  — Tu  hai 
avuto  il  cattiva  augurio,  nessuno  ti  ama.  neppurq 
il  nonno  ti  ama.  Che  farai  tu  nel  mondo?  Che  fa- 
rai tu  ? 

Ma   Vdamo,  intento  nella  sua  lotta  col  bottoncino, 
:nm  badò  alle  tristi  domande,  e  solo  quando  s'ai 
orse  che  il  bottoncino  era  più  torte  ili  lui  e  non  si 
lasciava  strappare,  cominciò  a  strillare,  rosso  in  viso 
e  con  la  fronte  terribilmente  aggrottata. 

Ebbene,  che  abbiamo  ?  gli  chiese  Manina. 
sollevandolo  in  alto. 

cosse  le  rosee  zampette  e  subito  dimenticò 
suo  grave  dispiacere.  Intanto  la  barca  s'andava  av- 
ido a  riva  attraverso  l'acqua  verde  marezzata 
s'udiva  il  picchiar  delle  accette  nel  bosco, 

•■  lun  ronde  ili  pioppi   fuggiva :on  l'acqua. 

Spirava   dal    sud   un   tiepido   venticello,    e   lungo   la 
riva  i  ces]  ugli  -  inchinavano  e  tremolavano  e  pareva 
■  he  dicessero  in  fretta  in  fretta  qualche  cosa  all'ac- 
qua con  e  1  acqua  corrente  pareva  sorridesse  ai 
isse l 'l'ir,  in  i retta  in  I una.  senza 
essi  dicevano. 
i  lambierà  il  tempi ..        disse  il  vecchio. 
L'n  n  irve  sulla  riva. 

(  )h       I  coni ii  lo  stavo 

appunto  per  grillare. 

Più  ili  cosi  ?        disse  il  vecchio. 
Mariina   riconobbe  il  rasghin  e  lo  guardò  senza 
irlo. 

va  attraversare  il   fiume,   ma  prima  in 
ir]  appn  dare  e  scendere, 
iffatti  se  la  vedova- 

vi ina  e  sa. 

Ma  guarda  '  ami  ■.  i  lattendo  le  mani, 

he  non    i  I      un   momento:    vi 

i  re  una    ■  i 

ami i  i  er  Diol         propi se  il  vecchio, 


vuol  dire  che  il  tronco  lo  prenderò  stanotte:  c'è 

la   luna. 

Allora  scesero,  e  mentre  Bastianin  legava  la  bai 
ca,  il  rasghin  prese  nelle  sue  lunghe  braccia  il  pii 
colo  Vdamo  che  gli  sorrideva,  e  si  mise  a  cunei- 
travet  0  i  CI    migli.  La  riva  era  ingombra  'li   rami  e 
tronchi  tagliati  .  attraverso  i  fusti  bianchi  dei  pioppi 
si    scorgeva   una.  capanna  ili   lav  ole  cosi  runa  dai   r,i- 
Sghin,   e   Pietro  correva    verso  quel    punto.    Mariina 
gli  andò  dietro.  Il  bosco  taceva  sugli  stonili  chiari 
ilei  ciclo:    il  venticello  fremeva  appena  sulle  cime 
ilei  pioppi  ancora  rosee  per  il  riflesso  del  tramonto, 
Ah.   quei    lunghi    pioppi,    sottili   e    rigidi,  col    disio 
nell'ombra  e  le  enne  rosse  ih    luce,    parevano  un  pò 

polo  ili  persone  magre  e  malinconiche  »n  la 

niente  irradiata  da  luminose  speranze. 

Mariina  era  ignorante  e  non  sentiva  la  natura,  ma 

' he.  per   la  seconda  volta   in   quella  sera,  come 

sulla  distisa  serena  ilei  gran  fiume  di  sangue  e  ili 
lane,   aveva   provato  un   senso  ili  pace,   sotto  il   DOSCO 

dalle  cime  rosee  provò  un  impelo  ili  speranza  nel 
seguire  il  buon  rasghin  che  correva  e  rideva  col  bim- 
bo fra  le  braccia. 

Egli  si  fermò  davanti  alla  capanna:  questa  era 
chiusa,  ma  al  di  fuori  c'era  una  tavola,  ancora  rozza 
mente  apparecchiata  con  boccali,  piatii  e  scodelle 
di  creta.  Per  tetra  Stava  un  mucchio  di  cenere  da 
una  '-ni  fenditura  usciva  un  filo  di  fumo.  Sullo 
sfondo  dei  pioppi,  quella  capanna,  quei  boccali  di 
creta,  quel  lineo  coperto,  parevano  i  segni  di  una 
abitazione  preistorica:  nel  bosco  ronzavano  nugoli 
di  insetti  trasparenti,  e  si  scorgevano  dei  fiori  gialli, 
dei  lunghi  pennacchi  rossastri,  delle  toglie  vini 
tra  la  vegeta/ione  lolla   ed  umida  che  appassiva, 

Pietro,  sempre  col  bimbo  fra  le  braccia,  si  curvò 
e  prese  un  piccolo  cestino  nascosto  sotto  un  tronco: 
poi  si  volse  verso  la  vedova  con  aria  trionfante  eie 
fece  vedere  il  cestino:  ella  guardò  dentro  e  vide 
delle  grosse  castagne  color  d'oro  bruciato. 

Era  questo?       chiese,  guardando  il  rasghin. 

Kgli  arrossi   come   un  bambino;    poi  si   mise   a   ti 
dere.   e  propose  di   scoprire  il    fumo  e  di  arrostire  le 

castag 

\o.        ella  disse         E'  tardi. 
Ma   subito  pensò   che  a  casa  sua.   osse  ella   tor- 
nata presto  o   tardi,   non   s'inquietavano  inulto,    e  ri- 
diventò cupa. 

-  Vieni.  disse  al  bimbo,  battendo   lievemente 

le  mani  per  richiamarlo;  ma  Adamo  intento  ad 

b  rrare  il    cestino,   mise  un   pi ilo  grido   e    volse   la 

faccia  sulle  spalle  del  rasghin,  rifiutando  di  andare 
con   sua   madre. 

Vedete?  Egli  vuoi  restare  con  me.        disse  il 
jiov  me.  mito  lieti  '. 

Intanto  giunse  il  barcaiuolo,  e  tu  del  parere  di 
Pietro,  oii  j  di  lesi  ne  e  .fi  arri  si  ire  le  castaj 


Al    ritorno,   mentre  la   barca    attraversava   un   po' 
ina    il    limile  tao,, si   violaceo  nella  tranquilla 

Ine  della  sera,   il  rasghin    ricordo   la   notte  in   cui  a 
n  I  Ito    Mai  mia    seduia    sulla    riva. 


IL  BATTESIMI  i   l>  \li\\l<  > 


3i5 


—  Perchè  mi  avete  maltrattato?  —  domandò.  — 
The  avevate  con  me? 

Allora  la  vedova,  che  non  si  confidava  con  nes- 
suno  all'infuori  del  vecchio  Bastianin,  cominciò  a 
lamentarsi  dell'indifferenza  e  del  disamore  ilei  suoi 
parenti. 

—  Francesco  non  è  morto  che  da  sei  mesi,  ed  essi 
fanno  festa  e  si  ubbriacano  e  si  divertono  come  so 
mio  marito  fosse  stato  un  cane.  Ah.  ciò  è  veramente 
schifoso:  essi  sono  senza  cuore,  essi  fanno  conto  di 
me  e  della  mia  creatura  come  di  due  cose  inutili  che 
si  tengono  cosi  perchè  sarebbe  vergogna  1  untarle. 
via... 

—  Non  sarà  cosi  !  Vi  parrà  così,  ma  non  è  !  - 
la  confortò  il  ras  ginn,  che  aveva  ascoltato  intensa- 
mente, tutto  serio  e  pensieroso. 

—  Così  non  fosse  !  —  ella  rispose  sospirando. 
Poi  tacquero-   Adamo  morsicchiava  il  mento  della 

madre,  sollevandosi  di  tratto  in  tratto  per  guardare 
incantato  il  giuoco  dei  remi.  La  sera  cadeva,  tran- 
quilla e  tiepida:  la  brezza  era  cessata  :  ad  ovest  il 
cielo  ed  il  fiume  splendevano  d'un  chiarore  violetto: 
sull'argine  si  scorgeva  come  campeggiata  sul  cielo 
jualche  figura  di  viandante. 

-  Mariina.  —  disse  la  voce  ròca  del  vecchio.  — 
e  se  vi  capitasse  l'occasione  di  rimaritarvi? 

La  vedova  alzò  le  spalle  e  non  rispose.  S'udì  una 
risatina  piana  piana,  come  d'uno  che  ride  fra  sé 
e  se. 

—  Ecco,  —  disse  il  vecchio,  che  aveva  riso.  — 
Petrin   cerca  moglie. 

Il  giovine  arrossi  ancora,  e  battè  le  mani  stizzito: 
ciò  nonostante  Mariina  ebbe  un'idea,  e  cioè  che   i 


due  uomini  fossero  d'intesa  fra  loro,  e  avessero  pre- 
cedentemente combinate  le  cose  accadute  quella  sera. 

-  Ha  incaricato  voi  di  cercargliela?  —  doman- 
dò con  ironia. 

—  E   potrebbe  darsi. 

—  Ed  a  me  cosa  me  ne  importa? 

-  Potrebbe  importarvene  benissimo,  —  proruppe 
Pietro  con  ardore.  -  Perchè  son  povero?  Son  gio- 
vine,  però,  e  sono  sano,  io. 

Mariina  si  offese,  credendo  che  egli  le  rinfacciasse 
ii  suo  matrimonio;  ma  rapidamente  l'assalì  il  ri- 
cordo di  tutti  i  dolori  che  il  suo  errore  le  aveva  ap- 
portato, e  scoppiò  a  piangere. 

-  Mariina  ;  —  gridò  il  giovine,  curvandosi  a 
guardarla.  --  Che  avete?  Vi  ho  offesa?  Tacete, 
Mariina.  tacete.  Mi   fate  morire.  Mariina. 

Ed  ecco  che  quasi  si  metteva  a  piangere  an- 
ch'egli.  Però  il  vecchio  Bastianin  sorrideva:  un  uo- 
mo guardava  da  un  barcone  caricò  di  botti  che  scen- 
deva il  fiume,  e  Pietro  dominò  la  sua  commozione. 
So],,  ripeteva: 

-  Tacete.  Mariina.  tacete:  io  non  vi  ho  voluto 
offendere:  io  vi  voleva  confortare  ed  invece!  Ma 
guarita  ! 

Ella  si  calmò:  la  vive  commossa  del  giovine  le 
■  ava  il  cuore,  apriva  alquanto  la  fosca  nebbia 
che  circondava  continuamente  i  suoi  pensieri.  Ah. 
dunque  c'era  qualcuno  al  mondo  che  le  voleva  an- 
cora bene?'  Sì?  Non  parlò  più  finche  la  barca  ap- 
prodò, ma  l'ietro.  che  la  guardava  di  tanto  in  tanto 
con  un  timido  sguardo,  la  vide  rasserenarsi  e  quasi 
allietarsi  in   viso. 


(Continua). 


Grazia  Deledda. 


.3. 


^¥ 


%*r* 


;£& 


V 


*toè^***è&$?*H^iftkà 


VILLA   BORGHESE 


che    evoca    una    visione    magnifica 
.li  verde,  di  prati  soleggiati  e  'li  ombre 
profonde,  'li  viali  opachi  e  di  pinete  odo- 
frescura  discreta  e  silenziosa.    Il  rumore 
scalpiccio  della  folla,  1"  strepito  dei 
ili,  delle  carrozze,  dei  tranways  e  degli  altri  mo- 
dernissimi congegni  rintronanti  sul  duro  basalto  re- 
ticolato, sembrano  rimanere  circoscritti,  come  da  un 
isolatore,  dalla  cinta  aureliana  e  dalla  cupa  e  tor- 
tuosa via  delle  Mura.  Appena  varcata  Porta  del  Po- 
polo, l'antica  Torta  Flaminia [trapassato  il  gran- 
dioso cancello,    sorretto  dai  due  eleganti  propilei 
rdine  ionico,  recanti  l'iscrizione: 

CA  1///./.1.S'.  BVRC.HI-SIVS.  PRINCEPS,  VII 
!  I  !/.  .sr.ll/.  SVBVRBANAM.  IN.  AMPLIO 
REM.  FORMAM.  ORXAi 'IORF.MQYE.  A" 
DEGIT. 

passi  .li   uomini  e  ''avalli  s'ammorza  nel- 
l'ampio i  igresso,  che  ascende  lento  fra  bo- 

olmi  e  'li  querce,  seguendo  la  cun 
muraglione  coronato  dai  ciuffi  verdi  del  vi- 
cino mondano  Pincio.  Più  innanzi  la  veduta  si  al- 
larga e  si  rischiara,  e  l'occhio  intuisce  la  vastità  del 

le  misura  quasi  sci  chilometri  ili   giro.  Alla 

".  valla   un'ampia  conca   erb  sa  . 
mm  erri      più  su  il  giar- 

dino del  :  i  viali  e  altri  i 

ciano,  divergono  e  convergono,  s'allontanano  e 
centrano,  salgono  e  scendon  do  capo  ora  a 

un  tempietto,  ora  l  un  rudero 

laute  l'ani 

la  verde  epidermide  del 


co,  lo  dividono  in  vaste  zone,  ben  distinte  |xt  la  loro 
caratteristica  fisionomia.  Qui  è  un  immenso  pascolo 
ondulato  e  luminoso,  dove  le  pacifiche  annente  bru- 
cano in  silenzio  l'erba,  diffondendo   l'aroma    della 
mentuccia  calpestata  :    là  è  un  fitto  bosco  di  lerci 
secolari    dai  rami  contorti  in  mostruosi  abbraccia- 
menti ;  altrove  è  il  quadrivio  colla  fontana  dei  quat- 
tro cavalli    marini,   emergenti   dal    largo    bacini 
fior  di  terra,  quasi   inebriati  dall'impeto  dei  qua 
possenti  zampilli   pai    I         .  lucidi  come  vetro,  che, 
rinnovando  il  mito  di  Ippocrene,  scaturiscono  sotto 
la  lom  zampa  nervosa.  Una  selva  di  pini  ombrelli 
tiri  dai  fusti  erti  e  rossigni  protegge  all'ingiro   la 
classica  piazza  di  Siena,  clinico  si. elio  verdeggi 
destinalo  a  corse  e  torneamenti.  Nella  parte  più  re- 
ni ci.  i piasi  dissimulato  dietro  le  folte  siepi  di  b 
s'apre    un    breve   recinto   circolare   dai    sedili    di 

a  pietra  corrosa,  care  alle  anime  solitari.. 
leggitore    concentrato,  alla    pittrice  silenziosa,  al 
prete  meditabondo,  bua  vasca  rotonda,  nel  mi 

irsa  vena  stillante  dal  ciuffo  di  capti- 
le, che  ha  invaso  la  sgretolata  fontana  II  si- 
lenzio ilei  luogo  sembra  acquistare  intensità  dal  rado 
ìolìo  dell'acqua,  dal  guizzo  improvviso  di  un 
ranocchio,  dal  cader  di  una  foglia  sullo  specchio 
limacciosi  e  vi  rdastro  Pare  il  fruscio  leggero  d 
Ninfa  spaurita  che  si  ritutìì  nel  suo  umido  asili 
da  pei  tutto  la  gloria  verde  degli  antichi  alberi  au- 

-t,r  i    delle  ville   romane,   dal    grave    le  0  al- 

l'olino .snello  :  i,   dalla  quercia   poderosa  al 

.  chiomato,  dalla  pieghevole  fronzuta  acacia  al- 
l'abete rigido  dai  rami  d<  solati. 

In  mezzo  a  qui  gnificenza  di  \ 

/ione,  nei  giorni  e  nelli  ui  la  Villa     api  rta 


VILLA    BORGHESI. 


3i7 


Mfl£>cPft  ■"  •         .  -•■•>■'•        •;      -..-j 


Ingresso  principale  di  villa  Borghese  —  Roma. 


al  pubblico  (per  antica  liberalità  dei  principi,  tra- 
mutata oggi  in  pubblica  servitù),  si  riversa  e  circola 
la  folla  variopinta.  Xei  viali  è  un  lento  intermina- 
bile serpeggiamento  di  superbi  equipaggi  e  di  mo- 
deste carrozzelle.  Le  praterie  si  popolano  di  piccole 
comitive  disseminate  qua  e  là  sul  tappeto  erboso, 
di  bimbi  che  si  rincorrono  mettendo  stridi  di  rondini 
allegre,  di  seminaristi  nei  loro  tradizionali  costumi 
neri,  azzurri,  scarlatti  e  violacei  che  lanciano  il  foot- 
ball, con  un  chiasso  più  consentaneo  alla  loro  età 
che  alla  loro  veste  ;  mentre  gli  studiosi,  i  contem- 
plativi, i  solitari,  i  misantropi  si  rifugiano  nelle 
parti  meno  frequentate,  dove  appena  di  tratto  in 
tratto  passa  una  tacita  coppia  di  innamorati,  o  un 
gruppo  di  amici  accaloratisi  nella  discussione. 

Quando  la  Villa  è  chiusa  al  gran  pubblico,  vi  si 
può  accedere  mediante  il  pagamento  di  una  piccola 
tassa.  Allora  i  romiti  passeggiatori,  i  nemici  della 
folla  e  de'  suoi  strepiti,  diventano  i  padroni  dell'im- 
menso parco  deserto,  che  sembra  allietarsi  dell'im- 
provviso ritorno  alla  sua  aristocratica  solitudine- 
Allora  lo  spirito  indisturbato  dell'  uomo  consciente 
si  accorda  e  comunica  coli'  intimo  spirito  delle 
cose;  a  lui  si  rivela  tutta  la  profonda  bellezza  ili 
ciò  che  la  natura,  l'arte,  il  genio  e  la  magnificenza 
degli  antichi  hanno  composto  in  un  tutto  mirabil- 
mente armonico  ;  per  lui  hanno  una  voce  le  fontane 
grondanti,   hanno   un'espressione    gli   abeti    dolenti. 


hanno  un  significato  le  mutevoli  visioni  di  luce  e  di 
ombre,  i  bagliori  di  pulviscolo  d'oro  foranti  il  fo- 
gliame bruno,  l'immobile  trasparenza  dell'azzurro, 
solcato  da  rapidi  voli  di  cornacchie  che  passano  a 
stormi 

continui,   densi,  neri,  crocidanti. 


Questa  la  villa  che  il  cardinale  Scipione  Borghese 
(nipote  di  quel  pontefice  Paolo  V.  che  stampò  il  no- 
me del  suo  superbo  casato  sulla  fronte  della  Basi- 
lica Vaticana)  ideò,  commettendone  i  disegni  al  fiam- 
mingo Giovanni  Vansanzio.  Un  altro  Borghese,  il 
principe  Marc' Antonio,  la  ampliò  più  tardi  sotto  la 
flirezione  dell'architetto  Aspnicci.  Nuovi  abbelli- 
menti ebbe  al  principio  del  secolo  XIX.  dal  sapiente 
e  fantasioso  Canina,  per  ordine  di  quel  D.  Camillo 
marito  della  bellissima  Paolina  Bonaparte,  chevolle 
eternate  le  sue  forme  perfette  nel  marmo  del  divini 
Canova.  Al  Vansanzio  è-  dovuto  pure  il  disegno  del 
palazzo  destinato  al  Museo,  e  che  ora  accoglie  an- 
che la  celebre  Pinacoteca. 

Villa  Ilnrghese  ebbe  a  soffrire  grandi  danni  dagli 
avvenimenti  tumultuosi  del  1849  ;  molti  alberi  fu- 
rono abbattuti,  boschetti  e  viali  subirono  tali  guasti 
da  restarne  deturpata  la  primitiva  bellezza.  Se  non 


3i« 


LA    LETTURA 


che  i  littore  ini  ni  l 

iche  ripai  nne  delle  sue  s  essi    Fi 

\  iolerua  non  sopra]  i  i  ìa]  rirle. 

Viali  e  boschetti  si  erano,  in  < |in.->t i  ultimi  i  inquan- 
i  .inni,   rinnovellati  'li  novella   fronda;    ma  già    le 
linanti   del  patriziato  e   la  tendenza  ti 
.  ma  'li  u.irrr  utile  anche  da  ciò  che  esiste  sol 

tanto  per  ragion  .li  bellezza,  preparavano  loro  

■   i  uine.  Si  i linciò  ad  abbattere  tron 

chi,  ad  affittare  appezzamenti,  a  concedere  il  parco 

banali  ti'  i  i  umi  irosi  d'i  igni  spe 

ni   ii:  ise,  baracche,  casi  itti,  1 esi  he  'li  I»- 

I    '  ome  dalla  Pinacoteca  pn  se  la  fuga  il 

Cesare  Borgia  ■■  per  cui  si  menò,  ahimè 

indarno,  tanto  scal] -.  e  che  fu  il  mal  seme  di  altri 

successivi  trafugamenti,  cosi   dalla  Villa  venni 
tritamente  asportata  l'an  «  rba  balaustrata  di 

dalle  aquile  coronate,  dai  grifi  rampanti, 
dai  mascheroni  soffianti  l'acqua  nelle  trigemine  con- 
e  sostituita  pezzo  per  pezzo  da  una  copia  ba 
nuova. 
Giunse  quindi  provvida   la  legge  votata  dai   due 
rami  del    Parlamento  per   l'acquisto  di   Villa  Bor 
•   da  parte  dello  Stai",  il  quale,  con  atto  vera- 
mente magnifico,  ne  fece  dono  al  Comune  ili  Ruma. 
perdi  'I  pubblico  e  col  legata  ai  giardini 

del  Pincio.  Lo  Stato  conserverà  nel  palazzo,  ove 
hanno  sede,  il  Museo  e  la  Galleria,  il  cui  acquisto 
in  sancito  con  altra  legge  approvata  I"  stesso  g  i 


no,  giorno  invero  memorabile  e  da  ni  tare  con  albo 

lapillo   negli   annali    pai  I  amen  tari. 

I  i.i   i.i  congerie  innumerevole  ili  leggi  che  si  ri 
versano  sulle  trepidanti  popolazioni  e  finiscono 
pure  '"iitrn  la  buona   intenzione  dei  legislatori 
preparare  nuovi  tormi  nti  ai  tormentati,  o  mu  al  più 
ai  I  inaspi  ire  contri  ivi  i       li  ca 

zioni  giuridiche,  è  ben  rat"  il  caso  che  si  giun 
disi  ii1'  re  e  ad  appr  w ari     |u  ili  he  | >i> >\  vedimento  li 
gislativo  a  Favore  ili  quell'elemento  ideale  della  vita 

iale,  che  è  così   sapientemente  compendiato 
detto:    Voti  •!<'  solo  pane  vivit  homo,   E  mentre  la 
dottrina  socialista  intende,  e  non  senza  raj 
o  nseguire  una  più  equa  distribuzione  dei  beni  ma- 
teriali, ma  a  torto  condanna  come  spese  volutti 
quelle  che  si  riferiscono  al  pascolo  dell'intelletto  (il 
n  ferendum  pei   la  .v  ala  ne  è  un  esempi  >),  lo  S 
italiano  ha  saputo  attuare  un  ben  inteso  socialismo 
intellettuale,  assicurando  in  poco  tempo  al  dominio 
del   pubblico  due  collezioni  artistiche  <li  inestii 
bile   valore,  il    Museo   Boncompagni-Ludovisi  e  il 
Museo  e   la  Galleria   Borghese,   l'i  questo   fatto  - 
rallegra  il  pensatore,  che,  senza  preconcetti,  considera 
l'importanza  di  tutti  i  problemi  sociali  e  mette  i  |uelli  i 

dell'istruzione  e  dell'educazione  a  paro,  n 

mente  al  'li  sotto,  di  quello  del  pam-  L'arte  è  ari- 
stocratica, lu  detto;  ma  questo  non  significa  che 
essa  sia  i>i  soli  ricchi,  e  l'ammettere  liberalmente 
.1  goderne  tutti  coloro  che  si  sentono  attratti  vi 


U    I>l    PIAZZA    M    PlKNA,    VII  1    v    BORGHESI 


Roma. 


VILLA    HoKi.lll  SE 


3io 


Galleria  coperta,  villa  Borghese  —  Roma. 


il  bello,  è  opera  altamente  civile.  Presso  le  nazioni 
maggiormente  progredite  le  gallerie  e  i  musei  dello 
Stato  sono  aperti  gratuitamente  al  pubblico  ;  op- 
pure, come  a  Londra,  le  giornate  a  pagamento  sono 
un'eccezione,  quasi  un  favore  accordato  agli  stu- 
rile desiderano  attendere  alle  loro  ricerche 
senza  essere  disturbati  dalla  folla  dei  visitatori. 

E  se,  col  tempo,  potrà  avere  attuazione  il  gran- 
50  disegno  espresso  nell'ordine  del  giorno  vo- 
tato dal  Sinato.  di  concentrare  a  Villa  Borghese 
tutte  le  raccolte  artistiche  di  Roma  appartenenti 
allo  Stato,  sarà  sommo  diletto  per  lo  studente  e  per 
1  artista,  come  per  l'o]  eraio  intelligente  e  in  generale 
per  tutti  roli.ro  i-he  dopo  le  fatiche  del  lavoro  quoti- 
diano pn  -  un  sollievo  spirituale  all'ozio  e 
ai  volgari  passatempi,  trovare  riuniti  in  lu 
rideti  i  capolavori  dell'arte  antica,  del 
Rin.i-  -■  dei  tempi  moderni.  1  loro  occhi,  de- 
sideri si  di  obliarsi  nella  pura  contemplazione  este- 
tica, troveranno  ampia  materia  di  soddisfazione, 
dalla  rigida  arte  arcaica  alla  perfezione  ellenistica, 
dalla  decorazione  murale  romana  alle  mistiche 
concezioni  del  quattrocento,  alle  tele  smaglianti 
del  cinquecento,  al  tormentato  tecnicismo  della  pit- 
tura modernissima. 

Non  è  qui  il  rasi,  di  sollevare  dubbi  o  di  i 
nare    le  prevedibili    difficoltà    che  possono  opporsi 
alla  pratica  esecuzione  di  questi  voti.  E'  bello,  per 


ora.  compiacersi  del  soffio  di  idealità  che  ha  scosso 
per  un  momento  la  fredda  e  greve  atmosfera  delle 
nostre  aule  legislative- 


Si  è  pure  affermato  che.  a  compiere  la  glorifica- 
zione della  storica  Villa  e  ad  improntare  di  nuova 
italianità  questa  Roma  cosi  ricca  di  memorie  delle 
civiltà  passate,  il  giovine  Re.  con  augusto  pensie- 
ro e  con  pietà  filiale,  intenda  erigere  il  monumi 
al  suo  compianto  Genitore  in  questi  giardini  che 
Egli  in  vita  predilesse,  e  dove  tutti  ricordiamo  di 
aver  corrisposto  al  suo  affabile  saluto,  mentre  per 
correva  i  viali  guidando  il  suo  phaéton. 

Per   questo  è  sorto  in    molti    il  pensiero  di 
care  l'antica  Villa  Borghese  al  nome  di  Umberto  I. 

Xoi.  che  professiamo  un  verace  culto  alla  memo- 
ria del  Re  buono,  sentiamo  •  però  nel  tempo  stesso  an- 
che un   profondo  attaccamento  al   rispetto  di  quei 
nomi  che  costituiscono,  in  fondi.,  la  peculiare  ca 
terìstica  di  un  dato  luogo,  di  una  data  città,  rispetto 
a  tutte  le  altre,  per  gli  avvenimenti  che  \i  sur,. 
cero,  per  le  famiglie  che  vi  fiorirono,  per  gli  uon 
che  vi  si   illustrarono.   Ogni  grande  città,   ogni    pii 
colo  borgo  ha  dero  orinazioni  sue  proprie,  molte  i  li 
quali  gloriose  e  della  cui  conservazione  ogni  citta- 
dino è  a  buon  dritto  geloso,  come  di  quella  dei  m 


LA    LETTI  RA 


numi  I        ramente  di 

ii  \. ..  spirito  dei  tempi  pres 

t  rammento  antio 

•  archeologico,   il  mal  vezzo 
imi  ili  mutare  alle  \  ie  e  alle  piazze  i  nomi  fami 
.il  popolo  per  amica  consuetudine,  per  sosti- 
tuirli con  altri,  non  particolari  al  luogo,  ma  comuni 
isochi    tutte  le  città  d'Italia.  A  nuove 
località  nuovi  ninni,  sta  bene,   Ma  lo  spirito  nova- 

■  per   fervoros naggio  alla   storia  !■"«■ 

poco  rispettoso  dell'antica,   imprime 
alle  città   una  uniformità  deplorabile,   cancellando 
r>  co  la  li  irò  tipica  fisionomia. 


A  noi  dunque  sembra  buono  e  giusto  che  colora 
i  quali,  nei  venturi  tempi,  verranno  a  riposan 
l'ombra  degli  elei  secolari,  a   rallegrarsi  nel  verde 
dei  prati,  a  ricreare  l'animo  in  questo  lembo  di  na- 
nna esuberante  e  solenne,  ideato  e  largito  a  di  li 
zione  estetica  dalla  munificenza   degli    antichi,    ne 
ricordino  anche  le  origini  e  la  storia,  che  da  tre 
coli,  a  traverso  le  vicende  >li  età  e  di  uomini,  si  • 
pendiano  nel  nome  di  Villa  Borghese. 

Roma,  febbraio   igo2. 


A.  Salvagndjl 


Dettaglio  balaustrata,  villa  Borghbsb  -    Roma. 


L'uso  della  camicia  nei  secoli  XIV  e  XV 

a  proposito   d'una   similitudine   dantesca 


a  similitudine  occorre  in  sul  principio  del 
canto  XXIII  dell' Inferno.  Dante  e  Vir- 
i^&j  gilio,  fuggendo  la  «  fiera  compagnia  »  dei 
diavoli  di  Malebolge,  vanno  «  taciti,  soli,  l'un  di- 
nanzi e  l'altro  dopo  »,  su  per  la  rupe  che  separa 
la  quinta  dalla  sesta  fossa.  Paventano  d'essere  in- 
seguiti; Dante  specialmente. 

Gii  mi  sentia  tutti  arricciar  li  peli 
Della  paura,  e  stava  indietro  intento, 
Quando  io  dissi:  <c  Maestro,  se  non  celi 

Te  e  me  tostamente,  i'  ho  pavento 

Di   Malebranche.   Noi  gli  avem  già  dietro: 
Io  ^l'immagino  sì  che  già  gli  sento.   » 

Virgilio  argomenta  che  sia  poco  lontana  la  di- 
scesa : 

S'egli  è  che  si  la  destra  costa  giaccia 
Che  noi  possiam  nell'altra  bolgia  scendere, 
Noi  fuggirem  l'immaginata  ciccia. 

Ma  ei  non  finì  neanche  d'esporre  questo  suo 
disegno,  che  già  quei  maledetti  apparvero  con 
l'ali  tese  correndo  verso  di  loro.  Venivano  a  volo 
spiegato  per  volerli  prendere;  ma  Virgilio  fu  più 
svelto,  e  prese  lui,  Dante,  com'una  madre  prende 

La  Lettura. 


il  figlioletto  per   iscamparlo  da   un    incendio  not- 
turno. 

Lo  duca  min  di  subito  mi  prese 

l'ornc  la  madre  che  al  romore  è  desta 
E  vedi-  presso  a  sé  le  fiamme  accese, 

Che  prende  il  figlio  e  fugge  e  non  s'arresta. 
Avendo  più  di  lui  che  di  sé  cura, 
Tanto  vìi?  solo  una  camicia  vesta. 

E  giù  dal  colle  della  ripa  dura 

Supin  si  diede  alla  pendente  roccia 
(Mie  l'un  dei  lati  all'altra  bolgia  tura. 

Un  quadretto,  codesto  della  madre  fuggente,  con 
in  collo  il  bambino,  dei  più  efficaci  ed  affettuosi  che 
l'arte  dantesca,  cosi  sobria  nei  tratti  ma  così  mossa 
e  drammatica,  abbia  saputo  sbozzare.  Quella  fuga 
di  versi  che  pare  si  diano  la  caccia  :  e  vede  e  fugge 
e  non  s'arresta;  la  simultaneità  delle  impressioni 
paurose  della  madre  e  la  subitaneità  della  sua  ri- 
soluzione; la  determinazione  e  la  rispondenza,  la 
madre,  il  figlio  ■  esprimono  e  ritraggono  mirabil- 
mente quell'affetto  che  non  ha  rivali  come  non 
conosce  confini. 

A  uno  studioso  americano,  al  Norton,  questa 
similitudine  già  richiamò  a  mente  uno  di  quei  gra- 
ziosi aneddoti  che   fra   Sai  imbene    trovò  modo  di 

21 


322  •  LA    LI    III  UÀ 

innestare  alla  sua  Cronica.  Mia  madre,  questi 
conta,  era  solita  i  che,  quando  avvenne  il 

Natale  1222,  essa,  temendo 
1  he  il  Battistero  'li  l'arma  non  le  cadesse  addosso, 
giacché  la  nostra  casa  era  li  accanto,  prese  le  mie 
,llu-  orelle,  una  sott' ogni  ascella,  e  scappò 

a  casa  del  padre  suo.  Me  invece  Lisciò  nella  culla! 
E  questa  <•  la  ragione  —  conclude   poco  cavalle- 

lislianamente  il  frate  cronista 

,    poi  i"  non    le    no    mai    voluto  un  gran 
bene:      et  ex  hoc  non   ita  chare  diligebam  eam, 
aia  plus  debebat  curare  de  me  masculo  quam 
e  de  filiabus!  » 


Sennonché  l'ultimo  verso  della  similitudine  dan- 

lò  avere  —  ed  ha,   manco    a   dirlo,  avuto 

di  fatto  —  due    diverse    spiegazioni.   O    s'intende 

che  la  madre,  spaventata  dal  pericolo    imminente 

sul  figliuolo,  non  s'  arresta  neppure  a  infilare  una 

gonna,  e  fugge  cosi  come  si  trova  a  letto,  in  sola 

ovvero  che  essa  non  s'  arresta  nemmeno 

quel  tanto  che  occorra    a    indossar  la  camicia.  E 

questa  seconda  interpretazione,    che   a    un  lettore 

moderno  sembrerebbe    la    meno    corretta    nei    ri- 

1  li    della    decenza,    è    invece    la  più    corretta 

quanto  alla  sintassi,  e,  quel   eh' è    meglio,  la  più 

i  onforme  ai  costumi  del  tempo. 

l'n  nostro  giovane  erudito,  morto  che  non  è 
molto  nel  fiore  degli  anni,  il  Merkel,  ebbe  anche 
ntar  la  storia  dell'uso  della  camicia,  nel  suo 
curioso  ed  accurato  opuscolo  Come  vestivano  gli 
nomini  del  Decamerone.  Ma  le  sue  conclusioni  sono 
r  forse  troppo  1  ttimiste.  Più  inventari  o  ca- 
pitoli nuziali  frughiamo  dei  secoli  XIV  e  XV,  e 
più  abbia m  da  meravigliarci  del  numero  esiguo,  e 
qualche  volta  dell'assenza  addirittura,  di  quel  pri- 
mo in  lumen  o.  E  insomma  il  raccapricciante  dub- 
bio ingigantisce:  le  nostre  nonne  —  che  Dio  le 
abbia  in  gloria,  comunque!  —  indossavano  o  no 
quel  rudimentale  involucro  ?  o  lo  riserbavano  sol- 
tanto per  quelle  grandi  circostanze,  per  le  quali 
ora  esso....  è  ridotto  alle  minime  proporzioni?  (1) 


i  >  un  oggetto    piuttosto  di  lusso,  par- 
rebbe  da  parecchi  indizi.  Ancora  nel  [527,  quando 

Pus  1    n'era   divenuto    più    comune,    a   Firenze  (lo 


(i     Occorre  pure  menzionare  qualcuna  delle  fonti  a  cui 
ho  attinto  notizie  e  informazioni.  Del  Mbrkel    1i<>  avuto 
a  :  del  Quattrocento  Ulu- 

Roma   is<,  !;    -Il  castello   ili   (Unni    nella 

ntario   ululiti'  del   1557,  Roma 

/  beni  della  l'in,  P       ,   invenia 

XV   illustrato,  •  (  'onU 

■li  uomini  del  Decameron,  Roma  1898.  —  Di 

tutti  r..i|rsti  opu  una  dotta  recensione,    miri/ 

Italiano    i8q  il  dott.  Ci  k/io 

M  »zzi.   Del  quale  li"  1  onsultato  con  profitto  ani  he  1 
n<  grafia  sulla  (  ii\u  iti  maestro    Bartolo   di    Tura,  Siena 
.//  H.iDii    Veneziana  del  tee.  XI  I. 
pubblii  ito  da  Nino    i  Padova  1 


noia  il  Varchi,  Storia  fiorentina,  IX,  171  si  usa- 
vano in'  respate  da  capo  e  dalle  maniche  »,  e  si 
mutavan  la  domenica  insieme  con  tutti  gli  altri 
panni.  [mini-spade  »  s'usarono ,  per  tutto  il  se- 
colo XV,  anche  a  Venezia.  Anzi,  nel  corredo 
della  dama  veneziana  Lunetta  '  rradenigo, del  1 537, 
è  notata  una  1  camixa  d'oro»,  per  due  perle  della 
quale  erano  stati  spesi  undici  ducati  e  grana  un- 
dici,  e  una  ■  1  ainixa  d'oro  et  seda  crenu  n 
stimala  quindici  ducati.  Il  Tamassia  avverte  che 
queste  1  .unii  ie  erano  pel  dì  delle  nozze  e  che  «una 
delle  tante  leggi  veneziane  ne  vietava  espressa- 
mente l'uso  .  Nella  commedia  L'anello,  Pietro 
Fortini  fa  cenno  di  una  «  bella  camicia  lavorata 
con  oro,  di  quelle  che  fecero  per  mandare  a  Roma 
all'abate  »,  la  quale  si  sarebbe  inviata  in  dono  a 
un  uomo. 

Tra  le  duecento  camicie,  che  fanno  magnifica 
figura  nel  corredo  di  Lucrezia  Borgia,  quando,  nel 
[502 ,  andò  sposa  ad  Alfonso  I  duca  di  Ferrara, 
più  d'una  era  costata  cento  ducati.  Gli  statuti 
suntuari  di  Perugia,  riformati  nel  1508,  vietavano 
agli  uomini  di  portare  mane-che  de  camisce  che 
trascendano  uno  bracio  e  mezo  da  tela  a  mesura 
de  braccio  de  lino  peroscino  intra  tucte  doic  le 
màneche».  E  a  Gubbio,  ancor  nel  1560,  era  proi- 
bito agli  uomini  e  alle  donne  di  «portare  camisce 
lavorate  d'oro  o  d'argento».  Nell'inventario  dei 
beni  della  famiglia  del  fiorentino  Puccio  Pucci, 
del  1449,  diciotto  camicie  d'una  certa  signora  Ca- 
terina son  valutate  quattordici  fiorini,  mentre  do- 
dici del  marito  solo  quattro;  quindici  d'un'altra 
signora,  la  Bartolomea,  dieci  fiorini,  e  dodici  del 
marito  pur  quattro;  e  dieci  d'un  signor  Bartolo- 
meo, solo  due  fiorini;  e  venti  camicette  da  bam- 
bini, un  fiorino  solo.  Nell'altro  inventario,  della 
casa  di  maestro  Bàrtalo  di  Tura  senese,  compi- 
lato nel  148^,  son  registrate:  cinque  camice  sot- 
tili da  donna,  nuove  e  belle»;  <  un'altra  camicia 
sottile,  lavorata  con  reticelle  larghe  per  le  mani- 
che »  ;  <  un'  altra  camicia  da  donna  di  panno  di 
len/.o,  tutta  bella»;  e  poi:  «tre  camice  da  homo 
quasi  nuove,  sottili»,  e  <  una  camicia  sottile  da 
homo,  buona»,  e  finalmente  «  due  camice  da  homo 
sottili,  e  un  paio  di  mutande  use  ».  Maestro  Par- 
talo e  la  sua  signora  madonna  Camilla  pensa-, 
anche  al  caso  che  codesta  biancheria  fosse  da  ri- 
fare; giacché  i  loro  eredi  trovarono  in  casa  an 
«due  libre  e  mezo  d'accia  roza,  sottile,  da  lar 
camice  sottili  e  belle  .  e  un'altra  libra  e  dieci 
oncie  d'accia  sottile,  da  far  camice  roze»,e«due 
lire  d'accia  bianca,  sottile,  da  far  camice,  in  ma- 
è  e  goniici  ioli  ». 

Una   curiosità    per    giunta.  Volendo   i  genovesi, 
nel    1381,  cattivarsi  con  doni  alcuni  signori  01 
tali,  offrirono  loro  a  chi  due  camicie,  e  a  chi 
fino  una.   E   non  pare  che  quei  signori  prendessero 
il  do  una   lezione  di  decenza  o  d' ij." 

Che  poi  e  uomini   e  donne,  e  laici   e   ecclesia- 
stici, e  monache   e  mondane,  delle   1  ami' ie   non 
silo  propii.iiiu me  abuso,  sj  chiarisce  e  dalle 
modi    b    provviste   che  codesti   inventali   mettono 
a  mulo,  e  da  qualche  altro  documento.  Il  signoi 


USO    DELLA    t    Wlh'IA    NEI    SECOLI    XIV    E    \\ 


323 


Carlo  de  Linas,  che  nel  1886  pubblicò  l'fnven- 
taire  des  meubles  du  cardinal  Geoffrov  d'  Alatri, 
fatto  nel  1.287,  annota  non  senza  sorpresa:  «  cir- 
constance  rare,  va  l'epoque:  notre  cardinal  avait 
huit  chemises  de  toile  » . 

Di  fatto,  in  alcune  regole  monastiche  era  con- 
sacrata la  concessione  di  tre  sole  camicie  all'anno 
per  ogni  suora.  E  a  Venezia,  ancor  del  14511,  si 
trova  stabilito  un  patto,  col  quale  si  promettevano 
per  salario  annuo  a  una  domestica  quattro  ducati 
e  mezzo,  un  paio  di  scarpe  e  una  camicia. 

Che  a  letto  finalmente  —  eh'  è  quel  che  vera- 
mente importa  per  illustrar  la  similitudine  dante- 
sca —  non  se  ne  facesse  addirittura  uso,  mi  sem- 
bra che  possa  facilmente  argomentarsi  da  tutte 
insieme  le  prove  addotte  fin  qui.  Ma  meglio  si 
potrebbe  dai  novellieri,  se  a  me  fosse  lecito  di 
andar  francamente  rimestando  nelle  adorne  si,  ma 
un  po'  troppo  scamiciate  novelle  del  Boccaccio  e 
del  Sacchetti;  e  ancor  meglio,  se  si  potessero  aver 
presenti  alcune  miniature,  che  fan  rider  le  perga- 
mene ove  son  trascritti  antichi  libri  d'amore,  e  al- 
cuni affreschi  che  non  arrossiscon  di  trovarsi  su 
sacre  pareti. 


Farò  intanto  qualche  discreto  accenno  a  ciò  che, 
circa  l'uso,  o  il  non  uso,  di  quel  leggiero  vesti- 
mento, è  possibile  ricavare  dalle  novelle. 

Nella  I  della  giornata  II  del  Decameron,  si  narra 
di  tre  buontemponi  fiorentini,  i  quali,  giungendo 
in  Treviso  e  trovando  tutti  sossopra  pei  miracoli 
che  veniva  compiendo  un  povero  facchino  pur  al- 
lora morto,  pensarono  di  prendersi  gioco  di  quei 
sempliciotti.  E  uno  di  loro,  Martellino,  si  contraf- 
fece come  un  attratto,  e  gli  altri,  sorreggendolo, 
lo  accompagnarono,  tra  la  folla,  innanzi  al  cada- 
vere miracoloso.  Il  guaio  fu  che  alla  scena  fosse 
presente  un  altro  fiorentino,  che  ,  riconoscendo  il 
suo  concittadino  quando  lo  vide  raddrizzato,  escla- 
mò :  «  Domine,  fallo  tristo!  chi  non  avrebbe  cre- 
duto, veggendolo  venire,  che  egli  fosse  stato  at- 
tratto da  dovero?  »  Alcuni  Trivigiani  che  lo  udi- 
rono, si  gettarono  addosso  a  Martellino,  il  pi- 
gliarono, e  giù  del  luogo  ove  era  il  tirarono,  e 
presolo  per  li  capelli,  e  stracciatigli  tutti  i  panni 
in  dosso,  gli  cominciarono  a  dare  delle  pugna  e 
de'  calci  ».  I  compagni  non  riuscirono  ad  aiutarlo 
meglio,  che  consegnandolo  ai  birri  del  podestà: 
il  quale  a  buon  conto  cominciò  a  fargli  dare,  per- 
chè confessasse,  alcuni  tratti  di  corda.  Intanto 
quelli  corsero  ad  impetrare  la  misericordia  del  si- 
gnore della  città.  Che  mandò  a  cercare  di  Mar- 
tellino. «  Il  quale  coloro  che  per  lui  andarono, 
trovarono  ancora  in  camiscia  dinanzi  al  giudice,  e 
tutto  smarrito  e  pauroso  forte  > . 

Protagonista  della  novella  seguente  è  un  merca- 
tante chiamato  Rinaldo  d'Asti.  Essendosi  costui 
imprudentemente  messo  nella  compagnia  di  tre 
sconosciuti  ch'eran  masnadieri,  questi  «  veggendo 
l'ora  tarda  et  il  luogo  solitario  e  chiuso,  assalitolo, 
il  rubarono,  e  lui  a  piò  et  in  camiscia  lasciarono  ». 


///  camiscia  e  scalzo,    è    la    frase  che  il  novelliere 
ripete  più  volte. 

In  un'altra  novella  (g.  IX,  n.  4)  si  narra  di  due 
Sanesi,  «  già  per  età  compiuti  uomini,  ciascuno 
chiamato  Cecco,  ma  l'uno  di  messer  Angiulieri,  e 
l'altro  di  messer  Fortarrigo.   >  Quest'ultimo  era  si 

ad  ogni  servigio  sufficiente  »,  ma  non  era  un 
ottimo  compagno  di  viaggio  «  perciò  che  egli  giu- 
cava,  et  oltre  a  ciò  s'  innebbriava  alcuna  volta  ». 
E  il  fatto  fu  che  in  un  loro  viaggio,  avendo  desi- 
nato in  un  albergo  a  Buonconvento,  PAngiulieri 
se  n'andò  a  dormire  e  il  Fortarrigo  a  giocare  nella 
taverna.  Dove,  perduti  i  danari  che  aveva  con  sé, 
e  «  similmente  quanti  panni  egli  aveva  in  dosso, 
desideroso  di  riscuotersi,  così  in  camiscia  com'era, 
se  n'andò  là  dove  dormiva  l'Angiulieri,  e  veden- 
dolo dormir  forte,  di  borsa  gli  trasse  quanti  de- 
nari egli  avea,  et  al  giuoco  tornatosi,  cosi  gli  perde 
come  gli  altri  » .  Quando  il  povero  Cecco,  desta- 
tosi, volle  pagar  l'oste  e  partire,  trovata  vuota  la 
borsa,  mise  l'albergo  a  rumore.  «  Et  ecco  venire 
in  camiscia  il  Fortarrigo,  il  quale  per  torre  i  panni, 
come  fatto  aveva  i  denari,  veniva  ».  Il  seguito 
della  novella  è  risaputo.  L'Angiulieri,  derubato  e 
annoiato,  die  di  sprone  al  cavallo  ;  ma  il  Fortar- 
rigo, «  in  una  sottil  malizia  entrato,  così  in  ca- 
miscia cominciò  a  trottar  dietro  » ,  e  quand'  ebbe 
veduti  alcuni  lavoratori  in  un  campo  vicino  alla 
strada,  incominciò  a  gridare:  «  Tigliatel,  piglia- 
telo !  »  «  Per  che  essi  con  vanga  e  chi  con  marra 
nella  strada  paratisi  dinanzi  all'Angiulieri,  avvi- 
sandosi che  rubato  avesse  colui  che  in  camiscia 
dietro  gli  venia  gridando,  il  ritennero  e  prèsono.... 
Il  Fortarrigo  con  l'aiuto  de'  villani  il  mise  in  terra 
del  palafreno,  e  spogliatolo,  de'  suoi  panni  si  ri- 
vestì, et  a  cavai  montato,  lasciato  l'Angiulieri  in 
(amisela  e  scalzo,  a  Siena  se  ne  tornò.  » 

Per  poter  dunque  esser  ridotti  alla  sola  cami- 
cia, codesti  contemporanei  del  Boccaccio  ne  do- 
vevan  esser  forniti;  beninteso  però,  di  giorno,  e 
viaggiando. 

E  di  ciò  dà  nuova  prova  la  CXXXI  tra  le  No- 
velle Antiche.  Nella  quale  si  narra  d'un  contadino 
che  venne  a  Firenze  per  comperare  un  farsetto. 
«  Domandòe  a  una  bottega  dov'era  il  maestro:  ma 
egli  non  v'era.  Ma  il  maggiore  discepolo  rispose: 
Io  sono  il  maestro  ;  che  vogli  ?  —  Voglio  un  far- 
setto. —  Questi  ne  trovò  uno,  et  provòglile  in 
dosso.  Furono  a  mercato.  Questi  non  avea  il  quarto 
danari.  Allora  il  discepolo,  mostrandosi  d'accon- 
ciarhle  da  piede,  sì  gli  appuntò  la  camusa  col  far- 
setto, et  poi  disse:  Tràilti.  Quelli  lo  si  trasse  a 
rivescio.  Rimase  ignudo  ». 

Yalgon  di  riprova  alcune  frasi  ^ià  divenute  pro- 
verbiali. Una,  per  esempio,  ènei  Boccaccio  (IV,  2); 
che  d'una  donna  dice  che  «  rimase  faccendo  sì 
gran  galloria  che  non  le  toccava...  -  non  so  cosa 
«  la  camiscia  ».  E  un'altra  è  nel  Sacchetti  (158), 
là  dove  narra  di  quei  fiorentini  ch'eran  chiamati 
come  capitani  di  giustizia  dal  Comune  di  Santo 
Miniato;  i  quali,  e  per  diversità  degli  uomini 
di  questo  »  e  per  il  loro  cattivo  «  reggimento  », 
spesso  tornavano  a  casa  svergognati,  e  «  talora  se 


324 


l   \    l  RTTURA 


ne  veniano  in  camicia,  e  t.ilora   erano  presso  che 
morti. 


E  «li  notte,  a  letto,  l' adoperava! 

Una  certa  donnetta  del  Sacchetti,    moglie  | 

fedele  d'uno  scultore  in  legno  specialista  in  croci 
(nov.  84),  se  Don  della  sua  onestà  intrinseca  ci 
fornisce  tuttavia  un  documento  della  decenza  for- 
male dell'amilo  suo.  Il  meglio  ci  sia  è  che  tu 
ti  nasconda  >,  essa,  sorpresi,  gli  mormora:  ma 
non  le  trovare  il  dove,    -  essendo  1  ostui  in 

camiscia  » 

1  decenza  però  che  si  direbbe    consigliata  a 

ìi  da  una  elementare  e  non  inutile  prudenza. 
11  vini .  ili  1  o  niugale  pare  sfranchisse  anche  da  quel 

ardo.  '  'io  fa  supporre  la  novella  sacchettiana 
del  granchi. 1  marino  (jhS),  e  l'altra  (qq)  di  Batto- 
lino farsettaio.  < 'odesto  poveretto  aveva  menato  in 
moglie  una  vedova  e  la  quale  era  nerissima  ».  Ei 

avvide  la  sera,  quando  essa  tutta  spogliata 
sedea  sul  letto,  segnandosi  e  dicendo  sue  orazioni  » . 

artolino  «  parea  ch'ella  fosse  in  gonnella  mo- 
na, luna,  perocché  le  carne  sua  aveano  quel  colo- 
re. »  Le  gridò  :  «  Spogliati  e  vaiti  al  letto.  »  Ri- 
spose la  donna  :  Io  sono  spogliata  .  Il  malca- 
pitato marito  la  tocca,  ed  ella  squittisce.  —  Oh 
tu  di  vero!  »  egli  esclama. 

La  novella  boccaccesca  (II,  3)  di  quel  presunto 
«  abate  bianco  »  che,  stando  a  letto,  per  darsi  a 
conoscere,  «  prestamente  di  dosso  una  camiscia 
che  avea  »  si  caccia,  potrebbe  destar  qualche  so- 
spetto e   ingenerar   qualche   equivoco:    se  non  ci 

orresse  l'altra  novella  (III,  3),  di  quella  gen- 
tildonna fiorentina,  «  il  cui  nome  »,  all'erma  il 
Boccaccio,  «  come  ch'io  lo  sappia,  non  intendo 
di  palesare,  per  ciò  che  ancora  vivono  di  quegli 
che  per  questo  si  caricherebber  di  sdegno,  dove 
di  ciò  sarebbe  con  risa  da  trapassare  ».  Costei, 
dunque,  di  bellezze  ornata  e  di  costumi,  d'al- 
tezza d'animo  e  sottil  avvedimenti,  quanto  alcuna 
altra,  dalla  natura  dotata  »,  e  per  di  più  d'alto 
legnaggio  e  ricchissima,  diede  una  volta  a  in- 
tendere, per  un  suo  line,  a  un  certo  frate  scimu- 
nito rhe  un  certo  tale  «stamane,  poco  innanzi  mat- 
tutino.... entrò  »,  disse,  «  in  un  mio  giardino,  e 
vi  nnesene  su  per  uno  albero  alla  finestra  della  ra- 
merà mia,  la  quale  è  sopra  il  giardino;  e  già  aveva 
la  finestra  aperta  e  voleva  nella  camera  entrare, 
quando  io,  destatami,  subito  mi  levai,  et  aveva 
comim  iato  a  gridare,  et  avrei  gridato,  se  non  che 
egli,  che  ancor  dentro  non  era,  mi  chiese  mercè- 
Dio  e  per  voi,  dicendomi  chi  egli  era;  laonde 
io,  udendolo,  per  amor  di  voi  tacqui,  et  ignuda 
come  io  na<  qui,  (orsi  e  serra'  gli  la  finestra  nel 
viso,  et  egli  nella  sua  mal' ora  credo  che  se  ne 
andasse,  per  ciò  che  poi  più  noi  sentii.  » 

Se  1  n  potò,  stando  al  suo  rao  onto,  prov- 

vedere alla  decenza,  prima   d'  andar  a  chiuder  la 

tra:  la  madre  della  similitudine  danti-,  a  non 
ha  il  eanche  di  pensarci,  avendo  più  dì  lui, 

del  figliuoletto,  che  ili  si,  del  suo   [nidore  femmi- 


nile, cura.  È  un  inciso  codesto,  che  equivale  a  un 
magistrale  t.  n  co  d'ombra  :  esso  giova  mirabilmente 

a  dar  risalto  a  quella  magnifica  manifestazione  di 
amor  materno.  Fin  l'innato  sentimento  della  pu- 
dicizia quella  madre  trascura,  quando  si  tratta  della 
vita  del  suo  nati  1 


l'n  tocco  solo  della  sfacciata  riconferma  che  a 
queste  mie  ricerche,  anzi  che  no  scabrosette,  danno 
le  arti  figurative. 

In  un  codice  lauren/.iano-ashburnliamiano  del 
secolo  XV,  il  Roman  de  la  Rose  —  unde'più  im- 
portanti monumenti  poetici  del  medioevo  francese 
e,  nella  maggiore  e  miglior  parte,  autorevole  libro 
di  galanteria  e  d'usi  galanti  —  è  illustrato  da  al- 
cune miniature,  poco  perspicue  sotto  il  riguardo 
artistico  ma  molto,  troppo  forse,  per  la  storia  del 
costume.  Costume  per  modo  di  dire:  che  vera- 
mente, quando  si  tratta  di  ritrarre  personaggi  che 
siano  a  letto,  questi  mostrano  «  senz'ali  un  velo  » 
e  le  braccia  e  le  spalle  e  il  petto,  e  tutte  quelle 
altre  parti  insomma  che  le  coltri  non  coprono.  E 
l'artista  non  ci  ha  colpa.  Nel  testo,  un  marito  ge- 
loso non  ha  scrupoli,  avvertendo  non  so  che  alla 
moglie,  di  dire  : 

N.'is  la  iniit.  quant   vi. iis  ^isié> 
l-.n   mon  lit,  lès  nini,   tonte  ime. 
Ne  poéz  vohs  estre  tenue.... 

E  cosi,  coni'  un  Adamo  e  una  Eva  che  avessero 
un  letto,  son  riprodotti  pur  due  sposi,  in  una  mi- 
niatura che  illustra  Le  croniche  (II,  417)  del  Ser- 
cambi.  E  tali  sappiamo  che  la  gentile  e  coltissima 
Elisabetta  Gonzaga  sorprese,  nel  1500,  nella  loro 
camera  nuziale,  il  figlio  adottivo  Francesco  Maria 
della  Rovere  e  la  sua  sposa  Leonora  <  ionzaga  ;  e 
il  pettegolezzo  fu,  con  molta  disinvoltura,  narrato 
da  uno  dei  cortigiani,  per  lettera,  a  Isabella  d'Fste, 
signora  irreprensibile. 

Perchè  scandolezzarsene.  del  resto!'  Nella  chiesa 
di  San  Lucchese  a  Poggibonsi,  in  un  antico  affre- 
sco riproducenti  i  miracoli  di  San  Nicola  di  Bari, 
son  dipinte,  fiorenti  di  bellezza  e  di  salute,  tre 
figlie  d'un  fornaio  (le  pulzelle  di  Dante l  addor- 
mentate nel  medesimo  letto ,  senz'  alcun  vesti- 
mento. E  codeste  fanciulle  medesime  dormono, 
nel  medesimo  arnese,  a  Siena,  in  un'antica  pre- 
della d'un  altare  del  Duomo. 

Negli  antichi  trattati  di  medicina  che  si  conser- 
vano in  alcuni  codici  laurenziani.  son  miniature 
che  raffigurano  in  letto  i  malati,  nudi.  E  nudo  è 
ritratto,  in  un'antica  WtediSant'  Antonio  abate, 
conservata  nella  Laurenziana,  un  giovanetto  morto 
sul  suo  letto.  ìE'  notevole  però  che  son  provvisti 
di  camicia  un  re,  p.  43,  e  una  fanciulla,  p.  731. 
E  nudo  è  rappresentalo,  in  un  manoscritto  fran- 
cesi  del  Quattrocento,  un  morente  nel  letto,  cir- 
condato da  uomini  e  donne. 


Mi  si  permetta      un  corollario  ancor  per  grazia». 
Della  voce  cornista,  che   per   la  prima   volta  oc- 


L  USO    DELLA    l    VMK  IA    NEI    SECOLI    XIV    E    XV 


325 


corre  in  San  Gerolamo,  Isidoro  dà  un'etimologia 
che  farebbe  quasi  supporre  come  fosse  una  scon- 
cezza tutta  italiana,  anzi,  poiché  di  soli  poeti  e 
novellieri  toscani  abbiam  discorso,  tutta  toscana, 
lo  spogliarsene  durante  la  notte.  Purtroppo,  nei 
nostri  volghi,  specialmente  del  contado,  essa  — 
dico  la  sconcezza  !  —  non  è  ancora  del  tutto  una 
memoria!  «  Camisìas  vocamus»,  Isidoro  insegna, 
«  quod  in  his  dormimus  in  camis,  id  est  in  stratis 
nostris».  E  canta,  spiega  egli  altrove,  est  lectus 
brevis  et  circa  terram  »  . 

L'etimologia  isidoriana  —  è  bene  avvertirlo  su- 
bito —  non  risponde  alle  leggi  della  glottologia 
scientifica:  ammettendola,  non  si  saprebbe  dar  ra- 
gione di  quel  suffisso  -isia.  D'altra  parte  i  mo- 
derni, dal  Diez  al  Grober,  non  son  riusciti  a 
mettersi  d'accordo  nell'  escogitarne  una  meglio 
persuasiva.  Tuttavia,  ciò  che  a  noi,  ora,  dà 
da  pensare,  è  il  fatto  che  il  famoso  grammatico 
ispalense  poneva  a  base  della  sua  etimologia:  la 
camisia  usarsi  in  camis,  cioè  in  letto!  Non  sarebbe 
che  un'arguzia  o  un'  insinuazione  il  sospetto  che 
qui  possa  trattarsi  d'una  spagnolata  !  Noto  bensì 
che  nel  luogo  di  San  Gerolamo,  dove  la  prima  volta 
quel  vocabolo,  d'uso  fin  allora  non  letterario, 
spunta,  sembra  indicare  una  sopravveste  milita- 
resca di  lino  :  un  camice  a  buon  conto  anzi  che 
una  camicia.  «  Solent  militantes»,  scrive  il  santo, 
«  habere  lineas,  quas  camisias  vocant  » .  Parecchio 
più  tardi  poi,  nella  narrazione  dei  Mìracula  sancii 
Dominici,  la  stessa  voce  camisia  indica  sicura- 
mente una  sopravveste  donnesca,  magari  una  spe- 
cie di  camicetta  ;  e  guai  se  cosi  non  fosse  !  Una 
devota  di  San  Domenico,  vi  si  racconta,  fece,  in  un 
certo  suo  frangente,  il  voto  di  visitarne  le  reli- 
quie, andandovi  scalza  e....  mal  coperta:  «  illique 
vovit  quod  eius  reliquias  nudis  pedibus  et  sine 
camisia  visitaret  » . 

Del  resto,  la  camiza  figura  come  parte  dell'ab- 
bigliamento donnesco  diurno  anche  in  qualche 
canzone  provenzale.  Marcabru,  per  esempio,  narra 
tutto  compiaciuto  ed  ammirato  : 

I.'autrier  iosl'una  sebissa 
Trobey  pastora  mestissa. 
De  ioy  e  de  sen  massissa; 
E  fon  tìlha  de  vilayna: 
Cap1  e  gonelh'  e  pellissa. 
Yest'  e  camiza  treslissa, 
Sotlars  e  caussas  de  layna     i   . 

E  Peire  Guillem,  maledicendo  le  donne  che 
amano  per  danaro,  augurava  loro  di  andar  per  via 
in  camicia  sbottonata  : 

E  dona  e'   ama  per  argen 
Ni  sa]>  son  mercat  al  colmar. 
Volgra  l'avengues  ad  armi 
F.n  camia  desafiblada. 


Ma  anch'essi,  i  trovatori,  quando  andavano  in- 
torno n'eran  provvisti.  Anzi  Amaut  Guilhem  de 
Marsan  insegnava  espressamente  ai  fedeli  d'Amore, 
che  ogni  buon  cavaliere  aveva  l'obbligo  d' indos- 
sare assai  bene  camicie  ricamate  d'oro: 

Car  totz  pros  cavayers 
Deu  vestir  a  sobriers 
Camizas  de  ransan 
Primas,  car  ben  estan, 
E  blancas  totas  vetz. 

E  correva  di  quel  tempo  un  curioso  poemetto, 
che  predicava  norme  d' igiene  e  buona  creanza, 
sotto  forma  d'una  lettera  di  Galeno  ad  Alessan- 
dro Magno;  dove  tra  l'altro  s'inculcava: 

(Jue  al  levar  cascini  mati. 
Quant  ti  seras  ben  reveilhatz 
Ni  un  petit  esterilatz. 
Ni  auras  vestit  ta  camisa 
Prima,  bianca,  bela  e  lisa, 
E  tu  fai  ton  cap  penchaenhar 
Un  pauc  escarpir  e  gratar....  (i  . 

Si  prova  un  certo  senso  di  benessere  nel  sen- 
tire un  altro  di  quei  poeti  precettisti  vantarsi: 

1  >e  vestirs  a  dobliers  sui  be  apparelhatz. 

De  camizas,  de  braguas,  de  lanssols  bugadatz, 

De  cobertors,  de  vanoas  a  mos  amicx  private, 

Que  'ls  en   puese  ben  servir,  car  los  ai  covidatz  (2). 

Tutto  ciò.  si  capisce,  era  per  la  gente  normale; 
ma  ad  un  innamorato,  e  peggio  se  poeta,  che  im- 
portava di  cosiffatti  comodi  della  vita? 

Aliar  pose  ses  vestidura 
Xutz  en  ma  chamiza, 
Que  fin'  amors  m'assegura 
De  la  freida  biza;  (3) 

cantava  lietamente  Bernart  de  Ventadoru. 

Ma  un  altro  trovatore  valente,  Rambaut  de  Au- 
renga,  perchè  il  suo  valore  potesse  crescere  desi- 
derava d'aver  anche  lui  quella  camicia,  non  mai 
adoperata,  che  Isotta  donò  a  Tristano  : 

Sobre  totz  attrai  gran  valor. 
S'aitai  camisa  m'es  dada 
Cutn   Yseus  det  a  l'amador 
Que  mais  non  era  portada: 
Tristan  motit  presetz  gent  presen     1 

Di  codesto  particolare  non  e'  è  traccia  nel  ro- 
manzo di  Tristano  qual  è  giunto  fino  a  noi.    Ma 


11  -■  L'altrìeri,  presso  un'aia,  trovai  una  pastorella  pò 
sticcia.  di  gioia  e  di  senno  ricca:  ed  era  figlia  di  villana: 
cappa  e  gonnella  e  pelliccia,  veste  e  camicia  a  maglia, 
calzari  e  calze  di  lana.  » 


il  «  Che  al  levare  ogni  mattina,  quando  ti  sarai  bene 
svegliato  e  un  poco  disteso,  e  avrai  indossata  la  tua  ca 
micia  fina,  bianca,  bella  e  liscia,  fatti  pettinare  il  capo  e 
un  p"-  fregare  e  grattare...  » 

12.1  «  Di  abiti  io  sono  molto  ben  fornito,  di  camici) 
brache,    di    lenzuola    di    bucato,     di     copertoi,    di    copri 
piedi,     per    i    miei    amici    intimi,    cosi    che  li  possa    ben 
trattare  avendoli   invitati. 

|  «  Andar  posso  senza  vestito,  nudo  nella  mia  caini 
eia,  poiché  l'amor  mio  lino  mi  protegge  dalla  fredda 
brezza.  ^ 

11  ....  *  Tristano  molto  pregiò  il  gentile  presente.  > 


LA    LETTUB \ 


qui  la  camita  è  ancora  camicia,  o  è    ridiventata  il 

càmice tt.i  militaresca     Noi  Roman  </<'  Rou  si 

naira  del  '  'dcs  : 

i  idea  revinl  puignant  nn  I 

U  l.i  bataille  esteil  plus  ti' 

l  n  lialbergol  aveit  vestu 

l 'i  Min   une  chemise  blani  In 

Lcx  un  li  icrs.  lee  la  manche  n  . 

l'I  nel  Raoul: 

lume  Alais  corni  aparillier 

■  jes  et  esperons  d'or  min 
che  ermine  de  poile  de  quartier  (2). 

(ih  vivano   le    provvide    dame    pregiate;  e  viva 
pur  la  nettezza  de' cavalieri  antiqui  !   Non  >■,  Torse, 


(1)  Odes  tornò  pugnando  indietro,  dove  hi  battaglia  era 
più  fiera...  un  piccolo  usbergo  aveva  indossato  sopra  una 
camicia  bianca;  largo  era  il  corpo,  larj;a  la  manica  ». 

mora  Alaide  o>r-.e  ad  apparecchiare  camicia  e 
brache  e  speroni  d'oro  tino,  e  ricco  ermellino  di  pelo  di 
quarti' 


degno  di-' nostri  tempi  lasciarsi  andare  a  sillatte 
c-s.  Lunazioni  non  propriamente  democratiche.  Ma. 
che  volete  ?  Quanto  a  me,  non  mi  sarebbe  parsa 
la  felicità  il  sentirmi  troppo  vicino  qualcuno  di 
quegli  scamiciati  antichi,  studenti  vagabondi  o 
vagala. mli  studenti,  i  quali  cantavano  glorian- 
dosi : 

<  >rd<>  nostei  prohibet 
t'ti  dupla  veste  : 
Tunicam  qui  recipit 
Ut  vadat  vii  honeste, 
Pallium  inox  reiii  u. 

E  meno  male  se  si  fossero  fermati  alla  tùnica  e 
al  pài/io  :  ma  soggiungevano  : 

Quod  de  summis  dicitur, 
In  miis  teneatur: 
Carnata  qui  fruitur 
/iti:, ,  ù  non  utatur. 

Oh  !  shocking.' 


Miche  1   s<  innubi. 


r^av 


VS=?=*- 


wu  - 


«ip 


g*#^%ftg^f%&S#f^gft 


L'esploratole  Casati 


|L  lungo  viaggio  d'esplorazione  compiuto 
nell'Africa  equatoriale  dal  maggiore  Gae- 
tano Casati  —  testé  morto  nella  sua  villa 
di  Cortenova  a  Monacel- 
lo di  Brianza  —  può  divi- 
dersi in  tre  grandi  tappe, 
trascurando  quella  ini- 
ziale comprendente  il  pe- 
riodo dalla  partenza  da 
Genova  (24  dicembre 
1879)  ali  arrivo  a  Snakim 
(29  gennaio  1880).  — 
Questa  fu  la  porta  per 
cui  il  valoroso  italiano 
penetrò  a  scrutare  nel 
gran  mistero  dell'Africa 
tenebrosa. 

Lasciata  Suakim  sei 
giorni  dopo  —  il  tempo 
appena  necessario  pei  pre- 
parativi di  viaggio  —  la 
prima  tappa  si  chiuse  il 
26  agosto  dello  stesso  an- 
no allorché  raggiunse  a 
Vau  l' italiano  Romolo 
Gessi  —  (Gessi  pascià) 
governatore .  per  incarico 
del  Kedivè.  di  tutta  la  re- 
gione di  Bahr-el-Gazel  — 
dal  qual  Gessi,  il  Gasati 
attendeva  istruzioni  e  mez- 
zi per  proseguire. 

«  Io    —    aveva    scritto 
Gessi  alla  Società  d'esplo- 
razione commerciale  in  Milano,  chiedendole  un  gio- 
vane, possibilmente  ufficiale,  che  conoscesse  il  modo 
di  costruire  carte  geografiche  — ;   io  gli  fornirò  ar- 
mi, ist riunenti,  scorta,  merci  e  portatori   per  proce- 


II  viaggio  da  Suakim 


Ultima    fotografia  del  maggiore   Gaetano  Casati. 
Fotografia  Guigoni  e  Bossi.  Milano). 


dere  ad  una  esplorazione  completa  di  tutta  la  valle 
dell'Uelle  ». 

a  Cartura.  sede  del  gover- 
natorato generale  del  Su- 
dan (allora,  per  le  dimis- 
sioni di  Gordon,  affidato 
al  sotto-govematore  Rauff 
pascià,  era  stato  compiuto 
a  spese  della  Società  di 
esplorazione.  A  Cartum 
-  fondata  laddove  i  due 
rami  del  Nilo,  bianco  ed 
azzurro,  convergono  per 
formare  il  gran  fiume  tra- 
versante l'Egitto  —  gli  sa- 
rebbe bastato  salpare  sul 
piroscafo  facente  servizio 
fino  a  Fascioda  —  già  al- 
lora governatorato  egizia- 
no con  palazzo  governa- 
tivo e  per  [meo  causa  di 
guerra  due  anni  or  sono 
tra  Inghilterra  e  Francia, 
contestandone  questa  alla 
rivale  la  precedenza  di 
possesso  -  -  senonchè  le 
opposi/ioni  timorate  di 
Rauff  gli  fecero  ritardare 
di  quasi  cinque  mesi  la 
partenza. 

Dopo  l' incontro  con 
<  lessi  cominciò  la 
tappa  comprendente  il  ve 
n>  viaggio  equatoriale. 
Non  più  di  venti  giorni  stettero  assieme  il  pascià  e 
l'ufficiale:  il  tempo  strettamente  necessario  per  le  i- 
struzioni  da  impartire  e  la  carovana  da  organizzare. 
Mentre  Casati  partiva  pel  sud.  Gessi  tornava  verso 


328 


LA    LETTI  RA 


il  nord,  desidi  i  al  go 

verri  ei  aie  le  o  i  Iella  sua  pr  n  ini  ia, 

•:  fremeva  la  ebolli  n Iella 

rivolta  madhista.  Rifatto  insieme  il  tratto  di  strada 
comune,  i  due  italiani  si  lasciarono  a  Giur  Gatthas 


Carta  dell'itinerario  di  Casati 
(desunta  dalle  carte  allegate  alla  Mia  opera 

per  non   più  vedersi.  Casati  scendeva  fra  i  magni- 

irrori  del   sud;  Gessi  doveva  morir  poco  dopo 

addolorato  dall'apprendere  che  il  temporaneo  distac- 

i  listato  a  lanciare  la  sua  regione  in  balìa  ad 

un'anarchia  sfrenata  ed  indomabile. 

I      seconda  tappa  'li  <  [  |ieriodo 

...r-,,  dal   i'>  settembre  1880    -     giorno  dell'addio 
al  29  aprile    1888.  giorno   in 
primo  inconti  -   inley,   inviati 


dall'Inghilterra  colla  spedizione  di  soccorso  onde  li- 
berare  Emin  pascià,  governatore  dell' Equatorìa 
colle  sue  truppe  bloccate  nell'Africa  centrale 
tutta  quanta  in  rivolta  e  liberare  assieme  a  lui 
l'italiano  Casati  ed  il  dottore  tunisino  Vita  Hassan 
o  nnpagno  di  Emin. 

E'  facile  comprendere  come  >  [tu- 
sto  sia  stato  il  periodo  in  cui  l  ope 
ra  del  (  basati  assurse  ad  un'imp  >i 
tanza    tutl  affatto  speciale    Fu    in 
questi  otto  anni,  infatti,  ch'egli  potè 
esplorare  un  lungo  tratto  <  1--1  la.  re- 
gione  dell  l'elle  constatando  come 
questo  fiume  fosse  tutt'uno  col  Mac 
qua.  col    Rubali,   l'Obi  e  l'Obongi, 
circostanza  questa  in  cui  multi  pre- 
decessori tra    cui     il     grande 
■schweinfurth —  avevano  equivi  cato. 
Fu  in   questi  otto  anni  che  da  A- 
uiaili  a  Hutanga.  da  Butanga  a  Ri 
bali,  da  qui  a  Tangasi,  proseguen- 
do lino  al  Bomocandi,  il   valoroso 
italiano    percorse    la    regione    del 
Mombettu  e  del  Mori  u  raco  gliendo 
dati    preziosi  sulla  storia  e  sui   co- 
stumi di  remote  tribù,  la  cui  selvag 
già  natura  appare  spesso  nobil 
da  quel    caratteristico  valore,    da 
quegli  eroici  attaccamenti  alla  glo- 
ria pernii  vanno  famosi  nelli 
gende  tradizionali  i  più  lontani  dei 
nostri  antenati. 

Volendo  distinguere  in  grossola 
ne  suddivisioni  la  seconda  tappa 
delle  esplora/ioni  del  Casati,  si  pò 
irebbe  dire  elle  la  prima  —  la  più 
profìcua  geograficamente  —  va  dal 

giorno  del  distacco  da  dessi  a  quel- 
lo dell  incontro  con  Emin  a  Ladò 
(aprile  1883).  col  quale  ripetè  p  i 
una  escursione  nel  Mombettu,  la 
seconda  comprende  tinto  il  periodo, 
notevolissimo  dal  punto  di  vista 
sierici  1.  che  intercorre  fra  questo 
primo  incontro  e  la  venuta  di  Stan- 
ley. Cinque  anni  di  tragiche  agita 
zioni  durante  1  quali  meni. e  !"m 
pi  ["versare  e  l'estendersi  della  insur- 
rezione madhista.  completamente 
trionfante  al  nord,  impediva  di  ri- 
salire il  Nilo,  nell'Equatoria  i  so 
vrani  soggetti  si  ribellavano  0  tra 
divano,  mentre  le  truppe  egiziane 
molli,  sfiduciate,  noti  pagate,  si 
sbizzarrivano  in  periodiche  manifestazioni,  quando 
non  in  aperte  ribellioni,  implorando  l'iniziativa  del 
loro  capo  non  appena  sentissero  necessario  un  im 
pulso  alla  coesione  per  l'avvicinarsi  d'un  stipi 
pericolo,  abbandonandosi  a  rampogne  ed  a  congiure 

non  appena  il  pericolo  imminente  svanisse  0  fosse 
superato. 

Son  queste  li  pagine  più  palpitanti  dell'opera,  cui 

li   freddezza   narrativa  dell', m".  .re  imprime   quel    CB 


I     I  SPLl  IRA  fORE    i    VSA  1  I 


329 


rattere  di  assoluta  credibilità  che   dà  alla  testimo- 
nianza di  un  singolo  il  valore  di  un  documento. 

La  fuga  di  Emin  da  Ladò  (aprile  1885)  per  ri- 
parare al  sud,  óv'ebbe  invece  a  cozzare  contro  le  in- 
sidie  dell'L'nioro.  segnò,  si  può  dire,  l'inizio  dell'a- 
zione diplomatica  del  Casati,  inviato  come  rappre- 
sentante di  lui  presso  il  sovrano  di  questa  regione 
(re  Cina,  detto  Cabrega  o  Kabba  Rega,  come  vuole 
lo  Stanley).  E  fu  questo  il  periodo  delle  tragiche  sof- 
ferenze, poiché  re  Ciua  —  prima  tergiversando  con 
sottili  astuzie,  poscia  lusingando  Emin  per  scalzare 
nella  sua  fiducia  l'avveduto  Casati  (onde  i  rapporti 
di  questi  non  avessero  valore  per  lui)  ed  in  ultimo 
rompendo  ogni  indugio,  quando  ebbe  sentore  dei 
trionfi  madhisti  e  del  demoralizzato  abbandono  in 
cui  si  trovavano  le  forze  di  Emin  —  non  appena  si 
ebbe  tolta  risolutamente  la  maschera,  fu  contro  il 
Casati  appunto  che  sfogò  il  livore,  facendolo  dap- 
prima imprigionare  e  quindi  condannare  a  morte. 
Casati,  riuscito  a  fuggire  per  opera  d'un  fido  ra- 
gazzo —  l'Oachil  di  cui  conservava  tuttora  un  breve 
ciuffo  di  capelli  lanosi  —  venne  cacciato  come  una 
fiera  di  villaggio  in  villaggio,  qua  sfuggendo  per  mi- 
racolo alle  insidie,  colà  respinto,  altrove  ripreso  e 
ricondannato  a  morte,  finché  l'ultimo  giorno  inse- 
guito presso  le  saline  di  Rocòra  sui  lago  Alberto, 
quando  già  stanchi  i  garretti  ed  il  petto  ansimante, 
pareva  rassegnarsi  a  dover  cedere  fra  poco  l'anima 
a  Dio.  ecco  i  persecutori  soffermarsi  terrorizzati 
come  per  l'apparizione  d'un  arcangelo  dalla  spada 
di  fuoco,  ed  eccoli  subito  retrocedere  a  fuga  preci 
pitosa  empiendo  l'ora  solenne  di  quel  tramonto  di 
fuoco  con  gli  stridori  sgomenti  d'uno  stormo  di  fal- 
chi   frustati   dalla    tempesta. 

Un  tenue  pinnacolo  di  fumo  aveva  germinalo 
1  evento.  La  striscia  bianca  come  una  nuvoletta  svo- 
lazzante sul  lago,  diceva  che  un  piroscafo  del  Go- 
verno egiziano  era  alla  ricerca  dei  perseguitati  ;  ed 
il  soccorso,  per  lunghi  mesi  indarno  da  questi  in- 
vocato, giungeva  all'istante  estremo,  elemento  unico 
di  salvezza,  mònito  di  rappresaglie  pei  persecutori 
già  provati  ad  altri  eccidi  e  ad  altre  devastazioni, 
perchè  osassero  riaffrontarne  l'eventualità  quando  la 
flagranza  non  avrebbe  fatto  che  sollecitarla. 

—  L'anima  umana  non  muore,  se  non  col  permes 
so  di  Dio  ;  —  aveva  risposto  un  istante  prima  (  a 
sati  al  mussulmano  Hurscid.  il  quale  era  tutto  agi- 
tato da  dolorosa  sfiducia. 

E  poco  dopo  i  fuggiaschi  venivano  raccolti  a  bor- 
do del  Kedive  sul  quale  Emin  pascià  e  molti  degli 
ufficiali  ed  impiegati  s'erano  imbarcati  per  ricercarli. 
più  per  pietoso  ufficio  che  per  certezza  di  riuscita. 

Da  questo  giorno  (16  gennaio  1888)  all'incontro 
con  Stanley,  avvenuto  tre  mesi  dopo,  altri  eventi  ma- 
turarono. 

Sul  soccorso  degl'Inglesi,  invocato  fin  dal  1885. 
non  si  faceva  più  calcolo  alcuno  ;  l'invio  di  Stanley 
era  fino  allora  completamente  ignorato.  Gli  avveni- 
menti pertanto  incalzavano.  Un  pronunciamento  di 
ufficiali  egiziani  destituiva  Emin  pascià  dal  grado  di 
governatore,  incaricando  in  ili  lui  vece  il  maggiore 
Hamid  ;  poi,  timorosi  d'un  ritorno  improvviso  di 
Stanlev    tentennano:    finalmente   Casati    interviene. 


avverte  1  ribelli  che  Stanley  ha  incarico  di  trattare 
pel  ritorno  soltanto  con  Emin;  quindi  occorre  ri- 
dare a  questi  il  grado  usurpatogli,  se  si  vuole  oh'ei 
possa  accordarsi  sui  particolari  i-olla  spedizione  di 
soccorso,  (ili  ufficiali  consentono,  il  grado  vien  ri- 
dato ad  Emin  con  attestazioni  di  umilissima  devif- 
zione  e  con  supplice  richiesta  di  perdono,  talché  E- 
min  —  prima  riluttante,  poi  persuaso  dal  Casati  — 
consente. 

Ma  la  sommissione  —  per  una  parte  almeno  de- 
gli ufficiali  --  è  fittizia  ;  le  congiure  si  succedono 
alle  congiure;  l'ultima  sembra  abbia  l'intento  di 
simulare  un'adesione  al  viaggio  di  ritorno  per  poter 
al  momento  opportuno  dare  l'assalto  alla  carovana, 
ucciderne  i  capi  ed  impossessarsi,  oltreché  dei  viveri. 
delle  casse  d'armi  e  munizioni,  di  cui  Stanley  era  de- 
positario e  che  il  Governo  egiziano  gli  aveva  affidato 
perchè  fossero  consegnate  ad  Emin  come  capo  mili- 
tare dell'Equatoria. 


E  qui  ha  termine  l'ultima  fase  della  permanenza 
in  Equatoria.  Le  forze  egiziane  son  disperse  in  pa- 
recchi centri  ;  se  ne  ordina  il  concentramento  a  Va- 
delai.  perchè  poi  abbiano  a  raggiungere  la  carovana 
di  soccorso  a  Cavalli  ov'era  attendata. 

Stanlev  era  impaziente;  queste  voci  di  tradimento 
lo  inquietavano;  fissò  la  partenza  pel  io  aprile  ed 
Emin  non  riuscì  ad  ottenere  una  proroga.  Lo  tentò 
ma  venne  brutalmente  investito.  La  gente  radunata  a 
Vadelai  era  nella  materiale  impossibilità  di  giun- 
gere a  Cavalli  pel  dì  stabilito  e  su  questo,  appunto. 
Stanlev  contava  per  volersene  distare  Avevano  essi 
bensì  votato  all'unanimità  pel  ritorno;  ma  fra  gli 
assenzienti  eranvi    pure  i  sospetti    di    tradimento. 

-  Qui  si  congiura  contro  di  me  —  gridava  Stan- 
ley il  5  aprile  ad  Emin.  -  Noi  andiamo  per  le  lun- 
ghe. Domattina  farò  circondare  il  campo  de'  miei 
zanzibaresi  e  quindi  intimerò  l'immediata  partenza. 
\el  caso  trovassi  resistenza  0  tentativo  a  rifiuto,  mi 
basta  l'animo  di  far  uso  delle  armi  e  poi  partire  con 
voi  e  coi  pochi  devoti  a  voi. 

Ma  io   non  credo  che  l'impresa  di  mezzi  con 
simili  —  rispondeva   Emin  sia    reclamata  da  al- 

1  una  necessità.  Noi  partiremo  il  giorno  io. 

Stanlev  furente  battè  il  piede  sul  suolo: 

Goddam,  —  gridò.  -     Vi   lascio  con  Dio  e  il 
sangue  che  scorrerà  ricada   sulla  vostra  testa. 

I  suoi  argomenti  per  l'abbandono  degli  accentrati 
a  Vadelai  si  riassumevano  in  questo:  Si  trattava  di 
gente  che  già  aveva  tradito  Emin  destituendolo; 
non   meritava  quindi  riguardo. 

Emin  titubava.  Casati  gli  ricordava  pero  che  egli 
aveva  accolti  pur  gli  attestati  di  scusa  degli  stessi 
ribelli,  accettando  da  loro  fi  riconferma  nella  ca- 
rica conferitagli  dal  Kedivè;  1  di  lui  doveri  a  loro 
riguardo  erano  quindi  quelli  d'un  capo  d'i 
per  le  sue  truppe.   Non  poteva  abbandonarli. 

L'imposizione  di  Stanlev  parve  più  forte  di  que 
ste  argomentazioni,  ed  infatti  il  io  aprile  di  buon 
mattino  la  carovana  di  soccorso  partiva  con  solo 
570  persone  della  provincia  dell'Equatoria  (la  spe- 
dizione di  soccorso   si  componeva,   a    sua    volta,    di 


33o 


LA    LETTURA 


,550  persone)  e  Vadi  Ielle 

truppe  semi-sprov\  .   |uasi  del  tutto  spro\ 

0  ili    muli  I   nin,    non  osando  affrontare 

Stanley,  non  gli  aveva  neppur  chiesto  che  almeno 
una  parte  delle  casse  'li  numi/..  1  1  inviate 

agli  abbandonati  per  s  Molte  'li 

quelle  casse   ■  renii    sepi  ilte  lungo   il 

viaggio  'li  ritorno  per  la    morìa  manifestatasi  nei 
itori. 
La  mattina   del    10  aprile  la  colonna  si  pose  in 
marcia.  Compresi  gl'indigeni  dell'altipiano  e  ili  Ca 
valli,  assunti  come  servi,  Stanley  calcola  fosse  com- 
.  ili  1510  persone.  La  retroguardia  diede  fuoco 
all'accampamento  ili    paglia  ch'era  stato  testimone 
••  imane  ansiose.  L'incendio  1 1  a  splendido, 
le  fiamme  parevano  lambissero  le  vette  popolate  da- 
gl'indigeni salutanti  e  verso  le  quali  la  variopinta 
1  salendo  ;  la  gratuli-  nube  'li  fu 
annunciava  fino   al    Pisgah    'In-  la  spedizione 
era  diretta  verso  la  patria. 

la  terza  ed  ultima  tappa  ebbe  termine  otto  mesi 
■iir  il  4  dicembre)  a  Bagamoyo, 
(lumie  i  relegati  per  tanti  anni  Ira  gli  (irrori  dell'K- 
quatoria  poterono  finalmente  spaziare  lo  sguardo  sul- 
l'Oceano indiane,  in  quel  giorno  leggermente  mussi) 
dalla  brezza  sotto  un  cielo  di  purissimo  azzurro.  La 
rsata  lunga  e  avventurosa,  —  durante  la  quale 

non  pochi  furono  i  dispersi,  i  rapiti,  gli  in  risi,  e  la 
traila  frequentemente  dovè  essere  aperta  a  colpi  di 
fuoco,  -  ebbe  per  tristi-  epilogo  la  quasi  mortale 
caduta  di  Emin  pascià  —  semi  cieco  -  da  un  bai- 
mancante  di  parapetto.  Casati,  pur  tanto  desi- 
derosi- di  rivedere  l'Italia,  sostò  cinque  mesi  presso 
di  lui.  tutelandone  salute  ed  interessi. 


Su  quest'ultimi,  periodo  poco  il  Casati  si  estende 
nei  su,.!  /» .,..  anni  in  Equatoria(*).  Uscita  la  sua  1 
l'  1.1  un  anno  dopo  dell'Africa  tenebrosa  di  Stanley 
nttatamente  al  Cairo  in  50  giorni  e 
messa  in  vendita  il  28  giugno  r8go.  cinque  mesi 
di  p"  il  vi,,,  arrivo  in  quella  città).  Casati  ebbe  di 
mira  di  soffermarsi  su  ciò  che  di  nuovo  gli  restava 
.1  dire  e  di  eoin  :  [gì  -n-  a  ■:  i  s]  '  -  /ione  chiara  e  parti- 
colareggiata-    pur  tenendosi  lontano  da  'gni  intento 

polemisti! In    di  meno  esatto  lo  Stanley  a- 

1  potuto  affermare,  assumendo,  verso  i  liberati  e 

di  fronte  al  mondo,  più  l'atteggiamento  d'un  trion- 

scinantesi  dietro  i  captivi,  che  non  quello 


(•)  Oltre  quest'opera,  il  Casati  nulla  lascia  che  qualche 
opuscolo,  in  genere  riproduzione  ili  articoli  d'occasione 
pubblicati  mi  qualche  rivista.  Citiamo:  «  IVr  la  Culi, ma 
Eritrea  >  (settembre  1895);  —  -  L'Italia  in  Africa >  (gen- 
naio 1896  ;  -  «  La  situazione  in  Alma  dopo  «li  ultimi 
avvenimenti  >  (settembre  1896  :  —  <  Dopo  Cassala  »;  — 
,,i  la  vittoria  ►.  Interi  lantl  ono  li  -,  lettere  da  lui 
dirette  alla  Società  mmerciale   in   Africa 

edi    •'   Mil; li  ,111  la   famiglia   1  -  riserva  1  ma- 
noscritti ;  ci  ■  iti    tutte  pubblii  ate  ni  1  B 
tine  della  Società.   Inediti  e  di  alto   valore  sotto  molti    a 
s,,in,  invile  1   i.|  rapporti  dal  Casati  diretti  ad  Emin 
periodo  dal  7  ottobre  1886  al  1 
in  cui  rapi                -   Emin  a   (.inaia    nell'Union).    M 
Emin,  la  famiglia  li  volle  ritornar!   .il  1  osati. 


dì  ehi.  compiuta  l'opera,  si  ritrae  lasciando  ad  altri 
il  giudicarne. 

\  e,  a  ì  un'impressione  che  possa  desumersi 
dall'opera  del  Casati,  il  quale  sembra  anzi  volerla 
attutire;     intera     la    si     desume    invece    dall'opera 

1  dello  Stanley,  in  cui  L'asprezza  del  giudi: 
la  compiacenza  Dell'insistere  su   alcuni   particolari, 
costituiscono  \m  documento  irrefutabile. 

Fu  detto  del  Casati  che  nell'Africa  equatoriale 
aveva  portato  uno  spirito  di  cavalleria,  spinto  fin 
quasi  al  sentimentalismo.  Il  suo  amori-  pei  servi 
fedeli,  lo  studio  d'evitarne  le  fatiche  superflue,  il  sa- 
crificio di  sé  stesso  al  proprio  dovere  in  qualsiasi 
circostanza,  quella  modestia  per  cui  cedette  1  oli-m- 

lamenti-   ad  altri    il    merito  di    risultati  da  lui  COTtSe 

guiti.  non  erano  qualità  che  lo  Stanle\  potesse  inti- 
mamente apprezzare.    Persino   l'episodio  ili  Amina 
tanto   gemile  nella   sua  sciupìi'  diventa 

sotto  la  sua  penna    un   sintomo  di    morbida  afte. 
del   Casati  verso  i  suoi   servi,  maschi  e  femmine. 

Quell'episodio  che  neppure  la  famiglia  cono 
sce  interamente,  tanto  il  Casati  era  restìo  a  parlare 

delle  cose   propru-  —  fu   narrato  dai  giornali   (■omi- 
si   trattasse  della  bimba   d'un  soldato  fedele   che  si 
dovette  abbandonare  malato  per  via,  Certo  pasto  alle 
fiere,  nel  viaggio  di  ritorno  con  Stanley    verso  I  - 
sta  e  che  il  Casati  s'era  assunto  d'allevare,  ed  al 
infatti,  come   figlia,  dandole  un'educazione   e.l  un 
nome,   ed   affidandola,   morendo,   alle  cure    materne 
della   sorella.    Ma    del    padre    abbandonato   non    fa 
renno   il  Casati  nell'opera  sua.  in  cui    le  sole 
dedicate  ad   Amina  sono  le  seguenti: 

-  Era  questa  bambina  nata  a  Giuaia,  nell'I 'nioro.  da 
una  donna  che  si  trovava  al  mio  servizio;  ed  io  avevo 
preso  interesse  per  lei,  sia  per  obbligo  di  umanità,  sia 
per  non  piegare  ai  sentimenti  di  taluni,  che  avrebbero 
salutato  con  gioia  l'abbandono  di  lei  e  della  madre.  La 
malevolenza,  che  non  era  assopita,  riuscì  dopo  dm  anni 
a  provocare  una  sentenza  conforme  alle  prescrizioni  del 
Cerano,  colla  quale  si  decretava  che  la  tutela  della  pic- 
cola non  si  dovesse  lasciare  nelle  mani  di  un  cristiano. 
ma  si  delegasse  all'autorità  governativa.  Non  mi  curai 
per  altro  dello  strano  ordine,  e  mantenni  la  mia  prote- 
zione alla  bambina,  che  valse  a  lei  ed  alla  madre  la  DOS 
sibilila  di  superare  le  peripezie  del  viaggio  e  giungere  a 
salvamento.  - 

Il  nebuloso  racconto  rice\e  qualche  chiare//.!  da 
quanto  scrivi-  lo  Stanley,  il  quale  pure  dedicò  una 
pagina  alla  negra  bambina.  Soltanto  qui  avviene 
Che  qualche    crudezza    di    accenno  non    mil 

da   una  più  sicura   conoscenza  dell'anima  del  Casati 
possa  dare  alla   «   protezione  »  un   significato  di- 
verso. 

Dopo    di    aver    detto  che    di    cinquantun   servi    di 

n,  quattro  soli  avevano  accettato  di  seguirlo  nel 

viaggio  verso   la    costa.    Stanley    scrive: 

.  Di  questi,  uno  dichiarò  rozzamente  di  averlo  soltanto 

nilere  una  piemia  ragazza  Che  il    capitano 

ias:, n  tratteneva  pei  forza,  e  che  dopi,  impadronita 

'.    tornato  a  Cavali   per  aspettarvi  i  suoi   -   fratelli 

abbandonati   a  Vadelal  .    Avendo  chiesto  al    Pascla 

quali  titoli  avesse  Casati  verso  quella  ragazza  —  cln  , 
d'un  nero  intensi)  e  di  circa  cinque  anni  —  mi  disse  che 
Casati  si  era  a  lui  rivolto  pochi    anni    fa    per    averi     una 


L  ESPLORATI  IRE    <   \s  \  I  1 


33 1 


cuoca.  Essa  Io  accompagnò  ad  [Jnioro  quando  egli  lo 
rappresentava  in  quel  paese.  Durante  il  sue  servizio  con 
Casati  la  cuoca  diede  alla  luce  questa  bambina,  ch'era  il 
rampollo  d'un  soldato  sudanese.    Durante  tre  anni  fu  al- 


Amina.  figlia  adottiva  del  maggiore  Casati. 
(Fotografia  della  Lettura  . 

levata  da  Casati  in  casa  sua.  Divenne  la  beniamina  e  col 
suo  chiacchiericcio  innocente  aveva  sollevato  la  vita  tediosa 
dell'  uomo  solingo.  Alla  sua  espulsione  dall'Unioro  e  ri- 
tornato alla  provincia,  la  donna  fu  reclamata  dal  marito 
e  così  del  pari  la  bambina,  ma  in  pari  tempo  costui  non 
ne  riconobbe  la  paternità.  Casati  rifiutò  di  consegnare  la 
ragazza,  ed  ha  ostinatamente  rifiutato  di  farlo  sino  ad 
oggi.  Il  Pascià  crede  sostenere  che  il  soldato  abbia  qual- 
che sinistra  intenzione  riguardo  a  Casati...  - 

La  supposizione  che  si  potrebbe  trarne  è  che  nella 
Amina  il  Casati  adorasse  una  propria  figlia  ;  ora 
questo  essendo  palesemente  escluso  oltreché  dal  tipo 
perfetto  di  razza  nera  che  si  riscontra  nella  fan- 
ciulla (incrocio  d'una  màcraca  con  un  dinca)  e  dal 
fatto  che  il  Casati  non  sarebbe  stato  uomo  da  reti- 
cenze su  tale  argomento,  l'episodio  viene  a  ricostruirsi 
sotto  le  ali  d'un  sentimento  di  protezione  generosa. 
Il  marito  della  donna  o  dubitasse  sinceramente  della 
propria  paternità  o  volesse  dubitarne  per  calcolo  e 
cattiveria,  sarà  ricorso  a  minaccie  e  violenze,  costrin- 
gendola ad  invocare  la  protezione  del  padrone. 
Questi,  affezionato  alla  bimba,  la  concesse  piena  ed 
intera  ricambiando  la  devozione  della  serva  con  una 
tutela  sicura  e  veggente. 

Il  padre  rinnegava  la  paternità.  —  Ebbene,  egli 
concedeva  la  propria.  —  Da  qui  il  litigio  giudiziale, 
la  sentenza  basata  sul  Corano,  il  rifiuto  di  Casati 
ad  aderirvi  e  la  persecuzione  successiva  del  soldato... 


del  quale,  né  Stanley,  né  Casati  parlando  più  oltre, 
é  a  supporre  possa  essersi  trovato  realmente  nel  no- 
vero degli  ignoti  disseminati,  ili  cui  ambedue  gli 
.uituri  parlano  senza  alcun  particolareggiato  accenno. 
Frutto  della  contesa  fu  un  essere  selvaggio  por- 
tato in  grembo  alla  civiltà,  un  cuore  educato  alle 
squisitezze  del  sentimento  domestico,  una  intelli 
genza  aperta  alle  forti  soddisfazioni  dello  studio. 


Scientificamente,  l'opera  del  Casati  negli  otto  anni 
da  lui  precisamente  trascorsi  nelle  regioni  equato- 
riali non  potè  avere  tutii  quei  risultati  ch'era  dato 
sperarne.  —  Anzitutto  egli  non  era  scienziato.  Gessi 
pascià  chiedeva  un  ufficiale  che  sapesse  costruire 
carte  geografiche  ;  ed  egli  fece  rilievi  che  vanno  dal 
2°  al  70  grado  di  latitudine  e  dal  260  al  320  circa 
di  longitudine;  visitò  i  confluenti  principali  del- 
l'Uelle  (Maqua)  e  deH'Anihuimi  (Xepoko)  spingen- 
dosi ad  occidente  fino  a  poche  centinaia  di  chilo- 
metri dal  Congo  (Stanley-Falls)  inoltrandosi  dove 
altri  non  era  ancora  pervenuto. 

Di  lui  il  Checchi  scriveva: 

»  Il  Casati  e  l'Junker  sono  i  soli  europei  che  dal  Bahr- 
el-Ghazel  si  sono  spinti  sino  presso  l'equatore. 

u  Miani,  Piaggia,  Schweinfurth,  Lupton,  Petagos,  Bohn- 
dorff  non  toccarono  che  al  3"  parallelo,  non  oltrepassando 
ad  occidente  il  250  meridiano. 

-  Il  Casati ,  prima  ancora  di  Stanley ,  dava  notizia  a 
Emin  dell'esistenza  delle  famose  montagne  nevose. 

u  Preziosa  è  la  suppellettile  di  studi ,  osservazioni  che 
l'Junker  e  il  Casati  raccolsero  in  quella  vasta  regione.  » 

Non  era  naturalista,  ma  neppure  essendo  indotto 
potè  rendere  servigi  alla  scienza  raccogliendo  nelle 
sue  escursioni  quanto  a  questa  poteva  interessare. 
E  le  grandi  collezioni  di  Emin  (il  tedesco  dottor  E- 
doardo  Schnitzer)  esposte  a  Londra  nel  British  Mu- 
seum  ne  fanno  fede.  Al  Casati,  fra  altro,  si  deve 
l'unico  esemplare  del  rìebi  —  catalogato  come  una 
specie  nuova  sotto  il  nome  di  Dendrohyrax  Emini 
—  e  la  cui  pelle  costituisce  una  prerogativa  regia 
tanto  che  chi  —  uccidendo  un  n'ebi  —  non  lo  porta 
al  re  è  condannato  a  morte.  Ma  ben  altro  sarebbe 
stato  il  profitto  scientifico  di  quegli  anni  di  gloriose 
sofferenze,  se  le  vicende  politiche  dell'Equatoria  non 
l'avessero  tramutato  da  esploratore  in  diplomatico 
e  se  il  sospettoso  e  feroce  Cabrega,  oltre  a  tenerlo 
in  cattività  nell'Unioro,  non  gli  avesse  catturati  e 
dispersi  —  insieme  alle  ultime  raccolte  —  tutti  gli 
appunti  preziosi,  i  rilievi  topografici  e  geografici. 
i  dati  raccolti  dalla  viva  voce  dei  selvaggi  sulla  sto 
ria  delle  loro  tribù,  quanto  insomma  riassumeva  lo 
svisceramento  d'un  ignoto  attorno  al  quale  s'affanna 
il  desiderio  della  civiltà  e  che  resta  serrato  nei  de- 
serti, così  come  il  diamante  sta  rozzamente  rinchiuso 
nelle  pietre. 

Dopo  anni  parecchi,  di  tutto  quel  materiale  pre- 
zioso potè  il  Casati  ricuperare  soltanto  una  piccola 
fotografia  fattasi  fare  nel  '59  e  che  Cabrega  aveva 
risparmiato  dalla  distruzione  generale. 

Eppure  quel  tanto  che  il  Casati  serbò  nella  fer- 
rea memoria,  basta  da  solo  a  far  apprezzare  l'opera 
sua.  Le  diligenti  osservazioni  meteoriche,  a  varie  al- 


LA    11    l'I  i  R  \ 


ed  'ii  vai  pure  un  docu- 

ma   più    ancora   [{ i  è    il   brine  ili- 

lomparativo  fra  il  linguaggio  delle  tribù 
D  M   ru.    Mombettu,    Manila.    Sandeh,    Bari, 


Gai  i  ano  C  isatj  nel  1S59. 
Fotografia  sequestrata  dal  re  dell'Unioro  assieme  a  tutto 
il  materiale  scientifico  del  Casati,  e  restituita   anni    dopo 
per  mezzo  delle  autorità  inglesi  . 

Lur,  m  cui  ebbe  a  sostare.  E  di  tutte  raccolse,  inol- 
tre, la  storia,  sempre  ricca  di  avvenimenti  impen- 
;  1  costumi  che  vanno  dall'antropofagia  ad  una 
semi-civiltà  non  disgiunta  da  squisito  senso  arti- 
stico .  le  leggende  in  cui  lo  spirito  dei  selvaggi  si  ri- 
vela in  una  spesso  affascinante  semplicità.  Le  favole, 
«li  cui  il  Casati  dà  saggi  parecchi,  brillano  sovente 
d'un'arguzia  speciale  che  Esopo  non  disdegnerebbe. 


Ordinariamente,   in    Italia,   le  grandi   relazioni  ili 
viaggi  non  hanno  tutta  la  fontina  che  meriterebbero. 
1       in  parte  deriva  dall'alto  prezzo  delle  edizioni, 
dovuto  alla  parte  illustrativa  che  deve  essere  neces- 
nente  copiosa  .    ma  in  parte  deriva  dal  pregiu- 
dizio che  l'intento   scientifico  da  cui  sono  mosse,  il 
■  che  seguono,  e  la  esclusione  per 
d'ogni  vel  ■  raria,  le  rendano,   anche  alla 

lettura,  atte  più  come   libri   di  consultazione  che  di 
diletto.  Ter  questo,  del,.  oni  contempo! 

dei  Dieci  anni  in  Equatoria,  italiana,  inglese,  tede 
la  (in  lingua  inglese  fu  fatta 
popolare),    la  prima  fu  di  - 
1       'lire   quanto   maggiore   godi 
1  apprendere  direti  le  provò 


—  anziché    romanzescamente  in  compilazioni  altrui 

—  le  vicende  dd    patimenti,  delle  audacie  e 
tnonii!  ("<•  in  questo  il  contatto  coll'eroe,  si  vive 

della  sua  vita,  si  vede  COI  suoi  occhi,  si  sente  i-olla 
sua  anima. 

Nello). er.i  '  una  velleità  letteraria. 

nessuna  enfasi  d'auto-glori  Reazione  ;  la  narrazione 
procedi  calma,  modesta,  documentaria,  ma  vibrano 
ira  le  sue  linee  una  cosi  grande  sincerità,  uno  spi 
rito  così  chiaro  d'osservazione  e  di  Unità,  una  sicu- 
rezza cosi  tacitiana  d'espressione  '\^  dare  ad  alcune 
pagine  quel  valore  appunto  di  cui  l'autore  non  pa- 
reva preoccuparsi. 

I  personaggi  incontrati,  —  re.  ribelli,  schiavi,  sei 
ji,  europei  di  nazionalità  e  temperamenti  dn 

—  son  ritratti  con  degli  sbozzi  che  ne  fissano  tutta 
quanta  la  essenza   psicologica.  Eccone  uno: 

-  È  Stanley  uomo  notevole  per  forza  di  tempra.  I 
lutezza  d'animo,  prontezza  d'ingegno  e  per  una  ferrea 
volontà.  Geloso  della  propria  autorità,  non  tollera  in- 
lluenze  estranee,  non  chiede  consigli:  le  difficoltà  non  lo 
sconfortano,  i  disastri  non  lo  atterrano;  con  una  vivacità 
straordinaria  di  mente,  improvvisa  ripieghi,  si  toglie  da 
un  imbarazzo.  Assoluto  e  duro  nel  mandato  delle  sue 
funzioni;  non  sempre  guardingo  da  giudizi  precipitati  ed 
erronei,  l' irresolutezza  e  la  titubanza  lo  irritano  a  tanto 
da  sconcertare  la  sua  consueta  gravità.  Sempre  comp 

il  viso  a  serietà,  riservato  e  parco  nel  dire,  pur  inchinevole 
a  socievolezza,  non  desta  senso  di  simpatia;  ma  la  fre- 
quenza del  contatto  lo  rende  desiderato  per  franchezza 
di  modi,  per  l'arguzia  del  dire,  per  la  cortesia  di  genti 
luomo,  - 

Mettete  ora,  vicino  a  questo  temperamento,  que- 
st'altro dell'Emin,  ed  avrete  la  spiegazione  intuitiva 
della  disarmonia  che  doveva  inevitabilmente  mani- 
lesi  arsi  e  trascinarsi  in  postume  polemiche.  Casati 
così  infatti  tratteggia  Emin  : 

-  Di  carattere  serio,  concentrato,  innamorato  delle 
scienze  naturali  e  della  solitudine,  si  teneva  in  disparte 
da  qualsiasi  contatto.  Se  non  superbo,  certo  fiducioso 
molto  nella  propria  superiorità  .  sembrava  sdegnasse  lo 
studio  accurato  dell'indole  degli  uomini  che  lo  attornia- 
vano; egli  credeva  bastare  a  tutto  da  solo,  e  il  giorno 
che  da  solo  non  potè  trattenere  la  foga  dell'irrompenti 
sfacelo,  errò  nei  giudizi,  li  mutò  spesso,  fu  di  grave  danno 
a  sé  medesimo.    - 

E  altrove  parlando  incidentalmente  di  sé 

—  a  proposito  di  un'iniziativa  diplomaticamente  ar 
dita  verso  i  ribelli  egiziani  da  lui  compiuta,  ma  con 
siderata  in  diverso  modo  da  Emiri.  —  così  tracciava 
lo  scorcio  del  temperamento  proprio: 

-  Il  freno  al  natio  orgoglio  non  era  abdicazione  di  di- 
gnitài  bensì  fredda  riflessione  sui  doveri  d'amico  ehe  mi 
era  volontariamente  imposti.  E  K  necessità  e  l'orza  di 
avvenimenti  mi  avevano  costretto  a  smettere  le  abitudini 
europee  a  tanto  da  non  far  comprendere  come  potesse 
trascorrere  per  me  il  tempo,  l'animo  In  sempre  saldo,  il 
pensiero  fisso  costantemente  alla  nula,  né  mi  preoo 

carezzare,  come  altri,    sapra  tutto  e  tutti,   una  vana 
e  inopportuna  alterìgia,  - 

E  più  oltre  riassumendo  m  poche  linee  l'insegna 

mento  derivatogli  dai  fatti  : 

-  Non  bisogna  mai  combattere  di  fronte  una  situazione 
quando  si  presenta  irta  di  difficolti  per  sfrenate  pa« 


L  ESPLORATI  (RE    i    \>  \  i  I 


333 


bensì  studiare  d  accorciarla  e  dirizzarla  prudentemente 
a  proprio  favore;  vegliare  sempre  e  saper  cogliere  al  volo 
l'occasione  propizia,  che  non  manca  mai  dal  presentarsi. 
Tutte  le  questioni,  colle  tendenze  dello  spirito  orientale, 
si  presentano  al  loro  principio  sotto  forme  pompose  e  con 
apparati  formidabili  ;  svestite  di  questa  falsa  vernici- .  il 
lato  vulnerabile  fa  capolino  e  si  presenta  spontaneamente. 
Buon  sistema  d'informazioni,  contegno  moderato  cogli  av- 
versari, azioni  che  valgano  a  tener  viva  la  fiducia  degli 
amici,  varranno  mai  sempre  a  dominare  uomini  ed  avve- 
nimenti. - 


Villa  Casati  —  (Fotografia  della  Lettura.) 
a  Cortenova,  frazione  di    Monacello    in    Brianza,    ove    il 
7  marzo  1902  mori  Gaetano  Casati. 


E  quanti  altri  insegnamenti  trasse  l'uomo  al  con- 
tatto con  quegli  esiliati  dalla  civiltà  !  Parecchie  pa- 
gine han  tutto  il  valore  d'una  psicologia  di  razza, 
indicante  di  essa  i  lati  sfruttabili  e  quelli  pericolosi  : 

-  Il  sentimento  d'affetto  dei  figli  durante  gli  anni  del- 
l'infanzia e  il  rispetto  degli  adulti  pei  genitori  e  pei  vec- 
chi sono  quasi  generali.  Lo  sviluppo  intelltttuale  è  pre- 
coce e  marcato,  ma  presto  degenera  e  si  limita  in  cerchia 
strettissima.  Hanno  fantasia  sbrigliata,  vivacità  che  tocca 
alla  follia.  Diffidenti  per  natura,  titubanti  nel  risolvere, 
cavillosi  nelle  argomentazioni ,  si  acconciano  ad  una  opi- 
nione più  per  esaurimento  di  sottigliezza  ,  che  per  forza 
di  convinzioni.  Sono  amanti,  anzi  gelosi,  della  loro  indi 
pendenza.  Forti,  audaci,  facili  alle  impressioni,  solo  gli 
scambi,  il  commercio  e  più  ancora  la  mitezza  dei  mezzi 
e  la  cordialità  delle  relazioni,  potranno  aprire  una  via  a.l 
iniziare  la  loro  rigenerazione;  —la  prepotenza,  no — ■  essa 
ti  condurrebbe  ad  una  l<Ua  di  esterminio.   - 

E  quale  epica  grandiosità  assume  sovente  nei  sel- 
vaggi questo  spirito  di  lotta.  Qui  il  ribelle  Mamban- 


ga,  fortificatosi  con  trenta  fucili  sulle  sponde  del 
Vavu,  resiste  allinvasione  degli  arabi  negrieri.  G  im- 
prendendo difficile  la  vittoria,  si  getta  primo  nel  fu- 
ror della  mischia  tenendo  col  bricrio  destro  il  suo 
bimbo  di  due  anni. 

—  Perduta  ogni  speranza,  —  dice  dippoi,  —  l'a- 
vrei trucidato  di  mia  mano;  mio  figlie  non  doveva 
cader  schiavo. 

E  vince,  e  getta  la  paura  del  suo  nome  in  lutto  il 
paese. 

Là,  è  Muanga,  il  terrore  dell'Uganda,  il  N'erone 
giovinetto  dell'epopea  selvaggia  ;  grandiosamente 
vile,  grandiosamente  sanguinario.  Stermina  le  mis- 
sioni, incendia  i  villaggi,  si  butta  alle  orgie  sconfi- 
nate. Il  nome  di  cristiano  è  nel  suo  regno  un  ri- 
chiamo di  morte;  poi  quando  la  rivolta  freme,  quan- 
do il  nemico  s'appressa,  quando  la  salvezza  del  tro- 
no resta  un'impossibilità,  eccolo  fuggiasco  per  bo- 
schi e  dirupi,  inseguito,  ansimante  fin  che  giunge 
alla  soglia  d'una  lontana  capanna.  Ed  entra  e  chiede- 
soccorso  ;  ed  un  missionario,  fuggito  alle  sue  per- 
secuzioni, lo  accoglie  e  lo  conforta;  a  lui,  che  teme 
vendetta,  annuncia  che  Iddio  perdona  e  che  il  prete 
è  un  servo  di  Dio.  E  sul  negro  capo  lanuto  del  pa- 
vido fuggiasco  scende  l'acqua  lustrale  a  farne  un 
fratello  nel  grembo  del  Signore. 

E  più  oltre  ancora  storie  di  sacrifici  volontari,  or- 


Vu.r.  v   BOFl  u.ora  —     Fotografia  della  Le/lui 
nel  parco  dei  conti  della   Somaglia   presso   Gernetto  (Le- 
smo,  in  quel  di  Monza)  ove  nel  1838  nacque  Gaetano  Casati. 

rendi.  Sei  donne  che  si  lasciano  seppellir  vive  per 
tenere  sul  grembo  il  cadavere  del  loro  re;  dignitari 
che  si  offrono  alla  scure  per  invocare  col  loro  sangue 
sulla  tribù  la  clemenza  del  cielo....  E  figure  di  guer- 


.!.'.)  LA  LETTURA 

ili    istillili 

che  paiono  il  riflesse  della  più  classica  romanità, 

lima,  Melili  d'un  re  spodestati ■.  giura, 
Fanciullo,  o  di  vendicare  le  violenze  inflitte 

.1  suo  padre.  Un  gruppo  di  si  basta  .  p 

sugli  Ababùa,  semina  la  strage  lungo  la  sua  via 
,•  no  dai  ani  i  alla  tomba  paterna.  Ri 

no,  I"  allarga  combattendo  li 

cine  tribù,  indi  tutti  vuole  accolti  in  un  ambiente  di 

giustizia  e  'li  pace    Morto,  è  reputato  un  semidio; 

una  vicina  tribù  superstiziosa  ne  ruba  il  cadavere, 

li  i  propiziatore  ;  ma  esso  \  iene  riconquistati  i 


e  composto  in  un'urna  ili  legno,  custodito  continua- 
mente nella  funebre  capanna.  Al  sorger  del  sole  il 
simili  è  lavato  e  tutte  le  sere  vi  si  colloca  abbondante 
cibo,  che  il  giorno  successivo  è  distribuito  a  genti 

ideh.  La  vestale  che  abbia  relazione  con  un  uomo 
oche  lasci  spegnere  il  fuoco  è  condannata  a  morire. 

Ed  al  grandioso   ivco  mescersi  il    si ngi ilarmente 
i  Quando  il  re  stemuta  o  tosse,  la  gente  gri 

da:  Ne  ckigna  cica  (al  re  salute);  se  altri  in   pre- 
senza sua  'I  ii'SM- 1   starnutisce  o  sputa  è  reo  ili  I 
tà,  passibile  ili  mori  ■ 

Il  re  fuma,  e  la  lunga  pipa,  sempre  nuova,  è  ac- 


^■^^c^^a^^^  ^L>^^ 


^L^*^t^&J?   ^C<z-S '-0*1' '+-J  ^^Z  '/^^ 


'^Ci^    J&A&e*^^, 


^  ,£*-/ J^&J?  £^*<J 


<r 


'—      C^f^r 


^y^^Tt-  *~*K-o<'  ^^=^r  fe 


-  /C~*s<5LgZZ  S' 


'/• 


^x~?^ 


T) 


*£.'  c^^CitL -**^4t^_sJ  J&uD 


t-*c? 


■£-* 


^ 


<&~j  «-f ^  ^  *^j^? 


1  di  Gaetano  Casa  1  Unioro,  18  gennaio  1887). 


1.   ESPLORATI  IRE    i    \>  \  l  I 


335 


curatamente  preparata  ed  accesa  da  un  a]  posilo  fun- 
zionario, che  gliela  allunga  a  dorso  nudo  ed  a  gin<  c- 
chio  piegato,  mentre  attorno  squillano  le  trombe. 
rullano  i  tamburi  e  gli  astanti  gridano  la  bellezza 
del  re.  Azanga  amanite!  (Come  è  bello  il  re!). 

E  il  re  per  compenso  prodiga  ai  sudditi  le  pro- 
prie virtuosità.  Nerone  declamava,  lottava  e  improv- 
\  isava  ;  Asari ga  balla.. 

Adorno  di  pelli  di  leopardo,  code  di  felini,  a- 
nelli.  collane,  bracciali,  col  berretto  di  scìmmia  in 
capo,  la  pelle  del  nèbi  alla  cintura,  chiama  a  conve- 
gno la  famiglia,  i  dignitari,  i  guerrieri  e  uno  stuolo 
immenso  di  donne.  I  musicanti  suonano  e  fra  il  de- 
lirio degli  astanti  Azanga  intreccia  capriole,  scam- 
bietti, piroette,  giri  sopra  giri,  le  gambe  sollevate  in 
aria,  a  in  un  delirio  che  tocca  la  vertigine.  Poi  tinge 
inseguire,  raggiungere,  attirare  a  sé  una  vaga  fan- 
ciulla :  si  appiatta ,  corre .  salta .  trionfa  e  gli 
astanti  s'abbandonano  al  fragor  degli  applausi 
mentre  le  donne  s'invidiano  uno  sguardo,  un'atten- 
zione. 

E  quando  il  re  è  vinto  in  guerra,  spodestato  e  re- 
legato, permane  nei  sudditi  il  lacrimoso  ricordo  di 
lui.  Raccolti  alla  sera  in  mucchio  accompagnano  sui 
mandolini  una  canzone  di  lutto: 

-  Azanga  è  prigioniero.  Perche  non  ritorna  al 
paese?  Che  possiamo  noi  fare  senza  di  lui?  Oh! 
s'egli  avesse  a  morire,  il  nostro  dolore  non  avrebbe 
mai  fine.... 


E'  in  questo  succedersi  di  quadri  e  figure  finte- 
resse  palpitante  del  lavoro,  dal  quale  traggon  rilievo 
tanti  nobili  caratteri  d'italiani.  Strano!  Mentre  al 
contatto  con  quelle  razze  e  regioni  vergini,  l'esplora- 
tore in  genere  non  subisce  che  l'istinto  del  dominio; 
a  costo  anche  della  desolazione,  e  lo  scienziato 
come  Emin  —  s'augura  di  poter  uccidere  dei  sel- 
vaggi per  farne  bollire  le  teste  e  preparare  i  crani 
ad  uso  di  museo,  l'esploratore  italiano  è  preso  so- 
prattutto da  un  senso  di  umana  pietà  o  di  estetica 
ammirazi.  ne  a  seconda  abb'a  lo  spettacolo  d'una 
interiorità  lasciata  in  balìa  degli  eventi  e  di  una 
forza  congenita  utilizzabile  ad  alti  scopi.  Gessi  e 
Messedaglia.  non  si  distinguono  in  questo  senti- 
mento dai  missionari  Miani  e  Gavazzi  ;  il  Casati 
li  seconda,  egli  che  ottenne  di  salvare  dalla  distru- 
zione di  rito  un  villaggio  che  lo  aveva  offeso,  alle- 
gando, scherzosamente,  che  alcuni  abitanti  si  erano 
prestati  a  salvargli  il  somarello. 

Così  come  il  nome  di  Gessi,  odiato  dai  negrieri, 
era  venerato  dai  neri  del  Sudan,  quello  di  Casati 
ha  lasciato,  in  regione  ben  più  remota,  il  profumo  di 
quella  gentilezza  latina  che  non  si  scompagna  da  com- 
battività e  da  forza,  ma  al  cui  contatto  ciò  che  in 
altri  è  tristo  pare  si  sgomenti  e  rintani,  mentre  il 
buon  seme  germoglia  e  fiorisce. 

O.    ClPRIANI. 


Atami.no.   madre  (li  Anwna.  AmbaR.  Fareg.  ECadiga.  CarTUM. 

Fotografia  Calzolari.   .Mi]  rita  dalla  famiglia  Casati  . 


(  i  l'i  questi  servi  di  Casati.  Ambar,  Kadiga  e  Cartum  (che  Cacati  raccolse  smarrita  da  bambina  sulla  via  di 
Cartumi  vollero  tornare  in  Africa  un  anno  dopo;  Ataraèno  resistette,  ma  il  clima  influì  anche  sul  suo  cervello  e  per 
consiglio  dei  medici  fu  mandata  al  Cairo,  ove  mori  nel  1896  I  areg,  desideroso  di  novità,  passò  al  servizio  d'un  bar 
milanese  e  mori  l'anno  scorso  al  Padiglione  Litta.  Solo  Amina  rimane. 


-  Uno  pi  i   miei  i  \-  1 11,1  i  in  Spacna. 


Victor  tirio-o  cliseoiiatore 


in/a  dubbio,  non  è  un'eccezione.  La 
storia,  questo  meraviglioso  olimpo  del- 
l'età moderna,  ci  parla  di  non  pochi 
letterati ,  romanzieri  e  poeti,  più  o 
meno  grandi  ed  anche  grandissimi,  che  vollero  e 
seppero  maneggiare  ad  un  tempo  la  penna  e  la 
matita,  se  non  tutti  e  sempre  con  egual  sicurezza, 
spesso  però  assai  genialmente  e  con  non  piccola 
maestria.  Cosi  come  abbiamo,  nel  caso  inverso, 
e  in  una  maggior  quantità  di  esempì ,  pittori  e 
scultori  la  cui  fama  va  divisa  tra  le  opere  del  pen- 
nello, dello  scalpello  e  quelle  della  penna;  fra  mi- 
rabili tele,  marmi  prodigiosi  e  squisiti  o  forti  versi 
ed  eleganti  pagine  di  prosa.  Salvator  Rosa,  il  Lippi 
ionardo  da  Vinci,  il  Buonarroti  e  il  Cellini,  il 
Dupré  u  il  D'Azeglio;  per  non  citarne  che  alcuni 
e  dei  nostri  soltanto. 

L'Hofimann  —  tra  i  letterati  —  poteva  dirsi  uno 

dei  più  franchi  ed  abili  disegnatori  del  suo  tempo. 

le  forse  -  li  si  serviva   di    questa   sua 

dote  preziosa  per  imbastire,  preparare  e   svolgere 

l'azione  di  que1  suoi  imaginosissimi  e  paurosi  rac- 

■    hanno  formato  la   delizia   della   ai 

adolescenza.  La  matita,  per  cosi  esprìmersi,  era  la 

sua   più   fedele   collaboratrice.    Poiché   solamente 

■  averli  disegnati  ad  uno  ad   uno   con   amore 

infiniti  i,  si  piamente  dopo  aver  riprodotti  ed  a  lungi  i 


osservati  e  studiati  sui  cartoni  le  caratteristiche 
principali,  le  fattezze,  i  costumi  de'  suoi  perso- 
naggi, poteva  dirsi  sicuro  e  padrone  del  soggetto 
ideato  e  rappresentarlo  ai  lettori  col  magistero 
tlella  parola. 

Théopile  Gauthier  —  tra  i  più  illustri  letterali 
francesi  del  secolo  scorso  —  attese  con  grande 
ostinazione,  sin  dall'inizio  della  sua  carriera,  allo 
studio  del  disegno  e  per  qualche  tempo  visse  più 
per  la  pittura  che  non  per  i  suoi  sogni  di  poeta 
e  di  scrittore. 

Luigi  Capuana,  I'  inimitabile  autore  delle  Pae- 
sane —  per  venire  ai  nostri  —  non  sdegna  di  con- 
cedere alla  matita  un  po'  della  sua  non  comune 
attività  ;  e  di  lui  si  ricorda,  qui  in  Firenze,  una 
graziosissima  caricatura  fatta  al  povero  e  buon 
o  Signorini,  il  principe  dei  macchiatoti; 
una  caricatura,  che  è  un  piccolo  capolavoro  di 
finezza  e  di  spirito.  Ed  io  rammento  di  aver  ve- 
duto qualche  anno  fa,  nello  studio  di  un  vecchio 
letterato  fiorentino,  ricco  di  sapere  e  d'ingegno, 
benché  umile  e  oscuro,  un  tramonto  a  olio  di  Ga- 
briele D'Annunzio,  che  rivela  non  poche  e  non 
trascurabili  qualità  di  colorista.  E  quanti,  quanti 
:dtri  ancora  Be  ne  potrebbero  citare!... 

Non  un'eccezione,  dunque.  Ma  un  fatto  che 
rientra,    come    si    dice,    nell'  ordine  naturale  delle 


VICTOR    HUGO    DISEGNATORE 


337 


cose  —  data,  si  capisce,  la  singolarità  del  tempe- 
ramento di  un  artista  ;  —  ma  un'unione  e,  quasi, 
una  fusione  di  doti,  che  la  natura  stessa  vuole 
nella  sua  mirabile  ed  infinita  armonia.  Si  sa  che 
il  Thiers  ha  lasciato  scritto  in  propositi  1  :  Tanto 
il  pittore  che  lo  scrittore  posseggono  ad  un  mede- 
simo modo  quella  immaginazione  dell'  arte,  che 
ben  potrebbe  chiamarsi  l' imma^inazion  del  dise- 
gno .  L'immaginazione  poetica,  insomma.  E  stu- 
pisce anzi,  in  tal  caso,  la  povertà,  la  mancanza 
assoluta  di  una  simil  caratteristica  in  altri  grandi 
essi  pure  e  che  pur  sentirono  vivissimo  in  se  il 
desiderio  di  secondar  con  lo  studio  questo  biso- 
gno, che  li  spingeva  a  cercare  nella  matita  e  nel 
pennello  un  aiuto  per  la  estrinsecazione  dei  loro 
sogni  e  dei  loro  pensieri.  Nel  Goethe,  per  esem- 
pio, che,  se  si  deve  dar  ascolto  a  quanto  egli 
stesso  dice  in  proposito  ne'  suoi  Epigrammi  di 
l 'enszia,  studiò  a  lungo  il  disegno  ed  attese  alle 
arti  belle,  non  riuscendo  però  a  concludere  mai 
nulla  di  buono. 

E'  vero  che  il  Goethe  ne  accusa  la  poca  perse- 
veranza ;  ma  a  me  sembra  che,  di  perseveranza, 
non  sia  nemmeno  il  caso  di  parlare,  dal  momento 
che  egli  medesimo  confessa  di  aver  molto  disegnato, 
dipinto  ad  olio  e,  perfino,  inciso  nel  rame  e  formato 
con  l'argilla.'.'... 

Contraddizione  in  termini,  no?... 


Ciò  che  meraviglia  invece,  in  Victor  Hugo,  è  il 
modo  stesso  con  cui,  diremo,  esordì  nella  sua.... 
carriera  di  disegnatore  e  l'eccellenza  che    riusci  a 


conseguirvi  senza  grandi  sforzi;  cosi  naturalmente, 
anzi  ;  non  piegandosi  mai,  cioè,  come  il  Gauthier, 
al  giogo  di  un  corso  di  studi  seri  in  proposito. 
Aveva  ricevuto,  è  vero,  da  fanciullo,  allorché  si 
trovava  in  collegio,  alcune  lezioni  di  disegno;  ma 
che  lezioni!...  Come,  su  per  giù,  si  danno  a  tutti 
i  fanciulli  e  in  tutti  i  collegi  del  mondo  ;  semplici- 
rudimenti,  principi  elementarissimi  e  non  altro. 
Né,  una  volta  uscito  dal  collegio  e,  più  tardi  an- 
cora, all'  inizio  della  sua  vita  di  scrittore,  aveva 
pensato  più  a  trarne  un  profitto  qualsiasi  o,  tanto 
meno,  a  perfezionarsi. 

Il  suo  primo  tentativo  —  curioso  e  stranissimo 
indizio  di  una  vocazione  naturale  all'arte  figura- 
tiva —  lo  dimostra  pienamente.  E'  un  grosso  uovo 
di  gallina,  eseguito  a  semplice  tratto,  ritto  sulla 
parte  più  convessa  e  inclinato  da  un  lato,  per  non 
si  sa  qual  miracolo  di  equilibrio,  da  disgradarne 
lo  stesso  nostro  Brunelleschi  ;  dentro,  vi  zampetta 
un  pulcino  dalla  coda  superba  e  il  becco  aperto 
con  assai  manifesta  prepotenza.  Le  linee  sono 
grossolane,  goffe  ed  incerte;  tanto,  che  il  piccolo 
autore  medesimo  credette  opportuno  di  scrivervi 
sotto  a  mo'  di  spiegazione  :  —  Ceci  est  un  oiseau. 
—  Ma,  a  parte  il  disegno  e  a  parte  quella  inve- 
rosimile coda,  vi  si  scorge  qua  e  là  —  la  grossezza 
degli  occhi,  per  esempio,  caratteristica  nei  pulcini 
e  le  piume,  anzi  che  le  penne  —  una  precoce  os- 
servazione della  natura  ed  un  intuito  rari,  se  non 
del  tutto  unici  in  un  fanciullo. 

Nonostante,  questo  primo  tentativo  non  può 
considerarsi  tale  se  non  dal  lato  cronologico,  e, 
quindi,    a    rigore   storico   soltanto.    Poiché   la  sua 


II.    CASTELLO    IH    Ri  V    GOMEZ. 


La  Lettino. 


LA     I  I    I  !  !   RA 


Un  angolo  delle  fortificazioni. 


prima  vera  manifestazione  artistica,  che  riempì  di 
meraviglia  lui  sti  530,  rivelandogli  una  simile  sin- 
golarissima dote,  non  avvenne  che  molto,  ma  molto 
più  tardi;  quando,  <  ioè,  l'Hugo  era  già,  come 
piare  di  dire  a  noi  toscani,  un  uomo  fatto  nel  ge- 
nuino significato  della  parola  e  la  gloria  gli  splen- 
deva sulla  vastissima  fronte. 

Fu  viaggiando  nei  dintorni   di    Parigi,    in    com- 
pagnia  di    una   signora.    Erano   in  diligenza,  e  il 
pirla   cercava   di    ammazzare    il    suo   tempo  e  la 
degli  ormai  classici  trabalzoni  del  rozzo  vei- 
colo,    facendo    le   spese   della   conversazione   con 
quell'amabilità  che  gli  era  propria,    osservando   e 
notando,  secondo  la  sua  abitudine,  le  bellezze  del 
paesaggio.   Arrivati    a    un    piccolo    paese  vicino  a 
Meulan,  la  diligenza  dovette  fermarsi  per   il  cam- 
bio dei  cavalli;  e  l'Hugo  colse   subito   la  buona 
occasione  per  iscendere  un  po' e  visitare  la  chiesa 
del  paese  stesso,  che  era  assai  antica  e  pittoresca. 
Dentro,  la  grazia  e  la  leggiadria  dell'abside    lo 
colpirai)    di    meraviglia,    lo    innamorarono:    tanto 
che  egli  senti  vivissimo  in  sé,  per  la  prima  volta, 
rio  e  il  bisogno   'li    (issar  sulla  carta,  per 
ne  una   più    sicura   e    durevol    memoria, 
'   particolari  più    caratteristici    ed    impor- 
tanti    A .  ■  va    appena,    a    Mia    disposizione,    dieci 
i.  rapidi  minuti  di  tempo....  Volle  provar  visi, 
in  piedi,  servendosi  del  cappello  rome  di  ta- 
i   e  vi  riu 
«  Soltanto  allora,  —  racconta  egli  stesso  con  quel 

stile  •  l 'in  iso,  nerv .  <  mi  i      io  com- 

i,  per  la  prima  volta,  qual  profitto  poteva 
trarre  per  i  miei  lavori  letterari  dalla  riproduzione 
della  natura.  La  mia  compagna  di  viaggio  si  burlò 
di  me  e  mi  disse  :  —  K  che?...  Vorreste,  dunque, 
diventare    un    disegnatore-'...         N(     ridemmo    in- 


sieme; ma  un  simile  fatto  mi  servì  d'insegnamento 
e  in  seguito,  ■  onie  ho  scritto  più  tardi,  mi  piacque 
sempre  di  fermar  sulla  carta  le  caratteristiche  delle 
architetture  locali,  quando  l'architettura  era  natu- 
rale e  non  alterata  dagli  architetti  ».  E  soggiunge, 
con  una  geniale  osservazione:  «L'architettura  dà 
un'idea  precisa  del  clima;  e,  se  un  tetto  è  fatto  a 
punta,  indica  la  pioggia;  se  è  piatto,  il  sole;  ri- 
coperto di  pietre,  il  vento». 

Dopo  questa  mietiture  infatti,  com'egli  la  chiama, 
l'Hugo  non  trascurò  mai  di  ritrarre  quei  motivi 
di  paesaggio,  quei  particolari  di  opere  d'arte, 
quei  tipi  e  quelle  figure,  tutto  quanto,  insomma, 
gli  era  dato  di  vedere  e  che  più  colpiva  la  sua 
immaginazione.  K  così,  in  breve,  a  buia  di  ser- 
virsene in  ogni  occasione,  di  progresso  in  pro- 
gresso, giunse  a  maneggiar  la  matita  in  modo 
tale,  che  più  di  un  artista,  anche  grande,  gli 
avrebbe  potuto  invidiare...  Anche  Luigi  Boulan- 
ger,  anche  il  Roqueplan  e  Paolo  Huet,  se  si  deve 
credere  al  Gauthier!... 

Aiutato  da  una  memoria  veramente  prodigiosa, 
da  una  singolare  prontezza  ed  acutezza  nel  co- 
glier eli  ogni  persona  e  di  ogni  cosa  le  speciali 
caratteristiche,  dalle  principalissime  alle  più  mi- 
nute ;  dotato  di  ciò  che  gli  artisti  chiamano  il 
colpo  d'occhio  nel  penetrar  subito  l'intima  essenza, 
lo  spirilo  del  soggetto;  bastavano  a  lui  pochi  toc- 
chi, una  specie  di  appunti  grafici  presi  in  fretta, 
per  poter  poi,  con  più  calma,  nella  quiete  della 
sua  camera  d'albergo,  0  nello  studio,  ricostruire 
con  una  ammirabile  fedeltà  il  paesaggio,  veduto, 
per  esempio,  sia  pur  dopo  un  lungo  lasso  di  tempo. 
La  mano,  anche  nei  primi  tentativi  —  benché  nrn 
ni. ii  esercitata  per  l'avanti,  benché  ignara  delle 
malizie,  dei  segreti  o  delle  finezze  del  mestiere  — 


Vii    fi  >R    111  GO    DISI  >  tN  VTl  IR! 


seguiva  obbediente  il  ricordo  con  una  sicurezza 
unica  più  che  rara  ;  la  potenza  del  pensieri)  e  del- 
l' ispirazione  dominava  la  materia,  piegandola  ad 
ogni  suo  volere,  ad  ogni  suo  ca- 
priccio. 

«  Quando  viaggia,  —  ha  scritto 
appunto  in  proposito  Téophile 
Gauthier,  che  fu  uno  dei  suoi 
più  fervidi  amici  —  egli  ritrae 
con  la  matita  tutto  ciò  che  più 
lo  colpisce.  Da  prima  non  sono 
che  appunti  ;  —  un  angolo  di 
collina,  una  linea  d'orizzonte, 
una  strana  forma  di  nuvola,  il 
particolare  caratteristico  di  una 
porta  e  di  una  finestra,  un  vec- 
chio campanile;  —  ma  poi,  alla 
sera ,  una  volta  all'albergo ,  vi 
torna  su  con  la  penna ,  li  om- 
breggia, li  colorisce,  li  vivifica 
vigorosamente  e  vi  mette  degli 
efletti ,  scelti  sempre  con  singo- 
lare arditezza;  e  allora  l'abbozzo 
informe,  buttato  giù  in  fretta  e 
furia,  sulle  ginocchia  o  sul  co- 
cuzzolo del  cappello,  spesso  fra 
un  trabalzone  e  l'altro  della  vet- 
tura o  una  scossa  e  l'altra  del 
naviglio,  si  trasforma  in  un  vero 
e  proprio  disegno  molto  simile 
;  d  un'acqua  forte ,  cosi  fantasiosa  e  di  un  tale 
insieme,  da  meravigliare  perfino  gli  artisti». 

Veramente  prodigioso,  non  vi  sembra?... 

Egli  è  che  mai  in  nessun  altro  come  nell'Hugo, 


339 

chiamava,  si  è  già  visto,  P  immaginazion  del  di- 
segno. Egli  è  che  in  nessun  altro,  mai,  la  potenza 
del  pensiero  e  l'altissimo  senso  poetico  superaron 


;ran  tempes  i  \ 


fra  gli  scrittori  del  suo  tempo,  la  natura  si  era 
compiaciuta  di  sviluppare  e,  quasi,  di  perfezionare 
quell'armonioso  accoppiamento  di  qualità  artisti- 
che, al  quale  altrove  ho  accennato  e  che  il  Thiers 


NELLS  <  ORIENTE. 

di  gran  lunga  e  seppero  dominare  i  semplici  mezzi 
materiali  oicorrenti  all'estrinsecazione;  sì  che  gli 
uni  e  gli  altri  —  io  credo  —  fossero  pure  i  più 
diversi  fra  loro,  avrebbero  avuto  per  lui  un  eguale 
valore  e  si  sarebbero  ad  una 
stessa  maniera  piegati  al  capric- 
cio della  sua  magica  fantasia,  sol 
ch'egli  avesse  voluto.  Ed  è,  inol- 
tre ,  che  pochissimi  al  pari  di 
lui  ebbero  così  viva  e  profonda 
nell'anima,  fin  dalla  prima  gio- 
vinezza ,  queir  intima  significa- 
zione delle  cose  e  degli  uomini, 
quella  scienza  di  ogni  più  occulto 
segreto  della  vita  universa,  che 
fa  del  poeta  e  dell'artista  un  es- 
sere sovrannaturale  ;  ciò  che,  in- 
somma, potrebbe  dirsi  il  palpito, 
il  pensiero  ed  il  cuore  di  tutte 
le  cose,  di  tutti  gli  uomini  e  del- 
l' intera  vita  universa  ;  —  eterna 
sfinge  maravigliosa  per  i  n'- 
Ietti da  Dio.  La  natura  stessa  era 
in  lui. 

Non  per  niente,  rivolgendosi 
ad  Alberto  Dtirer ,  signore  ma- 
gnifico della  materia  ed  aquila  di 
pensiero ,  cantava  in  quel  suo 
mirabile  verso  : 

O   moti  maitre  Albert  Durer,  ó  vieti  x  peintre  i"  nsil  ' 

Ma,  oltre  che  un  aiuto  per   l'opera  sua  lettera- 
ria, questo  del  disegnare,  era  divenuto  a   poco   a 


.:  |i.  LA   LETTURA 

i  un  bisogno,  ima  disi  quasi  un  riposo 

del.  su.  >  mando  spirito  affaticato  dalla  lotta  di  ogni 
giorno,  disgustato  e  amareggiato  dalla  malignità 
dei   tempi   e   degli   uomini.    Riposo   per  modo  di 


li.   i-i  in  ri.   ni    Vi  wih.n. 

dire  :  poiché  certe  anime,  certe  fibre  umane  vera- 
mente prodigiose  sembrano  non  potersi  piegare  mai  ; 
ani  he  quando  il  dolore  le  strazia,  anche  dopo 
i  più  incredibili  conati  per  il  compimento  di  una 
impresa;  —  alla  forza  della  materia  e  alle  comuni 
necessità  della  maggioranza  degli  uomini.  Un  al- 
tro apostolo,  —  per  citar  un  esempio 
che  i  alza  a  cappello  —  <  ìiuseppe  Ga- 
ribaldi, che  dell'Hugo  ebbe  la  mede- 
sima e  purissima  fede  e  che  al  pari 
di  lui  consacrò  tutta  la  mitica  vita  alle 
battaglie  e  alle  vittorie  della  libertà  I  [), 
traeva  conforto  e  riposo,  dalle  fatiche 
dei  regni  conquistati,  arando  umile  e 
solo  —  come  sapete  —  la  sua  aspra  e 
diletta  terra  di  Caprera.... 


Cosi  quella  di  Victor  Hugo  può  dirsi,   più  che 
altro,    una    semplice    deviazioni-    di  t .  .1  ni  ;  i  data  al 
suii  pensiero  e  alla  sua  attività  :  poiché  il  pensi' 
anche  in  simili  momenti,  continuava  in  lui  la    in- 

stancabile  opera  di  creazione,  quasi  1  he 

la  prosa  ed  il  verso  non  fossero  stati 
sufficienti  alla  sua  esuberantissima  fan- 
tasia e  alla  sua  mirabile  fecondità.  E 
in  questo  solo,  anzi,  va  ricercata,  io 
credo,  la  vera  causa  diretta  del  sin  1  la- 
voro di  artista 

ni  e  visioni,  fantasmi  e  ligure,  ri- 
cordi di  cose  vedute  in  un  tempo  lon- 
tano, che  il  verso  non  bastava  ad  e- 
sprimere  e  che  la  prosa  non  avrebbe 
potuto  esprimere,  fiorivano  sotto  la 
penna  o  sotto  la  matita  in  quegli  istanti 
di  distrazione  operosa.  «  Ses  dessi/is 
—  diceva  l'incisore  Méaullc,  clic  fu 
uno  de'  suoi  più  fervidi  amici  ed  am- 
miratori—  soni  fècole  buissonièrh  de 
son  e  spi- il    . 

Gli   accadeva,   talora,    di   tracciare  a 

caso   sulla   carta   o    nel  margine  di  un 

libro  un  segno  qualunque;  come  se  la 

penna    seguisse    un   moto    incosciente 

dello  spirito  vagabondo.  Ma,  a  poco  a 

poco,  il  segno  si  trasformava  in  un  fiore  dai  grandi 

petali    sbocciati  ;    e   il   fiore,    a   sua   volta,  in  una 

balza  aspra  e  dirupata  ;  finché  di    metamorfosi   in 

metamorfosi,  sempre  obbedendo  al  capriccio  della 

fantasia,  non  ne  usciva  fuori    quasi    per    miracolo 

uno  strano  castello  medioevale,  perduto  fra  le  te- 


(1)  Questa    com  :'i    santi   ideali  ha, 

pi  1  dire,  come  u tri  itissima  nelle 

raterna  1     rivi  ilte  da 

Garibaldi  al  Poeta,  1  he  ave> 
invano    la   sua   causa  -    la  causa  della 
giustizia    •■  dell'onore  —  in  un    momento  in 
rtii    i  membri    dell'Assemblea  francesi 
mettevano  e  sanzionavano  un'azione  indegna 
del  nobile  popolo,  ili  1  ni  erano  1   rappresi  11 
tanti.  Azione     1  della   qual 

iinn    è    il    caso    ili    parlai    qui,   neppur 
brevi  idei  li  ttoi  i.  basti 

ria  ordare  la  data  :  1  ivei 

eli  '  Ero  San      man  il     tat  ioi 

mi  1 1  pi  mi  mi  cntendui  i,  la  vóti  bien 

11   l'amitié  et  la  ri  que  ie 

vini  Li    breve!  qui     ou  -  m  a 

u»  suffit  à  i"iiii    une  existence  dévouée 

1  humanité  doni  vous  1  te  ■  le  pi 

N.d.  A. 


A    A 

J>" 

■^yi'-Sk    I 1 

■ÉléÉi 

M. 

> 

a  .jtfi 

Strada  i'imkh. 

■  e  intravisto  in  viaggio  torse  trent'  anni   ad- 
dietro. 

I  'l  è  curioso,  sopratutto,  il  mod 1  cuigiun- 

nere  certi  effetti  di  luce  e  di 
1  erte  ti  matita  di  tinte,  pui  1 
lori,  certe  finezze  e  certe  squisitezze  di  contrasti 
fra  un  particolare  e  l'altro.      Mi  accade    -diceva 


VICTOR    HUGO    DISEGNATORE 


egli  stesso,  sorridendo  —  di  servirmi  del    mio  ca- 
lamaio come  di  tavolozza,  e  di  render  più  chiare 
le   tinte   versando  sulla   carta   la   metà  di  un  bic- 
chier d'acqua,  o  sacrificandole  qualche  goccia  del 
mio  caffè».  E  scriveva,    ancora     __^^_^^^__ 
in  proposito,  al  Burty  inviando- 
gli un  disegno  all'acquarellò,  in- 
titolato: YEclair:   «  I  miei  dise- 
gni, o  ciò  che  io  ho  la  bontà  di 
chiamar    tali,    sono   un   tantino 
rozzi.  Io  ve  li  mando  cosi  come 
sono.  E  se  questo  qui,  a  causa 
di   tutte   le   mie  piccole  libertà, 
per  cui  mi  servo  tanto  della  bar- 
ba  che   del    becco  della  penna, 
vi    sembra     troppo    difficile    a 
incidersi ,     sceglietene     un     al- 
tro, ecc.,  ecc.  ». 

Ne'  suoi  lavori,  come  nei  suoi 
libri,  egli  è  un  sognatore  a  volta 
a  volta  giocondo  e  melanconi- 
camente  gentile ,  o  un  visio- 
nario tragicamente  strano  e  fan- 
tastico.  Vi  predomina,  e  ben  HHBBHBBH 

comprende  ,    lo    spirito    roman- 
tico con  tutti  i  suoi  pregi,  la  sua 
ricchezza,  la  sua  inesauribile  fon- 
te di  poesia,  i  suoi  difetti,  anche,  e  le  sue  esagerazio- 
ni.... Paesaggi  paurosi,  illuminati  da  una  fosca  luce 
piena   di   mistero,    castelli   medioevali   dalle   torri 
aguzze,    dagli   oblunghi   e   neri   finestroni,  da  cui 
sembra  debbano  apparire,  da  un  momento  all'al- 
tro, nani  e  folletti  o  sinistri    e   deformi    fantasmi  ; 


341 

del  sobborgo  del  Tempio,  il  giardino  di  via  Plu- 
met,  Gillenormand  e  Gavroche,  nei  Miserabili; 
le  superbe  linee  architettoniche  della  chiesa  di 
Notre-Dame  de  Paris  e   Quasimodo    nel    romanzo 


1'* 


Un  serpente. 

omonimo,  Triboulet  nel  Roi  s'amuse;  Habibrak  e 
e  incantevoli  savane  sandeminghesi  nel  Bug-Jar- 
gal...  Una  mano  guidata  da  un  genio  potente;  ed 
un  genio,  che  ha  del  michelangiolesco,  con  un 
po'  del  Bernini. 


Giovinezza  infb  im  \. 

vedute  in  cui  aleggia,  potentissimo,  un  sereno  spi- 
rito di  poesia  ;  tipi  bizzarri  e  caricature,  che  sono 
capolavori  di  grazia  satirica...  Vi  si  riconosce,  in- 
somma, quella  stessa  mano,  franca  e  sicura,  che 
ha  descritto  la  pianura  di  Waterloo  e  il  sottosuolo 
di  Parigi,  la  via  della  Chauvrerie  e  l'osteria  di  Co- 
rinto,   le   barricate   del   sobborgo   Sant'  Antonio  e 


Nel  1862,  se  non  erro,  alcuni 
dei  molti  disegni  di  diverso  ge- 
nere, dovuti  alla  prodigiosa  fan- 
tasia dell'Hugo,  o,  per  esser 
più  precisi,  quelli  fra  i  suoi  di- 
segni che ,  cronologicamente , 
possono  dirsi  i  primi  ,  vennero 
raccolti  in  album  e  pubblicati 
dall'editore  Cartel.  Paul  Che- 
nay  ne  fu  l'incisore  e  Téophile 
Gauthier  vi  scrisse,  da  par  suo, 
una  geniale  ed  amorosa  prefa- 
zione. Il  ricavato  della  vendita 
doveva  esser  destinato ,  per  de- 
siderio dell'Hugo,  a  soccorrere 
i  bambini  poveri,  che  egli  tanto 
amava  ;  e  il  successo  fu,  come 
il  Cartel  aveva  intuito ,  gran- 
dissimo. 

E  non  mi  sembra,  quindi,  i- 
nopportuno ,  così  per  conclu- 
dere, tradurre  qui  per  i  miei  lettori,  la  fine  della 
bella  lettera,  che  il  poeta  della  Leggenda  dei  se- 
coli scrisse  in  proposito  al  medesimo  Cartel ,  al- 
lorché questi  lo  richiese  del  permesso  di  pubbli- 
cazione. 

Vi  confesso  —  egli  dice  —  che   io   non    avrei 
mai  e  poi  mai  pensato  che  i  miei   disegni,    come 


■;l-' 


LA    LETTURA 


voi  avete  la  bontà  dì  <  Ma- 
inarli .  p. 'tessero  attirar 
l'atten:  ione  di  un  edito- 
re ■  voi 
siete.  (  lue  sia  ratta  dun- 
que  la  vi  istra  vi  ili  mtà  !.... 

Essi  se  la   i  avi  rann - 

me    meglio    potranno,   in 

quel    giorno    per    coi   non 

ii  destinati   dav- 

ica  ha   ormai 

su    loro    un    diritto  .    che 


•^  •  KlKsi 


r«4»    ^s*^, 


f"é 

fc-u-- 

51-  fA^t- 

mi  fa  tremare  per  essi;  ed 
io  li  abbandono  al  loro  de- 
stino. Ma .  intanlo,  ho  la 
certezza  che  i  miei  cari  e  pic- 
coli poveri  li  troveranno  buo- 
nissimi* . 

|  he  ve  ne  sembra  ?... 

Titano  di  pensiero  ed  an- 
gelo di  bontà  !... 

A   Milano,  il  15 febbraio 
dil 

(  Irli  n   RUBETTI. 


Vieto**   Hugo   e    la    principessa    Galitzin 


SPIGO]   \  I  1  RI    DA  UN     \]  HIM 


In  questi  giorni   ne'  quali   pare  rinverdirsi  di  no- 
vella  fronda  l'alloro  che  cinge  la  fronte  del  cantore 
dei   Chótimenis,  non  riescila  discaro  ai  lettori  no- 
iri    rinvenir    qui     alcune      lettere    del     poeta     rima- 
ste -inora  nascoste  tra  i  fogli  d'un  vecchio  album. 
brevi    vigliettini,  è  vero;    tuttavia  non  privi   di 
interesse:   dappertutto  l'ugna  del  leone  ha 
1  sua  impronta. 
Una  gran  dama   russa,   la    principessa    Maria  Ga- 
lit/in.  n.ca  Souvaroff,  passò,  tra  il  18  10  ed  il  1860, 
molto  tempo  a   Parigi.  Ricca  di  cuore  e  d'ingegno, 
Lveva  saputi  11  mo  a  s    mi  'l'i  0 

.1    sinceri  tosi,   de     quali    il   suo    album 

die  e  in  scrive  ebbe,  or  som  inni  tra  mano. 

rvava    le  tracce.    Vi  SÌ  tri  .    difatti,    versi 

letten oeti  ì  rancesi  del 

tempo:  lettere  di  Alfonso  de  Lamart ine,  brevi   n 
si\e  del  signor  di  Chateaubriand,  poesie  d'Alfredo 
de  Vigny,  ed  insieme       quale  contrasto  agli  occhi 

tri!  mposizioni   del   Belmontet,   dell'  V 

lot,  di  m.r  Viennet,  di  Louise  Coli         1  1  unici 

illora  anehe  Victor 
Hi  go;  ma  la  coi  1  ispi mden  1  e  ira  loro.  e 

di  i-m  io  luce  alcuni  1  rammen 


ti.  appartiene  ad  un  periodo  alquanto  posteriore.  Il 
poeta  era  già  stato  costretto  dalle  politiche  vicissi- 
tudini a  lasciare  la  patria  :  la  principessa  aveva  pur 
esso  mutato  per  il  soggiorno  di  Bath,  quello  di  Pa- 
rigi. Teneva  dessa  il  broncio  alla  nuova  Francia  na- 
poleonica? Tuo  darsi.  Certo  -  ì  che  dall'elega 
sima  cittadina  britannic  riandava  spesso  elo- 

quenti prove  di  memore  simpatia  all'esule  scrit'.  re: 

;,       sterline. 

Ed  ora   eCCO  le  pi  i 

1\   N 
1. 

J'ai   recu   Ics   deux  livres  destinées  aux  paui 
martyrs  '\u  droil  divin  '\c^  peuples;   je  remercie  du 
fond  de  lame  en  leur  nom  pour  le  passe  et  pour  l'a- 
venir.  Je  glorine  la  noble  coeur  qui   se  souvienne 

et   je  baisi-  la   noble  mairi  qui  donne. 

V.  H. 
Marine   Terrace,  io  mai 

|    VIlVsSCI  ' 

Af.n,/  In    frinirsi,-   Gulitziii 

Bradford  pris  Bath. 

.Somr  ri  ri. 


VICTOR    IH  GO    DISEGNATORE 


IL 


Marine   Terracc,  :y  juillet. 

J'ai  recti.  Madame,  les  deux  livres  que  vous  avez 
bien  voulu  m'envoyer.  Vous  m'approuvez,  n'est-ce- 
pas?.  de  partager  la  somme  entre  Vassistence  et  la 
propagande,  les  deux  devoirs  sacrés  ded'exil  envers 
l'txil  et  envers  la  patrie.  C'est  ainsi  que  je  fais' 
toujours  pour  l'argent  que  je  puis  donner  moi- 
mème. 

Vous  trouverez  sous  ce  pli  un  souvenir  que  je  me 
permets  d'offrir  à  votre  généreux  coeur  (  i  ). 

Je  mets  à  vos  pieds  tous  mes  hommages  et  tous 
mes  remerciements.    Madame. 

Victor  Hugo. 

(Adresse) 

.1/."'  la  Princesse  Mane  Galitzni 
Bath.  12  Norfolk  Crescent,  England. 


li)  A  questo  viglietto  andava  unito  un  ritratto  del  poeta 
a!  Dagherrotipo,  curiosissimo. 


III. 


Marine  Terrace,  io  seplembre  1855. 

J'ai  recu,  Madame,  avec  votre  si  gracieuse  lettre 
du  25  aòut,  votre  noble  et  pieux  envoi  pour  la  sainte 
cause,  et  puisque  Vous  le  trouvez  bon,  je  continue- 
rai d'en  user  pour  le  mieux  et  au  point  de  vue  de 
tous  les  besoins  à  la  fois. 

Vous  accueillez  le  portrait  de  l'homme  avec  tant 
de  gràce,  que  peut-étre  le  portrait  de  la  maison  ne 


343 

Vous  deplaira  pas.  Voici  Marine  'l'erraci',  avec  le 
del  étrange  que  le  soleil.  ce  grand  perni n-,  lui  a 
fait  (1);  je  mets  cette  photographie  à  vos  pieds, 
Madame,  avec  l'horumage  des  mes  respeets. 

Victor  Hugo. 

(Adresse) 

M.'«'  la  Princesse  Galitzin 
Bradford  firès  Batti. 

Somei  set. 


IV 


Gvemesey,  Hauieville  Teliate,  ir  novembre  7^55,(2). 

Voici,  Madame,  la  déclaration  ferite  par  moi  et 
sur  laquelle  le  grand,  libre,  loyal  et  vaillant  gouver- 
nement  anglais  nous  a  expulsés  (c'est  leur  mot  poli) 
de  Jersey.  Il  faut  que  votre  généreux  coeur  con- 
naisse  cette  affaire.  Je  mets  le  document  à  vos  pieds, 
et  j'y  joins  mes  remerciements  au  nom  des  souffrants 
et  tous  mes  respeets  personnels. 

Victor  Hugo. 

Mon  adresse: 

/  'ictor  Hugo 

à  Guernesey. 


(1)  Unita  al  viglietto  è  una  piccola  fotografia  della  casa 
abitata  da  V.  H.  a  Yersey ,  ora  divenuta  una  Pensione. 
Al  disotto  della  casa  il  poeta  ha  scritto  in  grandi  lettere 
maiuscole:   MARINE  TERRACE. 

(2)  Una  nota  della  Principessa  sul  foglio  dell'album  che 
segue  a  quello  dove  è  incollato  questo  viglietto,  avverte 
che  essa  aveva  ricevuto  da  sei  a  otto  lettere  di  V.  Hugo 
nel  1S55  in  Inghilterra.  Le  rimanenti  son  dunque  andate 
perdute. 


La  carrozza  reale. 


SOMMAR  IO  : 


Letteratura  e  Critica.  —  Orme  di  Danti   in    Italia     Alfredo  Bassermann)  —  Domi  Panzacchi  • 

Romanzi  e  Novelle.  --   Vecchie  >  I  anny  Vanzi  Mussinij  —  «  Al  Piccolo  Parigi  > 

Poesia.  —  Due  poemetti  ài  Alfredo   Terinyson    Carlo  Sorniani j  —  impressioni  e  memorie    Emilio  Mariani). 
Storia.  -     Folti  e  aneddoti  di  storia  fiorentina    Giuseppe  Conti)        Giuseppi    Garibaldi   e   la    su  tulio 

fi  mano    Ermanno  Loevinson  .  ' 

Belle  Arti.        .'/.■  hel  A 

Sociologia.  —  Bismarck  nei  ••ti  ,■  Pensieri    Pietro  Chimienti  . 

Geografia  e  Viaggi.  —   L'Albania    Ugo  Ojetti  . 
Opere  varie.    —  Le  piccole  Suore  dei  poveri  (Elena  Ram  . 


LETTERATURA    E  CRITICA. 

Ali  remi  Bassermann.  Orme  di  Dante  in  Italia. 

(Boi  gna    Zanichelli    editore.  1902).  —  Il   bello  e 

I  «lunato  libro  del  Bassermann  sulle  ignite  di  Dante 

ha   avuto,  dopo  due  edizioni    tedesche,  un'edizione 

italiana  a  cura  di   Egidio  '  ìorra,  al  quale  vorremmo 

mandata  anche  la  Vita  di  Dante  del  Kraus.  Il 

Bassermann  è  uno  spirito  colto,  acuto  e  possiam 

anche  arguto,  il  quale  è  riuscito  a  penetrare  in  molte 

■•/.•  del   pi  1  [ima    del 

■.  Dunque,  da  parte  nostra,  siamo  lieti  di  lodare 

atnj  1  Gorra  pn      ita  con 

le  d'ammirazione:    1  Nessuno  ha  potuto  negare 

una  preparazione  1  ed  una  edu- 

ca    adeguate  alla   difficoltà  dell'impre- 

una  singi  attitudine  a  scorgere  e 

a  discutere  problemi  chi        1       fra  i  più  complessi 

dell'inter]  e  di   Dante;    un  necessario   ardi- 

ell'affrontare   questioni  che  dawieino 

ite  dante- 
!       ermann  art 
:.ir   rivivere    luoghi    e    pi  1    dal 

Liti   e  descritti;    chiarezza  e  sobrietà 
di     1  ed     efficacia     non     di 

rado     si  ulti  ir  otto- 

Fare  una  ri 
accetta  come 
prove  della  presenza  di  Haute  in  un  luogo,  il 
plice  ricordo  che  questi   ne  fa  nella  Commedia.   In 

una  «  ] .1  sembra  a  me  la  di- 

■    la  il  Ricci  tra  la  descrizione  di  uno 


ci  stato  durevole  e  quella  di  un  fenomeno  vivo  e  spi- 
li rituale  della  natura.  Egli  dice  che  Dante  può 
g  aver  usato  le  immagini  di  San  Leo.  l'ola.  Monti- 
li Barco  ricordandosi  di  cose  udite;  ina  il  correr 
«  delle  nubi  sulla  Garisenda  o  il  mormorio  della 
•  Pineta  di  Chiassi  deve  avergli  egli  stesso  con s 
«  rati  per  poterli  descrivere  ».  Ora  al  Bassermann 
re  erronea  una  distinzione  che  più  che  naturale 
è  addirittura  ovvia.  Il  dire  semplicemente  che  una 
montagna  è  a  picco  o  che  un  nume  segna  un  conli- 
ne, non  include  davvero  la  necessità  d'una  cognizione 
diretta;  mentre  invece  animar  descrizioni  e  simili- 
tudini vive  la  include  davvero,  speda  niente  quando  il 
a  è  Dante  che  non  lavora,  coni.-  -  e,  di  ma- 

niera. Infatti,  l'opinione  del  Ricci  è  anche  confer- 
mata pei  fenomeni  citati  dalla  certezza  che  Dante 
ha  vissuto  in  Bologna  e  in  Ravenna,  mentre  con 
quella  del  Bassermann  s'andrebbe  incontro  a  dover 
ritenere  che  Dante  è  stato  pure  sul  Bosforo,  sul- 
I  idrate.  sull'Indo,  sul  Gange  e  via  via.  Dunque 
quell'attributo  d'erronea  dato  a  una  cosa  evidente. 
1  un  po'   l'aria  d'un  50  colpo  per  elimi- 

nare in  due  parole  una  grossa  difficoltà. 

Talora  amile  l'autore  s'abbandona  un  po'  Toppo 
al  gusto  di  scherzare,  il  che  può  rendere  piacevole 
il  libro,  ma  non  gli  accres  autorità.  I 
vanni  Fedeizoni,  altro  notevole  dantista,  ha  già 
fatto  notare  questo  in  una  sua  assennatissima  let- 
tela al  "Reste  del  Carlino.  V.  davvero,  per  esempio. 
dispiacciono  in  un  libro  'auto  profondo  queste  pa- 
role:  .1  Amor  oggi   1  I    ! gna)  è  proprio  un  1 

tire  di  Ul  unte  sensuale  g 


I      LIBR 


di  vivere.  Questa  traspare  sia  dalle  succulenti  ve- 
tiine  delle  pizzicherie  con  le  innumerevoli  salsiccie 
e  prosciutti  e  formaggi  e  pasticci;  sia  dai  nej 
di  profumerie,  che  col  soave  e  sonnifero  odore  dei 
loro  saponi  e  delle  loro  acque  capillari  vincono  il 
Bazar  di  Tunisi  ».  Ma  che  storie!  Xoi  siamo  stati 
venti  volte  a  Bologna  e  non  abbiamo  trovato  là  più 
profumieri  e  più  ricche  vetrine  e  più  prosciutti  e  sa- 
lami che  non  siano  a  Milano,  ad  Heidelberg  e.  in  i- 
specie,  a  Berlino  che  vanta  salumerie  così  splendide  '. 

Così  non  possiamo  menar  buone  le  parole  sotto- 
lineate di  questo  brano: 

«  Durante  i   lavori  di  costruzione  che.  nell'avvici- 

0  narsi  delle  feste  centenarie  di  Dante  nel  1865, 
(i  furono  impresi  nella  cappella  sepolcrale,  si  rin- 
«  venne  murata  in  una  parete  esterna  della  chiesa 
«  una  cassetta  di  legno  d'abete  contenente  ossa,  le 
(  liliali  erano  da  una  iscrizione  segnata  all'anno 
«  1677  designate  come  le  ossa  di  Dante...  Gli  scet- 
«  liei  possono  certo  trovar  sorprendente  il  fatto  che 
«  la  cassetta  di  abete  sia  ricomparsa  alla  luce  a 
«  tempo  così  opportuno,  precisamente,  come  per 
«  commissione,  in  occasione  del  centenario  ;  essi  an- 
ni che  quando  non  vogliano  supporre  un  pio  ingan- 
«  no',  possono  tuttavia  domandare  se  abbiano  po- 
«  tuto  le  povere  ossa  nel  loro  avventuroso  pellegri- 

1  naggio  attraverso  i  secoli  preservarsi  da  un  qual- 
«  siasi  scambo  ».  Ora  il  Bassermann  ha  il  torto  di 
prendere  sul  serio  quegli  scettici  che  ignorano  la 
storia  del  trafugamento  delle  ossa  compiute  dai 
Francescani  per  sottrarle  all'Ambascieria  fiorentina 
sotto  Leone  X.  delle  ricognizioni  di  dette  ossa  e  del 
fatto  d'essersi  trovate  nel  1865  dentro  al  sarcofago 
alcune  piccole  parti  che  mancavano  appunto  allo 
scheletro  rinvenuto  nella  cassetta,  parti  sfuggite  ai 
trafugatori.  L'accenno  poi  di  quegli  scettici  sull'op- 
portunità del  rinvenimento  alla  vigilia  del  centena- 
rio, può  anche  parere  un'insinuazione  per  quei  gen- 
tiluomini che  dal  Gozzadirri  ad  Atto  Vannucci,  dal 
Padre  Giuliani  al  Mordani  parteciparono  alle  Com- 
missioni di  riconoscimento.  Le  ossa  si  rinvennero 
allora,  perchè  solo  allora  si  fecero  grandi  lavori  di 
demolizione,   intorno   alla  chiesa  di  San  Francese.  1. 

Al  postutto  si  tratta  di  cose  da  poco  di  fronte  al 
contenuto  della  mirabile  opera  derivata  proprio  in 
gran  parte  0  dalle  scaturigini  fresche  e  vive  del  sen- 
timento (un  sentimento  quasi  sempre  sorretto  e  gui- 
dato da  un  senso  vigile  e  circospetto)  e  non  frutto 
di  solitarie  e   fredde  elucubrazioni  ». 


Enrico  Panzacchi  :  Dotine  e  Poeti.  (Catania. 
Giannotta).  L.  1.  —  Stanno  in  questo  volumetto  al- 
cune fra  le  più  belle  ed  argute  pagine  critiche  del 
più  amabile  critico  italiano.  Oltre  e  prima  che  cri- 
tici!. Enrico  Panzacchi  è  artista  e  poeta,  e.  come 
tale,  il  suo  giudizio  intorno  ai  poeti  ed  agli  artisti 
è  ispirato  ai  più  puri  criteri  estetici,  troppo  oggi 
disprezzati  dai  cultori  della  critica  storica  e.  peggio, 
antropologica.  Intorno  a  tre  poetiche  figure  di  don- 
na: Desdemona.  Attala  e  Mignon,  egli  compie  un 
così  sapiente  ed  elegante  lavoro,  che  queste  crea 
ture  immortali  ne  acquistano  nuove  grazie  e  quasi 


•''   l~> 

direi  nuova  vita.  I  capitoli  intorno  a  Niccolò  Tom- 
maseo ed  a  Silvio  Pellico  sono  pieni  di  osservazioni 
nuove  ed  acute;  ma  la  parte  più  gustosa  del  libro 
è  certo  quella  dedicata  a  Giosuè  Cardurei.  Qui  il 
Panzacchi  narra,  con  rara  maestria,  i  suoi  ricordi 
intorno  al  nostro  grande  poeta,  e  ne  studia  le  Odi 
barbare,  e  ne  descrive  un  aspetto  comunemente  igno 
rato  nel  paragrafo  che  porta  per  titolo  Carducci  u- 
tnorista. 

ROMANZI     E    NOVELLE. 

Fannv  Vanzi-Mussini:  Vecchie  ragazze.  (To- 
rino-Roma, Casa  editrice  nazionale),  L.  3.  —  Per 
quali  ragioni  Momina  Rovai  si  riduce,  giovane  bella 
e  ricchissima,  a  fondare  istituzioni  di  beneficenza, 
una  casa  di  maternità  e  un  asilo  per  le  vecchie  zitel- 
lone, rinunziando  ad  essere  sposa  e  madre  ella  stessa  ? 
Le  ragioni  che  ne  dà  l'autrice  non  sembrano  sufficienti. 
Momina  è  rimasta  troppo  presto  orfana,  e  due  vec- 
chie zie  l'hanno  educata.  Il  padre  suo,  Romualdo, 
è  stato  ucciso  in  duello,  da  un  giornalista  che  lo  ha 
accusato,  come  uomo  politico,  di  aver  commesso 
atti  indelicati.  Romualdo  Rovai,  ha  pure  amato,  da 
vedovo,  una  scrittrice  valente.  Fides,  nella  cui  vita 
c'è  stata  una  tragedia.  Tutte  queste  cose  formano 
come  un  romanzo  nel  romanzo.  Ma  quandi)  entra  in 
iscena  Momina.  giovinetta,  accade  soltanto  che  ella 
s'innamora  di  Augusto  Rossi,  pure  suo  professore  e 
amico  del  padre,  uomo  di  trent'anni  quando  ella  ne 
ha  quattordici  ;  e  che  il  Rossi,  pure  dicendosi  inna- 
morato di  lei.  parte  per  Roma,  dove  ella  lo  va  a  rag- 
giungere fuggendo  sola  dalla  propria  casa;  e  che 
a  Roma  lo  trova  ingolfato  in  un  altro  amore,  e  lo 
ode  dirle,  con  faccia  franca,  che  sposerà  un'altra, 
ma  che  il  matrimonio  non  gl'impedirà  di  amar  lei. 
Un  cinismo  simile  non  è,  purtroppo,  inverosimile,  e 
un  personaggio  tanto  ributtante  moralmente  potreb- 
be riuscire  artisticamente  stupendo,  se  ci  apparisse 
vivo.  Out-I  '''"'  manca  di  vita  a  lui  nuoce  anche  alla 
vitalità  della  figura  di  Momina;  perchè,  se  s'intende 
che  il  disinganno  la  offenda  e  la  crucci,  non  s'inti 
come  ella  rinunzi  per  esso  a  qualunque  altro  con 
forto.  e  resista  all'amore  di  Giorgio  Pieni/zi  e  final- 
mente si  avvii  a  diventare  anche  lei  una  vecchia  zi- 
tella come  le  sue  zie,  come  la  bella  sii  tra.  come 
quelle  cui   schiude  le  pi  sia    (on- 

dato. Bene  osservate  ed  ottimamente  rese  sono  le 
zie  Carlotta  ed  Amalia.  la  narrazione  della  m 
tona  vita  che  si  svolge  in  rasa  Rovai  fa  <  n 
molta  arte,  vivaci  e  freschi  sono  molti  episodi,  e  il 
sapore  della  realtà  è  in  tante  pagine:  ma,  per  ciò 
stesso,  le  deficienze  dall'indagine  psicologica  si  avver- 
tono di   più. 

Térésah:  Al  «  Piccole  Parigi  ».  (Livorni 
forte).  L.  1.  —  La  giovane  scrittrice  di  cui  i  nostri 
lettori  conoscono  la  novella  Rigoletto,  premiata  al 
concorso  da  noi  bandito  l'anno  scorso,  pubblica  nella 
Collezione  h/ena  questo  suo  nuovo  racconto,  n 
vole  per  le  bette  qualità  che  distinguevano  il  suo 
precedente  lavoro.  Triste  e  patetica  la  storia  del  po- 
vero Bolasco,  il  proprietario  del  «  Pi     l     Parigi  ». 


I   \    i.l  TTURA 


mode .  gli  affari  del  'inalo  un 
non  vanno  più  bene,  Snelli    il  vecchio 
I  a,l,  ,  posto  ad  un  suo  com- 

messo, il   Romaneto.    L'accasciamento  dello  sfortu- 
pietà  che  gli  accorda  il  nuovo 
proprietario,   le   illusioni  che  <-gli  ancora  miti 
e  rappri 

ìi  di  Mai  iettina  Serravezza, 
BolasCO  ama 
d'un  bile,  quasi  paterno,  ma 

turbatore,  del  quale  la  t  \  ensierata  fanciulla 

non  gliendo  le  galanti 

,1,.)  nuovi  Nui ce   forse  un 

i-  del  racconto  ;  perchè, 
mentre  par.-  che  la  Serravezza  debba  esserne  la  fi- 
principale,  n-sta  poi  nella  penombra  ;  e  se  il 
misi  •.  se  l'autrice  s'indugia  tanto 
nel  narrarne  la  crisi,  noi  vorremmo  sapere  qualche 
■  .li  più  su'  conto  suo.  intorno  al  suo  passata 
Tranne  questi  lievi  difetti,  il  nuovo  racconto  .li  Ter 
h  conferma  le  rare  doti  di  narratrice  accorta  ed 
ei  induce  ad  esprimere 
il  desiderio  e  la  speranza  ehe  presto  ella  si  provi  in 
qualche  compi        me  più  vasta. 

POESIA. 

Carlo  Sormani:    Due  poemetti  di  Alfredo  Ten- 
\\  lano    Martinelli),  L.  2.  —  11  grazioso  vo- 
lumetto mantiene  più  che  non  prometta    il  titolo: 
oltre  I,- .lue  novelle  poeti. -he  di  Alfredo  Tennvson, 
ili  e  il  Primo  li!:-     .  1  tutore  ha  tradotto  altri 
quindici  componimenti  del   Longfellow,  dello  Shel- 
ley del   Gautier,  d'Arrigo  Heine,  ecc.  Le  sue  ver- 
sioni sono  generalmenti  e  con  garbo,  ma  a- 
\i,-l  I                   bisogno  d'essere  qua  e  là  ritoccate. 
\                     essioni  non  sono  belle:    «  Raccolsi  tutto 
insiem  pazientemente     -  il    mio   bambino  »,   qual- 
che altra  non   è   corretta:    ■  Al    par  d'un  ladro 
nirt  appiccato  ».  —  «  Essere  una  sol  cosa  ».  Qual- 
che  verso  non  ha  un  bel  suono:  «  Tornai,  già  >  1  alt  ri 
eri.    promessa    mia»,    o    è   addirittura    difettoso: 
n  Credete  che  mi  sia  spaventata  1,         «  Che  serba 
per  gli  uomini  il  Signor  ».  Brutta  senz'altro  è  questa 
-   venire: 

Le  mie  pn  ndo 

L'infinito  cammino 
Anzi  l'ora  scendendo, 
Venne  il  tempo  <    rrendo 
Per  comando  divino. 

1  ime  si  è  detto,  le  belle  ed  eie 

.  -1  .no  ani 

io    Mariani:    Impressimi:   e   memorie.   (Br> 
...  Libreria  Treves  di  Luigi  I  .  L.  2.  — 

Le    inpressioni  sono  di  natura  e  dar'.-,  le  men 
sqno  d'amore  e  di  dolore.  11  giovane  amor.-  1 
•  patria,  le  sue  grandezze,  le  sue  sci.). 

Fi        più  puri-  delPispirazii  me 
ii    del   Mai iani  rivelano  un 
mento  d'artista  al  quale,  quando  -ara  più   pa- 
drone  della    forma,   non   potrà  mancare  il  -  mi 
lai  • 


STURI  A. 


Giuseppe   Conti:    Falli   e  aneddoti  di   stona 
:  „,:.    Secoli    XIII  W 1 1 1     (Firenze,    Bempo- 
ra.l).  L.  5.  —  Chi   si  sia  imparata  la  storia  di  Fran- 
ti   nei    romanzi    .li    Alessandro   Dumas   con 
ir  strampalerie,  I.-  fanfaronate  e  le  astrus 
si. aliate  con  tanta  disinvoltura,  che  non  con  tutte  le 

e  di  autori   co'  lombi   grossi,   e  che   tanno 
,li  lingua  »,  come  dir,-  l'autore  mila  prefazione  di 
nursi.,  suo  1  ; l ■  1  •  ■.    •  propriamente  un' «  eresia  ».  ed 
egli  stess  1    lo  riconosce:    ma  che  la  storia    si   ]■ 
rendere  amabile  e  dilettevole  nota  e  prati 

da  lunghissimo  tempo.  11  Conti  narra  con  garbo  e 
brio  una  lunga  serie  di  avvenimenti  grandi  e 
òli  trascelti  nella  storia  di  Firenze,  la  sommossa 
.l'Ognissanti  del  1338.  il  caro  del  pane  del  1340. 
la  rivolta  contri  i  Capitani  di  l'arte,  l'incoronazione 
del  poeta  Cbluccio,  la  consacrazione  .1    -  Marta 

.lrl  Fiore,  moltissimi  aneddoti  intorno  al  Savona- 
rola, la  misterii  sa  uccisione  di  Margherita  de'  Mi 
dici,  il  miracolo  della  Madonna  di  l'iazza  Padella, 
e  tumulti,  e  ribellioni,  e  slide,  e  casi  d'amore  e  di 
re;  e  descrive  gli  antichi  costumi,  i  gin. «-hi.  le 
cerimonie,  le  teste  sacre  e  le  profane.  Nel  suo  volu- 
me, trutio  di  lunghi  snidi  e  di  pazienti  ricerche, 
nulla  rivela  l'erudizione  dell'autore,  non  una  cita- 
zione, non  una  nota;  ma.  appunto  per  ciò.  la  let- 
tura ne  è  gradevole,  pure  restando  istruttiva,  come 
[Uella    d'una  raccolta  di  artistici  bozz. 


Ermanno  Loevinson:  Giuseppe  Garibaldi  e  la 
sua  legione  nello  Stato   Romano.   (Roma.   S'H-ieti  e- 
ditrice  Dante   Uighieri),  !..  3.        Non  man.  .ivano 
notizie   intomo   all'argomento  trattato  dall'  am 
ma  egli  ha  avuto  il  merito  di  raccogliere  tutte  le  an- 
tiche, di  aggiungervene  molte  altre  nuove,  e  di  fame 
un'opera   vasta  ed  esauriente.   In  questo  primo  vr> 
1,1,11.-.   con   la  scorta  delle  memorie   autobiogra 
di    Garibaldi,  degli    Atti    del   ministero  delle  Armi 
1  usi. .ini  nell'Archivio  di  Stato  di  Roma,  delle  1 
serbate  nell'Archivio  comunale  notarile  di  Roma  ed 
litri  Municipi,  egli  segue  a  pass.,  a  pass.,  il 
ale  in  tutte  le  sue  mosse,  da  Livorno  a  Bologna, 
.,    p  |   .isì.i  San   Pietro,  ad  Imola,  a  Faenza, 

a  Ravenna;  narra  la  sua  unione  ci  Masini,  lo  afr 
1  a  Forlì  ed  a  Cesena  fermandosi  al  mot 
tale  duello  Risso-Ramorino,  lo  riaccompagna  da  Ri 
mini  a  Sfocerà  per  il  Furio,  ed  a  Roma,  scrive  la 
cronistoria  dell.-  mare-  della  Legione  lino  alla  glo- 
riosa giornata  del  30  aprile  ed  agli  sterili  eroismi 
del  3  giugno,  e  d..p..  aver.-  esposto  gli  ultimi 

negli   uh  imi  giorni  della  difesa,  chiude  dando 
notizia  del  disperdimento  dei  legionari.  Preciso  nelle 

rotazioni,  equanimenei  giudizi,  il  hl.ro.lel  I 
vinson  sarà  opportunamente  compiuto  con  gli  altri 

•...lumi,    che  l'autore    promette   e   che   noi   a- 

tiamo;  uno  intomo  all'organizzazione  della  Legione. 
alla  persona  del  Generale  ed  ai  suoi  ufficiali,  l'altro 
composto  dei  documenti  inediti  citati  nei  due  pre- 

.  .  denti. 


I     LIBRI 


BELLE    ARTI. 


3,7 


GEOG     FAFJA     E    VIAGGI. 


Corrado  Ricci:  Michel- Ange.  (Florence,  Alinari 
frères). —  L'ottimo  saggio  del  Ricci  su  Michelangelo 

ha  ottenuto  il  meritato  onore  di  questa  traduzione 
francese,  condotta  con  molto  garbo  da  M.  J.  de  Cro- 
zals.  decano  della  facoltà  di  lettere  nell'Università 
di  Grenoble.  Pregio  singolare  della  presente  edizio- 
ne sono  le  splendide  tavole  e  le  bellissime  illustra- 
zioni che.  in  numero  di  più  di  cento,  mettono.  51 
gli  occhi  del  lettore,  i  luoghi  dove  visse  quel  sommo 
e  i  capolavori  che  uscirono  dalle  sue  mani  divine. 

SOCIOLOGIA. 

Pietro  Chimienti:  Bismarck  nei  suoi  K 
e  Pensieri.  (Bari.  Laterza).  L.  1.  --  L'autore,  leg- 
gendo l'opera  biografica  del  fondatore  dell'unità 
germanica,  mette  in  evidenza  i  segni  caratteristici 
—  per  cosi  dire  —  di  quell'uomo  il  quale  trasformò 
l'aite  della  politica,  per  adattarla,  alle  mutate  con- 
dizioni della  società,  e  particolarmente  al  nuovo 
re  creato  dalla  democrazia  :  il  parlamentari- 
smo. Il  saggio  del  Chimienti  è  una  difesa,  se  non 
un'apologia.  Per  giudicarlo  equamente,  egli  lo  con- 
sidera sempre  in  rapporto  ai  fatti,  all'ambiente  in 
cui  si  trovi,  all'epoca  ed  al  popolo  di  cui  fu  il  tipo 
rappresentativo.  Sfata  la  leggenda  che  lo  fece  ap- 
parire come  imbevuto  di  pregiudizi,  intento  ad  una 
specie  di  sport  autoritario,  amante  della  guerra  per 
la  guerra  :  spiega  le  movenze  della  sua  politica  es- 
senzialmente nazionale  :  lo  mostra  intento  a  misu- 
rare la  forza  della  pubblica  opinione  e  paragonan- 
ti >  a  Camillo  di  Cavour,  ne  mette  in  più  viva 
luce  la  particolare  natura.  Dopo  aver  così  studiato 
a  grandi  tratti  la  figura  dell'uomo  di  Stato,  lo  os- 
serva in  tre  singolari  occasioni:  nella  lotta  contri,  i 
clericali  ed  il  clero,  nella  fondazione  della  Triplice 
alleanza,  nella  legislazione  sociale  diretta  a  combat- 
tere il  socialismo.  Lo  studio  del  Chimienti  è  pieno 
di  osservazioni  acute  e  di  sagaci  giudizi:  non  gli  si 
può  -improverare  altro  che  una  soverchia  rapidità  ; 
ma  questa  era  imposta  dal  proposito  e  dalla  neces- 
sità di  dettare  un  libro  breve  e  popolare. 


Ugo  Ojetti  :  L'Albania.  (Torino-Roma.  Roux  e 
Viarengò).  L.  2.  —  Le  lettere  che  l'Ojetti  scrisse 
dall'Albania  al  Corriere  della  Sera  meritavano  di 
essere  raccolte  in  qui  -sto  elegante  volume;  pei 
come  documento  sincero  di  ciò  che  fu  l'influenza  di 
Ri  una  e  di  Venezia  in  quella  nazione,  e  di  ciò  che  è 
la  sua  condizione  politica,  economica  e  sociale,  pre- 
sente, definiscono  quale  dovrebbe  essere  la  nostr 
/ione  per  tutelare,  con  gl'interessi  nostri  nell'Adria- 
.  quelli  dei  nostri  amici  Albanesi.  Osserva  l'au- 
nella  breve  prefazione:  «  Un  solo  carattere  co- 
vante presenta,  dacché  l'Italia  esiste,  la  politica  e- 
stera  italiana:  l'incostanza.  Da  pochissimi  anni  pare 
che  Tunica  eccezione  a  questa  mobilità  caleidoscopi- 
ca sia  la  fede  nostra  nelle  speranze  dei  nostri  amici 
d'Albania  ».  Il  suo  libro  è  tutto  pieno  di  questa 
fede  ;  e  «  se  qualche  volta  io  italiano  e  romano  ho 
ito  troppo,  ho  cercato  nella  pagina  seguente  di 
tornare  calmo  per  ragionare,  e  per  alienar  cifre 
e  fatti  ». 

OPERE    VARIE. 

Elena  Ram  :  Le  piccole  Suore  dei  poveri.  (Fi- 
renze, la  0  Rassegna  N'azionale  ».  editrice).  L.   1.25. 

-  Tutte  le  Suore  operative  »,  scrive  ii  cardinale 
Alfonso  Capecelatro  alla  marchesina  Giovanna 
Denti,  traduttrice  di  questo  libro,  «  sono  una  delle 
più  liei  le  fioriture  della  carità  cristiana  nel  nostro 
tempo,  e  riescono  un'efficace  ed  attraente  apologia 
del  Cattolicismo.  Gl'istituti  di  rotali  Suore  son  molti 
e  svariati  ;  ma  in  nessuno  forse  lo  spirito  di  sacri- 
fizio è  così  evidente  e  nobile  come  in  questo  delle 
Piccole  Suore.  La  vecchiaia  può  riuscire  cara  e  ve- 
nerata al  consorte,  ai  figliuoli,  ai  fratelli  e  agli  a- 
mici  ;  ma  non  ha  però  di  per  sé  alcuno  attrai  men- 
to ».  Dimostrare  le  benemerenze  delle  buone  crea- 
ture che  la  proteggono  e  narrare  le  origini  della 
loro  istituzione,  descrivere  le  loro  maggiori  case,  è 
per  l'autrice  un  modo  —  il  migliore  —  di  attirare 
>u  li  in  1  l'interesse,  l'affezione,  la  gratitudine  della 
società. 


^-^r 


.<     /' 


-    ~2i — 

EMftrtE 


DIVISTE 


SO  M  M  A  R  TO  : 

I  nuovi  lavori  'li  sbarramento  <U-1  Nilo,  pag.  348        Perchè  si  piange,  pag.  352   —    Curiosità    de!    ninnilo   episto 
pag,  353  mpan     pa  |        11  petrolio  sostituito  al  carbone,  pag.  354  —   Per    la   difi 

I,  di  là  e  le  Forze  Occulte,  pag.  358        Un  archivio  fonografico  .1    Parigi,    pag.     ;6i 
1  più  vecchi  giornali  francesi,  pag.  361  —  Il  costo  d'una  guerra,  pag.  ,i"i  —  Una   repubblica  'li    ragazzi 
Stati  Uniti  d'America,  pag.   362  —   11  bimbo  in   fasci    e  la  sua  culla,    pag.    364    -      I    megaliti    della    Bretagna, 
pag.    165        Dietro  la  pista  d'un  Circo,  pag.  367        il  nuovo  profeta  de' Mormoni,  pag.   ;h7  —   '  Popoli   a   ta- 
vola, pag.  1   1  luce  che  guarisce,  pag.  370  -     Per  la  vita  umana,  pag.  371  -    I  pesci  dorati,  pan.  .572  — 
La  previ  ioni    del  tempo,  pag.  .•574  —  1  drammi  «li  Sada  Yacco,  pag.  375  —  Le  code,  pag.    .577    —    I    giornali 
giapponesi,  pag.  .Ì79        Gli  uomini  più  ricchi  nel  mondo,  pag.  379  —  Polacchi   contro    Prussiani,    pa 
Ginnastica  e  salute,  pag,   J82. 


I  nuovi  lavori  di  sbarramento  del  Nilo 


(Dall' Emporium  di  marzo). 

L'Egitto  fu  sempre  il  parse  delle  meraviglie  e  dei 

prodigi  'li  'istruzione.  Dalle  prime  dinastie  dei  Re 

ori  ad  Erodoto,  dalle  piramidi  alle  tombe  dei 

orti  è  tutta  una  serie  di  opere  gigantesche,  1  riunii 

di  statica  e  d'idraulica,  dinanzi  a  cui  ancor  oggi  ci 

miamo  meravigliati. 

La  prima  grande  opera  pubblica,  'li  cui  si  abbia 

ni.  fu  il  tentativo  ili  gettare  una  diga  attra- 

verso   il    Nilo    Fu  Menes  che  costrusse  il    famoso 

Muro    Bianco   che  sbarrava   il   fiume,    sostenendo    il 

livello  d'-lle  acque  ed  al  imeni  andò  rosi  perennemente 

il    Delta,    bonificato  e  trasformato  dall'inutile  pa- 
lude che  prima   l'inquinava.  Anche  i  sette   rami   del 
Milo,  rappresentano  del  resto  un  audace  tentativo  'li 
inazione  fluviale.   Col    lento  succedersi  dei  se- 
però  l'impeto  delle  correnti  travolse  ogni  opera 
ina  '    anche  quelle  barriere  rocciose  e  naturali 
che  nella  1  levono  certamente  esser 

sorte  qua  e  là  sul  letto  del  divino   Vpi    Ne  vennero 
inoli,-  disastrose  e  torrenziali  in  alcuni  anni,  e 
atte  terribili  in  altri.  Spesso  tutto  periva  divo- 
dalie  onde,   spesso  invi  dal   si  ile 
■  0  tentativi  1  di   rimediare  al- 
l'irregolarità  delle  inondazioni  si  deve  a   Mehemet- 
Ali.  Migliaia  e  migliaia  di  fellàh  vennero  strap] 
■  apanne                   sul   lavori  >.    Ben   veni  inula 
ivi  egli  avei  a  m  riso  nei   lavoi  11  Ina  , 
ieri  ricava  poi  pi                una  bar- 
■    al    linme.   Ma   non    ri  11  sei  :    egli    mori   nel    iS|ij 
ra   incompiuta,  invano  proseguita   ^.< 
Ismail.  i  cui  ingegneri  non  ebbero  il  coi  chiu- 


dere le  120  porte  della  diga,  (emendo  una  caia- 
strofe.  E  la  catastrofe  venne  nel  18(1^  quando,  chiu- 
se finalmente  le  aperture,  sotto  il  peso  delle  onde,  la 


HALLE    KIYISTK 


■!-l" 


diga  tremò  e  si  smosse.  Seguì  il  fallimento  dello 
Stato,  la  ribellione  di  Arabv  pascià,  1  ccupazione 
inglese. 


Rinacque  allora  la  questione  della  diga  attraverso 
il  Xilo.  Abili  ingegneri  idraulici  visitarono  le  ro- 
vine della  muraglia  di  Mehemet-Alì  e  si  accorsero  che 


non  aveva  ormai  più  fondamenta,  per  cui  dovettero 
cominciare  un  lungo  lavoro  di  sottomurazione,  sal- 
vando così  l'opera  colossale  che  costava  milioni  e 
sangue.  Spuntò  allora  l'idea  di  estendere  anche  ai- 
alto  Egitto  i  vantaggi  delle  corre/ inni  idrauliche  e 
W.  Willcocks,  dopo  tre  anni  di  lavoro,  stese  un  pro- 
getto grandioso  diretto  al  risanamento  di  immense 
paludi  inoperose  .  all'  irrigazione  di  vaste  plaghe  , 
alla  risurrezione  economica  di  terre  sterminate.  Un 
gruppo  di  capitalisti  inglesi  assunse  l'impresa  e  nel 
1899  ad  Assuan,  presso  la  prima  cateratta,  venti- 
mila uomini  sventravano  i  monti  per  trascinarne  i 
o  [ossali  monoliti  nel  fiume.  La  scena  di  quel  dram- 
ma immense  del  lavoro  umano  era  certo  una  delle 
più  grandiose. 

Fantastiche  rocce  di  granito  limitano  la  roccia 
verso  il  sud.  mentre  a  nord  si  distende  un  deserto 
sabbioso  racchiuso  tra  due  pareti  di  nuda  arenaria. 
K  veramente  meravigliosa  questa  scena  di  indescri- 
vibile bellezza  in  lontananza  e  di  titanica  distru- 
zione d'ogni  linea  naturale  del  paesaggio  sul  da- 
vanti della  scena  —  un  pandemonio  presso  un  pa- 
radiso. Nelle  fenditure  ed  anfrattuosita  delle  rupi 
granitiche,  che  sorgono  nella  condannata  isola  di 
File,  si  vedono  ombre  turchine,  iridescenti  ;  le  vene 
quarzose  e  silicee  brillano  come  diamanti  e  riflettono 
i  raggi  del  sole  attraverso  l'aria  luminosa...  Il  pri- 
mo progetto  era  di  ottenere  un  rialzo  del  livello 
delle  acque  di  36  metri  :  ma  l'ingegnere  consulente 
Benjamin  Baker  fece  ridurre  della  metà  la  soprae- 
levazione  del  livello.  Le  colline  qui  si  riuniscono  e 
distano  non  più  di  due  chilometri  le  une  dalle  altre, 
strozzando  così  già  da  se  stesse  il  fiume  ed  offrendo 
il  posto  migliore  e  più  solido  per  la  costruzione  della 
gigantesca  barriera.  Questa  però  elevando  l'altitu- 
dine delle  acque  avrebbe  sventuratamente  sommersi 
i  templi  antichissimi  dell'isola  di  File  e  travolti  a- 
vanzi  preziosi  di  una  remota  civiltà.  Il  rimpianto 
degli  archeologi  fu  universale,  i  monumenti  vennero 
fotografati,  poi  abbandonati  alle  acque. 

Lentamente  la  diga  fu  costruita.  Nel  1899  si  at- 
tese principalmente  alla  chiusura  di  tre  dei  cinque 
profondi  canali  che  ne  tagliavano  la  linea  e  che  pi  te- 
vano  in  caso  di  piena  minacciarne  la  stabilità.  La 
chiusura  dell'ultima  porta  rimasta  aperta  al  deflus- 
so delle  acque  presentò  la  più  grave  difficoltà  M 
giganteschi  di  granito  gettativi  dall'alto  erano  tra- 
scinati via  dalla  corrente  come  sassolini  e  solo  si 
potè  arrivare  alla  diffìcile  impresa  gettando  attra- 
verso la  voragine  due  vagoni  ferroviari  col  carico  di 
cinquanta  tonnellate. 

Una  sorte  assai  importante  toccò  pure  ai  lavora 
tori   italiani  :    in  pochi  anni,   essi    vi   raccolsero  ben 
6.900.000  lire   di   mercedi    e   alla  fine  dello   scorso 
anno   il  capo  dell'impresa   assuntrice  disse:    «   I 
già  altre  volte  occasione  di  veder  lavorare  egregia- 
mente gli  italiani,  ma  non   aveva   ancora    oppi 
nità  uguale  a  questa  per  convincermi  dell'attitud 
energia  e  buona  volontà  che  portano  al  lavoro  ». 

Contemporaneamente  alla  gran  diga  di  Assuan. 
un'altra  ne  veniva  costruita  trecento  chilometri  più 
a  valle  per  alimentare  l'antico  canale  Ibrahimich. 
Sebbene  meno  grandiosa  della  prima,  essa  è  desi  1- 


Frinii  lavori  della  diga  ad   Assuan. 


Ina  l'ai  i  i  iti  dell 


I>.\1  !  1      RIVISTE 


35 1 


nata  ad  un'importante  missione  nella  rigenerazione 
del  paese. 

Per  costruirla  si  dovette  porre  una  fondazione 
di  muratura  e  di  gettata  di  cemento,  attraversata 
da  pile  vuote  di  ghisa  per  lo  scolo  delle  infiltrazioni 
e  cupi  ita  per  tutta  la  lunghezza  dalla  diga.  Vi  sono 
tir   aperture  ad  arcate,  munite  di  saracinesche  in 


Sezione  trasversale  della  diga. 

ferro  che  potranno  sostenere  in  tempo  di  magra  tre 
metri  d'acqua.  I  lavori  saranno  terminati  entro  l'an- 
no, spinti  come  sono  con  grande  alacrità  da  10.000 
operai. 

Si  è  constatato  che  ad  ogni  periodo  di  io  anni 
avviene  ciò  che  si  dice  «  un  basso  Nilo  ».  Le  cause 
possono  essere  assai  varie:  la  mancanza  di  pioggie 
equatoriali,  l'accumularsi  di  una  feracissima  flora 
subacquea  che  sviluppandosi  costituisce  masse  e- 
normi  ed  isolotti  galleggianti,  che  fanno  deviare  le 
onde,  riversandole  nelle  paludi. 

Le  autorità  egiziane  dovettero  anzi  mandare  spes- 
so sul  posto  delle  cannoniere  per  spazzare  il  fiume 
dai  |  ericolosi  banchi. 

Coi  nuovi  grandi  lavori  sul  Nilo,  le  probabilità 
di  una  mancata  inondazione  e  del  conseguente  di- 
sastro economico  sono  pressoché  scomparse. 

La  diga  che  deve  trattenere  l'enorme  riserva  di 
acqua,  destinata  a  sostituire  le  piene  quando  mancas- 


sero, ha  una  larghezza  di  7  metri  alla  sommità  e  di 
j-4  alla  base.  La  profondità  delle  acque  sarà  ili  28 
metri  con  una  sopraelevazione  di  14  metri  sul  li- 
vello attuale;  il  serbatoio  che  verrà  così  a  formarsi 
fra  i  banchi  rocciosi,  che  limitano  lateralmente  l'al- 
veo fluviale,  si  estenderà  per  ben  250  chilometri,  trat- 
tenendo un'enorme  massa  d'acqua  valutata  un  mi- 
liardo e  centosessantacinque  milioni  di  metri  cubi  ! 

Una  difficoltà  speciale  pel  passaggio  delle  acque 
attraverso  le  180  porte  della  diga  era  causata  dalla 
natura  delle  acque  stesse,  sature  in  certe  epoche  del- 
l'anno di  limo  e  di  materie  solide  che.  depositandosi, 
avrebbero,  a  lungo  andare,  ostruito  il  passaggio. 
Non  si  poteva  certo  costrurre  una  traversa  di  sbar- 
ramento comune,  dalla  quale  l'acqua  strama  asse 
sorpassando  la  cresta,  giacché  in  tal  caso  l'acqua  sa- 
rebbe rimasta  affatto  dépauperizzata  dal  limo  fe- 
condante. Si  applicarono  quindi  chiusure  da  aprirsi 
dal  fondo  per  permettere  il  deflusso  anche  alle  aeque 
più  limacciose  e  cariche.  Uno  studio  specialissimo 
rovette  esigere  la  scelta  delle  saracinesche,  che.  im- 
mense e  pesantissime,  dovevano  perii  manovrarsi 
semplicemente  per  mezzo  di  apparecchia  mano.  Esse 
non  strisciano  contro  gli  stipiti  dell'intelaiatura',  ma 
vi  scorrono  appoggiate  su  rulli  liberi  a  controsfrega- 
mento, dimodoché  anche  le  più  pesanti,  che  subi- 
scono una  pressione  idraulica  di  300  tonnellate,  po- 
tranno essere  manovrate  da  due  soli  uomini. 

Per  avere  un'idea  di  questi  colossi  dell'ingegneria 
moderna,  basterà  ricordare  che  per  le  porte  e  per  le 
chiuse  si  adoperarono  11.000  tonnellate  di  materiali 
in  ferro. 

Non  possiamo  chiudere  il  rapido  accenno  a  questo 
che  è  uno  dei  trionfi  più  indiscutibili  dell'idraulica 
moderna,  senza  una  parola  di  lode  e  di  gloria  pei 
tendesti  e  oscuri  lavoratori  italiani  che  vi  portarono 
il  trihuto  del  sudore  e  del  sangue.  Sobri,  instanca- 
bili, essi  hanno  attaccato  col  piccone  e  colle  mine  i 
fianchi  granitici  delle  catene  dei  monti  che  fiancheg- 
giano il  fiume,  fra  il  riverbero  e  l'incendio  di  un 
sole  equatoriale,  ad  una  temperatura  di  43  centi- 
gradi all'ombra.  Agli  oscuri  ed  ignoti  lavoratori, 
alle  vittime  là  cadute  nella  titanica  battàglia  contro 
la  natura,  è  doveroso  un  saluto  e  un  ricordo. 


Una  delle  saracinesche  della  cateratta. 


J52 


LA    11    li 


Perchè  si  piange 


-,  marzo). 

Si  piange  per  una  moltitudine  di  motivi  d'una 
varietà  sorprendente.  Si  piange  se  percossi,  si 
piange  al  pensiero  della  lontananza,  si  piange  al 
teati  inge  ili  pietà,  di  dispetto,  di  rabbia,  di 

.1  Vi  ha  torse  una  causa  comune  di  pianto  in 
lutti  questi  diversissimi  motivi  ?  È  possibile  ridurli 
a  due  0  tre  :  ise  ben  definite,  le  sole  che 

o  alla  psicologia  delle  lacrime? 
io  prima  di  tutto  convenire  che  la  ridu- 
ce ad  una  rigorosa  unità  ci  pare  assurda.  Sia- 
•  retti  ad  ammettere  tre  grandi  specie 
di  pianto:  il  puramente  meccanico,    /' involontario, 
il  semivolontario. 

Il  primo  lo  constatiamo  tutti  assai  facilmente, 
giacché  spesso  si  piange  senza  alcuna  emozione 
per  semplice  fenomeno  di  secrezione  glandulare. 
La  genesi  di  tal  pianto  è  abbastanza  semplice  e 
si  riduce  ad  un  eccesso  di  produzione  delle  glan- 
dule  destinate  a  proteggere  col  loro  liquido  l'ap- 
i  visivo. 
Quando  i  vasi  sanguigni  sono  troppo  compressi, 
o  i  muscoli  troppo  contratti  da  qualsiasi  sforzo 
meccanico,  avviene  l'emissione  delle  lacrime.  A 
questa  categoria  si  possono  riferire  i  pianti  al  tea- 
tro :  sotto  la  suggestione  dell'attore  che  atteggia 
il  volto  a  contrazioni  disperate,  noi  imitiamo,  col 
moto  incosciente  dei  muscoli  facciali,  il  suo  volto 
stesso  e  le  ghiandole  compresse  sgorgano  il  loro 
contenuto. 

Vi  lui  però  un  pianto  involontario ,  quando  noi 
stessi  non  possiamo  opporci  a  quegli  scoppi  irruenti 
di  lacrime  che  prorompono  al  ricorrere  di  certi 
si  alimenti:  in  tal  caso  l'unico  motivo  è  la.  tri- 
stezza. 

Talvolta  si  piange  dopo    un    lungo    periodo  di 
lotta  ruiitro  il  dolore,    dopo   uno    sforzo   violento 
per  dominare  un  disastro  o  una  sciagura  morale: 
viene  allora  un  momento  in  cui  le  braccia  cadono 
-sate;  allora  la  lesta  cade  sul  petto  e  si  piange. 
Talvolta  invece  si  resiste   fino    all'estremo  :  poi 
una  parola  di  tenerezza,  un  bacio,  un  saluto,  pro- 
di lacrime.    Misteri    del  cuore. 
Tal'altra,  a  teatro,  un  episodio  patetico,  un  tratto 
di  riconoscenza  o  di  gioia  materna  fa  piangere  una 
sala  intera.  I  lei  resto  anche  nella  vitti  reale,  i  grandi 
di  ei    sforzano    al    pianto:    vi    ha  dunque   un 

pianto  di  gioia,  un  pianto  -         -de    al  brusco 

'arsi  di  una  situazione  penosa:  cosi  un  uomo 

I  ■porterà    una    straziante  operazione 

tradire    neppure    un    fremito    di    dot 

ma  quando    tutto    sarà    finito    ed    egli  gusterà  la 

i!  pato  pericolo,    prosar  lai  rime  gli 

libito    il  volto.    Il   pianto  quindi  non 

isponde  forse  al  dolore,  ma  alla   reazione  che 

e  il  pianto  semivolontario,  quando 

mo    i"  n  he   noi    stessi    li i   vogliami >. 

te,  ilei  resto,  un  pianto  ipocrite:  il  pianto  degli 


istrioni,  dei  commedianti,  delle  Cassandre  che  ac- 
compagnano i  morti  al  sepolcro.  Ma  trascurando 
questo  fenomeno,  cui  solo  si  arriva  dopo  lunga 
educazione  dell'apparato  glandulare,  è  un  latto 
che  talvolta  si  piange  per  un'emozione  reale,  non 
così  forte,  però,  da  non  essere  invincibile.  S 
vuole  un  esempio,  basta  pensare  a  certe  lacrime  di 
convenienza  che  sgorgano  abbondanti  e  sincere 
dalle  persone  che  assistono  ad  una  sepoltura  sotto 
l'impulso  di  una  commozione  realmente  sentita, 
ma  alla  quale  si  potrebbe  con  assai  facilità  resi- 
stere. La  volontà  è  dunque  un  fattore  innegabile 
del  fenomeno  delle  lacrime. 

Ma  come  si  spiega  il  suo  intervento?  Bisogna 
riflettere  che  le  lacrime  sono  un  linguaggio  di- 
retto a  far  conoscere  a  chi  ci  avvicina  che  noi  sop- 
portiamo il  peso  di  un  dolore:  per  questo  solo 
fine  noi  consentiamo  a  piangere. 

Cosi  un  fanciullo  battuto  scoppia  in  grida  e  in 
lacrime  evidentemente  per  due  ragioni,  non  solo 
cioè  per  intenerire  il  percussore,  ma  anche  per 
chiamare  aiuto.  Così  la  moglie  percossa  dal  ma- 
rito brutale  piangerà  per  ridurre  il  suo  tiranno  a 
chiederle  un  perdono  che  poi  si  riserva  di  rifiutare 
e  anche  per  invocare  il  soccorso  dei  vicini  contro 
l'inumano  oltraggiatore. 

Il  pianto  però,  secondo  l'opinione  di  Schopen- 
hauer, non  è  l'effetto  del  dolore  ma  della  pietà 
per  sé  stessi.  Ed  ecco  come  egli  dimostra  la  sua 
curiosa  teoria.  Si  possono,  egli  dice,  presentare 
due  casi  :  o  si  piange  su  sé  stesso  o  si  piange  sugli 
altri. 

Nel  primo  caso  è  uno  sdoppiamento  della  pro- 
pria coscienza,  un  ritorno  sulla  propria  situa/i 
per  dire  :  —  Quanto  sono  infelice  !  Xel  secondo, 
è  una  sostituzione  di  noi  stessi  a  colui  che  soffre, 
è  una  compassione  per  l'umanità  e  per  noi  stessi, 
vittime  possibili  della  triste  sorte  che  ora  addolora 
gli  altri.  11  pianto  dunque,  conchiude  Schopen- 
hauer, è  la  compassione  di  sé  stesso. 

Si  schiarirà  meglio  la  questione  comparando  il 
pianto  al  rossore  o  al  riso. 

Che  è  il  rossore?  Esso  è  l'effetto  della  modestia, 
della  timidità,  del  pudore,  della  vergogna,  di  un 
sentimento,  insomma,  per  noi  sgradevole,  che  ten- 
tiamo inutilmente  nascondere.  In  tal  modo,  il 
sore  e  un'  emozione  che  si  desidera  resti  secreta, 
mentre  il  pianto,  al  contrario,  è  un'emozione  che 
si  vuole  manifestare. 

Cosi  fra  il  pianto,  il  riso  e  il  sorriso,  malgrado 
l'apparente  contrarietà  dei  termini,  esiste  una  forte 
somiglianza.  Così  v'ha  il  riso  prorompente  e  in- 
coercibile, il  riso  falso,  il  riso  semivolontario  :  tre 
gradi  che  corrispondono  perfettamente  alle  tre  ca- 
tegorie  di  pianto  da  noi  accennate.  Vi  è  però  un 
punto  di  assoluto  distacco  fra  i  due  fenomeni  ed 
è  che  il  riso  è  la  significazione  di  un'orgogliosa 
superiorità  sulle  debolezze  altrui  che  ri  muovono 
ad  esso,  mentre  le  lacrime  sono  l'indice  della  de- 
■  ili  zza  e  dello  sconforti  >. 

Il  pianto  è  dunque  il  linguaggio  del  dolore  e 
della  pietà. 


DALLE    RIVISTE 


353 


Curiosità  del  mondo  epistolare 

(Da  un  articolo  di  Edmondo  De  Amìcis,    in    Natura    ed 

Arie,  del   15  febbrai.'. 

L'autore  biella    Vita     militare    attribuisce  ad   un 
suo  amico,   letterato  chiarissimo  la  cui   reputazione 
è     più    grande     della    sua.     l'intenzione     di    scri- 
vere un  Galateo   della  scr,  tiara  .  per   insegnare    al 
prossimo  che  scrivere  con  caratteri    inintelligibili  è 
una  forma  di  villania  presuntuosissima.   Ma  la  pre 
Minzione    li  colóro  che  si   rivolgono  agli  scrittori  ce- 
lebri per  seccarli  con  le  loro  confidenze  e  le  loro  ri- 
chieste, è  veramente  infinita.  Il  De  Amicis   fa  dire 
al  suo  intimo  amico:   «  Ah!   se  mi   parli  di   docu- 
menti umani!...  Sì,  io  ne  ho  una  collezione  incom- 
parabile.   To':    non    più  tardi  di    ieri,   uno  che   m'è 
venuto   dall'estremità  meridionale  d'Italia:    qua  tro 
pagine  d'un  giovanotto   che.  disperato  dall'improv- 
viso   raffreddamento  d'una  signorina    a  cui    fa  la 
corte,  prega  me    —   maestro  nell'arie   di  toccare  i 
cuori  —  di  fargli   la  bruita  copia   d'una  lettera,  la 
quale  gli  lenda  l'amore  di  quell'angelo  ormai  neces- 
sario alla  sua  vita,  e  conclude  dicendo:   Ma 
/■resto.'  »   Un     vecchio   signore  prega  il  letterato  di 
scrivere  —  come  egli  sa  scrivere  —  a  un  tenente  del- 
l'esercito, per  indurlo  a  mantenere  la  premessa  fatta 
a  una  sua   nipote  che   ha  innamorata   e  abbando- 
nata... «  Ti   figuri  tu  la  lète  del  tenente  al   ricevere 
l'epistola?  E    se  ti   dicessi  che  m'hanno  scritto  dei 
fattori  di  campagna  pregandomi  di  persuadere  per 
lettera  un  ricco  proprietario  sconosciuto  a  rimettere 
loro  un  grosso  debito  ;  che  ho  ricevuto  delle  lettere 
—  mandate  alla  posta  con  mille  sotterfugi  e  peri- 
coli —  da  condannati  alla  reclusione,    i  quali   mi 
piegavano  di  scrivere  una  supplica  al  re  per  otte- 
nere la   grazia  ;   e  delle  lettere  dai   manicomi,    una 
delle  quali  mi   sollecitava  a  raccomandare   a  certi 
deputati  un  progetto  favoloso  di  riforma  tributaria. 
e  di  indurli  ad   imporre  quel  progetto  al  Governo, 
con  la  minaccia  —  ricordo  la  frase,  che  è  una  gem- 
ma —   d'un  implacabile  ostruzionismo?  »   Vi  sono 
poi  coloro  che.  confondendoli  letterato  col  libraio, 
gli  chiedono   il  catalogo  del  suo  magazzino  e  il  ri- 
basso che  farebbe  su  certi  libri;    altri  che.  trovan- 
do un  foglio  mancante  in  un  volume,  gli   scrivono! 
invitandolo  a  curare  un  po'  meglio  l'impaginatura 
delle  sue  opere.  Certe  mamme,  non  del  popolo,  ma 
della  borghesia  agiata,  domandano  all'uomo  celebre 
che  pagamento  vorrebbe  per  preparare,  con  un   me- 
todo abbreviativo,   le  loro  figliuole  all'esame  d'am- 
missione alla   scuola  normale.  «  E  senti  ancor  que- 
sta, della  settimana  scorsa:  la  vedova  d'un  farma- 
cista di   villaggio,  che  mi    prega  a  tenere   una  con 
ferenza  pubblica,  a  pagamento,  con  libera  scelta  del 
lena,  per  far  erigere  un  modesto  monumento  a  suo 
marito!...   n. 

La  messe  più  ricca  è  quella  delle  lettere  di  «com- 
missione ».  I.e  più  sono  lettere  per  chiedere  poesie 
in  occasione  di  matrimoni  e  di  onomastici.  «  Ne  ho 
ricevuta  una  giorni  fa.  nella  quale,  per  muovermi  la 
ispirazione,  mi  si  davano  i  connotati  della  sposa: 
statura  media,  capelli  biondi  tiranti  al  castagno,  oc- 

La  Lettura. 


ehi  azzurri  chiari...  e  cera  un  poscritto  che  diceva: 
Non  più  tardi  di  marted)  prossimo,  mi  raccomando- 

Un  alno,  non  è  inolio  tempo,  mi  mandò  la  poesia 
Ielle  tana,  in  onore  d'un  suo  zio  nominato  cava- 
liere, scrivendomi:    Iggittnga,  tolga,  corregga,  limi, 

rifaccia  a  suo  piacimento  .    approvo    ini  d'ora  ogni 
»   l'i  qualcuno  la  capire  che  la  fatica  non  sa- 
rebbe senza  compenso. 

C'è  poi  il  diluvio  dei  manoscritti  da  leggere,  di 
tutti  i  generi' e  ili  unte  le  misure.  «Anni  fa.  ricevetti 
un  quaderno  enorme  dalla  governante  d'un  ban- 
chiere, la  quale  nella  lettera  accompagnatoria 
mi  diceva:  ti  Sono  -tana  di  servire:  mi  sento  nata 
per  altro:  ho  deciso  di  danni  alla  letteratura.  —  E 
mi  chiedeva  di  leggere  il  suo  lavoro,  di  trovarle  un 
editore,  di  farle  una  prefazione,  di  rivedere  le  ltozze 
e  di  raccomandarla  ai  giornali.  Santo  Iddio  di  mi- 
sericordia! E  se  tu  sapessi  le  impertinenze  che  m'ha 
scritte  quella  Colombina  rabbiosa  perchè  le  risposi 
che  non  potevo  incaricarmene!...  ».  I  postulanti  di 
prefazioni  sono  una  famiglia  particolare:  qualcuno 
di  costoro  ardisce  di  stampare  tal  e  quale  la  lettera 
confidenziale  che.  per  gentilezza,  in  un  momento  di 
nsione.  lo  scrittore  gli  ha  mandata! 
Ma  quello  che  c'è  di  più  esilarante,  in  certe  let- 
tere, è  l'ignoranza  di  chi  scrive  in  riguardo  alla  per- 
sona a  cui  si  rivolge,  e  che  pure  chiama  illustre. 
a  Ricevo  delle  lettere  piene  di  complimenti,  ma  indi- 
rizzate con  un  nome  di  battesimo  che  non  è  il  mio. 
e  anche  col  nome  di  famiglia  storpiato...  Non  avevo 
ancora  quarantanni  che  molti  mi  credevano  già  con 
un  piede  nella  tomba,  e  mi  scrivevano  delle  frasi 
come  queste:  Mi  rincresce  di  disturbare  la  sua  ve- 
neranda vecchiaia. . .  Con  tutto  il  rispetto  dovuto 
alla  sua  illustre  canizie . . .  —  E  quando  eran  signore. 
ti  confesso  che  mi  ci  stizzivo.  E  quelli  che  mi  scri- 
vono manifestandomi  la  loro  ammirazione  entusia- 
stica per  il  romanzo.,  d'un  altro!  E  meno  male: 
questi  sono  in  buona  fede.  Quelli  che  mi  muovono 
la  bile  sono  i  falsi  ingenui,  i  quali,  per  farsi  man- 
dare un  libro  che  si  trova  da  per  lutto,  mi  scrivono: 
'  '  ve  potrei  rivolgermi  per  avere  la  tale  opera  sua? 
Vito  cercata  inutilmente  da  tutti  i  librai...  Pove- 
retti! Dicono  anche  d'ignorare  il  nome  dell  editore. 
Il  meglio  è  che  qualche  volta  ignorano  anche  il  ti- 
tolo dell'opera,  e  me  lo  domandano  accennando  al 
contenuto.  Son  tentato  alle  volle  di  rispondere  che 
me   l'ho  dimenticato    io  pure...  » 

A  queste  lettere  melliflue  quasi  SI  ■no  preferibili 
quelle  dei  brutali  e  degli  impertinenti.  0  Dei  capi  a- 
meni  che  mi  scrivono  quattro  pagine  per  dimostrar- 
che  ho  usato  una  tal  frase  non  italiana.  0  che 
mi  lodano  1111.1  ivi' opera  e  di  un'altra  mi  dicono: 
li    ijiicsta.    mi  permetta  hi    irati,  non  ho    po- 

lito andare  lino  a  metà  <■   mi  tartassano  feroce 

1       Mei  poco  che  ne  hai  :  e  altri   che, 

chiedendomi  un  parere  sopra  un  loro  lavoro,  inCO- 
minciano  la  lettera  dicendo:  Voglio  sperare  che  ella 
non  da  un  orgoglioso  egoista  come  sono  aitasi  tutti 
gli  scrittori  fortunati,  i  quali  rispondono  con  un  si- 
lenzio villano  a  coloro...  —  e  altre  doli  1  EZi  d'esor- 
dio su  questo  andare  E  ci  son  quelli  che  mi  fanno 
delle  rudi  lavale  di  testa  perchè  non  ho  ancora  trat- 

23 


.  15 1 


LA    LI 


tal  caus 
udi  e  lontanissime  dal  i  am 
•  delle  lettere  di  pn 

S  Un  che 

.  iiì'b.i!  mai  scritto  una 

li  rinv 
I  n ■■■  io  'li    ben  sono 

si  licenziose  .01 
in  l    grembo  della  <  Ihiesa  : 
li     pn  ipongi  ni  ■    d'  intavi  ilare 
denza    periodica  per  scambiare   1   no- 

neppure  gli   infelici   che  chiedono 
all'autore   prediletto:   disgraziati  che 
dono  qualche  migliaio  ili  I ire  per  riempire  un  vuoto 
povere  madri  che  chiedono  il   denaro  pei 
1  .  fighi  1.  gii  i\  ani  chi 
nunziano  la  risoluzione  d'uccidersi  se  non  otterran- 
no un  so      1       Disgraziatamente,  però,  in  più  d'un 
re  sono    abili    inganni,  eloquenti 
menzogne  di   scioperati,  ili  viziosi  senza  dignità,  ili 
rami    astuti    della  questua  epistolare. 
Il  De  Amicis,  finalmente,  fingendo  che  il  suo  in 
per  un  l    mzoniere  della  fan- 
ciullezza il  quale  gli  deve  aver  procurato  multe  In 
■  li    fanciulli,  fa  dire  all'amico  suo  eh 
•  tra  le  più  gradite.  »  Quando  ricevo  una    1  « -t 
ni   una  soprascritta  in  caratteri  grossi  e  irre- 
golari, in  cui  riconosco  una  mano  ili   scolaretto,   mi 
rallegro,  anche  prima  ili  leggerla    Mi  Ite  sono  scrit- 
irehde,   si  tti  1  la   'li  ttatura   del   bai 'I»  1    e 
della  man  t  ui  ii     mi   Panni    piacere  an- 

penso  che  il   primo  pensiero   'li 
li.  1  nella  n  I  piccino.    E  ve  ne 

■  ili  quelle  1''  sì  ingenuamente  affettuose,   piene 
•  li  così  cari  spropositi,  con  chiuse  così  amabilmente 
mi  delizio  a  leggerle  e  a   rileggerli'. 
Queste  le  conservo  tutte  quante.  Sono  le  sole  a  cui 
ii'lu  sempn     Ho  ricevuto  delle   lettere    the  mi 
hanno    fatto  venir   le  I  li  occhi,  scritte  <li 

da  ragazzi   maltrattati  in  famiglia,  che  mi 
chiedevano  dei  conforti;    ne  ho   ricevuto  da    raj 
zine  che  mi  domandavano  un  giud  pra  un  com- 

ponimi nto  ili  scuola,  a  cui  la  maestra,  secondo  loro, 
0  un  punto  insufficiente;  ho  ricevuto  pei 
sino  delle  lettere  da   ragazzi  chiusi    in  Case  di  cor- 
ne,  i  quali  mi  esprimevano  il  loro  pentimento 
e  il   propi  irsi  linoni  ed  onesti.  Molti  a] 

!   foglio  il  loro  0  intorno 

1 1"   nelle  mie  cartelle 

una  e  ili   quesl  amiri    i- 

riguardo  spesso  ad  uno  ad  uno..     ». 

Vi  sono,    fin  letten    dei   gii  ivanetti   i 

ino  con  entusiasmo  alla  vita  e  all'arte 

l'animo  col  primo  scrittore  che  il 

-  ere  più  intinti  gli  altri. 

1  ■  mi  sono  care  quelle  lettere,  benché  io  non 

trovi  più    in  esse  nessuna   compiacenza  d'orgoglio! 

Dio  bt  bene  che  fra  qualche  anno 

rei    lerà    quei   giovanetti   assai 

;i  volgeranno  ad  altri  la  loro  stin 

inno   sul 


I  opera  mia  una  ci  1      he  forse   mi  di- 

menticheranno. Ma  che  importa?  Amo  li,  stesso  le 
loro  letten  I  e  amo  1  ■  i-  he  ritrovo  in  esse  gl'ingenui 
e  facili  entusiasmi   della  mia  nza.    le 

frasi,  le  stesse  parole  ch'io  scrivevo  allora  agli  scrit- 

•'he  amavo,  e  1  ngii  vanisco  al  calore  della  loro 
passione.  I-i  perciò  quasi  sempn  rispondo  loro  con 
la  \  ivacità  d'un  1  <  n  e  con  un  si 

mento  ili  dolcezza  paterna. ..  E  1 
scritte  cordialmente  ila  mani    rozze,  che  esprimono 
un  0  'li   simpal  ia    con    rozze    parole  ;    ri- 

spondo agli  stranieri  che  mi  scrivono  nella  mia  lin- 

i'oii  stili-  fanciullesco,  'Ielle  parole  gentili  pei 
ii  mio  paese,  dicendomi  '-hi  derano  l'Italia 

me  uni  rateila  e  ohe  han   letto  fon  molto 

misi  :  rispondo  a  tutti  quei  miei  con- 
cittadini ''he.  .la  |  .-.  mi 
scrivono  ''In-  quali  I  1  rivata  fini  1  la 
come  una  rondine  della  patria  e  ha  recato  loro  un 
momento  1  li   gii  >ia. . ,  » 

Un  lago  ehe  scompare 

Uh  curii  so  l'  in  nulli    si  verifica  nel  grande  La 

Salalo  dell  Itali,  dove   le   acque  diminuiscono  li 

n  1  nte  ma  continuamente  di  al  ciò  che  ite 

col In-  hanno  im] 

sulle  sue  rive.  L'ufficio  idrografico  della  Geolopcal 
Survey  degli  Stati  l  imi  ha  fatto  un'inchiesta  dalla 
quale  non  risulta  ben  definita    la  '•■!    latto. 

alcuni    scienziati    essendo    di    opini'  ne    che    si     traili 

di  un  lem  un.  in .  tempi  iraneo  e  suppi  nen 

stano  dei   periodi  di   magra   e  di  |  iena  alternali,  cor 

rispondenti  a  periodi   di  scarsa  0  abbondante  pn 

pita/iotie    atmosferica,    come    nel     caso    di  II  .0  an/. 1 

mento  e  indietreggiamentq  dei  ghiacciai  alpini.  Al- 
tri invece  suppongono  ohe  il  fenomeno  sia   perma- 
nente e  dovuto  a  cause  diverse  tra    le  quali    il  di 
sboscamento  delle  montagne  intorno,  la  Utilizzaci 

dei     lerretiti     per     le    industrie.    n'C 

Il  petrolio  sostituito  al  carbone 

Il  primo  esperimento  di  sostituzione  del  petrolio 
al  carbone,  come  combustibile  per  le  navi,  e  stato 
latin  su  grande  scala  a  bordo  del  vapore  Murex 
della  Shed  Line,  che  fa  servi/io  ira  Singapore.  Città 
del  Capo  e  Londra,  La  nave  che  consumava  circa 
25  a  ,'j  tonnellate  di  carbone,  a  seconda  della  qua- 

ha   bruciato   dopo  la  trasfi  mia/ione  dei  suoi 
focolai,    17   a    iS    tonnellate  di   petrolio,   imi 

!   tratto  Singapore  t 'ittà 
Capo  ini  per  il  tratto  Città    del  ('apo-I.on 

dia.   Il  petrolio  era  americano  e  veniva  bruciato  tal 

purificazione 
I  .!    1  !i  mi lagnia    dichiara   che.   sebbene  al  '•   a 
Mito    anche  un    vantaggio  finanziario  dalla   prova. 
ni'i.n  ia  '    mi  ilio  infei  ii  re  al   \  antaggii  1  del 
minor  peso  del  combustibile  da   portate  e  della 

edita   di   11  ulti    i   pili    piccoli    spazi    dispi 

liili  nella    nave  per  trasportare  il  petrolio,  men 
non    farebbe  possibile  in  essi  mettere  carbone. 


DALLE 


Per  la  difesa  di  Roma 


D.i  un  articolo  ili   Lina  Beltramo  nella  Rivista  Moderna, 
del    i     marzo). 

L'autore  omincia  ol  notare  che  nelle  odierne 
manifestazioni  degli  artisti  si  osservano  spesso  delle 
incoerenze,  per  le  quali,  nell'elenco  dei  gelosi  difen 
>ori   dell'ambiente    storico   e  della  nota   pinone;!    a 


[VISI 


355 


Pero  «rendi  i  1  un:  i  everi  .  l'autore  ha  o 
rato  le  recenti  opere  'li  difesa  contro  gli  straripa- 
menti del  fiume,  non  soltanto  dal  lato  della  utilità, 
meho  da  quello  dell'estetica,  ed  ha  visto  con  gli 
occhi  della  mente  e,  .me  la  rigida  linea  del  mura- 
le di  sponda,  quando  la  sistemazione  del  I  e 
vere  sarà  compiuta,  toglierà  crudamente  la  scena 
che  si  svolge  dinanzi  a  ehi  sta  sul  parapetto  del  vec- 
chio  l'onte  Sisto. 


Tempio  di  Vesta  Cloaca 


S.  Maria 
in  Cosnielii 


Verona,  in  quella  Piazza  delle  Erl>e  ehe  è  stata  mi- 
nacciata di  vandaliche  ricostruzioni,  si  possono  scor- 
gere nomi    di    molti    i   quali    certamente  conoscono 

Tempio 

dilla  t-ortuna  virile 


Allo    sbieco    del    ponte   in    Trastevere,     si    eleva 
sulla  massa  del  muraglione  una  casa  moderna,  colla 
vacua   pretesa  dei   suoi  cinque  piani,   nota  stridenti- 
Tempio  di  Vesta 


Tr'fr^ 


Janni 


Pome  Palatini- 


Cloaca   Massima 
Doro    I.A    SISTEMAZIONE. 


Roma,  ed   all'ambienti 

'eristiche  di  questa  città   non.  darebbero  il    li 

ti  ressamento  di  fronte   ad  una  ben   più  grave  mi- 

a  che  pende  su    lei. 


i    moltiplicata    fi      pò        dietro  ad  alti 
mili  alveari  umani,  l'incantevole  panorama  del  Già 
nieolo  è  destinato  a  sparire.    Nella    mente   dei    mo- 
derni   edili    è    germogliato   il    progetto    di    porticati 


.;."> 


LA    I  ETTI  RA 


della  lunghezza  di  circa  tre  chilometri,  da  Ricetta 
a    Ponte  Rotto,  «  novità  ».  dice  la    Relazione   del 
I  iano  regolatore  'li  Roma,  «  la  quale  non  avrà  ri 
altre  città  attraversate  da  un  pumi 
l'edilizia,  osserva  il  Beltrami,  anziché  pro- 
are  quanto  <li  bello  e  'li  utile  già 
lebba   tentare  ciò   che  altre 
non  vollero  fare,  molto  probabilmente   per   la    pre 
vidente  cautela  'li  evitare  un  grossolano  errore.  Or 


che  pende  su   Roma,  l'edilizia  indegna  'li  lei  trion- 
ferà, spadroneggiando  in  una   fra  le  più  ; 
zone  della  i  ttà  eterna    I .  ino  erenz  i  non  i    --  ili 
gli  artisti,  ma  anche  in  coloro  che  dovrebbero  avere 
la  coscienza  della  propria    responsabilità  nella 
rezione  della  cosa   pubblica.    Rileggendo  le  discus- 
sioni intoni"  i  mi  i  ilatore  che  rendessi 
ma  degna  del  suo  rinnovato  compito  ili  capitali 
1 1 . i\ a  una  nota  d'idealità,  un  desiderio  del  Ix-lln.  un 


Ponte  Margherita..  —  Veduta  <li  Monte  Mario,  nascosta  dal  Lungotevere. 


sono  gli  artisti  solleciti  e  gelosi  dell'ambiente 
stoni  pittorico,  nemici  <le'  vandalismi?  l'erchè 
i  i  il  al/ani.  la  voce  contro  le  sopraffazioni  del  piano 
regolatore  romano? 

Un  frammento  ancora  genuino  «lei   pittorico  pa- 
norama si  trova  verso  l'isola   Tiberina,  al    disopra 


proposito  di  cose  grandi  Ma  tutta  questa  idealità, 
all'atto  pratico,  è  destinata  a  rimanere  fatalmente 
allo  stato  topografico:  gl'ingegneri  idraulici  soprag 
giungono,  e  in  nome  di  una  salus  -public a  che  pre 
ventivamente  ritengono  incompatibile  con  quals 
concetto  di  decoro  pubblico  e  di  estetica,  s'imposses 


Pome       Ponte 

Simo      G-»rib.ilJi 


l'unlc   I 


l'unte  Pabricio 


i   d'I  muraglione  degli   Anguilla- 
ia .  mi  più  a  valle  del  fiume,  subito  dopo  il  ponte 

Palatino  prodotto   non    meno  genuino  del 

gneria  moderna,  che  \m  consesso  di  ingegneri  arrivò 
a  definire  <•  strano  per  là  dii  t  ne,   pei 

il    ni  tgerati  •   di  Ile  pile,  oluta  pò 

verta  di  I  i  riti  dell'. e 

Roma         s  ini  nte   un  altro  saggi" 

del  lutino  Lungotevere,  un  casamento  torreggiarne 
n,i    suoi   sei    piani,  quasi    .1   schernire    il   tempio  di 
i  dieti  i  ia  arginatura 

dell'opposta  sponda,  più  non  si  specchia  nel  Tevere. 
Se  non  si  saprà   intuire  ,•  valutare  questa  minaccia 


.ni"  della  zona  solcata  dal   Tevere,  vi   spadroneg 
giano,  battono  in  breccia  le  fabbriche  lungo  la  riva 
a  chilometri  di  muraglioni  in  travet 
tino.  Poi,  quando  si  crede  di  avi  assicurate 

le  sorti  della  città,  si  lasciano  i   ri  delle  aree 

espopriate  in  balia  di  un'altra  squadra  di  caponu 
Stri  perchè  si  compia  una  seconda  arginatura  di  ni 
samenti,    destinata    ad    assegnare    a    Rema    l'aspetto 

di  una  i  ;,,,i  qualsiasi,  attraversata  da  mi  fiume  «pia 
lunque.  Intanto  a  ridussi,  del  Colosseo,  delle  Terme 
di  Caracalla,  della  Mole  Vdriana,  si  permetteva  che 
sorgessero  i  saggi  della  nuova  edilizia  materiata  'li 
fango;  e  non  solo  disparve  la  Villa  Ludovisi,  ma 


DALLE    RIVISTE 


altre  ancora,  e  se  una  piazza  nel  centro  della  città 
tu  beneficata  dalla  disposizione  di  uno  square,  ciò 
avvenne   solo  per   inattesa  munificenza  di   uno  stra- 


357 

tisti.  ma  da  idraulici  ».  Queste  parole  potranno  suo- 
nare sgradite,  ma  sono  la  schietta  aspira/ione  verso 
un  maggior  rispetto  ed  una  più  efficace  preoccupa- 


l.uugolcvcre 
inizialo 


Tonte  PaUtino 


,!     \ 


nieiu  :  intanto  i  vecchi  ruderi  rimasero  abbandonati 
all'incuria,  le  memorie  storiche  cedettero  il  campo 
a   nuovi  edifici  senza  carattere,  e  appena   fu  tolle- 


zione  per  ciò  che  è  o  dovrebbe  essere  il  nostro  mag- 
gior titolo  di  gloria;  ed  è  bene  che  vengano  ila  Ita- 
liani prima  che  da  stranieri.    L'autore  conclude  e- 


II   Tevere,  a  valle  d 
rata  la  torre  degli   Anguillara. 


Isola  Tiberina,   prima  della  sistemazione. 

sonando  gli  artisti  e  i  cittadini  tutti  a  mettersi  al- 


rata  la  torre  aegn   .-\.nguuiara.  sonando  gii  artisti  e  i  cittadini  ium   a  incuci  m  ,u- 

Il  Beltrami  fa   sue   le  parole  di  Angelo  Conti,  il       L'opera  affinchè,   scongiurati   i   pericoli  materiali  che 
quale  ha  scritto  rhe  «  la  tradizione  sembra  perduta.      per  secoli    minacciarono  e  offesero  Roma,  la    siste- 


Pala         Farnese 


Inizio  del   Lungotevei 


Inizio  del   Lungotevere 
tello  Sanzio 


e  noi  ai  posteri  lasciamo  edifizi  fatti,  non  da  archi-  inazione  del  Tevere  non  sia  condona  a  termino  con 
tetti,  ma  da  ingegneri;  statue  fatte,  non  da  scul-  un  danno  irrimediabile  per  l'integrità  morale  di 
tori,  ma  da  pupazzettai  ;   fontane  fatte,  non   da  ar-      Roma. 


LA    LETI  IRA 


hi/  di  la  e  le  Forze  Occulte 


Vi  nos       i  "il'  resse 

di    *  i 1 1 1 1 i •  »    Blois    nel    Maini 
Di  Là  ed   .il U ■    I  ulte,    non 

li    ultimi  articoli  1 1* - 1  pubbli' 
lo  più  che  sono  i  ra  i  più   ni  itevoli  fi- 
i   |  ubbiicati. 

Ilo  nel  quale  egli  si  intrai 
Iella 

Alchimia   moderna. 

Il    i  :   conosciuti '  delle  pere 

a  questi  lumi  di  luna,  fanno  dell'alchimia  come 
in  pieno  medio  evo  :   uri  certo    P  un 

il  a   nome   Tiffereau.   Quest'ultimo  riuscì   una 

ibbricare  l'oro,   nel  Messico,  e  mostra   an- 

la  polvere  di  I  sui  •  Parigi   si   -    a 

stenuto  dal    ritentai'-    la    pn  .    dice,    lana 

parig  ni  iferi  ». 

\l  vani    altrettanto  devoti    alla  scienza 

ito  allo  spiritualismo,  hanno  ripreso  le  vecchie 

tradizioni  ili   Nicola   Fla  fondata  la  Società 

olchimistica  di  Francia,  sotto  la   presidenza  ilei  si- 

elot,  trattano  nei  crogiuoli  X'atha- 

I .  i  sei  le  di        a  Di  uà  i,  nella  \  ia  Saint- 

\.  Ila  biblioteca  si  trovano i  libri  ili  Paracelso, 
■  li   Eliphas   Lévy,  ili  Strindberg,   ili 
Lavoisier  e    del  colonnello    de    Rochas.    In   mezzo 
storte,  ai  tubi,  alle  fiale  del  laboratorio,  si  ag- 
no  ii    presidente   follivel  Castelot,   giovane  eie 
e  e  pallido,  e  i  due  suoi  assistenti,  il  signor  De- 
i  nella  meccanica,  e  il  signor  d'Hooghe, 
poeta  e  filosofo  d'ingegno.  In  un  angolo  si  vede  un 
obice  d'acciaio,    posato  sulla  punta:    è   1  «  uovo  ti 
un   o  pei    ii"  ■'    i  di  tubi  all'apparecchio 
Cailletei  per  i  izione  dei  gas:    nell'obice  si 

inanella  l'argento  messicano  a  bassa    temperatura. 
«  L'athanor  classico  ».  ha  detto   il  presidente  a 
Giulio  Blois.  «  '■  stato  sostituito  ila  un  forno  a  due 
luci.  La   temperatura  non   \i  oltrepassa   mai  i  ,;oo 
ulte  '  erti    regolatori,  i  ■  nuta 

re  eguale    l  ristica  delle    reazioni   è 

fattoi  ni' :  l'Energia  e  il  Tem 

1  .e  reazioni  studiate  dalla  chimica  ufficiale  sono 

i  che  deve  ]  irodurre 
dura,  al  contrario,  interi  mi 

i  ilesiiler in  ili [ualcuna  delle 

k  razioni,  il  redattore  ilei  Maini  fu 

[1  presidente  gli  mise  dinanzi  una 

alquanto    nana,   d'un    violetto  cupo    con 

punì  I  gli  'lisM-.  iCi 

rivelami  ne.    L'abbiamo  a 

i  chi    non  vuole  far  conoscere  il 

i  II-  ghe  osservò:    <  Ari 

Quando,   nel    [618, 

la  trasmutazione 

[elmont,  p  la  pietra  bella 

i  menti  ».   Dopo 


e  spiegazioni,    il   Jollivel    prese  del   mercurio. 
ilei   piombo,  dello  stagno,   li  fuse  in  una  n 

■..  ,in  frammento  della  pietra  filosofale;  e  al 
lora   il   Blois   assistè  ad  una   operazione  verami 
misteriosa:    il   metallo  s'ispessì,  si  contrasse  e  alla 
sua  superficie  si  formò  una  |  edicola  dorata  .  Ma  la 
trasmutazione  non   si   compì    interamente:    l'amai 
n'  risi  lise  ni  un  |  i  uello 

_h  antichi  alchimisti  chiamavano  la  coda  di  /></ 

vone.   Il  presidente  spieg L'oro  si   i    formato. 

ni.  E'  Inni  provvisorio,  l'oro  /w> 

.    noi  cerchiamo  adesso  l'oro  stallile,  e  non  ili- 
speriamo  ili  trovarlo....  Dopo  tn  il    forno 

andava  giorno  <■  notte,  un  brusco   raffreddamento, 
causato  dalla  negligenza  d'un  inserviente,  ' 

piare   lai  ina     l'operazione    nini   e    tallita 

interamente  ».   lai  i  I 

ili  crosta  bianca  e  friabile,  spiegando:  «Questa  ma 
.  dopo  all'une  manipolazioni,  avrà  la  virtù  «li 
trasmutare  in   argento  gli   altri  metalli...  »  1. 

il   oghe  aggiunse:   n  Abbiamo  ricominciato 
l'operazione,  e  se  la  fortuna  questa  volta  e 

o    fra  qualche  mese  'li  mostrarvi    la    prima 
d'oro  artificiale  ». 

Sally  Ppudhomme  ed  Easapia  Paladino. 

romando  dall'alchimia  allo  spiritismo,  il    Blois 

narra    un'altra    intervista:    quella    chiesta    ed 
nuta.    Con    Sully    Frullili  mime,    il     poeta    'li   cui 

recentemente  parlato    per   il    premio   NToebeh   una 
parte  del  quali   egli  ha  destinato  in  premi  ai 
vani  suoi  confratelli, 

Il  poeta  ha  narrato  che  la  sua  sorellina  quando 
egli  era  fanciullo,  dimostrava  'li  possedere  facoltà 

i  strane:  appena  posava  le  dita  mi  qualchi 
getto,  questq  girava  su  sé  stesso,  fosse  anche  una 
tavola  molto  granile  e  pesante  Ultimamente  Sullj 
Prudhomme  ha  fatto  parte  degli  sperimentatori  ili 
Auteuil:  cinque  o  sei  scienziati  e  curiosi,  i  quali  fé 
cero  venjre  il  medium  Eusapia  Paladino,  quella 
sii  ss. i  ibi-  ha  fatto  tanto  parlare  ili  sé  a  Genova 
«  Eusapia  si  è  seduta  dinanzi  a  una  tavola  a 
ta  centimetri  press'a  poco  d'una  tenda  in  un  angolo 
•  Iella       la:    ella  voltava  le  spalle  alla  tenda   \'"i 

guardavamo    attentamente   le    mani    e  i   piedi   ili   lei. 

mila  mezza  Une.  Dopo  un'attesa  abbastanza  lunga, 
un  pesame  sgabello  si  e  avanzato  'la  solo  verso  «li 

Si  i    sollevato  per  aria,  poi  si  è  posato  sul 
\nla..  In. il/ai  la  mani'.  Me  li  sentii  afferrare....  Ri- 
cevetti sulle  spalle  uw  colpo  secco;  la  seggiola  mi 

si    s  ■ ..   mi   sentii   tirate   i  capelli    e  spil 

la   testa  verso  la  tavola     Suite  i   miei  occhi  una  chi- 
tarra ha  passeggiato   per   l'aria  senza  che  nulla    la 

nesse.    Alrune    note  si  un-   USI 
ila    altri     isirumenti    musicali.    I>ietr"   ili    me.    sulla 
mia  testa,  i  miei  compagni  hanno  visto  delle  ' 
ili    mani  debolmente  luminose:    sembravano   usi-ire 
dalla   tenda    gonfia  per   un  soffio  misterii  ■■     I 

pareva  soffrisse  ad  ogni  produzione  dei    feno 

ineni.  Pareva  che  tu-  traesse  -h  elementi  'lai  proprio 

rato  fisìoli    ii  i        M  he   più  m'ha   forse 


DALLE    RIVISTE 


ÓDQ 


5 

d 

e: 


impressionato  è  stato,  inumilo  la  seduta  era  . 
nita.  una  poltrona,    r.  -  al  i   dietro  la  tenda,    che  si 
è  messa  a  un  tratto  a  con  Eusa- 

pia...  R  aia.,  l'idea  di   questi 

trona  automobile  mi  tornii  mi  produceva  ini 

io,  quasi    un'ossessione  da   incubo...  »  Sully 
Prudhomme  eselude  una  spiegazione  fisica  ili   que- 
sti fenomeni;   la  frodi  inverosimile;   «ma», 
soggiunse.    «  negherei  qualunque  attitudine    - 
Bea  a  chi.    leggendole  dichiarazioni  che  io    ■ 
a   voi,  credesse  sulla  panila,  senza  avere  espei 
tato  a  sua  \  i  (Ita  ». 

[nterrogato  intorno  alla    elepa  ia,  il  poeta  ha  i  aj 

•i  fatti  raccolti  in  proposito  da  una  S 
inglese;  la  quale  ha  proceduto  con  tanti  scrupoli 
che  si  può  e  si  deve  credere  alle  verosimiglianze 
«ielle  sue  conclusi,  mi.  i  Per  me.  un  dotto  che  neghi 
la  telepatia  è  infedele  al  metodo  scientifico».  Intorno 
allo  spiritismo,  ha  detto  che  non  si  sente  in  istato 
da  contestare  l'esistenza  dei  fenomeni;  ma  le  de- 
duzioni che  se  ne  ricavano  sono  viziate  dall'insuffi- 
ienza  .  dall'ambiguità  delle  definizioni  iniziali.  «  A 
mio  avviso,  per  la  salute  dello  spirito  umano,  sa- 
rebbe caritatevole  che  una  Commissione  composta 
d'uomini  il  cui  spirito  scientifico  fosse  superiore  ad 
Ogni  si  spetto,  stabilisse,  in  materia  di  scienza  psi- 
chica, un  vocabolario  che  non  ammettesse  critica. 
Ora.  per  fare  così,  bisognerebbe  dapprima  istituire 
scientificamente  delle  esperienze  di  psichismo;  ma 
questa  verifica  è  inapplicabile  ;  ed  ecco  perchè.  Slip 
poniamo  (cosa  che  non  possiamo  negare  a  priori) 
che  esistono  esseri  spirituali  fuori  dell'umanità.  Non 
ci  sarebbe  ragione  —  specialmente  se  debbo  credere 
a  coloro  che  hanno  esperimentato,  come  il  mio 
amici  i  Sardou  —  perchè  questa  razza  misteriosa 
non  formicolasse  di  impostori  e  di  burloni,  visto  chi- 
ne esistono  in  un  mondo  chiamato  terra.  Non  sa 
rebbe  impossibile  che  questi  esseri,  offesi  dall  incre- 
dulità e  dalla  mancanza  di  fiducia  della  Commis- 
sione sperimentatrice ,  rifiutassero  di  rispondere. 
Quindi  un  circolo  vizioso,  poiché  il  loro  silenzio 
non  proverebbe  nulla... 

L'ooinione  di  un  musicista. 


Dopo  Sully  Prudhomme,  il  Blois  ha  inten 
Vittorino  Joncières.  autore  applaudito  di  due  0] 
musicali:    il  Dimitri  e  il  Lui  ■.>         La  buona   fede 
di  questo  artista,  avverte  il  ci       '         ore  del  Mutui. 
è  assoluta  e  indiscutibile:   avvertimento  necessario, 
attesa  la  straordinarietà   di  ciò  che  dice  di   aver  vi- 
l'intervistato.  Questi    ha  cominciato  col  dichia 
r.ire  che  la  credulità  degli  spiritisti  di  professione, 
le  precauzioni  di  cui  si  circondano  i  medium,  lo  a- 
\ esano  disingannati)  e  deluso;   quando,   in   provin- 
cia, facendo  un  giro  d'ispezione,   una  signorina,  ac- 
compagnata dalla    madre,    gli  chiese   un'udienza,  e 
nel  corso  della  conversa  -lue  donne  dissero 

che  erano  spiritiste  e,  accogliendo  la  preghiera  del 
Joncières.  lo  condussero  in  casa  d'un  certo  M-...  il 
quale  volle  dapprima  che  il  musicista  gli  promet- 
tesse di  non  rivelare  il  suo  nume,  e  poi  gli  presentò 
una  sua  giovane  nipote,    il  medium  cui  si   attribui- 


scono i  fenomeni  che  avvengono  in  quella  casa.  La 
nipote  di  M  -  è  una  ragazza  da  quindici  a  sedici 
anni,  piccola,  bionda,  linfatica,  con  grandi  rechi  az- 
zurri, l'aspetto  dolce,  calmo  e  più  imido:  è 
religiosissima,  distribuisce  nastri  e  croci  ed  ha  Minila 
paura  del  diavolo.  Vittorino  Joncières  fu  condottg 
in  una  gran  sala  dai  muri  nudi,  nella  quale  si  tro- 
vavano riunite  una  dozzina  di  persone,  il  professore 
di  fis  eo  tra  le  altre.  In  mezzo  alla  sala  si 
trovava  un'enorme  tavola  di  quercia  pesante  più  di 

o  chilogrammi,  sulla  quale  erano  disposti  della 
cai  a.  una  matita,  un  organetto,  un  campanello  e 
una  lampada  accesa.  A  un  tratto  si  udì  un  brusco 
i  anto  nella  tavola,  che  nessuno  toccava,  tutti  es- 
sendo disposti  intorno,  tenendosi  per  mano.  «  Spi- 
«  fu  domandato.  Un  colpo  violento  e- 
cheggiò.  La  ragazza,  appoggiò  le  sue  manine  sul- 
l'orlo della  tavola  e  pregò  gli  astanti  di  fare  altret- 
tanto. E  quella  tavola  così  pesante  si  alzò  tanto 
da  terra  e  sulle  teste  dei  presenti,  che  questi  furono 
costretti  ad  alzarsi  per  seguirla  nella  sua  ascensio- 
ne: si  cullò  un  poco  nello  spazio,  e  poi  ridiscese 
lentamente  al  suolo  dove  si  pi  so  senza  rumore.  Al- 
lora M...  andò  a  cercare  un  disegno,  lo  mise  sulla  ta- 
vola, vi  collocò  vicino  un  bicchier  d'acqua,  una  sca- 
tola di  eolori  e  un  pennello  Poi  spense  la  lampada. 
La  riaccese  dopo  due  o  tre  minuti.  Il  disegno  an- 
cora umido  era  colorato  in  due  toni,  in  giallo  e  in 
azzurro,  senza  che  nessuna  pennellata  avesse  oltre- 
passato le  linee  delle  figure.  Se  qualcuno  degli  a- 
stanti  avesse  colorato  lui  il  disegno,  come  avrebbe 
potuto,  al  buio,  esser  cosi  preciso;-'  Nessun  altro 
potè  entrare  durante  l'oscurità,  perché  la  porta  era 
ermeticamente  chiusa;  né,  durante  l'operazione,  si 
udì  altro  rumore  fuorché  quello  dell'acqua  agitata 
nel  bicchiere. 

Dopo  questo  pino  esperimento,  si  udirono  nella 
tavola  dei  colpi  corrispondenti  alle  lettere  dell'al- 
fabeto. Lo  spirito  annunziò  che  si  disponeva  a  pn 
durre  un  fenomeno  speciale  per  convincere  perso 
■talmente  il  Joncières.  Ordinò  che  si  spegnesse  la 
lampada.  Dall'organetto  si   sprigionò   un  motivetto 

grò,   tempo  otto  sei.   Api  ina  ultima  me 

ta.  M...  riaccese  la  lampada,  e  allora  sopra  un  lo- 
glio di  carta  da  musica  che  era  stato  disposto  vicino 
l'organetto  si   trovò  scritto  ■  il  motivo 

prima  udito.  Sarebbe  stato  impossibile  che  uno  de- 
gli  astanti   lo    avesse   scrino   nel    buio    perfetto,    E 

irsi  sulla  tavola  si  videro  tre  freschi  fiori  di  mar- 
gherita. «To'!»  fece  M....  «  sono  quelle  del  vaso 
■  in  fondo  al  corridoio.  La  poi  a  che  dalla  sala 
delle  operaz  m  mi  i  /a  in  |uesto  o  rridoio  era  seni 
pre  rin  ista  chiusa:  apertala,  tutti  andarono  pri 
il  vaso  delle  margherite,  e  si  trovarono  gli  steli  dai 
aiali  i  tre  fiori  erano  stati  recisi.  \I  i 
la   parola  allo   stesso   Joncières:   «  Appena  ritornati 

i    sala,  uno  spettacolo  inverosimile   mi    art. 
il    campanello   che   stava    sulla     tavola     sinn.il/ 
[landò  tino  al  soffitto,  poi  ricadde  bruscamente, 
ta  M.ha  il  prodigio  avveniva  in  piena  luce.  La 
luta    fu   veramente  penosa,   Un  freddo 

uso.  percorrendo  circolarmente  la  sala,  c'imp 

...  alle  mani.   La   ragazza    esclamò  con  la   faccia 


JOo 


LA    I  11  i  I 


stravolta  :         l  spirito,  l'i  li  '..... 

ie  ella  lottasse  contro  u  invin- 

cibile  [o  afferrai  una  delle  sue  mani  nelle  due  mie, 
mentre  il  professore  si  impadroniva  dell'altra    Ni 

ni  si  tri  sfi  'iv  la  fu  io 

I  suolo,  ed  io  stesso,   .1  un  certo   punto, 

sollevata  da  tei  ra.         Ah  '. 

Ila;  mi  ha  morso!         E,  svincolando  la  sua 

mano  sinistra,  ci  mostrò  una  morsicatura    sangui- 

mpronte  dei  denti.        Basta!  disse  al- 

.  usciamo  da  anza  :  potrebbe 

sgrazia,  lì  domani  1,  è  sempre  Vit- 
torino Joncières che  1  aria,  «andai  a  far  visita  a  M... 
M  nella  sala   da    pranzo.  Dalla  finestra 

spalancata  un  bel  pugno  inondava  la  sala 

con  la  sua  luo  nte.  Mentre  parlavamo  sal- 

tando di  palo  in  frasca,  una  musica  militare  echeg- 
a  lontano.       Se  qui  c'è  uno  spirito,  dissi  io  ri- 
dendo, »  dovrebbe  accompagnare  questa  musica  ». 
dei  colpi  ritmici,  seguendo  esattamente  la 
cadenza  d<>!    1  elerato,  si   udirono  nulla  ta- 

vola. (Ili  scricchiolii  svanirono  a  poco  a  poco,  con 
un  decrescendo  abilissimo,  a  misura  che  si  perde- 
vano nella  lontananza  le  ultime  sonorità  degli  ot- 
toni. In  buon  rullo  per  finire!  -  dissi  io»  quan- 
do furono  spente  del  tutto  E  un  rapido  rullo  ri- 
si ■  se  alla  mia  domanda,  talmente  violento  che  la 
lave  la  ne  tremo  sulle  gambe.  Vi  posi  sopra  la  mano. 
ed  io  sentii  nettissimamente  le  trepidazioni  del  le- 
1  da  una  forza  invisibile.  A  mia  richiesta, 
la  tavola  fu  poi  rovesciata  ed  io  mi  diedi  al  più 
to  esame  del  mobile  e  dell'impiantito.  Non  sco- 
persi  nulla...  » 

Dop      verdi    1    tuttequeste  cose  al  Blois,  il  J«»n- 

5  prese  le  lettere  nelle  quali  M...  gli  riferiva 
vari  leu.  unni  osservati  in  altre  Sedute.  In  una  di 
queste  lettere  M....  raccontava  che  il  thè  era 
servito  ila  una  mano  invisibile  che  dirigeva  la  te- 
iera e  co Imav  .1  le  tazze...  Poi,  a  domanda  del  rei 
ture  del  Maini,  il  musicista  disse  che  era  ritornato 
una  volta  nella  città  dove  sta  M...  «  Arrivando  alla 
iridi  da  lontano  M...  che  mi  salutava  trion- 
falmente, con  un  pezzo  di  carta  in  mano.  Quando 

su    quella    carta    il    numero   del 

mio  vagone  letto  a  distanza  da  sua  nipote.  E  una 

frode  ira  molto  difficile;    perchè   M...  credeva  che 
io  tossi  partito   da    Parigi   la  mattina,  mentre  io  mi 
ero  fermato  per  via.   I.a  sera,  un  impiegato  teli 
fico  □    la   figlia   alla   seduta;     il    figli 

rimasto  a  casa.  I  soliti  colpi  echeggiarono  nella  ta- 
L'imp      ito  rio  mi  bbe  il   lii  che  si  a- 

dopera  1  fo   Morse.   Egli  divenni    pallidis- 

simo        Mi  si  annunzia        disse       che  mio  tiglio 
nalissimo.  ne  andò  immediatamenti     E 

il  dom. mi  lo  seppi   che   aveva  trovato  suo  tiglio  con 
un   attacco  di    polmonite.   Il  Jon 
da  quella  tra  i  quali  un'immagine 

di    Satana.     Ei  llto  1  |UI  Sto   di» 

\1  uà  In  un 
dinanzi  a  lui  dei   pezzi  di  gesso;    ri- 
filandosi, aperse  i   due  battenti:   sopra   uno  di 

1 

udendo,   il   J.  | 


.-ione  di  quesl  1   fi  nomeni,  ha   detto:  •■  Vorrei 

che   fossero  opera   degli   spiriti,  ma    sono  nel   dui 
assoluto.    Aggiungerò    che   numerosi    fatti    mi    hanno 

dimostrato  l'esistenza  del  corpo  astrale,  e  che  ho  la 
convinzii  me  della  v  ita  immateriale,  ci  ri  la  p  esibì 
lità  di  comunicare  coi  disincarnati.  Disgraz  atami 
vi  sono  molti  burloni  e  molti  burlati,  ed  è  assai 
difficile  distinguere  la  verità  dall'errore  nello  stato 
attuale  delle  investigazioni,  fatte  anche  con  la  mi- 
glio]    lede    del   mondi     ». 

Opinioni  di  un  pittore  e  di  un  romanziere. 

La  serie  degli  articoli  nei  quali  il  Blois  ha  nar 
tutte  queste  co, e  ,-  stata  letta  con  vivo  mioc-^- 
dagli  assidui  del  Maini,  alcuni  dei  quali  hanno 
scritto  al  collaboratore  di  questo  giornale  per  sotto- 
porgli certi  casi  singolarissimi.  Fra  costoro  s'a  Al- 
berto Besnard,  uno  dei  più  potenti  e  originali  pit- 
tori moderni.  Anch'egli  fu  tentato  dallo  spirituali- 
smo, e  con  la  moglie  assistette  a  Londra  a  qualche 

seduta.   Come  un    altro  pittore,    fames  Tissot.    aveva 
dipinto  i  fantasmi  materializzati  dal  medium  Kglin- 
ton,    il    Besnard   ha   saputo    dipingere    graziosi    fan 
tastiti.   Egli  ha  scritto  a    Giulio  Blois  per  riferirgli 
una  storia  udita  ripetere,  durante  l'infanzia,  da  un 
signor  B....  del  quale  ha  la  più  gran  stima,  e  che  lu 
testimonio  oculare  del    tatto.   Era  il    13  luglio  l8j2; 
la  moglie  del  signor  II...  agonizzava,  per  una  ma 
lia  acuta,  durante  la  quale  l'avevano  SOttOp  sta  alla 
dieta.  L'inferma  non  mangiava  da  quattro  o  cinque 
giorni.   Suo  marito  e  un'infermiera  stavano  al   suo 
cape//. ili-.  Frano  le  due.  ■  Da  mezzogiorno  ».  scrive 
il  Besnard  al  Blois,  •  ella  era  .iss,,piia  ,-,  me  si 
piscono  i    morenti,  quando  tutto  a  un  tratto  ella  si 

Jia  in  sussulto,  si  mette  a  sedere  sul  letto,  i 
sciama,  ansante  per   lo  spavento:  ti  Dio.  che  di- 

Sgrazia!  Il  Duca  d'Orléans  si  e  ucciso.  —  Senza 
I  ronunziare  una  parola  di  più  ricade  sul  guani 
dovei  ripresa  da  un  sonno  comatoso.  Notate  che, 
per  paura  del  contagio,  perchè  credo  che  si  tratti 
di  colera,  nessuno  era  stato  ammesso  dinanzi  a  lei 
dall'inizio  del  male  L'infermiera  non  l'aveva  la- 
sciata dalla  notte  precedente  e  nessun  rumore  della 
\  la    .ima  a    potuto    .inn  are   al    su-  Stupiti 

dal  suono  brusco  di  quelle  parole  nel  silenzio  e  nella 
solitudine  di  quella  camera,  il  li...  e  l'infermiera 
si  domandavano,  vedendo  quel  corpo  r 
inerte,  se  la  fatica  d'una  notte  di  viglia  non  li  aveva 
ingannati,  quando  il  medico,  entrando  alle  tre  per 
ia  visita  quotidiana,  disse  loro:  Xmi  sapete  la  ni>- 
tizia?  Il  dui        Orléans  si  ,    ucciso  a  Neuilly  sulla 

:.i    della    Rivolte    11  suo   cavallo,   la  sua  e. e 
za....         equi  tutti   i  particolari  sulla  morte  del   pri- 
llilo di  luigi    Filippo.  Il  signoi   B...  non   potè 

I  ir  altro  che  rispondere  al   medico:  Dottore,  noi 

lo   sappiamo  da    un'ora.  E    voltandosi   verso   il 

letto  dove    l'ammalata   'ornata   al    SUO  assopimento 
mori  a  le.   sembrava  ormai   incapace    d'un    l 
giunse:        E   lei  quella  chece  lo  ha  appres     I 

mio   caio  Blois,   la  Storia    che   vi   avevo   promessa.    Il 

signor  B...  è  Giovanni  Brémon,  il  mio  vecchio  n 


DALLE    RIVISTE 


3e>] 


stro  di  pittura  ;  la  giovane  signora  che  morì  il  do- 
mani, sua  moglie;  e  il  medico  che  la  curava  si  chia- 
mava Vidal,  e  godette  di  qualche  notorietà  ». 

A  questa  lettera  d'un  pittore,   il  Blois  ne  fa   se- 
guire una  di   un  romanziere.  Giovanni   Rameau  ;   il 
quale,  deluso  dai   teosofi  e  dai  medium,  scettico  in 
fatto   di  spiritismo,  crede   però   ai  presentimenti  o 
alla  telepatia.    Come  lui,  molti    spiriti   serii   hanno 
abbandonato  ai  fanatici  ed  ai  ciarlatani  le  ricerche 
sugli  spiriti  dei   morti  per  passare  allo  studio   del- 
l'anima dei  vivi.    Egli    narra  i   disinganni    provati 
quando  scriveva  versi  per  le  riviste  teosofiche  e  fre- 
quentava i  Magi  ed  evocava  nella  penombra  gli  spi- 
riti disincantati.    Una  volta,  uno   dei  suoi  compa- 
gni d'esperienze,  che  era  promesso  sposo  d'una  bel- 
lissima fanciulla,  ricevette  spiriticamente  da  lei   un 
apporta  di  fiori  accompagnati  da  una  poesia  tene- 
rissima, piena  di  luci  di  stelle  e  di  profumi  di   fiori 
mistici.    «  Mi  chiesero  che  cosa    pensassi  di  quella 
poesia.  Dichiarai  che  mi  pareva  molto  bella  e  asso- 
lutamente degna   delle  sue  origini  eteree,   ed  eccitai 
i  miei   amici  teosofi  a  pubblicarla  nella  loro  rivista. 
La  pubblicarono  infatti.  Otto  giorni   dopo  il  diret- 
tore della    rivista  ricevette  un  reclamo  di  Armand 
Silvestre;    l'autore  dei   versi  celesti   era  lui!  »  Ma, 
nonostante ,   il   Rameau    riconosce    che    la   scienza 
ufficiale  è  ancora  giovanissima  e  che  essa  non  cono- 
sce ancora  la  millesima  parte  di  ciò  che  i  nostri  di- 
scendenti conosceranno  un  giorno.  Egli   non  ha  os- 
servato personalmente  fatti  di  seconda  vista  e  di  ri- 
velazioni telepatiche,  ma  un  suo  amico  nel  quale  ha 
fede  come  in  sé  stesso  gli  narrò  che  durante  alcuni 
anni   fu  amato  da    una  giovane  signora   molto  mi- 
stica e  piena  di  fede  nella  telepatia.  L'amico  era  in- 
credulo. La  donna  giurò  che  lo  convertirebbe,  e  per 
ciò    gli   promise  che  si    sarebbe  rivelata   a    lui.   di 
tratto  in  tratto,  quando  si  sarebbero  separati:    ella 
avrebbe  fatto  sentire    la   propria  presenza  col    suo 
lieve  soffio  sulla  fronte  di  lui.  «  Ora  l'amico  mio  ». 
sciive  il  Rameau.  «  che   sembra  ribelle  a   tutte  le 
suggestioni,  assicura  d'aver    realmente  sentito  que- 
sto soffio  nelle  ore  in  cui  la  signora  pensava  inten- 
samente a  lui,  a  duecento  leghe  di  distanza.  Vi   ho 
detto.  »  soggiunge  sempre   il   Rameau.   «  che  perso- 
nalmente io  non  sono  stato  oggetto  di  comunicazioni 
telepatiche.  C'è  però  una  cosa  che  mi  turba:   ogni 
volta  che  penso  violentemente,  e  senza  ragione  plau- 
sibile ad  una  persona  perduta  da  lungo  tempo   di 
vista  ed   anche  dimenticata,    sono  quasi    sicuro   che 
questa  persona  mi  sta  scrivendo  in  quel  preciso  mi  <- 
mento.    Infatti,  ventiquattro  ore  dopo,   ricevo  gène 
Talmente   una'sua  lettera.  Ho  fatto  questa  ossen 
zione  più  ili   venti   volte,   ed  essa   mi  lascia  tutte  le 
volte  sopra  pensieri. 

.     <IIH     ■ 

Un  archivio  fonografico  a  Parigi 

Giunge  notizia  da  Parigi  che  quella  Società  ani  To- 
pologica ha  installato  in  una  delle  sale  del  Museo 
Broca  una  collezione  di  400  fonogrammi  eseguili 
dal  dottor  Azoulet  durante  l'ultima  Esposizione  di 
Parigi. 


La  Società  ha  approfittato  della  presenza  a  Pa- 
rigi di  migliaia  di  forastieri  di  tutte  le  parti  del 
mondo  per  fissare  sui  cilindri  dei  fonografi  i  vari  i- 
diomi  che  si  parlano  nel  mondo.  11  dottor  Azoulel 
ha  raccolto  frammenti  di  discorsi,  di  racconti,  di 
canzoni,  di  musica,  che  furono  recitati  da  persone 
appartenenti   alle  più   variate  razze  umane. 

I  400  cilindri  riproducono  rosi  le  lingue  di  ogni 
specie;  dialetti  cinesi,  tartari,  siriaci;  rome  canzoni 
quelle  di  arabi,  di  negri  Iolof,  di  etiopi,  di  suda 
nesi  e  di  Madagassi. 

Anche  le  lingue  europee  furono  raccolte  e  con 
esse  i  vari  dialetti  francesi,  italiani  e  spaglinoli.  La 
Società  antropologica  dà  una  grande  importanza 
per  scopi  linguistici   a  questo  archivio   fonografico. 

1. 'istilu/ione  di  un  simile  istituto  fu  iniziato  già 
da  molto  tempo  dall'Accademia  delle  scienze  ili 
Vienna. 


I  più  vecchi  giornali  francesi 


dei 
za 
ad 
1. 


9' 

io 

T  I 
12 

'3 

M 

'5 

16 


1  Menare  de  France  porta  la  seguente  lista 
più  vecchi  giornali  francesi  che  sono  usciti  sen- 
interruzione  dal  momento  della  loro  nascita  sino 

oggi  : 

Petites  Affielies  (Paris.  1612); 

-  Gazctie  de  France    (Paris.   1631)  ; 

-  journal  de  Trévoux  (1701);  il  Mera/re  de 
Frane  e  osserva  che  il  vecchio  giornale  di  Tré- 
voux. un  organo  letterario  critico  pei  scienze 
ed  arti,  morì  nel  1767  e  che  quello  pubblicato 
ancor  oggi  sotto  lo  slesso  nome  non  può  essere 
una  continuazione  diretta  ; 

-  journal  du   lìavre    (1757). 

Petites  Affie/ics  de   la  Gironde  (Bordeaux, 

1758); 

-  journal  de  Roueu  (1762); 

—  L'Union  d'Yomie    (Sens.    1771  1. 

-  journal  de  Maine-et-Loire  (Angers,   i77.ì); 
Mouileur  Universe!  (Paris.    1784); 

-  journal  des  Débats    (Paris.   1789); 

-  Courier  du    Lo/re/   (Pithiviers,    1780). 

-  journal  de  l'Oise  (Beauvais,   1700); 

-   Le  Re  public a;u  de  Seme   et  Marne  (Melun. 

179°); 
.  -      Journal  de   Lot  et  Garonm    (Agen,    171)1): 
-journal    de    Meurilie    et     Uoselle    (Nanq 

1797  ); 

Journal  d'Indie  et    Loire  (Tours,   1797). 


Il  eosto  d'una  guerra 

11  signor  Morgan   Browm    nella   Fortnightly  Rt 
va  calcola  che  "al  31  mar/o  di  quest'anno  il  co  ti 
della   unerra    anglo-boera   sale  per   l'Inghilterra   alla 
cifra  di    franchi  4.310. 125.000.  Durante  l'anno   li 
nanziario  in  corso  si  spenderanno  Ir.  1.750.000.000. 
La  paga  delle  truppe  implica  una  spesa  di  625  mi- 
lioni. Le  truppe  coloniali  costano  il  doppio  di  quelle 
inglesi. 


LA    11    ITI  R  \ 


Una  repubblica  di 
negli   Stati 


ragazzi 

Uniti  d'America 


:  Wclt,  del 

Qual  La  coei 

ripetuta  li    provo  ato  sempre 
u    sintetizzano  'lue  opposti  sistemi 
ite  la  bontà  è  la  dol- 
ina    l'Ili'    ilo]. 


loro  anima  stessa  i  principi  educativi:    :ii  Mini 
ioli  amministrati,   volendo  un  giorno  fare  un  ■ 
roso,   dichiarò  che  essi   dovevano  meritarli 
lavoro.  Fu  il  principio  della  geniale  e  fortunata  n 
pubblica    stabilita  così   sull'emulazione    vicendevole 
e  sulla  grande  idea  i  he  il  popolo  deve  sapersi  gover 

la  sé.    I    con  tale  sistema  egli   seppi 

uomini  onesti  e  1  <  >ri  i  da  piccoli  delinquenti  sor] 

ne  Ile  \  ie  quasi  dinanzi  alle  i e  delle  can 

Il  lavoro  è  l'anima  di  tutto  l'ordinamento  della 
microscopica  repubblica;  esso  frena  l'irruenta  lira 
ma  di  lib  inile,  esso  figura  come  l'unico  di- 


I  n  ragazzo  detta  una  li  tti  i  a. 


po  n        pi        mpre  così.    Vbbiami  i  perì  - 

o  recentemente  uno  splendido  caso  di  auto-edu 

lì  '      i   pi  i  - 1 1 nsì \- i .    Il 

dunque  una   menzione,  oggi    spe 

lità  dei  imi imi   asi  ende   e 

le  in  nio.lo  gpavenl 

noi  Georges,  in  Freeville,  negli  Stati  Uniti, 

ndato  una  pii   ola  repubblica  il  cui  reggimento 

netti     Mia  si  rana  fondaz 

egli  non  i-enne  certo  d'un  tra  i  lo  dopo  aver 

diversi  tentativi  di  educazione.    Gene 

ondatone  di  n  pub 

un  giorno  due  fanciulli  abbandonati 

sul  lastrico  di  New    Vork,  li  tenne  con  sé  e  li  con 

Ma  un  giorno  gli  brillò  l'idea  'li 

m/i  i  .li  cercare  mi   fondi ■  della 


riitn  di  vita  civile,  giacché  solo  i  hi  lavora  ha  la  sua 
pam-  nella  gestione  pubblica.  J.a  nota  massima 
pubblicarla  che  il    popolo  sia  meglio  sotto  le  i 
che  egli  stesso  ha  creato,  è  applicata  ui  tutta  la  sua 
più  larga  interpretazione   1  ragazzi  (tutti  dai   io  ai 
18  anni)  hanno  quindi  il  diritto  'li  reggersi  da 
di    modellarsi   le  proprie  guarentigie    costituzionali 
e    parlamentari  e  tutti    studiano,  e  tutti   lavorano 
pensando  che  oggi  sudditi   potrebbero  domani  divi 
nire  presidenti  della  fortunata  repubblii  i    Essi  bau 
ni  ■  un  Pai  lamenti  i  di  >ve  discuti  >no  e  vei    •    ■     rn 
di  parole,  hanno  le  elezioni  politiche,  dalle  quali 
Mino  sorgere    forti  del  suffragio   dei  sudditi  i  loro 
capi.  Né  mancano  i  giudici  austi  i  né  la 

polizia  di  Sialo,  sguinzagliata  quando  occorre  alle 
calcagni-  dei  delinquenti. 


f    4> 


«k*» 


Una  stanza  del   Palazzo  governativo. 


aofetaanój- 


,Wi 


:      ,      I 


* 

wfc^  * 

^  <  ". , f 

%h 

1      « 

!-^m  ■ 

ì  .PTÌnrìf    r\ì     un     «■•».: *» 


.'>i>.|  LA    LETTURA 

li  abituali  dei  cittadini  sono  1<>  stu- 
dio  «•  il  lavoro  nei  campi  sotto  il  bacio  del  sole. 

Con  tal  regime  'li  \    •         -.'-rvò  il  consolante  fé 

nomeno  del  ritorno  degli  allctti  e  delle  memorie  do 

•  in-  in  individui  nei  quali  il  pensiero  della  Fa 


'li  'li  larj  Vnche  gli  amici  del  (  I 

dovettero  constatare  l'efficacia  del  sistema  auto- 
didattico ed  è  per  tutti  di 'grande  interesse  etico-pe 
dagogico-sociale  il   ricordare  gli  splendidi  risul 
ottenuti. 


La  consegna  d'un  delinquenti. 


miglia  era  <jiiasi  spento,  cosicché  gli  antichi  piccoli 
ibondi,  che  forse  non  avevano  conosciuto  i  geni- 
tori,  sentivano  sorgere  prepotente   il    bisogno  della 
con  m    epistolare  q  'ti  essi. 

La  repubblica  fondata  nel  1895  raccolse,  in  cin- 
que anni,    iiy  ragazzi,  divenuti  tutti  migliori  e  me- 


Del  resto,  gli  affari  della  repubblica  lillipuziana, 

prosperano*  meravigliosamente:    essa    ha    già    tanto 
credito  che  potè  contrarre  un  prestito,  mentre  molte 
dame  americane  si   sono  costituite  in  un  comi! 
l  rotettore,  sussurrando  : 

-  Ceque   lemme  velit.   Dieli   le  vcut. 


Il  bimbo  in  fasee  e  la  sua  eulla 


(Da  un  articolo  'li  Mary  Oberbeg  nella   (/'■./..   del  primo 
mai 

affinchè  il  bambinello  abbia  sempre  vicino  a 

si  un  amoroso  custode,  molte  madri  tanno,  per  vari 

i,  una  vita  veramente  da  schiava.  Ma  che  ■  1  i rtl >- 

bero  queste  donne,  piene  d'abnegazione,  se  sì  mo- 

appunto  il  loro  tropj  o  zelo  <■  spes 

della  debole  condizione  «li  salute  del  pie 

Spesso  si  .  sserva  che  nelle  Limigli'-  |  ■• 


poiane  i  piccini,   malgrado  le  dilettose  iure.    - 
più  sani  de'  rampolli,  guardati  a  vista,  dagli  abbienti. 
Ed  anche  più  giudiziosi,  sono  per  lo  più,  i  bimbi  in 
fasce    della   genie  che    poco  se    ne  cura.    Le  donne 
che  tutto  il   santo  di  lavorano   Inori  di  casa.  1 
mente   sono  disturbate  di   notte  dal  pici-ino.    I  --■ 

non    l'hanno   \  inamente   cullandolo,    tenen- 

dolo in  braccio  o  portandolo  a  passeggio  in  carro/ 
/ella.  Se  il  popparne  r  da\  vero  indisposto  non  I" 
si  addormenterà  né  cullandolo  n<-  scarrozzandolo  in 
nessun  modo.   Ma   se  sia  Une.  ogni   SCOSSa  e  non  sol 

tanto  superflua,  ma  dannosa. 

A    quei   trattamenti    barbarici,    sempre  con   la    ni 


DALLE 

gliore  intenzioni-,   assoggettano   i  Iure   bimbi  le  doti 
ne  aurora  ilei  secolo  decimottavo  !  1  poppanti  veni- 
vano stretti  ben  bene  nelle  fasce,  affinchè  non  potes 
sero   muovere    alcun    membro.     Immobili    come    un 
pezzo   di   legno   dovevano   giacere  fra    cuscini   e  co- 
perte.  Erano  de'  veri  martiri  dell'amor  materno.   ]  .e 
madri  e  le  balie  si  portavano  que'  pacchi  viventi  nel 
proprio  letto.   E   centinaia  di  que'  poveretti    vi    peri 
vano  schiacciati,   soffocati.    Ma  anche   sino  a'  giorni 
nostri    si  è   conservato,   in   parecchie   contrade  d'Eu 
ropa,  il  barbaro  sistema   del  fasciamento   de    neo 
nati.  Cosi,  per  esempio,  nella  Francia  meridionale, 
dove  i  piccoli  esseri,  durante  i   primi  dodici  mesi  ili 
vita,  giacciono  immoti  nella  loro  fasciatura  da  mum- 
mia. Tra  questi    disgraziati  e   i    bimbi    in  fasce  del 
mondo  romano  non  v'è  quasi  divario.   E  poi  si  parla 
del   progresso  della  cultura  ! 

La  maggior  parte  ile'  popoli  del  Continente  Nero 
ode  proprio  dovere  di  sformare  il  cranio  del  neo- 
nato stringendolo  e  comprimendolo,  secondo  i  pro- 
pri bizzarri  conretti  dell'estetica.  Ad  alcuni  indiani 
dell'America  meridionale  nulla  appare  più  bello  di 
una  testa  in  forma  di  pan  di  zucchero.  Altri  Pel 
lirosse  le  preferiscono  una  fronte  assai  rientrante  ; 
altri  ancora  una  molto  prótuberante,  I  Chirghisi 
schiacciano  con  la  mano  il  volto  de'  loro  bimbi  af- 
finchè il  naso  assuma  una  forma  molto  piatta. 
Ma  simili  brutali  abitudini  non  regnano  soltanto  tra 
i  popoli  barbari.  Non  è  molto  costumavasi,  nell'Al- 
\ ernia,  di  legare  la  testa  del  neonato  su  un  cuscino 
assai  duro,  spesso  anche  su  una  tavola.  Con  ciò  si 
dava  alla  nuca  una  forma  meno  rotonda  della  na- 
turale. Le  madri  fiamminghe  stringevano  la  testa 
del  delicato  essere  in  forti  strisele  di  lino  per  com- 
primergli le  tempia.  In  Germania,  con  del  cartone 
e  una  benda,  stretta  sotto  il  mento,  si  schiacciava  il 
cocuzzo  de'  bimbi.  1  contadini  dei  dintorni  di  To- 
losa s'erano  formata  la  specialità  de'  crani  a  loggia 
di  fungo.  Nel  dipartimento  di  Deux  Sévres  le  bim- 
be portavano  un  berretto  di  cartapesta,  compresso 
sul  cranio  ancora  tenero.  Xe  risultava  un  profondo 
solco,  da  un  orecchio  all'altro.  Non  meno  penoso  per 
il    piccolo    martire    doveva    essere    il  cosidettp   «  al- 

lacciateste  ».   che   le  donne  normanne  infliggevi 

ai   loro  neonati...    L'n  gran  numero    di    quei    pove- 
retti  diventava    idiota  o  pazzo. 

Altrettanto  crudeli  erano  i  diversi  metodi,  usati 
dalle  madri  quando  erano  costrette  ad  abbandonare 
i  loro  bambini  per  qualche  ora.  E  purtroppo  taluni 
di  quei  sistemi  si  costumano  ancor  oggi.  In  vari 
paesi  il  bimbo  viene  semplicemente  appiccato  ad 
un  gancio,  mediante  un  laccio  sporgente  dalle  fa 
scie.  In  altri,  i  poveri  esseri,  fasi-iati  come  tante 
mummie,  vengono  cacciati  entro  un  sacco  e  questo 
si  appende  a  un  trave  del  soffitto.  Nfell'Ariége,  in 
ogni  casa  di  contadini,  si  trova  un  certo  congegno, 
a  cui  il  bimbo  viene  siffattamente  legato  con  delle 
corregge  rhe  i  piedini  toccano  il  suolo  e  l'avancorpo 
dell'appeso  si  curva,  man  mano,  sempre  più  da  un 
lato.  Cosi  l'infelice  resta  per  ore  ed  ore!  Nella  Bri 
lagna,  nel  Miévre  e  in  altre  province  s'insegna  a 
camminare  ai  bimbi  di  otto  0  nove  mesi  obbligan- 
doli   a   spingere  innanzi   un   albero   girante.  Le  na- 


Kl\  IS  II. 


365 


turali  conseguenze  ne  sono,  per  non  di]  peggio,  le 
numerose  gambe  storie.  E  sino  poco  tempo  la  li- 
abitatrici  della  costa  del  Canal  du  Midi  caccia- 
vano addirittura  i  bimbi  entro  un  cavo  di  tronco, 
in  modo  che  non  ne  sporgessero  che  la  testa  e  le 
braccia!  E  tranquillamente  le  buone  madri  ne  an- 
davano alle  loro  faccende  ! 


I  megaliti  della  Bretagna 


(Da  un  articolo  del    dott.    Keilhack,    nel    Prometheus   di 

Berlino  . 

....  La  Bretagna,  questo  paese  il  cui  melanconico 
i  arattere  mai  si  smentisce,  mostra  in  poderoso  nume- 
io  i  muti  testimoni  d'un  infinitamente  remoto  passa- 
to. Sono  monumenti  fomiti  dal  suolo  stesso  ;  monu- 
menti d'un  popolo,  che  viveva  tra  la  seconda  età 
■  iella  pietra  e  al   principio  di  quella  del  bronzo. 

Giganti  megalitici,  si  trovano  là  soltanto  dove  Le 
rupi  del  paese  stesso  ne  fornivano  il  materiale- 
Dove  pietre  calcari  ed  ardesie  formano  la  struttura 
del  suolo  essi  mancano  e  là  dove  il  gneis,  i  graniti 
e  le  arenai  ie  abbondano  incontriamo,  quasi  ad  ogni 
passo,  questi  massi  isolati   e  giganteschi. 

Alla  loro  volta  questi  monumenti  d'un  popolo. 
che  viveva  nella  Bretagna  prima  de'  celti,  si  divi- 
dono in  due  glandi  gruppi:    i   Menhir  e  i  Dolmen. 


La  parola  celtica  menhir  significa  pietra  ritta 
(Men  —  pietra,  hir  —  ritta).  Sono  massi  rocciosi, 
non  tocchi  dallo  scalpello,  più  0  meno  cilindrici, 
dalla  superficie  ruvida  ed  alti  da  un  mezzo  metro 
a  quattro  o  cinque.  Eccezionalmente  se  ne  trovano 
anche  di  quelli  alti  otto  o  dieci  ed  alcuni  colossi 
raggiungono  anihe  un'altezza  di  ventun  metro.  So 
no  sparsi,  nel  modo  più  irregolare,  per  tutto  il  paese 
e  ne  troviamo  tanto  lungo  le  coste  quanto  nell'in- 
terno del  paese,  nelle  deserti  pianure  e  negli  aridi 
altopiani  come  nelle  numerose  isole,  emergenti  ni  Ile 
rade  e  ne  profondi  seni  di  mare.  Per  lo  più  li  ve- 
diamo isolati  o  in  piccoli  gruppi  ;  ma  talvolta  ani  he 
in  gran  numero  ed  in  un  certo  ordine  sistematico. 
\cl  sud  del  paese,  là  dove  al  sud  di  Auray,  si  alimi 

ga  entro  •erra  il  seno  semicircolare  del  Morbihan  con 
una  angusta  apertura  verso  il  mare,  si   stende  ad  r> 
cidente,  sino  alla  penisola  di  Quiberon,  una  lingua 
di    terra,    nel   cui    punto  centrale    si   trova    la   citta 
duzza  di  Carnac.    \V  suoi  dintorni  si  trovano  a  mi- 
gliaia  i    Menhirs,   non  come    altrove   sparsi   qua  e  là 

in  modo  disordinato,  ma  ordinati  ti  schiere quadran 
golan  o   circolari,    che  si  chiamano  Cromlechs.    In 

questi   gruppi   di    Menhirs  le    singolo    pietre  sono,   in 

generale,  della  stessa  grandezza,  e,  in  me 
dia.  un  certo  numero,  che  vana  da  una  doz 
zina  a  un  mezzo  centinaio,  forma  una  curva 
di  cinquanta  a  cento  metri.  Alle  porte  di  Camac 
peto  e  in  alcuni  altri  punti  della  Bretagna  meridio 
naie,  le  pietn  sono  allineate  in  lunghe  schiere  e  for- 


.  :.  . . 


I   \    LETTURA 


Cai         Ve  n  han- 
una  ben  qi 
hilometri  in   i  •    >  la  esl  ad  ovest. 

li,  .  .  gruppi,  staccati  da  piccoli 

;  i,  alte  tre  i    .  inqui 

rso ti    si  Mi" 

man  meno  ili  ^813 

Menhirs   sono   piai  in   un   tratto  ili   terra 

i  ini  ito  ad.  o 

1  un  semicerchio  'li  alti  massi,  che  proba- 
bilmente erano  il  punto  centrale  delle  cerimonii 

massi  mostra 
nella  loro  parte  inferiore,  spesso  da  un  lato  solo, 
una  supi  fri  dire  che  ni >n  le  .il 

e  pieti     Ciò    lipende  dal  Fatti    chi 
1   1  he  vennero  rimessi  in  piedi  soltanto 
Si  mpn    però  ali-uni  ne  cadonq  'lì 
nu<  1  i"  o  si ilida  la  lon  1  base.  Nel  disi  1 

■  li  Cim:i<-  si  trovano  altri     ette  '"I  otto   di  questi 

he  il  niiin mpli  ssivi >  1 M  Menhirs,  così 

simi  nte  disposti,  è,  già  soltanto  ne!  circon- 

dario,  'li  circa  quattromila.    Il    maggior    di  questi 
ni  ili    pietra  si   trova  presso  il  villaggetto  ili 
1    ,1.1   I    1  i'Un,i  e  5  e  mi  ranto  in  qual 
tro  parti.  E1  Unii,'"  \vntun  metri  su  un  diametro  ili 
quattri    e  pesa    non   meno  'li    duemila  cinquecento 
quintali,  sicché  è  enigmatico  come  mai  sia  stato  pos- 
sibile in  quei  tempi  l'erezione  d'un  simile  monolito, 
che  1  rasenterebbe  delle  difficoltà  anche  alla  modi  1 
na  tecnica,  l'n  altro  Menhir  nella  Bretagna  setten- 
lungo  undici  metri  e  questa  è  pure  la  lun- 
ghezza  'li  una  colonna   nel  dipartimento  del    Fini- 
stère.     ancora    altri    sessanta    Menhirs    bretoni   sor- 
passali" l'altezza  ili  cinque  metri.  Nella  piccola  i- 
d'Erlanic,  nel  Morbihan,    si  trova  un  semicer- 
chio 'li  ma^si.  che   si    prolunga   nella  parte  dell'i- 
sola rta  'la  flutti  e  un  secondo  semicerchio, 
dalle   uguali    dimensioni,    sta  completamente  sotto 
il  livello  ilei  mare.  Non  dissimile  aspetto  presenta 
il  Cromlech  'iella  penisola  di  Quiberon... 


e  il  eui  singi  lingue  mo< lerne  è  per- 

ii   1  >'  ilmen   e   "ra  .  come   parecchi    dicono  . 
la    l 'olmi .    Si  mo   Fi  t  mal  1    da   due    file    di    massi, 

5ti  l'uno  presso  all'altro  e  più  "  meno  piatti, 
sui  quali  altri  blocchi,  assai  più  poderosi,  sono  'li 
spi»-:  1  i.    una  specie  'li  camera  con- 

tornata da   li-  'li  pietra.  Se  ne  trovano  ili 

tutte  le  grandezze  sino  alle  ■  he  stanze  mor- 

tuarie dalle  pan-li  lunghe  dai  tre  ai  cinque  metri 
i  iim  ssi  .  che,    spessi  >.  anch  1  ssi    ne  si  h 

de  maggiori,  formano  esternamente  de'  corri- 
doi 0  viali  coperti  lunghi  dieci  "  quindici  metri.  Il 
massimi  1  ili  questi  cosif atti  Dolmen  si  trova  tra  I 

aker  e  Camac.    E  'inani"  alle  "ripini  de'  I)<>1- 

1  non   havvi    più  dubbio.   Furono,  senza  dulil 

tombe  di  capi-tribù  o  d'intere  famiglie,    lì.  infatti, 
vi  si  rinvennero  scheletri,  avanzi  ili  ceneri  in  urne 
funerarie,  penimi-  ed  armi.  Lo  stai",  in  cui  oppi  ve 
[uesti  ammassi  gagliardi,  non  i-  il  loro  ori- 
li", perchè  certo  è  che  sopra  ili  quelli  s'incur- 
vava   una  colonna  ili   terra    formata    non   solta 
dal  terriccio  de'  dintorni  ma  anche  dal  grasso  fango 
ili  mare  ili   pessimi  estuari.   Pochi  soltanto  ili  mi 
cumuli  sì  sono  conservati  sino  a  noi,  ma  anch'essi 
bastano  ad  insegnarci  con  quali  enormi  fatiche  quel 
I  ani  ico  p  'i"  I'    ;ape\  .1  on  rare  la   mi  moi  ia  di 
mori  i. 

Due  ili  queste  collinetu   artificiali,  sull'altipiano 
ili    Carnai-,   misurano    quindici   metri   d'altezza;    e, 
contrariamente  a  quelli  dei  Menhir.  i  massi  de'  Di 
meli  mostrano,  nell'interno,   meravigliose    bizzarrie 
scolpite.  Bisogna  però  distinguere  da  quelle  che  da- 
ani    da   remotissimi  tempi,   dall'altre  che  poi, 
\ari  mutivi,   furono  adorne  di  sculture.  A  queste  rol- 
line appartengono  le  navi  ed  altri  ex-voto.  Ori^ 
lissimi  invece  sono  tutti  gli  ornamenti,  trovati  nelle 

tomlie.  'li    niente  aperte  e  in  Cui,    per  Secoli   e  senili. 
mai  era  penetrala    la  mano  dell'uomo. 


La    superstizione  popolare  sì   ;■  tolta   facilmente 

d'imbarazzo  nel  designare  le  origini   de'    Menhirs: 

li  considera  semplicemente  quali  i  soldati  del 

Papa  San  Cornelio,    che,    minacciato  da    nemici. 

Ri  in  a  e  giunto  dia  sponda  raeridio- 

Br    igi       Ma  i  nemici  li  1  incalzava™ 

il  in  diva    ili    1  :  San   (  '<  melio  al- 

1  ira,  in  1    un  trasfoi  mò  i 

nemici   in 

I   dotti,    dal   canto  loro,  hanno  cercato  tutte   le 
bili    ''I    impossibili    spiegazioni    archeologiche, 
simboliche,    astronomiche.    Più   verosimile  di 

i   ,  he  ni    Cn  mli  1  li-  si  debbano  vedere 
in  cui   i   sacerdoti   d'un  popolo  so 
parso  ed  a  noi  ignoto  celebravano  i   loro  sacrifizi, 
i  orni    nel  Thing  germa- 

venivano  eletti  i  duci  del   popolo.  >■  -,  delibi 

■  rra. 
1  Dolmen  ■  <  ssia. 
i  lol 


E'  negli   immediati  pressi  di  t'amai-,   lì  dove  1" 
:ese  |.  Milo  fondò  un  apposito  Museo  per  que- 
sti cimeli,  che  si  trova  il  massimo  cumulo  funerario 
della  Bretagna:  un  poggio  circolare  del  diametro  di 
oli  re  centi  1  mei  ri  ed  alto  da  0  ai  venti 

tri.   Si  è  riusrilì   a   penetrarvi   rome  in    una   min 
e  alla  luce  della  candela  è  dato  ormai  ili  aggirarvisi 
negli  angusti  corridoi  e  visitarvi  i   sepolcreti    Tre 
infinitamenti    diverse    ninne   -1  stendono   la  mano 
in  questa  antica  stomba  degli  Inni».  Nello  sti 
più  profondo  un  popolo  ignoto  seppelliva,  in  tombe 
■  li  sasso,  1  suoi  eroi  :   sui  culmine  i  n  mani  vi  ave 
vano  innalzato  un  tempi"  agli  Dei;  e  le  mina  I 

'lamentali   ili  quello   servivano  ad    erigere    una   ''hi'- 
suola    a    San    Michele.   Tutto  intorno   per,',  vediamo 
anei'ra  i  misteriosi  viali  pietn      d    Menhirs.  i  Ci 
lechs  e  i  1  )oln  spirito  evoca 

1  tempi,  in  ini  gli  aborigeni  del  paese  qui  si  ra 
glievano  e  i  lori  1  sai  erdoti  o  le  loro  s 

funzioni  e  popolavano  di  ginn  testanti  i  viali 
(rosi,  1  ggi  deserti  e  sii, 


dalli:  riyis  i 


307 


Dietro  la  pista  d'un  Gireo 


(Da  un  articolo  di  Oscar   Schweriner,    nel     H  <•//   Spiegel, 
ilei  6  marzo). 

....  Là.  in  un  angolo,  sta  Jumbo,  il  grande  ele- 
fante. Una  artista  gli  fa  provare  ancora  una  volta. 
tutti  i  giuochi,  con  cui  stasera  dovrà  stupefare  il 
colto  e  l'inclita.  Intorno  formano  crocchio  gli  stai 
litri,  anche  alcuni  artisti  e  guardiani,  mentre  gli 
orsi,  le  lepri  e  gli  altri  quadrupedi,  accovacciati  sul 
[unite,  che  poi  dovrà  precipitare  nel  manége, 
recchiano. 

—  Tu  !  -  -  gridano  alcuni  stallieri  ad  un  loro 
collega  che  si  avvicina  —  sta  attento  !  Jumbo  è  qui  ! 

Jumb< i  non  può  soffrire  —  chi  sa  perchè?  —  pro- 
prio quell'uomo. 

Ma  l'artista,  la  domatrice,    lo  rassicura: 
-  Xon  temete.  Finche  ci  son  io  qui.  Jumbo  ni  in 
leverà  la  zampa  da  questo  ceppo. 

E  Jumbo,  infatti,  non  muove  la  gamba.  Ma  fa 
ili  meglio.  Con  la  proboscide  afferra  una  frusta, 
che  stava  in  una  vettura  lì  presso,  e  con  la  destrezza 
d'uno  scudiero  la  agita  sulla  testa  dell'odiato  stal- 
liere, Per  fortuna,  quello  riesce  a  fare  un  salto 
addietro.  Se  no...  poveretto  lui  ! 

--  Sacre  blcid.  chi  ha  dato  da  mangiare  al  ca- 
rie?,   —  gridò  una  voce  irritata  dietro  a  me. 

Mi  volgi».  L'n  barlume  bianco  ed  uno  nero  stanno 
ritti  sulle  zampe  posteriori,  facendo  con  l'altre  il 
noto  atteggiamento  del  «  prega  prega  ».  Un  buon 
ilo  d'indiano  ha  dato  a  uno  de'  cani  un  [  ezzetto 
di  zucchero  e  il  clown  ne  va  fuori  della  grazia  di 
Dio.  Xel  suo  gergo  infranciosato  spiega,  anche  a 
chi  non  lo  vuol  stare  a  sentire,  che  ai  cani  si  deve 
dare  da  mangiare  soltanto  dopo  la  rappresenta- 
zione. 

Frattanto,  il  bozzetti!  si  cambia.  Si  avvicina  l'ora 
della  pantomima.  Indiani  e  minatori,  negri  ed  astro- 
loghi, cinesi,  arpisti,  clowns:  un  po'  di  tutto.  Si 
m  no  radunati  nello  stanzone  del  butt'in  sella  e  a- 
spettano  il  segnale.  Ma  non  essi  soltanto  attendono. 
Qui  un  bel  tenentino,  là  un  elegante  in  pelliccia  e 
cilindro  vanno  su  e  giù  con  quella  disinvoltura,  che 
ila  soltanto  l'abitudine.  Ne'  vari  gruppi  si  sentono 
tutte  le  lingue  d'Europa  e  d'altre  parti  del  mondo. 
E  la  celia  fiorisce.  Il  clown  burla  il  «  ricco  mina- 
tore d'uro  »  perchè  non  gli  vuol  prestare  cinque 
franchi.  Il  «'malfattore»,  che  poi  sarà  gettato  giù 
dal  ponte,  dà  una  lavata  di  testa  all'attrezzista 
perchè  i  «  flutti  spumeggianti  »  ieri  erano  troppo 
freddi  e  bada  lui  stesso  oggi  a  che  vi  si  immi 
un  po'  più  di  vapore-  L'astrologo  ha  trovato,  in  un 
carni  trionfale,  un  angoluccio  quieto  per  far  la 
corte  alla  moglie  del  capo  indiano:  Prudenza! 
S'avanza,  tirata  su  un  carro,  la  «  caverna  »  dalla 
quale  sboccheranno  poi  gli  orsi.  l'are  impossibili- 
che  tutto  quel  coso  possa  essere  trainato  da  sub 
cinque  uomini.  Che  atleti  devono  essere!  Ma  la  sor- 
presa cessa  quando,  dietro  al  carro  e  alla  «caverna  » 
si  vede  «Jumbo»  che  manda  innanzi  la  baracca.... 

E  la  pantomima  è  cominciata.   Nel  butt'in  sella 


gran  calma.    Ma  d'un  tratto  squilla  una  risaia.  Che 
i  hi    non  è?  Entro  nel  camerini)  de'  clowns.  E'  là 
che  si    ride    a   crepapelle.   Gli    «  sciocchi    Augusti  » 
hanno  spirito  da  vendere.  Vibrano  gli  aneddoti.  Me 
do.   Non  sono  venuto  proprio  per  questo?  Per 
sentire    le   maldicenze   del   retro-circo?  Ma  appena 
In  dico  a  que'  signori,  eccoli  tutti  mutoli. 
Lei  è  d'un  giornale?  —  mi   la  uno. 
-    uro:  e  vorrei   dalla  loro  gentilezza  qualche 
in.    qualche    fatterello,    sa    bene..- 

-  Ma  volontieri,  volontieri  !  Ma  per  noi  è 
del  mestiere.  Scusi,  quanto  paga? 

De'  clowns!  -  penso  certo  scherza!  Ma  essi 
fanno    sul    serio. 

A  tempo  torno  nella  scuderia.  E'  finita  la  prima 
parte  della  pantomima.  Tutti  sospingendosi,  urtan- 
dosi, scavalcandosi,  si  affrettano  ai  camerini.  In 
dieci  minuti  la  trasformazione  dev'essere  completa! 
[1  parrucchiere  è  in  gran  faccende  a  truccare  gli  ar- 
tisti,  a  cambiar  loro  le  parrucche. 

Pie  hio  al  camerino  di  alcune  artiste  di  sdirla 
più   o  meno  alta  : 

—  Posso  entrare  "J 

V ..  no.  Aspetti!  Xon  siamo  ancora  rivestite... 

—  Appunti  i  per  questo  ! 

Ma  tutto  è  inutile.  Soltanto  quando  «tutto  è 
fatto  »  posso  entrare  nel  santuario.  Di  grazia,  se 
assisto  ancora  a  qualche  ultimo  tocco  di  belletto, 
di  allacciamento  di  qualche  scarpina.... 

-  Avanti,  ragazze!  Tutte  abbasso! 

E'  la    voce  del  diretti  re  di  scena,   del    tiranno... 

Passa  qualche  minuto:  irrompono  nitrendo  ca- 
valli grondanti  d'acqua  e  con  essi  i  non  meno  in- 
zuppati indiani  e  briganti.  Poi  ancora  dello  stre- 
pito,  ma  d'altro  genere:  tutti  o  quasi  tutti  ridono. 
Corrono  alla  guardaroba.  Buttano  all'aria  le  par- 
rucche. S'aiutano  vicendevolmente  a  spogliarsi.  E 
molti  «  borghesi  »  aspettano... 

La  rappresentazione  è  finita.  Soltanto  qua  e  là 
qualche  visuccio  di  giovani  artiste,  specie  di  balle- 
tine,   stanco,  un  po'  smorto,  un  po'  disilluso... 


Il  nuovo  profeta  de'fflormoni 


(Dal   Well-Spieg 

....  Rilevante  è  l'avvenimento  che  si  è  compiuto 
recentemente  a  Salt  Lake  City,  la  celebre  capitale 
de'  «  Santi  degli  ultimi  giorni  »  :  in  dodici  apo- 
stoli de'  Mormoni,  radunati  in  Concilio,  hanno 
colmato  il  vuoto  lasciato  nella  loro  presidenza  spi- 
rituale dalla  morte  di  Wilfond  Woodruf,  eleggendo 
all'alto  ufficio  a  unanimità  di  voti  Giuseppe  Smith, 
nipote  del  fondatore  della  dottrina  mormonica,  che 
si  chiamava  pure  cosi  e  nel  1843,  a  Cartagine 
nell'  Illinois,  sofferse  il  martirio  per  la  sua  fede. 
Il  nuovo  presidente  è  il  quinto  capo  di  quella 
comunità  religiosa,  che  ha  latto  parlare  tanto  di 
sé  ed  estende  ormai  la  sua  propaganda  su  tutto 
quanto  il  globo. 

La  nuova  Chiesa  fu  organata  da  Smith,  nel  1831 1, 
in  forma  di  Società  segreta.  A  capo  le  sta  un  pre- 


3(>s 


l.A    1. Il  l'I  RA 


Bidenti    con  poteri    quasi    illimitati,  ma   Bancheg- 

u  in.  ves(  o\  i.  an- 
ziani e  sacerdoti.  La  sua  dottrina  si  basesul  Li- 
bro Mormone,  »  su  quello  della  Legge  della 
Uleai  e        a  Bil  >1  >ia.. 

La  nuova  fede  trovò  dapprima  viva  opposizione 
arte  delle  altre  sette  cristi. me,  specialmente 
per    la    poligamia    che   ella,    basandosi    appunto 
sulla  Bibbia,  ammetteva.  Dopo  la  strage  di  Car- 
tagine, di    cui    furono  vittime   lo   Smith,  suo  fra- 
telli! e  centinaia   ili  loro   adepti,  i    Mormoni,  con 
a  duce    Brigham   Young,  emigrarono  nel  deserto 
Salato  di    Utah  e,  mercè  la   loro   infati- 
cabile attività,   vi  cn  arono  la  fiorente  colonia,  i  he 
i  hiamarono  Nuova  Sionnc  o  Nuova  Gerusalemme. 
In  pmlii  anni  la  sua   pi  >[><  ilazione  crebbe  da  quin- 
di! i mila  persone  ad  un  quarto  di  milione. 
Il  '  degli  Stati  Uniti,  che  nel  1840  aveva 

uistato    dal    Messii.  1    il  territorio   del  Lago  Sa- 
lti",   tollerò  dapprima  questo  piccolo  Stato  ete- 
rna quando  sembrò   che  i     Santi  degli 
ultimi  giorni  »  diventassero   pericolosi  con  le  loro 
1  erimonie,  che  furono  dette  «Orgie  poligamiche», 
il  Governo  procedette  a  viva  forza  contro  quei  so- 
ni, proibì  la  poligamia,  e  nel  1804  quel  paese 
ntò  uno  Stato,  come   un  altro,  nella  Federa- 
le americana.  Ciò  non  impedi  alla  colonia  un  li- 
monila di  crescere,  moltiplicarsi  ed  estendersi  an- 
che di  qua  dell'Oceano,  specialmente  in  Svizzera 
e  in  Germania. 


I  Popoli   a  tavola 


Dalli  11    I  pouf    lous,  marzo'. 

Il  bisogno  del  cibo  è  il  primo,  il  più  urgente, 
il  più  imperioso  fra  quelli  che  provano  gli  uo- 
mini. E  l'uni.!  almente  minila  a  soddisfar 
lo,  che  riunendo  in  un  sol  gruppo  tutti  gli  operai 
addetti,  direttamente  0  indirettamente,  all'alimen- 
me,  questo  gruppo  comprenderebbe  i  tre  quarti 
di  tutta  la  massa  dei  lavoratori.  La  sola  Francia 
consuma  in  media  ogni  anno  110  milioni  di  etto- 
litri ili  grano,  i,;8  milioni  di  ettolitri  di  paiate. 
1  milióni  di  ettolitri  ',;  legumi  secchi,  7  milioni 
■  li  ritolitri  di  castagne,  500  milioni  di  chilogram- 
mi di  carne,  [46  milioni  di  chilogrammi  di  pe- 
irdi  d'uova,  200  milioni  di  chilogrammi 
di  burm.  400  milioni  di  chilogrammi  'li  zucchero 
Tutto  questo  ben  di  Dio  rappresenta  in  denaro: 
.;  miliardi  di  franchi  per  il  grano.  2  miliardi  pei 
la  carne.  i.)0  milioni  pei  il  pesce,  [80  milioni  per 
le  uova.  ;oo  milioni  per  i  legun  li,  400  mi- 
l'cr  il  burm.   ecc. 

Gli  uomini  non  si  sono  sempre  nutriti  degli  stes 
si  cibi.  L'uomo  primitivo  d  barsi  di  radici, 

di     erbe,    di    qualche     (rullo,    di     inselli,     di    vermi. 

di  molluschi.   Pi  iì  impa  1  ire,  a  1  atturare  gli 

animali,     ma.    appena    presi    ed    uccisi,    questi    era 
no   1  '  simun,     anelli     uggì    le 


COSe   plesso    1    popoli    inferiori,    (di    esquimesi    |.. 

aldo  caldo  il  sangue  delle  foche;  si  nutrono 
di  topi,  Che  mettono  al  fuoco  senza  prima  aprirli 
ne  spogliarli  della  pelle     Hanno  un   gusto    per  il 

tiglio  degli    sieli    di  angelica   con  uova    impu 
(ridite  e  pei   mi    1  covate,   il  tutto  in  un   bagno  di 
olio  di  balena.    I    nativi  della  Guiana    mangiano  il   . 
pesce  erudii,  e   lo  preferiscono  quando  cominci. 
decomporsi.    I     Ketch,   tribù  abissina,    sono    spesso 
ridotti  a  triturare  Ira  due  pietre  la   pelle  e 
;.  "I      mimali  mi  irti.   I  .ucerti  ile  e  serpeni  i,    larve  rli 
-iiss,    formiche,    farfalle,  ragni,  sono  divorati   nu 
ili    da  cerie   popolazioni    au  itraliam     1 .1       Vyel 
del  Sudan,  quando   mancano  d'ai 
aprono  le  vene  giugulari  delle  loro  bestie  da   soma 
e  ne  bevono  il  sangui 

L'USO  del    lane  risale    al   tempo    in  «ili    l'uomo 
mise  a  coltivare  la  iena  e  ad  allevare  il  bestiari 
I    Greci  dei   tempi  eroici   non  lo  annoveravano   Ira 
i  loro  nutrimenti,  e  Omero  ne  parla  come  di  un 
mento     buono    per     i     popoli    barbari  .   che  chiama 
sprezzosamente    galattofagi  (mangiatori    di   lai 
Greci  e  Romaici  appresero  l'uso  del  burro  dai  I 
,uani  e  dai  Galli.   I    popoli  dell'estremo  Oriente  lo 
hanno  conosciuto  in  tempi   recenti,  dagli  Olandesi 

e    dagli    Inglesi.     Del    resto.     l'Oriente,    la    Cri-eia    e 
buona    parie  dell'Italia   non  adoperano  regolari! 
te   il    burro,  e   condiscono  tutto   con   l'olio.    Oggi   gli 

Indù  mungono  i  loro  buffali,  i   Tartari  le  giumen 
ie.   gli    Arabi    le   cammei  le,   i    Lapponi   le    tenue. 
nelle  vaste  regioni  della  Cina  il  latte  i    ancora  in- 
teramente inusitato. 

L'uso  del    sale    rimonta   alla    lase  agricola.    Qi 
sia    sostanza  che   Plutarco   chiama   il    condimento 
dei  condimenti,    fu  venerata  coinè  una  divinità.    Per 
indicare    in   un    popolo   il    più  bassi  1  grado   di   bar- 
barie,   (linero    dice   nelle    non     mette    sale    nei 
cibi».    Il  sale   era   simboln   dell'ospitalità,  e   si    spali- 
li \  a   dinanzi  all'ospite  ''In-  non  si  voleva  ricevi 
1  un     .1    poco  tempo   addietro,  esso  era  tanto  rar... 
inessi.  i   negri   dell'Africa   interna,    quanto  l'oro,    e 

serviva   da  moneta:    con   un    pugno  di    sale    si    coni 
prava  un    paio  di  schiavi. 

E    lo  zucchero?   Per  lungo   tempo  non  si    impie 
gl'i   altro  che  il   miele  e   la  canna    dolce.    Nel  me 
evo  si  tentò  di  trasformare  il  sue  succo  liquido  in 
una  sostanza  bianca  e  omogenea.  Nel   1370.  la  pron 

vista    di   una  regina    di    Francia    sì    ridin'ev. 
irò  pani  di  cinque  libbre  ciascuno.    Sotto  Enrico  l\ 
li.   zucchero  si    vendeva  ancora    dai  farmacisti.    \ 
tempi  di  Luigi  XIV  era  ancora  una  derrata  di  lus 
so.  e  cui  confetti   si  corrompeva   un  giud 

Anche  il  pepe  In  durante  tutto  il  medio  evi  ra 
1  issimi  .  e  si  sei,  va  dire:  «  Caro  come  il  pepe  ». 
l'er  prevenire  il  pericolo  della  corruzione  dei  m 

con  regali  di  pepe.  San  Luigi   fisse  a  10  soldi 
il    valore    del     pepe   che    un    giudice    pi 

senza  pn  v  ai  ii  ari 

Ma  gli    antichi    mangiavano  più  di    noi.    Eum 

1 1  Ulisse,  in  cide  '■  1,1  cuocere  un  intero 

mìe  di   cinque  anni.   In   un  banchetto  presso  gli   aln 

Muli  di   l'ile,  si  servono  nove  buoi  per  50  convitati 

A    Roma,   anche  nelle  tavole  ricche,  si  mangiavano 


HALLE    R1VIS  I  1 


asini,  cani,  volpi,  lumache,  larve  '1  insetti,  loirs,  héris- 
sons.  come  oggi  i  Cinesi  mangiano  gatti,  sorci,  cani, 
rospi,  lombrichi,  bachi  da  seta. 

Nel  medioevo  la  carne  suina,  la  cacciagione,  il  pa- 
ne d'orzo  e  di  segale  formavano  la  base  dell'alimen- 
tazione: dalla  Rinascenza  in  poi  gli  uomini  diventa- 
rono più  difficili,  fino  alla  moderna  ricchezza  e  com- 
plicazione consentita  dalln  sviluppo  dei  mezzi  di  tra- 
sporto. 

E'  un  tene  od  un  male?  I  medici  assicurano  che 
per  assicurare  le  regolari  funzioni  della  macchina 
umana,  ciascuno  di  noi  dovrebbe  consumare  ogni 
giorno  300  grammi  di  carne.  60  di  grasso  e  di  burro, 
e  circa  700  grammi  di  fecole  fornite  dal  pane,  dai 
legumi,  ecc.  In  questi  alimenti  un  uomo  trova  i  310 
grammi  di  carbonio  e  i  20  grammi  di  azoto  che  il 
suo  organismo  brucia,  vale  a  dire  elimina  in  24  ore. 
Tale  è  il  regime  misto.  Se  poi  un  individuo  si  vo- 
lesse nutrire  di  una  sola  ed  unica  sostanza,  per  tro- 
vare i  310  grammi  di  carbonio  e  i  20  di  azoto  di 
cui  ha  bisogno,  sarebbe  obbligato  a  consumare  o 
troppo  azoto  e  non  abbastanza  carbonio,  o  viceversa. 
Così,  per  trovare  310  grammi  di  carbonio,  bisogne- 
rebbe consumare  2818  grammi  di  carne,  ma  questa 
gran  quantità  di  carne  contiene  5  volte  più  di  azoto 
che  non  ne  occorra  all'organismo,  poiché  i  20  gram- 
mi di  azoto  si  trovano  in  651  grammi  di  carne.  Op- 
pure, si  potrebbe  consumare  ogni  giorno  1600 
grammi  di  pane  di  segale,  o  1430  grammi  di  fa- 
giuoli.  o  38  uova,  o  4  litri  e  mezzo  di  latte,  o  io  chi- 
logrammi di  patate,  o  15  chilogrammi  eli  legumi 
erbacei  (cavoli,  carote,  ecc.). 

Se  i  contadini  non  mangiano  carne,  e  pare  che 
stiano  bene,  il  dottor  Ponchet  osserva  che  la  salute 
del  contadino  non  dipende  dell'alimentazione,  ma 
si  mantiene,  nonostante  l'insufficienza  del  cibo,  gra- 
zie alla  vita  all'aria  aperta,  al  lavoro  dei  campi,  al- 
l'esistenza regolare,  alla  mancanza  delle  eccitazioni. 
E.  ilei  resto,  la  dispepsia  e  l'enterite  sono  comuni 
nelle  campagne. 

Si  adducono  bensì  esempì  di  vegetariani  vigo- 
rosi e  longevi.  Si  cita  anche  il  fatto  seguente: 
a  una  marcia  di  resistenza  a  Berlino  presero  parte  8 
_ -tariani  su  22  concorrenti,  i  vegetariani  arrivarono 
primi.  Per  spiegare  questi  fatti,  si  dice  che  i  legumi 
1  nutrienti  della  carne  e  costano  meno  cari  : 
540  grammi  di  fagiuoli  o  di  lenti  rappresentano,  in 
azoto.  1080  grammi  di  carne.  Ma  le  sostanze  azo- 
tate d'origine  animale  si  digeriscono  e  assimilano 
presto  e  bene,  mentre  il  contrario  accade  delle  ve- 
li. TI  regime  vegetariano  conviene  agli  amma- 
lati, ai  nevrastenici  ed  agli  obesi.  Un  uomo  sano 
che  rinunziasse  alla  carne,  dovrebbe  lare  pasti  lun- 
ghi e  frequenti,  perchè  la  sensazione  della  fame  lo 
stimolerebbe  appena  avrà  finito  di  mangiare;  poi 
la  lenta  e  difficile  digestione  gli  procurerà  la  dispep- 
sia. La  carne  è  necessaria.  Un  dotto.  Geoffroy  Saint- 
Hilaire.  ha  scritto  che  l'Inghilterra  domina  gli  Ir- 
landesi e  gli  Tndù  perchè  questi  popoli  si  nutrì- 
di  patate. 


Oltre  le  sostanze  albuminoidi  e  idrocarburate,  o- 
La  Lettura. 


3Ó9 

gni  adulto  perde  in  24  ore  tre  litri  d'acqua  e  30 
grammi  di  sale.  Ciò  vuol  dire  che  bisogna  intro- 
durre nell'organismo  altrettanto  sale  e  altrettanta 
acqua,  perchè  negli  alimenti  solidi  c'è  già  dell'ac- 
qua: su  100  parti  di  carne.  78  sono  formate  dal- 
l'acqua, e  74  su  100  parti  di  patate.  Così  i  sali  di 
calcio,  di  potassio,  di  soda  si  trovano  in  propor- 
zione variabile  in  tutti  gli  alimenti.  Gli  animali  nu- 
triti con  cibi  privi  di  sale  di  calcio  muoiono 
stesso  tempo  di  quelli  ai  (piali  si  toglie  ogni  cibo. 
A  questo  bisogno  di  materie  minerali  si  de>e  l'uso, 
più  diffuso  che  non  si  creda,  di  mangiare  sostanze 
terrose  e  argillose.  La  geofagia  esiste  in  tutte  le 
parti  del  mondo. 

Quanto  ai  condimenti,  godono  di  una  cattiva  re- 
putazione. Si  crede  comunemente  che  il  pepe,  la 
mostarda,  l'aglio,  il  finocchio,  l'anice,  la  cannella. 
1  aceto,  ecc..  siano  reclamati  soltanto  dsi  ghiotti  che 
non  badano  alla  salute  del  ioro  stomaco.  Invece, 
questi  condimenti  hanno,  in  fisiologia,  la  precisa 
funzione  di  provocare  un  afflusso  di  sangue  nella 
mucosa  della  bocca  e  del  tubo  digestivo,  e  quindi 
una  secrezione  abbondante  dei  succhi  digestivi.  Ma 
è  vero  che  di  questi  eccitanti  non  bisogna  abusare. 
E  la  cucina  non  è  un  lusso,  ma  una  necessità.  La 
'■ottura  rende  più  digeribili  gli  alimenti,  special- 
mente i  feculacei.  Crudi,  i  piselli,  le  patate,  le  lenti, 
non  potrebbero  nutrire  né  un  uomo  né  una  bestia. 
Velie  carni  e  nel  pesce,  la  cottura  scioglie  i  succhi 
gelatinosi,  modifica  l'albumina,  disgrega  l'inviluppo 
fibroso  nel  quale  sta  la  fibra  muscolare.  La  cucina 
francese,  come  si  è  ora  imposta  un  po'  da  per  tutto, 
data  da  Luigi  XV.  che  era  un  ghiottone  e  un  ga- 
stronomo perfetto.  Il  dottor  Bourdeau  giudica  la 
cucina  italiana  più  lambiccata  che  salubre,  l'inglese 
più  sostanziosa  che  delicata,  la  tedesca  brutalmente 
pesante. 

Oggi  la  scienza  chimica  cerca  di  comporre  artifi- 
cialmente gli  alimenti  ;  il  Berthelot  annunziò  anche 
che  la  cosa  è  quasi  fatta.  Un  chimico  tedesco,  il  Li- 
lienfeld.  ha  fabbricato,  col  catrame,  dell'albumina: 
una  polvere  brunastra.  composta  come  le  sostanze 
albuminoidi  e  del  sapore  del  bianco  d'uovo.  Il  suo 
valore  nutritivo  è  considerevole:  un  piccolo  cubo  di 
2  centimetri  per  lato  di  questa  albumina  sarebbe, 
secondo  certi  calcoli.  4  volte  più  nutritiva  di  una 
costoletta  ordinaria  e  6  volte  più  di  2  libbri 
pane.  Il  Fischer,  di  Berlino,  ha  pure  estratto  dal 
catrame  lo  zucchero  artificiali  Qui  e  due  scoperte 
sono  rimaste  confinate  nei  laboratori.  Il  giorno  che 
l'albumina  e  lo  zucchero  chimicamente  ottenuti  si 
potranno  avere  a  buon  mercato,  si  produrrà  una 
delle  maggiori  rivoluzioni  fra  quante   ne  registra  la 

Storia    dell'uni:!: 

Ma  la  cosa  non  è  augurabile;  noi  siamo  troppo 
abituati  alle  dolcezze  della  tavola,  e  non  ci  adatte- 
remmo a  mangiare  delle  pillole.  L'igiene  consiglia 
di  attenersi  al  regime  misto,  e  di  mangiare  meno 
che  non  si  mangi  abitualmente.  La  dispepsia,  la 
dilatazione  di  stomaco,  le  ci  ngesiioni  cerebrali,  la 
gotta,  il  diabete,  i  calcoli,  le  malattie  della  pelle, 
sono  favoriti  dall'abuso  delle  carni. 


^4 


ha  luee  che  guarisce 

I  del    l«  marzo). 

L'n    medico  svedi  se,    '1    1  ».    F  insen, 
del  lupus. 
ella  pelle  urna- 
Ino  per  serri 

:   una  pico  ila   lente  in  quar- 
1  a   dai   raggi   di  una 
I   j  len 
iloriferi  e  lascia  passare 
solo  chimici    o  ultra-violetti, 

hanno   i  Si  :    a  terapeuti- 
la  loro  influenza  le  j  >an  i  semi 
divorate  dal  male  terribile  e  mis 

ricoprono  lentamente  di  una  pelle 
io    alla    gì 

meno   cui  i<  >sa    .■   1  eli a   della 

luce  in  certe  malattie  particolari,  co- 
me il  vainolo,  o  la  rosolia.  Finsen  ha 
rvato  che  un  vaioloso  custodito  in 
una  camera  dove  non  penetri  che  la 
luce  russa  guarisci-  presto,  senza  feb 
bre,  e  nelle  cicatrici  disgraziate 

che  tutti  conoscono.  Del  resto,  qui 
ma  di  cura  era  praticato  su  larga 
i    nel    medio-evo,   ed  ancor  oggi, 
in  Kumenia  e  nel  Tonchino,  i  vaiolosi 
sono  avviluppati  in  ampie  (asce  rosse. 
Per  qua]  segreti  i  misteri  i  la  luce  - 


LA    l  l  i  ; 


AaUARWM       BIEV 


lare    0    dell'arco    voltaico   guaris. 
terribile  lupus?  La  risposta,  oggi  che 
medicina  e   microbiologia    sono  dive 
nule  sinonimi,  è  semplicissima: 
gi  chimici  uccidono  il    microbo   ■_ 
ratore  della   malattia. 

E  le  ricerche  degli  ultimi  anni 
hanno  confermata  tale  teoria.  In 
una  cultura  praticala  sotto  i  torrenti 
della     luce   solare    i    bacilli      più    furti. 

quelli  della  tubercoli  si,  della  di!  ti 

del   tifo,  sono  stati   uccisi  in   podi. 

E  ra  tutte  le  luci,  però,   la  più  i  lì 
è  quella  dei  raggi  violetti,  superiori  (li 
360  volte  ai   raggi   rossi. 

Ecco  in  |  una  curiosa  1 

rienza  comunicata  un  mese  fa  dal  si- 
gnor I. credile  alle  Società  di  biologia. 

1    esperimentatore    prese    dei    1 
della    medesima   età  e  li  rinchiusi 
ili  acquari,  l'uno  in  vetri 
litro  in  vetro  bleu. 
D         8  giorni  i  primi  erano  perle! 
tamente  sviluppati,  mentre  gli  altri  non 

ano  subita  alcuna  metami  n 
Anche  il  signor  Jakimovich,  osservò  il 
medesimo  fenomeno  sulle  larve  di  tri- 
da  lui  custodite  in  vetri  varia- 
mente colorati.  Uskoff,  poi,  dirigi  ndo 
la  luce  violetta  sui  cirri  vibratali  di 
una  cellula  riuscì  a   provocarvi   movi- 


DALLE    Kl\  [S  l  I 


371 


menti  così  violenti  che  finiscono  per  rompere  la  cel-  legn-.  gli  ammalati  vedono  tutte  le  cose  color  rosso. 

lula  stessa.  A   Lione,  nella  casa  Lumière,  gli  operai  illuminati 

Non   turno  curiosa  è  l'esperienza   del   signor  Bé-  dalla  luce  rossa   cantano  e  scherzano  del  migliore 

ciani.  Avendo  poste  delle  uova  di  mosi                am-  umore,  ma  tosto  cessano  se  la  sala  si  illumina  'li 

pane  di  cristallo  variamente  colorate,  potè  osservare  Une  verde. 

che  tra  i  vermi  natine  erano  meglio  sviluppati  quelli  Nel   1  So  i   furono  posti,  .1  scopo  'li  cultura,  dei  vi 

istoditi  sotto  la  luce  violetta.  ticchi  in  una    erra  .1  cristalli   violetti.  Li            n    , 


Dispositivo  per  la  trattazione  con  la  luce  elettrica. 


Un  identico  risultato  fu  ottenuto  dal  signor  Loeb, 
per  lo  sviluppo  dei  polipi.  Posti  alcuni  rami  d'Eu- 
dendrìum  racemosum  in  bottiglie  rosse  e  violette  i 
polipi  delle  prime  deperirono  rapidamente,  mentre 
gli  altri  ebbero  un  rapido  sviluppo. 

1  »al  complesso  di  esperienze  così  varie  e  cosi 
stringenti  si  può  dunque  conchiudere  che  la  luce 
violetta,  ossia  i  raggi  chimici,  esercitano  un'azione 
polente  sullo  sviluppo  e  la  vitalità  dei  tessuti. 

Tutto  ciò  si  osserva  anche  meglio  in  animali  su- 
periori o  già  adulti.  Le  farfalle  hanno  una  decisa 
preferenza  per  la  luce  violetta,  cosi  l'esanofele  della 
malaria.  Il  signor  Nuttal,  avendo  esposto  dei  pezzi 
di  stoffa  di  vario  colon-,  in  modo  che  le  zanzare,  vo- 
lo, potessero  facilmente  fissarvisi,  osservò  poi 
le  zanzare  appoggiatesi  sulle  varie  stoffe  e  ne  contò 
108  sul  colore  bleu  di  mare.  49  sul  nero,  io  sul  ver- 
di'. 9  sul  grigio-perla.  Applicando  tosto  la  curiosa 
scoperta,  ideò  alcune  trappole  violette  da  esporsi 
nei  luoghi  infestati  dalla  malaria  per  farvi  cadere 
le  zanzare.  Non  era.  del  resto,  che  la  ripetizione  ili 
quanto    praticano  gl'indigeni   al    Madagascar. 

Xeppur  l'uomo  è  indifferente  alla  luce. 

Dinanzi  all'occhio  cupo  d'un'isterica  in  istato  di 
catalessi,  il  signor  Guinon  pose  un  vetro  rosso  e 
tosto  il  volto  della  sofferente  si  rischiarò  di  un  vivo 
sorriso:  i  vetri  d'altro  colore  la  lasciarono  insen- 
sibile. Così   nel  delirio  cronico  con  allucinazioni  al- 


ili meravigliosa  ed  ogni  vite  produsse  dopo  cinque 
mesi    i.'oo  libbre   di  grappoli. 

Tutti  questi  fatti  diversi  mettono  in  evidenza  il 
potere  biologico  della  luce  e  particolarmente  l'ener- 
gia vitale  dei  raggi  chimici,  i  quali  uccidono  i  mi- 
crobi e  fanno  vivere  gli  esseri  superiori. 


Pep  la  vita  umana 


S'è  costituita  in  Francia  una  Lega  per  la.  difesa 
della  ,11.1  umana,  opera  di  solidarietà  sociale  co- 
me lice  I"  Statuto  —  che  ha  lo  scopo  di  difendere 
l.i  salute  pubblica.  La  sua  azione  si  manifesterà 
particolarmente  nella  ricerca,  nell'applicazione  e 
nella  propaganda  dei  mezzi  legali  che  possono  ga- 
rantire il  pubblico  contro  le-  falsificazioni  e  altera- 
zioni delle  sostanze  di  diversa  natura  che  entrano 
nell'alimentazione.  La  Lega  ha  la  sua  sede  a  Parigi, 
ma    si   riserva    di    creare   delle  sezioni   anche   in 

a.  Il  minimo  della  quota  annuale  è  di  2  franchi. 

Tutti  i  membri  possono  rivolgersi  agli  uffici  della 
Lega  per  fari-  analizzare  Ir  sostanze  alimentari  so- 
spette. La  Lega  si  incarica  di  quest'analisi  gratui- 
tamente. 


LA    1  l/l  ■ 


1  pesci  dorati 


Il  pes  ie  cine-giapponese,  di- 

venuti rdi   un  prodotto  di  ornamentazione  e 

■  li  lu-s,,.  fu  portato  in   Europa  alla  fine  del  se 
I  ii ,    resto  b  rvarne  la  mi 

lescopio  e    nel 
non       ere  più  alcun  dub- 
,   \.  --un  altro  pui 


■ 


fuorché   l'estremo  Oriente,  che  già    altre 
dato  animali  e  piante  mi  «l  i 
Il  im  degli  attu;  id  ogni 

e,    il  pesi  i  .    li- 

mi squan  i  nti-  ricon  I  ora  il  ]  esi  - 

me  fasi  ili    vita.    Per  qi  m]  1 1, 

servano 
capostipite  e   dove  sono   abbandonati    a 

e,   l'i-r  esempio,    a  Giava,  alle  Filippine  alli- 
nei ('il<-   ■•  al  <".ip>.    riproducono   ani 
i  iriginaria. 
!  imento  del 

ni  modo  esser  cominciati  da  1" 
leni]  io  di  (   risto 

,  potrebb  i  raor- 

dinarìami 

nu 


tre  nelle  azzurre  |  i  l  mbra 

delle  toglie  di  loto,  e  chiama  al  pasto  al  suono  della 
Il   povero  In  vimlc  anch'esso  sim  compa- 
gno in  rozzi  vasi  di  terra. 

1    pesci  dorati  comprendono  una  varietà  infinita 
ili  colori,  essendovene  ili  bianchi,  ili  gialli  oro,  ili 


/ 


bruni,  ili  azzurri,  di  neri,  ili  macchiati  a  due  o  tre 
tinte.  Così  quando  parliamo  dell'oro  e  dell'argento 
l'elle  squame,  ciò  va  inteso  in  modo  relativo,  i  ■ 
molti  non  hanno  squame. 

Molti  coni  so  no  qi  iolini    di   lusso    sola 

per  averli  visti  guizzare  negli  acquari  o  ni 
cristallo,    e    restano    sorpresi,   sentendo  di  un  pe- 
si-e  dorato  che  o>sta  centinaia  di  lire. 

Vi  sono,  infatti,  attualmente,  delle  razze  eh 


J 


DALLE    RIVISTI 


373 


prendono  per  le  loro  forme  particolari,  come,  per 
es..  il  pesce-uovo  (fig.  5)  senza  traccia  ili  pinna  dor- 
sale, di  una  forma  perfettamente  ovale,  che  termina 
con  una  pinna  caudale  a  forma  di  ventaglio,  rigida 


Fig.  4. 

od  ondeggiante  e  di  un  bellissimo  colore  bianco  lat- 
teo. Così  abbiamo  il  pesce  dagli  occhi  celesti  (fig.  2), 
mostro  che  solo  i  cinesi  possono  trovar  bello,  con  e- 
normi  occhi  sporgenti  e  così  posti  che  vedono  solo 


in  alto  e  rimangono  ciechi  per  quanto  sta  loro  da- 
vanti, sotto  0  dintorno.  Il  dorso,  senza  il  menomo 
accenno  ad  alcuna  pinna  dorsale  esistente,  è  model- 
lato come  una  palla  dal  capo  alla  coda,  ed  è  privo 
interamente  di  squame.  11  mostro,  quando  è  senza 
difetti,  può  costare  agli  amatori  250  lire!  Assai  pia 
bello  per  noi  è  il  pesce-cometa  (fig.  3).  a  codi 
multo  lunga,  vibratale  e  a  forma  «li  vela.  Recente- 
mente,  come  nuovi  prodotti  nel  regno  dei  pesci  do- 
rali, sono  venuti  in  commercio,  dalla  Cina,  il  pesce- 
tigre  e  il  pesce-telescopio,  il  cui  corpo  è  disegnato 
a  striscie  gialle  e  nere.  Però  come  migliore  tra  tutti 
noi  possiamo  ricordare  il  pesce-coda  a  vela  (fig.  1). 
il  cui  corpo  assai  tozzo  e  ingrossato  termina  con  una 
(loppi. i  coda,  ondeggiante  nello  stato  di  riposo  e  tesa 
durante  il  cammino.  Più  ricercato  però  è  il  pesce- 
telescopio-coda  a  vela  (fig.  4).  che  (come  dice  il  suo 
nome)  unisce  i  pregi  delle  due  varietà. 

L'allevamento  di  tutte  queste  varietà  è  assai  inte- 
ressante, perchè,  come  diceva  Paolo  Nltsche,  capo  di 
un  acquario  berlinese  e  troppo  presto  rapito  alla 
piscicoltura.  0  ogni  nuovo  pesciolino  si  differenzia 
dagli  altri,  ogni  uovo  può  dare  bellissimi  esemplari 
e  meravigliosi  risultati  ». 

Ma  ciò  che  specialmente  ci  raccomanda  i  pesci 
•  li  rati  è  la  loro  resistenza.  l'issi  vegetano  vigorosa- 
mente nell'acqua  a  17  o  18  gradi  di  calore,  come 
pure  d'inverno  in  una  camera  che  ne  abbia  solo  io: 
a  5  non  soffrono  ancora  e  neppure  a  temperature 
più  basse. 

Per  mantenerli  basta  loro  dare  alcune  uova  di 
formiche  0  un  poco  di  carne;  d'inverno  ogni  due 
giorni,  d'estate  tutti  i    giorni. 


Fig.  5. 


'7  1 


LA    111 


Iia  previsione  del  tempo 


1 1  i.i  un  articolo  delle  .  ut  lous,  <li  marzo). 

I  pi  imi  mete  iroli  tg  ■.,.., 

I  asp  e  della  lun  omino  e  la  foi 

ma  delle  nubi  per  formarsi  un'idea  intomo  al  tem- 
i  rono  che  l'apparizio- 

Htdi        piccole  nubi  addossate  le  une  ;i  1  It - 
altre  come  una  mandra  di  pecorelle        suole  pi 
dere  I"  scoppio  d'un  uragano;  quindi   il  proverbio 
fraii' 


Ciel  ponimele,  femme  l'ardii- 
Ne  -"in  pas  de  longue  durée; 


e  l'italiano  : 

(  lielo  a  pecorelle, 
Acqua  a  catinelle. 

Nei  paesi  .li  montagna  si  trova  un  segno  il) 

na  ili  nubi  che  si  forma  sulle  alture. 
"-ira  la  rondinella  dal  grido  acuto  che 
ra  con  l'ala  vagabonda  l'acqua  dei  laghi  e  la  cor- 
hia  smisti  i  ima   la  pioggia  con  alti  stri- 

lli. Si   .lire  anche  che  i  il  gatto  si  lecca   la 

zampa  e  se  la  passa  poi  sulla  testa,  è  segno  che  sente 
I .i  pioggia  ('.li  mveili  acquatici,  nella  stessa  • 
stanza  battono  le  ali  ;   le  oche  si  gettano  nello  sta- 
ragliano  più  forte,  le  rane  crocidano, 
■  mill  otterrà  le  formiche  e  le  api 

tornano  precipitosamente  nelle  loro  dimore,  i  ragni 
.  adoim  dalle  ti  Molti  fiori  Sono  chiamati  ba- 

rometri   dei     |i  i    schiudono  0   SÌ    chiu- 

dono con  l'umidità. 

Ma  questi  ed  altrettanti  segni  del  tempo  sono  in- 
sufficienti, e   la    ne              I  ile   osservazioni   mi 
rologiche  esatte  fu  esperimentata  mezzo  secolo  ad- 
dietro, per  un  tragico  cas corsi    durante  la 

ra  di  Crimea.  Il   14  novembre  1854  la  flotta   Iran- 
rata  dinanzi  a  Sebastopoli  fu  assalita  da 
furiosa  tei  nai  1  1 1  Jan  >no  a  pi. -co. 

le  ambulanze  del  corpo  di  sp  furono  distrut- 

te, li  0  Q]  està  avri 

annunziata  ;    perchè,  pi  ima   di    - 
sul  Mar  \n  .  ai  -va  attraversato  tutta  l'Euro- 
pa Allora  l'illustre  astronomo  Leverrier  istituì,  nel- 

P  un   '  ■    le  di  osser 

\azioni  e  di  a\  meteoroli       i,  fi  mdal  1  sulla 

1  he  presiedono    alla   forma- 
apesta  è  un   turbine 

la,    di    due   Ilio 

ni  i  :    uno  1  proprio  .i-se. 

litro  di  ii  dall'ovesl      I  [1  centro 

lei  turbine,  è  il   punto  dove 
la  pressi*  ne  b  è  più  forte;  intorno  a  que- 

punto  di  depressione,   il  barometro  •    più  alto. 
si  osservano  ogni  giorno  nel  mon 
do  inoro  le  pi  ,i   notano  sulle  calti 

il  punto  della  ma 
Il     giorno  i     noia     il    nuovo 

-1  vede  quale 


è  la  v  1.1  da  essi    seguita     0 

tutti  colon,  che  «ni  rada    min 

ques  1  ...   la    media  dell.-   pre\  ision    1 

del    UO    per  cento. 

(  »ggi   gli  osservatori  meteorologici   sono   . 
nati  dovunque,  anche  sulle  .  ime  delle  montagne.  In 
pa  il  più  alio  ì  quello  del  Monti    ;  1810 

metri),  in  America  è  quello  di  Misti,  collocato  sulla 

del  \  ul. mon. mo.  ni  1  Perù.  Qualcuno 

dotti  che  si  chiudono  in  quelle  solitudini  ha  pas 

he  brutto  d'ora.  Il   vecchio  <■  valor.-.. 

'il.-  de   V-.     'I       ,1    era   stabilito  nell'osserva- 
torio di  I    Pie   du  Midi,    in   Francia  a  3000  metri, 

do  il    1  1  novembre  1874  un  violento  tern  1 
scosse  la  montagna,  ed  enormi  blocchi  di  neve  gh 
ciata  •caddero  dal    Pie  vicino  e  si    rovesciarono  sul 
tetto  dell'osservatorio.  Il   Nansouty  e  i  suoi  compa 
gni  non  poterono  ridiscendi  1  osto  di  nulle  pe 

1  coli,  se  non  dopo  quattro  giorni  di  pi 

I  din-  ossi  n     ori  del  Monte  Bianco  r.  ,  mo 

un  improbo  lavoro.   Il  primo  fu  stabilito  dal  Vallot, 
sul    Kn.liei   de-    Bosses  a    4365  metri.   La  casetta  di 
le^no  fu  montata  in  due  giorni,  e  la  carovana  di 
operai  vegliò    le  notti,    sotto  una  semplici 
con  un  freddo  siberiano  ;  di  giorno,  il  male  di  m 
tagna  faceva  cadere  gli  uomini  e  due  dovevano  es- 
-1  ire   soccorsi  con   inalazioni  d'ossigeno.    V'ondato  e 
attivato  questo  osservatorio,  il  Jansen  ne  volle  erigere 
uno  sull'ultima  cima  del  colosso.  Egli  dovette  m 
tarvi  con   le  slitte,     tirate  per  mezzo  di  un   argano 
che  si  mutava  di  posto  secondo  che  si  guadagnava 
cammino.  Con  lo  stesso  siste  no  innalzati  i 

materiali.  L'inaugurazione  fu  fatta  nel  settembre 
del  1893.  Essendo  impossibile  salire  lassù  in  in- 
verno, le  osservazioni  sono  fatte  automaticamente, 
pei  mezzo  di  registratori  mossi  da  un  lento  movi- 
mento d'ori  Questi  strumenti,  che  hanno  cor- 
da per  8  mesi,  turbano  soli  col  loro  tic-tac  il  silen- 
zio dell'altissima  cima. 

Fra  1  molti  strumenti  meteorologici  qua!  è  il  va 
lore  del  barometro?  Quando  esso  si  abbassa,  vuol 
dire  che   l'aria    diventa   più  .    soffiano  al- 

lora i  venti  del  sud.  i  quali  possono  portare  con  loro 
l'umidità  raccolta  sul    Mediterraneo.  Quindi,   in 
urial. ■.   l'abbassamento  del   barometro  concorda   1 
la    pii  col  tempo   coperto.   Quando,    invi 

il   barometro  sale,   l'aria  è  più  pesante,   più  fredda, 
piedominano  i  venti  dell'est:    questi  venti  sono  -e 
gno  del  bel   tempo.  Ma   siccome  \uì   vento  del  sud 
I  nò  essere  secco   e  uni  1  dell  esi  e  del   nord  um 
1  1 1    va  del    baroni.  „  gno    fallaci 

non  tanto  si  deve  osservare  l'altezza,  quanto  il  senso 
del  movimento.  Se  il  movimento  ascendente  si  pro- 
lunga gradatamente  per  un  giorno  intero,  il  tempo 
bello  .'•   virino;   se  avviene  il   contrario,  si  avvicina 

l'.r  una  più  esatta  previsione,  bisogna  osservare, 
...|   barometro,    anche  il  tem  e  l'igrometro. 

Si   hanno  queste  leggi   0  norme: 

I  Se,  mentre  la  temperatura  si  abbassa 

l'aria  diventa   )  il  barometro  sa/c,  sono  pro- 

babili i  venii  del  nord  e  il  bel  ietti 


MAI. LE    RIV1S  I  I 


375 


II.  —  Se  il  barometro  scende  mentre  la  tempe- 
ratura salee  l'aria  diviene  umida,  si  debbono  preve 
ilere  venti  del  sud-ovest,  e  con  essi  la  pioggia. 

III.  —  Una  a  scesa  bruisca  ili  i  o  2  milimetri 
annunzia  la  pioggia.  Una  discesa  maggiore,  e  al- 
trettanto  brusca,   preannunzia  la    tempesta. 

Le  previsioni  a  lunga  scadenza  si  tanno  sulla  base 

nazioni   passate.  Il   metodo  consiste  nello 

stabilire  delle  probabilità  fondate  sul  tempo  che  ha 

.    in  un   i'en.  1  gii  rno.    durarne  una    lunga    - 
di  anni,   l'n  meteorologo  belga,  il  Lancaster,  ha 
bilito  cosi  le  probabilità  di  bel  tempo  per  ogni   pri- 
irno  del  mese. 

1 1  Renon  ha  stabilito  una  legge  di  periodicità  per 
gl'inverni  crudi,  i  quali  ritornerebbero  ogni  40  an- 
ni :  inverno  crudo  sarebbe  quello  in  cui  il  termome- 
bn    scende  a   15"  e  a  180  sotto  zero. 

E.  invece  di  prevedere  il  tempo,  non  si  potrebbe 
cambiarlo?  Cosi  sognò  di  fare  un  dotto,  il  Bobii 
Egli  era  persuaso  che  tutte  le  intemperie  veng 
dai  ghiacci  del   polo,  i  quali  sono  sciolti  dalla 
rente  del   Golfo  e  lanciano  al  cielo  nuvole  enormi. 
Allora  il  Bobinet   propose  che  si  desse  la  caccia  ai 
blocchi  di  ghiaccio  che  discendono  dai  mari  artici. 
Bisognava  prenderli   a   cannonate  con    una    flotta  : 
una  volta  distrutti,  il  bel  tempo  sarebbe  assicurato. 
E   se  poi  ci  fosse  stato  bisogno  d'una  pioggia  rin- 
frescante, le  corazzate  non  avrebbero  dovuto  far  al- 
tro che  andare  a  staccare  altri  blocchi   di  ghiaccio 
dalle  regioni  polari  '. 

'«mi  ' 

I  drammi  di  Sada  Yaeeo 

Molte  riviste  si  occupano  di  Sada  Yacco,  la  cele- 
bre attrice  già]  he  gira  i  principali  teatri  di 
Europa.   Ecco  qualche  notizia  dei  suoi  drammi. 


1. 


La  Geisha  e  il  cavaliere. 


Una  sera  di  primavera  il  Samurei  Nagoya  S  tnz 
I  crcnrre  le  vie  principali  del  Yoshiwara  ove  i  ciliegi 

-ano  pomposamente  la  loro  copia  di  fiori  ;  egli 
si  reca  a  visitare  la  Geisha  Katzuragi.  celebre  per  la 
sua  straordinaria  bellezza,  per  la  sua  voce  armo- 
niosa, per  la  leggiadria  della  sua  danza,  per  la  fi- 
nezza del  suo  spirito,  della  quale  egli  è  perdutamente 
invaghito.  Banza.  il  quale  parimenti  percorre  quelle 
vie,  fermandosi  di  quando  in  quando  per  vedere  i 
danzatori  ed  1  rie  che  fanno  mostra  dell 

loro,  incontra  ad  un  tratto  Katzu  ulta  dalle 

Ile.  Anch'egli  l'ama  :  e  la  invita  a  bere  insù  n 
ma   la  Geisha  rifu:-  io  di  non   :  1  iffer- 

n  are  perchè  è  attesa  da  altri.  Offeso  per  tale  rifiuto, 
Banza  allorché  vede  passare  poco  dopo  l'amata  al 
braccio  di  Nagoya,  preclude  loro  arr  nte  il 

cammino.  Ne  nasce  un  vivace  diverbio.  Alfine  Banza. 
cedendo  alle  parole  di  Katzuragi.  chiede  perdono  al 
suo  nemico  di  averlo  provocato  sulla  vi.-    Ma  V 
lo  respinge  dicendo:   «  Tu  sei  un  cavaliere  e  se  non 

ni    la    spada    per    solo    ornamento. 
«  terti  meco  ».    Segue   quindi   il   duello,   nel    quale 
Banza  rimane  ferito. 


L'amore  della  Geisha  Katzuragi  ]  ci  cavaliere  N'a- 
Sanza  è  immenso;  ed  ali  amore  si  aggiunge 
ina  jiari  gelosia,  perchè  Nagoya  ha  già  un'altra 
lie,  di  nome  (  Irihime.  L'n  giorno  che  egli  pas- 
ta con  questa  dinanzi  al  tempio  di  Dojoji,  Kat- 
zuragi li  vede  e  li  segue.  Nagoya,  vedendola  ghin- 
di lontano,  cerca  di  fuggire,  ma  non  trovando 
alcuna  via  di  scampo,  e  non  potendo  tornare  inebe- 
tì o.  pel  timore  di  incontrarsi  con  l'amante,  prega  i 
monaci  del  tempia  di  ricoverarli.  I  monaci  gli  fanno 
1  «servare  che  la  legge  del  tempio  vieta  rigorosamente 
l'ingresso  alle  donne:  ma  alla  risposta  di  Nagoya, 
il  quale  afferma  di  essere  amico  dei  padri  superiori 
e  di  dover  loro  parlare  di  cosa  urgente,  cedono  ai 
due  il  passo.  Xagova.  entrando,  raccomanda  ai  mo- 
naci di  vietare  assolutamente  l'ingresso  a  qualunque 
altra  donna  si  presentasse,  e  di  nascondere  a  chic- 
chessia che  egli  è  entrato  con  la  moglie.  Giunge  poco 
dopo  Katzuragi.  la  quale,  convinta  che  l'amante  ha 
ito  rifugio  nel  tempio,  scongiura  i  monaci  con 
mille  amorevoli  maniere  di  permetterle  eccezional- 
mente lai-cesso.  Ella  ha  saputo  che  in  quel  giorno 
si  celebra  una  grande  cerimonia,  e  vuol  prendervi 
parte.  I  monaci,  ammaliati  dalle  lusinghe  di  lei  e 
dalla  sua  bellezza,  promettono  di  fare  una  eccezione 
alla  osservanza  della  legge  purché  ella  si  mostri  in 
alcuna  sua  danza.  La  Geisha,  pronta  a  tutto  pur  di 
raggiungere  il  suo  scopo,  appaga  il  loro  desiderio; 
ma  dopo  la  danza  i  monaci  rifiutano  di  mantenere 
la  promessa  e  respingono  Katzuragi.  La  quale,  ar- 
dendo dalla  gelosia,  si  ribella  contro  i  monaci,  batte 
adirata  tutti,  allontana  i  custodi,  ed  entra  nel  tempio. 
Colà,  nel  giardino,  trova  finalmente  la  sua  ne- 
mica, e  ad  essa  si  rivolge  rabbiosamente.  L'n  rno- 
naco  coraggioso  cerca  di  salvare  la  moglie  di  Na- 
l,  e.  preso  un  bastone,  si  batte  con  Katzuragi. 
Si  ^raggiunge  Nagova  che  divide  i  due  contendenti. 
Katzuragi.  cieca  dall'ira,  non  si  avvede  di  lui.  ma. 
sfinita  dalla  lotta,  sviene.  Le  forze  l'abbandonano 
poco  a  p.  co  ;  all'ultimo  istante  un  raggio  le  illumina 
il  volto;  ella  ha  riconosciuto  con  gioia  l'ani 
nelle  cui  braccia  placidamente  muore. 

2.  -  Kesa. 

Trovandosi  in  viaggio  la  giovanetta  Kesa  in  com- 
pagnia della  madre  sua  Koromokawa.  di  una  an- 
cella e  di  un  servo,  giunge  un  giorno  al  monte  (  he 
1.  ove  una  banda  di  briganti  ha  stabilito  e  for- 
tificato il  proprio  quartiere.  La  comitiva  incontra  i 
briganti,  i  quali,  ammaliati  dalla  bellezza  di  Kesa 
e  dell'ancella,  le  circondano  e  le  fanno  prigioniere. 
lasciando  in  libertà  la  madre  Koromokawa  ed  il 
servo.  Sopraggiunge  il  cavaliere  Monto,  tr>  va  li 
piangenti,  e  chiede  la  ragione  del  loro  affanno;  u- 
. 'itala,  determina  di  liberare  le  giovanotte,  e.  rag- 
giunto uno  dei  briganti  che  trasportava  appunto  i 
loro  bagagli,  lo  costringe  ad  additargli  il  cammino. 

Nel   quartiere  dei    briganti  si   sta   a]  parecchiando 
un  lauto  banchetto  al  quale  Kesa  e  l'ancell  1 

-tere  per  rallegrare  con  la  danza  e  col  ca 
loro  stessi  rapitori.  Mentre  questi  si  divertono,  le  dm- 
prigioniere   approfittano    di    una    00  a    ■ 
vole  per  tentare  di  uccidere  con   i  loro   pugnali  il 


.l;11  LA   li 

capo  dei  briganti.  Ma  il  tentativo  non  riesce:    K 

i    i    mo 
nella  ì)   interna   ilei  Ma  ecco  so 

pragl  ;        i  che  ha  indo\  inati  i  la  presenza 

delle  due  fanciulle.   Nella  lotta  che  segue  tra  i  bri 

iamente  per 
qualche  tempo  ai  suoi  nemici;   alfine  però,  soprai 

dal  numen  >,  cede  e  \  ien  pr        

-.ir. li  .1  fuggire  colle  due  gio\ ani 
l  ■  rascorsi     Resa,  cresciuta   in  età 

ed  in  bellezza,  ha  sposa      Wataru    W  seb 

la  madre  Koromokawa  avesse  promesso  al  sai 
■  Morito  'li  ilare  a  lui  in  isposa  la  figlia  di 
Miai  isi  subito  invaghito,  ma  che  in  allora 

si  trovava  in  tri  ippi  i   poi  ane  età    1  turante  la  pi 
vera,  Rr-.;  con  I"  sposo,  la  madre,  ed  i  servi,  tro 
in  campa)  h   1 1  llezze  della  natura. 

\  i!  le   il  caso  che  Morito  passi  appunto  per 

he  apprende  che  la  giovanetta  da  lui 
fedelmen  Wataru,  si  ri- 

ei    i    l'avverte  che,  pei 
ò  gli   dispiaccia,  egli  deve  vendicare  l'oi 
fesa  ed  ucciderla,  non  avendo  essa  mantenni"  la  pr 
messa  I      i    Mentre  1  rae  la  spaila  e  sta  per  1 1 
gere  la  donna,   sopraggiunge  Resa,    che  riesce   a 
Morito  ed  a  calmarlo  dicendogli  : 

rito  Wataru  ;  io  ti  potrò  spesare  in  sua 
■  vece  ».  Moi ;  ente,  e  Resa  gli  pn  mi  tte  di 

irlo;  egli  entrerà  ili  nette  nella  loro  casa,  ed  il 
velo  con  cui  Risa  coprirà  la  lampada  appesa  presso 
l'uscio  della  stanza  ili  Wataru,  1"  assicurerà  che  que- 
sti trovasi  nel  proprie  letto  dormendo. 

Nel  nella  oscurità  della  notte.  Resa  si 

nella  eamera  dello  sposo  e  con  un  pretesto  lo 
induce  a  cambiare  con  lei  la  stanza.  Uscito  Wataru, 
ella  scrive  una  lettera  ;  indi  tranquillamente  si  co- 
rica; ella  ••  la  eansa  ili  ogni  male;  ,  lta  attende 
perciò  rassegnata  la  morte.  Poco  dopo  entra  chiatto 
quatto  Morite:  il  velo  alla  lampada  lo  ha  assicu- 
rato ehe  Watarn  <■  immerso  nel  sonno:  egli  si  av- 
vicina al  letto  e  vibra  un  colpo  feroce.  Chiamati 
dal  rumore,  accorrono  Wataru,  Koromokawa,  i  do 
mestici.  Allorché  Morito  vede  vivo  il  rivale  che  crede- 
va 'li  avere  colpito,  l'ira  e  il   furore  lo  invadono; 

vi  Jgendi  p  pi  ti  lo  sguardo  al  leti ice  l'a 

mata  donna  da  lui  stesso  uccisa,   egli   è  preso  dal 
reo  e  dalla  ili  e,  e  con  la  stessa  spada 

guinante  del  -augii'-  'li  Resa,  in  un  l'aleno  si 
trafigge  il  cuore. 

3.    -    Il    Shogun. 

i  :   XIV  seci il  l. 

'    parecchi   secoli    i   M  ikadi  i  fo 
ani  del  Giappone,  tuttavia  l'effettivo  | 

nelle  mani     lei    Shogun,   cioè   dei    governatori,    il   CUI 

e  .il  une  i amiglie.  I  Ina 
tra  queste  delli  era  quella  degli  Asikaya, 

fi  siaki,   in. e  to    di    M 
Ho  del  S 

irsi  a  lui.  t  '.li  muove  quindi  guer 

r.'l.   :  '  ischio  dì  esser 

io  ;    ila  tale  pi  ricolo  lo  salva  un  SUO    fi 

ed  è  in  sua 


presi  'li'  mdannati  i  a  sqi  il  veni  re.  Nessuno 

s'avvede  della  sostituzione  perchè  il  pi  non 

Meni-  ..in. lotio  'Iman/i  al  Shogun  i  he  lo  avrebbe  ri- 
cono-,  uti     Mai  il  -  e  t die  'li    [osiaki,   app 

Conosce   la  sorte  ilei  suo  presunto  manto,   impazzi 

i  dolore. 

Josiaki  esce  dal  suo  nascondiglio,  e,  vagando  pel 
campo  di  battaglia,   incontra  Mitchisuki   col  tìglio 
'l'aitaro  e  la  figlia  Riku.  e  1"  prega  ili  indicargli 
via.  Sebbene  Josiaki  sia  travestito,  tuttavia  è  sul 
riconosciuto  da  Mitchisuki  che  era  un  tempo  al 
vizio  del  padre  di  lui.  Egli  si  rivela  al  fuggiasco,  lo 
in\  ita  a  segu  rio  nella  propi 

nerlo  quii  i  i  elati  i  1 1  figlii  >  I  li  •  he  ascolta  at- 
tento ogni  loro  parola,  concepisce  il  disegno  di  ri- 
riferir tutto  al  Shogun  per  averne  un  compenso;  la 
figlia  Riku  invece,  che  nulla  sa  dello  stranieri 
innamora  ili  lui.  La  pazza  Macai'. i  frattanto,  dopo 
aver  girato  per  qualche  tempo  di  villaggio  in  villag- 

i  irmand ì  >ui ti  e  con  le  sue  danzi 

zimbello  dei  monelli,  viene  raggiunta  dai  soldati  del 
Shogun  '■  condotta  nel  suo  pala//". 

Josiaki,  travestito  da  servo,  attende,  i  <-r  non  de- 
si spi  ni.  ai  lavi iri  di imesl ici  nella  casa  di  Mit- 
chisuki. La  giovane  Riku  gli  conlessa  il  suo  am 
e  lo  prega  ili   sposarla.   Tait aro.   nasi.  olta; 

egli  pensa  ili  riferire  anche  questo  al  Shogun.  Ma 
nel  frattempo  giungono  alcuni  soldati,  i  quali  hai 
l'incarico  'li  condurre  la  giovane  Riku  in   una 

il  Simulili  che  ha  udito  parlare  molto  della  bel- 
lezza ili  lei,  e  desidera  possederla.  Il  padre,  afflitto 
pel  doloroso  annunzio,  chiede  consiglio  a  Josiaki.  il 
quale  gli  propone  .li  vestirsi  degli  abiti  ili  Riku 
entrare  in  luogo  .li  lei  nella  lettiga  e  ili   lasi  i  irsi  con- 
durre al  palazzo  del    fratello.    Anche  a  unto  qu 
assiste  I  aitari >,  che  si  pri .pone  ih  tradii  pure  il  pa 
dre.  e  di  riferire  al   Shogun  l'inganno  prima  chi 
sorella   Riku   sia    posta   in   salvo.    Ma   il    suo    piano 
malvagio  non  ri(  SCe 

Nel    granile  giardino  'lei   pala//",   il   Shogui 
condato  ila  tutti  i   dignitari,  ad  una   rap 

sentazione  di  danzatori  e  'li  commedianti.    Entrano 
i  si  .Mai  i  che  liei  ii        pi     ii  'mera  la  pazza  Ma 
mail  Shogun,  poiché  vede  che  ella  ì  affatto  'min 
la   lascia  in  vita.  Giungono  poi  i  soldati  con  la 
tiga chiusa, ovi        roi  i  Josiaki.  [1  Shogun.  ritenendo 
che  quivi  sia  la  bella  Riku,  prega  i  suoi  dignitari  di 
la  ciarlo  solo  con  lei,  poiché  non  desidera   avei 
Stimoni  al  colloquio.  Quali  non  sono  la  sua  meravi- 
glia e  il  suo  terrore  allorché,  invece  della  di 

oomparire  ai   suoi  occhi  il  fratello 

che   i  già  morto:   E'  l'ombra  di  Josiaki  che 

Questi  rivela  al    fratello  ogni  cosa,  e 

violentemente  lo  a  tiri" 

mortalmente  col  suo  pugnale:  ma  il  Shogun  rai 

glie    tUtte    le   Slle    l'I 

la   il   rivale,    gli  cinge  il    collo   e    lo  soffoca.    1 
due  fratelli  muoiono  insieme.  Mitchisuki.  che  aveva 

o  da  'dati,  ch'i 

/ n. incelili.,  la  pazza  Mai    !■      Vllon  he  que- 

p.va  i    cadaveri  ancor  caldi  del  nen 
.•  dell'amato  sposo  che  già  aveva  inane.  |  er  morto, 
e  muore  di  crepacuore. 


DALLE    RIVISTE 


lie  code 


(Da  un  articolo  del  Pearson's  Magazine,  «li  febbraio). 

Sebbene  le  code  siano  organi  ili  essenziale  impor- 
tanza nell'anatomia  e  nella  fisiologia  di  molti  ani- 
mali, pare  che  esse  siano  stato  alquanto  trascurate 
dagli  studiosi  e  non  abbiano  attirato  tutta  l'atten- 
zione che  meritavano. 

La  coda  non  solo  è  l'organo  più  versatile,  ma  fra 


•;77 

fruste  non  esistevano  mentre  esistevano  gli  insetti 
fastidiosi.  Ora  la  frusta  fa  l'effetto  di  una  mosca,  ed 
appena  la  sferzata  è  data,  la  coda,  per  abitudine  e- 
reditaria,  "pera  come  se  dovesse  cacciar  via  la  mo- 
Per  una  vacca  sembra  che  sia  minor  fatica  a- 
gitare  continuamente  la  coda  a  dritta  e  a  manca  col 
molo  regolare  del  pendolo,  che  compiere  movimenti 
difensivi  intenzionali  via  via  che  l'occasione  lo  ri- 
chiede. In  molte  località  è  veramente  questione  di 
vita  o  di  morte  per  il  bestiame  l'avere  la  coda  atta 


Il  giaguaro. 


le  membra  del  corpo  può  reclamare  la  precedenza 
in  ordine  d'antichità,  perchè  già  in  un  remotissimo 
passato,  avanti  che  esistessero  le  gambe  o  le  braccia, 
compiva   funzioni   importantissime. 

Fra  gli  animali  terrestri  la  coda  serve  a  moltis- 


a  cacciar  via  gl'insetti,  e  non    v'ha    dubbio  che  tra 
due  animali  uno  con  la  coda  ed  uno  senza,  in  una 
regione  infestata   dalle  mosche,   quello  senza  coda 
soccomberebbe  più  facilmente  nella  lotta  per  l'es 
stenza. 


Una    ■  oda  prensile. 


simi  scopi.  Dai  cavalli  e  dai  buoi  e  usata  quasi  e- 
sclusivamente  come  mezzo  di  difesa  contro  gì  in- 
setti disturbatori.  A  tal  uopo,  essa  è  provvista  di 
musi-oli  che  l'agitane  da  una  parte  e  dall'altra  quasi 
automaticamente.  Avete  mai  osservato  che  quando 
una  frustata  cade  sul  dorso  di  un  cavallo,  la  i 
ha  un  sussulto?  Ciò  può  esser  dovuto  al  fatto  che 
quando  i  nervi  ed  i  muscoli  ihe  presiedono  ai  mo- 
vimenti della  coda  appresero    la   loro  funzione,  le 


Le   pecore  domestiche   nascono  quasi   tutte  prov- 
viste di  lunghe  code,  che  però  vengono  tagliate,  per- 

pare  che  rechino  danno  agli  animali.    1   au 
dell'articolo   non  sa  spiegare  l'esistenza  delle   i 
così  sviluppate  se  non  con  la  considerazione  che  tra 
i    popoli  dell'Oriente,   ove  probabilmente  le  pi- 
ti.rono  prima  addomesticate,  la  coda  è  considerata 
come  un  cibo  prelibato,  e  quindi  s'è  dato  sviluppo 
alle  razze  munite  di  coda.  Quasi  tutte  le  pecore  sei 


I  A    l  !   l'i  URA 


dalle  quali    sono   d 

lomestiche,  possegg code  magre  che 

i  non  servono  a  cai  setti,  e  ciò 

li   che  vivono   nelle  rej 
,  .ni  altezze   ove    le    mosche .   1   ta- 
ri abbondano. 

hanno  alcune  funzioni  cu- 
ii  he  si  mbrano  essere  esl  ri 
inamente  utili  resj  liratorì  quando 

l'animale  è  addormentai  he  la 

cani  da  timone,  e  li  aiuta  a 
e  rapidamente,  ma  ciò  sembra  al- 
f autore  improbabile,  per  molte  ragioni,  eira  K 
mplicissima,  che  l'autore  non 
ricorda    d'aver    velluto    mai     un    cane    muo- 
vere la  coda  nel  voltarsi  alla  corsa.  Ma  sovratutto  la 

a  del  cane  ila   indi/io  del    suo  stato  psicoli 
I  animale  la  solleva  e  fa  dimena  sotto  l'impres 
della  gioia,  l'abbassa  quando  è  afflitto  e  la  piega  ira 
le   gambe    posteriori   quando    è   atterrito.    L'ai 

nte  che  i  e. un  abbiano  un   linguaggio 

caudino,  che  l'agitar  della   coda  sia  un  metodo  «li 

'izie.   In  una  muta  di  cani  da  caccia 

ogni  sservando  la  coda  dei  compagni,  può 

stata  so  ivata  la  preda,  se  v'è  un  nemico 

so  in  \  imi. in/. 1.  pui  1  mina  farsi  un 

di  quello  che  si  vede. 

te  la  inda  serve  come  appara  1    d 
re  la  trova  nel  fatto  che  in  molti 
la  punta  della    1     1      bianca  e  questa  partico- 
larità n'ra  amile  in  molti  lupi.   Se  un  mem 


indine  .h  osa  rvare  la   n  da  di  quelli  che  li. inno  in- 
nanzi, <•  agire  in  1  za. 

Fatta  11    per   le   linci,  tutti  i  felini 


■       *  | 

N 


Canguro. 

re   la  si  1 

quindi  entra    in  1  proda» 

'ii   dal  ra  1  Iella  'oda  ; 

unti  i  •  la  consue- 


Scinmii.i  sud  americana. 

hanno  i-ode  bene  sviluppate  che  servono  a  \ari  US  . 
alcuni  ovvi,  altri  curiosi.  Per  esempio,  si  afferma 
ehe  il  giaguaro  abbia  l'abitudine  di  far  penzolale 
la  punta  della  coda  nell'acqua  per  allenare  il  pes  e 
a  \enire  a  tiro  dei  sui  1  formidabili  artigli.  Tutti 
gli  animali  della  famiglia  dei  gatti,  provo 

i.ui.i  la  coda.  Onesto   fallo  non   può  spiegarsi  se  non 

come  un  esempio  di  ciò  che  si  chiama  •  mimetismo 
protettivo».    Fra    gli   insetti    ed   altre  simili   ri 
ture  si    veggono  spesso  gli    individui 
indi)'       1        are  i  modi  e  gli  aspetti  di  altri  animali 
più    formidabili,    assicurandosi  cosi  l'immunità    da 
gli  attacchi.  Onesti  -   sistema   di   di] 
animali    appartenenti    alle  classi   più    ele\ 
molti   felini,  di  fronte  al  nemico,  imitano 

li  n/a    1    vi  ,  [eni  «i.    e  D  SÌ    si    valgi  'ili  1    (lei 

mrc  isl  i ut i \  1 1  ispiralo  da  i  si  1  peni  i.  orrore  rh 
ra  in  unii  gli  animali   dal  sangue  caldo. 
E'  ni  ito  chi  un  1    i  scr|  enti   velenosi,  infu- 

riati, agitano   1  esl  remi   1    1  lei  la  e  da  ;   e   la  ci  d 

1  '  felini  ■'  1  igata  1 1  macchiata  in  modo 
da  somigliare  molto  a  quella  >Yun  serperne  Vnche 
quando  il  nemico  non  è  completamente  ingannato, 
il  semplici  sospetto  che  si  ir.uii  di  un  serpente  lo 
demoralizza  abbastanza  per  dar  tempo  al  felino  mi 
1  allontanarsi.  L'autore  dell'articolo  rife- 
risce d'aver  terrorizzato  uw.\  volta  una  scimm'a  fé» 
rocissima   semplicemente  mostrandole    un 


DALLE    RIVISTE 


finto,  che  pure  era  molto  mal  fatto.  E'  vero  che  an- 
che i  felini   più  grandi  e  più  formidabili,   come  le 

[antere,  i  leoni,  le  tigri,  ecc.,  che  pur  non  hanno 
bisogno  di  certi  inganni  per  propria  di  tea.  agi 
la  coda  quando  sono  presi  dal  terrore  0  dal  furori-. 
Ma  va  rammentato  che  tutti  questi  abiti  ereditari,  e 
specialmente  quelli  comuni  a  specie  od  a  fan; 
intere,  sono  di  remotissima  antichità:  e  nei  primi 
tempi  della  vita  dei  mammiferi  sulla  terra  tutti  gli 
antenati  dei  felini  moderni  —  e  in  generale  tutti 
gli  animali  dal  sangue  caldo  —  erano  così  piccoli  e 


Scoiattolo  volante. 


-V' 

mal  ditesi  che   avevano  bisogno  di    quelle  simula- 
zioni per  evitare   1  estinzione 

Ai  topi  ed  alle  scimmie  «lei  vecchio  mondo  la  coda 
serve  coinè  sussidio  per  reggersi  in  equilibrio  quan- 
do ve  n'è  bisogno.  Alle  scimmie  sud-americane  serve 
1  er  afferrarsi  ai  rami  degli  alberi,  e  appunto  la 
parte  inferiore  di  quell'organo  è  sprovvista  di  poh 
iperta  di  una  pelle  simile  a  quella  del  dito  li- 
mano. \  sono  anche  molti  altri  animali  provvisti 
di  coda  lunga  e  prensile  come  il  kinkajou  del  Sud- 
America. 

Agli    scoiatto= 
li  la  coda  s<  rve 
nello  stesso  tem- 
po da  paracadu- 
te e  da    timone 
nei  salti  meravi- 
gliosi   che    essi 
fanno    'li    ramo 
in    ramo  .  e  nei 
così    detti    sco- 
iattoli volanti  i  peli  della  coda  sono  sparsi  ai 
due  lati  in  modo  da  dare  un  ceno  sostegno  al- 
i  animale  nel  suo  a  volo  »  aerei». 

Pi  ;  canguri,  la  coda  costituisce  come  un'al- 
tra gamba:  quegli  animali  si  seggono  como- 
damente su  essa  e  sulle  zampe  posteriori,  e 
quando  vogliono  spiccare  un  saico,  '_*  la  coda. 
;.  forte  e  muscolosa,  che  dà  la  spinta. 
Tra  i   pesci,  come  è  noto,  la  ; 'pre- 

senta un  mezzo  di  locomozione  importantis- 
simo: è  essa  l'organo  propellente.  I  delfini, 
le  balene,  ecc..  hanno  la  coda  disposta  oriz- 
zontalmente, anziché  verticalmente  come 
l'hanno  gli  altri  abitanti  dei  mari.  Ciò  devesi 
probabilmente  al  fatto  che  quegli  animali 
non  vissero  sempre  nell'acqua  ma,  nati  nel- 
l'acqua, passarono  poi  alla  terraferma.  Più 
tardi  poi  tornarono  al  loro  elemento  primitivo- 


I  giornali  giapponesi 

Ha  un  articolo  ili  R.  Candiani,  nella  Revue  Blem-  . 

Si    pubblicano    attualmente   nel    Giappone 
500  tra  giornali,   riviste  e  periodici  diversi.  Le  dif- 
ficoltà per  comporli  sono  grandissime,  e  il  signor  A 
sahima.   direttore    dell'importante  foglio  quotidiano 
Nishi-Shimbum,  le  spiega. 

I  caratteri  tipografici  giapponesi  non  rappresen- 
tano singole  lettere  e  neppure  sillabe  o  gruppi  di 
sillabe.  Ciascuno  di  essi  corrisponde  a  un'intera  pa- 
rola. Ora  la  lingua  giapponese  è  una  delle  più  ric- 
che del  mondo;  talché,  per  comporre  un  solo  nu- 
mero di  giornale,  occorrono  da  $0  a  50  mila  carat- 
teri, rappresentanti  altrettante  parole.  Per  guada- 
gnare tempo,  si  danno  in  tipografia  due  copie  di 
ogni  manoscritto:  uno  è  affidato  a  una  squadra  di 
operai  che  vanno  cenando  nelle  elativi  ca- 

ratteri, l'altra  ai  compositori,  che  mettono  insieme  i 


caratteri  raccolti  dai  loro  compagn     I    la  s  ruadra  di 
ragazzi  porta   i  caratteri  dai  primi  ai  secondi. 

lari  di  tanti  tipografi  sono  alti,  e  pochi  gior- 
nali sono  quindi  attivi.  Tutti  i  Giapponesi  chiedono 
ohe  si  rinunzi  alla  scrittura  nazionale,  per  adottare 
i  caratteri  latini,  la  qual  cosa  stringerebl  e  i  rapp 
intellettuali  del  Giappone  con  le  nazioni  occidentali. 
.limi" 

Gli  uomini  più  Fieehi  nel  mondo 

In   America   ni  11  si  è   milionari  se  non 
gono  5   milioni  di    dollari,  cioè   25   milioni    di   lire. 
Waldori  Astor  possiede  un  miliardo.  \    ndi 
6  a  800  milioni,  altrettanti  Guglielmo   Rockfelli 
parente  del  re  del  petrolio. 

Ma  l'uomi  ;  più  ri'  o  ■  che  sia  al  mi  mi  li     sarebbe  un 
se,  un  corto  J.  l-iei: .  proprietario  della  mota  delle 
officine  dell'Africa  del  Sud:  il  quale  possederebbe, 
in  odra   tonda,   due  miliardi   -  li   franchi. 


LA    LETTURA 


Polacchi  contro  Prussiani 


René  Henry,  nella  K,-.'n,    fi 

i  di  cento  anni  che  la  Prussia,  la  Ru 

,•  si   divisero  la    Polonia 
nondimeno  questa  nazione 

prove  -in. nulo,  in  ogni  estate,  la 
il  fior  fiore  della   | 

ualche  città  ili  bagni,  e  quaro 
,    la  condotta  del  clero,   altrettanto   p 
uello  irlandese,  e  negli  stessi  villa 
ntimento  nazionale  è  vivacissimo.  I  tre  pezzi  ili 
dia.  artificialmi  irati,  vivono  'luna 

e  quando  i  tacciato,  gli  altri 

!    Austria,  che  s'impadronì  nel  1846 
1    Repubblica  'li  Cracovia,  ha  ora  .-.incesso  ai 
Polacchi  l'autonomia  in  Galizia  e  lascia  che  essi  vi 
rimano  i  Russi  austriaci,  0  Ruteni  ;  e  l'elemento 
pola  ente  a  Vienn  1  cre- 

duto,  pochi  anni  addietro,  .li  poter  far  dichiarare 
dall'Austria  la  guerra  alla  Russia.  Quest'ultima  fu 
considerata  a  lungo  come  una  nemica  irreconcilia- 
bile della  nazione  polacca,  specialmente  quando  Na- 
poleone fece  sperare  l'indipendenza  ai  suoi  fedeli 
icchi  e  quando  i  Russi  occuparono  Varsavia,  pri- 
rxutivamente  toccata  alla  Prussia.  Ogni  volta  che  la 
propaganda  ortodossa  ha  mi  il  cattolicismo, 

Bismarck  e  t'aprivi   hanno  a  loro  volta  minao 
la  Russia  «li  giocare  la  «  carta  polacca  ». 

ti  alla  Prussia  nel  ducato 
.  della  Slesia,  delle  Provincie  orientali  prUS 
siane,   sono  minacciati  .li  germanizzazione;  quindi 
tutta  la  Polonia  si  arma  moralmente  per  far  fronte 
al   nuovo  perìcolo.  E'  la  vecchia  lotta  dello  Slavo 
ro  il  Tedesco,  0  minciala  anticamente  quando  i 
I  massacrarono,  tra  l'Elba  e  l'O.ler.  i  Wendi 

ni,  continuata  tra  Polacchi  e  ■  Cavalieri  della 
Croce  ».  monaci  guerrieri  che  Sienckiewicz  chiama, 
nel  suo  romanzo  omonimo,  «  implacabili  e  duri  co- 
■  ;  proseguita  aurora  da  Federico  II.  i- 
1  ila   Polonia.   La  marcia 
-  Drang  nach  Ostai  —  è  ora  arre- 
.1    dalla    frontiera    russa;    ma.    nell'interno  del- 
l'Impero che  resta  di  slavo  è  com 
oltranza,  e   particolarmente   il    gruppo 
O  ni]"  isti  1   'li  ,ì  milioni  .1  anime. 
Al  principio  del    iqoi.   i   maestri   'li  scuola  tede- 
lacchi  ebbero  or. line  ili  attenersi 
rigii                il  rescritto   il  quale  imponeva   che  le 

ero  essi  re  recitati  in 

dagli  scolaretti,    l'n   maestro  del   borgo  di 

\v.  r  chen,  fervente  germanizzatore,  diede  prova   di 

pas- 
oli  allievi.  Ricorse  all'ispettore  del  di- 
lle venne  insieme  ad  altri  ufficiali  sco- 
pi   io  hi  non  si  lasciarono  in- 
1    rispondere  in  po- 
lenz        VH01  irono  i  ca 

tur. -no     p 

lunghe  l  giunco.   Si  U- 


divano  le  grida  dalla  via;  le  madri  piangevano,  im- 
precavano, tentavano  invano  di  aprire  le  porte  .Iella 
scuola:  i  gendarmi  le  dispersero.  Nell'autunno,  il 
tribunale  .li  Guiezdmo  ne  condannò  una  ventina  a 
anni  di  carcere.  Una  vedova,  inferma,  quasi 
in. .lente,  i  cui  sette  tìgli  erano  stali  percossi,  fu  1 
dannata  a  due  anni  e  mezzo  di  bagno  per  aver  d 

iudici:  1  \"i  vogliamo  che  i  nostri  tìgli  appretv 
dano  la  religione  in  polacco,  perchè  altrimenti  non 
potremmo  pregare  con  loro  ».  Che  sarebbero  d 
miti  i  sette  orfanelli,  senza  pane,  nella  loro  capanna 
Enrico  Sienckiewicz,  mandando  200  corone 
per  essi  al  giornale  Czas  'li  Cracovia,  scrisse:  t  Vo- 
gliono lar  morire  «li  fame  i  fanciulli  eroi?  »  Il  ce- 
lebre romanziere,  che  ha  esaltato  il  sentimento  na- 
zionale, denunzia  al  moti. lo  intero  il  «  Prussiano  ». 
assassino  della  patria  sua.  «  E'  avvenuta  in  P 
sia  ».  scrive  egli.  «  una  decomposizione  generale  de- 
gli spiriti,  una  degenerazione  dei  sentimenti  «li 
stizia  e  di  verità;  il  senso  morale  è  scompars 
Quando  un  simile  organismo  sociale,  in  seguito  a 
circostanze  funeste,  si  è  sentito  poi.  tue.  ehi- e,, sa  ne 
poteva  risultare,  se  non  i  mostruosi  sintomi  dei  quali 
il  processo  di  Guiezdmo  è  un  esempio?...  »  Il  ce- 
re Paderewsky,  sopra  un  palcoscenico  pieno  .li 
fiori,  in  mezzo  a  un  entusiasmo  indescrivibile,  ha 
a  I'osen  un  concerto  a  benefìzio  dei  bambini  .li 
Wreszno.  Il  pittore  Kossak,  al  quale  Guglielmo  li 
aveva  dato  incarico  di  dipingere  parecchi  quadri 
rappresentanti  le  imprese  dell'esercito  tedesco  in  Ci- 
na, ha  rifiutato  la  commissione  e.l  ha  lasciato 
lino  per  Cracovia.  Il  Czas  ha  raccolto  200  mila 
franchi    per  i  piccoli  martiri. 


L'incidente  «li  W  reszno  non  è  un   fatto   is. 
eccezionali     V''<   Provincie  polacche  è  in  vig 
un    sistema  ili   germanizzazione. 

Xel  1870  i  reggimenti  polacchi  dell'esercito  prò* 
siano  si  erano  battuti  accanitamente  contro  i  Fran- 
cesi   per  le  ragioni   che  Sienckiewicz   spiega   nella 
sua  novella  intitolata  Bartek  il  vittorioso.  Il  16 
Sto,  quando  una  brigata  polacca  comandata  da  uf- 
ficiali tedeschi  fu  attaccata  dai   Fran. 
dante    diede  online  che  la   musica  suonasse  l'inno 
nazionale  polacco;   e   a  quel    suono  il  sangue  Ix'llì 
nelle  vene  dei  soldati  .-.1   essi   si   lanciarono  sul  ne 
0  cantando  l'inno  patriottico:  <■  La  Polonia  non 
morta'.  Urrà!   Urrà!  »  E  Bartek  pugna 
eroe  e  s'impadronisce  di  tre  bandiere  <■  di  due  can- 
noni; ma  quando  gli  domandano:  «  Perchè  ti  batti 
coi    Francesi2  »   l'eroe   dapprima    resta   mu>". 
traducendo  istintivamente  il  sentimento  dei  suoi  ca- 
di, risponde:   «  Perchè  sono   Tedeschi,  ci   an- 
eli,- peggio;  earogne!  ». 

I     redeschi  non   furono  grati  ai    Polacchi   del  va- 
lido aiuto  che  neebbero.  finita  la  guerra  peroti 
rei1,  ca  dell'Impero  da  lui  fondato,  Bismarck 

combattè    l'elemento    polacco    nelle    sue    cred. 
Ila  sua  affezione  alla  terra.    11   <    « 
b  di    sferzare  la  Chiesa   cattolica  poi  1 


DALLE    RIVISTE 


38l 


ultima    organizzazione  ufficiale  che    potesse    servire 
agli  irredentisti.    Il  Kulturkamff  non   fu  soli 
una  lotta  religiosa,  ma  anche  un  attacco  contro  la 
nazionalità  polacca.  L'arcivescovo  di  Posen  —  oggi 
cardinale  Ledochowsky,  prefetto  di  Propaganda  ■ — 
fu    condannato  a   2    anni   di  carcere.    Nello    stesso 
tempo   egli  cercò  di    far   passare  la  proprietà  del 
suolo  ai  coloni  tedeschi.  Dopo  la  tregua  del  1885  — 
quando   i    deputati  polacchi,  per   un   momento 'ben 
trattati,  votarono  il  secondo  settennato  militare,   la 
legge  agraria  fu  diretta  ad  aiutare  la  colonizzazione 
tedesca  ;  allo  stesso  tempo  la  banca  Ziemski  oppose 
a  questa  la  contro-colonizzazione  polacca.  Ma  i  co- 
loni tedeschi,  trasportati  con  grandi  spese  in  Polo- 
nia, parte  si  assimilarono  ai  nazionali,  parte  fuggi- 
rono per  la  nostalgia.  Gli  Slavi   aumentarono  nel- 
l'Impero tedesco.   Quando  Guglielmo  II  sali  al  tro- 
no, il  leader  dei  Polacchi  al  Reichstag,  Koscielski, 
fu  ufficialmente  incoraggiato  a  tentare  una  politica 
di  buon  accordo,  e  pronunziò  la  famosa  frase:  «  Noi, 
Prussiani    di  lingua  polacca...  ».  ma  un  discorso  di 
Guglielmo  II  gli  tolse  ogni  illusione.  Ora  gli  anti- 
polacchi sono  onnipotenti.  Si  vieta  al  clero  polacco 
di  predicare,  di  cantare,  di  insegnare  nella   lingua 
nazionale.  La  lotta   agraria  si   acuisce.   Nell'agosto 
del  1901  il  Governo  prussiano  compra  120  mila  ar- 
penti   di  terra  nella    Posnania.    per    distribuirli  ai 
coloni  tedeschi  ;   dall'altra  parte  i  Polacchi  si  asso- 
ciano per  venire  in   soccorso  di   quelli  fra  loro  che 
sarebbero  tentati  di  vendere  le  loro  proprietà  ai  ne- 
mici della  patria,    e   tutti    gli  agricoltori  polacchi, 
tanto  quelli  soggetti  alla  Prussia,  quanto  quelli  ob- 
bedienti all'Austria  ed  alla  Russia,   tentano  di  fon- 
dare una  unione  economica  di  mutuo  soccorso. 

I  Prussiani  rispondono  perquisendo  gli  uffici  dei 
giornali  polacchi,  imprigionando  giornalisti  e  pub- 
blicisti. Il  caso  di  Casimiro  Rakowski.  condannato 
a  2  anni  di  carcere  a  per  ribellione  »  e  attualmente 
nella  cittadella  di  Posen.  ha  fatto  chiasso;  una 
colletta  in  favore  della  sua  famiglia  ha  già  frut- 
tato 30  mila  franchi.  Anche  i  soldati  polacchi  sono 
considerati  con  sospetto.  Nel  luglio  scorso,  a  Bre- 
slau.  sono  accusati  di  complotto  per  disertare  in 
Russia  in  caso  ili  guerra;  a  Danzica  un  fantaccino 
polacco  è  condannato  a  un  mese  di  prigione  per- 
chè nel  suo  libro  di  preghiere  si  trova  un'immagine 
sacra  con  l'iscrizione:  «  Signore,  proteggi  la  Po- 
lonia ».  Le  lettere  con  l'indirizzo  in  polacco  non 
sono  consegnate.  Il  Governo  sassone,  nel  settembre. 
vieta  di  far  uso  delle  lingue  slave  nelle  assemblee 
delle  Società  polacche  e  czeche. 

I  Tedeschi  mirano  specialmente  a  germanizzare 
le  giovani  generazioni:  ma  i  risultati  non  sono 
quelli  sperati.  A  Thorn  si  intenta  un  processo  a 
sessanta  studenti  accusati  d'aver  «  desiderato  la  ri- 
costituzione della  grande  Polonia.  La  resistenza  dei 
fanciulli  di  Wreszno  è  imitata  in  tutte  le  scuole  ru- 
rali. Enrico  Sienckiewicz.  suddito  russo,  dopo  avere 
scritta  la  lettera  al  Czas,  giornale  austriaco,  è  proces- 
sato in  contumacia,  dinanzi  a  un  tribunale  tedesco. 
per  aver  attaccato  in  quel  foglio  straniero  l'Impero 
e  l'Imperatore  tedesco.  Questo  fatto  ha  avuto  o  n 
guenze  gravi,  perchè  Sienckiewicz  è  considerato  c< 


me  il  re  della  Polonia  ideale,  per  aver  evocato  e  im- 
mortalato nei  suoi  libri  gli  eroi  della  patria.  Il  Bii- 
low  e  altri  ministri  hanno  dichiarato,  con  abili  ma 
vane  restrizioni,  che  la  guerra  è  impegnata  ad  oltran- 
za. Il  credito  prussiano  per  sviluppare  e  affermare 
l'elemento  tedesco  nelle  Provincie  polacche,  è  s 
lionato  da  400  mila  marchi  a  un  milione.  A  Posen 
si  fonda  una  università  tedesca  e  una  biblioteca  che 
conterrà  800  mila  volumi;  a  Bromberg  una  scuola 
prussiana  di  agricoltura.  Il  numero  degli  agenti  della 
polizia  segreta  -'accresciuto,  le  guarnigioni  nei  paesi 
polacchi    sono  aumentate. 


Tutto  ciò  produce  e  produrrà  molte  e  gravi  con- 
seguenze.  Col    risveglio  dei   Polacchi,    la  quistione 
delle   nazionalità,   già   sollevata  dai    Danesi   dello 
Sleswig  e  i    Francesi  dell' Alsazia-Lorena,  è  già  po- 
sata nell'Impero  tedesco:   gli  elementi  irredentisti  vi 
divengono  numericamente  importanti.   Al  Reichstag 
e  al  Landtag  l'evoluzione  del  Centro  verso  il  nazio- 
nalismo tedesco  sarà  rallentata.  Il  commercio  tede- 
sco già  soffre  per  il  boicottaggio  dei  prodotti  germa- 
nici nei  mercati   polacchi.   I   rapporti    russo-tedeschi 
e  austro-tedeschi  risentiranno  le  conseguenze  di  que- 
sti fatti.   In  Russia  parecchi  giornalisti  hanno  tatto 
una  campagna  per  i  Polacchi  di   Prussia  ;   a  Varsa- 
via, quando  fu  abbattuto  lo  stemma  del   Consolato 
tedesco,  i  dimostranti   erano  metà  polacchi  e  metà 
russi;   il  Comitato  di  beneficenza  di  Mosca  ha  man- 
dato 200  corone  alla  sottoscrizione  del  Czas.  In  Po- 
lonia già  si  vagheggia  una  federazione  slava   sotto 
la  protezione  della  Russia,  e  il  Governo  russo  • 
tutti  i  vantaggi  che  può  ottenere  nella  situazione  pre- 
sente. Lo  Zar,  soggiornando   in    novembre  a  Skier- 
niewice.  presso  Varsavia,  volle  ricevere  i  rappresen- 
tanti della  nobiltà  polacca,  ai  quali  disse:    «   Polac- 
chi, mi  trovo  bene  fra  voi  ».  E  i  funzionari  russi  del 
Granducato  di  Varsavia  hanno  l'ordine  d'imparare 
il  polacco:    il  dazio  sui  libri  e  sui  giornali  polacchi 
in  Russia  è  soppresso;  ai  professori  polacchi  non  si 
contendono  più  i  posti  nelle  scuole  superiori  ;   la  po- 
lizia russa,  sequestrati  una  quantità  di  scritti  rivolu- 
zionari, ha  scoperto  che  erano  opera  dei  Tedeschi  in- 
tenti   a   metter    nuovamente  in   guerra   Russi    e    Po- 
lacchi. 

Anche    i    Polacchi   dell'Austria  sono    esasperati 
controia   Prussia.  A  Cracovia  e  a  Leopoli  le  dimo- 
strazioni contro  la  Germania  si  susseguono  e  si  ag- 
t no.    A  Vienna  un  ministro   polacco  del    gabi 
■  Koerber  ha  assistito  a  una  riunione  nella  quale 
si    è   attaccala  violentemente    la    Prussia.   Ora    i    fio 
deputati   polacchi  al    Parlamento  austriaco  possono 
formare  la  maggioranza  se  si   ali. 
con  gli  Slavi  del  sud  e  i  Tedeschi  delle  Alpi.  Que 
sta   alleanza  non   è  ancora  prossima,  ma  non  è 

In  le  che  un'Austria  nuova  e  più  forte  si  allon 
tani  dalla  Germania  e  si  accosti  alla  Russia  ed  alla 
Francia. 


- 


LA    LETTURA 


Ginnastica  e  salute 


1 sin  dalla  culla  ad  usare  le  due  parti  del  o 

[mente    non     si     può    ottenere    la    simrai 
ta.  L'u  -  he  si  fa  del  brai  ciò  diritto 


Hai    aret    II. 


def  rmi,  e  pure  ro  m  si  o  intano  le 

spalle  curve  e  gli  oo  hi  munii  i  'li 
lenti.  Tutti  questi  difetti   fisici,  spe  leg 

considerati  come  vere  i 
ur  tali  da  sottrarre  molto  alla  salute  e  alla 
belle  possi  no  in  gran  parte  i 

sì  il  benessere 
1  bambino,  ma  si  pone  la  base  di  Ila 
gì  ire. 
l'n  bambino,  nella  generalità  dei  casi,  è  all'atto 
i    nascita  elicati     ma    non  ..ni.-  da 

:upare.    I 
«o     poi  .  lentamente  . 

subdolamente  Bisogna  dun-  r — i — r 

que  pieve  lirle  con  cura  at- 
■  uà. 
Per  vedere  se  la  spina 
dorsa  li  |  erfettamente  ili 
ritta.  1  -'•una  far  curvare  il 
bambino  tenendo  i  calcagni 
giunti,  i  piedi  ail  augnili,  e 
proti  ndendo  le  mani  come 
per  toccare  le  punte  'lei  pie 
di.  Questa  posizione  fa  e- 
mergere  le  vertebre  'Iella 
.-.pina  dorsale,  e  si  vede  SU- 
bilu  se  v'è  qualche  curva- 
tura. 

il  si  abitua  un  l>am- 


L'n'altra 


t  Ina  posizione  ni' 


li     più    ''he    ilei    siili- 

i  he  la  parte  destra  'lei  corpo  si 
sviluppi   assai  più  dell'altra,  ma 

il    diletti'  e  piccolo  e  ili    pOCO  mo- 

mento.   Ter  contro,  non  \      i 

ne  perchè  un  ani  >sere 

più  gè  issa   dell'altra.  Qu  - 

o  è  di  ivuto  al  latto  ehe  i  bam- 
bini hanno  l'abitudine  di  far  |  e 

sare  tutto  il  corpo  mi  mia   g 
o  di    sedere    con   una   gami' 
piegata  sotto  l'altra. 

Nella  prima  delle  tre  illustra 
ni   ni  questa    pagina,    si 
una  baml  lina    |uasi  acci  -\  ai 
su  una    seggiola,   con    i.-    sp 
curve,  il  petto  contratto,  e  il  peso  del  corpo  gravante 

tutto  sul  li.i lestro,  per  modo  che  anche  la  spalla 

esce  dalla  sua   posizione  regolare.    Il  cape  e  pieg 
in  avanti,  il  libro  troppo  vicino  agli  occhi,  le  gami»- 
una    sopra    l'altra.     1.     una     posizione    pessima:     si 
pilo  dire  che  unii  c'è  parte  del  corpo  che  non   soli  i 

prima  di  ititi"  gli  occhi,  i  polmoni  e  la  spina  doi 

sale. 

I  ,i  seo inda  foti gì afia  un istra   la   posizione  giù 
che  dovrebbe  tenersi  scrivendo,  disegnando,  <■ 

altra  ragione  stando  a  tavolino.  Si  noti  che  sedia  e 
tavola  sono  di  altezza  proporzionata;  i  piedi  sono 
fermamente  sostenui  i,  e  la     i  spinta  al  I 

stanza  sotto  la  tavola  da  risparmiare  alla  bambina 

i.i   n. ■cessila  di  curvarsi  sul  lavoro. 

Tutti  gli   sterzi  che  danno  al  corpo  una  posi/ione 


DALLE    RIVISTE 


383 


irregolare  devono  essere  assolutamente  esclusi.  Proi 
bite  ai  bambini   ili    portare  al   collo  altri  bambini. 
Un'occhiata  alla  fotografia  in  questa  pagina  vi  spie- 
ga subito  la  ragione. 


\ 


si  strofina  la  pianta  del  piede  fortemente  dalle  dita 
al  calcagno.  Questo  deve  essere  Fatto  dieci  o  dodici 
volte  il  giorno.  E'  utile  anche,  prendendo  il  piede 
per  il  calcagno  e  per  la  punta,  farlo  girare  ripetu- 
tamente dentro  e  fuori;  frattanto  il  bambino  deve 
ire  assolutamente  passivo,  senza  concorrere 
nello  sforzo.  Non  si  cureranno  mai  abbastanza  il 
piede  e  la  caviglia.  Il  poter  camminar  bene  è  con 
dizione  necessaria  per  conseguire  un  bel  portamento, 
e  molti  casi  ili  curvamento  della  spina  dorsale  sono 
dovuti  alla  debolezza  di  una.  caviglia  o  ili  tutte  e 
due.  Per  l'eleganza  del  portamento  è  anche  molto 
utile  una  passeggiata  quotidiana,  praticata  con  co- 
stanza,  su  e  giù  per  un  giardino  od  anche  per  una 
camera,  con  un  libro  sopra  il  capo.  L'eleganza  nei 
fanciulli  si  ottiene  spesso  con  alcuni  dei  metodi  più 
semplici,  con  la  ginnastica  che  si  compie  nei  giuochi, 
correndo,  saltando,  giuocando  alla  palla.  I  bambini, 
e  le  bambine  specialmente,  dovrebbero  essere  vestiti 
in  modo  da  avere  tutti  i  muscoli  perfettamente  li- 
beri. 

E'  innegabile  che  di  tutti  gli  organi  del  corpo  i 
polmoni  sono  i  più  importanti.  Molte  malattie  sono 
dovute  esclusivamente  al  fatto  che  non  si  fanno  la- 


L'n  altro  uso  da  evitare  è  quello  di  stendersi  proni 
sui  tappeti  innanzi  al  fuoco  d'un  caminetto.  Le 
spalle  e  le  anche  soffrono,  il  guizzar  delle  fiamme 
confonde  la  vista,  e  il  calore  fa  male  al  capo. 


L'autrice  sconsiglia  di  far  portare  ai  bambini  le 
rpe  alte.  Perchè  rinchiudere  i  poveri  muscoli  in 
un  astuccio  di  pelle  che  ila  bensì  un  sostegno  tempo- 
raneo, ma  nel  medesimo  tempo  impedisce  effettiva 
mente  che  i  muscoli  stessi  si  sviluppano  e  diven 
gano  forti  abbastanza  da  reggere  il  peso  che  dovreb- 
be reggere?  La  scarpa  alta,  dunque,  va  bandita: 
se  fa  cattivo  tempo,  le  ghette  di  panno  danno  il  ca- 
lore necessario  e  una  difesa  sufficiente  dal  fango. 

L'uso  ingrossa  e  ad  un  tempo  rinforza  i  muscoli. 
Cosicché  quando  ve  una  tendenza  di  debolezza  alla 
caviglia,  due  o  tre  semplicissimi  esercizi,  purché  e- 
seguiti  regolarmente,  basteranno  a  dare  forza  ed  e- 
leganza  al  piede.  Si  fa  sedere  il  bambino  o  la  bambi- 
na, che  deve  lasciare  il  piede  completamente  passivo. 
Si  prende  la  caviglia  con  la  sinistra,  e  con  la  destra 


i  e  2.  Posizioni  sconsigliabili  —  3.  Per  camminar  bene. 


38  |  la   imi  iu.\ 

vorare  abbastanza   bene.    Molti   fanciulli   respirano 

orb  ino  ed  emettono  aria 
i   mani n  rare  i  pi limoni   come  do^ rebl 


L 


IVr 


la   spina  dorsale. 


i  hi,   Poi  fatele  aspirare  profondamente  e  lentam 

l'aria  attraverso  il  naso,  tenendo  lai :a  chiusa.  Mi 

tre  i  pi  Mini  .ni  si  riempii  mi  i,  le  braccia  debl 

sollevate  al  ili  sopra  del  capo,  e  abbassate  dietro  sin 
che  le  dita  tocchino  il  Minio,  e  poi,  i  »n  ugual 
tezza.  riportale  alla  posizione  primitiva,  espellendo 
lana  in  questo  secondo  movimento.  Bisogna  ossei 
vare  che  entrambi  i  polmoni  si  esercitino  ugualmi 
che  la  bocca  sia  tenuta  chiusa,  e  che  la  bambina  [ 
eia  in  posizione  perfettamente  diritta. 

I  n  casi  ■  di  debolezza  dei  muscoli  de] 
nete  il  bambino  sopra  una  i  avi  ila  :   fa  rrare 

l'orlo  con  le  mani  e  in  modo  che  il  corpo  dalla  cin- 
tola in  su  sia  sospeso  sul  vuoto;  poi  fategli  solli 
il  corpo  più  che  può  al  di  sopra  della  tavola.  Dopo 
questo,  che  è  fai  ile,  fategli  incrociare  le  braccia  ilie- 


e  questo  <■  un  gran  male.    Pi  rciò  bisognerebbe  inse- 

ibini  a  respirare.  A  quest'effetto  si  pos- 

esercizi.    L'n<>.  semplicissimo,    è 

Fate  i      i  ridere  la  bambina  (o  il   bambino) 

al  sui  diritta,  con  le  braccia  ai  fian- 


Per  rinforzare  il  tronco. 

tro  la  schiena  e  fatele  lare  lo  stesso  esercizio  tenen- 
dolo ben  termo  pei  piedi.   Poi  stendete  il  bambino 
sul  dorso  e  fate  rifare  gli  stessi  movimenti.  L'efl 
è  utilissimo. 


■^Ht^ 


gaft  a.*' 


GIUSEPPE  GIACI  >SA,  Direttore. 


Milano,   1902.  —  Tip.  del  Corriere  d 


Cai  1  UZZI   GIOVANNI,  gei  ente  responsabile. 


CSI 

u 
n 


ANEMIA  -  CLOROSI 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI  DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 
si  curano  e  si  guariscono  col 


IL  Pili'  ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

L.    1    la   bottiglia    in  tutte    le   farmacie 


d«~ 


SCIROPPO  PAGLIARI 

//  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  /a  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


Biogenol  Pagliari 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  BELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 


RER     USO     INTERNO     E     P  3  R     USO     ESTERNO 


L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE^  ANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 

ESTRATTO  PANERAJ 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

e-  t  t  i  i  •  ;  i  i  »  i  —  —  i  «aa.  o      nelle     for  m  o      «  •  1 1  t  <  ■  «•*•  ali 


u 

Jl 

u 
n! 

Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

\  Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 

s 


1 

ir 


il 

i 

fi 

i 


IH 


il 
Jl 
il 

ìli 
u 

n 

n 
u 

Jl 


fll 


■-» 


CORNELIA 


a— 


NOVELLA 


Don  Antonio  de  Isunza  e  don  .luan  de 
(lamblia,  gentiluomini  d'alto  lignaggio,  giu- 
diziosi, intelligenti',  della  stessa  età  e  amici 
intimi,  erano  studenti  insieme  a  Salamanca. 
Mossi  entrambi  dal  sangue  bollente  della  gio- 
ventù e,  come  si  dice,  dal  desiderio  di  vedere 
il  mondo,  risolvettero  di  abbandonare  i  loro 
studi  e  di  andarsene  in  Fiandra,  parendogli 
che  [esercizio  delle  armi,  utile  e  conveniente 
in  genere  a  tutti,  lo  fosse  più  specialmente  a 
ehi  è  nato  di  buona  famiglia  e  d'origine  illu- 
stre. Giunsero  in  Fiandra  a  pace  fatta ,  o 
quanto  meno  quando  la  si  stava  conchiudendo. 
Ad  Anversa,  ebbero  lettere  dai  loro  parenti,  i 
quali  oltre  al  mostrarsi  dispiacentissimi  per 
avere  essi  abbandonato  i  loro  studi,  gli  rim 
protravano  di  non  averli  avvisati,  onde  aves- 
sero potuto  viaggiare  colle  comodità  dovute  al 
loro  stato.  I  ilne  giovani,  vedendo  il  dispiacere 
che  davano  ai  loro  parenti,  decisero  di  ritor- 
nare in  [spagna,  visto  che  in  Fiandra  non  c'era 
nulla  da  l'are:  ma,' prima  di  rientrare  nel  loro 
paese,  vollero  visitare  le  ritta  più  famose  d'I 
t;ili:i    e  dopo  averle  tutte  viste,  si   stabilirono 

a  Bologna,  dove,  allet- 
tali dagli  studi  profondi 
di  quest'insigne  Univer- 
sità .  de  :isero  di  finire 
il  loro  corso  Ne  die- 
dero avvisa  ai  loro  ge- 
nitori, i  quali  se  ne  ral- 
legrarono, e  diedero 
prova  della  loro  appro- 
vazione provvedendoli 
magnificamente,  per  cui 


ESIGETE 


Iti! 


MARCA 

HERMANN 

MILANO -TORINO 


dal   loro  <renere  di  vita  apparisse  la  ricchezza 
e  la  nobiltà   della  famiglia. 

Fin  dal  primo  giorno  che  entrarono  a  scuola, 
vennero  unanimamente  giudicati    come   genti- 
luomini, vivaci  e  di  modi  distinti.  Don  Antonio 
era  sui  ventiquattro   anni,   don    Juan    non  ne 
aveva  più  di  vontisei.    Ouest'età  felice  veniva 
ornata  dalla  loro  bella  presenza,  dalla  loro  ac- 
cortezza e  bravura  e  dai  loro  talenti  musicali 
e  poetici,  qualità  che  li  rendevano  simpatici  a 
tutti  quelli  ohe  li   frequentavano.    Kbbero  ben 
presto  una  quantità  di  amici,  non  soltanto  fra 
gli  studenti    spagnuoli   che    venivano   in  gran 
numero  a  quelle  scuole,    ma   fra    quelli    della 
città  e  delle  altre  nazioni.  Si  mostravano  con 
tutti  pieni    di    liberalità    e   di    cortesia,  molto 
dissimile  da  quell'arroganza  che  si  suole  attri- 
buire agli  Spaglinoli,  essendo  giovani  e  di  buon 
umore,  non  dispiaceva    loro    di    conoscere   le 
bellezze  della  città,  e  benché  allora  vi  fossero 
molte  dame,  ragazze  o  maritate,  in  grande  ri- 
putazione di  virtù  e  di  bellezza,    una  le  sor- 
passava tutte  quante   ed    era    Cornelia   Benti- 
voglio   dell'antiia  famiglia   dei    Bentivogli,  un 
tempo    Signori    di  Bologna.    Kssa  era    di  una 
bellezza  meravigliosa;  viveva  sotto  la  tutela  e 
la  protezione  ili    suo    fratello    Lorenzo     lienti- 
voglio .    rispettabile    e    generoso    gentiluomo. 
Erano  orfani  di  padre  e  madre  :  i  loro  genitori 
li  avevano  lasciati    s. .li    ma    ricchi,    e  la   rie- 
chezza  è  un  gran  conforto.  Cornelia  viveva  in 
una   solitudine  cosi  profonda  e  suo    fratelli!  la 
guardava  con   una    tale    sollentudme    che,  uè 
l'ima   si   lasciava   vedere.  i:è  l'altro  permetteva 
che  la  si  vedesse  La  riputata  bellezza  dH'or- 


Attente  MADRI! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  — ■  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Calle 
Malto  Kneipp.  Il  Caffé  Malto  Kueipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


I  GRANDIOSI  MAGAZZINI 

di  Chineaglieria  ed  Opologieria 


MILANO  -  Corso  Vitt.  Km.,  15  -  MILANO 

verranno  nel  prossimo  Settembre 

TRASLOCATI 

nei  nuovi  locali  Corso  Vitt.  Em.,  angolo  Via  S.  Paolo,  N.  2 


Sino  all'epoca  del  definitivo  trasloco  verrà  continuata  la 

Rabide  upiDijziorjE 

di  tutti  gli  articoli 
col  40°  0  di  ribasso  sui  prezzi  di  marca  4JH 


5»?-  Articoli  per  regalo,  Pendole  e 
Candelabri,  Statue.  Vasi,  Articoli  in 
pelle.  Piccoli  mobili,  ecc.    - 


Volete  la  Salute  flf 


ACQUA  NOCERA  UMBRA 

(SORGIATE     ANGELICA) 

L'acqua  di  Nocera  Umbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  Bill  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare,  ma  curativa  per  molte 
re'  .attie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


Il 


l  ORNELIA 


nelia  metteva  un  vivo  desiderio  nei   due  amici 
•  li  vederla,  non  foss'  altro  che   in  chiesa;  ma 
.r/.o  fu  vano,    per  cui    il  loro  de- 
siderio andò  diminuendo  per  l'impossibilità  che 
distrugge  la    speranza.    Dati    utili    studi    e    a 
qualche  onesto  divertimento,  facevano  una  vita 
lauto  allegra  quanto  esemplare.  Di  notte  usci 
i  raramente,  e  se  uscivano  erano  insieme 
ben  armati. 
Ora  avvenne  che  una  sera,  prima  di  uscire, 
don  Antonio  disse  a  don  Juan  : 

Vorrei  rimanere  ancora  un  poco  per  re- 
naie  certe  preghiere;  vattene,   ti  seguirò  tra 

."•e,). 

È   inutile,  rispose  don  Juan,  ti  aspetterò  : 
che   importa  se   -lascia   non  usciremo? 

No,  assolutamente,  replicò  don   Antonio: 

te  a  prendere  un  po'  d'aria  :  vi  ragg  ungerò 

se  passale  dove  siamo  soliti  di  passare. 

-  Bene,  fate    come    credete,    riprese    don 

Juan:  mi  troverete  agli  stessi  posti  delle  altre 

sere. 

E  usci,  lasciando  in  casa  don  Antonio.  L'ora 
era   tarda  e  la  notte  buia.  Dopo  aver  percorso 
due  o  tre  vie.  don  Juan,  trovandosi  solo,  non 
avendo  nessuno  con  cui  parlare,  decise  di  ri- 
tornare a  casa.  E  così  fece.  Passando  in  una 
via  liancheggiata  da  portici  di  marmo,  intese, 
da  una  porla,  chiamarsi  a  bassa  voce.  I, "oscu- 
rità della  notte,  l'ombra  proiettata  dalle  arcate 
non  gli   lasciava   vedere  donde  venisse  la  chia- 
mata. Ristette   prestando    tutta    la   sua  atten- 
zione, e  vide  socchiudersi  una  porta.  Si  avvi- 
cinò, e  intese  a  dirsi  a  bassa  voce: 
Siete  voi.   Fabio,  per  caso? 
Don  Juan,  non  sapendo  troppo  il  perchè,  ri- 
se : 
- 


(piasi  subito  dopo,  udì  il  vagito  d'un  bimbo  ap- 
pena nato.  Don  Juan  a  questi  pianti  rimase  tanto 
imbarazzato  quanto  sorpreso,  non  sapendo  in 
tale  frangente  che  l'are  e  qual  parlilo  prendi  re 
Gli  pareva  che  a  tornare  indietro  e  Lussare 
alla  stessa  porta,  potesse  mettere  in  pericolo  la 
madre  ed  il  bambino,  ed  a  depone  in  me 
alla  strada  il  lardello,  ne  andasse  addirittura 
la  vita:  d'altra  parte,  m  casa  nessuno  avrebbe 
potuto  prenderne  cura,  uè  egli  sapeva  a  ehi 
aflidarlo. 

Alla  line,  pensando  (die  uh  avevano  detto 
di  mettere  il  bambino  in  salvo  e  di  ritornare 
tosto,  don  .Juan  si  decise  di  portarlo  a  casa, 
lasciandolo  nelle  mani  di  una  governante  che 
lo  serviva,  poi  di  ritornare  sul  luogo  per  .  ■ 
dere  se  la  sua  presenza  fosse  necessaria,  gi 
che  si  era  accorto  che  l'avevano  scambiato 
per  un  altro  e  (die  il  bimbo  gli  era  slato  ri- 
messo per  errore.  Finalmente,  senza  più  riflet- 
tore ,  se  lo  portò  a  casa,  e  rientrò  (piando 
don  Antonio  ne  era  appena  uscito.  Giuntovi, 
chiamò  la  governante,  scoprì  il  bambino  e  ri- 
conobbe che  era  il  più  bel  maschietto  del 
mondo.  Le  fascie  in  cui  era  avvolto  lo  dimo- 
stravano nato  di  ricchi  parenti. 

—  Bisogna  dare  tosto  il  latte  a  questa  vez- 
zosa creaturina,  disse  don  Juan.  Ecco  e, une  vi 
suggerirei  di  fare.  Voi,  governante,  gli  torrele 
queste  ricche  fasce  e  gliene  inciterete  di  più 
modeste,  e,  senza  dire  che  fui  io  a  rimetterlo. 
lo  consegnerete  ad  una  levatrice,  quelle  donne 
-anno  come  provvedere  a  questi  casi.  Porte- 
rete cun  voi  il  denaro  per  soddisfarla,  e  attri- 
buirete al  bambino  i  genitori  che  meglio  \i 
piacerà,  pur  di  nascondere  la  verità  e  di  non 
palesarne  la  provenienza. 

La  governante  lo  assicurò  che  gli  avrebbe 


Ebbene,  allora  prendete,     risposero  dal-     obbedito,    ed  egli  ritornò    in    tutta  [fretta    sul 

luogo,    per  vedere  se   lo  chiamavano  una 
«onda  volta. 

In  po'  prima   di  giungervi,    inlese  un  gran 
rumore  di  spade,  come  se  parecchie    personi 

ero  alle  prese,  lese  lorecchio:  non  inti 
sillaba:  per  cui  capi  (die  il  combattimento  ci 
fai  èva  -.'.Ila  sordina.  Ma  alla  luce  delle  scin- 
tille che  gettavano  sul  lastrici!  le  spade,  iu- 
travvide  parecchi  uomini  che  ne  assalivano 
uno  subì.  Ciò  fu  confermalo  dulie  paroli 
intese:  Ah!  traditori!  voi  siete  molli,  ed  io. 
solo,  ma  la  vostra  slealtà  non  vi  gioverà  a 
nulla.     A  quella  vista  ed  a  quelle  parole,  don 


l'interno;  riponetelo  in  luogo   sicuro    e    ritor- 
presto:  e  una  cosa  importante. 

Don  Juan  stese  il 
braccio,  incontrò  un 
involto,  e  (piando  fu 
per  prenderlo,  s'accor- 
se che  bisognava  spor- 
gere le  due  mani.  Ap- 
pena   rimesso ,    venne 

chiusa  la  porla,   ed  egli 
si  trovò   mila    via .   col 

-ia>  carico,   ignorando 
di  che  si  trattasse  :  ma 


ESIGETE 


Miffli 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


A  trono      X  • 


ISTITUTO  AERO-EIiETTfiOTERAPICO  01  TORINO 


Ax~i.no     :SC. 


per    la    oiarta    delle 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO* SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,   37,   piano   terreno 


È  l'unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità ,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  dì  alterata 
funzionalità  mecca?iica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  io  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate.  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza.  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
«lei la  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi 
di  cura  nei  casi  grazi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico ,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni    dalle  17  alle  19)   e  Cure  a    tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  sì  spedisce  gratis. 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata:  <  Globo  sopra  fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darvi  altra  marca. 

.-.-udita  esclusiva  all'ingrosso:  AIAX  FRA^K  -  MILANO. 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 


RINFRESCATIVI)   E    DEPURATIVO   DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto   prof.  Girolamo   Pagliano  premiato  al- 

sizione  nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 
ttecola  la  nostra  marca  depositata.  Xon  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


I  SEGRETI  DELLE  SIGNORINE 

di    4     Lichtrnlerger,  traduzioni"  di  E     '  .menta 

struttiva,  che  ebbe  un  in  1  ran- 
cia   Lire  Bue.  Mandare  raglia  al  Giornale  delle  Donne,  via  Po,  1, 

Torino.  A  r:                                    gratU  l'elei  Iella 

Biblioteca  delle  tignare  che  con.  iella  (laidi  e 

termina  col  •  Galateo  della  Bora'  ■'  '"i" 

gentildonna  ingleti    >  volume  o.uest'ull  L.  2 


FERNET-BRANCA 

del  FRATELLI   BR1XCA   di    MILANO 

I  soli  che  ne  posseggono  il  vero  e  genuino  processo. 


AMARI).  TONICO,  CORROBORANTE 
DIGESTIVO 

guardarsi  dalle  innumerevoli  contraffazioni 


Ili 


.  I  iK\l   I   I  \ 


Juan,  spinto  dal  suo  cuore  generoso,  mise  la 
mano  alla  spada,  afferrò  lo  scudo  che  indos- 
i,  e  in  due  salti  si  trovò  al  tiamo  di  ({nello 
che  si  difendeva  ,  dicendogli  in  italiano  per 
non  essere  riconosciuto  come  spagnuolo  : 

Non  temete,  vi  giunge  un  soccorso,  il 
quale  non  cesserà  che  colla  vita;  menato  le 
mani:  i  traditori  valgono  poco,  benché  siano 
num<  ; 

—  Tu  menti,  rispose  a  queste  parole  uno 
degli  avversari;  qui  non  vi  sono  traditori,  è 
il  solo  desiderio  di  ricuperare  l'onore  perduto 
che  ci  autorizza  a  qualsiasi  specie  di  violenza. 

Non  disse  altro.  Gli  assalitori  erano  in  sei, 
essi  strinsero  così  da  vicino  il  suo  compagno 
che  con  due  colpi  di  punta,  dati  contempo- 
raneamente, lo  gettarono  sul  lastrico.  Don  Juan 
credette  i  he  lo  avessero  ucciso.  Si  precipitò 
coraggiosamente  (lavanti  ad  essi,  e  li  fece  in- 
dietreggiare sotto  una  pioggia  di  stocco  e  di 
taglio.  Ma  tutta  la  sua  prontezza  Dell'attac- 
care e  nel  difendere,  non  gli  sarebbe  bastata 
se  la  fortuna  non  lo  avesse  aiutato,  mettendo 
alle  linestre,  coi  lumi,  peli  abitanti  della  strada 
usanti  la  giustizia  ad  alta  voce.  Ciò  ve- 
dendo, i  nemici  [fuggirono  di  corsa.  Nel  frat- 
tempo, l'uomo  caduto  si  era  rialzato,  perchè 
pade  avevano  incontrato  una  corazza  dura 
come  il  diamante.  Nella  mischia,  il  cappello  di 
don  Juan  era  caduto,  e  mentre  lo  cercava,  ne 
trovò  un  altro  che  senza  più  si  pose  in  testa, 
senza  guardare  se  fosse  il  suo.  11  cavaliere  gli 
s'accostò  e  gli  disse: 

—  Signor  gentiluomo,  chiunque  siate,  con- 
fesso che  vi  debbo  la  vita,  e  che  l'impiegherò, 
per  quanto  valgo  e  so,  a  vostro  servizio.  In 
grazia,  ditemi  chi  siete,  e  il  vostro  nome,  per 
sapere  a  chi  debbo  essere  riconoscente. 

Non  voglio  esservi  scortese,  rispose  don 
Juan,  benché  io  abbia  agito  senza  interesse. 
Per  i  i  mpiacervi  vi  dirò  solamente  che  si  no 
un  gentiluomo  spagnuo- 
lo, studente  in  questa 
città,  e,  se  vi  garba  sa- 
pere il  mio  nome,  ec- 
covi servito,  caso  mai 
vi  abbisognasse  un'al- 
tra volta  di  me.  Mi 
chiamo    don    Juan     de 

i  lamboa. 

Voi  mi  avete  reso 
un  grande  servizio,  ri- 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


spose  il  suo  interlocutore;  con  tutto  ciò,   si- 
gnor  don  Juan,   non   voglio  dirvi  chi  sono,   ah 
il  nome  mio,  giacché  avrei  un  piacere  immenso 
se  veniste  a  conoscerlo  da   un'  altra   persona 
procurerò  che  ne  siate  informato. 

Don  Juan  uh  aveva  chiesto  dapprima  se 
fosse  lei  ito,  perchè  lo  aveva  veduto  ricevere 
due  gran  colpi  di  spada. 

—  No,  aveva  risposto  l'altro;  dopo  Dio,  chi 
mi  salvò  l'u  la  mia  buona  corazza:  però,  se 
non  foste  venuto  in  mio  aiuto,  i  miei  nemici 
mi  avrebbero  Imito. 

In  questo  momento  videro  venir  gente.  Don 
Juan   gridò  : 

—  Se  sono  i  nemici  che  ritornano,  mette- 
tevi in  guardia,  signore. 

-  Non  credo,  rispose  l'altro,  suppongo  siano 
degli  amici. 

Ed  infatti,  così  era.  Questi  si  avvicinarono 
(erano  in  otto),  si  accostarono  a  lui,  scambian- 
dosi (pialclie  parola  a  voce  così  bassa  e  con 
tanto  mistero,  che  don  Juan  non  potè  inten- 
dere. Allora  lo  sconosciuto  si  rivolse  a  don 
Juan  e  gli  disse: 

-  Se  questi  amici  non  fossero  venuti,  non 
vi  avrei  per   nulla    al    mondo    lasciato  prima 
che  m'aveste  messo  al  sicuro  ;  ma  ora  vi   - 
plico  di  andarvene    e    di    lasciarmi  qui.  dove 
ho  vivo  interesse  di  rimanere. 

Così  dicendo,  portò  la  mano  in  testa,  e  si 
accorse  che  era  senza  cappello.  Si  volto  verso 
quelli  che  l'avevano  raggiunto  e  gliene  do- 
mandò loro  uno.  dicendo  che  il  suo  era  ca- 
duto. Detto  questo,  don  Juan  gli  porse  quello 
che  aveva  trovato  nella  via.  Lo  sconosciuto 
lo  tastò,  e  glielo  restituì  dicendogli: 

—  Onesto  cappello  non  è  mio,  signor  don 
Juan  :  portatelo  per  trofeo  della  battaglia,  e 
tenetelo  molto  caro,  perchè  esso  è  ben  noto. 

Gli  dettero  un  altro  cappello,    e    don  Juan, 
per  aderire    al    suo    desiderio,    dopo   qualche 
breve  complimento,    lo    lasciò    ignorando  chi 
fosse,  e  si  diresse  a  casa  sua,  evitando  di 
vicinarsi  alla  porta  dove  gli  era  slato  rimi 
il  bambino,  appena    nato,    perchè    gli  pareva 
che  tutto  il  quartiere  si  l'osse  svegliato  .■  com- 
mosso al  rumore  del  combattimento- 
Mentre  tornava  verso  casa,    incontrò  il  suo 
compagno,  don   Antonio  de  Isunza  :  riconosciu- 
tosi, don   Antonio  gli  disse  : 

Ritornate    indietro    con   me;   strada  fa- 
cendo  \i  racconterò  una   strana   avventura  OC- 


ftk»ifoW-fW 


Il  più  soiu€Ue, 
II  pili  sano  e  nutriente  e  perciò 
11  più  raccomandato  dai  medici, 
Il  più  gustoso 

di  tutte  le  marche. 


PELI  0  LANUGGINE 

col  DEFILENO,  Depilatorio  il 

rhaave.  Flacone  »  on  istruzione  J 

CAPELLI  NERI  \ 


del    viso    e    del 
eorpu    sparisco- 
no   per    sempre 
col  DEPILENO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
rliaave.  Flacone  i  on  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


oli  ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
Istantanea,  che  si  applica 
Ogni  20  giorni  si  può  dare  ai  capelli  Inanelli  o  grigi  o 
alla  barba  quella  tinta  naturale  che  più  fi  desidera.  E' 
affatto  innocua.  —  Flacone  L.  2.50  (franco  L.  3.10'. 


GALLI 


durioni,  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dell  infallibile  Callifugo    CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30). 


SORDITj 

SI  DIMAGRISCE  S 

TRO  L  OBESITÀ'  di 
curo  effetto  e  senza  in 
dipo,  sono  pure  indicai 
stitichezza,  emorroidi, 
scolo  BMegativo.  l.  4.5' 

GRATIS  a  " 


E  MALI   D*  ORECCHIO   SÌ   guari- 
scono   usando   il    linimento   acustico 
UDITINAd.l  dottor  W.   T.  Adair. 
Boccetta  !..   1.75    franco  h    2).  Istruzione  gratis. 

ettimanepren- 

ìdo    ogni    giorno    al- 
PILLOLE   CON- 
TRO li  OBESITÀ'  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'a- 
dipe, sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi   digestivi, 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  G-ratisopu- 
tolo  s'ù  eira!  i\  ■«).  L.  4.50  la  scatola  iL.  4.75  franco  di  porto  \ 
i  MEDICO  DI  SÉ  STESSO.   Consi- 
pratici  ad  uso  dei  sani  c-d  ammalati. 
Guida  por  le  famiglie.  —  52  pag.  il- 
lustrai'', si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  di   semplice 
carta  da  visita  colle  iniziali  M.  S.  S. 


Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 

OFFICINA    CHIMICA   P^tX' AQUILA 


MILANO 

via  S.  Calocero.  25 


Le 


PILLOLE  UNIVERSALI  FATTORI  di  Cascara  Sagrada  contro  il 


GASTRICISMO 

e  STITICHEZZA 

si  vendono  in  tutte  le  Farmacie  in  scatole  di 
metallo  e  non  in  flaeoncini  di  vetro. 

g}^*  Unica  cura  primaverile  depurativa  del  sangue  ^ 

Scatola  contenente  N.  25  Pillole  L.  1  Scatola  contenente 
N.  60  Pillole  L.  2.  —  Dirigere  cartolina-vaglia  a  G.  FATTORI 
e  C.  Chimici-Farmacisti,  Milano,  Via  Monforte,  16. 

I  rivenditori  rivolgansi  esclusivamente  a  Tranquillo  Ra- 

vasio,  .Milano,  depositario  principale  di  Acque  Minerali,    specia- 
lità Medicinali  e  Marsala  Ingham. 

Gratis  a  tutti  i  nostri  dienti  cartoline  postali  illustrate 


asersasa 


«W»¥» 


I  ORNI  1  in 


iiini  ora,  'li  cui  Don  avete  sentito  l'uguale 
in  vita  ro 

Potrei  dire   io    altrettanto,   rispose  don 

Juan    andiai love  credete  e  raccontatemi  la 

vostra  storia. 
Si  avnarono,  e  don  Antonio  alloca  disse: 
Bisogna  che  sappiate  che,  poco  più  di 
un  ora  dopo  la  vostra  partenza,  uscii  per  in- 
contrarvi.  Non  avevo  fatto  una  trentina  ili 
passi,  quando  vidi  venire  a  me  una  forma  nera 
che  si  avanzava  frettolosamente:  quando  mi 
si  avvicinò,  riconobbi  che  era  una  persona 
avvolta  in  un  lungo  abito  da  religioso.  Essa 
mi  disse  con  voce  interrotta  da  sospiri  e  da 
singhiozzi:  --  Signore,  siete  voi  straniero, 
o  della  città?  Straniero  e  Spaglinolo,  ri- 
sposi. Sia  grazie  a  Dio,  riprese  essa.  Egli 
non  permette  ch'io  muoia  senza  sacramento. 
Siete  voi  ferito,  signore,  o  colpito  da  qualche 
male  mortale.-'  -  Potrebbe  darsi  che  il  male 
■  li  cui  soffro  lo  fosse,  se  nessuno  mi  viene 
prontamente  in  aiuto.  Per  la  cortesia  di  cui 
si  vanta  la  gente  del  vostro  paese,  ve  ne  sup- 
plico, signor  Spaglinolo,  portatemi  via  di  qui, 
e  conducetemi  a  casa  vostra  il  più  sollecita  - 
mente  possibile.  Colà,  se  voi  lo  desidererete, 
vi  dirò  'li  die  male  soffro,  e  vi  dirò  pure,  a 
prezzo  della  mia  riputazione,  chi  sono. 
Don  Antonio,  dopo  una  pausa,  continuò: 
—  A  queste  parole,  riconoscendo  la  neces- 
sità ili  un  pronto  soccorso,  senz'altro  aggiun- 
gere, le  tesi  la  mano,  e  per  vie  scartate  giun- 
gemmo a  casa.  Venne  ad  aprirci  il  paggio , 
Santisteban  :  gli  diedi  ordine  di  ritirarsi ,  e 
senza  elicgli  la  vedesse  la  feci  entrare  in  ca- 
mera mia,  dove  appena  giunta  cadile  svenuta 
-ni  letto.  Mi  vi  avvicinai  ,  le  scopersi  il  viso 
che  essa  nascondeva  sotto  la  mantiglia  e,  vidi 
la  più  meravigliosa  bellezza  che  occhi  umani 
abbiano  mai  visto:  essa  avrà  diciotto  anni. 
Forse  meno  aie-ora.  Corsi  a  cercare  un  po' 
'I  acqua  die  le  spruz- 
zai in  viso  Essa  rin- 
venne con  un  doloroso 
sospiro  -  la  prima  COSB 
che   mi   disse   In  :        Mi 

conoscete  voi?        No, 

le  risposi  .  non  ci, In 
mai  la  fortuna  di  co- 
noscere una  simile  bel- 
lezza. Ah,  quanto  è 
infelice    quella    a   '-ni 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  ! 


Di  1 5  lui  stupri  succisiti  cttsctote 

fa 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


l'io    lece    questo    dniio  Innesto!    Signore,  non 
è  il   momento    di    lare   dei    complimenti  ,    ma 
di  soccorrere   una  povera   disgraziata.    In  do 
me  di   Dio,    vi    supplico  di  tenermi  rinchiusa 
qui.  <•  ih  non    permettere    a    nessuno    di    \ 
dermi.  Ritornate  al  più  presto  sul  luogo  dove 
mi  avete   incontrata    e    guardate  se    qualcuno 
si    batte  :    ina    non   pigliate    le    parti    di    n 
.uno     dei     combattenti;     separateli,     giacche 
una  disgrazia  da  qualsiasi  delle  parti   non   fa- 
rebbe che  accrescere  la  mia  '.    Allora   la  rin- 
chiusi in  camera,    edora  vado    a    separare  i 
combattenti. 

—  Non  avete  più  altro  da  aggiungere,  don 
Antonio  V  (liiese  don  Juan. 

Vi  pare  dunque  che  non  basti,  dopo 
avervi  detto  che  tengo  rinchiusa  (e  in  camera 
miai  la  più  meravigliosa  bellezza  di  questa 
terra  ? 

L'avventura  è  strana  davvero,  rispose 
don  Juan;  ora  sentirete  la  mia. 

Egli  raccontò  quanto  era  successo,  come  il 
bambino  rimessogli  l'osse  a  casa  loro,  in  mano 
della  governante,  e  come  avesse  dato  ordine 
perchè  venisse  avvolto  in  fasce  più  modeste 
invece  di  quelle  ricche  che  indossava  e  por- 
tato dove  potessero  allevarlo,  o  quanto  unno 
rimediare  alle  presenti  necessità. 

-  Quanto  al  combattimento  che  voi  andate 
'creando,  aggiunse,  sappiate  che  esso  >'■  finito 
e  fatta  la  pace.  Fui  della  mischia,  e.  da  quanto 
in'  immagino,  i  combattenti  erano  gente  di 
conto  d'una  parte  e  dall'altra. 

I  due  amici  erano  molto  sorpresi  delle  loro 
scambievoli  avventure:  ritornarono  a  casa  loro 
per  vedere  se  nulla  occorresse  alla  dama  rin- 
chiusa. Strada  facendo,  don  Antonio  disse  al 
compagno  ch'egli  aveva  promesso  alia  dama 
di  non  lasciarla  vedere  ad  anima  viva,  e  che 
quindi  egli  non  sarebbe  entrato  nella  sua  e 
mera  lincili'  avesse  disposto  altrimenti. 

-  Non   importa,  riprese  don  Juan:   Inc. 
ben    io  il   mezzo   di  vederla:  mi    avete    lauto 
decantilo   le   sue  bellezze,  die    ho  un   vivissimo 
desiderio  ili   vederla 

Co-i  dicendo  giunsero  a  casa.  Alla  lue  di 
un  lume,  portalo  da  uno  dei  tre  paggi,  don 
Antonio  gettò  io  sguardo  sul  eappello  di  don 
Juan,  e  vide  clic  risplendeva  come  se  vi  fos- 
sero  dei  diamanti.  Don  Juan  se  lo  tolse  e  ri- 
conobbe  che   questo  lucie-Ilio  proveniva  da  pa 

rechi  brillanti  intrecciali  nel  cordone  del  cap- 


Scheuerin 


il  migliore  sapone  per  cucina  ;  chiedetelo  ai  droghieri 
neri  casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 

Vendita  esclusiva  all' ingrosso  MAX  FRANK 


e  negozianti    di   ge- 


MII.VNO. 


Scaldabagni  a  gas  istantanei 

I   PIÙ   EFFICACI.   ELEGANTI 
E    CONVENIENTI     DEL     GIORNO 


Un  bagno  caldo  in  IO  minuti 
colla  spesa  di  20  centesimi 

Olii  vuol  jjersssixacierssii 

prima   <lell"»ofiuisto 
può   -vederli    funzionare 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  L.15  75eL.  19  75 
e  metodo 


UNlVEKSAl/E 

per  signorine  L.10.50tranco 

i  ìhiedere  ile  ATALi  h;  0  gratis 

Ocarine  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

V.    MACCOLINI 

ViaCesareCorrenti,7- Milano 


Yaschie  da  bagno  in  molte  forme  ii 
ghisa  smaltata  e  di  zinco  —  Acces- 
sori —   Messa  in  opera   — 
zione. 


CARLO  SIGISMUND 

MILANO 

:ì?S,  Corso  Vittorio  Emanuele- 

PREZZI  CORRENTI  A  RICHIESTA 


LaboratorioPacelli,  Livorno 

Capelli  belli  ^t^id?"^: 

tengono  con  r  uso  della  po- 
mata PACELLI,  con  olio  di 
ricino  deodorato  e  china.  Rin- 
forza il  bulbo  del  capello  ed  al- 
lontana la  forfora.  —  Vasetto 
L.  0,70  il»"1'    posta    1,.  0,85  . 

risi  in    tutte    le    farmacie 
e    Profumerie,    da    A.    Manzoni,  i 
Milo       i;     ,,        i   I  Laboratorio   y5g£> 
Pacelli-Livorno. 


Guarigione  certa  delle 

EMORROIDI 

e    garanzia   assoluta.    Scrivere 
alla    Ditta    A.    Dodero    e    C, 

Genova. 


"-'  ;-v-- 


SVILUPPO  DEL 

bellezza,  ricostitozione,  solidità 

ina°"eesTcoi.e„Pilules0rientale3" 

del  sig.  J.Ratlè.  chimico  farm.  5  PasBageVer- 
deau.  Parigi,  limnetiche  per  la  salate,  appro- 
date da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,36. 
Dep.  in  Milano:  farm.  Zambelottl,  piazza 
S.  Carlo,  6.  -  Buenos  Ayre»  C.  Porrei.  MS 
«47,  Calle  Cnyo. 


VINO    MARCEAU 

Premialo  con  Grande  Diploma  d'Onore  e  Grande  Medaglia  d  Argento  ' 

Guarisce:  Scrofola  —  Rachitide  —  Dermatosi        cloro- 
i  anemia  —  Tubercolosi  iniziale.  Ottimo  ricostituente  nelle 
'iie  nervose  ed  esaurienti  e  nelle  lunghe  convali 
di  malattie  infettive.  —  Preparato  chimico  nuovissimo  del 
Prof.  D.  L.  Sergent,  Treviglto.  In  Milano,  presso  la  far- 
macia C.  Erba.  Zambeletti.  Biancardi  e  C.  —  L.  2  al  flac.  I 


I  i  m\l  I  I  \ 


pello.  Entrambi  ioarono    attentamente 

e  riconobbero  che  se  erano  schietti,  rome  pa- 
revano, il  cappello  valeva  più  di  dodicimila 
ducati.  Riconobbero  allora  che  i  combattenti 
erano  gente  d'altissimo  lignaggio  ed  in  spe- 
cial modo  quello  cui  don  Juan  aveva  soccorso, 
e  che  aveva  detto 

Prendete  que  sto  e  ippello    serbatelo,  giac 
che  esso  è  noto. 

larono  i  paggi.  Don  Antonio,  rien- 
trando in  camera  sua,  trovò  la  dama  seduta 
sul  letto,  il  viso  nascosto  fra  le  inani  versando 
lagrime  abbondanti.  Don  Juan,  punto  dal  de- 
siderio di  vederla,  s'avvicinò  alla  porta,  pas- 
sandovi  dentro  la  testa.  Lo  scintillìo  dei  dia- 
manti colpì  lo  sguardo  dell'afflitta,  ed  alzando 
echi,  gridò: 
Entrate,  signor  duca,  perchè  mi  siete 
tanto  avaro  della  vostra  presenza? 

Ma,  signora  mia,  qui  non  c'è  nessun 
duca  che  abbia  difficoltà  a  vedervi. 

Come!  esclamò  essi,  non  è  forse  il  duca 
di  Ferrara  colui  che  si  all'accio  alla  porta? 
La  ricca  guarnizione  del  suo  cappello  non  gli 
permette  di  dissimulare. 

-   In  lede  mia,    signora,    replicò    Antonio, 
chi  porta  il  eappello  che  voi    dite,    non    è    il 
:  se  volete  assicuracene,  permettetegli  di 
entrare. 

Entri,  benché  se  egli  non  è  il  duca,  ciò 
accrescerà  la  mia  sventura. 

Dette  queste  parole,  don  Juan,  cui  era  fatta 
licenza  di  entrare,  si  presentò  col  cappello  in 
mano.  Appena  se  lo  vide  davanti  e  riconobbe 
non  essere  quello  che  supponeva ,  gridò  con 
voce  agitata  e  balbettando: 

Disgraziata  che  io  sono!  signore,  parlate, 
non  tenetemi  oltre  in  questo    dubbio!    È    egli 
vivo,  per  fortuna  mia?  od   è  la    notizia    della 
molle  che  voi    mi    recate?    0   mio  dolce 
amico'  Che  è  successo?  Vedo  qui  i  suoi  gio- 
ielli, mi  vedo  rinchiusa 
|   senza  di  le,   in  potere 
di    sconosciuti ,    e   se 
non  li  sapessi  stranie- 
ri, sarei  già  moria  dalla 
tema  di  essere  disono- 


ESIGETE 


Titsiilìl 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


rata. 

Calmatevi,  signo- 
ra, rispose  don  Juan  :  il 
padrone  di  questo  '-ap- 
pello non  è  morto 


qui  non  potete  temere  di  alcuna  cosa:  noi 
non  abbiamo  altro  pensiero  che  di  servirvi, 
per  quanto  ce  lo  consentono  le  nostre  forze, 
lino  a  mettere  la  vita  per  difendervi  e  soc- 
corrervi. Mai  non  vorremmo  che  aveste  a 
pentirvi  nella  vostra  lede  sulla  lealtà  spagnuola, 
giacché  Spagnuoli  siamo,  e  nobili  (qui  il  van- 
tarsi è  lecito).  Siate  certa  che  vi  si  porterà 
il   rispetto  dovuto  alla  vostra  persona 

Lo  credo,  rispose:  tuttavia,  signore,  di- 
temi come  mai  questo  capi  elio  ''  '"  mani  vo- 
stre? Dov'è  il  suo  padrone?  Esso  appartiene 
ad  Alfonso  d'Este  dina  di  Ferrara. 

Don  Juan,  allora,  per  non  tenerla  oltre  io 
sospeso,  gli  raccontò  come  si  fosse  trovato 
preso  in  un  combattimento,  e  come  avesse 
-occorso  un  gentiluomo,  il  quale,  da  «pianto 
essa  diceva,  doveva  essere  il  duca  di  Ferrara. 

—  Nella  mischia,  egli  aggiunse,  perdetti  il  mio 
cappello  e  trovai  questo;  quel  gentiluomo  mi 
disse  di  tenermelo  perchè  esso  era  conosciuto. 
Nel  combattimento,  né  l'uno  né  l'altro  di  noi 
fu  ferito.  Dopo  venne  gente,  probabilmente  dei 
servi  o  degli  amici  di  quegli  ch'io  suppongo 
fosse  il  duca  :  egli  mi  pregò  di  lasciarlo  e  di 
allontanarmi ,  mostrandosi  riconoscentissimo 
del  servizio  resogli.  Ecco,  signora,  come  venne 
in  mio  potere  questo  cappello:  (pianto  al  suo 
padrone,  se  egli  è  veramente  il  duca,  vi  duo 
che  lo  lasciai,  non  è  trascorsa  un'ora,  salvo  e 
in  buona  salute.  Ouesto  racconto  veritiero, 
giovi  a  consolarvi,  provandovi  che  il  duca  è 
fuori  pericolo. 

—  Signori,  riprese  la  dama,  aftinché  sap- 
piate quanto  ho  ragione  d'informarmi  di  lui. 
datemi  ascolto  ,  che  io  vi  narrerò  la  mia  do- 
lorosa istoria. 

In  questo  frattempo  la  governante  stava  un- 
gendo la  bocca  del  bambino  di  miele  e  a  cam- 
biarlo di  fasce.  Come  lini,  volle  portarlo. 
coudo  l'ordine  di  don  Juan,  da  una  levati  ice. 
Mentre  passava  col  bambino  davanti  la  camera 
dove  la  bella  donna  slava  per  raccontale  la 
sua  storia,  il  piccino  si  mise  a  piangere,  in 
modo  che  essa  lo  intese.  Si  alzò  ritta,  tese 
l'orecchio  per  udirne  più  distintamente  i  pianti. 
Signori  ,  chi  è  questo  bambino?  si  di- 
rebbe che  è  appena  nato. 

È  un  bambino  che  hanno   deposto  sta 

notte    alla    porla  di   casa    nostra,   e   la    govei 
nanle  va  a  cercargli  una   nutrice. 

l'orlatemelo  qui.   per   l'amor    di   DÌO,   ri- 


\  I 


I  I  iKM.I  l.\ 


prese  la  dama;  farò  questa  rarità  ad  un  bimbo 
ili  alin.  poi  In'1  il  Signore  non  mi  concede  di 
farla  al  mio. 

1  »  »  >  r  i   Juan   chiamò  la  governante,  le  prese 

il  bambino  e  lo  mise  nelle  Inai  eia  della  dama 
dicendole  : 

—  Beco,  signora,  il  regalo    che  ci    hanno 

tatto  stanotte;  non  è  il  primo;  non  passano 
molti  mesi  senza  che  ne  troviamo  sulla  soglia 
di  casa. 

La  signora  lo  prese  nelle  braccia,  guardan- 
dolo attentamente  in  viso  ed  osservando  le 
modeste,  ma  pulite  fasce  in  cui  era  avvolto, 
e  poi  piangendo  chinò  il  viso  sulla  piccola  te- 
stina e  meiitir  si  adoperava  a  nutrirlo  del  suo 
latte  lo  bagnava  di  lagrime.  Così  rimase  finché 
il   bambino  non  abbandonò  il  seno. 

Don  Juan  glielo  prese  e  lo  rimise  alla  go- 
vernante dicendole  di  averne  cura  fino  a  giorno 
fatto;  ma,  prima  di  portarlo  via,  di  avvisarlo, 
e  di  rimetterlo  nelle  sue  prime  ricche  fasce 
Rientrato  in  camera,  la  bella  Cornelia  disse: 
Se  volete  eh"  io  parli,  datemi  prima  da 
mangiare,  ve  ne  prego,  perchè  mi  sento  venir 
meno. 

Don  Antonio  aprì  la  credenza,  ne  tolse  due 
0  tre  conserve:  la  dama  dopo  averne  man- 
giato qualche  boccata,  e  bevuto  un  po'd'acqua, 
sentendosi  rinvigorita  e  più  tranquilla,  riprese: 
Signori,  sedetevi  ed  ascoltatemi.  Essi 
obbedirono. 

Allora,  adagiandosi  sul  letto,  coprendosi   ac 
curatamente  col  lembo  del  suo  vestito,  lasciò 
cadere  sulle  spalle  il  velo  che  portava  in  testa 
mostrando,  nel   suo  viso  coperto,  1'  immagine 
stessa  della  luna  ,  o  per  meglio   dire  del  sole 
quando  sorge  in  tutto  il  suo  splendore. 

Dai  suoi  occhi   cadevano  perle  liquide  .  che 
i  asciugava  con  un  fazzoletto  candidissimo, 
e  con  mani   d'  una    bianche/za   tale,  che    riu- 
a    diffìcile    stabilirne  la    differenza,   final- 
mente, dopo  aver  ten- 
tato di  calmare  il  suo 
cuore  oppresso,  sospi- 
rando, disse  i  on  voce 
fioca  e  tremula  : 

Simon  .  voi  mi 
avrete  senza  dubbio  in- 
nominare molte 
i  olte  in  questa  città.  La 
fama  della  mia  bellezza 
e    tale    che    pochi    la 


ignorano,  lo  sono  Cornelia  Bentivoglio,  sorella 
ili  Lorenzo  Bentivoglio;  Ciò  basta  per  palesarvi 
lue  cose  note  a  tutti  :  la  mia  nobiltà  e  la  mia 
bellezza.  Giovanissima,  rimasi  orfana  sotto  la 
sorveglianza  di  mio  fratello,  il  quale,  fin  dal- 
l'età più  tenera,  mi  tenne  sempre  sotto  la  sua 
custodia,  benché  avesse  più  lede  nel  mio  alto 
sentimento  d'onore  che  nella  sua  sollecitudine 
nel  custodirmi.  Crebbi  fra  quattro  mura,  nella 
solitudine,  mm  avendo  altra  compagnia  che 
quella  delle  mie  ancelle.  La  fama  della  mia 
leggiadria  veniva  divulgata  dai  servitori  di 
casa,  da  quei  pochi  intimi  che  mi  visitavano 
e  da  un  ritratto  che  mio  fratello  mi  fece  fare 
da  un  famoso  pittore,  nel  caso,  egli  diceva, 
che  il  cielo,  chiamandomi  a  miglior  vita  .  il 
mondo  non  l'osse  privo  della  mia  et  ligie.  Ma 
tutto  ciò  non  avrebbe  che  debolmente  con- 
tribuito alla  mia  perdita,  se  il  caso  non  avesse 
fatto  ch'io  assistessi  alle  nozze  di  una  mia 
cugina,  il  cui  padrino  per  la  cerimonia  era  il 
duca  di  Ferrara:  mio  fratello  mi  ci  aveva 
condotto  colle  migliori  intenzioni,  e  per  far 
onore  a  questa  nostra  parente.  Là ,  vidi  e 
fui  vista,  là  se  non  erro  vinsi  dei  cuori 
e  conquistai  delle  volontà  .  là  appresi  il  pia- 
cere delle  lodi  benché  rivolte  da  lingue  men- 
zognere, là  finalmente  vidi  il  duca,  e  la  reci- 
proca vista  fu  causa  delle  mie  presenti  con- 
dizioni. Non  sto  a  raccontarvi,  perchè  sai-' 
troppo  lungo  a  dirsi,  per  mezzodì  quali  astu- 
zie di  quali  artifizi,  il  duca  ed  io,  dopo  due 
anni,  potemmo  soddisfare  i  desideri  che  quelle 
nozze  avevano  destato  in  noi.  Né  la  reclu- 
sione nella  quale  vivevo,  né  i  guardiani,  né  le 
rimostranze,  né  qualsiasi  vigilanza  umana  vai- 
seni  per  impedire  che  ci  vedessimo  La  no- 
stra unione  ebbe  luogo  solo  a  condizione  di 
sposarmi,  giacché  senza  di  questa  promessa 
non  mi  sarei  piegata  a'  suoi  voleri  Mille  volte 
gli  dissi  di  domandare  pubblicamente  la  mia 
mano  a  mio  fratello;  egli  non  avrebbe  certa 
melile  rifiutato  di  concedergliela;  quanto  a  lui, 
egli  non  avrebbe  avuto  ad  umiliarsi  qualora 
lo  si  incolpasse  di  un  cattivo  parentado,  visto 
che  i  Bentivoglio  iwn  erano  per  nulla  infe- 
riori ai  duchi  di  Kste.  A  questo  mio  ragiona- 
mento, egli  rispondeva  con  dei  protesti  che  io 
trovavo  ragionevoli  e  convincenti.  Soggiogata 
e  fidente,  lo  credetti  colla  fede  dell'amori 
m'abbandonai  a  lui  collaudo  d'una  delle  mie 
ancelle,  più  compiacente  ai   regali  del  duca,  di 


GOTTA 
ARTRITE 


sieno  pure  credute  incurabili 
si  guariscono  radicalmente  col 
celebre  Elixir  Fattori, 
di  fama  mondiale.  —  Flacone 
L.  2,  in  tutte  le  principali 
Farmacie.  Opuscolo  gratis 
a  richiesta  ai  chimici 

G.  FATTORI  &  C. 

Via   Monforte,    16   -    Milano 


EMORRO 


interne  ed  esterne 


sieno  pure  croniche,  si  guari- 
scono con  le  rinomate  Pil- 
lole solventi  Fattori 
ed  Unguento  Fattori» 

-  Pillole  L.  2.50  —  Un- 
guento L.  2.  —  Venti  anni 
di  successo.  Preparazione  ve- 
ramente seria.  Inviare  le  ri- 
chieste ai  chimici 


G.  FATTORI  &  C. 

Via   Monforte,    16   -    Milano 


PIPA  STELLA  POLARE 

unica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  gire- 
vole in  tutte  le  parti,  antinico- 
tinora,  con  apposito  riservatore 
(Vedi  disegno).  Il  fumo,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  fresco  e  gradevole  alla 
laringe. 


Ricercatela 

presso 
Fabbrica  di 


^3 


Rivenditori,  oppure  spedite  L.  3 

pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  vi"  Vittoria.  21  -  Milano 

Vicino  al  Ponte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 

Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 

la  Marca  LEONE. 


di  radica  inglese  con  sistema  isolatore  della  nico- 
tina è  insuperabile.  , 
Inviare  L.  2,50,  se  con  bocchino  corno  brési]  L.3,54 
alla  fabbrica  pipe  •  l ì  Maurizio  Pisetzky.  vìa  Vittoria.SI 
Milano,  e  la  riceverete  franco;  per  l'Estero  centesimi  35 
in  pili.  O^ni  pipa  ha  impresso  ii  nome  M.  Pisetzky.     > 


LUIGI  CAPUANA,  E.  CORRADINI.  LA 

NUOVA  ANTOLOGIA,  LA  LET- 
TURA; tutta  la  crìtica  è  stata  0011- 
■  .rde  nel  dichiarare  che  i  volumetti  il- 
ii -irati   della 

Collezione  E  LENA 


sono    il    maggior    successo    librario   ilei 

giorno  : 

E.  Paruacchi.  -  L'arte  nel  secolo  XIX. 

Neera.  -  La  villa  incantata. 

G.  Menasci.  -  L'Autunno. 

A.  Rosselli.  -  Felicità  perduta. 

V.  Corcos.  -  Mademoiselle  Leprince. 

Térésah.  -  «  Al  Piccolo  Parigi  ». 

il  volume  -  UNA   LIRA   -   il   volume. 


NOVITÀ 


MAXIM  GORKY 

Il  dramma  del  porto 

con  prefazione  'li  Nrazia  Deledda  L.   1,50 


drizzare  Commissioni-Vaglia  agli  editori  S.  BELFORTE  e  C.  -  Livorno 


VII 


i  i  i|(M  I   l  \ 


quanto    1"  meritasse   In  fiducia   riposta  in  lei 
da  mio  Fratello. 

Cornelia  tacque  por  un  istante,  quindi  con- 
tinuò 

Dopo  p"  0  tempo  mi  trovai  incinta,  e  pri- 
ma che  le  l'onnc  tradissero  il  mio  stato,  finii 
di  essere  ammalata,  ottenendo  da  mio  fratello 
■  li  Ianni  condurre  da  quella  mia  cugina  alle 
cui  nozze  avevo  conosciuto  il  «luca.  Colà 
giunta,  feci  sapere  al  duca  le  condizioni  in 
cui  mi  trovavo,  il  pericolo  ch'io  correvo,  la 
poca  sicurezza  per  la  mia  vita,  giacché  dubi- 
tavo che  mio  fratello  sospettasse  della  mia 
colpa.  Convenimmo  fra  di  noi  che  nell'ultimo 
mese  della  una  gravidanza  egli  sarebbe  venuto 
a  prendermi  con  alcuni  amici  suoi  per  con- 
durmi a  Ferrara  ,  dove  mi  avrebbe  sposata 
pubblicamente.  Ed  è  appunto  stanotte  ch'egli, 
secondo  l'intesa,  doveva  arrivare;  e  questa 
notte,  mentre  stavo  aspettandolo,  intesi  pas- 
sare mio  fratello  accompagnato  da  uomini  ar- 
mati, poiché  udii  il  suono  delle  armi.  Fui  col- 
pita da  un  tale  spavento,  cheli,  sul  momento, 
misi  al  mondo  un  bel  bambino.  Quella  delle 
mie  ancelle,  che  era  nel  segreto  dell' avveni- 
mento e  ne  era  stata  l'intermediaria,  ravvolse 
la  piccola  creatura  in  fasce  ben  diverse  da 
quelle  che  portava  il  bimbo  deposto  sulla  so- 
glia di  casa  vostra,  poi  si  affacciò  alla  porta 
della  strada,  e  rimise  il  bimbo  (così  mi  disse! 
a  un  servitore  del  duca.  Quanto  a  me,  poco 
tempo  dopo,  m'aggiustai  alla  meglio,  data  la 
necessità,  ed  uscii  di  casa,  persuasa  di  trovare 
il  duca  per  strada.  Non  avrei  dovuto  farlo 
prima  ch'egli  si  fosse  presentato  alla  porta, 
ma  lo  spavento  provato  all'avvicinarsi  della 
truppa  armata,  della  quale  mi  pareva  di  sen- 
tire la  spada  alla  gola,  non  mi  lasciò  meglio 
riflettere.  Fuori  di  me,  mezzo  impazzita,  fuggii 
di  casa,  e  arrivò  quanto  voi  foste  testimonio. 
Ora,  benché  io  mi  veda  priva    del  mio   bam- 

•ino,  senza  di  min  ma 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  ! 


Di  15  mi  :«npit  incusso  crescente 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO   m  TORINO 


rito,  pure  ringrazio  il 
cielo  d'avermi  condotta 
a  voi,  da  cui  mi  ri- 
prometto tutto  ciò  che 
si   può  aspettare  dalla 

ni  tesia  spagnuola,  e 
dalla  vostra    in   parti- 

olare,  accresciuta  dal- 
la oobiltà  personale. 

i  io   detto .    si    lasciò 


cadere  distesa  sul  lello:  i  due  amici  accorsero 

credendo  che  fosse  svenuta,    ma  si   ai -seni 

che  piangeva  amaramente.  Don  Juan  le  disse: 
Nobile  e  bella  dama,  se  (inora  don  An- 
imilo ed  io  ebbimo  pietà  di  voi,  pel  l'atto  solo 
che  siete  donna,  ora  che  sappiamo  chi  siete, 
questo  sentimento  diviene  un  dovere  impe- 
rioso di  servirvi.  Coraggio,  cercate  di  riavervi, 
e  benché  non  siale  fatta  per  simili  avveni- 
menti, date  prova  del  vostro  valore  soppor 
tandoli  con  fortezza  d'animo.  Non  so  perchè, 
signora,  m'immagino  che  questi  strani  avve- 
nimenti avranno  un  lieto  line.  11  cielo  non 
permetterà  che  tanta  bellezza  vada  perduta, 
che  delle  così  pure  intenzioni  vadano  deluse! 
Mettetevi  a  letto  ed  abbiatevi  cura,  che  ne 
avete  sommo  bisogno  ;  la  nostra  governante 
vi  farà  da  infermiera,  potete  contare  su  di 
lei  come  su  di  noi  ;  essa  saprà  serbare  il  se- 
greto delle  vostre  sventure,  e  rimediare  ai 
vostri  bisogni. 

—  Fatela  entrare,  signore,  rispose  la  dama, 
mandata  da  voi  non  potrà  a  meno  di  corri- 
spondere alle  mie  esigenze.  Quello  di  cui  vi 
prego  e  vi  supplico  gli  è  che  nessun  altro  mi 
veda. 

-  Sarete  obbedita,  rispose  don  Antonio;  e 
i  due  amici  la  lasciarono  sola. 

Don  Juan  chiese  alla  governante  di  entrare 
nella  camera,  e  di  portarle  il  bambino  avvolto 
nelle  sue  prime  fasce.  Essa  vi  andò  dunque, 
avvisata  però  puma  dal  suo  padrone,  su  ciò 
che  dovesse  rispondere  alle  domande  della  si- 
gnora riguardanti  il  bambino.  Vedendola  en- 
trare, Cornelia  le  disse: 

-  Siate  la  benvenuta,  amica  mia,  datemi 
il  bambino,  e  avvicinate  ii  lume. 

La  governante  obbedì.  Cornelia,  non  appena 
ebbe  il  bimbo  fra  le  braccia,  mutò  colore,  e 
divorandolo  cogli  occhi: 

—  Sig/iora  governante,  per  carità,  ditemi  se 
questo  bambini)  è  quello  stesso  che  mi  si 
portò  dianzi? 

—  Sì,  signora,  rispose  la  governante. 

-  Ma  perchè  gli  vennero  cambiate  le  fa- 
sce?  replicò  Cornelia,  o  non  sono  le  slesse  o 
non  è  lo  stesso  bambino  di  prima. 

—  Potrebbe  darsi  benissimo,  ri  go- 
vernante. 

('.naie'     Vergine    -aula!     Che    dite    mai, 
mante,  gridò  la  dama.    Ah!    il  cuore  mi 
si  scoppierà  se  non  saprò  come  avvenne 


macchine  per  scrivere 

REMINGTON 

furono  acquietate 
il  10    Gennaio    19Q2 

dal  WAR-OFFICE  di  Londra 
i Ministero  della  Guerra) 


Tale  importante  ordine,  il  più  forte  avuto  fin  qui.  prova  che  nonostante  la 
concorrenza  delle  imperfette  imitazioni,  la  Remington  è  sempre  la  più  perfetta, 
la  più  solida,  la  più  moderna  delle  macelline  per  scrivere. 


Chiedere  Catalogo  e  prove  della  Remington  N."  / 
all'Agente  (  ìenerale 

CESARE     VERONA 

TOI-ilZVO   —  20,  Via  Carlo  Alberto.  20         rl  ORIIVO 

SUCCURSALI 


ROMA 

Via  I>v»o  M.'ieelli,  T 


GS-E  INTONA 
-V'ifi  Carlo  Felice,  il 


nvEiiLAiisro 

Coi-so  "Vitt.  E&maxa.», 


irsr  a"po  -ji. 

xrif»  Roma,  :«>«; 


\  III 


i  UHM  I  I  \ 


Ditemelo,  ditemelo,  amica    mia!    IVr   quanto 
avete  <ii  più  caro  al  mondo,  ve  ne  scongiuro, 
ditemi  di  dove  Tennero  queste    ricche    fasi  e 
piate,  se  la  vista  non    m' in- 
memoria non  un    tradisce,    che 
sono  mie.  Che  in  queste  stesse  rasce,   o 
in  altre  in  lutto   simili    a    queste   che   rimisi 
alla  mia  cameriera,  venne  avvolta  la  una  crea- 
turina >ara,  il  mio  tesoro  !    Chi    gliele  tolse? 
C.lii  lo  portò  qui 
Don  Juan  e  don  Antonio,  udendola   suppli- 
ce  a  quel    modo .    non   vollero   prolungare 
maggiormente  la  sua  angoscia,  e  toglierla  dal 
dubbio  penoso    provato   nel    vedere    le    fasce 
diverse  dalle   prime:  Entrarono  in  camera,  e 
don  Juan  dis>r 

Queste    fasce    ed    il  bimbo,  signora,  vi 
appartengono. 

E    le  racconti'    dettagliatamente    come    egli 

e   quello   stesso  a  cui    la   sua   cameriera 

avesse  rimesso  il  bambino,  come  egli  lo  avesse 

portato  a  casa  sua  e  la 
ragione  per  cui  aveva 
ordinato  alla  governan- 
te di  cambiarlo  di  fa- 
sce. 

—  l'in  dal  momento, 
egli  aggiunse,  in  cui  ci 
narraste  le  circostanze 
della  nascita  del  bam- 
bino, mi  convinsi  che 
questo  doveva  essere 
ostro  liglio,  e  se  non  ve  lo  dissi  subito,  fu 
perchè  temevo  che  nel  dubbio    in   cui  eravate 


ESIGETE 


mmm 


MARCA 

HERMANN 

MILANO- TORINO 


la  subita    gioia    per  la  certezza   vi  dovesse  lai- 
male. 

Infinite  furono  le  lagrime  di  consolazione 
versate  da  Cornelia,  come  infiniti  i  baci  che 
ella  diede  al  suo  bambino,  ed  i  rendimenti  di 
grazie  ai  suoi  protettoli:  li  chiamava  i  suoi 
angeli  custodi  sulla  terra,  e  dava  loro  altri 
nomi   in  cui  appariva   tutta  la  sua  gratitudine. 

La  lasciarono  quindi  sola  colla  governante 
raccomandandole  la  maggior  cura  e  vigilanza, 
dopo  averle  narrate  le  sue  condizioni  speciali  : 
poi  se  ne  andarono  a  riposare  per  quelle  po- 
che ore  di  notte  die  rimanevano  ancora,  de- 
risi a  non  entrare  più  nell'appartamento  di 
Cornelia  a  meno  di  un'assoluta  necessità  o 
richiesti  da  lei.  Venuto  il  giorno,  la  governante 
condusse  una  donna  di  nascosto  a  dare  il 
latte  al  bambino.  I  due  giovani  s'inb  rmarono 
di  Cornelia,  e  saputo  che  riposava  andarono 
alle  scuole.  Passarono  davanti  la  casa  di  dove 
era  uscita  Cornelia,  per  vedere  se  già  li 
nota  la  sua  fuga  ,  e  se  il  vicinato  ne  fac 
i  commenti;  ma  non  intesero  parola  né  della 
rissa,  ne  d'altro.  Finite  le  loro  lezioni  torna- 
rono a  casa,  e  Cornelia,  essendosene  accorta, 
li  fece  chiamare  dalla  governante.  1  due  Spa- 
glinoli si  presentarono  a  lei  e  le  dissero  che 
avevano  deciso  di  non  porre  più  piede  in  ca- 
mera sua  pel  rispetto  a  lei  dovuto.  Ma  Cornelia 
replicò,  le  lagrime  agli  occhi,  che  in  grazia  li 
scongiurava  di  venirla  a  trovare  essendo  questo 
l'unico  mezzo,  se  non  di  porre  rimedio  ai 
suoi  mali,  almeno  di  consolarla.  Essi  obbedi- 
rono. 


Coti 


Micheli-.  Cervantes 


Anno-II 


•Nvm  5 


•La  Lettura 


Maggio 


RM5TA-AE.N5ILÉ 
DEL-(pRRlLRE.- 
gjDELLA-5ERA' 


1902 


Il  Battesimo  d'Adamo 


{Continuazione  e  Ine  —   vedi  numero  precedente). 


't  In 


rmai  era  sera  :  attraverso  i  platani  da  cui 
volavano  le  foglie  gialle,   cadendo  come 
farfalle  morte,  qualche  stella  brillava  sul 
lievemente   velato;    davanti   al    Sant'Antonio 


sbiadito  ardeva  una  candela  ad  olio  ;   la  rugiada  1  0 
minciava  a  inumidire  l'erba  lungo  i  fossi. 

Manina  scendeva  la  fuga  con  passo  lento,  col 
bimbo  addormentato  sulla  spalla.  Una  dolcezza  te- 
nera le  rammolliva  il  cuore.  Da  quanto,  da  quanto 
tempo  non  era  stata  più  così  consolata  come  quella 
sera!  I  suoi  occhi  un  po'  affascinati  vedevano  an- 
cora lo  splendore  infinito  dell'acqua  e  del  cielo,  il 
bosco  tacito,  la  capanna  di  tavole.  Poi  udiva  la  voce 
commossa  di  Pietro,  di  Pietro  che  mentre  risalivano 
l'argine  le  aveva  fatto  la  sua  proposta  :  voleva  spo- 
sarloPLe  avrebbe  fatto  dimenticare  ogni  dolore  sof 
ferto.   Ella  aveva  risposto: 

—  Ci  penserò. 

—  Quando  mi  darete   risposta? 

—  Eh.  c'è  tempo!  —  dissella  stizzita. 

—  No,   in 'ii  c'è  tempo:    domani    mattina    io  devo 
tornare  nel  bosco,  ove  resterò  altri  otto  giorni.    \1 
darete  la  risposta  domani  mattina:  passerò  davanti 
a  casa  vostra. 

—  E   passati-  pure!  —  ella  rispose. 

Dopo  'li  che  il  semplice  pretendente  erasi  sentito 
oppresso  da  tale  gioia,  e  nello  mpoda 

soggezione,  che  non  aveva  accompagnato  oltre  la  vi 
dova.  Ed  ella  ora  scendeva  con  passo  lento  la  larga 
strada  solitaria,  pensando  già   alla  risposta  da  dar- 
gli.  Giunta   davanti  al    Sant'Antonio    -1    fermò   di 
botto,    senza   saper  perchè:    la   candela  ardeva   nel 

La  Lettura. 


crepuscolo,  giallo  come  le  foglie  che  cadevano  dai 
platani.  Manina  ricordò  la  candela  che  aveva  aci  1  1  ■ 
in  quella  notte,  in  quella  terribile  notte,  quando  sulla 
scala  di  marmo  il  passo  pesante  e  strascicato  di 
Francesco  era  risuonato  come  il  passo  del  mostro 
pelosi  1  1  he.... 

-  Ah!  —  gridò  con  voce  sottile;  e  un  brivido 
di  terrore  le  salì  dai  piedi  alla  testa. 

\1lau10  si   svegliò  piangendo,   scosso  dal    tremito 
e  dal  grido  della  madre. 

Paci,  taci,  taci,  amore  mio,  tai  i,  -  dissella 
cullando  il  bimbo  fra  le  braccia;  ma  Adamino 
continuò  a  piangere  sconsolatamente. 

-  Ma  taci,    sigolin.   Che  hai?  che  hai,  anima 
cara  ?  Che  cosa  vedi  ? 

Anch'ella  vedeva  una  lucciola,  un'ultima  lucciola, 
risplendere  come  una  perla  venie  sull'orlo  della  stra- 
da :  e  vi  I  va  e  sapeva  che  era  una  lucciola,  e  tutta. 
via  aveva  paura  e  tremava. 

Lvvicinò  e  si  curvò  per  assicurarsi  che  il  pic- 
colo plendore  verde  proveniva  dalla  lucciola;  qual- 
1  uno  la  sorprese  in  quell  ; 

—  Che  fate?  —  chiese  una  voce  aita, 
Manina  si  drizzò,  rigida,  un  po'     '•  V 

continuo   a  piangere.    Il    vicario  don   l'almerio, 
con  la  mantellina  avvolta  nel  braccio,  stava  davan 
alla  giovine  vedoA  a. 

—  Buona  sera.  —  disse  ella.  -     Il  mio  bari 
piange. 

-  Lo  sento  bene.    Ebbene,   che  cosa   ha   qui 
puttino?  Vediamo  un   po',  che  avete,  galantuomo? 

Il    bambino,   vedendosi    interrogato  direttamente , 


LA    LETTURA 


ndo  ancora,   e 
dalle  braccie  della  ma 
ilrt-  a  quelle  d  icario. 

I  bbe  disse  don  Palmerìo,  un  po'  rivolto 

al  bimbo,  un  po'  alla  madre,  voi  siete  un  ame- 

nino, non  Quanti  mesi  b 

N 
Bravo!   Pare  un  bimbo  ili  un  anno.  Con.' 

ni.  gaJantu  mo    Non  ani    ra,  eh  ? 
i  '  .'i  in    am  i    a   spui 
Benissimo,    benissimo.  Che  nome   h: 
americani) 

—  Adan 

Adamo?  Oh,  bravo,  bravo!       ripetè  don  Pal- 
..  alquanto  pi  poi  ad  un  tratto,  dopo 

qualche  altra  piccola  domanda,  chiese: 

Ditemi  un  po'.  Manina,  e  questo  puttino  è 
cristiano  ? 

—  E   duniii. 

li  battezzato? 

—  A  New  York. 
In  quale  chi 

Ella  nuli  lo  sapeva.  Così  i  me  era 

andata  la  farri-mia  ilei  battesimo. 

—  E'  rum  -"!    I- '  curii  so!    l'i.    puttino.    Sen- 
M  mina,  non  vi  :    Francesco   G 

min  era  molti  -    Ha  ricevuto  i  sacramenti 

prima  di  morii 

No,  veramente,  egli  non  li  aveva  richiesti,  e  Ma- 
nina, credendo  che  egli  non  morisse,  non  glieli  a- 
\eva  proposti:  quindi  era  morto  senza  sacramenti. 

-  E'  curioso,  ripetè  il  vicario,  mortificato. — 
Chi  vi  se  questo  bimbo  davvero  battezzato. 

L'n  velo  offuscò  gli  occhi  di  Manina. 

-  Ah!  Oh'  Ecco  che  egli  i  ra  battezza  me!  — 
grill  '  tendi  i  il  bambino, 
che  Manina  rip           itasi  a  vi  '1". 

f'iie  hai  fatto,  brigantaccio  !  —  ella  disse,  ri- 
dendo  nervosamente,  mentre  il  prete  guardava  e 
scuoteva   la  sua  mantellina  1 

Ella  \  r  la  mantellina  col  suo  grem- 

biule,  ma  don  Palmerio  assicurò  che  non  occorreva. 

Non  macchia;   vi   assicuro  che  non   ma 
Bene,   domani   venite  da  me,  che,    riparleremo 
li  quell'affare.  Bui  ina  sera. 

i  via. 

M  ma  gli  andò  dietro  per  un  pezz  i,  poi  svoltò 
strada  e  -  i  casa.  Oh.  Dio,  oh.  Dio!  il  cuore 

le  batteva  convulso  hi  le  si  velavano  di  la- 

grime: e  non  ricordava  più  il  rasghin.  le  nuove  spe- 
rati/ ■  •.    la    risposta   che    il    giovine    al 
deva. 


!Y. 


nel  duro  lettino  puzzante 
neppur  quella  notte  ella  potè  dor- 
mire. 11  suo  bimbo  era  E  chi 

i  o  la  s,-i\ ;i  amei icana  a 

il  giorno  del  battesimo.  Chi 
iva  la  serva? Chi  sapeva  più 
Irino      I  '         trovarli,  in  _'ran- 

ime  il  ma i 


Ma   Krances        Non  bastava  che  egli  avesse  del 
to:  mio  Figlio  i-  diventato  crisi  i  ino 

No,  non  bastava.   Egli  aveva  tradito  una  volta: 
radito  sempre.  (  Ih.   Dio  !  oh.  Dio 
rix.i  a  Manina  che  dentro  il  suo  cervello  pass 
un  carro  pesante  e  rumoroso:    passava,  passava,  il 
carro  terribile,  schiacciandole  i   pensieri,  produ 
dole  alla  testa  un   dolore   fisico  acuto   e   il 
Il  piccolo  splendore  verde  della  lucciola  brillava  a 

rvalli    nella   mente    sconvolta:    e   ad  un    ti 
pane  alla  giovine  che  quel   chiarori-  crescesse,    llu- 
minando  tutto  il  buio  del  suo  pensiero. 

Era    un'idea.    Battezzare   il  bambino.    Albeggiava 
quando  la   vedova  ebbe  l'idea  salvatrice:    ella  non 
aveva  ancora  chiuso  occhio,  ma  improvvisameli 
sentì    sollevata,    come    allo  svegliarsi   da    un 
oo  S'alzò  e  apri  le  imposte  fracide  della  pi 
>tra:    il   tempo   s'era  cambiato,  come  aveva  pr>- 
detto  il  vecchio  barcaiui  I  elo,  uniforme  e 

so,  pareva  coperto  di  fumo  cinereo;   la  nebbia  arri- 
vava  fui    sulla  di    Manina,  e  un   sili 
li  lo  gravava  su  tutte 
Adamo  dormiva,  tutto  stretto  nell; 
sa.  con  gli  occhi  divinamente  socchiusi,   l.a   vi 
lo  coprì  accuratamente;   con  la  punta  del  dito  gli 
tolse  un   po'  di  bava   lattea  dall'angolo  della 
cuccia,   poi  richiuse  le  imposte  e  tiri")  su   la  botola 
che  metteva  nella  stalla,  volendo  uscire  senza 
veduta. 

1  a  scala  era  sempre  al  medesimo  posto,  ti 
l'apertura,  e   Martina    scese  lentamente   all'indii 

andò  ricadere  la  botola:  la  stalla  era  calda,  pu- 
lita, perchè  i  Giroflè  possedevano  più  mucche  ed  un 
cavallo  che   il  cognato   di    Manina  portava    in 
col  carretto  per  la  compra   delle  meliche:   un  - 
chiodi  fieno  verdognolo  odorava  in  un  angol      Ma 
riina  apri  la  porta  che  dava  in  un  gomito  di  sti 
solitaria  fiancheggiata  da  un  da  una  sie 

I  i  siepe  semi-nuda  svaniva  nella  nebbia,  il  I 
i-olmo  d'acqua  cosi  coperta  di  musco  che  pareva  un 
sentiero    verde;    alcune  oche   bianche   macchiati 
giallo  si   piluccavano  le  ali   umide,  appollaiate  sul- 
l'i >rb >  del  fosso:   tu  ra  di  una  indi 
va. 
Manina   attraversò   la   sti  tda,  e   subiti    v  de  Pie 
ito  che  s'avanzava  un   po'  freddoloso,  con  le  mani 
nelle  tasche  dei  pantaloni. 

Per  la  circostanza  solenne,  o  per  il  cambiamento 
di  temperatura,  il  i 

ina  che  gli  arrivava  appena  alla  vita. 
era  calzato  con  certe   -  uvhe. 

vide    Manina    uscire    dal    viottolo    solitarie 
•ti-    che    ella     gli    venisse    incontro:     an 
di    _  :    avanzò    verso    la    vedova   con    aria 

.li      trionfatore.      Ma      che     è.    che     non  I 

n.iv.i  a    p.iss.ir  oltre,     senza   neppure 
salutarlo,  e   pareva    seccata  da  quell'incontro. 
la  raggiunse  con  passi  da  lupo,  lunghi  e  rapide 
fu  quasi   si  .pra. 
Manina  ! 
La  vedova   volse  il  vis,,  grigio  invecchiato  dalla 
lunga  insonnia,  e  guard.'i  il  giovii  bbe  paura 

-li  occhi  pieni  di  un  dolore  d 


11.    l'.A  I  I  ESIMO    U  ADAMI  i 


•;s: 


rato  e  di  indifferenza  per  tutto  ciò  che  non  era  quel 
dolore. 

—  Che  volete,  voi  ? 

—  Dove  andate.  Mariina?  E    la  rispi 

-  Anelate,  andate!  —  dissella,  stendendo  il 
braccio  in  avanti.  —  Lasciatemi  tranquilla. 

Ma  dove  amiate.   Mariina?   Per  carità,  che  a- 
vete  ? 

Allora  gli  occhi  di  lei  si  animarono  di  quell'ira 
selvaggia  che  altra  volta  Pietro  aveva  visto  ardere 
nello  sguardo  amato. 

-  Amiate!  —  gridò  ella,  con  la  voce  rauca  dei 
monomaniaci,  —  andate  pei  fatti  vostri,  ("he  volete 
da  me?  Tanto  io  non  vi  credo.  Tutti  traditori,  uo- 
mini e  di  mne.   Andate  via. 

Egli  le  corse  un  po'  dietro,  scongiurandola  li  dir- 
gli che  significava  tutto  ciò.  Le  avevano  forse  rac- 
xmtato  qualche  bugia3  Che?  La  vedova  lo  lasciò 
dire,  ma  ad  un  tratto  gli  si  rivolse  cosi  inviperita, 
digrignando  i  denti,  gridandogli:  --  Ma  insomma! 
che  egli  rimase  li  sbalordito  ed  ella  s'allontanò. 

Pietro  la  vide  scomparire  fra  la  nebbia,  egli  sem- 
brò che  tutto  fosse  un  brutto  sogno.  Trasse  di  tasca 
una  mano  e  la  guardò  fisso:  poi  trasse  l'altra  mano 
e  si  diede  un  forte  pizzicotto  alla  guancia.  E  la  guan- 
cia diventò  rossa,  ardente  per  il  dolore.  Ah.  no.  egli 
non  sognava. 

Riprese  tristemente  la  via.  camminò  fra  la  neb- 
bia, a  fianco  delle  piante  che  parevano  nuvole  av- 
■  malesi  alla  terra;  e  salì  sull'argine:  tutto  era 
nebbfa.  il  fiume  invisibile,  il  bosco  nano,  l'orizzonte. 
Il  rasghin  vedeva  davanti  a  se  solo  l'erba  umida  del. 
l'argine,  e  per  abitudine,  mentre  l'anima  naufra- 
gava nell'amarezza  della  recente  disgrazia,  gli  occhi 
tiavano  a  cercare  il  bene  augurante  quadri- 
foglio ! 


Maria  andò  dal  vicario,  che  si   meravigliò  di   ve- 
derla così  presto.  Egli  stava  per  andare  in  chiesa  ( 
doveva  anche  recarsi  alla  posta  per  vedere  se  erano 
arrivati  certi  bulbi  di  Ci ■  > r i  (i  fiori  e  la  religione  !  don 
Palmerio  non   pensava   ad   altro,  e   lo  stabili- 
mento  Lungone   e  i    libri    di  monsignor  Bono- 
melli  erano  per  lui  le  cose  più  grandi  dell'uni- 
verso). Quindi  aveva  fretta,  e  ricevette  Mariina 
nel  cortile  ove  alcuni  gruppi  di  dalie  grana 
si  sfogliavano  lasciando  cadere  i  peta'i  che  pa 
revano  goccie  di  sangue  coagulato.  La  nebbia 
affacciavasi  ai  muri  come  un  nemico  invadente. 

-  Pare  che  non   abbiate  dormito!   -      dissi 
il  vicario  con  voce  un  po'  aspra. 

Mariina  lo  guardò  coi  suoi  occhi  dolenti  e 
irosi,  con  uno  sguardo  da  belva  ferita,  ma  ri- 
spose umilmente: 

-  E  non  ho  dormito,  infatti.  Come  domi    • 
con  quell'idea3  Ecco  cosa  ho  pensato... 

—  Sentiamo  un  po'  cosa  avete  pensato.  -  disse 
il  vicario,  sollevando  la  mano  destra  coll'indice  teso 

Mariina  fissò  quell'indice,  lungo  e  giallognolo.  ,- 
provò  una  strana  sensazione  di  freddo:  le  parve 
che  quel  dito  avesse  relazione  con  la  nebbia,  con 
l'acqua  del  fosso  coperta  di  musco,  e  con   un'idea 


vaga,  confusa,  venutale  durante  l'insonnia  di  quella 
triste  notte.  —  idea  che  ora  ella  non  ricordava  chia- 
laraniente.  ma  che  le  aveva  lasciata  una  impressione 
di  gelo. 

— ■  Ho  pensato  di  far  battezzare  il  bambino.  — 
disse. 

Come3  Che  vi  salta?  Non  affermaste  voi  che 
è  stato  battezzato? 

Ma....  e  lei  non  dice  che  non  può  essere  stato 
battezzato  ? 

-  lo  propendo  a  credere  così,  ma  non  si  può  bat- 
tezzarlo se  non  si  hanno  le  prove  eh,-  non  lo  è  stato... 

Ma  come?  Come? — chiese  ella,  disperandosi. 

-  Come?  Vedremo,  cercheremo.... 

Ella  vide  subito  l'impossibilità  di  aver  quelle 
prove,  e  disse: 

-  E'  impossibile!  (  )  crede  lei  che  New  York  sia 
Viadana?  E'  grande,  grande,  quella  città:  lei  non 
può  sapere  come  è  grande.  Battezziamoli  bambino, 
lo  voglio  che  sìa  cristiano:  bastano  le  altre  disgra- 
zie che  lo  opprimono:  oh.  io  voglio  che  sia  cristiano. 

Il  vicario,  un  po'  piccalo  dalla  supposizione  di 
Mariina  sulla  sua  ignoranza  riguardo  la  grandezza 
di  New  York,  cominciò  a  seccarsi,  e  s'avviò  per  li- 
sci re. 

—  E  impossibile.  E'  impossibile,  e  ini -pos-si-bi-le  ! 
esclamo  battendo  il  dorso  dima  mano  sulla  pal- 
ma dell'altra,  e  sillabando  l'ultimo  impossibile. 
Mariina  si  passò  una  mano  sulla  fronte,  con  quel- 


LA    LETTURA 


[uando  stanno 
pei  imp  [mente i  li  ella 

recitasse  un  po'  di  commedia. 

>se,  tiiaratemi  che 

non  e  1"  fareiro  i  subito  i 

l  gnor  vicario:   le  giuri  i  che 

opre  che  Adamo  è  stati  i  bai 

utile.  Non  si  può  battezzare.  Ni  . 
egli  scuotendo  il  capo:    ma  in- 
l  pensasse  ad  a 

1  uscì  t in >ri.   sulla  strada  sei 
i.  umida  e  verde  di  musco,  al  ili  là  della  quale 
veli  i  della  nebbia,  in  mezzo 
ad  un  pi  sembrava  una  grande  pianura  ba- 

ra. 

E  allora?  ese  la  vedova,  venendo  fuori 

a  neh 

Chiudete.   E   allora  aspettiamo.    Ed   i>ra   an- 
i. inquina.  Ne  parlerò  col  parroco  e  ci 

I      fece  nn  cenno  d'addio  con  le  dita  e  sollevò  le 

■  Ui  a  <!|  "ii    pi  t"  non  bagnarsi  fra  l'erba 
del  prato:   e  la  vedova  rimase  li  angosciata,  come 

prima  era  rimasto  il  rasghin. 
Rientrata,  trovò  Ad. mi"  sveglio,  ma  quieto  entro 
la  sua  fasi-ia  rossa,  nel  calduccio  del  letto:   appena 
la  vide  le  son    e,  ed  ella  si  intenerì,  sentì  un  nodo 
alla  gola,  ma  non  potè,  non  potè  piangere.  Era  una 
orribile:  le  pareva  che  la  sua  testa  si  fosse  ina- 
ridita, che  non  avesse  più  lagrime,  che  le  sue  viscere, 
il  suo  -in  re.  tutto  entri,  di  lei  si  fosse  carbonizzato. 
Prese  il  bambino  e  scese  nella  cucina  illuminata 
lata  da  un  gran  fuoco.  Il  vecchio  Giroflè  ed 
il  genero  mangiavano  e  bevevano,  seduti  davanti  al 
Martina  inginocchiata  sull'orlo  del  camino. 
arrostiva    sulle    brage     grosse    fette     di     polenta 
che  passava  al  padre  ed  al  cognato.  Vedendo  Ma 
rima  ci.l  bimbi,.   Martina  si  volse  alquanto  verso  A- 
;li  mandò  un  bacio  scoccando  le  labbra:  e 

un  risi  lino,  scu  I  ro  la 

sua  fascia  rallentata.  Allora  la  fanciulla  prese  una 
fetta  di  polenta  e  la  fece  vedere  al  nipotino,  accen- 
nandogli ili  venire  presso  di  lei. 

—  Gì  ■  ■  i   l.i   pi, lem. i  !  —  disse  il  genero 

ci  1  il  giochetto  d(  I   bimbo 

idi  occhi  azzurri  sorridenti.  —  Eh.  eh.  eh.  ecco 

i  vui  le  dawen  •  ' 

anch'egli  porse  una  fetta  di  polenta  al  bam- 

egli   vuole   anche   qui 
dunque  a  pre 
Ma    I  vecchio  Giroflè  s'ari  il  occhii  mi 

■  ■ni  d'ine  io  a  vociare. 

uarda   la   polenta  sul    fu  l    Marti- 

na, e  :   i  ' 

;  i  li  nta.... 

'  ••  livida.  Ah  .  dunque  suo  padri 
wicinò   al  camino,   rigida,  con    | 

V '.min  rideva  e  faceva  sforzi  per 
ntinuava  a  mostrargli  la 
on  vi 


—  I  anche  vi  ri  che  que 
sia  battezzata  ? 

Sapeva  o  non  sapeva  il  vecchio  Giroflè? 

■l'i  entemente?  Mariina   non 

riuscì  a  saperlo,  pei  non  la  guardò  neppure; 

solo,  continuando  a   mangiare,  egli   rispi         on  di- 
sprezzi ,  amaro  : 

—  Che  SO  io  dei   vostri   pasti,  i  Vi 

voi,  i  vostri   pasticci:   i  miei  consigli  son  roba  da 
sputarci  sopra,  ecco,  —  e  sputò  sul  fuoco. 

Mariina  guardò  il  cognato,  guardò  la  sorella: 
questa  stava  intenta  alle  sue  fette  di  polenta  sulle 
brage.  ed  il  giovinotto  continuava  a  divertirsi  con 
Adamo.  Ah!  La  vedova  si  senti  sola,  isolata. 
duta  come  nel  rumorosi,  deserto  della  città  lontana. 
Andò  a  sedersi  in  un  angolo,  e  con  le  mani  g, 
cominciò  .i  sfa»  ne  il  bambino  ed  a  rivestirlo  di 
un  abituccio  di  lana  scura;  e  provava  una  grande, 
una  infinita  pietà  per  quella  creatura  che  doveva 
essere  orribilmente  sfortunata,  che  era  già  orribil- 
mente sfortunata,  che  era  nata  fra  la  menzogna  ed 
il  tradimento,  e  viveva  fra  l'indifferenza,  e  forse 
non   era   cristiana  e   forse   non    li  he   diven- 

tar mai. 


V. 


S'avanzava  l'inverno,  freddo  ed  asciutto:  il  Po. 
che  durante  l'autunno  s'era  ingrossato  calando  im- 
petuoso e  torbido  com,-  un  Dio  irato,  coprendo  , 
schi  e  ingoiandole  isole,  ora  si  abbassava  ogni  gior- 
no di  più.  si-m], rendo  nuove  isole,  nuovi  piccoli 
golfi,  terso  e  freddo  come  una  immensa  lama  d'ac- 
ciaio. E  tutte  le  e,  s,-  intorno,  dalla  riva  fino  al- 
ni,, orizzonte,  dove  ora  apparivano  diafane 
nuvi  le  le  cenile  prealpi,  tutto  per  l'infinita 
pianura  s'era  denudato,,  irrigidito  come  uno  sche- 
letro. Non  una  foglia,  non  un  filo  d'erba:  sulle  nu- 
vole turchiniccie  della  sera  i  pioppi  sorgevano  con 
venature  che  sembravano  disegnale  con  la  cera. 

Dall'argine  in  giù  tutta  la  riva  dilungavasi  brulla 
e  chiara  di  sabbia  improntata  di  piedi  umani:   I 
i  rumi  ri   i   bravano  sonori  da  una  riva  all'altra,  nel 
silenzio  immenso  della  natura  morta  e  nuda. 

Spesso  Mariina  veniva  sull'argine  portando,!  pas- 
o    il    piccolo  Adamo  camuffato   con   uno    scuf- 
one   di    lana.   Il    sole  pallido   intiepidiva   l'aria 
trasparentissima,   e   solo  qualche   bicicletta    lucente 
volante  e  stridente  come  una  rondine,  sfiorava  Par- 
Qualche  volta.  Mariina  soleva  aco 
pagnar   la  sorella,   e  allora    inevitabilmente   compa- 
riva sull'argine  la   figura  del   ragazzo  col  ciuffo  brìi 
ti"  SO  Quasi  sempre  egli  aveva  o  una  mano 

0  la  fronti  licava  |  er  bastonature  o 

beli    robe  i  cevute  in  contrasti  amo- 
ri si.  eli'  n  Martina,  ma  poi 
finivano  col  mettersi  a  cintare  assieme  la  stupida 
rdin  ere  e  quella  della  obugandèra  »: 

rol  scossatiti  bagna. 

Intanto  camminavano  avanti,   e   Mariina   restava 


indietro,  cupa,  finché  ad  un  tratto  sbucava  da  un 
viottolo  Pietro  il  rasghin  e  le  si  metteva  a  fianco.  La 
prima  coppia  continuava  a  litigare  e  cantare  senza 
occuparsi  del  nuovo  venuto,  e  costui  non  faceva 
alcuna  osservazione  sui  due  ragazzi  che  precedevano. 
E  nessuno  veniva  a  molestare  la  compagnia.  Maria 
trattava  il  rasghin  ora  con  asprezza,  ora  con  indiffe- 
renza, mai  con  dolcezza;  però  gli  confidava  tutti  i 
suoi  rancori  ed  i  suoi  progetti,  uno  più  strano  del- 
l'altro. Un  giorno  diceva  di  voler  bastonare  il  vi- 
cario, che  le  aveva  messo  quella  nuova  spina  nel 
cuore.  —  quasi  non  le  bastassero  le  altre!  ■ —  poi 
sognava  di  ritornare  in  America  per  cercarvi  la  tede 
di  battesimo  del   bambino. 

—  Intanto  tutti,  tutti  sanno  questa  storia!  —  ella 
diceva  con  ira.  —  Tutti  guardano  il  mio  bimbo  co- 
me guardano  il  bimbo  Sagritti  (era  un  fenomeno). 
Chi.  chi  ha  raccontato? 

—  Ma  se  lo  raccontate  voi  a  tutti. 

—  A  tutti  !  A  voi  solo  io  l'ho  raccontato.  Le  sa- 
peva però  anche  mio  padre,  e  deve  averlo  raccon- 
tato lui  in  odio  a  Francesco,  —  diceva  ella  singhioz- 
zando. 

—  Manina.  Mariina  !  Calmatevi.  -  -  la  confor- 
tava il  rasghin.  con  infinita  pietà.  Il  più  delle  volte 
ella'lo  ricompensava  con  parole  aspre,  dicendogli  dì 
ficcarsi  nei  fatti  suoi,  di  non  molestarla  oltre,  di  te- 
nersi per  se  i  suoi  conforti,  ed  allora  il  viso  del  gio- 
vine si  accendeva,  e  la  voce  di  lui  risuonava  piena 
di  amarezza. 

—  Ma  guarda  !  Perchè  mi  trattate  cosi.  Mariina? 
Ed  io,  io  cosa  non  farei  per  voi  e  per  quest'angelo 
ir  nocente  ? 

Infatti  egli  pensava  sempre  al  modo  col  quale 
avrebbe  potuto  aiutar  la  vedova  a  trarsi  di  affanno. 
In  tempo  dì  face,  come  egli  diceva,  cioè  quando  non 
lavorava  nei  boschi.  Pietro  faceva  il  falegname,  o 
torniva  bastoni  da  scope:  guadagnava  discretamen- 
te, ma  non  metteva  molto  a  parte.  Ora,  per  aiutar 
Mariina.  occorrevano  denari  ;  denari  e  tempo  e  buo- 
na volontà,  per  recarsi  a  New  York  e  fare  le  debite 
ricerche  onde  scoprire  se  Adamo  era  o  no  cristiano. 
Da  qualche  tempo,  però,  il  rasghin  aveva  anch'egli 
il  suo  bravo  pregetto;  ma  prima  di  parlarne  a  Ma- 
riina voleva  assicurarsi  bene  se  era  attuabile  o  no. 
Per  spender  poco  egli  pensava  di  recarsi  in  Ame- 
rica come  emigrato;  là  giunto  avrebbe  cercato  la 
fede  di  battesimo  di  Adamo,  poi  si  sarebbe  fatto 
rimpatriare  come  privo  di  mezzi.  Voleva  poi  vedere 
se  la  vedova  lo  sposava  o  no!  Intanto  però  il  tempo 
passava:  il  vicario  aveva  scritto  ad  un  prete  lombar- 
do residente  a  New  York,  il  prete  aveva  fatto  delle 
ricerche,  ma  tutto  inutilmente. 

-  Ebbene,  lo  battezzerò  io,   --  disse  un   giorno 
Mariina  al  rasghin.  mentie  passeggiano  sull'argine. 

Il  giovine  la  guardò  :  ella  aveva  una  brutta  ciera, 
era  livida  e  raggrinzita,  quasi  arsa  da  un  fuoco  in- 
terno, e  la  sua  voce  suonava  rauca  come  in  quel 
mattino  dopo  la  gita  sul  Po. 

—  Perchè  non  deve  esser  egli  cristiano,  il  mio 
piccino?  Tutti,  tutti,  anche  i  più  luridi  pezzenti  han- 
no almeno  la  fortuna  eli  esser  battezzati:  perchè  non 


BATTESIMO    D* ADAMO  389 

può  esserlo  anch'egli?  Lo  battezzerò  io,  si,  come  il 
Battista  battezzò  Cristo  nelle  acque  del  Giordano. 

Pietro,  avvolto  nel  suo  tabarro  grigio,  la  guardava 
e  scuoteva  la  testa.  Ah,  quella  donna  impazziva: 
egli  vedeva  il  pensiero  sfuggire  dagli  occhi  di  lei,  e 
sentiva  un  istintivo  terrore  nel  guardarla.  Perche 
nessuno  l'aiutava?  Che  aveva  ella  fatto  per  meri- 
tarsi tanto? 

-  Io  partirò,  —  pensò  egli,  -  Insogna  che  la 
aiuti  almeno  io.  Ella  non  mi  vuole  perchè  dice  che 
gli  uomini  sono  tutti  traditori  ;  ma  saprò  dimo- 
strarle io  che  ella  si   inganna.   Abbandonerò  tutti. 


I  artirò:    dovessi  trascinarmi   leghe  leghe  coi  ginoc- 
chi per  terra,  ma  partirò,  arriverò,   tornerò. 

—  Mariina,  —  le  di  stasera  vado  a  Via 
dana  ;    avete  qualche  commissione? 

—  No.  Perchè  andate  ? 

—  Ho  un  affare.  —  diss'egli,  misterioso.        Forse 
poi  dovrò  fare  un  lungo  viaggio. 

Ella  sollevò  gli  occhi  un  po'  spaventati:  ah.  an- 
ch'egli se  ne  andava?  Buon  viaggio.  Ridiventò  in- 
differente, assorta  in  un  pensiero.  Discesero  la  fuga 
di  San/' Antonio  e  rientrarono  in  paese:  il  tramonto 
nitidissimo  arrossava  la  cima  della  torre;  1  rami 
grigi  degli  alberi  nudi  tremolavano  sull'or.,  vi 
ceo  del  cielo  vitreo:  dopo  giorni  e  giorni  di  .'attivo 
tempo  s'era  fatto  un  po'  di  sereno;  il  tango  dissec- 
cavasi  nei  viottoli  freddi,  la  gente  vagava  per  le 
strade.  Le  donne  erano  diventate  grasse  e  rosse,  e 
quasi  tutti  gli  uomini  erano  costantemente  allegri. 
Anche  Adamo  stava  benone;   cresceva  meravigliosa- 


.  il  )l  I 


LA    LETI 


ma 

ntro  due  sacchettini  'li 

;  un.  spessa  umidi  di  bava,  erano 

il  supplizio  e  il  divago  del  bimbo:   una  li 

tinna  si  svolgeva   fra  e  i  dentini  nascenti  del 

,■  n|  essi  •  egli  si  arrabb 

«ava  le  ■  ■  strilli  d'aquilotto, 

■■li      non  pi 
'(•mio  altri',  qualche  volta  si  morsicchiava  i  ditini 
nascosti   e  poi  rideva  e  piangeva  per   la   sua   j  >  r<  >- 

Giunti  davanti  alla  casa        Manina,  il  rasghtn 

salutò  la  ■' l< >\ a,  e  le  disse: 

nani   mattina  vorrei   parlarvi:   posso   pas- 
sare? 

i  li  mi  volete, 
K  Pietro  andò  via,  ed  ella  rientrò  e  si  sedette  nel 
-  angi  lo,  nella  cuc  na  i  alda  illuminata  dal  I  ui 
Cera  soltanto  Martina  che  preparava  la  cena. 
Adamo,  Mari  ina,    l  lallonzolando  il 

bimbo  sulle  ginocchia,        sai  la  storia  del  ciabal 
i  un  figliuolo?  Egli  bastonava  la  tao- 
iceva. 
Martina  si  volse  un  po'  meravigliata  ;  vide  che  la 
sorella  era  diventata  rossa,  con  gli  occhi  lucenti,  ed 
ebbe  il  maligni'  pensiero  che  avesse  bevuto. 

No,         proseguiva  l'altra.  -     nOn  gliene  fa- 

E  lui  giù,  botte  da  orbi.  Allora  la  madre  della 

nioglii    pensò  uno  stratagemma:   consigliò  la  figlia 

di   fingersi  incinta,    poi  di  partorire.   E   presero  un 

i  i     iarono,  gli  posero  la  cuffia  e  lo  m 
nella  rulla.    1!  ciabattino  moriva  dall'allegria,  carez- 
.  le  portava  dolci,  mostarda,  pollastri. 
non  perder  mai  di  vista    il  bambino,  il   bravo 
uomo  porta  entro  la  camera  il  suo  panchetto  da  cia- 
battiti' ri        trda  la  culla  e  dice: 

in  ca  liis, 

dà  </,/  air  ni  ,1  so  parlar  ,.■  , 

nascii  />.ir  miraroì, 
daga  mi  has. 

o  bacia,  ma  -<  nde  l'odor  del 

topo  '  appena  sente  fare:        Spp,  spp...       si  s  an 

a    sulla  culla  e  àaffa  il   preteso  bambino.  Ah! 

Ah!   Ah!   Allora  il  ciabattino  prende  la  moglie,  la 

tira  giù  dal  lei         |  ni    :  e  punì:  e pum !  giù  botte 

tlii. 

tuava  a  ballonzolare 
\     nao,   che  emetteva  degli   ah   prolungati,  quasi 

le  mera\ 
Mai    na  indava  di  qua  e  di  là,  ponendo  anch'essa 
meif'  guardami i  tanto   in   tanti  i 

'■■Ila. 

Perch  uardi         i  hiese  la  vedova  i  orru 

do  le  sopì,  i  redi  tu  ch'io  sragioni  ~J  11  to- 

po, '-.-ipo  -i.  .1  .    i,. ri, .//ai,,.  e  mio  :iglio. 

atura  umana,  non 
o  lo  vuol  battezz  tre.   Lo  1 
vedri  :  del  padi 

dello  Spirito  Santo. 
Pei  '  era  non  p 


che  le  ombre  calavano,  la  sua  voce  diventava  • 
monotona,  egli  occhi  lesi  velavano:  pareva  a. 
molto  sonno.    Diede  da  mangiare  al  bimbo, 

li   porto  su:  i  anch'ella  si  stese  sul  letticciuolo, 

stita.  e  stette  in  ascolto.  La  notte  era  nitida,    fi 

dissima  ;    nella    camera    si   gelava,    ma     Manina    non 

sentiva  il  freddo.  11  sangui-  le  pulsava  ardente 

nuca,    m  gola,   nelle    mani,    nei   piedi.    La   prese   una 

sonnolenza  piena  di  visioni  contuse,  ma  ella  m 
[asciava  cogliere  mai  da  una  completa  insensibilità: 

pareva  che  la  sua  anima  vigilasse    in   fondo  ad  una 
i  tenebrosa  ove  si  svolgevano  macabre  scene,  e 
aspettasse    un    momento    por    uscire,     fuggire. 
rarsi. 

Adamo  dormiva:    non  udivasi  neppure   il  suo   re 
spiro  lievissimo,  ma  di  tanto  in  tanto  risuonava  un 
piccolo  ,;//  smorzato,     detto   forse  in  un   indescrivi- 
bile sogno.  Manina  cingeva  con  un  braccio   il 
picciuolo  fasciato  del  bimbo,  e  continuava  anelo 
nei  suoi  sogni  nebulosi.  K  pur  scorgendo  cose  strane. 
corpi  neri  d'esseri  spaventosi  che  cambiavano  forma 
ogni    secondo,    bottoni     d'argento    che    erano    ani- 
mali,   suoni     che     erano     montagne,    ricordava, 
al   solito,    le  orrende  cose   che  erano   stati    ri 
nella     sua     vita:     le     gallerie     nere,    il     mare,     la 
città   fuligginosa,    le  scale  misteriose  e  spaventevoli 
delle  case  enormi,  l'orrore  degli  automobili   e  dei 
treni  sopravvenienti,  il  passo  di  Francesco  ferito,  il 


■ 


IL    BATTESIMI  i    1>  Al>\.\b  i 


391 


riso  rauco  del  vecchio  Giroflè.  la   lucciola   verde,   il 
dito  del  vicario.... 

Ah.  un  suono!  Che  era?  Niente,  il  vecchio  che 
chiudeva  la  stalla  sottostante.  Un  uomo  passava  per 
la  via.  fingendosi  ubbriaco  per  cantare  sconciamen- 
t(  :  s'udiva  il  fabbro  battere  ancora  l'incudine,  in 
lontananza,  e  il  suo  martello  vibrava  come  la  vi 
d'un  uomo  entro  una  montagna,  che  cerchi  spezzar 
le  pietre  ed  i  minerali  per  liberarsi. 

Tutti  i  rumori  vibravano  come  corde  metalliche 
nella  notte  chiara  e  gelata:  ma  a  poco  a  poco  tutto 
tacque,  tutto  fu  gelo  e  silenzio. 

Allora  la  vedova  fece  uno  sforzo  per  scuotersi 
dal  sopore  febbrile;  si  alzò,  impallidì,  rabbrividì 
dai  piedi  alla  testa.  Senza  far  rumore  aprì  la  fine- 
stra poi  tirò  su  la  botola,  scese,  aprì  la  porta  della 
stalla  e  risalì  la  scala.  Automaticamente  fece  tutte 
queste  cose  con  la  sveltezza  che  adoprava  parecchi 
anni  prima  quando  scendeva  a  far  l'amore  con  Fran- 
cesco. 

Un  chiarore  metallico  di  luna  illuminava  la  ca- 
mera e  la  stalla:  Maria  prese  il  bimbo,  lo  avvolse 
nello  scialle  usato,  e  ridiscese  cautamente  la  scala  la- 
sciando aperta  la  botola. 

E  uscì  e  s'avviò  verso  il  Po. 

Il  -freddo  era  acutissimo  :  il  cielo  pareva  di  ghiac- 
cio azzurro,  e  tutte  le  cose,  la  luna,  le  stelle,  le  siepi 
rigide,  l'acqua  gelata  dei  fossi,  le  case  mute,  le  stra- 
de deserte,  tutto  sembrava  assiderato.  La  vedova  co- 
prì il  visino  di  Adamo  e  camminò  cauta,  nell'ombra, 
finché  arrivò  sull'argine. 

Il  fiume  pareva  immobile:  verso  Brescello  svol- 
gevasi  con  la  solennità  melanconica  di  un  lago  mor- 
to; la  torre  di  San  Martino  di  Viadana  biancheg- 
giava alla  luna  e  pareva  una  costruzione  di  neve: 
nuove  isole  nude  e  scure  apparivano  nell'immensità 
delle  acque  come  nuvole  sul  cielo  ;  i  boschi  schele- 
triti, evanescenti,  la  luna  e  le  stelle  si  ripetevano 
entro  il  fiume.  Qua  e  là  brillavano,  di  un  pallido 
splendore  come  grandi  frammenti  di  cristallo  ap- 
pannato, lembi  di  acqua  che  cominciava  a  gelare. 

E  tutto  il  grande  panorama  fluviale  aveva  la  fred- 
da, infinita  e  silenziosa  purezza  della  morte. 

La  vedova  scese  la  riva  sabbiosa,  dove  i  cespugli 
parevano  macchie  di  spine,  e  si  fermò  davanti  alla 
lanca  (gora  morta),  che  dopo  le  piene  erasi  nuova- 
mente formata  fra  una  lunga  isola  di  sabbia  e  la 
'"onda. 

— ■  Adamo.  -  -  disse  Mariina,  accomodandogli 
Irene  lo  scialle.  —  io  ti  battezzo  nel  nome  del  Padre, 
del  Figliuolo  e  dello  Spirito  Santo.  —  E  si 
nell  acqua  col  bimbo  fra  le  braccia.  L'acqua  ma- 
gra della  latita  s'aprì  e  si  riunì  rapidamente,  tur- 
bandosi tutta  come  cosa  animata. 

Mariina  sentì  una  impressione  indicibile  di   fn 
do.  di  vuoto  e  di  terrore,  e  non  solo  non  perdette  i 
sensi,  ma  udì  Adamo  piangere  con  pi  sof- 

focati. Ah.  quei  piccoli  gridi  entro  l'acqua!  L'an- 
goscia che  Mariina  provò  nell'udirli  superò  tutte 
le  altre  angoscie  sofferte. 

—  Hai  freddo2  —  pensò,  stringerlo.  no. 

—  Quieto,  quieto,  ora  sei  cristiano.  Ora  tutto  è  fi. 
nito. 


11  bambino  tacque.  Due  volte  Li  giovine  tentò 
affondare,  due  volte  risalì  a  galla,  rivide  il  cielo  e 
il  fiume.  L'acqua  della  lanca  era  bassa,  il  fondo 
duro. 

-  San  Giovanni.  San  Giovanni  mio.  —  pensava 
Mariina  con  dispera/ione.  -  voi  non  volete  dunque 
che  noi  moriamo? 

Tentò  una  terza  volta  affondarsi,  e  tornò  ancora 
a  galla  :  pareva  che  il  suo  corpo  fosse  diventato  di 
ghiaccio.  Anche  la  morte  la  respingeva. 

Allora  s'addrizzò,  s'aggrappò  alla  sponda  e  sorse 
miserabilmente  sulla  riva,  come  l'avanzo  di  un  lungo 
naufragio:  l'acqua  della  lanca  rabbrividiva  tutta, 
e  sembrava  spaventata,  rna  tutte  le  altre  cose  conti- 
nuavano nella  loro  immobilità  rigida  e  muta  di 
morte. 

Mariina  ritornò  a  casa  sua.  lasciando  un'orma  di 
acqua  dove  passava. 

Il  bimbo  restava  immobile  entro  lo  scialle  gron- 
dante, e  Mariina  credeva  che  dormisse:  ella  poi, 
con  le  vesti  infangate  e  attaccate  alla  persona,  coi 
capelli  sciolti  raggrumati  e  gocciolanti,  gli  occhi 
pieni  di  follia  e  tutti  i  lineamenti  contorti,  pareva 
un  fantasma  di  dolore  cacciato  da  un  luogo  fan- 
goso dove  aveva  fino  allora  lottato. 

Rientrata  nella  stalla  socchiuse  la  porta,  ma  fu 
'1  suo  ultimo  sforzo:  non  potè  raggiungere  neppure 
la  scala.  Una  potenza  misteriosa  e  mostruosa,  im- 
palpabile e  orribile  come  l'essere  peloso  che  la  ter- 
rorizzava venti  anni  prima,  la  raggiunse  e  la  fece 
cadere. 


L'indomani  mattina,  per  tempo.  Pietro  passò  da- 
vanti la  casa  iMla  vedova,  con  la  speranza  di  ve- 
derla e  dirle  che  aveva  avuto  buone  informazioni 
circa  la  possibilità  del  suo  viaggio.  Il  portone  stava 
socchiuso:  s'udivano  voci,  pianti  di  donna,  passi 
affrettati.  Una  vicina  attraversò  correndo  la 
strada .  spinse  il  portone  ed  entrò.  Pietro  non 
dimenticò  mai  il  triste  spettacolo  che  vide. 
Xella  cucina,  steso  sopra  un  cuscino  ove  di  solito 
Mariina  lo  posava,  giaceva  il  bambino  mono:  lo 
avevano  spogliato,  avevano  inutilmente  cercato  di 
richiamarlo  a  vita  :  il  su  no  tornito,  non  an- 

cora irrigidito  dalla  morte,  era  bianco  come  cera: 
solo  i  ditini  dei  piedini  e  delle  manine  restavano  al- 
quanto contorti  Il  visetto  conservava  una  espressione 
di  pianto,  le  labbra  sporgenti,  gì  eh  ni  spalan- 
con  una  fissità  cupa.  IVr  terra  stavano  le  fascie. 
lo  scialle,  i  sacchettini.  Quei  sacchettini  bagnati! 
Pietro  sentì  un  impeto  di  angoscia  nel  guardarli  . 
mentre  Martina  pia  iva  con  parole 

anelanti  il  triste  dramma.  Il  vecchio  Giroflè  aveva 
trovato  la  figliuola  svenuta  nella  stalla.  Il  tepore  del 
fieno   l'a\  ■    a  in   vita:   ella   stringeva   ancora 

fra  le  braccia  il  bimbo  avvoll  ialle  bagnato, 

ni  fieno,   sotto  l'alilo  ealdo  delle  vacche.    I 
Ili  le  si  erano  asciugati,  rimanendo  aggrovigliati. 
endole   il    viso  cadaveri'.        ivi     1   le  mani  ag- 
line, le  gambe  coperte  di  fango:  il  fieno  s'era 
attaccato  alle  vesti  bagnate,  ai  capelli  ^':'  I 


3Q2 


LA    111 


1 1  \.-  ito  i  hiamando  le  figliuole  ed 

il  genero;  poi  aveva  divelto  il  bimbo  dalle  braccia 
della  madre,  rgendosi  che  era  morto   aveva 

e  una  donnicciola, 
na  era  rinvenuta,  ma  vedendo  i  pari 
da  convulsioni  di  rabbia,  e  si  calmò   [uando 
il  iiu-ilici>  i imase  pressi i  di  lei. 

i  i  vederla.  Sali  le  scale  e  ino  in 
il  vecchio  Gin  iflè  i  he  aveva  gli  01  chi  n  issi  ed 
un  t  tone  spaventata   Alcune  vicine  amia 

pei  la  casa:  s'udiva  la  malata  gemere 
■  il  lìgliuolino. 
i'ln  l'uscio  aprirsi  e  credendo  fossero  i  pa- 
i,  la  vedova  ricominciò  a  urlare  e  dibattersi:  il 
i  tenne  ferma,  ed  ella  riconobbe  Pietro  e 
dmò.  Era  rossa  in  viso,  con  gli  occhi  scintillanti, 
i  capelli  liati   sul  guanciale.   Pietro  non  la 


\  e\  .1  vista  mai  ci  isì  bella,  e  ne  ebbe  una  pietà 

la  I  Ila  '!:'  e\ a  delle  cose  insensate,  richiedeva 
insistentemente  il  bambino;  e  gemeva,  piangeva 
senza  Lagrime,  cercando  'li  sollevarsi  e  ili  alzarsi. 

Pietro  guardò  esterrefatto,  ricordandosi  le  | 
che  la  sera  prima  Manina  gli  avi  va.  ■  ■ 

ecco,  gli  pareva  di  impazzire  anch'eglil 

Non  vedendo  il  1 bo,  Manina  diventò  furiosa 

anche  contro  il  medico:  allora  costui  richiese  l'i 
ili   Pietro  ed  il  giovine  fu  costretto  a  legan   al 
la  ili  unni-,    poi  amili  via  piangendo  e  non  la  rivi- 
de più. 

,  v  ■  M  detta,  y>. 


Grazia  Deledda. 


1    I  N  E. 


'    WP±*. 


I  campanili  medievali  d'Italia 


[e  chiese  italiane  hanno  tutte  un  campa- 
nile ;  di  rado  ne  hanno  due  come  ciò  si 
vede  all'estero,  soprattutto  in  Francia  e 
in  Germania  ;  in  tal  caso  i  campanili  formano  un 
corpo  solo  colla  chiesa  e  nel  caso  opposto  ne  sono 
talora  staccati.  Esempio:  il  campanile  del  Duomo 
di  Pisa,  di  Santa  Maria  del  Fiore  a  Firenze  e  di 
San  Marco  a  Venezia. 

Da  noi  gli  esempì  più  arcaici  di  campanili  ap- 
partengono al  V  secolo;  ne  fa  fede  il  musaico  che 
orna  l'arco  trionfale  in  Santa  Maria  Maggiore  a 
Roma,  eseguito  sotto  Sisto  III  (430-40).  ove  si  ve- 
dono delle  torri  presso  a  un  battistero  e  a  una  basi- 
lica ;  si  vede  qualcosa  di  simile  nelle  celebri  impo- 
ste lignee  di  Santa  Sabina  pure  a  Roma,  imposte 
che  sono  il  monumento  ligneo  più  vetusto  della  Cri- 
stianità, risalendo  all'epoca  di  Celestino  I.  circa 
(422-32  i.  Però  non  si  è  certi  che  queste  torri  (io  le 
ho  dette  campanili  forse  arbitrariamente),  contenes- 
sero delle  campane  il  cui  uso  non  si  sa  con  esat- 
tezza quanto  sia  antico,  e  non  sapendo 
l'alta  origine  delle  campane,  si  manca  di  un  sussidio 
indispensabile  a  stabilire  l'antichità  dei  campanili. 
Al  certo  le  campane  erano  usate  nell'VIII  secolo, 
allepoca  di  Stefano  II  (752).  perchè  questo  ponte- 
fice ne  dotò  la  Basilica  Vaticana,  ed  Amalario.  ve- 


scovo di  Treviri,  coevo  di  Carlo  Magno,  credette  che 
quelle  campane  fossero  le  prime  adoperate  a  Ro- 
ma. Forse  Amalario  s'ingannava,  perchè  sotto  Ste- 
fano I  nel  734-38.  si  fa  menzione  di  campane  in 
1  lancia,  ed  è  possibile  che  su  ciò  Roma  non  sia  ri- 
masta indietro  ad  alcun  paese  cristiano.  Certo  oggi 
in  Italia  la  più  vetusta  campana,  quella  del  Museo 
Falcioni  a  Viterbo,  non  va  più  in  là  dell'VIII  o 
IX  secolo.  Essa  fu  esposta  all'Esposizione  eucari- 
stica d'Orvieto  nel  1896  e  il  Peraté,  che  ne  scrisse 
sulla  Gazelte  des  Beaux  Arti,  la  dette  a  Ferento , 
sbagliando:  trattasi  di  una  campana  di  sommo  in- 
teresse per  l'archeologia  cristiana,  di  nessuno  o  qua- 
si, per  l'arte:  è  semplice  e  la  particolarità  più  affer- 
rabile, ad  occhio  profano,  è  un  foro  triangolare 
presso  un  triplice  anello  e  una  lineatura  che  quasi 
traccia  il  tetto  di  una  basilica  a  tre  navi,  come  ben 
osservò  il  De  Rossi.  La  sua  data  sarebbe  indicata 
specialmente  da  una  croce  a  volute  arricciate,  for- 
ma comune  ai  monumenti  dell'VIII  o  IX  secolo. 


Dunque,  rispetto  ai  campanili  io  dichiaro  che  il 
Vi  secolo  potè  averne  e  ne  ebbe;  e  quest'afferma- 
zione ripresentata  quasi  come  propria  da  vari  scrit- 


.;.M 


1  \    i  ETTURA 


appartieni    al   De  il    VI 

.  a   Ri  ma,   il  cam]  amie  di   Santa    Pudei 
mpanili  i  h  i    un'alta 

Ravenna      \    Ravenna    il  campanile  pivi 

bello  è  quello  di  Sani  Apollinare Classe  l' in  .ri  ». 

alto,  cilindrico,  che  si  vuol  co  111        San    \ 

pollinare  Nummi,  il  quale  si  attribuisce  all'VII]  se 
colo,  ma,  forse,  ambedue  sono  più  antichi  e  corri- 
spondono   all'età    delle  siliche   (VI   secolo). 
Un  elegante  campanile,  cilindrico  come  ì  precedenti, 
vedesi  a  Ravenna,  allato  della  chiesa  dei  Santi  G 
vanni  e  Paolo  con  finestre  monofore  e  bifore 
semplici. 
\      accennando   Roma,  ho  ai   ennati  >  il  fa 
campanile  'li  Santa   Maria  in  Cosmedin;    campa 

nile  agile  in  cui  il  vuoto  l ifa  leggiadramente  sul 

pieno,  a  molti  pian,  'ìi  finestre,  quadro,  come  si  le 
pni   quasi  tutti  i  campanili  italiani,  »■  non  l'ho 
in  'n   li p  reputo   i Irli  VI  1 1    secolo 
rome  taluno  lo  dichiara,  ma  ilei  XII. 

Comunque,   senza   discutere  questa  mia  opinione 
qui  .  la  quale,  se  <    storta,  qualcuno  raddrizzerà, 


il  campanile  ili  Santa  Maria  in  Cosmedin,  ci  fa  i 
trarr  in  piena  architettura  lombarda  e  in  p 

•lei     più    bei    campanili 

liani  (  i  i. 

La  Lombardia  nei  assai  'inaia,  e  nessun  cam- 
panile lombardo  sia   ("is.   a  pari,  per  antichità,  i 

qtielln  ili  San   Salilo  a    Milano    (va    tent  '  Ile 

Milano  p. .ssie.le  il  cam]  iddetto  dei  Mi 

a     Sant'Ambrogio,    la   cui    età    non    può   t'issarsi    per 

mancanza  ili  documenti,  ma  .■  inolio  aitai,  il  quale 
risalirebbe,  secondo  autorevoli  ipotesi,  all'ultimo 
quarto  del    IX  secolo,  all'epoca  'li  Ansperto   foni 

Iella  chiesa  'li  San  Sauro;  e  per  bellezza 
sun  campanile  lombardo  sta  a  pari  eoi  i 

o»  di  Cremona,  se  ne  eccettui  forse  il  campai 
ili  San  Gottardo  a  Milano,  la  qual  cosa   si   dice  Ira 
noi  eolia  speranza  che  nessun  cremonese  la  senta. 

«Trattasi  del  più  bel  campanile  della  Lombardia 
e  do  uno  dei  più  belli  d'Italia  ;  tuttavia  la  sua  storia 
in  oscurata  dalli  :ze  lino  a  ieri. 

Si  attribuisci-  ;ill'\"  1 1  I  secolo  il  principio  del  •   I  01 
razzo*,  ma  questa  notizia  basata  su  una  iscrizione 
fantastica,  in  cui  è  'letto  che  il   15  aprile  ilei  7: 
ne  gettò  la  prima  pietra,  è  falsa  e  si  citano  presenti 
alla  cerimonia    papa    Stefano   II   e  Astolfo    re   «lei 
Longobardi   i  quali  morirono  avanti  il   754. 

A  parie  questa  ragione  di  tati",  sembra  impossi- 
bile che  Cremona  in  miseria  durante  questeprca, 
potesse  allora  iniziare  una  torre  monumentale  come 
il  «  Torrazzo  »;  e.  per  me.  il  vero  consiste  in  ciò: 
che  il  «  Torrazzo  »  fu  cominciato  nel  XII  o  XIII 
suolo  ed  è  certo  che  nel  1267  la  parte  quadra  era 
compiuta  e  alla  line  ili  questo  secolo  doveva  esser 
finita  anche  la  parte  superiore  ilei  campanile. 

Ma  da  chi  finita'  domanderà  curioso  il  lettore. 
Nessuno,  perora,  sa  dirlo:  gli  autori  del  «  Torraz- 
zo »  sono  igni  iti. 

11  ■  Torrazzo  ,>  di  Cremona  richiama  la  memoria 
sul  campanile  del  Duomo  di  Crema  —  e  richia 

la     memoria    sul    campanile     di 
(  'rema   per  una    certa 
51  piantino   nella    pane  supei 
re,   coronata,   come  il    «  Torraz- 
di  una  loggetta  a  ghirlanda. 


Citai  il  campanile  di   S.  1  '."'- 
tardo  a   Milano,  di  terracotl  1 
me  i  precedenti,  agile  e  del" 
sì   da  confrontarsi   ad  un  gi 
lo:    anch'esso  è  coronato  da  una 

a  ghirlanda  e  va   m 
in   su.    con    un    cono    aguzzo    su 
cui    s'erge    la    immagine    dell'ai- 


Nili    >\"  S.    I  . 


1     Non  vien  parlate  del  1  ampanile 
.h  S.     Mai  ia  dell'Ari  evia    1  li 

1  più  bello  'li  Roma,  pi 

del    N  V  secolo, 
ni  gran  parte  a  Antonio  da  San- 
gallo   ialini"  fé' il  nome  del  Urani 
■  '   m  parli-,   li   n  Rioni    ■ni' 
un  artista  tedesco. 


1    I  A.WIWXIU    Ml'.hH'.VM.I    MI   \. 


3o5 


eangelo  San  Michele,  di  ri 

panile  di  cui  si  vede  agevolmente  l?età  e  se  ni  sa 
l'autore.  L'età  del  campanile  è  il  primo  mezzo  del 
XIY  secolo,  l'autore,  il  cremonese  maestro  France- 
sco Pecora  ri  :  e  se  una  immaginosa  e  galante  compo- 
sizione architettonica  fu  ideata  nel  XIV  s 
sta  composizione  è  il  campanile  di  San  Gottardo: 
—  parlo  della  Lombardia.  Che  nell'Emilia  la  cele- 
bre a  Ghirlandina».  la  Ghirlandina  di  Modena,  si 
impone,  e  ad  un  posto  ragionevole  si  colloca  il  cam- 
panile di  San  Francesco  a  Bologna,  rimesse  in  vi- 
sta in  quest'ultimi  anni  da  un  lungo  restauri  >  che, 
principalmente,  si  rivolse  alla  bellissima  chiesa  go- 
tica di  cui  il  campanile  è  ornamento  elegante  e  ci  m 
plemento  necessario. 

La  Ghirlandina  di  Modena,  che  sorge  presso  ai 
Duomo,  tu  costruita  nella  sua  parte  quadra,  vuoisi, 
contemporaneamente  al  Duomo  e  finita  nel  1159; 
su  questa  costruzione  fu  eretta,  dal  1261  al  1319.  la 
parte  ottagona  e  piramidale  su  disegno  di  Arrigo 
da  Campione,  e  fu  più  volte  restaurata  e  fortificala. 
Xel  XVI  secolo,  per  esempio,  ricevette  un  restauro 
che  vorrebbesi  confrontare  a  quello  che  ebbe  a'  no- 
stri giorni,  il  quale  è  durato  quanto  la  fiaba  del  sior 
Intento  e....  quello  della  chiesetta  de'  Miracoli  a 
Venezia.  Il  restauro  della  Ghirlandina  è  costato  pa- 
recchie migliaia  di  lire;  la  qual  cosa,  si  nota  a  sod- 
disfazione di  coloro  che  amano  i  monumenti  antich 
Quanto  al  campanile  di  San  Francesco,  io  nbn  dirò 
altro  che  esso  ha  attirato  la  curiosità  degli  studiosi 
non  solo  per  la  sua  sobria  bellezza,  ma  altresì  per 
ciò  che  il  campanile  venne  fabbricato  (1397  al  140;) 
da  maestro  Antonio  di  Vincenzo,  l'erettore  prim  i- 
pale  di  San  Petronio. 

Né  parlo   della  Torre  degli  Asineli!  (1109).   ne 
della  Torre  dei  Garisendi  o  «  Garisenda  »  (uro). 
e  neanche  di  altre  torri  più  celebri,  perchè  intendo 
occuparmi  esclusivamente  «li  campanili  addetti   alle 
chiese.  Le  due  torri  di    II   li 
potrebbero  tuttavia  qui   esser   1 
tate   per   la   pendenza   la    quale 
volle  artificiale  or  acciden- 
tale, ed  è  accidentale. 

S  :onchè  su  questo  proposito 
avvi  il  campanile  del  Duomo  di 
Pisa,  come  tipo  di  torre  penden- 
te e  la  questione  agitatasi  intor- 
le  «  Torri  di  Bologna  a  s 
agitò  e  si  agita  intorno  al  cam- 
panile di  Pisa. 

Il  campanile  di  Pisa  è  1 
bilmente    monotoni  ■  i   sei 

piani  di  loggette  che  circondano 
un  nucleo  cilindrico  ;  a  malgì 
di  ciò  questo  campanile  è  uno 
dei  più  celebri  d'Italia  e  tre 
quarti  della  sua  fama  . 
al  suo  strapiombo:  quasi  due 
metri  e  mezzo.  Esso,  architettato 
da  Bonanno,  venne  fondato  nel 
n 74.  e  la  sua  piegatura  sareb- 
besi  cominciata  a  verificare  es- 
sendosi al  primo  vòlto,  così  nella 


nua  1  ne  1  lei  la  fabbrica  s  cerei  1  mi  1 1  .irvi  ; 
pero  a  un  certo  punto  si  Forse  per 

mancanza  di  denaro  come  ciò  avvenne  pel  Duomo. 
e,  solo  dopo  vari  anni  si  ripresero  sotto  la  direzione 
■  li  Guglielmo  Innsbruck.  il  quale  non  porti)  a  fine 
la  fabbrica   il  cui  compimento  si  deve  a  un  Tom- 

1  da  Pisa,  che  coraggiosamente  mise  sulla  tor^e 
pendente  la  sezione  per  le  campane. 


Che  la  pendenza  del  campanile  di  Pisa  sia  acci- 
dentale appaga  quasi  tutti  e  anche  un  recente  scrit- 
re,    lo   Schumann,   confermò  trattarsi  ivi    di    un 
movimento  casuale  di  terreno  che  si   tentò   di  cor- 
reggere via  via  che    s'andò    avanti   nel    fabbricare. 
un    spiriti    sottile,  uno  scrittore  nord-americano, 
ni   indagini  forse  ignorò  lo  Schumann.  sostenne 
ida  tratta  la  voluta  inclinazione  del  campanile. 
mesti   il  Goodyear,  un    geniale   espositore  delle 
:ze   ottiche   nell'architettura    medioevale    italia- 


Firenze  —  Chiesa  ni  Bahia. 


.;.,., 


1  A     l.l.l  I 


Palermo  —  Chiesa  della  Martorana. 

na  di.  '■  costui,  lungi   dal  credere  a  un  cedimento 
casuale  di  terreno  e  allo  studio  di  tornare  il  meglio 
possibile  alla  direzione  verticale,  sostiene  che  il  cam 
panile    di    Pisa  non    si   mosse    mai    dalla   posizione 
attuale,   voluta    dai    suoi  architetti;    posizione  che 
rappresenta  un   ardimento,  il   sommo,  dell'architet- 
tura medievale  italiana.    Un  simil   fatto,   soggiunse 
Goodyear,  vedesi   nel   Duomo  di    Pisa   la   cui 
omba  per  poi  tornare  a  piombo  ;  onde 
r  lo   scrittore  americano  non   è  accidentale 
nemmeno  la   pendenza  delle  due  torri  di   Bologna, 
ed  io  riferisco  quest'opinione  facendo  delle  riserve. 


non   conobbi ,  i    il  (  lassici:  mi  i   api  ìdo  ri 

i  del   Mei  ioevi      on      uita 
ne  assicura  il  Goodyear —  per  via  di  accorgimenti 
n. ih   ricordano  quelli   dell'architettura  greca   ri 
velata  dal  Penrose:  che  ora  unendo  esclusivamente 
riferirmi  al  Classicismo  del  XV  e  XVI  secolo,  sorto 
sulla  III  tica  che  fecondò  gli  artisti  medie- 

vali i  qu.di  più  si  considerano    più  ingrandiscono 
davanti  ai  nostri  occhi.  E  quanti,  quanti  si  vanno 

traendo     dall'oscurità     e     dal 

l'oblio! 


11  campanile  più  bello  d  Ita- 
lia   è,    senza    possibile  conti 

/ione,  quello  ilei  Duomo  di  Fi- 
renze e  lo  studio  sereno,  oggetti- 
vo, basato  su  documenti  di  que- 
sto campanili-,  mise  in  lui  i 
degli  artisti  più  insigni  d'Italia 
di  cui  si  ignorò  o  poco  si  coiisi- 
'  ero  la  es  enza.  1  costui  Fran- 
cesco Talenti,  il  principale  au- 
tore e  il  più  geniale  sì  del  cam- 
panile come  del  Duomo  di  Fi- 
renze. Tuttavia,  per  il  ]  ubblico 
in  genere,  il  campanile  è  ancora 
di  Giotto,  mentre  appartiene  a 
Giotto  quanto  la  chiesa  ad  Ar- 
nolfo. 

Ne  la  storia  veridica  ne  fu 
narrala  ;  essa  risale  al  XIV  se- 
colo e  trovasi  sul  Centiloquìo  del 
Pucci,     scrittore    contempi  >i 

a  Gii  ittO,  sotto  l'anno  133  ; 
narrata  in  versi  e  questi,  che 
trascrivo,  espongono  la  storia 
del  campanile  di  Firenze  con 
una  esattezza  la  quale  può 
\  arsi  in  un  poderoso  volume  fa- 
ticosamente   inzeppato    di    date. 


1    ■    mente  l'architettura  n  di  ebbe  delle  gè 

niali  tro-.  delle   audacie  che    il  Rinascimento 


(il  Optical  refinementi    m    Medieval   ArchUeelure   in 
Architeclural  l  v..  L'anno  ■   nella  me- 

la rivista  che  si    pubblica  trimestralmente  a    Nuovi 
Vi.rk,  il  Goodyear  pubblicò  altri    lavori    analoghi    riguar- 
danti   l'architettura  medievale  italiana   e    le   osservazioni 
empn  'la  un  ricc.  e  1  irredo  'li  i  igi 


documenti,  coni  pinti. 
Ecco  qui  : 

Nell'anno  a'  dì  diciannove  di  luglio, 
li  Ali  ra  maggiore  il  Campanile 

Fondato  fu,  rompendo  o^ni  cespuglio, 
Pei   mastro  Giotto  dipinti»   sottile, 

Jl  (/ini!  condusse  tanto  il  lavorio 

Ch' e"  primi  intagli  fé"  con  belìo  siile. 
Vel  trentasei,  siccome  piacque  a  Dio. 

Giotto  morì  d'età  di  f.X.Y  anni. 

E  in  quella  chiesa  poi  si  seppelHo 
Po  ./ir  7  condusse  un  tempo  con  affanni 
olenne  maestro,  .indirà  Pisano, 
te/a  bella  /'mia  al  San  Giovanni, 
Ma  per  un  lavorio  ih,-  mosse  vano 
Il  guai  si  fece  per  miglioramento, 

Il   maialilo   fU/14   trailo   ,<>  tolto     di  >ll<: 

E  guidai  poi  Francesco  di   Talento, 
/inni  che  al  lutto  fu  abbandonato 

l'ir  dar  fu  ima  alla  i Illesa  compimento, 

'  .       '■      dunque     fondu     il     campanile    nel     I 

morto  nel  '36  gli  suore!  e  Andrea  Pisano,  vale  a  ■ 


■-» 


àiBS 


Cremona  —  La  Cattedrale  e  il  Torrazzo. 


Venezia  —  San  M  irc  i 


Roma  —  S.«  Maria  in  Cosmedin. 


Modena  —  La  Ghirlandina. 


3qH 


LA    LETTURA 


Andrea  da  I'  Andrea  i  <   di  Pon    dera 

in  in  di   Pisa  |,  ma    i  stui,  ti         i         lenne  »,  prò 
l„  -,  .1,    disegni  mi» >\  i  che  non  piacquero  e  il  «  mae 


Milano       San  Satiro. 

il  cioè  la  capo-maestranza,  gli  fu  levata  e  fu 
mandato  .1  spasso  e  al  luogo  suo  venne  messo  Fran- 
1      mto. 
Lsione  'li  illustrare  altrove  che  i  cambia 
menti  ili  ■  iza  indicati  dal   Pucci,  o 

spondono  al  fatto,  e  'I  camj  .nule  del  Duomi»  ili  Fi- 
renze —  il  quale  incomincia  in  un  modo  e  finisce  in 
un  altro —  conserva  le  traccie  de1  vari  maestri  che 
lo  diressero  e  il  maggiore  artista  ne  fu  il  Talenti  e 
■1  c'entra  poco.  Ciò  è  perfino  confermato  da  un 
documento  sincrono,  un  disegno  ili  campanile  che  se 
di  Giotto  all'epoca  ili   questo  appartiene;   un 
gno  ili  campanile,  1  lio  1,  •  he  ha  tutti  »  il  ti  mi  1  : 
inolio  iniziato  da  Giotto  a  Firenze,  ha  misuro  curri 
spondenti  ed  uto  dall'Opera  del  Duomo  di 

In  breve:  dove  il  Talenti  mise  la  mano,  nelle  re- 
1         ivi   egli    impresse   profondameli'- 
■  1     ere,  che  non  fu  piccolo  e  va  rii  n 
lo  XI V,  soonlii  cui  il  Ta leni  1   appai 


ize  potrebbe  qui  figurare  degnam  1  pam. 

pinile  di  Badia,  lontano  lontanissimo  dal  campa 

di  Santa  M  de  di  gusto  gotici. 

!  creilo  nel    1330  in  SOSI  l'uno  del 

1307  stato  abbattuto.  Il  campanile  di  Badia  fa  ri- 
nello  di  Santa  Maria  Novella  della  sii 
un  ti-, re.  E  Pistoia  poti 
inile  del  Duomo,  quadro,  1  1 


la  vari  piani  di  loggie,  con  una  piramide 
ima,  opera  appartenente  alla  fine  del  XIII  se- 
coli., d'autore  imprecisato,  e  bell'ornamento  di  quella 

piazza   del    Dui m-m'i.i   con    un    maschio    l'.da/zo 

Comunale,  leggiadra  con  un  Battistero  che  è  il  più 
di  'lu.inio  la  Toscana  vide  sorgere  ne!    Me 
dioevo.    Da  qualche  tempo  si   va   restaurando 

ni affei por  '  [nani"  d  meri 

stauro  sia  contrastato. 


Vantano  dei  bei  campanili  le  città  di  Viterbo  e 
di  Velletri:  Viterbo        la  città  delle  belle  lontane 

ha    il   campanile   del   Duomo   (seconda    mola    del 

XIII  secolo),  duna  cena  imponenza,  che  nell'8 
colpito  da  una   fui  1  ica  elettrica  e  ne  ebbe 

molti  1  ilaimn  ;  Velletri  ha  il  campanile  di  Santa  Ma 
ria  del  Trivio  fabbricato  nel  1353,  come  viene  atte- 

da  un'isci  izii  ne  in  1  aratteri  gotici  ;  e  qui 
■  anipanilo  a  filari  alternali  di  tufo,  selce  e  mattoni, 
e  una  delle  cosi  ni. -inni  più  ragguardevoli  ili  quella 
città  dalla  quale  non  sono  multo  distanti  le  fa 
mose  abbazie  monumentali  di  Valvisciola,  Fossa- 
ii' va  e  Casamari         abbazie  1   ìtercensi   proti 

lidie. 

Puglia,    regione  benedetta   dall'arie   ari 
ionica  11  che  a   Bit  ni  ■     l'i  ini,   Acqu  1 


l'is  v  '    ITTRDRALE, 


I    CAMPANILI    Ml.MI.\  ALI    li  ITALIA 


Andria,  Conversano,  Bari,  Bitetto.  Barletta.  Bisce- 
glie,  Molletta  si  orna  d'un  tesoro  ili  monumenti  in 
cui  lo  spirito  locale  s'innesta  al  lombardo  e  un  po'  al 
tedesco,  differentemente  dell  arte  architettonica  della 
Sicilia,  all'epoca  dei  Normanni,  arte  che  ricevette  la 
influenza  mussulmana;  eia  Puglia,  dicevo,  potreb 
be  dar  molto  materia  a  chi  studia  i  campanili  medie- 
vali —  astrazion  fatta  dal  celebre  Castel  del  M 


YJrrtrf»*"*"' 


3<  )<  i 

data   ne]    r.228   riedificata  nel    316),  si    ricorda  qu 
coi  campanili  del  Din  min  di  Bitonto  (primi  decenni 
del  XI 11  secolo)  i  quali  dovevano  essere  importanti 
(non  ì    vero   che    la    cattedrale  bitontina    avesse  in 
;  ne  un   campanile  solo)   e  furono  riedificati  nel 
XV  secolo  e  poi  fortificati  ;  e  si  ricorda  col  campa 
nile  di  San  Leo  (XIII  secolo)  semplice  e  forte,  lo- 
gico e  originale,  e  con  quello  del  Duomo  di  Trani 
cretto  da  un  artista  pugliese  che  lo  firmò,  Nicolaus 
sacerdos  et  frotomagister  me    fedi,  compiuto  però 
0     l'arcivescovado    di     Jacopo     Tura     Scottini 
(1352-78),    Nicola    avendo   fabbricato  il  basamento 
a  due  piani   soltanto.   E   vorrei   parlare  del  Campa- 
nie appartante  alla  Chiesa  Palatina  di  Acquaviva. 
diesa    fondata   dal  normanno  Roberto   Gurguglio. 
\  1 .1  rei  parlarne  non   per  l'importanza 
artistica,  ma   perchè  è  uno  dei  pochi 
che  resta    della    chiesa    (terzo   quarto 
del  XII    secolo);    lo   stesso   dico  del 


Firenze 


Ca  1  1  EDRALE. 


Pis  roiA  —  Cattedrale. 


Ravenna  —  Sant'Apollinare. 


sulla  più  alta  collina  delle  Murge  Basse  il  quale 
rda  Federigo  II  e  Dante,  e  impressiona  colle 
sue  gravissime  torri.  Noto  dunque,  anche  prima  dei 
campanili  pugliesi,  quelli  siculi  del  Duomo  di  Pa- 
leimo,  trionfanti  sulla  calma  linea  retta  di  questa 
chiesa  monumentale  ed  il  campanile  della  Marto- 
lana  (XII  secolo)  gioiello  d'architettura  sicula.  e  i 
due  campanili  che  troneggiano  sulla  facciata  del 
Duomo  di  Cefalù  (XII  secolo),  esempio  raro  da  noi 
di  simili  torri  che,  quasi  sentinelle,  stanno  ai  fian- 
chi dell'ingresso  principale  sulle  facciate  delle  chie- 
se. E  la  Puglia  che  ha  un  simile  esempio  di  due 
campanili  nella   Chiesa  Palatina   d'Altamura  (fon- 


■nente  al  Duerno  di  Andria  (XII- 
XI 11    secolo)    quasi    unico    resto,    anch'esso,    della 
antica  chiesa    normanna;    ma   se  sul    mio  soggi 
l'interesse    artistico    va    ad    unirsi   all'interesse 
rie.  il  lavoro  mio  prende  delle  propor/n  mi  inad 
a  una  Rivista. 

se  curassi  soprattutto  l'importanza  storica  e 
locale,  potrei  raccogliere,  sul  campo  dell'Abruzzo,  più 
di  quanto  oggi  vi  raccolgo.  L'Abruzzo  non  ebbe  an 
1  1.1  la  fi  ruma  della  Puglia,  per  quanto  vari  scin- 
ti ni  dallo  Schulz  al  Binili,  dal  Piccirilli  al  Gmelin. 
dal  Pannella  al  Calore,  si  siano  studiati  di  volga- 
rizzarne  la  conoscenza;   tuttavia   trattasi   d'una  re- 


I" 

a  di  monumenti  mi  ni  >n  pui  i  vari 

rn  celebri  che  si  innalzano  in  Lombardia, 
nell'Emil  I  \   ruzzo  nelle  città  'li 

nente,  e  di  Chieti  offre  al  sole  la  bel- 
i  ili  due  campanili  tXIY  secolo)  chequi  non  si 
dimei  Qui  ove,  ripigliando  la  via  del  setten- 

ne d'Italia,  si  nota  il  campanile  di  Sant'Agostino 
.1  (  lena*  a  del  i  -'<>o.  quello  gol  io  ■  del  1  (uomo  ili  Al- 
imi della  Liguria,  i 
•  -ini.»  dal  terremoto  del   18S7   che  scompa 
Rei  liguri,  ci  ime  a   Firenze  e 
orentino  il  ten  ri        Ed  a 

.li  curiosità,  passando  al   Piemonte,  indico  premu 
mente  il  campanile  della  Sagra  ili  San  Michele 
..il  .li  Sus  mia  la  abbazia  che  sorge  in 

cima  al  monte  anticamente  chiamato  Picherìano  e 
nella  sua  abside  altissima  pare  un  campanile  o  una 
inespugnabile.  Trattasi  ili  u  ne  così  pit- 

me  difficilmente  si  può  trovare  l'eguale,  e 
col    '      rampanile  e  il  suo  abside,  fondata 
alla  fine  del  IX  i    ai  primordi  del  X  secolo  i  o 

i  nell'Xl  e  XII  secolo,  è  una  delle  opere  più 
monumentali  del  Piemonte. 

Vgli  amatori  di  curiosità  indico  altresì  il  rampa- 
nile della  famosa  abbazia  di   Fluttuarla  (X  seo 
tinti". »  resto  del    monumento   più  celebre  del    Mi 

nel  Canavese,  opera  'li  Guglielmo  da  Yolpiano 
imorto  nel  1031)  il  quale  si  c'insedi  gloria  in  Ita- 
lia. Francia  e  Normandia;  e  indirò  il  campanile 
dell'abbazia  di  San  Stei  ino  in  Urea  (XI  secolo) 
sto,  anch'esso,  di  un  assieme  monumentale, 
che  gli  storici  d'arte  hanno  il  torto 
di  tr  ro  quando  trattano  del  medioevo 

piemontese,  troppo  esclusivamente  ricorrono  ai  ca- 
stelli valdostani  e  ranavesani;  il  P  mi  nte  ha  ben 
altro  da  mostrare  agli  studiosi,  e  per  non  sconfinare 
indico  ancora  un  e  he  audacemente  si  in- 

nalza in  nane  su  un  arco,  il  campanile  del  «  Gè 
sion  »  a  Piverone. 


LA    LETTURA 


Di  nuovo  in  Lombardia:  ivi  ergesi  un  campanile 
•issai  In/  tritono  di  Ossuccio,   sul 

0  di  ("omo;  ma  non  ho  ancora  toccato  il  Veneto 
e  qui  ci  >n\  ien  parlare  di  Veni  /;.<  e  del  suo  campanile 
principale,  quello  di  San  Marco,  sebbene  esca  in 
parte  dal  recinto  delle  mie  indagini.  Perchè  il  cam- 
panile di  San  Marco,  nella  sua  parte  più  decorata, 
la   cima.  ne   al    Rinascimento   e   forse  è   di 

Bartolomeo  Bon,  bergan  solo  della  sua  ] 

•  lecito  ira  parlare.   E  siti  bene  parli 
anche   per    ist .ilare   la  vecchia   credenza  eli,-  il  cam- 
panile ha  le  fondamenta  tanto  profonde  quanl 
alto  o  eh.  m. lamenta  si  aprono  a  stella, 

pur  si   disse  r  si   ripetè  sino  a  quando  nel   i88u   fu 
provato  clic  il   nostro  campanile  non  va  più  giù. 

base,  di  5  metri.  Quanto  all'epoca,  le  parti  più  an- 
tiche .  Iella  fai  j  no  al  X.  ali  X I  e 
al  XIV  seiclo.  Cioè  il  campanile  fu  fondato  avanti 
il  948.  in  quest'anno  fu  ripreso  a  fabbricare  e  ri- 
cevetti di  nel  ro68  o  nel  1147.  e  poi  ne  ri- 
cevette nel  1310.  nel  1489  enei  1511,  anno  in  cui 
un  terremoto  lo  sconquassò  e,  dopo,  il  campani! 
cevette  la  loggia  finale  che  mi  fa  esci r  d'argomento. 

Per  rientrarvi,  potrei  indicare  un   poco  noto  cam- 
panile del  Veneto,  un  campanile  tondo  o  cilindrico, 
quello  del  Duomo  di  Caorle,  il  quale  ha  una  certa 
affinità  coi  campanili  di  Ravenna  citati  dapprini 
benché  forse  pi  steriore  (XI  secolo?)  e  riconducendo- 
mi  alle  prime  pagine  di  questo  articolo  rivedo  ti 
quello  che  ho  scrìtto  e  penso  che  molto  resta  a  dire 
sull'argomento  dei   campanili.   - 
quanto  tutti  i  campanili  d'Italia  presi  insieme. 

Il  lettore  non  si  spaventi:   faccio  punto. 


Alfredo   Mei  ani. 


SS  >■': 


fe^- 


^WMpo 


^Èhxm 


^VkT!7i;.'.,-f 


-SMg 


tér|%tii^^&ti^NNÉate^ÌgtB^ 


LA  BATTAGLIA  Di  ABBA  GARIMA  (,: 


\    battaglia    che ,    con    grande    inesattezza , 

si  dice  di  Abba  Garima  fu  l'episodio  più 

/    doloroso  e  più   funesto  che   abbia   afflitto 


la  risorta  Italia  nel  primo  quarantennio  della  sua 
nuova  esistenza,  doloroso  per  lo  spreco  di  tante  mi- 
gliaia di  vite  preziose,  funesto  per  le  conseguenze 
indirette  che  ne  derivarono.  Dissi  conseguenze  in- 
dirette, poiché,  assai  più  che  per  l'effetto  immediato 
che  ebbe  sulle  sorti  dei  nostri  possedimenti  afri- 
cani, quell'avvenimento  sciagurato  è  stato  funesto 
pel  contraccolpo  portato  alle  disposizioni  ed  alla 
consistenza  dello  spirito  italiano.  Infatti,  la  qualità 
morale  di  cui  l'Italiano  moderno  ha  maggior  di- 
fetto è  la  fiducia  in  sé  stesso,  è  il  legittimo  orgoglio 
di  appartenere  ad  una  nazione  che  abbia  saputo 
farsi  valere  nel  mondo,  è  la  stima  dell'autorità  del 
Governo,  di  un  Governo  che  sia  creduto  capace,  nei 
supremi  cimenti  della  patria,  di  porsi  all'altezza 
dei  suoi  ardui  doveri.  Tutto  ciò  manca  all'Italia. 
Essa  è  corrosa  da  un  profondo  scetticismo,  ha  una 
inguaribile  convinzione  dell'inettitudine  del  suo  or- 
ganismo governativo,  è  priva  radicalmente  di  quella 
disciplina  morale,  di  cui  sono  tanto  ricche  l'Inghil- 
terra e  la  Francia,  quella  disciplina  che  fa  di 
una  nazione  una  persona  sana  e  robusta,  atta  a  sop 
portare  ed  a  vincere  le  più  gravi  malattie.  <  'io  enne 
dal  fatto  che  l'Italia  non  si  è  costituita  che  a  forza 
di  sconfìtte  e  d'umiliazioni.  Battuti  nel  '48,  non 
fummo  vincitori  nel  '59  che  con  1  aiuto  della  Fran- 
cia. Tuttavia,  lo  spirito  italiano,  dal  '59  al  '66,  si 
era  rialzato  e  si  rinfrancava  nelle  memorie  di  San 
Martino  e  di  Varese,  quando  Custoza  e  Lissa  gli 
diedero  un  così  improvviso  ed  amaro  disinganno  da 
gittarlo  per  terra  e  riempirlo  di  disgusto  e  di  sfidu- 
cia. Il  ricordo  delle  vittorie  che  Garibaldi  aveva 
riportato  nell'Italia  meridionale,  in  guerre  contro 
Italiani,  non  poteva  aver  la  virtù  di  attenuare  la 
umiliazione  delle  sconfitte,  ricevute  dallo  straniero. 

La  Lettura. 


Fu  da  quel  momento  che  cominciò  la  disorganizza- 
zione dello  spirito  italiano.  Se  Custoza  e  Lissa  fos- 
sero state  due  vittorie,  ben  diversa  sarebbe  stata, 
in  Italia,  l'orientazione  della  politica  interna,  ben 
più  razionale  e  più  fermo  l'indirizzo  del  Governo  e 
della  pubblica  opinione:  e  quanti  errori  e  quanti 
mali  si  sarebbero  risparmiati  !  Se  non  che.  il  tem- 
po, che  è  il  gran  medico  delle  malattie  morali,  aveva 
portato  i  suoi  lenimenti  alla  ferita  dell'orgoglio  na- 
zionale, quando,  dopo  un  trentennio,  noi  abbiamo, 
di  nostra  mano,  riaperta  la  piaga,  per  esser  andati, 
con  arte  squisita,  a  procurarci  una  nuova  sconfitta, 
tanto  più  grave,  questa  volta,  perchè  era  la  sconfitta 
della  civiltà  contro  la  barbarie.  Fu  più  che  un  di- 
singanno ed  un  accasciamento  ;  fu  una  rivolta  d'in- 
dignazione. Il  principio  d'autorità  ne  è  rimasto  scos- 
so alla  radice  e  si  formò  quello  stato  d'animo  in 
cui  le  infezioni  più  pericolose  si  propagano  con  si- 
cura rapidità.  Se  noi  l'aeriamo  la  diagnosi  delle 
(-(indizioni  morali  dell'Italia  odierna,  troveremo  che 
il  perturbamento.,  di  Cui  ora  soffre,  ebbe  origine  (|iui 
giorno  in  cui  si  diffuse,  come  un  fulmine,  la  terri- 
bile notizia  della  catastrofe  africana. 


Le  due  sconfitte  di  Custoza  e  di  Abba  Garima,  seb- 
bene, in  nessun  modo,  confrontabili  fra  loro,  hanno 
questo  di  comune,  di  essere,  a  pensarci,  oltre  che  do- 
lorose, irritanti,  perchè  e  luna  e  l'altra,  direi  quasi, 
espressamente  cercate.  Infatti,  la  prima,  come  mi 
pare  risulti  in  tutta  luce  dalla  bella  e  diligente  nar- 
razione di  Luchino  Dal  Venne  (2),  malgrado  i 
grandi  errori  commessi  durante  la  giornata,  avrebbe 


1  1   La  battaglia  di  Abha  Garima  —  Esposizione   ana- 
litica di  Giuseppe  Bodrelly  —  Milano,  Cogliati,  1902. 

(2)   Il  generate  Govone  a  Custoza  —    -   Nuova   Antolo- 
gia -.  gennaio  1902. 

26 


-4l  '-  LA    LETTI  R  \ 

potu  :  ale  I  (ella 

all'ultim'ora,  •  teva 

fare  senz'ombra  ili   pericoli  corso 

che  gli  \i-m\ ,i  dal  G  eneva  le  alture 

ili  (  i  l  a  seconda  poi  i  di  pn> 

■  I  deliberato,  fu  la 
ne,  che  vorrei  dire  di  puro  lusso,  alla  quale  nessuna, 
neppur   lontana,   necessità   >'i   costringeva;    Iti   una 
folle  avventura,   una  specie  di   suicidio  compiuto 
quando  nulla   invitava   all'atto  dispei 

indezza  ili  questo  truce  episodio, 
callidi    monti    dell'altipiano 
sino,  di  il  mistero  che  ne  circonda  le  cause  vi 
e   lontane   ci    rendono,    oggi    ancora,    desiderosi    e 

ibili  ili  notizie  e  ili  descrizioni  m 
le  quali  formarci  un  eh  i  etto  della  inti 

dell'indole  e  dell'attitudine  degli  uomini 
che  ne  à  ve  vicende  e  della  re- 

-  ibilìtà  reale  ci 
Il  libro,  ila  cui  prendiamo  le  mosse,  soddisfa,  in 
alcuni   lati  in  modo  esauriente, 
E'  una  vera  e  propria  mi 
nografia  della  battaglia,  condotta  om  uno  studio 
più  piccolo  particolaie.   fin 
dove  ci  si  può  arrivare,  d  ita  la  scarsità  e  la  confu- 
sione  delle  notizie  di  fatto  e  la  mancanza  di  un'e- 
gra lia.  La  narrazione  «Ielle  varie  fasi  ■  iella 
battaglia  è  preceduta  da  un  esame  diligente  di  tutti 
gli  antecedenti  politici  e  militari  che  avevano  dato 
e  ne  alla  guerra  abissina  e<l  ai  disastri  che  fu- 
ronc  oso  della  tragedia  finale,  così 

Lvanti  a  sì-  tutti  gli  elementi  ne- 
ri   per   un   giudizio   preciso   intorno   alle  colpe 
impa  ed  ai   perdonabili  errori  che  hanno 

condotto  a  tanto  spreco  d'eri  così  inutile  sa. 

crifizio  di  preziose  esistenze. 


11  libro  del  ri  Bourellj    vuol  essere  una 

difesa  del  generale  Baratieri.  [1  difendere  la  fama  <li 
un  uomo  scomparso  dalla  scena  del  mi  ndo,  sotto  il 
peso  di  terribili  ai  sa,  per  sé  stessa,  gene- 

ma.  certo,  ad  onore  di  chi  la  con 
Votiamo  poi  ci»    lo  scrittore,   sei  n   rinunci 

al   si  di   trarre  dai   docur  dai    tatti 

quel  giudizio  che  a  lui  pare  più  ragionevole  e  bua 
no,  [iure  li  pi  o'n  un'imparzialità  tanto 

\  i  che  il  li  i  trova  la  pi  ssibilità  di  fi  u 

rsi   un  giudizio  suo,   talvolta   non   del   tu 

quello  dell'autore. 
Non  è  certo  mia  intenzione  di  entrare  in  una  di- 
dei  particolari  di  questo  libro  > 
i  quali   poi,   in   parte,   hanno  un  valore  essenzial- 
mente tecnico  così  che  solo  un  soldato  di  pn 

bbe  la  competenza   di   parlarne.    Ma    io  credo 
non  affatto  privo  di  info  'tori   non 

i   della  guerra,   il   fermarci   su  al- 
cuni punti  che  presentano  una  speciale  importanza 

ini- 1,  peri  I  do- 

minio della  coltura   generale     l      prima 
tante,  la   figura  del 
rchiamo  di  determinare  il  profilo  mo- 


rale di  un  uomo,  la  cui  memoria  giace  ancora  del 
•  •  che  le  diede  l'indignazione  'li  rutto  il  Paese 

Già  dicemmo  ,  ■  1 1 -1 1 \  premi,   la  difesa  del 

Barati!  ri  e  \  noi   dimOSl  gli   non   pi 

in  all'un  modo,  incolpato  dei  disastri  avvenuti  du- 
rante il  suo  governo  in  Eritrea.   L'inettitudine 
contusione  nel  Ministero,  l'insubordinazione  dei  co- 
mandanti in  sottordine  furono  le  cause  che  turba- 
rono l'azione  del  Generale  in  capo  e  lo  conduss 
senza  sua  colpa,  alla   rovina  finale,  tira,   io  p 
amine!  bere  chi  >  risulti  vi  uffi 

chiarezza,  nella  narrazione  del  Bourelly,  ma  tutto 
ciò  non  basta  a  liberare  il  baratieri  delle  responsa- 
bilità che  gli  incombono,  perchè,  tollerando  gli  er- 
rori del  Ministero,  egli  ne  diventava  complice,  men- 
tre, d'altra  parte,  l'indisciplina  dei  suoi  subord 
deve  pur  avere  la  sua  ragione  in  qualche  di! 
del  coniando  supremo.  Esaminiamo,  dunque,  un 
po'  pili  da  vicino  il  fenomeno  psicologico  che  il  Bn. 

'    ci  presenta. 
Egli  era.  incontestabilmente,  un  uomo  di  molta 
ingegno  e  di   sufficiente  coltura;    non   mancava   di 

ima  •■  di  esperienza  militare,   aveva  un  di 
discernimento  della  realtà  delle  cose  e  non  gli 
ceva   difetto    l'opportunità   dei  consigli.    Ma     |ui 
sue  buone  qualità  eran  guaste  e  fatte  inutili  da  due 
vizi   fondamentali.    11    primo,   un'incurabile  vanità. 
il  secondo  l'insufficienza  dello  spirito  militare.   I 
vanità  gli   è  stata   fatale   nei   suoi   rapporti   ci  il    \l 
nistero  (Vispi.  Non  è  affatto  vero  che  il  Bara! 
non   conoscesse  ciò  che  si   preparava   in    Abissinia 
contro  gli   Italiani  e  non   misurasse  la  gravità   del 
pericolo.  Egli,  fin  dall'autunno  del   1894.  tempesta- 
va il  Ministero  dei  suoi  telegrammi  e  delle  sui 
lozioni    allarmanti,   e  consigliava   i    provvedimeli' 
necessari  ed  insisteva   perchè   si   eseguissero.   Ma   il 
(  'rispi.  oscillante  fra  la  mania  del  far  grande  e  delle 
conquiste  e  le  strettezze  finanziarie  che  non  gli   ; 
mettevano  di  trascinare  il   Parlamento  a  un  voti 
nuove  spese,  teneva  a  bada  l'infelice  Generale,  spin- 
gendolo a  compromettersi   sempre  di    più   cosi   da 
rendere  inevitabile  la  guerra  ed  insieme  negand 
i    mezzi   necessari   a   fronteggiare   il    perio  !       V 
giugno  ilei    1895.   il   Baratieri,   irritato  per   la  1 1 . 
genza  del  Governo,  che  pareva  non  intendesse  i  |  ur 
chiari   rapporti  ch'egli  gli   mandava,   annunciane  il 
pericolo  di   una   grande  guerra,    presenta   le  sue  di- 

"ili.    Diremo   meglio,    minaccia    di    presentarle. 
ed  adopera   la  minaccia  coinè  uno  spauracchio 

1    scuotere   il    Ministero.    11   ("rispi.   volendo   i 
tare   lo   scandalo   delle   dimissioni,    ma    non    volendo 

rsi  alle  esigenze  del  Baratieri,  si  ap 

pigliava   ;.d   una   curiosa   e.    più   ancora    che  CUI 

clonabile  trovata.  Chiamava  il  Baratieri  a 
Roma  onde  accordarsi  a  \t«-r.  Allontanare  un  gì 
rale.  nell'imminenza  di  una  guerra  prevista,  dai  luo- 
ghi nei  qua1!  urgeva  ch'egli  organizzasse  la  difficile 
.  certo,  un'idea  infelice,  ma  non  menu  in- 
■  fu  la  leggerezza  con  cui  il  Baratieri  accetl 
l'inv  ito.  Meni  i  nti  i  .1  Ri  ima. 

avessi  dì  intendersi  coi  Ministri  e  poi  l 

ripartilo  subito  per  ritornare  .d  posto  al  quali   ;1 
dovere  lo  richiamava.    Ma  egli,  invece,  ha  misi 


LA  BATTAGLIA  hi  ABBA  GARIMA 


4o3 


mente  sciupata  due  mesi  in  un  giro  che  vorrei  quasi 
dire  ('umicamente   trionfale   per   l'Italia,    ricevendo 

applausi  esagerivi  per  le  vittorie  [tassati-  ed  auguri 
fallaci  per  le  vittorie  future,  ed,  al  finir  del  settem- 
bre, se  ne  ritornava  a  Massaua.  senza  ava  preso 
col  Ministero  nessun  accordo  determinato  e  preciso. 

Il  Bourelly,  da  giudice  imparziale,  qui  non  tace 
il  rimprovero  al  Baratieri.  ma  a  me  pare  che  quel 
rimprovero  sia  troppo  mite,  perchè,  con  la  sua  con 
dotta,  in  quel  momento,  il  Baratieri  ha  assunto  tutta 
intiera  la  responsabilità  della  catastrofe  che  lo  a- 
spettava.  Qui  si  vede  come  la  vanità  fosse  così  e- 
norme  in  lui,  da  ridurre  al  silenzio  ogni  altra  i 
siderazione  o  previsione  di  vicini  pericoli.  Ritorno. 
all'Eritrea,  cinto  dell'aureola  di  trionfatore  largita- 
gli in  patria,  era  una  tentazione  troppo  grande  per 
lui.  Egli  dimenticava  di  aver  già  presentate  le  sue 
dimissioni  e  cercava  d'ingannare  se  stesso  col  dare 
alle  vaghe  parole  dei  Ministri  un  significato  che  la 
esperienza  del  passato  gli  doveva  insegnare  essere 
del  tutto  illusorio.  Intanto  il  Governo,  indotto. 
probabilmente,  dall'arrendevolezza  dello  stesso 
Baratieri.  a  credere  esagerati  i  suoi  timori  di 
prossima  e  vasta  guerra,  si  adagiava  nell'i- 
nerzia e  non  preparava  nulla  di  ciò  che  sarebbe 
stato  strettamente  necessario,  se  si  voleva  seriamente 
organizzarsi  per  un'impresa  nell'altipiano  abissino. 
Intatti,  ciò  che  più  urgeva  di  provvedere  non  eran 
gli  uomini,  ma  bensi  il  servizio  logistico  pel  riforni- 
mento di  viveri  e  di  munizioni.  Bisognava  far  di 
Massaua  una  base  d'operazione,  ordinatamente  prov- 
vista di  materiali,  ed  organizzare  il  difficilissimo 
trasporto  sulle  lontane  e  scabrose  alture  del  Tigre. 
non  possibile  che  a  dorso  di  muli  o  di  cammelli.  A 
tutto  ciò  non  fu  pensato  e  provveduto,  quando  c'era 
tempo  e  modo  di  farlo,  e  poi.  all'ultima  ora.  dopo 
il  disastro  di  Amba  Alagi.  si  è  provveduto  tumul- 
tuariamente così  da  rendere  del  tutto  confuso  ed 
inefficace  un  servizio  di  prima  ed  assoluta  neces- 
sità. 

Ora.  il  peso  maggiore  della  colpa  di  quello 
spaventoso  disordine  e  dell'insufficienza  della  pre- 
parazione è  del  Ministero,  il  quale,  pur  avvertito  di 
tenere  gli  occhi  ben  aperti  per  scrutare  e  valutare  il 
pericolo,  ha  voluto  chiuderli,  di  proposito  deliberato, 
onde  non  vedere  e  così  avere  il  pretesto  di  rispon- 
di re  coli  inerzia  alle  richieste  che  gli  si  facevano. 
Ma  una  parte  della  colpa  e  della  responsabilità  pesa 
pur  sul  Baratieri.  al  quale  la  vanità  ha  tolto  i  mezzi 
di  convincere  un  Ministero  imbarazzato  e  riluttante 
della  realtà  delle  sue  previsioni  e  della  necessità  di 
provvedere.  Fra  i  due  mali,  quello  di  dover  rinun- 
ciare al  posto  supremo  ch'egli  occupava  e  quelli 
trovarsi  senza  le  indispensabili  difese,  in  un  arduo 
cimento,  la  vanità  gli  fece  preferire  il  secondo  al 
primo,  a  ciò.  forse,  incoraggiato  dalle  tradizioni, 
dalle  abitudini,  dagli  esempì  garibaldini,  in  mezzo 
ai  quali  egli  era  cresciuto  e  dai  quali  aveva  im- 
parato ad  affidarsi  alla  sorte,  con  nessun  altro  soc- 
corso  che  quello  di  un'audace  spensieratezza.  E  in 
questa  fatale  tendenza  il  Baratieri  trovava  un  com- 
pagno nel  Crispi.  nel  quale  poi  la  spensieratezza  e 
l'audacia  erano  esaltate  da  una  delle  più  iperboli- 


che  presunzioni   che   mai   abbiati   gonfiata    minia    di 
uomo. 


lo  dissi  che  le  buone  qualità  del  Baratieri  erano 
guaste,  oltre  che  dalla  vanità,  da  un  secondo  difetto, 
l'insufficienza  dello  spirito  militare.  Questa  alfer- 
mazione  potrebbe  parer  temeraria,  eppure  io  credo 
che  si  trovi  giustificata  dai  fatti  e  dai  documenti 
stessi  che  il  Bourelly  ci  presenta.  Il  Baratieri  non 
era  un  soldato  di  vocazione;  era  un  uomo  d'inge- 
gno che  gli  avvenimenti  avevano  portato  alla  car- 
riera militare  e  che  ci  era  rimasto.  Ma  egli  mancava 
della  qualità  che  è  assolutamente  indispensabile  per 
un  uomo  che  voglia  percorrere  i  gnidi  della  gerar- 
chia soldatesca,  ed  è  quella  di  saper  comandare.  Il 
Baratieri  non  doveva  possedere  quel  fascino  inde- 
finibile, che  si  rivela  nell'occhio,  nel  portamento, 
nell'espressione  di  tutta  la  persona,  quel  fascino  pel 
quale  un  uomo  s'impone  naturalmente  agli  altri. 
In  tutte  le  organizzazioni  della  vita  noi  vediamo 
questa  essenziale  distinzione  fra  coloro  che  hanno  e 
coloro  che  non  hanno  il  dono  del  comando.  Ma . 
se.  in  ogni  altra  organizzazione,  l'intelligenza  può 
sostituire  la  facoltà  del  saper  comandare,  nella  car- 
riera militare,  la  quale  posa  interamente  sulla  disci- 
plina e  sulla  determinazione  rigorosa  delle  respon- 
sabilità, quella  facoltà  non  può  esser  sostituita  ne 
dal  sapere,  né  dalla  bontà,  ne  dalla  cortesia.  Non 
è  ufficiale  chi  non  sa  comandare.  Che  il  Baratieri 
non  sapesse  imporsi,  così  da  rendere  impossibile 
l'agire  diversamente  di  ciò  ch'egli  voleva,  pur  dop- 
ilo lo  hanno  provato,  come  or  vedremo,  i  più  lut- 
tuosi avvenimenti.  Ma.  prima  di  addurre  le  prove, 
io  vorrei  osservare  che  quella  sua  deficienza,  oltre 
che  dallassenza  di  quel  non  so  che  di  indefinibile, 
che  uno  non  acquista  se  non  Io  porta  naturalmente 
in  sé.  veniva,  fors'anche.  da  una  tendenza  speciale 
del  suo  ingegno. 

l'omo  colto  e  studioso,  il  Baratieri  a  me  pare  a- 
vesse  un  ingegno  analitico,  il  quale,  portandolo  ad 
un  esame  troppo  sottile  di  tutte  le  possibili  even- 
tualità contenute  in  un  dato  momento,  toglievano 
alla  risoluzione  da  lui  preferita  il  nerlm  della  con 
vinzione  e  la  forza  della  volontà. 

E'  quell'eccessiva  preoccupazione  dell'analisi  di 
cui  si  lamentava  Amleto,  come  del  vero  ostacolo  che 
gli  impediva  di  uccidere  lo  zio.  e  che  poi  lo  ha  con- 
dotto ad  ucciderlo,  in  mezzo  ad  una  catastrofe  ge- 
nerale e  quando  meno  lo  voleva  Ed  è  proprio 
lucilo  che  è  successo  al  Baratieri  con  l'aggravante, 
però.  che.  invece  di  uccidere  lo  zio.  egli  è  stato  uc- 
ciso da  lui.  Il  Baratieri.  pertanto,  doveva  essei 
afflitto,  lui  pure,  da  quella  malattia  amletica, 
che  del  resto  •'  sintomatica  di  tutti  gli  uomi- 
ni più  di  pensiero  che  d'azione.  Ora, 
la  guerra  è.  per  eccellenza,  azione,  così  la  pre- 
senza di  quella  malattia  nel  duce  supremo,  non 
che  riuscirgli  funesta.  Ed  è  ciò  che  avvenne  del  Ba 
ratieri.  Tutta  la  sua  condotta,  nel  tristi-  periodo  che 
corse  '\.i  Amba  Alagi  ad  Adua,  non  fu  che  un  ten- 
tennamento, protratto,  se  si  vuole,  con  arte  e  con  a- 


LA    LETTURA 


I"! 

.  ma  senza  mai  un  chiaro  e  semplice  cono 
risolutivo  che  sapesse   imporsi  ed  al   Governi 
ai   subordinati.    I..i    sta 

del  primo  marzo  fu  un  1  transazione  fra  il 

fare  ed  il  non  fare.  Dirò  'li  più.  (Ili  stessi  ordini. 
emai  Baratieri,  non  hanno  mai  quel  tono  'li 

ni"  impero  che  non  ammette  possibilità  'li  ar- 
bitrari'- interpretazioni  0  velleità  di  rivolta  Più 
che  comandi,  paiono  qt  iressione  'li  un'opi- 

ni'  in.     \  le  righe  si  rubra  che  il  Bara 

dica  -  hi     i,!:',''.  che  io  vi  consi- 

oi    partito  'in-  m  possa  prendere. 
Però  non  escludo  la  possibilità  che  convenga  fare 

propri"   l'opposto  <li   ci msiglio.   —  Sono 

ni  pallidi,  eccellenti  per  stimolare  la  contraddi- 
zione e   la   tentazione   ili    disobbedire   in  chi   do- 
irli. 


Il  disastro  ili  Amba  Alagi.  che  fu  la  prima  1 

rande  disastro  di  Abba  Garima,  è  dovuto, 
senea  dubbio,  al  giudizio  personale  dei  subordinati 
non   hanno  voluto  uniformarsi   alle  intenzioni 
del    barai  1 

I  documenti  che  abbiamo  «lavanti  contengono  ili 
ciò  un'evidente  dimostrazione.  Già  fin  dal  16  ot- 
tobre del  1895  il  Governatore,  nelle  istruzioni  gene- 
rali ila  lui  date  all'Arimondi  che  comandava  sul- 
l'altipiano, diceva  che,  in  caso  avanzassero  e  pre- 
forze  nemiche  preponderanti  .  bisognava 
entrarsi  in  Adigrat.  Questo  era  il  suo  savio  pro- 
ponimento,  die  non  fu  mai  da  lui  smentito,  ma  nem- 
meno imposto  col  necessario  rigore.  Il  24  novembre, 
il  maggiore  Toselli,  col  suo  distaccamento,  parte  da 
die  per  la  posizione  isolata,  pericolosissima  ili 
Amba  Alagi.  Il  ,}o  novembre,  il  Baratieri,  avute  no- 
tizie  gravi  del  nemico  che  si  appressava,  ordina  al 
rale  Arimondi  di  raccogliere,  a  Makallè,  sedici 
compagnie  e  tutte  le  bande  «parendogli  indispen- 
«  sabile,  egli  soggiunge  con  frase  generica,  di  tener 
«  al  possibile  riunite  sottomano  tutte  le  forze  in 
«  grossi  gruppi  ».  Ma,  cosa  singolare,  egli  ben  sa- 
peva  che  il  Toselli  si  trovava,  come  estrema  avan- 
dia,  in  posizione  affatto  isolata,  e  campato  in 
aria.  Sarebbe  Stato,  dunque,  tanto  naturale  ed  an- 
che tanto  dovi  u'b  dicesse  esplicitamente  al- 
I  Vximondi  ia  subito  ritirare  il  Toselli.  al 
quale  fu  data  la  chiave  della  colonia,  ma  che  non 
può  impedire  che  la  porta  sia  sfondata  dall'avari 
zarsi  n    1     — 

e  ordine  esplicito  '-ra  tanto  più  necessari 
ie  il  Baratieri  1   l'animo  e  l'inten- 

del  valoroso  Arimondi  che  avrebb       fu     piut- 
correre  incontro  al  nemico  che  lasciarsi  spin- 
\l.i  qui  si  è  fatta  sentire,  io  cri  di  1, 
la  tendenza  di  cui  ho  parlato  più  su.  Il  Bai 
vedeva  la  convenienza  di  concentrarsi  indietro.  Ma, 
tondo  dell'anima,   non  escludeva   del   tutto   la 
e  -1  andava  a\  ani      Ed 
"  lo  col   silenzio  all'Arimondi   la   impli- 
cita facoltà  di  non  applicai  l'or 
dine  generale  da  li               [li  infondeva  insieme  la 
guire  il  su  1  cenno. 


ncoi  meglio  col  precipitare  degli  av- 
venimenti. Il  giorno  5  dicembre  Arimondi  ri 
i\d  Tosehi  l'avviso  ch'egli  aveva  avuto  contatto  col 
nemico  e  che  la  sua  posizione  diventava  gravissima. 
Arimondi  spedisce,  allora,  due  dispacci,  uno  ai  Ba- 
1 1.  per  avvertirlo  ci  mo  dopo,  egli  sa- 

rebbe  accorso  in  sostegno  del  Toselli,  l'altro,  fata- 
lissimo.  al  'Inselli  stesso  per  annunciargli  il  SUO 
rivo,  la  condona  dell'Arimondi  dimostra  come  gli 
ordini  del  baratieri  dovevano  esser  equivoci,  così 
che  egb  non  credeva  di  disobbedire,  portandosi  a- 
vanti.  Intatti,  egli  non  avrebbe  mai  preannunciata 
ufficialmente  la  sua  disobbedienza,  'piando  avesse  a- 
\11io  la  certezza  che  disobbedienza  fosse.  La  sera 
Stessa  del  5  il  baratieri  telegrafa  all'Arimondi  che 
«  non  conviene  allontanarsi  da  Makallè  •.  Già  que- 
sta frase  è  abbastanza  1  ariosa  nel  telegramma  di  un 
generale  in  un  supremo  momento.  Ed  è  anche  cu- 
rioso che  il  Baratieri  non  si  preoccupi  del  Toselli. 
non  insiste  che  lo  si  faccia  subito  ritirare.  I.'Ari- 
mondi  arresta  il  divisato  movimento,  ma,  sciagura- 
tamente, non  riesce  a  rendere  avvisato  di  ciò  il  To- 
selli che  pur  poteva,  come  infatti  avvenne,  iniziare 
il  combattimento  nell'attesa  ili  esser  da  lui  soccorso. 
Il  giorno  6.  insiste  ancora  presso  il  Governatore, 
onde  averne  licenza  di  avanzarsi,  e  il  baratieri. 
sta  volta,  gliela  concede,  pur  di  fermarsi  a  mezza 
strada.  L'Arimondi  parte,  infatti,  nella  notte  del  6, 
ma  solo  in  tempo  per  raccogliere,  cammin  facendo. 
la  notizia  della  distruzione  della  colonna  Toselli. 
sacrificata  dalla  irresolutezza  e  dalla  temerità  in- 
sieme cooperanti. 

Che  il  disastro  di  Amba  Alagi  sia  dunque  div 
vtito  al  deplorevole  intralciarsi  di  due  volontà  op 
poste,  [e  quali  si  paralizzavano  a  vicenda  senza  che 
quella  la  quale  avrebbe  dovuto  imporsi  sapesse 
farlo,  mi  par  evidente,  e  mi  pare,  quindi,  che,  per 
quanto  temperata,  la  responsabilità  della  sciagura 
venga  a  ricadere  sul   Comandante  supremo. 

Ma  ora,  esaminiamo  il  caso  ben  più  grave  della 
battaglia  di  Abba  Garima,  e  scrutiamo,  per  qu 
ci    è    possibile,    le    cause    da    cui    provenne    tanta 
rovina. 


1    noi me  il  Baratieri,  più  ni  "1  p  tendi  . 

seguenza  delle  difficoltà  del  vettovagliamento,  man- 
tenersi, nella  posizione  di  Sauna,  da  lui  occupata, 
ad  ovest    della    pianura   d'Entisciò,   deliberasse   ili 

tentare,  prima  ili  iniziare  la  ritirata  onde  avvici- 
narsi ali  Asinara,  una  dimostrazioni'  offensiva  in 
direzione   della   conea    d'Adua,    dove  era    accampato 

il  poderoso  esercii"  di  Menelik.  Dopo  di  ava  - 

0  Coi    suoi    generali    nella    sera   del    28    I 
Stabiliva    il    piano   da    eseguirsi    nella    notte   dal    :ii 

febbraio  al  primo  marzo;  ed  emanava  l'ordine  re 
lativo.   Quest'ordine  «'■  di  una  chiarezza  e  di  una 
precisii  me  perfetta    1   pari  io  lai  i   dell'i  ipei 
l'ubbiet'n  voleva  raggiungere  sono  es| 

in  mi>do  da  non  lasciar  il  più  piccolo  dubbio  in  chi 
legge.  Naturalmente,  io  giudico  da  profano  di  scien- 
ze  militari.    Ma.    dove  si    tratti   d'interpretazione  di 


LA    BATTAGLIA    IH    ABBA    GARIMA 


documenti,  il  buon  senso,  da  solo,  senza  il  soccorso 
ili  speciali  discipline,  è  ancora  il  giudice  più  si- 
curo. Qual'era.  dunque,  l'obbiettivo  che  si  prefig- 
geva il  Baratieri  ?  Quello  di  occupare,  quasi  di  sor- 
presa, alcune  posizioni  fortissime,  ad  una  trentina 
di  chilometri  all'ovest  di  Sauna,  in  vicinanza  alla 
pianura  di  Adua,  e  lì  sostare  in  atteggiamento  di 
sfida  contro  l'esercito  abissino.  Queste  posizioni  si 
tn ivano  in  una  cortina,  composta  di  tre  monti  cospi- 
cui, dalle  forme  bizzarre,  correnti  da  Xord  a  Sud, 
i  monti  Esciasciò.  Rajo.  Semajata.  i  quali  costi- 
tuiscono una  specie  di  muraglione  che  chiude  il  li- 
bero accesso  alla  conca  d'Adua.  Fra  quei  monti  si 
aprono  due  colli,  il  colle  Rebbi  Arienni  fra  l'Escia- 
sciò  ed  il  Rajo.  ed  un  altro  colle,  che  il  Baratieri 
chiamava  Chidane  Meret,  fra  quest'ultimo  ed  il  Se- 
majata. Questo  primo  muraglione  si  affonda  in  una 
bassura,  una  specie  di  fossato  acquitrinoso,  oltre  il 
quale  s'innalza  una  seconda  cortina  di  monti.  Al 
Xord  di  questa  si  apre  il  largo  vallone  di  Mariani 
Sciautù  che  sbocca  direttamente  nella  conca  di  Adua. 
a  Sud  il  colle  chiamato,  propriamente.  Chidane  Me- 
ret. per  cui  si  scende  nella  regione  di  Abba  Garima, 
e  quindi  ad  Adua.  Il  Baratieri  voleva,  con  le  sue 
truppe,  circa  15.000  uomini,  occupare  i  due  colli 
della  prima  cortina.  Rebbi  Arienni  e  il  falso  Chi- 
dane Meret  e  lì  fermarsi,  in  posizione  fortissima, 
in  attesa  del  nemico .  sicuro  di  respingerlo  per 
quanto  numeroso  ed  audace  esso  fosse. 

Questo  piano  del  Baratieri.  da  molti  competenti  ri- 
conosciuto lodevole,  a  me  sembra  un  curioso  e  troppo 
pericoloso  compromesso  fra  opposte  tendenze  e.  seb- 
bene non  presentasse  un  pericolo  immediato  quan- 
do fosse  eseguito  esattamente,  pur  non  era  privo, 
mi  pare,  di  rischi  eventuali  troppo  gravi  in  con- 
fronto ai  vantaggi  che  si  sperava  ricavarne.  Le  po- 
sizioni nelle  quali  il  Baratieri  voleva  arrestar  i  suoi 
soldati  erano  per  verità  fortissime  e  tali  da  render 
probabile  la  sconfitta  del  nemico  quando  fosse  ve- 
nuto ad  assaltarle.  Ma  si  poteva  supporre  che  gli 
Abissini,  i  quali  avevan  sempre  mostrato  un'oculata 
prudenza,  avessero  la  cortesia  di  venire  ad  ammas- 
sarsi sotto  le  pendici  del  Rajo.  per  farsi  sbaragliare 
dalle  artiglierie  degli  Italiani  ?  Non  era  assai  più 
probabile  che  essi  rimanessero  nel  loro  tranquillo 
accampamento  della  conca  d'Adua?  Ed  allora  che 
avrebbe  fatto  il  Baratieri  ?  Si  sarebbe  mosso  al- 
l'attacco? Sarebbe  stato  un  sagrificare  il  piccolo  e- 
sercito.  Una  mossa  di  attacco  contro  il  campo  abis- 
sino non  sarebbe  stata  possibile  che  per  una  sor- 
presa notturna.  Ma  una  battaglia  campale  in  cui 
15.000  uomini  avrebbero  assaliti  80,000  non  po- 
teva riuscire  che  ad  un  prevedibile  aggiramento  e 
quindi  ad  una  spettacolosa  sconfitta.  Pertanto  il  Ba- 
ratieri, dato  che  gli  Abissini  non  si  muovessero,  non 
aveva  altro  a  fare  che  restar  per  alcune  ore  nelle 
posizioni  occupate,  e  poi  ritornarsene  indietro.  Ma 
questo  ritorno  poteva,  mi  pare,  diventar  assai  peri- 
coloso, perchè  gli  Abissini  avrebbero  potuto  avan- 
zare appena  il  piccolo  esercito  italiano  avesse  volte 
le  spalle  ed  assalirlo  in  posizione  per  lui  disa- 
strosa. Ma  supponiamo  che  gli  Abissini  non  si  muo- 
vessero così  che  il  Baratieri  potesse  tranquillamente 


405 

rientrare  negli  accampamenti  abbandonati  la  sera 
prima  ;  quale  il  vantaggio  sperabile  da  una  tanto 
rischiosa  passeggiata?  Il  vantaggio,  dicono  i  di- 
fensori del  Baratieri  e  fra  questi  il  Bourellv.  saieb- 
be  stato  di  rialzare  lo  spirito  dei  soldati,  così  da 
permettere  di  ritirarsi  più  indietro  verso  l'Asinara. 
verso  la  base  di  rifornimento,  senza  che  questo  mg 
vimento  retrogrado  apparisse  umiliante  e  fosse  una 
implicita  confessione  di  debolezza.  Per  verità,  io 
non  comprendo  come  questa  inutile  passeggiata  po- 
tesse avere  un  così  grande  risultato  morale.  Da  mesi, 
Italiani  ed  Abissini  percorrevano  l'altipiano , 
col  solo  scopo  di  evitare  un  incontro.  Non  si  vede 
come  una  nuova  dimostrazione  di  una  cosa  già 
tanto  provata  avrebbe  potuto  migliorare  le  dispo- 
sizioni degli  animi.  In  ogni  modo,  dato  anche  die 
la  punta  offensiva  degli  Italiani  potesse  dare  quel 
risultato,  l'utile  che  ne  sarebbe  venuto  era  troppo 
esiguo  in  confronto  all'enormità  del  pericolo,  per- 
chè se  ne  potesse  ritenere  giustificato  il  tentativo. 
Ma  la  deliberazione  fatale  del  Baratieri.  certamente. 
non  fu  spontanea.  Lo  sventurato  Governatore,  sti- 
racchiato fra  la  sua  convinzione,  che  non  voleva  l'at- 
tacco, e  l'inquietudine  dei  suoi  generali  che  ali  at- 
tacco lo  spingevano,  prese  una  via  di  mezzo  ar- 
rischiatissima,  nella  quale  la  salvezza  stava  tutta 
in  una  sola  condizione  che,  cioè,  egli  avesse  la  forza 
di  tener  strette  in  pugno  le  redini  del  movimento. 
Ahi  !  le  redini  gli  son  cadute  per  terra,  e  i  cavalli 
sono  corsi  all'impazzata  a  precipitarsi  nel  baratro 
che  si  apriva  davanti  ! 

Per  dar  esecuzione  al  suo  piano,  il  Baratieri  sta- 
bilisce di  partire,  nella  notte,  in  tre  colonne  che  do- 
vevano percorrere  tre  strade  parallele.  La  brigata 
Da  Bormida  lungo  la  strada  più  settentrionale  do- 
veva giungere  ai  primi  albori  al  colle  Rebbi  Arien- 
ni. Le  brigate  Arimondi  ed  Ellena.  per  la  strada 
mediana,  avrebbero  raggiunte  le  pendici  del  monte 
Rajo.  La  brigata  Albertone,  per  la  strada  più  meri- 
dionale, avrebbe  occupato  il  colle  Chidane  Meret. 
Onde  togliere  ogni  equivoco  sullo  scopo  della  spe- 
dizione, l'ordine  conclude  esplicitamente:  n  Primo 
«  obbiettivo,  la  posizione  formata  dai  colli  Chidane 
«  Meret  e  Rebbi  Arienni  fra  monte  Semajata  e 
«  monte  Esciasciò.  la  cui  occupazione  verrà  fatta 
11  dalla  colonna  Albertone  a  sinistra,  dalla  colonna 
«  Da  Bormida  a  destra  e  dalla  colonna  Arimondi 
«  al  centro  ». 

Quest'ordine  già,  per  se  stesso,  assai  chiaro,  era 
accompagnato  da  uno  schizzo  topografico,  che  ri- 
troviamo nel  bel  libro  di  Ettore  Ximenes  Sul  ram- 
po di  Adua.  Questo  schizzo  è  la  migliore  giustifica- 
zione del  Baratieri.  poiché,  quale  fosse  l'errore  dei 
nomi  da  lui  dati  alle  località,  toglieva  ogni  possi- 
bilità di  dubbio  e  di  equivoco  intorno  alle  posizioni 
nelle  quali  egli  intendeva  che  ognuno  dei  tre  riparti 
si  fermasse. 


Le  truppe  partivano  dal  campo  di  Sauria  secondo 
l'ordine  stabilito.  Ma.  nella  difficile  marcia  notturna, 
cominciarono  a  verificarsi  dei  guai.  I-e  strade  che 


I-  Il  I 


I  A    IMI  I  RA 


dovi  i  ano,  non  e'ù  stra- 

lli-,  in.i   sempl  no   profondamente 

ulti  e  ili  rovei  i.  Ne  ven 
ne  uno  -  i                 ell'i  irdinarnenti  i  dei  diversi  i  ij 
e,  gravissimi    guaio,  la  deviazione  della  \i 

bertone   sulla   stra  rsa    dalla   colonna    Ari- 

mondi.    1  errore  ebbe  la  conseguenza  che  quest'ul- 
tima ha  dovu               rei  per  lasciar  sfilare  l'altra 
il  suo  sentiero,  e,  siccome 
la  brigata  A  i  ammi- 

navi                   più  velocemi  altre,  cosi  av- 

1  punto  d'arrivo  con  un'an- 
tiri]  .                       uè  ore  su    quel    ripartii   ili    truppe 
be  dovut iservare  sempre  il  con- 

II  generale  Baratieri,  che  aveva  predisposto  ugni 
per    la    marcia,    non    sembra    a 
al  punto  di  vista  del  profano  di 
scienza  militare,  del  tutto  immune  'li  qualche  respon- 
lità   negli  errori   avvenuti   nell'esecuzione    Egli 
procedeva  in  testa  alla  riserva,  e  quindi  dietro  le 
tre  brigai  istituivano  il  corpo  d'operazione, 

ed  ha  lasciato  unente  le  brìglie  sul  collo  ai 

tre  comandanti,  trascurando  di  mantenere  nelle  sue 
mani  il  movimento  d'avanzata,  nelle  sue  varie  fasi. 
(  >ra.  se  si  riflette  alla  delicatezza  di  un'operazione 
■Ila  di  una  marcia  notturna  contro  il  ne- 
n  no  pressoché  ignoto,  ed  alla  suprema 
necessità  di  conservare  la  contemporaneità  delle 
mossi  per  evitare  il  pei  in  .lo  di  frazionare  una  forza 
già.  per  sé  Stessa,  tanto  scarsa,  parrebbe  che  il  Co- 
mandante supremo  non  avrebbe  dovuto  abbando- 
narsi alla  fortuna  ed  alla  supposta  prudenza  dei 
suoi  subordinati,  ma  avrebbe  dovuto  trovarsi  in 
continua  corrispondenza  con  essi,  cosi  da  frenare  o 
spingere  le  diverse  sezioni,  a  seconda  del  bisogno. 
Per  effetto  di  questa  funesta  ineguaglianza  nella 
velocità  della  marcia,  il  generale  All'ertone  trovossi. 
con  la  brigata  d'indigeni,  sul  falso  Chidane  Meret 
alle  ore  tre  e  mezza,  cioè  due  ore  prima  che  gli  altri 
riparti  giungessero  a  destinazione.  Qui  avvenne  un 
del  finale  il  Baratieri  è  assolutamente  irre- 
sponsabile  e  che  fu  la  vera  causa  della  catastrofe 
ira  \  ud-ovest  del  falso  Chidane 
\l>  ret,  su  cui  era  giunta  la  colonna  Ali  "ertone  e  sul 
quale  doveva  fermarsi,  esiste,  nella  seconda  cortina 
di  monti,  dalla  quale  si  discende  direttamente  nella 
conca  d'Adua  .  un  altro  colle  che  porta  appunto 
quel  nome.  Il  generale  Albertone .  ferma 
un'ora  sul   primo  colle,   ripri  verso  le  quat- 

tro e  mezza,  la  sua  marcia  verso  il  secondo,  Ioni. ino 
metri,  e  la  riprende*  i  assai  prima 
ira  che  il  resto  del  piccolo  esercito  raggiungesse 
i  posti  chi  occupare.  Questa  fatale  delibe- 

razi'  espi  ìi  abile  e  ni  m  è  giu- 

stificata dall'ii  I  nome  dei  due  colli,  poiché 

l'ire!  precisa  e  chiara  che  il  Baratieri  aveva 

da'a   dell'obbiettivo  ch'egli    aveva   di    mira     bastava 
d'eqi  e,   d'altra   par 

te,  parrebbe  che  la  prudenza  avrebbe  dovul  i  con 
sigliare  all'Albertone  di   riavere  il  coi  ori  le 

a  1 1 r.  prima    d'avanzarsi    verso    il    nemico. 

Non  M  può  a  meno  di  fremere,  pensando  alla  tra- 


ndità  di  quell  ■  ale  in  cui  l'Ali 

tone  dava  al  maggiore  Turino  l'ordine  di 
col    sui     bai  tagl  i   i  nguardia  !    Quell'atl 

ntenuto  in  sé  tutti  !  ten  ibile  disa- 
stro '.  l 'In-  Mansi  detti  '  i  de  A  [berti  me  ed  il 
maggiore  Turitto  chi  lo  potrebbe  ripetei,-  a 

nza?  Il  fatto  sta  che  il  Turitto,  alla  testa  del 
suo  battaglione,  non  procede,  ma  corre,  vola  sulla 
traccia  lat.de  che  gli  Sta  davanti.  Non  cura  di  ve- 
di n   se  è  seguito,  dimentica  o  disprezza  il  incessa 

rio    collegamento    col    grosso    della    brigata    ch'egli 
deve  precedere,  discende  a  precipizio  dal  eolie  alla 
sinistra  del  Rajo,  attraversa  il  vallone,  sale  sull'op- 
posta   cortina,    volge   a    sinistra,    valica    il    secon 
colle  Chidane  Meiet  e  si  avventa,  chi   pu  e  sa- 
pendolo o  no,  sugli   avamposti   dell'accampami 
abissino.  La  follia  è  compiuta  L'allarme  è  date.   Il 
battaglione,   molecola   impercettibile   nel   gran   mare 
dell'esercito  nemico,  è  annegato,   è  soffocato  dal  l'ir 
rompere  delle  onde  furiose.  Le  ma-se  abissine. 
sando  sul  corpo  dello  sventurato  battaglione,   vali- 
cano, a  loro  volta,  il  colle  i io  ad  affli 

brigata  Albertone  che  giungeva,  più  "li  un'ora  dopo 
I  avanguardia,  sul  luogo  della  catastrofe.  L' Alber- 
tone. che  si  trovava  isolato,  lontano  pjù  di  sette  chi- 
lometri dal  grosso  della  spedizione,  il  quale,  proprio 
nel  momento  in  cui  egli  iniziava  il  combattimento, 
stava  prendendo  posizione  intorno  al  massiccio  del 
Monte  Rajo,  vedendosi  improvvisamente  atta'  i 
da  sì  preponderante  nemico,  dispone  e  continua  la 
resistenza  con  una  prontezza  ed  un  valore  pari  al- 
l'imprudenza con  cui  si  era  avanzato.  Ma  tutto  è 
inutile.  L'arte  ed  il  coraggio  non  possono  valere  che 
a  ritardare  e  rallentare  l'inevitabile  sconfitta.  Morti 
eroicamente  ufficiali  e  soldati  intorno  ai  cannoni, 
che  pur  erano  la  sola  efficace  difesa  dei  pochi  Ita- 
liani contro  lo  sterminato  numero  degli  Abissini,  il 
disastro  era  consumato,  e  la  brigata  Albertone  era  in 
parte  distrutta,  in  parte  in  fuga,  in  parte  prigio- 
niera. 


Che  taceva,  intanto,  il  generale  Baratieri  ?  Qui  è. 
se  mi  è  permesso  il  dirlo,  il  momento  psicologico 
di  tutta  la  sua  azione.  1  qui  sto  è  il  punto  ina  mo 
al  quale  ferve  la  lotta  fra  i  difensori  e  gli  accusa- 
tori del  Baratieri.  A  me  pare  che  chi  giudica  col 
buon  senso  deve  riconoscete  che  non  è  giusta  una 
'blesa  senza  rimproveri  come  non  lo  sarebbe  una 
accusa,  senza  attenuanti,  deve  riconoscere  che.  an- 
i  he  questa  volta,  a  lui  non  è  mancata  la  vis 
di  do  che  si  dovesse  Lire,  ma  gli  è  mancata  qui  Ila 
(acuità  del  comandi  reciso,  senza  di  cui 

le  sorti  di  una  battaglia  rimangono  del  tutto  in  balia 
dei  capricci   del   caso.    Il    Bai  iunto   ven 

ore  sei  e  mezza  sul  colle  Rebbi   A  rietini,  di 
trovava  la  brigata  Da  Bormida,  ebbe  tosto,  e  dal 
fragore  di  me  fucilate,  a  cui  se.  eesse  quello 

del    cannone,    e   dalle   notizie  'he   gli    davano    i    suoi 

ufficiali,  e  da  quanto  egli  stesso  vide  da  un'altura 

laterale    il  colle,   la  certezza  'he  la  brigata   Ali 

ne.   distaccatasi    dal   nucleo   principale   delle  truppe. 


LA    BATTAGLIA    I>1    Al'.!'. A    GARIMA 


4G7 


-i    era   impegnata   in   un   combattimento   avanzato, 

nel  quale,  e  per  la  lontananza  e  per  la  scabrosità 
del  terreno  e  per  l'esiguità  delle  schiere  che  si  pote- 
vano portare  avanti,  non  era.  possibile  recarle  effi- 
e  soccorso.  Correre  a  sostenere  L'Albertone,  vo- 
leva dire  sagrificare  tutto  il  piccolo  esercito 
italiano.  La  posizione,  pertanto,  era  terribilmente 
pericolosa  pel  Barat ieri  e  per  le  tu-  brigate  che 
gli  rimanevano  ;  ma  non  era  disperata .  data  ia 
ini  spugnabilità  'Iella  fortezza  naturale  in  cui  egli 
si  trovava.  Ricordiamo  che,  fra  i  due  colli,  il  falso 
Chidane  Mere:  e  il  Rebbi  Arienni.  sorge  il  fanta- 
stico massiccio  del  Monte  Rajo.  il  quale  spinge  a- 
vanti  nella  valle  sottostante  due  potenti  contrafforti, 
delti,  sulle  carte,  lo  sperone  ed  il  monte  Belah.  Il  pri- 
mo di  questi  contrafforti  domina  lo  sbocco  del  val- 
lone di  Mariani  Sciautù.  l'altro  la  strada  di  Abba 
Garima.  che  sono  i  due  accessi  alla  conca  d'Adua. 
Se  il  Baratieri  si  fosse  solidamente  stabilito  in  que- 
ste ardue  posizioni,  egli  poteva  ancora  eseguire . 
malgrado  la  perdita  di  una  brigata,  il  suo  piano 
primitivo.  Arimondi  avrebbe  occupato,  alla  sinistra 
del  Rajo.  il  posto  lasciato  vuoto  dall'Albertone.  lì 
generale  Da  Bormida.  con  le  sue  batterie,  avrebbe 
sgominato  il  nemico  che  si  fosse  avvicinato  tanto 
da  Mariani  Sciautù.  come  da  Abba  Garima.  mentre 
la  brigata  Ellena,  portata  avanti  sul  colle  Rebbi  A- 
rienni.  avrebbe  tolto  il  pericolo  di  un  possibile  ag- 
giramento. Ciò  che  al  Baratieri  non  era  parso  che 
uno  sperabile  colpo  di  fortuna,  l'attacco  degli  Abis- 
sini alle  fortissime  posizioni  da  lui  occupate,  avveni- 
va, certo  a  un  prezzo  troppo  grave,  il  sagrifizio  di  una 
intiera  brigata,  ma  avveniva  ancora  in  condizioni  da 
rendere  possibile  la  sconfitta  degli  assalitori.  Ma  a 
ciò  si  richiedeva  una  grande  prontezza  di  colpo  d'oc- 
chio, una  ferma  precisione  di  ordini  e  la  più  rigo- 
rosa vigilanza  nella  esecuzione.  Tutto  ciò  è  man- 
cato e  ne  venne  una  spaventosa  confusione.  Bi- 
sognava che  il  Baratieri  indicasse  chiaramente  ai 
suoi  generali  quale  fosse  il  compito  loro.  Al  soc- 
corso d'Albertone  non  dovevano  più  pensare.  Essi 
dovevano  restar  immobili  nelle  posizioni  che  occu- 
pavano, pronti  a  respingere  il  nemico  che  ormai 
non  avrebbe  mancamo  di  presentarsi.  Non  si  può 
negare  che  al  Baratieri  sia  balenata  l'idea  di  ciò 
che  convenisse  di  fare,  tanto  che  dal  punto  in  cui 
era  andato  a  collocarsi,  presso  il  falso  Chidane  Mi 
ret.  insieme  all'Arimondi.  egli  aspettava  ad  ogni  i- 
stante  di  veder  il  monte  Belah  incoronarsi  dei  sol- 
dati del  Da  Bormida  e  fu  per  lui  una  terribile  sor- 
presa il  vederlo  invece  coprirsi  di  Abissini;  ma.  dato 
anche  ch'egli  avesse  quest'idea,  il  disordine  dell'ese- 
cuzione mostra  l'incertezza  e  l'equivoco  degli  ordini 
e  la  lettura  di  questi  ordini  conferma  la  facile 
induzione.  Il  punto  essenziale  della  difesa  do- 
veva essere  l'occupazione  dei  due  contrafforti  che 
si  protendono  nel  vallone.  Lì  il  Da  Bormida  a- 
vrebbe  dovuto  restar  immobile  per  fulminare  gli 
Abissini  che.  da  due  parti,  avrebbero  tentato  di  as- 
salire le  posizioni  degli  Italiani.  Il  Bourelly,  in  una 
analisi  minutissima  di  tutti  i  documenti,  vuol  pro- 
vare che  tale  fosse  davvero  il  proposito  del  Baratieri. 
Ma,  se  ciò  era,  gli  ordini   da   lui   dati   al   Da   Bor- 


mida mi  parrebbero  singolarmente  equivoci.  E  vero 
ch'egli  raccomandava,  prima  pare  a  voce,  poi  per 
scritto,  di  occupare  le  alture  antistanti  a  Rebbi  A- 
rienni,  ma  sempre  nel  concetto  d'appoggiare  Alber- 
tone.  di  appoggiare  verso  sinistra  onde  sostenere 
più  direttamente  Alberione.  (  >ra.  erano  appunto 
tali  indicazioni  che  bisognava  evitare,  se  si  voleva 
che  il  Da  Bormida  rimanesse  fermo,  con  la  sua 
truppa  sui  due  contrafforti.  In  verità,  a.  me  pare  che 
anche  qui  il  Baratieri  oscillasse  fra  due  concetti  di- 
versi e  contradditori:  volesse  prender  posizione  sul 
massiccio  del  Monte  Rajo.  ma.  insieme,  non  abban- 
donare Albertone.  Ora,  che  avvenne  per  l'equivoco 
che  il  Baratieri  ha  lasciato  sorgere  nell'animo,  forse 
già  incline  a  tale  interpretazione,  del  Da  Bormida  ? 
Avvenne  che,  invece  di  occupare  i  contrafforti  come 
già  aveva  cominciato  a  fare,  egli  discese  con  tutta 
la  brigata  nel  vallone,  nell'intento  di  risalire  sulle 
alture  opposte,  lungo  le  quali,  appoggiando  a  sini- 
stra, poteva  credere  di  andar  incontro  all'Albertone. 
Se  non  che,  per  la  struttura  del  terreno,  egli  si  trovò 
spinto  con  le  sue  truppe  nella  valle  di  Mariani 
Sciautù.  in  fondo  alla  quale  si  distendeva  l'accam- 
pamento di  Maconnen.  Mandava  egli  un  battaglio- 
ne di  indigeni  sulle  alture  di  sinistra,  nell'intento 
appunto  di  tender  la  mano  all'Albertone.  ma  quel 
battaglione  fu  tosto  sconfitto  e  travolto  dal  nemica 
che  già  si  trovava  su  quelle  alture  e  che,  da  esse,  mi- 
nacciava il  grosso  della  brigata.  Intanto  sul  fondo 
della  valle,  ed  anche  sulle  alture  di  destra,  si  avan- 
zavano contro  il  Da  Bormida  i  soldati  di  Macon- 
nen. Era  divenuta  inevitabile  una  seconda  battaglia, 
altrettanto  isolata  quanto  quella  d'Albertone.  Se 
non  che,  se  l'errore  di  quest'ultimo  sarebbe  stato  ri- 
parabile dal  Baratieri.  l'errore  del  Da  Bormida  era 
senza  possibile  rimedio.  Il  divergere  della  brigata 
Da  Bormida  verso  destra,  lasciava  fra  essa  ed  il 
corpo  centrale,  che  ancora  si  trovava  sul  Rajo,  un 
largo  vuoto,  nel  quale  agevolmente  penetrarono  a 
torme  gli  Abissini,  occupando  essi  ad  offesa  dei  no- 
stri quei  contrafforti  che  avrebbero  dovuto  servire 
alla  difesa,  e  da  essi  precipitarono  al  massacro  della 
brigata  Arimondi.  Sorpresa,  stretta  da  ogni  parte, 
questa  trovo  preclusa  ogni  via  di  salvezza,  e  non 
ebbe  alcun  soccorso  dalla  brigata  di  riserva,  che, 
sparpagliata  ed  impreparata  all'attacco,  non  fu  che 
un   nuovo  .•lomento  di  confusione  e  di   rovina. 

Gli   Italiani,   in  quella  fatale  giornata  del   primo 
marzo,   si   posero  in  condizioni    da   rendere   sicura. 
inevitabile   la   loro  rovina    e   la    loro  strage.    Sarehlx 
già  stata  cosa  assai  ardua  il  respingere,  con   r  5.000 
uomini,   un   esercito   di    80.000.    Ma    quando   quei 
15.000    si    son    divisi     in    tre    gruppi,    nell'assi 
luta  impossibilità  di  soccorrersi  a  vicenda,  essi  cor- 
sero incontro,  più  che  ad   una   Sconfitta,  ad  un  SU 
dio.   fili   atti   parziali   di   valore  e  di   abilità,    primo 
fra  questi  la  difesa  lunga  ed  eroica   della   bri 
Da   Bormida.    non    potevano   valere  che   ad    inflig- 
gere al  nemico  qualche  inutile  perdita,  ma  non  ri 
ad   arrestare  la  valanga  distruggi;  ri.  e.    Questa  fa- 
tale divisione   di    forze   avvenne   per  due  momenti 
successivi,    la    diversione   dell'Albertone   a   sinistra, 
la  diversione  del   Da  Bormida  a  destra.   Della  pri 


408  LA    I  11  i  1  RA 

ma  il  generale  Bararteli  non  può  tenersi,  in  alcun 
modo,  responsabile.  Non  mi  pan  |  a  dire  al- 
ante della  seconda.  Non  mi  p  li  si  foi 
masse  abbastanza  prontamente  un  concetto  della  si 
tuazione  così  chiaro  e  pi  negli  al- 
tri, il  sentimento  della  ineluttabile  ni  'iella 
sua  esecuzione.  I  mi  i  ordini  furono  equivoci.  Mauro 
infine,  quel  nerbo  'li  volontà  sicura  con  cui,  nei  mo- 
menti supremi,  si  disciplinano  e  si  governano  le 
forze   umane. 

In  qui  non  voglio  entrare  nei  particolari,  or  am- 
mirabili ed  eroici,  ora  troppo  dolorosi,  'li  qu 
triplice  battaglia  che  potrebbe  dirsi  piuttosto  una 
triplice  strage  senza  possibilità  di  scampo  e  di  di- 
fesa, e  meno  .incera  nei  particolari  della  dolorosis 
sima  ritirata,  in  cui  i  miseri  avanzi  dello  sbaragliali 
ito  si  strascinarono  inori  di  quei  munti  male- 
.  seminando  di  morti  la  via  sanguinosa.  Mio 
intento  non  fu  quelli >  di  descrivere,  ancora  una 
i.  una  battaglia  di  cui  il  libro,  dal  quale  presi 
le  mosse,  narra  con  una  esauriente  ricchezza  di  no- 
tizie, i  vari  e  successivi  episodi.  b>  volli  solo  e.sami- 
ileU'inimane  disastro,  cercar  di  de- 
terminare le  responsabilità  vere,  disegnare  il  prò 
filo  morale  di  colui  che  aveva  in  mano  la  somma 
delle  Cose,  la  cui  memoria  sopporta  tutto  il  peso  di 
terribili  accuse.  Cerili,  agli  occhi  sereni  degli  sto- 
rici futuri,  la  memoria  del  Baratieri  non  potrà  mai 
risollevarsi  per  intiero,  e  liberarsi  del  tutto  del 
peso  che  l'opprime,  ma  pure  giustizia  vorrà  che 
quel   peso  gli   sia  alleggerito  ed.   in   parte,  portato 


SU   altre  persone,   non   menu  di   lui.  e.  talvolta,   più 
di  lui  responsabili.  Già,  fin  d'ora,  nell'attutimento 

graduale  delle  in-  destale  dall'improvvisa  catastro- 
fe, ci  .■  possibile  di  esser  meno  appass  i  no- 
stri giudizi  e  di  avvicinarci  ad  un  pacato,  ugge 
riconoscimento  della  verità.  Sapesse  almeno  il  l'ae- 
se.  sapessero,  soprattutto,  gli  uomini  che  hanno  la 
responsabilità  del  Governo  irarre  da  quella  sciagu- 
rata esperienza  tutti  gli  insegnamenti  che  i 

E  il  primo  di  questi  insegnamenti  è 
che  se.  nella  scienza  e  nell'arte,  l'ingegno  può 
bastare  a  far  grandi  cose,  nella  pratica  della 
vita  —  e  la  guerra  non  è  che  questo  —  Ungi 
non  giova,  anzi,  può  riuscii  funesto,  se  non  è  ac- 
ii  impugnato  dal  carattere.  Un  carattere  forte,  retto, 
guidato  da  una  chiai  nza  del  dovere,  da  un  e- 

quilibrato  buon  senso,  può  organizzare  la  riuscita  di 
un'impresa  assai  meglio  di  un  ingegno  immaginoso 
ed  inquieto.  Nella  tragica  campagna  africana, 
da  Amba  Alagi  ad  Adua,  non  sono  mancati  ne  ì  in- 
gegno né  il  valore,  son  mancate  indie  qualità  mo- 
rali da  cui  viene  la  forza  del  comando  e  la  virtù 
dell  obbedienza.  Da  qui  un  disordine  che  ci  condusse 
improvvisamente  ad  un  disastri',  da  noi  provoca 
voluto  per  un  fatale  aggrovigliamento  di  ernin 
equivoci,  un  disastro  che.  con  la  sua  spaventosa 
grandezza,  ha  scusse  le  basi  della  compagine  mo- 
rale della  nazione  e  l'ha  fatta  cedevole  al  soffi')  di 
ogni  vinto  infido. 


Gaetano  Negri. 


-*-**-£& 


Perchè  i  criminali  di  genio  non  hanno  il  tipo 


vendo  io  dovuto  dichiarare  che  Mu- 
solino  non  aveva  il  tipo  criminale 
completo ,  destai  un  tolle-tolle  fra  i 
miei  avversari  ;  e  parve  crollasse  perciò  d' un 
tratto  tutto  l'edificio  della  mia  scuola;  gli  è 
che  essi  ignoravano  come  io  abbia  fino  dai  pri- 
mordi ne\Y  Antropologia  criminale  dichiarato  che 
quell'  insieme  di  caratteri  fisionomici  anormali 
che  formano  il  tipo  criminale,  nucleo  di^tutta  la 
scienza  nostra,  manca  quasi  sempre  nei  genii  che 
hanno  istinti  criminali,  come  nei  criminali  di  genio. 

Il  fatto  resta  egualmente  di  una  enorme  impor- 
tanza; poiché,  a  tutta  prima,  trattandosi  di  due  de- 
generazioni riunite  in  un  solo  individuo,  si  doveva 
iere  che  i  caratteri  degenerativi  fosservi  più  nu- 
merosi e  non  già  più  scarsi  ;  e  perciò  si  capisce  che 
osservatori  onesti  finissero  a  negare  l'esistenza  del 
tipo,  tanto  più  trattandosi  di  individui  che  più  colpi- 
scono la  nostra  immaginazione  e  che  irradiano  in- 
torno a  lcro  il  massimo  del  pericolo;  poiché  Y Assas- 
sino comune  può  tutt'al  più  dare  la  morte  a  8  o  io 
persone,  mentre  l'ecatombe  napoleonica  sorpassa  il 
milione  di  vittime. 

Ma.  prima  di  tutto,  la  scuola  criminale  ha 
abituato  i  ricercatori  a  non  misurare ,  come 
iioppo  spesso  fa  il  giudice,  la  perversità  del  cri- 
minale solo  alla  stregua  del  danno  infetto:  a 
questa,  infatti,  un  macchinista  che  faccia  per 
semplice  disattenzione  precipitare  in  un  abisso  un 
numeroso  convoglio,  dovrebbe  esser  giudicato  più 
reo  del  più  feroce  brigante. 

E  bisogna  pur  mettere  in  conto  che  il  numero 
dei  genii  è  piccolissimo  ;  e  naturalmente  .  quindi  . 
ancora  più  piccolo  quello  dei  criminali  di  genio. 
Ora  se  in  una  quota  di  criminali  vi  ha  un  65  per 
cento  almeno  di    immuni  da  caratteri  degenerativi 


esterni,  deve  pure  esservene  un'altra  press'a  poco 
eguale  anche  fra  i  criminali  di  genio 

D'altra  parte,  i  rei  di  genio  non  hanno  natural- 
mente il  tipo  quando  sorgono  in  mezzo  a  popola- 
zioni barbare,  o  quasi  barbare,  perchè  allora,  in 
fondo,  la  loro  non  è  una  criminalità  morbosa,  ma 
fisiologica  ;  il  delitto  per  essi,  come  pei  loro  con- 
valligiani, è  soltanto  un'azione  che  al  più  trova  una 
occasione  od  un  aiuto  speciale  nella  loro  maggior 
forza  ed  intelligenza  ;  e  cosi  mi  spiego,  come  molti 
capi-briganti  sardi ,  siculi  o  calabresi ,  non  mo- 
strarono il  tipo  differente  dalla  popolazione  in  cui 
vivevano  e  basta  citare  Delogu,  Gusai,  La  Gala, 
Farina,  studiati  dal  Sanna-Salaris  {Una  centuria 
di  delinquenti  sardi,  Bocca,  Torino,  1902),  ed  ora 
Musolino. 

Anche  neWUomo  delinquente  noi  dimostrammo 
che  Pace,  Franchi.  Malagtiti  .  Pasquali,  Carbone 
(capi-briganti  del  sud)  non  avevano  il  tipo;  aggiun- 
go che  La  Gala  e  Fioravanti  non  avevano  ano- 
malie craniche  ne  cerebrali  ;  e  Curch  ci  dipinge  i 
Varadelli  come  dei  veri  eroi  medioevali  —  fisica- 
mente bellissimi  —  e  per  alcuni  rapporti  anche  mo- 
ralmente. 

Ma  per  altre  gravi  cause  essi  mancano  del  tipo  ; 
gli  è  che  molte  delle  azioni  del  criminale  di 
genio  si  estendono  ed  elevano  molto  più  su  di  quelle 
del  reo  nato  ;  e  quindi  anche  i  loro  tratti  fisiono- 
mici devono  avete  un  fondo  meno  atavico  con  ca- 
ratteri minori  di  brutalità  e  più  facili  ad  essere  lar- 
vati dalle  linee  geniali  ;  è  la  stessa  ragione  per  cui 
il  Michon  trovava  nella  scrittura  dei  criminali  di 
genio  le  linee  della  criminalità  offuscate,  soppresse 
da  quella  della  genialità. 

L'abitudine  delle  idee  elevate  dà  una  speciale 
impronta  fisionomica  (fronte  alta,  cranio  volumino- 


I" 


LA  LI   [TURA 


i'.... 


so,  \  nato)  che  è  in  antagonismo  con  quella 

Viceversa,  oltre  alla  degenerazione,  il  tipo  a- 
tavico  del  criminale  nato  e  l'accentuazione  di  alcuni 
caratteri  fisionomici  e  craniani  .  si  devono  al- 
l'abito brutale ,  atavico ,  e  all'abuso  della  forza 
e  della  sensualità,  che  rinnovami  le  abitudini  del- 
l'uomo primitivo;  questi  caratteri,  come  La 
strettezza  della  fronte,  la  stenocrotafia,  le  grandi 
arcate  zigomatiche,  e  sopraccigliari,  sono  in  conti. mI 
dizione  colla  grande  potenza  del  lavoro  mentale,  e 
quindi  devono  mancare  naturalmente  negli  ingegni 
grandi  e  rivolti  ad  alte  imprese  ;  di  più  è  noto  che 
molte  anomalie  si  formano  per  correla/ione  alle  al- 
tre, e  così  è  probabile  che  scemi  il  grande  sviluppo 
mandibole  coli  ampliarsi  della 
fronte  e  con  1"  sviluppo  del  pensiero,  con  cui  cessa 
l'uso  e  il  bisogno  dei  grandi  sforzi  muscolari,  ai 
quali  suppliscono  l'astuzia  e  la  genialità,  e  quindi 

■  un'altra  ragione  per  cui  la  mascella  e  gli 
mi  seno  nei  genii  meno  voluminosi. 

Ottolenghi    nota   giustamente    (Archivio    di    Psi 
chiatria.    volume    XX)    che    i    criminali     di     gì 
non  banno  il  tipo  i  one  per  cui  nei 

manicomi  hanno  il  massimo  di  caratteri  degenerativi 
i  frenastenici   i  retini,  ecc.),  ed  il  minimo  i 

paranoici,  p<-r  quanto  manchi  in  essi  sovente  altret- 
tanto e  più  il  senso  mora  ido  in  questi  ultimi 
più  grande  lo  sviluppo  intelleiiu.de.  ed  essendo  essi 

più  evoluti,   non  hanno  più   |  i  1  tipo   atavico 

spiccatissimo  nei  primi. 
Il  tipo  criminale  manca  per  la  stessa  causa  nei 
ti  di  falso,  di  truffa,  i  quali  esigono  dolcezza, 


atezza  di  nani  e  nei  delitti  politici,  (fig.  6,  7.  8* 

1  he   appio  1  "v 1  iminalità   1 

luta  moderna   Ora  i  criminali  di  genio,  come  Di 

"'.un.'  Holmes,  anche  con ittendo  reati  di  san- 
gue, non  ricorrono  mai  alla  violenza  brutale,  ma  .1 
mezzi  e  arti  più  evoluti  ;  sono  falsari  che  giung 
all'assassinio  non  per  la  passione  del  sangue,  ma 
solo  per  ottenere  il  loro  fine  ultimo,  Al- 

1  uni  erano  da  prima     1  ninaloidi  ; 

dalle  occasioni   percorsero  poi  tutta   la  gamma  del 
delitto.  Così  Tiburzi  e  Fioravanti,  non  avevano 
cuna  tendenza  crudele,   nemmeno  un'eccessiva   avi- 
dità, e  n. ni  versano  sangue  inutilmente,  anzi  cei 
rono  di  esercitare  una  certa   lon«  barbara  gius. 

Così  qui  il  prete  De  Mattia  (vedi   figura  1)  che 
riuscì  a  truffare  il   lisci,  al  lutto,  se  non  erro,  di  un 
milione;    così   pure    il  Configliacchi,   professore  di 
Pavia,  adultero,   falsario,  ma  di  così  gran   finezza 
da  farsi  coprire  di  onori  dal  Governo  austriaco  non 
che  esserne  incriminato;   il  terzo  (figura  3)  chi 
pei ascelle  sviluppatissime.  fu  truffatore  abilis- 
simo, tanto  da  vivere,  per  molti  anni,  da  milionario 
.1   '-pese  di  una  banca  di  cui  era  contabile,  né   Iti 
scoperto  che  dopo   il   suicidili:    il   quarto  adulti 
falsario,   assassini!  (figura  4)  giunse  ai   più   gì. 
onori  nel  Belgio  il  quinto,  che  però  ha  qualche  ca- 
rattere, fu  truffatore  abilissimo  nelle  Romagne. 

Ma  qui  sarà  meglio  dare  delle  dimostrazioni  pia 
minute  esponendo  rapidamente  la  biografia  di  al- 
cuni di  quelli  fra  costoro  che  corrispondono  meglio 
al  mio  pensiero. 


ti.. 


PERCHÈ    I    CRIMINALI    hi    <  ,ENIO    NON    HANNO    11.    TIPO 


4" 


Da  uno  studio  fatto  sulle  fotografie  ili  Holmes 
mi  sono  ci mvinto  che  se  vi  si  ritrovano  l'esagerai. i 
dolicocefalia,  il  pelo  bruno,  le  sopracciglia  spiccate, 
per  i  quali  caratteri  si  allontana  un  po'  dal  tipo 
criminale  anglo-sassone  ;  se  vi  è  un  certo  grado  di 
platicefalia,  se  vi  è  pallore  e  labbra  sottili,  in  com- 
plesso però  i  caratteri  degenerativi  sono  scarsi  e 
certi)  non  in  proporzione  colle  anomalie  murali  . 
tanto  più  essendovi  i  segni  inversi,  quali  la  scai 
sezza  delle  rughe,  la  ricchezza  della  barba,  la  buo 
na  conformazione  dei  denti,  la  bellissima  forma  del 
naso  ondulato.  E  mancangli  i  caratteri  grafologici 
criminali  ;  la  sua  calligrafia,  in  complesso,  presenta 
i  caratteri  comuni  a  una  persona  intelligente  ,  colta 
ed  energica. 

Ora  neppure  nella  sua  vita  giovanile  non  si 
trova  traccia  di  delinquenza.  Bambino,  pare  mo- 
strasse intelligenza  straordinaria,  per  cui  venne  pro- 
tetto da  un  ricco  mecenate  che  lo  mantenne  agli 
studi  ;  egli  li  compi  brillantemente  e  ottenne  la  lau- 
rea in  medicina.  Fu  solo  dopo  i  trentanni  che  co- 
nobbe certo  Pitezel,  un  uomo  poco  intelligente,  del 
quale  egli  pensò  fare  il  suo  associato  e  il  suo  vitello 
d'oro,  assicurandogli  la  vita  con  un  atto  complicato 
per  cui  in  caso  di  morte  una  grossa  parte  del  premio 
della  assicurazione  dovesse  toccare  a  lui. 

Dopo  alcuni  mesi  il  Pitezel  fu  trovato  morto 
in  camera  vicino  ad  una  bottiglia  esplosiva 
rotta  ;  la  camera  era  però  ordinata ,  la  faccia 
composta ,  ne  il  corpo ,  che  era  putrefatto ,  lo 
era    di    più    dove    più    lo    percotevano    i  raggi  so- 


FlG.  3. 


Kit;.  4. 

lari,  il  che  fece  dubitare  di  crimine;  egli  a. 
veva  negli  ultimi  tempi  assunto  il  nome  di 
Perry  ;  ma  Holmes  ne  potè  dimostrare  l'identità  alla 
Compagnia  d'assicurazione  facendo  venire  a  rico- 
noscerlo la  figlia  Alice  di  anni  14  ;  il  cambiamenti  1 
del  nome  del  Pitezel  in  Perry  era  stato  fatto  perchè 
i  giornali  non  mettessero  sull'avviso  della  morte 
la  moglie;  e  la  figlia  Alice  fu  fatto  venire  con  un 
telegramma  firmato  col  nome  del  padre.  Il  testimo- 
nio diventava,  dunque,  doppiamente  pericoloso,  1  fu 
fatto  sparire  in  modo  misterioso,  perchè  non  se  ne 
trovò  più  traccia;  né  la  madre  n'era  inquieta,  per- 
chè egli,  con  firma  finta  del  padre,  le  aveva  scritto 
d'averla  collocata  in  collegio  per  educarla  meglio,  e 
perchè  continuò  poi  parecchi  anni  a  scriverle  col 
nome  della  figlia,  dando  notizie  della  sua  saluti  1 
dei  suoi  studi. 

Per  la  sua  sicurezza  però  occorreva  che  la  fami- 
glia tutta  sparisse;  ed  egli  cominciò  a  chiamare  con 
lettere  apocrife  la  sorella  e  il  fratellino  minore,  che 
sparirono  al  modo  della  prima.  Alla  madre  spediva 
bombe  in  pacchetti  da  portare  qua  e  là  sperami" 
che  scoppiando  l'uccidessero.  Nessuna  scoppio. 
Quando  essa  continuava  a  chiedere  notizie  del  ma- 
rito e  dei  figli,  le  dava,  ora  in  un  paese,  ora  in  un 
altro,  appuntamenti  che  poi  rimandava.  Dopo  io 
anni,  però,  costei  che  non  aveva  mai  diffidato  di  lui, 
male  conoscendo  l'inglese,  ed  essendo  poco  intelli 
gente,  venne  a  Chicago  colla  figlia  maggiore,  ra- 
gazza intelligente,  ardita  e  determinata  a  mettere 
in  chiaro  ogni  cosa.  L'Holmes  offri  .subito  loro  un 
pranzo,  colla  intenzione  probabilmente  d'avvelenar- 
le ;  ma  la  figlia  rifiutò. 

Egli  escogitò  ancora  nuovi  strani  appuntamenti  ; 


I' 


la  i.KrnuA 


ma  li  minciando  a    diffidarne,  interrogò  i  vi- 

cini e  seppe  che  veramente  io  anni  prima  era  morto 
uno    che    si    faceva    chiamare,   ma    non    era    Perry  . 
ito  riconosciuto  ila  una  Mia    figliuola. 
izza  .  allora,  non  badando  più  ai  teli 
grammi  e  agli  appuntamenti  di  Holmes,  andò  su- 

.dia  polii  ipere  che  veramente  il  pa- 

dre Pitezel  era  morto  e  che  l  Holmes  ne  aveva  ri- 
tirato il  premio  dalle  Assicurazioni.  Denunzialo  da 
lei.  per  questo,  Holmes  fu  messo  in  eareere.  e  tosto 

glli  parie  si  seppe  di  morii  suoi  dipendenti  per 
cui  le  Compagnie  di  assieurazioni  avevano  pagato 
un  premio  a   lui.  sotto  vari  nomi,   l-'.gli   teneva   fuori 


Fi... 


della  città  una  fabbrica  di  prodotti  chimici  in  cui 
tutti   gli   impiegati,   assicurati,   sparivano  dopo   un 
•  no  tempo. 

Si  trovarono  in  quella  fabbrica,  a  cui  si  era  già 
meritamente  dato  il  nome  di  Castello  delia  morte. 
delle  camere  la  cui  porta  si  richiudeva  appena  fos- 
sevi  entrata  una  persona,  la  quale  vi  restava  asfis- 
siata o.  cadendo  in  un  bagno  di  acido  solforico  o  ni- 

bruciava  e pletamente,  senza  lasciar  più  trac- 

I  re  che  cosi  fossero  morti  un  nuovo 
che  aveva  portato  una  grossa  somma,  una  segretaria 
i  violata  ed  alla  quale  aveva  promesso  il 
matrimonio,  e  parecchi  impiegati.  Si  seppe  poi.  du- 
rante il  fin  «esso,  che  spacciava  anche  monete  false; 
■  vari  nomi,  ire  mogli  pei  cui 
mostrava  un  certo  affetto  e  delle  quali  nessuna  ave 
va  sospettato  dell'altra.  Si  scoperse  pure  che  i  suoi 
impiegati  destinati  e  poi  da  lui  condotti  a  morte  e- 


rano  stati  assicurati    sotto  vari  nomi    a  diverse  Si 

nodo  ehe  per  un  complicai giugno  egli 

veniva  a  riscuotere  due  "  tre  premi  i  ei  ciascuna 
Tutte  queste  combinazioni  e  complicazioni   mtij 

no   il    \  ''i- 1  CI  iminale  ili   genio  ;    e  quanto  egli   In 
tossi-  lo  mostro  anche  nell'abilità  della  di) 
cialmenìe  quando,  in  ultimo,  esaurita  ogni  sperar 
i    studiando  il   mio  Uomo  delinquente,  tene   t 

lare  pi  un  pazzo  morale,  un  delinquente  i 
inventando  perciò  una  lunga  serie  di  delitti  che  non 
aveva  commesso,  esagerando  poi  quelli  accertati,  e 
pretendendo  di  aver  persino  mutato  la  fisionomia, 
e  le  linee  craniche  in  modo  da  rientrare  nel  quadro 
figurato  da  me. 

Noi  vediamo,  insomma,  che  si  è  servito  di  tutti 
gli  amminicoli  che  può  dare  la  scienza  moderna 
ad  un  uomo  per  far  del  male,  arte  medica,  cono- 
scenze chimiche,  tossicologiche,  abilità  grafiche,  ma- 

;io    del    meccanismo    delle    Assicurazioni    sulla 
vita,  conoscenza   di    antropologia    criminale.    Rap- 
presentò,   insomma,    egli    nel    delitto   quel    progl 
so  che  fecero  nelle  applicazioni  della  scienza  all'in- 
dustria i  Nord-americani.  Ma  è  sempre  il  criminale 
avido  più  che  crudele,  bisognoso  della  potenza 
dà     l'oro,    tanto    che    i    suoi    omicidii    sono    tutti 
ildle    applicazioni    di    chimica    tossicologica  .    * 
col    solo    scopo    del    lucro,    senza    ricorrere    mai 
alla    violenza    sanguinaria;    non    è    un    omicida 
che  uccida  pel  piacere  di  uccidere,  ma  è  un  truffa- 
tore che  uccide  quando  in  altro  modo  non  può  i 
giungere    il    suo    scopo.    Perciò    mancano    in    lui 
i    caratteri    esterni    del    criminale    nato,   essendovi 
tutt'al    più    alcune    di    quelle    anomalie   che    som. 
più    frequenti    nei    truffatori.    Non    mancano    p 
i    caratteri    psichici  .  l'assenza    di    rimorso ,    l' im- 
perturbabilità davanti  alle  prove  ilei  proprio  delitto, 
davanti  alla  vittima  cui  ha  rubato    i  figli,   il   ma- 
rito, e  che  guarda  tranquillo  mentre  essa  piange  e 
si  dispera;  né  mancano  la  lascivia  comune  a  tutti  i 
truffatori,  e  la  vanità  per  cui  si  compiace  di  es 
descritto  nei  giornali  ed  esagera  il  numero  dei  suoi 
delitti  ;   né  la  genialità  criminale  manca  di  un  lato 
morboso  nell'eccesso  delle  complicazioni  crimin 
come  anche  nell'imprevidenza  die  abbiamo  sorpresa 
quando  collocò  il  cadavere  della  sua  prima  vittima 
in  modo  che  uno  scienziato  avreblie  dovuto  subito 
capire  che  non  poteva  esser  stata  vittima  di  una  e- 
splosione. 

In  Italia  ebbimo  il  famoso  capo-brigante  Tibura 
che  offriva  un  cranio  voluminosissimo,  una  fronte  e- 
levata,  una  fisionomia  tranquilla  e  serena,  simile 
molto  a  quella  dell  illustre  Cesare  Correnti.  Né  l'au- 
topsia vi  scoperse  altro  che  una  maggiore  suddivi- 
sione delle  circonvoluzioni  frontali,  die  non  è  nien- 
te affatto  sicuro  sia  propria  dei  delinquenti,  mentre 
mancava  di  quelle  anomalie  istologiche  del  cervello 
che  la  nuova  scuola  scoperse  nei  delinquenti.  Ma  an- 
che qui  si  ebbe  una  criminalità  assai  meno  ata 
e  crudele  di  quella  dei  solili  briganti  ed  insieme  de- 
linquenti nati.  Fatto  è  che  fino  a  trentanni 
egli    non    aveva    commesso    alcun    delitto    e    nem- 


PERCHE    I    CRIMINALI    1)1    GENIO    NON    HANNO    IL    TIPO 


4i3 


meno  alcuno  di  quegli  atti  feroci  in  cui  in- 
cappano sempre  e  precocemente  i  rei  nati.  Fu 
a  31  anno,  nel  1877,  che  egli  per  la  prima  volta 
uccise  un  guardiano  con  cui  aveva  litigato.  Con- 
dannato a  18  anni  di  galera,  nel  1872  fuggiva  e 
si  imbrancava  in  una  banda  brigantesca.  Da  allora 
in  poi  commise  2  assassini.  5  omicidi  o  tentativi  di 
omicidi,  3  grassazioni,  2  furti.  2  ferimenti.  4  in- 
cendi. La  sua  specialità  furono  le  estorsioni  ;  ne 
consumò  circa  24,  ma  negli  ultimi  anni  non  com- 
mise grassazioni  sulla  pubblica  via  :  perciò  ebbe  a 
sdegno,  dopo  l'inizio  della  triste  carriera,  di  asso- 
ciarsi a  briganti  di  professione,  come  Menichetti  e 
Ansuini.  In  generale  tutti  i  suoi  delitti  di  sangue 
non  furono  ispirati  da  quella  ferocia  di  cui  sono  af- 
fetti i  rei  nati,  ma  di  quelle  vendette  e  di  quelle  ri- 
vendicazioni che  rappresentano  la  giustizia  nei 
paesi  barbari.  Uccise ,  per  esempio .  un  pa- 
store .  il  Pecorelli ,  perchè  aveva  ammazzato  un 
maiale  al  figlio  Nicola,  ma  prima  verificò,  contando 
i  chiodi  delle  scarpe,  e  confrontandoli  colle  orme 
lasciate  sul  terreno,  l'identità  della  vittima,  come  a- 
vrebbe  fatto  un  giudice  aiutato  da  un  buon  perito. 
Uccise  il  collega  Pastorino  in  una  specie  di  vero 
grossolano  duello,  provocato  da  insulto.  LTccise  il 
Becchinelli,  per  mettere  fine  agli  eccessi  che  com- 
metteva e  che  lo  avrebbero  compromesso  ;  uccise  il 
Gabrielli,  perchè  lo  credette  una  spia.  Insomma  i 
delitti  suoi  erano  vere  esecuzioni  di  diritto  brigante- 
sco su  spie  e  neo-banditi  che  pretendevano  invadere 
il  suo  dominio  e  turbavano  la  tranquillità  dei  suoi 
feudatari,  vulgo  mantenitori. 

Più  volte,  potendo  uccidere  nella  macchia  guar- 
die e  carabinieri,  se  ne  astenne.  Egli,  nota  bene  Si- 
ghele.  trasformò  il  crimine  in  un  contratto,  il  furto 
in  una  tassa  ;  metamorfosi  strana,  in  cui  non  sa1  se 
più  ammirare  l'astuzia  di  chi  la  compia  o  la  vigliac- 
cheria di  chi  vi  si  presta.  Ed  un  procuratore  del  Re 
confessava  a  Sighele:  «Dopoché  ce  Tiburzi.  i  cri- 
mini nel  comune  di  Viterbo  sono  notevolmente  di- 
minuiti, perchè  i  malfattori  hanno  più  paura  di  lui 
di  quello  che  non  ne  avessero  della  giustizia  ». 

Ed  al  processo  di  Viterbo,  un  delegato  di  pub- 
blica sicurezza  di  Acquapendente,  disse  che  i  pro- 
prietari consideravano  il  Tiburzi  come  un  male  ne- 
cessario, e  gli  pagavano  le  tasse,  per  non  esser  mole- 
stati, sia  perchè  erano  i  briganti  che  facevano  real- 
mente il  servizio  di  pubblica  sicurezza,  confessione 
che  equivale  a  dire  che  il  brigante  adempiva  una 
vera  missione  sociale  e  politica.  Egli  prendeva  in- 
somma, si  può  dire,  a  cottimo  (e  pare  che  il  com- 
penso non  fosse  meno  di  300.000  lire  l'anno),  la 
tranquillità  di  quelle  terre  e  ve  la  sapeva  mantenere 
con  l'autorità  della  sua  sola  persona,  meglio  di 
quello  che  avrebbero  potuto  fare  le  autorità  costi- 
tuite. 

E  non  solo  purgava  le  macchie  dai  banditi  e  vi 
teneva  una  relativa  giustizia,  ma  esercitava  perfino 
la  polizia  negli  scioperi,  obbligando  i  mietitori  scii  - 
peranti  a  tornare  al  lavoro  col  solo  dispiegamento 
delle  forze  sue  proprie.  Coi  castellani,  coi  caccia- 
tori viterbesi  conversava  da  gentiluomo  del  più  e  del 
meno,   senza  che   alcun  tratto   rivelasse   l'uomo  san- 


guinario ;  come  i  landlords  inglesi,  molti  mesi  del- 
l'anno egli  si  assentava  dai  suoi  domini  e  viveva  a 
Roma,  a  Parigi,  da  gran  signore,  senza  che  mai 
alcun  atto  vanitoso  ed  impulsivo  (come  è  proprio  dei 
rei  nati),  lo  tradisse,  il  che  è  nuova  prova  di  quella 
forza  di  inibizione  che  si  vede  solo  fra  i  aormali  ed 
è  quasi  esclusa  dai  delinquenti  nati. 

Per  tutto  ciò,  per  esercitare  per  più  di  24  anni 
un  dominio  incontrastato,  occorsero  anche  una  sin- 
golare intelligenza,  un'abilità  amministrativa  e  stra- 
tegica, ed  una  temperanza,  una  facoltà  di  inibizione 
come  non  hanno  certo  i  criminali  nati,  ed  anche  una 
relativa,  forse  una  assoluta  genialità,  (ili  mancò  il 


Fio.  6. 


Anarchico  Spies. 


secolo  propizio  per  divenire  uno  Sforza,  un  Picei 
nino,  un  Medici  dalle  Bande  nere,  ma  quanto  alla 
attitudine  l'aveva  tutta,  e  forse  era  già  pronta  la  di- 
nastia. E  son  tratti  veramente  Sforzeschi  (nielli  in 
cui  egli,  solo  accompagnato  da  Fioravanti,  si  [ri- 
senta in  un  cascinale  dove  son  50,  il  Rossi  dice  anzi 
80  mietitori,  certo  armati  di  falce,  di  flagelli,  e  ni 
tima  loro  di  farsi  da  parte  e  lasciargli  uccidere  il 
Gabrielli. 

Ma  v'hanno  altre  ragioni  che  spiegano  meglio 
così  la  sua  impunità,  come  la  regolarità  della  sua 
fisionomia,  e  che  egli  in  gran  parte  riproduceva  il 
colore  locale  e  l'indole  degli  abitanti  del  suo  paese. 

Le  strade  in  quel  di  Lamone  sono  lotti  di  torrenti 
spesso  impenetrabili,  in  cui  il  cavallo  rifiuta  di  pro- 
cedere. 

Si  immagini  una  estensione  montuosa,  la  sola 
parte  boschiva  nel  Viterbese   è  di  16.435  ettari,  in 


p  I 


LA    11    I  I 


A  N  V  l<  I   H  II  0 


mucchi 

su  quei 


cui  le  eruzioni  vulcaniche  che  gettarono 
uni.  scuri,  ricoperti  di  muschio, 
mucchi    piante  rampicanti  ed  ogni  specie  di  spine, 
mi  r  là.  tronchi  di  vecchi  eerri,  e.  sotto  di  essi. 
Luche,    caverne  conosciute  'lai   briganti,    ignote  alla 
Mitirie  un  uomo  pratici,  qua  (lenito,  dice- 
vano al  Rossi  i  guardiani,  e  poi  ditemi,  chi  può  an. 
ilare  a  scovarlo?i  Ma  peggiore  dell'ambiente  clima- 
era  l'ambiente  civile.  Cellere,  infatti,  dove  Ti- 
burzi  nacque,  è  una  terra  celebre  per  antica  crimi- 
nalità  (Rossi).    Imi   popolata,    pare,  primitivamente 
da  Albanesi,  che  diedero  in  grande  e  in  piccolo,  in 
tutte  le  sfere,  nelle  alte,  perfino  ministeriali,  e  nelle 
e,    una  quota   fortissima  alla   criminalità    ita- 
liana .  ed  è  in  tx>rgo  di  Cellere,  a  Tarmano,  che  pul- 
lularmi" altri  criminali  famosi;    il  famoso  Veleno, 
per  esempio,  che  ucciso,  untisi,  assai  poco  divota 
niente,    ma   molto  opportunamente  dal    vivente   CU 
di  Cellere,  che  si  accorse,  per  caso,  di  aver  in 
un  linguali-,   e  consigliando   l'assalitore  a 
bendargli  egli  stesso  gli  occhi,  approfittava  del  mo- 
ri, opportuno  per  freddarlo.  Ed  egli,  il  Tiburzi, 
che  molti    sentiva  il  patriottismo  celleriano,   quasi 
,  un  capello  ai  contadini  del  suo  paese.  Si 
piegare  il  potere  e  il  prestigio   suo. 
ippunto  perchè  quelle  terre  avevano  tendenze 
assai  più  primitive,    la  giustizia,  colle  sue  prò 
biab  lentezze,  le  amministrazioni  con  le  loro  buro 
e  impotenti,  non  potevano  nulla  con- 
tro lui  ;   mentre   la  prepotenza   materiale,   brusca, 
ma  adatta  al    luog      perchè   energica,  di    un  uomo 


solo  vi  aveva  un'influenza  più  dii 

e  da  questa  a   sua    volta   ritraeva  tanto  prestigio,  da 

adempiere  veramente  una   funzione  sociale 

I  11    unii,   un   gii  I        n    ile,   .meli  esso   .idulle- 

ro.   .:  i    ladro,  certo  I  rateilo  e  figlio  di 

ladri,  non  aveva  ili  criminale  che  il  doppio  sgu 

ora  dolce  i  ira    ter con  occhio.   Ir,  mte 

t,  Ita  barba,  ed  era  di  ingegno  così   acuto,  che  ben 

h     i Ito,   riesci   uno  dei   migliori    giorna 

d'Italia,  e  per  poco  non  fu  eletto  deputato  di   Roma 
benché    non  avesse  .nuora   l'età.    In  parte  per 
tivo  d'adulterio,  in   parte  per  motivi   professionali, 
egli  spinse  sotio  pretesto  politico  un  altro  ad  ucci- 
un  giornalista  al  quale  aveva  rapita  la  moglie. 

In  tutti  costoro  il  tipo  manca,  o  quasi,  pei 
genio  offusca   il  delitto.  Va  notato  anche  ci,' >  che  il 
De  Candolles  ha  così  bene  illustrato:  che   la  mag- 
giorati/a   degli  uomini    di    genio  esce  dalle   i 
colte,  dall'alta  borghesia  in   ispecie,   mentre  i  crimi- 
nali più  spesso  escono  dalle  classi    più   umili.  '  >ra 
bene  avvertiva  il  Samuele  Smith  {Populat   S 
Momthly),  che  in  queste  sono  più  frequenti  per  l'e- 
sercizio dei  muscoli    alcuni  caratteri  che  si  coi 
dono    con    quelli   degenerativi,   ionie    il    grande   svi- 
luppo  delle  mascelle,  degli   zigomi,  ecc. 

Si     aggiunga    anche    che    la    più    leggera    cri- 
minalità, sommata  a  una  più  o  meno  grand, 
cialità.  ottiene  effetti  malefici  cento  volte  maggiori 
dei  comuni   criminali  privi   di   genio,  di  coltura,   di 
prudenza,  e  quindi  anche  il  criminale  più  lieve 
grande  genio,  passa,  per  i  terribili  effetti  provi 
per  un  grande  criminale,  e  ben  dice  Dante: 

Che  dove  la  potenza  «Ulta  mente 
S'aggiunga  al  mal  volere  ed  alla  possa 
Nessun  rimedio  vi  può  far  la  gente. 

In  questi  casi  noi  giudichiamo  molto  più  crimi- 
nali, solo  per  gli  effetti,  individui  che  lo  sono  sol- 
tanto in  lieve   grado  ;    allo  stesso   modo  che  negli 


■ 


; 


Anarchico 


PERCHÈ    I    CRIMINALI    1)1    GENIO    NON    HANNO    11.    TIPO 


4l5 


Stati  monarchici  passano  per  terribili  criminali  dei 
regicidi,  che  multe  volte  sono  soltanto  rei  per  pas- 
sione, solo  perchè  il  loro  delitto  li  rese  più  odiati  0 
più  disastro,!  ]  er  il  pae.se  (tìg.  6.   7.  8). 


Alle  volte  si  tratta  pure  di  criminali  ferocissimi, 
ma  l'assenza  del  tipo  si  spiega  perchè  la  cri- 
minalità si  sviluppò  in  tarda  epoca,  grazie  a  una 
meningite,  a  un  osteoma,  alla  sifilide,  e  quindi  i  ca- 
ratteri congeniti  e  in  parte  gli  acquisiti  dovevano 
mancare.  Così  ho  studiato  a  lungo  in  Torino  il  Bal- 
lar, che  assassinava  uno  zio  e  quattro  donne  ih  mo- 
do ferocissimo,  e  sfuggendo  per  molto  tempo  alle 
indagini  per  la  straordinaria  intelligenza,  e  che  non 
presentava  il  più  lieve  carattere  criminale  :  pareva 
un  commesso  di  negozio.  Ora  una  ricerca  paziente 
mi  ha  provato  che  egli,  buonissimo  tino  a  10  anni. 
fu  preso  in  quell'epoca  da  una  meningite  dopo  la 
quale  divenne  ladro,  stupratore  e  infine  assassino. 
e  invece  di  produrre  la  paralisi  di  un  arto,  produsse 
quella  del  senso  morale,  lasciando  intatta  l'intelli- 
genza. Così  io  mi  spiego  come  il  ferocissimo  Gras 
Rubasela,  decapitato  recentemente  in  Austria,  ab- 
bia commesso  stupri  precoci,  furti,  e  ultimamente 
per  lieve  causa  di  vendetta  l'assassinio  dell'A'.ton 
e  di  sua  nipote,  quantunque,  tranne  una  leggera  as- 
simetria  facciale  e  un  certo  sviluppo  maggiore  della 
mandibola  e  l'abbassamento  di  un  angolo  della  boc- 
ca, nulla  presentasse  di  anormale.  Ebliene:  all'au- 
topsia, di  cui  mi  comunica  or  ora  il  risultato  il  pro- 
fessore  Ibsen.  di  Innsbruk.  si  rivelò:  pachimenin- 
gite.  atrofia  delle  circonvoluzioni  frontali,  e.  quello 
che  più  importa,  due  osteomi  dentro  il  lobo  fron- 
tale sinistro,  anomalie  di  cui  nessuno  in  vita  avrebbe 
potuto    formarsi   l'idea. 

Lo  stesso  dicasi  di  Faella,  un  ex-ufficiale  italiano, 
di  fama  onoratissima  fino  ai  30  anni,  che  lasciata 
la  milizia  e  datosi  a  speculazioni  sbagliate  di  grani, 
comincia  solo  dopo  i  30  anni  a  iniziarsi  nel  crimine. 
Dapprima  immagina  di  far  cambiali  false  colla 
•Irma  di  ricchi  suoi  amici  da  presentarsi  dopo  la 
loro  morte  agli  eredi,  poi  si  decide  a  provocarne 
egli  la  morte,  e  prepara  nella  sua  villa  un  traboc- 
chetto profondo  ed  invita  uno  dei  più  intimi  suoi  e 
dei  più  ricchi,  il  Costa,  e  ve  lo  fa  cader  dentro  e 
morire.  Sparge  la  voce  che  egli  sia  fuggito  dal  pae- 
se, e  prende  intanto  una  cambiale  di  70.000  lire  agli 
eredi  ed  alle  autorità,  che  trattandosi  di  un  indivi- 
duo scomparso  finirono  di  aprir  gli  occhi  e  scoprire 
il  reato.  Arrestato,  tentò  un  alibi,  negò  continua- 
mente ogni  reato,  e  finalmente  si  uccise,  quando 
vide  che  stava  per  esser  condannato,  tira  costui  che 
in  vita  non  aveva  presentato  altra  anomalia  che  una 
grande  iperestesia  alla  luce  e  agli  alcoolici,  e  che 
aveva  la  fisionomia  completamente  simile  a  quella 
di  Re  Umberto,  quando  venne  autopsiato  presentò, 
oltre  all'insufficienza  valvolare,  pericardite,  una  e- 
norme  pachimeningite  ed  un  grosso  ostoma  spi- 
noso nella  granile  talee  che  si  [>enetrava  nella  cir- 
convoluzione parietale  ascendente.  Ora  tutti  sanno 
come  gli  osteomi.  specialmente  nei  giovani,  sieno  ra- 


rissimi, anche  nei  pazzi  (2  0  3  o/o),  soprattutto  gli 
osteomi  spinosi,  e  come  essi  tradiscono  un  processo 
in  nativo,   la  così  detta  pachimeningite. 

Gasparone.  che  cerio  fu  un  tipo  di  delinquente 
nato,  poiché  non  comprese  mai  cosa  fosse  rimorso 
giacché  uccideva  un  uomo  con  minore  ripugnanza 
che  non  metta  il  beccaio  con  un  agnello,  che  a- 
veva  il  vero  ribrezzo  pel  lavoro  continuato,  sicché 
anche  dopo  conseguito  non  solo  il  perdono,  ma  un 
ufficio  ben  retribuito  dal  Governo  papale,  pure  ritor- 
nava alla  montagna,  presentava  una  vera  genialità 
strategica;  come  quando,  circondato  da  20,000  au- 
striaci, in  una  .stretta  vallata,    potè  a   loro  sottrarsi. 


Fio.  9.  —  Uxoricida   (ti  SSA. 

facendo  che  i  suoi  briganti  mettessero  sul  berretto 
la  stessa  fascia  bianca  che  egli  vedeva  nel  capo  dei 
suoi  avversari,  sicché  potè  passare  per  un  alleato. 
Ebbene,  nella  fisionomia  egli  non  aveva  alcuna  ano- 
malia spiccata,  ma  il  cranio  presentava  un  vormia- 
no  al  bregma  fenomeno  che  ricorda  il  terzo  00  : 
dei  renili,  e  una  lunga  serie  di  anomalie  nelle  cir- 
convoluzioni frontali  destre. 


Qualche  volta  .  come  in  Vacher ,  né  cervello, 
né  cranio  presentano  spiccate  anomalie,  mentre  spic- 
cate sono  le  anomalie  istologiche,  come  la  mancan- 
za degli  strati  granulari,  la  ipertrofia  delle  cellule 
piramidali,  ecc. 

Moriva  nella  mia  clinica,  pochi  anni  la.  ucci- 
dendosi, un  giovane  che  fino  dai   io  anni,  dopo  a- 


pi.  LA    LETTI  !   \ 

\rr  sofferto  un  tifo,  rubava  'li-nari,  spilli,  orologi, 
prima  .1  ■.  poi  in  1 

glie  pubbliche;  arrestato,   egli    mostrava 
1    parlava  del  sue  ri 
Si  tr  une  studente  'li  lettere,  intelligen- 

i;   buona   famiglia,  il   quale  lasci.',  poemi 
potuto  procurargli  una   gran  fama, 
sempio,  sui  pazzi: 


.  .  .1  altr  grida  insane 
ggian  nelle  vaste  camerate 
Invocazioni  tristi  e  preci  vano 
■-suiti  di  menti  concitate. 
Quante  lat\<   d'amor  gentili,  ari 

I  Fantasie  d'i  titillate  . 

-imi  ad  immagini  lontane 
E  brame  <ii  carezze  trapassate, 
l'hi  sa  arrestar  nell'attimo  che  vola 

II  fantasma  che  appare  a  quelle  menti? 
E  il  lampo  che  ne  strappa  e  la  parola 
Fuggente  irata  alle  labbra  frementi? 
Chi  fa  brillar  una  scintili. i 

intelletti  naufragati  e  spenti?... 

tira  costui  non  aveva  alcun  carattere  fisionomico 
nak-.  anzi  una  bellissima  forma  ilei  cranio,  e 
tomia  b  Ila  e  piao  <   quando  si  proce- 

ileite  all'autopsia  si  rinvennero  quelle   anomalie  i- 
giebe,  specialmente  l'atrofia  degli  strati  granu- 
lari e  le  cellule  nervose  della   sostanza  bianca  che 
la  nostra  scuola  trovò  specifiche  dei  criminali. 

Bisogna  avvertire  anche  che  un  certo  numero  di 
genii  criminali  :  Alessandro.  Napoleone  e  Anneghi- 
no, per  esempio,  hanno  il  tipo  completo;  ma  il 
prestigio  destato  dalle  loro  opere  (che  aumenta 
sempre  più  dopo  la  morte)  fa  che  noi  diven- 
tiamo ciechi  al  loro  riguardo  e  non  vediamo,  tìsica- 
mente, che  le  linee  geniali,  e  non  le  criminali. 

rto  che  nei  busti  e  nei  ritratti  di  Napoleone 
dopo  il  Consolato  ni  n  trovi  più  la  faccia  assimme- 
ttica.  l'oc  .  l'esagerazione  delle  mandibole,  e 

del  1  roganatismo  alveolare  che  prima  aveva.  < 
pochi   busti  di   Alessandro  rivelano   il  suo  tipo  cri- 
minale colle  rughe  verticali  nella   fronte,  colla  ste- 
nocrotafia,  e  o  1  t  alia,  che  vedesi  nel  Louvre. 

1   ■  sti  ss    sui   ede  anche  nel  giudizio  delle  loro  a- 
zioni,  tanto  che  noi  scusiamo   lino  i  loro  delitti 
muni  e  stimiamo  finanche  opere  geniali  le  stragi  dei 
ome  fece  Machiavelli,  e  ammiriamo  le  im- 


prese [>iù  dissennate,  come  quelle  napoleoniche  in 
Napoli,  in  Spagna,  e  Russia,  reputandole  dettate  da 

etti  profondi,  le  se  gli  irrori  e  delitti  mul 

sero  di    natura  diventando  più  grandi.   E  si  dimen- 

-■  si  perdona  la  indifferenza  cinica  di  NTap< 
ne  1   davanti  alle  migliaia  di  morti  da  lui  caus 
e  davanti    alle  quali    non   ebbe  che  il  cinico  motto: 
«   Una   notte  di    Parigi   aggiusterà  tutto  ciò  t. 


Finalmente   in    non    pochi   criminali   che   a  una 
genialità    aggiungono    qualche    linea    di    bel- 
lezza,  l'osservatore  comune  non  s'accorge  dei  tratti 
tristi,  anormali,  che  pure  esistono,  ma  che  sono  ma- 
scherati, sottratti  alla  sua  attenzione  dagli   altri. 

Ciò   si    osserva  specialmente    nei  giovai! 
prattutto  nelle  mondane. 

Mi    viene,    per    esempio,    mandato    da    un    e- 
gregio     alienista     di      Pietroburgo,    il      Berliner, 
questo  ritratto  (figura  9),   di   una  triste  mondana 
che  da  contadina  era   diventata   prostituta,   e   1 
sposatasi  con  un  operaio  strangolò  quest'ultimo  colla 
stringa  del  suo  busto;  assolta  dai  giurati,  ora  come 
cantante    di  caffè-concerto  ha  a    Mosca    un   grande 
successo.    Orbene   la   prima   impressione  che   fa  a 
tutti  quel  ritratto,  ed  all'alienista  stesso  che  ni 
mandava,  è  di  una  singolare  bellezza  e  di  mancanza 
di  ogni  carattere  criminale;  gli  è  che  la  ricchezza  di 
pannicolo  adiposo,  l'abbondanza  dei  capelli,  il  tur- 
gore delle  labbra,   non  lasciano  pensare  alle  tristi 
linee    come    l'enorme    zigoma,    l'enorme    mascella . 
la    piccola    fronte,    il    naso    incavato .  soprani 
l'occhio     telino,    lascivo,    falso     e     insieme    cru- 
dele.   E   tale  è   proso  a   poco   la   fisionomia  della 
troppo   famosa  adultera  principessa  Chimay  ; 
pure  la  Zerbin  e.   passava   per  una  singolare  bel- 
lezza, non  avvertendosi   la  virilità  della  fisionomia, 
la    lunghe/za    della    mascella   e    la   strettezza    deila 
fronte,    in    confronto    .Ielle    altre    linee    che    e; 
pure  belle  (1).   Ma  intanto,  il  conio  del  delitto  an- 
che in  essa  esisteva. 

Cesare  Lombroso. 


(1)   Vedi    Donna   delinquente  di   C.    Lombroso  i 
I'i.rrero  —  Tav.   IV.   1902.  3"  edizione» 


-*-** 


4^- 


tu^  *> 


L'ISOLA    DEL    RE 


BIBf4' l'M.'i.  \  di  Montecristo        tutti    lo     ann 
KliH   —  deve   la    sua    popolarità    al    romanzo 

—  .....j3  omonimo  di  Alessandro  Dumas  ;  tutta- 
via che  il  gran  romanziere,  anzi  il  papà  dei  ro- 
manzieri, ne  avesse  una  conoscenza  diretta,  ci  avrei 
i  miei  riveriti  dubbi.  Intendiamoci  :  che  abbia  par- 
lato con  qualcuno  che  la  conosceva  e  magari  l'ab- 
bia'veduta  di  lontano,  l'ammetto  benissimo,  ma 
che  proprio  ci  sia  stato,  no...  Se  avesse  conosciuto 
l'isola  de  risii,  non  avrebbe  nascosto  il  favoloso 
tesoro  fra  gli  scogli,  giù  dentro  una  buca  delle  fate 
di  sua  fantasia,  in  quel  curiosissimo  modo  che 
tutti  sanno,  bensì,  secondo  i  «  si  dice  »  marinareschi 
e  la  tradizione  dei  secoli,  fra  i  ruderi  dell'antica 
chiesa  e  del  più  antico  convento. 

Difatti,  a  dar  maggior  fondamento  alla  credenza 
popolare  e  per  accendere  sempre  più  l'immagina- 
zione della  gente  di  mare  e  dei  pastori  marem- 
mani, furono  rinvenuti  sotto  il  pavimento  della 
chiesa  conventuale  di  Montecristo  diversi  coppi 
vuoti  di  gran  dimensioni  e  mezzo  fracassati.  I  pe- 
scatori dell'Arcipelago  raccontano  il  fatto  con  pause 
di  sospiri,  esclamando,  presso  a  poco,  simili  frasi 
di  conclusione  sacramentale  :  —  le  verghe  d'oro,  i 
rubini,  i  brillanti  e  gli  scudi  romani  con  la  testa 
del  Papa.  Ma  c'erano  davvero,  altro  se  c'erano! 
Ma  erano  nei  coppi  della  chiesa...  I  pirati  barba- 
reschi rubarono  tutto  !  Dunque,  niente  cassoni  di 
legno  di  quercia  ferrati,  ma  vecchi  coppi  di  terra 
cotta,  della  capacità  ognuno  —  soggiungono  —  di 
cinque  o  sei  barili  d'olio. 

Del  resto,  quantunque  i  romanzieri  inventino 
volontieri  anco  la  geografia  (come,  per  esempio,  il 
nostro  d'Azeglio,  il  quale  nel  suo  Ettore  Fiera- 
mosca  inventò  di  sana  pianta  un'  isola  dinanzi  al 
porto  di  Barletta) ,  la  descrizione  che  il  Dumas 
ci  diede  di  quella  di  Montecristo....  veduta  a  di- 
stanza, non  è  punto  fantastica. 

«  Si  parti.  Edmondo  solcò  di  nuovo  quel  mare 
«  azzurro,  primo  orizzonte  della  sua  gioventù,  che 
«  aveva  riveduto  tanto  spesso  nei  sogni  della  sua 
«  prigione.  Lasciò  alla  sua  destra  la  Gorgona, 
«  alla  sinistra  la    Pianosa,    e    si    avanzò    vers*  i  la 

La  Lettura. 


patria   di   Paoli    e   di    Napoleone.    L' indomani 
<■  montando  sul  ponte,  ciò  che    faceva  sempre  di 
buon'  ora,  il  padrone  ritrovò  Dantés  (lo  scopri- 
«  tore  del  tesoro^  appoggiato  al  parapetto  del  ba- 
«  stimento,  che  con  una  strana  espressione  guar- 
dava un  ammasso   di    scogli  di    granito,  che  il 
«  sole  nascente  colorava    di    rosa  :    era   l'isola  di 
.Montecristo....  e  continuò  il  suo  viaggio  per  la 
«  Corsica.  » 

I  contrabbandieri  di  Livorno,  riuniti  in  un'oste- 
ria, cercano  un  luogo  neutro  e  indisturbato  per 
ivi  discutere  e  preparare  un  bel  tiro  e  «  il  sopruomo 
•  della  Giovine  Amalia  propone  l'isola  di  Monte- 
i  risto,  la  quale,  essendo  completamente  deserta 
e  non  avendo  né  soldati,  né  doganieri,  sembra 
«  posta  in  mezzo  al  mare  da  Mercurio,  questo  dio 
«  dei  commercianti  e  dei  ladri.   > 

Né  il  Dumas  manca  di  far  saltare  sulle  scoscese 
balze  granitiche  l'immancabile  capra  selvatica  e.... 
fin  qui  e  in  altri  particolari  siamo  piuttosto  nel 
vero.  Dove  Dumas  comincia  a  lavorare  di  fantasia 
è  nella  descrizione,  sia  pure  sommaria  e  inciden- 
tale, dell'interno  dell'isola,  dimostrando....  chenon 
l'aveva  di  certo  visitata.  Forse  perchè....  il  <  mi- 
glior paese  è  quello  che  non  si  è  mai  veduto  ?  » 
L'ha  detto  lui  !  Come  mai  la  fantasia  di  Dumas 
volle  colorire  uno  dei  suoi  più  popolari  romanzi 
sugli  scogli  dell'isolotto  tirreno?  Cercando,  cer- 
cando si  trova  il  nocciolino  d'origine  anco  nei  ro- 
manzi, poiché  la  piccola  pietruccia  della  verità, 
rotolando  per  l'età  del  mondo,  ha  trascinato  seco 
il  fitto  musco  del  romanzo  e  della  leggenda  e  cam- 
min  facendo  se  n'è  rivestita.  Ma  la  tradizione  ha 
bisogno  di  aver  sempre  per  nocciolo  quella  pie- 
truccia di  verità  ! 

Si  dice  che  Alessandro  Dumas  fesse  molto  amico 
di  un  certo  monsieur  Abrial,  facoltoso  negoziante 
francese  domiciliato  a  Livorno  ;  e  si  dice  ancora 
che  il  mercante  franco-livornese  vedesse  spesso  il 
gran  romanziere  durante  il  suo  soggiorno  in  Italia. 
Orbene,  il  signor  Abrial  tentò  di  ridurre  a  cultura 
e  ripopolare  l'isola  di  Montecristo,  che  rivendette 
poi   dopo   due  anni  per  50  mila    lire   toscane   al- 


|.l8  LA  LETTURA 

l'ini;'  N       ni  è  tutto  ;    poii  he   in 

a  guerra    Meteora  della 
di  Francia,  sul    quale    imbarcavano   gli  ingeu 

addetti  a  compiere  la  gran  carta  idrogra 


5?S£s      7È1*^#M5r<r>Cv<vft-^ 


.".'-. 


lei  Mediterraneo,  fece  sosta  durante  parec- 
chio tempo  a  Montecristo,  ritrovo  favorito  di  svago 
e  di  riposo. 

Dumas  raccolse  in  quel  tempo  la  tradizione  del 
tesoro  e  poi  scrisse  il  romanzo,  in  cui,  fra  l'ammi- 
razione di  tante  cose  belle,  comprendiamo  subito 
anco  un  asterisco  di  prosa  finanziaria  :  cioè  che  1  >u- 
mas  del  valore  del  denaro  non  aveva  idea.  Per  far 
fronte  a  tutte  le  magnificenti  pazzie  del  suo  eroe, 
possessore  del  tesoro,  non  sarebbero  bastati  altri 
i  di  quei  forzieri  con  le  armi  gentilizie  della 
famiglia  Spada  e  i  cerchi  e  le  maniglie  cesellate... 
Si  sa:  di  denaro  il  gran  babbo  Dumas  non  ne 
capiva  un  ette.  Si  racconta  infatti  che.  quando  si 
mise  a  letto  per  non  più  rialzarsi,  posando  sul 
comodino  l'ultimo  pezzo  da  venti  franchi  che  gli 
era  rimasto,  esclamasse  E  poi  dicon  che  sono 
uno  scioperato:-'  Arrivai  a  Parigi  con  dieci  franchi 
e  muoio  col  capitale  raddoppiato!...  » 


Ma  la  cronaca,  che  è  la  più  feconda  ed  abile 
romanziera  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  popoli,  ha 
sempre  avuto  e  avrà  maggior  fantasia  di  Pumase 
di  Walter  Scott. 

La  storia  vera  di  Montecristo    contiene  episodi 
tali  da  sgomentare  la  più    fervida    immaginazione 
ivellatore  principe. 

la  [iena  di  dirne  qualcosa,  a  volo  di  ron- 
dine, anzi  di  rondine  riparia  che  nidifica  a  Mon- 
tecristo, mentre  fioriscono  sulle  sabbie  giallogi 
e  lue  enti  i  narcisi  marini  e  drizzano  alla  luce  di 
primavera  la  lesta  spinosa  le  viole  ciocche  delle 
spia:  ose.  I  lettori    scuseranno    un  po'  di 

ia  :  riduco  a  conclusionali  facili 
un  lungo  e  fai  raro  di  ricen  Uè. 


Quest'isola  è  VOglasiaài  Plinio:  oglasia  da  una 
reca  che  significa  rupe  :  secondo  altri  chia- 
mi nei  trascorsi  tempi  Artemisia   o  Aretusa; 
ma  sono  semplici  congi  niente  di  positivo. 

i '.li  Annali  Camaldolensi  ch'io  ho  sfogliato,  e  spo- 
gliata nei  loro  otto  volumi  latini  in-folio,  raccol- 
gono la  tradizione  di  un  tempio  rc>mano  a  Giove. 
Io  non  ci  ,  redo,  ed  ecco  perchè  Rutilio  Numa- 
ziano  nel  suo  itinerario  marittimo  da  Roma  a  Luni 
non  ricorda  allatto  quest'isola.  Se  vi  |.,sse  stat'  i 
un  tempio  a  Giove,  l'avrebbe  certo  veduta,  visi- 
tata e  ricordata.  Oev'essere  cosi  :  i  romani  consa- 
cravano a  Giove  i  monti  più  alti,  semplice  omag- 
gio di  denominazione  al  Dio  dell'*  llimpo.  Ma 
niente  tempi,  niente  sacerdoti.... 

i  ira  bisogna  fare  un  salto  di  parecchi  secoli,  l'i. 
buio  fitto  di  parecchie  centinaia  di  anni,  avvolge 
Monte*  risto  :  non  se  ne  sa  nulla  fino  al  V  secolo, 
epoca  in  cui  prende  il  nome  che  ha. 

Nel  455  dell'era  volgare  i  vandali  sotto  Gense- 
rico espulsero  dalla  sua  sede  S.  Mamiliano  vescovo 
di  Palermo,  e  lo  condussero  prigioniero  a  Car- 
tagine :  di  là  fuggi  in  Sardegna  e  dalla  Sardegna 
si  rifugiò  a  Montegiove.  Insieme  ad  alcuni  com- 
pagni costruì  un  eremo  e  un  ora'orio  che  intitolò 
Monte  di  Cristo  e  cosi  da  quell'epoca  l'isola 
è  chiamata  Montecristo. 

Un  paio  di  secoli  dopo,  i  pirati    smantellarono 
il  monastero  e  portarono  via    come  schiavi  i  mo- 
naci.   Il  convento  venne    alla   meglio   riedifr 
ma  nel  002  un  Simone  Conte,  còrso,  donò  a  quei 


'  '.■> 


A 


1  *  ■>*»■ 


SA  DI    SAS    Mi  'MIGLIANO.  - 


1.  [SOLA    DEL    RE 


monaci  molti  beni  ;  e  il  suo  esempio  fu  seguito  dai 
conti  Guidone,  Domenico  ed  Ottone  di  Corsica. 
Ma  i  Saraceni,  sul  cadere  del  secolo  X,  s'impa- 
dronirono nuovamente  dell'isola  e   ne    cacciarono 


La  casa  o  villa  di  Montecristo. 

i  monaci  che  si  rifugiarono  a  Pisa  dove  colloca- 
rono nella  chiesa  di  S.  Matteo  il  corpo  di  S.Ma- 
miliano.  Pare  che  monaci  e  pisani  non  andassero 
molto  d'accordo,  cosicché  un  bel  giorno  si  deci- 
dono di  tornare  a  Montecristo.  Nel  1118  Papa 
Gelasio  prese  il  Monastero  sotto  la  sua  protezione 
e  nel  ijoq  un  altro  Conte  còrso,  Arnaldo,  lasciò 
loro  in  donazione  perpetua  dei  grandi  possedi- 
menti, nove  tenute  che  quasi  comprendevano  nove 
villaggi  della  Corsica.  E....  allora  naturalmente  si 
cominciano  ad  aguzzare  gli  appetiti  non  soltanto 
dei  Saraceni....  ma  anco  dei  pisani. 

Carta  canta  e  villan  dorme! 

La  Repubblica  pisana  si  ribellò  all'  autorità  del 
Pontefice  e  dichiarò  cosa  sua  Montecristo  ;  c'erano 
due  diplomi  uno  di  Ottone  IV  e  l'altro  di  Fede- 
rigo II  che  parlavano  chiaro. 

Infatti,  in  alcuni  trattati  di  pace  e  di  commercio 
conclusi  dalla  Repubblica  pisana  —  il  primo  con 
Isacco  Ebubraim  Alfunhi,  figlio  di  Maometto,  fi- 
glio di  Ali,  sovrano  delle  isole  di  Maiorca,  Minorca, 
Evisa  e  Frumentaria,  il  secondo  con  Mico  Sara- 
cino re  d'Africa  e  di  Busa  e  il  terzo  coll'Emiro  Mo- 
mmo re  di  Tunisi  —  troviamo  stipulato  che  l'isola 
di  Montecristo  debba  essere  al  coperto  delle  de- 
predazioni barbaresche. 

Queste  cose  succedono  dal  1220  al  1205,  come 
si  può  rilevare  dalle  cronache  pisane  del  Dal  Borgo 
e  del  Tronti. 

Ma  il  Papa  che  preferiva  i  Saraceni  ai  pisani 
fece  in  modo  che  i  monaci  abbandonassero  Mon- 
tecristo e  il  convento:  e  fu  in  questo  frattempo, 
forse  in  ricompensa  della  loro  poca  obbedienza  a 
Pisa,  che  il  pontefice  Gregorio  IX,  con  Bolla  di- 
retta da  Rieti  al  vescovo  di  Massa,  proclama  i 
frati  di  Montecristo  appartenenti  alla  regola  di 
San  Romualdo  ;  ma  il  priore  del  convento  trova 
che  ci  rimette  un  tanto  e  fa  da  sordo.  E  il  Papa 
giù  un'altra  Bolla,  diretta  all'abate    camaldolense 


419 

di  Firenze,  che  deve  compiere  la  rilorma  e  rime- 
diare allo  scandalo  del  priore,  il  quale  piuttosto  di 
ubbidire  al  Pontefice,  aveva  piantato  baracca  e 
burattini,  insalatalo  hospite,  senza  lasciar  notizia 
di  sé. 

Le  linguacce  di  que' tempi  dicono  che  prendesse 
il  boccone  dai  pisani,  ma  siccome  non  ci  sono 
documenti,  io  non  lo  posso  affermare. 

Finalmente  sulla  fine  del  secolo  XIII  ritorna  la 
quiete  e  l'obbedienza  anco  fra  i  monaci  di  Mon- 
tecristo, i  quali,  a  quanto  pare,  non  erano  davvero 
degli  stinchi  di  santo,  che  arrivarono  perfino,  e 
non  una  volta  soltanto,  a  legare  i  superiori,  e  a  ba- 
stonarli ben  bene,  perchè,  secondo  quel  che  dice- 
vano, non  mangiavano  bene  e  non  si  divertivano 
abbastanza.  Si  sa,  parti  sempre  da  questi  gaudenti 
della  tonaca,  fin  da  principio,  la  guerra  contro  i 
poverelli  minori  che  si  stavano  legando  alla  funi- 
cella di  San  Francesco. 

Nella  formazione  dello  Stato  di  Piombino  l'isola 
di  Montecristo  venne  considerata  come  sua  dipen- 
denza, cessando  così  la  supremazia  dei  pisani  ;  i 
nuovi  padroni  volsero  le  loro  cure  speciali  a  que- 
st'isola. Infatti,  Emanuele  Appiani,  nel  1457  o  giù 
di  lì,  fece  costruire  sulle  cime  del  monte  un  for- 
tilizio, di  cui  restano  anche  oggi  alcuni  avanzi  ;  e  il 
figlio  Giacomo  III,  volendo  pigliare  due  piccioni 
con  una  fava  sola,  si  propose  di  popolare  Monte- 
cristo.  E  ci  mandò  tutte  le  famiglie  che  gli  erano 
di  qualche  sospetto,  obbligando  il  Comune  di 
Piombino  a  passare  annualmente  un  sacco  di  grano 
a  testa. 


LA    PORTI         \    EX-CONVENTO    DI    MONTECRISTO. 

I  monaci  stavano  bene  e  se  la  passavano  da 
gran  signori;  e  questo,  com'è  naturale,  non  sod- 
disfaceva  né  punto  né  poco  tutti  quelli  che  dove- 
vano loro  pagare  le  decime  o  gli  affitti  :  lotta  di 
classe.  L'ozio  e  il  lavoro  si  trovano  alle  prese.  I 
Papi,  i  vescovi,  i  priori  scrivono,  parlano,  implo- 
rano, scomunicano,  promettono  l'inferno,  fanno  il 
diavolo  a  quattro  —  mi  si  scusi  il  paragone!  — 
perchè  gli  affittuari  e  i  livellari  maremmani,  còrsi 
e  lunigianesi  pagassero  decime,  tributi  e  affitti, ma 


■1-' 


LA    LETTI  RA 


Il   Re 


VCCi  li  1LIE    11'  'Kl. 


quella  gente  preferisce  di  perder  l'anima  piuttosto 
di  pacare. 

i  monaci  tirano  avanti  a  denti  asciutti  ! 

Nel  1534  l'isola  è  depredata  dal  Barbarossa  e 
nel  1553  l'armata  gallo-turca  ruba  quel  po' che 
Era  la  celebre  armata  di  ladroni  agli  ordini 
degli  ammiragli  Poulin  e  Dragut  —  due  corsari,  — 
che  depredarono  la  Sicilia,  la  Sardegna  e  la  Cor- 
sica, l'n  prete  camaldolense  in  un  codice  del  tempo, 
in  cui  si  racconta  il  fattaccio,  ha  postillati»:  -pare 
impossibile  che  quando  si  tratta  di  rubare  agli  Ita- 
liani, i  Turchi  e  i  Francesi  si  trovin  sempre  d'ac- 
cordo !  » 

È  naturale  che  con  queste  po'  po'  di  batoste,  quei 
pochi  disgraziati  che  l'abitavano,  scampati  all'ec- 
cidi., frani  -turco,  fecero  presto  a  scappare,  e  l'i- 
sola rimase  di  nuovo  deserta.  Nonisfuggì  per  altro, 
secondo  una  tradizione  popolare,  all'occhio  d'a- 
quila di  Napoleone  I,  che,  dicono,  volle  visitarla 
(jnv,  una  relazione,  tuttora  inedita,  prepa- 

ratagli da  un  Mellini,  tenente  colonnello  del  genio); 
e  dall'alto  della  rupe  più  eminente  vagheggiò  un 
progetto  degno  di  lui:  tagliare  gì'  istmi  di  Feni- 
glia  e  di  Tombolo,  isolando  Monte  Argentario,  e 
stabilendo  nel  lago  d'  Orbctello  una  stazione  na- 
vale e  in  Santo  Stefano  un  porto:  spesa  preveduta 
di  sei  milioni.  Ma  non  ne  fu  altro:  e  così  l' i 
si  mantenne  fino  ai  nostri  giorni  ;  si  iltanto  nel  1851  », 
il  Governo  toscano  si  rammenta  che  c'è  anco  Mon- 
tecristo  e  vi  manda  un  battaglione  insulare  del- 
l'Elba, proprio  quattro  uomini  e  un  caporale.  Ma 
due  anni  dopo  il  Granduca  toglie  1  .piatti.,  nomini 
eia  soltanto  il  caporale.  Monsù  Abriel,  il 
i  .ziante  francese  che  stava  a  Livorno,  la  prende 
issa  al  caporale    un   assegno    di 


lira  tosi  aria  al  giorno.  Nel  [852  l' Abriel  vi 
Conduce  quattro  contadini  di  Harga  dando 
loro  quaranta  lire  al  mese,  e  vi  manti. tic 
un  sopruomo  pei  regolare  i  lavori  agricoli. 
Ecco  tutto  la  popolazione  di  Montecri- 
sto,  cui  s'aggiungono  via  via,  provvisoria- 
mente, i  pescatori  pei  quali  Monte,  list.,  fu 
sempre  luogo  di  fortuna.  11  massimo  degli 
abitanti  raggiunti  in  quest'epoca,  fu  di  11 
uomini  senza  donne.  L'Abile!  fece  costruire 
per  loro  due  casette  a  cavallo  di  «  Cala 
Maestra,  •    l'approdo  principale  dell'isola. 

Quelle  due  casette  formano  ora  la  palaz- 
zina di  S.  M.  il  Rei... 

La  statistica  agri,  ola  di  M.  Abriel  è  la  se- 
unente:  50  sa.cate  —  vecchia  misurazione 
toscana  —  di  terreno  coltivabile:  nel  [852  vi 
si  raccolsero  30  sacca  di  grano ,  in  ragione 
di  4,20  sacca  per  ognuno  di  semente.  Vi 
erano  20  pertiche  di  vigna,  le  viti  rigo- 
gliose e  l'uva  dolcissima.  Lussureggiavano 
piccoli  vivai  di  castagni,  mandorli  e  altri 
frutti.  Lungo  i  muri  a  secco  che  sostenevano 
le  vigne  fiorivano  i  mandorli  e  maturavano 
ì  fichi  brogiotti  e  dolcini.  Le  ortaglie,  le 
zucche,  le  saggine,  tutte  in  miniatura,  pa- 
revano curiosità  da  museo.  Abriel  vi  tra- 
sportò anco  dei  gatti  per  distruggere  i  grossi 
topi  che  brulicano  nell'isola,  ma  gettatisi  al  sel- 
vatico, bisognò  ammazzarli  a  fucilate. 

È  un  fatto  che  anticamente  quest'isola  fu  colti- 
vata; esistono  tuttavia  i  campicelli  e  i  muriccioli 
fra  i  quali  prosperò  la  vite  e  l'olivo.  Anzi  ci  sono 
perfino  gli  avanzi  di  un  frantoio  ad  acqua.  Ma  ora 
che  le  pioggie,  continuamente  scrosciando  e  lavando 
la  massa  granitica,  l'hanno  spogliata  di  quella  poca 
terra  vegetale  che  prima  la  copriva,  il  Re  pensa 
a  un  processo  chimico,  che  torni  a  renderla  colti- 
vabile, come  hanno  fatto  gli  Inglesi  in  certe  parti 
pietrose  delle  loro  isole. 

Nel  settembre  del  1852,  l'Abriel  cedette  i  suoi 
diritti  e  le  sue  ragioni  a  un  inglese  M.r  Weaston 
Taylor,  ricco  e  eccentrico,  per  lire  toscane  50,400, 
la  sua  rendita  imponibile  essendo  accertata  in  lire 
886  70,  corrispondente  secondo  il  metodo  di  ca- 
pitalizzazione allora  in  vigore  a  un  capitale  di 
L.  12,400. 

Il  Taylor  costruì  giardini,  bacini  d'irrigazione, 
recinti,  stalle,  fienile,  forno,  panificio,  lavanderìa, 
officine  per  fabbri,  falegnami,  abitazioni  per  ma- 
unai  e  agricoltori,  pollai,  vasche  per  anitre,  coni- 
gliere, alveari:  import.',  e  coltivò  il  gelso,  il  man- 
dorlo, il  salice,  l'acacia,  il  pioppo,  il  pero,  l'albi- 
cocco, il  pino,  l'ontano,  e  fin  l'arancio  e  il  limone; 

nel  piccolo  ap] lo  della  Cala  Maestra  chiuse  un 

breve  tratto  di  mare  con  blocchi  a  cemento,  fino 
a  che,  aiutato  anco  da  una  bella  madama  parigina 
che  gli  teneva  compagnia  nella  solitudine  marina- 
resca di  Monte,  list..,  un  bel  giorno  spati  dall'isola 
e  chi  s'è  visto  s'è  visto. 

I  creditori  rimasero  con  un  paini.,  di  naso  e  l'i- 
sola divenne,  per  le  successive    soppressioni   e.  .11- 


L  [SOLA    DEL    HE 


l-< 


ventilali  di  Pietro  Leopoldo  I  e  del  Governo  ita- 
liano poi.  proprietà  demaniale. 

Dal  1860  al  1875  nessuno  si  rammenta  che  nel 
mondo  c'è  anco  Montecristo. 

Ovvero,  per  essere  più  esatti,  se  ne  rammentò 
soltanto  David  Lazzaretti,  che  vi  rimase  quaranta 
giorni  in  orazione,  vivendo  di  pochi  groncioli  di 
pan  secco ,  componendo  dei  versi  e  in  continua 
conversazione  con  Dio.  Credeva  di  ricevere  anco 
lui  le  stimmate  di  Gesù,  come  S.  Francesco  all' Al- 
vernia,  e  invece  appena  tornato  nei  paesi  della 
sua  predicazione,  si  buscò  barbaramente  una  palla 
che  lo  mandò  all'altro  mondo. 

Nel  1875  il  Ministero  delle  finanze  consegna  1  l'i- 
sola a  quello  dell'interno  che  vi  stabilì  una  piccola 
colonia  agricola,  dipendente  da  quella  dei  coatti 
della  Pianosa.  Ma  nel  1884  venne  soppressa.  Ma- 
rito e  moglie  e  due  figliuoletti  rimasero  a  custodi 
dell'isola,  ma  rischiando  di  morire  di  fame,  dopo 
pochi  mesi  l'abbandonarono. 

Nel  [889  l'affittò  il  marchese  Carlo  Ginori,  ch'è 
stato  sul  serio,  senza  esagerazioni,  il  vero  Conte 
di  Montecristo.  E  qui  un  breve  respiro,  perchè 
parlare  di  Carlo  Ginori  è  davvero  ricreazione  e 
consolazione.  Quantunque  l'età  cominci  a  fasciarlo 
un  po'  del  suo  imbottito  adiposo,  è  sempre  un 
bell.'uomo,  di  quella  bellezza  fiera,  ardita,  robusta 
del  buon  tempo  antico.  Cacciatore-principe,  alpi- 
nista, aereonauta,  fotograio,  pescatore  e  ciclista  ce- 
lebre, tiratore  di  spada  da  emulare  e  vincere  Mé- 
rignac,  rematore,  nuotatore,  cavalcatore  e  pilota 
intrepido,  giocondo,  allegro,  causeur  brillante  da 
far  ingelosire  le  ombre  di  La  Rochefoucauld  e  di 
Rivarol,  amante  della  bella  vita  e  delle  belle  donne. 
Ecco  Ginori,  cor-cordìum  !  Il  primo  automobile 
in  Italia  lo  portò  Ginori  ;  la  prima  lancia  a  ben- 
zina l'ebbe  Ginori,  e  fu  la  meraviglia  della  season 
balneare  livornese  ;  le  prime  e  più  spetta- 
colose lanciate  di  colombi  viaggiatori  si  deb- 
bono a  Ginori  :  ha  percorso  tutta  la  Sviz- 
zera in  tiro  a  quattro  e  col  suo  yacht  fraina 
ha  girato  quasi  tutto  il  mondo.  E  a  Mon- 
tecristo —  in  una  sera  in  cui  l'acqua  scro- 
sciava a  tempesta  e  il  vento  pareva  volesse 
capovolgere  l'isola  —  V  Urania  e  il  suo  pro- 
prietario ispirarono  a  Renato  Fucini ,  non 
so  se  più  celebre  come  cacciatore  marem- 
mano o  come  poeta  in  vernacolo  pisano, 
questo  canto  di  gloria,  che  Giacomo  Puccini 
vesti  di  felici  note  musicali  : 

Io  non  ho  l'ali;  eppur  quando  dal  molo 

Lancio  la  prora  al  mar. 

Fermi  gli  alcioni  nel  potente  volo 

Si  librano  a  guardar. 
Io  non  ho  piume;  eppur  quando  i  mi 

Numi  lc;^no  osa  affrontar. 

Trepidando  gli  squali  ardimentosi 

Mi  guardano  passar. 

Simile  al  mio  Signor,  !>aldo  d'aspetto, 
Quanto  è  forte  di  cor, 
Le  fiamme  ho  anch'io  nel  petto; 
Anch'io  di  spazio,  aneli, io  di  gloria  ho  smania, 
Avanti   Urania! 


E  l'Urania  andava  avanti  davvero  perchè  a  vela 
e  a  vapore  insieme  filava  la  bellezza  di  12  miglia 
all'ora....  Ovine  trinum  est  perfectum,  dice  il  pro- 
verbio, e  in  verità,  nel  mondo  non  vi  era  nulla  di 
più  perfetto,  di  più  armonico,  di  più  unito  e  di 
più  logico  di  Montecristo,  dell'  Urania  e  di  Gi- 
nori. 

Quando  Ginori  preseinaffitto  l'isola  dal  Demanio, 
Montecristo  la  cui  storia,  come  abbiam  veduto,  è 
stata  sempre  una  continua  alternativa  di  lotta  ac- 
canita tra  gente  che  distrugge  e  gente  che  rico- 
struisce, era  in  verità  l'abominazione  della  deso- 
lazione. Dal  io  maggio  del  1884,  giorno  in  cui, 
sul  vaporino  Tinniti,  il  Direttore  dell'ufficio  de- 
maniale livornese,  un  agronomo  governativo,  le 
guardie,  i  coatti,  i  mobili  e  perfino  alcune  capre, 
insomma  tutta  la  Colonia  penale  stabilitavi  prov- 
visoriamente ritornò,  rimorchiata  su  due  barconi, 
a  Pianosa,  da  quel  giorno  fino  a  tutto  l'8o.,  i  pi- 
rati —  chiamamoli  pure  cosi  —  trasportarono  via 
tutto  ciò  che  potevano  e  devastarono  il  resto.  Carlo 
Ginori  rifece  i  tetti  lavevan  rubato  embrici  e  tra- 
vicelli !)  rimesse  le  porte,  adattò  nuove  finestre,  ri- 
costruì insomma  non  solamente  la  villetta,  ora 
palazzina  reale,  ma  le  case  per  i  coloni  e  per  il 
custode. 

Difatti  vi  collocò  subito  quelle  tre  famiglie,  che 
il  Re  mantiene  tuttora  all'isola.  Per  cinque  anni 
consecutivi  l'isola  fu  frequentata  dai  marinai  per 
farvi  provvisione  d'acqua,  da  pescatori  per  esplo- 
rarne il  pescoso  mare,  dai  cacciatori  delle  isole 
vicine  che  ridussero  le  famose  capre  selvatiche  da 
500  che  erano  ad  appena  60  e  più  degli  altri  dai.... 
ladri  del  Mediterraneo,  che  fra  i  ruderi  pittoreschi 
della  vecchia  chiesa  e  del  più  antico  convento,  su 
terreno  neutrale  e  indisturbato,  si  dividevano  pa- 
cificamente le  loro  prede.    E    pare    impossibile,  i 


IL   Re    PRECEDUTO    DAL    MARCH  '  O    GlSORI. 


I-- 


l.A    LETTURA 


pirat  in  mille 

a  indovinare  !... 

Dalla  nostra  artiglieria  di  marina  che  degli  avanzi 
dell  eremo  e   dell;  'li  S.    Mami- 

lianu  si  servirono  come  di   bersaglio,    distrugi 

he  in  gran  parte  la  ve:  E  delle 

nti    rovine    i  he   l'illustre   Giuli ,    sb 
e  nati!.:  risse    ampiamente  sur  un  alma- 


^3M 


P  ISSA'  ÌGIO    DIFFICILE. 


nacco   senese  del  1833  —    V Indicatore  —   non  ri- 
mangono che  degli  informi  ruderi.   Intorno  ad  essi 
si  accatastano  in  giro  i  frantumi  delle  belle  pietre 
quadrangolari,  mucchi    sconnessi    e    spezzati   che 
rio  le  lacrime  di  dolore  dell'edificio. 
Ginori,  che  aveva  un  vero  culto    per  Montecri- 
sto,  riapri  strade,  viottoli,  riattivò  la  coltivazione, 
rifece  oltre  le  case  i  giardini;  ci  spese,  come  dice 
me,  un  sacco  di    quattrini.  Spendere   i  quat- 
trini, per  (iinori,  non  è    come  per   tutti    gli    altri 
mortali:  ha  le  mani  forate  del  gran   signore;  egli 
spende  e  spande    splendidamente   come   un    vero 
te  di  Montecristo.  Vi  portò  cinghiali,  mutloni 
e  fagiani. 
E  •  "si  tornò  in  voga  l'isola  di  Montecristo,  ca- 
I        1    geniale  ritrovo   di    sportmen  e  di  si- 
gnore, località  incantata  d'ogni  dilettevole  piacere 
di  caccia. 

Vi  furono  anco  i  principi  di  Monaco,  Alberto  I 
e  principessa  Alice,  la  duchessa  di  Ri  helieu,  con  1 
loro  due  figliuoli  Armando  e  Odile  I  principi  di 
1  ero  parte  alla  battuta  dei  cinghiali  e 
a  quella  delle  capre.  Vale  la  pena  di  raccontare 
l'aneddoto  più  gustoso  di  quella  giornata  :  è  uno 
della  1  omitiva  che  lo  racconta: 

Era  una  fresca  mattinata  d'otl  dovevamo 
u    su    per    un  sentiero 


si  abro  e  roo  ioso.  Nondimeno  quando  il  sole  s'al- 
1,  eravamo  già  sull'alta  criniera  di  Monte  risto. 

Subito  occupammo  le  poste;  e  dato  il  segnale  co- 
ciò  lo  strepito  degli   scaccioni   e   dei  cani  che 

tentavano  di  snidare   dal    bosco    l'ardito  monarca 

dall'irta  criniera  e  dalle  zanne  lucenti. 

I  La  battuta  durò  molte  ore.  ma  i  1  inghiali  — 
dall'i  uto  e  ardente,  dal  corpo  forte  e  pe- 
sante, ma   veloci  alla   corsa,    —  se    la   svi- 
gli ivano  di  straforo  in  barba  alle  carabine. 
ai  braci  hi  e  agli  scai  1  ii  mi. 

«  Dopo  un  fiasco  cosi  solenne,  non  .  i  re- 
stava altro  che  ricrearci  e  dimenticare  ogni 
cosa  con  una  buona  colazione.  Il  ci 
chiamava  tutti  alla  capanna,  sulla  cima  del- 
l'isola. Amo  i  principi  di  Monaco  si  van- 
tavano di  un  appetito....  plebeo.  Ma  gli  uo- 
mini che  avevano  portato  la  colazione,  si 
erano  uniti  agli  scaccioni,  lasciando 
cosa  per  terra;  i  ladri  non  hanno  ali  e  arti- 
gli per  arrivare  fin  lassù. 

«  Il  fatto  sta  che  a  mezzogiorno,  giunti  al 
luogo  di  convegno  con  una  fame  di  caccia- 
tori .  trovammo  che  era  stata  fatta  piazza 
pulita  e  che  non  erano  rimasti  che  pochi 
minuzzoli  di  pane,  qualche  mela  morsicata 
e  i  fiaschi  di  vino  rotti. 

«  Il  branco  dei  cinghiali,  una  cinquantina 
circa,  che  erano  rimasti  fuori  della  battuta, 
invitati  dall'odor  della  carne,  senza  essere 
impauriti  da  quello  della  polvere,  avevano 
pensato  bene  di  fare  un  allegro  banchetto 
alle  nostre  spalle.  > 

Il  marchese  Ginori  raccontò  ai  principi  di 

Monaco  la  storiella  dei  pifferi  di  montagna. 

* 
*    + 

II  Re,  allora  Principe  ereditario  —  lo  dico  una 
volta  per  sempre  —  ascoltò  un  giorno  da  1  arlo 
<  iinori  una  specie  di  simpatico  soffietto  su  Monte- 
cristo,  una  specie  di  ouverture  per  la  stretta  finale: 
Altezza,  potrei  essere  cosi  ardito  di.... 

—  D'invitarmi  a  Montecristo....  Altro  che,  mar- 
chese. Vengo  volentieri.  Fissi  lei  il  giorno  più 
presto  che  può  e  me  ne  avverta. 

Così  il  Re  andò  a  Montecristo.  Vedere  l'isola  e 
innamorarsene  fu  una  cosa  sola:  né  quella  visita 
rimase  la  sola;  che  anzi  il  Re  espresse  perfino  a 
Ginori  il  desiderio  di  poter  via  via  visitare  da  solo 
l'isolotto  fantast ii  1 

Formavano  la  comitiva  di    questi   inviti,  diremo 

-1  reali,  oltre  Carlo  (  ;  inori,  il  figlio  Renzo.  d< 
figliuolo  di  tanto  papà;  a  lui,  colto,  cortese,  bel 
cuore  e  bella  faccia  di  giovine  ardito  e  franco,  e 
alla  marchesa  Corinna,  sua  moglie,  fra  le  più  in- 
tellettuali e  avvenenti  signore  dell'aristocrazia  fio- 
rentina, deMio  il  prezioso  regalo  di  alcune  inti 
santi  fotografie  e  il  permesso  di  riprodurle  sulla 
Lettura. 

1  intinuiamo  la  lista,  e  giacché  siamo  in  vena 
di  pagare  i  debiti  di  gratitudine,  nominiamo  su- 
bito dopo  il  marchese  Carlo  Ridolfi  e  il  conte 
Giovanni  Fabbroni,  esperti  1  .  quanto  bravi 

fotografi,  Fiero  degli  Aminoli.  Paolo  Rucellai,  conte 


[Si  'l  A    DEL    RE 


I-'.: 


Eugenio  Niccolini,  principe  Piero  e  Alberto  Strozzi, 
marchese  Carlo  e  Luigi  Torrigiani,  marchese  \- 
zolino  Mataspina,  principe  Rutto  Scilla  Torrig 
il  principe  Andrea  Corsini,  Giorgio  Traxler,  il  de- 
putato Antonio  Civelli,  Renato  Fucini  e  l'abate 
don  Luigi  Randi,  scrittore,  viaggiatore  e  cacciato- 
re.... mondano.  È  parente  dell'inventore  della 
randi  te,  la  polvere  senza  fumo:  e  il  aostro  Randi 
ha  inventato  il  fumo....  senza  la  polvere.  Egli  era 
il  cappellano  della  compagnia.  I  Ginori,  per  con- 
cessione di  Papa  Corsini,  possono  far  celebrare  la 
messa  dove  vogliono.  Don  Randi  la  diceva  su  in 
alto,  sulla  roccia  più  eminente.  I  cacciatori  si  rac- 
comandavano che  facesse  presto  e  don  Randi  spi  - 
ciava  tutto  in  una  ventina  di  minuti.  Oramai  si  sa 
per  tradizione  che  i  cacciatori  vanno  ad  ascoltare 
la  messa  dal  prete  che  la  dice  più  presto.  I  gior- 
nali hanno  incluso  anco  il  nome  di  Giacomo  Puc- 
cini, ma  l'instancabile  cacciatore,  che  divide  a  Torre 
del  Lago  le  folaghe  e  gli  allori  cinegetici  col  mar- 
chese Ginori ,  non  è  mai  stato  a  Montecristo.  Ed 
ecco  qui  la  sua  conferma  per  cartolina  postale  : 

«  Carissimo  Paladini, 

Dovevo  andare  a  Montecristo   un   tempo.  Mi 
s  imbarcai  con  Ginori  sulP Urania,  ma....  un'ava- 
i  ria  alla  macchina  e  un  libeccio  sferrato  c'impe- 
dirono di  salpare  e  fu  rimessa  la  gita  alla    . 
«  quale  prese  parte  il  Principe  di  Napoli  e 
«  io  non  potei  essere  del    numero    perchè 
«  occupato  a  Torino  per  l'andata  in  scena 
della  Bollirne.    Quest'  è  la  verità.    I  gior- 
nali hanno  detto    di    me   a   Montecristo, 
ma  io  non  ci  fui  mai.  —  Cosi  è  e  ti  salute 
«  Giacomo.  » 

Ecco  la  differenza  fra  ...  .  un  maestro  e 
l'altro!  Puccini  risponde  la  verità,  in  prosa 
dimessa:  un  altro,  invece,  avrebbe  lasciato 
correre  la  fantasia  e  descritto,  inventore  ge- 
niale, perfino  la  partita  di  caccia,  i  colpi 
fortunati  e  le  padelle.  Dicono....  quelli  che 
c'erano  che  la  battuta  alle  capre  a  cui  pure 
intervenne  il  Re,  anzi,  la  battuta,  per  e- 
sere  più  esatto,  in  onore  di  S.  M.,  riusi  ì 
proprio  magnifica  e  fortunata  :  in  quest'  > 
momento  io  faccio  semplicemente  da  fono- 
grafo. 

Prima  dell'alba  eravamo  tutti  pronti  in 
assetto  di  caccia:  all'alba  eravamo  sulla 
cima  dell'isola.  Una  faticosa  camminata  di 
due  ore  per  giungere  alle  poste  assegnateci. 
Subito  il  capoccia  dette  il  segnale  agli  scac- 
cini che  dettero  la  via  ai  cani.  Così  ebbe 
principio  una  di  quelle  bellissime  cacce  in 
battuta,  che  non  si  possono  descrivere:  bisogna 
averci  preso  parte  per  poterne  parlare.  Urli,  fischi, 
fucilate,  abbaiamento  continuo  di  tutta  la  canaglia 
inseguente  le  capre  selvatiche  che  paiono  alate  ! 
Sdrucciolano,  saltano,  s'imbucano,  sbucano,  com- 
pariscono e  scompariscono,  passano  come  saette 
e  di  greppo  in  greppo,  di  balza  in  balza,  di  sco- 
glio in  scoglio,  più  su,  più  giù,  dietro,    dinanzi, 


di  fianco,    ess.  [ano    il    più    abile    tiratore.    La 

palla  fischia,  ma  spesso  colpisce  il  granito  che  si 
frantuma  in  minuzzi  ili  iridiscenti.  Il  Re  se  ne 
stava  alla  sua  posta,  attento,  senza  che  l'echeg- 
giamento  strano  ed  assordante  che  si  ripercuoteva 
fra  le  rocce  lo  disturbasse  e  lo  distraesse.  E 
due  o  tre  colpi  fortunatissimi ,  su  cinque  che  ne 
tirò.  Il  Re  è  tiratore  freddo,  tranquillo:  mira  giu- 
sto e  tira  a  tempo.  Se  l' animale  è  fuori  di  tiro, 
non  lo  prende  di  mira.  S.  M.  si  divertiva  a  ve- 
dere qua  e  là  apparire  e  scomparire  branchi  di 
e  spaventate,  che,  sospinte  dal  rumore  inces- 
sante, saltavano  da  un  greppo  all'altro,  ferman- 
dosi di  quando  in  quando  come  per  udire  da  qual 
parte  veniva  lo  strepito  ed  in  qual  direzione  fosse 
meglio  prendere  la  corsa.  -  E'  veramente  una 
voluttà  indefinibile,  così  testualmente  il  cacciatore 
al  quale  devo  il  racconto,  l'attendere  al  varco  il 
bel  capro  dalle  corna  aguzze ,  il  sentirlo  sbucar 
fra  i  cespugli  e  finalmente  <  olpirlo  con  una  buona 
palla  in  mezzo  alla  fronte  o  nel  collo  !  » 

Siamo  al  climax,  al  momento  ultimo  e  più  «no- 
tante della  battaglia.  I  primi  branchi  di  capre 
sono  giunti  alla  cresta,  ove  i  cacciatori  aspettano- 
Un  fuoco  di  fila  continuato  comincia  da  tutte  le 
parti,  le  capre  sbandate  o  ferite  cadevano  o  cor- 
icano spaventate,  confuse,  senza  direzione... 


AZIONE    REALE. 

Il  numero  delle  vittime  non  è  mai  in  pi 
/.ione  delle  fucilate  e  le  padelle  sono  sempre  più 
numerose  delle  vittime.  Basta  per  convincersene 
il  caso  seguente.  Alla  posta  di  un  cacciatore 
pitarono  tutte  imbrancate  una  trentina  di  capre. 
l'n  cacciatore  solo  alle  prese  con  trenta  capre  è 
un  vero  spettacolo.  Sparava  colpi  a  dritta  e  a  si- 
;  a,    correndo  qua  e  là  senza  sapere   che   cosa 


\2  \  LA    1.1.1  l  i  RA 

•    i ■•  a  t'-i  ita  e 
non  ppò  1 1  ime   una   saetta 

e  non  ci  fu  più  verso  di  trovarla.    Però   il  cai 

,(.■  m m  era   colpa  sua...   se 

■    la  mira.    Il  tempo  era 

umili",   le  cartucce  mal   dosate,    ne  aveva    ferite 

èva  perdute   quindici,  non   era    fortu- 


Una  sosta. 

nato  davvero;   di  certo  gli   avevano  dato  la  ietta- 
tura. 

Il  Re  sorrise  e  trovò  tutto  ciò  logico  e  diver- 
tente per  una  finta  battaglia. 

La  li'  enza  di  caccia  non  è  una  cosa  sola  col 
permesso  di  cogliere.  Il  cacciatore,  come  il  poeta, 
o  nasce  o  non  si  diventa  mai.  Il  cacciatore  ha  il 
privilegio  dei  poeti...  la  fantasia,  il  popolo  le 
i  hiama  bugie,  nò  gli  applicheremo  i  dieci  mesi  del 
•  e  Zanardelli.  >  Sono  massime  immortali  che 
Don  Randi  ha  lasciato  scritto  sull'Album  di  Mon- 
tei  risto. 

Finita  la  ca<  eia,  si  fece  colazione  sulle  rocce, 
fra  l'erica  arborea  e  i  grossi  e  piccoli  lecci  rosic- 
i  hiati  dalle  capre,  cosi  crudelmente  e  terribilmente 
perseguitate  dal  ministro  Baccelli,  forse  perchè  non 
si  ammalali"  ("ine  le  vaccine  e  non  pli  danno  oc- 
casione d'inventare  qualche  nuova  cura. 

In  Italia,  e  vi  hanii"  contribuito  anco  delle  co- 
oziose  e  nubili  ma  non  geniali  pubbli'  azioni 
«li  pedagoghi,  la  gente  si  è  formata  generalmente 
un'  opinione  troppo  accademica  e  austera  di  un 
Re  sapiente,  studioso,  accigliato,  freddo,  tutto 
compreso  di  monete  antiche  e  di  problemi  d'alge- 
bra sociale.  (  ira  questo  è  un  Re  convenzionale  che 
risponde  allatto  al  vero  e  autentico  Re;  ed  è 
questa  l'opin  ra  dei  signori  fiorentini  che 

tre  gentil- 


donne che  Io  hanno  avvicinato.  Il  Re  è  ceri 
per  la  severità  attere  e  degli   studi ,   per 

l'alta  coscienza  che  ha  delle  tradizioni  e  della 
missione  della  Monarchia  e  della  sua  Casa,  un 
carattere  austero,    una   volontà  forte,  fredda,  i 

nevole  alle  lunghe  conversazioni,  alle  subite 
simpatie  o  alle  dei  isioni  impulsive.  Ma  è  festevole, 
alla  mano,  cortese  di  modi  e  di  parole;  l'ar- 
guzia fiorisce  non  di  rado  sulle  sue  labbra 
che  sorridono  spesso;  l'aneddoto  giocoso 
l'ascolta  volentieri.  Potrei  raccontare  a  que.- 
sto  proposito  qualcosa;  non  lo  fai. ciò  vo- 
lendo non  sembrare  indisi  reto  o  irriverente. 
Del  cuore  e  dei  pensieri  delicati  del  pri- 
mo gentiluomo  d'Italia,  basti  quest'asteri- 
sco di  cronaca:  prima  di  partire  da  Mon- 
tecristo  il  Re  volle  cogliere  alcune  ginestre 
per  la  regina  Elena.  Renzo  Ginori  ne  fece, 
non  visto,  l'istantanea:  è  qui  riprodotta. 

Una  signora  fiorentina  racconta  a  questo 
proposito  che  vide  nelle  mani  del  Re  una 
medaglia  romana  con  inciso  questo  motto: 
/  !n  tu  gttìus,  ego  gaia.  Era  il  motto ,  mi 
pare,  col  quale  i  romani  abbellivano  que' 
loro  onici  incisi  con  la  figura  velata  della 
Pudicizia  e  della  Modestia.  Vi  rammentate 
che  la  prima  statua  della  Modestia,  quella 
statua  velata  del  Foro  Boario,  fu  sempre 
chiamata  dal  popolo  la  statua  della  For- 
tuna? Potrebbe  essere  una  bellissima  alle- 
goria per  dimostrare  che  la  fortuna  di  una 
nazione  deriva  dalla  castità  delle  sue  donne. 
Il  Re  parti,  ma  indi  a  breve  rifece  da 
solo  una  gita  a  Montecristo  che  gli  piaceva 
sempie  di  più.  Indubbiamente  !  Anco  le 
cose  hanno  il  loro  fascino ,  la  loro  anima  —  e 
l'amore  che  ispirano  è  forte  come  la  fiamma.  Anzi, 
se  l'amore  per  le  donne  è  cieco,  l'amore  per  le 
cose  invece  ha  cent'occhi  come  Argo. 

Un  giorno  il  marchese  Ginori,  che  pur  amava 
l'isola  e  non  poteva  stare  otto  giorni  senza  ve 
derla,  dopo  un  rigiro  di  convenevoli  e  una  con- 
versazione di  ricordi,  disse  al  Re,  lasciando  adito 
a  quella  generosa  schiettezza  di  carattere  che  non 
conosce  né  infingimenti,  né  cerimonie: 

—  Se  io  sono,  come  mi  avete  chiamato,  il  vero 
Conte  di  Montecristo,  voi  ne  siete  il  Sovrano;  il 
mio  è  un  possesso  provvisorio,  il  Vostro  un  do- 
minio sovrano.  Cedo  i  miei  diritti. 

E  con  un  inchino  del    marchese    Ginori   e    una 
forte  stretta  di  mano,  venne  stipulato  il  contratto. 
Cosi  lo  scoglio  di    Montecristo   divenne   l' isola 
del  Re!.. 


Fra  la  Corsica  e  l'Elba,  di  tutte  le  isole  del- 
l'Ateipelaeo  tostano  la  più  lontana  dal  continente, 
dopo  la  Pianosa,  dirigendo  la  prora  a  mezzogiorno, 
si  presenta  l'erta  rupe  colossale  di  Montecristo. 
E  un  monte  fantastico  che  si  alza  a  scaglioni  an- 
golosi, e  slanciasi  ritto  come  unmuraglione  ciclo- 
i,  degno  di  un'epopea  .li  giganti.  Questa  su- 
prema caratteristica  di  Montecristo  fa  si  che  esso 


L   IS<  ILA    M  1      RE 


l>  > 


si  scorga,  per  il  suo  biancheggiare  e  per  la  sua 
forma  conica,  da  enormi  distanze  e  che  all'occhio 
del  navigatore  del  Mediterraneo  si  manifesti  prima 
delle  altre  isole  dell'Arcipelago  toscano,  sebbene 
sia  la  più  lontana.  Fa  l'effetto  di  un  cuneo  che  si 
slanciasse  prepotente  verso  il  cielo  per  volerlo  fo- 
rare: e  già  lo  dissi  altrove:  vedendolo  a  distanza 
s'invocano  ali  e  artigli....  «  non  può  salir  chi  va 
senz'ale  :  »  direbbe  Dante.  La  figura  di  Monte- 
cristo  è  un  ovale  largo  colla  maggior  lunghezza  da 
nord  a  sud  di  poco  più  di  due  chilometri  :  la 
maggior  larghezza  da  est  a  ovest  di  un  chilome- 
tro e  mezzo.  Il  perimetro  è  di  circa  io  chilome- 
tri. Un  calcolo  approssimativo  farebbe  giungere  la 
superficie  a  un  migliaio  d'ettari  ;  ma  sono  calcoli 
più  d'occhio  che  di  cifre.  Semplicissima  assai  è  la 
sua  costituzione  geologica,  tutta  di  rocce  graniti- 
che ;  ad  eccezione  di  alcune  rocce  sedimentarie 
che  fur  ^no  però  modificate,  traversate,  avviluppate. 
È  un  granito  grigio,  rossastro,  incastonato  di  lar- 
ghi cristalli  di  feld-spato,  che  gli  danno  un  bellis- 
simo aspetto  variegato  e  luccicante:  è  diviso  in 
enormi  massi  di  forme  sferiche,  poliedriche  o  ta- 
bulari: vene  ugualmente  granitiche  ma  di  altre 
varietà  lo  traversano  in  tutti  i  sensi.  A  ponente 
uno  stupendo  filone  traversa  prepotentemente,  co- 
me una  zeppa  conficcatavi  da  un  martello  immane, 
il  fianco  dell'  isolotto  :  questo  filone  è  di 
colore  scuro  nelle  parti  esposte  all'aria,  ma 
bianco  o  grigio  verdognolo  nell'interno;  si 
stacca  cosi  sul  color  grigio  che  avvolge  uni- 
forme la  gran  massa  granitica  ed  è  di  ef- 
fetto stupendo.  È  un  eurite  porfirica,  da 
novella  orientale. 

L'isola  manca  di  spiagge  e  di  seni  pro- 
fondi. Le  sue  coste  si  alzano  intorno  in- 
torno quasi  perpendicolari  ;  soltanto  sono 
accessibili  agli  approdi  in  Cala  Maestra, 
principalmente ,  in  Cala  Santa  Maria,  in 
Cala  Mandolina,  in  Cala  della  Grotta  e  in 
Cala  Scirocco. 

Cala  Maestra  —  l'approdo  del  Re  —  è  il 
seno  più  ampio  e  più  sicuro  che  offra  que- 
st'isola ai  piccoli  navigli,  perchè  in  caso  di 
marea  possono  tirare  a  terra  :  è  l' unica 
spiaggia  dell'isola.  Guarda  la  Pianosa.  Tutte 
le  altre  Cale  sono  più  o  meno  aperte  al 
mare  e  pericolose;  piùieomoda  è  Cala  Man- 
dolina,  a  ponente,  costituita  da  due  seni  ri- 
stretti di  buon  ancoraggio,  l'uno  a  fianco 
all'altro  e  nei  quali  si  trova  facilmente  la 
tranquillità  di  una  darsena  per  i  piccoli  le- 
gni. Queste  cosi  dette  Cale  sono  rifugio 
sicurissimo  ai  navigli  che  si  trovano  nei  pa- 
raggi di  quest'isola,  i  quali  per  la  di  lei 
piccolezza  e  rotondità  possono  con  prontezza  g- 
rarle  intomo  e  trovar  ricovero  in  uno  dei  seni 
che  restano  dalla  parte  opposta  al  vento. 

L'unica  spiaggia  di  quest'isola  —  la  spiaggia  di 
Cala  Maestra  —  è  formata  dai  frantumi  del  granito 
che  ne  costituisce  le  rocce ,  grigio,  biancastro, 
scuro,  rossastro,  e  dà  all'  occhio  un  bagliore  fan- 
tastico.   Prendendone    un    pugno  e   gettandoli  ;n 


alto  contro  il  sole,  la  trasparenza  dei  piccoli  grani 
di  quarzo  mischiati  a  quelli  di  turmalina  e  di  ama- 
tista,  produce  un  effetto  meraviglioso. 

Quasi  dappertutto  la  roccia  granitica  è  nuda  ; 
dov'è  terreno  c'è  macchia  di  scope  (erica  arborea), 
di  mortella  e  di  lecci  di  tutte  le  dimensioni,  alcuni 
addirittura  giganteschi.  Molti  di  essi  alternano  il 
fogliame  verde  scuro  vellutato  colle  guglie  grigie 
dei  massi  sospesi,  ritti,  o  rovesciati  :  e  il  mare  ri- 
specchia ombre  e  colori  fantastici.  In  alcune  val- 
late, specie  in  valle  Santa  Maria,  le  scille  di  smisu- 
rate dimensioni  formano  delle  aiuole  naturali,  e 
così  la  fresca  aria  sottile,  rarefatta,  salsedinosa  di 
Montecristo  è  anco  profumata. 

Oltre  la  capra  selvatica,  dal  pelame  uniforme, 
vi  sono  delle  martore  bellissime,  dei  topi  e  dei 
rettili.  Nidifica  negli  scogli  la  rondine  riparia  ,  il 
passero  solitario  canta  fra  le  rovine,  i  corvi  graci- 
dano fra  gli  scogli;  dal  monte  Amiata  viene  qual- 
che aquila  calzata,  le  gru  passano  a  stormi  dalle 
sue  cime,  quasi  sempre  a  tiro,  e  via,  via  si  fa  ve- 
dere, melanconico  e  timido,  l'airone  pescatore.  Le 
pernici  che  vi  introdusse  la  prima  volta  monsieur 
Abriel,  nel  1849,  v*  sono  prodigiosamente  molti- 
plicate. Il  marchese  Ginori  vi  portò  anco  i  fagiani 
e  i  cinghiali,  ma  il  Re  ha  deciso  di  mantenervi 
soltanto  le  capre  e  le  pernici. 


II.    RE    BSPER1MENTA    UNA    CARABINA. 

Il  mare  che  bagna  Montecristo  è  feracissimo  di 
pesce  nobile.  Tre  valli  si  diramano  da  questa 
montagna  cilindrica,  quella  del  Santo,  quella  di 
(  ala  Maestra  e  quella  di  Santa  Maria  :  ma  quella  di 
<  ala  Maestra  —  maestra  di  tutte  —  è  la  più  am- 
pia. Una  ventina  di  borri  la  solcano  in  diversi 
sensi,  e  tutti  attraverso  serpeggii  più  o  meno  sco- 
scesi fanno  rapo  al  mare. 


|jm  LA    I  ETTURA 

ina  è  la  gioia  vivente  di    Montecristo    I  n 

fauno  abita  Cala  Maestra;    i    marinai  lo  sentono 

ridere  e  frammiste  al  rumore  degli   zampilli  giun- 

talvolta  ai  loro  orecchi  le  note  della  sua  piva. 

Nelle  acque  ripide  e  limpide,    leggiere   e  gustose 

si  ign  ten         o\  inati  e   i  bi  isi  hi    distrutti  :  di 

i  -i  nascondono  fra  i  lecci  verdi   e  il  musco 

itte,  e  allorché  cade  la  notte  si  svegli. un. 

e  chiamano.   Montecristo  ha  scritto  il  suo   nomi 

sull'acqua  ed  essa  l'ha  conservato  più  fedelini 

ironzo  O  il  marmo.   Le  strade  sassose  e  iì- 

itono,  come  gli  alberi  e  gli  arboscelli 

delle  macchie,  quei  suoni  svariati  e  scherzevoli  che 


II.    MARCHESE    CARLO    I  .IN'  IR  I. 

ina  gorgogliando,  chiacchierando,  mormorando 
non  cessa  mai  di  produrre.  Ricordandoci  Munte- 
cristo,  all'acqua  soltanto  ricorre  il  pensiero,  all'ac- 
qua che  precipita,  che  brilla,  che  geme,  all'acqua 
tranquilla  in  cui  si  specchiano  il  ciclo  e  le  piante. 
Una  buona  sorgente  di  acqua  potabile  zampilla 
perennemente  in  vicinanza  di  Cala  Maestra,  un'al- 
tra presso  la  così  detta  <  rrotta  del  Santo  dove  San 
Mamiliano  compiva  i  suoi  miracoli  e  David  Laz- 
zaretti si  preparava  al  martirio  della  fucilazione, 
ed  un'altra  in  vicinanza  della  punta  ili   Cala  della 

ta.  L'acqua  che  scorre  nei  dintorni  di  Cala 
della  Grotta  e  in  vicinanza  della  «  punta  dei  fan- 
i  tulli  >,  è  limpida,  leggerissima  e  gustosa;  ha  la  sua 
sorgente  in  una  caverna  naturale  che  si  sprofonda 
verticalmente  per  oltre  40  braccia  nell'estreme  falde 
del  munte;    è   tutta    pittorescamente    decorata  di 


musco  verdeggiante  e  di  ciocche  di  un  giganti 
capelvenere.    L'acqua   o    cade  a    gocce,  o  sdruc- 
ciola giù  per  le  ripide  pareti  e  chiacchierando  di 
greppo  in  greppi  >,  e  spruzzando  in  sottilissimi 
si  raccoglie  in  un  bacimi    naturale,    su  cui  rifran- 
0  i   raggi  del   sole,    quasi   spiritualizzandosi  e 
volatilizzandosi  per  arrivare  fin   laggiù.  L'iride  \i 
profonde  i  suoi  mille  colori.  Si  ritorna   bambini  e 
si  pensa  cogli  occhi  stupiti  alle    buche  delle  ! 
incastonate  di  diamanti,  di  zaffiri,  di  rubini,  di  to- 
pazi.   Il  clima  e  sano  e  temperato;   l'aria  è  pura, 
oltremodo  rarefatta  al  vertice.  In  estate,  Cala  Mae- 
stra è  di  una  frescura  deliziosa. 

La  vista  che  si  gode  dalla  rima  del  moni 
qualcosa  di  magnifico.  I  monti  azzurri,  le  lontane 
.ostiere,  la  terraferma,  l'KIba,  Capraja,  Corsica, 
Sardegna,  Giglio,  Giannutri  e  Pianosa.  La  magni- 
ficenza di  questo  quadro  che  si  ammira  al  vertice 
della  piramide  conica  di  Montecristo  è  superiore 
alla  lirica  descrittiva....  Siamo  alla  fortezza,  a  circa 
settecento  metri  sul  livello  del  mare.  L'oc 
spazia  dovunque  con  sensazioni  dirò  così  fisiche, 
voluttuosissime.  L'isole  lontane  paiono  di  porfido, 
di  corniola,  d'agata....  Laggiù  c'è  la  Maremma, 
ricca,  feconda,  pittoresca  e  disgraziata.  Pochi  0 
nessuno  si  occupano  di  migliorarla:  si  ricorda  di 
lei,  ogni  tanto,  qualche  viaggiatore,  mezzo  rigat- 
tiere e  mezzo  artista,  che  s'aggira  per  i  luoghi 
furono  un  giorno  le  città  ctrusche  o  i  cacciatori 
che  la  percorrono  per  uccidere  leselvatu  he  e  dolci 
creature  delle  brughiere.  Ecco  tutto.  Il  popolo 
aspetta  al  sole  giorni  migliori,  le  lente  barchette 
prendono  il  mare,  il  cielo  nebbioso  pesa  sulle 
onde  torpide,  e  quando  suona  la  campana  gli  abi- 
tanti si  dirigono  fiacchi  e  sbadati  verso  l'antica 
chiesa  a  raccomandarsi  a  qualcosa  in  cui  credono, 
ma  che  non  li  aiuta,  e  così  passano  la  vita  fino 
in  fondo  :  e  nessuno  se  ne  occupa. 

Sin  lienedrtto  il   Re  che  fra  i  ruderi  della  sman- 
tellata fortezza   di    Montecristo    volse    il    pensiero 
alla  Maremma  dimenticata  e  le  diresse    la    parola 
del  cuore.    La  tradizione  della  bontà  non  si  1 
spenta,  nò  affievolita  in  Casa  Savoia. 

u  Su  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via 
Ch'era  roci  ioso,  stretto  e  malag*  vole 
Ed  erto  pia  assai  ili  quel  -li  pria...  » 

Ma  il  marchese  Ginori  prima  e  il  Re  dopo, 
sero  abbastanza   comodo    e   sufficientemente  age- 
vole il  viottolo  roccioso  e  stretto  che  condui  e  alla 
palazzina  reale... 

A  invailo  di  Cala  Maestra»  s'imbocca  la 
strada  scavata  nella  viva  roccia.  Quando  l'isola 
venne  ceduta  da  Carlo  Ginori  al  Re,  la  casa  a  un 
piano  solo,  tutta  bianca  e  scialbata,  dalle  finestre 
rettangolari,  dalle  porte  rotonde,  coi.sisteva  di 
quattordici  stanze,  compreso  il  gran  salone  d'in- 
gresso, ampie,  ariose,  mobiliate  con  gusto, 
ogni  comodità  ma  senza  lusso:  sedie  delle  Alpi 
invece  che  poltrone  morbide,  sofà  di  legno  senza 
cuscini  di  seta.  Il  Re  ha  voluto  conservare  alla 
palazzina  il  suo  primitivo  carattere  di  casa  del 
1  aci  iatorc,  ma  necessariamente  ha  dovuto  ampliare, 


L   [SOLA    DEL    RE 


decorare,  arricchire  le  nude  finestre  con  della  tap- 
pezzeria semplice  e  di  buon  gusto  :  ha  aggiunto 
due  fabbricati  laterali  ;  ha  abbellito  e  ingrandito 
la  terrazza  che  dà  sul  mare.  Si  capisce  !  Il  Re  ha 
desiderato  rendere  il  soggiorno  di  Montecristo 
comfortable  e  gradevole  alla  Regina  Elena  e  alla 
Regina  Madre,  che  è,  non  da  oggi,  addirittura  en- 
tusiasta dell'isola,  tant'è  vero  che  dopo  la  descri- 
zione che  glie  ne  fece  la  Regina  Margherita,  la 
principessa  Alice  di  Monaco  non  potette  resistere 
al  desiderio  di  una  gita  nell'Arcipelago  toscano.... 
Intornn  alla  palazzina  reale  fiorisce  rustico  e  pe- 
renne il  geranio:  l'odore  che  spandono  le  foglie 
del  geranio  allontana  i  rettili  in  genere  e  le  vipere 
in  specie....  Prezioso  geranio!  Vi  è  forse  più  neces- 
sario talismano  di  te  per  un  Monarca  ?  Intorno  alla 
villa  c'è  un  bel  giardino  che  il  Re  ha  rifornito  e 
rimesso  a  nuovo,  insieme  a  un  altro  giardino  un 
po'  più  in  basso  adagiato  sul  letto  del  fiumicello 
che  scaturisce  dalle  pittoresche  spaccature  della 
valle  di  Cala  Maestra,  ed  un  terzo  quasi  sospeso 
in  aria,  come  un  nido  di  pendolino,  sovra  la  casa... 
A  distanza  questo  terzo  giardinetto  pensile  fa 
l'effetto  di  un  paniere  di  fiori  che  penda  dal  cielo. 
Alcune  piante,  ignote  all'altra  parte  dell'isola,  vi 
i  cresciute  spontanee,  alla  ventura  ;  semi  che 
il  vento  o  gli  uccelli  vi  han  lasciato  cadere,  e  il 
Re  ha  ,per  esse  un  vero  culto  di  giardiniere. 

In  poco  tempo  Io  scoglio  nudo,  lavato  dalle  ac- 
que, sarà  quasi  tutto  verdeggiante  di  nuove  piante: 
il  Re  dirige  i  lavori,  da  bravo  gentiluomo  di  cam- 
pagna. 

Quand'è  a  Montecristo  il  Re  sta  più  che  gli  è 
possibile  fuori  di  casa  :  o  s'  arrampica  sulle  rocce 
o  scende  a!  mare.  Il  Re  ha  un  concetto  tutto  greco 
della  vita  all'aria  aperta.  Dice  che  all'aria  aperta 
si  fa  tutto  bene. 

A  Montecristo  il  Re  desidera  di  godere  di  tutta 
la  sua  libertà.  Libertà  va  cercando  e  ce  la  trova; 
libertà  di  cittadino,  a  casa  sua.  Non  concede  per- 
messi, non  fa  inviti.  Montecristo  è  per  sé  e  per 
la  sua  famiglia:  arriva  e  parte  senz'avvisare  ani- 
ma viva  :  alcune  volte,  è  accaduto,  anco  il  mondo 
ufficiale  del  Quirinale  ha  creduto  che  il  Re  si  fosse 
recato  a  Castel  Porziano,  mentre  il  suo  automo- 
bile volava  e  sbuffava  verso  Santo  Stefano. 


4^7 

Abbandoniamo  dunque  il  fantastico  isolotto,  la- 
sciando che  le  onde  del  mare,  delle  memorie  e 
delle  leggende,  vi   facciano   risuonare   sommessi  i 


II,    MARCHESE    RENZO   GlNORI. 

canti  dei  secoli  :  e  i  lettori  trovino  con  me  giusto 
e  umano  il  desiderio  del  Re,  che  di  quando  in 
quando  si  permette  il  breve  svago  di  raccogliersi 
nel  silenzio  e  nella  solitudine  della  sua  bianca 
palazzina  che  par  preparata  dalle  fate  e  adagiata 
dai  giganti  in  mezzo  al  Tirreno  :  riposo  e  prepa- 
razione a  propositi  e  a  opere  feconde  e  geniali. 

Firenze,  il  20  aprile  del  1902. 

Carlo  Paladini. 


-£—*- 


TRISTANO  E    ISOTTA 


(  //  filtro) 


Tre,  con  sua  lancia  ini  pel  uosa,  aperse 
ferite  al  drago  il  cavalier  Tristano; 
e  sette,  andando  fé  1  mare  lontano, 
vascelli  assalse,  insanguinò,  sommerse. 

Ma  quando  Isotta  da  la  bianca  mano, 
più  che  re  ina  al  suo  sguardo  s'offerse, 
l'anima  fiera  e  le  hello  armi  terse 
caddergli,  e  tutto  il  suo  valor  fu  vano. 

Oro  di  chiome,  su  la  nave  d'oro 
raggiava  Isotta:  le  porgea  la  schiava 
l'àn/ora  ardente  com' aperto  cuore, 

e  tra  l'isola  verde  e  il  mar  sonoro 
vedean  gli  amanti  su  da  l'ombra  cava 
venir  la  Morte;  ma  di  cieli,  Amore! 


TRISTANi  i    E    [Si    !  1  \ 

II. 

La  foresta). 

Porpora  di  Britannici,  oro  regale, 
favole  alate  e  fiamme  taciturne 
fascian  le  forte  de  le  stanze  c/ut  me 
ov' apparì  la  Coppia  trionfale. 

Magni  ti  ca,  ne  7  gran  cor  musicale, 
la  foresta  raccoglie  àrbori  ed  urne: 

«  -  Tristano  /»  -  «  Isotta!  «  -  [remoti  le  notturne 
voci  volando  con  lampeggi  di  ale. 

Vigila,  su  la  torre  alta,  Brangània 
s'oda  re  Marco,  o  se  rombi  la  terra, 
tremando  al  trotto  ferreo  de  la  caccia  ; 

ma  in  van  suo  grido  annunziato!-  disserra, 
però  che  Isotta,  con  il  ivi  no  insania, 
anco  dischiude  al  dolce  eroe  le  braccia. 

III. 

(//  vascello  d'Isotta  . 

Giace  il  ferito  in  su  l'ibernia  arena, 
guatando  il  mar  con  declinanti  tempie. 
Porpora  e  il  mare,  e  un  canto  lo  riempie 
d'una  malinconìa  stanca  di  pena. 

Balza  il  morente:   «    0  nave  aurea,  balena! 
giungi  da  l'acque  interminate  ed  empie! 
Kunnval!  La  gran  Luce!  Oh  come  s'empie 
Fa nima  d'una  pia  gioja  serena  ! 

Spasima  e  cade...  e  il  del  chiude  sue  porte 
d'oro.  Improvviso,  da  grand'  ali  rotta, 

palpita  l'acqua  a  l'ansia  d'un  naviglio, 

e,  morente  d'amor  pallida  Isotta , 

chiamando  a  baci  il  cavalier  -vermiglio, 
chiude  i  suoi  labbri  in  sovrumana  Morte. 

E  rroRE  Mcschino. 


4^'> 


L'ORIGINE  DEI  GIORNALI 


Per  trovare  le  prime  rudimentali  origini  del  gior- 
nale, bisogna  rei  ai  lontani  tempi  della  Re- 
pubblica  e  dell  Impero  romano.  Quella  specie  ili  av- 
.   che  si  scrivevano  in  carta,  si  esponevano  per 
uno  o  più  giorni  e  si  chiamavano  aita,  diurna   fo- 
rnii n'inaili,  commentarti  rerum  urbana) uni.  ecc..  ri- 
10  non  soltanto  le  notizie  politiche  e  di  guer- 
ra, le   leggi,  le  cause  celebri,  ma  altresì  le  notizie 
•  feste,  dei  teatri,  delle  nozze,  delle  nascite,  delle 
elle  avventure  galanti,  dei  pettegolezzi   cit- 
tadini, ecc.   E  poiché   il  momlo  fu  sempre  eguale, 
anche  i  diurna  romani  servirono  a  tutte  le   forme 
della  vanità.  Per  esempio.   Livia,  la  madre  di   Ti- 
berio, vi  fece  annunziare  i  nomi   dei  senatori   e  dei 
cittadini,  che  avevano  chiesto  di  essere  ammessi  a 
salutarla.   E  se  un  dia  moda  avea  parlalo 
in  Senato,  correva  poi  a   far  riferire  negli  a.ta  gli 
applausi    dei   senatori    ripetuti    cinque,   dieci    volte. 

antichi  giornali  romani    non  rimane   alcun 

i    i  ma  di  essi,    f.a 

popolare  moderna  della  letteratura  periodica 

incomincia  molti  secoli  dopo  i    tri  Ve 

i.  il  The   '  Ucraine,  che  sarebbe  uscita 

nel  1588.  e  fu  creduto  da  alcuni  il  primo  giornale 

tti  1,    n>  -il        1  he   una    fai-  del    se 

XVIII. 

1  .  .1   lino  dai  primi  anni  del  secolo  XVI,  in  alcuni 

.'ii  della  cr  no  pubblicami  nte  1'-  \ 

VISI   manoscritti,    per   informa/ione  dei 

ni.  Nei  tempi  lieti  del  Rinascimento,  quando 
oti  più  squisite  delio  spirito  e  le 
•  della  cultura   si   univano  al   valori-  delle  armi 
e  alla  sagace  pratica   dei  commerci,   Venezia  el 
mio  i   iprrl»  ile.   si    i  hia- 

■  il  più  gran  giornalista  del  mondo.  M 
1  nato  nel  di  antica  stirpe 

uri  1 536  ra  vita  a  1: 

n    infiniti  ra    dottrina,    notizie. 

1  al  suo  tempo .  che  è 

lindo    del 
li  \  anni  »,  in  s8  volumi   :n 


foglio,  dal  primo  gennaio  1496  sino  al  settembre  del 
1  -  33.  Per  questo  immane  lavoro  ebbe  dal  ' 
dei  Dieci  una  provvigione  di  150  ducati  ali  anno.  ma. 
sc'rive  il   Sanino  stesso,  con  ingenua  schiettezza  nel 
suo  testamento,  zuro  a  Dio  è  nulla  alla  grandi*- 
fatica  ho  fatto.  Xiente  sfugge  alla  sua  osserva/ 
acutissima.   E  non  soltanto  egli  tien  nota  di  tutti  i 
fatti    politici,   di   tutto  ciò  che  riguarda  la  legisla- 
zione, l'economia  politica,  i  commerci,  l'arte,  la  let- 
teratura.  ma  non  dimentica  neppur  le  minuzie  n 
palesi,  gli  epigrammi,  le  satire,  le  commedie,  g 
pisodi  personali,  perfin  le  lettere  private.  "Egli  sen- 
te te  e  ci  fa  sentire  le  impressioni   or    liete,   or  pe- 
nose, dove  non  agiscono  né  parlano  che  gli  ; 
«  e  i  testimoni  immediati  delle  azioni,  e  solo  qi 
«  là  vi    si    intromette   talvolta  la  voce  del   popolo 
«  come  a  1  appresentare  l'opinione  pubblica  conti 
ii  poranea  ■  <  '"sì    uno  storico  insigne,  Giuseppe 
Leva. 

Dei  Diari  del  Sanino,  riposti,  dopo  la  sua  mo 
in  una  stanza  segreta  del  Palazzo  Ducale,  non  si 
per  molto  tempo  più  traccia,  e  il  doge  Marco  ]", 
li,   lo  storico  solenne  della  letteratura  venezi 
ò  la  perdila.  Ma,  nel   1784.   I 
lionato,    ultimo   istoriografo  della   Repubblica, 

rse  e  li  fece  ricopiare.  l'iii  volte  si  reca 
\  legati  di  governi  stranieri,  per  estrarre  ijB 

documenti  da  questa  fonte  preziosa  e  inesatj 
bile;    più    volte,   lino  dal   principio  del    secol 

rso.   si  parlò  di  pubblicare  l'opera  sanuti 
.1  !    |uali  ;  ndere  la 

«li  58  grossi  volumi  in  foglio?  Quale  erudito 
pigliare  sopra  di  sé  il  grave  carico  di  dirigere  una 
ne  irta  di  difficoltà  di   ogni  gelici 

cibile  ai   più  animosi   non   ispaven- 
t.'i   la  veneta    De|        'ioni'   di  storia  patria. 

1 .-.        la  pubbli  '  tri.  ed 

oggi   l'ha   quasi  npiuta.   Se    il   giornalismi 

con   imparzialità  tutti    i    rasi  che 
inno  di  giorno  in   giorno,  se  deve  essere  1"     ' 
e  l'interprete  dell'opinione  pubblica,  pur  esprimcn'B 
il    proprio  giudizio  senza   passioni 


I.  ORIGINE    DEI    GIORNALI 


innalzò  questo  ministero  a  più  nobile  dignità  dei 
Sanuto.  quantunque  l'opra  di  lui  non  fosse  destinata 
alla  pubblicità  quotidiana. 

Di  contro  all'onesto  e  candido  Sanuto  ebbe  Ve- 
nezia, nel  secolo  XVI,  un  altro  precursore  del  gior- 
nalismo in  Pietro  Aretino.  Il  figlio  del  misero  cal- 
zolaio d'Arezzo,  con  le  sue  vituperazioni  e  le  sue 
lodi  vendute,  fu  veramente  il  tipo  di  quei  giorna- 
listi, che.  con  la  industria  della  stampa,  offendono 
l'onestà,  la  verità,  la  giustizia.  I  Giudizi  che  l'Are- 
tino pubblicava  ad  ogni  principio  d'anno  è  via  via 
cne  gli  avvenimenti  si  presentavano  in  foglietti  vo- 
lanti, che  si  vendevano  e  gridavano  per  le  vie.  an- 
ticipavano, come  ben  dice  Alessandro  Luzio.  gli 
articoli  politici  dei  nostri  giornali,  e  il  meraviglioso 
libellista  sapeva  attingere  ai  fondi  segreti  di  tutte  le 
Corti,  crearsi  dei  tributari,  degli  abbonati  tra'  prin- 
cipi, dominare  letterati  ed  artisti  in  ricambio  di  rè- 
\lame  e  per  solidarietà  di  combriccola. 

La  letteratura  alata  dei  fogli  cotidiani.  settima- 
nali, mensili,  diffusa  per  mezzo  della  stampa,  inco- 
minciò nel  secolo  XVII.  Una  pubblicazione,  arieg- 
giante  alla  forma  di  vero  giornale,  uscendo  regolar- 
mente una  volta  per  settimana  e  offrendo  una  rela- 
zione dei  fatti  più  notevoli  d'Europa,  vide  la  luce 
per  la  prima  volta  a  Venezia,  e  fu  chiamata  Gaz- 
zetta dal  nome  di  una  moneta  d'argento  del  valore 
di  due  soldi  che  davasi  in  pagamento.  La  Gazzetta 
fu  coniata  nel  1538,  sotto  il  doge  Andrea  Gritti,  e 
aveva  impresso  un  leone  alato  in  piedi,  e  la  imma- 
gine della  Giustizia,  seduta  sopra  altri  due  leoni, 
con  il  motto  /usi/tram  diligite- 
li giornale  veneziano  trovò  presto  imitatori.  Ad 
Anversa,  nel  1605.  un  giornale  fu  stampato  da 
Abramo  Verhoeven.  Teofrasto  Renaudot  fu  il 
primo  che  desse  fuori  Gazzette  in  Erancia  .  nel 
1631  (1)  ;  e  oltre  a  quelle  d'Amsterdam  e 
delle  provincie  unite,  la  sola  città  di  Londra  ebbe 
più  di  dodici  Gazzette.  Ma  erano  sempre  poco  più 
di  aridi  avvisi:  brevi  e  informi  raccolte  di  notizie. 
Fu  primo  Dionigi  de  Salle  a  far  del  giornale  qual- 
che cosa  più  di  una  semplice  notazione  di  cose  e  di 
fatti,  e  con  l'intendimento  rli  coltivare  il  pensiero  e 
di  renderlo  partecipe  a  quanto  i  buoni  intelletti  an- 
davano producendo  nel  mondo,  pubblicò,  nel  166". 
ii  J tanna!  des  savants.  continuato  poi  dall'abate  Gal- 
lois  e  da  altri. 

Ad  imitazione  del  Journal  des  savants,  l'abate 
bergamasco  Francesco  Nazzoii  mandava  fuori  a 
Roma,  nel  r668.  un  Giornale;  un  altro  nel  167T  ve- 
deva la  luce  a  Venezia,  e  due  altri  in  Ferrara  nell'88 
e  nel  '91.  Più  fortunato  fu  quello  che.  nel  1686  , 
mandò  fuori  a  Parma  il  padre  Bacchini.  che  ne  con- 
tinuò poi  la  pubblicazione  a  Modena,  avendo  a  col- 
laboratori per  la  matematica  il  Guglielmini.  per  la 
fisica  ii  Ramazzini.  per  la  teologia  il  padre  Fran- 
chini, per   la  geografia  Jacopo  Cantelli. 

Finalmente,  nel  1606.  ebbe  principio  in  Venezia  la 


111  Nell'ultima  Lettura  è  riprodotta  dal  Mercure  de 
Frana  la  lista  dei  più  vecchi  giornali  francesi,  che  sono 
usciti  senza  interruzione  sino  ad  oggi.  La  lista  incomincia 
con  Peìitcs  a/fiches    Paris,   [612  . 


43i 

G 'allei. a  di  Minerva,  in  cui  scrisse  anche  Apost 
Zeno  (n.  1668),  il  quale  oltre  ad  essere  poeta  gen- 
tile, e  ad  aver  nelle  ricerche  erudite  mostrata  la  via 
al  Muratori,  fu  anche  esempio  delle  più  amabili 
virtù.  Lo  Zeno,  trovandosi  a  Padova  insieme  con 
Scipione  Maffei  e  con  il  naturalista  Antonio  Valli- 
snieri.  concepì  il  disegno  di  un  giornale  che  potesse 
lar  conoscere  agli  stranieri  le  opere  e  gli  ingegni 
italiani,  e  nel  17  io  incominciò  a  Venezia  il  celebre 
Giornale  dei  Letterati,  che  diresse  fino  all'anno  17 18. 
in  cui,  col  titolo  di  poeta  cesareo,  fu  chiamato  alla 
Corte  di  Vienna.  Dopo  tredici  anni  ritornò  in  pa- 
tria, indicando,  come  suo  succi  ssore,  a  Carlo  VI.  il 
Metastasio. 

Nel  Settecento,  che  taluni  chiamano  il  secolo  delle 
rovine,  ma  che,  ben  a  ragione,  il  Giusti  chiamò  il  se- 
colo dei  diboscamenti,  si  sentì  più  vivo  il  bisogno,  spe- 
cialmente a  Venezia,  di  quella  facile  cultura,  che  ab- 
braccia le  scienze,  le  lettere,  le  arti,  tutto  insomma 
che  suole  essere  materia  degli  studi,  intendendo  così 
di  servire  non  solamente  a  quelli  che  degli  studi 
fanno  professione,  ma  a  quelli  eziandio  che  dagli 
studi  senza  molta  fatica  amano  di   prender  diletto. 

Abbiam  detto  specialmente  a  Venezia,  perchè  se 
la  vecchia  Repubblica  di  San  Marco  precipita  alla 
Ime.  illascivendo  tra  i  piaceri  e  le  feste,  quasi  per 
compenso  le  lettere  e  le  arti  splendono  di  vivissima 
luce.  Rifiorivano  le  lettere  per  opera  dello  Zeno,  di 
Marco  Foscarini,  dei  due  Gozzi,  e,  sopra  tutti,  di 
Carlo  Goldoni,  l'opera  del  quale  vive  sempre  della 
fresca  giovinezza  del  genio.  Risorgevano  le  arti 
imi  il  Longhi.  con  la  Rosalba,  col  Canaletto,  col 
Guardi  e  con  l'unico  Tiepolo.  che  seppe  ricondurr- 
la pittura  dai  limbi  tenebrosi  del  manierismo  al 
sole,  alla  verità  della  natura  eterna. 

Si  comprende  come,  fra  questa  lieta  fioritura  di 
ingegni,  il  giornalismo  abbia  avuto  incremento  no- 
tevole e  azione  efficace. 

Così  videro  la  luce:  //  Mercurio  storico  (17  17).  la 
Gazzetta  delle  Gazzette,  gli  Influssi,  il  Fogli,'  per  le 
donne,  il  Diario  di  Cristoforo  Zane  (1735).  l'Europa 
letteraria  di  Domenico  Caminer,  il  Giornale  enciclo- 
pedico, gli  Annali  della  città  ili  Venezia  dell'Ai 
brizzi,  ecc. 

Ma  il  primo  a  dare  la  forma  e  l'aspetto  del  mo- 
derno giornale  alla  letteratura  periodica  fu  Gaspa- 
re Gozzi  con  la  Gazzetta  e  l'Osservatore  Veneto. 

Il  conte  Gaspare  Gozzi  aperse  gli  occhi  alla  vita 
tribolatissima  il  20  dicembre  17 13.  e  li  chiuse  per 
sempre,  senza  rammarico  dì  lasciarla,  il  25  dicem- 
bre 1786.  Quest'uomo  d'animo  retto,  di  rara  mode 
stia,  d'ingegno  delicato,  di  squisita  dottrina,  fu  acer- 
bamente travagliato  da  natura  e  da  fortuna.  Si  I 
qualche  volta  riprenditore  acerbo  dei  vizi  della  sua 
età.  non  già  incitato  dall'odio  0  dall'invidia,  ma  per- 
chè non  potè  mai  dissimulare  non  che  fingere  vermi 
pensiero.  Fra  lo  strepito  cittadino  sospirava  con  de- 
siderio intenso  alla  pace  della  campagna,  alla  so- 
litudine della  sua  villetta  di  Vicinale,  nell'ampia  e 
triste  pianura  friulana,  e  dovette  trascinare  la  buia 
e  misera  vita,  affacchinandosi  a  un  lavoro  mu- 
sante e  increscioso  di  traduzioni  e  di  rifacimenti, 
per  riparare  alle  angustie  in  che  si  trovava.  E'  mi- 


432  LA    LETTI 

nquietudine  ili  spi- 
rito, il  Gozzi  abb  servare  quella  limpi- 
ne)  la  perspicuità   'li   forma, 
che  splendori!                           i  l  >ante, 
nel 

■  tante  svi  mture,  l.i  maggiore  fu  quella 
ramogliai  inni,  o  n  una 

\     idia  Inni!  unir,  al  seo '1"  Lui- 

sa Bergalli,  la  quale,  in  luogo  di  curare  i  tìgli  e  la 
scriveva  versi  <■  traduzioni  dal    francese,   con 
indosso  una  schiavina   e   in  capo  la    parrucca  ilei 
I'it  ripai  arsi  'lai  t  ti  i  Idi  .   Mi  iglie  t  ri  - 
bolal  lama  il  Tommaseo,  cui   avrà  forse  al- 

i  il  povero  Gaspare,  quando,  con  celia  più  me- 
lanconica  d'ogni  pianto,   in  sull'estremo  'Irgli  anni. 
amava:  Putì  no  fi  mai  versi.  Perdati  la  salute 

:   : 

Nel  1760,  incominciò  a  pubbl  ta  Ve- 

neta  dall'editore  Pietro  Marcuzzi. 

La  1.  usciva   due  volte  per  settimana:  il 

men  bato;  l'associazione  annua  costava 

un"  e  ugni  numero  cinque  solili.   Nella   in- 

atura  del    giornale  era   incisa  una  scimmia  ram- 
pante col  ni.  alimento  sibi.   I.a  Gazzetta 
1    l'ufficio  a    San    Polo,   presso  la  calle  ili  Cà 
Bernard...                 la  con  campanella,  e  quattro  re- 
abbonamenti  e  le  noti- 
zie:   il  caffè    l'i.  ri. in   .1    San    Marci,   il  caffè  sulla 
Riva  del  Vin.  la  libreria  1  '.  li  nibani   in   Merceria  e 
la  bottega  del  cartolaio  Faccheri  a  San  Giovanni 
l'i'-  i,.     I    recapiti   rimasero  poi   due  soli:    da 
Colombani  e  al  caffè  Florian. 

Sbandite  le  notizie  politiche,  nella  Gazzetta  tro- 
vavano posto  le  notizie  cittadine  mescolate  a  certi 
aneddoti  curiosi,  a  certi  casi  0  veri  o  inventati,  a 
certi  ameni  racconti  pieni  di  festività.  Quali  fossero 
gl'intenti  del  compilatore  e  d(  Uditore  è  detto  chia- 
ramente. Si  voleva  che  il  foglio  contenesse  «alcune 
«  cosi  anno  piacere  a  leggere,  per  ricreare  le 

«  pei  e  certe  altre  utili  e  a  proposito  per  le  u- 

«  sanze  e  per  gli  agi  della  città  ».  E  per  unire  l'u- 
tile al  dolce,  si  vogliono  ancora  «  notate  le  case  v6te, 
contrade  ove  sono  e  il  prezzo  di  quelle:  qui  il 
'  ri.  me  di  un  valente  artefice  giunto  in  paese,  la 
1  sua  capacità,  la  dimora:  quivi  terreni,  quadri,  sta- 
1  tue.  medaglie  0  libri  da  vendere;  e  insomma  altre 
«  mille  parti. -.ilarità  che  facilitano  gli  affari  degli 
«  uomini  nel  paese  ». 

I  '.  me  si  vede,  siamo  propri"  all'infanzia  del  gior- 
nale, e  la  semplicità  è  pari  alla  sincerità. 

II  G  1  fine  arguzia,  vuol  dimostrare  la  uti- 
delle  gazzette   in  1-  a  quella  dei    libri. 

nonio  che  detta  libri   tratta  uno  speciale  argo- 

•  pochi  altri  uomini,  ma  noe.  ad 

una   società  intera.   Inoltre  di    rado  egli   si    affai 

alla  finestra  del   mondo,  e  forma  certi  suoi   pensieri 

ni     ree.  .udite,   e   le    scrive    in 

un  certo  modo  sì  studiato,  che  pochi  intendono  . 

all'incontro       continua  il  Gozzi  — 

'i    andini  1     in    noi    medesimi    per 

Ita  nella 
«   me: 


1111//0   ili    un    lungo    leggere   o   di    un 

■  profondo  meditare;    ma  domandiamo  a  tutti  di 

le  hanno  bisogno;  e  quando  ce  l'hanno  scritto  in 

..  polizze,  in  lettere  o  la  to  a  voce,   formia- 

i  ia  nostra,  n'empiamo  ui 
«  gli"  e  !..  pubblichiamo.  Ogni  uomo  sa  ohe  ci 

■  igno.  ed  l'argomento  è  chiarissimo  e 
.1  universale  ...  \  1  e  idee  del  vei 
malista  hanno  sapore  moderno. 
E  poi  i  libri,  utili  o  disutili,  vogliono  stare  al 
mondo  ad  impacciare  le  botteghe  e  le  librerie,  lad- 
dove i  giornali  ui lue  dì  servono;  passato  que- 
sto brine  tempo,  ne  puoi  accendere  il  fuoco,  la  pipa 
e    lame  altro  a   modo  tuo. 

..   Ma  questa   breve  durata  'he  importa!'   Si 
.'  dì  -1  rinnova  la  materia,  n  bbligati,  come 

ali  ri    scrittori,  a    rubacchiarci  l'un    l'altro  e   a 
rappezzare  pensieri   vecchi  perchè  paiano  nuovi,  e 
«  a  dir   male  degli    autori   passati,    quando  avi 
«  .-.nato   loro  fai  le  lui. Iella,  non  che  la  cai 
«  aver   materia  da   empiere  1    libri  moderni  ». 
La  Gazzetta    1  blie   vita   breve:    poci 

no  d'un   anno,   e   tini    il   gennaio    1 76 1 .    Xon   più  a 
lungo  visse  YOsscrvatore  Veneto,  che  il  Gozzi   inco- 
iò   a    pubblicare  settimanalmente   presso  il   ti- 
pografo   Colombani.    il    4    febbraio   del    1761. 
.  SS  ire  al  ,-50  gennaio  dell'anno  successivo. 

Il  Gozzi, imitando  lo  Spettatore  inglese,  intì.  r.'>  le 
sue  osservazioni   piene  di  attica  urbanità,  con  dialo- 
ghi lucianeschi,  favole,  novelle,  sogni,  allegorie,  ghi- 
ribizzi  giocondi.   Ben  fu  detto  che  l'Italia  noti 
vantar  cosa  più  perfetta  in  tal  genere.  Con  altri  e 
arditi  intendimenti,  il   ".aretti  pubblicava,  qual- 
che tempo  dopo,  la  Frusta,  e  a  Milano  il  Beccaria 
e    i    Verri    scrivevano    //    Caffè.    Cosi     dalle    pa- 
gine della  Gazzetta,  come  da  quelle  dell'Chi. 
tore  del  Ci.  zzi.  si  rge,  s'anima,  palpita,  si  min.'. 
gioconda  vita  veneziana   dei    -,  -      i  rano 

quadri  del  Canaletto  con  le  macchiette  del  I  1 
Che  allegre  immagini  !  Passeggiano  per  la  piazza  di 
San  Marco,  tra  un  fruscio  di  seriche  gonne  1  un  su- 
surro  incessante  di  voci  e  risa  argentine,  le  dame  in- 
cipriate e  gli  effeminati  cicisbei  dalle  morì' 
broline  e  dalle  intestine  </:  bambagia-  Qui.  sotto  un 
arco  dell  si   annodano  le  fila  di  un  intri- 

go, più  in  là.  in  quel  crocchio,  accanto  alla  loggi 
sansovinesca.   serpeggia  arguta   la   maldicenza.    Cn 
.me  patrizio,    fintando  mine  di  donna,   insegue 
una  donnina  in  barila,  che  scappa   via   lesta  tra  la 
bilia,  mentre  un  bel   gondoliere  della  Signoria,  con 
la  ''a tipa  di  vi  liuto  rosso  guarnito  in  oro  e  il  berr. 
all'albanese,    s'accompagna   a   una  tizianesca  pò 
lana  .li  Castello.  Patrizi  e  plebei  in  questo 

ffratellano  per  un     -  Ila  gioia  spensie- 

rata e  rumor,  isa. 

Intanto,  in  disiata',  solitario  tra  l'universale  le- 
tizia, sorrnle  melali. 011:1  .mirteo  il  conte  Gaspare 
1  .  ire    della   sua    età  decadente,   il 

babbo   del   gii  imalismo  italiano. 

POM  MENTI. 


SOMM  ARIO 


Romanzi  e  Novelle.  —  /  nostri  cuori  (Arturo  Foà)  —  Come  presi  moglie  (Carlo  Dadone)  —  L'armaiuolo  di 
Milano  (Luigi  Venturini i. 

Poesia.  —   Verso  l'Oriente  (Angiolo  Orvieto  . 

Letteratura  e  Critica.  —  Oneri  e  faville  (Giosuè  Carducci  i  — Studi  sulla  Lirica  italiana  del  Duecento  Fran- 
cesco Torraca). 

Psicologia.  — ■  /  segni  rivelatori  della  personalità    Paola  Lombroso). 

Storia  e  Biografia.  —  Un  episodio  del  nepotismo  borgiano:  Il  matrimonio  di  Lucrezia  Borgia  con  Giovanni 
tSfor:a  B.  Feliciangeli)  —  La  tolleranza  religiosa  sotto  Alessandro  Severo  (Attilio  Siotto)  —  Storia  degli 
Stati  Uniti  d'America  (Rodolfo  Giani     —   Emanuele  Swendenberg  (Antonio  Vismara). 

Igiene.  —  In  difesa  del  busto  (Dott.   Costanzo  Einaudi  . 


ROMANZI    E    NOVELLE. 

Arturo  Foà  :  /  nostri  cuori.  (Torino.  Stre- 
glio  e  C),  L.  2.  —  L'autore,  che  aveva  già  dato 
prova  di  possedere  ottime  attitudini  alla  critica  sto- 
rica con  un  saggio  sull'Amore  in  Ugo  Foscolo,  del 
quale  la  Lettura  diede  conto  l'anno  passato .  si 
di  oggi  a  un  genere  tutto  diverso,  all'arte  narra- 
tiva ;  ed  ambe  qui  dimostra  belle  disposizioni,  seb- 
bene in  queste  prime  composizioni  tutto  non  sia  lo- 
devole. //  nostro  cuore  intitolò  Guido  di  Maupas- 
sant  un  romanzo,  in  cui  quel  grandissimo  artista 
dimostrò  con  una  intima  e  sapientemente  celai  a  iro- 
nia le  complicazioni  e  le  contraddizioni  del  cuore 
umano.  Il  Foà  intitola  /  nostri  cuori  questi  suoi 
bozzetti  perchè  in  ciascuno  di  essi  «  si  illumina  una 
special  condizione  sentimentale  »  ;  ma  le  condi- 
zioni che  egli  rappresenta  sono  quasi  sempre  troppo 
semplici  e  poco  degne  di  storia:  quella,  per  esem 
pio,  di  un  amico  che  accompagna  al  cimitero  la 
salma  d'un  compagno  :  o  di  due  amanti  che  si  go- 
dono una  bella  giornata  primaverile;  o  di  uno  stu 
dioso  che  contempla  i  suoi  libri  in  biblioteca  ;  0  ili 
un  nipote  che  va  a  meditare  sulla  tomba  dell'avo 
Wl  Dolore  di  Annie  c'è  un  vero  dramma:  la  S( 
greta  pena  d'una  fanciulla  per  la  colpa  della  ma- 
dre: ma  la  situazione  non  è  run  \.i.  e  già  stata  anzi 
argomento  ili  lunghi  romanzi,  qualcuno  dei  quali 
famoso.  Alla  semplicità  dei  temi  ilei  Foà  conti 
la  forma  nella  quale  egli  li  svolge,  la  tensione  e  la 

La     Lettura. 


contorsione  dello  stile,  lo  sforzo  retorico.  Nell'Ani- 
iiìn  dei  libri  il  protagonista  dice  di  sé  stesso:  «  Me 
videro  allora  bui  pomeriggi  invernali  aspettante  in- 
vano per  ore  in  una  strada  solitaria  un  presto  pas 
sare  dell'adorata  ;    me  videro  notti   primaverili   ve- 
gliante   solo   presso   un'alta    finestra   con    occhi    di 
pianto;   me  videro  aurore  estive  corrente  presso  la. 
sua  casa,  saliente  le  sue  scale,  indugiante  qualche 
attimo  in  una  sospension  ili  tutte  le  forze  presso  la 
porta  nemica,  vagante  poi  senza  meta  e  senza  pen 
siero  per  Innube  e  tacite  vie  ».  Nell'Amante  del  ini 
mine  «  l'anima  si   immergeva  nel  turbine  come   mi 
un  mare  dove  rudi  e  benefiche  mani  passassero 
lei  a  frantumarle  il  duro  smalto  dei  ricordi,  e  l'ani- 
ma  si    rigava   e  s'infiammava   per   molte   linee    prò 
fonde   in   cui    si   consumavano    i    suoi    succhi    vel 
nosi  ».   Il  fulmine  e  qui  paragonato  al  «  cuore  del 
dolore  »;   altrove  une  vede  la  propria  anima,  «mor- 
bida  e   tremula,    aerea    quasi  »,    aleggiare    sul 
prie  er   re,   a   fine  come   l'aria,   azzurra   come  il 
1"...  ...    Ma   poiché  un  protagonista  del   Foà   ri] 

sii  me  i  erte  pan  le  di  nn  romanzo  di  Ari 
tenie  le  iri  sperabile  che  il  gi>  vane  autore, 
tralasci  d'imitare  certi  modelli  troppi    pericoli 

Studi   invile  l'arte   schietta   e  sana   dello  scritti  ri 
centino.   Egli  ha  ingegno  bastante  a  far  pi  i  da 

Carlo  Dadonk:  Come  presi  moglie.  (Torino, 
Streglio  e  ('.i.  !..  2.^,0.  ■  In  questo  suo  volume 
l'autore,   di   cui   i   nostri   lettori  conoscono  una  no- 

28 


•I-;I 


LA    LETI  URA 


velia  fantastica,  /  metti     nsieme  un  roman- 

mente  intitolato  Conte   presi   m> 
e  quattro  minori   racconti.    Uno  'li  questi   ultimi, 

/  i     • .-    -   i)  a      pi       turquet,  <•  privi. lui.,  da  un 
breve  avvertimento:  «  Letti  e  non  ami  gli 

i/i  non  leggere  questo  raccontino».   11   li 
che  non  amasse  gì              i  dovrebbe  astenersi,  ve 
r.  menu-,  dal   leggere  quasi  tutto  il  volume,  a  co- 
minciare dalla  prefazione,  nella  quale  l'autore,  im- 
maginando .'In-  il  stio  l  mi li  critici 

amici,  ii  soltanto  benevoli,  e  ili  censori  feroci, 

recensioni  entusiastiche  o  sdegnose 
che  questi  scriverebbero.  Egli  si  confessa  «  impi 
nitente  ottimista  e  ragazzaccio  allegro  se  ce 
uno  »;  quindi  ha  in  "ili"  l'arte  severa,  l'arte  che 
osamente  indaga  i  gravi  problemi  della  vita. 
Vuol  ridere,  e  far  ridere,  e  spesso  riesce  ad  ottenere 
questo  suo  scopo;  ma  ni  n  sempre,   l'i  - 

ite  le  qualità  dell'umorista,    le  esercita   ancora 
emente.  Nel  Come  presi  moglie,  per  esempio, 
si  trovano  qua  e  là  pagine  gu  ma  che  signi- 

|uella  storia?  Niente,  dirà  egli;   ma  niente  ì- 
troppo  poco.  Ridi  i  bene;  1        na  tuttavia  :i- 

dere  ili  qualcuno  o  ili  'inali'  i    Che  specie  di 

matto  è  quel    Farinelli,   romanziere  d'appendice  e 
ne  raffinato?  E'  un  matto  sul  serio?  Mi 
se  tale,  la  sua  storia,  come  quella  di  tutti  i   for 
Mimati,  dovrebbe  farci  non  soltanto  ridere,  ma  an- 
che  fremere  e  piangere;   e  ciò  non  accade.   1' 
altura  che  sia  un  matto  da  burla,  una  caricatura; 
ma  non  si  vede  «li  chi  o  'li  che  cosa:  non  dei  farrag- 
rittori  di  romanzi  da  quarta  pagina,  non 
del   vizio  della   gola.    Quando    [figenio    Bruscoli   è 
preso  per  un  matti    si  appaio  dal  manicomio  e  vi  è 
rinchiuso  per  forza,  l'umorismo  del  Dadone  i    Fi 
veramente  degno  del   nomi-:    perchè  egli  ci  fa  ri- 
dere dei  psichiatri,  i  quali  trovano  in  quel  malca- 
ano,  tutti  i  sintomi  delle  \ a 
rie  pazzie;  ma  quando  leggiamo  altri  rapitoli  senza 
izioni.   senza  significato,    le   stravaganze  ri    la- 
sciano  freddi   ed   anche  indispettiti.    Nelle  novelle 
se  mancano  le  conclusioni,  il  riso  e  il  sorriso  sono 
più  si-hietti.  perchè  qui  non  siamo  fuori  del  mondo 

un    sapore   di    verità. 
,re.  nel  Giovannino  sposo,  dice  d'aver  pensato 
rivere  «  un  romanzo  vero,  sano  e  commoven 
dal  bel  til        bonario:  Cri    umili  ».  Lo  scriva;   ne 
Ha  fantasia,  umore,  sentimento,  è  siculo 
della   forma;    ha   I  soltanto  di  guardare  in 

mezzo  alla  vita  per  ra]  rne  i  molteplici  a- 

spetti,  compresi  i  gravi  e  dolor,  si  .  o,  se  è  propi 
inclinato   alle   finzioni    gii  «onde,    di    nutrir   di    idee 
il  suo  riso. 

Luigi  \  i:   L'armaiuolo  di  Milano.  (Mi- 

lano, (  logliati),  L.  3.         1  !  irebbe  credi  re 

chi  si  tratti  d'un  romanzo  storico;  ma  nulla  ce  di 
storio  nel  romanzo  del  Venturini,  se  si  tolga  la 
guerra  d'Africa,  alla  quale  \ .1  a  prender  parti,  non 
senza  un  sentimento  di  sollievo  e  di  liberazione  < U 1 
r  Vntonio,  armaiuolo  in  via  Broletto,  il  capi 
tano  Stampella;    perchi  capitani    pare  che 

insidii   la  virtù  della  signora  Paola,  consorte  del- 


l'armaiuolo siili,  dato.  Tutto  il  romanzo  non  è  altro 
che  lo  studio  dei  sentimenti  tumultuanti  nell'animo 

1    Antonio  dal  momento  che  cor* 

I  e   sue   !  aure   prendono  corpo. 

egli  non  ha  la  coscienza  molto  sicura:   è  - 
sempre  un  egoista,  ha  sposato  l'aula  perchi 

comodo,   non  si  .    curato  di  sapere  se  questa 

donna    aveva    un'anima,    una    volontà,    non    ha   mai 

uno  sto:  gentilezza    non  ha  mai  avuto 

uno  slancio  di  poesia.  La  gelosia  sarà  ora  capace  di 

re  il  caratten    di  0  stui  ?  In  un  uomo  di  que- 
sta rozza   tempra   non   si   rivelerà  essa   rozzamente  e 

dmente?  L'autore  assicura  che  il  signor  Ali- 
ti ilio  diventa  un  altro,  e  non  meno  di  trecento  set- 
tanta pagine  sono  impiegate  a  narrare  l'intima  evi- 
ti /ione.  Troppe,  0  troppo  poche  ancora:  perchè,  0 
il  germe  della  gentilezza,  della  poesia  e  dell'amor» 
era  nell'anima  del  protagi  nista,  e  allora  il  romanz 
avrebbe  potuto  ridursi  alle  proporzioni  di  una 
velia  ;  0  non  c'era  e  tutte  le  dimostrazioni  non  ba- 
steranno a  persuaderci.  Ben  preparato  è  il  lieto  stu- 
I  ore  del  marito  nell'accorgersi  che  le  sue  lunghe  an- 
sie  erani  fuori  di  Luogo,  e  che,  mentre  ogni  atto 
della  moglie  gli  pareva  indizio  del  tradimento 
consumato  0  prossimo  ad  essere  consumato,  il  sen- 
timento del  dovere  sempre  iinpe.li  a  lei  di  accogliere 
qualunque  lusinga.  E  il  fine  è  consolante,  trasfor- 
mandosi interamente  l'animo  dell'armaiuolo  alla 
prova  dell'innocenza  della  moglie,  e  chiudendosi  i 
due  coniugi,  oramai  concordi,  nella  propizia  soli- 
tudine duna  campagna  ;  ma  il  senso  di  consolazione 

[uesto  fine  produce  sarebbe  molto  più  schietto 
se  I  improvvisa  concordia   fosse  più  credibile.    Il   ro- 
manzo è  scritto  con   un   tono  arguto  ed   umorisl 
che  non  dispiace,  ma  che  più  piacerebbe  senza  le 
mi  Ite  lungaggini. 

P 0  E  SIA. 

Angiolo    Orvieto:     Verso    [Oriente.    (M 
Treves),  L.  4.  —  Se  La  sposa  mistica  e  //  velo  di 
Maja,  le  prime  raccolte  di  versi  di  Angiolo  Orvii 
furono    concordemente    giudicati     rivelazione    d  un 
ingegno    poetico    sincero    e    squisito,    questo    nuovo 
libro  è  luminosa  conferma  delle  rare  qualità  che  il 

me   autore   dimostri!   di    possedere.    Principalis- 
sima  tra  queste  è  un  singolare  sentimento  della 
tura  e   della   vita,    malinconico   ma    non    disperi 

ico  ma   non   funebre,   fiducioso  ma  non  eie 
rifuggente  da  ogni  estremo,  temperato  e  ■     n] 
tanto  da  intendere  ed  esprimere  il  senso  eterno  delle 

1  sentimento  si  traduce  con  una  forma 

tutta   propria,   che  non  è   preziosa    pur  essendo 
piente,  che  è  semplice  ma   non  disadorna. 

Il  titolo.   Verso  VOrienle,  è  bene  appropriato  al 
contenuto  del  libro,  perchè  definisce  quel  momei 
solenne  nel  quale,  alla  prima  luce,  le  nebbie  della 

e  della  tristezza  si  dis] e  sorridono  le 

speranze  e  le  promesse  di  un  giorno  nuovo,  d'una 

nuova.    L'esperienza    fu    triste,    il    passato    fu 

1  1  :  ma  la  via  che  ora  si  schiude  è  tutta  fii  rita  ; 

l'amore  e  il  lavoro,  le  forze  più  nobili  esercitano  la 

\inii    redentrice.    Come   il   dolore  d'una   voi 
non   fu  mortali',  ma  una  n  mestizia  piena  d 


oblio  »,  neppure  la  speranza  è  ora  senza  fine  ;  e  la 
parola  della  verità  vera  e  ultima  è  espressa  nel 
Ritmo  eterno: 

Disse  il  maestro  dalla  barila  bianca: 
u  Figliuol,  l'anima  è  stanca; 
aspetto  di  morire.  « 

E  il  discepolo  disse:   a  A  rinverdire 
il   freschissimo  prato 
pur  ora  ha  cominciato; 
aspetto  di  fiorire.  - 

E  il  sole  in  alto  disse:  u  Tutto,  tutto 
quello  che  fiorirà  sarà  distrutte; 
e  tutto,  o  tìgli,  tutto  ciò  che  muore, 
détte  il  suo  fiore.  « 

Le  poesie  di  questo  volume  sono  distribuite  in 
più  parti,  tra  le  quali  Selve  e  monti.  Manne  ed  Eie 
gii  svizzere  esprimono  particolarmente  i  moti  dell'a- 
nimo dinanzi  agli  spettacoli  della  natura;  La  Cor- 
no musa  e  Primavera  il  sentimento  della  rinascita 
intima.  Dall'Orsa  alla  Croce,  una  delle  più  origi- 
nali, è  una  specie  di  giornale  di  viaggio,  composto 
dal  poeta  durante  il  giro  compito  intorno  al  mondo. 
Qui  egli  ha  dato  particolarmente  prova  di  buon 
gusto,  perchè  ha  saputo  evitare  un  grave  pericolo, 
dal  quale  i  poeti  viaggiatori  non  si  sono  sempre 
salvati:'  quelli;  di  comporre  una  guida  rimata  e 
Ero  poetica.  Dinanzi  alla  natura  esotica  e  alle  ci- 
viltà diverse  dalla  nostra,  sulle  Montagne  Rocciose, 
tra  i  Pellirosse,  in  mezzo  alle  musmè  giapponesi, 
nei  monasteri  buddisti,  sui  battelli  di  fiori,  dinanzi 
alle  tomlie  indiane,  in  riva  al  Gange,  egli  non  ha 
scritto  se  non  quando  una  forte  impressione  e  una. 
commozione  profonda  si  sono  prodotte  in  lui  ;  e 
queste  sue  commozioni  ed  impressioni  vivaci  egli 
eccita  nell'animo  del  lettore.  Forse  il  suo  volume 
avrebbe  guadagnato  se  qualche  componimento  di 
(gnor  valore  fosse  stato  messo  da  parte:  così  come, 
sta  fra  i  migliori  libri  di  poesìa  apparsi  tra  noi  in 
questi  ultimi  tempi. 

LETTERATURA   E  CRITICA. 

Giosuè  Carducci  :  Ceneri  e  faville.  (Bologna, 
Zanichelli),  L.   4.   --  E'  l'undicesimo  volume  delle 

pere  complete  del  massimo  nostro  scrittore,  e  il 
terzo  della  serie  intitolata  Ceneri  e  faville.  Con- 
tiene  le  commemorazioni  di  Mazzini  .  di  Victor 
Hugo  e  di  Leopardi,  gli  studi  sui  manoscritti  del 
Recanatese,  tredici  recensioni  di  libri  ed  opuscoli 
del  Gozzadini.  dell'Albioni,  del  Balduzzi.  del  Ricci, 
del  Masi,  ecc.,  le  relazioni  sul  concorso  al  premio 
Vittorio  Emanuele  nella  facoltà  di  lettere  in  Bo- 
-  ■'-rna  .  sulle  gare  d'onore  e  sopra  altri  argomenti 
attinenti  alla  pubblica  istruzione,  più  una  quan- 
tità di    pagine  sparse,   lettere,    prefazioni,    epigrafi. 

-    irsi,  alcune  delle  quali  qui  per  la  prima  volta 

unpate. 

Francesco  Torraca:  Studi  sulla  Lirica  ita- 
liana del  Duecento.  (Bologna,  Zanichelli),  L.  5.  — 
Gli   studi  magistrali,  eruditi   ed  eleganti,  pubblicati 


LIBRI  435 

dal  Torraca  in  questi  ultimi  anni  sulla  Nuova  An- 
tologia e  sul  Giornale  dantesco  intorno  alla  poesia 
italiana  del  secolo  XIII.  sono  siati  qui  raccolti  per 
desidèrio  e  suggerimento  di  Giosuè  Carducci:  che 
cosa  si  può  dire  di  più  in  loro  lode?  Diremo  che  i 
cinque  saggi:  //  no/aro  Giacomo  da  Lenitili.  La 
Si  noia  poetica  siciliana.  Federico  II  e  la  poesìa 
froven  Attorno    alla    scuola    siciliana,    il    giu- 

dice Guido  delle  Colonne  di  Messina,  sono  diven- 
tati cinque  capitoli  d'un'opera  organica,  ora  che 
1  anidre,  mettendoli  insieme,  li  ha  riveduti,  modifi- 
cati, accresciuti  di  note  e  di  appendici. 

PSICOLOGIA. 

Paola  Lombroso  :  /  segni  rivelatori  dell  1 
■personalità.  (Torino,  Bocca)  .  L.  3.  -  •  Mentre 
gli  antropologi  .  gli  etnologi  ,  i  naturalisti  stu- 
diano nell'aspetto  della  persona  umana  i  carat- 
teri della  razza  e  le  anomalie  dell'individuo, 
la  moltitudine  dei  profani  vi  cerca  i  segni  del- 
l' intima  natura  dell'anima.  Paola  Lombroso 
ha  qui  appunto  enumerato  e  descritto  i  dati 
più  comuni  che  la  filosofia,  e  con  essa  altre  manife- 
stazioni esteriori,  forniscono  intorno  alla  persona- 
lità umana.  Premesso  un  breve  capitolo  storico  sulla 
scienza  fisiognomoniaca,  l'autrice  entra  rapidamente 
in  materia  esaminando  i  rapporti  fra  le  emozioni 
acute  e  le  espressioni  con  le  quali  si  rivelano  ;  quin- 
di, notato  come  le  emozioni  più  frequenti  preparino 
e  spieghino  le  espressioni  costanti  del  viso,  partita- 
mente  ella  studia  il  valore  espressivo  dell'occhio, 
della  bocca,  della  fronte,  ecc..  riproducendo,  a  ri- 
prova delle  sue  osservazioni,  un  buon  numero  di 
fotografìe  di  persone  note  ed  ignote.  Passa  quindi 
al  valore  espressivo  dell'atteggiamento,  del  gesto, 
dell'incesso;  si  ferma  sulla  scrittura  additandone 
i  caratteri  rivelatori  della  fisiche;  ragiona  del  lin- 
guaggio, considerandone  l'intonazione  ed  il  conte- 
nuto; indica  finalmente  per  quali  note  particolari 
la  professione  eri  il  vestito  tradiscono  l'interno  abito 
degli  individui. 

Diligente,  esatta,  compiuta  è  l'enumerazione  di 
tutti  questi  caratteri.  Avendo  voluto  comporre  un 
libro  popolare,  l'autrice  è  anche  semplice  e  chiara 
nella  forma  ;  evita  la  fraseologia  dei  dotti,  e  quan- 
do le  accade  di  dover  adoperare  termini  scientifici, 
li  spiega.  Al  suo  libro  non  si  può  fare  altra  critica, 
se  non  per  il  carattere  troppo  rigoroso  che  ella  gli 
ha  conferito.  La  personalità  umana  si  rivela  ceri 
mente  per  le  vie  che  l'autrice  designa  ;  ma  questa 
rivelazione  non  è  costante,  totale,  evidente.  Che 
l'abito  non  faccia  il  monaco*  0  che  per  lo  meno  non 
lo  faccia  sempre,  è  affermazione  antichissima,  alla 
(piale  un  grande  poeta  diede  ferma  elegante  ed  ar- 
moniosa : 

ma  non  sempre  alla  scorza, 
ramo,  né  in  fior  né  in   fronda, 
mostra  di  fuor  sua  naturai  virtude. 

Ora  1  autrice  ila  un  valore  troppo  assoluto  ai  se- 
gni  espressivi  ;    segnatamente   la   grafologia  è   per 


43(3  LA    LETTURA 

lei  una  \rr.i  e  propria  scienza,  bastando  la  s 
tura  a  o  melar  ili  un  individuo  non  solo  le  sue  ten- 
dente intellettuali  e  la  sua  cultura,  le  sue  qualità 

[■fino    il  suo  aspetl 

menti,  nello  studio  dell'azione  esercitata  dalle 
professioni,  l'autrice  riduce  gli  uomini  a  certi  tipi 
fissi,  dai  quali  invece  la  vana  e  complessa  realtà 
rifugge.  Il  valore  delle  espressioni  è  tutt'insieme 
ovvio  ed  ambiguo;  per  questa  ragione  spesso  le 
affermazioni  dell'autrice  non  ci  dicono  nulla  di 
nuovo,  e  spesso  anche  ci  potrebbero  indurre  in  er- 
Che  "  un  viso  rubicondo,  pieno,  con  occhi  vivi 
ed  acuti  »  indichi  o  una  persona  benevola,  liei)  di- 
ta ".  che  «  le  guance  floscie,  cascanti  »,  ne  in- 
dichino una  a  malaticcia,  pigra  »,  sono  cose  nelle 
quali  tutti  convengono  Del  ridere  continuamente 
alle  spalle  della  madre,  l'autrice  afferma  che.  «  in 
rale  >  non  è  una  buona  nota  in  una  persona; 
noi  diremo  anzi  che  è  una  pessima  nota  non  in  ge- 
nerale, ma  sempre  ;  diremo  anche  esser  certissimo, 
e  non  soltanto  «  certo  »,  che  «  un  individuo  di  spi- 
rito audace,  pronto  e  battagliero,  a  cui  piaccia  di 
pensare  con  indipendenza  e  di  agire  con  energia, 
non  aspirerà  mai  a  fare  il  sagrestano»;  invece 
non  potremo  credere  che  i  militari,  i  magistrati,  i 
giornalisti  siano  tutti  d'un  pezzo  come  l'autrice  li 
nostra;  né  potremo  affidarci  sicuramente  a  quella 
espressione  che  la  bocca  assume  quando  le  labbra 
si  avanzano  e  si  aggrottano  come  cercando  e  scru- 
tando, se  questa  espressione  è  comune  ai  gelosi  ed 
ai  golosi. 

STORIA    E    BIOGRAFIA. 

1!.    Felicianceli :    Un   episodio   del  nepotismo 
btrgiano:    Il   matrimonio   di    "Lucrezia   Borgia   con 
'anni   Sforza.    (Torino.    Roux   e  Viarengo).    li- 
>  •   !..'i.     -  La  pagina  di  stona  che  il   Feliciangeli 
narra  in  questo  sue    breve  ma  succoso  lavoro  è  una 
più  curiose  che  si   possano  leggere.   Il  papa 
Alessandri:  V I  dà  sua  figlia  Lucrezia  Borgia  a  Gii, 
vanni  Sforza,  signore  di   Pesaro,  nel   1493;   quattro 
anni  appresso  nel    1-107.  glie  la  toglie,  per  darla, 
dopo   la   sentenza   che  scioglie  quelle   prime  nozze. 
VlfonSO  di    Bisceglie,   principe  della  real  casa  di 
Aragona.  Quali  ragioni  guidarono  Papa  Borgia,  in 
do  si  condusse  il  signore  di   Pesar'  .  quale 
rappresentò  il  suo  pi  tente  congiunto  Ludovico 
il  Moro,  duca  di  Milano,  l'autore  riferisce  e  dimo 
1  ri    una   attenta  esposizione  e   una   acuta   cri- 
tica   di    relazioni,    di    lettere,    di    documenti    d'ogni 
s.  ita.    Ad   una   ad   una  egli   narra  tutte  le  trattative 
dirette  alla  conclusione  del  parentado  ed  alla  sua 
oluzione;  e  la  figura  di  Giovanni  Sforza,  inti 
ito  e  pauroso,   grande  a   parole  e  piccolissimo 
atti,   esc,'   viva    dalla    narrazione  sua.    Resta 
invece  nell'ombra  colei  che  noi  avremmo  voluto  0 
re  più  da  vicino,  quella  Lucrezia  intorno  alla 

quale  sii  rici  e  articolisti   hanno 

e  la   fantasia   Nell'episi   lio  che  il    Feliciangeli  ha 

fatti  1  oggetto  '  erche  il  n  incoi."'  ini  imi  1 

e    la  a    si    danno    la    man"  ;     l'autore 

pin  vive  lodi  per  aver  messo  ogni  dili- 


genza nel  ricostruire  la  stona;  ma  noi  gli  saremmo 
siati  più  grati  se,  come  ha  su,!. lisi. ut.,  la  nostra 
curiosità  ih  conoscere  i  costumi  politici  e  gli  avveni- 
menti esteriori,  cosi  ci  avesse  anclic  dato  qualche 
notizia  intorno  ai  costumi  privati  ed  agli  ini 
nienti  di  anime  tanto  singolari. 

Attilio   Siotto:    La   tolleranza    religiosa    so, 
Alessandro  Severo.   (Sassari,   Dessi).  —    Gli  si 
storici    intorno   ai    primordi   del    cristianesimo   sono 
sempre,    come   si    suol    dire,    all'ordine   del    gioì 
questo  del    Siotto   illustra  con   molta  dottrina   una 
fase  particolare  dei  rapporti  tra  lo  Stato  romano  e 
la  nuova  confessione  religiosa:   quella  che  si  svolse 
sotto  l'imperatore  Alessandro.  Che  questi  fosse 
lerante  non  era  dubbio;    l'indagine  critica  dell'au- 
tore è  rivolta  a  precisare  in  quale  direzione  e   in 
che  senso  questa   tolleranza   fu   esercitata.    Egli   si 
rifa  dal   secondo  secolo,  esponendo  quale  fosse  il 
regime  inaugurato  col  rescritto  di  Traiano,  ed  ac- 
certa come  in  quel  tempo,  se  i  Cristiani  1 
sotto  la  spada  della  legge,  non  furono  tuttavia  mo- 
lestati.   Dopo    avere   studiato .    con    la    scorta 
Mommsen.   il   fondamento  giuridico  della    perse  a- 
zione  religiosa,  e  assegnato  le  più  probabili  ragioni 
dell'ostilità  di  Ulpiano.  il  Siotto  entra  nel  dib.v 
relativo  alla  politica  di  Alessandro  Severo.  La  tol- 
leranza di  costui   fu  di  fatto  o  di  diritto;    le  li 
coercitive  furono,   sotto  il   suo  governo,   sospesi 
abrogate?  Dopo  un  accurato  esame  dei  documenti  e 
delle  ipotesi,  l'autore  mostra  Alessandro  clemente, 
spoglio  di  pregiudizi,  disposto  nel  suo  largo  e 
tisiiio  ad   accordare  venerazione  o  rispetto,  comi-    1 
tante  altre  divinità,  acche  al  fondatore  della  nuova 
religione;  e.  se  non  può  dire,  col  Renan,  che  qu 
imperatore  1  reclamò  la  libertà  di  coscienza,  chiude 
il    dotto    lavoro   dimostrando   come   la   politica 
Alessandro    fu    una   tappa   verso   gli   editti    di 
starnino. 

Rodolfo  Giani:   Storia  degli   Stati   Uni; 
mer/ca.  (Milano.  Carrara).  —  La  storia  degli  Stati 
Uniti    d'America,    avverte   ai 

n  più  fortunata  che   fortunosa  ».  Vi  mancano  i   de 
litti.  le  congiure,  i  tradimenti,  le  tirannie,  i  si 
1    pregiudizi,   le  decadenze.    «   Racconta  anch 
errori  e  talora  di  culpe,  ma  più  spesso  narra  di  ar- 
dimenti,   di    sene,,  e   di    perseveranza;    è   storia   il- 
luminata  sempre  da    patriottismo,    pervasa   da    in 
tinsi,  amore  di   libertà,  inspirata  a  sani   ideali, 
ria  di  popolo  non  di  individui  o  di  caste,  storia 
progresso  conseguito   meglio   in    lotte  contro  la   na 
tura  che  per  via   di  guerre  o  di   trattati;   storili 
fine  di   lavoro  ostinato  e  rude,  di  svolgimento  p 
interiore,   di    esplicazione  mirabile  di    tutte 
migliori     energie   untane  n.     Onesta     storia     l'ani 
narra  diffusamente,  cominciando  con  un  cenno  gei 
ni   territorio  degli    Stati   l 
niti    e  i   suoi    primi    abitatori,    e    dividendo  poi    in 
quattro  periodi    la  vasta  materia:    dalla    fondaz 
delle  colonie  alla  pace  di   Parigi  (  1 540-1 763)  ;  da 
eli    inizii    della    Rivoluzione    n Un     pace    di    G 
(1763-1815),   dal    Presidente    Monroe    alla    eie 


di  Lincoln  (1817-1860)  e  da  Lincoln  alla  guerra 
contro  la  Spagna.  Pieno  non  soltanto  di  fatti,  ma 
anche  di  giudizi,  scritto  garbatamente,  ricco  di  carte 
e  di  appendici,  questo  libro,  se  si  rivolge  diretta- 
mente agli  studenti,  è  di  lettura  piacevole  e  profit- 
tevole per  ogni  classe  di  persone  colte. 

Antonio  Vismara  :  Emanuele  Swendetibtng. 
(Milano.  Cogliati).  L.  1.  —  La  figura  dello  Swen- 
borg.  matematico  e  veggente,  teologo  ed  inge- 
gnere, filosofo  e  profeta,  è  una  delle  più  singolari 
ed  enimmatiche,  delle  più  degne  di  studio  e  delle 
più  studiate.  La  psichiatria  lo  ha  detto  pazzo  ;  gli 
spiritualisti  e  gli  spiritisti  lo  onorano  d'una  specie 
di  culto.  Il  Vismara  lo  ha  fatto  oggetto  d'uno  stu- 
dio troppo  rapido  e  breve,  ma  spassionato,  sebbene 
non  sempre  chiari).  L'autore  enumera  e  loda  le  qua- 
lità buone  e  belle  dello  Swendenborg:  la  vasta 
mente,  la  dottrina  enciclopedica,  l'animo  mite,  la 
vita  esemplare.  Xon  tace  gli  errori,  le  insufficienze, 
le  puerilità  della  sua  dottrina  ;  ma  non  esprime  un 
deciso  giudizio  sul  valore  della  dottrina  e  dell'uo- 
mo. Pensa  che  una  visione  del  profeta  svedese  sia 
lettera  morta,  mistica  superstizione  ;  ma  questa  su- 
perstizione lo  alletta  e  gli  fa  esclamare:  «  Guardia- 
mo quell'uomo,  che  inspirato,  rischiarato  dal  lu- 
me divino,  ha  parlato  a  noi,  ai  nostri  padri,  l'ac- 
oento  dell'amore,  della  fede...  ».  Fa  suo  il  giudizio 
del  Gorres.  che  la  convinzione  del  veggente  fosse 
sincera,  e  soggiunge  che  per  questo  autore  le  vi- 
sioni dello  Swedenborg  debbono  essere  attribuite 
ad  un  fenomeno  di  magnetismo  animale,  mentre  per 
molti  altri  dipenderebbero  da  vera  malattia  men- 
tale, da  teomania  ragionante  ;   ma  non  dice  la  sua 


I      LIBRI  4->7 

opinione,  e  l'are  anzi  inclinato  a  negare  che  il  veg 
gente  fosse  pazzo,  perchè  allora  Magnerebbe  giu- 
dicar pazzi  anche  i  profeti  pivi  amichi  e  più  repu- 
tati. Avverte  in  una  nota  che  il  suo  ragionamento  è 
debole,  ma  dice  che  vuol  tornare  con  maggior  stu- 
dio sull'argomento.  Aspettiamo  dunque  quel  più 
maturo  lavoro  che  ci  promette,  perchì  ve- 

ramente troppo  affrettato  e  alquanto  superficiale. 

IGIENE. 

Dottor  Costanzo  Einaudi  :  In  difesa  del  busto. 
Con  lettera-prefazione  di  Mantea.  (Torino.  Renzo. 
Streglia  e  Comp..  1902).  L.  1.  —  Conciliare  i  se- 
veri precetti  dell'igiene  colle  capricciose  esigenze 
della  moderna  toeletta  femminile  riesce  cosa  tutt'al- 
tro  che  facile.  Un  tentativo  di  questa  fatta  rispetto 
a  quell'indumento  oramai  imposto  e  definitivamente 
accettato  dalle  nostre  donne,  che  è  il  busto,  lo  fa 
il  dottor  Costanzo  Einaudi  in  quel  suo  bel  vi  hi 
metto  intitolato  precisamente:  In  difesa  del  busto. 
Che  il  libro  del  dottor  Einaudi  sia  destinato  ad  es- 
ser bene  accolto  dal  pubblico  gentile  cui  è  destinato, 
lo  si  può  affermare  con  una  certa  sicurezza  essendo 
egli,  scienziato,  dotato  delle  necessarie  qualità  per 
farsi  fine  e  corretto  volgarizzatore  della  scienza- 
Ai  senso  pratico  cui  si  informa  il  lavoro,  alla  se- 
rietà degli  argomenti  addotti  in  sostegno  della  sua 
tesi,  egli  accoppia  uno  stile  brioso,  piano,  elegante. 
Ed  io  mi  auguro  che  a  questo  suo  lavoro  arrida  una 
sorte  propizia,  e  che  i  savi  e  garbati  cons  gli  ed 
ammonimenti  in  esso  contenuti,  riescano  graditi  e. 
quel  che  è  più  importante,  vengano  accolti  favore- 
volmente. 

Il  Lettore. 


L'AMORE    DEL    LIBK/O 

E    GLI    EX-LIBRIS 


L'interesse  al  libro  è  ben  altra  cosa  che  l'amore  al 
libro.  Anche  il  primo  presuppone  il  desiderio  di 
leggere  e  d'imparare,  ma  non  include  nessuna  preoc- 
cupazione del  decoro  esteriore  del  libro  e  della  sua 
conservazione.  Poco  importa  infatti  alla  massa 
dei  lettori  ,  che  il  volume  sia  stampato  bene 
o  male ,  bene  o  male  cucito ,  netto  o  sporco  ed 
anche  corretto  o  scorretto.  Il  libro  serve  loro  di  di- 
strazione od  anche  di  studio  per  un  tempo  determi- 
nato, dopo  il  quale  va  a  finire  in  un  angolo  d'un  ar- 
madio o  di  un  solaio,  dove  ammuffisce,  scolora  e  si 
squinterna.  Esso  ha  compiuta  la  sua  missione  di 
far  passare  meno  noiosamente  che  fosse  possibile 
qualche  ora.  o  di  preparare  ad  un  esame  ;  quindi  è 
inutile  più  custodirlo. 

Naturalmente  tale  non  è  il  sentimento  degli  stu- 


diosi e  dei  dotti;  ma  nemmeno  si  creda  l'incuria  li- 
mitata alle  sartine  e  agli  svizzeri  di  guardia  al  Vati- 
cano, che  leggono  il  romanzo  a  tinte  torti  por  coni 
muoversi,  e  poi  lo  gettano  sulla  credenza  sudicia  e 
untuosa.  Ahimè,  in  quante  camerette  di  gentili  si- 
gnorine si  vede  il  volumetto  del  poeta  adorato,  tutto 
scucito,  coi  fogli  mal  raccolti,  e  La  copertina  o  la- 
cera o  sporca!  In  quante  remote  stanze  di  palazzi, 
appartenenti  a  famiglie  nobilitate  da  gloriosi  ante- 
nati, stanno,  alla  rinfusa,  contro  un  angolo,  accu- 
mulati i  vecchi  libri  e  le  carte  dell'archivio!  Quanti, 
infine,  trovatisi,  per  eredità,  padroni  d'una  biblio- 
teca, l'accolgono  con  orrore  e  se  ne  disfanno  subito, 
con  furia,  cacciando  poeti  e  filosofi  sulla  bilancia 
del  rigattiere  ! 

In  tal  caso,  quei  nobili  e  quegli  eredi  sono  molto 


|.;s  LA    1  1.1  M  RA 

al  disotto  delle  sanine  <•  degli  svi/zeri  ricordati  ;  ma 
anche  dove  il  libro  ne  in  si  consideri  più  che  per  l'in 
(eresse  |  pui  i  pn  curare,  e  lo  si  i  ra 

scuri  sul >it> >  dopo,  non  è  lecito  due  che  I"  si  rispetti, 


L\  i.ihkis  >.  ni  ( ;i.u 


ITARINI,  CIRCA  1560. 


e  perciò  che  lo  si  ami,  perchè  chi  ama  una  cosa  o 
una  persona  deve  cominciare  dal  rispettarla,  anche 
per  rispetto  a  sé  medesimo. 


Uno  dei  tanti  fenomeni  della  Rinascenza  italiana 
fu  il  risorgere  dell'ami  ire  per  gli  studi  e  quindi  pei 
libri  e  per  le  biblioteche. 

Con  quale  passione  gli  umanisti,  a  cominciai 
Petrarca  <•  dal  Boccaccio,  si  dessero  alla  ricerca  dei 
manoscritti  <■  narrato  dalle  storie  letterarie.  Altri 
arrivarono  alla  formazione  di  vere  biblioteche. 
furono  il  nucleo  d'alcune  grandissime,  tuttora  esi- 
nti  ionie,  ad  esempio,  la  Marciana  di 
Venezia,  nata  dalla  raccolta  dei  codici  donati  dal 
•  ■animale  III  h,,,ih  .li  Trebisonda  alla  Repubblica 
V(  lieta. 

Così     man    mano   si    diffuse  l'amore  del    libro;    e 

codici  s'erano  voluti  ridenti  di  minia- 
ture,  si  vollero  presto   le  edizioni   nitide,  ben  pr.  ; 

zionate  e  adorne  di  (regi.  Scoperta  la  stampa  1 

nte  in  pieno  Rinascimento,  ebbe 
la  fortuna  di  trovarsi  hn  dalle  fascit  nelle  mani  di 
abili  ali.  in   finezza  e  d'ogni  leg 

1  furono  belli  i  cai  pi/i. 


gli  ornamenti,  e  belli  pure  .  segni  ,/,/  possesso,  ossia 
gli  •   ex-libri S   ».  sui  quali  "ggi  i  signori   Achille   I 

tatelli  e  David  Heni\    l'rior  (affidati  a  qui 
rabile  editore  che  è  lirico  Hoepli)  hanno  slam] 

un  libro  pieno  d'illustrazioni,  che  si  può  dire  ! 
il  piu  splendido,  m  latto  di  bibliografia,  usciti 
Italia. 

«   Aumentandosi,   scrivono  gli    autori,    la  difilli 
„  ne  del   libro  e  volendosi  dare  alla    proprietà   una 

nza  di  maggioi  decoro,  s'abbandonò  la 
.1  ma  senti. 1   affidando    :  lei  possesso  ad  un 

1    ghetto  speciale,  che  dilavasi  sui  cationi  o  dii 
0  al   titolo.    Quest'uso  nacque  e  si   affermò   fin  dal 
«  suo  inizio  in  Germania  coir   una  forma  ci 
a  pietà   ed  artistica,  da  far  pensare  che  ti. 

"  non    l'origine,  almeno  l'ispira/i •.    da  altri  di 

"  menti   consimili  anteriori  ». 

K'  inutili   due  eòe   llenrv     Itoli,  hot,    I  rancese,  vor- 
rebbe   reclamare   il    vanto   di    tali    documenti   alla 
Francia,   ma  i  nostri  autori   trovano  a  rag 
quelle  forme  di  disegno  potevano  bene  svilupparsi  in 
più  luoghi  contemporaneami  nte  e  indipendentemi 
e  soggiungono:  «  11  primo  1,  ,  he  volle  indi- 

«  care  il  prodotto  del  su,,  lavoro  non  lece  altroché 
«  seguire  ciò  che  facevasi  nelle  industrie  d'allora. 
«  Leggi  antichissime  rimontanti  al  secolo  XIII  di- 
«  fendevano  e  regolavano  l'uso  dei  cosi  detti  a  s> 

di  bottega  »  che  più  tardi  ciascun  maestro  do\ 
«  depositare  in  apposito  libro  conservato  da!  ni 
0   della    corporazione.     Questi     segni,    che    veni\ 
«  messi   sugli  oggetti  e  forse  anche  sulle  coperture 
«  che  li  avvolgevano,  dovettero  essere  da  prima  mol- 
«  io  semplici,   perchè  facile  ne  fosse   l'app, 
«  ed  il  pubblico  li  p,, tesse-  ricordare.  Ordinariami 
«  erano  dei  monogrammi  o  delle  lettere  intrecciate 


-   Kx  i.ihkis  -   ni   Carlo   Archisi,,,   eiu,  \    1710. 

«   in  vario  modo   e  spesso   delle  ligure   tratte  dalla- 
n  raldica  o  dal  regno  animale  ». 


I  più  vecchi  .  i  libris,  stampati  su  I  i  parte 

e  incollati  sul  libro,  sono  da  ricercare  in  Germania  ; 

non  tanto  perchè  là  sia  nata  la  stampa,  quanto  per 
lo  straordinario  sviluppo   che  vi  ebbe  la  silogl 
In  Italia  e  in  Francia  si  usò  più  spesso  imprin 
sui  piani,   nelle  rilegature,    il  noni.,   lo     •ninna  od 
un  motto. 

Uex-libris  più  antico  che  .finora  siasi  trovato,  è 
quello  di  Hans  Igler.  bavarese,  che  si  fa  risalire  alla 
seconda  metà  del  secolo  XV.  ma  non  è  di  data  sicura 
come  quello  di  Girolamo  Ebner.  del  1516  Segue  la 
Francia  con  un  ex-libris  'lei  1529  e.  terza,  1  Italia 
con  quello  del  giureconsulto  pistoiese  Nicol;!  pilli, 
in  uso  poco  oltre  alla  metà  del  secolo  XVI.  I  signori 
Bertarelli  e  l'rior  pensano  pero  eh.-  ulteriori  1 
che  potrebbero  far  retrocedere  di  molto,  anche  in 
Italia,  l'uso  degli   ex-libis. 

Ad  ogni  modo  è  certo  che  il  grande  sviluppo  tra 
noi  di  quell'elegante  segno  si  ebbe  nel  see.  XVIII. 
dapprima  col  semplice  stemma  di  famiglia,  poi  .011 
indicazioni  personali,  che  la  borghesia  ampliò  spes- 
oli simboli  d'onorificenze  e  di  cariche  alle  quali 
non  aveva  diritto.  Ciò  nullameno  valse  a  una  mag- 


1     LIBRI  t-'(  ' 

gioì  1   aiutata  pure  dalle  scuole  d'arte  che  ah- 

ido  e  dal  laro  che  gli  ex-libris  si  usa- 
vano talora    »me  ''arte  da  visita  «  che  sono  quanto 
so    abbiano  trovato   i    vignettisti    ita- 
liani ». 

I  nostri  due  autori  e  raccoglitori  non  hanro 
limitata    la    loro    ricerca  alle  semplici   rappresenta- 
zioni incise.  Al  libro  hanno  saputo  dare  un  alto 
lore  storico,  trattando  dapprima  delle  Accademie  e 
delle  Dan  te  del  scolo  XVIII,  tessendo  poi 

.    -ni    principali    1   gnettistì   nostri  . 
ni/iesul  biglietto  di  visita,  sugli 
libris  repubblicani  e  l'araldica  napoleonica,  sulle  so- 
estere  dei  collezionisti  di  ex-libris,  sulle  falsifi- 
cazioni, e  finalmente  offrendo  un  ampio  catalogo  ric- 
1  cenni  biografici  su  tutti  i  possessori,  antichi  e 
moderni,   di   ex-libris. 

Volumi  come  questo  del   Bertarelli  e  del    Prior . 
:  ubblicavano  olir   in    Inghilterra  e  in 

Francia.  Kssi  oggi,  con  l'aiuto  del  comm.  Hoepli, 
hanno  saputo  d'un  tratto  uguagliare  le  più  splendido 
pubi  ;  caziorii  bibliografiche  che.  una  volta,  con  a- 
marezza.   vedevamo  venire  solo  dall'estero. 


Corrado  Ricci. 


Uu*4t(Jj*£>*'i  <& 


^"ex-libris  •■  dì  Giuseppe  de  Festis,  circa  1790. 


DIVISTE 


SOMMARIO 


Il  golfo  ili  Napoli  g,-ol.igia  i  poesia,  pag.  440  —  Mascelle  forti,  pag.  442  —  La  donna-pompiere,  pag.  444  —  Cari- 
caturisti americani,  pag.  446  —  Il  principio  meccanico  del  volo.  pag.  449  —  La  decorazione  dell'uovo  presso  i 
vari  popoli,  pag.  451  —  11  caso.  pag.  453  —  L'istmo  di  Panama  e  il  canale  interoceanico,  pag.  456  —  Bolli  di 
sapone  e  bolle  d'aria,  pag.  459  —  I  circhi  del  Nuovo  Mondo,  pag.  463  —  Fra  i  camini,  pag.  464  -  -  Lhassa, 
la  Roma  del  Tibet,  pag.  (68  —  Le  campane,  pag.  470  —  L'assistenza  agli  animali,  pag.  470  —  Fabbricatori 
di  santi,  pag.  471  —  Il  più  potente  cannone,  pag.  473  —  I  cani  agenti  di  polizia,  pag.  474  —  Università  di 
barbieri,  pag.  475  —  Grandi  nomini  e  uomini  grandi,  pag.  477  —  L'influsso  dell'alcool  sull'organismo  umano, 
pag.  477  —  Il  cappello  a  cilindro  nella  storia  e  nell'arte,  pag.  478  —  Emilio  Zola  Sul  tavola  anatomico,  pag.  479. 


Il  golfo  di  flapoli:  geologia  e  poesia 


(Da  un  articolo  di    Giuseppe    Di    Lorenzo,    nella    Nuova 
Antologia,  del  16  aprile  . 

Il  golfo  di  Napoli,  col  suo  lungo  ordine  di  enor- 
mi e  solfimi  scaglioni  calcarei,  bianchi  e  rosei,  che 
vanno  da  Capri  e  dal  promontorio  della  Minerva, 
sui  flutti  sonanti  e  spumanti,  per  i  culmini  della 
penisola  di  Sorrento  e  i  gioghi  del  nubifero  Appen- 
nino, di  nuovo  fino  al  mare  col  monte  Massico  e  col 
Circeo,  costituendo  così  quasi  la  cavea  a  gradini 
marmorei  d'un  immenso  teatro  naturale  nella  cui 
scena  si  accolgono  la  pianura  della  Campania  Fe- 
lice, le  dolci  colline  partenopee,  le  isole  vaporose, 
il  Vesuvio  fumante,  il  mare  splendente,  il  cielo  lu- 
cente, è  uno  spettacolo  dinanzi  al  quale  lo  spirito 
resta  estatini,  in  contemplazione.  Ma  come  e  quando 
e  penili-  si  e.  venuta  a  formare  quella  visione  mira- 
bile? 

Milioni,  miliardi  forse  di  anni  or  sono,  dove  ora 
si  stende  la  Campania  e  s'erge  l'Appennino,  non  e- 
sistevano  terre,  ma  ondeggiava  il  mare.  Il  gran  mare 
antico,  che  i  geologi  chiamano  ir  ciac  co  ed  eocenici'. 
ituiva  un  immenso  bacino,  che  cominciava  verso 
l'America  centrale,  passava  attraverso  l'attuale  A- 
tlantico  (limitato  allora  a  nord  e  a  sud  da  terre  che 
poi  scomparvero),  occupava  l'Europa  centrale  e  me- 
ridionale e  l'Africa  settentrionale,   si   stendeva   per 


l'Asia  occidentale,  pel  Tibet  e  per  l'India,  fin  verso 
l'odierno  golfo  del  Bengala,  dove  si  confondeva  di 
nuovo  con  l'aperto  oceano.  L'attuale  Mediterraneo, 
il  Mar  Nero,  il  Caspio,  non  sono  altro  che  pozze 
residuali  di  questo  Mediterraneo  antico,  dove  la 
vita  non  era  meno  rigogliosa  di  quella  che  si  svolge 
nei  mari  nostri,  quantunque  fosse  rappresentata  da 
forme  completamente  diverse.  Or  come  il  fondo 
del  mare  è  divenuto  culmine  di  monte? 

Forse  la  Terra,  staccatasi  dalla  grande  nebulosa 
solare,  e  cominciando  a  raffreddarsi,  si  contrasse,  si 
raggrinzò,   si   corrugò   alla  superficie;    forse   l'am- 
masso dei  sedimenti,  in  fondo  ai  mari,  provoca  una 
reazione  termica,  per  cui  gli  stessi  sedimenti  sono  di- 
slocati e  sollevali  dal  fondo  dell'acqua  all'aria  e  alla 
luce;  forse  il  pesante  materiale  di  nuova  fonnazio 
ne  scivola  per  forza  di  gravità  su  qualche  immi 
piano  inclinato  e  si  ammonticchia  ed  accartoccia* su 
se  stesso:  fatto  è  che  i  sedimenti  gradatamente  si  sol- 
levano, si  spostano,  si  ergono  sulle  acque  e  torni. tu- 
ie nostre  isole,  penisole  e  catene  di  montagne.  Que- 
sto avvenne  al  finire  dell'epoca  eocenica  nel  mi 
e  al  margine  dell'antico  Mediterraneo,  dal  quale  si 
alzarono  le  catene  montuose  dell'Atlante,  dei  Pire- 
nei. dell'Appennino,  delle   Alpi,  dei  Carpazi, 
balenìi,  ilei  ('aucaso  e  dell'I! imalaia.  In  quel  tem 
pò.   immemorabilmente  antico  dal   punto  di  vista 
limano,  ma  ecologicamente  recentissimo,  si  abh 
Col    resto  dell'Appennino,    la   grande  conca  calcarea 
1  dì  Napoli  ;  e  il  sollevamento,  continuando 


DALLE    RIVISTE 


nell'epoca  miocenica,  giunse,  verso  il  finire  di  que- 
sta, a  tal  punto  da  essere  superiore  all'attuale.  In- 
tervenne quindi  un  altro  ordine  di  fenomeni,  le 
forze  eruttive  entrarono  in  giuoco,  e  attraverso  le 
pieghe  dei  corrugantisi  fondi  marini  vaporarono  !e 
esalazioni  minerali,  sprizzarono  le  acque  termali, 
fischiarono  i  gas.  eruppero  le  ceneri,  i  lapilli,  le 
pomici,  le  scorie,  e  sgorgarono  le  lave  incandescen- 
denti  che  si  fusero  coi  depositi  marini. 

A  misura  che  i  gradini  di  quel  roccioso  anfiteatri. 
sorgevano  dal  mare,  cadevano  corrosi  dalie  forze 
atmosferiche,  le  quali  coi  venti  e  le  pioggie  ripor- 
tavano di  nuovo  al  mare  i  materiali  agguantisi  nel 
circolo  etemo  della  vita.  Ma  nessun  occhio  umano 
poteva  contemplare  quegli  ignoti  paesaggi,  e  gli 
slessi  vegetali  ed  animali  allora  viventi,  quantunque 
non  più  enormemente  dissimili,  erano  ancora  abba- 
stanza diversi  dai  loro  discendenti. 

Questo  stato  di  cose  non  durò  lungamente.  Sia 
che  l'Appennino  si  deprimesse  o  affondasse,  o  che 
il  mare  si  sollevasse,  le  onde  si  avanzarono  di  nuovo 
sulle  terre  da  poco  emerse  e  raggiunsero,  sul  finire 
dei  tempi  pliocenici,  nell'Italia  meridionale,  un  li- 
vello di  iooo  metri  superiore  all'attuale.  Allora 
l'Appennino  fu  di  nuovo  sollevato  come  da  un  pal- 
pito immenso,  che  ancora  dura,  e  le  acque  ridisce- 
sero al  livello  attuale  del  mare.  Nelle  due  sponde 
dello  sfretto  di  Messina  si  vedono  come  delle  serie 
di  giganteschi  gradini  che  vanno  dalla  costa  fino  a 
1300  metri,  sotto  Montalto,  e  non  sono  altro  che  le 
terrazze  incise  e  spianate  dal  mare  nelle  tappe  della 
sua  discesa.  In  base  a  calcoli  astronomici,  si  può 
dire  con  una  lontana  probabilità  che  quest'ultimo, 
recentissimo  sollevamento  dell'Appennino,  al  co- 
minciar del  quale  apparve  finalmente  l'uomo  suda 
terra,  può  avere  avuto  principio  tra  i  50  mila  e  i 
500  mila  anni  or  sono:   un  attimo  per  i  geologi. 

In  tempi  storici  si  è  potuto  osservare  il  suo  circuito 
innalzarsi  e  affondarsi  con  ripetute  oscillazioni  del 
mare,  e  una  grotta  adoperata  in  Capri  per  bagni  ai 
tempi  di  Tiberio  diventar  prima  un  ignoto  speco 
sottomarino,  e  risalire  poi  a  formare  l'attuale  affa- 
scinante Grotta  Azzurra  ;  e  il  Serapeo  di  Pozzuoli 
immergere  le  sue  colonne  nel  mare  e  poi  sollevarle 
di  nuovo,  e  la  forma  del  Vesuvio  modificarsi  du- 
rante l'eruzione  che  seppellì  Pompei,  e  un  nuovo 
vulcano,  il  Monte  Nuovo,  ergersi  d'improvviso  sulle 
acque  del  lago  Lucrino,  nel  1538. 


Quale  rappresentazione  e  quali  pensieri  destò 
questa  magnifica  plaga  nella  coscienza  degli  uo- 
mini? 

Delle  impressioni  provate  dai  contemporanei  de- 
gli elefanti  e  dei  leoni  non  abbiamo  e  forse  non  a- 
vremo  mai  conoscenza  ;  ma  più  tardi,  coi  secoli,  gii 
uomini  diventati  coscienti,  ebbero  qui  la  visione 
dei  fuochi  ipogei,  specularono  sui  connessi  feno- 
meni fisici  e  metafisici,  e  si  rappresentarono  le  bel- 
lissime forme  del  paesaggio. 

I  Ciclopi  della  Teogonia  di  Esiodo:  Argen , 
Bronte,  Eterope.  dall'unico  occhio  circolare  nel  mez- 


44 1 

zo  della  fronte,  e  i  Centomani  della  stessa  epoca: 
Gige,  Kotto  e  Briareo,  con  cinquanta  e  cento  braccia 
sulle  late  spalle,  rappresentano  i  vulcani,  col  cratere 
centrale  circolare,  i  coni  eruttivi  laterali  e  le  molte- 
plici correnti  di  lava  ;  e  la  Titanomachia  stessa,  al 
pari  della  Gigantomachia.  è  la  rappresentazione  di 
una  gran  conflagrazione  vulcanica.  Che  alla  costru- 
zione di  quei  quadri  abbia  potentemente  concorso 
la  visione  dei  vulcani  del  golfo  di  Napoli,  è  ovvio 
pensarlo,  vedendo  quanta  parte  la  descrizione  di 
quei  luoghi  occupi  nei  poemi  omerici,  specialmente 
nell'Odissea,  e  come  si  rifletta  anche  nei  pensieri  e 
nelle  immagini  dei  grandi  poeti  e  pensatori  greci 
posteriori,  quali  Eschilo,  Pindaro.   Platone,  ecc. 

La  concezione  ellenica  di  questo  lembo  di  Magna 
Grecia  fu  accolta  e  tramandata  dai  Latini.  Qui  vis- 
sero, di  qui  passarono  gli  spiriti  maggiori  di  Roma: 
qui  scrissero  Orazio,  Ovidio,  Giovenale  più  d'ogni 
altro  cantò  questi  luoghi  Virgilio,  nell'Eneide,  dove 
non  ci  diede  solo  una  descrizione  mirabile,  ma  e- 
spresse  quella  stupenda  concezione  fisica  e  metafi- 
sica dell'universo  che  è  uno  dei  più  sublimi  brani 
di   poesia  creati   dall'umanità. 

Nel  medio  evo,  dopo  tanto  fulgore  di  luce,  sct- 
tentrarono  le  tenebre  ;  bisogna  scendere  fino  al  Pe- 
trarca per  leggere  una  descrizione  di  questi  luoghi 
in  una  sua  Epistola  famosa.  Quindi  tre  grandi  spi- 
riti qui  nati,  poco  dopo  che  Michelangelo  aveva 
fissato  nell'empireo  della  Sistina  la  terribile  visione 
della  Sibilla  cumèa,  illuminarono  col  loro  genio  il 
suolo  natale:  Torquato  Tasso,  Giordano  Bruno  e 
Salvator  Rosa.  La  poesia  del  primo  e  le  opere  del 
terzo  sono  troppo  note  perchè  sia  necessario  ricor- 
darle ;  ma  il  secondo  meglio  degli  altri  due  e  più 
profondamente  ha  visto  e  descritto  la  bellezza  della 
sua  terra  :  basti  ricordare  la  magnifica  dipintura 
dell'Appennino  e  del  Vesuvio  nel  poema  De  immen- 
so et  innumerabilibus.  Due  secoli  dopo,  il  Goethe, 
che  amò  e  ammirò  il  filosofo  nolano,  e  che  venne 
nella  Campania,  scrisse,  sul  Vesuvio,  sui  Campi 
Flegrei  e  su  Napoli,  pagine  senza  pari  in  nessuna 
letteratura,  le  quali  dovrebbero  essere  meglio  cono- 
sciute dagli  Italiani.  Sui  Campi  Flegrei,  special- 
mente, compose  Ver  Wandrer,  un  gioiello  inesti- 
mabile. 

Ultimo  venne  Leopardi,  che  passò  a  Napoli  ; 
meno  travagliati  anni  della  sua  vita,  e  villeggiò  alle 
falde  del  Vesuvio.  Qui,  sotto  la  magica  veste  sma- 
gliante che,  come  una  maschera  di  gioia  copre  il 
golfo  stupendo,  il  gran  cuore  del  poeta  sentì  il  tor- 
mento e  il  dolore  degli  uomini  e  delle  cose,  sotto  e 
sopra  e  dintorno  alla  vita  brulicante  sulla  terra  e 
nel  mare,  i  suoi  occhi  profondi  videro  sospesa  in 
sempiterno,  inesorabile  e  sicura,  la  morte,  simbo- 
leggiata dalla  rosseggiante  face  del  Vesuvio  ;  e 
dal  Vesuvio  e  dal  mare  alzando  lo  sguardo  al  cielo 
purissimo  stellato,  vide  che  le  speranze,  le  glorie  e 
le  gioie  degli  uomini,  le  convulsioni  della  terra,  le 
rivoluzioni  degli  astri,  le  trasformazioni  cosmiche, 
tutto  è  caducità,  miseria,  vanità.  Comprese  che  que- 
sto arcano  mirabile  e  spaventoso  dell'esistenza  uni- 
versale è  bello  a  vedere,  ma  non  ad  essere  ;  e  disse 
che  il  non  essere  è  meglio  che  l'essere. 


II- 


LA    LETTURA 


Mascelle  forti 


Il  s  .     i   \\     B    K-  l'i ston,  Hi  1 
n;irr.i  le 

Gustavo 

<  Hillau  e  dì  un  Sili  l  '"ili 

E  II  ira  '  >nllav 
•I 

'11(11. 
11  '  tastavi  >,   datosi 

vanissimo  alle  esercitazioni 

ii  .   si   doleva   che   il 
non  avesse  una  S] 

esse  -  elebre.    Un 
gli    venne   un1  ispirazione. 
Sua  mpiere  in- 

rcitazioni  sulla  corda: 
non  avrebbe  potuto  tener  lui  un 
Ila  i    rda  stessa  o  ii  denti j 
'  \ 
primi  tempi,  la  signora  non  fece 
i  corda  per  a- 
■     del   man;' 
Poco  pei  volta,  denti  e  mascelle  si  rinforza- 
la s  grn  ra   pi       salire  in  piedi  sulla  corda  e 
lare  gli  esercizi.    Più  tardi  venne  all'Onllaw  l'idea 
1  egli  reggeva  l'un  capo  della  corda,  un  altro 
ii(  mo  avrebbe  reggere  l'altro,  e  cosi,  attuata 

•  ituì  il  trio  Onllaw. 
Le  illustra/ioni  che  riproduciamo  danno  un'idea 
sa  sia  ca]  ace  questo  trio.  La  prima  figura 
le  il  trio  rappresenta  un  esercizio  relativa- 
n  dite  semplice:    li    sforzo  è  fatto  tutto  dalle  ma- 
scelle,  ma    i    due 
umani 


Alla  prova. 

gio.  Più  complicata  è  la  prima  posi/ione  nella  pa- 
gina seguente.    I   «  piedistalli  ».   sono  rovesciali,  le 
mani  si  afferrano  a  ^\w  sostegni  e  i  denti 
la  corda.  In  questo  caso  le  masc  >  la 

pressione  esercitata   dall'alto  al   basso,    mentre 
forza  che  porterebbe  i  corpi  a  piegarsi  resistimi 
braccia.  Mentre  nel  primo  esercizio  il  trio  può  ar- 
che  permettersi    dei    piccoli    concerti,    perchè    tutti 
hanno  le  mani   libere,   qui   soliamo  la  donna  può 
suonare  il  mandolino,  senza  accompagnamento.  I- ul- 
tima figura  rappresenta  un  vero  mirai''  1"  dequili- 
brio.  La  donna  sta  in  bicicletta  sulla  corda,  gli 
mini     si     ; 


Madama  sulla  corda. 


DALLE    RIVK 


stalli  »  per  stare  in  quella  posizione,  non  hanno  bi- 
sogno di  compiere  uno  sforzo  straordinario.  Il  loro 

corpo  viene  a  cosi  i 
ire    una     specie 
di   leva  di   pri- 
mo gradi 
bilancia  :   le 
braccia  rap- 


443 

0  della  resi;  (che  in  questo  caso  è  costi 

tuito  dal  corpo  e  dalle  gambe)  è  molto  più  lungo  e 
pesante  del  braccio  della  potenza  (collo  e  testa),  la 
lunghezza  e  il  peso  della  resistenza  compensa,  se- 
condo un  rapporto  semplicissimo,  la  potenza.  Ad 
ogni  modo,  anche  in  questa  posizione,  lo  sforzo  dei 
denti  è  fortissimo,  e  non  senza  grande  pazienza  e 
grande  dolore  il  signor  Onllaw  è  riusciti!  a  sapervi 


I  «piedistalli  umani >  rovesciati. 


[resentano  il  fulcro.  Il  peso  della  donna  e  della  bi- 
cicletta fa  abbassare  la  testa  e  sollevare  il  tronco 
e  le  gambe,  appunto  come  in  una  leva,  abbassan- 
dosi la  parte  ove  si  esercita  la  potenza,  si  solleva 
quella  che  rappresenta  la  resistenza.  E  chi  conosce 

la  teoria  della 
leva  sa  che 
quando       il 

V 


resistere.  Per  reggere  la  corda,  questa  viene  con- 
nessa ad  un  pezzo  di  cuoio  che  ^operatore  tiene  in 
bocca.  Ora  già  a  preparare  questo  cuoio  '■  lavoro 
tutt'altro  che  semplice  e  divertente:  dura  otto  setti- 
mane. Il  risultato  che  si  ottiene  lo  abbiamo  veduto. 
Una  nostra  figura  indica  che  neanche  tre  uomini 
son  captici  di  cavar  di  bocca  quel  cuoio  al  signor 
Onllaw. 


Ili 


LA    Mll  URA 


ha  donna-pompiere 


una  scuola  che  non  esiste  in  [talia:  la  scuola 

;>.  inp  i n  femmine,    tn  rra,  i     |  irecisa- 

men  .ira.  ve  n'ha  una.  in  Greenwich  Road, 

e  tutti  s'accordano  nel  riconoscere 

che  ■  inde  ad  u 

ni  ito .     S] 

[uanto  riguarda  la  protezione 

delle  tenute  ili  caiu- 

ln    multe    di 

iute  i   prò 

pre   |»r    | 

mpe  e  gli  altri 
attre  tenti    a 

spegnere  gli  incendi; 
ma   .1  servono 

gli  strumenti  se  man- 
cano  gli  uomini  che 
sappiano  adoperar 
li.  e  appunto,  specie 
durante  il  giorno  , 
sono  spesso  gli  uo- 
mini che  mancano. 
E  allora,  perchè  non 

si  adoprerebbero  le  donne?  Se  si  insegna  alle  ragazze 
il  nuoto  affinchè  non  anneghino,  perchè  non  si  in- 
segnerebbe loro  il  modo  di   spegnere  gli   incendi  ? 


\  >n  i    consolante  pensare  che.  all'occorrenza,  le  vo- 

domestiche  possono  mettere  l'elmetto  in  ca|« 
estinguere  un  incendio  ? 

Alle  scolare  vengono  insegnati  tutti  i  dettagli  de] 
mestiere:    anzitutto  il   salvataggio,   poi    l'estinz 
del   fuoco  all'interno  e  dall'esterno.  Tutti  i  sistemi 
di   salvataggio,   e   l'uso  dell'idrante  e  delle  pompe 


Ragazze  al  lavoro. 


portatili,  degli  estintori  chimici,  e  altri  mezzi  atti 
ad  estinguere  il  fuoco  all'interno  delle  case,  l'uso 
delle  grandi  pompe  e  delle  lunghe  condutture,  delle 


Una  fiif  brigadc. 


DALLE    KI\  (SrJ  E 


pompe  chimiche,  a  mano  ed  a  vapore,  tutte  queste 
cose  formano  oggetto  di  accurate  lezioni.  E  che  'a 
scuola  dia  buon  frutto  è  dimostrato  da  questo  fatto: 
un  incendio  in  una  tenuta  di  campagna  ricca  di 
numerosi  e  preziosi  tesori  artistici  fu  isolato  per  la 
pronta  azione  della  figlia  di  un  Ioni  inglese,  che, 
dato  l'allarme,  corse  ella  stessa  alle  pompe  e  diede 
mano  ai  primi  lavori  accendendo  la  caldaia  con  'a 
perizia  di  un  pompiere  bene  addestrato. 

Supponga  la  lettrice  di  essere  padrona 
una  grande  casa  lontana  da  ogni  centro  e 
costretta  ad  organizzare  un  sistema  di  estin- 
zione privato,  impiegandovi  le  donne.   Pro- 
curatosi  senza  troppa  spesa  tutto   il   mate- 
riale occorrente,   ella   potrà   prendere  un   i- 
struttore  che  addestrerà  tutta  la  famiglia  e 
le  domestiche  quattro  volte  l'anno  e  periodi- 
camente farà   un'ispezione  alle  macchine  e 
agli  attrezzi.  L'idea  è  buona,  e  gli  inglesi  . 
sempre    pratici,    l'hanno    adottata.    L'autore 
dell'articolo    del    New    Pcuny 
Magaztne,    dal   quale  togliamo 
queste  notizie,  dà  una  lista  ab- 
bastanza lunga  di  famiglie  che 
hanno  istituito  in  casa  piccole 
brigate  di  donne  pompiere. 

Nella  tenuta  di  sir  John 
Blùndell,  a  Childwickbury  ,  c'è 
un  lavatoio  modello  a  poca  di- 
stanza dalla  casa,  e  le  ragazze 
adibite  al  lavatoio  costituiscono 
una  ammirevole  brigata  di  don- 
ne-pompiere. L'  elegantissima 
pompa,  piccola  di  dimensioni  . 
pesa  15  libbre  ed  è  fornita  di 
tutti  gli  ingredienti  necessar  . 
Ogni  tanto  si  dà  un  allarme.  Li 
pompa  viene  messa  rapii  lame' 
te  a  posto,  si  attacca  il  tubo  di 
gomma,  e  una  delle  ragazze  as- 
sume il  comando.  La  pompa  . 
sotto  lo  sforzo  di  altre  due . 
getta  acqua  in  ragione  di  quin- 
dici galloni  al  minuto.  Si  è 
provato  che  dal  mor,  enlo  del 
primo  allarme  al  getto  dell'ac- 
qua non  ci  vuole  che  un  minuto  e  mezzo.  Molte  al- 
tre brigate  simili  si  trovano  in  vari  alberghi,  ospe- 
dali, manicomi,  ed  altre  istituzioni   pubbliche. 

Nel  collegio  di  Holloway,  a  Egham,  il  servizio  è 
organizzato  benissimo.  Vi  sono  tre  sezioni  di  «  stu- 
dentesse ».  dieci  ragazze  per  sezione.  Alle  volte  si 
dà  improvvisamente  il  comando: 

—  Al  lavoro  ! 

Si  suppone  che  vi  sia  fuoco  in  una  stanza  dell'e- 
oificio.  Tosto  viene  portata  alla  porta  della  stanza 
una  pompa  per  uso  esterno.  Varie  ragazze  si  pon- 
gono in  fila  per  passarsi  le  secchie  d'acqua  da  ali- 
mentare la  pompa  ;  due  altre  fanno  manovrare  que- 
st'ultima, mentre  un'altra  dirige  il  getto  d'acqua. 
Tutti  i  preparativi  richiedono  un  minuto.  Al  co 
mando  :  «  A  posto  »  !  ogni  cosa  toma  in  un  ba- 
leno al  posto  abituale. 


44Ò 

A  Mazarion  s'è  costituita  una  brigata  di  venti- 
sei signorine,  le  quali  hanno  dato  una  accademia  in- 
teressantissima e  riuscitissima.  Si  costruì  espressa- 
mente una  torre  di  legno  avente  una  base  di  circa 
due  metri  quadrati,  alta  nove  o  dieci  metri,  e  ca- 
rica di  trucioli  bagnati  di  petrolio. 

Ad  un  dato  segno,  le  signorine  uscirono  dalla  loro 
tenda  e  si  disposero  ai  lati  della  pompa.  Dopo  aver 


fatto  alcune  evoluzioni,  e  dopo  un  breve  intervallo 
per  i  rinfreschi  e  per  il  riposo  (intervallo  che,  a 
dire  il  vero,  non  è  possibile  concedersi  in  caso  di 
incendio),  si  diede  fuoco,  dall'alto  al  basso,  alla 
torre,  e  allora  si  cominciò  a  lavorare  sul  serio.  L'e- 
stinzione del  fuoco  richiese  un'ora.  Si  fecero  e  1 
tazioni  di  salvataggio  molto  interessanti.  La  Ma 
sariou  Firc  Brigade  è  molto  conosciuta  in  tinta 
l'Inghilterra.  Ogni  tanto,  però,  qualcuno  dei  suoi 
membri  diserta  il  campo  per  prendere  mai 

Anche  nel  Collegio  di   Westfield,  presso  Hamp- 
stead,   v'è   una  brigata   femminile  molto  energ 
La  capitanessa   una    volta    diede  un   allarme  mi 
realistico    chiudendo    il    camino,    accendendovi    un 
ceppo  di  legno  verde  e  ferrando  porte  e  fine^ 
Le  «  pompiere",  accorse  nella  stanza  piena  di  fumo, 
poterono  darsi  cosi  ad  esercizi  molto  istruttivi! 


446 


LA    1.1    I  i 


Caricaturisti  americani 


I  ne,  nei  fascicoli  'li  mar 
tprile,  ha  dedicato  due  i  prin- 

cipal  urei icani  L'auti ire,  il  si- 

oas  E.  I  ni'  is,  in  -ti  ha  voluti  i  i  are 
uhm   studio  critico:    si   è   limitato  a   di 

per  via  ili  esempi,  scegliendo  al 
i-uni  tra  i  disegni  più  noti  degli  umoristi; 

adamo  qualcuno  anche  noi,  limi 
tandoci  a  qualche  breve  cenno  sugli  artisti 
prini   i  rdati. 

arìcaturista  del  New  York  Journal, 
■■  il   più  celebrato,   torsi-,  tra  i  caricaturisti 
americani.  Ali-uni  trova suoi  disegni  pie- 
etti,  ma  la  facoltà  invi  ntiva  'li  lui 

bile   I  disegni  di  Opixr,  educato 
alla    scuola    del    Puck,    parlano    immediata 
all'occhio   e   lasciano   pOCO   rampo    al- 

l'immaginazione.  D'altra  scuola  è  Gibson, 
caricaturista  del  Life,  il  giornale  umoristi'  o 
dell  età  per  eccellenza. 

II  Gibson  ha  34  anni.  Al  principio  della 
sua  e  EFrì  i  primi  disegni  ad  un  edi- 

■  uanta   soldi    l'uno: 
l'editore  glieli  pagò  20  lire.   A- 
1  .  I  m  in  ha  —  si  dice  — 
uno  ili    125    mila    lire 

l'anno.   Non  meno  guadagna  cer- 
to Henn    Meyer.  il  più  versa)  ili 
e  il  più  cosmopolita  fra  gli  ar- 
tisti    '  america.    Egli    col  lai 'ora 
in    quasi    tutte    le    pubblicazioni 
umoristiche  americane,  nei  /■/.. 
gende  Blàiter  tedeschi,  nel  Rire 
nel  A'/wg  di  Londra. 
Questo   artista,   che  è   umorista 
non    soltanto    nel    disegno,    serve 
1   modello  a  se  medesi- 
II    suo   viso   ha  espressioni 
tonalmente   mobili   e   mute- 
voli:   tante  volte  egli  si  pone  in- 


.<  Adesso,  linrico,  non  dimenticarti.  11  nodo  sul  cappello  è  per  ricordarti  di  preti 
dcrc  la  medicina  dal  farmacista;   il  nodo  al  dito  è  pei  biglietti  del  teatro;  la  fascia 
pei   ricordarti    di   impostare  la   lettera  per   la  mamma;  e  il  podo  sul 
fazzoletto   è  per  gli  aghi.  Addio,  caro,  e    a  attenzione  ». 

^Otseguc  dì   Oppér,   riprodotto  co/  permetto  itila  ditta  J.  Henderton  and  Sons, 
depositaria  ari  diritti  per  l'Europa. 


La   rttflfdrd  :  Che   bella   nuca! 

di  ."(.    Yautig,   riprodotto  col  petmesi 


Aiuto  ! 
della  ditta  /.   Heatttrian  un  . 


—  Se   non   tornate  indietro  a  domandare  soddisfazione  a  —  V'ha     atto  male  't 

quell'uomo  clic  m'ha  insultata,  non  ■  ictc  un   gentiluomo I  —  Si  -  ma  -  vedete  -  ione  -  un  ■  gentiluomo. 

.■/  ptrattio  della  ditta    l    Htnii 


nanzi  allo  spi 
e  disegna  così,  ri- 
traendo le  pr< 
espressioni,  che  sa 
poi  mantenere  non 
straordinaria 
lità     nel     disegno 
definitivo,   pur  eli- 
minando   ogni    ci 
ratiere     pi 
A     suo     giudi 
uno    dei     migliori 
lavori   usciti   dalla 
sua  |>enna  è:   sfar 
ghetti   e   ,c<-\/. 
ione  .    che    r 
duciamo  tuli.! 
gina  seguente. 

Oltre    a    qui 
artisti -principi  ,    il 


wC  A  ili! 


Incubo  di  un  uomo  che  meditava  di  «  sposare  una  dote  ». 
riprodotto    col    permesso    della    ditta    J.    Hettdet 


TA~ 


Spaghetti  e  gesticolazione- 
Disegno  di  A.   Ueyer,  riprodotte  eoi  permesso  delh  ditta  J.   Hettderson  and  Som. 


.)  |S                                                                      LA    II  11  IKA 

rtis  ne  ricorda  molti  altri:  Arthur  Voung,  Non  possiamo  riprodurre  i  disegni  ili  tutti  questi 

Ila  tecnica,  che  anzi  i  suoi  di-  artisti  che  in  Europa  sono  affatto  sci 'in  .scinti  e  iu 

i   da  dilettante,  ma  piene  di  America  tanni;  furore  e  fortuna  sul  Puck,  sul 


matrimoniali.  —  Lo  sposo  clic  vuol  andare  a  c-is-i  e  i.i  s|>u>u  clic  non  vuole. 
Dittano  di  C.   'D.   Gibson,  riprodotto  col  permfifo  della  ditta  J.   Htndirson  (imi  Som. 

;  i  rat  e  di  buon  tinnire  .  Gus  Dirks  .  un  giovane  sui  fudge,  e  su  tutti  i  supplementi  domenicali  dulie 
come  Young,  Penrhyn  Stanlows,  che  s'è  creato  un  grandi  gazzette,  che  dopo  avere  per  tutta  la  setti- 
tipo  di  donna  tutto  speciale,  la  Stanlows  girls.  co-  mana  strabiliato  i  lettori  con  le  americanate  a  getto 
me  Gibson  ha  creato  la  Gibson  girl;  Sullivant,  continuo,  ogni  domenica  li  fanno  ridere  con  le  ca- 
lor,  Zimmerman,  Richards,  ecc.  ricature  e  i  cartoon. 


Un*  attutane, —  Ah,  che  viti  sotiilcl  i  ra  il  >:uUo  ! 

r    '/    \fr\rr,  e  Mia  ditta  J    Henéerion  anà 


DALLE    RIVISTE 


11" 


Il  principio  meeeanieo  del  volo 

(Dalla  rivista  Fiir  Alle    Welt  . 

•riamo  le  fasi  storiche  dei  me/zi 
sporto  inventati   dall'uomo,   troviamo  ch'essi   erano 

;sai  primitivi  e  semplici.   Pi 
mire  serviva»    carri  a  'lue  ruote  trascinati  dal  ca- 
vallo o  dal  bue  per  strade  disastrose,   e  sul! 
Un  j,  incavato  in  un  tron  nato 

.nule  connesse  strettamente  insieme.    La    len- 
tezza  .li  tali   veicoli   appare  ano  i 
froni  ■  elli,  che.   lari  d  ai- 


tamente  traini  rivati  ai   tri 

nati  sulle  -  ielle  viscere  «  li 

•i  rra  -  siamo  giunti 

msatlantici,  i  fi  rmidabili  mostri  del  mare,  i  di- 
tello spazii .  Col  te  noi  abbiamo 
i   mondi  danzanti  nell 

nei    lontanissimi 
astri  :enti  le  mal  no  colà  a  mi- 

di chilometri  da  noi  ;  i 
mo  visto  in  una   goccia    d:acqua    un    nuovo  mondo 
fremi  misurian         | 

turbinami    sopra  1  este,  ma  non  coni 

plori 
polari  si  inai      ano,  i 
mare,   \  <  rch  ■  firn 
\  [gore  pel  nostro 

lanciata    la   n  i  ila   attra- 

ani,  eli  ma  .1   1 

.-11  un  cilindro  'li  cera, 
Iver  alla  fu. mia  ili  Da*,  idi .  la   foto- 
grafia istantanea  alla  pittura,  le  mai 
rotative  ai   geroglifici,   ma   quanto   a   lan- 
ciarci a  vi  li  1  li    i)'  i   siamo  ancora 
all'inizio  'li  un  sogno. 

che  ne!  mistero  del  volo  più  - 
strano,  è  il  rimanere  librati  nell'alti 
za  alcun  colpo  d'a  rva  nelle 

rondini   e  nell'ari 
lestico,  la  cicogna. 

n   19  minuti 
40  giri  a  vi  0  di  un  pri- 

■    di    Ma    lu     |t 


tt/ze  vertiginose,  trapassano  in  linea  re1' 

la   un  punto  all'altro  dell 

gli  uccelli  furono  sempre  il  sogno  dei  poeti 

e  dei    pensatori    agitati  dalla  passione  tormentosa 

della   rapidità   e   dell'infinito  e  ogni   letteratura  ci 

ha    tramandato    le  melanconiche  strofe   del    loro 

ne  però  miai- 
mente  anche  il  giorno 
del    lavoro    per    la   con-  -- 

ilei  le    ali    negate 
all'uomo  e  mai  forse  co- 
me   ai    nostri    giorni    la 
lotta  0  mtro  la  natura  fu 
più  ardimentosa.   Il  Co- 
ordinatore    dei- 
Esposizione  mondiale  di  Sant  Louis  un  mi- 
li  premio  pel  migli'  r  apparecchio  per 
A  Parigi  si  è  stabilito  un  altro  premio;   a  Londra 
si  è  formato  un  Aereo-club;   in   Italia  200  capita- 
-   no    associati   per   tentare   a  colpi   di   mi- 
gliaia e  migliaia  di  lire  la  conquista  dell'aria  :    un 
ministro  della  guerra  ria  stanziato  la   somma   favo- 
losa ili  900.000  march'   pel  costruttore  .li  un  appa- 
recchio aereo  capace  di  percorrere  due  volte  in  un 
_    rno  la  via  da  Berlino  a  Potsdam. 

E'  la  vecchia  storia  di  Dedalo  che  passa  il  mare 
a    volo,    agitando    ai    venti    le    ali    di    cera; 
troppo  la  vecchia  storia   si   rifletè  spesso,   ma  non 
si   avvera   mai.   Dall'antico  carro  a   due  ruote   len- 

La  Lettura. 


<fs 


no   a    questo    riguardo 
eira    insi  luti. 

Primi   .     perchè     questi 
uccelli    a    differenza 
altri    51  quasi    tuf- 

farsi    nell'aria. 

1  ssi     pi  «si  ino    per 
tanti     minuti     rimai" 
brati    per   un    lunghi 
tratto     dati: 

ilpi  d'ala. 
■  •1  quale  gli  uccelli   pi  ssono  restar- 
t ielle  altezze  del  cielo  colle  penne,  im- 
bili  è  ancora   un  mistero,   tanti     più  che  iinge- 

29 


I  A     I 


>li  un  api  aro chi< i  i 
-•"ii    ;  Mi.   non   i 

immobile  nell'aria   più  ili   due  >>  tr. 
di.  Più  tanli   il   | * t  W      ii  i    tentò 

\.itni  da  i  una   macchina  della   forza  ili 

>:nn>  i  condor  dell'  Vmei ica  (  us- 
ila un  piccolo  rii        i      rsene  sul  suolo 
Di  ve  dunque  si   naso  nde   il   secreti    i 

.  ( ìalilei,  ( ìiusto  ili   I .iebig  i 
che  se  si  vu<  ;  ere  i  problemi  della  natura 

ire   una    \ia    troppo   complicata,    per- 
rdu    i'i" sano  su  principi  sempii- 
mi. 

-    Ra  Ihi  ig    l  uccello  pi  l  rebl  <■  li 
brarsi  immobile  nell'ai  a   perchè  le  due  ali  di 
ni"  luna  più  i  M  altra,  nel  mentre  i 

uffa  nell  aj  la  scia  scivolare  in  s<  n 

i  derebbe  che  le  ali  sono  invece   pi 
(ine  ili  produrre  un'elei  a 
della  prolungata  immobilità  nell'alto   dipenda 
msi  ■. 

i  f 01  ii" ila  dell'ani >ca  tei  ria.  I. 
prodotta  dal  colpi    i  delle  ali 

<_  dalla  ci  ne  dell'ai  ia  che  so 

\  rasi  ill'uccello,  o  sicché   questo 

viene  sospinto  nell'alto.    Ma,  sec  ndo  una  re- 
il  colpo  d'ala  e  11-  ali  stesse  non 
pen   ibili    'i  volo  dei  gri  issi 
L'impulsi    verrebbe  dato  anzi  orizzi  «talmente 
e   il   principio  del    volo  consisterebbe   nell'u- 
del  piano  lungo  il  quale  corre  la 
traettoria  del  movimento;  e  la  sospensione  dell'uc- 
cello sarebbe  qualche  cosa  ili  automatico  comi 
sospensione  ili  una  nave  sulla  suj  erficie  delle  a  [ui 
Si  è  infatti  vi  a  un  ì     elio  morto  nel  volo, 

che  sopra  una  traettoria  ili  20  metri  si  avveri 
tanto  il  piccolo    ibbassamento  'li   \uì   metro.   Cosi 
un  1  le  si  iru\  ì  all'altezza  'li  un  chili  >n 

dal    suolo    può    percorrere   circa  20   chilometri    di 
enza  alcun  impulso  d'ala  e  pei    -  lo  effetto 


gono  tutto  il  corpo  '1  cui  asse  è  sup<  riore  alla  linea 
,1  producendo  così  un  nim  in  iale. 

S  [uarta  la  linea  b  rappresenta  l 


Fig.  3. 

■  1  gravitazione  ori  ma  che  tocchi  terra. 
Neil  1  e  seconda  la  lini  fiata 

a   rappresenta   la  degli   arti  anteriori   di 

del  voli      Nella   seconda 
otto  di  questa  linea  e 
1  me  pi 

le  ali   sos 


zione  delle  prime   penne   mai  è   al  disopra 

della  primitiva    linea  </.    L'uccello   si  trova  cosi    in 

di   riposo,   pi  ggia   si  pra    le  pn  >]  - 
è  evidente   che    non   può    percorrere  lo  spazio 
si  mplice  1  ffetto  della  pi  avitazione. 

Nella   figura  ter/a   l'inclinazione  delle  ali 
cor   più   pronunciata  che  nella   prima   figura.   1 
quale   l'uccello  si   dà  un  impulso  che  viene  ad  au- 
mentan    la    forza   della  sua   gravitazione   vertii 

Secondo  la  nuova  teoria  il  colpo  d'ali  non  è 
quindi  alno  che  una  forza  ausiliaria,  indispensa- 
I  solo   in    eerti   movimenti   verticali,    mentre    se- 

condo  le  ipotesi  antiche  esso  costituiva  il  principio 
unico  ed   imnulsivn  del  volo.    Perciò  seconi 

tesi  N  »  sP  r/i  1  del  Tu 
sareb  leggero,  servendo  piuttosto   alle  mo; 

diffrazioni  «iella  traettoria  da  percorrere  e  ciò  s 
eherebbe   pure    perchi    alcuni  uccelli  sappiano 
ersi  per  uno  spazio  sterminato  sei 

\i  1  1  iggiandi  si    a    1  ale   teoi  ia    uni     stui  i 
il  sif  0  Korl.  d'Amburgo,  costruì  un 

posi;  perfettamente  imitato  dagli 

celli  produceva    abbastanza    fedelmente    lo 

ma  di  wn  volatile  di   lunga  corsa  eolle  grandi 
penne  maestre  e    timonieri-.    L'esperii  lo 

Ilaria  impi  ;li  un   leg| 

n    rhe  il   suo  appi 
a  terra,  eseguì  un  mo\  imenti 
lai  iva  □  -.ti    lungo,    andando   a   radi 

;iiù  lontano  quanto  più  alto  era  il  punto  dal  quale 
1     1  mezzi  1  poi  di  un  filo  tendil 


DALLE    RIVIS  I  I 


p] 


si  poteva  variare  la  posizione  delle  penne  rispi 
all'asse  principale,  ottenendosi   così    anche  un   leg- 
gei     movimento  di  ascesa,  di   rotazione  o  di  curve 
speciali   a   piacimento. 

Il  grande   principio  del    volo  sarebbe   dunque  il 


Fig.  5- 

medesimo  che  già  conobbero  Dedalo  e  Leonardo  da 
\  nei.  principio  confermato  dagli  esperimenti  di 
Maxim,  Ader,  Kress,  Lilienthal  ed  altri,  alcuni  d 
quali  riuscirono  ad  eseguire  delle  lente  discese  da 
cole  altezze,  principio  che  si  può  riassumere  in 
grandi  fatti:  la  gravitazione  naturale  dell'uc 
cello,  e  la  posizione  orizzontale  delle  ali.  Venga 
presto  il  giorno  che  anche  il  volo  dell'uomo  1 1 
la  sua  soluzione. 


ha  decorazione  dell'uovo 

presso  i  varì  popoli 

(Dalla  Die  Gartenlattbe). 

Le   festività  pasquali  simboleggiano   pure   il    ri- 
sveglio della  natura  dal   letargo  iriste  dell 
E'  una  forza  immensa,   latenti    fieli»     «scei     della 
i,  chi    si  divincola  dal  sonno  e  sorge  animatrice 
di  una  nuova  vita. 

E  l'uovo,  che  è  appunto  il   germe  di   uno 
che  anela  alla  luce,  è  pure  il  sii 
priato    all'inizio    della  primavera.    Così   presso  gli 

chi  romani  esse,  aveva  una  gran  pane  nella 
rina  primaverile  ed  anche  oggi  in  Germania  l'u 

gna  è  legato  ad  una  delle  più  care  e  gen- 
tili tinzii  ni  del  mondo  delle  culle. 

La    festività   pasquale    richiama   poi    un    ti 
e  una  fioritura   di   uova    di  tutte  le  grossezze  e  di 


materie  pi      :     i,  di  zucchero,  di  cii     •  lata, 
i  larzapane,  superbamente  di  o  rate  con   pa 
lavoro  di  i  ilievi. 

L'interno  poi    serve  benissimo    per    racchiudervi 
pio  oli  confetti  o  piceni!  doni. 

Nella    Germania   meridionale   le   uova    pasquali 
vi  ngi  m    avvolte  da  un:,  reri  herina   rossa  o 

gialla.   I  copti,  che  si  gloriano  di  avere  una 

se  più  antiche  fra  le  cristiane,  hanno  una  cura 


!•'- 


LA    1  !    Ili  1A 
nani 


ha  dinanzi 
all'altare  a  sei   laminili-  d'argento  - 

ina  da  un  uovo.   1 


si  ni  i    un 

colo  ili  commercio  assai  lucroso;  il  nr-m  r- 
struzzi  aJ  <  roduce  una  j;raii  quantità,  ma 

essi    arrivano    pure   in    nun  nsiderevi 

3    le)  Sudan. 


■  5- 

Ielle  ghirlande  ili    uova    e   conservano 
l'uovo  ili  struzzi,  come  un   amuleto  che  j •  > > r i i   feli- 
ci   he    nelle    mi  schee    ma  si   l  rova 
qualche  uovo,    |m  r  esempio,   nel    monumento 

di  Kart   I  ro. 


F  -.  6. 

raccolta  'li  qui  ste  ui iva  è  ronsi  n 
Museo  d'arte  a  Detroit  ;   è  ili  color  crema  con 
rine   d'uomini    e  d'animali    a    color  bianco    e 
ira    3).    Possediamo    un    altro   modello   ili 
■1  |  «>  con  strana 


l..\l. LE    RIVISTE 


gurine  dell'alto   Egitto,  coprendo   in- 
vece  le  due  estremità  di    lin  e  regolarmen 
cinte  (figura   4).   Ma   la  perla  della   raccolta  è  un 
a  to  del   Sudan  con  detti  tolti   dal   Corano   (1 
ra   i      -         dinaria  poi  è  la  valentia  dei  G  app 

in   queste   decorazioni.    Conserviamo  un    1 
di    Emù.    lo  struzzo   australiano,  da   essi 
ra   5).   in  modo  meravigl 

:ina  di  donna   1  he  agita  il  ventaglio,  su 

uno   stendo   panoramico    veramente   grandioso.    E 
ra   d'arte   di  meravigliosa   iattura.   E' 
puri  un  uovo   dell'Africa  del    NTord,   che 

■ise  varie   figurine  di    idoli,   di   miti,  1< 
midi,    uno  scarabeo,    vari  uccelli   e    la    corona 
llto  e  basso  Egitto. 
Anche  l'America  meridionale  conosce   la   d 
zinne  dell'uovo  :   uno  ne  abbiami  finamente  miniato 
nel  quale  siili.  1  sfondo  di  una  grande  pianura 
valcano  un  uomo  e  una  donna  su  un   solo  cavallo. 
Ed  ora   sarchi.-  desiderabile  che  anche   i   nostri 
artisti  sollevassero  la  decorazione  delfuovo  pasquale 
alla  perfezione  di  un'opera  d'arte,  creando  così  una 
reniale  sorgente  di  lucro. 


Il  caso 


un'articolo  di  Maurizio  Maeterlinck,    nella  Revue  de 

Paris,  del   15  marzo  . 

L'n  vecchio  racconto  serbo  dice  che  una  voil 
rana  due  fratelli;   uno  era  attivo  e  disgraziati.],  l'al- 
tro pigro  e  pieno  di  fortuna.   Il   primo  incontrò  1111 
3     rno   una   giovanetta   che   custodiva    dei    montoni 
filando  un   filo  d'oro.  «  A  chi  appartengono  cotesti 
montoni"-'  —  A  colui  a!  quale  appartengi    ii    -  1  ssa. 
-Ea  chi  appartieni  tu  ?  —  A  tuo  fratelli   . 
la  sua  fortuna.  —  E  la  mia  fortuna  dov'è?  —  I 
tano.  —  Posso  trovarla?'  —  -  Sì,   se  la  cercherai-  » 
!      egli  la  cercò,  e  una  sera,  sotto  un  albero,  trovò 
una  povera   vecchia  addormentata.    Era   la   fortuna 
di  lui.  «  —  E  chi  mi  ha  dato  una  cosi   miserabile 
fortuna?  —  11  Destino.  —  Posso  io  trovare  il  De- 
stino? —  Eorse,  a  furia  di  cercarlo  ».   Ed  eccolo  in 

1   del    Destino,    finché   non    lo   trova    ini 
Destino  vive  nel   lusso  d'un   immenso   palazzo,   ma 
le  sue   ricchezze  diminuiscono   da   un   giorno   all'al- 
tro.  Egli  spiega  che  passa  così,   alternativamente, 
dalla   miseria   all'opulenza,    e   che   la    situazione   in 
cui  si  trova  a  un  certo  momento,  determina   i. 
t'ire  ili  tutti   i  bambini  che  nascono  allora.   «  Vi  : 
siete    venuto    al    mondo»,    soggiunge    al    da- 
ziato,   «quando     la     mia      fortuna     decresceva: 
quindi  tutte  le  vostre  disgrazie  ».    E   gli   Ci  nsiglia, 
per  scongiurare  o  ingannare  la  mala  sorte,    li 

to  la  protezione  di  sua  nipote  Militza.  che 
è  nata  durante  il    periodo   propizio.    Per    fai 
basterà  che  egli  prenda  ci  n  1   Militza  e  che 

risponda.  .1  chiunque  lo  interroghi,  che  tutto  quan- 
to possiede  appartiene  a  lei.  Seguendo  qui  - 
siglio,   la  sorte  del  disgraziato  cambia   infatti   radi- 
calmente:   i  suoi   armenti  ingrassano  e  si   moltipli- 
cano, i  suoi  alberi  si  piegan'    sotto  il  p 
ie  sue  terre  si  coprono  di  messi  |  1  Ma  una 


453 

ntempla  un  suo  magnifico  campi 

di  grano,   uno   straniero  gli   chiede  a   chi   appi 

ih-  spigh.    1  1         •  se.   Egli  din 
l'ammonimento,    e   risponde:    «  A    me  ».    Tosto   il 
fuco  ■  mincia   a   distrug 

Ulora    ramn  li   con 

straniero  e   gli   grida:    .1  Mi   soni 
nato;   non  ho  detto  la  verità      I   rmati,  torna:   qui 
Sto     .ni.)"  ma  di  mia  nipote  Militza  ». 

E  a  parole  il   I  jn  pighe 

spuntano  un'altra  volta. 

In  questa  antica  lej  Maurizio  Mai 

la  prova  che  il   misteriosi,   probi. 

lo  stesso,  dal  primo  giorno  che  l'uomo  co- 
minci.', a  interrogarlo:    la  nostra  ignoranza  e  rima- 
di  in  i  ha  i  suoi  pensieri  e 
Li    sua   volontà   coi   quali    si    guida   nel   mare   della 
vita  ;   ma  in  questo  mare  il  caso  regna  solo  sovi 

sui  flutti,  fra     nostri  atti  chi-  abbia- 
previsti,    intorni     ai    tatti   che  determiniamo,    si 
stringe  e  circola   la    paurosa    moltitudine  dei 
inopinati  e  in  agguato.    L'aria  che  respiriamo,    1. 

'I    tempo   che  .  .    I 

siamo,  sono  popolati  di  ciro  stanze  che  ci  aspettane 
al  vai  ra  la  folla.  Pan 

si,   sti  ane         e  del  i  aso  sap]  iano  quel  che  fanno  i 
contro  chi  del  I  Se  due  uomini  seguono 

alla  -  li    stessi    cammino,  all'arrivo  di  uno 

-  ili.  rano  le  vergini  bianche  con  le  palme,  le  an 

t    re  e  mille  doni  :   all'avvicinarsi  dell'altro,  le  «  ' 

tive   Femminei  che  Eschilo  ha  dipinte,   sorgono  e 
furi  samente. 
Tutti  noi  abbiami  -  ne  o  Im 

zie  .    di  disgrazie  impreparate  ed  immeritati 
affari,  nel    lavi  i  re,   nella  salute.    Il   i 

tor  Fri  issac  in  un  curioso  libro  sul  Caso  e  il  /' 
>tin<      numera  infiniti  i  esempi  dell'iniquità 

lamentale.  lita,    ostinata,    inesplicabile, 

lucibile,  eh  i   la  maggior  parte  delle  e- 

5on     H  tevoli,  fra  gli  altri,  quello 
mirevole  Vauvenargues,  il  più  >t   rtunato  tra  i  mag- 
giori savii.  il  gran  filosi  fi    che,  nonsta  il  ni.  . 
1:.    belli  Zi                              bravura,    rotto    e 
dalle  malattie,  precipita  di  gii  rno  in  _  una 
delusione  immeritata   in  una   ingiustizia  gratuita 
muore  a  32  anni.  noli,    stessi    momento  in     u    l'i 
pera  sua  stava  p.er  essere  appi.  zzai. 1  ;   l'altro  di   1 
surques.    nella    cui    StOl                               mille   Ci 
denze.    che   sembrano   guidate   dall'inferno,    .011.01. 
a  portare  un  innocente  al  patibolo;   e  quello 
1    Aiman  1   di    Rane  ni'  di  1 
Parlamento  di    Parigi,   il  p                 degli  1 
il    quale,    ingiustan                        to    del    sui 
vede  la   figlia  morir,-  sul   letame,  il   tiglio 
la  vita  tra  le  mani  del  carnefice,  la  mogli 
rita  dalla   folg 

I  glia,  vi  mu,  re  di  cri  , 

imbrano  1  1  degli  At ri. li  e 

.   ma   nella   storia 
la   fatalità   accanir  erte   famiglie: 

lignv.   gli    Stuart.   1  une   innoc 

come  la  tìgli;.  I  \    ■    Inghilterra,   I 

Bori  '  •  useppe    1 1    e    Mari:.     \  1  N'ei 


|..  |  LA    LETTURA 

duelli,    ni  mpeste,    in   tutti    i 

chi   del  e 

ii.  ■     di     l'in  • 

in  40  anni  di  -  ilitare,  in  ^o  comi' 

pre  al  pi  -.  non  fu 

•..  «lai   ferro  1 1  1  lai  piombo  ;    mentre 
lo  Oudinot    fu   tV-rito  35    volte  <■   il 

ogni   volta  da  una  palla.   Che 
1    straordinaria    fortuna   dei    Lauzun, 
■      -      ield,  della  1  ostanti 
delitto  dei  Siila,     -     Mario,  dei  Dionigi? 


fortune  e  queste  disgrazie  inaudite 
11    in  gran  parte  da  cause  fisiche  e  morali. 
In  Vauvenargues,  per  esempio,  la  timidezza,  l'irre- 
soluzione o  ]  una  produssero  ef- 
me  in   Maria  An 

i  disastri.  Ma.  tana  una  lai 
^ima  parte  alle  causi    grandi  e  piccole,  in  queste 

nte  ripetute,  in  qui 

indissolubili    di   casi    propizi   ei I   avversi,    rest  1   una 

rtsiderevole,    spesso   capitale,    talvolta    e- 

sclusiva,  che  non  si  può  attribuire  ad  altro  se  non 

all'impenetrabile   ma    in  ibile   volontà    duna 

reale,    chiamata    *  ' 
dita,  Destino.  Vena.  Disdetta,  buona  0  cattiva 
la,    Ala    dell'Ange!  .    Ala    dell'Angelo 

Il  problema  del  caso  non  riguarda  soltanto  l'uo- 
mo, ma  anche  i  suoi  (rateili  nella  vita  animale.  Gli 
animali,  e  particolarmente  quelli  domestici,  hanno 
anch'essi  una  specie  di  destino,  conoscono  anch'essi 
la  felicità  gratuita  e  prolungata  e  la  disgrazia  l'or- 
si inata.  <  !<  me  gli  ui  mini  poveri  1  ricchi 
mei  vi    -0110   i  cavalli  delle  cari 

da  nolo  che  p  ani  mimi,  e 

|uelli  da  Corsa  che  muoiono  «li  vecchiaia  ned'    scu- 
Nelle  1  una  razza  di  cani 

sui  quali  il  destino  esai  -no  furore  e  il  suo 

1     mperati    da   un   macellaio,   conducono   una 
vita  magnifica;   cadmi  in  mano  d'un  vecchio  .he 
race,  glie   i   rifiuti   delle  case,   o  da  un   mercante  di 
sabbia.  0  da  un   povero  contadino,  ne  condu      1 
una  infernale.   I  che  si  ammettano  1,     |   orine 

1  uddistiche,  secondo  le  quali   mesti  destini  dei  Imiti 
sarebbero  il  premio  0  il  d  una  vita  anteri 

restano  inesplicabili.  A  proposito  di  queste  in- 
giustizie, noi  non  interroghiamo  le  potenz 

.    ma  nondimeno    ciò  che  accade  agli  anin 
non  è  forse  altro  che  l'immagine  ingenuamente  sem- 
plificata di  ciò  che  accade  a  noi. 

1     munque  sia.  esistono  uomini  <   «lì 

ogni  altr  za.  hanno  la  mano    \  0  di- 

ta.   Non    invochiamo,    pei    ispiegare   questi 
fatti,  le  leggi  illimitate  dell'universo,  i  disegni  della 
l,  la  volontà  ilei  mondi,  la  giustizia  delle  I 

!  1  ni  - 

inno  qual.hc  cosa   di  meglio    la   fare 

non  sia  l'occuparsi  del  nostro  formicaio  umano. 

ta  di   noi.  della  nostra  vita,  è  in   noi 

la  chiave 

■ 


a    volontà,    uni  ;is  •  1  za 
piti  profonda,  immersa  da  una  parte  in  un  gassato 

al  quale  la  storia  n  dall'altra  in  un  av- 

vi iure  che  i  millenni  non  esauriranno.  In  questa 
stra  vita  incosciente,  enorme,   ini 
rabile  e  divina,  è  la  spiegazione  dei  nostri  casi  prò 
pi/i  od  avversi.   Si   trova  in  noi   un  e- 
nostro  vero  io,   il   ir  -  n  primogenito,   illimil 

universale,    e   probabilmente  ile.    Esso 

una  vita   tutta   sua.   affrancalo  dal    Tempo  e  dallo 
.   K-  ''ne  formidabili  muraglie  tra   le  quali  la 
1.1   ragione  etta   a  scorrere  sotto  pena  ili 

smarrirsi.    Ter    lui    non   c'è    ne    lontananza   ne   vici- 
nanza,   n.'    p.iss.c,,    riè   avvenire.    La    nostra    intelli- 
genza,  la  quale  non  e  altro  che  una  specie  di 
-l    i'  si  enza    su   qui  :  1 1   interiore,   lo  coni 

imperfettamente;    ma   lo  ha   sempre   ammesso 
diversi     numi:     istinto,    anima,     incosciente,     si:' 
sciente,    intuito,    presentimeli:  Gli    si    attribui- 

.1   produzione  di  quella   forza  indeterminata  e 
prodig  osa    die    e    pn  labilmente    lo    -■ 
fluido  vitale.  Verosimilmente  esso  è  della  stess.'  na- 
tura presse  tutti  gli  uomini:    ma   in  alcuni  e  tanto 
profondamente   sepolto  che   non    si   occupa   o'altro 
se  non  delle  funzioni  tìsiche:   in  altri  spunta  conti- 
nuamente  alla    superficie   della    vita  esterna  e 
sciente,    e    continuamente    interviene,    prevede. 
verte,   decide  e  si   mesci  la   alla  maggior  parti- 
fatti  essenziali   dell'esistenza 

Ora    ecco    ciò    che    probabilmente    accade    nella 
buona  o  nella  cattiva  sorte.   Un  evento  pr 
funesto,    prodotto   dalle   grandi    leggi   eteri; 
stilla   nostra   strada,   immillile,   fatale.    Ksso  non  si 
occupa  di  n  .f.  non  ci  coni  sce  neppure;  non  ha  al- 
tra ragione  d'essere  che  in  se  e  per  sé.   Siam. 
stessi  quelli  che  ci  avviciniamo  a  lui  e  che.  arrivati 
nata   delia    sua    influenza,    dobbiamo    fuggirlo 

0  affrontarlo,    girarlo    1     traversarlo.     Supponi; 

l'evento  sia   nefasto:    un   naufragio,   un   ini 
do.    la    folgore,   la  malattia,   l'accidente,   la   morte. 

1  otta,  invisibile,  cieco,  indifferente  perfi 
inalterabile,  ma  ancora  in  potenza.  Esiste,  tutto  tr- 
ina solo  nell'avvenire:    per  noi.  che  abbiamo 

sensi  fatti  in  modo  da  percepire  le  cose  succi  -sma- 
niente, nel  tempo,  è  ancora  come  se  non  fosse  l're- 
cisiarm  ano  ra  miglio:  supponiamo  che  si  tratti  di 
un  naufragio.  La  nave  ''he  deve  perire  non  è  ano  ra 
uscita  dal  1  "rio.  !;i  tempesta  che  deve  scatenarsi  son- 
necchia nel  tond.  del  ciel...  N'ormalmente.  se  nulla 
fi  sse  5i  ritti  .  se  la  catastrofe  non  dovesse  avvenire, 
cinquanta  ri.    venuti   da   cinque  o   sei   di- 

versi paesi,  si  sarebbero  imbarcati  ;    ma.  poiché  la 
nave  è  segnata  dal  destino,  si  opera  una  mistei 
selezione   tra    i    viaggiatori    che    avrebbero   dovuto 
partire   li  -,    imo.  ••  forse,   sopra  cinquanta, 

solo   venti    partono   realmente,    forse   ancora    tutti   i 
cinquanta  che  dovevano   imbarcarsi   restano  a   C 
e  vanno  via  invece  venti  o  Tenta  altri  nei  quali 
voce  del  destino  non  ha  parlato.   Xelle  grandi  e 

il   numero  delle  vittime  i-  ordinariamente  in- 
de   avrebbe   dovuto   essere:    due 
si   urtano,   un   convoglio   che  cade   in   un 
precipizio,    trasportano    meno    viaggiatori    che    non 


DALLE    RIVISTE 


ne  trasportano  quelli  ai  quali   nulla  'li   sinistro  ac- 

,  Un  pi  nte  cade  quando  la  lolla  lo  ha  -_ 
brato.  Una  polveriera  salta,  una  caldaia  -coppia 
[uando  la  maggior  parte  delle  persone  e! 
1  ero  fatalmente  perite  se  ne  sono  allontanate.  La 
cosa  è  tanto  manifesta,  che  è  diventata  una  specii 
di  luogo  comune  dei  reporters:  i  giornali  sono  pieni 
di  frasi  di  questo  genere:  «  Una  catastrofe,  che 
avrebbe  potuto  produrre  conseguenze  spaventevoli, 
grazie  a  questa  o  a  quest'altra  circostanza,  si  è  for- 
tunatamente  ridotta    a...  ». 

E'  clemenza  del  caso?  Xon  si  può  attribuire  al 
usi  una  personalità,  una  intelligenza  e  delle  inten- 
zioni. E'  più  naturale  supporre  che  un  istinto,  negli 
uomini,  ha  fiutato  il  pericolo:  un  istinti  scuro, 
ma  sicurissimo  in  molti.  11  sordo  e  segreti»  panico 
dell'incosciente  si  traduce  con  una  velleità,  con  un 
capriccio,  con  un  incidente  spesso  puerili  e  ino  .ti- 
nti, ma  irresistibili  e  salutari.  Poco  importa  il 
modo  in  cui  l'incosciente  previene  il  male.  Fra  i 
venti  o  trenta  viaggiatori  avvertiti,  due  o  tre  sol- 
tanto hanno  avuto  un  vero  presentimento;  gli  altri 
non  hanno  dubitato  di  niente,  hanno  anzi  male 
detto  i  ritardi  e  le  contrarietà  inesplicabili,  hanno 
fatto  quanto  hanno  potuto  per  partire,  ma  non 
sono  arrivati  a  tempo.  Alcuni  sono  caduti  amma- 
lati, altri  hanno  sbagliato  strada,  altri  hanno  mu- 
idea,  altri  ancora  sono  incappati  in  un'avven- 
tura insignificante,  in  una  lite,  in  un  amore. 

Quelli  invece  che  sono  arrivati  fedelmente  al  con 
vogno  fatale,  appartengono  alla  tribù  sfortun; 
Essi  formano  una  razza  infelice  nella  nostra  razza: 
gli  altri  fuggono,  ed  essi  restano;  gli  altri  s'allon- 
tanano, ed  essi  si  avvicinano.  Prendono  il  treno  cllfc 
uscirà  dalle  rotaie,  passano  sotto  la  torre  nel  m 
mento  che  precipita,  entrano  nella  casa  dove  il 
fuoco  cova.  E,  reciprocamente,  se  si  tratta  di  casi 
felici,  quando  gli  altri  accorrono,  attirati  dalla  voce 
dello  forze  benefiche,  essi  non  l'odono  Certamente, 
i  -toro  hanno  di  che  accusare  il  destino;  ma  non 
nel  senso  che  essi  intendono.  Hanno  il  solo  diritto 
•  li  chiedergli  perchè  non  ha  messi  dentro  di  loro 
quel  vigile  avvisatore  che  protegge  i  loro  fratelli. 
Ma.  del  resto,  non  è  vero  che  l'universo  sia  ad  essi 
ostile  o  che  le  calamità  li  perseguitino:  al  contra- 
rio:  essi  medesimi  vanno  incontro  a  quelle. 


Se  la  parte  del  caso  è  grande,  ni  n  I  -  gna  tra- 
scurare quella  della  fiducia,  della  confidenza.  La 
confidenza,  presentendo  la  buona  riuscita  degli  atti 
e  delle  imprese,  si  sforza  di  conseguirla,  metti  in 
opera  tutte  quelle  arti  che  la  titubanza  e  il  dui 
ignorano,  e  nasconde  quelle  involontario'  debolezze 
di  cui   l'istinto  dell'avversario   approfitta. 

Comunque,  vi  sono  innegabilmente  uomini 
quali  nulla  riesce,  e  la  cui  cattiva  stella  è  cosi  fu- 
nestamente potente  da  portare  al  d  I  I  tutto 
quanto  cade  nella  sfera  della  sua  perniciosa  influen- 
za. Come  bisogna  comportarsi  con  tali  sciagurati? 
Bisognerà  fuggirli  senza  scrupoli,  secondo  i  con- 
sigli del  dottor  Froissac?  Sì,  certo,  se  le  loro 
ture    dipendono    dal    lori      spirito    imprudente,    ri- 


455 

coni  usionario,  offuscai 
pistico.   La  disdetta  è  una  malattia  contagiosa  chi 
spesso    si    propaga    dall'incosciente    d'un    uomo    .1 
Ilo  d'un  altro.   Ma.  trattandosi  di  disgrazie  real- 
ite   immeritate  che  colpiscono  le  persone  a 
.  la  fuga  è  ingiusta  e  vergognosa.   In  sali  1 
la  parte  11  del   nostro  essere  ha  il  dovere  di 

tener  te.-:. 1  alla  saggezza  dell  ente,  di  -tei1 

gli   avvertimenti  e  di  trascinai!'     ad   una   rovina  ol>- 
e  la  vittoria  di  un  ideale. 

(>ra  resta  da  sapere  se  l'incosciente  è  immutabile 
perfettibile.   Osservando  l'ostinatezza  del  destino 
•  li  tanti  uomini,  i  quali  sono  0  sempre  fortunati  0 
sempre  disgraziati,  parrebbe  che  ciascuno  di  noi  si 
ne  forma  uno  invariabile;  ma  si  vedono  pure  ci 
repentini    mutamenti,   certi    voltafaccia,    i   quali   ci 
fanno  dire  che  il  destino  ,'•  cambiato.  E'  un  muta 
mento  del  destino,  o  un'evoluzione  dell'incosciente? 
\,n   ha   esso   acquistato   qualche  esperienza,   e  un 
raggio   d'intelligenza    0   un    lampi     di    volontà    non 
hanno  rischiala'"   [e  sue  tenebri  ?   Ni  11  è  esso  user.. 
dalla  sua  apatia  troppo  confidente  e  dal   suo  sonno 
pericoloso?  Non  ha   imparato  a   prendere  qualche 
parte  alla   vita  esterna,   ad  esercitarvi   una   qualche 
ne?  Ad  ogni  modo,  la  stessa  ipotesi  dell'inco- 
sciente non  basta  a  spiegare  tutte  le  ingiustizie  del 
caso.    Le  tre  più   grandi,   le  tre   maggiori    disgrazii 
che  possono  colpire  un  uomo,   lo  colpiscono  duo; 
nario  prima  ancora  che  nasca:    la  povertà   assoluta. 

la   malattia  e   l'inferiorità   intellettuale.    Ma   si 

-te   tre   sacerdotesse   dell'iniquità    sembrano   proci 
'Ino  in   modo  misterioso  nella  scelta  delle  loro  vii 
time,   la   sor-ente  dei   tre  mali  «he   infliggi  in      '  me- 
ni    misteriosa    che   non    sembri.    Non    è   necessario 
farla  risalire  a  una  voli  ntà   prestai  ilita,  a   leggi   la- 
tali,  ostili,  eterne  e  impenetrabili.  11  primo  di  que- 
sti  tre  mali,    la   povertà,   è  ''"sa    tutta    umana.    1 
ignoriamo  perchè  uno  nasce  ricco  e  l'altro  povero, 
sappiamo  bene  in  virtù  di   quali   ingiustizie  umane 
vi  ì  troppa  miseria  da  una  pane  e  troppa  opulen 
dall'altra.  C'.li  altri  <\uc.  la  malattia  e  l'ottusità  mi  n 
tale,  quando  se  ne  sottrarrà   ciò  che  debbono  alla 
miseria  ••  alle  colpe  anteriori   dei   genitori,   le  quali 
non    avevano  nulla   d'inevitabile,    lasceranno   un   re- 
siduo di  ingiustizie  ostinate  e  inesplicabili,  ma  que- 
sto residuo  di  mistero  entra  nel  cavo  della  mani 
Idi  si  fo,    il   quale   potrà   esaminarlo  a   suo  agii      Pi 
il  momento,  la  saggezza  o  nsiste  nel  non  circondare 
la  nostra  vita  di  maledizioni  e  di  nemici  immaj 
narii  e  nel   non  oscurarla  senza   sufficienti   certezze. 
Quanto  alla  parte  del  caso  negli  avvenimenti  di 
tutti  i  giorni,  ammettiamo  che  la  fortuna  nostra  — 
la     piale  non   è  da   confondere  con    la   vera    feli  ita, 

indipendente  da         o  —    dipenda   dal    nostro  es- 
ine sciente.   Questa  1 1  sa  è  più  verosimile  che 
non    invocare   l'intervento   dell  e  1  unta,    delle 
e  dello  spirito  dell'univi"-"  nelle  nostre  piccole  av- 
are, e  rieso    a     hi    p  tevi  ile  a  noi.   Fi 
il  carattere  del  n.  ■  più  difficili 

ire  che   non    sia    diffìcile   ni'  dilìeare   il    corso   di 
Marte  o  di  Venere;   ma  la  o  -1  sembra   meno 
merica,  1  uè  probabilità 

retto  dovere  prefi  rir  quella  che  ! 


LA    II    [TURA 


I'" 

i  I     sfortunar  fi 

in 
bbe  m 

d'un  caso  inu 
Finché  l'intima  alterezza 

tà  di  continuare  la  li 

he  ci  ei     dove  tn 

ircondati  da   F< 
re,  ma  qui  i  i  ui  abbiali  iìù  di- 

i    .,  i     m 
altre  non  ci  u  se  non  per  i  rap 

che  hanno  con    mella.    L'abbiamo  chiara 

i-  mi i  i iuscii i  a  si u 

diaria  più  <la  vicino,  a  con re  le  sue  abilità     < 

preferenze,   le  sue  antipatie,   le  sue  sviste, 

i    ghii   e  i  denti  di  I  mi  >tro  <  lu- 
ci perseguita  col  nome  ili  ("asci,  di  Fortuna,  di  Di 
stino.    Percorriamo  adunque,   senza   stancarsi,   tutte 
le  vie  chi   con       ono  i  ra         ienza  ali  i  ni 

stra   incoscienza.    Arriveremo  cosi    a   tracciare  una 
e  ili  sentiero  ira  ciò  che  si  vede  e  ciò  che  ni  n 

Dio,  ira  l'individui ■  e  1  un 
.   In  Fondo  a  queste    strade  si  nasconde  il  se 
della  vita.    Aspettando,   ammettiamo   l'ipi 
la  nostra  propria  vita  in  qui 
univi  rsali    la   quale  ha   bisogni >  ili  noi  per  ri- 
solvere i  sui  ii  enimmi,  poiché  ni  ri  siami  -  i  |ui  :.  I  i   nei 
quali   i   suni   secreti   finiscono  ili  cristallizzarsi   più 
rapidamente  e  limpidamente. 

«m».  ■ 

L'istmo  di  Panama 

e  il  eanale  inte.oeeanieo 


Dal  Le   Tour  ttn  Monde  . 


Il  viaj  che  pi  rei  n  re  la    ferrovia  inti 

nica  dall  \  Pi     fico  attraversi  i  l'istmi 

Panama  ha  la  i  isii  ni   grani  li   e  di  >1>  in  sa  della  i 

dell'ui  i ontro  la  natura. 

I  mrisii  hanni  la  convinzione  che  n 

colà    equivale   ad   assistere   alla   disfatta   dell'ard 
e  prima  ano  ra  'li  giungen  i  intravvi 
dono  i  cantieri  abb  e  iti. Hauti,  le  gru  i    li 

li  o  imi  itive    i  ivi  rsati     nel    Fi  ndi  >    dell'immi  i 


i  a   una   fi  iresta  ili   liane  ■ 
i  ne  unn 

di   giuria  e  'li   miliardi.    K    1"   - 
cresce  vedendo  sorgeri    sull'orizzonti.-  la  mas 
ite  della  Culel  t-  arici 

quale  si  si  mo  fi  ai 
nuora    indi    i  mi     una 

i    un  ironia. 

Ma   la   n  a  Ita   si   pn  ;eni  n   I»  n  diversamente.    I 
monti  lati    ultiniamente  il 

vori  i-  ne  ha  ricavata  una  ini|  u  ramlezza 

e  ili  'hi-  qui  ripn  duciai 

i     irrivai    a   Colon,   egli   dice,    piena   la   niente  di 
preconi 

«  (  'l'Imi  ha  si  il"  '  |ualche  secolo  i       i  Uenza  :   il  cli- 
ma vi  è  menu  malsano  che  nel  resti    della 

I  i  >v;i  divenne  di  eonsep za    la 

favorita    !      la  voi  atori.    I  .a  pio  ola  cittadin 
un'agglomerazione  i  di   legno,  ili   stabilir™ 

■  i.   di    vecchi   edifici   abb  i     ma   ha 

dinanzi  a  se  un  mei  venire  di  pn  ispi 

ed  è  di  divei !  el  canale 

ima  delle  città   pin   prosperose  e  ricche  del   mi  n 
\      Fa  capo  dal   1885  una  ferrovia  che  costò  ai  1 
struttori  la  cifra  Favolosa  di  500.000  lire  per  chilo- 
mi    ro  attraverso   Foresti    e  torrenti   per  un  ci  una  u- 
mido  e  malsani    che  in)  oli       n  inaie  di  \  ite. 

11  Ma  la  strada  Ferrata  interoceanica  di  un» 

diatamente  una  delle  più  produttive  del  mondo 

si  anche  accaparrato  il  monopolio  dei  trasporti 
per  una  zi  na  di  300  chilometri  di  larghezza  <<1  ora 
è  'li  1  ropriel  1  della  Ci  mpagnia  ili   Panama  chi 
acquistò  il  o,s  o  o  delle  azii  mi. 

«  Per  me  tutto  era  nuovo.  Lungo  la  via  percorsa. 
m  mi  n  se  stazii  mi  abl  iam  li  nate  segnai  ibita 

/imi    vacillanti    e   malsane   dei    lavi  rati  ri    che   '[ti 
erano  convenuti  da  ogni  parti   del  mondo:  ora  tutto 

di      rti     fino   alla   (  uK  lira,   dove  sotto   la 
ratura  asfissianti   di  35  1  ;  I  attaglia 
titani'                  la  terra.  Tutti  i  popoli  del  mondo  vi 
hann<    rappresentanti  e  vittime  e  nei  numei 
selli   disseminati   sul   tracciato  del   canali-  gli   indi- 
geni   son nfusi   cogli    spagnuoli.   cogli    africani, 

ci  i  cinesi  che  a]  1 gram  li  01    hi  pi  nsi  si  al 

saggi'    del  ni  stro  treno.  Quando  il  taglio  sarà  com- 
pito,   la    razza    fianca    -      issiderà    dominatrice    su 
li  mb     'li  terra,  e  ricaccerà  nelle  loro  tane  le 


Etat 

comparata 


PROFIL    DU    CANAL     TNTEROCEAN1QUE 
EN       JUIN     1901 


VERSANT  DE 


ATLANTIQU  E 


Ib.l^ 


**£ * 


: 


/;      \      J,  VCRSANT     DE      L'OCéAN 

-     2 


- .1  ...   1 1      ■— 


PACIEIQUE 


:**. 

" 

.in  mvetu 

1 


m    rz  Kiio** 


CZL 


'  w  ■ 

■  itsurs 


|    •  ■ 


Per  premiazioni  scolastiche 

Per  letture  in  casa 

Per  biblioteche  scolastiche 

«®»  Medaglia  d'Oro  del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  •«• 

Scopo  della  collezione:  Educare  dilettando. 

Pregi  della  collezione:  Lingua  prettamente  italiana  -  Stile  facile  e  spi- 
gliato -  Soggetti  interessanti  o  umorìstici  -  Xitidezza  e  correttezza 
della  stampa  -  Numerose  vignette  dei  migliori  artisti  italiani  ripro- 
dotte e  stampate  con  la  massima  cura  -  Le  legature  in  tela,  con  fregi 
a  colori  e  oro  e  placche  speciali,  sempre  fresche  e  elegantissime. 
La  maggior  parte  dei  volumi  di  questa  collezione  è  consigliata  dal 
R.  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  per  premio,  per  letture  domesti- 
che e  per  Biblioteche  scolastiche    Boll.  Uff.  I.  P.,  27  Settembre  V 

Nuovi  volumi: 

CAPPELLI  E.  —  In  Svezia  (impressioni  di  viaggio).  Libro  per  la  gio- 
'   ventù,  con  25  fototipie L.     '2  — 

CATANI  T.  —  Il  cavalier  Mirtillo,  séguito  a  "  Barabbino  „ ,  con 
54  vignette  di  C.  Chiostri 2  26 

GIANNETTI  F.  —  Figure  e  paesaggi  toscani.  Eacconti  e  Novelle 
per  i  ragazzi,  illustrati  da  Niccolò  Cannicci,  con  prefazione  di  Augusto 
Franchetti 1   ":> 

MARSHALL  L.  —  Ragazzi  scozzesi.  Libro  per  giovinetti  e  giovi- 
nette, con  illustrazioni 1  — 

Ogni  volume  legato  elegantemente  iu  tela  con  placca  speciale,  L.  1  iu  pi  fi . 

ELENCO   DELLA  COLLEZIONE 
PER  FANCIULLI  E  FANCIULLE 


ABBATTUTIS  G.  A.  (G.  Dosile).  Fate  benefiche.  Rac- 
conti ;  libera  versione  di  G.  L.  Ferri,  con  illu- 
strazioni di  E.  Mozzanti X..  1,50 

8ACCIN1  J.  -  Memorie  d'un  Pulcino,  illustrate  da 
G.  Anicbini 1  — 

—  Come  andò  a  finire  il  Pulcino.  Séguito  alle  *  Me- 
morie d'un  Pulcino  .,  con  illustrazioni  di  C  Chio- 
stri  1.50 

CAPUANA  L.  -  C'era  una  volta....  Fiabe.  Terza 
edizione  fiorentina  aumentata  e  riveduta  dal- 
l'Autore, con  illustrazioni  di  E.  Mazzanti  .  2,50 

-  Il  Raccontafiabe.  Séguito  al  *  C'era  una  volta 

eoa   illustrazioni   di   E.  Mazzanti   e  E.  Cecconi. 
Nuova  edizione 2,50 


CI0CI  A.  —  Lucignolo,  l'amico  di  Pinocchio,  con  C3 
incisioni  di  C.  Chiostri L.  1,50 

—  Moccolo,  l'amico  di  Lucignolo,  con  molte 
sioni  di  C.  Chiostri 1,50 

—  Fioretto,  l'amico  di  Lucignolo  e  di  Moccolo,  eoa 
illustrazioni  di  C.  Chiostri 1,50 

—  I  Tamburini,  con  vignette  di  C.  Sai-ri   .    .   .  1,50 

COLLODI  C.  -  1  Racconti  delle  Fate.   Traduzione 
dal  francese,  con  vignette 2  — 

—  Le  avventure  di  Pinocchio,  sturit  ili  un  bui 
nuovamente  illustrata  da  C.  Chiosili.    .    .   .2,50 

CONTESSA  LARA.  -  Una  famiglia  di  topi.  Romanzo 
Illustrato  da  E.  Mainarli 2  — 


l'i- 


ar 

\l 


\  1 

ci 

vi 


Ili 
eh 
vii 

SI    I 

r.i] 
II' 


nn 
l'a 
piì 


CoUeitoxti  anurca  fymposaà 


FIORENZA.  -  Primo  pagine  della  vita,  hi 
lustrati  .!  i  ai  iUo  Soarselll i 

CHISELLI  E.  Il  fratello  di  Pinoc- 

chio, ovvero  Le  Avventure  di  Pinocchlno.  Storia 
d'un  alt r.  ,   2  — 

GROSSI-MERCANTI  0.  -  Dice  II  proverbio....  Libro  .11 
letton  e  ili  premio,  Illustrato  da  fì.  Kionerk.  1,75 

MANTICA  G.  -  Il  Ccce.  Fiaba,  oon  Uliutniionl  di 

C      ^.UTI I.     il 

MAZZONI  L.  -  A  tempo  perso.  Racconti  .   .  .  1,25 

PERODI  E.  —  Cuoricino  ben  (atto.  Libro  di  lettura 

per  li*  Simuli'  e  li-  famiglie,  culi  illustrazioni  ili 
E.  Mozzanti 1,50 


PETROCCHI  P.  -  Nel  boschi  Incantati:  Quarta  adi- 
r.lone  (prima  fiorentina),  c.m  numerose  illustra- 
doni  "ri-m, ili  ili  e.  chiostri ' 

REMBAOI-MONGIARDINI  G.  -  Il  segreto  di  Pinoc- 
chio, ■  rcUbrè  burattino  d 

■ni  di   li.  Magni    .... 

SAVI  LOPEZ  M.  -  La  Storia  di  Orlando,  con  Illu- 
strazioni di  A.  Zarito 1,25 

VAMBA  (Luigi  Bettolìi).  -  Ciondolino,  oon  ljv  in- 
ni di  0,  Chiostri,  delle  quali  io  a  oolorl  (oro- 

iii  ii|,i,u 

ZAMPINI-SALAZAR  F.  _  Piccollna.  Romanzo,  con 
splendido  vignette  di  <;.  Anii-hinl.    .    .    . 


Ogni  Wilmut-  legato  elegantemente  in  tela  con  placca  speciale,  L.  1  in  più. 


PER  GIOVANETTI  E  GIOVANETTE 


ALFANI  A.  -  Ernestino  e  II  suo  Nonno.  Libro  di  let- 
tura. Terzi  ni  Illustrazioni .    i 

CATANI  T.  -  Al  paese  dei  canarini,  con  aomerose 
incisioni  di  Ci.  Dacci.  Seoonda  edizione  .   .  1,25 

—  Al  paese  verde.  Fauéggiatt  Alpine.  Nuova  edl- 

oon   i  '  vignette  di  G.  Ducei    .   .    .   .       0 

—  Rina,  con  disegni  di  G.  Ducei 1,50 

—  Le  Isole  dell'Arcipelago  toscano.  Viaggio  di  Pirro 
Colpodivento,  con  Illustrazioni  di  C.  Chiostri.  1,50 

—  Barabbino.  Avventure  di  dui  vcarabti,  con  62  vi- 
gnette di  e.  Chiostri 2  — 

CHECCHI  E.  -  Racconti  per  giovinetti  con  il 

zioiii  di  E.  Mozzanti 2  — 

CIOCI  A.   -  Fiaccolino.  ci.n  molte  illustrazioni  di 
il,  m- 2  - 

COLESCHI  D.  -  Racconti  per  le  Giovanetto,  . 
lustrazioni  di  e.  Serri 1,10 

COLLODI  C.  -  Storie  allegre,  illustrato  da  E.  Staz- 
zanti  1,60 

—  La  Lanterna  magica  di  Giannettino,  lllosti 
E.  stazzanti 

CONTI   G.  -  L'eredità   della   matrigna.   Kom.ui/o. 

di  A.  Li 
FAVA  0.  —   Francolino.    1 
gnette  di  <;.  Kienerk,  Seconda  edizione,   .  2  — 


FERRARA  P.  —  Topino.  Avventure   li  un   fanriuOv 

giapponeté  a  Hapoti,  con  molte  lllastrazlonl  di 

serri L.  1.75 

FIORENZA.  -  Il  cuore  dei  ragatii,  oon  molte  illu- 
strazioni di  C.  Sani    Bea    .  i.i  edizione  .  .  2,50 

FOIANESI-RAPISARDI  G.  -  Memorie  di  collegio,  con 
Ulastrazioi  rnj 1.50 

FORTI  G.  -  Quand'ero  bimba,  con  lllastrazlonl.  1,50 

PERA  F.  -  Cento  Proverbi  italiani,   commentati,  e 
Illustrati  con  100  ligure  di  G.  Magni   .    .    .  1,10 

PERODI  E.  —  I  Bambini  delle  diverse  nazioni  a  casa 
loro,  eoli  illustrazioni  di   B,   Ma/./uuti  .    .    .  1,50 

—  Cuore  del   popolo,  con  illustrazioni  di  Adolfo 
Bi  arseli 1,50 

REMBAOI-MONGIARDINI  G.  -  Aladino  a  tu  per  tu 
con  le  stelle,  con  Ioni  di  OL   s.irrl  e 


E.  1- 


2,50 


RIZZATTI  F.  —  Le  brave  bestie,  oon  splendide  il- 
lustrazioni di  G.  Anlcblu! 1,50 

SAVI  LOPEZ  M.  —  In  riva  al  mare,  con  Illustrazioni 

■    ■  'i-i 2  — 

VECCHI  A.  V.   -  Racconti  di  guerra  e  di  mare,  di 
Blndibad-al-Babarl,  illustrati  da  E.  Mazzuoli.  2  — 

-  Racconti.  Fiabe  e  Fantasie.  Libro  utile  e  dilet- 
tevole, con  illustrazioni  di  E.  Mozzanti  .  .  2  — 


Ogni  volume  legato  elegantemente  in  tela  con  placca  speciale,  L.  1  in  più. 


Etaf 

compdr; 
fr*v»u 

EXfCub 


Spedizione  franca  di  porto  nel  Regno  -  Inviare  richieste  accompagnate 
da  vaglia  o  cartolina  vaglia  agli  Editori 

li.  li  EMPO  li  AD  &  Figlio  -  Firenze. 


HALLE    RIYI>  I  E 


a 1 1 re  razze  che  con   lei   sul    lavoro   hanno  pianti 
rto! 
(i  A  Panama,  come,  de]  resto,  in  tutto  l'istmo,  nes- 
suno può  arrischiarsi  a  battere  la  campagna    fi 
e  vie  e  dei  sentieri   battuti. 
«  Nella  grande  pianura  l'acqua  stagna    fra 
alta  e  dura   in  cui  mormora  il   ronzìo  di  una   . 
micidiale    inoculatrice    della    febbre    giall 
spessi    sibilano  i  serpenti  velenosi  dell'Equatore. 

«  Unico    passeggili    della    città    è    il    gran    pan, 
dell'ospedale  francese,   dove  nei  calmi   tram   n 

recavi  durante  il  mio  soggiorno  a  godere  un'i  ra 
di  pace  e  di  frescura.  E'  un  delizioso  giardino  che 
sorge  sul  pendìo  di  un  celle  •■  demina  dall'alti    - 


I  '7 

disastro  del  fallimenti  i  e  le  spi  rana   che  i i  a  si  u 

i    li  no  allupi  :  i, ii!. inde  dall'alto  i li 

Culebra   si   volge   l'occhio   all'immensa   dis 
I  ..uni.  ai  cani  ii  i  i  in  attn  ita,  sulle  o  >li  ss. ih  ,  i  ina  ■ 
sui   cui   immensi   gradini   si    agitano   in   ridda    pa 
i    spai  enti  «  i    li    mai    hini    a   \  ipore,  non  si   può 

' !i   \  i  i     "  di   -angue  pel  miliari!' i  chi 

su  '  [uella  e  sprofondato  come  in  una 

>.i  ragine,  e  di  pian  i    sventure  della  Francia 

e  sulle  se  '"li  son  cadute  o  i  piccone 

in  inane,  divorate  quasi  dalla  vendetta  della  terra 
H  II  pn  igi  tti    del    aglio  dell  istmi  ■  risale  al    i 

in   cui    Bolivar,    creata    l'indipendenza    della    sua    pa 

t ria.  ebbe  pel  primo  l'idea  grandiosa     Da   allora  i 


un  gran  cielo  turchino  la  città,  i  treni   rotanti  sulla 
i  linea  ferroviaria  e  le  isi  letti   smarrite  ni  I  golfo 
azzurrognolo.    La    vegetazione    vi    è    meravigliosa: 
grandi  palmizi  sorgenti  dai  rugiadosi  par', 
•  'reggiano   le   lunghe  corsie   di    leg  dei 

ori   e   della   morte,    alle   cui    finesti 
ipare  rapidamente  la  bianca  figura  del 
sui  re  francesi,   le  suore  che   noti   mancano   mai    in 
nessun  campo  di  battaglia.   E  i  gni  -era.  quando  io 
mi  assidevo  sotto  una  gran  [ialina  nel  mi 
misten    del  tramonto,  un  e  veniva  a  chie 

mi  notizie  della  sua  Francia  e  nei  grandi  occh 
zurri  e  buoni  era  l'amore  della  patria  lontana  che 
non    si    era    spenti     sul    teatri     di    tante 
umane. 

"  Prima   di   visitare   i   cantieri    della   Culebra.    io 
potei  studiare  la  sti  ria   del   canale   lino  al    18S7.   il 


progetti  più  ai 

Wyse  e  Reclus  pri  il  loro  pi  li  ca 

naie  a  livello,  affid;  1  Ferdinando  di  Li 

in  cui  si  aveva   una   fiducia   illimitata  pel  buon 
sito  del   taglin  dell'istmo    di   Sin/.    I!    canal 
\  1  \  ;i    .e .  re   73  etri  di    lunghe// 1  1     la  1  lai 

dell'apertura,   da  celebrarsi   con 
diali,   era    fissata   pel    ,}i    gennaio    1893.   Tutti   s 
.ano  il  trionfo  quando  una  bancarotta,  chi    1 
nti  se  vergi  gne  dell'irmi 
lità  latina,  sconvol  gra  e  l'indi 

un   miliari 
44_5  milioni  ei  5Ì   nei   lavori:    il 

sto  era  scomparso  '. 

Qualche  anno  più  tardi,  nel  1890.  una  nui  va  & 
■  itin  ci  il  niudest, ,  capita  ' 
65  11  'ni  essa  l.i'.  1  1 a  [uat- 


,3S 


LA    LETTURA 


tremila  operai,  ed  nel  giugno  del 

iooi  quasi  alla  metà  dell'immane  Lnuri. .  Con  un 

,   dovette  abl 
i  .         mal     d  unici    livello,  che  imj 
i  una  cifra  'li  miliardi  e  dovette  adottare  con 

:  li    retto  ili  canale 
.1  chiuse  '"un  vari  livelli.   Per  questo  nuovo  'li-' 

.    prò!  demi  : 
«  I.  —  Procurarsi  un  approvigionamento  con- 
siderevole d'acqua  utilizzando   le  i         >    del    Rio 

1 1  Sun  li. in-  la  natura  del  terreno  inf 

l  Culebi  urai       e  il  monte  non 

franato  dopo  la  a  struzione  <li  una  trincea 
"la  70  metri  : 

.1  111.         Paralizzare  gli  effetti  micidiali  del 
clima. 

«  Quanto  al  primo  problema,  gli  studi  sul   Rio 
Chagres  mostraroni    che  le  cascate  normali  del  fiu- 
me e  la  sua  portata  media  bastano  ad  alimentare 
un  gran  lago  ili   riserva   per  l'innalzamento  ili  li- 
vello  delle  acque  ed  a  fornire  forza  elettrica  suf£ 
r  la  manovra  delle  rhiuse  e  per  l'illumina- 
notl  urna. 
«  Quanto  ai  pericoli  'li  franamenti,  gli  scandagli 
praticati  nella  Culebra  hanno  scoperto  una  roccia 
durissima  che  permette  una  trincea   profondissima 
.,  nza  so  -'■■  ni 
«  Finalmente   riguardo   al   ter/o   problema  della 
.  che  implicava  una  grave  questione  uma- 


nitaria, la  nuova  Società  rinunciò  ad  impiegare  i 

negri  e  i  cinesi  che  avevano  mostrato  poca  resisten- 

1  clima  micidiale  dell'istmo  e  chiamò  ai  lavori 

gli  abitanti   della   I  cui   offerse  un   salario 

i.ilien  1  'he  varia  da  5   a   7   lire. 
1  La  nuova  Coni]  ignia   ha   mostrato  che  il  ta- 
llii 1  istmo  non  è  un'utopia  neppure  con  capitali 
limitati.   Essa,  infatti,  ideò  un  progetto  con  tre  li- 
velli differenti.   Aperto  finalmente  il  canale,  gli  in- 
troiti permetteranno  di  ridurre  i  livelli  prima  a 
e  poi  ad  uno  solo.   Allora  scompariranno  le  eh 
e  le  navi  sospinte  dalle  eliche  passeranno  fra  i  due 
oceani  come  ora  passano  a  Suez.  Gli  studi  compiti 
hanno  dimostrato  che  la  spesa  per  l'immediata 
struzione   di   un   canale   ad   un   unico    livello   ol 
passa  i   due  miliardi  e  mezzo,  cifra  che  supet 
risorse  finanziarie  di  una  sola  nazione,  mentre  col 
sistema  dei  vari  livelli  non  costerà  che  800  milioni 
e  sarà  o  mpiuta  in  sei  anni. 

«  Sventuratamente   fra    un    anno    la    Compagnia 
avrà   esaurito  tutti    i    suoi   capitali  e   i   picconi   ca- 
dranno  a   terra   per   sempre,   attendendo  che   t 
all'ultimo   momento    un'altra    Società    speculati 
comperi  per  pochi  milioni  ciò  che  ormai  ha  ingoi 
un  miliardo.   Eppure,  anche  dato  il  disastro  o 
sale  della   prima    impresa,   noi  ci   inchiniamo  rive- 
renti all'ardimento  latino  che  primo  ebbe  il  sogno 
gigante  dell'opera  meravigli'  sa  che  sarà  fra  le  più 
vaste  e  profonde  rivoluzioni   economiche  nel   mer- 
cato mondiale  ». 


ria  si  .1 


DALLE    RIVI 


}."'  » 


Bolle  di  sapone  e  bolle  d'aria 

Da  un  articolo  del  Pearson's  Magazine  . 

Una  cannuccia  e  una  scodella  di  spuma  di  sa- 
pone hanno  divertito  innumerevoli  generazioni  di 
Eanciulli.  Vedere  la  sottile  membrana  di  una   I 

i   atamente  espandersi  e  splendere  di  colori  iride- 
scenti e  divenir  grande  abbastanza  da  poter  essere 
lanciata   in   aria  come  un   fragilissimo   pallone,   è, 
,,1  i    sempre  stato,  un  raro  piacere  per  tanti    Fan 
ciulli  e  tante  fanciulle.   Con  ciò.  per  al- 
tro, non  va  inteso  che  le  bolle  ili 
siano  tali  cose  da  dover  occupare  soltanto 
menti    infantili,    perchè   molti   scritti    dot- 
tissimi e  per  lo  meno  un  libro    son  stati 
compilati    dagli    scienziati    sulle   bolle   di 
sapone  e  sulle  leggi  che  le  regolano. 

In  questo  articolo  l'autore,  col  sussidio 
di  illustrazioni  fotografiche,  vuole  mo- 
strare quanta  siano  interessanti  le  bolle  di 
sapone  e  le  bilie  in  generale. 

Ad   ottenere   bolle   abbastanza    di 


per  vm  attento  studio 
si  richiede  una  buona 
soluzione  di   sapone. 

L'autore      raccoman- 
da    questa:    si     sciolga 
mezzo   dramma    di    so- 
da    caustica     in     venti 
nce   d'acqua  .    aggiun- 
gendo      tre       dramme 
e  mezzo  di   acido  olei- 
co   (i);    e    dolio    aver 
asciato  riposare  il  composto  per 
circa  un   giorno  entro  una  botti- 
glia   ben    chiusa,    si    aggiunga    a 
tre     parti     della     soluzione     una 
di     glicerina     pura;     si      scuota 
bene    il    tutto    e    si    lasci    ripo- 
sare due  giorni   ancora,   dopo  di 
che   non   rimane   che  da  separare 
il   liquido  puro  dalla  schiuma  ri- 
masta   in    alto.    Questa    soli 
ne,  che    costa    pochi    soldi,   ba- 
sta    per     molte     esperienze.     La 
glicerina     conferisce     grande     e- 

ità  alla  bolla,  per  modo 
si  può  giungere  a  dimensioni  sor- 
premienti;     con     l'attenzione,    la 
pratica  e  la  buona  fortuna  si  ot- 
tengono bolle  di   due  piedi   e  più 
in.  Via  via  che  la  bolla 
i    la   membrana,  contenen- 
do   uni    quantità    costante   di    li- 
quido, diventa  sempre  più  sottile. 
Lveva  mezzo 
pi  Ilice  di   diametro,   dilatandosi   sino  a  rinchiudere 
;;  quadrati  di  superficie,  cre- 
sce  ^.soo   volte  di   superficie  e  quindi    s'assottiglia 
nanamente.    Risultato  di   questa   sottigliezza 
<'•    l'iridescenza:    le  bulle   di    sapone,   ove   n 
bene,   danno  i    magnifiche. 

Inter-  sperimenti  si  possono  lare  con  un'a- 

ia- anelli.   Questi   de- 
vono essere  di   un   li1 
tondo  e   pulì  i  erchè   altrimenti   la  boi 

I  e.    1''  S  i  dunque  gli  anelli   l'uno  sopra  l'air 


Bolle  di  sapone. 


i     L'oncia  è  pnri  a  k^.  0,031;  la  dramma  è  un  ottavo 
di  oncia. 


|i><>  LA    LI 

■   allora  pi 


bolla       farne  u- 

i  di 
a  e  al  ili  sol 
u>  ;  oppure  i" 
te  allontanare  gli 
aiu-lli  .  in  modo 
da  ottenere  una 
i  ima 

tendente  alla   i 
lindrìca  ;  e  ali  ri 
tarlandoli       ai 
o  ira,  potn 
dere      la      1>  11. 
in  (lue. 

La      bolla      e 
sempi  -•■  E'  natu- 

ralmente  di  torma  sferica,  in.-rcht 

fi  mia  che  permette  ili  raccoglieri. 
il  maggior  contenuto  entro  ui 

e  quindi   la  membrana,   assi) 
-  re  l'a- 
ria,  con    minore  es]  \  'he   le 
porzioni  che  sporgoni    fuori  degli  anel- 
me  si  vede  nella  fig.  2.  sono  parti 
<li  sfere,  1  ;ù  1  ■  meni    ricurve 
•  Iella  pressione  interna  della  bolla.  Chi- 
la  bolla  vi  sia  sempre  pres 
no  dal  fatto  che  soffiando  en- 
tri' la  bolla  ilei  fumo  e  appendendola 
ad  un  air                 punge  li 
la    bolla    resta    ilis-.r-.nt a.    e   il    fumo 
lanciato  lontano  nell'aria  attraverso  l'a- 
nello. 

Altri  che  quanto  più  la  b  Ila      grande. 

'!<  re  diviene   la   1  ressii ine.   Questi 

hiunque  abbia  gonfiato  una  p 
'h   foot-ball.   I.a  resistenza  sulle  primi  dere 

vnle.  ma  [mi.  via  via  che  la  gonfia,  ci  \ 

|n  linoni.    Quindi  una 

im  le. 
la  prima  1  e  va  ad  allargare  1 . 

I  una  ilei  li-  ; 

Il  pn  r .  <  '    \     Boys  ne  parla  diffusan 

I  gli  in- 


ni cilindri  "Iella  stessa  lunghe/ 
l'altro  allargato  nel  mezzo,  veli- 
si ottengono  due  cilindri  a 
lati  paralleli.  Ma  se  la  lunghezza  dei  cilindri  è  più 

di  li-  un-//:,  la  larghezza,  alli  ra.  invece  ili 

compensarsi,   il   cilindro  sottile   nel   mezzo  divi 
i  piii  sottile,  e  l'altro  pi     _ 
11  rollini  dell  arie,   in    fatto  di   bolle 

me    una    entro    un'altra.    Sulle    prime 
diffii  imi  gni  altia 

.    la    pratica    conduce    alla    perfezione     ! 
si   procede:    si   soffia  tra  gli   anelli   una   bulla 
di   un   diametro   doppio,    pn  di    quello 

li     anelli  ;     poi    si    allontanai 
mi  in  modi  1  che  la  --urna  una 

ma    quasi    cilindrica.    Indi    si    ri] 
la  cannuccia   all'estremità   superiore  della 
bolla,  e  se  ne  soffia  dentro  un'altra  muo- 
vendo  1  anello  interiore   in  guisa  che  af- 
ferri   la    bolla    interna    e   le    impe 

re     la     parte    superii  re    da    qui 
ma,     allorché     si     rimuove     la    can- 
nuccia. 

Un'altra   bella   esperienza    consiste   nel 
mandare   una   bolla   su   un   anello  ad   ni 
pirla   di    gas     I  ss:  herà   da   s 

tortuosamente,   ; 
re    che    una    bolla    si 
sollevi    in   aria  o  cada  sul   pavimento   in 
linea  retta. 

Portando     più     oltre. 
l'esperienza,  si  pi 

re  una  bolla  ordi- 
naria .  e.  dentro  que- 
sta,    una     seconda     a 

ì,   (~he  trarrà    ii. 
anche    la    prima. 

Tanto  è  rapido  lo 
-  ■■  ppii  '  della  lx>lla  . 
he  all'occhio  non  vien 
fatto  di  avvertire 
nino  degli  stadi  inter- 
nici li  ;  ma  ni 
ino    valerci  .    a    n 


•  li  sapone, 


DALLE    RIVIS 


,  ^, 


sussidio)    della    scintilla   elet- 
trica. 

Pi  ssiamo,  per  via  di  un 
apparecchio  che  simultanea- 
mente Fa  so  ppiare  una  bolla 
e  deriva  una  scintilla  elet- 
da  un  !  bottiglia  ili  Lev 
da,  ottenere  su  una  lastra 
l'ombra  'Iella  bolla  nell'atto 
dello  scop] 

V'ha  un'altra  categoria  di 
bolle  degne  di  attenzione; 
bolle  d'aria  immesse  in  un 
liquidi  .  Nel  salire  che  fanno 
alla  supei  :  sembrano  al- 
l'i GChio  sferiche  e  regolari  ; 
ma  la  fotografia  c'insegna 
che  l'occhio  s'inganna,  come 
si     vede     dalle     illustrazioni 

che  riproduciamo.  Si  usa.  per  queste  esperienze,  un 
recipiente  a   lati   paralleli.   Da  una   parte   si    : 
una    pellicola    fotografica,    dall'altra    l'app 
elettrico    che    deve    somministrare    la    scintilla.     I  i 

.    d'aria   si  m    immi  sse  dal   !  ass  .  e  illune- 
mente  si    trae   la    scintilla,   che.    durando    forse    un 
milionesimo  di  -remilo,  rivela  la  vera   forma  della 
bolla,  la  forma  che  l'occhio  non  riesce  ad 
ma  che  resta  registrata  dalla  lastra.  Di  passala  può 

re   interessante   notare  che  i   raggi   duna   n 
che  compie  tremila  giri  al  minu  o,  f 
luce  di   una   scintilla   elettrica,   danno  un'imni 
netta,  come  se  fossero  fenili. 

Un'occhiata   alle  nostre  illustrazioni   mostra  che 
le  belle  immesse  nell'acqua  sono  molto  più   irn  ; 
lari  di  forma  che  quelle  immesse  nella  gliceri 
li  n'olio.  La  glicerina,  particolarmente,   favoi 
ridi  b  Ile  simmetriche,  perchè,  molto  più  vis 


jiU 

a,  si  mu  ei  indamente,  per  modo 

che  1  forni      on  mag      i     Ieri  l  ha 

tempi     i  umere  forma 

della    «    pelle     0    .lei     liquide. 

I  i,  Ha    o    pi  Ile   »  di    un    liquido. 

rari     l'i  ione  'lei   lei:,  re  su 

un  s  o,  il  quale  dimostra  che  l'e- 

lio  di   una   massa   liquida   i     reso,    dal   co  itatto 
dell'aria    o    di    un    altro    liquido,    più    intenso    delia 
interna,  pi  r  mi  di    chi    un  li  [uidi    \  ii  ni   ad  es 
entro  una  membrana 

[UÌdi         eSSO.    Si      non     lesse    questa 

proprietà,    sarebbe    impossibile    il    costituirsi    delle 
:    ila1'' ina. 

Si  prenda  una  reticella  di 
filo  di  rame,  e  la  si  fi  ggi  in 
forma  di  un  rozzo  -  ai  ù 
Si  immi  rga  poi  in  cera  di 
paraffina  liquida,  i  liminando 
tutta  la  ci  ra  su]  ei  Bua  e  I  ai 
do  in  mi  di  die  in  ogni  ma- 
glia della  rete  vi  sia  un  bi 

iti     basta    [)er   dare 
passaggio  ad  une  spillo. 

Si  pii  nda  pi  i  un  recipiente 
pii  ai  '1  aj  qua  i  si  ponga  sul 
l'acqua  la  reticella  di  filo  di 
rame.  Orbene,  la  reticella  re- 
sterà a  galla  coree  una  bari  a 
sul  mare,  e  l'acqua  non  pene- 
:  nel  cavo  del  se  accio  seb- 
bene vi  siano  ceni  inaia  di  a- 
perture. 


Bolle  d'aria. 


Delle  illustrazioni  che  diamo  a  pag.  450  le  pri- 
me tre  rappresentano  diverse  fi  rme  di  bolle  di  sa- 


!' 


12 


LA    LETI 


che  scoppia 


fumo;    la  quarta,  la  1  « »1 1  a  -i si  posa  sul- 

ppio  della  bolla  ciliro  li 
g.  461  la  prima  e  la  terza  figura  sono  ripro 
duzioni  di   fi  '•.'■   bolle  il  aria  immerse  nel- 

ua  a  pressione  normale  e  ad  a j  me  : 

nella  1  il  liquido,  invece  dell'acqua,  è  la  gli- 

cerina. 

Infine  in  questa  pagina  si  vedono  Foi 
bolle  indi,  ed  anche  fotogra- 


HALLE    RIVIS  I  I 


I  eifehi  del  fluovo  (florido 


li,,  un  articolo  di  A.  E.  Sorel,  nella    Revue    Biette,    del 

15  marze 'i. 

«  Oh,  miserabili,  mollo  miserabili,  veramente  mi 
serabili,  signori,  i  nostri  circhi  d'Europa!...  Par- 
latemi eli  quelli  d'America!...  »  si  legge  nei  Fra- 
telli Zemganno  di  Edmondo  de  Goncourt.  In  Ame- 
rica vi  sono  Circhi  galleggianti  sul  Mississipi,  ca- 
paci ili  contenere  6000  spettatori,  con  scuderii  pei 
100  cavalli,  e  tutto  il  resto  in  proporzioni .  I  n  circo 
americano  è  venuto  ora  a  Parigi,  quello  di  Barnum 
,  Bailey,  e  se  non  ha  potuto  galleggiare  suda  Si  ri 
na,  perchè  questo  fiume  europeo  è  troppo  stretto, 
si  è  piantato  nell'immensa  sala  delle  teste  dell  I. 
sposizione.  Non  meno  di  tre  piste,  ciascuna  del  dia- 
metro di  13  metri,  nuotano  in  quello  spazio,  e  da 
im  capo  non  si  vede  ciò  che  accade  all'altro,  e  1  ei 
due  ore  e  mezzo  è  una  continua,  interminabile  sfi- 
lata di  cavalli,  di  elefanti,  d'animali  e  d'uomini  di 
tutti  i  colori,  al  suono  spietato  d'una  musica  fra- 
gori sa  e  triste,  senza  che  mai.  che  quasi  ma',  si 
provi  una  di  quelle  impressioni,  di  quelle  soddisfa 
zìi  ni  che  procurano  i  «  nostri  miserabili  circhi  di 
Europa  ». 

Entra  un  elefante  muntalo  da  un  clown:  i!  ca- 
valiere salta  a  terra,  gl'inservienti  portano  una  ta- 
vola cui  la  colazione  della  bestia,  che  mangia  e 
beve  e  suona  cun  la  proboscide;  più  lontano, 
nella  pista  centrale,  gli  occhi  sono  attirati  da  un 
che  obbedisce  ai  minimi  gesti  d'un  domatore; 
si  vorrebbe  stare  attenti,  ma  già,  più  lontano  an- 
cora, un  pallone  si  innalza  e  fa  delle  evoluzioni 
nell'aria,  e  le  foche  si  rimandano  con  la  bocca  dei 
tizzoni  infiammati. 

Lo  spettacolo  delle  bestie  ammaestrate  offrirebbe 
un   interesse  speculativo,   perchè  nel   gesto  animale 
si  può  vedere  in  certa  guisa  tradotta  la  volontà  li- 
mami;   ma  nel  circo  di   Barnum  e  Baile] 
tempii  di  osservare,   di   pensare,   di   ammirare.   E  na 

lulhi  di  ometti,  ecco,  passami  correndo,  gestia  I 

portando   una   quantità    di    oggetti    che   disputili' 
in  certi  siti.  Una  specie  di  cono  s'innalza  nella  pi- 
sta  centrale,    formato   cun    le    si  vrapposizioni    sui 
cessive   di    gradini    circolari    di    legno   sempre    più 
irriti.  S'apre  una  pi  rta,  entra  al  galoppo  un  cava- 
liere,   che   sale   con    la    sua    bestia    sulla    cima    de1 
cono:    giunto  lassù   fende  l'aria  con   le  sferzate  fi- 
schianti   della   sua   frusta  ;    una  mandria   di   cavalli 
si  precipita  nella  pista:    i  più  piccoli 
I  'ii  alta  gradinata  del  cono,  e  si  mettono  tosto  a  gi- 
rare da  sinistra  a  destra  ;   altri  salgono  sudi  : 
nata   sottostante,  e    giravoltano    da    destra    a    si- 
nistra,   e     altri     ancora     sulla     terza     gradinata 
girando    da    sinistra    a    destra,    e   così    di    seguito. 
finché  il  gran  cono  di   li  gno  è  divenuto  una 
mide  vivente  e  semovente.    Il  tutti    turma  uno  spel 
tacolo  nuovo  ed  anche  pittoresco;    ma  ni  1 
la  grazia  e  l'incanto  del  lavoro  isolato.   Il  mestiere 
—  alcuni  dicono  ambe  l'arte  —  di   ammaestrare   ; 
cavalli,  è  molto  ingrato:    perchè  il  cavallo,  se  dob- 


4Ò3 

biamo  cn  '  bre  1  ovai,    ■  l'animale  più  si 

della  terra.  E  sso  non  ha  altro  che  una  facoltà  : 
la  memoria  ;  pi  1  pieg  irlo  agli  esercizi  dell',///,/  scuo- 
la, la  stessa  vita  del  cavaliere  0  della  amazzone,  e 
quella  della  bestia,  sono  in  pericolo.  Lede  diffi- 
coltà superate,  della  eleganza  dei  risultati,  nulla 
si  apprezza  ni  Ila  strabiliante  1  irco  americano.  E 
ii  pubblico  non  domanderebbe  «li  meglio  chi 
pi  in  ammirare  :  perchè  1  bravi  cavallerizzi  si  tu 
come  pochi  altri  capaci  di  suscitare  gli  entusiasmi 
della  full.i.  A  questo  proposito  Giulio  Janin,  il 
critico  ilustre,  narrò  che  un  ammiratore  dulia  ce- 
lebre amazzone  Carolina  Foyo,  gli  chiuse,  nel  1841. 
se  aveva  veduto,  l'anno  innanzi,  gli  straordinarii 
1  sercizii  di  lei.  «  Ahimè,  no!  »  rispose  egli.  «  Lamio 
passato  en  .1  Firenze,  ad  ammirare  i  capolavori  ilei 
Palazzo  Pitti  0.  L  il  dilettante,  di  rimando:  «  Si- 
gnore, quando  Carolina  monta  un  nuovo  cavallo, 
nun  si  va  a  Firenze,  non  si  va  a  Palazzo  Pitti:   si 

1,    '.1    al   circi  !..    11    E    gli   voltò  le  spalle. 

Per  tornare  al  uni,,  Barnum  e  Bailey,  uno  spet- 
tacolo grazioso  è  quello  dui  moltissimi  equilibristi 
dui  due  sessi  che  si  librano  unii  insieme  nell'aria. 
armoniosaiw  nte,  sospi  si  a  trapezi  sottilissimi,  a 
ci  rde  invisibili.  V.-  mancano  le  novità.  Si  vede,  a 
piedi  d'una  spirale  di  legno,  una  vasta  sfera:  a  un 
tratto,  senza  uh,-  nessuno  hi  tocchi,  la  sfera  si  mette 
in  moto  e  sale  per  la  spirale:  esita,  s'avvicina  al- 
l'orlo, pare  che  siia  per  precipitare,  poi  risai,-  si- 
cura, lincile  arriva  sulla  cima:  allora  ne  esce  una 
banderuola,  che  dopo  un  istante  scompare;  quindi 
la  sfera  riscende,  toma  a  terra,  si  apre  e  ne  1 
un  uomo,  l'equilibrista  Sii  Ile  Eatta  andare.  Un'al- 
tra sfera,  in,  >sa  d,a  un  altro  m  mo  che  \i  sta  chiuso 
dentro,  corre,  si  ferma,  gira  su  si-  stessa.  L  intanto 
i  ciclisti  fanno  evoluzii  ni  sbalorditive,  e  gli  equi- 
libristi ballano  Milla  corda,  1  i  gioì  olieri  lanciano 
per  aria  e  1  -  lg  no  a  volo  toltelli,  tori  ìe  io  1  - 
ogni  sorta  di  oggetti,  e  ;  carri  e  mani  si  slani  iam  1  . 
una  corsa  vi  rti Ila  pista  troppo  angu 

E  i  clowns J  Sono  legione  .  sono  tanti  eh ri  d 

vertono  più:  rattristano.  «Sinistra»,  die i  Gon- 
court, «  è  divenuta  la  cloWì  tigli  ie  Non  più 
l'ironia  sarcastica  d'un  picrrot  con  la  lesta  bian  . 
di  gesso,  con  un  occhio  chiuso  e  il  riso  in  un  solo 
angolo  della   bocca.    Vi   sono  in  essa  dell,-  pi 

Feroci,  piccole  assimilazioni  spietate  delle  bruì 
tezze  e  delle  infermità  della  vita,  ingrandite,  aggra 
vate  dall'humour  di  terribili  caricaturisti  ».   E   nel 
circo  di    Barnum  e  Baile)    i  clowns  nun  sono  ne] 
pure  macabri  -    nun    fanm    altri      !"    una    -1  rii    di 
ie.    Nulla  1  he  ram- 
menti ciò  che  il   Frichel  dii  e  intorno  alla  1 
,1,-1  clown.  E    -    ordinariamenti    Fa  -  d --udì 

ni,   - -ru  vicino  al  I         Vii 

lis -     -  ad bile  1 

rammi  nta  le  espn  -     ■     con  una  1    - 

n  1  1  -,     1 1  ,  l,  -.mi  li.-  1 

.nll  ridicolo  per  sé  sti 
non  esiste  ;   il  buffi    1    a       qu  mpn    dal] 

d  un  sentimen 
partecipante   di  Ila    malizia    1    del    buon    senso.    Li 

■-/...    è    Un 


LA    11.  Il  i  I   x. 


i  ìndi 

I 

.nella   .li 

indefinibile. 

ramente    n  la 

ii  la  bari  a,   l'u<  mi  :"'1, 

uasi    nulla    >li    un. 
•,■   n,  ndimi  m     in   abito  di  sodi 

gentiluomini  e  gentildonne  americani. 

oni  sul  cranio.  Un    diro  in 
ighi.  e  |-i  un  lungi 

dia  b     a      dopi    alcuni 
mi.  tira  il  gli  no  infilai 

■  ■unir  una  collana.  E  v'è  l'uomi 

ola,  e  vi  soi  ''ini 

l'esile,    minus 
ttemolani  nte   prim     i     '       ! 

rarn  D 

,  ìse  una  certa  commi  tica. 

l,i   .  .il  ciro 

ie  d'una  macchinazii  i         vasta,  d'una  di- 

sta. 


Fra  i  camini 


I  Dal    li  ind     i    Mag  izine  . 

la   ripara/i-  ne     le^Ii 
alti   ramini    delle    fabbriche   costituiva    un'impi 
fatic  osa  e  rischiosa.   !  metodi  antichi 

abbandi  n  imai  il  lai    i 

Gli  strumenti  m; 

glia  di  fili  arpioni  di  ferro  e  pulì  ggi     L'au- 

ha  veduto  al  lavi  ro  J.  Smith,  il      I 

.    ,1    |  iù    ci  li  bre    tra    i    riparatori    .li 

1      Forma 
rata  ed  alto  170  pii  di,  i  ss  a  una  cinquantina  di 


In  CUI  iraino. 


Un  camino  pencolante. 

metri.  Le  scale  imp 

tri  e  mezzo  costruite  in  guisa   da  ottenere  la  n 
si  ma   forza   col   minimo   peso.    11    lavorante   fiss 
saldamente  un  arpiono  alla  base  del  camino.  \ 
la  scala,  fissava  un  secondo  arpione  e  ad  i 
i  scala  alla  si  minila  della  prin 
saliva  sulla  seconda  scala,  l'issava  un 
...       a  dalla  base  all'alt,    del  camino.    I 

rimo  lavoro  ;•  ■ 
i  rdinaria.  N'el  caso  speciale,  in  meno  .li  due 
fun  no  piantati-  le  scale  su  tutto  il  camino.  Qui 

mi,,  p.-rl.  "'"i  aveva  un 

sporgi  La    riparazione  dei  comignoli   sporg 

a    Spesso  il  e.  mign,  venti  o  ti. 

sgrazia,  durante  la  ripara 
ne,   una   pi.  tra  si  :    sllllr  costru- 

circostanti.    potrebbe   produrre  danni   enormi. 
i  ,.  i  comignolo  vi  ngi  no  strette  insiemi 

me  in  una  morsa  .li  ferro,  pressa  poco  come  - 
spesso  pei  legnami.  Talora  quando  si  sale  su 
un  fumaiuolo'. -he  n  ™  hi  :lnm- 

si   invano  le  pietre  della  sporgenza  singolarm 

do,  dal  veni Lilla  p  i  ni'"!.»  che  si  stri- 

tolarli   al  minimo  ; 

-.unina  la  muratura  del  i 
mini     |    i  quali   riparazioni   siano  ne  - 


m 


All'opera. 


Un  lavi  r<.  complicato. 


L'impianto  delle 


La  Lettura. 


pili 


l  \    LETTURA 


Un  camino  pendente. 

rie.  Quando  la  visita  deve  farsi  all'interno,  la  cosa 
è  tutt'altro  che  divertente.  Si  se  -1  i  ^< -i x-ralnu-m •■ 
la  domenica,  perchè  i  fuochi  sono  spenti.  Si  fissa 
una  trave  molto  forte  in  alto  sul  camino,  e  poi  luo- 
rao  che  deve  fare  la  visita  si  cala  giù  per  mezzo 
di  ima  carrucola. 

Ma  la  riparazione  che  occorre  più  comunemente 
consiste  nel  rinforzare  il  camino  riempiendo  gli  in- 
/i  tra   i   mattoni,   perchè  le  intemperie  deterio- 
rano la  vecchia  calce.   Si  erige  in  generale  un'im- 
palcatura sulla  sommità  i    si  abbassano  innumeri 
•orde  che  sostengono  l'operaio,  e,  passando  a) 
imi   torli  carrucole,  gli  danno  modo  di  alzarsi 
ed  abbassarsi  a  piacimento. 

Le  «  malattie  »  più  comuni  dei  camini  soni    ca 
dal  calore  che  fa  screpolare  la  muratura. 
:\ viene,  si  ricorre  a  rinforzi  di   Feri 
«  Uno  dei  casi   più   notevoli  che  mi  occorsero 

lo  Smith   all'autore  dell'articolo   -      hi     | 
di  un  ■•amino  della  ditta  T.  Walmslej  and  Sons  a 
on.  Quella  costruzione  doveva  sottostar)    ad  un 
re  spaventoso,  perchi    trenta  o  quaranta  grosse 
fornaci  erano  uamente  alla  sua  I 

e  il  calore  e  il  fumo  prodotti  dal  consume    p 

late  di  carbone  uscivano  da 
[l'unico  camini     Questo  aveva   perciò 

lolature  in  ogni  parte.   Nell'impossibi 
lità  ili  erigere  un  al  n  i,  risolsi  di  rivestii 


ferro  tutta   la  cos  da  rima  a   fondo:    im- 

presa tutt'altro  che  di  poco  conto,  trattandosi  di 
un  camino  alto  olire  t>o  metri.  Bisogno  atizitu 
avvolgere  di  armature  l'intera  costruzione,  ' 
lavoro  preliminare  richiese  non  meno  di  tre  setti- 
Poi  ci  vollero  trentasette  piattaforme,  120 
metri  di  pali  e  :ioo  metri  di  assi.  A  pag.  465  si 
vede  una  foti  igrafia  di  questo  lavoro  ». 

E'    sii. ino  che   in    Inghil  no    poco    1 

parafulmini  sui  camini,  sebbene  sia  facile  imm 
in   quali  danni  eni  irmi  pn  durrebbe  nelle  \  icin 
un  fulmine  che,  cadendo  su  una  di  quelle  altis 
cime,   facesse  crollare  tutta  la  costruzione.   Il 
non  è  un  ilti  1  ini  requente.    Po  hi   mesi  or 
villaggio  di   Pendle  Forest,  presso  Nelson,  dui 
un   violento  temporali',   il    fulmine  colpì    il   camino 
di   una   fabbrica  di  cotoni.   Gran   parte  del  comi- 
gnolo, per  un'estensione  di  sei  metri,  fu  staccata  1 
precipitata  in  basso  sopra  il  tetto  d'un  laborati 
Non  si  ebbe  fortunatamente  a  deplorare  alcuna  di- 
sgrazia personale,  ma  molti  furono  salvi  quasi  pei 
miracolo.    L'n    altro   pez/o   end. le   su    un   gazon 
facendo  scoppiare  il  gas.    Più  di  settanta  telai  fu- 
rono arsi,  e  se  non  si   fosse  spento  il  fuoco  più  che 
in   I retta,  tutta  la  fabbrica  sarebbe  stata  distrutta. 

Una  delle  imprese  più  notevoli  dello  Smith  fu 
la  riparazione  del  camino  della  fabbrica  Dobson  e 
Barlow  a  Bolton.  Il  camino  è  il  più  alto  che  sia  in 
Inghilterra:  supera  i  centodieci  metri  (il  più  alto 
del  mondo  è  quello  di  Townsend.  a  Glasgow,  che  su 


Lo  stess,,.  raddrizzato. 


DALLE    RIVISTE 


pera  i  147  metri).  E'  di  forma  ottagonale  ed  alla 
base  misura  un  perimetro  di  una  quarantina  ili  me- 
tri, perimetro  che  va  gradatamente  decrescendo,  e 
alla  sommità  è  di  dieci  metri  soltanto.  Nella  cosmi 
zione  si  impiegarono  120  tonnellate  di  pietre  e  un 
milione  di  mattimi.  Dopo  avere  disposto  le  scale 
lungo  tutto  l'edificio,  ed  avere  piantato  la  piatta- 
forma in  alto,  si  trovò  che.  a  causa  dell'altezza, 
era  impossibile  tirar  su  i  materiali  occorrenti  alla 
riparazione,  perchè  le  corde  erano  agitate  dal  vento 
in  tutti  i  sensi.  Lo  Smith  perciò  piantò  altre  ;m- 
palcature  a  metà  strada,  per  modo  che  i  material' 
(«.tessero  essere  sollevati  da  terra  a  queste  prime 
impalcature  e  di  lì  a  quelle  della  sommità.  Ci  vol- 
lero, per  riparare  il  camino,  otto  mesi,  e  la  spesa 
superò  le  cinquantamila  lire.  In  quell'occasione,  ri- 
correndo il  giubileo  della  regina,  lo  Smith  stabilì  ;n 
cima  al  camino  otto  lampade  elettriche  potentissime. 
che  fecero  di  quell'ardita  costruzione  un  faro  visi- 
bile a  grandissima  distanza. 

Il  signor  Smith  fece  vedere  all'autore  dell'arti- 
colo quella  che  si  potrebbe  chiamare  la  «  torre  di 
Lisa  inglese  ».  il  camino  pendente.  Questo  è  certa- 
mente il  più  inclinato  fra  tutti  i  camini  inglesi,  e 
visto  come  si  vede  nell'illustrazione  che  riproducia- 
mo a  pag.  464,  sembra  proprio  che  debba  preci- 
pitare da  un  momento  all'altro,  mentre  invece  è  per- 
fettamente sicuro.  Il  proprietario  è  orgoglioso  di 
quella  costruzione,  e  non  risparmia  denaro  per  ri- 
pararla di  continuo,  affinchè  gli  abitanti  intorno  non 
abbiano  alcun  dubbio  sul  suo  equilibrio.  Il  camino 
è  alto  quasi  sessanta  metri  e  pesa  2000  tonnellate. 
La  punta  s'allontana  di  parecchi  piedi  dalla  per- 
pendicolare condotta  alla  base. 

n  Una  delle  imprese  più  pericolose  che  io  ricordi 
—  dice  lo  Smith  —  fu  il  raddrizzamento  di  un  gran 
camino,  alto  sessanta  metri.  Usciva  di  un  metro  e 
mezzo  dalla  perpendicolare.  La  causa  dell'inclina- 
zione non  stava  nella  costruzione,  perchè  il  camino 
era  in  ottimo  stato,  ma  nell'essersi   le  fondamenta 


l"7 

abbassate  da  una  parte,  tacendo  così  pencolare  il 
camino,  come  si  vede  nella  figura  a  pag.  466.  Posso 
assicurarvi  che  L'impresa  non  fu  agevole.  Bisognò 
levare  dei   mattoni   dal   lato  convesso,   apponendo 


Una  screpolatura. 

temporaneamente,  per  tenere  a  posto  la  muratura, 
chiavi  di  ferro.  Poi  venne  il  momento  critico  ;  bi- 
sognò togliere  le  chiavi  di  ferro,  ponendo,  in  luogo 
dei  mattoni  vecchi,  nuovi  mattoni  più  leggieri,  te- 
nuti fermi  da  una  calce  speciale.  Man  mano  che  si 
toglievano  le  chiavi,  il  camino  tornava  lentamente 
sulla  perpendicolare.  Si  comprende  agevolmente  che 
se  non  si  opera  in  questi  casi  con  gran  perizia  e 
somma  cura,  può  avvenire  una  terribile  catasta  fé. 
Nel  caso  speciale  tutto  andò  benissimo  ». 

Il  signor  Smith,  oltre  che  dei  camini,  si  occupa 
anche  di  raddrizzare  o  riparare  torri,  campanili,  e 
via  dicendo.  I  sistemi  seguiti  sono  sostanzialmente 
gli  stessi. 


l'iiii  morsa. 


|.68  LA    LETTURA 

lihassa,  la  Roma  del  Tibet 


Dalla  Dit   Carli  nlaidn   . 

La  visita  del  desi    Hedifi    nello 

ino  e  l'ambasciata  del  Dalai   Lama  a  Pi* 

urgo,  hanri  l'atti ■  del  m 

sul  papa  del  I  il»'1  e  sulla  cittadella  del  Buddismo. 
Lhassa,  la  città  santa  degli  altipiani  mongolici, 
fu  sempre  ineccepibile  fino  alla  metà  dèi  secolo  de- 
cimottavo,  l'epoca  delle  grandi  missioni  del  Padri 
Gesuiti,  che  per  primi  passarono  lo  porte  misti 
■  -un  i  ali  a ate. 

1  .a    creazione   del    Dalai    Lama,    la    più    alta    ili 


150.   i    francesi    l'i-   Rhins   e   Grenard,    gli  ing 
Baver  e  Taylor  ani  avanti,  finché  Chepaai 

Littledale  rinvi   a   spingersi  fino   ad   una  giornata 
dalle  mura  disputate.   Per  potervisi  .. . 
re,  gli  esploratori  dovettero  nascondersi   Ira  le 
carovane  dei   pellegrini,  ma  quanto     più  si  avvici- 
tanto   maggiore   diveniva  il  pe- 
ricoli    d'essere    scoperti,    giacché    il   sistema    dello 
spionaggio  vi  n  dante  ed  astuto. 

Alrnni     fina luscirono     a     |  enei  rare    e  ' 

lori  1   relazioni    si    ]" *    avere   un'  ìi li 

ita     della    su|  ei  -1  iz ■    bui  Misi  ii  ,1  . 

corredata     da     una    carta     topografica     stesa     con 
molta  diligenza  da  un  esploratore.    E  noi  qui  1 
siamo  riprodurre  due  preziosissime  fi  -iella 

Roma  del  Tibet,  luna  ripn «li  n  palazzo 


11  palazzo  del  Dalai  1 


della  gerarchia  buddistica,  data  dal  1643  ed 
1      retta  agli  affari  spi- 
'  il    1 7 1 7.  epi ca  in  cui,  51 

le  dinastie  reali  de!  Tibet,  il  paese  passi  1  al  grandi 
Impero  1  ego  l'autorità  politica  al  Da- 

lai  Lama. 

Questi,  evidi  n  aveva  alcun  interesse 

rmanenza  'li  missionari  nei  suoi  Stati,  pei 
cui   d  del  Dalai    Lama   al   potere  1 

pure  l'esclusione  degli  europei,  esclusione  chi 
principio  non  fu  o  '       livenne  in 

guito. 

1  1  1 1 1  un   ingli    ■   travestito  di 

indiano  e  dm  ari    1  rancesi  poterono   d 

rarvi   finché  riconosciuti  furono  espulsi. 

lora  in  poi  cominciò  la  caccia  agli  sti 
-imo  potè  penetrare  nel  m  >t<  ro  della  città  santa 
di   Budda;  solo  il   russo   Prschewalscki,  nel   1879, 
sino  a  500  chilometri  dalla  città,  la- 
ri 1  khill   e   il   principe     l  ,;     ms  sino  a 


del    Dalai   Lama,   l'altra   la  città   intera   vista  a   ' 
d'uccello. 

.1   sorge  aj  nord  del  fiume  Sangpo  a  .,500 
metri     sul    livello    'lei     mare,    coronata    dalle 
mi    ardile  dei  monti.   Le  vie  corrono  diritte  e  n 
lari,    le  rase  fabbricate  in    pietra,    mattoni   e   terra, 
colle  finestre  rinchiuse  da  impennate  di  rana,  sono 
11  linde  e  pulite  e  in  strano  contrasto  colle  luride 
abitazioni  del  popolo  tibetano.   Esse  alzano  ai  fred- 
di  venti   monti  indi   tetti   bianchi  misti  alle 
eupi  lette  azzurre  degli   immigrati  cinesi,   in   un  al- 
e  superbo  trionfo  di  colori. 
La  città  ha,  del  1  ite  un  aspetto  •  l ì 
e  di  festa.    1    mi  nauti  eolle  stoffe  e  ''"Ile 
chini                                      dando  di  1   isa    in  1  .1-.1 

al  gran  'empio  si  mi  1  sempre  pavesati 

ulne. 
(  "li  n-    le  mura    si    estendono    gli    ampi    subì 
egràti   dai   giardini    dove  vigoreggia   una  splen- 
dida  Mora 


DALLE    RIVIS  I  l 


469 


Le  statistiche  del  numero  di  abitami  variano  (col 
crescere  o  col  diminuire  delle  torme  di  pellegrini), 
dalla  cifra  modesta  di  10.000  a  quella  rispettabile, 
per  una  città  continentale,  di  80.000. 

Noi  crediamo  però  di  non  sbagliare  attribuendo 
a  Lhassa  una  popolazione  abituale  di  20  0  J5.000 
anime,  con  circa  15.000  ninnaci  disseminati  negli 
eremi  e  nei  chiostri   grandiosi. 

A  Lhassa  tutti  vivono  di  commercio,  essi 
numerosissime  e  continue  le  carovane  di  pellegrini 
che  vi  accorrono  da  tutte  le  parti  del  mondo  bud 
distico.  Oltre  i  Tibetani  vi  abitano  gli  Indù  e  i 
Cinesi,  ohe.  in  una  città  di  scarnili  e  di  sfruttamento, 
trovano  il  loro  tornaconto.  Gli  Europei  non  vi 
sono  ben  visti,  sebbene  le  loro  stoffe  e  i  loro  pro- 
dotti abbiano  la  preferenza. 

Fra  i  templi  della  città  il  più  meravigli 
grande  è  il  tempio  di  Budda  Jo-Khang.  dove  si 
nova  il  prezioso  simulacro  del  Dio  e  dove  accorre 
tutto  il  mondo  credente  del  Tibet  per  la  grande  so- 
lennità della  Nirvana  di  Budda.  Potala,  la  resi- 
denza del  Dalai  Lama,  si  alza  a  mille  passi  ad  oc- 
cidente della  città  su  una  collinetta  di  100  metri, 
dove  troneggia  una  statua  gigantesca  del  Dio  alta 
22  metri  e  colla  testa  d'oro. 

L'istituzione  del  Dalai  Lama,  il  papa  di  Budda. 
risale,  come  dicemmo,  al  secolo  XVII.  Quando  egli 
muore,   rinasce,   secondo  la   superstizione  locale,   in 


un  piccolo  fanciullo,  generalmente  rampollo  di 
una  famiglia  tino  allora  sterile.  K  allora  trovai" 
il  nuovo  Dalai  Lama:  le  piante  in  vicinanza  della 
sua  casa  si  scuotono,  sbocciano  i  fiori  e  per  la  terra 

corrono   rigagnoli    di    latte   e   di   miele.    E'    degno   di 

che  tali  papi  non  arrivano  ad  invecchiare. 
Così  l'espi*  muore  Km-  ne  descrive  uno  di  nove  anni, 
Singh  nel  1866  ne  trovo  un  altro  di  tredici,  nel 
1  <S 7 1  j  ve  n'era  un  terzo  di  sedici  e  nel  188.'  uno  di 

loco  come  avviene  la  presentazione  dei  pelle- 
grini al  papa  di  Budda:  il  Dalai  Lama  siede  nella 
gran  sala  sul  trono  sontuoso  circondato  dagli  em- 
blemi del  potere  spirituale  e  temporale  e  allora  i 
pellegrini  si  avanzano  e  si  prostrano  ricevendo  dal 
mito  strani  segni  di  obsecrazioni  e  di  augurio,  non 
senza  aver  prima  messo  ai  suoi  piedi  regali  e  doni 
d'oro  0  di  argento,  oppure  riso,  the  0  grano. 

(  >gni  tre  anni  il  Dalai  Lama  manda  a  Pechino, 
all'imperatore,  i  suoi  doni  per  una  somma  compio 
siva  ili  17.000  lire.  Dalla  sua  parte  poi  l'Imperatore 
cinese  mantiene  nel  Tibet  le  guarnigioni,  non  però 
nella  città  santa,  dove  il  Dalai  Lama  è  assoluto  si- 
gnore. 

Su  questo  strano  paese  e  su  questa  strana  città 
volgono  i  Russi  gli  occhi  cupidi  e  l'attenzione  più 
viva:  essi  sanno  ,\]  essere  gli  ereditieri  del  Tibet 
e  della  Roma  di  Budda. 


■ 


Lhassa  a  volo  d'uccello. 


47° 


LA    LETI  i  l   \ 


he  campane 


I  lalU    l  <  ious,  di  aprili   , 

Nulla  di  più  melano  nico  e  spesso  di  più  fi 
suono  delle  campane,  perdute  lassù  fra  le  nubi, 
in. ii  non  arriva  l'urlo  delle  tempeste  umane. 
v    primi  albori  antelucani,  nei  caldi  meriggi  e  nei 
monti   passa  la  gran  voce  delle  cam 
pane  sulle  teste  dei  dormienti  o  degli  stanchi,  voce 
i  e  di  preghiera,   E  nell'onda  sonora  che 
muore  via  via  in  lontananza,  è  il  canto  del  lavoro, 
il  gr'uln  della  patria,  è  spesso  un  singhiozzo  pei  l'e- 
sule  li  .ulano. 

La  storia  del  i   campani   è  storia  moderna  e  sto- 
esse  furono  sconosciute  all'antichità  e 
lo  soni-  pure  attualmente  all'Oriente,  dove  il   Mui 

ilza  la  gra  e  di  Allah  dall'alto  dei  mina- 

reti.  Forse  la  Campania  le  scoperse  e  di  là  si  spar- 
,i    Roma  e  nel   mondo:    pare  però  ch'esse  non 
fcssei"  del  tutto  so  ro  sciuti     lì   romani,  che  Fi  i 
ne  usavano  per   annunciare   l'apertura   delle  terme 
grandiose  di  Domiziano. 

Il  più  antico  modello  che  possediamo  è  w^  p 
iglio  a  forma  conica  scoperto  nel  613  e  conser- 
vato nel  musei  di  Colonia.  E'  alto  40  centimetri  e 
fatto  con  tre  lamiere  di  ferro  battuto,  inchiodato 
mi  nte  insieme:  è  insomma  il  tipo  classico  delle 
campanelle  di  montagna,  ancor  oggi  usato  dai  pa- 
stori per  le  loro  mandre. 

Le  campane  erano  nei  primi  tempi  sospese  agli 
archi  delle  finestre,  spesso  sul  rosone  che  sormon- 
tava  le  bifore;    ma  più  tardi,  quando  crebbero  di 
numero,  nacque  per  esse  il  campanile.  Infine  il  IX 
lo  determina   il   trionfo  dei   campanili   e  delle 
campane:    nasce   l'emulazione   comunale,    nasce   la 
grandiosità  e  l'imponenza  e  da  quel  giorno  contia- 
mo i  quattro  colossi  di  Mosca:  Santlvan,  Bolchoì, 
'skoi  e  Zur  Kolokol,  che  pesano  rispettivamente 
56.  65.  164  e  200  mila  chilogrammi  :  e  contiamo  la 
più  liei  la  campana   del   mondò,   la  storica  e  melo- 
diosa campana  di   Xotre-Dame  di   Parigi,  che  Gar- 
gantua  nel  romanzo  di  Rabelais  invola  dalla  gran 
toire.   provocando  poi   dall'ambasciatore  che  la  re- 
clama la  famosa  chiacchierata  maccheronica:  Omnis 
decita,  clochabilis  in  clocherio,  clothando  clochans 
ativa  ciociare,  ecc. 
Crescendo  il  numero  delle  campane,  si  pensò  di 
suonare  con  .  sse  speciali  melodie,  e  fino  dal  VI  se- 
nno   una    preziosa    miniatura,    in    cui 
un  vecchio  monaco  martella  un  piccolo  concerto  di 
cinque  campanelli      \.  Brugi      il  concerto  è  di  47 
\       1  sa  di  90. 

I     battaCChi     Stessi    servivano    a    questo    gemi.'    rlt 

riiii  iodatamente  si  peti' 

narono  i  sistemi,  e  ai  batacchi  vennero  si 

martelli,  ai  pugni  del  campanaro  i  congegni  di  oro 

ria  e  finalmente   l'i  1.   Ancor  oggi   pero 

sui  vecchi  campanili  di  villaggio,   il   giorno  della 

festa,  un  sacrestano  batte  i  pugni  potenti  sui 

empiendo  talvolta  l'aria  di   ispira/ioni   lar- 


Presso  la  campana,  sull'alto  della  torre,  era  la 
dimora  del  campanaro.  Oggi  l'orologio  e  la  mecca- 
hanno  scacciato  l'uomo  da  quel  nido  austero 
d'aquila,  ma  le  tradizioni  e  le  leggende  di  quel  n 
misterioso  non   sono  spente. 

Il  campanaro  viveva  e  moriva  lassù,  separato 
della  terra,  attento  all'orinolo  a  polvere,  pronti 
battere  ogni  ora  sul  bronzo  dalla  voce  immensa.  Ai 
suoi  piedi  è  spalancato  l'abisso,  le  sue  braccia  si 
tutu  Mino  nella  breve  cameretta  della  torre,  dove  alla 
unite  rugge  lira  dei  venti. 

Egli  ha  per  solo  compagno  un  gallo,  l'animale 
dell'alba:  sospeso  tra  la  terra  e  il  cielo,  egli  vive 
sul  suo  campanile  come  un  pilota  sulla  sua  nave; 
a  lui  arriva  il  primo  albore  del  di.  a  lui  l'ultimo 
guizzo  del  sole  morente,  il  primo  fiocco  di  neve,  il 
primo  fulmine,  a  lui  sentinella  avanzai. 1  della  terra 
verso  il  mistero  e  l'infinito.  E  la  storia  ha  pure  pa- 
gine grandiose  per  questi  oscuri  monaci  dell'alto, 
che  spesso  durante  le  grandi  lotte  comunali  e  le 
fiere  insurrezioni  della  Vandea  suonavano  l'ora 
martirio  e  della  libertà.  E  la  leggenda  ha  narrato 
di  vecchi  campanari  che  ogni  notte  sorgono  dalle 
tombe,  salgono  colle  grandi  occhiaie  spalancate  e 
vuote  la  scala  vacillante  e  salgono  ancora  a  bat- 
tere la  mezzanotte.  Fora  del  fascino  e  del  mister". 
l'ora  in  cui  essi  dopo  aver  dato  l'ultimo  colpo 
hanno,  in  una  notte  di  tempesta,  piegata  per  sem- 
pre la  testa  sul  petto  morente. 

1  ■      »•■■■ 

L'assistenza  agli  animali 

E'  una  Società  di  creazione  recente  ma  divenuta 
ben  presto  popolare.  Possiede  uno  statuto,  un'orga- 
nizzazione, una  cassa,  tante  signore  protettrici,  o 
spedali  e  cimiteri  di  gatti  e  di  cani. 

Ecco  gli  articoli  dello  statuto.  La  Società  : 

I.  —  Sussidia  le  persone  povere  che  possiedono 
degli  animali,  perchè  ne  prendano  cura  affettuosa  ; 

II.  —  Soccorre,  nutre,  alloggia  gli  animali  er- 
ranti, affamati,  vagabondi; 

III.  -  Fa  morire  cogli  ultimi  conforti  e  leni- 
menti della  scienza  le  esistenze  più  martoriate  dai 
dolori  della  frusta  o  della  miseria  : 

I V.  —  Propaga  e  popolarizza  l'idea  della  ca- 
rità e  dell'amore  verso  le  bestie. 

La  Società  venne  fondata  nel  1899  in  Francia  e 
tosto  mando  una  Commissione  esploratrice  in  tutte 
le  granili  capitali  europee  e  studiarvi  il  grave  pro- 
blema dell'assistenza  alle  bestie.  La  Commissione 
andò,  vide  e-  tornò  e  in  seguito  ai  suoi  studi  veniva 
creato  un  grande  apparecchio  più  spiccio  della  ghi- 
gliottina e  della  sedia  elettrica  il  quale  dà  la  ni 
con  una  rapidit  1   nicicdibile.  senza  dolore. 

L'animale  che  trascinava  finora  i  suoi  ultimi 
giorni  nell'agonia  e  nell'abbandono,  entrerà  d'ora 
innanzi  nell'apparecchio  asfissiante  e  senza  nessun 
gtido  di  spasimo  rotolerà  al  suolo  cadavere 

l'n  secondo  apparecchici,  e-  questo  di  sana  utilità. 
consiste-  in  una  leva  capace  di  sollevare  rapidamente 
un  cavallo  0  qualsiasi  altra  bestia  caduta  e  schiac- 
ciata dal  cariai. 


DALLE    RIYISll 


Fabbricatori   di  santi 


Da  un  articolo  del  signor  Robert  H.  Sherard,  nel  Pear- 
son's  Magazine,  di  maggio  . 

Pochi  passi  ri  sono  dal  tumultuoso  quartiere  la- 
tino  alle  vecchie  strade  tranquille  che  si  trovami  at- 
:cmo  alla  chiesa  di  Saint-Sulpice.  In  quelle  stradi 
sono  raccolti  molti  commerci  e  molte  industrie  che 
si  connettono  al  culto:  editori  e  librai,  negozianti 
di  paramenti  sacri,  e  via  dicendo.  Ma  quelli  che 
■  'anno  a  quel  quartiere  così  tranquillo  la  caratteristica 
più  curiosa  sono  i  laboratori  in  cui  si  fabbricano  le 
statuette  dei  santi,  dei  martiri,  dei  beati,  da  San- 
t'Antonio da   Padova  col  bambino  Gesù  in  braccio 


471 

caccia  di  notizie,  studiare  il  periodo  in  cui  visse,  i 
costumi  d  poca,  gli  attributi  speciali  del  santo, 
il  genere  del  martirio,  se  martirio  vi  fu.  Così  tempo 
addietro  ricevetti  da  un  prete  della  Francia  meridio- 
nale l'ordinazione  di  una  statua  di  Saint  Fris.  lo 
non  avevo  mai  uditi  >  nominare  questo  santo,  che 
non  ìigura  nemmeno  nel  nostro  catalogo,  sebbene 
questo  rispettabile  volume  contenga  180  pagine  a 
fittissima  stampa  di  nomi  di  santi.  Dovemmo  ri- 
volgerci per  soccorso  ai  lumi  di  un  sacerdote  che  fa 
testo  in  materia,  ed  apprendemmo  che  Saint  Kris 
era  un  capo  dei  barbari  sotto  il  dominio  romano, 
martirizzato  in  età  dì  venti  anni.  Saputo  questo,  il 
resto  era  tacile. 

1  modelli  su  cui  son  fatte  le  statue  sono  disegnati 
da  artisti  i  quali  hanno  passato  lutta  la  vita  in  quel 


Statuette  nel  forno. 


a  San  Giorgio  armato  della  spada  fiammeggiante, 
a  San  Michele  che  calpesta  il  dragone  e  San  Fran- 
cesco d'Assisi  con  le  mani  e  i  piedi  e  il  costato  fe- 
riti dalle  stimmate.  Molte  di  queste  ditte  si  trovano 
a  Parigi,  che  è  centro  di  questa  industria  interes- 
santissima, e  quasi  ne  ha  il  monopolio. 

L'autore  dell'articolo  si  rivolse  per  informazioni 
alla  ditta  più  vecchia  fra  tutte,  che  ha  la  propria 
sede  in  via  Bonaparte.  Essa  esiste  da  oltre  un  se- 
colo. Il  signor  Pacheu.  che  ne  è  capo,  disse  intorno 
alla  sua  industria  cose  interessanti. 

«  La  fabbricazione  delle  statuette  mi  piaceva  molto. 
E'  un'industria  fatta  per  l'uomo  che  ama  frequen- 
tare le  librerie  pubbliche,  e  si  diletta  di  leggere  vec- 
chi libri  e  vecchi  documenti,  assorto  nelle  ricerche. 
Xulla  mi  dà  più  piacere  che  il  ricevere  ordinazioni 
di  santi,  attorno  ai  quali  il  cliente  non  può  darmi 
se  non   pochi   dettagli.   Allora  bisogna   mettersi   a 


mestiere.  I  migliori  arrivano  a  guadagnare  io  mda 
lire  l'anno. 

■  Vi  sono  molle  cose  meravigliose  nel  nostro 
commercio,  disse  l'informatore  dell'articolista.  Così 
abbiamo  un  gruppo  rappresentante  la  Mater  Volo- 
rosa  che  sostiene  il  corpo  di  Cristo  dopo  la  depo- 
sizione dalla  croce.  Il  primo  gruppo  fu  consegi 
alle  suore  Passioniste  di   L  dopo  che  fu 

messo  a  posto  nella  loro  cappella,  si  videro  vi  re  la 
crime  sgorgare  dagli  occhi  della  Peata  Vergine  e  !e 

rsi.   Questo  fatto  fu  notati,  in   ri 
occasioni,  non  soltanto  dalle  suore,  ma  da  numen  si 
moni  indi]  le  che  si  tratti  di  w< 

altro  miracolo.   L'autorità  ecclesiastica  sta  faca 
un'inchiesta  ». 

Da  poi  che  la  ditta  visitata  dall'autore  venne  fon- 
data un  secolo  addietro,  furono  eseguiti  50.000  mi 
delli  di  santi,  e  il  numero  va  crescendo  di  continuo. 


17-  LA    LETTI  R V 

1  vendute  da  quella  sola  ditta  son  più  •  ì ì 

50  mila  1  anni  •■  Per  un  quarti  1  soi  della  Vei 

pò  viene  per  numero  San  Giuseppe.   Per 

uè  della  ' 
Gius  pi  e  e   altrettanto  del    Sacro   < 
Cris    1  è  rappresentato  col  cuore 
inte)  ;    le    altre    si  no    statue   di    aliri    santi  : 

S:m     Paolo, 

(  'lills.      pi       ,  .  Ili 

va  1       San 

t'Antonio    da    Pa 

i  li  il  .1  :      in       i] 

ultimi     anni  San- 
t'Antonio   ì 

alla    pari   l'ini  San 
Giusi  ppe 

Il    terribile  rea- 
lismi! ili  certe  sta 

tue  è  tale  da  col 

lire   anche   il  più 


1  Hi  statua  della  Vergine  in  riparazione. 

L'autore  non   potè  astenersi   dal   domandai 
un  t  erchè  permettesse  a 

spingere  il   realismo  a  tali  estremi.   I 

pei  esempio,  un  San  Giovanni  ili  Dio  che    ri 

un  lebbroso  sul  cui  corpo  l'artista  non  ha  ori 
uno  solo  degli  orridi   segni  che  tgnano  la 

ra,  un  San  Sebas   ano  tutto  sanguinante. 
Ni  nolto  in  Ah    ' 

il   negoziante,   —  e  pei 

ili  quei  popoli,  |>iii  indifferenti  ili  noi,  'li  regola,  alle 
renze,  dobl     1  Forte.  Ma  in   nes 

■nella 
lebbra  •■  studiata  dal  \ 

I    così,      -  domandò  l'autore  dell'articolo,  — 
.;'  mandato? 
\ , ,    japete  1  he  egli  mi  lite 

iporali.   Egli  è   invocato  nelle  tempesti 


presta  la  sua    1  in  tante  fai  cende  ili  questo 

mondo.   Se,   ad  esi  perde  qualcosa,   si   ri 

I  a  lui.  Adesso  si  usa  porre  la  sua  statua  su  un 
piedistallo  ili  legno,  in  cui  vi  sono  due  buche,  una 
grande  ed  una  pi  comuni  anti  con  dui  1  as 
sette,  una  delle  quali  • 

e  dal  -ani.-  .11   fedeli,  e  l'altra  ai 
cogliere  li'  offerte  che  1  fedeli  stessi  credono  ili  fare. 
Le  lei  ono  bi  uciate  - 

altri   santi   godono  popolarità  '' 
1  11  tempo  t iì  molto  in  -, 

quelli   che  hanm 

mia  sia  «  spellila  »  ra- 

pidi nte.  Un       np  mo  a  1  agoni   le 

te  della  Madi  una  'li  I ,< mrdes,  e,  anche 
da  ebbe  la  sua  epoca  di  pò]  olarità.  E  gli  ì   il  pati 

cause  disperati     Ma    1  --un 

■  così  in  voga  come  "ra  Sant'An- 
tonio. Si  sono  vendute,  in  certi  anni,  molte  statue  'li 
Santi  Margherita  da  Cortona,  ili  San  Benedetto,  e 
ili  tanti  altri,  ma  la  loro  popolai  ioi  venuta 

mena   Sant'Antonio  si  vede  per  tutto,  in 
le  dimensioni,  in  gesso,  in  cartapesta,  in 
in  bronzo.   Il  tipo  è  si  mpre  1  |uello.   Il  san 
rappresentato  in  abito  monastico,  con  un  libro 

in  mano,  e  sul  libro  il  B 

il  taumaturgo  discorre. 

Nei  laboratori,  si  lavora  intorni)  a  Sant'An- 
tonio sempre  attivamente  Uno  scultore  in  le 
gnu  rupia  sn  un  blocco  ili  quercia  una  sua  sta- 
na che  tiene  vicino;  accanto  a  lui,  un  altro 
sculti  re  evoca  la  sua  immagine  da  una  gn 

pietra  bianca.   Nelle  i pi  ii,  il  lavoro  è 

Febbrile. 

I    santi   si    lanini  ili   altezze  che  variami  dai 
die  i  ri  ai  tre  metri,  sebbene  spess 

uè   molto   più   alte,   come  quella 
della   Vergini    commessa    alla   casa    Raffi    da 
una  chiesa  americana,   alta  quasi  d 
quella  ili  San  Giuseppe  fabbi  1   una 

Ita   venti    mi  tri.    E    i    prezzi 
ami  Idi  alle  miglia 

tranelli. 

Una    Via    Crucis    costruita    ili    recenti 
Lourdes  Fu  pag    a    150  mila   1  ranchi. 

Novi         imi  delle  1  he  si  smerciano 

e  ili  e  arbori  romairt.    Pi 
vari  il  ram  >   in   questo   1 

I   liquido  nelle  forme,  ■  tll'in 

piai  ma  s|  eciale.   1  >i  pò  qualche  ora, 

quando  il  liquido  si  è  raffreddato  e  solidificato,  si 

pron  1'..   Ir  statuetta 

pori  '  ugare  in  un  forno  speciale 

Quando  sono  1  ino   in   un'altra 

1     ove  i  modellatori  le  imperfezioni, 

poiché  dalla  forma,  naturalmente,  le 

perfi       .    im li  si  mettono  .1  posi.,.  ..  scopei 
chi  andò  »  la  testa,  gli  occhi  'li  vetro,  che  sono  fatti 
urli,-  stesse  fabbriche  'la  cui  escono  gli  occhi 

I I  per  gli  uomini,  e  infin  -  'mg' no  gì 
tribù                  1                       dipingono  li-  statuì 

Interessantissima    è    la    sala    dei    marcoteurs ,    i 
quali,    allorché    arriva    un'ordinazione    ili    qual 


DALLE    RIVISTI 


473 


santo  poco  venduto  e  per  cui  non  conviene  tare  un 
modello  speciale,   si  incaricano  di   trasfi  rmare  un 
Minto  in  un  altro.  Ciò  si  fa  cambiando  gli  anni 
I    ,liendo  la  barba  ad  una  statua,  un  vecchio  v< 
diventa   un   giovane  santo.    E'   subito    fatto! 
Adesso  i  fabbricanti  parigini  aspettano  chi    1  I 
vanna  d'Arco,  sinora  semplice  beata,  sia  santificata. 
Allora  le  statuette  dell'eroina  d'Ori  ans  non   si 
più  ! 
Dalla  conversazione  con  un  fabbricante  di  santi 
ssono  raccogliere  aneddoti  mi 
Settimane  addietro.  —  raccontava  il  maj 
fabbricante  di   Parigi.  —  venne  uno  ad  ordinarci 
uu    Sant'Antonio    abate   col    suo    maiale.    Quando 
avemmo    eseguita    la    commissione,    il    cliente    la 
ritìnto.    1.   Io   voglio   un    maiale   molto    più    grande. 
.    un    maiale    enorme  ».    Pare    che    quell'uomo 
un  beccaio  e  che  avesse  bisogno  della  si 
come  insegna!  Noi  gli  rispondemmo  che  non  ci  in- 
aiamo di  certe  commissioni. 
■  Le  impressioni  che  si  possono  raccogliere  nel- 
l'officina  di   un   fabbricante  di   santi,   dice  conchiu- 
do  lauti  re,  son  molte,  e.  la  più  parte,  elevate. 
Credo  tuttavia  che  la  più  forte  sia  quella  eh 

entrando  nel  magazzino.  Vi  entrai  sul  cadi  1 


I  rova 


della  sera.   Le  ombre  empivano  la 
popolata  di  immagini  di  santi  e  di  man 

nel  loro  splendine  immacolato.  N'era  un 


sala,  tutta 

iri.  gloriosi 

senso  pro- 


Forma   e   Statili!!.!. 

ido  di  pace  e  di  quiete.  Come  l'ombra  cresceva. 
le  figure  sembravano  più  fulgide,  bianche  inani  si 
contorcevano  nell'agonia,  altre  dita  erano  sollevate 
in  atto  di  preghiera,  altre  in  atto  di  benedizione. 
E  per  quanto  uno  si  dicesse  che  quello  era  il  la- 
boratorio  di  un  mercante,  che  quelle  erano  imma- 
gini di  pietra  e  di  legno  e  di  cartapesta  1  ita  un 
simbolo  che  dominava  lo  spiriti'  anche  dopo,  tra 
la  gente  affaccendata,  fra  lo  strepito  e  i  bagliori 
d'una  città  mondana  ». 


Il  più  potente  eannone 


Non  e  più  il  tempo  in  cui  1  grandi  cannoni  delle 
moderne  corazzate  erano  considerati  come  mei 
glie   insuperabili.   Quello  che  gli    Americani    hanno 
recentemente  a  all'entrata  del  porto  di  Nuo- 

va   York   oltrepassa   tutl  ie   l'artiglieria  cono- 

sceva   l'inora   di    piti   colossale  e   potente,   e   può   i 

un'idea  del  e  1  ì  "li"  Veme  voleva 

mandare  una  palla  fino  alla  Luna. 

11  pezzo  americano  ;-  lungo  diciassette  meti 

quasi   me//.,  metro  di  calibro  (45   cent.);    esso 

,m    proiettile   di    2000    libbre   inglesi    (no; 
chilogrammi)  contenente  una  carica   di   300  chilo- 
grammi di  cotone  fulminante  ed  avente  la  veli 
,1  minuto  seconda 

Il  ,-,.,!..  di  questo  cani -  n    »tro,  di  questo  re 

dei  cannoni,  raggiunge  la  rispettabile  somma  di  75 
1,    la  dollari,  pari  a  375  mila  franchi. 


Sant'Antonio  in  lavorazione. 


IT! 


LA    LETI  URA 


I  cani  agenti  di  polizia 


.ili-  Leelures  p''in  lous,  'li  aprile  . 

pia  dire  che  il   progresso  esista  anche  per 
rumali,  specialmente  pei  i  cani,  giacché  < piost i 
■  arrivati  .1  far  cose  cui  la  natura  non  li  ave\  1 
destinati.    Nel   Canada   l'amministra/ione  delle 
|x  sic  utilizza    la   velocità   dei   'ani   del    Labrador  e 
1  Groenlandia  in  un  servizio  ili  fattorini  pestali 
durante  l'inverno;    nel    Klondike  ne  hanno    lai:'; 
■  rap    i     n   tri  a  1  ili  trascinare  pompe  ila  in- 
i       -     1  che  ultimamente  nel  Belgio  1  cani 
.in  promossi  al  grado  ili  agenti  di  polizia. 
I.a  prima  idea  è  venuta  al  signor  Van  Wesemail, 
capo>commissario  della   polizia   a   Gand.    In   quel 
ine  del    resto  in   tutti  »  il    Belgio,   il   rane  è. 
si  può  dire,  il  cavallo  ilei  povero:  tira  la  carrozzella 
lattaio,   rimorchia  panieri  di  legumi,  riporta  a 
il   unno;    talvolta  una  o  due  pariglie  di  cani 
gran  razza  trascinano  a  spasso  il  padrone.   Os- 
servando  questi    svariati    impieghi   dell'amico   del- 
l'uomo, il  Van  Wesemail  pensò  di  servirsene  per  il 
1  <li  pubblica  sicurezza. 
Gand  è  una  città  solcata  da  molti  canali,  circon- 
data da  ricche  fattorie  e  da  grandi  giardini  di  orti- 
<  Intra.   La  tentazione  di   rubare,   da  parte  dei   va- 
gabondi, è  tanto  maggiore  quanto  più  estesi  e  meno 
vigilabili  sono  quei  campi  e  quegli  orti.  Gli  agenti 
erano  spesso  oggetto  di  attacchi  notturni,  che  fini- 
vano talvolta  coll'assassinio.    Per  impedire  i   furti 
e  garantire  le  guardie,  il  Van  Wesemail  chiese  al 
borgomastro,  ed  ottenne,  di  organizzare  un  servizio 
di  cani  poliziotti,  ed  egli  stesso  si  occupò  del  loro 
addestramento,  con  un  metodo  fondato  sulla  dol- 
cezza. 

Far  capire  alle  bestie  che  debbono  arrestare  le 
persone,  ma  non  far  loro  del  male,  è  difficile.  Si  im- 
piegano, nei  primi  saggi,  dei  mannequins.  rappre- 
sentanti quanto  più  esattamente  è  possibile  dei  ladri 
e  degli  individui  pericolosi,  e  atteggiati  come  chi 
vi  glia  nascondersi. 

Nel  secondo  periodo  dell'addestramento  si  sosti 
tuiscono  ai  mannequins  degli  uomini  mal  vestiti,  e 
per  misura  di  precauzione  si  adoperano  gli  stessi 
impiegati  del  canile,  ai  quali  le  bestie  portano  una 
grata  affezione.  Ma.  nonostante,  si  mette  loro  la  mu- 
seruola. Poi  ai  custodi  si  sostituiscono  degli  agenti 
■  li  polizia.  Iti  capo  a  quattro  mesi  il  cane  è  ai 
strato  a  questo  esercizio;  indi  è  perfezionato  nel- 
l'arte del  nuoto,  in  quella  di  dar  la  scalata  a  un 
muro,  e  in  una  parola  a  superare  tutti  gli  ostacoli. 
La  polizia  di  Gami  pi  siede  una  squadra  ni  venti 
e  un  cane  cosi  ammaestrati:  cani  da  pastore,  parte 
indigeni,  parte  russi  e  francesi.  Di  giorno,  sì   ripo 

xes  del   giardino  dell'ufficio  centi 
alle  dieci    della   sera  cominciano   il    loro   servizi 
1  ni    qui  11    1  'I l'orologio    del    vecchio 

osto  abbaiano   in   coro,    per  d'uno 
he  Bt  no  pronti   a  entrare  in  campagna. 
L'uniforme  consiste  in  un  collare  di  cuoio  riw^ 
0  d'acciaio  •■   irto  di   punte  aguzze,   dal   quale 
pende   una   medaglia   col    nomi-   .lei    cane,    la    dati 


della   sita   misi  ita   e   l'indirizzo  dell'ufficio  centrale, 
e  d'una  museruola  di  fili  metallici  cosi  strettamei 
allacciati  da  permettere  die  l'animale  beva,  ma 
'la   consentirgli  di   mangiare:    provvedimento   pi 
per  impedire  che  quelle  povere  bestie  siano  avvi 
nate.    In  caso  di  pioggia  esse  portano  delle  ina- 
line impermeabili. 

Ogni   cine  accompagna  un  1  1   giro  ini- 

ziale per  le  fattorie  più   lontane;    finito  questi 
bestia  è  sguinzagliata  e  si  mette  a   litigare  in- 
aila guardia,  senza  allontanarsene  molto.    Se  trova 
qualche  cosa   di   sospetto,   abbaia    forte   perché    l'ut 
mo  si  prepari  all'attacco  o  alla  difesa 
tra  il   malfattore  e  la   guardia   è   impari,   il    fedele 
animale  corre  a   chiamai,     -. rso. 

Questi   poliziotti   quadrupedi    non    solo   sono  co- 
scienziosissimi,  ma   non    (anno  i   difficili   sulla   qui 
stione  della  paga.  Il  mantenimento  di  ciascuno  di 
essi  costa  sei  soldi  al  giorno;   tutta  la  squadra 
per  soli    2300   franchi    sul    bilancio   annuo   min 
pale,  compresa  la  veterinario  e  del 

Quei    venti   e  un   cane   fanno   l'ufficio  di    io   gua 
notturne  die  sarebbero  costate    10  mila   franchi. 

Impressionati   dai   buoni   effetti   ottenuti   a   G   i«l. 
anche  le  città  di  Charleroi  e  di  Anversa  stanno  or 
ganizzando  le  loro  brigate  canine.  A  Parigi  la 
fettura  di  polizia  ha  acquistato  dei  cani  di    I 
nova,  facendoli  addestrare  a  salvare  le  persemi 
pericolano   nella   Senna.    Anche   li    si    adoperano   i 
mannequins:   si  getta  in  una   piscina  una  bambola 
che  galleggia  ;    il  cane,  eccitato  dall'uomo,  si  - 
nell'acqua,  afferra  l'oggetto  e  lo  trae  alla  riva. 
mentando  successivamente  il   peso  della   pupa:'    la, 
questa  affonda  sempre  più  e  così  le  bestie  prendono 
l'abitudine  di  tuffarsi  sott'acqua  e  di  afferrare 
getto   pericolante.    Quando  queste  esperienze   pi 
minari  sono  terminate,  quei  bravi  quadrupedi 
condotti  lungo  le  sponde  della  Senna:    un  agi 
si  slancia  nell'acqua  e  finge  di  annegare  diba 
dosi  o  di   lasciarsi  trasportare  dalla   corrente:    al- 
lora il  cane  si   slancia  a  salvarlo.   A  furia  di   pa- 
zienza e  di  dolcezza  si  arriva  anche  qui  a  impedire 
che  il  salvatore  conficchi  i  denti  nelle  carni  del  sal- 
vato.   Alcuni   cani    imparano   più    presto   e   meglio 
degli   altri:    quello  che  porta   il   tu  .me  di   Parigi,  e 
che  ha  un  anno  appena,  ha  superato  ottiman 
l'esame  sostenuto  dinanzi  a!  vice-direttore  della   pò- 
lizia   municipale,    Mouquin,   e   a   più   di   tre  1 
sott'acqua   ha   afferrato   una    bambola    sovrao 
di  pietre  e  l'ha  tratta  con  lx-1  modo  alla   1 

La  brigata  canina  di   Parigi.  «  brigata  fluviale  ». 
e  sta   scritto   nel   collare,   si   compiile   pei 
nove   bestie.    Prossimamente   sarà    loro    affiliato   un 
alilo    servizio:     quello    della    vigilanza    degli    arguii 
e  delle  banchine,  dove,  la  notte,  si  aggirano  e  si  na 
SCOndonO   tanti    malandrini,    contro    i    quali    i    |  oli- 
ziotti  con  due  sole  gambe  sono  impotenti.  Vigilanza 
attenta,  devozione  a  tutta  prova,  qualità  fisich 
gli  consentono  di  udire  e  di   fiutare  là  dove  li 
non  s'accorge  di  niente;  ce  n'è  più  che  non 
per  legittimare  le  nuove  attribuzioni  del  cane,  che 

lo   fanno   sempre   più    degno   della    nostra    devo 
■Ila  nostra  gratitudine. 


DALLE    RIVISTE 


Università  di  barbieri 


(Da  un  articolo    di    Alder    Anderson,    nello    Slrand   Ma- 
gatine . 

....  Tra  i  o  racconti  di  terrore  »  di  cui  tempo 
addietro  pare  che  la  gente  si  dilettasse  molto,  ve 
ne  era  uno  il  quale  riferiva  come  un  barbiere  della 


47^ 

pasticciere.  E  si  diceva  che  i  gàteaux  ottenuti  fos- 
sero molto  gustati. 

Io  avevo  in  mente  questo  ricordo  quando  il  mie 
barbiere  prese  a  considerarmi  con  aria  meditabonda, 
e  cercavo  di  immaginarmi  che  sapore  avrei  avuto. 
Il  Figaro  però  non  mi  diede  tempo  di  formulare 
l'idea,  e  mi  spiegò  ben  presto  che  la  causa  della  sua 
preoccupazione  era  molto  meno  seria  per  me. 


I  modelli. 


rue  de  la  Harpe,  a  Parigi,  riducesse  i  suoi  clienti» 
a  commestibile.  Un'accoglienza  leziosa:  «  Prego, 
ì  'modi  ».  un  abile  colpo  di  rasoio,  un  traboc- 
chetto che  s'apriva,  e  il  cliente  cadeva  in  un  pas- 
saggio sotterraneo  comunicante  con  una  bottega  di 


Chinandosi  confidenzialmente  su  me,  mi  disse, 
come  parlando  ad  un  iniziato. 

—  E'  il  gran  giorno  ! 

Poche  settimane  prima,  nei  momenti  di  ozio  for- 
zato cui  si  è  costretti  nella  bottega  di  un  barbiere. 


Durante  la  gara. 


pi i  LA   LETTI  i -a 

i  er  la  centesima  i 

■:ir -\  amo  i  meriti  dell'Acqua   I  ' 

ii  i  ...     i  orceui    e    del     Rigenerati ire 

Ilare  ili  madame  de  la    Fumisterie,   rivali   ma 

ffii  ai  i   pei    far  nascere  i  capelli  sulle 

ve,  quando  il   mio   sguardo  cadde  su   un 


Ed    il    gran    giorno  era    arrivato!    Io    avevo    un 

m\  ito. 

Una  profusione  'li  luce,  un'orchestra  assordante) 
una  folla  ili  belle  dame  e  ili  bravi  uomini,  cam 
immacolate,  guanti  bianchi,  scarpe  risplendenti,   li 
prof.    Dubois  mi   fece  gentilmente  da  cicerone,  in- 


Le  i"  ttinature  premiate. 


■placar d  più  sòbrio,  inquadrato  in  una  riunire.  di( 
ir"  un  vetro.  Cominciava  con  la  parola  «  diploma  ». 

n  un  cerili  numeri)  di   firme  minteli] 
li   e  ili  sigilli.   Era  un  diploma  di    Professore 
1     Pettinatura,   concesso   al   signor  Dubois,   cava- 


ari  domi  le  varie  celebrità  e  presentandomi  ai  ma- 
lari.  A  poco  a  poco  entrava  in  me  la 
persuasione   che.    di    fronte   all'arte  del    pettinare, 
•nessuna   professione  al   mondo   fosse  degna   di 
rapare  la  mente  umana. 


i  ili  irraggiungibili. 


dell'Ordine  di  San  Luigi  e  membro  dell'Ao 
a    Francese  (dei  barbieri);    Dubois  era  il   pa 

i  della  bottega   Poche  i  inde  all'artista 

-■.i\u  operando,  e  seppi  quanto  poteva  inta 
s.inni  sull'Uni  barbieri.  Una  volta  Ianni. 

l'Uni  i  ■Minna,    ingegnosa 

utile  col    dilettevole,   o 
in  ui  la  un  ballo  e  da  una  cena. 


I  .1  parte  scria  della  serata  consistette  nelli 
gare.   Quella   i"  i    le  pettinature   femminili   atti 
il   maggior  numero  di   candidati.    Ai    lati   di   numi 
tavole  stendentisi  da  un  capo  all'altro  di  una 
lunga  stanza,  erano  disposti   i  modelli.    Per  gli  e 
■|i.  i  unenti   fun  un  >  concessi  ire  quarti  d'i  ira    I 

de.  cominciò  un'attività  febbrile  di  pettini  e   li 
spazzole.   Ognuno  arricciava,  ondulava,   li 


DALLE    RIVISTE 


477 


traeva  indietro  per  giudicare  la  propria  opera  come 
un  [littore  innanzi  al  suo  quadro,  e  infine  comple- 
tava il  lavoro  con  piume  ed  altri  ornamenti. 

Mentre  procedeva  la  gara,  io  prendevo  informa- 
zioni intorno  ai  modelli  dei  barbieri.  La  qualità  prin 
cipale  che  si  richiede,  come  mi  disse  il  mio  cortese 
informatore,  è  una  capigliatura  serica  su  una  pic- 
cola testa  ben  fatta.  La  regolarità  dei  lineamenti  è 
cosa  di  importanza  secondaria.  LTna  modella  con  bei 
capelli  e  bella  testa  può  aspirare  ai  sommi  onori: 
i  giovani  barbieri  di  talento  si  disputeranno  i  suoi 
servigi  e  la  pagheranno  sette  od  otto  lire  pei  i  i 
parsi  delle  sue  chiome.  Da  una  testa  quadra  e 
grande  o  da  capelli  grossi  il  miglior  parrucchiere 
del  mondo  non  caverà  nulla  di  buono. 

Passati   i   tre  quarti   d'ora,   cominciò   l'esame   da 

parte  della  giuria.   Ognuno  dei  giudici  si  diede  a 

tastare  e  ad  esaminare  le  pettinature  di  fronte,  di 

fianco,    di    dietro,    prendendo    copiose    annotazioni. 

Indi  si  passò  alla  votazione.   Nell'ultimo  concorse 

vinse  un  olandese.  L'anno  prima  il  vincitore  fu  un 

inglese. 

■i«m»i  ' 

Grandi  uomini  e  uomini  grandi 

Se  l'umanità  ama  rappresentarsi  i  propri  eroi  con 
tutti  gli  attributi  della  forza  e  della  bellezza,  la 
storia  c'insegna  che  Alessandro  Magno.  Augusto, 
e  più  vicino  a  noi  Napoleone  erano  di  piccola  sta- 
tura. Invece  Pietro  il  Grande  poteva,  con  la  sta- 
tura di  oltre  2  metri,  essere  posto  tra  i  giganti.  A- 
Iessandro  Dumas  era  molto  alto;  Balzac  se  ne  con- 
solava dicendo  che  «  quasi  tutti  i  grandi  uomini 
Sono   piccoli  ». 

Ecco  gli  elenchi,  secondo  la  statura,  dei  grandi 
uomini,  che  decisamente  non  bisogna  confondere 
con  gli  uomini  grandi  : 

Statura  alta:  Arago,  Beaumarchais.  Bismarck. 
Cesare,  Cromwell.  Carlomagno,  Colombo,  Condor- 
cet.  i  due  Dumas.  Darwin.  Delacroix.  Flaubert.  Goe- 
the. E.  de  Goncourt.  Lamartine.  Lavoisier,  Ma/a- 
rino. Millet.  Mirabeau,  Moltke.  Musset,  Petrarca. 
Puvis  de  Chavannes,  Richelieu.  Ruskin.  Schiller. 
Schopenhauer.  Taine,  Tasso,  Walter  Scott.  Wa- 
skington. 

Statura  media  :  Bacone.  Baudelaire.  San  Ber- 
nardo, Bvron.  Camoens,  Chopin.  Confucio,  Dickens, 
Dante.  Heine.  Gladstone.  Linneo.  Lutero.  Maupas- 
sant .  Michelangelo  ,  Renan  .  Spinoza  .  Verlaine  . 
Watteau. 

Statura  bassa:  Aristotile.  Augusto.  Balzac. «Bee- 
thoven. Calvino,  Comte,  Condé,  Cartesio.  Erasmo, 
Orazio.  Kant.  Meissonnier.  Lamennais ,  Locke, 
Carlo  Martello.  Mendelssohn.  Milton.  Montaigne, 
Montesquieu.  Mozart.  Napoleone,  Nelson.  Vhiers. 
Wagner. 

Pare  che  i  geni  massimi  si  reclutino  fra  i  due  e- 
stremi.  che  siano  o  molto  grandi  o  mollo  picei  li.  I 
diseredati  dell'intelligenza  starebbero  fra  gli  uomini 
di  media  statura;  ma  se  essi  non  hanno  con  lori 
Pietro  il  Grande  o  Napoleone,  hanno  Dante  e  Mi- 
chelangelo, che  è.  conveniamone,   qualche  cosa... 


L'influsso  dell'alcool 

sull'organismo  umano 


L'effetto  dell'alcool  è  diverso  secondo  la  qualità 
e  la  quantità  che  viene  assorbita  dal  nostro  stomaco. 
Preso  ir.  pìccola  dose  esso  provoca  una  benefica 
secrezione  dei  succhi  gastrici,  ma  preso  in  grande 
quantità  produce  nel  nostro  organismo  effetti  disa- 
strosi. 

Esso  è  conosciuto  da  molti  secoli  e  presso  quasi 
tutti  i  popoli.  I  cinesi  conoscono  da  tempo  imme- 
morabile l'industria  della  distilleria  ed  anche  i  tur- 
chi si  inebriano  volontieri  e  da  molto  tempo  coi 
fumi  dell'acquavite. 

L'alcool  ha  un  influsso  innegabile  su  tutta  la  fi- 
siologia umana  avendo  un  effetto  rapido  ed  innega, 
bile  sul  cuore  e  sul  sistema  nervoso.  Infatti,  inge- 
rito in  certa  dose  accresce  il  numero  delle  pulsa- 
zioni ed  accelera  il  corso  del  sangue:  proprietà  que- 
sta che  può  essere  sapientemente  e  con  discrezione 
usata  in  certe  malattie.  L'irritazione  che  esso  pro- 
vi ea  nel  cervello  si  manifesta  nell'esaltazione  della 
fantasia  e  in  un  eccitamento  generale.  Questo  ef- 
fetto sulla  massa  cerebrale  si  spiega  col  perturba- 
mento provocato  nel  sangue.  L'esperienza  però  ha 
dimostrato  che  qualche  goccia  di  alcool  sotto  la  for- 
ma più  appetibile  di  cognac  od  altro  liquore  pro- 
voca un'abbondante  salivazione  e  più  facile  dige- 
stione, crescendo  anche  l'appetito.  Ne  viene  che  esso 
è  atto  specialmente  ad  accrescere  il  calore  del  corpo. 
ad  offrire  energia  in  certi  faticosi  lavori  e  ciò  spiega 
le  simpatie  che  esso  trova  nei  climi  freddi  fra  i  la- 
voratori, i  soldati,  fra  quanti,  insomma,  devono  e- 
sercitare  un  lavoro  muscolare. 

Fra  i  prodotti  assimilabili  all'alcool  non  va  di- 
menticata la  birra,  e  a  ciò  si  deve  l'alta  riputazione 
che  gode  la  birra  nei  paesi  della  Baviera,  dove  si 
crede  che  essa  sia  un  valido  coefficiente  di  forza  e 
di  robustezza.  Un  litro  di  birra  equivale  a  120  grani- 
mi di  latte,  a  60  di  pane  ed  a  25  di  carne;  fra  le 
birre  poi  la  più  ricca  di  sostanze  nutritive  è  la  birra 
di  Monaco.  Le  sue  qualità  igieniche  sono  prodotti 
dal  fatto  che  essa  possiede  tutte  le  buone  qualità 
stimolanti   dell'acquavite  senza  averne  i   difetti. 

Ma  gli  effetti  dell'abuso  di  tutti  i  liquori  alcoo- 
lici  sono  d'altra  parte  terribili:  in  breve  tempo  i 
vari  organi  ne  sono  scossi.  Il  cervello  si  intorpidisce, 
il  sangue  accelera  la  sua  corsa  e  produce  una  febbre 
lenta  ma  micidiale,  i  nervi  sotto  una  contrazione 
spasmodica  e  perenni'  acquistano  vibra/ioni  e  se, 
che  danno  un  tremolìo  a  tutta  la  persona,  lo  sto- 
maco emette  un'eccessiva  secrezione  di  sughi  ga- 
striei  e  quindi  si  arresta  esaurito.  Nel  SUO  interno, 
lungo  le  delicate  membrane  ohe  sono  in  contatto 
diretti",  cogli  alimenti,  sorge  un'irritazione  insistente 
che  può  essere  spesso  il  principio  fatale  del  cancro 
1  davvero  dinanzi  a  questi  effetti  spaventosi  del- 
L'alcoolismo,  divoratore  .li  troppe  vite,  si  dimenti- 
cano anche  gli  effimeri  vantaggi  che  in  certi  casi 
può  produrre  l'alcool  sull'organismo  umano. 


4yS  LA    LETTURA 

Il  cappello  a  cilindro 

nella  storia  e  nell'arte 


Dalle  Lecturet  pouf  tous,  ili  aprile  . 

Si  può  Wirc  che  il  cappello  a  cilindro,  o  a  staio, 
sia   il    segno  caratteo  'lei   costume   mascolini 

moderni  >ti  lo  hanno  portato 

e  1<>  per:. ni'.,  il  presidente  Kriiger  non  se  ne  separa 
mai,  e  lo  scultore  incaricato  di  modellare  la  sua  sta- 
tua colossale  non  ha  potuto  fare  a  meno  di  metter- 
gli in  capo  una  tuba  alta  mezzo  metro,  come  quel- 
1  altro  scultore  incaricato  del  monumento  a  Baudin. 
il  de]  ita  o  trancese  morto  sulle  barricate  durante 
,1  colpo  di  Stato  del  2  dicembre. 

Questo  copricapo  indispensabile  è  intanto  giu- 
dicato bruttissimo  e  orribile  da  tutti  e  da  ciascuno, 
dai  profani  e  dagli  artisti.  Giulio  Lemaitre  ha 
scritto:  «  lo  \urrei  l'abolizione  del  cappello  a  ci- 
lindro, oggetto  tanto  inconcepibile  e  misterioso 
quanto  l'abito  a  coda  di  rondine,  e  più  spaventevole 
ante  la  lunga  assuefazione  dei  nostri 
occhi  ».  Il  pittore  Carolus  Duran  è  stato  ancora 
più  chiaro:    a  E'   l'ultima  parola  dell'orrido». 

Ora  questo  orribile  cappello  non  lo  abbiamo  in- 
ventato ed  imposto  noi.  Gli  artisti  del  secolo  XY111. 
cerne  Goya  e  Bonilly,  lo  hanno  fatto  figurare  nei 
loro  quadri,  e  si  trova  in  tempi  ancora  più  remoti, 
fino  nei  ritratti  del  XV  secolo.  Filippo  il  Buono, 
duca  di  Borgogna,  già  portava  il  cappello  alto,  di 
feltro  scuro  e  di  forma  rigida.  I  contemporanei  di 
Alberto  Diirer  lo  adoperarono  anch'essi,  con  le  falde 
piatte;  e  anche  quelli  di  Rembrandt.  con  una  falda 
rialzata  da  un  lato  e  con  un  cappietto  o  una  piuma. 

Ma  rome  e  dove  è  nato  questo  «  mostro  i?  L'e- 
same delle  antiche  immagini  permette  di  risolvere 
il  quesito.  Il  cilindro  è  una  specie  di  transazione 
fra  le  due  grandi  tendenze  del  copricapo  umano: 
la  tendenza  allo  sviluppo  verticale  e  quella  allo 
sviluppo  orizzontale,  il  primo  contro  l'umidità,  il 
secondo  contro  il  sole.  Sono  le  due  stesse  tendenze 
che  s  imbattute  nei  secoli  per  la  forma  del 

0,   destinato  a  ricoprire  non  una  sola  testa,   ma 
tutta  una  casa.  E,  casa  curiosa,  negli  stessi  periodi 
sono  stati  insieme  di  moda  i  tetti  aguzzi  e  i  cappelli 
conici,  rome  in  altri  i  cappelli  schiacciati  e  le  ter- 
razze piane.  Questa  coincidenza  è  dipesa  dal  predo- 
minio di  due  diverse  influenze:   la  meridionale  e  la 
nordica.  Generalmente  parlando,  i  copricapo  piatti. 
il  cui  tipo  è  dato  dal  peloso  rappresentato  sui  fregi 
enone,  sono  venuti  dal  Sud,  quelli  alti,  il 
tipo    e    l'elmo   normanno   della   tappezzeria    di 
u\.    rial     N'ord.     Finché    predominò    la    civiltà 
•  romana,    cioè    l'influenza    meridionale,    fu    di 
moda  il  cappuccio  gallo-romano  o  il  berretto  frigio 
a    punta    piegata    sul   davanti;    quando   il    Nord    fu 
tanto  progredito  da  imporre  le  sue  forme  si  videro 
i   cappelli   di   castoro,   «onici,   adatti   a    far  scorrere 
rapidamente   la   pioggia.   Cominciarono   a   spuntare 
■  Carlo  VII,  e  nello  stesso  tempo  si  diffuse  il 
gusto  per  i  tetti  aguzzi.  Il  cappello  alto  arrivò  sino 


a  misurare   45   centimetri;    ma  questo  monunn 
senza   laide,  non  difendeva  dai  raggi  del  sole.    \ 
li  1.1  l'altra  fi  rma,  la  piatta,  tornò  in  favore,  e  s 
Luigi    XI    regnò    incontrastata.    Sotto    Carlo    Vili 
riapparve  il  copricapo  conico,  il  quale  però  si  ab- 
bassò  n\\  poco  e  si  arrotondò  sulla  testa  di  Luigi 
XII.  Ma.  col  Rinascimento,  fu  messo  un'altra  volta 
da  parte:    Francesco  I,  come  cercò  in  Italia  i  suoi 
modelli    architettonici,   così  tornò   al   cappello  oriz- 
zontale, molto  piatto.  Più  tardi,  a  poco  a  poco.  1 
si  elevò  lino  a  diventare  il  tocco  di  Errico  li  ;   poi 
si   alzò  ancora,   ma  senza  che  la  linea  orizzontale 
Fosse  sacrificata:    le  falde   restarono   larghe  quan- 
trunque  il   tondo  si  alzasse.   Sotto  Luigi   XIII    pre- 
decisamente  l'influenza  meridionale,  italiana  e 
[muoia:  il  cappello  si  schiaccia  e  le  falde  si  di- 
stendono tino  a  prender  la  forma  caratteristica  a- 
doperata  dai  moschettieri.  E  sotto  Luigi  XIY  l'in- 
fluenza nordica  è  scomparsa  a  tal  segno  che  le  gu- 
glie delle  cattedrali  sono  giudicate  «  barbare  »  e  i 
cappelli  alti  e  ridicoli.  Essi  scompaiono  dalla  Fran. 
eia  e  dall'Italia  e  restano  soltanto  nei  paesi  germa- 
nici, ma  con  le  falde:  il  cilindro  come  noi  lo  e 
sciamo  è  allora  nato. 

Quali  sono  ora  gli  artisti  che  lo  hanno  immorta- 
lato3 Uno  dei  primi  ritratti  in  cui  lo  vediamo  è 
quello  di  Antonio  di  Borgogna,  l'ardito  capitano. 
Egli  è  rappresentato  in  costume  civile  e  sulla  folta 
chioma  gli  troneggia  un  cilindro  di  feltro  nero  a 
piccoli  orli.  Il  pittore  che  lo  dipinse  si  crede  sia 
Ruggero  van  der  Weyden  ;  ma  bisogna  notare  che 
quell'antenato  della  nostra  tuba  non  presenta  nep- 
pure due  linee  parallele:  i  suoi  contomi  sono  del 
tutto  irregolari. 

La  forma  dello  staio  diventa  regolare  in  Germa 
nia  al  principio  del  secolo  XVI.  I  borghesi  di  No- 
rimberga ne  adoperarono  uno  molto  simile  a  quelli 
che  si  vedevano  nelle  nostre  campagne,  durante  le 
feste  nuziali,  e  che  certi  artisti  —  per  esempio,  il 
Ferravilla  —  mettono  ancora  sulle  scene.  Alberto 
Dùrer.  per  fare  onore  alla  famiglia  della  Vergine, 
credette  di  mettere  un  cappello  a  cilindro  sulla  testa 
d'uno  dei  personaggi  della  composizione  rappresen- 
tante lo  Sposalizio,  e  un  altro  cilindro  pose  sul 
capo  di  Giuseppe  d'Arimatea  nella  stampa  della 
Deposizione.  Parimenti,  nel  Seppellimento  di  Cristo 
del  Matrys  (1508)  uno  dei  carnefici  seduti  sul  Cal- 
vario porta  in  testa  una  solennissima  tuba.  Ouesta 
trionfò  propriamente  in  Olanda.  Al  principio  del  se. 
colo  XVI I  era  lassù  tanto  comune,  che  in  una  stam- 
pa di  Isaia  van  der  Welde.  rappresentante  una 
folla  raccolta  in  una  piazza  dell'Aia,  non  si  vedono 
altro  che  cappelli  a  staio.  Bisogna  credere  che  (niella 
folla  sia  composta  di  borghesi  danarosi.  p>erchè  al- 
lora il  cilindro  costava  caro;  in  l' rancia  non  si  po- 
teva avere  a  meno  di  40  franchi.  Per  questa  ra- 
gione, nella  maggior  parte  delle  immagini  anticlv. 
si  vede  raramente,  sopra  una  o  due  teste  soltanto. 
I.o  mettevano  per  giuocare  al  tric-trac  nelle  iàbagit 
di  rlarlem,  nel  1625  ;  come  lo  si  mise  nel  1820.  a 
Parigi,  per  giuocare  a  dama  al  caffè  Lamblin.  \ 
XVII  secolo  non  c'era  la  distinzione  che  c'è  oggi 
fra  i  copricapo  militari  e  borghesi,  ragione  per  la 


DALLE    RIYI>  I  I 


qi'ale  nella  famosa  Ronda  notturna  di  Rembrandt 
uno  dei  compagni  del  capitano  Cocq  porta  il  paci- 

cilindro.  E'  però  il  solo  che  sia  dato  vedere  in 
tutti  i  quadri  del  celebre  artista:  anch'egli  doveva 
provare  avversione  per  questo  accessorio  dell'abbi- 
gliamento. Il  suo  contemporaneo  Giovanni  Steen  è 
di  meno  difficile  contentatura:  egli  mette  la  tuba 
un  poco  conica  sulla  testa  di  tutti  i  suoi  medici  e 
ciarlatani.  Tuttavia  è  da  notare  che  questo  cappello 
dot  esce  dall'Olanda,  e  che  da  quel  paese  si  espor- 

e  si  copiano  le  tele,  i  ricami  e  tante  altre  cose, 
ma  si  lascia  da  parte  il  ridicolo  cilindro. 

I.,  cose  però  cambiano  con  la  Rivoluzione:  par- 
racche,  cipria,  gale  e  piume  caddero  con  le  teste,  e 

.1  apparve  all'orizzonte  qualche  cosa,  come  ha 

-    un  poeta.  «  di  cupo  e  di  soprannaturale  ».  il 

.appello   a  cilindro,  che  con   l'aspetto  geometrico. 

le  da  tutte  le  parti,  uniforme,  triste,  lugubre, 
simboleggia  1  era  delleguaglianza  pesante,  rigida  e 
v/ntenziosa.  Dapprima  si  trasformò  in  un  trombone 
enorme,  peloso,  ridicolo,  sinistro.  Gli  incroyables  lo 

irono  e  tutta  l'Europa  lo  adottò  a  segno  che 
,-a  dipinse  il  suo  proprio  ritratto  con  quel  co- 
pricapo che  pareva  fatto  della  pelle  di  un  istrice. 
Da  allora  esso  non  disparve  più  ;  il  suo  destino 
fu  unito  a  quello  della  libertà.  Riapparve  immenso, 
schiacciato,  a  larghe  tese  sulla  testa  di  Bolivar,  li- 
beratore dell'America  del  Sud,  e  nel  1820  gli  am- 
miratori   dell'ardente   patriotta   attestarono    la    loro 

razione  contro  la  Spagna  andando  attorno  con 
un  enorme  bolivar  in  capo.  E  la  sua  reputazione 
crebbe:  esso  diventò  come  il  segno  di  riconoscimento 
dei  liberali.  Intorno  a  quel  cappello  si  aggruppa- 
rono gl'insorti  delle  giornate  di  Luglio;  perciò  De- 
lacroix  lo  mise  in  testa  a  uno  dei  principali  com- 
battenti nel  suo  quadro  intitolato  La  libertà.  Una 
tuba  agitava  il  3  dicembre  185 1  Baudin  per  tra- 
scinare i  popolani  contro  Luigi  Bonaparte  ;  una 
tuba  cade  ai  piedi  di  Vittorio  Noir,  il  giornalista 
ucciso  in  duello  dal  cugino  di  Napoleone  III.  In 
tutte  le  lotte  della  politica  e  del  pensiero  essa  sim- 
boleggia la  protesta  dell'avvenire  contro  la  tradi- 
e.  Aivompagna  assiduamente  l'abito  nero,  la 
livrea  della  società  democratica.  0  L'abito  nero  ». 
ha  detto  Alfredo  de  Musset.  «  è  un  simbolo  terri- 
bile: per  arrivare  ad  esso,  le  armature  hanno  do- 
vuto cadere  a  pezzo  a  pezzo  e  i  ricami  a  fiore  a 
e.  E'  la  ragione  umana  spogliata  di  tutte  le  Ulu- 
li e  portante  il  lutto  di  sé  stessa  per  esser  con- 
solata ». 

L'imbarazzo  degli  artisti  è  molto  grande,  quando 
hanno  da  rappresentare  un  uomo  col  cilindro.  Uno 
scultore  non  lo  può  mettere  in  testa  alla  sua  statua  : 
se  glielo  mette  in  mano,  può  sembrare  che  abbia 
scolpito  un  questuante,  o  può  accadergli  come  a 
quello  che  mise  uno  staio  in  mano,  col  fondo  in 

a  una  statua  eretta  in  una  piazza  di  Glasgow: 
d'inverno,  la  tuba  si  riempie  di  neve  I  pittori,  al- 
meno, possono  lasciare  nell'ombra  l'oggetto  anti- 
patico. 

I_a  signora  di  Girardin  diceva  una  volta  a  uno 
dei  suoi  amici  :  <i  II  vostro  cappello  a  cilindro  è 
molto  brutto,  molto  incomodo  ;  ma  non  lo  smettete. 


479 

E'  difficile  portarlo  bene,  e  il  modo  di  portarlo  è 
l'ultimo  segno  dal  quale,  ai  nostri  giorni,  si  possa 
riconoscere  l'eleganza  e  il  saper  vivere  ».  Queste 
parole  si  possono  anche  riferire  agli  artisti.  Se  il 
cilindro  trionfò,  come  abbiamo  visto.  nell'Arte  an- 
tica. l'Arte  moderna  deve  anch'essa  saper  trovare  il 
modo  di  servirsene. 


Emilio  Zola  sul  tavolo  anatomico 


Da  un  articolo  di  Paolo  Mantegazza,  nella  Nuova  A 
logia,  del  15  marzo  . 

Nel  render  conto  di  uno  studio  antropologico 
compito  dal  Mac  Donald  di  New  York  intorno  ad 
Emilio  Zola,  il  Mantegazza  premette  una  dichiara- 
zione: egli  non  s'accorda  con  la  scuola  lombrosia- 
na,  la  quale  d'ogni  uomo  di  genio  fa  un  matto  o 
per  lo  meno  un  epilettico,  e  quando  trova  un  uomo 
superiore  in  cui  non  c'è  il  più  piccolo  segno  di 
pazzia,  gli  nega  il  genio  e  gli  accorda  per  cortesia 
il  battesimo  di  grande  ingegno.  Ciò  non  vuol  dire 
che  abbia  ragione  la  scuola  opposta,  quella  degli 
spiritualisti  e  dei  poeti  dell'anima  i  quali  vorreb- 
bero impedire  di  studiare  i  grandi  uomini  e  di  ana- 
lizzarli, quasi  non  fosse  un  nobile  ed  alto  scopo  della 
scienza  scrutare  per  quali  leggi  e  per  quali  ragioni 
il  cervello  umano  emerga  dalla  media  volgare.  Lo 
studio  del  Mac  Donald,  dice  il  Mantegazza,  è  ap- 
punto prezioso  perchè  dimostra  che  si  può  analiz- 
zare scientificamente  un  uomo  di  genio,  senza  di 
necessità  concludere  che,  appunto  essendo  genio,  è 
anche  mentecatto  ed  epilettico.  Lo  Zola  era  già 
studiato  antropologicamente  del  Toulouse,  dal  Ma- 
nouvrier,  dal  Bertillon,  dal  Block.  dall'Huchard, 
dal  Joffrey.  dal  Robin,  dal  Molfet,  dal  Serveaux, 
dal  Bonnier,  dall'Henry,  dal  Philippe,  dal  Crépieux- 
Jamin,  dal  Passy,  dal  Golippe  e  da  altri;  ma  il 
Mac  Donald  era  l'uomo  più  adatto  a  riassumere 
tutte  le  osservazioni  sul  grande  scrittore  francese, 
perchè  dotto  in  tutti  i  metodi  più  moderni  dell'esa- 
me antropometrico  e  biologico. 


Zola  nacque  a  Parigi  il  2  aprile  1840.  Nulla  di 
anormale  ci  fu  nel  suo  sviluppo  ;  si  notò  soltanto 
che  non  poteva  pronunziare  la  lettera  s,  a  cui  sosti- 
tuiva la  /.  0  Quale  prezioso  fatto  per  la  scuola  lom- 
brosiana  !  »  esclama  ironicamente  il  Mantegazza. 
Bambino,  fu  più  volte  malato  e  restò  pallido  e  de- 
licato; divenne  robusto  più  tardi.  Terminò  i  primi 
studi  a  18  anni  e  soffrì  di  una  tifoidea  piuttosto 
grave.  Dai  20  ai  40  sofferse  sempre  di  nevralgie, 
ebbe  una  cistite  e  sintomi  di  angina  pecloris.  A  35 
anni  smise  di  fumare  per  seri  disturbi  di  cuore  .  e 
solo  dopo  i  primi  trionfi  letterari  che  gli  pro- 
curarono l'agiatezza  divenne  tanto  forte  e  ingrassò 
a  segno  di  riuscirgli  penoso  il  minimo  esercizio 
muscolare.    Sofferse  di   dilatazione  di   stomaco,   di 


|8o  LA    LETTURA 

■  li  sonnolenza  dopo  i  i 

sa  die  in  parte  con- 
t ini:  'li  non  bere  durante  i  pasti,  di 

endo   invece  un   litri,  di 
In    18  mesi  ili  questa  dieta   p<  n 
jo  libbre  'li  peso.   Ebbe  sempre  cattivi  denti, 
fu    precoce  intellettualmente,   e   imp 
:  ;   anni.    I  r.i   i  7  e  i    i.\   ;i- 1   Aix.  studiò 
ggiando  per  le  cam- 
\   io   anni  ebbe  il  primo  amore,   e  a    12 
ore  fu  per  lui  una  cosa  più' seria;   nondimeno 
le  d  nella   sua  gi"\i- 

\   1  j  anni  entrò  al  Liceo,  dove  da  principio 
fu  degli  ultimi  :  ma  |n>i.  messosi  d'imj  portò 

par^  :  i.    Prescelse   gli    studi    scientifici,    a- 

veni  -  tanza  per  le  lingue  mi  «te 

lecialmente  per  il  greco.   A  18  anni  passò  con 
la  famiglia  a  Parigi,  dove  visse  solo,  perchè  i  con- 
io deridevano  per   l'accento  provenzali  ; 
alla   licenza    fu    bocciato  nella    storia  e   nella  lette- 
ratura. Fu  perciò  che,  senza  titoli,   non  potè 

a  nessun  posto  ufficiale.   Intanto  la  madre  ri- 
vedova e  povera,  ed  egli  dovette  lottare  con 
!.i  miseria   in   mezzo  alle  classi   più   povere  di  Pa- 
rigi, dove   pen>   raccolse  osservazioni    preziose  pei 
re  che  scrisse  più  tardi. 
\   57  anni    lo   Zola  aveva    l'aspetto  robusto,    sta- 
tura sottr>  la  media,  pelle  Manca,  sguardo  da  mio- 
pe, l'occhio  sinistri  del  destro  per  uno 

•     lo  1  irbicolare  -      ca- 
re che  1  nnover  rebbe  tra 
rativi.  La  sua  fisonomia,  secondo  il  Man- 
za,  somiglia  moltissimo  a  quella  del  Letour- 
neau.   etnologo  e  psicologo  illustre.  Con   la   fisi 
mia.  essi  hanno  simili  anche  i  caratteri:    sono  en- 
trambi   positivisti  ed    increduli,    tenaci    nei    pi 

•i-voli:     coincidenza    importantissima 
studio  della   [ 
Lo  Zola  ha  grande  sensibilità  cutanea,  è  soggetto 
asimi  cardiaci,  a  crampi,  a  tremiti,  a  vertigini, 
uà  irritabilità  capacità 

per  cui    si    sente   stanco   dopo   3 
li  occupazioni    mentali.    La   sua  memoria    non 
passa  la  media,  ma  egli  ricorda  cose  del  seo 
anno  di  vita.  C  1  la  propria  lin 

il    Mantegazza,   la   fisonomia   letteraria 
dello  Zola  si  spiega  con  la  grande  sensibilità,  la 
memoria,  la  tenacia  del  volere  e  il  potente  spi- 
rito ,  il  JVIac    Donald,    il 
suo  Credo  morale  e  re!  ■_ 

nioni:    «   Il   genio  o  ns  Ste   nel    riprodurre  la   natura 

con  1 1   diritto  ;•  l'applii  !   US 

zia.    S  tra    la   legge   naturale  e  la 

.1.  ciò  di]  una  falsa  applicazione  della 

zia.    La    doni  :  leni  1  equilibrio    ed 


iniziativa   dell  uomo  e  in  gì  .   è   infi  1 

ma  gli  è  spessi,  superiore  nelle  piccole  cose.  Tutti 
i    dogmi    religiosi    gli    sembrano    inconsistenti;     la 
moralità  è  da  lui  fondata  nel  l'osservare  le  legg 
ciali.    Il   suo  ci  della  vita   è  pagano:    sai 

unto  ciò  die  fa  male,  ciò  che  è   Inori  della  natura 
è  incomprensibile  •. 

I  .      de     di    ordine    e    di    meti  do    s,.n,     in    lui 
profonde    e    ne    è    schiavo,    tanto    nella    vita 

ica  quanto  nel  lavi  ro  d'arti     Li     1    ■    più  belle, 
a  suo  gusto,  sono  :  zza,  la  salute  e  la  l'- 

Ama  i  gioielli  e  le  macchine  a  vapore,   segno  della 
finezza    e    della    forza.    Fra    i  colori    preferisce   il 
rosso,  il  giallo,  il  verde  e  le  tinte  sbiadite.  Fra 
odori    preferisce   quelli    naturali    dei    fiori.   1-' 
profumi  artificiali.   Gli  sono  graditi  i  cibi  dolci.    In 
arte  predilige  il  Ba  I  I  ■        \.  >n  gli  i 

il    teatro   moderno.    Non    ama   i   giuochi    d'azzardo, 
né  il  bigliardo  vhi  si.  ma  lo  stancano.  - 

porta  facilmente  le  offese  1 
ma  quelle   fatte  alla  giustizia   lo  irritano: 

spiegare  la  sua  campagna  in  favore  di  Dreyfus. 


Ed   eccoci   a  quelle   manie   delle  quali    i    li 
siani  han    fatto  gran  caso. 

Passeggiando.    Emilio   Zola  cinta   le  lampi; 
gas.  le  porte  delle  case  e  le  carrozze  da  nolo.  1 
anche   i  gradini    delle    sede   e   gli   oggi-iti    del    suo 
scrittoio.  Certi  numeri  gli  sono  antipatici,  altri  sim- 
patici. Una  volta  il  numero  prediletto  era  il  3,  ora 
è   il   7.  Di  notte  apre  gli  occhi    7  volte  per   pei 
dersi   che  non  morirà.    Il    17  gli  è  odiosissimo  per- 
ché gli  rammenta  una  data  funesta.   Xon  entr.i 
lontieri  in  una  carrozza  che  ha  un  numero  a  lui  an- 
tipatico.   Ma    egli    stesso    ride    di    queste    man 
quando  vuole  le  vince. 

Xon  si  sono  osservati  in  lui  fenomeni 
epilettici.  E'   però  nevropatico,  come  tutti   gli   uo- 
mini eccessivamente  sensibili  e  perciò  eccitabili  :  ma 
da  ciò,   dice   il    Mantegazza.  «  al   concludere   ci 
pazzo   o    .  to.    c'è  un   gran  salto  che    il 

buon   senso  mi    impedisce  di    fare  ».    I.e  manie 
liane  si   possono  osservare   in    uomini    volgari  e   di 

ingegno,   ma  che  però  non  potevano 
al  battesimo  di   genio.   Condì  \1 

riferisce  la   sintesi  del    Mac   Donald:    «  I.e 
caratteristiche  sue  sono  la  finezza  e  l'e>  '-Ila 

percezione,   la  chiarezza  dell 

di  ai  -  di  osserva  il   Man- 

izza  —  la  sicurezza  nel  giudi/io.  il  bui  n 
di  ordine,   il   potere  di  coordinazione,  la  straord 
ria  tenacità  nello  si  un  gran  si 

>   militar 


<-d"gV 


P3^j=^ 


5EPPE    GIACI  'SA.    Ih, 


K».  —  Tip  della  S,  ra. 


Galluzzi  Giovanni,  ferente  responsabile. 


u 
fi 


ni 


n 


ANEMIA  -  CLOROSI 


IL  PIÙ'  ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

L.   1   la   bottiglia    in   tutte    le   farmacie 

— £3£S 

SCIROPPO  PAGLIARI 

//  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole  L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


Biogenol  Pagliari 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 


PER     USO     INTERNO     E     P  3  R     USO     ESTERNO 


L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 

ESTRATTO  PANERAJ 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

effloaolsslmo     nelle     «or-rxxo     ocitarrmi 


J 
l 
J 

fi 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI  DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE       [| 
si  curano  e  si  guariscono  col 

\ 
l 
J 
l 

Li1 
1 
J 
fi 
J 

fu 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

jj  Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 

u 

n ,^^_ 


ir 

u 
u 

IL 


Stampato  completamente  colla  macchina  u  Fulgur  »  NEBI0L0  e  C.  •  TORINO  •  Milano  -  Genova. 


CORNELIA 


CR- 


ISTO" 

I  (  ontinttazione  e  fine,  vedi  numero  />/<•/  edente). 


Cornelia  suggerì  ai  due  giovani  ili  girare  per 
la  città  per  sentire  se  si  sapesse  qualcosa  della 
-ut  avventura.  Essi  le  risposero  ebe  già  l'ave- 
yano  fatto  con  tutte  le  cautele  immaginabili, 
ma  che  nessuno  ne  parlava.  In  questo  mo- 
mento uno  dei  loro  tre  paggi  s'  avvicinò  alla 
porla,  e  disse  dal  ili  luori  : 

I  n  gentiluomo  .seguito  da  due  valletti 
domanda  del  mio  signore  don  .luan  de  Gam- 
boa;dice  chiamarsi  Lorenzo  Bentivoglio. 

A  questo  messaggio,  Cornelia  stretti  i  pugni 

se  li   mise  alla  bocca,  lasciando  sfuggire  di   tra 
le  dita  una  voce  soffocala  e  tremula: 

Signori,  è  mio  fratello;  egli,  senza  dub- 
bio, saprà  die  sono  qui,  e  viene  per  uccider- 
mi.  Soccorretemi,  signori,  difendetemi. 

Calmatevi,  signora:  voi  siete  in  luogo 
sicuro,  sotto  la  protezione  nostra,  nessuno 
(pundi  potrà  farvi  il  menomo  oltraggio.  Scen- 
dete, don  .luan.  amiate  a  vedere  che  desidera 
questo  gentiluomo,  lo  rimarrò  qui  per  difen- 
dere Cornelia,  se  fosse  necessario. 

Don  Juan,  senza  mutar  taccia,  scese  sul- 
l'istante.  Don  Antonio  si  fece  portare  due  pi- 
stole cariche,  poi  diede  ordine  ai  paggi  di 
prendere  le  loro  spade  e  di  tenersi  pronti.  La 
governante,  vedendo  questi  preparativi,  tremava 
come  ima  foglia,  e  <  '.omelia,  che  temeva  qual- 
b rutto  all'are,  non  era  meno  spaventata 
di  lei.  Solo  don  Antonio  e  don  .luan  conser- 
vavano il  loro  sangue  freddo,  occupandosi  di 
quanto  dovevano  fare. 
Don  .luan  trovò  don 
Lori  n/o  alla  porla  della 
strada:  appena  veduto- 
lo, que  ii  gli  disse: 

—  Io  supplico  la  Si- 
gnoria Vostra  (è  que- la 


ESIGETE 


Wmm 


MARCA 


HERMANN 

MILANO-TORINO 


■limila   it  diana     a 

con  me 
nella  chiesa  qui  di  con- 
tro.   Debbo  parlare  alla 

'  ■    ira    d'  un 


aliare  in  cui  si  tratta  della  mia  vita  e  del  mio 
onore. 

-   Molto  volentieri,    rispose  don  Juan:  an- 
diamo dove  credete. 

Ciò  detto,  si  presero  a  braccetto,  andar > 

in  chiesa  e  si  sedettero  su  un  banco  in  di- 
sparte, in  modo  da  non  essere  uditi.  Lorenzo 
parlò  pel  primo. 

Signor  Spaglinolo,  disse,  io  sono  Lo- 
renzo Bentivoglio,  se  non  Ira  i  più  ricchi,  cer- 
tamente fra  i  più  nobili  gentiluomini  di  questa 
città.  Essendo  noto  a  tutti,  ciò  mi  servirà  di 
scusa  alla  lode  che  mi  laccio  da  me  stesso. 
Rimasi  orfano  qualche  anno  fa,  ed  ebbi  sotto 
la  mia  tutela  una  mia  sorella  così  lidia,  che 
se  non  mi  appartenesse  cosi  da  vaino,  le 
espressioni  e  le  iperboli  mi  mancherebbero 
per  farne  gli  elogi,  non  potendo  nessuno  i 
rispondere  alla  su:',  bellezza.  .Misi  ogni  ima 
sollecitudine,  ogni  mia  cura,  per  custodirla, 
tanto  mi  era  caro  l'onor  mio,  la  sua  gioventù, 
la  sua  bellezza.  JMa  il  carattere  leggiero  e  vi- 
vace di  mia  sorella  Cornelia  (COSÌ  vien  chia- 
mata ingannò  ogni  mia  precauzione,  ogni  mia 
misura.  Insomma,  per  esser  breve  e  non  stan- 
carvi troppo,  vi  dirò  che  il  duca  di  Ferrara 
Alfonso  d'Este  vinse  con  occhi  di  linee  quelli 
di  Argo  e  ch'egli  trionfò  della  mia  accortezza, 
trionfando  della  virtù  di  mia  sorella.  Ieri 
egli  la  rapì  e  la  portò  a  casa  d'una  mia  pan 
(dicono perfino  che  essa  abbia  avuto,  di  questi 
giorni,  un  bambino).  Lo  seppi  ieri  sera  e  [inseguii 
sul  momento,  credo  perfino  d'averlo  incontrato 
e  di  averlo  assalito  la  spada  alla  mano,  ma 
egli  venne  soccorso  da  qualche  angelo  iute- 
lare,  il  quale  non  permise  ch'io  lavassi  nel 
suo  sangue  la  macchia  del  mio  oltraggio.  Le- 
ce mi  dunque  privo  di  mia  Mirella  e  del  mio  onore 
(ha  ho  deciso  di  andare  subito  a  Ferrara  per 
domandare  al  duca  soddisfazione  dell'offesa  ri- 
cevuta,  e  se  me  la  rifiuta,  sfidarlo,  nuesto  non 
avverrà  con  schiere  armate,  non  polendo  nò  riu- 
nirle, nò  assoldarle,  ma  da  uomo  a  uomo. 
Appunto  perciò    avrei     bisogno  del   vostro  ap- 


Attente  MADRI! 




L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Caffé  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostii  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffé  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  mela  o  di  un  terzo  il  Carle 
Malto  Kneipj.  Il  Caffé  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  mediti.  Adoperatelo  e  pò 
tete  fan- a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  i  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliete  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  tlì 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto,  chiedetelo  a  tutti  1  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


Anno      >^ . 


ISTITUTO  flERO-EliETTROTERfiPICO  DI  TORINO 


-A.  *  .1.  i  *  <>     3C  • 


I3€M*     it*     onro,     delle 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,    37,    piano   terreno 


E  Y unico  Istituto  in  Europa  pei  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
1  più  nienti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinaimche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  </uel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  die,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  lo  sale  di  tura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici.  Nebulizzazioni 
medicale.  Bagno  idro-c  le  Urico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Cori  enti  ad  alla  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ec<  .  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  lisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-j  mesi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  £-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  ili  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI   E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a    tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  die  si  spedisce  gratis. 


BtiLAXO 


FERRO  CHINA  BISLERI 

RICOSTITUENTE  DEL  SANGUE 

Sono  lieto  ili  poter  dichiarare  —  scrive  il  chiaro  prof.  li.  Vanni  della  R.  Univer- 
sità .li  .Mudili. i  —  che  avendo  avuto  più  volte  occasione  ili  sperimentare  il  FERRO 
CHINA  BISLERI  ne  constatai  in  notevolissimi  vantaggi  come  liquore  eupeptico  e 
tonico. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


Il 


l  ORNI  l  l\ 


poggio,  vorrei  che  mi  accompagnaste  in  questo 

spero  che  non  me  lo  ri  iuteri  te,  e 
sendo  voi  Spagnuolo  e  gentiluomo,  da  quanto 
venni  informato.  Scortato  da  uno  Spagnuolo, 
e  da  uno  Spagnuolo  quale  mi  sembrate,  mi 
parrà  di  condurre  in  mia  difesa  l'armata  di 
1  luanto  vi  richiedo  è  molto  :  ma  il  do- 
wn- ili  corrispondere  alla  lama  acquistata 
dalla  vostra  nazione  esige  anche  ili  più. 

Basta,  signor  Lorenzo,  gridò  don  Juan, 
i  he  lo  aveva  ascoltato  lino  allora,  senza  mai 
interromperlo.  Domattina  mi  costituerò  vostro 
difensore  e  consigliere,  e  mi  assumerò  la  sod- 
disfazione ii  la  vendetta  dell'  affronto  fattovi. 
A  queste  parole,  Lorenzo  si  alzò  ed  abbrac- 
ciò Stretto  limi  Juan: 

—  In  cuore  generoso  come  il  vostro,  si- 
gnor don  Juan,  gli  disse,  non  ha  bisogno  in 
simile  cosa  di  essere  spronato  da  altro  inte- 
resse, che  non  sia  quello  dell'onore  da  conqui- 
starsi. Questo  onore  ve  lo  garantisco  fin  d'ora,  se 
uscirò  vittorioso  dall'  affare,  e  in  pia  vi  offro 
tutto  quello  che  posseggo,  che  posso,  che  valgo. 
Benissimo,  rispose  don  Juan,  ma  per- 
mettetemi, signore,  di  confidare  quest'avventura 
a  un  gentiluomo  mio  compagno,  sul  cui  va- 
lore e  sulla  cui  prudenza  potete  contare  più 
che  sulla   mia. 

Signor  don  Juan,  replicò  Lorenzo,  giac- 
ché \i  siete  preso  a  cuore  il  mio  onore,  di- 
sponetene come  meglio  vi  aggrada,  parlatene 
a  chi  credete  e  nei  termini  che  volete:  non 
può  essere  che  nobile  e  buono  chi  vi  è  amico. 
Ciò  detto  si  abbracciarono  accomiatandosi 
l'uno  dall'altro,  e  convennero  fra  di  loro  che 
l'indomani  mattina  Lorenzo  avrebbe  mandato 
a  chiamare  don  Juan,  per  montare  a  cavallo 
mori  della  città,  e  proseguire  la  loro  strada 
travestiti. 

Don  Juan  ritornò  a  casa  ed  informò  tosto 
don  Antonio  e  Cornelia  di  quanto  era  successo 
e  dell'impegno  preso. 

-  Vergine  Santa,  esclamò  Cornelia,  la  vo- 
stra cortesia  è  grande  quanto  la  vostra  confi- 
denza. Ma  come  avete  potuto  impegnarvi  in 
una  simile  impresa  pie- 
na di  pericoli?  E  quali 
giorni  angosciosi  passe 
rò  io,  nell'inquietudine 
e  nelln  spavento,  in  at- 
tesa delle  dolci  o  amare 
notizie  sul  risultato  del- 
l'impresa? Non  amo  io 
ini  sejil  duca  e  mio  fra- 
tello pernon  temere  tan- 
to la  disgrazia  dell'uno 
quanto  quella  dell  altro 


ESÌGETE 


Mirai 


MARCA 

HERMANN 

MI  LA NO -TORINO 


La  vostra  immaginazione  va  troppo  lon- 
tana, signora  Cornelia,  e  siete  esagerata  nella 
■•■'•  tre  apprensioni.  Fra  tanti  timori,  lasciate 
un  po'  di  posto  alla  speranza,  lidate  in  Dio, 
mila  mia  accortezza,  nella  mia  brama,  nella 
una  sollecitudine  perchè  venga  compiuto  il 
vostro  desiderio.  Il  viaggio  a  Ferrara  non  si 
può  evitare,  come  non  posso  esimermi  dal- 
i  accompagnare  vostro  fratello.  Finora  non  sap- 
piamo quale  sia  l'intenzione  del  duca,  e  igno- 
riamo se  sappia  della  vostra  tuga.     Tutto    ciò 

dubbia saperlo  da  lui,  e  nessuno  meglio  di 

me  può  domandarglielo. 

Signor  don  Juan,  rispose  Cornelia,  se  il 
cielo  vi  darà  tanto  potere  per  rimediare  ai 
mali  .  quanta  grazia  vi  dà  nel  consolarli,  io 
debbo  calcolarmi  ben  fortunata  in  mezzo  alle 
mie  pene!  Vorrei  già  sapervi  andato  e  ritor- 
nato, per  quanto  dure  emozioni  mi  debbano 
dare,  nella  vostra  assenza,  la  speranza  ed  il 
timore. 

Don  Antonio  approvò  la  risoluzione  di  don 
Juan,  e  lodò  il  nobile  modo  col  quale  aveva 
risposto  alla  confidenza  di  Lorenzo  Bentivo- 
glio.  Fgli  aggiunse,  poi,  che  li  voleva  accom- 
pagnare, nel  caso   che  la  sua  presenza  fosse 

utile. 

—  Quanto  a  questo,  no,  rispose  don  Juan  : 
prima  di  tutto  perchè  non  sarebbe  bene  di 
lasciare  sola  la  signora  Cornelia,  e  poi  perchè 
non  vorrei  che  il  signor  Lorenzo  pensasse  che 
io  voglia  valermi  del  braccio  altrui. 

-  11  mio  e  il  vostro  l'anno  una  cosa  sola, 
replicò  don  Antonio;  dovessi  serbare  l'inco- 
gnito e  seguirvi  da  lontano,  lo  farei  ugual- 
mente. Sono  persuaso  che  la  signora  Cornelia 
non  se  ne  dorrà.  Essa,  d'altronde,  non  è  sola, 
ed  ha  chi  la  custodisce  e  le  tiene  compagnia 
Oh,  sì,  riprese  Cornelia,  sarà  un  gran- 
dissimo conforto  per  me,  di  vedervi  partire 
insieme,  o  quanto  meno  in  modo  da  potervi 
prestar  soccorso  vicendevolmente,  se  il  caso 
lo  volesse,  e  giacche  quest'impresa,  a  parer 
mio,  può  essere  pericolosa,  vi  prego,  siglimi, 
di  portare  queste  reliquie  con  voi. 

Ciò  dicendo  si  cavò  dal  seno  una  croce  in 
diamanti  d'un  valore  inestimabile,  e  un  Agnus 
in  oro  altrettanto  ricco. 

1  due  amici  esaminarono  quei  preziosi  gioielli, 
ma  li  resero  a  Cornelia,  dicendo  che  essi  pure 
avevano  delle  reliquie,  se  non  ricche  e  pre- 
ziose come  le  sue,  però  altrettanto  miraco- 
lose. 

La  governante,  saputo  dai  suoi  padroni  della 
loro  partenza  (ignorava  però  dove  andavano 
e  per  quali  ragioni  ,  li  assicurò  che  avrebbe 
sorvegliato  e  accudito  la  dama  di  cui  ignorava 


)'?■<$&:> 


Il  più  soiu€He, 
II  più  sano  e  nutriente  e  perciò 
11  più  raccomandato  dai  medici, 
Il  più  gustoso 

di  tutte  le  marche. 


- 


- 
- 


■f^^:..  .    r'WW^ 


I  GRANDIOSI  MAGAZZINI 

di  Chincaglieria  ed  Orologiera 


MILANO  -  Corso  Vitt.  Em.,  15  -  MILANO 

verranno  nel  prossimo  Settembre 

TRASLOCATI 

nei  nuovi  lucali  Corso  Vitt.  Em.,  angolo  Via  S.  Paolo,  N.  2 

Sino  all'epoca  del  definitivo  trasloco  verrà  continuata  la 

^ANDE  LipDA/IOlflE 

di  tutti  gii  articoli 
col  40"  0  di  ribasso  sui  prezzi  di  marca 


■ss-  Articoli  per  regalo.  Pendole  e 
Candelabri,  Statue,  Vasi,  Articoli  in 
pelle.  Piecoli  mobili,  ecc. 


min 

LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATACI  E    DEPURATIVO   DEL   SANGUE 

dei  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

ilei  di  l'unto    prof.  Girolamo    Pagliano  premiato   al- 
sizionc  nazionale  farmaceutica  1894  ed  alIEsposizione 
naziori.'l"  d'I  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  orig-inali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 
□   stra  marca  depositata.  Non  abbiamo  sui 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


Laboratorio  Pacelli,  u 


ivorni 


GnariLTione  OA?#S#EED 

|  dopo  £  0    1"   >/ionii    se    >• 
l'effetto  benefico      dell'anemia  , 
clorosi,  (pallidezza dei  rotto)  si 
ottiene  con    l'uso  del  rinomato 
ferro   Pacelli  che  •   effica- 
cissimo perchè  digeribiì 
senza  moto  eà  inqualunqiu    i  \g 
ne.  FI.  !..  2.50.  per  posta  1,2,65. 
Vendesi  in  tutte  le  f; 
a.  Mai,  ■   :  -Roma  e  da] 

Laboratorio  .Pacelli,  Livorno 


MALATTIE 

NERVOSE 
DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 
ESAURIMENTI 

Cura    radica  le  coi  suc- 
chi organici  del   Labora- 
torio Scquardiano   dui 
DOTTOR    MORETTI 
milami.  via  rorino  N.21. 

Opuscolo  >iratis. 


C<  >1<\I  I  l  \ 


perfino  il  nome,  in  modo  che  essa  non  a. 
neanche  ad  a  si    Iella  loro  assenza. 

L'indomani,  di   buon  mattino,  Lorenzo  era 
alla  porta  'li  casa    Don  Juan,  vestito  da  viag- 

,  col  suo  prezioso  cappello,  guarnito  di 
penne  gialle  e  nere,  e  aveva  coperto  le 

gemme  con  un  nastro   nero .  ommiato 

da  i  omelia .  la  quali',  sapendo  che  suo  fra- 
tello era  lì  sotto,  colta  da  spavento  indicibile, 
non  seppe  rivolgere  una  panila  d'addio  ai  due 
amici  Don  Juan  uscì  pel  primo,  ed  andò  con 
Lorenzo  inori  mina,  dove  in  un  giardino  tro- 
varono due  buoni  cavalli  con  due  valletti  che 
li  tenevano  per  la  briglia.  Vi  montarono  so- 
pra :  i  valletti  corsero  davanti.  Don  Antonio 
.a  su  un  suo  ronzino .  travestito  in 
modo  da  non   essere   riconosciuto;    ma  s'ac- 

e  che  Loren    i  lai  dava  con  diffidenza, 

onde  risolse  ili  prendere  la  via  mar-ira,  sicuro 
d'incontrarli  poi  a  Ferrara.  Appena  i  viag- 
giatori i  isciato  Bologna,  Cornelia  rac- 
contò alla  governante  le  sue  avventure,  le  con- 
fessò che  il  bambino  era  suo  e  del  duca  'li 
Ferrara,  le  confidò  tutti  i  particolari  di  questa 
stori:  ià  narrammo;  le  disse  pure  come 
i  suoi  padroni  fossero  andati  in  compagnia  'li 
suo  fratello  dal  duca  Alfonso  a  sfidarlo.  La 
governante,  ciò  udito,  come  se  un  demone  le 
avesse  dato  ordine  di  imbrogliare  le  cose,  ri- 
tardando la   libertà  di   Cornelia,  disse: 

-  Come  mai,  signora  mia,  con  tutti  questi 
guai,  ve  ne  potete  vivere  tranquilla  come  se 
nulla  fosse?  (>  non  avete  animo  o  l'avete  come 
un  pulcino!  É  voi  credete  proprio  che  vostro 
fratello  vaia  a  Ferrara?  Non  è  vero  niente! 
lo  sono  persuasa  ch'egli  volle  condur  con  sé 
i  miei  padroni,  allontanarli  'li  casa,  per    po- 

i  tornare  da  solo,  e  togliervi  la  vita!  Chi 
abbiamo  per  difenderci?  Tre  paggi  imberbi! 
Ter  conto  mio,    confesso  che  non  avrò   il  CO- 

jio  d'aspettare  la  rovina  che  minaccia 
questa  casa.  Signora  mia,  se  voleste  seguire 
un  mio  consiglio,  io  saprei  forse  togliervi 
d' impiccio. 

—  E  quale  provvido  consiglio  mi  dareste 
voi,  per  evitare  questa 
catastrofe? 

—  Quale  nessun  al 
irò  potrebbe  darvelo 
meglio,  rispose  la  go- 
vernante. Voidovete  sa 
pere  i  he  molti  anni  fa, 
io  fui  a  servizio  di  un 
curato  '  he  abita  a  due 
miglia  da  Ferrara.  Egli 
è  una  -anta  persona  . 
che    farebbe    l'impossi 


ESIGETE 


HHH 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


bile,  avenilo  con  me  delle  obbligazioni    mag- 
i  'h  quelle  per  averlo  servilo    fedelmenti 
Andiamocene  colà,  io  vado  a  cercare  qualcuno 
clic    ci  accompagni  :    quanto    alla    donna 

viene  ad   allattare   il   bambino,  non   ve   ne  date 
pensiero;  essa  è  una    povera    infelice  -chi 
seguirebbe    lino  in   capo  al  inondo.  Nel  caso, 
poi,  che  venissero  a    scoprirci,  è  meglio,  per 
la   riputazione   vostra,  che   vi  trovino   presso 
un  modesto  curalo  ili  campagna,  che  sotto  la 
prole/ione  di  due    giovani   studenti    sp 
1  quali,  da  quanto  vidi,  non  lasciano  mai  si 
le   occasioni    che  si   presentano....  0 
penile  siete  a  mmalat  a,  vi  rispettano;  ma  aspet- 
tate di  essere    guarita  ...  te    ancora  in 
mani  loro.   Dio  farà    ben.    a   venirvi  in  aiuto: 
vi  assicuro  che    se  la  mia  freddezza  e  i  miei 
rabbuili   non   mi   avessero  custodita,  avrebbero 
messo  a  rischio  la  mia  virtù. 

E  gliene  disse  tante  e  di  tutti  i  colori  che 
alla  (ine  Cornelia  si  decise  a  seguire  il  suo 
consiglio.  In  meno  di  quattro  ore,  dopo  aver 
preso  ogni  disposi/ione  si  trovarono  in  car- 
rozza colla  nutrice  ed  il  l'ambino:  senza  la- 
sciarsi scorgere  dai  paggi,  si  misero  in  via 
verso  il  villaggio  del  curalo.  Ricordandosi  poi 
che  don  .luan  edon  Lorenzo  contavano  di  an- 
dare a  Ferrara  per  strade  di  traverso,  « 
per  evitare  d'imbattersi  in  loro,  stabilirono  «li 
viaggiare  sulla  strada  maestra,  a  piccole  gior- 
nate. 

Ed  ora  che  le  sappiamo  ben  appoggiate  e 
sicure,  Lasciamole  proseguire  nel  loro  viag 
e  vediamo  quello  che  successe  a  Lorenzo  lìen- 
tivoglio  e  a  don  .luan  de  Gamboa.  Dicono  che 
strada  facendo,  seppero  che  il  duca  non  era 
a  Ferrara  ma  a  Bologna,  per  cui  lasciarono 
le  vie  di  traverso  e  raggiunsero  la  strada 
maestra,  persuasi  che  don  Alfonso  -ani. le 
passato  di  lì  lasciando  Bologna.  Uopo  peo 
tempo,  gettando  lo  sguardo  verso  Bologna  per 
vedere  se  sopraggiungesse  qualcuno,  scorsero 
di  lontano  un  gran  ninnerò  di  persone  a  ca- 
vallo. Don  .luan  disse  a  Lorenzo  di  scostarsi 
dalla  strada,  perchè,  nel  caso  <■]]>■  il  duca  fa- 
ci s  e  parie  del  gruppo,  egli  si  sarebbe  avvi- 
cinato, e  gli  avrebbe  parlato  prima  di  entrare 
alle  poiic  di  Ferrara,  a  breve  distanza  di  li. 
Lorenzo  approvo  la  sua  idea  e  gli  ohi- 
Appena  si  In  allontanalo,  don  .luan  si  tolse 
dal  cappello  il  nastro  che  copriva  il  gallone 
ingemmato  bourdalou  .  cosi  assai  imprudi 
cune  confessò  di  poi. 

In  questo  momento  fu  raggiunto  dai  viag- 
giatori. Fra  di  essi  vi  era  una  donna  montata 
su  un  eavallo  morello,  m  co-lume  da  viaggio, 
il    viso  copi  rio  da   una   maschera    in  -eia  nera. 


VI  ATTO 
GLOBO      .,-"  t/rtìCV 

./   rnift—- 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata:    «  Globo   sopra    Li- 
scia rossa  .>   e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostra*    Ini  nitore    volesse 
darvi  altra  marca. 
Vendita  esclusiva  all'iu^rosso  :  JVJJVX  PKANK  -  MILANO. 


PELI  0  LANUGGINE 

col  T>EFIt.ENO,  Depilatorio 
rliaave.  Flacone  con  istruzìon 

CAPELLI  NERI 


del    viso    e    del 
uorp  1   sparisco- 
no   per    sempre 
il  'OEPH.ENO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
rliaave.  Flacone  con  istruzione  !..  3    franco  L.  3.501. 


oill  ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  .  tintura 
istantani  a.  che  si  applica 
ogni  20  giorni  -i  può  dare  ai  capelli  bianchi  0  grigi  0 
alla  barba  quella  tinta  naturale  che  più  m  desidera.  K 
affatto  Innocua.  —  Flacone  L.  2.50   franco  L.  3.IO1. 


CALLI 


iluri  ni,  occhi  ili  pernice,  ecc     G  larigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dell'infallibile  Callifugo  COESA- 
IiINS.  Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30 

Indirizzare  lettere,  vaglia 


SORDITi 

SI  DIMAGRISCE  g 


1.75 


E  MALI  D'ORECCHIO  si  guari 
scono  usando  il  linimento  acustico 
UDITIKA  «lei  dottor  W.  T.  Adair. 
ranco  I.   2).  Istruzione  gratis. 

pochi  1  .in  prcn- 

:i  I no    al- 

.  une  PILLOLE  COjST- 
TH.O  L  OBESITÀ'  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  »i 
curo  effetto  1  senza  inconvenienti.  Oltre  distri 
dipe   "ni"  pure  indicatissime  contro  1  disturbi   digestivi, 
stitichez    l.  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  Oxatisopu- 
olos   iegativo  L.4.50Iascatola(L.4.75francodiporto 
fID   \  -TUO      "■  MEDICO  DI  SE  STESSO.    Consi- 
II  li  A    1    Sii     «li  pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati. 
UiiniAU     _  Guida  per  le  famiglie.   -    52  pag.  ìl- 
lustrai   .  si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  ili    semplice 
carta  ila  visita  culle  iniziali  M.  S.  >. 


cartoline-vaglia  unicamente  all' 

OFFICINA   CHIMICA  DELL  AQUILA 


:\iii^a.:vo 

Via  S.  Catocero.  25 


PIPA  STELLA  POLARE 


unica  nel    suo 


enere,  di  vera  radica  inglese,  gvire- 
vo'.e  in  tutte  le  parti,  antinico- 
tinora,  con  apposito  riservators 
(Vedi  disegno).  Il  ìumo,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  fresco  e  gradevole  alla 
jaringfe. 

.Ricercatela 

presso 
Rivenditori,  oppure  spedite   L.   3  alla  Fabbrica  di 
pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 

Virino  al  Tonte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 

'  >ni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 

la  Marca  LEONE. 


LA  NUOVISSIMA 


PIPA  LEONE 


di  radica  inglese  con  sistema  isolatore    della  nico- 
tina è  insuperabile. 

Inviare  T>.  2,50,  se  con  bocchino  corno  brésil  I.  3,50, 
alla  lai  lirica  pipe  ili  Matvrizio  Pisetzky,  via  Vittoria,  il. 
e  la  ri  ff  meo  :  per  I  Estero  centi  -imi  35 

Ogni  pipa  ha  impresso  li  nome  M.  Pisetzky. 


Stabilimento  Idroterapico  e  Stazione  Climatica 

rosiiime  «f ni timliBHit sii ubre.tnBol» e  tpts'it fimo,  sul huk.  Cure  Idroterapiche 
eletìriche.  Massaggio.  Ginnastica  medica.  Cure  speciali  p<r  r.  '  ■""" 
epina1  i,  di  stintati).  Smistici!  e  risaltati  ottimi.  Medico  D:ret.  liuti  L.C.  BURGONZIU-. 


TUTT  ! 

quelli    ''In-    !<-r^ i1"'- 

st  ,-i\  \  isi»  saranno  amant 
dei    gelati.     Mediante    la. 
.uova    macchina    am   ri 
C  ma    <  THE  EASY  ►    in 
cinque  snh  minuti  si 

POSSONO  AVERE 

o  litro,  equivalente  a  sei    eccellenti   gelati,   oppure 
un  litro  in  dieci  minuti.  Pensale  bene 

BEI  GELATI 

i ,  celienti .    fati  i  il  i  voi  stossi .  puliti ,    squisiti.   Noi    n<  q 
diamo  questa  macchina 

PER  NULLA 

ma  la  vendiamo  per  !..  «  ;  completa  con  istruzioni.   Ag- 
giungere l  .  i   pi  r  imballag  rio  o  ,  orto. 

The  Handy  Things  Co. 

(Compagnia  par  la  vendita  di  oyrjetti  utili) 

MILANO    -    Via    Dante,    G. 

ri 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  L.  15  75  e  L.  19  75 

e   niPtnilo 


UIVlVKl<»Af.i!, 
per  Signorine  1..  10.501ranco 

[ere  ilCATALOGO  grati - 

Ocarine  -  Corde 
Metodi  -  Chitarre 

V.    MASCOLINI 

ViaCesarc  Correnti,  7 -Milano 


DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

i'iliano-Tedesco 

GRUNWALD  &  GATTI 

editore  Belfortc  -  Livorno 


Tei-  acquisti  rivolgersi  l  ,■ 
fin  Annuir:  Domenica 
del  Corriere  e   Lettura 

—  Via    Pietro    Verri,    12    — 

Milano. 


1\ 


CORNELIA 


Doa  Juan  arri  vallo  in  mezzo  alla  strada 

e   rimase  a  viso  scoperto 

Il  portamento  altiero,  il  bel  cavallo,  il  rii 
urne  «lei  gentiluomo  spagnuolo  e  soprattutto 

il  luccichio   dei  diamanti  sul   rapinilo  attras 

irdo  'li  quelli  che  venivano  a  lui, 

e  principalmente  quello  del  duca  che  si  trovava 

i    schiera.     Appena    gettati  gli   occhi  sul 

bourdalou,  capì  che  quello  che   lo  portava  do- 

don  Juan  de  Gamboa  e  senza  più 

riflettere  spinse  il  cavallo  verso  di  lui. 

Non  credo  sbagliarmi,  gli  disse, chiaman- 
dovi don  Juan  de  <  ìamboa  :  il  vostro  portamento 
e  l'ornamento  del  vostro  cappello  me  I"  con- 
fermano 

I .  vero,  rispose  don  Juan  ;  mai  non  seppi 
né  volli  nascondere  il  uno  nome.  .Ma.  ditemi 
chi  siete,  signore,  affinchè  non  vi  manchi  di 
cortesia 

lo  sono  il  iluca  di  Ferrara  ,  il  quale  si 
terrà  sempre  onoralo  di  servirvi  tutti  1  giorni 
della  sua  vita  .  poiché  voi  le  salvaste  la  sua. 
non  sono  quattro  notti. 

Non  aveva  mulo  di  pronunziale  queste  pa- 
role, che  don  Juan,  saltando  con  prontezza  da 
cavallo,  corse  a  baciargli  i  piedi.  Ma  per  quanto 
si  fosse  affrettato,  il  duca  già  aveva  lasciato 
la  sella,  di  modo  che  nello  scendere  dalla  stalla 
don  Juan  lo  ricevette  nelle  sue  braccia.  Il  si- 
gnor Lorenzo,  che  di  lontano  osservava  queste 
cerimonie,  attribuendole  non  alla  cortesia  ma 
all'ira,  si  slancio  tosto  col  cavallo,  ma  di  botto 
indietreggiò  quando  li  vide  abbracciati.  Il  duca 
lo  riconobbe;  questa  vista  lo  turbò  alquanto, 
e  domandò  a  don  Juan,  sempre  stretto  tra  le 
sue  bracci;!,  se  Lorenzo  Bentivoglio  fosse 
l  mi    lui. 

Allontaniamoci,  rispose  don  Juan. 

Il   iluca  lo  obbedì,  e  allora  don  Juan  disse; 

—  Signore,  Lorenzo  Bentivoglio,  che  voi 
vedeste  or  ora,    vi    accusa  di  una  colpa  non 

giera.  Egli  assicura  che  (piatirò  notti  or 
-omo  voi  rapiste  sua  sorella  ('.omelia  dalla  casa 

di  una  sua  parente,  dopo  averla    ingannata  i1 
disonorata.  Egli    vuole    sapere    da    voi  quale 

soddisfazione  contate 
dargli,  per  vedere  ciò 
che  gli  conviene  di  l'are. 
Mi  pregò  di  essere  suo 
mediatore  accettai  pen- 
ti i  che  ness  ino  me 
glio  di  me  poteva  in- 
tromettersi in  questa 
mia  e  (ili  offersi  il 
uno  aiuto,  i  ira,  signo- 
re, vorrei  sapere  da 
voi     quanto    vi    è    di 


vero  in  questa   lai  cruda,    e    se    Lorenzo    non 

melili. 

Amico  mio,  questa  è  la  pura  vei  ita  e 
quand'anche  lo  desiderassi  non  avrei  l'audacia 
di  negarla  Non  ho  punto  ingannato  Cornelia, 
benché  io  sappia  della  sua  fuga  dalla  casa  di 

Cui    mi    parlate  ;   non    l'ho    ingannata,  perchè    la 

presi  per  sposa;  non  l'ho  rapita,  perchè  ignoro 

dove  si  trova.  Se  non  celebrai  pubblicamente 
le  nostre  nozze,  fu  perchè  aspettavo  che  mia 
madre,  morente,  passasse  a  miglior  vita,  per 
non  contrariarla  nel  suo  desiderio  ch'io  sposi 
Laura  figliuola  del  dura  di  Mantova,  e  per  altri 
motivi  più  gravi  ancora,  che  ora  non  mi  con- 
viene di  palesare.  Fero  quello  che  avvenne: 
la  notte  in  cui  veniste  in  mio  soccorso  <l  vevo 
condurla  a  Ferrara,  perchè  scadeva  il  mese  in 
cui  doveva  venire  alla  luce  il  pegno  accordato 
dal  rido  al  nostro  amore.  Ma,  sia  a  causa  del 
mio  combattimento,  sia  a  eausa  del  mio  ri- 
tardo, quando  giunsi  in  quella  casa  trovai  la 
confidente  dei  nostri  progetti  che  usciva.  Mi  in- 
l'ormai  di  Cornelia  ed  essa  mi  rispose  che  era 
già  uscita,  dopo  aver  messo  alla  luce  in  quella 
notte  istessa  il  più  bel  bimbo  del  mondo,  che 
essa  aveva  consegnato  nelle  mani  di  Fabio, 
uno  dei  miei  servi.  Questa  donna,  di  cui  vi 
parlo,  è  quella  stessa  che  ci  accompagna.  Fabio 
pure  è  qui,  ma  il  bimbo  e  Cornelia  non  si 
sono  ritrovati.  Rimasi  a  Bologna  quasi  due 
giorni,  aspettando  e  cercando  di  avere  qualche 
notizia  di  Cornelia,  ma  invano. 

Per  cui,  signore,  interruppe  don  Juan, 
se  Cornelia  e  suo  tiglio  si  ritrovassero,  voi  non 
neghereste  che  una  è  la  sposa  vostra  e  l'altro 
vostro  figlio? 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


difficoltà,    riprese  don 
a  vostro  cognato,  il  si- 


—  No  certamente. 

—  Non  avreste  voi 
Juan,  di  dire  tutto  ciò 
gnor  Lorenzo  ? 

Ciò  che    rimpiango,    rispose    il  dina,  è 
eh  egli   tardi  tanto  a  saperlo. 

Don  Juan  fece  sull'istante  segno  a  Lorenzo 
di  porre  piede  a  terra  e  di  venirli  a  raggiun- 
.  L'altro  obbedì,  ben  lungi  dal  sospettare 
la  buona  notizia  che  1  aspellava.  Il  dina  sì 
avanzò  a  braccia  aperte  per  riceverlo;  la  prima 
parola  che  gli  rivolse  tu  per  chiamarlo  fratello. 
Lorenzo  poteva  a  mala  pena  risponde  e  a  una 
accoglienza  rosi  cortese,  ad  un  saluto  cosi 
affettuoso  Mentre  rimaneva  confuso,  incapace 
di  pronunziare  una  p  troia,  don  Juan   gli  di 

—  Il  dina  confessa  i  rapporti  segreti  avuti 
rou  vostra  sorella,  la  signora  Cornelia;  egli 
i fessa  pure  ch'essa  è  la  sua  legittima  sposa, 

r.   come   lo  dice    in    questo    momento,   lo  dirà 
pubblicamente   quando   sarà     tempo.    Egli   con- 


Scheuerin 

il   migliore  sapone  per  cucina  ;  chiedetelo  ai  droghieri  e   negozianti    di   ge- 
neri casalinghi  a  20  centesimi   il   pezzo  grande. 

Vendila  esclusiva  all'ingrosso  MAX  FKAXK  -  .MILANO. 


■€>^< 


:-:. 


mm 


Sn,"NEGRI 


VINO    MARCEAU 

Premiato  con  Grande  Diploma  d  Onore  e  Grande  Medaglia  d'Argento 
'■  Guarisce:  scrofola—  Rachitide  Der losi  —  Cloro- 
anemia  —  Tubercolosi  iniziale.  Ottimo  ricostituente  nelle 
malattie  nervose  ed  esaurienti  e  nelle  lunghe  convalescenze 
di  malattie  infettive.  —  Preparato  chimico  nuovissimo  del 
Prof.  D.  li.  Sergent,  Treviglio.  In  Milano  presso  la  far- 
macia C.  Erba.  Zambeletti.  Biancardi  e  C.  —  L.  2  al  flac. 


:        "  '  ' 

.  ,  y  .  - ,, , .  ,j 


l    -^i  • 


[SVILUPPO  DEL  SENO 

bellezza,  ricostituzione,  solidità 

in3ome6"°e„ne„Pilules0rientales" 

del  slg.  J.Rutlè, chimico  farm  5  Passai,-eVer- 
dean.  Parigi.  Hcnefiche  perla  salute  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,36. 
Dep.  in  Milano:  farm.  Zambeletti,  piazza 

!  S.Carlo.   6.  —  Buenoi  Ayre»     U.  Perrel    646 

IM7.  Calle  Cuye. 


-=£ 


^35 


C^-^t   l   Cs± 


p) 


a 


IVIACCHlHfl  PER  SCRIVERE 

WILLIAMS 


JJ 


Unica  macchina 

di    1°    ordine,     a    scrittura    visibil 
e  senza   nastro 


Maneggio  facile  -  Tastiera  Universal; 


mm 


&2Ì 


y'ii: 


S%3>* 


*Lv 


il-: 


JMs 


m*ì 


I   pregi    della   macchina 

«  WILLIAMS  N.   4 

l'hanno  fatta   preferire 

anche  a    quelle 

già    ritenute     le     migliori 

*35* 

Chiedere    Cataloghi,    lista    clienti 
e   macchine   in   prova 
agli  ^Xtit»nti   <i'oiioi-iiii 

ed  osoitisivi   per  rit.-iii.-i 


Ing.  G.  POMTREJVìOIil  &  C.  -  JVHlano  -  Via  Dante,  7. 


Ci  iRNELIA 


vieni'  pm  |aattro  notti  fa  andò  a  pren- 
.!  dalla  casa  di  Bua  cugina,  per  portarla 
a  Ferrara,  aspettando  l'occasione  favorevole 
per  celebrare  le  nozze,  ritardate  per  ragioni 
stissima,  che  mi  conGdò,  Egli  raccontò  an- 
cora i  i battimento  sostenuto  con  voi,  i  ome 

iera  Sulpicia  (la  donna 
che  -i  h  al  suo  seguito  .  dalla  quale  ap 

■m  Cornetta  spessi,  avuto  un  ora 
prima  un  bambino,  e  lo  avesse  consegnato 
a  un  servitore  del  duca,  e  come  la  stessa. Cor- 
nelia, credendo  il  duca  presso  a  venire,  [osse 
ita  di  casa  tutta  spaventata,  credendo  che 
voi.  don  Lorenzo,  conosceste  il  sud  mistero. 
Sulpicia  non  consegnò  il  bambino  a  un  servi- 
dei  duca,  ma  bensì  a  un'altra  persona 
in  vece  sua:  Cornelia  non  riapparve.  Il  duca 
-i  accusa  come  causa  ili  tutto  il  male,  e  dice 
che  appena  verrà  ritrovata  Cornelia,  egli  la 
ricon  ome  sua  legittima  sposa. 

Il  signor  Lorenzo,    buttandosi    ai    piedi  del 
dura,  che  si  sforzava  di  rialzarlo,  disse: 

!  i  vostra  grandezza  e  dei  vostri  sen- 
timenti cristiani,  serenissimo  signor  fratello, 
mia  sorella  ed  io  non  potevamo  sperare  un 
benefìzio  maggiore  di  quello  di  cui  ci  colmate 
rambi,  essa  facendola  vostra  pari,  innal- 
zando me  al  rango  vostro. 

Così  dicendo,  le  lacrime  gli  venivano  agli 
occhi,  il  duca  pure  sentiva  i  suoi  inumidirsi, 
commossi  entrambi,  l'uno  per  aver  perdutola 
a  sua,  l'altro  per  aver  trovato  un  «osi 
ato.  Ma  temendo  che  le  loro  la- 
erime  dessero  prova  di  debolezza,  cercarono 
di  trattenerle,  mentre  dagli  occhi  di  don  Juan 
sprizzava  la  gioia  di  avere  nelle  sue  mani  Cor- 
nelia ed  il  bambino. 

In  quella  giunse  don  .Antonio,  che   si  ralle- 

ti  quando  seppe  dal  compagno  ciò  che 

esso,  e  disse  a  don   Juan: 

Ma  perchè    non    volete    portare    la  loro 

gioia  al  colmo,  annunziando  che  Cornelia  e  il 

bimbo   si   sono  ritrovati  ? 

—  Se  non   giungevate  voi.  signor    don  An- 
tonio, rispose  don  Juan,  l'avrei  già  fatto;  an- 
nunziateglielo voi  stes- 
so ;  sono  certo  che  ve 
ne  saranno  grati. 

Don  Antonio  rac- 
contò loro  dettagliata- 
mente quanto  narram- 
mo   diggià.    Il  duca    e 

Lorenzo  provai una 

tal  gioia  che  Lorenzo 
abbracciò  don  .luan  e 
il  duca  don  Antonio. 
Il  dina  prometteva  per 


.strenna  il  suo  intero   Stato  e  Lorenzo   la  sua 
fortuna,    la    vita  sua.  la  sua  anima. 

lutine  il  duca  disse  : 
-  lo  non  andrò    più  a  Ferrara,  ma    riti 
nero  a  Bologna  sull'attimo  :   queste  gioie  non 
saranno  che  l'ombra    della    felicità,    tinche  la 
vista  di   '.omelia    non    le    avrà    l'alte  reali. 

E,  senza  oltre  aggiungere,  riprese  il  cammino 
di  Bologna  col  suo  seguito. 

Don  Antonio  li  precedette  per  darne  avviso 
a   (.omelia,  ti  menilo    che  la  vista  improvvi 
del  duea    e    di    suo    fratello  le  recassero  una 
troppo  l'urte  impressione.  Ma   non  trovando 

i    paggi    ignorando    dove     fosse  andata, 

egli  si  trovò  l'uomo  più  imbarazzato  di  questo 
mondo.  Oliando  vide  che  la  governante  pure 
era  sparita  capì  che  era  siala  lei  a  decidere 
Cornelia  a  fuggire.  I  paggi  gli  dissero  che  se  ne 
era  andata  il  giorno  stesso  della  loro  partenza; 
quanto  a  ('.omelia,  della  quale  egli  s'informava, 
essi  non  l'avevano  mai  vista.  A  quest'inatti 
annunzio,  Don  Antonio  rimase  fuori  di  se,  te- 
mendo «he  il  duea  li  pigliassi'  per  bugiardi  e 
ingannatori  e  supponendo  qualcosa  di  peggio 
ancora  che  compromettesse  il  loro  onore 
quello  di  Cornelia.  Slava  immerso  in  questi 
tristi  pensieri,  quando  entrarono  il  duca,  don 
Juan  e  don  Lorenzo  e  lo  trovarono  seduto,  col 
viso  ira  le  mani,  pallido  come  un  morto.  D 
Juan  gli  domandò  come  si  sentisse  e  dove  io 
Cornelia.  Kgli  raccontò  loro  quanto  era  suc- 
cesso. Mancò  poco  che  il  duca  e  Lorenzo  a 
simile  notizia  non  morissero  di  disperazione' 
Rimasero  tutti  nella  costernazione,  nella  tri- 
stezza, nella  desolazione.  In  questo  momento 
uno  dei  paggi  si  avvicinò  a  don  Antonio  e  ^rli 
disse  sottovoce  : 

—  Signore,  dal  giorno  in  cui  siete  parlilo, 
Santisteban  tiene  chiusa  in  camera  sua  una 
bellissima  donna  chiamala   Cornelia,    mi   pare. 

Don  Antonio  rimase  mulo,  come  smarriti 
egli  avrebbe  nulle  volte  preferito  che  Cornelia 
si  fosse  perduta  per  sempre  (credeva  clic  l'o 
la  stessa  di  cui  parlava  il   paggio),  piuttosto  di 
saperla   in  simile  luogo.    Sali    alla  camera  del 
paggio,  ma  vi  trovò  la  porta  chiusa  a  chi; 
essendo  egli  uscito:    si  avvicinò,   e  di-  e 
tovoce: 

Aprite,  signora  Cornelia:  vostro  fratello 
e  il  duca  vostro  sposo  vengono  a  cercarvi, 
venite  a  riceverli. 

—  Vi  canzonate  voi  di  me?  rispose  una 
voce  ch'egli  riconobbe  non  e--,  re  quella  'li 
Cornelia. 

In  questo  frattempo  Santisteban.  giunto  a 
casa  e  salito  in  camera  sua,  vi  trovò  don  An- 
tonio,  col  mazzo  delle  chiavi  di  casa  in  mano, 


LIBRI 

a  prezzi  ridotti 

(Franco  di  porto  nel  Regno» 


OCCASIONE  UNICA 

per  acquisti 

IDI    BXJ03STI    L1BEI 
Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


—  I  irosso  voi.  in- 
70  i    L.  8  per .    .    .     L.  3.50 
La  lingua  parlata  di  Firenze 
i  letteraria 
SI  lidio    comparativo 
della  quest  ionedel  prof.  /.'■/  /i 
i  iti.  due  vo'   in-lti   com- 
plessive pagine   --■'  ■   !..  1  50 

per L.   1.50  Studi  sulla  letteratura  con- 

Byron  Giorgio,  opere  complete  Lettere   Critiche    al    "  Fan-      temporanea,  di  Luìg     Vu- 
—  grosso  voi.  in-8°di  p   gine      fulla  della    Domenica    i    'li  ana     elegante    voi.  in-lfi" 

672,  I.    1"  per     .    .    L.  3.50      0    '■      a  \litraylia  —  grosso      di  pag   376    L    5  per  I.    1.50 


Storia  dei  Papi   da  S.    Pietro 

i  i  one  Mìi  —  del  i  ardinale 
il  r  ;  nrùthor  —  grosso  vo- 
lumein-4  di  pag.  266  con  258 
ritraiti  [..  2.5  I  per  .  L.  I.— 
Vasari  Giorgio,  vite  Pittori, 
1 1 1  grosso 
volume  in-—,  'li  pag.  B32.  li.  B 
per L.  2.50 


ii  pagine  Gl'intransigenti  alla  stregua 
dei  fatti  vecchi  auovi  e  nuo- 
vissimi,  aote  postum  ■  ad  ana 
Appendice  sul!'  indirizzo  del 
clero  italiano  al  Papa  nel 
1812,  ili    [ntonio  Stopparli 

o  volume  in  *   'li  i  agine 
:GS,  L    :;  >i;  per  !..   I.— 


Shakespeare   teatro    tradotto      voi.  in-io    di    ps  I      I 

in  versi  da   Gin  '•  ■  '  'ai per I.    I. 

grosso  vi.  in-'-     i    pagine  La  principale  Allegoria  del 


164.  !..  5  per      .    .     L.  2.50 

Schiller,  teatro  completo  tra- 
dotto da  Ma/Tei     indi 
grosso  volume  in-8   di  pagine 
541    L.  s  per   ...     I..  3. 

Foscolo  Ugo  Opere-  grosso 
volume  in-3  'li  pag.  480,  I-.  8 
per  .    .    !..  2.50 

Pellico  Silvio.  Opere  — grosso 
volume  in-b  'li  pagine  500, 
I..  5«per      ....!..  £.50 

Monti    Vincenzo  —  Opere 

lume  in-8  'li  pagi  e 
I     8  per  ...     1..  3.50 

Pindemonte  Ippolito  Op  re 
—  gros  o  volume  in-8'  -li  pa- 
gine 544.  I-    7  per.    L.  2.50 

Perticari    Giulio         Opere 

i  \  olutne  in-8    'li  pagine 
L.  2.50 


la  Divina  Commedia 
cenilo  la  ragione  poetica  e 
i  'ii  posti  da 
Dante  —  Studi  'li  Pier  Vin- 
i  i  asquini .  grosso  vo- 
lume in-i6°  di  pag.  300,  L.  3 
per L.  -  .75 

Arturo  Se hopenhauer, 

Dita  e  la  su  fla .   per 

lileni  '.  traduzione 

dall'inglese  'li  A.  Courth,  bel 
lisslmo  volume  in-i6    'li   pa- 
gine 36  '.  I,.  A  per    .     r..  I 

Giuseppe  Garibaldi  —  Epi- 
stolario '■'  mi  documenti  e  let- 
tere i  ledite  i  -  ■  '  .:  rac 
colto  ed  annotato  de  Emilio 
Ximenes  due  grossi  voi.  in-16° 
complessive  pag  -  !..  ".5  i 
per L.  2 


ìil'  !..  7  per 
Leopardi  Giacomo.  Opere        Giuseppe  Garibaldi       La  vita 
volume  in--   di  pag  ne 


Milano  nel  secolo    XVII.    ili 
V.  Forcella  — gri 
in-8 
illustrazioni.  !..  5  per  L.   1.50 

I  Misteri  di  Milano,  storia 
■  oti  mpora  nea  'fi  bauli 
due  -,r]"->i  volumi  in-8u  con 
molte  illustrazioni  'li  com- 
plessive pagine  IMO.  L.  35 
per L.  5 

La  Teoria  Darwiniana  e  l.i 
creazione  del  a  indipendente 
per  G  i -  ''.'■■  ■  /  Biu  te  ■< 
elegante  voi.  in-8°  di  pa  -.  165 
'■"li  ta\ .  -.1     !..  l'i  i  er  L.  3.50 

Le  prime  Armi,    di    Hi 
lìomjlii    fili    oda  i      lologia 
elegante  volume  in-16'  'li  p  i 
I.    5  per .     !..  2.50 

Antichità  Romane  (manuale). 
■li  Ru  ■    fhi  —  grosso 

v  l'urna  in-13  '  di   pagine 
l..  3  per    ....         L.  I.— 

Storia  Orientale  e  Greca,  ili 


I..  -  i"  r  .     .     .     L.  2.50 
Sulle  due    rive,    romanzo    'li 
:      "i 
lume   in  :6    'li   pag.    .'ri.    T..  2 

per L.—  .50 

Malat'ie  dslle    donne,    trat- 
pleto  del  dot- 
tor Malachia  l> 
—  grosso  volume  in-8°  di  pa- 
gine -  3    '    ii    162    figure   nel 
I..  1".  nei-  !..  2.50 

Nell'andare  al  ballo,  : 
to  di    /      ■  eie- 

■  '    16°    di    pa- 
gine I  18    !..   1   per.      I.  —.40 
Argia  Sbolenfi.  rime  con  pre- 
■i  ■  io    •    di  eh  "i  i  ore  < 

■  •■■  \  lume  in-16'  di 
pagine  HO.  L.  2  per  L.  1.50 
Postuma  Canzonier  i  di 
remo  S(  i  iti  •  legante 
volume  in-16  -li  pagine  17 1, 
L.  l    per     .     .     .  L.  —  .75 

Nova    Polemica    di 
Steccìi  Hi.  elegantevol.in-160 


e  le  gesta    narrate   'li    Jack      Ruggero    Bom/hi         gros 
,„     Vittorio   Vi  echi  .      volumi    in-16"  di  pag.  ; 


preceduta  da  una  Lettera  di 
Giosut  Cardac  ■  elegante 
volume  in-lG  di  pag.  188.  lire 
1.5    per !..  2.50 

La  Pulcalla  d'Orléans,  del 
sii.  Di  Voltaire,  tradotta  da 
Vincenzo  Monti  e  per  la  pri- 
ma volta  pubblicata  per  co  ra 
di  Ettore  Toci.  preg  vole  vo- 
lume in-16"  di  pagine 
L.  6  per L.  1.50 

Tommaso  Crudeli  e    /  t"  >•><< 
frammassoni  in    Firenze,  di 
narra- 
zione    Sto! 

documenti  inediti  —  interes- 

issim  ■   volume    in-16     di 

pag    350    I.    3  per  .     L.  2.50 

Fulvio  Testi  e  le  corti  ita- 
li me  n  Ila  prima  mei  ì  del 
xvii  secolo  e"ii  documenti 
inediti.    Studio  di    Cri   - 

Castro    m ;i   I"  I   voi.  in-16' 
li  pa_-,  ;-      !..  3  per  L.  —.75 


di  pi'-',  li  .  !..  1   per  I..  —  75  Storia  universale  del  canto 
Alfieri  Vittori..,  Tragedie  di  G  itri   I      Fantoni    unica 

_-r"--i  voi.  in-S"  di    l'.ifr.  2sii.      IM|  -u"    ii'Ucri       din'    m  "  -i 
!..  1.25      volumi  in-16   complessi^ e  pa 
L'ine  628,  L.  tì  per.     L.  2.50 


!.. 


per. 


Manzoni  Alessandro  —  Opere 


tavole    !..  :ì  per  .     .    L.  I 
Frati,  papi  e  re.   discussione 

1 1  e,  di    /''"   '."V"    Bon  'hi 
bel  volume  in-16°  di  pag.  208. 
I..  2.50  pi  r      .     .     .     L.  -.75 

La  virtuosa  gente,  disquisi- 
zioni cr  ti  u-  iiirn  "iil"-"ii 
clic  sul  teatro  e  sull'arte,  di 
I . .  ■■  pp  Rota  —  gre 
lume  iu-16"  di  pai.'.  432,  1.  :; 
per L    I.— 

Storia  segreta  dei  Conclavi. 

,1  i    Oscar  Pio,    sulle    trac   li 

di  Pet  ■  <attina 

guati  i"  volumi  in-16  '  com- 

pless.  p,  G50    l..  ii  per  l..  1.50 

Pio  IX    papa  ,    vita    ini  i  ma    e 
ir  i'/"       un 

VOI.    Ili    I  'li      l'i-       -"  ! 

per L       .50 

Il  peccato    originale     divor 

/i"  .  romanzo 

Meìeri  —   grosso   voi.   in-16" 

ili  p.  'i.l.  L  1.60  pi  l  .40 
Il  palazzo  del    diavolo      leg 

genda    manto'  ana,   romanzo 

di   UH 

line     in-16"    di    pagine    t  " 

L.  4  per L.  —.75 


Teoria   dell'educazione,   pel 

'!"".  G.    i.  ;,.'  ,  rsione 

"  dima  del]  avv.   s.  /-/.--/  - 
grosso  voi.  in  g    d 
'••  6  per i.    3._ 

Della  liberta,  trattai"  di  Pie- 
tro ù   ■"  bai        '  I 
limi.'  in-8    di  pagine    12  i  .  - 
per |..  3._ 

Le  opere  di    Gaetano    Doni- 
zetti     .  "iiirii'iii"    alla 
'  per    i 

elegante  voi.  in  16° 
ij  pag.  l'I",  L.  :ì  per  !..  I. 

Episodi    di    guerra,    i 
-inni  di  Creta  -  >h  Tessaglia, 
di   a.  Panieri;  el    ■ 
lumi-    in-16"    di    pag  181, 

L.  2.50  per     .     .    .     L.       75 

Margherita  Pustsrla,  roman- 
zo storico  di  (  '  .-".-,■  (  ■t,,r,:, 
un  grosso  voi.  in-16"  di  pag. 
320,   I..  L.50  per  .     .     L       .75 

Duo  Vadis?.  racconto  storico 
-I  t  i  empi  di  Nerone  di  l     • 

'  volume 
i      l'     di  pag    134  per  L.  —.75 

Ultimi  giorni  di  Pompei  .  di 
lidoardo  Bulw  <  rai  conto 
dilla  prima  èra  cristiana  che, 
storicami  nti  aito    al 

Quc  Vadis  ?  di  Si  'nkit  loicz, 
grosso  volume  in-16°  di  pa- 
gine:;""   I..  _'  per   .     L.  I.— 

Mazzini  Giuseppe.  —  Doveri 
del.  uomo  con  la  \ ita  ed  al 
tri  -.-ritti  dello  stesso  amore, 
l'.-l  \olume  in-16"  di  pag.  Ì60, 
L.  1   per L.      .SO 

Foscolo  Ugo.  —  Ultime  1 
di  Jacopo  Ortis,  bel  \ 
ini   'di  p.  1  in.  I.  1 1"  ri..   -.30 

Senz'Amore    —    de    1 
chesa  <  'ola 

Lume  in-16",  di  pag.  232.  L.  3 
per L.  I.— 

Calcolo  differenziale  ed  in- 
tegrale Applicazioni  geo- 
in  tn  ■  I iti-iie  per 
ring.  Edoar 

'   .  "ii In-16"  di  pag.  l'''i  i, 

1.   :;.:■"  per .    .    .    .    L.  1.50 

Ricordi  di  Fanciullezza,  ili 
.h.irh  la  Bolina    v  V.  \  i        I 

te  vi  1  in  IH"  di  pag 
!..  :■   ;  er I.    I.c0 

Roberta,  di  Luciano  /• 
romanzo,  i 
di  p    346    I         '0  per  I      I.EO 

Rio  de  la  Piata  e  Teneriffa. 

Viaggi    e  -ludi   di    I 

I  .      di 

i  illustraz.  !..  1.50 

per !..   2. — 

La  mia  Tavolozza,  di  . 
Mariteyazza     eie    inte    voi. 

in  IH   di  p.  ;I  '.  L.  l  per  L.  2.— 


A  -\7\TT?TD  TT?T\Tr7 TT  '   suddetti  libri  si  spedisi  '1'  porto   in  tutta    l'Italia  —    per    IV- 

A.  V  V  H/irt  1  ìliVi  ZjHi,  o  aggiungere  le  spese  oltn    il  confin  1'     ordinaz i    ini 

L.  5  re  il   is  oro  in  più  per  spese  di  p  .         ne  —  il  doppio  pn   l'estero  -     lutti    i  libri 

scritti  --"ii"  garantiti  i  contro  assegno  non  si  sp  disce        le  ordinazioni  non  accomp  II  im- 

annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —   lettere   i  toline 

alla  libreria  JJuigi  Perrella,  via  Manzoni,  20.  Milano. 

Coinij3i-ei    e    venclitfi.    Ingrosso    e    ciotti  ««ilio. 


\  I 


<  I  »RN1 


intento  a  i  ercarne    una    ohe    si     adattasse    a 
la  -'natura.  UH    si    buttò  ginocchioni,  la 
chiave  in  mano  e  dis 

L'assenza  di  loro  signori,  o  per  dir  me- 
lina tentazi del  demonio,  mi  lece  con- 
durre qui  questa  donna;  vi  supplico,  signor 
<l"ii  Antonio  possiate  presto  ricevere  notizie 
dalla  Spagna),  vi  supplico  di  non  dir  nulla,  se 
o  a  lo  ignora,  a  don  Juan  de  Gamboa  ; 
manderò  via  subito  questa  donna. 

—  E  come  si  chiama  ? 

rnelia,  rispose  il  paggio. 
Intanili   il   paggio  (  he  aveva  scoperto  il  mi- 
c  sia  per  malizia  o  sia  per  ingenuità,  stava 
narrando  la  cosa  a  don  Juan    e   a    don    Lo- 
renzo,  e  diceva  ridendo: 

Eccolo  preso  in  trappola:  ora  dovrà  re- 
stituire la  signora  Cornelia! 

—  Che  dite  voi  mai,  chiese  Lorenzo.  Dovè 
questa  Cornelia? 

So  ira,  rispose  il  paggio. 
Il  dina,  unii  appena  intese  queste  parole, 
partì  come  un  fulmine,  facendo  i  gradini  quattro 
a  quattro,  sperando  d'aver  trovati)  Cornelia, 
la  sposa  sua!  Quale  ti i  la  sua  delusione  e  la 
sua  confusione!  Egli  dubitò  perfino  che  i  due 
gentiluomini  spaglinoli  In  avessero  ingannato, 
'■  per  non  dar  luogo  a  questo  sospetto,  scese 
le  -cale,  e  senza  dir  parola,  seguito  da  Lo- 
renzo, montò  a  cavallo  e  se  ne  andò,  lasciando 
'Imi  Juan  e  don  Antonio  più  vergognosi  di  lui. 
Risolsero  di  fare  tulli  i  passi  possibili  e  im- 
maginabili per  ritrovare  Cornelia  e  mostrare 
al  duca  la  sincerità  ioro,  e  quale  nobile  de- 
siderio li  guidasse.  Rimpiansero  di  non  aver 
narrato  al  dina,  per  convincerlo  die  Cornelia 
era  stata  in  mani  loro,  e  che  non  lo  avevano 
ingannato,  rome  volesse  regalar  loro  un  suo 
Agnus  ed  una  croce  in  diamanti;  cercarono 
di  lui,  a  casa  di  Lorenzo,  ma  egli  era  già  par- 
tito alla  volta  di  Ferrara.  I  due  amici  gli  dissero 
per  quali  ragioni  lusserò  venuti,  ma  Lorenzo 
li  assicurò  die  il  duca  era  stato  molto  soddi- 
sfatto lei  loro  nobile  modo  di  agire;  egli  attri- 
buiva     la     fuga     di   Cornelia     allo    spavento  di 

trovarsi  sola ,  ed  rera 
persuaso  che  Dio  a- 
vrebbe  permesso  di 
ritrovarla,  essendo  im- 
possibile  die  la  terra 
inghiottisse  lei,  il  bam- 
bino e  la  governante. 
io  suo  discorso 
Orò  i  due  amici. 
Non  vollero  fare  delle 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  I 


bi\'  i:ai  stupii  «eccesso  (risente 

Soprascarpe  di  Gomma 


MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


perquisizioni   per  mez- 
zo di  bandi    pubblici, 


ma  solamente    per   vie  secrete,    giacché  nes- 
suno sapeva  della  sparizione  di  Cornelia. 

Il  dina  continuo  d  suo  viaggio,  e  la  fortuna 
die  d'ora  innanzi  disporrà  pel  suo  meglio,  lo 
(t't-e  giungere  nel  villaggio  del  curalo  presso 
il  quale  si  erano  ricovi  rate  i  omelia,  il  bimbo, 
la  nutrice  e  la  governante.  Esse  gli  avevano 
raccontato  le  loro  vicende,  consigliandosi  su 
quanto  dovessero  lare.  Il  curato,  che  era  grande 
amico  del  dina,  non  fu  dunque  punto  sor- 
preso quando  lo  vide  giungere  al  suo  presbi- 
terio, ma  ciòche  lo  afflisse  fu  di  vederlo  triste 
ed    accorato.    Quanto  a    Cornelia,  saputo  della 

enza  del  duca,  fu  presa  da  un  terribile  - 
mento,  ignorando  quali  intenzioni  Io  condu- 
cessero.  Ella  si  torceva  le  mani  e  girava  di 
qua  e  di  là,  come  una  persona  che  abbia 
smarrito  la  mente.  Avrebbe  voluto  interrogare 
il  curalo,  ma  egli  discorreva  col  duca  e  non 
poteva  avvicinarlo.   11  dina  gli  disse: 

—  Padre,  io  vengo  a  voi  pieno  di  tristezza. 
•  tgu'i  non  andrò  a  Ferrara,  sarò  vostro  ospite, 
l'ile,  vi  prego,  al  mio  seguito  di  proseguire  il 
riaggio  :  resti  con  me  solo  Fabio. 

Il  buon  parroco  obbedì:  poi  andò  a  dare  gli 
opponimi  ordini  perchè  il  duca  fosse  conve- 
nientemente ricevuto.  Cornelia  ehi, e  quindi  mez- 
zo di  avvicinarlo  e  di  parlargli;  ella  gli  disse: 

l'adre  e  signore,  ditemi  che  vuole  il 
duca?  Per  l'amor  di  l>io,  ditegli  una  paro- 
lina di  me,  cercate  di  scoprire  le  sue  inten- 
zioni, insomma  lasciatevi  guidare  dall  ispira- 
zione. 

Il  duca  è  triste,  rispose  il  curato  ;  finora 
non  mi  disse  la  ragione  del  suo  dolore.  .Ve- 
stite il  bambino  elegantemente,  mettetegli  tutti 
i  vostri  gioielli,  soprattutto  quelli  che  vi  regalò 
il  duca,  poi  lasciate  fare  a  me  e  sperate  in 
Dio.  Oggi  chissà  che  non  sia  una  giornata 
felice  per  voi. 

Ciò  detto  ritornò  dal  duca,  aspettando  l'ora 
del  pranzo.  Durante  la  conversazione  gli  do- 
mandò  se  fosse  possibile  di  conoscere  la  ra- 
gione della  sua  tristezza,  perchè  si  capiva  lon- 
tano un   miglio  come  egli  fosse  profondamente 

afflitto, 

È  vero,  padre,  rispose  il  dina,  che  la 
tristezza  del  cuore  traspari'  dal  volto,  e  che 
le  sofferenze  dell'animo  si  leggono  negli  occhi. 
Il  peggio  e  die  per  ora  non  posso  aprire  con 
nessuno  l'animo  mio  ! 

—  Se  foste  in  disposizioni  d'interessarvi  a 
cose  preziose  e  dilettevoli,   ve  ne   lana   ve  ! 

una  che  vi  farebbe  molto  piacere. 

Sarebbe  ben  sciocco,  rispose  il  duca,  colu. 
die  venendogli  offerto  un  sollievo  ai  suoi  mali 
lorifiutasse.  Ve  ne  prego,  padre,  fatemela  vedere. 


Raccoman 

diamo 

vivamente 

ai 

nostri 

numerosi 

clienti 

di 

adoperai  si 

1  in 

tutti  i 

modi 

onde 

vieppiù 

far 

conoscere  ai 

loro 

amici 

e 

conoscenti 

Ile 

nostre 

FU^LOI^E     FATTORI 

«li    CASCARA    SAGRADA 

assolutamente  efficaci  e  radicali   nel 

GASTRICISMO 
CATARRO    INTESTINALE 

STITICHEZZA 

Le  PILLOLE  UNIVERSALI  FATTORI  tanto  efficaci  ed  apprez- 
zate da  tutti  i  medici  si  vendono  solamente  in  scatole  di  metallo  e  non| 
in   tlaconcini  di  vetro. 

Scatole  da  i  a  2  lire  in  tutte  le  Farmacie  e  dai  Chimici  U.  Fattori I 
e  C.j  via  Monforte,  N.  16,  Milano.  -  -  Grossista  in  Milano  Tranquillo] 
Ravasio. 


■4WJJR11WJWS 


-  i 
MTnaHB 


GRATIS 

a    tutti    «li    amiriiiliiti    <li 

EMORROIDI 

Grotta^ 

ALITO  CATTIVO! 


ARTRITE  - 


importante  opuscolo  pratico.  Chie- 
derlo con  cartolina  postale  o  bi- 
glietto da  visita  ai  Chimici  G.  Fat- 
tori e  C.j  via  Monforte,  io  — 
Milano. 


^0«    J3ÌÌÌ 


CAPELLI 

BIANCH 


Il  Ristoratore  dei  capelli  Fattori  ridona  ini 
nido  ammirabile  ai  capelli  bianchi    e    barba    il  loro! 

■  primitivo  colore  nero,  castano  ;    ne    impedisce    la    ca- 
uta, ne  mantiene  la  morbidezza  e    dando    forza   nel 
romuove  la  'restila.   Non  è  nocivo  alla  salute,    non) 

■  macchia,  ed  ha  profumo  aggradevole. 

|20  anni   di    continuo    provato 
successo. 

jBottiglia  L.  1.20  più  cent.  <JO  perposta. 
I    4  bottiglie  L.  L<><>  franche  di  porto. 


Indirizzare  le  domande  ai  Chimici  proprietari 
JG.  FATTORI  e  C,  via  Monforte,  16,  Milano.  — 
Il  rivenditori  rivolgansi  esclusivamente  a  Tranquillo 
IKavaaiO,  Milano,  deposito  di  tutte  le  Acejue  mine- 
|rali  e  Specialità  medicinali. 


VII 


CORNI  I  l.\ 


Il  curato  si  al  ò  andò  da  Cornelia  che  aveva 
finito  'li  vestire  il  bimbo  .  mettendogli  i  suoi 
più  ricchi  gioielli,  la  croce,  ['Agnus  ed  altri 
li  d'un  gran  prezzo,  dati  tutti  dal 
<lii.  a.  Preso  il  bambino  in  braccio,  lo  portò 
dal  'lii'  a,  gli  disse  'li  al/arsi,  di  avvicinarsi 
■  stra  per  meglio  r<  der<  i,  e  gli  mise  il 
bimbo  Ira  le  braccia.  Quando  il  dura  rico- 
nobb  Ili,  rimase  estatico  ;  poi,  fissandolo 

meglio,  gli  parve  di  riconoscere  in  Lui  i  propri 
lineamenti.  Nella  sua  meraviglia  domandò  al 
curato   chi  fosse  quel  bambino. 

\"ii  su.   rispose    il    rurali)  :    quello    che 

so  dirvi  gli  òche  mi  venne  portato,  qualche 
tempo  Fa,  da  un  gentiluomo  di  Bologna,  pre- 
gandomi di  averne  la  massima  cura  e  di  al- 
levarlo Mi  disse  che  era  figlio  d'un  padre  di 
nobilissima  famiglia,  e  di  madre  altrettanto 
nobile.  I!  gentiluomo  portò  seni  la  donna  per 
allattare  il  bambino.  Vi  assicuro  che  se  la  ma- 
dre è  bella  quanto  la  nutrire,  essa  dev'essere 
la  più  splendida  bellezza  d'Italia. 

E  non  è  possibile   vederla?  domandò 

il   dll'a 

-  Cerio,  rispose  il  curato.  Venite  con  me. 
Il  curalo  cercò  di  prendergli  il  bambino,  ma 
il  duca  non  volle  saperne;  se  lo  stringeva  fra 
le  braccia  coprendolo  di  bari.  Il  curalo  corse 
a  dire  a  Cornelia  di  presentarsi  subito  al 
dina,  senza  la  menoma  paura.  Essa  obbedì; 
l'emozione  le  aveva  fatto  salire  al  viso  dei 
colori  così  vivi,  ch'essa  era  d'una  bellezza  più 
umana.  Il  duca,  nel  vederla,  fu  colpito 
rome  dal  fulmine:  le  si  inginocchiò  davanti  e 
le  bacìi  i  i  piedi  :  poi,  senza  proferir  parola,  porse 
il  bimbo  al  curato  e  uscì  dalla  camera,  chia- 
mando Fabio. 

Corri,  amico  mio,  ritorna  a  Bologna  il 
pili  presto  possibile,  di' a  Lorenzo  Bentivoglio 
di  venire  immediatamente  qui,  coi  due  genti- 
luomini spagnuoli  don  Juan  de  Gamboa  e  don 
Antonio  de    l-iin/a. 

Fabio  esegui  sull'attimo  l'ordine  del  suo  si- 
gnore, e    il    dina    ritornò    nella    stanza  dove 
Cornelia    versava    dai    suoi    begli    occhi    ab- 
bondanti lacrime.   Egli 

la  strinse  al  suo  seno 
unendo  i  loro  pianti  : 
la  gioia  non  permet- 
teva loro  di  parlare,  e 
in   un  casto  e  amoroso 

-lini/ lue    teneri 

amanti  .      i     dilr     sposi 

gioivano  della  scana- 
li evole  felicità.  Il  curato 

i  opr  va  di  baci  il  bam- 
bino   che     teneva    in  Ile 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  li  rompono  subito  I 


.  '.ape  saiar 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO   •  TORINO 


sue  braccia  e  «"Ila  mano  dotra,  che  aveva 
libera,  non  cessava  di  benedire  i  due  sposi 
strettamente  abbracciati.  La  governante  del 
curalo,  che  slava  in  cucina  a  preparare  il 
pranzo,  ignorando  quanto  era  avvenuto,  venne 
a  pregare  i  convitati  a  mettersi  a  tavola.  I tu- 
rante il  pranzo,  Cornelia  ran-ontò  quanto  le 
era  successo  prima  di  venire  dui  curato  dietro 
consiglio  della  governante  dei  due  gentiluomini 
die  l'avevano  servita,  custodita  e  difesa  i  OD 
tulle  le  premure  e  il  rispetto  immaginabile.  Il 
duca,  a  sua  volta,  raccontò  tutto  ciò  che  aveva 
fatto  lino  a  quel  momento.  Le  due  governanti, 
presenti  a  questo  colloquio,  ebbero  dal  duca 
le  più  generose  promesse.  La  gioia  era  gene- 
rale per  questo  felice  finale  :  non  mancavano 
più  che  Lorenzo,  don  Antonio  e  don  Juan 
perchè  i  loro  desideri  fossero  esauditi,  (  niesti 
giunsero  dopo  tre  giorni,  ansiosi  di  sapere  se 
il  duca  avesse  avuto  qualche  notizia  di  Cor- 
nelia, giacché  Fabio,  che  era  andato  a  chia- 
marli, ignorava  che  si  fosse  ritrovata. 

Il  duca  andò  loro  incontro  in  una  sala 
che  precedeva  quella  in  cui  era  Cornelia , 
senza  che  dal  suo  viso  apparisse  la  menoma 
gioia,  ciò  che  rattristò  i  nuovi  arrivati.  Il  duca 
li  fece  sedere,  indi  si  sedette  in  mezzo  a  loro, 
e,  rivolgendosi  a  Lorenzo,  gli  disse  : 

Voi  sapete  benissimo,  signor  Lorenzo 
Bentivoglio,  che  io  non  abusai  mai  di  vostra 
sorella.  Il  cielo  e  la  mia  coscienza  mi  sono 
testimoni.  Voi  sapete  pure  con  quale  solleci- 
tudine la  cercai  e  il  mio  desiderio  di  trovarla 
per  darle  la  mia  mano,  come  le  avevo  pro- 
messo. Essa  non  si  ritrova,  ed  io  non  posso 
tenermi  impegnato  eternamente.  Sono  giovane, 
e  non  sono  staccato  dalle  cose  di  questo  mondo 
perchè  mi  privi  dei  piaceri  che  mi  si  offrano 
ad  ogni  passo.  La  stessa  passione  che  mi  fece 
promettere  a  Cornelia  di  sposarla,  mi  fece, 
prima  di  conoscerla,  dare  la  mia  parola  a  una 
contadina  di  questo  villaggio.  Pensai  di  se- 
durla, di  abbandonarla,  poi  di  rendermi  alle 
grazie  di  Cornelia,  benché  non  ubbidissi  alle 
grida  delia  mia  coscienza.  Ma  inline,  siccome 
nessuno  può  sposare  una  persona  che  non 
esiste  e  poiché  non  è  ragionevole  di  cercare 
la  donna  che  ci  fugge  per  paura  di  trinare 
l'odio  invece  dell'amore,  ditemi,  signor  Lo- 
renzo, quale  soddisfazione  posso  darvi  per 
l'affronto  che  non  vi  feci,  giacché  non  ebbi 
mai  lintenzione  di  farvelo.  Insomma,  voglio 
che  mi  diate  piena  autorizzazione  di  mante- 
nere la  mia  prima  parola  data,  e  di  sposare 
la  contadina  che  già  sta  in  questa  casa. 

Mentre  il  duca  parlava,  Lorenzo    cambiava 
colore  ad  ogni  momento,  non  poteva  star  tran- 


macchine  per  scrivere 

REMINGTON 


il 


furono  acquietate 
io 


OS 


dal  WAR-OFFìCE  eli  Londra 
i Ministero  della  Guerra) 


Tale  importante  ordine,  il  più  forte  avuto  fin  qui,  prova  che  nonostante  la 
concorrenza  delle  imperfette  imitazioni,  la  Rem/ington  è  sempre  la  più  perfetta, 
la  più  solida,  la  più  moderna  delie  macchine  per  scrivere. 


Chiedere  Catalogo  e  prove  della  flemi/igton  N.°  1 
all'Agente  Generale 

CESARE     VERONA 

TORINO   —  20,  Via  Carlo  Alberto.  20  --    lOKIXO 

SUCCURSALI 


-<kSXg! 


zrotvla 

Via  Dtte  Macelli,  T 


MILANO 


gffy 


GENOVA 

"Vi.-i  Carlo  Felice,   il 


hst.a:foili 


\  111 


(  ORNI  Il  \ 


quilio  Milla  sua  sedia,  prova  evidente  die  la 
colli  essava  di  lui.  Don  Juan  e  don 

Antonio  provavano  la  stessa  cosa,  per  cui  ri- 
solsero subito  di  nqn  las  guire  questo 
buo  progetto  al  duca,  a  costo  anche  di  am- 
mazzarlo. Leggendo  uegli  occhj  questo  loro 
sentimento,  il  duca  aggiui 

Calmatevi,  signor   Lorenzo;  prima   che 
mi  rispondiate  una  sola  parola,  voglio  che  vi 
e  'li  cui  è  colma  la  per- 
ei ch'io  voglio  sposare  ;  quando  l'avrete  vi- 
.  iso  che  mi  concederete  quanto 
mando, 
Ciò  driio  si  alzò  e  entrò  nella  camera  dove 
slava  Cornelia    riccamente  ornata  dei  gioielli 
che  portava  il  bambino  e  di  altri  ancora.  Ap- 
pena il  duca  ebbe  voltato  le  spalle,  don  .luan 
■<!  alzò  e  posando   le  due    mani  sui    bracciali 
del  sedile  ove  stava  seduto   Lorenzo,  gli  disse 
all'orecchio  : 

—  Per  San  Giacomo  di  Compostella,  perla 
mia  leile  di  cristiano  e  di  gentiluomo,  mi  la- 
ro   far    turco,  se   permetterò  al   duca   di 
passarsi    questa    fantasia!    Qui.  qui,   sotto    le 
mie  mani,  o  perderà  la  vita  o  terrà  la  parola 
data  a  vostra  sorella  Cornelia.  Almeno  ci  lasci 
il   tempo    di    cercarla,  e  lincile    non    sapremo 
con  certezza  che  e>sa  è  morta,  non  si  sposerà. 
io  dello  stesso  avviso,  rispose  Lorenzo. 
E  sarà    pure  quello   del  mio   compagno 
don  Antonio,  replicò  don  .luan. 

In  questo  momento,  Cornelia  apparve  sulla 
porta  della  sala;  entrarono  il  duca  e  il  curato 
tenendola  per  mano.  Quando  Lorenzo  vide  sua 
sorella,  quando  ebbe  finito  di  osservarla  e  di 
convincersi     che      era 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


lei  in  persona  (dapprin- 
cipio non  lo  poteva 
credere),  andò  a  cadere 
ai  piedi  del  duca  che 
lo  rialzò  e  lo  mise 
nelle  braccia  di  sua 
sorella. 

Non  la  Uniremmo  pili, 
se  dovessimo  raccon- 
tate ciò  che  rispose 
Lorenzo,    'he  domandò 


don  .luan.  che  senti  don  Antonio.  1'  allegrezza 
del  curato,  la  gioia  di  Sulpieia,  la  conten- 
tezza della  consigliera,  le  l'iste  della  nutrice, 
la  meraviglia  di  Fabio,  e  lilialmente  la  sod- 
disfazio li  tulli.  Dopo  poco  tempo,  il  cu- 
ralo sposò  i  due  amanti  ,  i  quali  presi 
per  padrino  di  nozze  don  .luan  de  Camboa. 
Convennero  fra  di  loro  che  d  matrimonio  sa- 
rchile rimasto  segreto  lincile  si  sapesse  l'i 
della  malattia  della  duchessa  madre,  nel  frat- 
tempo Cornelia  sarebbe  ritornala  col  fratello 
a  Bologna.  E  così  si  lece.  La  duchessa  morì, 
Cornelia  entrò  a  Ferrara,  conquidendo  tutti 
colla  sua  belle/za:  gli  abiti  da  lutto  si  cam- 
biarono in  abiti  da  festa;  le  governanti  ven- 
nero arricchite;  Sulpieia  sposò  Fabio.  Quanto 
a  don  Antonio  e  a  don  Juan  essi  erano  lieti 
d'aver  reso  servizio  al  duca,  il  quale  olferse 
loro  in  matrimonio  due  sue  cugine,  con 
splene  doti.  Risposero  che  i  gentiluomini  della 
Biscaglia  si  sposavano  generalmente  nel  pro- 
prio paese,  e  che  per  conseguenza,  non  per 
sdegno,  giacche  sarebbe  slato  impossibile,  ma 
per  seguire  questa  lodevole  abitudine  e  la  vo- 
lontà dei  loro  genilori  i  quali  certamente  li 
avevano  già  lidanzati,  non  accettavano  la  loro 
generosa  offerta.  Il  duca  ammise  questa  scusa, 
e  trovò  modo,  in  parecchie  occasioni,  di  mandar 
loro,  sotto  una  forma  cortesissima.  dei  ric- 
chissimi regali,  e  benché  potessero  venir  pi 
come  un  compenso,  giungevano  così  a  propo- 
sito che  riusciva  loro  facile  accettarli;  prin- 
cipalmente quelli  che  mandò  al  momento  della 
loro  partenza  per  la  spagna,  e  quelli  che  loro 
diede  quando  andarono  a  pigliar  congedo  da 
lui.  Trovarono  Cornelia  madre  di  due  bam- 
bine, e  il  duca  più  che  mai  innamorato  di 
lei.  La  duchessa  diede  la  croce  di  diamanti  a 
don  Juan,  e  VAfjmis  a  don  Antonio  che  questa 
volta  furono  obbligali  di  allcttarli.  Ritorna- 
rono tutti  due  in  spagna  e  nel  loro  pa> 
dove  sposarono  delle  ricche  ,  nobili  e  belle 
dame,  e  continuarono  sempre  a  tener  corri- 
spondenza col  duca  e  la  duchessa,  e  con  Lo- 
renzo Bentivoglio  a  gran  soddisfazione  degli 
uni  e  degli  altri. 

Michei  i    Cervantes. 


F  I  N  E . 


Anno -Il 


•Nvm  6 


•La  Lettura- 


GlVGMO 


RM5TA-AE.N5ILE: 

DEL-(pRRILRE.- 

^_della-5e:ra- 


Lia  JVIessa  di  fatale 


tamane  mia  moglie  tornando  a  casa  dal 

funerale  ili  sua  sorella,  me  caduta  tra  le 

braccia,  piangendo  tanto  accorata  quanto 

non    l'avevo  veduta   piangere  mai.    Nascondeva   la 

lesta  sul  mio  petto  come  se  volesse  affondar- 

•    fuori  della  luce  del  sole,  e  tutto  il  suo  pie 

pò  adorato  vestito  di  nero  guizzava  ad  ogni  sin- 
ghiozzo come  galvanizzato.  Le  passavo  le  mani  nei 
capelli  lucidi  dei  quali  i  miei  occhi  e  le  mie  labbra 
conoscono  ogni  ondulazione  dalla  fronte  alla  ni 
la  battevo  lievemente  sulle  spalle  come  si  fa  ai  bam- 
bini per  quietarli  nel  sonno.  la  chiamavi:,  con  tutti 
i  nomignoli  deliziosi  e  infantili  inventati  in  due  ann: 
(li  passione  inesausta,  provavo  ad  alzarle  il  vi 
[*r  asciugarle  gli  occhi  azzurri  e  le  ciglia  nere  con 
cento  piccoli  baci. 

Ella  restava  chiusa  soffocata  nello  spasimo,  tor- 
cendosi. E  il  mio  nome  e  quello  di  sua  sorella  le 
tornavano  in  bocca  tra  un  gemito  e  un  singulto 
.-v  un  tratto,  s'alzò,  si  passò  le  due  mani  sulla  fron- 
te, sugli  occhi,   e  guardando  innanzi   a  se,   diritta 

ae  un'allucinata,  esclamò  a   denti   stretti,   ansan- 
do:   —  No,   no.   no!    Non  l'ho  amata  abbast. 
non  l'ho  saputa  amare,  non  l'ho  voluta  amare. 

Mi  si  divincolò  ilalle  braccia,  cominciò  a  cammi- 
nare, 'ie^a  e  sorda,  su  e  giù  pel  mio  studio,  ripe- 
tendo- 

—  Xon  l'ho  voluta,  non  l'ho  voluta  amare.  E  ci 
scino  riescita.   E  sono  stata  un'ingrata.... 

Tra  Maria  e  sua  sorella  non  v'era  mai  stato  af 
fetto....    troppo   visibile;    una   volta    la   settimana 

La  Lettura. 


noi  andavamo  a  pranzare  da  mio  suocero  che  con- 
viveva  con  la  sua  figlia  maggiore  e  col  marito  di 
lei  ;  una  volta  al  mese  essi  venivano  da  noi.  D'e- 
state si  passavano  insieme  trenta  ó  quaranta  giorni 
nella  loro  villa  in   Brianza,  molto  tranquillamente. 

s  gite  rumorose  e  senza  feste  popolose,  ripo- 
sando la  vista  e  l'udito  su  quella  infinita  distesa 
di  verde,  come  taluni  fanno  sull'azzurro  del  gran 
mare. 

E  in  quella  solitudine  ero  beato  che  Maria  pre- 
ci mpagnia  mia  a  quella  di  tutti  gli  altri 
nella    casa.    Ora    nel   momento    tragico    quelle    pa- 
iole  sillabate,    irose   'li    rimorso)    desolate   dal    rin- 

'  del  mai  più  mutarono  por  un  attimo  la  mia 
pena   pel    pianto   del   mio   dolce   amore   in   una  cu- 

,ì  tesa,  pronta  a  divenire  imperiosa,  poi  ge- 
losa, poi  anche  crudele. 

—  Che  dici,  core?  Xon  l'hai  voluta  amare,  tu. 
tua   sorella^  Perchè?   Che  scrùpoli   h 

Non  è  uno  scrupolo.  —  e  tornò  a  sfuggirmi, 
poi  pentita  tenera  esausta  riaccasciata  dalle  lagri- 
me mi  ricadde  addosso:  —  E'  la  verità,  tu  non 
la  sai. 

—  Che  cosa  io  non   se'  Si  tratta   'li  te  <<  di  lei3 

—  Lascia,  lascia;  ormai  tutto  è  inutile.  La 
hanno  sepolta  già...  Così  lontano  e  cosi  profondo... 
E  <  .-no  volte  il  cuore  me  lo  diceva.... 

—  Che'  Qua) 

—  Il  giorno  delle  nostre  nozze,  quando  prima 
di  partire  ella  mi  accompagnò  nella  mia  stanza 
e  aiutò  la  cameriera  a  vestirmi  pel  viaggio,  mi  so- 

31 


482  LA    LETTURA 

spie                       iza  alzai  1  Tu,  tu  al- 
meno  san                      E  io 

quel  sospiro,  quell  uosa,  quel  aU 

mene  volevano  dire,  cominciai  a  tremai  mere, 

come  se  partendo  da  lì,  al  tuo  braccio,  sul 

tuo  cuore  facessi  naie,   rullassi  qual- 

1  lei 

Che  signifii  a  (  !he  le  pi  navi 


via  tu.  dandoli  a  mi   -        .  e  già  ero  d 
le  braccia  rigide  lungo  i  fianchi,  gli  occhi   fissi,   in- 
ori •. 
Maria    semi: 

-  Amore  mio,  di  che  hai  paura?  Tu,  da  me?. 

Ò,  Con  le  due  mani  si  tirò  su  i  capelli  dalla 

e  dalla  Fronte,  li  rinserrò  nelle  forcelle  gialle. 

con  un  atto  di  risoluzione  frequen'e  in  lei:        Vuoi 

•  tutto ?  l  I  he  a  mi     Pn  iveri  1 

a  pai  lare,  sen  1      Ma  -,  ieni  qui,  baciami  e 

dammi  la  tua  mani     pei  aso  dtarmi. 

1      |uesti     l  1  il glie: 


l 


in  autunno  venne  in  villa  pei  una 
gara  di  tennis,  insieme  a  molti  altri  milanesi  un 
frani  gnere  di  ni  n  so  quale  Compagnia  in 


dustriali   sorta  allora  a  Milani-.  Giocava  bene,  pai 
lava  poco,  ma  argutamente;   aito,  Km, mi,.,  pallido. 
sembrava  all'aspetto  un  inglese  ma  nella  mord 
delle  sue  poche  parole  si   sentiva   l'amarezza 
spicace  dei    francesi.    Sembrava  che  egli   parlasse 

into  pei    concludere;    seguiva  il  discorso  1 
che  1  colloquii  altrui  con  attenzioni .  gli  occhi  morti, 
guardando  il  fumo  della  sigaretta;   quando  sen 
la  discussii  ne  vicina  ad  esaurirsi,  ci  metteva  la 
firma  con  una  frase  netta  e  tagliente  e  scettica  cosi 
che  a  tutti   pareva  di  aver  parlato  per  conto  suo. 
soltanto  per  dargli  oCCasii  ne  di   lanciar  quella  saet- 
ta.  Pa  0  i  più  non  l'amavano.  Ma  era  \eiiuto 
col  senator  Rovezzi,  e  tutti  s'inchinavano. 

Mio  cognato  più  d'altri  lo  detestava.  Tu  sai  (pian- 
tegli  sia   mondano,  galani,.   1  leganti    e  profum 
quanto    si    spenda    in   complimenti,    in    pi  I 
in    fiori    e    in   dolciumi.    Quello    straniero   calmo   e 
istico,  silenzioso  ma  sempre  desto  e  lesto,  era 
la  prova  viva  di  quel  che  mancava  a  lui.  I 
era  tanto  intelligente  da  capirlo,  era  tanto  suscetti- 
bile da  sentirlo. 

Simond  non  si  curava  della  presenza  di  me  odi 
qualche   altra    signorina   per  mordere   all'ingenuità 

0  alla  fatuità  dei  presenti,  e  questo  non  ci  dispia- 
ceva. Presto  notai  che  quando  era  solo  con  noi  ra- 
gazze, era  più  mansueto  di  sorriso  e  di  parole,  e, 
se  ci  accennava  delicatamente  le  manìe  0  i  difetti 
altrui,  aveva  l'aria  di  confrontare  quel  po'  di  male 
alla  nostra  bontà,  pareva  dare  soltanto  a  noi  il  di- 
ritti>  di   giudicare.   Questo  m'inorgoglì 

E  lo  seguii  anche  più  attentamente.  Povera  Ete- 
rni per  la  quale  egli  mostrava  un  rispetto  e  un  riser- 
bo singolari,  spesso  si  doveva  unire  a  noialtri  pei 
difenderlo  dall'antipatia  degli  uomini,  della  quale 
del  resto  egli  non  mostrava  di  accorgersi,  nemmeno 
quando  in  gara  gli  lanciavan  le  palle  con  tanta  fu- 
ria radendo  terra  che  pareva  lo  mitragliassero  0 
quando  a  qualche  suo  raro  colpo  mancato  non  si 
peritavano   ili   sorridere  beati. 

Una   sera   entrando   1  tino   di   Elena,    la 

trovai  con  suo  marito  e  piangeva.  Dal  volto  buio 
di  Giulio  capii  che  egli  era  la  causa  del  pianto  an 

1  he  prima  che  sfrangendo  il  sigaro  sul  portaci! 

I  11    dicesse: 

f  —  Pel  secondo  giro,  non  potresti  prendere  tu 
il  posto  d'Elena,  —  e  sostò  un  attimo,  —  insieme 
a  Simon,  ! 

—  E'  impossibile.  Siam  quotati  differentemci 

II  giurì  non  lo  permi  in  11  bbe. 

—  E    il   giurì    lo  pernii  ttiià. 

lo  guardavo  Elena  che  seguitava  a  piangere. 
Giulio  riprese  inori  di  sé  : 

-  O  Simond  se  ne  andrà,  —  ed  esci  battendo 
ci    d     ni  sé. 

Non    avevo    mai    veduto    tant'ira    fra   quei    due. 
Piena   che  avrebbe  avuto  centomila   ragioni,   anzi 
centomila  prove  per  lamentarsi  di  suo  marito,  delle 
issenze,  delle  sue  infedeltà  ostentate,  delle  sue 
perienzi    nai  rate  o  «1  fatuità  davanti  a  venti  p  r 
sera,   aveva  sempre  taciuto,   almeno  da 
ranti  a  uno  di  noi.  Ora  ella  era  l'accusata  ;  e  p 


LA    MESSA    DI    NATALE 


—  Pretende  che  Simon  mi  faccia  la  corte. 

—  Simond?  A  te?  ■ —  domandai  io  stupita. 

—  Sì,  a  me.  —  ripetè  ella  recisa. 

—  Ma  non  ci  hai  mai  pensato  ! 

Allora  avvenne  un  fatto  per  me  imprevedibile. 
E  lena  non  si  aggrappò  a  me,  a  quella  mia  afferma- 
zione, a  quella  mia  testimonianza  per  convalidar 
la  sua  innocenza,  ma  senza'  più  lagrime  mi  guardò 
ostile,  corrugando  le  ciglia  e,  solo  dopo  un  istante, 
mettendosi  un  mazzo  di  violette  alla  figura,  mi  disse 
calmissima  : 

—  Brava.   Vaglielo  a  dire. 

Io  ero  stordita,  come  in  un  turbine  di  vento. 
Sentii  l'ironia  di  quelle  quattro  parole,  risposi,  e 
non  saprei  dirti  adesso  io  stessa  se  per  ingenuità 
o  per  furberia: 

—  A  chi  ?  A  Simond  ? 

Elena  tornò  a  guardarmi,  poi  mi  voltò  le  spalli-: 

—  Sciocca  !  — ,  e  se  ne  andò. 


II. 


Ti  giuro  che  fino  a  quel  momento  io  non  avevo 
mai  cercato  quel  che  Simond  potesse  sentire  per 
me  ;  ero  contenta  di  averlo  vicino,  godevo  quasi  del 
trionfo  continuo  del  suo  spirito  e  della  sua  impas- 
sibilità sugli  altri  otto  o  dieci  assidui  nostri  che.  se 
non  parlavano  di  cavalli  e  di  automobili,  parlavano 
di  politica ,  ma  lontana  da  lui  non  lo  cer- 
cavo e  non  lo  pensavo.  All'improvviso  lo  sen- 
tivo .  lo  vedevo  amato  dalla  donna  più  vicina 
a  me  ,  più  cara  a  me  .  così  fortemente  amato  eh? 
ella  non  si  peritava  di  mostrarmelo,  di  vantarsene 
quasi.  Che  aveva  scoperto  Giulio?  Sospettava  sol- 
tanto o  sapeva  ?  Perchè  egli  così  libero  osasse  ac- 
cusar sua  moglie  di  eccessiva  libertà,  qualcosa  di 
più  forte  e  di  più  urgente  doveva  averlo  spinto  che 
l'antipatia  per  Simond.  Chi  poteva  dirmelo? 

Ero  rimasta  in  mezzo  alla  stanza  cogli  occhi 
sulla  porta  donde  erano  esciti  Giulio  ed  Elena  e  non 
riescivo  a  raccapezzarmi.  Provai  ad  alzar  le  snalle 
ridendo  di  tutta  la  scena.  Quanti  -flirt  simili  avevo 
veduti!  Elena  era  incapace  di  far  male.  In  fondo 
se  ella  che  veramente  era  la  più  bella  di  tutte  le  si- 
gnore convenute  alla  nostra  gara,  si  abbandonava 
alla  distrazione  d'un  gioco  grazioso  di  scherma 
con  quello  scettico,  perchè  m'apnenavo?  Fra  pochi 
giorni  la  eara  sarebbe  finita.  Simond  sarebbe  tor- 
nato a  Milano... 

«  Ma  Milano  è  a  un'ora  di  ferrovia.  Elena  potrà 
andare  là.  Simond  tornare  qui.  Potranno  incontrarsi 
a  volontà  loro...  ».  Mi  scossi,  disgustata  di  me 
stessa  dell'infamia  dei  miei  sospetti.  Corsi  alla  fi- 
nestra, da  d'etro  le  persiane  rimasi  a  guardare  le 
aiole.  il  viale  verso  il  cancello.  Qualcuno  entrava, 
giù  dalla  strada:  Simond!  Ed  erano  appena  le  due. 
il  treno  era  arrivato  alle  dod'ci  e  mezzo,  il  tramvia 
non  giungeva  che  alle  tre.  Da  dove  veniva?  Dove 
era  stato?1  Sorrisi  rasserenata:  poteva  esser  ve- 
nuto col  tre^o  e  aver  mangiato  nella  piccola  tratto- 
ria del  villaggio.  Egli  si  avvicinava  camminando 
lentamente  ;  quando  fu  a  cento  metri,  vidi  che  fis- 
sava la  finestra  dov'ero  io.  la  finestra  di  Elena.  Per 


483 

indugiare  senza  destar  sospetto  in  chi  potesse  dalla 
casa  o  dal  parco  vederlo  non  visto,  sostò  ad  accen- 
der una  sigaretta,  andò  verso  un'ajola,  colse  un  ci- 
clame,  tornò  nel  viale  pel  viottolo  più  lungo.  A 
quel  punto  sentii  qualcuno  escir  dalla  porta  della 
sala  di  bigliardo.  Giulio?  No,  no,  era  Elena  che 
raggiante  a  mani  tese  andò  incontro  al  nuovo  ve- 
nuto. Questi  affrettò  il  passò,  le  baciò  la  mano 
(quanto  tempo  trattenne  la  mano  di  mia  sorella 
nella  sua  !).  poi  girarono  insieme  la  casa  per  rien-  • 
trare  dalla  porta  grande  dietro. 

Non  v'era  più  nessun  dubbio:  ella  lo  aspettava, 
ed  egli  lo  sapeva.  Giulio  aveva  avuto  ragione. 

Che  doveva  fare  ?  Ragazza,  non  comprendendo 
della  vita  che  quello  che  ero  riescita  a  decifrare  da 
me.  correvo  in  ogni  timore  agli  estremi,  in  ogni  a- 
neddoto  alla  tragedia.  E  l'orgasmo  in  cui  ero,  il 
tremito  delle  mani,  la  fronte  ardente,  la  gola  arsa, 
l'affanno,  li  credetti  causati  soltanto  dal  mio  spa- 
vento per  ciò  che  potesse  avvenire,  dall'affetto  mio 
per  Elena  e  anche  per  Giulio,  dal  rispetto  per  me 
e  per  la  mia  casa. 

Così  discesi. 

Li  trovai  sopra  un  sedile  dell'androne,  Elena 
che  ricamava  —  da  due  mesi  !  —  la  solita  tova- 
gliola  da  tè.  egli  che  fumava  e  parlava  sotto  voce 
senza  gesti.  Si  alzò,  mi  venne  incontro: 

-  Com'è   pallida,  signorina.  Che  ha  ?   Non   sta 
bene? 

Risposi,  secco: 

—  No.  sto  benissimo. 

—  E'  di  cattivo  umore?  Se  vuole  qualcuno  con 
cui  liticare,  prenda  me.  Io  sono  un  ottimo  compa- 
gno di  lite,  che  non  m'adiro,  —  e  sorrideva  del  suo 
sorrisetto  guardandomi,  stirandosi  i  baffi  biondi 
esili  lunghissimi:  —  Lo  dicevo  adesso  a  sua  sorella. 
Non  s'adirano  che  gli  sciocchi  perchè  non  sanno 
trovare  un  altro  mezzo  per  aver  ragione. 

Elena  gli  aveva  parlato  di  Giulio? 

—  Grazie.  Vorrebbe  dire  che  sono  una  sciocca 
io?  —  interruppe  Elena. 

-  Non   oserei   mai   dirle  tanto,   —  e  s'inchinò 
impertinente. 

—  Ma  pensarlo,  sì. 

—  Sarebbe  inutile  che  lo  pensassi,  se  non  aves- 
si il  coraggio  di  dirglielo,  —  si  schermì  egli  —  sarca- 
stico, poi  si  rivolse  a  me:  —  Gli  altri  non  verranno 
prima  di  un'ora,  non  voglio  stancare  donna  Elena 
che  oggi  avrà  molto  da  faticare  pel  secondo  giro. 
Vuol  venire  lei  a  far  un  single  con  me?  Mi  scioglie- 
rò un  po'  il  polso. 

Io  avrei  dovuto  dire  di  no.  capivo  che  egli  te- 
neva il  broncio  ad  Elena  o  voleva  esasperarla  ; 
volli  dar  a  credere  a  me  stessa  che  acconsentivo  per 
allontanarlo  da  lei,  invece  sentii  che  acconsentivo 
per  averlo  vicino  a  me.  E  uscii  con  lui  sotto  gli  al- 
beri,   felice. 

No,  no.  lasciami  la  tua  mano,  non  sussultare,  non 
t'adirare.  Che  potevo  dirti  finche  ella  viveva?  Ora 
saprai  tutto;  non  temere  di  me.  Io  sono  la  tua 
S]  osa,  degna  d'essere  la  tua  sposa.  Lasciami  la  tua 
mano.  così.  Attimo  per  attimo,  rivedrai  tutto  quel 
che  è  avvenuto. 


•PI 


I.A    l.l.l  II   KA 


III 


Andando  verso  il  pi 

quando  fummo  i  in  '■-.  egli  do- 

mandò,  grave: 

Ella  vuol  molto  bene  a  sua  sorella,  n 

Titubai  tin  attimo.  In n  meno 

di  mezz'ora  .1  \ .  \  •  ■        i        seni  ito,   sosp  tante 

unenti   caduta  da  un  dub- 
[uella  domanda  precisa  mi  spaurì. 
Andava  diritta  ali.:  ,,   i.   Risposi  con  in- 

differenza : 

—  Naturalmente. 

I      poco,  egli   commentò,    inesorabil  .    e 

>ò  ili   là   dalli-  reti  e  alzando  la  racchetta   mi 

A' 

uri.',  il  gioco  dapprima  stanco  che  cu    di 

.1.  Quando  egli  annunciò  calmo  il  suo  colpo, 

Forty\       .  mi  pane  mali-  lasciarlo  vincere.  «Qui 

i  vincere  io  ■,  mi  ripetevo  tra  me  come  se  in 

un'altra  partita,    in   un    altro   gioco   più    pericoloso. 

ì    1-   avessi    riconos'iuto  e   obbedito   come   vin- 

E  tornai  pronta  e  svelta,  ben  piantata  sulla  linea 
di  mezza   (ìli  ribattei  due  colpi  in  pieno,  senza  la- 
la  palla  toccasse  terra.  Egli  al  solito  gio- 
cava    tranquillo,    senza    correre,    attendendo    quasi 
distratto    il    rimbalzo. 

Fifteenl  Thirtyl  Forty,  ali! 
Eravamo  pari.  Egli  preparandosi  a  «  servin  », 
mi  disse  ad  alta  voce  laggiù  dal  suo  angolo  op- 
rile impili  :  -•  e  sentii  l'ironia.  Egli  aveva 
Compreso  anche  quel  che  io  non  avevo  con  parole 
precise,  nell'ansia  del  moto  fisico,  rivelato  ancora 
a  me-  .stessa. 

io.   Invece  del  ragazzo,  venne  egli  sti  ;so  a 
inni   il   cestello  con   le  palle  quandi     venne  il 
mio  turno. 

—  Vuol  riposarsi?- —  mi  domandò. 

—  No.  iio.  andia 

Qu  -o  giocar   senza   premio!  SOg 

giunse. 

—  E  che  premio  vorrebl  i 

Mi  dica  piuttosto  il  premio  che  vorrebbe  lei. 

—  [o?   V'  nte. 

Vui  le  che  scelga  io  anchi-  per  lei.  Accetta  a 
chiusi  ? 

—  Questo   poi   i 

—  Allora   non    ne   faa 

Mi   tiss,',  per  un  aldino  eoli  gli  occhi   buon 
alzò  le  spalle  tra    rassegnato  e  scettico,  morn 
più  o  che  a  me: 

Peccato!        e  tornò  di  là  dell:  gridar- 

mi  risoluto  quasi  io  tardassi:    —  Play\ 

Io  giocai  a  binalmenti     Di  menti 

■ isi  dei     o  più 

Simond  come  un  compagno  piaci  gioco,  di 

pranzo,    di   ballo,   di   i 

'    i    potuto    amare...    un    gii  imo.    "  QuSJI 

do?»  Il  punti    era       E         ivi >.  < ili  out,  i  fall 
una  gragnuola.    Perdetti  due  vi  ! 


i     mani  •    ci     ri [ »  samum.     1  ).  iveva    esser 
servi  preparavano 

dei  nulle  e! ii  e  gli  spettatori  della 

ttevano  sul  pale,,  del  ginn  le  seda-  e 
il  i  'i  sedemmo  sullo  sti  le;   io  m 

vevo  portato  un  maini  Ilo.  egli  mi  gittò  sulle  spalle 
il  suo  soprab  il  suo  profu- 

mo, un  profumi  i  fresco  d'acqua  < 
li  Ite.   Er  i  stanca,  està  coni  usa. 

—  lo  sono  un  suo  amico.  Lo  sa?  —    egli  mi 
dopo  un  ]  - 

—  Non  lo  so.  Se     vero,  ne  sono  contenta, 

—  E'  vero,    lo  non   mento  mai   perchè  è   inutile 
Lticoso  il   mentire. 

E   aveva   ragion,.    f,   dovevo  convenire  che  egli 
non  avevi pessi,  mentita  Segu 

—  Dunque,    poiché    ella    sa    e  erede    che    io    senio 

un  suo  amico,   mi   permette  una  domanda  intima? 
Dica.  Vedrò  se  le  potrò  rispondere. 

—  Xon  la  faccio  se  non  mi   promette  di   ■ 
di  ie.  Certe  interrogazioni  son  più  pericolose  di 

to  affermazioni.  E  Ira  me  e  lei  io  non  voglio  che 
resti   mai  la  nuvola  d'un  equivoco.   Risponderà? 

—  Si. 

—  Ama   nessuno,    lei  ? 

—  Io?  E  chi  dovrei  amare? 

—  Intendo  :   ama  nessun   uomo,    lei  ? 

—  NTo,    —   lo   guardai    nel    volta    onestamente, 
francamente. 

Sotto  gli  alberi  apparve  mia  sorella,  si  fermò  a 
dar  qualche  ordine  ai  servi.  Sera  vestita  pel  tennis, 
la  blusa  bianca  leggera,  la  veste  bigia  corta  gr 
le  caviglie  lucide  e  snelle  nella  calza  di  filo  bian- 
co, i  piccoli  piedi  ini  lindi  nella  scarpina  di  ]>elle 
I  ianca  dalle  suole  di  gomma  che  si  adattavano  alla 
terra  e  pareva  la  afferrassero.  Veniva  verso  noi 
mond  non   la  vedeva.   Seguitò,  serio  e  lento: 

Se  glielo  dichiarassi   un  giorno,   ini   credei' 

capace  di  amarla,  e  degno  di  amarla? — e  mi  guardo, 
vide  i  miei  occhi  altrove,  si  volto  verso  mia  sorella 
che  sopraggiungeva,  e  si  al  Mi  risponderà 

più   tardi  -      concluse. 

\o.   no.   mai!  dissi   io  istintivamente. 

i  er   vendicarmi    di   non    so  quale 
illesa,    rivivendo    la    scena    tra    Giulio   ed    Eli 
l'arrivo  ili   Simond.    l'incontro   sotto   la    tini- 
Mai? 

—  No.   mai. 

andò  a  baciar  la  mino  di  mia  sorella 
un'altra  voce,  galante,  le  dissi 

—  Oggi  dovremo  vincere  insieme. 

Io  tornai  nella  villa,  salii  nella  mia  stanza. 
sul   letto  a  piangere. 


IV. 


Da  quel  momento,  per  i  tre  giorni  che  ano  I 
rari  no  la  gara  mista  e  I  gli  uomini.  Simond 

eviti  Anche  in  lo  evitai 

Ormai  lei   sangue  il   veleno:    ii   Se  egli  noi. 

mia    sorella,    se   ima    sorella    non   tosse   qui. 
egli   an.    -Mi 


LA    MESSA    l'I    NATALE 


485 


E  quasi  senza  mia  volontà  li  spiai.  Mi  ripetevi. 
che  la  mia  ansia  veniva  dallo  spavento  di  quei  che 
poteva  avvenire,  dal  mio  affetto  per  Elena  e  anche 
per  Giulio,  dal  rispetto  per  me  e  per  la  mia  casa. 
\l.i  sentivo  tutta  l'ipocrisia  della  mia  difesa.  Mai 
la  mia  coscienza,  la  mia  energia,  direi  quasi  il  mio 
pudore  morale  sono  stati  abbandonati  alla  corrente, 
al  caso  d'ogni  giorno  e  d'ogni  minuto,  quanto  in 
quel  tempo  là. 

Simond  nel  mese  di  no\em- 
bre  tornò  due  o  tre  volte.  Ele- 
na andò  due  o  tre  volte  a  Mi- 
lano. Questo  faceva  anche  pri 
ma  die  conoscesse  Simond;  ades- 
so la  mia  ansia  scopriva  il  male 
in  tutto,  nell'eleganza  di  lei  più 
accurata,  nel  profumo  più  acu- 
to, nell'acconciatura,  in  una  cer- 
ta aria  di  felicità  rosea  e  rag- 
giante che  la  rendeva  anche  più 
giovane,  più  bella,  più  invidia- 
bile ogni  volta  che  partiva  per 
la  città. 

Giulio  pareva  guarito.  Da  quel 
pomeriggio  non  lo  avevo  più  u- 
dito  pronunciare  il  rome  di  Si- 
mond, ma.  quandi  Simun'!  era 
presente,  egli  parlava  meno,  ài 
osservava  e  osservava  sua  mo- 
glie con  una  disinvoltura  osten- 
tata che  non  ingannava  me.  — 
come  non  ingannava  loro  due. 
«  Loro  due  »  questa  frase  mi 
pareva  infame  e.  poiché  la  ave- 
sempre  scritta  nel  cervello, 
me  ne  sentivo  tutta  la  coscienza 
contaminata.  Forse  era  ingiusta  ; 
forse  il  mio  sospetto,  di'  pure  la 
mia  gelosia  mi  facevano  vedere 
quel  che  ncn  era,  ma  io  ragazza.  T 

schiava,    obbligata    all'ipocrisia  , 
mani   e   piedi  legati   dalla   con- 
venzione sociale,  che  altro  pote- 
.ire  se  non  sospettare  ? 

Una  sera  in  cui  mi  parve  di  veder  Giulio  meno 
indifferente  e  un  po'  torvo,  quando  Simond  s  avvi- 
cinò al  mio  tavolino  da  tè  a  prender  la  sua  tazza, 
gli  dissi  disperata: 

—  Simond  devo  parlarle. 

—  Di  lei  stessa,  signorina  ? 

—  No,  non  di  me,  di....  —  egli  doveva  sentire 
l'affanno  del  mio  respiro,  ma  m'interruppe  fer 

—  Non  prendo  tè  questa  sera,  grazie,  —  e  tornò 
fra  gli  altri. 

Lo  odiai,  sì.  lo  odiai,  ma  non  vedevo  più  che  lui. 
Perdonami,  perdonami,  ma  adesso  che  mi  sai  tua, 
per  sempre  tua.  innamorata  di  te  e  del  tuo  amore. 
tu  puoi  e  devi  ascoltarmi  e  perdonarmi.  Sapevo  io 
d'incontrarti,  allora? 

A  che  mirava  ?  Si  divertiva  ed  esasperarmi  e  a- 
mava  Elena  ?  O  non  amava  nemmeno  Elena,  e  la  pre- 
feriva solo  perchè  era  una  donna,  mentre  io  ero  quella 
Invera  neutra  squallida  cosa  che  nella  società  d'oggi 


è  una  «signorina  «?  Mi  risi  Ivetti  a  parlar  con  Ele- 
na.   Poche  i  re  prima  i  fatti  me  lo  impedirono. 

avevamo  stabilito  di  restare  in  campagna  fino 
alla  line  dell  anno.  Il  primo  giovedì  di  dicembre. 
a  pranzo,  la  sera,  si  parlò,  come  era  solito,  degl'in- 
vitati pel  pranzo  della  domenica  successiva.  Mio 
padre,  quando  udì  il  nome  del  senati. r  Ravezzi,  pro- 
pose anche  Simond.  Guardai  Elena  che  seguitò  sbuc- 


Q? 


h 


*■»     •  \v  . 


eiar  una  pera  come  non  avesse  udito,  però  sentì  che 
anche  Giulio  la  guardava,  ed  era  uno  sguardo  torvo 
indagatore  come  non  gliel'avevo  veduto  dopo  la  sce- 
na nel  salotto  di  lei,  prima  del  tennis.  Allora  alzò 
gli  occhi  come  annoiata  ma  aveva  per  tutto  il  volte 
qualcosa  di  fisso  come  se  ogni  minimo  moto  le  fosse 
penoso.  Levando  su  dal  piatto  il  coltellino  d'argen- 
to, rispose: 

—  Simond?  Parlavi  di  Simond,  babbo?  Ma  è 
venuto  anche  l'altra  domenica.  Basta. 

—  Anch'io  penso  che  basti.  —  confermò  Giulio. 
mantenendo  gli  occhi  su 

Ella  rispose  allo  sguardo  come  irritata  da  quella 
petulanza  di  gelosia,  come  per  dire:  —  Ancóra? 
— ,  ma  non  lo  disse.  Giulio  che  scoppiava  d'ira  si 
era  alzato: 

—  Elena,  vieni  un  momento  da  me. 

—  Dove? 

—  Nel  mio  studio. 


48<  i 


I.A    1.1    I  I  I   KA 


—  Lasciami  finire  le  frati  il  caffè. 
\               pò  dopo. 

—  Via.  non  ricominciamo,  Giulio!  Quando  avrò 
finito,  verrò,        e  seguitò  a  mangiare,  alzando  gli 

.  in  apparenza  soltanto  infastidita. 

—  Che  ha  Giulio?        domandò  mio  padre. 

G  '1    Solito. 

Mu>  padri  spalle.  Giulio  si  riaffacciava 

sulla  porta: 

Elena   \  ai  '.         a  ms  mio  padre   per   la 

I 

stai  sola  con  lui,  in  silenzio.  Mi  pareva  che 
mio  padre,  che  il  cameriere  potrebbero  udire  il  bai 
tiio  violento  del  mio  cuore.  Levando  gli  occhi  alia 
lampada,  agrime. 

ili  là  anche  tu,  babbo,  —  dissi  senza  sa- 
pi  re  |  erchè. 

—  Lasciali  I 

Allora  vailo  io,  -     eil  ero  in  piedi. 

—  Tu?  Che  c'entri?  Uria  ragazza  non  si  oo  upa 
di  certi     i   i 

Passarono  altri  cinque  minuti  d'angoscia  Anda 
senz'altre  parole   alla  porta,   traversai    la   sala   dei 
pianoforte,  il  iumoìr^  la  sala  ili  bigliardo.  Lì  si  u- 
diva  dalla  stanza  attigua  la  voce  di  Giulio: 

—  Questa  lettera...  perchè  egli  abbia  osato  scri- 
vertela... deve  avere...  lui...  prima...  ottenuto  il  tuo 
permesso,  il  tuo  consenso...  chissà?  qualcosa 
di  più.... 

l'ornai  indietro  barcollando.  Nella  sala  trovai 
mio  padre. 

—  E  ci  ni  ? 

—  Niente,    pare  che  tacciano. 

—  Le  loro  liti  finiscono  sempre  così,  —  egli  dis- 
se bonario,  —  accendendo  il  suo  sigaro  e  aprendo 
il  giornale. 

Elena  non  riapparve  né  quella  sera  né  il  dì  dopo. 
Andai  a  cercarla  nella  sua  stanza  la  mattina: 

—  Non  stai  bene?  Vuoi  niente? 

—  Sì,  restar  si  la- 
La  sera  scese  a  pranza  Giulio  non  le  rivolse  la 

parola;  la  domenica  venne  Ravezzi  con  due  amici 
e  Lina  Starra  da  Milano.  Di  Simond.  tutti  tacquero. 
M  .n  soltanto  che  Giulio  spiava  Piena  in  un  modo 
intollerabile;  se  parlava  con  Ravezzi.  con  la  Star- 
ra. si  avvicinava  con  un  pretesto  qualunque,  parte- 
cipava al  discorso  per  un  minuto.  Così  avvenne  an. 
che  la   domenica  dopa    Nel    frattempo   Elena  non 

mai  dal  parco,  anzi  quasi  mai  da  casa.   Una 
mattina,    scendendo   di  buon'ora,    vidi   nell'androne 

o  che.  aperta  la  cassetta  della  posta,  ne  i 
minava  il  contenuto  accuratamente;  poi  la  richiuse 
senza  nemmeno  prendere  le  lettere  sue. 

V. 

Si  arrivò  alla  vigilia  di   Natale. 
Non    avevo   più    veduto  da   quasi    un    mese  quel- 
l'uomo;   ma   egli    era    più    che    presi  upava 
gli   spiriti    nostri    come    per    una   suggestione    invili 

i  mi  vivevamo  per  lui  che  non   n 
mo  mai.    Più  :  questo  si 

lontano  diventava    fatale  e  paurosa    In- 


torno, la  campagna  piatta  era  soffi. -aia  dalla  neh- 
b  i  .  la  solitudine  nostra  e  quindi  l'intensità  di  |uel 
dramma  silenzioso  ne  erano  raddoppiate.  Se  alla 
mattina  guardavo  fuori  dalla  finestra  per 
l'angustia  disperata  dei  sogni,  il  mondo  finiva  a 
un  mcp.  da  me;   e  i  miei  occhi   dovevano  ani 

0  l I   buio  della   notte  volgersi  in  dentro,  vi 

la  mia  povera  anima  spasimante,  senza  scampo  di 

Sempre  avremmo  dovuto  vivere  così  ?  Torni 
città  era  più  una  catastrofe  che  una  soluzii 

La  mattina  della  vigilia  di  Natale  venne  ad  ide- 
ila un  telegramma  di  Lina  Starra:  -  Se  restate 
verremo  tutti  sera  ultimo  dell'anno  treno  dieci.  — 
li  parve  strano  perchè  la  Starra  sapeva  che  ap- 
punto  per  l'ultimo  dell'anno  noi  saremmo  andati 
tutti   a   Milano  dalla   zia   Matilde  dove   lor-.-   avi 

mo  incontrato  anche  lei.  Elena  spiegò: 

-  Le  solite  pazzie  di  Lina,  —  ma  fu  tropi  io  ce- 
lere nel  non  dar  peso  alcuno  a  quella  proposta. 

Giorgio  non  vi  bado,  le  suggerì  di  risponderti 
rammentando  il  nostro  impegno  antecedente.  A  ine 
invece  baleno  iì\i  sospetto:  il  telegramma  era  un  se- 
gnale convenuta  Innanzi  tutto,  in  quella  sera  e 
Vigilia  noi  saremmo  andati  tutti  in  paese  prima 
alleile  messe,  poi  dai  Socci,  quei  della  filanda  i 
quali  da  due  anni  ci  invitavano  con  molla  insi- 
stenza e  ci  facevano  grande  festa  perchè  per  loro 
eravamo  i  nobili  del  paese;  se  Elena  non  veniva, 
ella  aspettava  qualcuno  di  nascosto,  —  aspettava 
Simond.  Poi  perchè  la  Starra  avrebbe  telegrafica- 
mente definito  l'ora  del  treno,  sei  giorni  prima, 
quando  c'era  ancora  tutto  il  tempo  di  scriverci  e  ma- 
gari di  vederci 3  Non  il  loro  arrivo  per  l'ultimo  del- 
lanno,  ma  l'arrivo  di  lui  per  quella  stessa  sera,  il 
telegramma  annunziava.  Elena  fu  anche  —  per  me 
sola —  così  ingenua  da  metterlo  nella  sua  borsa  di 
ricamo,  invece  di  lacerarlo  come  era  suo  sdito.  La 
seguii  in  camera  sua,  e  aprendo  la  porta  all'improv- 
viso la  trovai  che  rileggeva  il  quadratino  di  i 
gialla  ;  anche  sussultò  come  sorpresa  a  far  male. 

N'issi,    tremando,    in    agguato,    ricamando    presso 
il    fuoco  nel   salone.    Alle  cinque  sentii   suonare  il 
campanello    d'Elena    nell'androne;    dal    camer 
che  passava  seppi  che  ella  domandava  il  tè  nella 
sua  camera. 

—  La  signora  non  sta  bene.  L'ho  trovata  sul  suo 
letto,  al  buio. 

Ormai  qualcuno  dentro  me,  più  forte  di  me.  mi 
suggeriva  di  non  impedir  nulla,  di  lasciar  che  tutto 
avvenisse  secondo   Iddio  voleva.    Provavo  una  o 
voluttà   spasmodica  a  sentire  che  finalmente  a 
saputo  e  veduto  la  verità;   tutto  dipendeva  dal  mio 
sangue   freddo. 

Inesorabile,  tornai   su   da   Piena: 

—  Non  scendi  a  prendere  il  ti 

—  No.   ho    un'emicrania   atroce,    mi    par    d'avere 

I .  febbre. 

—  Vuoi  il  dottore5 

—  Se  mai.    lo  chia  |uando    andrete   dai 

venga   domattina. 

—  Non   verrai   dai    :  interrogai   stupita. 
E'   impossibile;    non  riesco  ad  aprir  gli  occhi. 


LA    MESSA    DI    NATALE 


Me  ne  andai  senza  fiatare.  Avevo  il  mio  pro- 
getto. 

Infatti  a  pranzo  ella  non  scese.  Giulio,  ci  an- 
nunciò che  E  lena  non  stava  bene,  che  non  sarebbe 
venuta  ne  alla  messa  ne  dai  Socci. 

Senza  attaccare  il  L'odati,  fu  stabilito  che  sarem- 
mo andati  in  due  coupé,  in  ur-c  io  sola  perche  a 
mezza  strada  avrei  preso  con  me  la  figlia  dell'avvo- 
cato Milesi,  nell'altro  il  babbo  e  Giulio. 

-  Se  veniva  Elena,  avremmo  attaccato  i  due 
morelli  e  il  laudati  per  far  posto  alla  Milesi.  Cosi, 
con  una  notte  tanto  fredda  e  con  le  cattive  scuderie 
dei   Socci,  risparmiamo  i  morelli. 

Partimmo,  presi  la  Milesi.  giungemmo  alla  (Ille- 
sa alle  undici  e  mezzo  ;  tu  sai  che  la  distanza  è  di 
venti  minuti  tra  la  villla  nostra  e  la  chiesa.  Appena 
mi  sentii  al  sicuro  nella  penombra  tra  la  folla  delle 
donne,  fuori  della  vista  degli  uomini  rimasti  in 
fondo  alla  navata,  cominciai  ad  attuare  il  mio 
piano. 

Lasciai  che  la  Milesi  si  facesse  largo  fin  verso  la 
balaustra,  tomai  verso  la  sacrestia,  escii  dalla  por- 
ticina del  prebisterio,  e  raggiunta  la  fila  delle  car- 
rozze sulla  strada  laterale  saltai  nel  mio  coupé: 

—  A  casa  presto  ! 

La  cerimonia  e  le  tre  messe  non  sarebbero  finite 
prima  dell'una  e  io  potevo  tornar  prima  ;  la  Milesi 
non  ritrovandomi  nella  confusione  e  non  trovando 
nemmeno  la  mia  carrozza,  sarebbe  andata  dai  Socci 
con  qualche  altra  amica.  Là,  raggiungendola,  avrei 
pensato  mille  pretesti,  facilmente. 

Avevo  negli  occhi  l'aitar  maggiore,  le  cento  can- 
dele fiammeggianti,  il  bambino  di  cera  fasciato 
d'oro,  di  bianco  e  di  rosso,  posto  come  un  sole  nel 
centro  di  quella  tremula  costellazione  d'oro.  Ma 
l'anima  mia  tendeva  verso  un  salotto  piccolo  e  te- 
pido dove  avrei  trovata  la  fine  della  mia  agonia. 
Tanta  era  l'ansia,  —  e  anche  il  timore  —  che  la 
via  mi  pane  breve.  Feci  fermare  la  carrozza  al 
cancello. 

—  Vado  sola  dentro.  Tomo  qui  subito,  —  e  corsi 
pei  viali  mentre  il  custode  rientrando  nella  sua  ca- 
setta mi  ripeteva  affannato: 

—  Signorina  ha  dimenticato  qualcosa?  Vuole 
che  vada  su  io  ?  Non  vi  sarà  che  l'Anna  e  forse  dor- 
mirà. Gli  altri  sono  andati  tutti  alla  messa... 

Entrai  dalla  porta  della  cucina  che  era  deserta, 
e  mi  rifugiai  nella  mia  stanza  a  riprendere  fiato, 
a  comprimermi  il  cuore  che  mi  balzava  in  gola.  Ma 
non  avevo  tempo  da  perdere. 

Tu  sai  che  tra  la  mia  camera  e  il  salottino  di 
Elena  non  c'è  che  il  corridoio  e  il  piccolo  guarda- 
roba. Li  traversai  in  punta  di  piedi,  mi  fermai  al 
buio  a  un  metro  dalla  porta  di  mia  sorella.  Là 
dentro  parlavano  ! 

Parlavano  sottovoce,  non  udivo  quel  che  dice- 
vano, ma  quel  mormorio  così  fievole  mi  rivelava 
più  che  tutt'un  discorso  tonante.  Da  quel  punto,  fui 
forte,  deliberatamente  forte.  Sapevo!  Tomai  in- 
dietro, tornai  nella  mia  stanza,  come  il  giorno  do- 
po il  tennis  stramazzai  in  ginocchio  presso  il  r.iio 
letto,  —  ma  questa  volta  non  piansi.  Avevo  quel 
malessere  vago  di  chi  è  sollevato  a  un  tratto  dalla 


487 

teira,  dentro  un  aerostato,  ad  una  grande  altezza, 
il  respiro  mozzo,  il  sangue  nelle  tempie;  ma  mi 
sentivo  nuova,  libera,  forte.  Nell'egoismo  della  gua- 
rigione, non  pensavo  più  a  «  loro  due  »,  al  male 
che  era  su  Giulio,  sul  babbo,  sulla  nostra  casa,  non 
sentivo  disgusto  pel  peccato  altrui,  l'ipocrisia  di 
questa  abnegazione  era  finita.  To  sola,  per  me  sola, 


avevo  sofferto  ;  ora  che  sapevo,  io  sola,  per  me  sola, 
per  la  mia  salvezza  godevo. 

All'improvviso  mi  parve  udire  una  vettura  lon- 
tana sulla  via,  e,  un  attimo  dopo,  squillò  la  cam- 
pana del  cancello.  Giulio!  Quei  due  con  le  finestre 
chiuse,  le  cortine  calate,  forse  non  l'udivano.  Ogni 
pensiero  fu  soppressione  in  me;  agii.  Ritraversai 
correndo  il  corridoio,  girai  la  maniglia  della  porta 
del  salottino.  La  porta  era  chiusa. 

—  Chi  è  ?  —  esclamò  Elena  da  dentro  concitata. 

—  Io,  Maria. 

—  Che  vuoi  ? 

—  Apri,  apri,  per  carità.  Giulio,  Giulio... 
Capì?    Udì    la   carrozza  nel    viale?   Tutto   quel 

dramma  durò  un  secondo.  Elena  apri  la  porta,  li- 
vida,  folle. 

—  Giulio?  Dove? 

-  Entra  adesso  dal  cancello.  Senti  la  carrozza... 
Simond  stava  fermo  impassibile  presso  il  cami- 
netto acceso. 

-  Dio!  E   adesso?  —  gemeva  Elena. 

Io  andai  da  Simond,  lo  afferrai  per  un  braccio: 

—  Venga  ! 


■rs 


LA    LETI  i  RA 


—  I     . 

\     ig '         e  lo  trascinai   \  ia,   pel 

guardaroba,  pel  corridoio,  sentii  la  |>"it.i  di  Elena 
mando  io  api  ivi  i  la  porta"  tifila 
.-..  si.  della  mia  stanza, 

.■,1   .li   Giulio  era   giunta  (lavanti    dia 
-     un   giui  .li-Ila   pi  irta   a   vetri   a- 

perta  e  richiusa. 

ra  mi  guardava, 
[o,  id  ascoltare,  non  lo  vedevo  nemmeno, 

ido  supposi  Giulio  da  E  lena,  chiusi  a  chiavi- 
la |«>na  della  mia  stanza,  e  fissai  lui...   L'na  ripu- 
pei   quell'uomo  che  cercava  ili   atteggiar  la 
pallida  faccia  al  -  uso  di  scettico,  mi 

e   tutta,    finalmente.    Dovetti   frenarmi,   con  le 
inani  contratte,  per  non  gridargli  vigliacco.  Egli  i 

echi  dai  miei,  alzò  le  spalle  si  volse  a 
vare    una    tendina    dalla    finestra,    a    guardar 

iva  alla  mia  porta: 
Ma  perchè  sei  tornata?  —  e  la  sua  voce  :ie- 

convulsa. 
Stavo  male,   tanto  male  in  quella  folla...   La- 

ripos   re  un  momento...  verrò  dai   Succi. 

—  Sicuro? 

—  Ti  dico  che  verrò. 

Egli  dò.  la  sua  carri  .zza  turno  a  scorrere 

sulla  ghiaia  dei  viali.    Noi  tre  tornammo  ad  -jsser 
soli  nella  villa. 

adesso,  andiamo,  —  dissi  a  Simond. 
l'na  parola   sola,   signorina,   dopo  due  uhm. 
Ella  sa  che  quel  che  è  avvenuto,  che  quel  che  av- 
ra,       per  sua  colpa?  «  Mai.  no  mai  ».  tlla 
ha  detto  quel  giorno. 

Egli  discese  obbediente,  lo  feci  passare  dalla  cu- 
cina deserta.  Sulla  porta  mi  disse,  tornando  sar- 
cast  ii 

So  la  strada  pel  eancelletto  sul  canale,  e  scom- 
parve nella  notte. 

li  su   da    Elena,  calma. 
B sul   divano  ella  giaceva   come   svi 

—  E  lena! 

Sorse  e  mi  guardò,  irosa: 

—  Vuoi  che  ti   ringrazii  ? 

Io  ho  già   dimenticato  quel   che   è   avvenuto. 

—  Io  non  lo  dimenticherò  mai. 

Mi    odiava.    L'odio   della   gratitudine    forzata    è 
'ni   altro  odio. 

—  Tu  m'hai  salvata.  Forse  l'hai  fatto  per  sal- 
var lui....  O  forse  tu  hai  avvertito  Giulio... 

—  E  lena  ! 


Sì,  perche  egli  non  è  venuto  qui  a  cercai  U 
te.  egli  è  venuto  diritto  nella  mia  stanza,  ansante, 
•  in  ulso  come  se  sapesse. 

Avrà    supposto,    p    telegramma    di    stani 

pilo    iii.ii    aver    ingannato    lui.    come    non   ha    in. 
nato   me.    Addio. 

Addio.  Tu  non   ti   sono  grata   del 

In  ne   che  credi    d'avermi    I  aito. 

—  Lo  so. 

Non  ho  piìi  veduto  Simond,  il  suo  nome  i 
più  stato  pronunziato  nella  nostra  casa.  Credo  che 
egli  sia  tornalo  in  Frani      pi 

Tu   sai   tu 


VI. 


Maria,  a  queste  parole  ricaddi    con  la  testa  sulla 
mia  mino  che  non  aveva  abbandonata. 

-r-  Se  tu  non  hai  mai  pi  rdi  nato  a  tua  son 
segno  che  lo  hai  amato  sempre. 

—  Xo.    Prima  di   sposarti,   quando  tu   leal 
mi  dicesti   damarmi,   interrogai   me  stessa  su 

si 'ultimo  scrupoli  .  iVi  .  in  quella  notte  di  supplizio, 
in  quei  dieci  minuti  di  tragedia  (che  non  hi  p:u 
lungai  io  divenni  un'altra.  Pensa  a  quel  che  io  vidi, 
a  quel  che  io  seppi  in  quel  momi 

—  Lo  supponevi   anche  prima  e   l'amavi 
niente. 

—  Ma  non   lo   sapevo!    Guardami    negli 

Non  \  è  nemmeno  la  memoria  d  un'altra  immagine. 
Tu  sai  di  quella  notte  che  cosa  rivedo  ancóra? 

—  Che  o  sa  ? 

—  Quando  tornai   via   verso  il  villaggio  e   pas- 
sai davanti  alla  chiesa,  la  messa  di  Natale  era  ap- 
pena finita,  la  folla  era  appena  escila.   Entrai  nella 
penombra,   nell'odore  d'incenso,   sulla 
calpestata  odorava  d'amaro.  Fui  sola  con  Dio,  e  lo 
t'issai.    Sì,   anche  oggi,   anche  adesso,   se  chiudo  gli 
occhi,  rivedo  quel  bambino  di  cera  nel  nimbo  - 
cento    candele,    risento    l'odor    dell'incenso    e    della 
mortella,  nella  grande  chiesa  vuota,  aperta  pei 
porte  sulla  campagna.  Io  mi  inginocchiai,  e  fissi 
quel  piccolo  Dio,  lo  pregai  di  darmi  la  forza  del- 
l'onestà,    la    gioia    dell'Unico    amore,    che   è    l'i; 
gioia  nel  mondo.   Era  il  mio  Natale,  quello.   I 
nascevo,  da  quella  bufera,  rinascevo  per  te.  Quandi 
t'ho  trovato,  il   piccolo  Dio  m'ha  esaudita.    Pei 

sto,  per  l'amore  di  te,  l'ho  sempre  negli  occhi. 


Ugo  <  • 


IL  PRIMO  AMORE  DI  IPPOLITO  NIEVO 


e  lettere  e  i  versi  d'amore  scritti  a  venti 
anni  sono  di  regola  imparaticci  scolasti- 
ci ,  nei  quali  la  sincerità  del  senti- 
mento  è  in  strano  contrasto  con  l'inesperienza 
della  firma;  e  spesso  gli  strappi  alla  grammatica 
e  alla  prosodia  rendono  più  grave  l'oltraggio  alle 
Muse. 

Pure  la  precocità  meravigliosa  dell'ingegno  di 
Ippolito  Nievo  era  tale  che  anche  ne'  suoi  scritti 
d  adolescente  balenano  sprazzi  di  poesia  e  si  ri- 
vela una  maturità  di  pensiero  da  far  ammutolire 
ogni  beffardo  sorriso  di  critici. 

Per  cortese  deferenza  d'amici  ho  avuto  tra  mano 
un  pacchetto  di  lettere,  ingiallite  dal  tempo,  e  qua 
e  là  scolorite  da  lagrime:  le  lettere  di  Ippolito  Nievo 
a  Matilde  !*'...,  a  colei  che  destò  i  primi  palpiti  del 
suo  cuore  diciottenne;  e  scorrendo  quelle  paginette 
dalla  fitta  e  nitida  scrittura,  nessuno  direbbe  di 
aver  dinanzi  le  effusioni  d'un  giovinetto  affaccian- 
tesi  appena  sulla  soglia  della  vita,  e  le  si  crederebbe 
piuttosto  dettate  da  chi  ha  già  letto  molto  nel  gran 
libro  del  mondo,  ha  un  giudizio  indipendente  su 
uomini  e  cose,  sa  sottoporre  a  fredda  analisi  i  suoi 
ài  sentimenti  con  lo  scetticismo  d'una  mente  su- 
turi ore. 

Ex  lingue  leoncm:  e  si  spiega  facilmente  come 
da  questo  giovinetto,  cosi  stupendamente  dotato, 
balzasse  fuori  l'autore  delle  Confessioni  d'un  ottua- 
genario —  del  capolavoro  composto  di  sette  in  otto 
mesi,  a  soli  26  anni,  fra  le  distrazioni  e  i  turba- 
menti d'una  vita  affaccendata  e  febbrile,  come  ha 
splendidamente  dimostrato  Dino  Mantovani  nel  suo 
A-niale  sul  «  poeta  soldato  ». 

Quando  dettava  le  Confessioni,  il  ricordo  di  Ma- 


tilde s'era  già  di  molto  affievolito,  se  non  intera- 
mente cancellato  dall'anima  del  Nievo:  ne  io  saprei 
dire  qual  riflesso  abbia  avuto  tra  le  parecchie  donne 
del  romanzo  l'immagine  di  Matilde  F...  che  per  più 
anni  occupò  la  fantasia  e  il  cuore  d'Ippolito. 

Bella  non  pare  che  fosse  e  avanzava  di  qualche 
anno  il  suo  adoratore,  sul  quale  ella  esercitava  so- 
prattutto un  fascino  singolare  per  la  vivacità  e  la 
delicatezza  raffinata  dello  spirito,  per  l'elegante  e 
svariata  coltura.  Le  prime  lettere  d'Ippolito,  in  cui 
si  perita  ad  uscire  dal  lei  compassato  e  gelato,  son 
improntate  alla  più  umile  e  timida  riverenza:  per 
otto  mesi  egli  adorò  in  silenzio,  né  avrebbe  osato 
elevarsi  a  lei,  se  non  l'avesse  soccorso  la  pietà  d'un 
amico  compiacente  —  Attilio  M....  un  capo  balzano, 
turbinante  di  idee  e  di  progetti,  che  doveva  spez- 
zarsi tragicamente  più  tardi  nell'urto  con  la  ferrea 
realtà  dell'esistenza. 

Allora,  coetaneo  del  Nievo,  il  M...  si  divertiva  a 
burlarsi  de'  suoi  spasimi  taciturni  :  ma  per  com- 
penso accettò  la  parte  di  messaggero  fedele  della 
clandestina  corrispondenza  tra'  due  innamorati.  In- 
carico a  dir  vero  non  lieve,  perchè  Ippolito  nelle 
lunghe  attese  del  recapito  delle  sue  lettere  lasciava 
correre  furiosamente  la  penna,  e  i  foglietti  s'accu- 
mulavano l'uno  sull'altro,  formando  de'  piccoli  vo- 
lumi, di  cui  doveva  riuscir  più  disagevole  il  con- 
trabbando. 

Malgrado  questa  grafomania,  nel  carteggio  non 
l  i  mai  sentore  di  languidezza  e  di  stento:  le  prò 
teste  stereotipe  d'amore  vi  occupano  pochissimo  spa. 
zio  ;  prevalgono  invece  le  osservazioni  argute,  i 
tratti  umoristici,  le  impressioni  e  i  bozzetti  della 
vita  d'ogni  giorno,  gli  sfoghi  patriottici. 


490  LA    LETTURA 

ubile  di  temi, 
in  s  la  arricchiti  dalla  penna  agili-  e  avvi 

vatrice  del  Nievo,  rge  non  di  rado  a'  biografi 

qualche  particolare  prezioso  della  sua  gioventù. 
Nel  1849  egli  era  a  risa  e  con  altri  studenti  ao 
dapprima  il  progetto  di  accorrere  alla  di- 
:,  poi  di  esulare  in  (  lorsica,  Fugg 
iia  sena.  »  L'anno  passato  verso  la  metà  d'a- 
prile       scrive  a  Matilde  18  settembre  1850  —  l'o- 
dore delti  itituzionali  invadeva  di  nuovo 
passo  passo  tutta    l      ana.  Si  dava  la  caccia  ai  li- 
1xt.,:                            ori  di  strada,  e  i  poveri  lom- 
bardi t-ran  guardati  dalli    spie  e  dai  birri    come  tanti 
prelibati   b            ni  da  galera.  La  pazienza  comin- 
ciava   :•.  insi  rgevanó   a    tumulto   nel 
ci'ore  1"  sdegno  e  la  disperazione;   bisognava  sofc 
ni    della   polizia,    bisognava   abbando- 
nare questa  Italia  per  la  quale  avremmo  voluto  ver- 
nino il  nostro  sangue.    In  si  amaro  frangente 
:  11  l'ambasciato  mio  animo  in  una  lettera  ad  At- 
;>i   gava  di  volermi  mandare  una  qua- 
lunque  ci  sa  che  .1   te  avesse  appartenuto  per  far- 
mene mila  fcrrii  d'esilio  un  amuleto  di  speranza  ». 
Cor  b  1                igemma,  Attilio  gli  procurò  una 
ì  i-I  li.   0  Dopo  di   allora   le  circostanze 
mutarono  in  Toscana:   le  lettere  degli  amici  di  Cor- 
sie,! non   ci    invogliavano   punto  di   ridurci   colà; 
lo  sbarco  delle  truppe  francesi  ci  impediva  il  passo 
delle  Romagne  ;   e  io  dovetti  restare  al  mio  posto, 
ma  l'amuleto  posò  sempre  sul  mio  cuore  ». 

«  Dovrò  io,  —  esclama  in  altra  lettera.  ■ —  nar- 
rarti la  triste  storia  delle  mie  sofferenze  negli  otto 
mesi  di  lontananza?  Ogni  romor  di  armi,  ogni  spe- 
ranza di  vittoria  mi   faceva  balzar  il  petto  di   fidu- 
cia e  di   allegrezza,  perchè  il  dirmi   la  Lombardia 
sarà  libera  significava  rivedrò  Matilde;   ogni  rove- 
rella   armata    italiana,    ogni    passo   di    esilio 
mi   ripiombava   nell'eterna  mestizia  d'una  lontanan- 
za  indefinita.    Ma   la   mano   della   fatalità   separò   i 
ni  della  patria  dai  destini  del   nostro  amore; 
e  i  primi  giacciono  addormentati  sui  sogni  delle  me 
norie,   i   secondi   volano  aerei  divini  sulle  rosee  ali 
1  speranza  ». 


Dall'Università   di    Pisa  i  genitori  del    N'ievo  lo 

richiamarono   in   patria:    e  poiché   l'Austria  aveva 

chiuso  le  pubbliche  scuole,  Ippolito  nella  primavera 

d   I    1850.    andò   a    Revere   dove   l'ingegnere   Bugni 

nti  a\eva  stabilito  una  specie  di  liceo 

privato.    Le   sue   lettere   ila    Rovere   a    Matilde   non 

soni  Ito  lusinghiere  pei   professori  che  gli 

spezzavano  il   pam-  della  scienza;   e  se  ne  fa  beffe 

allegramente   più    volte.    «  La    sterminata   sapienza 

del  d  1    professi  re        -.rive  il  primo  aprile 

—   mi    è   entrata    tutta    nell'occhio   diritto,    il    quale 

non  ha  p  tuto  Far  a  meno  di  gonfiarsi  orribilmente. 

ho  salutato  di   buon  cuore  i  miei  vecchi   a- 

miei.  il  Sole  e  la  Luna,  poiché  aspetto  di  ora  in  ora 

mi   si   chiuda  andii      l    > : n  stro  e  allora   felice 

'.  ». 

Il  sto  humour  si  sbizzarriva  nel  re  con 

rve  non  i  soli  ma  tutl 


persone  che  incontrava  nelle  sue  escursioni  da  Re- 
vere a  Mantova,  a  Sabbioneta,  a   Fossat  >.   Era 

0  >ì.i  manta  ambiilatoria,  come  direbbero  i  mo- 
derni   barbassori  ;    ogni    tanto   domandava   alle  sue 
gambe  <i  volete   sgranchirvi?   avanti!  »  e  miglia  e 
miglia  di  strada  sparivano  sotto  i  suoi  grandi  p 
senza  che  ei  se  n'accorgesse,  unto  assurto  ni 

li  della  natura,  tutto  immerso  nella  ridda  dei 
pensieri  che  gli  trottavano  pel  capo...  e  che  appena 
arrivato  a  casa  consegnava  in  epistole  intermina- 
bili alla  sua  Matilde. 

Il   Insogno  di    scrivere  era   in   lui   altrettanto  pre- 
potente e  imperioso  che  il  bisogno  di   cammina 
alla  sua  innamorata  vuol  presentarsi  quale  .-.  senza 
bollore  retorico,  nella  rude  schiettezza   del    sui 
rattere.  e  persino  nel  disordine  zingaresco  della  sua 
mise.    Si    descrive    infatti    talora    cosi    sciamati 
nel  vestiario  da  parer  0  un  Brighella  »  ■ —  non  per 
posa  di  boheme,  ma  per  l'uggia  invincibile  che  gli 
metteva  addosso  la  vita   insulsa  e  scioperata  di  vil- 
laggio. 

Ippolito  teneva  però  soprattutto  ad 
nosciuto  nella  realtà  della  sua  indole  da  Matilde: 
e  il  16  maggio  1850  la  invita  a  dirgli  senza  ambagi 
il  concetto  che  si  è  fatta  di  lui.  per  poterlo  al 
correnza  rettificare.  «  Io  voglio.  Matilde,  che  tu 
m'ami  qual  sono  e  non  qual  vorresti  ch'io  tossi:  e 
son  troppo  orgoglioso  di  tutto  ciò  che  v'ha  in  me 
di  bene  e  di  male,  per  non  soffrire  mai  che  tu  t'il- 
luda a  mio  riguardo...  In  un  anno,  quattro  mesi  e 
venti  giorni  che  ti  amo.  i  minimi  tratti  del  mio  ca- 
rattere non  devono  esser  sfuggiti  al  tuo  sguan 
Voglio  che  tu  mi  giudichi,  e  a  me  spetterà  rettifi- 
care la  sentenza  in  meglio  od  in  peggio...  Io  ti  ri- 
sponderò analizzando,  critico  imparziale,  dove  hai 
colpito  giusto  e  deve  hai  preso  un  granchio.,  e  ti 
paleserò  francamente  cosa  penso  di  te.  Due  nemici 
voglion  conoscersi  prima  di  regalarsi  scambievol- 
mente una  palla  di  piombo:  qual  maggior  diritto 
non  hanno  di  conoscersi  due  anime  che  si  legano 
per  la  vita?  » 

La  giovinetta  non  potè  celare  l'ammirazione  sin- 
cera  che   doveva   destarle   un    innamorato   originale 
per  ogni  verso:  e  Ippolito  va  sulle  furie  per  quelle 
che  riteneva  lodi  banali  di  convenzione.  «  In  tutto 
quel  mare  di  parole  —  le  risix>nde  ruvidamente 
non  ho  trovato  una  sillaba  di  verità  »  ;   e  con  n 
dente  sarcasmo  fa  una  critica  spietata  di  sé  stes- 
e  dell'amata,  che  forse  gli  ha   prodigato  tanti  ei 
mi  a  scopo  di   mutuo  incensimer.to.   per  averne  il 
ricambio. 

No,  no,  non  è  così  che  devono  adularsi  e  ingan 
narsi  a  vicenda:   se  devono  essere  uniti  per  la  vita. 
è  necessario  che  ognuno  di   lor   due  abbia   leti 
fondo  nell'anima  dell'altro  ,•  possano  coscientemente 
stimarsi.  Il   Nievo  deride  la  Phisioìo^ie  du  mar 
del   Hai/ai-  perchè  gli  pare  assurdo  «  valer  coi 
vare  il  cuore  d'una  donna  con  la  sorveglianza  e  la 
politici    di    Machiavelli  »;     ma    pure    ne    perni' 
anzi  raccomanda  la  lettura  a  Matilde,  esclamando: 
«  a   che   celarti    nei    libri    lo   scheletro   d'una    realtà 
che  hai   già   intravisto  vera   e  palpitante  nei    fatti? 
A  che  pascere  ancora   la  tua   mente  di    favole  e  di 


IL    PRIMO    AMORE    DI    IPPOLITO    XIEVO 


491 


ciancie,  mentre  essa  ha  già  bevuto  largamente  al 
calice  amaro  della  verità?  » 

Quanto  a  sé,  i  tratti  dominanti  del  suo  carattere 
sono  appunto  un'insaziabile  sete  di  verità,  un'ispida 
schiettezza  di  parola,  un  sentimento  profondo  per 
la  natura  —  la  sola  grande  sorgente  di  alte  e  pure 
ispirazioni  — ,  un  culto  ardente  per  la  patria  op- 
pressa, che  sa  certo  destinata  a  risorgere. 

Se  i  pacchetti  di  lettere  amorose  del  Nievo  dalle 
mani  dell'intermediario  fossero  per  disgrazia  capi- 
tati tra  le  unghie  della  polizia,  vi  sarebbe  stato  più 
del  necessario  per  imbastire  un  processo  di  alto 
tradimento.  Ippolito  si  compiaceva  d'aver  sempre 
indosso  qualche  documento  del  suo  patriottismo, 
e  in  una  lettera  bizzarra  del  2  giugno  r850  descri- 
vendo la  farraggine  di  carte  costipate  nel  suo  por- 
tafoglio accenna  ad  una  poesia  composta  «  per  l'an- 
niversario delle  Cinque  giornate  di  Milano  »,  che 
egli  porta  sempre  seco  «  perchè  ove  saltasse  in  testa 
ai  nostri  stimatissimi  padroni  di  accalappiarmi  non 
manchi  loro  un  pretesto  per  farmi  appiccare  e  lo 
possano  fare  in  tutta  coscienza!  ». 

Sulla  fine  del  1850  potè  finalmente  recarsi  all'U- 
niversità di  Padova,  e  nei  suoi  bigliettini  a  Matilde 
—  anziché  ricordi  d'amore  —  rievoca  incessante- 
mente le  memorie  della  guerra  nazionale  del  '48-49, 
sempre  vive  e  presenti  sotto  i  suoi  occhi.  Le  lezioni 
di  diritto  di  rado  lo  attraggono:  l'instancabile  cam- 
minatore preferisce  di  fare  escursioni  sui  luoghi 
consacrati  dal  valore  italiano:  Malghera.  Venezia, 
Vicenza  !  E  prorompe  in  furiose  invettive  al  sen- 
tire la  sciabola  dell'ufficiale  tedesco  che  striscia  in- 
solente per  piazza  San  Marco:  colma  di  vituperi  Ve- 
rona per  la  gaiezza  delle  sue  vie,  affollate  di  uni- 
formi variopinte  dell'esercito  di  Radetsky. 

Lo  squallore  e  la  solitudine  di  Padova  si  conci- 
liavano meglio  con  le  disposizioni  del  suo  spirito 
ive.litabondo:  «  la  popolazione  —  scrive  il  29  ago- 
sto —  pare  una  turba  di  spettri  ;  sembra  che  cam- 
minino in  punta  di  piedi,  come  per  non  svegliare 
gli  occhi  delle  case  deserte  ;  sembra  che  i  loro  occhi 
errino  meravigliati,  come  un  fanciullo  allevato  in 
una  spelonca,  che  vegga  il  sole  per  la  prima  volta. 
Povera  Padova  !...  Mi  vengono  le  lagrime  agli  oc- 
chi, guardando  il  salone  detto  della  Ragione  in  cui 
si  difendevano  un  giorno  i  diritti  degli  oppressi... 
Padova  non  è  certo  una  città  per  chi  ama  i  fra- 
cassi della  vita  allegra:  sarebbe  lo  stesso  che  il  vo- 
ler danzare  nei  sotterranei  d'un  cimitero. 

0  Vi  sono  tanti  e  tanti  che  maledicono  la  melan- 
conia: io  non  so  come  possano  fare  a  disgustarsi 
con  una  delle  più  beate  condizioni  del  viver  nostro. 
Io  credo  che  scambiano  la  noia  per  malinconia, 
poiché  io  trovo  nella  mestizia  una  certa  dolcezza 
patetica  di  pensieri  e  di  sentimenti,  una  certa  ab- 
bondanza di  fantastiche  idee  che  me  la  rende  simile 
a  un  Paradiso  ». 

A  confortarsi  del  fiacco  e  sconsolato  presente,  il 
Nievo  visitava  spesso  la  cappella  degli  Eremita»!. 
per  contemplarvi  le  creazioni  del  vecchio  Mante- 
gna,  che  egli  anteponeva  a'  più  grandi  genii  del- 
l'arte. «  Ho  veduto  dei  quadri  di  Raffaello,  di  Ti- 
ziano, di  Paolo  Veronese  più  corretti,  più  perfetti  : 


non  ho  mai  osservata  una  risolutezza  di  pennello 
e  un'originalità  più  grande  ».  Nel  San  Giorgio  di 
Mantegna  gli  par  di  vedere  un  simbolo  della  gio- 
vane Italia,  che  dovrà  prima  o  poi  spezzare  il  tron- 
cone della  sua  lancia  sul  drago  tedesco. 

Tutte  queste  lettere  del  Nievo  da  Padova  e  Ve- 
nezia potrebbero  ristamparsi  quasi  intere:  vi  si  tro- 
verebbero in  germe  molte  delle  più  belle  pagine 
delle  Confessioni  ;  e  il  suo  non  è  patriottismo  re- 
torico, ma  fremito  convulso  di  chi  era  già  pronto  a 
immolare  la  sua  giovinezza  quando  fosse  suonata 
l'ora  della  riscossa. 

Il  carteggio  che  sto  esaminando  termina  pur 
troppo  con  gli  ultimi  mesi  del  r850  ed  è  indubitato 
che  continuò  parecchi  anni  ancora,  poiché  a  Matilde 
F...  è  dedicato  il  primo  volume  di  versi  del  Nievo 
(Udine.  1854).  Come  sarebbe  bello  poter  esumare  la 
sua  corrispondenza  del  1852-53.  quando  Mantova 
era  in  sussulto  per  i  famosi  processi,  e  sugli  spalti 
di  Belfiore  penzolavano  dalla  forca  i  cadaveri  di 
Tazzoli.  di  Speri,  di  Poma!...  Che  ruggiti  deve 
aver  represso  nell'anima  sua  Ippolito  Nievo,  ormai 
adulto  —  egli  che  a  Mantova  sentiva  «  rivoltarsi 
le  viscere  »  al  vedere  i  croati  accampati  presso  i 
cannoni  in  Piazza  del  Duomo  ;  egli  che  a  Matilde 
nel  T849  mandava  non  solo  versi  d'amore,  ma  que- 
st'ode (inedita)  su  Legnano,  riboccante  d'odio  allo 
straniero  ! 

A  Legnano  correte,  a  Legnano  ! 
O  aspettanti  la  grande  novella, 
Poiché  Cristo  ha  gravato  la  mano 
Sul  tiranno  che  i  ceppi  vi  die. 

Coronato  spergiuro!  favella 
Or  parole  di  ingiuria  e  di  morte  ! 
Or  che  lunge  la  spada  del  forte 
Dal  tuo  cuore  di  tigre  non  è  ! 

Ieri  all'alba  codeste  campagne 
Eran  liete  di  messi  e  di  fiori 
E  la  terra  lodava  agli  albori 
Col  suo  muto  linguaggio  il  Signor! 

Oggi  il  fianco  di  venti  montagne 
Vomitò  due  torrenti  sovr'esse 
Ed  all'urto  potente  non  resse 
Il  riparo  d'imbelle  cultor. 

Li  vedeste?  le  ondate  bollenti 
Risplendeano  di  lancie,  di  spade, 
E  nel  cupo  dei  gorghi  cruenti 
Lo  scrosciare  dell'armi  s'udì. 

Vi  ravviso  o  esecrate  masnade, 
Ti  ravviso,  o  scettrato  assassino, 
Poiché  il  solco  del  vostro  cammino 
Il  saccheggio,  lo  stupro  segui. 

Vi  ravviso  all'ingiusta  baldanza 
Che  al  sogghigno  v'atteggia  le  labbia, 
Vi  ravviso  alla  stolta  fidanza 
Di  cui  suolsi  il  codardo  coprir. 

Ma  che  vaglion  minaccie  di  rabbia 
Contro  i  popoli  a  stormo  levati  ? 
Ma  che  vaglion  migliaia  d'armati 
Contro  un  Dio  che  vi  danna  a  perir? 

Era  forte  di  fanti  e  cavalli 
Il  superbo  dall'Alpi  disceso, 
Sormontava  le  fosse  ed   i  valli 
Qual  valanga  che  sosta  non  ha  ! 


492 


LA    LETTI  i  A 


ie  vale  s<-  l'orlo 
Che  d'Italia  tu  posto  ■  bari 
N.iii  rattenne  la  foga  straniera? 
Il  Lombardi  iprà! 

1 1  Min  |>r..nn  in  arcione, 
antro  fu  quello 
l>i  due  vnui  che  vanno  ■  tentone 
Per  gli  spani  tonanti  del  del. 

dell'Angel  ili  morte  il  flagello 
Balenò  sull'estranie  coorti; 
Pia  che  addoppiali  le  piaghe  ed  i  morti. 
Più  la  pugna  diventa  crudel. 

Chi  boccheggia  spiranti-,  chi  giace 
monti  'li  s<  udi  e  d'ui 
Mentre  scura  e  più  tetra  la  pai  e 
Della  ti"M  il  furor. 

Chi   fu   il   vinto?  -.ir. inno  derìsi 
Forse  .incora  i  diritti  più  santi? 
l  orse  i!  «insto  bagnare  coi  pianti 
Dovrà  i  ceppi  d'iniquo  Signor? 

No,  Lombardi!  cantate,  o  redenti. 
La  vittoria  del  lungo  sei  <  n 
A1.0  spose,  ai  vegliardi  piangen  i 
Rassereni  quel  cantico  il  cor. 

Vincitori,  per  ogni  villaggio 

Vi   saluti   la  tuilia  al   i  itorno, 

Poiché  voi  vendicaste  in  un  giorno 
Mille  oltraggi  de'  vostri  oppressor. 

A  Legnano  correte!  A  Legnano! 
m  ttanti  la  grande  novella  ! 
Poiché  mai  non  combatlesi  invano 
Oliando  giusto,  concorde  è  il  pensier. 

In  qnel  campo  il  valor  s'affratella 
Colle  antiche  memorie  d'impero, 
E  quel  campo  sarà  un  vitupero 
Senza  fine  per  l'uomo  stranier. 


Il  soggiorno  a  Colloredo,  le  peregrinazioni  in 
Camia  sono  il  teina  di  molte  lettere  deliziose  del 
Nievo,  che  già  nell'autunno  del  1850,  visitando  la 
scena  del  suo  futuro  romanzo,  cominciava  forse  a 
disegnarne  la  trama  nella  sua  fantasia:  ed  amava 
con  frequenti  descrizioni  di  paesaggi,  con  bozzetti 
umoristici  della  sua  vita  errabonda,  addestrarsi  la 
mano  per  acquistare  quella  padronanza  della  for- 
ma ci  1  più  tardi  permettergli  una  rapidità 
portentosa  nell'esecuzione  del  suo  capolavoro! 
Quanta  freschezza  d'impressioni  e  vivacità  di  colo- 
rito in  queste  due  lettere  a  Matilde  che  produco 
per  saggio: 

Castel  Colloredo  di  Moni' Albano,  io  ottobre 

Monte,  monte,  e  monte  ancora  —  torrenti  che  si  dival- 
lano lungo  le  chine  erbose  e  giù  per  le  frane  dirupate 
delle  roccie  —  selve  di  castagni  che  invecchiarono  all'  in- 
nte  fragore  delle  cascale  —  solinghi  casolari  che  di- 
fendono l'uomo  nelle  solitudini  della  natura  —  antichi  ca- 
stelli che  torreggiano  sui    picchi    delle    rupi,    come  falchi 

aleggianti   nell'aria  —  ecco.   Matilde,    la    scena  che 

mi  circonda,   la  scena  che    ha    pasciuta  di    leggende    e    di 
romanzi    la    mia    prima    infanzia!     —    Riveggo    ancora    le 

nevi  <he  imbiancano  a  me» iioin.    1.     o  1  il  1  giogaie   — 

riveggo  le  ghiaie  desolanti  del  'ragliamenti'.  1  he  segna  con 
agne  di  macigni  il  confini    ■'    111  —  ri- 

■  uli  con  tutto  rolline    della    sua  materia,   con 
tutta  la  dello  spirito  de'suoi   .limanti 


Oh  ionie  tutto  Ciò    è    bello!   —  quanto    più    hello  della 
nnni>t>  in  1  interminabile  delle  nostie  pianine,    dei   n 
argini,  delle  nostre  praterie  livellate  come  una  tavolai  — 
Mal,   mai  la  mano  dell'uomo    non    arriverà    .1 
«olla    freddezza  del  calcolo  l'opera  creatrice  della  natura' 
—   Una  rupe  solitaria  e  Bublime  che  s'erge  dalli 
Ciivallantisi  d'un  torrente,  è  assai  più  glande  e  portentosa 
delle  l'ira  midi  d'Egitto  e  del  San  Pietro  di  Roma!  —  Come 
un'anima    imbevuta    delle   massime    pure    e    d'un    ' 
istinto  è  assai  più  in  sta  d'uno   spinto    lim 

e  raffinato  da  quella  scimmia  della  creazione  che  ha  i 
civiltà!   —    Popoli  civilizzati!  —  civilizzati  invero!  —   ed  a 
1  he  line'  —  per  ammazzarsi,  per  divorarsi,  per  farsi  schiavi 
l'un  l'altro  ! 

o  se  tu  potessi  contemplare  una  sola  sera  l'ultimo  rag 
gin  di  sole  che  indora  mestamente  i  merli  cadenti  del  ca- 
stello! —  Se  tu  potessi  salire  appoggiata  al  mio  braccio 
la  torre  che  incorona  l'altura,  e  di  là  divagare  lo  sguardo 
sulle  montagne,  sui  colli,  sulla  pianura!  —  o  Matilde, 
Matilde,  come  allora  saresti  felice!  —  1  nostri  baci  aggiun- 
gerebbero l'estasi  dell'ebbrezza  a  tutte  le  altre  delizie  della 
contemplazione  della  natura!  —  Amami,  o  Matilde!  — 
Amami!  —  il  tempo  è  il  nostro  Dio  —  il  nostro  idolo  è 
la  speranza. 

Ippoi. 

Il  Friuli  (come  ben  sai  è  un  paese  che  si  estende  dal 
mare  alle  Alpi  per  uno  spazio  di  sessanta  miglia,  e  la  sua 
parte  settentrionale  ha  volgarmente  il  nome  di  Carola, 
dalle  Alpi  Carniche  che  ne  sono  la  base.  Figurati  un  avval- 
larsi continuo  di  monti  sopra  monti,  e  frammezzo  ad  essi 
immensi  torrenti  che  allagano  le  vallate  d'acqua  e  di 
ghiaia  —  erte  stradicciuole  che  serpeggiano  lungo  le  chine, 
come  nastri  sbattuti  dal  vento,  e  paiono  sospese  tra  le  rupi 
scoscese  che  Imi  ano  il  cielo,  e  le  rovine  interminabili  di 
macigni  che  si  dirocciano  fin  nell'abisso  —  cascate  aeri 
fil  i  d'acqua  sottili,  sottili  che  si  vaporizzano  nell'aria,  e 
scendono  sopra  le  punte  dei  massi  come  veli  di  nebbia,  e 
intorno  ad  esse  (scavate  dall' un  issante  attrito  delle  cor- 
renti) grotte  nere  e  selvaggie,  burroni  spaventosi,  che  for- 
mano insieme  come  un  anfiteatro.  Oh  come  è  bella  e  ini 
ponente  la  natui a  nel  suo  gigantesco  e  spaventoso  a 

—  Come  siamo  piccini  noi  p.ccioli  insetti  che  ci  arranipi 
chiamo  su  quell'immenso  colosso  che  si  chiama  —  una 
montagna!  —  come  vergogniamo  della  nostra  piccolezza 
nel  vederci  soli  in  mezzo  al  Tagliamene.'  che  solca  con 
venti  braccia  un  deserto  infinito  di  sassi  e  di  ghiaie' 

Mercoledì  allo  spuntar  dell'alba  partimmo  da  Colloredo 

—  il  sole  indorava  come  un  vecchio  amico  i  merli  del 
Castello  e  l'orologio  della    torre,  e  il   mare  di  collim 

si  stende  dinanzi  ad  essa  sorrideva  come  un  bambino  al 
sorriso  del  padre.  —  Io,  Attilio,  i  miei  due  fratelli,  un 
buon  uomo  di  qui,  e  due  somari  —  ecco  la  bella  comi 
tiva  che  usciva  dalla  porta  del  castello,  passando  su  quel 
ponte,  che  rimbombava  altre  volte  per  lo  scalpito  dei  ca- 
valli da  guerra  e  dei  cavatici!  vestiti  di  ferro. 

Prendemmo  la  strada  giù  pel   colle  verso  ad  una  vicina 
borgata  che  ha  il  nome  di  Buia,    ed  è  all'incontro  la  più 
chiara  ed  allegra  che  si  sia  mai   vista    spingere  i  su- 
mignoli  fuori  del  verde  del  fogliame. 

Valicammo  il  monticello,  cui  essa   incorona, 
la  Ltdra  su  un  bel    ponte    di   pietra,    ci    mettemmo  pian 
piano  attraverso  i  larghissimi  pascoli  in  cui  ella  serpi 

Verso  le  dieci,  cdn  un  sole  vivacissimo  ed  un  vento  In 
diavolato,  la  nostra  carovana  entrava  in  Osopo.  Chi  non 
cono  divenne  ornai   un  nome  i  aro  ad 

biavo   italiano,   le  bombe  del  quarantotto   lo  hanno 
ficaio,  e  1'    sue  strade  riboccanti  di  macerie,  le  sue 

riarse,    le    sue    mura    geliate    al    vento    sai. inno    p    r    lungo 

temp  testimoni  della  prodezza  'le'  suoi  difi  n 

Immaginati  che    il    p  I  uà  il    moni 


IL    PKIMi  I    AMORE    l'I    IPPOLITO    NIEVO 


498 


struita  la  fortezza  e  la  pianura  in  cui  accampavano  gli  au- 
striaci, e  pensa  poi  qual  fosse  la  sorte  dei  poveri  abitanti 
di  Osopo. 

Passando  fra  le  reliquie  d'una  brinderà  di  Napoleone 
venimmo  al  Tagliamento,  e  dopo  un  miglio  e  mezzo  di 
strada  disastrosa  scoprimmo  la  barca  che  dovea  tragit- 
tarci all'altra  sponda. 

Figurati  un   torrente   dei  più    impetuosi   diviso  in  venti 
rami  più  o  meno  grandi,  tutti  compresi  da  due  miglia  di 
ghiaia,  e  sopra  questa  da  ambe  le  parti  monti  dirupati  ed 
sissimi,  ed  avrai  un'idea  del  Tagliamento. 

I  primi  rami,  alquanto  bassi,  li  varcammo  a  guazzo;  i 
due  di  mezzo  colla  barca  —  e  i  restanti  o  a  piedi.  0  sulle 
spalle  dei  barcaiuoli,  che  si  affondavano  nell'acqua  lino 
al  petto. 

Siamo  sulla  riva  destra —  Attilio  e  Sandrino  cavali 
gli  asini,  il  primo  a  ragione  de'  suoi  dolori  di  ventre,  il 
secondo  per  la  sua  tenera  età  —  dietro  ad  essi  viene  Na- 
tale, buon  friulano,  che  non  fa  che  gridar  arri,  arri.'  — 
e  davanti  a  tutti,  come  gli  esploratori,  siamo  io  e  mio  fra- 
tello Carlino.  —  Ci  cacciamo  entro  una  vallata  brulla  e 
deserta  in  cui  si  udivano  rimbombar  alcune  campane.  Ci 
lasciami)  dietro  un  paese  che  par  incollato  su  una  rupe 
—  entriamo  in  una  larga  palude  —  poi  saliamo  su  una 
lunghissima  erta  di  sassi  e  di  sabbia,  seminata  da  enormi 
macigni  staccatisi  dalle  balze  che  ci  erano  sulla  testa.  Sa- 
liamo e  saliamo  ancora  —  ecco  dei  campi  —  ecco  dei  ca- 
stagni —  i  vigneti  ricompariscono  —  si  conosce  che  la 
mano  dell'uomo  ha  toccato  quella  terra  e  1'  ha  fecondata. 
Ad  una  svolta  spunta  finalmente  da  lungi  torreggiando 
nell'aria  il  campanile  di  Frescaghes.  Due  miglia  ancora  e 
siamo  ih  vetta  ad  un  monte,  con  a  piedi  un  lago  d'acqua 
limpida  e  trasparente;  un  lago  profondo  e  deserto  —  il 
lago  di  Cavazzo.  Fra  un  seno  di  monti  aguzzi  e  minac- 
egli  posa  tranquillo  ed  azzurro  e  sembra  un  fresco 
bambino  che  si  culli  mollemente  in  braccio  alla  nonna. 
Bisogna  misurare  coll'occhio  quel  lago  dall'altezza  di  tre- 
cento braccia  per  comprenderne  l'orrido  e  il  sublime  — 
noi  lo  costeggiamo  per  un  miglio  fin  al  punto  che  egli  si 
restringe  per  allargarsi  ancora  al  di  là  di  una  catena  di 
frane,  (ili  è  su  questa  catena  che  l'occhio  spazia  libera- 
mente svi  quella  Perla  delle  Alpi.  Si  vedono  i  due  ba- 
cini che  si  congiungono  per  un  canale  stretto  ed  oscuro; 
e  il  cielo  che  si  specchia  in  quelle  acque  trasparenti,  fa 
si  che  tu  creda  aperto  un  foro  attraverso  la  terra.  In  capo 
al  lago  hai  una  gola  difesa  d'ogni  intorno  dai  venti,  da 
colossi  di  massi  ;  tra  campi  di  biada  e  boschetti  di  vigne 
e  di  cerese  s'asside  San  Biagio,  pulito  paesello  che  si  ad- 
d "~-a  ad  una  china,  come  tutti  i  paesi  di  montagna.  Pare 
di  trovarsi  in  un  giardino  inglese  —  un'oasi  del  deserto 
è  meno  bella. 

Sopra  San  Biagio,  su  una  roccia  sporgente  e  tagliata  a 
picco,  sorge  la  chiesa  di  Cesclaus,  che  pare  comandi  alle 
Alpi  come  una  regina  dal  suo  trono. 

Scavalcati  altri  monti,  per  sentieri  dirotti,  si  entra  in  un 
torrente,  vicino  al  quale  è  fabbricato  Cavazzo. 

È  una  gran  brutta   cosa    una    cattiva    osteria   dopo    un 

*gio  faticoso,  ed  è  cosa  peggior  ancora  che   l'oste   ab- 

una  faccia  da  assassino.    E  questi    due    inconvenienti 

toccarono  a  noi.  e  ci  spaventarono  in  maniera  che  benché 

arrivati  alle  quattro  a  Cavazzo  ne  ripartimmo  alle  cinque 

ingozzati  all'infrena  quattro  bocconi. 

Sboccammo  al  Tagliamento  (per  ripassarlo)  lungo  una 
che  si  perde  entro  un  bel  bosco  di  pini  e  di  castagni. 
Era  sera  fatta  —  il  torrente  più  furibondo  qui  che  a 
ipo  muggiva  orrendamente  —  sguazzammo  un  pezzo, 
poi  ci  stivammo  in  una  barca  che  sorretta  da  sei  remi 
appena  resisteva  all'urto  dei  cavalloni  —  balzammo  dal- 
l'una sponda  all'altra  con  una  rapidità  favolosa  —  sguaz 
amino  ancora,  e  finalmente,  uomini  e  somari,  arrivammo 
felicemente  grondanti  di  sudore  sulla  strada  maestra  della 


Carnia.  Ci  ripiegammo  a  mano  ritta  pei  imboccare  la 
postale,  che  da  Udine  mette  in  Carinzia,  ed  arrivammo 
che  eran  quasi  le  nove  al  Ponte  della  Fella  che  è  lungo 
un  mezzo  miglio.   Dopo  il  ponte  s'incontra  la  postale. 

Era  notte  avanzata  —  avevamo,  'redo,  il  capogiro  poi- 
ché invece  di  dirigerci  verso  la  pianura,  voltammo  verso 
Pontebba.  La  strada  avea  sempre  a  sinistra  il  muggito 
della  Fella  ed  a  dritta  il  tonfo  delle  acque  che  piomba- 
vano dalle  rupi  —  la  luna  imbiancava  le  scogliere  altis- 
sime della  sponda  opposta.  Noi  e  il  torrente  eravamo  in 
una  oscurità  d'inferno.  Non  una  casa,  non  un  tugurio 
per  quella  vìa  —  dopo  un'  ora  eterna  comparve  lontano 
qualche  cosa  di  bianco.  Addoppiammo  il  passo,  passiamo 
sotto  rupi  nere  e  paurose,  vicino  a  cascate  clic  toccavano 
le  nubi  —  alla  fine  ecco  un  borgo.  Lungo  la  strada  fu 
un  continuo  ondeggiare  di  opinioni  —  ora  credevamo  di 
andar  in  su  ed  ora  di  venir  in  giù.  La  lite  fu  decisa  alla 
locanda  ove  ci  dissero  che  eravamo  al  Ponte  di  Moggio 
e  che  trottavamo  allegramente  verso  Germania. 

Che  dormita,  che  dormita  quella  notte!  e  come  uscim- 
mo tutti  a  malincuore  di  sotto  le  coltri  !  Verso  le  sette 
passammo  la  Fella  per  veder  Moggio  che  è  un  grosso 
paese  in  una  valle  profonda.  Indovina  cosa  trovammo 
sopra  di  Moggio?  Madonna  Neve  —  e  in  aggiunta  una 
veduta  cos'i  larga  e  pittoresca  che  ci  incantava.  Tornam- 
mo alla  locanda  e  dopo  aver  divorata  una  colazione  gu- 
stosa la  carovana  si  rimise  in  cammino  col  solito  ordine. 
Rifemmo  la  via  della  notte  passata.  Che  bella  scena  — 
le  tenebre  erano  sparite  —  il  sole  indorava  quei  burroni 
su  cui  verdeggiavano  i  pini  —  quelle  rocce  da  cui  le  ca- 
scate tralucevano  come  fili  d'argento!  Quante  volte  io  e 
Carlino  corremmo  il  rischio  di  fiaccarci  il  collo  per  am- 
mirar da  vicino  quelle  stupende  meraviglie  della  natura  ! 

Ci  inerpicavamo  tra  i  greppi  e  le  onde  aggrappandoci 
ai  ginepri,  e  agli  orli  dell'aspetto  e  giunti  al  punto  ove 
la  vista  abbracciava  il  bello  della  scena,  gridavamo  in 
coro:  quanto  è  sublime  e  tornavamo  ai  compagni  sulla 
strada  ripetendo  :  quanto  è  sublime  !  Giunti  al  punto  ove 
la  sera  avevamo  sbagliato  cammino,  tirammo  innanzi  per 
la  postale  ed  arrivammo  alle  tre  a  Venzone.  Vedemmo 
le  mummie  —  il  sagrestano  conosceva  parecchi  di  coloro 
che  ora  sono  cadaveri  disseccati.  La  stanza  ove  esse  si 
conservano  è  bianca  ed  allegra  —  ma  1'  occhio  scende  a 
quelli  scheletri  che  hanno  ancora  impressa  nell'  aspetto 
1'  ultima  contrazione  della  morte  e  sembra  di  assistere  a 
una  danza  di  spettri. 

Il  palazzo  del  Comune  e  la  chiesa  di  Venzone  sono  due 
monumenti  dell'antica  importanza  di  quel  paese  e  in  am- 
bedue si  conservano  antichi  affreschi  :  palazzi  di  stile 
tico  fiancheggiano  le  contrade,  e  un  magnifico  ponte  mo- 
derno dà  passaggio  alla  strada  sopra  un  torrente.  Scen- 
demmo all'Ospedaletto  —  grosso  e  bel  paese  che  par  fab- 
bricato ieri,  e  e'  incamminammo  per  la  via  di  San  Da- 
niele. Dopo  due  miglia  ci  cacciammo  per  le  praterie,  e 
ci  arrestammo  un  pochino  per  bearci  della  vista  dei  monti 
che  avevamo  percorsi. 

Ti  assicuro  che  il  paesaggio  era  imponente.  Alla  destra 
avevamo  Gemona,  colle  sue  belle  e  numerose  case,  co'suoi 
campanili,  col  suo  bruno  castello  che  la  domina  e  sembra 
una  sentinella  che  vegli  un  prigioniero.  Alle  sei  ripassava- 
mo la  Ledra  per  uno  sgraziato  ponte  di  legno  —  di  li  a 
poco  eravamo  a  Buja  e  alle  sette  il  convoglio  misto  saliva 
il  ponte  del  Castello  di  Colloredo.  In  due  giorni  avevamo 
fatto  50  miglia  di  montagna. 


Colloredo  ottobre  '50. 


Ippolito. 


Se,  come  ripeto,  la  corrispondenza  del  Xievo  con 
Matilde  ]'...  durò  oltre  il  1854.  le  lettere  perdute  (o 


M  r  Ide  F...  che  era  stata  la  sua  prima  ispiratrice 

ebbe  il  dolore  ineffabile  ili  vedere  a  poco  a  poco  e» 

stinguersi  ìti  Ippolito  quella  Gamma  che  in  Lei  solo 

la  morte  si  spei        Miri  amorì  occuparono  il 


49 1  LA    LETTURA 

almeno  non  conosciute  finora)  i  rano  'erto  assai  più      l'Ercole  —  vecchia  carcassa  ch'era  delitto  di 

importanti  delle  perchi  col  | riere  degli      perare  ancora  per  trasporto  di   passeggeri  — ;   e 

anni  l'ingegno  d'Ippolito  assorgeva  a  sempre  mag-     con  esso  andarono  sommersi  non  i  soli  conti  pn 

pensiero  e  sicurezza     della  spedizione  garibaldina,  ma  anche  unto  u 

som  ili  poesia  che  si  addensava  nel  capo  ili   Ippo 
liti     \  levo,   nel    quale    l'epopea    de'    Mille  avrei 
i  !•  rato  il   suo  <  Intero. 

Sulle  cause  ili  quella  catastrofe  —  oggi  piena? 
mente  chiarita  dalle  ricerche  del  Manli  vani  cir- 
:  amori  torbidi  e  tormentosi,  che  lo  condus-  colarono  allora  in  Italia  le  più  stranile  dicci 
sero  ad  essere  uno  de  primi  e  piti  caldi  ammiratori  vociferò  dapprima  di  una  spedizione  garibaldina 
di  Enrico  Heine,  l'i  questa  sua  congenialità  con  in  Albania;  si  sussurrò  poi  che  il  Nievo  fosse  ri- 
ie  ho  pi  tutu  vedere  una  prova  curiosa:  un  inasto  vittima  di  gente  interessata  a  far  sparire  le 
paio  di  figurini  di  n  :  •  stati  dal  Nievo  con  prove  di  ladrerie  e  ribalderie  d'ogni 
un  tentativo  di  traduzione  dall'Intermezzo  Lìrico.  La  speranza  che  egli  ricomparisse  miracolose 
Evidentemente  qualche  suo  tèle-à-tite  era  stato  in-  mente  un  giorno  o  l'altro  perdurò  qualche  tempo: 
tto  da  visite  importune:  e  durante  la  conver-  e  nessuno  s'aggrappò  a  questa  illusione  più  ten* 
sazione  banale  e  frivola  di  dame  a  cui  era  forzato  cernente  della  prima  amata  d'Ippolito,  che  fece  ali- 
di assistere,  s'era  appartato  in  un  angolo  del  sa-  posta  de' viaggi  in  Sicilia.  Ogni  irritazione  di  donna 
lotto,   slogando  il  suo  dispetto  con  lo  scombicche-  offesa  taceva  nel  suo  cuore  —  memore  solo  d 

versi  heiniani  sugli  odiosi  figurini  di  mode.  lei.  innanzi  a  tutti,  salutato  con  entusiasmo  vergi- 

Matilde  F...  sopportò  in  silenzio  la  crudele  delu-  naie  il  genio  nascente  del  Nievo.  Come  la  Letizia 

sione  della  sua  vita:  e  morì  nubile,  pochi  anni  dopo  dell'ode  carducciana,  anch'ella  avrà  teso  le  bi 

la  tragica  disparsa  d'Ippolito  nei  gorghi  del  mare  sul  selvaggio  mare,  invocando  che  almeno  il  cada- 

siculo.  vere  del  suo  poeta  le  «  approdasse  in  seno  »! 
Xel   marzo  del    1861    avvenne  il   naufragio  del- 

Alessandro  Luzio. 


£SFW- 


Città  dei.  Capo  e  la  Montagna  della  tavola. 


I  FRANCOBOLLI  fllELLA  LOTTA  AJ^LO-BOERA 


Ina  virtù,  quella  della  tenacia,  emerge  am- 
mirevole ed  ammirata  tra  i  difetti  che  il 
Ì3|  mondo  civile  attribuisce  alla  razza  anglo- 
sassone. Di  questa  loro  specialità,  i  figli  della  Gran 
Bretagna  ce  ne  danno  esempio  da  mezzo  secolo  nella 
lotta  che  essi  combattono  laggiù,  nell'Africa  au- 
strale, contro  un  manipolo  di  eroi. 

L'origine  di  questa  lotta  terribile,  e  niente  affatto 
simpatica  per  l'elemento  inglese,  s'ha  da  ricercare 
in  un  sogno  incantato  in  Cecil  Rhodes ,  teste 
defunto. 

Il  Xapoleone  del  Sud-Africa,  come  lo  chiamaro- 
no i  suoi  connazionali,  si  ficcò  in  testa  l'idea  fan- 
tasiosa di  allacciare  per  mezzo  di  una  ferrovia  in- 
glese, che  attraversasse  per  il  lungo  il  continente 
r  .  Città  del  Capo  con  Alessandria  d'Egitto  ed 
i  nisse  così  l'Oceano  atlantico  e  quello  indiano  con 
il  Ma  literraneo. 

Un  sogno  tanto  grandioso  non  poteva  non  lu- 
singare l'amor  proprio  degli  inglesi;  e  lo  lusingò; 
mn  più  che  tutto  fece  balenare  davanti  al  loro  spi- 
speculativo  l'enormità  di  ricchezza  che  da  quel- 
1  era  sarebbe  derivata  alla  Gran  Betagna.  Sicché, 
e  diplomazia  e  militarismo  si  dettero  la  mano  per  u_ 
manizzare  il  grandioso  e  fantastico  progetto. 

Mi  it  re  la  prima  spianava  gli  ostacoli  al  sud.  la 
]  debolezza  della  Francia  favoriva  a  Nord  dell'A- 
a  la  presa  di  possesso  dell'Egitto;  seguita,  per 
jopera  del  Sirdar  Kitchener.  dalla  distruzione  dei 
[Mahadisti  e  dalla  presa  di  Camini  ;  successive  vit- 
Itorie,  pietre  miliari  di  quelle  laboriose  tappe  per- 
Icorse  dall'idea  grandiosa  della  ferrovia  trans-afri- 

Conquistato  il  Sudan,  gli  Inglesi  credettero  che  il 
-esso  del   Nilo   avrebbe  rappresentato   per   essi 


una  passeggiata  militare,  o  poco  più  di  una  passeg- 
giata... calda. 

Per  una  improvvisa  resipiscenza  della  Francia 
sorgeva  l'intoppo  di  Fascioda  ;  ma  l'audacia  in- 
glese lo  fece  risolvere  a  danno  della  rivale  ;  e  la 
conquista  del   Nilo  sarebbe  stata  davvero  una  pas- 


1897  1898  189S 

La  conquista  del  Sudan. 

seggiata  per  i  soldati  di  Kitchener,  se  1  Abissinia  che 
ne  l'oro,  ne  i  cannoni  inglesi  hanno  potuto  ancora 
ridurre  a  migliori  consigli,  non  avesse  attraversato 
la  strada. 

Ben  più  dure  prove  attendevano  la  Gran  Breta- 
gna nell'Africa  meridionale,  dove  né  la  scaltrezza, 
né  i  milioni,  né  i  fucili  inglesi  erano  riesciti  né  a 
sottomettere,  né  a  debellare  i  Boeri. 

Chi  sono  i  Boeri?  Sono  gli  olandesi  e  i  discen- 
denti degli  olandesi  che  colonizzarono  il  Capo  di 
Buona  Speranza  dopo  i  Portoghesi.  Sopraggiunti 
gli  anglo-sassoni,  con  la  violenza  s'impossi  sarò  e 
della  Colonia  e  ne  fecero  il  gomitolo  di  filo  per 
quella  rete  di  successive  conquiste,  che  più  tardi  do- 
vevano serrare  i  Boeri  in  un  cerchio  di  ferro. 

Come  era  da  prevedersi,  l'occupazione  inglese  non 
riesci  benvisa  ai  vecchi  coloni  d'Olanda.  Amanti 
della  propria  indipendenza,  piuttosto  che  assogget- 


|ni>  LA    LETTURA 

tarsi  agli  invasori  no  radunare  i  loro  ai 

menti,  rari. -are  le  faro  loro  trtcki   (carri) 

minciare  \  pietoso,  il  quale 

1 1  in. hin-  mente  Stati  e  Re 

pubbliche  sempre  nuove  e  sempre  minacciate,   in- 
^,-  dagli  (irmi  rivali:  gl'inglesi. 
Questi,  impotenti  a  frenare  l'emigrazione  di  quei 
ardi  lavoratori  della  terra,  per  dispetto  li  chia 
(contadini,  villani;  e  i  villani  per  ri- 
picco assunsero  il  ni  me  di  boeri,  e  il  carro      trecks 


1864 

li.  Capo  di  Buona  Speranza. 


i,s94 


vollero  nei  quartieri  del   l'>ro  stemma.   Da  quel- 
la  i   trecks    non   stettero  più    termi,   e  sempre  a- 

vanzarono   verso   il   nord,   per   l'incalzare  crescente 
invasori  sassoni. 
I   francobolli  inglesi  dell'Africa  meridionale  sono 
documenti  parlanti  di  questa  lenta,  ma  costante  so- 
praffa/ione ;    i   francobolli  triangolari  del   Capo  di 
mza    rappresentano  la   prima   manife- 
sta/ terribile  lotta  di  r.ozza  tra  i  molti  e 
ricchi   figli  della  Gran  liretagna  e  i  pochi  e  miseri 
boeri. 

Questi    tapini,    sempre    incalzati,    sempre   sospinti 
dagli   inglesi,  conquistarono  a  prezzo  di  sangue  il 
Vi  .il   e  vi    fondarono  una  nuova  patria  indipen 
;    ma   l'Inghilterra   la  invase  e  costrinse  i   mi- 


3  . 

KI&7&L 

ì 

ppmijv  a 

V -'•"•'<■- 


1857 


lS-„, 


La  CONQUISTA    l'I  1     Nai  m  . 

ri  a  rifare  i  trecks,  a  riprendere  l'esodo  in 
massa  verso  l'<  »rai._ 

Quivi  i  Ihxtì.  combattono  e  vincono  i  ('airi  e 
Zulù  ;    si    '  ino  il   mirao  lo  di 


una  ter/a  patria.  La  Gran  Bretagna,  occupata  nel- 
l'emissione dei  frano  bolli  del  Vual.  li  lascia  1 
ma  un  giorno  si  risveglia,  invade  la  novella  repub- 
blica e  la  converte  in  Colonia  ingi 

Anche  questa  volta  i  bo  il  gregge, 

caricarono  la  famiglia  sui  trecks  e  ripresero  il  1 
mino  verso  nord  in  cerca  di  una  quarta  patria.   I 
samno  l'Orange  e  tra  il  fiume  e  i  monti,  crearono  il 
nuovo   Stato     li''  dal    fiume   prese   il    nome. 

La  nuova  repubblica  ebbe  i  suoi  francobolli;  ma 
hanno  subito  l'ingiuria  di  un   si 
parte  degli    inglesi. 

Non    erano   trascorsi    sei    anni    dalla 

rinnovala   repubblica,   che   gli    inglesi    la  in- 
vasero (1848)  e  i  boeri  vinti   nella  sanguini 
taglia  ih  Boomplats  dovettero  riprendere  la  sti 
dell'esilio  pei  terre  inospitali.  Si  diressero  sul  V 
lasciando  agli  inglesi    il   non   lieve  compii 
tendersi  o  n  i  neri.  La  lotta  fu  «  Lira,  tanto  dura. 

1 


c-cn^j 


1884 


[868 


JVl^v-  -..n  -  -  -  -v-.-v,-^ 

Si 


LO   SWAZIELAND   B    L'ORANGE. 

i   tenai-i    figli   d'Albione,   questa   volta   rinunciaroo 
al  dominio  e  restituirono  (1854)  ai  Ut-ri   1  Orange. 
del    quale    riconobbero    l'indipendenza.    Più    .ardi. 
però,  allorché  nell'Orange  furono  scoperte  li 
re  'li   diamanti,   l'appetito  inglese  si   r 
e  l'Orange  dovette  cedere  per  una  somma 
i  migliori  giacimenti  del  paese  dei  Griguas  1 

Il  nuovo  acquisto  fu  più  tarili  rappresentato  da 
bolli  del  Capo  ili  Buona  Speranza,  - 
1  irati  di  un  G.  (Griqualand).  In  seguito,  avi 
liberi     dell'*  Irange    scoperto  altri   giai 
fu  ini  derli  agli  inglesi  in  un  modi 

si  mplice. 

I  '    narra  Ernesto  de  Weber  nel  suo  libro  Q 
anni  nel  paese  dei  boeri  (1871-1875): 

0  II   7   novembre  187 1   fu  segnato  da  un 
mento   politico  d'importanza   straordinaria  :    tutti 
1  ampi   di   diamanti    Pitie  I 
nonché  quelli  asciutti  di   N'ew-Rush,  di   Dui 
d'Old  de   Beers  e  di   Bu'fontein.   furono  annessi  al 
1  Impero  britannico,  di  maniera  che  lo  Stato  lil>er 

fu    espropriato  senza    tanti   cump 
La  cosa  fi  mplice  e  sp* 

rio.  Un  pattuglione  di  folietmen  a  cavallo  appan 
.1    New  Kush.    Il   capo   lesse   una   cedola,   '«I  oidi 


I  FRANCOBOLLI  NELLA  LOTTA  ANGLO-BOERA 


497 


nanza  che  sia.  sulla  piazza  del  m<  reati  .  pi  i,  I 
ammainare  la  bandiera  dell'Orange,  issò  in  sua 
vece  quella  della  Gran  Bretagna.  11  landrost  Truter 
protestò  solennemente  contro  la  confisca,  operata 
in  perfetta  pace,  di  terreni  appartenenti  da  quasi 
ventanni  e  senza  contestazioni  al  suo  paese.   11    pi 


NIEUWE 
REPUBLIEK 


li 


24  MAY86 

ZUIDAFRIKA 
6 fi 


I^s4 


[886 


isso 


Steli.ai.axd.    Nieuve  Repcblick  nello  Zvuland. 

liziotto  fece...  l'indiano,  e  fatto  dare  fiato  ai  pifferi. 
invitò  il  povero  Truter  a  ritirarsi  e  a  lasciare  al 
leone  quella  preda  che  un  topolino  come  l'Orange 
non  poteva  contendere  colla  forza  ».  Pensate:  nel 
1871  l'Orange  contava  sessantamila  anime,  delle 
quali  appena  un  terzo  erano  di  proprietà  maschile. 

Frattanto  i  boeri,  che  per  sfuggire  al  dominio 
inglese  si  erano  rifugiati  nel  Vaal,  passarono  il 
fiume  e  in  un  paese  vergine  e  sconosciuto,  lottando 
contro  i  neri,  le  fiere  e  la  terra,  tre  elementi  assai 
restii  alla  conquista,  fondarono  una  nuova  repuli- 
blica,  quella  del  Transvaal,  tra  le  sponde  del  Vaal 
e  le  pendici  delle  montagne  che  sorgono  più' a  nord. 

L'Inghilterra  nel  1852  ne  riconobbe  l'indipenden- 
za ;  ma  quando  apprese  che  i  Burgers  avevano  tro- 
vato sul  loro  territorio  giacimenti  d'oro  assai  ri- 
munerativi, mutò  parere. 

Già  gli  appetiti  britannici  s'erano  fatti  vivi  nel 
1869,  quando  il  Transvaal  emise  i  suoi  primi  fran- 
cobolli. L'Inghilterra  lo  sapeva  per  pratica.  Se  hanno 
stampato  francobolli,  si  disse,  vuol  dire  che  hanno 
organizzato  un  servizio  postale  ;  se  hanno  organiz- 
zato il  servizio  della  posta,  vuol  dire  che  hanno  fon- 
dati' centri  importanti  ;  e  io  so  bene,  ripeteva  a  se 
l'Inghilterra,  che  i  centri  importanti  non  sorgono  nel 
reni m  dell'Africa  come  i  funghi,  ma  perchè  la  pro- 
sperità è  generale  per  date-  e  fatto  di  ricchezze  sco- 
e  improvvisamente.  Seguendo  il  filo  di  un  ragio- 
namento simile,  ne  venne  come  conseguenza  la  deci- 
sione ili  annettere  il  Transvaal.  E  lo  fu  nel   1877. 

I  francobolli  che  quella  repubblica  aveva  emessi 
nel  1869  col  proprio  stemma,  ricevettero  il  soprai 

•0.  ingiurioso  per  un  popolo  libero,  di  un  V.  R. 
Transn  \\i  (cii  ■  Vittoria  Regina  del  Transvaal». 
E  come  se  ciò  non  bastasse,  l'anno  successivo  i  boeri 
videro  cin"'  lare  nella  defunta  loro  patria  i  franco 
bolli  con  l'effigie  giovanile  della  già  matura  Impera- 
ratrice  delle  Indie;  e  di  questo  forse  non  si  sareh- 
bero  eccessi vamente  adontati  se  la  leggenda,  invece 
che  in  inglese,  fi  sse  siata  in  lingua  olandese.  Una 
tale  inezia  fu  la  scintilla  di  una  guerra  di  sterminio. 

II  timore  che  alla  lingua  loro  si  volesse  sovrim- 
porre quella  dei  conquistatori,  nacque  nell'animo  di 
quei  fieri  agricoltori  ;   l'odio  per  gli  inglesi  ve  lo  in- 

La  Lettura. 


giganti  ;  l'amore  estremo  della  libertà  ve  lo  fece  ira- 
ire.    Il    risentimento   delie   il    trarollo   alla    pru 
denza;    giovani,    vecchi   e  donne  corsero   alle   armi. 
Frementi  e  sdegnosi  del  giogo  inglese,   risolvettero 
romperla  senza  indugio  e  guidati  da   Pai  lo  ls.ru 
gei  e  dal  generale  Joubert,  infiammati  dal  santo  a- 
di  li  In  rtà,  attao  ari  m  1  gli  un  asoi  i  ci  ri  la  vii  * 
li  nza    della   disperazione  e  dopo  una   serie   di    vi 
ornile  or  prospere  ed  1  ra  sfi  rtunate,  malgrado  la  in- 
feriorità del  numero,  i  boeri  nel   1881   riescirono  a 
mettere  in  rotta  gli  inglesi,  il  generalissimo  dei  quali. 
il  ("alley.  a  tanto  sfacelo,  si  fece  saltare  le  cervella 
con  una  pistolettata. 

I  o|  inione  inglese  ammiro  [^eroismo  dei  boeri  e 
in  loro  favore  si  volse  favorendo  la  pace,  per  la 
iiuale  l'indipendenza  dei  gagliardi  villani  veniva  ri- 
ni  milita.  Però,  si  volle  dalla  prepotente  Albioni 
salvare  le  apparenze  e  si  obbligò  il  vecchio  Stato  li- 
bero ad  assumere  un  nome  nuovo:  Zuid-Afrikaan- 
tene  Republièà,  ch'è  quanto  dire  «  Repubblica  Sud- 
Africana  ». 


WWWWv  C-v 

Francobolli  delle  Compagnie  inglesi. 


Francobolli  delle  Compagnie  inglesi. 


Francobolli  delle  Compagnie  inglesi. 

\,  1  18S3  i  boeri  del  Transvaal  riebbero  i  loro  vec- 
chi francobolli,  leggermente  modificati,  h  questi  dai 
boi  ri  furono  detti  per  ironia»  Francobolli  Vittoria*  ; 
per  ricordare  la  sconfitta  dei  sudditi  della  Regina 
Vittoria. 

Per  i  boeri  le  cose  non  potevano  andar  meglio: 
l'Orange   appoggiato   al   Transvaal    si    sentiva    più 

32 


|,S  LA    LETTURA 

sicuro  dagli  artigli   inglesi;    il  Transvaal,  dopo  il 
non  pensò  più  all'ingordigia  dei 
e  ili  altro  non  si  curò  se  non  'li  sviluppare  le 
grandi  risorse  e  !<■  immense  ricchezze,  che  racchiudi 
sii  i  ih     nel  1895,  la  rinnovata  repub 
inaugui  iva    pacificamente    la 
sua  prima  ferrovia  P     oria  a  Delagoa)  festeg 

giando   l'avvenimento  con   un    francobollo  comme 
itivo 
La   prosperità   del    Transvaal   camminava    passi 

HE  ASI :>jj]> 


qualand  non  n'ebbero  il  tempo  'li  avere  francobolli 
piopri,  che  gli  inglesi  more  solito  li  annessero  alla 
(  '.  Ionia  del  <  !apo. 

Qui  to  il  prologo  del  terribile  dramma  africana 
sul  quale  non  è  per  anco  calato  il  sipario  per  opera 
ili  pochi)  ma  valorosi  boeri. 

Passiamo  all'epilogo.  Ecco  entrare  in  campo  la 
figura  di  Cedi   Rhodes  con  11-  sul-  Compagna 


BBITItH 

(iroMUANO  IMO 

ir-:: -re^i 


Francobolli  delle  Compagnia  inglesi. 


«li  gigante;    pei   cui  con  quello  si  fusero  gli  altri 
Stati  fondati,  sempre  per  mezzo  dei  irecks,  dai  boeri, 

0  più  .1  1  m^i  (i  più  a  nord  del  nucleo  transvaaliano. 

«  L'unione  fa  la  forza  ».  pensò  l'Inghilterra,  e 
s'io  lascio  questi  Burgers  unirsi,  addio  sogno  ;  addio 
ferrovia  africana;  addio  continente  nero!  Kd  ecco 
cominciare  quella  lotta  sorda,  accanita  di  accerchia- 
mento dei  boeri,  che  con  i  loro  irecks  sfuggivano 
si  inpre  e  poi  sempre  al  dominio  inglese,  minacciar] 
(Ione  ci  istantemente  l'esistenza. 

La  prima  repubblichetta  che  si  unì  al  Transvaal 
in  quella  di  Stellaland;  e  non  tanto  per  volontà 
propria  quanto  per  l'impotenza  di  resistere  alla  pei 
se'  11  ai -e  degli  inglesi,  che  la  invasero  mani! 

armata  un   anno  dopo  la  sua  costituzione.    E   COSÌ, 
dopo  due  anni  di  vita...  anche  i   francobolli  dell 
lalaml    preferirono  cedere  il   pesto  a  quelli   del 


l'Africa   meridionale,    sintesi    della   tenacità,    solida- 
rietà, rapacità  ed  egoismo  di  un  popolo  civile. 

La  debolezza  della  Francia  aveva  favorito  al- 
l'inghilteira  il  possesso  dell'Egitto;  la  violenza  a- 
veva  garantito  alla  ingorda  Gran  Bretagna  il  pos 
sesso  delle  rimuneratrici  miniere  di  diamanti  del- 
l'Orange;  le  bisognava  con  l'astuzia  e  col  sopruso 
impossessarsi  delle  ricche  miniere  del  Transvaal. 
Dopo  ciò  la  realizzazione  del  gran  sogno  in. 
sarebbe  un  fatto  compiuto. 

Ma  urgeva  conquistare  e  impedire  in  pari  tempo 
che  nuovi  trecks  creassero  novelli  intoppi  all'espan- 
sione britannica.  S'incominciò  ad  attuare  il  secondo 
piano  furono  creati-  Compagnie  che  circuissero  gli 
eterni  nemici,  i  boeri,  ed  impedissero  loro  nuovi  e- 


Ì6  PENCEV/ 


1874 


IS...S 


KRANCuBOI.LI     IPKI.     TrANSVAU 


I.  che  a  quelli  inglesi.  Ma  non  tutto  il  ter- 
0  della  minuscola   repubblica   passò  al  Tran 
d,  che  gli  inglesi  trovarono  modo  di  assorbirne 
1 11  iji 

ilei-  anni  di  esistenza   1  rocellosa,   la   si  rte 

dell,  R.  public I;      nello     /ululami     e     dei 

suoi  bizzarri  francobolli  in  pari  a  quella  dello  Stel 
ni. 

ma  fu  la  n  pubblii  a  dello  Sw;  1  i8qsV 

(ino  dall'i  ;  ervì  dei  l  rano  »b  '111  del  Tran 

iti  del  sui  -  ih  «ne.   Ma   i  dui    Gì 


sodi.  Cesi,  sorse  la  British  (\11lral  Africa;  la  />>/- 
ush  Sud  I  frica  Company  il  British  Bcchuanaland; 
la  British  East  Africa;  {'Uganda  Protectorati  .  lo 
Zidulund,  ecc.,  rappresentati  da  serie  di  franco- 
bolli, or  belli  or  bruiti,  ma  tutti  cari  ai  filatelici, 
che  in  quei  pezzetti  di  carta  stampata  altro  non 
videro  che  un  mezzi,  opportuno  per  aumentare  le 
[oro  raccolte.  Eppure,  quei  francobolli  sono  monu- 
menti indistruttibili  di  una  lotta  titanica,  nella 
gli  eroismi  e  le  morti  non  hanno 
numero. 


FRANCOBOLLI  NELLA  LOTTA  ANGLO-BOERA 


199 


[l  modo  col  quale  Ceri]  Rhodes  cercò  ili  poire 
ad  effetto  il  suo  piano  di  conquista  fu  quello  stesso 
praticato  dai  boeri  nei  loro  trecks.  Duecento  euro- 
liei  ben  armati  ed  equipaggiati  ;  centocinquanta 
operai  indigeni,  scortati  da  cinquecento  uomini  di 
polizia  (Iella  Compagnia  principale,  procedettero 
risolutamente  verso  il  nord  ed  invasero  le  terre  da 
conquistatore. 

La  prima  di  queste  spedizioni  giunse  incolume 
a    Hampden-Hill.    avendo    costrutto    lungo    la    via 


□  a 

<  < 

~  - 

-  H 

a  g 


una  serie  di   fortini,   presidiati  ciascuno  da  pochi 
militi   della   Compagnia. 

I  fortini  tracciavano  la  strada  da  seguirsi  più 
tardi  .dalla  grande  strada  ferrata  africana.  Attorno 
ai  fortini  cominciò  la  colonizzazione  della  terra, 
dalla  quale  ad  ogni  colono  ne  furono  assegnati  1200 
ettari  insieme  a  una  miniera  d'oro.  Mentre  si  com- 
pieva questa  invasione  metodica  e  sicura;  mentre 
si  andava  sempre  più  restringendo  la  cerchia  di 
ierro  che  doveva  bloccare  i  boeri.  Cecil  percorreva 
in  lungo  e  in  largo  l'Europa  per  negoziare  accorili 
con  le  potenze  interessate. 

II  Portogallo  non  voleva  saperne  di  cedere  né 
Angola,  né  lo  Zambese,  ma  una  squadra  della  Gran 
Bretagna  .  apparsa  improvvisamente  nelle  acque 
di  Lisbona,  indusse  i  portoghesi  a  cangiare  opinio- 
ne. E  così,  lo  Stato  indipendente  del  Congo  fu  co- 
stretto a  cedere  a  Cecil  Rhodes  i  territori  limitrofi 
al    lago    Tanganica;    ma    la    Francia    s'oppose,    e 


Cecil   Rhodes  passò  lungo  l'altra  sponda  del   lago 
con    l'assenso    del  la    Germania. 

Fascicela,  l'ho  detto,  fu  un  incidente  risolto  a  fa. 
vore  della  Gran  Bretagna.  E  già  pareva  che  la  foi 
za   brutale  e  la  diplomazia   di    Cecil    Rhodes   ave 
seni  trionfato  di  tutto  e  di  tutti,  quando  i  soliti  due 
punti    oscuri    sorsero    ad    attraversare    le   mire    del 
A  apoleone    airicano. 

L'Abissinia  a  nord,  il  Transvaal  al  sud.  La  con- 
quista della  prima  fu  tentata  con  una  ferrovia  da 
Berber  verso  l'Ftiopia  ;  in  quanto  al  secondo.  Cecil 
risolvette  di  ridurlo  una  buona  volta  ai  suoi  voleri. 

L'Orange  era  bloccato,  non  rimaneva  che  bloccare 
il  Transvaal,  occupando  quelle  poche  terre  che  ri- 
manevano incustodite  al  nord  di  quella  repubblica. 
1  n  breve  l'accerchiamento  fu  compiuto.  Allora 
Chamberlain,  il  ministro  inglese  delle  Colonie,  di- 
chiarò che  l'Orange  e  il  Transvaal  rappresenta- 
vano un  tumore  infetto  in  mezzo  ai  possedimenti 
inglesi  e  che  urgeva  operarli.  Una  campagna  di  so- 
spetti e  di  calunnie  fu  intrapresa  a  danno  dei  due 
miseri  Stati.  Un  giorno,  un  esercito  della  Compa- 
gnia ili  Cecil.  comandato  dal  dottor  Jameson,  pioni 
bò  improvvisamente  nel  Transvaal;  ma  n'ebbe  la 
[leggio  e.  scornato,  dovette  ritirarsi.  Chamberlain 
non  si  perdette  d'animo.  Pretese  che  gli  uitlanders 
(gli  stranieri  attratti  nel  Transvaal  dalla  ami  sacra 
fetmes),  godessero  degli  stessi  diritti  politici  dei 
boeri.  Si  sperava  di  uccidere  coi  voti  la  repubblica, 
non  vinta  colle  armi. 

Ne  scoppiò  la  terribile  guerra  di  sterminio  che 
da  tre  anni  tinge  di  rosso  le  terre  africane.  Se  la 
fortuna  non  arrise  sempre  agli  oppressi,  il  valore 
assicurò  loro  la  simpatia  di  tutto  il  mondo  civile. 

Oggi  i  francobolli  dell'Orange  e  del  Transvaal 
hanno  ricevuto  nuovamente  il  sopraccarico  ingiu- 
riosi) del  V.  R.  I.  (Vittoria  Regina  Imperatrice) 
prima;  poi  quello  deH'ZT.  R.  1.  (Edoardo  Re  Im- 
peratore) ;  ma  noi  abbiamo  fede  che  ne  sullo  stem- 
ma del  Transvaal.  né  in  quello  dell'Orange  il  treck 
sarà  sostituito  à&Warpa  inglese  e.   così   sia  ! 

Jacopo  Gelli. 


POST   ifjll   CARD 

CAPE   OF  GOOD   HOPE. 

THE  ADCRESS    ONLY  TO   BE  WRITTEN  ON  THIS    SIDE 


POST    M&  CARD 

NATAL 

THE      AODRESS      ONLY      TQ      BE      WRITTEN      ON      THIS      SIDE 


p 


ULmUXKA 


Tvs-,,.    AMERICANO. 


IL  GIARDINO  ZOOLOGICO  DI  NIìW  YORI 


\ 


-*  ^  «— 


.    Giardino    zoologico    di    New    York    è 
situato      in      uno     dei     grandi      parchi 
della    città,    in    una    vastissima   esten- 
sione   di    terreno,   che    fu    regalato    dalla    città    e 
<<  mprende  —  su  una  superficie  di  oltre  due  chilo- 
i  idrati         l  k  ischi,  correnti  di  acqua  di  ilo  . 
laghetti,  rocce  e  prati:  lutto  il  necessario 
per  costruire  una  dimora  ideale  per  tutte  le  bestie 
dell'universo.  La  città  di  New  York  ha  concesso  il 
terreno,  ma  non  ha  contribuito  ulteriormente  nelle 
l'orti  spese  del  Giardino        che  gli  americani  chia- 
mano brevi  mente  li  i  «    oo  i         perchè  questa  o  ime 
i  tutte  li  •   <        en  ifiche   americane  è 

di  \uta  agli  sforzi  generosi  di  ricchi  amatori  della 
o  del  pubblico  plauso,    accanto  al  Giardino 
zoologico  si  estendono  i  terreni   dell'i  i  i    I      inico, 
mantenuto  dalla    \7,v  York  "Botanica!  Society,  > 
,  axdino  zoologico  è   sovvenzionato   dalla    V  w 
cai  Society:    entrambi   sono  istituzioni 
scienl  ifico  carattere,  dirette  da  scien 
'  l  :  COn    lai. -Tal ori   scii 

liei  frequentati  da  studenti  e  dotate  di  ottimo  ma- 
le per  studi  di    gn  Naturalmente  i 
Moni  di  tali  istituzioni  debbi  :  ii    uomini  da  li 
risorse   molto                                 nulla    . 

s       i    i  ;,  no  da 

tanto  divi  i  se  del  gì  bo  e  i  he  hanno  abil  udini, 

Uno  sguardo  alla 
1       i  a  persuadere  del 
.  che  lo  sport  del  n  deve  i 


.•■ere  molto  caro:  dal  momento  che  la  Società  zoo- 
li  gica  ha  pensato  di  mettersi  sotto  la  protezione  di 
colossi  finanziari  come  Carnegie,  M.  K.  Jesup,  C. 
A.  l'eatxtdy,  Levi  R.  Mortoli  e  altri  banchieri  e 
magnati  industriali  altrettanto  potenti  ,  vuol 
dire  che  essa  conta  assai  sul  loro  frequente 
0  no  rso! 

(ili  animali  che  sono  ospitati  nel  Giardino  di 
New  York  >ono  già  numerosi  assai  pei  quanto  il 
Giardino  non  dati  che  da  tre  o  quattro  anni  e 

rapidamente   di    numero   grazie   ai    continui 

doni,  alle  O  mpere,  agli  scambi  e  alle  spedizioni  che 
la  Società  stessa  organizza  per  la  cattura  di  animali. 
\el    1901,  per  esempio,   il  signor  J.   Alden  Loring 
con  una  piccola  scorta  di  aiuti  fu  mandato  in    \ 
ska  a  studiare  la  latina  del  paese  e  cercare  ili 
tarne  degli  esemplari  viventi  a   New  York  ;  e  mal- 
grado le  enormi   difficoltà    di    prendere  gli   anii 
in  trappola  e  trasportarli  viventi  attraverso  sei' 

ni    -1  ;i/a    stradi-   ni  ni,    per   imbai 

carli  poi  in  un  viaggio  marittimo  di  circa  quindici 
giorni  ai  ;  tentrionali  del   Pacifico  e  indi  ca 

ncarli  su  un  treno  per  un   vi;  en       re  di   una 

.1   1  la,  1  gli  <■  riusciti  pai 

iplari  di  grossi  mammiferi  (orsi  1    renne),  di  cui 
e  notevole,  l'ora    kadiak   (che 
si  vede  nella   Fi 

I  '   compi  re  di  animali  vengoni    fatte  un  po'  n.\\i 
1  li  ive  e  quandi  1  si  presenta  l'i  *  casii  me    M  < 
uno  dei  luoghi  do\e  più  di  frequente  la  So 


^YH- 


Aviario. 


F 


La  CASA  delle  scimmie. 


LA    II   ! 


•  juista  nuovi  i>s|>in  |mt  II  suo  Giardini 
grande  mercato  europeo  delle  fiere,  ad  Ani 
he  settimane  addiei  i  ito  un 

\    I  urgo  che 
va  unni  campioni  differenti  ili  specie  e  generi 
li,  i  he  i  passeggieri  non  ave\  ano  i 
Ni      Ceram    ;u 
cammelli,   antilopi,    leopardi,   scimmie,    lupi, 
uccelli  'li  tutti  i  colori  e  quelli >  chi  co 
stituiva  la  great  aclraclion  di  tutta  la  spedi- 
zione,  un  rinoceronte  bebé...  del  peso  di  circa 
una  tonnellata!  Il  trasporto  di  tutto  q 

Ile  sedi  della  Società  fu  un  avve- 
nimenti p  i  New  York,  che  si  interessò  assai 
a  vedere  sfilare  tutti  i  nuovi  arrivati,  chi  ,i 
piedi  e  chi  in  vettura,  il  leopardo  in  gabbia. 
Al  rinoceronte  si  usarono  speciali  per 

proteggerlo  'lai  freddo  pungente  ili  quei  giur- 
ili;  per  farlo  uscire  dalla  sua  stalla  lo  .1 . 

io  tenuto  a  digiuno  tutta  una  giornata  e  il  giorno 


In    i  n    1-ka  1 1  •. 

■  -nte  gli   avevano   presentato  un   bel    fascio 
limo:   il  rinoceronte  si  gettò  con  gioia  sul  pa- 
sto  tanto  atteso,  ma  il  pasto  gli  sfuggi  dinan- 
zi; ed  egli  lo  segui  e  il  fieno  si  mosse  ancora  ; 

gli  gli  tenne  dietro,  finché  1  h-1  bello  l'ani- 
male e  il  pasto  furono  condotti  dalla  stalli 
sopra  un  ponte,  entro  un  barcone  e  SUCCessi- 
nte  su  un  dock  ed  entro  un  carro  ferro- 
viario. I.a.  (inaimi  ■  o  a  go- 
la sua  cola.  Mire  il  carro  con 
i  reno  speciale  veniva  t raspi  r  ei  ro  il  Giar- 
dino e  presso  i  locali  riscaldati,  riservati  per 

I  doni  pure  :  e  il  bollettino 

meo  1 1 

■munii  a/ii  ni    di    rigali    di    terribile  natu- 
ra :   un  1  .  ni  .r  X.  ;    due  piti 
ì8  rospi,  regalati  dal  signor  Y.  ;    .(Oi;   s 
raccolti    dal    sigm  r    '/..    Tra    gli    ultimi 
n'è   uno 
di  un  bue  mu  l'unici  ■  esenti 

Un  giardino  /  i 


Gk  \mh.   BIS'  i 

Ma  il  Giardino  non  Itanto  per  acquisti, 

perdoni  o  per  scambi:  la  grande  popola/ 
animalesca  che  vive  godendo  tutte  le  cure  che 
le  prodigano  ricchi  signori,  scienziati  e  una 
folla  di  attendenti  e  quindi  vive  in  condizioni 
assai  migliori  che  in  natura,  prospera  e  si  ri- 
produce cme  se  non  sentisse  affatto  il  j 
della  cattività:  e  fra  le  nascite  di  giovani 
i  spiti  unite  hanno  un'eccezionale  importanza 
scientifica.  Sentite,  per  esempio,  quanti  nuovi 
venuti  han  visto  la  luce  nel  secondo  semi 
1901.  nei  parchi  cintati,  nelle  amplissime  gab- 
bie e  nelle  vasche  del  Giardino:  un  buffa 
del  quale  vi  presento  la  fi  tografia  unitamen- 
te a  quella  della  madre  fortunata),  tre  cervi, 
quattro  antilopi  diverse,  sei  coyotes  (specie  di 
lupi),  di  cui  unisco  pure  una  fotografia.  135 
serpenti  innocui,  40  serpenti  velenosi,  di  cui 
11  cosidetti  testa-di-rame  e  6  serpenti  a  so* 
nagli,  innumerevoli  uccelli,  tra  cui  molti  rari 
fagiani.  1  cinque  giovani  civette,  delle  quali 
non  pi  1  ni  imi  dal  mandarvi  il  1  rchè 


I      I .  \    MADRE. 


di   senna    felicità,   di   q  '.  ita,   e  di   stlf- 

ficienza  colla   quale   essi    guardano   il    pubbli 


il     GIARDINO   ZOOLOGICO    DI    NEW    YORK 


5o3 


troppo  interessante  e  buffa  al  tempo  stesso  per  de-  tutto  quel  che  vogliono,  come  se  fossero  in  libertà  ; 

fraudarne  i  lettori.  molti    uccelli    sono  tenuti    in    un    immenso    aviario 

Il    numero    delle    nascite    nel    Giardino    zoolo-  (vedi  figura)  dove  possono  liberamente  volare;   gli 

giro  è  molto  grande  e  ciò  non   deve  sorprendere  orsi  (vedi  figura)  e  le  fiere  hanno  immense  gabbie 


Oxs:  POLARI. 


>!^-^I     Nh  kl     I-: 


quando  si  pensi  che  gli  animali  sono  lasciati  liberi  con  rocce,  alberi  e  tane,  dove  possono  esercitare  i 

per  quanto  la  necessità  che  non  fuggano  e  la  prò-  loro  muscoli  e  soddisfare  entro  certi  limiti  il  loro 

lezione  dei  visitatori  permettono:   i  buffali,  i  ceni,  bisogno  di  spazio. 

i  cavalli,  ecc.,  sono  tenuti  in  recinti  chiusi,  ma  cosi         Del  resto,  sembra  che  quasi  tutti  gli  animali  si 

vasti   che  essi    possono   correre,    inseguirsi,    e  fare  adattino   di    buona   volontà    alla   loro   nuova    posi 


!  Ì0  1  LA    LETTURA 

zione,  quai              ■  portati  nel  pai  □  i    non  si  dì-  di  un  grido  umano  :  quando 

ano  melanconici  «li  regola.  Ecco,  per  esempio,  no  qualcuno  avvicinarsi  alla  sponda,  attendono  il 

mali  momento  opportuno  e  all'improvvisi    si  lasciano  ca- 

■  grizaJj  .   che  è  dere  nell'acqua,  schizzandola  in  tutte  le  direzioni  e 

sempre  un   po'   imbronciato,   gli  orsi  si   rincorrono  con   spe                       iddosso    ili" 

l>rr  ;.■                                    bbi         no  e  fanno  la  mettono  fuori  la  testa,                    i  mu  < 


Giovane  coyote. 


letta  e  quandi»  vedono  qualcuno  avvicinarsi  alla  i  denti,  come  se  ridessero  alle  sue  spalle.  Ecco  ai- 
gabbia  si  mettono  a  sedere  nella  più  buffa  maniera  cune  gru,  colosssali  gru  del  Minnesota:  esse  vanno 
e  spalancano  la  bocca,  aspettando  qualcosa  da  man-  e  vengono,  alto  il  capo  e  lento  il  passo,  sorveglian- 
.  quando  il  guardiano  entra  nelle  loro  gabbie,  do  attivamente  tutto  quello  che  accade  intomo  a 
gli   saltano  tutti   intorno  con   grandi   movimenti   di  loro  e  ponendo  in  ogni  loro  movimento  tanta  posa 


BARB  u. IANNI    -    B]   BÉS 


ie,  lo  abbracciano,  gli  leccano  le  e  tanta  gravità,  guardando  a  volte  i              i   insi- 
dila, cercano  di  fargli  paura  e  poi  si  rotolano  per  stenza  da  mettere  il  visitatori-  in  soggezione  e 

peata  come  ad  una  gratuli',  suri-  quasi  sentire  il  desiderio  di  domandar  permesso  a 

risata:  chi  ha  mai  visto  bestie  più  scusai     La  gni  è  felice  in  cattività,  come  un 

I                  he,  che  se  ne  stanno  sdraiate  al  vone;  essa  non  cerca  di  Fuj 

rocce  sulla  riva  del  loro  lag",  emettendo  In  questa  prigione  doro  gli  animali  trovano  tras- 
ogni tanto  quel  loro  strano  ruggito,  che  ha   la  prol nullità,    pulizia,    perfino   l'igiene  e   uno   splendido 


IL   CARDINO   ZOOLOGICO    IH    NEW    YORK 


5o5 


vitto;  che  potrebbero  essi  desiderare  di  più?  La 
cura  che  il  personale  del  Giardino  mette  nello  sce- 
gliere e  somministrare  un  cibo  sano  e  abbondante  è 
minuziosissima,  e  tale  che  ha  persuase»  la  Società  a 
impiantare  in  un  angolo  del  suo  vasto  territorio  un 
orto  speciale  per  la  coltivazione  di  speciali  fora 
di  verdure  di  vario  genere,  insalate,  arbusti  e  piani. 
richieste  dai  bisogni  del  Giardino,  e  una  specie  di 
parco  animale  per  l'allevamento  di  galline,  piccioni, 
conigli  e  porcellini  d'India  da  servire  come  alimento 
ai  carnivori.  Da  queste  speciali  sezioni  del  Giardino. 
durante  l'anno  passato,  sono  state  fomite  n  ton 
nellate  di  radici,  2500  cavoli.  5000  cesti  di  lattuga, 
2500  pannocchie  di  granoturco ,  400  meloni,  2 
tonnellate  di  trifoglio,  e  tutto  il  vitto  animale  per 
i  serpenti.  Secondo  le  autorità  dello  :oo  si  ricava  im- 
menso vantaggio  dal  nutrire  gli  animali  con  vitto 
tresco,  appetitoso  e  di  buona  qualità  consista  esso 
«li  vegetali  appena  colti  0  di  vivaci  e  sani  porcel- 
lini d'India  sacrificati  alle  orribili  gole  dei  serpenti, 
la  cui  igiene  nel  Giardino  zoologico  è  altrettanto  cu- 
rata quanto  quella  del  direttore  e  dei  suoi  assi- 
stenti ! 

* 
*    * 

Una  specialità  del  parco  zoologico  di  New  York, 
che  nessun  altro  parco  può  vantare  —  nemmeno  i 
grandissimi  di  Londra,  di  Amsterdam  e  di  Anversa 
—  è  questa,  che  non  pochi  degli  animali  viventi 
prigionieri,  alcuni  fra  essi  animali  pericolosi,  sono 
stati  catturati  sul  suolo  stesso  del  giardino,  dove 
avevan  vissuto  liberi  prima  di  essere  messi  in  gab- 
bia e  dove  han  lasciato  numerose  famiglie  di  pa- 
renti, discendenti  ed  amici,  che  ancor  godono  della 
libertà.  Non  meno  di  undici  specie  di  mammiferi 
selvatici  prosperano  nei  boschi  dell'orto:  scoiattoli, 
puzzole,  lontre  e  donnole  pullulano  e  qualche  volta 


recano  dei  danni  gravi  se  riescono  a  penetrare  nelle 
gabbie  degli  uccelli.  Ma  ciò  che  è  capace  di  impres- 
sionare sinistramente  un  visitatore  è  il  sapere,  quan- 
do visita  la  collezione  dei  serpenti  —  una  delle  più 
complete  collezioni  che  esistano  delle  orribili  b 
- —  che  non  meno  di  una  dozzina  di  specie  differenti 
fra  essi,  sono  stati  presi  precisamente  sul  luogo,  in 
mezzo  ai  sassi  sui  quali  il  visitatore  ha  camminato 
per  ammirare  gli  animali,  nei  lx>schi  dove  egli  si  è 
seduto  per  riposare  ali  ombra  delle  alte  querele. 
sulle  rive  della  sorgente  alla  quale  egli  si  è  disse- 
tato... e  fra  essi  due  specie  sono  particolarmente  pe- 
ricolose, il  serpente  testa-di-rame  e  il  serpente  a 
sonagli. 

L'idea  elle  dei  serpenti  rabbiosi  e  velenosi  comi 
quelli  si  trovano  liljeri  nel  giardino  è  tale  che  di- 
minuisce l'interesse  della  visita  e  sfoils  the  fun,  per 
usare  una  frase  americana;  fa  nascere  nell'animi 
un  sentimento,  che  se  non  è  proprio  paura,  rappre- 
senta una  nuance  più  delicata  dello  stesso  colore; 
e  incoraggia  un  desiderio  vivo  di  allontanarsi  dal 
luogo  con  una  certa  premura.  Ed  ancora  andando 
verso  le  uscite,  mentre  si  cammina  sui  viali,  trac- 
ciati tra  le  erbe  folte  e  gli  arbusti,  gli  sterpi  ed  i 
sassi  di  un  terreno  incolto  e  non  mai  prima  d'ora 
lacerato  dall'urto  di  una  zappa  o  di  una  vanga. 
accade  che  involontariamente  ci  si  volga  ad  ogni 
fiuscio  che  si  ode  nell'erba  o  ad  ogni  stormire  lon- 
tano di  foglie,  come  se  si  attendesse  di  veder  appa- 
rire fra  l'erba  il  capo  aguzzo,  gli  occhi  affascinanti 
e  la  lingua  nervosamente  agitata  di  un  serpente  a 
sonagli,  come  se  si  udisse  il  sinistro  e  secco  fremito 
dei  sonagli,  che  l'animale  agita  quando  prepara 
un  attacco.... 

Felice  Ferrerò. 


L'incoronazioni 
di  re  E 


w 


La  R.EGIN  \. 


LA     l'KlNCH'KSSA     l'I     l'.U.I.l.V 


;t.\  Grazia  Enrico  Fitzalaw  Howard, 
conte  ili  Arundello  e  di  Surrey  ,  ba- 
ri-ne  dì  Fitzalaw,  Clun ,  Orwalde- 
stre  e  Maltravers ,  quindicesimo  duca  di  Mor- 
ii il  k  .  cavaliere  del  nobilissimo  ordine  della  Giar- 
rettiera, e  per  diritto  di  sangue  conte  maresciallo  di 
tutta  l'Inghilterra  —  maestosamente  eretto  sul  ca- 
vallo  dalla  ricca  gualdrappa,  avvolto  in  un  ampio 
manto  su  cui  scende  la  lunga  barba  corvina,  scuo- 

•  le  larghe  piume  il' !  cappello,  circondato  dai 

avalieri  di  Chester.  Lancastro,  York,  Somerset, 
Richmond  e  Windsor,  che  portano  la  croce  rossa, 
il  mantello  azzurro  e  il  dragone  fiammante,  seguito 
il. il  degli  scudi  i    dalle  guardie  di   Enri- 

o  \  Il  -  leva  in  pieno  secolo  ventesimo  il  bastone 
del  comando  e  con  un  cenno  magico  trasporta  la 
metropoli  dell'Imperi  bi  tannico  nel  medioevo.  1 
coditi  tra  le  mura  massiccie  della  Inaura 
di  Guglielmo  il  Normanno,  abbagliano  col 
loro  splendore  il  popolo  alla  chiara  luce  del  solej 
e  il  popolo  si  chiede  per  hi   ani  hi    li  luna- 

ture d'acciaio,  gli  elmetti  dalle  piume  variopinte, 
le  enormi  spade  dalla  duplice  elsa,  i  pennoni  sven- 
tolanti, !'    [ance  ponderose,  non  escono  dalle  cupe 

della  torre,  e  non  sono  indossate  o  portate  dai 
Sun.  li  amichi  paladini.  Accanto  al  palaz- 

zo del  Parlamento  la  statua  equestre  di  Riccardo 
Cuor-di  Icone  dovn-bU"  fremere  di  impazienza   pa 

ungersi  al  corteo  che  si  svolge  tra  le  \  te  di  I 
dra  come  al  tempo  dei  Plantageneti,  mentre  il  bron 


zeo  rigido  Cromwell  dovrebbe  pensare  che  fu  co 
vana  far  cadere  la  bella  testa  di  Carlo  I  sul  palco 
di  Whitehall  e  lasciar  gettare  nel  Tamigi  le  ceneri 
di  altri  re. 

Il  contrasto  stridente  tra  le  formole  antiche  e  la 
vita    moderna   sarà   la  caratteristica  più    singolare 
delle  imminenti  cerimonie.  Il  tiglio  di  N'in- 
verà la  sacra  unzione  sul  capo,   sul   petto  e  sulle 
nani,  come  la  ricevevano  i  primi  re  guerrieri  sbar- 
cati dalle  coste  danesi  o  normanne  a  conquistare  i 
piccoli    regni    sassoni.    Un  osservatore  superili 
]  i    irlilr  credere  che  dieci  o  dodici  secoli  siano  i 
sati   indarno  sulla  isola  di   Alfredo   il   Grande:    le- 
vando in  alio  gli  sguardi  e  scorgendo  il  fumo  delle 
officine,  i  fili  elettrici,  i  segni  della  nuova  civiltà  in- 
dustriale, potrebbe  chiede! si  come  il  culto  della  tra- 
dizione  civica    abbia    resistito    alle  continue  mi 
mortosi   imposte  dai  secoli,   proprio  nel   paese  eh" 
si  proclama  all'avanguardia  del  progresso  e  ■ 
intense  e  profonde  dovrebbero  essere  le  trasformar 
zioni.  Si  comprende  come  l'erede  della  dinastia  ni 

i   la  corona  sotto  le  vòlte  bizantine  del  Crem- 
lino, nel  retitro  della  mistica  Russia:   la  sacra  ceri- 
monia non  è  soltanto  un  ricordo  di  tempi  trascorsi, 
l"  rchè  agli   occhi  del   popoli    credenti    l'i 
detto   sparso   sul   capo   del   monarca    gli   o 
un'autorità  di  origine  divina.  11  p  ente 

assoluto  che  le  sette  politiche  hanno  indarno  tentato 
di  strappare  alla  mano  dello  Zar.  sembra  la 
giustificazione  della   pompa  con  cui   si  celebra  il 


1.  INi  i  IR(  iN  \/.I<  INE    l'I    RE    ED<  >.\Kli<  i 


DO7 


suo  avvento  al  trono.  Da  lontano,  L'immenso  Im- 
pero appare  ancora  come  avvolto  in  una  nebbia 
medioevale,  malgrado  la  sua  flotta  putente,  la  sua 
artiglieria  all'ultimo  modello,  le  sue  alleanze  e  le 
sue  ambizioni:  intorno  al  santuario  di  Mosca  dalle 
cupole  d'oro  la  fantasia  immagina  un  intero  pop 
piostrato  in  atto  di  fede  e  di  venerazione.  La  ceri- 
monia è  intonata   all'ambiente. 

Anche  l'abbazia  di  Westminster  è  un  m 
monumento  ilei  piò  schietto  medioevi  1  statue  fu- 
nebri degli  illustri  moderni  lo  hanno  alquanto  de- 
turpato, ma  le  reliquie  delle  lontane  epoche  oscure 
e  sanguinose  vi  abbondano  in  tal  misura  che  non  è 
possibile  sottrarsi  alla  suggestione  delle  vecchie  pie- 
tre e  delle  mirabili  linee  architettoniche.  I  pastori 
anglicani  vi  spiegano  la  Bibbia  e  vi  declamano  lun- 
ghe prediche:  ma  quando  sotto  le  alte  arcate  si  dif- 
fondono le  voci  dell'organo  e  dei  cantori  e  le  note 
di  Palestrina,  la  cattedrale  riassume  il  vecchio  a- 
spetto  cattolico.  Un'onda  di  misticismo  si  agita  in- 
torno alla  tomba  in  legno  di  Edoardo  il  Confessore 
che  da  nove  secoli  si  erge  dietro  l'aitar  maggiore, 
e  di  cui  le  dorature  sbiadite  dal  tempo  fanno  pen- 
sare alle  tombe  dorate  degli  eroi  greci.  Un'onda  di 
poesia  storica  avvolge  le  statue  delle  regine  che  dor- 
mono nelle  cappelle  dell'abside:  di  quella  dolce 
Elianor,  ad  esempio,  che  posa  accanto  al  marito 
Edoardo  I  e  che  par  conservare  nel  marmo  la  soa- 
vità della  breve  giovinezza.  Ella  fu  la  ckère  reine: 
il  consorte  la  pianse  inconsolabile  e  a  memoria  del 
suo  trasporto  funebre  fece  sorgere  in  vari  punti  di 
I-ondra  bellissimi  fiori  marmorei  di  arte  gotica,  uno 
dei  quali  sorge  ancora  innanzi  alla  più  nera  e  più 
rumorosa  stazione  ferroviaria  della  metropoli,  come 
a  testimonio  della  bellezza  e  della  poesia  che  so- 
pravvivono nei  secoli.  Altre  immagini  popolano  il 
regale  sepolcreto:  ecco  Maria  Stuarda,  regina  d'a- 
mi >re  e  di  dolore,  le  cui  mani  per  cura  delle  pie- 
tose ammiratrici  sono  sempre  fiorite:  e  nella  cap- 
pella opposta,  la  rivale  Elisabetta,  regina  senza 
amore  e  senza  dolore.  Ma  dietro  l'abside,  al  di  là 
di  un  corridoio  pieno  d'ombre  e  di  memorie,  da 
cui  pendono  le  armature  di  re  antichi  e  dei  loro 
destrieri,  si  apre  la  più  bella  meraviglia  dell'arte 
gotica  inglese,  la  cappella  di  Enrico  VI.  dalla  vòlta 
traforata  come  un  paziente  ricamo,  dalle  nervature 
sottili,  delicate,  che  ascendono,  si  allacciano,  si  in- 
trecciano in  un  poema  di  linee:  centinaia  di  sgual- 
citi stendardi  gentilizi  sono  appesi  sugli  stalli  dei 
cavalieri  del  Bagno.  Il  fondatore  di  quest'ordine  e 
h  suo  consorte  Elisabetta  di  York  dormono  in  un 
magnifico  mausoleo  quattrocentesco  del  fiorentino 
Torri  giano. 

La  cattedrale  —  tempio  sacro  alla  patria  e  al- 
l'arte —  dalle  sembianze  severe  a  cui  danno  risalto 
da  un  lato  ampie  ajuole  verdeggianti,  dall'altro 
l'antico  chiostro  benedettino,  proietta  la  sua  ombra 
veneranda  sul  palazzo  di  Westminster.  ove  i  legisla- 
tori dirigono  le  sorti  della  nazione  britannica  vi- 
vendo tra  le  più  splendide  e  più  gloriose  memorie 
del  passato.  L'ambiente  è  dunque  il  più  consono 
alla  imponente  cerimonia  a  cui  l'intera  Inghilterra 
si  prepara  trepidando  e  giubilando.  Entro  le  mura 


dell'abbazia  il  contrasto  tra  il   moderno  e  l'antico 
lovrebbe  più  stridere.  Ma  sarà  pur  sempre  dif- 
ficile pensare  che  i  londinesi  si  prostrino  intorno  a 
Westminster   come    i    nuijicks    intorno   ai    santuari 
•viti.    0   che    Edoardo    VII    possa  proclamarsi 
sovrano  per  diritto  divino  come  i  suoi  lontani  an- 
tenati. Se  però  può  destar  meraviglia  che  il  medio- 
evo riviva  per  un  istante  nella  patria  di  Spencer, 
lare  che  una  cerimonia  non  meno  fa- 
stosa e  di  intendimenti  assai  più  arditi  fu  celebrata 
or  fa  un  secolo  in  un'altra  storica  cattedrale  pochi 
anni   dopo  che  vi   si  era  adorata   la   libera   nudità 
della  Dea  Ragione:    allora  il  contrasto  tra  le  for- 
nuove  e  vecchie  fu  imposto  dal  genio  napoleo- 
nico. 

Chi  lo  impene  ora  in  Inghilterra  è  il  genio  della 
nazione. 

Napoleone  si  compiacque  di  consacrare   la   sua 
fulminea  fortuna  col  fasto  e  con  le  cerimonie  caro- 
lingie,  per  coglierne  a  suo  vantaggio  l'effetto  tea- 
trale reso  più  evidente  dal  fresco  ricordo  della  ri- 
voluzione iconoclasta.   Lo  splendore  delle  prossime 
leste  non  risponde  tanto  ai  desìi  Ieri,  facilmente  com- 
prensibili, del  bonario  Edoardo,  che  senza  dubbio 
non  aspirava  alle  vette  della  grandezza  storica,  quan- 
to all'imperiosa  ambizione  della  coscienza  nazionale. 
La  persona  del   sovrano  assume  la  parte  di   sim- 
bolo:   le  due   forme  ondeggianti,    ma   non   troppo 
maestose,    si   idealizzano:    una    nube   olimpica    lo 
avvolge:   l'Inghilterra  in  lui  celebra  sé  stessa,  pio- 
niera  delle   nazioni,    all'avanguardia   della    civiltà. 
Le  incalzanti  vicende  umane  possono  mutare  e  tra- 
volgere in  breve  andar  di  tempo  il  vastissimo  im- 
pero della  0  più  grande  »  Bretagna:    ma  essa,   al- 
l'apogeo di  una  potenza  che  fatalmente  come  tutte 
le  altre  dovrà  un  giorno  tramontare,   non  vuol  la- 
r  si  sfuggire  il  momento  opportuno  per  esaltarsi 
di  fronte  al  mondo  civile.  Le  alabarde,  le  mazze,  i 
riti   e   tutto   l'armamentario   medioevale   rimesso   a 
nuovo,  possono  facilmente  fornir  materia  alla  penna 
e  alla  matita  degli  umoristi:    l'Inghilterra  non   se 
ne  cura,  e  attende  con  sincera  compunzione  il  giorno 
une,  per  contemplarsi  nello  specchio  della  pro- 
pria grandezza.  Non  sarà  Edoardo  VII  che  si  pro- 
riamerà  sotto  le  vòlte  di  Westminster  sovrano  per 
diritto   divino:    ma   l'Inghilterra   che  glorificherà    il 
suo  predominio  di  razza,  e  il  segreto  timor  di  una 
non  lontana  fatale  decadenza  acuirà  il  suo  compia- 
nto. 
Quando  sessantaquattro  anni  or  sono,  la  giovane 
de  del  trono  inglese  chinò  il  biondo  capo  sotto  il 
0  della  corona,  ingemmata  di  oltre  duemila  pie- 
tre preziose.  l'Impero  era  ancora  malsicuro.   Le   In- 
orientali   erano    rette   con    indifferenza    da    una 
Compagnia    commerciale  privata   che   vi    esercitava 
poteri   illimitati   soltanto  a   proprio  vantaggio,   e  a 
mala    pena    potevano    dirsi    un    possedimento    della 
Corona.    Il   Canada  era   poco  conosciuto:    l'Austra- 
lia era  cosi   lontana  che  nessuno  provava  il  desidie 
rio  di   prenderne  possesso,    ed   era  tenuta   soltanto 
come  colonia  penale.   L'Africa   australe  non   altro 
era   che   qualche    audace   cacciatore:    il    problema 
della    schiavitù    minacciava    le    Indie    occidentali. 


5(  »8 


LA    LETTURA 


I ,  I  ngh  Imi.     lormiva    Ora  1  Edoardo  VI  I    si   sve 
ipo  di  qu  i  milioni  'li  suddil i, 

ndo  sopra  dieci  milioni  <li  miglia  quadrate  di 
lo  il   più  v  asti  i   Impero  i  he 
i     i .  gli  l« ..  ma 
lido. 
Inoltre  nel  pei  condizioni  della 

mutar  che  il  vanto  non  pui  i 

sembrare  illegittimo.    I      \ he 

mutarono  i  ivunque,  .   i  he  non 
into  la  mappa   ingli       ora 
rta  da  una  fitta  n  te  di 
che    i  delle 

rapide  comunicazioni,  del  com 
i  industrie:  se  ora  in 
un  mese  si  compie  il  viaggio  di 
Australia  che  un  tempo  richiedeva 
quasi  un  anno,  se  l'elettricità  ha 
pi  i,n  i.  se  nelle 
vene  della  umanità  il  sangue  ci- 
vili- pulsa  più  intenso  ed  enei 

non  è  della  sola  Inghil- 
terra. Ma  essa  fu  indubbiamenb 
la  più  attiva  in  operatrice  della 
grande  metamorfosi  e  nessuno  può 
i  urla  se  l'ha  colta  il  desi- 
derio ili  congratularsi  si 
I     mi  atto  'li  legittimo  orgoglio. 


nosce  che  ogni  suo  potere  gli  viene  dal  Re  dei  Re, 
proclamandosi  sovrano  per  diritto  divina 

L'ori  line  della  lato  da  un  ami- 

amo «  liberi  regalis  »  gelosamente  custodito 
negli  archivi  dell'abbazia  E'  certo  il  più  splendido, 
il  pi  I  tico  ril  naie  che  si  1 1 

ca     La  cerimi  mia  si  apre  col   ricom  «cimento,  per- 
ii   nei  primi  secoli  il  re  veniva  eletto  dai  suoi  l'ari 


La  fastosa  cerimonia  della  in- 
coronazione non  è  voluta  soltanto 
dalla  consuetudine,  ma  è  imposta 
dalla  legge.  Ter  consuetudine,  es- 
sa risponde  a  quel  segreto  ami  re 
delle  pompe  esteme  che  giace  in 
fondo  ad  ogni  cuor  umano  e  che 
riempie  finn  ad  una  considerevole 
■  L'ili  cuore  inglese.  Pi  r 
legge,  essa  è  una  sanzione  seCOl  do 
le  forme  tradizionali  del  patto 
tra  il  sovrano  e  il  popolo:  il  so- 
vrano giura  di  difendere  in  Ogni 
circostanzi  diritti  dei  sudditi,  e 
questi  nelle  persi  ne  dei  lon ■  rap- 
presentami promettono  fedeltà  e 
rendono  omaggio. 

La  cerimonia  ha  uno  stretti 
ratti  n  o  i      mb  lieo.  Vi  si 

i    riti    dell"   sposali/in  . 
li .  il  re  riceve  in  dito  fanello 
i-  impalma   il  suo  p  poli    .  .-  i   riti 
dell',  sdinazii  ne    ei                     poiché  a    un    a  rto 
punto  il  re  indossa  i  paramenti  episcopali.   L'arci 
vescovo  di  Canterbury    versa   l'olio  santo  sul  capo 
ahimè  non  più  biondo  e  ricciuto        di   Edoar- 
do VII.    re  d'Inghilterra    •     imi"  ratore  delle   Indie, 
con  la  stessa   forinola  con  cui  il  som saceri 

ungeva   i   re  d'Israele:    gli    pi  rge  l'eucarestia   con   un 

plicato  iTrinn  male,  e •  un  tempo  veniva  "I 

rao     pa  ai  cavalieri  del   San  (  Intel.   In 

fine   il  sovrano   si    prostra    innanzi    all'altari-  e   rio 


Edoardo  vii  in  «i  ro  recai 

e   ri '     da   essi    prima   di    ricevere  la   corona. 

Il  re  e  la  regina  entrano  nel  tempio  e  salgono  al- 
l'altare, sopra  una  tribuna  o  piattaforma,  eretta  in- 
nanzi ad  esso  e  che  ha  il  m  me  di  «  teatro  >..  | 
vescovo  funzionante,  seguito  dai  grandi  dignitari, 
presenta  quattro  volte  il  re  al  popolo  a  ciascun  an- 
i  della  piattaforma,  chiedendo  ogni  volta  al  po> 
nto  a  rendere  omaggio  al  propri' 

vr. ino.    E    l'omaggio  è   reso  Con    applausi   e  col   cauto 
accompagnato   dalle    trombe    d'argento,    della    invi- 


L'INCORONAZIONE  DI    RE    EDOARDO  50O, 

razione:    «  Dio  salvi   il   Re!  ».    Poi    incomincia   il  pia  mai  presentarsi  al  Signore  Iddio  a  mani  vuo- 

rito   sacro,   celebrato  dal    Primate,    con    l'assistenza  te»;   nel  frattempo  intomo  ali  aliare  si  dispongono 

di  altri  prelati.  E'  la  messa,  secondo  il  rito  catto-  i   dignitari,   avvolti  nei  loro  maestosi   paludamenti, 


-1  PAOSri  CT lofS.'  Pi-  I  fn   uiìtJES  l  m  \  ò  T£  A 

{'zzi  \  '     Chairs    PulpK     Beni  h.      S.     . 


nùn  Ci .  ir 


Westminster  Ahiiv  nell'incoronazione  di  Giacomo  II. 

lieo   lievemente   modificato  e  con   le   preghiere   tra-  che  portano  le  ricche  insegne  della  sovranità.   Dopo 

dotte  dal  latino  in  inglese  arcaico.  Al  principio  il  il  canto  di  inni  e  litanie  e                  sermone  di  un 

re  deve   inginocchiarsi    sui    gradini    dell'altare,    of-  vescovo,  il  re  presta  il  solenne  giuramento  ponendo 

frire  un  pallio  d'oro  per  la  mensa  divina  e  una  ver-  la  mano  sulla  Bibbia  in  vista   di   tutto   il   popolo  e 

ga  d'oro  del  peso  di  una  libbra  perchè  «  non  biso-  promettendo  ad  alta  voce  di  osservare  le  leggi  dello 


DIO 


LA    LETTURA 


,■  di  difender  ]  protesi  anti     Poi  il 

re  inni ni/  ni  dell'altare,  .iss:s<>  nella  sedia 

di  Sant'I  un  ba  dacchino  di  s<  ta   e 

:.i  quattro  cavalieri  della  <  Hai 
r   spogliato  dal  suo  manto  cremisino:   l'ardves 
I  rendendo  dalle  mani  del  decano  il  cucchiaio  p 

lo  versa  in  fi  rma  'li  croce  sul  capo  e  sullo 

ii    del    re,    dicendogli:    «  Sii    tu    unto   coll'olia 

i .in<   uni i  i  re,  i  sacerdoti  e  i  profeti  ». 

Ulora  i  dignitari  stilalo  dinanzi    il  sovrano,   pre 


gli  ■  un  Senato  fedele,  consiglieri  e  magistrati  «ag 
gi,  una  ni  l'ilo   leale,  e  una  comunità  onesta,  indu- 
strii diente  ».   Ad  ugni  versetto  della  b 
dizione  gli  astanti  rispondono  con  l'unica  parola  la- 
tina sopravvissuta  ìuH  riti>  anglicano:   Amen,  i  an 

l'inno  ambrosiano   ili    ringraziamento,     il 
toma  al  suo  faldistorio  ed  ivi  prelati  e  dignitari  lo 
intronizzano  levandolo  in  alto  sulla  sedia  al  rosp 
dell'assembli  a,  in  mezzo  alla  quale  il  tesoriere  di-Ila 
casa  reale  sparge  a  piene  mani  medaglie  d'oro  e  di 


Giorgio  IV  sotto  il  baldacchino  coi  baroni  dei  cinque  porti. 


indogli   gli   speroni,    le  spade  e  altri   emblemi. 
ehe  il  sovrano  simbolicamente  offre  a  Dio  facendoli 

ire    sull'altare.     Indi    l'arcivescovo    lo    investe 
della   dignità    regale,    facendogli    indossare   la   dal 

ca  d'oro  e  d'ermellino,  ponendogli  nella  destra 
l'orbe  sormontato  dalla  croce,  al  dito  l'anello,  ni 
sinistra  lo  scettro,  e  finalmente  sul  capo  la  cor'  na 
Le  acclamazioni  scoppiano  nel  tempio,  il  cannone 
mona  nella  città  e  l'annuncio  dell'avvenimento  si 
diffonde  ai  qi  riti.    Nell'abbazia  i    l'ari  e  le 

loro  nobili  consorti  si  pongono  sul  capo  le  piccole 

n  a  «da  del  l  itolo  e  del 
grado  gentilizio.   Cessate   le   acclamazioni,  l'ai 

o  largisce  al  sovrano  una  serie  di  buoni  consi- 
gli :  «  sii  forti   e  abl  ii  o  ragg  io,  i  esi  rva  i 
menti  di  D     •      immina  sul  suo  santo  sentier 

dicendo:    gli   porci-  un   antichissimo  i 
Bibl    ti     ina  Imi  nti    li    I"  ni  dice,  augurando- 


argento.  Poi  ad  uno  ad  uno  i  prelati,  e  i  Pari,  pei 
categorie  di  nobiltà,  stilano  innanzi  al  trono,  pie- 
gano le  ginocchia  e  rendono  omaggio  al   sovi 

■   Io.         dice  l'anziano  di  ogni  ordine  a  noni'-  dei 
colleghi  —  divento  vostro  suddito  di  vita,  di  corpo, 
di  terrestre  venerazione,  e  voglio  portarvi   lede,   per 
la  vita  e  per  la  morte,  contro  ogni  fatta  di  | 
così   Dio  m'aiuti  ».    I    l'ari    si  schierano   intorno   al 

ti poi,  togliendosi  la  coronetta.  ad  uno  ad  uno 

salgono  i  gradini  per  toccare  con  la  mano  tesa  la 
Corona  del  re  e  baciargli  il  sacro  anello.  Poi  rul- 
lano i  tamburi,  squillano  le  trombe,  e  il  popolo 
canta:  «  Dio  salvi  Re  Edoardo!  Viva  a  lungo  Re 
Edoardo I  Possa  il  Re  vivere  per  sempre!  ».  fa 
rendo  così  un  augurio  che  non  potrebbe  essere  più 
iperbolico.  La  comunione  con  le  specie  del  pai 
del  vino,  una  nuova  offerta  di  una  borsa  d'oro,  i 
numerose  preghiere  tolte  dal  messale  romano,  chiù- 


L  INCORONAZIONE    HI    K.    EDOARDO 


ini 


dono  la  lunghissima  cerimonia,  dopo  la  quale  il 
sovrano  lascia  l'altare  per  recarsi  nel  coro:  ivi  de- 
pone il  manto  imperiale,  indossa  la  veste  di  por- 
pora, e  tenendo  in  capo  la  corona,  in  mano  lo  scet- 
tri.' e  l'orbe,  seguito  dai  vescovi  mitrati  e  dai  Pari 
conati,  esce  dall'abbazia  e  toma  al  palazzo.  Il 
rito  solenne  è  compiuto. 

Se  il  significato  mistico  di  esso  seduce  quanti  fra 
i  sudditi  di  re  Edoardo  sono  disposti  a  commuo- 
versene —  e  i  credenti  non  si  annoverano  soltanto 
sulle  rive  del  sacro  Gange  e  tra  le  ingenue  popola- 
zioni delle  colonie  — ,  la  fantasia  può  sbizzarrirsi 
contemplando  il  fasto  orientale  della  cerimonia. 
Una  tale  accolta  di  gemme,  di  gioielli,  di  vesti  pre- 
ziose, quale  sarà  sfoggiata  dalle  poche  migliaia  di 


diamanti,  zaffiri,  rubini  a  centinaia  e  centinaia  tem- 
pestano il  superbo  diadema.  Questa  è  la  corona  di 
parata:  la  corona  sacra,  usata  durante  il  rito,  è 
quella  di  Sant'Edoardo,  rifatta  per  Carlo  II,  per- 
chè la  antica  era  andata  perduta  durante  le  guerre 
civili.  E'  d'oro,  con  due  archi  che  si  congiungono  al 
disopra  di  un  tocco  di  velluto  cremisi  foderato  di 
ermellino:  è  ornata  di  croci  e  di  fiordalisi,  prezio- 
samente ingemmali:  la  sormonta  un  grosso  orbe 
con  una  perla  vistosa,  e  altri  due  perle  pendono 
dalle  bande.  Altre  corone  fanno  parte  del  tesoro, 
e  sono  portate  su  cuscini  di  velluto  dai  grandi  di- 
gnitari durante  la  processione:  la  regina  con- 
sorte ha  una  corona  di  gran  valore,  ma  meni)  ricca 
e  meno  solenne  di  quella  del  re.   L'orbe  imperiale. 


Il  portatore 
della  eorsa  reale. 


Lord  Rosebery  in  aiuto  da  conte. 


Il  duca  di  Norfolk 
col  bastone  da  conte  maresciallo. 


privilegiati  a  cui  sarà  libero  l'accesso  nella  abbazia 
di  Westminster.  non  si  sarà  mai  veduta  se  non  at- 
traverso i  sogni  dei  poeti  arabi.  Le  belle  dame  ame- 
ricane che  hanno  indorato  i  ròsi  blasoni  britannici 
rifulgeranno  come  principesse  delle  «  Mille  e  una 
notte  ».  E  i  loro  tesori  faranno  degna  cornice  ai 
massicci  tesori  regali  valutati  da  soli  a  parecchie  doz- 
zine di  milioni,  custoditi  di  consueto  nella  torre  di 
Guglielmo  il  Xormanno.  e  che  alla  vigilia  dell'inco- 
ronazione saranno  trasportati  in  gran  pompa  all'ab- 
b;>zia. 

La  corona  imperiale  è  fatta  di  un  tocco  di  porpora 
chiusa  in  cerchi  d'argento  smaltati  di  gemme  e  di 
perle  e  sormontata  da  un  orbe  di  brillanti,  con  una 
croce  di  Malta.  Quattro  croci  e  quattro  fiordalisi  — 
poiché  fino  a  un  secolo  fa  i  re  d'Inghilterra  si  pro- 
clamavano re  di  Francia  —  adornano  il  cerchio 
frontale:  la  croce  anteriore  porta  nel  mezzo  lo 
•i  zaffiro  inestimabile  ».  del  più  puro  e  più  profondo 
azzurro:  al  disotto  di  esso  splende  un  grosso  rubino 
di  squisita  limpidezza,  che  la  tradizione  dice  por- 
tato dal  Principe  Xero  alla  battaglia  di  Cressy  e  da 
Enrico  IV   alla   battaglia   di    Azincourt.    Smeraldi. 


o  mondo,  è  un  emblema  di  sovranità  di  origine  ro- 
ti, ana.  poiché  si  vuole  che  dati  dalla  conversione 
di  Costantino  al  cristianesimo:  appare  tra  le  in- 
segne reali  già  nei  primi  tempi  della  storia  inglese. 
E1  una  grossa  palla  d'oro,  del  diametro  di  circa 
un  decimetro  e  mezzo,  con  un  cerchio  di  smeraldi, 
rubini  e  perle,  sormontato  da  un  bellissimo  ameti- 
sta, su  cui  posa  una  croce  d'oro  incrostata  di  dia- 
manti. La  Regina  porla  un  orbe  di  minori  dimen- 
sioni ma  di   loggia  analoga. 

Dei  sei  scettri  due  sono  usati  alla  cerimonia.  Lo 
scettro  tempi  rale  ha  il  manico  d'oro  e  il  pomo  gem- 
mato: un  tempo  era  adomo  di  fiordalisi,  che  ora 
sono  sostituiti  dagli  emblemi  del  Regno  Unito:  la 
rosa,  il  cardo  e  il  trifoglio.  Lo  scettro  spirituale,  o 
verga  di  giustizia,  è  assai  più  ricco  di  pietre:  è  sor- 
montato da  ^n  orbe  a  fiori  di  diamanti  con  una  cro- 
ce su  ini  spanile  le  ali  una  colomba  d'oro.  Il  ba- 
stone di  Sant'Edoardo  è  un  pastorale  d'oro,  con  la 
punta  di  acciaio,  cesellato  a  foglie:  è  portato  in- 
nanzi al  sovrano  durante  la  processione.  L'olio  per 
la  sacra  unzione  —  che  lo  scrupoloso  Giacomo  II 
fece    preparare    appositamente    dal     farmacista    di 


.'I J 


l A    LETTURA 


Corte  e  benedire,  temendo  che  il  vecchio  olio  con 
ell'abbazia  avesse  perduto  la  su 

n  una  ampolla  'li  i ir i  puro,  in  foi 
ma  d'aquila  con  le  ali  sellata  :  la 

.  dell'aquila  è  avvitata  al  collo,  da  cui  \ 
ila.  quan  nel  cucchi 

pun   d  i  irò,  dal  manico  ing  \ 

durante  la  cerimonia  : 

speroni  d'oi  te  o  orai  ciali  tti,  l'anello 

fami  «e.  C urtano,  o  spada 

nza  punta,  !<•  cui  origini  si  perdono  nella 

nebbia   medioevale,    i  ondo  la   tradizione, 

bbe  arniain  il  braccio  di  Orlando  i>  ili  Ti 
no,  ale  al  ri-gnu  ili  Enrico  111   e  da 

allora  In  usai  nazione:    por  gli   In- 

;  è  una  rivale  fortunata  ili  Durindana  e 
ili  tutte  le  altre  spade  celebri  della  Tavola  Rotonda. 
I  son  glia  alquanto  la  spada  i  ■  Iella  giustizia 
spirituale  »  la  quale  però  '<■  fornita  ili  una  buona 
l'iuta:  e  ili  lumia  ancor  più  acuta  è  munita  la 
spada  «  ilrlla  giustizia  imperiale  ».  Le  guardie  delle 
tre   spade    sono    riccamente    intessute    ili   broccati 

Ma  l'oggetto  più  venerando  usato  per  la  cerimo- 
nia è  anche  il  più  rozzo:  è  la  cattedra  di  Sant'E- 
lma sedia  a  bracciuoli  che  poggia  sopra 
quattro  leoni  apocalittici,  sul  cui  dorsale  un  tempo 
erano  disegnati  ligure  e  simboli  ora  scomparsi,  coi 
bracciuoli  ricoperti  di  pelle  sdrucita.  Sotto  il  se- 
dile, entro  cerchi  di  ferro,  è  incastrato  un  masso 
pesante,  di  origine  portentosa.  Una  leggenda  ar- 
bb  addirittura  far  credere  che  si  tratti 
della  pietra  su  cui  riposò  il  capo  del  patriarca  Gia- 
cobbe, quando  sognava  la  scala  d'oro:  un  greco,  un 
tal  Gaelo.  dei  bassi  tempi  ellenici.  l'avreblve  tra- 
sportata dall'Egitto  alla  Spagna,  donde  sarebbe 
passata  in  Irlanda  e  in  I scozia.  Certamente  per 
oltre  quattro  secoli  fu  conservata  nell'abbazia  di 
•  incoronavano  i  re  scozzesi  :  Edoardo  I, 
durante  la  sua  effimera  conquista  di  '(nella  regione, 
se  ne  impossessò  e  la  portò  a  Westminster,  depo- 
nendi  la  come  un  trofeo  nella  cappella  funebre  di 
Sant'Edoardo.  Alcuni  geologi  vorrebbero  veramente 
gervi  un  masso  in  sienite  egiziana,  ma  i  più 
prudenti  si  accontentano  di  riconoscervi  una  comu- 
ni' pietra  scozzese. 

Tutti  i  re  inglési  da  Edoardo  I  in  poi  si  assisero 
una  volta  nella  veneranda  cattedra:   la  regina  Vit- 
-ise  due  volte,  il  giorno  dell'incorona- 
zione e  il   giorno  del   solenne  giubileo.   Cromwell 
a     la  cattedra  all'abbazia  di  Westminster, 
ma  ve  la  dovi  ,  Quando,  dono  gli 

Stuardi,  fu  chiamata  al  trono  Maria   II  di  Olanda 
■  ■  Hannover,  che  volle  dividi  rno  col  ma 

Guglielmo  III.  per  la  duplice  incoronazione  si  co- 
di    fi  iggia    analoga  a    quella 

I  pr  ggetti  della  regalia,  usati  per  la  ce- 
rimonia, soni  "ii.  oltre  rhe  per  sé  stessi, 
per  i  cui  iffi  i  che  ad  essi  si  annettono,  e  che. 
nel  carattere  medioevale  delle  grandi  feste,  for- 
mano  la  nota  più  strìdi                            nodemi.  Il 

privilegio   di    ;  unno   di   onesti    oggi-Iti    o   di 


compiere  alcuni    riti  durante  la  cerimonia,   si   tra- 

e  pei  diritto  ereditario:  e  prima  di  ogni  inco- 

ronazione   si   costituisce   una    Corte   speciale,  sotto 

la    presidenza   del    grande  siniscalco,    per   dirimere 

[uestioni    di    privilegi   che  gli    interessi    ara! 
n  >  aver  crealo.  E'  un'impresa  ardua  e  delii 

Edoardo  VII  vi  ha  preposto  un  Consiglio  di  no- 
bili   Lordi  quasi   un   anno  prima  delle  feste,   dando 
loro   le   più   ampie  istruzioni    perchè   sapes» 
larsi   negli   importanti   giudizi.    La   Corti-  tenne  nu- 
merose sedute,  discutendo  i  più  laboriosi  e  imi 
problemi  di  araldi'  etichetta:   e  la  cosa  più 

curiosa  era  il  vedere  quegli  illustri  |>ersonaggi  — 
il  gran  siniscalco,  il  gran  cancelliere  d'Inghilterra, 
il  conte  maresciallo,  il  presidente  del  Consiglio  pri- 
vato, il  ciambellano,  il  cancelliere  del  ducalo  di 
Lancastre.  il  cancelliere  d'Irlanda,  il  maestro  dei 
ruoli,  e  i  do  —  che  parlavano  di  anni,  di 

manti  e  'li  corone,  in  semplice  e  volgare  abito  da 

lina.  Il  «  custode  della  coscienza  del  re  •  os 
presentarsi  in  panni  borghesi,  il  notaio  della  corina 
apriva  le  sedute  leggendo  ogni  volta  un  messaggio 
del  re  «  scritto  di  proprio  pugno  del  re  stesso 
e  poi  innanzi  ai  giudici  si  presentavano  umilmente 
i  querelanti.  Primeggiava  fra  tutti  lo  stesso  duca 
di  Norfolk,  il  quale  chiedeva  di  poter  ufficiarsi  co- 
me capo  dispensiere  d'Inghilterra,  onore  ambito, 
nella  sua  qualità  di  signore  del  maniero  di  Kennin- 
ghall.  da  un  oscuro  Oddin  Taylor.  Il  conte  di  I.an- 
derdale  e  il  sigro  re  di  Wedderbum  si  vantavano 
entrambi  porta-stendardi  ereditari  di  Scozia  per  po- 
ter portare  le  insegne  del  re  durante  la  cerimonia: 
e  vi  erano  persino  gli  esecutori  testamentari  di  una 
famiglia  estinta  che  pretendevano  l'ufficio  di  uscieri 
dalla  verga  bianca.  Il  padrone  del  castello  di  Ship- 
ton  voleva  essere  riconosciuti    i  vivande, 

e  il  marchese  di  Exeter  grande  elemosiniere.   Il  dui  .a 
di    Newcastle,    come    proprietario   del    castello   di 
Worksop.  voleva  il  privilegio  di  offrire  un  guanto 
al  re  e  di  sorreggergli   il  braccio  durante  la  lunga 
cerimonia:    anche   i    vescovi    di    l 'urham   e   di   li.rh 
si    dicevano    in    diritto    di    sostenere    l'affranti 
vrano.  diritto  vantato  puri'  dal  conte  di  Talbot,  che. 
quale  grande  siniscalco  di    Irlanda,   si   credeva 
gno  di  portare  innanzi  al  re  un  bastone  bianco.   li 
conte  di  Etroll,  alto  connestabile  di  Scozia,  di- 
lava invece  impugnare  un  bastone  doro:   lord  Grey 
e   lord,    Hastings    si    disputavano    l'onore   di    n  . 
gli  aurei  speroni.   Il  marchese  di  Winchester  prote- 
stava  che  a  lui  toccava  il   privilegio  di   n 
u  manto  di  dignità  »:    il  duca  di   Buccleuch,  come 

isti  me  '1  '  ri    di   Scozia  »  si  diceva 
v  dcare  a  fianco  del  re:   e  finalmente  sir  Windham 
Anstruther   accampava    il    diritto   di    trinciare,    a 
nome  della   Scozia,   le  vivande  al   banchetto  n ■_ 
Ma  la  qu  nosa  sottoposta  all'alio  sen- 

no dei  giudici  fu  lineila  del  campione  d'Inghilu 
I    signori   del  castello  di   Dymoes,  nella   contea   di 
I    '"In.  crani    per  diritto,  da  tempo  immem*  r.ilule. 
campioni   del   re:    ossia   il  giorno  dellincoronazii 
armati  fino  ai  denti,  entravano  a  (-avallo  nella 
del  barn  hi  tto  regale       l'immi  nsa  aula  di  Santo  Ste 
i.ini..  ultimo  monumento  dell'i  rmanna,  su 


L  INO  iRi  IN  AZIONE    M    RE    ED'  1ARD1  i 


5i: 


perstite  alle  ingiurie  del  tempo,  accanto  al  rinno- 
vato palazzo  di  Westminster  —  e  gettavano,  in- 
nanzi ai  commensali  atterriti,  la  sfida  a  chiunque 
osasse  dubitare  dei  diritti  sovrani  e  divini  del  re. 
Le  gravi  armature  dei  prodi  campioni  fanno  an- 
cora stupire  i  visitatori  della  torre  di  Guglielmo: 
ma  il  castello  di  Serivelsby.  a  cui  è  annesso  il  privi- 
legio di  sfidare  a  battaglia  i  nemici  del  nuovo  mo- 
narca, e  da  tempo  divenuto  un  possesso  pacifici'. 
Lerchè  Giorgio  III  fece  abolire  l'incruento  invito 
alla  tenzone.  Inoltre  l'ultimo  dei  Dymolces  è  morto 
da  parecchi  lustri:  e  la  «  Court  of  Claims  »  non 
trovò  fra  gli  eredi  alcuno  che  fosse  degno  di  rac- 
cogliervi l'alto  privilegio,  senza  contare  che  da  un 
secolo  il  pantagruelico  banchetto  regale  non  si  tiene 
più,  con  grande  scorno  di  quelli  che  vi  avevano  di- 
ritto, e  che  il  campione  non  avrebbe  quindi  più  il 
modo  di  fare  la  sua  solenne  apparizione,  di  gettare 
la  sfida,  e  di  farsi  versare  dal  re  il  vino  in  una  coppa 
d'oro  che.  secondo  le  costumanze,  avrebbe  poi  messa 
tranquillamente  in   tasca. 

Il  banchetto  era  un  tempo  la  parte  più  caratte- 
ristica del  programma  per  le  feste  dell'incoronazio- 
ne: i  primi  avevano  proporzioni  omeriche,  e  si  ri- 
corda che  i  cavalieri  di  Edoardo  I  divorarono  380 
buoi,  oltre  quattrocento  pecore,  altrettanti  porci, 
diciotto  cignali  e  ventimila  polli:  gli  sceriffi  di  do- 
dici cpntee  dovettero  provvedere  le  vettovaglie,  e 
il  Parlamento  dovette  assoldare  duemila  cuochi.  En- 
rico V  si  incoronò  in  un  giorno  di  quaresima  e  in- 
vitò i  seguaci  a  un  banchetto  di  magro,  ma  of- 
frendo loro  la  più  ricca  varietà  di  pesci:  Enrico  VI 
abbondò  nella  selvaggina,  e  diede  una  certa  minestra 


i  più  sontuosi.  Il  più  indigesto  riuscì  certamente 
quello  di  Giorgio  IV,  che  fu  anche  l'ultimo:  vi  si 
mangiarono    diciassette    mila     libbre   di    bue.     di 


I    GIOIELLI    DELLA    CORI  INA. 

rossa   in   immense  caldaie   in  cui  nuotavano   leoni 

nchi,  forse  di  pasta.  La  mortadella  di  Bologna 

troneggiò  al  banchetto  di   Giacomo  IL  che  fu  tra 

La  Lettura. 


La  sedia  di  Sant'Edoardo. 

montone  e  di  vitello,  tremila  polli,  centosessanta 
piatti  di  pesce,  ottomila  uova  e  via  dicendo:  e  vi 
si  consumarono  enormi  quantità  di  vino  e  di  li- 
cori. Quando  uscirono,  dopo  cinque  ore  di  ban- 
chetto, dall'aula,  i  commensali  si  precipitarono  nelle 
ine,  non  lasciandovi  una  sola  bottiglia  vuota. 
Ed  è  forse  per  una  misura  di  prudenza  che  E- 
doardo  VII,  appena  giunto  al  trono,  quando  ancora 
non  sapeva  se  avrebbe  invitato  i  Pari  del  Regno 
a  banchetto,  mise  all'asta  le  soverchie  migliaia  di 
bottiglie  che  ingombravano  i  sotterranei  de' suoi 
palazzi.  Più  tardi,  egli  deliberò  di  offrire  un  ban- 
chetto che  meglio  rispondesse  alle  tendenze  moder 
ne:    la  mensa  imbandita  da  Edoardo  VII  non  3 

i  i  nobili  personaggi  del  regno,  ma  i  cinquecen 
tornila  poveri  dei  sobborghi  londinesi. 

!    primi  re  d'Inghilterra  ciano  incoronati  a   Sti 
nys,  sulle  pietre  druidiche  che  parlano  anc  1 
oggi  delle  antichissime  leggende  e  che  il  mago  Mei 
avrebbe   per   incai  dall'Irlanda 

al  pian.,  di  Salisbury  in  omaggio  a  un  desiderio  di 
re  .\  1  va  il  tempo  di  traversare  Io 

stretto    p  r    tarsi  incoronare.    Altri    sovrani    angle 
ero  la  sarra  un/ione  nella  bellis 
ica  di  Winchester.  Guglielmo  il  » 
1   primo  'li  cui   si   ricordi  con  certezza 
he   fu  incoronalo  nella  abbazia   «li    Westmins 
ma  la  cerimonia  fu  turbata  da  un  tumulto,  perchè 

33 


51  I 


\    1.1    ITI   1<\ 


j^fi^XTK 

^11 

iWwillA     ^<s 

<X5^WJJ)te$&x!l% 

B Vi     il   k-LS 

k  II  M\wéiÌ&£Jéù 

wmm 

&33@ 

j^5?te''£v^S5ì4r^^cV 

^^fìM^L 

'-^^v%Tvl    «1 

^dttfl^^wl 

FW*V^\i 

>   jr0  yjy ^t~Vjr]^£*Kr9t£& 

itt           ^i-w~       V^J'  i 

*  ^m^'SìSSC  aJv  •*// 

^*»  lt<^ji  /Hb(^ i^ì^3 

^^^^r  t^-i*^ìf  •  i^W^ x*^T*  ^v     »J\      *    ! 

^vìfcj 

-■--^ 

-.•', 

tRROZZA    IM   11.   INCORONAZIONE. 


i  cavalieri  normanni  che  montavano  la  guardia  fuori 
del  tempio,  udite  le  acclamazioni  di  gioia  scoppiate 
all'interno  al  momento  del  rito  solenne,  credettero 
che  si  trattasse  di  una  ribellione,  irruppero  nella 
drale  e  massacrarono  gli  spettatori.  Un  mas- 
sacro più  sanguinoso  seguì  l'avvento  di  Riccardo  1 
(  ih  r  di  Leone:  gli  ebrei,  per  propiziarsi  il  nuovo 
re.   mossero   in    processione  all'abbazia   recando  co- 

ì 


stosi  doni:  ma  riconosciuti  dalla  folla,  che  era  al- 
lora accanitamente  antisemita,  vennero  inseguiti  e 
i:  i  -si  a  morte:  e  la  strage  giudaica  fu  compiuta  an- 
che in  altre  città  minori.  Enrico  VI,  salito  al  tri  no 
nel  1429,  non  aveva  che  nove  anni  quando  in  ] 
pi  se  vesti  episcopali  ricevette  la  corona  e  ass  • 
al  gargantuesco  bai  nell'aula  di   Santo  Sti 

f:mo.   Anche  Edoardo  VI  era  ancora  un  fanciullo 


Si 

HI 


ED  w  8 


jg  ^-v-r-iàr      ' 

1  -    4    v;    —  <:; 


ossi  BR    Aititi-. V 


L  INCORI  INAZH  >NE    DI    RE    EDi  iARDi  > 


5 1 5 


enne  quando  fu    intronizzato   con    la   massima 
pompa,    i   cui    preparativi    si   cominciarono   a    fare 
quando  il   padre  Enrici    Vili    il   Sanguinario  ago- 
nizzava nel  castello  di  Windsor.  11  precoce  monàr  à, 
che  muri  giovinetto  e  che  pur  riuscì  nei  brevi  anni 
di  regno  a  consolidare  la  Chiesa  anglicana,  era  an- 
che di  ingegno  così  precoce  che,  al  momento  di  ri- 
re  l'offerta  delle  tre  spade  rimali,   improvviso 
un  discorsetto  sulla  spada  spirituale  degno  del   più 
tile  teologo.    Per   l'incoronazione   di    Elisabetta, 
succedeva  alla  sorella  Maria  la  Cattolica,  non  si 
riusciva  a  trovare  un  prelato  che  volesse  funziona 
re.  perchè  alcuni  erano  in   prigione  e  gli  altri   non 
volevano  compromettersi.  Giacomo  I  Stuart  fu  l'ul- 
timo  sovrano   che   ricevette    1  unzione    in    piena    p 
gola,  denudato  fino  alla  cintura.  Carlo  I.  che  lasciò 
la  testa  sul  patibolo,  ebbe  la  cattiva  idea  di  farsi 
incoronare  in  un  giorno  nefasto,  e  di  indossare  una 
veste  di  broccato  bianco,   segno  di   malaugurio  in 
Inghilterra:    gli    indizi   avversi   si   accumularono   il 
no  della  festa,   poiché  il  colombo  dello  scelti' ■ 
perdette  un'ala,  i  tesori  furono  mal  collocati,  e  Lon- 
subì  perfino  una  scossa  di  terremoto.  Maria  di 
Modena,  moglie  di  Giacomo  II.  esiliata  in  un  mo- 
nastero francese,  faceva  strabiliare  le  religiose  co] 
racconto  degli  splendori  che  avevano  accompagnato 
;  i  nazione. 
Guglielmo  I  non  potè  dirsi  molto  fortunato,  per- 
chè al  momento  di  fare  la  sua  offerta  di  una  ver- 
gherà d'oro  si  accorse  che  un  suddito  lo  aveva  de- 
rubato della   borsa.   Giorgio   III,   giovane  e  avve- 
nente, perdette  durante  la  cerimonia  la  più  grossa 
perla  della  corona:  più  tardi  si  volle  dai  creduli  tro- 
varvi  un   segno   della   secessione  degli   Stati    Uniti 


d'America,  che   formavano   il  gioiello  dell'Imperi  : 

l'ultimo  degli  Stuart  assisteva  incognito  al  rito. 
Giorgio  I V  si  mostrò  talmente  meticolóso  nel'fare 
i  preparativi  per  la  complicata  cerifhonia,  che  volle 
persino  tare  una  prova  generale.  Al  banchetto,  ser- 
vito su  piatti  doro  e  sontuosissimo,  avvenne  un  inci- 
li i  iratteristico,  poiché  appena  che  il  re  se  in- 
alidii, i  convitati,  quasi  inni  Pari  del  regno,  si  pre- 
cipitarono sulle  tavole,  non  lasciandovi  più  nulla.' 
11  successi  io  Guglielmo  IV.  che  amava  il  quieto 
vivere,  avrebbe  volontieri  rinunciato  alla  cerimonia, 
ma  non  potè  sottrarvisi  :  in  ogni  modo  non  volle 
saperne  del  banchetto  e  della  sfida  del  campione, 
poiché  l'ultimo  campione  aveva  suscitato  le  risa  dei 
■  mmensali  scivolando  nella  sua  pesante  armatura 
sui  gradini  del  trono  e  spezzando  la  tazza  d'oro  in 
ini  il  re  avrebbe  dovuto  versargli  il  vino  del  ringra- 
ziamento. Ni-  la  tradizionale  costumanza  fu  ripresa 
alla  incoronazione  di  Vittoria,  la  quale  riuscì  splen- 
dida oltre  ogni  dire,  specialmente  per  l'aureola  di 
poesia  dolce  e  giovanile  che  circondava  il  biondo 
capo  della  reginetta. 

Sui  capelli  radi  e  brizzolati  di  Edoardo  VII  non 
brilla  una  grande  aureola:  ma  nella  coscienza  del 
sovrano  stesso  e  nella  coscienza  del  popolo,  le  pros- 
sime feste  debbono  celebrare  non  tanto  la  persona 
del  monarca  quanto  il  simbolo  dell'Imperò.  E  non 
sarà  uno  tra  i  minori  e  tra  i  meno  drammatici  ca- 
pricci del  destino,  se  l'apoteosi  della  potenza  bri- 
tannica coinciderà  con  l'inizio  di  un  decadimento, 
inevitabile  per  l'Inghilterra  come  per  tutte  le  altre 
nazioni  che  camminano  per  qualche  tempo  all'avan- 
guardia  della  civiltà. 

P.  Croci. 


w*r 


^^t%^f%ftg#f^ 


Il  monumento  al  principe  Amedeo 


di    DAVIDE    CALANDRA 


[ON  ric»rdo  altra  opera  della  scoltura  mo- 
be  mi  abbia  dato  l'intenso  e  dure- 
vole piacere  che  mi  diede  questa  del  Ca- 
landra   Essa  è  delle  nobi- 
lissime che  poiché  ebbi  r< 
conquistala     l'ammirazio- 
ne  di    primo   cxilpo    mui 
M'Ho    poi     di     li  att  ano    la 
a  pi  nsii  ri  ed  imma 
unii  i -li re  il  li m i  si iggi  tto, 
i-  parlano,  a  ripensarle,  il 
linguaggio  di  più  arti  ar- 
monizzate     insieme.     Tre 
di  l   basami  nto   re- 
impresse nella   au 
un  ria  come  quadri,  col  lo- 
ro fondi  1,0         Fon  li,  col- 
le luri.  ci  Jla  digradazii me 
prosp-  gure, 

tutta  l'opera,  nel  sui 

i  .  ha  un  ampio  volo 
I 
i   p  mia. 
1  i  un'arte 

'  Itre    i     pi'  ini     Ci  iilmi.     a 

geni  r.ili. 

di  atl  ributi  i    som    per  lo 

non  bene  padri 

un     l 

te,  smaniosi    di  fai 

~.    non   |  un    una 

i 

-   dalla   'li 

della  pai 

maria  di  ogni 


Davide  Cki  indra. 


singola   [arte,  e  al  barocchismo  e  alla  smania  di  i 
far  colpo  risponde  la  schietta  semplicità  del  conce- 
pimento.   Questo    vuol    dire    che    il    Calandra    è 
rimasi o   nei    termini    della 
sua  arte  e  che  l'ispirazio- 
ne vigorosa,  nulla 
lita   nel    corso   del    lun 
lavi  tri  •.  i   la  mano  esp 
seppero     raccogliere 
li  ro  prodi  .'tto  una  p 
za   di  espressione,  atta  a 
dentare  nella  mente  dello 
tutte  le  imma-i 
gini  e  tutte  le  armonie  ili 
cui   il   soggetti  i  i    rapace. 

Non   ostante  la  rompo- 
siziom      fastosa     (il 
scaturiva  di   ni 
gli     apparwhi     lielligerii, 
dei  tempi  andati),  non 
stante  la  mi  Ititudine  de! 
le  figure  ed  il  \ ario  m< 
in  i-ili  sono  aggrup] 

.    l'idea   del  ni" 
minienti,  è  semplicissin 
E'  l'idi  ,i  dell'eredi' 
logica,  i  ' 
i    rirono  in   ii 
ni   di    principi,    pi 

ci    i    la  ragii  ne  • 

a  mono  di  radon  nelle 
si  nisi  i  .'  simb  liche  .  all' 
'piali  con  un  po'  di  bui) 
na  vi  può  sempn 

far     dire     quello     i 
vuole,    e    dalle    quali    H 
e    sini  ilei    I  alan 

tradurre    in    <r 


gè    il     limpido 
•  Ira  .    f  idra     non 


IL    MONUMENTO   AL    PRINCIPE    AMEDEO 


DI 


/ 


spressione   plastica  .    ed    io    sono    persuaso    che   ehi 
l'avesse  prima  rivolta  in  niente  e  fosse  poi  andato 
ricercando  a  studio  i  modi  dell'espressione)  non  sa- 
rebbe riuscito  ne  a  compome  gli  elementi  in  sì  mira- 
bile armonia,  né  a  raccogliere  intorno  ad  essa  cosi 
unanime  l'intendimento  del  pubblico.  E  sono  pure 
persuaso  che  il  Calandra  vide  la  figura  de]  giovine 
principe  balzare  dalla  schiera  dei  gloriosi  antenati, 
innanzi  di  avvertire  il  contenuto  ideale  di  quella  im- 
..!    i  ne.    Me   ne  assicura   il   getto   spontaneo, 
la  gran  mole  di  bronzo  plasmato  sembra  uscita 
li  una  sola  colata,  e  l'impeto  onde  tutta  la  composi- 
e  sembra  travolta  ancora  nel  volo  delle  visioni 
astiche.  Le  operazioni  mentali  inconsapevoli  han- 
utte  una  grande  logica,  e  danno  frutto  di  grande 
lenza.  Qui  la  somma  difficoltà    consisteva  nello 
esprimere  il  legame  della  figliazione.  Rappresentati 
in   atto   fermo,   i   personaggi   del  basamento  avreb- 
bero parlato  ognuno  di  sé,   senza   annodarsi   in   se- 
mela   e    la    rappresentazione    simultanea    di    per- 
iggi  appartenenti   a  secoli   diversi   sarebbe  riu- 
a  ad  un  patente  anacronismo.  La  chiarezza  del 
etto    esce  tutta  dal  volo  fantastico  che  li  tra- 
volge, perchè  esso  induce  necessariamente  l'idea  di 


successione  e  di  continuità,  ed  in  questa  idea  li  col- 
lega e  li  unifica. 

Mi  perchè  una  tale  visione  sorgesse  nella  mente 
dell'artista  occorreva  che  il  principe  voluto  corri 

inorare  fosse   atto    a   suggerirla,    e  che   l'artista    ni 
pi  ssi  di  sse  per  lungo  e  sicuro  possesso  tutti  gli  eie 
nienti    già   collocati    in    qnell  ordini*   inconsapevole 
che  ne  chiarisce  la  ci  ncatenazione. 

Si  disse  che  il  magnifico  basamento  sarebbe  stato 
degno  piedestallo  ad  una  statua  di  Vittorio  Ema- 
nuele. L'osservazione  fa  senso,  ma  a  rifletterci  non 
persuade.  Vittorio  Emanuele  fu  un  iniziatore  ed 
un  fondatore.  Gli  giovò  esser  della  sua  stirpo,  ma 
le  --uè  gesta  nltrepassaw  l'espressione  della  stirpe. 
1  fatti  che  egli  compiè,  i  fatti  compiuti  nel  suo  rio 
me,  non  hanno  altro  esempio  nella  storia.  La  sua 
grandezza  procede  insieme  dalla  ragione  dinastica, 
i  dalla  popolare.  1  suoi  maggiori  lo  fecero  mei 
vole  di  compiere  le  sorti  di  una  nazione,  operarne 
con  lui  ad  un  fine  comune.  Egli  rappresenta  il  piti 
grande  momento  della  vita  di  un  popolo  ed  apre 
un'era  della  storia.  Perciò  la  sua  immagine  "ève 
stare  solitaria;  ogni  aggiunta  dichiarativa  le  sce- 
merebbe  grandezza   e  significato. 


5i8 


l  \    LETTURA 


Il  principe  Amedeo,  fu,  ni  poteva  essere  altri- 
menti,  un  continuatore.  l'n  continuatore  non  del 
sangue  soltanto,  ma  delle  precipue  virtù  ilei  suoi 
maggiori.  Queste  furono,  nei  secoli:  lo  sprezzo  dei 
oli,  l'ardore  guerresco,  lo  spirito  avventuroso, 
il  sentimento  della  maestà  regale,  la  j j i et à  muni- 
fica e  la  prontezza  al  sacrifizio.  Che  il  principe 
Amedeo  le  p<  mi  :    le  |  rodi  zze  di 

Custoza,   la  tragica  maestà  del   suo  primo  ingn 
ni  Barcelli  na,  quandi  ,  poche  ori    dopi    l'a  sassinio 
'lei  si  i auti  re,  egli  volle,  primo  atto  'li 

I"  glia,  e  las  datasi  dietn  hi 
ta 'fon'  r.-.  procedere  sodo  a  piedi  tra  la  folla  ignota 
i  sul  suo  passaggio,  la  giovanile  'inerita 
che  gli  fece  affrontare  più  volte  in  Madrid  i  a  Ipi 
n.inai-ciati.  la  sdegnosa  abdicazione  della  corona, 
la  fiera  uscita  ili  Spagna,  e,  tornato  in  patria,  la 
sua  munificenza  i   le  pr  luzioni  ili  una  pietà 

m  vi  de.    ll-ii  co  ilei   principato,   che 

in  Minino  grado,  lo  indicava  in  mi  do 
ad  una  rappres 
virtù    ereditarie:     la    sua    abdicazione     richiamava 
alla  mente  un  altro  atto  di  rinunzia  al  ti 
piuti    nel  per- 

nii narca  ostacolo  al 
men       el  volt    suggerh  ano  l'idea  agna- 
perchè  q  gliava  all'avo  Carlo  Alberto, 

•  ali,  per  quella 


perdurànza  di  caratteri  che  è  il  segno  delle   I 
razze,   richiamava  alla  mente  i   ritratti   di   Viti 
Amedeo    II.   ai  quali  ancora  somiglia  il   < 
Ti  rino. 

Fu  l'iti  na  si  rie  per  il  Calandra,  che  il  sui 

nista  m  n  gli  comandasse  speciali  atteggiam 
che  egli  non  di  vesse  raffigurarlo  in  uno  di  quei 
gì  li  .itti  di 'minatori  e  compendiatori,  che  non  i 
portano  il  sussidio    di 

gì  no  ad   esse  ogni    importanza.    E    fi  rse    i 
pure  il  n<  n  essi  rsi  egli  appartato  nella  sdì  e 

iti    sa    si  litudine   dell'arte,   e   l'aver  pai 
senza  pregiudizi  e  senza   vanità   alla  vita  pubi 
nei  modi  consenl  mi  i  alle  sue  attitudini.  Questa,  >^>- 
vetta  m     rargli  le  mutati    condizioni  poli- 

tiche e  sociali  e  fargli  ini .ravvedere  vivo  nella 
s:  ienza  dell'universale  un  nuovo  diritto  delle  e 
non  ancora  redatto  in  scritture,  né  o 

più  volte  e  fargli  avvertire 

la  trasformazione  i  miai  a  più  segni    avvenuta  delle 
monarchie  guerriere  in  pacifiche  e  civili. 

E'  certo  che  l'idea  di  compendiare    in  un 
d'arte  un  pei  me 

di   mi  -sim'ali  ra   ad   agitare  una   riunite  irmi. 

a,  perchè  un  grande  soffii    di   pa  dalle 

noi.  si  che  muovono  an 
molte   fibre   di  II'-  i".   ma   g; 

mi  ed  avviate  a   profondare  nel   cassato. 


i 


.>_'.» 


LA    LETTURA 


Tutti  pinchi  un  artista  ne  lo 

sape  rmo  che  un  artista  an 

clu   pari  d'ingegno  al  Calandra,  ma  d'altro  luog 
nti'  non   lo  avrebbe   pi  tut< 
b  intanici  una  sicui  enza  della  sto 

prò 
I .  sito  del   raonumi 

l'idea.  E  dato  pure  che  l'idi 
.1  priori,  uno  studici  del  poteva  ba 

rate  in  vista  'li  una 
ta  applicazione,  ondeggiano  nel  cervello,  come 
luli  pesi,  i  erbano  un  propri 

i    al  richiamo  di  un  ninni'  e  'li  pochi  I 
secoli    di   storia  all'artista    in 

m  i_  e  serrata,  bisognava  che  quella 

proprio  sangue  del 
la  |  non      [tanto  allo  stato  di  cogn 

nento. 
I  a  si  Piemonte,  è,  in  gran  parte,  la  storia 

dell'Alpi,  dalli    Mai      me  alle  Graie.  1  luoghi  tatti 
nidi    invece  di  stendi  rsi  in  pia- 
nura, visibili  solamente  ai  vicini,  si  ergono  alti  nel 

e  •ne  ili  tutti  gli  abitanti. 
1   protìli  netti  d'og  i  e  d'ogni   insenatura  le 

.  no   facilmente   riconoscibili.    Nessun   mag 
sus ììi  .    Li  vii  1 1:1  che  le  sue  applii  azioni 

luoghi.   Presenti  questi    presente  quella.   E 
ii   ■  o  ed  in  imagim  si  »,   perch 


li     fanLa  sia,   una   parie  della 
ni  issimo.    Questa   storia 
così    localizzata    il    bambino   l'impara   nelli    ; 
giate  a  diporto  prima   di   sapeila   leggere  nei 
e  la  ;  i  ui'ili   la  fìssa  e  la  ritiene  in  immagini 

di  straordinaria  vivezza  ■■  l'animo  partecipa  alle  su 
e  li     immedesima    con    emozione  pro- 
fonda. 

E  quando  più  tardi  la  ritrova  nei  libri,  la  ri 

sua  '     |uasi  la  tì\  ive,  così  che  la 
nuova  piì  i  evi  resta  soffusa  da  un 

alito  di  |" 

\el  monumento  di  Calandra,  si  ritrovano  li 
Mi  questa  spontanea  localizzazione  della  sioria. 
La   parete  elei   basamento,   dove  galoppano  i   primi 
Sabaudi,   reca   in  I   nui    i     |iiasi   sfumanti 

lievo,    i"  I    fondo,    il    profili Il  A Ipi    i  i  zìi     .  nde 

quelli  scesero  primamente  nella  valle  del  l'o.   I 
altre,  a  seconda  eli  iggi  che  vi  campeggiano 

e  della  somma  delli  loro  gesta  il  Mon  Viso,  ed  il 
Colle  di  Superga,  rammemorante  la  battaglia  di 
Torino 

M.i  l,i  nozioni    anche  pcetizzata  della  storia  non 
basta  alla  sua  rappres  figurativa.    \   que 

sta  deve  cono  rri  n    un  elemento  di  lunga  e  paz 
coltura,   voglio  din-   la   conoscenza   dell'armi,   dell. 
vesti,  di  tutti  i  contrassegni   visibili   d'ogni   sin. 
seo  ili  ».  Qui  pure,  li  ,i  i  jiiistate  'li  pr  .pi 


IL    MONI  MENTO    AL    PRINCIPE    AMEDEO 


D2  l 


per  subite  applicazioni  si  palesano  insufficienti.  Per- 
chè il  taglio  delle  vesti,  le  foggie  dell'armi  e  le  ac- 
conciature, prese  di  per  sé  stesse  danno  il  fantoccio 
n  la  persona  viva.  Ed  un  artista  che  applicasse 
ad  esse  i  modi  attuali  del  movere  e  dell'atteggiarsi, 
ne  otterrebbe  un  uomo  moderno  camuffato  all'an- 
tica, e  non  l'uomo  d'altri  tempi  nell'esercizio  agevole 
ed   in  naturato   delle   sue   membra.    Solamente   una 

E  ;  dimestichezza  colle  cose  antiche,  illuminata,  si 
de,  dal  sentimento  artistico,  può  fare  avvertire 
le  armonie  necessarie  tra  le  foggie  del  vestire  ed  il 
p  rtamento  e  gli  atti  della  persona.  Armonie  che  il 
Calandra,  nel  suo  monumento,  raccolse  ed  espresse 
in  copiosi  esempi  e  di  tempi  diversi,  con  una  giu- 

:za  maravigliosa.  della  quale  non  è  difficile  rico- 

scere  l'origine  nel  suo  ambiente  famigliare  e  nelle 
tradizioni  domestiche. 

Il  nonno  materno  del  Calandra  era  un  appassii 
nato  raccoglitore  di  quadri  e  stampe  antiche.  Il  pa- 
dre, avvocato  Claudio,  uomo  di  rara  coltura  storica, 
dimessa  la  toga,  si  applicò  agli  studi  idraulici  e 
geologici,  ai  quali  cercava  riposo  con  frequenti  e 
fortunate  escursioni  nel  campo  dell'archeologia. 
Insieme  coi  figli  Edoardo  e  Davide  'lo  scultore  di 
cui  discorriamo)  ebbe  la  sorte  di  disseppellire  la  ne- 
CB  poli  barbarica  di  Testona  presso  Moncalieri.  Vi 


rinvennero  300  scheletri  di  soldati,  e  gran  copia  di 
armi,  vasi  e  suppellettili  di  ferro  e  «li  bronzo  che  in- 
sieme classificarono  e  descrissero  in  una  sapiente 
monografia. 

La  casa  ove  crebbero  i  fratelli  Calandra  era  pie- 
na di  stampe,  d'armi  e  di  suppellettili  artistiche  su 
bai  pine  d'ogni  tempi  .  non  già  raccolte  ed  ostentale 
in  ossequio  alla  moda  antiquaria,  ma  tenute  care  a 
studio  di  foggie  e  ili  costumi,  ed  a  corredo  e  1 
mento  di  indagini  intorno  alle  vicende  paesane.  In 
tale  ambiente  impregnato  d'arte  e  di  storia,  quale 
maraviglia  che  le  giovani  menti  venissero  acqui- 
stando la  facoltà  di  afferrare  le  armonie  fra  le  cose 

inerti  e  le  azioni  cui  erano  destinate  e  di  rievocare 
in  pronta,  sicura  ed  animata  visione  gli  aspetti  dif- 
ferenti della  vita,  nel  corso  dei  secoli? 

A  prova  di  tale  influsso  domestico,  basti 
vare   l'affinità    che  corre   fra  l'opera   letteraria 
maggior  fratello  Edoardo    e  l'artistica  del  Davide. 

Dai  primi  racconti,  sulla  leggenda  della  Bell'Alda, 
alle  novelle  del  Vecchio  Piemonte,  all'ultimo  stu- 
pendo  romanzo:    La   Bufera,    l'opera   narrativa    di 

Edoardo   Calandra,    ci    dà    dell'animo   piemonti 
del  vestire,  dell  abitar.-,   del   convivere,   del  conver 
viri-,    dell'agire   piemontese    in    determinati   periodi 
della  storia,  una  Ci  sì    schii   ta  e  ferma  rappresenta- 


.>_•  1 


l    \    Il    l'I  I   RA 


altra  più   fedele  né 


i    ìtiva. 

!  i.iri    O  Odi 

«  nendo,    n  ben 

a  produrre  un  op<  r.i  eli  si  grande  <   i 
..   se  non   i  «imo 

i    sta.  Ma  d  può  ben  din .  che 

|uell«    I  i.  in 

il  tenace 

ratteri    ■   nico  anche  i  |uello. 

chi    durò  ai    aniti    il 
l      indra  abbia  mai  di  so  mimi 

h  vinse,  chi  virtù  del  non 

varli  l'ispirazione  gli  durò  fresca  ed  impi 

.1  fino  all'ultimo.  Le  difficoltà  dell'impresa  era 
no  mi  grand     Li  gare  le    gun   di  pieni  >  rilii 

to  e  basso  bbene  più 

1 1    in  n'ambiente  'li  sfi  ri 

-    i  l'aria  sti  rica  e  pit- 

torica  che  avviluppa  liniero  monumento,  e  non  in 

bé  respirano  i  riguardanti.   Armonizzare  i 

iggi    ra  li    '        i    del  vestire  e  le  armature   ip 

partenenti  a  tempi  lontani  talvolta  oltre  un  si 

l'uno  dall'altro.  Studiare  il  movimento  della  somma 


>!..iua  equestre  data  l'impossibilità  di  avere  un  mo- 
dello di  cavallo  in  tal  posa  nello  studio,  onde  la 
ssità  di  ridurre  l'occhio  a  mai  i  hina   fi 
ranci,   che   afferrati   gli   elementi    del 
movimento,    serbasse   ad   essi   tutto   il    lori 
dinamico,    anche    se    costretti    in    una    linea 
ci  1 1 1  j  >>  sta  quale  s'addice  ad  un'opera 
numentale.  Al  basamento  occupato  pi       ri  da 

un  fregio  a  ti  per  riuscire  espressivo  e  pit 

torico  richiedeva  un  vario  moto  di  linee  ed  un'i 
si    lica  •  \  idi  n/.i   .li   pam.  i  lari,  manti  nere  non 
in  realtà,  rha  a  criterio  estetico,  una  solidità  il 
struttivo  ed  una  linea  architettonica. 
Ma  dell'opera  ci  mpiuta  e  trionfante  chi   i 
pensa     le   difficoltà    superati       Le   difficoltà 

ngi  il    pregio  alle  opere  belle,  né  attenuai. . 
tetti  alle  mi  di.  •  ri.   ;.    ne  parlai  qui  solami 
segno  dell'animo  .!<  ed  a  promessa  à 

sime  vittorie.  E  dovetti  pei  rio  cercarle  a 

studio  e  domandarne  gli  esperti,  perchè  t'opera 
non  le  rivela,  tante  essa  sta  serena  ed  immemore 
nella  sua  bellezza. 

Giuseppe  Giacosa. 


l\  pALA  DELLE  "\$l„  flEL  CARTELLO  DI  MILANO 

decorata   da   Leonardo  da  Vinci  nel  1498 


lle  offese  ed  alle  perdite  continuamente 
inflitte  al  nostro  patrimonio  artistico,  sia 
per  la  distruzione  di  edifici  di  carattere 
monumentale,  sia  per  la 
emigrazione  di  opere 
d'arte,  si  contrappone  an- 
cora', per  fortuna,  il  rin- 
venimento di  opere  da 
tempo  perdute,  nascoste, 
od  ignorate,  le  quali  at- 
testano sempre  più  come 
questa  nostra  terra  sia 
stata  veramente  la  patria 
dell'arte.  Gli  scavi  che  ri- 
mettono in  luce  i  cimeli 
di  lontane  generazioni  rie- 
vocanti le  passate  civiltà, 
e  le  opere  di  restauro  com- 
piute in  vecchi  edifici,  per 
cui  riappaiono  traccie  di 
decorazioni  di  epoche  me- 
no remote,  ma  pure  inte- 
ressanti per  la  storia  del- 
l' arte ,  costituiscono  le 
fonti  principali  per  questi 
ritrovamenti,  il  cui  an- 
nuncio viene  di  tratto  in 
tratto  a  rompere  la  mo- 
notona tristezza  del  rim- 
pianto per  la  perdita  di 
memorie  storiche,  demo- 
lite talvolta  per  pubblica 
necessità ,  troppo  spesso 
per  colpevole  indifferenza, 
o  di  quadri  e  statue  ven- 
duti per  laute  offerte,  ed 
emigranti  all'estero. 

Particolarmente  gradito  riesce  quindi  l'annuncio 
di    un    ritrovamento    di    eccezionale    importanza, 


Leonardo 
Autoritratto  —  R.  B 


quale   è    quello   di    un'  opera   affatto    ignorata   di 
Leonardo  da  Vinci,  offertasi    in    questi    giorni  al- 
l'ammirazione del  pubblico,  in  una  delle  Sale  del 
Castello  Sforzesco  di  Mi- 


Non  è  ancor  dileguato 
il  ricordo  delle  dispute 
che  or  sono  vent'anni  sol- 
levò la  tesi  della  conser- 
vazione del  Castello,  le 
cui  apparenti  condizioni 
di  vecchia  caserma,  già  da 
tre  secoli  asilo  dell'alter- 
nata dominazione  di  spa- 
gnuoli,  di  austriaci  e  di 
francesi,  sembravano  giu- 
stificare in  certo  modo  il 
proposito  di  radere  al 
suolo  il  deforme  edificio, 
rievocante  solo  tristi  me- 
morie: così,  sull'area  stes- 
sa della  Torre  contenente 
la  Sala  oggi  ritornata  al 
pristino  suo  splendore  col- 
l' opera  ignorata  di  Leo- 
nardo ,  erano ,  non  sono 
ancora  vent'anni,  proget- 
tate case  di  affitto,  come 
su  quasi  tutto  il  resto  del 
vecchio  castello-caserma. 
Per  fortuna,  nel  1884  si 
riusciva  a  scongiurare  la 
minacciata  approvazione 
di  un  progetto  di  nuovi 
quartieri,  proposto  dalla  stessa  Amministrazione 
municipale  Belinzaghi,  la  quale,  tanto  per  calmare 


DA  Vinci. 
iblioteca  di  Torino. 


.<j  |  LA   LETTURA 

le  apprei  li  studiosi,  si  i  a  vo- 

ler  distra  ilo  la  metà  del  Castello  ;  colla  suc- 

cessiva Amministrazione  Negri,  la  integrità  del    i  an- 

ilo  venne  a^--i.  urata,  ma 
Ha  disp<  isizione  di  grandi  spaz!  li 
:  ,  destina'.!  a  giardini >.  li  ris  atto  del  i 


inalila  molto  remota,  se  non  .una  utopia, 
l'architetto  Beltrami,  pubblicando  la   «  Storia  del 
Castello  sotto  il  dominio  degli  Sforza  »,  non 

ilo  vari  documenti  accennanti  all'intervento  di 
Leonardo  da  Vinci    nella    decorazione    di  alcune 

•ni  procurò  di  identificare  quali  fossero  que- 


Par  rn  OLAB  I 


DELLA    DECORAZIONE    DELLA    VÒLTA,    SELLA    S\l   \    DELLE    <    Assi-:    » 
RIPRISTINATA    D  i    >    Ki  s,    \. 


stello  non  avvenne  però  che  nel  180,  ,  di  I  quale  anno 
l'autorità  militare  ebbe  a  sgombrare  l'edificio,  ed 
il  Comune  poti  avviarne  il  restauro  si  (mulo  i  ri- 
lievi e  gli  studi  che,  sino  dall'anno  [884,  erano 
stati  eseguiti  e  pubblicali  dall'architetto  Luca  Bel- 
trami, coadiuvato  dall'architetto  Gaetano  Moretti. 
I-u  in  occasione  di  quegli  studi,    eseguiti   qui 

Castello  appariva  ancora  come  una 


ste  sale  nel  vasto  Ubbricato  di  caserma.  In  p.n- 
ticolar  modo  interessava  di  identificare  una  Sala 
—  detta  delle  Asse  in  1  ausa  del  rivestimento  in  legno 
applicato  alle  pareti  —  nella  quale  si  doveva  ritenere 
1  he  Leonardo  avesse  lavorati  'dall'aprili  al 
dell'aiue  1  1  198;  varie  erano  le  sale  <  he  avevani  1  : 
\  ut  1,  volta  per  volta,  e  per  la  stessa  ragione,  il  titolo 
di  Sai  e  0  I  .micia  delle     Isse :  come  di  altri  m 


LA    SALA    DELLE     »    \SSK   »    NEL    l    OSTELLO    DI    MILANO 


525 


derivanti  dalla  decorazione  delle  pareti  —  Sala 
dilli  Scarlioni,  eielle  Colombine,  dei  Ducali,  Sala 
rossa,  ecc.  —si  presentavano  applicazioni  non  limi- 
tate ad  un  solo  caso,  per  modo  da  rendere  difficile 
riscontrarne  il  riferimento  ai  documenti.  Pure  riu- 
scì all'architetto  Beltrami,  col  sussidio  anche  delle 
indagini  di  fatto  che  si  poterono  compiere,  di  accer- 
tare quale  fosse  la  Sala  detta  delle  Asse,  cui  si  ri- 
feriva una  lettera  indirizzata  a  Lodovico  il  Mori  >.  in 
data  21  aprile  1408,  da  certo  Gualtiero  famigliare 
del  Duca,  per  annunciare   come   due  giorni  dopo 


metà  del  1803,  trovandosi  a  Milano  il  dott.  Paul 
Miiller-Walde —  che  a  quell'epoca  si  era  accinto  ad 
una  biografia  di  Leonardo,  e  già  aveva  avviato 
delle  indagini  relative  ad  una  Saletta  negra  da  que- 
sto artista  dipinta  —  si  approfittò  della  identifica- 
zione già  stabilita  della  Sala  delle  Asse  per  esten- 
dere a  questa  il  paziente  lavoro  di  ricercare,  sotto 
i  ripetuti  imbianchi,  le  traccie  dell'originaria  deco- 
razione. Le  indagini  ebbero  un  risultato  insperato; 
giacché,  sebbene  con  gravi  lacune  e  non  lieve  de- 
perimento,   riapparve    la    disposizione    di    grandi 


Trac 


II.    DELLA    DECORAZ1 


IRIGIN'ARIA,    RILEVATE    HAI.    PITTORE    Rl'Si 


si  sarebbero  levate  le  armature  da  quella  Sala,  e 
come  Leonardo  si  fosse  impegnato  di  compiere  il 
suo  lavoro  di  pittore  per  il  mese  di  settembre. 


Con  ciò  era  compiuto  il  primo  passo  sulla  via 
di  rintracciare  l'opera  del  grande  artista,  benché 
nessun  altro  indizio  accertasse  che  l'opera  fosse 
stata  realmente  compiuta  nei  pochi  mesi,  non  cer- 
tamente propizi,  che  trascorsero  da  quella  data 
alla  catastrofe  di  Lodovico  il  Moro  :  anche  le  nu- 
merose occupazioni  di  Leonardo  a  queir  epi 
potevano  indurre  a  credere  che  l'opera  fosse  ri- 
masta incompiuta,  od  ineseguita.  Ma  nella  seconda 


tronchi  d'albero  che,  innalzandosi  a  partire  uanu 
linea  di  orizzonte  altre  volte  costituita  dal  rivesti- 
mento in  legno  alle  pareti,  cominciano  a  ramifi- 
carsi ed  intrecciarsi  in  corrispondenza  delle  lunette 
su  cui  si  imposta  la  grande  vòlta,  intreccio  che  con- 
tinua nei  rami  minori  e  nelle  fronde ,  e  si  com- 
plica sempre  più  con  nodi  di  corde  d'  oro,  che  si 
avviluppano  all'esuberante  vegetazione.  Assieme  a 
queste  traccie,  che  già  fornivano  la  sicurezza  di 
potere  ancora  ricostituire  tutto  lo  scheletro  della 
geniale  composizione,  venne  in  luce,  nel  mezzo  ili 
uno  dei  lati  della  vòlta,  una  targa  conti  rienfe 
iscrizione  ricordante  l'abboccamento  di  Lodovico 
il  Moro  e  Beatrice  con  Massimiliano  imperatore, 
per  indurre  questi  a  fronteggiare  la  conquista  d'I- 


520 


LA    Mini' 


Particolare  della  decorazione. 

talia,.  intrapresa  da  Carlo  Vili;    il  quale 
abboccamento  sappiamo  che   avvenne  a 
Mais,  nella  seconda  metà  del  1496.  Per- 
ciò  la   iscrizione   veniva    opportuna    a 
stabilire    coma    la    decorazione    della 
volta,  di  cui  si  ritrovavano  le  traccie, 
dovesse  ritenersi  posteriore  a  tale  epo 
ca,   e  quindi  eseguita  di  certo  fra  i 
1497  e  il   14110,  anno  della    caduta 
di  Lodovico  il  Moro.    Non  si   po- 
teva quindi  avere  dei  termini  più 
sicuri  ed   avvicinati  per   racchiu- 
dere l'epoca  della  citata  lettera 
di  Gualtiero.  Già  si  poteva  per- 
tanto,   fin  dal   1893,  associare 
il  nume  di  Leonardo  alle  trac- 
cie che  erano  apparse  in  se- 
guito  a  quelle  prime  indagi- 
ni :  pure,  per  il  rispetto  stes- 
so che  il  nome  del  grande 
artista  inspirava,  l 'attribu- 
zione    definitiva,    affer- 
mata   in    modo    reciso, 
era   da   rimandarsi  al- 
l'epoca   in    cui    fosse 
sibile  di  com- 
pletare  le    indagini  e 
di  ricomporre  integral- 
mente la  geniale  deco- 
razione. Altri  otto  an- 
ni dovettero  trascorrere 


In  I  RBCC 
PKB    1. 


prima  e  In:    questa     n[i|»  >t  tutiità     si  ..Ulisse;    e    du- 

rante  tale  lasso  di  tempo,  impiegato  special- 
mente al  restauro  della  testante  parte  della  ( 
Ducale  pei  ordinarvi  i  vari  musei  d'arte  del  Co- 
mune, venne  ad  aggiungersi  il  rinvenimento  del 
testo  delle  isi  lizioni  che  si  dovevano  trovare 
nelle  targhe  degli  altri  tre  lati  della  volta,  iscri- 
zioni che  il  Beltrami potè  fortunatamente  ritrovare 
trascritte  dal  Marin  Sanuto  nei  primi  anni  del  se- 
colo XVI  e  contenute  nei  celebri  Pian  conser- 
vati a  Venezia.  Di  queste  iscrizioni,  due  ricordano 
altri  avvenimenti  storili  importanti  per  I  od.  vico 
il  Moro,  e  cioè  la  concessione  del  titolo  di  1  Hica 
per  parte  di  Massimiliano  nel  1495,  ed  il  matri- 
monio di  Bianca  Maria,  figlia  di  Galeazzo  M. 
Sforza,  collo  stesso  imperatore  Massimiliano,  nel 
1  403.  La  quarta  iscrizione,  che  il  Sanuto  trascrisse, 
ricorda  invece  la  fuga  di  Lodovico  il  Moro  nel 
settembre  1499,  dopo  la  presa  di  Alessandria  per 
parte  dei  francesi,  e  la  conquista  del  Ducato  di 
Milano  compiuta  da  Luigi  XII  ;  per  cui  risulta 
come  questa  iscrizione  ebbe  a  sostituire,  dopo  il 
1400,  una  delle  iscrizioni  originarie,  per  affermare 
nella  sala  principale  dell'appartamento  ducale  il 
nuovo  dominio. 


Nel  marzo  del  1901,  avendo  l'egregio  avvocato 
Pietro   Volpi     esternato    il    desiderio  di  compiere 
nel  Castello  Sforzesco  qualche  opera  che  avesse  a 
ricordare  la  memoria  della  compianta  sua  consorte 
Alessandrina  Volpi- Bnssani,  ed  essendo  stata 
da  lui  accolta  l'idea  di  ripristinare  la  deco- 
razione   della   vòlta   e    delle   pareti    nella 
Sala  delle  Asse,   si  potè  riprendere   l'o- 
pera del  restauro  di  questa  sala,  già  da 
vari     anni    sospesa:    l'architetto    Gae- 
tano Moretti,  quale  Direttore  dell'Uf- 
ficio   Regionale    dei    monumenti    di 
Lombardia,  in  unione  all'architetto 
Beltrami,    deliberava    tosto  la   for- 
mazione  dei  ponti  di  servizio  oc- 
correnti ,  e    fissava   la  scelta  dei- 
artista  cui  affidare  il  compito, 
nella  persona  del  giovane  pit- 
tore   Ernesto    Rusca,  che   già 
ebbe  a  distinguersi  in  opere 
di    decorazione    medioevale 
e  del  rinascimento,  sia  nel 
Castello    di    Milano ,    sia 
alla   Chiesa   dì  S.  Maria 
della  Pace,  a    S.    Maria 
delle   Grazie,    ed    alla 
casa  Borromeo.    Cosi 
nell'aprile    del     1 
si   potè   riprendere    il 
lavoro  di  ripulimento 
di  tutta  la  superficie 
della  vòlta,  rilevando 
metodicamente    tutte 

10  idea a  Leonardo  le  traccie  dell' origi- 

Accademia  ni  Milano.  naria  decorazione.  Di 


LA    SALA    DELLE    «   ASSE   »    NEL    CASTELLO    DI    MILANO 


un'altra  delle  quattro  iscrizioni  si  potè  ancora  ritro- 
vare buona  parte  del  testo,  mentre  delle  altre  due 
si  rinvennero  solo  pochi  frammenti  di  parole.  Circa 
un  anno  durò  l'operazione  paziente  del  ripristino, 
e  alla  fine  dello  scorso  marzo,  levati  i  ponti  di 
servizio,  si  potè  finalmente  giudicare  dell'effetto  di 
assieme,  ed  apprezzare  ad  un  tempo  la  genialità 
della  composizione  di  Leonardo,  e  la  difficoltà  ed 
il  buon  esito  della  operazione  compiuta. 

Nell'attesa  di  decidere  sulla   sistemazione   defi- 
nitiva della  zona  inferiore    delle    pareti,    a  norma 


e  ricchezza,  malgrado  le  gravi  jatture 
tratta  di  una  decorazione  che  Leonardo 
pose,  diresse,  mentre  attendeva   ancora 


La  Tur  re  nord,  contenente  la  Sala  delle  «  Asse. 


della  destinazione  cui  si  vorrà  assegnare  alla  sala, 
vennero  ricoperte  le  pareti  con  tela  grigia  sino  al- 
l'altezza cui  arrivava  1'  originario  rivestimento  in 
io,  per  modo  da  concentrare  l'attenzione  sulla 
parte  superiore,  occupata  dalla  creazione  di  Leo- 
nardo. La  sala  potè  quindi  essere  consegnata  dal- 
l'architetto G.  Moretti  al  Sindaco  di  Milano,  a 
nome  dell'avv.  Pietro  Volpi,  il  giorno  io  di  mag- 
gio, ed  essere  tosto  aperta  al  pubblico.  Per  la  cir- 
costanza, l'architetto  Luca  Beltrami  pubblicò  una 
monografia  della  Sala,  riccamente  illustrata,  dalla 
quale  togliamo  appunto  le  incisioni  che  si  accom- 
pagnano a  queste  pagine. 

Un  nuovo  lavoro  di  Leonardo,  un  lavoro  di  cui 
non  si  aveva  alcun  ricordo,  od  indizio,  è  venuto 
pertanto  ad  aggiungersi  all'opera  di  questo  straor- 
dinario ingegno,  cosi  meravigliosa  nella  sua  varietà 


subite  :  si 
ideò,  corn- 
ai    Cfiia- 


I'n  angolo  della  sala  delle  «  Asse. 


colo  nel  Refettorio  di  S.  Maria  delle  Grazie,  alla 
colossale  statua  equestre  di  Francesco  Sforza,  ed 
agli  altri  numerosi  studi  di  idraulica,  di  mecca- 
nica, ecc.  La  città  che  conserva  religiosamente  le 
vestigia  del  Cenacolo,  deve  oggi  gloriarsi  di  potere 
aggiungere  a  questa  reliquia,  un'altra  e  vasta  prova 
della  versatilità  di  quella  mente,  un'altra  attrattiva 


Ti 


Codice  Atlantico  —  Schizzi  di  Leonardo. 


per  gli  studiosi  che  da  ogni  parte  del  mondo  con- 
vengono a  Milano,  attratti  dal  fascino  esercitato 
dal  genio  di  Leonardo.    Più    di   ventimila,    nella 


:>_•> 


LA    I.l  TT1  RA 


maggioi  parte  stranieri,  •'•mei  i  visitatori  ilie  an- 
nualmente traggono  in  devoto  pellegrinaggio  al 
Refettorio  delle  «irazie:  e  nun    minore  sarà  d'ora 


—  Schizzi  di  Leonardo. 

innanzi  la  schiera  di  coloro    che    alla  Sala   delle 
Issc  chiederanno  una  suggestiva  impressione  del 
grande  artista. 


Pensando  alle  circostanze  che  hanno  condotto 
al  ritrovamento  di  questa  concezione  d'  arte,  non 
si  può  a  meno  di  meditare  sulla  inopportunità  di 
quel  disdegno,  che  troppo  facilmente  colpisce  co- 
i  quali  invocano  il  rispetto  per  le  memorie 
del  passato,  anche  se  queste  non  offrano  ai  profani 
alcun  indizio  di  attrattiva,  od  interesse.  Bastò  un 
foglietto  di  appunti  in  apparenza  insignificanti , 
scritto  or  sono  più  di  quattro  secoli,  e  ritrovati)  fra 


le  carte  dell'Archivio  di  Stato,  per  mettere  sulle 
ie  di  un'opera,  che  già  doveva  reputarsi  in- 
signe per  il  semplice  nome  dell'artista.  Se  il  pa- 
ziente studio  dei  vecchi  documenti,  ed  un 
sentimcnt.  i  di  spontanea  opposizione  al 
proposito  di  demolire  un  edifìcio  dalla  vol- 
gare apparenza,  non  si  fissero  affermati  in 
tempo,  le  poche  traccie  che  ancora  rimane- 
vano nascoste  sotto  i  ripetuti  imbianchi  di 
una  sala  ridotta  ad  infermeria  di  cavalli,  sa- 
rebbero andate  travolte  inconsciamente  a 
totale  rovina,  e  perduto  per  sempre  sarebbe 
ogni  ricordo  di  un'opera,  che  oggi  comji 
pleta  la  mirabile  figura  di  Leonardo. 

Valga  l'.esempio  a  rendere  più  ascoltata 

e  rispettata  la  voce  di  coloro  che,  animati 

dal  vivo  amore  per  le  memorie  del  passato, 

si  trovano  troppo  spesso  a   dovere   insorgere   per 


CODI!  i-  Ah  INTICO  —  Schizzi  di   LEONARDO. 

combattere  aspramente  le  tendenze  vandaliche  ai- 
fermate  nella  foga  di  momentanei  opportunismi. 

P. 


M  KK  KCÌ  I  x    DELL  \    VÓI.  I  \. 


Una  fattoria. 


LA    MARTINICA 


f.\  catastrofe  della  Martinica  è  uno  di  quei 
cataclismi  tellurici  così  imponenti  nella 
loro  tragica  furia  devastatrice  che  ogni 
parola  atta  a  definirli  vien  meno.  Invano  si  tenta, 
ha  detto  sir  Charles  Lvell,  di  compendiare  in  un 
aggettivo  la  mostruosa,  titanica  potenza  delle  torze 
naturali.  Queste  parlano  un  linguaggio  che  l'uomo 
non  sempre  penetra  e  quante  volte  egli  si  trova 
piombato  improvvisamente  nel  lutto  di  un  disastro 
immane,  alla  tristezza  lagrimevole  delle  rovine 
viene  ad  aggiungersi  una  umiliazione  dolorosa  pel 
luo  orgoglio  e  per  la  sua  dignità,  l'umiliazione  che 
provava  il  geologo  Van  Sandik  l'indomani  del  ter- 
remoto di  Batavia  (i  settembre  1880).  Egli  aveva 
visto  le  pareti  della  sua  camera  oscillare  ripetuta- 
mente, mentre  i  mobili  danzavano  in  pezzi  sul 
pavimento  ed  egli  stesso  veniva  sbalestrato  violen- 
temente a  terra.  Che  l' uomo  è  piccolo  allora, 
esi  lama  lo  scienziato,  e  come  dimentica  volontieri 
'li  1  hiamarsi  il  dominatore  del  mondo! 

Alcune  scosse  leggiere,  dei  boati,  poi  un  vulcano 
che  erutta  fuoco  e  lava,  che  sprigiona  dei  gas  pe- 
stiteri  e  la  cenere  ardente  ricoprirà  in  breve  volger 
di  tempo  un'immensa  distesa  di  campi  e  una  città 
intera.  Saint-Pierre,  il  giorno  innanzi  ancora  centro 
del  commercio  delle  Antille  francesi,  passa  brusca- 
mente dal  silenzio  della  sua  notte  tropicale  all'inin- 

La  Lettura. 


terrotta  pace  del  sepolcro  che  chiude  tutt'  intorno 
uno  spaventoso  cerchio  di  fuoco.  Dentro  giacciono 
a  schiere  i  morti  abbruciacchiati  e  tumefatti.  Sono 
trentamila,  si  dice,  forse  quarantamila,  forse  più 
ancora.  Nessuno  saprà  mai  il  numero  esatto  delle 
vittime.  E  che  importa  questo  particolare?  Non 
sono  mille  uomini  di  più  o  di  meno  che  possano 
accrescere  l'orrore  della  catastrofe  quanto  questa 
già  oltrepassa  i  confini  della  spaurita  fantasia,  get- 
tando la  Francia  nella  desolazione  e  commovendo 
l'intero  mondo  civile  che  si  associa  al  suo   lutto. 

Questa  solidarietà  nel  dolore,  queste  voci  di 
simpatia  che  giungono  dai  Parlamenti,  dalle  As- 
semblee comunali  e  dai  Sovrani,  l'aprirsi  sollecito 
di  sottoscrizioni  quasi  in  ogni  città  per  opera  dei 
giornali  e  delle  Camere  di  Commercio,  non  sono 
certamente  un  fatto  nuovo.  Ma  la  stampa  parigina 
ha  ragione  d'osservare  che  mai  come  oggi  i  popoli 
parvero  avvertire  il  legame  che  tutti  li  unisce  al 
di  sopra  dei  confini  politici,  al  di  fuori  delle  ra- 
gioni antiche  e  recenti  di  conflitto.  Gli  uomini  in- 
cominciano a  conoscersi  meglio  e  conoscendosi  si 
stimano  e  s'amano  un  po'di  più.  Non  è  ancora  l'af- 
fratellamento ideale  del  Tolstoi,  ma  un  primo  passo 
verso  quella  meta  lontana  e  le  povere  famiglie  che 
riceveranno  alla  Martinica  i  sussidi  provenii  nii 
dalla  generosità  internazionale  si   maraviglieranno 

34 


53o 


LA    LETTI  RA 


tusiasmo    in  favore  della  propi  ia 
isola  onsiderate  6n  qui  1 1  imi 

nemiche  i    nella  migliore  ipotesi   come   comp 
mente  in  tn  passato  i  io  non  era  mai  av- 

venuto.  La  stessa  metropoli,  pei  quanto 

inavano  lo  squali  >re  e 
la  morte  lungo  le  spiagge  dell'isola,  non  s'eramai 
i  orni  ai  >ti,  cicloni,  eruzioni  vulcaniche 

si  si.  lo    e   si  alternavano    precipitando 

questa  or  quella  parte  della  Martinica  da  un  male 
in  un  male  peggiore.  La  metropoli    continuai 

lacere. 

Oggi  tutto  è  mutato.  La  distruzione  inattesa  di 
Saint-Pierre  strapp  era  commisera- 

zione anche  a  proposito  delle  pa  lamità  ed 

è  davvero  una  patina  straziante  di  storia  quella 
che  il  Sidne) -Pan'  nella    sua    vasta  e 

ra  alle  rivoluzioni  telluriche  della  Mar- 
tinica 

Il  D'Esnambue  aveva  appena  fondato  i  primi 
i  limoliti  importanti,  tra  gli  altri  quello  i  hi  più 
tardi  sviluppandosi  rapidamente  doveva  diventare 
l'odierna  Saint-Pierre,  e  yià  si  scatenava  nel  i ' > s 7 
•  il  più  violento  terremoto  che  l'isola  avesse  mai 
conosciuto  dal  giorno  in  cui  vi  avevano  messo 
piede  gli  europei  ».  Le  case  furono  orribilmente 
scosse,  molte  diroccarono,  mentre  gli  aiutanti  pazzi 
di  terrore    invocavano    la   clemenza  del   cielo.  Le 


(i)  Sydney-Daney.  Histoire  </<■  la  Martinique  deputi  la 
onjusqu'en  1815,    —   Fort-Royal.   —    1^40.   Sei 
imi. 


navi  ancorate  nel  porto  subirono    a    loro   voli 
violenza  del  mare.  L'acqua  si  ritirava  aduni 
pei   riprecipitarsi  contro  la  spiaggia  sulla  quale  ca- 
devano sfondate  le  grosse    navi   al    pari    dei  li 
più   II 

Nel    17J|    la    Martinica    soffre    in    causa  di  una 
li    ini  mdazione,  nel  1717  ritorna  il  ti 
nove  anni    più   tardi   l'isola   risente   il  dpi 

del  famoso  terremoto  di  Lisbona,  subisce  le  ol 
di  due  cicloni  d'una    violenza    estrema    e    iimanz 
si  chiuda  l'anno    ritorna   ad    avvertire    nuovi 
si  osse  di  terremoto. 

Durante    la    notte    del    13-1.1  agosto  1 761  >  ecco 
■  riarsi  in  mezzo  alla  oscurità  più  completa  un 
lisma  spaventoso.    I  muri  crollano,    scrivi 
stualmente  il  Sidm  ;erte 

e  rovesciate,  tutti  gli  ali  ieri,  tutte  le  piante  ven- 
gono sradicati  dalla  forza  del  vento.  Tremò  la 
terra,  fiamme  vive  escono  dal  suo  seno  e  la  popo- 
zione  strappata  improvvisamente  al  sonno  crede 
giunti  l'ultima  sua  ora.  Sul  mare  vanno  perduti 
ottanta  bastimenti  tra  grandi  e  piccoli,  pare<  • 
centinaia  di  persone  sono  uccise  e  altre  centinaia 
ferite. 

Né  l'elenco  della  morte  finisce    qui.    Nel   [776, 
1770.   1780  sono  nuovi  terremoti  e  un  ciclone 
uccide  1000  persone  a  Saint-Pierre.  Poi  un  incen- 
dio, terremoti    successivi    e    successivi  cicloni  dal 

8  al   [813    e   specialmente    dal     1823  al    1 
Ina  scossa  più  minacciosa  è  avvertita  nel  1838  e 
una  seconda  l'n    novembre    [839    che   distri 
quasi  completamente  Fort-Royal,  la  città  capitale 


Saint-Pi  kr  re. 


LA    MARTINICA 


53] 


l.'.N     Al  i 


della  Martinica,  riedificata  in  seguito  con  strade 
più  dritte  e  chiamata  col  nome  che  correva  ancor 
oggi  di  Fort-de-France  dopo  la  proclamazione 
della  Repubblica. 

All'indomani  di  una  così  grande   calamità  pub- 
Mi  a,  gli  abitanti  dell'isola  erano  in  diritto  di  spe- 
rare un  po'  di  calma.  Il  Pjrdou,   un    altro  storico 
della  Martinica  che  merita   sopra   tutti  In  lode  di 
ttore  esatto  e  fedele,  aggiunge  che  quella  spe- 
ranza era  imposta  dalla  più  crudele   necessità.  Le 
lizioni  economiche   della   Martinica    erano  al- 
tuU'alti'j  che  liete.   I  coloni  mancavano  di  ri- 
se e  ad   aggravare    il    male   concorreva    l'  osti- 
'     sempre  pronta  a  degenerare    in    rivolta    degli 
iavi  verso  i  padroni.  La  schiavitù   abolita  man 
mano  nelle  colonie  inglesi  delle  Antille  s'era  an- 
invece  inacerbendo    alla  Martinica.    I  negri, 
iscevano  le  insurrezioni  vittoriose  dei  loro 
fratelli  di  razza  in  altre  isole    dell'Atlantico  e  ar- 
mo dal  desiderio  di  vendicare  in  casa  pn  pria 
-  inguinosa  repressione  del  1822,  apparivano  agli 
hi  dei  bianchi  come  un  nemico  terribile,  pronto 
arsi  in  armi  appena    si    rallentasse  il    regimi 
iu'ore,  anzi, del  terrore,  instaurato  dopo  la  si  0- 
ta  della  congiura  ordita  nel  '24  dal  negro   B    - 
*ette.  per  cacciare  tutti    i    bianchi    dall'isola.    Ma 
i  coloni  maltrattavano    i    negri,    più    cresceva 
irritazione  degli  schiavi.    Questi   erano    novanta- 


mila  contro  poco  più  di  diecimila  bianchi  e  al- 
trettanti mulatti.  Troppo  impali  appariva  dunque 
il  numero  perchè  i  coloni  potessero  sostenere  più 
a  lungo  una  lotta  non  soltanto  difficile,  ma  rinvi- 
gorita e  giustificata  per  ciò  che  concerneva  i  negri 
dalla  crescente  avversione  della  metropoli  contro 
la  schiavitù.  La  rivoluzione  del  1848  giunse  in 
tempo  per  evitare  una  nuova  rivolta.  L'Assemblea 
nazionale  proclamava  su  proposta  dello  Schoelcher 
l'abolizione  della  schiavitù  e  il  27  aprile  gli  abitanti 
della  Martinica  si  riconciliavano  tutti  —negri,  mu- 
latti e  bianchi  —  nel  n  me  e  in  una  festa  solenne 
della  libertà.  Schoelcher,  il  figlio  modesto  di  un 
bottegaio  parigino,  che  aveva  1  ila  eausa 

generosa  dell'abolizione  della  schiavitù  tutta  l'o- 
pera sua.  sostenendo  pugnaci  battaglie  nella  slam- 
ila, moltiplicando  i  libri  e  gli  opuscoli,  diventava 
l'eroi  0  della  Martinica,  il  padre  spirituale 

dei al  a  sua   morte  gli  no   'ina- 

nimi   '  1  tiore   'li   un   monumento.    La   statua  in  n 

ino  dello  Schoelcher  avrebbe  dovuto  sorgere  pi 
una  decina  d'anni  ni  Ila      wane  di  Fo 
la  p  1  favorita  della  capitale,  dovi 

già    il    monumento    dell'imperatrice    Giuseppina. 
Meno    fortunato    che    la    moglie    di    Napoleoi 
Schoelcher  as]  ora  il  giorno  della  sua  apo- 

teosi. La  giustizia  degli  uomini   si   vale  spesso 
false  bilancie.  Essa  manda  innanzi  la  glorificazione 


532 


LA    l.l    l  l  1  R  \ 


dell'astuta  donna  i  I  casi  feo  n  a  cere  alla 
Martinica,  a  quella  dell'uomo  politico  cui  l'isola 
deve  la  buona  parte  della  sua  prosperità  odierna 
e  il  successo  di  una  croi  iata  umanitaria  clic  (inora 
altamente  la  seconda  Repubblica. 

Bisogna  leggere  qualcuna  delle  molte  pubblica- 
zioni  dello  Schoelcher,  specialmente  gli  scritti  mi- 
ti, ni  di  polemica  e  propaganda,  per  comprendere 
come  egli  amasse  sinceramente  le  ultime  Antille 
rimaste  sotto  la  dominazione  francese.  <  igni  av- 
mgeva  improvvisa  alle  derelitte  po- 
zioni della  Guadalupa  e  della  Martinica  de- 
stava un'eco  d'affetto  e  di  pietà  nel  cuore  sensi- 
bile dello  Schoelcher.  Questi  tremava  all'annuncio 
■  he  il  vulcano  della  «Montagne  Pelòe»,  sveglia- 
tosi d'un  tratto  dal  lungo  sonno,  minacciava  nei 
primi  giorni  dell'agosto  1S51  la  città  di  Saint- 
Pierre  ed  è  a  lui  solo  che  noi  dobbiamo  un  po'di 
indine  per  aver  promosso  colla  sua  parola 
autorevole  gli  scarsi  studi  geologici  che  si  posseg- 
intorao  alle  Antille  francesi  e  in  special  modo 
alla  Martinica. 

Parrà  strano  quello  che  noi  stiamo  per  dire,  ma 
nonostante  il  vivo  interesse  che  la  catena  delle 
Piccole  Antille  ollri  sempre  agli  scienziati,  il  Go- 
verno francese  non  si  curò  mai  d'istituire  né  alla 
Martinica  nò  alla  Guadalupa  un  osservatorio  degno 
di  tal  nome.  Le  ricerche  di  Sainte-Claire  Deville, 
raccolte  nel  suo  Voyage  gcologique  aux  .-In/illes, 
si  arrestano  alla  metà  del  secolo  scorso  e  lo  studio 
del  Leprieur  sulle  bocche   vulcaniche  della  Mon- 


tagne l'elèe  risale  a  sua  volta  al  1^52.  In  seguito, 
il  Ministero  della  marina  e  quello  delle  colonie, 
che  venne  formato  più  tardi,  parvero  soddistatti 
dei  rari  opuscoli  pubblicati  per  cura  ili  qualche 
ufficiale  o  di  qualche  medico.  <  igni  volta  che  il 
telegralo  segnalava  una  scossa  violenta  di  terre- 
moto, le  autorità  e  il  pubblico  si  tenevano  paghi 
dell'immutabile  conclusione  ottimista  che  il  buon 
padre  Bernard  aveva  formulata  due  secoli  innanzi: 
dove  ci  sono  vulcani  non  può  esserci  pace  e  quindi 
non  resta  che  da  rimettersi  a  Dio. 

Meglio  avrebbe  valso  invece  di  ricordare  la  I" 
previsione  dell'Humboldt  intorno  alla  possibilità 
di  una  sparizione  più  o meno  lontana  delle  \ntille 
per  l'opera  di  quegli  stessi  vulcani  che  le  hanno 
create.  Le  profezie  non  entrano  certamente  nel 
dominio  della  se  ienza.  ma,  vivaddio,  meglio  cento 
vi  lite  il  pessimismo  di  un  Humboldt,  il  quale  almeno 
vi  mette  una  pulce  salutare  nell'  orecchio,  che  il 
fatalismo  mussulmano  di  un  frate  ignorante  o  del 
farmacista  Leprieur,  che  sentenziava  non  doversi 
temere  alcuna  sorpresa  sgradevole  da  parte  della 
Montagne   l'elèe  alla  Martinica. 

Dopo  cinquantanni  di  silenzio  ininterrotto,  senza 
il  più  lieve  boato,  senza  un  fuggitivo  fiocco  di  fu- 
mo che  rompesse  l'azzurro  terso  del  cielo,  gli  abi- 
tanti avevano  finito  per  convincersi  che  la  Me  ■•■ 
gne  Pelée  li  avrebbe  lasciati  tranquilli  per  sempre. 
Essi  avevano  dimenticato,  come  l'avevano  dii: 
ticato  il  Leprieur,  il  Pardou  e  tanti  altri  studiosi, 
che  anche  nelle  Antille  inglesi  si  trovarono  vulcan 


Paesaggio. 


LA    MARTINICA 


533 


Piantagione  di  caffè. 


creduti  spenti  che  non  lo  erano  affatto  e  che  la 
prudenza,  questa  sorella  germana  della  scienza, 
imponeva  di  concludere  con  modestia  nei  riguardi 
della  Martinica,  d'origine  vulcanica  al  pari  del 
resto  dell'arcipelago. 

Son  d'origine  vulcanica  le  montagne,  coperte  fino 
alla  vetta  della  lussureggiante  vegetazione  dei  tro- 
pici, che  staccandosi  dal  nord  seguono  degradando 
la  curva  dell'asse  micro-antillano.  Divisi  in  due 
gruppi,  riuniti  tra  di  loro  da  una  piccola  catena 
di  montagne  intermedii  di  gran  lunga  meno  ele- 
vate che  i  punti  estremi,  i  monti  della  Martinica 
presentano  tre  vette  culminanti,  quella  della  Mon- 
tagne Pelée,  la  più  alta,  che  raggiunge  1.350  me- 
tri, i  Pitons  del  Carbet,  nel  mezzo,  dell'altezza  di 
1  207  metri  e  più  in  giù  il  Vauclin  con  505  metri. 

Tali  sono  le  cifre  che  ci  vengono  offerte  dalle 
geografie  più  in  uso  per  ciò  che  concerne  l'eleva- 
zione delle  montagne  della  Martinica.  Son  desse 
assolutamente  esatte  ?  Il  Lombart,  in  uno  spiritoso 
articolo  mandato  alla  Revue  Scientifique  nel  1884, 
le  mette  tutte  in  dubbio  tranne  quella  relativa  alla 
Montagne  Pe!ée.  I  505  metri  del  Vauclin  diven- 
tano per  lui  appena  308  o  giù  di  lì  e  la  famosa 
vetta  «  pelée  » ,  del  vulcano  oggi  cosi  celebre,  non 
sarebbe  stata  affatto  <  pelée  »  durante  gli  ultimi 
cinquant'anni  se  non  all'occhio  dei  miopi  e  di  co- 
loro che  hanno  tratto  in  inganno  il  Reclus. 


Nessun  geografo,  del  resto,  sembra  averla  visitata 
mai.  Il  solo  che  sali  la  montagna  e  la  descrisse 
è  un  collaboratore  della  Reinie  Coloniale,  nel  fa- 
scicolo di  luglio  del  1852.  L'autore,  dopo  aver 
parlato  delle  difficoltà  dell'ascesa,  giunge  al  vec- 
chio cratere,  il  più  vasto  di  tutti,  in  cui  stavano 
raccolte  delle  acque  formanti  una  specie  di  laghetto 
«  d'una  circonferenza  di  trecento  e  più  passi  ». 
L'acqua  aveva  un  sapore  «  che  ricordava  quello 
delle  torbiere  d' Europa,  tuttavia  non  era  spiace- 
vole ».  Sulle  pareti  del  cratere  crescevano  nume- 
rose piante,  mentre  il  fondo  del  lago  era  coperto 
dal  fango  risultante  dalla  decomposizione  di  nume- 
rosi frammenti  di  puntiti . 

Questa  la  vetta  tranquilla  verso  la  quale  le  co- 
mitive festose  di  Saint-Pierre  volgevano  il  passo  per 
gudere  del  colpo  d'occhio  stupendo  sull'isola  e  sul 
mare.  Oggi  è  sparito  il  lago,  sparita  la  vegetazione 
lussureggiante  sotto  la  lava  e  la  cenere  e  sepolta 
in  gran  parte  anche  Saint-Pierre. 

La  città,  addossata  ad  una  serie  di  mornes  che 
dominavano  il  porto  e  la  breve  baia,  non  distava 
dalla  Montagne  Pelée  più  di  dodici  chilometri. 
Lungo  il  mare  sorgevano  i  magazzeni,  i  depositi 
di  rhum  e  di  zucchero.  Intorno  erano  strade  strette 
e  sucide,  tarlate  case  di  legno  nelle  quali  si  affol- 
lava la  popolazione  di  colore. 

I  bianchi  abitavano  la  parte  più  bella  e  più  sana 


■:l 


I  \  I 


della  città,  la  città    alta,  arrampicantesi  a  ridosso 
wrtus  là  dove  sorgeva  prima  la  forte/za  a  di- 
si ,  ..titi.i  ttac<  lii  degli  in- 
Li    ortifii            1  ■  ani  1  spai  ite  ila  mi  ilti  1  tempi  1, 

111.1  il  nuovo  quartiere  ne  ha  preso  il  nome.    Esso 
si  chiama  il    Fori   per    distinguersi   dalla  vecchia 

i.  >  il  in  ime  «li  MotiU 

In  mezzo  scorre   il   fiumiciatti  lo   R 
e  da  linea  di  demarcazione,  quasi  diremmo  da 
ne,  tra  le  due  parti  della  città.  Nella  stag 
delU  il  Roxelane  si   gonfia    e  spumeg 

Nella  sta]  a  non  ha  quasi  più  ai  que  e  serve 

più  che  altro  da  scolatoio  alle  immondizii   1  hi 
ritta  alta  ni. inda  al   man-. 

>aint-Pierre,  quantunque  più    ricca    di    Fort-de- 
France,  è  sempre   stata    povera    -'.i  monumeri 
migliori  edili.  1  erano  quelli  della  via-Victor  11 
una  strada  mi  usi  li  iata  •  1  m  neg<  >zi  e  1 

iropei  frequentavano   durante    le  ore  di 
lavoro  alino  nel   porto.    La  sera    gli    europei  sali- 
vano nella  città  alta  e  nel  quartiere  AfouiUage  re- 
ano  soli  i  negri  a  ubbriacarsi  e  a  far  strepito. 

L'ubbriachezza  è  il  vizio  comune  a  tutti  gli  no- 
mini di  colore  anche  nelle  Antille  francesi.  La 
larga  produzione  del  rhum  e  il  suo  prezzo  minimo 
doveva  necessariamente  favorire  l'uso  eccessivo  di 
bevande  alcooliche  nella  Martinica,  nonostante  i 
ripetuti  tentativi  degli  uomini  più  istruiti  della  loro 
razza  per  sottrarli  alla  condizione  d'abbrutimento 
in  cui  versa  ancora  la  moltitudine.  Dalla  relazione 
scritta  da  un  negro  antialcoolista  della  Martinica, 
risulterebbe  per  altro  che  qualche  progresso  si  è 
fatto  anch'"  qui  nella  propaganda  contro  l'abuso 
del  rafia.  E  un  primo,  piccolo  passo  che   addurrà 


Tll-I    DELLA    M  Ili 


l    v\    DONNA    DELLA    MARTINICA. 

a  maggiori  risultati  in  seguito,  quando  sarà  più 
diffusa  l'istruzione  elementare  e  le  autorità  si  con- 
vinceranno che  non  è  necessario  di  proclamare  a 
sproposito  che  il  rhum  della  Martinica  è  innocuo, 
per  tema  di  veder  scemare  la  produzione  e  il  1  <  111- 
mercio  di  un  prodotto  che  fa  vivere  quasi  la  metà 
della  popolazione,  quella  che  non  vive  della  cul- 
tura dello  zucchero  e  dei  legumi. 

La  pn  "luzione  dello  zui  1  heri  1  è  andata  scemando 
in  questi  ultimi  anni,  mancando  i  necessari  sbocchi 
all'esportazione,  oggi  conquistati  dallo  zucchero  di 
barbabietola.  L'esportazione  dello  zucchero  dalla 
Martinica  raggiungeva  ancora  23  milioni  di  franchi 
nel  [884.  Essa  non  era  più  che  ai  [O  milioni  nel 
i8qS  e  tutto  induce  a  credere  che  diminuirà  an- 
cora in  seguito.  L'esportazione  del  rhum  ha  se- 
guito invece  un  diverso  cammino.  Da  6  milioni 
circa  verso  il  i8qo,  essa  ha  già  raggiunto  7  milioni 
nel  iiSos'  con  una  produzione  totale  di  20  milioni 
di  litri.  Questa  cifra  dovrà  salire  ancora  nell'avve- 
nire. Lo  zucchero  non  esportato  andrà  fatalmente 
ad  alimentare  le  fabbriche  di  rhum,  di  sciroppi. 

Le  altre  culture  della  Martinica,  quali  quella  del 
cacao  e  del  calle  di  cui  si  continua  a  parlare  nei 
manuali  di  geografia,  non  esistono  più.  Le  malat- 
tie hanno  distrutto  l'ima  dopo  l'altra  tutte  le 
ziose  piante.  Non  menzioniamo  neppure  il  tabacco 
che  non  ha  inai  avuto  grande  importanza  1 
pessimo.  I  negri  sono  soli  a  fumarlo  dopo  averlo 
ridotto  in  polvere  e  anche  i  negri  oggi  non  lo  vo- 
gliono più,  preferendo  quello  che  giunge  dalle  altre 
Antille  quantunque  più  caro. 


I  A    MARTINI*   \ 


535 


Questo  ultimo  particolare,  che  serve  in  Europa 
a  tutti  i  ministri  delle  finanze  per  giudicare  dello 
stato  di  prosperità  o  di  depressione  dell'economia 
nazionale,  è  un  buon  indice  anche  per  la  Marti- 
nica. I  negri  consumano  più  tabacco  e  più  zuc- 
chero da  alcuni  anni  e  i  salari  aumentano  dì  pari 
passo. 

Le  statistiche,  che  in  Francia  sono  redatte  di  so- 
lito assai  male,  non  ci  offrono  gli  elementi  neces- 
sari per  seguire  il  movimento  dei  salari  e  l'aumento 
generale  della  ricchezza  alla  Martinica.  Per  ragioni 
politiche,  che  sono  eccellenti  dal  punto  di  vista 
democratico,  ma  dannose  al  progresso  degli  studi 
demografici,  nelle  vecchie  colonie  non  si  distin- 
guono neppur  più  i  negri  dai  bianchi  nei  censi- 
menti. L'ultimo,  che  data  dal  1S94  segnala  la  pre- 
senza di  una  popolazione  stabile  di  187, ÒQ2  per- 
sone. La  popolazione  fiottante  era  nello  stesso  anno 
di  1,907  persone,  che  aggiunte  alle  precedenti 
danno  una  popolazione  totale  di  189,599  abitanti. 

Noi  non  crediamo  d' ingannarci  dicendo  che 
quella  cifra  è  al  di  sotto  del  vero.  Àia  pur  accet- 
tandola cosi  com'è,  per  evitare  la  noia  di  dar  qui 
le  ragioni  del  nostro  dubitare,  essa  deve  apparire 
naordinaria  al  lettore  europeo.  La  Martinica  in  - 
fatti  presenta  nel  suo  insieme  una  superficie  di 
appena  99,000  ettari,  ma  una  buona  metà  è  occu- 
pata da  montagne  e  da  boschi,  da  stagni  e  da 
vallate  ripide,   inabitabili.  Quando  si  tenga  conto 


della  sola  superficie  coltivabile  allora,  ci  si  stupisce 
della  densità  insospettata  della  popolazione,  assur- 
gente quasi  dappertutto  alla  cifra  di  400  abitanti 
per  chilometri  e  lungo  la  spiaggia  da  Saint-Pierre 
a  Fort-de-France  anche  al  doppio  e  più  in  là. 

Perchè  una  popolazione  cosi  densa  possa  vivere 
Si  ipra  uno  spazio  tanto  breve  di  terra,  è  necessario 
che  i  bisogni  suoi  non  siano  troppo  numerosi.  In- 
fatti i  negri  vivono  di  pochi  vegetali,  di  farine  di 
manioc,  i  più  ricchi  aggiungono  delle  patate  che 
vengono  di  Francia  cotte  nel  sale  e  condite  nei 
giorni  di  festa  con  un  po'  d'olio. 

La  carne  non  si  conosce  o  quasi.  Il  clima  ne 
sconsiglia  l'uso  anche  agli  europei  che  preferiscono 
le  uova  e  le  frutta,  le  quali  sono  importate  in 
grandi  quantità  dalle  isole  vicine  e  dall'America. 
Da  alcuni  anni  sono  cresciute  anche  le  importa- 
zioni di  burro,  di  conserve  il  cui  uso  si  va  diffon- 
dendo tra  i  negri  della  città.  La  Francia  ne  forni- 
la  maggior  parte. 

Noi  dovremmo  ora,  innanzi  di  chiudere  questo 
articolo,  che  minaccia  di  diventare  troppo  lungo, 
occuparci  con  qualche  diffusione  della  vita  intel- 
lettuale nella  .Martinica,  delle  sue  scuole,  del  clero 
e  magari  anche  della  politica,  poiché  vi  si  fa  della 
politica  con  accanimento  se  non  con  fede. 

La  scuola  più  alta  nella  scala  gerarchica  dell'in- 
segnamento antillano  è  la  scuola  di  diritto  che 
prepara  i  giovani  della  Martinica  alla  carriera  giu- 


Cakbonai. 


536 


LA    LETTURA 


diziaria.  C'è  ancora  un  liceo,  una  scuola  superiore 
ovinette,  poi  la  scuola  elementare  in  tutti 
i  Comuni  importanti  cod  maestri  di  colore. 

Il  elettorale  è  la  base  della  vita   i 

tu  .1  alla  Martinica.  In    principio  i  negri  non  pen- 

\.i  .:  valersene,  ma  oggi  essi  votano  con  pas- 

sion  Imente  dopo  che  alcuni  dei  loro  hanno 

nella  metropoli  le  dottrine  socialiste  e  sono 

ritornati  in  patria  por    farsene    ;;]i    apostoli.  Nelle 

ultime  eie/ioni  i  candidati  in  presenza  erano  tre: 

un  radicale,  un  conservatore  e  un  socialista,  i  primi 

due  bianchi  e  il  terzo,  l'avvocato  illière,  un 

mulatto.    Tranne  il  Ledere,  tutti  i    candidati  oggi 

•  morti.  Essi  erano  a  Saint-Pierre  per  far  pro- 


ni'li  e  la  morte  sembra  averli  sorpresi  poco 
dopo  l'uscita  da  una  tempestosissima  riunione  elet- 
torale, dove  poco  mancò  che  socialisti  e  conserva- 
tori venissero  alle  mani. 

L'eruzioni  'Iella  Montagne  l'elèe  li  ha  messi 
tutti  d'accordo  avvolgendoli  nello  stesso  lenzuolo 
di  fuoco,  consacrandoli  alla  stessa  pietà.  .Ma  ap- 
pena l'eruzione  avrà  cessato,  altri  verranno  e  questi 
ripiglieranno  la  lotta  (  •■  vigore,  senza  do- 

mandarsi se  valga  la  pena   di    dilaniarsi  rabbiosa- 
mente quando  al  primo  fremito  del  monte   vii 
possono  tutti  sparire  nel  nulla. 

Eppure,  la  vita  è  cosi!... 

G.  I' 


DELLA    M  \K  I  INICA. 


&**:  ***WÈÉ,h 


diviste 


SOMMARIO  : 

I  prigionieri  dello  Spielberg  in  luce  austriaca,  pag.  537  —  L'ospedale  della  bellezza,  pag.  539  —  Tra  le  ferrovie, 
pag.  54i  _  La  città  rotolante,  pag.  544  --  I  ricordi  spiritici  di  uno  scienziato,  pag.  545  —  Le  esplo- 
razioni polari,  pag.  547  —  Corriere  scientifico,  pag.  550  —  L'uniforme  dei  deputati  in  Francia,  pag.  550  — 
Fra  i  microbi,  pag.  552  —  Animali  velenosi,  pag.  554  —  Gli  artifizi  deila  toeletta,  pag.  556  —  L'amore  dei 
fiori,  pag.  556  —  Gli  eroi  del  Niagara,  pag.  558  —  La  diminuzione  della  popolazione,  pag.  561  —  La  Legion 
d'onore  in  una  democrazia,  pag.  561  —  I  risultati  di  una  inchiesta  poetica,  pag.  562  —  La  scuola  delle  mogli, 
-  pag.  563  —  Fra  i  pinguini,  pag.  565  —  La  grande  scoperta  archeologica  nel  Foro  Romano ,  pag.  568  —  La 
fotografia  del  moto,  pag.  570  —  Intorno  alle  eclissi,  pag.  573  —  L'armoniografo,  pag.  574  —  La  Biblioteca  di 
Giosuè  Carducci,  pag.  576. 


I  prigionieri  dello  Spielberg 

in  luce  austriaca 


Da  un  articolo  di  Emma  Perodi,  nella   Rassegna  inter- 
nazionale, del   15  aprile  . 

Fra  le  molte  pubblicazioni  di  cui  sono  stati  og- 
getti i  martiri  del  '21,  nessuna  rivelava  il  perchè 
della  crudeltà  apparentemente  inutile  con  la  quale 
l'Austria  inveì  contro  i  Carbonari  milanesi  ;  ma 
uno  studio  di  M.  Tangl.  basato  sugli  atti  della  di- 
me della  polizia  della  Certe  di  Vienna,  fa  la 
luce  su  questo  punto  e  su  tutta  la  storia  di  quel 
tempi  1. 

11  processo  del  '21  condusse  Pellico  e  Maioncelli 
allo  Spielberg  ed  a. tri  al  castello  di  Lubiana  ;  ma 
le  cose  non  erano  finite  con  queste  condanne.  Lo 
czar  Alessandro  I.  sollecitato  dall'Austria  a  inge- 
rirsi nella  quistione  della  successione  al  trono  del 
Piemonte,  voleva,  prima  di  prendervi  parte,  le  pro- 
ve che  Carlo  Alberto  avesse  rapporti  coi  Carbonari 
milanesi,  e  l'Austria  si  ostinava  a  ricercarle,  per  far 
mettere  da  parte  il  principe  di  Carignano  e  ottenere 
che  si  nominasse  eredi  di  Sardegna  il  suo  fido  Duca 
di  Modena,  o  alla  peggio  il  piccolo  Vittorio  Ema- 
nuele,  affidando  la  reggenza  a   Maria  Teresa,  che 


per  nascita  e  per  tendenze  avrebbe  mantellina  in 
Piemonte  l'influenza  austriaca.  Un  anno  dopo  l'ar- 
resto di  Silvio  Pellico,  e  sempre  per  cercar  prove 
contro  Carlo  Alberto,  fu  arrestato  il  Confalonieri  : 
anch'egli  doveva  esser  condotto  allo  Spielberg,  ma 
fu  fatto  passare  da  Vienna,  e  il  Mettermeli  in  per- 
sona andò  a  interrogarlo  intorno  ai  suoi  rapporti 
col  principe  piemontese.  Il  Confalonieri  negò  di  a- 
verne  avuti;  ma  già  altre  pressioni  si  esercitavano 
sugli  altri  condannati.  Il  presidente  di  polizia,  con- 
te Sedlnitzky.  scriveva  al  conte  Mittrowsky.  gover- 
natore della  Slesia  e  della  Moravia,  ordinandogli  di 
strappare  ai  condannati,  «  con  la  segregazione  e  con 
tutta  la  possibile  industria  poliziesca  ».  notizie  e 
una  chiara  esposizione  di  tutto  il  moto  dei  Carbo- 
naii. E  il  Mittrowsky  dispose  che.  prima  di  tutti. 
uscendo  a  prender  aria,  i  prigionieri  dovessero  es- 
sere indotti  a  parlare  dai  guardiani  ;  poi  che  sen- 
io la  durezza  del  carcere  per  quanto  riguardava 
il  modo  di  giacere,  il  cibo,  le  catene,  le  vesti,  insi- 
nuando che  la  confessione  avrebbe  alleviato  la  loro 
sorte.  Il  primo  mezzo  riusci  poco:  le  magre  rivela- 
zioni che  alcuni  fecero  in  forma  di  referendum  e 
che  altri,  come  il  Pellico,  consegnò  al  protocollo, 
offrivano  appena  alcuni   dati   niv  I       ''tivi   trat- 

tamenti rovinavano  la  salute  dei  prigionieri,  tanto 
che  lo  stesso  Mittrowsky  prevedeva  che  «  nessuno 
di  essi  vivrà  oltre  la  pena  »  ;  ma  anche  questo  mez- 


LA    11   II i  l    \ 


VUora  l'Impi 

■  li    formularlo   fu 
redi  polizia  'li  Brunii,  Muth,  il  quale 
eia  piuttosto  male,  se  inti  »rno  al  Pel* 
.  mbra  un  uon  uno. 

abile,   astuto  e  furbo,  che  non  ha  rinunziato  alle 
rali  '.  Questo  Muth,  forse  igm> 
l'inali  ■  appi 
isserò,  se  ne  lagnò  nei 
rvenivano  all'I'  il   quali 

i  allora  ci  dato  «  im  cibo  sano  e  man- 

e  •. 
Quai  iveva  scontata  quasi  metà 

della  pena,  i  renti  ne  chiesero  la  grazia  con 

l'in*!  del  Pralormo,  ministro  sardo  a  \ 

na.   Pelli  ivevagli  fatto  credere  il 

imissarìo  di  polizia  che  lo  accompagnò  da  Ve 
5p  elberg,  che  i  giorni  ili  pena  sarebbero 
stati  ''untali  dodici  ore.  La  cosa  non  si  volle  ani- 
ma  più    tarili    l'Imperatore,    convinto  del- 
l'inutilità del  rigore,  forse  persuaso  che  con  la  mi- 
■    ■    i      i    ordò  la  gra  sia.  il 
26  luglio  1830,  dopo  i  rapporti,  favorevolissimi  al 

Pellico,  dei  dui     «ori  dello  Spielberg,  Zi atk  e 

W'tha.  il  primo  'lei  quali,  particolarmente,  diceva 

;.it' ..  e  si  mostrava  pro- 
fondamente pi  rliorato  e  chiedeva  d'esser 
i1  fi         sto  Pellico,  Maroncelli  e  Tonelli. 
liberati,    partii                mpagnati    da]    commissario 
capo  della                 \    n  Noe,   nomo  cortese  e  affa- 
bile, al  (juale  appunto  l'Imperatore  aveva  affidato 
i   i  p  11  0  n  Ir  l  elle  maniere  le  tanto 
sioni.    Intanfii   un    pericolo    sovra- 
stava ai  graziati.  Scoppiata  a  Parigi,  nel  luglio,  la 
rivoluzioi                 Ise   la   corona   al   ramo   primoge- 
nito      :  Bi  rboni.  la  Din  sii  ne  'li  polizia  di  Milano 
r  mezzo  del   Viceré  Ranieri  che  i  tre  pa- 
trintti  non  fi  ssero  lasciati  tornare  in  Italia,  ma  re- 
enuti  in  una  città  delle  Provincie  au- 
striache.  Si   oppose  il  Von    Noe.   non   solo  cortese, 
ma    ;n      rti  -    scrivendo   all'Imperatore:    «  E'   preve- 
dibile eh'                         ■      I        ro  trattenuti  trovan- 
dosi già  in  via             1  raggiungere  i  loro  congiunti, 
Ilio  0  prima  0  poi   nota   ai   libe- 
rali d'Italia.                  ;li  altri  paesi,   i  quali  se  ne 
varrebbero  per  divulgarla  come  segno  evidente  della 
pusillanimità  dell'Austria  e  per  sfruttarla  eccitando 
gli  animi               N.    stra   Maestà  ».  L'Imperatore  si 
lasciò  convincere  e  il  viaggio  fu  ripreso.  Il   Pi 
e  il  Maroncelli,  nei  cinque  giorni  di  fermata  a  Felcl- 
kirchen,  scrissero  una   lettera  di  ringraziamento  al 

e   Un  l  SU]  i'i  isse   loro  ri  incesso 

'  riaci  ;  a  quest'ull  ima   Fran 
he  «  non  v'era  da  parlarne  0.  Queste 
iti    nello  studii  1  del    l  angl  : 
vi  è  inserita  però  quella  che  il   Pellico  d 
Torino,  il  22  settembre,  al  Von  Noe.  Ritradotta  in 
italiano  dalla  traduzione  tedesca,  suona  così: 

0  Stimai  noi   Comi  imperiale, 

nza  mi  spinge  a  scriverle;   il  mio 

re  prova  il  1  rie  di  nuovo  i  sen- 

■   furono  suggeriti  dalle  tante  \> 
ni  mi  ha  '  ;  seni  imeni  i  mi   - . 


n  ni '  un  minia  o  si  ni  I  i    lule  che  io.  senza 

"   Fra  le]  mi  conosca;  di 

'lucile  anime  che,  mentre  da  un  lato  suscitano  la 

ma,  destano  puri-  un  sentimi  m< .  pai 

n.  bile  alla  delicata  ami  ;li  antichi. 

usa  m'impose  di  amarla, 

mi   prendo  la  u   indo 

il    Im  i  ile   della 

quello  della  naturalezza  e  dell'amicizia  che  mi  i 
dal  cui  "     I  '    diente  signi  >i 

ino!    Una   di   '|iielle  persone  che  tanno  onore  a  \m 
ilo  hanno  missione  di   servirlo  per  lar 
re  inno  i  io  che  ha  in  si   di  confortante  e  di  bello 
un  atti  ■  di  grazia  ! 

«   I-in  dal  i  nostro  incontro  Ella 

non  si  stancò  di  dimostrare  a  noi,  poveri  redivivi, 

tutte  le  atten,  'i  affabile 

l'-i.i.    l'osso  d  se  i   lunghi  anni  di  sventura 

ro  indurito  l'animo.   Ella  sarchi»-  stato  l'uo- 

a  ridestare  in  noi  la  facoltà  di  ari 

a  Questo  pi  ii  il  ro  mi  venne  alla  mente  cent' 
durante    il    viaggio,    e    sopraHutto   ogni    volta    che. 
Ci  Ipitò  dal    male,   anche   nell'apatia    delle   mit- 
ili sofferenza,   seni  rie  vicino, 
di   vederla  e  di   leggere  nel  suo  volto  l'espressi 
di  un'indole  rara    Mi  accade  di  esser  poco  proclive 
a  mentovare  qualcuno,  ma   Ella  appartiene  a 
piccolo  numero  di   persone  di  cui   provo   piacere  a 
parlare  spesso  e  inolio  con  colon    ai  quali  apro  il 
mio  cuore.    1    miei   parenti   mi  hanno  già   sentii"  dir 
tanto  bene  del  signor  Carlo,  che  temo  quasi  p 
no  voli  rgli  più  bene  di  me.  Sì,  eccelli  ri  ed 
amico.  Ella  fu  vero                :    io  trovai  risorti  i  miei 
adora             ori,  i  miei  due  fratelli  teneran 
mati  e  mia  sorella  che  è  un  angelo.  Le  perdite  che 
io  temevo  d'aver  fatte  mi  crucciavano  in  modo  indi- 
cibile. 

»  Quello  die  ho  ritrovato  è  un  tesoro  così  gì 
che  non  oso  lagnarmi  della  perdita  di  una  delle  mie 
sorelle,    di   i-ili    però   sento   dolor'  la    man- 

canza. Minile  io  piango  la  mia  brava  Maria, 
amata  da  tutti  noi,  penso  alla  sorella  che  una  morte 
immatura  strappò   al   mio  eccellente  irlo. 

(Queste  sventure  di    famiglia  colpiscono  durami 
Ma  no.  io  non  debbo  lagnarmi  della  l'i   vvidenza; 
essa  mi   ha  lasciato  cinque  cuori    amorosi    che 
pensano  ad  altro  se  non  a  colmarmi  di  attestati  di 
affetto. 

"  Mentre  assaporo  questa  felicità,  si  può  imma- 
ginare con  quale  profondo  sentimento  io  Sappia  va- 
lutare la  benevolenza  dimostratami  da  S.  M.  l'Ita 
peratore  nel  concedermi  la  grazia,  e  con  quanta  ri 
l'io  le  premure  di  Sua  Eccellenza, 
del  signor  Banne.  del  Direttore  Generale,  per  far- 
mi   guarire    dalla    malattia    affinchè    potessi    volare 
nelle  braccia  de?  miei.  Iddio  beni  dica  tutte  quelli 
me  nobili,  che  tanto  profondamente  mi  obbligarono. 
■  Di  po  avere  esperimentato  tutto  questo  sul  suolo 
co,  qui  ebbi  egual  fortuna,  [o  fui  accolto  dalle 
riti  del  mio  paese  precisamente  con  la  stessa 
bontà  che  mi  ave  pagnato  fin  allora.   Sua 

Monza     il    governatore    di    Torino    (ili    cui    mio 
'  Ilo  Luigi  ha  l'onore  di  esser  segretario)  mi  ac 


DALLE    RIVISTE 


colse  come  un  padre.  Io  vivo  adesso  in  tutto  e  per 
tutto  come  mi  ero  proposto:  ritiratissimo,  felice 
delle  gioie  che  mi  offre  la  famiglia  e  tutto  dedito 
in  pare  ai  miei  studi  letterari.  Il  mio  stato  miglio- 
ra, il  polmone  promette  di  resistere  alcuni  anni  an- 
o  ra.  affinchè  io  possa  cercar  di  rimediare  all'im- 
menso dolore  cagionato  ai  miei  genitori,  e  al  torto 
commesso. 

o  Mi  faccia  l'onore,  signor  Carlo,  se  gli  alti  do 
veri  della  sua  carica  glielo  consentono,  di  rii  i  il  n~ 
di  me  e  di  pormi  fra  coloro  che  non  sono  ultimi 
nella  sua  stima.  La  prego  di  rammentarmi  alla  sua 
stimabile  famiglia,  i  cui  componenti  non  mi  sono 
estranei,  benché  non  abbia  l'onore  di  conoscerli  per- 
sonalmente; per  l'amore  con  cui  Ella  me  ne  pax- 
lava  così  spesso,  io  li  venero  altamente. 

«  L'abbraccio  col  vivo  desiderio  che  una  circo- 
stanza qualsiasi  possa  un  giorno  condurla  a  To- 
rino ;  e  non  io  solo,  ma  padre,  madre,  fratelli  e 
sorella,  tutti  facciamo  voti  che  Ella  sia  ricompen- 
sata per  le  cordiali  attenzioni  dimostratemi  ;  tutti 
La  ringraziamo,  tutti  Le  auguriamo  ogni  bene,  tutti 
preghiamo  il  Cielo  che  Ella  possa  esser  sempre  fe- 
lice ». 

Questa  lettera  prova  che,  se  il  Pellico  era  ancora 
accessibile  agli  entusiasmi,  il  Von  Noe  seppe  in- 
sinuarglisi  nell'animo  per  compiere  la  sua  missione 
di  interrogare  i  liberati  intorno  ai  compagni  ancora 
custoditi  allo  Spielberg.  Nei  suoi  rapporti,  il  Com- 
missario di  polizia  così  parlava  del  Conf alonieri  : 

«  Dotato  di  splendide  qualità  d'ingegno,  ma  ac- 
cecato da  una  riprovevole  ambizione  ed  allettato 
dalla  speranza  di  rappresentare  un  giorno  in  pa- 
tria una  parte  importante,  si  lasciò  trascinare  a 
quelle  imprese  Colpevoli,  cagioni  della  presente 
sventura.  Quelle  imprese  sono  piuttosto  da  attri- 
buirsi a  idee  errate  che  a  un  cuore  pervertito,  poi- 
ché in  ogni  altro  rapporto  della  vita  era  uomo  ono- 
rato e  sempre  proclive  a  fare  il  bene.  Se  egli  fosse 
graziato  e  gli  si  potesse  strappare  la  parola  d'ono- 
re di  non  mai  più  cospirare  contro  il  potere  legit- 
timo —  così  assicurano  unanimemente  i  tre  gra- 
ziati —  non  ve  dubbio  che  la  riconoscenza  lo  le- 
gherebbe per  la  vita  alla  dinastia.  E'  un  fervente 
cattolico,  cerca  conforto  nella  religione  e  negli  ul- 
timi due  anni  specialmente  è  molto  cambiato.  Tutti 
quelli  che  lo  conobbero  da  vicino  negano  che  abbia 
partecipato  all'uccisione  del  Prina.  Ha  perduto  tutti 
i  capelli,  però  ha  l'aspetto  di  un  uomo  sano  ;  ma 
è  il  colore  dell'idropico  che  gli  dà  quest'apparenza  ». 

Nel  '32  il  Pellico  pubblicò  Le  mie  pri^:i>>i;.  quel 
libro  che,  secondo  Cesare  Balbo,  fece  più  danno 
all'Austria  che  una  battaglia  perduta.  A  Vienna  ne 
provarono  gran  dolore,  e  il  Sedlnitzky  invitò  subito 
il  Governo  della  Slesia  e  Moravia  a  confutarlo. 
La  confutazione  parve  però  al  Sedlnitzky  ed  allo 
stesso  Mettemich  tanto  insufficiente  e  meschina,  che 
non  fu  pubblicata.  Ma  poiché  un  nuovo  rapporto 
all'Imperatore  rivelava  il  danno  che  si  doveva  at- 
tendere dal  libro  appunto  per  il  suo  tono  misui 
il  volume  fu  proibito,  e  il  Governo  di  Milano  ne 
preparò  una  confutazione  nuova,  mandandone  lo 
schema    al   Sedlnitzky    perchè    la    pubblicasse   nel 


539 

giornale  allora  più  diffuso,  il  Journal  de  Frank  fori. 
L'Imperatore,  a  cui  il  Sedlnitzky  ne  fece  rapporto, 
rispose:  «  Mi  serve  di  notizia,  ed  aspetto  subito 
che  Ella  si  metta  d'accordo  col  principe  di  Metter- 
meli e  stabiliscano  insieme  se  sia  opportuna  una 
confutazione  allo  scritto  di  Silvio  Pellico  e,  nel 
riso  affermativo,  come  debba  farsi  per  produrre 
l'effetto  voluto  ».  Ma  il  Mettemich  rispose  dura- 
mente, quasi  ironicamente,  rilevando  la  poca  abilità 
della  polizia.  Diceva  che  il  libro  era  comparso  da 
troppo  tempo  perchè  una  confutazione  potesse  riu- 
scire efficace;  facendola,  bisogna  che  fosse  esau- 
riente; e  tale  non  era  quella  proposta:  essa  si  oc- 
cupava di  cose  secondarie,  e  non  ribatteva  i  due 
capi  principali  d'accusa,  cioè  che  a  Venezia  fosse 
stato  promesso  al  Pellico  di  abbreviare  la  durata 
della  condanna,  e  che  non  fosse  stato  concesso  per 
più  anni  ai  condannati  di  assistere  alla  messa  né 
di  avere  i  conforti  della  religione.  Fu  dunque  de- 
ciso di  mettere  in  tacere  la  faccenda,  e  l'Impera- 
tore sanzionò  questa  risoluzione. 

■     1  >  •  ■     « 

L'ospedale  della  bellezza 

(Da  un  articolo  dell' Harmsworth  London  Magatine). 

Pochi  anni  or  sono,  in  occasione  della  formazione 
di  un  nuovo  trust  industriale  negli  Stati  Uniti,  uno 
dei  nuovi  diretori  del  trust,  presentatosi  ad  una  delle 
Compagnie  federate,  notò  un  individuo  che  aveva 
le  orecchie  straordinariamente  sporgenti.  Chiesto 
chi  fosse  colui,  gli  fu  risposto  che  era  il  cassiere; 
allora  il  direttore  consigliò  al  capo  di  quella  Compa- 
gnia di  licenziare  il  cassiere,  perchè,  diceva  lui,  gli 


La  correzione 
dell'orecchio. 


uomini  con  le  orecchie  ad  ansa  hanno  una  p  ata 
tendenza  alla  disonestà.  Il  cassiere,  che  aveva  udito 
il  discorso,  prima  ancora  di  essere  licenziato,  do- 
mandò un  mese  di  vacanza,  e.  ottenutolo,  si  recò  al 
«  Derma-featural  [nstitute  »  urna  specie  di  ospe- 
dale per  coloro  che  hanno  bisogno  di  migliorare  il 
proprio  aspetto  fisico,  si  fece  curare  secondo  i  si- 
stemi dell'istituto,  e  in  capo  ad  un  mese  si  presentò 


■'I" 

alla  sua  fabb  e  ben  1  minare  le 

proprie  i  reccbJe  .il  direttore,  ottenne  'li  essere  con- 
servato al  sue  posto.  Questo  aneddoto,  mentre  il- 
ra  un  pregiudizio  comune  negli  Siati  Uniti  con- 
tro le  pers  ne  che  hanm    le  orecchie  ad  ansa.  di- 


Cura 
dei  sopraccigli. 


I    \    LI.  Ili   1<  \ 


mostra  anche  ci  mie  quello  che  si  chiama  comune- 
mente  l'ospedale  della  bellezza,  possa  avere  certa 
titilli.  i  oltre  che  estetica.   Nelle  illustrazioni 

che  riproduciamo,  sì  vedono  alcune  delle  operazioni 
frequenti  compiute  nell'istituto. 

S  no  numerosissimi  coloro  che  vanno  a  farsi  ac- 
comodare le  orecchie.  L'operazione  è  molto  sem- 
plice. Si  toglie  un  po'  di  pelle  dalla  parte  posteriore 
dell'orecchia,  e  poi  si  lascia  la  faccia  in  modo  che 
l'orecchia  aderisca  alla  testa.  Allora  nella  parte 
posteriore  si  forma  come  una  saldatura,  e  il  padi- 
ne  è  tenuto  aderente  sia  dalla  carne  stessa,  sia 
dall'abitudine  contratta  per  causa  della  fasciatura. 
Il  tutto  non  richiede  più  di  dieci  o  quindici  giorni 
di    (i  trattamento  ». 

Anche  il  naso  può  essere  sottoposto  a  cure  salu- 
tari.  Se  gli  occhi   sono  l'ele- 
mento più  importante  della 
va.     il    nasi)    ha    però 


(."lira  del   n  ipelli. 

anch'esso  parte  importantissima,  e  la  correzioni 

:i    di   questo  organo  occupa    molto    l'attenzione 

dei  ilo-tori  dell'ospedale.  I  nasi  di  ogni  dimensi 

e  di  ogni  misura  possono  essere  modificai 

b  li  e  ridotti  al  tipo  greco  che  e  il  prefi  I 

Una  ii'  ile  .ii Tiri  inglesi  più  i  elebrate  pi  r  la  sua  bel 
i.  i  iltn-  «-he  per  il  suo  vai  «re 

nulli  d'i  suoi  trionfi  all'istituto  di  cui  ci  occupiamo. 


La   natura   t'aveva    tornila   dì   un   naso  ,1,-1   tipo  re- 
tri assi,   per  modo  che  ogni  qual   volta  andava  in 

i.  essa  a stretta  a  colmare  la  cavila  supe 

I  a  plastica.  Ma  il  medico  della  bellez- 
za, per  via  di  iniezioni  di  tessuto  animali-,  che.  in- 
tegrandosi col  tessuto  umano  stabili   la   linea   l 
sul  profilo  del  naso  dell'attrice,  le  potè  dare  uno  dei 


La  cura 


delle  rughe. 


più  perfetti  nasi  greci  che  si  conoscano.  (Quando 
si  ha  da  fare  la  riduzione  di  un  naso  aquilino  alle 
1  n  porzioni  normali,  l'operazione  è  più  complicata, 
ina  ancora  possibile.  Allora  bisogna  sopprin 
lusso  e  la  cartilagine  sovrabbondanti  per  mezzo 
dell'écraseur  elettrico,  dopo  di  che  non  è  difficile 
produrre  un  tal  naso  da  far  onore  ad  una  divinità 
greca.  Le  rughe  tante  moleste  possono  essere  facil- 
mente o  meglio  colmate  e  similmente  j 
sono  essere  corretti  tanti  altri  difetti  del  volto.  Per 
lo  mino,  e,  isi  dice  l'autore. 


Soppressione  del  tato 


DALLE    RIVISTE 


.141 


Tra  le  ferrovie 


(Da  un  articolo  dell' ' Harmsworth  London  Magatine,    di 
maggio). 

Il  maggior  nemico  che  una  ferrovia  deve  com- 
battere in  patria  è  costituito  dalla  carestia  del  la- 
voro  o  del  combustibile;  ma  nessuno  forse,  se  si 
tolgano  le  persone  interessate,  ha  idea  dell'interi 
che  suscita  l'esercizio  di  certe  ferrovie  lontane,  in 
cui  è  investito  capitale  europeo,  ma  di  cui  i  capita- 


Nagpur  Raihvay.  potreste  vedere  una  serie  di 
fotografie  di  un  simile  incidente  effettivamente  ac- 
uto. Esso  avvenne  il  28  settembre  del  1894.  Do- 
po aver  passato  la  stazione  di  Godlkera,  un  treno 
correva  a  traverso  la  jungla  folta  e  spessa,  quando, 
giunto  al  fiume  Karo  e  passato  il  ponte,  la  mac- 
china subì  un  urto  improvviso  e  fortissimo.  Il  mac- 
chinista diede  subito  istintivamente  i  freni,  ma  non 
impedire  che  il  treno  si  fermasse  regolarmente. 
La  macchina  stessa  e  quattro  vagoni  deragliarono 
in  luogo  pericolosissimo.  Era  notte,  allora,  per  mo- 
do che,  per  quanto  si  cercasse,  non  si  potè  scoprire 
la  causa  del  disastro;  la  mattina  dopo,  per  altro, 
si  scoprirono  le  tracce  di  un  elefante,  e  finalmente 
si  trovò  l'animale  stesso  precipitato  in  basso  con  le 
zampe  fracassate  e  il  corpo  tutto  ferito.    Evidente- 


Un  treno  urtato  da  un  elefante;  l'elefante  morto. 


listi  non  hanno  notizia  se  non  dai  bilanci  e  sui  bi- 
lanci. Chi  immagina  gli  ostacoli  e  le  difficoltà  straor- 
dinarie con  cui  debbono  lottare  le  Compagnie  ferro- 
viarie in  certi  paesi  remoti?  C'è  veramente  da  am- 
mirare l'energia  e  l'intraprendenza  degli  inglesi  (dice 
l'autore,  che  è  un  inglese),  quando  si  pensa  che  essi 


mente  era  stato  attirato  dalla  vista  dei  fanali  del 
treno  e  aveva  assalito  la  locomotiva  facendola  de- 
viare, e  trovando  esso  stesso,  nell'attacco,  la  morte. 
Il  danno  prodotto  alla  macchina  e  ai  vagoni  ascese 
a  mille  rupie. 

I  peggiori  nemici  delle  ferrovie  nel  Perù  sono  i 
fiumi,  nonché  i  briganti.  Una  volta  poi  si  dovette 
sospendere  la  costruzione  di  una  linea  ferroviaria  a 
causa  di  una  vera  pioggia  di  sabbia  che  radeva  da 
certe  alte  montagne  che  dominavano  la  linea.  Quella 


Gli  effetti  d'una  piena:  uno  scontro 


[sortano  le  reti  ferroviarie  in  certe  terre,  e,  ciò  che 
è  più.  le  fanno  fruttare. 

Che  direste,  per  esempio,  di  una  lotta  ira  un 
treno  in  marcia  e  un  elefante  infuriato?  L'idea 
pare  assurda  ;   eppure  nella  board-room  della  Ben- 


cascata  di  sabbia  era  stata  provocata  da  una  can- 
nonata sparata  da  una  nave  cilena.  Alla  fine,  di 
tutta  la  parte  di  linea  costruita  non  si  vedeva  altro 
che  qualche  pezzo  di  traversa. 

Gli  alligatori  peruviani,  sebbene  non  diano  bat- 


42 


LA    LETTI 


tagl  ia  i  lei ante  indiano  men 

.1   Bengal-Nagpur,   pure  qualche 
ruiscono  la  linea.   Ma  ai  .ninnali 


Una  ferrovia  sott'acqua. 

oli  fanno  talora  simili  scherzi.  Dagli 
elefanti  e  dagli  alligatori  alle  cavallette  c'è  un  gran 
i  i  le  Compagnie  ferrovarie  nella 
Repubblica  Argentina  subiscono 
molti  'Lumi  |kt  rausa  delle  caval- 
lette, ehe  si  presentano  in  tal  nu- 
mero da  inceppare  effettivamen- 
te le  ruote  dei  treni  ed  arrestarli 
nella  loro  manda,  Nessuna  me- 
raviglia dunque  che  il  Governo 
argentino  organizzi  vere  campa- 
gne contro  le  locuste,  costrìngen- 
do tutti  gli  uomini  abili  a  libe- 
rarne il  proprio  campo,  e  dando 
premi  (come  fa  anche  il  Governo 
marocchino)  agli  indigeni  che 
portano  uova  di  locuste.  Queste 
recano   danno   alle    ferrovie   non 

e  dei 
treni   e   facendoli   fermare,   ma   anche  rovinando  le 
traverse  e  tutto  il  legno  in  generale  che  si  trova  nelle 
strade  ferrate. 


Un  con  <-ui  debbono  combat 

tere  alnine  ferrovie  dell'America  Meridionali 
dai  filamenti  d'erba  ehe.  trasportati  in 

mi  quantità   dal   vento,    ingombrano  le 

linee  appunto  come  fanno  !»■  cavallette. 
Spesso  divengono  cosi  fitti  da  essere  più 
modi    ancora   della   neve  e   rendono 
necessari  speciali  servizi  di  sgombro. 

Infine  le  ferrovie  argentine,  che 
prio  si  no  molto  tormentate. 

om battere  spesso  col  fuoco  e  con 
he  sono  terribili  nell'Amo' 

Meridionale,  l'er  esempio,  il  1  feb- 
braio dell'anno  scorso,  un  ciclone  colpi 
un  treno  alla  stazione  di  Frontera.  sulla 
linea  Rosario-Cordoba  e  ne  rovesciò 
quasi  tutti  i  vagoni.  Il  curioso  fu  che 
il  treno  venne  colpito  soltanto  da  un 
lembo  estremo  del  ciclone,  per  modo 
che  neppure  vi   andò  tutto  sottoposto, 

ed    alcuni    vagoni    rimasero    completamente    illesi. 

Questa  linea,  lunga  soltanto  180  miglia,  passa  |*-r 
assai   ricche. 


A  traverso  la  neve. 


Ni  11  Argentina,  come  tutti  sanno,  si  t  > 
stese  enormi  di  territorio  completamente  piano,  sen- 
za ondulazioni  di  terreno,  senza  corsi  d'acqua  no- 


l'n  ispettore  su  una  ferrovia  allagata. 


DALLE    RIVISTE 


543 


tevoli.  C'è  una  strada  ferrata  in  linea  retta 
di  203  miglia.  In  queste  estensioni  stermi 
nate,  le  pioggie  si  accumulami  in  quantità 
fortissima  e  stagnano  sui  piani,  coprendo  di 
acqua  il  sudo  per  superficie  di  migliaia  dà 
miglia  quadrate,  e  convertendolo  in  un  lago 
mostruoso.  Allora  quaranta  o  cinquanta  mi- 
glia di  linea  restano  sepolte  sotto  le  acque  ; 
1  treni  non  possono  più  correre  ed  è  molti  se 
qualche  ispettore  può,  su  un  vagoncino,  re- 
carsi sul  luogo  del  disastro,  ove  sembra  un 
naufrago  abbandonato  in  mezzo  al  mare. 

Più  disastrosi  ancora  sono  gli  straripa- 
menti, frequenti  purtroppo  nelle  regioni  tro- 
picali. Sono  improvvise  piene,  dovute  spesso 
al  capriccio  di  un  fiume,  che,  dopo  aver  se- 
guito per  secoli  sempre  un  medesimo  corso, 
d'improvviso  decide  di  cambiare  il  proprio 
letto,  con  effetti  disastrosi  per  le  ferrovie 
che  si  trovano  nelle  vicinanze.  Queste  piene 
subitanee  a  volte  portano  via  il  terreno  di 
sotto  alle  traverse  della  strada  ferrata  la- 
sciando il  binario  sospeso  in  aria  come  per 
miracolo. 

Nel  Messico  gli  straripamenti  e  i  frana- 
menti sono  frequentissimi.  Nel  1899  special- 
mente durante  l'agosto  ed  il  settembre,  ne 
succedeva  quasi  uno  al  giorno  e  il  7  settem- 
bre caddero  non  meno  di  novanta  frane,  e  vi  fu- 
rono  quarantacinque   straripamenti    sulla   strada    a 


Locomot 
l'aprono  la  via 
la  neve. 


Gli  effetti  d'una  piena. 


nord   di    Perian.    Questa   linea  tuttavia  è   protetta 
costantemente  da  mura  di  pietra  nei  punti  più  mi- 
nacciati. 

Un  esempio  dei  danni  che  può  fare 
la  pioggia  si  vede  in  una  delle  nostre 
illustrazioni.  L'incidente  di  cui  diamo 
una  fotografia  avvenne  negli  Stati  U- 
niti.  sopra  un  terrapieno  devastato 
dall'acqua.  La  strada  era  divenuta  in 
quel  luogo  così  malsicura,  che,  giunto 
a  quel  punto  un  treno  pesante,  i  mac- 
chinisti esitavano  a  mandare  avanti 
la  macchina.  Ora,  mentre  quel  treno 
stava  fermo,  senza  andare  né  innanzi 
né  indietro,  sopraggiunse  a  granilo  m 
lecita  un  altri»  treno  che  piombò  sopra 
il  primo,  producendo  l'effetto  che  si 
vede  nell'illustrazione. 

Nelle    altitudini    elevate    il    nemico 
peggiore  con  cui  i  treni  hanno  a  o  m 
battere  è  la  neve.  Ni  I  cui  re  d<  ll'invi  < 
no,    dopo   una   forte  nevicata,    non    , 

rari  1  vedere  una  fila  di  sei  0  sette  

chine,  od  anche   più     fi  rzarsj   il   cam- 
mino attraverso  una  spessissima  m 
di  neve  con  lo  spa 

sui   lati  tutta  la  materia  ingi  mbrante, 
seppellendo  quasi   le  macchini    1     ria 
se.  ndendole  alla  vista  fra  due  alte  mu- 
ra gelai.-. 

Li    ferrovie  d     Barbadoes  som,  mi- 
nacciate contimi ;  ,   dall    a    |ui    del 

mare  che  :   le   linee  tanti     da 

farle    piegare    sotto    un     leggeris 
peso. 


■MI 

Ma  .  ire  in   Ameni  .1  .  una   delle   ferro 

Callao-Oroya,  nel 
ni  il  1.1.  bisi 
1  le  nude  pizi      er  gli 

e  i  loro  stnm  1  inli >  dei  gradini  a 

l  ii  tutta  la  lini  a    l'opera  più 

■    1        n     rii     ungo  rir- 

•  di  qui  ll'opera  a  00- 

1  nasi  un  milione  Vi  s  re  ex 

■  fatti  a  la\  1  1  zze.  Una 

1 1  si  ruzii  me,    l'arco  centrale 

li    in  1  >ass<  1,   Ma   n-  mini  in  1  qui 


1  11  1 .1.  codrìllo  che  lece 


l   \    LETTURA 


netti  mpresa,  che  fu  compiuta 

iti  .  ed  ora  il  traffii  nente 

su  quella  linea  mei  ■  he  corre  per  le  som- 

|i    ,     Vndi  .  ci  steggiando  i.rriliili  precipizi,  at- 
traverso tunnels  innumerevoli,  sotto  sproni  noci 
da   una   parte  all'altra  di  burroni  pr-  I 
dissimi  per  viadotti  vertiginosi.  La  lotta  fra  l'ii 
gno  e  l'intraprendenza  degli  uomini  <•  le  forze  della 
natura,  in  pra  finisce  mai;  e  i  monumenti 

del  lavoro  umano,  che  hanno  richiesto  spese  e  abi- 
lità -  1  1  nsural  ili,  pi  «si  mi  1  bens 
11   distrutti  ma  :i  ;  3  posto. 


deragliare  un  treno. 


lia  eittà  potolante 


Da  un  anici  il.,  delle  Leclures  pous  lous,  di  maggio  . 

("ora  la  Città  galleggiante,  e  ce  ne  sono  ancora; 
ma  di  città  rotolanti  se  ne  conosce  una  sola:  Cartown 
1  del  carro)  a  un'ora  da  San  Francisco  'li  Cali- 
forma.  Ci  si  va  in  tram,  e  arrivando  non  si  vedono 
ohe  carrozzoni  di  tram  immobili.  Questa  città 
americana  fu  fondata  da  un  Europeo,  anzi  da  un 
Italiano,   il  quale,   possedendo  un   pezzetto  di   ter- 
reno sulla  baia  di  San  Francisco,  ma  essendo  sprov- 
visto .li   mezzi   pi-r   fabbricarvi   una  casetta,   profittò 
dell'occasione  che  una  Società  di  tranways  vendeva 
e  le  sue  carri  zze  fuori  servizii  .  ne  compii''  una 
10  dollari,  la  trasportò  sul  suo  terreno,  la  mo- 
nco chalet  in  riva  al  mare.  Riu- 
■   ;  ni  .prio  conti     o  mprò  al- 
1 1  ce  altrettai  così  nai  que 

\vn. 
I .e   piattaforme  di  quesl i   1  .■■  1    dive 

ini    ,-    loggette,    anche    grazie    all'aggiunta 
emi    Alcune  1  air  zzi 
-.pra   una   base   di    m  0  di    legno. 

quale  si   sale  con   una  1  :    tutt'intorno 

una  '  usa   da   una   balau- 

ediante  stuoie. 

Tal-.  ni    s Uniti    in- 

i  .  rtani  >  ni  mi 
nori  ■•  sb  I 'astello  di  Navarro 

Chillon,  e.  Alcun 


biziosi,  sul  tetto  delle  carrozze,  hanno  costruito  un 
secondo  e  un  terzo  piano ,  con  leggere  pareti 
di  legno. 

Nell'interno,  un  lusso  e  un  coni/ori  di  primi  ri  li- 
ne. Le  antiche  panchette,  con  cuscini  1  stoffe  01 
tali,  sono  diventate  comodi  divani;  tende  e  tap- 
peti ornano  le  finestre  e  il  pavimento.  Vi  sono  le 
carrozze  divenute  camere  da  letto,  quelle  trasfor- 
mate in  salotti,  in  biblioteche,  in  gabinetti  da  toi- 
lette, ecc. 

Cartown  conta  più  di  100  case-tranways.  I  suoi 
abitanti  furono  dapprima  ospiti  di  passaggio  che 
\i  vennero  nelle  vacanze;  poi  gente  d'affari  che 
ogni  mattina  si  recavano  a  San  Francisco;  ma 
la  città  è  divenuta  autonoma  e  \ 
fornai,  di  macellai,  di  droghiere,  e  finanche  un  re- 
staurant:  il  tutto  dentro  altrettante  carrozze. 

\  canto  a  questa  città  dei  ttirr/  merita  di  essert 
menzionata  la  ci/là  delle  tirelle.  Arktown. 

1  con  carrozzoni  smessi,   pressi    San   Francis 
la  differenza  è  questa:  che  ad  Arkti  un  i  1 
non    sono   collocati    in    terraferma,    ma    sopra    una 
piattaforma  eretta,  mediante  palizzate,  in  mezzo  al 

|ua.  Questa  1  |  pi< 

Venezia,  divi  tali  nei  quali  si  gira  in  bar- 

chi  ' 

l       i  in-  full  ima  pan  ila  del 

gridilo  sia  cosi  un  ritorno  agli  accampamenti  pri- 
mitivi. All'inizio  di  '  uciw  del  Pel- 
lerossa, il  %urbi  dell'Africano,  tornano  ili  nuda.... 
Si  l'auto,  gli  Americani  vi  aggiungono  la  luce  elet- 
Fo  e  il  telefono. 


DALLE    RIVIDI! 


I  pieordi  spipitiei  di  uno  scienziato 

Ai   nostri    lettori   che   seguirono  con    interi 
riassunti   dell'inchiesta  sul   mondo  occulto,    pubbli- 
blicata  da  Giulio  Blois  nel  J  n  riuscirà 

no  interessante  sentire  ciò  che  dice  un  chiari-. -  m 
scienziato  italiano  intorno  allo  spiritismo,  dei  feno- 
meni del  quale  tanto  si  parla  in  questi  giorni. 
Quasi  tutte  le  persone  intervistate  dal  Blois  e- 
n  viziarono  opinioni  favorevoli  alla  tesi  spiritistica; 
Pietro  Blasema  pubblica  sulla  Nuova  A 
del  primo  maggio  un  articolo  che  presenta  il  rove- 
scio della  medaglia. 

Narra  il  dottissimo  professore  che  i  suoi  primi 
studi  sullo  spiritismo  datano  dal  1855,  quando, 
studente  a  Vienna,  prese  parte  alle  esperienze  dei 
tavolini  scriventi  allora  venuti  di  moda.  Si  trattava 
di  piccoli  tavolini  tondi,  del  diametro  di  25  o  30 
centimetri,  muniti  di  tre  piedi  leggieri,  ad  uno  dei 
quali  si  attaccava  una  matita.  Il  tavolino  si  collo- 
cava sopra  un  foglio  di  carta,  e  due  persone  vi  ap- 
ponevano le  mani  col  solito  sistema  della  catena  : 
poco  dopo  il  tavolino  si  moveva  e  con  la  matita 
scriveva  sulla  carta  le  risposte  alle  domande  che 
gli  si  rivolgevano.  Sotto  le  mani  del  Blasema  esso 
rispondeva  sempre  e  indovinava  molte  cose,  e  il 
giovane  studente  si  era  già  fatta  una  grande  repu- 
tazione :  quando,  dopo  due  mesi  di  giuoco,  egli  ri- 
velò l'innocente  trucco.  Basta  la  più  leggera  pres- 
sione coi  due  pollici,  inavvertita  dal  compagno, 
per  mettere  in  moto  il  tavolino  e  farlo  scrivere. 
Costò  più  fatica  al  Blasema  disingannare  i  suoi  a- 
mici,  che  non  gli  fosse  costato  creare  l'illusione  gra- 
dita ;  la  rivelazione  della  verità  dispiacque,  e  con 
alcuni  dei  compagni  egli  non  potè  più  rinsaldar;: 
l'amicizia. 

Poco  tempo  dopo  venne  la  moda  degli  spiriti  bat- 
tenti. In  una  stanza  illuminata,  dove  tutti  possono 
vedere  e  verificare,  il  medium  siede  sopra  una  sedia 
ed  evoca  uno  spirito,  il  quale  risponde  con  uno  o 
due  colpi  secchi  che  significano  il  sì  ed  il  no.  L'e- 
gregio fisiologo  professore  Maurizio  Schiff.  pn 
postosi  di  criticare  i  fenomeni  spiritici,  cercò  se  nel 
corpo  umano  vi  sono  tendini  capaci  di  produne  il 
colpo  secco  dei  medium.  Colpendo  un  muscolo,  il 
tendine  produce  un  suono  floscio;  ma  il  tendine 
detto  d'Achille  poggia  sull'osso  ;  ed  esercitatosi  a 
lungo,  lo  Schiff  giunse  al  punto  di  comandare  a 
questo  tendine  ed  a  produrre  il  colpo  secco,  por- 
tando al  piede  la  calza  e  la  scarpa,  senza  che  ni 
sun  movimento  tradisse  esternamente  il   giuoco  del 

I  tendine.  Il  Blasema  narra  d'avere  più  volte  assi- 
stito a  questa  esperienza,  che  fu  ripetuta  all'Acca- 
demia delle  scienze  di  Parigi  con  molto  divertimento 
di  quei  dotti:  lo  Schiff  batC  il  ritmo  della  Marsi- 
gliese che  allora,  sotto  l'Impero,  era  tanto  proi- 
bita. Ora  non  si  parla  più  degli  sfinii  battenti.  0 
per  meglio  dire  i  medium  moderni  fanno  l'espe- 
rienza al  buio  e  battone  con  l'orlo  della  suola  della 
scarpa  contro  la  gamba' della  tavi 

Sempre  sotto  il  secondo  [mpero,  proveniente  da 
Londra,  dove  aveva  conquistato  il  fisico  Crookes,  si 

La  Lettura. 


545 

presentò  a  Parigi  l'Hume.  medium  americano.  Co- 
stui fu  tanto  tene  accolto  alla  Corte  di  Napoleo- 
ne 111,  che  in  breve  icmpo  si  fece  una  ragguarde- 
vole  Ma  pare  che  ne  abusasse;   e,  proi- 

bitogli dapprima  l'accesso  a  Corte,  fu  poi  espulso 
dalla  Francia.  Andò  a  Pietroburgo,  e  vi  conquistò 
l'alta  società.  Si  formò  allora  una  Commissione  di 

scienziati,  a  capo  dei  quali  era  il  celebre  Men- 
if.  per  proporre  all'Hume  di  fare  gli  esperi- 
ni  comune;  egli  dapprima  tentò  di  schivarsi. 
poi  dovette  arrendersi  per  non  perdersi  agli  occhi 
di  tutti.  Le  esperienze  durarono  un  anno  e  mezzo; 
la  Commissione  rivelò  tutti  i  sotterfugi  del  medium. 
e  concluse  che  quante  volte  si  potè  operare  in  modo 
verificabile,  tante  volte  le  esperienze  fallirono.  Hu_ 
me  capì  di  doversene  andare,  e  passò  in  Germania; 
lì  fu  processato  e  condannato  per  truffa  spiritica, 
e  poi  scomparve. 

Un  altro  periodo  di  voga  spiritica  fu  quello  del 
nodo  che  si  fa  e  si  disfa  a  volontà ,  sfruttato 
dai  fratelli  Davenport.  Il  medium,  in  questa 
esperienza ,  si  mette  a  sedere  si  ipra  una  seg- 
giola ,  con  mani  e  piedi  legati  .  dentro  una  specie 
di  casotto  dove  stanno  collocati  tamburelli,  cam- 
pane, ecc.,  in  compagnia  di  due  sorveglianti.  Fatta 
l'<  scurità,  la  campana  squilla,  il  tamburello  suona, 
e  tutti  gli  oggetti  sono  lanciati  per  aria  verso  il 
pubblico:  rifatta  la  luce,  si  vede  ancora  il  medium 
con  le  mani  e  i  piedi  legati,  come  prima.  Un  assi- 
stente del  laboratorio  di  fisiologia  a  Berlino,  pa- 
gando una  forte  somma,  riuscì  a  scoprire  il  segreto 
dell'esperimento,  che  oggi  tutti  i  giocolieri  ripetono. 
Ma  da  questa  invenzione  del  nodo  nacque  la  teoria 
dtllo  sdoppiamento,  la  quale  fu  enunziata  da  un 
dotto,  il  professor  Zòllner,  di  Lipsia,  in  un  appo- 
sito volume  intitolato  Fisica  trascende  ni  e.  Ecco  uno 
dei  casi  la  lui  narrati:  un  medium,  una  donna, 
è  collocata  dietro  una  tenda  larga  e  fitta,  con  le 
mani  e  i  piedi  legati  ;  di  qua  dalla  tenda  sta  il  pub- 
blico in  piena  luce.  A  un  tratto  la  tenda  si  muove, 
si  apre  e  lascia  passare  una  donna,  che  somiglia  a 
quella  di  prima,  ma  non  può  essere  —  si  crede  — 
la  stessa,  perchè  più  piccola,  con  voce  più  guttu- 
rale, vestita  di  bianco  mentre  la  prima  ha  un  abito 

e  le  mani  e  i  piedi  legati  ;  e  così  legata,  e  con 
l'abito  nero  si  ritrova  quando  la  donna  bianca, 
dopo  aver  parlato  con  gli  astanti,  si  ritira  dietro 
la  tenda.  Senza  ''tirarsi  mai  di  verificare  se.  mentre 
la  donna  bianca  girava  per  la  sala,  la  nera  era  sem- 
pre al  suo  [Misto  .  lo  Zòllner  ammise  che  il  medium 
si  sdoppiasse.  La  vita  di  questo  scienziato  può  spie- 
gare ciò  che  da  parte  di  un  vero  dotto  non  si  capisce. 
1  (1  pi  alcune  belle  scoperte  di  astronomia  tìsica,  egli 
stupì  il  mondo  scientifico  pubbl  nobili  at- 

hi  contro  il  Tyndall.  l'Helmholtz,  l'Hofmann 
ed  altri  illustri.  Si  seppe  poco  tempi  dopo  che  un 
medium  abilissimo  e  intraprendente,  l'americano 
Slade,  l"  aveva  tato  allo  spiritismo,  e  che  il 

sin    1  io  tanti  maestri  proveniva  da  ciò  che 

il  Tyndall    aveva    fatto  in    Inghilterra   una   guerra 
gica  ed  efficace  o  ntro  Io  spiritismo.  1  he  l'Helm- 
holtz  aveva   tradol  1      n   tedesco  le  opere  del   Tyn- 

e  che  l'Hofmann  era  amico  dell'uno  e  dell'al- 

35 


.  >|i>  LA    LETTURA 

tra  I    lo  Zollner  finì  male,  in  una  casa  ili  salute; 
he  1"  Sladi  issato  per 

(lede.    II!    .'Milli. UHI  ! 

dici  anni  addietro,  venne  'li  moda   I  i 
Paladino.    A   Milane,   i  I    igenio 

i  i  un  momenti  i  crei  l<  linciò 

a  dubitare,  e  dopo  aver 

medium,  lo  denunziò  in  un  notevole  articolo,  d 
ndo  come  l'Eusapia,  pure  stanilo  in  catena,  rie- 
id  avere  una  mano  od  un  piede  libero,  e  compii 
uoch       nza  che  i  vicini  se  ne  ai 
!  i    del  Torelli  può  e  ili v  ri  1>1  «■ 

gii    alla  sua   mi 
moria  ;  perdi  .  o  a  mirabile  finezza  ili  i  sservaz 

nza  aver  vissuto  nei  laborab  ri.  egli  diede  prova 
.li  rum  si  Dentale.  Il  giui  o  i  della 

Paladino  pareva  che  ne  fosse  sfatato;  ma  essa 
ha  ancora  i  suoi  ammiratori  e  credenti,  e  in  suo  fa- 
si soni'  fatti  sforzi  giganti  salvarla 
dalla  gran  disfatta  ili  tutti  gli  altri  medium  ;  ma  i 
suoi  procedimenti  sono  gli  stessi.  11  dottor  Uberto 
Dutb  ente  isii  logia  in  Roma,  ha  scrit- 
tuta  relazione,  rivelando  il  trucco 
della  Paladino  nella  esperienza  della  tenda  rhe  si 
muove:  la  tenda  si  mosse,  narra  egli,  nell'istante  in 
cui  il  piede  di  lei  si  era  staccato  dal  suo:  in  un  se- 
i-i ndo  tentativo  che  durò  mezz'ora,  il  dottore  tenne 
ii  piede  ostinatamente  attaccato  a  quello  della  me- 
dium, e  l'esperienza  non  riuscì  più. 

Queste  sono  le  vicende  dello  spiritismo  negli  ul- 
timi cinquantanni.  Esse  rivelano  la  sua  costante 
tendenza  ad  avvolgersi  nel  mistero  per  rendere  im- 
possibile la  riprova;  e  con  la  scusa  che  gli  spiriti 
osi,  i  medium  si  premuniscono  contro 
gli  ospiti  dei  quali  diffidano.  I-e  operazioni  si  fanno 

si  sempre  al  buio  perfetto,  o  nella  penombi  i 
si  minacciano  i   più  gravi   pei  pei    il  «  povero  » 

medium  se  qualcun.,  facesse  improvvisamente  la 
luce.  In  queste  condizioni  non  solo  la  verifica  è  dif- 
ficile, ma  lo  spirito  degli  astanti  facilmente  si  tur- 
ba e  divi  labile.  Lo  spiritismo  è  una 
delle  tante  forme  di  scienze  occulte  che  in  tutti  i 
tempi  e  presso  tutti  i  popoli  hanno  travagliato  una 

e  di  pei  queste  scienze  -1  rivolg 

all'immaginazione  e  non  all'ititeli.  ;      no  quindi 

rapi  ma  non   i  rivar  mai   ad 

essere  rio  rchè    il   caratten    della    vera 

nza  sta  nella  riprova,  nella  possibilità  di   ripro- 
durre un  dato  fern  volontà.   Ce   poi   nello 
spiritismo  una  tale  sproporzione  tra  quello  che  fa 
Ilo  che  pretende  di  essere,  che  non  si  capisce 
di   vali  n  dentro  e  ere- 
spiriti  di  Danti    ;  di  G:  delle  per- 
orisi per  mezzo  d'una 

Paladino  <>  di  un  Politi,  rana 

nfus      e  ti 
tra  un  alti  o  che,    inche  a  pai" 

credei  merita  gran  considerazione,  e  la 

hina  caricatura    I 

;    o  ■  dei  medium,  in 
.ii  in  i  di  fine,  nobile  ed 

I  sono    qui 

mani  per  picchiare,  barbe  per  sfii 


bocche  pei  I  me  i  cor]  i  materiali?  Se  an- 

uzie  dei  medium  ni  state  svi 

non    si    potrebbe  credere  a  urtanti   e 

esche.    | ibili    soltanto   al    più    basso   gradino 

di  ogni    I  .ma    ed    intellettuale.    !•'.'    inutile 

affannarsi  intomo  a  tale  a  tal  altr..  fenomeno;  può 
anche  darsi  che  qualcuno  non  sia  stato  ancora  suffi- 
iti .  ;  ni  i  tutto  l'insieme  delle  ri- 
vi l.i/  ni  delle  persone  spregiudicate  avrebbe  dovuto 
schiacciare  lo  spiritismo,  che  resiste  soltanto  perchè 
I  umanità  ha  bisogno  di  credenze  e  si  opponi 
tentai  ivi  dì  scuoti  i  se  som  i  assurde. 

Vlcuni  giornali  di  Roma  hanno  iniziato  contro  i 
è  bene  sia  proseguita. 
Quelli  che  li  difendono  adoperano  argomenti  me- 
diocri, affastellano  nomi  di  scienziati  italiani  e 
meri,  di  gran  fama,  mediocri,  ed  anche  nulli.  I 
progressi  della  scienza  si  sono  fatti  indipendente- 
mente dal]  autorità  delle  singole  persone.  Nel  se 
decimottavo  la  grande  autorità  di  Newton  non  salvò 
la  teoria  della  emissione  della  luce  da  lui  caldeg- 
i  .piando  Fresnel  giunse  a  far  accettare 
quella  delle  ondulazioni,  era  ancora  un  giovane  ed 
oscuro  ingegnere  di  provincia.  Ma  fra  i  tanti  nomi 
i  s'insiste  specialmente  su  due:  quelli  dello 
Zollner  e  del  Crookes.  Si  è  già  parlato  del  primo; 
parliamo  del  secondo.  Il  Crookes  è  noto  come  abi- 
lissimo sperimentatore,  inventore  del  radiometro  e 
dei  tubi  che  portano  il  suo  nome,  e  nei  quali  egli 
credette  di  vedere  un  quarto  stato  della  mai. 
Qui  ncetto  non  fu  accettato,  perchè  si  trat- 

tava    si  l'auto   di   un   caso  speciale  della  teoria  ci- 
netica dei  gas.   Quando  il    Roentgen  scopri   i  suoi 
raggi,  si  ricercarono  gli  abbandonati  tubi  del  Ci 
kes,   non   per  il  loi  i     scientifico,  ma   perchè 

in  essi  l'inventore  aveva  spinto  la  rarefazione  del- 
l'aria a  un  alto  grado,  condizione  richiesta  dalle 
esperienze  del  Roentgen.  11  Crookes.  lasciatosi  se- 
durre dall'Hume  e  da  altri  medium,  pubblicò  un 
libercolo  dove  descrisse  molto  male  le  sue  strane 
.  pei  enzi  Esse  furono  accolte  con  diffidenza,  e 
di  pò  che  i  trucchi  dell'Hume  e  dello  Slade  furono 
s  i  perti.    .-   i    I  ii   condannati    dai    tribunali, 

parve  che  anche  il  Crookes  dubitasse,  e  certo 
molti  anni  non  parlò  più  di  spiritismo.   I  suoi  amici 
dicevam    chi    si  era   ricreduto,   ma  che  non  voleva 

fi  ssarlo    in    pubi  :  chi    anni    ad- 

dietro egli  pronunziò  una  frase  che  potrebbe  si- 
gnificare un  ritomo  agli  antichi  amori.  E'  noto 
che  in  IL  lare,  di  là  e  di  qua  dai  sette  co- 

lori dell'iride,  vi  sono  infinite  altre  radiazioni  calo- 
rifiche,   elettri. 'he.  11    Crool 

che  vi  possono  essere  anche  le  radiazioni  spiritiche 
i  li  pai  l'in'  .    assi  di- 

nere  alto  il  corso  della  ren- 
dita. 

11  dovere  degli  spiritisti  convinti  sarebbe  di  fare 
una    severa   scelta   dei    loro   medium.   La   quistione, 
i  re  se  tutto  quat  ritismo  è  fon- 

dato .sul  trucco,  o  se  una  pai  salvarsi  dal- 

l'imminente  rovina.    Il   Blasema  inamente 

i  . .  ;    ma    chi    pensa   divi  i 
mi  riti  i  incente. 


DALLE    RIVISTE 


lie  esplorazioni  polari 


(Da  un  articoli!  della  rivista   Vclhagen  und  Klasingi  Ufo 
natsheftc ;. 

L'attenzione  degli  scienziati  e  del  mondo  si  \olj.e 
ogni  giorno  all'orizzonte  misterioso  dove  è  scom- 
parso, trascinato  dai  venti,  il  pallone  di  un  esplora- 


547 

Abruzzi,  del  barone  Edoardo  Toll  e  inline  la  gran- 
de spedizione  russo-svedese  che  costò  agli  organiz- 
zatori tre  anni  di  studi  e  di  apparecchi. 

Dall'esame  dei  vari  giornali  di  bordo  risulta  però 
ben  delineata  una  grande  distinzione  nei  viaggi  po- 
lari :  abbiamo  cioè  la  spedizione  scientifica  e  la 
spedizione-sport  :  la  prima  parte  col  concetto  di  rac- 
cogliere nuovi  elementi  per  nuovi  studi  tellurici  ed 
astronomici  il  cui  teatro  è  la  terra  ignota  ;  e  la  secon- 


In  cammino. 


tore  infelice  Andrée.  Prima  di  lui  Nansen  aveva 
lanciato  la  prua  della  sua  Frani  contro  i  banchi  di 
ghiaccio  di  regioni  inesplorate  e  altri  esploratori  se- 


da si  getta  innanzi  sventolando  una  bandiera,  la  ban- 
diera ch'essa  vuole  piantare  nel  ghiaccio  a  latitu- 
dini non  ancora  raggiunte.   Tutte  cercano  il  polo. 


11  sole  di  mezzanotte. 


guirono  più  o  meno  fortunati,  tutti  però  rivolto  lo 
sguardo  al  polo  misterioso,  divoratore  di  vite  e  di 
entusiasmi.  Cosi  gli  ultimi  semafori  delle  terre  po- 
lari  videro  passare   la  spedizione  del   Duca   degli 


quella  come  base  di  studi,  questa  come  mèta  di  una 
corsa. 

Come  tipo  ideale  di  una  spedizione  polare,  pos- 
siamo ricordare  quella  di  Xansen,  partito  dalle  co- 


548 

ati  'lì  scop 
il  |xiln  e  di  i  nenti  ili  studi  scientifici. 

Vansen     i  bbene  non  abl 


Un  antagonismo  sciagurato  è  che  dura  da 
fra    la    Svezia   e   la    Norvegia    spinse   l'emulazione 
auds  Vndree  a  tentare  di    sorpassare  le 


Alle  undici  di  sera. 

ungere  il  polo,  ha  però  molto  operato  e  molto      quiste  di  Nansen  :    Xansen  ed  Andrée  furono  due 
conqui  ui  -'ione  polare.  Dietro  il  suo      bandiere  per  i  due  Stati  eternamente  in  lotta  di  in- 

potuto quasi  completamente  sfa-      vidie  e  di  ambizioni,   le  quali  dovevano  avere  poi 


invernale 


ggenda   di   un'isola  veri  i 

:  ■    t] 

rto  dai  ghiacci  galleggianti  e 


un  cosi   tragico  epilogo  nella   notte  e  nel   mis 
del  polo. 

Fra  le  ultime  spedizioni  la  più  celebre  per  pra- 
ndi, in  la  russi   svedese  di  cui  fu  capo  il 


IiALLE    RIVISTE 


dottore  Alessandro  di  Bunge.  non  nuovo  alle  batta- 
glie del  polo  da  lui  già  sfidate  in  altri  viaggi,  e  ce- 
lebre pei  lavori  della  grande  ferrovia  transiberiana 
e  per  l'esplorazione  dello  Spitzberg. 

A  proposito  di  tali   viaggi   ardimentosi,    ricorre 

la  domanda:   —  Ma  perchè  l'uomo  lotta  e 

muore  per  arrivare  al  polo?  Che  o 

può    egli    trovare    in    quell'oceano    di 

ghiaccio,   di  tempeste  e  di  morte  ? 

La  risposta  è  facile.  Vi  sono  art 
tante  questioni  insolute  cui  solo  la  sco- 
perta del  polo  può  dare  la  risposta 
definitiva:  v'è  il  problema  del  magne, 
tismo  terrestre,  il  fenomeno  degli  ef- 
fetti solari,  i  fenomeni  biologici  nel 
campo  vegetale  ed  animale  che  do- 
mandano alla  scienza  umana  l'ulti- 
ma risposta  ;  v'è  infine,  un  campo  im- 
menso e  vergine  di  scoperte  geologiche 
che  forse  sono  destinate  a  dire  l'ul- 
tima parola  sulla  cosmogonia  univer- 
sale. A  ciò  si  aggiunga  la  sete  dell'i- 
o,  la  grandiosità  delle  nebbie,  delle 
tempeste,  delle  tormente,  l'imponenza 
delle  grandi  notti  polari  e  tutto  quel 
fascino  di  mistero  e  di  bellezza  che 
si  cela  dietro  gli  immensi  banchi  gal- 
leggiagli   di    ghiaccio. 


549 

secate  da  fiords  e  da  crepacci  e  con  montagtu 
arrivano  fino  a  1800  metri.  Scoperto  nel  1596  dal 
navigatore  Guglielmo  Barrent,  fu  la  mèta,  per  tanti 
anni,   di    tutti   gli   esploratori    polari,    onde   si    può 
chiamare  una  conquista  internazionale- 
In  nessun  luogo  come  nelle  regioni  polari  si  può 


Fra  i  ghiacci. 

La  grande  spedizione  allo  Spitzberg.  già  ricor- 
data, fu  merito  degli  sforzi  collettivi  della  Russia 
e  della  Svezia  e  di  due  attivissimi  Comitati  creati 
nei  due  paesi  e  presieduti  rispettivamente  dal  gran- 
duca Costantino  Costantinovich  e  dal  principe  ere- 
ditario Oscar.  Suo  fine  principale  fu  la  misura- 
zione e  la  constatazione  della  forma  esatta  della 
ra  terra,  cosa  che  ancor  oggi  non  è.  del  resto, 
conosciuta  con  ogni   sicurezza. 

Campo   di   operazione  furono   appunto   le 

dello  Spitzberg  la  cui  parte  sud  fu  assegnata  alla 

spedizione   russa    e   le   regioni    nord  agli    svedesi. 

L'arcipelago  è  composto  di  moltissime  isolette  sor- 

ti  sporadicamente  fra  altre  più  vaste,  tutte  inter- 


II  laboratorio  della  stazione. 

dire  che  il  successo  è  questione 
di  denaro:  la  spedizione  allo 
Spitzberg  avrebbe  certamente 
l'arto  epoca  nella  storia  delle 
grandi  scoperte  geografiche  se  le 
casse  non  si  fossero  così  presto 
sauriti  Ecco  il  resoconto  del 
capo  della  spedizione: 

«  Dopo  tre  stagioni  estive  di 
studi  e  di  osservazioni  sotto  l'im- 
-  rsare  delle  turbinose  bufere 
di  neve,  la  spedizione  si  mosse. 
Al1'  ra  d'un  tratto,  ci  si  offerse  al- 
lo sguardo  uno  spettacolo  di  tale 
diosità  die  nessun   sogni 
.1    o   di    paesista   potrà  mai 
immaginarlo:     due     gigantesche 
igne  di  ghiaccio  bianchissi- 
me   ed     iridescenti     stavano    di 
fronte     attraversate     dal     mare 
profondamente  azzurro  :    sembra- 
vano il  passaggio  trionfale  di  un  conquistatore  mi- 
sterioso. 

«  La  vegetazione  allo  Spitzberg  è  povera,  e  per  la 
sterilità  del  suolo  costituito  da  dura  roccia  e  per  la 
breve  durata  dell'estate.  In  febbraio  si  hanno  i  pri- 
mi tiepidi  giorni  primaverili  :  allora  le  nevi  si 
odiano,  appare  la  terra,  e  una  timida  e  pallida 
flora  di  licheni  e  di  arbusti  rompe  la  oianchezza 
immensa  dello  sfondo. 

a  I  nostri  esploratori  durante  le  calme  e  tiepide 
giornate  estive  avevano  potuto  con  celerità  sorpren- 
dente stabilire  una  stazione  di  osservazioni  meteo- 
rologiche e  magnetiche,  finche  i  lavori  furono  in- 
terrotti dal  sopraggiur.fere  delia  gran  notte  polare, 


LA    LETTURA 


che  u  i  ita  in  'incile  terre 

desola 

«  Tur  troppo  tristi  malattie  ini  allora  e 

specialmente   Io   scorbuto   miete   vittime   numei 
tr.i  la  falange  degù'  audaci  esploratori. 

o  Uno  dei  fenomeni  più  pericolosi  sono,  durante 
la  lunga  notte,  le  tempeste  di  neve,  che  avvolgoti" 
ogni  cosa,  vero  torrente  di  polvere  ghiacciata 

trapassa    sulle    nostre    !.  i    velocità    (li    30    o 

40  metri  al  secondo,  trascinando  spesso,  nella  sua 

1    pazza   e  violenta,   piccole  pietre  che  girano 

vi  ri  e  e  durando  talvolta   persino   cinque 

giorni. 

«  Meravigliosi  del  polo  rimangono  però  sempre 

li  effetti   'li    luce  che  sono  il   delirio  degli   espi' 

ri  e  1  he  solo  pallidamente  la  macchina  fotogra- 
fica è  riuscita  a  riprodurre  sulle  sue  lastre. 

«  Alla  spedizione  non  mancò  neppure  il  lato  sen. 
ntale  e  la  notte  di  Natale,  illuminata  dalle  ti- 
mide iridiscenze  di  un  orizzonte  lontano,  gli  esplo- 
ratori raccolti  intonarono  gli  inni  religiosi  della  pa- 
tria  remota. 

«  Lo  -1  to  era  allora  la  caccia  agli 

orsi,  gli  enormi  abitatori  di  quei  ghiacci  solitari, 
unici  esM  ri  viventi  che  si  muovono  sui  banchi  di 
ghiaccia 

«  Finalmente  un  giorno  comparve  sull'orizzonte 
la  nave  di  guerra  Svensfund,  che  veniva  a  togliere 
gli  espi'  rat'  ri  dal  loro  volontario  esilio. 

«  Gli  esploratori  si  augurano  che  presto  una  slitta 
fortunata  corra  sui  ghiacci  sino  al  polo  disputati-. 
che  ha  divorai"  ormai  tante  vite  e  presto  il  grido 
di  vittoria  scop|iì  anche  là  dove  è  la  mèta  e  il  sogno 
dei  più  ardimentosi  figli  della  terra  » 

■  «in»         1 

Coppiere  seientifieo 


In  un'intervista  sulla  telegrafia  senza  fili  e  il  suo 
avvenire,  M.  I.  Pupin  —  professore  all'Università 
di  New  York  e  inventore  di  un  apparecchio  per  la 
trasmissione  segreta  e  multipla  di  dispacci  senza 
fili,  di  cui  la  Compagnia  Marconi  ha  comprato  i 
bre\  '  -  ha  fatto  le  seguenti  dichiarazioni  : 

a  Io  non  ho  alcun  dubbio  che  la  telegrafia  senza 
fili  avrà  un  gran  successo  commerciale,  ma  i  mes- 
saggi telegrafici  saranno  sempre  trasmessi  in  un 
camp"  spaiale:  per  l'invio  di  telegrammi  transo- 
ceanici ira  due  punti  fissi  sulle  due  rive,  i  cavi  sa- 
ranno sempre  superiori. 

ounque,  il  primo  risultato  commerciale  del  si- 
stema M  .  di  obbligare  le  Compagnie  dei 
cavi  transatlantici  a  svegliarsi  e  a  sostituire  i  cavi 
vecchi  cui  nuovi  capaci  di  lavorare  senza  indugi  e 
con  gran  rapidità. 

love  la  telegrafia  senza  fili  regnerà  sovrana, 
sarà  nelle  comunicazioni  delle  st 
di  terra  con  navi  in  nn  no  Oi      ni      e  sotto 

questo   punto   di    v  irà   abbastanza   da    tate 

per  essere  sicuri  del  pieno  sui  mmerciale  del- 

l'impresa ». 


li'uniforme  dei  deputati  in  Francia 


Da  un  articolo  ili  Luigi  de  la  Lauter,  m  Ile  /  ectures  ma- 
dernes,  a  proposito  delle  elezioni  generali  frani 

Dal  17.S1J  fino  alla  caduta  del  secondo  Impero,  i 

deputati,    in    Francia,    portarono  quasi   sempre  un 

costume  speciale;    la  storia  di  questa  uniforme,  che 

la   terza   Repubblica  ha  abolito,   è,    in    iscorcio,    la 

Francia  durante  un  secolo  e.  si   può  an- 

la  storia  della  moderna  società. 

Prima  che  gli  Stati  (  onerali  si  riunissero,  la 
1  arte  aveva  scelto  e  prescritto  i  costumi  dei  rap- 
presentanti ;  e  nelle  differenze  di  colore,  di  ricchez- 
za, di  ornamenti,  secondo  che  si  trattava  dei  dele- 
gati della  Nobiltà  e  del  Clero,  o  di  quelli  del  Terzo 
Stato,  appaiava  la  preferenza  de!  re  per  i  due  pri- 
mi. Mirabeau  comprese  che  queste  differenze  negli 
abiti  avevano  una  grande  importanza  politica,  an- 
che a  paragone  dei  grandi  problemi  che  allora  si 
discutevano.  «  Io  credo  »,  egli  scrisse,  «  che  la  di- 
stinzione dei  costumi  dati  ai  rappresentanti  dei  di- 
versi ordini  sia  stata  disapprovata  da  tutti;  ma 
tutti  non  sono  in  grado  di  misurarne  le  conseguen- 
ze politiche:  i  più  non  vi  vedono  altro  che  una  u- 
miliazione  dei  deputati  dei  Comuni,  perchè  non 
hanno  accordato  a  questi  ultimi  né  pennacchio  né 
ricamo,  e  immaginano  che  gli  altri  due  ordini  deb- 
bano essere  alteri  di  una  simile  distinzione.  Ma 
me  non  si  riflette  che  prescrivere  un  costume,  qua- 
lunque esso  sia.  ai  membri  del  Corpo  legislativo 
presieduto  dal  monarca  e,  per  conseguenza,  del  po- 
tere supremo,  è  sottomettere  i  depositari  di  questo 
potere  all'assurda  e  ridicola  autorità  di  un  mai 
di  cerimonia?  Non  è  questo  il  colmo  dell'assoluti- 
smo e  dell'avvilimento?  Che  importa  l'eleganza  e 
la  ricchezza  degli  abiti  ?  La  servitù  non  è  la  stessa  ? 
E  uomini  nati  per  la  libertà  possono  prestarsi  a 
questa  vergognosa  degradazione?  Dare  un  costume 
diverso  ai  deputati  dei  diversi  ordini,  non  è  per 
conseguenza  fortificare  quella  sciagurata  distinzio- 
ne ile-li  ordini  che  si  può  considerare  come  il  pec- 
cato  originale  della  nostra  nazione,  e  della  quale 
dobbiamo  assolutamente  sbarazzarci  se  pretendia- 
mo rigenerarci?  »  Il  re  non  diede  ascolto  a  qui 
1  p  ni"lti  deputati  ricusarono  allora  di  piegarsi 
all'obbligo  del  costume,  e  questa  contesa  non  fu 
l'ultima  ad  inasprire  gli  animi  ed  a  portare  le  cose 
al  punto  a  cui  più  tardi  arrivarono.  Forse 
Luigi  XIV  pagò  '"il  la  testa  la  mancanza  di 
penne  bianche  nei  cappelli  ilei  deputati  del  Terzo 
Stai".  Il  c'.stunic  fu  poi  soppresso;  ma.  affinchè  i 
legislatori   poti  ere  riconosciuti,   si   t\nt\e  a 

ciascuno  di  essi  una  specie  di  tessera  d'identità  da 
presentare  alla  porta.  Fra  in  forma  di  medaglia: 
portava  scritto  da  un  lato,  in  giro:  Assemblea  "a- 
zinnale.  !'$<).  e  nel  me/70,  fra  tre  gigli  di  Fran- 
/  le  ri'i  :   dall'altro  lato:   Comitato  del- 

I   lembi eo  nazionale,  le  indicazioni  personali,  e  la 
firma  del  Commissario  dell' As  emblea,  il  quale  non 
litri  che  il  dottor  Guillotin.  inventore  dell'urna- 
apparecchio  che  prese  il   nome  da  lui. 


DALLE    RIVISTE 


55 1 


L'Assemblea  Legislativa,  succeduta  alla  Nazio 
naie,  aggiunse  alla  tessera  una  specie  di  decorazio- 
ne, composta  d'una  stella  di  rame  dorato,  sulla 
quale  erano  rappresentate  le  tavole  della  legge  con 
lettere  d'oro  su  smalto  bianco,  il  tutto  pendente  da 
un  largo  nastro  tricolore.  Alcuni  vanitosi  onorevoli 
sfoggiarono  questo  segno  della  loro  dignità  fuori 
dell'Assemblea  :    fu   severamente   proibito   di    farne 

:   uso  fuori  delle  sedute 

I  membri  della  Convenzione  non  ebbero  costume 
ufficiale  ;  ma  presero  la  consuetudine  di  portare  la 
cintura  tricolore  e  il  cappello  con  tre  piume:  az- 
zurra, bianca  e  rossa,  e  un  gallone  incrociato  so- 
pra una  coccarda:  era  il  costume  adottato  dai  rap- 
presentanti del  popolo  in  missione  presso  i  corpi 
d'esercito.  Sul  punto  di  sciogliersi,  questa  Conven- 
zione, che  non  aveva  voluto  un  abito  speciale  per  i 
suoi  membri,  ne  stabilì  uno  per  le  future  assemblee, 
essendo  accaduto,  in  quei  tempi  torbidi,  che  i  depu- 
tati  non  fossero  riconosciuti,   e  che  persone  senza 

j'  mandato  riuscissero  a  prender  parte  alle  sedute.  I 
Convenzionali,    probabilmente,    si    ricordarono    an- 

:  che  le  parole  di  Gian  Giacomo  Rousseau  :  «La  mae- 
stà del  cerimoniale  impone  al  popolo;  essa  confe- 
risce all'autorità  un  aspetto  d'ordine  e  di  regola  che 
ispira  confidenza  e  che  evita  le  idee  di  capriccio  e  di 
fantasia  annesse  a  quella  del   potere  arbitrario  ». 

I  Gregoire  de  Tours  pronunziò  per  l'occasione  un 
gran  discorso:  <i  Adottando  un  costume  per  i  de- 
positarli   della    pubblica    autorità  ».    esclamò    egli. 

I  «  voi  tornate  all'uso  di  quasi  tutti  i  popoli  antichi 
e  moderni  :  benché  una  decorazione  distintiva  possa 
talvolta  alimentare  l'orgoglio  e  fomentare  l'ambi- 
zione, essi  non  hanno  creduto  che  questo  inconve- 
niente distrugga  il  vantaggio  di  accordare  alla  legge, 
che  è  un  ente  morale,  il  rispetto  dovutole,  personi- 

1  ficandola,  per  così  dire,  con  un  segno  visibile  in  co- 
loro che  ne  sono  gli  organi...  Il  linguaggio  dei  se- 
gni ha  una  sua  propria  eloquenza  ;  i  costumi  distin- 
tivi fanno  parte  di  questo  idioma,  svegliano  idee 
e  sentimenti  analoghi  al  loro  oggetto,  particolar- 
mente quando  impressionano   l'immaginazione    col 

I  loro  splendore.    Invano  si   dirà  che  l'apparato  fa 

',  effetto  sugli  occhi  volgari  :  noi  tutti  abbiamo  sensi 
che  sono,  per  così  dire,  le  porte  dell'anima.  Tutti 
damo  suscettibili  di  ricevere  per  loro  mezzo  impres- 
sioni profonde,  e  coloro  che  presumono  governare  i 

!  popoli  con   le  teorie  filosofiche  non   seno   filosofi  ». 

!  Già  il  Consolato  e  l'Impero  erano  vicini. 


Il  costume  proposto  da  questo  oratore  fu  accet- 
tato dalla  Convenzione  per  il  Consiglio  dei  Cinque- 
remo:  consisteva  in  una  veste  lunga  e  bianca  con 
una  cintura  azzurra,  un  mantello  scarlatto  e  un 
tocco  azzurro.  Ma  i  Cinquecento  non  gradirono 
molto  quella  specie  di  magnifica  camicia  da  notte 
decretata  dai  loro  predecessori,  e  si  scelsero  un  co- 
stume alla  francese  con  un  mantello  rosso.   Un  re- 


dattore del  Monitore  universale  scrisse:  «  bisogna 
confessare  che  quella  gran  quantità  di  mantelli 
rossi  stanca  enormemente  gli  occhi;  ma  il  costume 
ha  qualche  cosa  di  bello,  d'imponente  e  di  vera- 
mente senatorio  ». 

Nondimeno,  anche  quest'abito  passò  di  moda,  e 
una  Commissione  dei  Cinquecento  ne  votò  un  altro 
che  fu  allottato  dall'Impero:  redingote  aperta  sul 
davanti,  azzurra,  coi  risvolti  dello  stesso  colore;  col- 
letto e  manopole  ricamate  d'oro,  cintura  tricolore 
con  frange  d'oro,  cappello  a  due  punte  con  ghiande 
d'oro. 

La  Restaurazione  lo  abolì  immediatamente,  e  ne 
adottò  un  altro,  senza  più  cintura,  con  lo  spadino,  e 
i  gigli  d'oro  e  d'argento  sui  bottoni  e  nei  ricami  : 
tornavano  le  idee  imperanti  sotto  l'antico  regime. 


(  'i  m  la  Monarchia  di  Luglio  la  quistione  del  co- 
stume parlamentare  diede  luogo  a  lunghi  e  vivaci 
dibattiti.  Alcuni  lo  volevano,  ma  i  principii  demo- 
cratici avevano  già  fatto  molta  strada.  Lamartine 
pronunziò  sdegnose  parole:  «  Io  condivido  »,  disse 
all'Assemblea  agitata,  «  la  vostra  impazienza  di 
venire  ai  voti.  Vi  scongiuro  di  venirci  subito  e  di 
non  far  dire,  prolungando  questa  discussione,  al- 
l'Europa che  ci  guarda,  alla  Francia  che  aspetta, 
che  mentre  i  più  gravi  affari  del  paese  sono  sospesi, 
la  Camera  dei  Deputati  dimentica  Algeri,  la  Spa- 
gna e  le  grandi  quistioni  industriali,  per  deliberare 
sulla  scelta  d'un  frak  o  d'una  redingote...  »  Nono- 
stante la  discussione  durò  parecchi  giorni  e  fu  vio- 
lentissima ;  anche  il  saggio  Royer  Collard  dovette 
prendervi  parte  e  dichiarare  che  «  non  si  ha  una 
giusta  idea  del  deputato  quando  lo  si  prende  per 
un  funzionario  ».  Vinse  il  partito  contrario  all'uni- 
forme ;  e  mentre  così  il  regno  di  Luigi  Filippo  lo 
aboliva,  la  seconda  Repubblica  che  gli  successe  la 
rimise  in  onore.  Tuttavia  un  solo  deputato  volle 
portarla:  un  certo  Caussidière,  il  quale  rappresentò 
una  parte  importante,  facendo  successivamente  il 
tessitore  di  seta,  ii  rivoluzionario,  il  deputato,  il 
prefetto  di  polizia  e  finalmente  il  negoziante  di 
vino;  tutti  gli  altri  si  contentarono  della  tessera  e 
del  distintivo.  L'uniforme  così  poco  portata,  non 
rammentava  in  nulla  i  costumi  d'altri  tempi  ;  era  an- 
zi adattata  alla  moda  regnante:  consisteva  in  un 
frak  nero,  col  collo  largo  e  guarnito  di  bianco,  in 
un  panciotto  bianco,  in  un  calzone  nero  con  la  cin- 
tura  tricolore. 

Il  secondo  Im]>ero  la  modificò  radicalmente  e 
ne  fece  qualche  cosa  di  pochissimo  democratico: 
frak  azzurro  a  grossi  bottoni  con  l'aquila  imperiale 
e  ricami  al  collo  e  alle  manopole;  calzoni  di  Ca- 
simiro bianco,  con  una  striscia  d'oro  sulla,  cucitura; 
spada  con  l'aquila  sull'impugnatura,  cappello  a 
due  punte.  Ma  i  deputati  non  ebbero  mai  l'obbligo 
di  portare  quest'uniforme,  e  la  terza  Repubblica 
la  abolì  naturalmente,  senza  sostituirle  altro  che 
la  medaglia,  la  sciarpa  e  'a  tessera. 


.>.»_' 


LA  LETTI 


Fna  i  microbi 


.li    W'illfred    Mark   Webb,   nel    f^ondou 
Harmsworth  .'..'. 

rmi  dannosi  per  causa  dei  quali 
le  malattie  infettive  si  raccolgono  e  si  pn  pa 
•  i      I    gro  i  inza, 

i  anche  la  li trono  tutte  all'opei  a 

malefica.  Alla  moda  si  devono,  pi  lun- 

nor     'in    pure 

tanti  i  e  laraeni       e  oonda i     «  Ira 

i  -     la  più  giovine,  forse,  tra  le  scien- 

i"  ilraente  coinè  la  suddetta  coda  sia 

asilo  .li  cattivi  germi:  e  convincenti  espi 

■  ;  si  si  m  i  Fanno  in  questi   i  unpo. 

Si  prende  un  pezzo  di  sottana,  della  dimensione, 

per  esempio,  'li  un  pollice  quadrato  ili  superficie. 

gna  anzitutto,   assicurarsi  che  i   bacilli  che  si 

•    troveranno  .su  quel    lembo  ili 

fsfo  ffa  si  mi    stai  i  raccolti  dalla 
sti  ffa   stessa   per  rasa   e   per 
via.  e  non  smiio  i1m\  ni  i  a  conta- 
minazioni successive.  Bisogna. 
i'i.«'.  che  tutti  i   liquidi  e  gli 
strumenti  adoperati  nelle  espe- 
rienze si. uhi  in  precedenza  !  tu 
disinfettati.   Ci  vuole  dunque 
acqua  distillata  i  bollita,  vasi 
st(  rilizzai  i  e  via  dicendo. 
In  esperimenti  compiuti  con 
tutte  queste  precauzioni,  fatta 
la   coltura   dei  germi,    in   una 
I     sola   goccia  d'acqua  presa   dal 
Il  brandello  di  sottana,    liquido  contaminato,   si    sono 
ti'.\ .iti  non  meiio  di  536  gì  1 
mi.  Siccome  s'erano  ottenuti  cinquanta  goccie  ili  li- 
quido, si  può  i'-  che  in  quel  piccolo  lembo 
di  stoffa  si  trovavano  26.800  germi.  In  un  pezzo  di 
-  1  ffa  di  >i    pollici  quadrati  di  superficie  si  som 
vati  10,672.000  germi;   fra  gli  altri,  quelli  della  tu 
losi. 
Altri    strumenti    potentissimi    di    diffusione   delle 
:          ti  di  banca  e  le  moni 
eie  se  molto  usate.  E'  stato  affermato  che  se  si  po- 
tesse    stabilire 
stai  isl  ica 


L'appare)  1 1 1  i « >  i»-r  sterilizzare 
le  monete,  chiuso  e  aperto. 


Collezione  'li  mi 


pei    avei    messo   in   bocca   monete   di    rame  o 

ultati  sorprendenti.  Un 

inglese    ha    invi   1  ppunto    un    appa- 

I  ,-r      disin 

le  monete,  iìo 

be  e  do\  rei  I 

tato  da  tutti.  E'  semplicis 

e    'li    poco    prezzo. 

1  "i  insisti     in    un 

metallica    che  contiene    le 

sulle   quali  si    fa 



rosi    fi  rte   da    distrai 
tutti  i  germi. 

1       illu  1  he    si 

vedi  no  nella  pagina  se 
guente  mostrano  inulto  !*■- 
ne  il  lavoro  compiuto  da 
un  solo  batteriologo  in  un 
rampi  1  mi  'li'     1  ratioo 

La  prima  serie  di  figure 
si    riferisce    ad    es]  I  I 
Fatte  su  un  pezzo  'li   sol 
tana.    La    figura    1   mostra 

!<    1  1  I    nie  'li  germi  1  l 
da    un     solo     pollice    qua 
drato  di   panno  ;  la  fig.    2 
mostra     altre     Ci 

da    un   altro   pezzo 
di   panno  ;   la  figui  .1 
stra   un   pico  I'  '   lembo   'li 
stoffa  ove  si    son   trovati    bacilli  della  tubercol 
e  la  figura  4  mostra  i  bacilli  stessi. 

1  ,a   seo  i"  la    >erie  si  1  id  esperienze 

piute  con  un  pezzo  'li  biglietto  'li  banca.  La  fig.  1 
mostra  il  pezzo  usato,  la  fig.  II  mostra  le  colonie 
ili  germi  trovati  su  quel  pezzo.  la  fig.  Ili  i  germi 
coltivati  da  una  sola  goccia  dell'acqua  in  cui  il 
biglietto  ili  banca  fu  lavato,  e  la  fig.  IV  alcuni  ha. 
cilli    ili    tetani  su   quel    piccolo    pezz 

carta. 

La  terza  serie  si  riferisce  ad  esperienze  fatte  con 
un  penny,  moneta  equivalente  press'a  poco  .1  dieci 
nostri.  La    figura    A    rappresenta    la   mo 
neta  ;    la  figura   li  mostra  come  la  disinfet- 

tata non  abbia  dato,  all'esame,  alcun  risultato  bai 
teriologico.  mentre  un  penn\   ordinario  ha 
una  vasta  colonia   'li  germi.  Mine  si   vede  nella  fi- 
gura Ce  tra  gli   altri   molti   germi   di   vaiuolo, 
s,  vedono  nella  figura  D. 

Tutte  queste  illustrazioni  non  s 
-he  riproilu/ii  -ni  di   fi  iti  grafie. 

Inutile  din  ini  reali  sono 

state  ingrandite  parecchie  migliaia  di  1 
per  la  riproduzione.  I  bacilli  che  qui  si  ve- 
li.mo   ad   occhio    nudo,    sono  di    una    gran 
dezza  infin  Va    .indie   n 

le  fotografie   furono   prese  dopo   che   eraii' 
state  Fatte  le  culture,  e  che  quindi  i  gì 
si    erano   accresciuti   e   moltiplicati.    M 
certo  che  molti  oggetti  di  cui   Facciami 
nella  vita  sono  carichi  di  germi  dami' 


Fig.   A. 


Fig,    B 


Fig.  C. 


Fig.   D. 


>-'l 


LA    1  KT'ITKA 


Animali  velenosi 


Ila  Die  Woehe  . 

1    veleni    hanno  sempre    richiamato    l'attenzione 

uomini,  non  solo  |uesti  agenti  miste- 

d'un  tratto  infrangere  una  vita   fio- 


■  al  regno  vegetale:  ma  anche  i  veleni  pn> 
nel   regno   animale    non    furono   ignoti    all'antichità 
e-  'li  qui  anzi  n  molte  tradizioni  popolari  per 

le  quali  si   rifugge  da  <vrti  animali,  tradizioni  che 

in  general.-  ris] lono  alla  realtà.   L'istinto  p 

precorse  an/i  in  molti  ca  nza. 

Sotto  il   nome  .li   animali  velenosi  non  si  devonfl 
li   che  in  certi  determinati   i 


Tepta  di  vipera. 


e,  ma  perchè  anche  possono  prestare  servizi  ter- 
ribili: essi,  infatti,  e  più  d'una  volta,  fanno  le  loro 
inesorabili  apparizioni  sulle  pagine  della  storia. 
La  maggior  parte  dei  veleni  conosciuti  apparten- 


sono  inocularci  il  virus  infettivo,  giacché  sotto  tale 
aspetto  tutti  i  cadaveri  sarebbero  velenosi  ;  ma  solo 
quelli  che  hanno  il  veleno    come  propria  caratteri- 
e  lim «"ulain i  o  col  morso  o  colle  punture. 


Due  puffòtter. 


DALLE    RIVISTE 


555 


Questo  veleno  è  un  vero  e  proprio  prodotto  del- 
l'animale, ed  ecco  quindi  che  viene  sensibilmente 
a  limitarsi  il  numero  degli  esseri  compresi  nella 
nostia  denominazione.  Così  quando  si  da  il  caso 
di  un  animale  che  abbia  ricevuto  da  un  altro  il  ve- 
leno e  lo  comunichi  a  sua  volta  ad  altri,  è  chiaro  che 
non  siamo  in  presenza  di  un  essere  velenoso  pro- 
priamente detto:  quindi  un  individuo  invaso  da 
bacilli  epidemici  non  è  un  individuo  velenoso. 

I  veleni  degli  animali  sono  però  di  moltissime 
specie,  giacché  alcuni  non  producono  che  una  de- 
bole irritazione  epidermica  :  cosi  le  formiche,  le 
api,  le  vespe,  ecc..  non  oltrepassano  coi  loro  effetti 
un  debole  prurito.  Il  pungiglione  delle  api  fu  lun- 
gamente temuto  come  uno  strumento  di  morte,  ma 
pei  grossi  animali  questo  è  un  vano  timore. 

I  veri  e  terribili  animali  velenosi  si  trovano  nelle 
zone  equatoriali,  dove  consumano  stragi  spaventose: 
COSÌ  nelle  Indie  sono  oltre  a  20.000  vittime  che  ra- 
dono  annualmente  sotto   il   loro  veleno   micidiale. 

I  serpenti  velenosi  si  possono  raggruppare  in  due 
grandi  suddivisioni  :  alla  prima  appartenendo  gli 
elafidi,  alla  seconda  le  vipere  e  i  crotali.  La  sede 
del  veleno  è  in  una  glandoletta  che  spunta  alla  ra- 
dice del  dente  velenoso  e  che  spremuta  sotto  l'im- 
pressione del  morso  lascia  colare  nella  ferita  il  suo 
liquido. 

La'  nostra  figura  num.  1  lascia  benissimo  vedere 
nella  mascella  superiore  i  denti  micidiali:  sono  spe- 
li di  zanne  delicate  e  sottilissime,  curve  verso  la 
gola  dell'animale:  esse  si  vedono  ancor  meglio  nella 


Scorpione. 


Teschio  di  vipera. 


figura  4  che  rappresenta 
il  teschio  di  una  vipera  : 
in  esso  si  distingue  be- 
nissimo l'orificio  del  ca- 
naletto che  arrivando 
sino  alla  glandola  vele- 
nosa offre  passaggio  ni 
liquido  micidiale.  Nel 
continente  antico  i  più 
noti  serpenti  sono  il 
crotalo,  la  vipera,  il  ser- 
pentello di  Cleopatra  e 
il  cerastes  molto  diffuso. 
In  Australia  il  serpente- 
tigre  e  il  serpente  della 
morte:  in  America  il 
cintai us  durissus  ,  ada- 
manticus  e  il  serpente 
Mokassin. 

In  Europa  abbiamo 
conosciutissima  la  vi- 
pera e  il  Puffotter( Fran- 
cia meridionale  ed  Ita- 
lia) e  il  Pelias  Bercy 
(Germania). 

Sebbene  non  debba 
essere  ascritto  fra  gli 
ofidi,  è  assai  noto  anche 
nella  terapia  domestica 
lo  scorpione. 


55(  • 


l  \    il.ll  URA 


Gli  artifizi  della  toeletta 


(Dal!  !;  ■  <n  "l;"- 


lo  ha  voli  I    ne  i  <  'a  na- 

tura amia-  in  Ha  quindi  ii  delle 

quali  modifica   le 
u  esposte,   i  capelli,   i  denti,   la 

pelle  del 

notissimi  i  depilatori  più  o  men 
,1,,1,  uà         è  pei  ;ino  inventato  un  appa 

ultimo  metodo  i    foi  se  il  mi- 
bbeni    al  manto  li  i  he  il  pa- 

li mano  uno  dei  poli  della  corr 
mentre  l'altro  lo  fa  scorrere  delicatamente  alla  base 
del  pelo  da  distrugi 

I  ,  :    oramai    un  ramo   di 

.,„,,,,  QUa    h,     ecol    Fa  si  usava  traforare  le 

radici  di  i  di  nti  :  u  perii  rmente  e  o  nfii  i 

ma  il  processo  dovetti 
abbandonato  per  i  frequenti  rasi  di  infezione.   Al 

mpletamente  i 
.lenti  man  n  altri  fissali  solidann 

li   uncini  e  ili  plao  he  mi  talliche.   Si   usarono 
dapprima   i  denti    falsi    d'avorio,    ma    ingiallivano 
indamente:   ed  Oggi  si  utilizza  con  succes- 
sa la  porcellana,  fissata  pei   mezzo  di  una  lega  di 
rame  e  d'uni. 

La  toeletta  poi  dispone  di  un  immenso  ed  anti- 
sale di   truccature.    Fino  nelle  tombe 
.lei  Faraoni  si  scoprono  i  vasetti  di  alabastro  e  di 

Ha,  ricolmi  dei  preparati  di  piombo,  che  si 
van(    i  i  dare  le  tinte  della  gioventù  alla  pelle  in 
tapecorita  delle  vecchie  imperatrici.  E'  ormai  di- 
mostrato che  gli  amichi  egiziani  conoscevano  i  se- 
rsi  gli  occhi  e  l'epidermide  e  di  na 
...  come,  del  resto,  li  conoscevano  1  an- 
tica   Qri,  ,  prattUttO     i    Romani     della     di 
iza:  basta  leggen   certe  pagine  salaci  di  l'Inno. 
Ovidio  e  di  Plauto  per  persuadersene.  Venne  anzi 
un  tempo  in  CUI  i  capelli  neri,  ultime  vestigia  fi  rse 
della   fiera  razza  antica,  divennero  abboniti;    ed   al 
lora   i   patrizi   del   basso   Impero  ricorsero  agli   al- 
cali e  alle  pomate  e  più   spesso  alle  sostituzioni 
colle   chiome    folte   e   bionde    recise    agli    schiavi 
del  Nord. 

sto   furore    di    contraffazione    della    ni 
della  quale  ai  nostri  gii  ibbiamo  che  un 

H,],,  .   i,  ntami  nte  col  sorgere  del 

crisi  risorgere    più    tardi,    spesso 

rompi.  5S(  .   in  i    non   mai    vinti  _ 

M,:   ,1  seco].,  don,  di  11  i  profumeria  fu  il  X\  LI 
tutori   dell'epoca   ne  hanno  infan 
loro  volumi.    I     allora    si    inventarono   persino    ma- 
,  beri    sottilissime  e  ti  stanate  a   prò 

jere  di   un   velo   iridescente  le  guancie  delle  si- 
gnore. 

va   neppure  m 
delle  grandi    sventure  domestiche  e  le  vedove   si 
no  allora   in  creature  sordide  e  nbut- 
di   una   squallida  patina   giall 
i    tanta    fri 


ardi,  in  un  anni  i  si  il  n   atn- 

Giuseppina  avrebbe  speso  piì    di    10.000  lire  in 
polveri  pei  la  pelle  ' 

\  enere  di  decorazii  nza 

dubbio  il  tatuaggio  | 

:  i    della   Papuasia. 
I  ,  apelli   furono  sempi  di  cure  speciali 

e  in  certi  secoli  si  vollero  ri  illanti  o  il 

priandoli  ndoli   di   poh, 

i  a   in  cui  nella  sola  città  di    Parij 
più  di    u.ooo  parrucchieri! 

!  i    tinture  per  dare  colori   diversi  ai  capelli   fu 
Jmente   m  te   i  nell'antichità  i 

possoi  lere  in  due  grandi   classi:  quelle 

stillato   .i   Miniar.-   il   colore  e  quelle  din  lup- 

stesso.  Mollo  usati  son 
p,  di  argento,  di  effetto  alti  -  ma- 

o  quanto  pei  anche  la 

cuti    e  il  bulbo  capillare.  Non  mi  n 
il   pi  rmanganesato  di   p  «  di  galla,   i 

sali  .li  cron  o,  il  biossido  di  idn 
può  i  ttenere  uno  splendido  biondo  d 
do  i  capi  Ili  ci  II  ai  ido  nitrico  e  quindi  col  salici 
ma   |  mai    un'o]  .-razione   che 

I  uò  riuscire  troppo  spes- 

•\nehe    le    pomate   e    gli    unguenti    devono    - 
a  un  trUCCO  più  banale  e 
\ole.   la  parrucca. 
Anche  la   parrucca  ha  una  storia  di   trionfi   e  di 
persecuzioni,   sino  al  secolo  XVII,   in  cui  salì   al- 
l'apogeo del  trionfo.  Essa  fu  spesso  I  delle 
condanne  severe  dei  Concili,  che  vi  un 
segno  d'effeminatezza  e  fu   il   campo   di  sfide  e  di 
,-nuilazioni   ridicole,  ma  sanguinose,   fra   i   gan 
fannulloni  di  tante  Certi    subissate    dalla    rn 

zinne.  .  . 

Oggi,  dopo  tanti  secoli,  tutto  ancora  è  nmas 
pomate,  i  o  smetici,  le  acque,  le  tinture  < 
minerali    le  parrucche,  le  maschere....  spe 
le  maschere.  Ma  è-  un  tributo  pagato  al  pregiudizio. 
non  all'igii  ne  e  alla  bellezza. 


Ii'amore  dei  fiori 


(Da  un  articolo  di  Paola  I.. .mi .roso,    nella  Nuova    Anto- 
Ut,  del  i»  maggio). 
Fin  dai  tempi  più  antichi  gli  uomini  hanno  as- 
sociato   i  tutte  le  circostanzi  della 

|    lo  d'un  fior  fiori  gli  altari 

ne  spars.ro   nelle  processioni,    se   ne   omarom 
mense   e    Le   bare;    le   spose    pi  corone  di 

rancio    e    i    poeti    ne    ottennero    di    I 
e    ,1,    mirto.    La    Pasqua   si   commemora    col    ramo 
[ivo  e  di  palma;  col  garofani    rosso,  da  qualche 

P 

LVvolse  di   acanti  le  colonne 
pampini  i  capitela;  la  gotica  adotto  iltrifi 
airi  di  fiori  e  frutta  decoran 
peian<  ;    oggi   le  tappezzerie,  dalle  pruni 
ali,  sotto  gli  occhi  della 


DALLE    RIVIS 


te  le  forme  e  i  colori  dei  fiori;  modelli  di  fiori  si 
adottarono  sulle  ceramiche  di  Sèvres  e  di  Murano 
.-.■me  sulle  più   rozze  stoviglie.   Si   fecero  fiori   arti- 

ali,  di  cera,  di  carta,  e  perfino  all'uncinetto.  An- 
I  ni:  v<    stile  floreale,  come  dice  il  nome,  è  una 
va    forma  della    nostra  costante    vaghezza    dei 
fi.  ri. 

I  popoli  primitivi  attribuiscono  alle  piante  e  ai 
fiori  virtù  benefiche,  e  li  vollero  auspici  «'egli  atti 
più  importanti  della  vita.  1  nomi  dei  fiori  derivano 
da  quelli  di  divinità  pagane  e  cristiane.  La  Joubarde 
francese  viene  da  Jovìs  barba,  Erba  di  Gii  vi  .1 
temi  sia  è  1  Erba  di  Diana  ;  Capelvenere  non  ha 
bisogno  di  spiegazione.  Le  Verbene  diventano 
hannisgurtel,  Cintura  di  San  Giovanni,  a  n  cui  si 
inghirlandavano  in  Franconia.  alla  vigilia  di  S  i 
Giovanni,  uomini  e  donne,  gettandola  poi  nel  fuoo 
per  premunirsi  in  tal  modo  contro  le  malattie.  Je- 
sus Clirist  Wt/rzel  ed  Erba  della  Madonna  è  bat- 
tezzata la  Balsamica  vulgaris;  Guanto  della  Ma- 
donna la  Cai  traehelìus ;  Rosa  della  Ma- 
donna la  Rosa  hierìcuntea ;  Marien  Rosicai  la 
Rosa  canina  :  Marni  Munsel,  cioè  Menta  di  Maria, 
il  Tenacetum  balsamtcum  ;  Johannis  Tìàndclien, 
la  Filix,  ecc.  Il  Rìcino  è  chiamato  Palina  Chi 
e  Cardia  benedkta,  Erba  di  benedizione,  il  Cardo 
comune;  e  vi  sono  un  Fico  sacro,  una  Palma  sacra. 
un  Eucaliptus,  cioè  albero  del  Bene.  ecc. 

La  'leggenda  ha  fatto  nascere  Budda  sotto  un  si- 
comoro, e  in  India  le  donne  vanno  a  partorire  s 
un  albero.  Un  arabo  non  si  riposa  mai  all'ombra 
d'una  pianta  senza  lasciarvi  un  segno  di  riconoscen- 
za :  una  bandieruola.  una  collana,  un  pezzetto  di 
vetro,  o  dei  fiori.  In  Bretagna  il  montanaro  venera 
e  difende  con  palizzate  e  sostiene  con  pali  certe 
antiche  quercie.  Gli  stessi  Bretoni  credono  che  se 
un  morente  non  ha  un  prete  a  cui  confessarsi,  ba- 
sta far  la  confessione  ai  piedi  d'un  albero,  i  cui 
rami  la  raccolgono  e  portano  al  cielo  l'ultima  pre- 
ghiera del  penitente. 

Questo  culto  ingenuo  è  ora  sparito.  Piante  e 
fiori,  nel  nostro  secolo  pratico,  sono  oggetto  di 
spese  talvolta  enormi.  La  follia  del  giardino  ha  as- 
sunto forme  fantastiche  nel  Palmengarten  di  Fran- 
coforte. Una  Società  di  banchieri  milionari,  con  a 
capo  Rothschild.  ha  sfidato  gli  elementi  e  vinto  il 
clima,  le  distanze  e  le  stagioni,  creando  un  harem 
meraviglioso  di  piante  esotiche  in  un  paese  nordico. 
D'inverno,  quando  la  temperatura  scende  a  200  sotto 
zero,  si  entra  in  una  serra  gigantesca,  tutta  a  cri- 
stalli, e  vi  si  trova  un  angolo  d'Africa:  le  palme,  i 
banani,  le  felci  arboree:  dieci  gallerie  si  dipar 
dalla  serra  centrale,  meravigliosi  scrigni  della  più 
splendida  flora  del  mondo.  Il  mantenimento  di 
questo  giardino  costa  due  milioni  l'anno,  e  la  So- 
cietà vi  guadagna,  tanti  sono  stati  gli  oblatori  ge- 
nerosi e  spontanei  e  tanta  è  la  gente  che  per  un 
marco  entra  ad  ammirare  quell'Eden  a  bagno- 
maria. Sarà  una  cosa  da  filistei,  quella  primavera 
fatta  con  seme  di  quattrini  ;  ma  l'ha  ispirata  quello 
stesso  spirito  gentile  che  fa  ornare  il  parapetto 
delle  umili  finestre  e  i  giardinetti  dei  cantonieri  di 
garofani  e  di  girasoli. 


557 

ìi  pensa  al  colossale  bilancio  del  mercato 
mondiale  dei  fiori,  bisogna  credere  che  il  sentimento 
della  gentilezza  e  della  pò, -sia  non  è  finito,  come 
dicono  ii  I  Olanda   i  5]  -rta  ogni 

anno  quattro  milii  n  •  in  tulipani.  A  Sanre- 

mo,  dal  cui  nudo  trasportata  a 

corbelli,  vi  -  ino  interi  boschi  di  camelie  e  di  garo- 
fani. A  Nuova  York  una  rosa  non  costa  meno  di 
uno  scado,  e  si  paga  talvolta  fino  a  6o  lire.  Centi- 
naia di  milioni  l'anno  paga  il  mondo  civile  per  la 
messe  dei  giardini  :  e  non  sono  i  soli  miliardari 
che  la  comprano,  ma  la  mezza  borghesia  ed  anche 
i  più 

Ma  la  vii  ria  più  gentile  e  l'affermazione  più 
grandiosa  della  sua  potenza,  il  fiore  l'ha  avuta  a 
Gotheborg,  una  delle  maggiori  città  norvegesi,  dove 
infieriva  l'ailcoolismo,  rovinando  la  popolazione. 
Una  Società  di  filantropi  riscattò  tutti  gli  spacci  di 
alcool,  ne  limitò  la  distribuzione  e  ne  alzò  il  prezzo. 
impiegando  il  guadagno  nella  fondazione  di  sale  di 
lettura  aperte  a  tutti,  di  spettacoli  popolari,  e  spe- 
cialmente nella  costruzione  di  un  gran  parco,  lo 
Scottborg.  dove  a  poco  a  poco  la  popolazione  fu  at- 
tirata dal  fascino  vegetale  che  vinse  quello  mali- 
gno ilei  veleno. 

Altre  pnne  del  culto  dei  fiori  sono  date  dalla  filo- 
I  -a  parola  fiorire,  che  letteralmente  si- 

gnifica la  funzione  naturale  del  fiore,  si  adopera 
nel  senso  ammirativo  dello  sviluppo  rapido  e  fecon- 
do: un'impresa  o  un'idea  fioriscono  quando  sono  in 
condizioni  di  rigoglio;  una  persona  è  fiorente  quan- 
do è  bella,  sana  e  rig  gliosa.  Il  parlar  d'amore  è.  per 
i  Francesi,  conter  fìeurette  ;  da  lleur  derivano  fleurt 
e  flirt;  fioretti  erano  le  invocazioni  poetiche  dei 
santi,  e  Paradiso  e  Eden  vogliono  dire  giardino.  Si 
dice  '     ■  me  un  giglio  ».  «  fresco  come  una  rosa  ». 

«  modesta  come  una  violetta  i  ;  gli  stornelli  toscani 
prendono  sempre  lo  spunto  dal  nome  d'un  fiore.  Il 
culto  incosciente  del  popolo  si  esplica  nelle  opere 
dei  poeti,  dei  letterati,  dei  dotti.  Per  descrivere  co- 
me si  rianima  il  suo  coraggio,  Dante  ricorre  a  una 
similitudine  floreale: 

Quali  fioretti  dal  notturno  gelo 

Chinati  e  chiusi  poi  che  il  sol  gli  imbianca 

Si  drizzali  tutti  aperti  in   loro  stelo... 

E   Giulietta,   quan<'  perto  che  Romeo  è 

figlio  di   nemici,  protesta: 

Oh  tu  avessi  altro  nome  !  e  che  v'ha  mai 
Nel    nome?    Il    fior  Chi  ■    noi   detto 

t'ti  "tozzo  soave  avria  del  paro 
Con  alno  nome:  tal  Romeo,  se  pure 
Romeo  non  si  nomasse,  avrebbe  tutti 
I  cari  pregi  ond 

Anche  i  filosofi  e  i  sociologi  rie.irrono  a  imma- 
gini similmente  poetiche.  Nel  secolare  viaggio  del- 
l'umanità, dalla  barbarie  primitiva  alla  vita  affret- 
tata dall'età  nostra,  la  poesia  dei  fiori  sta  veramente 
come  «  una  rosa  cresi-iuta  in  mezzo  al  ferro  ».  co- 
me un  simbolo  che  nell'anima  umana  sboccia  e  ver- 
deggia sempre   un   germe   d'idealità. 


558 


LA    LETI  i  RA 


Gli  eroi  del  Zagara 


Magazim  .  i  di  maggio  . 

■  lei  N'iagai  che  siili. 

della  grande  e  aericana  hanno  compiuti 

ardimento  tanto  pò  uanto  meravigliose, 

in  n  dibili,   come   Sam 

h,  che  in  uno  dei  suoi  salti  mori,  a  coloro  <  he 
si  las  iarono  n     lari      in  per  le  i  apide  chiusi  enl  n 
barili  di  legni  i.  Tra  oi  »  uno  dei  più    i  li 

l'i. ni  fu  il  francese  Blondin.  Nel  1859  egli  distesi 
fra  li  e  li    Wirlpool  Rapids  una  corda  ab 

1  astanza  sottile  e  lunga  quasi  quattrocento  metri  ; 
poi,  camminando  sulla  corda,  percorse  quella  di- 
1.  1  ><  pò  i  primi  cento  metri,  si  sedette  sulla 
corda,  si  distese  sul  riorso,  si  rialzò,  si  resse  su  una 
gamba  sola  e  riprese  il  cammino.  A  metà  strada, 


V$g&* 


La  travi 


tata  <li  Maria  Spelterini. 


si  sedette,  calò  una  fune  ad  un  vapore  sottostante, 
su   una  bottiglia   di  champagne,    la  bevve,   ri- 
saltò in  piedi  sulla  corda  senza  toccarla  con  le  mani, 
e  riprese  a  camminare,  compiendo  il  percorso  in  di- 
ciotto  minuti.   Poi  torno  indietro,   fermandosi  una 
volta  sola,  in  sette  minuti.  Dopo  questa  prima  per- 
formance, ne  fece  altre  più  meravigliose.  Una  vi 
il  cappello,  contro  il  quale  il  capitano  Tra 
un  famoso  tiratore,  sparò  un  colpo  di  pistola  che  lo 
trapassò  proprio  nel  mezzo.   Un'altra  volta  Blondin 
passò  sulla  corda   spingendosi   innanzi  un  can 
ad  una  ruota  sola.   Un'altra  volta  ancora  si   porto 
cu  enipagno  sulli  un  altra  ancora   fece  il 

aggio  ad  -  1  altra  ancora  lo  fece 

sui  trampoli 

IH  giorni    pi  1  una  seggiola  e  ter 

tersi    Seduti  Sfuggì   e  cadde  Dell'ai' 

qua,  ma    Blondin    riuscì    a    riprendere   l'equilibri) 
Dopo    Blondin    alti     equilibristi    fecero  il    Nia- 
llti  .    primo  di  tutti   l'ita 
liano  Farini,  che  passò  sui  da  con  lega 

dentro  un  •    hio  d'acqua,  vi 


ltl..ii<lii 


lavò  dentro  alcuni  fazzoletti;  l'americano  Harry 
Leslie,  il  signor  Balleni,  altro  italiano.  Maria  Spel- 
terini, ecc.  E'  notevole  che  a  nessuno  degli  equilibri- 
sti che  si  arrischiarono  sul  Xiagara  capito  mai  alcun 
male.  Non  si  può  dire  invece  altrettanto  d 
che  sì  arrischiarono  nell'acqua  anziché  nell'aria, 
sebbene  a  qualcuno  l'impresa  sia  andata  bene. 

Il  capitano  Robinson,  con  il  battello  a  vapore 
Maid  of  the  .Vis/,  affronti')  le  Whirlpool  Rapids 
viaggiando  a  tutto  vapore.  Il  battello  perse  il 
camino,  fu  preso  nel  vortice,  ma  ne  uscì  fuori,  e 
in  poco  tempo  giunse  all'acqua  quieta  senza  danno 
considerevole. 

Passi,  circa   un  quarto  di   secolo  prima  che  altri 


J.  Robinson  e  il  sue.  battello. 


Il  battello  di  Nissen. 


La  signora  Taylor,  l'ultima  eroina  del   Niagara. 


.1 .1 1 


\   I 


G.   Hazlett  e  Sadic  Alien. 

tentasse  simili  imprese.  Nel  1883  il  capitano  Mat- 
thew Webb,  un  famoso  nuotatore  inglese,  traversò 
l'Oceano  per  tentare  i  gorghi  del  Xiagara. 

Il  24  luglio  di  quell'anno,  entrato  in  un  piccolo 
battello  con  Jack  McCloy  ai  remi,  si  diresse  verso 
un    punto    p<  1  uno.    A  poche    centinaia    di 

piedi  dalle  rapide,  saltò  giù  dal  battello,  e  in  mu- 
tandine da  bagno  si  mise  a  nuotare  vigorosamente, 
finché,  giunto  al  punto  ove  la  forza  delle  acque  era 
più  violenta,  sparve  nelle  onde.  Quattro  giorni  dopo, 
il  suo  cadavere  fu  trovato  sette  miglia  lontano. 

La  triste  sorte  capitata  al  Webb,   invece  di  sco- 
raggiare, stimolò  altri  a  tentare  la  stessa  impresa. 
■erto  Carlisle  Graham,  di    Filadelfia,  si  vantò 
di  passare  per  le  rapide  chiuso  in  un  barile.  Xessu- 
gli  credette,  da  principio,  ma  un  bel  giorno  egli 
si    presentò   sul    Xiagara   col    barile   già    pronto,    e, 
le  alla  sua  parola,  passò  le  rapide  in  trentacin- 
que minuti  senza   incidenti.  Dopo  ciò.  egli  an- 
nunziò che  avrebbe  ritentato  la  prova,  ma  qui 
"Ita.  invece  di  star  tutto  chiusi,  nel  l'arile. 
Oli   la  testa   libi  1  ;  erta. 

Infatti  ridusse  in  atto  tale  progetto,  ma  un'on 
entissima  gli  tolse  quasi  completamente 
l'uditi     Di  pò  d'allora,  Graham,  punti 

ripel       1  i  L'ultima 

di  morir  soffocato. 
Gral  numerosi   imitatori,   fra  gli   ai- 

William   Pi  tts  e  Georgi    Hazletl     il   quale 
ultimo  rifece  poi   il   viaggio  in  0  mpagnia   di 
una  donna,  m        -     lie  Alien,  tutti  e  due  1  I 
in  un  barile. 


L'idea    del   barili  1  altra   più  pei  te/ii  nata 

■  li   un  a  battello  .li    sicurezza  ».    In  uno  di  questi 
Charles  Percj  I  .    Ite  il  viaggio  delle  rapide, 

nato,  una  volta    da  William  Dittrich.  Al 
Però)   Sorse  un  cono  nenie  nella  persona  di  Robert 
William  Flack,  che  propose  una  corsa  attraverso  le 
le.   Il  .|   luglio   1888  fu  il  giorno  l'issato  per  l'e- 
merito,  Il  bau -Ilo  del   Flack  era  estremamente 
.mi. .  i  he  molti   so  n  ino  al   naviga- 

ci  tentare   la   prova;    ma    Flack    non   volle  ce- 
&  11. mi'  .   prin  1      rare  in  gara,  volle  len- 

ii viaggio  ila    Si  lo     POCO  dopo  che  il  battello  fu 

qua.  un'ondal  1    Fi  rmidabile  lo  lanciò  in  aria 
un  Ito   lontano  e  rovesciandolo. 

Perry,  l'avversario  di  Flack,  che  assisteva  alla 
scena  da  terra,  tentò,  affrontando  le  onde,  di  sal- 
vare il  disgraziato  che  era  caduto  proprio  sotto  il 
battello,  ma  non  trovò  che  un  cadavere. 

L'anno  seguente.  Walter  ('.  Campbell,  accompa- 
gnato da  un  enne,  si  mise  in  una  barca  per  passare 
I  Miagara.  Fortuna  volle  che  la  barca  fosse  fermata 
dagli    scogli    prima    di    giungere    al   punto   ariti 

npbell  potè  a  gran  fatica  giungere  alla  riva.  Il 
enne  morì. 

Il  capitani  Nissen  costruì,  appunto  per  passare  il 
Xiagara.  un  battello  che  si  potesse  chiudere  ermeti- 
camente.  Egli  si  lasciò  trascinare  per  le  rapide  due 
volte.  La  prima  il  battello  uscì  dalla  prova  molto 
malconcio  ;  la  seconda  volta  il  battello  andò  a  dirit- 
tura ] ien luto,  e  fu  proprio  per  caso  che  Nissen  e 
certo  Ridi,  che  lo  aveva  accompagnato,  poterono 
saltare  a  terra  prima  di  trovare  la  morte. 

Il  venerdì  6  settembre  igoi.  una  donna.  Martha 


Willard,  una  vittima. 


HALLE    RIVISTE 


56 1 


Wagenfuhrer,  ripetè  l'esperimento  di  Graham  chiu- 
dendosi in  una  botte,  e  tutto  andò  bene.  Miss  Maud 
Willard  volle  seguire  il  suo  esempio  accompagnata 
da  un  cane.  La  botte  resistette  alle  ondate  ed  al 
vortice,  ma  rimase  in  balìa  dell'acqua  molte  ore 
prima  che  potesse  essere  tratta  a  terra. 

Quando  fu  aperta,  il  cane  saltò  fuori  allegra- 
mente, ma  si  trovò  che  miss  Maud  era  morta  di  sof- 
focazione. Forse,  se  non  fosse  stata  accompagnata 
dal  cane,  avrebbe  avuto  aria  abbastanza  da  respi- 
rare e  si  sarebbe  salvata. 

L'ultima    traversata,    la    più    pericolosa   di    tutte 


In  balia  delle  onde. 

certo,  fu  quella  della  signora  Taylor,  che,  unica  si- 
nora, affrontò  non  solo  le  rapide,  ma  la  maggiore 
cascata  del  Xiagara.  Prima  anzi  di  giungere  alla 
cascata,  c'era  da  traversare  più  di  un  chilometro  di 
rapide.  Scortata  da  un  battello,  la  botte  si  avvicinò 
al  precipizio.  A  poca  distanza  dal  gran  salto,  un 
oolpo  dato  sul...  recipiente  avvertì  la  donna  chiusa 
dentro  che  si  era  al  momento  critico.  La  folla  che 
assisteva  all'audace  prova,  non  fiatava.  Sull'orlo 
della  cascata  si  vide  la  botte .  sbattuta  qua  e 
là  dalla  spuma  vertiginosamente,  sparire  nell'abisso. 
Pochi  minuti  dopo,  si  rivedeva  la  botte  ancor  sana. 
giù  in  basso.  Fu  tosto  tratta  a  terra  ed  aperta.  La 
signora  Taylor  ne  uscì  fuori  un  poco  contusa,  ma 
salva. 

ha  diminuzione  della  popolazione. 

La  Francia  è  giustamente  preoccupata  dallo  spo- 
polamentc  che  ni  minaccia  la  potenza  militare  m 
confronto  colle  nazioni  emule  sui  campi,  ora  Mar- 
cel Reja  nella  Bevue  Bianche  vorrebbe  constatare 
tssamento  della  popolazione  è  universale. 
Secondi,  i  lavori  di  Holt  Scholing,  il  numero  delle 
nascite  per  120.000  abitanti  dal  ls74  al  1S98  sarebbe 
Diminuito  : 

Per  la  Francia  di  35  —  per  la  Germania  40  — 
per  l'Austria  21  —  per  l'Italia  21  —  per  gli  Stati 
Uniti  52  —  per  l'Inghilterra  61. 

Secondo  tali   dati,   la  Francia  non   avrebbe  fa 
altro  che  precedere  le  altre  nazioni  in  questo  mo- 
vimento di  diminuzione. 

La  Lettura. 


Ita  liegion  d'onore 

in  una  democrazia 


(Dalle  Leclures  pour  toìis). 

Non  è  ceri  11 he  si  possi  no  compen- 

sare i  servizi  resi  alla  patria  o  all'umanità,  giacché 
nessuno  sognerà  di  stabilire  le  tariffe  del  patriotti- 
smo,  della  filantropia,  dell'eroismo  o  del  coraggio. 
Ls  virtù  non  ha  prezzo  e  non  può  essere  compensata 
■  'alla  società  che  con  un  attestato  riconoscente,  atte- 
stato  che  esso  pure  non  avrà  prezzo  materiale  come 
una  corona  di  qui  rcia  o  di  alloro,  una  piccola  croce, 
una  stella. 

I  greci  e  i  romani  avevano  le  loro  corone  civiche, 
il  medioevo  ebbe  gli  ordini  cavallereschi,  l'evo  mo- 
derno ebbe  i  suoi  cavalieri  e  le  sue  commende.  Ma 
la  grande  rivoluzione  di  Francia  le  travolse  come 
un   uragano. 

Napoleone,  primo  consolo,  sentì  però  il  bisogno 
di  una  decorazione  che  ricompensasse  il  merito 
guerresco  e  civile  e  la  mezzanotte  del  19  mag- 
gio 1802  egli  creava  la  Legion  d'onore. 

Era  una  nuova  stella  che  sorgeva  nel  mattino  di 
un'epopea  di  battaglie  che  avrebbe  brillato  fra  il 
fumo  delle  batterie,  sulle  torri  delle  città  da  con- 
quistarsi, oltre  la  riva  dei  fiumi  da  guadarsi,  so- 
spiro supremo  dei  battaglioni  napoleonici.  E  mi- 
gliaia e  migliaia  di  vittime  caddero  col  rantolo  alla 
gola  e  con  negli  occhi  ancora  il  bagliore  beffardo  e 
lontano -della  stella  ch'essi  avevano  invano  sognato, 
ma  altri  sui  campi  stessi  di  battaglia  la  videro  fra 
il  fumo  delle  trincee  scendere  sul  loro  petto  eli  eroi. 

Poi  la  stella  affascinante  ha  viaggiato  lontano, 
lontano,  e  brillò  in  Italia,  in  Crimea,  in  Cina,  in 
Africa,  al  Messico...  brillò  fra  gli  uragani  degli  0- 
ceani,  brillò  di  un  pallido  albore  di  letizia  fra  i 
bianchi  lenzuoli  degli  ospedali,  fra  le  bianche  cuf- 
fie delle  suore  delle  ambulanze,  eroine  sul  campo  di 
una  silenziosa  battaglia. 

Ma  quale  storia,  quale  lunga  storia  di  eroismi 
e  di  dolori!  Il  13  agosto  1812  il  XXIII  cacciatori 
si  lanciava  alla  carica  contro  i  serrati  battaglioni 
nemici  nell'infausta  spedizione  di  Russia.  A  un 
tratto  fra  la  polvere  della  moschetteria,  sul  suo 
splendido  cavallo,  ecco  arrivare  l'Imperatore.  Im- 
mense grida  si  innalzano:  n  Vive  l'Empereur  !  > 
Napoleone  ne  è  commosso;  le  palle  grandinano  at- 
torno, ed  egli,  volto  al  capo  del  reggimento,  gli  co- 
manda di  distribuire  18  croci  della  Legion  d'onore 
ai  soldati  che  ne  saranno  più  degni.  Le  cariche  si 
susseguono  alle  cariche,  le  palle  nere  e  sibilanti  pas- 
sano  sullo  toste  e  fra  le  file  dei  cacciatori  e  fra 
l'onda  di  quella  musica  terribile  e  selvaggia  il  co- 
mandante proclama  i   nomi  ilei    18   decorati. 

Altra  volta,  dinanzi  a  Ratisbona.  Napoleone  stes- 
so distribuiva  le  di  1 -orazioni.  Un  vecchio  granatiere 
esce  dalle  filo  e  domanda  la  a 

-  Ma.  -     l'interrompe  Xapoleone,  —  che  cosa 
hai  fatto  per  meritarla? 

36 


LA    LETI 


—  .  che  nel  deserto  'li  < riaffa, 
quando  \                  morente  ili  sete,  vi  ho  dati    un 

I  acqua. 

—  Ci<'>  va  bene  e  ti  ringrazio,  ma  un  popone  non 
merita  la  Legion  d'onore. 

1  allora  il  granatiere,  fino  alloca  freddo,  come 
la  canna  della  sua  ape: 

—  E  n  n  o  ntati  dui  pi  nte 
d'Arcole,  a  Lodi,  a  Castiglione,  alle  Piramidi,  ad 
Austerlitz...,  undici  campagne  in  Italia,  in  Austria. 
in  Egitto,  in  Prussia,  in  Polonia,  in... 

—  Basta,  basta,  interruppe  l'Imperatore  ridendo, 
qm  ,      v,  più  del  tuo  popone,  lo  ti  faccio 
cavalii  n    dell'Imp  i  i  1 1       i  meni    d'api 
nagg 

—  Ma,  sire,  io  preferisco  la  croce! 

—  Tu  hai  l'uno  e  l'altra,  giacché  io  ti  (acri, 
va  lini'. 

Ma  io  prefi  la  croce  ! 

E  si  dovette  durar  fatica   a   persuadere  il   vec- 

i  neva  an- 
che quella  di  cavaliere  della  Legion  d'i  r*  n 

Quasi  un  mezzo  secolo  dopo,  quando  la  vecchia 
Guardia  dormiva  nei  cimiteri  (>]•<•  russe  e  di 

Waterloo,  nella  titanica  battaglia  di  Solferino  il 
fuciliere  Clevel  vide  sul  limitare  di  un  picco!  I 
se  una  bandiera  gialla;  cinque  austriaci  la  difen- 
devano; giovane  e  bollente  non  ebbe  che  una  ispi- 
razione: inast.'i  la  baiunef  se  alla  carica. 
Quattri  palle  gli  sfiorarono  il  cranio  e  le  spalle. 
egli  spianò  il  suo  fucile  ed  uno  dei  nemici  cadde 
indo.  V  colpi  di  baionetta  arrivò  allora  alla 
bandiera,  la  Strappò  dalle  mani  austriache  e  fiero 
e  su;  itrò  negli  accampamenti  francesi.  Egli 
ebbe  la  Legion  d'onore  e  Napoleone  III  volle  che 
la  croce  degli  eroi  brillasse  anche  sulla  bandiera  del 
suo  reggimento. 

Dop     i  soldati,  li    suore  di  carità. 

Suor  Rosalia,  nata  nel  paese  di  Gex  ai  piedi  del 
Giura.   \  ii   in  una  atmosfera  di  tragedie: 

ella  vide  l'invasione  del  '15.  il  colera  del  '32,  li- 
giornate  sanguinose  del  '48.  Nel  1815  si  getta  ai 
li  di  un  generale  russo  che  aveva  ordinato  la 
fucilazione  di  un  soldato  e  ne  ottiene  la  grazia. 
I1  pò  la  rivoluzione  del  '30.  ella  dona  l'ospitalità 
ai  perseguita''!  politici  la  cui  vita  è  minacciata.  Nel 
'32  essa  .'•  nel  lazzaretto  fatale  di  Saint  Marceau 
di  fianco  ai  150  morti  quotidiani  che  vanno  al  cimi- 
Nel  '48  ella  si  lancia  dinanzi  alle  bocche  dei 
fucili  spianati  entro  un  povero  ufficiale  e  ne  ot- 
tiene la  vita. 

E  il  28  febbraii  del  [852  un  decreto  di  Napo- 
leone  III   le  confi  riva  1     I       on  d'i  non-. 

Un  altro  eroismo  femminile  fu  messo  all'ordine 
del  gii  rno. 

Nel  1870.  all'epoca  dell  gurata  tran 

co-prussiana,   la  signorina  Giulietta    Dodu   non  a- 
e  ventanni  ed  del  piccolo  uf- 

fici Piti        rs.   Il  setti  quel- 

l'ai rribili  ulani  piombarono  sul  vii 

i    prussiani    stabilirono   nell'ufficio   della 
1  1  chi  di  trasmissione. 


Di     11  era   fuggita,   ma   nascosto   Ira   li 
aveva  ra]  ri   piccolo  ricevitore  Mot 

con  quello  prese  la  campagna.   Sulla  grande 

hn  iers-<  Irléans    vibravano    i    ti  rribili 
lacci  misteriosi  di   Moltke.  dispai  labili 

che  preparavano  l'ecatombe  napoleonica.   I 
ijnel   di.    in   p  lagna,  1  li  du   lanciò  i 

fili  sul  filo  d'i  >rléans  1  gli 

ni   fatali:    erano   il   piano  di   un   attacco  ci 

ntro  un  batta- 
si rprc-s.:.  mr.  .•    pre- 

tempo  alle  deboli  forze  di  ritirar? 
vitando  un'inutile  morti.   L'eroina   fu  sorpresa,  im- 
prig  ndannata  alla  fucilazione,  poi  graziata 

-s,-  giammai  la  croce  della  Legion  d'onore  brillò 
su  un  petto  più  degno  e  pivi  fremente  di  coragg 
di   eroismi  ! 


I  risultati  di  una  inchiesta  poetica 


La  rivista    Wilma   cJ  Aiti    rivolse  tempo  addie- 
tro  ai    letterati    italiani    una   serie   di    domande   in- 
temo ai  poeti  m  sir  e  stranieri.  Centoquindici  fra 
gl'interrogati  rispi  seri     e  le  domande  e  le  ris; 
soni  •  le  seguenti  : 

I.  —  Quale  credete  il  maggior  poeta  del  secolo 
di  cimi  ni  m  .    1  ra     nielli   che   nacquer     ' 

dentro  il  secolo?  —  Ebbero  81  voti  il  Leopardi, 
16  il  Foscolo.  14  il  Manzoni.  4  il  Monti  e  3  il 
Giusti. 

II.  —  Quale  preferite  tra  i  morti?  —  Ebbe 
ora  maggiori   voti,   52.   il   Leopardi;    il    Fos 

35  più  5  con  riserva;  il  Giusti   12  ;   il  Manzonin  ; 
il   Prati  4  con  altrettanti  di  riserva;   lo  Zanella  2 
2  di  riserva,  ecc. 

III.  —  Quale  preferite  tra   i   viventi?  —   Il 
Carducci  riportò  un  vero  plebiscito:   ebbe  91   \ 
più  4  con  riserva.  A  grandissima  distanza  veng 

il  Pascoli  con  q  voti  più  4  con  riserva;  il  Rapi- 
sardi  con  6  e  2  con  riserva;  il  Graf  4  e  2  con  ri- 
serva ;    il  D'Annunzio  3  e  5,  il   Marradi    1  e  4- 

I  \"         Quale  poeta  straniero,  dal  1800  in 
vi    lasciò   nell'anima    la   più   grata  e   durevole   im- 
pressi* L'Hugo  ottenne  39  voti  più   11 

rva;  l'He  Shelley  io  più  6  ;  il 

Goethe  Q  più  6;    il  Whitman  6  più   1  ;    il   Mi 
5  e  5  ;  il  Byron  2  e  io  ;   il  Lamartine  e  il  Lon§ 

j  ;  il  Tennyson  e  il  Baudelaire  2. 
Furono  anche  ricordati,  fra  i  nostri,  il  Niccolint, 
l'Altieri,   il   Berchet.    l'Ali  irdi.   il    Praga,    il   C 

.  il   Ferrari,  il  Mazzoni,  la  Aganoor.  il 
il  Colautti,  lo  Zena.  1"  Stecchetti,  il  De  Bosis.  il 
Cabianca,  ecc.;  e  fra  gli  stranieri  il   Petof, 
ranger,   il   Vigny,   il   Rodembach.   il   Keats,   il 
eskiewicz,  il  Fenati,  il  Muore  e  qualche  altro. 


DALLE    RIVISTE 


563 


Ita  scuola  delle  mogli 


(Da  un  articolo  del  Lady's  Magazine) 


dalla  signora  Pillow    esaminatrice  delle  insegnanti 
della    Sem  la    nazionale   di   cucina,   che   fa   un   rap- 


porto  detta 
l'istru 


E    si  i  multe  volte  che  I'istruzi<  ne  supe- 

ri* re  delle   donne  dovrebbe  essere  equivalente   ma 
non   identica   a  ([nella   degli   uomini:    la  stessa   ec- 
cellenza, la  stessa  serietà  di  propositi,  ma  ord 
allo  so  pi    definito  di  preparare  ciascun   individuo 
alla    missione   che   gli    spetta    nella 
vita  '.  Quante  sono  le  donne  che,  con- 
seguito un  diploma  di   dottoresse,  si 
ino  poi  arenate  di  fronte  al  più 
semplice  problema   della   vita   dome- 
stica !   Tale  catastrofe  non  può  non 
amareggiare  la  giovane  diplomata  i 
renderla   triste   e   malo  ntenta  ;    per 
che  essendo  ordinariamente  la  cura 
della   casa    l'occupazione     principale 
.iella    donna,    una    conoscenza   della 
gestione   domestica    è    assolutamente 
.iria. 

Queste   riflessioni    hanno   fatto   sì 
che  in  parecchie  scuole  superiori  inglesi  si  istituis- 
i  corsi  per  le  donne  di  casa  ».   Nella   North 
field  House,  a  Stamford  Hill,      ^ 
v'è    urj    corso    pratico    speciale 
per  la  scienza  domestica,  corso 
che,  nelle  mani  capaci  di  miss 
Alice   R.    James,    può   dirsi   la 
scuola    ideale    delle    mogli    in 
tutto  il   senso  della  parola.   Il 
programma  è  pratico  ed  utilis- 
simo. 11  a  rso  comprende  lezio- 
ni di  tenuta  della  casa,  di  cu- 
cina,  d'igiene,  di  cura  dei  ma- 
lati  e    dei    bambini,    di    lavori 
femminili,  e  via  dicendo.  Le  e- 
sercitazioni  non  sono  compiute 
in  una  scuola  modello,  ma  nella 
toarding-houst    (pensione)    che 
è  annessa  al   collegio .   ed   ove 
non  si  impiegano  che  gli  utensili  co- 
muni,  e  tutto   procede  come   in    una 
ordinaria  casa  borghese. 

Vi  sono  due  domestiche  per  compie- 
re i   lavori   che  non  possono  fare  le 

studentesse  sin  che  studiano  la  parte  teorica  ;  ma  in  generale 
sono  le  studentesse  che  hanno  cura  della  casa,  sotto  la  dire- 
zione della  direttrice,  una  signora  provvista  di  grande  espe- 
rienza tecnica.  Le  ragazze  spolverano,  scopano,  puliscono  ve- 
tri e  metalli,  fanno  le  compere,  cucinano,  lavano,  insomma 
attendono  a  tutte  le  cure  che  costituì  i  l'occupazione  delle 
nostre  domestiche. 

V'ha  un  orario  che  viene  seguito  scrupolosamente.  Ogni 
studentessa  assume  una  lettera  dell'alfabeto  che  tien  luogo  di 
nome,  ed  ha  un  programma  settimanale,  per  modo  che  sa 
tutti  i  doveri  che  le  incombono.  Il  corso  è  in  parte  teorico  e 
in  parte  pratico.  Xel  pomeriggio  d'ogni  giovedì  si  fa  come  una 
ripetizione  di  tutto  quanto  si  è  imparato  nei  sette  giorni 
precedenti  e  si  sottopongono  le  alunne  ad  un  esame  generale. 
Una     volta     l'anno ,    poi ,    le    studentesse     sono     esaminate 


gliato  dei   progressi  e  dell'efficacia   del- 
l' consegna  diplomi   a  quelle  che  han- 

no  saputo  guadagnarseli. 

Le  studi-messe  portano 
un  abito  speciale  da  la- 
voro con  maniche  e 
grembiale  di  tela  bianca. 
Attualmente  non  risiedo- 
no tutte  nel  collegio,  ma 
si  sta  cercando  modo  di 
farvele  stare. 

Fra  le  cose  che  si  inse- 
gnano, v'è  la  soprinten- 
denza generale  della  casa. 
Le  ragazze  Imparano  inol- 
tre come  bisogna  prendere 


In  faccende. 


564 

<•  trattare  le  domestiche,  fare 

,  ,         iver  cura  del      i  ristaili  ■ 
,1, 11,  orare  i  muri  e  le  finestre,  appi 

chiare  le  tavole,  teucre  i  conti  della  gestione  d 
stira,  e  fare  le  pulizie  generali  d'autunno  e  'li  pri- 
mavera, pulire  i  quadri  e  i  lavori  d'intars 


LA    LETI  l  kA 


dere  il  fuoco,  servire 
a  tavola,  ecc.  1  prin- 
cipi generali  di  illu- 
minazione, riscalda- 
mento e  fognatura 
formano  anche  paile 
importante  del  tiro- 
cinio della  North- 
tield  House. 

Nelle  scuole  di 
cucina  si  comincia 
dai  piatti  semplici 
usati  nelle  case 
inedie  borghesi  e  : 
si  passa,  nel  secondo 
anno .      alla     cucina 

più  raffinata,  d'alta  scuola.  Si  insegna  l'uso  e  il  va- 
lore dei  diversi  alimenti,  s'insegna  ad  utilizzare  la 
carne  fredda,  a  far  salse,  brodi,  gelatine,  ed  a  pre- 
sentare i  piatti  artisticamente.  Accompagnate  da 
una  sovrintendente,  le  studentesse  vanno  per  le  bot- 

■..-.  ordinando  la  carne,  le  erbe,  le  frutta,  e  così 
imparano  a  conoscere  i  prezzi  ed  a  giudicare  le 
«[ualità. 

L'idea  di  insegnare  ciò  che  gli  inglesi  chiamano 

hofping,  l'andare  attorno,  cioè,  pei  negozi  a 

lare  acquisti,  è  eocellente.  Per  molto  che  una  donna 

conosca  la  teoria  della  gestione  domestica,  se  non 

losce  bene  l'arte  dello  shopping,  è  necessaria- 
menb  '        lo  con  l'espi 

he  e  pei  mercati  si  possono  apprendere 
i    principi    dello    shopping,    l.a    novizia    prende   ciò 
le   danno,    senza    I  ./ioni,    senza    avere 

prezzi,    delle   Si  B  >'..    e    p  I 

n    mangiabili    e    spaventi 
mente  care.    I.a    Uioppcr   sperili  i    ciò   che 

vuol'  '  ''''■'■  ed   e 

anche  una  cliente  che  piace  ai   bottegai.    Se 

n    insegnasse    alle    alunnne    altro    che 


*g,  sarebbe  già  soltanto  per  que- 
na  istituzione  utilissima, 
l.a  cura  dei  malati  comprende  un  corso  .li   in- 
fermeria   ordinaria,    in    cui     si     insegna    come    si 
debba    provvedere    all'alimentazione    del    paziente, 
ali,-   medicine,    agli    impiastri,   come   va   tenuta   la 
.i    di    un    malato.    1.-    precauzioni    speciali    da 
,li  morlii   infettivi,  e  via  disi 
ma   U-  stui 
ad  una  li  tenuta  di  libri  ed  un'alti 

cata   esclusivamente    alla   cura   dei    bambini;    più 
vari(  di  lavori  on  esi  luso  qualche 

ins,  |  mila  e,  ni.  zi.  ih-  degli  abiti  più  sem- 

plici   fnfj,  do  di  fan-  economia  sul 

;  ustibile  .•  in  altre  1 1  -   che  yi  i  costituire 

le  nell'economia  domestica. 
Quali   risultati   dà  questa  istruzii 
[  risultati   supi  ni  aspettativa.  La  / 

'  sfic  Science  School  di 
Xorlìeld  non  manca  di 
al! i<  ni  età,  che 

vengi  no  per  la  mag- 
parte  dalle  classi 
medie.  Molte  sono  si- 
gnorine che.  fissato  il 
ino  del  matrimonio, 
si  ricordano  che  non 
sanno  come  va  tenuta 
la  casa.  A  scuola  an- 
che le  meno  portate  ai 
lavori  di  casa,  sono  pre- 
se da  un  vero  entu- 
siasmo. 


Prima  ilei  pranzo  e  di 

Molte  delle  alunne  della  Domestic  Snellii-  School 
si  sono  maritale,  e  non  vivono  nel  timore  continuo 
ili  non  saper  come  tirare  avanti  quando  si  trovas- 
sero improvvisamente  senza  domestiche 

..  Vale   la    pena,   dice  concludendo   l'autore  del- 
l'articolo  eh.-  riassumiamo,  ili  spendere  un  poco  di 
denaro  e  di   tempo   per  acquistare  cognizioni  che 
i  inde    importanza    nella    vita    di 
una    donna.  ricca    o    povera,    maritai 

m  bili  .    sia     donna     "  scientifica  » ,    sia    add 
'a  •. 


DALLE    RIVISTE 


565 


fra  i  pinguini 


(Da  un  articolo  di  C.  E.  Borchgrevinck,  nello    \\  ide  World 
Magazine,  di  maggio). 

Fra  gli  uccelli  che  si  trovano  in  prossimità  ilei 
circolo  polare  antartico,  a  nord  e  a  sud  del  circolo 
stesso,  sia  in  terra,  sia  in  mare,  il  pinguino  è  certa- 
mente il  più  interessante  e  il  più  caratteristico.  Vi 
sono  diverse  varietà  di  pinguini,  diverse  come  le  re- 
gioni che  essi  abitano.  Il  pinguino  della  regione  po- 


I  pinguini  delle  regioni  australi. 

lare  antartica  è  alto  presso  a  poco  29  pollici  ;  ha  il 
corpo  ovale,  e  le  zampe  posteriori  poste  così  indietro 
che  lo  fanno  somigliare  stranamente,  quando  cam- 
mina, ad  un  essere  umano.  Cammina  ordinariamen- 
te appoggiando  tutta  la  pianta  del  piede  sul  suolo, 
e  assai  di  raro  si  solleva  sulle  punte  delle  dita. 
Sebbene   i    pinguini    siano   ottimi  nuotatori,    i    loro 


piedi  non  sono  così  largamente  provvisti  di  mem- 
brane come  quelli  delle  anitre. 

Le  loro  ali  si, un  pico  le  come  gli  arti  anteriori  deb 
la  foca,  ai  quali  somigliano  sia  per  l'aspetto  esterno, 
sia  per  le  funzioni.  Inutile  dire  che  quegli  organi 
non  servono  per  volare:  i  pinguini  non  volano.  La 
testa  è  grossa;  la  parte  superiore  del  becco  sporge 
sull'inferiore,  ma  non  curvandosi,  bensì  prolungan- 
do in  linea  retta  l'osso  superiore  del  cranio.  Il  pin- 
guini- è  coperto  tutto  di  penne  corte  e  vicinissime  le 
une  alle  altre:  quelle  della  coda  un  poco  più  lun- 
ghi .   1  |uelle  1  tei   dorso  sono   nere. 

I  pinguini  vivono  tra  la  terra  e  il 
mare.  Sulla  spiaggia,  specialmente 
quando  non  c'è  ghiaccio,  sono  molto 
lenti  ;  ma  sul  ghiaccio  sono  rapidissi- 
mi. E'  curioso  vederli  procedere  sulle 
superfici  ghiacciate,  distendendosi  sul 
ventre  e  strisciando  a  grande  velocità 
senza  spingersi  che  con  le  zampe  po- 
steriori a  grandi  passi.  L'autore  del- 
l'anici ilo.  che  ha  passato  molto  tempo 
nelle  regioni  polari  antartiche,  si  è 
provato  molte  volte  ad  inseguire  qual- 
che pinguino  sopra  il  ghiaccio.  A  vol- 
te gli  animali  cercavano  di  fuggire 
correndo  in  piedi,  ma  erano  presto 
raggiunti,  e  allora,  nell'imminenza  del 
pericolo,  si  gettavano  a  terra,  e  in  bre- 
ve tempo  sparivano,  sfuggendo  al  per- 
secutore. 

Ma  il  vero  elemento  del  pinguino  è 
l'acqua,  ove  si  muove  a  grandissima 
velocità.  Impiega  le  sue  ali  rudimen- 
tali più  per  tenersi  in  equilibrio  che 
per  darsi  moto,  e  anche  i  piedi,  pro- 
babilmente .  rappresentano  una  parte  secondaria 
nella  locomozione  acquea  di  questi  strani  uccelli. 
L'autore  ritiene  che  il  moto  velocissimo  del  pinguino 
sia  dovuto  a  un  mutare  alternato  e  continuo  del 
centro  di  gravità.  Quando  escono  fuori  dall'acqua, 
hanno  una  grande  velocità,  perchè  nell'ultimo  tratto 
della  corsa  in  mare  si   danno  una   fortissima  spinta 


In  processione. 


506 


LA    II    ! 


pei   ;■  ni-  sui   blocchi   ili  ghiaccio  i    sulle     che  pruni,  si  scopriva,  gettava  un  lieve  grido, 

per  avvertire  i  compagni,  i  rompi  va  la  linea  e  veniva 
I   pii  molti    roisi.  .in  .   noi  ino      alla  nostra  volta.  Giunto  che  era  a  noi,  si  fermava, 


£      f     f  *    4*  + 


♦  *      * 


Pinguini  in  viaggio. 


i  do,  dal  (inali-  sono  ben  riparati  dal  grasso 
e  dalle  piume;  ma  resistono  molto  anche  alle  fe- 
rite, tanto  che  è  difficile  ucciderli.  A  volte,  dopo  es- 
sere stali  molto  maltrattati  dai  cani  della  spedizio- 
ne del  Borchgrevinck,  continuavano  a  passeggiare 
tranquillamente,  come  decisi  a  prendere  ciò  che  Dio 
mandava,  senza  protestare. 

L'autore  racconta  come,  dopo  una  spedizione  poco 
fortunata  verso  il  sud.  nella  quale  egli  e  i  suoi  com- 

molto  avanzati  nella  regione  polare. 

si  riti  i   primo  pinguino  il  giorno   i|  ottobre 

del    1899.   Il  naturalista  della  spedizione  era  grave 

dato,  anzi  in  punto  di  morie,  ma  volle  che 

il    pinguino    si    uccidesse    per         <  ■  .e:. irlo. 

0   II  giorno  1!.  I  .inii  re.  arri\  arono 

altri    |  evidenti  menti    .0  1  vano  percorso 

grandi    distanze.    Ben    presto   una    schiera    continua 
di  pinguini  ma  di  noi  dall'immen 

revano    pi  pi.  coli    in  .mini    che 

|in  ■  «dessero  l'uni  -  ill'altro,  con  le  brai 

ani    le  ali  spiegale  j  er  regi 
l   isi  ni  .n  avevano  affatto  ■  paura 
l'i  noi;    torse  ci  prendevano  per  una  nuova  sp 
di   pinguini.    Alcuni  ci   venivano  proprio  vicini 
.'torno   gravemente   1       olenni 
ano  su  noi,  prima  di  andarsene  a  m 

- 

minavano   in    fila  uno   dietro   l'ai 

uno  sulle  pedate  dell'altro.  L'unica  d  dalla 

via  ref.i  avveniva  quando  qualcuno  di  ni 

ni  compariva   in   vicinanza.   Allora   il   pinguino 


e  dietro  a  lui  venivano  e  si  fermavano  tutti  gli  altri 
pinguini,  come  i  vagoni  di  un  treno,  che  si  arrestano 
tutti  dietro  la  macchina,  quando  la  macchina  si 
arresta.  Il  primo  pinguino,  dopo  averci 
ben  bene,  si  metteva  in  moto  e  ci  girava  attom 
gli  altri  seguivano  gravemente.  Ciascuno  degli  uc- 
celli, soddisfatta  la  sua  curiosità,  se  ne  andava  ;  e 
così  uno  per  volta  ci  venivano  a  guardare  per  tutti 
i  versi,  senza  rompere  mai  l'ordine  stabilito,  e  poi 
raggiungevano  la   fila   principale  e  riprendevano  il 

mino  interrotto.   Visti   di  dietro,   i  contorni  dei 
loro    dorsi    neri    spiccavano    stranamente    sul    gran 
Campi    bianco  della  neve  ;  il  1  lasso  lento,  le  frequ 
fermale,  il  silenzio  grave  quasi  di  tomba,  prode 
uno  Sembrava  un  funerale. 

Ina   colonia  di  pinguini  offre  uno  spettacolo  v 
ramente  strano.  (ìli  animali  si  riuniscono  in 
di  c-inquanta.   sessanta,  talora   anche  più  :  e  si 
!  1  .  ano  nidi  di  pietre.  Le  colonie  sono  molto  vi 
luna  ali  lo  che  si   vedono  talora  mi- 

di pinguini   ritti   in  piedi,  l'uno  ila! 

in.    sui    li  r.     nidi,   con    il  muso   rivolto   per   lo   più 
dalla    Stessa    pane,    e    che    gridano    continuami 
1  igrl  i,.dche  pinguino  indiscipl  1  Ito  il 

momento  in  cui  un  suo  compagno  vicino 
da  un'altra  parte,  si  prende  il  gusto  di  entrargl 
nido  e  magari  di  guai  ■  appa  più 

pi, -sto  eli.  I    i1  :      ..     rtosi  dell'oltraggio  e  del 

no    subito,    si    dà    a    inseguire   il    delinqui  te 
tutti   e  due  corrono  in    ino//.,   alla    lolla,   urtano 
compagni,  gettandoli  qualche  volta  a  terra,  e  gri- 


LiALLE    RIVISTE 


567 


dando.  Spesso  la  lotta  non  ha  luogo,  perchè  la  folla 
impedisce  al  persecutore  di  raggiungere  il  colpe- 
vole. Al  li  ra.  sempre  stando  in  piedi,  si  percuotono 
furiosamente  con  le  ali,  finché  queste  siano  unte 
malmenate,  e  il  bianco  petto  coperto  di  sangue. 

Il  curioso  è  che  le  più  volte  il  vincitore  si  a  ntenta 
della  gloria  e  lascia  che  l'altro  si  stabilisca  sul  nido 

I    pinguini   vanno   spessissimo  in   acqua   pei    ba 
gnarsi  e  per  pescare.  Vanno  a  gruppi  di  cinquanta 

,  nto,  e  si  radunano  sulla  spiaggia  0  su  un  luogo 
alto  sopra  il  mare,  e  quivi  si  fermano  come  esitan- 
do. Si  cerca  in  qualche  maniera  di  attirarli  in  acqua 
irò  la  loro  volontà,  rifuggono  quasi  rabbrivi- 
dendo, come  chi  tema  l'impressione  del  freddo.  Alla 
fine,  quandi)  si  risolvono  a  bagnarsi,  non  vanno  giù 
tutti  in  una  volta,  ma  va  avanti  uno  solo,  che  si 
mette  a  mare  con  un  salto,  gettando  un  piccoli  1  gri- 
do e  scomparendo  sotta  Allora  gli  altri  gli  vanno 
dietro  rapidamente  ma  uno  alla  volta  e  avendo  ben 
cura  di  gettarsi  proprio  nel  punto  preciso  ove  si  è 
ito  il  primo.  Probabilmente  fanno  così  perchè 
sanno  che  spesso  girano  pel  mare  piccoli  massi  di 
ghiaccio,  che  potrebbero  far  male  ed  amano  man- 
dare avanti  un  esploratore.  Quando  si  sono  ben  per- 
51  asi  che  non  ce  nessun  pericolo,  allora  si  fanno 
animo  e  vanno  giù  tutti. 

I  pinguini  non  vengono  quasi  mai  a  galla.  Se 
vogliono  respirare,  vengono  fuori  per  un  momento, 
ma  subito  dopo  tornano  ad  immergersi.  Pare  che 
essi  possano  empirsi  i  polmoni  in  pochissimo  tem- 
po. Se  l'acqua  è  chiara,  è  possibile  vederli  quando 
giuocano  a  rincorrersi  o  a  nascondersi  fra  le  promi- 
nenze ilei  fondo  del  mare. 

E'  stato  notato  che  i  pinguini  sono  uccelli  molto 


vanitosi.    Uno    di    issi    che    abbia    una   macchia    sul 
ntre  ,   1  sservato  dagli  altri  con  curiosità  e 
fattooggetto  —  ilice  l'autore  —  delle  e.  nversazioni 
iali.  Tutti  si  divertono  a  bei-culo  e  si  direbbe 
he   lo  deridano,   tanto  che  alla    line  l'infelice  è  CO- 
o  ad  andare  a  lavarsi. 
Vii  uno  varietà  di   pinguini   si    fabbricano  i  nidi 
su   alture  che  raggiungono   anche   un'altezza    abba- 
stanza considerevole.   Siccome  non   possono  volare, 
impiegano  molto  tempo   per  salire   sino   in   alto,  e 
anchi     inolia    fatica;    spesso   scivolano   e   cadono  e 
non  son  pochi  quelli  che  così  trovano  la  mone. 

L'autore  si  diffonde  a  descriverci  i  o  stumi  del  pin- 
guino imperatore,  che  è  più  grande  e  più  forte  degli 
altri.  Un  uomo  solo  potrebbe  difficilmente  lottare 
da  solo  con  quell'animale  1  he  col  becco  e  con  le  ali 
sa  difendersi  molto  vigorosamente.  Peranche  l'im- 
peratore, quando  vede  che  la  difesa  sarebbe  inutile 
ed  impossibile,  rinunzia  al  combattimento  con  la 
massima  filosofia.  Quando  è  legato,  se  si  vede  sor- 
liato,  sta  tranquillo  e  indifferente,  per  non  at- 
tirare l'attenzione;  ma  appena  si  voltano,  becca  la 
ci  ola  che  lo  lega  e,  se  non  si  giunge  presto  al  ri- 
paro, si  dà  alla  fuga. 

Mentre  i  pinguini  adultiscono  amanti  dell'ordine, 
i  piccoli  sono  oltremodo  turbolenti  e  danno  molto 
da  fare  ai  genitori,  che  non  solo  debbono  sovvenir 
loro  il  cibo,  ma  anche  sorvegliarli  e  separarli  quan- 
do vengono  alle  prese. 

Allora  tutti  gli  adulti  depongono  le  rivalità  e  gli 
odi  reciproci  e  passano  molta  parte  del  loro  tempo 
a  dividere  i  litiganti  e  a  scegliere,  di  mezzo  alla 
turba  in  tumulto,  ciascuno  i  propri  nati,  che  pure 
si  somigliano  tra  loro  come  le  uova  da  cui  sono  u- 
sciti  venendo  al  mondo. 


Una  colonia  ili  pinguini. 


568 


LA    LETTURA 


Ita  grande  scoperta  archeologica 
nel  poro  Romano 

(Da  un  articolo  .li  Felice  Barnabei,  nella   Nuova  Ati 
d<  i   16  api 

ii  •  Boni,  il  gii  imo  -  dello  scoi  - 
.  mise  in  luce,  negli  scai i  del    Fi  u i 
mano,   un  monumento  d'una   importanza    stra 
nari.i.  del  quale  si  parlerà  ]  ler  lungo  tempo  e  che 
sarà  <li  monografie  e  ili  illustrazioni  desti 

nate  a  prender  posto  nei  manuali  di  antichità  e 
nei  libri  di  storia  per  le  scuole  E  una  tomba  lu 
quale  ci  i    e  al  perìodo  più  antico  della  Ro- 

ma primitiva,  senza  la  possibilità  ili  quei  dubbi,  ili 
quelli'  controversie  che:  sogliono  essere  mimmi  ali' 
passioni  imperanti  purtroppo  anche  nel  cam] 
tifico.  Tre  anni  or  sono,  quando  lu  scoperto  nello 
stesso   I         'in  altro  memorabile  monumento,  cioè 
il  cippo  i  rizioni    arcaica  rinvenuto  sotto  II  t.i- 

pis  niger,  poiché  l'esplorazione  dovè  pn*-edere  in 
mezzo  a  molti'  difficoltà,  sotto  la  platea  dell'era  re 
pubblicana,  che  era  necessario  conservare,  fu  | 
sibile  mettere  In  discussione  la  stratificazione  di  He 
terre  e  la  giacitura  degli  oggetti  :  nulla  ili  simile 
può  "ra  accadere,  trattandosi  d'imo  scavo  fatto  in 
pienissima  luce,  e  sotto  gli  occhi  di  tutti:  chi  non 
ha  voluto  scendere  a  livello  dell'antica  tomba  pei 
vedere  le  o  se  da  vicino,  le  ha  potuto  veder 
l'alto,  alla  distanza  di  poco  più  di  tre  metri,  rima- 
nendo sulla  vii  Sacra,  a  lato  della  quale  la  tomba 
è  ricomparsa. 

La  scoperta  del  lapis  niger  provò  luminosamente 
come  l'uso  della  scrittura  in  Roma  rimontasse  per 
lo  meno  al  periodo  detto  di  Servio;  il  fatto  fu  di- 
mostrato dai  segni  dell'alfabeto  incisi  nei  massi 
tufacei  adoperati  come  materiali  nel  recinto  di  Ro- 
ma, il  quale  si  ritiene  innalzato  nel  perìodo  di  quel 
re.  Lo  provarono  anche  i  segni  incisi  nei  massi  squa- 
drati delle  solidissime  costruzioni  tufacee,  dello 
stesso  periodo,  chi-  formarono  la  base  del  gran  li- 
santuario  entro  cui  lu  venerata  sul  colle  Palatili" 
capanna  abitata  dal  fondatore  di  Roma.  Ma  dove 
vamo  noi  rassegnarci  a  riconoscere  nel  cippo  iscritto 
presso  il  Comizio  il  documento  archeologico  più  an- 
tico che  di  tutta  la  storia  romana  ci  fosse  perve- 
nuto J  Dovevamo  rinunziare  ad  ogni  speranza  dì 
rinvenire  un  documento  di  indiscutibile  autenticità. 
il  quale,  riferendosi  all'età  antei  ci  avvicinasse 

al  vetustissimi  delli    i  rigini?  A  questo  pi 

riodo  si  sfùnge  più  avidamente  il  nostro  desiderio: 
è  il   più  combattuto,  quello  che   la  ci 
ha  reso  più  controverso,  quello  dal  quale  rimania- 
mo lontani   pi  r   il   tratto   di    parecchi   secoli.    I 

parso  che   il    procedimento   metodico,    nelle   ricerche. 

ci  dovesse  preparare  le  più  sorprese;    ma 

dappertutto  esso  ci    rieondusse   ai    monumenti   ed 
alle  memorie  fino  ad  un  certo  periodo,  dove  si  arre- 
starono come  dinanzi  ad  una  barriera   insonni 
bile,  al  di  là  della  quale  stava  il  campo  delle  me- 
morie primitive 

Qlicvto     rampo     non     appariva     soltanto     inacces 


sibile;    pareva    distrutto:    altre    costruzioni,    altre 

memorie  lo  avevano  occupato;   e  la 

tali  costruzioni,  la  profondità  alla  quali    fu  mi 

irne  le  fondamenta,   rendevano  più  che 
bile  l'ipotesi  che  nel   fabbricare  queste  nuove  i  pere, 
alcune  durame  la   stessa  a.   altre  nei   ti 

della  Repubblica,  alle  quali  si  sovrapposero  quelle 
erette  durante  l'Impero,  perfino  le  tracce  dei  mo- 
numenti primitivi  fi  ssero  andate  confuse  e  dispi 


Ma   il   lavoro  paziente  ha   portati     i   suoi   frut'i. 
facendo  scoprite  il   monumento   preziosissimo  i 
servato,  alla  profondità  di  quattro  metri,  in  un  ■ 

-ino   spazio   rimasto    fortunatamente    rispe 
nel  corso  dei   secoli,   tra   le  grandi   costruzioni   'lei 
pio  di    Antonino  e   Faustina   e  quelle  della   via 
i   innanzi  alla  Regia,  presso  le  perniici  del   Pa- 
latino.  E'  la  tomba  scoperta  dal   bossi.  Cons 
un  pozzetto,  con  le  pareti  formate  da  pezzi  di  tufo. 
in  mezzo  al  quale  era  stato  depositato  un  dolio  fit- 
tile,  di   impasto   artificiale  grigio   scuro,    lavorati 
mano  e  rifinito  a  stecca  col  sussidio  di  un  tornio  ru- 
dimentale, alto  43  centimetri  o  poco  più,  largo  n 
massima  espansione  53,  e  chiuso  da  un  copei 
testudinato,  di  tufo.  Dentro  il  dolio  era  un  gr.c 

re    fittile,    a    grande   corpo    rigonfi  1    anse 

attorte  a  fune,  dello  stesso  impasto  e  dello  stesso 
lavoro;  il  suo  coperchio  imitava  la  copertura  della 
capanna  laziale,  con  le  costole  ritraenti  la 
tura  delle  travi  del  tetto.  Dentro  il  cratere  stavano 
gli  avanzi  del  rogo,  cioè  ossa  seminstulate  coi  pezzi 
del  cranio  ;  vi  erano  rimasti  anche  i  denti,  ma  assai 
consunti  nello  smalto.  Attorno  al  vaso  ossuario,  i 
vasi  di  corredo,  tutti  dello  stesso  impasto  nerastro 
e  rifiniti  egualmente  a  stecca.  Due  di  questi  vasi 
sono  da  conserve,  ed  hanno  le  ci  stole  rilevate,  imi- 
tanti le  cordicelle  o  la  fasciatura  di  vimini  con  cui 
questi  prodotti  dell'industria  primordiale  erano  rin- 
forzati.  Un  altro  vasetto,  pure  da  conservi 
forse  avere  un  coperchio  di  legno  putrì  fattosi 
labilmente  nell'umido.  Vi  era  poi  un  piccolo  attin- 
gitoio con  ansa  cornuta,  un  fociilum,  una  scodella. 
un  piccolo  recipiente  in  torma  di  vassoio,  forse  lu- 
cerna; e  tutti  questi  fittili  di  industria  n»zza  e  pri- 
mitiva, irano  per  forma  '■  pei  tecnii  1  somigliantis- 
simi a  quanti  ne  tornarono  in  luce  dalle  ti 
antiche  delle  necropoli  albane  alli  v' 

1  'ave.   somigliantissimi   a  quelli   dei   più  antichi 
1  ■  1 -reti  delle  necropoli   ili   Velletri  e  di    Vrdea  nel 
Lazio,  e  dei   più   vetusti  ancora  di   ('aere,   di 

nii  e  di  altre  città  della  bassa  Etruria 

I  apparenza  di  questa  scoperta  è  modesta,  ma  il 
pregio  altissimo  degli  1  rnati  alla  luce  m  n 

pui    1 -Mie  cosi 'uniti,  dalla  rarità  della   matei 
CUI    furono   Fatti,  ivvii"  dal   gusto  dell'arte  con  cui 
furono  modellati  o  abbelliti  ;    bensì   dal    fatto  che 
mancano  altri  documenti   dell'età   a  cui   rimontano; 
essi   hanno  quindi,   benché   di   materia   vilissim 

uiti  di  ogni  eh  ganza,  un  alto  valore  che,  indi- 
pendentemente dalle  circostanze  di  luogo  e  di  l 
pò,  il  metallo  più  pi  n  sarebbe  stato  ca] 

di  dare. 


DALLE    RIVISTE 


Il  sito  della  scoperta,  per  lo  studio  della  topo- 
grafìa  della  città,  è  sommamente  importante:  in 
quella  specie  di  sella  che  univa  PEsquilino  al  Pa- 
latino fin  dai  primordi  dell'età  regia  si  stabilì  :1 
culto  di  Vesta  con  l'abitazione  delle  Vergini  Ve- 
stali: lì,  secondo  la  tradizione,  fu  decisa  la  sorte 
della  battaglia  fra  Romani  e  Sabini  dopo  il  ratti. 
delle  fanciulle,  quando  il  re  sabino  Tito  Tazio, 
conchiusa  la  pace,  fu  associato  al  regno  di  Rom<  l<  . 
e  il  Foro  diventò  il  campo  dove  cominciò  a  svol- 
gersi la  vita  pubblica  tra  i  Romani  del  Palatino  e 
i  Quiriti  del  Quirinale  riuniti  in  una  stessa  città  e 
chiusi  da  uno  stesso  recinto.  Stando  a  ciò,  fin  dai 
tempi  che  la  tradizione  chiama  Romulei,  il  sito  dove 
è  stata  scoperta  la  tomba  divenne  sito  interno  della 
città,  e  per  conseguenza  non  dovette  essere  consen- 
titi, di  farvi  sepolture.  Questa  tomba  si  deve  quindi 
far  risalire  a  quell'età  che  precedette  l'ultimo  pe- 
riodo Romuleo,  e  resta  da  sapere  se  debba  riferirsi 
alla  prima  gente  discesa  dai  colli  Albani  sotto  la 
guida  dei  due  figli  di  Rea  Silvia  e  di  Marte;  op- 
pure se  debba  considerarsi  come  un  fatto  isolato, 
come  un  sepolcro  che.  pur  volendo  procedere  con 
la  guida  della  tradizione,  non  si  possa  ritener  colle, 
gato  col  sacro  colle  a  cui  ci  riportano  le  più  antiche 
origini  della  grandezza  di  Roma.  Ma  nell'uno  e 
nell'altro  caso,  stando  ai  dati  della  topografia,  la 
tomba  rimarrebbe  sempre  il  monumento  più  antico 
tornato  alla  luce  in  Roma,  il  monumento  che  ci  fa- 
rebbe rimontare  all'età  più  remota  della  sua  storia. 
Queste  stesse  conclusioni  sono  luminosamente 
confermate  dal  modo  con  cui  la  tomba  fu  costruiti, 
dal  sito  del  seppellimento  e  dalla  forma  e  dalla 
tecnica  dei  fittili  che  vi  si  sono  trovati. 

Le  tombe  antichissime  della  bassa  Etruria  e  del 
Lazio,  con  le  quali  trova  esatto  raffronto  quella  ora 
rinvenuta,  si  distinguono  in  due  grandi  categorie: 
quelle  a  cremazione,  consistenti  in  un  cavo  circo- 
lare, nel  cui  fondo  è  il  vaso  ossuario  con  gli  avanzi 
del  rogo,  le  quali  si  chiamano  generalmente  pozzi  ; 
e  quelle  a  inumazione,  le  quali  sono  ordinariamente 
buche  rettangolari,  grandi  quanto  bastava  a  conte- 
nere un  sarcofago  quasi  sempre  di  legno,  più  rara- 
mente di  tufo  o  di  nenfro,  entro  al  quale  era  depo- 
sto con  gli  ornamenti  personali  il  cadavere:  queste 
ultime  si  chiamano  fosse.  Il  rito  della  cremazione 
a  ntinuò  fino  al  periodo  imperiale  ;  le  tombe  a  inu- 
mazione cessarono  invece  tra  il  sesto  e  il  quinto  se- 
colo avanti  l'èra  volgare,  allorché  al  seppellimento 
entro  un  sarcofago  depositato  nel  fondo  di  una 
fossa  rettangolare,  si  sostituì  il  costume  di  collo- 
care entro  una  camera  due  o  più  defunti,  in  gene- 
rale una  coppia  di  coniugi  ;  questa  camera  rappre- 
sentava la  stanza  del  convito,  e  sulle  sue  pareti  si 
dipingevano  scene  di  fanciulle  eleganti  e  snelle  che 
intrecciavano  danze  in  mezzo  ai  satiri,  o  scene  di 
saltatóri  e  di  mimi,  o  rappresentazioni  di  caccie  o 
di  banchetti  ;  e  accanto  ai  cadaveri  era  disposto 
tutto  il  corredo  ricchissimo  di  vasi  pel  servizio  della 
mensa.  Col  succedersi  delle  generazioni,  a  poco  a 
poco,  le  camere  mortuarie  lasciarono  il  posto  alle 


569 

grandi  tombe  di  famiglia,  poche  di  numero,  ma 
sontuosissime,  a  vari  appartamenti,  le  quali  rap- 
presentarono le  case  dei  ricchi  quando  si  costitui- 
n  ini  '  i  latifondi  e  con  essi  venne  a  porsi  in  Roma 
la  quistione  sociale  propugnata  dai  Gracchi  e  ri- 
soluta da  Cesare  con  le  leggi  agrarie  a  favore  dei 
poveri. 

Nondimeno,  se  le  tombe  ricche  rappresentarono 
le  case  dei  ricchi,  non  mancarono  le  tombe  povere, 
che  rappresentarono  quelle  dei  poverelli,  con  que-    ' 
sta  differenza  :   che  nelle  tombe  più  antiche  a  inu- 
mazione e  anche  in  quelle  a  cremazione,  a  comin- 
ciare delle  primitive,  si  ebbe  sempre  il  simbolo  della 
casa  o  si  rappresentò  la  casa  stessa  nella  sua  forma 
esterna  ;    mentre  con  l'uso  delia  camera  sepolcrale 
si   raffigurò  l'interno  dell'abitazione.  Ma  il  simbolo 
o  l'esterna  figura  della  casa  apparisce  tanto  nelle 
tombe  a  cremazione,  quanto  nelle  primitive  a  inu- 
mazione, poiché  in  quelle,  per  lo  più.  gli  avanzi  del 
rcgo  erano  custoditi  entro  urne  che  rappresentavano 
la  capanna  in  cui  la  famiglia  dimorava  ;  in  queste 
il  coperchio  del  sarcofago  era  di  forma  testudinata, 
ossia   rappresentava   la    forma   del   tetto   della    ca- 
panna stessa.   Queste  tombe  più  antiche  consistono 
per  lo  più  nel  vaso  che,  formando  il  decoro  della 
tavola,   è  simbolo  dell'unità   della  famiglia.    E'   il 
vaso  ove  tutti  bevono,  il  simpuvium  dentro  il  quale 
si  custodiscono  poi  gli   avanzi  del   rogo;    gli   serve 
di  coperchio  la  scodella  di  cui  probabilmente  il  de- 
funto si  servì  per  mangiare  la  sua  minestra  di  farro 
nell'età  primordiale.  Digrossati  poi  i  costumi  e  mol- 
tiplicati i  cibi,  venne  l'uso  dei  bicchieri,  o  dei  /in- 
cula,  e  degli  attingitoi  ;   quindi  i  vasi  minori  col- 
locati come  corredo  funebre  intorno  ai  vasi  del  co- 
stume  primitivo,   cioè    all'unico   vaso   per   bere   e 
all'unica  scodella  per  mangiare.   Più  tardi  ancora, 
progredita    l'industria   fittile,    gli    avanzi    del    rogo 
non   si   custodirono  più   dentro   il   vaso   da  tavola, 
ma  entro  un'uma  in  forma  di  capanna,  senza  che 
però  fosse  abbandonato  il  rito  primitivo.    Anzi   ad 
esso  si  toma  sovente,  conciliandosi  i  due  costumi. 
come  nella  tomba  ora  scoperta,  dove,  se  gli  avanzi 
del  rogo  furono  deposti  entro  un  vaso  da  tavola, 
non  gli  messa  per  coperchio  la  scodella,  ma  un'altra 
copertura   di   carattere   funebre ,     imitante    il    tetto 
della  capanna.    E    la   forma   di   questo  tetto  rivela 
appunto   le   particolarità   di   costruzioni   che   si   no- 
tano   in    capanne    vetustissime    delle    necropoli    la- 
ziali, e  particolarmente  in  una  dissepolta  nella  ne- 
cropoli antichissima  eli  Velletri. 

Dunque  per  la  ragione  topografica,  per  il  rito  se- 
polcrale, per  la  forma  e  la  tecnica  dei  fittili  rin- 
venuti, non  può  disconoscersi  che  con  la  nuova 
scoperta  ci  troviamo  di  fronti-  a  un  documento  au- 
tentico, grazie  a!  quale  sormontiamo  la  barriera  che 
ri  impediva  di  penetrare  nel  campo  delle  memorie 
primitive.  La  scoperta  assume  così  il  carattere  ili 
un  vero  avvenimento,  ed  è  il  premio  della  gri 
impresa  degli  scavi  del  Foro  Romano,  la  q 
toma  a  grande  onore  del  Governo  e  del  O  mune  di 
Roma  e  rende  benemeriti  degli  studi  e  della  patria 
quanti  vi  attesero. 


.>7" 


LA    LETTI' I    \ 


ha  fotografia  del  moto 


]  .1    pubblicazione  dei   diagrammi   raffiguranti   il 
del  i  ivallo     i      tò  grande  interesse  e  molte 


.li  Alder   Anderson,    nel    Pearson'i    Ma 

■ 

stremo   sobborgo   cecidi  Parigi    si 

tro\  .i  un  lab  i  e  strani 

In  luogo  dell'arsenale  ordinario  di  provini  e  'li  a- 
lambicchi,  il  visitatore  vede  una  gran  varietà  ili  ap- 
chi  stravaganti,  il  cui  uso  sarebbe  assai  ditrì- 
indovinan  i  muri  som    coperti  ili  dia- 

abalistici,  che  si  alternano  con  I 
■  li  una  buona  metà  del  mondo  animale  (compreso 
l'uomo)  in  tutte  le  attitudini  possibili  e  immagina- 
bili. Il  lai  è  diretto  dal  prof.  Marey,  uno 
nel  ninnilo  tecnico  è  assai  conosciuto 
e  che  specialmente  si  è  segnalato  per  i  suoi  studi 
sul  mi 

Si  può  dire  <-he  non  vi  sia  genere  di  movimento 

che  egli  i         bbia  fatto  i  ggetto  'li  studi  profondi. 

Perchè   un   uomo   può  saltare  meglio  di   un   altro. 

quamlo  non   ve  nessuna   ragione  visibile  che  possa 

superiorità?  In  qual  mudo  recisamente 

ili    le   acque  quelle   navi   della   natura 

i   pesci,   e  nell'aria  quegli  aereostati   della 

natura  che  si  ino  gli  uccelli  ? 

Che  differenza  corre  dal  lavoro  d'un  facchino 
sperimentato  a  quello  di  un  semplice  apprendista? 
Qual'è  il  ni"do  migliore  di  portare  un  grave  peso, 
di  salire  una  montagna,  di  cavalcare,  di  dare  un 
pugno  |  er  buttare  a  terra  un  avversario?  Tali  sono 
alcune  delle  innumerevoli  questioni  a  cui  cerca  di 
rispondere  il  sistema  d'investigazione  del  profes- 
sore Mare\.  Supponete,  per  esempio,  che  si  voglia 
analizzare  il  moto  di  un  cavallo  in  corsa.  Sotto  o- 
gnuno  degli  zoccoli  del  cavallo  si  pone  una  palla 
di  guttaperca  vuota  ed  elastica,  attaccata  legger- 
mente  alla  gamba  del  cavallo,  t  connessa  con  un 
piccolo  apparecchio  tenuto  in  mano  dal  cavaliere. 
Quando  Io  zoccolo  viene  a  contatto  col  suolo,  la 
i  per  questo  contatto  sulla  palla 
vieni  al  tubo  all'apparecchio  tenuto  dal 

cavaliere,  e  fa  si  che  il  movimento  venga  registrato 
da  una  punta  che  fa  un  segno  su  un  piccolo  cilin- 
dro che  si  svolge  con  moto  rotatorio.  Ognuno  degli 
'li  fa  un  segno  diverso  e  la  lunghezza  del  se- 
gno stesi  pianto  tempo  lo  zoccolo  è  stato  in 
!  liagramma  mo- 
ni relative  delle  zampe  del  cavallo 
nella  corsa. 


Il  passe  -il  una  gallina. 


Il  passo  di  un  cani  . 


ussioni,  molto  più  che  contraddiceva  alle  te»  rie 
generalmente   ammesse.    Per    dimostrare    la    sei 


Il'voln  d'  un  "i 


W  V 


*  V 


#  n^nà  #.%V  **  w»r 


Come  un  gatto  cade  sulle  zampi  . 


' 

<r 

■i 

Tè 

V 

(.'unir  un  pio  ii  iì'      '    ridi    .il  suoli.. 


•>7- 


i  \    i  i  ri i  R  \ 


Fotografìe  intermittenti  <h  un  uomo  che  cammina. 


delle  sue  esperienze,  il  prof.  Marey  invocò  il  sus- 
sidio del  fotografo,  che  con  ventiquattro  macchine 
grafiche  istantanee   prese  altrettante   fotografie 
di  un  cavallo  corrente,   fotografie  che  dimostrarono 
1  sistema  del   Marey  fosse  buono,  e  come  i 
cavalli,  correndo,  eseguiscano  pro- 
pria i   movimenti  segnati  dall'ap- 
parecchio del  professore  francese. 
Non  è  necessario  spiegare,  dice 
a  questo  punto  l'aliti  re  della 

le  di  quanta  utilità  pratica  possa 
essere  la  conoscenza  esatta  di 
do  come  si  muove  un  cavallo.  La 
fotografia,  rivelando  il  movimen- 
te.  si  può  dire,  di  ogni  rm> 
di  ogni  tendine,  insegna  ionie  si 
possa  trattenere  ciascun  mi  vi- 
olento quando  si  vuole.  Di  più 
le  esperienze  del  Marey  dimostra- 
li'   come  molti  quadri  ove  si  vedi 

i valli  correnti  siano  sbaglia' i. 
compresi  alcuni  di  Meissonnier. 
ti,  quando  gli  fu  detto  ciò. 
si  mise  a  ridere,  dichiarando  che 
avrebbe  creduto  alle  fotografie 
quando  le  fotografie  avessero  ra] 
presentato  i  cavalli  quali  li  dipin- 
geva lui;  ma  poi  dovette  rirre 
dersi. 

Si    sono   anche    eseguite    foto 
grafie  di  uccelli  volant  i 
fie  che  riprodotte   in   un    quadro 
sembrerebbero  grottesche,  ma  che 
rispondano    esattamente    alla    vi 
rità.  Talvolta  le  serie  di  inin 
raffiguranti  le  diverse  fasi  del  ni" 
vimento  sono  prese  su   una    sola 
pellicola,  con   L'obbiettivo  sempi 
aperto  in  modo  che  la  camera  ri- 
ceve continuamente   le   impi 
ni  ;    talvolta,    invece,    si    prendono 
impressioni      intermittenti  ;      tal- 
volta, infine,  si  impiega  una  pellicola  che  si  >>. 

moto  rotatorio.    Ma   per  ottenere   una    serie   ili 
immagini  distinte,  conviene  aprire  e  chiudere  alter- 
nativamente la  camera  o 
l'obbiettivo. 


1  )alln  studio  fatto  sul  modo  di  camminare  degli 
uomini,  il  prof.  Marey  ha  potuto  determinare  la 
maniera  di  economizzare  al  possibile  lo  sforzo  mu- 
si.ilare,  in  guisa  da  ottenere  il  massimo  risulta-. > 
con  il  lavoro  minimo.  Negli  eserciti  francese  e  russo 
si  è  mutato  il  programma  di 
dest.ramento  fisico  appunto  in  ba- 
se alle  esperienze  fotografiche  del 
Marey. 

Tra  le  fotografie  più  notevoli  pre- 
se dal  professore  francese  vanno 
segnalate  quelle  sul  volo  degli  uc- 
celli e  degli 
insetti.  Col 
sussidio  di  U- 
na  specie  di 
fucile  fotografico,  come  apparec- 
chio, cioè,  carico  di  pellicole  anzi- 
chè  di  munizioni  micidiali,  ma 
migliante ,  quanto  alla  forma  e- 
stema,  ad  un  fucile,  si  pren 
innumerevoli  fotografie.  Inutile 
dire  che  se  ne  eseguiscono  parec- 
chie diecine  al  secondo  ;  ma  va 
notato  che  se  si  raccoglie  un  nu- 
mero molto  grande  di  immagini 
sopra  una  stessa  pellicola  che  si 
svolge  in  moto  rotatorio,  ne  ri- 
sulta un  assieme  altrettanto 
fuso,  all'occhio,  quanto  l'atto  stes- 
sa di  cui  si  vogliono  osservare  le 
diverse  fasi.  Ora  si  è  escogitato 
un  mezzo  di  conciliare  la  rapidità 
della  fotografia  con  la  nettezza  e 
la  precisione  dei  risultati.  Il  si- 
stema è  semplice;  invece  di  esa- 
minare le  fotografie  direttali, 
si  fanno  proiezioni  delle  sii 
fotografie  con  la  lentezza  i  he  si 
desidera,  e  sulle  proiezioni  in  tal 
tograi  modo  isolate  si  fanno  gli  studi. 

Riproduciamo  qui  alcune  delle 
illustrazioni  che  accompagnano  l'articolo  del  /Y<;r 
son's   Ma  mostrano  i  risultati  ottenuti 

dal  prof.  Marey.  Si  vedrà  come  gli  studi  dello  se 
ziato   francese   diati.,  così    buoni   risultati   che  spie- 
gano l'interesse  crescente  suscitato  dal  suo  istituto. 


DALLE    RIVISTE 


573 


Intorno  alle  eclissi 


(Da  un  articolo  delle  Leciures  pour  luta,  di  maggio). 

Il  fenomeno  dell'eclisse  è  uno  dei  più  meravi- 
gliosi che  sia  dato  contemplare  all'uomo  ;  la  sti 
natura  ne  rimane  stupita  e  quasi  costernata.  L'a- 
stronomo Riccioli  riferisce  che  si  videro,  durante 
l'eclisse  del  17 15,  gli  uccelli  cadere  morti  dallo  spa- 
venta Nel  1706.  a  Montpellier,  gli  uccelletti  nelle 
gabbie  nascosero  la  testa  sotto  l'ala  come  se  fosse 
sopravvenuta  la  notte;  le  bestie  che  tiravano  gli  a- 
ratri  si  arrestarono.  Arago  notò  simili  atteggiamenti 
durante  l'eclisse  del  1842  ;  quando  il  sole  riappar- 
ve, si  udirono  i  galli  lanciare  il  loro  grido  mattu- 
tino. 

Dallo  spavento  delle  eclissi  sono  nate  molte  leg- 
gende. Gli  antichi  Scandinavi  mettevano  nel  cielo 
due  enormi  lupi:  Moongarm  e  Fenris,  che  insegui- 
amo continuamente  il  sole  e  la  luna;  quando  uno 
di  questi  astri  cominciava  ad  oscurarsi,  quei  popoli 
credevano  che  la  bestia  lo  avesse  raggiunto  e  co- 
minciasse a  divorarlo.  Quando  la  luna  si  eclissava. 
gl'Incas  credevano  che  fosse  ammalata  e  temevano 
che.  morendo,  dovesse  cascare  sulle  loro  teste  e 
-  h  acciarli.  E  per  esortarla  a  guarire,  provocavano 
gli  abbaiamenti  e  i  guaiti  dei  cani,  ritenuti  amici 
del  satellite.  Gl'Indiani  del  Perù  supplicavano  an- 
ch'essi l'astro  d'argento,  dandogli  teneri  nomi: 
Mamma  Luna!  Mamma  Luna!  »  {Marna  Quilla! 
Marna  QuillaV).  Cristoforo  Colombo,  durante  il 
suo  quarto  viaggio,  alla  Giamaica.  vinse  l'ostilità 
degli  indigeni  minacciandoli,  nell'imminenza  di  una 
eclisse  di  luna,  di  privarli  della  luce  dell'astro  ;  co- 
minciato infatti  il  fenomeno,  i  nativi  si  buttarono 
ai  suoi  piedi,  ed  egli,  fingendosi  placato,  predisse 
il  ritomo  dello  splendore  lunare.  Gli  astronomi 
hanno  calcolato  che  questa  eclisse  dovette  esser 
quella  del  29  febbraio  1504,  visibile  alla  Giamaica 
un  poco  dopo  le  7  della  sera 

I  Cinesi  hanno  saputo  prevedere,  da  tempi  anti- 
chissimi, le  eclissi,  ma  ne  hanno  egualmente  tre- 
mato. Quando  il  fenomeno  era  annunziato  dall'a- 
stronomo di  corte.  l'Imperatore  e  i  dignitari  co- 
minciavano un  severo  digiuno  ;  nel  giorno  desi- 
sanato,  al  principio  dell'eclisse,  il  sovrano  dava  un 
segno  col  tamburo,  e  i  mandarini  scagliavano  le 
li  ro  freccie  al  cielo  per  soccorrere  l'astro  minac- 
ito  dal  mostro.  Anche  oggi,  la  Guardia  imperiale 
si  colloca  ai  piedi  della  Torre  della  Rugiada  (Lu- 
T/iai)  con  musiche  e  tamburi  che  fanno  un  fracasso 
assordante  per  «  liberare  il  sole  ».  Gli  Indù  condi- 
videvano questi  terrori  e  collocavano  tra  i  pianeti  il 
mostro  che  tentava  divorare  il  sole  e  la  luna.  In 
tutto  l'Oriente  regnano  simili  idee.  Durante  la  guer- 
ra russa-turca,  il  15  marzo  1877.  l'esercito  otto- 
mano, sorpreso  da  un'eclisse  di  sole,  aprì  un  fuoco 
di  fila  contro  il  drago  che  soffocava  l'astro  del 
giorno. 

Nell'antichità  la  superstizione  regnò  sovrana  a 
questo  riguardo.  Erodoto  racconta  che  durante  una 
battaglia  fra  Medi  e  Lidi,  sopravvenuta  un'eclisse 
di   sole,  i  combattenti  deposero  le  armi,   in   preda 


al  terrore,  e  si  riconciliarono.  Durante  la  guerra 
del  Peloponneso,  il  pilota  della  galera  di  Pericle 
restò  immobile  dallo  spavento  ;  ma  Pericle,  avvici- 
natosi e  messogli  il  mantello  dinanzi  agli  occhi,  gli 
disse:  «  Che  differenza  ce  tra  il  mio  mantello  e 
ciò  che  produce  l'eclisse,  se  non  questa:  che  ciò  che 
produce  le  tenebre  è  una  cosa  più  grande  del  mio 
mantello?  d. 

Nel  mondo  romano  e  nel  medioevo  questi  terrori 
superstiziosi  perdurarono.  Fontenelle  riferisce  che 
durante  l'eclisse  del  1654  le  autorità  civili  ed  ec- 
clesiastiche tentarono  invano  di  sedare  lo  spavento 
dei  Parigini.  Anche  oggi,  presso  le  popolazioni  bar- 
bare, questi  terrori  sono  frequentissimi.  Ma  la  ma- 
lizia ci  si  mescola,  per  trarre  partito  dal  fenomeno 
naturale.  Nel  Natal,  il  16  aprile  1874,  giorno  di 
eclisse  solare,  gl'indigeni  affinatisi  in  compagnia  de- 
gli Europei,  pretesero  doppia  paga,  perchè  quella 
nata  era  stata  doppia,  divisa  in  due  da  una 
notte,  non  importa  se  breve.  Dal  canto  suo,  un  pro- 
prietario di  miniere  di  diamanti,  radunò  i  suoi  ope- 
rai negri,  e  disse  loro  che  il  sole  stava  per  morire, 
ma  che  consentiva  a  vivere  se  gli  si  regalava  un 
grosso  diamante;  e  gl'indigeni  negri  si  misero  a 
grattare  la  roccia  finché  non  trovarono  una  pietra 
di  circa  45  carati,  mediante  la  quale  il  sole  pro- 
mise di  guarire  !... 

Da  noi.  le  eclissi,  perfettamente  spiegate  ed  e- 
sattamente  previste,  non  spaventano  più  nessuno. 
Quella  che  impressiona  di  più,  la  solare,  è  anche 
quella  che  dura  meno.  La  più  lunga  finora  osser- 
vata fu  quella  del  1868.  nella  penisola  di  Malac- 
ca: durò  6  minuti  e  50  secondi.  L'eclisse  che  si  è 
osservata  giorni  sono,  il  18  maggio,  dal  Madaga- 
r  al  Pacifico,  fu  straordinariamente  lunga  a 
Sumatra:  6  minuti  e  mezzo.  A  proposito  di  questa 
rapidità,  che  forma  la  disperazione  degli  astronomi. 
si  racconta  un  aneddoto:  alcune  eleganti  signore 
erano  state  invitate  da  un  marchesino  a  vedere,  dal- 
l'osservatorio di  Parigi,  un'eclisse  di  sole,  sotto  Lui- 
gi XV;  ma  esse  perdettero  tanto  tempo  nell'azzi- 
marsi,  che  quando  giunsero  sulla  soglia  dello  sta- 
bilimento scientifico,  il  fenomeno  era  terminato. 
a  Entriamo  egualmente!  »  disse  il  marchesino;  «Il 
direttore,  signor  Cassini,  è  amico  mio;  egli  si  farà 
un  piacere  di  ricominciare  l'eclisse  per  noi!....  » 

Lo  zelo  dei  dotti,  per  assistere  a  questo  spetta- 
colo, è  capace  di  affrontare  gravi  pericoli.  Quando 
Parigi  era  assediata,  nel  1870.  per  assistere  ali  e 
disse  del  22  dicembre,  visibile  in  Algeria,  l'astro- 
nomo Janssen  parti  sopra  un  pallone,  il  Volta,  il 
2  dicembre,  alle  6  del  mattino,  e  scese  a  Savenay 
alle  undici  e  mezzo,  sfidando  gli  elementi  e  gli  UO. 
mini,  poiché  Bismarck  aveva  decretato  che  gli  ae- 
reonauti  presi  fuori  dalla  cerchia  assediata  sareb- 
bero stati   tradotti    dinanzi   al    Consiglio  di  gui 

E  questo  zelo  dipende  dalla  grande  rarità  delle 
eclissi  solari.  Difficilmente  due  generazioni 
cessive  vedono  oscurarsi  totalmente  il  maggior  a- 
stro.  A  Parigi  vi  fu  una  eeclisse  totale  durante  il 
secolo  XVII:  quella,  già  citata,  del  1654  ;  una 
sola  ve  ne  fu  nel  XVIII.  nel  1724.  Nel  XX  i  I 
gini  non  ne  vedranno  nessuna:  debbono  aspettare 
il  2026;  e  i  Londinesi  ancora  di  più:  il  2090. 


■'71 


I    \     ! 


li'apmoniografo 


I>:i   un  hibald    Williams, 

di  ap 


mi    F,  : 


grafo  ]  «ò  definirsi  e.  un-  uno  strumento 
■  .1   registrare  le  cui 

a  ili  due  o  più  pendoli.  Ad  un  soli    pen- 
i  ad   un   sostegni      he  gli  coni  1 1 
ite  liben  | 

urve    pirali  diminuenti  ven  pun- 

to d'arres      La  natura  e  la  bellezza  di  Ila  spirali 
ano  dalla  lunghezza  e  dal  peso  <  K-l   pendi 
tu'-   dall'attrito  esercitato  da]   sostegno.   Ora 

I  i  che   ill'i        i  i  i     un  pendoli 

ippeso  un  alm.  pendolo.   In  tal  caso  il  movi 


mento  diventa  più  complicato,  perchè  ogni  pendolo 
subisce  l'azione  dell'altro.  Registrando  l'azione  com- 
binata, noi  otteniamo  una  bellissima  curva  che  si 
chiama  armoniogramma.  E  lo  .strumenti,  che  dà  l'ar- 
-Cramma  si  chiama  armoniografo. 
Vi   sono  molte  forme  di  armoniografi  :    ma  nes- 
■  è  semplice  come  quello  che  i  riprodotto  in  una 
delle  nostre  illustrai  ni.  Esso  può  essere  costruito 
chiunque  abbia  un  poco  di  pazienza  e  di  abilità 
unica.  Il  pendolo  superiore  consiste  in  un'i 
legno  larga  due  pollici  e  mezzo,  uno  di  spessi  re 
ntaquattro.  Alla  estremità  inferiore  gli 
^ata  una  piccola  piattaforma,   pure  di   legni  , 
Ito  il  pendolo  è  appeso  ad  un  appoggio  che  gli 


.1    n..  \  menti >  in  i igni    si  nsi  .   Alla 

ma  di  questo  i  rimo  pendoli .  i  calo 

un  »  i  nnesso  un  forte  peso.  La  parte 

più  difficile  di  tutto  l'apparecchio  cons  stilo 

are  i  segni,  e  ohe  deve  essere  non  ru- 

.  e  così  disposto  da  potersi  muovere  ne]  senso 

dell  a  in  su  ( ria   non   lateral- 

i     gli   arni 

ano  bene,  he   i    due   pendoli 

siai armonizzati  ».  a  i  altre  pari  le.  i  In- 

tra  i   due  pendoli     ■ 


numerica  conveniente.  Gli  armoniogrammi  qui  ri- 
prodotti sono  stati  ottenuti  con  due  pendoli  che 
stavano  fra  loro  nella  proporzione  di  quattro  ad 
uno;  il  primo  era  lungo  84  pollici,  e  il  secondo 
ventuna 

Siccome   la   durata   dell'oscillazione   del    pendi  1" 


DALLE    RIVISTE 

vana  in  ragione  inversa  della  lunghezza,  si  comprende  che  mentre  il     i 
pendolo  farà   un'oscillazione,   il   secondo  ne  farà  quattro. 

Per  fare  le  esperienze,  si  [ione  un  foglio  di  carta,  o  meglio  un  i 
eino,  sotto  la  piattaforma  inferiore  del  secando  pendolo,  si  imprime 
con  la  mano  un  movimento  circolare  al  pendolo  superiore,  poi  si  lascia 
l'apparecchio  muoversi  liberamente,  e  si  abbassa  lo  stila  Se  i  due  pen- 
doli sono  benfatti  e  bene  «  intonati,  le  linee  del  disegno  risulteranno  molto 
vicine  le  une  alle  altre;  diversamente  daranno  una  figura  sganghi  rata.  Se 
si  verifica  questo  secondò  caso,  bisogna  allungare  o  accorciare  il  pend<  lo 
inferiore   (tenendo  conto   del   peso)  sinch  si  sia  verificato  un  miglio- 

ramento. 

La  bizzarria  dei  disegni  tracciati  dal- 
l' armoniografo  dipende  dalla  coinci- 
denza o  dalla  divergenza  dei  movimenti 
dei  due  pendoli.  Mentre,  per  esempio  , 
quello  inferiore  si  muove  da  nord  a 
sud  e  da  sud  a  nord  due  volte  (vale  a 
dire,  fa  due  oscillazioni  intere),  quello 
superiore  non  si  muove  che  una  volta 
da  sud  a  nord,  ovvero  da  nord  a  sud 
(vale  a  dire  fa  mez- 
za oscillazione). 

Durante  questi  mo; 
\  unenti,  vi  sono  due 
punti  in  cui  le  dire- 


575 


zioni  sono  opposte  ;  allora 
si  verificano  nel  diagram- 
ma i  nodi   ini  ricali  di  linee. 

Il  maggior  pregio  degli 
armi  «niogrammi  consiste 
nell'infinita  varietà  dei  di- 
segni che  si  possono  otte- 
nere. Anche  quando  nelle 
ratteristiche  generali  gli  armoniogrammi  vengono 
Si  miglianti,  si  trova  sempre  una  qualche  differenza, 
a  meno  che  non  si  voglia  proprio  con  studio  spe- 
ciale ottenere  due  disegni  perfettamente  identici  , 
ciò  che  del  resto  è  abbastanza  difficile.  E  non  sol- 
tanto è  dato  variare  con  uno  stesso  sistema  di  pen- 
doli, ma.  quando  si  voglia,  è  sem- 


pre possibile  cercare  nuove  ferme, 
mutando  il  pendolo  inferiore.  Ci- 
me si  è  detto,  però,  la  proporzio- 
ne migliore,    per    la    lunghezza,    è 
quella  di  quattro  a  uno.   In  ogni 
caso  conviene  badare  più  alla  lunghezza  che  al  peso, 
poiché  questo  è  di  secondaria  importanza.  Per  nor- 
ma generale,  è  in  pratica  la  lunghezza  che  regola 
tutto  il  meccanismo,  e  solo  quando  le  proporzioni 
sono   convenientemente    adatte    si    ottengono   buoni 
risultati,  come  nei  disegni  che  qui  riproduciamo. 

Bisogna  aver  cura  che  l'inchiostro  immesso  dallo 
stilo  sia  ben  sciolto:  evitare  specialmente  gl'inchio- 
stri bavosi  che  lascia- 
no   depositi    di   mate- 
ria sospesa.  Si  p 
no  anche  ottenere  di- 
segni su  vetri  affumi- 
cati,   sostituendo   allo 
stilo  che  versa  inchio- 
stro, una  pun. 
ta  leggera  che 
lascia    U    nero 
fumo.  Per  ai 
fumicare       il 
vetri       bene 
ba- 
gnarlo nel  pe   & 
trolio     rettifi- 
cato e  poi  esporlo  al  fumo  di  una  candela.  Le  linee   tracciate  sul   vetro   si  no   anche  più  sottili  di  quelle 
tracciate  sulla  carta,  per  modo  che  il  disegno  viene  anche  meglio  che  sulla  carta.  La  lastra  puòesa  ri 
utilizzata  come  paralume,  coprendola  però  con  un  altro  vetro  perchè  il  nero  fumo  ni  n  vada  via. 


LA    LETTURA 

ha  Biblioteca  di  Giosuè  Carducci 

di  Giuseppe  Chiarini,  nella  Ritrista  d' Ita- 

nosce  la  vita  del  Carducci,  chi  s.i 

ili  quale  amore  egli  amò  i  libri  fino  dalla  sua  prima 

i  «ne  renne  Formandi  i  gii  ano  pi  r  gior- 

n  50  anni,  la  sua  biblioteca,  può  comprendere 

la  grandezza  del  beneficio  che  la  Regina  Marghe- 

.'  poeta  assicurando  la  conservazione 

di  <iuel  tesoro.  11  Carducci  g  .  tornando  un 

giorno  a  le  poesie  del  Foscolo,  sali  ginoc- 

ini   le  scale  e.  giunto  nella  stanza   dov'era  sua 

re,  volle  «In-  questa  s'inginocchiasse  a  baciarle: 

0  da  pochi  soldi  era  per  lui  una  reliquia 

ia  di  adorazione,  non  solo  |x-r  il  piacere  che  egli 

va  dalla  lettura,  ma  perchè  vi  vedeva 

lo  spiriti >  del  poeta,  ("è  bibliomani  e 

"mani:    per  il  Carducci  il   libro  ha  soprattutto 

un  valore  morale;   ma  naturalmente  anche  per  lui 

l'edizione,  la  carta,  la  legatura,  ecc..  hanno  la  loro 

importanza. 

l'artista,   se  è  artista  vero,   è  anche  critico. 

pietà,  il  Carducci,  studiando  il   Petrarca 

per  illustrarlo  e  commentarlo,  ne  raccolse  ben  56 

olii.    11    Xencioni    si    maravigliava   vedendo   un 

poeta  raccogliere  libri  di  erudizione,  particolarmen- 

ilologica;  ma  come  Dante  e  il  Leopardi,  Giosuè 

Carducci  è  un  erudito.  Egli  scrisse  l'inno  a  Satana 

in  una  notte,  mentre  stava  terminando  la  sua  dotta 

intnxluzione  alle  poesie  italiane  del   Poliziano;    e 

i   più   terribili   dei   Giambi  ed  Epodi  furono  com- 

1    mentre   l'autore   attendeva   ad   ordinare   una 

gran  raccolta  di  canzoni  a  ballo,  di  canti  carnesciale- 

e  di  poesie  popolari  antiche,  da  lui  ricercate 

e  copiate  nelle  biblioteche  di  Firenze. 

A  questa  completa  natura  di  pensatore  e  di  scrit- 
risponde  la  biblioteca   formata  dal   Carducci. 
Un   giorno  senza   l'acquisto   di   un   volume  era   per 
lui  perduto  ;   ma  i  giorni  così  perduti  furono  ben 
-    I    suoi    intimi   gli   regalavano   volentieri    dei 
lbri.  ed  egli  vi  si  era  talmente  abituato,  che  quan- 
mdava  a  trinare  qualcuno  di  loro  domandava  : 
■  Oggi  che  libro  mi   regali?  »  Dal    1850  al    1860, 
a   Firenze,  il  suo  maggior  piacere  era  di  fare  ogni 
gonio  il  giro  dei  baroccini,  sotto  gli  Uffici,  dove  si 
vendevano  libri  vecchi  a  pochi  soldi:  costì  è  la  pri- 
ma umile  origine  della  grande  biblioteca  del  poeta. 
Anche  a  Bologna  ne  comprò  sui  banchetti,  e  la  ma- 


dre sua  diceva  al  Chiarini:  a  Già  si  sa:  lui  biso- 
gna ''In-  quando  torna  a  rasa  porti  ogni  giorno 
qualche  libro  nuovo;  almeno  uno;  »  e  volgendoci 
al  tiglio,  nel  momento  che  egli  stava  per  uscire, 
con  anelito  di  grande  bontà:  «  Non  ne  comprare 
poi  troppi!  »  Grazie  all'abilita  dilla  madre,  col 
solo  stipendio  di  3000  lire  l'anno,  il  Carducci  1 
ci  'i  spendere  in  libri  abbastanza,  senza  che  in  1 
mancasse  nulla. 

Dopo  1  banchetti,  egli  cominciò  a  praticare  i  ne- 
gi  /i  dei   librai  antiquari  e  ad  avere  corrispondenza 
101  negozianti  di  libri  di  altre  città.  La  sua  erudi- 
zione bibliografica  è  veramente  singolare.   Agli  e- 
sami,  se  un  giovane  che  ha  studiato  minutamente  e 
diligentemente  la  sua  tesi  sbaglia  di  un  cenno  nella 
/ione  d'un  libro  poco  noto,   il   professore  subito 
gge.  Ciò  è  effetto  di   memoria  tenacissima, 
ma  anche  del  modo  come  egli   ha  saputo  educare 
sta  memoria,  nella  quale  tutti   i   libri  sono  pre- 
senti, perchè  ciascuno  di  essi  è  una  conoscenza  in- 
tima e  particolare:    la  nozione  di  ogni   libro  si  è 
collocata  in  una  cellula  del  cervello,  come  il  libro 
in  un  palchetto  degli  scaffali. 

L'inventario  della  biblioteca  occupa  284  pagine 
di  carta  bollata.  La  più  ricca  e  pregevole  collezione 
è  quella  dei  poeti  italiani,  che  sono  stati  per  più 
di  40  anni  lo  studio  costante  e  amorevole  del  Car- 
ducci. Il  pregio  di  questa  raccolta  non  consiste  tan- 
to nella  rarità  di  alcune  edizioni,  che  si  possono 
trinare  anche  altrove,  ma  nel  tutto  insieme:  essa 
rappresenta  un  lavoro  della  mente  del  poeta,  pro- 
ceduto di  pari  passo  con  i  suoi  studi. 

Da  giovane  egli  non  conobbe  altre  lingue  che  la 
latina,  la  greca  e  la  francese,  e  i  classici  di  queste 
lingue  erano  largamente  rappresentati  nella  sua 
libreria  ;  più  tardi  imparò  da  sé  lo  spagnuol 
con  qualche  aiuto  nei  principi,  il  tedesco  e  l'ingle- 
se: allora  anche  queste  letterature  ebbero  una  ab- 
bondante ed  eletta  rappresentanza. 

La  biblioteca  del  Carducci  è  più  che  il  suo  regno, 
è  la  compagna  di  ogni  giorno,  di  ogni  ora  della  sua 
vita  intellettuale,  è  il  campo  dove  si  nutrì  il  suo 
spirito;  dove  i  suoi  pensieri,  i  suoi  fantasmi,  i  suoi 
sentimenti  trovarono  la  via  di  espandersi  e  comuni- 
1 1  -i .  diventando  patrimonio  di  tutti  gli  spiriti  e- 
letti.  Abbandonare  le  cose  che  avemmo  care  al 
mondo  è  il  destino  comune;  ma  più  ci  turba  non 
sapere  che  ne  avverrà  quando  saremo  partiti.  Oggi, 
per  opera  di  un'augusta  Signora,  quell'incres 
pensiero  è  spazzato  via  dall'animo  del  poeta. 


^$$&o  8|  '.•:-    &   -^^-^_. 


GIUSEPPE  GIACOSA.    Duci/ore. 


Milana.   1902.  —  Tip.  del   Corriere  della  Sera. 


Gai  1. uzzi  Giovanni,  ferente  responsabile. 


J| 

In 


SCIROPPO  PAGLIARI    | 


U 

In 

In 

In 
PJ 

Ir 

[U 


! 


ANEMIA  -  CLOROSI 


IL  PIÙ'  ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

L.    1    la   bottiglia    in   tutte    le   farmacie 

--K3K 


/'/  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  i.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


-8JT- 


ESTRATTO  PANERAJ 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 


u 
i 

1 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 
Jl  si  curano  e  si  guariscono  col  0 

IH     if 

a 
li 

o. 
j 
n 


u 


Biogenol  Pagliari 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 

[ 

PER     USO     INTERNO     E     FBR     USO     ESTERNO 


in 


L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


DI  CATRAME  PURIFICATO  (j 

effiioaois»  i  m  o      nelle     *  o  r  m  o     •  _>  et  t:  t  >  «•«•  <  ■  ì  ; 

n 

LT 

I 

li 
ni 

'i. 


ADDIO,    NIKOLAL 

Romanzo    di   GUY    BOOTHBY 

autore  de]  Dottor  Nikcla,  della  Verga  della  Sapienza,  ecc. 


Questo  romanzo   Vddl  <  NikolaL.  /./  si  ili  altri  notissimi  dello li    Dottor  Ni 

kula  e  La  verga  della  sapienza,  /  per iaagi  sono  gli  stessi,  Quantunque  questo  romanzo  sia  l'i  nar- 

raiione  .li  un  episodio  Indipendente  che  può  stare  a  s<   e  pud  esseri    letta  con  interesse  assoluto  an- 
•  tir  da  quei  nostri  lettori  che  non  avessero  ancora  nza    'ti    quell'uomo    straordinario    che   è 

l'eroe  'li  questa  trilogia,  il  dottor  tilkòì  :    Nei  primi  dui    romanzi    si    .    visto    quest'uomo    terribili     i 
io  adoperare  tutte  le  arti  della  sua  potenza  n  ile  per  conquistare  un  talisma 

xprirglA  le  vie  del  cuore  della  Cina  lurlo  sino  mi  un  moti  isti  ro  del  n  erti 

fiati  vano  il  segreto  dell'esistenza;  e  lo  si  è  visto  compiere  questa  spedizione  a  traverso  pi 

', utili,  rubare  il  libro  prezioso  ci"   conteneva  le  leggi  della   Vita  e  della    Mine.  , 
npando   per   miracolo,   in  Inghilterra,  sempre  perseguitato  da   un   cinese   inafferrabile   incaricato 
ih  trarre  vendetta  ilei  {tutu  e  riprendere  possesso  del  libro         l  romanzo  si   vede  il  dottor, 

la  più  nell'intimità,  sotto  aspetti  ninni,   non  meno  interessanti,  e  si  viene  a  conoscer!   il  seci 
della  sua  vita.  —  Come  abbiamo  detto,  perd.il  romanzo  costituisce   un   episodio   indipendente   e  pud 
e  letto  lineile  da  chi  non  conosca  I  due  precedi 


i   M'ITOLO    i. 

Eravamo  a   Venezia.   Mia    mo  lii    era  stata    ma 

lata  gualche  mese,  e  perciò  avevamo  passato  l'in- 

io    nell  Ita  lionale    Prima    nel    mi 

poi  a  Firenze,  Indi  a  Roma;  Qualmente  ci 

amo   recati   a  Venezia,    ove   occupavamo    uno 

ii lamenti   delia   pensione   > ràli  ghetl 

!       Er  l>  amo    mia    moglie .    un  amii  i 

rudi    rrevor  e  io,  Rice  irdo  [lattei  as 

\i  era  pei  noi  un  i  coro  i    i  na  prezii  sa  . 

.       i        52  i  eh  •  pei    i   olti    ispettì    i  ich  a  dal- 

ima,  alta,  capell ri  e  lun 

i   luminosi,  che  irapress avano  tutt)  gli  spi 

riti  •    face>  ni"  voltare  la  «ente  pei  via.  Era  Dulia 
unica  ili   un   pastoi  mi        \  enn  a    in    Italia 

i   prima   volta     I  i    mi  del 

erano  nuove  per  lei,  e  cniii  d 
•  /ii. ni    avi--. ani     costituito    per    11    suo   spirito 
una  serie  inintei  i  otta  di   pi  iceri  Imi. 

Quei  giorno,  poiché  mancava  ancora  un'ora  di 
tempo  pel  pranzo,  accogliemmo  la  proposta  ili 
mia  moglie  ili  andare  al  caffè  Florian,  In 
piazza  San  Marco,  a  vedere  un  po'  ili  gente.  Sa    > 

do    il    solito,    la    piazza 

ni    affollata,    e  il   caffé 

pieno  ili  gente,  tanto  che 

temevamo    ili    > 

vare  posto  ;  ma  la  •■ 

■  man 

imo       dui 
ebbi  ordinato  11  caB 
1 1  al  piai  •'!  i   d 
gei  vai  ■  truello  che 
è     il     più     ini 

ili    Venezia, 

ili  and livt  r- 

tendocl  un  mi 

luto     il      i 

e  guardandi    I   p  issanti, 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 


che  si  rompono  subito  I 


"*  ** 


Mettili  crncen'e 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


quando    vidi    mia    moglie     impallidire    improvvi- 
samente. 

si, a  i,  pei    lai  ne  ossei  vozicne,  quandi 
in  un  pici  olo  grido,  come  s    gualcii     i  os  i  .  a\ 

colpita 

—  Gran  Ujo,   Dick,  ma  non  i    i • 

—  i  I  non  è  possibile?  domandai,  che  ve- 
li, i, 

\  olsi    In   sguardi     nella    dn  ezion.     i  lie  essa    il 

cava,    ma    r.on    rie bbi    nessuno    di    mia   ci 

scenza    l;n  pastore  inglese  con  sua  fUlia   -•  d.  \ 
\  icino  ali  enti  in  iali  in  u 

ivanu   da    un'alti  a    parte  .  m;i    mia    ino* 
'imava  a  -nani  ire  nella  stessa  direzioi 
viso  stupito 
Posai   la  mia  unno  sul  suo  lira,    i.j  .  non   !  a\ 
mai  visi:,  cosi  concitata 

—  Via.  ditemi,  di  i  he 

—  Guard  ile.  risi  \  edete  i|  i  un 
poco  a  sinistra  di  quelle  dove  stanno  gli  uf- 
tn  [ali  " 

i  isponden  :  \  imi  ntt .  quando 

la  sorpi  imi  in  r>arola.  l.a  pei  sona  cui  mi  i 

lie  ai  '  euiiava  si  i  ra  alzata  dall  i 
a\  vicma\  a   \  erso  di    noi     l   >    gu  irdai.    di 

riln.    gu  mi. ii    ancora     No:    i 
i       somiglianza    era    troi  i  a\  rei    i 

dovunque:    era    il    do    ■       \ikoln.    In 
che  aveva  avuto  (unta  parte  ne!  oi  inima  della 

ì    i    Eri passai  i  cinque  anni  da  i  i 

".,il  oìtn     ma    io   quel    temi n    i 

unitalo  .di  dto    Si  mm  e  li    st<  •-.,  nomi,  ali 
in  stesso  volto  pallido  ■ 

di   una    poti  o/a    si  i  mentre  si 

vicinava,    noia     i  !  erano   divenuti   un 

grigi     pareva   un  pochino   più    vecchio 

in   eri ito   in   altro.   <  ira   venh 

noi,  Voleva  forse  <  arlan  i  '  liopn  .he  ri  ir 

tati   in  quel   mudi,  nei   tempi    passati,  non   sari 

1 1  . a    egli  semiti 

fettamenl  -■  llevando   il   r  ippi 


Una  cassa  di  TANGLEFOOT 


In  foirlio  di  TAXKLEKOOT 


TAIMGLEFOOT 

il  distruttore  vero,  pratico,  assoluto  delle  mosche.  In  Vendita  pFeSSO  tutti  ì  DPOghiefi. 
Vendita  esclnsira  all'ingrosso  MAX  FRANE  -  Milano. 


JS^mnirm      JX.» 


ISTITUTO  flERO-EIiETTROTERflPIGO  DI  TORINO 


-V    !    1     1    1«    >         SC* 


per    l«    otira    delle 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  ?iel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca.,   37,   piano   terreno 


É  {'unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamiclie  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  io  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate.  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza.  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  fura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-$  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico ,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

TER  GLI  OPERAI   E  L<  >R<  I  FAMIGLI!::  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


Volete  la  Salute  ffl 


ACQUA  NOCERA  UMBRA 


ANGELICA) 


D1LAIVO 


(SORGENTE 

L'acqua  di  Nocera  Umbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  Bui  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare .  ma  curativa  per  molte 
malattie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie. 

F.  EISLEKI  e  C.  -  Milano. 


Il 


ADDIO,    NIKOLaL. 


mpre  lo  dlstin- 

I  I    in. ilio  .1    mia 

in  modo 
sicuro  che  mi  avreste  riconosciuto,  e  pen- 
ivete    dimentii  ato  .  mi  son 
preso    la    libertà   ili    venirvi    a    presentare   i    miei 

i'i  Im  i    anci  i  a   i  he   mia   paoglie    rispondesse,   si 

i    la  mano.  Per  un  momento  pan 

d    i    n  pi  enderla,  ma  egli  mi  guardò  coi  suoi 

mtl  e  ni  ii  consiglio  e  gli  strinsi 

In  mano  più  cordialmente  di  Quanto  avrei  creduto 
-  in' 

i    tiveì  amo  dato 

i  e  'ii  essere  pronti  a  dira  mirare  il  pa 
ti  ci  i  estava  più  che  da  presentarlo  a  □ 
1     Da   che  egli   ci   aveva   avvicinati,  ella    lo 
nte,    e   si   vedeva   benissimo 
i\ èva   prodotto  su  lei  una  forte  limi» 
Noi,  che  la  conoscevamo  così  tranquilla  e 

Illa,    inni    1  a\  e\; mai    vista    lauto    nervosa    e 

Irrequieta 

i  -  ni  i issa  si  trasse  um  pochino 

indietro  e  si  Qnse  assorta  a  contemplare  una  comi 
uva  ili  Inglesi  che  aveva  preso  posto  attorno  ad 
un    '  poco    limi  uni.    Quanto  a   me  non    mi 

sentivo  affatto  a  mio  agio.  Ricordavo  quanto  aves- 
-i  odiato  per  l' addietro  il  dottor  Nikola,  ricordavo 
quella  casa  terribile  a  Porto  Said  e  pensavo  a 
quella  notte  In  cui  avevo  salvato  mia  moglie  dai 
suoi  artigli.  Nel  mio  giudizio,  egli  era  stato  un  bii 
bante  della  peggior  specie.  Ed  ora  egli  si  trovava 
accanii,  a  me,  seduto,  calmo  e  tranquillo,  interes- 
sato ai  racconto  che  mia  moglie  «H  andava  facendo 
del    nostro  viaggio  in   Italia,   come  se  nulla  fosse 

successo   fra  noi.    In    un    altro  questa    sarebbe    stata 

una  sfrontatezza  meravigliosa,  ma  nel  caso  dei 
dottur  Nikola  non  mi  Sorprese. 

Vvevo  notato  spesso  che  egli  era  incapace  di  agi- 
re come  «li  altri  uomini.  La  sua  personalità  straor- 
dinaria dava  un  aspetto  strano  alle  azioni  più 
semplici,  che  in  altri   non  sarebbero  state  notate. 

—  Siete  a  Venezia  da  un  pezzo?  domandò  mia 
moglie,  quando  ebbe  terminata  la  narrazione  del 
nostro  viaggio,  sentendo  che  doveva  dire  qualche 
cosa. 

—  Non  Sto  mai  a  lungo  in  uno  stesso  sito,  rispo- 
se Nikola  con  uno  dei  suoi  sorrisi  strani.  Vado  e 
vengo  continuamente.  Oggi  sono  qui.  domani  non 

Ci    suini  più. 

Io  non  seppi   trattenei  ini   dall'osservare  : 

—  Già,  per  esempio,  Oggi  siete  a  Londra,  tra  una 
settimana  a  Porto  Said,  fra  due  mesi  siete  agli  an- 
tipodi. 

Egli  m. n  tu  minimamente  sconcertato. 

—  Ah'  vedo  ohe  non  avete  dimenticato  la  nostra 
a\  ventina,  rispose  allegramente.  Come  sembra  lon- 
tano, non  è  veiu  '  Per  me  è  come  se  fosse  un  capi- 
tolo di  un'altra  vita, 

Poi  rivolgendosi  a  miss  Trevor,  che  naturalmente 
i    tutta   la   storia,  aggiunse  : 

—  Spero  che  non  penserete  male  di  me;  forse 
un  giorno  o  l'altro  potreste  persuadere  lady  iiut- 
teras  a  perdonarmi,  se  pure  non  mi  ha  già  perdo- 
nai .,     Perchè    lo    non    trovo    di    dovere   domami., ,  • 

P-Tdnlni  :    tlllt'altl-o  '    Pus 

in  uvi   che  se  la 
neci  '' --'■.    ni"i 

io    probabilmente    farei 
lo  stesso. 

—  Allora  pi  '  hi  me 
Dio  fervidamente  che  la 
necessita  non  torni,  ri- 
sposi lo;  lo  non  bo  dav- 
vero   un     Pel    r nlo    di 

quel     temi" 

Parta  a nien. 

te    che    mia   mi    lii     mi 
emendo,  eredo.  ,  u,. 
lo  mi   compromettessi   e 
aggiunse  subito: 

—  Lo     --pero     anelilo. 


ERIGETE 


U 


MARCA 


HERMANN  . 

MILANO- TORINO 


perchè  posso  assicurarvi,  dottor  Nikola,  che  mi  sen- 
to attratta  nioho  più  dall'Inghilterra  i  he  il 
Vustrall, 

Durali)  i  tutto  questo  tempo,  nn-s  Trevor  non  ,n 
ceva  nulla,   ma  lo  capivo  bi  mi     la 

ne  del   sin.   viso  ,  li,     H  dottoi    Nikola    la    ini 

serlaxnenti 

P — ■    domandarvi    dove    abitate  :    domandò 

npendo  il  silenzi :ome  se  «li  premesse,  molto 

di    saperlo. 

Mia    pensione  Galeghetii,   risposi    io:    qu 
vi  niamo  a  Venezia,  andiamo  sempre  u. 

—  Ah!    quel    bel    Galeghetti!    rispose    Nikola:   è 
un  pezzo  Che   non  lo  vedo,   ma   eredo  che  Si   rii 

ili  me  :   mi  è  capitalo  di   rendergli   un   pn 

gio  tempo  fa  e  so  che  egli  ba  buonissima  meni 

Poi    ac  ergendosi  che  si  era  trattenuto  troppo  cai 
noi,  si  alzò  e  si  dispose  a  prendi  edo. 

—  Mi  permetterete,  lady  Hatteras,  di  avere 
re  di  \  Isltai  \  I  " 

—  Vi   vedrei :on   piacere,  rispose   >\it<   moglie, 

sei. In aie   con    cordialità    più    apparente    die    rea 

Egli   si    inchinò    a  miss  Trevor   e    mi    strii 
mano. 

—  Addio,  Hatteras.  continuo,  spero  che  ci  rive- 
dremo presto;  e  senza  dubbio  vi  interesserà  sai 

la  storia  e  le  avventure  successive  di  quella  \ 
che  camono  lauta  ansia  a  voi  e  a  me  tanto  i 
dio   cinque  anni   or   sono     lo   sto   al    palazzo   IP 
ce,   sul  Rio  del  Consiglio.  Inutile  dire  che  sarò  fe- 
licissimo di  ricevervi  colà,  se  mi  tante  l'onore  di 
\  [sitarmi. 

Lo  ringraziai    e    promisi   di   andare   da    lui.    Pi  i 
con  un   niellino  egli  se  ne  andò,   lasciando  dietro 
di  sé   la   sensazione  di  qualche   COSa    che   ili 
e  che  non  potesse  essere  sostituito. 

Ormai,  riprendere  le  conversazione  al  punto  cui 
era  pinna  che  egli  intervenisse,  non  era  più  pos- 
sibile, ci  alzammo  e,  pagato  il  conto,  attraver- 
sammo la  piazza. 

Miss   lievoi   taceva  sempre.  Io  le  chiesi  il  perchè. 

—  Se  devo  dirvi  la  verità  —  rispose  —  è  tutta 
causa  del  dottor  Nikola.  Non  so  perchè,  ma  quel- 
l'uomo mi  ha  tallo  un'impressione  curiosa. 

—  E'  così  per  tutti  —  risposi  io. 
Tacemmo   ancora. 

—  Credo  —  riprese  miss  Trevor  continuando  U 
discorso  di  pinna  mentre  eravamo  di  nuovo  in 
«ondula  diretti  all'albergo,  —  credo  di  dovervi  dire 
che  non  è  la  prima  volta  che  vedo  il  doti 
kola.  Ricordate  che  ieri  mattina,  mentre  vo 
vate  all'albergo,  io  uscii  per  far  delle  comi, ere. 
Non  so  bene  che  direzione  presi:  fatto  sta  che  ca- 
pitai   da    un    farmacista.   Il   negozio   era   piccolo  a 

-  uni.   per  modo  che  non  vidi  da  priiicq li     w 

era  un  altro  cliente.  Dopo,  notai  un  in, ino  alto  eh» 
stava  discorrendo  col  farmacista  e  protestava 

io  certi   prodoti i  chimici  che  aveva  comi,, 
iioiuo  prima,  e   diceva   che   in   avvenire,   se  non 
fossero  stati  'li  qualità  migliore,  egli  sarebbi 
costretto  a  provvedersi  altrove.   Nel   mezzo  del  di- 
scorso si  volto  e   io  poiei   vederlo   In   faccia:   non 
era  altri   che  il   dottor  Nikola. 

—  Mia    cara    (ieltrude   —    osservo    mia    un 
Con   tutto  il    rispetto  per  il    vostro  racconto,   n 
pisco  perchè  il    fatto   di    avere   incontralo   il 

Nikol.- I    in '«".'lo    ilei   farmacista  ed    essergli   slata 

presentata    Oggi,    debba   impressionarvi    latito. 

—  Non    lo    so  neppur  io         fu   la  risposta   —   ma 
il     fatto    e     questo:     dacché     Ilio     visto     ieri,     la    sua 

faci  ni.  e megli  occhi  lei  ribili,  mi  è  sempi  - 

presente    L'ho  sognata  tutta  notte,  e  tutto* 
.unni  dinanzi  a  me.  Ed  oca.  ad  alimentare  la  stra- 
nezza della  coincidenza,  vengo  a  sapere  che  quello 

e  rullino  di  cui  mi  parlaste  tanto,   il  vostro  diabo- 
lico,   affascinante    Nikola.    Dovete    ammettere    cbj 
a  i    abbastanza  strana, 
i  onici. leu/a  '    l'ina    coincider 
Nikola   ha   una    faci  la    straordinaria,  che  di 
sere    rimasta   impressa    in  ila    vostra    memoi 
questo  spiega  ogni  i 

Elli u    parlò    più    di  nto  .    ma    lo  ca- 

pivo   benissimo    che   l'incontro  aveva    avuto   uno 


Attente  MADRI! 


"vS^Ofe©^ 

L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini  ;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l' uso  del  Caffè  Coloniale  ; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Cafle 
Malto  Kneipp.  Il  Caffè  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVI)  E   DEPURATIVO  DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto  prof.  Girolamo  Pagliano  premiato  al- 
1  Esposizione  nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esìgere  sulla  boccetta  e  sulla 

atscoia  la  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  L.  15  75  e  L.  19  75 

e  metodo 


MSj& 


UXlVKK«A.lwli 

per  Signoripe  L.  10.50  lranco 

Chiedere  ilo  ATALOGO  gratis 

Ocarine  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

T.    MACCOLINI 

Via  Cesare  Correnti,  7  -  Milauo 


MALATTIE 

NERVOSE 
DI  STOMACO 

NEVRASTENIA 


!» 

Cura   radicale  coi  suc- 
chi organici  del  Labora- 
torio Sequardiano   del 
DOTTOR    MORETTI 
MILANO,  viaTorino  N.21. 
Opuscolo  gratis. 


PELI  0  LANUGGINE 

i  ol  DEPILENO,  Depilatori, 
rhaave.  Flacone  con  istruzio 

CAPELLI  NERI 


del    viso    e    del 
corpo   sparisco- 
no   per    sempre 
Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
:on  istruzione  L.  3  i  franco  L.  3.50). 


CH'ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
istantanea,  che  si  applica 
osni  20  giorni  si  può  dare  ai  capelli  bianchi  o  grigi  o 
alla  burba  quella  tinta  naturale  che  più  si  desidera.  E' 
affatto  innocua.  —  flacone  L.  2.50  franco  L.  3.10  . 


CALLI 


duriuni,  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dell'infallibile  Callifugo   CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1  >,franco  L.  1.30 


Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  ali 

OFFICINA.   CHIMICA  DELI^AOUILA^ 


E  MALI  D'  ORECCHIO  si   guari- 
scono   usando   il   linimenti   acus.ico 
UDITINA  del  dottor  W-    T.  Adair. 
Boccetta  L.  1.75    franco  L    2  .  Istruzione  gratis. 

1  poche  settimane  pren- 
dili giorno  al- 
FILLOLE  CON- 
TRO L  OBESITÀ'  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  la. 
dipe.  sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi  digestivi, 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  Gratis  opu- 
r-.olosMeealivo.  L.  4.501ascatola  L. 4.75  traneo  diporto  ) 
IL  MEDICO  DI  SÉ  STESSO.  Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati. 
—  Guida  per  le  famiglie.  —  52  pag.  il- 
lustrate, si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  di  semplice 
carta  da  visita  colle  iniziali  51.  S.  s. 


SI  DIMAGRISCE  B 


scoio  s^ieKH-i  ivi». 

GRATIS 


MIIvAXO 

Via  S.  Calocero.  25 


Lire      12  T  l'r  anco 


c^       \  __ 


|SOi5EIIf»llS  e^TieTHTJ-iTixossts 


FERNET-BRANCA 

del  FRATELLI  BRAMA  di  MILANO 

I  soli  clie  ne  posseggono  il  vero  e  genuino  processo. 


:  "^   ir.     zc    Sì 


"3   R 


<zz>  .e  J 

S2  a  I 


O   E 


AMARO,  TONICO,  CORROBORANTE 
DIGESTIVO 

guardarsi  dalle  innumerevoli  contraffazioni 


\|iM<  i.    NIKI  il  \ 


strai  DI   solito,  ella  era  allegra   e 

di\  ertente  :   qi  i  Don   pari  >  a  più  lei,    tanto 

era   triste  e   pensierosa    Ciò   mi  dispiaceva    molto 

più  che  aspettavo  un  v  ei  da  1 Ira  chi 

.1  •■  qualche   t  lorno  e i 

a  Venezia    Questo  amico  era  il  dui  a  di  Glenbarth, 
Ima  di   sui  i  i  dorè  nel  titolo  di  dui  i 
al  padre,  .1-    I    marchesi    di  Bei  kenilani,  e 

come  1  lettori  della  storia  delle  mie  avveri 
ture  col  dottor  Nikola  ricorderanno,  già  ebbe  gran 
parte  In  quella  (accenda  strana. 

Da  quando  egli  a.\  e\  a  aci  ettato  11  mio  ta\  Ito  di 
venire  a    passare   qualche    tempo   con    noi    a  Ve 

ito  ai    ii     imi  ni<'  la  sua  venuta 

Ora,  quando  arrivammo  all'albergo,  lo  trovammo 
che  già  i-i  1    11  ri\ ato, 

11  ospiti  siete  davvero  I         disse   ridendi 
-  Mi  ìnviiaie  a  stare  con   voi   e  non   vi   trovate 
,  quando  arrivo    1  1  me  state,  caro  Dii  k  ' 
mio  —   risposi  io        vi   domando  per- 
1   mille   volte;  non  pensavo  che   sareste   arri 
vaio  '  ■  -1  pi  esto. 

Non  c'è  bisogno  che  vi  scusiate.  1  urne  va  vo- 
stra  1  e  voi  ci  ime  state  ' 

Risposi  alle  sue  domande  meglio  che  potevi, 
teneinin  per  ultimo  la  grande  sorpresa. 

adesso        dissi   infine        è  ora  che  andiamo 

itirci  per  il  pranzo,  ma  prima  una  milizia  im- 
portante: vediamo,  Indovinate  chi  si  trova  a  Ve 
ni  zia   in  questo  momento 

Inutile  dire   che  égli   citò   tutti    i  nomi  Cuori 
il  giusto .  alla  lini-  gli  dissi  : 

—  11  dottor  Nikola. 

M'aspettavo   di   sorprenderlo,   ma    non    avrei    im- 
ito che  la  notizia  1 Ipisse  tanto 

I     Mie  —   balbettò  —   il   dottor  Nikola   è   qui? 
Scherza 

—  Parlo  sul  serio,  il  dottor  Nikola  è  a  Venezia 
e  mi  ha  dato  il  suo  Indirizzo  e  mi  ha  invitato  a 
visitarlo  e  se  volete  putrir  venire  con  me. 

—  Bisogna  che  io  Ci  pensi  su —  rispose  seriamen- 

n    Glenbarth.  —  Spero  che  1 abbia  intenzioni 

ili  rapirmi  un'altra  volta,  ma,  Insomma,  non  voglio 
neanche  dargliene  nuova  occasione.  Come  ho  sem- 
pre presente  quella  faccia!  Mi  perseguita  conti- 
nuamente ' 

—  Anche  mi      Trevor  dice  lo  stesso  —  osservai 

—  Miss  Trevor  "  E  chi  è  " 

—  Un'amica   di    mia   moglie,    che   ha    viaggiato 
con  noi  m  questi  ultimi  mesi.  Creda  che  vi   pia 
cera,  lira   vfinti'   con    me:    Vi   condurrò   alla   vostra 
stanza,  ma  suppongo  che  il  vostro  domestico   l'avrà 

già   trova    I 

—  Steven s  la  troverebbe  -e  questo  albergo  fosse 
un  labirinto  Colui  ha  la  virtù  della  tenacia,  e 
quando  ha  bisogno  ili  sapere  una  iosa,  scopre  la 
persona  che   gliela  può  dire  e   le  sta  appiccicato 

tanto   ibi      din    line    lusog  na    che  sia    soddisfai  to 
Tre    (piarli    dora     dopo   eravamo   a  pranzo.     Mia 

lie   e  Glenbarth,   vecchi    amici,  trovar su 

Dito  argomento  per  chiacchierare,  ma  miss  Tre- 
vot   1  on  era  del  suo  solito  umore. 

Dopo  pranzo  proposi  una  trita  In  gondola;  prò 
posta  che  fu  arrenala  con  entusiasmo.  \i  ritorno, 
il   m  doliere,  per  uno  strano  caso,  passò 

propi  io  sul  Rio  del  Consiglio. 

—  Sapete  dirmi  qual  e 
il    palazzo    Revecce 7   — 

F.gii  mi  indicò  un  fili 

liei,,    a    CUi    stavamo    al 

lora    av  \  icinandi  ci 

—  Eccolo,    signori 
di    e    —  Un   tempi 
un    gran    palazzo,    ma 

1     scosse  le  spalli 
per  fan-i  capire  1  ne 

ila 

Non   in   deiu.   alti 

n  en  1 0    1 1 1 1 1 

verso 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MILANO- TORINO 


l'edificio     Le    finestre    erano    tutte    chiuse,    tranne 
mi  1   e     ni  il  urlo  qui    ini'  ima,  li    pensavo  : 

—  Chi  sa  m'  il    dotici    Nikola    è    nella    stanza   e 
che  co    1     ta   facendo     Porse  leggerà  qualcheduno 
dei  suol  libri  curiosi  0  farà  qualche  nuovo  espi 
mento  1  himii  1 

Pochi  minuti  dopo  avevamo  lasciato  il  Rio  del 
Consiglio  ed  eravamo  tornati  all'albergo  Più  tar- 
ili   il   signor  1  delibanti   e   io  ci   trova\  amo  use  ii 

sui  balcone. 

Sapete,    Hatteras        dissi    Glenbarth        eh 
venula,    ilei   dottor    Nikola    a    Venezia    proprio    in 
questo    11 into    m'impensierisce:    non   so  dire    e 

11    min  »    i  he  missione  abbia,  ma  ce 

giurerei  che  si  traila  di  qualche  rosa  di  diabolico. 

—  Credo  anch'io,  risposi,  che  1  sia  qui   senza 

pi     e  dopo  quello  che  è  successo  non  mi   1 

allatto   di    lui. 

—  Ma  ora  che  v  1   ha   pi  opi  sto  ili   andai  lo  a   I 
vare,   che  farete 

l'acqui  un  poco  prima  di  rispondere:  la  doman- 
da  era   sena. 

1  onoscendo  bene  Nikola,  non  avevo  nessuna  vo- 
glia di  lasciarmi  trarre  in  qualcuna  delle  trap 
pole  che  egli  ordiva  con  tanto  diletto  contro  il 
prossimo.  Ma  devo  confessare  che  ero  curiosissi- 
mo di  sapere  la  storia  delia  verga,  per  ottenere  la 
.piale  egli  aveva  speso  molti  denari  ed  ai 
tante  vite  limane. 

—  Sì.  si.  credo  che  andrò  a  visitarlo  —  dissi  a 

in  dopo  tutto  non  ri   sarà   un   gran  male;  ma 

■  I11-    uomo  strani  dinai  1 [uello  '    E   pensai  e  che 

voi  e  10,   che  non   abbiamo   paura   ili    nessuno,   di 
ho  abbiamo   paura     Perchè   so   benissimo  che 

provali-    tanto    tei quanto    ne    pm\ 1     S 

più-    ohe    oggi,    quando    i    miei    occhi    sono   ca-  .' 
duii  su  di  lui,  mi  sono  sentito  rinascere  il  tern 
pazzo,  che  la  sua  presenza  mi  ispirava  cinque  an- 
ni or  sono.  E  anche  l'effetto  che  egli  produsse  su 
miss  Trevor  è  staio  stranissima 

—  A  proposito,  Hatteras.  giacché  parliamo  di 
miss  Trevor.  rbe  bella  ragazza,  non  è  vero?  Credo 
averne  mai   viste  nessuna  più  bella.   Chi  è 

—  E' figlia  del  decano  di  Westminster,  un  bellis- 
simo uomo. 

—  A  me  piace  sua   figlia,   rispose   il   dui  a 

lo  lui  contento  di  sentir  questo,  perchè  avevo! 
miei  piccoli  progetti  e  anche  mia  moglie  che  ha 
una  speciale  Inclinazione  per  combinare  1  matri- 
moni. 

—  SI.  è  proprio  una  bella  ragazza,  conchiusi,  e 
ciò  che  è  più,  è  buona  quanto  cella. 

Sara  fortunato  l'i 10  che  la  sposerà.  Ma 

dobbiamo  andare  a  ietto. 


CAPITOLO     II 


La   mattina    dopo,    arrivammo   a    colazione    tutti 
un    pò    m   ritardo.    Miss   Geltrude  era  pallidissima 
quando   mi   diede   il    buon    gioì  ìio.    e    lo    le   'lui 
avi-  -   del    dottor    Nikola     Credevo    elle    mi 

avrebbe  risposto  rolla  solita  violenza  che  essa  non 
perdeva   tempo  a  sognarsi  degli   uomini;  e  invece 

\  idi  roii   mio  dui s ,  ici  in    empii  si    d 

grime,  che  ella  tento  na  condermi  volgendo  il 
pò  da  un'altra  parte.  La  iosa  fu  talm 
lata,  rbe  non  sapevo  che  pensare  .  non  avevo 
sona    intenzione    di    farle    pena    e    non  quel 

pianili    Per  fortuna,  mia  moglie,  presente,  si  il 

1         .   e  .  erro  ili  calmare  Geltrude,   la  quale,  quando 

,  1    ponemmo   a    ta>  ola,    era  abbastanza   tranquilla 
da  guardarmi  in  v  iso  e  prender  parte  alla  con 

sazimi lerali     Di  - :olazione,    il    dura    ed    lo 

rimanemmo  soli,   mentre   le  due  donne  erano  an 
iiair    in    giro    a    far   compei  e    SI  i\  uno    sedul 
balcone,   tutti  e  due  taciturni  e  tutti  e  due  pi 

,  upali    dello  stesso    pensi,  in.    quando    un    ri 
p,  1  in    una    lettera      L'n'01  'biuta    alla    1   1 

«eristica   dell'indirizzo  mi    persuase  subito  da 
h,    parte  1 1  nisse    1  'aprii  febbrilmente  e 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata:  «  Globo  sopra  fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darvi  altra  marca. 


Vendita  esclusiva  all'ingrosso:  MAX  FJRAXK  -  MILANO. 


-'■■-.- 


DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

Italiano-Tedesco 

GRÙNWALD  &  GATTI 

editore  Belforte  -  Livorno 


Per  acquisti  rivolgersi  Uf- 
ficio A ìiiuui;:  Domenica 
del  Corriere  e  Lettura 
—  Via  Pietro  Verri,  12  — 
Milano." 


2^^^fe>,sU--.  ..     ;   .".. 


Laboratorio  Pacelli,  Livom 

Un  vero  balsamo  ssiM: 

ri  e  bruciori  di  stomaco,  cat- 
tiva digestione  che  da  diur 
rea  0  sliti.h:;;a  i.  acidita,  ca- 
tarro   gastro-intestinale 

Cliina  F*aoelli 
Effervescente.  È  vantaggio 
sissiraa  invece  della  cura  latte., 
tanto  noiosa  come  è  Indispensa- 
bile per  quelli  che  menano  eira 
sedentaria.  Nelle  malattie  sud- 
dette adoperare  solo  la  China 
Pacelli,  ciacche  l'uso  continuo 
del  bicarbonato  di  soda  tuo  • 
alla  salute.  Vasetto  L.  1,50  e  2. 
per  posta  L.  0.25  in  più. 

Vendesi  in  tutte  le  farmacie. 


fosse 


Guarita/ '  ocot' 

s=ir»  NEGRI 


ti 


PACCHILA  PE$  SCRIVERE 

WILLIAMS 


JJ 


Unica  macchina 

di     1°    ordine,     a    scrittura    visibile 
e  senza  nastro 


ili 


pm 


M 


i-'-r. 


si-i" v' 


SS6 


P>2 


m 


k 


Maneggio  facile  -  Tastiera  Universale 
I  pregi    della   macchina 

<  WILLIAMS   N.   4 

l'hanno  fatta   preferire 

anche  a    quelle 

già    ritenute    le    migliori 

£3D? 

Chiedere    Cataloghi,    lista    clienti 
e  macchine  in  prova 
agli  A.gje»iti  g;e»TLei*r»li 
ed  esclusivi  per  l'Its'ilìe» 


ng.  G.  POHTHEJVIOLiI  &  C.  ~  JVIilano  -  Via  Dante,  7. 


IV 


ADDIO,    NIKI  'l  a!. 


i    ■ .    Haiti 

mi   altro  affare  che  vi  trai 
i    di  passai  da  me  Questa  mal 

i  rlenbai  th  i i  voi 

pure.  Mi  tara  gran  piacere 

voi   due  de'  giorni   passati  e, 

che  è  più,  spero  quota  vecchia  casa   potrà 

•  imi  ressan  1 

\  I  Btro  Nikola.  ■ 
i  in  domandai  quando  ebbi  Obito 

Dobbiamo   .-vini 

che   andremo    E  ini ssimo    m 

con    Nikola   un'altra   volta,    Ma   e  è  una 

m'imbarazza      ci  i ha   tatto   a   sapere 

che  -"ii"  a  Venezia.'   Mi   avete  detto  che  era  

In    piazza    San    Mano    icr-era.    per    modo    che 
limi  i  venire  alla  stazione,  e  lo  ui  □ 

o,   tranne  che  per  la  breve  gita  In  gondola. 

che  non  capisco 
\  quest'ora  dovreste  sapi  re  i  he  i  on  Nikola  non 
c'è  da  meravigliarsi  di  nulla.  Per  conto  mio,  pre- 
ferirei sapere  pere  in    Berli  e  a  Venezia.  Questo  si 
che  mi  interessa  molto. 
(■In  ba    ìi    i  osse  la  lesta. 

Si    Nikola  non  vuol  farcelo  sapere  —  disse  — 

non  ne   saprei mie,  E  se  vuol  farcelo  sapere, 

comincierò  ad    insospettirmi,    perchè    in    tal    caso 
rà    dire  che   ha    Insilano   delle   nostre   insistenze, 
i  omunque,    se    siete    pronto   ad   andare,    anch'io 
veni 

—  Allora,    conclusi    alzandomi,    prepariamoci    e 
usciamo. 

Dieci  minuti  più  tardi,  eravamo  in  gondola  di- 
retti al  palazzo  Revecce.  Hi  solito,  quando  uno 
va  a  fare  una  visita  al  mattino,  non  ha  ragione 
per  essere  particolarmente  nervoso;  ina  in  questo 
tanto  Glenbarth,  quanto  io  —  come  ci  con- 
fessammo reciprocamente  poi  —  ci  trovavamo  in 
una  tensione  di  m-rvi  straordinaria,  il  duca  non 
.  essava  di  tormentare  il  suo  sigaro.  Aveva  in  volto 
un'espressione  assorta  e  mi  ricordava  il  tempo 
quando  egli  aveva  a  che  fare  con  Nikola    E  certo 

•  ■gli  pensava  a  ciò,  perchè,  a  un  certo  punto,  mi 
domandò  bruscamente: 

E   che  sarà   avvenuto,    Hatjteras.    di  Baxter,    di 
1  i  ' -idergrast  e  degli   altri  ' 

—  Nikola  potrà  dircelo,  risposi  io,  dopo  una  pau- 
sa   Che  tempi   erano  quelli! 

—  Ma  anche  questa  coincidenza,   di  trovar  Niko 
la  qui  a  Venezia,  mentre  ci  siamo  noi,  mi  stupi- 

i  ih,  ecco,  siamo  arrivati. 
La  gondola  si  era  avvicinati  all'ingresso  del  pa- 
lazzo   Revecce   e    noi   ci    disponemmo  ad   uscire. 
Quando  ordinammo  al  gondoliere  di  aspettarci  per 
rii  ondurci  indietro,  egli  scosse  la  testa  e  non  volle. 
\    nessun   patto,   disse,   intendeva  di  restar  li  più 
di     inalilo  fosse  necessario  per  farci  scendere.  Pa- 
ni, i   e   lo   lasciammo  andare;  poi  salimmo  la 
nata. 
Spingendo  la  porta  ci  trovammo  in  un  bel  cor- 
tile,   nel   cui  mezzo   era   un   pozzo.    Siccome   non 
\edeva  nessuna    portiere,    non   si    vedeva    anzi 
ma    Viva,    non   sapevamo   da   Che   parte  andare; 
ma  alla  fine  venne   fuori    il   dottor  Nikola,  m  capo 
ad   uno    scalone,    salutandoci. 

—  Buon  giorno,  amici 
miei  —  disse  —  salite, 
\  i  prego:  scusate  se  non 
ero  a  rice>  en  i 

Non  avevo  finito  di 
parlare,  che  già  era  vi- 
cino a  ni 

la     mano    e    pani,  i    i 
mente      salutava     Glen- 
barth  colla  cordialità  di 

un    vec,  Ino    amico 

—  Permettetemi  di 
darvi   :'.   benvenuto  a  \  e 

disse    a   Glen 
Partii  dopo  avergli  strel 

la    la    man-      I      pò 

Bandolo,   aggiui 


Mei,-  cambiato  molto  dai  i  he  vi  ho  \  isto  l'ul. 

lima    >. 

—  E   voi    non   siete   cambialo   affatto 

ii  ili 
i  ni  n   sia  i  ambialo        replicò 

Nikola    i  ou    un    ii  iste   sorriso,    peri  he,    da    poi 
ci  sia  ciati,    ne   ho  passate  tante  da   tai 

Ire  di  'i"  i    n  iiuiiii.    Ma  non    pai  liamo   di   i 
qui,   Saliamo  nella  mia  stanza,  che  è  I  unico  luogo 
in  que  I  i  ca  a  dove  si  stia  un  pi    i    m  idi 

■      l  dii  endo  ci  fece  Ballre  le  si  ale. 

La  sua  stanza  era  ampia  e  ariosa.  I  mobili  : 

pini,    mi    buoni     In    ma     tavolo    di    quercia 

stava   contro  un   muro    i  n   nitro,   coperto  ili  libri 

.li  carte,  stava  conno  la  parete  opposta.  Parec- 
chie seggiole  e  poltrone  erano  sparse  qua  e  là, 
e  un  tavolo  nel  mezzo  della  stanza  era  caino  di 
strumenti  chimici.  Per  tutto,  su  tutti  i  mobili  li- 
nci d'ogni  specie,  d  ogni  dimi  nsione,  sci  itti  in 
tutte   le   lingue,   coperti  in   legature   d'ogni   genere. 

—  E' un  bel  posto  questo  disse  Nikola  facen- 
doci sedere.  Tempo  addietro,  e  per  puro  caso,  so- 
ie \  oimtcì  a  ci  ne  la  storia.  Non  vi  >( 

lare  della   storia   politica  delle    fai 
loiei  la  casa,  perchè  quella  si  trova  in  ogni  guida. 
Parlo  delia  storia   reale,  interna  della  casa  si- 
che narra  non  pochi  fatti  abbastanza  strai 
nuti  entro  queste  mura    Sono  .-nino  che  vi  interes- 
serà,   se   Vi    diio   che    in    questa    Stessa   stanza,    nel 
1511,    fu   commesso    uno    dei    delitti    più   nefandi   e 
terribili  del  tempo    Forse,  ora.  epe  avete  la  .-■ 

.l..\   inli.    vi    piaccia    sentirla      Voli 

E  presj  a  nai 

—  Devo  avvertirvi  — cominciò  —  che  il  principio 
della  storia  è  abbastanza  banale,  ma  la  line  e 
tanto   originale  da    meritare    la    vostra   attenz 

Nel  1509  il  proprietario  di  questo  palazzo.   France- 
sco   Revecce,    ammiraglio    della    Repubblica     » 
ziana,    che    aveva   avuto    l'onore    di    comandare    in 
guerra  una  delle  molte  flotte  di  San  Marco,  uomo 
ambizioso   e   buon  guerriero,    sposò   la   bella    figlia 
del   duca  di   levano,   uno   dei   più   fieri   nemici   del 
Consiglio  dei   Dieci.    Lo   sposo  era   ricco,   fané 
giovane  ancora,   assolutamente   degno  di  ammira- 
zione  per   le   sue   qualità    personali.    La  sposa 
essa  pine  ricca  e  bellissima.  Si  sarebbe  detto  dun- 
que  che  la   loro   vita   comune   dovesse   sconci 
lice.  Ma  cosi   non   fu.  Quella   donna   fu   una   delle 
più  infelici  dell'universo.    Ad   insaputa   dello  sposo 
e  del   padre,  ella  da  gran  tempo   amava   un   n 
il    giovane    Andrea    Bunopelli,    pittore,    autore    dei 
quadri  che  vedete  qui,  su  queste  pareti.  Poich 
si   imponeva   ili   rinunciale   al    sin.   primo  ani. 
di  sposare  Revecce,  ella  si  rassegno  al  destino 

di    non   veder   più    I  nonio   al   quale   a\ 
il   suo  cuore.   Ma  l'amore   potè  più   del   sei 
e  del  dovere.  Quando  Revecce,   per  ordine  .1 
nato,   (u  messo  di   nuovo  alla  testa  di  una  flotta  e 
mandato   in    guerra    nell'Adriatico,    Bunopelli 
,.|.i    un    disegno    infernale    per    tener  per    sempre 

li  ma I  marito  delia  donna  amala    Ke\ 

altra  volta  aveva  saputo  vincere  il  nemico,  questa 
volta  lu  sfortunato:  venne  sconfìtto  e  fatto  prigio- 
niero. Ora,  penso  Bunopelli,  è  il  momento  di  a 
gire.  Prese  penna,  carta  e  calamaio,  e  in  questa 
-t.ssa    stanza  dove   ci    troviamo   ora,    sci 

Il  nera    che     finse     In  mala     dal     comanda  ni,. 

forze   nemiche  nelle  cui   mani   l'ammiraglio  vi 

Ziain.    era    I  adulo   e    si    tiv\  ava    ani  ora.     1 

diceva   che  R  rotto   con    una   somm 

io.     aveva    tradito    la    sua    patria,     aveva    faUO 

miei  e      la     propria      flotta,    si      era      iii-oinma 

con       ii  no    al  nemico,   tingendo    di    fare   una    re- 

-i-ieiiza  disperata     oli    per   salvarsi  nel   caso  che 

fosse  capitalo  ancora   in   inani,  dei   Veni     ianl     - 

ta  la   lettera,    Bunopelli  la   mise   ni  Ila      Bi  i  ca  del 

ie».  Ormai  Revecce  poteva  tornare  quandi 
deva:   la  sua  sorte  era  derisa    la  .opina  colpevole 
i,  .  ...   il   tempo   ie1  n  .  inenie  quanto   potè   in  quelle 
istanze,  perfettnmei  ■"    ■ 

i  n.    a    Venezia,    san  I 
e   .    mi  limato   a    moi  le    -  .rabilmi 


-'■3é||S! 


Stabilimento  Idroterapico  e  Stazione  Climatica 


PIPA  STELLA  POLARE 


-»-uca  nel   suo 


nere,  di  vera  radica  inglese,  gire- 
vole in  tutte  le  parti,  antinico- 
tinosa,  con  apposito  riservatore 
(Vedi  disegno).  Il  ìunio,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  tresco  e  gradevole  alla 
laringe. 

— — , .  KicercatelE 


- — —~-~      presso  i 

Rivenditori,  oppure  spedite  L.  3  alla  Fabbrica  di 
pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Mi  lano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 

Vicino  al  Ponte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 

Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 

e  la  Marca  LEONE. 


LA  NUOVISSIMA 


FIFA  LEONE 


li  radica  inglese  con  sistema  isolatore    della  nico" 
tina  è  insuperabile. 

Inviare  L.  2,50,  se  con  bocchino  corno  brésil  L.  3,50, 
alla  fabbrica  pipe  di  Maurizio  Pisetzky,  via  Vittoria,  11, 
Milano,  e  la  riceverete  franco  ;  por  l'Kstero  centesimi  35 
in  più.  Ogni  pipa  ha  impreso  il  nonni  M.  Pisetzky. 


'/.  ora 
da  Biella 


Piemonte) 


Posizione  ecfe:ionaìioentesilubre,coinoaV  fmn  a  fon  m  sul  mrr  Cure  Idroterapiche 
elettriche.  Massaggio.  Ginnastica  medica.  Cure  speciali  per  maialile  nervosa 
spinali,  di  stonaco.  Statistiche  e  risii  lati  ottimi.   Ut  dico  Direi.  Iloti.  I.  C.  BURGONZIOt 


<vs^ 


SVILUPPO  DEL 

bellezza,  ricostituzione,  solidità 

mi0,neTcoiie„PilulesOrientales" 

del  sIr.J. Rati*. chimico  farm.  5  PassaReVer- 
deau,  Parigi.  Benefiche  per  la  salute,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi  —  Boc- 
cetta con  istroz.  franco  per  posta,  fr.  e, 36, 
Dep.  in  Milano  farm.  Zambelettl,  piazza 
3.  Carlo,  6.  —  Baenoe  Ayre»  C.  Perrel.  6is 
«47,  Calle  cujo. 


STRENNE 

IL  GIRO  DEL  MONDO  IN  30  GIOKUI  romanzo  fanta- 
stico scientifico,  che  è  una  continuazione,  a  30  anni  di 
distanza  del  notissimo  romanzo  di  Vebne.  —  In  ottavo 
grande  splendidamente  illustrato  L.  4  — 

DALLA  TERRA  ALLE  STELLE,  viaggio  meraviglioso 
di  due  italiani  ed  un  francese,  nel  quale  vengono  de- 
scritte le  meravigliose  avventure  di  un  viaggio  dalla  terra 
al  pianeta  Marte.  E'  anche  esso  splendidamente  illustrato 
Lire  5  — 

Questi  due  romanzi,  essenzialmente  dilettevoli  ed  istrut- 
tivi, del  prof.  Ulisse  Grifoni  saranno  inviati  a  chi  man- 
derà l'importo  al  nostro  Ufficio  annunzi  Domenica  del 
Corriere  e  Lettura,  via  Pietro   Veni,  13    —  Milano. 


I  GRANDIOSI  MAGAZZINI 

di  Chineacjlietùa  ed  Orologiera 


Jkh  6RIK  MERCURIO 


MILANO  -  Corso  Vitt.  Km.,  15  -  MILANO 

verranno  nel  prossimo  Settembre 

TRASLOCATI        & 

ce!  nuovi  locali  Corso  Vitt.  Em.,  angolo  Via  S.  Paolo,  N.  2 


Sino  all'epoca  del  definitivo  trasloco  verrà  continuata  la 

Rabide  liquidazione 

di  tutti  gli  articoli 
col  40°  o  di  ribasso  sui  prezzi  di  inarca 


sm~  Articoli  per  regalo.  Pendole  e 
Candelabri.  Statue.  Vasi,  Articoli  in 
pelle.  Piccoli  mobili,  eoe. 


\M>I'>.    NIKOLA 


P       iri  Umani    e  noesi    F  inalmente   Re- 

i         i       per    la    pruliii. 

msi     i   \  i  in  vi  i 

;   ii"  r  e  isa,  e  —  •  - j •  i gn 

da  un  servo  fedele    Seppe  che  la  moglie  era 
gita  con  BunopelU  (   che  egli  era  accusato  di  tra 
dimento,    e   immaginò   subito   da    chj   venisse   tale 
isa    Immaginando  benissimo  che,  se  la  sua  pre- 
senza fosse  stata  notata  In  città,  egli  sarebbe  stalo 
messo   ni   an  tenne    nascosto   nel    proprio 

.'./n  aspettando  il  momento  opportuni 
vendetta,  Giunto   il    momento,   assistito   da   un 
servo  —  quello  stesso  che   l'aveva   introdotto 
in  i  [  aveva  ri'  tanto  era  a\  venuto 

i      i   infelice,  e,   minacciandi  la 

di  morii'  immediata,  carpi  ai  due  una  contessi 

•in  del  loro  tradimento;  poi  si  rivolse  alla  giù 
stis la  i  dando  •  t ■  essere  udito  Espose  come 
egli  ima  ili  un  complotto  e  per  darne 

la  prova  presento  la  confessione  -rima  che  aveva 
Mila    i!    giorno   stesso    Vvendo   amici    potenti, 
misi  ì  ad  ottenere  il   perdono   immediato,   nonché 

il  pei  in — o  ili  ii  attare  i  suoi  nemici  ci  i igli  i  i  • 

deva    Di tornò  al  palazzo.  \i  avverto  che 

non  e  una  bella  storia,  ma  rende  interessante  que 
sin  stanza.  Continuo.  Revecce  Imprigiono  il  pitto- 
re qui. 

a  questo  punto  Nikola  si  fermò:  si  trasse  i miie- 
tro.  fece  scattare  una  molla  e  ti  nostri  piedi  si 
aprì  un  trabocchetto  che  dava  un'oscurità  pro- 
fi  inia.  da  cui  saliva  l'odora  caratteristico  delle 
vòlte  umide:  poi,  chiusa  la  molla  e  rimesso  I  itto 
a  pcisln,   Nikola  roiitinuò 

—  li  disgraziato  mori  lentamente  <ii  fame  là  sou 
to,  e  la  donna,  che  era  qui  sopra  in  questa  stanza, 
fu  costretta  a  udire  la  sua  agonia,  senza  che  pò 
tesse  fare  nulla  per  salvare  ramante.  Immaginate 
la  scena  :  il  disgraziato  i  he  min  i\  a  la  sotto  i 
ceva  quanto  slava  in  lui  per  morire  virilmente 
per  non  tormentare  di  più  la  donna  che  1  amava. 
e  lo  sposo  oltraggiato  assorto  tranquillamente  nei 
suoi  studi,   non  rurante  degli  altri. 

Nikola  n  guardò:  i  suoi  occhi  ardevano  come 
due  carboni  accesi. 

E'    mia   cosa    orribile,    una    cosa    infernale.    — 

gridò  Glenbarth,  su  cui  la  storia  stessa  e  il  i lo 

come  Nikola  l'aveva  raccontata  avevano  prodotto 
un'in  e   straordinaria.    —    E    rome    potè    la 

donna  permettere  ohe  la  cosa  continuasse  '  Era 
pazza?  Perchè  non  chiamava  gente?  Certo  le  au- 
torità di  uno  Sialo  che  si  vantava  di  essere  Civile 
anche  in  quella  civiltà  barbara,  non  avrebbe  tol- 
lerato simili  cose. 

—  Dovete  ricordare  che  la  Repùbblica  aveva  dato 
allo  sposo  il  permesso  di  trarre  vendetta,  —  disse 
Nikola  colla  massima  calma.  —  E  poi  la  donna 
non  poteva  gridane,  per  la  ragione  semplicissima 
che   la   lingua    le   ora    stata    strappata    dalla    rad-  , 

Quando  tutti  e  due  fun  no  moni,  i   i corpi   le 

.-an   insieme   furono  gettati   nel  canale,  il  giorno 
stesso  Revecce  si  mise  in  man   e  puh     mori  poi 
annegato  presso  le  coste  delia  Sicilia.  E  ora  che 
e  una   dolio  tante  mnesse  con  questa 

m/a.  ve  i     dii     altre  in  cui  quel  trabi  - 
ntato  una  parte  egualmente  Im- 
portante .  ma  credo  che 
a   cosi   dram- 
matica  come  quella   nar- 
rala   or    ora 
—    Ma     i  i  ni,      mai, 

pendo   tutto  questo 
tete     vivere     In     qù 

esi  lamò   Glen- 

bai  ih 

I    olili  .    ,  olili  '  dl- 

e  Nikola,        » lete 

che    quanti  i    è    sui  cessi  i 
in  qui  a   più  di 

iddietro   po- 
sa   avere    Influenz  i 
mi  essere  vivo  di  i 
Inveì  •■  di   ■  piace- 


ESIGETE 


IIIIhWH 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


l  ha  -  unto   trasi  ui 

bill  :    mi   ila    modi      li    lai, 

mia  ma-'              a  inzia.  lo  pi  sso  stare  lontano 
da  questa    as a  cinque  anni,  se  mi  piace,  e  la 
Qui  o   più  preziosi,  e  poi   l tire   ind 

i    sicurezza    di    trovare    Ogni    rosa    a    SUO    pi  sto 

Non  sono  dai  touriste*  che  vanni 

dipinti,  per  la  ragione  semplicis 

'  ne    le    -nolo   -tanno   ben    atti  nte  di    non    pai 

I  .  oli, li-    di    quosla   i  a-a.    por    non   I 

obbligate   a   venin  i    I     molti   gondolieri    non 

i  qui  dopo  il  cader  della  notte,  e  quei  poi  ai 
i  K'  hanno  ii  coraggio  di  passare  qua  sou,,,  si  fan- 
no tutti  il  segno  della  croce  prima  di  arrivarvi  e 
di  pò  di  essersene  allontanati. 

l  in.   non    mi    Stupisce,   -     dissi    io   —,    nell'insie- 

me  è  la  rosa  mono  allegra  i  he  io  conosca    Ma  voi 
i  r.  .io  qui  soli 

—  Non  sono  completamente  solo,  ho  due  compa- 

nii    \ eci  hi",    che    vien a    volta    al  giorno 

por  attendere   ai    miei    semplici    bisogni.  ,■    [|    uno 

il li  dele.... 

—     Apollo  ioli    I 

Precisamente    Vpolleion,    il    mio   gatto.    Sono 
' ,  intento  di   \  edei  i    i  be  \  e  ne  ricordate 
imi-     un    iio\o   sibilo,   e   un    momento  dopo  la 

sa  bestia',  ehe  lo  ricordavo  benissimo,  entrò 
-  lennemente  nella  stanza  e  cominciò  a  stropic- 
ciarsi contro  un  piede  della  seggiola  su  rm  stava 
il  padrone. 

Povero  vecchio, —  continuo  Nikola.  prenden- 
dolo '  accarezzandolo  dolcemente.  —  Va  diventan- 
do debole  e  ciò  non  deve  fare  meraviglia,  perchè 
ha  già  passato  l'età  media  della  sua  razza.  Ha  ve- 
duto molli  paesi  strani  e  molte  cose  strane,  dac- 
ché si  e  assonalo  a,  mi',   ma  non  ha  inai   visto  nulla 

di  più  strano  ili  quanto  ha  veduto  in  questa  stanza. 

—  elio  intendete  duo'  —  domandai 

—  ila  veduto  un  oggetto  che  a  noi  non  è  an- 
cora permesso  di  scorgere,  —  rispose  gravemente 
Nikola  l'i  notte,  quando  tutto  è  quieto,  e  io  la- 
vi io  a  qffffl  tavolino,  esso  se  ne  sta  accoccolato  su 
quella  sedia,  là  in  tondo.  Per  un  poco  dorme  pro- 
ti iidamento.  ma  poi  lo  vedo  sollevare  la  testa  e 
lissare  qualche  cosa  o  qualcheduno  che  io  non 
vedo  e  eh,  si  muove  attorno  per  la  stanza.  Da 
principiò  pensai  che  fosse  un  pipistrello  o  qualche 
uccello  notturno,  ma  poi  vidi  che  non  si  trattava 
di  questo.  I  pipistrelli  non  stanno  sempre 
Stessa  distanza  del  pavimento  e  non  si  fermano 
ogni  tanto  dietro  una  seggiola  por  lungo  tempo. 
Ma  verrà  tempo  in  cui  ci  sarà  possibile  vedere  que- 

cose.    Vinti a   sto  (aieniio   le   mie  ricerche. 

So  I,,  non  avessi  conosciuto  Nikola  e  non  avi 
rdato  certi  esperimenti  curiosi  ohe  egli   a\ 
fatto    por    me.    anni    addietro,    avrei    pensato    che 
scherzasse;  ma   lo  conoscevo  troppo  bene  per  du- 
bitare  che    egli    volesse   sciupare    il    tempo    inutil- 
mente 

—  Intendete  dire.  —  domandai  —  che,   secondo 
voi,  col  tempo  ei  sarà   possibile  vedere  cose  delle 
quali  al  presente  non  abbiamo  nozioni,,  e  che 
stituiscono  l'Ignoto  ' 

Precisamente    \  oi  non   lo  ci  ederete,  ma  i 
punto  per  avere  le  informazioni   necessarie  a  que- 
sto s.opo  che  ho  tormentato  Wetherall  a  Sydni 

ii.il"  i  ■  "i    a    Porto   Saul   e  portato   la   doi 

ci ci  e  \ osi ra  in  ni  nelle  isole    Vusti 

—  Questo  è  interessante  —  dissi  io,  mentre  Glen 
barth  avvicinava  la  sua  seggiola    -   Diteci  qualche 

delle  vostre  avventure  dopo  che  ci  siamo  la- 
m  iati     Immaginerete   bene  che   noi   siamo  curiosi 

di  ce - 

Qui  Nikola   ,i  linde  i  olii,,  dettagliato  di   quanto 
era    seguii  ionio  che  aveva    preso    i 

di  Ila  verga  lasciata  a  Wetherall  da  China  Pete    •  i 
disse  come,   armato  il,  quei   talismano,    fosse   par- 
tito pi  r  la  i  ina,  e,  unitosi  a  un  cerio  uomo  i  h 
i  ;  inda  rea   di   un   mi 

siero    quasi     sconosciuto     mi     cu,  re    ilei    Tibet       De 

-,  risse  con  ricchezza  di  detta'  li  emozionanti  le  pe 
,'  venture  per  cui  pass I  suo  compagno, 


TUTTI  FOTOGRAFI!! 


100,000    UVT^OOIEillSrE 

sono  state  bloccate  dalla  sottoscritta  Ditta  e  si 

i.  Il  nUOYO  lOlOgldlO.  tografica  in  legno,  ricoperta 
uso  pelle  segrinata  nera,  con  maniglia  —  per  fotografie  della 
grandezza  di  centimetri  6  i]2Xq  con   sei  eh  poter   cari- 

care la  macchina  con  6  lastre  in  modo  da  poter  fare  successiva- 
mente sei  fotografie  di  persone  o  gruppi,  animali,  paesaggi,  mo- 
numenti, ecc.,  sia  a  posa  che  istantaneamente.  Obbiettivo  lumi- 
noso, un  visore  spulito,  otturatore,  sempre  pronto,  valore  Q  OR 
L.  20  per  sole L.    O.iJ 

Appa- 
recchio 

uguale  al    Nuovo    Fot 

ma  I  on  visore  chiaro,  anziché 

spulitoe  condueanelli,    0  HR 

valore  L.  25  per       L.   O.lu 

PREZZI 

per  Rivenditori 
6  del  N.  1  .     .     .  L.  18.- 


La  Regina. 


6  .lei  N.  2 

ó  ilei  N.  3  . 

6  del  N.  4  . 

6  del  X.  5  . 


3.  La  Reale. 

valore  L.  30  per 


20.- 
22.- 
58.- 
66- 

Come  la  Re 
anziché  con 


FOTOGRAFICHE 
mettono  in  vendita  ai  seguenti  prezzi  : 

Corredi 

indispensabili  per  dette  Stacchine. 

Corredo  per  le  macchine  IL  NUOVO  FOTOGRAFO 
La  Regàlia    e  la  Reale. 

Questo  corredo   è    indilpensabiU  per   ottenere 
fotografie  di  centimetri  6    p. 

12    Lastre    americane    extra    rapide  k    QA 

6X9 l.  l.OU 

Bagno  per  lo  sviluppo  delle  \  ,  _ 

lastre ir    1      fl  Kft  ' 

Bagno  viraggio [  °"j{         U.i)U 

Bagno  fissaggio  per  la  carta  l  = 
Busta  carta    sensibile    con    12   fogli 


;ina, 
uno 


ma  con  due  visori  chiari 

e    con  due   anelli,   I  OK 


4- 


trice. 


L'Impera- 


diaframma,  otturatore  sempre  pronto. 
rate,  con  caricamento  per  6  fotografi! 
L.  35    Per 


Splendi- 
da mac- 
china  fotografica 
per  eseguire  foto- 
grafie di  gabinetto 
da  cm.  yXi2,  op- 
pure gruppi,  ani- 
mali, monumenti, 
paes  iggi,  sia  a  posa 
che  istantaneamen- 
te e  ciò  che  si  vuole 
fotografare  ;  perso- 
ne ,  animali ,  car- 
rozze ,  anche  men- 
tre sono  in  movi- 
mento; ha  un  ob- 
biettivo luminoso, 
due  visori  sputiti, 
cambiamento  di 
contatore  delle  lastre  ope- 
successive.    Valore  0  Art 


Id.  con  caricarne!  to  per  li 


lastre 


10.00 


Li  Divina. 


M  1  cchina  fotografica 
non  plus  ultra  venduta 
fin  ora  a  L.  40  e  50. 

Questa  eccellentissi- 
ma macchina  è  coperta 
in  texoderma  nera  gra- 
na grossa  con  mani- 
glia. —  Serve  per  foto- 
grafie della  grandezza 
9X12  obbiettivo  acro- 
matico ,  luminoso,  ot- 
turatore per  posa  e  per 
istantanea  ;  regolatore 
della  velocità;  diafram- 
ma a  iris;  e  cioè  che 
si  restringe  concentrando  i  vari  raggi  come  tutte  le  macchine  da 
parecchie  centinaia  di  lire,  con  due  visori  luminosi,  contatore 
delle  lastre  operate,  madrevite  per  l'uso  del  treppiede. 

Però  fotografie  6  1  [2X9  L.  $.00  Per  6  fot.  9X12  (6chassisj  L.  j  2,00 
Per  12 fotografie 6H2X9  "J2.00  Per  12 fot. 9X12 (12 chassis)  «  J4.00 


per  12  fotografie L.    U.tl/1 

12  cartoncini  per   applicare  le  foto-    (\  Qfl  l 


grafie. 


0.40  i 
0.20 


Corredo  supplitivo 


in  1  cerno  di  noce  con  panno  e  molle  d'acciaio 


Torchietto  per  stampare  ...].. 

2  Bacinelle  celluloide  per  le  lastre 
6 112X9 L. 

Lampada  portatile  novità  per  foto- 
grafo cent.  13*8  per  cerino  o  lu- 
mino ad  olio L. 

Sgocciolatoio  per  asciugare  le  la- 
stre       L. 


0.45 
0.60 

0.9O 

0.40 


2.35 


Corredo  indispensabile 

per  le  macchine  fotografi  eli  e  !>X12 
o  cioè  l'Imperatrice  e  la  Divina. 


12     Lastre    americane    extrarapide 
9-12 L. 

Bagno  sviluppo  per  le  lastre  f     " 
"      Bagno  viraggio      .     .  >.sj»   1,, 
n      Bagno  fissaggio     .     .  \      ^ 

Busta  carta  sensibile  12  fogli   .     L. 
12  cartoncini L. 


2.50 
l.OO 


0. 


.60 1 


4.50 


Supplemento  al  corredo 

per  le  macchine  centimetri  9X12. 

Torchietto  9X12  in  legno   noce  con  . 

panno  e  molle  acciaio   per   stani-    (\  C*h  J 

2  Bacinelle  celluloide  9X12 .     .     L.    O.oU 
1  Sgocciolatoio L.    Q.40 

I  Lanterna  portatile  novità  per    fo- 
tografo, grandezza   cm.   13X8  per    A  Qfl 
candela L.    "■«" 


in 


Per  acquisti  a  centinaia,  da  ri- 
vendere in  Italia  o  all'estero, 
prezzi  da  convenirsi. 

Dirigere  le  richieste  col  relativo 
importo  alla  Premiata  Prima  Casa  di 
Liquidazione  Permanente  MICHELE 
DE  CLEMENTE,  Foro  Bonaparte,  71, 

Mi  Inno- Succursale:  Via  Mercato, 14, 
Milano. 


\  1 


ADDIO.    NIKOLA 


tati   sul    punto 
perdere  la  vita,  Quando  tentarono  di  prenden  pò 

spi «ti  Be 
,  alle  leggi  della  \  ita  e  .1 
Mene.  1  I  quasi  per  mi 

n    ,  e  comò,  toi  nato  in  Inghil- 
terra egulti  e   minacciati    da   un   cui 

cui  missione  era  certo  ili  vendicar! 
il  liuto  e  rlpi  issesso  del  libro, 

io  punto  si   (ermo,   e   lo  trovai   mod 

\  1  sse  ancora  il  li'"""  In  suo  poe 

\  chiese. 

si  avvicinò  al  tavolino,  apri  un  cassetto  e  tras- 
se  un  piccolo  libro  legato  in  mudo  curioso,  lo  cui 

gialle  per  gli  anni,  e  la  sennini 
talmente  sbiadita   che   riusciva   quasi    Impossibile 
decifrai  la. 

Ed  ora  che  avete  sofferto  tanto  per  nnposses- 
i  del  libro,  che  ne  fan 

In    meste  cose,  —  rispose  Nikola,  —  una  delle 

h     si  Imparano  è  che  non  bisogna 

aspettarsi  risultati  immediati,  in  questo  volumetto 

,  la  scienza  di  Innumerevoli  generazioni, 

e  quando  io  mi  sarò  impadronito  del  segreto  che 

io,  come  i  due  che  mangiarono  il 

poibito,  possederò  la  scienza  di  tutte  le  cose, 

del  Bene  e  di     Male. 

Rimettendo   il   libro  nel  cassetto,   Nikola   riprese 

.1  narrazione  parlandoci  degli  studi  che  aveva 

fatto  per  penetrare   il  segreto  dell'esistenza,   e  ci 

avesse  cercato  ili   infondere  un  1 

1   in  un   corpo  già  consunto  dagli   anni 

—  Non   riuscii   in  tutto  ciò  che  mi  proponevo.  — 
aggiunse,  —  ma  sono  arrivato  abbastanza   a\  u 

rendere  a   quell'uomo   la   sua   giovinezza.  Ciò 

Che   1 mi  venne  fatto  fu  di  rendergli   le  potenze 

intelligenza  e  della  volontà:  non  sono  riusc  1 
a   ravvivare   il  cervello,  quella   parte  vitale,   senza 

in. e  nulla.  Quando  mi  sarò  impadronito 

di  qt)  eto     tenterò   di   nuovo,   e  allora  forse 

riusi  irò    Ma  .un  ora  ve  molto  da  fare:   io  solo  so 
Quan 

[0  lo  guardavo  stupito  :  scherzava  o  credeva  real- 
mente che  fosse  possibile  a  lui  0  ad  altro  uomo  vi- 
vente  ridonare  la  giovinezza  e  prolungare  così  in 
petui    la  vita?  Eppure  egli  parlava  eolia  serietà 
meta  e  pareva  convinto  come  se  narrasse  un 
fatto  notissimo.   Non  sapevo  che  pensare. 

Ini;  1  mio   la   meraviglia   sui  nostri   volti, 

egli    sonisi'    e.    alzandosi,   ci   ricordò   che   se  era- 
vamo  sbalorditi    lo   avevamo  voluto   noi.    1'.  1    ■  am 
Ino   discorso,  domandandoci  se  non  avevamo  nes 
impegno  per  quella  sera,  lo  risposi  che,  per 
quanto  sapevo,  non  ne  avevamo  nessuno. 

in  tal  raso,  —  disse,  —se  vorrete  permettermi 
di  farvi  da  guida  per  Venezia,  >  redo  che  potrò  mo 

-tram    un    lato   della  città    che    VOi   non    avete    inai 
0   conosco   Venezia   perfettamente,   e   posso 
permettermi    di     farvi     passare    due    belle    ore.     \i 

ite  " 

—  Sono  sicuro  che  ci  divertiremo,  —  risposi  io  — 
ma  credo  che  sarebbe  meglio  non  decidere  nulla 

I  1  ini.i    1  he    Ì0    abbia    parlalo  a    mia    mogli,      se    non 

litro  impegno,  verremo    \  che  ora  volete  che 
partiam  1  ' 

—  A     che     ora     pian 
/al.'  ì 

—  Alle     Sette      Poti 

com- 
lia    a    pranzo? 
Noi,      posso      venne 

\  ta.  solitu- 

dini     Se   in.'    lo   prrmet- 
sarò  da   voi    .lupo . 

iplO,     per    le    oli" 
.'    meZZO:    ali. ■ la    la    luna 

e   credo 

re una    bella   se 

—  .Mi,,  otto  e  mezzo, 
dunque,  se  non  c'è  nulla 


ESIGETE 


tinnii 


MARCA ' . 

HERMANN 

MILANO- TORINO 


ni   contrario.   —   E  mi   alzai   dalia   si 
barili   segui    il    uno   esempio   .■   salutammo   No. 
Tri    ij  11  1  -uno.    egli    volle    accomp  I 

rei  gin  per   !..  scalone  e   per  il   , 

aa  .tal    1.  '  ino 

1  Inumata    una    corniola,    ordino    al    barcaiolo    di 

.  .minivi  all'albei go  e  ci  mmo. 

Per   qualche   minuto   Glenbarth   ed    io  sedemmo 
in    silenzio,    nienti,     il  scivolava   placida- 

niente    sulle    acque 

—  Ebbene         dissi    infine  —  che  pensate   .1.    \ 
kola    ora  7   \i    pare   che   sia   divenuto   un   uomo  or- 
dinario o  che  sia  sempre  quello  di  prima  1 

—  E'   più   strano  che  mai.   —  rispose   (ìlenbarUi 

Non  li.,  inai  visto  un  uomo  che  gli  >. .migliasse 
ini.'  lontanamente.  Che  storia  -paventosi  ci  ha  rac- 
contato  !    E    1  ba    narrata   in    modo  talmente   dram 

inai  no,    elle    pai  ...  I  I   i    e    presente.    Alla 

un   pareva   .piasi   .li    udire   il    rantolo   degli    ini' 
si  tu.   ii    trabocchetto   e    la  donna    lamentarsi   nella 
stanza   dove   eravamo.    Non   i  ipisco  perchè   ce  l'ab- 
bia  raccontata,  come   non   capisco  perchè  viva  In 
quella  casa  ' 

—  Le  azioni  di  Nikola  sono,  come  lui.  asso: 
mente  inesplicabili,  ma  non  ilo  ombra  di  dui 
che  egli  abbia  qualche  altro  motivo  oltre  al  d 
delio  di  farei  paura. 

—  Sapete,  —  disse  il  duca.  —  che  sono  rimasto 

s.  rpreso  della  facilita  non  cui  avete  accettato  la 
-uà  pi. ipo-ia  per  questa  sera?  Che  ne  penseranno 
la  signora  Hatteras  e  miss  TrevorT 

—  Insileremo  che  decidano  loro.  Per  parte  mia, 
inai    SO    Immaginare   nulla   di    più   interessante. 

UTalbei  amammo   le    due    donne    dei. 

,  del  dottor  Nikola.  Dal  modo  col  quale  miss 
Trevor  si  era  comportata  qualche  ora  prima,  cre- 
devo  che  essa  avrebbe  rifiutato;  ma  invece  ap- 
io, .\o  l'idea  sul.it. .  .•  senza  alcuna  riluttanza.  Io 
conclusi   che   ir  donne   sono  creature  indecifrabili 


i  M'ITOLO    III. 


Nei  pomeriggio  ci  limitammo  a  visitare  la  chie- 
sa di   San  Giovanni  e  Paolo. 

Miss  Trevor  aveva  un  contegno  stran, 
o  zitta,  poi.  quasi  n-mosse  che  noi  i 
il  suo  silenzio,  si  metteva  a  parlare  abbondante- 
niente,  come  chi  parla  tanto  per  dire  qualche  cosa. 
Poi,  senza  ragione  apparente,  si  rinchiudeva  nel 
silenzio.  Io  un  guardai  tiene  dall'interrogaria,  e  il 
pomeriggio    passo    senza    Incidenti. 

Mkola  a\cva  dato  appuntamento  per  le  otto  e 
mezzo.  Dopo  il  pranzo,  dieci  minuti  prima  dell'ora 
stabilita,   consigliai   la   moglie   e  miss  (ieltrud. 

irsi  a   preparare  per  la  gita.  Intanto  il  duca  e 
io  ci  affacciammo  al  balcone. 

—  Spero  che  Nikola  non  spaventerà  miss  Trevor 
rome  ieri  —  disse  il  mio  compagno  dopo  qualche 
minuto   di    silenzio. 

Notai   che   egli   parlava   con   ansietà  insolita. 
Essa   6   molto  sensibile,  vedete,  e  lui,  quando 
vuole,  può  larvi  tremare  fino  ali.    ,    sa    Non  \ 
che  ella   udisse  la  storia  che  Nikola  ci   ha  raccon- 
tato questa   mattina.   Spero  che  non   la   ripeterà. 

Poco   dopo,   .i   trovammo  tutti   nel   sa 

—  Miss  Trevor,  —  dissi  —  spero  che  ci  divi 

mo.  Se  non  sbaglio,  vedrete  Veni  questa  sera, 

nelle  quali  non  l'avreste  mai  imma- 
ni 

—  Non  ne  dubito,  —  rispose  ella  semplicemente. 
S  uà  una  notte  che  non  dimenticherò. 

,  erto  "Ha    non  supponev  a  rome   la   sua 
nata    ad    a\  verai  si     Quella 
mi    .li  i.'  i  se  la  ricorda  per  tutta  la  \  Il 
imo  nel  salonechi   Nikola  era  già  entrato  e  sta- 
mandando  un  domestico  ad  annunciarci  il  suo 
arrivo  Strinse  la  mano  a  me,  a  una  moglie,  a  ■ 

,1. arili     La    sua    m  ilio,    al    5. 
inalila  eoin.'  ghiaccio;  il  voi'.,  spaventosam 


a  prezzi  ridotti 

(Franco   di   porto   nel   Regno i 


OCCASIONE  UNICA 

per  jio(|iiìn(  i 

IDI    BUONI    LIBRI 

Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Elementi  d'Igiene,  del  dottor 
Paolo  Mantegazza,  elegante 
volume  in-ló"  di  pagine  532. 
L.  4.50  per     .    .     .    L.  2. SO 

Lettere  inedite  di  Giuseppe 
Mazzini  ed  alcune  de'  suoi 
compagni  d'esilio,  pubblicate 
da  L.  Ordono  de  Rosales.  e- 
legsntevol.  in-lG°  di  pag.  230. 
L.  3  per L.  1.50 

I  Reali  di  Savoja  nell'esilio 
(1799-18  Si.  Narrazione  sto- 
rica su  documenti  inediti  per 
Domenico  Ferrerò  .  interes- 
santissimo voi.  in-lG"  di  pa- 
gine 328,  L.  4  per   .    L.  2.— 

La  democrazia  e  la  Scuola 
di  Emilio  Morpurgo.  bel  voi 
in- 16°  di  p.  800,  L.  4  perL.  I.— 

I  Fattori  e  malfattori  della 
politica  europea  contem- 
poranea, p.-r  l'etnie, -elli  (iel- 
la Gattina,  2  voi.  in-16°  di 
complessive  pagine  77  i,  L.  7 
per L.  3.— 

Casti  Novelle,  edizione  com- 
pleta' come  l'originale.  2  voi. 
inlG°di  complessive  pag.  800, 
L.  4  per L.  2.50 

Storia  di  Milano  dall'origine 
ai  nostri  giorni  e  cenni  sto- 
rico-statistlci  snUe  -  Città  e 
Provincie  Lombarde  B .  di 
Francesco  Ousani.  8  volumi 
in-lt)°  di  complessive  pagine 
3782,  L.  12  per     .    .    L.  6.— 

Igiene  dell'Amor  Coniugale 
ovvero  Fisiologia  della  ge- 
nerazione dell'uomo  ,  per  L. 
Seraine.  bel  voi.  in-lG°  di  pa- 
gine 224,  L.  3.50  per    L.  I.— 

La  questione  del  divorzio, 
di  Alessandro  Dumas  ifiglio). 
interessante  voi.  in-s"  di  pa- 
gine 350.  L    5  per  .     L.  1.50 

Compendio  illustrato  di  Mi- 
tologia dei  diversi  popoli 
per  A.  Pestalozza,  un  bel  voi. 
ài  pag.  170.  L.  2.50  per  L.  —.75 

Colpe  giovanili  ovvero  spec- 
chio per  la  gioventù  :  N'ozioni 
e  consigli  per  coloro  che  si 
consumano  in  seguito  ad  ec- 
cessi sessuali  ed  a  segrete 
abitudini,  per  P.  E.  singer, 
interessantissimo  voi.  in-lfi° 
di  pag.  210.  L.  3,50  per  L.  2  — 

La  Infanticida  nel  codice  pe- 
nale e  nella  vita  sociale  :  Con- 
siderazioni —  per  Lino  Fer- 
riani,  interessante  voi.  in-16" 
di  pag.  184.  L.2.5'jporL.  —.75 

La  medicina  delle  passioni 
per  G.  B.  Descuret .  ■>.  grossi 
voi.  in-16°  complessive  pagine 
480.  L.  5  per  .    .    .     L.  1.50 

Della  natura  delle  cose,  li 
Tito  Lucrezio  ''aro.  tradu- 
zione di   Francesco   Deanto- 


nio.  un  voi.  in-1'.    di  pag.  288, 
L.  3  per L.  I- 

L' amore  dal  lato  fisiologi- 
co, filosofico  e  sociale:  os- 
servazioni e  pensamenti  d'un 
vecchio  medico,  per  il  dottor 
D.  Lolli,  un  voi.  in-ltv  di  pa- 
gine 228.  L.  3  per    .    L.  I.— 

L' industria  del  latte ,  del 
prof.  Gaetano  Cantoni,  un  voi. 
in-16°  di  pag.  198  con  figure, 
L.  a.r.O  per  .    .    .    .    L.  I.— 

Le  specie  dell'Esperienza. 
di  Angelo  Brofferio  .  un  voi. 
in-S"  di  p.  432.  L.  5  per  L.  3.— 

Adelaide  di  Savoia  elettrice 
di  Baviera:  Contributo  alla 
storia  civile  e  politica  dellGOO, 
per  Carlo  Merkel,  un  voi.  in-s» 
■li  pag.  1  «i,  L.  9  per  L.  4 

Sull'unita  della  specie  u- 
mana:  Considerazioni  di  an- 
tropologia tisica  e  morale, 
per  F.  Biazzi,  un  voi.  in  -  li 
pag.  201.  L.  5  per.     L.  2.50 

La  Terapia  suggestiva  delle 
Psicopatie  sessuali  con 
speciale  riguardo  all'inver- 
sione sessuale,  del  dott.  A. 
Von  Scherenck-Notzing.  me- 
dico in  Monaco,  un  voi.  in-s- 
di  pag.  201.  L.  G  liei-  L.  3.— 

La  crisi  del  positivismo  e 
il  problema  filosofico,  per 
iì.  Marchesini,  uu  voi.  In-161 
di  pag.   I;i2.  L.  .'i  per  L.  1.25 

L'  Edizione  illustrata  dei 
■  Promessi  Sposi  ..  :  Lettere 
di  AI  essa  udrò  Manzoni  a  Fi-an- 
ce ìco  Gonin.  pubblicate  e  an- 
notate da  Filippo  Saraceno, 
un  voi.  in-lG°  di  pagine  10G. 
L.  2.50  per     .    .    .    L.  —.75 

Ferri  Henry:  La  Sociologie 
Criminelle.  —  Tradueiion  de 
L'auteur  sur  la  troisième  e- 
dition  italienne,  un  voi.  in-S' 
di  pag.  648,  L.  lo  per  L.  5.— 

Sette  masi  al  Ministero: 
Ricordi  Ministeriali .  di  Ge- 
nova di  Revel,  un  voi.  in-s» 
di  pag.  2Gi.  L.  4  h)  per  L.  2.— 

Da  Ancona  a  Napoli:  Miei  ri- 
cordi, per  Genova  di  Ilevel.un 
v.  in-3"dip.216.  L.  3  per  L.  1.50 

Umbria  ed  Aspromonte:  Ri- 
cordi diplomatici,  per  Genova 
il:  Bevel,  un  voi.  in-v  di  pa- 
gine  I  il.  L.  3  per   .    L.  I.— 

Il  1859  e  L'Italia  centrale. 
Miei  Bicordi,  pei-  Genova  di 
Revel,  un  voi.  inveli  pag.  188, 
L.  2  per !..  I.— 

Vecchie  utopie:  Note  di  Gio- 
vanni De-Castro,  nn  voi.  m  ì -i 
di  pag.  812,  L.  3  pei-  !..  1.25 

Fratellanze  segrete  Studio 
di  Giovanni  De-Castro. un  voi. 
in-16"  di  I-   18  I,  I-  5  per  !..  1.50 


Il  Duomo  di  Milano  e  i  dise- 
gni per  la  -u  l  i  teciata,  di 
Camillo  li. il.'.  I>i  llissimo  ed 
interessante  voi.  Ln-4  di  pa 
glne  :us  Legato  in  pei 
iuuovoì  con  35  eliol  Ipie  e  n 
litografie  ed  un  saggio  biblio- 
grafico di  K.  Salveraglio, 
L.  32  per    .     .    .     .     L.  16.— 

Mentana  e  il  dito  di  Dio  e 
pisodi  narrati  dal  superstite 
Ernesto  Pozzi  e  coti  illustra- 
zioni di  I'e  Albertis,  un  voi. 
in-!t>°dip.  I80,li.3per  L.— .75 

Di  là  dal  Mare,  di  Giovanni 
Saragat  (Tosa  Rasa  .  un  bel 
voi.  in-16°  di  pag.  816,  L.  :i 
por, L.  -.75 

Nora,  romanzo  di  Anna  Ver- 
ma  Gentile,  bel  voi.  in-160  di 
pag.  160,  L.  2  per  .     L.  —.75 

Storia  di  una  Montagna  .  di 
Eliseo  Beclus,  traduzione  di 
Laura,  un  voi.  in-lG"  di  pagine 
28  .  L.  2.50  per  .     .     L.  —.75 

Storia  di  un  ruscello,  di  Eli- 
seo heclus.  traduz.  di  Laura, 
un  voi.  in-lG°  di  pagine  -'7  1. 
!..  8.50  per     .    .     .     L.  —.75 

Madonna  di  fuoco  e  Madon- 
na di  neve,  racconto  di  Gio- 
vanni Faldella,  un  voi.  in-160 
di  pag.  228.  L.  >.  io  per  L—  .75 

Manuale  del  trattamento 
del  cavallo .  del  marchese 
Carlo  Costa,  un  voi  in-16"  di 
pag.  280,  I-.  3  per  .     L.  —.75 

Gli  errori  giudiziari, diagnosi 
e  cura  per  Domenico  Giuriati. 
un  grosso  voi.  in-16"  di  pagine 
514.  L.  5  per   ...     I»  2.— 

Ricordi  del  Risorgimento 
italiano  dal  1848  al  1889 
per  Vittorio  Bacci,  un  voi. 
in-13°  di  pag.  2ls .  L.  1.50 
per L.  — .75 

Viaggiando  si  medita  e  s'im- 
para, per  Ernesto  Coiti,  un 
voi.  in-ld1  di  pag.  25-*,  L.  3 
per L.  — .75 

Manuale  per    l'allevamento 
di  volatili  da  cortile,    per 
Gr.  Sormannì,  un  voi.  in  nidi 
pagine  !5j  con  illustrazio 
cent.  Gì  per   .    .     .     L.  —.40 

Agricoltura  pratica,  storia, 
costumi,  prodotti,  per  Giu- 
lio Cappi,  un    voi.    in-lG"   di 

pag.  DO    per    L.  —.40 

Guida  del    Pollicultore,   per 

i;.  So rm anni,  un  voi.  in  16  di 

pag.  17,  i  con  illustra/...  L  .0  GO 
pei I,.  — .40 

I  Farabutti,  nuovo  libro  in  dì- 
fesa  d  Ila  ni  irai'-  d'-i  prof. 
Alberto  Casta,  2  voi.  ini'',  di 
compless  p.  175, L. 2  perL.  I.- 

Metodo  analitico,  filosofico 
e  fisiologico,  perla  educa- 


li !  '•!  voce,  poi-  L  eon 
eav  '  liraMoni,  un  voi.  in-16 
di  pag,  34,   1,.  2  pei'  L.  —-50 

La  donna  ed  i  suoi  abbiglia- 
menti .    nozioni    istruttive  e 
dilettevoli  per  il  gentil  sesso, 
di  Gaetano  G-iovannini,  ì  voi. 
e  16  di  p.  114.  L.2perL.— .50 

La  dottrina  Manzoniana  sul- 
l'unità della  lingua,  nuovi 
-indi  critici  del  prof.  Luigi 
Gelmetti,  un  voi.  ini  di 
pag.  312,  L.  5  per    .    L.  I.— 

Manuale  di  ostetricia  .  ad 
u-  i  eli.-  Levatrici,  per  Jan- 
court  Barnes,  un  voi.  in  s  di 
pag.  21G,  con  51  figure  nel 
testo.  L.  4  per    .    .    1..  1.25 

L'igiene  dei  contadini  consi- 
derata nei  loro  rapporti  eoi 
bestiame,  per  A.  Lemoigne, 
un  voi.  in-lG»  con  figure,  di 
pag.  3G1,  L.  3  per    .    L.  I.— 

Storia  degli  ordini  cavalle- 
reschi -li  tutte  le  nazioni, 
per  Art.  Gamberini,  un  voi. 
In- 16°  di  p.  108  L.5  perL.— .75 

Ariosto  Lodovico:  Orla, l'io 
furioso,  preg.  ediz.  di  Firen- 
ze, forni.  G4"  div.  in  8  voi.  com- 
pless. p.  1G7G.  L.  6  per  L.  2.— 

Manuale  del  Duellante,  per 
Jacopo  cav.  Gelli,  con 27  tav., 
un  voi.  in-320  di  pag.  '.50,  ele- 
gant.  legato,  L.  3.50per  L.  I.— 

Masino  e  il  suo  re.  per  Mark 
Twain  'Samuele  Clcmensi,  li- 
bro per  rag  izzi,  un  voi.  in  1G° 
111.  dip.280,  L.-.óOperL.— .75 

Compendio  di  storia  univer- 
sale antica,  di  Bartolomeo 
Mitro  vie.  un  voi.  in- 16°  di  pag. 
172  .oli  ili..  L.  2  per  L.  —  50 

Manuale  teorico  pratico  di 
manipolazioni  e  operazio- 
ni fisico-chimiche,  per  P.  E. 
Alessandri,  )  ^r.v.  in-svii  p. 
18  ..   'ii  i  in  i  ne.  L.5  perL.  2.— 

Dizionario  metodi  co  alfabe- 
tico di  viticultura  ed  eno- 
logia .  per  il  e  iv.  i  .iiisr|i|ic 
Cusmano,  un  voi.  in-8°  di  pa- 
gine 30  1,  L.  5  per  .     !..  1.50 

La  Figlioccia  di  Cavour,  ro- 

o   contempor.   di    Luigi 

Gualtieri .  2  voi.  In-16"  com- 
pless. p.  (1  I  '.  L.  4.50  per  I,   I.— 

Dizionario  Milanese  Italia- 
no col  repertorio  Italiano  Mi- 
lanese, di  l'Ietto  Arrighi,  'l'i;, 
vi.  in  1  e  di  pag.  uno  leg.  in 
tela  oro.   L.  s.:,0  pei-  L.  5.— 

Nuova  Antologia  Italiana  ad 
.-Ile  scuole  pratiche  6 
ìi  di  agricoltura  e  de 
/li  istituti  tecnici,  compilato 
ila!  dott.  Giulio  Gallone.  2  voi. 
in-iG  -  complessive  pag.  '.'i". 
i..  ii  per i-  3  — 


w  .-_T__._  _,__.._„  I  suddetti  libri  si  spediscono  franco  di  porto  in  tutta    l'Italia  —    per    IV- 

AN/ V  H/JTY  1  12/1X1  LtìL,,       "   stero  aggiungere  le  spese  oltre  il  confine  —   le    ordinazioni    inferiori    all' 
L.  5  aggiungere  il   15  0[0  in  più  per  spese  di  posta  e  raccomandazione  —  il  doppio  per  l'estero  —  tutti    1  libi 
scritti  sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  assegno  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non  accompagnate  dall'im- 
porto verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —  lettere  raccomandate   e    cartoline 
Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via   Manzoni,   20,   Milano. 

Compra    «3    vendita.    Ingrosso    e    dettay;lio. 


VI] 


AliUM  I,    NIK<  'I    \  '. 


te  i  • .- 1 1 1 1 1 1  «  '    La   sua  i   alta   ed  elegante  era 

chiusa  in  un  ampia  soprabito,  ma  ciò  che  si  per 
di  n  a  in  un  senso  si  guad  i  in  un  altro,  per- 

.  he  qui  |]  .ii  la  'li  mistero  ag  alla 

sua   i  Guardane]         Don  80  perchè,   pi 

a  Mi  e  il  para     ne  i tolti  rispetti  cai 

zava 

-  l'eri:  de  vi   esprima    la   mia     Oddi  ra 

zìi  ne  per  avere  consentito  a  che  lo  vi  serva  di  grui- 

uesta  sera,  lady  Hatteras  -    disse  Nlkola  i 
ducendo  una  moglie  verso  la  gondola        Sarebbe 

impertinenza    da    parte    mia   i laminare   die    lo 

•  i  ai        tri  occhi .  ma  credo 

umeno   di    poten  >   mostrare   un  aspetta  dell* 
-  he  i  "i  ti. .ti  conoscete 
Entrammo  nella  «unii. ila  e  partimmo. 
in  i. aiieii.i  a  nato  ni  lantei  ne  ci  pass,,  accanto 
\i  eia  dentro  una  compagnia  allegra  che  cantava 
i'":  i  eco  'iella  musicasi  perse  nella  lontananza 
Nikola,  rivolgendosi  ai  gondoliere,  gii   disse  'inai 
'he  eesa   in   italiano:    la  gondola   sì   unse   per  un 
ile  laterale.  ,■  ci  trovammo  In  un  luogo  pieno 
ili  oscurità  e  <  1  ■  silenzio.  Nikola  parlava  semine 

Qui    eia    una    easa    la    CU]   Storia   era    veri  In mi 

la    Storia    ili     \  I  i       l'in    ulne    la    easa    ili 

un  pittore  laniiis".  la  era  nato  un  poeta,  un  guer- 
riero che  aveva  conquistata  la  gloria  colla  penna 
o  colla  spada;   più   là  era  nato  un  plebeo  morto 

l"'i    doge     Niki. la    sapeva    tutto.    Le    Sue    spiegazioni 

leu.  ripetevano  soltanto  la  storia  passata,  ma  an- 
che la  presente:  egli  conosceva  tutto,  suscitava 
nei  nostri  calori  l'emozione  che  voleva,  la  pietà,  il 
tenore,  la  poesia,  i  i  faceva  vedere  Venezia  coi 
suoi    occhi    propri   e    ee    la    faceva    amare   col    suo 

—  Ura    —  disse  —  credo  di  avervi  dato  un'idei 

ilieiale    (Iella    citta:     Volete    die    vi     (accia    Ve 

dere  qualche  cosa  delia  sua  vita  interna  :  Ne  vaie 

la    pena,    sapete. 

\in"i a  una  \oiia  diede  un  ordine  al  gondoliere, 
i  amia  s:  tinse  per  un  canale  M.'eUo, 
a  destra,    poi    voltò    a    sinistra.    Andavamo   certo   a 
vedere   qualche   cosa   di    interessante:    la  gondola 
si  ferino  e  si  avvicino  a  una  casa.  Nikola  fu  il  pri- 
mo a  saltar  fuori  e  aiuto  le  signore  a  prendere  ter- 
ra  Ci  trovavamo  m   un  quartiere  di  Venezia  a   me 
perfettamente    sconosciuto:    le  case   erano    vecchie 
e   cadenti,    pochi   lumi    erano   accesi   ancora;    mi" 
o  itue  volte  qualcuno  si  avvicino,  guardando  le  si 
in   modo  insolente,   l'no  di  costoro,  più  ta- 
pi rtinente  degli  altri,  oso  mettere  la  mano  sul  brac- 
'  e.  di  miss  Trévor.  In  un  attimo,  senza  sforzo  ap 
.'.   Niki  la    lo  stese   a   terra. 
Non  temete,  miss  Trevor  —  disse  poi.  —  Colui 
i   perduto  la  testa   un   momento, 
i  lo  detto,  Si  avvicino  al!  uomo,  e  gli  parlò  a  bas- 
s  i    voce. 

—  No,  no,  eccellenza  —  esclamò  quel  furfante, 
—  se  a\>  l'ito  che  eravate  voi  non  lavici 
fatto. 

E  se  ne  .imi"  rapidamente. 
ì   i     gondola    si    era   mossa  nuovamente,    sarebbe 
ululile   raccontare  tutto  ciò   epe  vedemmo  quella 

'unii"  tulli    ehe    Nikola  era   conosciuto 

ovunque,   e  uon   solo  conosciuto,   ma   temuto  e  ri- 

-I"  nato,    l.a    BUa    presen- 
za   era    una    chiave   Che 
apriva    tutte    le    pone' 
in     sua     compagnia     le 

doni rano  sicure   nei 

luoghi  più  loschi,  '  "Me 
se  fossero  -late  circon 
date  da  una  compagnia 
di  soldati. 

. .    .mi..    a\ emme     ve 
duto  quanto  c'era  da  ve 

dere,     era    quasi     mezza 

l'ora    di    tornare 

all'ali. 

—    Credo    che     non     vi 

(||s^r 

Nikola  mentre  le  signore 


ESIGETE 


HH 


MARCA 

HERMANN 

MILA NO -TORINO 


tle>  .ni"  i"  -  ' ili  i  gondi  la   per  1  ultima  \  o 

Aliali...  risposero    tutte    e   due     I 

una    glie    rispondesse   anche    per    miss    ir.. 

quindi   sogglun 

—  Abbiamo  passai"  una  bellissima 

—  Aspettate  che  sia  Unita  di>  .■  Nikola  —  ho 
'i  '  ora  un  nume]-"  nel  mi"  programma 

1  a   gondola   s|    ,,\  \  nino    :,    , ■,.,  n    gradini.    il>,\e    - 

va   riti".   ;  aspettandoci,   un  uomo  solitari,, 

teneva  qualche  cosa   in  mano    Nikola  salti,  [norie 
.un "iiusse  .mi  li  Individuo 

—  Onesta    sera.     Luigi.    --    gli    disse    —    i 

"   sai  di    meglio,    per   I  onore  della  cil 
Quell'uomo    cani,,:     la    sua     voce     ri-  -li     era     forte, 
ma  di   una  dolcezza  infinita;   la  bellezza  della  s 
il   silenzi"  della   laguna,   il   mistero  che  circond 

ali  in t.  .1  in,,    accrescer  ano    I  incanto,    1    nostri 

cuori    erano    i i    di    soavità.    Quando,    per    , 

dire,    tornami i    noi,    la  gondola  si   era  avvici- 
nata all'albergo,  Scendemmo. 

—  Con   quella   voce.         disse   tuia  moglie,  —  qu 
l'uomo    potrebbe    tarsi    una    fama    europea 

—  Ahimè  —  rispose  Nikola  —   non   avete    notato 
clic   è   cieco?   Egli   e   condannato  all'oscurità 
p'iu.i    Ed  ora    signore  e  signori,  buona  notte:  ò 

già    tardi    per   |,,i  , 

Prima  quasi  che  avessimo  avuto  tempo  di  rin- 
graziarlo, la   rondi  ila  lo  conduceva  via. 

CAPITOLO    IV. 

l  uà  sera,  precisamente  una  settimana  dopo  che 
Glenbarth  era  arrivai.,  a  Venezia,  fu  portata  una 
lettera.  Con  mia  sorpresa,  vidi  che  era  del  d"i 
Nikola:  egli  mi  domandava  se  mi  fosse  possibile 
trovar  modo  di  andare  da  lui  la  sera  stessa,  Di- 
ceva che  era  ansioso  di  discutere  con  ine  una  certa 
questione  importante,  ma  non  spiegava  di  che  si 
trattasse.  Diceva  che  andassi  assolutamente  solo. 
M'in  , iiialche  minuto  colla  carta  in  mano,  peii- 
11,1,,  che  cesa  dovessi  fare. 

Non  aveva  molta  vi  glia  di  andare  fuori,  ma,  d'ai- 
tra  parte,  provavo  un  desiderio  vivissimo  di  vedere 
Nikola   ancora   una    volta. 

L'idea  ch'egli  avesse  bisogno  di  consultarmi  su 
questioni    d'importanza,   lusingava    la   mia    vanità, 

particolarmente    perche    egli    n lesiderava 

terza    persona.    Alla    ime    risolsi    di    andare    e   gli 

scrissi   un   biglietto,   dicend la  lui 

dopo  le  nove  e  mezzo.  Poi  continuai  a  vestirmi  e 
andai   a    pranzo 

Mangiando,    parlai    della    lettera   che    avevo    nce- 
%  ni"  e  domandai  ai  miei  amici  che  un   - 
se  nella  serata  sani  andato  a  vedere  che  cosa  Ni 

kola  volesse  da  me.   Notai  che  appena  parlai  di  que- 
sto  argomento,    miss   Trevor    perse   completali,. 
!  appetito  :    già    appena    pronunciai    il    nome    di    N 
Ki  la.    mi    guardo    con    un'espressione    di    sorpr, 
ili    volto     Non   dissi  nulla,   ma   osservai  che 
maiio    sinistra    -i    agitava    febbrilmente    d'ìmprov- 
\  iso  ii. .ti  so  perchè. 

(."ine   le   signore   si    furono   ritirate  e   Glenbarth 
,.  i  h,  n  trovammo  soli  nel  salone,  tornai  a  parlare 
,     una    visita    di    quella 

—  Amico   mi",      -   dissrp 

Glenbarth  —  non  vi   In- 
vidio.    Non      vi      sentite 

Si  0SSÌ    la    lesta    le  -  B.U 
vani,  Mie. 

—  Perche  dovrei  esse 
re  nervoso  '.'  A  dire  la  ve. 
iuta,  ho  poi  paura  di 
Nikola    'he   della    su..,    ,a 

sa.   ma   in  questa   occa 

Sione,    p"l.    credo   di    noli 
dover    temere     ne     (telili 

no    ne    dell  altra. 

—  Bene ,    —      i 

s,.  domattina  pei 

a.'lie         li"ii        sarete 

inalili'  i"    attor 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  1 


Di  19  ioti  sempre  successo  (resulti 

Soprascarpe  di  Gomma 

MACAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


macchine  per  scrivere 

KEMINGTON 


furono  acquietate 
io 


dal  WAR-OFFICE   di  Londra 
(Ministero  della  Guerra) 


ìD^T*  Tale  importante  ordine,,  il  più  forte  avuto  fin  qui,  prova  che  nonostante  la 
concorrenza  delle  imperfette  imitazioni,  la  Remhìgtoti  è  sempre  la  più  perfetta, 
la  più  solida,  la  più  moderna  delle  macchine  per  scrivere. 


Chiedere  Catalogo  e  prove  della  Remington  N.°  7 
all'Agente  Generale 

CESARE     VERONA 

TORINO   —  20,  Via  Carlo  Alberto,  20  --  TORINO 

SUCCURSALI 

~ .é^p* ^ 


ROMA 

Via  Due  Macelli,  T 

nvLiL^isro 

Corso  Vitt.  EJraaarx.,  5 


GENOVA 

Via  Carlo  Felice,  11 
-Via  Roma,  396 


VII] 


ADDIO,    NIKOLA 


la   polizia   e    tarò  trah    ■  b 

un  revo 

—  No,  :  ■  ipai  e  dli  d  ani  be  Ben 
ia  da  fui 

Tu:  mia     tanza,  ripensandoci, 

presi  il  revolvei    Poi,  pentito,  scossi  la  testa  e 

-i"   Spensi  la  lampada  elettrica  e  mi  ba 
vicinai   alla    porta     Sulla   soglia    un'ultima    i 

rmò    Stetti  s  Iquanto  dubbioso,  poi,  de 

1   e,  toi  nai   Lndiet  ro,  l  rasai  fuori  il  re 

volver  dal  cassetto  ove  l'avevo  riposto,  lo  misi  In 

quarto  d'ora  più   tardi,  una  gondola  ci  con- 

\  a   nel  Rio   del  i  onsigllo  e  si   g,y  \  ii  ina\  a   al 

paia        R  '  ivvolta  nel!  ombra,  dava 

una  strana  impressimi!'  ili  solitudine  quasi  pauro- 
sa, li  gondoliere  si  affrettò  a  farmi  scendere  dalla 
barca,  e,  appena  l'ebbi  pagato,  si  allontanò  piu  ra- 
pidamente che  potè  i"  sin. nai  il  campanello. 
i  lontana  si  fece  udire  nell'interno,  accre- 
scendo  il  senso  ili  solitudine  e  aggiungendo  un 
nuo\  nto  di  mistero  a  quella  casa  abboml- 

.!'.  Per  ipianti i  con  Glenbarth  io  avessi  cenai., 
ili  mostrarmi   tranquillo,   non  mi  sentivo  molto  a 

agio  Miro  era  dire  che  la  casa  non  mi  faceva 
paura  quando  ini  trovavo  in  una  stanza  bene  il- 
luminala, con  un  bicchiere  'lì  buon  vino  a  portata 
di  mano  e  un  amico  in  faccia  a  me,  e  altro  era 
stare  al  buio  innanzi  a  quel   vecchio  portone  con 

ni  aera  del  canale  ai  miei  piedi,  e  l'idea  fìssa 
.li  quella  terribile  saia  lassù.  Finalmente  udii  il 
suoni;  (li  un  passo  «'he  traversava  il  cortile,  e, 
dopo,  il  dottor  Nikola  mi  salutava  e  mi  Invi- 
Ulva  ad  entrare.  Una  lampada  solitaria  illuminava 
L'ampia  corte,  alternando  lunghe  strisele  di  luce 
.'  li  ombra  sul  pavimento,  e  faceva  parere  tutto, 
intorno,  ancor  più  lugubre  del  consueto.  Strettaci 
la  mano,  Nikola  ed  io  Ci  avviammo  senza  far  pa 
rola  -u  pel  grande  scalone,  i  nostri  passi  avevano. 
pei  corridoi,  echi  slrani.  Fui  proprio  contento 
quando  raggiungemmo  ramina  sala  bene  illumi- 
nata. Non  ostante  la  storia  narratami  dal  dottor 
N  kola,  mi  sentivo  bene  là  dentro. 

—  Sedete,    vi  prego,   —   disse    Nikola    spingendo 
Innanzi  una  poltrona.  —  Siete  stato  molto  gentile 

rliendo  la  mia  preghiera.  Lady  Hatteras  e  miss 
Tu  .ni    stanno   bein-  .' 

Stanno    benissimo,    grazie,    e   mi    hanno   inca- 
.    di  sa  lutarvi. 
Nikola  ringraziò  a  sua   volta,   e  poi,   messa  una 
scatola  di   eccellenti   sigari  a  mia  disposizione,  si 
preparò  una  sigaretta  e  l'accesi-. 

Io  stavo  almanaccando  quale  ragione  avesse  po- 
mi.,  indurlo    a    chiamarmi    così    in    fretta,    proprio 
lineila  -era.  e  non  riuscivo  ad  immaginari'  che  COSa 
iscito  da  questo  colloquio.   Conoscevo  Ni- 
kola benissimo,  e  sapevo  che  egli  non  operava  mai 


senza  scopo.  Ogni  .usa  che  egli  facesse  era  medi- 

i    i  agionata,  ordinata  a  qualche  fine 
questo  non  era  apparente, 

Mini.,  qualche  tempo;  poi  Nikola  mi  ringra- 
ziò  di    uiiiiVi.   per   essere   ambili-   a    visitarlo, 
tacque  ancoi  a  per  quali  he  minuto,  riman 

rto  chi    '  ominciai  a  dubitare  ch'egli  avessi 
a  aia   la  mia   presenza.  La  situazione  era  ab- 
bastanza strana   Finalmente,  pei  richiamare  la 
attenzione,  non  sapendo  che  dire,  osservai  che  per 
una  settimana  non  ci  eravamo  veduti. 

—  Sono  stato  fuori,  -     rispose    Nikola,  come  fa- 
cendo uno  sforzo  per  tornare  nella  vita   reale.  — 
Vffaxi  Importantissimi  mi  hanno  chiamato  nel 
zogiorno  d'Italia,  e  i lisamente  a  Napoli,  • 

Itanto   quesi  i    mattina, 
Vncora  una  volta  si  chiuse  nel  silenzio.  Poi, 
iinio-i  verso  un',  e  parlando  in  modo  ini 
n.iiiir  come  non  aveva  mai  fatto  ancora,  prosegui: 

—  Hatteras,   voglio   anzitutto   rivolgervi    una 
manda,  e  poi,  col  vostro  permesso,  intenderei  I 

1111     line. ,nlo. 

Mi  limitai  ad  inchinarmi,  non  sapendo  che  ; 
e    non    volendo    compromettermi,    perchè   andavo 
sempre  più  confermandomi  nella  nila  convinzi 
che  Nikola   intendeva  valersi  per  qualche  suo  sco- 

i  .    del  mio  sussidio. 
Nikola  riprese: 

—  Ecco   la   domanda.    Avete   mai    pi 

io  sia  l'uomo  che  sono,  che  cosa  abbia  fatto  di  me 
i  uomo  che  som.  f 

i  osi  dicendo.  Nikola  mi   fissava  in  volto.  Parlava 
con  una  gravità  straordinaria,  lo  risposi  che  - 
so   mi   ero  fatto   io  stesso  quelle   domande,   ina.  co- 
m'era   naturale,    non    avevo    saputo    rispoil.l 

—  Un  giorno  o  l'altro  —  riprese  Nikola  —  co 
scerete  la  storia   della  mia   vita,   ma  non   ora 
molto  da   fare  prima.  Ed  ora   vi   farò   il   raci 

che  v'ho   promesso.    Quando   avrò   Anito,    capirete 
perchè  io  ve  lo  faccio. 

Si  alzò  e  prese  a  passeggiare  su  e  giù  per  la 
stanza  nervosissimo,  agitato  come  non  l'avevo  mal 
visto  in  vita  mia.  Quando  si  fermò  in  faccia  a  me, 

il  suo  volto   aveva  un  aspetto  ancora  più   stri 

dell'ordinario. 

—  Hatteras,  —  disse  infine,  allorché  ebbe  domi- 
nato alquanto  la  sua  emozione.  —  io  credo  che  in 
questo  inondo  non  ci  sia  stato  mai  un  uomo  che 
abbia  sofferto  quanto  ho  sofferto  io.  La  storia  com- 
pleta della  mia  vita,  come  vi  ho  detto  or  ora. 
posso  dirvela  adesso.  E'  troppo  presto.  Ma  un  gior- 
no o  l'altro  verrà  l'opportunità,  e  allora  voi  sa- 
prete    ogni   cosa.    Ma    frattanto.... 

Tacque  qualche  minuto,  e  poi  risolutamente  pre- 
se a  parlare. 

(Continua). 


^  di    cà>  » 


Sg^r- 


Ammo-II 


•N  vm  7 


•La  Lettura- 


LVGLIO 


RIV15TA-ALN5ILE- 
DEL-fORRILRE/ 
^DELlA^ERA" 


902' 


iiA  miA  officina 


on  ricordo  quale  scrittore  abbia  chiamato 
la  sua  stanza  da  lavoro  «  il  pensatoio  » 
e  detto  che  la  considerava  come  il  suo 
«  secondo  erario  ».  Il  mio  secondo  cranio  vale  an- 
che meno  del  primo;  ma  è  più  curioso.  Per  que- 
sto m'arrischio  a  descriverlo.  Un  signore  di  buon 
gusto  e  amante  del  lusso  sorriderebbe  di  pietà  al 
vedere  questa  stanza  tappezzata  di  rosso  di  fragola, 
dove  non  è  un  solo  mobile  artistico,  dove  gli  scaf- 
fali son  formati  di  assi  nude  e  bianche,  non  inver- 
niciate che  per  di  fuori,  dove  ce  un  tavolino  da 
scrivere  che  parrebbe  appena  decoroso  a  un  impie- 
gato di  dogana,  e  non  centocinquanta  dei  quattro- 
mila vilumi  che  vi  si  ammontano  hanno  una  lega- 
tura che  sia  restata  più  di  venti  soldi.  Ma  la  stanza 
è  ampia  e  alta,  e  illuminata  da  due  grandi  finestre 
che  s'aprono  sur  una  vasta  piazza  tutta  verde  d'a- 
cacie, e  guardano  le  Alpi  Cozie.  dominate  dalla 
piramide  azzurra  del  Monviso;  e  i  quattromila  vo- 
lumi, distribuiti  per  ordine  di  colori,  non  di  mate- 
rie, formano  sulle  pareti  delle  grandi  strisce  ver- 
miglie, bianche,  gialle,  verdi,  rosate,  che  rallegrano 
gli  occhi  come  tante  ghirlande  di  fiori,  e  centinaia 
di  ritratti  fotografici,  ficcati  nelle  cornici  dei  qua- 
dri, messi  in  fila  sugli  scaffali,  raggruppati  a  cer- 
chi e  a  ventagli,  mettono  in  ogni  parte  come  un 
sorriso  di  vita  ;  per  modo  che  a  chi  vieti  qua  per 
la  prima  volta,  par  d'entrare  in  un  teatro  affollato 
di  spettatori  minuscoli,  ed  io  pure,  in  qualche  mo- 
la Lettura. 


mento,  quando  rileggo  qualche  cosa  mia  ad  alta 
voce,  ho  l'illusione  di  fare  una  lettura  pubblica.  E' 
uno  studio  che  parrebbe  povero  a  un  ricco .  di- 
sarmonico a  un  artista,  puerile  a  un  uomo  grave, 
<  isordinato  a  un  uomo  di  sesto.  Io  mi  ci  trovo  bene, 
come  certi  matti  nel  vestito  informe  e  stracciato 
che  si  son  fatti  da  se,  con  ritagli  di  panno  d'ogni 
tinta  e  pezzi  di  nastri  e  gingilli  raccattati  qua  e  là  ; 
dei  quali  i  sani  ridono,  e  a  loro  paion  manti  reali. 


Ma  non  si  creda  che  sia  uno  studio  tanto  povero. 
Posseggo  io  pure  dei  quadri.  E'  vero  che  son  quasi 
tutti  quadri  fatti  con  la  macchina.  Quanto  al  di- 
sordine, è  grande,  non  lo  nego;  non  perchè  non  ci 
sia  simmetria  nella  disposizione  delle  cose,  ma  per- 
one >e  assieme  le  cose  più  dispartite.  Fi- 
guratevi, per  esempio,  un  enorme  panorama  di  Co- 
stantinopoli, ohe  comperai  da  un  fotografo  di  Pe- 
ra, con  un  sacrifizio  di  borsa  eroico,  e  che  va  da 
da  un  lato  all'altro  d'una  larga  parete;  e  sopra 
questo  un  grande  ritratto  a  stampa  di  Alessandro 
Manzoni,  regalatomi  trent'anni  fa  da  un  ufficiale 
del  n  he  l'aveva  ereditato  da  uno 
zio  prete;  e  a  destra  del  Manzoni  il  capo  calvo  di 
I  nullo  Castelar,  che  par  che  arringhi  le  Cortes,  e 
a  sinistra  una  bellissima  sposa  'li  quindici  anni  — 
mia  madre  —  col  libre)  da  messa   in   mano,   dise- 

37 


">7S 


LA    l.l  TI  I  k\ 


.1  da  1 1 1 i 1 1  | '.l' Ire.  nel    18        con  una 
finezza  e  un  innamorata  Questa 

;  perla  della  n  a,  che  non  darvi  per  una 

\!  Raffaelli  ■.  Ma  ri  hi  >  delle  o  »   pri 

anche  sotto  il  Como  d'oro:   le  I  dei  primi 

quadretti  ispirati  a  giovani   pittori  dal  mio  primo 
l  >    madre   del   soldato,    I  ita 
marcia  notturna,  e  uh  acquarello  fatto  dal  p 
Bi  ve  sul  Sirio,  quando  ritornò  con  me  dall'Argen- 
tina;   il   quale  ra]  i    un   ghiacciaio   innomi- 
'    i  -ì.  «M,  a  cui   il  mio  compianti) 
ni  suo  viaggio  d'esplorazione,  avendi 
smarriti  la  memoria  di   tutti   i 
nomi,  fuori  che  del  mi<>,  :  lispa  izione 
l'unico  nome  che  si  ricordava  Ma  vi  dico:  un  di- 
rli !  \      accanto  al              li  ■..  in  un  quadretti . 
un  brano  della   tunica   di    Frani.           P  Marca   (au- 
tentico, badate),  o                di  bollo  e  di  firma  del 
I  eoni  :     il    quale    attcsta    d'averlo  tolto   egli 
alla   comba   d'Arquà,   quattro   anni    prima 
ch'io  nasi               i  è  tanto  piccolo  che  una  petrar- 
chista innamorata  ci   pi                 i  saie  a  mala  pena 
la  ininta  d'un  bacio.  E  non  è  questa  la  parete  più 
variamenl                         quella  del  lato  opposto,  do- 
vi    Pai  lo  Di  n  ul  di  ,  gii  vane  tenente  dei  Cacciatori, 
quel  suo  viso  dolce  e  sereno,  a  cui  non  rassomi- 
glia neanche  alla   lontana  la  sua  nuova   faccia  di 
nazionalista  insatanassato,  ha  da  una  parte  un  el- 
metti                                idina   olandese,    dall'altra    un 
rto  di  penne  di  pappagallo,  che  appartenne  a  un 
i  di  tribù  del  rio  delle  Amazzoni,  e  sotto  ai  piedi 
una  bizzarra  miscela  di  fotografie  di  tortros.  di  con- 
tadini   andalusi,    ili    pescatori    della    Neerlandia,   e 
di  pastori  della   Patagonia,  in  mezzo  ai  quali  bril- 
lano gli   occhiali   d'oro  e  nereggia   la  dotta  barba 
del   professore  Spegazzini   di  Buenos  Aires.  Caro  e 
bravo   amico,  che  con    la   sua   meravigliosa   parola 
mi  dava   lille                sser  vissuto  degli  anni  con 
agl'indigeni  delle  terre  più  remote  del 
Sud-America,  e  ogni  volta  che  lo  lasciavo,   mi   pa- 
nni  da   un  sogno!   Sono  un  regalo 
suo  tutte  quelle  strane  faccie  patagoniche,  di  sesso 
e  d'età  irriconoscibili,  ma  spiranti  dai  piccoli  occhi 
neri  ima  mitezza  d'animo  che  tanto  più  intenerisce, 
i     brilla   in  ogni   gruppo   la   baionetta   inastata 
d'un.'                                              E  chi    sa    perche   si    tro- 
ttisi con  quella  gente  il  maresciallo  Serra- 
no e  don  Carlos,  la  crinoline  gigantesca  della  re- 
gina Isabella  e  la  faccia  di  luna  malinconica  della 
d'Olanda,  e  proprio  fra  le  due  regine 
il  viso  cadaverico  del  povero  Stefano  Merlatti,  pre- 
•  1  quarantesimo  giorno  della  sua   famosa    lame 
al  Grand-Hotel  di  Parigi?  Mi  diedi    egli  stesso  il 
suo  ritratto  quando  passò  da   Torino  per  andar  a 
n  la  pittura  la   fortuna  che  non 
Fi     eia  col  digiuno.   Ed  è  un  re- 
galo di  Sai             farina    il  Milleottocento  <•  sette, 
''nio  da  un  altro  artista  ali  manti  i 
del  digiunatore,  —  il  Meissonnier  — 
per   il    quale   ebbi    un    tempo   una    passione   matta  ; 
ma.  intendiami                 il  quadri  che  fu 
pagato  trecentomila  lire,  e  che  né  Salvatore  né  io  a- 
vremmo  potuto  comprare,  a  quei   giorni,   nemmeno 


col   ribasso  di  tre  zeri.   E  a  lato  ai  superbi  coraz- 
della  Guardia  .  vedete  che 

sono  schierati  i  miei  undici  figliuoli  del  Cuore,  trat- 
ti in  i  da  quelli  in  bronzo  di  Ettore  X 
neSj    i  quali  sono  in  un'altra  stati/, i.  che  si  chiama 
sala  così   pi  r  dire,  perchè  dopo  che 
nella  mia  casa  la  svendili,  non  vi  i 
■sso. 


un  alio  fra  le  due 

nell'ombra  il  busto  bianco  del  pittore  Junck,  il  mio 
buon  no  di   viaggio   in   Oriente,   morto  d'eri- 

uni.  prima  che  s'aprisse  al  sole  della 
gloria  il  fiore  del  suo  bellissimo  ingegno.  Pare  che 
egli  torca  lo  sguardo  dal  tavolino  do\  .  co- 

me se  la  mia  vista  gli  ridestasse  un  amaro  rimpian- 
to della  vita,  e  che  lo  fissi  con  curiosità  d'artista 
si  pra  le  tre  armi  esotiche  che  pendono  dalla  parete 
di  rimpetto.  Una  ben  povera  armeria;  ma  che  non 
baratterei  con  tutto  l'arsenale  di  Tartarin.    No,  di 

.  perchè  quella  rozza  tiavaja  da 
bivi  riporta  il  mio  pensiero  nella  stradicciuola  di 
Siviglia  dove  la  comprai,  accanto  alla  supposta  bot- 
tega antica  di  Figaro,  e  quel  pugnale  da  Otello  è 
un  ricordo  del  maestoso  generale  in  turbante.  Ha- 
med  Ben  Kasen  Buhamei.  che  accompagnò  la  ca- 
rovana dell'ambasciatore  d'Italia  da  Tangeri  a  Fez, 
(un  generale  dotto,  che  sapeva  leggere  e  scrivere)  e 
quella  sinistra  sciabola  falcata,  che  forse  stillò  di 
sangue  italiano,  fu  raccolta  sul  campo  di  Do- 
gali .  ed  è  un  dono  del  valoroso  maggiore  Ste- 
fano Hidalgo,  difensore  di  Kassala .  mio  com- 
pagno di  collegio  al  tempo  di  Torino  capitale. 
Non  ri  par  messo  apposta  per  fare  un'antitesi, 
sotto  quegli  strumenti  di  morte,  il  medaglione  in 
bronzo  del  pacifico  Luigi  Filippo?  Non  perchè  sia 
il  ritratto  di  re  Chiappini  ì  sì  in  mostra, 

lo  potete  credere  ;    ma   |  un   presente  d'un 

mio  vecchio  amico  parigino  di  trentanni  fa.  al 
quale  è  dedicato  il  mio  libro  sull'Olanda  dove  an- 
dai per  ispirazione  sua.  Caro  e  buon  Grolier,  così 
caldo  amico  dell'Italia  e  così  eroicamente 
a  imparar  l'italiano,  di  cui  non  riuscì  mai  a  pr<  - 
iiiinciare   una    parola    ci,  -i    alla    prima  ! 

anche  il  suo  e  uno  dei  tanti  ritratti  che,  nei  giorni 
neri,  quando  giro  per  la  stanza  riandando  il  pas- 
sato, mi  fanno  l'effetto  delle  fotografie  esposte  sui 
sepolcri  Quanti  sono  già  scomparsi,  di  questi  che 
vili.,  tutto  il  giorno  in  immagine,  nei  pochi  anni  da 
che  ho  trasportato  fra  queste  pareti  la  mia  officina! 
Quando  1  i,  mi  par  d'aggirarmi  in 

un  cimitero.   Il  Licata,  il  Bianchi,  il  Cerchi,  as 
sinati  in  Africa;   il  Bersezio,  il  Carrera,  il 
Leopoldo  Mai  •      lina,   mi  i  :  . 

niti  ire   del    lì, 'Iter   Antonio,   f\v   mi   mandò    il 

ritratto    negli    ultimi     si  mi;     morto     il 

prode  De  Amezaga ,    che  scrisse  sulla  sua 

fìa  :    il  vostro  marinaio,   invece  ili   sa  il 

poiché  aveva  avuto  la  bontà  d'in- 

larmi   la   terminologia    marinaresca  che  m'a 

reva   per  scrivere  il   libro  Sull'Oceano;    morti   Pie- 


LA    MIA    '  •!  FU  IN  \ 


tro  Cossa,  Ernesto  Russi.  Alberto  Arnulfi,  e  lo  scul- 
tore Costa,  e  il  buon  Cristoforo  Negri,  e  il  suo  po- 
vero figliuolo,  che  prese  il  padre,  così  come  si  vede, 
con  ['istantanea,  nell'atto  che  egli  riceve  l' illustre 
Kossuth  nella  stazione  della  funicolare  di  Superga, 
per  condurlo  a  desinare  alla  sua  villa.  E  altri  cin- 
que morti  sopra  l'ultimo  ritratto  di  mia  madre: 
Victor  Hugo.  Emilio  Augier,  il  Dumas  figlio.  Al- 
fonsi Daudet  e  Edmondo  Cottine*,  l'autore  del 
f 'ercingetorix,  una  bella  testa  d'Enrico  IV,  un  in- 
namorato della  mia  patria,  un  uomo  d'oro,  che  sa- 
rebbe riuscito  un  grande  scrittore  se,  come  diceva 
il  suo  amico  Dumas,  non  avesse  passato  la  vita  a 
levarsi  alle  undici.  Unico  vivente,  accanto  a  questi, 
Emilio  Zola,  con  quella  faccia  acre  di  malato  di 
fegato  ;  sulla  quale,  però,  io  rivedo  sempre  il  buon 
sorriso  del  suo  ultimo  saluto. 

L'ultimo  illustre  morto,  in  disparte,  è  Giuseppe 
Verdi,  che  scrisse  sotto  la  propria  immagine:  San- 
ti'Agata,  -?5  agosto,  i8~8  ;  che  vuol  dire  trentasei 
anni  dopo  il  Nabucco  e  otto  anni  prima  dell'Otello. 
E  l'ultimo  illustre  vivente  della  collezione  è  Gabriele 
D'Annunzio,  che  scrisse  sopra  il  proprio  capo,  con 
poetica  gentilezza:  —  ...malinconicamente,  in  me- 
moria d'un  radioso  incontro:  —  un  incontro  di  di- 
ciannov  anni  fa.  nel  quale,  ahimè  !  il  solo  veramen- 
te radioso  era  lui.  che  aveva  vent'anni  nel  cuore,  e 
l'amore  negli  occhi,  e  sulla  fronte  la  gloria. 


Il  mio  banco  di  fabbro  di  periodi  è  in  un  pic- 
colo vano,  che  forma  nella  grande  stanza  una  spe- 
cie d'alcova,  nella  quale  ho  raccolto  una  gran  parte 
delle  mie  cose  più  care.  Alzando  gli  occhi  dal  ta- 
volino, mi  vedo  di  fronte,  sopra  uno  scaffale,  una 
angelica  testina  di  monaca,  a  cui  Davide  Calandra, 
non  so  come,  ha  messo  negli  occhi  di  bronzo  due 
lacrime,  che  non  cadono  mai.  Volete  credere  che 
quello  sguardo  puro  e  pieno  di  tristezza  mi  fece 
qualche  volta  cancellare  sulla  carta  una  licenza  vol- 
gare della  penna  ?  E  ho  alla  destra  un'altra  povera 
ragazza,  formata  in  creta  da  Pietro  Costa,  una  gra- 
ziosa monella  coi  capelli  negli  occhi  e  col  capo  rav- 
volto in  un  fazzolettaccio  da  venti  centesimi,  an- 
nodato a  casaccio  sotto  la  bazzina  impertinente,  che 
par  che  sorrida  con  malizia  quando  mi  volto  per 
buttare  una  lettera  importuna,  o  dei  versi  che  so- 
migliano ai  miei,  nel  cestino  che  ella  avrebbe  ai 
suoi  piedi,  se  avesse  dei  piedi.  Anche  in  quest'an- 
golo ci  ho  il  mio  amato  Casimiro  Teja,  che  ricor- 
derei pure  ogni  giorno  se  anche  non  avessi  in  ogni 
stanza  della  casa  qualche  cosa  di  suo  :  una  pagina 
del  suo  Pasquino,  rifatta  da  lui  in  acquarello,  in 
foinia  d'una  carta  da  gioco,  che  rappresenta  il  suo 
vecchio  amico,  re  di  cuori,  con  la  corona  e  l'ermel- 
lino, e  con  la  persona  mezzo  nascosta  da  tanti  sco- 
laretti piccolissimi,  che  gli  s'arrampicano  su  per  i 
panni  fino  alle  spalle,  pare,  per  baciarlo  in  viso: 
una  di  quelle  fantasie  argute  e  gentili,  in  cui  si  pa- 
lesava intera  la  bell'anima  sua.  Ma  qui  i  ricordi 
preziosi  s'ammucchiano.    Il    mio   modestissimo    ta- 


57'  i 

volino  è  un  piccolo  museo.  Per  esempio,  non  ven- 
derei a  peso  d'oro  questo  pezzo  di  cristallo  di  rocca, 
che  mi  sene  da  calcafogli;  perchè,  figuratevi!  fu 
trovato  nelle  viscere  del  San  Gottardo,  e  me  lo  re- 
galò un  ingegnere  svizzero,  impiegato  ai  lavori  del 
traforo,  in  ricompensa  del  diritto  di  traduzione  in 
francese  di  non  so  quale  mio  racconto:  qual  altro 
scrittore  si  può  vantare  d  aver  ricavato  dalla  sua 
prosa  un  frutto  di  tal  natura5  E  quest'altri'  .idea- 
fogli  è  un  pezzo  di  tronco  d'albero  pietrificato  della 
foresta  di  Menti,  che  mi  portò  dalle  rive  del  Nilo 
una  maestra  delle  scuole  elementari:  esso  rappre- 
senta presso  a  poco  tutta  la  mia  scienza  egizia  ;  ma 
serve  a  far  supporre  a  qualche  visitatore  immagi- 
noso e  benevolo  ch'io  ne  sappia  molto  di  più:  il 
caso  s'è  già  dato,  tutto  giova.  Non  ho  altra  ricchez- 
za che  di  calcafogli.  Ce  n'ho  un  terzo.  Qui  ti  non  è 
che  un  pezzo  informe  di  legno;  ma  ci  è  legato  un 
ricordo,  che  mi  fa  ancora  sorridere,  dopo  trent'anni. 
E'  un  frammento  del  palco  antico  della  moschea 
di  Cordova,  avuto  in  dono  da  un  caro  giovine  cor- 
dovese,  il  quale,  quando  visitai  la  sua  bella  città 
bianca,  facendomi  da  Cicerone  per  le  vie,  mi  fece 
ripassare  non  so  quante  volte,  con  l'ingenua  illu- 
sione che  non  me  n'accorgessi,  davanti  alla  finestra 
a  terreno  della  sua  innamorata,  a  cui  dedicava  i 
versi  amorosi  di  poeti  spagnuoli,  che  diceva  a  me 
ad  alta  voce,  col  pretesto  di  farmi  conoscere  i  più 
bei  fiori  della  lirica  nazionale.  Una  bella  figura 
da  far  fare  a  un  fratello  latino,  non  è  vero?  Ma 
me  la  fece  fare  con  tanto  buon  garbo  !  E  perchè 
non  dovrei  annoverare  fra  le  mie  piccole  perle  an- 
che questa  scatoletta  d'acciaio  da  fiammiferi,  della 
forma  d'una  granata  d'artiglieria,  che  tengo  da  sei 
lustri  accanto  al  mio  calamaio?  E'  una  cosa  da 
nulla,  ma  che  mi  è  carissima.  Apparteneva  a  un  uf- 
ficiale russo,  il  quale,  in  un  carrozzone  di  strada 
ferrata,  in  Baviera,  avendo  udito  rammentare  il 
mio  povero  nome  da  due  italiani  che  ritornavano 
in  patria,  rivolse  loro  la  parola,  e.  inteso  che  sa- 
rebbero passati  per  Torino,  cavò  di  tasca  la  scato- 
letta e  li  pregò  di  portarmela,  come  un  pegno  di 
simpatia.  È'  gentile,  non  è  vero  ?  E  non  conosco  del 
donatore  neanche  il  nome.  Ma  m'è  più  caro  il  ri- 
cordo per  questo. 


Ma  la  biblioteca?  —  domanderà  qualche  biblio- 
filo. —  O  Dio  buono  1  Non  è  quella  del  Carducci, 
lo  potete  immaginare.  E'  una  biblioteca  senza  capo 
né  coda,  con  un  monte  di  cartaccia  superflua  e 
cento  lacune  vergognose,  nella  quale  non  ve  di  ve- 
ramente notevole  che  una  splendida  edizione  com- 
pleta delle  oliere  del  Voltaire,  del  1784.  in  settanta 
volumi  ;  l'unico  tesoro  scampato  alla  vendita  for- 
zata che  si  fece  della  libreria  paterna,  dopo  la  mor- 
te del  mio  buon  padre,  che  lasciava  la  famiglia 
nelle  angustie.  Avendo  io  avuto  il  ticchio  di  rag- 
gnippare i  libri  in  ragione  dei  colori,  n'è  riuscito 
un  arruffio  di  rigatteria,  in  cui  non  si  raccapezze- 
rebbe in  un  mese  il  più  paziente  bibliotecario  d'I- 
talia. 


I    \     U    I  > 


V  lenti,  mi  (|uali  si 

famiglia. 
I  nel    significato  poli- 

dove   sono  raccolti  tutti   i 
e  gì  trattano  della  qnistione  sociale, 

nielli    dei   socialisti  cristiani    più    Lattiginosi   a 
quelli   ilei   più   violenti   anarchici    amarrasti,   dalla 

no    lino   ai 
più  paganda  popoli 

una  catasta  ili  mati  ndiaria,  la  quale  dareb- 

be d;  uattr'i  ne  a  un  deli . 

di  polizia  che  mi  ,    rquisizione.  E' 

uno  scompartimenti  .  al  (piale  certi  miei  a- 

miei.  i  ne.  scansano  di  sedersi  da  pres- 

sili tanto  una  guardai. 
L'altra  la  biblioteca  americana,  tutta  composta 
di  libri  che  si  rìferìsconi  ali  Argentina  e  all'Uru- 
guay, di  descrizioni  di  viaggiatori,  d'opere  geogra- 
e  Storiche,  di  codici  e  di  statistiche,  e  di  me- 
mori' ritte  sulle  colonie,  e  di  prosatori  e  di 
del  Piata,  a  cui  non  rivolgo  mai  lo  sguardo 
senza  un  sentimento  di  tristezza  e  di  rimorso,  per- 
chè mi  rammentano  un  caro  sogno  svanito  e  una 
promessa  che  non  mantenni.  Eppure  un  rimorso 
non  dovrebb'es  he  è  \uì  atto  d'uomo  one- 
sto, insomma,  il  desistere,  dopo  lunghi  studi  e  ri- 
nunciando a  molto  vile  metallo,  dal  proposito  di 
scrivere  un  libro,  il  quale  non  sarebbe  riuscito  ne 
originale  né  utile  per  insufficienza  d'osservazioni 
personali  e  dirette,  ma  un  libro  fatto  in  libri,  fa- 
ticoso e  non  sincero,  e  quindi  indegno  dell'argo- 
mento coni  pi  t  -  ino.  che  in  tre  mesi  di 
soggiorno  in  quei  paesi,  distratto  da  mille  cure  di- 
.  non  avevo  avuto  il  tempo,  non  dico  di  stu- 
diare a  fondi  .  imi  manche  di  osservar  seriamente. 
Ma  su  quella  biblioteca  abbandonata,  che  s'alza 
proprio  in  faccia  al  mio  tavolo,  vedo  ancora  con  la 
fantasia,  come  in  un  quadro  cangiante,  disegnarsi 
dell'Oceano  e  l'orizzonte  verde 
della  Pampa,  e  passar  turbinando  branchi  di  gau- 
chrs  e  mandre  di  cavalli  selvatici,  e  sorgere  e  spa- 
rire le  foreste  di  Tucuman  e  le  cime  delle  Ande,  e 
balenare  il  grande  teatro  Colon  affollato,  che  mi 
guarda  con  migliaia  d'occhi,  e  mi  ripercote  il  suo- 
no della  mia  voce  tremante. 

Ed  ecco  la  terza  biblioteca,  di  più  che  trecento 
volumi,  della  parte  dei  quali  non  capisco 

un'acca  :  per  mia  fortuna,  perchè  so  da  buone  fonti 
che.  se  li  potessi  leggere,  ci  troverei  troppi  strafal- 
intrecciati  coi  miei.  E'  la  biblioteca  delle  tra- 
duzioni,  dove  spiccano  i  volumi  stupendi  dei   fra- 
telli  l'umani  di  Nuova  York,  e  venticinque  C 
fra  cui  uno  russo,  uno  greco  e  uno  arabo,  con  la 
parola    italiana    trasformata    nei    suoni    più 
titoli    più    diversi:    SstV,    Set 

Chlopca  .    longensleven  .   Kamrater   cu 

il    rri  Sicd  ;    illustrati    da 

ogni  legni   bizzarri,   nei   quali  i   soldati 

italiani   dell'originale  a|  con    le   uniformi    di 

tutti  gli  i  a.  e  le  case  di  Torino  rico- 

struite con  le  architetture  più  fantastiche;   ciò 

non   'li  meno,   appetto  agli   strazi 
il   .    trasfora 


sirav  uni  anch'  ,   un'impu- 

denza 'he  giunse  fino  ad  intercalarvi  delle  frasi  in- 
giuriose per  l'Italia.  Di  questi  facinorosi  li"  strap- 

ne  dal  largo  ventaglio  delle 
traduttori  che  si  spiega  sulla  parete  dietro  al  mio  ca- 
po:    una  mostra  di  visi  di  tutti  i  paesi,  che  dà  la 
immagine  d'un  congresso  letterario  intemazionale: 
teste   biondissime  di    miss,   capigliature  corvini 
accie  baffute  e   fiere  d'  ufficiali  tei 
nici.  chi  slavi,  argute  bocche  trainisi,  capi 

canuti  d'oscuri   operai  della   penna,  che  non   vidi  e 
non  vedrò  mai,  ma  che  son  per  me  come  vecchi  a- 
mici  che  abbi  un.  lavorato  lungo  tempo  accaiv 
me,   al  lume  della  mia  lampada,   palpitando  delle 
mie  commozioni  e  delle  mie  sperai 

E  no  tra  i   libri,  eccone  ali  tini,  in  uno 

scaffalino  appartato,  che  mi  sono  cari  in  particular 
modo  per  le  poche  parole  che  vi  scrisse  su  la  mano 
dell'autore.  Sul  libretto  intomo  all'Unità  della  lin- 
gua è  scritto  di  pugno  di  Alessandro  Manzoni:  — 
macte  virtute.  Ah.  disgraziato  pucr,  come  rispon- 
desti all'esortazione?  Ci  ho  una  copia  della  prima 
edizione  della  l 'ita  militare,  dove  il  poeta  Zanella 
segnò  con  la  matita  sui  margini  le  proprie  impres- 
sioni: fu  un  giorno  di  festa,  mi  ricordo,  quello  in 
cui  ebbi  quel  libro.  Ed  ecco  il  Teatro  di  Emilio 
\n_ ier,  -oi  cari  caratteri  di  quella  penna  che  la 
e  doveva  spezzare  tra  poco,  e  i  C/iants  du  sol- 
dat  del  suo  bollente  nipote,  con  quel  raspaticelo  di 
gallina  che  faceva  indispettire  lo  zio,  e  l'ultimo  ro- 
manzo del  buon  Daudet,  in  cui  la  scrittura  mutata 
della  dedica  affettuosa  mi  fece  presentir  vicina  la 
sua  fine.  Xel  libro  Les  femmes  qui  lucri/  c'è  una 
penna  d'oca  che  Alessandro  Dumas  figlio  lasciò 
sbadatamente  fra  le  pagine,  dopo  aver  scritto  sulla 
prima  una  parola  gentile.  Su  quest'altro,  il  primo 
volume  dei  discursos,  Emilio  Castelar  scrisse  il  suo 
saluto,  me  presente,  in  una  bottega  di  libraio  della 
Pucrta  del  Sol  di  Madrid.  E  sarebbe  il  più  prezio- 
si tutti  quest'ultimo:  il  registro  in  cui  Silvio 
Pellico  notò  per  cinque  anni  le  spese  di  cucina  della 
Barolo,  se  non  conservassi  ancora  il  Donato 
e  altri  libri  di  scuola,  postillati  e  legati  da  mio  pa- 
dre, il  quale  ristudiò  il  latino  per  insegnarmelo. 
Povero  maestro  venerato,  come  sciupasti  le  tue  fa- 
'.  Ed  è  opera  sua  il  ritrattino  a  matita  lì  ac- 
canto, ch'egli  mi  fece  piangendo,  quand'ero  bam- 
bino, malato  di  crup  e  dato  perso  dai  medici,  per- 
chè del  suo  ultimo  figliuolo  gli  rimanesse  in 
almeno  1  effigie. 


I   piani  più  bassi  degli  scaffali,  tutt'intomo  alla 
stanza,  sono  magazzini  di  cose  morte,   dai  quali,  a 
metterci  appena  la  mano,  escono  dei  nuvoli  di  pol- 
e  di  tiisiezza;   ma  che  da  anni  non  ureo  più, 
per  un  certo  senso  di  n  a,  come  quello  che 

mi  tratterrebbe  dallo  scoperchiar  dell' 
le  raccolte  dei  giornali  da  cui  ebbi  le  prime  gioie  e 
le  prime  amari  zze  di  scrittore,   i   manoscritti   ingial- 
liti dei  miei  libri  stampati,  e  di  quelli  morti  prima 
di  ii  ->i  di  le'tere  d'ami  -  iuti, 


LA    MIA    OFFICINA 


58i 


ricevute  nello  spazio  di  trentanni,  e  ogni  specie  di 
avanzi  del  passato,  dal  mio  brevetto  di  sottotenente 
di  fanteria  alla  nota  dei  piatti  del  primo  pranzo 
d onore  scroccato  a  dodici  amici,  dai  grandi  an- 
nunzi illustrati  della  Plaza  de  toros  alle  gazzette 
turche  comprate  per  curiosità  tipografica  nelle  stra- 
de di  Stambul.  Credo  che  ci  siano  anche  dei  fiori 
secchi,  dei  giuramenti  traditi  e  dei  tentativi  di  com- 
media. Certo  vi  sono  molte  cose  che  un  tempo  tenni 
per  tesori,  i  quali  mi  proponevo  di  conservare  reli- 
giosamente fino  alla  morte,  e  che  ora  venderei  a 
peso  a  un  rigattiere,  se  non  ci  fosse  scritto  il  mio 
nome.  Quante  monete  della  vita  son  messe  fuor  di 
corso  dagli  anni  !  E  che  cos'è  quell'io,  che  noi  pro- 
nunciamo con  tanta  compiacenza,  e  con  l'illusione 
di  significare  qualche  cosa  di  ben  determinato  e  si- 
curo !  Da  qualcuno  di  quei  pacchi  di  giornali,  di 
cui  mi  rammenta  il  contenuto  il  posto  dove  li  misi. 
escono  delle  voci  laudative  che  mi  fecero  brillar  di 
gioia  e  d'orgoglio,  e  che  ora  mi  fanno  scrollar  le 
spalle,  con  un  senso  di  pietà  o  di  molestia  ;  delle 
voci  ingiuriose  di  critici,  che  odiai  come  anime  bas- 
se e  malvagie,  e  che  ora  m'ispirano  una  simpatia 
più  viva  di  quella  che  ho  serbata  per  i  lodatori  ; 
delle  voci  che  raccontano  feste  e  onoranze,  delle 
quali  ebbi  come  un'ebbrezza  celeste,  e  da  cui  ri- 
fugge ora  il  mio  pensiero,  con  un  sentimento  quasi 
di  dolore,  come  dal  ricordo  d'un  delirio  vergognoso, 
Quella  è  la  gran  fossa  del  mio  studio,  dove  seppel- 
lisco ogni  giorno  qualche  cosa,  divenuta  un  ingom- 
bro sugli  scaffali  e  nei  cassetti  ;  e  con  ciascuna  di 
quelle  cose,  senz'averne  coscienza,  seppellisco  alcun 
che  di  mio:  una  simpatia,  o  una  stima  perduta,  li- 
na illusione  che  s'è  spenta,  un  piacere  che  non  sen- 
to più,  un  proposito  a  cui  ho  rinunziato,  una  spe- 
ranza a  cui  son  cadute  le  ali.  Ed  è  anche  una  fossa 
di  libri,  perchè  segue  in  ogni  libreria  quel  che  nel 
mondo,  che  i  giovani  cacciano  i  vecchi  :  ogni  gior- 
no va  un  vecchio  a  dormir  là  sotto  per  far  posto  a 
un  nuovo  venuto  ;  e  quanti  ci  dormono  dimenti- 
cati, dai  quali  mi  pareva  che  non  avTei  potuto  mai 
separarmi  !  Di  tutta  questa  roba  si  farà  una  gran 
cremazione,  dopo  fatta  la  mia.  Raccomanderò  sol- 
tanto che  sia  salvata  una  gran  scatola  di  latta  . 
sporgente  framezzo  ai  pacchi,  dove  è  chiusa  una 
bellissima  bambola  vestita  di  seta  :  un  ricordo  po- 
stumo del  povero  Bonini.  il  noto  fabbricante  tori- 
nese, il  quale  volle  lasciarmi  un  segno  di  gratitu- 
dine per  il  Re  delle  bambole,  che  sori<si  in  onore 
della  sua  bottega. 


Ma  nelle  ore  d'ozio,  dai  libri,  che  sono  vita  al- 
trui, son  sempre  ricondotto  all'osservazione  dei  ri- 
tratti, che  sono  ricordi  visibili  della  mia  vita.  Non 
pochi  di  questi  ricordi,  però,  sono  così  velati  nella 
mia  mente,  che  duro  fatica  a  riconoscerli.  M'accade 
spesso  di  domandarmi,  guardando  un  ritratto:  — 
Chi  è  costui  ?  —  e  di  cercare  inutilmente  il  suo 
nome.  Son  persone  forse  ancora  vive  nel  mondo, 
ma  già  morte  nella  mia  memoria.  Eppure  mi  scris- 
sero, e  io  scrissi  a  loro,  e  per  un  tempo  le  ebbi  nel 


cuore,  e  non  so  più  chi  siano:  povera  mente  uma- 
na! Altri  son  ritratti  d'amici  antichi  che  io  perdetti 
gettandomi  per  una  nuova  via:  son  le  ferite  che  toc- 
cano all'anima  nella  battaglia  delle  idee.  La  mag- 
gior parte  rappresentano  giovinezze  trascorse  da 
molti  anni  :  vedo  delle  folte  chiome  brune  di  poeti 
e  di  pittori,  delle  quali  so  che  non  resta  più  che 
qualche  ciocca  biancheggiante,  dei  grand'occhi  vi- 
vaci, su  cui  la  mano  del  tempo  calò  a  mezzo  le  pal- 
pebre, dei  sorrisi  di  allegrezza  e  di  benevolenza  che 
il  soffio  della  sventura  spense,  come  si  spengono  i 
lumi  d'una  festa.  E  vedo  delle  signorine  che  ora 
son  nonne,  dei  sottotenenti  che  son  generali,  dei 
giovinetti,  di  cui  ricordo  le  lettere  fiammeggianti 
di  poesia  e  d'ambizione,  che  avevan  per  divisa:  La 
gloria  o  la  morie  — :  ora  segretari  comunali  o  im- 
piegati di  Ministero,  carichi  di  figliuoli  e  non  più 
ambiziosi  che  d'un  po'  di  nastro.  Ecco  un  gruppo 
di  signore  celebri  :  la  formosa  madama  Edmond 
Adam,  fulgida  e  bionda,  qual'era  ventitré  anni  fa. 
quando  sedeva  sul  trono  della  Nouvelle  Revue  e 
vagheggiava  la  conquista  della  Russia  ;  ecco  la  bella 
e  buona  Virginia  Marini  dei  bei  tempi  di  Messali- 
na e  del  Trionfo  d'amore  ;  ecco  la  maschia  Giusep- 
pina Zambelli.  la  prode  cantoniera  di  ferrovia,  ron 
la  medaglia  al  valore  che  le  mise  sul  petto,  come 
un  bacio  incancellabile  di  gratitudine,  la  Repubbli- 
ca Argentina,  sua  seconda  madre.  Scorro  una  schie- 
ra di  compagni  di  scuola,  di  maestri  di  villaggio, 
di  professori  d'Università,  che,  fra  tutti,  hanno 
laureato  un  esercito,  e  mi  trovo  davanti  a  due  vec- 
chi formidabili,  che  m'inchiodano  sempre  lì  ad  am- 
mirarli. Di  uno  mi  fu  domandato  una  volta:  —  Chi 
è  questo  spettro?  —  E'  Enrico  Ibsen  —  Dell'al- 
tro :  —  Chi  è  questo  mago  ?  —  E'  Roberto  Hamer- 
ling.  —  E  non  tralascio  mai  di  voltarne  i  ri- 
tratti per  vantarmi  d'averli  avuti  da  loro.  Voi  m'ac- 
cusereste d'irriverenza  vedendo  accanto  ai  due  gran- 
di poeti  una  famiglia  di  giocatori  di  pallone  in  ca- 
miciotto e  calze  bianche,  in  atteggiamento  ili  bat- 
tuta e  di  rimessa;  ma  che  volete,  se  non  saprei  dire 
\eramenti  i  maggiore  ilei  due  diletti,  o  quello 

che  mi  danno  le  volate  del  pallone,  o  quello  che  ho 
dalle  volate  del  genio  !  Più  in  là.  spiccano  la  testa 
d'apostolo  del  Prampolini.  la  testa  d'anacoreta  di 
Carlo  Piaggia  e  la  testa  di  leone  di  Giosuè  C  ir 
ducei,  che  ebbe  la  bontà  di  riconfermarmi  dietro  la 
sua  fotografia  il  grado  di  capitano  che  m'aveva 
dato  per  sbaglio  in  una  strofa  satirica,  in  grazia 
della  quale  vivrò  tra  i  posteri.  Poi  ve  una  serie  di 
amici  carissimi,  che  misi  insieme  di  proposito,  per- 
chè rappresentano  per  me  la  corona  di  commensali 
d'un  banchetto  ideale,  e  o  me  una  tastiera  di  in- 
gegni e  di  temperamenti  da  cui  vorrei  trarre  ogni 
giorno  l'armonia  ispiratrice  di  una  con  -,  O 

impareggiabili  amiri  !  Ecco  il  caro  faccione  di  Giu- 
seppe Giacosa.  il  dolce  sorriso  de]  Fogazzaro,  la  bella 
fronte  di  Anton  Giulio,  il  viso  aereo  del  licito,  e  il 
profilo  vigoroso  di  Giovanni  Verga,  e  la  barba  ar- 
guta di  Gerolamo  Rovetta,  e  i  tuoi  buoni  occhi  di 
fanciullo,  o  caro  scultore  della  Tuff  elina,  e  anche  la 
tua  gravità  benigna  e  distratta  di  ex-eccelltnza.  o 
mio  amato  nemico  politico.   Enrico  Panzacchi  ! 


582 


LA    1.1    II  i  R  \ 


na  ili  <■  galantuomini  «  i    ap 

alla   parete  un  grandi-  ritratto  d'un  mi- 

itadino   abruzzese,   '"I   cappellaccio   nero 

piantato  'li  si  i  largo  solino  della  camicia 

sulla    rozza    giac- 
i  :  una  b  ma  e  bruna,  illumin 

ila  'lui-  occhi  che  paion  due  stelle  nere,  alla  quale 
ila  ir  era  evidente  d'un  ari 

ggiato  da  maestro  la  fotografia,  E 
l'artista   tu   il  personaggio  medesimo,   un  «coi 
dino  »  di  genio,  il  grande  pitturi-  Paolo  Michetti, 
cent'anni  !  Egli  ha  alla  sua  destra 
un  ah ru  Paolo  illustri',  bruno  e  bello  come  lui,  un 
ritraiti  '-In-,  ventisette  anni  addietro,  rientrando  in 
con  una  granili-  tristezza  nel  cuore,  trovai  sul 
tavolino,  chiuso  in  una  ili  quelle  lettere  bene- 
che  sono  come  un  raggio  di  sole  a  traverso 
alle   prime   tempeste   della   vita  d'uno    scritture   e- 
ne  sono  grato  ancora ,    o  Paolo  Man- 
1       e  la   lettera  i  hi-  spontani   i  -  rissi 

a  te,  Giuseppe  Abba,  dopo  aver  letto  le  tue  impa- 
reggiabili Note  d'uno  dei  mille,  non  ti  fu  così  dolce 
come  a  un-  quel  la  dello  scrittore  a  cui  ti  misi  ac- 
canto, fruttò  non  di  meno  a  chi  la  scrisse  una  dol- 
cezza eguale,  quella  della  tua  desiderata  e  nobile 
Stanno  bene  a  fianco  del  garibaldino  del 
Sessanta  i  vecchi  garibaldini  della  legione  di  Mon- 
tevide  .  ai  quali  m'è  un  vanto  l'aver  stretta  la  mano 
dinanzi  alla  bandiera  gloriosa  di  Sant'Antonia... 
E  qui  proprio  gli  estremi  si  toccano.  Qui  la  parete 
m  coperta  di  ritratti  di  fanciulli,  che  vi  fanno 
come  uno  stellati'  fitto  d'occhi  ridenti  e  pensierosi, 
una  fioritura  lucente  di  riccioli,  di  ciuffetti,  di  trec- 
cie, una  gaiezza  bianca  di  grembiuli  e  di  calzine, 
donde  pare  che  m  diffonda  intorno  una  chiarezza 
mattinale:  fanciulli  scompagnati,  coppie  di  fra- 
telli e  di  sorelle,  gruppi  d'allievi  di  collegi,  schiere 
di  scolari  e  di  scolare  delle  nostre  colonie  del  Piata, 
e  sparsi  qua  e  là,  fra  quel  vivo  sangue  italiano,  dei 
visetti  d'una  bianchezza  di  latte,  coronati  di  car 
pelli  biondi  cinerei,  con  certi  occhi  chiarissimi  . 
miti,  in  cui  balena  l'anima  d'altre  razze,  e 
che  hanno  letto  il  mio  «  libro  per  i  ragazzi  »  in  lin- 
gue ch'io  non  comprendo.  Son  di  questo  piccolo 
popolo  i  più  lontani,  mimi  i  miei  piccoli  amici  d'A- 
merica quelli  coi  quali  mi  trattengo  più  spesso, 
dom  mi  che  cosa  sarà  avvenuto  dei  fanciulli 

che  ora  son   uomini,   delle  bimbe  che  sono  spose  e 
madri:    di  questa,   per  i  he  mi  recitò  nella 

scuola  /  fratelli  d'Italia,  e  di  quella  che  mi  lesse  il 
suo  com[  e  ruppe  in  pianto  intoppando  in 

una  frase  illeggibile,  e  di  tanti  altri  di  cui  ricordo 
la  va  pronunzia  ancora  dialettale 

che  diceva  l'abbaini'  no  recente  della  patria,  e  il  ge- 
rì -.  i    il  si  irrisi  ».  Quanti  avranno  già 

iti    saranno    già    partiti 

per  sempre  tinche  da  quella  seconda  patria?  Così 

mi    i  nche  la  vista  di 

quella   fanciulle//        oconda,  e  ni  n  li"  i  he 

sguardo   un    po'    più   oltre    perchè  la 

•iti    in   dolore  e   m  sgomento.    Non   sa- 

rebbe  che  un  dolore  la  vista  di  quel  bel  capitano  dei 

èva  il  i  ii'  i'-  d'un  angelo,  e  che  si 


-    |"  i    una    promoi aro    ta;    ma   l'imma- 
gine sua  mi  (a  pensare  a  quanti  altri,  che  ini   - 
ii"  in  'iti-'    dintomo,  dal  povero  Bellotti  al  pi 
Mìiller,    fecero   la    stessa    misera  line:    —   li   ri' 
a  uno  a  uno        li  numero  —  e  il  sangue  mi  si  ag- 
ecatombe  ! 


Tale  e  la  mia  officina,  quale  può  vederla  chi  che 
sia  con  gli  occhi  della  In. me.  Ma  io  ci  vedo  ben  al- 
ti» con  - 1 1  occhi  dello  spirito,  quando  ci  son 
e  non  lavoro.  Allora  in  ogni  angui'.,  davanti  a  ogni 
libreria,  nel  vano  d'ogni  finestra,  mi  si  al/a  da-. 
una  lana  umana,  la  stanza  s'affolla,  vi  risuonano 
cento  voci,  vi  si  levano  a  volo,  quasi  visibili,  come 

un    nuvolo   denso   di    rosi-   alate,    mille  Fa- 

cendo dei  nastri  interminabili   Ira  le  due  pareti  più 
lontane,  dico  tra  me:  —  Ecco,  qui  sedette,  l'ultima 
volta  che  lo  vidi.  Felice  Cavallotti,  e  sento  an 
la  sua  voce,  quando  disse  con  a.  profonda 

stanchezza,  passandosi  una  mano  sulla  fronte:  — 
Se  potessi  riposare  per  due  mesi  !  —  Là  Ti  mimaso 
Salvini  mi  parlò  lungamente,  ani  parole  .osi  af- 
fettuose e  gentili!  della  sua  povera  moglie  morta. 
Intorno  a  questa  tavola  rotonda  sedettero  le  tre 
guide  valdostane  della  spedi/ione  del  Duci  degli  A- 
bruzzi.  con  quei  faccioni  rosati  e  placidi,  che  pai 
ritornassero  da  una  scampagnata,  e  che  non  muta- 
vano espressione  neanche  nel  racconto  dei  pati- 
menti più  atroci  e  dei  rischi  più  terribili.  Qui  Re- 
nato Fucini,  una  sera,  recitò  una  sua  comicissima 
poesia  giovanile  sullo  schermitore  Milloski,  tutta 
rime  in  oschi  e  in  usciti,  che  fece  «  andare  a  tra- 
verso alle  seggiole  »,  una  decina  di  amici.  Ecco  il 
posto  dove  Francesco  Tamagno,  raccontando  i 
principi  della  sua  carriera,  cacciò  fuori  il  famoso 
sì  deW'aiì/iiia  è  di  Dio  del  Fottuto,  che  fece  tremar 
le  vetrate  e  accorrer  la  cuoca.  E  rivedo  la  bella 
testa  di  Renato  Imbriani  accennar  risolutamente 
di  no,  di  no,  che  l'idea  della  patria  non  può  mo- 
rire, Ermete  Novelli  che  mostra  in  che  maniera 
rebbe  ìecitare  il  canto  di  Ugolini,  imitando  l'at- 
teggiamento scontorto  del  dannato  fitto  nel  «hiac- 
cio,  e  Ermete  Zacconi  nell'atto  che  mi  annunzia, 
rotando  quei  grand'occhi  come  due  palle  di  vetro, 
un  lavoro  sconosciuto  del  Bovio,  ini 
ch'egli  è  deciso  a  cimentar  sulla  scena.  E  altri  mi 
siedono  at tomo,  passeggiano,  s'aggruppano,  viventi 
e  risuscitati,  oscuri  ed  illustri:  uno  dei  quali,  l'e- 
roico artigliere  Giovanni  Poggio,  che  perde  tutte 
e  due  le  braccia  all'assedio  di  Capua ,  cut 
sul  mio  tavolino,  scrive  il  suo  nome  sopra  un  foglio 
con  la  penna  stretta  fra  i  denti.  Di  che  strani 
site  e  di  che  strani  incontri  mi  ricordo!  Si  sono  in- 
centrati sull'uscio,  qualche  volta,  un  vecchio  a' 
reazionario,  che  usciva  sbuffando  dopo  aver  fatto 
una  carica  furiosa  contro  il  o  mulino  a  vento» 
della  mia  nuova  lede,  e  una  commissione  d'elei 
con  le  mani  nere,  eli.    ,  I  offrirmi  la  t 

I  ti  si  ni. m/a    parlamentare  del   o  molino».    Si   tro- 
ll,,  un   momento   a    taccia  a   '  .-.mio  al 
.    il    mattoide    sconosciuto    i  ' 


LA    MIA    OFFICINA 


583 


trovato  il  modo  di  rifar  la  società  con  un  decreto 
reale,  e  una  povera  mamma  venuta  a  domandar- 
mi un'iscrizione  per  la  tomba  del  suo  bambino. 
E  alle  volte  sedette  l' americano  arcimilionario 
sulla  seggiola  da  cui  s'era  alzato  allora  il  poeta 
famelico  che  m'aveva  letto  un  sonetto  per  farsi 
dare  uno  scudo.  E  gli  editori  di  villaggio,  e  gli 
apportatori,  sub  conditìone,  d'un  argomento  ma- 
ravigliasi) di  romanzo,  e  i  postulanti  d'un  articolo 
per  mettere  alla  gogna  un  sindaco  prepotente  o  un 
avvocato  birbone!  E  in  quanti  barbari  modi  ho 
sentito  straziare  fra  queste  pareti,  da  bocche  di 
dieci  paesi,  la  dolce  lingua  del  Petrarca!  Ma  vi 
udii  pure  molte  volte,  per  compenso,  il  cinguettio 
armonioso  d'uno  sciame  di  bambine,  condotte  dalla 
loro  maestra  a  vedere  il  gruppo  di  Ettore  Ximenes, 
che  tenni  qui  per  un  tanpo,  e  di  cui  tutte  ricono- 
scevano quasi  tutti  i  personaggi,  e  sugli  altri  di- 
scutevano, con  un'allegrezza  di  voci  e  di  gesti  che 
ini  faceva  venir  le  lacrime  agli  occhi.  Tutte  queste 
visioni  si  alternano  nel  mio  pensiero  con  la  rapi 
diti  e  l'evidenza  di  una  fuga  di  proiezioni  di  lan- 
terna magica,  e  finiscon  sempre  in  una  visione  di 
angoscia  e  di  terrore.  Tutte  le  immagini  liete  sva- 
niscono: la  stanza  è  affollata  d'amici  pallidi  e  si- 
lenziosi, e  ogni  nuovo  amico  che  entra  mi  corre  in- 
fitto con  le  braccia  aperte  e  le  richiude  piangendo 
sulla  mia  disperazione,  che  non  piange  più. 


Non  l'amo  più.  ora,  il  mio  studio.  Ma  quanto 
l'amai  un  tempo  !  Quando,  entrandovi  la  mattina. 
lo  trovavo  già  inondato  dì  luce  e  vedevo  brillare 
intomo  in  lunghe  file  i  classici  italiani  legati  in 
rosso,  le  edizioni  rosate  del  Lemonnier.  i  volumi 
bianchi  del  Barbèra,  i  romanzi  gialli  del  Daudet  e 
dello  Zola,  e  tutti  gli  altri  libri  che  parevano  filze 
di  migliaia  di  fiori  frammisti,  mi  prendeva  alle 
volte  un'allegrezza  come  all'entrare  in  un  giardino 
di  primavera.  Le  amavo  per  i  conforti  che  v'avevo 

.ili  a  ogni  amarezza,  per  le  molte  notti  che  v'.o 
V(  passate  al  lavoro,  non  accorgendomi  del  trascor- 
rer del  tempo  che  quando  il  rumor  dei  carri  giù  ni 
piazza  m'avvertiva  che  1  alba  era  vicina,  e  anche 
più  per  le  tante  volte  che.  dopo  lunghi  mesi  di  fa- 
tiche febbrili,  v'avevo  scritto  con  un  fremito  di  gioia 
la  parola  fine,  inebbriato  dall'illusione  d'aver  ri- 
portato una  vittoria.  Quante  ore  felici  ci  ho  vissute, 


nelle  quali  tutti  i  suoni  che  mi  v<  nivan  di  inori,  dal 
canto  dei  ragazzi  agli  squilli  delle  trombe  dei  sol- 
dati, mi  pan-vano  un  accompagnamento  festoso  alla 
dolce  musica  che  mi  echeggiava  nell'anima!  E  go- 
devo a  variare  continuamente  la  disposizione  dei 
libri,  cercando  nuove  armonie  e  nuovi  contrasti  ili 
colori,  a  spolverare  io  stesso  tavolini  e  scaffali,  a 
ii  le  seggiole  per  gli  amici  aspettati,  e 
quando  mi  riposavo  da  quelle  grate  fatiche,  gi- 
ravo lo  sguardo  con  un  senso  di  compiacenza  e  qua- 
si di  gratitudine  per  quella  stanza  che  per  me  era 
officina,  chiostro,  reggia,  finezza,  dove  sentivo  che 
avrei  sopportato  lietamente  anche  la  povertà,  quan- 
do avessi  potuto  conservarla  qual  era,  e  finirci  i 
miei  giorni,  in  mezzo  alle  rovine  d'ogni  altra  cosa. 
Non  l'amo  più,  ora.  il  mio  studio.  Ci  sto  come 
dentro  una  tenda  che  da  un'ora  all'altra  una  raffica 
di  vento  debba  portar  via.  Se  altri  non  se  ne  curas- 
se, s'ammonterebbe  la  polvere  sulle  librerie  e  fareb- 
bero strato  le  cartacce  sul  pavimento.  Non  son  rari 
i  momenti  in  cui  mi  sento  soffocato  fra  queste  pa- 
leti  come  in  una  cella  d'ergastolo,  in  cui  la  stan- 
chezza intellettuale,  la  tristezza  dei  ricordi,  il  sen- 
timento della  vanità  finale  di  tutto  questo  pensiero 
o  farneticamento  umano  stampato,  mi  destan  den- 
tro un  moto  così  impetuoso  di  rivolta,  che  butterei 
■  gni  cosa  dalle  finestre  con  la  furia  di  chi  salva  la 
sua  roba  da  un  incendio.  E  non  di  meno,  il  mio  mi- 
glior rifugio  è  ancor  questo.  Quando  son  fuori,  mi 
ci  sento  richiamato  e  ricondotto  come  da  una  voce 
senza  suono  e  da  una  mano  invisibile,  e  finisce  che 
mi  ci  ritrovo  seduto ,  con  la  penna  in  mano , 
quasi  senz'  essermi  accorto  del  come  vi  son  rien- 
trato. —  Perchè  scrivere  ?  —  Sta  bene  ;  ma  :  —  E 
che  far  altro  ?  —  Scrivo,  però,  come  scrive  le  ul- 
time lettere  nell'ufficio  d'uno  scalo  il  viaggiatore 
pronto  a  partire,  mentre  il  piroscafo  fuma.  E  di 
qui  non  mi  moverò  più.  per  quanto  io  debba  aspet- 
tar la  partenza.  Qui,  dove  piansi  le  lacrime  più  or- 
rende della  mia  vita,  scriverò  la  mia  ultima  pa- 
rola. Penso  spesso  alla  fine  del  Flaubert.  Ho  il 
presentimento  d'un  colpo  di  mazza  sul  capo,  il 
quale  mi  farà  batter  la  fronte  su  questo  tavolino 
dove  corressi  con  cura  amorosa  tanti  lavori  di  scuo- 
la del  povero  ragazzo  che  non  ho  più.  E  questo  pre- 
sentimento non  è  un  timore,  è  una  speranza.  Scrivo 
sinceramente:  —  Così  sia.  — 

E.  De  Amicis. 


•^f* 


t  ^    w 


ì%m . 


Poeta,  l'Inventore,  l'Eroe.  l'Artefice  era 
iunl  i  infine  al  tempii  >  intei  nazionale 
della  Gloria.  Kssi  portavano  le  tracce  di 
patimenti  grandi  e  ignoti  ai  più  dei  mortali.  La  fe- 
rita dell'Eroe  non  era  meno  pietosa  dello  squallore 
del  Poeta  o  del  fremito  che  agitava  ancora  l'Artefice. 
Tuttavia  una  gran  luce  splendeva  nelle  loro  pu- 
luce  era  come  una  forza  enoinn 
•  jnale  aveva  trascinato  fino  lassù  le  stanche  carni 
che  domandavano  riposo.  Essi  avevano  operato  bene 
fra  gli  uomini  ed  ora  si  trovavano  giunti  all'Olim- 
po: premio  degli  Eroi. 

Giove  non  concede  l'immortalità  se  non  a  chi  forte- 
mente la  vuole  e  ne  è  degno;  perchè  l'anima  è  for- 
mata dalla  volontà  e  dalla  dignità.  Essi,  dunque. 
avevano  voluto  ed  erano  stati  degni  ;  e  perciò  era- 
no giunti  al  tempio  della  Gloria,  e  una  suprema 
i  a  sui  loro  volti. 


Il  luogo  in  cui  si  trovavano  era  piuttosto  di 
ma  il  tempio  era  assai  bello  e  granile:  in  istile  i 
sico,   ben  inteso,   press'a  poco  come  quello  che  co- 
piano gli  architetti  del  secolo  XX  quando  vogliono 
fare  un  edificio  originale. 

Sul    lr>  era  un  bellissimo  alto  rilievo  di 

i   augurio:    da  un  lato  Ercole  che  è  accolto  a 
ottiene  Er>  etema  in  isposa  ;  dal 
l'altra  Tersite,  un  democratico  «lei  tempo 
i lit orme  ed  astioso,  che  è  percosso  da  Ulisse. 

(<  L:  l>  laro  di  mitologia.  potrebl>e  osservare 

giustamente  che  una  moglie  eterna  —  sia  pur  Ebe  — 
può  essere  una  punizione  invece  di  un  premio,  tanto 
le  nella  sua  vita  terrena,  oltre  alle  do- 
dici ben  note  fatiche,  aveva  dovuto  sopportare  an- 
che Deianira,  una  moglie  la  quale  o  >st it ni  la  tred 
sima  ed  ultima,  perchè  ella  aveva  preparato  fra  la 
biancheria  dell'Eroe  un  nata;  e  al- 

lora egli  che  avea  vinto  l'Idra.  Caco,  il  Leone  Me 
.  che  aveva,   a   passo  di  corsa,   fatto  il 
del  mondo,  mori  miseramente  come  un  borghe- 
se del  secolo  XX.  vittima  di  una  qualsiasi  mi 
malvagia  liove,  signore  della   folgore  e  del 

senno,  non  poteva  darò  una  seconda  moglie    J!  I   '■• 
del  suo  cuore,  tanto  più  che  egli  stesso,  ili1 


vi  era  marito  di  (  '.uni. .ne.  la  più  formosa,  ma  an- 
che  la  più  noiosa  fra  le  dee  e  che  formò  il  più  grave 
impedimento  alla  completa  felicità  di  lui,  il  gran  fi- 
di Saturno.  Ebe,  concludo,  è  un'astrazione,  un 
simbolo  e  nulla  più). 


Gli  Eroi,  dunque,  erano  giunti  lassù  e  da  diversi 
i.  e  perciò  si  congratularono  l'uno  con   l'altro 
more  a  cui  erano  stati   chiamati  e  della  loro 
Intona  ventura. 

Si  trattari  mi  ila  Intoni  I  rateili,  benché  prima  non 
si  conoscessero  se  non  forse  di  nome.  L'Eroe  con- 
quistatore  e  guerriero,  vedendo  la  miseria  che  par- 
lava eloquentemente  dagli  abiti  e  dal  volto  del 
a  e  dell'Artefice,  si  confessò  mortificato  di  non 
averli  aiutati  mai,  che  pur  lo  poteva  «  Ma  eh. 
li  te,  amici.  —  disse  —  io  ero  circondato  da  una  tal 
i.ela  famelica  di  postulanti,  di  clienti,  di  be- 
nemeriti; sopraffatti  tisi  letterati,  falsi  poeti, 
falsi  artisti,  che  per  voi  due.  veri  alunni  delle  can- 
dide Muse,  non  potei  far  nulla.  Ora  io  ne  sono  ol- 
tre misura                     I  I  mi  rito  re 

i   viola,  occulta  il  suo  splendore,  ma 
ii.li-  il  su,,  i  dezzo  !  Vi  a\  tun- 

que!  Ma  i  sozzi  uomini  che  mi  eran  dattorno,  man- 
davano un  tale  fetore  di  spiacente  animalità  che  io 
in  ii    \i     listinsi.    Scusatemi    dunque». 

«  Grazie,  fratello  eroe,  di  queste  dolci  parole. 
Esse  ri  compensano  della  ingratitudine  dei 

mortali  »   —   rispose   l'Artefice. 

«  Tanto  più  —  riprese  l'Eroe  -  che  i  patimenti, 
forse,  resero  più  ardenti  le  pupille  e  più  sensibile 
l'anima   delle  M  USS,    Non  i 

signori  ?  » 

«  Cosi  è  infatti,  nobile  Eroe.  —  rispose  il  Poeta, 
così  è:    imperocché  nulla  <■  p  io  di  una 

Musa  obesa  pletorica,  incinta,  ovvero  che  fornica 
con  il  volgare  Piacere.  1'  rè  la  troppa  magrezza  può 
essere  cagione  di  anemia,  di  svenimento  e  di  morte, 
li  i-  lungo  andare.   Ma  di  ciò  non   più  pa- 

al  tempio  della  Gloria  !  ». 

«  Ma  perchè  bussate?  ■ —  chiese  l'Inventore.  — 
Non   vedi  te  la   tao  scritto  «  avanti  »? 

Entrismi    dunque  ». 


LO    S<  I'  iPER(  i   DEI  LA    GLORIA 


5b5 


Entrarono. 

Il  vestibolo  era  assai  bello,  ma  deserto. 

Esso,  per  darne  un'idea  a  chi  non  ce  mai  stato, 
è  fatto,  pressa  poco  come  le  sale  di  una  Borsa  o  di 
una  Banca,  con  diversi  snortelli  e  scomparti. 

Soltanto  che  invece  di   —  «  Conti  correnti  »  — 
«  Sconto  cambiali  »  —  «  Ufficio  protesti  »,  ecc.,  era 
to:   «  Sezione  Eroi  »,  —  «  Sezione  Poeti  »,  — 
«  Sezione  Pittori  »,  ecc. 

Per  chi  ha  in  mente  una  specie  di  sacro  tem- 
pio,  quella  suddivisione  in  categorie  deve  far 
dispicere. 

K  vero  che  tutto  è  in  marmo  pente- 
lieo,  stile  attico  puro:  ciò  non  toglie: 
l'effetto  è  sempre  disastroso  specie  per 
chi  ha  caro  di  lasciar  questo  mondo , 
anche  per  finirla  una  bella  volta  con  la 
burocrazia,  con  la  statistica  e  la  com- 
putisterìa. 

«  Aspettiamo,  qualcuno  verrà  !  »  — 
disse  il  Poeta,  alquanto  interdetto.  E  si 
sedettero. 

Poco  dopo  si  sollevò  il  bisso  o  la 
porpora  che  fosse  di  una  tenda,  e  com- 
parve nell'apertura  un  leggiadrissimo 
viso  di  giovane  donna. 

«  Pardon  ,  signori,  —  disse.  —  mi 
metto  una  vestaglia  e  sono  da  loro. 

«  Sua  Maestà  la  Gloria?  »  —  si  chie- 
sero l'un  l'altro  reverentemente  gli  Eroi. 

«  Niente  affatto,  foinl  du  toni  —  ri- 
spose dal  di  dentro  la  fresca  voce  ri- 
dendo. —  Io  sono  semplicemente  la 
famulo,  la  camerista,  la  fdh-dc-cham- 
bre  .  come  mi  volete  chiamare .  della 
Gloria  !  Ora  sono  da  loro  ». 

Compane  poco  dopo. 

«  Scusate,   signori.  —  ella  disse.  — 
io  avrei  dovuto,  a  rigore,  comparire  col 
peplo   e   con    la   tenia  e   parlar    greco. 
Ma  proprio  ieri  capitò  Ermes  a  portar 
via  le  ultime  casse  dove  c'erano  le  cla- 
midi   e    i    pepli    e    gli    altri    attrezzi 
del    mestiere.    Perciò    mi    sono    messo 
questi  i     accappatoio,   ultima     creazione 
parigina.  La  novità  me  lo  fa  parere  elegantissimi 
Del  resto,  signori,  avete  fatto  opime  et  callide  a 
capitare  oggi,  quassù:  se  venivate  domani,  non  tro- 
vavate più  nessuno.  Ho  deciso  di  buttar  la  chiave 

9  tto  l'uscio  e  andare  per  ora  a  Nizza  a  passar  la 
stagione.  Qualche  risparmio  l'ho  da  parte,  e  posso 
vivere   di    rendita  ». 

«  Ma  Sua  Maestà  la  Gloria.  —  chiesero  gli  eroi 
al  colmo  dello  stupore,  —  non  è  in  casa?  ». 

«Sua  Maestà  la  Gloria?  Siete  venuti  qui  per  lei? 

10  credevo  che  voi  foste  degli  alpinisti,  dei  vian- 
danti che  per  vostro  svago  aveste  asceso  l'Olimpo. 
O  divina  Moira!  L"n  tempo  i  Titani  fecero  un  gran 
fracasso  per  mettere  il  monte  Pelia  sul  monte  Ossa 
e  non  pensarono  che  si  poteva  più  semplicemente 
andare  in  Olimpo  con  l'aiuto  di  un  alpcnstock. 
ZEUS.  Giove  Padre,  è  seccato  oltre  misura,  si- 
gnori. Si  è  rifugiato  con  gli  altri  Dei  in  un  pianeta 


remotissimo  dove  spera  di  vivere  in  pace;  ma  i  te- 
li degli  uomini,  ahimè,  arriveranno  anche  colà  ! 
Mi  nandro,  l'eroe  della  Musa  t 'umica,  però  non  si 
affligge;  anzi  si  gode  tanto  che  ne  sta  scrivendo  un 
dramma  in  collaborazione  con  Guglielmo  Shake- 
speare col  quale  ha  stretto  intima  amicizia,  un 
dramma  a  diletto  degli  Immortali. 

«  No,  signori,  se  non  siete  alpinisti,  qui  non  c'è 
nulla  da  fare  per  voi.  La  dea  Gloria  ha  abban.lo 
nato  questo  Dicastero  dell'Immortalità  ;  prima  però 
di  chiudere  gli  sportelli,  abbiamo  spedito  per  i  pos- 
sibili interessati  una  circolare  che  è 
apparsa  su  tutte  le  terze  pagine  dei 
giornali.  Fu  pubblicata  in  greco  ed  in 
italico,  le  sole  lingue  che  nel  mondo 
non  sono  più  accettate  ai  Congressi  in- 
ternazionali. Io  mi  sono  permesso  di 
osservare  alla  Gloria:  «  Vedrai  che  non 
ci  capiscono  nulla,  gli  uomini,  e  avre- 
mo delle  seccature!  »  Ma  la  Gloria 
volle  fino  all'ultimo  conservare  la  sua 
dignità  e  il  suo  linguaggio.  Sono  spia- 
centissima  per  voi,   signori  !  » 

I  signori  eroi,  a  tali  parole  della  ca- 
merista della  Gloria,  si  trovavano  in 
uno  stato  di  costemaziome,  più  facile 
ad  immaginarsi  che  a  dirsi,  pressa  po- 
co come  può  accadere  ad  uno  che  ha 
sbagliato  treno,  il  treno  della  vita.  — 
curriculum  vilac  —  onde  che  comincia- 
rono a  lagrimare  assai  pietosamente. 

«  Se  Zenone,  se  Cratippo,  se  Marco 
Aurelio,     filosofi     stoici    eccellentissimi 
riprese    per   confortarli    la   jille-de- 
chambre  della  Gloria  --  non  avessero 
seguito  gli  Dei  nel  loro  rifugio,  in  quel 
pianeta  che  vi  he  detto,   io  li  chiame- 
rei  affinchè  con   la  sapienza  delle  loro 
divine  parole  asciugassero  le  vostre  la- 
grime.  Ohimè,   la  loro  sacra  saviezza  è 
ben  lungi  di  qui.  ed  io  vi  posso  soltan- 
to dire  che  quel  che  accade,   non  è  per 
colpa    degli    Immortali,    come    potreste 
supporre,    ma  dei    Mortali,   cioè  di  voi 
stessi. 
«  Sappiate,  dunque,  che  fra  gli  uomini  e  la  Glo- 
ria è  intervenuto  in  qui  mi  un  accordo:    ac- 
I  di  guerra  e  non  .li   pace,  l>en  inteso!  Gli  uo- 
mini hanno  fatto  sapere  mediante  un  loro  commes- 
so viaggiatore,  giunto  qui  in  automobile,  che,  date 
li    loro  moltissime  occupazioni  ■  dierne.  dato  il  pre- 
sente e  l'avvenire  che  assorbe  Lutto  e  tutti,  sono  do- 
lentissimi, ma  non  hanno  più  margine  di  tempo  per 
di   imparare  vita,   morte  e  miracoli   degli 
.    «Virtù   viva    sprezziam,    lodiamo   estinta!  » 
Ma    è    roba    da    matti!    Non    c'è    tempo    per    ri- 
cordare   i    vivi  .    e    voi    volete    ricordare    anche    i 
morti  ?  Questa  è  stata  la  prima  questione  di  fatto, 
messa  avanti  da  quel   rappi  e  della  nuova 
umanità;  a  cui  se  ne      aggiunta  un'altra  di  diritto, 
secondo  loro,  ben  inteso.   Gli   nomini,  ecco,  hanno 
sostenuto  questa  tesi-    -he  non  vi  sono  più  eroi,  che 
vero  eroe,  unico  eroe  è  l'Uomo,  l'uomo  l'olla,  l'uomo 


586 


LA     LETTURA 


M     .  gl'individui  da 

o    \ì  'i  ■• noe  tali,  non  si  mi  i 

eroi  degli  sfruttatori:    i 

anche  furono  persone  'li  un  certo  merito,  è  ora  di 
finirla  con  questi  Demiurghi,  o  Dei   Indigetes,  in- 
lli   cure  degli  uomini  :  che 
«sere  miti  nel  giudizio,  è  tini  al 
più  una  illusi'    e  i  Ess  me    I  I  anti  odo, 

prora  ili  un  U-l  navigli  .   \n  tempi  infan- 
tili dell'umanità  si  poteva   far  credere  che  il  fan- 
Liidassi    l.i  nave,  ma  invece  soni 
le  vele,  è  il  vi  spinge  la  nave,  E  se  vi  sono 

degli    individui   chi    hanni  !>ene   ed   util- 

mente, essi  lo  h. un;  perch  l'impulso 

di  fari"  e  non  potevano  altrimenti.  Dopo  tutto,  fu 
il  loro  dovere!  Se  questi  operai  del  pensiero  e  del- 
l'ani n  equiparati  agli  operai 
gasisti,  ferrovieri,  fabbri,  meo-anici,  panettieri, 
sarti,  manovratóri,  ben  con  bene:  se  no,  aria! 
Così  brutalmente  parlò  quel  commesso:  il  quale, 
benché  as  profumato,  spirava  tale 
una  volgarità  che  tutti  ne  fummo  disgustati  e  schi- 
fiti. I. a  protesta  diretta  partiva  dalle  masse— qi 
è  il  nome  anonimi  operativa  umana  —  ed 
anche  dai  mercanti,  dai  droghieri,  fabbricanti,  mec- 
canici, industriali.  ce.,  i  quali,  come  voi  sa- 
prete meglio  di  me,  oggi  pare  che  abbiano  autorità 
grandissima.  Gli  uni  e  gli  altri  formano  due  caste 
o  classi  diverse,  spesso  in  lotta  fra  di  loro,  ma  da 
quassù,  cioè  dall'Olimpo,  appaiono  uguali.  Essi 
—  dicono  i  quel  che  ho  potuto  capire  — 
spendono  diversi  miliardi  all'anno  in  reclame  dei 
Ma   i  he  vale  se  Ldi  uomini  devono 


perda  tempo  a  tener  a  mente  i  mtm  di  Oi le 

parole  e  i  patimenti  'li  Cristo,  le  terzine  di  Dante? 
Gli  uomini  devono  anzitutto  imparare  i  nomi  delle 
varie  marche  di   fabbrica.    1  sa  che  si  trat- 

tasse solo  degli  Eroi  che  giù  furoni  .  ma  melli  che 
sono?  ma  quelli  che  saranno?  La  lista  aumenta  di 
continuo,    ('osi   ;•   impossibile  andare   più    innanzi. 

il  i  loro  trusts,  i  loro  problemi  sociali, 

economici,  mo  non   possono  stornare  tem- 

po e  denaro  in  fiabe  ed  in  futilità.  Pensate  un  po', 
signori,  come  si  trevi  la  Gloria  a  tali  parole 
non  fosse  stata  una  Dea.  sarebbe  andata  su  tutte  le 
furie.  Come?  Dopo  tanti  secoli  che  lavorava  qui  in 
questo  Ministero,  sentirsi  trattare  con  cosi  nera  in- 
gratitudine! A  noi  tutti  pareva  ili  sogno  Ma 
quel  commesso  proseguì  imperterrito.  Fra  le  altre 
cose  egli  avea  mandato  imperativo  da  parte  degli 
uomini.  La  Gloria  si  sforzò  di  essere  calma:  cercò 
di  persuadere.  Essa  è  eloquentissima,  come  voi  ben 
sapete.  Ma  le  sue  parole  furor* 
Ebbe  un  I"  I  mi  strare  i  registri,  far  vedere  i  nomi, 
far  capire  che  senza  gli  scopritori,  i  martiri,  i  i 
il  ninnilo  sarebbe  ancora  selvaggio  ed  infante.  Non 
ci  fu  versi.:  quel  commesso  sostenne  che  egli  non 
era  lì  per  discutere  sul  tema  morale  della  ingratitu- 
dine e  della  verità  astratta:  che  tult'al  più  poi 
salvare  i  diritti  acquisiti  dei  nomi  già  elencati  pel 
passato  nei  registri  della  Gloria,  sino  al  loro  placido 
tramonto  cioè  ali  oblio;  ma  non  aggiungente  di 
nuovi:   assolutamente! 

«  La  Gloria  allora  minacciò  la  chiusura  del  tem- 
pio dell'Immortalità,  lo  sciopero,  come  voi  dite  ed 
usate.  Sapete  che  cos'ebbe  coraggio  di  rispondere 
quell'impudente? 

«  Che  questi  è  il  loro  più  vivo  desiderio.  A  noi 
basta,  disse,  una  piccola  succursale  in  terra:  uni- 
camente per  uso  e  consumo  della  vanità  !  Voi,  disse 
ancora,  scolpite  nel  bronzo  eterno:  noi  con  una 
macchina  americana  rotativa  stampiamo  io.ooo.ooo 
d'esemplari  di  notorietà  all'ora  e  possiamo  accon- 
tentare un'infinità  di  gente.  Ciò  è  più  semplice  e 
gradisce  di  più.   Soprattutto  è  più  eo  La 

teoria  del  minimo  mezzo.   Madama,  ecco  quello  che 
voi  ignorate!  Noi  non  abbiamo  più  bisogno  chi 
uomini    bevano    la    cicuta   e 'ine    Socrate,   muoiano 
sulla   croce   come   i  jano   per   più   anni 

magri  come  Dante.  Ciò  '■  impratico,  antigenico,  an- 
tiumano  Lo  vogliono  fare  per  sport?   Si   accomo- 
dino, ma  si  ricordino  bene  che  noi  non  diamo  più 
un  centesimo,  noi  non  togliamo  una   foglia   d'ai 
dalle  nostre  piante.  Ciò  è  quanto! 

«  Ma  sciaguratissimo,  disse  la  Gloria,  chi  vorrà 
più  infondere  nuovo  olio  alle  lampade  della  \ 
quando  quello  che  gli   Eroi  vi   hanno   fornito. 
consunto?  » 

«A  quest...  signora,  dobbiamo  pensar  noi,  — 
disse  colui  cinicamente,  e  aggiunse:  »  Fosse  an- 
che vero  quello  che  ella  di  li  nomini 
hanno  fermamente  deciso  di  non  volente  più  sa- 
pere di  nuovi  nomi,  cosi  è  inutile  itisi- 
fatto  un  bell'inchino,  si   BOO 

•  Per  queste  ragioni  si  sono  chiusi  . 
mandata  quella  circolare  di  ''ni  vi  ho  parlato. 


LO    SCIOPERO    LiELLA    GLORIA 


«  La  Gloria  era  in  uno  stato  di  furore  da  far 
pietà. 

o  Si  rivolse  al  padre  suo,  Giove,  e  lo  pregò  di 
fulminare  i  mortali. 

«  Padre  Giove  sorrise  e  disse: 

«  Brava  figliuola,  e  con  che  cosa  fulmino  io  ?  Tu 
stessa,  ricordi  ?  mi  hai  pregato  di  dar  loro  il  sacro 
fuoco  per  cui  io  incutevo  loro  il  terrore?  » 

«  Tuttavia  per  placare  la  sua  figliuola.  se  rri 
dendo,  disse: 

«  Lasciali  fare  !  Manda  una  circolare  a  quelli 
che  faticano  per  te.  perchè  lo  smettano,  e  tu  chiudi 
bottega.  Lascia  passare  un  qualche  secolo,  già  a 
noi  il  tempo  nulla  costa,  e  vedrai  che  gli  uomini 
matureranno  essi  stessi  il  dolce  frutto  della  tua  ven- 
detta quando  la  provvista  della  fiamma  sacra  sarà 
consumata.  Così  essi  vogliono,  e  così  sia  !  Ma  verrà 
un  giorno  che  questi  uomini  avranno  terrore  di  sen- 
tirsi trasformati  in  attrezzi  meccanici,  in  automobili 
organici.  Questa  metamorfosi  Ovidio  Xasone.  poe- 
ta fecondissimo,  la  ha  dimenticata.  Ma  io  lo  pre- 
gherò che  vi  faccia  nuova  chiosa  ed  aggiunta  !  » 

o  Così  parlò  il  padre  Giove  e  così  avvenne  che  fu- 
rono chiusi  per  sempre  i  battenti  del  tempio  alla 
Gloria  Immortale. 

o  Noi,  sue  cameriste,  abbiamo  avuto  qualche  se- 
colo di  licenza.  To  per  mio  conto  intendo  passare 
questa  vacanza  in  terra,  dove  noto  un  certo  movi- 
mento e  mutamento  che,  a  dirla  tra  noi,  non  mi  di- 
spiace  affatto. 

*   * 

Gli  Eroi  a  tale  annunzio  lagrimavano  dolorosa- 
mente. 

a  Ahi  !  Ahi  !  che  noi  sbagliammo  la  carriera  della 
vita  »,  dicevano. 

«  Curriculum  vitae  »  per  l'appunto  —  confermò 
la  camerista  leggiadramente  sorridendo  —  avete 
preso  un  treno  per  un  altro,  un  sogno  per  la  realtà, 
un'ombra  per  un  corpo  !  Capisco  che  ciò  debba 
essere  spiacevole.  Del  resto,  tutti  così  gli  eroi  :  essi 
che  hanno  dato  il  moto  e  l'anima  al  mondo,  ben 
poco  sanno  della  cronaca  reale  e  verista  del  mondo. 
Certi  eroi,  il  cui  nome  è  scritto  tutto  in  oro,  giun- 
gevano quassù  tanto  trasognati  che  non  sapevano 
nemmeno  quale  fosse  stato  l'effetto  dell'opera  pro- 
pria nel  mondo  !  Peccato  che  anche  voi  non  abbiate 
letta  quella  circolare  che  mandò  la  Gloria  ». 

Disse  uno  degli  eroi:  «  Io  non  ebbi  tempo  né 
modo,  io  combattevo,  io  davo  il  mio  sangue  per  la 
min  patria!  prò  aris  et  ntro  gli  usurpatori, 

i  distruggitori  della  gente  della  mia  patria.  Ero 
perciò  troppo  occupato  per  tener  dietro  alle  terze 
pagine  dei  giornali  ». 

«  Pro  aris  et  focis  —  ripetè  la  fille-de-chambre 
—  ottimamente  !  Cotesto  era  ottimo  titolo  per  es- 
sere ammesso  nel  tempio  della  Gloria.  Certi  famosi 
macellai  umani,  che  nelle  cronache  vostre  passano 
per  eroi,  sono  stati  respinti  da  queste  soglie.  Dove 
siede  Plato  e  Leonardo,  soltanto  il  buon  Ettore 
può  essere  accolto.  Se  gli  uomini  dicono  il  contra- 
rio, egli  è  che  malignità  od  ignoranza  muove  le 
loro  lingue.  Ahimè  !  quell'aura  di  virtù,  quelle  gravi 
parole,  suasive  ed  adorne,  più  non  si  udranno  fra 


questi  marmi!  Pensai       v  ascivette  ninfe, 

ci  eravamo  abituate  alla  virtù  ed  alle  ornate  parole, 
come  già  vi  d  dal  mio  discorso. 

Pro  aris  et  focis.  ottimamente,  benché,  a  mio  avvi- 
so, questa  espressione  er.  ca  forse  debba  suonare  o- 
a  e  dura  a  quel  commesso  viaggiatore.  Infatti. 
ammesso  il  postulato  ohe  tutti  gli  uomini  sono  fra- 
telli, se  uno  si  asside  alla  mensa  di  un  altro  e  gli 
mangia  il  pranzo,  non  fa  che  il  suo  dovere  di  fri 
tello.  Io  ho  un  gran  sospetto  che  il  combattere 
aris  et  focis  sia  un'azione  quotata  non  troppo  alto 
nelle  borse  del  vostro  mondo  moderno.  Peccato  che 
non  ve  ne  siate  accorto  a  tempo!   E  voi  eravate? 

<i  Artista,  signora.  Vissi  nella  n  ntemplazione  di 
un'idea  di  bellezza  e  così  assorto  in  quella  che  le 
dolci  gioie  di  padre,  di  marito,  di  amico  mi  passa- 
rono accanto;  ed  io  non  me  ne  avvidi  ! 

«  Ciò,  —  disse  la  camerista.  —  non  ha  servito 
molto  a  rendervi  felice,  a  quel  che  pare  dall'a- 
spetto. 

«  Felice?  Sudai  e  gelai,  palpitai  e  piansi  sotto 
1  inrubo  e  il  fascino  di  quel  nume  di  Bellezza  e  di 
Arte  che  avevo  sempre  davanti,  e  perciò  i  dì  miei 
furono  brevi.  Breves  dics  artifici  fata  dedere. 

«  Sudavii  et  arsii...  —  mormorò  la  vezzosa  fan- 
ciulla, —  questa  massima  non  mi  riesce  nuova.  La 
ripeteva  spesso  Orazio  Venosino.  specialmente  per 
conto  degli  altri.  Brutta  massima,  amico,  specie  ai 
tempi  che  corrono,  giacché  oggi  che  tutti  nascendo 
hanno  il  diritto,  la  polizza,  il  biglietto  degli  ali- 
menti e  del  piacere  per  tutta  la  vita,  è  inutile  su- 
dare e  gelare  per  mero  capriccio  di  idealità  e  di  per- 
fezione. E  voi  eravate,  signore?  —  domandò  al 
terzo  eroe  la  fille-de-chambre,   graziosamente. 

«  Scopritore  ed  inventore  —  rispose  costui.  — 
Una  forza  ignota,  sottile,  terribile  e  mirabile  fu  da 
me  aggiogata,  docile,  utile,  paziente  al  carro  della 
vita.  Credete  che  gli  uomini  me  ne  siano  ricono- 
scenti? Che  il  mio  nome  sia  venerato?  Mai  più!  Il 
mio  nome  diventò  nul l'altro  che  il  nome  di  una  mi- 
sura di  quella  forza,  e  s  per  giunta.  Io.  si- 
gnora, non  ci  tenevo  alla  gloria,  ma  alla  ricono- 
scenza, sì  ». 

La  famulo  :  «  Veruni  t  >/.•'".'  vero,  quel  commesso 
ha  assicurato  che  le  vostre  scoperte  appartengono 
de  iure  et  de  facto  alla  collettività  ». 

Lo  scopritore:  «  Questo  s'intende.  Se  la  mia  sco- 
perta me  la  fossi  messa  in  tasca,  essa  non  avrebbe 
avuto  alcun  pregio:  porprietà  di  tutti  e  sia  pure, 
l'opera  dell'ingegno.  Non  per  nulla  noi  siamo  filan- 
tropi: e  pur  mentre  il  manovale  e  l'operaio  pesa 
sino  all'oncia  il  contributo  della  sua  fatica,  noi 
diamo   e   de:-'    i  ':    benefici   meravigliosi    per 

nulla,  graziosamente.  Ma  in  nome  di  quella  divina 
Dike.  la  Giustizia,  la  tinaie  sino  dal  sec.  XXX  avanti 
Cristo,  come  assicura  Esiodo,  scappò  via  dagli  uo- 
mini inorridita,  lasciandovi  un  suo  fantoccio  o  pupa 
di  nome  Temi  per  rappresentante,  ella  mi  dica  se  fu 
i  fu  un'infa  he  poi  segui  ». 

La  famulo:  i  Chi  a  seguì?  Fatemi  per  filo 
e  per  segno  la  cronaca  del  vostro  mondo  e  così  mi 
saprò  regolare  nella  mia  dimora  che  intendo  fare 
laggiù  ». 


1  A     II    III  RA 


Lo  so  prìtore:   "  il  ■   io  vivevo  soli- 

tario  nel   mio  studio  evitando  'li   tanni   vedere  e 
I  meii.'  |  analmente.   Khbene, 

ali-imi    in  •    il    pretesto   della    scienza 

nel   min  laboratorio,  mi  hanno  de- 
nuda .  si  sono  divertili  a  mostra- 

pubblico  funzionava   il   mio  pensi 

Una  prof anazione I  Ma  v'è  di  peggio I  Che  dir 

ne  e  della  vespa  'Ile  deridessero  l'ape 
perchè  -affatica  e  si  incanta   nel   -  rhire  il  netl 
delli  i  be  direste  voi  del  bruco,  sporco  ed  o- 

.   ehe  deridesse   il   baco   da   seta   perchè  muore 
nel   tare  il  suo  bozzolo?  Così  mi  derisero  costoro  e 
mi  chiamarono  pazzo  e  ammalato.   Divina  Giusti- 
neh         orni  -l'Artista,  il  mio  nobile  com- 
lie    mi    pn-  ielle    risposte,    vissi    al- 

quanto stranamente.   Anch'io  vissi   in  così  intensa 
contemplazione  di   un'Idea   che  del   mondo  circo- 
stante poco  conobbi  e  meno   mi   avvidi.    Creare  è 
propria   di    Giove!    L'umile   mortale   allorché 
-offre,  geme,  si  agita,  vaneggia  nello  spasimo 
e  nell'ebbrezza    dell'opera    meravigliosa.    Deve   egli 
perciò   essere    indicato    a    ludibrio?    Credete:    quel 
miles  Tomanus  che  nella  presa  di  Siracusa  trapassò 
la  spada  Archimede,  l'assorto  studioso,  fu  assai 
più  gentile  ed  umano  ». 

La  famulo  o  fìllc-dc-chambre  della  Gloria  al 
quarto  ed   ultimo  eroe: 

«  E  voi?  Il  vostro  aspetto  spira  tanta  tristezza 
e  dolcezza  che  io  vi  risparmierei  le  parole  se  non 
mi  dilettasse  l'intendere  ». 

«  Io  fui  pi"  .  ■  ■  ra.  e  sparsi  il  seme  di  una 

Buona  parola  ». 

La  famulo:   «  Quale,  di  grazia?  ». 
Il   Poeta:   <■  Arrossisco  nel  confessare  la  mia  in- 
genuità:  ma  alla  schiettezza  di  questi  nobili  com- 
pagni   non   verrà   meno   la   mia   schiettezza.    Eoo: 


Abbasso  il  capo  e  non  rispondo  ». 
«  Ma  voi  sarete  staio  trai 


Io  sparsi  il  seme  di  questa  Buona  Parola,  e  feci 
nuova  e  combattente  questa  verità  antica:  che  si 
il   miglioramento   cosciente,    lento,   faticoso,   in 
sante  dell  individuo,   non   può  sussistere  vero  pro- 
gresso fonale  ed  umililo  ». 

La  famulo:    «  Infelicissimo  1   Ma  voi   avel 
menticato  una  legge  essenziale  che  quel  conni! 
enunciò    come    sacrosanta:     la    legge    del    minimo 
'.  « 

1 1   p<ieta  :    « 

La  famulo  : 
un  mentecatto!  » 

Il  poeta:  «  Dissero  che  io  era  un  onesto  peda- 
gogo; giacché  per  virtù  di  atavismo  e  di  tradizio- 
ne, nelle  scuole  si  costuma  ai  bambini  insegnare 
certe  cose  che  poi  vengono  distrutte  nella  pratica 
della  vita,  una  specie  di  imbastitura  falsa  che  si 
fa  per  abitudine,  e  poi  si  porta  via  in  fretta,  come 
fanno  i  sarti  per  gli  abiti  ». 

* 
*    * 

La  fdle-de-chombrc  :  u  Sentite,  nobili  eroi, 
come  vi  ripeto,  sono  mortificata  nel  dirvi  che  la 
Gloria  non  può  più  dare  alcun  guiderdone,  risarci- 
mento, compenso  alle  vostre  nobili  fatiche.  Bot- 
tega chiusa  non  fa  credito.  Io  però  posso  fare  qual- 
che cosa  per  voi  :  un  bellissimo  automobile  per  sei 
persone  mi  è  stato  spedito  ieri  appunto  da  Lione. 
Danari,  grazie  al  buon  Dio  Pluto,  non  me  ne  man- 
cano Andiamo  di  conserva  a  passare  l'inverno  a 
Montecarlo.  La  sacra  clamide,  il  manto  della  virtù 
sono  indumenti  pesantissimi.  Abiti  leggeri,  spu- 
mosi, vaporosi,  oggi  costumano.  Dopo  tutto  io  sento 
che  sto  per  adattarmi  a  codesto:  cercate  di  imitar- 
mi, nobili  eroi,  giacili.-  l'esercizio  dell'eroismi 
I  alitante. 

<i  Questo  è  quanto  di  meglio  rimane  da  fare,  per 
me  e  per  voi  ».  A.  Panzini. 


Archi  trionfali  del  Rinascimento 


|xo  dei  meriti  più  puri  dell'arte  edilizia 
del  quattrocento  è  quell'ispirazione  al- 
l'antichità classica,  ringiovanita  dalle  ge- 
nerazioni di  maestri  geniali  che  videro  e  seguirono 
Donatello,  alla  quale  dobbiamo  le  più  sincere  sod- 
disfazioni dello  spirito. 

La  maestà  di  Roma  imperiale  che  sembrava  aver 
detta  l'ultima  sua  parola  al  tempo  della  decadenza 
giustinianea,  non  spenta  sotto  il  peso  delle  tene- 
bre medioevali,  sembra  risollevarsi  più  giovane  e 
audace  che  mai  per  opera  degli  artisti  nostri  molti 
secoli  dopo,  spoglia  d'  mutile  manto,  bella  e  vi- 
tale in  nuove  forme  moderne.  Se  non  erro ,  nella 
preoccupazione  di  rintracciare  negli  elementi  nuovi 
i  modelli  antichi,  gli  studiosi  dell'arte  hanno  tra- 
lasciato di  occuparsi,  fra  la  congerie  meravigliosa 
di  prodotti  della  nuova  fioritura  d'arte ,  di  parec- 
chi motivi  ispirati  da  vicino  all'  antichità  classica, 
ma  riprodotti  con  quella  freschezza  nuova  che  al 
bisogno  pratico  dei  tempi  moderni  sposava  1'  esu- 
beranza delle  decorazioni  plastiche  rivelanti  quasi 
sempre,  al  contrario  delle  antiche,  la  personalità  del- 
l'esecutore e  del  committente.  Fra  quei  motivi  è  una 
delle  più  appariscenti  novità  dei  tempi  nuovi  :  i  por- 
tali scolpiti  dei  palazzi  ispirati ,  spesso,  agli  an- 
tichi archi  di  trionfo,  adattati  graziosamente  ai 
nuovi  uffici  più  modesti.  In  essi  si  svolge  un'  arte 
più  disinvolta  e  più  intima  che  nelle  riproduzioni, 
dirò    così,    ufficiali,    degli   archi   trionfali  romani 


di  quell'epoca,  Castel  Nuovo  e  Porta  Capuana  a 
Napoli,  il  tempio  Malatestiano  a  Rimini,  sui  quali 
quasi  esclusivamente  si  raccolse  l'attenzione  degli 
scrittori.  Venuto  meno  il  bisogno  della  difesa  nei 
palazzi  pubblici  e  privati  e  diradate  le  tenebre 
del  medioevo  con  le  sue  lotte  intestine,  un'arte 
più  geniale,  più  aristocratica  informa  anche  l'ar- 
chitettura. Brunellesco ,  il  grande  novatore ,  la 
rompe  definitivamente  con  la  tradizione  medioe- 
vale e  inaugura  la  ricchissima  serie  dei  palazzi  ci- 
vettuoli,  eleganti,  pratici.  Il  palazzo  Pitti,  troppo 
imitato  dagli  scolari  senza  gran  vantaggio  per  l'arte, 
forma  un'eccezione  dovuta  certamente  alle  esi- 
genze del  superbo  committente.  Il  Rossellino,  l'Al- 
berti soprattutto,  comprendono  chiaramente  lo  spi- 
rito dei  tempi  nuovi  ;  il  secondo,  nel  suo  trattato, 
raccomanda  ad  ogni  momento  agli  architetti  di  te- 
ner presenti,  nel  fabbricare,  la  dignità,  la  comodità, 
il  diletto  e  i  luoghi  sanissimi;  da  convinto  umanista 
è  entusiasta  degli  antichi,  ma  vuole  tutte  le  cornuto- 
dita  possibili  de  gli  andari,  et  de  lumi  et  de' luoghi 
larghi.  E  la  decorazione  freschissima  si  stende  ge- 
nialmente lungo  le  cornici,  lungo  i  frontoni,  intorno 
alle  porte  e  alle  finestre  dalle  grandi  luci.  Ma  è 
soprattutto  alla  porta  principale  del  palazzo  che 
l'architetto  dedica  la  sua  grande  fantasia  sposata  al 
culto  dell'antico.  L'armonia,  che  è  canone  della 
scuola  toscana  e  che,  dove  più  dove  meno,  si 
estende  a  tutte  le  regioni,  non  consente  una  deco- 


.,.,,, 


LA    11  ili  R  \ 


- .  Ari  hi.. .[.ni. ii Milano. 

Portale  del  Banco  dei  Medici  (Michelozzo). 

razione  eccessiva  alle  altre  parti  dell'edificio,  cosi 
che  gli  architetti,  specialmente  nell'alta  Italia,  se- 
condati dai  tagliapietre  dalle  risorse  inesauribili,  si 
sbizzarriscono  allora  intorno  alla  porta.  E  convien 
notare  che  tutto  contribuiva  a  trasformare,  quando 
i  mozzi  e  il  nome  del  proprietario  lo  consentivano, 
questa  parte  dell'edificio  in  un  vero  arco  di  trionfo, 
benché  limitato,  il  più  delle  volte,  al  partito  archi- 
tettonico del  pian  terreno,  perchè  le  finestre  del 
primo  piano  non  permettevano  il  maggior  sviluppo 
che  l'imitazione  dei  coronamenti  grandiosi  degli  ar- 
chi romani  avrebbe  consigliato. 

Fra  le  poche  eccezioni  a  quest'ultimo  concetto 
porta  della  casa  Fanti  ora  Regnoli  a  Brescia 
nella  quale  la  finestra  superiore  si  sposa  al  motivo 
architettonico  dell'arco  d'ingresso:  ma  il  partito 
creato  dall'artista,  nonostante  la  leggerezza  delle 
profilature,  dà  un'impressione  non  molto  gradevole 
all'occhio. 

L'idea  del  trionfo,  cosi  profondamente  romana, 
passa  alla  società  italiana  del  quattrocento  che 
l'accoglie  con  entusiasmo,  un  po' in  omaggio  al- 
l'antichità classica  e  più  perchè  rispondente  al  bi- 
l.  li.  di  sfilate  di  gala,  di  chiassi 
che  anima  le  popolazioni  n.  istre  in  quel  tempo.  Non 
ve-  matrimonio  illustre,  o  ingresso  di  personaggio 
ragguardevole,  che  non  dia  luogo  a  un  piccolo 
trionfo  con  relativi  archi  ornati  di  figure  simboli- 
che e  mitologiche.  Gli  umanisti,  gli  artisti  di  grido, 
i  principi  stessi  vi  si  dedicano  con  la  maggior  se- 
rietà. A  Milano,  gran  richiamo  <l  ri  deside- 


rosi di  spassi,  è  un  succedersi  di  cortei  trionfali  per 
tutto  il  XV  secolo,  ad  ogni  occasione.  Ricordare 
anche  i  principali  mi  condurrebbe  oltre  i  modesti 
limiti  che  mi  sono  imposto.  Rimaser  famosi  quelli 
per  le  nozze  di  Bianca  Maria  Sforza  con  l'impe- 
re  Massimiliano  nel  1493,  che  dieder  luogo 
a  l' erezione  di  un  grande  arco  trionfale  so/»  a 
colon  ne  granii  tulle  de  pinete  e  con  ornamento 
de  pi, iure  /ade  de  feste  antique,  e,  per  Anna  Sforza, 
a  Ferrara,  un  arco  trionfale  presso  il  palazzo  di 
Si  lulanoia,  sormontato  da  due  cavalli  sfrenati  tra- 
scinanti il  carro  di  Cupido  e  più  tardi  un  altro 
arco  ornato  della  figura  della  dea  Venere. 

Quando  si  pensi  alla  glorificazione  delle  famiglie 
principesche  d'Italia,  che  ispirò  i  poeti  della  Sfar- 
ziade,  della  fìorseide,  della  Fellria  e  alla  smania 
comune  a  tutti  i  ricchi  di  collegare  la  loro 
gine  a  qualche  gente  romana,  non  fa  meraviglia 
di  trovare  in  tante  case  private  di  quel  tempo 
le  effigie  di  imperatori  e  di  eroi  dell'antichità  e 
leggende  laudatone  e  motti  augurali,  scritti  inele- 
ganti caratteri  capitali  :  l'idea  di  accontentare  le 
piccole  vanità  private,  rappresentando  sull'arco  d'in- 
gresso glorificazioni  ampollose  dei  committenti, 
visibili  al  pubblico  che  passava,  doveva  sorger  na- 


Museo  del  Louvre.  Portale  del  palazzo  Stangai 


ARCHI    TRIONFALI    DEL    RINASCIMENTO 


DQI 


turale  in  quella  società  così  compresa  della  gran- 
diosità romana  popolarizzata  dagli  scritti  degli  uma- 
nisti e  dai  disegni  degli  architetti,  che  ricostruivano 
idealmente  le  grandi  vie  di  Roma  e  le  magnificenze 
edilizie  della  via  Appia.  Le  gesta  romanorum  erano 
una  fonte  inesauribile  per  gli  artisti,  gli  scritti  dei 
classici  eran  popolari  anche  al  medio  ceto  e  le 
rappresentazioni  dei  fatti  della  mitologia  ,  sempre 
giovane  perchè  sempre  rispondente  alla  fantasia 
del  popolo  nostro  che  amò  concretare  in  forme  ma- 
teriali tutti  i  fenomeni  più  astratti,  si  moltiplicavano 
nei  quadri,  nelle  sculture,  nelle  incisioni,  con  com- 
plicazioni oggi  a  noi  moderni  positivisti  inespli- 
cabili .  tanto  che  gli  studi  e  le  discussioni  su 
certi  simboli  dei  dipinti  di  Botticelli,  del  palazzo 
di  Schifanoia,  dei  trionfi  del  Costa,  non  hanno  an- 
cor valso  a  chiarirli.  L'antichità  classica  è  così  ra- 
dicata e  intimamente  sentita  nel  periodo  aureo  del 
Rinascimento  che  certe  composizioni,  come  i  trionfi 
di  Cesare  del  Mantegna  e  la  Scuola  d'Atene  delle 
stanze  vaticane  meravigliano  anche  oggi ,  dopo 
tanto  cammino  di  studi  archeologici  ;  e  si  arriva  a 
trovarne  la  massima  glorificazione  nel  Parnaso  di- 
pinto da  Raffaello  nelle  stanze  intime  del  palazzo  che 
pur  rappresentava  da  secoli  il  cuore  della  Cristianità. 
Le  divinità,  mitologiche  trionfano  dovunque ,  perfino, 
come  a  Siena,  sulle  pareti  dei  severi  palazzi  comu- 
nali ;  e  tutto  l'allegro  e  formoso  esercito  delle  di- 
vinità minori,  tritoni,  nereidi,  sfingi,  satiri,  cen- 
tauri, avvolge  colonne  e  capitelli,  s'arrampica  sui 
pilastri,  invade  le  tombe  e  persino  le  pareti  delle 
chiese,  presso  le  figure  dei  Santi  e  dei  Dottori. 
L' antichità ,  in  forma  giovanile  e  nuova  conquide 


Lodi. 


Piacenza.  Portale  del  palazzo  Landi 
ora  del  Tribunale. 

il  mondo  e  Papi  e  artisti  di  genio  pensano  seria- 
mente a  trasformare  le  vecchie  città  medioevali  in 
città  romane,  con  lunghe  file  di  portici  e  di  peri- 
ornati  di  statue. 

Il  sogno  di  Polifilo  e  la  città  di  Pienza,  benché 
appena  abbozzata,  meravigliano  ancora  noi  che 
ascriviamo  a  gloria  del  nostro  tempo  l'aver  intra- 
preso gli  scavi  di  Micene  e  di  Olimpia,  di  Roma 
e  di  Pompei. 

E  mentre  gli  artisti  oggi  stentam  i  nella  poco  spon- 
tanea imitazione  di  forme  nordiche  che  sembrano 
compendiare  la  nevrosi  da  cui  siamo  dominati,  ap- 
prendono con  stupore  che  una  leggenda  raccolta  da 
Luciano,  la   Calunnia  di  Aprile,  en  quattor- 

dici composizioni  artistiche  diverse  ad  artisti  come 
Mantegna,  Botticelli,  Signorelli,  Durer,  Raffaello  : 
e  si  meravigliano  come  di  cosa  nuova  delle  lunghe 
e  profonde  discussioni  artistiche  del  Cortegiano  del 
Castiglione  e  delle  lettere  di  Isabella  d'Este  al 
Perugino. 

Al  bisogno  di  quel  tempo  cosi  innamorato  del- 
l'antichità dovevan  quindi  rispondere  anche  le  or- 
namentazioni sulle  case,  vero  palladio  del  senti- 
mento classico  invadente.  I  palazzi,  le  ville,  i  mer- 
cati, i  portici,  i  padiglioni  all'antica  che  sorgono 
per  incanto  anche  nei  più  piccoli  luoghi  sui  pre- 
cetti di  Vitruvio,  son  provvisti  per  lo  più  di  un 
arco  d'accesso,  almeno  di  una  porta  monumentale 
ornata  di  effigie  di  divinità  classiche  e  mitologi- 
che o  di  imperatori;  qualche  volta,  accanto  al  ri- 


"..,_>  I   \    LETTURA 

tratto  'li  un    V  i  quello  del  signore 

delia  terra  o  del   i  irio. 

me  più  ricca  ne  è  certamente  la  Lombar- 
dia, Ila  che,  per  la  lontananza  dalla  pura  e 
Qté  del  Rinascimento,  la  Toscana,   e  per 


Brescia.  Portali  lsa  Fanti,  f-oi  Regnoli. 

la  naturale  tendenza  alle  appariscenti  forme  della 
ricchezza,  era  la  più  disposta  ad  accogliere  i  mo- 
tivi che  meglio  le  si  confacevano.  Certi  portali  di 
Milano,  di  Cremona ,  di  Como  sono  di  un'esube- 
ranza tale  da  non  temer  confronti.  La  porta  desìi 
Stanga,  già  a  Cremona  ed  oggi  uno  dei  gioielli  del 


Louvre,  è  Carnosa;  inai  ciclo  mitologico)  ispirato 
ad  antichi  rilievi,  s'era  raccolto  cosi  abbondante- 
mente intorno  ad  un  arco:  le  statue  d'Ercole  e  'li 
Perseo,  la  testa  anguicrinita  della  Medusa  fra  le 
■nidi.  Pegaso  alato,  la  favola  del  leone  Nemeo 
e  di  Anteo,  balzan  fuori  scolpite-  linamente  nel 
marmo  accanto  alle  teste  di  Cesare,  di  Adn 
di  Tito  Vespasiano,  di  Traiano.  Nel  portale  del 
palazzo  dei  Landi  a  Piacenza,  oggi  sedi-  dei  Tri- 
bunali inadatta,  le  eleganti  figure  di  paggi  del  quat- 
trocento, rovinatissime  e  fino  a  poco  tempo  fa  ber- 
saglio del  vandalismo  dei  monelli  finché  si  pensò  a 
custodirle  da  un  cancelletto,  s'ergono  accanto  ai 
putti,  ai  delfini,  alle  chimere  ;  una  ridda  di  putti  suo- 
nanti si  svolge  nel  fregio,  e  una  splendida  cimasa 
sormontata  da  tre  statue  corona  il  monumento,  vero 
arco  trionfale  adattato  ai  tempi  e  ai  bisogni  nuovi. 
Nella  porta  dell'antico  banco  dei  Medici,  oggi 
custodita  nel  Museo  Archeologico  di  Milano,  lo 
scultore  (Michelozzo,  si  vuole,  ma  forse  coadiu- 
vato da  un  lombardo)  s'ispira  più  da  vicino  al- 
l'antichità nei  particolari  ma  crea  un  insieme  piut- 
tosto pesante,  meno  che  nella  parte  superiore  at- 
traentissima  col  suo  motivo  dei  putti  leggeri  reggenti 
la  corona  (derivazione  diretta  dai  rilievi  romani) 
con  le  imprese  araldiche  e  coi  ritratti  dei  signori 
del  luogo  ,  pieni  di  naturalismo.  E  i  restauri  e  le 
demolizioni  per  le  esigenze  incessanti  della  moder- 
nità vanno  mettendo  in  luce  continuamente  archi 
eleganti,  ornati  di  busti  d'imperatori,  di  meda- 
glioni ,  di  stemmi  :  tanto  che  i  musei  ne  son  già 
pieni. 

Nella  ricerca  affannosa  di  nuove  forme  d'arte, 
mentre  sembra  assopito  l'estro  creativo  italico  che 
produsse  cosi  enorme  e  vario  frutto  artistico ,  fa 
dolore  l'assistere  allo  smembramento  di  quelle 
opere,  sorte  cosi  vivaci  dallo  spirito  creatore  di  una 
generazione  eletta;  e  si  pensa  con  tristezza  a  che 
varrebbero ,  un  giorno ,  se  il  ricordo  e  il  culto 
del  passato  fosser  men  vivi ,  quei  frammenti  am- 
monticchiati nei  musei  freddi  come  necropoli,  lon- 
tano dai  luoghi  ai  quali  gli  artisti  e  i  bisogni  li  de- 
stinarono. 

Francesco  Malaguzzi  Valeri. 


^s^^m^^ 


Vita  e  gloria  del  "  Guerin  Meschino  „ 


I  primi  del  febbraio  dell'ottantadue,  le 
vie  di  Milano  erano  tappezzate  da  gran- 
di avvisi  colorati  (una  quasi  novità  per 
quei  tempii  che  annunziavano  la  imminente  com- 
parsa di  Gitemi  Meschino  «  ciarle  milanesi  illu- 
strate ».  col  relativo  elenco  dei  collaboratori:  i  più 
illustri  personaggi  delle  lettere,  dell'arte  e  della  vita 
italiana. 

Ecco  l'elenco: 

Giulio  Canchero. 

Prof.  Comm.  Cons.   PIFFERAR!   iillii- 
Millo  Tassarani. 
Jacopo  Fortis. 

Pifillo  dott.  PlFILLl  (Lifippo  Lifippi). 
Magnesa  Landriani. 
n.  o.  p.  q.  molmeo  polpenti. 
T'adoro  Moneta. 
Tarlo  Gobussi. 
Dondavid  Taphanarum. 
'    Croscè  Quartucci  (barbi 
Florindo  Stitichetti. 
Errico  Pan-zac-may-tack. 
Leòca  Stblnuovo. 
M.  Felix  Cameron  (chauviniste). 
Matilde  Cacao. 

Mantice  dei   Mantici  (F.  Cavallotti). 
Mappamondo  degli  Amjcis. 

Gll'LEBBE    GlACOSA. 

Cammino  ed  arrivo  a  Goito  (Fratelli). 


....  Due    vecchietti  .    dall'a  •  ratico    e 

garbato,  si  fermano  dinanzi  all'avviso  del  Gitemi 
Meschino,  leggono  attentamente  tutti  i  nomi  e  poi 
uno  dice  al  compagno,  con  un  sorriso  di  filosofica 
rassegnazione: 
—  Quel  Giulio  Canchero...  sariss  poeu  m 
Era.  infatti.  Giulio  Cnrcano.  lauti  ire  del  Damia- 
no e  dell 'Angiola  Maria,  e  l'altro  il  senatore  Piola, 
il  quale,  scrollando  la  testa,  mormorava  a  sua 
volta:  Oramai  no  se  fàa  che  rid  de  lutti  e  de  tati 
cossi 

La  Lettura. 


Certamente  l'illustre  tumanziere  e  il  vecchio  e 
moderato  senatore  non  prevedevano  allora  che,  ap- 
punto, sapendo  ridere  a  tempo  e  luogo,  il  giornale 
che  si  annunziava  in  quel  modo,  sarebbe  diventato 
uno  dei  più  seri  e  dei  più  furti  giornali  d'Italia. 


10  di  solito  mi  accorgo  o  mi  ricordo  che  è  dome- 
nica, trovando  alla  mattina,  a  portata  di  mano  in- 
sieme ai  giornali  della  prima  posta,  il  Guerin  Me- 
schino. E  basta  la  comparsa  dell'antico  giornale  u- 
moristico,  bastano  gli  sberleffi  della  sua  testata  e- 
roicomica  per  dissipare  quella  punta  di  fastidio 
che  reca  sempre  la  prospettiva  della  giornata  do- 
menicale con  tutta  la  sua  chiassosa  e  sfarzosa  vol- 
garità. Il  Giurino  è  innanzi  tutto  un  vecchio  e  al- 
legro amico  ;  niente  seccatore  ,  niente  zuppificatorc. 
Appartiene  alla  nostra  generazione,  al  nostro  ceto 
e,  diciamolo  pure,  alla  nostra  combriccola.  E'  ve- 
nuto su  con  noi,  e  quando  ci  capita  di  ricordare 
qualcuna   delle    sue    prime   gesta,   insieme    ad    un 

netto  giovane,  ci  si   para  dinanzi   il   nostro  io, 
rem  ventanni  di  meno. 
Proprio  ventanni  ! 

11  primo  numero  del  Guerin  Meschino  doveva  u- 
scire  il  12  febbraio  1882,  ma,  tanto  per  comini 

il  numero  non  fu  pronto  pel  giorno  fissate.  L'a\ 
cato  Filippo  Bordini  —  ch'era  tra  i  primi  collabo- 
ratori e  die  si  mantenne  freddurista  implacabile 
e  scettico  derisore  della  vita,  fino  all'ora  della  sua 
precoce  agonia  di  tisico  senza  illusioni  —  suggerì 
un  espediente  curioso: 

«  Annunziamo  al  pubblico  che  la  prima  edizione 
è  andata  a  ruba,  è  stata  esaurita  in  un'ora  e  che  la 
la  uscirà  mercoledì  prossimo,  giorno  15  ». 

Si   fece  cosi.  Ma  il  procuratore  generale  —  che 
era    allora  il   commendatore   Oliva,   un    magisi  1 
inflessibile,  cui  le  lotte  con  l'innocua  radicaleria  di 
tempi  rovinavano  di  giorno  in  giorno  lo  sto- 

38 


•'"I 


LA    LETTURA 


vi  S 

ludiendum   verbum    l'amico   Giovanni 

;  i  il  più  in  vista  tra  i  fondatori,  e  gli 
diede   una    mezza    lavata    'li    cap  non  era 

presentai  uitoriià.  come  la   leggi-  pre- 

ire,  la  i>rim.i  o  codesto  misterioso  (inc- 

lino, del  quale  si  parlava  tanto  in  Milano. 

Il     Pozza   confidò    candidamente    al    procuratore 
lo  stratagemma-r«/am«  suggerito  dal  Bor- 
dini, ma  il  con  re  raggrotta  le  ciglia  e  alza 
la  w  i 

IVr  Diol  C'era  chi  gli  aveva  assicurato  di 
aver  letto  tutto  quel  primo  numero,  parola  per  pa- 
rola ! 


I  ri  i  fondatori,  altri  tre  scomparvero  innanzi 
tempo  dalla  scena  della  vita,  come  il  povero  Bor- 
dini: Carlo  Borghi,  Guido  Pisani  e  Luigi  Filippo 
Bolaffia  Di  quei  primi  sono  rimasti  i  due  fratelli 
Giovanni  e  Francesco  Pozza,  più  vivi  e  in  buona 
salute  che  mai,  eternamente  giovani  al  pari  del  loro 
Gattino,  carne  della  loro  carne,  sangue  del  loro 
sangue. 

Carlo  Borghi,  era  di  tutti  il  temperamento  più 
letterario  e  più  aristocratico.  Anche  nel  fondare 
un  giornale  umoristico ,  egli  deve  aver  pen- 
sato indubbiamente  di  combattere  per  un  ideale  e 
contro  la  volgarità,  tale  essendo  stata  la  caratteri- 
stica del  suo  spirito,  apparentemente  troppo  mon- 
dano, ma  in  realtà  entusiasta  e  un  po'  romantico. 

Guido  Pisani  era  un  artista  della  matita  e  del- 
l'avvenire, fatto  apposta  per  dare  la  nota  nuova 
ad  un  giornale  nuovo,  con  quattro  tratti  di  carica- 
tura. E  il  Bolaffio  rappresentava  la  testa  quadra 
nel  cenacolo  maldicente  ed  era,  forse,  il  più  maldi- 
cente di  tutti,  ma  altresì  il  più  equilibrato,  con  certe 
viste  amministrative  che  tradivano  sin  d'allora  il 
futuro  prossimo  editore-proprietario. 

Il  Guerini?  nacque  cosi,  per  L'intesa  semi-seria  di 
questi  cinque  o  sei  ambrosiana  lombardo-veneti,  e 
nacque  —  come  suol  dirsi  —  con  la  camicia. 

A  nessun  nuovo  giornale  come  al  Guerino,  che  si 
guardò  bene  dal  proclamarlo  nell'articolo-program- 
ma, si  sarebbe  potuto  affibbiare  il  vanto  di  «  ri- 
spondere ad  un  sentito  bisogno  »  o  di  colmare  la 
«  solita  lacuna  ».  Parve  che  in  quei  giorni  a  Mi- 
lano fosse  indispensabile,  fatale,  la  comparsa  di 
un  foglio  che  facesse  ridere  tutti  alle  spalle  di 
tutti  ;  che  staffilasse  per  diritto  e  per  rovescio,  ma 
n  una  certa  cavalleria  e  so- 
prattutto senza  fiele,  temperando  la  satira,  anche 
spietata,  anche  feroce,  con  un  onesto  buonumon- . 
da  vero  galantuomo. 

Così  il  Guerino,  aspettatissimo,  fu  accolto  a  brac- 
cia aperte  e  quella  accoglienza  gli  portò  fortuna 
sulle  prime,  gli  ha  portato  fortuna  sempre  e  chi  sa 
fin  quando  glie  ne  porterà  ancora. 

buon  successo,  subito  dopo  queli 
l'elenco  dei   collaboratori,    fu   il   trionfo  della  te- 
stata,   simpaticissima   nella    sua   originali:,!    quasi 
■  •si-,1.   Fu   I  rise  ad  una  i  a 


■ara  del  Cremona,   l'ispirazione  ili  quel  magni- 
fico scarabocchio  di   gusto  medievale.   In  esso  : 
si  poteva  Lntravvederi    tranne  il  ni- lo  del  giornale, 
tanto  che  gli   stessi  rivenditori  chiamavano  il   Gite- 

Ira  ili  loro:  —  quel  fornai  col  noni  che  se  ca- 
pisi i  'Ma  ben  presto  l'enigmatica  testata 
diventò  li  vera  nia  del  Guerino,  la  faccia  a- 

i  e  geniale  che  vi  guarda,  sogghigna  e  vi  saluta 


Guerin  Meschino,  fedele  alla  sua  tradizione  e- 
ri  ica  e  cavalleresca,  ritornava  fra  i  vivi  di  questo 
mondo  povero  in  canna,  ma  fiero,  spensierato  e  ge- 
□l  roso  come  don  Chisciotte.  Alle  prime  spese,  prov- 
vide Carletto  Borghi  e  tutto  si  combinava  ad  un  ta- 
volino del  caffè  Biffi,  come  si  trattasse  di  una  par- 
tita a  briscola  fra  studenti  e  boh'emes.  Ed  era  a 
quel  tavolino,  in  mezzo  alla  placida  sonnolenza  dei 
pensionati  lettori  di  giornali  esteri,  degli  ammira- 
tori del  concertino  serale,  delle  popò.'e  in  attesa  di 
un  aspirante,  che  si  alternavano  le  celie,  le  discus- 
sioni, le  freddure  dalle  quali  nasceva  il  Guerino. 
In  un  proposito  solo  si  trovavano  sempre  d'accordo 
tutti  i  collaboratori:  «  Niente  politica!  »  Anzi  il 
prendersela  con  i  politicanti  ed  i  politicastri  per 
mestiere  o  per  vanità,  fu,  sin  dai  primordi,  con  il 
più  grande  divertimento  dei  lettori,  la  maggior  glo- 
ria di  Giuriti  Meschino. 

La  prima  caricatura  del  primo  numero  fu  quella 
di  Giuseppe  Giacosa ,  e  il  florido  poeta  fu  la 
mascotte  del  giornale .  ma  a  cominciare  non 
dal  primo,  &A  secondo  numero,  e  precisamente 
per  una  parodia  di  Sarah  Bernhardt.  che  fornì  il  te- 
li, i  ai  discorsi  e  alle  risate  per  una  settimana,  Gue- 
rino manteneva  le  promesse.  La  sua  satira  si  alzava 
da  terra,  mirava  alle  manifestazioni  ed  alle  vicende 
dell'arte  e  del  teatro:  i  suoi  versi  maccheronici  a- 
vevano  gusto  e  sale,  i  suoi  frammenti  un  sapore 
letterario  affatto  moderno. 

Don  Gerolamo  Sala,  prototipo  del  signore  stu- 
dioso, colto,  aristocratico,  diede  al  Guerino  dei  pri- 
mi tempi  alcuni  Ixizzetti  :  Dalla  mia  finestra,  che 
ricordavano  il  Vesta   Verde  dalle  eroiche  memorie. 

Ahimè!  Ad  ogni  nuovo  nome,  una  nuova  crocei 
Povero  don  Gerolamo,  ancora  fino  agli  ultimi  anni 
così  giovanilmente  impettito  e  roseo  sotto  la  can- 
dida e  ben   ravviata   chioma  alla  napoleonica! 

Ritto  nel  suo  stallo  di  consigliere  comunale,  egli 
lia  parlato,  forse,  una  sol  volta,  dopo  venti  anni  di 
silenzio,   ma   ha   parlato   splendidamente   in   difesa 
delia  Si  ili.  come  un  i  steta  della  Grecia  antica.  Poi 
la  bella,  la  simpatica  fig.ira  che  per  la  g 
signorile  e  l'espressione  tipica   sembrava  un  m 
glione  d'altri  tempi,  il  bel  gentiluomo  che 
duto  nel  suo  palchetto  a  ti  itro,  sembrava  un  ni 
antenato  redivivo,   è   pure  scomparso,   è  sparito  non 
senza  rimpianto,  per  chi  ama  un  carattere  e  un  uo- 
mo che  alla  propria   idea  -erba  intatta  ! 
l'i  pera. 

Del    pittore    I  che    insieme    al    buon 

Campi  delle  ombre  e  a  Pippo  Ranci  fu  tra  i  primi 
illustratori    del    Guerino.   non   so  più   che  cosa   sia 


VITA    E    GLORIA    DEL    "  GUERIN    MESCHINO 


595 


avvenuto.  Poco  dopo  succedeva  a  questi  iniziatori 
nell'onore  di  puppazzettare  uomini  ed  avvenimenti. 
il  pittore,  architetto  ed  ora  consigliere  comunale 
—  lui.  la  sua  barba  e  la  sua  pipa  —  Luigi  Con- 
coni. Tre  ghirigori  a  spirale,  ed  ecco  la  faccia  del 
forte  ed   elegante  schermitore  Alfredo   Dalgas: 


Quattro  rapide  cancellature  sovrapposte,  ed  ecco 
nel  suo  triste  pallore  tempestoso  la  larva  evane- 
scente del  maestro  Catalani  : 

E  Luigi  Conconi,  argutissimo  creatore  di  questo 


avvenirismo  della  caricatura,  continuò  e  continua 
ancora  a  disseminare  nel  Onerino  i  minuscoli  gucri- 
neiti,  le  sigle  e  le  iniziali  istoriate,  che  gli  danno 
il  pimento  illustrativo.  Ma  da  parecchio  tempo  le 
vere  illustrazioni   del   giornale  sono  disegnate  dal 


pittore  Amero  Cagnoni,  personaggio  misterioso  e 
quasi  mitico,  corporea  personificazione  di  quelle 
incorporee  cose  che  sono  lo  scherno  tagliente  e  la 
burla  cortese. 

Il  talento  del  Cagni 'ni  consiste  essenzialmente 
nella  aristocrazia  del  disegno,  anzi  del  segno:  nella 
efficace  semplicità  della  linea.  Le  caricature  dei 
Cagnoni  sembrano  appartenere  ad  un'arte  primor- 
diale; si  staccano  con  profili  geometrici,  cine  ri- 
tagliate nel  cartone,  ma  tutte  vivono  di  una  loro 
vita  istantanea,  saltellante,  grottesca,  e  fra  i  mol- 
tissimi colpiti,  molti  possono  consolarsi  di  non  a- 
\er  mai  avuto  ritraiti  più  somiglianti.  Di  alcuni, 
la  caricatura  è  diventata  il  cliché,  lo  stigma,  vorrei 
dire  lo  stemma,  e  basterà  ricordare  il  Guerinetto 
cogli  occhiali  dello  stesso  Chea»  Pozza  —  ormai 
una  sigla  imperitura;  poi  il  naso  e  i  baffi  del  se- 
re Xegri.  la  barba  d'oro  del  prefetto  Basile, 
gli  occhi  schizzanti  anatema  di  Sua  Eminenza  il 
cardinale  Ferrari  le  contrastanti  stature  del  Xe- 
groni  e  del  Silvestri. 


«  Niente  politica!  »  si  era  detto,  ed  infatti  Glie- 
ritto  t  il  giornale  di  tutto  quel  grande  partito  che 
non  appartiene  ad  alcun  partito,  appunto  perchè  è 
fatto  dalla  gente  di  spirito  che  giudica  e  ragiona 
con  la  propria  testa.  La  viva  e  vera  forza  del  Gue- 
rttio  è  la  sua  oggettività,  la  sua  indifferenza  canzo- 
natoria per  gli  entusiasmi  degli  scalmanati,  per  le 
concioni  dei  patriotardi  e  dei  radicalastri.  La  sua 
satira  si  è  sempre  alternata  ad  un  severo  disprezzo 
per  gli  egoismi,  i  livori,  le  stizze,  le  piccinerie  delle 
mummie  del  passato,  per  le  inframettenze  e  le  va- 
nità dei  mestieranti,  dei  conigli,  degli  affaristi,  dei 
palloni  gonfiati,  delle  zucche  vuote  di  ogni  colore  e 
di  ogni  pensiero. 

Proprio  a'  suoi  primi  numeri,  egli  si  è  forse 
«  sbilanciato  alquanto  »  allorché  mosse  in  breccia 
contro  la  Costituzionale,  con  una  mefistofelica  tra- 
sfusione del  sangue,  della  quale  il  già  decrepito 
sodalizio  moderato  ha  aspettato  vent'anni  a  sentire 
la  necessità.  Successivamente  aprì  una  vera  cam- 
pagna contro  l'amministrazione,  pure  moderata,  del 
sindaco  Belinzaghi.  ma  l'ardito  e  destro  cavaliere 
si  rimise  presto  e  abilmente  in  sella,  e  vi  si  man- 
tenne diritto  anche  durante  le  perigliose  giostre  e- 
lettorali,  liberando  spesso  gli  opposti  campi  dai 
pigmei  più  ridicoli,  così  come  seppe,  in  occasione 
di  avvenimenti  lieti  o  luttuosi  per  tutta  la  patria 
italiana  dimostrare  felicemente  la  possibilità  di  far 
piangere  ridendo...  e  viceversa. 

Questo  foglio  domenicale,  che  sembra  uno  scher- 
zo e  nulla  più  di  un  passatempo,  ha  trionfalmente 
affermata  la  forza  suprema  del  giornale  moderno. 
Avere  un  solo  padrone,  un  solo  cliente,  il  pubblico, 
e  non  rendere  servigi  ad  alcuno.  A  questo  patto  sol- 
tanto, il  pubblico  vi  segue  con  simpatia  e  con  fiducia: 
a  questo  patto  soltanto,  si  può  dire  pane  al  pane  e 
vino  al  vino,  si  possono  menar  botte  da  orbi  a  chi 


596  LA    LETTI  R  \ 

se  le  uhi  m  dai  pitali  di  creta  e 

talvolta  smontare,   ri- 

■  •.    trappi  le    e   macchùi  1  unente  e 

astutamente  •  al    quotidiano   controllo   dei 

giornali  politici. 

\i  venne  dallo  stesso  Carlo 

■11   tr.iNtns.i  mi  giornale  L'Italia  «Iella  prima 

in. 11  lui   fondati  1  nell'i  ttantat ri-  e  .il  quale 


sua  signorile  mania  sportiva  per  rivelare  \MUrbe 
il  «  gaietto  1     ■  ilei  Dodo  e  delle  Dodine. 

A  questo  punto  della  sua  vita,  Gucrin  Meschino 
deve  rassegnarsi  al  suo  battesimo  epico  e  sguainare 
la  durlindana.  Nell'ottantecinque,  saputosi  in  tutta 
Italia  che  Cavallotti,  a  Roma,  è  stato  messii  in 
trawenzione  dalle  guardie  municipali  per  una  di- 
remo...  distrazione,  crede  ili  poter  cantare  l'episo- 


passarono  in  massa  gli  scritturi  ilei  Giurino.  11  gior- 
nale fu  da  allora  preso  e  diretto  da  Francesco  Poz- 
za e  divenne  poi  —  per  la  morte  del  Borghi  ■ —  pro- 
prietà appunto  dei  due  tipici  fratelli  Pozza:  il 
Pozza  biondo  e  il  Pozza  negher,  mentre  il  Bolaffio 
fondava  il  Ciffè  non  senza  qualche  velleità  di  con- 
correnza... Ma  intomo  al  Guerini),  che  prosperava 
per  forza  e  un  bel  figliuolo  nato  sano 

e  robusto,  senza  debiti  e  senza  proventi  straordi- 
nari, affluivano  altre  energie,   altre  intelligenze. 

Luca   Beltrami,   con   una   lancia   acuta   come   la 
punì  nibattè  in  esso  la  campagna 

formidabile  contro  gli  edili  ili  palazzo  Marino; 
il  do         1  '  1,   un    farmacista  corro- 

sivo come  i  siici  acidi,  trafigge  a  punte  di  spillo 
i  vibrioni  di  certi  ambienti  milanesi  sacri  lino  al- 
lora al  quieto  vivere.  Eugenio  Zorzi  vi  infonde  il 
suo  veneziano  spii  maestri    buzzi 

1  vivo  da  ria  il  tipo  im- 

!       ■  ipprofitts 


più. 

dan- 


ilio  non  so  più  se  in  terza  od  in  ottava  rima.  L'ode 
riesce  un  capolavoro  e  tutta  Milano  ne  ride,  ma  il 
bardo  della  democrazia  piglia  cappello  e  si  batte 
co!  Filippo  Bordini,  poi  con  Giovanni,  ed  infine 
con  Francesco  Pozza  che  deve  attendere  gli  gua- 
risca un  flemone  al  braccio  per  chiudere  la  serie 
delle  scialbiate. 

(incrino,  intanto,  diventa  granile  sempre 
Nell'ottobre  dell'ottantotto  gli  balena  un'id 
tesca!  Milano  è  messa  sossopra  per  la  costruzione 
dei  quartieri  nuovi  e  siccome  molti  mandano  al- 
l'inferno chi  li  ha  inventati.  Giurino  ne  segue  le 
glorie  e  le  sventure  con  successive  parodie  delli 

divine,  che  hanno  un  successo  italiano.  Il  G 
rilutto  ci   tiene  però  ad  essere  e  a   rimanere  mila- 
nese, e  mentre   il    vere,  colpevole,   Checco    Pi 
lascia  che  l'universo  intero  si  arrovelli   invano 
scoprire  chi    sia   il   redivivo   Alighieri,   si  gloria   di 
pubblicare  in   ogni   numero,   o  quasi,   la   sua   brava 
i.'in/ti  in  meneghino  e  le  altre  in  bosino  vero,  del 


VITA   E    GLORIA    DEL    "  GUERIN    MESCHINO,, 


5"  '7 


suo  Campée,  Federico  Bussi.  Fermarsi  sarebbe  mo- 
rire. Giunrio  deve  rispecchiare  l'evento  !  Ed  ecco  ; 
successi  clamorosi  del  Guerinetto  sport,  pel  quale 
Pietro  Troubetzkoi ,  agli  albori  della  celebrità. 
inviò  da  Londra  non  caricature,  ma  veri  disegni, 
piccoli  capolavori,  e  a  brevi  intervalli  ecco  seguire, 
pure  trionfalmente,  il  libretto  parodia  <\e\\' Otello 
e  del  Lohengrin,  e,  finalmente,  le  trovate  impaga- 
bili pei  doni  agli  abbonati,  fra  cui,  indimentica- 
bile, il  pipino  di  schiuma  alla  Guerin  Meschino. 

hit  auto  continuano  a  succedersi  nel  giornale,  in 
un'ombra  trasparentissima  ,  collaboratori  insigni  e 
improvvisati,  come  il  Mascagni  (cavalier  Genio)  . 
il  Colautti.  l'Illica,  il  Corazzini,  i  due  fratelli  Pii 
la.  l'Arrivabene.  felicissimo  nelle  pseudo-odi  Car- 
ducciane e  più  tardi  il  Macchi,  il  Bertolazzi  e  Re- 
nato Simoni,  un  dannunziano  esilerantissimo,  ra- 
pace di  far  ridere  anche  il  Maestro  e  tutta  la  sco 
laresca.  Lo  stesso  Giuseppe  Verdi,  se  non  collabo- 
ratore diretto,  fu  un  grande  ispiratore  ed  un  ami- 
co fido.  La  mattina  dopo  la  prima  dell'Otello,  il 
Maestro  aveva  presso  di  se,  sul  suo  tavolino,  uni- 
ca pubblicazione,  la  parodia  del  Guerino. 


Guerino  per  alcune  pretese  ingiurie  al  Re.  a  pro- 
I  i  -ito  di  Crispi.  ma  si  capi  in  tempo  che  si  era 
presa  una  cantonata  e  non  vi  fu  processo.  Per  il 
capo  d'imputazione  del. primo  sequestro,  deve  aver 
corso  qualche  pericolo  aneli.-  quell'incontentabile 
Nice,  che  dal  novantasette  in  poi,  sfoga  i  suoi  ma- 
lumori coniugali  in  brevi  strofette  al  pepe  di  Ca- 
jenna,  con  una  insistenza  ed  una  monotonia  impla- 
cabili. Il  lamento  di  Nice  ha  sempre  la  stessa  cau- 
sa, ma  l'astuta  donna  sa  approfittare  dell'avveni- 
mento del  giorno  per  impietosire  i  lettori  a'  suoi 
disinganni  di  moglie  fedele.  E  guai  il  giorno  in 
cui  non  la  si  vedesse  più.  rincantucciata  là  in  fondo 
-  al  posto  del  n  al  posto  in  cui  gli  altri 

giornali  recano  gli  avvisi  mortuari  —  in  atto  di  le- 
xarsi  il  busto,  per  coricarsi  a  lato  de!  suo  troppo 
impassibile  Guerino/  Nice  è  una  pulce  nell'orec- 
chio pei  mariti,  ed  è  il  grido  dell'animo  di  mille 
spose  che.  se  potessero,  le  erigerebbero  un  monu- 
mento. Nice  rappresenta  la  nota  di  una  femmini- 
lità un  po'  salace  e  b<  <  . >■  -.  .  -  a.  ma  assai  più  di- 
vertente, davvero,  di  tutto  il  femminismo  presente... 
e  di  là  da  venire  ! 


E'  credenza  di  molti,  alimentata  dai  malevoli  e 
dagli  invidiosi,  che  il  Guerino  non  sia  conosciuto  e 
capito  che  a  Milano  ed  anche  a  Milano,  entro  la 
cerchia  dei  Navigli,  attorno  al  Duomo  e  nulla  più. 
La  sua  tiratura  è  andata,  invece,  aumentando  sem- 
pre, e  siccome  Milano  è  per  l'Italia  un  po'  di  quello 
che  Parigi  è  per  la  Francia,  è  il  centro,  il  fuoco, 
la  sirena,  così  il  Guerino,  sintesi  ed  espressione 
dello  spirito  e  della  vita  milanese,  ha  fortuna  in 
ogni  regione,  anche  se  dapertutto  non  è  gustato 
interamente  e  sottilmente  quanto  da  noi. 

Gli  italiani  all'estero ,  poi ,  hanno  bisogno  del 
Guerino  per  vincere  la  nostalgia  del  paese.  Diceva 
il  lìarzini  che  in  Cina,  dei  giornali  italiani,  il  più 
noto  e  diffuso  è  il  Guerino  ed  in  Isvizzera  fa  con- 
correnza ai  giornali  umoristici,  che  non  ci  sono, 
ad  onta  delle  botte  tirate  ai  concittadini  di  Gu- 
glielmo Hotel.  La  Svizzera  ha  però  motivi  speciali 
di  gratitudine  per  il  Guerino.  Nessuno  al  mondo 
le  ha  mai  fatto  più  epica  reclame  di  quella  che  il 
giornale  milanese  le  ha  dedicato  gratis  et  amore, 
magnificando  l'ospitalità  elvetica  verso  i  profughi 
politici    del   novantotto. 

E  in  una  delle  più  tristi  domeniche  della  cani- 
cola e  dello  stato  d'assedio,  i  pescatori  del  Ceresio 
fecero  ridere  alle  spalle  degli  esuli  persino  i  ri- 
masti sotto  chiave! 


Con  la  giustizia  penale  il  Guerino  ha  avuto  poco 
o  nulla  a  che  fare,  ma  anch'esso  però  e  per  due 
volte,  è  incappato  nelle  cosidette  unghie  del  fisco. 
Una  novelletta  troppo  allegra  procurò  al  giornale 
un  primo  sequestro.  L'onore  di  un  secondo  —  co- 
me disse  in  quell'occasione  il   Secolo   —  toccò   al 


«t6 


Francesco  Pozza. 


598 


LA     1  ETTI  RA 


\l  .  -■•-.  ìi. •;!  soltanto  ai  vezzi  della 

'  a  pre  .1  ben  altre  se- 
duzioni!  Nò  vanità,  ne  Cupidige,  hanno  avuto  po- 
tare ili  aggiogarlo  mai  al  carro  dei  moderati . 
piuttosto  che  alle  I  Le  beghe  dei  repubbli- 

cani, o  dei  radicali,  i    dei  socialisti.  Il  Guerino  vive 
nato,  liben  .  ridendo  e  sferzando, 

I  livori,  senza  i«li>'  1  pi  ichè  questo  foglio  di 
rana  che  è  diventato  una  istituzione  ed  una  forza, 
che  .spira  simpatie  alla  brava  gente  e  mette  paura 
ai  lirico  mi  e  ai  buffoni,  è  l'opera,  è  l'anima,  è  il 
iiza  di  un  uomo,  è  tempo  che  a 
quest'uomo  si  dica:  bravo!  (Juest'uomo,  dopo  tanti 
anni  passati  ad  osservare  e  a  punzecchiare  le  de- 
bolezze umane,  si  è  1  ite  e  dolce  come  un  ra- 


gazzi i,  sereno  ed  indulgente  come  un  savio.  Al  pari 
del  vini,  schietti  e  sincero,  col  passare  del  tempo, 
anziché  ii  si  è  fatto  e  si  fa  sempre  migliore 

rmai  non  è  un'esagerazione  il  dire  di  Francesco 
Pozza,  —  il  biondo-grigio  e  irsuto  direttore  del 
Giurm  Meschino  —  quello  che  dicono  tutti  a  Mi- 
lano :lè  boti...  boti  cornei  pan!  Ma  la  sua,  è  una 
forte  bontà.  Egli  si  è  educato  ad  un  senso  pratico 
ammirevole  e  nel  considerare  gli  uomini  e  le  vi- 
cende è  sempre  rimasto  all'infuori  del  •  proprio 
io  •.  Egli  sa  ispirarsi,  sotto  la  parvenza  di  una 
giocondità  superficiale  e  gaudente,  ad  una  bella  e 
pura  idealità  e  sa  farsene  guida  in  ogni  azione  del 
suo  Guerino  e  della  sua  vita. 


Gnigno  del  igo2. 


Gerolamo  Rovetta. 


L'arte  nuova  all'Esposizione  di  Torino 


a.  che  si  fanno  Esposizioni,  nessuna  mai, 
forse,  fu  attesa  con  una  più  viva  aspet- 
tazione, con  una  curiosità  più  pungente 
di  quella  che,  con  così  festosa  solennità,  si  è  inau- 
gurata nel  maggio  scorso  a  Torino. 

Nel  pubblico  era  entrata  ormai  la  convinzione 
che  tutte  le  Esposizioni,  poco  su,  poco  giù,  si  ras- 
somigliano e  che  nulla  più  di  nuovo  c'è  da  aspet- 
tarsi da  esse  ;  convinzione  ben  radicata  perchè 
frutto  di  una  lunga  esperienza,  e  a  smuovere  la 
quale  era  mestieri  di  una  specie  di  miracolo. 

Ebbene  il  Comitato  di  Torino,  nel  bandire  la 
sua  Esposizione  di  Arte  Decorativa  Moderna,  ha 
trovato  modo  di  operarlo  questo  miracolo  con  un 
piccolissimo  articolo  del  suo  programma  :  non  po- 
tranno ammettersi  le  semplici  imitazioni  di  stili  del 
passato. 

Un  articolo  che  non  ha  l'aria  di  niente,  come 
vedete,  e  che  è  invece  una  azionaccia  da  scavez- 
zacolli, e  di  una  irriverenza  poi  senza  precedenti. 
Come  mai  ?  I  vecchi  stili  consacrati  dall'  ammira- 
zione dei  secoli,  i  venerandi  modelli  che  i  nostri 
padri  avevano  con  tanta  fede  copiato  e  noi  con 
altrettanta  fede  ricopiato,  le  Arche  Sante  di  tutte 
le  forme  possibili  della  bellezza  potevano  così,  da 
un  giorno  all'altro,  essere  messi  in  disparte  come 
roba  fuori  d'uso;  e  questo  in  un  programma  uffi- 
ciale, firmato,  non  da  quattro  frondeurs,  ma  da 
artisti  illustri,  da  deputati   e    senatori  del  Regno, 


per  una  Esposizione  da  tenersi  in  una  città  che 
ha  riputazione  di  seria,  e  da  inaugurarsi  da  S.  M. 
il  Re,  circondato  dai  Principi,  dalle  Rappresen- 
tanze delle  Camere  e  dai  Ministri? 

Via,  bisogna  ben  convenire  che  c'era  di  che  ec- 
citare la  curiosità  ! 

Finora  infatti  si  era  sempre  stati  tutti  d'accordo 
nel  ritenere  che  il  campo  delle  Arti  Decorative 
fosse  appunto  il  solo  dal  quale  qualsiasi  tentativo 
di  novità  dovesse  essere  assolutamente  escluso.  Il 
perchè  di  questo  regime,  dirò  così,  proibitivo,  sa- 
rebbe assai  difficile  di  trovare,  per  la  semplicissi- 
ma ragione  che  forse  non  esiste.  Ma  il  fatto  non 
è  perciò  meno  certo. 

Quello  stesso  pubblico  che  fischia  in  teatro  se 
in  una  commedia  o  in  un'  opera  nuova  crede  di 
ravvisare  una  vecchia  situazione  o  un  vecchio 
spunto,  che  preferisce  la  lettura  di  un  romanzo  di 
attualità,  magari  brutto,  a  quella  di  tutti  quanti  i 
classici  messi  insieme,  che  alla  banalità  dei  mo- 
derni rettifili  sacrifica,  con  una  specie  di  voluttuosa 
soddisfazione^  antichi  e  gloriosi  monumenti  ;  quello 
stesso  pubblico  che  prima  d'andar  dal  sarto  con- 
sulta il  figurino  della  moda  e  riderebbe  all'idea  di 
vestire  oggi  alla  foggia  del  cinquecento,  quando 
si  tratti  dei  propri  mobili  o  della  decorazione  della 
propria  casa,  sembra  cambiar  natura. 

Al  di  là  dell'uscio  del  proprio  appartamento 
tutti  diventano  archeologhi.  Degli   archeologhi  un 


6oo 


LA    LETTURA 


po' all'acqua  di   i  vogliamo,  che    imbotti- 

no] mobili  del  medioevo,  che  nascondono  le 
lampadine  Edison  denti.'  lanterne  del  quattrocento, 
quando  non  le  mettano  a  simulare  la  fiamma  in 
cima  a  delle  candele  di  porcellana,  che  sanno  ap- 
prezzare l'utilità  di  un  buon  calorifero  a  termosi- 
purchè  sia  pudicamente  <  < ■  l.i t . .  dietro  una 
finta  caminiera,  con  tanto  di  alari  in  ferro  battuto 
per  un  focolare  che  non  esiste,  e  così  via.  Perchè 
stile  è  una  gran  bella  cosa,  anche  i  propri 
comodi  non  sono  da  disprezzare. 

Dell',  irte  Nuova  si  parlava  da  un  pezzo,  ma,  da 
parte  dei  ben  pensanti,  se  ne  parlava  con  un  sor- 
riso di  arguta  canzonatura  e  di  compatimento.  Chi 
avrebbe  mai  creduto  che  si  potesse  prenderla  sul 
serio  ? 

E  facile  quindi  di  immaginare  quale  elì'etto  do- 
vesse produrre  il  programma  dell'  Esposizione  di 
Torino. 

Quando  poi  furono  pubblicati  i  disegni  del  D'A- 
ronco  per  gli  edifizi  dell'Esposizione,  e  comincia- 
rono a  sorgere  nel  Parco  del  Valentino  certe  strut- 
ture insolite,  e  queste  a  rivestirsi  man  mano  di 
forme  non  mai  viste,  la  curiosità  del  pubblico  si 
andò  mutando  in  una  aspettativa  diffidente  ed  an- 
siosa, come  quando  in  un  circo  si  assiste  a  un 
salto  pericoloso,  che  tutti  scrollano  il  capo  con 
l'aria  di  disapprovare ,  ma  tutti  son  là  sospesi, 
intenti  a  vedere  come  l'andrà  a  finire. 

Ebbene  il  salto  è  finito  bene  ;  il  D'Aronco  è  ca- 
duto in  piedi,  e  il  giorno  dell'inaugurazione  ha 
potuto  ricevere  col  viso  sorridente  le  congratula- 
zioni che  da  ogni  parte  gli  venivano  fatte. 


Ma  il  pubblico  che,  con  questi  precedenti  in 
testa,  oltrepassa  la  soglia  delle  Gallerie,  persuaso 
di  entrare  in  un  nuovo  mondo  estetico,  in  un  mondo 
di  forme  assolutamente  inedite,  non  può  a  meno 
di  provare  qualche  delusione. 

t  .li  avevano  tanto  parlato  di  Arte  nuora,  di 
nuovo  Stile,  e  a  lui  non  vien  fatto  di  vederlo  o, 
quanto  meno,  di  poter  cogliere,  attraverso  tanta 
varietà  e  bizzarria  di  forme,  quelle  caratteristiche 
specifiche  e  permanenti  senza  delle  quali  uno  stile 
non  si  può  dire  che  esista. 

Di  più,  attraversando  intere  sezioni,  e  passando 
davanti  a  molta  parte  degli  oggetti  esposti  nelle 
altre,  gli  par  di  udire  come  un'eco  di  canzoni  che 
ha  già  sentito  cantare,  gli  par  di  indovinare,  sotto 
più  o  meno  riusciti  travestimenti,  delle  vecchie  co- 
noscenze. 

Gli  è  che  i  famosi  stili  del  passato,  che  si  era 
voluto  con  molto  rumore  cacciare  dalla  porta,  con 
la  bonaria  malizia  di  chi  ne  ha  già  viste  tinte,  si 
son  fatti  piccini  piccini,  hanno  messo  le  suole  di 
gomma  alle  loro  scarpe  e,  ammiccandosi  l'occhio 
fra  di  loro,  pian  pianino  son  rientrati  dalla  finestra. 

Ma  la  loro  presenza  in  mezzo  alla  giovane  com- 
pagnia un  po'  scapigliata  non  guasta,  anzi  vi  porta 
un  certo  profumo  di  vecchia  nobiltà,  che  non  è 
privo  di  grazia. 

D'altra  parte  come  escludere,  per  un  esempio,  i 
saggi  dell'arte  inglese,  se  proprio  da  loro  è  venuta 
la  prima  spinta  a  questo  gran  movimento  di  rin- 
novazione delle  arti  decorative,  al  quale  assistiamo? 


Ingresso  principale  dall'esterno. 


L  ARTE    NUOVA   ALI.'l-:si'OSlZIoNE    LI    TORINO 


60 1 


Nel  recinto. 


Eppure  la  mostra  dell'  Inghilterra  non  è  altro, 
si  può  dire,  che  una  risurrezione  dell'  arte  nostra 
del  trecento  e  del  quattrocento  :  ma  in  essa  è  una 
tale  forza  di  convinzione,  una  tale  intensità  di  pas- 
sione, da  farla  essere  ancora  oggi  una  cosa  viva, 
e  da  farla  quasi  parere  una  cosa  nuova. 

11  William  Morris,  il  Ruskin  e  gli  altri  che  li 
hanno  seguiti,  non  hanno  certo   avuto   la   pretesa 


di  creare  un  nuovo  stile;  essi  hanno  solo  voluto' 
con  un  violento  ritorno  a  quelle  forme  primitive, 
strappare  l'arte  dal  sciatto  virtuosismo  in  cui  a 
poco  a  poco  era  caduta.  Hanno  voluto  che  l'artista 
tornasse  umile  davanti  alla  natura,  non  d'altro  mu- 
nito che  di  sincerità  e  di  semplicità. 

Ed  hanno  fatto  di  più  ;  hanno  predicato  con  la 
parola  e  con  l'esempio,  che  l'arte  non  deve  essere 


Facciata  principale. 


602 


LA    LETTURA 


fatta  solo  per  i  palazzi  e  per  i  musei,  non  deve 
essere  la  soddisfazione  di  un  vano  ed  egoistico 
dilettantismo,  ma  deve  farsi  più  umana,  deve  eser- 
citare una  larga  e  benefica  funzione  sociale,  intro- 
ducendo Del  commercio  quotidiano  della  vita  l'e- 
lemento educatore  della  beli' 

Questo  è  veramente  il  più  gran  merito  di  quei 
ituomini;  ed  io  penso  che  il  giorno  in  cui 
il  William  Morris,  pittore  e  poeta  illustre,  ebbe  il 
coraggio  di  aprire  a  Londra,  in  <  >\lord  Street, 
una  bottega  da  tappezziere  e  di  metterci  su  il  suo 
bravo  nome,  abbia  giovato  alla  questione  sociale 
più  di  cento  Comizi,  ed  abbia,  insieme  alla  bottega, 
aperto  anche  un'  èra  nuova  per  l'arte. 

E  i  frutti  di  quel  mirabile  apostolato  non  tarda- 
rono a  vedersi.  Artisti  di  grandissimo  ingegno,  in 
ogni  paese,  pur  restando  fedeli  al  genio  della  pro- 
pria terra,  si  fecero  seguaci  e  propagatori  della 
nuova  religione.  Essi  stessi,  come  già  il  William 
Morris,  si  fecero  artefici,  non  credendo  con  questo 
di  derogare  alla  propria  dignità  ;  e  così  si  venne 
producendo  quel  maraviglioso  movimento  di  cui 
l'Esposizione  testé  aperta  in  Torino  è  1'  afferma- 
zione e  la  sintesi  più  completa  che  finora  s'abbia 
avuto. 


Che  importa,  dopo  ciò,  se  in  essa  il  nuovo  stile, 
tanto  strombazzato  da  quelli  che  badano  più  alle 
parole  che  alla  sostanza  delle  cose,  non  appare 
ancora  ben  definito  ?  Non  preoccupiamocene  per 
carità  ! 

Il  nuovo  stile,  se  ha  da  venire,  verrà  a  suo  tem- 
po, per  via  di  quel  lento   e   progressivo  lavoro  di 


selezione  e  di  integrazione  ,  attraverso  del  quale 
devono  fatalmente  passare  tutti  gli  organismi  prima 
di  definirsi  in  un  tipo. 

Ve  la  figurate  voi  una  generazione  che  si  alzi 
una  bella  mattina  dal  letto  con  l'idea  di  voler  in- 
ventare un  nuovo  stile  prima  di  tornare  a  letto  la 
sera  ? 

A  Torino  gli  sforzi  alla  ricerca  di  forme  nuove 
sono  numerosi  ed  evidenti  ;  ma  non  son  sempre 
fortunati. 

Molti  hanno  scambiato  la  novità  con  la  stram- 
beria, ed  hanno  dimenticato  che  se  importa  di  tar 
nuovo,  importa  anche  più  di  far  bello.  Ed  hanno 
dimenticato  soprattutto  che  la  prima  condizione  della 
bellezza  è  la  logica.  Di  qui,  per  esempio  nei  mo- 
bili, certi  viluppi  e  contorcimenti  di  forme  contra- 
ri, oltrecchè  al  senso  estetico,  anche  ad  ogni  ap- 
parenza di  statica;  materiali  impiegati  a  sproposito 
o  in  modo  contrario  alla  loro  natura,  e  cosi  via. 

Questi  difetti  si  rilevano  qua  e  là  in  pressoché 
tutte  le  Sezioni,  ma  sono  particolarmente  evidenti 
nella  Sezione  italiana,  dove  la  scelta  degli  oggetti 
da  esporre  ha  dovuto  essere  necessariamente  meno 
rigorosa. 

Bisogna  anche  dire  che  molti  dei  nostri  esposi- 
tori, trattandosi  di  un  primo  esperimento,  non 
avevano  ben  capito  quello  che  si  voleva  da  loro. 
Essi  hanno  creduto  in  buona  fede  che  bastasse 
sfogliare  le  molte  pubblicazioni  d'  arte  decorativa 
moderna,  che  si  son  fatte  all'estero  in  questi  ulti- 
mi anni,  per  trovarvi  la  ricetta  del  nuovo  stile,  e, 
tanto  per  non  restare  indietro,  non  si  son  conten- 
tati di  copiare,  ma  hanno  fatto  un  po'  la  carica- 
tura dell'originale. 

Bisognava  vedere,  nelle  Gallerie  stesse  dell' Espo- 


Sezh  'm  ^i  ria. 


Sezione  della  Scozia. 


Sezione  italiana. 


«.,.{ 


LA    LETTI 


suione,  certi  i  oratori  a  tirar  giù  delle  in- 

tere pareti  di  quello  che  essi  chiamano    Liberty, 

con  una  unici    e  con    una 

mani  i  i  n'era  un1  ira  ili  l lio  ' 

Ma  tutto  ciò  passerà  e  resterà  il  buono  che  non 
è  pi" 

Sbollita  la  prima  furia  di  tentativi  disordinati, 
<he  hanno  l'aria  di  voler  piuttosto  sorprendere  che 
persuadere,  si  capita  che  le  Arti  Decorative  vo- 
gliono essere  rinnovate,  non  per  il  semplice  gusto 
di  far  diverso  o  al  contrario  di  quello  che  si  faceva 
prima,  ma  perchè  rispondano  meglio  alle  esigenze 
della  vita  d'oggi,  ed  accusino,  senza  ridicole  ipo- 
crisie e  bastardi  adattamenti,  la  funzione  alla  quale 
sono  destinate  ;  perchè,  in  una  parola,  siano  I"  e- 
spressione  franca  e  sincera  del  nostro  tempo,  come 
i  vecchi  stili  lo  furono  del  tempo  loro. 

Per  ottener  ciò  si  vedrà  che  non  è  proprio  ne- 
cessario ili  voltare  il  mondo  con  le  gambe  in  aria. 

Il  letto  nel  quale  dormiamo  e  la  sedia  sulla  quale 
riposiamo  compiono  presumibilmente  oggi  lo  stesso 
ufficio  che  compivano  nei  secoli  passati;  dovrannu 
quindi  essere  anche  oggi  un  letto  ed  una  sedia  ; 
ma  la  maggior  varietà  di  materiali  che  oggi  pos- 
sediamo e  i  mezzi  di  lavorazione  diversi  da  quelli 
di  una  volta,  purché  si  voglia  usarne  schiettamente, 
senza  puerili  infingimenti,  suggeriranno  essi  stessi 
nuovi  motivi  ornamentali,  nuove    combinazioni  di 


colori,  nuovi  andamenti  e  sviluppi  [di  linee,  cosi 
che  la  fisionomia  decorativa  di  quegli  oggetti  ne 
risalterà  necessariamente  mutata. 

I  bensì  vero  che  quest'opera  di  trasformazione 
è  difficile  e  delicatissima,  e  se  richiede  una  gran 
dose  di  buon  gusto,  ne  richiede  una  più  grande 
di  buon  senso,  che  più  difficilmente  si  trova. 

Ad  ogni  modo  i  nostri  produttori,  piuttosto  che 
dalle  pubblicazioni  straniere,  si  facciano  guidare 
da  artisti  nostri,  e  se  la  loro  produzione  ne  uscirà 
un  po'  intuita  di  italianismo,  credano  che  non  sarà 
il  gran  male. 


Del  resto  gli  esempi  che  questa  Esposizione  for- 
nisce, e  i  confronti  che  si  dovranno  fare,  apriranno 
gli  occhi  non  agli  industriali  soltanto,  ma  agli  ar- 
tisti stessi. 

lissi  devono  vedere  lo  sconfinato  campo  che  si 
è  schiuso  alla  loro  attività,  devono  sentire  la  bel- 
lezza della  loro  nuova  missione,  di  portare  in  mezzo 
a  una  società  fatalmente  troppo  utilitaria  un  cor- 
rettivo di  idealità. 

E  non  per  i  ricchi  soltanto. 

Il  Comitato  dell'Esposizione,  quando  bandiva, 
insieme  a  dei  Concorsi  per  ambienti  signorili,  dei 
Concorsi  per  ambienti  di  poco  costo,  mostrava  eli 


,o  della  Svezia. 


■ 


* 


Padiglione  Mostra   Fotograi  li   \. 


Interno  della  Scozia. 


6o6 


LA    1.1    ITI  RA 


della   funzione   i  i\  ile   a  cui  deve 
stendere  il  nuovo  movimento  artistico,  e    traci 
artisti  la  via  per  la  quale  si  devono  m 

Essi  devono  peni  tto,  anche  il 

più  umile,  può  vestirsi  di  bellezza  sotto  la  mano 
amorosa  dell'artefice,  e  diventare  un  efficace  ele- 
menti di  edui  di  gentilezza,  in  mezzo  al- 
;liità  delle  lotti-  che  le  varie  (lassi  vanno  fra 
di  loro  combatteni 

Sarà   il   Socialismo  della  bellezza. 

Noi  dobbiamo  studiarli  di  rendere  gaia  ed  at- 
traente anche  la  dimora  più  modesta.  E  a  questo 
ufficio  l'arte  che  si  chiama  nuova  si  presta  mira- 
bilmente. 

Essa  predilige  le  tinte  chiare  e  liete;  essa  ha 
tornato  in  nuore  la  policromia  nella  decorazione 
interna  ed  esterna  delle  case,  nei  mobili,  nei  ve- 
tri, nelle  biancherie  ;  essa  va  alla  ricerca  dei  ma- 
teriali più  svariati  ;  essa  si  preoccupa  soprattutto 
che,  in  ogni  ambiente,  ogni  particolare  si  fonda  in 
una  prestabilita  armonia  generale. 

i  'ra  ognun  sa  quanta  influenza  abbia  sull'animo 
nostro  l'aspetto  delle  cose  in  mezzo  alle  quali  imi 
viviamo. 

Ci  sono  alla  Esposizione  delle  camerette  into- 
nate ad  una  intimità  così  dolce  e  suggestiva,  da 
indurre  alla  calma,  alla  serenità,  anche  l'anima  più 
tempestosa. 


Questa  ima  dt\V  intonazione  è  evidentissima  alla 
ira  ili  Torino,  e  poiché,  attraverso  le  manife- 
stazioni più  disparate,  appare  comune  a  tutti  i 
paesi,  si  può  asserire  che  essa  costituisca,  per  il 
momento,  la  più  spiccata  caratteristica  delle  mim e 
tendenze. 


Anche  da  noi,  dove,  consentendoci  il  clima  di 
vivere  più  all'aperto,  la  cura  della  casa  non  fu  mai 
soverchia,  ora  incomincia  a  farsi  sentire  il  desiderio 
di  accarezzare  più  amorosamente  la  propria  di- 
mora, il  proprio  nido. 

Sotto  questo  aspetto  l'Esposizione  di  Torino  è 
quasi  una  rivelazione. 

Ed  altro  ancora  essa  ci  rivela,  di  cui  possiamo 
essere  contenti  :  che  noi  italiani,  sebbene  arrivati 
tardi  nel  movimento  e  bisognosi  di  apprendere 
molto  dagli  altri,  possiamo  pure  insegnare  agli 
altri  qualche  piccola  cosa. 

A  rifuggire,  per  dirne  una,  da  certe  aberrazioni 
della  forma,  le  quali  possono  facilmente  condurre 
—  ed  a  Torino  ce  n'  è  dei  saggi  —  a  mutare  la 
casa  di  un  pacifico  cittadino  in  una  specie  di  vi- 
sione da  allucinato,  in  un  ambiente  da  manicomio. 

Ci  rivela  pure  che,  anche  in  questo  campo  delle 
industrie  artistiche,  esistono   nel    nostro    paese  — 


Rotom.\  d'onore.  —  Interno. 


LARTE    NUOVA    ALL  ESPOSIZIONE    DI   TORINO 


607 


di  cui  cosi  spesso  e  cosi  facilmente  ci  lasciamo 
andare  a  dir  male  —  tante  forze  vive,  desiderose 
del  meglio  ed  energicamente  operose  a  conseguirlo, 
quali  nessuno  avrebbe  forse,  prima  d'  ora,  sospet- 
tate. 

La  Sezione  italiana  a  Torino,  cogli  stessi  elementi 
che  sono  in  mostra,  avrebbe  potuto  certamente  fare 
una  figura  assai  migliore  che  non  faccia,  se  una  dire- 
zione superiore  avesse  avuto  cura  di  coordinare 
fra  di  loro  le  varie  mostre,  di  armonizzarle  all'am- 
biente, di  guidare  coi  suoi  consigli  gli  espositori 
nella  disposizione  degli  oggetti,  di  dare  alle  sin- 
gole gallerie  quell'aria  di  decoro  e  di  signorilità 
che  tanto  contribuisce  al  successo  delle  Sezioni 
estere.  Tutto  questo  lavoro  di  organizzazione  è 
mancato  assolutamente,  e  per  di  più  1'  ubicazione 
stessa  della  parte  più  importante  della  nostra  Se- 
zione riusci  disgraziata  come  peggio  non  avrebbe 
potuto  essere.  —  Noi  italiani,  che  pure  passiamo 
per  furbi,  siamo  in  realtà  la  gente  più  buona  di 
questo  mondo  ;  all'estero  ci  trattano  con  pochi  ri- 
guardi e  non  abbiamo  la  forza  o  il  coraggio  di 
reagire,  ma  se  gli  stranieri  vengono  in  casa  nostra, 
ci  facciamo  in  quattro  per  accoglierli  bene,  diamo 


loro  addirittura  il  nostro  letto,  a  costo  d'andar  noi 
a  dormire  in  solaio.  Siamo  davvero  gente  molto 
ospitale. 

Ma  l'esperienza  di  questa  volta  dovrà  ispirarci 
un  po'di  carità  per  noi  stessi  per  le  volte  a  venire. 
Sarà  uno  dei  frutti  di  questa  Esposizione;  il  risultato 
della  quale,  se  è  tale  da  non  farci  essere  malcontenti 
di  noi  stessi,  deve  però  insegnarci  che  molto  ancora 
ci  resta  a  fare,  nelle  scuole,  nelle  officine,  nelle  teste 
e  nei  cuori. 

Le  energie,  ora  disordinate  e  spesso  divergenti, 
hanno  bisogno  di  essere  disciplinate  e  fatte  con- 
vergere verso  una  forma  d'  arte  che,  pure  rispon- 
dendo alle  necessità  ed  alle  tendenze  dei  nuovi 
tempi,  sia  schiettamente,  decisamente  italiana. 

Lasciamo  pure  che  gli  altri  vadano  per  la  loro 
strada  e  noi  andiamo  per  la  nostra.  I  tempi  in  cui 
l'arte  era  monopolio  di  un  sol  popolo  sono  pas- 
sati, ma  se  noi  non  possiamo  oggi  pretendere  di 
essere,  come  una  volta,  i  maestri  di  tutti,  dobbia- 
mo sentire  ancora  nel  genio  della  nostra  razza 
sufficiente  virtù  per  essere  almeno  i  maestri  di  noi 
stessi. 

G.  Beltrami. 


-1 — — il 

La    strada,    solitaria 

OOOOOo"* 


Tris/c,  a  chi  so/o  vada 
Nell'ombra  della  sera, 
X, IP  aria  clic  s  annera, 
La  soli/aria  si  rada! 

Il  mar  che  pria  sonava 
Con  dolce  suon  di  cetra 
Ora  con  rabbia  idra 
Ciiia  rampogne  e  bava; 

Il  inonle  che  giaceva 
Cinto  di  rossa  gioia, 
Si  veste  d'atra  noia 
E  tri/ce  in  pie  si  leva  ; 

I  pini  che  amorosi 

Tendean  le  braccia  al  sole 
Saettano  parole 
D'odio,  nel  vento,  irosi: 

E  il  so  le  è  sotterrato, 
E  spenta  è  pur  la  luna, 
E  non  isboccia  alcuna 
Sì  ella  nel  ciel  serrato. 

Triste,  a  chi  so/o  vada 
.Veli' ombra  della  sera, 
Nell'aria  che  s'annera, 
La  solitaria  strada! 


LA    STRADA    SOLITARIA  609 

Egli  sente  un'ambascia 

Strana  sul  cor  pesare  ; 

E  smette  di  cantare, 

E  tutto  in  se  si  accascia 

Pensa  un  orto  tonfano 
Entro  un  ma  ti  ino  d'oro, 
Ed  uno  so  h  io  Ho  alloro 
E  un  -verde  melograno: 

Sogna  l'odor  del  fieno, 
La  casa  devo  nacque, 
Un  viso  che  gli  piacque 
In  un  tempo  sereno  ; 

Vorrebbe  il  focolare 
E  il  suo  buon  sonno  antico 
Scorto  da  un  cuore  amico 
Vegliante  al  limitare; 

E  pensa  la  distanza 

C/i'è  tanta  dal  suo  lotto  ; 
E  pensa  eh' è  sì  stretto 
Il  tempo  che  gli  avanza. 

—    Tardi!  —  rampogna  il  mare; 
E  i  pini  —  Sciagurato.' 
E  intanto  il  monte  alzato 
Cjntinita     a  minacciare. 

Sott'esso  lo  sgomento 
Del  cielo  chiuso  e  mulo, 
Gridai-  '-vorrebbe  —   Aiuto: 
E  fugge  insieme  al  vento  : 

E  fugge,  fugge  forte 

Con  un  terrore  insano, 
E  quando  giunge  al  piano 

Si  abbatto  noi  la  Morir. 

Angiolo  Shaki  Novaro. 
La  Lettura.  3Q 


MMMMMI 


■5P 


Monte  Baldo  da  Sirmione. 


La   penisola   di   Sirmione 


ON  so  per  quale  strana  fatalità,  o  stor 
tura  di  giudizio,  sia  mancata  fin  ora  al 
Benaco,   da   pam-  degli    Italiani,  quella 
corrente   ili    simpatia,   che   accompagna    da 


larga 

tanto  temp 
su' ii  minori  fra- 
nili subalpini. 
I  onfuso  dai  più 
nella  posizione 
geografica,  tra- 
dito  nel    n 

innato  su 
falsi  o  mani  h 
voli  indizi  e  sen- 
za controllo  di 
prove,  giacque 
fino  a  pochi  an- 
ni fa,  abbando- 
nato    e    ' 

dagli      stl 

■ 
ipure  quali 

dei    laghi    : 

;   Bena- 

; 

di  ire    di  i  r    dolcezza   di    clima  .   per    pu- 

rezza   di    acque,   per    giocondità    di    vedute,    per 


Sulla  strada  da  Sirmione  a  Desenzano. 


Eco  :  la  nella  Sirmio  nel  lucido  lago  sorride 
fiore  delle  penisole. 

varietà  e  magnificenza   di    p  -   Quale  rac- 

coglie più  densa  e  illustre  storia  intorno  al  sii" 
nome'  Quale  ebbe  più  gagliardi  e  innamorati  can- 
lori,  da  <  latullo  a  <  !ardu 

Ma  delli 
se  è  come  degli 
uomini  ;  non 
sempre  le  mi- 
gliori trovano 
più  pronti 
unanime  il  con- 
senso e  l'ap- 
plauso della 
folla. 

Bello  è 
naco  nella   luce 

i 
sole       che       lo 

■le;        Min 

nei  i  ramonti  in- 
fuocali   che     1" 
tingono  di  por- 
pora  e   li,   \ 
no   d'oro  ;    bello 
nelle   noni    - 
ne     he  gli  ripe- 
toni,  le  armonie  dei  cieli  e  i  hagliori  dell 
bello  nell'ombra  che  ne  allarga  i  contorni  e  lo  av- 


LA    PENISI  >LA    DI    SIR.M10NE 


Gii 


volge  nel  mistero  dell'infinito;  superbamente  bello 
nelle  turbinose  tempeste  che  l'alzano  urlante  e  fre- 
mente sui  flutti  e  lo  eguagliano  al  mare,  a  cui  volle 
paragonarlo   Virgilio   nel  tumulto   dell'ira. 

Nel  lungo  tratto,  da  Riva  dove  il  lago  comi 
fino  a  Peschiera,  dove  finisce,  corra  l'acqua  incas 
sata  fra  l'irte  e  brulle  dolomie,  o  si  stenda  ampia 
e  maestosa  tra'  morenici  colli,  ogni  curva,  ogni 
seno,  ogni  angolo  affaccia  spettacolo  nuovo  ;  ogni 
ora  del  giorno,  con  suoi  particolari  rilievi  e  co- 
lori, cambia  la  scena  e  discopre  nuove  meraviglie. 
Il  geologo,  il  botanico,  lo  storico,  il  poeta  hanno 
qui  campo  inesausto  di  osservazione  e  di  studio  ; 
ognuno  può  trovarvi  materia  che  interessa  le  sue 
tendenze,  i  suoi  gusti,  la  sua  curiosità,  e  si  sente 
costretto  ad  ammirare,  a  interrogare,  a  pensare. 

I  bianchi  paesetti  allineati  sulle  rive,  arrampi- 
cati sui  pendii,  distesi  sulle  colline,  ammucchiati 
e  quasi  sospesi  sui  dorsi  pietrosi,  sfilano  davanti 
al  viaggiatore,  e  occhieggiano  e  salutano  ;  qui  se- 
veri e  melanconici  sotto  l'ombra  di  nere  conifere  ; 
là  gaudiosi  e  splendenti  tra  gli  uliveti  e  le  vigne. 
E  castelli  turriti  e  cascate  pittoresche  e  valli  an- 
guste e  morbidi  poggi,  e  casali  solitari  e  ville  ci- 
vettuole, e  giardini,  e  agrumeti,  in  alto  e  in  basso, 
sfilano  anch'essi  e  sorridono,  mentre  nell'aria  è 
un  sottile  profumo  di  lauri  e  di  cedri  in  fiore. 

CeYito  visite  e  cento  a  questo  sovrano  dei  laghi 
non  esauriscono  né  scemano  il  fascino  ch'egli  eser- 
cita sull'intelletto  e  sui  cuori,  perchè  inesauribili 
sono  in  lui  le  fonti  della  bellezza. 


Ma  ormai  tutti  gli  sguardi  e  i  desideri  s'appun- 
tano sulla  vaga  penisola,  nel  cui  dolce  nome  gi- 
grnteggia  e  si  spande  la  celebrità  del  Benaco.  Da 
lei.  tre  civiltà,  per  bocca  di  tre  grandi  poeti,  Ca- 
tullo, Dante  e  Carducci,  nell'armonioso  italico  i- 
dioma,  accennano  e  invitano. 


Circonfusa  di  luce,  nuotante  nel  sole,  tra  le  op- 
poste riviere  che  le  s'incurvano  ai  fianchi,  nel  ter- 
so specchio  dell'acque,  si  slancia  la  verde  Sirmio- 
ne.  la  pupilla  de!  lago.  Rocca  di  Manerbo  e  San 
Vigilio  da  lungi  si  protendono  avanti  per  ammi- 
rarla più  appresso  ;  grave  quella  come  madre  che 
teme  e  ammonisce,  impaziente  questo  come  sposo 
che  si  affretta  all'amplesso. 

Da  ogno  punto  della  vasta  conca  turchina  la 
bella  si  vede  :  i  miti  chiarori  dell'alba,  i  meriggi 
radianti,  i  pallidi  crepuscoli,  le  notti  stellate,  i 
bianchi  riflessi  lunari,  la  mostrano  sotto  apparenze 
diverse;  timida,  ardita,  melanconica,  solenne,  mi- 
steriosa. 

La  penisola  è  costruita  per  la  maggior  parte  da 
uno  scoglio  cretaceo  (scaglia  rossa),  che  segna  una 
pagina  importante  nella  storia  geologica  del  lago. 
Ha  figura  di  triangolo,  somigliante  a  una  piccola 
Sicilia:  il  lato  maggiore,  lungo  metri  1200,  guar- 
da all'oriente;  gli  altri  due  all'occidente;  la  sua 
massima  larghezza  è  di  metri  600  ;  la  superficie 
di   metri   quadrati   400   mila   circa.    Ai   tre   angoli 


Il  ponte. 


012 


LA    LETTURA 


Il  castello. 


corrispondono  tre  sollevamenti,  di  cui  il  meridio- 
nale, ch'è  anche  il  più  alto  (m.  35  sul  livello  del 
lago),  ha  nona-  Cortine,  quello  di  mezzo  Mavino 
e  il  settentrionale  Grotte. 

Sirmione  è  isola  e  penisola  insieme,  perchè  per 
un  sol  ponte  è  congiunta  a  mezzodì  a  un  lungo  e 
stretto  istmo,  che  per  circa  due  chilometri  s'allun- 
ga nel  lago  tra  i  golfi  di  Desenzano  e  Peschiera. 
Pupilla  delle  isole  e  «Ielle  penisole  la  chiamò  quin- 
di   Catullo  nel   celebre  carme: 

Peninsularura   Sirraio ,  insiilarumque 
Ocelle (e.  32") 

Sull'origine  ilei  nome  non  mi  fermo;  l'etimo- 
logizzare su  ogni  parola  è  spesso  travaglio  da  a- 
crobata:  piuttosto  vorrei  che  il  bel  nome  che  cosi 
soave  suona  nel  verso  del  Poeta  latino  e  dei  mi- 
gliori nostri,  non  venisse  —  come  da  troppo  tem- 
po >•  anche  ufficialmente  si  fa  -  cambiato  in  Ser- 
mione,  corrompimento,  che  comincia  a  trovarsi  nei 
documenti  del  latino-barbaro  del  secolo  Vili  e  ne- 
gli autori  che  attinsero  da  essi. 

I    neppui  dico  dei  primi  abitatori,  dei  preis 
ria  cioè  vissuti  sulle  palafitte;  né  dei  secondi,  E- 
neti  o  El  ero,  pi  rchè  I n ipp  1  intricato 

e   dibattuto  è   il   campo.    Meglio  invece   rilegj 

strofe  che,  proprio  di  qui,  e  sull'argomento, 
ise  il  nostro  Carducci  (1)  e  che  valgono  bene  da 
sole  un  volume  di  critica  congetturale: 

e  tra  i  vini  udir  lontani-  istorie 
D'atavi,  im-ntri.-  il  divo  ■•ni  precipita 
pie  m.  Ile  sopra  noi  viaggiano 

le  e  le  fronde  l'aura  mormora. 


no  >  m    Terze  odi  bai  bare. 


1  -'.-si  die  queste  ameni-  rive  tennero 
Te,  come  noi,  bel  sole,  un  di  goderono, 
O  ti  gittasser  belve  umane  un  fremite 
Da  le  lacustri  palafitte,  o  agili 

Veneti  a  l'onda  le  cavalle  dessero 
Trepida  e  fredda  nel  mattino  roseo, 
O  co  '1  tirreno  lituo  segnassero 
Nel  mezzogiorno  le  pietose  acropoli. 


Le  prime    memorie    storiche    sono    dell'epoca    ro- 
mana. 

Posta   Sirmione  sulla  gran  via  militare,   la  Gal- 
lica 0  {Emilia),  una  delle  più   importanti  e  battu- 
te dell'impero,   -    segnata   nell'Itinerario  di   Anto- 
nino come   mansione,   ossia    luogo   di    fermata   per 
cambio  di  cavalli,   rifornimento  ili  vettovaglie  e  al- 
loggio  dei   corrieri,   dei   magistrati   e  qualche   volta 
degli  stessi  imperatori.   La  vira  mansione  —  e  se 
m-  trovarono  vestigia       era  a  capo  dell'istmo  , 
so  la  via  stessa  per  più  pronto  e  regolare  serv:z:o  : 
ma   ciò   non   esclude   che    nella    penisola   sin' 
sero  per  più  lungo  riposo  i  meno  affrettati  e  i  de- 
siderosi di  svago  in  luogo  Ix-llo  e  dili 
in  altre  sta/ioni  consimili  avveniva.  Del  resto  ognun 
sa  come  il   Benaco  tossi    apprezzato  e  frequeni 

dai    ricchi     romani,    che    vi    avevano    ville    soni 

•  •  poderi,  ionie  a  Tusculo  1  nei  dintorni  di  Napoli. 
Appresso  alla  via  (ialina  e  —  secondo  il  Fili.isi 
da  Mantova  fin  sui  colli  di  Pozzolengo,  Cavria- 
na,  Volta  e  Valeggio,  distendevasi  gran  selva  bhia- 
.1  Lugana;  nome  che  conserva  anche  attualmen- 
te il  più  ristretto  territorio  che  sia  tra  la  penisola, 
Rivoltella  e  Peschiera. 

Sul  dosso  Cortine  restano  avanzi   di  rocca  roma- 


LA    PENISOLA    l'I    SIRMION1 


i.i3 


na,  e  ai  due  lati  del  paese,  due  porti  pure  romani; 
il  più  ampio  —  compreso  poi  nella  cerchia  del  ca- 
stello scaligero  e  in  gran  parte  oggi  interrato  — 
ad  oriente,  di  forma  triangolare,  col  vertice  a  ter- 
ra e  il  lato  più  lungo  ai  flutti,  difeso  da  solide 
mura  ;  l'altro  ad  occidente,  meno  combattuto  dal- 
l'onda, usato  anche  al  presente  dai  pescatori  e  dai 
naviganti. 

In  uno  di  essi,   e   probabilmente  nel   primo  per- 


ii.   CASTELLO. 

che  più  grande  e  profondo,  vide  Catullo  galleg- 
giare il  fido  e  veloce  faselo  che  dalle  tempeste  del 
Ponto  lo  aveva  ricondotto  salvo  alla  patria,  quando 
additandolo  agli  ospiti  ne  celebrava  i  pregi  e  i  ser- 
vizi che  gli  aveva  resi  nel  lungo  pellegrinare 

Phaselus  ille.  quem  videtis   hospites. 

Ait  fuisse  navium  celerrimus.  (Carmi-   |    . 

Lapidi  imperatorie  e  votive,  marmi  sepolcrali  e 
cippi  miliari  ebbe  un  tempo  Sirmione  numerosis- 
sisimi.  Oggi  pochi  ne  restano:  la  maggior  parte 
furono  trasportati  —  preda  illegittima  —  nel  mu- 
seo archeologico  di  Verona,  o  qua  e  colà  dispersi 


di  fuori.  Biasimevole  mania  questa  di  ammontic- 
chiare nelle  gallerie,  spesso  senza  indicazione  di 
provenienza,  marmi  e  frammenti  che  nulla  dicono 
a  chi  li  visita,  mentre  conserverebbero  tutta  la  loro 
importanza,  e  tutta  rievocherebbero  la  suggestiva 
visione  del  fatto  o  del  pei  »gio  ci»'  ricordano 
se  lasciati  nel  luogo  di  loro  origine. 

Ma  più  della  rocca  e  dei  porti,  parlano  di  Roma 
i  ruderi  giganteschi  che  occupano  la  parte  setten- 
trionale della  penisola,  chiamati  co-  _ 
illunemente  Grotte  di  Catullo.  Asso- 
ciati per  diritto  o  per  rovescio  al 
nome  dell'illustre  Poeta,  essi  creb- 
bero e  cementarono  nei  secoli  la  fa- 
ma di  Sirmione.  Invano  lo  scalpello 
demolitore  della  critica,  insegnando 
ch'essi,  anziché  a  privata  dimora 
hanno  servito  a  pubblica  e  sontuosa 
terma.  ha  tentato  distruggere  la  pia 
tradizione  che  li  ha  consacrati  ;  pei 
poeti  e  pel  volgo  saranno  sempre  le 
Grotte   di  Catullo. 

Il  Gratarolo  —  storico  salodiano 
del  sedicesimo  secolo  ■ —  descriven- 
doli spaventevoli  per  l'oscurità  e  le 
biscie  e  i  pipistrelli  che  li  infesta- 
no, favoleggia  di  lunghe  e  tortuose 
vie  sotterranee  che  li  congiungono, 
niente  meno,  che  all'Anfiteatro  di 
Verona.  E  narra  di  certa  giovane 
che  essendole  fuggita  una  -porca  che 
liaveva  condotta  a  pascere  et  entrata 
in  quelle  grotte,  dubitando  di  tor- 
nare a  casa  dove  haveva  la  matri- 
gna, senza  essa,  gli  andò  dietro,  et 
doppo  lungo  caulinare  per  quelle 
tenebre  oscurissime,  si  ritrovò  nel 
detto  Anfiteatro,  con  la  sua  forca 
innanzi.  E  aggiunge:  e  fama  che 
la  fabbricasse  Lucullo  ricchissimo 
romano,  fero  ci  sono  de'  contadini 
che  le  chiamano  ancora  le  Grotte 
de7  Re  Cullo,  corrompendo  il  nome 
che    non   intendono,   (i) 

Silvan   Cattaneo,    pure  salodiano 
e  contemporaneo  del  Gratarolo.  par- 
lando   sullo  stesso    argomento,    ac- 
cenna   all'esistenza    di    un    disegno 
fatto  per  mano  del   Bramante,  nel 
quale  scorgeasi  tutta  quella  fabbrica  perfettamen- 
te   intera,    che    non   ci   ammancava  una   sola   fine- 
strella.  (2) 

Fra  i  molti  che  si  occuparono  delle  Grotte  e  a- 
vanzarono  giudizi  o  ipotesi  più  o  meno  attendibili, 
spesso  copiandosi  l'un  l'altro,  il  più  diligente  è  il 
veronese  conte  Giov.  Girolamo  Orti  Manara  ;  nel  li- 
bro del  quale  --  che   una   completa  illustrazione 


(n  «  Historia  della  Riviera  di  Salò»,  Libro  I.  Bre- 
scia,  1599. 

(2  «Salò  e  sua  Riviera  descritta»,  Tomo  I,  Giornata 
XI.  Venezia,     1745. 


(il  .4  LA    LETTI  b  \ 

della  ■  può  trovare,  chi  lo  desideri,  am- 

pie p  Qui  basti  dire  i  he  il 

sopra  una  superficie  di  1 i  mila 
idrati,  è  opera  —  secondo  l'Orti         <!<■! 
princi] lei  secolo  [V;  che  quanto  esiste  attrai- 
la massima  parte  costituito  <la  colos- 
sali di  costruzione  -     congiunte  parecchie 
da  solidissime  arcate        e  da  locali  sotterranei  in 
bili  -     sii:, a  le  biscie  e  i  pipistrelli 
del  Gratarolo  —  e  in  parte  ingombri  di  materiali; 
che  la  mole  su  rvì  forse  a  uso  di  terme  ;  che 
la  dis'ni                 i  i       n      mpo  remoto,  provocata 
aneli  i remoto  e  incendio,  e  infine 
:   materiale  adop  xato  nell'erezione 
appa           duo  di  ibbrica      i  esi    ente  : 
■  Iella  villa  ili  Catullo.  Con  quest'ultima  sup- 
.    la   tradizione    si    riattacca    in   eerto    mo- 
la storia.  (2) 
Del   restia  qui  o  altrove,  la  famiglia  del    Poeta 
ebbe  senza  dubbiò  sua  villa   in  Sirmione;    1 
vi  nacque,  eerto  vi  fece  lunga  dimora  e  l'amò. 
ra  egli  stesso:  «Chi  più  beato  dime  — 
che  deposta  ogni  cura  e  stanco  per  la 
ca   del  viaggio,   torno   lilialmente  alla  mia  casa 
are  nel  desiderato  mio  letto?  »  E  la 
i    ritorno  traimi  ca.  e   1  inno  sgorga  calilo 
Ionato  nel  saluto  finale 

«Salve,  o  venusta  Simun  atque  hero  gaude, 
Gaudete,  vosque  Lydiae  lacus  undae, 
Elidete  quiequid  est  domi  cachinnurum  >. 

(Carme  32»). 

l'er  questo.,  lecito  qui  davanti  al  grandioso  pa- 
norama che  da  questa  punta  si  gode,  risuscitare 
nell."  fari  asia  le  sembianze  dell'innamo- 

rato 1  an'ore  e  di  Lesbia  dalle  luminose  pupille,  e 
i  tripudi  clelle  feste  e  i  brindisi  arguti  nelle  affol- 
late sale  ospitali,  aperte  sulla  poesia  del  la 

Di  qui.  mentre  l'archeologo  fruga  e  interroga  i 
sassi  che  i  si  trasmuteranno  in   polvere, 

spa/i  l'occhio  e  si  bei  nell'eterna  bellezza  che  ri- 
fuls.  sati   e   rifulgerà  eguale   ai    venturi.    In 

nessun  altro  luogo  come  da  questo  sfoggia  il  Be- 
0  tutta  la  :  N-lle  sue  meraviglie:    l'acqua 

interi  azzurra   dove   il  gorgo  è   profondo, 

e  brune  tin  ve  passa  sul  dorso 

alti  monti  subacquei,  si  fa  1  hiara  e  pei 
.1    dalle   interne   correnti,   e   d'un    vi 
cangiante  nei  brevi  golfi  ombreggiati,  e  di  liquido 
ulle  rive  lontane,  e  del  color  di  alabastro 
mi     lo     oglii     Magiche  lui  i,  lingue  'li  fiam- 
ma •  rosei  bi      ■ 

ini  ine,   strisi  iam  1,    nuotano,   scintillano  e 
mo  nella  gran  conca   purissima;    ardono  i 
monti,  e  le  collie..-  ,  al  vivo  raggio  del 


ilio  del  culo  tutto  inonda  e  co- 
lora. 

I  ..1    in. issa    del    I  I  H  ggia    sulla    sponda    vc- 

esc.  coperta  le  cime  di  nevi  immao  ilate  e  di 

tastiche  nubi:  I  .1  emporio  e  arsenali-  del 
Bardolino  ferace  di  vini  e  di  frutta,  Garda 
famosa  per  leggende  ■•  pei  stori.!  e  forn  marmi- 
tranquille  sotto  la  mole  imponen- 
te. Siili  opposta  riviera.  Monte  Castello,  tra  mor- 
bidi colli,  drizza  le  moli, pini  creste  nude 

lia  cui    SÌ    ini  ravvedono    lembi    opalini    di    lon- 
tani  orizzonti,   e   il   Gu   con   l'immane   gropponi 
curvo  incombe  sul   lago,   su  questo,   l'occhio  corre 
desioso,    '      sui    nitidi   margini  distingue   Gardone, 
Maderno,     1 1  >s<  ■  ilani  .    (  ìargn  ini  1    sfi  'lg' iranti   1 
serre  gigantesche,  e  sulle  prime  pendici.   Bezuglio, 
Cecina,    Messàga,   Gaino,   Villavetro,   poi   si  perde 
nel    lungo  e   stretto  braccio  settentrionale,   eh, 
.1    Riva   e  al   Trentino,   dove   un   popolo  fi 
,  he  ha  sul  lai, Ino  e  nel  cuore  la  favella  e  la  fede  di 
Dante,    lavora   e  coi   ;  -nettando. 


:  .1  penisole  ni  lago  <li  Garda»,  Ve- 

rona,  1S56. 

1  )«kì  ritorna  in  campo  l'opinione  che  le  Grolle  1 
veramente   avanzi   ili   una    villa   grandiosa  e  non  «li  una 
terni.,    comi    pue   ili  i  molto  più  antii 

quanto  ','1  irti  giui 


Chi  può  dire  le  v'incende  di  Sirmione  nel  tei, 
delle  invasioni  barbariche,  e  come  imaginarle 
diverse  da  quelle  della  rimanente  Italia?  Che  tut- 
tavia qualche  importanza  conservasse  durante  il 
regno  di  Teodorico,  si  può  crederlo  ricordando  la 
predilezione  ch'egli  mostr,,  per  Verona  e  Io  studio 
particolarissimo  che  pose  ad  apparire  agli  occhi  de- 
gli Italiani  meno  barbaro  di  quello  che  era  vera- 
mente. Lo  stesso  dicasi  del  tempo  della  conquista 
dei  Greci,  pel  latto  che  l'Anonimo  Ravennate  no- 
minandola le  disse  città  —  civilas.  E'  indubitato 
però  che  questa  sua  qualsiasi  importanza  crebbe  ,, 
si  appalesò  soltanto  all'epoca  longobarda,  con  la 
quale  davvero  ricomincia  per  Sirmione  un  pò  li 
storia. 

Sul  dosso  Cortine,  poco  lungi  dagli  avanzi  della 
ucci  romana,  la  regina  Ansa,  moglie  di  D 
eresse  un  monastero  di  monache  benedettine,  e  ap- 
iso  una  chiesetta  dedicata  al  Salvatore,  patrono 
delle  armi  longobarde  Dell'una  e  dell'altro  vanno 
scomparendo  fine  le  ultime  traccie;  resta  invece 
e  resterà  la  bella  visione  del  Poeta,  fiorita  tra  quei 
ruderi  : 

Gino,  ove  il  giambo  di  Catullo  rapida 
L'ala  apri  sovra  la  distesa  renila. 

bia  chiamando  tra  l'odor  de'  lauri 

i   un  saliente  gemito  per  l'aere, 

Ivi  il  compianto  di  1, uni, arde  monache 
Salmodiano  1  asci  la  1  andida 

Luna  e  le  e  equie  mot  moro  su  1  giovani 
Pallidi  stesi  s,,u,,  l'asta  frani  i<  a  ».  (r) 

Desiderio,    un    ( 'unimondo,     nobile    e 
Sirmionese,  uccideva  Maniperto,  gasindio  di 
Ansa.   I  '.  ■  ■  morte,   poi  perdonato  per  in 


(1)  Carducci.      Da  D  ano      1  '  «ino  R01 1  hi,  in   .'■ 

odi  bai 


LA    PENISOLA    Ed    SIRMIONE 


6i5 


Il  castello  verso  il  lago. 


cessione  della  regina,  egli  donava,  a  espiazione  del 
suo  peccato,  parte  de'  suoi  beni  a  tre  chiese  di  Sir- 
mione.  San  Martino,  San  Vito  e  San  Pietro. 

Ho  narrato  il  fatto  unicamente  perchè  ad  esso 
si  lega  il  ricordo  delle  tre  chiese,  di  cui  l'ultim:;.  sol- 


tanto sussiste  ancora  sul  dosso  omonimo  ;  antichis- 
sima per  certo  e  forse  trasformata  in  tempio  di- 
stiano da  un  sacello  romano.  L'edificio,  tranne  la 
antichità,  non  ha  nulla  di  notevole,  ma  splendida 
è  la  posizione  che  occupa,  circondato  e  protetto  da 


Il  castello.  —  Ingresso. 


6i6 


LA    1.1    MI  RA 


mi   uli\  i.  che  spandono  in- 
invitano 

\  -  arsi 

i  e  i"  spi  a  'H 

li  intano  sembra  una   in  oao  hia  di  ver 

fluttuante  tra   l'azzurro  del  cielo  e   l'az- 

chi  documenti,  del  secolo  X' 111  .il  XII.  rac- 
;  e  pubblicò  l'Orti  nel  suo  libro;  ma  non  e  qui 
il  li..  -mimarli.  Trattano  quasi  tutti  ili  do- 

ini  "  conferme  d'immunità  e  'li  prn  ilegi  a  i  hie 
qualcuno  anche  fuori  d'Italia 
rido  il   bastardo  costume   del   tempo;    con 
i  rì  e  norme  'li  giustizia  .lisiriliiuti.  ognu 
he  in  ripeta. 
Piuttosto  piace  rilevare  ''tir  quando  la  robi 
gliosa  fioritura  del  Comune  si  sparse  per  l 
a  risuscitar  le  infinite,  prodigiose 
lei  popolo  accate,  non  spente  mai  dalla 

barbarie   degli    oppressori,    anche    Sirmione 
-  fin  dalla  meta  'lei  secolo  XI  l     -  un  Pode 
proprio,   scelto  'lai    liberi   uomini  della    li:' 
giui  Muti    propri,   quantunque   ricono 

ìse  il  jus  sup  di  Verona  già  da  tempo  di- 

i.  11  che  e  provato  ila  un  di ><  u 
mento  rilento  dal  veronese  Girolamo  Ballerini  in 
una  sua  dotta  'li-  sui  confini  ilei  lago  'li 

Garda. 


lligero,   elle  .sorge   sulla   piazza    'lei 
senza    dubbio    ima  delle  attrattive   più 
:te  pel  forestiero  che  visita  la  prima  volta  Sir- 
ie.  Prima  ili  approdarvi,  egli  già  guarii. i  com 
>so  la  mole  su.  l'ira   'le'  secoli,  e 

merli  ilei  torrioni-  più  alto  \  aliarsi  nel 


puro  turchino  del  cielo  il  magro  profilo  di  Dante- 

.-  adora.  Un  grande  severo  s'affaccia 
a  la  torre  scali) 
—  Suso  in  Italia   bella— sorridendo  ei  mormorai   .; 
Ila,   la  Urrà  e  l'ai 

Che   Danti-  sia  .-.tato  sul    lago  e  a    Sirmii 

la   sua   dimora   a  Verona  ospite  degli   Si-all- 
umi mi  par  lecito  mettere  in  dubbio.  Troppo 
e  precisa  descrizione  egli  la  dei  luoghi  di  cui 
parla,  per  supporre  che  la  ricavi  da  altra  fonte  che 
non  sìa  1  nza  materiale  che  n'ebbe  e  i 

le  sua  propria.  <  'osi  ■  he  leve*  azii  me  di  lui 
sulla  torre  scaligera,  non  ,  parto  soltanto  di  ge- 
niale fantasia,  ma  assumi  di  stona. 

Viti   si   sa   in   ehe  anno  abbia   cominciato   la   fa- 
miglia Della   Siala   a  si)  re  Sirmione;    prò- 

mente  fu  nel   [262,  quando  Mastino  1  divi 
Podestà  di  Verona,  o  poco  dopo.   Parimenti  ino 

ino  di  costruzione  del    'astello,  ehe  alcuni  voi 
rebbero  avvenuta  dopo  il   1276;   vero  è  invece  me 
Sirmione   per    la    torte   postura,   quasi   vedetta  su'. 
reta   imp  51  itto  la  domi- 

nazione scaligera  e  poi  dei  Visconti  e  Carraresi, 
che  per  poco  la  tennero.  Il  che  e  provato  non  solo 
dai  privilegi  che  ottenne,  ma  anche  dal  numero  e 
qualità   delle  1  .meor  oggi   pettino   i   segni 

di    quel    tempo. 

Sirmione  è  caratteristica  pel  suo  ito;   ad 

"ne  dei  nuovi  alberghi,  dello  stabilimento 
balneare  e  di  due  ville  moderne,  una  a  riva  di  1 
l'altra  sul  dosso  Cortine,  tutto  il  resto, 
mascherato  da  recenti  ristauri,  porta  l'impronta  dei 
lontani  diversi  tempi  in  cui  sorse.  Lo  stile  bizan- 
tino, il  gotico,  il  veneziano,  alternati  con  avanzi 
di  mura  romane,  hanno  loro  rappresentanti  in  ogni 
via.   in  ogni   piazza,  qua  in   finestre  "  in   porte,   là 


1 1  ducei.  «Sirmione».  in  Nuoi'e  odi  barbare'. 


\ìw 


LA    PENISI  ILA    IH    SIK.WK  iNl 


"17 


in  capitelli,  in  fregi,  in  cimase;  il  tutto  confuso 
e  sovrapposto,  come  piacque  ai  diversi  costruttori 
nei  frequenti  tramutamenti.  Questa  bizzarra  me- 
scolanza ferma  l'attenzione  e  accresce  il  prestigio 
che  questa  vaga  terra  del  sole  esercita  sull'intelli- 
gente visitatore. 

La   persecuzione   e   cattura   di   grossa   torma  di 
Patarini  —  meglio  di  Apostolici  —  è  il  fatto  più 


sa,  donava  ad  Alberto  I  della  Scala  —  Mastino 
era  morto  —  il  castello  d'I  Siasi  nel  Veronese,  cum 
omnibus  juribus  ci  ■pertineniiis  suis. 

La  tradizione  che  Fra  Dolcino  con  la  innamo- 
rata e  forte  sua  compagna  Margherita  Boninsegna 
di  Arco  —  non  Margherita  Trenk  e  neppure  mona- 
ca —  e  alcuni  discepoli,  sia  passato  pel  lago  e  si 
sia  anche  soffermata  in  Sirmione,  quando  cacciato 
dal  Trentino  ceno  rifugio  altrove, 
può  aver  avuto  sua  origine  dal  fat- 
to della  lunga  dimora  e  proficua 
predicazione  del  celebre  eresiarca 
in  Riva  sul  (iarda,  in  Arco  e  a  (Ton- 
dino nel  1303  e  quindi  per  facile 
confusione  di  tempo,  di  luogo  e  di 
persone  con  gli  avvenimenti  sopra 
narrati    (iV 


Occupata  dai  Veneziani  nel  1404. 

Sirmione  non  soltanto  ebbe  confer- 
mati, ma  anzi  accresciuti  gli  anti- 
chi privilegi,  con  quella  liberalità 
che  la  potente  Repubblica  usava 
solitamente  verso  le  terre  soggette, 
ma  che  in  questo  caso  —  specie  sul 


salienti  che  i  cronisti  e  gli  storici 
ci  abbiano  conservato  dei  tempi  sca- 
ligeri in  Sirmione. 

Molti  di  questa  setta,  di  cui  era 
già  piena  l'alta  Italia  e  che  così  fie- 
ramente doveva  affermarsi  più  tar- 
di sotto  !e  insegne  e  la  disciplina 
di  fra  Dolcino,  si  trovavano  nel 
1376,  quasi  in  luogo  fortificato, 
nella  penisola,  dove  sermoneggian- 
do e  persuadendo  con  calda  parola, 
raccoglievano  numerosi  proseliti, 
uomini  e  donne. 

Ricercati  e  vinti,  non  senza  resi- 
stenza, dalle  milizie  appositamente 
mandate  da  Mastino  I.  sotto  gli  or- 
dini di  Alberto  suo  fratello,  del  ve- 
scovo Temidio.  dell'  inquisitore  Fi- 
lippo de'  Bonacolsi  e  del  podestà 
Pinamonte  Bonacolsi  ,  di  Verona . 
nel  giugno  dello  stesso  anno  r2;6  . 
in  numero  di  cento  tra  maschi  e  femmine  — 
chi  dice  centocinquanta  e  chi  più  —  furono 
presi  e  condotti  in  Verona ,  ed  ivi  il  t3  feb- 
braio r278  barbaramente  bruciati  nell'anfitea- 
tro. «  Die  Dominico  13  Februari  (r278)  in 
arena  Veronae  sive  amphiteatro  combusti  fue- 
runt  circa  centum  Paterenos  de  suprascriptis,  qui 
capti  sunt  in  Sirmio  sive  Sermione.  et  dictus  frater 
Philippus  erat  executor.  »  (1) 

Papa   Xicola   III.   a   ricompensar  l'eroica   impre- 


Grotte. 

principio  —  le  era  consigliata  da  ragioni  politiche. 
L'occupazione  di  Sirmione  infatti  era  il  primo  atto, 
dirò  cosi,  di  un'  impresa  da  tempo  agognata,  la 
conquista  del  lago  ;  impresa  che  i  Veneziani  sa- 
pevano non  avrebbero  potuto  compiere  senza  viva 
opposizione  dei  Visconti,  dei  quali  avevano  già  as- 
saggiato l'ambizione  e  la  forza.  F.ra  quindi  line  ac- 
corgimento   il    loro    l'accarezzare    i    Sirmionesi    per 


ronaca  di  C.  Balla  dalle   l'acche,  in  Òrti  Manara 
op.  cit. 


Veggansi  :  Orsini  Begani,  «  Fra  Dolcino  nella  tradi- 
zione e  nella  storia».  Milai  tolto)  ìnialdo  Se- 
garezzi,  «Contributo  alla  storia  di  Fra  Dolcino,  ecc.», 
in  Tridentum,  Rivista  mensile  di  studi  scientifici.  An- 
no y,  fase.  VII  e  Vili,  sett.-ott.,  iooo. 


6i8 


LA    LETTURA 


aprirsi  più   facile  la  via  al  raggiungimento   in 
del  loi 

E  una  prima  guerra  infatti  tra  la  Repubblica  e 

ppiò   nel    i|-5.   e   un'altra   nel    1431 


e  una  terza  nel  1437  ;  memorabile  quest'ultima 
pel  temerario  diselli",  felicemente  eseguiti!,  di 
Nicolò  Sorbolo  e  Biasio  ile  Arboribus,  di  calare 
nel  lago  una  flotta  facendola  risalire  un  tratto 
per  l'Adige  e  pni  a  traverso  la  catena  del  Baldo. 

Durante  questa  guerra,  Sirmione  cadde  in  ma- 
no  dei  Visconti,  ripresa  però  dai  Veneziani  nel 
1440. 

Un'altra  volta  la  1  fu  tolta  alla  Repub 

Mira  dalla  lega  di  Cambrai,  ma  restituitale  nel 
[515,  le  rii  fino  al  1707  ;  nel  quale 

anno  il  Bonap:  rtdosi  per  un   momento 

impo    delle    sue    battaglie,   si    reca> 
visitarla. 


Gli  abitanti  di  Sirmione  sono  robusti,  seni 
plici,  laboriosi,  la  maggior  parte  pescatori,  Gli 
altri  attendono  alla  coltivazione  della  terra,  del 
l'ulivo  special»]  dà  olio  saporito  e  rino- 

Fra  i  paesi  delle  dui    sponde,  Sirmione  viene 

numero  di  p 

luantità  di  materiale  peschereccio,  per  varietà  e 

rido   ■  alcoli    ri 


nini,  ira  trote,  s.  odi  -ile.  anguille,  lucci,  carpe, 
tinche,  barbi  e  altri  minori.  ]>er  un  valore  appros 
simativo  di  jH  a  ,50  mila  lire;  reddito  meschino 
se  si  pensa  alla  quantità  delle  bocche  circa  400 
—  t  ra  cui  va  diviso. 

Il  pescatore  di  Sirmione  vive  sul  lago  il  giorno 
e  la  notte  nei  tempi  propizi  alla  pesca;  durante  1 
lunghi  11/i  forzati,  lavora  alle  reti  con  le  donne  e 
i  figliuoli  e  raccoro  ibbrica  rematti,  ìudrioni, 

V.  sardenari,  scaroline,  arcarti;  vita  dura  e 
stentata,  cui  solo  sollievo  sono  l'indole  mite  e  gin- 
viale,  il  tradizionale  amore  al  mestiere  e  la  bel- 
lezza del  cielo  e  del  lagn.  che.  pur  inavvertita,  agi- 
sce I  nte  su  quegli  animi  rozzi  e  dabbene 

Da  qualche  anno,  da  quando  cioè  il  Benaco,  ri- 
vendicato  finalmente  dagli   stranieri,   risorg 
stazione  climatica  da   non  temere  rivali.   Sirmione 
anch'essa,  per  tanto  tempo  negletta,  ha  cominciato 
ad  essere  visitata   e   frequentata  da  schiere  di  Ti 

deschi  delle  vicini Ionie  di  Gardone,  Salò,   M; 

derno.   I  asano  e  Gargnani  ■. 

A  trarla  dall'oblio,  concorse  un  altro   fatto  im- 
portante, che         opportunamente  diffuso  —  potrà 
diventare  in  breve,  come  è  già  in  discreta  misura, 
causa  efficace  del  risorgimento  economici  1  della 
rica   penisola. 

A  circa  300  metri  dalla  riva  orientale  di  essa, 
da  una  profondità  di  77  metri,  in  un  punto  ab  an- 


Grotte. 


tiquo  detto  Boiola,   scaturisce  nel   lago  una    t 
ano  in  media  350  quintali  di  pesce     termale  sulfurea. 


LA    l'I  NIS<  ILA    hi    SIRMK  »NE 


L'Orti  Manara  e  altri  con  lui  credettero  che  i 
Romani  ne  avessero  notizia,  che  anzi  con  un  inge- 
gnoso sistema  di  canali  la  conducessero  tino  a  terra 
a  servizio  della  grandiosa  terma.  di  cui  si  è  qui 
sopra  parlato.  Quest'opinione,  non  sostenuta  da 
solidi  argomenti,  fu  combattuta  dal  prof.  Piatti 
di  Desenzano  ;  il  quale,  dimostrando  come  il  pri- 
mo accenno  alla  fonte,  —  per  quanto  finora  si  sa 
—  si  trovi  appena  nel  secolo  XVI  nel  poema  la- 
tino «  Benacus  »  del  monaco  di  San  Zeno  Giorgio 
Iodoco  di  Berg.  concluse  che  i  romani  non  la  co- 
nobbero certamente,  (i) 

Usata  a  scopi  di  cura  nei  secoli  XVI  e  XVII, 
cime  fanno  fede  gli  scritti  dello  stesso  Iodoco,  del 
veronese  Tomaso  Becelli.  del  Gratarolo,  e  d'altri. 
la  sorgente,  forse  per  la  difficoltà  di  servirsene,  re- 
stò poi  per  lungo  tempo  abbandonata,  oggetto  sol- 
tanto di  curiosità  ai  naviganti  e  agli  scarsi  visi- 
tatori della  penisola  ;  finché  nel  1889.  si  riusci  a 
piantare  un  tubo  nel  fondo  alla  bocca  principale 
della  scaturigine  e  a  portarla  alla  superficie,  con 


619 

un  getto  di  245  litri  al  minuti  1  e  un  calure  di  circa 
60  gradi. 

L'analisi  chimica  e  un'esperienza  di  parecchi  an- 
ni hanno  già  dimostrato  le  alte  virtù  terapeuti- 
che dell'acqua;  di  cui  può  ognuno  oggi  approfit- 
tare nel  decoroso  stabilimento  ivi  aperti  >.  rome  in 
qualsiasi  altra  stagione  congenere,  godendo  per  di 
più  del  delizioso  soggiorno  e  del  clima  dolcissimo 
del  luogo  veramente  incantevole.  (1) 

Cosi  Sirmione.  sotto  veste  moderna  di  pietosa 
soccorritrice  dei  deboli  e  degli  infermi,  ha  aggiun- 
ti a  sé  e  al  Benaco  fama  nuova  e  nuovo  titolo  di 
gloria.  Essa,  feconda  ispiratrice  di  canti  e  di 
armonie,  fiera  custode  del  suo  passato,  fidente 
nell'avvenire,  aspetta  che  anche  gl'Italiani  accoi 
rano  numerosi  a  visitarla  e  a  confermarle  il  vanto 
che  già  le  diede  il  Poeta  di  fiore  delle  penisole. 

Salò,  30  Maggio  1902. 

Giuseppe  Solitro. 


La  fonte  termale  del  Garda»,  in  Comm.  dell' Ate- 
nao  di  Brescia  per  l'anno  1891. 


(il  Per  le  malattie  a  cui  giova  e  i  risultati  ottenuti,  veg- 
gasi  lo  studio  del  dottor  Giuseppe  Lombardi ,  in  Comm. 
dell'Ateneo  di  Brescia  per  l'anno  1901. 


Pescatori. 


SOMMARIO 


Romanzi  e  Novelle.  —  Le  vie  del  peccato    Ugo  Ojetti  . 
Poesia.     -  Nuovi  ton         Vittorio  Benini). 

Letteratura  e  Critica.  —  /■'  Mura/ori    e    la    cultura    napoletana  del  suo  tempo    (Michelangelo  Sciupai  —  La 

poesia  femminile  d'amore  (Polinnia). 
Storia.     -  La  Giovine  Uni:,}  (.Mario  Mengbini). 
Scienze.  —  Cielo  e  Terra  (Giovanni  Giovannozzi  . 
Filosofia.  —  //  dominio  dello  spirito  (Giovanni   Marchesini). 
Sociologia.  —  l'i  o/demi  soeiali  contemporanei  (E.   Meynier)  —  //  divorzio   al   Parlamento    Italia 

mi). 
Teatro.  —   Le  donne  a  parlamento  (Augusto  Franchini  . 
Opere  Varie.  —  Dizionario  dei  nomi  proprie  (Giuseppe  Fumagalli)  —  Memorie  d'un  suggeritore   Gino  Monaldi). 


ROMANZI    E    NOVELLE. 

Ugo  (Metti:   Le  vie  del  peccato.   (Milano,  Bal- 
limi e  Castoldi),  L.  3.  —  «  Le  vie  del  peccato  sono 
•  ».  riferisce  d'aver  sentito  dire  la  contessa  fi- 
fa Ricci  :   «  ma  novantanove  volte  su  cento  si 
1   d'amore   noti   per  timore.   La   vendetta,    il   di- 
.  li  curiosità,  il  danaro,  la  noia,  la  paura  della 
solitudine   o   della   vecchiaia,   e  qualche   rarissima 
volta    anche   la    passione...    Ecco   la   verità    vera  ». 
Sarà   poi  la  vera  verità  ?  Certo,  è  l'argomento  in- 
0   al   quale  si   aggirano  quasi   tutte  queste  no- 
velle di  Ugo  Ojetti  :   tante,  che  il  passo  dianzi  tra- 
rrebbe servire  di   epigrafe  a  tutto  il   vo- 
lume.  L'autore  descrive  le  vie  del  peccato  e  narra 
gli  stessi  peccati  con  un'arte  disinvolta  ed  elegante, 
con  .ma  e  quello  spirito  dei  quali  sogliono 

re  il  segreto  solo  gli  scrittori  francesi.  Vi  sono 
pagine,  in  questo  suo  libro,  che  rammentano  le  im- 
pareggiabili lettre!  de  lemme  di  Marcello  Prévost, 
come  appunto  le  Sei  verità  dove  si  legge  la  cita- 
zione della  contessa  Eleonora  Talvolta  alla  forma 
epistolare  e  narrativa  l'Ojetti  preferisce,  come  i 
novellieri  francesi,  il  dialogo  scenico;  per  esem- 
nella  Cam  pana  di  partenza  e  nella  Scelta: 
due  bozzetti  birichini  nei  quali,  se  diverso  è  l'am- 
biente, '  diffuso  uno  stesso  sensi)  d'ironia  sulla 
virtù  delle  donne,  siano  dame  eleganti  o  semplici 
sartine.  Ouesta  è,  per  altro,  la  nota  dominante,  0 
come  si  direbbe,  il  leitmotiv  di  tutto  il  volume; 
ma  giustizia  vuol  che  si  dica  che  neppure  gli  uc- 
ci lanini  una  f,rran  bella  figura  —  come,  per 
quell'Oreste  della  Villeggiatura,  e  quel 
curato  bo  ■  di    Per  (anima  dei  defunti,   e 

altri  ancora   Scabrosità  «li  situazioni  e  scetticismo 


di  conclusioni   saranno  probabilmente  rimproverati 

all'Ojetti.  e  si  osserverà  che  le  sue  novelle  non  pos- 
sono andare  in  tutte  le  mani  ;  ma  non  si  dirà  cosi 
1  ulla  che  lo  stesso  autore  non  sapesse  quando  le 
componeva  Egli  non  ha  voluto  scrivere  un  libro 
castigato;  ma  potrebbe  anche  darsi  che  il  libro  suo 
castigasse  da  ultimo,  dopo  aver  fatto  tanto  sorri- 
dere e  ridere,  i  vizi  che  ritrae  con  tanto  umore. 

POESIA. 

Vittorio  Benini:   Nuovi  sonetti.  (Firenze,  Le- 

monnier),  L.  2.  —  a  ....Se  il  genio  manca.  1  tutto 
vano  ».  dice  il  poeta  nell'Introduzione:  verità  parti- 
colarmente adattata  alla  poesia,  dove  la  medii  ■ 
è  meno  tollerabile.  Nondimeno,  è  anche  certo  che 
dalla  mediocrità  all'eccellenza  non  c'è  un  brusco 
salto,  ma  una  gradazione  di  qualità.  Ora  il  Benini 
dà  prova  di  possederne  alcune,  grazie  alle  quali  si 
potrebbe  sollevare  dalla  mediocrità,  se  la  sua  ispi- 
ra/ione e  la  sua  fonna  fossero  sempre  alte  e  soste- 
nute come  sono  talvolta.  Egli  non  è  rigoroso  nella 
scelta  degli  argomenti,  non  aspetta  sempre  di  can- 
tare quando  un  forte  sentimento  0  una  commozione 
vivace  gli  dettano;  scrive  un  sonetto  sul  cane,  un 
altro  sul  cavallo,  un  altro  sull'ape,  un  altro  sul 
vino,  un  altro  sulla  filosofia  scolastica;  e  quando  i 
temi  sono  veramente  poetici,  accade  talvolta 
che  siano  tali  fin  troppo,  che  siano  come  chi  dicesse 
i  luoghi  comuni  d'ogni  poesia:  la  solitudine  del  ci- 
i m  1  >so  la  1  ii, iliià  della  morte,  la  bellezza  dei  fiori 
che  adornano  |a  vita  e  la  morte;  e  via  dicendi 
l'anta  sse  attenuto  soltanto  agli  alti  motivi, 

ivesse  sempre  cantato  le  glorie  di  Roma  e  gli 
di  Shakespeare,  se  avesse  sempre  espresso  con 


B   K 


62  I 


le  parole  la  misteriosa  virtù  dei  suoni,  come  nella 
Sinfonia,  nel  Motivo  sacro,  nelle  due  Marce,  ecc.,  se 
avesse  sempre  significato  i  suoi  turbamenti,  i  suoi 
dubbi,  i  suoi  rimpianti,  i  suoi  routini,  avrebbe 
sempre  avvinto  l'attenzione,  l'interesse  e  la  simpatia 
dei  lettori.  Come  varia  è  l'importanza  del  contenuto, 
così  è  diseguale  la  forma:  talvolta  amorevolmente 
accarezzata,  o  semplicemente  corretta  nella  sua  sem- 
plicità ;  tal  altra  troppo  dimessa,  quasi  prosastica  e 
propriamente  trascurata.  Ripete  il  Benini,  con  una 
umiltà  sincera  che  lo  onora: 

l  opra  assai  mi  costa  e  poco  vale; 

ma  se  gli  costasse  ancora  un  poco  più  —  e  le  pagine 
belle  dimostrano  che  egli  potrebbe  e  saprebbe  spen- 
dervi intorno  maggiori  cure  e  studi  —  il  valore  del- 
l'opini sua  sareMie  senza  paragone  più  grande. 

LETTERATURA   E  CRITICA. 

Michelangelo  Schipa:  //  Muratori  e  la  cul- 
tura napoletana  del  suo  tempo.  (Napoli.  Pierro). 
—  Negli  sciaguratissimi  tempi  quando  il  nostro 
paese  era  diviso  e  suddiviso  in  piccoli  regni  e  mi- 
nuscole signorie,  gli  uomini  insigni  che  ottennero 
il  plauso  universale  degli  Italiani  esercitarono  una 
specie  di  principato  intellettuale,  grazie  al  quale 
la  pàtria  pare  unificata  in  una  sfera  superiore  al 
mondo  reale.  Sotto  questo  aspetto  Michelangelo 
Schipa  considera  Ludovica  Muratori,  indagando 
quali  rapporti  corsero  tra  il  celebre  letterato  emi- 
liano e  i  minori  suoi  confratelli  napoletani.  I  rap- 
porti furono  molteplici:  da  un  lato  il  grande 
astro  fece  piovere  parte  della  sua  luce  sopra  i  lon- 
tani e  oscuri  studiosi;  dall'altro,  i  modesti  ricerca- 
tori meridionali  portarono  il  loro  contributo  di 
idee,  di  e.  .usigli,  di  documenti  all'opera  dell'insi- 
gne maestro.  Tra  gli  amici  del  Muratori  in  Napoli. 
l'autore  presenta  prima  di  tutti  Giuseppe  Valletta. 
illuminando  la  sigolare  figura  di  quest'uomo,  che 
impiegò  le  molte  sostanze  nel  formare  una  biblio- 
teca, grazie  alla  quale  la  sua  casa  potè  esser  chia- 
mata «  emporio  dei  Letterati  ».  perchè,  secondo  si 
afferma,  non  meno  di  seicento  letterati  vi  si  for- 
marono. Col  Valletta  e  coi  vallettiani  il  Muratori 
ebbe  relazioni  ili  studio,  tributando  loro  elogi  am- 
bitissimi, pregandoli  di  compiere  ricerche  storiche 
per  suo  conto,  ricevendone  intellettuali  servigi.  Non 
mancarono  in  Napoli  coloro  che.  come  Nicola  A- 
menta.  presero  le  difese  del  Muratori  contro  i  suoi 
critici  :  né  coloro  che.  come  il  Marzocchi,  interven. 
nero  nelle  dotte  dispute  da  lui  sostenute.  Il  Ci- 
rillo e  il  Rapolla  confutarono  bensì  il  suo  trattato 
De'  difetti  della  Giurisprudenza  :  ma  lo  Schipa  di- 
mostra che  l'occasione  di  concepire  e  compiere  que- 
st'opera  fu  data  al  Muratori  da  un  altro  napole- 
tano: Giuseppe  Aurelio  di  Gennaro.  Più  evidente 
dell'influenza  di  questo  studioso  sull'indirizzo  giu- 
ridico dello  scrittore  modenese,  fu  il  merito  di  un 
altro  napoletano,  Carlo  Antonio  Broggia.  nell'av- 
\  tarlo  agli  studi  economici.  E  di  tutte  queste  in- 
tellettuali  relazioni,   per   le  quali   vibrò  talvolta   la 


corda  del  sentimento  nazionale,  l'autore  tornisce  le 
piove,  intendo  documenti,  trascrivendo  preziose  let- 
tere inedite.  La  sua  monografia  non  è  soltanto  un 
elenco  di  notizie  erudite:  lo  spirito  dei  tempi,  la 
politica,  i  costumi  della  prima  metà  del  Settecento 
ne  ricevono  luce. 

Polinnia:  La  poesia  femminile  d'amore.  (Ro- 
ma, Ravagli).  —  Sia  pure  come  «  saggio  d'in- 
troduzione ad  uno  studio  su  le  poetesse  d'amore  »  . 
questo  lavoretto  è  troppo  sommario  ed  affrettato: 
difetto  che  gli  sarebbe  volentieri  perdonato,  se  non 
ne  avesse  un  altro  più  grave,  nello  stesso  concetto, 
dal  quale  l'autrice  è  partita.  Dopo  aver  passato 
in  rassegna  i  pensatori  che  esaltarono  e  denigra- 
rono fuor  di  misura  le  donne  e  il  loro  ingegno, 
ella  dice  che  la  verità  non  fu  espressa  né  dagli  uni 
né  dagli  altri  ;  e  che  le  donne  non  sono  né  supe- 
riori né  inferiori  agli  uomini,  ma  semplicemente 
diverse.  E  sta  bene.  Ma.  venendo  poi  a  stabilire 
questa  diversità  nei  rispetti  della  passione  amoro- 
sa, l'autrice  sostiene  che  gli  uomini,  e  perciò  i  poe- 
ti d'amore,  sentono  e  cantano  l'amore-sensazione, 
mentre  le  donne  e  le  poetesse  innamorate  provano 
e  rivelano  nelle  opere  loro  l' amore-sentimen- 
to. Ora,  prima  di  tutto,  se  così  fosse,  non  sarebbe 
vero  che  le  diversità  dei  sessi  non  implicano  supe- 
riorità o  inferiorità  di  uno  di  essi  rispetto  all'al- 
tro, perchè  l'amore  delle  donne,  fatto  interamente 
di  sentimento,  sarebbe  più  puro  e  veramente  mi- 
gliore del  maschile,  e  l'autrice  si  sarebbe  quindi 
contraddetta  ;  ma  che  ciò  sia  vero  si  deve  negare, 
perchè  l'amore  non  è  tutto  o  principalmente  sen- 
timentale nelle  donne,  come  non  è  tutto  o  princi- 
palmente sensuale  negli  uomini  :  e  quando  l'autri- 
ce, dopo  questo  «  saggio  d'introduzione  a  uno  stu- 
dio. »  si  accingerà  a  scrivere  il  suo  studio,  vedrà 
con  l'esempio  che  né  l'amore  di  Francesco  Pe- 
trarca si  può  chiamar  sensuale,  né  quello  di  Saffo 
sentimentale. 

STORIA. 

Lo  Giorme  Italia,  nuova  edizione  a  cura  di  Ma- 
rio Menghini.  (Roma,  Società  Dante  Alighieri), 
L.  2.  —  Nel  forte  di  Savona,  dove  fu  rinchiuso 
dopo  la  delazione  di  Raimondo  Doria.  Giuseppe 
Mazzini  ideò  il  disegno  della  Giovine  Italia,  l'ar- 
dente giornale  che  egli  più  tardi  annunziò  col  ma- 
nifesto divulgato  ila  Marsiglia  sul  finire  del  1831. 
11  primo  fascicolo  apparve  il  18  marzo  1832; 
l'ultimo,  il  sesto,  nel  giugno  del  1834-  Ragioni  fi- 
nanziarie e  politiche  impedirono  che  quella  rasse- 
gna del  Partito  nazionale  italiano  avesse  vita  più 
lunga:  e  le  copie  che  ne  furono  pubblicate  anda- 
rono litiasi  tutte  disperse,  sequestrate  dalle  poli- 
zie dei  varii  governi  italiani,  distrutte  da  chi  te- 
meva di  esserne  trovato  possessore.  Lo  stesso  Maz- 
zini aveva  pensato  di  ristampare  a  Parigi,  pn 
la  vedova  Lacombe,  i  sei  fascicoli  del  periodico, 
lasciando  da  parte  gli  articoli  di  minore  impor- 
tanza; e  alla  fine  del  maggio  1840  fu  pubblicato 


U2: 


LA    1.1. 1  M  RA 


ti  il  manifesto  della  nuova  edii  [uale 

inni  in  poi  effettuata.  <  ira       M       hìni  ha  voluto 

lenente  i  sei   i  d li   della 

e  considerato  che  essa  era  di- 
venuta una  rarità  bib  i,  o  sconosciuta  ai 
|iiìi.  anelli  ai  i  pai  larom i  di  pn ipi isit >, 
ma  che  ne   ignorarono  gran   parte  del  contenuto, 

te  'li  quegli  scritti  che  il   Ma 

/ini  Ila  raccolta  delle  sue  opere,  e  che  po- 

terono  quindi  consultarsi  con  piti  agio,  l'altra  pai 
nani. -ntc  meno  importante,  ma   forse  più  ru- 
mile  allo   studioso,    in    quanti 
le  passioni  del  momento,  e  abbonda  'li  particolari 
ili  grande  interesse  per  la  storia  del  Risorgimento, 
rimanei  le,  »  per  queste  ra- 

ta   ristampa  del    Menghini    merita    «li    essere 
;   ausi     :  gratitui line.  Essa  ha  il  meriti i 
ili    i  ondotta    sopra  una  copia  originale  e 

completa  serbata  nella  Biblioteca  nazionale  Vitto- 
rio Emanuele,  e  di  riprodurre  quanto  più  esatta- 
memi'  era  possibile  le  stesse  caratteristiche  esterne 
del  perii" lieo  e  del  suo  frontispizio.  Sono  stati  cor- 
retti, con  sano  consiglio,  gli  errori  di  stampa,  ed 
è  stata  quindi  soppressa  l'errata-corrige;  in  cam- 
bio, sono  riportate  a  pie  di  pagina  le  varianti  ri- 
sultate dal  confronto  tra  la  Giovine  Italia  e  la  pri- 
ma edizione  degli  scritti  del  Mazzini  —  dalle  quali 
si  vede  che  cura  avesse  della  forma  il  grande  pa- 
triota —  e  sarà  aggiunto  in  fine  un  indice  anali- 
tico. Questo  primo  volume  che  abbiamo  sott'occhio 
riproduce  il  primo  fascicolo  del  periodico,  coi  se- 
guenti scritti:  Della  Giovine  Italia,  del  Mazzini. 
['Orazione  per  Cosimo  Damiano  Del  fante,  ano- 
nimo; l'articolo  intitolato  Romagna  di  mi  italia- 
ni Cenno  ad  onore  dì  Pietra  Coli  ella,  del  La 
Cecilia;  ed  altri  scritti  minori,  come  la  polemica 
con  la  Voce  della  Verità  di  Modena,  il  Discorso 
pronunziato  dal  Raspail,  presidente  degli  amici 
del  Popolo,  ecc.  Lunghi  articoli  o  brevi  note,  han- 
no tutti  la  loro  importanza  per  lo  studioso  di  quei 
tempi,  e  il  Menghini.  in  una  bella  prefazione,  ne 
mette  in  evidenza  il  significato  ed  il  valore. 

SCIENZE. 

Giovanni  Giovannozzi  :   Cielo  e  Terra.  (Firen- 
l..  2,50.  -—Il  padre  Giovannozzi,  di- 
Osservatorio     Ximeniano.    raccoglie    in 
to     n'Iiiine    una     serie   ili    discorsi    intorno    ad 
se   di    scienza:    biografie   di    scienzati 
e  lezioni  scientifiche.   Le  biografie  sono  quelle  del 
padre  Filippo  Cecchi,  1  ùco  insegne  e  industre  in- 
di   nuovi    strumenti    ed    apparecchi;    del 
I  ade  ■   1 1.  riza,    Fond  it  ne  della   meti 

1    I  uigi   Palmieri,  geniale  illustra- 
del   Vesuvio;    di   padre  Alessandro  Serpieri, 
emerito   degli   studi    sismologici.    Tutte   queste 
figure  di  doti  '  mi  un  ili  .ma 

piti   importanti    riescono  al    lettore   le  pagine  nelle 
quali  il  Giovannozzi,  con  grande  semplicità  e  chia- 
rezza,   s'intrattiene    intorno    ad     argomenti     scienti- 
fici,  a   problemi   d'astronomia,   a   quistioni   ed   a    fé 
nomeni  di  risica  e  di  meteorologia:   la  costituzione 


del  plancia  Malie,  la  possibilità  delia  vita  negli 
la  storia  dei  terremoti  toscani,  la  fotografia 
il  tei  remi  ito  del  18  maggio  1895,  l'op 
portunità  degli  spari  contro  la  grandine,  lei! 
di  sole  del  28  maggio  ii)oo.  L'autore  non  si  ri- 
volge ai  sapienti,  ma  al  gran  pubblico;  restringe 
quindi  l'argomento  dei  suoi  lenii  e  lo  adatta  alle 
persone  di  me/zana  cultura,  e  non  tralascia  di  tan- 
ti '  ili  tanto  la  unta  arguta  che  tiene  desta  l'atten- 
zione dm  profani.  Nel  parlare  delle  meraviglie  e 
dei  misteri  della  crea/ioni-  non  dimentica  mai  il 
Creatore,   affermando  sempre,   e   dimostrando  con 

l'esempio  suo  proprio,  e i  scienza  e   fede  pò 

no  procedere  unitamente,  tenendosi   pei   a 

FILOSOFIA. 

Giovanni  Marchesini  :  //  dominio  dello  spi- 
nto. (Torino,  bocca),  L.  3.50.  —  Il  valore  dello 
spiriti  1  è  di  gran  lunga  superiore,  anzi  incompara- 
bile, a  quello  della  materia;  ed  è  valore  reale,  con- 
creto, come  è  reale  e  concreto  lo  spirito.  Senti- 
mento  e  ragione  si  danno  in  lui  la  mano  e  (ormano 
una  unità  vivente:  la  personalità,  dalla  quale  sca- 
turisce l'azione:  il  valore  di  quest'ultima  e  il  va- 
lore della  personalità  e  dello  spirito.  Dimostrare  co- 
me e  perchè  questo  spirito  domini,  e  come  e  per- 
'  lie  questo  dominio  possa  e  debba  aumentarsi,  è 
lo  scopo  che  fautore  si  è  proposto  di  raggiungere, 
ricostruendo  dapprima  criticamente  la  personalità 
sulle  basi  positive  della  sua  realtà  psicologica, 
confutando  le  due  concezioni,  sociologica  e  biolo- 
gica, del  Comte  e  dello  Spencer,  e  dimostrando 
che  nella  personalità,  concepita  come  realtà  !ina- 
mica,  vive  lo  spirito,  il  quale  offre  di  sé  una  co- 
gnizione precisa,  immediata,  che.  divenuta  lì! 
fica,  caratterizza  la  moralità.  Quindi  il  Marchesini 
esplora  le  basi  del  dominio  dello  spirito,  assegnati 
dune  i  caratteri  essenziali  ed  il  valore,  grazie  alla 
distin/ione  fra  il  criterio  quantitativo  e  il  qualifi- 
cativo. Nella  seconda  parte  del  suo  studio,  passando 
alla  causalità  dello  spirito,  dimostra  che  essa  è 
psico-fisica  e  che  si  svolge  internamente  per  l'azione 
iroca  dell'elemento  intellettuale  e  dell'elemento 
affettivo;  poscia,  nei  rapporti  della  passione  e 
della  ragione,  fondandosi  sulla  teoria  somatica 
delle  emozioni,  afferma  la  possibilità  e  la  ne 
Mia  che  le  passioni  siano  razionali,  misura  la  parte 
della  volontà,  definisce  il  contrasto  e  lo  sforzo,  e 
significa  l'efficacia  del  dolore.  Queste  due  prime 
parti  non  sono  altro,  propriamente,  che  una  pre- 
para/ione alla  terza  ed  ultima,  la  più  originale; 
nella  quale  la  dottrina  dell'autore  giustifica  l'or- 
goglio razionalmente  concepito.  Di  questo  senti- 
mento afferma  il  diritto,  spiega  la  ragione  filosofi- 
ca, determina  il  coni-etto,  traccia  i  limiti  ed  esalta 
la  naturalità,  fi  moralità  e  la  virtù,  contrapponen- 
dolo al  vizio  dell'umiltà,  che  è  orgoglio  dissimula- 
to. Soffermatosi  sulla  interpretazione  ascetica  del- 
l'umiltà, ne  enumera  i  danni;  da  ultimo  dimostra 
che  la  comprensione  del  male,  non  che  annienl 
l'orgoglio,  deve  stimolarlo,  e  che.  rispetto  all'or- 
goglio morale,  il  pessimismo  e  la  paura  della  mor- 
te Si  ni'  '  irragionevoli. 


i    l  i  r.  R  i 


023 


La  dottina  dell'autore  è,  come  si  vede, 
sana  e  fortificante ,  come  altissimo  è  l'esercizio 
della  sua  mente.  Il  suo  libro  non  si  può  in- 
tendere né  tanto  meno  gustare  da  chi  non  è  rotto 
alla  ginnastica  del  pensiero,  la  qual  cosa  non  vuol 
dire  che  la  trattazione  sia  arida  o  inelegante  ;  che 
anzi  molte  pagine  di  quest'opera  hanno  il  sapore 
di  quelle  che  ci  ha  date  ultimamente  un  poeta  fi- 
losofo: Maurizio  Maeterlinck.  Disgraziatamente, 
quanto  alle  conclusioni  del  libro,  le  dimostrazioni 
del  Marchesini  non  tolgono  che  non  si  possa  dimo- 
strare una  tesi  contraria  alla  sua,  o  semplicemente 
diversa.  Ma  questo  è  difetto  comune  a  tutte  le  fi- 
losofie. 

SOCIOLOGIA. 

E.  Meynier  :  Problemi  sociali  contemporanei. 
(Firenze,  Tipografia  Claudiana).  L.  r.  -  Il  ti- 
tolo non  è  molto  appropriato:  l'autore  non  con- 
sidera un  certo  numero  di  problemi  sociali,  ma 
tutta  la  quistione  che  si  chiama  sociale,  nel  suo 
complesso,  e  come  è  posta  dal  socialismo,  del  qua- 
le comincia  a  definire  le  origini,  la  natura  e  le  a- 
spirazioni.  Egli  afferma  quindi  che  la  quistione 
sociale  è  una  quistione  morale  ;  ma  non  nega  l'im- 
portanza degli  altri  fattori  ;  anzi  nella  terza  parte 
del  suo  studio  entra  nei  dibattiti  relativi  alla  pro- 
prietà, al  capitale  ed  al  lavoro,  ed  all'azione  dello 
Stato,  affermando  che  la  proprietà  privata  deve  es- 
sere mantenuta  e  diffusa,  ma  potrà  coesistere  con 
la  collettiva;  sostenendo  che  il  capitale  compie  una 
funzione  necessaria,  ma  che  il  lavoro  potrà  parte- 
cipare agli  utili,  e  lodando  le  istituzioni  delle  as- 
sociazioni operaie  di  produzione  ;  da  ultimo,  per 
quel  che  concerne  l'azione  dello  Stato,  dimostrando 
la  necessità  di  una  vasta  e  benintesa  legislazione 
sociale.  Ma  il  concetto  particolare  dell'autore  e  lo 
scopo  del  suo  libro  è  un  altro:  è  quello  significato 
nella  seconda  parte  ;  dove,  dopo  aver  notato  il  ca- 
rattere irreligioso  del  socialismo,  e  accertato  che  la 
religione  cristiana  non  è  incompatibile  con  le  dot- 
trine scientifiche  sulle  quali  il  socialismo  si  fonda, 
ed  ha  del  resto  esercitato,  prima  del  socialismo,  una 
grande  influenza  sociale,  dice  che  il  Vangelo  può 
sanare  i  mali  del  mondo,  ma  non  il  vangelo  dei 
cattolici,  sebbene  quello  dei  protestanti.  Al  catto- 
lieismo  rimprovera  di  essere  rimasto  indifferente 
dinanzi  al  movimento  sociale,  di  non  sapersi  adat- 
tare ai  tempi  nuovi,  di  essere  ostile  al  progresso  ; 
se  vi  si  è  notato  un  certo  risveglio,  è  stato  dovuto 
all'azione  del  clero  protestante,  e  tutti  i  meriti  sono 
del  protestantesimo:  Lutero  fu  già  una  specie  di 
ragionevole  socialista  ;  il  dissidio  tra  indivi* hialiiims 
e  socialismo  può  essere  soltanto  comporto  dai  suoi 
discepoli  ;  la  religione  riformata  ha  sviluppato  il 
sentimento  di  solidarietà  sociale  ed  è  la  più  adatta 
alla  soluzione  dei  problemi  umani.  L'autore,  che  è 
uomo  di  molta  dottrina  e  anche  di  larghe  idee,  non 
s'accorge  dell'angustia  della  sua  tesi,  e  non  riflette 
che,  fino  a  quando  ciascuna  scuola  crederà  di  esser 
lei  sola  adatta  a  risolvere  i  problemi  umani,  que- 
sti problemi  correranno  gran  rischio  di  restare  in- 
soluti. 


Oreste  Poggiolini  :  //  divorzio  al  Parlamento 
italiano.  (Spezia,  Zappa),  L.  r,3o.  —  Del  divorzio 
non  si  parla  più  tanto,  in  questi  giorni,  quanto  se 
in  parlò  qualche  mese  addietro;  ma  la  discussione, 
non  del  tutto  sopita,  potrà  rinascere  con  nuovo  ca- 
lore. Il  Poggiolini  ha  fatto,  in  questo  suo  volumet- 
to, opera  di  storico:  ha  riassunto  dagli  annali 
parlamentari  ciò  che  si  riferisce  al  divorzio,  co- 
minciando dalle  prime  avvisaglie  del  1852,  a  pro- 
posito della  legge  sul  contratto  civile  di  matrimo- 
nio presentata  al  Senato  subalpino  ;  venendo  giù 
al  1865,  quando  battagliano  alla  Camera  italia- 
na il  Ninchi,  il  Mari,  il  Cantù,  il  D'Ondes  Reggio, 
il  Pisanelli,  il  Crispi,  e  al  Senato  il  Mameli,  il 
Ghiglini,  il  Cataldi,  il  De  Foresta;  scendendo 
ancora  al  1878 ,  quando  Salvatore  Morelli  pre- 
senta una  formale  proposta  di  legge  ,  che ,  presa 
in  considerazione  ma  arenata,  è  ripresentata  dallo 
stesso  autore  due  anni  dopo;  ai  diversi  tentativi 
fatti  dal  Villa  nel  1881.  nel  1892  e  nel  1893,  fino 
al  disegno  di  legge  Berenini-Bonacci.  Dopo  una 
rapida  introduzione,  il  Poggiolini  riferisce  diste- 
samente le  proposte  del  Morelli  e  il  disegno  di 
legge  del  Villa,  dà  conto  della  relazione  Parenzo 
e  della  relazione  Giuriati,  dei  discorsi  Bonghi,  Sa- 
landra,  Chimirri  e  Bonacci,  ecc.,  ecc.  Quantunque 
sia  favorevole  all'introduzione  del  nuovo  istituto 
nella  nostra  legislazione,  egli  non  tace  ciò  che  han- 
no detto  coloro  che  vogliono  l'indissolubilità  del 
matrimoni  ;  e  al  sostenimento  della  propria  tesi 
consacra  l'ultimo  capitolo  del  suo  libretto,  che  sarà 
consultato  utilmente  da  quanti  si  appassionano  al 
dibattito. 

TEATRO. 

Augusto  Franchetti:  Le  donne  a  parlamen- 
to, di  Aristofane,  tradotte  in  versi  italiani.  (Città 
di  Castello,  Lapi).  L.  3.  —  L'anno  scorso  Augusto 
Franchetti.  studioso  ammiratore  e  fedele  ed  ele- 
gante traduttore  del  teatro  eli  Aristofane,  aggiunse 
alle  precedenti  sue  lodatissime  versioni  quella  del 
Pluto,  della  quale  la  Lettura  già  diede  notizia; 
ora  vengono  ad  accrescere  la  raccolta  Le  donne  a 
parlamento,  che  è  una  delle  più  gustose,  se  non 
la  meglio  ordita,  fra  le  commedie  del  greco  scrit- 
tore. Quale  sia  il  preciso  valore  di  essa  nell'opera 
aristofanesca;  perchè  si  distingua,  col  Pluto,  da 
tutta  la  precedente  produzione  teatrale  dell'autore; 
quel  che  si  mutò  con  gli  anni  nel  genio  del  poeta. 
e  nella  società  in  cui  visse  ;  in  che  modo  bisogna 
apprendere  il  contenuto  di  queste  Donne,  dimostra 
da  par  suo  Domenico  Comparetti  nella  dotta  in- 
troduzione; quasi  ad  ogni  pagina  le  sue  note  ac- 
compagnano e  rischiarano  il  senso  e  le  allusioni 
del  testo.  Come  un  difetto  dell'organismo  della 
commedia  aristofanesca  si  è  considerato  il  passag- 
gio dall'idea  delle  donne  al  governo  a  quella  del 
comunismo,  e  il  Comparetti  ne  dà  un  ragioni 
motivo;  ma  egli  avrebbe  potuto  anche  avvertire 
che  femminismo  e  comunismo  si  danno  la  mano 
nella  commedia  di  Aristofane  come  se  la  danno 
oggi  ;    perchè   il   concetto   dell'eguaglianza   tra   gli 


LA    II    ITI  R \ 

uoraii  sariamen      quello 

dell'ef  gli  uomini   e   donne.    Nega   il 

<  !om pareti  i  eh  ci  immedia  sia,  come  crei  lei 

tero  alcuni  dotti  moderni,  una  satira  del 

...  ili  Platone,  e  quindi  del  femminismo; 
in  semplice  scherzo  1 1  unico 
e  una  burletta  :  nondimeno,  !<■  cose  delle  quali  Ari- 
ì    burla  sono  appunto  quelle  per  Ir  quali 
trovato  i  nomi  ili  comunismi 
•  li   femminismo.   Ai  -.noi  tempi  i  ninni   non  es 
vani  i,  ino  li-  tendenze  o  li-  idee,  che  - 

l'uomo. 
Quanto    alla     versione    del     Franchetti,    forse, 
altra    \' ilta  .   sarebbe    stati i 
preferibile    ili'-    fi  condotta  in   pn sa  . 

ma.  in  poesia,  non  era  veramente  possibile 
mantenersi  più  fedele  e-  prossimo  al  testo.  La 
traile      i  condotta  verso  per  verso,  ed  è  nondi- 

meno  agile  ed  elegante;    il  testo  seguito  è  quello 
critico  ili   Adolfo  von   Velsen,  e  quando  se  ne  è 
allontanato,    il    traduttore    ne    ha    dato    avviso;     il 
o   ilei    quale  si    è    giovato    è   quello    del 
Blaydes.    Avvertite   le  quali  cose,   resta   ancora  da 
gliare  la  lettura  della  commedia  a  quanti  vo 
gliono    misurare    l'antichità    della    gran    commedia 
umana.  Beninteso  però,  che,  se  le  Donne  a  foria- 
moti potessero    rappresentare,   il   cartello  del 
ro  avvertirebbe  che  lo  spettacolo  non  è  per  le 
signorine  —  e  neppure  per  le  stesse  signore. 

OPERE    VARIE. 

Giuseppe    Fumagalli  :    Ih  ionario  dei    nomi 
froprii.   (Genova.   Donath).   —   L'erudito  bibliote 

cario  della  Braidense,  autore  di  quel  Chi  Ilio  det- 
to'  dove  ogni    studioso  e  ogni    semplice    curioso 
può  trovare    qualche    pagina    che    lo    interessi,    ha 
sso  insieme  questo  nuovo  libro  del  quale  si  può 
din-  con  miglior  ragione  che  è  «  per  tutti  ».  Ognu- 
i  noi  porta  un  nome,  ognuno  ama  qualche  per- 
che  porta  un  nome  anch'essa.  Che  cosa  signi- 
fica   il   nome   nostro  .-  quello  dei    nostri   rari"-'  Qua- 
le e        I       L'ili'-   Fu  celebre  e  per  opera  di  chi!1 
raro,  o  comune,  e  perchè?  <,>neste.  e  tanti-  al- 
tre   simili    iloman-1'  iccaduto   e  ci    accadi-    di 
fare  molte  volte,  senza  che  si  sappia  dove  trovare 
la    risposta.     In     Francia    e    in    Germania    vi    sono 
molte  opere,   storiche,   etimologiche,    intorno  ai    no- 
ni   proprii  ;    in    Italia    difettano,    e    forse     il    solo 
Scolari        '     i   iato   un    grazioso   volumetto 


sull'argomento.    Questo   del    Fumagalli   merita    le 
più  festosi  -li/i-  per  i  criteri  che  hanno  gui- 

l'autore.   Egli  si  è  ristretto  a  raccogli 
nomi    personali   che  l'uso   comune   consente   d'im- 
porre •  oiiii-  prenomi  o  nomi  di  battesimo,  lasciando 
ai  dizionari  mitologici,  ai   repertori  di  onomasi 

li    indici   dei    santi    tutti    gli    altri.    Per   quel   che 

concerne  le  etimologie  ,'■  stato  prudentissimo, 
sultando  le  migliori  fonti,  evitando  li-  intrepn 
zioni  arrischiate,  preferendo  il  dubbio  e  la  stessa 
oscuriti!  alle  stravaganze,  l'i  ogni  nome  ha  se- 
uto  le  forme  femminili  ;  ha 
dato  anche  un  gran  numero  di  diminutivi  e  di 
vezzeggiativi,  di  accorciature,  particolarmente  quan- 
do uè  ha  trovato  di  forma  insolita.  Sui  nomi  cri- 
stiani si  e  fermato  dando  notizie  intorno  ai  santi 
più  venerati  '-In-  li  portarono;  e  indicando  i  gior- 
ni nei  quali  ricorrono  le  rispettive  feste.  Ila  rio- 
tato  i  riscontri  dei  nomi  personali  nella  lettera- 
tura universale,  nell'astronomia,  nella  geografia, 
nella  storia  universali-;  <-.  in  una  parola,  ha  ri 
sto  a  quasi  tutte  le  domande  curiose  che  a  questo 
riguardo  si  possono  formulare.  I -a  materia  del  li- 
bro ì-  disposta  alfabeticamente:  si  comincia  con 
Abbondio,  il  nome  dell'immortale  curato,  e  si  (i- 
nisce  ■—  dulcis  in  fundo  con  quello  di  Zucche- 
ro, accorciatura  di  Zaccaria.  Intorno  ad  alcuni  di 
questi  nomi,  come  Amos,  n  Galgano,  o  Pacuvio, 
o  Tamar,  non  troviamo  naturalmente  che  due  o  tri- 
righe  ;  altri  sono  argomento  di  piccole  disserta- 
zioni, istruttive  e  sapi  *  se. 

Gino  Monaldi  :   Memorie  d'un  suggeritore.  (Ti 
rimi.  Bocca),  L.  3.  —  L'autore  dichiara  di  ava 
In''    in  questo  suo  libro  lar  passare  dinanzi  al  pub- 
blioo  la  visione  di  ciò  che  realmente  è  il  teatro,  pei- 
chè  «  l'illusione  che  si  «prende  il  pubblico  dinanzi  alle 
meraviglie  canore  o  sonore  della  musica  e  del  tea- 
tro, e  mi. ;  delle  forme  maggiormente  fascinati 
cui   l'uomo  si   abbandona  con  spensieratezza  beata 
e  di  cui  meglio  si  compiali-  di  serbare  ed  evocare  il 
ricordo».    In    sostanza,   egli    riferisce   molle   notizie. 
spiega  certi    usi    e  certe   consuetudini,    narra    una 
quantità    di    aneddoti    intorno   all'arte    scenica,    ai 
cantanti,    ai    suonatori,    ai    coristi,    alle    balli  1 
agli    impresari,  agli  autori.    Non  tutte  le  cose  che 
dice  sono  egualmente  curiose  e  notevoli,  ed  alcune 
avrebbero   pi  tuta  esser  tralasciate  senz'altro;  ma  il 
-110  libro  non  si  legge  tutt'insieme  senza  piacere. 


Ti.  lettore. 


7TV 


1*?  ---■ 


>*'^ 


«*£>"' 


^RIVISTE 


SOMMARIO 


Fra  scettri  e  corone,  pag.  626  —  La  Posta  in  tutti  i  tempi,  pag.  631  —  L'aria  delinquente,  pag.  635  —  Vita  medie- 
vale inglese,  pag.  641  —  La  città  della  birra,  pag.  Ó43  —  Il  linguaggio  dei  vagabondi,  pag.  647  —  Con  1'  e- 
sercito    di    Menelik,    pag.    649   —    La    nostra    lingua    sul    Piata,    pag.    653    —    Intorno  ad    un  costume,   pag.  654 

—  Toilettes  new  style.  pag.  657  —  Nuove  porcellane  nordiche,  pag.  660  —  Canti  d'amore    giapponesi,    pag.  663 

—  La  pesca  del  tonno,  pag.  667  —  Nel  centenario  di  Augusto  Comte.  pag.  670  —  I  Russi  in  Asia,  pag.  671. 


Fra 

scettri 

e 

corone 

L'incoronazione  di  Re  Edoardo  VII,  che  doveva 
aver  luogo  il  giorno  di  giovedì  26  giugno,  è  stata 
all'ultimo  momento  rinviata  a  tempo  indeterminato 
per  la  malattia  del  Sovrano,  malattia  che  ha  ri- 
chiesto una  difficile  operazione.  Tutte  le  grandi  ce- 
rimonie e  le  feste  spettacolose  che  si  erano  prepa- 
rate per  celebrare  la  consacrazione  e  l'incoronazio- 
ne del  Re  si  sono  dovute  rinviare  a  tempo  indeter- 
minato. 

Chi  non  sa  quali  preparativi  si  fossero  fatti  per 
queste  feste,  difficilmente  potrà  immaginare  quale 
disastro  rappresenti  per  molti  questo  rinvio  del- 
l'ultima ora.  Ma  soprattutto  esso  ha  rappresentato 
una  grande  delusione  allaspettativa  dei  buoni  lon- 
dinesi e  dei  forestieri  innumerevoli  che  erano  ac- 
corsi alla  metropoli  inglese  per  assistere  alla  solen- 
nità. Il  pubblico  aveva  preparato  l'animo  a  goder 
quello  spettacolo  grandioso,  quel  ritorno  al  Medio 
Evo  in  pieno  secolo  ventesimo;  i  giornali  erano 
pieni  di  dettagli  sui  preparativi,  di  spiegazioni,  di 
incisioni,  persino  di  calcoli  sulle  probabilità  che  i 
giorni  26  e  27  facesse  bello  o  cattivo  tempo. 

Inutile  dire  che  in  questa  occasione  le  riviste 
hanno  fatto  a  gara  a  chi   avesse  pubblicato  mag- 

La  Lettura. 


gior  copia  di  studi,  di  particolari,  di  incisioni  sul 
prossimo  evento.  I  magazines  inglesi  ne  son  pieni, 
a  danno  di  altri  argomenti;  e  nonostante  il  rinvio 
noi  raccogliamo  qualche  incisione  tra  le  più  inte- 
ressanti, a  completare  l'articolo  del  Croci  pubbli- 
cato nel  fascicolo  passato  della  Lettura,  e  a  dare 
un'idea  di  questa  cerimonia  ili  altri  tempi,  che  è 
stata  rinviata,  giova  sperare,  per  poco,  e  che  è 
quanto  di  più  caratteristico  si  può  immaginare. 

I  lettori  vedono  le  corone,  le  spade,  gli  scettri, 
tutti  gli  attributi  del  potere;  il  pallio,  il  colobium, 
la  supertunica.  l'armilla,  indumenti  che  fanno  com- 
parire il  re  più  somigliante  ad  un  papa  che  ad  un 
sovrano  temporale  dei  nostri  giorni;  i  costumi  dei 
Pari,  prescritti  e  stabiliti  come  divise.  Tutte  que- 
-!c  cose  erano  state  preparate  ;  gli  abiti  erano  pron- 
ti, un  pittore  ufficiale  attendeva  già  a  raffigurare 
sulla  tela  la  scena  della  incoronazione  ;  si  erano 
fatte  le  prove  generali  della  cerimonia  e  degli  abiti 
del  Re. 

Le  incisioni  che  riproduciamo  sono  quasi  tutte 
state  pubblicate  dal  Pali  Mail  Magatine,  che,  come 
altre  riviste  inglesi,  fatto  un  numero  speciale  per 
l'incoronazione,  e  dal  Si  nday  Strana. 

40 


La  corona  di  Sant'Edoardi 


La  corona  imperiale. 


La  bibbi  \. 


I-  \    SUFI   R  i  INI.    \. 


L'  IMPI  ILI  k. 


(- 

H 
_ 

O 

_ 


I       I    HI  HO. 


1- 
- 


II.    RE    NELL'ABITO  DELL' INCORONAZIONE 


L'anello 


1  ILLA. 


La    l'osta,    in 

tutti    i    tempi 

Le  prime  notizie  furono  trasmesse  da  uomo  ad 
uomo  per  mezzo  di  pedoni.  In  Grecia,  paese  monta- 
gnoso, i  corrieri  andavano  a  piedi  di  luogo  in  lui 
e  la  storia  ha  serbato  il  ricordo  glorioso  di  quel  sol- 
dato di  Maratona  il  quale  corse  tanto  rapidamente 
ad  Atene  per  annunziarvi  la  vittoria,  che  cai  Me 
morto  arrivando. 

Nella  Gallia,  dei  corridori  erano  ci  (locati  a  certe 
distanze  l'uno  dall'altro,  e  ciascuno  trasmetteva  il 


campanella  e  tenendo  con  l'altra  un  bastone  di  pal- 
ma in  cima  al  quale  sta  un  sacchetto  di  pelle  di  ga- 
zella  contenente  le  lettere.  Corrono  i  portalettere 
giapponesi,  alcuni  trascinando  una  carrettella,  altri 
recando  la  Posta  in  due  panieri  sospesi  alle 
estremità  d'una  pertica  che  portano  equilibrata  sulle 
spalle.  Tutti,  foss'anche  l'Imperatore,  debbono  sco- 
starsi al  loro  passaggio.  Xel  1883.  il  servizio  po- 
stale giapponese,  esteso  a  43  milioni  ili  chilometri, 
era  fatto  da  pedoni  per  36 
milioni  di  chilometri.  Cor- 
rono anche  i  fattorini  cine- 
si, chiamati  «Uomini-forti» 
0  «Cavalli  da  500  chilome- 
tri ».  portando  una  lanterna 
con  una  mano,  e  con  l'altra 
un  ombrello  pieno  di  so- 
nagli e  le  lettere  in  uno  zai- 
no. Som-  scelti  tra  i  più  co- 
raggiosi, tanta  è  la  paura 
degli  spettri  in  l'ina,  e  tra 
i  più  gagliardi  e  destri: 
passano  un  esame,  durante 
il  quale,  chiusi  in  una  ca- 
mera dal  cui  tetto  pendono 
dei  sacchi  di  sabbia  appesi 
a  lunghe  corde,  debbono 
mettere  in  movimento  tutti 
questi  stranissimi  pendoli  , 
senza      farsi      sfiorare      da 


Il   corriere   tra    Paimpol   e 
Tréguier,  in  Bretagna. 

messaggio  al  vicino;  il 
quale,  appena  lo  riceveva  . 
partiva  a  gambe  levate  per 
comunicarlo  subito  al  po- 
sto seguente ,  e  così  via. 
Con  le  strade  rigorosamen- 
te diritte  aperte  dai  Roma- 
ni, una  lettera  arrivava  dal 
fondo  della  Bretagna  a  Ro- 
ma in  26  giorni.  L'  uomo  . 
quando  è  bene  addestrato, 
è  il  miglior  corridore,  e  in 
Turchia,  nel  medioevo,  per 
render  più  leggieri  i  messi 
del  Sultano  e  impedire  che 
perdessero  il  fiato,  si  arri- 
vava a  estirpar  loro  la 
milza. 

Corrono  oggi  i  negri  che 
fanno  il  servizio  della  po- 
sta nella  Xubia  :  corrono  a- 
gitando  con  una  mano  una 


•    nrm.BjB!RK  in  Corsica. 


632 


\    LETTI  RA 


i.a  Posta  nei  paesi  polari. 


issi:    chi    è  urtato    da    un  s  rivante  sul  dorso  d'un  portatore,  il  quale,  senza  fer- 

scarl  marsi,  lo  gettava  sugli  omeri  del  portatore  ricino, 

M  '  venne  poi  l'idea  di  dare  al  fattorino  un  mez-  e  rosi  di  segu. 

■ '.  e  la  prima  cavalcatura  fu...  un  al-  Marco    Polo,    nel    XIII     secolo,    arrivando    alla 


V'N    TIRO    DI    CANI    IN    SIBERIA. 


tro  fattorino.  Quando  gli  Spagnuoli  arrivarono  nel- 
l'America del  Suil.  trovarono  ohe  vi  erano  stabiliti 
dei  rilievi,  dove  dei  portatori  dalle  spalle  e  dai 
garretti  solidissimi  aspettavano  il  messo  postale  ar- 


Corte  di  Pechino,  presso  il  nipote  di  Gengis-Khan, 
vi  trovò  il  servizio  postale  fatto  dai  corrieri  a  ca- 
vallo. Le  provincie  fornivano  200  mila  cavalli  per 
i    rilievi.   Oggi,    l'ufficio  centrale  di    Pechino  man- 


UN   CARRO   CHE    I   \    n.    SERVIZIO    NEL   CaCCASO. 


DALLE    RIVISTE 


633 


tiene,  per  il  il  solo  smi/...  privato  delle  lettere  im- 
periali. 500  cavalli  e  250  palafrenieri:  queste  be- 
stie sono  ufficialmente  dichiarate  immortali,  il  che 
vuol  dire  che  il  loro  numero  non  deve  mai  scemare 


Un  portalettere  norvegese  in  inverno. 

e  che  la  morte  di  una  di  esse  non  deve  mai  essere 
annunziata. 

La  Posta  persiana  è  un  convoglio  numeroso  e  pit- 
toresco :  lo  aprono  sei  soldati  d'avanguardia,  in  uni- 
forme verde  ;  20  metri  dopo,  vengono  le  valigie  po- 
stali portate  sui  cavalli,  i  quali  sono  legati  a  quat- 
tro a  quattro,  e  arrivano  talvolta  a  formare  otto  e 
dieci  file  ;  poi  viene  il  capo  della  carovana,  un  Tar- 
taro con  la  veste  ricamata,  i  calzoni  larghissimi  e 
un  arsenale  di  pistole  e  di  yatagan  alla  cìntola. 

Dopo  il  cavallo,  sono  molto  impiegati  i  cammelli, 
specialmente  nei  paesi  dell'  Africa  settentrionale. 
Il  servizio  postale  stabilito  in  Egitto  attraverso 
l'istmo  di  Suez,  prima  del  taglio,  fu  fatto  sui  cam- 
melli. 0  vascelli  del  deserto  ».  Da  camelli  è  fatto 
anche  nelle  Indie  inglesi. 

Una  specie  di  primitiva  bicicletta  di  legno  è  an- 
che adoperata  in  India,  ed  apre  la  serie  dei  veicoli 
postali.  In  Ungheria  si  adopera  una  carrettella  di 
legno,  non  meno  primitiva  della  bicicletta  indiana  ; 
in  Norvegia  una  carriola  sulla  quale  può  prender 
posto,  con  le  gambe  penzoloni,  un  viaggiatore.  In 
Finlandia  certe  strade  postali  sono  munite  di   ro- 


taie di  legno,  dove  la  carrozza,  tirala  da  rapidi  ca- 
valli, può  percórrere  70  leghe  in  24  ore.  In  Rus- 
sia vi  Sun.)  moltissimi  tipi  di  veicoli  postali:  il  clas- 
sico attacco  a  tre  cavalli  ;  il  carro  caucaseo  tirato 
da  quattro  buoi:  i  cammelli  nell'Asili  russa,  attac 
cati  a  \w  carretto  basso  e  piatto  ;  le  slitte  nel  nord 
della  Siberia,  tirate  da  renne  0  da  cani.  Le  renne  si 
nutriscono  ili  muschi  e  di  licheni,  ma  per  i  cani  bi- 
sogna pi -naie  una  provvista  di  pesce  secco,  che  il 
latti. nini  divide  con  le  bestie.  Una  slitta  postale 
con  dodici  cani  arriva  a  percorrere  200  chilometri 
al  giurnn.  Nel  Brasile  si  ritrovano  i  carri  coi  buoi, 
come  nel  Caucaso.  Nel  Siam,  il  corriere  postale  è 
tirato  dai  zebù;  altrove  dagli  asini;  e  il  percorso 
totale  delle  vetture  postali  nel  mondo  intero  somma 
a   J50  milioni  di  chilometri. 


Ma  vi  sono  casi  speciali  in  cui  il  fattorino  ..leve 
divenire  anfibie.  Nella  stessa  Parigi,  non  più  di 
150  anni  addietro,  il  procaccia  che  traversava  la 
Senna  alla  piazza  Luigi  XV,  oggi  della  Concordia, 
doveva,  per  mancanza  di  un  ponte,  scendere  in  una 
barca.  In  India,  il  portalettere,  vestito  d'un  abito 
rosso  all'inglese,  è  un  vero  ufficio  ambulante:  oltre 
i  pacchi  della  posta,  porta  addosso  una  scatola  con 
la  buca  dove  ognuno  che  lo  incontra  può  gettare 
le  sue  lettere  ;   egli  porta  anche  le  provvigioni  da 


Un  portalettere  norvegese  nella  bella  stagione. 


i'.;  i  LA    LKl'l  URA 

l  e  il  vasellame,  pi  sso  non  incontra  un 

luog  Uh. uni'  un  intero  giorno.  Nella  bella 

uà    sopra    ponti   'li 
liane;  ma  quando  comincia  a  pii  tito  d'una 

mutanda  da  bagno  e  con  una  cintura  'li 
iria  pei  controbilanciare  il  peso 
dei  i  •   butta  a  nuoto  tutte  le  volte  che  l'acqua 

la  via.  E  quella  che  è  l'è  cezione  in   In 
dia,  è  la  regola  nel  Perù,  dove  i  corsi  d'acqua  sono 
n  vi  sono  altre  vie,  e  i  fatto- 
ili,  come  del  resto  gl'indigeni,  non  hanno 
alt r.  per  andare  da  un  luogo  ad  un  altro 

|uello  ili  buttarsi  a  nuotare.  Un  altro  fat- 
torino acquatico  s'incontra  nelle  regioni   paludose, 
nelle  immense  risaie  della  Cina;   li  il  portalettere 
nsì  d'un  canotto,  ma  così  piccolo,  che 
■  lui  col  sacco  della   Pi  si  a,  ;'  il  piede 
fa  da  remo! 

Nello  strett"  ili    Magellano,   luogo  inospitale  e 
stro,  dal  quale  però  passano  e  passeranno  tutte 
le  navi   ilei  monile  finchi    non   sarà  tagliato   l'istmo 
di  Panama,  si  provò  il  bisogno  'li  stabilire  un  uf- 
ìtale;  ma  dove  metterlo,  a  chi  affiliarlo,  se 
lo  t'urto  che  si  tentò  'li  fondare  su  quelle  rive 
selvaggie  porta  il  nome  significantissimo  ili   Porto 
Allora  si  attaccò  una  botte,  mediante  una 
catena,  a  un  soli, lo  palo  conficcato  sopra  una  roc- 
cia in  pieno  mare.  Quello  è  il  Post-Off.ce,  come  vi 
ritto    a     grosse     lettere:  ufficio,    s'intende, 
senza  impiegati:    ogni  nave  vi  manda  una   scialup- 
pa   per    gettare   dentro   la    botte    le    lettere    che    vuoi 
spedire  in  qualche  sito,  e  per  ritirare  quelle  che  vi 
furono  gettate  da  altre  navi  per  lei. 

Con   un  egn  di    fiducia,   i  viaggiatori    po- 

lari lasciano,  in  me/70  ai  deserti  gelati  della  Lap- 
poni.! o  del  Groenland.  le  loro  lettere  sotto  un 
mucchio  di  pietre  detto  cair>i  e  sormontato  da  un 
qualunque  segnale:  queste  lettere  saranno  prese 
molti  mesi  ed  anche  anni.  11  capitano  del- 
V/nvestigator,  spedito  nel  1850  alla  ricerca  di 
Franklin,   fu   bloccato  dai   ghiacci  ;    tentò,  durante 


il  secondo  inverno  di  cei  rso  verso  il  sud. 

1 una  slitta,  ma  non  trovò  le  navi  che  dovevano 

aspettarla    Ionio  allora  alla   sua   nave    bloccata, 
ma  dopo  aver  lasciato  sotto  un  cii/m.  una  letti 
con  queste   parole:    «  Chiunque  troverà  questo 

di  farlo  pervenire  al  capitano  del- 
l'Ammiragliato, 1^  aprii»  1852  ».  La  lettera  fu 
trovata,  e   il   6   aprile  dell'anno   seguente  arrivo  il 

rso.    11    Franklin,    che    l'/nvestigator    dov 
salvare,   fu  meno  fortunato;    scomparso  nel   1845, 
le  sin-   tracce    furono   trovate    soltanto    nel     1859. 
In   primo  cairn  dove  egli   aveva   lasciato  sue   jet- 
t  u   dev  ast.it,  1   dagl  -  [uimesi  : 

si   trovarono    sotto    le    due    bottiglie  contenenti    le 
lettere  ridotte  a  pezzi  di  cari  tra  dove  nulla 

si  poteva  leggere.   In  un  secondo  cairn  si  trovò  una 
lettera,   in   una   scatola   di    ferro,   scritta   l'8   magj 
1845  ed    annunziarne    che    tutto    andava     bei 
un'altra  del   1:  si ■ttemlire  184(1  diceva  che  la  spedi- 
zione  era    bloccata   dai    ghiacci:    quest'ultima    noti- 
zia   fu   letta   tredici   anni   dopo! 

La  lettera  chiusa  in  una  bottiglia  lanciata  in 
mare  è  l'ultimo  atto  dei  naufraghi  che  sono  sul 
punto  di  perire:  Alfredo  de  Vigny  ha  trattato  que- 
sto tenia  in  una  famosa  poesia  intitolata  La  bou- 
teille  <)  ìd  mer.  Le  sole  notizie  che  il  mondo  al.liia 
avuto  dallo  svedese  Andrée  pervennero  in  tal  ime 
do  :  partito  l'n  luglio  1897  nel  pomeriggio,  egli 
lancilo  in  mare,  la  sera  dello  stesso  giorno,  un  gal- 
leggiante con  una  lettera  cosi  concepita:  «(I alleg- 
giarne X.  7.  Questo  galleggiante  è  stato  lanciato 
dal  pallone  di  Andrée,  l'n  luglio,  alle  dieci  e  55 
della  sera,  a  8j  gradi  di  latitudine  noni  e  25  di 
longitudine  est.  Navighiamo  all'altezza  di  600  me- 
tri. Tutto  l>ene  a  bordo.  Firmati?:  Andrée.  Stein- 
dleerg.  Frankel.  »  Fu  trovato  ;  anni  dopo,  il  14 
maggio  1899.  sulle  coste  dell'Islanda.  Quattro  n 
dopo,  alcuni  balenieri  norvegesi  pescarono  il  gran 
ggiante  che  l'aereonauta  doveva  gettare  pas- 
sando sul  polo.  11  galleggiante,  vuoto,  era  t 
l'ultimo  rottame  della  totale  rovina. 


II.   TRASPORTO   DELLE   LETTERE    NBL   CACI    ISO. 


Lana 

delinquente 

. 

Tra  i  flagelli  che  piombano  repentini  sulla  terra, 
abbattendo  e  distruggendo  le  cose  e  le  vite,  uno 
dei  più  fulminei  e  terribili  è  il  ciclone.  La  sua  po- 
tenza funesta  è  variabile,  e  variabile  è  l'estensione 
del  campo  sul  quale  si  esercita:  quest'ultimo  può 
essere  circoscritto  a  1500  metri,  e  come  si  può  e- 
stendere  a  300,  a  -|oo,  finanche  a  500  chilometri. 
Così  pure  a  questa  rovina  non  sono  soggetti  egual- 
mente tutti  i  paesi  ;  le  regioni  sottoposte  a  notevoli 
sbalzi  di  temperatura  in  uno  stesso  giorno,  e  quindi 
percorse  da  grandi  correnti  d'aria  incrociantisi  in 
tutte  le  direzioni,  e  quelle  nelle  quali  si  trovano 
immense  pianure  senza  senza  nessun  ostacolo  na- 
turale, sono  particolarmente  esposte  al  pericolo  dei 
cicloni. 

Il  teatro  prediletti!  di  queste  meteore  è  l'Ame- 
rica del  Nord.  Agli  Stati  Uniti.  dall'Oceano  Atlan- 
tico alle  Montagne  Rocciose  si  distende  un  immenso 
territorio  piano,  appena  solcato  da  brevi  alture.  I 
venti  del  nord  spazzano  questa  pianura  sconfinata 
e  vi  si  scontrano  con  quelli  venuti  dall'Atlantico: 
quiryìi  gli  innumerevoli  cicloni  che  la  devastano. 
In  sei  anni,  dal  1875  al  1881,  se  ne  contarono  451, 
e  in  un  anno  e  mezzo,  dal  febbraio  1880  al  settem- 
bre 1881.  queste  meteore  uccisero  177  persone,  ne 
ferirono  gravemente  539,  demolirono  988  case,  di- 
strussero da  cima  a  fondo  5  villaggi  da  100  a  1000 


abitanti.  Dove  si  potè  fare  una  stima  dei  danni. 
si  accertarono  perdite  superiori  ai  10  milioni  di 
franchi.  E  ultimamente,  in  otto  anni,  dal  1882  al 
1900,  le  perdite  salirono  a  26  milioni  di  dollari. 
pari  a   130  milioni  di  franchi,  con  3000  morti 

11  ciclone  di  Delfo  (Kansas)  prodottosi  di  notte 
nel  1879,  fu  particolarmente  spaventoso.  I  cada- 
veri furono  trovati  interamente  nudi  e  coperti  d'un 
fango  nerastro;  un  gatto  fu  trasportato  a  circa  un 
chilometro  del  luogo  ove  si  trovava  e  schiacciato 
come  da  un  laminatoio  ;  una  casa  in  muratura  fu 
sbattuta  cento  metri  lontano.  Muggiti  enormi  ac- 
compagnarono la  catastrofe;  per  molte  notti  gli 
abitanti  atterriti  preferirono  accamparsi  all'aperto, 
al  lume  delle  lanterne. 

Cupamente  silenziosa  fu  invece  l'opera  del  ci- 
clone che  distrusse  la  città  di  Lawrence  (Massachu- 
setts) nel  luglio  del  1891:  non  schianti  di  tuono. 
non  scrosci  di  pioggia,  non  urli  di  raffica  :  una  mano 
invisibile  pareva  svellesse  il  campanile  della  chiesa 
e  rovesciasse  le  case,  risparmiando  certi  quartieri 
della  città  :  la  turbinosa  colonna  d'aria  saliva  e 
scendeva  continuamente  e  rovinava  soltanto  i  punti 
sui  quali   cadeva. 

Nel  1896  la  città  di  Sherman  (Alabama)  fu 
devastata  in  modo  strano:  la  maggior  parte  delle 
case  ebbero  demolito  un  solo  muro:  quello  del  lato 


Una  strada  a  Port  Louis  (Isola  Maurizio)  dopo  il  ciclone. 


636 


LA     LETI  i   R  \ 


opposto  alla  meteora.  L'anno  dopo,  Griimel  (Jowa) 
ebbe  il  si  i  parecchi  metri  ili  pn  >fi  n 

dalli  I    imi. ine.   A    Pomeroj    (Illim 

le  case  si  urtarono  e  si  accavallarono  in  un  ammasso 
informi      \    K-irksville,  nel    1891  11,  cavalli, 

!>iini.  ini.. n.i  sollevati  a  più  ili  30  metri  nell'aria. 


Un'alleb  nell'Isola  Maurizio  prima  del  ciclone, 

Barche  e  navicelle  volarono  come  altrettanti  cervi 
volanti  durante  un  altro  cicli  ine  scoppiato  nel  Mi- 
chigan. Si  si  uni  visti  anche  interi  treni  investiti 
dalla  furia  dell'aria  e  travolti  e  distrutti. 


Le  stesse  cause  che  spiegano  la  frequenza  dei 
cicloni  negli  Stati  Uniti,  si  trovano  nei  mari  tro- 
picali, sui  quali  violentissimi  venti  s'incrociano  in 
ogni  sensi  1:  se  un'isola  si  trova  sul  passaggio  dei 
cicloni  che  vi  si  formano,  essa  è  perduta. 

\el  XVIII  secolo  un  terrihile  ciclone  si  rovesciò 
sulle  Antille,  rovinò  ogni  cosa  nell'isola  inglese  di 
1  Lucia  dove  6000  persone  perirono  sotto  le 
macerie;  alla  Martinica,  parimenti  rovinai, 1. 
morti  furi.no  più  di  9000.  Nel  i88ì  Manilla,  nelle 
Filippine,  fu  devastata  da  un  violentissimo  tifone, 
nome  che  si  dà  ai  cicloni  nei  mari  dell'Estremo 
(  (riente. 

Il  29  aprile  i8ij2.  all'isola  Maurizio,  un  ciclone 

distn  -  1.     1,1   parte    1  «  cidentale  della 

Pori    Louis  '■    danneggiò    gli    altri 


quartieri:    fu   brevisissii dativamente  alia   vio- 

•  omincii  '  verso  le  undici  del   mattino,  rag- 
giunse il  pai  no  verso  le  3  p  ,     ma  delle 
ra   finito. 

Su  mi  [ia  natura  ecco 

la  descrizione  emo  i  un  testimonio  oculare: 

1  La  mattina  di  qu  I  orno  fatale,  scrive 
un'isolana  di  S.  Mauri/in.  la  signorina  Bus- 
sai .  nulla  rivelò  il  dramma  1  he  si  preparava. 
L'alba  come  sempre  s'era  levata  in  un  gran  ha- 
gliore  russo,  tosto  seguita  dalle  nubi  che  rove 
sciavano  a  torrenti  una  pioggia  continua  e  in- 
1  issante. 

a  I.e  a.que  precipitavano  .come  valanghe  dalle 
ahine.  imboccavano  le  vie  e  le  trasformavano 
in  torrenti.  Ivi  ecco  verso  le  10  cessare  d'un 
tratto  il  diluvio.  Aprimmo  i  cuori  alla  spe- 
lali/. 1.  ma  un  fragoroso  colpo  di  ninno  simile 
allo  scoppio  di  cento  pezzi  d'artiglieria,  an- 
nuncio improvvisamente  l'arrivo  dell'uragano 
sulla  citta.  Divenne  notte  cupa,  profonda:  i 
seni  negri  dovettero  accendere  le  lampade  nel- 
l'interno delle  abitazioni  signorili,  mentre  spa- 
ventosi colpi  di  tuoni  ,1  ■  1  •  Tiiitì  e  scosse 
di  terrore  alle  fondamenta  di  unte  le  case.  I 
colpi  si  succedevano  ad  intervalli  uguali  ed  a 
gruppi  di  tre  per  volta.  Anche  la  pioggia  di- 
venne strana  e  impressionante,  cessò  di  pre- 
cipitarsi a  torrenti  e  tramutata  in  una  nube 
«li  nebbia  violenta  e  finissima  invase  ogni  cosa, 
finché  ogni  commozione  della  natura  cessò:  al 
terribile  dramma  devastatore  succedeva  una 
calma  terrificante,  spaventosa:  non  una  goc- 
cia  d'acqua  scendeva  dalle  nuvole  galoppanti 
lentamente  come  un  esercito  misterioso  nel- 
l'aria, non  un  sibilo,  non  un  fischio,  non  un 
colpo  di  tuono.  Rassicurati  ma  nello  stesso 
tempo  trepidatili  dinanzi  ad  un  cupo  presen- 
timento di  una  suprema  catastrofe,  uscimmo 
nel  giardino.  Quale  desolazione  I  bei  pal- 
mizi piegavano  la  testa  recisa  come  da  un 
colpo  di  mannaia,  gli  alberi  e  le  erbe  giacevano  in 
un  solo  ammasso  d'acqua  e  di   fango. 

«  La  calma  durò  tre  quarti  dora  circa,  poi  una 
sensazione  di  asfissia  ci  tanagliò  la  gola;  un  fru- 
scio lontano  traversò  lo  spazio  come  un  lungo  so- 
spiro di  mistero.  La  natura  sentiva  l'avvicinarsi 
del  nemico. 

0 — Rientriamo  !  rientriamo  —  si  gridò,  e  tutti  ci 
affrettammo  a  salvarci  dietro  gli  usci.  Ci  eravamo 
appena  rinchiusi  che  un  colpo  terribile  come  lo 
schianto  di  mille  colpi  di  folgori  scosse  le  fonda- 
menta della  casa,  minacciando  subissarla,  trasci- 
nandola nell'orgia  d'una  raffica  spaventosa.  La  fac- 
i -rollò  con  terribile  tragore  e  noi  da  quell'im- 
mensa apertura  spalancatasi  d'un  tratto  vedemmo 
nel  cielo  livido  passare  volando  dei  bolidi  in  fiam- 
me. Il  vento  scagliandosi  attraverso  la  breccia  apa 
ta  ci  gettava  contro  bicchieri,  stoviglie,  abiti,  bran- 
delli di  stoffe,  cadaveri  di  uccelli:  i  fanciulli  non 
piangevano  pn!.  le  donne  immobili  abbracciate  in 
un    gruppo   immobile,    fantastico,    gridavano: 


DALLE    R  [VISTE 


Dopo  il  ciclone. 


«  —  Mio  Dio  !  Mio  Dio  !  la  fine  del  mondo. 

«  Quanto  durò  la  spaventosa  situazione?  Xon  lo 
sappiamo:  accatastati  gli  uni  sugli  altri,  ci  parve 
che  la  morte  nera  e  spaventosa  piombasse  su  di 
noi  ;  quando  ci  risvegliammo  erano  tenebre  pro- 
fonde. 


«L'uragano  rumoreggiava  lontano  come  il  rantolo 
di  un  mondo  lontano,  un  vento  freddo  ghiacciato 
ci  sibilava  nell'orecchio.  Io  guardai  l'orologio:  le 
sfere  s'aggiravano  con  velocità  nuova  e  strana  con- 
dotte da  una  forza  misteriosa  e  invisibile:  molti 
di  noi  constatarono  allora  il  curioso  fenomeno  do- 


l's  ciclone  di  ghiaccio  —  Vapore  russo  prigioniero. 


638 


LA    LETTURA 


LO    -Il  SSO    VAPORE   FOTOGRAFATO   DA  UN    ALTRO    PUNTO    POCHI   GIORNI    DOPO. 

i  dubbio  all'enorme  quantità  d'elettricità  una  notte  tropicale,  pura  e  meravigliosa)  spandeva 
nell'atmosfera.  i  suoi  splendori  sulle  rovine  e  sui  pianti  ili  linei- 
ti La  notte  si  faceva  lentamente  più  chiara:  le  ul-  l'ecatombe  indimenticabile  > 
lime  nubi  galoppavano  in  fuga  verso  il  sud  dietro  Le  regioni   fredde  sono,  generalmente,  al  ripara 
la  mi                  fuggiva  con  velocità  vertiginosa.  Il  dai  cicloni.  Ma  non  mancano  le  eccezioni.   Fino  a 
cielo  lasciava  apparire  una  ad  una  tutte  le  stelle  e  qualche  anno  addietro,  la  città    russa    ili  No 


ilo   m:i.  «.iii.m  I  IO. 


. 


UUA    CITTÀ    SOTTO    IL    GHIACCIO. 


Altra  veduta  della  stessa  città. 


640 

sirsk.  sul  mai  Nei  1  del  1  !aui 

questo  flagella    Ma   il    16  dicembre   1899 
i!  turbine  del  ciclone  la  investì,  sferzò  la  sup 

del  mare,  vi  sollevò  ondate  enormi,  vere  mon- 
tagne liquide,   le  rovesciò  sulle  rive,  e  siccome  il 

radi   sotto  zero,   1  1 
Ioni  ■  immediatamente  :  lungo  il  porto 

le  masse  d'acqua  arrotondate  e  ghiacciate  sembra- 
vano uno  sterminato  gregge  * l ì  mostri  marini.  Le 
navi   furono  coperte  ili  ghiaccio,   parevano  essersi 

murali-  nei  mari  polari,  non  si  riconoscevano 
più  sotto  la  crosta  gelata.  Un  piroscafo  russo  ebbe 
bla  !<•  uscite,  e  i  passeggeri   provenienti 

dal  Caucaso  vi  restarono  imprigionati  dodici  giorni 
quanto  ilurò  l'accanito  lavoro  per  rompere  a  colp 
1Ì1  piccone  lo  strato  ili  ghiaccio:  tre  viaggiatori  fu 
rono  trovati  n  lati,  coi  corpi  come  incollati 

alle  pareti   ili-Ila   navi.-:    gli   altri   erano  agonizzanti 


1    \     1.  MURA 


'li   freddo,     ili   lame  e  di  spavento.    Il   palazzo  ili 
giustizia  a   60  metri   dalla  riva,   fu 
esso  dagli  spruzzi  delle  ondate  che  vi  si  congela- 
rono, trasformandolo  in  un   fantastico  palazzo  ili 

.-io.  degno  delle  .!////<•  <•  nini  notte.  Molti 
private  furono  murate  dall'acqua  subitamente  ghiac- 
ciatasi e  gli  abitanti  restarono  incarcerati  nelle  loro 
dimore.  Che  cosa  dice  la  scienza  intorno  all'ori) 
■  li  questa   rovinosa  meteora? 

l  che  consiste  in  una  colonna  d'ari! 

animata  da  una  vi  1  velocità  ili  rotazio 

probabilmente  essa  si  forma  nelle  alte  regioni  del- 
l'aria pur  effetto  dell'incontro  di  correnti  d'aria  do- 
tate ili  velocità  differenti.  Ma  le  leggi  che  presie- 
dono al  rorso  dei  cicloni  restano  quasi  totalmente 
ignote,  1-  la  meteorologia  non  ci  sa  «iirt-  ancora 
come  '  quando  possiamo  difenderci  da  questi  ter- 
ribili delitti  dell'aria. 


Dopo  oh  i 


Vita,    medievale    inglese 


Nei  tempi  medievali  i  domestici  erano  in  un  com- 
pleto stato  di  servitù  rispetto  ai  padroni  ed  alle 
ladrone,  e  non  avevano  protezione  di  sorta  dalle 
leggi  nazionali,  come  l'avevano  gli  uomini  liberi. 
I  cuochi  tuttavia,  allora  come  ora.  erano  tenuti  in 
maggior  considerazione  degli  altri  domestici,  per- 
chè da  loro  dipendeva  gran  parte  del  viver  comodo. 
Le  cucine  erano  ampie  e  bene  organizzate,  ricche 
di  utensili  d'ogni  genere.  Il  servizio  di  tavola  era 
i  con  molta  cerimonia.  C'erano  i  maggiordomi 
che  avevano  l'incarico  di  proteggere  gli  ospiti  e  i 
cui  chi  dal  popolaccio  che  infestava  le  case  del  re. 
I  piatti  erano  portati  a  tavola  da  servi  che  anda- 
vano 1'  uno  dietro  l'altro  come  in  processione ,  ed 
erano  capitanati  dal  maggiordomo,  che  impugnava 
il  bastone  emblema  del  suo  ufficio.  L  avvicinarsi 
dei  seni  con  le  pietanze  era  annunciato  dal  suono 
delle  trombe  o  da  altra  musica.  I  menestrelli  erano 
sempre  benvenuti,  e  spesso  nelle  sale  dei  banchetti 
si  facevano  gallerie  speciali  per  i  musicanti.  Si  te- 
nevano conti  rigorisissimi,  e  ciascuno  che  coprisse 
una  posizione  di   fiducia  ed  avesse  una  responsabi- 


I  CUOCHI. 

lità,  era  tenuto  a  render  stretto  conto  dell'uso  che 
era  stato  fatto  dei  denari  e  degli  oggetti  affidatigli. 
I  bilanci  deposti  dai  vari  castaidi  del  re  erano  ri- 
veduti igni  anno  dagli  uditori  che  andavano  di  ca- 
stello in  castello. 

Dopo  la  peste  che  distrusse  un  gran  numero  di 
vite  tra  il  1347  e  il  1349.  il  lavoro  umano  divenne 
una  cosa  preziosa  e  costosa,  tanto  che  per  impedire 
alle  classi  operaie  di  avvantaggiarsene,  fu  stabilita 
una  legge  che  puniva  come  un  delitto  il  pagare  o 
ricevere  più  di  una  data  somma  per  lavoro  fatto. 
Tuttavia  bisognò  trattar  bene  i  servi,  e  pare  in- 
fatti che  essi  fossero  ben  nutriti;  soltanto  donni- 
vano  male,  su  un  sacco  di  paglia  posto  sopra  una 
la  ;  e  ancora  al  tempo  di  Elisabetta  i  servi  dor- 
mivano sulla  paglia,  coperti  da  un  lenzuolo,  e  con 
eppo  di  legno  rotondo  in  luogo  di  cuscino.  Un 
hio  Ti  nista  dice:  «  Quanto  ai  servi,  era  una 
fortuna  se  avevano  un  lenzuolo  sopra  il  corpo,  per- 
chè spesso  non  lo  avevano  neppur  sotto,  a  difen- 
derli dalla  paglia  che  li  pungeva  a  traverso  il  sa 
che  la  copriva  ». 

I   banchetti   erano   dati   spesso  in   una  stanza   su- 
periore come  si  vede  da  una  delle  figure  che  ripro- 
duciamo ;  e  si  direbbe  che  quei  servi  stiano  battez- 
za Lettura. 


zando  il  vino.  Neckam,  nel  secolo  dodicesimo,  e- 
numerando  le  qualità  del  buon  vino,  diceva  che 
esso  dovrebbe  essere  limpido  come  le  lacrime  di  un 
penitente,  per  modo  che  ciascuno  potesse  vedere  in~ 
fondo  al  proprio  bicchiere  ;  bevuto,  dovrebbe  scen- 
dere nello  stomaco  impetuoso  come  il  titono,  dolce 


Il  maggiordomo. 

come  una  mandorla,  saltellante  come  un  capriolo, 
forte  come  la  costruzione  di  un  monastero  cister- 
cense, sfavillante  come  una  scintilla  di  fuoco,  sot- 
tile come  la  logica  della  scuola  di  Parigi,  delicato 
come  seta  fina,  e  più  freddo  del  cristallo.  Per  bere 
si  usavano  corna  e  coppe  e  tra  i  ricchi  si  usavano 
grandi  tazze  di  vetro  e  metalli  preziosi.  Un  liquore 
favorito  in  Inghilterra  era  un  miscuglio  di  miele 
ed  acqua. 

Il  formaggio  ed  il  burro,  a  quanto  pare,  erano 
abbastanza  abbondanti,  ed  erano  fondamento  dei 
■  bo  di  tutte  le  classi.  Lo  schizzo  che  si  vede  qui 


I    DISPENSIERI, 

dà  un  idea  della  forma  che  aveva  presso  gli  inglesi 
medievali  la  zangola  per  fare  il  burro.  Anche  la 
ciotola  ove  è  raccolto  il  latte  è  di  forma  strana,  ma 
la  cosa  più  strana  di  tutto,  in  questo  disegno,  è  la 
espressione  quasi  umana  dei  musi  delle  va 

Gli   uomini   medievali   dovevano  essere   molto  a- 

4i 


642  LA    LETTURA 

manti  dei   fiori,  ed  ammiratori  appassionati  della 
a,  11  fare  serti  e  ghirlande  di  fieri  era  occupa 
/.,  ni  delle  signore.   Vi  sono  lunghe  Usu- 

ili piante  nei  vocabolari  sassoni,  e  multe  erano  u 
inale    II   frutto  più  comune  era 
indubbiamente  la  mela.    11  00  ad   un 

lino   inglese  è   dato  da    Alessandro    Neckam, 
nella  seconda  metà  ilei  scoilo  dodicesimo. 
Wrighi  dice  che  le  pesche  sono  nominate  spesso  tra 
le  frutta  dei  secoli  decirrtoterzo  e  decimoquarto,  ma 
le  albicocche,  i>er  esempio,  non  si  trovano  che  nel 
decimoquinta 
I  e  dònne  anglo-sassoni  ed  angli  normanne  erano 
di   regola  madri   eccellenti   ed   attendevano  attiva- 
mente alla  educazione  ed  all'istruzione  dei  figli,  as- 
te dalle  domestiche.  Nessun  lavoro  di  casa  era 
giud  .11  laute;    rutti   erano  compiuti  con   la 

iratteristdca  dell'epoca. 
Hai    t  Menagier    de    Paris»,    un'opera    curiosa 
scritta  da  un  marito  ad   istruzione  della  moglie,  vi 
1  il,  nti  consigli   sulla  gestione  della  casa  e 
su!    modo  di   trattare   i   servi.    Dopo  aver  dato  alla 

0? 


raccomanda  '-he  non  sia   loro  consentito  di   u 
un  linguaggio  indecente  o  triviali-,  né  di  insultarsi 
tra  loro  ;  e  sebbene  egli  dichiari  doversi  dar  loro  il 
temi"  rio  per  mangiare,   avverte  che  non  fe 


II.   LA  111;. 

sposa   alcuni   consigli   sulla  condotta   da  tenere  in 
.1.  il  marito  procede  a  parlare  del  come  debba 
comportarsi  con   le  persone  di   servizio,   ammonen- 
dola  specialmente  di  veder  bene  di  che  cosa  sono 
e  ballare  che  non  siano  avide  ed  inclini  al 
Se  sono  forestiere  bisogna  cercare  di  venire 
a  '-onoscere    per  qual  ragione  abbiano  abbandonato 
il   loro  paese;    perchè  in   generale  ci  vuole  qualche 
motivo   per  indurre  una  donna  a  portare   al- 
trove  la  propria  sedi-.   Una   volta  assunta  una  do- 
ca,   non    bisogna    permetterle    di    prendersi    la 
minima  libertà,   né  tollerare  che.   parlando,   manchi 
di  rispetto.  Se  è  quieta  e  modesta  e  dà  prova  di  sen- 
tire  i    rimproveri   e   di    volere   emendarsi,  bisogna 
trattarla  come  una   figlia.    Se  date  un  ordine  non 
contentatevi  della  risposta:    a  Sarà  fatto  tra  poco, 
oppure  domani  »,    altrimenti    è   necessario   ripetere 
quello  che  se  già  detto. 

A  queste  severe  istruzioni   lo  sposo  aggiunge  al- 
cune parole   relative   alla  in  ei    domestici,   e 


II.    OIAKDINO. 


tene  che  essi  stiano  troppo  a  lungo  seduti  a  tavola. 
appoggiandovi    sopra    i    gomiti.    0    cominciano 
chiacchierare.   Quando  facciano  ciò,   bisogna   farli 
alzare   senz'altro.    La  signora   doveva    inoltre 
vegliare    o     far    sorvegliare     da    persona    di     fi- 


NlTRICI. 

ducia  che  la  casa  fosse  ben  chiusa  la  notte,    che 
i  fuochi  fossero  coperti,  e  che  tutte  le  serve  andas- 
sero a  letto.  Se  una  fosse  maiala,  doveva  la  padrona 
fare  in  modo  che  ella  fosse  ben  curata. 
(Dal  Pali  Mail  Afagazùu). 


Il   LAVoko   DELLA    PILA  1  1  k  \. 


L  a 

ci  ttà 

della 

birra 

«  Un  bravo  tedesco  può  mancare  anche  del  fazzo-  città  nacque  nel  secolo  XIII  e  nel  XV  possedeva 
letto,  ma  non  della  sua  tazza  di  birra  ».  Così  e  con  già  la  splendida  cattedrale  di  San  Bartolomeo  colla 
ragione  si  poteva  dire  negli  ultimi  anni  in  Austria,  terre  famosa  di  ioo  metri  di  altezza.  Pìlsen  ha 
prima  che  i  paesi  meridionali  l'inondassero  dei  loro  pure  una  storia  nelle  lotte  degli  ussiti  e  nella  guer- 
\ ini.  Ma  il  proverbio  è  ancora  verissimo  nella  città  ra  dei  trentanni:  essa  vide  il  conte  Ernesto  di 
boema  di  Pilsen.  conosciuta  col  nome  di  città  della  Mansfeld,  e  il  Wallestein  che  qui  raccoglieva  ed 
birra. 

Ha  60.000  abi- 
tanti, dei  quali  cer- 
tamente l'ottantase; 
per  cento  rappresen- 
ta l'elemento  boemo 
e  solo  il  quattordici 
per  cento  quello  te- 
desco. E'  una  spro- 
porzione numerica 
assai  numerosa  che 
acuisce  la  gara  di  e- 
nergia  e  di  lavoro 
fra  !e  due  razze  e- 
mule.  Ne  viene  di 
conseguenza  una 
doppia  città  ,  1'  una 
boema,  l'altra  tede- 
sca, con  scuole  ed 
istituti  di  entrami» 
le  lingue:  così  sulle- 
vie  si  leggono  le 
doppie  leggende  te- 
desche e  boeme. 


Panorama  ni  Pilsen  nel  1820. 


Giace  la  città  a  un'ora  dal  confine  della  lingua 
tedesca.  Si  ammirano  fra  le  sue  mura  monumenti 
venerandi   per   la    polvere   di    parecchi    secoli.    La 


Veduta  della  Birreria  cittadina  nel   1870. 


addestrava  le  risene  fedeli.  Ma  la  sua  gloria  euro- 
pea, anzi  mondiale,  non  la  deve  alle  lotte  civili,  ma 
alla  birra  fresca  e  spumante.  Le  più  grandi  birre- 
rie di  Monaco  si  vantano  di  una 
gloria  oramai  tramontata ,  perchè 
sopra  di  esse  cresce  la  spuma  della 
birra  di  Pilsen.  che  tutte  le  travol- 
ge sotto  il  biondo  flutto  spumeg- 
giante. 

L'emula  fortunata  è  un  prodotto 
del  secolo  XIX  e  comparve  per  le 
prime  volte  a  Berlino  nel  1871  i- 
naffiando  gli  entusiasmi  delle  vit- 
torie prussiane:  fu  combattuta  e 
denigrata,  ma  poco  a  poco  il  bion- 
do ruscello  di  Pilsen  invase  tutte 
le  città  del  mondo. 

Attribuirgli  origini  antiche  sa- 
rebbe un  falso  storico,  degno  di 
quella  ridicola  araldica  moderna, 
che  vuol  scoprire  gli  antenati  dei 
miliardari  americani  nei  crociati 
del  Barbarossa. 

Certamente  anche  nei  tempi  re- 
moti troviamo  in  Germania  assai 
diffuso  l'uso  e  la  produzione  della 


li  |  |  LA    LETTURA 

.  ma  ess  i  era  allor  i  ben  a  di  quella 

è  nrl  1902,  raffinata  colle  arti  più  intelligenti 

dei   1". 

>co,    ladde     Hoyek,   seri 

veva  il  primo  libro  sulla  manipolazione  del  biondo 
ri  :    ma   lini     il  princi]  io  di 


■  li    Pilsen    Fabbri  ano   se]  natamente   tre  barili  <li 
birra,  ciascuno  ha  un  gusto  speciale,  puri    essendo 
uno  squisito. 
Si      parlato  di  tre  birrai  ma  non  a  caso.  Fino  al 
1870  «  La   Birrai  era  l'unica  in  Pilsen 

e  ni  n  avi  :   ma  in  quell'anno  soi  se  il 


Veduta  0    nerai  birreria. 


ncstra  cittadina  andava  confusa    fra  mille  altre  e 
non  possedeva  che  qualche  pico  la   casa  produttri- 
ce. E  lunghissimo  altro  tempo  dovette  trascorrere 
prima  che  la  birra  di  Pilsen  diventasse  la  birra  del 
monda     La    produzione    dapprima    si    limitava    a 
di  barili  e  anzi  si  ricorda  volontieri  uno  dei  pri- 
mi birrai  di   Pilsen,  che  per  alcuni  mesi  dell'armo 
èva   i  luppoli   e  per  gli   altri  cuoceva   la 
1.      Dapprima      la     birra     di      Pilsen      veniva 
fabbricata    cogli    Stessi    un   odi      cii    quali    si    con- 
cia anche  attualmente  quella   ili    Baviera:   ma 
[ualità    inti  rami  nte   nuova  . 
] .  rchè  d  -in    1'  i  coli  a  bii  mdo  I  11  Mante  le  è  o  nfe 
da    una   speciale   manipolazione   dell'orzo 
Lperi        im  rognolo,  che  vi  1 1     1   o    1    pn 
■lesamente  il  palati.      pi  la  ima  qualità  sp< 

ciale  .li   luppoli. 

Le  contraffazioni    ni  caron         ari  hi 

•  del  mi  in.  !< .  si  fai  '  li  sti  ssi  meti  «li  di 

1   ffinamento  la  birra  celebre,  la 
birra  di   Pilsen.   E  i  risultati  si  : 
Con  ne  dei  birrai  della  cittadina 

ben  diversi    I  qi 

impossib  I  peri  tffazii 

u       1  del 
1     ,  ■  Monaci     pn 

In  la  diversità  dei  vari 
climi.  Per  cui  Pilsen  pu  rmai  sicura  che  il 

•polin  non  le  1  otrà  mai  essi  n    5  rapp 
I  fatto  che  se 


primi,  con  capitale  tedesco  sotto  la  ru  iale. 

«  Prima  so  ietà  della  birra  di  Pilsen  »  e  nel  1896 
sorse  un  terzo  cono  rrente  pure  sotto  forma  di  so- 

età  anonima.  La  prima  casa  produce  annualm 
in  cifre  rotonde 700,000 ettolitri, la  seconda  .'70,000 
e  la  terza  150.000.  sono  dunque  in  totale  1.120,000 
ettòlitri,    ossia    2.500.000.000    di    boccali    ingurgi- 
tati  nelli    f.uiii   assetate  degli  uomini.   Prositi 

I.    spoliazione    della    birra    di    Pilsen    e'-    rappre 
seni. ita   da  idre  abbastanza   considerevoli:    si   parla 
di  quella  eli.'  varca   le    frontiere   austro-ungari 
I.a  prima  birraria  esporta   per  200,000  ettolitri,  la 
seconda   per,    1,50.000   e    la   t.  r/a    per  80,000:    0 
l'i  ssh ami  nte    1 10.000   etti  litri. 

1  .a    fondazione    di  111-    1  pi  duttrici    ha 

pure  una  storia:  dapprincipio  erano  250  azionisti 
chi  gettavam  la  ba  ''.ili  1  1!  bi  ica  a  mi  51.000 
fiorini  i-  con  un  dividendo  annuale  di  5,5(10  fiorini. 
1'    grandi  birrarie    1  Im    oggi  hanno  quasi 

lizzato   la    produzione   mondiale,    ebbero   tutte   umili 

degli  anni  1   colla   ' 
breve,  ma  ripetuta  miliardi  di  volte  «  un  bici: 

di   bica  '    "    ll.lt  li  'Mime   eoli  --ali. 

Per  ci  nvincers  ire    i     progressi 

primitiva    1  al  bi    a,   dalla   fondaz 

d  1870  (e- 
ni  cominciava  ad  affermarsi  trionfalmente 
la  birra  di   Pilsen  .1   Berlino),  ci  mostra  la  vecchia 
fai  ibrii  a   ci  m  •   un  ammasso  di   alcun 

■  'die  caminiere  1  umani  i,  alline  iti    1 


dalli:  riviste 


larmente  sulla  via  dinanzi  allo  sfondo  delle  colline 
lontane  (fig.  2).  Certo  è  uno  spettacolo  dì  prospe" 
rità  e  di  lavoro  quello  che  si  svolge  all'occhio:  gli 
alti  camini  mandano  al  cielo  il  loro  fumo,  i  carri 
arrivano  e  partono,  centinaia  e  centinaia  di  barili 
sono  là  allineati  e  pronti  a  ricevere  il  biondo  li- 
quore. Ma  qual  differenza  fra  la  tranquilla  e  mo- 
desta fabbrica  del  1870  e  l'edificio  rumoroso  e  gi- 
gantesco che  oggi,  a  32  anni  di  distanza,  sorge 
sulla  medesima  area  !  Lina  nostra  incisione  (fig.  3), 
offre  la  vista  panoramica  dei  nuovi  editici,  che 
sembrano  costituire  quasi  da  soli  una  nuova  e  vera 
cittadina,  la  città  del  lavoro.  Sono  quattro  immen- 
se caminiere  che  lasciano  gli  inebbrianti  prodotti 
di  una  combustione  che  non  ha  tregua,  né  giorno 
ne  notte,  e  dalle  quali  esce  il  sibilo  e  quasi  il  ribol- 
limento tumultuoso  delle  decine  di  caldaie  gigan- 
tesche e  infocate  che  imprigionano  nei  fianchi  po- 
derosi il  liquido  ribelle.  E  all'ombra  delle  maggiori 
caminiere  altre  ed  altre  più  piccole  si  addossano, 
tutte  emule  instancabili  nel  getto  perenne  del  va- 
pore. I  fabbricati  si  allineano,  sì  incrociano,  si  mol- 
tiplicano, le  ampie  finestrate  danno  luce  ai  sotter- 
ranei vasti  e  freschissimi  le  cui  vòlte  sostenute  dalle 
svelte  colonne  nascondono  le  grandi  tinozze  ricol- 
me. E  nei  cortili  è  un  affaccendarsi  perenne  e  senza 
pace,  è  un  cigolio  di  carri  scricchiolanti  sotto  il 
pesp,  è  un  rincorrersi  curioso  di  centinaia  e  centi- 
naia di  barili  tuffantisi  nell'acqua  e  rotolanti  man 


645 

mano  nella  quiete  dei  sotterranei  (love  la  birra  li 
attende. 

La  stessa  entrata  nel  grande  stabilimento  dà 
un'idea  grandiosa  e  solenne.  E'  un  doppio  arco 
1 1  ii  nfale  in  stile  rinascimento,  con  magnifiche  can- 
cellate di  ferro  battuto.  Dietro  si  stende  un'ampia 
strada  che  conduce  ai  magazzini,  alla  fabbrica  e 
agli    uffici. 

Non  va  taciuto  un  fatti,  curioso:  vicino  a  que- 
sti edifici,  si  innalzano  quelli  della  seconda  fab" 
brica  di  Pilsen:  eppure  i  prodotti  sono  alquanto 
di\ersi  sebbene  venga  usata  la  medesima  acqua  e 
si  sia,  naturalmente,  sotto  le  medesime  condizioni 
di  clima  e  di  calore.  Quale  il  segreto  di  tale  diffe- 
renza ? 

Anche  la  direzione  di  questa  seconda  fabbrica 
è  tedesca,  come  Io  è  del  pari  quella  dell'ultima  fab- 
brica sorta  a  tentare  la  concorrenza.  Il  mercato 
mondiale  però  è  abbastanza  vasto  perchè  tutta  la 
immensa  produzione  di  Pilsen  possa  trovarvi  li- 
bero sfogo,  senza  procurare  mine  o  disastri  a  qual- 
cuna delle  tre  case  concorrenti  e  la  lama  meritata, 
che  Pilsen  va  ormai  acquietando  anche  in  America, 
schiude  sempre  nuovi  mercati  all'esuberante  pro- 
duzione. Per  tal  modo  le  birrarie  della  cittadina 
boema  hanno  dinanzi  un  avvenire  di  prosperità  e 
di  opulenza  e  non  potranno  neppure  temere  di  ve- 
der ribassare  le  proprie  azioni  se  qualche  altra  so- 
cietà investisse  i  suoi  capitali,  entro  le  mura  della 


Locali  per  distendervi  11.  «  malto  ». 


646 

t  .nun. ita.  nella  produzione  della  birra  ili 
ma   mond 

\  parò  \  i  riuscirebbi  1 

uguale  facilità,  giacché  la  preparazione  della  birra 

nzioni    incredibili.   Qua   nun 

hine    | hi  1  preparano  l'orzo   che 

|H'.i  11       1  dove  se  ni 

|a   fermen  ■  he  può  durare  da 

dui'  ore  fino  a  due  giorni,  se  1  md  1  la 
pera  .1  '  he  il  cereale  sia  0  >mple 

nte  macerato:  è  allora  il  j  unto  di  le- 
. 

immensi    magaz;  ei    di 

•n.i   uno  meraviglioso: 

ssi  allineati  centinaia  1    centi 

naia  ili  barili,  nei  quali  si  può,  con  un  sul 

echio,  attendere  alla   fermi 


LA    1-1.  Il  U    \ 
fa- 


allora  l'orzo  è  trasportato  in  vasti  scompartimenti 
dove  la  temperatura  i    di  circa  60  gradi  centigradi 
ice  ili   sviluppare   bastevolmente   il   germe  del 

«  le 
Il   prodotto  cuciniti',  che  assume  allora   il  nome 
di    malto,    viene   stritolato   da    pesanti    macchine 
e  rimescolato  nell'acqua  ad  80  gradi.    Il   luppolo 


I 


-1 


Deposito  delli    dro  :  vbbrh  \  dei  barili  nella  Birreria  cn 


di  una  colossale  quantità  di  orzo:   il  liquidi 

in  altre  mai  chine  di  »ve  la  sua 
continuar  nandosi  1 

rsi   aromi   che  ne  costituiscono   la 
più  gradita  •  •■a.. 

Dopo  che  l'orzi  nollito  nell'acqua  viene  di- 

ira   un   pa\  im  riti  1  in  rn  uno 

m  ■  ri  di  alti 
Tale  strato  %  *iti- 

nuamente  non  abbia   troppi    a   riscaldarsi: 

la  germi 


l'aroma  1  co  al  liquido  e  termina 

l'operazii  ni . 

0  Ed  ora,  quale  delle  tre 

birre  di   Pilsen  sarà   la  mig]  01        S'oi  non  sappia- 
mo '  Il   prodotto  della  prima   fabbrica  cit- 
tadina dà  al  palato  l'effetto  di  qualche  cosa  di 
;   quello  della   scenda   fabbrica  ha  qua! 
di  amai..  1   quello  della  dolce.  Diremo  che 
tutte  e  tri    -  m  1  0  ono  a   dare  a 
11   il   primato  del  mi 
1 1 .1    Velhagen  und  Ktasings  ftfonalschffste). 


Il    linguaggio    dei    vagabondi 


Il  vagabondo  volgare  non  è  una  persona  popò 
lare  ed  interessante  ;  il  suo  aspetto  è  poco  bello,  la 
sua  onestà  spesso  non  è  al  disopra  di  ogni  sospetto, 
e  la  sua  avversione  pel  lavoro  è  proverbiale.  La 
polizìa  e  il  pubblico  lo  tengono  d'occhio  sospetto- 
samente, e  quando  gli  capita  di 
dovei  chiedere  asilo  per  una 
notte  in  qualche  casa  di  cam- 
pagna, il  padrone  prima  gli 
impone  di  fare  un  bagno,  lo 
obbliga  a  qualche  lavoro  odio- 
so, per  scoraggiare  lui  e  la  sua 

eie. 

Tagliati  dunque  fuori  dalla 
ò  muniene  degli  altri  esseri  più 
rispettabili,  i  vagabondi  si  son 
visti  costretti  a  prestarsi  mu- 
tua assistenza,  aiutandosi  e  di- 
fendendosi reciprocamente.  Non 
v'ha  vero  legame  di  simpatia 
tra  vagabondo  e  vagabondo , 
ma  la  necessità  della  conserva- 
zione obbliga  i  membri  di  que- 
sta strana  fratellanza  a  coope- 
rare, almeno  sino  ad  un  certo 
segno.  Una  delle  forme  più  in- 
ulti eli  questa  cooperazio- 
ne consiste   nel   linguaggio  dei 


segni,  che  permette  ad  un  vagabondo  che  segua  la  via 
d'un  altro,  di  conoscere  qual  sorte  buona  o  cattiva 
l'aspetti  per  quella  strada,  nei  luoghi  che  si  propone 
di  visitare.  L'autore  ha  potuto  avere  la  spiegazione 
di  quel  linguaggio  segreto  da  un  vagabondo  che 
aveva  girato  su  per  giù  tutta 
l'Inghilterra  per  quarant'anni  , 
durante  i  quali  aveva  forse 
compiuto  una  quindicina  di 
giorni  di  vero  lavoro. 

Il  vagabondo  occasionale  — 
;  i  raio  privo  di  lavoro  che  va 
in  giro  cercando  occupazione 
—  ignora  completamente  l'esi- 
stenza del  linguaggio  dei  segni, 
la  cui  conoscenza  è  gelosamen- 
te riservata  ai  vagabondi  di 
professione.  E  per  questi  è  di 
importanza  grandissima,  per- 
mettendo loro  di  sapere  con  li- 
na semplice  occhiata  quale  ac- 
coglienza li  aspetti  in  una  data 
ca-a.  I  segni  hanno  il  vantag- 
gio di  potersi  fare  facilmente: 
ba«a  un  muro  qualsiasi  e  un 
pezzo  di  gesso  o  di  calce.  Ed 
una  volta  fatti,  sono  perfetta- 
mente   inintelligibili    pel...    pro- 


Tnctii.e  venire  qui  » 


Raccontate  una  storiella. 
Ci  sono  tre  donne.  > 


«  Qui  si  dà  elemosina 
ai  vagabondi.  > 


«    Il    PADRONE   CONSEGNA 
VM-.ABONDI    ALLA    POLIZIA. 


648 


LA    LETTI  I    \ 


l'i  fatti  da  un  ragazzo  che 
non  sappi.!  scrivere,  ma  hanno  un  significato  ben  precisa  1 
defin  li   uomini  del  1   segni  che  qui   ripro 

duciamo    I  1  san   glianza    di  11'  informati  re 

deirarticolista    ingli  ntissi in  materia,   manco  .1 

diri". 

S       me  1  membri  della  confraternita    dei    vagabondi    non 
rdinario   artisti    provetti,    i  segni    usati    sene  di   una 
mplicità  «li  linee,  tali  da  poter  essere  tracciati 
più  inesperta.    Il   primo,   pei   esempio,    è  un  semplice 
0,  che  porta   allo  sfortunato    l'annunzio   che   «  non    c'è 
di    buono    da    tare    qui  »  :     inutile   picchiare    a    quella 
Qualche    altro    vagali  ndi    è  già  stato  in  quella  casa  . 
ha  '1'  ni. imi, ito  un  po'  di  cibo  o  di   moneta,  e  gliel'hanno  ri 
fiutato;    egli   se  ne  è  andato,   ma    partendo   ha   lasciato    l'av- 
nza   per  gli   altri   che  fossero    innati    di   chiedere   elenuv 
là. 
Il  circolo   puro  e  semplice  è  un  brutto  segno  pel  poverai 
ciò:   ma  se  entro  il  circolo  e  inserita  una   grande  croce,    li 
cambia  aspetto:    il  significato   di   questo   segno   è    ralle 
Qui    vi   daranno   da   mangiare»;    e    un     vagabondi. 
i    sempre  tale   invito. 
Avviene  spesso  che  non  sia  possibile  avvicinare  tranquilla- 
mente una  casa  o  un  podere  di  campagna.     L'apparenza     del 
vagabondo  è  di  consueto  poco  attraente,  e  certi  individui  della 
specie    hanno    il    vezzo    di    annettersi 
tutti   i   piccoli  Oggetti  che  trovano   in 
Per  giunta  i  contadini  attribui- 
uo  loro  una  certa  tendenza  a  dor- 
mire sui  pagliai  e  dar  loro  fuoco  i- 
navvertitamente.    Per   questo   succede 
molte   volte  che  anche   il   più   onesto 
pione  della  classe  sia  cacciato  via 
da  qualche  cane  feroce.  Quando  ciò 
avviene,   l'infelice  si   fa  un  dovere  di 
avvertire  i  compagni  del  pericolo  ch< 
minaccia;  perciò,  se  ha  tempo  e  non 


«  Qui  si  trova  lavoro.  » 


è  costretto    ad    una    fuga    precipi- 
tosa dalla  f erocia  del  cane,  egli  la- 
scia   un   segno  ammonitore,  il   cui 
significato   originario   è:    «  Ce    un 
cane  nel  giardino  ».  ma  che  serva 
in  generale  a  segnalare  i  gra\ 
ricoli  ed  a  consigliare  la  massima 
prudenza.  Messo  su  una  casa  pri- 
vata,  rappresenta  di  solito   il   suo 
significato  letterale,  e  cioè  seg 
la  presenza  di  un  cane  ;    ma 
che  si  trova  sul  muro  di  una 
colonica   o   di   un    podere,    il    vaga- 
bondo lo  associa  di  solito  all'idea 
di  un  padrone  collerico  da  cui  con- 
viene star  lontani. 

A  volte  succede  che  un  agricol- 
tore abbia  bisogno  di  mano  d'ope- 
ra per  lavori  eccezionali,  ed  allo- 
ra,  se  qualche  vagabondo  si  pre- 
senta offrendosi  per  lavorare,  vie 
ne  accettato  volontieri.  Chi  trova 
impiego  cosi,  stima  suo  dovere  av- 
vertirne  i  compagni  che  ave- 
volontà     di  Altri     segni 

servono  ad  indicare  che.  per  esempio,  una  casa  è  abitata  da 
dinne,  che  a  raccontar  loro  una  ano 

intenerire  e  danno  l'elemosina;  o  che  conviene  abbandonare  più 
che  in  fretta  un  certo  paese,  perchè  ce  chi  consegnerebbe  il  men- 
dicante alla  polizia,  ecc. 

I  segni  sono  numerosi,  e  adatti  alle  varie  contingenze  della 
vita  del  vagabonda  Taluni  sono  anche  complicati  e  non  ven- 
gono intesi  bene  neppure  da  tutti  i  vagabondi,  ma  in  generale 
è  la  semplicità  che  si  cerca. 


C  C  È   UN   CANE 


Pucci  i  b  dal  vii.  ig 


Con.    l'esercito    di    Alenelik 


Il  capitano  inglese  Ralph  P.  Cobbold.  autore 
dell'articolo  che  riassumiamo,  fu  in  missione  col 
maggiore  Hanbury-Tracy  presso  l'eserciti  i  abissino 
nella  spedizione  compiuta  di  concerto  da  inglesi  ed 
abissini  contro  il  Mad  Mullah.  Le  operazioni,  av- 
venute nell'Ogaden,  a  sud  dell'Abissinia.  furono 
abbastanza  fortunate  e  permisero  all'ufficiale  in- 
glese di  fare  studi  interessanti  sul  paese  e  sull'e- 
sercito di   Menelik. 

Partiti  da  Berhera.  vi  sono  due  giorni  di  marcia 
nel  deserto.  Durante  le  prime  venti  miglia  dalla 
costa  l'aria  è  ancora  pesante  delle  esalazioni  del 
Mar  Rosso,  ma  via  via  che  si  penetra  nell'interno, 
si  va  facendo  più  leggiera;  ed  anche  la  natura  di- 
viene più  generosa,  e  la  vita  animale  più  abbon- 
dante. Già  alla  fine  del  secondo  giorno  di  marcia. 
il  terreno  è  migliore,  e  gli  alberi  divengono  più 
grandi  e  più  variati.  Si  incontrano  grandi  palmizi. 
splendide  acacie,  vegetazioni  ombrose,  e.  lungo  tu:- 
ta  la  via,  mandre  di  capre  e  di  pecore,  fagiani,  ecc. 
Alla  fine  del  terzo  giorno  la  spedizione  si  accampò 


che  stava  per  traspi  rtare  altrove  le  proprie  sedi. 
Lo  spettacolo  tra  curioso.  Tutto  era  stato  caricato 
sul  dorso  dei  cammelli,  anche  le  misere  case;  in 
breve  tempo  la  popolazione  si  mosse  e  il  luogo  ri- 
mase immerso  nel  silenzio  della  solitudine.  Come 
è  facile  intendere,  quelle  case  che  si  possono  por- 
tare a  dorso  di  cammello  non  sono  fatte  di  mate- 
riali molto  solidi.  Sono  strutture  di  aste  di  legno, 
coperte  di  stuoie,  simili  a  quelle  delle  tribù  nomadi 
dell'Asia  centrale,  con  la  differenza  che  queste  ul- 
time fanno  coperture  di  feltro,  mentre  i  Somali  u- 
sano  fibre  di  alce.  Qui  presentammo.  —  dice  l'au- 
tore —  un  grammofono  agli  indigeni.  Inutile  dire 
che  essi  non  compresero  il  meccanismo  ;  non  capi- 
rono nemmeno  bene  di  che  cosa  si  trattasse.  Una 
delle  illustrazioni  che  riproduciamo  mostra  appunto 
un  gruppo  di  indigeni  intenti  ad  ascoltare  quello 
strumento   meraviglioso. 

Il  viaggio  continuò  per  l'altipiano  della  Somalia 
Britannica  verso  l'Abissinia.  Soltanto  il  decimo 
giorno  dalla  partenza  da  Berbera,  dopo  aver  per- 


ASCOLTANDO    II.    GRAMMOFONO. 


in  un  misero  villaggio  somali,  pieno  di  donne  brut- 
tissime. Sinora  si  era  compiuto  il  viaggio  in  dire- 
zione di  sud-ovest  ;  dopo  d'allora,  si  marciò  quasi 
direttamente  verso  ovest.  Alla  fine  del  quinto  gior- 
no la  spedizione  arrivò  in  un  altro  villaggio  somali. 


corso  circa  200  miglia,  si  giunse  a  Jig  Jigga,  for- 
tezza di  frontiera  abissina,  sulla  strada  da  Berbera. 
La  frontiera  effettiva,  veramente,  si  trova  alquanto 
più  ad  ovest,  ma  quello  è  un  posto  avanzato,  ove 
si  trova  la  dogana,  e  vi  stanno  di  guarnigione  al- 


" 


LA    LETTURA 


pò  arabo,  ma  sti- 

\  <)no  armati  di  fu- 

~:  li,   ma   per   la   massima   parte  di 

buon  con  due 


za  e  la  sede  del  Governo  di  Ras  Makonnen. 
nipote  e  probabile  successore  del  Negus,  coman- 
dante in  capo  dell'esercito  e  governatore  di  una  tra 
le  più  importanti  provincie  d'Etiopia.  Per 


La  porta  orientale  di   Harrar. 


anni  or  sono  quando  furono  attaccati  da  Mad  Mul- 
lah e  dai  suoi  Dervisci. 

I   diritti  doganali  a  Jig  Jigga  si  riducono  in  so- 
stanza ad  una  tassa  di  circa  una  lira  per  ogni  cam- 
mello che  entr  he  poi  dal  capo  arabo  è  de- 
a  all'imperatore  Menelik.  Il  capo  riscuote  an- 
che le  imposte  dai  paesi  vicini  per  cento  del  Negus, 
ma   poi  consegna  al   suo  signore  S'  'ltanto  ciò  che 
i  sufficiente  e  conveniente,  senza  rendere  conto 
Inutile  dire  che  egli  è  uomo  molto  ricco. 
Ati   mo  al  villaggio  abbondano  le  capanne  per 
dare  la  caccia  ai  le<        S         piccole,  in  modo  da  non 
-  tenere  in  genere  più  di  tre  persone,  e  tutte  co- 
.           -e  cespugliosa,  per  modo  che  l'a- 
nimale n  rie.  L'entrata,  piccolissima, 
una  volta  che  i  cacciai  lentro,  viene  anche 
i  cespugli.   Per  attirare  i  leoni,  si  pone  a 
poca  distanza  una  capra  od  una  perora,  cui  si  lega 
una  corda  all'orecchia.  L'altra  estremità  della  corda 
è  tenuta  dai  cacciatori   nella  capanna:   ogni  tanto 
o  la  corda  per  far  belare  l'animale  ed  in 
tal  .                  amare  1'  ■  della  belva. 

Harrar.   il   cer  •  !e  dell'Abissinia.   si 

inta  miglia  a  la   Jig  Jigga. 

La  capitale  politica   d 

che  miHia  ancora  ad  ovest,  ci 

residenz.- 

Re.  ed   Imper  H  irrar  è  il 

luogo    cui    fa    capo    gran    parte    del    movimento 

r.erciale  dell'Abissinia.   Ivi  ci  le  gran- 

.    ivi  pure  è  la  re- 


Harrar  non  è  città  imponente.  Una  delle  unite  fo- 
tografie rappresenta  la  sua  porta  orientale .  è  sor 
montata  da  rozze  immagini  dei  leoni  di  Giuda,  e 
dalle  traverse  pendono  code  di  elefante.  Le  rie 
principali  (figurarsi  le  altre)  sono  assai  strette;  si 
allargano  solo  ogni  tanto  nei  posti  di  mercato.  Le 
comunicazioni  si  effettuano  per  la  massima  parte 
per  stretti  passaggi  (che  non  si  possono  chiamar 
tra  i  muri  di  fango  delle  case.  Queste  son 
quasi  tutte  brutte  e  squallide  al  massimo  grado,  e 
soltanto  assai  raramente  hanno  un  secondo  piana 
Nella  vecchia  residenza  di  Ras  Makonnen.  quella 
che  con  molta  buona  volontà  si  potrebbe  chiamare 
sala  dei  banchetti  è  un  locale  coperto  da  un  sof- 
fitto di  rami  intrecciati  e  sostenuti  da  pali  ;  il  pa- 
vimento è  di  terra  coperta  d'erba  tagliata.  Adesso 
però  Makonnen  si  è  costruita  una  nuova  casa. 

La  città  di  Harrar  è  dominata  da  un  vecchio  forte 
situato  su  uno  sprone  d'un  colle  ad  un  miglio  verso 
nord  dalla  città,  e  munito  di  tre  cannoni  molto  an- 
tiquati. Costruito  prima  del  1885  da  Rolph  pascià 
e  da  Hunter.  esso  è  una  reliquia  dell'occupazione 
ma  del  Sudan  prima  che  sorgesse  la  potenza 
del  Mahdi  e  dei  Derv i- 

E'  molto  importante  ad  Harrar  il  mercato  della 
legna  da  fuoco  rhe  i  Galla  portano  dai  luoghi  ar- 
imi.   Avviene  spesso   in    Abissinia  che  le 
nanze  di  una  città  divengano  completamente  prive 
legna    per    l'impre\  indigeni.    Per 

questa    curiosa    ragione   appunto    Menelik    d- 
ma  vi  >lta  mutar  residenza. 


DALLE    RIVIS  I 


05 1 


La  popolazione  dell'Abissinia  è  costituita  presso 
a  poco  per  una  metà  di  Abissini  propriamente  detti, 
che  sono  cristiani,  per  un  quarto  di  Galla,  pagani. 


greco,  sono  molte  e  gravose.  La  quaresima  dura  55 
giorni;  ogni  giovedì  e  ogni  venerdì  si  digiuna; 
in   complesso    i    giorni    di    digiuno,    durante    tutto 

l'anno  .  tra  digiu- 
ni ordinari  setti- 
manali e  digiuni 
1  dinari,  sono 
29"  su  375.  In 
tali  giorni  è  proi-  . 
luti!  mangiar  car- 
ne e  qualsiasi  pro- 
'!  tti  »  animale  sot- 
to  1  ena  di  multa. 
(  liascum  -  deve  con- 
fessarsi  da  un  pre- 
te, altrimenti  mo 
rendo  non  ha  se- 
poltura cristiana. 
Una  delle  ceri- 
monie religiose 
gli  Abissini 
soli  osservano  tra 
tutti  i  cristiani  è 
la  «danza  di  Da- 
'  id  «  innanzi  al- 
l'Arca dell'allean- 
za .  raffigurata  in 
una  delle  nostre 
illustrazioni.    Que- 


La  scorta 
dell'autore. 

per  un  ottavo  di 
Somali  e  di  altre 
tribù  maomettane 
di  razza  araba , 
e  pel  rimanente 
ottavo  di  negri. 
massime  nelle  Pro- 
vincie occidentali. 
Gli  Abissini  s 
in   pratica,   di    di- 

m.  lenza  parti- 
araba  e  parte  e- 
braica ,  e  molti 
hanno     lineamenti 

cui  l'origine  se- 
mitica si  deduce 
in  modo  chiaris- 
s  ma  Nelle  loro 
usanze  civili  e  re- 
ligiose sussistono 
ancora    molte    an- 

•  pratiche  e- 
braiche,  come,  per 
esempio,  l'uso  del- 
le arpe  nelle  ceri- 
monie del  culto.  Pare  che  lo  strumento  impiegato  sta  strana  funzione  ha  luogo  nella  settimana  prima 
in  Abissìnia  sia  identico  nella  forma  a  quello  di  di  Pasqua.  L'autore  pctè  assistervi  ad  Harrar.  Cen- 
cui  parla  la  vecchia  storia  biblica.  Le  osservanze  tinaia  di  preti,  raccolti  nel  cortile  della  vecchia  re- 
dei   culto   abissino,   che   si   accosta   assai    a  quello     sidenza  di  Makcnnen,   portavano  tutti   dei  baston' 


UH    MERCATO    DI    H.AKRAR. 


LA    LETI  u   \ 


.1  yilU".  ;        ,    loro   ap|  oggio,   i  s 

sedersi  in  eh  esa  o  dui 
i  monie  rei  ]  icerdoti, 

che  si  ii  quelli  che  compiano  le  funzioni  del  rito,  pi  i 
tane  strane  vesti  \  u  d'oro  sul  capo. 

noi  za  fantastica  innanzi  ad  una 

immagine  dell'  Vrca     i  [l'alleanza,  i  hi 
alla  vista  dei  fedeli  da  una  tenda  La  cerimonia 

apagnata  da  un  sui  np<  sti  ■  'li  tamburi, 

di  cembali  e  di  altri  strumenti  barbarici,  piuttosto 
clamori  si  che  armonici,  con  accompagnami  ntc  ili  sii- 
li sommo  sacerdote  non  prende  parte  attiva 
alla  danza,  ma  vi  assisti    seduto        è  il  suo  privi- 
■  •  un  ombrello  di  coli  r  violetta 
Non   meno  curiosa   della  cerimonia   stessa  è   la 
ragione  della  sua  sopravvivenza  in  Abissinia  Sino 

dal  quinto  secolo  dell'era  volgare  l'imperai G> 

stantino  tenni-  a  Costantinopoli  una  serie  ili  condii 
sugli  affari  della  Chiesa  cristiana.   A  questi  concili 
va   prendere  parte  almeno   un   vescovo  di   ogni 
Statu  cristiano.   Nel  sesto  conci  Hi  il  primo  cui 

prendesse  parte  un  vescovo  d'Etiopia  -  fu  de 
di  ravvivare  l'antica  ceni ia  ebraica  della  «  dan- 
za di  David  innanzi  all'Arca  del  Signore  »,  il  sa- 
bati, prima  di  Pasqua.  In  seguito  a  ciò  quel  rito 
fu  introdotto  in  Abissinia.  Nel  settimo  concilio  te- 
nuto l'anno  seguente,  l'ordinanza  del  precedente  re- 


danza  di   David  ■>  fu  revocata,  e  fu 

■  olmata  la  sospensione  del  rito;  ma  né  a  qui 

ni    all'otta.',  i.  ■neiliii   presi-   parie   aleun    vescovo  di 

Abissinia  .  ondi   gli   abissini  non  seppero  nulla  del- 

1  ne  del  nuovo  rito  di  recente  intn  dotto,  e 

nuano  ancora   a   danzare  innanzi   all'Arca  del 

* 
*   * 

L'indumento  abituale  degli  uomini  abissini 
siste  in  un  paio  di  calzoni  di  cotone  e  in  una  tu- 
nica .!.  il"  stesso  tessute,  nonché  un  ii<l>c  o  ampio 
tabarro  pure  di  cotone  bianco,  raccolto  e  gettato 
sopra  la  spalla  sinistra,  in  modo  da  lasciare  le 
spali,  libere.  Nel  mezzo  del  tobt  c'è  una  fascia  di 
color  rosso,  per  indicare  la  cristianità  dell'indivi- 
duo, e  distinguerlo  dalle  razze  soggette.  Le  donne 
di  solito  non  portano  che  un  indumento,  un  abito 
di  cotone  leggi  ralenti  aperto  sul  collo . 
conilo  la  moda  solita  nell'Oriente.  Le  donni-  ili 
situazione  elevata  portano  talora  una  camicia  di 
batista  sotto  l'abito  di  cotone  usuale;  ma  non  p.  r 
tano  altri  indumenti,  se  non  un  paio  di  larghissimi 
calzoni  legati  alla  vita  ed  ai  malleoli  quando  vanno 
a  cavallo. 

(Da  un  articolo  del    Wide   World  Magatine,    fascicolo  .li 
giugno).  —  I.a  narrazione  dell'autore  continua. 


La  -i.\s/v  io  David  davanti  all'Arca  dell'Alleanza». 


La    nostra,    lino-i  ia.    sul    Piata 


A  Montevideo  vi  sono  quasi  centomila  Italiani  che 
non  dimenticano  la  patria  loro  e  ne  danno  la  pro- 
va in  tanti  mi  di.  Ricorrendo  le  nostre  teste  nazio- 
nali, quella  città  sembra  italiana,  tante  sono  le  bau- 
dien  esposte  dovunque;    e  tutti   sanno  le 

ragguardevoli  somme  raccolte  laggiù  quando  qual- 
che sciagura  ha  colpito  il  nostro  paese.  Ma  il  pa- 
triottismo di  quei  nostri  fratelli  ha  un  gran  ne- 
:  la  lingua.  Dopo  pochi  anni,  gl'Italiani  me- 
diocremente colti  si  trovano,  sotto  questo  aspetto, 
gnolizzati;  che  dire  poi  degli  incolti!  E  la  fra- 
tellanza dei  due  idiomi  contribuisce  a  produrre  un 
uglio  terribilmente  comico.  Infinite  parole  spa- 
glinole, che  suonano  come  voci  italiane,  significano 
tutt'altra  cosa;  per  esempio:  largo  vuol  dir  lungo; 
vela,  candela;  carta,  lettera;  rostro,  viso;  cani. 
faccia;  burro,  asino;  manteca,  burro;  fasto,  fie- 
li"; caldo,  brodo;  corte,  taglio;  mesa  (pronunzia 
messa),  tavola;  salir,  uscire;  baiar,  belare;  trufa, 
tartufo;  re;;,!:,.,  gremii";  bravo,  cattivo;  aceite, 
olio;  tino,  criterio;  noche  (pronunzia  noce),  notte; 
topo,  talpa;  calar,  forare:  scso  (pronunzia  sesso), 
cervello;  amo,  padrone;  loro,  pappagallo;  gota. 
goda  ;  apagar,  spegnere  ;  testimonio,  prova  ;  moli- 
teli, mucchio  ;  viso,  sottana  ;  boya,  gavitello  ;  pri- 
mo, cugino;  bote,  barchetta;  bisono,  (pronunzia 
bisogno),  recluta,  e  via  dicendo.  Ne  nasce  un  pa- 
io, con  l'aggravante  che  si  dà  facilmente  ter- 
minazione spagnuola  a  parole  italiane,  e  viceversa. 
In  tal  moiio  si  è  venuto  formando  una  lingua  italo- 
igliana,  che.  quantunque  non  riconosciuta  da 
nessuna  accademia,  possiede  già.  purtroppo,  una 
letteratura. 

—  Prenda  la  vela,  dice  la  padrona  alla  sena 
italiana  da  poco  arrivata  ;    e  la  serva  s'affanna   a 

ir  la  vela  per  la  casa,  mentre  la  padrona  ha 
voluto  dire.  —  Accenda  la  candela! 

Viceversa  una  signorina  italiana,  accarezzando  le 
manine  d'un  bambino,  esclama: 

—  Clic  belle  manine  di  burro  ! 

E  la  mamma,  troppo  famigliarizzata  col  miscu- 
glio italo-spagnuolo,  quasi  se  ne  offende,  credendo 
che  abbiano  chiamate  zampette  d'asino  le  mani  del 
rampollo. 

—  Vamos  a  la  mesa  (messa)  —  dice  la  padrona 
di  casa  agli  ospiti,  i  quali  capiscono  che  bisogna 
andar  in  chiesa,  mentre  la  zuppa  è  in  tavola. 

I-  na  .-ignorina  aveva  vinto  un  premio  letterario. 
e  un  giovanotto  esclamò,  per  esprimere  il  suo  com- 
piacimento: 

—  Siculo  qne  v.sted  ha  ganado  ci  premio  ;  — 
ma  1  altra  gli  voltò  le  spalle  con  una  smorfia,  per- 
chè siculo  vuol  dire:  mi  dispiace...  I.  stesso  gio- 
vanotto, vittima  dei  disparatcs.  disse  ad  una  notis- 
sima o-eatura:  Usted  cs  muy  brava,  volendo  lo- 
darla; mentre  brava  significa  cattiva  :  e  ad  un'altra 
signorina,    molto   bigotta,    volendo    significare    che. 


con  un  certo  vestito,   sembrava  molto  più  giovane. 
ì  me  parlò  una  nino  ».   La  signorina 
ppò  come  un'ossessa,  avendo  capito:    «  Ella  m. 
partorì  una  bimba...  » 

Un  -aggio  di  questa  lingua  mista  si  trova  nel  se- 
guenti  i     di   un   autore  di   vivace  ingegno;    il 

noeta  tinge  che  parli  un  padre  di  famiglia  itali 
tenero  della  lingua  natale: 

Mi  dann'asco,  caiamba,  certi  tali 
Che  dispoi  quattro  dia  che  son  gegati, 
Voglion   far  da  creoggi  rematati 
Ed  ablano  un  idioma  da  animali. 

Io,  fra  la  crisa  e  tanti  altri  mali, 
I  termini  italian  non  li  ho  olvidati, 
E  molti  casi  non  mi  son  fattati 
Di  corregger  quei  burri  madornali. 

Sinimbargo  al  mio  nigno  ce  l'ho  detto: 
«  Muciaccio,  si  no  apprendi  l'italiano, 
Ti  mando  sempre  sin  comére  a  letto.  » 

Che  pu  eia,  cari  miei!   Paresse  un  Dante! 
Ci  ha  un  talento  quell'icco  di  cristiano. 
Che  l'abla  quasi  come  me,  il  tonante. 

Il  che  vuol  dire:  «  Mi  fanno  schifo,  per  bacco, 
certi  tali  —  che  dopo  quattro  giorni  che  sono  arri- 
\  ali  —  vogliono  fare  da  creoli  consumati  —  e  par- 
lano un  idioma  da  animali.  —  Io,  fra  la  miseria  e 
tanti  altri  mali  —  i  termini  italiani  non  li  ho  di- 
menticati —  e  non  mi  sono  mancati  molti  casi  — 
di  correggere  quegli  asini  madornali.  —  Nonostan- 
te a  mio  figlio  glie  l'ho  detto:  — «Ragazzo,  se  non 
impari  l'italiano  —  ti  mando  sempre  a  letto  senza 
mangiare  ».  -  Pi  ffare,  cari  miei!  Pare  un  Dante! 
—  Ha  un  talento,  quel  figlio  di  cristiano  —  che 
quasi  lo  parla  come  me.  il  furfante!...  » 

E'  ingiusto  accusare  di  poco  patriottismo  quegli 
Italiani  che  perdono  laggiù  così  miseramente  la 
loro  favella.  Nell'aspra  lotta  per  il  pane  è  una  ne- 
cessità  per  essi  imparare  lo  spagnuolo  ;  e  non  è 
meraviglia  che  dimentichino  la  lingua  materna  o  la 
pasticcino  come  si  è  visto.  Nelle  famiglie  agiate, 
-i  si  no  italiani  entrambi  i  genitori,  i  figli  impa- 
rano a  capire  e  talvolta  a  parlare  il  dialetto  dome- 
ma  -<  È  italiano  solo  il  padre,  egli  deve  ras- 
arsi a  parlare  la  lingua  che  la  madre  ha  inse- 
gnata alla  prole.  E,  fra  i  poveri,  la  lingua  nostra 
è  più  coltivata  ;  perchè  questi  mandano  i  figli  alla 
-cuoia  italiana  sussidiata.  Ma  è  sempre  troppo 
poco,  e  c'è  una  sola  speranza:  nel  comitato  della 
Danlc  Alighieri,  il  quale  da  quattro  anni  lavora  e 
prepara  un  programma.  La  colonia  italiana  del- 
l'Uruguay risponderà  al  suo  appello,  perchè  del 
patriottismo  ce  n'è  d'avanzo.  (Mire  ad  un  giornale 
politico  quotidiano:  L'Italia  del  Piala,  si  pubblica 
laggiù  anche  uri  periodico  letterario:  L'Ausonia  — 
solo  la  colonia  nostra. 

(Da  un  articolo  di  L.   Ambruzzi,  nella   Natura    ed  Arte 
del  15  mag 


Intorno 

a.(  l 

un 

costume 

: 

Nell'estate  del   1851,  quando  ogni  fatta  di  com 
•.  ano  a    rendere   più   |>t-saiui   gli 
aliti    femminili    e    particolarmente    li     sottane,    e 
quando  appunto  la  donna  cominciava  a  desiderare 
un  1  iù  1  omodi  .  una  0  1 

1  americana  venne  alla  riscossa  delle  sue  con 
mi  .    inventando   un    nu<  vo   o  stume 
che  quanto  a  «  praticità  »  era   veramente    l'idi  ili 
Il  nuovo  costume  ri  insisteva  nella  sottana  corta  1 
in  un  paio  di  calzoni  non  troppo  lunghi;  ma  si  al- 
enava tanto  ilalle  idee  in  voga  intorno  agli  in- 
dumenti femminili,  chi    la  Moda  scosse  il  capo,  'li 
sapprovando  risolutamente.   Fatto  sta  pei  al  n    eh 
la  comodità  del   nuovo  abito   persuase   alcune  si- 
ile alla  fine  del    1851   il  costume  'li 
odi    aveva  un  certo  numero  di  parti- 
giane convinte 

I      passato  oramai   un   poco  più  di   mezzo  seo  lo 
da  che  la  signora  Bla  mi  r,  alli  ra  domiciliata  a  Si 


neca  presso  Nuova  York  negli  Stati  Uniti, 
dò  COTJ   la    sua    proposta   ili    ridurre  le 
d  un  costume  più  ragionevol 


si  im- 
sottane 
e.    ("in- 


I.A    SIGNORA    Bl.OOMl  k. 


La  «  Bi.oomi: k   GIRL»   IN    COSTUME    l>A   STRADA. 

quant'anni  or  sono  il  Bloomcr  costume  —  come  fu 
chiamata  la  nuova  toilette,  dal  nome  dell'inventrice 

come  abito  da  strada  usuale,  aveva  ancora 
chi   ammiratori,  ma   fanatici  ;    oggi  i  suoi  ammira- 
tori sono  più  numerosi  ed  altrettanto  fedeli,  ma  a 
dire  il  vero,   il  Bloomcr  costume  d'oggi  ha  poco  in 
comune  con  quello  che  scandalizzò  le  nonne  dirli 
americani  odierni.  Nel  ventesimo  secolo  la  knicker- 
bocker  girl,  come  chiamano  gli   Inglesi   la  rag 
che  porta  i  calzoncini,  fremerebbe  d'orrore  all'idea 
di  portati-  l'abbigliamento  sfoggiato  dalla  Bloomcr 
girl,  e  se  la  stessa  signora   Bloomer  avesse  p 
antivedere  il  futuro,  r.  precorrendo  i  tempi  di  cin- 
quant  anni,    avesse   potuto  immaginare   l'evoluì 
della  sua  trovata  iniziale.  ì-  da  dubitare  se  avrebbe 
.lato  ungine   al  movimento. 

Oggi   i  Calzoncini  saranno  magari  un  citilo 
essenziale  della  guardaroba   femminile,   ma  di  so- 
lito sono  usati    soltanto    per   gli    e  s.-r.izi    ginnastici, 
o  atletici,  come  si  dice  in   America.    Invece,   nella 
niente  dell'iniziatrici',  l'uso  doveva  essere  meno  ri- 


DALLE    RIVISTE 


stretto.  Il  nuovo  costume  non  doveva  essere 
portato  soltanto  in  bicicletta  o  nelle  palestre  ;  ma 
entrare  anche  nelle  sale  da  ballo,  in  teatro,  esser 
portato  in  casa  e  per  via,  d'estate  e  d'inverno,  a 
piedi,  a  cavallo,  dovunque  va  la  pesante  e  malco- 
moda  sottana,  la  quale  cinquantanni  or  sono  era 
così  ampia  ed  ingombrante  da  rendere  impossibile 
la  libertà  e  l'eleganza  dei  mo- 
vimenti. 

La  signora  Amelia  Bloo- 
mer,  madre  del  Bloomcr  co- 
stume .  era  una  signora  di 
grande  intelligenza  e  di  ele- 
vata posizione  sociale.  Al  tem- 
po in  cui  cominciò  la  sua 
crociata,  ella  era  direttrice  di 
un  giornale  di  propaganda  per 
la  temperanza,  intitolato:  // 
Giglio,  e  le  colonne  di  questo 
giornale  furono  ottimo  stru- 
mento di  propaganda  per  la 
progettata  riforma  del  co- 
stume. 

L'idea  di  adottare  un  abbi- 
gliamento igienico  fu  sugge- 
rita alla  signora  Bloomer  dal 
direttore  di  un  giornale  av- 
verso, il  quale,  in  un  articolo 
in  cui  biasimava  le  idee  a- 
vanzate  della  signora  Bloomer 
sui  diritti  della  donna,  le  con- 
sigliò ironicamente  di  pro- 
pugnare l' adozione  dei  cal- 
zoncini alla  turca  e  delle  sot- 
tane corte.  La  direttrice  del 
Giglio,  donna  dotata  di  molto 
spirito,  e  solita  a  mettere  in  ri 
dicolo  i  suoi  avversari  quando 
l'occasione  si  presentava,  col- 
se l'opportunità  per  divertirsi 
alle  spalle  del  suo  rivale,  e 
scrisse  un  bell'articolo  di  fon- 
do, ove,  fingendo  di  prendere 
sul  serio  ciò  che  l'altro  aveva 
detto  ironicamente,  esprimeva 
il  proprio  stupore  per  l'atteg- 
giamento preso  da  quell'inve- 
terato antifemminista,  e  ad  o- 
gni  modo  si  dichiarava  lieta  della  conversione,  ag- 
giungendo che  da  allora  in  poi  i  due  giornali  sa- 
rebbero stati  ottimi  amici.  Ammetteva  per  altro  che 
il  direttore  del  giornale  avversario  le  aveva  addi- 
rittura «  tolto  il  fiato  »  con  la  sua  proposta,  che  an- 
dava molto  più  in  là  delle  idee  più  avanzate  espres- 
se sino  allora  dai  più  accaniti  sostenitori  dei  di- 
ritti della  donna.  L'avversario,  impermalito,  biasi- 
mò la  leggerezza  con  cui  la  signora  Bloomer  aveva 
trattato  un  soggetto  di  tanta  importanza.  E  allora, 
passando  dallo  scherzo  alla  riflessione,  la  signora 
scrisse  un  articolo  a  sostegno  dei  calzoni  e  delle 
sottane  corte.  Attacchi  e  difese,  polemiche  fierissi- 
me  empirono  le  colonne  dei  due  giornali  avversi, 
sinché  la  «  società  »  venne  a  conoscenza  del  movi- 


Una  delle  rifor.matrici 


mento    iniziato,    e    prese    parte    per    l'ima    <>    per 
l'altro. 

Durante  qualche  tempo  la  guerra  si  combattè 
soltanto  a  penna  ed  inchiostro,  ina  finalmente  una 
donna  coraggiosa,  la  signora  Elisabetta  Smith  Mil- 
ler, figlia  di  Cìarret  Smith,  adottò  effettivamente 
il  costume  in  cui  aveva  accennato  il  giornalista  an- 
tifemminista: sottana  che 
giungeva  appena  al  ginocchio, 
e  calzoni  sino  al  malleolo.  E 
siccome  questa  signora  Smith 
era  una  delle  più  eleganti , 
una  delle  «  stelle  »  della  so- 
cietà più  chiusa,  la  cosa  fece 
chiasso.  Ella  comparve  per 
tutto  col  suo  nuovo  costume, 
e  lo  portò  durante  tutto  il 
tempo  che  suo  padre  fu  mem- 
bro del  Parlamento,  sfidando 
ohi  molto  coraggio  e  grande 
rassegnazione  i  commenti  del- 
la stampa.  La  stessa  signora 
Bloomer  comparve  nel  nuovo 
costume  in  un  ballo  dato  da 
una  signora  conosciutissima 
della  città,  e,  come  è  facile 
immaginare ,  fu  la  persona 
più  osservata  durante  tutta  la 
sera.  La  mattina  seguente,  en- 
trando nella  redazione  del  Gi- 
glio, la  signora  Bloomer  tro- 
vò un  monte  di  lettere  sul  suo 
tavolino.  Quasi  tutte  contene- 
vano commenti  e  domande  in- 
torno al  Bloomcr  costume.  Il 
fatto ,  intanto .  si  risolse  in 
una  grande  «  reclame  »  per  il 
Giglio,  la  cui  tiratura,  che  era 
prima  di  poche  centinaia  di 
copie,  salì  a  parecchie  mi- 
gliaia e  quanto  più  si  fece  vi- 
vo il  movimento  d'opposizio- 
ne, tanto  più,  come  sempre 
succede,  i  promotori  si  inte- 
starono a  voler  fare  trion- 
fare ad  ogni  costo  la  loro 
idea. 

I  concetti  della  signora 
Bloomer  sul  modo  come  dovrebbero  andare  ve- 
stite le  donne  possono  essere  interessanti.  Essi  fu- 
rono esposti  chiaramente  sulle  colonne  del  Giglio. 
Eccoli  in  sostanza: 

«  Noi  dovremmo  portare  le  sottane  lunghe  in 
modo  da  arrivare  a  metà  del  polpaccio,  tra  il  gi- 
nocchio e  il  piede.  Sotto  questa  sottana,  un  paio  di 
calzoni  discretamente  larghi,  sino  al  malleolo,  ove 
ile  crebbero  essere  fermati  da  un  elastico.  Per  l'in- 
verno, o  per  quando  fa  cattivo  tempo,  i  calzoni  do- 
vrebbero essere  ugualmente  lunghi,  ma  finire  in 
basso  entro  una  scarpa  tre  o  quattro  pollici  più 
alta  del  collo  del  piede.  La  scarpa  dovrebbe  essere 
di  panno,  o  di  pelle  o  di  altro  materiale  preferibil- 
mente impermeabile;    l'orlo  superiore  dovrebbe  de- 


II.  1(1 


LA    M    l'I  L'RA 


clinare    ali  'indietro .    e    il 
ci  Ilo   di  i\  n  li  i  ■ 

e  orna  do  il 

gusto   pere  male  ■. 

to  della  si- 
gnora  Bloomer.  i  !i  rli  n     hi 
dichiararono 
,  i.i  emim 

.    l  medici  si  dichiarar 

ili  alla  sua  a- 

■  donne  forti» 

del 

cono 

ma 

la  n 

dannò     senz'altro     alla 
impopolarità.     I  .a     si 
respinse    in     massima     la 
pr,  |  .  Bicorni  i.  e 

solo   le  i.m.ui. 'he   portaro- 
no il  o  ' 
di  quei   tempi...    • 
morte  dell'inventrice. 

rte    in 

oni  dell'epoca  rivela  al- 
cune combinazioni  che  ef- 
i  rano   ridico- 
Neppure  alla   più   ori- 
ginale ira   Ir  ragazze  mo- 
deme  passerelilie  pel  capo 


I     i   i    riMO    PASSO    DELLA     RIFORMA. 


he  un  vestito  a  quel  mo- 
lo  poti  sse  1 1 istituire  un  a- 

da    sera    i  \ 

■  he  i  costumi  «  ai  letici  » 
moderni  son  fatti  di  stof- 
1  i     sempl  ce     e     pesante  ; 

primi  Blo  ■»:•  i 
.'unii*  i  rano  fatti  'li  si 
di    satin,   ili   stoffe   ili    fan- 

.i  riccamente  ornate, 
lab 

E    v'era    poi 
gnamentn  ili  scarpe  di  ca- 
I  retto,   coi   tacchi   alti   alla 
francese,  e  le  punte  sottili, 
mentre  ora   le  scai , 
;  esanti  simili  a  qui 

uomini.    Tra    la    Blpo- 
ojrl  dei   nostri   giorni, 

niella   ili    cinquantanni 
or    sono,    v'ha   poco    somi- 
glianza. E  forse  i  calzi 
ni   per  le  donne,  anche  le 
lonne    atletiche,     sono     in 
decadenza;   si  portano  an- 
■ora   in   bicicletta  o  quan- 
:lo  si  tanno  esercizi  ginna- 
stici   che    richiedi 
fetta    liW'rlà    «li    musi-oli, 
ma  in  ogni  modo  differisco- 
no   assai    dal    ridicolo 
'.lume    inventato    dalla    si- 
gnora Bloomer. 


I.a  €  Bloomer  <.iki    ►  del  1.195. 


La    ■    KM     Kl   RBOI  Kl  K    GIRI    -    l'I  -I.    M  OVO 


Toilettes    new    stvle 


I  nuovi  principi  artistici  e  il  nuovo  stile  hanno 
invaso  anche  la  toeletta  femminile:  però  i  docu- 
menti di  questa  pacifica  risoluzione  non  risalgono 
che  alla  primavera  del  1900,  anno  in  cui  venne  or- 
ganizzata in  Germania  una  geniale  esposizione  dei 
prodotti  dei  sarti  e  delle  sartine.  Essa  ebbe  luogo 
a  Crefeld  ed  ebbe  l'onore  di  accogliere  nelle  sue 
sale  i  capolavori  dei  più  celebri  artisti  della  moda 
che  vi  esposero  40  soggetti  interessantissimi,  cioè 
24  toelette  e   16  modelli  di  dettaglio. 

Di  questa  prima  esposizione  rimane  un  album 
originale  dal  quale  noi  stralciamo  le  bellissime  in- 
cisioni che  riproduciamo  su   questo   argomento. 

II  tentativo  felicemente  riuscito  invogliò  poi  gli 
amatori  e  fece  loro  desiderare  altre  esposizioni  del 
genere.  Non  è  da  ieri,  del  resto,  che  uomini  e  signore 
hanno  tentato  ribellarsi  al  falso  indirizzo  della 
moda  contemporanea:  ma  tale  cieca  opposizione 
non  produceva  nulla  di  nuovo,  ne  inalberava  nes- 
suna bandiera  di  nuovi  ideali  artistici.  Era  quindi 
logico  e  giusto  che  artisti  intelligenti  raccogliessero 
questa  nuova  tendenza  di  reazione  e  creassero  il 
nuovo  stile  decorativo  dell'abbigliamento. 

Per  la  soluzione  dei  problemi  annessi  a  questo 
nuovo  orientamento  della  moda  si  presentano  tre 
questioni: 

I.  —  In  casa,  la  signora  deve  dirigere  le  sue 
cure  a  dar  risalto  alla  propria  individualità; 


II.  —  In  pubblico,  essa  deve  accennare  la  pro- 
ria   individualità  : 

III.  —  Nella  libertà  di  certe  occasioni  essa  in- 


Abito  da  strada. 
/-a  Lettura. 


Abito  da   PASSEGGIO. 

vece  può  come  gli  uomini  adottare  una  specie  di 
toeletta  libera  e  disinvolta. 

Sopra  tutti  questi  principi  generali  deve  poi  e- 
mergere  il  grande  aforisma  che  la  bellezza  dell'ac- 
conciatura deve  camminare  di  pari  passo  coll'i- 
giene. 

La  riforma  della  moda  è  divenuta  ormai  gene- 
rale e  così  abbiamo  la  riuova  ni',  la  tedesca,  francese, 
inglese  ed  americana.  Ma  la  prima,  oltre  il  pregio 
della  spigliatezza,  ha  il  grave  inconveniente  che  non 
da  una  parte  sufficiente  alla  cura  della  bellezza.  I 
modelli   presentati   all'esposizione  hanno  poi  in 


i 


*^**<lÉk  ■ 

3 

lU 1; 

1 

^H    ^H    ^^v  ^H                   £^'>  «i£    i». 

1  ■  il           uFu 

J 

■g 

il  i^i 

— - j 

Mi 

H  II  }■  |i.    j 

■  IKfVfl 

• 

w^mìm  1    lP« 

*J    1 

A  B  1  TO     DA     RI  C  EV  I  M  E  N  TO. 


DALLE    RIVls  i  ! 


qualche  cosa  come  di  ortodosso  e  di  categorico:  ma 
certo  col  progresso  dell'arte  questo  scomparirà.  In- 
tanto è  già  un  grande  vantaggio  il  fatto  che  la  ri- 
voluzione nell'abbigliamento  ci  ha  liberato  di  quel 
curioso  strumento  di  supplizio  che  chiamiamo  con 
troppo  eufemismo  corsetto  o  busto. 

La  toeletta  non  è  qualcosa  di  assoluto  e  catego- 
rico, ma  è  piuttosto  qualcosa  di  flessibile  e  deve 
avere  una  giusta  misura  di  adattamento  alle  varie 
esigenze  sociali.  E'  chiaro  infatti  che  nell'intimità 
della  famiglia  si  respira  un'altra  atmosfera  lien  di- 
versa da  quella  che  spira  nelle  vie,  nelle  piazze  u 
agli  spettacoli  pubblici. 

Gli  uomini  o  meglio  i  loro  sarti  hanno  da  tempo 
ci  mpreso  queste  esigenze  e  queste  differenze,  e  crea- 
rono l'abito  di  casa  e  l'abito  di  società.  E'  dunque 
giusto  che  anche  nell'abbigliamento  delle  signore  si 
applichi  tale  principio  razionale. 

Le  esposizioni  di  toelette  femminili  raggiunsero 
I  resto  l'importanza  e  la  genialità  di  esposizioni  ar- 
tistiche e  rapidamente  altre  ne  sorsero  a  Lipsia,  a 
Eerlino  e  altrove.  E  l'interesse  del  pubblico  vi  creb- 
be intorno  e  le  alimentò  e  gran  numero  di  signore 
e  di  artisti  andarono  ad  attingervi  i  principi  di  un 
sano  gusto  d'arte  e  di  comodità. 

Certo,  l'arte  tedesca  ha  in  questo  ramo  un  grado 
di  inferiorità  non  abbastanza  lamentato,  posta  in 
e. infranto  coll'eleganza  delle  grandi  sartorie  di  Pa- 
rigi. Ma  quale  il  motivo  di  tale  inferiorità  ?  Le  da- 
me tedesche,  anche  quando  hanno  squisito  sentimen- 
to artistico  e  sano  gusto  d'estetica,  quando  si  tratta 
della  confezione  di  un  abito  ricorrono  troppo  spesso 
alle  sarte  di  secondo  o  terz 'ordine. 

La  massima  cura  e  difficoltà  nella  confezione  di 
una  toeletta  sta  nel  taglio  e  vi  hanno  grandi  case 
di  confezione  che  impiegano  giornate  intere  in  que- 
sta parte  difficilissima  e  pur  tanto  trascurata  della 
moda. 

Però  il  taglio  delle  sartorie  tedesche,  inglesi  ed 
americane  ha  un  grande  vantaggio  sulle  sartorie 
fiancesi,  il  vantaggio  di  riposare  su  principi  pra- 
tici e  razionali.  Vi  sono,  infatti,  dei  figurini  di  Pa- 
rigi troppo  eccentrici,  unicamente  decorativi,  troppi 
bottoni  che  non  verranno  mai  abbottonati,  legacci  de- 
stinati a  non  legarsi  mai.  cappucci  impossibili  a 
sollevarsi  sulla  testa,  corsetti  che  non  potranno  mai 
serrarsi,  nastri,  ciondoli,  frangie  e  decorazioni  trop- 
po oziose. 

E  tutto  ciò  esige  poi  un  proporzionato  arsenale 
'li  cravatte,  di  fiori  di  seta  e  di  raso,  di  sostegni 
in  celluloide,  di  coralli,  di  madreperle  e  ciò  che 
non  è  certo  più  dignitoso  un  corrispondente  cor- 
redo di  busti  falsi,  di  false  sottane,  di  false  ta- 
sche, di  false  cinte,  insomma  un'immensa  costru- 
zione di  falsi. 

Bisogna  poi  notare  che  le  stoffe  hanno  una  bel- 
lezza assai  relativa  che  ad  esse  deriva  più  dalla  loro 
disposizione  che  dalla  loro  materia  prima.  Cosi  uno 
stesso  colore  potè  seni  re  a  uno  scombiccheratore  e 
a  un  Raffaello,  uno  stesso  blocco  di  marmo  a  un 
figurinaio  e  a  un  Michelangelo.  Così  è  delle  stoffe  ; 
esse  acquistano  grazia  e  bellezza  dalla  sapiente  ar- 
monia col  disegno  e  colla  linea  delle  persone. 


( 'i  me  tutti  vedono,  immenso  è  il  campo  riserbai 
all'arte  moderna  nelle  toelette  femminili:    essa 
vrà  fugare  tutti  i  pregiudizi,  tutte  le  parti  inutili  o 


Abito  da  società. 

nocive,  e  trovare  il  segreto  della  bellezza  nella  seni 
plicità  e  nella  sapienza  della  linea,  nella  praticità  e 
nella  comodità.  Sotto  questo  aspetto,  la  rivoluzione 
della  toeletta  ha  dinanzi  a  sé  l'avvenire. 
(Dalla  Deutsche  Kunsl  und  Decoralion,  fase,  di  maggio). 


Le  statistiche  dell'  ufficio  meteorologico  degli 
Stati  Uniti  d'America  sugli  accidenti  causati  dal 
fulmine  alle  persone,  coprono  un  periodo  di  i  [ 
anni  e  sono  perciò  molto  importanti.  Le  zone  dei 
temporali,  come  accade  dappertutto,  sono  diverse  e 
fisse,  la  frequenza  maggiore  è  nell'estate.  Nel  1900 
furono  uccise  dal  fulmine  713  persone;  di  queste 
291  erano  all'aperto,  158  nelle  case  e  57  sotto  gli 
alberi.  I  feriti  nello  stesso  anno  furono  più  nume- 
rosi nelle  case  (327)  che  all'aperto  (243).  La  media 
dei  morti  per  fulminazione  nell'undicennio  è  di  377 
morti. 

E'  noto  che  oggidì  si  è  in  grado  di  salvare  la 
vita  ai  fulminati  anche  quando  si  potrebbe  sup- 
porre che  essi  fossero  già  morti.  La  sospensione  dei 
battiti  cardiaci  può  essere  effetto  di  una  azione  ini- 
bitrice che  si  può  togliere  prima  che  sopravvenga 
la  morte. 


Nuove    porcellane    nordiche 


porcellana   hann 
l 'al   i s ; s .  anno  in  cui  compar- 
la prima  volta  nell'esposiz •  eli  Parigi,  al 

i   in  aii   ricomparvero  nuovamente,  quale  im- 

immino  di  perfezione  e  di  i!:-!;'  atezza  di  iii- 

I  migliori  e  più  celebrati  prodotti 


9  no  |"  rò   si  m]  re   le   ripn  duzioni   .li  animali. 

tuirono  sempre  una  specialità  delle  dii 
e  che  arrivarono  a  tale  pi  rfi  zione  da  permi 
fondita   di   un    famoso  canguro  in  porcellana.    G 
animali    furono  sempre  oggetti   decorativi  e  spi 
to  e  il  tema  ili   famosi   lavori  d"a 


Porcellana  di  Christ.  Thohsen. 


Pr  incipetsa  m  ih  i  \. 


DALLE    RIVISTE 


66  J 


così  nella  letteratura  li  cantarono  specialmente  il 
Kipling  e  il  Maeterlinck,  nella  pittura  li  celebrò 
Liljefors  e  nella  plastica  Gaul.  Non  si  può  dunque 
dire  che  nell'arte  danese  gli  animali  siano  un 
getto  nuovo,  come  del  resto  non  lo  erano  nell'arte 
gieca  e  nel  periodo  meraviglioso  del  Rinascimenti 
Le  preferenze  migliori  sono  però  sempre  riservate, 
come  del  resto  è  giusto,  e  quelli  domestici,  compagni 
e  buoni  amici  dell'uomo  nelle  varie  vicende  della 
vita. 

Le  nuove  tendenze  preraffaellistiche  ci  hanno  dato 
lina  figurazione  così  misticamente  perfetta  che  an- 
che gli  animali  sembrano  avere  un'anima.  Ma  spes- 
so gli  animali  sono  rappresentati  sotto  l'aspetto  del 
più   felice   umorismo,   come  nei   classici   studi   del 


Kipling  nella  sua  esposizione  della  vita  degli  ele- 
fanti. 

Le  grandi  manifatture  danesi  di  porcellana  ne 
sono  una  prova  :  se  la  Francia  è  famosa  per  le  ve- 
trerie, la  piccola  Danimarca  ha  trinato  nell'indu- 
stria della  porcellana  e  specialmente  nelle  riprodu- 
zioni ili  figurine  di  animali  una  sorgente  industriale 
ricca  e  invidiata.  Specialmente  la  capitale,  Cope- 
nhagen, emerge  nell'arte  gentile  e  lucrosa  e  le  sue 
fabbriche  hanno  filiali  e  propaggini  anche  nella 
vicina  Svezia  e  nei  grandi  centri  germanici.  Anzi 
Copenhagen  può  dirsi  il  più  vasto  e  colossale  ser- 
raglio d'animali...  in  ceramica.  Tutte  le  varie  e  nu- 
merose difficoltà  tecniche  nella  confezione  degli  ele- 
ganti giocattoli  furono  superate  con  genio  d'art i-t  a 


Porcellana  di  Christ.  Thomsen. 


Porcellana  di  C.   F.  Lusberg. 


LA    LETTIR.V 


i-I.ANA  in  Crist.  Thomsen. 


ed  e  soprattutto  me:  sa  la  vita  die  brilla  e 

quasi  palpita  negli  occhi  lucidi  e  profondi  degli  a- 
nimali  figurati.  Insomma,  non  è  solamente  la  forma 
del  modello  che  viene  copiata,  non  è  scio 
la  linea  lunga  del  dorso  o  la  linea  ardita  di  una 
bel1''  l"ina  che  viene  fissata  nella  porcellana, 

ma  è  insieme  il  muscolo  e  la  vita  che  pare  incorpo- 
ata  nella  fredda  e  durissima  porcellana.  Tutti  co- 
rno Ita  tecniche  che  questo  materiale 
offre  alla  lavorazione  e  non  occorre  essere  stati  ope- 
rai nelle   I  nhagen   per  sapere 

ualunque  riuscirà  molto  più  facilmente 
Hata  nel  metallo,  che  non  la- 


vorata nella   difficile   porcellana.    Il    vetro,   mi 
fuso    perfettamente,    ridotto  a  un    liquid 
volissimo,   oppure   stirato   in    fili  capillai 
sibili,    entra    in    tutti    eli    stampi    più    delical 
si    i>ie,i;a    in    tutte   le    forme;    così     il    metallo    ,■ 
sempre  correggibile  ella  lima  o  collo  scalp 
così  la  porcellana  che  presenta  sempre  in 
che  cosa  di  duro  e  di  intrattabile.  Eppure  anche 
questo  materiale  ribelle  alle  forme  plastiche  e  I 
suose  della  scoltura,  l'arte  danese  ha  i 
e  capolavori  invidiati. 

Dalla  Deulscìie  Kunsl  und  Detoralion,  fase,  di  magi 


Porcei  ì.\-.  v   di   C.   I".   LOS 


Canti    d'amore    giapponesi 


I  Giapponesi  erano  sin  poco  tempo  fa  piuttosto 
restii  ad  introdurre  l'argomento  dell'amore  in  let- 
teratura. A  quella  razza  sensibile  e  naturalmente 
delicata,  le  manifestazioni  più  grossolane  dell'amore 
sembravano  troppo  brutali,  e  le  manifestazioni  spi- 
rituali troppo  sacre,  per  essere  trattate  dalla  poe- 
sia. Un  tempo  v'era  maggior  libertà,  ma  l'influenza 
cinese  raffinatrice  e  formalizzatrice  e  l'azione  delle 
teorie  confuciane  esaltanti  il  dovere  alle  spese  della 
passione,   misero  le  pastoie  alla  poesia. 

II  buon  gusto  fu  la  prima  e  l'ultima  considera- 
zione.  Un  poeta  si   pensò  che  non  dovesse  descri- 


vere ne  spiegare  mai  :  egli  cercava  la  via  più  de- 
licata di  rappresentare  una  scena,  di  suscitare  una 
emozione  ;  e  spesso  si  giunse  ad  una  delicatezza 
tale  che  per  un  occidentale  la  poesia,  senza  un  com- 
mento, riuscirebbe  incomprensibile.  Erro,  per  e- 
sempio,  un  ìiaikai  della  poetessa  O  Chiyo.  L'haikai 
è  forse  il  più  breve  componimento  poetico  che  si 
conosca,  perchè  si  compone  di  diciassette  sillabe  sole: 

A  saga  a  ni 
Tsurebe  iorarete 

Moiaì  mìdzu. 


Geisha  che  suona  ii.  liuto. 


I.M| 


\    LETTURA 


I    \  \    POE  fESSA   GIAPPONI  SE. 


"Villo 

la  secchia 
I  tono  acqua. 

11  che  significa  che  O  Chiyi  aveva  trovato  la 
corda  della  secchia  del  pozzo  avvinta  dal  eonvol- 
vulo,  e  preferiva  chieder  acqua  ad  un  vicino,  piut- 
tosto che  i  grazioso. 

Il  più  antico  e  il  più  classico  «lei  metri  è  la 
tanka  o  stanza  di  l  sillabe.  Il  nuovo  anno  è 

sempre  festeggiato  con  un  di  tuiikc.  L'im- 

peratore sceglie  e-  ogni  poeta,  dalla 

fami  penale  in  giù.  compone  un'ode  lillipu- 

ziana.   Eccone  una  : 

Fuji  no  ha  »a 
Saturi  ni  nat 
Kono  uka  un 
àfatsu  koso  hr 

.lf<  ni  takarik 
l.a  (ristarla 

ncio  venuta  in  I 
Sul  fianco  dilla  colini 

li  occhi  di  tutti 
•1. irniente  alto. 

Ma   l'ami  ■>mpletament<- 

•ernt tira,   si  rifa   nelle  -  j  ..po- 


lari. Per  tutte  le  isole  del  Giappone,  nelle  campa- 
nelle fabbriche,  nelle  scuole,  corrono  di  lal>- 
bro  in  labbro  migliaia  di  canzoni  anonime,  che  0- 
gnuno  sa  a  memoria.  Nel  Dodoitsu  Go-scn-dai.  rac- 
colta di  cinquemila  canzoni  popolari,  una  su  cin- 
que, si  può  dire,  illustra  il  proverbio  giapponese: 
«  L'amore  produce  le  canzoni,  come  la  povertà 
produce  i  ladri  ».  L'autore,  quasi  a  compensare  la 
ella  sua  depn  s  crive  appunto 

dal    punto   di    vista   della    donna,    rappresentando 

una  efficacia  pur  priva  d'arte  e  non  ricen 
le  sue  gioie,  le  sue  tristezze,  i  suoi  dolori.   Alami 
dei    più   bei   canti   furono  scritti    molto  tempo   la. 
ma  ogni  generazione  [xirta  il  suo  contributo  a  quella 

popolare,   che   la   gente  colta   dispn 
ma   che  pur  contiene  cose  di  assai   maggior   valore 
che  le  tiinkc  e  le  haikai. 

V'ha  una  frase  che  ricorre  spessissimo:    la 
n  Via   dell'amore  ». 

l 'all'epoca  degli   Dei 
Due  Immutate: 

Il  fluir  delle  acque 
Via  dell'amore, 

v'è  nulla  che  salvi  sulla  «Via  dell'amore»] 


DALLE    RIVISTE 


I  >Ò5 


l'uomo  più  colto  è  inenne  come  l'ignorante,  e  nulla 
può  soccorrere. 

In  un  modo  o  nell'altro 

Il  più  colto  studioso 

Muove  ciecamente  abbacinato  per 

La  Via  dell'amore. 

Nemmeno  lo  splendore 

Delle  lampade  elettriche 

Può  gettar  luce  su 

La  Via  dell'amore. 
0  Maru  Shan,  presa  d'amore,  mette  in  versi  le 
sue  sofferenze,  e  noi  possiamo  seguire  i  suoi  passi 
per  la  o  Via  dell'amore  »  leggendo  i  suoi  brevi  cari 
ti.  Appena  l'amore  si  desta  in  lei,  ella  si  sente  con- 
dannata al  segreto  e  alla  vergogna.  Non  osa  dap- 
prima confessare  a  sé  stessa,  e  tanto  meno  all'a- 
mato, ciò  che  è  accaduto,  e  a  nessun  patto  vorrebbe 
che  il  mondo  lo  sapesse.  Ma  tutti  i  suoi  sforzi  per 
nascondere  la  passione  non  valgono  ad  eludere  la 
curiosità  delle  persone  sperimentate.  Invano  ella 
si  duole: 

Non  dico  ad  alcuno 
L'angoscia  del  mio  petto; 
Perchè  soffro? 
Di  chi  è  la  colpa? 


II. 

Le  parole  :   «   Vi  amo  » 
Sembrano  cos'i  piccola  cosa. 
Perchè  questa  frase 
È  cosi  difficile  a  dire? 

III. 

La  gioia  del  mio  petto 
Non  si  può  nascondere: 
Sebbene  io  cerchi  il  silenzio, 
Ciascuno  sa. 

IV. 

Sebbene  io  torca  lo  sguardo 
Finga  di  non  vederlo, 
Pure  il  mondo  intero 
Sa  benissimo. 

Può  darsi  che  i  genitori  disapprovino  la  scelta 
della  loro  figlia  e  il  colpo  datole  dal  fato,  e  che  la 
madre  la  rimproveri  ;  la  fanciulla  obbedirà  in  si- 
lenzio, ma  noi  sappiamo  che  cosa  dica  il  suo  ruote: 

Mentre  voi  mi  rimproverate 

Il  mio  dito  traccia 

Sulla  tela 

Il  nome  dell'amato. 


Signora  che  suona  il  Hvakuninishu. 


!>()() 


LA    LETTI  RA 


N.ni  possono  i  rimprovi  ri 

■ih   richiamare  a  s<  ra 
Il  iole  i  ai  i 

il  rimprovero,   O   Munì   S.m  pensa  al 
■     iitno  incontro  coll'amata 

i. 

il  mio  amante, 
Il  melmoso  campo  di  riso 
Si  miiT.i  dolce  oojne  nettare, 
Bevanda  divina, 

II. 

Noncurante  della  nave, 

i  igni  notte  ti  cerco. 

L'ami 

Accumulato  nel  mio  cuore. 

III. 

io  l'ho  veduto, 
Die  ni  sembrano  un  miglio; 

ii  :  ho  veduto, 
Un  miglio  sembra  dieci. 

IV. 

Quando  non  ci  incontriamo, 
Affanno  su  affanno; 
Quando  ci  incontriamo,  la  separazione 
E  anche-  pena. 

Il  tema  del  dolore  ricorre  spesso;  le  innamorate 
giapponesi  devono  piangere  molto,  anzi,  piuttosto 
che  le  innamorate,  le  donne  in  generale,  tanto  che 
il  direttori-  di  un  teatro  di  Tokio  ha  fatto  annel 
tere  alla  sala  delle  rappresentazioni  una  stanza  ove 
le  sue  clienti  possono  piangere  in  pace.  Dice  una 
poetes-.i  : 

Sebbene  bagnate  ili  pianto. 
Le  mie  maniche  asciugano  presto. 
Ma  le  lacrime  che  sparge  il  mio  cuore 
Non  sono  mai  asciugate. 

Tutte  le  frasi  che  io  vorrei  dire 
Si  dissolvono  quando  lo  vedo; 
In   un   modo  o  nell'altro, 
Vengono  prima  le  lagrime. 

Ma  ogni  nota  dell'amore  è  cantata  nelle  anoni- 
me canzoni   popolari  giapponesi  con  una  sincerità 

che  disarmerebbe  ogni  (-ritira.  Che  rosa  si  può  im- 
maginare di  più  spontaneo  di  questo  canto: 

I. 

Più   otra  della  cortesia 
l'i  coloro  che  non  amo, 
I     la  tua  scori' 
'  >  amato,  per  me. 

IL 

de  la  mattina; 
chi    il  tuo  cuore  non 
re  a  me? 


III. 

Dormendo  non  posso 
Dimenticare  i  miei  all'anni  : 

La   falsità  del   mio  amalo 

Empie  ogni  mio  sogno. 

IV. 

(  oTiie  la  vite  sposa  l'edera, 
Io  mi  ,iv\  in. crei  a  lui; 
Ma  se  l'uomo  non  vuole. 
Che   volete   fare? 

Molto  meno  efficaci  ma  più  curiosi  sono  i 
menti   ai   trovati   occidentali    importati    in   Oriente. 
1  lice  una  ran/' 

li  mio  cuore  ardi   fieramente, 

fuoco  alla  macchina; 

Il  cuore  di  lui  è  un  pallone 

Libi  '"  nel  i  ielo. 

E   in  un'altra  canzone  si  trovano  questi  versi; 

Il  cuore  del   mio  amante  è 

Come  carta  occidentale; 

Forte  in  apparenza, 

Si  rompe  facilmente. 

Noi  ci  vediamo,   ina  non   possiamo 

Parlarci  in 

Dentro  e  fuori 

Delle  finestre  di  vetro. 


Negli   ultimi  ventanni,  per  altro,   la  pcesia  giap- 
ponese si  è  modificata  assai,  sia  pel  contenuto 
per  la  forma.  L'amore  è  entrato  vestito  alleili 
nel  palazzo  della  letteratura,  mentre  per  le  strade 
si  continuano  a  cantare  le  dodoitsu.  Ai  primi  bre- 
vissimi componimenti   di   pi  «'he  sillabe,  si  sono  so» 
slittini   nitri  più  complessi  e  più  lunghi,  com] 
spesso  di  tre  stanze  non  rimate.  Eccone  uno  che  ha 
avuto  molto  successo: 

I. 

A  sera,  guardando  giù  sulla  terra, 

Le  stelle  fecero  domanda  e  dissero;  «  O  voi  fiori. 

Se  gli  affanni  vi  tormentano  con  la  loro  pioggia  crudele , 

Qua,  ove  la  gioia  eterna   non  vien  mal  meno, 

Non  salirete  accanto  a  noi  nel  cielo?  » 

IL 

Sollevando  i  loro  smorti  volti  al  cielo, 
I  fiori  fecero  risposta  e  dissero:  «  O  voi  Stelle. 
Che  dite  che  la  gioia  eterna  non  vien   mai  meno. 
Lassù  nel  cielo,  non  vi  sono  dunque  lacrime?  » 
Al  che  le  stelle  risposero  :  «  Non  ve  ne  sono.  » 

III. 

«   Allora,  se  non  vi  sono  lacrime,   non  ve  amore!  » 
Risposero  i  fiori  rifiutando  e  chinando  il  capo; 
«  Ad  onta  degli  affanni  della  terra, 
Sel.li.  in    lassù  la  gioia  eterna  non   venga  mai   meno, 
Che  faremo  in  cielo  noi  senza  amore?  » 

\l  a  anche  <  i  mi  ri  i  quesi  i  pn  *  ■  rari,  pensi 

l'autore   dell  articolo,    i   dodoitsu   continueranno   i 
suss  i  he  hanno  quella  semplicità  suprema 

■  in    raramente  l'arte  consapevole  sa  raggiungere 

Da  un  articolo  del  signor  Osman  Edwards,  ne\V  Englith 
Illustrateti  Magatine  . 


Il  tonno  è  un  prodotto  dei  mari  caldi  in  prossi- 
mità dell'Equatore,  ma  nel  mese  di  maggio  esso  co- 
mincia ad  emigrare  verso  il  Mediterraneo  in  schiere 
di  migliaia  e  diecine  di  migliaia  di  individui.  Quelli 
che  sfuggono  ai  macelli  all'ingrosso  che  si  com- 
piono nelle  pesche  dei  tonni,  tornano  colà  di  dove 
vennero  subito  dopo  il  mese  di  giugno.  Una  varietà 
più  piccola  del  tonno  ordinario  è  indigena  del  Me- 
diterraneo ,  e  rimane  nascosta  nella  profondità 
delle  acque  durante  l'inverno,  per  venir  poi  fuori 
durante  l'estate. 

Per  questo  pesce  è  necessaria  un'acqua  pura  e 
salubre  ;  la  minima  impurità  lo  fa  deviare  dalla 
sua  strada.  Benché  di  grandi  dimensioni,  è  oltre- 
modo  timido:  un  poco  di  sabbia  gettata  in  mezzo 
ad  una  schiera  di  tonni  li  spaventa  e  li  volge  in 


Distano  circa  un  miglio  dalla  riva.  I  compartimenti 
seno  profondi  una  trentina  di  metri  e  larghi  e  lun- 
ghi una  quarantina.  L'ultimo,  la  «  camera  della 
morte  »,  è  quella  che  raccoglie  tutti  i  pesci,  desti- 
nati alla  morte.  Il  capo  della  tonnara  visita  di  fre- 
quente le  reti,  per  vedere  se  v'è  pesce  abbastanza 
perchè  convenga  procedere  all'uccisione  ed  alla  rac- 
colta. Quando  gli  pare  che  sia  venuto  il  momento 
buono,  avverte  il  direttore,  riferendogli  non  solo 
sulla  quantità  dei  tonni  radunati  nella  rete,  ma 
anche  sulla  qualità,  sulla  grossezza,  e  via  dicendo. 
Decisa  la  «  mattanza  »,  ossia  l'uccisione,  il  capo. 
o  rais,  fa  tutti  i  preparativi,  e  la  mattina  dopo,  se 
il  tempo  è  favorevole,  le  barche  coi  pescatori  (in 
generale  non  meno  di  120)  circondano  le  reti.  Le 
barche  partono  cariche  di   arponi,   lance    ed   altre 


TELLI    FORMASI 


fuga  precipitosa.  E  appunto  questa  loro  naturale 
timidezza  è  sfruttata  dai  pescatori,  che,  spaven- 
tando il  pesce  con  semplici  artifizi,  lo  induce  ad 
entrare  nelle  tonnare,  ove  viene  ucciso. 

In  Italia  vi  son  molte  tonnare;  l'autore  dell'ar- 
ticolo del  Windsor  M agazine  parla  di  quella  del- 
l'isola Piana,  appartenente  al  marchese  di  Villa- 
marina,  figlio  della  dama  d'onore  della  regina  Mar- 
gherita. Le  fotografie  della  rivista  inglese  —  al- 
cune delle  quali  si  veggono  qui  riprodotte  —  sono 
dovute  alla  cortesia  del  marchese  di  Villamarina. 

Le  vasti  reti  che  servono  per  la  pesca  d&l  tonno 
sono  lunghe  intorno  ai  quattrocento  metri  ;  e  for- 
mano una  specie  di  corridoio  che  termina  in  tanti 
scompartimenti  o  camere,  nelle  quali  il  pesce  è  in- 
capace di  uscirne,  a  meno  che  il  mare  non  sia  tem- 
pestoso, perchè  ajlora  le  ondate  possono  rompere 
le  reti  e  lasciar  liberi  i  pesci.  Le  reti  sono  tenute 
in  una  posizione  verticale,  ancorate  al  fondo  del 
mare,   e  sono  attaccate  a   galleggianti  di   sughero. 


aimi,  oltre  ai  viveri.  I  pescatori  portano  un  vestito 
leggerissimo,  perchè  la  fatica  della  giornata  è  gra- 
ve, e  bisogna  avere  i  movimenti  ben  liberi.  Giunti 
alle  reti,  contano  nuovamente  i  pesci,  e  le  barche 
formano  quadrato.  Il  rais,  che  sta  su  una  barca 
più  piccola  delle  altre,  si  pone  in  mezzo,  proprio 
sepra  la  camera  della  morte,  e  di  lì  dirige  le  ope- 
razioni. Prima  però  di  cominciare  il  lavoro,  tutti  i 
pescatori  si  levano  il  cappello  e  recitano  preghiere 
affinchè  ogni  cosa  proceda  bene.  Si  invocano  diversi 
santi,  e  particolarmente  San  Pietro,  patrono  dei 
pescatori.  «  O  Signore,  dateci  una  buona  pesca  ». 
dicono  gli  uni  ;  «  Dio  lo  faccia  ».  rispondono  gli 
altri.  Terminate  le  preci,  il  rais  domanda  se  tutti 
sono  pronti,  e,  avuta  risposta  affermativa,  dà  or- 
dine di  cominciare.  I  pesci  sono  raccolti  nell'ul- 
tima camera  e  nella  penultima  ;  bisogna  anzitutto 
mandarli  tutti  nell'ultima,  rompendo  le  schiere  dei 
più  restii,  che  si  aggirano  circolarmente  nel  penul- 
timo compartimento.  Ciò  fatto,  si  chiude  la  camera 


LA    l 


e  di  porta  di 
lultima  r  l'ultima  caini  i 

inti ini. •  a  questa,  e   il 
n    ha  principia   II  ra:,  già  i  suoi 


si,  e  sferzando  l'acqua  con  le  rode,  e  gettan- 

dola  add  he  ne  sor  tutti  bagnati. 

\l j   ben  presto,  m'Ha  violenza  della  lotta,  i  tonni 

già,  <•  allora  i  pescatori  guardano 


La 


uomini   e  ogni   tanto  getta  su  loro  dell'acqua    per  il  capo,  in  attesa  del  segnale  del  massacro.  Il  rais 

rinfres               5p  sso    essi     stessi     la     domandano:  alza  la  mano  e  ila  un  fischio:   l'uccisione  comincia, 

\    iua,   acqua,   rais!  »  E  una  canzone  monotona  Ognuno  cerca  di  uccidere  il  maggior  numero  di  pe- 

na    il    lavoro.   La  rete   intanto  si  sci  che  può  ;  spesso  avvengono  liti,  perchè  un  tonno 


Ogni  no  .  eri  \  ni  uci  idere  i  he  i-i  ... 


rveglianza  del  rapo,  il  quale 

avvenga  in  modo  regolare, 

:a  -livelli  che  permetterebbero  al  pesce  di  sfug- 

i  tonni,  di  essere  completamente  cir- 

forzi    violenti    per   fuggire,   dibat- 


i  ii  ii    ferito   o  .i.i    due    peri 

che   poi   si  disputano   l'onore   dell'uccisione.    Ucci- 
dendo il  pesce,  bisogna  aver  cura  di  non  mutilarlo, 
he    -i    deve   consegnarlo    intero  a   coloro   che 
hanno  l'incarico  di   prepararlo.   Allorché  circa  due 


DALLE    RIVISTE 


terzi  dei  pesci  radunati  nella  camera  della  morte 
stati  uccisi,  si  dà  un  segnale  di  sospensione, 
e  chi  lo  trasgredisce  è  multato.  La  ragione  di  que- 
sto sta  in  ciò,  che  i  pesci  rimasti  ancora  vivi  sono 
d'ordinario  più  piccoli,  e  prima  di  precedere  nella 


669 

le  reti  si  abbassano  di  nuovo  e  i  battelli  carichi  di 
preda  partono  da  quel  luogo.  -.1  di 

sangue.  Si  contano  esattamente  i  pesci  uccisi,  e  poi 
i  pescatori  si  lavano  nell'acqua  del  mare. 

Quasi  tutte  le  tonnare  hanno  annesso  uno  stabi- 


NON    BISOGNA    MCTILARE    I    TONNI. 


strage,  è  mestieri  radunarli  nell'ultima  parte  della 
camera  della  morte,  ove  le  maglie  della  rete  sono 
più  fitte  e  le  corde  più  grosse,  per  modo  che  anche 

I' 


limento  ove  il  tonno  viene  preparato.  Circa  due- 
cento persone  stanno  sulla  riva  aspettando  la  ve- 
nuta delle  barche,  e  portano  via  i  pesci,  il  cui  peso 

» 


-__    "~ 


Riparazione  delle  reti. 


agli  animali  più  piccoli  riesce  impossibile  la  fuga. 
Quando  si  rida  l'ordine  della  strage,  si  riprende  il 
lavoro  che  non  viene  lasciato  se  non  quando  non 
resta  più  un  solo  pesce  vivo  nella  rete.  Dopo  ciò 


varia  dalle  20  alle  200  libbre.  Sventrati  e  puliti  i 
tenni,  quella  parte  degli  intestini  che  si  può  uti- 
lizzare viene  divisa  tra  i  pescatori  in  proporzione 
a!  numero  di  vittime  che  ciascuno  ha  fatto.   I  pe- 


'V' 


LA  LETI 


entinaia  e  spesso  a  migliaia.  Le  teste 
are  .   messe  a  bol- 
li olio  die  si  usa  nella  preparaz 
<  pelle  l  i  orpi  »  no  appesi  pei  la  coda,  perdi  i 
sino  all'ultima  gooda  di  sangue; 
sopra  tante  tavole,  Bono  rapidamente  ta 
glia'  e  quindi  messi  a  1  hiI lire  in  granili  cal- 

uomini  che  fanno  questi  lavori  sono  que- 
lli- durante  l'inverno  preparano  i  barili 
in  cui  si  pongono  i  tonni  dopo  sfreddati.  Il  tono 
si  guasta  fadlmente  se  tutte  le  operazioni  non  ven- 


gono latte  con  la  massima  cura,  onde  nella  prepa- 
razione non  si  impiegano  se  non  lavoranti  bene 
sperimentati. 

Chi  non  ha  mai  velluto  una  tonnara  difficilmente 
può  tarsi  un'idea  della  quantità  <li  lavoro  e  di  s 
sa  che  essa  richiede.  La  «  mattanza  »,  benché  duri 
soltanto  |  i  i  he  ore,  lascia  gli  nomini  così  sfiniti,  che 
per  parecchi  giorni  essi  sono  nell'impossibilità  di 
ire,  tanto  dolgono  loro  le  memi  ira. 

(Da  un  articolo  del   Windsor  ifagazine). 


Nel   centenario  di 


Augusto  Comte 


Insieme  con  quello  di  Victor  Hugo,  la  Francia 
celebra  quest'anno  il  centenario  di  Augusto  Comte 
ed  erige  un  monumento  all'uomo  che  il  Guizot  giu- 
dicava, nel  1832,  autore  del  credo  d'una  0  piccola 
setta  filosofica  ».  Mentre  visse,  il  fondatore  del  po- 
sitivismo non  godette  quel  credito  che  ottenne  dopo 
morto;  è  vero  però  che  questo  credito  fu  dovuto 
al  suo  discepolo,  il  Littré;  il  quale,  togliendo  dalla 
dottrina  del  maestro  tutto  quel  che  vi  era  di  metafi- 
sico e  mistico,  ne  assicurò  la  grande  azione  sul  pen- 
siero filosofico,  scientifico  e  letterario  della  seconda 
metà  de!  XIX  secolo. 

Il  Comte  disse  che  bisogna  attenersi  soltanto  ai 
fenomeni  percepiti  dai  sensi  ed  alle  loro  leggi  ; 
egli  non  cercò  di  determinare  le  cause  delle  cose, 
ma  i  loro  rapporti  ;  non  il  perche,  ma  il  come,  che 
rappresenta  la  realtà,  il  positivo  della  vita:  di  qui 
il  nome  di  positivismo.  La  scienza  sperimentale  fu 
la  base  di  questo  suo  sistema,  e  poiché  nella  scien- 
za bisogna  raggiungere  l'armonia  e  l'unità,  egli  die- 
de questa  regola  :  «  Tutte  le  conoscenze  umane  sono 
e  debbono  esser  sempre  dominate  da  un  piccolo 
numero  di  scienze  fondamentali  le  quali  si  conca- 
tenano in  modo  da  essere  le  parti  di  un  tutto  ». 
Queste  scienze,  dovendo  dipendere  l'una  dall'al- 
tra ,  e  dovendo  andare  dalla  più  generale  alla 
più  particolare,  e  dalla  meno  alla  più  com- 
plessa, furono  da  lui  così  raggruppate:  I.  la  Ma- 
tematica :  II.  la  Fisica  ;  III.  la  Chimica;  IV.  la 
Biologia;  V.  la  Sociologia.  N'iente  è  infatti  più 
;  ilice  «lei  rapporti  delle  quantità,  obbietto  della 
matematica  ;  e  niente  più  individuale  e  complicato 
dei  fenomeni  sodali.  Xella  Sociologia  il  Comte 
distinse  la  statica  o  anatomia  sociale,  che  riguarda 
la  teoria  della  sodetà  e  ne  studia  successivamente  i 
tre  organi  primordiali:  individuo,  famiglia  e  so- 
cietà propriamente  detta  :  e  la  dinamica  sociale, 
che  '  di  1  progresso.  Alla  base  del  sistema 

pone  il  sentimento  della  simpatia,  o  altruismo,  na- 
turale nell'uomo  quanto  l'egoismo,  ed  espresso  pie- 
namente nella  famiglia.  Lo  Stato  non  1  altro  che 
«  una  cooperazione  di  famiglie,  tolto  il  potere  mo- 


deratore  del    governo  ».    Ma  questo  potere   non   è 
solo  temporale,  è  anche  spirituale. 

La  dinamica  sociale  è  governata,  egli  disse,  dalla 
legge  dei  tre  slati;  la  quale  vuole  che  ogni  so- 
cietà, come  è  dimostrato  dalla  storia,  passi  per  tre 
stati  successivi:  il  teologico,  il  metafisico  e  da  ul- 
timo lo  srientiii -o  o  positivo.  Il  movimento  rivo- 
luzionario compitosi  ultimamente  nella  società  no- 
stra con  la  distruzione  del  passato  ,  ha  preparato 
l'èra  positiva  ;  ma,  per  non  essere  stato  infrenato 
e  guidato,  ha  prodetto  anche  l'anarchia,  nella  filo- 
sofìa ,  nell'estetica  ,  in  politica  e  in  sociologia.  Si 
sono  ottenuti  molti  progressi  materiali  ,  ma  l'indu- 
strialismo e  il  macchinismo  hanno  peggiorato  la 
condizione  sociale  ed  economica  della  classe  o- 
peraia. 

Occorre  che  un'  autorità  spirituale  aiuti  il  potere 
temporale  o  politico  a  far  trionfare  la  morale  sulla 
forza  ed  a  instaurare  il  regno  dell'altruismo.  Nella 
società  positiva  questo  sentimento  deve  essere  so- 
stenuto da  coloro  che  posseggono  la  scienza  :  essi 
debbono  formare  una  corporazione  di  dotti  che 
prenderà  la  direzione  spirituale  della  società.  Questa 
sarà  divisa  in  due  classi  :  la  classe  speculativa  (fi- 
losofi, scienziati,  artisti)  e  la  classe  pratica  (e 
mercianti,  industriali,  agricoltori).  Il  potere  spiri- 
tuale insegnerà  la  solidarietà  ai  cittadini  :  ai  pro- 
prietari, rammenterà  che  sono  gli  amministratori 
della  ricchezza,  ai  proletari  che  debbono  proteg- 
il  capitale,  strumento  indispensabile  al  buon  fun- 
zionamento della  sodetà.  Politicamente,  la  società 
positivista  sarà  plutocratica.  Un  patriziato  di  due- 
cento persone  concentrerà  tutti  i  capitali,  ammini- 
strando a  profitto  di  un  proletariato  di  ottomila 
individui.  Con  questa  proporzione  vi  saranno  que- 
ste due  sole  riassi  sociali  ;  la  classe  media  spai 
Le  grandi  nazioni  saranno  scisse  in  corporazioni  di 
due  o  tre  milioni  di  membri.  Ai  patrizi  di  ogni  par- 
are repubblica,  il  sacerdozio,  diretto  dal  Gran 
Prete  dell'Umanità,  dovrà  sottoporre  i  legittimi  re- 
clami dei  proletari. 

Mei    positivismo  tutte  le  scienze   finiscono  nella 


DALLE    KIVIM  I 


ÒTI 


sociologia,  cioè  nell'altruismo  generalizzato.  L'uo- 
mo isolato  è  un'  astrazione  ;  reale  è  soltanto  1  U- 
manità.  Gli  affetti  particolari  portano  all'amore 
universale  del  genere  umano:  quello  dei  genitori 
si  estende  agli  antenati  ;  quello  dei  fratelli  e  dei  vi- 
cini a  tutti  i  contemporanei  ;  quello  dei  figli  alle 
generazioni  future.  Così  si  comprende  in  un  solo 
amore  l'Essere  immenso,  collettivo,  che  abbraccia 
tutti  gli  altri,  il  Grande  Essere  di  cui  noi  siamo  le 
parti  viventi.  L 'Umanità  è  quindi  il  centro  unico, 
reale  e  positivo,  al  quale  il  Comte  eresse  il  tempio 
della  Religione  dell'umanità.  Egli  diede  a  questa 
parola,  religione,  il  senso  del  latino  religare,  colle- 
gare,  unire,  perchè  nella  sua  Religione  dell'uma- 
nità tutti  gli  esseri  e  tutte  le  scienze  umane  forma- 
vano un  fascio  ed  un  tutto. 

Fino  al  1845,  tale  concezione  restò  in  modo  am- 
biguo nella  mente  del  Comte;  in  quell'anno  egli 
fissò  i  dogmi  e  la  liturgia  del  suo  culto.  La  psichia- 
tria ha  studiato  lo  stato  mentale  del  filosofo,  i  par- 
ticolari della  sua  vita,  il  suo  matrimonio,  l'adora- 
zione platonica  che  egli  portò  alla  signora  De  Vaux. 
l'eclissi  temporanea  della  sua  ragione,  per  conclu- 
dere che  egli  non  era  molto  sano  di  mente.  Ad  ogni 
modo,  ecco  i  particolari  della  religione  da  lui  fon- 
data. Vi  si  distingue  il  culto  personale,  o  adora- 
zione delle  migliori  creature,  degli  angeli  custodi. 
La  donna  ha  fra  questi  il  suo  posto,  perchè  è  il 
tipo  più  puro  dell'umanità,  come  madre,  sposa  e 
figlia.  Gli  angeli  custodi  scelti  dal  Comte  furono 
sua  madre,  la  signora  Clotilde  De  Vaux,  e  la  si- 
gnorina Sofia  Thomas,  sua  figlia  adottiva  e  cuoca 


o  portinaia  —  secondo  hanno  detto  alcuni  biografi. 
—  La  De  Vaux,  particolarmente,  fu  assunta  alla 
dignità  di  Vergine  Madre,  di  Dea.  Dal  culto  perso- 
nale si  passa,  nella  confessione  comtiana.  a  quello 
pubblico  ;  il  quale  comprende  le  nove  tappe  della 
incorporazione  nell'umanità;  cioè:  presentazione, 
battesimo,  iniziazione  (14  anni),  ammissione  (21 
anno),  destinazione  (28  anni),  matrimonio,  matu- 
rità (42  anni),  trasformazione  (morte  e  incorpora- 
zione nel  Grande  Essere  (7  anni  dopo  la  morte).  E 
il  culto  dell'Umanità  è  celebrato  nel  tempio  del- 
l'Umanità, dinanzi  alla  figura  simbolica  di  que- 
st'ultima, rappresentata  da  una  donna  di  30  anni 
che  tiene  un  bambino  fra  le  braccia.  Parigi  è  il 
centro  del  culto  ;  il  tempio  dev'esser  posto  «  in  mez- 
zi i  alle  tombe  degli  uomini  migliori  ».  Speciali  cap- 
pelle sono  erette  agli  uomini  e  alle  donne  eminenti, 
i  cui  nomi  sono  registrati  nel  Calendario  positi- 
vista. 

Augusto  Comte  morì  nel  1857.  senza  aver  nomi- 
nato il  suo  successore  ;  ma  i  discepoli  elessero  Pie- 
tro Laffitte.  il  quale  continuò  l'apostolato  del  mae- 
stro nella  Rivista  occidentale,  organo  ufficiale  del 
positivismo.  Oggi  il  positivismo  ortodosso  è  quasi 
scomparso  dalla  Francia  e  i  suoi  sacramenti  non 
sono  più  amministrati.  Vi  sono  alcuni  gruppi  spar- 
si in  Inghilterra  e  in  Isvezia  ;  una  vera  Chiesa  po- 
sitiva prospera  nella  sua  forma  genuina  a  Rio 
Janeiro,  dove  il  tempio  dell'Umanità  fu  inaugurato 
il  15  agosto  i8()r. 
(Da  un  articolo  di   Gustavo    Lejal,    nella    Reznie    Univer- 

selle,  del  15  maggio). 


I    Russi    in    Asia. 


Anticamente  le  grandi   invasioni  dei  popoli   av- 
venivano   dall'Oriente  verso    l'Occidente;    l'espan- 
sione russa  in  Asia  è  prova  di  un  radicale  muta- 
mento  di   direzione.    Se   la  prima   civiltà   europea 
nacque  in  Asia,  ora  i  Russi  la  portano  nei  paesi 
dai  quali  provenne,  occupando  tutta  la  parte  set- 
tentrionale del  continente  asiatico,  dall'ovest  all'est. 
Questa  invasione  si  è  operata  per  le  vie  terre- 
stri :  pacifica  o  cruenta,  è  stata  una  marcia  in  a- 
"'anti,   e  la  Russia   non  ha  fatto  che   prolungarsi 
erso  Oriente  mantenendo  la  compattezza  del  suo 
f--ritorio.   La    Siberia,    dagli    Urali    alle   rive   del- 
•ano.   è  stata   ottenuta  mediante  un'espansione 
rale  e  pacifica,  benché  operata  principalmente 
rr  mezzo  delle  colonie  militari  dei  Cosacchi,  che 
.rasformarono  in  coltivatori  e  attirarono  i  Russi 
I  >priamente.  centomila  dei  quali,  ogni  anno,  emi- 
liano in  quelle  regioni. 
Nello   stesso  tempo  che  verso   Oriente,    l'espan- 
one  avveniva  verso  il   sud:    oltrepassato   la  bar- 
lera  del  Caucaso,   gli   Slavi  hanno  toccata  l'Asia 
Minore  e  la  Persia  ;  dall'altro  lato  del  Caspio,  so- 
no penetrati  nel  cuore  dell'antichissimo  continente, 


fino  alle  frontiere  dell'Afghanistan  e  del  Pamir: 
questa  marcia  non  fu  pacifica,  incontrò  anzi  la  re- 
sistenza di  popolazioni  guerresche  e  produsse  la  ri- 
valità con  gl'Inglesi,  coi  possedimenti  dei  quali  i 
Russi  si  trovarono  quasi  confinanti. 

Finalmente,  giunti  al  mare  libero  in  faccia  al 
Giappone,  essi  hanno  cercato  di  penetrare  in  Cina, 
e  di  dare,  attraverso  la  Manciuria,  uno  sbocco  più 
favorevole   alla    ferrovia   Transiberiana. 

La  costruzione  di  questa  linea  colossale  fu  pre- 
ceduta da  quella  Transcaspiana.  la  quale  fu  ini- 
ziata nel  1880,  giunse  a  Merv  nel  1886  e  a  Samar- 
canda nel  1888,  attraverso  1470  chilometri  di  de- 
serti e  di  sabbie.  Da  Merv  si  stacca  un  tronco  che, 
dopo  280  chilometri  verso  sud,  arriva  al  posto  di 
Kuchk,  sulla  frontiera  afghana  ;  questo  tronco,  o 
per  meglio  dire  questa  linea  strategica,  terminata 
nel  1898,  è  destinata  ad  esser  prolungata  fino  ad 
Herat,  se  gl'Inglesi  non  vi  vedranno  una  minaccia 
per  le  Indie.  Nel  1895  s'iniziò  il  prolungamento 
da  Samarcanda  ad  Andigian,  con  un  tronco  fino  a 
Kavas:  dalla  parte  del  mar  Caspio,  la  testa  della 
linea  divenne  il  porto  di  Krasnovodsk.  Ma  il  Tur- 


672  LA    II    l'I  l  1-  \ 

1  una  via 
rata   .ili.  1    ottenere  questo  risiili 

iniziati  i  lavori  d'una  linea  che  unirà 
la  Transiberiana  alla  Transcaspiana,  ila  Tachkeni 
a  Orenburgo,  e  quindi  il  Turkestan  a  M 

Occupato  il  Turkestan,  stabilii.,  il  pi.  ... 
sul  Khanato  .li  Bukara  o  1  trattati  .lei  1808  e  18-3, 
i    Russi    si    trovarono   alle    front  entrìonali 

dell'Afghanistan;  ogni  marcia  in  avanti,  ila  questo 
punt".  sarebb  di  mi  conflitto  con  gli 

Inglesi,  questi,  anzi,  non  contenti  'li  mantenere  la 
li. ri.  influenza  sugli  Afghani,  tentarono,  permeglio 

stare  gli  Slavi,  'li  occupare  il  territorio  dell'Ai 
ghanistan:  vi  furoi  diali,  ma  l'alleanza 

con  l'Inghilterra  ao  dall'Emiro  Abdurrhaxnan 

nel  1880.  e  l'accordo  sulla  delimitazione  'Ielle  frem- 
itami" tuli...  almeno  per  un  certo  tempo,  ogni 
motivo  d'inquietudine  ila  questo  lai". 

1  Russi  si  rifecero  verso  il  Pamir,  e  avervi  occu 
pai.,  il  Fergana,  cercarono  ili  rivendicare  i  diritti 
che  cjuesto  Stato  vantava  sulla  regione  ilei  Pamir; 
nel  1889  il  capitano  Grombecevsky,  giù  |  er  il  ba- 
cino dell'Indus,  cercò  .li  penetrare  nel  Cascmir  ;  ma 

Afghani  ed   Inglesi  I .strinsero  a  retrocedere.   Più 

tarili,  dal  1801  al  1893.  il  colonnello  Jonov  fece 
delle  marce  in  avanti  verso  il  Pamir;  la  resisi. 
degli  Afghani  fu  vinta  il  12  giugno  1892  a  Soma- 
tach.  e  l'anno  (lupo,  a  3700  metri  di  altezza  sul  li- 
vello del  mare,  i  Russi  fondavano  un  posto  mili- 
tare in  pieno  Pamir;  nel  1894.  Jonov  disfaceva 
una  seconda  volta  a  Roch-Kala  gli  Afghani,  i  quali, 
invece  dell'aiuto  chiesto  all'Inghilterra,  ottennero  il 
consigli"  di  c'includere  un  amichevole  componimen- 
to. Gl'Inglesi  si  erano  già  premuniti,  occupando  il 
Kungiut,  l'Vassine  e  sostenendo  una  lotta  acca- 
nita per  serbare  la  loro  autorità  nel  Citral.  via  di 
^so  naturale  della  pianura   indiana. 

A  questo  punto,  che  fu  il  più  critico  nelle  rela- 
zioni anglo-russe,  intervenne  l'accordo  firmato  a 
Londra  l'il  maggi"  1895,  col  quale  la  quistione 
del  Pamir  fu  regolata:   la  maggior  parie  di  qui 

ne    fu    lasciala    ai    Russi,    cioè    il    Rnscian.    il 
_rnan  e  una  parte  dell'Uakhan  ;  il  resto  di  que- 
st'ultimo principato  fu   dichiarato  neutrale  e   p  sto 
la  sovranità  dell'Afghanistan,  cioè  dell'Inghil- 
terra 

Al  sud  del  Caucaso,  i  Russi  ottennero,  nel  1899. 
dalla  Turchia,  la  costruzione  della  ferrovia  'li 
caucasica;  nel  1900  ah  :  di  stradi    1.1 

furono  ottenute   dai    capitalisti    russi    nel    nord 
e  nel  centro  dell'Asia   minore.    Altrettanto  è   awe 
mito  in  Persia,  col  moro  poi      coro    >so  dall'.  Si 
della  ferrovia  Transpersiana,  i  cui  laviti  soni 

ci 'min 

Ma    |'(  pp  I    li    Russi    in      \,i.i 

è  la  ferrovia    l  •        berian  il  17  mar/" 


V       indro    III    e   finita    in    pi 
più  di  .liei   anni.    Nessuna   linea   può  rivalegg 
in  da    Pietroburgo  a  Vladivostok  i-  lunga 

IO.500    clnl.  ini  In.     .In    quali     7543     apparlriiL 

alla  reie  1 1  ina  propriamente  1  a  fu 

Beo  ini"  a  (  tmsk  nel  1895.  a  Krasn- 
ni  1  [897,  a  Irkutsk  nel  1808.  11  lago  Baj- 
kal si  traversa  erry  boats,  sui  quali  si  ci 
cario  gl'ini  ogli,  mentre  si  aspetta  la  mstru- 
zione  d'una  linea  litoranea.  Ma  la  Transiberiana 
doveva  ancora  fare  un  ro  1  ppo  King",  ad  1 
il  quale  bisognava  attraversare  il  territorio  ra- 
nella Manciuria.  N'el  1805.  alla  fine  della 
gui  ni  con  la  ("ma.  il  (  '.  lo  enuto,  sul 
n.ni  inente  asiai  io  ■.  la  penisi  ila  di  Lia  I  ung.  N:on 
potendo  ammettere  che  i  Giapponesi  ponessero 
sulla  terraferma,  i  Russi  li  persuasero  o  li 
costrinsero  a  rinunziarvi.  mediante  un  aumento  del- 
l'indennità  di  guerra:  la  Cina  pagò  questi,  servi- 
zio resole  dalla  Russia  pernii  iten.li>!'-  che  la  Transi- 
beriana traversasse  la  Manciuria  e  che.  d'inverno, 
le  navi  russe  entrassero  in  Pori  Arthur.  Il  tr. 
transmanciuriano  della  Transiberiana  fu  finito  di 
costruire  nel  1901  dalla  Società  delle  ferrovie  ci- 
nesi dell'Est.  E,  min  contenta  del  permesso  di  far 
svernare  le  sue  navi  a  Port  Arthur,  la  Russia,  dopo 
che  i  Tedeschi,  ebbero  occupai"  Kiao-Ciao,  ottenne 
l'affitto  dei  territori  di  l'nrt  Arthur  e  Ta-lien-uan 
pei    25  anni,  prolungabili  di  comune  accordo. 

Anche  gl'Inglesi  avevano  ottenuto  la  concessione 
d'una  linea  costiera  in  Manciuria.  da  Xiu-Ciuang 
a  Scian-Hai-Kuan  ;  i  Russi  protestarono;  ma  in- 
tervenne un  accordo  per  effetto  .lei  quale  l'Inghil- 
terra ebbe  mano  libera  nella  valle  dellYang-tse.  e 
la  Russia  nei  paesi  posti  al  nord  della  Gran  Mu- 
raglia, oltre  al  diritto  riserbato  ai  cittadini  russi 
di  costruire  ferrovie  che.  partendo  dalla  linea  prin- 
cipale della  Manciuria.  si  dirigessero  verso  il  sud- 
ovest.  Cosi  nel  1899  i  Russi  ottennero  di  allacciare 
la  Transmanciuriana  a    Pekino;  e  quindi  si  i 

iato  il  piano  grandioso  di  coli'  n  la  città 

capitale  degli   Zar.   la  capitale  del   ('eleste   Impi 
I.a   rivolti.  li.. vis  diede  nuovo  pretesto  ai 

Russi   di    invadere   la   Manciuria  :    ni  l    mese   di   no- 
vembre 1900  questa   fu,  con  una  speciale  conven- 
iuta    .'.  me    provili.  '  1        i"      .    ma    ai 
Russi  vi  fu  concessa  una  situazione  pi  ante 

I  .'8  aprile  ultimo  essi  si  sono  impegnati  a  ritirare 
le  loro  truppe,   ma  hanno  ottenuto,   con    I 

ne,  tutti    !'■  garanzie  pei"  la  protezione  dei 
nti  ii    si  e  contro  ogni  influenza  di  altre  poten- 
ze  rivali.  Se  la   Manciuria  non  è  russa   politicamen- 
te, ap]  economicamente  e  moralmente  all'Im- 
peri    ih    -  vita. 

(Da   un    articolo    di    Gustavo    Regelspergcr,    mila    A'. 
Univer selle,  del  15  maggio  . 


GIUSEPPE  CIA''  ISA,  Direttore. 


?.  —  Tip.  del  ' 


Galluzzi  Giovanni,  zetcnt,-  responsabile. 


f 

li 
fi 
In 


15 


ANEMIA  -  CLOROSI 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI    DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 
si   curano  e  si  guariscono  col 

FERRO   PAGLIARI 

IL  PIÙ'  ECONOMICO  BEI  FERRUGINOSI 

L.    1    la    bottiglia    in    tutte    le   farmacie 

fjj  *3£* 

SCIROPPO  PAGLIARI 

//  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CUR,  \  ERI  MA  VERI  LE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 

ni  *■ 

j       Biogenol  Pagliari 

IH      A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 

IH  


111 


pi 


HI  PER     USO     INTERNO     E     PER    USO     ESTERNO 

fi 

L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aum<  nto  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

|     PASTIGLIE  PANERAJ 


il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


ESTRATTO  PANERAJ 


DI  CATRAME  PURIFICATO 

effloaulssltno     nelle     fomao     oatarrall 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 


tv^3  l=rTSJ=3  ezzìS^s^1  ^^  ■— ■  ■— ■  ■=;;=■  c=^t=i  <=n=>  ■=tt='  ■— ,  ■— ■  i=5i=ri==;;=3  ■=tì^j 


IH 


ADDIO,    NIKOLAL 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 

autore  de]  Dottor  Nikola,  della   Verga  della  Sapienza,  ecc. 


{Continuazione,  vedi  numero  precedente). 


I  ruarda   una  donna   nativa  ili  qui 

ascendente  di  1  t ami      i  ina- 

i      i  aveva  sposato  un  uomo  «  1 1  parecchi 

i       i va    Uopo 

i  atro  anni  ili  matrimonio  egli  mori,   I  i 
.,  comba  battaglie  di 

inni  appena,  un  ma  chi 

e.  In   quel   tempo  giuns 

Venezia  un  uomo,  uno  spagnuolo,  attraente  come 

Altrettanta  ci  udele    I '"i"'   qu  uche 

ni  intendere  alla  donna  di  es- 

lel .  ella  gli  credette  e  lo  corri- 

nell'affetto,  ed  a  tempi  i  debiti    si  spo  a i 

Un  mi  venne  nominato  <  lovernatoi  e  di 

i     ,  pagnuoli      u    ■  costa  amerii  ana, 

ui  aspirava  da  un  pezzo.  Egli  partì  solo 

iso;  sua  moglie  ed  il  bambino  lo 

poi  raggiunto  quando  tutto  fosse    

dine   i  dopo  parecchio  tempo  giunsero 

nell'isola,  ed  andar ad  abitare  non   nel   palaz- 

i   s'immaginava,   ma  nella  citta, 
uè    il    Governati  re    ti  me\  a,    o    fingeva    di    te- 

fin  dappi  incipio  11 
suo  matrimonio,  la  sua  presenza  compromettesse 
la   sua   posizione.    Ella,   che   lo   amava,    si    accori 
i     l'unico  suo  pensiero  era  di   rei 
pio  egli  si  mostrava   pii 
iota   di   averla   di   nuovo  con  se.   ma   poco   a 
ella  capi   Che  suo  inarilo  era  stanco  ili    lei,   e 
che  egli   si   tra   invaghito  e   innamorato  di 
donna     I  utto  il  suo  sangue  ardente   -•   1 1 
sebbeui  come  già   aicem 

e  'li  una  delle  più  antii  be  famiglie 
.li   \  enezia.   E  quand  i,  mdolo,    Invoca 

suoi  «ili  itti  di  i        bi  italità  di  una 

ella  non  fosse  sua 
aveva  già  un  altra  vivente 
l'aveva  sposata. 
Ella    i"    abb  mgere    pan 

ndò  via   a  i  sua  onta.  1  iop 

i  portò  a  i'- 

i  indo    il     t»8  'li    Cinque    anni,    solo, 

I    un   aline.  .    un    protetto]  e.    T  I    tOl  tuna, 

.  ebbero  corn- 
ili lui.  e  dopo  qualche  temp  ro  di 

un    loro    QgliUOtD.    11 

ii   un    uomo   d'una   grande 

trina,    ed    ave*,  i    dedica 

to    tutta    li    BU8    vita    nel 

faticoso      studio      delle 

I  i 

-  i  ai;      BOdd 

fu   <H   educare   il   bimbo 
.i    in   in  età  di  ca 
' 

mai      «li    Insegnar! 

il  impai  ari      Era 

uno  scambievole   ai 

allo     stilili^      Si  tti      anni 

i  ntrambi    i 
fattori  del  ragazze) 
■  • 

o,   la- 
ai   mondo    Ma   egli   non 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 


che  si  rompono  subito  I 


'.eccesso  crucciti 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI   HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


nato   di   i  imam  rvi    a    Unico     II    in 
I  I   ireiil  i    il  adozione,    parli 

re    delle   pietose  condizioni   del 
lontano  dal  supporre  a  quali  cose  amias-i 
Il   i..  ■  cercava  un   compagni 

suo  figliuolo,   un   giovanetto  'li   due  anni   magg 
a    lui  .    l'oi  fani     \  i-Ulva    proprio    a    pi 
\  enne  dunque  mai  palazzo  'I 

Io,  e  qui  cominciò  il   periodo  più  disgraziato  d 
sua   vita.   La  sua  grande  somiglianza  con 
dre    ;olpl  subito  il  Governatore,  il  quale  c< 

per   cui    lo    odiò    fin    dal    pruno   gioì 

'  ome    -"1"    sano liare    Coloro    <  be    -"ti 

delle  loro  cattive   azioni.    Il   ragazzetto   imn    avi 
o  ili  difendersi .   tutto  ciò  i  b'egli   poteva   : 
era  di  detestare  il  suo  oppressore  con  tutta  la  for- 
za della   sua  Mera   natura,   e  ili 
in  cui   gli   fosse  dato  'li   vendicarsi.    Il   lìoverni 
adorava  quei  su-  unico  figlio;  ag  i  occhi  suoi 
si  'ultimo  era   incapace  di  fare  del  male. 
veva   mai   nessun  torto,   per  cui   ad  ogni   sua    i 
canza  veniva    punito  11    Compagno   in   vece   -ii. i     All'i 
menoma    giustificazione    egli    veniva    s|e 
battuto  come   uno  schiavo.   Il  figlio  del   ti 
in.  conoscendo  il  suo  potere  e  l'eccessi-. 
l)i I ita.   del   compagno,   metteva  ogni   sua    sodd 

.  .1  in  ventare    DUOve    crudeltà,    sarelilie    im- 
possibile  descrivere   tutto   quanto   av\  yuan- 
dò    nessun    altro    mezzo    valeva    per    eccitarlo    alla 
collera,    egli    per  metterlo   in    furia    si    m 
sparlare    ed    insultare    sua    madre    la    Cui    Storia 
era  stata  raccontata  dalle  persone  'li  servizio.   : 
\  i  ilta,   finalmente,   in   un   parossismo  din 
gì  insulti  del  compagno,   alleno  un  colteli 
vento               mentatore    coll'intenzione    di    fini 
Egli   fallì   nel   suo  Intento,   e  venne  portato  da\ 

al    i  lovernatore   eolia    schi a    alla    bocca     \  i    ri- 

spariniei'ii  il   i,ii  conto  di 

Vi  basti  ilue    che  a  i  Ite.   il   soli 

crrdo  mi  cagiona,      ma  perchè  dilungarmi  in 
;l  i   orrori  " 

'rutto  questo  ch'io  vi  rai  ci  mb  i  •  i 
anni  fa.   ma   il   ricordo  è  netto  e  preciso,   ed   i 
sidei  io   della    \  endetta    è  vi 
cesso  ieri    i  io  che  più  conta  gli  è  che  tutti 
e  nel  modo  che  il   ragazzo  l'aveva  spera; 
fetizzato 

NikOla     taeqin      pei     un     in    n 
una.  sedia     Non    l'avevo   visto   mai   cosi   turi 

iveva    gli  ntll- 

eome  due  carboni  accesi, 

—  ibe   avvei  ;      di  chiesi 
dal     uo  racconti     ivessi  capito  eh  >■- 

il  i 

—  Fuggi    da  ci    andò    pel    mondi 
ven                          i  ndò   a  ra  i    la  donn 
le    à                                                     crudelmei 
Aglio  sali    gli    scalini    della    fama,    ma    la   sua 
delta  è    sempre    uguale.    Vi    ricordate    de 
delia  rivoluzione    nella    Repubblica    di    Equina 

Vi  i  i-linai    di    HO    COl    capo. 

—  I  e    Repubblii  he    di  i     Pud     \m- 

questi   piccoli   di\  pi  limi 

ile   ad   un 


Attente  MADRI! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
ilisturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Calle 
Malto  Kneipp.  Il  Caffé  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


Li 


JVIACCHiriA  PEH  SCRIVERE 

WILLIAMS 


JJ 


Unica  macchina 

di     1°    ordine,    a    scrittura    visibile 
e  senza  nastro 


Maneggio  facile  -  Tastiera  Universale! 
I   pregi    della   macchina 

«  WILLIAMS  N.   4   • 

l'hanno  fatta   preferire 

anche  a    quelle 

già    ritenute    le    migliori 

K£>  

Chiedere    Cataloghi ,    lista    clienti 
e   macchine  in  prova 
agli  A.g;eixti  generali 
ed  esclusivi  per  l'Iti* 1 ir» 


Volete  la  Salute  HI 


Ing.  G.  POHT$E]V[OLiI  &  C.    -  JWilatlO  ~  Via  Dante,  7. 

ACQUA  NOGERA  UMBRA 

(SORGENTE     ANGELICA) 

L'acqua  di  Nocera  Umbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  sul  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare,  ma  curativa  per  molte 
malattie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie. 


5I1LAKO 


P.  EISLERI  e  C.  -  Milano. 


Il 


ADDIO,    NIKOLA!.. 


—  i 

:,  i  I  quinata  .    la 

ili  ingiustizia  i  he 

,  città,  di  cui 
i'i  ' 
'i   influenti    vi 
i  e    I  indi  n 
egli    <ii 
p 

hierarli  davan 
muro,  in  i  mezza 

'•■ 
I  : 

i  na  notte,  -  imbar- 
o  aspettava   nel   porto, 

le  più.  P 
ch'i  :.    ■       spedi 

denai       d     cu 
mondo,  so  doi  e  è  ora  i 

imente    il    momento    ili  e    il 

1 i    .' 'ii. '      i  ni''   \ ni 

Guai   a  lui,  quando 
giacché, 
me  nessun  altro  l"  fu  mai. 

ii  figura,  nel  profi 
1 1  ibile .  i!  suo  palli  i  e  mortale,  i 
e    brillanti .   ed    i    suoi 
mi  fé  ero  un'impi 
!..  mai. 

—  i  mico  il  giorno  in  cui 

dissi   meco   -■■ 
Improvvisati 

era  di   nuovo  il  dolce,   il   m  Nikola   a 

oui  mi  <-i  ii  i  '  >mbra  ili  collera,  di 

ni    fisonom 

—  Ani  usa,    —   disse   con 

•  li  aven I  annoiato  colla  mia  lunga 
Ni      capisco  pi 

xchè  fui  tutto 
pi       eri    •  'i   ivevo  bisogno  'i  un  con- 

i;. MI    è    ver.. 

\.  i  intieri,  —  risposi.   Se  qui  ria   vi  ri- 

tutta la  mia  ivete  sof- 

ia   ■.    Pi 
i  •  i  cessò  per  un  momento  di  passeggiare 
della  stanza,  fissandomi  con  attenzione  come 
'  e  i  miei  pensieri. 

diss  dopo  un  po',                  una 

l'.iii  -            51,  1  ,.,. 

più   'li    me.  B  .  .il i  altri  i    Feci    ma 

esto  d  perii  nza  l'ef- 

trlando  s'avvicinò 

:i  notte  splendida  .  ino  a  noi 

li  nne  che  cantavano  sul  Canal  Gran- 

ise  dell'altra  riva  avevano  un  aspetto  mi- 

'   luce  incantevi de    in  quel  mo 

mtii  per  Nikola  un   sentimento  dì 

:    \  ito  mai   prima.   La  sua 

.  i   aveva :ommos- 

■  •  in- 
giurie fattemi,  gli  posi 
una    ii  palla, 

prima     «li      i" 
quello  che  fai  i 
—  Nikola  si,   — 

Il     |"   tir'. 

quanto    mi    i 

i-i    vostri 
i 

;      ...ìi 
altri    Y"i   non   ve- 
nell'  umana    natura 

dalla    \ 
pi 
rinun 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MI  LA NO -TORINO 


- 


un  itti   i  he   \  i  nel- 

,  pura  ih 

da      [uesta    casa    istessa,    pei    esempli 
mile   da   quell  i  degli  altri,   i  me,   vi 

,  i  ■  he  v  incatena, 
I     se   vi    iiiiiuiiini  iste    ih 
. 
Mio       iri     111:":  i-,  disse    •  mi    voce    dolce 

lo  avevo  mai   udito  parlare  I   air 

È   fatto  per  me     Urie  ragione  dicendomi 
il   inolili'  .    I  '  quanto  io   1" 

ina  debbi 

\|'i'  urini   sul   davanzo  tlne- 

I Ila   notte  si  enziosa,   e   lo  udii   ni 

morai  e:         SI  .  Poi   eli 

amente   la    lini  ii    me,    mi 

di  mandò    lino    a    i]  nta\  amo    di    rimali 

a  Venezia. 

v  n   »api  ei.  il   cambiami 

ria    ha  talmente  gio\  ahi  a   mia  i  rie  desi- 

I  ■   i  san 

princi] li  ai  -  ;        eia.  i 

bandonammo  questa    idea    e    forse    i  |ui 

I  ii    mese,  disse    fra 

a  qualche  cosa  .  poi  -.  ggiuns  distrattati] 

te,  —  in  un  mese  potrete  vedere  bei 

E  'in  uni  »  vi  tra  i'ii  ' 

Egli  tenten i  cai 

i.   Impossibile  a  dirsi.  —  rispose.  —  i  miei  pro- 
getti    can  I  auto     1"  il I-t-i     •  - 
qui   un'altra   settimana   ancora,   quanto   fra    un   an- 
no   \iii'  volte,  ho  la  p 

i  he,   che   questa   debba  :  ultima   mia    \ 

a    Vi  ■    non    d' 

più  tornarci    Sarà  quello  che  sarà,    li  desi 

lui,   per  'inalilo  noi  pi  dire  o  fare   in 

li  .irlo. 

in  quel  momento  si  udì  un  colpo  di  campanelli 
alla   porta  del  conile.   A  quell'ora   insolita,   il  suo 

-nono    aveva    un    non    so    che    di    lugubre    che    ini 
fece  rabbrivid 

—  Chi     saia     mai?    —    disse    Nikola    ihn. 
verso  la   porta  Mi   pur   troppo   tardi    pei 
visita.  Scusatemi  se  scendi  ■ 

. 

—  Certamente,  —  risposi,  —   anzi,  credo  che  io 
pure  devo  pensare  ad  andarmene;  si  fa  tardi 

No,  no.       disse.  —  rimanete  un  alti  o  pi 
Se  si  tratta  veramente  di  ciò  ch'io  suppi  n 
l'n  di   potervi   far  vedi  i  he  vi   inti 

l'ornerò  fra  i 
I    si   ne  andò  chiudendo  la  • 

mi   avvicinai   alla 
aprii     Cn  mai    tacciarmi    .li 

\  ile,    il"  in.  h"    il    p 

debbo  confessare  ch'io  non   mi  sentivo  punto  li 
quillo   di    trovarmi    solo    in    quella    camera.    Il    ri- 
ti i  di  quello  "Ile  stava  sotto  il  tappeto 
era   viva-  ella   mia    memoria 

un    piccolo    sforzo   dell'immaginazione    mi    pa 

di    udire    i    gemiti   e   i   lamenti   deli'uoi li. 

Pi  iì    vi-iiui    preso   dalla  curios 
--e  il  visitatore  di  Nikol 
mi  ben  I 

torte    in    l      so      \i    piedi    degli    scalini    slava    una 
gondola,    ma    non    poti  i    vedi  re   se   vi    fosse   ili 
■  hi    era   qui  so.   che   vi  i 

a   quell  ora      5a      ndn   quali 
pi  rsl  "iti   della   i 

-  i,  capii  che.  i 
da    un 
(avo  pensando  a  ciò.  I  iprl,  e  N 

seguito  da  due  in  mini  i    Uno  di 

alto,  bruno,  ""li  ima   bai  ha  nei  a  ed    ■■ 
un'espri  grande    astuzia;    l'altro    era    di 

mi  dia  statuì  a, 

palla  da  cannone 

■ 
[arsi    sulla    loro    nazionalità     Nikola     si    ri- 
volsi 

—  Era  proprio  qui  Qui, 


e 


T. 
© 


Dna  cassa  <li  T.VXGLEFOOT 


In  foglio  «li  TANGLEFOOT 


TANGLEFOOT 

il  distruttore  vero,  pratico,  assoluto  delle  mosche.  In  Vendita  pfeSSO  tutti  i   DPOQhiePl. 
Vendita  esclnsiva  all'ingrosso  MAX  FRANK  -  .Milano. 

ì 


A.n.*rx<y     SC. 


Anno    3C. 


ISTITUTO  flERO-EIiETTROTERAPICO  Di  TORINO 

I>e»r     \e±    oitra     delle 

MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 


del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezio?ie  «  Malattie  dì  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,   37,    piano    terreno 


É  V unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate.  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza.  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-j  ?nesi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultali 
ottimi. 

impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVO  E    DEPURATIVO   DEL   SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del   defunto   prof.  Girolamo    Pagliano  premiato   al- 
isizione  uà:  i 
nazionale  d'Igiene  1900  eoa  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazi  mi.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 
Macola  tarca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  L.  15  75  e  L.  19  75 
e  metodo 

I  :  rvi  VERSALE 

perSignorine  L.  10.50franco 

Chiedere  UC  ATALOGO  gratis 

Ocarine  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

V.    MA  (' COL  INI 

Via  Cesare  Correlili.  7    Id 


MALATTIE 


NERVOSE 
DI  STOMACO 


ESAURIMENTI 

Cura    rnrile'i le  coi  suc- 
iii   ;  del   Labora- 
torio Si  i  '    del 

01        [ORETTI 

MILANO,  via  Torino  N.2I. 
Opuscolo  gratis. 


Ili 


ADDIO,    NIKOLAL 


ì    ri    del 

i 

i 

i   la 

i   miei   pi  ini 

del 

nte.  ch'i  uni 

\  quanto 

. 

.1  ii   ili t  — *  hiarsi   mai   più   in 
affari  miei    Dianzi  mi  con 
alla  mi  -  vita 

ie   in   cui    un    unir   Clapham,    rie 

Lperi    ■  hi    un    \  ini. 

,    polizia,   i 
i    in    itali  ini  .    ma    egli 
mi   fu  impossibile  di   seguirlo. 
Dj  I  ae  mi  i  iuscl    'li    afferrare, 

rimproverai  a     ai  i  ili 

i    tatto,    i1  minuti, 

p  urlando  lentamente,  disse  a  un 

\      !i:  .  ipete  di  Quali    p  tere  io 

è  pure  noto  i 
ninni  o  si  mischi  dei  fa 
un  i   proprio  danno    \  isto   i  he 

i  azie  ad  un  an  i    me  ne  \  enne 

i    rdi  no,   ma   badate  i  he   la   ■ 
ripeti  rei,  altrimenti,  ecco    Quale  -ara 
i  i   vostra   fine, 
i    si  dicendo  tirò  tm  ri  dalia  sua  !  una  pie- 

bottiglia   di   ci              co    tappo     i  nullo 

ina  esi,  e  si  vi 

ni  I   palmo  della   ma in   i i     vi  re  Man- 
ne vi  era  denti  la   luce  della 

ada   e   buttò  sul   fuoco   la  liì    

verde  si  alzo  per  un  minuto,   seguita   da  una   nu 

di  fumo  profumata  che  ci  av\  olse  i 
menti  nd  i  Ista  degli   uni  e  degli  altri. 

luna  [ualche  cos  i  si  del  illa  nu- 

vola di  fumo  richiamando  tutta  La  una  attenzione; 
alla   \  olta  si   tei  e  più   disi  Ini  i.   fini  I 
ina  camera,  o  per  meglio  dire  una  vòlta,  sotto 
alla  quale  unii  dozzina  di   uomini   stavano  seduti 
l  ui         i\     i.  Essi    erano   tutti    masche- 
rati,  e  portavano   tutti  senza  eci 
abito  mai  i  in   un   cap]  di   lana    nera. 

vi   un  ti  mo  i  he  ei  a   a   capo  della  tavola 

un  segno,  ed  un  individuo  dalla  barba  bian- 
ilto  da  due  figure  vestite  di   nero,  entra- 
ci nducendo   In   mezzo  a   loro  un   uomo,    n 

loro  prig  on  era  al! le  di  pò 

lizia  che  Nikola   aveva   rimpra\  erato    più    ma 
pi":  evidenti  spaven- 

indizione.    L'uomo   a   capo   della 
.  ù  un  altra  volta  la  mano,  ed  entrò  dal- 
l'altra iiarte  ui  du  capelli  e  dalia   barba 
bianca.  Egli,  a  differenza  degli  altri,  non  era  ma- 
lto e  noi 
Da 
capivo  ch'egli   rivi 
la    parola    alle    i» 
seduti  alla   ta- 
duando   Indica- 
va ii  prigii  il  -un 

rdO        aveva 

{pressione     d'odio   fero- 
Mlora   i  uomo  a 
-i  alzò  In 
di,   e  benché  io  non   li- 
di--!  Quello  che  dii 

parlava     al 
compagni       di 
i.in  urlo    ebbe    finii 

be     votato     alzandi 


ESIGETE 


iiifiiiHnnasiiii 


MARCA 

HERMANN 

MI  LA NO- TORINO 


i 
vedui  improvvi  unii     il 

i 

■e     III     II  -ni     limitai 

i    ni.    ir  n  i    ii   pru- 

nella   vi  'ima    di    |H  ima,    ina    (inalilo    ; 
l  ■  i  i  -  meli 

■  mai  i        i    lame,    eli    occhi    si    erano    i 

ma    n  i   era   uo      i  ne   di    lei  roie   maggiore  di 

prima.     \pn    un     moini'iilnio    la    porla,     i 
poi    rientro    nell  , 

.       Si    -arri"  e   detto 
che  i      i  aveva    p  tura  di   usi  ire,    pili  e  sapi  lido 
rimai  di    ini"-.    Intanto 

li    camera    andava    mail  i.    noni 

tre  il   miserai  i  rorizzala.  continu  - 

a    pa  su    e   giù  udosi    trailo   tratto 

all'uscio  ad    lsi  lid  d  ita. 

Essa    rappresenta     una  ri     liia 

dalla,   luna    a  larda    notte,    p.  i  elle    non 
mi    viva.    Ad   un    tratto   una    llgura    nell  ombra     la 
stessa    che    vedemmo    prima      passa    piano,    piano 
lungo  i   m  nell'immondezza  della    - 

da    Quali  osa    da    sfamarsi.  i 

.ii      essi 

Mentre  stava  fermo  i  .da 
.  uà  sinistra  sbucarono  due  te- 
in  brose  fi  Quali  s  av\  icinai  i  no  a  lui  rapi- 
damente, avventandosi  addosso  prima  cln 
il  tempo  di  difendersi  i  n  momento  dopo  egli  gia- 
ceva   in    mezzi                    i    -ni i.    Era    morto!    \n- 

i   illuminata  d 
luna,   mi  sento   i  abbi  i\  idii  e    La  veduta  s\  ani,   • 
camera    tu   di    nuovo    rischiarata   dalla   luce   della 
ida     Guardai    istintivamente    l'agente    di    po- 
I  ii   l'allure  mortale  gli   copriva   il   vi- 
ni   sud  re  gli   scendevano   dalla   ironie. 
Evidentemente  egli  pure  aveva  visto  Questi   ■ 
.in  di 

—  (ira.    —    disse    Nikola.    rivolgendosi    a    lui.    — 
te  quello  che  vi   aspetta,   se   persistete   nell'in- 

ire    i    miei    afi  sciuto    i  uomo 

li   grigi,   che   sera   appellalo   al    Concilio 
contro  di  voi     Vndatevene  e  ricordatevi  di  Quanto 
vi   di 
-i  din  sse  verso  l'uomo  di  mezza  statura,  e  n 
i  >gli   familiarmente   la   mano  sulla   spalla: 

—  Vi  siete  condotto  molto  bene,  — -  gli  disse  — 

ento  d  I  ommaso.    <  ira    condui 

lamico  al  solito  posto,  e  sorvegliate  perchi 
nulo  d'oci  he  non  avrà  più  il  co- 

i  :    offendermi    un  altra    \ 
i  e.    udito.    .    .Ine    uomini    uscii  in 

cori  ile    M  mini  i    in.    con   Quale   gioia   uno  di    i 

i  !    appena   partito,    Niki   a,   i  bi 
aiin  finestra,  si  rivolse  a  me  e  mi  disse: 

—  Che   ne   dite   della    una    magia  ' 

lo  non   sapevo  Quale   risposta   fargli  che   lo  - 
di&fasse,    'rutto    ciò    mi    pareva    cosi    impossibile, 
dell'odore  acuto  chi 
i  a    nella    cam  redu 

gnato. 

—  Non    sapete    darmi    nessuni]    spiegazione,    al- 

Nikola  con  uno  di 
abili     E   nonostante    la    mia   sorpresa,    il   mio 
,.  hiamatelo  come  volete,  vi  mi  consigli 

ad  abbandona  n  \i nio,   • 

visto  di  quali  mezzi  io  possa  \  dermi,  avrete  v>i 
il  coraggio  ora,  di  provare,  col  mio  aiuto,  di  ne- 
n  e  tra  re  nel  Grande  Ignoto,  come  noi  lo  chlamia- 
mi  ,   •■  di   ved  o  i  he  \  i   i  Iserba   il  l'uturoT 

in   vi   tenta   ili   saliere  Quale 
Mira    la    line    VOf 

—  No.  no.  —  gridai.  —  non  ne  voglio  saper  - 

la  di  questi    'i  Dio  mio  '  La  vita  mi 

-arri  b 

—  Credete  pi                   d  leni  unenti 
dom '-'ii  occhi         Eppure,  lo  l'ho  tentato 

—  Dite  davvero,  Niko  lamai  meraviglia- 
to   I"  conosci  vo  al  uro  che 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata  :  «  Globo  sopra  fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darvi  altra  marca. 


Vendita  e-clusiva  all'ingrosso:  JVIA.X  FRAlVIt  -  MILANO. 


PELI  0  LANUGGINE 

col  DEFILENO,  Depilatorio 
rhaave.  Flac  ine  con  istruzion 

CAPELLI  NERI 


del    viso    e    del 
corpo   sparisco- 
no   per    sempre 
col  DEFILENO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
rhaave.  Flac  ine  con  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


eoli' ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
istantanea,  che  si  applica 

,,_-ni  li  giorni  -i  può  dare  ai  capelli  bianchi  0  grigi  0 
nulla  tinta  naturale  che  più  bì   desidera.   E' 

aitano  innocua.  —  Flacone  L.  2.50  ifraneo  L.  3.10). 


CALLI  È 


SORDITi 

Hoccetta  L.  1.7 

SI  DIMAGRISCE 

TEO  L  OBESI1 

curo  effetto  e  se 
dipe.  sono  pure  i 
stitichezza,  emoi 
scolo  soiegai ivo. 

GRATIS 


durioni.  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dellinfallibile  Callifugo    CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30 

Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 

O FFICINA  CHIMICA  DELL'AQUILA   ^"catò^^s 


E  MALI  D'  ORECCHIO  si  guari- 
scono   usando   il    linimento   acustico 
UDÌ  TINA  del  dottor  W.  T.  Adair. 
Hoccetta  L.  1.7£>  (franco  L    2).  Istruzione  gratis. 

in  pochesettimanepren- 
dendo  ogni  giorno  al- 
cune PILLOLE  CON- 
TRO L  OBESITÀ'  del  dott.  Orandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'a- 
dipe, sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi  digestivi] 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  eco.  Gratisopu- 
seolo  soiegaiivo.  L.  4. 50  la  scatola  ■  L.  4.75  franco  di  poi 

IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.  Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati. 
—  iìui  la  per  le  lamiglie.  —  52  pag.  il 

lustrato,  si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  dì   sempl 

carta  da  visita  colle  iniziali  M.  s.  -. 


Guarita/ '  scofi 
Sciroppo^  HQR| 


■ 
... 


■ 


Stabilimento  Idroterapico  e  Stazione  Climatica 


H=mm 


(Piemonte) 


*/•  ora 
da  Biella 

[lHe«t«ioitl«t»tesilctrt,couio<ii!  twin  ECO  e.  su]  ai».  Cure  Idroterapiche 
•Intriche.  Massaggio.  Ginnastica  medica.  Cure  speciali  ptr  miattit  terioss 
spinali,  di  stonico.SlatiUicht  e  risultali  ottimi.  MeditoDiHt.iutt^aBURGONZIO? 


SVILUPPO  DEL  SENO 

bellezza,  ricostituz'one,  solidità 

.nVmeTc'oiie^PilulesOrientales'' 

del  sig.J.  Balie, chimico  farm.  5  PassageVer- 
deau.  Parigi.  Hcnefiche  per  la  salute,  appro- 
Tate  da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,36. 
Dep.  in  Milano:  farm.  Zambelattl,  piazza 
S.Carlo,  fc  -  Buenoi  Ayrej  C.  ferrei.  Sii 
«47.  Calle  Cave. 


PIPA  STELLA  POLARE 

unica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  gire- 
vole in  tutte  le  parti,  antinico- 
tinosa,  con  apposito  riservatore 
(Vedi  disegno).  Il  fumo,  causa 
l'interna  costruzione  di  detta  pi- 
pa, arriva  fresco  e  gradevole  alla 
laringe. 

Ricercatele 


presso  i 
Rivenditori,  oppure  spedite  L.  3  alla  Fabbrica  di 
P'Pe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Mi  lano  -  Via  Vittoria.  21  -  Milano 

Vicino  al  Ponte  Corso  Genova 

e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 

Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 

e  la  Marca  LEONE. 


LA  NUOVISSIMA 


PIPA  LEONE 


di  radica  inglese  con  sistema  isolatore    della  nico" 
Una  è  insuperabile. 

Inviare  L.  2,50,  se  con  bocchino  corno  lirésil  L.  3,50, 
alla  fabbrica  pipe  di  Maurizio  Pisetzky,  via  Vittoria  81, 
Milano,  e  la  riceverete  franco;  per  l'Estero  centesimi  35 
in  più.  Ogni  pipa  ha  impresso  il  nomo  M.  Pisetzky. 


Stampato  completamente  colla  macchina  -  Fuljrur  r>  NEB10L0  e  C.  •  TORINO  -  Milano  -  Genova. 


IV 


ADDIO,    NIKOLaL. 


Non  e  mia 
i  i      senza  pei  i  are  di  pi  e 
di     la   'li   me. 
Ma  non    vi   è   dato   •  1 1 

si    può 

■    me  \  i  dicevo,  pi  ima  che  entras 
due,   qui  deve   succedere,   sui 

di  quai  Noch 

'li  dem  verghangten  Geschii  k     Ni 
suno  ^(ii^'l.'i   un  01  he   lo  sovi  asta 

:  aggio  dJ 

ero  cb  [ito?  Al 

.  i  si  il-  de  he  ne  rii  hiedono  assai 

più,  vi  curo. 

.1      voi  et  e  din 
-   vii  '  pi  i   "i  a   non  \  e  lo  posso  dire  -  ri  i 

i  i  io  sa 

—  .ni  un  silenzio  ili  pochi  secondi,  durante  i 
quali  guardammo  I  in  basso  Illuminata  dal 
la  luna .  poi,  visto  l'ora  tarda,  mi  ci  ingedai 

Vi  soi  l'i    sermi  venuto  a  trovare, 

Haiti  ii  Mi    in ete  i  onfortato.  La 

tra  vista   mi   (a   dei    bene     Voi    mi    portate   un 

di    quell'altra   vita   ih   cui   mi   parlavate  po- 

Di     dero   di   esservi   simpatico   ••   spero   di 

irvi. 

i  di    insie la   stanza  scendemmo  ab- 

rermamm        igli    ■  calini    della    porta 
;  i  sasse  una   gondola  .   appena   ne 
chiamai,  strinsi  la  maini  a  Nikola, 
-  li  la  buona  m 
Buona    notte,  rispose.    —    Ricordatemi    a 

i  miss  Tre\ 
Quella  sua  breve  pausa  prima  ili  pronunziare  il 
■  ih  miss  rre\  01  mi  soi  pi  ese,  pei  cui  h  i  guar 
!  ne  accorse  e  mi  disse: 

—  \'i   parrà    strano,   ma   non    posso   a    meno  di 

ssare  che  quella  signorina  mi  in 
quanto  impossibile  vi  possa  sembrare  la  cosa, 
vi  dirò  che  io  ho  l'intima  convinzione  che  LI  suo 

■  a  sare  il  mio.  e 
tra  non  mi   to    Ni  n   la  vidi  che  due  sole  volte   in 
mi  i     ma.   molti  anni  fa,  mi  tu  ri- 
tta la  sua  presenza  sulla  naia,  e  mi   ravvisa 
roni    che   un   giorno   ci    saremmo   incontrati,    i  he 
avvi  i  in    ila   quell'incontro,    nessuno   lo   sa. 

ma  il   Fato  ii  i  Ed   ora, 

di    nUOVO,    li a     Si 

aia  notte,           risposi     macchinali] 

tanti            '  paroli    mi  avevano  sorpresi. .   ed   en 

Irato    nella  ondola    mi    feci    portare    all'albergo. 

—  rtamenti      mai  rito    il    suo    buon 

mentre  venivo  rullali. 
sulle  acque.  Gertrude  Trevor    era  l'ultima   persona 
al   munii. i  ch'io   mi    immaginassi1     i      i 
Nikola. 

in   quel    in.  unni. »    però    mi    nri.rilai    la    Strana    im- 

provata    da    lei,    la    pi 
esentato  Niki  minciai  a  lui  ba 

aluiniii.'. 

—  >  e      pre 

ghiaino    la    Pi 

:i   si  mei 

n    mente   e    -  li a 

gin!  di   esserm 
rato,    —    continuai    fra 
.    min   so 
a  quali  conseguenze  an- 

ncoi 

Ed  1 1 1 1 1 1 .  i 

ni    pii 

quello  che  avi 
detto  il  padre  di  *  lei  i 
de,    i 

fama 


ESIGETE 


IiGiH 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


Mia  moglie  i   miss   i  re\  oi  ià  a  letto,  m  i 

Glenb&rth    era    stato  su  ad  aspettarmi 

i  h,    lunga    \  i  -uà    gli   a\  ete   fatto,        dis 
tono  di  li  povero  Wete  passato 

piacevole    sei  aia,    c'è    da    d  aggi 

con  una  puma  d  Ironia. 

i  i  |        replicai. 

—  Da\  verol   i  in-  a\  eti      copei       di   i vo  ? 

—  lui    Ci  isa    imi  NiIm'Ih    si    fa    di 

in   giorno   più 

Capitolo  \ 

l'i  i  pensava  alla  mia  strana  visita  di  quella 
al    palazzo  Revecce,   più   la   mia   meni,-  si   confon- 
der a.    Noi  capire    per    quale    ragi 
Nikola   mi    avesse    invi'  pi  rene, 
dopo  avermi   narrato   11   suo   passato     pi 

uaso  che  si  trattava  di  lui  .  mi  avesse  poi  pre 
lare  quanto   mi   a\  e\  a   detto     I  episo- 
dio dei   due   uomini   e   glj    straordinari   qii 

non   erano  certamente  fatti   per  rischiararmi 
le   idee. 

t-  Non    vimmi      i piani.,    fossi    in    pena    per 

Voi  Stasera,  —  mi  disse  mia  ni"t--ln  appena  en- 
trai In  ramerà  sua.  —  Dopo  pranzo,  il  dina  ci  de- 
scrisse  la  camera  del  dottor  Nikola*  e  ce  ne  rac- 
i'i  iiin  la  storia.  Quando  pensavo  che  voi  eravate 
.  lui  là,  <  onfesso  i  he  fui  sul  punto  di  man- 
dai •  '  qua ii  uno  a  chiamarvi. 

—  Avreste  tatto  malissimo,  cara  mia,  —  risposi. 
—   Avreste   offeso  Nikola,    locchè    non    ci 

Mi  spiare  che  il  dina  vi  abbia  raccontato  quella 
i   terribile    Perchè  spaventarvi)  Che  ne  pen- 
sa,  di  unni  ciò,  <  lei  ti  ude    i  re^  i 

—  Non     dice    nulla.    —    riprese    una    moglie. 

.  ipii    però    che    non    era    no    impi  a   di 

me.  Credo  che  vi  verrà   mai   in  mente  di  condurci 

da  lui.   per  quanti   inviti   possa   lana'  Ora,   ditemi 
perche  vi  mandò  a  chiamare  .' 

—  Sì    sentiva    solo,   e   desiderava   di  aver..   .■ 

i      i  .    avendo    "     i        ili    non    dirle    I'  in- 
tiera venia   riguardo  alla   visita   al   pala//.,   li. 
ce.   —    Egli    voleva    pure   ch'io    fossi    testimonio   di 
un   affare   riguardante   un   suo  progetto   per    i 
tanare  dal    li  irò    paesi    i  ei  le   persone,   all'insap 

polizia.    Cruna   di    uscire   poi   mi    diede 
pi ova  del  gran  putrir  .  b  egl i  possiede 

Poi  le  descrissi  l'arrivo  di  quei  due  uomini  i 
lezione   data   da    Nikola   all'agente   di   pulizia,    ma 
in. n  li    pai  lai  dello  scongiuro. 

\   che   prò  spaventarla  '   La   descrizione  ch'io  a- 
vrei  potui  bbastanza  sor- 

prendente   e   impressionabile  .pei 
vedere  la  ci  sa   nella  luce  che  io  desideravo  e 
siderata    sotto    un    altro    aspetto    poteva    apparirle 
la 

—  Questo  dottor  Nikola  diventa  tutti  i  giorni  pm 
-ii  aoi  ihnai  io.        ih--'    mia  m  e  quelli 

pm   sorprende  è   la  diversa   Impressione  che  pro- 
duce sugli   individui. 

—  Per  i tu   mio,  he  1 

ut. ■  per   lui   della  simp 
duca  ne  ha  ui  quanto  a 

vi    attira   e    vi    allonl  ina     id    un    tei lei 

poi,  a  pai  .a    ' lo     min  a  un  uomo  sopranri 

n  un  minuto  di  ira 
in   un  cane,    in  un        II  ignor  Galaf  In  Iti     di- 

li    Nikola,    n 
con  unii    incontrò    mai    un 

linario     I1  sua   vita    per 

lui.   Pare    che  una  volta,  mentri  'ava  qui 

abbia    i  unno    la    figliuola    l 
di   Galaghetti  .   non    mi   disse  quelli,  che 

qualcosa  di  ben  straordinario. 
ilii'     :     di  'li     -Hip al.liaii.; 

quel  la  i  La  bambù  <  momenti 
i  migliorare.  <  ira  essa  •     ■   i  ' 
roglio  il 
ia   pianista  di  prim  lo  non   ne   li 

parlare  mai     Ni  entui  iastm      il    sigi 


Scheuerin 

il  migliore  sapone  per  cucina  ;  chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti    di 
neri  casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 

Vendita  esclusiva  all'ingrosso  MAX  PRAXK  =  MELANO. 

Laboratorio  Pacelli 


ge- 


Livomo 


Un  vero  balsamo  죣i£l 

ri  e  bruciori  di  stomaco,  cat- 
tiva digestione  (che  dà  diar- 
rea 0  8titichezza)twxlAiX&,  ca- 
tarro  gastro-intestinale   è   la 

Otri  ine*  F»tàoelli 
Effervescente.  Èvantaggio- 
■  invece  della  cura  lattea 
tanto  noiosa  come  è  indispensa- 
bile per  quelli  che  menano  vita 
tria.  Nelle  malattie  sud- 
lette  a-loperare  solo  la  China 
Pacelli,  giacché  l'uso  continuo 
del  bicarbonato  di  soda,  nuoce 
alla  salii  '■■■.  Vasetto  L.  1,50  e  2. 
per  posta  I ..  0  25  in  più. 

Vendesi  in  tutte  le  farmacìe. 

DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

Italiano-Tedesco 

GRÙNWALD  &  GATTI 

editate  Bolforto  -  Livorno 


Per  acquisti  rivolgersi  Vf- 
ficio  Annuii:!  Domenica 
del  Corriere  e  Lettura 
—  Via  Pietro  Verri,  12  — 
Milano. 


Un'altra  meravigliosa  scoperta  di  Edison 

L'INCHIOSTRO  IDEALE,  LA  PIÙ  GRANDE  INVENZIONE  DEL  SECOLO  NUOVO 
CONVENIENTE.  ECONOMICO,  INCANCELLABILE  COGLI  ACIDI 

NON  CORRODE  Ni.  PENNE  NÉ  CARTA, 

Le  tavolette  compresse  d'inchiostro  di 

THOMAS  A.  EDISON 

hanno  messo  la  rivoluzione  nella  fabbricazione  d  inchiostro,  perchè  Edison  può  produrre 
da  queste  sue  tavolette  un  inchiostro  assolutamente  puro  e  superiore  assai  a  quelli  venduti 
in  t'orina  liquida,  e  ad  un  costo  molto  minore.  L'inchiostro  è  copiativo.  Per  la  contabilita 
non  teme  rivali.  Xon  corrode  né  penne  né  carta,  né  pno  ammutì. ire.  Se  è  troppo  denso  -ì 
pnò  farlo  più  leggiero,  se  troppo  leggiero  più  denso. 

Viaggiando  si  può  fare  l'inchiostro  -  En  Route  »  quando  occorre. 

Per  Scuole  è  as-ai  economico  perchè  si  può  adoperare  densn  .1  allungato. 

Banchieri,  Notai,  Avvocati  lo  devono  adoperare  perchè  e  l'unico  inchiostro  clic  non 
si  può  cancellare  con  nessun  acido  e  perciò  lo  scritto  è  inalterabile. 

I  colori  non  sono  d'Anilina  e  perciò  eterni. 

Una  scatola  costa  centesimi  80,  e  contiene  otto  tavolette  colle  quali  si  può  tare  il 
a  350  grammi  d'inchiostro,  comperando   qualunque   inchiostro   di   qualità    discreta   general- 
mente in  Italia  lo  si  paga  L.  i.7:>  per  mezzo  litro    500  grammi'  mentre  adoperando  le  tavo- 
lette compresse  Edison  mezzo  litro  costerebbe  solo  L.  1.20,   ciò   che   presenta   un'economia 
del  60  per  loti.  Si  calcoli  poi  che  mentre  questo  si  evapora  si  può    aggiungere    acqua 
deteriorarne  la  qualità,  e  quindi  l'economia  passa  cosi  di  molto  il  100  Gio- 
ii nome  di  Edison  è  una  garanzia  della  serietà  dell'articolo. 

Istruzioni.  —  l'na  tavoletta  sciolta  in  trenta  grammi  d'acqua   dà  trenta   grammi    d'in- 
chiostro superiore  ad  ogni  altro  e  pronto  per  l'uso  immediato. 

Si  vende  in  quattro  colori  bleu-nero,  verde  e  carminio  a  centesimi  80  per  scatola  'li 
otto  tavolette,  franco  di  porto. 

Agenzia  generale  per  l'Italia 

THE  HANDY  TH1NGS  CO.,  6,  via  Dante  - 

Sconto  ai  rivenditori.  Si   cercano  agenti  compratori.   Non   si    accorda   depositi    uè  fidi. 
Spedizioni  soltanto  mediante  pagamento  anticipato. 


A  scanso  di  equivoci  avvisiamo  il  pubblico  che  le 


I 


! 


di    O^SOARA    SAGRADA 

Tonico-purganti-digestive  tanto  efficaci  apprezzate  da  tutti  i  medici    nel 

GASTRICISMO 
CATARRO    INTESTINALE 

STITICHEZZA 

si  vendono  in  tutte  le  Farmacie  in  scatole  di  metallo  e  non  in   flacon- 
cini  di  vetro. 

X.B.  Esigete  a  PILLOLE  FATTORI  di  Cascara  Sagrada  »  e  rifiutate  qualunque  surrogato. 

Scatole  da  1  e  2  lire  dai  Chimici  G.  FATTOSI  e  <!.,  via  Monforte  ,   16  —  MILANO. 

I    Rivenditori   devono   rivolgersi   esclusivamente   a    TRANQUILLO    RAVASIO ,    Milano. 

Si  vendono  in  tutte  le  principali   Farmacie. 


ADDII  »,    Mlv  'I    \'.. 


Ili    l      .III 

i  i  preeen 

ii  cui  la  barn 
i      :         -  '  i    presente    al    di 
be  Anito 

'■a  il  dotti      Niki  ila  non 

per  1  uà   dora  i 

1,1   da]   dui  a     Non 

■    mi    dentai   di    assicurarla 

l'i»-  ni  ii  avuti  Ma,   un  aspettava 

erci  delle  quesl  Ioni  ?  — 
ti  inno  nulla  m  comune, 
chi  eco    riir    inni    vedete 

Intorno  a   voi,    -    riprese 
rval 
in   illuni:  !    Gei  trudt     In  I 

.    l  pi  risieri  e  m  Im 
e  mie  serie  riflessli 

N(  —    CI  "inni".  Nuli 

i  compoi  '"  con  lei  la  si  i  a  della 
nostra  escursione?  La  cosa  in  cviiieutf. 

mbina   mia.   -    dissi   un  po'   irritato.  —  Se 

■  "M.  supposizioni  non  la  finn ete 

imi.  Nikola  lia  sempre  viaggiato  tutta  la  sua  vita, 

hiir  gente  di   ogni   nazionalità,   di   ogni   ceto 

E'  quindi  poco  probabile,  per  quanto 

-im;  .   sia,  che  la   nostra  àrnica   lo  abbia 

1  "         niiaiima  ancora  mi  dicei  a 

.   rebbe  mai  preso  moglie. 

—   Sia  ]  n   cambio   la   mia   ninni 

e  una  moglie. 

Per    timore    "in'    ri,  i    la    discuss 

ii 1 1    lasciassi    sfuggire   qualcosa   che   poi    rimpian 
d'avei   detto,  mi  ritirai  dal  combattimento  <■. 
rie  domandato  se  avesse  avuto  lettere  dal 
i  Inghilterra,   Le  I  uona  notte. 

'  un   mattina   andammo  a   visitare   il   pa 

Dogi,  dove  passammo  due  ore  piacevolis- 

n  iiando   le   diverse   sale.    Qualunque    po- 

il    sentimento   di   Nikola    riguardo   a 

rrevor,  era  certi    però  chi'  il  duca  le  faceva 

Brano  pochi    riorni  che  si  conosce. 

invane  ne  era  innamorato  cotto, 
do  che  essa  se   ne  fosse  accorta,   e  sono  per- 
ii'- non  gli   era   indifferente,   ma,   sia    i 

iunti     ri  il  buon  momento,  sia 

perchè,    per   istinto   femminile,    essa    non    volesse 
corrisponderlo  prima  di  essere  ben  sicura  dei  suo 
imento,   fati"   sta   che   Gertrude   non    si    dava 
di   lui   e   imi   ili    una   volta  sfuggi    l'i  cca 
sioni   '  i  vicino,  \  enendomi  d'accanto.  '  '.<  >mi 

potete  Immaginare,  ciò  non  garbava  punto  ai  min 
amico,    e   quandi     lasciammo    il    Palazzo   Duci 

-i  sentiva  l'uomo  più  sfortunato  di  unta  Ve- 
ni zia. 

Nel    i i    duca    ed    lo    rimanemmo   soli. 

Non  unente   ima  compagnia   piacevole  la 

-uà'  Qualunque  cosa  ch'io  dicessi  non  valeva  a  ih 
■e  tn  "'nuore.  E'  faciir  Immagi 
"'il.     Dopo  aver  fatto  un  po'   di   pò 
■  Inglese,  parlato  della  grandezza  e  delia  ca 
'ima  di  Venezia,  di  itu 
skm,  !■  «lei  vantaggi  del 
viaggiai I-   ali  estei ".    no 
Incidentalmente 
miss  Trevor    i 
gura    s  il  luminò    tutta  : 

—    Sentili'  .      llalieras  . 
"       n    un 
'       il   con- 
fidenza,      \ i  lo  sia 

ni"   amici    da   tanti    anni. 

<■    ri    cono  sciami  i    l' un 
r.iiii-"  come   si    possono 
conoscere   due   uomini. 
In     verità  .    .im  i' 
mi",  .-tu-  v,    non   un   n 
cordassi   dei   vostro  prò- 


ESIGETE 


IIIIHIIH 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


foi  '"  -  "i  genti]  sesso,  comlm 

he  siete  Innamoi 
Mi  guardò  di 
mene  e  continuai  a  rotolare  il  foglii 
uà 
Sarebbe   poi    una   cosa   tanto   assurda,    se   un 
limai"  analmente  domandò.        Mii 

dre  ■   di   me,   e  cosi   pure   mio  nonno, 

suppon   u     Voi      ti  sso   commi     esti 

i-.  ne  avete  \  Isto  i  ti 

SI    davvero  I  Una  di    i    i  oppie  più   felici  che 
Vi   sia   al    mondo!    Scherzi    a   parie.    Hatleras 

,    ■  larvi  sul  i  cosa,   e  da 

me  siamo,   vi   .hi"  schiettami  ut  Inna- 

moi ito  di  miss  Trevi  i   e  che  la  voglio  ■  pò 

1         i  d itrarmi  sorpreso,  ma  temo  di  noti 

riuscito. 

—  Mi  permettete  eh  io  vi  dica.  —  «li  dissi.  —  che 
la  Ci  >noscete   da   appena  Non   vu- 

■   affetto   non   si 
TOPPO    ni    nella  ? 

—  Sara,   ma   non   è   perù   meno  sincero    l-'rat 
mente,    Dick,    io   non   vidi    mai   una   ragazza   i 
Farebbe  felice  chicches  i 

Può  dai       i". i isi  un- 

ni"   potrebbe  tarla  felii  e 
Si    i.iiiiiu viso,    dimenandosi    inquieto   sulla 

sedia 

—  Siale  maledettol   \ sttete  tutto  sotto  una 

nuova  luce    Perchè  non  potrò  io  renderla   fi 
Quante  donne   darebbero  la   loro   vita,   per  e 

duchesse  | 

—  Lo  ammetto.  —  risposi,  —  credo  però  eie 
vostra  condizione  sarebbe  indifferente  a  mi>s  Tré- 
Ma-.  Una  donna,  una  dama,  quando  è  innamorata, 
non   si  cura   molto,   sia    l'oggetto  del  re   un 
linea,   sia   min  spazzae.uuinu.   Voi  vi  sba 

deiido  che  un  ducato  possa  coniare  quando  vi  è 
di  mezzo  il  cuore.  Se  così  fosse,  noi  poveri  borghesi 
non  avremmo  fortuna 

—  Ma  i"  non  intendevo  di  dire  questo,  cari    il  il 
leias.  Non  sono  così  cretino  da  credere  chi    i 
Trevor   mi    sposerebbe    solo   perchè   il    caso    volle 
cne  il  mio  nome  portasse  una  corona.   Parliamoci 
chiaro.   Vi   dissi   che  ero   innamorato  di    lei. 

dele  VOi  possibile  ch'essa  possa  avere  della  Min- 
iai la   per  me  ? 

—  Ora  che  mi  avete  aperto  il  cuore,  —  risi' 
posso  dirvi   chiaramente   la   mia  opinione.    Ba 

daie.  peni,  che  io  inni  so  nulla  di  quanto  p 
Gertrude.   Dunque  se  fossi  una  ragazza,  e  che  un 
distinto   e   nubile    giovane     un    ringrazierete    dopo 
poi  del  complimento),  mettesse  ai  miei  piedi  il  suo 
cuore,    specialmente   quando  questo   cuore   mi    ve 
nisse  presi  ni  ito   sopra  delle  foglie  di  fra   i 
pra  dei   biglietti   da  5  sterline,   end"   che   ci    pen- 
rei    due    volle    prima    di    ninnale    i    suoi    omaggi. 
Se  miss  Tiev.'i    larebbe  ali  reità  ni",   questo  è  linai 
ira  questione. 

—  Dio  vi   benedica,  caro  amico.  —  disse.  —  non 
pi  te  lineilo  che  vogliono  due  per  me    qu 

sire    parole!    Soffersi    I  impossibile    in    questi    due 
orsi   giorni,   temevo  d'impazzire  se  durava  cosi 

Ieri  essa  era  tutta  gentilezze  per  ine.  oggi   mi   p 
appena     Spero   Che    lady    llatteras   sia   dalla    mia 

—  Lady     llatteras    è     una     persona     impressionar 
buissima,   —   risposi.   —  E  perchè   ella    ha    m 
stima    e    simpatia    per    voi,   crede    che    co  I    i 

di  la  i   essei e  della   sua   amica.   Sentite   i- 
sapete  che  miss  Trevor  è  una  ospite.  Voi  la  cono 
da  troppo  poco  tempo,  perchè  io  \i  perinei 
ta  di  palesarle  il  vostro  amore;  prima  bisogna  ea 
ser   ben   Meni-"  delia   sincerità   e  delia   serietà   del 
vostri    sentimenti.    Pensateci    dunque    bene    prl 
di    pigliare    una    risoluzione.    Pigliatevi    una 
marta,  una  quindicina  di  giorni,  o  meglio  ni 

Se    di     telllp" 

Egli   borbottava   fra  di  sé: 

—  Dacché  ci  siete  potreste    inche  dire  un  anno' 
Non   vedi  la  ragione  di  aspettare 


macchine  per  scrivere 

REMINGTON 


il 


tono  acquietate 
IO    Gennaio    190 


dal  WAR-OFFICE  di  Londra 
(Ministero  della  Guerra i 


Tale  importante  ordine,  il  più  forte  avuto  fin  qui,  prova  che  nonostante  la 
concorrenza  delle  imperfette  imitazioni,  la  Remington  e  sempre  la  più  perfetta. 
la  più  solida,  la  più  moderna  delle  macchine  per  scrivere. 


Chiedere  Catalogo  e  prove  della  Remington  /lì.0 1 
all'Agente  Generale 

CESARE     VERONA 

TORINO   —  20,  Via  Carlo  Alberto,  20         TORITVO 

SUCCURSALI 


"Via  Due  Macelli,  T 


3 


i 


hvlizl^usto 

Corso  "Vitt.  lOn^ar*.,  S 


,:-iv>_ 


Via  Carlo  Felice,  11 


VI 


ADDIO,    NIKOl  \!... 


asso 

Per  lasci  u   tempi  Lffezlone  d 

mi     aspettate    incora  una  setti- 
man  I     [uesta  coni  nella 

IO    ili 

ogna  pure  che  mi 
davvero  una  posizione  pia 
durante  questa  settima] 

saprei  I]  perchè,  —  risposi,        quanti  fu- 

limi  au 
\ ,  i    la   incontrate  quasi    a   tutte   le   ore   di 
ivete    una  le   quantità    ili    oc 

i  in -po'  di  corte,  e  avete  il 

ii   lagnan l   della   v  orte? 

in   ingrato,   ma  quando  un 
Innamoi 
più  adorabile  donna  ili  questo  mondo,  biso 
li  se  alle  volte  imprei  tino, 

ricevetti  una  lettera  del  mio  an 
Vustruther,  residente  in  Algeri.  La  lei 
.i 
Mi,,  caro   HatU  ras, 
.  Eccomi  in  i1  iese  del  Meditei  i  bj 

e  me  ne  Intendo!  I  a  mia  villa  dà  sui  mure:  il  mio 
yacht  è  ai  qui  nella  baia  Qui  abbiamo 

tolti    simpatiche     li   esse   il    mio 

imi. ii   .un    od        losè   de    Martinos ,    il   quale    i  i 
i  \  enezi  i  ci  li  non  co- 

Da  quanto  li"  potuto  capi 

E    una  persona  piacer 

i  mi  ndo  e,  se  lo  vorrete  an ittei  e 

non  avrete  a  pen- 
tirvene.  Non   \  rvirmi  della  solita  frase  ba- 

ii.-» 1 1 •  che   le  gentilezze   fatte   agli   amici    miei   sa 
ranno  come  se  ven  itte  a  mi 

.  !  luti  a  lady  Hatteras.  Crede- 

temi  il  \' 

i.i uni. i>   Arsili!  min  .. 

Mia    moglie    si    mostrò    contrariata    della    cosa, 
quando  lessi  la   letti  ra 

—  Per  quanto  situimi '  essere,  non  posso 
a  meno  di  ilire  che  sono  spiacente  dell'arrivo   di 

losè    Mi  Stavamo  cosi   bene  noi   quat- 

I  bissa   se   un   quinti a   turberà   la   pini' 

—  Ma  è  un  amico  di    Vustruther,       dissi  in  tono 
di  rimprovero.  —  Cogli  amici  dei  nostri  amici  In- 
utili. 

—  Non  ne  vedo  la  rai.-ii.iii'.  -  pose.  Per- 
chè                 ipriti.-..    Vustruther,    dovrà    ili    conse- 

l 
in  quei  riunii  ci ippia  attraversava 

lazza  nella  nostra  direzione.  Glenbartb  aveva 

un    I  :      i    'IO. 

—  Credo  che  non  vi  siano  più  dei   dubbi  i 
qui  aia  moglie  guardai 

—  Non   'l'i   qual  i  n   l'hai   nel  san-...  —  e 
un  altro  vecchio  provi  puri    che  chi   più 

più  vede. 

I    vi-Ilii!.ii    VI 

11    triorno    di  i 
dal     imi      sen 

arrivali,     e     che 

le  stanze  al  plano 
disopra    al    nostro,    per 
za      nel      po- 
tili     I! 

mi     Egli   non 

tre   eg  I   stava   sui    limi 

i      ila 

re   un    ultii rdine   al 

b ebbi  agio 

<li    o  Era    un 

ilique 


ai    quaraii!  .-unii,    alto,    torte    .i.i  I 

spi  il ii  ii  aih\  a  la  sua  origli  > 

mi    a  iti     ibiii.  ii.     .ni ni  uii 

una  qualunque  nazionalità    La  sua  barba  ben 
gllata    mostrava    qualche    fi  i  ut,<      La 

i  imo  sguardi n   mi  pi 

spose  in  re     \\ .',  a  i   piedi  e  -i»  ■ 

le  mani,   pìccolissimi   per  la  sua  alta  statura    Ve 

stiva  e ii   M.inina  eleganza  ed  avea   i   mudi   di   un 

UOmo    ili     Uh  >] 

—  Quanta    gentilezza,    sir    Richard    Hatteras,    — 
mi  disse  mentre  veniva  a  me.        li  mio  amico 
struthei     mi   disse  che  eravate   a   Venezia,   ed 

1 1  '  .  usabilità  ili   in 

durmi  a   . 

La  sua  ed   armotiii  sa.   e    | 

nunciava    ogni    parola      parlava    splendidamente 
-.'    uno    speciale    valori-     I  .- 
chiesi  della  il  quale  . 

poi'o  bene,   e.   con   una   soddisfazione,   seppi   chi 
ompletami 

—  Non  lo  riconi  ;  Mar- 
tinos. —  tanto  si  Posso  offrirvi  un 
sigai  u  '   \  .i    spagnuoli    n  in 

senza    fumare;   voi    inglesi    invece   non    pi 
amando. 

i     mi  porse  una  scatola  di  sigari. 

—  Spero  che  vi  piaceranno.  -  disse.  —  Il  ta- 
li-"   •  ■  colto    nelle    i    p  o    in 

arantire    la    legitti- 
mità 

Difatti    non    avevo    mai    fumato    un 
garo.   Mentre  odo  il  suo.  lo 

un'altra  volta;  vi  et  a  qualche  cosa  in  lui  che 
mi    andava    a    genio     ivi    poro    mi    parvi     perfino 
ili   scorgergli    un'espressione   ili    crudeltà,    ma    poco 
dopo     I  i     una     imi  ■  ala      da 

un    su.  -mio. 

—  Mi     parve     d'aver     rapilo     dal     seiìor      Vii 
ther   '  in     lady    Hatteras    è    qui    con    voi .   non  è 
vero?  —  mi  disse,  dopo  av.er  parlato  di  mille  altre 
cose.  s 

—  Essa  '      in   abbasso,  ora  —  risp. 
una   comitiva   di   quatti  o         Miss  Ti  >■..  ■ 
gliuola  del  decano  di  Bedminster  .  il  duca  ili  i 
barili,  mia  moglie,  ed  io.  Spero  i  rie  mi  procuri 
il   piacere  di   presentai  \  i   a    lori  >,    fra   non   m. 

—  Saro    felicissimo.  replici  i.    ■       IP.    una 

Venezia     ma     [  il  a  1 1  (I 
nosce   dig  -itile    il    bisogno    ili    av< 

pagnia. 

Mi    pareva    'li    aver    inti 
volta  che  visitava  la  regina  .Irli  Adii' 
feci   nessuna    i  ■  ■  sen  azione 

—  Alle  vi  Ite  si   pensa  i  hi     Vdamn  avrebb' 
del   Paradi  se  non  si   fos 

-:.i ni  Eva,  —  i  -  irridendo. 

—  Povero    \.laiiio.         rispose.     -   ho  sempi 

iti    un   uomo  calunniato    Lgli.  al 
trario  ili   noi.   era   un   u<  a   esperienza,  e  irli 

fu  imposta  una  compagna  che  lo  condusse  a 

—  Quanto   tempo  contate   di   ti 

gli  domandai  dopo  una  breve  pausa 

\   ii   saprei.         rispose  l. 

mente  in  moto    Si  fra  i  moi 

un   viandanti  i     Non   ho  pa 

Ini    pochi    ami.  i      \ 

lo   mi    piglia   la    fantasi 
poema,   trasporto  in   sii 
il  paese  mi  \  iene  a  noia.  P 
ili    quatl  i  e    al     i  !airo .    ho    vissuto    ti 

Kaluh     ii         i  0 .    e    cogli      Vrmeni     sulle     n 

ho    in    me    gli    istinti 
■oi-tunatameiiie  ho   I 
disfarli. 
Noi      o  il    perchè,    ma    nel 

qualche  cosa   chi    i rtava     Si 

quello  che  mi  aveva  rai  io  non  i 

i    rilnpressii.il..    rii  e\  Illa    era 
I     tutti   sani 
'-•l 


a  piazzi  ridotti 

(Franco   di   porto  nel   R9gao) 


OCCASIONE  UNIC4 

j»©**  aotitiisti 

1DX    BUONI    LIBRI 

Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Cento  anni,  romanzo  ciclico  di 
Giuseppe  Rovani,  due  grossi 

voi.  in  IO     di    |i  ig.  I 

per I..  2.— 

Guerrazzi  —    Beatrice  Cen- 
ci    i  voi.  iioiè"  di  pag 
1.    2  50  per  .    .     .    .     L.  1.50 

hi.    Battaglia    di    Benevento. 

I  voi.     in-l'V      .li     pag.     170, 

L.  2  por  ....     I..  1.25 
.    Assedio  di  Firenze,  2  voi. 
mi-:»-'  '.  di  compulsive    pag 
0    I.       '.  i  p  r    .     I.    1.50 
-     Pasquale  Paoli    2  volumi 
in-32°  di  compless.  pag.  76C, 
L.  3.8  i  per  .     .    .     L.  1.25 
.    Vita  di  Andrea  Doria,    2 
voi.  in-32°,  dì  compless.  pag. 
540,  I..  3  per    .     .    !..  1.25 
Vita  Francesco    Ferruc- 
cio. 2  voi.  in-32"  di  compless 
pag.  ;  5,  i..  3.60  per  I.  1.25 
Paolo  Pelliccioni.    2  voi. 
in-82°  di  compless.  1112.  435, 
!..    !.40  per  .     .         !..  1.25 
L'Asino,    2   voi.    in-32°   di 
compless.  pag.  520,  L.  2.-50 

ìmi- I,.    1.25 

Vittor  Hugo  -  I  Miserabili, 
grosso  voi.  in  S"  <li  pag.  G(iO, 
con  umili'  illustrazioni,  1.  5 

per    ....  .      L.    3.— 

L'uomo  che  ride,  grosso 
\ nluiin'  in-16"  di  pagine  liti, 
ti,  2.50  per  .  .  .  L.  1.25 
Nostra  Donna  di  Parigi 
grosso  voi.  in  L6"  di  pagine 
344,  L  H  per  .  .  L.  1.25 
Lavoratori  delmare.gr. 
viil.  in-16"  di  pagine  320 
!..  250  per  .  .  .  L.  1.25 
Novantatrè  mn^o  volume 
l,   1  ag.    -'  16      !..    2.50 

per L.  1.25 

Storia  di  un  delitto  .  gr. 
volume  in-it>"di  pagine  351, 
L.  2.50  per  .  .  .  L.  1.25 
Walter  Scott  —  Quintino 
Durward.  grosso  voi. in  li." 
di  pag.  180   !..  2  per  L.  1.25 

II  Castello  di  Kenilwort. 
1  '.  "1. 111  ltl'di  pag.  f>  *  1 1, 

I..  2  per  ...  I,.  1.25 
Ivanhoe.  grosso  voi.  in-16°  di 
pag.  465,  1..  2  pei  I.  I  25 
La  storia  delle  crociate, 
grosso  v.i.  ni  in  ih  pagine 
480.  L.  ■>  per  .  .  L.  1.25 
Lucia  di  Lammermoor . 
glosso  voi.  In-16"  di  pagine 
I..  1.:."  per  .  L.  I.— 
Giulio  Carcano  Novelle  e 
racconti  —  grosso  volume 
in-16"  di  pagine   464.   L.   4 

per L.  2.— 

,  Angiola  Maria,  voi.  in-16° 
di  p.  320.  !..  2.50  per  !..  1.50 
Sulle  due  rive,  romanzo  di 
Bruno  Sperani,  elegante  voi. 
in  ledi  p.  17:;  !..  2  per  I.  .50 
La  storia  dei  papi  .  di  sua 
eminenza    il    cardinale    Ber 

filler,   gr"-so  voi.   in-40 
i  p.ig.  558    con    258    ritratti 


.li  Pontefici  da  S.  Pietro  a 
Leone  Nili.  !..  2.50  per  L.  I.— 
La  Tenebrosa,  romanzo  ii 
Giorgio  Ounet.  grosso  volume 
in-4"  di  pag.  352,  con   lo  ine.. 

L.  3  per L.   1.50 

Storia  della  ragioneria  ita- 
liana   premiata   al    con 'so 

della  Società  Storica  Lom< 
Larda,  .li  Plinio  Bariola ,  gr. 
voi.   in-s»  di  pag    7  in.   I..  10 

per L.  2.50 

De-Sanctis  Francesco,  storia 

«I-Ila  letteratura   italiana.    2 

voi.  in-iG"  complessive  pagim 

928,  L.   s  per    .     .    .     L.  6  — 

LI..  Saggi  critici,    voi.    in-16" 

di  p.  552.  L.  4.50  per  L.  3.50 

„     Nuovi  saggi  critici,    voi. 

in-lG»  di  pag.    i2i,    I..     1.50 

per L.  3.50 

„  Scritti  vari  inediti  o  ra- 
ri ,  a  cura  di  B.  Croce.  2 
voi.  in-16°  di  pag    7:12    L    s 

per L.  6.— 

„     Saggio     critico     sul    Pe- 
trarca, voi.    iu-lG"  di  pa- 
gine 320  ,    L.   4  per  L.  3.— 
Settembrini  Luigi.  Lezione  dì 
Letteratura    Italiana  .    det- 
tato nell'Università  di    *a 
poli,  il  voi.  in-lii"  compless. 
pag.  1143,  L.    12  per  L.  9.— 
„    Epistolario,  un  voi.  in-16" 
di  pag.  413.  L.  4  per  L.  3.  - 
Giusti    Giuseppe    —    Episto- 
lario. 2  voi.  in-l(i°  di  com- 
pless. p.  440, L.  3  per  L.  1.50 
.     Proverbi  Toscani,  volume 
in-32"  di  pag.  148  elegante- 
mente   legato    in    tela    con 
impressioni  alluminio,    lire 
'  per       .    .    .    L.  -.75 
Dumas  Alessandro  —    I    tre 
moschettieri,   grosso  voi. 
in-16°di  i'.  152.  L.  2per  L.  I  — . 
-     Conte  di  Montecristo .  :i 
voi.  in-ltì°  di  compless.  pag. 
944,  L.  6  per    .     .     L.  2.50 
La  mano  del  defunto,  dì  Le- 
Prince,    seguito    al    suddetto 
grosso  voi.  in-16"  di  pag.  35  1, 

L.  2  per L    I.— 

La  Signora  dalle  Camelie,  di 
Dumas  (figlio),  voi.  in-16"  di 
pag.  195,  L.  1  per.  L.  —  .60 
Il  libro  prezioso  per  le  fa- 
miglie, ovvero  piccola  enci- 
clopedia popolare,  grosso 
voi.  in-8"  di  pagine  320,  lire 

4  per L.  1.50 

Le  mille  ed  una  notte,  no- 
velle arabe,  grosso  voi.  in-6" 
■  li  pag.  480  con  ili.   a   colori. 

L.  4  per L.  2.— 

Rapisardi  Mario  —  Poesie 
religiose  elegante  volume 
in-16"  di  p.  176,  L.  ;;  per  !..  175 
Nuovissimo  vocabolario  del- 
la lingua  italiana  scritta  e 
parlata  —  riveduto  da  Fie- 
li.' Kant'ani.  grosso  volume 
in  -  di  pagine  130) ,  L.  10 
per L.  B.— 


Dizionario  tedesco-italiano 

e  viceversa,  per  1:.  Tommasi, 
voi.  in-16°di  pag.  1088,  legato 
1 1;  irli  e  or".  1,.  5  per  L.  2.75 

Dizionario  spagnuolo-ita- 
liano  e  viceversa,  di  Oarmon 
e  Blanc,  voi.  in-16"  di  pagine 
832,  legato  in  tela  e  010.  L.  :"> 
per L.  2.75 

Dizionario  inglese-italiano 
e  Viceversa  ,  di  Ferdinando 
Bracciforti.  voi.  in  itì°  di  pa- 
gine 958,  legato  in  tela  e  uro 
I,.    .  per      .     .     .     .     L.  2.75 

Dizionario  francese-italia- 
no e  vicevci  su  di  1  irnion  e 
HI  anni.  voi.  in-16"  di  pag.  '.'Tu. 
legato  in  l'In  e  oro,  L.  5 
per !..  2.75 

Dizionario  di  Geografia  U- 
nivcrsale  ,  compilato  dal 
pini.  I..  A.  Ghisi,  voi.  ili-li,'" 
di  pag.  i5s7.  legato  in  tela  e 
oro.  L.  5  per.    .    .    L.  2.50 

Il  vero  re  dei  cucinieri,  gì 
v.d.  in  Hi"  di    pag.    384,    L.  2 
per L.  I.— 

Milano  che  sfugge,  di  Carlo 
1; ', unissi  pregevolissimo  voi. 
in-16"  dì  pag.  124  con  molte 
illustraz..  L.  1.50  per  I.    I.— 

Glorie  viventi,  di  Carlo  Ro- 
mnssi.  interessante  voi.  in- . re- 
ili  pag.  101  con  illustrazioni, 
L.   1.50  per     .     .    .    L.  —.75 

Niccolò  dei  Lapi,  di  Massimo 
d'Azeglio,  2  voi.  in-16»  com- 
pless.  p.  180,  L.  2.rm  per  L.  1.25 

Ettore  Fieramosca,  di  Mas- 
siui'i  d'Azeglio,  voi.  in-16"  di 
pag    221.  L.  1   per.    L.  — .60 

Marco  Visconti,  di  Tommaso 
Grossi,  grosso  voi.  in-16"  di 
pag.  878,  L.  1.50  per  !..  -.75 

Canti  di  Aleardo  A!  orili  voi. 
in-32"  di  pagine  38  1,  L.  2.50 
per L. -.75 

Guadagnoh  Antonio.  Poesie 
giocose,  voi.  in-32"di  pag. 281, 
L.   1 .50  per      .     .     .     L.  —.60 

Don  Giovanni  Tenorio  1  conte 
di  Manina  ,  romanzo  storico 
di  Lepell' tier  e  llocliel,  voi. 
in-16"  di  pag,  141  .  L.  1.50 
per L.  — .50 

La  Germania.  Duemila  anni 
di  vita  tedesca  ,  descritti 
i-toi  icamente  da  Gio.  Scnerr, 
ini  ere-sante  opera  con  arti- 
1  li  In'  illustrazioni,  un  voi. 
ini"  di  (cu'  102,  leg.  in  tela 
e  oro,  L.   1  1  per  L.  18  — 

Felice  Cavallotti  —  La  vita  e 
le  op  ire  —  per  cura  di  Ar- 
mando He  Mohr,  grosso  voi. 
in  1"  di  pag.  211.  con  tinnii' 
rose  ili u- ti      L.  3  per  L.  2.— 

Italia  Irredenta  -  Paesi,  sto- 
ria, impressioni— per  Gustavo 
1  Illesi,  i:v.   voi.  in- 1"  di  p.  374. 

.■ini  molti'  ili    I.  '''  perL.  4.  - 

Italiani  illustri  nella  storia  e 

nel  Rinascimento  patrio,  per 

Gustavo    l'Illesi     grosso   voi. 


in-4»  di  pag.  :;.'!i.    con  molle 

ilhi>ie;iz  ,    1,     5  per  L.  3.50 

Il  Reggimento  di  cavalleria 

Nizza  i".  1690  iso"  cenni  sto- 

■     'ineillin  III  I      l'aeeolti    ed 

ordinili  dal  ra  1  ggiore  Pio 
i:<i  1  con  ili.  di  a.  he- Alberi is 
e  1;  l.olli  .  interessante  voi. 
in  i"  di  pag  3  'i.  edizione  di 
gran  lusso,  l.  12  per  L.  5.  - 
Operette  umoristiche,  sati- 
riche e  filosofiche,  dì  li 

metrio  l.ivaditi.  elegante  Voi. 
in-lli"  di  p.  133,  L.  1  per  I..  2.  - 

Istoria  del  Concilio  Triden- 
tino di  Fra  Paolo  sarei. 2  voi. 
in-S"di  p.  1 188,  L.  7  per  L.  3.50 

Raccolta  di  Viaggi,  di  GIULIO 
Vi  UNI  .  in  32°  di  circa  p.  120 
con  illusi  1 .  cent.  50  per  s jli 
cent.  30  al  volimi.-: 

terra  min  luna  ,  2  voi. 

—  fi, ci'"'  settiman  i  I  •  pai 
I  me,  2  voi  l  laggiù  al  cen- 
tro della  terra,  2  voi.  -  Una 
città  galleggiante ,  2  voi.  — 
Martino  Pai,  I  voi.  -  Ven- 
timila leghe  sotto  1  man ,  i 
voi.  -  /  Figli  del  Capitan  1 
uni, ii.  iì  voi.  —  Novelle  fan- 
tastiahe,  1  voi.  /'  Capitano 
della  'iiui-'i"  ardita,  1  voi.  — 
Un  episodio  delti  iti  re,  2  voi. 

—  Storia  di  i  grandi  viag- 
giatori, 2  voi.  —  Avventure 
del  capitano  Hatteras  5  voi 

1  1  nipot  <"  i"  e"  ".2vol. 
_  11  gir  ,  'i  1  mondo  in  SO 
giorni, 2  voi.  —  llpaesedelle 
pellicce,  1  voi.  Il  <  hancel 
l'ir.  2  voi.  —  L'Isola  miste- 
!,  6  voi.  —  Michele  Stro- 
g  •/[.  4  voi.  —  Una  scoperta 
prodigiosa,  2  voi.  —  L  ■  Indi  1 
nen  2  \  ol.  Ittraverso  < 
mondo  solari  ,  4  voi.  La 
scoperta  del  Nuovo  Mondo 
1  voi.  —  /  viaggi  di  Marca 
Polo,  1  voi.  -  '  "  incubo,  1 
voi.—  Uncapilanodi  15  an- 
ni, 1  voi.  —  /  500  milioni 
della  Bégum .  2  voi.  —  Le 
tribolazioni  d'un  chtnese  in 
China.  2  voi.  —  A  mosca 
cieca .  1  voi.  —  /  soci  della 
Maggiorana,  1  voi.  L'al- 
bergo delle  \  ■  'i  "ii  ■.  1  voi. 
;  paglie  rotte,  1  voi.  — 
l,ii  casa  a  vapore,  1  voi.  - 
La  Jan  rada  1  voi.  Il  rag- 
gio vera  e  2  voi.  La  scuola 
dei  li  ibi  >  ion  :  voi.  -  Ke- 
rafia  '  '0  tinato ,  1  voi. 
/,'  arclp  lago  in  flum 
voi.  --  La  stella  1  u  1 
voi.  -  Mathias  Sandorf,  b 
voi         !.'!""■  il  conqui 

:  voi.  1  "    biglietto 

della  lotte,  la,  2  voi,      /  'ab 

bandonato  del  Cyuthla, 3voI. 

irà  contro  Sud,  -1  voi. 

—  La  strada  di  Fran 
voi.      Due  anni  di  vai 

tv        Intorn  1  alla  luna,  2  v. 


11  "\7"\7"E,'D  HTTT TVT7TT     '  suddetti  libri  si  spediscono  franco  di  porto  in  tutta    l'Italia  —    per    l'e- 

•i-4.  V    V  1-iul  Hi  l'i  ZjH,.  stero  aggiungere  le  spese  oltre  il  confine  —    le    ordinazioni    inferiori    alle 

t~.5  aggiungere  il  15  ojo  in  più  per  spese  di  posta  e  raccomandazione  —  il  doppio  per  l'estero  —  tutti  i  libri  de- 
scritti sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  assegno  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non  accompagnati  dall'im- 
porto verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —  lettere  raccomandate  e  cartoline 
Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via  Manzoni,  20,   Milano. 

Coinpra    e    vendita.    Ingrosso    e    dettaglio. 


Abblu,    NIKOLX!. 


VII 

I 

inno    ben    pochi    I 

i  .  egli  ri 

pò  i  i-  .1 
Vmei     i    del    Sud, 

iete   maJ  america    del 

maini  il 

ò   subito   'li   sviare    la 
;   mandandomi     se    avevo    il 
i     truther,  che  dovevano  e 
Venezia    Poi  hi  minuti  ao 
i  [aj  qoii  seni  i  averlo  Invil  ito  a   pranzo 
era 

I    mhI.. mani      i  e  ili   punto,    I 

i  ,i  ,  pranzo    i  o  presentai  a 
i  revor  appena   ci  ebbero 

Mio   marito    mi   disse    i  he    siete    un 

in  i    mi  rlie  quando   tur 

il  mondo  •  oi i  co- 

I 

_  vo  tn    mai  ito  mi  fa  troi uore,        i  isi 

,,,,  ,,,  in  .inani,,  udii,  voi  pure  |. 

i.  mio  amii  o   Vustruther    mi 
i  storia  ili  voi,  .inai. -usa  che  ha  i 
;  un'isola  -  del  Sud,  ed  un  perso 

b  '''i  ito.... 
e  una  breve   pausa  come  per  ricordarsi  del 

DI  ii' 

Niko  '         dissi,  —  vi  avvenne  forse  dmeon 

irai  : 
—  Ch'il    sappia  no,  —  rispose.  —  Che  stra 

in  quel  mi  n  i   nella  sala  da  pra 

h;  li  pn  «ite.   Per   idei 

,  o  quasi  preparato  a  che  il  dui 

con  molti    entusiasi [uesl 

i  i  noscenza,  e  infatti  non  mi  sbagliai 

p    ma     hi        pranzi    fosse  a   ta,   sia   avev • 

tato  Quanto   gli  ci     a        di   mostrai  si   gentile  con 
i    ae    Martinos:   se   non    fosse   stato   ■ 
redo  che  non  sarebbe  i  iuscito  a  domi] 
Lo  ,  ,  invece,  faceva  ili  tutto  per  rendersi 

i  ,,    maggior    parte    delle    sue    pren 

e    i  redi    che  in  tutto  il 

i   i,  di   una  mezza  dozzina  di 

Trevor.  Nonostante  questo, 

guardava    i   n     et  idente    animosità  . 

tai  to    -  i"'  più  ili  una   volta    mi       I  ra  or  lo   fissò 

in, i:.  il ' 

isse  la  ca  i si  capiva  che 

il   s unir  rno    Quando  le 

,in,  ui  e  dalla  .  e  i  : 

irò  il  vino,  cercai  ili  avvicinare  i  due 

nini,  ma  non  riuscii  nel  mio  intento    Parecchie 

te   i,i, 'ni, arili   disse  delle   i  ■  i  entavano 

l'impertinenza,    finché    lo    cominciai    a    mostrarmi 

adii  conti    i     era  ilio  di  un  lari   i 

,li  mondo  pan  a  lui.  Ciò  mi  spia 
in    ogni  dire     \  dalla  sua   pas 

poti  va  sopportare  che  un  nuovo  arrivai,. 

rivolgesse    una    parola    ,, 

sguardo    all'o 

del    suo    : 'e,    i 

noltrasi     della      serata  . 
essi  erano  semi 

\,i  un  tratto 
,  don 
ih  cantai 
—    Perchè    s 
suasa    ci         can- 
tare    r,, Ilaria     ingenua 

di  il 

. 
di   divertire   i   miei   ami 
do  u 

e  di  i" 




Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  1 


Di  19  usi  scopri  siccisso  creiceli) 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


,i  i  ini  loia    -i  sedi        ■ 

.,   ..  rdata    si    pose    ■ 

,,       i  iveva  una   bellissima   voce  da   bai  itono, 

,  he  cullava  a  perfezione    Mii glie  

mata,  e  lo  pregò  di  i  ontinuare  .  miss 

soddisfazii        i         un iUÉ 

to  era  troppo  per  Glenbarth  I 
,    rovviso   mal    ili    rapo   uscì    i 
lente  dalla  stanza.  Mia  ino  i  ie  i  ci 
io  sguardo,   ini   Marlin, 

i  di  non  a\  vedei  sen      I      tu  una  bari  ■> 

rola    spaglinola,    ma    questa    v,,lia    non    vi 
attenzii  i        Poco   dopo,    avendoci    i 

i  ospitalità,   »e  ne  andò  .  .pianilo  mi       frevoT 

lie   -i    furono   ritirate   nelle    I 

.  u. ■   di    i, imi. arili,    ma    si  pi 

Quando  rimiro  vi  mezzanotti 

,  he   ogni   traccia   di    malumi  vanita 

,.    ,  h,.    p, rna\a  lineilo    ih    prima 

l  aio    Dick,    —    mi    diSSI  II      'ni!     SO 

u    irmi   della   mia   i  idii 

, -oli, lotta    di      tasera     Non    p. lirvi    quanto    i 

iso.  Fui  1 

Non  ora  una  ri  rii  ne,  perchè  s strava  pomi 

della  sua  condotta,  di  rinunziare  alla    i 
rj   essere    mio   dovere   il 
In    |o, Ir    uno    asolo    l;iil.,    una    l„  I 

tri i   dissi    pi     indo   il    libro  che   stavo   leggendo. 
Non   so  chi   mi   tenga   dal   dirvi   schiettan 
i  he  penso  di  voil 

—  Sarebbe   un   vano   perditene 
giacché  non  potrete  pensare  di  m  'li  epa 

to  ne  pensi  io    Non  so  propi  lo  immaginarmi  la 

ione  del  i i idere di  te  che  essa  mi  vfl 

,,    perdonari  domandò    umilmente, 

v  rebbe  i  hiestc  un  barn! boi  preso  n 

pezzo  <ii  zui  chei 
Mia   in.ojir.         risposi.         SI....  1 
_  No,   no,   i luanio  siete   ottuso  '  ;    intend, 

_  e  a, ■ronn i   capo  la  direzii  ni    dell  i 

oi .  upata  da  miss  Trevi  i 

Questo,   sta   a   voi   di   trovare   il   modo  di 
i  menti      i  ivi    verso  n  g 

non.,  di  ti  eletta. 

I    fatti    provarono   che    io   ero   stato    buon    i 
riguardo  alla  <  ondotta  di  miss  Tre' 
ti     [.■indomani    mattina    :i    .  illazione 

tri    di     un   tanti li   lui,   ma  qn 

i  ,irii,,  olio  la  maggior  pano  delle  su, 

ivolte   a    me.    i    miei    lettori    amino 

si    saranno    trovati    in    simili    circostanze 
ranno  il  significato    Mia  moglie  puro  si   in,  - 
disposili    il    dimenticare    ed     i    pm 
vole    sua    comi. .ila    de'la    sna    innanzi,     lo    ri 
fra    di    me   di    queste   scenette,    ma    non    dna  v 
n  la     Pe menti    del    povero    lilenbarth 

i         incra    Uniti. 
Durante   tutta   la   giornata    non   vederi 
r.os     se    fosse    usi  ■ 

pomei  i      io.    ì  ientrando  all'albergo   pel    hi 
in     un    i  tc  di  le  i 

manici      Vi    era    la    carta    di    visita    di    don 

—  Che    bei    fiori  '    esclamo    mia    n 
Venite   a    veci  i  mie,  quai 

Miss    I  '   ammirò  Ito.  e  pei 

n,rc    (-delibarti!,    ne    chiese    uno    per    mi 

vani ardai    di    soppiatto    il 

Inule  -i  fissava  i i        ■Hurn  .  i  i   -mi 

va    una    tale   sofferenza   i  he.   «iti  u 
lasciarono    la    stanza    per    pi 
mi   decisi   a   dire   io    i  pai       i    in   suo   ; 
Mi      Gerti  ude,        dissi,        nella   mi  i 
,l,    ,.  chiedervi   mi  piacere  '  \ 

cedenti 

—  Devo  sapere  puma  di  che  si  traila.        mi  ri 
se  -ohi, leu, lo.        so  per  esperienza  che  n< 

,   fidarsi  ih  voi 

i  n    beli  eli  n   noi  

pr,  testa  Lady  Haitem     vi   hn   rai  -   n 

stoi 


RI 


in 
pi 

fli 

1 

Lr 

11 
II 
II 

Di 
i 
f 

i 
; 
n 
li 
il 
p 

f 

p 

j1 

p 

111 

In 

il 

III 

111 

pi 

Ili 

ni 


■ 


ì^ 


5A 


rsbru^^^esi 


ZEFFIRO 

Ventilatorino  automatico 

elegantissimo, 

imitazione  avorio  o  tartaruga. 

REGALO  SENZA  PAR! 

I>e«*    signore     e>     slSìiorl 

Novità  assoluta, 

comodità  senza  precedenti, 

benessere  inai  provato. 

L.   7.50  franco   nel   Regno 


Grandezza:    !|5  del  vero. 

Domande  con  cartoline  vaglia  alla  Ditta 

The  Anglo  Italian   C.    C* 

:vrir^v:vo,  via  Demte,  o. 

NB.  II  disegno  dà  appena  una    lontana    idea    del    nostro    zeffiro    in 
movimento. 


Si   spi  liscono   a    richiesi     ■  -.  - 

taloghi  dì    ■■    n    latori  elettrici  e 

di  tilal  ori  a  movimenti  >  d'o- 

;  ttoio 


al 

fi 

al 

m 


. 


-v^fe 


fli 


Vili 


ADDH  »,    NIKt  'I   \ 


tanto   meno 
e  da  me?  Do 

Un'  -  ■|'-M 

ral 
disperazii 

vi  siete  i  i i.   ni  qui 

LI 

o,  come  11  tto  i 

,    si   rabbui         pei  i   voi    lo   tra 

P,  i      irdo? 

Peri  hi    dite  delle    issurd 

!  nargli   n   vostro  sorriso  :  Egli   si  Etri 
d  11      lami  ! 

,i  r. \ ero  ii oppo  ridici         i    n     i    prò 

\,  ,!  -  ìete  sincera, revor,  e  lo  sapete. 

.  i  imo  .li  ma 

Per  i  lie  fai  este  un  i lento 

i  id         pi  i    non  dir 



Ma  sapete  che  sir  Ru  hard    (  osi 

non  ir.-iio  di   portare  una   rosa,  quando 

B      l,  non  ilo  tempo  da  perdere; 
hi   minuti   alle  due .  corro   a   pn  p« 
ranni  i><t  il  lunch. 
i  .    aprii  la  porta  .  mentre  pas  a>  a   le  dissi  : 

,   quanto  vi  chiesi,  non  è  vero  l  Non  tos 
■  ■ 

intendiate  dire;  ci  penserò,  —  ri- 
uscì dalla  stanza. 
i     ,    mantenne    la    promesso,    i    quando    ritornò 
per  il   lunch   la  rosa  non   e  ei  a    più.   Glenbarth   lo 

e  da  quel  n tento  il  suo  amore  si  rialzò. 

sso  i irigg ila   moglie   ed    io 

andammo   a    vedere   se    tessero  giunti    dall  Egitto 
mi   amici  ;   siccome   né    il   duca,    né   miss 
i  cosi    essi    rimasero   ali  al- 

lo, al   ritorno,  li  raggiungemmo,  ogni 
,  dumore  era  scomparsa,  e  per  ci 
.vi  ii  duco  era  nel  --eiiimo  cielo  della  felicità. 

i     i     i  mo nto  io  gli  avessi  chiesto  la  metà 

;  i  forinna.  credo  che  me  l'ai  i  ebbi    data,  e 
tti    tanto  l'in  volontieri,  se  avesse  sa- 
-    ii    prodigioso   mutamento   era   dovuto   a 
Vii       i  rei  or,  per  ragioni  sue  speciali,  rara  pu 
lie  era   felice    di  vedere 
i  torelle  In  cosi  buoni  rappoi  1 1    ed   io 
olla  compiacenza  ili  un  i>m  sod- 
opera  sua.   Avevo  già  più  volte   peri 
per  quale  ra  ive    imo  più   ss 

i  .li  Nikola    Ni  ii  so  perchè  m'immaginassi  ili 
ma  dopo  gli   avvenimenti   di 

i  inzi     il   cuore   mi  diceva  e) i  qu 

-  ■    uni:. .  vi»i:  'uno  comunii  ato  in 

I  ninno    moli,,    a    \rd,i  lo 

v.  combina      di  visitare  1  accademia,  per- 

desiderava  'li   rinnovare   la   i  ono 

-,  .n/a    dei    'Inani.    Da    parte    ima    il'  I 

,  li,  i  a  ti  un  pei  i 

ih    i  ■  irre  un   godiment  do 

a,    [e  opere  di  que 
sti  grandi  maestri    Phil 

lis     e     miss      1  r,\  ,,r .     al 

un    grande    diletti       I 
do  'ii  ii    ci  diri  em 
un,,  come  è  l'abitudine, 

La    pia/ / ,    ,h    San 
Mar,-,,      Non      avevamo 

tatto      elle      poetii      passi 

quando,      nel      voltarmi 
indietro  . 

nza   il  i   m  >     la   m 

don    losè    Martlnoa     \f 
o,    ci    rag- 
doj 


ESIGETE 


Mfl 


MARCA 


HERMANN 

'MI  LA  NO  -TORINO 


inchil  ioiiii    la    inaim.   e  salu- 

.    ■  .  i  ,    ,    di 

Se   and  rte    verso   la    piazza    San    Marco,    per- 
mettetemi  ili   accompagnarvi. 

Quello  '  in-  ne  pen  i      nbartli,  i  lu  so,  ma 

mi         li  evor,    non    era   da 

compi  ' ■    Giunti  al   caffè  F  loi  ian,  ci  sedenti 

.il   solito   tavolino,    e   don    losè   si    mise   pi  es  u   una 
:,    chiacchierando  amabilmente    Si  rivolse  una 
i    due    i  '  Uenbarth,  il  quale,  a  mia 
si   mostrò   moli"  eoa 

Se  dìo  \  uole,  oi  a  che  \  ede  epe  non  ha  nu 

mere,  i  saia  più  geloso,        dissi  Ini  ili  me. 

E   difatti    pare   che    avrebbe   do\  uio   essi  i 
Ni  i,    pi  i  so   iIm  e   'inalilo   mi    ra  e   di   ved 

lappa,  alleati       \  i\  elei,,     In  II  coi 

in     me\  nalnli     i  ai  i  irebbe    sialo    non 

solo  spiacevole,    ma   ci   avrebbe   addirittura  avvi 
nato  il  nostro  soggiorno  a  \  enezia,  si 

iati   nei   loi  o  i imichev  oli   rappoi  ti,    \i 

,  i  ni,       i i  ■  ••     MiPiaino 

altre   cose   da    con   idi  rare  I    Prima   ili    tati 
ricordare    una    curiosa    circostanza    la    quale    nel 

lei   futuri   eventi  avrà  un  grande  situiti' 

Sarebbe   bravo   davvero   chi    avessi     la    presunzione 
di       i  piegare  ! 

Per  poter  capire  l'Importanza  del   fatto  che  sto 
rii  nulo,   bisogna   ohe   vi    meniate   bene   in   m 
Che     mi    -    li,  sol     stava   seduta   in    faccia   a    ine,   va- 

,  a  dire  voltando  le  spalle  alla  cattedrale  ili  San 
Marco  1  ssa  ei  a  ili  buonissimo  umoi  e.  e  in  quel 
momento  stava  discutendo  animatamente  dell'ef- 
fetto che  proibire  1  arte  antica  sull'inglese  turi- 
sta,   la    sua    bète    i e     Improvvisamente,    senza 

una  ragione  visibile,  si  fece  pallida  come  un 
io.  e  eess,,  di  parlare    a  meta  della  su  For- 

tunatamente non  ee  ne  accorgemmo  che  noi 
.  ,   mi!,'  -i   riebbe  subito,   non  ne  facemmo  ■ 
in  momento  dopo,   guardando  in   giro  ni 
i    a  una  grande  sorpresa,  vidi  il  dottor  Nikola  che 
.In  igei  a    \  taso   di    noi. 
Possibile  che  miss  Trevor,   per  un  m 
dinario,  si   fosse  accorta  del   suo  avvicinarsi  '  Op 
pure  era  pei   una  di  quelle  strane  coincidenze  cosi 
dilli,  i1 1    da    spie  ?ai  e   '    Ne   allora,    ne    poi,    seppi    lini 

piegai  nulo1  '  nriii'i"  ci  ebbi'  raggiunti,  Nikola 
lutò  le  signore,  poi  rivolto  a  mia   n  d 

—  Temo,  lady  Hatteras,  di  essere  caduto  in  di- 
sgrazia, per  aver  tenuto  tanto  tempo  lontano  da 
voi  vostro  inalilo,  l'altra  sera.  Se  cosi  è,  vi  prego 
di   perdonarmi. 

Pi  i,   volgendosi   verso  miss  Trevor.   le  disse: 
_  spero   che   mi    concederete   la   vostra   gentile 

interoe    naie,    non   è   vero,   signorina? 

laro  quanto  mi  sarà  possibile  per  voi. 
Pronunziò    queste    parole    con    una    tale    serietà 

che  noi  «ine  la  guai  à  mi In  vi 

Nikola  intanto  stringeva  la  mano  a  Glenbarth, 
fissando  don  José. 

—  Permeili  temi   di   presentarvi   don  José  de  M 
tinos,  dottor  Nikola.  —  dissi,  —  giunto  da  poco  da 
v   ,  n 

I   due   -  mi  binarono  profondamente,    Imi    I  altro, 
Unerete    via  ti  lari  .    seflor ,    m'  Imagino 

disse    Nikola   guardandolo   bene    ni    viso. 

_(  SCO    una    parie    e.  ,tisidere\  ole    del    moi 

_  l'altro    ,     pò  '  11"   visto    il    sole   della  in 

moiio    al    i  apo   Nord   e    i    ghi  lccì    del    l  apo    M 

Da  quel   momento   la  conversa 
urlile,  (.iiiando  fu  nra  di   riti  mare   all'albi 
Nikola     i  ai/,,  e  ci  saiutò. 

—  Spero    che    durante    il    vostro    soggion 

mii  i  u alche  volta  il  piacere  di  vedervi, 

,1    doli,,,-   Nikola   a   don   Ji  -e  Se  siete  un 

mini  di    vecchi    palazzi    di    questa    meravi- 

glio ,  se  i  vostri  amici  vorranno 

vi,'   di    farvi    visitare   il    I 

_  mi   affretterò    ad   ai  mtta 

mi  offrite  cosi  gentilmente,  -    replicò  l'altro,  a 
dopo  un  profondo  Inchino  si  lasciarono 

(Contini! 


Anno-II 


■  Nvm  8* 


•La- Lettura- 


Agosto 


RIVI5TA-AEN5ILE 
DtL-rORRILRE- 
^_DELLA"5E.RA" 


•1902 


Il  processo  Pellico-Maroncelli 


secondo  gli  Atti  officiali  segreti fI) 


1  Atti  Segreti  dell'Archivio  di  Stato  di 
Milano  gettano  luce  completa  sulle 
drammatiche   lotte    giudiziarie    che,   dal 


1819  in  poi,  si  svolsero  nel  Lombarda  Veneto  tra 
i   patrioti    italiani  e   l'inquisizione   austrìaca. 

Sulla  scorta  di  quegli  atti  è  mio  proposito  rites- 
ser  qui  fedelmente  le  vicende  del  processo  Pellio  1- 
Maroncelli,  del  quale  si  è  molto  sinora  discusso 
:a  la  necessaria  conoscenza  dei  documenti  uffi- 
ciali. 

Le  diverse  fasi  che  il  processo  ebbe  a  Milano. e 
Venezia  —  la  condotta  dei  vari  imputati  — .  tutto 
.  io  spero,  rischiarato  dalla  mia  esposizione, 
arida  forse,  ma  obbiettiva  e  precisa. 


I. 


Pellico  e  Maroncelli  erano  amici  di  fresca  data: 
s'eran  conosciuti  a  Milano  non  prima  del  giugno 
1820.  ma  li  aveva  subito  stretti  la  più  cordiale  in- 
timità, perchè  li  riuniva  non  soltanto  l'entusiasmo 
per  l'arte  e  la  poesia,  ma  anche  e  più  l'amore  che 
ano  entrambi  per  Carlotta  e  Teresa  Mar- 
chionni. 

Pregati  da  queste  s'indussero  persino  a  comp  1 
re  insieme  una  farsa  intitolata  I.i<  festa  dì  Bussone, 


(1)  Conferenza  tenuta  alla  Società  Storica  Lombarda,  il 
29  maggio. 

La  Lettura. 


di  cui  Pellico  scrisse  il  libretto,  Maroncelli  la 
musica:  ed  esistono  ancora  i  bigliettini  che  si 
scambiavano  di  frequente,  per  sfogare  le  loro  pene 
amorose  e  per  concertare  parole  e  note  di  una  ca- 
baletta o  di  un  terzetto.  Mentre  Pellico  viveva  si- 
gnorilmente in  casa  Porro-Lambertenghi,  Maron- 
celli sbarcava  alla  meglio  il  lunario,  come  maestro 
di  canto  a  scolari  avventizi,  e  correttore  della  ti- 
pografia musicale  Ricordi.  Il  suo  processo  trasse 
anzi  origine  da  una  contravvenzione  postale  fatta 
al  ricco  sarto  bolognese  Pirotti  Giovanni,  che  il  4 
ottobre  1820  partendo  da  Milano  s'era  assunto  l'in- 
carico di  recapitare  parecchie  lettere  a  corrispon- 
denti emiliani  di  casa  Ricordi. 

Maroncelli  profittò  dell'occasione  del  Pirotti  pei 
scrivere  al  fratello  Francesco,  medico  a  Bologna: 
e —  particolare  caratteristico  della  sua  fenomena- 
le leggerezza  -■  quella  lettera,  funesta  per  lui  e 
per  tanti  patrioti,  Maroncelli  la  scombiccherò  al- 
l'ultima ora  in  un  caffè,  sul  primo  foglietto  di  car- 
ta che  gli  era  capitato  sotto  mano,  già  scaraboc- 
i  hiato  d  1  un  ali  ro  awenl 

Era  il  l'iloti i  un  arnese  di  polizia  —  come  vuo- 
le la  tradizione  romagnola        0  la  contravvenzione 
intimatagli    provenne  semplicemente    dal  caso,    se 
non  pur-  dalla  denunzia  del  corriere,  che  si  ved 
tudato  degli  incerti  del  suo  mestiere? 

Xon  saprei  deciderlo:  ed     q      tione  seo  ndaria, 
importando  solo  i!  fatto  che  mentre  il  Pirotti  si 
per  montare  sulla  diligenza  fu  agguantato  dal   po- 

43 


"7  1 


LA    LETI  TRA 


affrettò  a  consegnare  tutte 
protestandosi  ignari i  di    pi. mio  | 
contenere  'li   incriminabile,  e   pregando  che   I"  si 
re,  non  molestato,  il  viaggia    Fu 
■   rimanere  e  a  firmare  un  lungi  > 
protocollo,  nel  quale  tutte  le  erano  elencate 

i  venne  anche  ritirato  pel  momento  il 
riebbe  ]  ochi  giorni  < '<  >| « >. 
Le  lettere  sequestrate  ed  aperte  eran  tutte  d'ai 
fari,  traimi-  quella  ili  Maroncelli,  nella  quale  con 
frasi  trasparentissime,  anche  per  una  polizia  meno 
oi  biuta  e  sospettosa  dell'austriaca,  si  annunciava 
l'intento  'li  propagare  la  Carboneria  a  Milano, 
spacciando  pei  icurata  l'adesione  di  Pellico, 

Porro,  Romagnosi,  Gioia,  Coi  ri,  insomma  'li 

quant'altri  liberali  avevano  fatto  capo  al  Concilia- 
Maroncelli  non  si  peritava  di  darne  tutti  i 
nomi  per  disteso,  affibbiando  a  Pellico,  Pitto  e 
Confalonieri  l'appellativo  carbonaresco  di  cugini,  e 
proclamandosi  felice  dell'appoggio  «li  così  (potenti, 
facoltosi,  sapienti  e  risoluti  signori».  Chiudeva  col 
sollecitare  dal  fratello  l'invio  dei  catechismi  car- 
bonici, necessari  all'istituzione  d'una  Vendita:  e 
accludeva  alla  sua  lettera  una  chiave  pel  clande- 
stino carteggio,  cioè  una  delle  così  dette  cartoline 
ur. 

iplicemente    in  un   foglio  di   carta 
con  otto  spazi  vuoti  quadrangolari,  disposti  e  nu- 


Fac-simile   DELLA  CARTOLINA  «  A    IOCR  ». 


'■"un  ,111  assieme  conciliabile  con  la  grani 

i  '1  buon  senso, 

t'hi  riceveva  lo  scritto,  non  aveva  che  ad  appli 
li  l'esemplare  perfettamente  corrispondente 
l'altro,  di  cui  s'era  valso  il  mittente:  e  la  cartolina 
a  jotir   co). mulo  tutto  il    resto  della  lettei 
saltar  Inori   le   parole,   che  erano    il    vero  scopo  di 
quella  criptografia  dalle  innocenti  appare; 

La  lettera  al  fratello  sarebbe  bastata  da  sola  ■ 
perdere  il  Maroncelli,  dato  l'editto  -•')  gosto  1S20. 
|ht  cui  ogni  Carbonaro  era  ips  dichiarato 

reo  dalto  tradimento  e  passibile  di  morte.  Ma  an- 
che più  gravi  scoperte  fece  la  polizia  nella  stan- 
ta che  il  Maroncelli  occupava  all'Albergo  della 
Lombardia,  dove  aveva  portato  le  tende,  dopo  va- 
rie  peregrinazioni  in  case  prrt 

Maroncelli  aveva  commesso  l'imprudenza  di 
conservare  la  minuta  d'un  certificato  carbonico,  da 
lui  rilasciato  «per  la  facoltà  concessagli  dal  suo 
grado»  a  certo  Camillo  Manzini,  modenese,  stu- 
dente di  legge  all'Università  di  Ruini.  Lo  sventa 
to  Piero,  con  tutte  le  forme  rituali,  dichiarava  di 
ricevere  il  Manzini  a  Maestro  carbonaro»:  si  feli- 
citava  del    nUOVO  acquisto  che  faceva    il  rispettabile 

lordine  carb  'nani»  con  questa  recluta  poco  più  che 
ventenne  ;  ed  annunziava  la  missione  dei  Cari  «ma- 
ri dover  consistere  nel  vange/izzare  i  pagani. 

Altri  documenti  sospetti  erano  dei  bigliettini  del 
Pellico,  nei  quali  tra  gli  sfoghi  d'amore  e  di  gelo 
sia  per   Teresa    Marchionni,    si    adoperava   troppo 
spesso  la  locuzione  di  cugino;  tantoché  Pellico 
una  volta  firmarsi  «il  tuo  amico  e  cugino  Silvio». 

Più   compromettente,   però,    era   una   commenda 
tizia,  rilasciata  da  Pellico  a  Maroncelli,  che  dovi 
servirsene  in  una  progettata  escursione  a   Genova 
per   delle    pretese   speculazioni    commercial:.    Silvio 
lo  raccomandava  a  suo   fratello   Luigi  «segret 
del  Governo  generale  del  Ducato  di  G  per- 

lo  illuminasse    sullo   stato    commerciale    della 
piazza  di    Genova:    e    poiché    tutti 
Maroncelli,  povero  in  canna,  scapato  per  eccellen- 
za, non  aveva  né  capitali,  né  attitudini  per  il  com 
mercio,    era    facile   dedurre  che  cosa  s'ascondi 
sotto  il  velame  Jelli  versi  strani .-  e  tanto  più  fa 
perchè    nella    lettera   al    fratello    di    Maroncelli.   la 
Carboneria  era    parimenti  adombrala     come    una 
speculazione  commerciale. 

Nella  lettera  a  Luigi  Pellico  si  accennava  pure 
all'imi"  d'una  cartolina  à  jonr:    sicché  tutto  con 
correva  a  stabilire  in  modo  quasi  evidente  la 
reità  dei  due  amici. 


ti    saltuariamente  (qui    nel    facsimile   SOn    rap- 
ila sbarre  nere),  ("hi   voleva  corrisponde- 

1 ii  un  amico  senza  pericolo  che  la  polizia,  in- 

ido  la  lettera,  ne  scoprisse  il  vero  tenore, 
cava  la  cartolina  </  jour  ad  un  foglio  di  caria 
bianca  e  negli  spazi  sottoposti,  che  rimanevano 
perti,  s«r  Me  tali   parole  che  racchiudi  ■ 

il  sii"  pensiero  recondii  nendole  a  seconda 

dei   numeri   indicati   nella  chiave.    Fatto  ciò,  Colle 
glio  le  parole  gravide  di  signifii 
altri-   bari  difl  1  he    tanti .   quanto 


II 


Maroncelli,  arrestato  il  '1  ottobre  1820,  tu 
posto,    nell'indomani,    a  un    lunghissimo    interi 
torio,   dinanzi  all'assessore  di    pulizia    Pagani   e   al 
l'attuario  Cardani,  che  vollero,  ben   inteso,  sp 
zione  esauriente  d'ogni   frase,  d'ogni  linea  de'  do 
nti  sequestrati. 

Era  possibili  negar  tutto,  far  1"  gnurn  con  quel 
po'  po'  di  materiale  d'accusa  Non  '-erto;  il  diplo 
ma  1  pel  Manzini,  la  su  al  fratel- 


IL    PROCESSO    PELLICO-MARONCELLI 


lo,  toglievano  al  Maroncelli  ogni  scampo.  Egli  non 
poteva  più  onnai  salvare  se  stesso:  doveva  quindi 
pensare  unicamente  a  riparare  l'imprudenza  com- 
messa col  declinar  tanti  nomi,  nella  lettera  seque- 
strata al  Pironi. 

Ebbene,  è  ciò  appunto  che  tentò  il  Maroncelli: 
nella  prima  notte  passata  in  prigione  aveva  abboz- 
zato alla  meglio  il  suo  piano;  e  nel  costituto  del  7 
ottobre  si  attenne  al  partito  più  abile  e  più  gene- 
roso che  gli  restasse. 

Questo  primo  costituto  è  fondamentale  per  giu- 
dicare la  condotta  di  Maroncelli:  perchè  ci  fa  leg- 
gere, meglio  d'ogni  altro,  nella  sua  anima,  e  ci 
palesa  gli  intenti  con  cui  aveva  impostato  la  pro- 
pria difesa. 

Maroncelli  confessò  l'evidenza:  era  Carbonaro, 
ascritto  alla  setta  fin  da  quando  studiava  musica  a 
Napoli,  dove,  auspice  Murat,  la  Carboneria  era 
ufficialmente  riconosciuta  e  protetta.  Die  particolari 
sulla  setta,  che  diceva  originata  di  Scozia:  speci- 
ficò gli  emblemi,  le  parole  ed  i  segni  di  riconosci- 
mento. Tutte  cose  che  la  polizia  sapeva  meglio  di 
lui.  dopo  quanto  era  emerso  a  Venezia  nel  pro- 
cesso Foresti-Solera  e  dopo  la  rivoluzione  del  '20 
a  Napoli. 

Nu(  ivo  era  invece  quanto  disse  il  Maroncelli  sul- 
la Carboneria  romagnola:  ma  eran  rivelazioni  da 
mettere  in  imbarazzo  la  polizia  austriaca,  poiché 
svelavano  i  maneggi  fatti  da  emissari  toscani  in  fa- 
vore dell'Austria  per  togliere  al  Papa  le  Lega- 
zioni. 

Maroncelli  si  vantò  d'aver  lui  stesso  indicato  al 
toscano  Valtangoli  i  nomi  di  patrioti  forlivesi,  faen- 
tini e  ravennati,  che.  insofferenti  del  giogo  papale, 
avrebbero  preferito  di  veder  la  Romagna  soggetta 
piuttosto  all'Austria:  e  accennò  alle  trattative  che 
per  questo  scopo  s'erano  svolte  a  Firenze  tra  i  Car- 
bonari romagnoli  e  i  ministri  toscani. 

Quanto  a  se.  Maroncelli  soggiunse  che  il  suo 
ideale  sarebbe  stato  di  vedere  l'Italia  riunita  sotto 
una  monarchia  costituzionale:  ma  poiché  era  fol- 
lia sperar  di  raggiungere  questo  ideale,  senza  lun- 
ghe e  dolorose  prove,  gli  sembrava  che  un  primo 
passo  consolante  potesse  appunto  esser  costituito 
dalla  riunione  del  Piemonte  e  dello  Stato  Pontifi- 
cio al  Lombardo- Veneto.  Un  governo  forte  e  illu- 
minato come  era,  a  parer  suo.  l'austriaco,  non  po- 
teva non  essere  anteposto  al  debole  e  gretto  gover- 
no sardo  e  al  corrotto  regime  pretesco. 

Dunque,  per  me.  concludeva,  la  Carboneria  non 
ha.  in  se  stessa,  nulla  di  ostile  all'i,  r.  governo,  a 
cui,    anzi,    presterebbe  volentieri  incremento. 

Col  Pellico  disse  aver  più  volte  manifestato  le 
sue  idee  politiche,  ma  senza  mai  rivelargli  di  es- 
sere Carbonaro,  e  senza  aggregarlo  alla  setta.  L'ap- 
pellativo di  cugino  proveniva  dal  fatto  che  inna- 
morati delle  cugine  Marchionni,  e  decisi  a  sposar- 
le, si  consideravano  in  spe  già  parenti.  La  com- 
mendatizia per  Genova  era  stata  innocentemente 
rilasciata  dal  Pellico.  Fra  loro,  in  quei  pochi  mesi 
di  intimità,  s'era  discusso  assai  più  di  arte  e  di 
amore  che  non  di  politica:  Maroncelli  aveva  sem- 
pre taciuto  le   sue  intenzioni   di   propaganda   car- 


«  '7~> 

bonica  ;  e  Silvio  era  soltanto  d'accordo  con  lui  in 
quella  fisima  di  un  regno  costituzionale  dell'alta 
Italia  sotto  il  protettorato  austriaco. 

Quanto  agli  altri  personaggi  indicati  nella  sua 
lettera,  Maroncelli  protestò  di  non  conoscerli  nem- 
meno di  vista  :  i  nomi  di  Porro  e  Conf  alonieri  li 
aveva  unicamente  citati  per  far  impressione  al  fra- 
tello, che  non  si  sarebbe  altrimenti  deciso  a  man- 
dargli le  carte  pericolose  richieste.  Affermò,  infine, 
che.  assente  da  Milano,  quando  si  pubblicò  l'edit- 
to contro  i  Carbonari,  non  ne  aveva  avuto  sino  al- 
lora la  più  lontana  notizia. 

Questo  primo  costituto  del  Maroncelli  ha  delle 
ingenuità  bambinesche  ma  anche  delle  trovate  ge- 
niali —  e,  strana  coincidenza  —  le  sue  idee  sui 
vantaggi  che  l'Austria  avrebbe  potuto  arrecare  al- 
l'Italia, collimano  quasi  perfettamente  col  celebre 
opuscolo  pubblicato  a  Parigi,  nel  1833,  da  F.  Dal 


Silvio  Pellico. 

Pozzo,  un  esule  piemontese  del  '21.  La  differenza 
tra  loro  due  è  a  tutto  vantaggio  di  Maroncelli  : 
nel  '33,  quando  tante  vìttime  illustri  gemevano  an- 
cora allo  Spielberg,  era  infatti  un  insulto  al  senti- 
mento nazionale  lo  scrivere  un  libro  sulla  felicità 
che  gli  Italiani  possono  e  debbono  dal  Governo  au- 
striaco procacciarsi  ;  nel  1820  invece  erano  meno 
assurde  le  illusioni  del  Maroncelli,  sia  perchè  egli 
mirava  anzitutto,  come  romagnolo,  ad  eliminare  il 
malgoverno  teocratico,  sia  perchè  quel  suo  piano 
era  dettato  da  necessità  di  difesa  dinanzi  ai  giudici 
austriaci. 

Costoro  lo  presero  sul  serio  più  che  noi  non  ci 
aspetteremmo  :  Salvotti  dedica  una  lunga  parte  del- 
la sua  requisitoria  al  primo  costituto  di  Maroncelli. 
di  cui  riporta  estesi  brani  per  dimostrare  «  il  som- 
mo ingegno  »  dell'inquisito  e  i  vani  sforzi  che  ave- 
va fatto  per  salvare  i  suoi  amici. 


i.yt.  LA    LETTURA 

\i  Ili  denun 

-  il    fratello;    ma   io  domando: 
v:.  .11  Pirotti,  era  pi 

bile  luce  del  M 

!  emblemi  i*-r  l'i- 
di  Milano,   poteva  esser  gabel- 
.  irò  d'ogni  raggiro  cari.,  nio      Piero, 
del  resto,  non  tra)  «un  mezzo  per  sgravare 

frati   lo:  e  questi,  dopo  breve 
.1.  non  ebbe  ;dtro  a  soffrire  per 
■  li  Milano  e  Venezia. 
Anche  per  il  Man/ini.  Maroncell  :  strug- 

la  prova  schiacciante  costituita  da  quel  diplo- 
urò  che  il  mi  idenese,  da  lui  cono- 

,  .1  Roma,   a.\         I  mostrato   l'intenzione 

di  entrare  nella  Carboneria,  ma  s'era  poi  schermito 
dall  i  lié  >l  diploma  era 

rimasti)  tra  le  d'aggregante.    Questa   spie 

non  valse  a  risparmiare  gravissime  noie  al 
■ini.  e  poco  mancò  non  venisse  tirato  in  ballo 
anche  Massime  d'Azegli  >.  La  polizia  pontificia  nel- 
la   perquisizione  al   Manzini   trovò   un    sigillo   con 
un  inuline  dell'Italia  oppressa  e  dolente  —  un  leo- 
iddormentato  a'   piedi  di  lei.  ed   all'ingiro  il 
motto   non    seni  per  man    (ebit).    11    Man/ini    disse 
•r  avuto  questo  sigillo  dal  giovane  pittore  to- 

MasM Taparelli   d'Azeglio:  e  le  polizie 

pontificia,  estense  ed  austriaca  si  scambiarono  pa- 
ro .-lue  note  d'ufficio  per  accertare  se  quella  rap- 
presenta sigillo  fosse  un  emblema  carbo- 
nico. Dopo  gran  discutere  si  concluse  «piuttosto 
che  simbolo  e  -egreta,  essere  parto  di  qual- 
che singola  niente  imbevuta  delle  funeste  massime 
politiche  del  giorno»;  e  l'Azeglio  fu  lasciato  in 
pace. 

IH. 

auto   era    stato    arrestato  il   conte   Camillo 
Laderchi,  studente  romagnolo    a  Pavia,  anche  lui 
nella   lettera   maroncell  lana  come  consa- 
ole  e  approvatone  delle  progettate  specula 
carboniche.    Questo    ragazzo  non   ancora  ventenne 
serbò  allora   una  relativa   prudenza:    ma  si   lasciò 
pur  sfuggire  qualche  confessione  nociva  per  Maron- 
celli.   Mentre  infatti  questi  negava  di  aver  mai  co- 
l'editto  .'  nini  i  Carbonari,  La- 

!ii  spiattellò  che  ne  avevano  discusso  insieme 
in  trattoria,  durante  il  pi  inzo,  il  giorno  stesso  del- 
la promulga/^  cosi  uno  dei  capi- 
saldi della  difesa  dell'amico  e  conterraneo. 

o,  re  lui  mi  'so   viaggii  i    a    Venezia 

primo  battello  a   vapore,    rientrò  a   Milano  l'8 

corsi-  subito  all'Albergo  della   Lombardia 

in  cerca  di  Maroncelli,  che  gli  dissero  arrestati)  per 

Bologna  e  sequestrata  dalla 

polizia».   Il   '■  ebbe   dovuto  allarmarlo,    ma 

■     riparti   l'indomani   per 

il   (  '■  Pi  .1  ro   di    ree. 

iffari  de)   filatoio  di  Lenno. 

atti    risulta    che    [a   polizia   aveva 
in  casa   Porre 

i  mo 


al    palazzo;     si    Sapeva    da    tutti    1  arresto   del    Ma 

roncelli....  e  nessun  ire  Silvio  del- 

l'imminei  lira!  figli   torna     I    13  ottobre  alle 

.'    potn.  :    la   persona   incaricala  eglianza 

ad  annunziare  che  in  quell'istante  la  vitti- 
mai- in  trappola;  alle  ,;  Pellico  si  trova  già  nelle 
carceri  di  Santa  Margherita,  e  subisce  il  primi 
s;, tutu,  irei  quale  -1  schermisce  negando  con  molta 
fermezza  ogni  intelligenza  sos|>.-n.i  col  Maroncelli. 
Nemico  di  se  tò  non  essersi  occupato  mai 

■'litica  :    1  incriminata  cor  ia    la   si  1 

in  buona  fede,  secondo  gliela  dettò  M  -  che 

voleva  t.  ni, ne  di  fai  fortuna  a  Genova. 

Le  negative  del  Pellico  furono  subito  conti 
al   Maroncelli:    perche  bisogna    dirlo   —   nella 

procedura   segreta   noti  occorre  di   veder  adopi 
sleali  artifici  per  estorcere  confessioni  dagli  inqui- 
siti. Il  gii  usato  all' a 
cogliendo  pazientemente  gli  indizi  della  loro  colpa- 
lilità:  e  questa  emergeva   quasi  sempre  |>er   forza 
di  cose,   da   interrogatori,    abilmente  ma   non    diso- 
nestamente condotti.   Gli  imputati,  che  brancolava- 
no nel  buio,  e  dovevano  padroneggiarsi,   per  ci 
tuti   di   setie.    otto    interminabili    ore.    finivano  per 
nuocersi     reciprocamente    con    risposte    contraddi- 
torie. 

Mai Ili,  dunque,  sentendo  che  Pelli 

tutto,  pens..  -  non  a  torto  —  che  questa  linea  di 
difesa  si  urtava  troppo  con  la  sua.  a  danno  stesso 
di  Silvio:  e  pensò  necessario  di  avvenirlo  con  un 
biglietti  . 

Per  recapitarlo  si  valse  di  un  vecchio  carcerato, 
cinquantenne,  mezzo  scemo,  che  i  secondini  adi 
ravano  per  la  pulizia  dei  locali:  certo  Giovanni 
Sommaruga,  che  andava  liberamente  in  tutte  le 
celle  come...  vuotacessi.  Maroncelli,  presentendo  i- 
nevitabile  l'arresto  del  Pellico,  aveva  chiesto  subito 
al  Sommaruga  se  fosse  stato  tradotto  a  Santa  Mar- 
gherita un  signore  piccolo  di  statura  di  cui  dava 
i  connotati:  e  il  Sommaruga  (cosi  raccontò  poi  nel 
verbale  assunto  dalla  polizia)  tra  il  14  e  il  15 
ottobri    disse   al    Maroncelli   che    Pellico  era   si 

tti  portato  in  una  stanza  a  pianterreno,  mentre 
Piero  era  al  n.  1 1  del  seo  >nd  1  piai 

Pregato  all'indomani   dal    Maroncelli,  il   Somma- 
ruga  consentì  a  farsi  latore  di  un  biglietto  — 

0  documento  rimaste  tuttora  tra  la  selva  degli 
atti  del  Ventuno.  Per  scriverlo  Maroncelli  si  servi 
d'uno  stecco  di   leene,   tolto  1  scopa  •■  abbru- 

ciacchiato al  lume  della  candela,  e  di  un  fogli 
li. in  ,  ogli  dalla 

D  ii/ione  dellt    carceri.    Il    biglietto  ,  sgual- 

e    in    gran    parte    ''leggibile:    ma    |ht    buona 
ventura  i!  suo  contenuto  ci  .'•   rivelato  dai  costituti 

del    Pellico   e    d  1    M  icelli,  concordi,    meno  in 

qualche   punto  secondario.   Pellico  non   aveva   tutto 
ben  compreso  (tre  righe  —  diceva  --  sono  indeci- 
frabili «perei.  con  carbone  che  male 
-va  n)  ;  Maroncelli,  a  sua  voli  ■  llato,  sen- 

porgli    sei-'. «-chili   lo  scritto,  ne  citò  il   contenuto 
.-moria.    Ma.  a  pane   le  divergenze  seconda 

1  11.  pai  sai     il  vero.  Tiare  all'Austi ii 


IL    PROCESSO    PELLICO-MARONCELL1 


«77 


«Sardo  e  Pontificio  per  farne  col  Lombardo- Ve- 
<.  neto  un  sole  è  la  mia  accusa  che  t'ho  fatto.  E 
«perchè  lo  taci?  Questo  Governo  non  ti  sacrifiche- 
«rà  mai  al  tuo.  Forse  ti  ritieni  per  motivo  della 
«tua  amicizia  per  me?  Ma  le  mie  carte  nari  detto 
«ciò  assai  prima  della  mia  bocca.  Ór  se  il  dover- 
ono sa  anche  i  mezzi  [che  tu  non  hai  mai  saputo)  tu 
..  perchè  non  dici  in  esame  tutto  ciò  che  io  ti  ho 
g  1 1  .inimicato   sull'argomento  ?  » 

Questo  documento  mi  par  decisivo  per  la  riven- 
dicazione di  Maroncelli  --  che  dovendo  scrivere 
con  certo  riserbo  per  tema  che  il  biglietto  fosse 
intercettato,  veniva  in  sostanza  a  dire  chiaramente: 
«caro  Pellico,  le  carte  sequestratemi  mi  hanno  po- 
st., nella  necessità  di  architettare  nel  tuo  interesse 
un  piano  di  difesa  in  cui  ti  prego  di  secondarmi. 
Negar  tutto  è  impossibile:  l'importante  è  che  tu 
taccia  di  esser  Carbonaro;  che  tu  dica  d'ignorare 
1  mezzi  (cioè  l'istituzione  d'una  Vendita  carbonare- 
sca),  di  cui  io  mi  sarei  valso  per  quel  preteso  fine 
di  dare  all'Austria  le  Legazioni  e  il  Piemonte.  Que- 
sta scappatoia  non  offre  per  te  nessun  pericolo,  per- 
chè si  riduce  a  confessare  aspirazioni  politiche  di 
cui  l'Austria  non  può  farti  una  colpa.  Potrebbe 
l.ensi  l'Austria  nuocerti  comunicando  la  tua  depo- 
sizione al  Governo  piemontese,  di  cui  sei  suddito: 
ma  l'Austria  non  lo  farà.  Il  solo  dunque  ad  averne 
danno  sarò  io:  ma  per  me  hanno  già  troppo  parlato 
i  documenti  che  ho  avuto  la  dabbenaggine  di  farmi 
sequestrare.  » 

Tale  è  la  portata  di  quelle  linee,  delle  quali  pur- 
troppo Pellico  non  afferrò  il  significato!...,  ma  che 
attestano  oggi  allo  storico  la  generosa  abnegazione 
del  preteso  delatore. 

Pellico  ricevuto  il  biglietto  vuol  rispondere...  ma 
come  fare  non  avendo  inchiostro  ?  Lo  dice  lui  stes- 
so nel  capo  V  delle  Mie  Prigioni:  o  Con  una  spilla 
«  ch'io  aveva  mi  forai  un  dito  e  feci  col  sangue 
«  poche  linee  di  risposta,  che  rimisi  al  messagge- 
ri r.>.  Egli  ebbe  la  mala  ventura  d'essere  spiato,  fru- 
«  gato,  colto  col  vigiietto  addosso,  e  se  non  erro 
«  bastonato.  Intesi  alte  urla  che  mi  parvero  del  mi- 
«  sero  vecchio  e  noi  rividi  mai  più.  » 

Mino  qualche  circostanza  accessoria,  tutto  il  re- 
sto è  esattamente  vero:  e  —  sacra  reliquia  —  il 
biglietto  di  Pellico,  scritto  col  sangue,  esiste  tra  gli 
atti  processuali,  insieme  al  verbale  relativo,  redat- 
to in  concorso  dell'attuario  Cardani  e  del  carceriere 
Angelo  Caldi.  Costui  stando  nelle  sue  stanze  su- 
periori, al  balcone  che  guardava  sul  grande  cortile 
interno,  aveva  veduto  il  Sommaruga  curvarsi  sotto 
la  finestra  della  prigione  di  Pellico  (a  pianterreno, 
come  fu  detto)  e  razzolare  per  terra.  Il  Pellico  col 
dito  proteso  fuori  dell'inferriata  dirigeva  le  ricer- 
che del  Sommaruga,  che  finalmente  raccolse  una 
pallottola  di  carta  gettata  da  Pellico  nel  cor- 
tile. 

Fmgato.  il  Sommaruga  non  si  fece  pregare  e 
consegnò  il  biglietto,  dicendolo  destinato  al  Ma- 
roncelli. 

La  fotografia  poco  o  nulla  può  rendere  di  quelle 
linee,  che  assicurate  ad  uno  spago  e  col  suggello 
della  polizia,  sono  accluse  al  protocollo  17  ottobre 


r820  (ore  12  1/2  meridiane)  in  cui  il  Caldi  ne  mise 
a  verbale  la  trascrizione. 

Pellico  rispondeva  a  Maroncelli:    <  Se  tale  era 


Fac-simile  del  biglietto  scritto  col  sangue 
da  Silvio  Pellico. 

«  tuo  progetto  potevi  si  palesarlo,  ma  perchè  voler 
«  far  credere  me  consapevole  ?  Se  te  sfuggita  una 
«  falsa  confessione  a  mio  riguardo,  ritrattala.  Te 
«  l'impongo  in  nome  della  verità.  Io  credei  real- 
«  mente  che  a  Genova  tu  avessi  degli  affari  mercan- 
ti tilt.  Non  mi  avevi  tu  parlato  di  qualche  tuo  ca- 
ci pitaluccio?  » 

Se  anche  questo  biglietto  fosse  giunto  al  Maron- 
celli, non  so,  a  dir  vero,  quanto  avrebbe  potuto  gio- 
vargli, poiché  non  era  facile  ritrattare  tutti  i  par- 
ticolari versati  nel  suo  primo  costituto  sui  discorsi 
politici  tenuti  col  Pellico.  Ad  ogni  modo,  Maron- 
celli non  ebbe  il  biglietto:  non  potè  dunque  cam- 
biare la  sua  linea  di  difesa;  il  pi  cesso  continuò 
senza  che  i  due  amici  agissero  di  conserva,  ed  era 
inevitabile  che  dovessero  danneggiarsi  a  vicenda, 
con  le  migliori  intenzioni  di  salvarsi. 

Quei  biglietti  stessi  scoperti  diventavano  un'arma 
in  mano  della  polizia,  malgrado  che  entrambi  gli 
accusati  cercassero,  con  discreta  accortezza,  di  giu- 
stificare ogni  frase,  attribuendo  la  clandestina  cor- 
rispondenza al  desiderio  di  far  conoscere  il  vero 
senza  ambagi,  e  non  ad  un  tentativo  di  collu- 
sione. 


LA    1.1  TTURA 


Pellii  ii ire  delle  poche  linee  \>-\ 

g. ite  ci  il  sangue,  negò  dapprima,  non  volendo  o 
oettere  il  Sommaruga:  ma  appena  seppe 

-  me  stessa  di  oo 
stui,   palesò  che  il  suo  biglietto  era  una  risp 
all'altro  del  Maroncelli  non  conosciuto  ancora  dalla 
|k.1         i  o  che  1"  depone  in  atti 

i-  lo  soggiungendo  che  egli  non  sapeva 

un  acca  i  sati  dal  Maroncelli  'li 

favi  irir  l'A  \  mn        va  nell'amico  «  l'intento 

roso  »  <li  render  favorevoli  al  suo  coimputato 
le  autorità  austrìache;  ma  io  (son  sue  precise  pa- 
role)  «  rigetto,  qualunque  ne  sia  L'esito,  questa 
(menzogna  Non  voglio  liberarmi  con  finzioni,  per- 
«  che  non  ho  bisogno  di  questa  i  Faccia  pure  la 
polizia  ogni  indagine  che  vuole,  e  vedrà  che  sono 
liberale  bensì,  ma  tempi  rate  e  prudente:  vivo  uni- 
camente dedito  ai  miei  studi,  non  cero»  d'influire 
.  sull'opinione  altrui  ne  quante  volte  ho  voluto  ma- 
nifestar le  naie  idre  per  la  stampa  mi  son  sotto- 
■  alla  censura  del  Governo,  amie  feci  nel 
Conciliatore. 

In  una  parola,  Pellico  rovesciava  tutto  il  castello 
di  carte,  erette  da  Maroncelli  con  tanti  sforzi  in- 
gegnosi :  e  sostenne  sempre  irremovibile  che  la  com- 
mendatizia per  Genova  si  collegava  davvero  a  qual- 
che speculazione  mercantile,  vagheggiata  dal  vul- 
canico amico,  eterno  fabbricatore  di  progetti. 

A  questa  supposizione  accampata  dal  Pellico  al- 
ludeva appunto  la  frase  suggestiva  del  suo  bigliet- 
to: a  Non  mi  avevi  tu  parlato  di  qualche  tuo  capi- 
tatacelo?»; e  Maroncelli,  astutamente  interroga- 
te se  avesse  avuto  dei  denari  da  investire  in  com- 
mercio, rispose  che  aveva...  dei  chiodi  e  che  per  uscir 
d'imbarazzo  s'era  anzi  fatto  prestare  dall'amico  Sil- 
\iu  50  lire  non  ancora   restituite!... 

Ne  si  contraddissero  meno  circa  quella  cartolina 
à  jour,  di  cui  i  giudici  vollero  conoscere  lo  scopo. 
Maroncelli  aveva  ammesso  subito  che  quella  tal 
■  ni  bucherellata  l'aveva  ritagliata  lui  stesso.  Pel- 
lico, a  cui  la  si  mostrò  egualmente  per  sapere  se 
la  cartolina  à  jour  spedita  a  Genova  fosse  consi- 
mile, esclamò  ingenuamente:  0  E' identica,  anzi  è 
la  stessa  che  io  esemplai  per  Maroncelli  !  »  Dopo 
ciò  tutte  le  spiegazioni,  che  davano  entrambi  sullo 
scopo  innocente  di  quel  mezzo  di  clandestino  car- 
teggio, venivano  necessariamente  ad  elidersi. 

Peggio  ancora  accadde  per  la  sospetta  locuzione 
di  cugini,  che  ricorreva  frequente  nella  loro  corri- 
spond  1  l  inchè  Maroncelli  ne  giustificava  l'uso 
tra  loro  due.  con  l'amore  alle  Marchienti'],  la  cosa 
poteva  passare:  ma  in  una  lettera  di  Pellico  da 
Venezia  si  faceva  cenno  d'altri  due  cugini,  visti 
;si?  Non  certo  altri  spasimanti 
delle  Marchionni,  pensava  maliziosamente  il  gin- 
dio  •.  Maroncelli,  imbarazzato,  credi-  di  farla  franca. 
risp  1  Ugini    in   carne   ed 

ossa  di  cui  si  ricordava  avergli  il  Pellico  una  volta 
parlai".  Ma  Silvio,  interrogato  l'indomani,  non  |«nsò 
nemmeno  a  sostenere  questa  fantastica  parentela  e 
depose...  che  erano  due  inglesi  da  lui  conosciuti  in 
casa   Porro. 

Frano  forse  parenti  tra  loro?  —  domanda  il  giu- 


no,  risponde  Pellico  —  e  allora  perche  li 
chiamavate  cugini?  Beco,  spiega  Pellico:  questi 
due  inglesi  eran  uomini  di  meni,  up  ire,  liberi 
pensatori  sdegnosi  degni  pregiudizio,  e  Maroncelli 
ad  uomini  siffatti  aveva  pure  il  vezzo  di  dare  il 
nome  di  cugini.  La  nostra  passione  per  le  Mai 
chionni  ci  faceva  associare  l'appellativo  di  cugino 
ad  ogni  persona   degna  d'amore  e  di  stima... 

Viene  di  nuovo  interrogato  (sempre  ben  inteso 
separatamente)  Maroncelli  e  lo  si  redarguisce  per 
aver  osato  ingannare  la  giustizia  con  dei  cugmi  im- 
maginari di  Pellico:  e  il  buon  Piero  tenta  di 
sgattaiolare  con  una  descrizione  umoristica  dei  lun- 
ghi colloqui  che  Silvio  e  lui  solevano  tenere  a  M 
lano.  Eravamo  tutti  due  innamorati  cotti  -  egli 
dice — ,  le  contrarietà  che  si  opponevano  al  nostro 
desiderio  di  sposare  le  Marchionni.  ci  facevano  de- 
lirare, e  ci  stogavamo  perciò  col  versare  l'i nel 

seno  dell'altro  le  comuni  pene.  Ma  quei  dialoghi 
si  risolvevano  in  fondo  in  un  soliloquio  a  voce  al- 
ta ;  parlavamo  senza  ascoltarci,  ognuno  di  noi  as- 
sorbito dalla  propria  passione.  Col  mio  cervello  in 
ebullizione,  è  facile  dunque  immaginare  com'io  ab- 
bia potuto  equivocare  sui  cugini  che  Pellico  deve 
avere  in  Piemonte  e  che  io  credetti  invece  dimo- 
ranti a  Venezia. 

Queste  spiegazioni  ingarbugliate  fanno  sorridere 
il  giudice,  che  gli  domanda  semplicemente  se  cono- 
sca   due    signori    inglesi    amici    di    Pellico e 

Maroncelli  risponde  tanto  di  noi 

Gli  vien  letta  allora  la  deposizione  di  Pellico  su 
questi  inglesi:  e  Maroncelli  cerca  prontamente  di 
rimediare,  dicendo  che  infatti  si  risovviene  di 
storo;  con  felice  intuito  dà  la  stura  ad  un  altro 
sproloquio  sulle  affinità  morali  che,  secondo  lui,  do- 
vrebbero più  assai  che  i  legami  di  sangue  determi- 
nare la  parentela  tra  gli  uomini  ;  e  conclude  infine 
col  protestare  che  questa  ustoria  di  benedetti  cu- 
gini »  non  ha  un'importanza  qualsiasi.  Era  una  biz- 
zarra consuetudine  di  linguaggio:  non  nascondeva 
alcun  sottinteso  settario,  dacché  Pellico  non  era 
Carbonaro,  né  sapeva  che  il  suo  compagno  d'amo- 
rose avventure  lo  fosse. 

Coloro  che,  per  demolire  Maroncelli,  asseriscono 
aver  egli  subito  in  sede  di  polizia  vuotato  il  sacco 
per  salvare  la  pelle,  sacrificando  gli  amici.  1 
vono  dunque  dai  documenti  la  più  clamorosa  smen- 
tita. Il  vero  è  precisamente  l'opposto:  Maroncelli 
a  Milano  immolò  interamente  sé  stesso;  per  ripa- 
rare le  conseguenze  fatali  della  sua  grafomania 
spiegò  non  solo  maggior  disinteresse,  ma  anche  a- 
cume  d'ingegno  e  felicità  di  risorse,  superiori  al 
Pellico,  die.  troppo  preoccupato  della  sua  difesa 
personale,  non  capì  come  egli  arrestato  dopo  il 
Maroncelli  -  doveva  tener  conto  della  situa/ione 
ili  fatto,  creata  dalle  imprudenze  dell'amico,  e  se- 
condarne la  linea  di  difesa,  che  pur  conosceva  per- 
fettamen  e,  e  per  le  contesta/ioni  dei  giudici  e  pel 
biglietto  consegnatogli  dal   Sommaruga. 

Malgrado  le  stridenti  contraddizioni  negli  inter- 
rogatori dei  due  amici,  il  processo,  sulla  line  del 
[820,  aveva  assunto  una  piega  favorevole  al  Pel 
lieo.  La  dicliiara/ion,-  recisa  del   Maroncelli  che  tra 


IL    PROCESSO    PELLICO-MARONCELLI 


lui  e  Silvio  non  s'era  mai  trattato  di  carboneria: 
d'altra  parte  la  tenace  negativa  del  Pellico  pareva 
assicurare  il  suo  vicino  proscioglimento  dal  carcere. 

A  migliorare  la  sua  condizione,  il  Pellico  era  ri- 
corso ad  uno  strattagemma  insolitamente  scaltro. 
11  Sommaniga.  in  punizione  della  mancanza  com- 
messa prestandosi  alla  corrispondenza  clandestina 
dei  detenuti,  era  stato  traslocato  «alla  Casa  di  de- 
posito dei  corrigendi  politici  residente  al  Palazzo 
di  Giustizia»  (che  fosse  bastonato  non  risulta  ma 
è  tutt'altro  che  inverosimile):  e  Pellico  trasse  par- 
tito da  quell'incidente  per  far  sequestrare  più  tardi 
un  biglietto  tendenzioso,  da  lui  indirizzato  al  conte 
Porro. 

Anche  questo  terzo  biglietto  è  conservato  tra  gli 
atti  ;  ed  è  una  meraviglia  il  vedere  come  il  Pellico 
con  uno  spillo  abbia  trapunto  in  bianco,  come  la 
più  abile  ed  elegante  ricamatrice,  queste  parole: 

«  Sono  innocente.  Il  processo  lo  dimostra  e  sono 
«ancor  qui,  si  dia  cauzione,  faccia  passi.  Mi  riten- 
i  gono  pel  solo  sospetto  che  con  mire  politiche  io 
«  raccomandassi,  a  mio  fratello  a  Genova,  Maron- 
«  celli  che  dicono  Carbonaro.  Sono  innocente,  sono 
«  inattaccabile.  1-' accia  niun  caso  delle  voci  false. 
«  Scriva  cose  consolanti  a  mio  padre,  baci  i  nostri 
«figli.  Mi  raccomando  alla  marchesa  Trivulzio». 

Lo  strattagemma  riuscì  a  puntino.  Il  biglietto 
vien^  consegnato  a  un  secondino,  allettandolo  con 
la  promessa  della  vistosa  mancia  che  avrebbe  rice- 
vuti) dal  destinatario.  Il  secondino,  certo  Cremona, 
non  oppone  difficoltà  a  ricevere  il  biglietto  e  lo 
porta  difilato  alla  Direzione  di  polizia.  Nuovo  esa- 
me del  Pellico,  che  s'infinge  dapprima  sorpreso  e 
contrariato  :  ma  in  ultima  analisi  il  suo  biglietto 
ribadisce  nei  giudici  l'impressione  che  non  vi  fos- 
sero prove  legali  contro  il  segretario  del  conte 
Porro. 

Onde  che  mentre  per  Maroncelli  già  dal  12  di- 
cembre il  Tribunale  aveva,  in  tutte  le  forme,  dichia- 
rata aperta  l'inquisizione  d'alto  tradimento,  Pelli- 
co continuò  ad  esser  trattenuto  nelle  carceri  di  po- 
lizia come  semplice  testimonio  sospetto:  anzi  il  20 
gennaio  182 1  il  giudice  Rosnati  comunicava  alla 
Polizia  che  Pellico  poteva  essere  rilasciato  in  li- 
bertà, ammenocchè  nuove  emergenze  non  fossero  ri- 
sultate a  suo  carico  dalle  ricerche  di  cui  l'autorità 
politica  si  stava  occupando.  Pareva  dunque  sulla 
fine  di  gennaio  del  1821  che  la  liberazione  di  Pel- 
lico dovesse  in  breve  susseguire  a  quella  già  avve- 
nuta del  Laderchi,  che  fu  dimesso  il  6  gennaio 
1821  col  solo  decreto  di  sfratto  dagli  Stati  Au- 
striaci. 

Il  padre  di  Pellico,  venuto  a  Milano  per  prov- 
vedere alla  sorte  del  suo  Silvio,  ripartì  con  le  più 
liete  speranze  dategli  non  solo  dal  conte  Porro,  ma 
anche  dalla  marchesa  Beatrice  Trivulzio  (nata  con- 
tessa Serbelloni).  Questa  gentildonna  (la  stessa  a 
cui  Pellico  chiedeva  nel  biglietto  trapunto  di  essere 
raccomandato)  s'era  valsa  della  sua  intimità  con  la 
contessa  Bubna  per  caldeggiare  la  scarcerazi.  me 
del  letterato  saluzzese.  Tanto  era  sicuro  il  padre  di 
Pellico  di  poter  riabbracciare  a  giorni  suo  figlio, 
che  in   una   lettera   sequestrata   al  conte   Porro   lo 


679 

pregava  di  voler  evitare  le  chiassose  dimostrazioni 
di  gioia  che  gli  amici  avrebbero  fatto  a  Silvio  pro- 
sciolto: e  insinuava  che  per  non  urtare  la  polizia 
lo  si  mandasse  subito  sul  lago  di  ("omo. 

Senonchè  a  sfatare  queste  rosee  previsioni  giun- 
geva fulmineo  da  Vienna  (dove  ogni  menoma  cosa 
doveva  decidersi)  l'ordine  imperiale  che  i  due  accu- 
sati di  Carboneria  fossero  deferiti  alla  Commissio- 
ne speciale  eli  Venezia,  l'unica  competente  a  giudi- 
care dei  delitti  di  alto  tradimento:  il  processo  en- 
trava cosi,  inattesamente,  nella  seconda  sua  terri- 
bile fase. 

IV. 

Ai  costituti,  che  mancano  tra  i  documenti  del- 
l'Archivio di  Milano,  per  questo  secondo  periodo, 
suppliscono  ad  esuberanza  tanto  la  voluminosa  re- 
quisitoria finale  del  Salvotti,  quanto  i  diffusi  Rap- 
porti periodici  ch'egli  mandava  a  Vienna  sullo 
svolgimento  dell'inquisizione. 

E'  in  base  a  questi  documenti  d'autorità  inso- 
spettabile, che  possiamo  stabilire  quali  cause  con- 
corressero precipuamente  a  dare  letale  avviamento 
alla  procedura  di  Venezia. 

Queste  cause  possono  assommarsi  a  quattro:  il 
momento  politico  gravissimo,  l'intervento  d'altri 
imputati,  le  delazioni  di  Carlo  Castiglia,  l'abilità 
del  nuovo  inquirente  —  Antonio  Salvotti. 

Il  processo  fu  ripreso  quando  le  truppe  austria- 
che marciavano  sul  Napoletano  per  schiacciarvi  la 
rivoluzione  :  e  quando  all'altro  capo  della  penisola 
stava  per   iscoppiare  il   moto  dei  Federati,    fidenti 


Antonio  Salvotti. 
(Da  un  ritratto  di  Anna  Fratnich,  sua  moglie). 


LA    LETI 


i      i    irbo 
!  dunque  ai  giudici  ausi 
I" tenze  più  n  e  fi >rmii ; 

per  l'i.   r.  <  ìoverni  i:  e  da  e 

ie,  e  trarre 
luce  tutti  ll'i  imbra  a  Milani  i. 

dici   milai  ino  si. iti  di    manii  a 

.  mi 'I'"  -  o ime 

l'eli         '  '  Laderch 

liversa,  perchè  il  nuovo  inqi 
pensava  che,  se  pei  si   stesso  uno  stordito  della  ri- 
si ro  di  mus  i  aon  mei  il 
moli                        m    ac  |uista\ ai  u  111 i  d  una 
■  111    urge\  a  so  iprin    e  spes   : 
.  poct  i  più  i  he  trentenne,  bello,  sedu 
■'.  .1  nei  pri  - 1  ssi  (imperi  I 
bile  colpa  per  un  italiano)  la  sua  attività  prodigio- 
la  sua  lei  rea  memoria,  la  sua  in 

1  i       ile  un  funesto  complesso  ili  doti  che 
il  prof.  Ressi,  dell'Uni  Pavia,  nella  sua 

■   m n 

■     ila  I rasciri  I       ridia»  del   Salvotti 

l'aveva    fatto  «più    volte  dubitar   ili   so  stesso»  e 

si   aderire  alle  deduzioni  dell'accusatore:    e  si 

può   immaginare  se   Marmiceli i  frisse   in   grado  'li 

misurarsi  con  avversario  ili  tal   fatta! 

rivati    a  Veni       afì  ranto  di  corpo 
e  ili   spirito;   e  una   sua    !      '  '  i    inedita   al   Sali 

I  >i   asprissimo  inverni  i  (scrivi  |  venni 

posto  in  un  legno  aperti  .  con  gli  abiti  da  estate 

«con  cui  mi  arrestarono,  si  che  il  freddo  eia  fame 

•  m-'  rumi  ir  vivo  per  la  strada.  A  Verona 

«si  i  facessi  comperare  del  mio  un  paio  di 

tanti,  mentre  si  cambiavano  i  cavalli  ed  unge- 

no:  ma  per  Dio!  quando  videro  che  del 

■  la  mia  pelle  co  ili  più,  si  disegnò  di  fer- 

■  mare  al   Dolo,  ove  s'ebbe  cibo  e  riposo  dopo  6o 

ili  digiuno  e  .?o  di  cammino,  ili  sbattimento, 

■  di  ferocissima  ed  incessante  gelura». 

In  'i1  [dizioni   la  tanto  più  ine- 

;,  inquantochè  Salvotti  avendo  studiato  gli  an- 
esso  aveva  già  rilevato  le  incori 
gruenze  in  cui   i  due  amici  erano  caduti:    e  prilliti 
ancora  che  procedesse  ai  nuovi  ci  stituti  di  Maron- 
celli,  s'ei  o  —  in  uno  dei  suoi  referatì  alla 

Camera  di  Consiglio     -  per  l'evidente  colpabilità 

■  '      Pellico  e   I.aderehi  ! 

Nei  rapporti  e  nella  requisitoria.  Salvotti  ritesse 
il    sottile  lavorìo  di  demolizione   critica,  con    cui 
egli  condusse  Maroncelli  a  distruggere  gradualmen- 
tto  il  suo  artificioso  sistema  di  difesa  archilei 
\l  lano.   Le  trovate  e  le  scappatoje  del  lo- 
quai  i  lo  svaporano  via  via,  come  frolle  di 

ne,  dinanzi  alli  I  iche  ci  intesta 

/ioni  di  fatto  dell'inquirente,  che  inseguendo  l'im- 
putato nella  sua  ultima  trincea  lo  [«irta  ad  ane 

1  assurdità    delle  sue    simpatie   austriache,   e  a 
mare      Itamente  le  sui  ài  mi  di  Italia 

no,  avverso  ad  ogni  soggezione  - 

v  Veni         Maroncelli   tentò   di    sah  are 

Pellico,  Porro.  Canova  ,•  soprattutto  il  La 

lo   inteneriva    fino   alle   lagrime:    ma 
pur  lo    il    terreno    a    palmo    a    palmo,    tini 


soccomberi .  dopo  una  lotta  di  .  mesi, 

■-in   uh  une  o  mfessioni  som  i  del  z8  ap 

Quelle  confi  ssii  ni  si  debb  mi  i  alla  logica 
e  del    Salvotti,    i 
di  Maroncelli,  alle  altrui  delazioni. 

Maroncelli  i  ra  angi  p  o  tori 

so  de]  Ir. nelle.  I  topo  cinque  mesi  1"  sapeva  ancora 
.ito         la  madri  ite,  una   so- 

n  Ila   -'in        i  senza  il   loro  unii  o  sosti 

ed  egli  voleva  ad  ogni  cosi' 

zione  di    I Nella  mità  pensò  di 

raggiunger  lo  scopo,   t  udici  di   Vi 

zia  più  estesi  pan  ii  olari  delle  simpal  ii    dei  l 
nari    r<  imagni  'li    per    l'Ausi  ria.  Comi  n  ritto 

al  Pellico  «  il  governi  i  ausi  riaci  herà 

mai  ili  tuo*,   cosi   ritenne  eh.-  I  .Austria    nei 
i  k    compromesso  quegli  i       ie  in  Ro 

magna  l'anteponevano  al  dominio  papa 
da  questa  idea,  si  credeva  sicuro  di  giovare  al 
ti  Ilo,   senza  1 1  -uno  de'  molti  ■    ■  ahi- 

ppi  0  che  nominò. 

Fu  gravissimo  errore  il  suo.  perchi  svelò  al  Sal- 
votti il  n  na  Carfo  meria  n  imagni  il 
quei  preziosi  segreti  furon  subito,  con  rude  rim- 
provero alla  cecità  del  Governo  papale,  comunicati 
dall'Austria  a  Roma;  ma  vorremo  per  questo 
eretare  l'infamia  a  Maroncelli  per  il  n  scien- 
mmessi  i  ? 

Salvotti,  più  equo  dei  critici  recenti  di  Maron- 
celli, riconosce  nella  requisitoria—  con  la  sua 
obbiettività  consueta,  che  l'inquisito  fu  tratto  a 
quelle  propalazioni  dalla  tenerezza  )*-l  fratello 
e  per  la  madre  «della  cui  sorte  —  son  sue  parole  — 
gli  caleva  più  che  della  propria». 

Ed  e  per  il  suo  Checco  che  Maroncelli  tera 
di  lettere  non  il  solo  Salvotti.  ma  il  giudice  Roner 
e  il  presidente  Cardani,  insistendo  perchè  s'inter- 
pongano con  la  magistratura  pontificia  per  liberar- 
gli il  frati  Ilo. 

Non  meno   funeste  dei    suoi    domestici    affetti,    ad 

aggravare  la  situazione  di  Maroncelli  s'erano  ag- 
giunte li     deposi/ioni   di    I.aderehi.    di    Angelo   i 
nova,  le  delazioni  ili  Carlo  Castiglia. 

11  Laderchi,  prosciolto  a  Milano,  se  ne  stava  ai 
saporando  in  Romagna  la  libertà  riacquistata,  quan- 
do   il    Governo    pontificio   torno  ad   acciuffarlo    per 
metterlo  a  disposi/ione  dei  giudici  di  Venezia.  Q 
sti  non  avevano  facoltà  di  pronunziarsi  su  lui;  di>- 
vevano    soltanto    servirsene    pei    confronti    con 
altri   imputati;    ma    Laderchi    si    ritenne  spacciato, 
e  nel  panico  morboso  onde  fu  preso,  l'imberbi 
spirai  |ue  grandemente  a    Maroncelli,   noc- 

que  soprattutto  al  prof.  Ressi  che  gli  aveva,  a 
via,  fatto  le  veci  di  padre.  ,•  a  Ri  che,  am- 

mirando l'ingegno  brillante  del  gì. nane  romagnolo 
gli  aveva  dato  a  leggere  alcuni  suoi  scritti  politici 

mediti. 

Angelo   Canova  nominato   lui   pure   nel! 

maroncelliana        aveva,  fino  al  ma 
t8ar,   potuto  sfuggire  all'arresto,   in  grazia   di 
Mia  vita  errabonda  di  attore  nella  compagnia  Mar 
chinimi.  Ma  la  polizia  lo  agguanta  al 


IL    PRO*  ESSO    PELLICO-MARONCELLI 


OSi 


za  e  lo  trasporta  a  Venezia  proprio  quando.,  sposo 
novello,  nuotava  in  piena   luna  di  miele. 

Il  Canova  è  la  figura  tragi-comica  del  processo 
Pellico-Maroncelli.  Carbonaro  senza  saperlo  e  sen- 
za volerlo,  aveva  portato  da  Milano  a  Bologna  al- 
tre lettere  sospette  ilei  Maroncelli  e  al  vedersi  tra- 
scinato a  Venezia  a  recitare  la  parte  di  vittima  in 
un  dramma  reale  dei  più  spaventosi,  trema,  piange, 
balbetta,  protesta  di  non  aver  mai  inteso  di  cospirare 
contro  l'Austria,  di  cui  avrebbe  salutato  con  gioia 
il  dominio  esteso  a  tutta  quanta  la  penisola....  e 
frattanto  svela  che  Pellico  era  Carbonaro  indub- 
biamente, poiché  in  casa  Marchionni  gli  aveva 
to  la  mano  coi  tocchi  carbonici  e  aveva  appro- 
vato l'idea  di  far  venire  da  Bologna  le  carte  neces- 
sarie all'istituzione  di  una  Vendita! 

Si  aveva  così  un'altra  prova  a  danno  del  Pelli- 
co: ma  questi  resisteva  ancora,  ed  ecco  sorvenire 
le  delazioni  di  Carlo  Cartiglia,  comunicate  dalla 
zia  di  Milano  con  lettera  —  si  noti  bene  la 
data  —  del  3  aprile  182 1. 

Che  cosa  rivelò  il  Castiglia?  Che  Maroncelli  a- 
veva  tentato,  in  una  escursione  sul  lago  di  Como, 
di  affiliare  alla  Carboneria  i  fratelli  Rezia  di 
Bellagio  e  Odoardo  Bonelli,  direttore  d'una  fab- 
brica d'aceto  a  Lezzeno. 

Questo  cenno  (scrive  ancora  Salvotti)  era  «  inte- 
ressantissimo» e  venne  «tantosto  coltivato»  dalla 
Commissione,  coi  più  inattesi  risultati.  La  delazio- 
ne del  Castiglia  bastava  infatti  a  smentire  la  pro- 
testa di  Maroncelli  di  non  aver  iniziato  di  fatto 
nel  Lombardo- Veneto  la  propaganda  carbonica:  ed 
era  un'arma  terribile  contro  Pellico,  notoriamente 
amico  del  Bonelli.  al  quale  aveva  diretto  con  una 
sua  commendatizia  il  Maroncelli. 

Pellico  e  Bonelli  erano  entrambi  piemontesi  e 
legati  col  Porro  :  dunque  —  arguiva  Salvotti  —  si 
può  forse  1  ra  scoprire  il  trait  d'union  fra  i  libe- 
rali lombardi  e  il  Piemonte  ;  e  la  Commissione  de- 
creta l'arresto  di   Bonelli  e  di   Porro. 

Da  Milano  si  risponde  che  sono  fuggiti:  e  al- 
lora la  tempesta  si  concentra  su  Pellico,  che  nella 
sua  qualità  di  segretario  del  Porro  poteva  rivelarne 
gli  intenti  e  la  condotta  politica. 

La  più  splendida  apoteosi  di  Pellico  è  nella  re- 
lazione con  cui  Salvotti  riassumeva  le  confessioni, 
estortegli  coi  «tormentosi»  costituti,  a  cui  Silvio 
accenna  appena  nelle  Mie  Prigioni.  Ad  ammette- 
re la  sua  colpa  non  aveva  più  v-  lungo  esitato,  dopo 
le  confessioni  di  Canova  e  Maroncelli:  e  per  suo 
conto  Pellii-o  aveva  ceduto  tino  dal  17  aprile. 

Ma  l'anima  sua  si  ribellava  ad  accusare  il  Porro: 
e  la  sua  resistenza  strappa  parole  d'ammirazione 
allo   stesso  inquirente. 

«  Lunga  ed  ostinata  (egli  dice)  fu  la  lotta  che 
desso  sostenne.  Un  inquisito  che  penetrato  del  pro- 
prio reato  il  confessa  e  disdegnando  di  trarre  un 
motivo  di  mitigazione  nella  rivelazione  dei  complici 
sconosciuti  si  offerirli  per  essi  m  olocausto  alla  lo- 
to salvezza  —  un  inquisito  che  sentiva  tutto  il  ri- 
brezzo che  l'accusa  del  proprio  benefattore  eccitava 
nella  sua  anima  non  poteva  che  con  somma  diffi- 
coltà   risolversi    ad    abbandonare    un    sistema    che 


dall'onore  e  dalla 
propria  coscienza.  Si  supponga,  diceva  egli  una 
volta  nella  sua  commozione  e  stretto  da  quelle  con- 
testazioni con  le  quali  il  Consesso  inquirente  cer- 
cava di  superare  la  sua  fermezza,  sì  supponga  che 
Vono  fosse  realmente  colpevoli  :  potrebbe  però  un 
0  accusarlo.'  Ed  io  a  rso  Porro   non   mi- 

nori doveri  dì  quelli  che  ha  un  figlio  verso  suo 
padre.  Questa  stessa  morale  delicatezza  che  in  al- 
tra circostanza  gli  avrebbe  meritato  gli  umani  suf- 
fragi, presti,  però  al  Consesso  i  motivi  per  deter- 
minare Pellico  ad  una  sincera  deposizione». 

Reso  sicuro  che  il  conte  Porro  non  poteva  esser 
danneggiato,  perchè  già  profugo  in  Svizzera.  Pel- 
lieo  s  arrese  —  esaurito  dalla  lunga  lotta,  che  ave- 
van  combattuto  nel  suo  animo  il  sentimento  della 
riconoscenza  e  l'impulso  prepotente  del  vero! 

1  M'abbandono  ai  miei  giudici,  ho  sentito  che 
mun  castigo  pub  eguagliarsi  a  ciò  che  soffre  Vuomo 
d'onore   che    s'i  mentendo  ».    In   queste   pa- 

re ile  d'una  celebre  lettera  di  Pellico  abbiamo,  starei 
per  dire,  la  chiave  di  vòlta  dei  processi  del  '21.  Ad 
anime  nobili  e  ingenue  ripugnava  il  dissimulare  e 
negare:  il  sentirsi  tacciati  di  menzogna  era  un  ul- 
ti aggio  che  faceva  trasalire  quei  patrioti,  ricchi  d'o- 
gni più  ammirevole  pregio,  fuorché  delle  più  in- 
dispensabili d.oti  del  cospiratore. 

L'arte  del  Salvotti  consisteva  appunto  nel  fare 
costantemente  appello  all'onestà  dei  suoi  inquisiti. 
«  Come  mai  un  gentiluomo  della  vostra  sorte  non 
arrossisce  di  sostenere  una  così  evidente  falsità 
smentita  dagli  atti?»  —  Oppure:  «Come  mai  può 
Llla  apporre  ad  un  amico  l'orribile  taccia  di  calun- 
niatore, dichiarando  falsa  la  sua  deposizione?». 
Ecco  le  due  contestazioni,  quasi  stereotipe,  che  ri- 
corrono negli  atti  del  '21,  e  alle  quali  gli  imputati 
finivano  per  darsi  vinti,  con  l'ingenuità  di  bam- 
bini, a  cui  si  dica  che  la  bugia  corre  loro  su  pel 
naso  !  Pareva  ad  essi  un'imperdonabile  macchia  il 
mantenere  imperterriti  una  menzogna  che  poteva 
salvarli  !.... 

A  questa  iperestesia  morale  s'aggiunga  la  de- 
plorevole ignoranza  quasi  generale  della  legge.  Po- 
chi, ad  esempio,  sapevano  che  per  l'alto  tradimento 
1  ommessa  denunzia  bastava  a  costituire  un  delitto 
punibile  col  carcere  duro  perpetuo;  e  Pellico  narrò, 
a  me  la  cosa  più  innocente  del  mondo,  d'aver  ten- 
tato Romagnosi  e  Arrivahene  ad  entrare  nella  Car- 
boneria e  d'averne  ricevuto  un  reciso  diniego.  Ba- 
stò questa  deposizione  a  farli  arrestare:  ma  vor- 
remmo perciò  muoverne  biasimo  al  Pellico? 

Sarebbe  la  più  sacrilega  ingiustizia:  e  il  conte 
Arrivacene  die  prova  di  squisita  delicatezza  non 
portando  alcun  rancore  al  Pellico  che  l'aveva  com- 
promesso inavvertitamente,  col  narrare  un  collo- 
quio a  quattr'occhi  avvenuto  tra  loro  nella  villa 
della  Zaita  presso  Mantova.  Romagnosi  per  altro 
non  l'intese  così,  e  nei  suoi  costituti  ebbe  parole 
re  venti  contro  il  Pellico.  Lo  conosceva  —  egli 
disse  —  per  autore  d'una  cattiva  tragedia,  ma  non 
si  sarebbe  aspettato  questa  cattiva  azione  —  e  i 
giudici  stessi  invitarono  Romagnosi  a  più  riguar- 
doso linguaggio,  attestandogli  che  Pellico  non  ave- 


LA    LETTURA 


xa   affa"°  peas&to  a   coinvolgerlo   nella   sua   scia-     più  abbandonato.   Le  sue  risposte  erano  pronte    e 
gura,  col  pravo  intento  attnbuitogb  dal  K.imagnosi     nei  suoi  ragionamenti  Facci  ■   la  <„,,,. 

in  che  era,  di  non  venir  condannato.  Conos, 
sa  *  Roo  fu  stupenda:    nell'ina-     appieno  della  vedeva  il  difetto  della  i 

mensa  ''ou-v' '  attl  «  '-'   non  v'ha  nulla  .li     va,  che  contro  lui  si  ,a.   Quantunque    , 


A 


4ve#*AÙ.Jr,'fr*' 


rfWXLV. 


, 


fie/  »+*  <*-r~  c**A*  /**&-+   </'*•  *****- tnr*J*   «*' xé*±rTfoJ*>  ■ 


USefi    -fritti/afri 


C/va*  se&e  rf-ft    t4b-  jje***    eb£nr**sm.e*fr    ,/uS  i 
jt>À*-«'0AM    «£    to*ù  Jf^f*  co)/  «rrvfi/*-  ver  su*    ^0r*t    at~*£U   oi 
jet' •       /Uf^fc**.     i*S''e*~*     «?    *&- 
(tl/t     t/emerote     €Sorfc4^o/^ 
leu    0n2f*-    JS    -TO' 


c/f    e**.  -r*+J*  f&Tc***^  J.'  **e*+ 
■r/C*ri^o     «A*«>»  Con   «-  &+<'    jf    rferw  ,   J*-  ' 


/•' 


r  ..  x. •  jj*     /'       D' 


^ 


/y  '    crtim 


A 


<C+-lfìrtn*_ 


Una  lettera  del  PELLICO  ai  giudici. 

più  brillante  dell'assalto  .li   scherma  giuridica  tra  ciaccoso  di  corpo.  la  sua  niente  è   però   libera,   e 

lui  e  =                e  l  inquirente  si  confessò  vinto  nel  profondamente  sagace. 

ritratto    morale    dell'imputato,  con  cui   secondo    la  «Il    suo   contegno   era    franco,  ma  rispett. 

chiudersi  la  serie  dei  costituti.  un  tempo. 

«Questo    inquisii,,,  che  nel   primo    suo   costituto  «  La  sua  salute  i  m  on.vrtata  da  un  colpo,  che  ha 

abbattuto,  ha  ripigliato  ben  presto  una  fran-  sofferto,  e  per  cui  si  regge  a  fatica,  trascinando,  nel 

cnezza,  e  una  presenza  -li  spinto,  che  non  lo  ha  camminare,   il  piede  destro». 


IL    PROCESSO    PELLICC-MARONCELLI 


ó83 


Fra  le  carte  sequestrate  a  Laderchi  cerano  srritti 
di  Romagnosi,  politicamente  eterodossi  ;  e  la  poli- 
zia volle  interrogare  altri  giovani  per  scoprire  se 
quelle  massime  sovversive  fossero  state  insinuate 
da  Romagnosi  nel  suo  insegnamento  privato.  Tutti 
quei  discepoli  si  contennero  con  lodevole  riserbo: 
ina  uno  soprattutto  spiegò  grande  fermezza  ed  acu- 
me nello  schermirsi  da  ogni  insidiosa  domanda. 
Quel  giovane  precoce,  degno  del  suo  maestro,  era 
Carlo  Cattaneo! 

Ma  ahimè,  non  tutti  possedevano  la  sagacia  le- 
gale del  vecchio  Romagnosi.  o  il  finissimo  intuito 
del  ventenne  Cattaneo;  e  i  più  si  perdettero  — 
non  per  bassezza  d"animo  —  ma  per  ingenuità  so- 
verchia, per  fatali  errori  di  tattica  defensionale. 

Pochi  intravvidero  ciò  che  una  dama,  di  cui  di 
recente  si  ravvivò  la  memoria  —  Cristina  di  Bel- 
giojoso  —  osservò  acutamente  nei  suoi  Studi  ai- 
torno  alla  storia  di  Lombardia.  Nelle  prigioni  del- 
l'Austria bisognava  cioè  scegliere  tra  un  sistema  di 
assoluto  diniego,  spinto  all'assurdo:  e  un  sistema 
di  piena  confessione.   Colui  —  dice  la  Beigiojoso 

—  che  sperava  di  restringersi  a  confessare  quel 
tanto  che  riguardava  sé  stesso  senza  pregiudicare  i 
compagni,  usando  schiettezza  da  un  lato  e  dissi- 
mulazione dall'altro,  era  perduto  —  perchè  l'inqui- 
rente accettava  negli  utili  la  confessione,  e  se  ne 
serviva  come  punto  di  partenza  ad  altre  scoperte. 
Le  polizie  di  tutta  Italia,  solidali  fra  loro,  forni- 
vano al  giudice  un  cumulo  enorme  di  informazioni  ; 

—  spie,  agenti  provocatori,  come  il  Castiglia.  l'avvo- 
cato Tornasi  ed  altri  miserabili  facevano  il  resto: 
sicché  a  lungo  andare  l'inquisito  si  vedeva  tagliata 
ogni  via  d'uscita,  e  riconosceva  troppo  tardi  d'aver 
danneggiato  sé  stesso  ed  altrui  per  la  sua  stessa 
generosità. 

Lo  storico    che  voglia  esser  sereno  e  obbiettivo 

—  non  obbedire  a  preconcetti  di  parte  o  a  smanie 
iconoclaste  —  deve  dunque  caso  per  caso  vagliare 
le  circostanze  che  trassero  un  patriota  a  confessa- 
re: e  indagare  più  che  tutto  V animo,  il  movente 
aperto  o  sottinteso,  della  sua  dedizione. 

A  far  ciò  non  occorre  molto  sforzo  di  acume:  la 
procedura  segreta  consentiva  ai  giudici  la  più  bru- 
tale sincerità  :  e  i  loro  atti  dicono  chiaro  quale  de- 
gli inquisiti  fu  delatore  volontario,  quale  fu  debole. 
quale  imprudente  ed  ingenuo. 

Ora  a  Maroncelli  gli  stessi  documenti  ufficiali 
ascrivono  a  merito  —  la  resistenza  di  sette  mesi  — 
gli  ingegnosi  tentativi  per  salvare  gli  amici  e  il 
fratello  —  il  pieno  sacrifizio  di  sé  stesso.  Confessò 
incalzato  dalle  circostanze,  tradito  dalla  propria 
imprudenza  di  grafomane,  dalle  altrui  delazioni, 
ma  nulla  mai  chiese  per  sé.  rassegnato  lietamente, 
con  la  spensieratezza  della  sua  gioventù,  ad  ogni 
più  crudele  patimento. 

Ne  si  accampi  —  come  scrisse  lo  Zajotti  e  i  suoi 
plagiari  d'oggi  ripetono  —  che  Maroncelli  voleva 
salva  la  cara  vita  ;  e  a  questo  scopo  f  uron  dirette 
tutte  le  sue  manovre.  Nei  suoi  costituti  di  Milano, 
palesandosi  Carbonaro,  Maroncelli  aveva  fatto  get- 
to della  vita  ;  e  fu  per  riscattare  il  fratello,  non  sé 
stesso  che  a  Venezia  parlò.   Aveva  così  poco  prov- 


veduto al  suo  interesse,  che  egli  solo  riportò  la  con- 
danna a  vent'anni  di  carcere  duro  —  ventanni  di 
Spielberg,  cinque  di  più  di  Pellico,  quindici  più 
di  Canova  ! 

L'incrudelire  perciò  sulle  debolezze  di  Maron- 
celli è  tanto  più  inescusabile.  dopo  quanto  egli  me- 
desimo addusse  a  propria  discolpa  in  un  brano 
inedito  delle  Addizioni,  pubblicato  dal  Mazzatinti. 

«  In  un  processo  così  geloso,  così  complicato  — 
«  scriveva  Maroncelli  —  era  quasi  impossibile  non 
«  solo  di  non  fare  involontariamente  qualche  male 
«  ma  talora  anche  impossibile  di  non  far  male  aspi- 
«  rando  precisamente  al  risultato  opposto.  Ed  io 
«  ero  divorato,  per  non  errare,  dal  bisogno  di  scri- 


P.  Maroncelli. 

«vere  qualche  motto  al  mio  Silvio,  del  pari  che  Sii- 
le vio  sentiva  il  bisogno  di  scrivere  a  me.  Egli  non 
«  osò,  non  potè  :  io  potei  ;  il  mio  biglietto  fu  fortu- 
«nato,  quello  del  povero  Silvio  non  lo  fu.  Io  restai 
a  privo  di  certe  intelligenze  che  io  invocavo  e  che 
«  per  esso  avrei  acquistate  ;  e  così  da  me  in  fuori 
u  nessuno  avrebbe  sofferto.  Chieggo  pubblicamente 
«  perdono  a  tutti  e.  per  la  milionesima  volta,  a  te, 
«mio  dolce  fratello,  che  hai  sempre  asciugate  le 
«  lagrime  che  questo  pensiero  mi  faceva  scorrere, 
«  rendendomi  la  giustizia  di  leggere  nel  mio  cuore 
«e  vederne  la  innocenza,  e  di  udire  dalla  bocca 
«  stessa  del  processante,  da  me  invitato  nel  dì  della 
«condanna  (dì  nel  quale  fummo  messi  insieme)  di 
«  far  diritto  al  reclamo  ch'io  facevo  alla  sua  co- 
li scienza.  Reclamai  di  dichiarare,  per  quanto  v'era 
«  di  più  sacrosanto,  che  io  m'ero  puro  d'ogni  infa- 
«  mia  :  lo  dichiarò  per  quanto  v'era  di  più  sacro- 
«  santo  ». 

Nessuno  potrà  disconoscere  la  veracità  e  la  schiet- 
tezza di  questo  passo  delle  Addizioni,  che  riceve  ora 
piena  conferma  dagli  atti  processuali. 

Le  proteste  d'onestà  del  Maroncelli  sono  ancora 
più  avvalorate  dall'atteggiamento  del  Pellico,  che 
dell'amico  parla  sempre  nelle  Mie  Prigioni  col  più 
tenero  affetto  ;  ed  io  mi  chiedo  con  quale  diritto 
s'impugni  la  testimonianza  di  Silvio,  così  veridico 
sempre,  che  dopo  otto  anni  di  convivenza  allo 
Spielberg,   scrisse  di    Maroncelli:   «Spiriti   più  no- 


6&J  LA   LETTURA 

l>ilì  i  non  .i\ 

suo  pochi  '.  >. 
Ripuj 

■  li  i  supporre  die  Pellico        in  ma 

il  una  tempra  tanti  nsil  il  a        potesse 

.  - !•  >[ m >  il  contatto  quo- 
,i   otto  lunghi    anni    ili  dolori,    nei   quali 
re  «li    rielati  I  ibe,   malgrado 

i,  finito  ]ht  denudarsi  più  la 
rnte. 

Mai   ncelli,  da  quel  crogiui  ilo  'li  pai  in 
■     •         mondi    dalle  scoi  noi  difetti, 

he  .1  Fondo  dell'animo  suocera  nobile  e  puro; 
e,  pur  ammettendo  i  suoi  orrori  funesti,  abbiamo  il 
dovere  ili  rispettare  il  patriota  mutilato  che  morì 
|vi\.  :   sentiamo  tratti  ad  a- 

mare  l'uomo  che  tra  gli  orrori  dello  Spielberg  con- 
Pellico, conservando  inalterato  (i    m        detto 
nelle  .1/..   Pt  ■  otti)  «   un  grande  amore  pei   la  giù 
•  stizia,   una  grande  tolleranza,   una    gran    Ri 
mirila  virtù  umana  e  negli  aiuti  della  Provvidenza, 
sentimento  vivissimo  del  bello  in  tutte  le  arti. 

«una  fai  i  'li  | sia,  tutte  le  più  amabili 

«ilnti  ili  mente  e  di  cuore!....». 

Giovita  Scalvini,  ehe  incontrò  Maroncelli  a  Pa- 
rigi, subito  dopo  la  sua  liberazione  dallo  Spielberg, 
scriveva    all' Arrivai  «-ne    'l'essere   incantati!    della 
modestia  di   quel    martire,    a  Parla   (i 
idamente  dei  suoi  patimenti  con  modi 
i  rasse  1 1  se  lette  in  un  n  manzo  », 
senza  vari  iza  pose. 

Ebbene,  è  questo  candore  che  ci  fa  rara  la  me- 
li.mia  di  Maroncelli,  come  le  sue  sventure  ce  la 
rendono  sacra;  e  non  ammettiamo  ehe  su  fallaci 
apparenze  e  su  incompleta  coni  -  dei  fatti  si 

ga  a  profanare  anche  la  pace  ili  quelle  povere 
travagliate,  che  la  sua  patria  richiamò  d'oltre 
nte  circonda  ili  riverenza  e  di  af- 


V. 


rsa  la  memoria  ili  Maroncelli  da  ogni  turpe 
il  processo  in  cui  egli  fu  involto  è  una 
pagina  delle  più  luminose  ilei  patriottismo  italia- 
no. Al  Pellico,  esaltato  dagli  stessi  giudici  au- 
striaci, stupiti  dello  sforzo  ''mi  cui  quel  gracile  or- 
ganismo aveva  per  lunghi  mesi  sostenuto  tal  tri 
glio  di  mente  e  di  fibra  da  •  restarne  convulso  per 
-  al  Pellico,  dissi,  fanno  corona 
altre  maschie  e  intemerate  figure:  primissimo  A- 
deodato  Ressi,  decoro  dell'Università  di  Pavia. 

Egli    era  di    alto    tradimento    per    non 

aver  denunziato  come  Carbonari  il  suo  benefatl 
conti-  Porro  e  il  suo  scolaro  Laderchi,  che  dell'as 
sistenza  paterna  ricevuta  dal  suo  protettore  I"  com- 
pensava con  una  delazione,  equivalente  a  una 
-  ■!;  morte  I... 

Era  infatti   i!  i ito   dal  mal 

doveva  trarlo  alla  tomba  :  e  la  sua  fine  Fu  accele 
rata  dai  I  carcere,  dal  supplizio  degli  in- 

•i        intollerabili  pei  la  sua  natura  - 


bile  ito.  1  ppure  il   Ressi  trovò  in 

udiri  ausi  i 
tutta  l'odiosità  d'una   legge  che  imponeva  lo  spio- 

La   sua  auto-difesa   ha   accenti  ci loventissimi 

di  coraggiosa  protesta.  \i  sono        egli  dice  —  le- 
gami   morali    i  le    basi    d'ogn 
\  ile                    che  non  è  le  iti  ■  ini  rangere.  Lo  im 
pone  "  una   \.  ce  alta  e  trasi  un    S'ume  al 
quale  tutti  gli  uomini   virtuosi    prestano  cullo  sin- 

ed  m\  iolal  'il     Vi  ii,  giudici.   fate\  i  uomini 
me  sono  io  e  ditemi  in  buona  fede  se  io  non  abbia 
troppo  grave  offesa  alla  vostra  \irtù 
dessi  alt  rimenti  ». 

Ma  l'animo  suo  sanguinava   più  di   tutto  per  il 
aveva  dovuto  subire  col  Laderchi: 
e   il    Ressi    ricorda    i  -  m   rai  caprii  rena,    in 

cui  il  giovane  sciagurato  ribadì  l'accusa  mortale 
pel  suo  maestro.  "Si  apre  una  porta,  e  il  maestro, 
il  padre,  il  benefattore  si  trova  di  fronte  di  que 
giovane  nell'umile  stato  ili  suo  accusato.  Le  parole 
mi  mancarono  e  le  lagrime  mi  caddero  dagli  oc- 
chi. 1!  volto  del  presidente  (Cardani)  si  turi...: 
certamente  egli  rendeva  allora  un  tributo  di  pietà. 
nnocente  oppresso.  Fu  rotto  il  silenzio  e  sentii 
confermarsi  il  soggetto  della  mia  imputazione: 
i  ne  il  beneficio  da  me  resogli  era  nella  sua 
bocca   i  argi  «tento  della  mia  perdita  I... 

"Ma  io  perdono:  il  mio  cuore  non  è  capace  di 
i  •  in  imento  ! » 

Sublimi  del  pari  sono  le  sue  discolpe  ]«-r  non 
aver  accusato  il  conte  l'orni.  "La  mia  coscienza 
—  egli  dice  —  mi  obbliga  a  non  lare  danno  al- 
trui e  a  nmi  arrischiar.  nmettere  un  delitto 
'"litro  la  carità  cristiana  e  contro  quelle  naturali 
obbliga/ioni  dell'amicizia  e  di  una  doverosa  grati- 
tudine verso  chi  spontanean  n  rara  gì 
rosità  mi  offerse  sussidi  ed  assistenza  in  una  deli- 
stanza  della  mia  vita». 

rerminò  col  metter  la  sua  avita»  nelle  mani 
dei  giudici,  che  vedevano  bene  comi-  l'infelice  pro- 
fessore non  potessi-  «a  lungo  sostenersi»;  e  Sal- 
votti  perorando  le  attenuanti,  rilevò  lo  staio  n 
laudo  del  Ressi  e  il  «terribile  conflitto»  in  cui  si 
era  trovato  «di  accusare  Laderchi.  giovinetto  dalle 
più  belle  speranze,  ch'esso  amava  teneramente*. 

Un    Monarca   che    avesse   avuto    un    briciolo    di 
cuore,   avrebbe  assolto  senz'altro:    Francesco   1    re- 
atto  di  grande  clemenza   il  condannai'-   A 
dato  Ressi  a  cinque  anni  di  carcere  duro !.... 

Per  atroce  ironia,  la  sentenza  giuns.  mia 

quando  il  Rossi  era  già  morto:  e  si  discusse  a  lungo 
in  si-ii"  della  Commissione  se  la  sentenza  dovi 
promulgarsi  tal  quale.  Salvili  proponeva  che  si 
ommettesse  il  nome  del  Ressi,  parendogli  odii 
mente  grottesca  la  condanna  d'un  morto:  ma  la 
Commissione  deliberò  che,  anche  su  questo  minu- 
scolo incidente,  dovessero  invocarsi  «  i  lumi  su|h- 
riori  ii  ;  e  lordine  da  Vienna  suonò...  jmt  l'inclu- 
sione del   Rossi  ! 

Soltanto  doveva  aggiungersi  nella  sentenza  il 
nota  Leno  che  per  riguardo  al  R.-ssi  «cessava  la 
disposizione»   adottata   di   trasportarlo  a   Lubiana. 


LA    LETTURA 


i  ,85 


«attesa  la  'li  lui  morte  naturale».  Col  qua]  ultimo 
epiteto  di  «naturale»  sperava  tursi-  l'Austria,  co- 
me Pilato,  di  proclamarsi  innocente  del  sangue  'li 
quel  giusto  !.... 

Insieme  al  Ressi,  altri  tre  imputali  d'ommessa 
denuncia  furono  coinvolti  nel  processo  di  Vene- 
zia: e  tutti  si  contennero  ammirevolmente.  Alfredo 
Rezia  parlù  da  soldato  d'onore  contro  l'obbligo 
dello  spionaggio:  il  conte  Arrivabene  censurò  l'im- 
moralità d'un  codice  che  non  riconosceva  neppure 
1  doveri  dell'ospitalità,  sacri  ai  selvaggi;  Roma- 
gnosi,  infine,  non  fiaccato  dagli  anni,  affermò  la 
vittoria  d'un'alta  coscienza  giuridica  contro  le  in- 
sidie della  procedura  austriaca. 

I  giudici  di  Venezia,  relativamente  miti,  racco- 
mandarono la  maggiore  indulgenza  per  Maroncelli 
e  Pellico;  assolsero  Arrivabene.  Romagnosi,  Cano- 
va. Rezia  e  —  in  seconda  istanza  —  anche  il 
Ressi. 

II  Senato  di  Verona  volle  la  condanna  dei  tre 
ultimi,  e  l'Imperatore  la  sanzionò,  lasciando  ina- 
scoltati gli  appelli  alla  clemenza,  che  gli  avevano 
rivolto  r  primi  giudici,  pur  tanto  zelanti  nel  suo 
servi/'   ! 


A  Francesco  1,  nell'angustia  della  sua  mente  e 
nell'aridità  del  suo  cuore,  parve  d'essere  un  secondo 
Tito,  limitandosi  ti  spezzare  -  con  venti  e  quin- 
dici anni  di  Spielberg  -  la  giovinezza  di  Maron- 
celli e  'U  Pellico,  rei  «lei  tentativo  platonico  'Il 
piantare  la  Carboneria  a  Milano;  condannando  a 
ein  |tte  anni  di  carcere  duro  un  moribondo,  ad  al- 
tri cinque  anni  un  povero  diavolo  di  comico,  o 
il  Canova,  colpevole  dell'inaudito  delitto  di  aver 
portato  un  paio  ili  lettere  da  Milano  a  Bologna; 
e  a  tre  anni  il  Rezia  che  aveva  ritenuto  disdicevole 
per  un  ex-capitano  d'artiglieria,   il  farsi   delatore. 

Sua  Maestà  fu  molto  sorpresa  quando  gli  rife- 
rirono che  alla  lettura  della  sentenza  il  Rezia  non 
aveva  potuto  reprimere  «parole  irriverenti  d'ingra- 
titudini »  contro  la  sua  augusta  persona. 

Francesco  I  non  sognava  nemmeno  che  le  invet- 
tive d'uno  schietto  e  animoso  soldato  anticipavano 
il  giudizio  della  storia  sul  suo  governo  in  Italia. 
Un  regime,  che  inaugurava  così  insensate  e  feroci 
repressioni,  annullava  ogni  pregio  che  potesse  a- 
vere  di  retta  e  oculata  amministrazione,  e  segnava 
inappellabilmente  la  sua  condanna. 


Alessandro  Luzio. 


I. 


—  Maddalena,  è  vero,  non  è  mia  figlia,  ma  certo 
nessuno  al  mondo  le  vuol  tanto  bene  quanto  gliene 
voglio  io.  Che  brava  figliuola!  Senza  di  lei  in  casa 
mia  non  so  rome  si  potrebbe  vivere. 

E  mentre  il  sor  Luigi,  un  bell'uomo  florido  dalla 
barba  grigia,  si  scaldava  lodando  la  figliuola  di 
sua  moglie  con  un  signore,  che  gli  stava  dinanzi 
appoggiato  al  banco  della  grande  drogheria,  die- 
tro di  lui  nella  retrobottega  si  vide  passar  leggera 
una  fanciulla:  portava  un  vestito  semplice  di  lana 
grigia  e  un  ampio  grembiale  d'indiana  turchina. 
Sor  Luigi  si  volse  al  leggero  fruscio: 

—  Ah,   Maddalena  ! 

Anche  la  giovane  si  volse  e  si  fermò.  Non  era 
bella  ed  era  molto  seria,  tanto  che  a  prima  vista 
poteva  sembrar  rustica  ed  imbronciata;  ma  ap- 
pena si  fece  avanti  per  parlare  il  suo  viso  s'illu- 
minò d'un  tratto  e  tutta  la  sua  persona  prese  un'aria 
gentile  di  timidezza;  la  sua  voce  era  molle  e  ca- 
rezzevole come  quella  d'una  bimba  che  ha  paura 
di  riuscire  importuna. 

—  Mancano  parecchie  balle  nuove.  -  -  disse 
accennando  un  mucchio  di  balle  che  stava  in  un  an- 
golo del  magazzino. 

- —  Si  troveranno,  non  aver  paura;  quando  le 
cose  le  guardi  tu  non  si  perde  niente,  —  rispose 
sor  Luigi,  e  le  posò  paternamente  la  mano  sulla 
testa. 

Maddalena  arrossi,  si  restrinse  in  sé  stessa 
nell'art  »  d  ardarsene: 

—  Torno   a   contare   le  balle  —   disse;    salutò 
con   un   cenno   del    capo   e  si    ritirò   nella   retrol».! 
tega;    dove   passando  metteva  a  posto  le  panche, 
le  cassette    assettava  gl'involti  e  le  carte,  clic  sta 
vano   sopra   una  gran  tavolacela   di    legno  greggio. 

Fattosi  pn  sso  all'  uscio,  sor  Luigi  la  seguiva  con 
gli  occhi;  |»'i  volgendosi  all'amico  disse  sottovoce 
accompagnando  con  ani  d'entusiasmo  le  parole: 

—  l'asta  che  passi  Maddalena,  perchè  tuttovada 
in  ordine.  Che  brava  figliuola! 


—  Come  mai  non  la  maritate  ancora? 
Mah....  —  fece  sor  Luigi,  sorpreso  dalla  do- 
manda e  un  po'  seccato,  come  se  l'amico  avesse  vo- 
luto mettere  in  dubbio  i  meriti  di  Maddalena  — 
è  vero  che  non  sarebbe  più  presto;  lei  però  non  ci 
]h  usa.  qui  sta  tranquilla  e  contenta:  io  poi,  —  ag- 
giunse sospirando,  —  non  sono  che  padrigno,  non 
too  :a  a  me  brigare  in  questa  faccenda  ;  tocchei 
piuttosto  a  sua  madre....  Povera  Adelaide!  ci  sta 
tanto  bene  adesso  con  la  sua  figliuola....  Basta,  non 
ne  parliamo:  per  me  vi  assicuro  che  sarebbe  un 
brutto  giorno  quello  che  mi  vedessi  uscir  di  casa 
Maddalena. 

Intanto  Maddalena,  nella  retrobottega,  accostan- 
dosi allo  scrittoio,  che  stava  sopra  uno  zoccolo  di 
legno  incastrato  fra  gli  scaffali,  ed  aveva  una  spe- 
cie di  bussolotto  con  una  finestruola  che  metteva 
in  negozio,  vide  seduto  dinanzi  a  un  grosso  regi- 
stro un  giovinetto  esile  e  pallido,  sulla  cui  fronte 
s'alzavano  floridi  e  folti  i  neri  capelli.  Maddalena. 
sorpresa,  lo  salutò-  egli  rispose  cosi  mezzo  tra  ru- 
stico e  impacciato.  La  fanciulla,  guardandolo,  ri- 
cordò d'averne  udito  parlare  il  giorno  innanzi,  capi 
subito  chi  era.  e.  come  per  rimuovere  la  confusione. 
disse  : 

—  Forse  erano  sue  quelle  carte  che  stavano  sulla 
tavola:  le  ho  messe  nel  cassetto.  In  cosi  dire  le 
trasse  fuori  e  si  allungò  per  posarle  sopra  la  scri- 
vania, presso  la  quale  il  giovane  s'era  alzato  in 
piedi  senz'aver  proferito  parola. 

Quand'ella  si  allontanò  con  le  braccia  ingombre 
di  cartocci,  di  balle  e  di  panni,  Andrea,  che  invo 
lontanamente  aveva  udito  le  parole  del  sor  Luigi. 
le  guardò  dietro,  deponendo  per  un  istante  la  sua 
aria   rustica  e  indifferente. 

Andrea  era  il  nuovo  computista  entrato  a  ser- 
vizio del  droghiere.  Non  aveva  ancora  ventanni: 
era  uno  di  quei  poveri  ragazzi  che  studiano,  sin 
diano,  e  poi  alla  fine  non  raccapezzano  nulla.  Aveva 
il  diploma  d'istituto  tecnico,  aveva  fatto  un  anno 
'li  matematica  all'università,  mettendosi  per  sbar 
care  il  lunario  presso  un  libraio:  credeva  di  poter 
studiare    in    mezzo   a    tanti    libri,    ma    s'era     ingan- 


nati»,  perchè  c'era  tanto  da  fare  a  negozio,  che  se 
nel  giorno  frequentava  qualche  lezione,  la  sera  poi 
doveva  restarci  lino  a  tard'ora  e  non  gli  rimaneva 
tempo  di  far  nulla. 

A  fin  d'anno,  com'era  naturale,  non   potè  pren- 
dere gli  esami  :   aveva  bisogno  di  campare  la  vita  ; 


lo  stipendio  del  libraio  non  bastava  ;  l'aveva  ac- 
cettato solo  per  la  speranza  di  poter  seguitare  gli 
studi:  ora  le  illusioni  erano  svanite,  aveva  fatto 
concorsi,  s'era  dato  d'attorno,  ma  la  sfortuna  lo 
perseguitava  e  fu  assai  che  potesse  ottenere  il  me- 
schini» impiego  di  computista  nella  drogheria  del 
sor  Luigi. 

Aveva  una  personcina  agile  e  schietta,  il  colorito 
bruno,  i  lineamenti  delicati:  e  l'aria  tona  di  chi 
ha  troppo  lottato  invano  per  l'esistenza  mal  s'ad- 
diceva a'  suoi  grandi  e  umidi  occhi  neri,  alle  sue 
labbra  fresche  e  tumide  come  quelle  d  un  bambino. 
1  disagi  e  i  patimenti  sofferti,  cosa  strana,  ma  pur 


ANDREA  687 

non  insolita,  lo  facevano  parere  anche  più  giovane 
di  quello  che  era;  e  a  vederlo  si  provava  quel  senso 
■  li  tenerezza  profonda  che  destano  i  fanciulli  dal- 
l'aspetto patito.  Povere  creature,  senza  colpa,  sfio- 
rite innanzi  ai  ventanni  dalle  fatiche  e  dai  disagi: 
il  sentimento  di  pietà  più  sublime  che  ingentilisce 
il  cuore  umano  è  per  essi.  Possa  la  loro  generosa 
resistenza  trionfare  sulla  feroce  iniquità  del  de- 
stino ! 

Andrea  passava  quelle  vaghe  giornate  d'autunno, 
che  a  Roma  sono  così  belle,  così  intonate  col  carat- 
tere altero  e  mesto  del  paesaggio  infinito,  della 
città  magnifica  e  delle  maestose  rovine,  solo  in 
quella  retrobottega  senz'aria  e  senza  luce,  scrivendo 
e  conteggiando  da  mane  a  sera.  Xon  si  curava 
punto  del  via  vai  degli  avventori,  anzi  per  non  ve- 
dere e  per  non  essere  veduto  non  stava  più  di  fronte 
alla  finestra  che  dava  in  bottega,  s'era  messo  di 
fianco. 

Così  si  sentiva  un  po'  più  libero,  così  talvolta  po- 
teva anche  rompere  la  monotonia  del  suo  lavoro, 
trastullando  la  più  forte  delle  sue  passioni,  la 
musica.  S'abbandonava  qualche  istante  con  la  te- 
sta e  con  tutta  la  persona  rifacendo  a  bassa  voce 
i  motivi  musicali  che  gli  tornavano  a  mente  e  che 
<-"ir.posti  e  discreti  sembrava  che  gli  sgorgassero 
dal  cuore. 

Per  il  lungo  esercizio  fatto  nel  negozio  del  li- 
braio Andrea,  era  molto  abile  e  svelto  a  sbrigare  il 
suo  lavoro  ;  e  nei  ritagli  di  tempo  o  leggeva  gior- 
nali, o  talvolta  disegnava  con  amore  fioretti  e  fi- 
gurine tutte  accurate  e  precise.  Oltre  la  naturale 
attività  e  il  gusto  dell'arte,  a  ciò  lo  portava  anche 
il  suo  carattere  altero  e  quasi  sdegnoso:  egli  rifug- 
giva dal  l'immischiarsi  e  dal  ciarlare  con  gli  uomini 
di  bottega,  ai  quali  non  rivolgeva  che  le  parole 
necessarie.  Così  poi  otteneva  anche  di  allontanare 
da  sé  l'indiscreta  curiosità  loro,  cosa  questa  che  gli 
poteva  riuscir  bene  solo  in  una  città  grande  e  indif- 
ferente come  Roma. 

Il  padrone  trattava  Andrea  con  quelle  maniere 
benevole,  che  tengono  quasi  sempre  gli  uomini  d'af- 
fari con  le  persone  più  colte  per  farsi  da  loro  ap- 
prezzare. Oltre  i  lavori  di  computisteria,  Andrea 
sbrigava  anche  la  corrispondenza  inglese,  tede- 
sca e  francese,  e  specialmente  per  questa  sua  co- 
noscenza di  lingue  straniere  era  tenuto  da  tutti 
nella  più  alta  reputazione. 

La  padrona,  sora  Adelaide,  o  sora  Lalla,  come 
la  chiamavano  a  Roma,  scendeva  di  rado  in  nego- 
zio ;  Andrea  l'aveva  veduta,  dopo  molti  giorni,  una 
sera  che  egli  per  certi  lavori  staordinari  si  trat- 
tenne anche  dopo  che  il  negozio  fu  chiuso:  era  an- 
cora una  bella  donna  alta,  dritta,  bianca,  con  molti 
capelli  crespi  già  un  po'  canuti,  gli  occhi  larghi,  la 
lincea  sorridente,  e  una  bellissima  dentatura.  Non 
rassomigliava  quasi  affatto  a  Maddalena:  la  fi- 
gliuola non  era  bella,  ma  parlando  faceva  traspa- 
rire da  tutto  il  suo  aspetto  una  luce  e  una  grazia 
squisita  ;  nella  madre  invece  il  parlare  era  tanto 
scolorito  che  non  dava  nessun  rilievo  alla  bellezza- 
La  sora  Adelaide  fu  gentile  con  Andrea,  lo  sa- 
lutò e  lo  compianse,  perchè  aveva  dovuto  lavorare 


LA    M    l  i 


ini  he  Maddalena,  sua  ma 
ri  da   poi 
'■ 
il  q,  si  trattenne  un    p  zzet- 

bella  serenità  d'una    i 

indo  senza  che  gli 
iveva   pass 

II. 

mattina  che  Andrea  prima  d'andare  a  ne- 

doveva  fare  per  conto  del  padri  i  om- 

■n  un  biglietto  Barbera,  la  s 

una  specie  di  contadina   Furba,  pi- 

sa;    ,i\  rebbe  potuto  lasciare  il  big] 

al  portiere,  ma  la  curiosità  vinse  la  pigrizia  e  salì 

fino  all'ultimo  piano,  dove  Andn  i  nella  sua  stanza 

reparava  ad  usi  ire.  L'uscio  che  dava  sulla  s 
era  socchiuso  e  Barbera  col  pretesto  che  vi  poteva 
re  risposta  entrò  senz'altro  nella  stanza  del  gio- 
attorno  lo  sguardo  curioso.  La  stanza 
era  p  on  un  balconcino  che  'lava  su  un 

cortile,   senz'alt ra   vista  che    quella    degli    stracci 
sulle  finestre  la  grande  altezza  tut- 

tavia la  rendeva  luminosa.  Chi  sa  che  caldo  rab- 

inzuccia, 
i  alzando  la  m  ceava  il  si  ffitti  >.    rutto 

il  mobilio  consisteva  in  un  lettino  ili  terni  sottile. 
un  baule,  due  sedie  e  un  tavolino  su  cui  stavano 
vari  oggetti  ili  uso  diverso,  molte  earte  in  disordine 
e  un  mandolino.  Sul  muro,  disposte  con  una  certa 
vaghe/za.  c'erano  vecchie  fotografie  artistiche,  al- 
mpe  e  alcune  tavolette  dipinte  senza  cor- 
nice. 

—  Lei  sta  benissimo  qui  Barbera,  riti- 
randosi dal  bali' me.  cui  sera  affacciata  —  qui  al- 
meno c'è  un  po'  d'aria:  laggiù  da  noi  si  sta  proprio 

in  una  tomba.   F.   non  ,'•  mira  il  male  del  ne- 

e  del  magazzino,  tutta  la  casa  è  senz'aria  e 

I      non  c'è  mai  \  enuto  su  in  casa  - 

—  \ 

sopra  al  negozio  nel  mezzanino;   e  i 
lanini  a  Roma  mica  son  tanto  sani.  Le  mi 

entono  nit  ite  si- 

gnore, è  vero,  ma  non  conta  nulla.  Una  volta,  erano 
tutt'altro  che  signore,  son  del  mio  paese,  io  li 

n  irte  del  maestro,  cioè  del 
padre  di  Maddalena,  erano  due  disgr; 

ite  un  bel  pezzo  nella  mi- 
ancora.    I 
del   sor  Luigi   non  volevano  rh'egli   spos 
Lalla.  1  ir  viva  la  madri-  del  sor  Lui- 

gi,  n  perchè    era 

:   erano  gli  altri  quei  che  facevano 
ino  più  che  mai  con   la 
paura  del  I      si  ira   1  .ali 

voi!  ii  Luigi,  dovette  abbandonare  la 

uola  :   del   resto  non  tra  grande 

.ho  di  me 
or  Luigi   insieme  ci  n  la 
l  apprincipio  la  sora 


poco    a    poco  ha    cominciato    a    venire    sempre    più 
spesso,  e,  l'altr'anno  quando  la  madre  i   stata  male, 

. '11111.1     per    sempre.      Kss.l    pelo    11"I1     si    deve    sell- 
er.I.    perei  ■     ii"!i    coni. inda    affati 

lavora  peggio  .1  una   serva.   Le  i 

padre»  disse    Barbera    per  conchiudere, 

dendo  che   Andrea  '-ra  già   in   ordini  ad 

—  Le  ho  vedute. 

E  bh  ne,  quelle,  se  sa]  tare 

le  gran  signore,  invece....   I".  vedi 
saprei  lare  un  po' meglio,  gliel'assicuro.  Dunqui 

—  No. 

—  Ah!    lei   ci    sta    bene  quassù   -      fece   ancora 
Barbera,  che  quando  s'era  messa  a  parlare  non 
\a\a  più  la  via  d'andarsene.  —  Lei  non  è  mica 

di  Roma? 

—  No. 

—  1')    io  avevo    già   ■    i1                dicendo  qui 
parol  iva  sull'uscio  e  finalmente  se  ne  ai 

11  biglietto  affidava  ad  Andrea  una  comm 

lucia,  e  il  giovane  si  mos  più 

contento  di  quello  che  per  il  suo  carattere  avrebbe 

ato   immaginare.    Si    ha   un    bel   essere   fri 
chiusi   e   indifferenti,    le   prove   di    stima    commuo- 
vono sempre,  e  per  i  giovani  sono  lo  stimolo  più 
forte   che    li    spinge    volonterosi    all'onesto   opei 
Anche  a  negozio  il  sor  Luig  apre  molto 

ile  con    Andrea,   si   mostrava   soddisfatto    del- 
l'opera  di  lui  e  gli  dava  speranza    di  migliore  av- 
re. 
Era  vicina   la  solennità   di    Natale,   e   un 
mentre  Andrea   sene   andava,    sor    Luigi   gli  gì 
dietro: 

—  Senta.   Adelaide  e  Maddalena  voleva™ 
tarla  al  cenone  di   Natale. 

11    giovane   si    volse  e   si    feri 

—  No,    ti",    v  .   glielo   diranno    loro   do- 

Andrea  mormorò  di   nuovo:    •  buona  sera  •  ed 
uscì  frettolosa 

Aveva  provato  tuia   stretta,  un.\ 
di    dolore,    era  to   più    pallido   e    ineons 

mente  sentiva   gravare   sull'anima   ci  me  un 
strani  pn  tte  non  fu  calma  ;    - 

;     trovare   una    gius 

dormì    poco,    e    la    mattina    prestissin 

ndo  che 
a  quell'ora  insolita,  venne  a 
mente   in  :.i   lavorai 

|i 
press  \ 

niente    illuminato;    il    portone    stava   semi 
l'anni,  il  più  vecchio  dei   facchini,  era  tutt 
ntorno  alle  spi  in 

a    iht  entrare,   allorehi    dal 
mezzo  aperto  uscirono  due  donni 
■  rialzato  sul  o  ilio  e  serrato  sul  - 
padrone  che  andavano  alla   novena  .1     s 
•  Irea   non    poti  -irle  e  le   salutò,    li 

irità   di   quell'ora    gli   da 
un  i 


ANDREA 


689 


1  pochi  mortali  che  sono  desti  si  trattano  con  mag- 
t  confidenza  e  si  fanno  festa  tra  loro,  come  fa- 
rebbero i  superstiti  di  un  terribile  contagio. 

—  Già  pronto  per  cominciare,  sor  Andrea  ?  — 
fece  la  sora  Adelaide. 

—  E  lor  signore  ci  mie  mai  fuori  a  quest'ora? 
—  disse  il  giovane. 

—  Tutte  le  mattine  andiamo  alla  novena  qui  a 
Sant  Andrea.  Oh  '.  già  che  ci  siamo  incontrati — fece 
ancora  la  sora  Adelaide  —  le  voglio  dire  una  cosa: 
senta,  la  vigilia  di  Xatale  lei  deve  venire  a  far 
penitenza  con  noi.  Ci  fa  un  piacere  grande.  Si  ri- 
cordi, alle  nove  in  punto. 

Andrea  restava  li  triste  e  impacciato;  allorché 
Maddalena    ravvivò   il    discorso   aggiungendo: 

—  Venga,  venga.  Dopo  cena  si  va  alla  messa  di 
mezzanotte:  c'è  della  musica  stupenda,  sa:  a  lei 
piace  la  musica  buona,  nevvero  ? 

Fu  come  girar  la  la  chiavetta  della  luce  elettrica. 
Andrea  si  ravvivò  tutto  in  un  istante,  alzò  la  fronte, 
girò  gli  occhi  scintillanti,  schiuse  le  labbra  mo- 
strando i  denti  bellissimi  e  lasciò  uscire  un  fremito 
sommesso  e  lungo.  Era  strano  quel  raggio  di  luce 
d'arte  su  quel  povero  visetto  pallido,  che  aveva 
sempre  un'espressione  di  dolore. 

Si  salutarono  senz'altro  parole. 

Nei  pochi  giorni  che  seguirono,  Andrea  si  pentì 
cento  volte  d'avere  accettato  l'invito:  perdeva  la 
propria  libertà  :  avrebbe  voluto  fare  tante  cose 
proprio  quella  sera  che  doveva  stare  in  casa  del 
suo  principale  :  pareva  che  tutto  il  suo  tempo  con- 
-se  in  quella  sera.  Ma  per  altro  l'idea  di  far 
piacere  a  quelle  due  buone  signore  gli  era  molto 
gradita,  e.  se  fosse  venuto  un  ostacolo  a  impedirgli 
d'andare,  è  certo  che  ne  avrebbe  provato  rincresci- 
mento. 

III. 

La  sera  del  Xatale  in  casa  del  droghiere  tutti 
erano  in  festa  e  in  grandi  faccende.  La  sora  Ade- 
laide pareva  una  gran  dama  così  bianca,  con  un 
abito  viola  guarnito  di  velluto,  co'  suoi  bei  capelli 
crespi,  che  sulla  fronte  eran  grigi  e  si  rialzavano 
dietro  leggeri  e  voluminosi  attorti  in  una  gran  trec- 
cia nera.  Maddalena  aveva  un  vestito  nuovo  di 
lana  verde-oliva  con  uno  spalloncino  di  merletto, 
che  aveva  fatto  ella  stessa.  Era  tutta  affaccendata 
con  le  guance  accese  passando  continuamente  dalla 
cucina  alla  sala  da  pranzo  :  i  suoi  capelli,  natural- 
mente rialzati  sulla  fronte  e  un  po'  crespi,  le  si 
etano  arruffati  con  una  grazia  composta  e  il  grem- 
bialino chiaro,  che  portava  per  salvare  il  vestito,  le 
dava  l'aria  semplice  e  fanciullesca  d'un'educanda. 

Andrea,  entrando,  provò  tutte  le  ripugnanze  che 
mai  avesse  in  quei  giorni  presagito  ;  con  uno  sforzo 
Si  n  rumano  fece  i  complimenti  d'uso  e  serio  serio 
si  mise  a  sedere  un  po'  in  disparte.  Gl'invitati  sta- 
vano intorno  ai  padroni  :  erano  quasi  tutti  pic- 
coli negozianti,  che  si  provvedevano  alla  droghie- 
ria  del  sor  Luigi.  Il  vermouth  era  stato  servito  e 
la  conversazione  ferveva  già  avviata  da  qualche 
tempo  :  sor  Luigi  parlava  più  del  solito,  faceva 
motti  di  spirito  e  complimenti  :  era  tutto  gentile  e 

La  Lettura. 


felice  in   mezzo  ai   suoi   clienti  che  gli   lusingavano 
l'amor  proprio  ripetendo: 

— ■  Lei  sì,  lei  ha  saputo  fare,  lei  è  ricco,  lei  non 
se  ne  importa  più  di  nulla  e  di  nessuno. 

—  Scusi,  se  tardiamo,  lei  s'annoia  —  disse  Mad- 
dalena passando  in  fretta  accanto  ad  Andrea.  — 
Vuol  un  libro? 

Egli  si  volse  schiarendo  il  viso,  come  chi  non 
vuole  che  la  propria  noia  possa  essere  noiosa  ad 
altri.  Maddalena  prese  coraggio. 

—  Ecco  le  poesie  del  Leopardi  e  quegli  altri 
due  libri  —  disse  accennando  uno  scaffaletto  — 
sono  le  Prigioni  del  Pellico  e  la  Gerusalemme  del 
Tasso. 

—  Grazie,  grazie,  mi  piace  questo. 

—  Bello,   newero? 

—  Ah    maraviglia  ! 

I  vicini  si  volsero  maravigliati,  sentendoli  par- 
lare, e  sor  Luigi,  tanto  per  dir  qualche  cosa,  tutto 
allegro  disse: 

--  Maddalena  è  brava,  sa  far  parlare  anche 
quelli  che  non  ne  han  voglia. 

Maddalena  era  già  corsa  in  cucina.  Andrea  sor- 
rise ;  con  quel  sorriso  Andrea  ebbe  scossa  da  sé 
l'oppressione  e  la  noia  che  sentiva,  ed  ebbe  aperto 
il  varco  alla  socievolezza:  col  viso  sereno  si  mise 
a  sfogliare  le  poesie  del  Leopardi. 

A  pranzo  mangiava,  beveva  di  gusto  e  a  quando 
a  quando  faceva  qualche  breve  osservazione  spiri- 
tosa, che  riusciva  tanto  più  efficace,  perchè  aveva 
un  tono  risentito  e  triste.  E'  sempre  schietto  e  forte 
lo  spirito  di  certe  persone,  punto  allegre,  per  le 
quali  riesce  doloroso  quel  lato  deforme  delle  cose 
che  per  gli  altri  è  ridicolo. 

Dopo  pranzo  vennero  dei  bambini,  e  ce  n'era  uno 
piccolo  di  due  anni.  E'  impossibile  immaginare  la 
pazienza  e  la  tenerezza  d'Andrea  per  quel  bambi- 
no: lo  guardava  con  premura,  lo  reggeva,  perchè 
in  grazia  del  caldo,  dei  confetti  e  del  rosolio  quel 
piccinino  folleggiava  come  un  pazzarello.  e  metteva 
urli  di  gioia  così  schietti,  che  riempiva  d'allegria 
tutta  la  stanza  :  poi.  quando  cominciò  a  stancarsi  e 
a  sbadigliare.  Andrea  lo  prese  sui  ginocchi  e  si 
mise  a  baloccarlo  coi  cavallucci  di  carta  che  fa- 
ceva Maddalena.  Per  vedere  d'intrattenerlo  ancora, 
poiché  cominciava  a  stranirsi.  Maddalena  infine 
andò  a  prendere  l'album  delle  fotografie.  Il  bam- 
bino guardò  le  prime,  poi  si  mise  a  sonnecchiare. 
Andrea  intanto  prendeva  vivo  interesse  a  vedere 
quei  ritratti,  che  Maddalena  illustrava  brevemente, 
facendogli  intendere  che  ciascuna  di  quelle  imma- 
gini goffe  e  sbiadite  sapeva  destare  nell'anima  una 
lunga  storia  di  ricordi  e  di  affetti. 

—  Guardi,  ecco  il  povero  babbo  con  la  mamma 
quando  si  sposarono....  babbo  Luigi....  la  povera 
zia.  sorella  di  mamma  ;  avesse  visto  che  bellezza  ! 
Questo  è  suo  figlio,  morto  in  Africa,  chi  sa  come! 
Non  si  è  potuta  avere  la  notizia  certa  neppur  della 
morte....  Questo  è  di  nuovo  il  povero  babbo  con 
due  signorini  suoi  scolari....  questa  son  io  con  mia 
cugina  :  ci  cresimammo  insieme,  e  la  nonna  eh 
madrina  di  tutte  due  ci  fece  fare  il  ritratto  proprio 
quel  giorno.  Vede,  abbiamo  il  nastro  della  cresima 

44 


I«|n 


LA    LETTURA 


I         .    i.i   nonna....    Questi 
i  la  mamma. 

ma  i  lii  li  ha  fatti  ? 
ti  un  dilettante  :  fu  il  male  della  luce... 

qui  non  è  il  malo  tirila  luce,  è  il  male  'li 
Lei  1  I  he  bel  ritrattino  '. 
—  Non  le  par  troppo  serio? 
Ni  p,  I 

•.ini  non  ce  n'è  più  —  disse  Maddalena 
rere   le  rimanenti   pagine  tutte  vuote, 
chiudendo  l'album  si  alzò  per  riporlo. 
Il  bambino  dormiva  sui  ginocchi  d'Andrea  ada- 
mollemente,  come  se  tosse  in  grembo    alla 
mamma.   Tutti    furono  d'intorno  al   giovane  animi 
lamio  la  pazienza  e  le  bella  grazia  che  aveva  per 
i   bambini.    Egli   gradiva   i  complimenti  ili  quelle 
itili  e  con  tutta  delicatezza  reso  il 
bimbo  a'  suoi  genitori,  che  s'erano  messi  in  ordine 
per  amia;  addormentato  lo  presero  e 

s'avviarono  a  casa. 

Era  già  tarili,  e  tutti  cominciavano  a  disporsi  per 
andare  a  messa  a  Santa  Maria  Maggiore  Andrea, 
tutto  disinvolto,  era  già  entrato  in  comitiva  con  gli 
altri  nomini  e  non  voleva  certo  rifiutare  l'invito.  Le 
donne  comparvero  con  le  mantelline  e  il  cappello, 
1  ironie  ai!  uscire. 

Barbera  portò  un  punch,  che  quasi  tutti  bevei 
in  piedi  e  tono  in  due  gruppi,  davanti 

le  donne  e  dietro  gli  uomini  ;  cosi  il  cicaleccio  era 
più  denso  e  l'allegria  più  schietta. 

Al    ritorno,    com'era    naturale,    ognuno    prese    la 

via  di  casa  e  la  comitiva  si  disfece:    ma  Andrea, 

■il  sapesse  cogliere  il  destro  di  congedarsi, 

o  elle  lo  facesse  proprio  volontieri,  accompagnò  a 

il  suo  principale. 

Mezzi tte  era   già  p  i   un'ora;    la  luna 

non  c'era,  e  una  vaga  infinità  ili   stelle,  miste] 
e   lontane   nel   buio  del  cielo,    sembravano   festeg- 
giare la  grande  solennità  ili  quella  notte.   S'incon- 
travano encchi   'li   persone,  si   vedevano   finestre   il- 
luminate,   s'udiva    d'ogni    parte   rumor   di   carrozze 


e  'li   \  ita.    I       sora    Adelaii :  .  ■         m  al 

braccio  del   marito,   i  due  giovani   si   mis 
dinanzi,    senza    ]>erò    darsi    il    braccio.     Maddalena 
tremava    dal     freddo,    e    Andrea    aveva    acquisi 
tanto  spirito  in  quella  oscurità,  dopo  tante  ore  di 
\ita  socievole,  che  quasi  quasi  si  permetteva  di  can- 
zonarla,   perchè    era    tanto    freddolosa.     Parlarono 
musica  udita  e  fecero  i  loro  apprezzamenti; 
Andrea    se    ne    intendeva    assai:     Maddalena    1 
mirò,  ed  egli  se  ne  [uè.  Arrivati  alla  porta. 

ella  si  dolse  che  per  causa  loro  Andrea  avesse  do- 
vuto allontanarsi  da  casa  sua;  egli  respinse  il 
complimento  e  salutò  tutti   ringraziando. 

La  strada  per  andare  a  casa    fi  sen- 

tiva il  grato  effetto  di  quel  pranzo  eccellente,  di 
quell'ora  gaia  (lassata  con  Maddalena  intorno  al 
vezzoso  bambino,  della  stupenda  musica  udita  in 
chiesa,   della   i  ita   a    fianco  di    Maddalena, 

che  (remava  dal  freddo,  ed  era  tanto  buona  e  gen- 
tile. Gli  pareva  di  entrar  ora  nella  vita  e  per  la 
prima  volta  pensava  die  dovesse  esser  bella  ;  non 
s'accorgeva  che  le  ore  più  helle  passavano  allora; 
egli  vagheggiava   l'avvenire.  Sem]  quando 

si  gode  realmente,  si  pensa  che  la  gioia  presente 
non  debba  essere  che  uno  scalino  per  salire  a  una 
gioia  maggiore,  che  non  esiste;  e  il  bene  reale  non 
si  osserva  e  non  si  apprezza  che  quando  ,    passato. 

IV. 

Andrea  sera  affezionato  alla  casa  dei  droghiere, 
non   si   lagnava   neppur   seco   stesso  del   meschino 
stipendio  che  percepiva  e  si  assumeva  più  la 
di  quello  che  gli  fosse  richiesto.  Certo  non  era  il 
droghiere  che  lo   spronava   a   far   tanto;    da  qual- 
che tempo  gli  dolevano  le  giunture,  ed  aveva  come 
un  po'  d'artrite  e  di  gotta:   non  essendo  mai  stato 
ammalato,    s'era    avvilito    in    modo   straordinai 
temeva  che  il  suo  malessere  non  mettesse  poi  ca- 
po a  qualche  grave  malattia   di   cuore:    era  tutto 
pieno  di   malinconie,   non  pensava  che  a'  suoi 
mali    e  non    s'accorgeva   neppure    di    tutto   lo 
lo   spiegato  da  Andrea.    E    Andrea    con   la 
generosità,    propria   di    chi    non  ha    ancora   20 
anni,  lavorava  indefessamente  e  amava  quella 
famiglia,   che  sola   gli   pareva    di   conoscere   al 
mondo  e  per  la  quale  lavorava  tanto. 

Maddalena  1 1-  mpre  qual- 

che  volta    nella    settimana    scambiava    spesso 
quattro  parole:  ed.  ella  sapeva  g  li  era 

^  stato  un   anno  dal   libraio, 

che  sonava  il  mandolino. 
che  auliva  la  poesia  e 
ammirava  i  versi  di  S 

..me.    col 

quale  ima  domenica  1 
va  veduto,  era   il    suo  mi- 
gliore  amico,    uno   studen- 
te ili  legge  buono,  alli  - 
ih.-  si  chiamava   Muschia- 
rosa. 

Una    volta    Andre 

un    ritrattino 


ANDREA 


69I 


tulio  vecchio  e  sbiadito,  dov'era  una  donna  con  la 
\este  e  la  pettinatura  ali  antica;  e  stretto  accanto 
a  lei  stava  in  piedi  un  bimbo  piccolo,  che  le  posava 
tutte  due  le  manine  sui  ginocchi.  Era  lui  con  sua 
madre. 

—  E'  la  sua  mamma?  —  chiese  Maddalena. 
Morta  di  parto  —  rispose  Andrea  — ;    ero 

piccolo,  ma  la  ricordo,  la  ricordo  morta  con  la  sua 
creaturina  allato. 

Dinanzi  a  un  ricordo  così  triste  e  così  vivo,  Mad- 
dalena tacque,  dolendosi  della  sua  domanda. 

Un  giorno  egli  le  regalò  dei  versi  di  Stecchetti 
su  un  giornale  socialista:  un  altro  giorno  ella  gli 
trovò  sullo  scrittoio  un  grosso  libro  chiuso,  su  cui 
intravide  in  grande  la  parola  soiiui/sino.  e  sotto  in 
un  medaglione  una  testa  arruffata  con  un  nome 
scritto  intorno.  Maddalena  si  chinò  a  leggere  atten- 
tamente tutto  quel  frontispizio,  poi  levando  gli  oc- 
chi attoniti  negli  occhi  di  Andrea: 

—  Ma  è  un  socialista,  lei  ?  —  chiese  con  voce 
incerta  e  sommessa. 

—  Io,  —  fece  il  giovane  scotendo  il  capo  e  sor- 
ridendo tristamente  —  io  sento  una  gran  simpatia 
per  quelli  che  combattono,  per  quelli  che  soffrono. 

—  Contro  il  solito  la  sua  voce  acquistava  il  i-alore 
dell'eloquenza.  —  Se  lei  sapesse  che  lotte,  che  mi- 
serie vi  sono  al  mondo  !  Io  lo  so.  lo  so  bene,  io  — 
disse ,  fissandola   severamente  con   occhio   altero. 

—  E  anch'io  —  disse,  tratta  dalla  suggestione 
di  quello  sguardo,  la  ragazza,  che  protese  il  braccio 
e  posò  la  mano  sul  libro  come  se  giurasse. 

Poi  sciogliendosi  da  quell'orgoglio,  che  l'aveva 
come  accostata  al  giovane,  modestamente  soggiunse 
ritirando  la  mano,  su  cui  la  traccia  del  lavoro  se- 
gnava un'impronta  di  forza  gentile: 

—  E  quel   libro  lì  che  cosa  dice? 

—  Sono  cose  complicate,  sa.  non  si  possono  spie- 
gare in  poche  parole. 

—  Ma  dice  che  si  devono  spartire  ugualmente  le 
ricchezze  fra  lutti  ? 

—  Mai  più  :  quest'è  un  libro  di  studi  sociali, 
tratta  delle  relazioni  che  ha  la  produzione  col  la- 
voro e  col  capitale.  Le  cose  sono  complicate  ;  io 
temo  che  lei  non  possa  neppur  capire  la  quistione. 

Alla  meglio  che  sapeva.  Andrea  cercò  di  spiegare 
la  tesi  generale  e  le  mutate  condizioni  della  pre- 
sente società.   Maddalena  pendeva  dal  suo  labbro. 

—  Ma  lei  la  capisce  proprio  cotesta  questione? 

—  disse  Andrea  guardandola  mezzo  tra  maravi- 
gliato e  soddisfatto. 

—  Sì.  sì,  io  la  capisco  e  mi  piace. 
Maddalena  era  una  donna  all'antica,  di  prinripii 

sani  e  solidi,  la  quale  poteva  benissimo  capire  le 
idee  nuove,  e  senza  ostinazioni  e  senza  repugnanze 
adattarsi  ai  necessari  mutamenti  della  società.  Nel- 
lo stesso  modo  noi  vediamo  spesso  che  agli  usi  più 
moderni  i  mobili  antichi  si  prestano  assai  meglio 
dei  nuovi,  perocché  hanno  sempre  quell'immenso 
vantaggio  d'essere  in  certo  qual  modo  più  temprati 
e  perfetti. 

Andrea  lodò  Maddalena. 

—  Del  resto,  sa,  che  lei  capisca  io  non  mi  ma- 


raviglio ;   lei  è  molto  intelligente  ed  è  anche  assai 
colta. 

—  Quand'ero  bambina  a  casa  m'insegnava  il 
povero  babbo  e  a  scuola  ci  avevo  delle  maestre 
tanto  brave  —  disse  Maddalena  abbandonandosi 
soavemente  ai  più  dolci  e  più  gloriosi  ricordi  del 
suo  passato. 

Andrea  trascorreva  le  sue  giornate  solo  in  quella 
retrobottega  oscura  e  umida  lavorando  sempre  e 
non  avendo  altro  conforto  che  quello  di  vedere 
qualche  volta  la  gentile  Maddalena.  La  luce  elet- 
trica, che,  per  l'oscurità  della  stanza,  bisognava  te- 
ner accesa  anche  di  giorno,  gli  aveva  fatto  male 
agli  occhi,  e  que'  begli  occhi  grandi  e  puri  erano  di- 
ventati gonfi,  tutti  rossi  ;  egli  non  pareva  più  quello 
di  prima. 

—  Ma  che  cos'hanno  i  suoi  occhi  ?  —  gli  chiese 
Maddalena,  che  fu  la  prima  ad  accorgersene. 

—  Effetto  della  luce  elettrica  —  rispose  lui  con 
la  più  grande  indifferenza. 

—  Per  carità  !  s'abbia  riguardo  ;  non  lavori  più 
di  sera  e  faccia  qualche  cosa  per  curarsi. 

Pochi  giorni  appresso,  Andrea  aveva  gli  occhi 
più  gonfi  e  più  rossi  che  mai  :  teneva  seco  un  paio 
d'occhiali  scuri,  ma  non  poteva  portarli,  perchè  gli 
davano  noia  anche  quelli. 

—  Come  mai  !  I  suoi  occhi  van  peggio  —  gli 
disse  Maddalena. 

—  Ho  sbagliato  la  dose  della  medicina  —  ri- 
spose egli  con  una  calma,  che  certo  era  volontaria- 
mente esagerata. 

—  Ma  sono  pur  suoi  quegli  occhi  !  Abbia  un  po' 
di  premura.  Senta,  lei  non  deve  più  star  lì  a  scri- 
vere ;  la  luce  che  vien  dal  negozio  è  troppo  rcarsa, 
la  luce  elettrica  le  fa  male.  Venga  qui.  qui  almeno 
c'è  un  po'  di  luce  naturale. 

In  un  angolo  della  retrobottega,  come  in  una 
nicchia  profonda  scavata  nel  grosso  muro,  c'era 
un'ampia  finestra,  che  stava  sul  lato  stretto  d'un 
lungo  cortile  ;  uno  de'  lati  maggiori  era  limitato  da 
un  muro  basso  che  arrivava  appena  all'altezza  del 
mezzanino. 

—  Guardi,  la  scrivania  la  mettiamo  per  questo 
verso;  così  lei  viene  ad  avere  la  Iure  buona  da 
mano  sinistra  e  di  contro  ha  proprio  il  muro  basso. 
Se  vuol  fare  lo  sgombro  adesso,  l'aiuto  anch'io.  An- 
diamo. 

Quel  curioso  lavoro  di  trasportar  mobiglio,  che 
rallegra  tanto  i  bambini,  li  metteva  di  buon  umore. 
Tirarono  da  parte  sacchi  e  casse,  spostarono  scaffali, 
poi  trascinarono  lo  zoccolo  di  legno  e  vi  posero  su- 
pra  la  scrivania,  che  si  trovò  quasi  all'altezza  della 
finestra. 

Erano  tutti  rossi  dalla  fatica  e  ridevano. 

—  Provi  un  po'  a  sedersi  qui,  vedrà  che  ci  si 
sta  bene. 

— 1  Ci  si  sta  bene  davvero.  —  disse  lui.  che  era 
disposto  a  trovar  tanto  più  bella  una  cosa  pensata 
da  Maddalena  — ;  qui  c'è  anche  un  po'  d'aria  mi- 
gliore. 

—  E  lei  da  se  non  ci  pensava  nemmeno  ! 

Egli  si   strinse  nelle  spalle  sorridendo  con   aria 


ÒQ2 


LA    LETTURA 


modi  Maddalena  piw ò  un  bri- 

vido .li  pietà  e  di  i  a  mirare  quel  sorrìso 

in  quei  i  e  sf<  irmaì  i  dal 

primavera  s'andava  avanzando  e  l'aria  dolce 
da  quella  profonda  finestra,  e  il  lon- 
brillare  dei  raggi  del   sol  >  nel!  ani 

\  _ ini  piii  belle  e  si t&y  i.  i  sen- 

i  mi  piìi  di  itili.  Il  valore  e  l'eni 

ano;  egli  non  sentiva  più  alcun  peso 
di  fatica  e  il  lavoro  procedeva  rapidamente  bello  e 
nitido  in  quell'onda  'li   primavera  e  di  gio- 

Rapito  nell'ardore  della  sua  atl  i\  ita,  An- 
drea sognava,  sognava  una  creatura  vaga,  cui  la 
sventura  rendeva  più  saggia  e  più  buona;  sognava 
ch'ella  lo  ama-  Fi  sserosoli  soli  nel  mondo  ed 

more  potesse  consolarla  e  difenderla 
gli  iiiMiln  della  fortuna.  E,  quando  la  vaga 
ura  della  sua  fantasia    pigliava  forma  più  de- 
terminala e  precisa,  aveva  l'aspettoe  lo  sguardo  di 
Maddalena. 

Con  una  tenerezza   ed   una   gioia,   che  certo  non 
ino  i  signori  in  mezzo  alle  strane  maraviglie 
che  serre,  Andrea  ammirava  un  ciuffo 
di   fiori    nati  sul  tetto  in  cima  al  muro  basso  che 
gli  s>  contro.  Si  vedevano  bene:  erano  fioretti 

gialli,  una  ■  di  piccoli  astri  coi  petali  intorno 

lunghi,  molli  e  frangiati,  parevano  occhietti  dai  ci- 
Andrea  li  mirava  aprirsi  festosi  al  caldo 
o  del  sole,  abbandonarsi  molli  alla  lieve  carezza 
del  vento:  talvolta  si  chiudevano  sdegnosamente 
alle  oscure  minacce  delle  nubi  e  tutti  serrati  tre- 
mavano all'urto  della  pioggia  e  dei  nembi. 

\ndrea  amava  quei  fiori  e  guardandoli  gli  pa- 
reva che  la  vita  in  qualunque  condizione  potesse 
r  bella;  sentiva  per  sé  di  non  invidiare  alcuno. 
e  non  avrebbe  ceduto  per  tutti  i  tesori  del  mondo 
la  cortesia  affettuosa  di  Maddalena,  che  per  la  sua 
vita  era  eome  il  sole;  come  il  sole  che  splendeva  su 
quei  cari  fiorellini  senza  nutrimento  e  senza  cura. 
ini  per  caso,  là  fra  i  tegoli  anneriti  sulla 
cima   del   vecchio  muro. 


Intanto   la   drogheria    del    sor   Luigi    aveva   cam- 
'      o  aspetto:    il  padrone,  che  non  aveva  mai  ab 
bandonato  il  banco  del  negozio,  ora  mancava  spes 

.   benché   il   caldo   di    giugno  gli   avesse  calmato 

le  doglie  articolari,  tuttavia  era  sempre  molto  pn 

de'  suoi  mali,  abbattuto,  lagnoso,  pallido 
pallido,  ionie  se  avesse  l'itterizia.  Sora  Adelaide 
M  "  na  idi  paravano  a  tutto  jmtere  per  solle- 
varlo e.  combattendo  la  sua  invincibile  inerzia,  lo 
ano  a  consultar  medici  e  a  curarsi  sul 
Nessuna  delle  due  donne  scendeva  più  quasi 
affatto  in  negozio  e  si  notava  una  certa  ti 
ranza    speciali!  Ila    retrobottega,    tanto    più 

inni,  il  più  vecchio  dei  facchini,  stava  al 
banco  quasi  continuamente. 

Ito  ondeggiare  fra  diversi  pareri,  dopo 


aver,  come  un  bambino,  fatto  impazzire  quelle  due 
povere  donne,  che  vi  'levano  cura  mei  ite  il 

soi    Luigi  cedette  e  s'indusse  a   lasciai    Roma  per 
qualche  settimana  e  andar  ai  bagni  di  Montecatini. 

—  Ah  !  lei  che  ha  i  mezzi  farebbe  un  bello  spro- 
posito a  non  curarsi         gli  dicevano  gli  .unni  e 

gli    uomini    di    negozio.  Vada    un    po'    Inori    ili 

Roma   e   si    divaghi,    si    divella    In    che    può. 

I    picchiai    batti  si  persuase  davvero,  ruppe  gli 

indugi   e   parli    accompagnato   dalla  sora    Adel 
Il  lavoroe  la  responsabilità  crebbero  specialmi 
pei     Andrea,    che    in  questa    occasione    nasse    buon 
frutto  dal   suo  caratteri    naturalmente  grave  e  se- 
rio,  in   grazia   del   qi.de   non   ebbe  i.   fare   ala 
sforzo     per      mantenere      l'autorità     nell'assenza 
del    padrone.    Si    può   dire  che  tutto,  tutto  era   rac- 
colto  nelle  mani   di   lui;    ed  egli  si   mostrava   pari 
a  qualunque  più  grave  e  delicato  ufficio:   era  pieno 
di  dignità   quel  giovinetto  esile  dal   viso  pallidi 
mesto. 

Non  era  lontano  il  termine  che  sor  Luigi  av* 
fissato  per  il  ritorno,  allorché  Maddalena  ricevi 
una   lettera  di  sua  madre: 

n  Da  qualche  giorno  Luigi  non  sta  bene,   i  me- 
li  dici   gli   consigliano   di    restare  qualche  tempo   an 
«  cura   a   Montecatini,   ma    lui    n  -     già    siamo 
«  ebbe    una   lebbretta.   che    lo   spaventi',  molto. 
«  glio    tornare    a    Roma,    diceva,    voglio    morire    g 
.      .sa  mia.  Io  capisco  che  è  stata  una  cosa  leggera, 
a  che  sarebbe  meglio  dar  retta  ai  medici 
«  un  altro  po',  già  che  ci   siamo;    ma  tuttavia  |«-f 
a  non   contraddirlo  ho  già   stabilito   di    partire.    Se 
«  non  si  cambia  pensiero  arriveremo  a  Roma  do- 
ti mani  sera  alle  sette  e  dieci. 

«  Luigi  a  Mi 'liti  ratini  non  si  trova  bene  e  sai 
«  perelu-  p.-rchè  non  ci  sei  tu:  ti  nomina  e  ti  de- 
«  sidera  sempre.  Siamo  tanto  pentiti  di  non  averti 
«  presa  con  noi:  mai  più  andremo  via  senza  di  te». 

Era  verso  la  metà   d'agosto  e  il  caldo  a  Roma 
insopportabile;    quando    arrivò    la    lettera    della 
sora   Adelaide,  la  casa  era  piena  di  malinconia:  la 
povera    Maddalena  era  sola   sola,  triste  e   avvilita. 
Quella  benedetta  Barbera  approfittava  della  bontà 
di  lei  e,  dacché  erano  [urtiti   i  padroni,  non   a. 
piti   voluto  far  nulla:    diceva  che  era   sfinita, 
non  si  reggeva  e  da  qualche  giorno  s'era  messa  a 
letto,  ostinandosi   a   non  volere  che  si  chiamasse  il 
medilo.     Maddalena    doveva    pensare    a    tutto,     t.ir 
tutto  e  servili'   l'ammalata,  che  non  era   pi 
screta.  Prendere  risoluzioni,  introdurre  persone  nuo- 
ve  non    vnl.-va.  perchè   mancavano   i  genitori    e 
era  tanto  stanca,  che  non   aveva  nessuna   forza   di 
Vi  ili  ìiI.'i  : 

Si  'i'     vecchia,   la   mia  giovinezza   é  finita,    fi- 
nita    per    sempre  diceva     tra    sé,     sentendosi    op- 

dal   peso  della  solitudine  e  della  fatica. 
La   lettera   arrivò  il   lunedi   mattina:    la  domt> 
d'i   er    stata   più  triste  degli   altri  giorni,  pi  i 
il  negozio  abbasso  era  chiuso  e  non  si   sentiva  nep- 
pure  lontano  e  confuso  quel  solito  rumore  di  • 
che  alunno  un  poco  la  confortava.   La   lettera  con 
la  triste  notizia  della  salute  del   sor  Luigi   fece  tra- 
boccar  la  malinconia.  Le  parve  vicino  il  giorno 


ANDREA 


6q3 


sarebbe  con  sua  madre  ripiombata  nella  miseria; 
a  questo  pensiero  rabbrividiva  di  sgomento:  non  si 
poteva  fare  alcuno  schermo  contro  il  destino,  ma 
non  poteva  neppur  rassegnarsi  senza  sentirsi  tutta 
avvilita  e  disfatta. 

Barbera  mangiava  come  un  lupo,  ogni  momento 
bisognava  portarle  qualche  cosa.  Maddalena  cu- 
cinava, puliva  la  casa,  stirava,  rigovernava  in  cu- 
cina ;  e  i  lavori  pesanti  che  le  sciupavano  tutte  le 
mani  l'avvilivano  tanto  più,  perchè  non  cera  nes- 
suno che  la  vedesse  e  la  confortasse. 

Quel  giorno  che  arrivò  la  lettera,  il  pomeriggio 
sembrava  eterno  per  Maddalena:  Barbera  dormiva 
come  un  ghiro,  ed  ella  s'abbandonava  ai  più  tristi 
pensieri. 

—  Babbo  sta  male  ed  è  in  viaggio  —  pensava 
-  e  il  male  s'aggraverà  sempre  di   più.   Vergine 

Santa  !  —  esclamava  —  aiutateci  voi  ! 

Avrebbe  voluto  pregare,  ma  non  aveva  ne  forza, 
né  volontà  :  mentre  stava  così  tutta  inquieta  ed 
inerte,  le  passò  per  la  mente  il  pensiero  di  accen- 
dere il  lume  alla  sua  buona  Madonna  che  stava 
in  una  nicchia  giù  nella  retrobottega  e  aveva  di- 
nanzi sospesa  una  piccola  lampada.  Di  buon  grado 
s'appigliò  alla  bella  idea,  che  le  era  venuta,  e  scese. 
Dappertutto  un  fresco,  un  buio,  un  silenzio  che 
pareva  quello  della  tomba:  tutte  le  finestre  erano 
chiuse',  tutte  le  tende  calate  ;  dal  negozio  non  ve- 
niva il  più  piccolo  rumore.  Ella  camminava  leg- 
gera, quasi  temesse  di  turbare  quel  sacro  silenzio. 
Entrò  nella  retrobottega,  trasse  di  tasca  un  mazzo 
di  chiavi,  s'accostò  a  un  credenzone  per  togliere  un 
moccoletto  di  cera  da  porre  nel  bicchierino  della 
lampada. 

Andrea,  dinanzi  a  lei.  presso  la  finestra  ch'era 
sul  lato  opposto,  stava  scrivendo  ;  ella  lo  vedeva 
di  scorcio  :  la  bella  testa  dalle  foltissime  chiome 
giovanili  era  chinata  ;  tutto  raccolto  e  composto,  il 
giovane  attendeva  al  suo  lavoro;  con  la  blusina 
sciolta  e  leggera,  che  indossava,  la  sua  persona  ap- 
pariva più  esile  e  schietta.  Maddalena  lo  contem- 
plò un  istante  con  aria  triste.  Nel  cercare  che  fece 
la  chiave  dell'armadio,  il  mazzo  le  sfuggì  di  mano 
ed  essa  lo  lasciò  andar  per  terra,  quasi  volonta- 
riamente, e.  per  farsi  sentire  da  Andrea,  chinan- 
dosi dietro  le  chiavi,  mise  un  alto  e  lamentoso 
sospiro  di  stanchezza. 

Andrea  si  rivolse  di  scatto  balzando  in  piedi. 

—  Lei...  !  Che  ha  ? 

—  Nulla.    Sono   stanca,    stanca   morta. 

-  Coraggio  —  diss'egli  con  un   leggero  sorriso 
—  hanno  pur  scritto  che  tornano  stasera. 

—  Sì,  hanno  scritto,  ma  babbo  non  sta  bene  ; 
ha  scritto  solamente  mamma  ;  ci  deve  essere  qual- 
che cosa  di  grave,  vedrà  che  non  arrivano.  Io  alla 
stazione  non  ci  vado,  perchè  son  sola  ed  ho  Bar- 
bera ammalata,  ma  tengo  per  certo  che  non  arri- 
vano ;    vedrà,  purtroppo  vedrà  che  non   arrivano. 

Aveva  voglia  di  piangere,  sentiva  un  nodo  di 
pianto  che  le  serrava  la  gola  ;  per  non  farsi  ve- 
dere si  volse,  trasse  il  moccoletto.  l'assettò  nella 
lampada  e  l'accese.  Andrea,  ritto,  immobile,  con  le 
braccia  indietro  e  le  mani   appoggiate  sulla  spal- 


liera della  sua  sedia,  seguì  muto  l'opera  pia  della 
fanciulla,  che  si  fermò  un  istante  dinanzi  all'ima- 
gine  sarra,  poi  si  volse,  salutò  Andrea  con  un  sor- 
riso mesto,  con  un  cenno  del  capo,  come  se  fosse 
in  chiesa,  e  s'allontanò  leggera  senza  far  sentire 
il  rumore  de'  suoi  passi.  In  quella  stanzaccia  umi- 
da e  tetra,  Andrea  sentì  diffondersi  tutta  una  luce 
sacra  di  purezza  e  di  candore,  come  se  fosse  pas- 
sato l'angelo  della  fede  e  della  pietà. 

VI. 

Maddalena  risalì  in  casa  :  non  aveva  mangiato 
dalla  mattina,  e  Barbera  cominciò  a  sollecitarla 
che  non  si  lasciasse  indebolire  di  stomaco  e  prepa- 
rasse da  pranzo. 

-  Lei  è  abbattuta  dalla  debolezza,  si  vede  a 
guardarla  ;  sfido  io,  qui  non  si  mangia  mai.  Ah  se 
io  stessi  un  po'  meglio,  le  assicuro  che  non  la  la- 
scerei cascare  a  quel  modo.  Senta,  lei  s'affligge 
troppo  per  il  babbo,  vedrà  che  non  ha  nulla.  Ha 
paura  di  morire  — ■  lei  dice  —  ma  questo  non  conta 
niente  ;  il  padrone  è  fatto  così,  a'  suoi  mali  ci 
vuol  sempre  dare  una  grande  importanza  :  io  lo 
conosco  bene,  sa  ;  del  resto  i  malati  che  pensano 
a  mettersi  in  viaggio  non  stanno  poi  tanto  male. 
Si  faccia  animo,  signorina  mia,  e  mangi.  Per  so- 
stenersi, anche  in  mezzo  ai  dispiaceri  e  alle  angu- 
stie della  vita,  bisogna  mangiare.  E'  inutile:  sacco 
vuoto  non   sta   dritto. 

Maddalena  quel  giorno  si  commoveva  per  nulla. 
non  avrebbe  potuto  parlare  senza  piangere:   passò 


in, i  LA    LETTURA 

in  cui  mise  a  preparare  il  pranzo  per  sé  e 

pei  l  Vveva  la  tesi  i  pesante,  la  gola  inaridi- 

ta, i  inoso  e  le  mani  ardenti:  aveva  un 

veva  a\  uta  nella  notte  e  ne 

i 
dell: 

'.i  dirlo  che  era  malata'  Non  c'era  nes- 
sus  era    ne  essaria,  ed  ella  si 
proprio  per  forza. 

!..  il  pranzo  a  Barbera,  poi  tornò  in  cucir] 
non  ebbe  voglia   ili   apparecchiare  e   mangiò   pur 
ini      '  cadere  sopra  una  sedia  accanto 
ai  fornelli:  tutto  le  pareva  salso  ed  amaro,  la  vi- 
dei db)  le  faceva  quasi  schifo.  Si  diede  poscia 
a  rigovernare  e  a   riporre,  che  in  cucina  erra  un 
tale   ch'essa    medesima    si    meravigliava 
d'averlo  fatto. 

Povera  mamma,  col  babbo  ammalati!  in  che 
bella  rasa  arriva!   Per  tener  l'ordine  ci  vuol  testa 
i  tra  sé        ;   io  non  ne  ln>  più  — e  tremava 
al  pensiero  ili  averla  perduta  per  sempre. 

Aveva  già  accomodato   il    fuoco,    l'aveva  rincal- 
rto  ili   ceneri.',   perchè  si   mantenesse,  ci 
aveva   assettato  sopra  la   pentola   per  far   che  ci 
meno  un  po'  ili  brodo  caldo  per  quei  che  do- 
vevano arrivare.  Erano  le  sei,  bisognava  aspettare 
un'ora  e  mezzo  certo  prima  che  arrivassero  e  Mad- 
dalena già  si  sentiva  invasa  dall'impazienza  che  si 
I  rova  aspettando;  non  aveva  né  forza,  né  volontà 
di  far  nulla,  e  tanto  meno  poteva  riposare,  perchè 
addosso    una    specie   di    irrequietezza    e   di 
smania. 

Non  sono  venute  né  lettere,  né  telegrammi, 
arrivano  certo:  babbo  sarà  stanco  e  disfatto  dal 
viaggio  e  dal  male,  mamma  sarà  tutta  affannata 
pei  condurlo  a  casa,  e  alla  stazione  non  troveranno 
nessuno  che  li  aspetti.  Che  cosa  penseranno  di  me? 
Penseranno  che  io  sia  indifferente  e  trascurata.  Ma 
io  sto  male!  disse  alzandosi  stringendo  con  le 
mani  le  tempie  che  ardevano.  —  Smaniava  e  pa- 
reva che  invocasse  una  tregua,  un  perdono.  Trasse 
un  profondo  sospiro,  s'avviò  alla  camera  di  Bar- 
bera e  aperse  l'uscio: 

— ■  Voi  dovreste  restar  sola  —  le  disse  — ;  io 
vorrei  andare  alla  stazione  incontro  a  loro. 

—  Ah,  va  bene,  vada  pure  ;   mi  dispiace  di  non 

poteri  venire  insieme.  Dica  alla  signora  ch'io  non 

i   mi  abbia,  ma  sono  sfinita.  Ah,  che  dolore 

non   poter  far  niente  per  i  miei  padroni,  ora  che 

devono  arrivare! 

\l     dalena    »i   mise  il  giacchettino  e  il  cappello 
ed  usi  i  vestii  me  stava:  venne  al  tram,  che 

a  quell'ora  trovò  pieno  zeppo;  dovette  restare  in 
piedi  sulla  piattaforma.  S'aggrappò  forte  con  le 
mani  ad  una  traversa  e  stette  lì  ritta  con  gli  occhi 
incantati  senza  veder  nessuno,  lasciandosi  urtare, 
e  insensibile,  senza  fare  il  minimo  atto 
di  sdegno:  era  avvilita  e  compiangeva  sé  stessa; 
ido  il  tram  fu  sfollato  e  il  conduttore  le 
disserti  sto  da  sedere,  rifiutò  con  un  cenno 

lei  capo:  non  lia  neppure  di  muo- 

versi. 

Alla  staz  r.i  molto  tempo  da  aspet- 


tate .    Maddali  tse  smarrita   e   senza    ra 

pezzarsi   di   nulla   prese  il   biglietto  d'ingresso  ed 

entro   sotto   la    tettoia. 

I    treni   fischiando   entravano  e  uscivano   con    un 

isso  'In-  le  turbava  l'anima.    In  mezzo  al  via 

\  ;n  i  facchini  urlavano  bestemmiando  ;  uno  le  diede 

un  urlone  e  invece  di  chiedere  scusa  la  strapazzo 
con  male  parole.  Essa  tu  intimorita,  guardò  in- 
torno: tutte  le  Iacee  etimo  oscure  e  indifferenti; 
un  vecchietto  dei  baffi  tinti,  che  passeggiava  come 
mio  sfaccendato,  le  lece  una  sdolcinatura  che  ella 
senti    come   un   insulto.    Ma  pen  venuta    li 

sotto  alla  tettoia?  Perchè  non  era  rimasta  all'uscita. 
dov'i  !>'  ii  più  fa  ile  e  più  sicuro  vedere  chi  arriva? 
Scemato  alquanto  il  fracasso,  i  suoi  pensieri  piglia- 
vano un  lugubre  andare.  Il  cuore  le  diceva  che  non 
sarebbero  arrivati  e  sarei 'In-  venuto  invece  loro  un 
telegramma  disperato;  allora  ella  avrebbe  voi 
pamr  sul  no.  ma  non  aveva  denari  in  tasca.  Que- 
sti pensieri  fantastici  e  strani  l'incalzavano  e  l'op- 
primevano come  un  s'  oso;  tutta  im- 
bronciata, con  gli  occhi  gonfi  di  lacrime,  tornava 
verso  l'uscita,  dove  il  cancello  si  chiudeva  proprio 
allora:  senti  chiamarsi  da  una  voce  sommessa  e  si 
volse  tutta  dolente  d'esser  trovata  lì  sola  in  quella 
desolazione.  Ma  quando  vide  Andrea,  appoggiato 
di  fuori  alle  sbarre  del  cancello,  che  la  fissava  con 
tenerezza  e  pareva  contento  di  vederla,  si  rallegrò 
d'un  tratto:  era  un  amico  vero  e  gli  amici  veri  con- 
fortano sempre. 

—  Aspetti;   prendo  il  biglietto,  entro  anch'io. 
Maddalena  sospirò  come  se  si  alleggerisse  d'un 

gran  peso,  di  tutto  il  peso  di  quella  tremenda  so- 
litudine, e  quand'egli  le  si  accostò  e  le  strinse  la 
mano,  essa  lo  fissò  sorridendo  con  gli  occhi  lu- 
centi dì  lagrime. 

—  Ah,  che  fortuna  —  disse  —  che  e'  è  lei  ! 
Io  mi  sentivo  proprio  morire,  avevo  come  paura, 
ho  fatto  tanti  pensieracci  tristi. 

—  Ma  perchè?  ma  perchè?  —  ripeteva  Andrea 
—  senza  vedere,  senza  capire  nulla,  invaso  com'era 
dal  piacere  di  confortare  Maddalena. 

Maddalena  era  ancora  tutta  sbigottita,  parlava 
molto,  come  per  appoggiarsi  a  lui.  per  cincondarlo 
e  stringerlo  con  le  sue  parole,  perchè  non  sfuL'L 

—  Se  lei  sapesse  quanto  stavo  male  !  Ormai  pian- 
gevo, sa. 

—  Possibile! 

—  Mi  guardi  negli  occhi,  se  non  mi  crede. 
Kgli    fissò  con   aria  inquieta  gli   occhi   dolci   di 

Maddalena;  eblie  un  sorriso,  una  mossa  strana; 
Maddalena  trepidante,  accorgendosi  di  aver  pas- 
sato il  segno,  lo  guardò  con  occhio  pietoso,  ed  egli 
si  rie.  .ii 1 1  ><  ise  tosto 

Ha  pianto  davvero!  Ma  perchè?  lo  non  ca- 
pi» 1 1 

Maddalena   spiegava   le   ragioni   della    sua    tri- 
stezza e  de'  suoi  timori,  che  s'erano  orribilmente  in- 
granditi nella  sua  testa  :  ma  in. 
lava   la   sua  voce,   senza  badar  mollo  alle  parole  e 
pn  Lriva  di  sentire  spiegare  anziché  capire 

Passeggiane! 5Ì    un    pezzettino.    A   un   ti 


ANDREA 


udì  un  fischio  da  lungi.  I  due  giovani  tutti  smar- 
riti si  guardarono  l' un  l'altro  e  divennero 
pallidi. 

—  Perchè  è  venuto  alla  stazione,  lei?  —  do- 
mandò, bruscamente,  Maddalena. 

In  quella  improvvisa  domanda.  Andrea  sentì 
tutta  l'inquietudine,  il  timore  e  il  vago  rimorso. 
che  aveva  assalito,  come  il  suo.  anche  l'animo  della 
fanciulla.  Diventò  serio  e  triste. 

—  Sono  venuto  —  disse  —  perchè  ci  sono  af- 
fari urgenti  :  devo  spedir  telegrammi  stasera  e  avrei 
bisogno  di  parlar  prima  con  lui. 

—  Il  treno  di  Civitavecchia,  il  treno  di  Civi- 
tavecchia —  si  udì  ripetere. 

—  Ma  rome?  —  Questo  non  è  il  treno  di  Fi- 
renze? ma  che  ora  è?  —  disse  Maddalena. 

—  Le  sette  e  venti  —  fece  Andrea  mostrandole 
l'orologio  —  il  treno  di  Firenze  dovrebbe  essere 
arrivato  da  dieci  minuti. 

Interrogarono  con  premura  un  impiegato  dal 
berretto  rosso  coi  galloni  d'oro,  il  quale  era  tutto 
occupato  a  dar  ordini. 

—  Il  treno  di   Firenze? 

—  E'  in  ritardo  —  rispose  quegli  distrattamente. 

—  Di  quanto? 

—  Di  mezz'ora. 

—  Che  facciamo?  —  disse  Maddalena  rivolta 
ad  Andrea  —  vuol  aspettare  lei  ? 

—  Io  sì. 

—  Aspetterò  anch'io,  già  che  sono  venuta. 

La  vaporiera  entrava  maestosa  sotto  la  tettoia  con 
un  rumore  assordante.  Dinanzi  a  quello  spettacolo 
tanto  maraviglioso.  che  sempre  par  nuovo.  Mad- 
dalena si  sentì  come  sollevata.  S'avvicinò  ad  An- 
drea per  non  smarrirsi  nella  confusione  e.  quasi  a 


compensarlo  della  brusca  domanda  di   poco  prima. 
traendo  un  sospiro: 

—  Ah.  fortuna  che  c'è  lei!  —  gli  ripetè  affettuo- 
samente. 

Egli  non  rispose,  ma  con  premura  le  riparò  gli 
urti   della   folla. 

Si  trassero  vicino  al  muro,  al  di  là  dell'uscita,  e 
Maddalena  si  lasciò  andare  sopra  un  sedile  pr 
l'ufficio  dei  bagagli.  Andrea  restò  in  piedi  accanti 
lei,  e  stettero  così  qualche  tempo  senza  vedersi,  senza 
parlare,  guardando  il  via  vai  dell'arrivo;  finché 
a  poco  a  poco  la  confusione  venne  meno  ;  i  fac- 
chini si  diradarono  :  non  si  vedevano  più  che  i 
guardafreni  aggirarsi  tutti  neri  con  le  loro  lan- 
terne, come  fantasmi. 

Quella  pallida  luce  dei  fanali  elettrici,  quella 
grande  tettoia  affumicata,  lineilo  strano  odore  di 
fumo  d'asfalto  davano  una  specie  di  vertigine  alla 
mente  dei  nostri  giovani.  Maddalena  s'abbandonava 
alla  sua  mortale  stanchezza  ;  Andrea  con  gli  occhi 
sbarrati  contemplava  quel  luogo,  dov'era  arrivato 
per  la  prima  volta  fanciullo  dopo  la  morte  di  sua 
madre:  com'era  triste  e  sconsolata  quella  notte, 
com'era  misterioso  l'avvenire  !  Una  foga  di  ricordi 
e  di  speranze  avvicendandosi  ora  e  confondendosi 
nella  sua  testa  gli  impedivano  il  senso  della  realtà 
pi  esente:  tutto  era  vago  e  indefinito  come  una  mu- 
sica ;  tutte  le  speranze  e  i  ricordi  della  sua  vita 
pareva  che  accorressero  in  folla  a  godere  questo 
raggio  di  felicità  che  rischiarava  il  suo  destino. 
Egli  n'era  sopraffatto,  non  capiva,  non  sentiva  più 
nulla  ;  e  intanto  passava  l'ora  felice,  che  un  giorno 
gli  sarebbe  stato  amaro  di  non  aver  osservata  e  go- 
duta, e  il  cui  ricordo  sarebbe  stato  intorbidato  da 
questo  strano  rapimento  della  sua  fantasia. 


(Continua): 


Anna  Evangelisti. 


La  morte  del  Re  buono 


nei    poeti    del    popolo 


m. 

i.  Mj  dicembre  del  1385  per  tutta  Milano, 
anche  allora  grassa  e  popolosa,  e  di   là 
per   la  Lombardia,    indi    ]*r  ogni   terra 
d'Italia,   si   diffuse  rapidamente  la   strepitosa  no- 
tizia che    Bernabò    Visconti,   pochi    giorni    innanzi 
■   dal    proprio   zio  Giangaleazzo,   era 
morto  'li  veleno.   Il  caso  straordinario  della  repen- 
tina e  tragica  fine  di  un  principe  tanto  putente  e 
tanto  temuto,  colpì  assai  vivo  la  fantasia  dei  con- 
temporanei, i  quali,  atterriti  e  commossi,  si  affolla- 
euriusi  intomn  a  quei  cantastorie,  che,   ]kk-o 
appresso,  nelle  piazze  di  alcune  nostre  città,  ripete- 
vano la  sturia  di  lui  quale  l'aveano  spianala  in  tre 
ari  un  Matteo  da  Milano  e  altri  due  anonimi 
ficatori.  Non  tutte  le  colpe  del  tiranno  erano 
silenzio:   ma  alla  gran  luce  dei  meriti 
di  lui,  che  quei  versi  vantavano  magnifici  e  abbon- 
danti, se  esse  non  rimanevano  oscurate  del  tutto, 
certo  impallidivano  di  molto.   L'immagine  di   Ber 
nabò  appariva  come  quella  di  un  signore  «Savio, 
discreto,  con    molto    intelletto,   De   cortesia  mare, 
■  -ut'-.  Amor  de  carità  ne',  suo  conspetto»; 
bello  di  ogni  dote  intellettuale  e  morale,  e  adorno 
del].-   quattro    virtù  cardinali;    insomma    di   tutti 
quei  pregi  che  il  Medioevo  richiedeva  in  un  prin- 
cipe perfetto.    Il  delitto,  come  per  incanto,  aveva 
cancellato  anche  nei   1     nbardi  medesimi  la  memo 
ria  dei  dolori  e  delle  sevizie  sofferte! 

Parimenti,  il  giorno  di  Santo  Stefano  del  i  1 7 ' •  - 
\l  in  in  di  nuovo  sconvolta  da  un  altro  misfatto 
non  meno  clamoi lei  precedente:  Giovanni    Vn 


drea  Lampugnani,  con  altri   suoi  compagni,  aveva 

trucidato  il  duca  Galeazzo  Maria  Sforza  nella  chiesa 
di  Santo  Stefano,  ov'era  ito  al  cullo  divinale.  Il  po- 
polo fé'  tosto  giustizia  dei  congiurati  ;  e  della  1 
mozione  ispirata  dal  lagrimevole  caso  si  reselo  in 
terpreti  i  poeti  popolari  con  n  lungo  ternario, 
che  dagli  ultimi  anni  del  secolo  XV  al  1613  venne 
ristampato  più  volte  (ciò  che  dimostra  il  gran  favo- 
re da  esso  goduto  per  assai  tempo  in  Lombardia 
e  in  Toscana  specialmente)  e  con  un  cantare  in 
ottave,  che  parecchi  anni  or  sono  io  disseppellii 
frammentario  da  un  manoscritto  della  biblioteca 
romana  del  principe  Chigi.  «Non  fu  mai  duca  di 

SÌ    alto    affare  dice    il   cai. che     ivesse 

tanta    forza  e  vigoria»;  era  magnanimo  e    fi 
guerriero,  e  suo  pensieri'  era  di  darsi  piai,  ne:   «de 
Fare  i..stre  assai  si-  del©  tava  ". 

Et  in  cavalli  e  in  nobili  destrieri 
E  in  animali  di  pia  conditione. 
De  tener  bracchi,  cani  e  lipereri, 
Sparveri,  astori  e  pulgrin  falconi; 
E  nel  gran  barco  ogni  animai  lenivi 
E  del  .in.     issai  piacer  prendivi. 

Nel  rileggere  questi  versi,  l'animo  nostro  ri- 
pensa  con  .un. ira  tristezza,  non  già  al  duca 
lombardo    del    secolo    XV,    ma    ad    un    priro 

che    noi    italiani    conoscerai -d     amammo,    al 

Re   nostro,   che   pur   di   quelli    animali   e   di  quelli 
'.'i   nei   giorni   di   ripidi,  si  compiaceva  ■< 

Ae.  In-    pei    s però        un'altra    analogia    tra 


LA    MORTE    DEL    RL    l'.l  (>M  i 


697 


gli  ultimi  casi  ili  [uesti  due  principi.  Il  giorno  di 
Vitale  del  1476  lo  Sforza  avrebbe  voluto  uscire 
dal  castello;  ma  la  su?  sposa,  la  giovane  e  mite 
Bona  .li  Savoja.   vedendo 

Ne  Taira  scura  un  terribile  signo, 
Dixe  :  «  o  signor,  pregare  te  vorrei 
Che  non  andassi  fora,  o  signor  digno  >. 
Per  le  parol'  che  dixe  la  duchessa, 
Rimase  nel  castello  a  udire  messa. 

Così  avesse  il  nostro  Re  ascoltato  del  pan  le 
parole  della  sua  sposa,  che  nella  sera  fatale,  colla 
chiaroveggenza  di  un  animo  amante,  lo  aveva  pre- 
gato di   rimanere   nella  reggia  di    Monza! 

In  line  (e  dico  non  già  perchè  la  serie  degli 
esempì  sia  esaurita,  ma  perchè  al  caso  nostro  ba- 
stano questi  tre  assai  famosi),  quasi  un  secolo  ap- 
presso, allorché,  nel  1537,  Lorenzino  de'  Medici 
uccise  il  cugino  Alessandro,  furono  scritte  e  pub- 
1  licate  tante  epigrafi,  canzoni,  sonetti,  lamenti, 
poemetti  narrami  deploranti  il  triste  caso  o  im- 
precanti contro  l'uccisore,  il  quale,  come  disse  il 
proverbio,  «non  lo  volle  né  Cristo  né  il  diavolo», 
da  potersene  formare  una  raccolta  veramente  cospi- 
cua. E  col  trucidato  signor  di  Firenze  innalza  i 
suoi  lamenti  pure  la  sposa  di  lui,  Margherita  d'Au- 
stiia,  che  non  vuole  più  grandezza,  non  vuole  più 
lode.  jSenonchè  il  capitolo  e  i  sonetti,  in  cui  la 
vedova  di  Alessandro  esprime  il  proprio  strazio, 
rimpiangendo  le  glorie  perdute  e  invocando  la 
morte,  sono  troppo  retorici,  troppo  freddi  e  conven- 
zionali (il  misero  versificatore  osa  imitare  qua  e  là 
nientemeno  che  il  pianto  divino  di  Fiordiligi  !), 
non  dirò  per  iscuotere,  ma  neppure  per  isfiorare  le 
fibre  del  nostro  cuore.  Ben  altri  lamenti,  ben  altre 
preghiere  tre  secoli  e  mezzo  di  poi  ispirò  ad  un'altra 
Margherita,  la  buona  e  pia  Margherita  di  Savoja, 
Io  strazio  ineffabile  di  un  assassinio  brutale,  che 
le  rapì  trucemente  chi  le  aveva  largito  colla  giuria 
del  trono  le  gioie  dell'amore! 


Ma  il  Visconti,  lo  Sforza  e  il  De  Medici  furono 
tiranni  ;  e  se  il  popolo  si  commosse  e  pianse  al- 
l'annunzio della  loro  morte  violenta,  gli  è  che  esso, 
allorché  è  atterrito  da  un  grande  misfatto,  non  ri 
corda  più  il  passato,  dimentica  le  colpe  della  vit- 
tima, e  per  buono  istinto  naturale,  quando  non  sia 
per  forza  di  sovreccitazione  spontanea  collettiva, 
incerto  deli  avvenire  che  potrebb'essere  anche  peg- 
.  non  pensa  che  ai  benefizi  ricevuti  e  impreca 
ni  chi  glieli  tolse  forse  per  sempre.  Il  Lam- 
pugnani  uccise  lo  Sforza  per  liberare  il  popolo 
li  imbardo  dalla  servitù,  e  quél  popolo  medesimo 
ne  lo  ricompensò  rolla  morte! 

Se  tanto  pianto,  tanti  versi  sgorgarono  dagli 
occhi  e  dalle  labbra  delle  genti  d'Italia  per  l'ucci- 
sione di  principi  iniqui,  corrotti  e  oppressori, 
quanti,  chiederemo  noi  ragionevolmente,  non  ne 
avrà  profusi  il  popolo  nostro  per  la  terribile  trage- 
dia di  Monza  che  vedovò  l'Italia  tutta  del  più 
buono,  del  più  generoso,  del  più  leale  dei  Re?  Alla 
stregua  di  questo  raffronto  il  numero  delle  poesie 


si  ritte  in  morte  di  Umberto  1  certo  dovrebbe  es- 
sere ingente.  Noi  tutti  ricordiamo  con  terrore  l'el 
Petto  prodotto  nelle  nostre  città  dal  ferale  annun- 
zio: il  più  bel  sole  d'estate,  quasi  per  beffarda  iro- 
nia, ci  ridesti')  all'alba  del  30  luglio;  e  ciò  non- 
1  Mante  non  un  volto  ilare,  non  un  cuore  di  vero 
italiano  che  battesse  liberamente:  un  dolore  muto 
e  profondo  ne  opprimeva  il  respiro;   e  la  vita,  ot- 


II  Re  leale  e  prode, 
Dei  ginnici  Monien 
La  fola  onort- 

Di  sangue  aaaelalo 
Ha  gii  meditalo 
Di  volerle  immolar. 

La  («la  è  terminal» 

Ognun  il  Re  acclama. 

Saluta  i   ginnasti 

E  alla  calmala  ravvio. 
Ma  l'aaaaaaino 
Quel  belva  feroce 
Il  paoalnro  atroce 


Vuol  etìcltuar. 


M.i  il   barbaro. 
Ognun  «enti 
Mira  del  Re  al  core 
E  lo  nasce  a   freddar 

Ogni  cor  italico 

Comprender  pud  lo  strazio, 

L'In-  la  gentil  Sovrana 

A  tal  novella  provo. 

Esecrando  naaaaainn. 
L'amor  di  tua  famiglia 
E  dei  morii  gnnitor 
Nou   ti  sepper   frinir  I 


Al  padre  del   popolo 

Vilmente    immolato 

Ogni   figlio  d'Italia 

Dimmlra   il  dnlnr. 

E  tu  vii   assassino 
Che  al  Ite  deati  merle 

Or  devi  scontar. 


tenebrata  da  un  solo  comune  sgomento,  rimase, 
come  suole  subito  dopo  una  violenta  scossa  di  ter- 
remoto, sospesa  nell'ansia  terribile  di  nuove  sventure. 
Al  contrario,  almeno  a  giudicarne  da  quanto  cono- 
sciamo, noi,  la  mèsse  di  queste  poesie  è  tutt'altro 
che  abbondante:  e  ciò  non  già,  come  troppo  affret- 
tatamente e  non  senza  qualche  compiacimento  po- 
trebbe concludere  taluno,  perchè  sia  scemato  l'affet- 
to verso  la  gloriosa  dinastia  che  ci  regge,  ma  perchè 
già  da  assai  tempo  ai  cantastorie  e  ai  foglietti  vo- 
lanti e  agli  opuscoli  di  poche  pagine  che  diffonde- 
vano le  nuove  piti  clamorose,  sono  sottentrati  pur- 
troppo i  giornaletti  settari  da  due  o  tre  centesimi, 
che  colle  notizie  razzolate  in  ogni  dove  e  in  ogni  mo- 
do, diffondono  pur  anche  la  maldicenza,  l'ingiuria, 
il  veleno.  Il  giornale  politico,  infatti,  se  non  uo :ise, 
i-trio  stremò  la  letteratura  del  popolo:  e  mentre 
questa  rispecchiava  i  sentimenti,  le  passioni,  i  de- 
sideri della  gente  più  umile  da  cui  era  ispirata  ; 
oggi  il  giornale  riflette  invece  le  idee  di  chi  lo 
si  rive,  il  quale  vuole  a  ogni  costo,  con  tutti  i 
mezzi,  infonderle  nel  popolo  per  migliorarlo,  di- 
cono, ma  più  spesso,  come  pare  a  noi.  per  disna- 
t  tua  rio. 


LA    LETTI  R  \ 


.  poco  dopo  la  catastrofe  di 
n  ni  i  il  desiderio  di  coni  scere  l'i 

i  popolo, 
;.  rv  in  quale  forma  ina 

stata  nelle  <li\.  ni  d  Italia.  A  quesl  no 

mino  alla  i  brigata  nobile  e  cortesei 
mpagni  di  studi  dispersi  «ai 
le  terre  d'Italia»;   ma,  rip. 
no,   nonostante   le   premurose  ricerche  ili  costoro, 
itiva  i  imase  in  j         parte  delusa. 
Le  tipografie  italiane  alle  quali  dobbiamo  oggi  la 
produzione  ili    poesie  popolari  sono  fio 
milanesi  ;   e,  infatti.  <la  quella  ilei  Dm-ri 
ili    Firenze   principalmente,   e  dall'altra  del   Ran- 
Milano,  uscirono  quasi  tutte  le  canzonette 
no:   due  se  ne  pubblicarono 
tre  a    l'urino  e  due  a    Napoli,  senza  contare   le  ri- 
produzioi  '     :  altrove  con  pochissime  varietà: 

a  Roma.  .1  Venezia,  a  Padova  e  a  Fiorenzuola 
d'Arda.  Ma  anche  a  Roma  stessa  non  un  verso  ori- 
in  onore  del  suo  «leal  cavaliere»,  e  nulla 
del  pari  in  Sicilia  e  in  Sardegna,  se  pure  qual- 
cuno  ili  quei  foglietti  volanti,  che  bene  spesso 
hanno  la  vita  di  pochissimi  giorni,  non  isfuggì  alle 
diligenti   i  dei  nostri  amici.  In  tutto,  dunque, 

tredici  le  poesie  a  stampa  che  noi  conoscia- 
mo (ri:   buon  numero  di  certo,  se  badiamo  solo  al- 
l'identità  del  soggetto,  ma   assai   scarso  invece  se 
siamo  all'enormezza  del  delitto  e  al   fatto  che 
•  sse  ci  vennero  quasi  tutte  da  due  sole  città,  in  cui 


(i)  Diamo    qui    l'elenco    delle    poesie    a   stampa: 

La  morie  del  Re  martire,  lamento  del  popolo  :  «  Era 
Umberto  un  Re  valente»,  Torino,  Tip.  Anale; 

//  Re  è  morto,  versi  di  un  Italiano:  «L'ira  feroce 
ignobile».  Firenze,  Tip.  Ducei; 

L'assassinio  di  S.  M.  Umberto  I,  Re  d'Italia,  avve- 
nuto a  Monza  il  2</  luglio  1000:  «  Qual  padre  tra  i  suoi 
figli»,  Milano,  Tip.  Ranzini; 

//  leale  Re  l'mberto  assassinato  da  un  anarchico, 
versi  di  Papucci  Eugenio  :  «  Il  ventinove  luglio  »,  Firenze. 
Tip.   Ducei; 

'A  morie  d'  'o  Re,  versi  di  F.  A.  Bonenzio  :  «  I  'che 
mmicidio  barbaro  ch'à  fatto»,  Napoli,   Tip.   Bideri; 

È  mmuorto  'o  Rre!  (Nenia),  versi  di  G.  Andreassi; 
«Chiagne  l'Italia  e  cchiagne  »,  Napoli,   Tip.   Bideri; 

//  lamento  de!  popolo  contro  il  regicidi!,  composi 
zione  di  Pilade  Gianni  di  Pistoia  :  «  Reco  che  alfin  sei 
messo  al  tuo  destino  »,  Firenze,  Tip.  Ducei  ; 

Il  pentimento  del  Bresci:  *  In  questo  tetro  carcere», 
m  ; 

//  rimorso  del  Bresci,  nuova  canzone:  «Un  mese  è 
già  passato»,  ibidem; 

Lettera  del  tenente  Reti;,*  Degl'  /nuocenti  al  regi 
rida,  <na  canzonetta  di  Cesare  Picchi:  «  Leggi,  <> 

codardo    ed    il    peggior    tra    i    rei»,  Fiorenzuola  d'Arda, 
Tip.  Pennadoli; 

L'assassinio  di  re  l'mberto;  «Casa  Savoia,  augusta 
e  bella».  Torino,  Tip.  Gayet  ; 

l'i    la    sentenza    e    condanna  del    uri,:, la   Gaetano 
i:  «Entro  una  stretta  «ella».  Milano,  Tip.  Ranzini; 

La  morte  di  Gaetano  lì>  nula  alia 

di  Santo  Stefano  il  ?2  maggia  iooi:  <  Non  è  trascorso  un 
anno  ».  ibidem. 


quella  fioritura    potè  essere  determinata  ai 
ragioni  partili  ilari  :   a  Milano,  dalla  sua   pr 
col   luogo  dell'assassinio,  a    Firenze,  dalla  irad 
predilezione  del  popolo  toscano  per  la  pa 
ivi  ben  più  radicata  e  più  viva  che  non  in  altri 
gioni    d'Ita 

Ma  lasciando  ora  queste  ipotesi  che  possoi 
meno  in  parte  spiegare  il  fenomeni»,   e  venendo  a 
discorrere  del  genere  e  <V  '■  •  >  <    tivi    li 

e  popolari,    per  vedente  l'origine    pri- 
mi noi  dobbiamo  risai  pensiero  assai  alto; 
che   il  genere,   nonostante   le  inevitabili    varii 
pur  sempre  quello  dei  lamenti  storici  onde  abbi 
esempi   fui  dai   primi  anni   del  Tri 
nostro   snnii    infatti    lamenti   del    Re    barbaram 
Ucciso,   del    popolo   italiano   orbato   miserami  lite   del 
padre  suo.  e  dell'assassino  che  il  popolo  immag 
sinceramente    pentito  della     propria    scelleraggine. 
La  forma   del    lamento   però    non    è    più    Fan' 
perchè,  mentre  nel  Medioevo  e  poi   fino  a  tut' 
Cinquecento   s'era   data    molta   importanza   al    i 
cinto  storico,   svolgendolo   o  nei  cantari  in  otl 
rima,  o  nei  sirventesi,   o  nei   ternari,  o  nelle  bal- 
late; ora  la  narrazione  del  fatto,  o  manca.  o\ 
è    sommaria,    come  cosa    a    tutti    notissima,   e  in 
quella   vece  è   dato   maggior  rilievo  all'espressione 
lirica  dei  sentimenti,  alla  quale  parve  meglio  adat- 
tarsi la  e                 i  disidrata,   al  cui   fiorire,   cosi   ir. 
Italia  come  in    Francia,  contribuirono  assai  i    I 
modernissimi   dell'anarchismo. 


Dopo  questo  esordio,  che  tuttavia  non  sarà 
brato  del  tutto  inutile,  veniamo  alle  canzonette  in 
morte    del    nostro  Re.    Un   Elle  pi   forse    torinese, 
poiché  di  Torino  è  la  stampa,  ne  comincia  una  ■ 


Era  Umberto  un  Re  valente 
Generoso  e  di  gran  cor; 
Era  l'idol  di  sua  gente, 
Era  il  tipo  dell'onor. 

Ma  una  belva  inferocita 
Fino  a  Monza  lo  inseguì  ; 
E  per  togliergli  la  vita 
Con  tre  colpi  le  feri. 


Tutta  questa  poesia   è  un  vanto   delle   nobili 
grandi    doti    della   vittima,    interrotto   ad    ogni    due 
Si  t<  Eette  dal  ritornello: 

l'iangiam,  piangiamo,  o  popoli, 
È  morto  un  Re  leal. 
Pei  si  Innocente  vittima 
Fia  lutto  nazional. 

E   interamente  liriche,   al   pari   di    qui 
pure    le  due   canzonette-disperati  una 

di  G.  Andi  da   E.  di   <  lapua,  I  al- 

tra  di   F.    A.   Bonenzio.   nelle  quali,   oltre  al   rim 
pianto  sincero  e  all'invettiva  contro  l'assassìni 
ninni    a  tutte   indistintamente  queste   poesie,  si 
ri  una  di  preferenza  a  quelle  nobili  azioni  di  l  "• 


LA    .MORTE    DEL    RE    BUONO 


herto  I  che  i  Napoletani  avevano  potuto  ammirare 
co    propri  occhi. 

O  tiempo  d'  'o  culera 
Scurdà  nun  se  po'  certo 
Chello  che  ffece  Umberto 
P"o  bbene  'e  'sta  Cita. 


699 

se   anche  costoro   non   avessero  avuto  il    desiderio 
medesimo  del  Bresci  ! 

Vssai  maggiore  diffusione  di  questi  che  ora  ab- 
biamo ricordato  ebbero  i  versi  di  Eugenio  Papucci, 
pubblicati  dapprima  a  Firenze,  poi  riprodotti  an- 
che in  altre  città,  e  che  per  parecchio  tempo  furono 


A.JL.  REGICIDA 

NUOVISSIMA    CANZONETTA   (li    Cesare    Picchi 


Leggi.  0  codardo  ed  il  peggior  tra  i  rei. 
11  grave  annunzio  del  tuo  gran  reato, 
Io  non  mi  chiamo  Bresci  di  casato, 
Sappi  che  più  fratello  mio  non  sei. 

Renzo  mi  chiamo  e  son  degl'  Innocenti. 
Con  questo  passo  alla  novella  vita. 
Cessi  del  mio  dolor  questa  ferita 
Amo  I  miei  figli  e -non  ho  più  parenti. 


Mi  sembra  un  sogno  questo  grand'errore 
Da  te  commesso  al  nobile  Regnante 
Senza  motivo  spegnere  all'  istante 
La  vita  al  mio  secondo  Genitore. 

Quanta  bontà  egli  aveva,  ed  infinita. 
E  toglieste  la  vita  a  un  grato  flore, 
E  tutto  il  mondo  ne  sente  dolore 
In  pianto  eterno  resta  Margherita. 


Chi  t'avrà  spinto  a  simile  reato! 
Tu  non  pensavi  a  noi  cari  fratelli  ! 

I  cittadini  a  te  son  già  ribelli, 
Addoloraste  la  Città  di  Prato. 

Non  ci  pensasti  allora  alla  consorte 
E  padre  tu  Io  eri  0  sciagurato, 
Io  non  credeva  il  tuo  cuor  preparato 
A  dare  al  nostro  Re  si  orribil  morte. 

Piangi  ed  impreca  e  lacera  te  stesso 
Neppur  la  morte  a  te  non  s'avvicina, 
La  brameresti,  lei  non  s' incammina 
Non  vuole  approssimarsi  nel  tuo  ingresso. 

Ed  ora  lo  lascerò  questa  divisa, 
Con  gran  sudore  l'ebbi  guadagnata, 
Con  lacrime  di  pianto  io  l'ho  bagnata 
La  tua  fraterna  mano  ormai  l'ha  uccisa. 

Altro  non  dico,  e  levati  di  mente 

II  nome  mio  che  un  giorno  a  te  fu  grato, 
Da  tutto  il  mondo  tu  sei  disprezzato 
Nego  I  saluti  miei  con  cuor  dolente. 


Firc***  1900.  -  Tip.  E,  Ducei,   Vui  drt  rilutti    y.  32.  —  Si  «fjui'jc*  quatunfue  tuivro  a  yrmx  «mei 


e  nell'altra  canzonetta: 

Nu  Rre  ca  nun  a  fatto  maie  nu  male  , 
Ca  nei'  à  aiutato  sempre  'e  ogne  manere  : 
'A  guerra,  a  Casamicciola,  'o  culere, 
Le  fanno  chesta  sciorta  'e  'nfamità  ! 

Il  Re.  continua  il  versificatore,  morì  senza  dire 
•  Madonna,  aiuto  !  »,  senza  dare  un  saluto  alla  fa- 
miglia; sicché  il  Bresci  fu  ben  più  infame  di  Ac- 
ciarito  e  di    Passanante.    Curioso  raffronto  :    come 


cantati,  a  quanto  sappiamo,  nella  media  e  nell'alta 
Italia.  La  ragione  di  questo  particolare  favore  sta 
forse  in  ciò,  che  il  Papucci,  colla  sincerità  dei  con- 
cetti e  colla  forma  facile  e  piana,  gradì  meglio  de- 
gli altri  ai  gusti  del  popolo. 

Il  ventinove  Luglio 
Del  mille  novecento 
Umberto  primo  spento 
Fu  da  vigliacca  man. 


LA    l.l  TTURA 


.usi"  tristo  giorno 
Registreià  la  storia, 
l'it.li.'   ne  la  memoria 
Resti  deglfltalian'. 

.  .in   segue  il  pianto  d'Italia 
M   rgherita,  i    I  mpre  azione  1 1  mtro 
■   non    può  spiai    perdono  del    suo 
■  bruta!  di  aver  ucciso  «  Il   più 

èva  i  poveri  », 

Incoraggiava  i  malati 

me   tigli  amati 
Se  li  stringeva  al  sen. 

Ma  non  tutte  ive  a  mi  i  le  can- 

ì  cui   parliamo,  che  in  alcune  altre  all'e- 
spn  •  !  sentimenti  di  cordoglio  e  d'ira  pre- 

-  alterna  una  breve  narrazione  o  anche  solo 
un  accenno  del  fatta  Certo  non  abbiamo  qui  la  fu- 
iporzionata  dei  'lui-  elementi,  lirico  e  nar- 
rativo, come  negli  antichi  lamenti;  ma  ad  ogni 
modo  sono  anche  queste  un  notevole  documento 
della  vitalità  di  siffatti  generi  poetici  perpetuatisi 
nei  secoli.  Milanese  è   la   canzonetta  che  comincia: 

Qual  padre  fra  i  suoi  figli 
Il  Re  leale  e  prode 
Dei  ginnici  Monzesi 
La  festa  onorò  ; 

nella  quale  si  parla  della  premeditazione  del  de- 
litto, si  narra  come  e  quando  questo  avvenne,  per 
poi  terminare  liricamente  al  modo  solito.  A  questa 
canzonetta  se  ne  riaccosta  un'altra  non  molto  dis- 
simile, veramente  popolare,  ch'io  udii  sul  monte 
Berico  di  Vicenza  il  25  agosto  1900.  Si  celebrava 
in  quel  giorno  una  solenne  festa  religiosa,  e  le  in- 
numerevoli   frotte  di   fedeli   che  salivano   verso  il 

0  famoso,  di  tratta  in  tratto  arrestandosi 
per  riposarsi  lungo  la  bellissima  strada  che  vi 
conduce,  porgevano  orecchio  ai  cantastorie  che 
narravano  o  i  miracoli  della  Vergine  e  dei  santi  o 
i  truci  casi  dei  malfattori  più  noti.  A  chi,  come  a 
noi.  interessa  di  notare  quanto  degli  antichi  generi 
e  delle  antiche  forme  permanga  tuttavia  nelle  poe- 
del  popolo,  è  naturale  che  le  canzonette  dì 

istorie  non  debbano  passare  inosservate:  di 
•  il  profitto  che  se  ne  ritrae  è  assai  scarso; 
ma  in  quel  giorno  fermò  non  inutilmente  la  nostra 
attenzione  una  piccola  compagnia  dì  suonatori  gi- 
rovaghi,  un  vecchio  e  due  giovani  della  provìncia 
di    \  Ite   cantavano,    ooll'accompagnamento 

di  violino  e  di  armonica,  dei  \ersi  in  morte  del  Re 
trucidato  un    mese   innanzi.    La  forma    rozza   e   la 
•rsi  ne   rivelarono  tosto  l'origine 
mente  popolare:  infatti  il  vecchio  stesso  ne  era 
l'au1'  iveva  impn  1  quel  ritmo  e  che  lo 

cantava  di   paese  in  paese,   s  rio  mai   racco 

mandato   alla   scrittura;   sicché   quand'io   lo 
irai    in   disparte   perchè  me   lo  dettasse,  se  volle  ac 
uii.    dove   non    già    recitarlo,    ma  cantic 
«  hiarlo  con  voce  sommessa,  tanto  |»t  lui  le  parole 
e  la  musica  erano  una  cosa  sola,  indivisibile. 

Il  ne  'otsì  nelle  si  n  fé,   limono  si 

l'intenzione  dell'ai  .oro  sem- 

il    motivo    musi   alo    1  hi 


pagnava  ciascuna    strofa  era    identico    |>er   tu 
ma  questa    uguaglianza  tal.  lo  appai 

1     versi  poi     variano    a     capriccio    di     misura: 
si      capisi  il     nostro     povero     Apollo    a- 

vrebbe  preferito  il  quinario  ..  il  settenario;  ma 
noe.  si  lece  però  alcuno  scrupolo  di  passare  improv- 
visamente am  n.trio  e  all'ottonario.  Ina 
ma  eoli  si  affidava  interamente  al  suo  orecchii 
ooll'accompagnamento  musicale  celava  e  accomo- 
dava agevolmente  le  stonature  del  ritmo.  Il  1 
che  in  una  stessa  sitila  si  trovano  versi  di  varia 
natura,  i  parisillabi  accoppiati  cogli  imparisillabi, 
dimostra  evidentemente  che  quel  ra  affatto 
privo  di  ogni  nozione  poetica.  Senonchè  alti 
dir  questo  ed  altro  è  affermare  che  nella  sua  mente 
non  fosse  rimasta  traccia  alcuna  di  versi  altrui, 
ch'egli  nella  sua  lunga  camera  dovè  cantare  . 
vagando.  E  invero,  l'orditura,  lintonazione  della 
poesia,  talune  frasi  e  similitudini,  tutt'altro  che 
nuove,  rivelano  nell'autore  una  vecchia  consuetu- 
dine con  siffatto  genere  di  componimenti.  A  noi, 
ad  esempio,  pare  che  non  gli  dovesse  essere  ignota 
la  canzonetta  milanese  or  ora  ricordata;  sebliene 
tuttavia  la  somiglianza  possa  essere  una  conse- 
guenza dell'identità  della  fonte,  i  giornali  politici, 
onde  e  l'uno  e  l'altro  moderno  0 canterino»  attin- 
sero le  notizie  del  regicidio.  A  ogni  modo  però,  in 
questo  tentativo  informe  di  poesia,  in  cui  la  buona 
volontà  e  l'ispirazione  restano  sopraffatte  dall'im- 
perizia, non  manca  ne  l'affetto,  no  il  calore  e  ima 
e  là  l'efficacia  dell'espressione. 

Sotto  certi  aspetti,  infatti,  sia  per  la  narrazii 
qui  più  che  altrove  particolareggiata  del  delitto, 
sia  jx-1  contrasto  tra  la  nota  tragica  e  la  passionale, 
in  quel  punto  specialmente  ove  fa  parlare  la  Re- 
gina Margherita,  questo  curioso  saggio  d'arte  spon- 
tanea supera  talune  altre  poesie  più  corrette  e  più 
regolari  che  abbiamo  ricordate  sin  qui:  e  |» 
crediamo  di  non  far  cosa  sgradita  ai  folkloristi 
ri  producendola  nella  sua  intere-.  ino  ci  fu 

dettata  dall'autore  medesimo,  senza  mutar  sillaba: 


.Nella  città  di  Monza 
celebrava  una  gran  festa: 

<  Forza  e  coraggio  » 

la  ginnastica  si  chiamava: 
il  nostro  re  Umberto 
presente  si  trovava 
quando  che  i  premi 
andava  a  dispensar, 
arita 
aveva  prevedato 
che  il  re  Umberto 
là  non  ci  fosse  andato: 
ma  lui  risponde: 

<  la  promessa  glie  ho  dato, 
e  di  parola 

non  voglio  mancar  ». 
Mentre  dal  palco 

lui  discendeva, 

alla  carrozza 
si  avvicinava. 
tutta  la  gente 

lo  salutava 

gridando  «  evviva  » 

e  facendo  grande  onor. 


LA    MORTE    DEL    RE    BUONO 


■oi 


Sol  che  l'assassino 
stava  aspettare 
col  revolver  in  mano; 
l'aveva  preparato: 
quando  il  re  Umberto 
si  aveva  avvicinato 
con  tre  colpi  di  revolver 
mortalmente  lo  ferì. 

Subito  l'assassino 
viene  afferrato  : 
chi  per  le  spalle 
chi  per  la  testa, 
piombando  addosso 
come  una  tempesta, 
come  leoni 
lo  voleva  sbranar. 

Ma  da  le  guardie 
fu  messo  in  vettura, 

mani  e  piedi 
viene  legato  : 
entro  in  una  cella 
viene  trasportato, 
fino  che  quella  vittima 
si  dovrà  consumar. 

«  Ahi,  che  il   mio  sposo 
ha  dovuto  morire, 
tanto  bene 
che  al  mondo  ha  fatto, 

cos'i  male 
è  sta  ricompensato  : 
da  una  mano  caina 
la  morte  ha  ritrova! 

La  regina  Margherita 
maledisse  l'assassino, 
perchè  ha  tradito 
il  re  e  la  nazione. 
Arrivato  dall'America 
per  questa  occasione, 
il  re  galantuomo 
di  vita  1'  ha  privi. 

Il  re  Vittorio  terzo 
è  sta  desfortunato: 
ricevuta  la  notizia 
del  padre  assassinato, 
in  mezzo  al  lutto  e  al  pianto 
si  è  dovuto  incoronar, 
senza  sentirlo 
un'altra  volta  parlar. 

Almeno  fosse  morto 
sopra  il  suo  letto, 
ma  invece  è  sta  ucciso 
da  un  uomo  maledetto  : 
una  memoria  eterna 
per  l'Italia  resterà, 
il  re  Umberto  primo 
era  il  campion  della  bontà. 


L'ultimo  gruppo  di  poesie  delle  quali  ci  resta 
ancora  a  discorrere  si  riferisce  all'assassino;  e  an- 
che in  queste  la  varietà  dei  motivi  che  le  ispirarono 
non  è  maggiore  che  nelle  altre.  Più  naturale,  e  perù 
più  frequente,  è  la  disperazione  che  détta  l'invettiva 
contro  l'autore  del  «delitto  immane»,  pel  quale  un 
italiano,  con  soverchia  enfasi  retorica,  dice  che  già 
nell'Averno  stridono  le  Furie  con  Satana,  strin- 
gendo colle  loro  nere  mani   le  sue  chiome  impure. 


e  che  Satana  stesso,  «folle  di  rabbia  e  voluttà». 
sta  preparando  i  suoi  ferri  roventi.  Non  si  possono 
immaginare  torture  simili  a  quelle  eh  egli  avrà  nel- 
l'Inferno, 

Finche  il  tuo  cuore  barbaro 
Ei  pur  trapasserà 
E  l'occhio  di  Lucifero 
In  te  scintillerà. 

Qui  tutto  è  falso,  dall'intenzione  in  fuori  !  Assai 
meglio,  perchè  con  molto  minor  artifizio,  il  pistoje- 
se  Pilade  Gianni  nel  Lamento  del  popolo  contri) 
il  regicida  trascura  i  ricordi  mitologici  e  maledice 
l'assassino,  fra  i  malfattori  il  più  feroce,  che  aveva 
Lavorato  da  se  «l'iniquo  piombo»  per  tema  che  il 
Sovrano  «fosse  salvato»,  e  che  bene  avrebbe  meri- 
tato di  esser  «  fatto  a  brani  o  messo  in  croce  ». 
Pistoja  rimpiange  di  avergli  dato  i  natali,  e  tutti  i 
parenti  di  lui  vogliono  per  disprezzo  mutare  il 
loro  nome.  Altri  invece  immaginarono  i  lamenti 
dell'uccisore  lacerato  dal  rimorso  e  pentito  del  suo 
misfatto:  e  con  ciò  ritrassero,  anziché  i  sentimenti 
del  Bresci  (che  a  quanto  sappiamo  non  mai,  a  pa- 
role, si  penti  del  regicidio),  il  desiderio  universale, 
e  l'istinto  che  ilovrebb'essere  comune  a  tutti  gli  uo- 
mini civili  di  ravvedersi  del  mal  fatto,  sentendosi 
straziati  dal  rimorso,  specialmente  se  la  vittima 
sia  un  innocente.  Il  Bresci  vede  ne'  suoi  sogni 

L'ombra  del  buon  sovrano 
Che  con  la  scarno  mano 
M'accenna  il  suo  bel  cuor. 

Non  ho  più  pace  all'anima, 
Son  dai  rimorsi  ucciso 
Vedo  di  sangue  intriso 
Il  più  gentil  fra  i  re. 

Io  vedo  il  suo  cadavere, 
Vedo  la  man  alzata 
Con  mossa  disperata 
Che  maledice  a  me. 

E  tutto  invaso  dallo  sgomento  e  dal  rimorso 
confessa  di  essere  stato  «  l'uomo  più  bruto  »  e  chie- 
de perdono  ai  figli,  alla  moglie,  alla  Regina  Mar- 
gherita, reputandosi  ben  fortunato  se,  morendo,  po- 
tesse ridonare  la  vita  al  Re  sì  buono  ch'egli  uccise. 

Un  altro  versificatore  toscano  immagina  che  il 
tenente  Renzo  Bresci  in  una  lettera  al  regicida  in 
forma  di  canzonetta  rinneghi  il  fratello,  passando 
alla  novella  vita  col  nome  «degli  Innocenti»,  e  im- 
prechi contro  il  miserabile  che  disonorò  la  fami- 
glia patema,  la  città  natale,  la  consorte,  i  figli,  com- 
mettendo sì  «gran  reato»  che  perfino  la  morte  stes 
sa  ha  timore  di  avvicinarsi  a  lui: 

Ed  ora  io  lascerò  questa  divisa, 

Con  gran  sudore  l'ebbi  guadagnata, 
Con  lacrime  di  pianto  l'ho  bagnata, 
La  tua  fraterna  mano  l'ha  uccisa. 

Il  sangue  del  re  aveva  «chiamato  vendetta  »  e  il 
Bresci  è  condannato  all'ergastolo:  tuttavia  egli  a- 
scolta  impassibile  la  sentenza,  «non  si  pente  del  suo 
fai  ».  e.  ([indolente  del  commesso  error»,  rientra  si, 
gnoso  nella  prigione.  Cosi  un  versificatore  piemon- 
tese, che,  narrando  sommariamente  il  lugubre  avve- 


LA    M    ITI  RA 


IL  RIMORSO  DEL  BRESCI 


Uo  mese  e  già  passata 
Dui  mio   reato   atroce 
Al   Re  da  tutti   amato 
Su  lui  ne  fui  feroce 

Volli  saziare 
Senza  pietà 
Por  dimostrare 
La  mia  iniquitl 

Neil*  mìa  giovinezza 
Mai  non  sentii  doli 
E  senza  alcuna  tristezza 
Caddi  nel  disonore 

Per  me  già  spento 
Ogni  fulgor 
Del  cor  contento 
Nel  più  squallor. 

Umberto  tanto  buono 
Vittima  mia  sei  stato 
Degno  eri  del  Trooo 
Ed  io  ti  ho  trucidato 

Con  quattro  colpi 
Ti  volli  atterir 
Mi  «trazia  1'  anima 
Mi  sento  morir. 

L'Ombra  del  Re  m'  appare 
Nella  bontà  infinita 
Nei  sogni  miei  trasalì 
Perdona  o  Margherita. 


Nuova    Ganzo  a  e 


K  la  sua  mano 

Mi   fa  terror  ; 
Mi  par  che  dici  : 
Oh  :  Traditor. 

0    aa  ir.-,  o  padc-  mio, 
Un  gran  dolor  vi  Lo  dato 

i 
[>isiurbo  Im  cagionato. 

Mi  non  gridate 
La  mia  viltà 

lo  una  voce 
Tremar  mi  fa 

Renzo,  fratello  mio, 
La  pace  a  te  ti  ho  tolta 
Chiedo  perdono  a  Dio 
Perdona,  te  una  volta. 

Ai  rinnegato 
Famìglia  inter 
Fui  l  assassino 
Sopra  il  tuo  Re 

Non  maledite  o  cari 
Se  vile  Io  sono  stato 
Sconto  con  pianti  amari 
Il   Re  che  ho  assassinato. 

La  man  di  Dio 
So  me  cadrà 
Che  nel  profondo 
Mi  manderà 


L  uomo  piti  bruto  io  fai 

Lasciai  la  mia  famiglia 

Un  bacio  li  donai 

In  fronto  alla  mia   figlia 

K  me  li  ■trlnil 

Un  bacio  li  die 
lo  li  convinsi 
f  1 1  guida  io  tè. 

Oh'  mondo  tutto  intero 
Non  giova  a  ma  perdono 
Che  avvolto  nel  mistero 
Volli  abbrunaro  il   trono. 

Le  voci  sento 
Dì  tutti  ancor 
Senza  perdono 
Morir  dovrò. 

Ed  or  mi  hanno  assegnato 
Una  lugubre  cella 
Io  te  rato  segregato 
Vita  per  me  novella. 

Io  ne  aon  urto 

Presto  morrò 
L'ombra  d'Umberto 
Mi  lacera  il  cor. 


Fiorf  muoia  d'Arda  1901 
Tipografia  di  Gius.  Pnntlrùil 

N    Mi 


nimento  da]  principio  alla   fine,   lo  interrompe  ad 

i  >1  ritornello: 

Oh  regicida 
i  ii   va  a  soffrir, 
In  tetra  carcere 
i  lev  i  morir  ' 

M  he  ini  itti  avrebbe  dovuto  rima- 

nere sette    lunghi   anni»    in    cuna 

tta  cella»  per  passai  poi  alla  galera  in  perpe 
tuo,  còlto  dalla   disperazione  'li   dovere,  comi 
gli  aveva  predetto  la  i  oi  ora   ricordata, 

mot  i  ■  ere,  undici  mesi  dopo  l'esecrabil  fatto 

Pei  poeti  del  pi  polo,  cui  la  « ii sj » -r;i 
non  i    na- 


turai  conseguenza  del  rimorso  che  avrebbe  lai 
l'animo   del    Bresci,    travagliato  dall'    aombra   del 
buon     Sovrano»     durante    tutto    l'anno    della 
gionia. 

Al   ventidue  Maggio, 
ijuasi  vicino  a  sera. 
Il  regicida  mah 
l 'al  cor  triste  di   fiera, 
Nella  sua  oscura  cella 
Si  volle  strangolare 
Stanca  l'alma  sua  fella 
Ognora  di  penare. 

Del  gran  delitto 
Il  rimorso  provò, 

libra  d'Umberto 
Mai  l'abbandonò 


LA    MORTE    DEL    RE    Bt  ONO 


703 


ntemente  il  signor  Marco  Tomatis,  di  Ner- 
vi, raccolse  in  un  volume  un  gran  numero  di  epi- 
grafi, «che  il  dolere,  la  devozione,  la  gratitudine 
e  l'amore  ispirarono  alle  città  d'Italia,  quando  con 
meste  e  solenni  preci  suffragavano  per  la  prima 
volta  l'anima  eletta  di  Umberto  I  ».  Idea  buona  e 
generosa:  ciò  che  non  sarebbe  certo  di  chi  si  pro- 
ponesse di  fare  altrettanto  pei  versi  di  cui  ab- 
biamo parlato:  per  queste  rozze  e  grame  poesie 
basti  l'aver  còlto  i  pensieri  e  i  sentimenti  più  no- 
tevoli e  caratteristici:  tutto  il  resto  non  è  che  ripe- 
tizione e  imitazione  costante  di  frasi  e  di  concetti 
uguali  in  tutte.  Ma  se  le  epigrafi  hanno  incontra- 
stabilmente maggior  valore  artistico  delle  nostre  can- 

•tte  compassionevoli,  esse  tuttavia  non  riflettono 
che  il  pensiero  e  il  sentimento  di  chi  le  dettò;  men- 

_li  autori  delle  poesie  popolari  —  e  in  ciò  sta  il 
particolar  interesse  di  queste  —  se  vollero  procac- 


ciare una  larga  diffusione  alle  loro  rime,  dovettero 
interpretare,  bene  o  male,  il  pensiero  e  i  sentimenti 
del  popolo  per  cui  scrivevano. 

E  il  popolo  avrebbe  voluto  vedere  nei  versi  dei 
suoi  poeti,  come  effigiata  in  una  tela,  tutta  la  truce 
storia  di  martirio  e  di  infamia.  Sul  dinanzi. 
infusa  di  luce  celeste,  l'immagine  sangui- 
nante del  Re  trucidato,  mite  e  terribile  ad 
un  tempo,  sì  da  ispirare  pietà  a  tutti  gli  uo- 
mini e  da  incutere  spavento  alla  belva  che  l'uccise : 
a'  suoi  piedi  la  moglie  e  il  figlio  piangenti  e  il  po- 
polo tutto  immerso  nella  disperazione,  ruggente  e 
imprecante  contro  l'omicida  nefando;  sul  fondo, 
avvolto  nel  bagliore  fosco  della  dannazione,  l'assas- 
sino prostrato  e  annichilito  dallo  sguardo  profondo 
della  sua  vittima  innocente.  Questo  quadro,  tratteg- 
giato con  forti  linee  e  con  robusti  colori,  avrebbe 
voluto  vedere  il  popolo  nostro:  come  e  in  qual  mo- 
do i  suoi  poeti,  cui  certo  il  buon  volere  non  fece 
difetto,  l'abbiano  accontentato,  vorremmo  aver  noi 
dichiarato  a  sufficienza. 


Antonio  Medin. 


Lamenti  de'  secoli  XIV  E  XV. 


Tre  poeti  stranieri  amici  dell'Italia 


'    i      ELMO    II    ebbe    una    geniale    ispira- 
zione quel  giorno  che  pensò  di  regalare 
alla  città  ili  Ruma  [' effigie  del  man  te- 
o  che  vi  si  è  tanto  compiaciuto.  <  >gni  persona 
che  abbia  una  media  coltura  letteraria  sa  che  nel 
io  di  Volfango  Goethe  è  rillcssa,    e   par   con- 
1 1  ntrata,  l'anima  della  sua  nazione;   e  che  finora 
non  è  emerso  altro  scrittore  che  1'  abbia   più  pro- 
fondamente penetrata   ed    artisticamente  espressa. 
Nell'anima  del  Goethe  perù,    insieme  al  perfetto 
rillesso  dell'anima  germanica,  si  svolse  un  viva,  is- 
simo  sentimento  di    ammirazione   e    simpatia   per 
l'Italia.    Pellegrinò  due  volte   nella    penisola   e  si 
trattenne  a  lungo  ogni  volta  in  Roma,  che  predi- 
lesse, raccogliendo  da  siffatte  visite   ispirazioni    e 
fiori  poetici,  da  comporne  le  ghirlande  onde  l'Ita- 
lia va  altera.    E  noi  .1  nostra  volta  imaginiamo  la 
ie  del  divo  Volfango   colata    di    saldo    bronzo 
manico  con  intercisa  una  vena  di    metallo    lu- 
minoso che    ridette  un    raggio    del    sole    italiano. 
Roma  ospiterà,  esultante,  l'opera  che  lo  scultore 
alemanno  vieti  preparando,  e  le    parrà    che    torni 
una   p.utr  dell'amico   glorioso  che,  or  è  un  secolo, 
il  ill'inb  nsiià  di  commozioni  intellet- 

tuali che  gli  era  propria,  alla  sua  vita. 

L'atto  munifico  del  Sovrano  germanico  ebbe  un 
seguito:  gli  amiri  dell'Italia  a  Parigi  se   ne  coni- 
Allestivano  in  quei  giorni   appunto  una 
une  commemorazione   del    loro   poeta    Hugo, 
morto  or  son  pochi  anni.  Esso  pure  è  eelebre  fra 
i  celebri;    ha    cantato   dell'Italia    a    parecchie   ri- 
e,  nonostante  qualche   incoerenza  nel  pro- 
prio atteggiamento  politilo  verso  di  essa,  ha  fatto 
cordialissimo  plauso  al  suo  leggendario  eroe,  Ga- 


ribaldi, ed  alle  sue  recenti  fortune.  Prima  the 
a  Roma  giunga  da  Berlino  »,  dissero  gli  amici 
nostri  di  Erancia,  •  l'elligie  del  Goethe,  convi 
che  una  del  famoso  nostro  poeta  del  secolo  XIX 
vi  abbia  il  proprio  suo  posto.  »  Non  frappi  s 
indugi:  il  busto  dello  Hugo  venne  e  fu  accolto  in 
Campidoglio. 

I  due  omaggi  —  mi  si  perdoni  l'espressioni 
l'amor  del  paese  e  il  ricordo  delle  sue  glorie  pas- 
sate ne  fa  scorrere  dalla  penna  —  leggasi  pinti 
«  i  due  doni  »  sono  per  gli  Italiani  oltremodo  lusin- 
ghieri. «■  L'impulso  è  dato  » ,  mi  sento  ora  buccinare 
intorno,  «  l'Italia  può  aspettarsi  che  altre  genti  se- 
guano l'esempio  di  Berlino  e  Parigi:  dall'  Inghil- 
terra le  verrà  un' imagine    dello   Shakespeare,  da 
Madrid  e  da  Lisbona  quelle  del   Cervantes   ( 
<  amoens,    da   più   lontane   contraile    Pouschkine, 
l'etolì  ed  altri  famosi,  a  cui  la  gloria  del  Campi- 
doglio in  Roma  non  disconviene.  Fu  un  tempo  in 
cui  i  poeti  vi  salivano  trionfando  per  esservi  inco- 
ronati.      E  perchè  »,  odo   soggiungi  altri, 
«  perchè  I'  Italia  non  maturerebbe   essa    stessa   il 
disegno,  di  comporsi  una  siffatta  galleria  di  fulgidi 
genii?  E  suo  l'intelletto  sovrano  che  da 
coli  domina  il  mondo  poetico  --    l'Allighieri :  in- 
torno a  lui  devonsi  raccogliere  gli  altri,  a  lui  sp- 
ia presidenza.  » 

Ascolto;  ma  mi  sembra  che  gl'Italiani  non  , 
sano  lasciarsi  portar  leggermente  a  simili  lusinghe 
Sono  parvenze  di  contingibilità  difficili  e  remote; 
e  solo  si  accosterebbero  a  divenir  probabili  pn 
un  popolo  che  tra' suoi  scrittori  ne  annoveri  uno 
da  cui  abbia  attinto  la  conoscenza  del  paese  ita- 
liano e  la   venerazione    de' monumenti    dissemina. 


TRE    Pi  '1   il    STRANI]  RI    AMI  1    DELL  1  l  ALI  \ 


I 


tivi  dalla  storia;  e  di  più,  scaldandosi  a' ricordi 
di  vicende  o  contatti  personali  dello  stesso  poeta, 
si  abbia  inoculate  le  simpatie  di  lui  per  la  gente 
che  lo  abita. 

Per  un  seguito  di  siffatti  pensieri,  mi  rivivevano 
in  questi  giorni  nella  mente  le  impressioni  lascia- 
temi dai  libri  dell'anglo-americano  Longfellow.  Del 
valore  di  lui  attestano  la  voga  ch'ebbero  in  patria 
e  dovunque  il  racconto  Evangelina  e  le  molte  li- 
riche, fra  cui  Excelsior,  II  salmo  della  vi/a,  Il  mio 
seggiolone,  e  quella  gemma  d"  inestimabile  valore 
regalata  dal  poeta  all'Italia:  Encelado.  Lo  Zanella, 
Pietro  Rotondi,  il  Faccioli,  il  Messedaglia  —  che 
le  attrattive  della  musa  longfelliana  per  pochi  mo- 
menti distrassero  da'  suoi  austeri  studi  —  e  parec- 
chi altri  si  provarono  a  ricomporli  in  forma  ita- 
liana. 

Il  Longfellow,  designato  a  un  insegnamento  di 
letterature  straniere  nell'Università  di  Harvard  del 
suo  Massachusetts,  per  conoscere  ben  da  vicino  il 
soggetto  delle  sue  letture  ,    venne  in  Europa  e  vi 
soggiornò,  su  dal  Mediterraneo  fino  al  Mare  ger- 
manico e  al  Baltico,  ne'  vari  paesi  :  ma  predilesse 
fra  tutti  l'Italia.  Si  possono  rammentare  in  propo- 
sito i  versi  da  lui  scritti  alla  Cadenabbia  sul  lago 
di  Como  e,  nel  suo  giornale,  le  parole  di  addio  a 
quel  luogo  incantevole:  leggansi  inoltre,  nelle  sue 
liriche .  i  ricordi  di  Monte  Cassino  ed  Amalfi  ;  e, 
tornando  al  giornale ,    le  emozioni  che  le  imagini 
dique'  luoghi  gli  destano,  sorgendo  nella  suamente 
fra  i  nembi   e   i    ghiacci   de'  lunghi    inverni   della 
Nuova  Inghilterra.    E    a'  suoi  scolari  in  Harvard, 
chiudendo  il  corso  di  letteratura  italiana,    diceva: 
—  «  Piuttosto  che  la  critica  ,    ve  ne  ho  fatto  la 
«  storia,  che  m'è  parso  metodo    più   consentaneo 
«  al  mio  e  al  vostro  sentire  :    vi   ho  introdotti  nel 
«  camposanto  de'poeti  italiani  —  santo  davvero  — 
«  ve  ne  ho  indicati  i  sepolcri,  letti  i  nomi,  le  date, 
«  le  iscrizioni  :  avrei  potuto   essere    meno  corrivo 
«  alla  lode  e  meno  indulgente  ai  difetti,  ma  ho  ri- 
■  pugnanza  a  trattenermi    sugli   errori   quando  vi 
«  sono  cose   eccellenti   da  notare.    Aggiungete  la 
«  mia  viva  predilezione    per   gli  Italiani;    amo   il 
«  cielo  sotto    il    quale    respirano   e    la  terra  dove 
«  camminano  :  e  adesso,  in  questi  giorni  che  sono 
«  tribolati  e  angosciati,  sento  di  dover  cansare  di 
dir  nulla  che  possa  raffreddare  in  alcuno  di  voi 
«  l'entusiasmo  che  per  essi  provate.   > 

Questa  è  lode  che  spira  ammirazione  ed  affetto; 
la  delicata  riserva,  che  sembra  temprarla,  ne  ac- 
cresce il  valore. 

La  sorte  propizia  gli  aveva  largito  i  mezzi  di 
spiegare  la  generosità  dell'a-iimo  colle  beneficenze 
e  colla  profusa  ospitalità.  Fra  gli  stranieri  portali 
dalla  ventura  a  quelle  plaghe  lontane,  la  più  parte 
in  cerca  di  asilo  e  di  lavoro,  gli  Italiani  arrivano 
frequenti,  e  ia  sua  mano  si  stende  loro  pronta  e 
soccorrevole.  Non  se  ne  irova  espressa  notizia  nel 
giornale,  ma  è  come  olezzo  che  si  espanda  di  fra 
le  righe.  Nei  Racconti  d'un'osteria  lungo  la  zia 
maestra  vedesi  la  figura  di  un  Luigi  Monti,  pia- 
nista e  maestro  d'italiano,  ritratta  da  mano,  che 
più  esperta  e  più  amica  quel   buon    siciliano  non 

La  Lettura. 


7°5 

poteva  desiderare.  E  un  altro  sentore  dello  stesso 
1  >n 'fumo  esala,  delicato  e  fuggevole,  da  un  passo 
di  una  sua  lettera  al  figliuolo  Ernesto  :  «  Ho  re- 
galato un  paio  delle  tue  scarpe  a  un  bel  ragazzo 
italiano  che  camminava  scalzo  nella  neve.  » 

Il  Longfellow  attese  per  molti  anni  a  tradurre  la 
Divina  Commedia  e,  con  lungo  assiduo  lavoro,  dotò 
la  letteratura  inglese  di  una  nuova  versione  che  va 
fra  le  più  pregiate  —  non  eccettuando  la  ben  nota 
del  Cary  —  per  l'intelligenza  del  testo,  la  fedeltà 
e,  avuto  riguardo  alla  diversa  indole  e  struttura 
delle  due  lingue  messe  a  fronte,  per  la  perspicuità. 
De'  sei  sonetti  ch'egli  premise  e  intercalò  fra  le  tre 
cantiche,  si  riferisce  qui  il  primo. 

—  «  Spesso  ho  veduto  alla  porta   di   una  catte- 
drale un  contadino  coperto  di    polvere  e  di  su- 

«  dorè  deporre  il  suo  fardello  ed  entrare  con  passo 
«  riverente  e  fare  il  segno  di  croce  e  inginocchiarsi 

per  recitare  una  corona  di  paternostri  :  di  là  i 
«  rumori  del  mondo  sono  lontani,  e  le  vocifera- 
«  zioni  della  via  si  odono  come   uno   schiamazzo 

confuso.  Così  ogni  giorno,  quando  io  entro  in 
«  quest'altro  tempio,  lasciando  alla  porta  il  mio 
«  fardello,  e  mi  genufletto  pregando,  non  vergo- 
«  gnoso  di  pregare,  il  tumulto  della  vita  sconso- 
«  lata  svanisce  per  me  in  un  indistinto  mormorio; 
«  ma  l'eternità  vigila  ed  attende.  » 

Nell'ultimo  di  questi  sonetti  il  poeta  esce  dalla 
cattedrale  e  si  volge  con  impeto  d'  ispirazione  al 
gran  fiorentino. 

—  :  Stella  del  mattino  e  della  libertà  !  apporta- 
tore della  luce  che  splende  alta  sopra  gli  Appen- 

«  nini,  precursore  di  un  giorno  che  non  può  non 
«  sorgere  !  Le  voci  delle  città  e  del  mare,  le  voci 
dei  monti  e  delle  foreste,  ripetono  il  tuo  canto: 
finché  i  tuoi  versi,   familiari    ad    ogni  mente,  le 
«  abbian  tutte  guidate  al  pensiero  dell'Italia  !  Da 
«  ogni  vetta  eccelsa  la  tua  fama  risuona  fra  le  n.i- 
«  zioni,  e  un  rombo  si  leva  come  d'un  forte  vento 
«  e,  riverenti,  uomini    di    Roma  a  te  finora  estra- 
nei, e  discepoli  nuovi  ascoltano   la   tua  cantica 
«  mirabile  nella  loro  lingua,  e  molti  sono  meravi- 
«  gliati  e  molti  confusi. 

Dopo  Dante,  Michelangelo.  Negli  ultimi  suoi 
anni  il  Longfellow  rivolse  l'ingegno  ad  un  poema 
di  cui  è  protagonista  quel  nostro  concittadino  che 
si  può  chiamare  il  Colosso  dell'Arte.  La  forma  è 
drammatica  e  dà,  sceneggiato,  un  capitolo  della 
storia  italiana  colle  figure  degli  uomini  che  vi  eb- 
bero rilievo  e  il  contrasto  delle  situazioni  e  delle 
passioni:  le  costumanze,  i  monumenti,  il  paese 
fanno  la  parte  decorativa  e  compiono  il  quadro  : 
malgrado  la  forma,  è  poema,  non  dramma.  Lo  pub- 
blicarono il  figlio  e  le  figlie  dopo  la  morte  dell'au- 
tore, e  in  Italia  è  quasi  sconosciuto. 

Fra  gli  stranieri  di  cui  il  nostro  paese  s'è  con- 
ciliato la  benevolenza,  questo  poeta  è  de'primi.  A 
ben  considerarle,  le  stesse  manifestazioni  di  am- 
mirazione e  di  simpatia  che  gli  vennero  dal  Goethe 
non  sono  fervide  e  commosse  come  quelle  di  que- 
st'altro amico  anglo-americano:  il  tedesco  amava 
e  accarezzava  i  ricordi  dell'Italia  per  la  parte  co- 
spicua ch'essa  occupava  nel  mondo   poetico  della 

45 


yOÓ  LA   LETTI  RA 

mi  il  Longfellow,  meno  olimpico,  s'è 
lente  a'  nostri    patimenti  e 
i  a  distinzione   è    1 1  •  i  »  f<  irme 
■  ■  indoli  de1  due  i 
L'Allighierì  si  erge  in  vetta  alla  piram 

mi  iderm  »,  lo  SI  G  ethe 

uli  stami"  presso,  il  Longfellow  a  breve   distanza 

La  sua  voce  non   si   estese   gran   tratto 

una   infinitamente   varia  delle  emozioni 

amane:    somigliò  la   brezza   mite   e   salutare 

te  le  fronde  degli  alberi  ed  eccita  ne'  vasi  le 
funzioni  de' succhi  nutrienti;  non  pareggiò  i  venti 
che  nelle  campagne  schiantano  rami  e 
l'asti  e  nell'alto  mare  re*  ano  naufragi  e  morte.  Ma, 
rvando  queste  limitazioni  della  poesia  longfel- 
liana,  non  conviene  per.,  trattenercisi  per  apporre 
alla  mente  del  Longfellow  nessuna  taccia  di  unila- 
teralità, povertà  di  sorta:  piuttosto  si  deve  fermar 
l'attenzione  sulla  compatta,  salda  rettitudine  di 
una  indole  da  cui  non  emanano  voci  che  non  suo- 
nino puramente  e  inalterabilmente  argentine  :  tale 
era  il  Longfellow. 

Se  l'avvenire  dovesse  dimostrare  che  Germania 
e  Francia  hanno  davvero,  coi  doni  di  cui  parlam- 
mo, iniziato  un  mirabile,  prima  d'  ora  impensato, 
convegno  delle  nazioni  in  Roma,  rappresentate  dai 
loro  maggiori  intelletti  ;  se  ciò  accadesse,  non  po- 


trebbe la  giovane  Repubblica  nord-anglo-america- 
na,  cresciuta  in  breve  tempo  a  prodigiosa  esube- 
ranza d'ingegno  e  vigoria  e  ricchezza  d'ogni  ma- 
niera, andar  o  ■  oll'Inghiltcrra.  Pur  ricono- 
scendo di  derivarne  per  figliazione  diretta  e  par- 
landone la  li'  a  vorrà  porre  a  fianco  dello 
Shakespeare  un  suo  cantore,  il  cui  genio  si  sia 
nutrito  delle  aure  della  terra  natia  e  respiri  l'alito 
delle  nazioni  che  vi  s.  .no  raccolte  e  fuse  a  po- 
a  unità.  Soli  pur.  i  hi  i  poeti  nati  nel  senodi 
quella  Repubblica  che  hanno  contribuito  e  tuttora 
contribuiscono  a  rivelarne  il  genio  all'Europa,  ma 
la  dignità  dell'antesignano  spetta  sempre  al  Long- 
(ellow. 

Verso  quest'  uomo  di  mente  insigne,  dalla  vita 
intemerata,  gl'Italiani  hanno  un  debito  che  li  ri- 
sguarda  in  proprio,  un  di  que'  debiti  che  non  si 
cancellano  e  non  si  desidera  di  cancellare,  pi 
vi  si  intreccia  un  dolce  sentimento  di  gratitudine 
caro  al  debitore.  Per  questo  moto  dell'  animo  uh 
Italiani  sono  indotti  a  porre,  dentro  o  fuori  del 
(  'ampidoglio,  presso  la  statua  del  Goethe  che  sta 
per  erigersi,  o  presso  l'effigie  dello  Hugo,  o  al- 
trove se  converrà  meglio,  un  ricordo  imperituro 
dell'autore  de\V  /incelatiti  e  del  Michelangelo,  del- 
l'interprete della  Divina  Commedia,  dell'amico  be- 
nevolo senza  dubbi  né  esitazioni. 


Un  ii  ali  ano  riconosi  i  mi:. 


?-<*- 


Gentile  Bellini.  —  Processione  nella  piazza  di  San  Marco.  (Fotografia  Alinari 


Il  campanile  di  San  Marco 


cale  glorioso  monumento  hanno  per- 
duto Venezia  e  1'  Italia!  Di  quan- 
ta storia  era  stato  testimone  e  quan- 
e  grandezze  aveva  celebrato  con  la  sua  voce  pos- 
sente '.  Quanti  occhi  ==_==_==^^^==_ 
d'artisti  e  di  buoni  po- 
polani l'avevano  acca- 
rezzato dalla  poderosa 
base  all'  angelo  librato 
e  fiammante  nel  sole  ! 
Egli  contemplava  so- 
lenne l'ampia  laguna 
seminata  disole  e  di 
le,  poi  la  terraferma 
e  i  vaporosi  Colli  Eu- 
ganei e,  a'  suoi  piedi, 
l'ampia  città  marmorea 
segnata  dalle  vene  az- 
zurre dei  canali.  Col 
i  della  sua  campa- 
na sembrava  risvegliare 
il  ricordo  dei  fasti  an- 
tichi, e  rimpiangere  i 
giorni  in  cui  i  suoi  na- 
vigli tornavano  dal- 
l' Oriente  gravi  di  te- 
sori. 

Esso  aveva  pur  veduto  dalle  navi  imbandierate 
e  vittoriose  scaricarsi  sulla  riva  degli  Schiavoni  e 
nella  piazzetta  sottoposta  —  gremite  d'un  popolo 
forte,  immaginoso  e  vivace  —  oggetti  d'arte  tolti 


Piazza  San  Marco.  (Fotografia  Alinari). 


ali  Oriente  e  drappi  persiani  e  sete  turche  e  gemme 
e  marmi  delle  miniere  d'Asia  e  profumi  e  frutti  e, 
incatenate,  sino  le  belve  più  terribili  e  belle  delle 
foreste  tropicali. 

E  tutto  allora  vibra- 
va intorno,  nelle  grida 
festose  di  chi  aspettava 
e  di  chi  tornava,  nel 
suono  delle  campane 
delle  torri  minori  e  del- 
le trombe  della  Signo- 
ria ;  e  tutto  splendeva 
nel  sole,  riflesso  dal 
mobile  specchio  delle 
acque,  dal  candore  mar- 
moreo dei  palazzi,  dal- 
l'uro dei  musaici  di  San 
Marco. 

Tanta  grandiosità  e 
tanto  lieto  fulgore  pe- 
netravano nelle  anime 
de'  suoi  artisti  e.  pas- 
sati in  quella  ideale  tra- 
fila, tornavano  novella- 
mente a  splendere  negli 
edifici,  nei  marmi  e  nei 
quadri.  Le  floride  donne  bionde  davano  ai  pittori 
lo  spettacolo  d'una  sovrana  bellezza  e  d'un  lusso 
meraviglioso,  e  gli  artisti  in  compenso  davano  loro 
l' eternità  dell'  ammirazione  ritraendole  nelle  loro 
opere  immortali. 


LA    LETTI  1   \ 

i    le   piazze  i  nali, 

.1    un   temp        Bi  limi,   il  Ca 
,   \l      sueti,  i  Vivarini,  il  (  Irivelli,  il  (  G 

tardi,  Jao  >p  i  Palma,  I 
i  ["intoretto,  P  Bi 

Pai  il  i  \  ei si .   E  gli  eroi  della  poi 

rra  e  del  comi  ino  I t  i  n 

li  fasto,  i         he  l'ai         rgeva 
ili  tutti  :   dal  cavaliere  con  le  vesl  i 
sulle   forme  del    corpo,    agli    austeri    senatori 
ravvolti   nelle  amj  .    dalle  dame  sontuose, 

ui  lusso  si  profondevano  patrimoni,  alle  donne 
della  pie!  lei  tradizionale  costume.  E  a  loro 

si    n  ino  i    mori  comprati    in    Africa  e    le 

jse,  di  cui  ogni  signora  ambiva  il  van 
to,  i  Turchi  dal  Lai  rbante  e  i   Persiani  dagli 

alti  tocchi,  venuti  a  mercanteggiare  le  loro  stoffi  . 
e  gli  Africani  che  io  piante  ed  animali  eso- 

tici, e  i   Fiamminghi  e  gli    i  ngheri  che  v'accorre- 
suonare  e  a  cantare  le  rapsodie  della  Inni 
patria. 

Quello  che  narrato  dalla  fantasia  sbrigliata  ili 
un  poeta  o  nelle  favi  le  delle  Votii  orientali,  sa- 
rebbe parso  una  sorprendente,  inverosimile  imma- 
ginazione, un  divino  sogno;  quel  popolo  ili  mari- 
nai, di  mercanti  e  di  soldati  seppe  fare. 

Così  la  maravigliosa  città  e  la  maravigliosa  sua 
vita  si  svolsero  intorno  a  quella  torre,  che  per  ogni 


i    lutto  o  tristezza  g 
per  lana  •■  sull'acque  il  fremito  della  sua  i 


Si  ita  infatti  col  sorgere  della  gloria  di  Va 
ne  Ma  vigilati  i  destini  per  dieci  secoli,  perchi   tutte 
le  notizie,  raccolte  dal  Cicogna  e  dal   Paoletti, 
ducom    .i   i  teni  i  la  cominciata  nel  913. 

L'n   fulmine  la  danneggiò  moltissimo  nel   1489. 
Fu  dato  ordini-  a  Gior|   0  Spavento  di   fare  un 
dello   per    la    ricostruzione    della    parte    supei 
ch'era   caduta.    Molto    probabilmente   quegli   es 
plori   della    veduta    di   Venezia,    riti-nula    di    Jai 
de'   Barbari,  nei  quali  si  scorge  il  campanile  com- 
piuto,  non  lo   rappresentano  che  in   istato  di    pro> 
Ilo   dello    Spavento    rimase 
ineseguito.    Nel    1511   Venezia   ebbe    infiniti   danni 
■  la    un   terremoto.    Il  campanile  ricevette   una   nuo- 
va scossa   che  costrinse  ad   altre   riparazioni,    t 
le  quali   si  stabili   di   compierlo   affidando   la   dire- 
zione   dei    lavori    a    Bortolomeo   Bon,    bergama 
L'opera    di    lui    cominciava    dal   secondo    finestrino 
sotto    la    cella  campanaria    e    finiva  all'angelo.    In 
quattro  anni  tutto  fu  fatto,  e  Marin  Sanuto  fisso  la 
cronaca  di  quel   lavoro  ne'  suoi  preziosi   •■  abbon 
danti   Diari. 

Nell'aprile  del   1745  il  campanile  fu  nuovamente 


La  Locgetta  e  la  librbkia. 


IL    CAMPANILE    hi    SAN    MAR(  i  i 


709 


Portelli  in  eronzo  del  Gai,  nella  Loggetta.  (Fotografia  Alinari). 


percosso  dal  fulmine  con  danno  grave,  riparate 
subito  dalla  sapienza  di  Bernardino  Zendrini  e 
del  Poleni,  cosicché,  nel  dicembre  di  quello  stesso 
anno,  la  riparazione  era  finita  con  la  spesa  di  quasi 
settemila  ducati.  Il  provvedere  ai  guasti  del  ful- 
mine fu  occasione  allo  Zendrini  di  avvertire  altri 
numerosi  disgregamenti  cui  cercò  dì  porre  rimedio. 
Nell'opera  tSan  Marcon  pubblicata  dall'Ongania  si 
leggono  alcune  relazioni  dei  Procuratori  de  Supra 
al  Doge,  nelle  quali  l'argomento  è  trattato  ampia- 
mente. 


Chi  non  conosce  il  doloroso  canto  da  Alfredo 
Meissner  dedicato  a  Venezia  ? 

«Dove  sono  gli  altieri  giorni  quando  Venezia 
viveva  nel  fulgore  della  gloria  come  una  tradizione 
vivente,  quando  il  cieco  Dandolo  tornava  con  pro- 
spero vento  dall'assedio  di  Bisanzio  recando  i  ca- 
valli di  bronzo?». 

0  La  morte  è  dunque  la  sola  sorte  suprema  d'ogni 
grandezza?  e  deve  perire  sempre  quello  che  erede- 
vasi  eterno?».  , 

«L'aurora  spande  sulla  marina  le  sue  vesti  a- 
ranciate.  l'alcione  si  tuffa  nell'acque  strillando,  le 
acque  gorgogliano  innamorate  ai  primi  baci  del 
giorno,  il  leone  guarda  fisso». 

Quello  che  credevasi  eterno  deve  perire  !  Ancor 


ieri  il  sole  illuminava  sorgendo  la  superba  mole 
e  sembrava  battere  col  suo  raggio  la  campana  che, 
portata  da  Candia,  ne'  suoi  gemiti  anelava  al  nati- 
vo oriente. 

Oggi,  invece,  dove  s'elevava,  non  si  vede  più 
che  un  mucchio  di  rovine  minute,  trite,  dalle  quali 
non  sarebbe  possibile  indurre  la  più  piccola  idea 
di  ciò  che  fu  il  monumento.  Viste  dal  fondo  della 
piazza  sembrano  un  cumulo  di  pietrisco  informe, 
quale  può  derivare  dalla  demolizione  d'un  vecchio 
quartiere.  Appena  guardandole  dalla  porta  del  Pa- 
lazzo Ducale  s'intravvedono  qua  e  là  nuclei  di  mat- 
toni rimasti  uniti,  e  travi,  e  lamine  di  piombo 
contorte  ed  uno  di  quei  cavi  risonanti  bronzi  che 
Ippolito  Pindemonte  sperava  eccitatori,  con  la  tre 
menda  voce,  dei  giovani  che.  seduti 

pur  sotto  il  picchio  salutare  un  lungo 
caffè  l'intero  di  stanno  sorsando. 


Del  fatto  che  può  aver  determinata  la  ruina  del 
campanile  non  è  qui  il  luogo  da  trattare,  molto 
più',  che  gli  animi  addolorati  (ed  alcuni  anche 
esasperati)  non  consentono  ancora  un  giudizio  per- 
fettamente sicuro,  tranquillo  e  quindi  equo.  Dire- 
mo solo  ritenersi  dai  più  che,  per  un  lavoro  di  ri- 
parazione al  tetto  della  loggetta  del  Sansovino  (ad- 


'IO 


LA    LETTURA 


Madonna  in  terracotta  del  Sansovino.  (Fot.  Alinari). 


Ma  |  si  domanda  da  taluni)  i  danni  del  caos 

panile  ili    San    Marco  erano  stati   avvertiti?  e- 
rano  pali  no  riparai' 

Ahimè,  della  sapienza  del  giorno  di 
pieni   i    lussi'    Certo   qualche  grido   d'alli 
o    almeno   qualche  susurro    ili    sospi 
udito;    ma    il  campanile   aveva   sfidato   ti 
moti,  venti,   fulmini  e  secoli  e  non    lo  si 
teva  ritenere  così  cariato  nelle  ossa  da  pie) 
per  una  scalfittura.   Quindi  vero  terrore  ]ht  la 
sua  sorte  non  esisteva. 

E  se  I  stito,  eil  ogni  rimedio  si  fossa 

riconosciuto  vano,    chi    avrebbe   assunta    corag- 
giosamente   la    responsabilità    della   demi 
ne  di    ii   '"'    ! '   ni  ntomila,  eh 

beni   strillato   essere    ancora    il    campanili-    in 
istato    ili    vivere   centinaia  d'anni?    l'uni 
sembra    fatale  che,   in   casi   simili,    la  trag 
debba   avvenire! 


I  nostri  avi,  di  fronte  a  tali  pi  rie  li,  erano 
più  disinvolti  di  noi,  perchè  erano  meno 
liti   dalla  critica  divenuta,   oggi,   col  giornali- 
smo, spaventosa.  Cosi  essi  demolivano  ciò  che 
imbarazzava  o  pericolava  in  un  modo  spii 
tivo  e  quasi  elegante. 

II  Vasari,  ad  esempio,  ci  racconta:  «  Pare- 
va che  dovesse  esser  molto  difficile  il  rovinare 
la  torre  del  Guardamorto  (in  Firenze)  la  qua- 
le era   in   su  la  piazza  di   San  Giovanni.   ]»-r 

dossata,  in  basso,  al  campanile),  essendosi  praticato  avere  fatto  le  mura  cosi  gran  presa  che  non  se  ne 
un  solco  nel  suo  muro,  questo  ha  cominciato 
a  lesionarsi  e  a  cedere  appunto  da  quella 
parte.  Ma  è  giusto,  di  fronte  all'accaduto, 
aggiungere  che  un  laverò  simile  non  avrebbe 
causato  così  grande  disastro  se  il  campanile 
non  fosse  stato  già  disgregato  nella  sua 
compagine,  e  così  invecchiato  e  così  maltrat- 
tato da  divenire  addirittura  friabile.  Tanto- 
ché è  lecito  pensare  che  la  sua  esistenza  non 
avrebbe  potuto  prolungarsi  ancora  per  mi 
tu  tempo,  e  che  ogni  più  piccola  ed  incauta 
ferii. i  l'avrebbe  oramai  compromessa.  Lo 
dice  il  fatto  occasionale,  e  lo  dicono  le  mine 
nel  loro  completo,  indescrivibile  siacelo. 

E  non  è  la  prima  volta  che  una  sventura 
del  genere  colpisci-  Venezia.  Nel  1455  il 
campanile  della  chiesa  di  Sant'Angelo,  re- 
clinato in  modo  spaventoso,  minacciava  il 
sottoposto  ni'  ■  -  ni  11, ,  allora  Vri 
tile  di  I  .1  raddrizzarla  Quell'ar- 
chit(  sì  che.  nello 
stesso  anno,  in  Bologna,  trasportava  il  cam- 
pani!'- d  dei  Ca- 
vali'1  d  Milla,  per  ben  tredici  piedi  verso 
la  facciata;  Ma  se  quest'ultimo  ardimento 
era  stato  coronato  dal  più  ampio  successo, 
non  altp  torre  di  San- 
t'Angelo, la  quale,  poche  ore  do] mpiuti 

i    lavori   e   nel  cuor   della    notte,   p 
schiacciando  un'ala  del  mon  I  alcuni 

frati. 


o  —  bron/  '  ni  1    Sansovino.  (Fotngr.  Alinari), 


IL    CAxMPANlLE    HI    SAN    MARC»  » 


limili 


•vi.fi 


.     .    :■«■'.    .     ..  :r> 


II  campanile  visto  da  San  Giorgio.  (Fotogr.  di  Luigi  Sassi, 


poteva  levare  con  i  picconi  e  tanto  più  essendo  al- 
tissima,  perchè  facendo  Nicola  tagliar  la  torre  da 
piedi  da  uno  dei  lati  e  fermatala  - 

con  puntelli  corti  un  braccio  e 
mezzo,  e  poi  dato  lor  fuoco,  con- 
sumati che  furono  i  puntelli  ro- 
vinò e  si  disfece  da  se  quasi  tut- 
ta ;  il  che  fu  tenuta  cosa  tanto 
ingegnosa  ed  utile  per  cotali  af- 
fari, che  è  poi  passata  di  manie- 
ra in  uso,  che  quando  bisogna, 
con  questo  facilissimo  modo  sì 
rovina  in  poco  tempo  ogni  edìfi- 
zìod.  E  se  anche  il  Vasari  con 
le  ultime  parole  non  facesse  fede 
che  il  modo  usato  da  Nicola  Pi- 
sano era  divenuto  comune,  lo  fa- 
rebbero le  cronache  bolognesi,  le 
quali  ad  ora  ad  ora  registrano 
demolizioni  simili  anche  per  torri 
d' un'  altezza  straordinaria.  La 
Cornacchina,  in  Bologna,  era  la 
torre  più  alta  dopo  quella  degli 
Asinclli.  alta  insomma  verso  no- 
vanta metri.  Ebbene,  Pietro  di 
Mattiolo,  presente  al  fatto,  regi- 
stra al  9  aprile  i.^qo:  «Essendo 
tagliata  da  tre  lati  ai  pie'  e  apun- 
tellata, fo  fitto  lo  fuoco,  e  cusì 
le  ». 
Per  tal  maniera  indirizzavano 
anche  la  ruina  per  lo  spazio  dove 
poteva  avvenire  col  minor  danno 
dei  monumenti   circostanti. 


7II 

dell'angolo  della  Libreria.  Ma, 
quando  ci  sarebbe  stato  tempo, 
l'edificio  non  autorizzava  col  suo 
aspetto  ili  solidità  il  grave  prov- 
vedimento; e  quando  invece  l'au- 
torizzava, la  mina  era  così  spa- 
ventosa e  pioceileva  così  fulmi- 
nea, da  non  lasciare  modo  a  nes- 
suna applicazione  di  metodi  vec- 
chi e  nuovi. 

Ma  poteva  salvarsi  nulla? 

Purtroppo  noi  sospettiamo  che 
le  valve  di  bronzo  della  Loggetta 
e  le  statuette  delle  nicchie  potes- 
sero ancora  mettersi  al  riparo. 
Per  far  ciò,  non  occorreva  aspet- 
tare che  tutto  fosse  per  crollare. 
Bastava  l'apparizione  della  pri- 
ma crinatura.  e  se  nulla  accade- 
va, si  sarebbe  rimesso  tutto  e 
tranquillamente  a  suo  posto.  Il 
proverbio  La  prudenza  non  e  mai 
troppa  è  più  antico  di  tutti  i 
campanili  del  mondo! 

Quanta  parte   della  Loggetta  di  Jacopo   Sanso 


Ma  tale  sistema  si  sarebbe  po- 
tuto applicare  al  campanile  d' 
San  Marco?  —  Indubbiamente,  e 
forse    avrebbe    valso    la    salvezza 


La  ruina  verso  San  Marco.  (Fotografia  Naya). 


LA    II    [TURA 


Un  giorno  dopo.  (Fotografia  Jankuvich). 


vino,  ossia  del  gioiello  che  ornava  la  base  del  cam-  dai    massi    che    le    franavano   dietro,  spezzarsi    in 

panile,  sia  perita,  non  si  sa.  I  pochi  che  hanno  as-  vari  punti,  balzare  infranta  qua  e  là. 
sistito  al  crollo  l'hanno  vista  staccarsi   dalla  mole  1    due   magnifici    portelli   di   bronzo,  buoni   getti 

maggiore,   slittare   verso   San  Mann,   come   spinta  d'Antonio    Gai,    della    metà  del  secolo   XVIII,    si 


'i    INFORMI  I  iuido    M 


«La  Marangona  ..  (Fotografia  di  Guido  Mala 


IL    CAMPANILE    DI    SAN     M  VRO  > 


7i3 


trovati  pressoché  intatti;  così  alcuni  ri- 
lievi del  grande  attico.  Anzi  il  rifacimento  ba- 
o  del  putto,  seduto  sulla  corazza  e  reggen- 
te lo  scudo,  è  il  frammento  -palese  più  notevole 
della  rovina. 

Ma  in  che  stato  si  troveranno  le  figure  pur 
del  Sansovino  che  già  ornavano  le  nicchie? 
Esse  rappresentano  la  Pace,  in  atto  di  abbas- 
sare la  fiaccola  e  spegnerla  sopra  una  celata. 
Ilo,  Mercurio,  Pallade  in  anni  con  lo 
scudo  ornato  dalla  testa  di  Medusa.  Forse 
;er  di  bronzo  e  di  eccellente  fusione,  le 
avrà  fatte  resistere  al  cozzo.  Che  sarà  invece 
dei  rilievi  di  Gerolamo  da  Ferrara,  con  Vene- 
zia sui  due  leoni,  Giove  simbolo  di  Creta, 
Venere  simbolo  di  Cipro,  Elle  caduta  dal 
montone  di  Frisso,  Teti  che  soccorre  Lean- 
dro ?  Si  saranno  salvati  ?  Il  dubbio  lascia  qual- 
che adito  alla  speranza  che  muore  quando 
ptnsiamo  che  la  bella  Madonnina  sorridente 
tra  il  figlioletto  e  san  Giovannino,  dello 
so  Sansovino,  esposta  nell'interno,  era  di 
terracotta  ! 

Un'altra  piaga  larga  e  profonda  si  è  aperta 
pel  crollo  della  torre,  nell'angolo  della  Libre- 
ria Vecchia,  il  più  bell'edificio  classico  di  Ve- 
nezia architettato  dal  Sansovino  nel  1536.  Dal 
basso  della  piazza  si  vede  l'interno  della  gran 
sala,  con  le  tele  del  soffitto  sbrindellate,  le  cen- 
tine sospese,  le  cornici  pendule,  e,  dietro  tanta 
ricchezza  ruinosa,  intatte,  nel  loro  divino  ful- 


,' 


Il  varco  della  Libreria.   (Fotogr.  di  Arturo  Ruol). 


, 


La  frana.  (Fotografia  Jankovich). 


'  I 


LA    1 


trienni  dame  vene      si  dall'asse  della  piazza  e  la  fronteggiava  nei 
li    paoli  ■   ab         anti   le  Mate      il  lato  orientale.    Abbattute  le  casette,  i 


la  Mus  due  drammatiche 

M 
so  |kt  salvare  i  1   ^  col  tra 

pnlcri  d'Alessandria  a  Venezia,  i  Iella 
s  icra. 


con  la  costruzione   le   Procuratie  nuove  di   Vino 
o  Scamozzi,   San   Marco  non  sembrò  spostato 
la  rag  1  Campanile  rimasi-  a  far  da  quii 

i  ssia  a  ri  il   lato  della  vasta   piazza,  ri 

vato  un  i  della  i  h 

Oggi   invece   la  chiesa   ha  come   latto  un   1 
,*»  .i  sinistra,  e  il  vuoto  lasciato  dalla  l 

do  la   Porta  della   l 'aita,  uno  spigolo  <!< 
Quando  il  polveroso  e   informe  cumulo  del   pie      Ducale,  e  una  sua  tettoia   piuttosto  bruì 
sarà  scomparso,  e  quando  la  piazza  ne  sarà     alla  facciata  bizantina   l'assoluto  dominio  di 
e  spazzata,  risorgerà  il  campanile  dove  lo  si     [at0|  e  ne  suina  quindi  l'effetto  e  l'import; 

Ben  si  vede  ora  quale  profonda  ragione 
faccio  i  più  fervidi  voti,  perchè  non  so  im-     aveva  il  concerto  ili  quei  mirabili  edifici!    I 
raaginare  il  profilo  di  Ve  o  dall'isola  di  San     figli  d'un  tempo  che  non  sa  trovare  un'arte-  pn 

O,    dalla    Salute,    dalla    Riva  degli    Schiavimi      nemmeno  passabile,    non    dovremmo   titubare  un    i- 
senza    quel    mirabile   dominatore;     perchè    noti    SO     stante  a  rimettere  le  cose  com'erano  e  a   i 
immaginare  la  piazza  stessa  nella  regolarità  d'un'al-     neLla  nuova  mole  tutte  le  superstiti   parti   dei 


ve,  che  adornavano  la  vecchia,  tantoché  più  eh 
costruzione  di  un  edificio  si  abbia  la  ricostruz 
[uello  ora  caduto. 


i    sola    senza    lo    slancio  quasi    impetuoso    di 

quella    vetta    che  gettava    il    suo    grido    ai    venti  ; 
perchè  non  so  immaginare  che  migliaia  di  persone 
che  ne  vedevano  la  guglia  dalle  loro  case,  dai   lon- 
tani canali,  dai  campi,  dalle  calli  più  ren 
sano  rinunziare  per  sempre  a  contemplare  quell'an- 
gelo dorato  che  segnava  dall'alto  il   putito  dove  Ve-  E'  destino  che  tutto  ciò  che  avviene  a  Vi 
nezia  è  più  bella,  dove  Venezia  ha  profuso  maggior     di  bello  o  di  doli  n  51     abbia  il  fascino  della  p 
tesoro  di  marmi  e  di  musaici,  dove  ha  più  operato,     e  della  leggenda.  Nulla  di  più  falso  che  il  gr 
trionfato,  goduto,  sofferto.                                                 colui  che  sdamò:   «O  mia  patria;  tu  non   si 

Ma  è  possibile  che  ci  sia  chi  pensa  a  non  erigere     acqua  e  pietra  !  n.    Qua   le  immagini   marmorei 
più  la  torre,   in   quel   fulcro    donde  partono  i   tre     vono,  e    i    palazzi    rifulgono   come  tavole 
raggi    della    Piazza,    della    basilica    d'oro  e  della     sche   istoriate  di    nobili   fatti   o   suffuse   d'alto   mi- 
Piazzetta?  E'  possibile  che  ci  sia  chi  la  voglia  con-     stero. 
forme  alla  debole  e  incerta  architettura  d'oggi? 

La  torre  deve  risorgi  re  com'era  e  dov'era;  nella 
fonua  e  nel  posto  consacrato  dai  secoli,  per  consi- 
derazioni artistiche  e  di  moralità  storica. 

indo  infatti  le  piccole  e  diverse  case  muove- 
i  sulla  lini  Dipanile  verso  ponente,  come 

si  vede  nella  grande  t'i;,  di  Gentile  Bellini  conser- 
vata nella  R.  I  :i  Venezia,  la  facciata  della 
chiesa,  quantunque  olii-, pia,  non  pareva  allontanar- 


L'angelo  d'oro   è    precipitato    dal  vertice    della 
guglia   e   nel   suo    volo    ha   cercato   la   chiesa    per 
proteggerla  dalla   mina.   Così   tutto  gli    è    fr;> 
dietro,  senza  che  una  pietra  abbia  offeso  il  rie 
dei    marmi,    nel   Tempio   come  nel     Palazzo    dei 
Dogi. 

11    vecchio   glorioso   è    morto  dunque  rispettando 
ed  affidando  ad  altri  sa-oli  la  vita  dei  mirabili 
fid  vicini.    Così    li   sappiano  rispettare  gli   uomini' 


Corrado  1 


Cessato  n    paj  ;    l  igrafia  'li  Domenica  Ku"i  . 


Roma.  —   Teatro  Marcello.  (Palazzo  Orsini). 


Per    un    Palazzo 


JÌerso  la  metà  del  secolo  XI  un  certo  Leo- 
|  ne  di  Benedetto,  che  era  cresciuto  in 
sai  potenza  e  in  forza  tra  le  famiglie  ro- 
mane di  quel  tempo,  si  fortificò  nel  Teatro 
di  Marcello ,  e  sugli  avanzi  di  quell'  insigne 
monumento  romano  costruì  le  sue  case ,  le 
sue  torri  e  il  suo  castello.  Più  tardi  il  figlio  di  lui 
Pietro  —  Petrus  Leonii  il  cui  rozzo  sepolcro  si 
consena  ancora  nel  bel  chiostro  suburbano  di  San 
Paolo  —  fondò  la  dinastia  dei  Pier  Leoni  i  quali 
imparentati  coi  Frangipane  pretesero  di  aver  dato 
il  nome  e  l'origine  alla  casa  di  Absburgo.  Ma  di 
queste  cose  non  è  qui  opportuno  occuparsi  come  non 
è  opportuno  ricercare  quanto  vi  fosse  di  vero  nelle 
accuse  dei  fautori  d'Innocenzo  II,  i  quali  per  rl> 
battere  l'antipapa  Anacleto  —  che  tra  appunto  un 
Pierleoni  —  vollero  farlo  discendere  da  un  ban- 
chiere ebreo  nobilitato  dal  Papa  in  seguito  all'im- 
prestito  di  una  grossa  somma  di  denaro.  Certo  si  è 
che  la  famiglia  romana  era  in  quelli  anni  potentis- 


sima, che  le  loro  case  signoreggiavano  il  rione  più 
popoloso  e  più  tumultuoso  della  città  e  che  per  i 
molti  benefici  e  le  molte  larghezze  i  due  terzi  dei 
popolani  e  delle  famiglie  nobili  obbedivano  più  vo- 
lontieri  ad  Anacleto  II  che  al  suo  rivale  Inmx'enzo 
ricondotto  in  Laterano  per  l'eloquenza  di  Bernardo 
da  Chiara  vai  le  e  per  la  forza  di  Lotario. 

Fu  questa  la  prima  origine  del  palazzo  sorto  sui 
ruderi  del  Teatro  di  Marcello:  e  di  questa  sua  ori- 
gine battagliera  e  violenta  egli  ritiene  ancora  qual- 
cosa nell'aspetto  e  nella  forma.  Ma  allora  le  for- 
tezze dei  Baroni  romani  si  somigliavano  un  poco 
tutte  e  quasi  tutte  sorgevano  sugli  edifìci  antichi 
trasformati  frettolosamente  e  muniti  contro  gli  as- 
salti delle  fazioni  nemiche.  Così,  per  esempio,  gli 
Orsini  avevano  occupato  il  castello  Sant'Angelo  e 
i  ruderi  verso  il  Tevere  che  da  uno  dei  loro  dove- 
vano chiamarsi  ili  Monte  Giordano;  i  Caetani  si 
erano  fortificati  al  sepolcro  di  Cecilia  Metella  e 
dominavano   la   strada  che  conduceva   a  Roma;   i 


:•" 


LA    LETTURA 


nevano  il  i  l        ina  le  Tei 

E  tutti  « [iiL-st  i  antichi  edifìci  rin- 
-    munivano  'li  torri,  di  bastioni,  d'opere 

nespugna- 

10  assedi,  intorno  a  cui  si  combatte- 

idiali.    Era  l'anima    fiera   della 

rale,  divisa  dagl'interessi  dei  suoi  ot- 

mpre  in  lotta  por  il  pontefice  e  contro  il 

luta    nello  suo   torri,    sicura   nel 

ritto  e  nella  sua  forza. 

gi  il  palazzo  Orsini  è  l'ultimo  avanzo  di  quel 
tempo  e  <lì  quelle  lotte.    Passato  ai  Savelli  verso 
lei  secolo  XVI  e  acquistato  dagli  Orsini 
duchi  ili  Gravina  nel  17^5.  il  grande  edificio  sorto 
sulli  di  un  teatro  sfuggì  alle  distruzioni  po- 

le  'li  Sisto  V  e  ai  rifacimenti  cattolici  del  sei- 
cento.   In   quella   rete  di   vicoli    e  'li   chiassoli   che 
alla  piaz/.i   '  ira.  il  Teatro  e  il 

rvanO  ancora  la  loro  lisonomia  pri- 
mitiva: l'uno  annerito  dagli  anni  e  dal  fumo  dei 
fabbri  che  ne  occupano  gli  archi;  l'altro  quasi  ce- 
lato alla  vista  dei  viandanti,  m  .  inacces- 
sibile come  ai  giorni  gloriosi  di  l'ior  Leone  quando 
la  plel>e  lo  assediò  tumultuando  contro  Xhomo-no- 
ato  console  dall'amicizia  e  dall'interesse 
di  Pasquale  II.  E  tutto  quel  rione  conserva  an- 
un  aspetto  particolare:  dal  Portico  d'Ottavia 
al  ni  di  Tor  de'  Specchi,  dalla  piazza  dei 
Cerchi  all'arco  dei  Saponari  è  oramai  l'ultimo  lem- 
ttà  baronale  sfuggito  ai  rifacimenti, 
sfuggito  ai  restauri,  sfuggito  alle  demolizioni.  Une- 
intiera  rivive  in  quel  breve  spazio.  Qui  è  la 
chiesa  di  Sant'Angelo  in  Pescheria  da  dove  Cola 
di  Rienzo  la  notte  della  Pentecoste  del  1347  dopo 
aver  sentito  le  tre  messe  rituali  si  parti  coi  suoi 
compagni  in  arme  per  andare  a  proclamare  la  Re- 
pubblica in  Campidoglio:  più  in  là  è  il  palazzo 
dei  Cenci  ancora  tutto  pieno  di  leggende  supersti- 
ziose intomo  alla  terribile  famiglia  di  Francesco; 
più  in  là  ancora  il  monte  Aventino  con  le  sue 
chiese  fortificate,  ultimo  avanzo  del  sogno  ambi- 
zioso di  Onorio  III.  E  poi  la  chiesa  di  San  Nicola 
in  Carcere  —  che  ci  rammenta  la  favola  medie- 
vale di  una  matrona  che  col  suo  latte  nutriva  il 
padre  prigioniero  in  quel  luogo  —  e  la  chiesa  di 
Santa  Calla  che  fu  eretta  sulle  case  della  pia  figlia 
di  Simmaco.  E  poi  la  Rupe  Tarpea  —  dove  si  giu- 
stiziavano i  traditori  antichi  —  e  la  piazza  dei 
Cerchi  dove   s'impiccavano  i    delinquenti    moderni. 


pra  questi   edifici,   disseminati,    sopra   queste 

vie  ìi  e  nascoste,  i  cui  nomi  fanno  rivivere 

dimenticate  nella  storia  e   nel   tempo,  il 
lazzo  Orsini  torreggia  minaccioso,  quasi  riassumen- 
do,   nel  suo  recinto,   tutta  la  storia  di   un   mondo 
scomp 

E  in  loudo  egli  subisce  la  sorte  di  coloro  che  lo 
Ili  Orsini  furono  i  più  fortunati 
I  red  ni  che  la  storia  di  Roma  ricordi:  alla  line  del 
secolo  XVI.  tutta  la  Sabina  apparteneva  loro  e 
loro  era  la  rocca  di  Memi  col  bel  lago  dove  la  leg- 
genda pagana  di  Cinzia  continuava  a  trionfare  tra 
1  terrori  del  Cristianesimo;  e  loro  il  Castello  di 
Bracciano  che  dominava  dall'alto  delle  suo  torri 
la  strada  di  Roma.  A  poco  a  poco  essi  avevano  im- 
posto la  iosa  gentilizia  del  loro  stemma  su  tutti  i 
\illaggi  del  Lazio  e  della  Sabina.  Il  nome 
bastava  a  interrorire  le  popolazioni  e  a  preoccu- 
pare i  gonfalonieri  papali. 

«  Se  alcuna  erba  cattiva  —  scrive  Giovanni  Toma- 
selli,  nipote  e  gonfaloniere  di  Bonifacio  IX  al  go- 
vernatore di  Rocca  Antica  in  Sabina,  parlando  dei 
vassalli  degli  Orsini,  in  una  curiosa  lettera  che  ho 
veduto  in  quell'archivio  —  Se  alcuna  erba  cattiva 
fosse  tra  le  herbe  buone,  non  vogliate  esser  pietosi 
a  mozzarla  con  le  mani  vostre  ».  E  con  la  forza, 
sprezzando  il  raggiro  e  adoperando  molto  la  spada 
essi  cinsero  Roma  della  loro  signoria  vittoriosa. 
Essi  furono  essenzialmente  uomini  d'arme  e  di 
violenza  :  non  protessero  le  arti  ;  i  loro  palazzi  e  i 
loro  castelli  ebbero  sempre  l'aspetto  di  fortezze 
quasi  sdegnassero  le  eleganze  del  Rinascimento  e 
le  sontuosità  del  cattolicismo  ;  ma  il  loro  ni  ime  fu 
quasi  il  simbolo  della  forza  feudale  e  i  due  orsi 
marmorei  che  misero  a  guardia  dell'antico  palazzo 
dei  Pierleoni,  esprimono  mirabilmente  la  [x>tenza 
rude  e  tenace  della  loro  stirpe. 

Ma  forse  appunto  per  questo  sforzo  di  volontà, 
per  questo  dispendio  di  energie  e  di  vita  a  traverso 
i  secoli,  la  grande  famiglia  romana  si  è  a  poco  a 
poco  esaurita.  I  loro  castelli  sono  andati  in  rovina, 
il  loro  nome  è  stato  trascinato  nel  pettegolezzo  dei 
tribunali,  i  loro  ultimi  discendenti  si  sono  eh 
nella  pace  livellatrice  del  chiostro,  e  il  loro  pa- 
lazzo, quel  tragico  palazzo  dove  aveva  trovato  un 
degno  rifugio  tutta  la  loro  gloria  e  tutta  la  loro 
potenza,  è  andato  all'asta  come  il  podere  di  un  de- 
bitore  insolvibile  o  meglio  come  il  rottame  di  un 
grande  vascello  naufragato. 


Diego  Anci  i  l 


»*av-> 


. <S  O  IVX  JVX  -A.  I*  I  O     E3 

Romanzi  e  novelle.  —  Poter  arriver  au  bonlieur  (Georges  Sauvin).  —  L'orecchio  di  Dionigi  (Angelo  Gatti).  — 
Grctchen  (Dionigio  Norsa).  —  L'eau  centrante  (Edouard  Rod).  —  /  figli  del  Cielo  (Tcheng-ki-tong).  —  Dopo 
il  divorzio  (Grazia  Deledda  ). 

Poesia.  —  Quello  che  più  non  toma  (Alfredo  Mancini). 

Belle  Arti.  —  Pittori  lombardi  del  Quattrocento  (Francesco  Malaguzzi- Valeri).  —  Dal  Maloja  a  Sotre-Dame 
(Domenico  Tumiati).  —  Attraverso  gli  albi  e  le  cartelle  (Vittorio  Pica). 


ROMANZI    E    NOVELLE. 

Georges  Sauvin:  Patir  arriver  au  bonlieur  (Pa- 
ris.  Librarne  Plon),  3  frs.  50. 

La  via  per  raggiungere  la  felicità  è  la  via  mae- 
stra del  dovere,  il  diritto  cammino  dell'onestà  : 
questo  precetto  della  morale  eterna  l'autore  svolge 
nel  suo  grazioso  romanzo  con  molto  garbo,  con 
molta  arte. 

Nella  vita  reale  molti  avvenimenti  logicamente 
previsti  e  sicuramente  attesi  non  si  avverano,  sen- 
za che  se  ne  possa  assegnare  una  ragione  precisa  ; 
così,  ed  è  un  merito,  in  questo  romanzo.  Maddale- 
na d'Espel  e  Roberto  d'Antignac,  quantunque  sia- 
no due  cuginetti  innamorati,  alla  cui  unione  nulla 
si  opporrebbe,  non  si  sposano  :  Maddalena  sposa 
anzi  un  altro,  il  signor  di  Tarieux,  inconsciamente, 
perchè  glielo  danno,  perchè  Roberto  è  lontano,  im- 
barcato sopra  una  nave  da  guerra.  Se  non  che  que- 
sto matrimonio,  il  cui  solo  annunzio  cagiona  un 
dolore  indescrivibile  al  giovane  ufficiale  e  quasi  lo 
uccide,  ha  una  fine  imprevista  e  propriamente  stra- 
ordinaria :  dopo  la  celebrazione  della  cerimonia, 
appena  partita  in  viaggio  di  nozze,  Maddalena  se 
ne  torna  presso  la  zia,  la  madre  di  Roberto  che  la 
raccolse  orfanella,  e  annunzia  che  nulla  vi  è  più 
di  comune  tra  lei  ed  il  marito,  ricusando  tuttavia 
di  spiegarne  il  perchè. 

E  qui  comincia  il  dramma  e  si  rivela  la  salda 
tempra  delle  anime  dei  personaggi.  Se  fossero  ci  v 
me  tutti  gli  altri,  se  fossero  come  ordinariamente 
si  fa.  i  due  giovani  procurerebbero  di  soddisfare 
la  loro  passione  fuori  della  diritta  via  :  ma  la  si- 
gnora di  Tarieux.  comunque  il  marito  l'abbia  offe- 
sa, qualunque  ragione  din  abbia  ili  dolersi  di  lui, 
non  intende  venir  meno  ai   proprii  doveri,  vuol   ri- 


spettare il  nome  che  porta,  la  sua  dignità  di  mo- 
glie, di  donna  ;  ed  impone  a  Roberto,  pure  aman- 
dolo e  sapendosi  e  sentendosi  ardentemente  amata 
da  lui,  una  rigida  disciplina,  il  sacrifizio  delle  im- 
pazienti sue  brame.  Il  premio  non  tarda  quindi  a 
venire.  Osando  il  signor  di  Tarieux  tentar  di  riav- 
vicinarsi alla  consorte,  Maddalena  rivela  finalmen- 
te la  colpa  di  quel  cinico,  il  quale  la  sposò  solo 
perchè  non  poteva  entrare  in  possesso  della  pater- 
na eredità  se  non  prendeva  moglie,  e,  dopo  aver 
condotta  l'ignara  giovinetta  all'altare,  le  svelò  in 
una  lettera  brutale  la  verità  brutalissima.  Il  matri- 
monio non  consumato  è  pertanto  disciolto  dalla 
Chiesa  ed  annullato  dalla  legge  civile,  e  i  due  gio- 
vani innamorati  ottengono,  sposandosi,  la  ricom- 
pensa delle  loro  virtù. 

E  veramente  una  dolce  e  semplice  istoria,  rav- 
vivata ed  animata  da  fini  osservazioni  psicologiche, 
da  abili  tocchi  descrittivi.  E'  anche  un'opera  sana 
ed  onesta,  degna  d'esser  messa  nelle  mani  di  tutti. 

Angelo  Gatti:  L'orecchio  di  Dionigi.  (Milano, 
la  «  Poligrafica  ».  L.  3.  —  Come  nella  celebre  la- 
tomia siracusana  l'antico  tiranno  stava  a  sentire, 
ripetuti  dall'eco  potente,  i  lamenti,  le  grida,  i  so- 
spiri, le  imprecazioni,  le  preghiere,  lo  maledizioni, 
tutte  le  coso  che  i  prigionieri  dicevano,  così  questo 
simbolico  Ore,  •    I   novelliere  raccoglie  le  voci 

umane  d'amore  e  di  dolore,  di  paura  e  di  speranza, 

le  confidenz     ingenue,  le   irò imare,   i  rimpianti 

sterili  di  uomini,  di  donne,  di  fanciulli,  di  vecchi. 
in  varie  condizioni  sociali,  in  vari  stati  doli  animo. 
Sono  diciotto  tra  drammel 1 ini  ,■  commediole,  note 
voli  per  lo  spirito  ora  poetico,  ora  umoristico 
li  informa.  L'autore  non  si  attiene  tanto  alla  di- 
retta osservazione  della   realtà,  quanto  ai   fantasmi 


7*8 


LA    1.1   1  i 


della  propria  uiinu.  i   la  quale 

■    personaggi  dioon ni   sempre  let- 

libilè.  Ma  questo  non  è  vero 
probabilmente,  il  Gatti  non  ha  voluto  ;i  bella 
far  opera,  come  si  dice,  impersonale  ed  ob- 
va.  Una  più  severa  revisione  pei  quel  die  con- 
ia lorina.  e  la  soppressione  di  qualche  nota 
alquanto  inula,   avrebl  molto  giovato  al 

bro. 

Di        i     Morsa:  Gretchen.  (Milano,  Sandron), 
!  consuetudine  dei  narratori,  quando  rac- 

qo  insieme  novelle-  che  non  hanno  un  intimo 
are  al  volume  il  titolo  della  prima,  che 
anche  essere  la  più  lunga  e  la  preferita  dal- 
l'autore. Così  ha  fatto  il  Norsa,  con  questa  rac- 
colta che  s'intitola,  dal  primo  racconto,  Gretchen: 
un  vero  romanzetto,  l'avventura  d'una  giovinetta 
tedesca  che  viene  in  Italia  come  istitutrice  presso 
un  giovane  marchese  diviso  dalla  perfida  consorte; 
e  che  s'innamora  del  padrone,  innamorandolo  ;  ma 
che  trova  nei  sani  principi  e  nell'anima  retta  la 
forza  di  fuggirlo,  di  tornarsene  al  proprio  paese, 
accanto  alla  madre.  La  narrazione  è  condotta  gar- 
batamente, ma  l'osservazione  della  realtà  non  vi  è 
così  intensa  come  in  altre  novelle  dello  stesso  vo- 
lume ;  come,  per  esempio,  nel  Professor  Tempesta, 
amara  e  dolorosamente  umoristica  istoria  d'uno 
sciagurato  insegnante  bersagliato  dalla  fortuna,  vit- 
tima della  moglie,  ludibrio  degli  scolari.  Poco  im- 
portanti, poco  degne  d'essere  riferite  sono  le  im- 
pressioni di  viaggio  del  Gaudenzio  a  spasso;  ma 
In  provincia  noi  vediamo  svolgersi  un  vero  dram- 
ma. Il  Xorsa  è  scrittore  sincero,  facile  e  spesso  fe- 
lice, cioè  tutte  le  volte  che  obbedisce  a  una  ispira- 
zione forte  e  profonda. 

Edouard  Rod:  L'eau  con r ante.  (Paris,  Fasquel- 
le),  3  frs.  50.  —  Il  valoroso  scrittore  ginevrino,  di 
cui  i  nostri  lettori  gustarono  tempo  addietro  un 
bellissimo  apologo,  pubblica  ora  un  romanzo  nel 
quale  la  rappresentazione  della  schietta  realtà  chiu- 
de la  dimostrazione  d'un'idea  filosofica.  Siamo  in 
un  sito  ridente  del  territorio  valdese.  Presso  Bielle, 
in  una  valle  ubertosa,  e  precisamente  nel  campi- 
cello  dei  Bertigny,  scaturisce  una  sorgente  che  ali- 
dei  principali  confluenti  dell'Arne.  I 
Bertigny,  di  padre  in  figlio,  hanno  esercitato  il 
tieni  di  segatori  di  legname;  ma  il  loro  lavoro 
ito  a  stento  ai  bisogni  della  famiglia,  e  sulla 
loro  nnx lesta  proprietà  grava  una  forte  ipoteca. 
Luigi  Bertigny,  rimasto  orfano,  sposa  Margherita 
nnay,  e  la  giovane  coppia  inizia  una  vita  labo- 
riosa sognando  il  riscatto  dell'ip  te  a.  Ma  la  sorte 
non  si  mostra  verso  di  loro  propizia:  gli  affari 
volgono  al  peggio;  Margherita,  dopo  aver  messo 
al  mondo  molte  creature,  s'animala  e  muore,  e  il 
vedovo   rimane  solo  a  lottare  per   il  mento 

dei  tigli.  E  mentre  egli  è  stretto  dalle  più  urgenti 
necessità,  i  mugnai  Chantheuille,  suoi  vicini,  ve- 
dono prosperare  sempre  più  La  loro  industria.  11 
loro  mulino  è  mosso  dalla  sorgente  di  Bertigny. 
e  il  segatore  a  coito  di  espedienti,  accetta  il  con- 


dì  un  faccendiere,   il  quale  gli  propone  di 
rastare   ai  vicini    l'uso  dell'acqua.    Ma    il  tri- 
bunali- dà    torto   al   Bertigny,    il  quale  è   trascinato 
dal   d  10  all'ultima  rovina:    gli   astuti 

Chantheuille  s'impadroniscono  del  suo  podere  e  lo 
costringono  ultimamente  ad  espatriare.  In  questa 
evidente  e  mirabile  evocazione  di  un  cantuccio  del 
mondo,  con  le  sue  passioni,  le  sue  virtù  ed  i 
suoi  vizi,  il  Rod  significa  un  pensiero  profondo  nella 
sua  amarezza:  più  forte  della  nostra  volontà  è  la 
forza  del  1  lisi, no;  troppo  spesso  la  sorte  infierisce 
contro  i  buoni  e  protegge  i  malvagi,  gli  astuti  ed  i 
cupidi,  inegualmente,  senza  giustizia.  0  Cosi  vuole 
il  destino,  il  quale  non  dà  conto  a  nessuno  dei 
propri  atti:  gli  uni  riescono,  gli  altri  naufragano. 
Lo  stesso  ruscello  irriga  i  campi  dei  felici  e  quelli 
degli  infelici  :  fra  le  piante  che  succiano  la  stessa 
terra  e  bevono  la  stessa  rugiada,  talune  prosperano, 
altre  avvizziscono». 

Tcheng-ki-tong:  /  figli  del  Cielo  (Roma-Tori- 
no, Roux  e  Viarengo),  L.  2.50.  —  Sono  novelle  ci- 
nesi scritte  da  un  cinese,  il  quale  conosce  l'Europa, 
e  particolarmente  Parigi,  come  un  parigino  puro 
sangue.  Il  generale  Tcheng-ki-tong  vi  passò  infatti 
lunghi  anni,  da  colonnello,  in  qualità  di  addetto 
militare  all'Ambasciata  del  Celeste  Impero;  e  da 
quel  posto,  con  la  svegliatissima  mente  e  l'acutis- 
simo spirito  di  osservazione,  attese  a  studiare  la 
civiltà  nostra  ed  a  farci  conoscere  la  sua.  Scrisse 
i  suoi  libri  in  un  francese  che  qualche  francese 
potrebbe  invidiargli,  e  tutti  i  libri  suoi  ebbero  per 
argomento  le  istituzioni,  i  costumi  politici,  sociali 
e  familiari  della  patria  lontana.  Celebre  è,  tra  gli 
altri,  quello  che  s'intitola  Les  Chinois  peints  par 
eux-mémes,  al  quale  contrappose  Les  Parisicns  pcmts 
par  un  Chinois;  ma  gustosi  sono  anche  quelli  nei 
quali  allo  studio  analitico  egli  sostituì  l'artistica 
rappresentazione.  Dopo  che  la  Cina  si  è  imposta 
alla  nostra  attenzione,  ora  che  vi  stanno  i  nostri 
soldati,  è  bene  presentare  al  pubblico  italiano  al- 
cuni degli  scritti  di  questo  autore,  dove  egli  dà 
una  viva  e  genuina  immagine  del  suo  paese.  Gli 
editori  Roux  e  Viarengo  ci  diedero  poco  tempo 
addietro  il  Romanzo  dell'uomo  giallo:  oggi  pub- 
blicano questa  serie  di  novelline,  di  bozzetti,  di 
leggende,  nei  quali  appare  e  parla  ed  opera  l'ani- 
ma d'una  razza  tanto  dissimile  dalla  nostra,  ep- 
pure, in  fondo  in  fondo,  meno  dissimile  che  dap- 
!  rima  non  sembri. 

Grazia  Delf.dda  :  Dopo  il  divorzio  (TurimvRo- 
nia.  Roux  e  Viarengo),  L.  3.  —  Che  il  divorzio 
debba  lar  parte  della  legislazione  italiana  tra  due 
soli  anni,  nel  1904,  non  è  molto  credibile  ;  ma  la 
i  non  importa,  e  all'autrice  fa  comodo  immagi- 
nare il  tempo  nel  quale  il  tanto  discusso  istituto 
sarà  accolto  nel  nostro  Codice.  L'approvazione  del 
Parlamento  e  la  sanzione  regale  non  avranno  però 
la  virtù  di  vincere  l'antipatia  di  tante  coscienze 
contro  lo  scioglimento  del  vincolo  matrimon 
e  così  accade  appunto  nel  romanzo  di   Grazia  De- 


I      LIBRI 


■19 


ledda.  Siamo  in  Sardegna,  presso  una  gente  sem- 
plice e  primitiva  per  la  quale  le  idee  tradizionali 
hanno  una  forza  indistruttibile.  Il  caso  di  Giovan- 
na Era  è  tuttavia  uno  dei  più  sciagurati,  dei  più 
degni  di  pietà,  d'indulgenza  e  di  scusa.  Suo  marito 
amino  è  condannato  a  27  anni  di  lavori  for- 
zati per  aver  assassinato  un  vecchio  zio.  Circostan- 
ze simili  impensieriscono  anche  i  più  strenui  soste- 
nitori dell'indissolubilità  del  matrimonio:  se  la 
morte  lo  scioglie,  la  morte  civile  può  lasciarlo  in- 
tatto ?  Nondimeno,  quando  Giovanna  accoglie  le 
proposte  di  Brontu  Dejas.  il  quale,  avendola  già 
chiesta  in  isposa  da  ragazza,  l'ama  ancora  quantun- 
que sia  stato  respinto,  e  le  propone  di  divorziare 
per  sposarsi  con  lui,  l'opinione  pubblica  è  inesora- 
bile contro  la  giovane.  Ma  il  dramma  si  complica; 
perchè  un  giorno  Giacobbe  Dejas,  parente  di  Bron- 
tu, giunto  in  punto  di  morte,  confessa  d'avere  as- 
sassinato egli  stesso  il  vecchio  zio  di  Costantino, 
il  quale  è  stato  condannato  innocente,  e,  riabili- 
talo, toma  al  suo  paese.  Eccoci  al  punto  culminan- 
te: il  primo  marito,  che  ha  saputo  in  galera  del 
divorzio  della  moglie  e  ne  ha  pianto  e  spasimato, 
rivede  la  donna  non  più  sua,  ma  d'un  altro,  anzi 
d'un  odiato  rivale  ;  e  mentre  ostenta  l'indifferenza 
e  il  disprezzo,  sente  d'amarla  ancora.  E  va  secre- 
tamente  da  lei,  ed  ella  che  è  infelice  col  nuovo 
consorte,  e  che  non  ha  neppur  lei  scordato  il  primo. 
Io  accòglie  ;  ma,  sul  più  bello,  quando  resta  da  sa- 
pere come  sarà  sciolto  l'intrico,  se  Brontu  scoprirà 
la  propria  disgrazia,  che  cosa  farà  dopo  averla 
scoperta,  il  romanzo  finisce  di  botto.  Esso  non 
contiene  pertanto  ciò  che  il  titolo  promette,  cioè 
una  tesi  intomo  al  divorzio,  una  dimostrazione  prò 
o  contro  questo  istituto.  E  poi,  dal  momento  che 
Costantino  è  proclamato  innocente,  non  viene  a 
mancare  la  condizione  che  poteva,  se  non  giustifi- 
care, scusare  almeno  la  condotta  della  moglie? 
L  innocenza  del  marito  non  doveva  esserle  nota  ? 
Ella  la  proclama,  sulle  prime,  e  piange  tutte  le 
sue  lacrime  per  l'iniqua  condanna,  e  pensa  a  lui 
continuamente,  e  gli  scrive,  e  pare  propriamente 
inconsolabile  ;  ma  poi,  come  si  è  detto,  finisce  con 
l'accogliere  le  consolazioni.  Queste  osservazioni  non 
scemano  l'umanità  del  personaggio.  La  vita,  pur 
troppo,  ha  molte  simigliarti  e  peggiori  contraddi- 
zioni. 

Giovanna,  come  del  resto  tutte  le  altre  figure 
del  romanzo,  è  umana  e  vera.  La  psicologia 
di  tutte  queste  anime  vergini  e  quasi  selvagge  è, 
come  si  conviene,  rigida  e  nuda.  Fa  eccezione  Co- 
stantino, nel  riferire  i  cui  sentimenti  fautrice  si 
lascia  qua  e  là  prender  la  mano  dalle  consuetudini 
letterarie.  E  quantunque  i  suoi  personaggi  sieno 
indiscutibilmente  sardi,  ed  abbiano  l'abito  e  1  ac- 
cento dell'isola  nativa,  pare  talvolta  —  diciamo 
fare  —  che  alcuni  di  essi  abbiami  qualche  paren- 
tela o  una  semplice  affinità  con  qualche  personag- 
gio di  romanzo  russo.  Bellissime,  sobrie,  evidenti. 
come  in  tutti  i  libri  della  Deledda,  sono  le  descri- 
zioni dei  paesi  e  dei  costumi,  delle  montagne  gra- 
nitiche, delle  vallate  deserte,  delle  cerimonie  su- 
perstiziose. 


POESIA. 


Alfredo  Mancini  :  Quello  che  -più  non  torna. 
(Torino,  Streglio  e  C),  L.  2.  —  E'  difficile  parlare 
d'un  libro  quando  lo  stesso  autore  dichiara  ai  cri- 
tici :  «  Io  non  vi  presento  un'opera  d'arte  !  Sul  mio 
capo  non  rifulge  l'aureola  della  gloria  !  Io  non  oso 
le\  are  gli  sguardi  alle  eccelse  vette  della  celebrità  ! 
A  quale  scopo  dovreste  voi  dunque  levare  le  armi 
verso  un  essere  che  le  proprie  infrange  e  depone  ai 
vostri  piedi  ?»  Lo  scopo  sarebbe  quello  di  eccitare 
l'autore  a  far  di  meglio,  ad  esercitare  sopra  sé 
stesso  una  critica  anche  più  severa.  Dice  egli  bensì 
che  i  suoi  versi  sono  0  modesti,  ma  sentiti  ;  non 
ricchi  di  concetto,  ma  spontanei  ;  non  elevati  nella 
forma,  ma  sgorgati  dal  cuore;  e  pur  troppo  non 
s'inganna  nel  vedere  i  difetti  ;  ma  lo  stesso  pregio 
della  sincerità,  della  spontaneità,  della  cordialità 
ne  resta  scemato.  La  forma,  nella  poesia,  è  troppo 
intimamente  legata  al  contenuto,  e  i  sentimenti  val- 
gono grazie  all'espressione.  E'  un  sentimento  poe- 
tico quello  che  spinge  l'amante  a  voler  dare  il 
proprio  sangue  per  la  creatura  amata;  ma  quando 
il  Mancini  lo  significa  con  queste  strofe: 

Se  il  brami,  dimmi:  —  Il  sangue  da  le  vene 
voglio  vedere  a  rivoli  sortir!...  — 
ed  io,  a  provarti  se  ti  voglio  bene, 
al  tuo  cospetto  mi  saprò  ferir, 

non  riesce  ad  altro  che  a  sciuparlo.  Così  parimenti 
è  sciupata  la  generosità  e  la  dignità  dell'amante  che 
non  si  vuole  né  vendicare,  né  scusare,  quando  è 
espressa  con  questi  versi  : 

Non  creder  ch'io  mi  vendichi  o  mi  scusi 
Nel  sospetto  che  adesso  ho  io  di  te... 

Nobile  è  il  proposito  di  consacrarsi  interamente 
all'affetto  dei  figli,  ma  la  nobiltà  del  proposito  è 
perduta  se  la  forma  non  è  altrettanto  nobile,  ma 
pedestre  come  questa  : 

S' io  avessi  un  bimbo  sano  e  aggraziato 

Ogni  cruccio  del  cor  saprei  scordar; 

ne  l'affetto  paterno  sconfinato 

niun  babbo  al  mondo  mi  sapria  uguagliar. 

Il  Mancini  sa  fare  di  meglio,  ed  anche  in  questo 
volume  ce  n'è  la  prova.  La  severità  della  critica 
non  sarà  inutile  se  egli  si  sforzerà  sempre  di  solle- 
varsi. 

BELLE    ARTI. 

Francesco  Malaguzzi-Valeri :  Vittori  lombar- 
di del  Quattrocento.  (Milano,  Cogliati  1902).  — 
L'autore,  che  conta  già  al  suo  attivo  una  dozzina 
di  pubblicazioni  sull'arte  antica,  due  delle  quali 
vincitrici  di  concorsi  intemazionali,  e  molti  arti- 
coli in  riviste  italiane  e  tedesche,  ha  illustrato,  in 
questo  elegante  volume,  stampato  con  ricchezza  di 
tipi  e  di  incisioni  dalla  Ditta  Cogliati,  il  gruppo 
dei  pittori  lombardi  che  precedette  Leonardo.  Do- 
po tre  anni  di  ricerche  storiche  negli  Archivi  1«  im- 
bardi e  di  confronti  critici  delle  opere  fra  loro,  è 
arrivato  a  risultati  così  buoni  che  di  pittori  come 
Butinone,  Zenale,  Cristoforo  Moretti,  il  Bevilac- 
qua e  altri,  dei  quali  si  conosceva  poco  più  che  il 


20 


LA    LETTURA 


nome  "   N'   "  "'■  ''  l1"" 

,  a,  aveva  rinunciato  a  01  ■ 
ato  numi  ro»    i  1 1  te,   p 
Ielle  quali  firmate  e  ne  ha  rifatto  la  bioj 
•  Muniti    del  tempo  i  ulte 

caiteg    o  sforzesco,  nelle  quali  i   un  eco 

niale  dell  1 1  del   Qual  n 

i  ndo  le  illustrazioni  din  tte  che  accom- 
iano  i  vari  capitoli  del  libro  del  Malaguzzi,  si 

I    nule  rnri::  [U  Ulta    lleschez/a  d'itll- 

pressioni   animasse  questi   pittori  che,  con   poco 
parola,  si  sogliono  ancora  chiamare  primitivi, 
.  ita   che,   come  rii  si  e   a  pn 
l'autore,   mostrano  come  essi  avessero  comune  con 
rande  scuola  'li    Padova,  sulla  quale  s'innalzò 
Mantegna,  molte  qualità  eccellenti. 
il  capitolo  dedicato  ai  Ritrattisti  della  Cor- 
te di  Francesco  e  dì  Galeazzo  Maria  Sforza  offre 
un  interesse  grandissimo  per  la  ricca  serie  ili  noti 
zie  <lel  tempo  che  gettano  molta  luce  sulle  condi- 
dei  pittori  ritrattisti  d'allora,  costretti  a  pre- 
star   l'opera    loro    tanto   per  ritrarre  le   effigie  dei 
principi  come  quelle....  dei  loro  cani  e  a  reclamare 
con  suppliche  sopra  suppliche    l'aver  loro,  anche 
molti  anni  dopo. 

Per  la  ricchezza  delle  notizie,  per  la  serietà  del 
critico  e  per  la  assoluta  originalità  degli 
argomenti  illustrati,  con  che  il  libro  del  Malaguzzi 
si  raccomanda,  esso  è  destinato  a  incontrare  tutto 
il  favore  degli  studiosi  d'arte  e  degli  artisti  e  ne 
sarà  sempre  indispensabile  la  consultazione  per 
quanti  vorranno  occuparsi  d'arte  lombarda. 

ii  Tumiati:  Dal  Maloja  a  Notre-Da- 
me.  (Bologna,  Beltrami),  L.  3.  -  •  Il  titolo  pare 
quello  d'un  libro  ili  viaggio,  e  d'un  viaggio  appunto 
si  tratta:  d'un  viaggio  ideale,  ili  un  «giro  di  pen- 
sieri», cominciato  dinanzi  alle  pitture  ili  Giovanni 
Segantini  e  compito  a  Parigi,  durante  l'Esposizio- 
ne universale.  L'autore  ha  unito  il  nume  ili  un 
con  quello  d'una  chiesa  considerando  che 
l'uomo,  occhio  della  natura,  ne  crea  con  le  proprie 
mani  una  seconda;  dall'ammirazione  il  suo  spirito 
passa  alla  preghiera,  e  le  cattedrali  sorgono  con  le 
stesse  pietre  delle  montagne.  «Gli  angeli  invisibili 
delle  montagne  noi  possiai xmtemplarli  sulle  pa- 
reti   'lii    templi,    in    seminante    umano,    e   le  musiche 

dei  torrenti  e  delle  selve  possiamo  riudirle  negli  or- 
gani absidi  d'oro.  Che  cosa  vi  è  di  più  bello 

d'un  monte  o  d'ut  ci      l    ci sa 

la  bellezza,  se  non  la  forma  raggiante  e  sonora  di 

cui   si   \i  1    '  1    il    Mistero    ».   Questi  »  coi 

domina  tutti  gli  scritti  raccolti  nel  presente  volume: 
1. 1  studii  1  sul  £  Ilo  sul  Previati,  il  1 

tolo  intitolato  Za  squilla  di  S.  Marco,  dove  il  Tu- 
miati dà  conto  della  ter/a  Esposizioni 

ma;  i  due  saggi,  ricchi  d'erudizione,  sul  /'  ' 
■  '  il    /    io  di  la    l  ■  "  '-i  .   le  m  te  su 

ii  e  Raffaello,  le  belle  ed  importanti  oss 
ento    Vusii  a   e  /' 

-.  Fra  l'altro.  I  1  I  Mei  log  ito  'li 

nii.i  d'arte;    gli   appunti   sull'Anima   del 
/'  una      cursione  in  Ti 


i,.i.  e  analmente  le  lettere  parigine.  Quantunque  in 
tutte  queste  paj  ne  ragioni  particolarmente  d'arte 
e  d'estetica,  il  scrittore  dà  prova  della  sua 

Varia  e    SOi        cultura    parlando,    sempre    1  ii 

l'occasione,  di  filosofia,  di  storia,  di  scienza 
e  le  sue  idee,   se  talvolta  potrebbero   dai 

chi    discussione,  Mino  sempre  espresse  con  una 
lumia  nobile,  eletta  e  veramente   poetica.    Il    ' 
è  "pela  d'un   critii  o  e  d'un   artista,   e   qu 
SUO  menni:  che  riesce  difficile  d 
vi  lanista  dal  critico,  tanto  intimamente  qu 
aspetti   murali   dell'autore  sono  associati.    La  critica 
d'arte,  quando  è  fatta  a  questo  modo,  divi 
stessa  un'opera  d'arte. 

\  1  t'TORio  Pica:  Attraverso  gli  all'i  e  le  cartelle, 
Il    fasi  icoln.    (Bergamo,     Istituto    italiano    di    arti 
grafiche),  L.   2.50.      ■  Con  la  perizia  consueta,  con 
nuova   varietà   di   temi,   Vittorio    Pica   continua   la 
sua  escursione   attraverso    le  opere   dei   maestri   del 
bianco  e   nero.    La    nuova    puntata   dell'opera   sua 
Ci  mincia  con  un  capitolo  su  tre  celebri  caricaturisti 
francesi:    Dauniier.  il   flagellatore  degli   affaristi  e 
dei    ciarlatani   politici    sotto    Luigi    Filippo; 
varni,  insigne  suo  emulo,  e  il  vivente   Forain,  au- 
tore di  quella  Comedic  farisicnne  della  quale 
c'è  chi   non   abbia  ammirato  qualche   pagina, 
scia  il  valentissimo  critico  esamina  l'opera  di  quat- 
tro disegnatori   di  Liegi,  città   manifatturiera, 
l'arte  è  adattata  all'industria  dal  Donnay,  evoc: 
del   mondo    poetico    delle    allegorie  e   dei    siml«ili. 
dal   Berchmans  e  dal  Rassenfosse,   ra 
della    grazie    muliebre,   e    dal    Maréchal,    eccellente 
paesista.   Nel  terzo  capitolo  il   Pica   raggnippi 
disegnatori  ili  diverse  epoche  e  nazioni  i  quali  han- 
no  illustrato  con    varie   intenzioni    la   guerra:    Coir 
Int.  il  celebre  lnrenese  fiorito  nel  Seicento,  conosciu- 
to  principalmente   per  avere  rappresentato  le   pit- 
toresche scene    della   vita    degli   zingari    e    le    fi 
dei  personaggi  carnevaleschi  e  della  commedia  ita- 
liana,   ma    grande   altrettanto    nelle    Miserie    della 
-.'</.■   lo   spaglinolo   Goya,    il    gran    Goya,  che  cj 
fa    passare   brividi  di   orrore   per   le  ossa   coi    suoi 
Disastri    della    guerra;    il   tedesco    Rethel.    ai 
dei  disegni   macabri   sulla  guerra  civile  che  ispira- 
rono il   poeta  Reinick  ;    l'altro  tedesco   Sattler,   vi 
vente,    fortissimo   nelle    illustrazioni    della    gii 
dei  contadini  e  delle  lotte  del  tempo  degli    \r\ 

listi;    finalmente   i   i]\]r  li  isi   Charlet    e   Raffet, 

i  quali  rappresentarono  il  lato  glorioso  ed  epico 
della  guerra:  il  primo  con  molta  fortuna,  sebbene 
poco  meritata,    per   la   frequente  volgai  sue 

ispirazioni;    il   secondo  con  grande  nobiltà 
e  bellezza.  Di  tutti  questi  disegnatori  il  Pica  defini- 
sce il  carattere,  enumera  li   qualità,  spie;. a  le  inten 
zioni.   descrive  e   riproduce    le  opere  principali.    Il 
testo  argutissimo  è  per  ompagnalo  in 

pagina    il.\  un  gran    numero   di    fotoincisioni,   otti- 
mani,  guite  e    siaino. ite.    come    tutte    quelle 
che   adornano    le    pubblicazioni   dell'Istituto  bei 
0  di  arti  grafici 

Il  Letti 


rv. 


« 


In/       ^B*-^     •/  ^  ^^iffcfc^- ?Ci 


DIVISTE 


■ 


SOMMARIO 


La  bellezza,  arte  e  martirio,  pag.'72i  —  La  bellezza  perTmezzo  del  riposo,  pag.  726  —  Le  frodi  fotografiche,   pag.   729 

—  Le  atrocità  americane,  pag.  730  —  La  tratta  dei   Negri,  pag.  731  —  Il  giro  del  mondo  per  5  soldi,  pag. 
Nel  cuore  d'un  temporale,  pag.  737  —  Scuole  di  ladri  .   pag.  740  —  Città  edificate  in  un  giorno,  pag.  742  —  Le 
orme  degli  animali,  pag.  746  —  Il   prezzo  dei  topi,   pag.   747  —  Il  re  della  moda  e  dell'eleganza,  pag.   717  — 
L'automobilismo  sottomarino,  pig.  747  —  Una  fabbrica   di  aereostati,  pag.  74S  —  Chirurgia  animalesca,  pag.  750 

—  I  barilotti  galleggianti,  pag.  753  —  Pasticcerie  regali,  pag.  755  —  Dalmazia,  pag.  756  —  Monete  false,  pa 

—  Con  l'esercito  di  Meneltfc,  pag.  734  —  Santi  e  pirati  a   Montecristo,  pag.  767. 


La    bellezza, 

arte    e    martirio 

Essere  bella,  rimaner 
sempre  giovane,  non  è  il 
gran  sogno  di  ogni  don- 
na? E  qual  moralista  del 
resto,  potrebbe  fame  rim- 
provero ? 

Nulla  è  più  legittimo  e 
naturale  di  questo  rhe 
una  donna  abbia  a  svi- 
luppare con  tutti  i  segreti 
dell'arte  la  propria  bel- 
lezza e  correggerne,  al  bi- 
sogno, i  difetti. 

Ma  sgraziatamente,  ac- 
canto a  questa  innocente 
e  legittima  civetteria , 
trionfa  un'altra  che  ci  fa 
sorridere  o  meglio  com- 
patire le  sue  vittime.  Essa 
è  la  contraffazione  della 
severa  e  pura  bellezza 
della  natura  e  consiste 
nel  mascherare,  colorire, 
raschiare,  alterare,  insom- 
ma .  tutta  l' opera  della 
creazione,  per  sovrappor- 
vi una  seconda  creazione, 
che  non  avrà  mai  la  fre- 
schezza e  l'incanto  della 
giovinezza. 

Creare  e  mantenere  la 
propria    bellezza    diventa 

La  Lettura. 


La  cura  del  sole  pei  capelli    sei-.  XVI 


allora  un'arte  che  utilizza 
tutte  le  ani.  una  scienza 
a  cui  portano  concorso 
tutte  le  altre  scienze:  cli- 
nica e  medicina,  chirurgia 
e  pittura,  fisica,  statuaria 
e  mineralogia... 

E  allora  non  è  solo  il 
tempo  che  occorre,  ma  è 
pure  indispensabile  una 
pazienza  e  una  resistenza 
al  dolore  che  arrivino 
spesso  fino  all'  eroismo. 
Chi  non  ha  visto  i  sup- 
plizi ai  quali  si  condan 
nano  certe  donne,  abba 
gliate  da  un  falso  mi- 
raggio di  bellezza,  ignora 
a  qual  punto  si  può  spin- 
gere la  crudeltà  o  ntn  sé 
stessi  1. 

Il  primo  sogno  delle 
donne  eleganti  è  la  lu- 
zza  e  Io  splendore 
delle  tinte.  I  bagni  d'olio 
e  di  latte  non  ridarebbero 
forse  il  candore  infantile 
alla  pelle  ? 

Eo  o  il  problema 

di    G  rinto   e   di 

■iia. 

i    le  prime  si  tuffa 

V 


-  I  I 

/  -  - 


LA    LETTI  I    '■■ 


Toilette  d'ina  dama  nel  sei.  XVII. 

allegramente  nelle  caldaie  colme  di  olio  fino 
e  profumato  e  le  seconde  imitavano  1' 
che   ogni    giorno   faceva   un  doppio  b 
nel  latte  di  trecento  asine. 

Vennero    in  seguito  (praticati   a 
secolo  scorso)  i  bagni  di   fragole  e  di  lam- 
pone, i  bagni  di  vini 

di  trippa,  i  bagni  di  sangue  ancora  fuman- 
te. Oggi  la  scienza  ha  sostituito  a  nielli  i 
bagni  di  glicerina  e  i  bagni  elettrici. 

Ma  ciò  è  ancora  poco,  in  con  tri  ito  del- 
l'uso di   applicarsi   sui   volto,  durante  tutta 
la  notte,    una    maschera   altrettanto  i 
quanto    ripugnante.    A     Roma    la     penosa 
usanza  era  così  generale  che  aveva  il  i 
di  maschera  domestica:  schiere  appos 
schiavi  fabbricavano  ogni   sera   la  mas 
con    farina   di    fava,  imp  >n  un   olio 

mucilagginoso  nidi    di 

Ili  marini.  Anche  in  Franci 
usata  fino  al  secolo  XVI 1.  e  anzi  si  deve  al  re 
EnricoIIl  una  ricetta  speciale  per  impastarla 
fior  di  farina  e  albume  d'uovo.  1  cro- 
nisti del  tem[io  e  ne  hanno  lasciato 
descrizioni  particolareggiate  e  piccanti.  Oggi 

• 
ir   il    posto    ad    altre  non    meno    ripu- 
gnanti.   Che    • 

mminile,   quei   pezzi 
\'nla  e  cruda,  quas 


le   soffici  ciprie?  Alla   sera  la  signora   vec- 
chia  e    mondana  entrerà    in   quel    sacrario   e 
in  grande  mistero   una   i 
fide  stenderà  quei  beefsteaks  sanguinosi  sul- 
le guance  della  padrona,  avviluppando  poi  la 

i    testa  di  vecchia  tra   bende  di 
che  si  scioglieranno  al   mattino  i>er   ridare 
un'ora  almeno  l'illusione  o  il  fremito  .iella 
uzza. 
M  .   .  maschera,  del- 

ozioni arsenicali  e  delle  compressioni 
sanguinose,  quali  he  ruga  indiscreta  comin- 
cia la  sua  apparizione  agli  angoli  della 
Ixxxa  o  degli  occhi:  si  impone  allora  un 
trattamento  energii  o  <  tutto  un  arsenale  di 
in  campo  contro  la  piccola 
piega  deli  Osservate  quegli  stru- 

menti che  ole  riproduzioni 

di  strumenti  campestri  ;  sono  gli  arnesi  pel 
massaggio  facciale.  Per  delle  settimane  e 
dei  mesi  essi  passeranno  e  ripasseranno  sul- 
le pie  >le  prominenze  cutanee  finché  saran- 
no scomparse,  salvo  a  ricominciare  il  l.< 
ro  un  po'  più  lon'  rgere  di  un  nuovo 

pericolo.  11  trattamento  elettrico  è  ancora 
più  delicato:  esso  esige  l'applicazione  della 
corrente  ad  ogni  estremità  dei  muscoli  da 
modificarsi  ed  impone  anche  un  corrispon- 
dente  trattamento  interno   di    dimagramento 


XVIII.  Mentre  il  parrucchiere  lancia  le  poi-. 

IL    PAZIEN  I  B    si    PROl  l  GGE    II     VISO. 


DALLE    RIVISTE 


723 


Il  massaggio  elettrico. 


o  di  ingrassamento,  secondo  lo  stato  del- 
!  epidermide. 

Ma  ecco  un  lavoro  ancora  più  difficile 
e  penosa:  fin  qui  non  si  trattava  che  di 
conservare  intatta  l'opera  della  natura  ;  si 
tratta  ora  di  correggerne  i  difetti,  di  ta- 
gliare, sopprimere,  aumentare.  Noi  alv 
biamo  letto  sempre  con  terrore  di  selvag- 
gi senza  cuore,  che  esercitavano  crudeltà 
e  mutilazioni  spaventose  contro  i  vinti: 
uguali  crudeltà  esercitano  contro  sé  stes- 
se le  grandi  dame  mondane  desolate  di 
vedere  il  proprio  naso  o  le  proprie  lab- 
bra crescere  in  modo  eccessivo.  Gli  Egi- 
ziani, i  Greci,  i  Romani  furono  ugual- 
mente feroci  contro  tutte  le  efflorescenz  : 
cutanee  che  deturpavano  l'ideale  della 
bellezza  ed  usavano  rimedi  brutali,  come 
la  pece  e  la  calce  viva.  Anche  gli  opera- 
tori moderni  praticano  l'estrazione  dei 
peli  ma  con  metodi  diversi  ;  una  punta 
di  legno  duro  estremamente  fina  è  im- 
mersa nell'acido  acetico,  quindi  appog- 
giata alla  pelle  di  fianco  al  pelo  da  di- 
struggere sul  quale  si  esercita  una  legge- 
ra trazione  con  una  pinza.  Dopo  diversi 
tentativi  la  pelle  si  rammollisce,  la  punì  i 
\i   penetra  e  il  pelo  cede  finalmente  alla 


trazione.  I  operazione  però  è  doloro- 
sissima e  non  permette  di  poterne  ten- 
tare  che  tre   O  quattro    per  seduta. 

Ma  anche  qui  l'elettricità  fa  ora  la 
sua  apparizione:  un  filo  sottilissimo 
conduce  la  correnti-  sul  pelo  che  viene 
rapidamente  distrutto:  spesso  però  si 
verifica  il  caso  curiosissimo  che  il  bul- 
bo ne  esce  invece  rafforzato  e  tosto  pro- 
duce una  nuova  vegetazione  pilifera1 
non  lasciando  allora  altro  rimedio  fuor- 
chi-  un  trattamento  col  ferro  rovente. 

Altra  volta  una  verruca  o  un  piccolo 
bubbone  spunta  importuno  sulla  bian- 
chissima epidermide  della  signora.  E 
allora  coraggiosamente  con  un  robusto 
filo  di  seta  si  stringe  l'ospite  disgra- 
ziato sino  quasi  a  stritolarlo,  poi  lo  si 
cm  un  colpo  eroico  di  rasoio,  o 
col  caustico  nitrato  d'argento. 

Ma  tutto  sembrerà  facile  e  naturale 
di  fronte  all'eroismo  brutale  e  selvaggio 
di  cui  diede  prova  or  sono  due  anni 
una  celebre  attrice  parigina,  alla  quale 
appartiene  senza  dubbio  la  palma  della 
civetteria  femminile.  Disperata  di  ve- 
dere la  sua  bellezza  seriamente  com- 
promessa  per   una   serie  di    alterazioni 


IL     BAGNO    ELETTRICO. 


-I 


LA     LEI  I  l'KA 


prò] 


fronl  no  ili  otl 

dieci:  così   un;  i  usciva   mai 

per   rimpiazzare  quel- 


La  pettinatura  b  la  bellezza. 


Tutta  la  pelle  della  farcia  fu  bruciata  chimica- 
mente, quindi  levata  squama  a  squama.  Dopo  due 

mesi  di  spasimi  atroci,  una  pelle  rosea  e  liliale  co- 
me .li   bambino  or- 
nava  il  volto  della         

re    attrice: 
era    troppo    striden 

Ila  sua  età  ed 
per    di- 

il    risul- 
terai      per- 
,.  l'eroina 
completamente  tras- 
formata. 

Ma      spesso      la 
donna  fa  un  lavoro 

le     vegeta- 
zioni sporadica 

■ 
altre    art> 
nel   secolo 
XVII    si   inaugura- 
ci   </• 
1  agliate 
taffetà    nero    in 
luna,    di 
sti  Ile,    di 

sul  volto  tutti 
; 
;  pure 

.  !i   cc- 
ra.      sulla 


Pick    I  30  M  ISCHBttATO. 


le  che  fossero  cadute  alle  prime  folate  di  vento. 
E'  curiosa  jm ii  la  nomenclatura  di  questi  oggetti 
bizzarri  e  ripugnanti  di  ornamentazione.  Quelle  vi- 

;  il        SÌ 

chiamavano      /'   ap- 
•naia .       nejla 
la  galante,  nel 
la    sfrontata  , 
sulle    labbra     la    ci- 
vettuola e  così    via. 
Disgraziatamente, 
ido   unte    erano 
ben    ingommai 
loro      posto,      l'ele- 
•    signora   asso- 
ad     una 
vittima   di  una  m.v 
lattia        spaventosa 
della      pelle.       Ma 
guai   a  chi    l'i 

:    Quella    era 

allora  Ix-llezza  ! 

E  tutto  ciò  non 
è  che  il  principio 
che  vi  introduce 
nei  misteri  tene- 
brosi e  'ni'1 
di  tante  bellezze  am- 
mirate. Tutto  nel- 
l'asp  itti  i   può 

unni'-      modi- 
fu -,ii.         assi  rbenda 

come  la  bella- 

i.    la    pupilla 

issume    uno 

.■    lu- 
mim  so.    Per  i 


I    M   I  E    \<l\  1 


725 


nere  allora  un  so- 
pracciglio ariin  nio 
so  e  ben  disegnati! 
occorre  ricorrere  a 
una  depilazione 
parziale  sfrondando 
le  linee  difettose  e 
sviluppando  la  cur- 
ii un  ma  • 
gio  ripetuto. 

Alla  Corte  di 
Pietro  il  ('.rande  si 
usava  un  sistema 
amor  più  radicale: 
tutti  i  peli  delle 
sopracciglia  erano 
violentemente  strap- 
pati per  sostituirvi 
'ciglia  artifi- 
ciali abilmente  di- 
segnate. 

Alcuni  nasconde- 
vano fra  i  peli  na- 
turali altri  artificia- 
li abilmente  tingen- 
doli :  ma  tutte  que- 
ste operazioni  do- 
vevano essere  rin- 
ii'  rate  almeno  una 
volta  al  giorno,  per- 
chè l'effetto  della 
belladonna  era  pas- 
seggero e  anche  i 
peli  posticci  turbi- 
navano spesso  strap- 
pati dal  vento. 

Il    viso    poi    nei 
gabinetti   delle  mondane  diventa   una  vera  tavoloz- 
za dove  si   distende  tutta  la  gamma  dei  colori,  dal 
bianco  liliale  al  rss.    porpora.  Il  bianco  d'arg 
forma  il  fondo  del  quad.ro;   e  tutti  sanno  che  l'ele- 
mento  principale   del  bianco    non  è  che  l'alabastro 
finamente   polverizzato    in   mulini   speciali    esistenti 
a   Parigi.   Cosi  gli  eleganti   consumeranno  eia-' 
in  media  un  buon  cai        di  marmo  per  fabbri 


La  defilatone  elettrica. 


il  viso.  Il  rosso  scel- 
to   Fra    le    i;   varie- 

tà   oh,-  sono  in  com- 
ii'io  si  applica   a 
i    grai  :.mti  dal 
centro      delle       gì 
liuteria,     lniì 

.    con    pastelli    a 
base  di  talco  e  d'in- 
daco   l'artista    tri 
dei       semplii 

tratti  azzurrini  pei 
indicare  il  riflesso 
trasparente  delle 
\   ne.    Si   ha    alloi 

ilio        dir;' 
<  ri   li-re     che     il 
quadro      sia      com- 
pleto. 

Ma  da  qualche 
anno  tutti  questi 
processi  hanno  ce- 
duto i!  rampo  a  un 
.i  il  io  più  misterioso 
e  strano,  a  una  ve) 

nera     si  utilissi- 
ma e  diafana  che  si 
applica,      tinta      di 
maverili      colori, 
viso     i  lolla    da- 
mi.  La  maschera  è 
assai     res     ente     e 
l'unico  suo  inconve- 
niente   è   che    dà   al 
viso  certi  riflessi   di 
ceramica     che     sem- 
brano  tradire    i    ci 
lori   d'una  bambi  la   giapponese. 

E  il  capolavoro  è  finalmente  pronto  e  non  manca 
piìi  che  la  corona  di  una  superba  capigliatura. 
Gli  Egiziani  e  gli  Orientali  preferivano  le  chiome 
nere  ottenute  con  frequenti  lozioni  d'acqua  di  chi- 
na o  d'acqua  di  rose. 

Dalli     ..-..■.■.■>.       ,<ur  tous). 


Toilettes  ih  donne  giapponesi. 


La   bellezza  per  mezzo  del  riposo 


eh  sino  il 

■  uparsi  della   lori  i  bellezza  assai 
M         poi  L'erri  re  dipeli- 

la] fatto  che  noi  i 

i    bellezza   della  donna  in  confronto 
ll'uomi     '  isservata  attenta  :  i  ca- 

a  inamidata  m  gran  fatto  dal  bu- 

rregge  la  lii  roni     I      min 

lia  bianchissima,  che  brilla  :ii  tor- 
ridi 

'.  ni   fioriti    che   ci  -  i     i    cappelli    i 

Nello  stesso  ordine  d'idee  si  può  ai  re  l'al- 

della  ne  stra  gioventù  in  ogni  si  rta   'li 


lattate  con  -i 50  0  I 

;imc  sistema. 
L'iniezii  ne  'li   vasellina   è   però  sempre  un 

non    manca   'li    produrre  dolore.   Ma 
heora  di 'America  un  nuovi,  mei 

di  d  Mi  0  belle,  ma  senza  dolore  e  col  si- 

omodo  del   resto,  di  un  razionale  ri- 
poso. 

Si    voi    entrate   all'improvviso  nel  gabinetto  <li 
ricana,   non  dovete  meravigliarvi   ili 
aria    distesa    per  terra,    circondata    attorno    al 
'■"II"  dalle  braccia  p  den  se  della  sua  donna  di  ca- 
mera. 

Voi    forse  ci  sta   di   a  - 


^y 


Prima  dell'operazioni:. 


Doro  l'operazione. 


ilari,  alla  lotta,  al  foot-ball,  alla  cor- 
ca sotto  tutte   li'  fi  rme,   1  he 
1   mirabilmente   alla   vigorìa  e  alla   sn  llezza 
'!'■!  i' >r]  11 .   tanto  ricercata  dalle   fidanzate    roman- 
tiche. 

La    bellezza,    insomma,  non   ini  1  issa    meno  gli 
uomini   che   le   doDne  e   lo   dimostra    lo  sviluppo 
prodigioso  che  va  assumendo  la  cura  cella   va 
lina   usata  specialmentr   a    raddrizzare   i    nasi  e  i 
menti  del  sessi  sterna  delle  iniezioni  si  ' 

1  ■    ni  si  :  quattro  incisioni  dimo- 

strano in  ndiscutibili 

■  li  questo  nuovo  mi  lodo  di  cura. 
m >lo  il  na  1  i  la  nuova  1  ura, 

I  cor] e  pui  1  trani-  vantaggio.  <  '< 

ormai  lunga  la  list  si  in  cui,  ■ 

re»    invisibili  le  tristi  cicatrii  i  ili   fei ite  1 1 
rpatori  ;    cosi   | 


a  un  delitto  e  il  vostro  cu   n    esulterà  al  pri- 
lli esser  giunto   in  tempi  1   per  interrompere   un  ten- 
tativo d'assassinio  e  salvare  una  gentile  giovani 
ilalle   (urie  'luna    megera.   Ma    nulla   ili    tutto 
-ii  :   la    fanciulla,  coni-'  tutte  le  sue  compagne  del 
nuovo   mondo,  sta    facendo  la   sua  cura   della  bel- 
■  1  ma  del  ri]  1 

Non   bisi "  1  credere  che  la   cura   ci n 

nello  stars  -in   distesi  pei  m  tntre  la  1 

piacente  \  i  sostieni-  la  lesta.   Ter  quanti 
ti   possa  sembrare,  la  bellezza   non   s'ottiene  eh 
pi  .  '  uti.    prolungai 

costituiti   da  alternative  'li    riposo  e  ili  contrazioni 
muscolari. 

In  tale  sistema,  dunque,   la  terminologia  non  ri- 
spi  imi  •    peri  ute    alla   1 1  sa,   benché   sia    stata 
appunto   la   terminolog   1  1     0  al   me- 
li   la    fortuna  agli  in- 


DALLE    RIVISTE 


7-7 


ventori.  Gli  esercizi,  richiesti  dal  nuovo  sistema, 
sono,  infatti,  complessi  e  faticosi.  Eccoli  quali 
li  troviamo  nel  manuale  di  miss  Stebbin  : 

Esercizio  i°  —  Rilasciate  le  articolazioni  delle 
vostre  dita  e  lasciatele  cadere  come  morte.  Poi  ad 
un  tratto  rimovetele  e  ripetete  lo  stesso  e- 
sercizio. 

Esercizio  2°  —  Abbandonate  la  vostra  mano 
come  mona,   lasciatela  pendere  dal  polso  e  qu 
muovete  il   polso   in   avanti  e  indietro,   a  destra  e 
a  sinistra,  roteandolo  in  cerchio. 

Questi  esercizi  di  riposo  che  sono  in  numero  di 
dodici,  si  riferiscono  successivamente  a  tutti  i  mu- 
scoli e  a  tutte  le  articolazioni.  Ve  ne  hanno  per 
le  braccia,  per  le  gambe  e  per  la  testa  ;  non  man- 


colla  testa,  la  quale  ultima  deve  roteare  come  una 
palla  sul  \<  stro  'olio  e  nelle  mani  che  la  reggono». 

Quale  l'effetto  di  questo  metodo  dal  punto  di  vi- 
sta della  bellezza?  Esso  dà  leggerezza  alle  membra, 
grazia  e  simmetria  al  corpo,  sempre  secondo  i  suoi 
inventori.  E  ciò.,  del  resto,  può  essere  possibile. 
che  questi  esercizi  di  riposo  non  sono,  in  ul- 
tima analisi,  che  degli  esercizi  ginnastici,  una  spe- 
cie di  massaggio  particolare  per  le  persone  deboli 

delicate.  Aggiungetevi  la  suggestione  che  eser- 
citano tutti  gli  esercizi  nuovi  e  voi  comprenderete 
rome  la  miss  che  ha  passata  tutta  la  mattinata  in 
questa  ginnastica    divenga,    o  creda   divenire,    più 

bella. 

Naturalmente  no:  non  accettiamo  la  spiegazione, 


Prima  dell'operazione. 


Dopo  l'operazione. 


cano  neppure  per  le  palpebre  (chiudetele  come  per 
dormire  e  quindi  riapritele). 

Quando  questa  ginnastica  è  divenuta  familiare 
alla  signorina  in  via  di  abbellirsi,  essa  passa  ad 
un  altro  ordine  d'esercizi,  lungamente  descritti  nel 
libro  di  miss  Annie  Payson  Coli,  che  è  una  vera 
celebrità  in   materia. 

«  Mettetevi  a  terra  sul  dorso  e  abbandonate  tutti 
i  vostri  muscoli,  del  capo,  del  dorso,  delle  reni  e 
delle  gambe.  Bisogna  che  voi  non  abbiate  più 
Impressione  di  avere  un  corpo,  ma  di  essere  un 
tutto  col  pavimento,  sul  quale  siete  distesi. 

«Frattanto  dite  alla  vostra  cameriera  di  prende- 
re le  vostre  braccia,  che  voi  le  abbandonerete  com- 
pletamente, rilasciando  tutti  i  muscoli  della  spalla, 
del  braccio  e  dell'avambraccio.  Bisogna  però  che 
voi  non  sentiate  più  questi  membri,  e  che 
pesino  interamente  nelle  mani  della  persona  che 
li  regge:  bisogna  insomma  che  non  facciano  quasi 
più  parte  del  v  stro  corpo  e  che  voi  abbiate  l'im- 
pressione di  essere  un  insieme  di  tre  sacchi  di  sab- 
bia, debolmente  congiunti  al  livello  delle  spalle  e 
delle  gambe. 

«  Fate  quindi   lo  stesso  esercizio  colle  gambe  e 


superbamente   detta  scientifica,    di    Delsarte   e   dei 
allievi,   secondo  i  quali    l'esercizio   del    riposo 
fa   affluire   l'energia  vitale    al   cervello.    Per   com- 
pletare l'allegra  teoria,  essi   aggiungono  poi  che  i 
canali    dell'espressione    divengono    allora    liberi    e 
I •■  ssono   così   essere   percorsi  dalla    forza   nervosa 
nella   stessa   guisa    che   un    canale    è    attraversato 
dall'acqua.  Eppure  è  proprio  sotto  l'etichetta  scien- 
tifica   di    tali    pazze   teorie     che   il   nuovo    metodo 
della  bellezza  ha  conquiso  le  giovani  figlie  dei  mi- 
i  ri  americani. 
I        ri    sarebbe   assurdo    negare  che   il    riposo 
debba   avere  una   certa    importanza    nello  sviluppo 
della  bellezza.  La  salute,  infatti,  che  è  tiri  elemento 
;sario  della   bellezza,   non  è  assolutamente  pos- 
•   senza   il   riposo  che  assicuri,   come  tutti  gli 
eserc'zi,   il    funzionamento    normale    dei   ni  <r\   or- 

- 

Se  i    tratti    tesi,   gli    occhi    spenti,   un'attitudine 

generale  di  fatica  non  ci   danno  certo  l'espressione 

della  bellezza,  ciò  dipende  forse  dal   fatto  che  tut- 

uesto  risveglia   in  noi    l'impressione   del  dolore 

nza.  E.  infatti,  la  fatica  non  è  del  re- 

sto,  in  ultima  analisi,  che  una  malattia,  una  specie 


!    prodotti   in- 

lavoi       :  poi       uariso     \\ 

pei  dì  libi 

ii  he  paralizzano   il    suo 


LA    1 


gli  alienati    non    si   conosce    rimedio   migliore   alle 
furie  dell  to;   e  se 

vi  hanno  dei  nevrastenici  che  si  guarisci  ino  col  mi 
to,   vi   hanno   pure  degli  altri  che  si  curano  col   ri- 
poso. 

E'  inutile  moltiplicare  questi  esempi  che  ci   al- 


L'esercizio   DELLE   BRACCIA   NHL   RIPOSO. 


Il  sonno  che  ci  rende  freschi  e  gagliardi 
—  altro  elemento  di  bellezza  -  non  agisce  altri- 
menti che  per  mezzo  del  riposo  prolungato  di  tutti 
gli  organi. 

I  n  ìi  ina  è  la  conferma  delle  proprietà  to- 
niche e  ricostituenti  del  riposo.  La  cura  del  riposo 
fa  parti-  integranti-  della  cura  delia  tubercolosi; 
nelle  affezioni  cardiache  si  constatano  talvolta  del- 
le vere  risurrezioni  operate  colla  semplice  perma- 
nenza nel  letto:  1.  del  cuore  si  regolarizza  e 
riprende  così  il  suo  \  _  re,  la  respirazione  ridiven- 
ta libera  e  gli  edemi  scompaiono.  Nei  ricoveri  per 


lontanano  un  poco  dal  nostro  soggetto,  per  mostra- 
re l'importanza  del  riposo  per  il  funzionamento 
regolare  del  nostro  organismo.  Tuttavia,  se  la  sa- 
lute non  si  può  concepire  senza  un  riposo  lien  in- 
teso, la  bellezza  ottenuta  unicamente  col  ripo 
secondo  il  metodo  americano,  è  un  inganno  del- 
l'occhio, un  metodo  basato  su  un  malinteso,  sul- 
l'interpretazione di  una  frase  abilmente  sfruttata 
da  quelli  che  si  possono  chiamare  i  filibustieri  del- 
la medicina. 

(Dalla  Revue  (ancienne  Revue  des  Revues) 


MWi 


>    KCIZIO    DEI.    RIPOSO. 


Le    frodi    fotografie  li  e 


La  parola  fotografia  è  stata  finora  sinonim 
«altezza  fedele  e  d'innegabile  verità.  Come  ammet- 
tere che  un  processo  di  riproduzione  i  pn  iica  cose 
isl  nti  ?  Ora  si  sa  che  la  fotografia  può  ingan- 
narci anch'essa.  Alcune  di  queste  frodi  fotografiche 
51  no  semplici  scherzi,  altre  possono  esser  causa  di 
errori  gravi. 

Uno  dei  metodi  per  ottenere  false 
consiste  nel  sovrapporre  due  prove  che  non  hanno 
niente  da  vedere  l'una  con  l'altra.  Volendo  mette- 
re, per  esempio,  sul  corpo  di  una  persona  la  testa 
di  un'altra,  si  fanno  le  due  fotografie,  nelle  stesse 
proporzioni  e  sotto  la  stessa  luce,  delle  due  perso- 
ci- ;  poi  si  ritaglia  la  testa  che  si  vuol  sostituire 
alla  vera,  e  s'incolla  sulla  vera,  badando  a  nascon- 
dere il  meglio  possibile  la  linea  d'attacco  :  se  si 
tratta  d'una  donna,  un  colletto  o  un  nastro  sarà 
perciò  di  grande  aiuto  ;  trattandosi  d'un  uomo, 
serve  moltissimo  la  barba.  Eseguite  queste  opera- 
zioni, si  rifotografa  la  prova  così  ottenuta,  ridu- 
■cendola  di  metà  per  rendere  meno  visibili  le  im- 
fezjoni  dell'incollamento,  e  si  ottiene  una  ne- 
gativa finale,  da  cui  si  possono  ricavare  tutte  le 
copie  che  si  vogliono.  Si  arriva  in  tal  modo  ad  ef- 
fetti comicissimi:  si  dà  una  testa  di  vecchio  dif- 
forme a  un  bel  corpo  di  donna,  o,  mediante  la  di- 
versa scala  delle  due  fotografie,  si  sovrappone  una 
testa  enorme  ad  un  minuscolo  torso.  All'Esposizio- 
ne universale  di  Parigi,  un  fotografo  offrì  ai  mem- 
bri della  giurìa  la  riproduzione  di  un  celebre  qua- 
dro di  Rembrandt.  dove  a  tutte  le  teste  dei  perso- 
naggi erano  state  sostituite  quelle  dei  singoli  giu- 
rati. 

Questi  sono  inganni  innocenti,  ma  in  altre  circo- 
stanze la  frode  può  essere  fatta  con  intenzioni  col- 
pevoli ;  come  quando,  per  esempio,  a  scopo  di  ven- 
detta o  di  ricatto,  si  è  mandato  alla  famiglia  d'una 
-.i  una  lettera  per  dire  che  lo  sposo  non  è  li- 
.  che  ha  già  preso  moglie,  e  alla  lettera  si  è 
aggiunta  la  falsa  fotografia  istantanea  del  corteo 
nuziale  che  esce  dalla  chiesa. 

Un  occhio  esercitato  trova  quasi  sempre  il  trucco 
in  questo  genere  di  frodi  fotografiche  ;  risultati 
[  iù  stupefacenti  si  ottengono  in  altri  casi,  per  e- 
*empio  in  quello  dell'uomo  che  regge  sopra  un  piat- 
to la  propria  testa.  La  condizione  da  osservare,  qui. 

è   che   la  posa  sia    fatta    sopra   un   fondo    bia 

assolutamente  nitido.  Dopo  aver  fotografato  cosi 
1  individuo  col  piatto  in  mano,  si  prende  una  secon- 
da negativa,  facendo  dare  al  viso  lespressione 
che  si  vuole  ottenere  nel  capo  troncato,  e  si  taglia 
la  testa,  sulla  negativa,  con  una  riga  opaca  ;  si 
stampa  quindi  sulla  carta  sensibile  la  prima  ne- 
gativa, poi  la  testa  della  seconda,  al  posto  vi  luto, 
e  si  vira  il  tutto.  Qui  non  ci  sono  pezzi  ritagliati  e 
appiccicati:  vi  è  la  libera  impressione  d'una  nega- 
tiva sopra  un'altra.   Con  lo  stesso  procedimento  si 


ottiene  la  donna  che  appare  in  cielo,  sul  mare:  la 
figura  dell'apparizii  ne  è  stata  fotografa  pra  un 

l'ondo  di  cielo  e  riportata  poi  sopra  una  negativa 
rappresentante  il  mare  con  uno  si  ondo  celeste;  ia 
parte  inferiore  della  veste  è  stata  sfumata  perche 
sembri   svanire  nell'atmosfera. 

In  altri  casi   ancora,  la  frode  è  meglio  nascosta 
e   veramente    invisibile:    cioè   quando    non   v'è    si 
vrapposizione    di    due   negative,    ma  una    negativa 
unica  e  diretta.  Ecco,  per  esempio,  una  signora  che 
giunca  alle  carte  con  sé  stessa.  L'unica  negativa  è 
ottenuta  mediante   un    sistema  di    tavolette    mobili, 
con  le  quali  si  naso  n  le  successivamente  una  metà 
della   lastra  da  impressionare:    una  prima  volta 
impressiona  la  parte  destra,   lasciando  intatta  la  si- 
nistra;  poi   si   copre  la   parte   impressionata,  e   si 
completa  la   negativa   impressionandone   l'altra   me 
tà.    Fra  tutte  le  frodi  fotografiche  questa   i    la    pi 
semplice  e  la  più  perfetta. 

Buona   parte    delle    pretese   fotografie    spiritiche 
sono  dovute   alla   frode.    Un   fotografo  americano. 
per  il   prezzo   di    dieci  dollari,    evocava    gli  spiriti 
dei   morti   e   degli   assenti.   La  persona   interessata 
era  ricevuta  dalla  moglie  dell'imbroglione   la   qua- 
le,  mentre  il   marito  fingeva   d'attendere  ai    prepa- 
rativi  dell'operazione,    faceva  abilmente  parlare    il 
cliente  intorno  all'età,  al  sesso,  ecc.,  della  persi  n; 
da  evocare.  Poi  il  gabinetto  si  apriva,  e  l'operatore 
invitava   il   cliente  a   sedersi   dinanzi    all'obbietl 
raccomandandogli    di    pensare,    con   tutta   l'energia 
della  volontà,  allo  spirito  del  morto  o  dell'assente. 
Passato    un   certo  tempo,    il    fotografo   esclamava: 
«L'apparizione  si  forma,   si   disegna!...    Vedo   tlut 
tuare  sulla  vostra  testa  un  fantasma!...»  e   allora 
scopriva  l'obbiettivo,  e  rimandava  poi  il  cliente,  i  h 
qualche  settimana  dopo  riceveva  il   proprio  ritratl 
sul    quale    si    disegnava    una    figura    biancastra    e 
nebulosa,  dove,  con  l'aiuto  della  fede,  egli  ricono 
sceva  la  persona  cara.    Il   ciarlatano   aveva    s  elto, 
in    mezzo    alle  sue    vecchie    negative,    il    tipo    che, 
dalle    informazioni    riferitegli    dalla   moglie   e    da 
quelle   prese   da   lui    stesso  nell'intervallo,   gli    sem- 
brava   più   rispondente  alla    persona    in    questi  n 
e  ne  fabbricava  un  ambiguo  fantasma  ohe  sovrap- 
poneva   alla    n  gativa    'lei  credulo  cliente;    ma    il 
giuoco    in  scoperto   e   il    fabbricanti-  di   spiriti    do 
vette  un  bm        .      no  far  fagotto  e  sparire. 

La  trasparenza  spettrale  si  ottiene,  in   fotografia, 
con  un  mezzo  semplicissimo:   la  doppia  posa.   Mei 
tete  un    personaggio   qualunque   sopra  uno  sfo 
purchessia:    fate  una  rapidissima  posai-   p 
rate  l'obbii  fisa  nessuno  dinanzi,  e  fate  una 

i  dello  -tondo.  Troverete,  sviluppando 
la  negativa,  un  corpo  trasparente,  attraverso  al  .. 
e  li  '  irà  in  tutti  i  suoi  particolari. 

(Dalli-  Lectures  pour  imis). 


Le    atrocità    americane 


,«■  pubblica  un  articolo  "" 

indignazione  in  tutto   il  mi 
da  un  suffragio  di 
iì  -,     li  ve  la  vita  umana  e  sacra. 

-    tratta  di  I 

ihite  dai  nord-americani  nelle  Filippine  e 
steranno  un  brivido  d'orrore  in  tutto  il  mondo, 
scusa  invocata  in  difesa  'li  tali  atro 

lifend  rsi  dalla 

ms,.rti. 
In  questo  episodio  spaventoso  delle  guerre  o 

niali,                        [       "      :'     -'  :'    '     " 
nùnenti  coprir.-  colla  congiura  di  ■■■  infami 
liflBcile  lavar..-  la  band  era  de- 
gli siati  Uniti  del  sangue  che  sgocciola,  perch 
,,..  |,                      .  llettiva  e  ricade  col  suo  peso  su 
tutto  un  p  I-  li     ni. l'i..                 non  insorge  < 

se  in  nome  suo.  E  gli 
['hanno  i  che  hanno  messo  in  o- 

peia  ogni  mezzo  per  attemiare  la  gravità  dei   Fatti 
e  la  stampa  i  da  parte  sua  li  ha  ■ 

mento  un   triste  e  pa  epi- 

sodi, n  ha  troppa  importanza  nell'immane 

guerra  ili   sterminili.    Ma  né    1  im- 
ata  dai  tribunali  ai 
colpevoli,  né  le  circostanze  attenuanti  invocate  dai 
cati  \  irranno  a   tarli  dimenticare. 
Archi    .li   trioni.,   sono  stati  elevati    ai    vincitori 
.Idi.-  campagne,  se  ne  è  celebrata  la  gloria 
erto  trionfale   nessuna   voce   ha  parlato 

delle  vitti  ne.   mentre   l'entusia- 
riva   la  sfilata  dei  reggimenti  reduci  dalla 
guerra. 

\1      ,  r.i    i   t(  Stimoni  hanno  parlato  e  ciò  I  '•> 
dicono  sorpassa   l'immaginazione  umana.   E  l'indi- 

■  che  gli  spinti   più 
i      un  l 'amegie,   invocava   pei   rei   la  fu- 
sione. Lo  sterminio  degli  indiani  di   1   n   Wesl 
5p  -  entoso  'li  quello  operato  da 

ro    contro   i     Monte/urna 

non  -ara  men..  infame  nella  stona  .lello 
stero  P  Hi  Rosse.  Essi    prova  i  h 

scinte  fra  l'odo 
...  il  diritto  e  l'un  '■'  Pa 

i.  le  vuote  di  senso.  In  virtù  di  questa  teoria  il  sol 

ti    non  solo  ali 
lippine,  ma  anche  in  Africa,  al   Congi  .  al    ' 

I  e  in  Cina,  uccide  e  ti  rtui 
eia  i  ae  un  raffinati 

.li  vite,  colla  serena  'li  non  lar  nulla 

d'illecito,    nelle  condizioni    anormali    'li    una  guerra 
Inarata. 

teoria   \ 
velli  ;  pei  convincersene  basta  leggere  qu 
n-i   che  riportiamo. 

lei   iooi   un  giornale  degli  S1 


niti   pu  tera  <1  un   sergente  volonta- 

[le  E  ilippine.  1  diceva: 

.irnati    a     I  '•    giorno   l 

trovammo  una    p  pi  laz  one    tranquilla,    ma    ci 
-nnio.li  camminare  su  un  vulcano.  Conduci 
Uora  il  capo  della  tribù,  il  prete  e  un 
sulla   piazza  del  pa-se  per  sottometterli  a  un   in- 
oli capo  voleva  evitare  .li  rispondere:  allora  ti» 
alla   punizioni  |ua- 

Fu  gettato  a  terra,  api  sul  dorso 

vicino  ad   un   pozzo.    Allora   gli   versami» 
lacnia  in  I"  cca  tenendogli  a  forza  sp 
u.-i.  mentre  un.,  di  noi  gli  premeva  lo 
mpedirgli    .li    soccombere  ali  operazione.   ' 
sto  trattamento  gli  ha  ftnalm  -   lato  la  lingua 

e  il  vecchio  riba 

tNu    ..unente   interrogato   per    avere    intorma. 
ni  più  si   dovette  amministrargli  una  se 

da    dose  d'acqua,    prima   .li    sciogliergli    la   lnv 

qua  a]  hiamo  gel  sale  per  aumeniar- 

-  ne  l'effetto». 

Un  era  scritta  da  un  altro  sol, lato  .-.in- 

ferma  i   particolari  spaventosi   di  questo  nuovo  si- 
stema .'.i  supplizi'      !  testuale: 

«Io  faceva  parte  di  una  pattuglia  in  perlustra- 
zione: chiunque  cadeva  nelle  nostre  mani  sulle 
colline   era    an  come    un    cane   o   coni-    un 

poro  senza   riguardo  all'età,  ma  debbo  aggiui  f 
ptio   ,  he    in  n    ebbimo    i    casione  di    fucilare    fan- 
ciulli perchè  non  ne  abbiamo  trovati». 

qU(  tanto  cinismo    .'■    spa- 

sa. La  lettera  continua  poi  : 
tNoi  avevamo  ordine  .li  strappare  ai  pi  - 
i  segreti  di  guerra  col  mezzo  dell'acqua:    l'applica- 
tone era  ;   il  prigioniero  era  gettato  a  ter- 
ra, eli   si  affom lava  nelle   fauci   un  imbuto  e  gli   si 
ingurgitava  l'acqua  fino  a  che  il  corpo  gonfiai 
spaventosamente  minacciasse  scoppiare.   Finita  I 

nte  eia   rotolato  e  schiacciai 
fargli  emettere  l'acqua  e  se  allora  non  parl.n  i 

i    si    rinnovava    il   supplì'       e    poi    si    fucilava. 
abbandonandone  il  cadavere  ai  cani. 

i  na    notte,    sotto  \m    bel    chiaro   .li    luna,    noi 
schierammo  sette  vecchi  dinanzi  alle  canne  di 
stri  fui  ili  :  ;1  e.  mandante  gridò  il  fuoco  e  tutti 

ili». 

Le  li  tinuano  •  spave» 

tose.  Un'altra  dii  .  . 

»Una  volta,   per  sbrigarci,   presi   sei   filippini 
tuffammo  interame  !"•'  tenendoli 

he   le  b.  Ile   che   nu  alla   superficie  m.> 

stravam   i  he  non  ne  p  no  **" 

lora  un  er   non   farli   nu  rire.  poi  si  tuffa- 

lo ili   nuovo:    i   filippini  sotto   l'acqua   si   dil 

VanO    soave;  "... 

Dalla  Ri  ancienne  Rcvhc  des  Revu 


1            ■ ■ 1 

La 

tratta 

dei 

Negri 

Tutte  le  società  antiche  erano  fondate  sull'isti- 
tuzione della  schiavitù.  In  Grecia  i  cittadini  liberi 
erano  come  perduti  in  mezzo  alla  moltitudine  degli 
schiavi.  Atene  aveva  20  mila  cittadini  sopra  400 
mila  servi.  A  Roma,  ai  tempi  dell'Impero,  qual- 
che patrizio  arrivò  a  possedere,  nelle  sue  terre  ili 
provincia,  da  4  a  5  mila  schiavi.  E  la  condizione 
di  costoro  era  la  più  sciagurata:  il  minimo  sbaglio 
si  puniva  con  la  frusta,  col  bastone,  con  l'erga-.' 


rivalità  fra  i  re  indigeni,  suscitavano  guerre  e  com- 
peravano al  vincitore  i  prigionieri,  pagandoli  con 
stoffe  dai  colori  crudi,  con  vecchi  abiti  gallonati, 
con  ombrelli  variegati,  con  vecchi  moschetti,  con 
polvere  da  sparo,  con  liquori  adulterati.  Una  volta, 
acquistati,  gli  schiavi  —  ['ebano  —  erano  caricati 
come  merce  sulle  navi,  generalmente  piccoli  bnks 
e  golette,  dove  erano  ammassati  in  modo  da  poter 
appena   respirare:    impossibile    coricarsi    altrimenti. 


Convoglio  di  schiavi  nella  regione  del  Crad. 


lo;  un'infrazione  grave  procurava  il  supplizio  del- 
la croce. 

Col  trionfo  del  Cristianesimo,  la  condizii  ne  de 
gli  schiavi  si  modificò  a  poco  a  poco  e  l'istituzione 
si  avviò  al  tramonto  ;  ma  ad  un  tratto  essa  riap- 
pare nel  mondo  moderno.  Scoperta  l'America,  per 
estrarre  l'oro  dalle  miniere  e  poi  per  coltivare  il 
cotone  e  il  caffè,  divenuti  generi  d'universale  con- 
sumo, vi  fu  bisogno  d'uomini  capaci  di  resistere 
a  un  lavoro  esauriente  sotto  il  cielo  infocato  dei 
Tropici.  Si  pensò  ai  negri  d'Africa,  e  al  principio 
del  XVI  secolo  4000  di  essi  furono  sbarcati  nel 
Nuovo  Mondo.  La  tratta  fu  organizzata  regolar- 
mente, e  presto  divenne  un'istituzione  uffV 
tata  da  tutte  le  nazioni  marittime  europee. 

I  capitani  negrieri  si  dirigevano  con  le  loro  navi 
al  Senegal  e  nella  Guinea;   dove,  profittando  delle 


che  di  fianco,  impossibile  alzarsi  in  piedi.  Navi  ap- 
pena capaci  di  25  persone  ne  trasportavano  300. 
La  mortalità  era  quindi  spaventevoli.  ,.  un  capi- 
tano stimava  d'aver  fatto  un  buon  viaggio  quando 
sopra  600  negri,  gliene  morivano  soltanto  200.  E 
nonostante  queste  perdite,  gli  utili  erano  ancora 
ragguardevoli:  in  Africa  uno  schiavo  si  compera- 
va da  75  a  300  franchi  e  si  rivendeva  in  America 
da  800  a  2000.  Nel  secolo  XVII]  i  prezzi  crel>- 
ber  :  uno  schiavo  valeva  ordinariamente  da  2500 
a  2800  franchi.  Sopra  un  carico  di  450  negri  vi 
furono  armatori  che  guadagnarono  675  mila  fran- 
chi. Si  calcola  che  40  milioni  di  schiavi  fossero 
introdotti  in  America. 
fissi  dovevano  lavorare  15  ore  al  giorno  d'estate, 
e  14  in  inverno.  Ricevevano  in  cambio  una  cami- 
cia e  un  paio  di  calzoni  ogni  anno,  e  una   pinta  di 


732 


DALLE    RIVISTE 


i    m         gti    ii-  51      M'ita 
in  capanne  d  irmivani i  sulla 

■   .     ni 

I      Ultto     il     gì'  IMI".       I 

prescriver  ribili  i 

i  :   il  taglii   dell  i in  i    hit i  e  della  lin- 
di   ferro  con  un    peso  di  parecchi 
chilogrammi,  punire  la  fu- 

morte  sotto  il  b 
Questi  orrori  commossero  L'Europa,  11  movimen- 
to umanitario,  cominciato   alla    fine  del  XVI  l 
cole,  produsse  la  soppressione  della  tratta  nel  i8jo 
i  tardi  l'abolizione  della  schiavitù  nelle  colonie 
'   i   I  io impì  nel  18.18. 

nn  libro,  la  Ca-fianna  t 
Tom.  commosse  talmente  gli  animi  contro  le  cru 
deità  dei  di  schiai  i  e  dei   piantatori,  1  he 

>i  può  dii  stati    causa  1  Iella  guerra   'li   Se 

nel  i8(>r.  fra  gli  stati  del  V 
partigiani  dell'abolizione  della  schiavitù,  e  quelli 
del  Sud,  favorevoli  al  suo  mantenimento;  gu 
che  lini  col  trionfo  dei  primi.  Mentre  scoppiava 
questo  conflitto,  1"  Zar  aboliva  il  servaggio  in  Rus- 
sia. I  servi,  nell'impero  moscovita,  sommavano  a 
45  milioni,  ni  crann  contadini  attaccati  alla  gleba, 
evo.  La  loro  condizione  era  però 
migliore  ili  quella  degli  schiavi  ;    perchè,   una  volta 


in        '  i.    Nondimeno,   il  com- 

!  a  in   tutta    l'Africa 
oni  del  Niger  e  del- 
rchad,  nel  Congo,  intorno  ai  grandi  laghi  equa- 
ili,  nella  costa  dei  Somali  e  plesso  lo  Zanzibar. 
le  organi z;  Vrabi  si  gettano  nei  territori 

pola  più  densa,    si  1  prendi  ino  di 

notte  1    v  I  uccidono   i    vecchi,    gli  infermi  e 

tutti  coloro   che    oppongono   resistei!/  nano 

gli  adulti,  le  donne  e  1  fanciulli,  lamio  loro  attra- 
versare  il  deserti  di  fuoco  bastonandoli  e  ucciden- 
doli se  cadono  estenuati  dai  arrivano 
ai  luoghi  dei  mercati:  a  l'gigi.  nell'Africa  equato- 
ria  ,  a  Ruka  nel  Bornu,  presso  il  lago  Tehad; 
0  ni  qualche  altra  città  del  Baghirmi  o  del  Wadai 
nel  Sudan  orientale.  I.a  minima  parte  della  caro- 
lili.' arriva  al  destino;  alcuni  missionarii  hanno 
e. ili -Ilio  -li-  d'un  convoglio  di  1  ;,  mila  prigionieri, 
io  mila  restano  per  via  ;  i  superstiti  sono  ancora 
-  lalle  malattie  :  i  loro  cai  ei  a  Kuka, 
usano  a  imputridire  all'aria:  a  L'gigi  sono  am- 
massati in  un  carnaio  dove  le  iene  si  •'..nino  conve- 
gno. I  sopravviventi  sono  venduti:  un  giovanotto 
vale  da  100  a  200  tranelli,  un  vecchio  20.  un  fan- 
ciullo 5    soltanto! 

\e  l'Africa  barbara  è  la  sola  dove  questo  orrore 
duri.  Tutta  la  costa  africana  del  Mediterraneo,  da 


MERI    .1-      l'i    si  BIAVI    IR»   e. 1.1    ANTROI'OI-AC.I    DELLA    COSTA    D'AVORIO. 


ite  le  diverse  imposi.-,  essi   potevano  vivere  li- 
beramente nelle  loro  capanne. 

\l         proprio  fini  liavitùf    Nel   18S0,  la 

;na  si   de-  ce  i    suoi    .100  mila 

\  1  1  ubani  :  nel  1888  il  Brasile  l 


'l'angeti  ad  Alessandria,  fatta  eccezione  pei  qual- 
che breve  tratto,  formicola  di  schiavi.  Si  calcola 
che  nel  Marocco  ne  entrino  100  mila  l'anno.  A 
Tanj  ""   gridandone  pubbli- 

1!  prezzo.   Nel  trasporto,  per  eludere  la  t .- 


7-;l 


LA    LETTURA 


li  chiudono  in  sacchi  appesi 
im  nielli, 

Milo,  intorno  a  Kartum,  1    piena  di 
telli  d'un;  .  nia  'li  na\  iga: 

i \ ani ■  ultimamente  carne  umana  a 
l  igiura,  nella    rrìpolitania.    Pei  il  buon  Turco,  te- 
\  _       infedele  e  i  i    una 

•,!»-,  Nel    Madagasi  ar,   prima    della 

ese,    la   i     ia   I  lova,  malese,  consi- 
inferiore  il   Lakalava   negro  e  1<>  ri- 
duo  chiavitù.    Altrettanto  fanno  gli    Al   - 
i ,  illas    Nella  america  del  Sud,  an- 
questa    piaga  non  i    scomparsa.    Gli    Indiani 
belli<              urano  schiavi    nelle    Cordigliere  e    li 
itori  brasiliani.   In  Asia,  nel  Ne- 
,i    nord  dell'India,    se  ne  contano   40   mila. 
Tutta  la  penisola  indo-cinese  è  in  preda  alla  schia 
vitù,  con  questa  differenza:  che  il  nome  di  schiavi 
si  51  tu  to  con  quello  di   coolies.   Sotto  colore  di 
emigrazione                  per  importare  dei   lavoratori 
nelle  colonie  dove  manca  la  mano  d'opera,  Compa- 
■  private  d'ogni  nazionalità  reclutano  dei  poveri 
;   Cina  e  dell'Indocina,  atti- 
seducenti    proposizioni.    Trafficanti   in- 
rvono  da    intermediari.    Inutile   dire  che, 
una  volta  i  coolies  imbarcati  e  portati  in  alto  mare, 
quegli   infelici   sono  ridotti   cattamente  alla  condi- 
te che  era  quella  dei  negri  al  tempo  della  tratta 
ufficiale.    Compagnie  inglesi    che   si    occupano  di 
traffico   prendono  nei   porti    della   Cina   ca- 


•  he  non  1  ostano  loro  nte; 

li  pagano  due  dollari  l'uno  al  cinese  che  li  ha  in- 
[iati,  e  li  rivendono  nelle  colonie  pei   una  som 
250   a  aoo   franchi.    L'armatore, 
tte  le  spese  di  trasporto,   realizza   un   bel  gua 
dagno;    e   il   colono  non  dà   al    coolie  nessun    sala- 
rio: ilio. 

l'i  1                        gli   ultimi    vestigi    della    schia- 
vitù, in  1  si  soi stituite 

Il    cardinali-   1 
in   Africa,  nel    i8gi.   i    Frati    Armati    del    Sahara, 
un  ordine  militare  relig  doveva  fai 

vizio  di   polizia  nel  *\'-~  le  bande 

itanti  la  tratta:  ma  questa  istituzioni-  so 
parve  con  la  morte  del  Primate  d'Africa.  Nel  1890 
si  tenne  a  Bruxelles  un  Congresso  dove  furono  eia- 
<i.  mi'  per  impedire  il  commercio  degli 
schiavi.  Dieci  anni  dopo,  nel  1900.  un  secondo  se 
ni-  tenuto  a  Parigi,  sotto  la  presidenza  del  cardi- 
nale Perraud. 

I. 'opera    degli    ar  iti    ha  trovato   prezii 

ausiliari:     i    missionari.   "Sappiamo  utilizzare    — 
dice   la    rivista  il   loro  concorso   per   l'onore  del- 

l'umanità.  Sarebbe  w\  dovere  per  i  governi  di  sor- 
iare  strettamente  le  Compagnie  di  trasporto  che 
s'incaricano    d'importare    nelle    colonie    lavoratori 
gialli  o  neri,   affini''  non  siano  più  ingan- 

nati da  trafficanti  mascherati.   Queste  misure,  spe- 
riami  rebbero  l'ultimo  colpo  alla  schiavitù, 

vergogna  della  nostra  epoca  di  civiltà». 


UN   PRIGIONI!  Ko    DI    GÌ  ERRA    IN    INA    TRIBÙ    D' ANTROPOFAGO 
NELLA    REGIONI     DEL  CRAD. 


Già  si  parlò,  in  queste  colonne,  della  Posta  in 
tutti  i  tempi  :  l'argomento  non  fu  esaurito,  ed  è 
di  quelli  che  servono  meglio  a  dimostrare  il  pro- 
gresso compito  dal  genere  umano. 

In  Francia,  da  Parigi  a  Marsiglia,  una  lettera 
impiega  12  ore;  impiegava  8  giorni  un  secolo  ad- 
dietro; un  mese  tre  secoli  fa;  nel  medio  evo  bi- 
sognava contentarsi  di  affidarla  al  primo  venuto, 
a  un  mercante,  a  un  monaco,  e  arrivava...  quando 
arrivava  !  La  posta  regia  fu  organizzata  sotto  Lui- 
XI,  ma  era  riservata  al  servizio  del  re.  Le  im- 
prese postali  private  non  offrivano  nessuna  garai) 
zia.  Soltanto  sotto  Luigi  XIV  la  posta  regia  e  le 
private  si  fusero  e  formarono  qualche  cosa  di  si- 
mile alla  Posta  odierna,  con  partenze  regolari  e 
tasse  fisse:    i  corrieri  non   pagavano  pedaggi   e   le 


1653.  tentò  di  fondare  la  Piccola  T'osta  di  città,  a 
un  soldo.  Sei  cassette  furono  collocate  in  diversi 
punii  della  città;  ma  i  Parigini  accolsero  l'istitu- 
zione gettando  ogni  sorta  di  sudiciumi  nelle  cas 
sette;  lo  scherzo  preferito  fu  quello  di  introdurvi 
dei  topi  vivi  che  rosicchiassero  le  lettere. 

Fallito  questo  primo  tentativo,  l'idea  fu  ripre- 
sa un  secolo  dopo  dal  signor  di  Chamousset,  il 
quale  organizzò  una  nuova  Piccola  Posta,  s  n 
cassette,  ma  con  117  fattorini  i  quali  ritiravano 
direttamente  dai  cittadini  le  lettere  e.  perchè  la 
gente  fosse  avvertila  del  loro  passaggio,  facevano 
risuonare  continuamente  una  sperir  di  stridulo  stru- 
mento di  legno.  Lo  Chamousset  arrivò  a  guadagna- 
re così  50  mila  franchi  l'anno.  Allora  lo  Stato  ri- 
scattò la  Pìccola  Posta,  pagando  allo  Chamousset 
una    rendita    vitalizia    di 


Le  curiosità  della  posta.  —  Oggetti  senza  indirizzo  sufficiente. 


porte  della  città  dovevano  essere  dischiuse  per  essi 
a  qualunque  ora.  La  signora  di  Sevigné,  scrivendo 
«lai   castello  dei  Rochers,   presso   Vitfé,   alla  figlia 
che  stava  a  Parigi,  vedendo  la  regolarità  del  servi- 
zio,   esclamava:    «Che    bella    invenzione,    la    Po- 
'  »  e  poiché  quei  350  chilometri  di  distanza  era- 
no percorsi   in  9   giorni,   soggiungeva,    in  tono  am- 
mirativo:  «Nove   giorni!    E'  tutto  ciò  che  si    può 
desiderare!»  Il  ritiro  della  lettera  costava  tre  soldi 
di   quel   tempo,    corrispondenti    a   6   degli    attuali  : 
e  non  era  molto.  E'  vero  che  il  prezzo  cresceva  col 
iv  delle   distanze. 
Mi   lire  Parigi  comunicava  con  tutto  il  resto  del- 
la Francia   e  con    l'estero,  non  poteva   ancora  co- 
municare con  se  stessa.    Il   signor  di  Velayer,  nel 


20  mila  lire. 

Xel  1777  la  Posta 
francese  era  appaltata 
a  un  imprenditore  al 
prezzo  di  8  milioni  e  800 
mila  franchi. 

Dopo  la  rivoluzione, 
siilo  U  Direttorio,  l'ap- 
paltatore dovette  (Ine 
dere  la  rescissione  del 
contratto,  tanto  il  servi- 
zio era  difficile,  tanto  le 
strade  erano  piene  di 
malandrini  che  svaligia- 
vano le  carrozze  pi 
Il  Primo  l  Console  rimise 
l'ordine  e  istituì  la  Di- 
rezione generale  delle  Po- 
ste. La  velocità  fu  noti 
volmente  accresciuta  ;  un 
postiglione  fu  espressa- 
mente  ini  ai  ti  ati  •  di  far 
galoppare  i  cavalli.  Il 
corriere  ]  insta  le  tra  la 
Francia  e  la  Spagna,  eli- 
be,  oltre  il  postiglione,  un  ragazzo  montato  sopra 
un  cavallo  volante,  per  stimolare  incessantemente 
quelli   che  tiravano   la  carrozza:    lo  chiamarono  il 

«Condannati      a    morte»,    perche    andava    da    [run    a 
Madrid   senza   scender  di   sella. 

\  |ii  -I  tempo  la  tassa  era  ancora  proporzionale  . 
nel!.'  campagne  si  doveva  pagare  di  più  il  «dei 
rurali  ».  Nel  1848  fu  adottata  la  tassa  unii  a.  pa- 
gabile al  fattorino.  Siccome  ciò  eia  causa  di  com- 
plicazioni e  di  ritardi,  si  p  1  nere  all'af- 
fralì. .  1  il  ibligati  iria  m  ;  :  Ili  ; 
si  dovettero  vincere  grandi  difficoltà  perchè  il  pub- 

I  liei  •    li    .ci  .1 1 ass'e.     Il    (  ',.  \  i-mi  1    dovetti  iiarsi 

a  riprendere  i   francobolli  da     0  dopo 

verli  ■    'i  m    1       \  uso  ;   di ivette  e 


inti  ad  accettarli  i  •  i  moneta  ; 

sognò 

.il  premio:   per   l'affrancazione  anticipata 

te  francobollo   la   spesa    fu   ridotta,   da   20 

IO. 

un  capo  all'altro  del 

.ini- 
lline  quante  sono 
lerai        il   lavi  n 
rapidità  :  tare 

zioni,  dui  rinalr. 

Ma  .il1  ri    sacchi    arrivano,  e  lo  s 

unta  febbre  si  la- 
postali  si    iinpegna- 
jiuramento,  a  rispettare  il 
re.   La  sottra 
CVIII,  era  punita  col 
11   la  galera   ed   ani  be  con   la 

\l 
I  nemico  <  lt-1  segreto  postale  fu  lo  stesso 
-    to  Luigi  XV  funzionò  in  Fran- 
cia   il  Gabinetto  nero,    dove    si   praticò 
Boileau  chiamò  «arte  di  ram- 
mollire  la    ceralacca    dei   suggelli»,   me- 
diante il   vapor  d'acqua  0  una  lama  di 
rino  riscaldata:  per  i  \*?./\  grossi 
di  cui  si  aprivano  le  lettere,  si  possede- 
■•uggelli   falsi.   Napoleone  ebbe 
Icio  segreto  le  cui  spese  salir*  >- 
000  mila   franchi.  La  Restaurazio- 
ne lo  mantenne.    Il   domani    drlla   Rivo- 
luzione del   1848,    Stefani     Arago,  nomi- 
re  delle   Pi  ste,  visitò  da  ri- 
fondo il   palazzo 

re  e  sopprimere  il  Gabinetto 

ma  non  vi    riuscì,    perchè  ne  era 

murato   1  usi     -    Così    sotto   il  Se- 

[mpei       rin  [uè    deputati    furono 

rare  dalle  cantine  alle  soffitte, 

i>er  dimostrar  loro  che  il    famoso  Gabi- 

r.i   un   mito.  M  \   si  dimeni  ■ 
dire    a   '[negli  che    il    servizio 

al   Ministero   dell'Interno... 

he   i    messaggi  fossero   interi 
anticamente  le  lettore  si  chiudevano  nel  corpo  d'una 
'un  uccello  che  un  finto  cacciatore  porta- 
va al  destinatario.    11  mezzo  più  originale  fu  quello 
da  un  certo  [stieo,  prigioniero  alla  corte 
del  ce  radere  la   testa   d'un  suo 

1    fere  incidere    la    lettera,  mediante  il 
del  iranio.   Poi  aspettò  che 
■      sse,  e  ali  ra  spedì  al  suo  corrispon- 
farsi  radere  appe- 
na arriv.it.  :  così   l'amio  ^gere  il  messaggio. 
ite  le  guerre  dell  .   i  tronchi  d'al- 
.  i  buchi   scavati   dagli   insetti   furori 
saggi.   Quando  ; 
■  ittorini   i  cani  da  pastore,   nel   ci 

I  carcerati  co- 
di  mollica  di   pane  che  si  get- 


DALLK    RIVISTE 


('■li   errori,   i   difetti  di   indirizzo,  nelle  corrisp 
deli.  frequenti,  ohe  in  un 

la    1'' sta  inglese  non   |  .-7 

mila   lettere,    idoo  d.elle  quali  contenevano  94  mila 
tranelli   di   vali 

Le   lettele   nmi   recapitate    sono  rimandate    all'ufi 
fido  dei  rifiuti,  dove  sono  aperte  per  vedi  1 


Le  curiosità  della  posta.  —  Un  ufficio  postale  nel  1760 


mezzo  di  capire  a  chi  vanno;  se  non  si  trova  nes- 
suna  indicazione,  si   distruggono. 

Un  giorno  fu  trovata  in  Francia,  dentro  una 
cassetta  per  le  stampe,  una  tartaruga  viva:  il  mit- 
tente l'aveva  gettata  lì.  senza  imballarla  in  nessun 
modo,  contentandosi  di  appiccicarle  sul  dorso  l'in- 
dirizzo e  i  francobolli  occorrenti.  L'ufficio  fu  un 
poco  sul    da  fare;    regolarmente,  dovi 

essere  mandata  ai  riliuti  ;  ma  lì  bisognava  darle 
da  mangiare  tino  al  giorno  della  vendita.  Cosi,  per 
sernp  e,  l'animaletto  fu  spedito  senz  al- 

tro .'■   destinatario.    Più    audace   fu   quel    depu 
ingli  rito  alla   Tosta  un   pianoforte.    E 

iwiò  lo  strimi 

(Dalle  Lei  tur, 


Nel    cuore    d'un   temporale 


Pochi  certamente  hanno  avuto  occasione  di  pas- 
sare quarti  dora  terribili   come  quelli  passati   da] 
leverendo  J.  M.  Bacon,  pastore  anglicano,  quando, 
trovandosi  in   pallone,   fu  cólto  proprio  nel  cuore 
di  un  furiosissimo   temporale.    Pare 
cadde  a  qualche  pallone  d      ss  re  preso  in   m 
ad  un  tempi  rale;    ma  quasi  sempre  gli  aereonauti 
poterono,   con  abile  manovra,   togliersi  d'impai 
elevandosi   a   traverso  le  nuvole   al   di  sopra   della 
regione   aerea   dominata   dalla   luterà.    Così,    anni 
or  sono,  il  signor  Green,  a  Francoforte  sul  Meno. 
innalzatosi  ad  un'altezza  di  circa  mille  metri,  si  trovò 

i  un  densi     -  li  nuvole  che  lasciavano 

•  lere  torrenti   ili   pioggia,   con   grande  accomp; 
mento   di   tuoni  e  di    lampi.    Il   pallone,    per   altro. 
potè  senza  inconvenienti  salire  ancora,  traversare  le 
nuvole,  e  raggiungere  il  cielo  sereno,  ove  un   \ 
propizio  lo  allontanò  dal  temporale,  che  continua- 
va ad  imperversare  sulla  città. 

In  linea  generale,  deve  essere  abbastanza  fa- 
cile ajl  un  aereonauta  elevarsi  al  di  sopra  della  re- 
gione tempestosa  e  portarsi  in  un'atmosfera  tran- 
quilla ;  ma  nel  caso  speciale  del  reverendo  Ba<-<  n. 
questa  manovra  non  fu  possibile:  il  pallone,  preso 
in  mezzo  da  uno  dei  più  violenti  temporali  che  si 
possano  immaginare,  vi   rimase  per  un  tempo  ab- 

mza  lungo,  a  raccogliere  osservazioni   prezii 
ma  pericolose. 

tome  succede  spesso  in  montagna,  il  cielo,  pri- 
ma del  temporale,  era  chiaro,  ma  era  stato  ante- 
cedentemente traversato  da  dense  nubi.  Quella  anzi 
era  stata  una  giornata  di  temporali,  che  però,  verso  le 
cinque  pomeridiane,  si  erano  dissipati.  Si  era  nel 
mese  di  luglio,  epoca  in  cui  avviene  spesso  che 
violente  intemperie  cessino  verso  sera,  magari  per 
riprendere  durante  la  notte.  Il  reverendo,  visto  che 
il  cielo  si  era  rischiarato,  aveva  creduto  di  potere. 
lue  compagni,  arrischiarsi  nelle  regioni  aeree. 
La  limpidezza  del  cielo  era  tranquillante,  e  gli  ae- 
tuti,  considerando  che  il  pallone  viaggiava  col 
vento,  pensavano  che  anche  se  qualche  nuvola  nuo- 
va fosse  stata  trasportata  dal  vento  nella  loro  di- 
rezione, sarebbe  rimasta  ad  una  certa  distanza. 
perchè  avrebbe  percorso  la  strada  nella  stessa  di- 
ne del  pallone,  trasportata  dallo  stesso  vento. 
Qui  appunto  stava  Ferri 

Quasi  improvvisamente  l'aereostato  venne  a  tro- 
varsi in  mezzo  a  nuvole  minacciose,  formatesi  for- 
se repentinamente  sul  luogo  stesso,  e  di  cui  era 
difficile  avvertire  prima  il  formarsi,  perchè  la  mas- 
sa del  pallone  stesso  toglieva  la  vista  di  mol 
[arte  del  cielo,  essendo  il  globo  di  seta  assai  am- 
pio e  la  navicella  molto  vicina  ad  essa.  L'aria  in- 
torno si  fece  densa  rome  per  incanto,  e  in  meno 
li  un  minuti  gli  aereonauti  fun  i  Iti  da  un  \ 
lento  assalto   di   grandine   che   colpiva   gli   uomini 


La  Lettura. 


Tra  i   filmini. 


La    REGIONE    DEL     I  KM!'". 


DALLE    RIVISTE 


739 


con  violenza  e  strepitava  contro  la  seta  del  palio 
ne  e  contro  i  fianchi  della  navicella  di  vimini,  e 
poitava  giù  dall'alto  —  chi  sa  da  quale  altezza  — 
una  corrente  fredda  cui  il  reverendo  e  i  suoi  com- 
pagni non  erano  punto  preparati. 

E  poi  scoppiò  il  tuono.  ■  Sinora  —  dice  il  reve- 
rendo —  non  avevamo  avuto  alcun  segno  premo- 
nitore dell'avvicinarsi  del  temporale:  nemmeno  il 
solito  brontolìo  tanto  frequente.  Ma.  a  dire  il  vero, 
il  tuono,  sebbene  violento,  non  era  la  caratteristica 
più  terribile  del  gran  fenomeno  cui  dovevamo  as- 
sistere —  fatto,  questo,  già  osservato  nei  temporali 
di  montagna:  forse  per  la  frequenza  e  per  la  vici- 
nanza, non  giungevano  al  nostro  orecchio  le  riso- 
nanze lontane.  Poiché  uno  scoppio  succedeva  al- 
l'altro con  rapidità  grandissima,  quasi  ininterrot- 
tamente; parevano  spari  di  artiglieria  a  tiro  rapi- 
do e  furioso,  come  in  certi  finti  combattimenti  na- 
vali. I  lampi  venivano  da  vari  punti,  ma  sempre 
al  di  sopra  del  nostro  capo,  come  da  batterie  che 
comandassero  le  nostre  posizioni  da  qualche  altu- 
ra ;  ed  ogni  lampo  era  immediatamente  seguito  da 
uno  scoppio  di  tuono,  solenne  come  lo  sparo  di  un 
enorme  cannone.  Si  vedevano  di  continuo  strisele 
improvvise  di  luce  (perchè  anche  in  vicinanza  il 
lampo  non  assumeva  per  l'occhio  altra  forma),  che 
per  qualche  tempo  lasciavano  la  loro  impressione 
nella  retina.  E  subito  seguiva  il  tuono,  e  poi  altri 
tuoni,  come  cannonate  sparate  con  polvere  senza 
fumo.  Era  una  guerra  terribile,  selvaggia,  e.  nel- 
la nostra  situazione,  terrorizzante.  Perchè  noi  pen- 
savamo che  questa,  dopo  tutto,  non  era  una  finta 
battaglia,  ma  che  tutto  il  cielo  attorno  era  un  vero 
terreno  di  combattimento,  nel  cui  mezzo  noi  ci 
trovavamo. 

0  II  senso  di  malessere  fisico,  che  tutti  forse  pro- 
vano durante  un  temporale  quando  vi  è  una  forte 
tensione  atmosferica,  era  in  noi  maggiore  del  con- 
sueto, ed  accresciuto  dall'idea  di  non  potere  trovar 
riparo  ne  avere  soccorso.  Il  pallone  che  ci  sovra- 
stava poteva  essere  un  ottimo  bersaglio  ai  ful- 
mini e  quanto  a  noi  non  avevamo  nemmeno  la  ri- 
sorsa, che  hanno  i  soldati  in  battaglia,  di  gettarci 
a  terra  sotto  il  fuoco.  E  per  un  pezzo  non  vi  fu 
modo  di  ritirarci.  Avvenivamo  bene  di  essere  in 
luogo  pericolosissimo,  sapevamo  bene  che  in  qua- 
lunque altro  punto  della  terra  saremmo  stati  me- 
glio che  in  quel  posto,  ove  non  era  possibile  tro- 
vare riparo  di  sorta  ;  ma,  volgendo  lo  sguardo  in 
basso,  vedevamo  che  non  si  poteva  prendere  terra, 
perchè  sotto  a  noi  si  stendeva  una  foresta,  su  cui. 
con  quel  vento,  nessun  aereonauta  si  sarebbe  arri- 
schiato a  scendere.  E  così,  per  parecchi  minuti  — 
minuti  lunghi  ed  ansiosi  davvero  —  stemmo  a 
guardare,  senza  far  nulla,  aspettando  il  buon  mo- 
mento, e  chiacchierando,  benché  il  cuore  fosse  po- 
co allegro.  Ma  finalmente  la  buona  occasione  ven- 
ne, l'occasione  per  l'azione  pronta  ed  energica.  La 
foresta  sottostante  terminava,  e  c'era  uno  spazio 
libero,  chiuso  da  un  argine  e  da  una  doppia  siepe. 
Noi  eravamo  portati  dal  vento  in  quella  direzione. 
Il  temporale  imperversava  più  selvaggiamente  che 
mai.  Ma  il  tuono  poteva  strepitare:  noi  non  ce  ne 


curavamo  ;  non  ci  curavamo  dei  fulmini  che  stri- 
no intorno.  Finalmente  potevamo  agire! 
«Dieci  minuti  dopo,  ci  trovavamo  a  terra,  cir 
condati  da  un  gruppo  di  contadini,  che  dai  loro 
campi  avevano  seguito  le  vicende  del  nostro  pal- 
lone, aspettandosi  di  vedérlo  colpito  dal  fulmine 
da  un  momento  all'altro,  che  di  mezzo  a  quella 
pioggia  che  pareva  di  fuoco  non  sarebbe  potuto 
uscir  sano». 

(Da  un  articolo  del  rev.  J.   M.   Bacon  nel    rearsoti 's  Ma- 
gazine). 


Il  pallone  visto  in  terra. 


Scuole     ci  i     ladri 


use,  antro- 

ia   un  art 
curiosissimo  sulla  scuola  pei   ladri  organizzata   da 
■  ■  in  addietro  a  \a\ 
Non  |ualche  fioritura  sporad 

più  o  mem  le,  ma  'li  tutto  un 

di   delinquenza   ■  i  in  allievi,   mae- 
tass  scrizii me  e  'li  pri isci< iglimen- 

nulla  quindi  vi  mani  a,  neppui  •    ilisn 

I   ladri  a   Srapi  li  erano  numerosissimi  ed  ambi- 
ai punti  mantenere  la   propria  fama 
.li  di                  'li  fortuna  su  tutti  i  ladri  che      fi 
ino  le  campagne,  fondarono  vere  scuole  di  per- 
i  tirocinii  i  lungi  oso  e  con 
vero  allenamento  alle  emozionanti  battagli' 

Per  far  pane  di  tale  istiti  l'individuo  do- 

veva non  meno  ili  otto  anni  e  di 

re   presentato  al  Masto   (maestro)   o  dii 
tlai   genitori   o  da  qualche  persona   di    fiducia   di 
questi,  i  quali  si  obbligavano  di  versan    al  diretto- 
re di  detta  scuola,  ed  in  ogni  primo  ese,  due 
ni     (L.    0,75),    onorarii 

ite  non  di  k  gna- 

re  ai  suoi  scolari  il  comune  abbaco,  ma   il   mezzo 

.   senza  il  sudore  della   front 
pani       i    i    ino. 

Vppena   il    fanciullo    entrava   a   i  della 

dei    Saccolari   imparava  prima   il   gì 
e  poi  il   regolamento  scolastico:   ques  steva 

di    15   articoli  e  quello  di  una   seri  li   di 

nuovo  conio  colla    s  ne    dialettale. 

K'  -  si    tri  iva\  ano    scritti    sopra 

una  he  a  mo'  di  carta  g  edevasi 

sa  ad  una  delle  p  Ila  classe. 

Mediante  continui   esercizi  di  ripetizione,   'he  i 
fra  iiche  quelli  di  non  forte 

•ria    riuscivano   ad  imparare   ogni    cosa    nello 
!Ìo  di   alcuni  mesi  si  iltanti  . 
Un  caliutore  della  scuola,  che  era  pagato  dal 
upava   della   disciplina 
\  li   articoli. 
indi  i  il   1  era    sicuro  che    gli   alunni 

a  lui  afri'  ano  passare  all'applicazione,  ne 

f  rmato  il   Masto,  il  quale  ordinava  che 
quelle  creaturine   venissero 

■I  cui   dovevano  dar   prova    di    segretezza, 
di  avere  l'indice  ed  il  medio 
di  anil«i  !>•  mani  di  egual  lunghezza. 

La  pro\  a  della  -  onsisteva  nel  far  in- 

contrare  il   ragazzo  da  qualche  componente  la  fa- 

i    di    ladri  d'alunno. 

ri.  di *\'-\\i  strappare  dei 

■  ti  all'aspirante  ali  1  nolo.    Se 

inciullo  si  dlora  l'iti 

nonn-  del 


pi  :    se    inveì  1  re   negl'inganni,   vi 

ava:  Papera. 
Del    risultato   di    tali  sta    si    teneva    in- 

formato il  Mesti',  che.  nel  primo  raso,  si   felicitava 
col  padre  dell'alunni  1  astuto,  per  aver  pra  reata  una 

pian   1         ta  a  dare  bui  m  fruti 

■io.  si  strava  dolente  del  cattivo  risultato  ed  in- 
duceva l'afflitti  .1  tare  imparare  al  figliuolo 

a  resistenza  nella  corsa  veniva  fat- 
ta quasi  sempre  sulla  spiaggia  presso  i  Granii 
in  presenza  del  Masto,  il    ina!'-   premiava  con  qual- 
che ciambella  gli   abili  e  puniva  con  delle  pi 
1  niein  '  svelti. 

Per    essere    ammesso    alla    prova    del 

ssario  che  la  lunghezza  dell'indice  fosse  u{ 
le  a  quella  del  medio.   Infatti  se  dette  due  dita  a- 
rvata  la  lunghezza  che  loro  è  propria, 
afferrare  gli  oggetti  ci 
in    fondo  alle  tasche? 
Ecco  perch     l'avere   questo  dato  antianatom 
a  '"-a  più  agognata  da  quei  monelli;  così  essi 
si   si  stiracchiavano  idi  indici,  e  quando  queste 
dita  toccavano   la    lunghezza  de1   medii,   allora  cer- 
no di  allungare  sempre  di  più  le  une  e  le  al'  e. 
Molte  mamme    prevedendo  la  vocazione  dei 
111  ili,   si  ira\  ano  ad  essi,   ini   1  la   quandi  1  si  t! 
'..ino  ncll''  fasce,  le  ditina,  a  scopo  di  evitare  nel- 
l'avvenire perdita  di  te.Tix)  ;   e  devesi  a  >ale  d 
ina/ione  artificiale  l'adagio  locale:   Di  dita  'u>,  . 
\ii  ladri,  liberi  '  '  mine 


L'alunno  licenzia'  1  mirabile  votazione, 

dal   coi  so    preparatorio,    passava   alle   scuole  d'ap- 

a; ic   scuole   che,    in    Napoli,    fino  dal    1; 

ini  1  essere   ibi  istanza  numeri 
Ferdinando   IV.  di  buona   memoria,   non   ne   i- 
enza  ed  anzi,  atterrito  dalla  moltipli- 
p     entosa    dei    ladi  .    si  risse    e   pubi 
bandi   terriliili    con    relativi    tratti    di    corda    e 
tura  pei   Borsaìuol  ari.  che  da  allora  fu- 

tudaci  e  più  abili  di  prima. 
\  ■  i"  vista  la  connivente 

svergognata  tra  i   ladri  e  la  polizia;    fra  la  pi 

itoi  1  esisti  \  .1  anzi  un  ai  1  reto  e  ri- 

sani iva    -  :  a    nella    divisione 

I    rul'.ita. 
Nel   t86o  Liborio  Romano  mescolava  i   ladri  ai 
1:  al  mattino,  radunati  nelli 
si  spartivano  il  bottino,  compendio  dei  furti. 
Ci  'ine    la    scuola    di    appi 

va  chiaramente  dal  seguente  dot-uri 
'   \  7.  •   i.obre  1821  : 
iDopo   non  la'    rio  mi   è   riuscito  snrpren- 

1  Rti.t   Fi  oto  delinq 


HALLE    RIVI-  1  I 


Giordani)  Raffaele   interi'      ad   istruii-'  nella  scuola 
di  ladreria  cinque  ragazzi. 

«La  casa,  dove  s'imparava  a  rubare,  è  quella 
abitata  da  Rosaria  Galante  detta  la  Ciancclla. 

«Forzata  la  porta,  non  abbiamo  veduto  il  Gioì 
dano  perchè  s'era  nascosto  sotto  il  letto.  La  Cian- 
tella e   :   ragazzi  sono   rimasti    sbalorditi;    due  di 
essi  piangevano.   La   Rosaria  poi  è   stata   presa  da 
una  vera  crisi   nervosa. 

«Affidato  il  Giordano  alle  guardie,  abbiamo  per- 
quisita la  casa  ed  in  una  delle  due  stanze  prospi- 
cienti sulla  vantila  abbiamo  notato  che  nel  centro 
del  pavimento  stava  fabbricato  un  pezzo  di  pipi 
forato  superiormente  ed  in  tal  foro  stava  ti- 
mi asta  verticale  camuffata  a  -puf azza  avente  pei 
faccia  ima  maschera  di  cartapesta  e  portante  sul 
capo  innestato  un  cerchio  al  quale  erano  sospesi 
I  campanelli. 

«Dalle  tasche  di  quel  simulacro  uscivano  fazzo- 
letti, catene  di  orologi  e  borsette. 

«Il  falegname,  che  è  stato  chiamato  per  scom- 
porre quel  meccanismo  per  essere  da  noi  repertato, 
dopo  il  sacrosanto  giuramento,  ha  asserito  che  quel- 
l'impianto era  stato  fatto  da  parecchi  e  non  già  da 
soli  tre  giorni,  come  diceva  la  Galante. 

«Allontanato  il  Giordano,  i  ragazzi  ci  hanno  fat- 
to vedere  come  funzionava  quel  meccanismo  ed  il 
più  piccolo  di  essi  ci  ha  mostrato  alcune  lividure 
causategli  dalle  scudisciate  ricevute  dal  Giordani  >. 
Detto  monello,  quasi  per  vendicarsi  del  proprio 
Mosto,  ci  ha  detto  pure  che  sotto  il  letto,  dove 
abbiamo  scovato  il  Giordano,  vi  doveva  essere  la 
tabella  sulla  quale  stava  scritto  il  regolamento  - 
lastico». 


Ecco  del  resto  un  aneddoto  autentico  tolto  dal 
libro:   Usi  e  costumi  de:  camorristi. 

«  E'  comune  credenza  che  tanti  anni  or  sono  nel 
vi  o  S.  Arcangelo  a  Bajano  v'era  una  casa  dove 
ogni  giorno  s'adunavano  una  quantità  di  ragazzi. 
ed  un  vecchio,  che  veniva  chiamato  ' o  Masto,  ni  in 
faceva  altro  che  gridare:  lieggi!...  lieggi!  Un  gior- 
no, una  vecchierella  de!  vicinato,  vedendo  che  uno 
di  quei  ragazzi  piangeva  fuori  la  porta  di  quel 
creduto  istituto,  gli  si  accostò  e  con  bella  maniera 
fece  comprendere  a  quel  monelluccio  che  non  stava 
bene  far  gridare  continuamente  al  maestro  lii 

,7   (leggi...  leggi)   e  che  era  cattiva  educazione 
fare  andare  in  collera  chi  cercava  d'istruirlo. 

« —  Ma  che  istruzione  e  istruzione  !  —  disse  tutti  i 
ir.collerito  il  fanciullo.  —  In  questo  luogo  non  s'im- 
para a  leggere  ma  a  rubare:  'o  Masto  non  dice 
lieggi  ma  lieggi,  cioè  va  leggiero  a  rubare.  Tu.  cara 
siè  Rosa  (così  chiamavasi  la  vecchierella),  devi 
sapere  che  in  luogo  degli  attrezzi  scolasti'!  i 
questa  casa  un  simulacro  di  donna,  la  quale  tiene 
in  testa  dei  campanelli  che  al  più  lieve  movimento 
sii'  'nano.  L'abilità  di  noi  ragazzi  sta,  secondo  'o 
Masto.  nello  svestire  quella  donna   di   carta   pesta 


7H1 

senza  far  sui  nari    i  i  impancili,  e,  sic te   li  ■ 

ci  riesco,  così   sono  bastonato  di  continuo)). 

Questa  è  tradizione  che  circola  per  le  bocche 
di  tutti  e  che  a  primo  aspetto  pare  una  favola; 
ma  se  si  tien  calcolo  del  rapporto  del  commissario 
di  sezione  Mercato  e  della  seguente  narrazione  fai 
ta  al  magistrato  Gaet; Amalfi  da  un  uomo  «le- 
gno di  ogni  rispetto,  allora  la  cosa  si  mostra  in 
tutta   la   sua  verità  : 

«Vicino  alla  casa  mia  abitava  una  famigliola 
non  in  buona  fama.  Durante  la  notte  si  udivano, 
spesso,  grida  strazianti  ili  bambini.  Io  non  sapevo 
rendermene  ragione;  ma  una  volta,  per  caso,  com- 
mettendo un  atto  poco  discreto,  giunsi  a  compren- 
dere di  che  si  trattasse. 

«Il  padre,  ladro  provato,  abbigliava  una  specie 
di  fantoccio  e  con  parecchi  campanelli  lo  poneva 
in  mezzo  alla  stanza. 

«Nelle  varie  tasche  ilei  fantoccio  poneva  dei 
fazzoletti,  e  i  suoi  due  figlioletti  dovevano  rubarli 
con  insolita  sveltezza,  senza  far  sonare  i  campanelli. 

«Se  vi  riuscivano,  toccava  loro  un  bravo! 

o  Se  no,  che  era  il  più  spesso,  pugni,  tali  i  e  cef- 
fate. 

«  Di  qui   le  grida  ». 


Le  scuole  erano  varie  e  si  distinguevano  óltre 
che  da  un  gergo  particolare,  anche  da  un  tatuaggio 
che  portavano  sulla  mano  destra.  Esistevano  così 
la  eia  orma  (ciurma)  del  cuore,  della  croce,  delle 
crocelle,  dell'anello,  della  chiave,  della  bandiera. 
Oggi,  invece,  scomparso  quasi  tale  tatuaggio  uffi- 
ciale, esistono  ancora  nomignoli  di  demarcazione 
fra  le  varie  scuole  come  grilli,  serpi,  volpi  e  ratti. 

Infine  ottenuto  il  diploma  d'abilitazione,  i  la- 
droni v: divisi  nelle  varie  paranze  e  sot- 
to la  guida  di  un  capo  cominciavano  a  scorrazzare 
per  la  città. 

La  refurtiva  veniva  poi  [lassata  al  rigattiere  e 
il  ricavo  era  diviso  in  quattro  parti  di  cui  una  an- 
dava al  ladro,  una  al  caporale  e  due  alla  ciurma. 

Una  rivelazione  di  un  iniziato  alla  mala  vita 
dice  in  proposito: 

«Il  giovedì   ■•  ii  sabato,   il   Masto  ci   riuniva  die- 
tro il  teatro  che  trovasi   nella  Villa  del  Popoli 
mentre  esso  fingeva  leggere  il  giornale,  ovvero  mo- 
strava  stars  'i     distratto,  noi  dovevamo  levargli  gli 
oggetti  eh--  teneva  n  che.  Quando,  dopo  i  ri- 

petili!   esercizi,   si   mostrava   contento   della    nostra 
destrezza,  i     diceva:   Menateve  a  mare,  cioè  pò 
rubar 

Lo  stessi  i  Me  tare  a'  suoi  di- 

pendenti che  chi  ruba  non  deve  fuggire  mai  in  li- 
nea retta,  ma  deve  fare  il  serpe,  cioè  compiere  de 
gli  zig-zag.  essendi     [ui  [  mezzo  più  sicuro  per 

istancare  l'insecutore. 

Tale  astuzia  e  posta  in  atto  dagli  abitanti  delle 
vicinanze  del  Nilo  per  isfuggire  alla  persecuzione 
dei  coccodrilli  ! 


Città    ec  li  fiorite    in    un    giorno 


Allorché,    anni    addietro,   fu    scoperto   l'oro   nel 
Transvaal,  da  tutte  le  pini  del  mondo  vi  fu,  ver- 
so l'Afi        australe,  un'affluenza  irresistibile  e  vio- 
e  come  pei  incanto  sorse  laggiù  la  ''ittà  ili 
Johannesburg. 

Lo  stes       i  • leno  avvenne  quando  tu  so 

l'oro   nel    Klondyke,    al   confine  tra  l'Alaska   e   il 

tdà.   Ma,  pei    |uanto  il  sorgere  di  città  nuove, 

in  '[nei   luoghi,   abbia   avuto  del   miracoloso,    non 

a  dare   idea   «Iella   rapidità   con  cui   sorsero 

•  •  villaggi  nel  territorio  di  Oklahoma,  che  è 

ito  nel  centro   degli    Stati   Uniti.   'Tredici  anni 


proibito  e  fondarvi  una  colonia,  fu  espulso  dalle 
truppe  del  Governo  e  cacciato  in  prigione,  essendo 
considerato  delitto  stabilirsi  colà.  La  faccenda  in- 
tanto sollevò  molto  rumore  e  gran  numero  di  av- 
venturieri corse  ai  confini  della  terra  proibita,  a- 
spinando  che,  alla  fine,  il  Governo  centrale  si  ri- 
solvesse a  concedere  il  permesso  di  colonizzare 
quella  regione.  Ai  confini  avvenivano  frequenti 
conflitti,  perchè  gli  avventurieri  minacciavano  sem- 
pre e  spesso  tentavano  invasioni,  ma.  come  Dio 
volle,  nel  1889,  il  Governo  annunziò  che  il 
ritorio  sarebbe  stato  aperto,  e  il    Parlamento  pi 


Alla  stazione  di  Arkansas  City. 


or  sono,  in  questo  vasto  Stato,  che  misura  circa 
40.000  miglia  quadrate  di  superficie,  non  vi  era 
una  Su  una    erta  parte  di  esso  passava 

una  linea  ferroviaria  ;  ma  lungo  il  percorso  di  que- 
sta /era  bensì  qua  ione,  ma  nessuna  abi- 
ta/ione. Ora,  inveii.  !^  Staio  possiede  molte  città 
prospere  e  fiorenti,  la  maggior  parte  delle  quali 
furono  create  in  un  giorno. 

storia  dello   -  Oklahoma   è  estrema- 

1  bso  appartenne    prima 

inda,    che    lo    cedette  alla    Spagna,    ma    non 

tardò  a  riaverlo;    finalmente  nel   1802  il  territorio 

isso  degli  Stati  L'niti.  che  lo  tennero 

mento    governativo  su    cui    non    era 

•  •sso  stabilirsi   senza   permesso  dello  autorità. 

Il  colonnello  Payni  b  entrare  nel  territorio 


una   legge   che  autorizzava   e   regolava  la   vendita 
di  terra  pubbli  a. 

Appena  si  fu  diffusa  la  notizia,  da  ogni  parte 
d'America  corsero,  ai  conlini  dell'Oklahoma, 
di  persone,  che  non  aspettavano  se  non  il  peni 
ufficiale  por  entrare  nel  territorio  proibito.  Il  gior- 
no stabilito  era  il  22  aprile,  e  il  segnale  doveva 
essere  un  colpo  di  cannone,  che  sarebbe  stato  spa- 
rato a  mezzodì. 

La  scena  sul  confine,  la  notte  prima  della  gran 
nata,  In  indescrivibile.  Nessuno  dormi,  nell'an- 
ell'attesa.  I  boomers,  come  si  chiamavano  que- 
gli avventurieri,  stavano  lungo  il  contine  cantando 
ed  urlando  di  gioia,  e  si  tenevano  pronti  alla  spe 
dizione.  Si  trattava  di  arrivar  presto.  Chi  prima 
arrivava,    aveva    la    scelta    del    terreno;    cosa    ini- 


DALLE    RIVISTE 


743 


Pronti  per  la  partenza. 


portantissima.  Si  preparava  una  gran  corsa.  Chi 
sarebbe  andato  in  ferrovia,  chi  in  vettura,  chi  a 
cavallo.  Il  prezzo  dei  cavalli  salì  a  cifre  enormi. 
Si  calcola  che  le  persone  raccolte  ai  confini  del- 
l'Oklahoma fossero  almeno  50.000.  La  stazione  di 
Sante  Fé,  presso  Arkansas  City,  era  addirittura 
assediata. 

Il  giorno  stabilito,  l'eccitazione  divenne  intensis- 
sima, e.  all'avvicinarsi  del  mezzodì,  era  una  vera 
febbre.    Coloro  che   avevano   avuto   la    fortuna  di 


I»  tere  acquistare  un  cavallo,  si  disposero  in  fila, 
tenuti  all'ordine  da  2000  soldati.  La  Compagnia 
ferroviaria  aveva  pure  preparato  parecchi  treni 
per  il  trasporto  delle  persone  e  delle  suppellettili. 
Alle  dodici  precise  il  cannone  sparò.  Prima  che 
il  suono  si  fosse  spento,  la  gran  corsa  era  comincia- 
ta. Uomini  a  cavallo,  persone  in  vettura,  infelici 
pedoni,  tutti  partecipavano  a  quella  furia.  I  ca- 
valieri sferzavano  i  loro  animali  e  li  facevano  ga- 
loppare  freneticamente.    Molte  disgrazie   occorsero, 


r 


* 


%  % 


WÈìtaàiÈ 


.  «* 


,* 


m  k   mi  è 


*   * 


*'A**4 


La   partenza. 


711 


I  A     LETTURA 


La  registrazione  dici  diritti. 


più  di  un  boomer  rimase  morto  sul  :  -mi- 

ni adoperarono  persino  le  p  ntro  i  più  for- 

tunati, ma   i'  hi. 


di  coltivare.  I  primi  arrivati  si  scelsero  i  p<-zzi  mi- 
gliori; gli  altri  dovettero  contentarsi  di  quello 
loro  prima  capitava.  Quando  uno  arrivava  mi   un 


rir  <H 


[L  CI  INVOGLIO.1 


Giunti    sui    luogo   aperto    alla    pubblica 
lenza,   i  boomers  si   diedero  ad   una  scelta  affret- 
tata del  pezzo  di  terra  che  ciascuno  si  proponeva 


lotto  di  terreno,  scendeva  da  cavallo,  piantava  una 
tenda   o  costruiva    in    fretta  un    ripari  qualsia: 
poi,  col  furile  in  n  iva  che  il  suo  diritto 


A    TRAM   RSO    in    PONTE. 


DALLE    RIVIS 


745 


di  proprietà  venisse  registrato.  Dietro  la  massa  dei      ora.  dopo  tredici  anni,   sono  tra  le  più  importanti 

colonizzatori    veniva  un  i  sterminato  che      degli  Stati  L'niti. 

portava  le  famiglie,  i  bagagli,  i  mobili,  tutto  quello  La  mattina    seguente,  già    parecchie   costruzioni 


■  ■  ■-'-  I 


Una  città  dopo  dieci  giorni» 


che  i  boomers,   per  avere  i  movimenti  liberi  nella 
gran  corsa,  non  avevano  portato  seco. 

Registrati  i  diritti  di  proprietà,  e  composte  il 
più  amichevolmente  possibile  le  innumerevoli  di- 
spule, la  colonia  assunse  rapidamente  l'aspetto  di 
una  città.  Si  fecero  i  piani  delle  strade  e  si  pian- 
tarono tende  di   tutte  le  dimensioni  e   di   tutte  le 


sostanziose  erano  comparse,  essendosi  lavorato  tut- 
ta la  notte. 

L'affluenza  dei  colonizzatori  continuò  anche  nei 
giorni  seguenti  ;  ma,  i  nuovi  arrivati  pagarono 
caro  il  loro  ritardo,  perchè  non  poterono  aver  terra 
se  non  ad  un  alto  prezzo.  In  breve  tempo  si  cal- 
cola che  arrivassero  100.000  colonizzatori.    Avven- 


I\    IN    GIORNO    DI    FESTA    Dolo    DIECI     GIORNI. 


torme  possibili  ed  immaginabili.  S  eressero  bot- 
teghe, ed  in  capo  ad  nuora  0  due,  la  città  era  in 
piena  vita.  Basti  dire  che  alle  sei  del  pomeriggio, 
ossia  sei  ore  esattamente  dopo  lo  sparo  del  colpo 
di  cannone,  si  era  già  creato  nella  città  principale 
un  giornale   insieme  con  una   banca. 

Le  due  città  di  Oklahoma  e  Guthrie  sorsero 
in  pochissimo  tempi  >  in   quel   pomeriggio  memora- 
bile, e  rimasero  le  più   importanti   dello   Stato,  ed 


11  doveva  avvenire:  i  viveri  cominciarono 
a  mancare  e  cominciò  a  mancare  pure  l'acqua.  Fu 
una  crisi  bri  ve  m  1  terribile,  durante  la  quale  molti 
dovettero  ritirarsi  dalla  lotta,  vendendo  i  loro  ter- 
reni ad  un  prezzo  irrisorio;  ma  poi  tutto  passò 
e  la  p  tornò  in  modo  stabile. 

(Dal    Windsor  Mogazine). 


Le    orme 


cleg  li 


animali 


■iilc.  alcuni  ne  dell'emi 

nente   naturalista  americano   Seton    Thompson,   il 
ali  afferma  che  allorquando  un  cacciatore,  ài  >po 
lunghe  ricerche,  trova  finalmente  le  tracce  dell'ani- 
male inseguiti  -.1  dell'uomo  primitivo  asse- 
itrage  si  le'  sta  in  lui:   il  sangue-  gli  si 
più  rapido  nelle  vene,   le  gambe  sembrano  acqui 
le  ali,  tutta  la  persona  vibra  di  feroce  ardore. 
E  li               eccitamento  che  invade  il  cacciatore  di 
•  1  leggere  quella  che  l'autore  chiama  la  più 
antica  Welle   scritture.   •—    la   rivelazione   impi 
nella  neve  o  sul  nudo'  dia  bestia  Fuggente, 
—  si  comunica  al  più  pacifico  ilei  suoi  ascoltatori 
allorché  egli  racconta  le  impressioni  provate  a  linci- 
la  vista. 
Seguire  le  tracce  di  un  cervo,  per  un  vero  appas- 
i   fra  gli  sports  più  affascinanti;    ma 
non    tutti   sanno  comprenderne   il    linguaggio.    Per 
un    novellino   esse    si    o  nfondbno    facilmente    con 
quelle  degli  ovini  e  dei  suini  in  genere.   Chi  dimo- 
stra un  colpo  d'occhio  sicuro,  infallibile,  è  l'Indiano 
del    Nord-America:    astuto  quanto  il   cervo  stesso, 
aiutandosi  col  fiuto  e  col  tatto,  egli  sa  distinguere 
non  solo  il  tempo  preciso  cui  rimontano  le  impron- 
te, ma  persino  le  dimensioni  e  le  condizioni  dell'a- 
nimale aii  appartengono. 

Esaminandole  con  amore,  si  apprendono  cose 
assai  curiose:  per  esempio,  lo  spazio  interposto 
fra  una  traccia  e  l'altra  varia  da  4  metri  e  mezzo  ad 
oltre  9,  giustificando  il  detto  che  i  cervi  sono  veri 
ìli  senz'ali,  tanta  è  la  loro  velocità.  Per  raggiun- 
gerli, il  cacciatore,  anziché  inseguirli,  deve  procurare 
di  tagliar  loro  la  strada.  Ma  l'astuzia  dell'animale 
eguaglia  la  sua  abilità  alla  corsa;  per  confoni 
chi  lo  insegue,  ritorna  più  volte  sui  suoi  p. 
pie  complicatissime  svolte  in  modo  da  ingannare 
sulla  sua  provenienza  e  lilialmente  si  nasconde  in 
qualche  folto  di  dove  il  liuto  e  l'udito  possano  av- 
vertirlo della  presenza  del  nemico  quando  è  ancora 
lontano. 

Man  mano  che  si  apprende  il  linguaggio  delle 
orme,  aumenta  l'interesse  che  esse  destano.  Ogni 
animale  ha  le  sue  specialità  e  gli  esperti  imparano 
a  distinguere  persino  quelle  dei  rettili.  Fra  essi  il 
serpente  a  sonagli  è  facilmente  riconoscibile  per  le 
dimensioni  maggiori  della  traccia  e  per  la  grande 
sinuosità    «Ielle  curve 

Più   ancora  degl'  Indiani  d'America,   i   negri  del- 
l'Australia e  certe  tribù   selvagge  dell'Africa   meri- 
no   abilità    mrrav  igl'n  >sr   urlìi  1   sci  ivare 

in  tal  guisa  la  gr<  aggina  e  nello  scoprirne 

gli  artifici.  Essendo  fra  tutte  le  razze  umane  le  più 
vicine  ai  bruti,  sono,  per  compenso,  piii  capaci  di 
ogni  altra  di  comprendere  ed   assimilarsi   le   fini 
dell'istinto  animalesco.  Alcuni  i 
no  però  pral  ica  e     he  il 


bianco,   allenato  dall'esercizio,  può  superale,   gì 
alla  sua  inteli  iiin  più  sviluppata,   il  più  a- 

bile  fra  quesl  1  primitivi. 

l'i  esempio,  un  inglese,  Giorgio  Lacy,  è  riuscito 
a  distinguere  le  impronte  di  tutte  le  venticinque 
varietà  di  antilopi  che  assieme  cogli  elefanti,  coi  ri- 
ronti,  coll'ippopotamo,  colla  zebra,  colla  giraffa, 
popolano  il  Sud-Africa,  Difficile  sempre,  la 
diventa  estremamente  ardua  nella  stagione  asciutta 
od  invernale,  quando  le  impronte  non  sono  visibili 
se  non  in  riva  ai  corsi  d'acqua.  Spesso  poi,  nella 
stagione  delle  pioggie,  l'abbondanza  della  vegeta- 
zione costituisce  un  altro  ostacolo,  perchè  in  molti 
posti  le  zampe  degli  animali  non  arrivano  a  |*>sare 
sul  terreno,  ma  li  sfii  rano  soltanto,  trattenute  dalle 
alte  erbe. 

Le  orme  di  ammali  della  stessa  specie  ma  di 
sesso  od  età  diversi  differiscono  talvolta  fra  loro 
cosi  da  contunderle  facilmente  con  altre  più  o  meno 
affini.  In  generale  quelle  delle  femmine  sono  più 
snelle  e  più  delicate  delle  maschili. 

I  piedi  posteriori  di  quasi  tutti  i  carnivori  la- 
sciano trame  più  piccole,  più  lunghe,  più  appun- 
tite di  quelli  anteriori  e  spesso  pure  i  due  piedi  ap- 
pariscono più  scostati. 

I  grandi  carnivori  si  distinguono  più  agevolili 
te  dei  piccoli,  sia  che  appartengano  alla  razza  fe- 
lina od  alla  canina.  Quanto  a  certi  animali  vege- 
tariani di  modeste  dimensioni,  che  invece  di  cammi- 
nare [lassano  con  frequenza  da  un  albero  all'altro, 
riesce  (piasi  impossibile  riconoscerli  alla  semplice 
impronl  '. 

Per  'i  iniii.iaie  dal  maggiore  mammifero,  le  or- 
me anteriori  dell'elefante  sono  quasi  circolari  e  le 
riori  ovali  ;  quelle  presentano  il  segno  di  (piat- 
irò dita,  queste  di  tre  soltanto.  Allorché  l'animale 
riposa,  misurano  in  media  ,^0  centimetri  di  dia 
tro.  L'n  altro  prezioso  indizio  è  fornito  dai  gu 
che  la  proboscide  produce  fra  i  rami  degli  alberi. 

Non  dissimili  ma  assai  più  piccole  e  meno  pro- 
de sono  le  tracce  del  rinoceronte;   nonostante  la 
sua  pesantezza,  sul  terreno  petroso  che  esso  j  redi- 
lige.    restano    quasi    invisibili;    si    distinguono    poi 
per  la  irregolarità  con  la  quale  trovansi  distribuite. 

L'ippopotamo    è    reso    facilrm  bile 

dalla  distanza  delle  impronte  fra  loro.    Benché  di 
tanto  più  piccolo  dell'elefante,  le  sue  tracce  lo  fa- 
rebbero  credere    di    dimensii  mi    maggiori.     I     - 
unente  appuntiti. 

Impressionanti  oltremodo  sono  le  orme  di 
drillo  perchè  somigliano  a  quelle  d'una  mano  duo 
mo  coperta  dal  guanto.  1  piedi  anteriori  dell'ani- 
male apparisi  1  1  lita.  quelli  posteriori 
con  quattro  e  tutti  poi  sono  riuniti  da  una  mem- 
brana come  le  zampe  delle  oche. 

Per  altre  rag  mozionante  la  trac- 


747 


eia  del  leone:  un  grazioso  circolo  rappresentante 
il  piede  con  dinanzi  quattro  circoletti  più  piccoli 
per  le  dita.  Gli  artigli  in  generale  non  appariscono 
perchè  ritirati  nell'interno  del  tessuto.  Quando  si 
vede  inseguito,  il  re  degli  animali  descrive  talvi  Ita 
un  circolo  tornando  sui  suoi  passi,  poi,  giunti  >  di 
contro  al  nemico,  prende  la  fuga. 

Tale  movimento  è  imitato  dal  leopardo  che,  al 
pari  della  pantera,  lascia  tracce  più  piccole  e  più 
allungate  del  leone.  Del  resto  quelle  dei  felini  più 
o  meno  si  somigliano  tutte. 

Seguono  le  orme  della  iena,  riconoscibili  al  segno 
degli  artigli.  A  differenza  di  quelle  consimili  dello 
sciacallo  mostrano  solo  l'impronta  di  quattro  dita. 

La  zebra  non  diversifica  dal  cavallo,  il  bufalo 
ha  impronte  quasi  eguali  al  bue  ;  quelle  della  gi- 
raffa e  dell'antilope  si  rassomigliano  assai,  benché 
le  prime  sieno  più  grandi  e  meno  appuntite. 

Interessanti  sono  le  tracce  del  formichiere  per  la 
cura  ch'esso  mette  nel  cancellarle,  quelle  dello  scim- 
miotto per  la  nessuna  rassomiglianza  con  le  orme 
umane,  al  contrario  di  quanto  si  crederebbe,  e  quelle 
dell'orso  perchè  sembrerebbero  appartenere  ad  un 
uomo  che  camminasse  con  le  sole  calze.  Fra  le  più 
curiose  sono  le  impronte  del  coniglio  perchè  la  loro 
disposizione  spesso  inganna  l'inesperto  facendogli 
credere  che  l'animale  cammini  in  direzione  opposta 
dalla  vera.  Osservate  con  intelligenza,  tutte  le  orme 
poi  illuminano  il  cacciatore  sulla  velocità  della  be- 
stia ed  a  così  dire  sul  suo  stato  d'animo  al  momento 
in  cui  correva. 

(Da  un  articolo  di  M.  Tyndall,    nel  Pearson's  Magazine, 
di  giugno). 


DALLE    RIVISTE 

Il    re   della,   moda 

e    dell'  eleganza 


Il    prezzo    dei    topi 

Voi  forse  non  avete  desiderio  di  comperare  un 
topo.  Probabilmente  vorreste  vendere  quelli  che 
infestano  la  vostra  casa,  se  fosse  possibile.  Ad 
ogni  modo,  sappiate  che  i  sorci  possono  arrivare 
a  prezzi  elevatissimi.  Vi  sono  dilettanti  ed  alleva- 
tori di  topi,  e  ogni  anno,  al  Mouse  Fancier's  Club, 
a  Londra,  si  tiene  un  concorso  di  roditori.  I  pro- 
prietari dei  migliori  campioni  ricevono  medaglie 
ed  anche  premi  in  denaro. 

Fra  i  migliori  campioni,  fin  qui.  il  topo  olan- 
dese riportava  la  palma.  Xel  1900  qualche  esem- 
plare di  questa  razza  fu  venduto  sette  sterline,  equi- 
valenti a   175  franchi. 

L'ultimo  concorso  è  stato  particolarmente  impor- 
tante :  più  di  quattrocentocinquanta  varietà  di 
topi  vi  erano  rappresentate.  Il  primo  premio  è  sta- 
to ottenuto  da  un  topo  dal  pelo  nero  e  rosso,  che 
è  stato  comperato  per  seicento  lire  dal  signor  Whi- 
teson,  di  Manchester:  un  dilettante  che  non  bada 
a  spese. 

Da  questi  prezzi  si  vede  che  quello  di  voler  met- 
tere insieme  una  collezione  press'a  poco  completa 
delle  razze  topesche  esistenti,  sarebbe  un  gusto  che 
pochi  si  potrebbero  cavare. 

(Dalle  Leclures  modernes). 


L'uomo  più  elegante  in  tutto  il  mondo,  secondo 
un  giornale  inglese,  è  o  almeno  era  fino  a  poco 
tempo  fa  il  principe  Albeito  di  Turn  e  Taxis. 

Questo  signore  mette  ogni  giorno  un  abito  nuovo, 
e  la  lavorazione  dei  suoi  abiti  occupa  dodici  esperti 
operai.  Il  costo  totale  dei  suoi  vestiti  sale  a  75  mila 
franchi  l'anno;  e  tutti  questi  indumenti  sono  pro- 
fumati con  l'essenza  di  rosa,  un'oncia  della  quale 
costa   125   franchi. 

Il  numero  delle  cravatte  che  il  principe  si  av- 
volge intorno  al  collo  è  di  un  migliaio  ogni  anno  ; 
ma,  quanto  alle  scarpe,  egli  si  contenta  di  cambiarne 
solamente  200  paia. 

Nelle  sigarette  spende  5  mila  franchi,  e  375  mila 
nelle  diverse  occupazioni    sportive,    come    la  cac- 
cia,   il    tiro    a    segno,    la    pesca,    il  golf,    la  luci 
eletta,  ecc. 

Non  si  sa  quanto  spende  in  libri  e  giornali,  ma 
forse  non  gli  resta  né  denaro  ne  tempo  per  pensare 
al  pascolo  della  mente. 

(Dalle  Lectures  pour  tous). 


L'automobilismo 

sottomarino 


Attualmente  i  battelli  sottomarini  si  muovono  per 
mezzo  dell'elettricità,  e  per  ciò  appunto  camminano 
tanto  poco,  potendo  immagazzinare  soltanto  pic- 
cole quantità  del  fluido  prezioso.  Ora  pare  che  la 
loro  sfera  d'azione  si  possa  estendere,  sostituendosi 
all'elettricità  il  petrolio. 

Grazie  a  un  nuovo  processo  chimico,  i  sottoma- 
rini si  possono  --  assicurano  --  procurare  l'ossi- 
geno necessario  alla  combustione  del  petro- 
lio senza  ricorrere  all'  aria  ambiente  la  quale 
manca  sott'acqua  ;  e  l'assorbimento  dell'acido  car- 
bonico potrebbe  farsi  egualmente  per  via  chimica. 
In  queste  condizioni  i  motori  a  petrolio  possono  es- 
sere impiegati  nei  battelli  sottomarini,  senza  che 
si  corra  il  pericolo  di  esaurire  o  di  viziare  l'aria 
necessaria  alla  respirazione  dell'equipaggio.  Pare 
che  gli  ingegneri  navali  in  Francia  abbiano  fatto 
in  proposito  esperienze  molto  serie  e  conclu- 
denti. 

Se  la  notizia  !■  vera,  pensate  quanto  si  estenderà 
il  campo  delle  guerre  future:  gli  eserciti  si  preci- 
piteranno e  '  ranno  per  terra;  i  palloni 
blindati  ed  armati  si  daranno  la  caccia  nell'aria, 
e  sopra  e  sotto  le  acque  le  navi  ordinarie  e  i  bat- 
telli sottomarini  si   sfonderanno  a  vicenda. 

Cosi  vuole  il  progresso  della  civiltà  e  lo  svi- 
luppo intellettuale  e  morale  dell'uomo! 

(Dalle  Leclures   modernes). 


Una.  fabbrica  di  aereostati 


l     -,  in  mi.    alquanti  >  impn  prio  di  «  pi  idere»  che 
il  si  rio,  Caj       I      Myers,  \  uole  sia 

Fai  !  ;  .iti  il 

....  in  generale  e  gli  Stati  Uniti  in  partici 

■,  un  pallone  a  perfi  tta  te- 
nuta d'aria  non  può  venire  costi         

tperta,  i    i       per  due  ragioni.  Anzi- 
l.i  ma  riuscita  dipende  in  gran  | 

itmosferiche  le  quali  agiscono  su  di  i 
asse  dello  sviluppo  del  grano  o  d'altri 


dusti  'Li.,  nuovi  ri- 

e   perfi  à    esistenti,   che   il 

Myers   riuscì   a    fabbricare  gli   aerostati   molto  più 
i  infinitamente  piti  presto  di  tutti 
i  Mini  riva  .nin-  così  un  vero  monopolio  pei 

gli    Siali    Uniti. 

Una  dell    grandi  meraviglie  dell'i   i  situato 

a  nove  miglia  dalla  fitta  ili   Utica,  urli..  Stato  ili 
Nuova   V'rk.  ;•  una  macchi]  ta  per  voi 

la  quale  ha  già  fatto  le  sue  prove  e  gira,  s'innalza. 


Una   macchina   per   volare   in   PROVA. 


vegetali;    poi  uaa  parte  delle  necessarie  operazioni 
presenterebbe   pericolo   di    ri  presenti    ove 

i  entro  un  chiuso  edificio  o  sol  unente 
nelle  sue  immediai  nze:    donde  la  necessità 

di  disporre  d'un  vasto  tratto  di  campagna. 

Infatti  prima  di  tagliare  e  di  cucire  la'  stoffa  de 
stina'.         formare   l'aereostato,    occorre    spalmarla 
a  più  riprese  di  una  specie  di  vernice  afa  a  ren 
derla  impermeabile;   e  questa,  che  si  compon 

inzi-  inulto  diverse  da  tutte  quelle  a  te 

in  ■-  -.talli,  in.- .   deve   venir     i    e 

data  ad  un  grado  altissimo:   tale  che  ove 

posta  alFintenso  calore  un  si, in  minuto  più  di 

quan  rettamente  indispensabile,  esploder 

run  enorme   violenza,  distruggendo  ogni   ostacolo. 

i  .      I  ntendole  la  graduale  espan- 

solo  ovviare  al  gì 

I  e  -un!  andò  per  vari  anni  di  seguito  la  sua  in- 


s'abbassa  con  estrema  docilità.  Non  si  tratta,  pare, 
d'una  delle  solite  vanterie:  la  mai-china  Myers, 
dopo  aver  già  percorso  in  tredici  differenti 
Stati  dell'Unii  ne  parecchie  migliaia  di  miglia,  ot- 
tenne teste  vitti  ria  decisiva  in  una  esposizione  na- 
zionale,  compiendo  una  serie  di  complicatissime  gi- 
ravolte Ira  la  di  stendardi,  di  aste,  di  fe- 

i  nami  ntal    sparsi  nel  pare  i  annessi    alla 
stra.    Era   montata    dalla    figlia   diciassettenne   del- 
l'inveì 

Si  ir. il'a  di  un  pallone  lungo  circa  quindici  metri 
la  cui  forma,  al  dire  dell'inventore,  ricorda  quella 
di   //;/  ago  c/ii'  iircii'  inghiottito  ut!  uovo   foco   più 

un'armatura  d'alluminio 

dalla  quale  pendono  a  lor  volta  l'apparati,  pei 

lare  e  la  persona  che  lo  la  agire  stando  seduta  su 

una  specie  di  bicicletta  senza  m  uata  inferior- 

.     munita,    oltreché  dei    pedali,   di 


HALLI.    RIVISTE 


749 


un  manubrio  mi  bili  nato  a  girare  simultanea- 

mente  ad  essi,   raddoppiando  la    forza    de] 
mento. 

Pel  memento  la  macchina  non  solleva  che  una 
snla  persona,  —  un  centi- 
naio ili  chilogrammi  tutto 
compreso;  —  ma  ben  pre- 
sto il  signor  Myers  si  (im- 
pone di  costruirne  una  ca- 
pace di  trasportare  venti 
uomini  per  800  miglia  al- 
meno. La  maggiore  altezza 
sin  qui  raggiunta  fu  ili  qua- 
si 3700  metri  e  la  velocità 
media  è  di  n  miglia  all'ora. 

Un'altra  stupefacente  in- 
venzione è  rappresentata 
dalla  torpedine  aerea  riuni- 
ta da  un  sottilissimo  filo 
metallico  ad  un  quadro  di 
commutazione.  Girando  le 
rse  chiavette  di  questo, 
il  Myers  fa  avanzare  il  nuo- 
vo arnese  di  guerra,  lo  fa 
retrocedere,  descrivere  qua- 
lunque curva,  spargendo  sul 

supposto  nemico  proiettili  o  cartucce  di  dinamite, 
rappresentati  negli  esperimenti  da  pezzetti  di  carta 

Per  fabbricare  i  palloni,  la  stoffa  viene  resa 
impermeabile  mediante  da  tredici  a  ventuna  pas- 
sate di  vernice. 

I><  pò  l'inverniciatura  la  stoffa  viene  esposta  ai- 


Uniti,   vi  lendo  e  fosse  possibile  ottenere  la 

oioseia  con  mezzi  artificiali,  incaricò  il  Myers  di 
recarsi  nel  Texas  durante  la  stagione  più  calda  e 
più    asciutta    per    tentare    qualche    esperimento    in 


La  preparazione  della  vernici:. 

n  ii  senso.  Egli  fece  salire  a  circa  un  miglio  per- 
I  endicolare  un  grande  aereostato  pieno  di  ossigeno 
e  d'idrogeno  e  poi  lo  fece  scoppiare  col  mezzo  della 
elettricità.  L'esplosione  cagionò  il  crollo  di  una  vi- 
cina casa  ed  uccise  a  centinaia  i  pesci  di  un  fiumi- 
cello   sci  urente,   a   breve   distanza  ;    ma  quantunque 


Palloni  impaci  iti. 


l'aria  su  corde  ad  asciugare;   pi  :  si  taglia,  si  cuce, 
e  le  cuciture  si  verniciano  un'ultima  volta. 

Troppo  lungo  sarebbe  il  descrivere  tutti  gli  ap- 
parati aerei  inventati  od  eseguiti  nello  stabilimento. 
1  dire  che  il  ministero  d'agricoltura  di 


da  tre  giorni  il  cielo  fosse  perfettamente  sereno,' 
pr-ohi  minuti  dopo  lo  scoppi»  cadtìe  un  violento 
acquazzone  che  durò  tre  quarti  d'i  ra. 

Da  un  articolo  di    Chauncey    M'G  >vern  .    ne)     Pearson's 
Magazine,  'li  giugno  . 


Cliirurtria.     a.  n  i  m  ri  1  e  s  e  a. 


Non  vt.  probabilmente,  all'infuori  dei  piccoli  e 

ni  animali  domestici,  nessun  altro  animali-  che 

di  tante  simpatie  e  'li  tanta  popolarità  quanto 

.  Questa  creatura  colossale  e  tozza,  e  pure 

fettamente  innocua  e  docili  ine 

bile  'li  diletto  e  ili  curiosità  per  i  bambini.  Ma 

tra  tutti  gli  elefanti  del  mondo  uno  dei  più  ammi- 


I.A    CURA    DELLE    UNGHIE. 

rati  è  certo  quello  che  vive  nel  giardino  zoologico 
di   Nuova  York. 

Big  Tom,  come  lo  chiamano,  è  stato  sempre  un 
animale  particolarmente  socievole  e  divertente , 
gran  favorito  degli  assidui  frequentatori  del  giar- 
dino. Tempo  addietro,  tuttavia,  si  osservò  che  es- 
so aveva  cambiato  modi:  era  divenuto  irrequieto 
e  petulante,  tanto  che  il  custode,  per  paura  che  non 
facesse  male  a  qualcuno,  si  era  visto  costretto  a  le- 
garlo in  luogo  sicuro.  Xello  stesso  tempo  si  era  os- 
servato  che  l'animale  non  camminava  più  come  una 


volta,  ma  incontrava,  nel  muovere  i  passi,  una  certa 
difficoltà.  Da  principio  non  si  fece  molta  attenzione 
a  questo  dettaglio,  ma  alla  fine,  continuando  l'in- 
do, e  non  sapendo  il  sorvegliante  trovare  nes- 
suna ragione  che  lo  spiegasse,  si  sottopose  lele- 
t ante  ad  un  accurata  di;  Ma  nel  suo  organi- 

smo non  si  trovò  nulla  che  giustificasse  il  malumore 
une  e  l'irrequietezza  .   pareva  che  esso  godesse 
una  perfetta  salute. 

Alla  line,  per  altro,  il  custode  si  accorse  che  le 
unghie  del  pachiderma  erano  eccezionalmente  gros- 
se; e  gli  venne  il  sospetto  che  tutto  il  malessere  del 
povero  Big  Tom  dipendesse  da  quell'inconveniente, 
cosi  piccolo  in  apparenza.  Il  custode  pensò  che  se 
era  quella  la  causa  delle  pene  dell'animale,  le  sue 
sofferenze  nel  camminare  dovessero  essere  terribili, 
data  la  mole  enorme  che  grava  sulle  zampe  di  una 
creatura  di  quel  genere,  [n  seguito  a  queste  rifles- 
sioni, il  custode  pensò  di  ridurre  a  proporzioni  ra- 
gionevoli le  unghie  di  Big  Tom,  tagliandole  e  li- 
mandole.  Se  Big    Tom  fosse  stato  libero  nella  sua 


Gli  sim  menti  i  - \  1 1  per  i.i:  i  nghib  d'un  elei  imi:. 


Il    TACI  IO    DELLE    I   solili-,    i  "S    UNA    BEGA. 

jungla  nativa,  le  asprezze  del  suolo  avrebbero  im- 
pedito, naturalmente,  il  crescere  eccessivo  delle  un- 
ghie; ma  nel  giardino  zoologico  di  Nuova  "\  ork  , 
bisognava  ricorrete  a  mezzi  artificiali. 

I     perazione,  si  capisce,  non  era  punto  semplice. 


DALLE    RIVISTE 


75i 

zo  della  svia  proboscide.  Non  si  credette  comunque 
opportuno  di  legare  anche  quest'organo  di  Big  Tom, 
e  si  vide,  infatti,  che  non  ve  n'era  bisogno. 

Prima  di  tutto,  fu  usata  la  sega  per  portar  via  il 


11  custode  si  convinse  subito  che  il  lavoro  richiedeva 
molta  cautela  e  molta   abilità,  perchè   il   risultato 
fosse  soddisfacente.  Bisognava  anzitutto  procurarsi 
gli   strumenti   adatti  :    una   sega,  uno  scalpello,   un 
coltello,  una  forte  lima,  e  carta  smerigliata. 
Le  gambe  dell'elefante  furono  assicurate  al 
suolo  per  mezzo  di  catene  che  impedissero 
ogni  movimento  ;  del  resto  il  corpo  fu  lascia- 
to libero,  perchè,  essendo  le  unghie  di  una 
durissima   sostanza  cornea,  non   v'era   peri- 
colo che  l'elefante  soffrisse  dolore,  a  patt'  i 
che  si  procedesse  con  molta  attenzione,  pf-r 
che  la  carne  attorno  alle  unghie  era  molto 
infiammata,  e  se  si  fosse  irritata,  la  bestia  a 
vrebbe  potuto  esprimere   la   propria    disap- 
provazione in  modo  poco  piacevole,  per  mez- 


II   pedicure 

dell'  e  le  fan  te. 


La  zanna  e  la  sega. 


I   .1 
da    principio  alquanto   intollerante, 
pp  titri 

una  fai  ceni  la  noiosa,  ma  ni 
5  i    bene. 

Messa  d  i  pan  Ipello, 
si  pi                i  dare  ali 

o  della  lima:  pi    .1  di  non  poco 

nento,  perchè  le  unghie  del  pachiderma  ei 

■modo  'li:i'              gnava  fai  ne  ili 
Don  limar,'  anche  h  carne,  nel  qual  caso  la  b 


LA    LETTI  RA 


no  animali  pi  per  i  serragli,  e 

sii  ci  me  sono   .i-^.ii    più    rari    di        elefan 

ili  e  sono  infinitamente  più  re- 
ri,    vengono    tenuti 
molto  da  conto.  L'ippopotamo  su  cui  fu  compiuta 
l'operazione  di  cui  parliamo,  era  un  magnifico  cam- 
ilclla     sua 


.    e   il    pro- 
gran    cura 

e    del 
sui  1   benessi  t  .    S 
iva,    "    mi- 
glio  —   poiché    i 
ani  ora   vivo  —  si 

e.  V 
me,  a  dire  il  vero, 
poco    appi 


Il  TAGLIO  DELLA  PELLE. 

erto  dato  al  pedicure  una  buona  lezione 
li  pi  chirurgica.  Per  fortuna  adde 

in   incidente.    Terminato  di    limare,    il  custode 
pletò  l'opera  propria  con  la  carta  smerigliata, 
dopo   'li    elle,    la  bestia    fu   lasciala    libera.    E 
somma  soddisfazione  del  bravo  uomo,  si  vide  che 
tutto  il  cattivo  umi  re  di  Big  Tom  era  scomparso, 
anzi  il  bestione  era  più  in  vena  del  solito.  Da 
ogni  olta  si    risi  <    itra    in    Big 

Tom  >.u\   poco  'li  nervosismo, 
non  tagliargli  le  un- 

,■'1   il  1  usti  de  ha   eleva- 
id  assioma  il  principio  che 
■  aglio  del  I        1       e  la  ve- 
la   del   inalimi^ ire   di  un 

* 
*    * 

1  ii'ahra     interessante 

hirurgica    fu    quella 
cui  venne  51  itti  ip  isti  -  'ti 

Il  arena  'li    un    notissimi 
viaggiante,    innanzi    ad 
una   I  uriosi,   un  ippo 

1  ■      mne  di  qui 

n  mo- 
lili che  esso  non 

■  il  cibo  sé  non  con  mol 
tu  dolore  1.   Gli 


La  z\n\i  dell  ip- 
popotamo PRIMA 
dell'operazione. 

per      quelle      due 
tonnellate    ili    ma- 
teria  animale.   I  a 
sua      estrema 
cilità  aveva  suj 
rito  quel  noni' 
bt    ha    una     ma- 
gnifica dentatura:    •  denti  in  tutto,  tra  cui 
due   grosse  /amie  che   sporgono    fuori    del   labi 
ma  si  ritorcono  in  dentro  con  una  graziosa  curva. 

Qu  ste  zanne  sono  utilissime  all'animale  - 
dogli  a  rompere  gli  alberi  e  i  rami,  ilelle  cui  foglie 

poiché  l'ippopotamo  è  un  mammifero 

-■.unente    erbivoro.    In   condizioni    normali    le 
zanne   m  SUI  1    ventina    ili   centimetri  ili    lun- 


I.'amm  mi  \  ;  o. 


DALLE    RIVISTE 


7  53 


Quando  l'animale  conduce  vita  selvaggia,  il  la- 
voro cui  le  zanne  sono  sottoposte,  per  procacciare 
cibo,  basta  ad  impedire  una  cresciuta  eccessiva  ;  ma 
nei  dolci  ozi  della  vita  della  ménagerie,  le  zanne  si 
sviluppano  oltremodo.  Per  questo,  Babe  deve  ogni 
tanto  essere  sottoposto  ad  un'operazione  abbastan- 
za complicata. 

Quella  volta,  venne  condotto  nell  arena,  e  po- 
sto vicino  ad  un  robusto  palo  di  ferri >,  fissato  pro- 
fondamente e  saldamente  al  suolo  ;  gli  vennero  in- 
catenate le  gambe,  e  gli  si  fece  aprire  la  bocca  sot- 
toponendogli ghiotti  cibi.  Come  la  bocca  fu  aperta. 
quattro  uomini  che  già  stavano  in  posizione,  pas- 
sarono due  catene  tra  le  fauci,  una  sotto  la  ma- 
scella superiore  e  l'altra  sopra  la  mascella  inferiore. 
L'animale  tentò  di  richiudere  la  bocca,  ma  le  cate- 
ne erano  state  passate  tra  due  anelli  e  solidamente 
assicurate,  per  modo  che  ogni  tentativo  riuscì  va- 
no. Dopo  ciò,  l'operatore  potè  accingersi  al  lavoro 
comodamente.  Con  una  forte  lima,  prese  a  raspare 
le  zanne  della  povera  bestia,  che  a  suo  modo  prote- 
stava con  un  sordo  brontolìo  mentre  grosse  lacri- 
me, come  palle  di  cristallo,  colavano  dagli  occhi. 
Ogni  tanto  1'  agitazione  dell'  ippopotamo  diveniva 
tale,  che  l'operatore  era  costretto  a  sospendere  il 
supplizio,  sin  che  l'animale  non  si  fosse  quietato  ; 
ed  allora  ricominciava  da  capo,  limando  energica- 
mente, come  se  si  fosse  trattato  di  un  pezzo  di  le- 
gno. Forse  Babe  non  provava  una  sofferenza  vera, 
ma  una  sensazione  sgradevole  che  lo  rendeva  irre- 
quieto. Finalmente,  terminata  la  faccenda,  si  tol- 
sero le  catene  dalle  mascelle  deil'ippopotamo.   Da 


principio,  questo  aveva  un  contegno  poco  promet- 
tente, anzi  sembrava  molto  disposto  a  vendicarsi 
del  suo  operatore,  ma  dopo  che  per  due  o  tre  volte 
ebbe  provato  a  chiudere  la  bocca,  accortosi  che  tut- 
to il  male  che  lo  faceva  soffrire  era  sparito,  si  mo- 
trò  molto  soddisfatto,  tanto  che  i  custodi  si  risol- 
sero a  togliere  anche  le  catene  dai  piedi. 


Una  delle  nostre  illustrazioni  raffigura  una  ope- 
razione che  forse  non  ha  confronto  negli  annali  del- 
la dermatologia  dei  pachidermi.  L'elefante  che  si 
vede  disteso  al  suolo  così  incatenato  deve  subire 
l'innesto  di  un  bel  pezzo  di  pelle  nuova,  per  una 
lacerazione  che  ha  riportato  in  una  spalla  cadendo 
nel  discendere  da  un  vagone  della  ferrovia.  Si  do- 
vette prendere  un  pezzo  di  pelle  da  un  piccolo  ele- 
fante figlio  dell'animale  malato,  ed  innestare  que- 
sto pezzo  sulla  parte  lesa  del  genitore.  La  figura 
rappresenta  la  prima  fase  dell'operazione,  che  riu- 
scì felicemente.  La  pelle  applicata  aderì  presto  alla 
carne,  chiudendo  perfettamente  la  ferita,  e  facen- 
do passare  la  forte  infiammazione  che  si  era  pro- 
dotta in  seguito  alla  disgrazia.  L'innesto  non  fu 
fatto  tutto  in  una  volta,  ma  a  piccole  porzioni,  an- 
che per  riguardo  all'elefante  che  sacrificava  una 
parte  della  propria  pelle;  ma  insomma,  in  poco 
tempo,  la  ferita  del  pachiderma  caduto  non  si  ve- 
deva più. 

(Da  un  articolo  del  sig.  Frederick  A.  Talhot.  nell' Harm- 
sworth  London  Ma  gazine). 


Allorché  Xansen  visitò  l'America  nel  1897  e 
parlò  dei  risultati  scientifici  del  suo  viaggio,  egli 
dimostrò  come,  provando  l'esistenza  di  certe  cor- 
renti oceaniche  ben  definite,  nella  regione  che  cir- 
conda il  Polo,  avesse  fatto  un  gran  passo  per  ren- 
dere possibile  una  carta  esatta  della  regione  stessa. 

L'autore  dell'articolo,  che  aveva  accompagnato  la 
spedizione  della  J eannette  appunto  in  qualità  di 
cartografo,  fu  invitati)  ad  esprimere  la  sua  opi- 
nione sul  reale  valore  delle  esplorazioni  compiute 
dal  Xansen.  e  rispose  pubblicando  un  articolo  as- 
sai ponderato  sulla  catastrofe  della  f eannette,  nel 
quale  stabiliva  la  correlazione  del  cammino  pi  1 
so  da  quest  ultima  con  quello  percorso  dal  Frani 
quando  entrambi  furono  trasportati  alla  deriva. 
Le  due  navi  infatti  vennero  prese  fra  i  ghiacci  in 
punti  relativamente  vicini,  così  da  non  lasciar  dub- 
bio sulla   continuità   della  corrente  che  li   travolse. 

Il  Melville  aveva  fatto  una  rana  circumpolare 
nella  quale  figuravano  tutte  le  correnti  notate  dagli 
esploratori  artici  dal  tempo  di  Barents  e  Willough- 
by  fino  al  momento  in  cui  •  partì  da  San 

Francisco  per  la  nota  spedizione. 

La  Lettura. 


Inoltre  a  bordo  della  f eannette  eravi  una  ric- 
chissima biblioteca  di  geografia  artica  ;  e  poiché 
gli  otto  compagni  di  viaggio  erano  tutti  intelligenti 
e  studiosi,  nelle  lunghe  giornate  d'ozio  riuscirono 
a  mettere  insieme  una  carta  su  cui  centinaia  di 
frecce  segnavano  le  correnti  incontrate  in  circa  tre- 
cento anni  di  navigazione  dai  loro  predecessori. 

Il  risultato  ottenuto  provava  che  un  vascello  ca- 
pace di  resistere  alla  pressione  dei  ghiacci  sarebbe 
infallantemente  andato  alla  deriva  nella  stessa  di- 
rezione seguita  dalla  J cannette  e  dal  Frani  a  quin- 
dici anni  di  distanza.  Sembra  quindi  che  il  sistema 
più  breve  e  più  facile  per  raggiungere  latitudini 
altissime  sia  quello  di  penetrare  nelle  regioni  ar- 
tiche dal  mare  di  Behring,  di  spingersi  poscia  a 
est  e  di  lasciarsi  andare  alla  deriva  coi  campi 
ni  ghiaccio  fino  ad  un  punto  dove  fosse  possibile 
una  rapida  punta  verso  il  Polo. 


Ma  prima  di  correre  l'alea  d'una  spedizione  co- 
ssima  e  pericolosa,  il  Melville  suggeriva  di  cer- 

48 


754 


LA    LETTURA 


minare   più   i  sanamente    Le  ai  i  ennate 
ni   polari,  collocando  sul  campo  'li  ghiaccio 
speciali  barilotti  galleggianti  Certo  essi  ver- 
rebbero prima  o  p>     trasportati  dalla  parte  oppo- 
sta  ne  inesplorata  e  probabilmente  ver- 

rebbero  ti  là  da  taluno  dei  più  arditi  bale- 

nieri. 

Questi  insensibili  corpi  avanzati  servirebbero  a 
mainare  più  esattamente  le  curve  des  ritte  dalle 
correnti  polari,  permettendo  ili  segnare  una  via  si- 
cura verso  il  Polo,  grazie  alla  quale  gli  esploratori 
potrebbero  spingersi  molto  più  al  nord  che  non  ab- 
biano fatto  sin  qui.  Anche  collocando  i  barilotti  in 
località  ed  in  stagioni  differenti,  essi  indicherebbe 
re  il  tempo  più  propizio  ai  tentativi. 

Non  è  probabile  che  andassero  direttamente  al 
Polo  deposti   sul  ghiaccio  a  nord-ovest   di 

Behring,   uscirebbero  dalla    parte  dello    Spitzberg. 
Mi  crede  che  durante  certe  stagioni  a- 

vi  sia  una  forte  tendenza  verso  settentrione, 
non  è  difficile  che  una  nave  collocata  in  egual 
modo  in  mezzo  al  campo  di  ghiaccio  riuscisse  a 
spingersi  ad  85"  e  torse  anche  più  in  là. 

Certo  l'esperimento  presenterebbe  maggiore  pro- 
babilità di  riuscita  ove  fosse  tentato  con  dei  veri 
vascelli.  Ma  questi  dovrebbero  tentare  l'impresa  in 
gran  numero  e  disporre  di  enormi  somme,  perchè 
si  potesse  sperare  in  un  risultato  favorevole,  men- 
tre navi,  personale  e  denaro  sono  relativamente 
scarsi  per  tal  genere  di  spedizioni. 

Anche  la  collocazione  degli  accennati  barili  ap- 
I  nuderebbe,  con  la  eventuale  distruzione  di  alcuni 
fra  essi,  i  punti  da  evitarsi  perchè  maggiormente 
pericolosi. 


stono  in  doghe  di  robusta  quercia,  grosse  quasi  4 
centimetri  e  mezzo,  riunite  da  cerchi  di  ferro  alti 
5  cm.  e  rivestiti  d'uno  spesso  strato  di  pece  e  re- 
sina. Le  due  estremità  antisolate  sono  coperte  da 
leggere  calotte  di  ferro  galvanizzato.  Il  numero  di 
ogni  barile  è  dipinto  all'esterno  ed  inciso  nel  le- 
gno, e  ciascuno  contiene  internamente  una  bottiglia 
di  purissimo  cristallo,  rinchiusa  in  una  scatola  di 
quercia.  V'ha  in  essa  un  foglio  di  carta  di  linoleum 
ove,  con  un  inchiostro  speciale,  resistente  alla/io- 
ne dell'acqua  marina,  sono  stampate  in  inglese,  te- 
desco, francese  e  norvegese  istruzioni  per  chi  ina  a 
il  segnale.  Questi  deve  notare  il  punto  preciso 
il  momento  del  rinvenimento  e  consegnare  il  ba- 
rile al  console  americano  più  vicino  od  alla  S<« 
geografica  di   Filadelfia. 

Minuziose  istruzioni  furono  date  pure  pel  collo. 
camento,  che  deve  avvenire,  per  quanto  è  possibile, 
lontano  dall'orlo  del  campo  gelato,  sebbene  ciò  pie 
senti  difficoltà  e  pericoli  assai  più  gravi. 

Nel  1898  cinquanta  di  questi  barili  vennero  col- 
locati a  bordo  di  parecchie  baleniere  e  navi  di  do- 
gana con  l'incarico  di  abbandonarli  sul  ghi.i 
nella  seguente  primavera.  Una  sola  baleniera  ne 
mise  a  posto  dieci  fra  il  giugno  ed  il  settembre 
1899.  Un'altra  invece  riportò  indietro  jn-r  due  anni 
consecutivi  quelli  affidati  alle  sue  cure,  non  essendo 
riuscita  a  portarli  in  posto  conveniente;  fu  solo 
nel  1901  che  potè  deporne  sei  a  45  miglia  al  nord 
del  sito  ove  la  ] cannette  fu  presa  dai  ghiacci. 

Quest'anno  si  spera  di  poter  collocare  nuovi  e 
più  numerosi  barili,  grazie  all'emulazione  sorta  fra 
i   dm  rsi   balenieri. 


Gli  studiosi  di  oceanografia  non  tardarono  ad 
aderire  a  questa  idea.  Infatti,  se  l'incertezza  e  le 
difficoltà  costituiscono  il  più  potente  incentivo  per 
l'esploratore,  avido  di  emozione  e  di  gloria,  lo  scien- 
ziato vede,  invece,  nello  studio  delle  correnti  e  dei 
venti  polari,  un  ottimo  mezzo,  oltrecchè  di  diminui- 
re i  rischi  dell'impresa,  di  risolvere  i  problemi  me- 
I  gii  1   delle  latitudini  temperate. 

TI  valido  appoggio  ili  H.  G.  Bryant,  presidente 
della  Società  geografica  di  Filadelfia,  indusse  ben 
presto  la  Società  stessa  a  garantire  i  fondi  per  la 
razione  ed  il  collocamento  dei  barilotti.  I  pro- 
tri ed  i  comandanti  della  flotta  baleniera  pro- 
misero volonterosamente  il  loro  concorso;  e  final- 
mente il  Ministero  del  Tesoro  ordinò  alle  barche 
doganali,  chiamate  dalle  loro  funzioni  nelle  acque 
artiche,  di  aiutare  al  trasporto  dei  barili  sui  campi 
di   ghiaccio. 


Questa  specie  di  gavitelli,  disegnati  al  Ministero 
della  Marina  americana  ed  eseguiti  a  San   Frana 
hanno  la  forma  d'un  fusi,  un  po'  tozzo  e  consi- 


II  legname  della   Siberia,  tratto  alla  deriva,    fu 
trovato  sulle  coste  nord-est  dell'isola  di  Benni 
della    Nuova   Xemla,   e    su    quelle  orientali    della 
Terra  di    Francesco    Giuseppe  e    dello    Spitzberg. 
L'esistenza  in  certe  stagioni  dell'anno  di  una   I 
corrente  che  muove  a  sud-est.  fra  la   Nuova  Z 
la  e  la  Terra  di    Francesco  Giuseppe,  nonché   di 
un'altra  a  mezzodì  dello  Spitzl>erg  e  dell'isola  Bear, 
sembra   oramai    fuori  di  questione;    ed   è    in  quei 
paraggi   che   verranno  probabilmente  trovati    p 
dei   barili    indicatori.    Non    è  difficile  pero    1  h 
facciano  scoprire  altre  correnti  e  compariscano  at- 
torno alla  baia  di  Haffin  ed  a  Smith  Sound. 

La  storia  loro  non  sarà  completa  finche  non  si 
sappia  dove,  come  e  quando  gl'inanimati  mi 
geri  verranno  rinvenuti.  Informazioni  esatte  sul 
loro  collocamento  furono  già  comunicale  in  pia 
parti  delle  regioni  artiche;  ed  ora  tanto  in  mare 
quanto  a  terra  molti  occhi  guardano  ansiosi  l'oriz- 
zonte in  attesa  del  risultato,  l 'lussa  che  questi  nuovi 
galleggianti  non  riescano  ad  insegnare  la  strada 
migliore,   più    breve,    più    sicura    per    arrivare    al 

l'olo. 

(Da  un  articolo   del   contrammiraglio  G.  W.   Melville   nel 
The  dfunsej  .  di  giugno. 


Le  torte  e  i  pasticci,  oltre  il  valore  culinario  e 
nutritivo,  hanno  rappresentato,  e  rappresentano, 
una  parte  simbolica  o  semplicemente  decorativa. 
L'antichità  conobbe  le  focaccie  sacre,  confezionate 
secondo  formule  immutabili  e  offerte  agli  dèi  nei 
sacrifizi.  Quello  che  in  Francia  si  chiama  Gateau 
des  Rois,  la  torta  della  Befana,  pare  risalga  a 
tempi  molto  lontani,  alle  feste  che  si  celebravano 
in  Roma  in  onore  di  Saturno.  Se  bisogna  credere 
alla  leggenda,  un  duca  di  Savoia  mise  per  il  pri- 
mo in  moda,  nel  XIV  secolo,  l'uso  dei  pasticci  gi- 
ganteschi nelle  cerimonie  ufficiali.  Questa  consue- 
tudine, adottata  rapidamente  in  tutta  Europa,  du- 
rò poco.  La  sola  Inghilterra  le  è  rimasta  fedele. 
In  nessuna  circostanza  importante  della  vita  pub- 
blica e  privata  manca  il  pasticcio,  sempre  più 
grande,  talvolta  colossale  ed  enorme  ;  ma  partico- 
larmente nei  banchetti  nuziali  essi  fanno  la  loro 
apparizione.  Trattandosi  della  famiglia  reale,  s'im- 
bandiscono veri  monumenti. 

La  maggior  parte  dei  pasticci  storici  ammirati 
durapte  il  lungo  regno  di  Vittoria  e  quello  imme- 
diatamente precedente,  furono  opera  della  Casa 
Bolland,  di  Chester.  I  Bolland.  fornitori  della 
Corte,  di  padre  in  figlio,  hanno  sempre  tante  ri- 
chieste, che  tengono  pronta  una  riserva  di  iooo  chi- 
logrammi di  pasticceria.  Contrariamente  a  quel  che 
si  potrebbe  supporre,  i  pasticci  nuziali  e  di  cerimo- 
nia non  sono  fatti  per  esser  mangiati  freschi  ;  anzi 
bisogna  aspettare  parecchi  mesi  prima  che  diventi- 
no commestibili.  La  composizione  della  pasta  è  un 
segreto  che  ogni  confettiere  serba  gelosamente. 

Nei  forni,  per  la  cottura,  si  accende  legna  du- 
rante tre  o  quattro  ore.  Quando  sono  riscaldati  a 
punto,  vi  si  introducono  i  pasticci  dentro  le  ampie 
forme,  i  cui  coperchi  sono  ermeticamente  chiusi 
con  una  pasta  di  farina  stemperata  nell'acqua.  La 
durata  della  cottura  si  prolunga  talvolta  sino  a 
sette  ore.  Sfornato  il  pasticcio,  gli  si  aggiunge  una 
seconda  pasta  a  base  di  mandorle,  la  cui  composi- 
zione è  molto  importante,  e  poi  si  ricopre  il  tutto 
con  uno  strato  di  zucchero.  Dopo  essere  rimasto 
un  poco  in  una  camera  calda,  il  pasticcio  è  pronto 
per  il  lavoro  di  ornamentazione. 

Il  pasticcio  comparso  nell'occasione  del  matri- 
monio di  Edoardo  VII  era  alto  cinque  piedi,  pie- 
no di  ornati  complicatissimi  e  coronato  da  una 
torre  guarnita  di  foglie  d'argento  e  di  bottoni  di 
fior  d  arancio  :  in  cima  stava  uno  splendido  mazzo 
di  penne  di  struzzo,  arma  araldica  del  principe  di 
Galles.  Fra  gli  altri  pasticci  storici  sono  da  citare 
quello  del  giubileo  della  regina  Vittoria  e  quelli 
nuziali  del  duca  d'Albany,  del  marchese  di  Lorne, 
del  principe  Adolfo  di  Teck,  di  lord  Rosebery.  di 
Erberto   Gladstone,    ecc. 

Il  pasticcio  nuziale  del  duca  di  Fife  era  alto  set- 
te piedi,  e  pesava  150  libbre.  Aveva  la  forma  d'un 


tempio  greco  e  fra  gli  ornamenti  di  zucchero  c'e- 
ra anche  una  quantità  di  fiori  veri.  Quello  com- 
parso al  matrimonio  del  principe  di  Teck  con  lady 
Margherita  Grosvernor,  notevolissimo,  aveva  ■  una 
base  tutta  fiorita  di  margherite,  di  rose  bianche  e 
di  mortelle.  Al  primo  piano  erano  rappresentati, 
con  lo  zucchero,  i  castelli  patrimoniali  della  fami- 
glia della  sposa  ;  più  in  alto  gli  scudi  di  seta  bian- 
ca con  le  armi  dei  coniugi  erano  separati  da  fasci 
di  fiori  e  da  cornucopie  ;  sull'orlo  di  ogni  piano 
si  vedevano  raffigurati  dei  personaggi  e  degli  ani- 
mali. 

Al  matrimonio  dell'attuale  principe  di  Galles 
(allora  duca  di  Connaught).  celebrato  nel  1893, 
gli  ornati  del  pasticcio  rappresentavano  emblemi 
marinareschi,  essendosi  il  principe  dedicato  alla 
marina  nella  sua  gioventù.  Delfini  e  sirene  gioca- 
vano in  mezzo   alle  allegorie  dei   tre  Regni  uniti. 

L'industria  dei  grandi  pasticcieri  inglesi  richiede 
vasti  locali  e  una  complicata  suppellettile:  il  mac- 
chinario moderno  è  impotente  contro  le  vecchie  tra- 
dizioni. Vi  sono  case  la  cui  enorme  produzione  si 
esporta  nelle  più  lontane  contrade:  in  India,  nel 
Canada,  in  Australia,  in  Cina,  dovunque  gli  An- 
glo-Sassoni  fanno  sventolare  la   loro  bandiera. 

Questi  pasticci  nuziali  sono  ignoti  agli  altri  po- 
poli, ne  si  sa  quando  ne  cominciò  l'uso  in  Inghil- 
terra. Presso  certe  tribù  di  Zingari,  i  pasticci  ser- 
vono da  lungo  tempo  ai  messaggi  d'amore.  Le  ra- 
gazze da  marito  fanno  conoscere  i  loro  sentimenti, 
al  fortunato  preferito,  confezionando  un  pasticcio, 
nel  quale  mettono  una  moneta,  e  mandandoglielo. 
Ma  in  Inghilterra  il  pasticcio  nuziale  rappresenta 
una  parte  nella  stessa  cerimonia  nuziale,  e  oltre 
a  quello  che  figura  nel  pranzo,  gli  sposi  ne  ordina- 
no molti  altri,  più  piccoli,  che  mandano  agli  inti- 
mi delle  due  famiglie,  anche  lontani.  Col  tempo, 
il  dolce  si  raffina.  Accade  anzi  spesso,  dicono,  che 
si  eseguiscano,  per  un  matrimonio,  due  pasticci 
perfettamente  eguali  :  uno  si  mangia  al  pranzo  di 
nozze,  l' altro  si  serba  per  le  nozze  d' argento  ! 
Dopo  25  anni,  assicurano  che  il  secondo  pasticcio 
non  solamente  non  ha  perduto  nulla,  ma  è  dive- 
nuto più  delicato. 

Un  vecchio  uso,  ora  sempre  più  abbandonato, 
consisteva  nell'appendere  intorno  al  pasticcio  nu- 
ziale tanti  panierini  quante  erano  le  ragazze  im- 
piegate nella  casa  principesca.  Uno  dei  panierini 
conteneva  un  anello,  un  secondo  una  moneta,  un 
terzo  un  ditale.  Durante  la  colazione,  la  sposa  di- 
stribuiva i  panierini.  La  fanciulla  a  cui  toccava  l'a- 
nello doveva  maritarsi  dentro  l'anno  ;  la  ricchezza 
era  promessa  a  quella  che  trovava  la  moneta,  e  fi- 
nalmente "'  possesso  del  ditale  presagiva  una  vita 
intima,  tùt;      piena  delle  cure  domestiche. 

'(Dalle  Lectures  Modernes). 


Dalmazia 


Delle  molte  migliaia  'li  via  Ile  "gin  anno 

passano  qualche  settimana  a  Venezia  e  che  magali 
conoscono  le  città  del  Veneto  come  quelle  del  pro- 
prio paese,  pochissimi  si  recano  a  visitare  il  reni- 
meraviglioso  ohe  appartenne  un  tempo  a  ve- 
nezia  e  che  si  distende  ad  oriente  dell'Adriatico.  La 
Dalmazia   e  piena  di   interesse  per  1"  storico,    per 


Piazza  hei  5  /aka. 


l'artista,  per  l'amante  delle  bellezze  della  natura  e 
per  1"  studioso  dj  questioni  politiche. 

L'importanza  delle  città  dalmate  nella  storia  eu- 
ropea  i  maggiore  di  quanti,  si  creda  comunemente, 
perche,  sia  come  Comuni  indipendenti,  sia  sotto  il 
Governo  ungherese  o  veneziani!,  esse  costituir 
un  "slaccili  formidabile  alla  invasione  turca.  Ouan- 
do  tutto  l'interno  era  ca- 
duti, sotto  il  conquistatore 
musulmano  e  l'Ungheria 
era  una  provincia  turca  e 
\  una  stessa  era  mie 
ciata  .   quelle    :  ittà 

della  costa  ressero  ardita- 
mente contro  il  turco  e  co- 
stituirono  una  spina  sul 
fianco  dell'impero  dei  Sul- 
tani, concorrendo  ad  im- 
pedirgli di  conquistare  l'I- 
talia, come  i  barbari  ar- 
dentemente desideravano. 
Oggi  un  giro  in  Dalma- 
zia può  farsi  senza  grande 
spesa  e  senza  grande  disa- 
gio. Vi  sono  buone  strade 
carrozzabili,  due  strade 
ferrate  nell'interno,  e  buo- 
ni vapori  che  fanno  servi- 
zio tra  Trieste  e  Fiume  e 
Cattare  e  toccano  quasi 
tutte  le  città. 

Una     «Ielle     prime     im- 
pressioni   che    si    provano 
in  Dalmazia   è    il    senso   di 
contrasto  fra   la  campagna 
e  le  città.  Le  città   potreb- 
bero  essere   città    itali, 
frammenti  di  Venezia,  per- 
,  he  la  metropoli  ha  lascia- 
to   sulle    colonie    una    im- 
pronta indelebile.    I 
stessa  vita  del  caffé   fami- 
liare   a    quanl 
l'Italia    -  la  folla  rac 
entro  il  caffé  o  seduta 
tomo  ai   tavolini  in   piazza 
a    sorbire  qualche  bevanda 
,,,1  a   leggere  i  giornali.    S 
parla    italiani'   con  ao 
veneziano;     e     tanti     altri 
dettagli      richiamati"      .dia 
niente  l'antica  dominati 

Neil,-  campagne    il 
la    scena    cani  luta* 

meni.'.     I.a    costa    e     l 
I,.  i  iosa,     tormentata,     di- 
versissima  dalla  ' 


L'ALLE    RIVISTE 


7^7 


liana.  Ed  anche  gli  abitanti  della  cam- 
pagna sono  diversi  da  quelli  della  città. 
I  primi,  per  l'origine,  rappresentano  una 
diramazione  del  gran  tronco  slavo,  e  por- 
tano i  costumi  più  brillanti.  La  loro  lin- 
gua è  la  serbo-croata  ;  per  la  maggior 
parte  essi  non  parlano  affatto  italiano.  Al 
presente  v'è  anzi  fiera  lotta  tra  Slavi  e 
Latini  in  Dalmazia.  Gli  Slavi  vanno  gra- 
datamente penetrando  nelle  città  e  bandi- 
scono ovunque  possono  la  lingua  italiana. 
Soltanto  Zara  è  rimasta  città  perfetta- 
mente italiana.  Ovunque,  altrove,  gli  Sla- 
vi sono  in  maggioranza,  Sebenico,  Spala- 
to, Traù,  Ragusa  non  sono  più  conosciu- 
te con  i  loro  nomi  storici,  ma  si  sono 
cambiate  in  Sibenik,  Spi  jet,  Trogir,  Du- 
bruvnik.  I  nomi  delle  strade  hanno  su- 
bito la  stessa  traduzione,  e  la  piazza  dei 
Signori  è  divenuta  la  Gospodski  Trg.  Fa 
pena  vedere  quelle  oasi  così  interessanti 
di  civiltà  latina  assorbite  gradualmente 
dall'invasione  degli  Slavi.  Col  loro  pas- 
sato glorioso,  sembravano  destinate  ad 
un  fato  migliore. 

Zara,  capitale  dell'intera  provincia,  è 
la  città  più  settentrionale  e  costituisce  or- 
dinariamente uno  dei  primi  punti  di  fer- 
mata. Ed  è  buon  luogo  per  cominciare  l'e- 
scursione, perchè  riassume  tutte  le  qualità 
più  caratteristiche  della  Dalmazia.  Edifi- 
cata su  un  promontorio  che  si  protende 
verso  nord-ovest  in  mezzo  ad  un  mare 
tempestato  d'isolette,  con  Ugliano  e  Pa- 
sman  ad  ovest  e  le  montagne  ad  est,  essa 
si  trova  in  una  posizione  incantevole.  Ha 
due  porti  :  il  vecchio,  protetto  da  una 
baia,  e  il  nuovo,  formato  da  due  bei  moli 
di  recente  costruzione.  Un  tempo  la  città 
era  una  piazza  forte  inespugnabile,  e  sussiste  an- 
cora parte  degli  antichi  potentissimi  bastioni.  Una 
porta  sola  comunica  con  la  terraferma,  la  porta 
detta  appunto  di   Terraferma.   E'   un  lavoro  archi- 


Convento  di  Santa  Maria  della  Palude,  presso  Spalato. 


«  Sponza  ►,  Ragusa. 

tettonico  bello,  ma  semplice,  del  Sammicheli,  con- 
sistente in  un  ampio  arco  centrale  sormontato  dal 
leone  di  San  Marco,  e  in  due  passaggi  laterali  di 
stile  dorico.   Ai  due  lati   della  città  vi   sono  ampi 

quais,  ma  le  stra- 
de nell'  interno 
sono  strette,  tanto 
che  non  vi  è  pos- 
sibile il  traffico 
dei  veicoli  a  ruote. 
Tra  gli  avanzi 
architettonici  ,  a 
Zara,  si  vedono 
campioni  di  tutti 
gli  stili  che  si  tro- 
vano in  Dalmazia. 
Due  belle  colonne 
di  stile  corinzio 
una  in  piazza  del- 
le Erbe  ed  una  in 
piazza  San  Simeo- 
ne, ed  alcuni  fram- 
menti di  archi  e  di 
tempi,  sono   lavori 


758 


LA     I  I 


n,mam.  I  chiesa  rotonda  'li  S.  Donato  ne 

ricorda  una  «Iella  bizantina  Ravenna.  Questa  chiesa 
è  uno  degli  editici  più  curiosi  di  Zara.  Costruita 
nel  nono  secolo  da  un  certo  vescovo  Donato  ad 
imitazione  della  chiesa  di  San  Vitale  di   Ravenna 


teristico  del  trionfo  dello  spirito  sull'orgoglio  tem- 
porale. 

La  facciata  del  Duomo,  con  le  sue  fde  di  piccoli 
archi,  ricorda  le  chiese  di  Pisa  e  di  Lucca,  e  nella 
sua  semplicità  fa  un  contrasto  interessante  con  l'e- 


e  della  cattedrale  di  Aix-la-Chapelle,  ora  è  stata 
convertita  in  un  museo.  Facendosi  degli  scavi  sot- 
terranei, si  scoprì  che  non  solo  erano  rimasti  nelle 
mura  frammenti  romani,  ma  che  belle  colonne  ro- 
mane erano  state  tagliate  in  sezioni  e  messe  per  il 
lungo  come  fondamenta  della  chiesa  cristiana,  col 
nule  lavoro  del   primo  Medio  Evo.  Esempio  carat- 


L"tm 


Castello  di  Seuenico. 


laborata  ornamentazione  della  parte  superiore.  Al- 
tre chiese  notevoli  sono  San  Crisogono  e  Santa 
Maria. 

Zara  non  può  vantare  gran  ricchezza  di  quadri 
in  confronto  alle  città  italiane,  ma  possiede  opere 
di  vari  artisti  veneziani  ed  un  quadro,  che  può 
considerarsi  come  un  vero  capolavoro,  del  Carpac- 
cio, nella  chiesa  di  San  Francesco.  E'  un'assunzio- 
ne della  Vergine  in  mezzo  ad  una  turba  di  angeli 
e  di  santi.  I  costumi  sono  di  una  vivezza  rara  e  il 
paesaggio,  di  verdi  colline  coronate  da  castelli,  è 
proprio  della  migliore  maniera  dell'  artista.  Nel 
mezzo  ve  una  piccola  chiesa  lombarda  dalla  cui 
porta  aperta  si  vede  splendere  un  altare  d'oro.  Ma. 
sfortunatamente,  il  dipinto  si  trova  in  condizioni 
deplorevoli  e  cadrà  presto  in  pezzi  se  non  vi  si 
provvede  con  opera  intelligente. 

I  ricchi  costumi  dei  contadini  danno  una  tinta 
orientale  alla  città  e  fanno  rammentare  che  non  si 
è  in  Italia.  Gli  uomini  portano  piccoli  berretti  rossi 
e  neri,  panciotti  rossi,  giacche  brune  scure  con  ro- 
vesci scarlatti,  calzoni  turchini  riccamente  ricamati, 
talvolta  ghette  rosse  e  gialle,  e  certe  scarpe  di  for- 
ma curiosa  chiamate  opankas.  Il  costume  delle  don- 
ne è  meno  sfar/ 

Sebenico  è  città  sostanzialmente  veneziana,  la 
più  veneziana  anzi,  per  quanto  concerne  l'architet- 
tura, di  tutta  la  Dalmazia.  E'  situata  su  un  ripido 
colle  che  guarda  su  una  baia  rocciosa,  ed  ha  vicino 
un  castello  veneziano.  A  nord,  la  baia  jienetra  an- 
cora più  addentro  nella  terra,  formando  una  spe- 
cie di  fjord  alimentato  dal  fiume  Rerka.  Il  colle 
su  cui  è  costruita  la  città  ha  sulla  sua  cima  uno 
splendido  castello  medievale,   le  cui  mura  striscia- 


DALLE    RIVISTE 


759 

no  giù  sino  al  mare.  Dietro,  vi  sono  due  altri  ca-  rilievi  in  pietra,  gallerie  elaborate.  11  battistero  è 
stelli  di  data  posteriore.  Tutti  e  tre  sono  conosciuti  un  gioiello  di  scoltura  in  marmo, 
col  nome  di  Castelli  del  Barone , 
nome  dovuto  al  ricordo  del  barone 
Degenfeld,  che  nel  1647  li  difese 
vittoriosamente  contro  i  Turchi.  L'e- 
dificio principale  di  Sebenico  è  la 
cattedrale,  uno  dei  più  perfetti  e- 
sempi  esistenti  dell'architettura  del 
Rinascimento.  La  semplicità  del 
piano,  la  grande  altezza  delle  vòl- 
te, e  l'elevazione  del  coro  producono 
un'impressione  straordinaria  di  va- 
stità e  di  grandiosità.  Questa  chiesa 
ha  anche  la  specialità  di  essere  una 
delle  più  grandi  d'Europa,  in  cui 
non  sia  stato,  a  detta  del  signor 
Graham  Jackson,  impiegato  né  le- 
gname, né  mattoni.  Tutto  è  di  pie- 
tra, o  di  marmo,  o  di  metallo.  Il 
soffitto  è  di  pietra,  senza  travi  ;  ed 
anche  gli   stalli   del  magnifico  coro 

son  tutti  di  marmo.  La  costruzione  intera  è  piena         Non  vi  sono  altre  chiese  di  importanza  a  Sebe- 
di   bellissimi  dettagli,   balaustre  di   marmo,   basso-     nico,  ma  le  strade  ripide  e  tortuose,  i  bei  portoni 


La  torre  presso  Ragusa. 


Porta  di  Terraferma,  Zara. 


7O0 

ni  araldici  elaborati,  le 
mura  della  città,  le  torri  m  stituiscono  un 

insii ;  te.  Dal  buio  cortile  'li  un  palaz- 

zo mezzo   rovinato,   si  esce  talora  su  un   giardino 
sulla  baia  azzurra,  su  cui  si 
cullano  li  '  • :    qualche 


LA    11.  i  I 


Sul  quai,  Spalato. 

pesam.    vapore   del   Lloyd,  qualche  graziosa  corvet- 
ta austriaca. 

Sebenico  è  un  buon  punto  ili  partenza  per  una 
spedizione  nell'interno  della  Dalmazia,  poiché  di  li 
parte  la  ferrovia  per  Knin.  Quest'ultima  è  una  cu- 
ri.», i  cittaduzza  ili  carattere  prettamente  sloveno. 
;  sulle  rive  della  Kerka.  protetta  da  un  grande 
castello  costruito  dai  Veneziani  come  baluardo  con- 
tro le  invasioni  turche.  ESSO  fu  scena  ili  molti 
combattimenti  fra  Cristian'  e  Musulmani.  La  vista 
li.,  diversa  da  quella  della  rosta  :  poiché  men- 
tre questa  è  nuda  e  rocciosa,  attorno  a  K.nin  ed  a 
Drnis  vi  sono  fertili  pianure  bene  irrigate  e  colline 
coperte  di  alberi.  Da  Knin  partono  Strade  per 
tutti   i  punti  della  Dalmazia,  e  verso  la  Bosnia. 

Da  Sebenico,  |«-r  un  canale  tra  la  terraferma  e 
le  isole,  si  va  a  Spalato.  L'antica  Aspalatum  è  la 
più  grande  e  la  più  fiorente  tra  le  città  della  Dal- 
mazia: ma  il  prìncipal  se  pei  il  vi 
sta  nelle  rovine  del  famoso  palazzo  di  Diocleziano. 
Un  tempo  l'intera  contenuta  entro  le 
tro  mura  dell  ma  poi  si  è  allargata  oltre 
quei                 M            punto  di  vista  ■  il  pa- 


lazzo, pei  ■■  Un   po'  una  delusione.   La  co- 

struzione è  pesante  e  tutta  'adente,  e  mentre  tante 
piccole  case  hanno  empito  gli  interstizi  delle  colon- 
nate e  dei  portici,  i  pochi  spazi  aperti  sono  ingoen 

bri    di    impalcature,    penile    alcune    parti    si    stanno 

restaurand     Ma  da]  punto  di  vista  archeologico  ed 

architettonico,      il 

pala//"   è  est  t 
mente       interessan- 
te. Esso  è  il  cam- 
pione  più  comple- 
to   che     esista    del- 

ì  .ir.  hitettura      do- 
lca      romana. 
I      dintorni      di 
Spalato         offrono 

molte      escursioni 

Voli    .  I  >• 

sima  tra  tutte  la 
gita  a  Traii  per 
la  Riviera  dei 
Sette  Castelli,  u- 
na  delle  parti  più 
li  della  costa 
.1. limata.  I  conta- 
dini croati  costi- 
tuiscono una  cu- 
riosa caratteristi- 
delia  regione. 
Si  vedono  uomini 
nel  loro  gai. 
stume  nazionale  a 
cavallo  su  minu- 
scoli asinelli,  an- 
dare attorno  l'or- 
landosi dietro  cia- 
scuno un  agnelli- 
no. Pare  che  quei 
contadini  rechino 
si-  gli  agnelli 
per  .  i.   e   li  tengono  anche  la  notte  nelle 

loro  stanze. 

«Da   Spalato  -  l'autore  —  andammo 

a  Ragusa  di  notte.  Ragusa  è.  nell'insieme,  la  più 
attraente  città  della  Dalmazia.  La  sua  posizione 
è  impareggiabile,  la  vegetazione  lussuriosa,  le  stra- 
de larghe  e  belle.  Ci  vorrei. In-  un  volume  a  descri- 
vere le  infinite  bellezze  di  Ragusa,  della  sua 
ria  meravigliosa,  della  sua  arte,  della  sua  coltura, 
del  graziosissimo  palazzo  del  Rettore,  della  S pon- 
za, dello  splendido  giro  delle  sue  mura». 

Ma   tutta,  del  testo,    la    Dalmazia  è   interessante 
e  degna  di  essere  visitata  |x-r  le  sue  grandi  belli 

rie  che    vivono    nei    suoi    monumenti, 
p.r   l'arte   che  regna    nelle  città,    per    la    curiosità 
della  vita  e  dei  costumi  dei  contadini,  i>er  tanti  al- 
tri rispetti.   Un    viaggio   in    Italia   dovrebbe   es 
dagli    su  da  un    viaggio  in    I 

mazia.   ma    punii    i   turisti  italiani  dovrebhem  i 
■  vicino. 

.li  L.  Villari  nei  i.'ood   Wotdi). 


E'  opinione  generale  che  la  fab- 
bricazione delle  monete  false  richie-  I 
da  un  materiale  meccanico  grande  e  ' 
complicato.  E  questa  idea  è  nata  dal 
fatto  che  nei  sequestri  operati  spesso 
dalle  autorità  si  sono  trovati  molte 
volte  impianti  macchinosi.  Ma  in 
questi  casi,  i  falsificatori  di  monete 
erano  gente  inesperta,  nuova  al  me- 
stiere. 

Ad  una  mano  pratica,  un  grande 
impianto  non  è  necessario.  Pochi 
lanini  strumenti,  ma  sopra  tutto  una 
1  uona  conoscenza  di  essi:  ecco  quan- 
to occorre.  Un  grande  impianto  non 
solo  è  ingombrante,  perchè  occupa 
molto  spazio  prezioso,  ma  è  anche 
dannoso  in  quanto  che  può  facilmen- 
te dare  luogo  a  sospetti.  Questo  e 
un  lato  buono  della  professione.  Ma 
v'è  d'altra  parte  un  inconveniente 
serio:,  la  necessità  di  complici.  Il 
ladro,  il  falsificatore,  il  malvivente 
possono  operare  ciascuno  per  conto 
proprio  senza  necessità  di  complici; 
ma  il  fabbricatore  di  monete  false 
ha  bisogno  di  almeno  due  persone 
che  lo  assistano  nella  sua  industria, 
l'agente  che  riceve  le  monete  che  è, 
in  certo  modo,  l' impresario,  e  lo 
smasher,  che  passa  le  monete  stesse 
nelle  tasche  del  buon  pubblico. 

L'articolo  che  riassumiamo,  com- 
parso nel  Rovai  M agazine,  è  stato 
scritto  da  un  falsario  di  professione, 


La  moneta  autentica  premuta  sur.  vetro. 


Le  fasi  della  moneta  falsa. 


che  ha  consentito  a  lasciarsi 
fotografare,  ma  ha  voluto, 
per  una  ragione  facile  a 
comprendersi,  che  nelle  ripro- 
duzioni delle  fotografie  fosse 
soppressa  la  testa. 

«  Nel  fabbricare  monete  fal- 
se — 'dice   I"  scrittore  —  mia 

prima  :ra  di  scegliere  la 

ni.  mi  ta  I  "ii  tna  da  cui  dovevi  i 
ricavare  la  forma  per  la  fab- 
bricazione delle  altre.  Ci  vo- 
leva una  buona  moneta,  non 
troppo  vecchia  né  nuova,  vale 
a  dire  vecchia  ili  non  più  di 
dodici  o  tredici  anni.  Adope 
rando  una  moneta  più  vec 
chia  eè  il  rischio  che  sin  lo 
gora;  adoperandone  una  più 
nuova,  si  corre  rischio  di  de- 
star sospetto.   Scelta  la  mone- 


762 


LA    LETTURA 


La  moneta  sulla  lastra. 

ta,  la  ripulivo  dal  grasso  e  dalla  polvere,  la 
:inavo  con  polvere  d'argento,  e  la  tenevo 
per  qualche  tempo  sotto  una  corrente  d'acqua 
fredda,  poi  l'asciugavo  e  la  coprivo  perchè 
non  si  sporcasse  di  nuovo. 

«Ciò  fatto,  prendevo  una  lastra  «li  vetro 
assolutamente  piana  e  levigata,  e,  pulitala 
bene,  la  coprivo  di  una  strato  sottile  di  se- 
go, su  cui  premevo  la  moneta  in  maniera  che 
restasse  bene  aderente,  avendo  ben  cura  che 
essa  fosse  perfettamente  piana  sopra  la  la- 
stra, e  non  inclinata,  che  altrimenti  non  a- 
vrei  ottenuto  una  buona  forma.  Indi  facevo 
una  specie  di  scatola  semicircolare  di  carto- 
ne, destinata  a  ricevere  la  pasta  per  la  for- 
ma, ed  appoggiavo  questa  scatola  sul  vetro, 
attorno  alla  moneta,  fermandola  in  quella  po- 
sizione con  un  poco  di  pasta  che  ponevo  in 
giro.  Fissate  cosi  la  moneta  e  il  recipiente, 
versavo  nell'interno  di  questo  l'impasto  che 
doveva  ricevere  l'impronta,  usando  ogni  at- 
tenzione perchè  la  moneta  fosse  ben  coperta 
e  non  vi  fossero  bolle.  Di  questi  1  mi  accerta- 
vo sollevando  la  lastra  di  vetro  sopra  il  mio 
e  guardandola  dal  sotto  in  su. 

«  In  questa  guisa  dunque,   mediante  la  pa- 
sta che  si  trovava  sopra  la  moneta,   io  otte 
nevo  la    forma  di    una  faccia    della   moneta 
stessa  (l'altra  faccia  si  trovava  contro  il  ve- 
tro).   Fatto  asciugare  il  tutto,  toglievo  la  51  a 
tola   di   cartone,  e   poi.    facendo  sciogliere   il 
■  posto  sulla  lastra  di  vetro,  stai-cavo  an- 
che la  fo  n  essa  la  munita.  Asciugata 
nuovamente  la    torma  al    fuoco,   la   metl 
la  superficie  piana  (quella  che  prima 


riva  al  vetro  e  su  cui  era  incrostata  la  1110- 
neta)  in  aria,  la  circondavo  di  una  nuova 
scatola  di  cartone.  11 1  entro  questa  versavo 
altra  pasta  per  prendere  la  forma  della  se- 
conda faccia  della  moneta.  Asciugavo  anco- 
ra il  tutto,  e.  separate  le  due  metà  della  fi  r 
ma,  che  portavano  ciascuna  l'impronta  di 
una  faccia  della  moneta,  staccavo  la  moneta 
stessa  con  somma  cura,  s'intende,  perchè  la 
forma  non  si  guastasse,  e  poi,  sulle  due  su- 
perfici  piane  della  forma,  scavavo  un  canale 
angolare  verso  il  centro,  canale  per  cui  dove- 
vo versare  il  materiale  nel  luogo  ove  prima  si 
trovava  la  moneta  buona  ed  ove  doveva  for- 
marsi la  moneta  falsa.  Ancora  una  volta,  avanti 
di  procedere  alla  operazione  finale,  asciugavo 
al  fuoco  l'impasto,  e  cosi,  preparata  perfetta- 
mente la  forma,  cominciavo  la  fabbricazione 
della  nuova  moneta. 

«  Le  monete  false  si  fanno  con  stagno  e 
piomlx)  vecchio,  messi  a  fondere  in  un  vaso 
di  maiolica.  Legate  strettamente  insieme  le 
due  metà  della  forma,  versavo  entro  il  canale 
angolare  a  forma  di  V  il  metallo  liquido: 
indi,  fattolo  sfreddare,  aprivo  la  forma, 
traevo  fuori  la  moneta  falsa,  e  la  pulivo  ac- 
curatamente.   Il  metallo  si   taglia  con  grande 


L'impasto. 


DALLE    RIVISTE  7Ó3 

facilità:  si  toglie  via  con  le  forbici  il  mate-  essere  mai  falsificata  alla  perfezione:  ed  uno  che 
iiale  che  resta  sull'orlo  della  moneta,  e  poi  con  una  abbia  pratica  capisce  subito  se  una  moneta  è  buo- 
Iima  si  completa  l'opera.  Poche  monete  inglesi  por-     na  o  falsa  semplicemente  guardando  la  costa  che  è 

la  parte  più  difficile  da  imitare. 

Anzi  non  occorre  nemmeno  molta 
pratica,  perchè  effettivamente  il  ri- 
conoscere una  moneta  falsa  dalla  co- 
sta è  cosa  estremamente  facile.  Una 
imitazione  perfetta  di  quella  parte 
non  è  possibile,  e  mettendo  a  con- 
fronto una  moneta  falsa  con  una  buo- 
na, si  riscontra  subito  la  diversità. 
Quando  poi,  come  si  è  detto,  si  vo- 
glia falsificare  una  moneta  che  ab- 
bia in  giro  qualche  iscrizione  (come 
per  esempio  la  lira  italiana  sulla  cui 
costa  sono  scritte  tre  volte  le  lettere 
FERT)  si  trova  una  quasi  assoluta 
impossibilità,  o,  se  pure  si  arriva  a 
qualche  risultato,  questo  non  può  es- 
sere che  pessimo. 

Per  questa  ragione  appunto  una 
delle  monete  inglesi  più  difficili  da 
falsificare  è  la  moneta  da  cinque 
scellini. 

(Dal  Rovai  Magazine). 


Il  perfezionamento  della  forma. 

tano  qualche  iscrizione  sulla  costa,  e  que- 
sta, per  i  falsificatori  inglesi,  è  una  fortu- 
na, perchè  il  riprodurre  tali  iscrizioni  sa- 
rebbe  difficilissimo. 

«  La  forma  può  servire  per  una  ventina 
di  monete  ;  dopo,  comincia  ad  essere 
troppo  consunta  per  dare  buoni  risultati. 

iA  questo  punto,  però,  la  moneta  ot- 
tenuta è  quasi  nera  e  si  riconoscerebbe 
subito  per  falsa.  Occorre  pulirla  per  mez- 
zo di  un  pezzo  di  sughero,  e  con  un  poco 
di  polvere  d'argento,  che  per  altro  biso- 
gna sporcare  alquanto  perchè  la  moneta 
abbia  l'apparenza  di  essere  stata  qualche 
tempo  già  in  circolazione. 

«  L'agente  paga  le  monete  false  ad  un 
prezzo  abbastanza  basso:  un  pezzo  da 
uno  scellino  (L.  1.25)  è  pagato  due  pence 
pari  a  circa  quattro  soldi.  L'industria  è 
dunque  meno  rimunerativa  di  quanto  si 
creda,  dati  i  rischi  e  l'abilità  che  si  ri- 
chiede per  arrivare  ad  un  discreto  risul- 
tato. Lna  moneta  ad  ogni  modo  non  può 


L'immissione  del  metallo. 


Con    Teserei to    di    Menelik 


Molti  che  scrissero  di  sul!  Vbissinia  han- 

nato  che  il  commercio  degli  schiavi  si  pia- 
mi i  paese  <■  che  molti  schiavi  sono 
itati  in  A  ariti  che  trafficano 

sulla  ccidentale  del  Mar   Rosso.   In   realtà, 

invece,  Menelik  ha  rm.ui.ui>  un'energica  ordinanza 
contro  il  commercio  degli  Minavi,  echi  è 
.1  pi  i  traffico  è  severamente  punito.   1  pri- 

gionieri ili  guerra  presi  nelle  lotte  con  le  provincie 
negr-  som     bens     fatti    schiavi,    ma 


sini  consumono  quantità  prodigiose.  A  tutti  questi, 
ed  altri  simili  servici  suini  adoperati  gli  schiavi, 
i  quali,  tuttavia,  sono  ben  trattati,  e,  dopo  jualche 
icmp.i.  considerati  come  membri  della  famiglia.  I 
abissini  non  lavorano  bene  e  richiedono  alti 
salari;  e  siccome  ili  denaro  in  contanti  nel  paese 
ve  n'è  poco,  non  si  parla  per  ora  di  adottarli  in 
iiHiiln  generale  per  i  servigi  domestici. 

Eccettuato  il  caso  che  si  facciano  prigionieri  di 
guerra,  un  Abissino  non  può  procurarsi  uno  schia- 


5l   I     II  VNDO   UN    LEONE. 


gli  Abissini  non  ne  fanno  commercio  e  li  teng 
per  conto  proprio,  per  uso  domestico,  ovvero  li  adi- 
in  i  al  servizio  militare,  cosa  che  gli  schiavi  stes- 
si fanno  con  molto  piao  che  sono  pagati  co- 
me gli  altri  soldati. 

Qi  vi   sono  stati   raccolti    in  tanti  batta 

estrati  alla  vita  militare  dal  conte  del- 
la G  un  ufficiale  francese  che  si  recò  in 
Abissinia  or  sono  cinque  anni,  e  che  ha  reso  asso 
utili  servigi  all'esercito  di    Menelik. 

'lutti  gli  Abissini,  se  si  eccettuino  i  più  poveri, 
impiegano  gli  schiavi  per  le  t'accendo  domestiche 
e  per  compiere  i  duri  lavori  richiesti  dal  loro  ge- 
nere di  vita.  Ter  esempio,  nel  paese  non  vi  sono 
mulini,  e  quindi  tutto  il  grano  deve  essere  pazien- 
temenie  sulla  pietra.   E  poi  e';-  da  prepa 

rare  l'orzo  e  da   macinare  il    pepe,   di   etti  gli    Ahis 


vo  senza  il  permessi'  del  Re,  che  deve  essere  pi 
tato  al  governatore  del  lungo  ove  l'abitante  v 
soltanto  dopo  tale  presentazione  l'abitante  riceve  un 

certificato   che   gli    permette  di    prendere  lo   sch 
In    generale  gli    schiavi    sono    ragazzi  o  ragaz, 
primi  allibiti   ai  lavori   all'aperto,   alla  sorveglianza 
dei  cavalli,  ilei  bestiame,  ecc.  ;    le  seconde  per  i  la- 
vori   di    casa.    Sono   comperati   dai    genitori    ad  un 
prezzo  che  si  aggira  intorno  alla  cifra  di  25  lire  no- 
stre.   Il  compratore   non    può  rivenderli,    ma 
se  vuole,  cederli  gratuitamente. 


Continuando   le  sue  spigolature  sulla  vita 
na  (l'autore  dell'articolo  che  riassumiamo  ebbe 
me  di  studiarla  duranti-  la  campagna  compiuta 


DALLE    RIVISTE 


765 


Cammelli  razziati. 


dagli  inglesi  e  dagli  Abissini  contro  il  Mad  Mul- 
lah) il  capitano  Cobold  parla  delle  caccie  che  ebbe 
occasione  di  fare  durante  una  quindicina  di  giorni. 
In  questo  periodo  di  tempo,  uccise  ventun  leoni,  e 
numerose  antilopi,  gazzelle,  più  dodici  leopardi  ed 
un  rinoceronte,  senza  contare  la  preda  minuscola. 


Gli  Abissini  sono  specialmente  occupati  la  mat- 
tina, prima  di  colazione,  quando  non  fa  molto  cal- 
do. Adora  si  trattano  tutti  gli  affari.  Raramente  si 
attende  a  qualche  occupazione  seria  nel  pomeriggio, 
che  generalmente  si  passa  dormendo  dopo  un  lauto 
pasto,   poiché    gli    Abissini   sono  mangiatori    formi- 


H£?4 


L'esercito  in  marcia. 


766 


LA    LETTURA 


in    lealtà,    i    sudditi   ili  Menelik  Durate  le  sue  operazioni  coatro  il   Mad  Mullah, 

:.  ii                   i    natura    lavoratori,    anzi    non    fanno  l'esercito  abissino  devastò  quasi   tutto  il   paese  che 

quasi  mai  niente.   Per  la  grande  maggioranza  sono  attraverso.   Una   delle   fotografie  mostra   l'esercitcl 

0  preti   o    soldati;    pochissimi   si   dedicano   al    com-  in   marcia,  e  dà   un'idea   straordinaria  dell'ordine  o 


\ 


PliCURK    RAZZIA  I  K. 


men  io.  E  con  loro  è  assai  difficile  trattare,  perchè  meglio  del  disordine  delle  truppe.  La  fanteria  è 
son  gente  che  porta  per  le  lunghe,  e,  parlando  di  mescolata  alla  cavalleria  ;  di  servizio  di  perlustra- 
affari.  secondo  l'uso  orientale,  si  occupano  di  dire     zione  non  v'ha  il  più  [ontano  accenno  :  ognuno  cam- 


La  restituzione  dei  beni  rubati. 


più  quello  che  credono  possa   far  piacere  a  chi   li  mina  dove  vuole  e  come  vuole,   non  dimentii 

i  che    la    verità.    Ed    hanno    per   giunta  una  però  mai  di  razziare  quando  l'occasione  si  presen- 

graode  avversione  a  dire  sì  o  no:   lasciano  passare  ta.  L'esercito  preda  sempre  quanto  può,  senza  far 

mane  e  mesi  prima  di  prendere  un  impegno.  distinzione  tra  amici   e   nemici,  tanto  che   in  certe 


DALLE    RIVISTE  71»; 

occasioni  diviene  necessario  raccogliere  tutto  il  be-     restituirlo  ai  legittimi  proprietari.   Una  delle  foto- 
stiame  rubato  a  villaggi  amici   all'imperatore,    per     grafie   qui    riprodotte   rappresenta    appunto  questa 

funzione  riparatrice. 

Come  gli  Abissini  sappiano  rubare,  ampiamente 
si  vede  da  altre  due  figure.  Xella  prima  si  scorgo- 
no due  grandi  greggi  presi  al  Mad  Mullah,  greggi 
di   ottimi  cammelli,   bellissimi   e  robusti. 

Nell'altra  si  vede  un  gregge  di  pecore  prese  qua 
e  là  agli  avamposti  nemici.  Siccome  non  esiste  uno 
speciale  servizio  di  rifornimento  nell'esercito  abissi- 
no, queste  razzie  fanno  molto  comodo. 

Ogni  suddito  di  Menelik  che  non  sia  prete  ha 
l'ambizione  di  possedere  un  fucile,  ambizione  che 
i  trafficanti  europei  si  incaricano  di  secondare.  Que- 
sti fucili  sono  sparati  con  la  massima  facilità,  e 
siccome  non  si  usano  laggiù  le  cartucce  senza 
proiettile,  i  feux  de  joìe  sono  sempre  pericolosi  e 
danno  spesso  luogo  a  disgrazie.  L'articolista  riferi- 
sce che  una  volta  in  una  festa  un  povero  disgra- 
ziato fu  colpito  da  una  fucilata  e  stramazzò  a  ter- 
ra. Subito  gli  si  avvicinò  un  altro,  che  gli  tirò 
un'altra  fucilata  al  capo.  Pare  che  si  faccia  così  per 
accertarsi  che  il  disgraziato  sia  proprio  morto  e 
che  non  soffra  ! 


A    DONATA    DA     MENELIK    AD    EDOARDO    VII. 


(Dal    Mute   World  Magazine). 


Santi    e    pirati    a    Montecristo 


Carlo  Paladini,  di  cui  la  Lettura  pubblicò  tempo 
addietro  un  articolo  suU'/sola  del  Re,  scrive  in- 
torno alla  storia  dello  scoglio  famoso  molte  cose 
interessanti,  che  riassumiamo  per  i  nostri  lettori 
dalla  Rivista  d'Italia  di  giugno. 

La  storia  di  Montecristo  si  confonde  con  quella 
San  Mamiliano  e  dei  suoi  seguaci.  Il  santo  fiorì 
verso  la  metà  del  V  secolo,  e  fu  arcivescovo  di  Pa- 
lermo. Espulso  dalla  sua  sede  dai  Vandali,  e  im- 
prigionato, fu  condotto  a  Cartagine  ;  di  là  si  ri- 
fugiò in  Sardegna  e  in  vicinanza  di  Cagliari  visse 
da  eremita.  Venuto  in  fama  coi  suoi  seguaci,  per 
sottrarsi  alle  dimostrazioni  dei  troppo  zelanti  fe- 
deli, pregò  alcuni  marinai  che  lo  conducessero  al- 
l'isoletta  di  Monte  Giove,  ma  fu  lasciato  all'Elba. 
Altri  marinai  di  Barberia  ricusarono  anch'essi  di 
trasportarlo  e  lo  derisero;  ma,  levatasi  una  tem- 
pesta, e  sospettando  che  ciò  avvenisse  per  volontà 
divina,  in  castigo  dei  loro  scherni,  essi  tornarono 
all'Elba  e  trasportarono  gli  eremiti  a  Monte  Gio- 
ve, diventato,  da  allora.  Montecristo.  Narra  la  leg- 
genda che,  stabilendosi  lì,  San  Mamiliano  strozzò 
un  mostruoso  e  orribile  serpente  che  divorava  in 
un  solo  boccone  quanti  approdavano  nei  suoi  domi- 
mi :  dalla  tana  del  mostro  esce  anche  oggi  una 
sorgente  di  acqua  putrida  e  nera,  che  i  marinai  e 
i  cacciatori  sostengono  sia  maledetta  e  velenosa. 

Qualche  tempo  dopo,  San    Mamiliano  tornò  al- 


l'Elba e  i  suoi  compagni  al  Giglio.  Sentendo  avvi- 
cinarsi il  suo  ultimo  giorno,  l'eremita  volle  andare 
a  Roma  per  visitarvi  le  tombe  degli  Apostoli  ;  ma 
non  potè  compiere  il  suo  desiderio.  Fu  trasportato 
invece  all'isola  del  Giglio,  e  lì  disse  al  popolo  ra- 
dunato che,  vedendo  una  colonna  di  fuoco  alzarsi 
su  Montecristo,  andassero  subito  là,  perchè  quello 
era  segno  che  egli  stava  per  morire.  Vistosi  infatti 
il  fuoco  il  19  settembre,  i  Gigliesi  volarono  à  Mon- 
tecristo per  prendervi  il  corpo  del  santo  e  portar- 
selo nella  loro  isola.  Ma  gli  abitanti  di  Montecri- 
sto si  opposero,  e  ne  nacque  una  zuffa  tremenda 
durante  la  quale  la  salma,  sbattuta  e  tirata  di  qua 
e  di  là,  ebbe  strappato  un  braccio  che  rimase  a 
Montecristo,  mentre  i  Gigliesi  scappavano  in  fretta 
involando  il  resto  del  corpo.  Infante,  Eustachio  e 
Goboldeo,  compagni  di  Mamiliano,  furono  poi  se- 
polti accanto  a  lui.  Dice  la  leggenda  che  nel  ini 
un  prete  fiorentino,  avendo  rapito  quei  corpi  per 
portarli  a  Firenze,  entrata  la  nave  a  Bocca  d'Arno 
e  arrivata  al  monastero  di  San  Matteo  di  Pisa,  si 
fermò  a  un  tratto,  né  fu  possibile  farla  avanzare. 
Fu  interpretato  che  in  quella  chiesa  volevano  quei 
corpi  esser  sepolti,  e  così  fu  {\w\>>. 

La   Grotta  del   Santo   è  una   caverna    naturale  . 
molto  grande,  dove  è  fama  che  il  pio  vescovo  1 
tasse  le  sue  orazioni.  Vi  si  recò  Napoleone,  idean- 
do dalla  più  alta  cima  della  granitica  scogliera  il 


768 


l  \    LETTURA 


noto,  .ir. luci  disegno  di  rigenei  i 

emmana.   v-i  gennaio  e  nel  febbraio  del  1870 
ad  abitare   la  Grotta   Davide    Lazzaretti,    in 
a  di   mi"'  ■•  ioni  riguardanti    la   grande 
1  redeva   dover  compiere  sulla    terra, 
orni,    rivendo  'li    1»»'"   pane  secco, 
razione,  e  scrivendo  molti   versi   nei  quali  ap- 
parisce  il  SI riginale    radicalismo   ri-ligi. .su  e   po- 

1  1  iato  fra  1  suoi  compaesani  e  correligio- 
con  una  più  fulgida  aureola  d'ispirato,  rac- 
contò  che  nella  Grotta  di  San  Mamiliano  aveva 
udito  le  parole  di  Dio  dalla  stessa  sua  bocca,  pa- 
1  declamate  lentamente  e  sillabate  come  in  to- 
ni, musicale....  ira  il  fragore  del  turbine....  e  lo 
scrollo  terribile  >li  tutta  l'isolai. 


Mi  Ite    leggende   corrono   intorno   alle  gesti-  dei 

a   Monti  1  risto. 
Una  ili  esse  narra  che  una  banda  degli   ultimi 

tri  di  Tunisia,  pei  sottrarsi  al  castigo  del  boia, 
s.    rifugiò    n.-ll  isolctta.    Il  capo   dei    pirati    era    un 
0  Martino,   un  gigante  torvo,    tenie  e  tutto  pie- 
li  cicatrici:  a  forza  di  rapine  e  di  delitti  aveva 
gettato  lo  spavento    in   tutto    l'arcipelago   toscano. 
Una   notte   passò   da    Mbntecristo   una  paranza  co- 
mandata da  un  uomo  che  aveva  |«-r  ciurma  i  propri 
quattro  figlioli,  e  carica  di  una  somma  di  200  mila 
lire.  Ad  un  fischio,  la  feluca  barbaresca,  che  stava 
osta  in   una    strettissima    gola    dell'isola,    piom- 


\. ipoiino  da  guerra,  il  Giglio,  con  una  compagnia 
di  bersaglieri  agli  ordini  del  capitano  Mantellini. 
Furono  presi  1  tre  ladri,  e  poco  dopo  anche  gli  al- 
tri cinque  che  percorrevano  la  Maremma,  e  tutti 
furono  giustiziati. 

Un'altra  leggenda  narra  di  uno  strano  fantasma 
che  aiuta  Monti-cristo  ed  è  condannato  a  vegliare 
immollile  tutta  la  notte.  Questo  fantasma,  vi 
di  bianco,  si  chiama  il  Frale  di  Montecristo,  e 
oggi  gli  K 11  >ani  raffigurano  la  sua  statua  in  un  liei 
masso  di  granito  bianco  che  si  stacca  dal  monte 
disegnandosi  nell'azzurro  del  cielo.  Anche  qui 
leggenda  ha  il  suo  nocciolo  di  verità.  Nel  1839  due 
eremiti  di  nazionalità  straniera  ottennero  dal  Go- 
verno il  permesso  di  abitare  Montecristo.  Questua- 
rono ferri,  attrezzi  e  denaro  all'Elba,  per  costruirsi 
un  tugurio  e  coltivare  la  terra  ;  ma,  venuti  in  di- 
scordia, uno  di  essi  si  stabili  in  una  cappella  del- 
l'antica chiesa  di  San  Mamiliano,  e  l'altro  restò 
nella  Grotta  in  riva  al  mare.  Uno  era  umile,  pa- 
ziente, religioso;  l'altro  tutto  il  contrario.  Il  primo, 
minacciato  nella  vita,  trovò  uno  scampo  all'Elba; 
l'altro  fu  sfrattato  per  ordine  del  Governo  tosi 
II  fratino  buono  dicono  che  fosse  nobile,  e  a  Cam- 
po dell'Elba,  dove  morì,  lo  chiamavano  //  Conte; 
pare  certo  che  discendesse  da  una  famiglia  di  conti 
austriaci  molto  facoltosa. 

A  Campo  dell'Elba  morì  anche  un  altro  frate 
molto  ricco  che  visse  molti  anni  nel  convento  di 
Montecristo.    Si   chiamava  padre    Silvestro,   e    por- 


Ila  barca:  il  padre  e  i  due  figli  maggiori  cad-     tava  sempre  seco,  a  tavola,  a  letto,  dovunque,  il  te- 


derò crivellati  di  ferite;  gli  altri  due  furono  con- 
dotti a  Montecristo.  incatenati  sopra  uno  scoglio 
e  lasciati  morire  di  fame  e  di  spavento.  Forse  da 
questa  storia  pietosa  deriva  il  nome  di  una  insena- 
tura di  Montecristo.  chiamata  Cala  Gemelli.  Né  la 
storia  è  tutta  leggendaria.  Il  fatto  vero  andò  cosi: 
nel  1849  una  tartana.  Nostra  Signora  delle  Vigne^ 
da  Genova   jx-r    Livorno,    con  un   carico   di 

.  zucchero,  paste,  manifatture,  ecc.,  del  valore 
di   60  mila  lire.    Aggredita   nel   golfo  della  Spezia 

tto  ladroni,  l'equipaggio  fu  trucidalo,  tranne 
due  fanciulli  che  furono  trasportati,  con  la  tarta- 
na. a  Montecristo,  Scaricata  dalle  merci,  questa  fu 
.  e  anche  oggi,  quando  il  man-  è.  per  la 
grande  tranquillità,  trasparente,  si  vede  la  sua  car- 

1:  40  anni  dopo  il  marchese  ('.inori  ne  pescò 


schio  di  un  suo  compagno.  Morendo,  volle  che  que- 
sto teschio  gli  fosse  posto  sul  petto  e  venire  se- 
polto insieme  con  la  sua  salma.  Fece  costruire,  a 
Campo,  una  chiesa  eguale  a  quella  di  Montecristo, 
con  proprie  spese  ;  scrisse  in  tedesco  memorie  mo- 
nastiche, visioni  e  conversazioni  ascetiche:  mezza 
dozzina  di  grossi  libri.  Qui  finisce  la  cronaca  ;  ma 
la  fantasia  popolare  aggiunge  che  una  sera  arrivò 
a  Montecristo  una  barchetta  misteriosa,  dalla  qua- 
le scese  un  giovane  biondo  e  ventenne.  Salito  al 
convento,  manifestò  al  Padre  Guardiano  il  grande 
segreto  che  lo  determinava  a  ritirarsi  in  quell'ere- 
mo; ma  il  segreto  rimase  sepolto  per  sempre  fra 
le  mura   claustrali. 

L'n'altra  leggenda  è  quella  del  corvo  di  una  gran- 
dezza  straordinaria    che    vive    da    moltissimi    anni 


una   magnifica    antenna.    Depredato  e    affondato    il     nell'isola  e   vi  si    aggira   gracchiando  sinistramente. 


mento,    i    ladroni,   commisero  un'infamia    rac- 
inti  :    segarono  la  gola   ai   due   fanciulli  e 
ati    .lue   scaglioni    di    granito  ai   cadaverini,  li 
buttarono    in  mare.    Cinque    degli   assassini   sbarca- 
rono no,  in  cerca  di  compratori  della  mer- 
le predata,  altri  tre  rimasen    nell'isola  a  custodirla. 
\l  :  un  p  andò  Mi  mtei  1  isti  i,  sospet- 
appunto   si   nascondessero    i    ladroni  di 
-./  Signora   delh    Vigne,    della   cui   scomparsa 
tutti  parlavano  a    Livorno.  .-  denunziò   i    sospetti  al 

to  nell'isol 


Prima  aveva  una  compagna  che  gli  fu  uccisa  da 
un  cacciatore;  e  da  allora  in  poi  non  ha  voluto  più 
riprendere  una  moglie  legittima.  Però  ogni  anno. 
nella  stagione  degli  amori,  va  in  Corsica,  e  al  ri- 
torno conduce  a  Montecristo  una  sposa  d'cn 
con  la  (piale  vive  da  buon  padre  di  famiglia  finché 
nati  i  piccini  ;  ma.  appena  ai  corvetti  spunta- 
no le  penne  maestre,  egli  riconduce  in  Corsica  mo- 
glie  e  figli,  e  se  ne  ritorna  solo.  I  marinai,  sen- 
timeli! di  e  poeti,  dicono  che  faccia  così  per  un  ri- 
guardo alla  prima  moglie  defunta. 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore 


Milano.    1902.  —  Tip.  del    ■ 


Galli  ZZI  GlO^  inni,  ferente  responsabile 


J 
l 
I 

flj 
i 

a 

! 

I 

a 
i 
i 
i 

a 
li 

! 

a 
a 
a 
f 
a 
i 
i 
j 
i 
i 
i 
i 
a 


ANEMIA  -  CLOROSI 


IH 

i 

1 
i 

U       E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 

11  si  curano  e  si  guariscono  col 

1 

I 

1 

il 


IL  EU     ECONOMICO  BEI  FERRUGINOSI 


Biogenol  Pagliari 


ni 


aj 


ESTRATTO  PANERAJ 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

eiiloaoissi  m.  o     nelle     £  o  r  «:» o     o e». 1 tu *•«•  ali 


L.    1    la    bottiglia    in   tutte    le   farmacie 

SS*-— 

.    SCIROPPO  PAGLIARI 

i  /'/  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 

ottimo  per  /a  CURA  ERI  MAI  ERI  LE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia        in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 

pi 

il 

Il  ■ 
n 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
il                                       RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 
Il  

I  PER     USO     INTERNO     E     PER     USO     ESTERNO 

II  

L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

!     PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

|  Doti  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno , 

0) [I 

rv7=»  =i7=  =tp^  pp  ^p^  <=;t=>  ^p^  c=;t=>  =0==  <=^=  =;i=i  <=;ì=>  i=;p=i  1=ip5  ^^  1=^^^ 


ADDIO,    NIKOLAL 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 

autore  del  Dottor  Nikola,  della  Verga  della  Sapienza,  ecc. 


(Continuazione,  vedi  numero  precedente). 


[/indomani,    m  tutto   il    giorno,    i vedemmo 

ii"ii    losè   che  di    sfuggita    all'Ufficio    postale,    i) 

no  'li  poi,  ci  .l' i  ompag n  una  gita  .1  <  ihiog- 

i  >pi  3i  trattenne  :i  pranzo  con  noi.  Benché 
sapessi  che  Glenbarth  continua  a  dete  tarlo  la  sua 
a  era  ci  ti  elata  da  non  esser  quasi  visibile. 
sui  tardi  della  sera  mi  venne  portata  una  lettera. 
\i  i>nni..  sguardo  sull'indirizzo  capii  che  era  .li  Ni- 
kolo.  Essa  diceva: 

Mm  caro  Hatteras, 
«  Ricordandomi   del    desideo  io  de]    vostro    amico, 

Marlin. .s.   ili   Visitare  il   inni  palazzo,   gli  serissi 

ili  venire  .la  me  a  pranzo  domani  sera.  Se  voi  ed 
il  Dura   vorrete  procurarmi  il  piacere  della  vostra 
pagnia,  non  no  bisogno  .li  dirvi  quanto  sarei 
lieto 
«  Il  vostro  sincero  amico. 

\n  OLA  ". 

Non  avete  ancora  ricevuto  la  -uà  lettera,  non 
è  vero  1  —  domandai  a  Don  José  Ebbene,  che  ne 
dite? 

—  Dico   che    accetto   ben    volontieri    —    rispose 

o    -    a  condizione  però  che  voi  mi  accom- 

Non    avete    nessuna    obbiezione    in    proposito, 

i  in.  a  '         dissi     1 1\  oli  i  adi  'ini   a  Glenbarth. 
i  api)   subito  che  la  cosa   non   ?-rii   andava  mollo 
ni...   ma  egli  n. .n   pote\ a  rifiutare. 
Sarò   felicissimo  —   rispose. 
Per  la   prima  volta,   in  vite  sua.  egli   diceva  de- 
liberatamente    quello  di.'  non  pensava. 

Capitolo  VII. 

—  Spero  bene  che  non  andrete  a  pranzo  dal 
dottor  Nikola,  in  quella  strana  casa?  -  mi  disse 
mi.-  moglie  .piar. !..  fummo  soli.  —  Dopo  quanto 
•  ■.•  in-  i  acconto  il  Duca,  sarebbe  propi  io  un  as 
surdità    l'andarvi. 

Bimba    mia.    non   vedrei    la    ragione   di    riflu 

il  su.,  invito.  Non  sa i  il  primo  che  pranza 

in   quella   casa,    e   non    cred ppure   di    es 

l'ultimo,    ihe  \  ili  te  che  mi  sui  i   .la  '  l  i ed  te  \ oi 
che  siamo  ritornati  ai  tempi  dei  Borgia  .•  che  \i 

kola    ci    voglia    awele 
nare  '  No,  no,  invece  io 
mi  riprometto 
cevolissima     serata     i- 
-ti  attiva 

SI,  menu  e  ni  I,  qui 

torn 

;..   isando  a 

rebbe 
punto  se  a  meta   pran 

vòlta   si 
dasse     e     vi      precipi 
uri      sotterra 

il'.,     e    Se    NiK'.la. 

della    sua 
chimica,    mettesse   nelle 
i 
~ ~ ^— — ^—    |u  |    addormentarvi    per 
I  per  qualche  altro 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  si  rompono  subito  1 


Di  19  ubi  impre  nw.u  eruttili 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


esperimento    nell'interesse   della  sua   scienza.    Non 
siete   pun  li .    Dick. 

—  Piccina  una  cara  siate  ragionevole,  vi  pn 
Non  e  forse  naturale  che  Nikola,  sapendo  che 
Don  José  è  da  poi  til  giorni  a  Venezia,  i  .h  più 
che  .-  nostro  amico  avendoci  visto  Insieme),  de 
siderasse  ili  fargli  qualche  coi  il  palazzo  Ri 
vecce  è  uno  dei  palazzi  più  interessanti  della 
città:    avendo    Don  Martinos  espresso   il    desid 

.li    Visitarlo,    egli    lo    invitò    a    pran/...    Nulla    .li    pm 
naturale,    mi   pare.   Siai el   diciannovesimi 

Ci  li 

—  Che  secolo  d'Egitto  —  replicò.  —  Torno  a  dirvi 
quello  che  vi  dissi  dianzi  :  sono  dolentissima  che 
ci  andiate, 

—  in  pure  ne  sono  spiacentissimo,  credetemelo 
Ma  come  le  cose  siami...  mai  posso  rifiutare  l'in 
Vito  e  lasciar  andar  soli  Don  Martinos  e  il  Duca. 
Che  debbo  dunque   fare?   Ditemelo  voi 

—  i  ini.,  melliti  che  ii  .andiair  —  mi  rispose  tri 
ste,   triste.  —  Non   so   perchè,   ho  il   presentimi 
rhc  le  cose  non  andranno  a  finir  bene. 

E  da  quel  momento  non  se  ne  parlò  più. 

L'indomani     manina,     mentre,     dopo    colazii 
stavo    fumando  con    Glenbarth,   egli   entrò   sull'ar- 
gomento. 

—  Ma  che  gli  vinili'  in  mente,  a  quell'altri!,  di 
Invitarci  a  pranzi..  Ieri  sera  pareva  che  ciò  \i  sor- 
ridesse.   Siete  sempre  della  stessa  idi 

—  Pere-In'  no?  Mia  moglie  non  vede  la  ...sa  di 
buon  occhio,  io  Invece  sono  curioso  di  vi 

K.ila   nella  sua   parte   di    anfitrioni     L'ultima 
che  pranzai  con  lui   fu  a  Porto  Saicl,   e  non   fu  un 
pran.       Jlegro,   ve  I"  posso  a--i.ui  are    E  poi, 
curi..-.,  di  vedere  che  impressione  farà  la  casa  del 
dottor  Nikola    a   Don   Martini 

—  Vorrei    che   si    sbarazza--.'   di    lui    puri-   — 
plico   il   mio  compagno,  —  più   lo  vedo  e   più   mi 
e  odioso 

—  E  perchè?  i  ;he  male  \  I 

—  Non   è   per  questo,   —  dissi    Glenbarth,   - 

mia  anni. alia   è   istintiva,    COI Istintivo    il    • 

uni. 'ni.,  di   raccapriccio  nel   vedere   un   serpenl 
un    pipistrello     Nonostante    la    sua    apparenti 
sia.  non  sarei  punto  sorpreso    se  mi  dice 

nel  passato  commise  più  di  un  delitto. 

Che    sciocchezze!    Perchè    supp  V 

geloso  .h  lui,    lui   dal   primo   momento  i  In 
\ .  de  '     i' mi.,  che   si    mettesse   a    far   la  i 

a    mis-    Trevoi .    Non    i  itisi  i  ;i    sormoi 

qui  -i"    sentimento,    i  ti  -  he   non   lo   poi 

ite    di    \  hi.'.'ia  i.   ■■    \  .'.li.ir   che.  . 
scendi  .lo  mi    lio,   i lifii  In  1 1  le  la   \  ostra  opini 

—  Questo  non   sai  ti   m  i  i        egli   rispose  con\ 
E   se  voi   vedeste   I  noi 

io  .  ertamente  lady  riatterai 

—  i  ni"  Glenbarth.      dissi   alzandomi   dalla   Si 
e   interrompendolo         voi   siete   semp 

.  -ti ...   ho  il  ilii 

■  li    dirvelo,    Se    voi   prefei  ite    il n    \  eli i 1 1 

padronissimi  vostre  si 

pei    carità,    non   mettetevi   a  i  re  delle  i 

stioni   spi  i  re   siamo  qui. 

ne.    .Il     questi     desili 

E  per   .li    pili,    non    vi    voglio 


Scheuerin 

il  migliore  sapone  per   cucina;    chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti  di  ge- 
neri casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 


Vendita  esclusiva  all'indosso  MAX     15*1*A.^V K. 


MILANO. 


ti 


MACCHINA  PBH  SCRIVERE 

WILLIAM 


JJ 


Unica  macchina 

di     1°    ordine,     a    scrittura    visibile 
e   senza   nastro 


Maneggio  facile  -  Tastiera  Universakr 
I   pregi    della   macchina 

«  WILLIAMS  N.   4   • 

l'hanno  fatta   preferire 

anche   a    quelle 

già    ritenute    le    migliori 

■ *se> 

Chiedere    Cataloghi,    lista    clienti 
e   macchine  in  prova 
agli  -A.j>:erxti  generali 
ed  eselusivi  per  l'Itf»lii« 


Ing.  G.  POHTREMOLlI  &  C.    -  |Wilano  -  Via  Dante 


PELI  0  LANUGGINE 

col  DEPILENO,  Depilatorio 
rliaave.  Flacone  con  istruzìon 

CAPELLI  NERI 


del    viso    e    del 
corpu   sparisco- 
no   per    sempre 
col  DEPILENO,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.  Boe- 
rliaave.  Flacone  con  istruzione  L.  3  ifranco  L.  3.50). 


e. ili  ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
istantanea,  che  si  applica 
ofgni  -0  giorni  si  può  dare  ai  capelli  bianchi  o  grigi  o 
alia  barba  quella  tinta  naturale  che  più  bì  desidera.  E' 
affatto  innocua.  —  Flacone  L.  2.50    franco  L   3.10  . 


CALLI 


duriuni.  oc^hi  di  pernice,  ecc.    Guarigione 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dellinfallibile  Callifugo    CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30). 

Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 

OFFICINA  CHIMICA  DELL  AQUILA 


SORDITÀ 

Boccetta  L.  1.75  I 

SI  DIMAGRISCE  g 

TRO  L  OBESI1 

curo  effetto  e  se 
dipe.  sono  pure  i 
stitichezza,  cmoi 
scolo  sniegativo. 

GRATIS 


E  MALI   D'  ORECCHIO    SI    guari- 
scono   usando   il    linimento   acustico 
TJDITINA  del  dottor  W.  T.  Adair. 
Boccetta  L.  1.75    franco  L    2).  Istruzione  gratis.     <•« 

poche  settimanepren- 

ndo   ot_-ni    giorno    al- 
cune PILLOLE  CON- 
TRO L  OBESITÀ*  del  dott.  Grandwall.  Rimedio  di  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'a- 
dipe, sono  pure  indleatissime  contro  i  disturbi    digestivi, 
stitichezza,  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  G-ratisopu- 
scolo  sniegativo.  L.  4.50Iascatola  1,4.75  franco  di  porto  i 
IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.  Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati. 
—  Guida  per  le  tamiglie.  —  52  pag.  il- 
lustrate, si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  di    semplice 
carta  da  visita  colle  iniziali  M.  S.  S. 


Via  S.  Calocero,  35 


FERNET-BRANCA 

del   Hi  V  l'I  1.1,1   BRANCA  di   MILANO 

I  soli  che  ne  possessorio  il  v«ro  e  frinii  no  Di'ocesso- 

Stanipato  completamente  colla  macchina  ~  Fulgor  «  NEB10L0  <■  ('.  -  TOSINO  -  Milano-  Genova. 


AMARO,  TONICO,  CORROBORANTE 
DIGESTIVO 

guardarsi  dalle  innnmerfivnli  contraffazioni 


Il 


ADDIO,    NIKol.A  !.. 


pranzo.   Si  i  Ivete  a  Nikola  che  ai 

trambj  il  su vlto   Quanto  al  dottor  Ni 

Koin  e  a  Don  Martinos,  Dio  li  b<  ni  dica!  Vorrei  i  he 

i         i     Liti      .ir     del   ni lo. 

dunque    a    Nikola    i  lie      uremm 

ù  i  he   ni i ■■    Dopo 

ra    mia  moglie  venne  da  me  con 

il.,  paura  che  Gertrude  sia     ammalata.  Essa 
andò   ni   .  amei  i   sua  tndosi  di   un   gran   mal 

di  ci        e  di  un   Indolenzimento 

eci    quanto   seppi,     ma    se    verso 
un'ora   non   starà  meglio,   credo   sarà   prudente   ili 
unare  un 

Dopo  '  olazione,  continuando  es    i  a    'Si  poco 

,  uni;,  venire  un  dottore  inglese  Egli  di 
he  oon  sapev  a  scopriri  nulla  nella  ra 
i  tstificari    quei  misteriosi  sin 

i     di   un   temperamento  eccitabile,    la   signo- 
i   [domando  li  dottore  quando  fummo  si  li 
in  sali 

il       direi  anzi  che  è  una  donna 
i  ,i.  ed   i  quilibratissima. 
\ii    t,-,  e    ani  oi a    altre    due    o   tre  domande,    e 
poi   se   ne  andò.,   promettendoci  di  tornare  l'indo 

Non  so  proprio  davvero  cme  -piegare  la  rosa 
disse  mia  moglie,  quando  il  dottore  fu  uscito. 
\\ ,  •. .1  i  aria   ili   star  cosi   bene   Ieri   sera,   i  rei 
trude    Ora  è  là  sul  letto,  e  si  lamenta  di  un 
limi.                 b  i   i  apo    e    dell'indolenzimento    alle 
membi  a .  ba  i  piedi  e  le  mani  di  ghiaccio,  ed   11 
bianco  come  un   foglio  ili  rana 
v                 . 'in  Miss  Trevor   volle  alzarsi,  ma  tu 
obbligata  ili  rimettersi  a  letto,  il  mal  di  cafco  era 
mi,,    ma     l'estremo     Indolenzimento     durava 
tata   incapace   ili   reggersi   in   piedi,   così 
mi  disse  mia  moglie.  Non  si  pi omaginare  l'ef- 
fetto ili  questa  notizia  sul   Duca    Era   L'immagine 
della    i           i          tanto  più  che  non  gli  era   pei 
o  ih   dar  sfogo  al  sui.  dolore.   Egli   era   ben 
lontano  dall'essere  LI  ragazzo  calmo  e  sereno  d  una 
volta!   Un  nonnulla  lo  Inquietava,  ed  alle  volte  si 
ili  .va    un    grande    Infelice.    Vedendo   ine   a 
imn  se  ne  poteva  far  nulla,  lo  indussi  ad  u- 

scin     e  quando  dopo  un'ora  appena  che  erava 

i,  mi  rifiutai  di  ritornare  all'albergo,  mi   rece 
capire  che  ero  uni    snaturato,  che  non  avevo  cuore. 
-  Sto  pensando  se  ci  fosse  qualche  cosa  che  i"1 
far  piacei  e  a  Miss   rrevor,       mi  disse  menti  e 
attraversavamo   la   pia/za   ili   S.  Marco.  —  Si   po- 
trebbe mandai  gliela  a   nome  \  ostro. 

—  Le   potreste    mandare  dei   fiori  —   risposi,   — 
e  mandarglieli  a  nome  vostro  e  non  al  mio. 

—  Avete   1  1   Ione!   Alle  volte  avete   ancora  delle 
buone    idee! 

—  Vi  ringrazio  -   risposi  umilmente  —  l'otteni  ri 
l'approvazione  di   Sir  Hubert   Stanley  6   una    ■ 
prezii 

—  finitela  con  le  vostri   Insulsaggini  —  rispose 
■  ii  entriam  1  àtei   Boi  aio 

Quello  che  spese  In  fiori,  sarebbe  bastato  al  mio 
mantenimento  in  -  1  per  un  mese  Dopo  aver 
pagata  e  dato  ordine 
.  he  »  enissero  immedia 
ti  man  dati  al  l'h  0 
tei  Gal  aghetti,  uscimmo 
dal  negozio  Qu  indi 
fummo  fuori,    Gleni 

1 issava    dal    chie 

1  1  ,'i:'\  0    prò 

prio    che    1    1 li 

rebbero   stati    graditi,    0 
se  l'ila  non  avi 

quesl (in 

■    1  1    1!    pri 

fumo  dei    Bori   non 
1 1  '  l'i»,   ai  ni"   per   la  1  a 

mera  il immalal 

li    ili 
Dopo  ciò, 


ESIGETE 


ITOMI 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TOIUXO 


~i  Inquietava  temendo  1  he  II  negozianti  ives 

se  eseguito  subito  1   suoi  ord i  voleva   tornare 

indietro    pei  ene.   A    mia    giustificazione, 

devo  confessare  che  mostrai  una  grandissima   pa 

indomi  del  mii  1  seni  Imi  ni  1   in  simili 

istanze     \i    ritorno    seppimo    che   l'ammalata 

slava    un    ian  io  .    era    1  iuscita  a    di  rn 

e  ciò  le  aveva  giovato  Mia  moglie  contava  ai 
passar  la  sera  con  lei,  onde  potevamo  andai  via 
completamente  rassicurati   sul  suo  conto. 

Mie  6  3/1  andammo  a  vestirci,  e  dopo  una  mez- 
z'ora   riavalli"    i dine     Nella    hall    trovano 

Don    Martinos   che    stava    aspettandoci,    elegante 
mente  v  estito    Mi  striti  1  àialmente  La   m  u 

s'  Inchinò   a    Gleni  irtb    1  he    non   aveva   ai  cennato 
■1,1   "ili  11  glie!  1     l'i  ima    di  uscire   avevo   tentati 
lai  mi     pi  1  mi  in  1  •■    dal     Dura     ih     esseri 
1    .li    lui. 

—  Non   vi   aspetterete  che   io   lo   tratti   come   un 

.min  0,         un    a\  1  -,  a   ri   1 -     ma   vi    il"    la   una 

parola  1  he  lo  ti  atti  li  iltà  .  potrete  n 

pi  eti  ndere  altro  da  mi  ' 

I  con   questa    promessa   mi    u tentai. 

Preso  posto  nella  - loia,  partimmo. 

—  Questa  mattina    ebbi   il    piacere   ili   vedere   il 
dottor  Nikola       disse  Martinos,  mentre  svoltammo 
in  Rio  del  1  onsiglio.  —  Egli  ebbe  la  ci  rtesia  di 
aire  da   me. 

Rimasi  colpito  dallo  stupore. 
-  Davvero       risposi.  —  A  eh a  venne  da 

—  Alle  dieci    in   punto— risposi    Don    Martini 

ve  1"  posso  dire  con  esattezza,  perchè  in  quel  mo- 
mento stavo  uscendo,  e  ci  incontrammo  nella  hall. 

Era  una  cosa  singolare,  una  1 
lete,   ma  quasi   a  lincila   stess'ora   Miss  Trovei 
>iaia  presa   ili  quel   misterioso   malessere,   per  cui 
alle   umili  1   e   un   quarto  1  1  a   stata   costretta   a 
11,    in   camera  sua.   Naturalmente  fra  j   due   fatti 
non     poteva    esserci     nessun     rapporto,     ma 
nini  coincidenza  di  tale  natura  il  1  dai  mi  carni 
riflettei  e    Poi  hi  minuti  dopo,  la  gondola  giun 
agli   scalini   del   palazzo   Revecce;    la  porta    vei 
quasi    contemporaneamente    aperta,    ed    entrammo 
in    casa.    Attraversammo    il    cortile    che   era    stato 
rischiarato  per  l'occasione,  e,  seguendo  l'uoim 
ci  a\  e\  a  aperto,  salimmo  la  scala  'li  pieti 

gemmo  nel  corrid al  primo  piano.  Beni  he 

meno    tetro    dell'ultima    volta    che   I"    avevo    vi 

la  luce  fioca  e  \  ai  mante  di  Ila  lampada  ili 
Nikola,  aveva  un  aspetto  cosi  sepolcrale  che  Don 
José   non    potè   a    meno   d'esserne    impressionai 

—  Non  avevate  torto  davvero  dicendomi     hi 
una  rasa   solita]  ia,   -     mi   disse,   mentre  ci   di] 
■  1  qi  1  \  erso  la  "anici  a  del   nostro  ospite. 

In   lineila   la   porta   -1   aprì,   e  Nikola  si   presentò 
a  noi.  Strinse  la  mano  prima  al   Urna,  poi  a   I 

Mll! S,    e    111    Ultimo    11    IN" 

Siate   1   benvenul  i,    pn    0    entrate.   E  ci    il 

nella  camera  già  ila  in.    di    critta     Mi   < 11 

maginato  clic   dovessimo   pranzare   là.    ma   mi 
sbagliato,    sulle   tavole  stavano   alla    rinfusa    di 
,  in  te,  ii"i  libri    e  degli  apparecchi  scientifii  i. 
nini  ciNic  l'ultima  volta  che  vi  ero  stato.  Glenbarth 
-,  -,  dette   vicino   alla    finestra,    ma    il  irdo 

era    sempre   rivolto   a.l    tappeto   orientale   pri 
canini".   Egli  pensava  senza   dubbio  al   sotterrai 
,.   credo   che    s'augurasse    di    trovarsi    in    tuit  altro 
posto 

II  L'ati..  nero.   Vpollejon.  che  stava  sonnecchiai 

su    un    seggiol ■.    ci    fissò    un    momentii 

per   assicurarsi    della    nostra    idei 

1   suoi   -1  uni     l  e   1,  ■  ni"  apei  le,    mi 

i   .  e  la  luna  -1  illora  dietro  li 

faccia    M'ero   messo   alla    finestra   per   guardan 
acque  silenziose,   quando  l'uomo  che  ci   avevi 
tr  od  otto    alzò  la   portiera  alla   mia   destra 
zlando  in    Ita!  ian  ;uo   padrone    che   il    pranzo 

Bi  indiani  d  mie 

Vi    ii  1    Eccell   nza   av  1  il    la    1  ni  tesia    di    api  irci    la 

1  ilenharth  ari  1    noi   tutti   !"  seguimmo 


I  >  r 


/         se 


l  uà  cassa  ili  TA\<;i,KKOOT 


in   foglio  (li  TANGLKFOOT 


TANGLEFOOT 


il  distruttore  vero,  pratico,  assoluto  delle  mosche.     In  Vendita    pPeSSO  tljtti  ì   DfOghÌePÌ. 
Vendita  esclusiva  all'ingrosso  MAX  FRANK  -  Milano. 


A.  xi  *n  o     X  • 


ISTITUTO  flERO-EIiETTHOTEHflPIGO  Di  TORINO 


A  •  i  i  »  '  >      Xa 


r>e>«r    la    ottra     <i«.»ik» 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  dì  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,    37,    piano    terreno 


E  V unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  coti  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamic he  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  /unzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate,  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  lisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  ?/iesi 
di  cura  ?iei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  f>er  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico ,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a    tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


Folele  digerir  bene?? 


riinxo 


FERRO  CHINA  BISLERI 

li  {COSTITUENTE  DEL,  SANGUE 

Sono  lieto  di  poter  dichiarare  —  scrive  il  chiaro  prof.  L.  Vanni  della  R.  Univer- 
sità di  Modena  —  che  avendo  avuto  più  volte  occasione  di  sperimentare  il  FERRO 
CHINA  BISIERI  ne  constatai  i  notevolissimi  vantaggi  come  liquore  eupeptico  e 
tonico. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


Ili 


ADDIO,    NIKOl  \'.... 


ina  he  giunsin i  una  idida  sala 

Ha  >li  ricchissimi    l  (fresi  hi,   i  quali, 

lati  man  m 

in   rovinìi    Sei   centro  della  stanza    stava   una   ta- 

uminata  da  una  i  impada  il  ai  gento, 

.i  debole  luce  non  arrivava  al  di  là  della  la 

della   sta  in   piena  oscurità, 

i   •    - .  i  \  I:  di  dove  (ossero 

i     ad  entrare  uel 
non    me    I"   seppi    spiegar    mai     Nikola. 
h  casa,  sedette  a  capo  tavola,  avendo 
i  su                Glenbarth  i  qualità  di  ospite 
<ii    m               mportanza,    e  a    sinistra    i>..u    Marti 
stavo  in  tondo  In  Fai  eia  a  lui    Da  chi  (osse 
lutti,  il  pranzo,  era  pure  per  me  un  altro  mi 
ai  i  he    Nikola    ci    a\  e\  a    detto,    la    prima 
volta  che  eravamo  stati  a  trovarlo,  che  egli  non 
aveva   persone  di   servizio,   che  quel   po'   da  man 
corri  ote,  gli  veniva  preparato  da  un 
he  -uni .i\  i    l  casa   sua   una   \  olta  al   giorno. 
Ora  il  pranzo  dati  i  i  quella   si  i  i  era  degno  .1  uno 
dei  primi  che/5  d'Europa    Nikola,  quantunque  non 
nulla,   (ai 
una  grazia  all'altezza  della  eli 

moglie   e    Miss    Vre\    i .    coi   loro   antici- 
pati   terrori    per   noi,    si    (ossero    trovale    presenti, 
-.  n/a   dubbio  creduto  «ti    Ito\  ai  -i    nella 
.la  pranzo  ili  un  qualche  antico  maniero  in 
dal  vece]  iordomo   .li   fami 

mpagnate    a    tavola    .lai    vesi  "\  i     o    dal 
diacono  della  contea 

differenza  tra  il  Nikola  d'adesso  e  tinello 
ultima  voltai   Quando  lo  guardava  mi  pareva 
Impossibili    ch'egli    non    (osse   stato   sempre   iiuei- 
l'uomo  piacevole  .li  cui  non  conobbi  mal  l'eguale 

—  Nella  vostra  .maina  ili  viaggiatore,  dissi 
il  di  ttor  Nikola,  rivolgendi  si  a  Don  Martinos,  —voi 
avete  dovuto  certamente  pranzare  In  molti  diversi 

si    e   in  circostanze  i meno  eccezionali   i 

terribili     Rao  ino         mesti   vostri    pasti 

in  simili  condizioni. 

—  li    più    interessante   fu    quello   che    riuscii    a 
(are   dopo  la   presa   .li    Valparaiso        disse   Marti 
nos.   —   Eravamo  stati   due   giorni  senza  viveri,   o 
. inani.,  meno  senza  aver  mangiato  decentemente, 
quando  per  una  buona  fortuna  entrai  In  una 

a abbandonato  La  colazione  prepai 

senza   toccarla     Mi    pari-  ancora   ili  vederla    Una 
delizia,  i    non  meno  gradita  benché  il  vecchio  bir- 
bone    che  inseguivamo  fosse   riuscito  a  fuggire, 
ivate    del    partito    i  a    Balma.  eda 

tllora?    -    disse   tranquill  unente    Nikola. 
Mar s  aspettò  qualche  po' prima  ili  rispondere 

—  si.   contro    l'.aimai  i-ila.    —    replicò      -   Chissà 
lue!   miserabile  sarà   realmente   morto,  e,  se  è 

.  t  he  ne  sarà  del   su.,  denai 
Questa  '■  una  domanda  che  si   potrebbe  fare 
riguardo  a  molti,  —  rispose  Glenbarth. 

-  Vi  era  negli  Stati  centrali  la  Repubblica  di.... 
iM.n   rammento  il   nome 

—  Di  Equinata  —  disse  Niki. la.  Non  so  se  vi 
ricord  i    storia 

\  i  lete  dire  ili  quel  tale  che  i«  e  fucilare  linei 
disgraziati  ragazzi  ?  — 
domandai  Quello 

ili   cui   mi    parla 
-i.    l'altra  sei  a  ' 
—  Appunto,  replicò  Ni- 
kola -    Ebbene,  egli  riu- 
scì a  (uggire    dal    p 

|  lieti       qual 

-  a\  \  teina 
ai  due  milioni  Mi 

n.     Da    quel     m ento 

in.,  ni-  udì  più 
lare,  e  mi  unni  - 
che  mpre. 

Dopo     tutto,     la     Pallina 

ha    una   gran    pari 
—  Permettetemi  di  be- 


ESIGETE 


IIIIIMI 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


re  al  Dio  della  fortuna  —  disse  l>.>u  Martinos,  che 
tu  tu.  roso 

—  Credo  che  1 1  potremmo  i  Ivi  re  tutti,  - 
iii"i-    NiKnia     —    Voi,    Sir    Richard,    non    sari 

i  uomo  i.. iiunii..  .  he  siete  se  il  i  aso  non  vi  a-. 
salvato  dal  naufragio  facendovi  approdare  in 
isola  del  Pai  Ifli  i    piuttosto  .  he  In  un'altra 

\  oi,   caro   Duca,  i  t-amente   anni 

nella  baia  di   Bournemouth,   se  il  caso  non   avi 

voluto    che    II  I lattei  t-.    mattii 

per  abitudine,  (osse  state   in  gii  pi  una 

della  colazione;   mentre  voi     Don   Martinos,   m 
probabilmente    non    sareste  mio   ospite   si 

Pilli     (OS    • 

i  Spagnuolo  lo  guardò  ansiosamente  come  se 
avessi    paura  di  quello  che  voleva  d 

—  Se  non  (osse  successo  che  cosa  —  domandò 
egli. 

Se  il  Presidente  Balmaceda  avesse  vinto  la 
battaglia  disse  con  calma  il  nostro  ospite.  — 
E   giusto  che  beviamo  al  Dio  della  fortuna 

Finalmente  si  munsi-  alla  fine  del  pranzi     I   -.  i 
vitori,  versato  il  vino,  uscirono  dalla  sala.  La 
versazione  correva  da   un   soggetto  all'altro  fii 
illa    storia    del    pala//.,    in    cui    era\ 

la  i  ai  contò  a  Don  Marini.-,  senza 
dare  ai  fatti  l'importanza  che  aveva  dato  .pi 
aveva  narrato' a  noi  la  storia  della  stanza  in  cui  ci 
aveva  ricevuti.  Raccontava  la  cosa  a  titolo  'li  cro- 
naca, come  se  non  gli  fosse  di  nessun  interi 
Vvevo  però  notato  che  il  suo  --'nani.,  era  più  pe-' 
netrante  del  solito  mentre  parlava  ali.  spagnuolo, 
il  . piale  stava  seduto  sorseggiandosi  il  vino,  men- 
tre prestava  attenzione  al   racconto  del  si sp 

Quando  il  vino  venne  portato  In  giro  per  1  ultima 
volta,  Nikola  fece  la  proposta  'li  ritornare  nei  suo 
studili. 

—  Non  mi  pare  di  sentirmi  a  casa  mia  qui  in 
(luesta  stanza.  —  disse  pei  spiegare  la  cosa  —  ;  dl- 
lat' n  me  ne  servo  mai.   Mangio  generalmente 

nella  stanza  attigua,  e  lascio  andare  in  rovina  il 
resto  della  casa,  come  avrete  visto. 

Ci   alzammo   da    tavola,   ed  andammo    nella    - 
dove   ci   aveva    ricevuti    i  I   offerse  dei   sigari,   poi 
preparò    egli    stesso   il  caffé    su    una    tavola    in    un 
angolo,  mentre  io  aspettavo  che  succedessero  i 
che  sapevo  dovevano  aver  luogo.  Dopo  averci  set 

il    ralle,    si    mise   a    parlale   della    -naia   di    Veni 
che    egli    conosceva    a    fondo,    particolarmenti 
parte    riguardante    j    rapporti    della    famiglia    Re- 
\  eci  e  .  -ai   essa     l'ari.,  con  calore  ili   quell 
niosa    Bocca    del    Leone   dove   venivano    gettai 
denunzi!  del    i  onsiglio    dei    Dieci  :    quindi 

passò  alla  descrizione  della  tragedia  svoltasi  nel 
sotterraneo  sottostante,  scusandosi  con  Glenbarth 
e  con  me  di   annoiarci  con   un  secon 

r e    l'altra   volta,    alzò    il    tappeto   e    apri   il 

hetto    Una   folata   .lana   fredda,  suggestiva  .li 

terrori    indesi  1 1\  Ubili,    venne   a  noi. 

Qui,    il    miserabile    affamato    mori,    udì 
liti   della   donna   amata         disse  Nikola.   - 
vi    pare    di    doverne    aurora    udire    ora    i    latin 
Da    parte  una    credo    che   essi    echi 
unta  l'eternità 

Se  fosse  stato  un  attore,  .piale  straordinari' 
fico  sarebbe  divenuto  ' 

Noi    rimanemmo  muti    di    spavento,    mentre   ■ 

anzi  a   i  additava   l'abisso    Quanl 

Marini..-.   |  he  tutte  suzioni  di 

in  entrate  in   lui  .   ti" a\ 

koia  -  dal  suo  sguardo. 

—  Venite  disse  finalmente  Nikola  chiudendo  il 
trabocchetto  e  rimettendo  a  posto  il  tappeto.  - 
finora  avete  uditi    la  storia  della  casa.  i>ra  ved 

il  re 
i    n  -  -  imi..'  i  i  .lue  o  tre  segni  ma- 

gneti liana    colle    lunghe    mani    Inaurile     I 

sguardo    pareva    voli —     i numi    nel    cervi 

i  firn  .li  sottrarmi    a.  lui.  voi 
ma    mi   fu   impossibile;   una    forza    irresistibili 
■itti -ai -\  a    a    Ini     Poco    a    poco,    venni                  I  i   un 
Invincibili  di    sonnolenza;   credo  perii li 


LE  DONNE  FRANCESI 

E  LA  SCOPERTA  DEL  DOTTOR  VERVIER 

Id  Franciamoltosi  discorre  della 
recente  scoperta  fatta  dal  dottor 
Vervier,  il  quale  con  uno  speciale 
processo  noto  a  lui  solo,  è  riuscito 
ad  estrarre  dalle  foglie  della  Ga- 
lega Officinali*  un  prodotto  rigoro- 
samente scientifico  a  cui  ha  dato 
U  nome  di  Galeghina,  e  che  com- 
binato con  altre  preziose  erbe  to- 
niche, corroboranti  ha  non  solo 
virtù  dì  sviluppare  e  ricosti- 
tuire il  seno,  ma  anche  di  dare 
rotondità  e  grazia  alle  forme  mulie- 
bri. Presa  in  pillole,  questa  Gale- 
ghina, oltre  sviluppare  il  seno,  col- 
mare i  vuoti  e  far  scomparire  le 
sporgenze  ossee,  rinvigorisce  e  for- 
tifica l'intero  organismo;  applicata 
in  l'orma  di  lozione  agisce  sulla 
parie  coi  medesimi  effetti,  ed  i  giornali  riferiscono  che  sia  nell'uno 
coni-  nell'altro  caso,  furono  visti  dopo  circa  un  mesa  i  più  soddi- 
sfacenti risultati.  Quindi,  le  signore  e  le  signorine  possono  con 
piena  fiducia  ricorrere  alla  Galeghina  del  dottor  Vervier,  che  agisce 
a  meraviglia  anche  sui  temperamenti  e  le  costituzioni  più  delicati  . 
e  non  deve  essere  confusa  con  altre  specialità  delle  quali  si  tiene 
segretii  la  composi2 

In  Italia,  il  premiato  Laboratorio  Chimico  Farmaceutico  per  i 
preparati  del  dottor  Vervier,  Milano,  via  Passatella,  10.  $\>  fise 
secondo  la  richiesta,  od  un  flacone  di  Pillole,  od  un  flacone  di 
Lozione,  con  relativa  istruzione,  verso  rimessa  anticipata  di  L.  5.50. 
Aggiungere  1.  0.80  per  affrancazione  e  spedizione  dì  uno  o  più 
flaconi  nel  modo  più  discreto  in  cassetta  suggellata. 

Pi  I  Lozione  indicare  se  si  desidera  quelli  stimolante  per  lo 
sviluppo,  o  quella  astringente  per  la  ricostituzione.  In  mancanza 
di  indicazione  si  spedirà  quella  ai  doppia  azione,  stimolante  e 
astringente. 


PIPA  NIAGICIENNE 

di  vera  radica  inglese 
ormai  mondi 

riconosciuta  insupe- 
rabile per  la  sua  bon- 
tà ecostruzione  Lnter* 
na  che  isola  total- 
mentela  nicotina.  Per 

stificati,  esigere  sii  <r 
gm  pipa  la  marca  LEONE  e  M.  PISETZKY  Rici  n  aria 
presso  i  Rivenditori  oppure  spedite  L.  3  (Estero  L.  3  501 
alla   fabbrica  di  pipe 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 


la  riceverete  franco,  dritta 


■ichicsta. 


LA  NUOVISSIMA 


PIPA  LEONE 


di  radica  ing-lese  con  sistema  isolatore    della    nico- 
tina è  insuperabile. 

Inviare  L.  2,50,  se  con  bocchino  corno  brésil  L.  3,50. 
ali .i  fabbrica  pipe  ili  Maurizio  Pisetzky,  via  Vittoria,  al, 
M  l  ni.,,  e  la  riceverete  franco;  pei-  l'Estero  centesimi  35 
in  piii.  Ogni  pipa  ha  impresso  il  nomo  M.  Pisetzky. 


top  NEGRI 


RINOMATISSIMA  DITTA 

Per  sole  L.  15  75  e  L.  19  75 


e  metodo 


ISSlo 


UNIVEHSAL,li 

perSignorineL.  IO. 50  tranci 

Chiedere  ilOATALOUOgratis 

Ocarine  -  Corde 

Metodi  -   Chitarre 

V.    MACCOLINI 

Vi  a  Cesare  Correnti,  7-  Milauo 


MALATTIE 

NERVOSE 
DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 
ESAURIMENTI 

Cura    radicale  coi  suc- 
chi organici  del   Labora- 
torio Sequardip.no   del 
DOTTOR    MORETTI 
MILANO,  via  Torino  X.  21. 
Opuscolo  gratis. 


Attento  MADRI! 


^gx^Ofé©^ 

L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l' uso  del  Caffè  Coloniale  ; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  odi  un  terzo  il  Calie 
Malto  Kneipp.  Il  Caffé  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto  ;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


[V 


ADDIO,    NIKI  M   \ 


icchè    non   r li  i    più 

nulla  ini  ii  cui  un  trovai  in  un     i 

che,    a    prima    visto,    mi   parve   sconosciuto.    Dopo 
un  po  ili  ii  uii">  mi  riconobbi,  Era  una  bi 

il,    primavera,    u  i     veniva     dal 

mare    ad    ini  resi  que    della    laguna.    \h 

lai  d'attorno    Ei      i    Veni    la,    m i  era   la 

Stai ii    Nikola   sugli 

ni   di   una  casa   pressoché   Unita   di   costi  arri 
1-.1  i    uni  ti  ttamente 

i     1 1 1 1 1  ;  1 1    t  a  rio   il   quale 

>i;i\  ,i  li        dalla    sua    ■ loia    alla    i  ly  a 

era    un    bell'uomo   alto    e    robusto, 

indossava    una   cappa   col    cappu portava     le 

-,  ,u  |  fobie,  ed  un  manti  Ilo    i  uernito 

ih   pelliccia;  una   lunga  catena    d'oro    di    pendeva 
da '  anto  a  lui  stava  un  uomo  che  io  ri 

uhi   tosto  ottetto  della   i  asa  .   in  quel 

momento    il    proprietario    «li    metteva    una    mano 

sulla   spalla    lodandolo   del    lavoi mpiuto    Poi, 

dato,   il  gondoliei e  diede  un  colpo 

ili  remo  e  la  piccola   Imban  i  ioni    s'av\  le agli 

i  imo  noi  due.  Mi  scostai  per  la- 
sciar loro  il  passo.  Essi  ci  passarono  accanto, 
senza  farci   attenzione. 

Non  'i  vi  di  mo  disse  Nikola  ■  he  era  'I  ac 
rum"  i  me  -  Entriamo  a  sentire  quello  che  il 
famoso  ammiraglio   Francesco  Revecce   pensa   del 

i    i  !  LZZO. 

emmo  ed  entrammo  nello  splendido  i  oi 
tile.   Uno  scalpellino  stava  dando  gli  ultimi  tocchi 
,-i  un  fregio  di  trutta  e  foglie  che  correva  attorno 
■ni  un  pozzo  in  mezzo  al  cortile    Salimmo  la  scala 
i    ipriva   in   fondo  al  cortile.   Numerosi   .ni i- 
ivano    decorando    le    varie    sale    dipingendo 
delle  battaglie  navali  sulle  pareti,  illustrando  al- 
cuni episodi  della  storia  della  Repubblica  in  rap- 
to  col  famoso  proprietario  del  palazzo.  Egli  si 
ogli  uni  e  cogli  altri,  prodigando  elogi, 

uggen  min  quelle  liflcazioni 

che  credeva  opportune,   Visitammo  con   lui   le   cu- 

le    dispense    e    persimi    il    sotterra sotto    il 

livello   dell'acqua.    Risalimmo   quindi    in   cortile  e 
-i  marnimi   sul    portone   ili    ea-.a.    mentre    il    pro- 

salito    in    gondola    si    allontanava    dalla 

abitazione.  Poi  la  scena  cambiò  e  mi  trovai 
Min  sin  volta  pure  con  Nikola,  davanti  allo  stesso 
palazzo.  Era  notte,  ma  non  era  buii  ;  grandi  ftac 
cole  ardevano  aj  lati  della  porta  ed  un  centinaio 
■  li  torcie  aiutavano  ad  illuminare  la  scena.  Tutta 
l'alta  società  ili  Venezia  era  diretta  al  palazzo 
Revecce  dove   aveva    luogo   la   prima   delie   splen- 

teste,  che  si  davano  per  festeggiare  le  nozze 
ili  i  del  Rei  ecce  il  più  famoso  i  apitano 
di i  Repubblica,  il  quale  aveva  \ pei 

due  volte  la  flotta  francese,  eolia  figlia  del 
Duca  di  Levano  Lo  sposo  comparativan te  «io- 
vane  ani                    i    i  "ime.  la  sposa  figlia  unica 

d a  di  ii me  e  più  cospicue  famiglie  di  Ve 

nezi.i  e  pei    riunta  bellissima.  La  loro  nuova  casa 

inalilo  poteva  esserci  di  più  fastoso  coi  «usti 
di  ai  i.  e  quindi  da  meravigliarsi  se  gl'in 

Vitati    -i    altre!! i  corti       ■Muli 

Entriamo    questa    volta     p a    dai  e    u 

ehiata       —       disse        Ni 

.    [a 

—  in   momento  —  ri- 
sposi  i  "  endi   'ii  tare  un 

mentre    stava    ni' 
lamio  una  bellissima  ra- 
gazza,   si  esa    allora    di 
che  saliva  «li 
scalini    a     braccio    d'un 

dai         mi 

bianchi. 

—  N 

plico         Non   \  i   m  '  i  il  ' 
te  che    siamo  degli  spi- 
rili, e  che  ess 

delia   i  nza  .' 

E  ci    l  era  difattl, 
che  nessuno  dava 


ESIGETE 


im  imi 


MARCA 

HERMANN 

MILANO -TORINO 


di  i i    ersi  di   noi .  più  di   una   \  'ì\.i  \  idi   gente 

avvicinarsi  a  Nikola  e,  per  «pianto  paia  impossi 
inie.  dai    11  contro  i    pa     io    li    iti 

esistesse. 
In    questa    occasione    il    grandi     -aule    d'onore 
era  stato    fai        unente   illuminato,  i  n   \  ia   \  ai  ili 

ine    le    uhm   uni    Pi  ile   di  111    altre    salivi 

ile,    mentre  dalle    stanze   in   alto 
il  mioiio  della  musica 
Indiamo  su,— di  i       i  godere  della  fi    la 

li  i    dav\  «a  ii   uno     plendido   i  ii  evimento,    quale 
non    l'oiiA.a    trovarsi    II    simile    In    tutta   Venezia. 

Guai  dai    lo  sposo    e   i  iconobbi   In    lui   I io    epe 

avevo  visto  li  dati  e  i  architetto  pel  suo  talenti i 

nari     il    suo    palazzo.   Questa    volta    egli    ve 

stiva   con    ma  -  - eie  ranza,   e    i  u  e\  a    gli    onori 

di  casa  ci  razta  e  la  semplicità  di  un  nomi 

vizzo  a  sosi  mere  la  dignità  del  suo  nome  ,■  delia 
sua  post  mi  li  p  a  era  una  splendida  ragazza 
i  on  mi  viso  pallido  e  doli  I         occhi     he  non 

si  potevano  dimenticare  per  un  pezzo.  Essa  fa- 
ceva del  no  meglio  per  appa  i  ire  felice  ai 
ospiti,  ma  in  cuor  mio  mi  dicevo  che  non  era  il 
caso  Sapendo  quanto  le  preparava  l'avvenire,  mi 
immaginavo  quale  grave  dolore  l'opprimesse  \t- 
loruo  a  lei  stavano  i  pruni  cittadini  della  più  al- 
tera fra  le  Repubbliche  esistite.  Tutti  venivano  a 

porgerle  i  lor .vggi,  e  chissà  quante  ti  a  quelle 

d ■    mi\  idiavaiLO  la  sua  fortuna  ' 

In  11111  sto  piinio  la     cena   «    n  ed  ci  nella. 

stanza    i  he   ?ià    •  ■         ■  in    quella    - 

abitata  da  Nikola.  idi  affreschi  sulle  pai eti  e  sul 
soffitto  erano  appena  asciutti  Revecci  era  in  mare 
di  nuovo,  Intento  a  muover  guerra  ai  Frai 
tornati  un'altra  volta  ad  atl.ieare  la  città,  li  , 
o  sera  .  un  raggio  di  soli  doi  ato  illuminai  i  U 
viso  di  una  donna  in  piedi,  prc&so  una  lavi  la  dove 

stava  scrivendo  un  uom  >.  Al  primo  sguai ri  ai 

corsi  che  era  la  sposa  di  Re\  1 1  ce  i  uomo  ei  a  un 
bellissimo  giovane,  e  quando  la  guardava  sorri- 
di niinie.    i    ii brillava    ne    suoi   oci  hi.    Non   tu 

i «saria  i  he   Nikola  mi    ir.foi  m  isse    he  egli     i  a 

\iniiv  i  Bunopelli,  lanista  epe  aveva  dipinto  quel- 
la  sala. 

Sei     tll      -i li"     tutto     andrà     Pene,     amor 

mio?  -    domandò  la  donna,   mentre  «li   posava  la 
mano   sulla    spalla.    -     Ricordati    i  he   l'aspett 
nini  ie  chi  muove  una  falsa  I  idino 

di  Ila    Repubblii  a,    tanto   più    poi    trattando  si 
famoso  Hi  \  i  ei  e. 

—  Lo   so.    lo  so,    -    rispose   I  uomo    —   Non    devi 

a\  ci   paui  i.   .meli  .un Lo  scritto   ■  - 

spetto,  e  i"  getterò  io  stesso  nella  Bocca  del  i 

Sparse    un    po'  di    sabbia   sulla   lettera    scritta    e 
qui  rido    in    asciutta    La   rip  ■  la    mise    In 

seno;  poi,  abbracciata  ramante,  se  ne  andò 
Tuito  ciò  era  cosi  vivo,  che  avrei  giurato  ch'egli 
un  v edesse  mentire  stavo  ossei  vandolo. 

—  Non    perdete  tempo        gli    disse   ella   salu 
dolo  :   —  ii"'.  avrò  pai  e  Uni  he  non  siate  ritoi  i 

Menile  usciva,  la  seeni  cambiò  un'altra  volta. 

I   n    vento    freddo  soffiava    dalla     Monna,    un    lem 

poi  ale  stava  prepar  indosi    i  lai  ero,   d 

sguardo  stravolto,  e  coll'aria  d'un  miserabile, 
>tava  sugli   scalini  d'uni la    laterale  del   paia/ 

/.".    In    quel    in. .meni. .    un    vecchio    servitore    ve! 

i h    intimandogli    di    tornare   indietro.    Al- 
lora   lo    sconosciuto    gli    sussurrò    all'orecchio 
cune   .  " ole,  pei    cui  i  ipì   i  he  egli  era   il   suo  pa 

ili.  ni'   .  he  credeva   i  aduto  pi  is iero   nelle   mani 

.i.i    F  i  ancesi,   ed    olti  eri  idusse 

in  oasa.  •sapendo  quanto  l'aspettava,  ebbi  per  lui 
M,    vivo   seni  intenti .  di    pietà     Quando  il 

mi  ■     infoi  rr.ato   di    quanto    su le\  a    fra 

mi  die  ed  il   pittore    lo  m'ala   ap 

panata   del    pai  izzo   do\  e  di    '  o    di   i  imam  ri    na 

[ualche   giorno,    per    imi  :   di 

a  eti  del   palazzo,    per   potere  In 

tto     Sua 

era    Infedele,    e    l'uomo  mac 

,   lineilo  sti  ■  so   che   egli  a 

,   beni  in  ain    \i  di  andare  con    lui   di 

.  in,,    inno     gli    stretti    pa  ir.,    alle 

do    attravei  ■■    uno 


Libreria  Editrice  Nazionale 


SUCCESSA    A    C.     ALIPRANDI.  EDITORE 
MILANO         Via  Durini,  34:  —  MILANO 


Miss 


Recentissime  pu6€iicazioni  raccomandate 

EMILIO  DE  MARCHI:  Col  fuoco  non  si  scherza,  romanzo, 
con  prefazione  di  Gaetano  Negri  e  ritratto  del  compianto  autore. 
—  Seconda  edizione.  Elegante  volume  di  350  pagine L.  3,50 

EMILIO  DE  MARCHI:    L'età    preziosa,    Precetti   ed   esempi 

offerti  a:  giovanetti.  —  Settima  edizione  economica     ....      ->    2,  — 

RODOLFO  LOTIIAR:  II  nuovo  Messia,  ed  altre  novelle.  Vo- 
lume illustrato  con  ritratto  del  Lothar  (autore  di  Arlecchino  Re)      »    1, — 

Ri  'DOLFO  LOTHAR:  Il  Cavaliere,  la  Morte  e  il  Diavolo, 

commedia  in  un  atto  con  prefazione  di  Guido  Menasci  ....      »    1, — 

PAOLA  BARnXCHELLT  GROSSON  'Donna  Pcolai:  Le  confes- 
sioni d'una  figlia  del  secolo,  romanzo.  Elegante  volume 
di  350  pngine,  illustrato  da  A.  Terzi  e  col  ritratto  della  protago- 
nista. Settimo  migliaio.  Non  è  consigliabile  alle  signorine     .     .     .     »    2,  — 

ANTONIO  FOGAZZARO:  Minime,  Studi,  Discorsi  e  Nuove 
Liriche,  ricco  volume  di  oltre  300  pagine  illustrato  nelle  per- 
sone e  nelle  cose,  con  ritratto  e  autografo  dell'illustre  autore  .  .  >  3,50 
FLORENCE  MORSE  KINGSLEV:  Il  compagno  della 
Croce,  racconto  storico  cristiano  per  la  giovcn'ù.  opera 
premiata  con  2000  dollari  dalla  Casa  ed.tr .ce  Cook,  di  Chi- 
cago. Prima  traduzione  italiana  autorizzala  di  A.  de  Mohr  e 
A.  Chiti,  con  prefazione  e  studio  del  prof.  Mons.  E   Salvadori     »    2,  — 

ARNALDO  DE  MOHR:  La  testa  di  Gesù,  ed  altre  novelle.  (Il 
de  Mohr  è  l'autore  eie  L'epilogo,  opera  premiata  al  concorso  Sic- 
cardi.  di  Cavallotti  nella  vita  e  nelle  opere,  ecc.)  Elegante  vo- 
lume di  oltre  350  pagine  •     .     .     .     .      »    2,  — 

LUIGI  CAPUANA:  "il  Benefattore,  ed  altre  novelle.  Ricco  vi- 
lume di  novelle  (non  mai  apparse  antecedentemente  sui  giornali) 
su  c^rta  di  lusso;  pagine   500  circa »  2, — 

GEMMA  FERRUCCIA:  Il  cervello  della  donna.  Intellettua- 
lità, femminile.  Elegante  volume  illustrato  con  disegni  e  ritratti 
fuori  testo .  .     .  »      2,  — 

A.  DELLA  SALA  SPADA:  Mondo  antico,  romanzo  storico  dei 
tempi  di  Nerone.  Ristampa  sulla  prima  edizione  del  1877,  rive- 
duta e  corretta  dall'autore.  Son  note  le  ardenti  polemiche  che  sor- 
sero nella  stampa  italiana  e  straniera,  intorno  a  questo  romanzo, 
che  è  ilfratello/»'*w0£W///0del  Quo  Vadis?  Due  ricchi  voi  di  71  «pag.      »    5, — 

LEWIS  WALLACE:  Ben  Hur,  racconto  storico  dei  tempi  di  Cristo. 
Nuova  traduzione  del  prol.  E.  Salvador!  .  con  prefazione  dello 
stesso.  Ricca  ediz.  ili.,  in  un  solo  voi.  in-8e  di  complessive  pag.  800  4,  — 

LUIGI  COLOMA  (Padre  Gesuita):  Piccolezze!...,  rimanzo  sto- 
rico dei  tempi  di  Amedeo  di  Savoia,  Re  di  Spagna.  Prima  tra- 
duzione dallo  spagnuolo,  autorizzata  dall'autore,  di  A.  CORRIERI. 
Questo  libro  è  una  violentissima  battaglia  che  in  Spagna,  Germania 
e  Inghilterra  ha  sollevato  acerrime  polemiche,  odi,  vendette  e  duelli  2,  — 

SALVATORE  FARINA:  Opere  complete.  Chiedere  Catalogo. 
Scooinifi    ecU.^ìoxx@    dell'opera  : 

LA     FH1MA     FiEGJMÀ      JD1  iTAL  IÀ 
nella  vita  privata,  nella  vita  del  Paese,  nelle  Arti  e  nelle  Lettere,  di  ONORATO  ROUX 

Ricchissimo  volume  di  600  pag..  in  formato  8  grande  impresso  su  carta  speciale  di  gran 
lusso,  eoa.  centinaia  di  illustrazioni  in  nero  ed  a  colori,  documenti  rari,  autografi,  ecc.  — 
Prezzo  dell'opera:  Edizione  semplice  Zi.  3Q<  Edizione  rilegata  in  pergamena  L.    to 


Dirigere  commissioni  e  vaglia  alla  Libreria  Editrice  Nazionale.  Via  Burini  34, 


z 

p 

< 

4 

1-1 

SS 

9 

- 

"•* 

ti 

co 

a 

£ 

0 

0 


M 


I 


i  a 

l    " 

e  e 
52 

2"! 

«  > 
•Se 

2.  •< 
e  « 

«5 

S  -. 

e  e 

ss 

'•  e 
*B 
Sì 

»! 

ss 
fi" 


■ .-/ 


\ 


ADDIO,    NIKOl  \!... 


-li,,  quel  leva    tra   i   due  ama 

i,,  vede\  dalla   rabbia    e 

pronti  i 

,  in,,   -mi  \  i    i  ia     N'ari    tapi  ei   dire 

perlustrazioni . 
o   alla  fini  la,    entrò 

in  li  i  i      m  ,  al   due      Vieni 

vedo  ■    fatte  dei  due  colpevoli, 

i  ido  di  tei  kailfa  donna,   e  Bu 

aopelli,    i  nii>    ni   i  resso    la   ta\  viso 

bianco  come  un  morto    1  n  ora  dopo  esojj 
,  imi.  ritti    ,    Bi  mai,,  il  loi  ■   misfatto   con 

ir,.  Revecce;  poi  vei ro    eparati  e   messi   In   luo 

-i ,  ttando  ii   momento  di   venti  punii i. 

Pi      La  prima  \  olta  dopo   il   suo  i  itoi  no   tu   pinna. 

sali    in  gondola,   e   si    rece   i  on  durre  alia 

à      Con  Iglio  pei    pi  eseni  u  si    ai    sum  ac 

lori  e  per  dora  mdan   il  diritto  ili  punire  quelli 

che  lo  avevano  tradito    Quando  ritornò  a  ossa,  11 

suo  I     'ii    fisso    e    Ieri  Ibile,    «pressione 

li   i  '',  In     Sali   orila    sala    del    Ira 

i    imo  alla    aa  pi  esenza  i  due.  c<   i 
voli,  invano  Bunopelli  implorò  grazia  per  in  don- 
na    Egli    non    sentiva   pietà   per    nessuno    Grt 
goccie  ih  sudore  gli  scendevamo  dalla  fronte,  men- 
tre la  donna  Implorava  eoo  lo  sguardo  il  marito, 

\i   era   più  salvezza  per  lorol  L'u< )  venne 

,i mi   di  Revecce  violentemente   strappato 

rial  la  donna  amata  ohe  stava  presso  a  lui;  si  alzò 

;i  trabocchetto  ed  egli   -P'" ll'abiseo.  Si   aiwen 

tarono  quindi  sulla  donna  e  le   aprirono   a   forza 

;   ,       non  mi  basta   l'animo  ili  contimi 
il   rai    onti     La   una  lingua  è   incaipace  di   trovare 

la   pamla    per   esprimere   ciò   Che    lo    Vidi.   Mi    gettai 
sii    di    loro    per    salvare   l'infelice,    ina.   ci '    e    pa- 
lle, i  miei  sforzi  furono  inutili.  Mentre  Revecce 
imperterrito,  con    un  sonisi,   crudele,    udiva   i    ge- 
che  \ oh ■■  ano   a  ini  dal    sottei i ai guar- 
dava     sua      moglie.       La      scena     ionio      un'altra 
volta. 
li.       ,           di   sole   illuminava    La    stanza.    Era 

ippartamento,    ma   inolio  i.liverso  da  quel 

lo    di    pruni     I    begli    affreschi    erano    pressoch1 

,\  miti,    1    mobili    erano    lutti    dona     Imma    diversa. 

ma  era  però  sempre  La  stessa  saia  io  cui  Revecce 

aveva    tratto    la  sua    \,iii,  in     i  na    bella    di>nna 

sulla   trentina,  alta   e  robusta,  stava    presso   la  fl- 

i  a  con  una  I  itera  in  mano  che  a\ en a  turno  di 

ne    rifletteva    il    contenuto,    mentre    di 

t.uii tanto  guardava  eoo  tenerezza  la  firma  e 

la   baciava   con  pass e.   l'oi  si  diresse  verso  un 

ani,-,  lo  della  stanza  dove  stava  un  bimbo  addor 
montati .  nello  '  olla,  eli i namlosi  su  di  lui  u,  atti 
di   pr      (liei  i 

D'un    tratto   mi    svegliai    e   mi    trovai    virino    a 
nlniii. otti  ed   a   Don   José   nella  cannerà   dove  aive- 

0  lumaio  dopo  pranzo.  NikOla  stava,  presso  il 
Q0  la  sua  f.n  ria  era  cadaverico.  Seppi  di 
in    nini    compagni    Che    issi    pure    avevano   vi 

niello  ohe  avevo  visto  io.    Entrambi   pero  non 

.  ano  i  aipire  la  U  ultima   scena, 

ni  he   io  sa  ess i  feti  unente    anno  di   ohe 

trattavo    n feci    loro   paroJ  i     Ero   persuai  i 

Che    quest'Ultima   n  ,i    la    madre    di    Nikola.    che   la 
era   quella    appartenente    a  lei,    dove  qui  Ilo 
sciagurato      go\  eo  natore 
delia  i  olonia   spagi la 

I    a\ e\  a        rmio-, -iuta        e 

giurato  fede.  Bastava  la 
i  quando  rin- 
venni io  me  per  con- 
fermarmi nella  mia  sup 
pi  isizione 

Vndiamo  a 
un  dissi,  il  Duca  hi  tono 

ruvido.     Non     poSSO     più 

i lucetemi 

via,    Hatteras,   per  amor 
di      Dio,      conduceti  mi 

\li     ero       m    alzalo     in 

piedi  e  mi  ei  o   i\  i  li  Ina 

lo  a    lui. 


—  E1    tardi,    dottor    Nikola    —    gli    dissi    —    doli 
o.iin,    and 

lo  Spagnuolo,  dal  .ano,  suo,  ,  diri-va  sillaba. 

Egli    era    cosi    mi  i  •    da    i potei    api  ir 

i    ■ apisse   quella    che   gli 

dicevo   Non  gli  avevo  visto  mal  ur,  simili 

La       i  i    cai     igi naturalmente    biu.ni  hissii 

widii  uno  a  n  aspa  ri  nte  e   noi    avi  \  u   più   nulla 
di    Oman,'     su  ii  1 1,,   i  he   sui  i  ede\  a   nella 

menti.,    ma    i    potevo   dn    nulla 

—  Andiamo  i  ritorniamo  all'albergo  --  dissi  ai 
miei  i  orni 

SI    alzar,  .ii.,    dirìgi  ndosi    mai  ,  (lilialmente  \  i 

la  porta;  il    Duca  l'aveva  appena    raggiunta,  i| 

do  Nikola,   con   uno  sforzo  violento,    ritornò  in 
Perdonatemi,    signori,  -     disse   col 

tono  d In   omo  ti     molli,  ilio  avevo 

i   miei  il,.-, me  padrone  di  casa    Temo  abbiate 

avolo    una    -orala    POCO    pia,  e\  ole. 

E  messi  i  nostri  cappelli  e  mantelli,  egli  ci  ao- 
compagnò  giù  dalle  scale  fino  alla  ponti  d'ingres- 
se La  ca  sa  i  i  a  silena  i  una  tomi, a  .  dopo 
avergli  augurata  la  buona  notte  prendemmo  una 
gondola   e   ce    ne    indammo     Notai    che  strinse   la 

man,  a  i , limi, a i  ili  ed  a  me.  ma  che  evitò  di  darla 
a  l'oii  Martinos  Lungo  il  tragitto  nessuno  di  noi 
apri  boa  a  (.ìli  avvi  niuie-nti  di  lineila  sera  ci 
vano  troppo  colpiti  pei  poter  seguire  una  conver- 
sazione, Nella  hall  salutammo  Don  losò  ,  salmi- 
nei  nostri   appartamenti     Sulla  tavola  stavano 

delle    poltiglie    di    liquori  .    il     Dina    ne    bevve    più    del 

solito    si  vedeva  che  ne  aveva  bisogno. 

—  Avete  visto,  Dick,  —  disse.  —  quello  i  le  sue- 
,,:-e  in  quella  stanza''  \\ete  visto  quella  nonna 
ingoi,  cclliota    i  olla. ... 

POSÒ    il    bicchiere    lece  due   0    tre    passi,    ed    andò 

alla    iiuesira.  Quanto   capivo  i'    suo   smarrii 

io    che     al     pari    di    lui     avevo     assistito 
seena  ! 

—  E'  certo.  Dick,  —  mi  disse  dopo  ,.-  hi  minuti, 
—    eie-    se  dover--.;    vedere    più    sovente    il    dottili'  ^V 

kola,  finirei  coll'impazzire  Perchè  ci  fece  \eit.»re 
tutto  ciò?  Perchè?  Per  amor  di  1  Cielo,  rispon- 
detemi. 

Come   potevo    io   dirgli    qmiio      In     mi 
nella  mente'  Come  potevo  rivi  largii  il  dubbio  ter- 
ribile  i  he  piano   piano   s'insinuava   in    me?   Perchè 
aveva    egli    invitato   Don   Martinos   a    casa  sua     l 
elle    gli    aveva    fatto    vedere    la    seena    di    quell'i 
bile   delitto?   Al  pari   di    (ilenbarth.  non    | 
mi  no   ih   far  ■    la   stessa   don  amia     -     Pei 
ehe  .'    Perché  '.' 


.   ed    aiuto 
urimeiito 

ii    quella 


iMuioiii  Vili. 


Quella    sera    stessa,    prima    di    lasciarci,    i 

ini Ira  di    imi     di   non    fai    paiola    eolie    sii: 

di  quanto  avevamo  visto  Pei  n  tiseguenz.a  quandi 
mia  mogli,,  s'informò  sulla  nostra  serata,  mi  dif- 
fusi essenzialmente  nella  descrizione  del  pranzo, 
lodando  il  famoso  cuoco,  e  descrivendole  mimi- 
la mente  lo  squisito  menu 

—  Eccomi   dumi sconfitta    -    disse  una  moglU 

quando     ebbi     finito     il     racconto.     -      I 
suasa  che   vi  sarebbe  successo  qualcosa    di 
dioario.    Inviee.    la    iosa    passò    semplicem 
banalmente    avete     avuto    un     buon     pranzo    e     fu- 
malo  degli    eccellenti    sigari     E     la    pi  Im  i 
io   eredi,,    che    il    dottor    Nikola   smentisce 
fama. 

Se  avesse    saputo    la   verità,   m'immagino  quelle 

ehe     avrebbe    detto       I    li      bel     peZZo    dopo    a\  '•, 

la   buona    mate   sta\  lio   pensai 

diversi  casi   di  quella  sera     Vvevo  semi 

agli    occhi   quella    stanza    orribile.    Benché   mi   ni 

cessi  che  era    irragionevole  turbarsi   a  quei  mode. 

,  in     ,  Inumili,     altro    dot  iti     del     poh  ri     di 

a\  ivl.h.    potuti     evocai  ••    le  sles  ;  •   -cene,    imi 

mai  doci   altri  l tanto,    pure  d  i,i i  he 

eose    Viste    erano    COSÌ     vive    da     non     pò 

i  h,    non    fi  ssei  o    reali     II    oti  i  Ilo    urna 

teva  immaginarsi  gli  orrori  passali  in  quell 

za  eon    tutti    i   piò   minuti    particolari     Vnche   ora 

dopo  tanti  arni,   è  ci  si   l'iva    m   me  la   memoria  01 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 


In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io, 
dere  sempre  le  scatole  colla  marca  depositata 
scia  rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  i" 
darvi  altra  marca. 


15  e  30  centesimi.  Chie- 
1  .lobo   sopra  fa- 
vostro    fornitore    volesse 


Vendita  esclusiva  all'ingrosso:  MAX  FRANK  -  MILANO. 


;,; 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVI)  E   DEPURATIVO  DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto  prof.  Girolamo  Fagliano  premiato  al- 
l'Esposizione nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere   sulla  boccetta  e  sulla 

afcseola  la  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


•'':•';;:. 


^VILUPPO  DEL 

^■^ bellezza,    ricostituzione  ,    solidità 

^™',,i,''PilulesOrientales.. 

del  sig.  J.  Ratié,  chimico  farm.  Passagi  ^,! 
deau, Parigi. Benefiche  perla  salute,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  -  Boc- 
cetta con  istruz.  franco  per  posta,  ir  6,35. 
Dep.  in  Milano:  faiin.  tfambeletti,  piazza 
S.  Carlo,  5  —  Buenos  Ayres,  C.  Perrel,  645 
47,  Calle  Cuye. 


Stabili  mento  Idroterapico 


e  Stazione  Climatica 


rer^mo 


(Piemonte) 


ora 
da  Biella 

Posizione  eeee;lotiltnente  salii  tire,  tomoda  e  IrfsciiBMm.  sul  mare.  Cure  Idroterapiche 
elettriche.  Massaggio.  Ginnastica  medica.  Cure  speciali  per  maialili  Bermi 
spinali  di  stooum.  Statistiche  e  risultati  ottimi,   «edito Diret. Doli.  L.C.  BURGONZIO; 


Ditta  G.  B.  Paravia  e  Comp. 

TORINO-ROMA-MILANO-FIRENZE-NAPOLI 

Biblioteca  romantica  per  le  Famijjlie 


Le  gioie  degli  altri  (Marchesa  Colombi),  con  illustrazioni  di  A.  Carutti  L.  3 

Fede  (Luigi   di  San  Giusto),  con  illustrazioni  di  A.  Terzi »    3     — 

Le    due    felicità    (M.    Anteluna    e    Vertua    Gentile i,  con  illustrazioni  di 

A.  Carutti 2  50 

Tempesta  d'affetti  (Edvige  Salvi»,  con  illustrazioni  di  G.  Guarlotti     .     .  3 

Americana  (Pio  Landa),  con  illustrazioni  di  G.  Carpanetto 3 

Cuor  di  fanciulla  (Teresa  Corrado-Avetta),  con  illustr.  di  Gaido  e  Brugo  »    3    — 

Vita  nuova  {Casa  Leardi),  di  Maria  Savi  Lopez »    3    — 


Al  pubblico  gentile  ed  in  particolar  modo  a  quelle  signore  mamme  che  sono  sempre  incerte 
e  dubbiose  sui  libri  da  scegliere  per  lettura  alle  loro  figliuole,  raccomandiamo  vivamente  ì  rollimi  dì 
questa  nostra  geniale  BIBLIOTECA  ROMANTICA  PER  LE  FAMIGLIE,  che  all'attrattiva 
della  modernità  di  siile  e  di  concetto,  accoppiano   in  giusta  misura  la  moralità  dell'intento. 


VI 


ADDIO,    NIKOLA!. 


quai  notte,  qu  md  i  sono  sveglio,  mi 

tanna, 
mo  morente  •  1 1  rame  ne]  setter- 

Prima   di  andare  mia   moglie  mi   ave*  a 

di    Miss    I  n-\  or    Vei 

3t0      ^"lillo 

i  - ,    risti  rata, 

i       ii  mira   in  camera   sua,        mi 
Phillis,       ed  6  Inteso  che  se  non  si  senth  a 
ebbe  tosto  mi    >\  \  mimmi    Spero  però  che 
lontani  rà 

Vi,  ih  purtroppo  cosi    Un  pò   i i  delle  3  udii 

i    porta   della   nosti  a     ami  ra     Suppo 
ni  ini  -■■.  mia  moglie  andò  lei  ad 

aprire:    ••    venne   avvertita    che    Miss    Trevoi 

Vado  immediatamente  —  disse  Phillis;  ■ 
ii   bene  che  la   notte  era  tri 
andò   dalla    sua  am 

ti.,   uni    .i  ;u    paura   i  he  si    tratl  i  il  una 

iisse  quan  li    rientrò   un  qua i  oi  a 

i  -- ,  ha  la  febbre  altiss  ma  ed  U   delii  io 

\.,n    vi    i  li    m  iiiii.ui'   ~ni. un   pel 

_  i  ,  u  risposi.  — 

ipisco   proprio  cosa    possa 

—  Il  dottore    ce    lo  sapra   diri'.    —    «lisse    una    nui- 

i  sintomi  ora  si  si  no  manifestati  più  i  bla 
rumente,  per  cui  potrà  rarne  la  diagnosi.   Ma   non 
-  tempo  a  discorrere.  <  iorro  subito  dia  lai 
Vppena    uscita    mi   vestii    e   sce9i    nella  hall    In 
.    guardia  di    notte.    Egli    si    incairicò  di 
trovarmii    un    fattorino    per   andare    a    cercari    > 
re     quando  lo  ebbi   spedito,  tornai    nella  sala 
•i-iri.    au  '  esi    il   lume,    e   mi   misi   a    lef 
lo  di  interessarmi  al  libro  mentre  aspettavo 
i  ,i  i  osa  non  era   possibile .   pei  quanto 
un                     la    una    mente    correva   al   Rio    del 
un  domandavo   quello  ohe  poteva   tare 
Niki    i                  mi  «mi  ni"   e    me    I  Immaginavo   us- 
ui  malgi  ado   I  oi  a   Larda     F  inai 
uhm                 ,  .h   leggere,  e  desiderando  di  trovar 
r,M  he  cosa   da  upare  i  miei   pensiei  i,   an- 
dai alla  finestra.   Era  una  splendida   mattina    Mi- 
riadi   di   stelle  si   riflettevano   nelle  acqui'   osi  ure 
del  i                       le  lampade  di  una  grande  città 
Non  -i  udii  i  li ii  suono   Pareva  la  città  della  Morte, 
-a.  Mentre,  affacciato  alla  finestra, 
,    i uc    tranquilli-,    pensavo    al    pas- 
-in.   di    Venezia,  alla    sua   antica   grandezza.,   ana 
sublime    ed   ai   grandi  uomini   suoi  Bgn. 
ii.ii.i  dalle   mie  meditazioni  dall'arivo  del 
dottore,     hi    la   guardia  notturna   condusse   a    me, 

remod  n  i     di    aven  i    rJii 

bato    ■   quest'ora,  caro  dottor  i,        gli   dissi         ma 
la    povera  Miss    i  irata     Mia    od 

pase  parte   della   sera,   e   al 

mio   ritor I  bu     stava    benino 

li  he  dormiva    in    can 

i   dirci  che   la  sua  padrona  era   agita- 
ti--, ui.i.  per  cui  pensai  bi darvi   a  chia- 

—  ,\\  ete   tatto   ottima 
meni  gnore,   ol 

tintamente, 

Non  vi  è  nul- 
la quanto  la  sollecitudi- 
ne m  questi  casi.  E 
meglio    eh'  io    (  ida    da 

lei  suini'.,  senza  r 
oltre  il  tempo. 

lo     lo     i  "ii- 

dussi  sul  i tare    della 

della    camera    di 
\ii>s  Trevor    Busso  .  mia 
ni   aprir- 
lo condusse  p 
l'infei  > 
i  imi      una     mezz'ora 
egli   scese  da  me. 


nella    sala    di     lettura,    coli' aria    grave    e     tur- 
bata 

i  lottare,  i  he  ve  ne  pare 

—  Essa  li  i   la  fi  bbi  e  altissima,         i  il 

•  •  tri  quentissimo,  ed  ha  il  delirio    Debbo 

pei irvi       H'     ii"ii    posso     assolutamente 

spiegarmi   la    ragione    di   ciò.    Oggi,    più   assai   di 
in  i.    le    sue  condizioni    mi  \  i    sono 

vari    sini"ini    che    non    mi    so    spiegare.     V    buon 
conto,    è    certo  che   essa    ha    bisogno  di    un'in 
miei  perta    e,   con    vostro    pi    n  vado   un 

ii    ii    ad     1 1 1 1 ori ii  i i-ni i     perchè    ne    venga    mantiaia 
una    ni  Ima  della   colazione     1  ad;     Ha  m   è 

ni  bs  ■    ■    tttendei  e  ad    un  ammalata. 

—  Sono    perfettamente  del    vostro  avviso.    —    ri- 
sposi.      -    Vi    sono    "Mi. iman--, lei   vostro    inte- 

i  redete  che  sia  il  caso  di   avvisare  il  padre 
di  \h--    i  revor  di  venir-  1 

—  Per  ora  non  me  ne  pare  il  caso.  —  replicò.  — 
appena    l'ammalata    accennasse    a    peggiorare 

ih    avviserei.    Ho   dato   le   mie   prescrizioni  a 
Halli  ras    e    le    ho    indicato    il    miglior    farinai 
Fra  le  nove  e  dieci  di  stamattina  ripasserò  a  ve- 
di" i.i  e  spero  di  trovarla  me 

—  l'u-i  ""i  i-  '  -  i  imi"-  I  i  -  ua  ma- 
ialila,  rome    potete   immaginarvi,   ri    impensiei 

Dopo   averlo   accompagnato    giù   delle    scale,    ri-  ' 
ini  iiai  nella  mia  camera.    I  itato, 

benché  non  volessi   quasi  ammetterlo,   per  le 
dizioni    assai  gravi   di    Miss    rrevor.    Verso  le  sei, 
una    iii"'_'lie    scese    per    qualche    minnt".     l'amma- 
lai i  ei  a   sempre   nello  stesso  stata 

—  Essa  o  in  pieno  delirio  mi  disse.  l'aria 
continuamente   d'una  grande    sciagura  che   li 

\  pasta,  implor  indorili   di   venii  le   in  aiuto,   m  i 
spiega  chiaramente  di  che  si   tratti.   Mi 
cuore    vederla  soffrir    unito    e    non    poterla   solle- 
vare! 

—  Dovete  stai  bene  attenta  a  quello  che  fate.  - 
replicai.  —  Il  donine,  partendo,  mi  pn  misi  di 
mandarmi    al    più    presto    una    buo'ia    infermiera 

per  togliervi  ogni  resi sabilità.  Gli  dom  ridai  seJJ 

dovessi  telegrafare  al  padre  di  venire;  m 
aspettare   anci  ra;   questo  ci   deve     ■  \d 

ogni  modo  io   conto  di    scrivergl     per    mi 
corrente  delie  cose,  e  per  prepararlo,  nel  caso  ■  i 
dovessimo   chiamarla    Poveretto,    che    ci 
pei   lui  ! 

—  N,,n    certamente    maggiori     di    quanto   1" 
per    noi,    —  'Usse    l'hillis.   —   Non    si  in.» 
alle  volte   penso  che    it                    modo    ne  ho  io 

".a 

—  Che   sciocchezza,    bimba    mia!  —    replicai.  — 
■  he  avete  da  rimproverarvi,  poveretta!  Al  i 

trario.  Non  \i  tormentate  a  questo  modo,  altri- 
menti vi  annullereste.  Ricordatevi  che  non  siete 
tanto  i"i  te  ! 

—  Si,   si.  avete  ra-      n       Eccomi  di   nuovo  calma. 
—    p  —    Mi     immagino    quelle 
lira    i!    povei  i  Due  i,   quando   udrà  quest 

—  Ieri    sera    ira    quasi    tu  .il    di    se.    -     li- 

a   peggio  assai.   ■■   non  so  cosa  farcii, 

lui 

Essa   rimase  in   silenzi qualche  nini  ito.  as- 

soi  ta  ih  i  suoi  i'cm   ■ 

—  Dick,    volete   i  he  ve    lo  dii  a  '    Per   quanti 
sembri    assurdo,    lo    sono   per-nasa   che    il    v 

inolia  amica     e   devili"   al    di  ttoi     » 
kola. 

—  Dite     davvero  !     -  molando   una 
vi\  a   sorpresa          Ma  che   c'entra    il  dottor  Nik 

—  Perchè   Un   da  cinque   anni   fa.   ogni    N 

ci   incontriamo  in   lui,  ci  capila  una  disgrazia 
ricordate   dell  influenza  esercitata   -u  di   lei   al 
prima   cimosi  ersi     I  ssa   ei  i    I"  n   diversa   dal 

Minila   sera  che  andamm giro  per  la  i  ittà     l  d 

ora    nel    suo   delii  io   essa    pai  i  i    •  oiitinuamen 
la    spaventevole    casi   ili    Nikola.    e    da    qu 
,.   i  i.   -,   .invili. e  che   -  immagina   di   assis 
ad    una   di    qui  ne    atroci    i  he    ebbero   lu 

nel   passato,  e  forse  li  inno  lungo  ani  he 


Lr1- 

111 

I 

III 
Pi 

ai 


rssssi 


! 


^  c^^-T^V^  *T"  fitfs 


s^'   :" 


' 


III 

Ir 

pi 

I 

ru 
in 

Ili 

pi 
Ili 

[11 

111 


W 


n 


» 


l 

1^ 

In 
fu 

pi 

Ir 

IH 


In  •. 


ZEFFIRO 

Ventilatorino  automatico 

elegantissimo, 
imitazione  avorio  o  tartaruga. 

REGALO  SENZA  PARI 

per"     slsnore     e     signori 

Novità  assoluta, 

comodità  senza  precedenti, 

benessere  mai  provato. 

L.   7.50  franco   nel   Regno 


Domande  con  cartoline  vaglia  alla  Ditta 


Grandezza    :    1|5  del  vero 


The  Anglo   Italiani    C.    C. 


AHI 


ro,  Via  Dante,  G. 


NB.  Il  disegno  dà  appena  una    lontana    idea    del     nostro    zeffiro 
movimento. 


% 


L5D 

i 


u 
i 

ni 

ii 

i 
j 

ni 
j 

iil 

ni 

ni 

iil 

ni 
il 
u 

\ 

ni 

in 


ni 
51 

ni 

fi 
ni 


ni 


pi 

II 

IL 


vSj&YÌBfa 


Si  sp 


chiesta  ca- 


la]     !  ti  1  ila  tori     Lettrici  e 

dei  ventilato!  .■  nto  d'o- 


I  ..    :■ 


.cS 


.M$m&i,  . 


sa@§ 


£>^iwc? 


J 

ai 

fi 

:U 


ISSi 


"=ir="=.T=" 


VII 


ADDIO,    NIK<  ILA  !.. 


Dio  le  venga  in  aiuto!       dissi  fra  'li  me.  Poi. 

m    a   mia   moglie,   Le  <  i  i  : —  •  : 
i     , .  rto  i  he  la  strana  e  straordinaj  la   pi 
nalltà  ili   Nikola    fece  su   .li  lei   l  Impi  i  he 

li  ai  meno  fa   In  tutti  quanti  lo  conobbi 
tutto   ciò,    spero   i  he    non   \  on  ete    Incolpare 
Ila  inaiatila  ili  Gertrude.  Sarebbe  il  col 
ni"    dell  immaginazione, 

i  limi  e       continuò  una  moglie,  spi       che 

lui   fatto   una    strana    SCOPOl  la 

i  he  sarebbe?   -  le  dissi  In  tono  quasi  aspro, 

Mi  ero  ratto  lo  stesso  tante  domande  i  he i  de 

sideravo    punto    «li     venire    Informato    .u     altre 

uni  breve  pausa  prima  di  proseguire 

tta\  i    senza    dubbio   ch'Io   ai  rei   accolto    la 

sua  scoperta  con  scetticismo,  se  non  con   un  sor 

moglie,  fin  da  quando  la  conobbi,  ebbe 

sempre  un  gran  timore  del   ridicolo, 

padro ti  ridere  come  vi  pare  ••  piar,' 

-  mi  disse.  —  E'  certo  però  che  la  coincidenza  è 

rdlnaria  per  non  notarla   Vi  ricordate, 
in.k.  che  il  dottoi   Nikola  venne  da  noi  all'attergo 
alle  i 
remetti   di   essermi   tradito   dalla   sorpresa    Non 

ii ei  mai    immaginato    cb  essa    i tsse   rai mi 

una  simili'  domande 

—  Si,   —   risposi   cercando   di    mostrarmi    calmo. 

Mi    parr    lii'iii'   rlif    sia    così.   l-'.f-Tl i    fece    una    sem- 

plice    visita    di    i  ortesia    a    Don   Martini»,    prima 
accettasse  il   suo  invito.  Io  stesso  r«cl 
la  stessa  cosa,  ve  ne  sovviene? 

Sicuro  —  replicò  ella.  —  ma  ciò  aon  vuol  dire. 
Credo  vi  ricorderete  puri'  che  fu  a  quella  precisa 
mi  che  Gertrude  fu  e  ita  dal  male.'  i-:  t  >  t  >  ■  ■  1 1  «  - .  die 
ne  dite  ili  questa  coincidenza  ' 

Ella  mi   fece  questa  domanda  con  tale  aria  di 
trionfo,   come  se   nessun  argomento  da  parte   mia 
se  a  combatterlo. 

—  i.he  volete'  N.iii  vedo  proprio  nulla  di  tanto 
straordinario  replicai,  \.e  pure,  se  ve  ne  ricor- 
date,   una    volta     venisti'    menu,    pochi    minuti    dopo 

l'ari'iv..  del  vicario  a  casa  nostra  E  con  ciò,  do- 
vi vo  io  attribuire  li  vostro  svenimento  alla  sua 
presenza?  Perchè  dunque,  credere  che  la  malattia 

il,     M  li.     01     Sia    dovuta    alla    visita    di    corti 

fatta  dal  Dottor  Nikola  al  nostro  amico  Don  Mar- 
in...-  ' 

-  Vi  premi  .li  non  chiamarlo  col  nome  di  amico 

-  dis>e  mia  moglie  con  aria  dignitosa.  —  Detesto 
quell  individuo 

Mi  guardai  dal  dirle  che  il  linea  divideva  la 
sua  antipatia  per   lui;   essi    SÌ    sarebbero    messi    dar 

i"    .  ro   poiuto  far   nascere  delle   que- 
stioni   spiacevoli,    i>a   manto    saggio    e    prudi 
tacqui,    sapendo   per   esperienza   come   qualunque 

10   avessi  detto   noi.    avrebbe    mutato   la  si- 
tua/  

Una   mezz'ora  dopo  dovetti   informare   Glenbartb 

-ravi    condizioni    di    Miss   Trv • 

—  Fin  da  ieri,  vi  avevo  detto  che  non   era   una 

importanza  —  mi  ih— e.  come  se 

lo    resi sabile    della    sua    malattia.  —   Evidi 

minte  il  dottore  non  ci  capisce  nulla .  se  ci  tenete 
alla    sua    salvezza    l'uni- 
ca  .  Osa  da    farsi  e   di   fal- 
lili     dottore      ila 
I  ■  i 

—  11      He.  ano     di      Bl  i 
minster    ha    uno    stipen- 

i      di  BOO  -telline  all'an- 
no        risposi  calmo,  — 

e    il    dottore    che    \ 

consigliereste     di     chia 
noi.    domandereb 

0    .li 

quali  he      centinaia      di 
ghinee,    pei     un    -mulo 
lo 

—  i 
per  qualche   mi 

-.  rabile  sterlina  ?  —  firri- 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  ti  rompono  subito  1 


UH  noi  itnpte  incusso  «(Stilli 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


dò   egli  in    \enla.   Dick,    non    \i   .  ledevo  così  ve- 

nal 

—  lo    non    Vi    parlo    per   conto    mio,    ma    pensando 
io    puh..         risposi  D'altronde   non   credo 

che  il  dottore  ih  i] in  sia  .osi  ignorante,  come  dite 
voi,  Si  tratta  di  una  malattia  complicata  e  il 
ina.  e  l  ammettere  egli  stesso  che  non  capisce  - 
lamenti'  il  caso,  a  parer  mio  gli  la  onore  Quanti 
al  suo  post.,  ci  butterebbero  della  polvere  negli 
occhi  assicurandoci  .li  capire  perfettamente  la  ina- 
latila' 

Ma   egli   non   vedeva   le  cose   dallo  stesso  punto 
di    vista    ed    era    perfettamente    convinto  che    noi 

non     taceva per    lei,    che     egli     amava,    quanto 

a\  renano  dovuto  fare    Mia  nn    lie    dop     .  olaz 

lo  prese  da   parte  e  dopo  un   Imi 

a  convincerlo  delia   ragionevolezza  del   nostro 

cedere      Oliando    tornai     dal     la  I  Piacisi  a.     dovi 

andato  a  spedire  alcuni  rimedi,  lo  trovai  più  calmo 
e    ragionevole 

I' prima    delle    dieci,     venne    il    dottore:     dopo 

un   aci  inai.,  esame  dell'ammalata,  ini   disse  chi 
vrebbe   desiderato    un   consulto.    Questo    purtroppo 
non  valse  a  chiarire  le  cose.   Entrambi   i  dottori 
Chiararono  di  non    aver    inai    visto   un    raso   sin 

L'ammalata  non  aveva  più   febbre,   non  accus 

nessun  male,  e  la  sua  mente,  salvo  di  tanto  in 
tanto,  era  quasi  a  posto.  Erano  sicuri  che  non 
si  trattava  di  una  paralisi,  benché  non  poi 
fare  il  minimo  movimento.  La  breve  durata  della 
malattia  non  giustificava  la  grande  debolezza  e 
la  presenza  di  certi  altri  Sintomi  Non  ci  rimaneva 
quindi  altro  da  fare  che  di  aspettare  paziente- 
mente il  corso  degli  eventi.  Partiti  ì  dottori,  andai 
da  Glenbarth.  Il  povero  ragazzo  fu  ben  lontana 
dai   mostrarsi   soddisfatto  del    mio  rapporto    Egli 

aveva    sperato    di    ricevere    .1  ne     notizie    e 

I  incapacità   dei    medici   nel    farsi    un    giudizio   della 
malattia  e   nel    prevederne   un    buon   esito,    lo   i 
fermò    sempre    più    della    loro    incompetenza.    Se 
glielo   avessi   permesso,   avrebbe   telegrafato   imme- 
diatamente al   più  noto  e  tatuo,.,  dottore  d'Euri 
ed    avrebbe   speso   metà    delle  sue  remine   princi- 

pi  -.  he    pel    ridarle   la    salute. 

Verso    sera    le   condizioni    di    Miss     l'revoi    si    ag- 
gravarono.  Col   cader  del    giorno   eia   stata   ripi 

dal    deliri laiia    febbre     Passami ina   noti* 

piena  d'angoscia;  al  mattino,  quando  venne  il 
lori-,  questi  mi  dis-,  i  he  a  parer  suo  sarebbe  - 
prudente    di    idei:!  alar.-    al     padre    dell'ammal 

\ ni    diffonderò    nel    descrivervi    l'arrivo    del 

He.  in.,  di   Bedminster    a    Venezia.   I  fra 
.1    rispettabile  vecchi.,  gentiluomo  e   -uà   figlia  fu 
da     parie    sua      estremamente    commovente      I 
i   lo  riconobbe,  come  non   riconosceva  mia  mo- 
glie    Quando   mi    raggiunse   nel    salone,  un   q.i 
d'ora   dopo,   egli   faceva  pietà     Mentre   stavamo  di- 
scorrendo    insieme     venimmo   raggiunti    da    (1 
bauli,  die  gli  presentar  II  decano  non  sapeva  della 
viva    simpatia   che   egli    aveva    per   sua    figlia,    ma 
m'immagino  che,    dopo    qualche    tempo,    capi 

Vivo     interesse     per    lui,     che    i  I     d..ve\ 

.piallile  cosa    in    aria    Era    arrivato   a    tempo'    Nel 
pomeriggio   Miss  Trevor   and.,   peggiorando;    .   <l"t 

torj    -i    mostravano  vivamente    imi li     P-ssammo 

imi  ioni.,  e   l'in- 

domani in  grande  ansia 

non      vi     erano     .ambia 
melili      nelle      sue      .  li 

La    natura    cono 

i. alt. 'va      Indefessamente 

passo,  l'ammalata 

.  i ,,     empri     allo    stesso 

punto,    non    si    notava    ne 

un  peggioramento,  né  un 
no  ii  amento  Dietro 
o  del  dottore  ne 
venne  i  hiamaio  un  ter- 
zo,   con    p".  o    suci  esso 

come    per    l 'addirli        I 

nalmente    quell'lndimen 

in  abile   dopo   pranzo,    il 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

{MILANO-TORINO 


TUTTI  FOTOGRAFI!! 

ÉOO,000    ZVT^OOIHIIlSrE    FOTOGRAFICHE 
sono  state  bloccate  dalla  sottoscritta  Ditta  e  si  mettono  in  vendita  ai  seguenti  prezzi  : 

Corredi 


La  Reale. 


4- 


r.  II  nilOVO  lOlO^PalO.  '  tografìca  in  légno,  ricoperta 
uso  pelle  segrinata  nera,  con  maniglia  —  per  fotografie  della 
grandezza  di  centimetri  6  112X9  con  sei  chassis  per  poter  cari- 
care la  macchina  con  6  lastre  in  modo  da  poter  fare  successiva 
mente  sei  fotografie  >li  persone  o  gruppi,  animali,  paesaggi,  ino 
annienti,  ecc..  sia  a  posa  che  istantaneamente.  Obbiettivo  lumi 
noso.  un  visore  spulito,  otturatore,  sempre  pronto,  valore  Q  OR 
L.   20  per  sole     . L.   U.ùJ 

2.  La  Regina. -fe 

umilile  al    Nuovo    Fotograto 
^      ma  con  visore  chiaro,  anziché 
spulitoecondueanelli,  0  7R 

2  valore  L.  25  per      L.   0.1  J 

a?  prezzi 

3  per  Rivenditori 

g      6  del   X.   1  .     .     .  L.   18.- 
§     6  del   N.  2  .     .     .     -  20.- 

-  .lei    N.   3.      .      .      -    22.- 

=*>    6  del  N.  4  •     •     •     "  58.- 
H      6  del  N.  5.     .     .     »  eC- 
Come  la  Regina,  ma  con  ccue  visori  cnian 
anziché  con   uno,    e    con  due  anelli,   K  OR 
valore  L.  30  per L. 

L'Impera- 
trice. -  S: 

china  fotografica 
per  eseguire  foto- 
grafie di  gabinetto 
da  cm.  9X12.  op- 
pure gruppi .  ani- 
mali .  monumenti, 
paesaggi,  sia  a  posa 
che  istantaneamen- 
te e  ciò  che  si  vuole 
'  itografare;  perso- 
ne ,  animali  ,  car- 
rozze ,  anche  men- 
tre sono  in  movi- 
mento; ha  un  ob- 
biettivo luminoso, 
due  visori  spuliti, 
cambi  amento  di 
diaframma,  otturatore  sempre  pronto,  contatore  delle  lastre  ope- 
rate, con  caricamento  per  o  fotografie  successive.  Valore  Ù  AA 
L.  55    per 

Id.  con  caricamento  per  12  lastre 

s.  La  Divina.  - 

1  li  i  na  fotografica 
non  plus  ultra  venduta 
fin  ora  a  !..   40  e  50. 

Questa   eccellentissi- 
ma macchina  è  coperta 
intexoderma  nei 
na    grossa    con    mani- 

-  Serve  per  foto- 
della  grandezza' 

obbiettivo    acro- 

■ ,    luminoso,  ot- 
turatore per  posa  e  per 

oh  a  ;    regi 

\  elocità;  diafram 
ma  a  iris;    e  cioè  che 

si  restringe  concentrando  i  vari  raggi  coni  I      marcarne   da 

parecchie    centinaia  ili    lire,    con    due   visori   luminosi,    contatore 
delle  lastre  operate,   madrevite  per  l'uso  del  treppiede,     v, 

Però  fotografie  6  112X9  L.  ftQO  Per  6  fot.  9X12  16  chassis.  L.j  2.00 
Per  i2fotografie  6112X9  "12.00  Per  i2fot.9Xi2(i2chassis)  »  J4.v)0 


LLìo.oo 


indispensabili  per  dotte  Macchine. 

Corredo  per  le  macchine  IL  NUOVO  FOTOGRAFO 
La  Regàlia    e  la  Reale. 

Questo  corredo   è    indispensabile   per    ottenere 
fotografìe  di  centimetri  6  ■  9. 

12    Lastre    americane    extra    rapide 

6X9 L. 

Bagno  per  lo  sviluppo  delle  1   , 

lastre S-J    T 

Bagno  viraggio 

Bagno  fissaggio  per  la  carta  l 
Busta  carta    sensibile    con     t2    fogli 

per  12  fotografie L. 

12  cartoncini  per  applicare  le   fi  to- 

grafie.     .         L. 


1.30 


RI 


J.40, 
0.20  \ 


2.40 


Corredo  supplitivo 

in  legno  di  noce  con  panno  e  molle  d'acciaio 

•  l.  0.45, 


Torchietto  per  stampare  .     . 

2  Bacinelle  celluloide  per   le    lastre    A  PA 
6  1)2X9 I..    U.UU 

Lampada  portatile  novità    per  foto- 
grafo cent.   13x8  per  cerino  o  hi-   0  QA 
mino  ad  olio L.    U.Ul 

Sgocciolatoio    per    asciugare    le    la 
stre      .     .  L 


2.35 


.40 


12    Lastre    americane    extrarapide 
9x12  .,    : L. 

Bagno  sviluppo  per  le  lastre  / 

»      Bagno  viraggio     .     .    .=  .>    L. 
n      Bagno  fissaggio     .     .  \      g. 

Busta  carta  sensibile  12  fogli   .     L. 


12  cartoncini I. 


Corredo  indispensabile 

per  le  macelline  fotografiche  9X1- 

o  cioè  l'Imperatrice  e  la  Divina, 


2.50 
l.OO 

0.60 
O.40 

Supplemento  al  corredo 

per  le  macelline  centimetri  0X1- 

Torchietto  9X12  in  legno   noce  con 
panno  e  molle  acciaio   per   stani-    A  OA 

2  Bacinelle  celluloide  9x12  .  L.    (j.ijO 

1  Sgocciolatoio L.    040 

1    Lanterna  portatile  novità  per    fo- 
tografo, grandezza   cm.   13XS  per    fi  QA 
camicia L.    "•"" 


4.50 


2.70 


Per  acquisti  a  centinaia,  da  ri- 
vendere in  Italia  o  all'estero, 
prezzi  da  convenirsi. 

Dirigere  le  richieste  col  relativo 
importo  alla  Premiata  Prima  Casa  di 
Liquidazione  Permanente  MICHELE 
DE  CLEMENTE,  Foro  Bonaparte,  74, 
Mi /mio -Succursale:  Via  Mercato,  14, 
Milano. 


Nili 


ADDIO,    NIKOLA! 


primo    'i  •■     tanta 

lui       •  1 1 1 . 1  < 

ummalata  era  iti   uno  stato  d'estrema 

che   andava    min    mano     lamentando 

non    oppresso   dal    dolore    andai    a    dare    la 

dolorosa   notizia  al    Decano    li   povero  vecchio   mi 

indo  alia   i stra   e  mirò 

del  i  ana]  grande.  Dopo  un 
i   me.  mi  posò  la  mano  sulla  spalla  e 

llll      il 

—  -  Iddio,  Sia  ratta   [a  su  i   volontà 
Ma  ditemi,  quando  mi   sarà   permesso  'li   vederla? 

Me  ni'  informerò  sui 
E  con  dotti  ire    Mentre  attraversai  o 

ni   Imbattei   nel  signor  Galaghett i    il 
era   pn  fi  nd  tmente    colpito  dalla    ti  iste 
notizia,  '■  \cin\ a  in  tutta  fretta  in  Cerca  di  me 

mi  disse       se  volete  dai    retta  a 

un',  la  salveremo  ancora    Sentite:  \i  ricordate  deJ 

mico,  il  dottor  Nikola,  che  i  uro  la  mia  li- 

i  bbi  ne,   andate  da   lui,   e  pregatelo  di   ve 

nire    Sono  cei  to  che  la  guarirà 

Balzai  dalla  sorpresa.   Devo  confessare  che  que 
si  idea  un  era  già  venuta,  ma  non  credevo  pi 
bile    di    metterla    in   esecuzione     Perchè,   dum 

inni  ricorrere  a  lui?  Gala.gb.ett1   mi   rdò  ch'egli 

salvato  sua  figlia  quando  unti  gli  altri  do1 
toi  i  di  Venezi  iata,  e  me  ne  par- 

on   Ianni  entusiasmo  che   credetti    beni    di 

prova    Quando   entrai  nel    sai 

ibartli   venne  a  chiedermi    ansiosamente  noti- 
zie   di    Mi>-     I  1 1  \  01 

—  Ebbene,  come  va? 
Se  sta 

—  Per  carità,  i  m'ingannate.  Se  sapeste  quan- 

fro 
i   gli  raccontai  crudamente       n      lavano  le  i 
senza   attenuarne    la    gravità.    Egli    stette    un   mo- 
menti! prima  di  poti  i   parlare. 

—  No,    non    è   possibile,    essa    non    deve  mi 
[issi    colla   violenza   delia   disperazione.  —   Bi- 

i  tare  tutti  i  mezzi   immaginabili   Dei    sai 
varia!  Ditemi,  non  sapreste  suggerirmi  nulla?  Per 
amor  del  cielo,  non  perdiamo  un  solo  minuto! 

rebbi     provare   a    chiamare    il    dottor 
NLkoia  —  suggerii,   guardandolo  ben   bene   in  viso 
per   vedere    l'effetto   della    mia    proposta.    --   G&la- 
i   insiste  perchi    lo  facciamo  venire 
Nonostante    la    sua    antipatia    per   Nikola,    Glen- 
barth  accolse  il  mio  suggerimento  con  entusiasma 
andiamo   subito   b  o   -    gridò  piglian- 

domi pel  braccio.       Egli  solo  può  aurora  sari 
Vndi  liamo   senza   pei  di  i  e    un    minimi  di 

lem 

-  E'   impossibile!    Bisogna    rispettare    le    conve 
tiienze  in   qualsiasi  circostanza     Devo  quindi   con- 
sultai dottori  prima  di  chiamarne  un  altro. 
Mi  duoli    'li  di  iì  er  dire  che  qui  il  Duca  si  sei  *  i 
di   parole  e  di   termini    poco  parlamentari  per  un 

uomo  del   suo   rango    i"   liedi  pi         i        sue 

pai  ole  e  feci  lontà    l  doti n    fi 

la  menoma   i  bbie  !  -   una   proposta  di  chia- 

mare   un    quarto   consulente,    benché    fossero    pei 


suasi    •  in     ni  n    .  i    fosse    più    nulla    d  ma 

quando  pronunziai   il   nome  di   Nikola  capii   sul 
di  aver  sollevato  una  grande  tempe 

Spero    signori,   che  vorrete   |  la   mia 

chi  l  Manzi    ci   diceste    che    min    \ 

speranza   per   I  ammalai  i    i  ira.   in  colluseci   pei 
pi  ii    espi    iei  ore   del   dottor    Nikola.   e 

rebbe    quindi   ingiustificabile    -  in   non    sentissi    il 
suo    parere,    se  pure    sci  onsentirà    di    venire,    l 
tani.   da    me    I  idea    di    andare   conti  n    la    . 
di   offendervi,  ma   capirete  che   prima   d'ogni   alt 
i  a  cuore  la  salvezza  di   Mis      i 

l  ■  i li--''  il   più   alto  dei   tre,   il  qua 

gliava    invariabilmente   sempre  la    parola.   —  che! 
a  questa   condizione,   né   io  ne   i   miei  colleglli  i 
Mimeremo   a   curarla     Non    su   lui"   a  qual   puntovi 
sia    nota    la    capacità  di   questo   dottor   Nikola.   ma 
mi   permetterò  di  dirvi  che  circolano  le  più  sii 
storie  sul   conto  suo,   e  sul   suo  sistema  di   cura 

I'"  ih  In'   m    fondo  egli    dicessi    la    \  erità,    pure    io 
sue     paini»'    ni'     irritarono.     L'unica    mia    fede 
in    Ini. 

—    Spei  amente    che    i farete    qui 

—  gli  dissi.  —  Ad  ogni  mod ioli  devo  rinunciare 

ali  mura  speranza  che  ci  rimane  di  sollevare  1  am- 


; 


i  vos 

altro    che    ri- 


malata,   per  non   offendere 
di   protessi 

—  in  questo   ■  aso  non   ci  rimane 
tirari  i,        disse  uno  dei  dottori. 

—  E'  questa   l'ultima   vostra   parola? 

—  L'ultima.  ai    irono  tutu  insie e  il  pi 

alto  aggiunse:   —  Siamo  dolentissimi,   ma  la  n 
stra  decisi i   irrevocabile 

Dieci    minuti    dopo    lasciavano    indispettiti    l'ai 

Ero  in  un  serio  dilemma!  E  se  la  presenza  <i< 
dotti  i    Nikoia    esercitasse   un   cattivo  effetto   suDj 
paziente,   o  se  egli   rifiutasse   di    venire   a    vedi 
In   questo   caso   avendo  io   offeso    i    migliori    dottori 
di  Venezia,   sarei   in  certo  modo  responsabile  il 
sua  morte!  Ero  in  un  bell'impiccio.  Basta,  in  quel 
momento  i  unica  cosa  certa,  era  che  non  vi  era  un 
minuto  da   perdere.   Mia  moglie  si  mostro  inquie- 
tissima   quando    le    annunziai    la   decisione    presa, 
ma    lauto    (ilenbartli    quanto    io    eravamo    persuasi 
di   fare  pel  su.,  meglio,   ed  ebbinio  1  approvazione 
del  padre  dell'ammalata. 

Dacché  la  pensate  cosi,  andate  sull'istante  ai 
lui    —    disse    mia    moglie,    appena     il     Di 
ebbe  lasciati.        Pregatelo,  supplicatelo  di  non  in- 
dugiare un   solo  momento .   la  di 
gazza   aumenta  sensibilmente,   i 
ancora  in   tempo.    Dick.  Dick,   purché  non   dob 
me  pentirci  di  averlo  chiamato!  Dio  voglia  chi 
la  salvi  ! 

—  Sono  persuaso  che   faccia bellissimi 

pi    i          Ed   i  ri    coi  n    da  lui.   e   spero  di    poi 
dui n   me  subito. 

—  Dio  voglia  che  riusciate  nella  \  i  - 

—  mi  di".'  Glenbarth.  stringendomi   stretta  la 
no     -   s.'  Nikola  riuscirà  a  salvarla,   gli  dai 
quanto  mi  chiederà,  ed  avrà  per  sempre  la  mi 
scenza. 


<  ontinudj 


Anno-II 


fNvM-9- 


•La- Lettura- 


Settembre 


riv!5Ta-alN5ile- 

DEL-rORRILRL- 
^DELLA-3^RA- 


•1902 


Gaetano   Negri 


Dire  degnamente  di  Gaetano  Negri  qui,  oggi,  di-  simo  Estinto,  sibbene  un 
nanzi  alla  sua  tomba  a  mala  pena  rinchiusa,  quando  da  mano  agitata  con  occhi 
più  cocente  è  lo  stupo- 
re angoscioso,  suscita- 
to in  tutti  coloro  che 
l'hanno  stimato  ed  a- 
mato  dalla  sua  scom- 
parsa, repentina  così 
da  sembrar  quasi  ine- 
splicabile ;  potrebbe 
essere  impresa  di  criti- 
co spassionato  e  sere- 
no, cui  non  stringesse 
il  cuore  verun  doloro- 
so ricordo,  né  pertur- 
I  lasse  la  mente  acerbi- 
tà di  rimpianto.  Tale 
non  è  il  caso  mio  ;  che 
la  morte  dell'uomo  il- 
lustre, del  cittadino  più 
gliorioso  per  nobiltà 
umo  e  d'intelletto, 
onde  andasse  ancor  su- 
perba Milano,  provo- 
ca  in  me  sbigottimento 
tr  ppo  intenso,  troppo 
acuto  cordoglio.  Scri- 
verò dunque,  come  già 
lo  storia)  antico,  in 
luogo  di  piangere; 
ma  non  sarà  un  fedele 
ritratto  quello  che  nel- 
la tristezza  dell'  ora 
presente  saprò  deli- 
neare   del    desideratis- 


Gaetano   Negri. 


La  Lettura. 


incerto  profilo  tracciato 
offuscati  da  lacrime  mal 
rattenute. 


Non  era  possibile 
avvicinare  Gaetano  Ne- 
gri senza  cedere  al  fa- 
scino che  emanava  dal- 
la persona  sua.  Tutto 
in  lui  conspirava  ad 
eccitare  la  simpatia  : 
geniale  franchezza  del 
tratto,  affabilità  spon- 
tanea e  schietta,  doti 
preziose  del  milanese 
d'antico  stampo,  che 
gli  facevano  accoglie- 
re con  benevolenza 
cortese  pur  chi  non  a- 
vesse  mai  per  l'innanzi 
veduto.  In  lui  nulla 
del  burbero  cipiglio, 
della  freddezza  orgo- 
gliosa, ond'  altri  insi- 
gni sogliono  ricingersi, 
quasi  di  valido  usber- 
go, contro  lo  sconosciu- 
to in  cui  non  int  rav- 
vedono ancora  l'ami- 
co, ma  temono  già, 
memori  delle  trasci  1 
battaglie,  l'avversario. 
Semplice,    modesto,    il 

49 


/  / 


0 


LA    LETTURA 


ri  bramai  ritirsi  come  i.iwduppato  e 

>  da  una  calda  atmosfera  d'affetta 

L" n  nonnulla  bastava  .1  conturbarlo;   se  taluno, 

anche  a   malapena  noto,  gli   si   mostrava  me-i  che 

cordiale,  tosto  ei  ne  ricercava  il  motivo,  e  rii.venu- 

ffaticava  a  toglierlo  via.  Egli  era  insomma 

profondamente    buono,    d'una  Imma    illuminata   e 

i,   cui   non   mancava  il   condimento  eletto  di 

quella    fine    ironia,    che    l'antichità    volle   chiamare 

ttica  dal  savio  il  quale  ebbe  ad  invocarla  pri- 
mo, perchè  confortasse  del  suo  discreto  sorriso  la 
scialba  volgarità  della  vita.  «  L'  Ironia  e  la  Pietà 

.1  due  linone  consigliere;  l'ima,  sorridendo, 
o  ci  fa  amar  l'esistenza;  l'altra,  che  piange,  ce 
«  la  rende  sacra.  L'  Ironia  che  io  invoco  non  è  cru- 
€  dele.  Essa  non  prende  a  giuoco  né  l'amore  né 
«  la  bellezza.  Essa  è  dolce  e  benevola.  Il  suo  riso 
«  placa  lo  sdegno:  essa,  essa  sola  ci  insegna  a 
«  beffani  de'  cattivi  e  degli  sciocchi,  che  noi  po- 
«  tremmo,  senza  di  lei,  aver  la  debolezza  d'odiare  ». 
scrive  Anatole  France  in  una  pagina 
squisita  del  suo  G tarditi  d'Epicuro:  ed  è  ap- 
punto in  questa  conformità  intellettuale  col  ge- 
niale scrittore  francese  da  additare  la  cagion  pri- 
ma della  simpatica  ammirazione  onde  il  Negri  fu 
indotto  a  dedicare  all'autore  del  Mannequin  d'osier 
pagine  scintillanti  di  grazia,  che  ninno  tra  i  let- 
tori nostri  ha  certamente  scordate. 


Gaetano  Negri  amava  passionatamente  la  natu- 
ra. In  mezzo  ai  campi  egli  si  sentiva  felice.  Alla 
Cassinetta,  nella  sua  vasta  e  vecchia  casa  di  cam- 
pagna, lungo  i  viali  rioriti  del  giardino  cupo  per 
ombre  secolari,  cui  rallegrano  le  nitide  acque  del 
Naviglio  che  quivi  corre  forte  a  modo  di  fiume, 
pareva  ringiovanire;  ascoltava  con  maggiore  leti- 
zia le  grida  festose  dei  nipoti  miste  al  garrire  di 
quegli  uccellini,  di  cui  compiacevasi  tanto  da  vo- 
lerne sempre  qualcuno  nella  sua  stanza  da  studio. 
Come  gli  uccellini,  che  distingueva  colla  sicura  e- 
sperienza  dello  scienziato,  tutti  gli  animali  lo  in- 
teressavano e  lo  commovevano:  gli  dispiaceva  che 
si  molestasse  persino  un  insetto.  Tale  l'uomo  che 
furore  bieco  di  parte  ha  osato  dipingere  un  tempo 
quasi  assetato  di  sangue  ! 

Quest'amore  per  la  natura,  di  cui  doveva  pur- 
troppo divenire  la  vittima,  aveva  negli  anni  gio- 
vanili incitato  il  Negri  ad  occuparsi  precipuamen- 
enza  :  ed  è  noto  a  molti  come  Antonio  Stop- 
pani  l'abbia  avuto  discepolo  e  collaboratore  in  pa- 
i  giche.  Egli  deve  anzi  aver 
li  queste  severe  sue  fatiche  in  qualche 
monografia  speciale,  di  cui  qui,  dove  scrivo,  privo 
di  qualsiasi  mezzo  di  riscontro,  non  posso  dir  nulla 
di   più.   Da  tempi  ad  altre  indagini,  dal- 

l'eterno problema  del  cosmo  passato  a  tentare  l'al- 
tro non  meno  eterno  mistero  che  è  l'uomo,  dei  suoi 
vecchi    studi  ei    parlava    poco  o   punto, 

•ne,  tratto  unto,  nella  conversazione  fami- 
gliare, qu  pportunità  se  ne  offrisse,  egli  la- 
ri re  la  varietà  e  l'ampiezza  del  patri- 


monio scientifico  che  aveva  -  umulare.  Ad 

ogni  molo  di  quanto  Fi  jnasse  lare,  ra- 

ramente intratteneva  altrui  :  la  stessa  famiglia,  cui 
nulla  teneva  celato,  restava  pressoché  sempre  al 
buio  di  ciò  che  egli  andava  elaborando,  e  delle  scrit- 
ture sue  giungeva  a  cognizione  sol  quando  esse  già 
stavano  [kt  vedere  la  luce. 


Egli  è  che  il  Negri  —  e  di  qui  scaturisce  insie- 
me ad  un  altra  efficace  prova  dell'altezza  del  suo 
animo  una  cospicua  testimonianza  della  sua  au- 
stera modestia  —  come  da  ogni  altro  vanto  ambi- 
zioso rifuggiva  dal  professarsi  apertamente  un  let- 
terato, uno  scrittore.  A  chi  gli  tributava  lode  per 
taluni  suoi  saggi,  donde  più  luminosa  traspariva 
la  vigoria  del  pensiero,  nudrito  dalla  meditazione 
e  dallo  studio,  egli  rispondeva  con  arguto  sor 
d'essere  non  già  un  sapiente,  ma  un  amatore  di 
sapienza;  meglio  che  un  sofo,  per  dirla  ancora  con 
Socrate,  un  «filosofo».  In  realtà  egli  apparteneva 
a  quella  schiera  d'uomini  che  abbondarono  nel  se- 
colo testé  spirato,  in  Inghilterra  ed  in  Erancia,  i 
quali,  sottraendosi  tratto  tratto  alle  agitazioni  fe- 
conde ed  al  lavoro  febbrile  della  vita  pubblica, 
amavano  cercare  sollievo  e  riposo  nelle  placide  re- 
gioni del  sapere.  Ammiratore  e  seguace  degli  es- 
sayists  inglesi  più  famosi,  quali  furono  il  Carlyle 
ed  il  Macaulay,  Gaetano  Negri  seppe  felicemente 
emularli,  dettando  sopra  i  più  svariati  argomenti  in 
materia  di  filosofia  e  di  letteratura,  saggi  notevoli 
sempre  per  larghezza  di  vedute,  novità  di  concetto, 
calore  di  esposizione.  I  volumi  ne'  quali  egli  si  piac- 
que raccogliere  taluni  fra  questi  scritti,  usciti  spar- 
samente in  giornali  quotidiani  ed  in  riviste  perio- 
diche, fanno  fede  delle  singolari  attitudini  critiche 
del  Negri;  per  cui  egli  poteva  colla  stessa  acuta 
sicurezza  d'indagine  recare  giudizio  dei  romanzi  di 
Georges  Elliot  e  dei  filosofici  volumi  di  Ernesto 
Renan  ;  ripresentare  alla  mente  dei  leggitori  con 
vivacità  di  colorito  le  estatiche  visioni  del  Serafi- 
co d'Assisi,  ardente  d'amore  per  l'umanità,  e  scru- 
tare i  segreti  congegni  della  politica  del  Cancellie- 
re di  ferro.  In  tutta  questa  sua  produzione  mirabil 
mente  varia  spiccano  sempre  le  stesse  doti  di  a 
tore  eminente;  coll'agile  sua  prosa  il  Negri  inca- 
tena il  lettore  come  soleva  legare  l'uditore  col  fa- 
scino ben  conosciuto  della  sua  maschia  ed  eloquen- 
te parola.  Uomo  di  Stato  compito,  l'ho  detto: 
quale  ben  raramente  l'Italia  ha  posseduto;  quale 
oggi  non  possiede  più:  ;i|>o  scomparso,  cacciato  di 
nido  da  un  altro  tipo:  anello  del  professore 
gliato,  che  preferisce  alla  cattedra  dell'insegnante 
la  bigoncia  del  tribuno.... 


Ritiratosi  da  qualche  anno,  come  niuno  ignora. 
lungi  dalle  procelle  della  vita  politica,  per  ubbidi- 
re, più  che  ad  altro,  al  desiderio  de'  suoi  cari,  che 


GAETANO    NEGRI 


77 


lo  volevano  felice  e  sereno  dentro  le  pareti  dome- 
stiche, tra  il  reverente  omaggio  di  amici  sinceri  e 
provati,  il  Negri  aveva  con  alacrità  maggiore  ri- 
presi i  suoi  studi  prediletti.  Come  di  tant'altri  in- 
signi spiriti  è  seguito,  così  era  avvenuto  di  lui:  la 
storia  del  Cristianesimo  da  gran  tempo  lo  attirava. 
lo  pungeva  la  brama  di  penetrare  più  addentro  nelle 
misteriose  cagioni  per  cui  la  religione  predicata  dal 
Messia  di  Palestina  seppe  conquistare  il  vecchio 
mondo  pagano,  foggiarlo  a  propria  posta,  poi  dalle 
rovine  sue  cavar  quello  che  ancora  informa  d'un 
soffio  potente.  Scrutando  la  lotta  suprema  tra  il  Gen- 
tilesimo morente  e  la  fede  novella,  una  figura  aveva 
colpito  il  Negri  per  l'alta  sua  originalità:  quella 
di  Giuliano,  l'imperatore,  che,  abbandonata  la 
scuola  per  la  reggia,  aveva  saputo  tra  le  mollezze 
bizantine,  far  mostra  d'austeri  costumi,  rivelare  nel 
filosofo  un  capitano  di  genio,  concepire  l'audace 
pensiero  di  restaurare  in  un  sol  culto  dei  Numi  se- 
mispenti la  cadente  fortuna  di  Roma.  Il  libro  che, 
un  anno  fa  all'incirca,  esci  alla  luce,  trovò  acco- 
glienze oltre  ogni  dire  favorevoli  :  ed  il  giudizio 
che  la  critica  europea  unanime  ne  ha  recato,  è  in- 
dizio sicuro  del  suo  singolare  valore.  Il  Negri  vi  si 
è  rivelato  storico  e  filosofo  ad  un  tempo  :  storici , 
nell'illustrazione  di  tempi  malnoti,  di  vicende  oscu- 
ramente narrate  dagli  scrittori  contemporanei  ;  filo- 
sofo nel  chiarire  il  viluppo  dei  dogmi  e  delle  dot- 


trine che  agitavano  gli  animi  in  quel  misterioso 
mondo  orientale  tanto  prossimo  ad  irrevocabile  fi- 
ne. E  con  quale  arte  non  seppe  egli  seguire  i  passi 
del  suo  protagonista,  scrutarne  le  azioni,  divinarne 
i  disegni,  mostrare  infine  dove  fosse  la  lesione  in 
quell'edificio  che  precipitò  seppellendo,  funebre 
monumento,  chi  l'aveva  innalzato  !  E  poiché  Tinte- 
resse  che  le  ricerche  già  istituite  su  quel  periodo 
oscuro  di  prova,  donde  il  Cristianesimo  uscì  vit- 
torioso, s'era  acuito  più  che  appagato,  finito  il  li- 
bro intomo  a  Giuliano,  il  Negri  stava  ora  medi- 
tandone un  altro,  di  cui  l'Italia  sarebbe  stato  il 
teatro.  Ambrogio  l'eroe,  argomento  la  battaglia 
ingaggiata  fra  l'eresia  ariana  e  la  fede.  Ed  inve- 
ce..... Invece....  mentre  Egli,  fedele  al  suo  proposito 
di  salire  in  alto,  sempre  più  in  alto,  ascendeva  con 
gagliardia  quasi  giovanile  i  monti  di  Santa  Cate- 
rina, una  pietra  smossa,  un  rovinio  di  ghiaia,  chi 
sa?,  ha  troncato  a  mezzo  il  bel  sogno:  ha  strap- 
pato all'Italia  un  figlio  illustre:  ha  tolto  ad  un 
modello  di  moglie  e  di  madre  il  compagno  fedele, 
ai  figliuoli  un  padre  adorato.  Sulla  salma  sangui- 
nosa di  Gaetano  Negri  s'inchina  reverente  la  Pa- 
tria ;  chi  l'amò  perchè  lo  conobbe  d'appresso,  ne 
piange  inconsolabile  la   perdita   immatura. 


Ckamonix,  :  agosto  1902. 


Francesco  Novati. 


^«S* 


*     - 


$ulle  macerie  del  campanile  di  $an  IVja^co 


IN     VENEZIA 


^K^ì&ér^x: 


Ad  Ettore  Zoccoli. 

Fra  l'azzurro  del   cielo   e   quel  del  mare, 
Fra  lieve  spira  di  migranti  augelli, 
Come  nave  cui  manchino  i  puntelli 
Lo  vedemmo  giù  giù  precipitare. 

Dell'immane  colosso  al  grave  earco, 
Tremò  di  marmi  il  secolar  traforo. 
E  sui  fastigi  della  chiesa  d'oro 
Sussultaro  i  cavalli  di  San  Marco. 

Colto  il  voto  e  il  sospir  del  navigante 
Anco  una  volta,  l'angiolo  dorato, 
Coltali  aperte  al  volo,  immacolato. 
Sulla  soglia  del  tempio  apparve,  orante 

E  le  campane  dall'aerea  loggia 
Pronte  de'  riti  al  consueto  bando, 
Tratte  nel  turbili  della  strana  roggia, 
Come  a  stormo  suonar,  precipitando. 

Si  fé  silenzio  dalla  terra  al  mare, 
Dal  Ponte  de'  Sospiri  oltre  a  Rialto, 
Un  nimbo  di  colombi  intanto  in  alto. 
Stette  il  lugubre  ammasso  a  riguardare. 

\  on  la  Loggetta  no,  del  Sansov/no 
Gemo  sud/o  ne'  marmi  e  fuso  in  bronzi. 
Za  dove  il  seco!  che  impinguò  sui  gonzi 
Sfruttò  il  popol  giocante  all'indovino. 

Oh  Lìou  di  San  Marco!  Oh  don /aloni, 
Spiegati  ai  venti  dati 'Adriache  prode, 
Il  pina  colo  eccelso  ahi  pai  non  s'ode 
Salutar  colle  sa     i    i    i       cannoni 

Dei  navigli  ancoranti  alla  Laguna 
Ma  tu  gondola  nera  il  Gran  Canale 
Bacerai  m  hi  in  nota  eguale 

Sulle  macerie  piangerà  la  luna.' 

M.  Sampori. 


FERRAVILLA 


(Con  disegn    di  Ferra; 


e,  tra  qualche  secolo,  si  vorrà  scriver  la 

storia  del  teatro  italiano  sui  documenti 

tanto  numerosi  lasciati  dell'  epoca  no- 
stra, tutti  gli  attori  potranno  essere  con  qualche 
verità  e  con  qualche  somi- 
glianza rievocati,  tranne 
uno:  Edoardo  Ferravilla. 
Per  sapere  ciò  che  egli  è, 
per  avere  un'idea  del  pro- 
blema curioso  che  egli  rap^ 
presenta,  non  basta  aver 
sentito  dire:  bisogna  aver- 
lo visto  alla  ribalta.  Ed 
anche  allora,  lo  si  intuisce 
ma  non  si  riesce  a  definir- 
lo. Di  che  è  fatta  la  sua 
arte?  Quale  è  la  ragione 
della  sua  irresistibile  po- 
tenza? Perchè  mai  ciò  che 
egli  fa  par  così  lieve  e  fu- 
gace ed  è  invece  cosi  resi- 
stente e  profondo  ?  Dove 
ha  le  radici  quella  sua  nuo- 
va comicità  che  gli  anni 
non  scolorano?  Come  si 
maturò  in  lui  il  magistero 
della  misura  e  della  sobrie- 
tà? Per  qual  processo  men- 
tale è  egli  mai  riuscito  a 
creare  tanti  tipi  così  sem- 
plici e  così  complessi,  così 
generali  nella  loro  essenza 
e  così  particolari  nella 
forma?   Per  conto  mio,   ho 

osservato  con  molta  cura  Ferravilla  alla  ribalta. 
ho  scrutato  con  insistenza  talora  indiscreta  Ferra- 
villa nella  conversazione  amichevole,  ho  interroga- 
to critici  di  provato  valore,  ho  cercato  di  riassumer- 
mi le  impressioni   del  pubblico,  e  non  sono  riusci-     sibile  aspetto  dell'anima  umana. 


Ferravilla....  coi  baffi 


to  che  a  trovarmi  davanti  al  cervello  più  denso,, 
più  tentatore,  quasi  più  irritante,  il  mistero.  E 
alla  fine  ho  dovuto  conchiudere  che  Ferravilla  è 
Ferravilla,  qualche  cosa  di  assolutamente  inaudito, 
una  pianta  nuova  tra  la  flo- 
ra che  cresce  nella  serra 
calda  del  teatro:  un  quid 
comico  che  comincia  dal- 
l'impercettibile e  finisce  al- 
l'enorme ;  non  un  rivoluzio- 
nario, ma  una  rivoluzione 
nella  scena  e  nell'  umori- 
smo, un  uomo  in  cui  il  con- 
nubio tra  il  vero  e  il  fan- 
tastico è  tale,  che  egli  me- 
rita l'epiteto  paradossale  di 
inventore  dell'osservazione. 
Taluno  ha  detto:  Ferravil- 
la è  la  nostra  ultima  ma- 
schera. Forse  è  vero  ;  ma 
per  trovare  una  maschera 
come  questa  bisogna  risali- 
re ai  tempi  più  gloriosi 
dell'arte  nostra,  quando  la 
maschera  non  era  una  con- 
tinuazione di  tradizioni 
consacrate,  ma  la  creazio- 
ne di  un  carattere  con  la 
creta  miserabile  della  real- 
tà, sotto  il  pollice  di  un  ca- 
ricaturista dalla  invincibile 
fantasia.  E  anche  da 
questo  punto  di  vista,  bi- 
sogna consider  re  Ferra- 
villa non  come  una  maschera  sola,  ma  come  dieci, 
ma  come  venti,  ma  come  un  popolo  di  maschere  :  e 
bisogna  convenire  che  maschera  vuol  dire  solidifi- 
cazione con  linee  tipiche  e  resistenti    di  qualche  ri- 


774 


LA    LETTI  RA 


Nella  comicità  che  merita  assolu- 

tamente il  nobile  nome  di  umorismo,  vi  <■  solo  que- 
sto ili  evidente:    la  continuità  dei  rapporti  tra  il 
.  e  la  novit  rapporti. 

Fai  ridere,   molti  sanno:   certe  faccie  hanno  il 
■  .li  provocar  l'ilarità  con  un  solo  movimento 
dei  muscoli:   certi  buffoni  della  vita  e  del  b 
fani'  r  la  risata  con  una  parola:   ma  quel 

ma  quella  parola  sono  l'assurdo,  il  va- 
cuo, ritintile,  sono  la  grazia  mastodontica  dell'ele- 
fante che  balla,  sono  la  smorfia  grottesca  della 
scimmia.  Una  volta  che  la  nostra  risata  è  caduta, 


(Fot.  L.  Ricci  di  l'arisi  hi.  Artica  e  C.) 

non  risorge  più  :  batte  un  po'  Tali  con  la  frenesia 
di  un  uccello  ebbro  di  sole,  poi  piomba  sfinita  e  fi- 
nita. Nella  comicità  di  1-VrraviTla  c'è  sempre  un 
duro  nòcciolo  umano,  c'è  qualche  cosa  che  è  comu- 
ne a  tutti,  veramente  nostra,  perchè  l'abbiamo,  se 
non  osservata,  certo  avvertita  spesso,  nella  vita. 
In  ogni  uomo,  in  ogni  avvenimento,  noi  ci  accor- 
giamo che  c'è  un  non  so  che  di  non  sincero,  di  non 
spontaneo,  di  non  persuasivo,  che  è  o  più  basso  o  in 
contrasto  con  il  nostro  modo  di  sentire.  In  questo 
non  so  che  c'è  la  base  dell'umorismo.  Ferravi  Ila 
se  ne  serve  sempre:  non  per  riprodurlo  come,  ma 
per  portarlo  alle  sue  ultime  conseguenze,  per  in- 
grandirlo in  modo  che  tutto  un  pubblico  l'avverta, 
per  rendere  tutta  una  folla  capace  d'una  così  deli- 
cata sensazione.  Per  esempio,  nel  Maesier  Past:c:<i 
il  protagonista  afferma  seriamente  d'aver  compo- 
sta lui  la  sinfonia  del  Guglielmo  Teli.  La  millante- 
ria è  d'una  allegria  irresistibile:  ma  in  fondo  di 
essa  si  vedono  millanterie  minori,  più  piccole  bu- 
gie, più  velenose  e  più  effi  dunnie  in  uso  nella 
classe  dei   musicisti.    Il    libretto  dell'opera  che  lo 


Pastizza  ha  composto,  è  una  delle  più  gio- 
conde e  grottesche  cose  che  si  possano  immaginare. 
Quell'eroe  che  invita  la  sua  amante  a  fuggire,  con 
la  celebre  nmianza: 

Afa  vieni  "  cara 

vieni  a  F.n  la 

che  ti  troverai  contenta, 
quell'eroina  che  dopo  tanti  anni  da  che  l'amante  è 
partito  ha  una  rivelazione  telepatica  del  suo  ritorno, 
sembrano  caricature  sconclusionate.  Ma  se  osservate 
bene,  vedrete  come  nascano  dai  libretti  d'opera  in 
voga,  come  esse  non  siano  anzi  altro  che  i  libretti 
stessi  con  le  loro  caratteristiche  smisuratamente  in- 
grandite. In  quello  che  inventa  Ferravilla  c'è  sem- 
pre un  si  is)  rato  o  psicologico  o  sociale.  Senza  esser 
veramente  e  propriamente  un  satirico,  egli  si  si 
di  tutti  gli  elementi  della  satira:  solo  che  questa 
taglia,  offende,  combatte,  mentre  l'arte  di  Ferra- 
villa scintilla  solamente  d'una  vivida  luce,  in  cui 
si  con  fondono  la  vita  e  la  sua  caricatura. 

Prendete  un  uomo  normale,  ma  di  mediocre  in- 
telligenza, di  nessun  coraggio,  di  abitudini  cortesi, 
come  è  dei  timidi,  nel  quale  la  dignità  e  l'onestà 
siano  sempre  in  bega  con  la  paura.  Immaginatelo 
sventurato  nei  suoi  rapporti  coniugali,  tradito,  ab- 
bandonato dalla  moglie,  svillaneggiato  dal  sedut- 
tore. In  lui  manca  ogni  energia  di  reazione  ;  colui 
che  gli  ha  rubato  la  moglie  e  per  di  più  l'insulta 
non  può  apparire  davanti  alla  sua  anima  come  un 
nemico  :  perchè  <la  un  nemico  ci  si  difende,  e  il  no- 
stro eroe  non  ha  fierezza  bastevole  per  farlo.  E'  un 
oppressore,  è  un  tiranno:  ora  per  un'anima  candida 
chi  opprime,  chi  commette  violenza,  è  semplicemente 
colui  che  altera  certi  rapporti  di  urbanità,  che  en- 
tra violentemente  nella  vita  altrui  senza  domandare 
il  [ìermesso.  Marcate  un  poco  le  linee  di  que- 
st'uomo, alterate  un  poco  il  suo  profilo,  ingrandite 
la  sua  mitezza  fino  a  una  comica  forma  di  viltà, 
la  sua  garbatezza  fino  alla  sommissione,  e  fatelo 
parlare,  in  un  momento  in  cui  patisca  un  oltraggio 
ingiusto  ;  egli  non  potrà  essere  che  Panerà,  non 
potrà  che  gridare,  quando  il  suo  offensore  è  già 
lontano  :    o  1  ndelieato  !  ». 

In  questa  parola  c'è  una  trovata  mirabile  di  au- 
tore drammatico:  essa  è  insieme  necessaria  e  inat- 
tesa, comica  e  dolorosa,  stupida  e  profonda.  Pren- 
dete un  malfattore,  non  per  ferocia  d'istinto,  ma 
per  deficienza  di  basi  morali,  ma  per  ragione  d'am- 
biente, di  tradizione,  per  ottusità  mentale.  Pone- 
telo di  fronte  alla  giustizia:  in  lui  prevarrà  il 
concetto  d'una  giustizia  ingiusta,  opprimente,  che 
gli  impedisce  di  vivere  come  l'istinto  lo  porta  a  vi- 
vere: le  leggi,  le  loro  sanzioni,  i  loro  castighi,  gli 
sembreranno  un  sistema  tirannico  inventato  da  una 
casta  dominatrice  per  schiacciarlo.  Togliete  ogni 
tristezza  a  questa  figura,  fatene  con  gusto,  con  im- 
peccai >ile  sobrietà  la  caricatura:  avrete  Tecoppa. 
Quando  il  P.  M.  conchiuderà  la  sua  arringa  escla- 
mando: a  domando  due  mesi  di  reclusione»,  Te- 
coppa  si  alzerà  per  dire:  «  E  io  non  accetto».  Die- 
tro la  frase  matta  c'è  tutta  una  psicologia.  E  gli 
esempi  si  potrebbero  moltiplicare.  Essi  si  riferi- 
scono a  Ferravilla  autore.  Perchè  la  sua  personali- 
tà d'attore  non  si  può  separare  da  quella  di  autore. 


FERRA  VILLA 


775 


Egli  non  recita,  crea.  Non  può  interpretare,  perchè 
non  sa  assoggettarsi  a  vedere  la  verità  con  gli  oc- 
chi degli  altri.  Come  la  sente,  la  riproduce  libera- 
mente. Nelle  commedie  che  furono  date  a  lui,  la 
parte  era  sempre  lasciata  in  bianco.  La  improvvi- 
sava. Anche  in  questo  ricorda  i  nostri  grandi  comici 
d'una  volta:  solo  in  lui  è  più  serena  e  più  rigorosa 
la  coscienza  del  verosimile.  Ho  visto  altri  comici 
rifiutare  assolutamente  di  improvvisare  insieme  a 
Ferravilla.  «  Xon  vogliamo  correre  il  pericolo  di 
dir  delle  sciocchezze  davanti  al  pubblico»,  dice- 
vano. E  avevano  ragione. 

Ma  perchè  Ferravilla  queste  sciocchezze  non  le 
dice?  E'  semplicissimo:  perchè  non  parla  mai  per 
conto  proprio,  ma  per  conto  del  carattere  che  si 
mette  in  mente  di  riprodurre.  In  questo  carat- 
tere penetra  subito,  con  una  meravigliosa  facilità. 
E  allora  non  corre  più  il  pericolo  di  dir  cose  inu- 
tili. Dica  pur  soltanto  un  «sin  o  un  «no»,  egli  lo 
dirà  in  modo  tale  da  aggiungere  qualche  linea  bel- 
lissima ed  evidente  alla  figura  che  rappresenta.  Da 
essa  non  esce  mai,  a  qualunque  costo.  Ed  ecco  qui 
rifulgere  un'altra  delle  sue  qualità  più  singolari  : 
la  misura.  Da  venticinque  anni  egli  va  ripetendo 
alcune  delle  sue  interpretazioni  :  mai  le  ha  alterate 
d'un  tocco,  mai  le  ha  caricate  d'un  colore  nuovo. 
Sono  lì,  semplici,  pure,  vivaci,  giovani.  Infatti  i 
tocchi  e  i  colori  sono  per  le  figure  del  teatro  co 
me  gli  anni  per  gli  uomini  :  quando  son  troppi  le 
curvano,  le  rendono  obese,  le  sfibrano. 

Ferravilla  nel  creare  procede  così:  pensa  le  li- 
nee generali  d'un  carattere  ;  e  basta.  Le  battute,  il 
dialogo,  quelle  frasi  deliziose  alle  quali  non  si 
può  resistere,  gli  escono  poi  spontanee,  impreviste. 
Così  è  nato  quel  sorprendente  «Indelicato».  Non 
sempre  alle  prove  il  tipo  si  completa:  talora  ci  vo- 
gliono alcune  rappresentazioni  pubbliche.  Davanti 
alla  folla,  Ferravilla  trova  ancora  qualche  cosa: 
trova  senza  cercare,  trova  per  la  sua  rara  virtù 
di  immedesimarsi  nel  personaggio.  Ma  a  un  certo 
punto  si  ferma:  la  sua  creatura  è  viva,  perfetta, 
non  ha  bisogno  d'altro  :  una  parola  di  più  la  mu- 
terebbe in  un  puppazzo  variopinto.  Ferravilla  ha 
questo  delicato  senso  della  perfezione. 

Di  quali  termini  di  paragone  si  serve?  Rica- 
diamo nel  mistero.  Mistero  sono  i  criteri  che  lo 
guidano  alla  scelta  dei  suoi  gesti  sempre  parchi 
e  sempre  caratteristici  ;  mistero  la  sua  potenza 
di  cambiar  voce,  come  se  in  lui  ci  fossero  innu- 
merevoli uomini,  di  differenti  età,  come  se  la 
sua  gola  fosse  un  perfetto  strumento  musicale  che 
desse  una  inesauribile  varietà  di  suoni.  Talora  lo 
hanno  posto  dietro  un  paravento,  e  gli  hanno  fat- 
ta imitare  la  voce  di  cinque  o  sei  persone  presenti, 
in  modo  che  l'illusione  era  perfetta.  Si  deve  dun- 
que dare  una  gran  parte  —  nell'arte  sua  —  all'istin- 
to d'imitazione?  Infatti  lo  si  è  visto  riprodurre 
sulla  scena  con  somiglianza  assoluta  molte  figure 
milanesi:  basta  ricordare:  Ricoeu  el  beli  e  il  mar- 
chese Villani.  Ma  l'istinto  di  imitazione  è  passivo, 
mentre  in  Ferravilla  c'è  una  continua,  prodigiosa 
vivacità  di  trasformazione.  E  certo  egli  non  imita 
di  più  di  quello  che  faccia  un   pittore,   posto  da- 


vanti a  un  bel  paesaggio  o  a  un  1k?1  viso.  Il  paesag- 
gio e  il  viso  passeranno  sulla  tela,  ma  avranno  as- 
sunto qualche  cosa  di  nuovo:  lo  stile  del  pittore. 
E  lo  stile  di  Ferravilla,  questa  firma  viva,  potrà 
essere  esaminato  in  alcuni  dei  suoi  elementi,  ma 
in  qualche  parte  si  sottrarrà  dalle  nostre  indagini. 
Potremo  ammirare  la  perfezione  della  truccatura, 
la  sapienza  delle  pause,  la  sobria  vaghezza  dei  co- 
loriti, ma  non  sapremo  mai  dire  che  cosa  sia  ciò 
che  è  dietro  il  nostro  riso,  ciò  che  è  più  duraturo 
del  nostro  buonumore.  Che  nobili  visceri  si  nascon- 
dono nella  fecondità  di  questo  creatore? 


Giacché  la  ribalta  ci  sorprende  con  l'arte  di 
Ferravilla,  ma  non  ce  ne  svela  il  meccanismo,  ve- 
diamo un  po'  il  grande  attore  nella  vita  e  nelle  a- 
bitudini.  Forse  potremo  scoprire  per  lo  meno  le 
radici  di  certe  sue  interpretazioni. 

Ferravilla  è  milanese:  è  nato  nella  casa  dove 
era  l'antico  teatro  Re,  in  via  Santa  Radegonda. 
Delle  sue  origini  non  fa  mistero.  «  Sono  un  figlio 
naturale,  dice,  e  non  me  ne  affliggo  per  nulla  :  ta- 
lora, nelle  commedie,  mi  accade  di  vedere  figurati 
dei  figli  illegittimi  che  gemono,  imprecano,  si  cac- 
ciano con  ira  le  mani  nelle  chiome  e  maledicono 
a  chi  li  generò.  Io,  per  conto  mio,  faccio  il  vice- 
versa: sono  riconoscentissimo  ai  miei  genitori.  Pen- 
so sempre  che  senza  di  loro  non  sarei  venuto  al 
mondo.  Se  a  cinquanta  anni  ne  dimostro  trenta, 
se  sto  bene,  se  mangio,  se  bevo,  se  mi  diverto,  lo 


Massinelli. 


. 


76 


LA     LKTTTKA 


ai   miei   peniti  >ri  ;    di 
un  credi        I  I      tnque?». 
Il  ragionamento  non  fa  una  grinza: 
tta  e  originale,  questo  modo 


n.  m 

ma  questa 
specialissi- 


Perchè  l'osservazione  umorìstica  è  in  lui  prepo- 

oQuelli   che   non   mi   conoscono   dicono  che 

ttico,  peggio,  che  sono  cinico.  Non  è  vero! 

Che  colpa  ne  ho  io  se  anche  davanti  alle  cose  più 

del    mondo   mi   viene  un'idea  comica?». 

Ch  duro  «li  cui  ire  gli   secca,  che  lo 

credano  avaro  l'offende.  E  infatti  non  è  vero. 
sta  stare  un'ora  con  lui  |*-r  vedere  quanti  e  quanti 
picchiano  alla  sua  porta  per  avere  dei  sex'' 
E  nessuno  \a  via  a  mani  vuote.  Se  qualcuno  ha 
l'aria  ili  un  mezzo  imbroglione,  Eerravilla  rimane 
un  po'  esitante.  j«>i  gli  caccia  in  mano  un  paio  di 
lire  e  gli  dice:  «Non  molto,  ma  speriamo  che 
tutti  gli  altri  facciano  altrettanto:  a  Milano  sia- 
mi in  500  mila:  due  lire  |»-r  ciascuno  fanno  un 
milione  netto.  Va  dunque  dagli  altri». 

«Quando  sarò  morto,  esclamò  un  giorno,  si  ve- 
drà dal  mio  testamento  che  sono  stato  giusto,  e  che 
mi  sono  ricordato  di  tutti,  perchè  io  so  quello  che 
devo  non  <olo  a  Milano,  ma  anche  alle  altre  città». 
Poi  1"  udii  mugolare  delle  parole  incompren 
li  :  mi  parve  dicesse  che  aveva  disposto  una  somma 
in  favore  dei  pompieri  di  Milano  e  una  somma 
in  favore  delle  povere  vedove.  Perchè  univa  i  pom- 
pieri con  le  vedove?  Mistero!  Egli  chiuse  il  di- 
scorso esclamando: 

a  Mi   sono  tanto  simpatici   i   pompieri!». 

Ma  di  morire  Ferravilla  non  ha  nessuna  inten- 


«P- 


Don  Baldassar. 

mo  di  raccostar  i  fatti,  è  uno  dei  caratteri  che  tro- 
viamo con  maggior  frequenza  nei  personaggi  fer- 
ravilliani.  Spinto  all'eccesso,  questo  sistema  di  ar- 
gomentare condurrà  alla  celebre  frase  che  si  legge 
nella  lettera  d'amore  di  Massinelli:  «Sì,  è  vero. 
sono  piccolo,  ma  ce  ne  sono  tanti  altri  ;  dunque 
che  male  c'è?». 

L'n  giorno  mi  diceva:  «Si  fanno  tanti  commenti 
perchè  non  recito,  e  mi  godo  il  mio  riposo.  Non 
potrebbe  benissimo  darsi  che  volessi  prender  mo- 
glie, e  che  mia  moglie  non  mi  permettesse  di  re- 
citare?». Egli  parlava  con  la  maggior  serietà  del 
mondo,  con  tutto  il  desiderio  d'essere  creduto.  Sen- 
za dubbio,  l'idea  del  matrimonio  gli  era  balenata 
1  1.  improvvisamente,  per  ia  prima  volta.  Ciò 
ni  n  gli  impediva  di  dare  un  valore  assoluto  all'an- 
titesi teatro-matrimonio  che  aveva  costruita  lì  per 
li.  Viceversa  se  si  fosse  accorto  che  lo  prendevo 
sul  serio,  avrebbe  irresistibilmente  sentito  la  comi- 
cità di  ciò  che  mi  diceva,  e  avrebbe  esclamato  con 
l'astizza:  «Che  giovane  di  buon  cuore!  K'  il  pri- 
mo che  me  la  crede  questa  storia!  Farà  carriera 
nelle  marce  funebri  ». 


Il  makstro  Pastizza. 


FERRAVILLA 


777 


rione:  è  un  vero  giovanotto:  come  s'è  detto  sopra, 
dimostra  vent'anni  di  meno  di  quelli  che  ha:  è 
roseo,  gajo,  alacre.  In  complesso  è  un  bell'uomo. 
Alta   la   persona,    il   viso   ovale,    gli   occhi    piccoli 


su  questo  punto:  che  Ferravilla  ne  conosce  l'arte 
in  modo  superbo.  Egli  fa  della  psicologia  anche 
quando  sceglie  una  delle  sue  ottanta  parrucche, 
o  si  dà  il  bistro  attorno  agli  occhi,  o  si  incolla  la 
barbetta  di  crespo.  E  i  vestiti  ?  Dal  marsinotto 
abbondante  di  Massinelli,  ai  pantaloni  rigati  di 
Tecoppa,  ai  guanti  verdi  del  Conte  di  Luna  nel 
Minestrone,  ai  calzoni  bianchi  del  Pedrin.  che  cu- 
riosa serie  di  indumenti  !  Essi  hanno  l'aria,  men- 
tre Ferravilla  recita,  di  prendere  in  giro  i  loro 
confratelli  seri  che  rivestono  i  signori  del  pubblico 
e  di  mormorare:  «nel  vostro  taglio,  nelle  vostre 
foggie  c'è  il  principio  di  quelle  cose  allegre  che 
siamo  noi  ». 

Qualcuno  di  questi  vestiti  ha  anche  una  remota 
origine  nella  vita  di  Ferravilla.  Il  cappello  a  ci- 
lindro di  Massinelli,  è  forse  fratello  di  un  certo 
altro  cappello  a  cilindro  di  cui   vi  voglio  narrare 


El  sur  Pedrin. 

ma  espressivi,  i  capelli  fitti  e  castani.  Il  naso  un 
po'  arcuato  e  piuttosto  piccolo.  Per  questo  quando 
recita  lo  ingrandisce  e  lo  trasforma  continuamente. 
Quando  ha  da  rappresentare  un  tipo  di  vecchio, 
quando  ha  da  farsi  una  faccia  caratteristica,  il 
suo  naso  gli  dà  fastidio.  Gli  sembra  una  stonatura 
nell'armonia  della  faccia  truccata.  Evidentemente 
Ferravilla  è  uno  di  quelli  che  non  vogliono  piazza 
S.  Marco  senza  il  campanile.  E  il  campanile,  cioè 
■pardon,  il  naso  se  lo  fabbrica  con  un  sistema  tutto 
suo.  In  arte  la  truccatura  del  naso  è  poco  diffusa; 
nei  rari  casi  in  cui  i  comici  vi  ricorrono,  adopera- 
no dello  stucco  che  foggiano  e  incollano  con  del 
mastice.  Ferravilla  ha  rivoluzionato  anche  questa 
parte  speciale  del  dietroscena.  Egli  si  fa  i  nasi 
di  ovatta,  d'ovatta  rosea,  pallidetta.  come  i  sogni 
d'una  vergine.  Con  un  batufoletto  di  cotone,  che 
forma,  che  varietà,  che  novità  di  appendici  nasali 
fabbricano  le  industri  mani  dell'attore  milanese: 
nasetti,  nasotti,  nasoni,  teneri,  delicati,  come  fatti 
di  una  carne  morbidissima,  a  un  metro  di  distanza 
di  una  verità  perfettissima. 

Giacché  parliamo  di  truccatura,  bisogna  insistere 


Sindaco  Finocchi. 

la  storia.  Lei  aveva  quattordici  anni  :  era  bella 
come  una  mattinata  di  primavera,  con  una  boc- 
cuccia così,  come  una  fragoletta.  e  due  occhioni 
color    del  fiordaliso.     Lui     aveva     diciotto     anni: 


778 


LA    LETTURA 


era  un  impiegatimi,  guadagnava  oo  franchi  al  me- 
se lavorando  'li  giorno,  e  qualche  cosa  'l'altro  la- 
vi, rami"  ili  notte  a  copiai  rendiconti  per  un  ragio- 
niere. Si  videro,  si  amarono.  11  giovinetto  aveva 
delle  pretese  di  eleganza;  usciva  sempre  con  una 
tuba  motto  alta.  Ma  anche  le  tulx>  patiscono  il 
mal  della  vecchiaia,  anch'esse  scolorisci  mi  ■  come  le 
n  ^|>eranze.  Ora,  siamo  giusti,  poteva  il  nostro 
eroe  passar  sotto  le  finestre  della  sua  amorosetta 
senza  che  il  cappello  a  cilindro  splendesse  come 
un  sole  annerito  per  conservare  l'incognito?  Fer- 
ravilla  —  l'avete  capito,  era  lui  —  escogiti,  un  siste 
ma  straordinario  per  conservare  intatto  davanti 
agli  occhi  della  bella  il  suo  copricapo.  Vi  versava 
sopra   dell'acqua;    poi    una  buona   spazzolata  e  il 

cilindro    riluceva,    abbagliava,    abbacinava Per 

cinque  minuti  soli,  però,  il  tempo  appena  necessa- 
rio per  cogliere  uno  sguardo  a  volo,  e  metterlo  co 
me  un  garofano  fiorito  sul  davanzale  della  sua 
felicità  giovanile  ;  subito  dopo  il  cappello  si 
asciugava,  diventava  opaco  come  l'avvenire  d'un 
impiegato  del  lotto.  Chissà  che  il  ricordo  di  que- 
sto elmo  bagnato  per  portarlo  con  maggior  gloria 
nel  torneo  dell'amore,  non  sia  rimasto  nascosto 
nel  cervello  di  Ferravilla,  come  in  un  armadio; 
per  esserne  ritolto  quando  l'ottimo  Massinelli   dal 


Il  marito  beoni:  (nella  commedia  Martello), 


pelo  rosso  come  la  carota,  e  dagli  istinti  precoce- 
mente mandrilleschi,  ebbe  bisogno  di  mettersi  in 
testa  qualcosa,  per  recarsi  in  società,  assieme  al  suo 
caro  zio  Gerolamo  e  alla  zia  Gerolomina. 


In  fondo,  Ferravilla  è  un  solitario.  Egli  basta 
a  sé  stesso  per  delle  lunghe  giornate.  Ha  sempre 
qualche  cosa  da  fare:  dipinge  con  passione  e  con 
garbo,  giuoca  al  bigliardo  — ■  da  solo  —  con  mol- 
ta bravura,  e  soprattut- 
to suona.  La  musica  è  la 
sua  passione  predominan- 
te. i£'  la  sola  cosa  che 
mi  conquide,  dice.  Mi  fa 
venire  la  peli  de  capoti  ». 
In  casa  sua  ha  due  o  tri- 
pianoforti,  un  harmo 
ninni,  un  carillon...  Quan- 
do ha  suonato  sul  primo, 
sul  secondo  e  sul  terzo 
pianoforte  ;  quando  dai 
pianoforti  è  passato  al- 
Xliar  montimi,  quando  ha 
abbandonato  Xhai -moni um 
per  il  carillon,  prende  il 
cappello  ed  esce  di  casa. 
E  va  in  un  altro  apparta- 
mento, che  ha  affittato 
in  un  angolo  opposto  del- 
la città.  Anche  lì  c'è 
qualche  pianoforte.  Egli 
si  chiude  in  casa,  e  suo- 
na e  suona.  E  non  cono- 
sce una  nota;  ma  esegui- 
sce, a  memoria,  a  orec- 
chio qualunque  cosa;  poi 
compone....  Molti  grazio- 
si ballabili  sono  opera 
sua.  Egli  fa  così:  im- 
provvisa al  pianoforte, 
mentre  un  maestro  di  mu- 
sica fissa  sulla  carta  le 
sue  melodiose  fantasie. 
Questa  passione  di  Fer- 
ravilla si  rivela  in  tutto 
il  suo  repertorio:  la  mu- 
sica vi  fa  sepre  capoli- 
no   el    Maester     Pastizza 

ha  composto  un  opera  e  la  accenna  al  pia- 
no: el  Maestrin  sentimental  (autore  anche  lui 
di  un'opera  intitolata  //  Deserto  dove  non  c'entra 
neanche  un  personaggio)  suona  con  vera  maestria 
il  piano  e  Xìiarmoniiim  contemporaneamente  ;  e 
Gigione,  l'immortale  Gigione,  quel  tipo  meraviglio- 
so che  Ferravilla  ha  creato  facendo,  come  dice 
lui.  un  consonimi  di  cani,  eseguisce  la  parte  del 
Conte  di  Luna  nel  Trovatore  in  modo  da  far  mo- 
rir dalle  risa.  Ma  fra  tutte  queste  figure  che  han- 
no maggiori  o  minori  rapporti  con  la  musica,  una 
ve  ne  sorprendente:  il  vecchio  della  scena  a 
getto  musicale.  Ah.  quel  vecchio  curvo,  così  mise- 
rabili- per  gli  anni  che  lo  aggravano,  per  la 
morte  che  lo  insidia,  quel  vecchio  che  per  ingan- 
nare la  lunga  malinconia  delle  sue  sere  che  non 
avranno  più  gioia,  affatica  le  mani  tremanti  sulla 
tastiera  e  canticchia  con  la  voce  stanca  e  fessa  le 
arie  della  sua  giovinezza,   è  una  creazione  cui  ve- 


C.IGIONE. 


FERRAVILLA 


779 


ramente  due  arti  han  posto  mano:  la  drammatica 
e  la  musicale:  la  sua  anima  è  fatta  dell'una  e  del- 
l'altra :  entrambe  vibrano  in  lui,  con  note  di  eter- 
na verità   e   di  eterna   pietà  ;    mentre   l'umorismo. 


Scena  a  soggetto. 

bizione  e  di  non  averne  mai  provata  :  il  recitare  gli 
piace  per  il  piacere  che  il  recitare  gli  dà,  special- 
mente quando  si  accorge  che  il  pubblico  gode  con 
lui.   Egli   sente  allora  delle  sensazioni   deliziose: 


Tecoppa  impreca  contro  quelli  che  vanno  sul  lago. 

che  è  la  leggera  epidermide  del  vecchietto,  ha  te- 
nerezze e  gentilezze  che  destano  un  dolce  sor- 
risa Talora  però  quelle  vecchie 
mani  si  dimenticano  d'esser  vec- 
chie. E'  Ferravilla  che  Io  con- 
fessa. Quando  sente  la  tastiera 
che  pulsa  sotto  le  sue  dita  gli 
viene  una  voglia  pazza  di  oblia- 
re il  paralitico  che  rappresenta, 
per  premer  forte  sui  tasti,  per 
premer  forte  sui  pedali,  e  lan- 
ciar nell'aria  una  musica  forte, 
allegra,  vertiginosa.  Ma  l'impe- 
to passa,  e  il  vecchietto  resta. 
il  vecchietto  ottantenne,  cui  il 
medico  ha  raccomandato  la 
ginnastica  possibilmente  a  ca- 
vallo.... 

Per  completare  il  carattere  di 
Ferravilla  conviene  aggiungere 
che  egli  dichiara  di  non  aver  am- 


El  sur  Pangrazi. 


però  dopo  lo  lasciano  stanco  e  un   po'  soffe- 
1>i    se   dice  con   tacitiana   ci  incisione:    lAm 
e  son  felice  quando  capisco  che  in  qual- 
che  cosa  rassomiglio  a  loro:   sono  infatti  testardo 

•    un    mulo,    fedele    come    Un    cane,    sospettoso 
ionie  un  gatto,   e   torte  come  un  leone,  e  chi  l'ha 

i.o  dirlo». 


Quando,  fra  qualche  centinaio  d'anni,  i  pompieri 
avranno  ereditato  da  Ferravilla,  e  tutti  coloro  che 
hanno  preso  qualche  cosa  di  vitale  dall'arte  del 
gran  comico  milanese,  avranno  messo  al  mondo 
delle  lunghe  file  di  figli  che  senza  saperlo  ferra- 
villeggieranno  anch'essi,  rimarranno  forse  ancora, 
nel  linguaggio,  dei  frantumi  di  questo  periodo  di 
i:  correranno  delle  parole  a  ricordare  il  re- 
gno di  Ferravilla,  come  cor- 
tono,  tra  le  mani  di  tutti. 
delle   monete  con   un'effigie 

scruta.    Ancora   si   cite- 

Massinelli  come  il  tipo 
del  cretino,  ancora  si  citerà  Gigione  come  il  classico 
rappresentante  dei  cantanti  sfiatati.  Altre  bizzarrie 
magnifiche  saranno  invece  sparite  dalla  vita  sonora: 
tu  o  ingegnoso  Giangianni  che  hai  inventato  la  mac 
china  per  scavare  la  verduia  primaticcia,  tu  o 
pietoso  Pirotta  che  auguri  una  pronta  cecità  al- 
l'amico del  tuo  caro  nonno,  per  poterlo  condurre  a 
spasso  e  provargli  la  tua  devozione,  tu  o  goloso 
Don  Baldissar.  invano  invitato  a  pranzo  se  le  liti 

tuoi  ospiti  ti  fanno  restare  a  bocca  asciutta  : 
tu  o  fastoso  Pedrin  che  lasci  cadere  i  biglietti  da 

]uecento  franchi,  e  vuoi  sapere  a  che  ora  si 
vede  il  mare  —  tutto  il  mare  di  colpo  — ;  tu  po- 
vero Panerà,  che  ti  batti  in  duello  con  un  avver- 
sario che  non  sta  mai  fermo,  e  non  lo  puoi  infil- 
zare. Ma  non  tu  morirai,  o  Tecoppa,  che  hai  fat- 
to di  tutto,  il  domatore  d'orsi,  il  burattinaio,  l'im- 
putato, il  socialista,  l'interprete,  tu  superbo  ga- 
glioffo, tu  ingenuo  malizioso,  tu  onestissimo  ladro, 
ultima  metamorfosi  di  Rabagas  impastato  con  Lu- 


LA    LETTURA 


dro,  con  il  cuor  di  coniglio  d'Arlecchino,  e  le  vo- 
glie adunche  di  Brighella  ! 

i'p.i  è  infatti  il  lieniamino  di  suo  padre. 
I  erravilia  lo  dice  il  tipo  ohe  lo  diverte  di  più, 
il    più    infinitamente   variabile,   colui   che   potrebbe 


Kl  sir  Panerà. 


recitare  in  ogni  commedia,  con  qualunque  attri- 
buto. In  tutte  le  famiglie  avviene  sempre  così:  lo 
scavezzacollo  gode  le  maggiori  preferenze. 

Renato   Simoni. 


I  difetti  dei  due  sessi 


fisterebbe  mai  un  microscopio,  una  len- 
te così  potente  e  misteriosa  che  ci  aiu- 
tasse a  spiegare  l'origine  di  quei  micro- 
bi psichici  che  sono  i  difetti,  le  tentazioni,  i  petiis 
travers  che  insidiano  la  buona  natura  fondamenta- 
le dell'uomo?  Annidati  come  spiritelli  maligni  den- 
tro le  pieghe  del  carattere,  negli  imi  fondi  di  una 
personalità,  vi  acquistano  a  poco  a  poco  i  diritti 
di  cittadinanza  e  sotto  gli  aspetti  e  i  camuffamenti 
più  vari  e  bizzarri,  inaspettatamente  balzan  fuori 
nell'individuo  più  posato  e  più  dignitoso,  la  cui 
prima  apparenza  avrebbe  meno  lasciato  adito  al 
sospetto. 

Ecco  uno  scienziato,  ecco  un  magistrato  che  si 
crederebbero  tutti  assorti  nei  loro  uffici  o  nelle  no- 
bili idealità  degli  studi  e  voi  venite  a  sapere  che 
l'unica  loro  preoccupazione  è  la  combinazione  della 
minuta  di  un  pranzo;  che  da  gastronomi  con- 
sumati getterebbero  alle  ortiche  tutti  i  codici,  tutte 
le  nuove  scoperte,  tutti  i  libri  per  un  buon  pranzo  ! 
Ecco  un  povero  impiegatuccio  che  parrebbe  non 
doversi  preoccupare  d'altro  che  di  tirare  innanzi 
da  un  27  del  mese  all'altro,  e  che  vi  si  rivela  ad 
un  tratto  come  un  rodomonte  gonfio  di  vanità  e 
d'ambizione,  persuaso  di  essere  lui  a  reggere  il 
mondo  ;  ed  ecco  la  civetteria  che  spunta  invinci- 
bile nel  più  disgraziato  e  deforme  corpicino  di  ra- 
gazza che  parrebbe  per  sempre  umiliato  e  reietto 
dalla  natura  ;  la  gelosia  che  appare  prepotente  e 
ridicola  dietro  i  bandeaux  grigi  di  una  stagionata 
madre  di  famiglia  ;  e  così  saltan  fuori  l'avarizia, 
la  imprevidenza,  la  maldicenza,  la  leggerezza,  tutti 
i  dolorosi  doni  del  vaso  di  Pandora,  zacchere  di 
fango  indelebile,  che  1  uomo  sa  di  avere  e  tenta  va- 
riamente di  nascondere. 

Perchè  tutti,  si  può  dire,  siamo  affetti  da  queste 
piccole  ma  indomabili  mende,  da  queste  irrepara- 
bili deficienze  psichiche,  che  per  quanto  non  pos- 
sano paragonarsi  alla  criminalità  più  che  una  pun- 
tura di  zanzara  al  morso  di  un  serpente,  pure,  per 
il  fatto  della  maggior  frequenza  e  per  essere  così 
intimamente  intrecciate  a  tutta  la  trama  della  no- 


stra personalità,  hanno  nella  vita  pratica,  domestica, 
un'importanza  altrettanto  grande  come  i  delitti  per 
la   vita  sociale. 

E  in  ragione  appunto  non  della  loro  importanza 
assoluta,  ma  della  loro  frequenza,  è  interessante  e 
curioso  di  indagarne  più  intimamente  la  natura. 

Perchè  gli  uomini  hanno  certi  difeui  ?  quali  so- 
no i  più  diffusi  ?  da  quali  condizioni  e  da  quali  cir- 
costanze nascono  essi  ? 

E'  anzi  tutto  evidente  che  v'è  una  sorta  di  distri- 
buzione specifica  dei  difetti  e,  ciò  che  è  più  strano, 
delle  loro  gradazioni  secondo  i  sessi  ;  e  che,  come 
i  due  sessi  sono  differenti,  e  volta  a  volta  l'uno  al- 
l'altro superiore  per  le  proprietà  fisiche,  così  anche 
sono  differenti  per  le  qualità  psichiche,  buone  o  cat- 
tive che  siano.  Certi  difetti,  come  la  civetteria,  ap- 
partengono di  preferenza  alle  donne;  certi  altri, 
per  esempio  la  gola,  agli  uomini  ;  e  anche  quando 
gli  stessi  difetti  sono  comuni  ai  due  sessi,  assu- 
mono forme  differenti  nell'uno  o  nell'  altro. 
Perciò  l'esame  di  essi,  lo  studio  della  loro  distri- 
buzione, e  delle  varie  forme  che  assumono,  può 
servire  di  documento  alla  psicologia  così  differente 
dell'uomo  e  della  donna  e  può  aiutare  a  trovare 
le  cause  di  questa  differenza. 

Il  fatto  è  che  questi  difetti  dipendono  da  date 
condizioni  sociali  e  morali  irreducibili,  a  cui  gli  in- 
dividui sono  fatalmente  subordinati  :  condizioni 
d'indipendenza  e  di  dominio  per  l'uno  ;  di  sogge- 
zione e  di  dipendenza  per  l'altra.  La  donna  è  an- 
cora, per  un  complesso  di  condizioni,  soggetta  al- 
l'uomo, e  tutti  i  difetti  dei  due  sessi  si  derivano 
e  dipendono  e  si  possono  sempre  ricondurre,  in  ul- 
tima analisi,  a  queste  condizioni  di  esistenza. 


L'analisi  dei  difetti,  come  ci  si  presentano  di- 
stribuiti nei  due  sessi,  non  fa  che  riconfermare 
questo  concetto.  Pigliamo,  per  esempio,  la  gola. 
Si  potrebbe  credere,  quando  si  pensi  che  la  donna 
è  più  vicina  per  tendenze  e  per  organizzazione  a! 


782  LA    LETTURA 

tutti  sanno  quanto  sia  goloso,  e  quan- 
do si  pensi  che  l.t  donna  ha  parte  tanto  importante 
nella  cucina,  0  direttamente  come  nelle  famiglie 
della  pìccola  borghesia,  dove  maneggia  essa  stessa 
le  i>entole,  o  indirettamente  nella  classe  ricca  dove 
la  dirige;  si  potrebbe  credere,  dico,  che  la  donna 
-e  più  golosa  dell'uomo.  Invece  è  il  contrario 
che  accade.  Gli  uomini  sono  molto  più  profonda- 
mente e  più  frequentemente  golosi  delle  donne. 
Per  quanto  sia  sempre  stato  grande  il  numero  delle 
donne  che  «han  fatto  la  cucina»,  pure  tutti  i  cele- 
bri  trattati  culinari  sono  stati  fatti  da  uomini,  come 
quello  famosissimo  del  Urillat-Savarin  e  quello  del 
Vialardi  e  quello  più  recente  e  altrettanto  cele- 
1  re  dell'  Amisi,  ecc.  ;  e  son  sempre  uomini  i  sag- 
giatori di  vino  e  di  the  e  di  caffè;  e  son  di  uomini 
tutti  gli  esempi  storici  e  proverbiali  di  golosi  :  Lu- 
cullo,   Sardanapalo,  Gargantua,   Pantagruel. 

In  francese  esistono  le  parole  gourmand  e  gour- 
mande,  ma  la  parola  gourmet  che  dinota  più  pro- 
priamente un  raffinato  buongustaio  di  cucina  è  e- 
sclusivamente  maschile  ;  si  dice  gourmet  ma  non 
gourmette. 

Questo  maggiore  sviluppo  della  ghiottoneria  nel- 
l'uomo  può  esser  giustificato  da  molte  ragioni.  Pri- 
ma di  tutto  l'uomo  ha  una  capacità  alimentare  più 
grande  che  non  abbia  la  donna:  ora  l'esercizio 
sviluppa  la  funzione  e  l'uomo  mangiando  molto 
impara  ad  apprezzare  ed  a  gustare  le  raffinatezze 
della  cucina.  Ancora  l'uomo  vive  una  vita  di  lavoro, 
mossa,  piena  di  emozioni  e  di  sensazioni,  la  poli- 
tica, gli  studi,  la  borsa,  il  commercio,  in  cui  sono 
in  giuoco  continuo  i  suoi  sensi  e  la  sua  intelligen- 
za. Questo  stato  di  eccitamento  e  questo  bisogno  di 
stimoli,  passa  in  tutti  gli  altri  sensi,  e,  naturalmen- 
te, anche  nel  senso  del  gusto.  Egli  vuole,  a  tavola, 
che  il  suo  gusto  sia  lusingato,  stimolato  da  qual- 
che cosa  di  piccante,  di  eccitante,  di  sempre  va- 
riato. 

E  infatti  l'alcoolismo  che  è  la  nota  più  acuta  di 
questa  passione,  per  gli  elementi  eccitanti  è  una 
malattia  essenzialmente  maschile  e  quasi  scono- 
sciuta alle  donne.  Invece  la  donna,  che  vive  una 
vita  molto  uniforme,  senza  grandi  eccitamenti  né 
distrazioni,  non  ha  bisogno  di  tutti  questi  grandi 
stimoli,  ed  è  assai  più  indifferente  alle  raffinatezze 
della  cucina.  Si  aggiunga  che  se  il  saper  gustare  le 
raffinatezze  della  cucina  è  la  ragione  prima  della 
gola,  anche  l'aver  la  potenzialità  di  esercitare  que- 
sta raffinatezza  è  una  condizione  non  meno  impor- 
tante: ora  la  donna  potrebbe  possedere  anche  le 
raffinatezze  del  gusto,  ma  essendo  così  subordinata, 
avendo  una  parte  secondaria  nella  casa,  non  le  può 
far  valere:  anzi  cerca  piuttosto  di  reprimerle  e  di 
vincerle.  In  molte  famiglie,  e  non  c'è  chi  cercando 
nella  propria  esperienza  individuale  non  ne  conosca, 
l'incontentabilità  dei  mariti  e  dei  fratelli  mette  a  una 
vera  tortura  le  donne  di  casa  le  quali  tremano  per 
le  minime  imperfezioni  di  cottura,  pei  minimi  di- 
fetti anche  degli  ingredienti  secondari.  Questo  per- 
chè nella  loro  qualità  di  padroni  di  casa,  di  capi 
della  famiglia,  essi  si  credono  in  diritto  di  poter 
aver  tutte  le  esigenze,   di  veder  soddisfatti   tutti    i 


li 'io  gusti  e  non  son  trattenuti  da  nessuno  scrupolo, 
da  nessun  riguardo,  da  nessuna  discrezione  nel 
brontolare,  nel  protestare.  In  questo  modo,  allean- 
dosi il  dispotismo  con  la  gola,  essi  finiscono  per 
diventar  dei  veri  ghiottoni. 

Tutto  il  contrario  invece  accade  per  la  donna, 
la  quale  nella  sua  funzione  di  reggitrice  e  magari 
di  facitrice  diretta  della  cucina,  ne  sopporta  tutto 
il  ] leso  e  la  responsabilità,  ma  non  ha  mai  la  pre- 
occupazione di  soddisfare  al  proprio  gusto,  ma  solo 
a  quello  dei  suoi  0  uomini»,  e  per  lei  un  pranzo 
che  va  bene  è  quello  che  più  piace  ai  suoi  ospiti, 
che  può  evitarle  le  querimonie  dei  mariti,  dei  fra- 
telli... 

Una  signora  che  io  conosco  ha  un  marito  cosi 
esigente  in  fatto  di  cucina,  e  questa  cucina  è  un 
tal  spauracchio  per  lei,  che  anche  di  notte  essa 
tiene  una  lavagnetta  con  sé  per  combinarci  su  quan- 
do si  sveglia  i  mcnus!... 

E'  anche  questo  che  allontana  la  donna  dalla 
gola  ;  l'essere  troppo  spesso  la  vittima  espiatoria 
della  golosità  dell'uomo. 

La  gola  è  dunque  un  vizio  essenzialmente  provo- 
cato, prima  dalla  vita  più  eccitante  e  più  ricca  di 
stimoli  d'ogni  sorta  e  fomentato  poi  da  quella  spe- 
cie di  dispotismo  che  dà  una  cosciente  supremazia 
nella  casa. 


Per  le  stesse  ragioni,  che  dipendono  ancora  dalla 
sua  qualità  di  menag'ere  e  dai  suoi  rapporti  di  di- 
pendenza e  dalla  monotonia  della  sua  vita,  la  don- 
na è  molto  più  avara  dell'uomo,  infinitamente  più 
circospetta,  economa  e  sospettosa  nello  spendere 
il  suo  denaro.  Datele  un  assegno  mensile,  sia  pur 
minimo,  ma  fisso,  ed  essa  riuscirà  sempre  a  cavarne 
un'infinità  di  cose  che  un  uomo  pagherebbe  certo 
due  volte  tanto.  Del  resto  questa  avarizia  della 
donna  si  può  cogliere  in  una  quantità  di  manife- 
stazioni. Essa,  per  esempio,  preferisce  sempre  i 
magazzini  dove  non  vige  la  regola  moderna  del 
prezzo  fisso,  e,  senza  tener  conto  del  tempo  che 
spreca,  mette  tutto  il  suo  accanimento,  tutte  le  ri- 
sorse del  suo  spirito  a  contrattare,  offrendo,  senza 
arrossire  menomamente,  un  quarto  del  prezzo,  non 
abbandonando  il  terreno  che  palmo  a  palmo,  cen- 
tesimo per  centesimo,  contenta  quando  porta  via  il 
suo  acquisto  a  metà  del  costo,  senza  pensare  che  il 
mercante,  conoscendo  la  sua  debolezza,  le  ha  do- 
mandato il  doppio! 

Un'altra  particolarità  in  cui  vien  fuori  questo 
suo  sentimento  innato  di  avarizia,  è  la  sua  difficoltà 
a  dar  denari  spiccioli,  per  qualsiasi  cosa  che  non 
sia  mercanzia.  Tutti  quelli  che  fan  parte  di  un  co- 
mitato di  beneficenza  possono  constatarlo.  Oggetti 
in  natura,  indumenti,  lavori  fabbricati  dalle  loro 
m;ni....  in  abbondanza,  ma  denari  pochi  o  punti.  E' 
difficile  strappar  loro  io  o  20  lire  anche  quando  per 
comprar  gli  oggetti  che  esse  vogliono  offrire,  fini- 
scono per  spender  di  più;  ma  esse  non  possono  ri- 
nunciare al  gusto  di  comprare,  di  scegliere,  di  con- 
trattare, di  correr  le  botteghe,  e  soprattutto  ali 


I    DIFETTI    1>KI    DUE    SESSI 


7 


83 


di  far  con  quegli  oggetti  una  «miglior  figurai  che 
non  collequivalente  in  denaro. 

Così  si  dica  della  grettezza  delle  donne  per  tutte 
le  spese  che  non  si  vedono  ;  per  esempio,  le  man- 
eie  ai  camerieri  e  alle  cameriere  dell'albergo,  per  le 
spese  di  libri,  di  musica.  Una  signora,  per  quan- 
ti) ricca,  trova  sempre  che  un  libro  o  uno  spartito 
si  posson  sempre  trovare  e  prendere  ad  imprestito 
ed  è  ben  raro  che  abbia  la  passione  collezionista 
di  quadri,  di  oggetti  antichi  ;  essa  pensa  che  ci  son 
cose  assai  più  importanti  in  cui  si  può  spendere  il 
proprio  denaro,  per  esempio  in  un  gioiello.  Una 
donna,  inoltre,  non  sa  godere  una  cosa  astratta- 
mente in  sé,  al  di  fuori  del  suo  valore  intrinseco. 
Un  uomo  si  paga  spensieratamente  un  capriccio, 
non  tanto  perchè  il  capriccio  sia  cosi  forte  in  lui, 
quanto  perchè  gli  importa  poco  del  denaro  ;  una 
donna  se  lo  paga,  quando  può,  perchè  il  desiderio 
è  molto  intenso,  non  perchè  essa  non  pesi  il  de- 
naro che  le  costa.  Essa  ha  insomma  sempre  dinanzi 
agli  occhi  la  visione  economica  della  vita. 

La  ragione  di  questo  fatto  è  che  ben  di  rado  la 
donna  si  trova  in  condizioni  di  disporre,  di  maneg- 
giare liberamente  il  denaro.  Pochissime  delle  don- 
ne che  io  conosco  hanno  denaro  di  cui  possano  di- 
sporre. Quando  son  ragazze  son  provvedute  di  tut- 
t.  :.  dei  vestiti,  delle  lezioni,  di  viaggi,  di  spese  di 
teatro,  ecc.,  dalla  famiglia,  ma  non  hanno  vere 
somme,  di  denaro.  Quando  son  maritate,  o  hanno 
un  assegno,  che  è  assorbito  quasi  tutto  dalle 
spese  di  toilette;  oppure  devono  mano  a  mano 
che  spendon  presentare  al  marito  le  note  o  doman- 
dargli il  denaro  ;  anche  con  un  marito  compiacen- 
te la  cosa  è  molto  noiosa,  perchè  fa  sentire  ad  ogni 
momento  alla  donna  la  responsabilità  di  fare  una 
spesa,  le  condizioni  di  dipendenza  e  di  soggezione 
in  cui  si  trova.  Così  l'istinto  dell'economia  e  quello 
dell'avarizia  nascono  quasi  necessariamente  in  lei 
per  le  condizioni  di  dipendenza  in  cui  è  tenuta  an- 
che nella  propria  casa. 

L'uomo  invece  fa  volentieri  il  gran  signore:  tro- 
va naturale  di  distribuire  laute  mancie,  di  far  re- 
gali, di  non  mercanteggiare,  di  pagarsi  dei  capricci, 
perchè  guadagna  egli  stesso  il  denaro,  e  nella  pro- 
pria attività  e  nel  proprio  lavoro  trova  la  zecca  sem- 
pre pronta  a  rifornirsene  e  perchè  inoltre  egli  non 
è  mai  paralizzato  dall'idea  di  dover  rendere  conto 
e  di  dover  subire  un  controllo  su  quanto  spende. 
Inoltre  il  largheggiare  rientra  nella  linea  della  sua 
personalità  virile,  è  un  modo  di  affermarsi,  di  te- 
nere un  posto  socialmente.  Come  la  donna  è  ap- 
prezzata per  la  bellezza,  per  le  sue  arti  di  grazia 
e  di  seduzione:  così  l'uomo  è  valutato  per  quello 
«he  guadagna,  per  quello  che  possiede  e  lo  spen- 
dere largamente  è  per  lui  come  una  prova  vera- 
mente dimostrativa  di  aver  guadagnato,  un  modo  di 
a  valere  agli  occhi  della  gente».  Viceversa  non  c'è 
quasi  mai  nella  donna  quella  forma  d'avarizia  così 
spiccata  nell'uomo  che  è  l'avidità  del  danaro.  La 
necessità  e  la  possibilità  di  «far  danaro»  colla  pro- 
pria opera  mentale  o  materiale,  fan  sì  che  l'uomo 
sia  spinto  insensibilmente  a  farne  sempre  più,  più 
che  le  sue  facoltà  o  il  diritto  non  lo  comportino. 


con  tutte  le  forme  di  avidità:  uomini  che  per  far 
qualche  migliaia  di  lire  di  più  all'anno  si  sotto- 
pongono ad  un  improbo  lavoro  sopranumerario  an- 
che quando  il  bisogno  si  è  dileguato;  mercanti  che 
non  vogliono  lasciar  sfuggire  nessun  affare,  per 
quanto  superi  la  loro  potenzialità  ;  medici  che  per 
voler  fare  un  gran  numero  di  visite  non  mettono 
la  minima  coscienza  nello  studio  del  malato  ;  av- 
vocati che  prolungano  a  bella  posta  le  liti  dei 
clienti e  tutti  mettono  un  accanimento  straordi- 
nario al  guadagno,  aspri  ed  avidi  e  inconsciamen- 
te crudeli.  Questa  forma  di  avarizia  o  meglio  di 
avidità  di  guadagnare  e  di  accumulare,  esclusiva- 
mente maschile,  non  è  altro  che  l'esagerazione  del 
compito  fisiologico  dell'  uomo  nell'  azienda  dome- 
stica, per  procurarsi  il  denaro. 


Un  altro  difetto,  preponderatamente  femminile, 
è  la  gelosia.  La  donna  con  minori  occupazioni  in- 
tellettuali assorbenti,  con  una  immaginazione  più 
viva  ed  esclusiva  (come  essa  è  esclusiva  nei  suoi 
affetti)  prende  ombra  e  sospetto  dalle  minime  cose. 
Da  una  statistica  fatta  sulle  donne,  che  io  conosco, 
appare  che  almeno  80  per  cento  delle  donne  sono 
gelose  più  o  meno  patentemente.  Una  delle  espres- 
sioni caratteristiche  della  gelosia  è  l'orgoglio,  il 
piacere  che  la  donna  prova  nel  credere  che  il  ma- 
rito, l'amante  sia  geloso  di  lei.  «  Mio  marito  non 
mi  lascia  fare  un  passo  fuori  di  casa»,  mi  diceva 
con  fierezza  una  giovane  sposa,  a  E'  cosi  geloso,  e 
mi  vuol  tanto  bene!».  Un'altra  si  lagnava  che  il 
marito  la  lasciasse  sempre  libera,  non  si  informas- 
se delle  sue  lettere,  dei  suoi  corteggiatori,  ecc.  Le 
donne  non  insorgono  neppure  contro  quelle  proi- 
bizioni di  andare  in  decolletées,  di  fare  dei  flirt, 
che  in  fondo  dispiacciono  loro  veramente.  La  ra- 
gione poi  per  cui  la  gelosia  della  donna  è  così  fre- 
quente e  vivace,  è  che  la  donna  non  può  estrinse- 
carla nell'azione:  l'uomo  padrone  e  capo  di  casa 
può,  per  così  dire,  far  passare  la  sua  gelosia  in 
atto,  cioè  sorvegliare  la  moglie  più  o  meno  delica- 
tamente o  brutalmente,  esigere  che  essa  abbia  o 
abbandoni  certe  relazioni  e  consuetudini,  accompa- 
gnarla quando  esce,  mettere  alla  porta  chi  non  gli 
garba  :  la  gelosia  dell'uomo,  insomma,  può  pro- 
prio «passare  in  atto»,  e  d'altra  parte  l'uomo  ha 
un'infinità  di  modi  per  sottrarsi  al  controllo  al- 
trui. Invece  la  posizione  della  donna  è  tale  che  es- 
sa non  può  valersi  contro  l'uomo  delle  medesime 
armi,  e  così  la  gelosia  femminile,  rinfocolata  dal- 
l'eterno sospetto  e  dal  tormento  di  non  poter  mai 
appurare  i  propri  dubbi,  né  prenderne  vendetta, 
assume  una  forma  ora  di  sospetto,  ora  di  acredine 
molto  diversa  dalla  maschile,  che  è  violenta,  ma 
aperta.  Inoltre  la  gelosia  femminile  è  acuita  an- 
cora dal  fatto  che  se  alla  donna  viene  a  mancare 
l'amore  e  con  l'amore  quella  specie  di  sostegno  mo- 
rale e  materiale  che  le  dà  l'uomo,  la  sua  posizione 
sociale  diventa  molto  più  precaria  di  quella  di  un 
uomo  abbandonato  da  una  donna.  Nelle  identiche 
condizioni  essa  perde  insomma  molto  più.  Anche 
queste    differenze    fondamentali    nella  gelosia    del- 


■ 

:rdiuiii  su  cui  i    :  l  loro  vita,   di 

ita  per  luna  e  ili  padronanza  per  I 
i  a      nna  j       ha  i  non  ha 

min  Uno  ili  questi  dii 

Qui  femminile  pare  in  contraddizione 

il  : ,    he,  peri  he  tra  gli  animali  e  i  sel- 
iio  che  canti  idoma  di  piu- 

mee  ili  colori,  si  pavoneggia  e  cerca  d'attirare  l'at- 
della  femmina.  Ma  col  mutarsi  delle  con- 
1IÌ7:  .  quando  è  stata  la   femmina  che  ha 

dovuto  cercare  di  cattn  nzione  del  maschio, 

rivenite   le  pani. 

ha  sempre  cercato  le  sue  armi  di  guer- 
ra e  'li  conquista  nell'arsenale  della  civetteria.  Da 
Elena  a  Cleopatra,  dalla  Pompadour  a  Maria  An- 
tonietta, le  più  antiche  e  le  più  moderne,  le  regine 
e  le  modistine,  nacquero  maestre  in  tutte  le  arti 
atte  a  mettere  in  rilievo  le  proprie  liellezze,  a  na- 
ie proprie  imperfezioni.  Per  eccitare  l'am- 
mirazione e  il  desiderio  seppero  meravigliosamente 
trar  profitto  dagli  espedienti  e  dai  congegni  raffi- 
nati dell'acconciatura:  profumi,  belletti,  trine, 
gioielli  e  soprattutto  furono  abili  e  maestre  nell'in- 
ventar  quel  gioco  di  occhiate,  di  sospiri,  di  sorrisi, 
di  mezze  parole,  che  è  il  flirt  e  la  galanteria. 
Questi  i  ha  due  ragioni  d'essere  per  la 

ina.  La  prima  ragione  è  quella  d'attirare  l'o- 
maggi" dell'uomo  e  in  questo  modo  di  dare  un'idea, 
una  misura  della  propria  potenza.  Ora  l'esperimen- 
tare  quanto  si  vale  sul  mercati  sociale  è  un  deside- 
rio legittimo  e  naturale  in  tutti,  desiderio  che  gli 
uomini  hanno  mille  altri  modi  di  poter  soddisfare 
con  i  titoli  onorifici,  con  i  gradi  della  professione, 
con  la  conquista  della  ricchezza:  un  uomo  sa  quasi 
sempre  esattamente  come  e  quanto  egli  sia  quotato 
e  che  cosa  possa  ambire  e  pretendere.  Invece  la 
donna  ha  solo  questo  mezzo  per  riconoscere  il  pro- 
prio valore  e  veder  l'effetto  della  propria  seduzione 
specialmente  quando  le  manchino  altre  qualità  su- 
periori, come  la  bellezza,  l'intelligenza  e  la  bontà. 
Una  donna  bella,  buona,  intelligente,  può  anche 
infatti  non  essere  civetta,  perchè  sa  di  avere  più 
corde  al  proprio  arco,  di  poter  esercitare  una  sedu- 
zione e  un'influenza  nel  mezzo  ambiente,  anche  al 
di  fuori  della  civetteria  ;  ma  è  inevitabile  che  una 
donna  media  sia  civetta:  l'omaggio  che  la  civette- 
ria le  procura  è  il  suo  termometro  per  misurare 
l'ammirazione  ch'essa  è  in  grado  di  eccitare.  Que- 
il  lato,  direi  così,  dilettantistico  della  civette- 
ria ,  ma  questa  ha  un'altra  ragione  più  perentoria: 
la  civetteria  piace  infatti  all'uomo;  la  donna  è  ci- 
vetta perchè  l'uomo  indirettamente  la  vuole  così  e 
l  sia  tale:  ora  siccome  la  donna 
nella  nostra  società  lmrghese  almeno,  non  ha  altro 
spiraglio  di  affrancamento  se  non  nella  protezione 
dell'in  min  fuori  n  dentro  il  mali  naturale 

èrebi   di    fornirsi,  di   coltivare  quelle  doti 
■  he  si.no  più  atte  ad  attirare  l'uomo  ed  a  conqui- 
starle la  sua  protezione,  la  grazia  i  ioi    e  la  rivi 
ria.  L'uomo  vuoleche  1  sa  adorna 

e  gr  i.  che  accontenti  il  suo  occhio  e  tutti  i 

sen-i.  vuole  che  essa  sappia   lusingarlo  con  le  sue 
parole  e  con   i   sit":   ■     ■•      La   donna 


LA    LETTURA 


conformarsi  a  questi  suoi  desideri,  si  è  data  una 

i  infinita  della  propria  persona  e  della  pr 
toilette,  si  è  imbellettata,  dipinta,  profumata,  ca- 
muffata a  dovizia;  ha  studiato  le  unte  e  le  armo- 
nie delle  stoffe  e  delle  roggie;   ha  inventato  tutte 

le  raffinatezze  della  moda,  dell'acconciatura,  del 
flirt  ;  i  piccoli  vezzi,  le  occhiate  furtive,  i  sorrisi 
teneri  e  mali/usi.  Questa  civetteria  si  è  i*m  ancora 
complicata:  non  basta  che  una  donna  o  una  ragaz- 
za cerchi  di  piacere  per  essere  scelta;  essa  deve  pia- 
cere più  che  le  sue  compagne  e  rivali:  di  qui  quel- 
la specie  di  gara,  di  emulazione  che  ha  ano  ira  raffi- 
nata la  sua  arte,  vi  ha  introdotto  elementi  di  astu- 
zia, di  calcolo  e  di  passione.  Essa  sa  ancora  che  la 
sua  stagione  è  breve,  che  tramonta  con  la  prima 
giovinezza,  e  che  l'uomo  ha  molte  più  distrazioni 
che  possono  allontanarlo  da  lei;  e  quindi  ha  stu- 
diato mille  artifici  per  lusingare  e  non  compra 
tersi,  ha  imparato  a  non  lasciar  mai  vedere 
suoi  sentimenti  se  non  quel  tanto  che  le  conviene, 
a  tessere  tre  o  quattro  intrighi  e  passioncelle  con- 
temporaneamente senza  lasciarsi  mai  impigliare,  a- 
spettando  il  momento  e  l'individuo  opportuno  per 
tirar  la  rete 

Quest'  armeggio  è  d'esclusiva  competenza  della 
donna.  L'uomo  va  dritto  allo  scopo  senza  tergiver- 
sare, né  nascondersi,  e  questo  per  la  sua  natura  e 
la  sua  condizione,  a  base  di  energia,  di  volontà  e 
di  violenza.  Egli  ha  la  possibilità  di  dirigere  la  pro- 
pria vita,  sa  che  può  permettersi  il  lusso  di  doman- 
dare quello  che  appetisce  con  tutte  le  probabilità 
di  ottenerlo.  Che  poi  la  civetteria  della  donna  sia 
per  lo  più  un'arte  per  riuscire  al  rifugio  del  ma- 
trimonio, lo  si  vede  dal  fatto  che  quasi  sempre  do- 
po che  è  sposata,  la  donna  normale,  borghese,  ri- 
nuncia ad  ogni  pretesa  ;  e  le  cocottes,  che  sono 
delle  civette  a  vita,  sono  tali  perchè  han  sempre, 
per  necessità  di  mestiere,   il  bisogno  di  piacere. 

Si  dà  anche  il  nome  di  civetteria  a  quella  pa- 
ne del  vestirsi,  dell'adornarsi,  di  mettersi  addosso 
cose  belle  e  vistose,  passione  che  rimane  anche 
quando  la  donna  è  già  stata  scelta  e  quando  essa 
non  intende  più  di  farsene  un'arma  di  conquista. 
Io  conosco,  e  ognuno  può  ritrovarne  nella  propria 
esperienza  individuale,  delle  donne  mature  che  non 
hanno  più  alcuna  velleità  di  suscitar  fiamme,  che 
non  hanno  altro  pensiero  se  non  per  il  marito  ed 
i  figli  ;  e  in  cui  pure  sussiste  ancora  questa  passio- 
ne pei  vestiti,  pei  diamanti.  Qui  entra  in  giuoco 
un  altro  fattore,  cioè  il  sentimento  di  rivalità  fra 
donna  e  donna.  Il  bel  vestito  e  gli  adornamenti 
diventano  per  la  donna  il  simbolo,  l'insegna  della 
sua  posizione  sociale,  della  sua  ricchezza,  il  mc«l>> 
di  tarsi  valere  e  la  misura  del  proprio  vali  ire.  Gli 
uomini  non  hanno  questo  gusto  in  tale  forma 
che  possiedono  altri  sostitutivi:  le  decorazioni,  le 
accademie,    i  trionfi    della    politica  e   della   pr- 

Ma  anche  questi  difetti,  questa  frivolezza,  che 
si  rimproverano  alla  donna,  non  dipendono,  come 
si  vede,  dalla  condizione  ili  ambiente  e  di  educa- 
zione che  le  son  fatte.  La  civetteria  è  una  delle  po- 
che armi  che  essa  ha  per  procurarsi,  per  acquistare 
insieme  col  marito  una  certa  indipendenza.  Quando 


1    MFETTÌ    DEI    DUE    SI  SS! 


785 


si  permettesse  alla  donna  di  entrare  nell'ingranag- 
gio della  vita  sociale,  di  far  valere  le  sue  forze  in- 
tellettuali, le  sue  potenzialità  nel  mondo  dell  arte 
e  degli  impieghi,  e  quando  l'uomo  scegliesse  una 
donna  guardando  alle  qualità  cui  guarda  precisa- 
mente la  donna  che  deve  scegliere  un  uomo,  cioè 
alla  sua  posizione,  al  suo  valore  intellettuale  e  so- 
ciale, è  probabile  che.  anche  solo  per  il  suo  istinto 
di  abbinar  l'uomo,  essa  abbandonerebbe  gli  espe- 
dienti della  civetteria  per  adottar  quelli  migliori  di 
una  vera  e  seria  aui\ìt.'i. 


La  maldicenza  è  un  altro  difetto  prevalentemen- 
te femminile:  basta  entrare  in  un  crocchio  di  si- 
gnore, in  uno  di  quei  salottini  che  paiono  dover 
essere  nidi  discreti  e  raffinati  di  gentilezza,  per  a- 
vere  un  saggio  svariatissimo  delle  varie  specie  del- 
le maldicenze  femminili.  C'è  la  maldicenza  bona- 
ria, sopportabile,  di  chi  canzona  senza  troppa  ma- 
lignità le  attitudini,  gli  atti  e  le  tendenze  di  una  per- 
5i  na  di  cui  non  può  temere  la  rivalità.  Così  furbe- 
scamente le  ragazze  mettono  in  ridicolo  le  arie  lan- 
guide e  il  viso  rosso  di  una  vecchia  istitutrice  o 
commentano  il  vestito  fastoso  di  una  signora  di 
provincia.  Poi  c'è  la  maldicenza  più  fine,  più  acuta, 
che  prende  di  mira  una  possibile  rivale  ;  è  quella 
che  le  ragazze  adoprano  contro  altre  ragazze  emu- 
le e  compagne  nella  corsa  al  marito  o  che  le  si- 
gnore esercitano  contro  altre  signore  più  ricche, 
più  belle  o  più  ricercate  ;  maldicenza  fatta  di  in- 
sinuazioni, di  reticenze,  di  sottintesi,  di  punture  di 
spillo,  che  accomoda  ingegnosamente  le  cose  colte 
dal  vero  o  le  inventate  con  maggior  o  minor  verisi- 
miglianza.  che  giuoca  volta  a  volta  di  compassione 
e  di  pntderic.  Sentite  un  gruppo  di  signore  com- 
mentare la  notizia  di  un  matrimonio.  E'  fatto  per 
amore?  E'  fatto  colla  testa  nel  sacco.  Per  conve- 
nienza ?  Con  una  macchinetta  al  posto  del  cuore. 
La  sposa  è  ricca?  La  sposano  per  la  dote!  La  spo- 
sa è  povera?  La  sposano  perchè  è  una  civetta!... 

Ora  è  certo  che  per  quanto  l'uomo  abbia  una 
forma  di  maldicenza  più  velenosa  e  più  malefica 
verso  i  rivali  e  i  concorrenti  che  gli  attraversano 
la  strada,  contro  i  quali  tende  allora  lo  spirito  ma- 
lignamente diffidente  e  inquisitivo,  pure  egli  non 
ha  quasi  mai  questa  maldicenza  continua,  tenace, 
dilettantistica,  di  dire  il  male  per  il  male,  che  si 
trova  in  donne  anche  non  cattive. 

Il  fatto  è  che  la  donna  è  costretta  a  vivere  in  un 
piccolo  cerchio  di  persone  e  di  cose  senza  le  preoc- 
cupazioni più  serie  e  più  gravi  degli  affari,  della 
vita  sociale,  ha  la  mente  vuota  e  libera,  che  può 
fermarsi  ed  esercitarsi  di  più  su  tutte  queste  pic- 
cole dosi  di  finezza  mordace,  di  osservazione  mi- 
nuta. Tali  attività  intellettuali  che  non  ha  modo 
di  sviluppare,  di  sfogare  altrimenti,  essa  volge 
in  questo  senso:  vedere  e  commentare  i  lati 
ridicoli  e  deficienti  di  una  persona  è  un  esercizio 
che  non  richiede  grande  sforzo  di  immaginazione 
e  che  non  lascia  arrugginire  lo  spirito.  Inoltre  la  mal- 
dicenza serve  alle  donne  come  sfogo  platonico  per 
consolarsi  di  quello  che  esse  non  hanno.  Già  il  prò- 

La  Lettura. 


verbio  dice  che  la  volpe  trova  l'uva  immatura 
quando  non  vi  può  arrivare.  La  donna  cui  tocca 
molte  volte  una  vita  di  rinunzie  e  di  sacrifizio,  che 
vorrebbe  avere  un  marito  e  che  non  lo  trova  o  chi- 
lo desidera  gentile  e  line  e  deve  sopportarlo  rozzo, 
che  port èrebi*-  così  volentieri  un  bel  vestito  e  deve 
accontentarsi  di  quello  passato  di  moda,  che  ter 
ìebbe  circolo  e  non  ha  corteggiatori,  oppure  si  sa 
malvista  od  insidiata,  prende  questa  piccola  ven 
detta,  l'unica  che  le  sia  concessa,  di  rilevare  i  di- 
fetti o  le  mancanze  di  chi  possiede  le  cose  che  essa 
vorrebbe  avere,  di  trovar  degni  di  compassione  e 
di  disprezzo  quelli  che  essa  invidia  segretamenti 
Si  adatta,  insomma,  volentieri  questi  occhiali  scuri 
della  maldicenza,  attraverso  cui  vede  abbruniti  ed 
offuscati  i  godimenti  e  le  speranze  altrui.  Gli  uo- 
mini imece  che  hanno  altri  modi  di  rivalersi,  che 
si  procurano  un  impiego  più  pratico  e  più  imme- 
diato della  loro  attività,  sono  meno  maldicenti.  E 
meno  maldicenti  sono  le  donne  che  vivono  in  una 
grande  città,  in  centri  più  intellettuali  e  variati  che 
permettono  ed  offrono  loro  una  molteplicità  di  sen- 
sazioni, di  spettacoli,  di  contatti  sociali  ;  e  le  don- 
ne che  si  occupano  intellettualmente,  perchè  qual- 
siasi occupazione  intellettuale  è  un  buon  derivativo 
e  correttivo  di  questo  vizioso  giro  dello  spirito  fem- 
minile. 


Ma  anche  l'uomo  ha  dei  difetti  che  la  donna  non 
ha.  L'uomo  è  certo,  più  e  meno  coscientemente,  e- 
goista  in  modo  maggiore  che  ia  donna.  Questo  av- 
viene forse  perchè  fin  da  fanciullo  egli  è  avvezzo 
a  pensare  di  aver,  per  la  sola  sua  qualità  di  uomo, 
diritto  ad  una  certa  superiorità,  di  potere  aver  au- 
torità di  dirigere,  di  domandare,  di  esigere.  E  an- 
che forse  perchè  nella  donna  egli  non  ha  mai  in- 
contrato una  vera  resistenza,  ma  anzi  ha  sentito 
nella  sollecitudine  che  essa  mostra  ad  inchinarsi 
alla  sua  volontà,  una  specie  di  incoraggiamento  al- 
le proprie  esigenze.  Così  accade  ch'egli  finisce  per 
credere  che  tutta  la  vita  della  sua  famiglia  debba 
imperniarsi  attorno  a  lui,  girare  nella  sua  orbita 
e  che  non  debbano  mai  esistere  ostacoli  ai  suoi  de- 
sideri, impedimenti  ai  suoi  progetti.  Un  marito  o 
un  fratello  si  figurano  facilmente  di  essere  supe- 
riori alla  moglie,  alle  sorelle,  alle  donne  di  casa, 
di  poter  esigere  da  esse  una  cieca  obbedienza  :  ere 
dono  che  le  donne  non  debbano  avere  altri  piaceri 
di  quelli  che  essi  stessi  provano  e  non  ammettono 
che  esse  possano  avere  un  modo  di  vedere  proprio 
individuale.  Ho  veduto,  per  esempio,  questo  caso 
tipico  e  curioso,  che  si  ripete  sotto  un'infinità  di  al- 
tre forme:  due  coniugi,  del  resto  in  perfetta  ar- 
monia, hanno  musicalmente  dei  gusti  affatto  op- 
posti: il  marito  gode  l'operetta  ed  odia  Wagner: 
la  moglie  adora  Wagner  e  B  n  e  odia   l'ope- 

retta. Ora  il  marito,  che  si  crede  ed  è  veramente  un 
Ottimo  marito,  non  vuol  andare  a  teatro  senza  di 
lei.  e  trova  giusto  e  naturale  che  essa  venga  con  lui 
all'operetta,  ma  non  vuol  sentir  parlare  di  accom- 
pagnarla a  sua  volta  all'opera  wagneriana  perchè 
vi  si  annoia.  In  piena  buona  fede  egli  si  crede  nel 

SO 


-M, 


LA    I  l.ll  i  R  \ 


i  suo  pia 
quello   ■ 

ile   'Il    1111- 

pn  pri  gusti,  'li  'i 

I 

deb- 
I    .i   lui,  i 

!l|Ì. 

la  fi  irma  p 

no  vuol  impoi  re  quello  eh 

ri  deb- 
\i  trova, 
ibile  i  quella  I 

are  il  suo  prin  i   sua 

materiale  a  ieri  meno  a  tu 

dimentica    le  tradizioni 
Comi    negli  uomini  che  a  tavola, 
in  fa     _         si  servon  prima  della  n 

ne,  che  in  fei  n  n  ia  si  :lgi  mi  i 
più  comi  i  la  pi  ili  ri  na  più 

Inveì  n  più  rari  i  che  la  di  «ina 

he  non  ha  mai  goduto  privilegi  ili  sesso,  p 
nessuna  i  unzii  ne  od  uf 
.   ma  piuttosto  ha  com- 
piuto tutti  quelli  che  la  portano  al  sacrificio  d 

i  n  i    mai   stata  padrona  di  sé,  ma  nella 

mpre  ali  i  autorità  di     padre,  del 

i'i.  del  mariti > :  e  tutto  < jiu-l  poco  o  molto  che 

gì  ti      nato,  essa   1"  deve  alla 

I la  dovuto  aver  sempre,  jxt 

>..'..   la  preoccupazione  di    rii 

Par  piai  I       |  esare  le  i  >r<  > 

pria  e   che   l'ha    portata 

per  •  >  non  pretendere  mai  nulla,  a  ce 

Ile  persone  che   si 
tre  i  li  ai  i  gusti  e  le  imposi 
.  iusta  e  legittima,  ad  i  - 
almeno  duttile,   arrende\  i  le, 

I.  uomi  renza  della  donna,  oltre- 

i.  imperioso  e  \  iolenti    e  irritabile:  pron- 
rs    pei  un  nonnulla,  a  risentirsi  del 
minili  l'ira  '-"li  riori. 


I  ii  in'iii' i  dio  no  il  padrone  i 

ti  ni.,  e  i" mi   fa  ma  i        ingiuntivi.   Nlai 

«  din  i,  ma  «dio 

il"",  lordino»,  e  si  lascia  andare  a  battere  i  pi 
sul  tavolo,  a  o  libri  ]kt  ti 

In  ricordo  una  cena  vista  in  un  restaurant:   un 

un    Rami  i    accendere    il    si- 

:    suona   il   campani  miei  ieri  . 

nini  accorre  -:  tvrebbe  potuto  doman 

Barami!    n    a  un  \  ii  in spettare  un  i  n 

i    i  ita,    prem  a    ■  ome    un   insi 

personale,   furibom  cipita  al  bureau  s 

Ventando  tutta   una    filza   ili    invettive  e  ili    ingil 
La   sproporzione  tra  l'ira  e  la  sua  causa  i 
n  i  isl  ii  .i  ei  1  '•>■  idente. 

Invece  è  molto  raro  che  la  donna,  per  quanto  im- 
pulsiva, sia  violenta  o  trascenda  ad  atti  di  coli 
sia  perchè  avendo  dovuto  usar  sempre  iiukIì  di  dol- 
cezza  seguir  sempre  vie  di   conciliazione  piuti 
che  di   imperiosità,  ha  dovuto  prendere  l'abitudine 
di   dominarsi,   'li  contenere  la   propria  rabbia,  sia 
anche  perchè    forse   la  violenza   come   la  golosil 
inestetica  e   ini  mente,  senza  rendersene  ra- 

gion. -,    li    donna  evita   tutte    le   manifestazioni 
formanti,    che   alterano   e   imbnittiscono    la    fisi 
mia.    come    appunto    sono    le    manifes  Tira. 

La  donna  cerca  soprattutto  di  nascondere,  di  si- 
mulare le  proprie  emozioni  interii  ri.  Ha  delle  rab- 
bie bianche,  concentrate,  dei  livori  contenuti,  ma 
non  degli  scatti  d'ira. 


Si  può  dunque  concludere,  dopo  questo  esami 
comparato  dei  difetti  dei  due  sessi,  che  la  magj 
parte  dei  difetti  dell'uomo  derivano  da  un  eo 
di  lorza  e  dalla  coscienza  di  poterne  disporre  im- 
punemente; mentre  al  contrario  i  difetti  della 
donna  derivano  dalla  debolezza  e  dallo  stato  di 
ndenza  in  cui  essa  si  trova  ancora  rispetto  al- 
l'uomo. Da  tut  he  miglio 
lamio  le  condizioni  dell'ambiente,  quando  la  don- 
na avrà  guadagnato  in  libertà  e  l'uomo  in  modera- 
.    migliorerà    il   carattere   dell'uno  e   dell'i 


Paoi  a  Lombroso. 


■  .n.  -.  fej  -v-  -  ti 


MEDIUM    E    TRUCCHI 


lor    paiono    sufficientemente    accertate    cercano    d'a- 

ive  polemiche  si  sono  venute  dibattendo     dattare  prima  le  teorie  già  conosciute;    escogitan- 

in  questi  ultimi  mesi  sulle  riviste  e  tra     done  altre  ad  esse  più  prossime,   quando  il  feno- 

i  giornali  a  proposito  di  quei  fenomeni     meno   superi    i    confini    della    loro   comprensività  ; 

nei  quali  si  vorrebbero  scorgere  alcune  manifesta-     procedendo   così    dal    noto   verso   l'ignoto   a    passi 


zioni  dell'al-di-là. 

Coloro  che  vi  hanno 
preso  parte  si  divido- 
no in  tre  categorie: 

quelli  che  negano 
tutto  e  ridono  sem- 
plicemente di  tutti 
quanti  i  fenomeni  co- 
me d'un  prodotto  di 
trucchi,  di  coalizioni 
d'intriganti  ed.  in  qual- 
che parte,  dell'alluci- 
nazione degli  spettato- 
ri o  della  disposizione 
speciale,  del  pia 
quasi,  ch'essi  avrebbe- 
ro d'essere   ingannati  : 

quelli  che  credi  m 
tutto,  giurano  su  tut- 
to ed  attribuiscono  pu- 
re ad  influenze  spiriti- 
che quei  fenomeni  la 
cui  spiegazione,  con  un 
no  d'analisi  o  d'indu- 
zione fredda,  potrei  <!*> 
venire  ricercata  molto 
al  di  qua  dell'  ultra- 
i  le  ; 

quelli  che  tra  il 
«no»  schernitore  e  il 
«  sì  »  credenzone,  ten- 
gono sospeso  il  pro- 
prio giudi/in.  control- 
lano i   fatti    per  quan- 


LA    MEDIO!    NAPOLETANA    EuSAPIA    PALADINO. 


lenti,  scandagliando  nel 
buio  ma  coi  piedi  a 
terra,  l'anima  ed  il  cer- 
vello raccolti  in  una 
obbiettività  fredda  ed 
impregiudicata,  per  cui 
le  teorie  finali  non  si 
riassumono  in  un  a- 
priorismo  basato  su 
delle  predisposizioni 
individuali,  bensì  nel- 
la conseguenza  logica 
d'una  serie  di  premes- 
se e  di  fatti. 

Questa  terza  catego- 
ria è  la  più  apprezza- 
bile in  massima  ed  è 
la  più  bistrattata  nella 
pratica  ;  presuppone 
nei  suoi  addetti  cultu- 
ra scientifica,  equili- 
brio di  mente,  prof,  in- 
dite di  percezione  ed 
una  onestà  intellettua- 
le inintaccabilej  tale  da 
giungere  perfino  ad  u- 
na  specie  di  auto-as- 
senteismo per  ridurre 
il  propri,  spirito  ad 
uno  specchio  in  cui  si 
riflettom  e  si  sensibi- 
lizzano i  risultati  della 
obbiettività  più  scru- 
poli sa 


--'bile,  scartano  non  solo  le  risultanze  ne-         E'  questa,  però,  una  situazione  così  delicata  del- 
-  ma  anche  quelle  dubbie,   e  su  le  altre  che     lo  spirito  che  fa  pensare  alla  stasi  dei  cervi-volanti 


librati  nell'aria  e  abbandonati  poi  dai  ragazzi.  La 
i  nello  spa- 

ili  una   i  i    immobilità  ;    ma   ap] 

aliti  l'equilibrio  m  sposta  e  1"  stendardo 

!  bassi  . 

i    spiriti  troppo  a  ti  ilmente  &• 

brati,  lanciati  nel  turbine  delle  polemiche  ap- 

•mi-  quelle  che  riguardano  le  esperien- 

niche:   [ht  gli  im;  credono  troppo;    |ht  gli 


LA     LETI  I   R  \ 


Anna  Rothe,  «la  medium  dei  fiori» 

AKXLSlATA    A    lKkl  i 

altr;  troppo   poco;    per  gli   uni   sono  dei 

transfughi  dal  freddo  grembo  della  scienza  uffi- 
i  ialej  ]*-r  gli  nitri  sono  dei  neofiti  troppo  diffidenti, 
trop]  tori,    lei  neofiti  che  si  fermano  alla 

a  dell'altare,  ma  non  adorano  e  non  si  prostrano. 
Eppure  è  certo  che,   senza  questi   notiti    diffi- 
denti, la  i  li  tini  rimarrebbe  abbandonata  al 
i  he,  senza  questi  transfu- 
ghi,   la    scienza    non    sarebbe   in    possesso    ili    ( pu-i 
nuot                -ti  scandagli  della  psiche  umana 

studi  e  le  esperienze  ducibili   a 

i 

Ila  trasmissione  del  pensiero  ed  anche  sul- 
la i  della  ensibilità,  fenomeni  sin 
qui                   .  ma  che  entrano  ormai   nd  campo 

ino  il  ponte  I 


so  .il  quale  si  potrà   re  arsi  a  si  emi  re  il  vero  nel 
campo   ano  >ra    stra  e  o  infuso  e  con- 

teso dei   fenomeni  trascendentali. 

Oliviero  Lodge  —  del  cui  nome  autorevole  finì 

Mini"  col  tarsi  scudo  nelle  loro  polemiche  spiritisti 

intispiritisti  —  in  occasione  d'una  delle  sue  ele- 

i     a     presidente     della     Società     di      ricci 

psichiche  di    Londra,   tracciò    un    brevissimo    ma 

caustico     bozzetto     degli     atteggiamenti     dei     vari 

gruppi  di  spettatori  di  fronte  alla  fenomeni  ili  ► 

già   che   quella    Società    fa   oggetto   d'indagini 

ampie   e   dispendiose.    Che   i    fenomeni    - 

■I  mente  dovuti  a  degli  spiriti  o  che  non  lo 
sieno,  è  però  naturale  vi  sia  della  gente  i  he 
debba  agli  spiriti  attribuirli,  poiché  quan 
tratta  di  spiegare  un  fatto  qualunque  insolito 
e  misterioso  vi  sono  sempre  tre  ipotesi  pron- 
te: quella  degli  spiriti,  quella  dell'elettricità 
e  quella  della  frode.  L'osservatore  serio  ma 
incline  al  misticismo  pensa  agli  spiriti  ;  il 
semplice  curioso  dal  frivolo  intelletto  non 
pensa  mai  a  niente,  ma  dice:  «Elettricità»; 
il  sapiente,  il  giureconsulto,  l'uomo  d'intelli- 
genza normale,  pensano  talvolta,  ma  dii 
sempre:   «Frode». 

Di  quest'ultima  categoria  il  rappresentante 
più  autorevole  ed  anche  più  severo  in  Italia, 
nell'ora  che  passa,  è  il  senatore  Blaserna,  diret- 
tore dell'Istituto  fisico  dell'Università  romana, 
uno  dei  cui  più  recenti  articoli  venne  testi  rias- 
sunto con  ampiezza  dalla  Lettura  (i).  Altri  a 
quello  ne  seguirono  ed  agli  articoli  s'ir 
ciarono  le  interviste. 

I  trucchi  fondamentali. 

Secondo  lui,  per  chi  bene  esamina  tutta  quan- 
ta la  storia  dello  spiritismo  da  mezzo  si 
in   qua,    risulta   chiaramente  che  tutto   questo 
edificio  riposa  sopre  tre  o  quattro  trucchi  fon- 
damentali. 

Il   primo  —  che  sarebbe   anche  il   più   sa- 
piente   —    consisterebbe    nel    modo,    stui 
perfettamente  bene,  di  apporre  le  mani   - 
un  tavolo  appositamenti   preparato  —  obbligan- 
do, col  pretesto  della  catena,   i   presenti 
net  ferme  le  pn  'prie  mani  su  i  ssi 
re  in  pari  tempo  al  medium  la  possibilità     di  li- 
berarsi una  mano  ed  un  piede  e  di  fare  col  m 
.li  essi   tutti  quei   giochi  che  un  abile  prestidigita- 
ti  n    può  ì  ire  in  simili  condizioni  ed  al  buio; 

il  secondo  è  il  gioco  dei  cosidetti  spinti  battenti,: 
che  consiste  nel  battere  il  tendine  d'Achille  su. 
so   sottostante,    nonché    nel    battere    al    bu 
■-noia    della    scarpa    sul    piede    del    tavolo    o   colla 
punta  della  scarpa  sul  fondo  ''«'1  tavol    - 

segue  l'invenzione  del  nodo  che  si   fa 
e.  1   miv/ii  del  quale  il   medio  s:,   hi  >era   dalla    li 
tura.  i  me  \  uole  fai  endi    credi  n 

piamento  di  s  poi  ritorna  nella  legatura; 


i     Numero  'li  giugno 


ME1HUM    E    TRUCCHI 


789 


e  viene  in  ultimo  il  trucco  della  fotografia  pseu- 
do-spiritica eseguita  a  mezzo  di  lastre  preparate  e 
con  sistemi  di  cui  parleremo  più  oltre  (1). 

Il  presente  scritto  avendo  il  semplice  scopo  di 
stabilire  con  brevità  quali  sono  i  principali  punti 
controversi  e  gli  elementi  di  dibattito  di  fronte  al 
problema  medianico,  è  il  caso  di  specificare  anzi- 
tutto le  modalità  di  questi  trucchi,  i  quali  forma- 
ri  .110  e  formano  innegabilmente  la  base  d'opera- 
zione di  molti  giocolieri,  simulatori  d'esperienze 
medianiche,  e  di  parecchi  medium  specialmente  tra 
quelli   professionisti. 

E'  però  doveroso  premettere  che  la  scoperta  di 
trucchi  non  fu  opera  esclusiva  di  antispiritisti. 
Fra  i  credenti  è  indubitabile  che  esiste  una  falan- 
ge di  credenzoni  grossolani  attratti  dal  fascino  del 
misticismo  senza  ombra  di  senso  critico  e  senza 
l'inizio  di  quell'acume  che  può  suggerire  i  mezzi 
per  sceverare  l'inganno  dalla  realtà  ;  ma  è  indu- 
bitabile del  pari  che  i  più  cospicui  studiosi  della 
medianità,  da  Crookes  a  Richet,  il  problema  del 
trucco  se  lo  sono  imposto  anticipatamente  ad  ogni 
serie  di  esperienze  e  che  la  Società  di  Ricerche  Psi- 
chiche di  Londra  —  il  più  autorevole  consesso 
scientifico  del  genere  —  di  fronte  ai  trucchi  agì 
•  con  una  inesorabilità  che  parve  spietata,  tanto  che 
i  diniegatori  del  fenomeno  —  pur  non  volendo  ac- 
cogliere la  fenomenologia  che  questa  Società  sente 
di  potere  ammettere  dopo  averla  passata  al  vaglio 
di  selezioni  tanto  complicate  e  severe  —  si  fanno 
forti  principalmente  delle  rivelazioni  registrate  nei 
suoi  atti. 

La  gherminella  delle  mani  e  dei  piedi. 

Quando  Eugenio  Torelli- Viollier  pubblicò  nel 
Corriere  della  Sera  una  serie  d'articoli  —  ancora 
frequentemente   ricordati    nelle   polemiche   sul   me- 

1  dianesimo  —  per  rivelare  la  gherminella  delle 
mani  e  dei  piedi,  da  lui  qualche  anno  prima  sco- 
perta in  esperienze  di  famiglia  compiute  colla  Eu- 
sapia  Paladino  (2).  non  è  affatto  vero  che  dell'in- 
dice da  lui  dato  non  si  sia  tenuto  conto.  Le  espe- 

!    rienze   di    Cambridge   e   quelle   dell'Agnelas    com- 


(1)  Prefazione  di  Pietro  Blaserna,  all'*  Al  di  qua»  di 
L.  Pavoni. 

(2)  A  proposito  della  polemica  torelliana,  essendosene 
alterato  il  significato  iniziale  —  che  lasciava  impregiudi- 
cata la  questione  dello  spiritismo  —  vanno  ricordati  que- 
sti periodi  dell'articolo  apparso  nel  Corriere  della  Sera 
del  2526  settembre  1S92  col  quale  Torelli-Viollier  diede 
principio  alla  campagna  contro  la  Paladino  : 

«Non  voglio  pronunziarmi  sullo  spiritismo:  non  lo  af- 
fermo e  non  lo  nego,  essendo  materia  estranea  ai  miei 
studT.  Gli  anni  mi  hanno  fatto  insegnare  quanto  sia  fa- 
cile cadere  in  errore  nel  dare  un  giudizio  risoluto  in  ma- 
terie che  si  conoscono  ;  figurarsi  in  quelle  che  non  si  co- 
noscono. Posso  però  attestare  questo:  che  la  Eusapia  in- 
ganna, che  i  suoi  artifizi  mi  sono  noti,  e  che  una  persona 
appena  appena  perspicace,  quando  sia  messa  sull'avviso 
ed  informata  della  sua  trappola,  non  ci  si  lascia  più  ac- 
calappiare ». 

E  tutta  la  campagna  si  limitò  alle  frodi  da  lui  attribuite 
alla  Paladino. 


piute  colla  Paladino  nel  1895  —  la  prima  per 
opera  dell'accennata  Società  londinese,  le  altre  vi- 
gilate da  una  commissione  di  studiosi  francesi  con 
a  capo  De  Rochas  —  presero  in  speciale  esame 
quell'artificio,  il  quale,  del  resto,  era  già  stato  te- 
nuto in  considerazione  nelle  esperienze  scientifi- 
che del  1892  in  Milano,  registrate  in  un  verbale 
che  porta  fra  le  altre  ed  oltre  a  quella  di  Aksakoff 
le  firme  cospicue  di  Schiaparelli,  Richet  e  Lom- 
broso. 

Sconfessata    acerbamente    dall'Hodgson     e    dal 


1! v 

i',fiT! 


"#à 


La  metjium  americana  Elisabetta  Williams 
colta  in  flagrante  frode  dagli  spiritisti  di  parigi. 

Sidgwig  nei  verbali  di  Cambridge,  difesa  dall'O- 
chorowicz  in  un  verbale  successivo,  ed  anche  dal 
Lodge  in  alcune  lettere  ed  appunti,  l'Eusapia  pas- 
sò subito  ad  Agnelas  ed  anche  qui  il  trucco  delle 
mani  e  dei  piedi  fu  constatato.  Il  prof.  Sabatier, 
che  teneva  la  mano  destra,  fu  specialmente  colpito 
da  questi  fatti:  i°  che  l'Eusapia  rifiutava  di  la- 
sciarsi tenere  tutta  la  mano  ;  20  che  la  ritirava  po- 
co a  poco  in  modo  da  lasciar  solo  il  palmo  della 
mano  e  soprattutto  il  polso  a  contatto  colla  mano 
di  lui  ;  30  ch'ella  agitava  costantemente  questa 
mano  portandola  verso  la  mano  s-'nistra  tenuta  dal 
sostituto  procuratore  generale  Maxwell  ;  40  ch'el- 
la dirigeva  sovente  l'estremità  delle  dita  rimaste  li- 
bere verso  la  mano  sinistra. 

Sabatier  seguì  e  studiò  queste  manovre,  le  quali 
lo  portarono  a  pensare  che  l'Eusapia  potesse  agire 
in  tal  modo  allo  scopo  di  sostituire  la  mano  sini- 
stra, tenuta  da  Maxweli,  coll'estremità  delle  dita 
della  mano  destra,  in  modo  da  liberare  la  sinistra 
e  poter  così  agire  sui  movimenti  di  alcuni  oggetti 
predisposti  nella  camera  a  scopo  di  esperienza  me- 
dianica. 

Il  disegno  dato  alla  pagina  seguente  rappresenta 
le  cinque  posizioni  delle  mani  della  medium  e  dei 
due  controllori,  quando,  nelle  esperienze  al  buio, 
la  medium  riesce  a  liberarsi,  pur  lasciando  credere 


i 


LA    LETTURA 


qui  Ila  seduta  e  ne  seguì  una  quantità  di 
m-     terpi 
l>.-r  ini    uno  ili   ■   si      Fi  \  vennero  fatte  sederi-  su  due  sedie,  poste  luna 
il  tavolo,  spo>     presso  l'altra,  ma  in  modo  che  i  loro  talloni  ;■ 

ro  -n  due  cuscini  e  le  gambe  rimanessero  separai 
persone  troi  untisi  in  catena  te  e  disi  rtza  era  determinare 


Il  inuline  d'Achille. 

Il  trucco  del  cosidetto  tendine  d'Achille  (un  tea- 
sso  e  che,  battendo  su  di 


una   posizione  nella  quale  i   legamenti   della  ginn 
tura  del  ginocchio  distesi  e  i  'i  a- 

vessero  punto  d'appoggia 

La  partiva  dal  concetto  che  lo  s| 

■ntu  dell'osso  necessario  a  produrre  i   fi 


esso,  può  pro- 
durre un  suono 
venne 
rivelato  nel 
1859  dal  dott. 
Flint,  pn  ifi  ssi  1 
re   alla    clinica 

medila       dell'I' 

niversità      di 
Buffalo      (Stati 
Uniti      d'Ami 
rica)    dopo   una 
di     ricer- 
che   attorno    al- 
le  sorelle    Fox, 
50    in    subbuglio    parecchie   città 
nord-americane,   coi    pii    hi    formidabili   ed   in  teli  i- 
mente  ripetentisi  nelle  varie  rase  da  esse  abi- 
1  moderna  ■  iscend  ntali 

appunto   la   sua   origine  dai    fenomeni   d'allora 
:  o  ntroversi   formulati  riguardo 

del    Flint  inche  da    | 

ni    mèdiche,   consisteva  nell'attribui- 
uei  rumori  alle  non  apparenti  contrazioni  dei 
lini  dell'operante,  contrazioni   le 
quali  arriverebbero  financo  ad  imitare  il  melodio- 
di    vari   strumenti. 
Per  Imente   le   st  relle    Fi  1 

■  li   tal   mezzo,   il   don.    Flint    istituì  una 
Le  du 
un  divano.   Si   domandò  ai 

;i    in 


I    CIN'.'UE    MOVIMENTI    DELLA    MEDIUM 
LIBERAZIONE    I'R AIDOLBNT A    1)1    UN    IIRACCIO. 

non  avrebbe  potuto  effettuarsi  qualora  i  piedi  non 
avessero  posato  su  di  un  corpo  resistente.  Ed  in- 
fatti gli  spiriti  rimasero  muti,  tantoché  le  din-  so- 
relle dichiararono  non  esservi  più  speranza  di  ma- 
nifestazioni.  Le  si  fece  poi  scendere  dal  divano; 
ma,  non  appena  i  loro  piedi  toccarono  terra, 
pi  ricominciarono. 

Allora  le  loro  ginocchia  furono  tenute  ferme  e 
vi  si  applicarono  sopra  le  mani  con  forte  pi 
ne.  cosicché  ogni  movimento  dell'ossi  fi  sse  percet- 
tibile al  tatto,  ed  i  picchi  tacquero  immediatamen- 
te. Una  sola  volta,  avendo  uno  dei  medici  rallen- 
tata intenzionalmente  la  pressione,  vennero  uditi 
due  o  tre  deboli  colpi  ;  ma  fu  anche  constata 
sensibile  movimento  dell'osso. 

Si  procurò  quindi  a  più  riprese  d'afferrare  pun- 
tamente il  ginocchio  del   soggetto  nel  momento  in 
cui   ricominciavano  i  colpi   misteriosi;    e 
spericn.'. i    ebbe    sempre    l'effetto    di    imporre 
spiriti    l'immediato  silenzio. 

<     n  ciò  ii  gioco  parve  riveli 

Il  nodo  che  si  fa  e  si  disfa. 

11  trucco  relativo  al  nodo  ;■  quello  i 
medium,   per  quanto  legato  alle  mani  ed  ai    ■ 
con   un'unica  corda   suggellata  qua  e   là  e  m 
tenuta  ai  suoi  estremi  da  i  i  i  llori,  può  svin- 

colarsi almeno  in  parti-,  così   da  poter  agire 
in     a    sé.    Il   tnu  '  tuarsi    in    due   modi. 

I  in  •        |uello  dei   nodi   fatti   in  modo  che.   ma 
la    loro   apparente    resistenza     formidabili 
Igi  in    da  sé  colla  massima   I  ai  dna.   E'    |U(  ■ 
comune  per  cui   i   prestidigitatori   di   p 


MI  bir.M    E    TRlXi'lll 


annullano  una  decina  (!i  fazzoletti  che  poi  mostra 
ni  al  pubblico  completamente  staccati.  Se  ne  può 
leggere  la  spiegazione  in  qualsiasi  trattatello  di 
magia  bianca;  la  sua  applicazione  alle  simula/io- 
ni medianiche  presuppone  tuttavia  un  compare 
cella  persona  che  lega  il  medium  alla  seggiola. 

11  truce  classico  consiste  invece  nell'abilità  spe- 
ciale del  medium  di  farsi  legare  in  modo  che  chi 
lega  debba  necessariamente  presupporre  la  impos- 
sibilità materiale  dello  svincolo,  mentre  il  medium 
può  lil «rarsi  dai  nodi  e  rientrarvi  a  volontà.  E' 
improprio,  quindi,  chiamar  questo  il  nodo  che  si 
fa  e  si  disfa,  perche  il  nodo  permane  tal  e  quale. 

Anche  di  tale  trucco  abbiamo  trovato  la  spie- 
gazione in  una  rivista  di  studi  telepatici  e  media- 
nici e  precisamente  in  quegli  Annales  des  Scien- 
\  che  rappresentano  la  parte  più  eletta 
del  movimento  psichico  della  Francia  e  che.  come 
tale,  abbiamo  visto  con  stupore  scambiati  nelle 
recenti  polemiche  colla  Rena-  des  études  fsychi- 
ques,  la  quale  non  è  che  l'importazione  a  Parigi 
per  opera  d'uno  studioso  italiano  (il  Vesme)  della 
Rivista  di  stiia  .   stroncata  nel   1898  a  Pa- 

dova per  la  tragica  fine  del  suo  fondatore,  il  prof. 
Ermacora. 

La  medium  —  si  trattava  d'una  donna  —  le- 
gata strettamente  sopra  una  sedia,  venne  posta 
nel  cosidetto  gabinetto  medianico  (un  breve  spazio 
della  camera,  separato  da  una  cortina).  Malgrado 
cgni  precauzione,  dopo  un  po'  si  videro  oscillare 
delle  fiammelle  al  di  fuori  del  gabinetto.  Si  sareb- 
be giurato  sull'autenticità  del  fenomeno;  invece 
era  simulato.  I  punti  luminosi  erano  prodotti  dalla 
medium  la  quale,  malgrado  l' apparente  solidità 
dei  legami,  era  riuscita  a  liberarsene  mercè  una 
disposizione  anatomica  speciale,  poco  comune  e 
apparente,  dei   polsi. 

Il  medico,  incaricato  del  controllo,  aveva  rimar- 
cato che  i  polsi  del  soggetto  erano  grossi  e  relati- 
■nte  grassi,  cosicché  le  mani,  essendo  grasse 
ma  non  avendo  che  una  sottile  ossatura,  riuscivano 
a  passare  attraverso  ad  un'apertura  o  ad  un  le- 
game che  potesse  appena  ammettere  il  polso.  La 
medium,  nel  lasciarsi  legare,  aveva  cura,  inoltre, 
d'assicurarsi  che  le  fosse  possibile  portarsi  la  ma- 
no al  naso  sotto  il  pretesto  di  pulirselo,  ma  in 
realtà  per  potere,  malgrado  i  nodi,  umettare  di  sa- 
liva le  dita  e  toccare  quindi  l'estremità  fosforea 
d'un  fiammifero  producendo  cosi  delle  luminosità 
nell'ombra.  Come  usciva  dai  legami,  il  braccio 
della  medium  vi  rientrava  e  poi.  sfregando  il  pol- 
so sulla  corda,  vi  si  producevano  dei  solchi  che  ■ — 
al  termine  della  seduta  —  erano  destinati  ad  im- 
pressionare maggiormente  gli  spettatori  rassicuran- 
doli circa  la  forza  estrema  del  nodo. 

Ma  non  tutti  possono  disporre  d'una  simile  ec- 
cezionalità anatomica.  Gli  altri  ripetono  il  gioco 
per  cui  nel  1865  vennero  a  Parigi  smascherati  i 
fratelli  Davenport,  che  si  erano  dati  a  delle  espe- 
rienze medianiche  in  pubblici  saloni.  Veramente  il 
trucco  per  cui  furono  scoperti  consisteva  nel  farsi 
legare  ad  un  trave  mobile  —  malgrado  paresse 
solidamente  fissato  —  cosicché  il  trave  veniva  tol- 


791 

to  e  la   fune,    per  con  -1    rallentava.    Li  1 

slacciamento  essendosi  per.  1  verificato  anche  in  1  ri 
dizioni  diverse,  si  seppe  poi  che  il  trucco  avveniva 
COSÌ:  mentre  li  si  legava,  i  due  fratelli  —  uomini 
snelli,  robusti  e,  dò  «'he  più  importa,  slogati  — 
sapevano  offrire  ai  loro  lacci  ora  il  risalto  d'un 
muscolo  inturgidito  a  bella  posta,  ^ra  un'insenatu- 
ra. Per  tal  modo,  pur  simulando  di  prestarsi  alla  •■  ■ 
lenta  dell'incaricato  che  li  legava,  gli  opponevano 
un'abile  e  segreta  resistenza,  ottenendo  rosi  d'al- 
lentare i  legami  di  quel  mezzo  centimetro  che  ad 
essi  bastava. 

Una  corda,  dopo  aver  legato  i  polsi  posti  dietro 
la  schiena,  allacciava  il  soggetto  per  le  spalle  pas- 
sando dietro  le  braccia,  tornando  poi  indietro  e  fi- 
nalmente risalendo  per  terminare  con  un  nodo.  I 
punti  d'appoggio  delle  corde  erano  quindi  le  spal- 
le. Ma  la  spalla,  inturgidita  durante  la  legatura, 
rientrava  in  se  e  lasciava  molle  il  legame. 

Se  accadeva  che  la  corda  dei  polsi  passasse  su- 
gli avambracci  e  li  spingesse  contro  il  busto,  lo 
slorzo  del  soggetto  tendeva  a  scostare  le  braccia 
dal  corpo  all'atto  della  legatura  e  a  produrre  cm\ 
ciò  un  rilassamento  della  corda,  debolissimo  in- 
vero, ma  abbastanza  sensibile  per  far  risalire  la 
detta  corda  verso  le  spalle. 

Restavano  i  polsi.  La  mano  (particolarmente  il 
pollice),  è  quella  che  rende  più  invincibile  la  le- 
gatura e  si  oppone  al  ritiro  del  braccio;  ma  i 
Davenport.  valendosi  della  loro  ginnastica  spe- 
ciale, facevano  rientrare  i  pollici  dando  alla  mano 
una  forma  cilindrica  non  più  grossa  del  polso. 
Ina  volta  liberata  una  mano,  con  essa  e  coi  denti 
si  giungeva  a  liberare  l'altra  ed  a  slacciare  i  nodi. 

Il  trucco  classico  del  nodo  consiste  quindi  nel- 
l' avvantaggiarsi  sui  legami  al  momento  della  le- 
gatura, allargarla  quanto  basta  per  ricuperare  l'a- 
zione delle  braccia  e  diminuire  la  sporgenza  della 
mano.  A  questo  modo  un  altro  illusionista  -  -  il 
Ri  il  un  —  riuscì  financo  a  slegarsi  sotto  gli  occhi 
degli  spettatori,  a  luce  piena. 

Le  fotografie. 

Il  trucco  delle  fotografie  spiritiche  ha  tutta  una 
storia  ed  una  piccola  bibliografia  a  sé.  Le  prime 
negative  del  genere  furono  ottenute  in  America, 
poi  si  propagarono  in  Europa  mercè  il  fotografo 
parigino  Giovanni  Buguet  che  per  due  anni  ■ — 
1873-74  —  ne  trasse  un  lucro  complessivo  di  22.000 
franchi,  ma  nel  1875  finì  coll'essere  condannato 
per  truffa  —  trascinando  altri  nella  propria  scia- 
gura sotto  l'accusa  di  complicità  —  a  un  anno  di 
carcere  e  500  franchi  di  ammenda.  Al  processo 
egli  confessò  tutto,  anzi  —  a  quel  che  pare  — 
avrebbe  confessato  al  di  là  del  vero,  visto  che  due- 
cento persone  testificarono  o  scrissero,  malgrado 
lui.  a  conferma  della  sua  medianità,  attestando  la 
perfetta  somiglianza  di  fotografie  di  defunti.  1  1 
tenute  a  mezzo  suo.  mentre  egli  negò  ogni  facoltà 
medianica,  narrando  d'aver  fatta  una  grande  rac- 
colta di  vecchi  ritratti  d'ogni  genere  da  cui  s 
cava  le  teste  per  applicarle  in  modo  adeguato  alle 


LA    LETTURA 


I    ■         I  abilità  sua  consi- 
I  committente  le  generalità 
.  trattandosi  'li  genti 
- 
|uella  più  a] 
ad  una   puppattola  di   mussolina  e  - 

li   in   un  gabinetto  ri- 
La  negativa   veniva   poi   utilizzata  per  ri- 
ipiva  quindi  nel  ve- 
■  alla  propria  immagine,  una  vap 
da  cui   trapelavano  lineamenti   ap- 
5Ji     i  io   traini:' 
a  in  linee  note  e  parlanti. 

o  primitivo,  abbastanza  ■  -> ■  n j i > I i - 
|rt  chi  lo  esercitava,  abbastanza  ingenuo  per 

o  la  vedova  'li  Al- 
iati   Kardek      -   il    pi  dello    spiritismo  — 
ton  solo  la   fotografia  del  marito,  ma  ili  un 
lobbe  e  i  he,  al  proo 
■  ritto  invi  o          i    poi  ritratto  nella  n 
uva        dalla  commessa  del  Bug  i 

I   metodi  si  sono  venuti  j>oi  perfezionando.    Mei 
la  Lettimi  spiegò  alcune  frodi   fo- 
applicabili   alle  ricerche  tra- 
dentali;  il   Blaserna  stesso  diede  delle  spiega- 
zioni in  proposito. 

S  prende  una  placca  fotografica  e  la  si  espone 
.i  distanza  davanti  ad  una  persona  (x)  in  modo 
da  avere  un'impressione  molto  piccola  e  con  una 
durata  di  posa  molto  minore  del  tempo  necessario 
per  una  buona  rafia.  La  placca,  non  svilup- 

pata, viene  conservata  con  cura  [ht  essere  poi  a 
SUO  tempo  utilizzata  nel  ritrarre  altra  persona  (z) 
l<-r  lame  la  fi  i  in  granile;  ma  anche  questa 
e  con  posa  breve.  Finalmente  si  fotograta 
la   pai  sulla   quali-  con   una   soluzione   ili    bi- 

ito  ili  chinino  (trasparente  come  acqua  e  sen- 
s  mo  alia  lastra  fotografica)  si  sono  dipinti 
in  precedenza  spettri,  fiori,  ecc.  —  e  si  sviluppa 
la  lastra.  Si  vedrà  allora  l'immagine  z  avente  nel 
'  uore  l'immagine  x,  ambedue  aventi  carattere  di 
spinti,  ed  attraverso  ad  esse  si  vedrà  il  fondo  della 
pan  te  mentre  all'intorno  sembreranno  svolazzare 
fiori  e  fantasmi. 

uesto   metodo   richiede   l'uso   d'un'u 

lastra,   posseduta   dal    fotografo,   per  tre   im- 

ed  un  insieme  ili  preparativi  che 

Ini. -lite   può  trarre   in    inganno  chi    si   presenti 

'un  po'  di  diffidenza,  anche  superficiale. 

liccio,  diretto,  die  permette  al  fo- 
I  utilizzare  sui  due  piedi  la  lastra  portata 
■lai  nte   e   'la    lui   contrassegnata 

e  apparire  contemporaneamente  la  persona  ed 
i       i  consiste  in   un   sai 
mio.    i  ramezzato,    i 
■  la  una  parete  ma  da  un  fondo  semplicemente 
nativo  'li  tela  leggera  (sbirting)  dipinta  a  te- 
■  lori. 

colle    spalle    davanti 
alla  finta   parete;    ma,   mentre   la   macchina    I 

sulla  lastra  da  lui  portata,  dall'al- 
della  tramezza  un  .compare,   favorito  da 
rosa    lampada  di   proiezione,  quando  sia 
de  'li   convenzione,   pn 


sulla  intelajatura  quella  figura  di  vecchio,  di  don- 
o  che   i   connotati,    favoriti   inge- 


IL  TRUCCO    lilII.l.K    lOTOGRAI-lE    SPIRITICHE. 

nuamente  dal  committente  stesso,  hanno  . 
to  ili  scegliere. 

Medium  smascherati. 

Ho  arrennato  al   processo  Buguet;    ma  vale  la 
pena  ili  tenerne  parola  ancora. 

Si  svisi-  nel  '75,  ed  oltre  che  al  Buguet  '■'!  al 
l.e\ marie  -  successore  di  Allan  Kardelc  nella  di- 
rezione della  Rcvue  Spiri/e  —  procurò  la  condan- 
na al  carcere  ad  Alfredo  Enrico  Firmati,  un  giiK 
vane  ancor  ragazzo  nell'aspetto  che,  assieme  alla 
madre,  dava  sedute  di  materializzazione,  cioè  d'ap- 
parizioni di  defunti  con  le  caratteristiche  di  pi 
ne  viventi. 

La  sua  specialità  era  l'apparizione  di  un  nane- 
rottolo   indiano   adorno   di    stoffe   ricchissime   e  col 
volto  coperto  d'un  velo.   Firman  era  piuttosto 
l'indiano   piccolo,    quindi   esclusione   d'una   simula- 
zione di   personalità.   Senonchè  il   Firman  fu  chia- 
111. ito  per  dare  esperienze  in  casa  d'un  signora  Hu- 
guet  ;   questa  ebbe  sentore  di  frode,  e  si  precipitò 
sull'apparizione  appena  comparve.  Ahimè',  di  - 
alle  spoglie  fantomatiche  del  nano  giganteggiò  su- 
bito  la    figura   del    medium,    il   quale    incespii 
cadde.   Rialzatosi  in  fretta,  la  madre  lo  prese  pa 
mano  ed  entrambi   fuggirono. 

Mi    più  singolare  fu   il   motivo  che  involsi 
man  negli  affari  del  fotografo  parigino.  Firman  si 
attribuiva  la  bi-corporeità.  cioè  la  facoltà  di  .- 
piarsi   e  di    apparire  in   un    luogo   anche   Ioni 
simo  da  quello  ove  si  trovava-   Ora  avvenne 
mentre    Firman   trovavasi    in    Olanda,   un    pati 
di  lui  —  il  ricco  conte  de  Bullet  —  si  recasse  di 
Buguet   per  ottenere  delle  fotografie  spiritiche 
ecco  apparire  in  una  di  esse  di  fianco  al  conte  la 
figura    evaporante    del    Firman    come   immersa    in 
un  sonno  di  estasi. 

11  caso  era   patente;    Firman   in   quel   mon 
doveva  essere  caduto  in  trance  a  centinaia  di  chi- 
lometri   di    distanza   ed    il    suo   «doppio»    vagando 
per  gli  spazi  sera  venuto  accoccolando  ]»  r  istinto 
di   simpatia   presso  una  persona   pred  letta     La  bi 
corporeità   aveva   avuta   la  sua  sanzione  sp-m 
tale. 

Senonchè        menti 
mai  stato  a  Parigi  ed  avesse  mai  conosciuto  il  Bu- 


guet 
ta  di 
mesi 


MEDIUM    E    TRUCCHI  793 

—  risultò  al  processo,  per  confessione  ripetu-  scena  fu  organizzato  dalla  signora  Leymarie  e  dal 
quest'ultimo,  che  la  conoscenza  esisteva  e  che  di  lei  figlio  Paolo,  che  il  padre  —  la  vittima  di 
addietro  il   Firman  aveva  con   lui   posato   in     Buguet  —  era  assente  da  Parigi. 

La  medium  cadeva  in  trance  nel  cosidetto  ga- 
I  inetto  spiritico,  cine  dietro  una  cortina,  e  da  que- 
sta —  al  chiarore  d'  un  lampadino,  che  oscillava 
continuamente  onde  non  dar  riposo  all'occhio  dello 
spettati  ire  —  uscivano  man  mano  <  imi  ire  di  fan- 
ciulli, di  uomini,  di  donne,  ora  biondi,  ora  bruni. 

Ultimi  apparivano  ordinariamente  gli  spettri 
d'un  prof.  Cuchmann  e  della  sua  bambina.  Fu  a 
questo  punto  che  uno  dei  congiurati  balzò  sopra 
a  Macdonald  mentre  Leymarie  figlio  ed  un  ami- 
co si  slanciarono  sui  due  spiriti  ed  un  quarto  ac- 
cendeva prontamente  un  lume. 

Al  chiarore  improvviso  fu  visto  che  lo  spettro 
di  Cuchmann  era  la  Williams  in  maglia  di  seta 
nera  colla  capigliatura  raccolta  in  una  specie  di 
berretta  di  seta,  ed  un  paio  di  mustacchetti  tenuti 
fermi  da  un  elastico. 

Xel  gabinetto  spiritico  era  appesa  la  sottana  del- 
la medium  e  per  terra  erano  sparsi  spilli,  boc- 
c  ette  —  tra  cui  una  di  fosforo  —  ed  un  sacchetto 

—  che  la  medium  usava  nascondere  sotto  le  vesti 

—  con  quattro  parrucche,  una  barba  bianca  ed  al- 


PuPPATTOLA    DI    CUI    SI    SERVIVA    LA    WlLLIAMS 
PER    SIMULARE    UN    FANTASMA. 

(Dalla  Revue  Spirile,  dicembre  1894). 

simulata  trance.  Quella  negativa  —  gelosamente 
custodita  —  fu  sviluppata  solo  quando  su  di  essa 
era  poi  venuta  la  volta  di  fissare  l'immagine  del 
protettore,  la  cui  visita  al  fotografo  si  sapeva  sa- 
rebbe avvenuta. 

Un'altra  smascheratura  formidabile  —  la  più 
recente,  panni,  tra  le  essenzialmente  incontestabili 
-  fu  quella  toccata  nel  1894  all'americana  Eli- 
.v< I  ietta  Williams,  una  medium  scesa  a  Parigi  con 
un'aureola  di  supernaturalità  quale  pochissimi  dei 
maggiori  potevano  vantare.  Lei  in  trance,  gli  spi- 
riti apparivano  a  due  a  tre,  conversavano  coi  pre- 
senti, si  lasciavano  fotografare  e  toccare.  Accom- 
pagnata da  una  specie  d'impresario,  Macdonald, 
eseguiva  le  proprie  esperienze  in  casa  d'una  signo- 
ra Raulnt,  cui  era  stata  raccomandata  dalla  Revue 
Spirile. 

Ingiustamente  vedemmo  però  fatto  merito  di  tale 
smascheratura  a  un  gruppo  di  giornalisti  spregiu- 
dicati, i  quali  avrebbero  pagato  la  partecipazione 
alla  seduta  con  cento  franchi  a  testa. 

La  verità  è  che  stavolta  lo  smascheramento  fu 
opera  degli  spiritisti  più  intransigenti  e  precisa- 
mente dal  gruppo  della  Revue  Spirite,  che  deve 
aver  voluto  mettere  le  mani  avanti  per  non  rica- 
dere nella  pericolosa  dabbenaggine  della  mistifica- 
zione Buguet. 

Non  esiste  la  congiura  dei  giornalisti  estranei, 
e  la  partecipazione  alle  sedute  costava  solo  dai  io 
ai  25  franchi  per  persona.  La  prima  ad  accorgersi 
dei  trucchi  era  stata  la  stessa  signora  Raulot  — 
una   kardekiana   convintissima    —    e    il    colpo    di 


La  fantomatica  figlioletta  del  Cuchmann  non 
era  che  una  puppattola  composta  d'una  maschera 
di    grossa    mussolina    bianca    gommata,    i    cui    ca- 


LA    BORSA    PEI    TRUCCHI    DELLA    SIGNORA    WlLLIAMS. 


794 

to  il   [uale  una 
simu- 
,i    Qui  Ila   spi  i 

:   rro  tras 
utt'atti  imi  i 
l  bianca    finissima   oon 
i   mussolina. 

hi    la  Wì  lliams  era  ventrilo- 
struire  l'insieme  dei   trucchi 
ombinare,  mentre  i   presenti   la 
tro  il  cortinaggio. 
L'ultimo   dei    medium    •  fu,    per  ordine 

\ ,.    .    ]  la  cosi 

«  medium  dei  fiori  he  in  >ua  awe 

uro  delle  vere  pioggie  ili  liori.  anche 
sugli  astanti. 

i  iali  narrarono  diffusamenl ne  un 

funzionario  di   polizia,  introdottosi  fra  gli  spi 
su  'li  lei  nel  momento  tipico  della 
duta   e,    fattala    svestire,    le    trovasse   nascosti    in 

■   dei  ii'  ni.  <  'l' i 

in     ra  ] 

vivai-i-    fra    spiritisti    e    increduli    sulla    legittimità 
dell'arresta   Gl'increduli   affermano  che   l'esistenza 
fiori  e  degli   aranci    prova   la   flagranza  della 
li   altri   sostengono  che  ■ —  ammessa  nella 
medium  la  facoltà  'li  materializzare  fiori  e  frutta 
spiritici  —  quel  fatto  non  prova  nulla  e,  se  si  vuol 
ilar  fi >in lamentìi  all'accusa,  si  deve  stabilire  rhe  essi 
alla  seduta.   E  ciò  essi  dicono,  mal- 
grado già  da  un  anno  mettessero  in  dubbio  la  me- 
dianità   delia    Rnthe.    visto   rome   ella   si    rifiutasse 
a  severi  controlli,  preferendo  dare  sedute  a  pa 

ri  carattere  teatrale.  Questa  controversia 
d'istruttoria  non  sembra  ancora  risolta  perchè  il 
processo  (e.  trattandosi  di  flagranza,  avrebbe  do- 
vuto essere  rapidissimo)   non   fu  ancora  svolto. 


II. 


Fin   qui    abbiamo    riassunto   i    punti    prira 

dell'aito   d'accusa   steso  contro   i    fenomeni    me» 

nici.    Per  necessità  di  sintesi,  ci  siamo  fermati   ai 

hi,   |iel  rompimento  dei  quali  basta  il  medium 

colla  coadiuvazione,  tutt'al  più,  d'uno  dei  presenti. 

I    i  lsì    di    fenomeni    simulali    pei    quali    occorsi 

ordo  segreto  di  sette  od  otto  dei  presenti  e  si 

introdussero  di  nas  i  echi  facchini  nella  ca- 

•    delle  esperii  ridi     dai    spettacolo   all'o 

scuro   di    levitazioni    formidabili,    se  hanno  sapore 

non   poss  no  aver  vali  ire  comi    i  li  mi  n 

to  .'  i    alle  i  sperii  nze  scientifiche,  dal 

icetto  i  con 

plicità  dei  pr.  pp  mgi  no 

ell'intento  comune  di  anali, 
i  che  il  soggetto  si  attribuisce,  non  di  in- 
nulame  la   ma  ne. 

il  motivo  per  i  ui        se  i»t  quelle  serie 
di  trucchi,  al  poterono  gli 

un     qu 

■  lu   lecito  ad  uno  scienziato,   pure  i  11  ti  - 
.n  una  Ila    Paladini    a    Napoli 

indi    ■  d 


LA   I      ii 


ne    medianica.    Quand'egli    confessò 
unii  i,  non  n  vi  fu  ilarità,  ma  dovè  su- 

bire il  richiamo  ad  un  maggior  seni  i  di- 

li  riguardo,  né  <  dirsi  che 

lui. 

Premesse  le  accuse,  è   però  doveroso   fai 
agli  ì  di  difesa,  i  quali  non  sono  ni 

chi,  né  tenui.  Occorre  eliminare  un  preconcetti 
nume;   cioè  che  quanti   studiano  questi    fenon 
spiritisti.   Tutt'altro:    gli  spiritisti,  anzi, 
li  che  li  studiano  meno  o  non  li  studi.' 
io  perchè  li  ai  tanto  i  he  sulla   I 

di  questi  fenomeni  hanno  fondata  una  dottrina  t 
seguono  ni  in  cui  credono  rome  un  buon  cattolico 
crede  nel  Vangelo.   Per  essi,  quindi,  esula  in  i 
sima  la  necessiti  di  controllo;  per  ciò  è  più  tarile. 
a   loro   riguardo,    l'inganno. 

Gli  altri  sono  dei  semplici  sperimentatori  che 
astraggono  da  ogni  concetto  filosofico  trascenden- 
tale. Anzi,  per  distinguere  la  propria  tenden 
sono  costrutta  una  terminologia  speciale  nella  qua- 
le non  si  tratta  di  spiritismo  ma  di  studi  psichici 
(per  indicare  una  qualche  affinità  colla  psiche  u- 
mana),  non  di  «spiriti»  ma  di  «forza  psichica», 
non  di  osdop]  »,  ma  di  «  esteriorazione  del- 

la motrirità  o  della  sensibilità». 

La  psicologia  della  frode. 

Costoro  —  pel  loro  stesso  temperamenti  i  speri- 
mentale —  sono  diffidenti  e  scrutatori:  e  soprat- 
tutto si  son  posto  il  problema  della  fri  !  esami- 
nandolo da  ogni  lato:  s'adattarono  con  ui 
medium  a  sedute  nulle  o  fraudolenti,  e  ciò  servi 
loro  di  controllo  per  quelle  che  reputarono  volta 
a  volta  mediocri,  buone  e  buonissime;  e  vennero 
-  col  Lodge  -     a  conclusioni  rome  qui 

i°  che  deve  essere  possibile,  per  mezzo  di  suf- 
ficienti precauzioni,  d'impedire  i  tentativi  di   fi 
del  medium  ; 

2°  che  se  gli   viene  concessa  troppa   libi  ri 
da  aspettarsi  con   ragione  che  presto  o  tardi   tali 
tentativi   verranno   fatti. 

Ed  —  occupandosi  specificatamente 
attribuite    all'Eusapia    —   così    il    L 
nel  180.4  con  meravigliosa  sottigliezza  d'intuito  psi- 
cologico: 

t Bisogna  considerare  che  il  medium  in  stato  di 
sonnambulismo  si  trova  in  una  strana  condizii 
ni    una    condizione    cioè    in    cui  è    realmi 
inopportuna    il    lasciarlo   libero   da  controllo   come 
se  esso    Fosse   in   pieno  possesso   delle  sui 
normali:    di   più   può  essere  che  la   differenza   Ira 
un'i  i'  razii  ni    ro  rmale  ed   una   anormale,   sia   una 
distinzioni  sulla    nostra    ignoranza    pre 

sente  rhe   su   quale! lipendente   dall'intima 

natura   delle   cose,   talché,    se   durante   li 
sonnambulismo  tutti  e  due  i   metodi,   pei 
un  risultato,  sembrano  al  medio  egualmente  1 
bili,  può  instargli  uno  sforzo  il  ricordare  che 
di   qt  idi    1  ira   stupire  gli  osservatori  men- 

verrà   da   loro  stigmai         1    1 1  me   (rode. 


MED'U'W    E    TRU<  '111 


795 


Però  non  è  probàbile  che  tutti  e  due  questi  metodi 
sieno  in  realtà  egualmente  facili  —  il  metodo  anor- 
male richiede  evidentemente  uno  sforzo  straordi- 
nario —  ed  è  naturale  che  il  medio  sia  tentato  di 
scegliere  la  via  più  facile  in  caso  di  difficoltà,  se 
esso  per  negligenza  gli  vien  lasciato  aperto.  Qua 
lunque  pericolo  di  accuse  ingiuste  sarà  evitato,  so- 
lo che  i  presenti  alle  sedute  abbiano  il  buon  senso 
di  trattare  l'Eusapia  non  come  una  persona  di 
scienza  occupata  a  fare  una  dimostrazione,  ma  co- 
me un  organo  delicato  di  un  apparecchio,  del  qua- 
le essi  stessi  si  valgono  per  fare  una  ricerca.  Essa 
è  un  istrumento,  il  cui  modo  d'azione  e  le  cui 
idiosincrasie  devono  essere  studiate  ed  anche  asse- 
condate fino  ad  un  certo  punto,  precisamente  nello 
stesso  modo  con  cui  si  studierebbe  e  si  asseconde- 
rebbe il  modo  d'azione  di  qualche  apparato  di 
fisica  molto  delicato,  che  fosse  stato  inventato  da 
un  artefice  esperto». 

Dal  che  risulta  che  gli  esperimentatori  stessi 
ammettono  la  frode,  ma  partono  da  un  criterio 
diverso  nell'apprezzarne  il  valore  di  fronte  ai  fe- 
nomeni che  il  medium  può  produrre. 

E  fu  tanto  studiata  la  questione  della  frode 
che   l'Ochorowicz   ne  tracciò   la  casistica  : 

a)  Frode  cosciente  (alla  Williams) 

b)  Frode     incosciente  ;  ,,    ,.     ..* 
'    ,,                  ,.         ,-    I  Medianità 

alO   stato   di   veglia  >      ,,     ,.       .   r    ■    _ 
,.   .       &      1      d  ordine  inferiore 
allo  stato  di  trance      ' 

e)  Frode  parziale  automatica  1        Medianità 

d)  Fenomeno  puro  '    d'ordine  super. 

E'  appunto  nel  distinguere  i  casi  e  nel  far 
fronte  ad  essi  che  si  manifesta  l'abilità  dello 
sperimentatore.  Rilevando  anzi  alcune  affinità 
evidenti  della  facoltà  medianica  cogli  stati  ip- 
notici, rOchorowicz  concludeva  non  doversi  di- 
menticare che  «.la  frode  è  inseperabile  della 
medianità,  come  la  simulazione  è  inseparabile 
dall'ipnotismo  »  e  ciò  per  rimproverare  con  suc- 
cesso all'Hodgson  che  se  le  esperienze  coll'Eu- 
sapia  a  Cambridge  riuscirono  fallaci,  a  lui  più 
che  ad  altri  lo  si  dovette  a  perchè  egli  tollerava 
la  frode;  poi  la  suggeriva  con  le  sue  idee  pre- 
concette e  molto  nette  e. 

Ed  in  confronto  all'esperienze  di  Cambridge 
citava  quelle  dell'Agnélas  in  cui  la  tendenza 
fresatrice  della  medium  fu  vinta  dichiarando 
brutalmente  a  costei  ad  ogni  fine  di  seduta 
fraudolenta  che  si  era  capito  il  suo  gioco.  E 
gli  inganni  erano  durati  così  a  lungo  che,  dopo 
una  settimana,  l'Ochorowicz  aveva  notato  nel 
suo  giornale:  «Io  sono  talmente  scosso  dalla 
frequenza  della  frode  in  questi  ultimi  tempi, 
che  incomincio  a  dubitare  di  tutto». 

Ma  pazientò  e  le  sedute  buone  cominciarono 
da  allora. 

Un  altro  dei  preconcetti  comuni  è  che  i  fe- 
nomeni medianici  si  manifestino  soltanto  al 
bujo,  in  condizioni,  cioè,  troppo  favorevoli  ai 
trucchi  perchè  vi  si  possa  prestar  fede. 

Ciò  non  è  esatto.    Nelle  famose  esperienze  del 
1892  a  Milano  furono  verbalizzati  come  osservati 


in  piena  luce  e  con  piene  o  nt  rollo  le  seguenti  se- 
rie di  fenomeni: 

i°  Movimenti  meccanici   non  spiegabili  col   solo 
contatto  delle  mani  : 

a)  sollevamento  laterale  della  tavola  sotto  le 
mani  della  medium,  seduta  ad  uno  dei  lati  piccoli; 

b)  misura  della  forza  applicata  al  solleva- 
mento laterale  della  tavola; 

e)  sollevamento  completo  della  tavola  ; 

d)  variazione  della  pressione  esercitata  da 
tutto  il  corpo  della  medium  seduta  in  una  bilancia. 
20  Movimenti  meccanici  con  contatto  indiretto 
della  medium,  in  condizioni  da  rendere  impossibi- 
le la  sua  azione  meccanica  ; 

a)  movimento  orizzontale  della  tavola  mentre 
la  medium  tiene  le  mani  su  una  tavoletta  posta  su 
tre  palle  di  bigliardo  o  su  quattro  rotelle  ; 

b)  sollevamento  laterale  della  tavola  con  tre 
palle  da  bigliardo  o  quattro  rotelle  e  una  tavoletta 
interposte  fra  la  tavola  e  la  mano  della  medium. 

30  Movimenti   d'oggetti   a  distanza,   senza   alcun 
contatto  con  una  delle  persone  presenti  ; 

a)  Movimenti  spontanei  d'oggetti  (tra  cui  una 
sedia  pesante  io  kg.  e  che  si  trovava  dietro  la  me- 
dium ad  un  metro  di  distanza)  ; 


I 


Sollevamento  completo  del  tavolo. 
(Esperienze  di  Milano,  1892). 

b)   Movimenti   della  tavola  senza  contati 

e)   Movimenti  della  leva  d'una  bilancia  a  ba- 


scule. 


■QO 


LA    LI  T  TURA 


.il  suoni  nella  tavola. 
ni  la  levitazione 
li  cui  è  r  i  j  >  ri  >  lotta  nella  pa- 

■  "Mi      :'  momento  in 

il    fatto    in    questione  — 
abbiamo  poco  alla  volta  allon- 
persone  poste  attorno  alla  tavola,  lasciati 
(Aksàkof)   rolla   medium    posta 
•  stra.  Questa  persona  metteva  i  p 
dell'Eusapia  e  una  mano  sui  suoi 
coll'altra   la  mano  sinistra  della 
cui  destra  era  sulla  tavola,  in  vista  di 
tutti,  oppure  la  medium   la  teneva   in   aria  durante 
la  tavola   restava  in  aria 
secondi,    fu   possibile  ottenere  parec- 
■    del  .il  ehe  non  era  ancora 

i». 
-jK^ito  del  movimento  dilla  leva  d'una  ba- 
■  mza    della    medium,    qui    sopra    accen- 
pena  di  ricordare  che  Cri  okes  escogitò 
.dra  eoi  medium  Dunglas  Home  (i)  un  espe- 
:i  condizioni  ancor  più  probative  che  quel- 
le di   Milana   Egli  castrasse  un  apparecchio  scien- 
miente  perfezionato.  Si  trattava  di  far  muovere 
una   lancetta  sopra  un   disco  tenendo  la  mano  del 
medium  sospesa  senza  contatto  su  una  leva  appli- 
•i.l  un  congegno  d'orologeria.   Prima  della  pro- 
va  Crookes  ed  altri   stabilirono  la  resistenza  asso 
luta  dell'apparecchio  contro  ogni  possibile  urto.  Or- 


bene Home  influì  anche  su  questo  apparecchio  in 
modo  notevolissimo  e  l'ordigno  applicato  al   dina- 


Fu  detto  che   Dunglas    Home    è    stato    condannato 
per  frode  spiritica;  Crookes,   interpellato  recentemente   in 
proposito,  dichiarò  «  essere  assolutamente  falso  che  Home 
fosse  mai   stato   scoperto   in   frode  e  condannato  per  tale 
motivo  >.  Venne  specificato  allora  che  la  condanna  sarebbe 
stala  pronunciata  da  un  tribunale  tedesco  il  22  maggio  1868 
per  scrocchi  e  truffe  sommanti  a  60,000  sterline,  compiuti 
in  danno  d'una  vedova  ,    signora    Lyon  ,   allucinata    dal- 
li fenomeni  spiritici.  Attorno  a  quel  tempo  l'Ho- 
me esperimentava  col   Crookes   e  fa   stupore   che   questi 
ignorasse    allora    una    circostanza   tanto   clamorosa  e  che 
ori  vi  scivolasse  sopra  scientemente.  D'altra  parte  abbiam 
visto  discutere  se  si  tratti  di  un  Home  o  di  un  Hume,  il 
che  può  far  supporre  una  quasi  omonomia  di  due  persone 
distinte.    Mancandoci    gli    elementi  di  fatto,    lasciamo  im- 
pregiudicata la  questione,  pur  notando  che  non  pochi  ver- 
tali autorevoli  parlano  del  disinteresse  e  della  lealtà  spe- 
rimentalrice   dell'Home;   che    questi  aveva   incontrato  un 
matrimonio  con  una  signorina    russa  e  che,  rimasto 
nel     1871     una  sonila    del   celebre    profes- 
nisso  Boutelerow.  Le  biografie  dell'Home  che  abbia- 
mo che  pure  parlano  di  verbali  a  lui  contrari, 
non  accennano  affatto  a  condanne.  Verissima   invece  è  la 
uina  come   giuntatore,   intinta   dalla  Corte  di  Polizia 
di  Londra,   al  medium  Henry  Slade  —  reso  celebre  per  le 
nenze  collo  scienziato  tedesco  Federico  Zòllner —  su 
el  prof.  Lankaster;  ma  lo  ZSilner,   riproducendo 
•  rIì  atti  processuali,  portò  elementi  non    trascu- 
rabili   contri,   l'attendibilità   dell'accusa.    —  Il    qual    Zòll- 
ner non  è  vero  che  sia  morto  pazzo  —  come  vuole  la  leg- 
genda       pel  dolore  di    .s.isi  saputo   mistificato  dal  suo 
medium;   egli    morì    il    mattino  del  s»2,  fulmi- 
nilo mentre  stava    lavorami.,  al 
he  il  Lankaster,  accusatore 
Slade  I                                   rrcst.u.,  ...  t  .  ittivi  costu- 
mi, il                                      lenti  a  suo  rìguard  .. 


Apparecchio  di  Crookes 
per  constatare  l'azione  della  forza  psichica 

tu  .metro    registrò    sempre    le    variazioni    sul    dia- 
framma. 

Fotografie  mediali  ielle. 

Questo  genere  d'esperienze  rimane  però  nel  cam- 
po d'una  presunta  facoltà  individuale  e  non  pre- 
suppone come  necessaria  l'azione  di  entità  estra- 
nee al  medium.  L'ipotesi  di  quest'azione  viene  in- 
vece determinandosi  con  caratteri  di  attendibilità 
di  fronte  alle  fotogra6e  psichiche  o  medianiche, 
qualora  caso  per  caso  ne  venga  ammessa  l'auten- 
ticità. 

Abbiamo  riferito  tutti  gli  elementi  esplicativi 
che  ci  fu  dato  raccogliere  presso  quegli  scrittori 
che  attribuiscono  a  semplice  trucco  l' ottenimento 
di  tali  fotografie.  Altri  elementi  ad  essi  sfuggiti 
vengono  aggiunti  da  un'autorità  superiore  in  ma- 
teria fotografica,  da  Traili  Taylor  presidente  della 
London  and  Provincia!  Photografhic  Association 
e  della  Xorth  London  Photografhic  Society. 

In  un  discorso  tenuto  nel  maggio  1895  al 
Congresso  degli  spiritisti  in  Londra ,  parlando 
del  modo  come  produrre  una  fotografìa  psichica 
falsa  avente  apparenza  di  autenticità,  egli  fece 
osservare  che  una  lastra  segretamente  impressio- 
nata prima  o  dopo  d'essere  introdotta  nella 
camera  oscura  basta  all'  uopo  ;  basta  pure 
una  lastra  sul  rovescio  della  quale  sia  stato  appli- 
cato un  disegno  fosforescente  prima  d'introdurla 
nel  telajo;  anche  una  pressione  sulla  superficie 
sensibile  fatta,  per  esempio,  con  una  pellicola  a  ri- 
lievo Woodbury  può  produrre  un'immagine  svilup- 
pabile ;  inoltre  l'effluvio  stesso  emanante  da  una  ca- 
lamita nell'oscurità  perfetta  agisce  sopra  una  la- 
stra fotografica  sensibile  in  un  modo  analog 
quello  della  luce,  e  cosi  pure  agisce  un  foglio  di 
carta  comune  che  sia  stato  prima  esposto  alla 
luce. 

Eppure  il   Traili   Taylor  rende  conto  di   imma- 
gini psichiche  ch'egli  ottenne  in  modo  per  lui  con 
vincente.   Tracciò  anzi,  a  tal   riguardo,   una  teorìa 
assai  chiara. 

Vi  sono  certi  raggi  che,  riflessi  dall'oggetto  su 
cui  cadono,  sono  visibili,  e  si  dà  loro  questo  nome 


MEDU'.M    E    TRUCCHI 


F9i 


perchè  permettono  ad  un  occhio  normale  di  ve- 
dere quell'oggetto:  ma  vi  sono  altri  raggi  che, 
quantunque  riflessi  alla  stessa  guisa,  non  rendono 
visibile  l'oggetto,  ma  possono  avere  un'azione  foto- 
grafica. Questi  si  chiamano  raggi  invisibili,  perchè 
i  loro  effetti  non  sono  percepiti  colla  visione  ordi- 
naria. Se  una  cosa  od  entità  (chiamatela  spinto, 
se  volete)  emette  dunque  soltanto  raggi  di  questa 
natura,  è  certo  che  potrà  venir  fotografata  da 
chiunque  possieda  anche  soltanto  nozioni  elemen- 
tari di  fotografia,  sebbene  tale  figura  non  possa 
essere  visibile.  E  tale  fatto  sarebbe  conciliabile 
tanto  colle  leggi  dell'ottica,  secondo  le  quali  l'im- 
magine verrebbe  proiettata  dalla  lente  sulla  lastra, 
che  con  quelle  della  chimica,  secondo  le  quali  l'im- 
magine potrebbe  in  seguito  venir  sviluppata. 

Traili  Taylor  afferma  esseisi  servito  sempre  nel- 
le sue  esperienze  della  propria  camera  oscura,  dei 
propri  utensili,  di  lastre  sempre  nuove  da  lui  com- 
perate indifferentemente  presso  negozianti  diversi, 
badando  a  non  perderle  mai  di  vista  dal  momento 
in  cui  ne  veniva  aperta  la  scatola  fino  a  che  fossero 
esposte  nella  camera,  sviluppate  e  fissate.  Per  dip- 
più  si  servì  d'una  camera  stereoscopica,  ossia  bi- 
noculare. Il  medium  non  aveva  nulla  a  che  fare 
colla  parte  fotografica  di  tali  esperienze,  poiché 
Traili  Taylor  portava  lui  stesso  fuori  del  gabi- 
netto oscuro  nella  sua  tasca  i  telai  contenenti  le 
lastre  e  le  riportava  nella  stessa  guisa  per  lo  svi- 
luppa 

E  fu  in  tali  condizioni  che  ottenne  molte  imma- 
gini anormali  che  nella  maggior  parte  dei  casi 
presentano  l'apparenza  di  persone  misteriosamente 
riprodotte  sulla  negativa,  mentre  alle  volte  l'im- 
magine del  medium  vi  figura  completamente  ma- 
scherata da  un'immagine  psichica  sovrapposta. 

Eppure  non  è  a  dirsi  che  il  fanatismo  della  ri- 
cerca trascendentale  abbia  potuto  in  questa  circo- 
stanza far  velo  agli  occhi  del  ricercatore,  perchè 
da  tutte  queste  esperienze  —  condotte  fino  al  pun- 
to d'ottenere  direttamente  le  immagini  sulla  lastra 
senza  intervento  dell'obbiettivo  né  della  camera  fo- 
tografica —  Traili  Taylor  venne  per  conto  suo.  con 
logica  freddezza,  alla  deduzione  che  le  immagini 
ottenute  non  fossero  immagini  di  spiriti,  bensì 
l'effetto  di  emanazioni  mentali  projettate  dal  me- 
dium, non  necessariamente  conscio,  sullo  strato  sen- 
sibile della  lastra;  teoria  raccolta  più  avanti  da] 
Baraduc  e  che  diede  occasione  a  curiosissimi  ten- 
tativi di  fotografia  del  pensiero. 

I  trucchi  finora  rivelati  presuppongono  che  le 
lastre  siano  manipolate  dal  medium-fotografo  o 
che  la  fotografia  psichica  sia  ottenuta  in  un  ga- 
binetto da  lui  predisposto  ;  presuppongono  inoltre 
l'incapacità  tecnica  dello  sperimentatore.  E'  certo 
che  a  nessuna  di  queste  condizioni  rispondono  le 
tsperienze  di  Traili  Taylor,  né  quelle  più  r 
voli  ancora  di  Aksakoff  e  di  Crookes. 

Aksakoff  descrive  con  minuti  particolari  ci 
abbia  ottenuto  contemporaneamente  a  Londra,  con 
lastre  proprie  ed  in  casa  di  famiglia  amica,  le  im- 
magini del  medium  Eglinton  e  della  forma  mate- 
rializzata Abdullah  :  Crookes  in  parecchie  menu  t- 
rie  si   occupa   di    fotografie  ottenute   in   casa   pro- 


pria, con  lastre  proprie,  ed  in  sedute  da  lui  diret- 
te, nelle  quali  la  forma  materializzata  di  Rat  ir  King 
apparve  riprodotta  o  sola  o  insieme  alla  medium 
(la  ragazzina  Cook,   figlia   d'un  giudice  tondini 
colla  quale   Crookes   sperimentò   per  tre  anni,    da 


LO    SCIENZIATO     INGLESE    WILLIAM    CROOKES 
COLLA  FORMA  MATERIALIZZATA  KAT1E   KING. 

quando  ella  ne  aveva  dodici  appena),  o  insieme  al 
Crookes  medesimo. 

In  queste  ultime  fotografie  è  singolare  l'assen- 
za di  caratteri  fantomatici  nella  forma  materializ- 
zata ;  non  vaporosità  di  contomi,  non  diafanità 
di  corpo. 

«  Per  due  ore  —  scrive  Crookes  ;  e  va  notato 
che  in  queste  affermazioni  egli  sapeva  di  poter 
compromettere  la  propria  serietà  di  scienziato  — 
la  Katie  s'aggirò  biancovestita  nella  camera,  par- 
lando familiarmente  con  tutti  i  presenti.  Più  vol- 
te ella  mi  prese  il  braccio  camminando  e  l'impres- 
sione che  ne  risentì  il  mio  spirito  fu  quello  d'una 
donna  viva  che  si  trovasse  al  mio  fianco,  non  d'una 
visitatrice  dell'altro  mondo».  Xe  sentì  i  battiti  del 
polso  e  del  cuore.  Pensò  a  un  inganno  stante  la 
somiglianza  de!  fantasma  colla  medium  ;  ma  al- 
lora dal  fantasma  stesso  fu  condotto  nel  gabinetto 
per  constatare  che  la  giovinetta  giaceva  a  terra 
colà,  vestita  di  velluto  nero,  in  apparenza  comple- 
tamente insensibile:  prese  la  sua  mano,  portò  la 
lampada  a  fosforo  ch'egli  aveva  accesa  fin  pi- 
ai suo  viso,  ma  ella  continuò  a  respirare  tranquil- 
lamente. Lì  presso  stava  sempre  la  Katie  avvi  Ita 
nel  suo  vestito  candido  ondeggiante. 

Oltre  a   ciò   Crookes   stabilì   i   caratteri   differen- 
ziali  fra  le  due  personalità  :    Katie  era  di   r» 
testa  più  alta  che  la  medium   ed  era  più  grassa. 
Una   sera   contò  le  pulsazioni   di   Katie;    il    polso 
batteva   regolarmente   75    mentre  quello   della    me- 


<r 


LA    LETTURA 

sua  i 


'.  .1     1     1)0. 

del  cuore  nella  Katie 

nella   Cook,  ed   i  suoi  p  >1 

in,.ii  ok  allora 

data. 

,     Hi     foto 

u,-l   latte.  modo  co 

ssono  far  fede  solo  I  e 

e  pochissimi  alni.  <  tra,  quando  l'è 

•   udii    ha    autorità    'li    si  i<  nza    o   di 

ne  Mia  ha  un'eco  .'hi-  muore  la 

rimangono   quindi    sul    n-atr..   della    ih 

si,  diremo  così  classici,  ai  quali, 

,  ..ri.  inaura,  viceversa,  la  potenza  de]  mi 

ii.i  alcune  delle  fotografie  psichi- 
autentiche  i-  quelle  ottenute  con  ar- 
stono  caratteri  differenziali  che  si   posso 
:  talmente  are. 

riproduzii  ne   contrapposta    'li    ilue   fra  esse 
.  d'una  '!•  l.a   fotografia  di- 

r.ita    autentica    fu    ottenuta    dal    cav.    Emesto 
rettore  del    Vessillo  spiritista  di  Roma; 
quella    ad     imitazione    i     opera     del     Pozzi     <li 
no  (Vedi  le  illustrazioni  a  pagina  seguente). 
Sull'autenticità    della     fotografia    medianica    ci 
mancano    elementi    positivi    tranne    1'  affermazione 
del     suo    possessore,     il    quale     in     parecchie     ri- 
I ■andi    anche   delle   scommesse  con    chi    pre- 
lere  con  mezzi  normali  immagini  con- 
simili :   la  scommessa  In  accolta  anni  sono  da  due 
ali    fotografi    milanesi,   ma  dopo  parec- 
chi tentativi  venne  declinata. 

Ultimamente   vi    si    accinse   il    l'ozzi   —   utiliz- 
zando i  metodi  più  addietro  descritti  —  e  l'oppor- 
tunità  del    raffronto  consiste  unicamente  nella  so- 
anza  dei   due  esemplari,   astraendo  dal   modo 
furono  ottenuti.   In  entrambe  dietro  la  balco- 
nata appare  soltanto  la  parte  superiore  del  corpo; 
ut  ramlie   è   evidente    la   diafanità   della    mano 
posata  sulla  spalliera  della  seggiola;   ma  la  diffe- 
renza   consiste   nel   contomo   il   quale,    per   quanto 
tenue,    è    nettamente    delineato   nella   fotografia    a 
imitazione,   mentre  nell'altra   tutte   le   linee  si   con- 
fondono in  una  specie  di  evanescenza  n'indica. 

Plastiche. 

Coi  osi    la   plastica   ha   servito 

]»-r   la   t  [  li    immagini    psichiche.    Posto 

un  i  'olmo  di  creta  molle  nella  sala  delle 

sa,     in    determinate 

ti,    accogliere    l'impronta   d'un    viso   o   di 

mi  che  non  corrispondono  al   viso  od   alle 

dì  alcuno  dri  presi 

Vnche  per  le  plastiche  venne  rivelato  il  trucco 

il    medium   si   servirei 
In  principio  di  seduta  i  j  porre  poco  lungi 

0    di    stUCCO   O 

rende  /i  svaria- 

l,  e        per  quanto 
agitandosi  tut- 
lla    simili.'  '    della    /' 


m  pr  i  punto  dove  tri  >vasi  lo  stui  ■ 

\i  posa  per  un  momento  la  testa.  L'impronta  è  lat- 
ta ,    ma    il    medium   non   lo  dice   annua. 

K"li       attende       ail       altre       ni.mil.  la 

rifare  la  luce,  distrae  gli  spettatori,  rido- 
manda  la  penombra  ed  è  allora  9  [tanto  che  di- 
chiara di  poter  ottenere  l'impronta.  Afferra  le  ma- 
ni di  alcuni  presenti,  le  aduna  sul  recipiente  in- 
sieme alle  proprie  come  i*t  addensare  mi  un  pun 

a  della  forza  psichica  di  i  gnuno, 

ita  penosamente,   ansima   ed   inline    trae    un 
gran  si  isp  indo:  «  E'  fatto  !  ». 

Ma  quel  i  he  ■  fatto  anzi,  che  era  ^ià  fatto  — 
è  l'impronta  fai  naie  del  medium. 

Qui  però  viene  obbiettato  che  se  l'impronta  non 
corrisponde  alle  linee  facciali  del  medium,  esula 
l'ipotesi  di  questo  trucco  anche  se  sussiste  l'avvici- 
namento del  viso  al  recipiente,  li  quale  avvicina- 
mento ha  senza  dubbio  un  caratine  per  sé  stesso 
sospetto;  ma  gli  sperimentatori,  tanto  p 
quanto  per  i  moti  delle  mani  e  del  i    :  con- 

suetamente avvengono  in  direzione  del  fenomeno, 
hanno  data  una  spiegazione  di  cui  conviene  tener 
conta 

Per  legge  psicologica  il  corpo  va  sempre  auto- 
maticamente nella  direzione  del  pensiero  (cumber- 
landismo).  Il  medium  agisce  per  auto-su-, 
e  lordine  di  andare  fino  a  un  punto  mirato  è  dato 
dal  suo  cervello  nello  stesso  tempo  al  coq*>  o  ad 
una  parte  del  corpo  dinamico  (cioè  alla  forza  psi- 
chica emanante  dal  corpo  del  medium)  e  al  o 
reale,  perchè  allo  stato  nonnaie  i|iiesti  due  forma- 
no una  stessa  cosa.  E  siccome,  subito  dopo  l'ipere- 
stesia iniziale,  il  suo  senso  muscolare  si  ottunde  e 
il  corpo  diviene  intorpidito,  succede,  specialmente 
quando  il  medium  procede  con  negligenza  e  non 
dirige  abbastanza  i  suoi  movimenti,  che  il  corpo 
dinamico  rimane  al  posto  mentre  è  quello  reale 
che  va  alla  direzione  mirata,  e  può  anche  darsi 
che  non  la  raggiunga  realmente,  agendo  a  distanza 
con  un   prolungamento  dinamico. 

Così  l' Ochoruwicz  si  spiegava  parecchie  espe- 
rienze nelle  quali  le  dita  dell'Eusapia  erano  vici- 
nissime all'oggetto  che  si  moveva  ma  non  lo  toc- 
cavano, mentre  era  fuori  dubbio  l'assenza  di  ca- 
pelli, fili,  ecc. 

Avvicinare  il  proprio  corpo,  o  una  parte  di  i 
all'oggetto  designato  col  pensiero  sarebbe  quindi 
ancora  un'azione  riflessa,  istintiva  ed  inevitabile  se 
non  vi  sono  ostacoli.  Per  arrestarla  sarebbe  ne 
sario  o  un  ostacolo  meccanico  (il  controllore)  o  un 
impedimento  psichico  (l'attenzione  stessa  del  me- 
dium sufficientemente  desta  ed  eccitata). 

Per    :  la  spiegazione  è  ben  vero  che  b> 

sogna  accettare  la  teoria  del  corpo  dinamico  (qual- 
come   I"  sdoppiamento);    ma   esso   in    lindo 
non   e  che  una   denominazione  speciale   della    I 
psichica,  constatata  dal   Crookes,   la  cui 
l'ilità  non  e  ora  più  cosi  fermamente  nega 

per  il   passato. 

sulla   ammissione  della    forza   psichi 
si  basi  qi  ,  nente  questi    genere  di 

I  pievi.  .  \  Irli   dettO   per  -  ì 


MEDIUM    E    TRUCCHI  799 

sibile  senza  scopo  di  frode  ravvicinamento  della  scienziati  a  scienziati.  L'elemento  spiritualistico  è 
medium  al  recipiente  della  creta.  Quanto  al  valore  tenuto  in  disparte;  non  rimane  in  lizza  che  Tele- 
delie  plastiche  per  loro  stesse.  ripri..iuc-iamo  alla  pa-  mento  sperimentale  con  tutte  le  difficoltà  inerenti 
gina  seguente  la  fotografia  di  taluna  di  esse  ottenute     ai  metodi  da  applicarvi. 

in  separati  esperimenti.  Di  notevole  c'è  questo-:  non         Tutto  per  ora  si   riduce  nel   voler  rispondere  a 

questa  domanda  :  «  Sussi- 
ste il  fenomeno  ?  ».  Le  de- 
duzioni filosofiche  o  religio- 
se verranno  poi. 

Ciò  è  tanto  vero  che 
Crookes  —  il  quale  dopo  • 
trentanni  dichiara  d'aver 
nulla  da  ritrattare  e  che 
anzi  avrebbe  molto  da  ag- 
giungere alle  affermazioni 
da  lui  fatte  —  non  è  spiri- 
tista;  come  non  lo  è  Lom- 
broso, il  quale  pure  dovè 
dichiarare:  0  Sono  tutto 
confuso  e  dolente  d'aver 
combattuto  con  tanta  persi- 
stenza la  possibilità  dei  fat- 
ti detti  spiritici  ». 

Il  nodo  del  problema  sta 
nell'accertamento  dei  fatti, 
nell'eliminazione,  lenta  ma 
sicura  delle  possibilità  di 
frodi  sia  coscienti  che  inco- 

- 


F0V0GRAFIA    AFFERMATA 
MEDIANICA  ,     OTTENUTA 

dal  cav.    E.  Volpi. 

una  è  eguale  all'altra,  ma 
tutte  rispecchiano  una  stes- 
sa fisonomia  ;  hanno  linea- 
menti nitidi  e  questi  diver- 
sificano completamente  dai 
lineamenti  della  Paladino, 
col  concorso  della  quale 
le  impronte  furono  otte- 
nute. 

III. 

Questi  per  sommi  capi 
i  fatti  su  cui  si  basa  nel- 
l'attuale periodo  la  questio- 
ne della  medianità.  Dal 
campo  della  volgare  super- 
stizione o  delle  tradizioni 
novellistiche,  passo  passo 
essa  è  giunta  sulla  soglia 
della  Scienza;  anzi  in  par- 
te la  soglia  fu  già  varcala. 

s  10  gli  ultimi  baluardi  ch'essa  sta  per  debellare, 
od  è  questa  la  prova  suprema  che  l'attende,  la 
prova  del  fuoco  che  la  tempri  o  che  la  distrugga? 

Certo  è  che  la  lotta  divenendo  più  intensa  è  an- 
che divenuta  più  organica  e  più  bella,  nel  senso 
che  se- sfrondata  d'una  quantità  di  elementi  cao- 
tici che  ne  turbavano  il  nitido  svolgimento. 

Sulla  soglia  della  Scienza  la  lotta  è  condotta  da 


Fotografia  ad  imi 
dallo 


tazione  della  precedente,  ottenuta  con  mezzi  normali 
stabilimento  fotografico  C.  Pozzi  di  Como. 

scienti.  Ancora  troppo  incerti  sono  i  confini  tra  il 
normale  e  l'anormale  perchè  possano  subire  una 
divisione  logicamente  netta. 

Da  un  lato  si  grida:  ali  medium  ha  frodato, 
nessuno  dei  fenomeni  ch'esso  produce  merita  con- 
siderazione». 

Dall'altro  lato  si  vuol  esaminare  anzitutto  se 
non  si  è  precipitato  nell'accusa  di  frode,  se  non  vi 


LA    LI    IH  R A 


dello   spettatore; 
quin  rapporto    tr.i    l'atto    fraudolento   e 

infine   quali    sieno    1    caratteri 
della 

i    dimento    della    meticolo 
può  riuscire  fastidiosa  a  chi  ama  veder  pi 
.  un  quesito;   ma  la  prudenza  del  metodo  è 
risultati. 
-    i  ne   dei    prò  e  dei   contro,   che 
■:i  facendo,  si  <■  |x>tut<>  notare  come  ap- 
punto  agli   studiosi    si    debbano   le  constatai 

voli   dui  sistemi   ili   frode,   mentre  per 

ino    'lei    sistemi    da    altri    rivelati    essi    hanno 

chiusi  gli  («-ehi.   Basta  aprire  una  qualsiasi  rivista 

di  studi  psichici  per  o  la  preoccupazione 

rale  di  il  contro  i  trucchi,  precoci 

/ione  la  quale  iuta  una  serie  ili  apparecchi 

di  controllo  e  di  prova. 

Ad  esempio,  in  una  seduta  medianica  alla  pre- 
senza di  scienziati,  1"  stato  di  trance  non  potrà 
mai  essere  simulato  dal  medium,  avendo  esso  ca- 
ratteri specifici  di  non  difficile  rilievo.  Constatata 
la  traine,  risulterà  provata  la  passività  del  sog- 
getto di  fronte  ai  fenomeni  che  da  lui  derivano.  Se 
Milite  una  medium  produrre  in  istato  normale  al 
dinamometro  un  massimo  di  60  ed  in  stato  di  trance 
la  vedete  produrre  ;io.  è  certo  che  vi  trovate  ni 
fronte  ad  un  fatto  anormale;  ma  è  altrettanto  cer- 
ile la  fn ile  rimane  esclusa,  anche  se  quella 
medium   in  altre  condizioni  avesse  frodato. 

E'  poi  un  errore  il  credere  che  tutta  la  fenome- 
nologia psichica  sia  basata  sui  medium  :  come  è 
un  errore  il  fermare  l'attenzione  unicamente  sui 
medium  di  professione.  Se  questi  vantano  un'ec- 
cezionale potenzialità,  non  è  meno  vero  che  feno- 
meni pari  ai  loro  si  sarebbero  verificati  anche  con 


persone  'he  non  tanno  lucro  di  tal  genere  d'espe 
rimenti  e  rho  quindi  sono  originariamente  meno  so- 
spette.  Cosi  tu  narrato  in  questi  ultimi  anni  di  un 
giudice  di  tribunale  che  a  Roma  nello  stato  di 
trarne  otteneva  levitazioni,  apporti  e  fiammelle;  a 
Pisa  la  contessa  Mainardi  ottenne  cono  oedium 
delle  effluviografie ;  ed  ora  è  la  vi. ha  duna  pi 
pessa  svedese,  Mary  Karadja. 

Quanto  all'estensione  degli   studi,   la  Società  di 
Ricerche   Psichiche  di    Londra   è   intesa   ad   abbrac- 
ciare  tutte   le   manifestazioni   di   carattere   'ri- 
dentale   dalla  telepatia    alle    case    fantasmog 
dalle    premonizioni    alle    divinazioni,    tutto    docu- 
mentando e  registrando. 

Ed   il   risultato  di   tante  indagini   fu   di   ri, min 
cere  i  ricercatori  stessi  che  parecchi  dei   fenomeni 
generalmente  considerati   come  anormali   non   1 
no   dall'ordine   della    natura,    lasciando    impregiu- 
dii  ita  la  questione  per  gli  altri. 

Del  resto  l'affermazione  finale  che  si  può  . 
gliere  allo   stato   della   questione,   è   forse   ai. 
quella    pronunciata   dall'Ochorowicz    nella    sua    cri- 
tica  sottile  al    rapporto   degli   scienziati    di    Cam- 
bridge: 

"Allorché   si   scoperse   il    Galvanismo,    convenne 
trovare  a  poco  a  poco  degli  apparecchi  nuovi   per 
studiarlo;   allorché  si  scoperse  l'Ipnotismo  conven- 
ne cangiare  completamente  il  metodo  d'osservazio- 
ne fisiologica  per  questo  dominio  speciale  ;    ]>• 
si  è  scoperto  la  Medianità,  ancor  più  inattesa  <] 
categorie    precedenti,    bisogna    aspettarsi,    vista    la 
complessità  e  la  stranezza  dei   fenomeni,  di   . ! 
cangiare    ancora    una    volta    i    metodi    d'osserva- 
zione ». 

Ed  è  a  ciò  che  lentamente  gli  studiosi  s'avviano. 


0.  Cipriani. 


Plastichi.:  ni  John  King 

II.    PRESUNTO    SPIRITO-GUIDA    DELLA    MEDIUM    PALAI. Ino. 


—=5=3- 


ANDRE 


-£><> 


[Continuazione  e  fine,  vedi  numero  precedente  \. 


VII. 

Maddalena  restando  a  lungo  seduta  sentiva  un 
certo  ribrezzo,  come  di  febbre,  e  dissimulava  inva- 
no i  brividi  che  le  passavano  per  tutta  la  persona. 

—  Lei  ha  freddo  —  le  disse  Andrea  —  sarà 
meglio  camminare. 

Si  misero  a  camminare,  ma  con  aria  stanca:  e 
scambiando  poche  parole.  All'arrivo  del  treno  di 
Firenze  non  provarono  più  la  commozione  e  lo 
smarrimento  provato  dianzi  ;  guardarono  i  passeg- 
geri che  scendevano  e  si  ritrassero  verso  l'uscita 
sempre  attenti  per  scoprire  gli  aspettati,  ma  non  li 
videro;  aspettarono  che  fossero  usciti  gli  ultimi, 
tornarono  sul  marciapiedi  :  la  vaporiera  ansava  e 
sbuffava  ancora,  ma  intorno  non  cera  più  nessuno. 

Tutti  delusi  vennero  al  cancello  che  stava  per  es- 
sere chiuso  e  passarono  in  fretta.  Giunti  sul  gran 
piazzale  si  fermarono,  guardarono  il  cielo  oscuro  e 
furono  quasi  meravigliati  di  ritrovare  il  mondo 
reale:  i  fiaccherai,  i  cocchieri  degli  omnibus,  i 
sensali  di  camere  erano  loro  dintorno. 

—  Vuol  ch'io  le  prenda  una  carrozzella?  vuol 
ch'io  l'accompagni  a  casa?  —  chiese  in  fretta  An- 
drea per  liberarsi  da  quegl'importuni. 

—  Sì,  sì  —  diss'ella. 

Non  erano  venuti;    e  se   Maddalena   non    si    di- 
sperava era  perchè  Andrea  le  faceva  coraggio:    le 
va  che  sor  Luigi  s'era  lasciato  persuadere  di  re- 

La  Lettura. 


stare  a  compiere  la  cura,  che  se  avesse  peggiorato, 
col  suo  carattere  inflessibile,  sarebbe  tornato  anche 
moribondo.   Arrivarono  presso  casa. 

—  Lei  ha  lasciato  acceso  il  lume  in  camera  da 
pranzo  —  fece  Andrea  pieno  di  meraviglia,  ac- 
cennando le  finestre. 

—  Io  no,  sono  uscita  che  ci  si  vedeva  ancora  : 
Barbera  stava  a  letto,  io  credevo  che  ora  dormisse. 
—  La  meraviglia  diede  luogo  al  timore.  —  Dio  mio 
(  he  sarà  mai  successo  ! 

—  Xon  si  spaventi  —  disse  Andrea  aiutandola  a 
scendere  di  carrozzella. 

Maddalena  trasse  la  chiave,  aperse  la  porta  e 
tutta  tremante  si  volse  ad  Andrea: 

—  Io  ho  paura,  venga  su  anche  lei,  venga,  la 
prego. 

—  Vengo  senz'altro.  Vuol  che  la  lasci  qui  sola? 
Accese  dei    fiammiferi,   le   si   mise  dinanzi   e  le 

fece   strada. 

In  camera  da  pranzo  non  c'era  nessuno:  sulla 
tavola  il  lume  acceso  e  un  telegramma  chiuso; 
Maddalena  l'aperse: 

«  Babho  deve  restare  ancora  vieni  t'aspettiamo 
«domanisera».  «  Mamma». 

Maddalena  si  mise  a  piangere: 

—  Babbo  è  moribondi  i  ! 

—  Ma  no,  via.  se  fosse  moribondo,  lei  la  chia- 
merebbero d'urgenza,  non  per  domanisera. 


LA    LETTI  U.\ 


ili 

grufò  tutta  sorpi   -    m 

5tica. 
ino  portai"  un  (ima. 

Urei  dormito  un  pò  non  era  quel 


gromma,  mi  è  convenuto  d'alzarmi.  Cosa  di 
legramma  ? 

Dice   'he  papà   sta   male,  che   domani 

anch'io. 

mi  dispiace  !  se  lei  p  andri  i 

i  sorella.  Quanto  mi  dispiace!  Si  Lucia  co- 
con  lei? 
—  Il  signor  Andrea. 

bravo  —  aggiunsi-  quella  pi- 

he  mutò  fianco  e  riprese   il 
si  nnn. 

Dunque  arrivederla,  la  ringrazio  tanto  del  di 
te  ha  avuto  per  me  ;  lo  dirò  al  babl  o  e  al 
la  mamma. 


\lr  li   saluti  tanta    Si    faccia   animò.  Buon 
rio  -  -  ma  nello  stringerle  la  mano:   —   1> 
scotta  '.       disse        lei  ha  la  febl  ire  :  \  Uol  che 
le  vada  a  prender  qualche  rosa?  vuol  che  le  chiami 
un  medico?  ■    in  così  dire,  quasi  senza  aweders 
accarezzava  leggermente  la  mano. 

—  \o.  no,  non  ho  bisogno  ili  nulla:        lo  guani.'. 

riti    'li    lagrime,  commossa    d'ai 
dine  e  gli    posò   leggermente  la 

ra  su  la  spalla.  Egli  sentì  quella  carezza 
to  in-       i      hip  iva  nella  sua  pi  ivera  vita  :  ; 

ci  ni  una   i  mposta  e  gentile,  in  un  at- 

timo torse  il    viso  e  sfii  iri  i  con   le  labbra   la   n 

ite  della   fanciulla  ;   la  quale,   ritraendo  subiti 
la  mano,    inti  i  i  '  avei  li  -  una 

tu  :   nel  moti  imprese  per  nulla  l 

giovane  e  string 

—  Lei  avrà  occhio  a  tutto;  gli  disse  —  le 
lascerò  le  chiavi  di  'ava.  Barbera  andrà  via  Io 
non  hi    |                         mando  tutto  a  lei. 

—  Non   dubiti   ili    nulla. 

—  Arrivederla. 

Non  si   perda  d'animo    Arriveilerla. 
La  mattina  .seguente,  verso  le  novr.   Maddalena. 
tutta  vestita  per  il   viaggio,  con   Giovanni,  che  le 
ava  la  valigia,  scese  nella  retrobottega  a  con- 
segnare le  chiavi.  Era  pallida  pallida  con  gli  occhi 
sbarrati  e  una  piccola  crosta  all'augi 'lo  della  bricca. 

—  Barbera  è  già  andata  via,  tutto  è  chiuso  — 
Maddalena  posando  le  chiavi  sulla  scrivania 

dinanzi  ad  Andrea.  —  Lei  non  si  muova,  la  pr  _ 
Senta,   il  gatto  sta  qui  giù  e  ci  pensa  Giovanni  : 
i  miei  fiori  li  ho  messi  nell'andito  sulla  finestra  li  i 
i   vetri  e  l'inferriata,  se  dovessi  tardar  più  gii 
ini  farebbe  un  piacere  a  farli  mainare. 

—  Non   dubiti   di   nulla. 

—  La  cardenia  fiorita  non  la  muova,  sa:  quella 
non  d  re  il  sole. 

—  Lasci   fare. 

\ndrea  guardava  tutto  meravigliato  Maddalena. 
che,  scossa  la  febbre.  aveva  ripresa  quella  grande 

rgia,    ohe    i   giovani    sanno    sempi  dalla 

necessità:   parlava  in  fretta  e  in  fretta  lo  salutò; 
egli  ricambiò  i  saluti  cosi  mezzo  tra  stupido  e  in- 
i  urtato.    Ma    non    appena    ella    fu    uscita    eh 
si      riscosse.      Maddalena      non      c'era      più;      il 

mento  bramato  con  tanto  ardore  era  pas 
senza  ch'egli  se  ne  fosse  accorto.  Ma  era  possil 
Ma  se  ti  e  tutta  mattina  non   aveva    »  i 

gheggiato  che  questo  momento?  Aveva  immaginato 
tanti    riguardi    per   la    salute    di    Maddalena:    pro- 
porle di  prendere  qualche  e.  .sa.  servirle  egli  si 
qualche  liquore  confortante,   aveva  immaginato  di 
tari  aveva    perfino  pensato   i 

irla  alla  stazione;  e  invece  non  a 
to  nulla,  non  'nulla.  Possibile  I  Ma  dov'e- 

ra, dov'era  lui  con  la  testa?  E  e  que- 

st'amaro pentimento  gli   tormentava   l'anima  e  gli 
oscurava    il    p  gradito  della    sera    innanzi: 

quel  soave  pensiero  che  tutta   la  unite  1"  avei 
in  una  dormiveglia  deliziosa  pien 
tenere/za  e  di  vaghe  sperai; 


ANDREA 


8o3 


Vili. 

Quando  Maddalena  arrivò  a  Montecatini  dopo 
un  viaggio  pieno  d'angustie  ebbe  la  grata  sorpresa 
di  trovare  alla  stazione  lui,  proprio  lui  il  suo  bab- 
bo, che  non  poteva  più  fare  a  menti  di  lei  e  che 
l'accolse  con  la  maggior  festa  del  mondo.  Era  lu- 
po' sciupato,  è  vero,  ma  era  ben  lontano  da  quel 
che  aveva  temuto  Maddalena.  La  sora  Adelaide, 
contenta  di  vedere  la  figlia  tanto  festeggiata,  con- 
teneva la  sua  tenerezza  e  con  modesta  serietà  Li 
veniva  presentando  ai  signori  e  alle  signore,  che 
per  fare  due  passi  avevano  accompagnato  lei  e  il 
sor  Luigi  alla  stazione.  La  ragazza,  indebolita  dalla 
febbre  del  giorno  innanzi  e  dallo  strapazzo  del 
viaggio,  in  mezzo  a  quell'insolita  festa,  animandosi 
d'un  tratto,  s'era  fatta  rossa  e  tutta  sorridente  ; 
aveva  l'aria  gentile  e  pareva  bellina:  gli  sguardi 
e  i  sorrisi,  che  gli  amici  convenuti  alla  stazione 
scambiavano  col  sor  Luigi  e  la  sora  Adelaide,  era- 
no tali  che  essi  ne  restavano  molto  soddisfatti. 

L'aria  era  buona,  il  tramonto  splendido,  il  paese 
vivace  e  gaio,  da  ogni  parte  si  vedevano  oleandri 
superbi  sopraccarichi  di  fiori  rosei,  belli  e  profu- 
mati ;  Maddalena,  dopo  la  solitudine  penosa  e  tri- 
ste, dopo  l'abbattimento  della  febbre  e  dei  timori 
di  pocanzi.  sentiva  ora  l'anima  aprirsi  ad  una  gioia 
tutta  nuova  :  che  felicità  trovarsi  co'  suoi  genitori  ! 
Le  pareva  di  deporre  nelle  braccia  loro  tutto  il  peso 
delle"  responsabilità  e  dei  pensieri,  le  pareva  di  ri- 
diventar  felice  e  spensierata,  come  una  bambina. 

S'affrettarono  tutti  verso  casa,  perchè  era  vicina 
l'era  del  pranzo,  e  l'aria  e  le  cure  di  Montecatini 
non  lasciano  dormir  punto  l'appetito.  In  casa  del 
cappellano,  una  bella  palazzina  tutta  nuova,  c'era 
oltre  una  ventina  di  ospiti,  che  mangiavano  insie- 
me ad  una  lunga  tavola  sotto  una  pergola  di  ver- 
dura. Maddalena  si  sentiva  ristorata  e  ri- 
fatta a  vedere  quella  graziosa  palazzina,  quelle 
belle  stanzucce  pulite ,  dalle  cui  finestre  si 
vedevano  tante  casine  ben  ristuccate  e  dipinte  che 
parevano  tutte  nuove,  e  tanti  orticelli  ben  mante- 
nuti e  pieni  di  fiori.  A  tavola  si  divertì  a  osservare 
tante  persone  diverse,  che  già  conoscevano  i  suoi 
genitori  e  la  guardavono  benevolmente:  c'erano  due 
canonici  e  un  padre  domenicano,  c'erano  delle  si- 
gnore grosse  e  grasse,  che  facevano  la  cura  sperando 
di  dimagrare,  c'erano  due  sposi  giovani,  c'era,  co' 
suoi  genitori,  una  ragazzina  di  quattordici  anni  che 
la  pretendeva  a  giovinotta,  c'erano  degli  uomini. 
che  altrove  dovevano  essere  molto  importanti  e 
gravi,  ma  che  ora  volevano  godere  la  pace  e  la  buo- 
na compagnia  per  smaltire  la  bile  che  nei  maneggi 
e  negli  affari   avevano  durante  l'anno  accumulata. 

Tra  quei  che  facevano  più  festa  a  Maddalena 
era  una  certa  signora  Sermanni.  che  aveva  già 
stretta  grande  amicizia  col  sor  Luigi  e  la  sora  A- 
delaide  e  stava  sempre  con  loro:  così  lasciava  più 
libero  il  figliuolo,  che  l'aveva  accompagnata,  un 
bel  giovane  verso  la  trentina,  come  suo  padre,  in- 
gegnere d'acquedotti,  il  quale  a  Montecatini  cerca- 
va di  divertirsi  meglio  che  poteva.  Egli  divise  ben 
presto  le  simpatie  di   sua  madre  per  la   figlia  del 


droghiere  di  Roma,  e  nelle  gite,  che  si  combinavano 
fra  gli  ospiti  del  cappellano,  a  Montecatini  alto,  a 
Monsummano,  a  Pescia  e  a  Collodi   la  circondava 

di  premure.  Era  naturale  del  resto,  poiché  non  c'era 
altra  giovane  che  lei  ;  ma  la  i  vata. 

lutti  godevano  a  prestare  il  loro  favore  e  ogni  gior- 
no a  tavola  si  lanciavano  parole  tronche,  si  face- 
Nano  allusioni  che  volevano  parer  vaghe,  e  che  vi- 
ceversa poi  erano  sempre  molto  precise  ;  tutti 
sorridevano,  se  ne  compiacevano  tutti  ed  anche 
Maddalena,  benché  sovente  protestasse,  diventando 
color  di  fuoco. 

Sor  Luigi,  col  mezzo  d'una  signora  fiorentina 
che  tornava  a  Firenze,  fece  venire  per  Maddalena 
un  bel  vestitino  bianco  e  una  bella  camicioletta 
di  seta  tutta  guernita  di  volanti  e  di  nastri.  La 
sora  Adelaide,  che  non  aveva  mai  potuto  raggiun- 
gere tanta  eleganza  in  vita  sua,  perdeva  ora  gli  oc- 
chi e  la  testa  dietro  l'abbigliamento  di  sua  figlia  e 
ne  godeva  in  modo  incredibile.  Sor  Luigi,  felice  di 
trovarsi  in  mezzo  a  gente  che  lo  credevano  proprio 
padre  di  Maddalena,  voleva  che  la  figliuola  potes- 
se anche  lei  comparire  e  fare  la  sua  figura. 

Il  vento  della  fortuna  non  era  mai  stato,  come 
ora,  tanto  favorevole  per  Maddalena,  la  quale,  es- 
sendosi veramente  temprata  nella  sventura  e  nella 
miseria,  ora  invece  di  folleggiare  e  d'insuperbire  di- 
ventava più  buona  e  più  affettuosa  :  tutti  la  vezzeg- 
giavano, uomini,  donne,  vecchi  e  giovani,  e  non 
solo  gli  ospiti,  ma  perfino  le  cuoche  e  le  cameriere. 
La  sora  Adelaide,  che  per  vincere  la  contrarietà 
dei  parenti  di  suo  marito  aveva  sempre  dovuto  la- 
sciar la  figlia  in  disparte,  ora  si  rifaceva  metten- 
dola avanti,  e  nel  vederla  cara  agli  altri  sentiva 
ella  medesima  maggior  affetto  e  maggior  tenerezza. 

Maddalena  aveva  ventotto  anni  e  faceva  il 
suo  primo  e  insperato  trionfo,  al  quale  si  abban- 
donava coll'ebbrezza  di  chi  entra  tutto  nuovo  nella 
vita.  Come  le  pareva  dolce  e  schietta  la  generale 
simpatia  !  Come  le  pareva  bello  il  mondo  !  Quando 
il  suo  pensiero  riandava  al  passato,  provava  un 
senso  di  sgomento  e  ne  rifuggiva  ;  ma  nella  pove- 
ra e  oscura  vita,  che  aveva  fin  allora  condotta,  bril- 
lava di  luce  viva  e  pura  l'immagine  gentile  d'An- 
drea, pel  quale  ora  provava  un  senso  di  pietà  più 
profonda,  e  per  la  prima  volta  si  sentiva  assalire 
da  un  dubbio,  da  una  specie  di  rimorso,  che  era 
l'unica  nube  del  suo  luminoso  orizzonte. 


IX. 


Il  malcontento  che  aveva  agitato  Andrea  dopo 
la  partenza  di  Maddalena  si  dileguò  affatto,  allor- 
ché il  giorno  seguente  egli  ricevette  una  lettera  di 
lei,  che  gli  dava  buone  notizie  di  suo  padre  e  lo 
pregava  di  dare  un'occhiata  in  camera  da  pranzo, 
perchè  le  era  venuto  il  dubbio  di  non  aver  ben 
chiuso  una  finestra.  Lo  salutava  e  lo  ringraziava 
tanto  da  parte  anche  de'  suoi. 

Andrea  si  sentì  sollevato;  subito  subito  aperse 
un  cassetto  della  scrivania,  ne  trasse  le  chiavi  e 
salì  ad  eseguir  l'ordine  di   Maddalena. 

L'andito  non  era  del  tutto  osi  uro.  sulla  finestra  si 


LA    1  IATTURA 

iì.  .ri  ili  Maddalena 
feri    ta  i    to\  rapp  -:     con 
,     mo  ogni  visi 

■  ■    e  ap- 
Vndrea  urtò  contro  un  mobili 

di   ,  adi  re  qualche 

finestre, 
i  h  use,  ma  erano  chiuse  I 
.1  avere  urtato  il  tavolino  del  la- 
:  n.i  ribaltata  e  per  l 
.  il  duale  e  i  gomitoli.   Raccolse  e  mise 
rdine  ben  bene  ogni  cosa,  poi  diede  un'occhiata 
in  giro    Era  quella  la  stanza  dWegli  aveva  pran- 
|U     Maddalena  gli    diede 
le  pò  ardi;    qui   stava  seduta  ao 

a  lui,  che  teneva  il  bambino  sui  ginocchi  e  sfoglia- 
ilbum  delle  fotografie: 

i  >!i  eco  lo  là  l'album  delle  fotografie  —  ebbe 

hi  un  lani]«.  di  gioia  —  eccolo  là  sullo 

.  dov'erano  le  poesie  del  Leopardi. 

Da  quella   parte   Maddalena  uscì   vestita  per  an- 

a  1  la  m  tssa  di  mezzani  tti  ,   là  era  certo  la  sua 

stanza. 

Gli  sarei. Le  piaciuto  di  goder  più  a  lungo  quel  ca- 
ro luogo:  ma  uno  stimolo  arcano  lo  spronava  come 
a  fuggire:  stava  tutto  sospeso,  gli  pareva  di  profa- 
nare   un    luogo    sacro,    laonde    si    affrettò    a   richiu- 
dere le  finestre  e  ad  us    n     Quivi  due  sere  innanzi 
egli  s*era  trattenuto  con   Maddalena,  solo  solo  con 
lei  che  piangeva  ;    l'aveva  confortata,  le  aveva  ba- 
ia mano;  ma  nessuna  di  queste  immagini  sor- 
se dinanzi  alla  mente  del  giovane,  perchè  i  ricordi 
diventano  chiari  che  nella  profondità  della  di- 
stanza e  di  tutte  le  cose  l'impronta  che  resta  più 
profonda  è  sempre  quella  della  prima  impressione. 
Andrea   passò    alcuni    giorni    senza  salire    nella 
casa   del   suo   principale,   ma  sentiva   un   desiderio 
nte  di  ritornarci,  e  non  pensava  più  ad  altro: 
era  però  trattenuto  dalla  sua   delicatezza  e  da  un 

■  timore,  che  ti  a  spiegare,  giacché  non 
essendoci  né  ragioni,  né  speranze,  egli  non  voleva 
affermare  neppur  seco  stesso  d'essere  innamorato 
di    M  idd  dena. 

Gli  parvero  eterni  quei  tre  giorni  che  lasciò  pas- 
sare, finalmente  tri  vò  ragioni  che  l'aiutarono  a  se- 
condare il  suo  desiderio:  i  fiori  con  quel  caldo  ave- 
vate sogno  d'essere  inaffiati  ;  e  poi  G 
vanni,  parlai"  d'aver  tutta  mattina 
cercato   il    gatto   inutilmente,    non    sapeva  dove  si 

In  casa,  pensandoci  un  poco,  non  ci  poteva  esse- 
. trai...    perchè   tutto  era   chiuso;    ma    Andrea 

■  volentieri  anche  il  pretesto  del  gatto,  si  guar- 

dai discuterlo,  e  senz'altro  sali   sul. ito  in 
casa. 

i  nella  stanza  da  pi  inzo,  aperse  le  fin 

bio  fu  l'al- 
bum 

l'aperse  e  venne  i  eservando 
.  ogni   ritratto:    gli  t    ■ 
par.  ile  che  n  M; 

tro  a  quelli    >  1 1  istruiva 
.  la  vita  e  il  cara! 


di  ciascuno.  E  nei  visi  di  quelle  immagini   leg| 
per  sé  tanta  cortesia  di  affetto,  che  gli  sembravano 

tutti   parenti  esuli  lontano,  i  quali,  sebbene  ignoti, 
pur  gli   I  ngiunti  e  cari. 

0  la  fine,  dov'era  il  ritratto  di  Mad- 
dalena, che  contemplò  assai  più  lungamei 
un  U'1  ritrattino  sfumato,  in  cui  non  appariva  di- 
si nta  .-he  la  testa;  i  capelli  un  po'  crespi  incorni- 
ciavano leggeri  il  viso;  le  grandi  cocche  di  n 
bianco,  che  terni. ivano  dietro  il  colletto,  sembrava- 
no alucce,  e  davano  a  quella  testa  l'aspetto  d'un 
ino.  Andrea  mirò  e  rimirò  quel  ritratto  da  tutti 
i  punti  di  vista,  per  guardarlo  meglio  lo  aveva  trat- 
ti  •  il.  diali  uni  .  i   nomee  l'indirizzo  del    I 

grafo:  a  un  tratto  gli  balenò  una  idea,  farne  tirare 
una  copia  per  sé.  11  giovane  tremò  dinanzi  a  così 
forte  tentazione;  ripose  in  fretta  il  ritratto,  chiuse 
l'album  e  lo  rimise  a  posto.  S'aggirò  alcuni  istanti 
tutto  smarrito  per  la  stanza;  voleva  sfuggire  un'in- 
discrezione e  ne  commise  un'altra:  l'uscio  della  ca- 
mera di  Maddalena  gli  stava  aperto  dinanzi,  ed 
egli  entrò.  Aperse  la  finestra  col  proposito  di  dar 
solo  uno  sguardo  tanto  per  cogliere  l'aspetto  della 
a  ;  ma  non  potè  a  meno  di  fermarsi  e  osser- 
var con  piacere  sul  tavolino  alcuni  giornali,  ch'egli 
aveva  regalato  a  Maddalena,  perchè  contenevano 
stupende  |xiesie  di  Stecchetti:  erano  legati  in  un 
fascii  con  un  bel  nastro  di  seta.  Sul  comò  t»  >i  la 
vista  di  un  piccolo  calendario  gli  fece  balzai 
cuore  di  gioia  e  di  tenerezza. 

•  he    soave    ricordo!    L'ultimo  giorno    dell'anno 
Maddalena,   tornando  con  sua  madre  dalla  m 
fu  invitata  dal  sor  Luigi  a  vedere  i  calendari  nuovi, 
che   il   cartaio  aveva   mandato    in  dono  e   stavano 
sulla  scrivania  d'Andrea  nella  retrobottega. 

—  Oh  belli!  quanti,  di  quante  sorta  quest'anno! 
—  diceva  Maddalena  prendendoli  in  mano  e  guar- 
dandoli  ad   uno  ad   uno  —   Questo  per  il  neg' 
rpiesto   per   lei,  qui   accanto  alla   scrivania.... 

—  Guardi  questo  com'è  carino?  —  disse  An- 
drea. 

—  Lo  vuol    lei? 

—  No  no.  questo  ci  ha  il  piede,  questo  è  un  ca- 
lendario  da   signora. 

—  Allora  lo  metteremo  su  in  camera  da  pranzo. 
Andrea  intanto  lo  veniva  rivolgendo  e  osservan- 
ti l'attenzione  inquieta  d'un  critico  d'arte. 

—  Qui  sopra  il  blu.  i  sta  un  po'  troppo 
spazio;  bisognerebbe  farci  un  fioretto.  Sa  dise- 
gn  ire  lei  ? 

—  lo  no,  disegno  qualche  volta  pel  ricamo,  ma 

■ —  Se  vuole,  glielo  faccio  io  un  fiore. 

—  Mi    dispiace  che    lei    del'ba    perder    tempo. 

—  Ma    io    non    perdo   tempo:    domattina    p 
i   colon    e   i    pennelli  e   II  '   faccio  qui. 

Il  giorno   dopo,   quando   Maddalena  tornavi   da 
messa,  egli   le  fece  la  posta  e  la  chiamò  a  vi 
se  le  piaceva   il    fiore,   | 

tutto    molle,    era    già    fatto.     Maddalena,    manco 
dirlo,  lo  tr.  \ò  bellissimo:   era  un  mazzolino  di 
minuti  e  diversi,  ed  egli   con  un  certo  orgoglio  le 


ANDREA 


8o5 


fece  notare  la  precisione  delle  ombre  e  del  chiaro 
scuro. 

—  Perchè  non  l'ha  firmato?  Lo  firmi,  ci  faccia 
almeno  due  iniziali  strane  intrecciate  come  fami  i 
gli  artisti. 

Ed  egli,  spinto  proprio  da  lei.  prese  il  pennello 
e  segnò  leggermente  due  piccole  iniziali  intrecciate. 

—  Ma  come  un  G  invece  di  un  A?  ma  lei  dun- 
que non  si  chiama  Andrea?  —  disse  Maddalena 
delusa  e  scontenta. 

—  Le  dispiace  !  percnè  ? 

—  Era  tanto  belìo  quel  nome;  era  il  nome  d'un 
sante,   apostolo. 

—  E  se  fosse  il  nome  d'un  santo  apostolo  anche 
l'altro? 

—  Ah!  fece  Maddalena  con  aria  di  trionfo,  co- 
me se  avesse  spiegato  un  enigma  —  lei  si  chiarii  \ 
Gian  Andrea.  Bello! 

Ed  egli  sorrise. 

Ed  ora  sorrideva  di  nuovo.  A  dir  la  verità  quei 
fatto  e  quel  discorso  per  se  stesso  non  avrebbe 
potuto  essere  ne  più  insipido  ne  più  indifferente, 
eppure  al  solo  ricordo  Andrea  ne  gustava  un  sa- 
pore di  dolcezza  infinita  ;  e,  come  rapito  in  un  in- 
canto, mirava  sorridendo  quelle  due  misteriose  let- 
terine intrecciate  di  color  grigio  pallido,  che  a 
mala  pena  si   distinguevano  sul   bianco  del   fondu. 

Il  calendario  ch'egli  aveva  dipinto  e  per  volere 
di  Maddalena  firmato ,  Maddalena  non  lo  aveva 
messo,  come  avea  detto,  in  sala  da  pranzo,  lo  te- 
neva '  in  camera  sua.  Che  argomento  di  conforto  e 
d'orgoglio  !  Andrea  solo  per  questo  si  sentì  più  sol- 
levato e  sicuro,  e  non  provò  più  gli  scrupoli  di  pri- 
ma a  trattenersi  in  quella  casa.  Tornò  tutto  disin- 
vi Ito  in  sala  da  pranzo;  riguardò  i  ritratti  dell'al- 
bum, volle  rimirare  quello  di  Maddalena  ;  perchè 
gli  parea  proprio  dessero  ben  forte  a  combattere 
qualunque  tentazione.  Ma  più  vedeva  quel  ritratto  e 
meno  poteva  saziarsi  della  vista;  gli  pareva  che  quel- 
l'immagine non  si  volesse  fissar  nella  sua  mente, 
ond'egli  ogni  giorno  tornava  a  vederla.  La  tenta- 
zione poi  riaffacciandosi  diventava  sempre  meno 
terribile;  egli  si  avvezzava  a  considerarla  senza 
sgomento.  Per  altro  quando  cedette,  alcuni  giorni 
dopo,  dovè  far  sempre  un  grande  sforzo  contro 
la  sua  naturale  delicatezza,  che  si  ribellava  anco- 
ra. Ma  infine  la  soffocò  violentemente:  tras- 
se dall'album  l'immagine  cara,  chiuse  in  fretta  le 
finestre  e  pallido,  tono,  col  cappello  sugli  occhi, 
usci  fuori  e  corse  dal  fotografo  a  farsi  fare  una  co- 
pia del  ritratto  di  Maddalena. 


X. 


In  principio  di  settembre  la  famiglia  del  dro- 
ghiere partì  da  Montecatini  ;  di  gran  cose  nuove 
erano  state  combinate:  Maddalena  era  fidanzata 
del  giovane  ingegner  Sermanni,  sor  Luigi  era  de- 
ciso di  abbandonare  il  commercio. 

Quando  arrivarono  a  Roma,  verso  mezzanotte, 
Andrea  li  aspettava  alla  stazione  per  consegnar 
loro  le  chiavi  :  aveva  l'aria  assai  meno  timida  del 
solito,  sembrava  quasi  allegro.  La  frequente  dimora 


nella  vuota  casa  del  suo  principale,  la  lunga  e  ta- 
cita conversazione  con  le  fotografie  dell'album  ave- 
vano fatto  nascere  nell'animo  del  giovane  una  certa 
confidenza  e  una  certa  familiarità  ;  parlò  col  sor 
Luigi,  salutò  con  un  breve  complimento  la  sora 
Adelaide,  a  Maddalena  non  fece  che  stringere  la 
mano  uno   disinvolto  senza  guardarla. 

M  i  oalena  pareva  muta,  ne  alla  stazione,  né  in 
carrozzella  co'  suoi  genitori  fece  parola:  l'aspetto 
e  le  maniere  di  Andrea  le  avevano  fatto  un  impres- 
sione, che  non  aspettava  :  in  casa  le  parve  che  tutto 
fosse  pieno  di  lui.  Ciò  che  di  lontano  in  mezzo  al 
rumore  della  vita  gaia  le  era  parso  un  dubbio  vago. 
ora  tornando  al  luogo  dell'antico  raccoglimento  si 
faceva  chiaro  e  preciso,  diventava  realtà  :  Madda- 
lena provò  per  Andrea  un  sentimento  che  non  a- 
vn  bbe  voluto  provare  e  che,  come  spaventata,  essa 
cenfuse  e  sommerse  con  gli  altri  sentimenti  di  pie- 
tà, di  dolore  e  di  rimorso.  Certo  sarebbe  stata  bella 
la  vita  con  un  giovane  tanto  serio  e  gentile,  tanto 
onesto;  ma  pensò  l'opposizione  de'  suoi,  di  sua 
madre  in  particolare:  un'immagine  della  miseria 
passata  le  tornò  a  mente  ed  ella  ne  rifuggì  piena 
di  paura.  Cercò  sottrarsi  alle  sue  insistenti  e 
tormentose  fantasie,  cui  mancava  forse  ogni  fonda- 
mento di  realtà. 

—  Ma  io  ho  quasi  dieci  anni  più  di  lui  ;  no,  no, 
meglio  così,  meglio  per  lui  :  io  sono  vecchia,  la 
cosa  di  per  sé  stessa  era  impossibile.  Ma  può  an- 
che darsi  che  tutta  questa  non  sia  che  un'illusione 
—  pensò  per  trovare  un  po'  di  pace  —  una  sem- 
plice illusione  della  mia  mente  turbata  ;  può  darsi 
ch'egli  non  abbia  mai  pensato  d'amarmi  neppure 
un  istante.  —  Sospirava  profondamente.  —  In 
ogni  modo  egli  è  savio,  capirà  che  questo  è  il  me- 
glio e  forse  sarà  contento  anche  lui  di  quello  che 
succede. 

Ma  intanto  come  si  faceva  domani  a  prepararlo, 
a  fargli  subito  conoscere  tutto  ?  Doveva  mostrarsi 
seria,  indifferente  e  buttar  là  la  cosa,  fingendo  di 
non  curarsi  punto  di  lui  ?  Sarebbe  stato  un  orgo- 
glio infame.  Dirglielo  mostrandosi  afflitta,  scusan- 
dosi (e  non  sapeva  proprio  di  che)  e  compiangerlo, 
come  ora  faceva,  era  impossibile:  non  c'era  punto 
la  dignità  sua  e  si  offendeva  poi  anche  l'amor  pro- 
prio di  lui.  Doveva  essere,  come  avrebbe  voluto, 
gentile,  non  lasciargli  trasparir  nulla,  aspettare  che 
glielo  dicessero  gli  altri  ?  No,  no,  sarebbe  stato 
un  tradimento.  Si  tormentò  tutta  notte  in  così  fatti 
pensieri  e  la  mattina  non  aveva  ancora  trovato  il 
modo  di  procedere. 

La  mattina  Andrea  salì,  perchè  voleva  render 
conto  della  consegna,  e  appena   vide   Maddalena: 

—  Com'è  abbattuta  —  le  disse  —  lei  è  più  pal- 
lida di  quando  andò  via.  Non  sta  bene? 

—  Sì. 

—  Che  ha  ? 

—  Tante  cose,  glielo  dirò  poi. 

Egli  si  strinse  nelle  spalle  sorridendo,  ella  chinò 
la  testa  e  sospirò.  Allora  lui  la  guardò  fiso  con 
aria  inquieta. 

—  Via,  sul  serio,  dica  cos'ha. 

—  Mi  hanno  proposto  un  marita 


LA    LETTURA 


_  non  1"  prenda:  vuol 

i.  ho  ventotto  anni  — 
filo  <li  \ 

■   Li  non  sia  an- 
jro. 
'. 

\  Fu   più 

\  sto   disinvolto, 

il  ;  ,  ani  !      più  oppressa,   pareva 
un.-,  munta  alla  morte:    il  giorno 

n  una  febbre  che  il  medico  chiamò 
hi     tu    nitrii  mila    al  COSÌ 

li  quale  non 
. ,  me  si  crederebbe,  dalla 
m  i  ra  'la    Maddalena   non 

che  la  rosa  non  avesse  al- 
interpretò  il  pallore  e  la  malat- 
tia 'li  Maddalena  in  modo  contrario  a  quello  reale: 
i   d'aver  in  ciò  una   prova  dell  ari 
.m/i  a  questa  prova,  e  curioso,  non  si  sen- 
tiva mica  commosso.  Egli  stesso  si  meravigliava  di 
mai  stato  tanto  indifferente  com'ora. 
Ma   tutto  questo   poi  non    fece  che   rendere   più 
gravi  ì  loroso  il  eoli".;    sotto  il  quale  An- 

drea eie. lette  proprio  di  morire:  nella  retrobottega 
vicino  vicino  al  suo  scrittoio  senti  i  facchini  con 
Barl>era     ragionar    pia  Dente    sul     matrimonio 

della  padroncina. 
—  Il  fidanzato  —  diceva  Barbera  —  le  ha  man- 
un   anello  con   una  pietra   verde  di   smeraldo: 
nell'aprire    l'astuccio   essa    tremava   come    una   fo- 
glia: si  capisce  in  ogni  cosa  che  è  innambi 

ta.    Il  SOra   Adelaide  che   lui   è   un  bellissimo 

giovane  alto,  bruno:  io  ho  visto  il  ritratto,  anche 
dal  ritratto  par  molto  bello:  non  vedo  l'ora  di  ve- 
deri in  persona.  Per  carnevale  è  fissato  il 
matrimoni";  l<.  sposo  l'avrebbe  voluta  subito  su- 
me  si  fa?  di  preparato  non  c'è  niente. 
E  sor  Luigi?  Ah.  utento  sor  Luigi!  le  fa 
la  dote  come  se  fosse  vera  figlia  sua;  chi  sa  che 
dote  :.... 

ro  Andrea!  che  avvilimento,  che  disingan- 
no, che  e  re!  \b.  fortuna  che  il  suo  amore  lo 
ignoravano  tutti  !  Il  timore  che  alcuno  potesse  scor- 
gere "  indovinare  la  sua  passione  per  colmo  di 
tortura  lo  costringeva  a  far  l'indifferente  e  aveva 
la  mone  nel  i 

La  sua  complessione  delicata  aveva  ricevuto  un 
Ulto  terribile;  anche  i  suoi  begli  occhi  grandi  e 
pur  o  ad  essere  gonfi  e  tutti   iniettai 

sangue:  e  ni  n  c'era  più  nemmeno  il 

Maddalena,  la  quale  non  scendeva  più 
quasi    affatto;    aveva   dóvul  gli    la 

Sfuggiva  tutt'.  poveri     Andrea,   perii 
a  di  tradii  parila,  ogni  più  lontana  al- 

lusione alle  m  //<■  di  Maddal  rrava  il  cuore. 

tanto   più   che  quella  di    Barbera 

voi'  nche  ci  ni  i  ai'-n 

. 

loqu.i  Dissi     'Hi    mondo  di   cose  del  In 

era   tanto   innami  i  ino  tanto 


contenti,   pari.',   dei    regali,    fece  l'elogio   della  sua 
padroncina  che  mi  ritava  tutte  le  più  belle  fortune, 
no  senza  nessuna  malizia,  aggiunse: 

a    adatta  anche   per   lei,    sa;    io 
ci   avevo  quasi   pensato. 

Andrea  si  distorse  nell'atto  del  più  superbo  fa- 
stidio. 

I  hi  ehi   sa  mai'.  —    fece   Barbera   indispet- 
tita. 

Pareva  impossibile,  mai  mai  che  potesse  incontra- 
SO  superi  i  non 

e  che  essa  era  solita  a  chiamar 
per    ironia   il    signor    Coi  :     ne    and...   ma    nel- 

l'atto d'andar-  He  rintuzzare  quel  villano  or- 

Vndrea  : 
S  nta,        gli  disse  crollando  la  testa  —  be» 
i    siano    quei   (««-hi    anni   di   differenza,    una 
meglio  di   così  non    la  troverà  certo,   glie!  assicuro 
io.         Avrebb  dir  la  cosa  in  modo 

ficaie  ed  aspri i.  ma  si  contenne,   perchè  Andrea  le 
imponeva   sempre  una  cena   Si 

A    Natale    venne   il    fii  suo  padre  e 

si  trattennero  due  giorni,  ("he  differenza  dal  Na- 
tale dell'anno  prima!  Andrea  si  sentiva  cosi  ab- 
bandonato, così  avvilito  che  scrisse  a  Maddal 
i  la  quale  sentiva  ora  una  specie  di  affetti 
:.  i  In-  non  si  dolesse  del  destino  di  lui  e  andas- 
se incontro  all'avvenire  senza  rimorsi,  ma  si  ri- 
cordasse  qualche  volta  d'un  amico  leale  che  le  ave- 
\a  portato  dell'affetto  sincero. 

Maddalena  rispose,  credendo  di  confortare  un 
giovane  i  .    Gli  chiese   peni.. no.    riconobbe 

sere  stata  con  lui  imprudente.  —  Non  mi  vo- 
glia bene  —  che  non  lo  merito  —  gli  scrisse  — 
lei  è  giovane  con  tutta  la  generosità  e  gl'ideali  della 
giovinezza,  io  sono  vecchia,  non  avrei  saputo  cor- 
rispondere. Io  non  ho  saputo  farle  che  del  male; 
sarà  una   fortuna    per  lei   l'avermi   perduta. 

Tutto  era  combinato,  tutto  era  preparato  per  il 
matrimonio,  che  si  celebrava  in  Toscana,  dove  il 
sor  Luigi  aveva  comprato  una  piccola  tenuta;  ivi 
era  una  bella  palazzina  con  la  cappella;  là  si  ce- 
bi lava  il  matrimonio.  Maddalena  e  sua  madre 
per  mettere  in  ordine  ogni  cosa  partivano  la  vigi- 
lia della   Befana. 

Andrea  in  quei  giorni,  dopo  la  lettera  di  Madda- 
lena, la  quale  per  sé  non  parlava  punto  né  di  sa- 
crificio, né  di  dolore,  vide  ch'ella  era  contenta  e 
gli  pane  che,  dopo  averlo  reso  infelice,  non  si  cu- 

affatto  di  lui:   il  disprezzo  e  l'odio  lo  invas 
Se  la  gelosia  non  lo  punse,   fu  ch'egli  non  si  piegò 
mai  ad  ammettere  che  Maddalena  si  spi  - 
amore:    ]>er  calcolo  Maddalena   aveva  abbandonato 
lui.  per  calcolo    Maddalena   sposava   un  altro,   e  a 
questo   pensiero   il    disprezzo  e    l'odio  ti 
M  i    quest'odio  era   il   tormento  peggiore  ch'egli  a- 

mai  provato  in  vita  sua;  tentò  invano 
garlo  in  una  lettera  scomposta  ed  informe,  non 
a  finirla:  non  poteva,  non  poteva  più  reg- 
gere e  allora  \  ò  di  morire;  sol,,  nella  mor- 
te sembrava  che  si  dovesse  calmare  la  bufera  della 
che  si  rifaceva  tratto  tratto  e  sempre  più 
ini]  l                              'ita. 


ANDREA 


XL 


Era   la    sera   del    4    gennaio;    Andrea   andava    a 

-!  più  triste,  più  cupi  del  solito;  il  lugli 
proposito  di  finire  la  vita  ad  ogni  poco  gli  ripas- 
sava nella  niente,  e. 'ine  un  lampo  sinistro  di  luce 
in  mezzo  alle  tenebre  della  tempesta.  Non  e  ; 
ancora  le  cinque  e  già  facea  buio,  piovigginava 
e  soffiava  un  venni  umido  di  scirocco  che  toglieva 
ogni  vigore.  1!  giovane  non  aveva  mangiato  dalla 
mattina  e  le  sue  idee,  i  suoi  propositi,  già  troppo 
affaticati,  nel  languore  del  digiuno  s'indebolivano 
e  si  contundevano.  Entrò  nella  sua  stanza,  accese 
il  lume  si  sedette  presso  il  tavolino;  trasse  dal  cas- 
sie del  Leopardi,  che  Maddalena  da 
molti  mesi  gli  aveva  prestati  .  trasse  dal  portafogli 
il  ritratto  che  aveva  fatto  fare  nell'assenza  di  lei, 
le  due  lettere  ch'essa  gii  aveva  scritto,  una  la  sera 
che  giunse  a  Montecatini,  l'altra  pochi  giorni  in- 
nanzi, e  finalmente  trasse  di  tasca  un  piccolo  re- 
volver che  mise  da  parte  senza  guardare  :  non  del 
revolver,  ma  di  quei  cari  ricordi  voleva  occuparsi: 
erano  tutto  il  suo  tesoro;  che  cosa  doveva  farne? 
Le  poesie  del  Leopardi,  come  prestate,  voleva  re- 
stituirle. Le  prese  e  con  le  dita  fece  scorrere  lenta- 
mente le  pagine  e  intravvide  i  titoli  a  lui  più  noti: 
illniio  canto  di  Saffo.  Il  primo  amore.  1 

Le   ncorda>;:r.  Conio   notturno \inorc    e   morte. 

rò  profondamente,  com'erano  belle  quelle 
sie,  piando  Maddalena  lo  amava!  Ora  per  lui  e- 
ra  finito  tutto,  non  gli  giovava  più  nulla  ;  lasciò  che 
il  libro  si  chiudesse  e  stette  qualche  tempo  con  la 
fronte  appoggiata  sulla  mano  sinistra.  A  un  tratto 
si  scrisse,  riaperse  il  libro  al  frontespizio  e  pi 
la  penna: 

—  Maddalena.  —  egli  scrisse  —  fin  che  a  voi 
è  piaciuto  d'amarmi,  io  ho  merce  vostra  vissuto, 
-  ra  che  voi  mi  abbandonate .  io  muoio.  —  Non 
aveva  appena  finito  di  scrivere,  che  gettò  la  penna 
tutto  disgustato.  —  Ma  che?  Maddalena  non  lo 
aveva  amato  mai.  non  amava  nessuno,  non  amava 
che  se  stessa.  Maddalena.  E  poi.  perchè  le  aveva 
dato   del   voi  ? 

Si  passò  una  mano  sulla  fronte,  respinse  il  li- 
bro, e  prese  il  ritratto:  gli  smarriti  spiriti  si  ravvi- 
varono alquanto  ed  egli  a  lungo  guardò  fiso  quella 
testa  gentile  un  po'  inclinata  sulla  spalla,  che  ren- 
deva a  prima  vista  l'aspetto  d'un  serafino. 

La  memoria  degli  antichi   affetti  e  delle  antiche 
speranze  lo  inteneriva:    la  colpa   non  era  di    Mad- 
dalena; erade!  suo  destino;   che  feroce  e  implaca- 
bile  destino!   Non  c'era    altra    speranza   di    riposo 
che  nella  morte.    Egli   non   avrebbe  più  riveduto  ii 
ni  .    Maddalena   partiva   domani   per   andare  a 
-arsi  e   la  sua   morte  avrebbe   accompagnato   la 
sa  che  partiva,  coi.  ;•  un  augurio  tetro  e  funesto. 
La  mente  del  giovane  s.  -pinta  dall'onda  delle  sue 
lugubri   fantasie   era   cerne   un    lume  stanco   e   rifi- 
nito per  mancanza  d'alimento,  il  quale  tratto  tratto 
si  ravviva  per  uno  sforzo  supremo  e  manda  rapidi 
e  sinistri  bagliori.    La  stanchezza  e  il  languore  l'a- 
vevano ornai   spossato  e  vinto,  allorché  fu  bussato 
all'uscio,  che  dava  sulle  scale. 


Sl7 

Istintivamente  egli    nascose  il   revolver    nel    cas- 
to, ricacciando  in  fi 
ritratto    e    lettere    nel    pi  Aveva    voglia  di 

non  aprire,  perchè  sentiva  crollare  tutto   il   funebre 


disordine  delle  sue  idee;  ma  intanto  una  voce  ben 
nota  al  di  fuori  chiamò  : 

—  Andrea,  ci  sei  ? 

Era  la  voce  di  Muschiarosa,  dello  studente  di  leg- 
ge, col  quale  Andrea  aveva  vissuto  lungo  tempo  in- 
sieme, dormendo  nella  stessa  camera,  quand'era 
egli  pure  studente.  La  lunga  familiarità  li  aveva 
affezionati  come  fratelli  ;  s'erano  assistiti  in  tempo 
di  malattia,  s'erano  prestati  l'uno  per  l'altro  gene- 
rosamente, come  fanno  i  ragazzi,  che  danno  sovente 
più  di  quello  che  possono. 

Alla  voce  dell'amico,  Andrea  si  scosse  e  corse  ad 
aprire: 

—  Qui.  come  mai  ? 

—  Sono  senza  ombrella,  ho  corso;  mi  sono  ba- 
gnato un  pochetto  —  disse  guardandosi  ai  panni 
—  se  andavo  avanti  mi  conciavo  per  bene;  senti 
l'acqua  come  scroscia  !  Ti  meravigli  tanto  di  ve- 
dermi qui?  Ma  io  stamattina,  quando  ti  ho  incon- 
trato, te  lho  pur  detto  che  venivo,  non  proprio  a 
quest'ora,  ma  t'ho  detto  che  venivo  verso  le  otto. 


LA    l.KTTURA 


:■  .    mi 

pallido  ' 

.1  fuori  stasera  ri  verrai  1"  - 
\ 
\li  presti   una   lira? 

di  malavogl  a    1  portafogli,  do\  e 
r.in  Maddalena  .    il   su 

lugul 

un  edi  tizio  in  cui  si  muovano  le  pietre 
.  «li  •   <  ih  l'i  la  lira  e  gliela  pi 
n  voleva  divagarsi, 
perchi    sono  xeni:  -  disse  M u 

ra. 

-  ntende. 
]kt  un'altra  cosa,  che  ti  farà  molto  pia 
i  si  dire  dal  portafi  gli,  dove  avea  tipi 
i  lira,  trassi-  d  tti  verdi,  che  stese  sulla 

anto  all'altro. 

domandò  Andrea    sempre  assorto 
<■  tris,  m     prima. 

?   —  fece    Muschiarosa    si 
non  Son   biglietti   per  andare  al   Lohengrin, 

Poi,  guardando  per  aria 
e  agitando  le  braccia  si  mise  a  cantare: 

Mai  devi  domandarmi, 

\  i    a  palesar  tentarmi 


Il   giovan*    musicomane  si  scosse  leggermente  e 
vagì    sorriso. 

—  Vieni,  vieni  —  disse  l'altro  con  insistenza  — 
domani  chi  sa  che  bei  mutivi  saprai  rifar  sul  man- 
dolino! Vieni. 

—  Non  ne  ho  voglia  stasera. 

I  per  un'altra  sera  i  biglietti  in  regalo  non 
si  trovano  più;  ma  perchè  stasera  no?  Cos'hai  tu 
ra  ? 
Andrea,  geloso  de'  suoi  pensieri,  temeva  di  farsi 
scoprire;  stava  a  disagio;  volentieri  avrebbe  man- 
dato via  Muschiarosa,  ma  ci  voleva  pazienza  per 
non  provocar  spiegazioni.  E  poi,  come  mandarlo 
via,  se  ancora  si  sentiva  piovere  dirottamente?  A 
poco  a  |xk'o  la  compagnia  dell'amico  cessava  d'es- 
sere importuna  e  lo  scroscii  della  pioggia  dimi 
univa. 

-  Hai  cenato  tu?  -     chiese  Muschiarosa. 

—  Io  no. 

—  Allora  vailo  a  prendere  qualche  cosa.  Man 
geremo  qui  tutti  e  due.  Spendo  la  lira  elle  mi  hai 
data 

Si  mise  il  cappello  i-  corse  via.  Andrea,  rimasto 
solo,  senti  tutto  quanto  l'enorme  fastidio  della  s< 

dine,    pro\ò  una   pena   infinita:    gli   doleva  di 

non  amico  e  desiderava  quasi  di 

\1    pensiero   che    avrebbe    potuto 

metter  ■■  ad  effetto  il  mio  proposito  in  quei    pochi 

-.ti    .si   senti    rivoltai  l     M/a:    sulla 

mi  rte  tutto  risorgeva  il  vigore  ilei  suo 

.•uni  0    e    della    sua    verde    giovine//. i.    Capì 

non  avrebbe  mai  commesso  la  viltà  d'uccidi 

gli  bastava   ancora   la   I  multare 

la  vita  e  di  sfidare  il  destino. 


I  amie    •   ri     in   un  lampo  e  mise  sulla  tavola 

di  polenta  fritta  e  di  pesce  tutto 

:ite. 

—  Adesso  maciniamo  a  si  ivo,  poi  usciamo  sul 
e   andiamo  a    prendere   \m   bicchiere  di   vino    Su, 
\u.  i  a  roba  divi 

cattiva. 

I I  avei    presi i  quel  odio  così   asciutto  e  i 
poo     i  propos  ti    per  il  suo  stato  di  sfinimento,  An- 

.  '  in  I  i  nerte  o  me  un  >  usi  ino. 

Sulla  strada  l'aria  api  rta  ni  n  gli  faceva  quasi  nes- 
sun effetto:  dietro  il  a  l'esempio  dell'ami- 
co bevette  un  grosso  bicchiere  di  vino,  e  questo  valse 
davvero  rio  da  i  |uel  ti  >rp  ire  mi  irtale 
minciò  subito  a  rifarsi  un  pochino,  ma  restava 
sempre  mesto  e  come  assorto  in  un  profondo  pen- 
n 

And  ro  l'opera  potente  «li  Wagner,  ch'egli 

già  conosceva  tanto  pei  lama,  sul  principio  non 
gii  ria  distrarlo;  ma  all'arrivo  del  cigno,  al  pezzo 
del   tenoi  se,   s'infiammò   di 

guisa  che  non  pareva  più  quello  di  prima.  Per  tutta 
1  opera  egli  fu  come  rapito  dalla  musica  meravi- 
gliosa e  stupenda,  che  rispondeva  allo  stato  del 
suo  animo  afflitto.  Ah,  lo  strano  incanto  della  mu- 
sica! Quella  non  era  più  l'arte  di  Wagner,  quella 
non  era  più  la  voce  di  Elsa  e  di  Lohengrin,  era  la 
voce  naturale  della  sua  passione  e  del  suo  d 
che  si  effondeva  in  conienti  divini.  I,e  idee  fiere  e 
fosche  cedevano  tutte  quante;  egli  era  invaso 
sentimenti  generosi,  delicati  e  sublimi;  sentiva  il 
cuore  aprirsi  di  nuovo  alla  speranza  e  le  ciglia 
inumidirsi  di   pianto. 

A   casa    lo   aspettava   la    stan/a    solitaria    con    le 
memorie,   gli    affanni    e    i    propositi    lugubri.    L'in 
canto  della  musica,  che  infondendosi  nella  sua 
sione  ne  alleggeriva  il  peso  e  ne  diradava  le  i 
lire,   lo  abbandonò  d'un  tratto.    In   tono   sommesso 
anche  per   le   scale   Andrea   aveva  cantarellato;   ma 
sulla  soglia  della  stanza  la  voce  gli  mori  nella  gola 
e  una  nube  di  piombo  gli  si  aggravò  fosca  sull'a- 
nima.   Provò    nuovi  tormenti,   che   poi  all'appa 
del  giorno  si  dileguarono. 

Col  mandolino  sotto  il  bracdo  entro  da  Mu- 
schiarosa. che  era  ancora  in  letto,  lo  svegliò,  aperse 
la   finestra: 

- —  Tomo  a  stare  con  te  almeno  un  po'  di  tem 
la  mia  laniera  l'ho  disdetta  por  stasera;  a  momenti 
porteranno  il  mio  baule,  tu  avviserai  la  padrona. 

L'altro  non  chiese  spiegazioni,  suppose  chi 
avvenuto   un  battibecco,  provocato  dalla   pai 
la  quale  aveva  trovato  da  affittar  meglio  la  stan/a: 
rose    noiose   queste,    ohe   nell'idealità    giovanile   S 
gliono  trascurare.   Muschiarosa  non  ne  fece  un  caso 
al   mondo  e  stirandosi  cominciò  a  rifare  i   più  noti 
motivi    del    Lohengrin;    Andrea,  ch'era    più    abile. 
correggeva,    suggeriva:    cessavano  di   cantare  - 
pei   abbandonarsi  a  esclamazioni  e  a  slanci  di  en- 
ìtro  i. 

Pei    pari  >      '<n   la   padrona,    |»-r  contini 
mettere  in    ordine   la    stan/a.    Andrea  si    tran 
molto    presso   il  suo   am  nego/io  \ 

le  din-i:   aveva  voluto  aspettar  tanto,  perchè  Mail- 


ANDREA 


N,„, 


dalena  già  fosse  partita.  Per  tutto  quel  giorno  egli 
volle  attendere  al  suo  lavoro;  ma  s'interrompeva 
ad  ogni  poco  e  cantando  appassionatamente  non 
faceva  che  ripetere  fra  un  sospiro  e  l'altro: 

Merce,  merce,   cigno  gentil 

La  sera  tornava  alla  stanza  dì  Muschiarosa,  già 
preparata  per  due.  con  un  gran  librone  sotto  il 
Diaccio:  s'era  abbonate  per  un  mese  al  gabinetto 
musicale,  portava  a  casa  lo  spartito  del  Lohengrin. 

XII. 

A  negozio  tutto  era  mutato  ;  sor  Luigi  senza  fa- 
miglia mangiava  alla  trattoria  e  non  pensava  ad 
altro  che  al  matrimonio  della  sua  Maddalena.  Do- 
po alquanti  giorni  partì  anch'egli  per  assistere  alle 
nozze  che  avvennero  il  23  di  gennaio  ;  poscia  tornò 
a  Roma  con  la  sora  Adelaide,  ma  non  c'era  più 
nessun  amore  né  per  la  casa,  ne  per  il  negozio: 
a  maggio  volevano  stabilirsi  nella  loro  villa  in  To- 
scana. 

Si  vedeva  spesso  il  nuovo  padrone,  al  quale  sor 
Luigi    cedeva  la    drogheria  :    era    ricco,    giovane    e 
audace;    voleva   ingrandire  e   perfezionare   l'azien- 
da, voleva,  com'or  si  direbbe,  slan- 
ciarsi ;    scartò    alcuni    uomini    del 
personale ,    ma    volle    tenere    An- 
drea ;   gli  parve  dovesse  essere  una 
fortuna  per  il  negozio  un   giovane 
tanto  serio,  intelligente  e  raccolto. 

In  casa  del  nuovo  principale 
si  faceva  una  vita  tutta  moder- 
na :  c'era  molta  apparenza,  molto 
lusso  ;  la  signora  sonava  il  piano 
e  andava  in  bicicletta.  Andrea,  per 
l'eleganza  della  persona  e  per  il 
gusto  che  aveva  naturale  all'arte, 
era  molto  apprezzato:  egli  da  par- 
te sua  si  sforzava  per  non  parere 
scortese  e  qualche  volta  accompa- 
gnava anche  la  signora  in  bici- 
cletta ;  ma  non  seppe  mai  abban- 
donarsi pienamente  a  questo  gene- 
re di  vita,  in  mezzo  alla  qualt  re- 
stava spesso  ritroso  e  rustico  come 
un  lepretto.  Il  tipo  ideale  della  fa- 
miglia semplice  e  saggia,  dove  si 
trova  la  pace  e  s'attinge  il  vigore, 
era  già  formato  per  sempre  nella 
mente  del  giovane  ;  credeva  d'a- 
verlo veduto  nella  casa  del  suo 
primo  padrone  e  l'amava  tanto  che 
per  ora  nulla  di  diverso  poteva 
piacergli. 

Aveva  sempre  nel  viso  una  tri- 
stezza profonda:  pareva  che  fa- 
cesse il  funerale  ad  una  vita  ca- 
rissima, ch'egli  non  aveva  veduto 
che  al  tramonto  :  —  E'  finita,  è 
passata  via  per  sempre  dal  mondo 
la  luce  calma  e  serena  duna  ci- 
viltà   matura ,    ora    non    e'  è    più 


che    nebbia .    nubi    e   vapori    che    la    luce    nuova 
non     ha     ancor     dileguati'!     — -    e     malinconica 
mente  restava    fiso,    come  chi   mira    gli    sprazzi    di 
rosa  e  di  viola,  che  dopo  il  tramonto  ancor  riman- 
gono ad  occidente  nel   cielo. 

Poco  dopo  la  partenza  del  sor  Luigi,  il  nuovo 
proprietario  cambiava  locale.  Era  proprio  il  tem- 
po che  si  doveva  cominciare  lo  sgombro,  allorché 
Giovanni,  il  facchino,  disse  che  la  sora  Maddale- 
na mandava  a  chiedere  la  madonnella  di  maiolica, 
che  stava  nella  retrobottega.  Il  padrone  dapprima 
disse  che  non  voleva  darla,  poi  brontolò,  e  infine 
la  concesse,  tanto  più  che  anch'egli  ricevette  una 
lettera  di  Maddalena,  che  Io  pregava  e  lo  scongiu- 
rava di  lasciarle  la  sua  madonnella;  l'avrebbe  pa- 
gata, ne  avrebbe  mandata  un'altra,  ma  per  carità 
non  gliela  negasse.  Andrea,  che  era  rimasto  colpito 
dalla  strana  richiesta  e  da!  nuovo  desiderio  di  Mad- 
dalena, ebbe  poi  l'incarico  di  fare  la  spedizione  ; 
egli  vide  le  lettere,  lesse  e  commentò  quelle  parole 
umili  e  ardenti,  che  gli  parvero  come  lo  sfogo  di 
un'anima  appassionata,  e  ne  trasse  argomento  per 
credere  che  Maddalena  non  fosse  felice. 

Ah.  che  triste  trionfo  l'infelicità  della  persona 
amata  ! 


w"=s^Jt> 


- 1" 


I  A    !  ETTURA 


i   Mad 
\  venerazii  ne  e  una  l 

li  si    isi    dalla   nii 
mia  e  ne  I 
nr.i  la  i" i  macchie  d'umidità  :  poi 

contemplò  un  ì 
he  i  r.i   poco  d  ogl  ere   i 

M    Idalena  :   a  un  tratto  nel  suo 
ne  uw  lampo  ;   aprì  ti  isto  un  ras- 
ile, i  colliri,  e  in  un  angolo 
in  m  igine,  si  bizzò  un 
e  vi   adombrò  sotto   lej 
mente-  le  due  iniziali   i  ,   simili  in  tutto  a 

le  che  un  gioì  i  disi    nati  i  sul  calendario. 

\     ■      di  :  la  madonn  dia  e  la  rincalzò 

ben  bene  entro  la  rassetta  piena  'li  trucciola,  che 
anni   all'u  i    preparato;    la   rinchiusi', 

la  si  prese  una  penna  grossa  per  lare  Tin- 

nii   pr  I  i  spiro  e  o  m   mani  i 

si  mise  a  scrivere;  scriveva  l'ultima  pa- 
lici suo  tu-  ni  ile  t' manco. 
In   pochi  giorni  tutto  il    fondaco   fu   sgombrato 
e  il  nuovi                  più  I  elio  ,■  pio  grande,  in  po- 
chi g           'i               a  ll'ordine.   Si   presentò  l'oo 
■  li    tornare   al  negozio   vecchio   e   Andrea    la 


colse  voli  i  i    rivederlo  ancia  l'ultima  vi 

e   portarne    via    per    sempre    le   care  memorie.    l'Ite 

delusione!    I  muratori   eri già   entrati,   il    luogo 

non  pareva  più  affatto  quello  'li  prima,  tra  1. 
cose  seni!  u    molto  più  piccolo.   Le  impo- 

ste erano   tolte,   |kt   terra   c'erano   già  mucchi   ili 
gesso,  ili  rena  e  di  mattoni,  il  luogo  non  si  ricono- 
sceva più,  e  invano  egli  teni  i  are  le  m 
rie  del  suo  passato,  qui  non  ne  rimani  va   | 
eia  alcuna.   S'accostò  alla   finestra   della  retrob 
ga,  dove  un  giorno  s'era  messo  a  scrivere  per  con- 
siglio di  Maddalena  ;    l'inferriata  era  tolta  ed  egli 
si   affaccili:    il   suo    bel  cespo,  che   a    primavera    ili 
nuovo  era  fiorito  più  rigogliosi.,  giaceva  ora  penzo- 
loni dal  tetto  appiè  d'una  scala  a  pinoli  che  I 
va    disvelto.    Poveri    ignoti    fiorellini,    nati    per  i 
e  senza  cura  cresciuti  belli  e  gentili!  Ora  anch'essi 

sotto  un  colpo  cieco  giacevi uccisi  violentemente, 

rome  il  suo  amore.  Ahi!  che  rovina!  Tutto,  tutto 
era  dunque  finito!  Il  giovane  fuggì  senza  più  vol- 
gere l'occhio  intomo,  gli  venne  paura  che  qu 
nuovo  e  desolato  aspetto  non  cancellasse  perfino 
dalla  sua  mente  l'immagine  del  luogo  antico,  che, 
quantunque  triste,  gli  sarebbe  stato  pur  sempre 
memorabile  e  caro. 


Anna  Evangelisti. 


%'>  ^ 


llEjIlrwi 


MÉ^^É^»^3«IIK»é 


T 


r 


TT 


Un  romanzo  per  Lucrezia  Sergia 


h  se  invece  di  scrivere  un  romanzo  Jacopo 
Caviceo  da  Parma  (1443-1511),  avesse 
scritto,  nuda  e  cruda,  la  sua  biografia, 
che  bel  romanzo  avrebbe  scritto  ! 

Quando  studiava  diritto  canonico,  si  sfogava 
in  risse  notturne:  ordinato  sacerdote,  sedusse  una 
monaca  e  trafisse  un  uomo  in  litigio.  Come  fuggì 
a  Verona  e  a  Venezia  ?  Che  vide  ;  che  apprese  ; 
che  fece  viaggiando  a  Costantinopoli  e  nell'Arcipe- 
lago? Quali  i  particolari  dell'assassinio  che  com- 
mise a  Roma  pugnalando  un  sicario  mandatogli 
dietro  dai  nemici  del  clero  parmense,  e  in  che  mo- 
do ottenne  l'assoluzione  del  Pontefice?  E  in  che 
modo  e  perchè  questo  prete  omicida  e  seduttore  di 
monache,  potè  passare  dal  carcere  ad  uffizi  diplo- 
matici, e  dall'esilio  al  Vicariato  di  Rimini  e  di 
Ferrara  ? 

Ma  bando  alle  pettegole  e  abbiette  volgarità 
così  grate  all'età  del  «realismo»; 

Il  Caviceo  non  era  un  artista  quale  Benvenuto 
Cellini  :  era  un  letterato  ;  peggio,  era  un  umanista 
che  aveva  studiato  a  Bologna  ;  peggio  ancora,  era 
un  prete  che  ambiva  gloria  mondana  e  grazie  di 
dcnne  e  principi.  Né  la  gloria  gli  mancò:  //  libro 
del  Peregrino  (1508),  fu  il  più  famoso  racconto  in 
prosa  del  Cinquecento,  con  una  ventina  di  edizioni 
in  Italia  e  traduzioni  in  spagnolo  e  francese  ;  fu 
lettura  deliziosa  per  i  giovani  al  tempo  di  France- 
sco I.  e  argomento  ai  predicatori  in  pergamo,  seb- 
bene la  sacra  eloquenza  ne  discorresse  non  per  lode 
e  propaganda  cristiana  come  fa  oggi  del  Quo  ve- 
disi, ma  per  biasimo  e  minacce  a  chi  lo  leggesse. 

Diavolo  !  :  un  romanzo  dedicato  a  Lucrezia  Bor- 
gia doveva  contenere  almeno  almeno  qualche  de- 
scrizioncella  impudica  !  Xon  eran  troppe  però  ;  che 
tra  le  donne  a  cui  il  libro  andava  offerto  si  anno- 
veravano anche  Elisabetta  Gonzaga,  «splendore» 
di  virtù  mantovana  ;  Violante  de'  Pii  da  Carpi, 
"splendore  di  buona  litteratura »,  e  la  milanese 
Taurella   Trivulzio,   damigella  esemplare;    e  tra  i 


lettori  non  mancava  il  cardinale  Ippolito  d'Este, 
quel  che  avrebbe  sorriso  alle  corbellerie  dell'Ario- 
sto e  che  dal  Caviceo  era  vantato  «  de  la  orthodossa 
censura  et  militante  Ecclesia  castigatissimo  cen- 
sore »  ! 

Del  resto,  che  a  Lucrezia  Borgia  certe  descrizioni 
potessero  non  spiacere,  il  romanzo  del  Caviceo  lo 
dimostra  assai  chiaramente  ;  ma  che  ella  fosse  pro- 
prio una  «poco  di  buono»,  ohibò!....  Il  primo  che 
la  difese,  che  ne  restaurò  o  riabilitò  la  fama  sa- 
pete chi  fu  ?  Giovanni  Boccaccio,  morto  circa  un 
secolo  avanti  ! 

Sissignori  :  un'ombra  apparve  al  Caviceo  per  dir- 
gli :  «  Vivendo  informai  il  corpo  di  Giovanni  Boc- 
caccio da  Certaldo  ;  hora  son  fatta  cittadina  della 
dotta  città  di  Ferrara,  per  contemplare  una  non 
più  vista  bellezza  et  forma...  Savia,  dotta,  accostu- 
mata et  bella:  de  gente  più  che  patricia  et  propin- 
qua al  grado  regio  ;  de  patria  gloriosa  ;  nutrita 
tra  la  felicità  letteraria,  et  di  boni  costumi  ;  de 
prosapia  che  produrre  è  consueta  Pontefici  Massi- 
mi. Duchi.  Baroni  et  Semiduchi  et  gente  militare 
che  a  Marte  in  militia  non  cederebbono,  né  a  Ce- 
sare de  fortuna,  né  a  Pompeo  de  gloria.  Oh  che 
adiuto  darebbe  questa  unica  Phenice  alla  tua  ca- 
dente musa  !....  » 

Ad  ottenere  sì  magnanima  protezione,  a  perve- 
nire sotto  tanta  felicità  bisognava  faticar  molto. 
Infatti  il  Peregrino  comprende  tre  parti  di  2r9  ca- 
pitoli. Bisognava  visitare  lontanissimi  luoghi  ove 
fossero  irreperibili  simili  Fenici.  Infatti  Peregrine 
capitò  anche  all'inferno! 

Or  prima  di  condurvi  con  lui  i  nostri  lettori,  è 
necessaria  una  brevissima  preparazione  che  gli 
storici  della  nostra  letteratura  han  sempre  dimen- 
ticata :  comprendere,  cioè,  quale  concetto  si  aveva 
del  romanzo  in  prosa  nel  Cinquecento. 

Siamo  giusti:  se  fra  tre  o  quattro  secoli  i  po- 
steri non  si  faranno  un'idea  del  nostro  romanzo  in 
relazione  ai  costumi,  alle  idee,   all'arte  nostra,   pò- 


LA    LETTURA 


upei  i  i   ain  '-ri   più  o 

ita  la  sua  civiltà,  L'Italia  cad 

i  ;  59 1.    le   nai 


Libro  del  Peregrino 

novamente  ristampato  et  alla  sua 

pristina  integrità  ridotto 

M.D.XXVII. 

Frontispizio. 

che  allora  uscivano  compiute,  forti  e  coscienti  a  e- 

ido  i   diritti  della   vittoria,   da  lei 

avevano  già   avute  tutte   le  forme  d'arte,   tutte  le 

oche  il   romanzo  in  prosa.   E' 

manzo  attendeva  da  innesti  esotici  una 

rgia  vitale  che  da  soli  anche  i  più  forti  conti 

ni  potuto  infonder- 
gli. Ma  questo,  perchè?  Vediamo.  Se  una  pianta 
stenta  a  svilupparsi,  bisogna  prima  studiare  in  essa 
i  caratteri  dell'infermità  ;  dopo,  indagarne  le  cau- 
n  cieli  i  0  in  terra. 
E  quale  >•  il  difetto  comune  a  tutti  i  romanzi  del 
Rinascimento  'he  non  ritraggono 

Intimamente  e  direttamente  la  vita;  che  la  ritraggi >- 
do  artificiosa  1  romanzieri  d'allora  conside- 
ravano il   romanzo  rome  un  genere  superiore,   più 
COI     ivo  ''he   la   novella  ; 
quindi  alla  vita  comune;    superiore  alla 
nula   realtà;    e  cercavano   ingentilirne   la 
ii   tutti    i    mod     I  !<     attingevano 

alla  ..ivano   lo  lo   ai    lor<  ■ 

■  •nde  loro  proprie,  simu- 


lavano, dissimulavano,  trasferivano  l'azione  a  luo- 
ghi immaginari,  la  velavano  di  allegorie,  di  simboli, 
di   ricordi  classai,  di  stranezze. 

Da    ciò    si    comprende    che  necessariamente  fu- 

n  no    cadili hi-    opere    le    <]uali    avevano    congeniti 

vìzio  dell'imitazione  e,  pei  di  più,  falsavano  il  ve- 

intenzione  artisi ii  a  e  < cai. min i  voli 

r.o.     Ma    conviene    amile    riconoscere    che    se   i    ro- 
manzi furono  assunti  a  genere  più  alto  della  no 
la  e  a  diletto  di  vita  artistica,  le  cause  che  ne  fa- 
vorirono l'infermità  erano  nella  vita  stessa  del  tem- 
po loro. 

Tutto  il  Rinascimento  fu  arte,  cioè  nobilitazione 
della  vita.  L'amore  era  divenuto  convenzione  spi- 
rituale: petrarchesca  la  lirica:  le  cortigiane  emu- 
larono Aspasia:  uomini  potenti  e  malvagi  furono 
maestri  di  raffinatezze  e  di  cortesia:  i  novellieri  sen- 
suali scrissero  della  pura  Bellezza  delle  donne:  gli 
artisti  più  granii  scorsero  il  reale  nei  sogni  della 
idealizza/ione  e  i  pensatori  più  grandi  all'ideale 
sotti  misero  fin  la  storia. 

Cercando  rappresentare  una  vita  già  così  artifi- 
ciosa in  sé  stessa,  che  tendeva  a  idealizzare  - 
stessa,  che  cosa  potevano  fare  quegli  antichi  roman- 
zieri? Fecero,  quantunque  in  senso  opposi 
i  nostri  romanzieri  naturalisti.  Questi  resero  la  vita 
anche  più  brutta  di  quanto  è,  e  spesso  di  una  brut- 
tezza inverosimile;  quelli,  per  nobilitarla,  la  deco- 
rarono sino  a  perderne  il  vero  e  profondo  conte- 
nuto. E  si  servirono  al  loro  fine  della  prosa,  che  è 
lo  strumento  meno  idoneo  a  far  miracoli;  e  falsa- 
rono forma  e  sostanza. 

Ter  contro,  l'opera  letteraria  che  più  natural- 
mente e  più  convenientemente  riproducesse  la  vita 
esterna,  estetica  e  morale  d'allora,  doveva  essere  il 
poema:  il  poema  era  lo  specchio  in  cui  la  vita  d'al- 
lora vedeva  «apparenze  straordinarie,  mobili,  insta- 
bili, abbaglianti,  ma  senza  fisionomia,  affacciarsi, 
intrecciarsi,  inseguirsi,  sparire,  rapide,  improvi 
inconsulte»;  e  il  romanzo  da  leggere  per  chi  aveva 
a  mente  il  Cor/egiano  del  Castiglione,  il  romanzo 
per  la  regina  delle  conversazioni  nei  palazzi  ducali 
e  per  le  donne  dappertutto  dove  fossero  tentazioir 
di  lusso  e  meraviglie  di  arte  e  pompe  spettacolose  e 
desolazioni  grandi;  il  romanze,  perfetto  per  quella 
società  doveva  essere,  e  fu.  XOrlando  furioso. 


Ma  non  meno  del  Caviceo,  l'Ariosto  lodò  laure 
zia  Borgia: 

La   cui  bellezza    ed   onestà   preporre 
Debbe  all'antiqua  la  sua  patria  Roma/ 

Quanto  al    resto,   il  nostro  romanziere  non   potè 
neppur   imaginare  di   superar   il   grandi  ta,   il 

Fui  essi  ndo  pubblicato  otto  anni  dopo  il  TV 

regrino.  E  questi  tenne  altro  viaggio,  compi  altre 
pazzie  che  quelle  d'Orlando,  e  indossò  la  schia- 
vina non  l'armai ura.  e  resse  non  durlindana  ma  il 
bordine.  Aia!  Chi  ai  tempi  della  bicicletta  e  del- 
l'automobile e  dei  pellegrinaggi  in  treno-lampo  s'a- 
datterebbe ad   accompagnarlo  a  passo  a  passo? 


UN    ROMANZO    PER    LUCREZIA    BORGIA 


8i3 


Eppoi ,   egli    aveva  Amore   che    lo    faceva    an- 
dare.... 


Si  sa  che  gl'Italiani  s'innamorano  in  chiesa  ;  u- 
sanza,  caso,  o  necessità  che  era  di  prammatica  ai 
letterati  seguaci  del  Petrarca  e  del  Boccaccio.  N<  n 
diversamente  dagli  altri.  Peregrino  fu  ferito  dal 
dardo  fatale  in  chiesa  a  Ferrara  e  restò  dubbioso 
«di  qualche  secreta  fascinazione»,  perchè  improv- 
visamente e  a  un  tempo  stesso  egli  si  sentì  «  il 
cuore  timido  e  lieto,  freddo  et  caldo  »  nel  contem- 
plare una  vaga  e  pia  giovinetta.  Dice  lui  che  t  vinto, 
legato  et  conclavatd  »  gli  parve  vedere  in  sé  il  mi- 
sero Atteone  !  ;  né  si  stenta  a  credergli  se  si  crede 
anche  che  all'amata  Ginevra  scrisse  una  prima  let- 
tera con  questo  patetico  preambolo  : 

«  O  sola  conscia  del  mio  secreto  affanno,  liéter.i 
mia,  Dio  ti  presti  quella  felicità  che'  fece  al  pro- 
fugo Troiano,  quando  nel  grembio  de  Elisa  fece 
sedere  il   fratel   Cupido....  » 

Trovasse  opportuno  o  no  quel  ricordo  del  grembo 
di  Elisa,  ossia  Dulone,  la  bella  Ginevra,  da  ragazza 
dabbene,  prima  non  rispose  ;  poi  rispose  mandando 
all'innamorato  una  scatola  d'avorio  entro  cui,  tra  fo- 
glie d'edera,  aveva  messo  una  lucertola  viva  con  al 
collo  la  scritta  :  Impara  la  via  —  Prudenza  regge  — 
II  tempo  tutto  modera.  —  Non  eran  simboli  molto 
chiari  ;  e  forse  per  qualche  spiegazione  in  propo- 
sito 'Peregrino  una  notte  stava  discorrendo  con  l'a- 
mata, quando  «  Fortuna,  la  cui  rota  sempre  a  l'al- 
trui beni  et  commodi  fu  instabile  »,  fece  passar  di 
là  i  birri  che  cercavano  un  omicida  e  che,  preso  lui 
in  cambio,  lo  portarono  in  prigione.  Peregrino  co- 
minciava male  le  sue  fatiche  d'amore  !  Proseguì 
peggio  :  liberato  che  fu  dalla  carcere,  si  travestì  da 
villano,  da  spazzacamino,  da  mendico  per  parlare 
in  segreto  a  Ginevra  ;  arrivò  in  casa  di  lei  fin  rin- 
chiuso in  un'immagine  di  Santa  Caterina  fabbri- 
cata a  posta  !  Santa  Caterina  ad  uso  di  cavallo  di 
Troia  !  Ma  niente  paura  !  :  simbolicamente  Ginevra 
significava  per  il  romanziere  la  virtù,  la  fede! 
Nessuna  meraviglia  dunque  ch'ella,  in  penitenza 
della  profanazione  e  per  prova  d  amore,  chiedesse 
all'amante  di  soddisfarle  un  voto  a  Santa  Caterina 
•  in  finibus  terrae».    E   «pedibus  calcantibus»  egli 


Libro  I. 


Libro  II. 

prese  il  cammino  alla   volta  di   Soria,   insieme  col 
«  fido  Acate  ». 


Regolarmente  il  voto  fu  soddisfatto  ai  luoghi  san- 
ti ;  ma  ritornandone.  Peregrino  fu  sorpreso  dagli 
Arabi  e  venduto  schiavo  in  Alessandria.  Per  fortu- 
na, certo  patrizio  veneto  lo  soccorse;  ma  disgrazia- 
tamente, per  liberarlo,  lo  nascose  in  un  magazzino 
tra  balle  di  cotone  e  spezierie,  e  l'odore  del  pepe 
costrinse  l'infelice  a  starnutire  appunto  quando  en- 
travano là  dentro  alcuni  mercanti,  che,  manco  a 
dirlo,  lo  consegnarono  al  padrone.  E  passarono 
lunghi  mesi  e  triboli  avanti  il  riscatto  ;  avanti  che 
di  nuovo  Peregrino  premesse  il  suolo  di  Ferrara.  E 
non  v'era  giunto  da  molto  tempo  quando  apprese 
che  Ginevra  volevan  maritarla  a  un  altro.  Che  sor- 
te !  Di  speranza  in  disperazione  e  viceversa  !  Per 
fortuna  Ginevra,  come  le  ragazze  d'adesso  incapric- 
ciate in  chi  talora  non  ha  di  Peregrino  nemmeno  la 
costanza  o  le  gambe,  disse  chiaro  e  tondo  che  a  spo- 
sar quell'altro  preferiva  farsi  monaca  ;  e  disgrazia- 
tamente i  genitori  e  i  fratelli  di  lei  deliberarono  di- 
vagarla, allontanarla,  mandandola.... 

Dove?  Peregrino  non  riusciva  a  saper  dove!  Pe- 
regrino la  cercò  di  qua  e  di  là  :  finché  non  seppe 
più  a  che  santo  votarsi!  Che  fare?  Adesso  torne- 
rebbe opportuno  far  ballare  un  tavolino;  e  niente 
paura  ! 


Non  restandogli  che  a  sollecitare  tutti  gli  spiriti 
in  «divinatone»,  Peregrino  fece  press'a  poco  quel- 
lo che  nel  caso  suo  faremmo  noi  ora.  Al  diavolo, 
magari,   l'anima  :    ma  rinvenire  Ginevra  ! 

Egli  andò  prima  a  Firenze,  a  consultare 
un' «  antiqua  sacerdotessa  »;  poi,  non  pago  del  re- 
sponso, pensò  meglio  fare  una  corsa  in  Oriente,  la 
patria  delli  «veri  miracoli»;  non  l'avesse  mai  fat- 
ta quella  corsa  ! 

A  Costantinopoli  un  greco  lo  manda  a  Cipro  da 
un  monaco  di  nome  Teodoro  e  di  molta 
sapienza.    Questi    lo  invia   a   Damasco,   da   un 


LA    LETTURA 


eie  in 
ili  inferno  !  :  ecco  il  i 
Dani       ;    Virgilio  i 

anime  amorose  •  se  la 

ratii  ■Hi  verdi  e  in  vista  di 
iraantina  (cuore  delle  donne),  di  un 

ii7.i    immaginaria),    tra 

■  ii    di    anioni.    N'atural- 

;l  (  laviceo  trova  molti  si- 

•  .  quali  Lionello,  Nicolò  et 

,    i  ederìco  da  Urbim      I  'isimo  De 

-     ■      Bentivoglio,   tutti   t modesti»,   s'in- 

si>  e  fvirtuosii  sebbene  in  compagnia 

ualcuno  che,  come  farlo  da  Sogliano,  per  qual- 

bl      fama  noi  tanza 

-  \  ini  .ira». 

gni   modo  ques  5a   agl'Inferi   non   In 

v|   mito  p  neh     \     precipitò  anche  un'ani- 
ma  la  qu  i  tizzo  a  Peregrino  dove  troverebbe, 

un  giorno,  la  sua  donna.  E  di  ritorno  in  Italia 
|>er  la  via  dell'India  maggiore,  del  Cairo,  di  Rodi 
(  reta,  egli  tu  li  lì  per  arrivare  al  luogo  designa- 
arrivò  a  Rimini  dove  Elisabetta  Gonzaga  l'ac- 
colse a  udir  novelle  e  a  definir  questioni  psicologi- 
che.  Ma  purtroppo   il   destino  di  viaggiare  lo  tra- 

balzò  di   là   tino  a   Lisi ,i.  e  ancora   schiavo!  Il 

eretto  aveva  ben  ragione  di   dar  questi  suoi  con- 
ilo: 
«Il  mio  esercitio  è  stato  Amore;   per  il  quale  io 
M>n  catti-  tu  vedi  et   io  sento  et  provo.   Mi- 

sero   me,   che   tro]  "do   amai!    Misero   me, 

che  tutti   li   celesti  ardori    in   me  albergai  !    Misero, 
che  tra  nevi,  geli  et   pruine  sudo'.   Misero,  che  tra 
Idi  venti  nudo  me  riscaldo!  Misero,  che  a  tanto 
ardore  non  gli   <'■  ne  fine,  né  termine,  et  ancora  che 
l'oceano  de  continuo   ni;     respargesse,    non    smorza- 
rla la  millesima  parte  de  le  mie  faville!  Io.  signo- 
rnò una  dea.   alla  cui   dolce   et  suave 
siietudine  cederia  la  frigia,  et  Libia,  et 

tutta    la  greca    armonia.    Dopo    li    patiti   ineffabili 


Libro    III. 


l'oliente,    lustrato    l'inferno....    da 
questa  barca,  ove  io  son,  fui  cattivato!»  . 

:  il., p.,  un  ultimo  giro  vizioso  dal  Torti- 
gallo  a  Genova  <■  da  Genova  in  i  :iino 
arrivo  al  mio  termine:  .1  Ravenna.  Ivi  si  recò  a 
un  convento  e  da  una  conversa  di  nome  Rufina 
appese  che  tra  le  monache  stava,  per  far  vita  con 
loro,  una  giovane  forse  lei?...  Ma  si- 
curo! Ginevra!  Ci  voleva  poco  ad  accertarsene; 
a  il  riconoscimento  appare  non  dubbio  anche  a  noi 
dal  dialogo  1  he   segui    in   tal    guisa: 

Peregrino.  —  (  he  forma  è  la  sua  (della  gio 

Rufina.  —  Né  più  insta  1  reare  natura  la  p 

Peregrino.   —    La  faccia? 

Rufina.  —  Lavata,  rutilante  e  non  fucata. 

Peregrino.  —  Il  colore? 

Rufina.  —  Di  gemma  orientale. 

Peregrino.  —  Il   captilo? 

Rufina.         Nero,   lungo  et  crispante. 

Peregrino.  —  Lo  occhio? 

Rufina.  —  Lampeggiante. 

Peregrino.    —  La  età  ? 

Rufina.   —  Anni  dexenove. 

Peregrino.  —  Il  naso? 

Rufina.  — ■  Purgato  et  bello. 

Peregrino.  —  La  bocca  ? 

Rufino.   —  Mondissima. 

Peregrino.  —  Il  dente? 

Rufina.  —  Bianco  et  nitide. 

Peregrino.   —  La   gengìa  ? 

Rufina.  ■ —  Mortificata,  non  tumida,  non  sangui- 
nea, non  sporca,  non  concreta  a  guisa  di  calcina, 
non  negra,  non  lorda.... 

E'  proprio  lei:  Ginevra!  Si  rivedono,  felici,  gli 
amanti;  si  trovano  insieme,  grazie  all'indulgenza 
della  badessa  ;  e  si  celebrano  le  nozze  dentro  e  fuori 
il  monastero,  la  sposa  vestita  di  ninfa  e  lo  sposo 
da...  cacciatore.  Alla  festa  non  può  mancare  una 
giostra  ne  la  disputa  «se  più  ami  la  donna  o  l'uo- 
mo». Ma  ecco  che  dopo  nove  mesi  —  e  il  pei 
si  capisce  —  la  moglie  di  Peregrino  muore:  mur- 
re di  parto,  anche  perchè  ella  simboleggia  «la  an- 
sietà et  procella  dell'humana  vita». 

La  felicità  è  breve  ;  miracolo  se  dura  nove  mesi  ! 
E  tutto  questo  romanzo,  tutta  questa  erudizione 
ladra,  tutta  questa  badiale  rettorica  servì,  chi  io 
crederebbe?,  a  un'intenzione  buona.  Come  la  gioia 
ilellumanesimoera  caduta  nelle  strette  sensuali  del 
nastero  di  Ravenna,  il  simbolo  femminile  pe- 
riva nella  moralità  chiesastica  che  l'umana  felicità, 
«  per  tanti  travagli,  per  tanti  perigliosi  anfratti  r 
diuturnità    di    tempo   acquistata,    sì  rato    passa!». 

In  conclusione,   dal  romanzo,  dedicato  a   li 
rre/  l,    se   fu    feliee  quando   lo   1 

imparai    qualche   savia   cosa  ;    come    noi.   ini  • 

parare  che  non  sempre  è  giusta  e  du- 
ratura l.i  gloria  di  romanzi  italiani  famosi  in  Italia 
e  tradotti  all'estero! 


Storia   d'un    campanile 


NEL      M  U  SEO      D 


DUOMO      DI      SIENA 


Nel,  mio  articolo  sui  «  Campanili  Medievali  d'I- 
talia» (i),  parlando  del  campanile  di  Santa  Maria 
del  Fiore,  mi  studiai  di  sfatar  la  leggenda  che  esso 
fosse  di  Giotto,  misi  in  evidenza  il  nome  del  suo 
erettore  più  importante,  Francesco  Talenti,  e  di- 
chiarai che  nell'Opera  del  Duomo  di  Siena  esiste 
il  disegno  di  un  campanile  che,  se  non  è  di  Giotto, 
è  coevo  a  Giotto  ed  «  ha  tutto  il  tono  di  quello  ini- 
ziato da  tal  maestro  a  Firenze  ».  Fra  gli  studiosi 
ciò  è  sufficientemente  noto,  ma  nel  pubblico  non  è  ; 
e  poiché  mi  sono  procurato  la  fotografia  del  dise- 
gno senese,  la  offro  riprodotta  :  il  lettore  può  quin- 
di confrontare  l'originale  e  il  disegno  e  sarà  col 
pito  dall'analogia  che  coTre  fra  questo  e  quello,  a- 
nalogia  la  quale  aumenta  di  mano  in  mano  che  l'e- 
same si  fa  minuto  e  ragionato. 


Il  disegno,  entro  opportuna  cornice,  trovasi  ap- 
peso  nell'ultima  saletta  del  Museo  di  Siena,  accanto 
a  quello  della  facciata  di  San  Giovanni,  opera  di 
Giacomo  di  Mino  del  Pellicciaio,  e  si  credette  da 
qualcuno  che  esso  fosse  il  progetto  del  campanile 
pel  Duomo  di  Siena,  cosi  si  die  allo  stesso  autore 
della  facciata  di  San  Giovanni  e  la  sua  grandezza, 
la  sua  buona  esecuzione,  i  suoi  colori,  la  sua  buona 


(li  Lettura  pag.  .;6s.  Ne  furono  smarrite  le  bozze  in- 
viate da  Siena  a  Milano  e  l'articolo  venne  fuori  un  po' 
sciupato  da  errori  tipografici;  uno  almeno  va  corretto. 
Nella  nota  i  a  pag.  394  si  indica  il  campanile  di  S.  Maria 
dell' Arcevia  a  Roma  ■  <  he  passa  per  il  più  bello  della 
città  »,  ma  non  delPArcevia,  dell'Anima  deve  dirsi. 


conservazione  ne  fanno  un  documento  oltremodo 
prezioso. 

Prima  di  esaminarlo  ricordiamo  che  il  campa- 
nile di  Santa  Maria  del  Fiore  comincia  in  un  modo 
e  finisce  in  un  altro  ;  precisando,  dirò  che  contiene 
tre  pensieri  differenti  ;  il  primo  rappresentato  dalle 
due  regioni  basamentali  con  formelle  rettangole  di- 
sposte nel  senso  dell'  altezza  ;  il  secondo  rappre- 
sentato pure  da  due  regioni,  la  superiore  caratteriz- 
zata da  una  fila  di  nicchie  e  da  due  pilastrelli  in- 
termedi e  smussati  che  non  hanno,  nella  base,  un 
principio  e  non  hanno  in  cima  una  fine  od  innesto; 
il  terzo  pensiero  è  rappresentato  da  ciò  che  rimane 
del  campanile,  la  parte  principale  e  più  estesa  che 
sbocciò  tutta  d'un  pezzo  da  una  sola  mente. 

Ciò  che  notasi  nel  campanile  di  Santa  Maria  del 
Fiore,  non  vedesi  pertanto  nel  disegno  di  Siena, 
la  cui  analogia  col  campanile  di  Firenze  è  dimo- 
strata luminosamente  dal  tono  della  costruzione  e 
dalla  identità  del  basamento:  difatti  trattasi  di 
due  campanili  isolati,  ornati  ambedue  collo  stesso 
sistema  policromo  più  vario  e  pittoresco  nel  cam- 
panile di  Santa  Maria  del  Fiore  che  nel  disegno 
di  Siena,  ma  appartenenti,  l'uno  e  l'altro,  allo  stesso 
genere  ornamentale.  Né  ha  poco  peso  la  identità 
del  pilastro  smussato  e  non  poco  importanza  hanno 
le  misure,  anzi  queste  hanno  un  interesse  supremo 
e  giova  precisarle:  giova  precisare  l'identica  lar- 
ghezza di  25  braccia  de'  due  campanili,  l'eseguito 
e  il  disegnato,  la  stessa  proporzione  dei  pilastri 
smussali,  la  medesima  proporzione  nelle  parti  del 
basamento,  lo  stesso  gusto  degli  ornati  musivi  nelle 
fascie,  e  lo  stesso  identico  carattere  dei  profili.  E 
curiosa  cosa!  entrambi  i  campanili  contengono  una 


>l(l 


LA    LETTURA 


n    [uello 
:.:   seo  nda   i 

S    na  l'ultima  i'he 
i  'ultima  regione,  nel  di- 
dal    qua- 
li, e  s<  nza 
inoltre  una  rej  da  ui 

secondo 

i    e  di  S.mia  Mai  ia  del   !■  io> 
m  impanile  ne  sia  sguernito 
esi  luna,  inorganici,  r  ni  n  vale  neani  I it- 
ili.- del    campanile   'li 
o  dal  Talenti.  Par- 
I  ultima   ;  del  io  se- 

nta d'un    in    ta  che  volli    i  bellarsi 
delle   regioni   sottostanti;   mentre  tutto 
il  resto  è  peri  i    '  mogeneo  ;   se  qualche  let- 

sse  delle  riserve  sul  mio  u  i  ippia 

che  non  è  Unito  e  l'originale  lo  dimostra 

i.i  mia  piccola  riproduzione. 
1 1  fatti,  sive  delle  due 

I  rim  n    (parli    del  disegno)  o  111    altre,  que- 

altre  non  corris]  die  prime,  perchè  sguer- 

nite  d'ornati,  ma  è  indubitato  e'  egli  ornati  dovevano 
i   nu. in-  il  corredo  decorativo  alle  linee  architetto 
niche,  le  quali  oggi,  nel  disegno,  appa    no  i 

N  è  [«  ssibile  che.  ad  esempir,  ie 
•lue  bifore  della  regione  sottostante  al  terrazzino, 
isero  essere  poveramente  circondati  da  ima  su- 
perficie spoglia  d'ornamenti  come  qui  si  vedono, 
tanto  più  quando  si  consideri  la  ricchezza  che  cir- 
conda la  monofora  della  terza  regione;  perciò 
a  dire  che  il  disegno  senese  è  finito  soltanto  nelle 
due  prime  regioni,  si  dice  una  verità  la  quale  non 
PUÒ  l  -si  i  Idi  na.    Una  prova   di   ciò   potn  li 

be  essere  anche  la  tinta  d'acquarello  agli  smussi  a- 
derenti  alla  superficie  del  campanile,  tinta  la  (male, 
al  di  là  delle  ih:e  prime  regioni,  non  esiste,  \r  giu- 
rerei che  fossero  finite  nemmeno  queste  due  prime 
regioni,  perchè  non  so  comprendere  tutte  le  for- 
melle esagonali  bianche,  non  so  comprenderle  sen- 
za ornamenti,  mentre  quelle  del  campanile  di  San- 
•  -   Maria  del   Fiore  contengono  delle  sculture. 


ne  mai  il  disegno  è  incompleto,  lo  dirà  chi  in- 
tigni la  storia  i  hi    ,  otrebbe  fare  be- 
"1"    '1    "                 i    Lisini,    attuale    sindaco    di 
quell'Archivio  di  Stato;  io  roti- 
mi ha  preceduto,  il  De- 
i  be  il  ili  egno  dì   Siena  è  d'un 
che    d'un    architetto   ,-    contiene 
:  :  cabili.    Per  i 
pio:  la  bifoi                      ie  bifore  ao  oppiate 
aichitettonicamente    diì  lessun 

della  sua   arte,  avi  a  quelle 

finestre  dei  pinnacoli  i  ■ 

inge- 
'!""■'  composta 

I  ultima   i  .  [panile,   la  rej 

delle 


contraddizione  si  riafferma  nell'ultima  regione lo 

dissi  —  ove, oltre  al  passaggio  arbitrario  del  quadrato 

a  lunghezza  delle 
una  stonatura  marca- 
rissima  che  un  architetto  non 
avrebbe   forse  >■ nesso. 


I  i    ragioni   che  si   tratti  di 
un  disegno  relativo  al  campa- 
nili- di    Santa  Maria  del  Fio- 
re,   sono  oggi    induttive,     ma 
gli    elementi    positivi     che    si 
raccolgono    sono    però    molto 
importanti,  ed  è  difficile  il  pro- 
vare  che  non    si  tratti    di   un 
i lis.  uno   che  o    poco   o   molto 
ha   relazione  col  campanile  di 
Firenze,  e  d'un  disegno  fatto 
ido    il    campanile    stesso 
era  incorso  di    lavoro.   Il   tono 
rale,    le    misure,   il    basa- 
,  la  ricercatezza  di 
tiva      dei      pilastri     smussati, 
quella  del  basamento,  coi  ret- 
tangoli e  le  formelle  esagona- 
li, tutto  ciò    costituisce    una 
serie  di   elementi   che  conferi- 
scono   serio  fondamento   all'i- 
potesi che  il  disegno  di  Siena 
riproduca    sostanzialmente    il 
pensiero  grottesco  del  campa- 
nile di   Santa  Maria  del   Fio- 
re e  l'esser  esso  disegno  forse 
d'un  pittore  e   non   di   un   ar- 
chitetto, forte  nelle  discipline 
tecniche  dell'arte    sua,   dà   un 
nuovo  colore  simpatico  a  tale 
i  jx  >tesi. 

La  storia  insegna  che  Giot- 
to morì  che  il  campanile  era 
pochissimo  avanzato,  non  era 
più  in  là  della  prima  decora- 
zione a  formelle  rettangolari 
e  esagonali,  precisamente  quel- 
le che  nel  campanile  eseguito 
e  nel  disegnato  sono  eguali  ; 
e  questo  fatto  significativo 
concorre  a  fortificare  l'ip 
predetta. 

(  oiiiunque,  l'abbandono  del 
disegno      fu      provvidenziale; 
perchè   il   campanile  di    - 
Maria  del    Fiore,    qual    vi 
o  a  fianco  del  1  lui  m 
[•'irenze,   è  di   gran    lunga  su- 
periore  a  quelli 
e    la  stonatura    che   esso   con- 
tiene è  meno  visibile,   ani 
occhio    esercitato,     di     quella 
che  esiste  nel  disegno. 


Alfredo  Melani. 


SOMMARIO     :> 


Romanzi  e  Novelle.  —  Le  novelle  del  dolore  (Giovanni  Diotallevi). 

Poesia.  —  L'Ecclesiaste  (Vincenzo  de  Lisio).  —  Le  Selve  di  Angelo  Poliziano  recate  in  versi  italiani  (L.  Grilli). 
Linguistica.  —  Passatempi  filologici  (Costantino  Arlia). 

Sociologia.  —  Attraverso  i  nostri  tempi  (Geremia  Bonomelli).  —  L'unico  mezzo  (Leone  Tolstoi). 
Biografia.  —  Giacomo  Zanella  (Fedele  Lampertico). 

Storia.  —  La  prigionia  del  re  Enzo  a  Bologna  (Lodovico  Frati).  —  Storia  di  Carlo  Emanuele  I  (Italo  Raulich). 
Geografia  e  viaggi.  —  Sul  limitare  dell'  India   (Alfonso   Lomonaco).  —  Da  Chiavenna  a  San  Maurizio  (Fran- 
cesco Azzi). 
Belle  Arti.  —  Arte  e  artisti  toscani  dal  1S50  ad  oggi  (Anna  Franchi). 
Opere  varie.  —  /  miei  tempi  (Angelo  Brofterio). 


Romanzi  e  Novelle. 

Giovanni  Diotallevi:  Le  novelle  del  dolore. 
(Milano,  Società  editrice  «Poligrafica»),  L.  2.  — 
Meglio  che  Novelle  del  dolore,  questo  libro  si 
dovrebbe  intitolare  Novelle  del  terrore,  o  anche  del- 
l'orrore. Xella  prima.  Forse si  narra  la  spaven- 
tevole istoria  di  un  uomo  che  muore,  ma  il  cui  spi- 
rito sopravvive  alla  morte  del  corpo,  in  modo  tale 
che,  con  lo  spirito  ancora  vivente,  egli  assiste  ai 
propri  funerali  ed  al  proprio  seppellimento,  e  poi 
sale  per  gli  spazi  e  li  percorre  in  tutti  i  sensi  e 
precipita  verso  la  terra,  e  da  ultimo  si  desta  nei 
proprio  letto,  dove  s'accorge  d'aver  fatto  un  sogno 
pieno  d'incubi  forse  rivelatori  di  verità.  Xella  se- 
i' nila  una  donna  consente  di  andare  in  barca  con 
1  uomo  che  l'ama,  e  che  ella,  da  quanto  pare,  ria- 
ma ;  ma  quando  egli  le  chiede  la  prova  dell'amor 
su...  ella  lo  eccita  a  dilungarsi  ancora  dalla  riva, 
ancura  più.  finché  nella  notte  e  sulle  onde  scon- 
■  lo  schifo  è  in  pericolo;  e  allora  egli  tenta  di 
ritornare  a  terra,  di  ammainare  la  vela  ;  ma,  senza 
dire  una  sola  parola,  guardandolo  con  occhi  sbar- 
rati, avvinghiandosi  come  un  polipo  a  lui.  ella  gli 
impedisce  di  compiere  il  disegno  ;  ne  segue  una  lot- 
ta violenta,  la  donna  cade  in  mare  e  trascina  con 
sé  l'uomo:  egli  si  salva  afferrandosi  a  un  remo,  ma 
il  cadavere  di  lei  lo  perseguita  ancora  finché  l'e- 
quipaggio di  una  barca  trae  il  naufrago  a  salva- 
mento. Xella  terza  gli  orfanelli  d'un  guardaboschi 
si  perdono,   per  la  malvagità  d'un   nemico  del   pa- 

La  Lettura. 


dre,  nella  solitudine  dei  campi  deserti,  nella  notte, 
sotto  la  bufera,  finche  una  di  quelle  creature,  la 
sorella  maggiore,  è  trovata  stecchita  dai  due  fratel- 
lini orfani  una  seconda  volta.  Xella  quarta  si  de- 
scrive l'estremo  supplizio  d'una  belva,  d'un  mostro 
umano  squartatore  di  donne.  Solo  la  quinta  ed  ul- 
tima è  un  idillio,  triste  bensì,  ma  quasi  soave  dopo 
tante  atrocità.  L'autore  ha  una  fantasia  molto  vi- 
vace che  gli  consente  di  immaginare  e  di  rendere 
l'angoscia,  il  raccapriccio,  il  ribrezzo,  l'orrore  e  il 
terrore  degli  egri  sonni  e  della  follia  :  peccato  che 
ne  abusi  un  poco,  fino  a  trasgredire  talvolta  le 
stesse  leggi  del  buon  gusto  ;  perchè  anche  il  let- 
tori-, come  uno  dei  personaggi  di  queste  novelle, 
prova  la  necessità  di  liberarsi  dall'incubo.  Anche 
la  forma,  d'ordinario  molto  efficace,  riesce  qua  e  là 
molto  strana,  faticosa,  esagerata.  Con  una  mag- 
giore semplicità,  con  una  più  amabile  ispirazione, 
1  autore  raccoglierà  certamente,  e  speriamo  presto, 
lodi  e  plausi  senza  riserve. 

Poesia. 


Vincenzo  de  Lisio:  L'Ecclesiaste. 
lino.  De  Arcangelis).  —  Le  dodici  Concioni  del  Co- 
ltele/// attribuite  al  re  Salomone  hanno  trovato  nel 
1  le  Lisio.  già  esercitatosi  a  mettere  in  versi  il  Can- 
tico dei  Cunlie.'.  un  adattatore  poetico.  Egli  avverte 
d'aver  seguito  la  Vulgata,  d'essersi  servito  delle  tra- 
duzioni letterali  del  Diodati,  del  Martini  e  dell'I)- 
stervald  ;  d'aver  chiesto  aiuto  a  dotto  abrei  e  d'aver 
consultato   i    commentari   e    le    interpretazioni    del 


8iH 


[.A    l.KTTUKA 


D 

■:  ente  necessarie,  ed  al- 
indispensabili  se  l'au 

indizione  ; 

inchi    i  p  i  i  di   poesia 
d'ordinario  tante  cure    [uan 
incora  di  più  nel!  <  | 
i ma  italiana  che  il  De  Lisio  ha 
data  all'altissima   p  I         1  non  i    tali    che  si 

senz'alti        Essa    raggiunge    tal- 
li,, ,  rado  di   ni  biltà  e  di  calore  .    ma   d  sta 
altra,  1   non  vi  mancano  ai 
rture  1   bruttezze.  Ni  ri  sono  certamen- 
guenti: 

E  della  vita  qual  nel  cammin  corto 
1  ipra  convenga, 

e  questi  altri  : 

Di  quanto  gli  occhi  più  sentir  vaghezza 
D'appagar  non  trattenni, 

.    questi  altri: 

Qual  necessità  mai  sii  in{  e 
Il  misero  mortai  —  quando  ignoranza 
Del   inerto  stesso  di  sue  opre  —  in  questo 
Pellegrinaggio—  ove  passa  com'ombra  — 
Tanta  l'offende. 

L'autore  sa  vi    «  ti  sauri  »  e  1 1"   mpi  p  he  1  senza 

nessi)  --ita  'li  rima  i>  .li  metri  :  dice  anche, 

con    t\i'  ■  ne: 

non  so  chi  sarò  mai,  se  savio 
O  mi  insensato; 

E  si  lascia  sfuggire  il  verso: 

Svanir,  sciaguratamente.  E  l'infelice 

che  i  'guru  tanti  nii .  ili  di  dici  sillal>e. 

I  1  ini    Grilli:    /,    Selve  di   Angelo   Poliziano 

recate  in  (1  ittà  'li   <  fastello,   Lapo. 

1..  3.  -    L'autore  non  è  più  ai  suoi  primi  saggi  ili 

versione  dai   liriii  latini  dei  secoli  XV  e  XVI:  in 

'ir  successivi  volumi,   che  furono  e  sono  tuttavia 

lodatissimi,  ri  diedi    con  forbita  vesti    "ali. ma  gli 

i    idillici    'li   Man-Antonio    Flaminio,    le 

e  di   Jao  ipo  Sannazzaro  e  varie 

altre  poesie  del    Pontano,  del  Tebaldeo,  <■  'li  altri 

minori.    Wei  1  ravvivare  questa  chiara  e 

In  sca   e  dolce   vena    d'ispirazioni     \<    tica,   a    torto 

clini.  atO  il    primn  merito   del 

CriHi  ;  avei        101         •  aii.nin  studio  d'un  erudito 

squisito  1  d'un  p    ta        l ato  il  se- 

[uanto  e  possibile  al  testi  1,  che  le 

-   'piatirci  Selve  'lei 

Poli  1        |uelli      he  le  precedi 

-e    impaci  '".    ai ■  >    eli  .nauti 

pii'i  -  poesii    originali    ri  ti     iano    Mi 

che  tradurre  l'opera  dell'ani  .  egli  l'ha   ri 

1  un   parilo  ed   un  gusto  rarissimi.   Il 
da   II  (lami  eie    .  man  .da    I  si 

doro  de]  1  1,.  dotte  unte  di  quest'ultimo  il 

(  Irilli    le  imi,,  .-  .die  su,-   pr.  . 


LiNGUl  S  TICA. 


1  ostantino  Ajrlia:    Passatempi  li!<<l<>^ui.  (M 
Ubi  5i    ati  1    1  ,),  1..  ,v.s°-  ■      I  egregio 

filologo  die  insieme    CI  n    Pietro    1  .mi. mi    di 
hall. mi  amanti  di-Ila  li  ro  lingua   il   pn  zìi  •- 1  /  ti 
dell'infima  <  Ha   italianità,   continua   in    . 

e     .    di  questo  volume   la  anta  contro  la 

barbarli    dalla  quale  la  nostra   favella  e  ogni  j;i<>r 

li  -   più    illesa    ed    ini  asa.    In   un  '--ni  man.  di    ca] 

Un.    ai     nudi    ha    voluto   dar.,    perchè    riuscissero 
meno  aridi,  la  forma  ora  di  lettera,  ora  di  diali 
ma  di  narrazione,  egli  Inda  le  orridi    voci  stranie- 
re che  inquinano  il  moderno  linguaggio,  raddirizza 

lui  de  che  un    inveterati  i   mal    vezzi  -   ha    i,a 

storpiate,   condanna  i    mudi  di    din-  errati,  sp 
l'origine  e  dimostra   la   legittimità  'li   molti  altri  a 

tmlii    disusali.     Lo     sin, li,,,    la    semplii  3     di 

questo  libro,  che   insegna   garbatamente   tante 

e  talli  i   dubbi   risi  |\ .-.    ii,  e    pi  SSi  in     e   ni  ai   devi 

i Rilasciati  da  quanti  fanno  i 
ter  del  nero  sul  bianco;  perchè,  se  è  purtroppo  vano 
sperare  che    la     In.  ita    turni    alla    purezza 

delle  sin-   primi    fonti,  chiunque  si   accinga 
vere  ha  il  dovere  ili  conoscere  il  valore  delle  es] 
sioni  chi   adopera.  L'autore  ha  sempre  ragione  nel 
l'indicare  quelle  che  sono  sbagliate;  talvolta  si  pò 

irelilie    discutere    con     lui     interno    a    quelle    cu     le 
quali   propo li   sostituirle;    ma   I  ,  pera  sua  è  tutta 

i  del  più  vivo  plausi  »  e  i  diffusione   più 

Sociologia. 


Geremia  Bonomelli:  Attraverso  i  nostri  tempi, 
(Milano.  Cogliati),  L.  .5.50.  -     l     la  raccolta  delle 
I .etteie  pastorali    le]   preclaro  vesci ivo  di  Cren 
i       ,  ne   qua   e   là.  e   bene  intitolate   Attraverso  1 
i.ustn  tempi;    perch     di   questioni   ai  nostri    giorni 

universalmente  dibattute  s rre  in  quasi  tutte: 

della   beneficenza,  del   risvegli    religioso,  del  senti- 
menti 1  e  della    ferina   ni  -  "  aie.   del   progn 
della  morale,  del  divorzio:    una  sola    I 
lih-lla    che    liana    di  I     teatro,     s\,  Ige    un     ti 

ciale   -    meno    ri!  :vante,    sebbene  \  i    predi  mini   la 
stessa   idea   generali    espressa   in  tutto  il  lil>r.-:    la 
quistione  morali      ssere    la   prima    e    l'unica,   nelle 
manifestazioni  artistichi    come  in  tuti 
ciale.    V  11    occorri 

sii  nula  Ci  -il   idi  meni!  a    pan  la    d  il    Bi  nomelli 
cristiana.     Spirilo      lino  aperto    a    tutti 

liti    del     pensieri  1  ni  !       

questo  pensiero  tutto  quanto  la  sua   lede  pud  coll- 
ie  sei,/.,     abdicare,     anzi    ricevendone    nuova 
[orza  di    vita, 

politica,    il    liberale  prelato    non   lasi  r  le 

■  ioni  ,  li   lamentare  il  dissidii    l  uni  stani-  nte  im 
pi  i\,  rsante   nel    ro  1  1    la   religii  ne       il 

patriottismo  e  di   invocarne  il  coni  pini  mento. 

Nel   giudicare  questo  libro  non  bisogna    perdere 
di   vista  la    sua   speciale  natura  e  la   veste  dell  auto- 
re.   Se  talvolta  il    lettore  amerebbe  di   trovate   : 
lità   'd  alie//a   o   sottigliezza    ili  ' 
ietti,  e  un   più   rieri    apparato  di  erudizione,    - 


pure  rammentarsi  rhe  una  Lettera  pastorale  non 
è  una  lezione  o  una  disquisizione  o  un  trattato,  e 
che  quindi   la  materia  e   la   forma  debbono  essere 

adatiatf  al  popolo  cui  si  rivolge.  Ma  ad  ogni  pa- 
gina del  libro  si  sente  che  il  Bonomelli  ha  fatto 
forza  a  sé  stesso  per  scriver  cose  adatte,  non  ai 
sapienti,  bensì  ai  semplici,  ai  più.  Ai  fedeli,  cui 
sono  particolarmente  indirizzate,  egli  rammenta 
quali  doveri,  quali  principi,  quali  virtù  debbono 
professare  ed  esercitare;  ma  anche  coloro  .-he  prò 
fessano  fedi  o  dottrine  diverse  da  que"e  deììa.t- 
leggeranno  con  grande  proritto  queste  sue  pa- 
gine, per  i  nobili  sentimenti  e  lo  spir;to  equanime 
che  le  hanno  ispirate. 

Leone  Tolstoi  :  L'unico  mezzo.  (Genova,  Li- 
breria moderna).  —  E'  un  altro  di  quegli  opu- 
scoli  di  propaganda  che  il  filosofo  di  Jasnaia  Po- 
liana  pubblica  di  tinto  in  tanto  per  ribadire  le  sue 
.  Queste  idee  sono  note,  e  la  Lettura  ha  già 
dato  conto  di  altre  pubblicazioni  nelle  quali  il 
stoi  le  ha  significate.  Qui  egli  ripete  che  il  pri- 
mi errore  degli  uomini  è  stato  quello  di  aver  di- 
menticato il  divino  precetto:  «Agisci  verso  gli  al- 
ni come  tu  vuoi  che  gii  altri  agiscano  versori  te». 
e  che  l'unico  mezzo  di  porre  riparo  agl'infiniti  mali 
derivati  da  quell'errore  consiste  nel  rispettare  que 
sta  legge  «accessibile  a  tutti  gli  uomini  senza  di- 
stinzione di  razza,  di  fede,  d'istruzione  ed  anche 
di  età».  I!  filosofo  russo  vede  che,  quantunque 
i  semplice  e  comprensibile,  il  precetto  divino 
stati  compreso  ne  tanto  meno  posto  in  atto, 
e  ragionevolmente  se  ne  duole,  e  non  spera  nulla 
di  bene  finché  non  sarà  attuato;  ma  egli  non  vede. 
0  non  dice  che  una  legge  non  è  attuata  quando 
contrasta  con  un'altra  più  forte;  e  che  questa  più 
dura  e  disamabile,  ma  ineluttabile  legge,  è  quella 
che  condanna  tutto  il  mondo  vivente  alla  lotta  per 
l'esistenza.  Gli  uomini  possono  temperarla,  miti- 
garne gli  effetti  crudeli,  non  sopprimerla  ;  e  dire 
che  tutto  quanto  si  fa  è  niente  finche  l'ideale  evan- 
gelici ni  n  sarà  realtà,  più  che  incoraggiare  al  be- 
ne umanamente  possìbile  potrebbe  ingenerare  quel 
stiiso  di  pessimismo  disperato  e  <li  nihilismo  che 
non  a  torto  la  critica  ha  trovato  in  fondo  al  tol- 
stoismo. 

Biografia. 

Fedele  I.ampertico:    Giacomo  Zanella.  (Vicen- 
za, (ialla).  L.    2.50.  —  Questo  libro  di  ricordi  in- 
timo  alla   vita  e   di   critica  intorno  alle  opere   del 
gentile  poeta    vicentino  meritava    davvero,   per  Par- 
tito   m  !    lissimo    e  per   il    modo    nel   quale    è 
trattato,   l'onore  della  seconda  edizione  che  ora  ve- 
la  luce.    Il    maestro  di   Anton        1  1  gazzaro,    il 
cantore  della  Conchiglia,  esce  da  queste  pagine  vivo 
riante,  con  tutta  la  mitezza,  con  tutta   la  squi- 
za,  con  tutte  le  più  belle  e  rare  doti  dell'animo 
11  Lampertico  ne  narra  in  una  prima  parte  la 
Vita,  dalla  nascita  alla  morte,  dai  primi   studi  agli 
ultimi  giorni,   dal   sacerdozio  all'insegnamento,  dal- 
le  persecuzioni    politiche   agli    intimi  sconforti;    in 


I    LIBRI  S19 

una  seconda  enumera  ed  esamina  i  suoi  scritti,  i 
primi  componimenti,  le  prime  versioni,  le  maggiori 
poesie,  le  odi.  i  sonetti,  i  racconti,  i  versi  scherzosi, 
le  prose.  Traspare  da  tutto  il  libro  il  nobile  senti 
mento  di  devozione,  di  venerazione,  che  l'autore 
nutre  per  la   memi  ina  del  su.,  grande  amico. 

Stor  ia. 


Lodovico  Frati  :    /.,/  del  ri    Emo  a 

Bologna.  (Bologna.  Zanichelli),  L.  3.  --  Fatto  pri- 
gioniero alla  battaglia  di  Fossalta,  presso  il  ponte 
di  Sant'Ambrogio.  Re  Enzo,  il  Re  «biondo  e  bello  e 
ili  gentile  aspetto»,  fu  portato  e  custodito  durante 
ventitré  anni  a  Bologna,  dove  mori.  La  fine  pietosa 
del  giovane  disgraziato  eccitò  la  fantasia  dei  poeti  e 
del  popolo,  facendo  sorgere  leggende  (-he  il  Frati 
riferisce  prima  di  narrare  la  storia  precisa  e  prima 
di  trascrivere  i  documenti  e  le  testimonianze  con- 
temporanee che  la  confortano.  Uno  dei  più  curiosi 
capitoli  è  quello  nel  quale  l'autore  descrive  le  te- 
ste e  gli  spettacoli  commemorativi  della  battaglia 
di  Fossalta.  Fra  i  documenti,  notevole  è  il  com- 
mentario De  bello  mn 'me  il  se  di  Giovanni  Garzoni, 
ora  per  la  prima  volta  tratto  da  un  codice  della 
Biblioteca  Universitaria  di  Bologna.  Chiudono  il 
bel  volume  le  due  canzoni:  Amor  mi  fa  sovente,  e 
S'co  trovasse  pietanza,  e  il  sonetto:  Tempo  vene  k< 
sale  e  ki  scende,   attribuite  al   Re  disgraziato. 

Italo  Raulich:  Stona  di  Carlo  Emanuele  I. 
(Milano,  Hoepli).  Voi.  II.  L.  6.  —  La  poderosa  e 
magistrale  opera  del  Raulich.  iniziata  sei  anni  ad- 
dietro con  un  primo  volume,  nel  quale  era  narrata 
la  storia  del  duca  sabaudo  dall'assunzione  al  trono 
alla  occupazione  di  Saluzzo,  procede  con  questi 
secondo,  dove  sono  esposti  gli  avvenimenti  occorsi 
dall'occupazione  di  Saluzzo"  alla  pace  di  Yervins. 
Tutte  le  rare  qualità  che  fecero  preziosa  1  [nella  pri- 
ma parte  si  ritrovano  in  questa  seconda:  sodezza 
di  dottrina,  acutezza  di  critica,  sicurezza  di  infor- 
mazioni, novità  di  documenti.  La  figura  del  prin- 
cipe che  affrontò  le  maggiori  potenze  d'Europa  e 
lanciò  il  grido  dell'indipendenza  d'Italia  e  del- 
l'unione dei  suoi  reggitori  e  della  lotta  contro  lo 
straniero,  e  che,  sebbene  non  raggiungesse  l'in- 
tento, ne  preparò  il  conseguimento,  introducendo 
il  Piemonte,  due  secoli  prima  di  Cavour  e  .li  Vit- 
torio Emanuele,  nel  concerto  europeo,  è  messa  in 
quella  più  chiara  luce  della  quale  era  degna.  Au- 
guriamo che  il  nuovo  volume  non  si  faccia  tanto 
aspettare  quanti    questi     seo  ndo. 


Geo r, rafia    e   Viaggi. 

Alfonso  Lomonaco:  .Si/1  limitare  •dell'Ir, 
(Roma-Torino.  Roux  e  Viarengo,  L.  4.  -  Per 
giudicare  un  libro  di  viaggi  bisognerebbe,  prima 
di  tutto,  conoscere  i  luoghi  che  l'autore  descrive; 
senza  di  che  riesce  difficile,  per  non  dire  ini j,.  ssi 
bile  avere  un  criterio  intorno  alla  fedeltà  della 
descrizione.  E  chi  non  è  stato  a  Bombay  dovrebbe 
1  rodere  senz'altro  a  quanto  i]  dottor  Lomonaco  ne 
dice;    se  non  che.   prima   di  arrivare  in  India,    sai 


LA    LETTI  RA 


N    •  i"  '  Messina 

no  da   lui  des 
;  ira,   i  de  ingenera  un 

mpli,   le  torri,  i  costui] 

,.„,  ,.,,,;,  lebbono  offrire  ar- 

imi fondata  ed  ini 
l'au  i  ■  sagi  rato   i  im 

.   la  bellezza  delle  rap  damente 

ssere  creduto  pei  quel  che  narra 
,!,,  giro  ni  i   dei 

.    là  un  ] —  troppo.  Egli  non  ha  il  o 
re  dell'artista  ;    ha  piuttosto   la 
uida  erudita  che  nulla  si  lascia  sfug- 
alberghi  e  delle  razze, 
nera  e  della  storia,  del  movimento  delle 

o  delle  religioni.    L'elegante  volu- 
o  di  nitide  illustrazioni. 

Francesco  Azzi:   Da  Chiavenna  a  San  U 
(Samaden.   Tanner).  -     Il  libretto  è  scritto 
pei    invogliare    gli    Italiani   a  visitare  l'Engadina, 
della   qu  nto   enumera  e   loda    le   l>ellezze 

irali,   i    panorami,   i  boschi,  le  acque,   i  monti. 
dacciai.  Non  è  propriamente  una  guida,  perchè 
mancano   molte    indicazioni  necessarie  al  viag- 
i,i,.  meno  è  un  lavoro  d'arte.  Può,  ad 
ogni  ervire  a  coloro  che  si   recassero  lassù 

per    diporto  0   per  salute,    giacchi'.-    dà  un'idea  dei 
luoghi,  anche  grazie  alle  illustrazioni  che  lo  o  rr 
le  cure  che  si  possono  intrapren- 
i  speranza  di  buon  esito  in  quella  salubre 
vallata. 

Belle    Arti. 

Anna  Franchi:   Arte  e  artisti  toscani  dal  1850 
il  irenze,  Fratelli  Alinari),  L.   5.  -     Con 
uni  preferenza  per  Tane  tosi  ana,  l'au 

narra,   in   questo  elegante  volume,  l'evolu 
ainciata  intoni. >  alla    metà    del    secoli     scorso, 
eguendo   l'esempio  venuto  di   Francia,    1 
inoli  insorsero,  in  nome  della  lil>ertà  e  del 
la  verità,  contro  li  fredde  regole  dell 

Di     più    insigni  tra  questi  novatori,   a 
minciare  da  ni,  passando   per  il 

tori,  il  1  •  v     ci.   il   Sernesi,  il  De-Ticoli, 

il  Hauti,  il  Borrani,  il  Cabianca        m  n  ino  di 

ita  ma  '1  Cosi         M  ecioni,  l'au- 

trice ragiona  partitamente  Ione  la   vita,   il 

re,   1  contrasti,   le  lotte,  i  trioni!.   In  una  se 
1   sui   più   moderni 
poli   e  continuatori  di   questi    maestri:    il    Fei 
il  Testi,  il  Gannirci,  il  Faldi,  il  Sorbi,  i  due  Gioii, 
il  (".ceni,  il  Simi.  il  'l'orchi,  i!  Paro  tre  Tori 

cardi,   il  fornellini,   il  Kienerk,   il    Fa- 
.    il    Ciani,    il    Cambogi.    Innamorata    dell 

1  inchi   li  nza,  e 


correda   il   testo  di   nitide  riproduzioni   di  quadri, 
■  tocchi  in  penna.  Ella  dimostra 
,1,  possedere  belle  attitudini  alla  critica  e  alla 
ria  dell'arte,  le  quali  si  perfezioneranno  con  lo  stu- 
dio inno   tanto   più    apprezzate  quanto   n 
giori  cine  ella  darà  alla  forma. 

Opere    varie. 

Angelo    Brofferio:   /   miei   tempi.    (Tonno, 
1      ,   1,.  3,  \  eira  di  Tommaso  Villa 

I  1  .  ilimberti,  gli  editori   Streghe 
intraprendono  una  nuova  edizione  delle  migliori  ..- 
p.  n-  ,li  Angelo  Bri  ente- 
simo  anniversario  della  sua  nascita.  Danno  essi  il 

pri posto  a   quella    Ira    li  dello    scrii 

piemontese  che,   pi  lui  uli  11 

l'autobiografia  intitolata  /  miei  tempi,  della  quale 

e  oggi  il  primo  volume,   pn 
ve  notizia  del  Villa   e  dalla   commemorazione  del- 
l'autore   pronunziata    da     Francesco    dall' On^ 
Certo,  questo  e   il    libro  che   più  fedelmente  e   più 
compiutamente   rispecchia  le  qualità  dello  scrii 
le  doti  dell'uomo  e  il  carattere  dell'età   in  cui 
I     pi  ichè  qui  sta  età    fu  quella    forti  1    du- 

rante la  quale,  in  mezzo  a  tanti  errori  ed  eroismi, 
a  tante  colpe  e  sacrifizi,  si  vennero  preparando  i 
nuovi  destini  della  patria  italiana,  la  lettura  del 
libro  sarà  fruttuosa  d'insegnamenti  alle  nuove  ge- 
ni razioni  che  lo  sconoscono.  Questo  primo  volume 
va  dalla  nascita  dell'autore  ai  primi  giorni  passati 
nel  collegio  d'Asti;  e  che  la  narrazione  d 
accadute  in  così  breve  tempo  della  prima  fanciul- 
lezza occupi  circa  cinquecento  pagine,  dimostra  con 
quanta  attenzione  l'autore  si  fermi  sopra  ogni  par- 

.    me  colga  ogni  occasione  per  dilung 
e  digredire  dal  tema.  E'  un  merito,  jierchè  la  nar- 
razione ne  riceve  varietà,  luce,  calore;    ma  e  anche 
un    difetto,   iK-rehè    non    tutte    le  cose  narrate    sono 
degne  di  storia,  né  tutte  le  digressioni  e  tutti  i  ■ 
menti  sono  egualmente  e  sempre  piacevoli.  Ma 
pi  1.!   ì    quella  che  è;    e  così   o  m'è  meritava  si 
Ini, l.io  d'esser  tratta  dall'obblìo  nel  quale  già 
da  troppo   tempo.    I    successivi    volumi,  nei    quali 
l'autore  parlerà  delle  cose  viste  ed  operate  in 
ventù  e  nella  maturità,  saranno  senza  dubbio  n 
più  importanti;   e  già  in  questo  primo,   per  via  di 
figure  singolarissime,  di  macchiette  gustose,  di  a 
doti  significanti,  il   vecchio  Piemonte  dei   primi    ni- 
ni del  secolo  XIX.  invaso  dai   I  1 

II  i.   diviso  tra  liberali  e  retrivi,  tra  democratici 
e  regi,  cn  le  città  che  si  costituivano  a  republ 

e  le  campagne   dominate  dai    banditi    pai 
per  i   nobili  e  i  preti,  è  dipinto  in  modo  etnea 
in,,.   Stanca  un   poco  talvolta   il  tono  ostinatami 
umoristico  della  narrazione;   ma  abbondano  li 

schiettamente  argine.  Ce  111 
di  notizie,  di  ,  ni,  di  citazioni  erud 

tiche  ;   e  se  l'autore  ha  le  sue 

ò  ni  cieco,  né  ingiusta 


li    li 


SOMMARIO     S3~ 


Le  ferrovie  bizzarre,  pag.  S21  —  La  scoperta  d'una  necropoli,  pag.  S22  —  Le  braccia  della  Venere  di  Milo,  pag.  823 

—  La  casa  degli  animali  a  Calcutta,  pag.  S26  —  Danze  sacre  e  profane,  pag.  S27  —  Una  pianta  carnivora. 
pag.  827  —  Le  truppe  alpine  svizzere,  pag.  S2S  —  In  lotta  col  mare,  pag.  831  —  Il  viaggio  d'una  goccia 
d'acqua,  pag.  S33  —  Gli  affreschi  di  Bramante,  pag.  S42  —  Una  città  sui  trampoli,  pag.  844  —  Leoni  dome- 
stici, pag.  847  —  Bagni  di  mare  e  nuoto,  pag.  S49  —  Tra  furti  e  scassi,  pag.  850  —  Una  intervista  macabra,  pag.  853 

—  Che  cosa  contiene  l'uomo,  pag.  853  —  Arazzi  e  gobelins,  pag.  854  —  Forza  e  salute,  pag.  855  —  Tra  i 
pompieri,   pag.  8óo. 


Dalle  diligenze  del  1830  ai  convogli  ferroviari 
c'è  una  distanza  enorme  ;  ma  le  strade  ferrate  che 
noi  conosciamo  e  adoperiamo  saranno  presto  lascia- 
te molto  indietro  dai  nuovi  mezzi  di  trasporto  esco- 
gitati dalla  moderna  ingegneria. 

Il  costo  delle  ferrovie  è  molto  alto  a  causa  della 
la  che  bisogna  aprire  per  collocarvi  le  due  ro- 
taie ;  per  misura  d'economia  un  ingegnere  fran- 
cese, il  Lartigue.  costrusse,  nel  1888,  in  Irlanda, 
una  via  ferrata  ad  una  sola  rotaia,  che  funziona 
quotidianamente  ed  ottimamente  nella  contea  di 
K'-rrv.  tra  Listowel  e  Ballylmni<.n.  superando  una 
distanza  di  16  chilometri.  L'unica  rotaia,  a  un  me- 
tri) dal  suolo,  è  sorretta  da  un'armatura  metallica 
solidamente  fissata  al  terreno  :  armatura  e  rotaia 
ne  seguono  tutti  gli  accidenti,  quindi  non  più  scar- 
pe, non  trincee,  non  gallerie,  non  viadotti.  La  mac- 
china che  tira  i  convogli  è  composta  di  due  caldaie, 
di  due  locomotive,  unite  l'urta  all'altra,  e  poste, 
nella  linea  di  congiunzione,  a  cavalcioni  sull'unica 
rotaia;  a  cavalcioni,  «in  sella»  a  questa  rotaia 
stanno  anche  i  vagoni,  mediante  una  larga  scana- 


latura praticata  nella  loro  parte  inferiore.  Sic- 
come le  loro  pareti  scendono  fino  al  suolo,  resta 
evitato  il  pericolo  che  si  possano  rovesciare.  Li- 
st ruendo  i  campi  in  tutte  le  direzioni,  senza  possi- 
bilità di  passaggi  a  livello,  questa  linea  riusciva 
però  d'impaccio  alla  libera  circolazione  degli  altri 
veicoli  e  delle  persone  ;  per  rimediare  a  questo 
inconveniente  si  ricorse  a  un  semplice  e  ingegnoso 
sistema  di  ponti.  Dei  pilastri,  ai  due  lati  della  via. 
sostengono  la  metà  del  piano  del  ponte,  mobile  co- 
me quello  dei  ponti  levatoi,  per  mezzo  di  gomene 
e  di  pulegge.  Al  passaggio  del  treno,  si  abbassano 
le  due  metà,  che  vengono  a  combaciare  ;  poi  si  rial- 
zano per  lasciar  libera  la  via. 

Costruita  col  sistema  ordinario,  la  ferrovia  Li- 
st. wel-Ballybunion  sarebbe  costata  3  milioni  ;  a 
questo  modo  la  spesa  si  è  ridotta  a  75  mila  fran- 
chi. E  già  un  altro  ingegnere,  il  Behr.  propone  di 
costruire  un'altra  ferrovia  a  una  sola  rotaia,  da 
Lnerpocl  a  Manchester,  per  una  distanza  di  200 
chilometri  che,  grazie  alla  trazione  elettrica.,  sarà 
percorsa  in  meno  di  un'ora,  con  una  spesa  di  soli 


LA    LETTURA 


..  consultato  sulla 
l*-r 
I 
Speranza,  ha  ma  della  ri  *aia  u- 

i  centro  del  continente  nero. 

ra  ]'iii  strana  è  stata  costruita 

• .  -.     .  n  nana,  i  ra    Baimi  n     i j    lì 

ai    la   valle  del   Wupper,  che  divide 

ttà    industriali,   è   troppo  stretta,   un 

-;      Norimberga,    il    Langen,    pensò    'li 

-n!   fiume,  \  isti i  eh 

li    spazii    disi»  nibile.    Tra   le  due 

ruì  un'armatura  'li  rmata  'li  tanti 

di   \    rovesi  iate,  a  n  le  due  gambe 

m    rive  del  fiume.  Un  i     n        trave 

i: una  spei  i  '  ■     ora    lungi  i  la  linea 

ili  a  me  'li  questi   sostegni;   r  sulla  travi 

Dente,    le  due   ruote   poste  nella 
parti-  superiore  dei  vagoni.   Pendenti  dall'armatura, 
a    io  metri   d'altezza  sul   fiume,   questi   carri   scor- 
ri ii"  nte,   pero  rrendo   tutta    la    linea, 
che  è  lunga   13  chilometri,  in  25  minuti.  Le  stazio- 
ni   si>nu  ani  h'esse  aeree,   e   vi   si   accede  mediante 
Ni  !  casi    che  le  cui  te  -1  sta  casseri  1  dalla  n>- 
taia,  delli  di   branche  afferrerebbero   il   va- 
1         iea,  inaugurata  l'anni,  so  ir 
stata    15  milioni. 


ni  pensili  sono  mossi  dall'elettri  .  1 
in  altri  casi,  quando  la  rotaia  aerea  segna  un  pia- 
no inclinato,  li    locomobili  cariche  corrono  da  sole. 
m\ ita,  e  nel  discendere  lamio  ri- 
salir. , a   parallela,  quelle  vuo- 
te    I'    coli     li  rrovie  «li  questo  genere  si  trovano  un 
)bi    da  ]kt  tutto;    ci    n'è  una  finanche  in  Cina,  a 
ng,    per   il    trasporto   .lei    prodotti    agricoli 
anche   dei    cooltes   e   dei    sorveglianti,    i    quali 
1  rendono  i>osto  a  due  pei  volta  nei  minuscoli  vago- 
ni.  Particolarmente  nelle  miniere,  il  sistema  è  mol- 

doperato:    in  quelle  di   Antonienhiitte  (Sii 
Ci    una   linea  di  tre  chilometri   per  il  trasponi,  del 
ne;   a  Holzhausen,  presso  Cassel,  e  a   Briihl, 

presso  ('"Ionia,  la  lignite  scende  COSÌ,  per  via  aerea  ; 

la  pii  Pinerolo,   il    ferro  di  ] 

Banos   in    [spagna,    il    minerale  aurifero   ili    Sheba, 

ui    \  1  ri,  a,  51  -no  ;  rasportati  con  lo  stesso  n 
».  La  più  h  el  i         quel!     spa 

gnuola  delle  miniere  d'Almeria,  che  va  dalla  mi  n 
taglia  di  Bedar  al  porto  di  Carni' ha:  misura  [6 
chilometri  ita   650  mila  franchi,   facendo 

mia  del   75  00.  ( )ltre  i  20  chi- 
lometri   questi-    ferrovie    non    potrebbero   andai 

11  tecnico  ingli  neri    Eialford,  ha 

to   di    adottare    in    grande    il    sistema.     Egli    0 
le  a   quella    da    Bai 
men    ad    Elberfeld    dianzi    • 

300  metri   da   pilastri  che   la   dividono  in   tante  se 

ante  ruoti .  Se 
a  un  certo  nn  pi  co  si  soli 

una  parte  della   via  s'innalza  e   forma  una  eh 
lungi  ,    Arrivati    al 


pilastro,    questo   si    51  lleva    a    sua    \ 
forma  una  seconda  china,  che  i  vagoni  percorrono 

ita   enorme:     5J5   chilometri   allora! 
Il    sistema    dei    ferry-boati    che    imi. arcano    i    tre- 
ni, in    ii mi,    appi  site  n  1  di    di  cui  i  li  n  1  poni 
no  provvisti,  e  li  traghettano  da  una   riva  all'altra 
ili  un  (lume.  d'un   lago,  d'uno  si  retto, 
te   noto  e   non    ha   bisogni     d'esser   descritto     Moti 

'  ni    mi  ssi    dal    \ento.    ra,  1 

nelle    v.  le   simili    a    quelle   delle   I, arche  :    p 

'■  in 1  ni  isciurn  è  il  battello  an 

sulle  ai  '  |ue,   li  0  «ni  tiva   in  ferrati  mia.    Esso  na 
nelle   vicinanze  di    1  1  penhagen,    sul    lago    Fun    - 
1    pari    un  pirosi  afo  1  unii    tutti  gli  altri  ;   ma  qu 
do   s'ai  1 ,  -la   alla    riva   di    l'iske  Boehr.    non   si 
ma:   al  contrarici,  la  investe,  vi  penetra  incastra 
le  moie,  di  cui   la  s".a  chiglia  è  provvista,  nelli 

tai     d'una    ferrovia    eh a    tior   1 

i     allora.    1  ill'ai  qua,    di  .ve    la    sua    mai-china 

1    girare    l'elica,    corre    come    una    locomotiva 
sulle  ruote  mossi    dalla  macchina  stessa.   1 .. .  Svancn 
si      In  un. 1   COSÌ  dopo  aver  traversato  300  me- 

tri   di    ]ii  mura,    trova    un    secondo    lago,    nel    quale 
s'immerge,   tornando   battello! 

Deve    5  1    l'audacia    dell'ingegneria?    1 

Un   americano   ha   concepito   il    disegno   delle  vie  che 
camminano,    adattando    a    strade    lunghe    centii 
di  leghe,  il  principio  dei  tappeti  1    dei  marciapiedi 

«SO  1  unti.,.    Già    si    parla   d'una    ferrovia   che   ai 
da    Parigi  a  Chicago  senza  traversare  gli  ciani.... 
Chi   vivrà   vedrà  ! 

(Dalle  l.cctures  putii    tous). 


La    scoperta 

d'111  in    necn  >i  >oli 


\    Girge,   nell'Alto  I  gitto,    si   scoperse  un  vasto 

cimitelo  che    si   sta    esplorando   dal    dottor    Reisner 
per  d  ut.      lell'Università  di   California.   !•'.'  la   più 
importante    necropoli    che    si    conosca    poich 
abbraccia   un  perìodo  continuo  di   almeno 

i  sale  perciò  alla  più  Ioni  , 
rica.    <  '.r.i/'u-  alla    sei  .In.- 1  dell'atmi  sfera   «    al 
todi    ili    inumazione,    i    cadaveri    sono   in   uno   - 
.li    conservazione   incredibile:     non   solo    i    rap 
li    unghii    i     i    legamenti,  ma   anche   i   mus 
nervi  si  1 1,  ss,  ni    isi  lare,  Quasi  tutti  i  cadaveri  han- 
no il  cervelli    I .  ■        in   due  casi   si   rin- 
vi nii.-ro   gli  occhi    colla  lente   cristallina    in    bu 
stato. 

Il  -li  i''  i    l'.llìot  Smith,  pi    (.ss,  re  d'anatomia  alla 
scuola  medica  del   Cairo,  el>l>e   la    missione  di 

are   sul    luogo  questi    resti  umani;    egli   rifei 
d'avei   già   isolato  i   pi.  ss,   nervosi  ed  il  nervo  spia- 

Oltn    .ii  resti  preistoi  ici  si  soni 
ti    appartenenti    alle   quindici    prime    dina 
alla  'liei,  ttesima    ed  alt  ri    dell'epi ,  a     l'i  ili  i 
Ila  <  !i  pta  ani  ica  e  re 


Le    braccia    della    Venere    di    Milo 


Da  che  fu  scoperta  la  Venere  di  Milo  --  una  certo,  che  egli  ebbe  molto  merito  se  la  magi 
delle  statue  più  faiw  se,  certo,  che  siano  al  mondo  opera  antica  andò  a  finire  in  Francia,  se  .beni 
—  nessuna  opera  ili  scoltura,  nessuna  opera  d  arte 
ha  dato  luogo  a  tanti  discussioni.  La  Venere,  come 
tutti  sanno,  fu  trovata  nel  febbraio  del  1820  e 
p.rt;ita  a  Parigi  senza  braccia,  come  si  trova  an- 
cora al  Museo  del  Louvre.  Uomini  di  ogni  nazio- 
nalità, archeologi,  scienziati,  pittori,  scultori,  let- 
terati, gii  nudisti,  hanno  polemizzato  intorno  alle 
braccia  della  statua  ed  alla  posizione  che  esse  do 
vevani  avere  originariamente:  si  sono  scritti  arti- 
coli, opuscoli,  libri  voluminosi,  tutta  una  lettera- 
tura sufficiente  ad  empire  comodamente  una  di- 
screta biblioteca.  E  le  discussioni  non  sono  per 
anco    terminate' 

La  storia  della  statua,  del  resti:,  per  quante  ri- 
cerche si  siano  fatte,  è  tutta  piuttosto  oscura.  Essa 
fu  trovata   in  questo  modo. 

Una  mattina  del  febbraio  1820.  due  contadini 
dell'isola  di  Milo.  Giorgio  e  Antonio  Botoni,  cam- 
minando per  la  campagna ,  dove  certo  nes- 
suno sospettava  l'esistenza  di  un  sottosuolo 
che  nascondeva  i  resti  di  una  civiltà  tra- 
mi ntata,  sentirono  ad  un  certo  punto  il  ter- 
reno' cedere  loro  sotto  i  piedi  e  caddero  en- 
tro una  specie  di  tempietto,  ove  si  trovavano  pa- 
recchie opere  scultorie,  tra  cui  la  famosa  Venere. 
Tornati  fuori,  e  chiusa  con  foglie  l'apertura  fatta, 
corsero  dal  prete  del  villaggio.  Oikonomos,  e  gli 
rivelarono  la  preziosa  scoperta.  La  notizia  venne 
all'orecchio  del  console  francese  Luigi  Brest,  il 
quale  si  recò  subito  sul  luogo  a  vedere  la  statua. 
Conseguenza  della  visita  fu  che  nel  mese  di  mar/o 
la  Venere  venne  acquistata  per  conto  dell'ambascia- 
tore francese  a  Costantinopoli.  Il  signor  Brest  co- 
municò col  a  mandante  della  fregata  francese  Che- 
vrette,  che  si  trovava  in  quei  paraggi,  e  poco  dopo 
sbarcarono  alcuni  marinai,  che  trasportarono  la  sta- 
tua sulla  costa.  Vi  fu  un  conflitti)  tra  i  francesi  e 
gli  abitanti  dell'isola,  aizzati  dal  prete  Oikonomos. 
che  era  furioso  di  veliere  portar  via  quell'opera 
d'arte. 

Egli  affermava  di  aver  pagato  i  due  conta- 
dini per  la  statua,  ma  in  realtà  pare  che  non  aves- 
se pagato  niente.  Fatto  sta  che  la  Venere  nella 
lotta  fu  alquanto  maltrattata;  ma  se  le  si  fossero 
ritte  e  lasciate  indietro  allora  le  braccia,  è  cosa 
che  non  si  riuscì  mai  a  stabilire.  In  una  lettera 
dissotterrata  di  recente  da  un  giornalista  parigino 
di  mezzo  ad  un  mucchio  di  vecchie  carte,  il  signor 
Brest  affermava  di  sapere  in  modo  preciso  dove  si 
trovassero  le  braccia  della  Venere,  ma  aggiungeva 
che  non  l'avrebbe  mai  detto  ad  anima  viva.  La  ra- 
gione di  tale  silenzio  va  forse  ricercata  nel  fatto 
che  il  Brest  era  sdegnato  che  il  suo  nome  non  fosse 
Stati  seritto  sul  piedistallo  della  Venere  quando 
era   stata   messa    nel    Museo   del    Louvre,    poiché    è 


La  Venere  di  Milo. 

avesse  comperato  lui  la  statua,  che  effettivamente 
fu  acquistata  dal  conte  Marcel lus  per  conto  del- 
l'ambasciatore di  Francia,  al  prezzo  di  6000  Iran- 


LA    LETTURA 
ntadin    che  avevano  Fati 


La  ricostruzione  secondo  le  prime  versioni. 

Dopo   d'allora   cominciarono   le  polemiche  e  gli 

.•u. li  sul  ne  che  potevano  avere  le  braccia 


i.  i>i   Ra\.\  ;>  n. 


i   Dumonl  d'Urville,  ufficiale  del- 
.//(-.  m  un  suo  rapporto,  dice:  »La  statua 
tappi  na  donna.  La  mano  sinistra,  sollevar 

ta.  tiene  un  pomo;   la  mano  destra  regge  un  man- 
che si  avvolge  intorno  alle  anche  e  cade  gra- 
ziosamente  ai   piedi;    ma   sfortunatamente  tutti    e 
ite  mutilate  e  sono  i  ira  stac 
dal  corpo».   Altre  oni  concorderebbe 

ro  ri  ni  questa.  Ma  pressi  -  mi  »lti  n  riè  li    .il 

ti.    hanno  trovato  j  si  sono  trinate  ricostru- 

zioni diverse  della  statua  compii 

I  na  delle  più  imp  rti la  rio  istruzione  della 

scultore    Ravaisson-Mollien,    il   quale   prese   la   sua 
ispirazione  da  un  gruppo  eseguito  al  tempo  di    \ 
lessandro   e    riproducente   a    sua    volta    un    gri 
eseguito  ila   IYrirlr.   rap]  nte  il  saluto  ili   Ve 

nere  Urania  a    I  ese  i. 

Un    giovane    arti 
americano,    Frank    : 
Ionia,    ha   con    una    i    ; 
ta  ingenuità,  e,   si    può 
aggiungi  r  •.  temei  il 
mericana,     messo     in- 
nanzi un'idea  urna  mi 
va  delle  i  aratteristii  he 
marie   ■  Iella    statua 
faim  >sa.    Egli   sostenne 
una    ricostruzione 
già  ili  una   Venere,  ma 
■  li     una     Mater     I  ' 
rum,    o    Madre    i 
Dei.  Come  si  vede  >lal- 
la    nostra    illustrazione, 
si    tratterebbe    ili     una 
I  i<  ,i     n  ggrntr    in    I 
CÌ0     il     giovine    Bacco. 

Sei  .bene       UIl'  iscrizii  ne 

sul  piedistalli  >,  qui 
la    statua    Fu    trovata, 
diresse      chiaramente 
che   quella    era    un 
magine    ili    Venere,    il 

nr    l'aloni; 
in     un     opuscolo 
«  fu    usi  >    comune 
Greci  e  dei  Romani  ili 
alterare      le      iscrizii  ni 
sulle    loro    statue,    ed 
ani  he  cambiare  le  sta- 
tue   stesse    secondo    le 

i-ioni  delle  loro  religioni  nazionali*. 

Oltre  al    Paloma  ed  al   Ravaisson-Mollien.  molti 
altri  tentarono  ricostruzioni  della  Venere.  Millii 
John,   Welken  e   Puller  pensarono  ad  una    ■ 
che  tenesse  lo  scudo  di  Marte,  il  l>i"  della  gu 

Bi  uni  e  W'.ll"  ni  li   essi  »»><  se* 

do   alla   statua,   e   Bydberg   immaginò  che  essa  te- 
nesse  uno  scudo  su  cui  dovesse  essere  commemi 
la  \  ittorìa  dei  Gre     sui    Pers  mi. 

Stillman  pensò  che  la  figura  rappresentasse  una 
Vittoria,    e    ricostruì    una    slama    ove    la    Yittia 
posta  nell'atto  di  scrivere  sopra  una  tavoletta. 

:  ne  '  he  la  figura  dovesse  tenere  una  co- 


la  ricostrizione 

di  Frank  Paloma. 


DALLE    RIVISTE 


825 


rona  d'alloro  per  ciascuna  delle  due  mani,  ed  un<  p 
scultore  viennese  di  cui  si  ignora  il  nome  fabbricò 
una  Venere  di   Milo  intenta  alla  sua  toilette. 

«Tra  [xxx>  —  scriveva  nel  1854  il  conte  Marcel  - 
ìus  —  non  vi  sarà  più  persona  viva  che  possa  dare 
informazioni  autorevoli  sulla  posizione  effettiva 
della  statua  in  origine»;  ed  è  un  fatto  che,  non 
ostante  il  grande  e  costante  interesse  mostrato  da 
ogni  parte  per  la  questione,  non  ostante  le  pole- 
miche continue  e  spesso  violentissime  che  si  seno 
dibattute,  si  è  più  lontani  che  mai  dall'ottenere  una 
ricostruzione  che  soddisfi  tutti,  od  almeno  la  mag- 
gioranza dei  critici.  L'omini  autorevoli  come  Bell 
e  Ravaisson-Mollien  si  sono  trattati  reciprocamente 
<li  ciarlatani  ;  e  forse  la  miglior  cosa  che  si  possa 


J 


•  • 


Un'altra  ricostruzione 
sul  principio  che  la  venere  facesse  parte 

d'cn  GRUPPO. 

fare  è  di  contentarsi  di  ammirare  la  magnifica  fi- 
gura cosi  come  si  trova  al  Louvre,  anche  mutilata. 
Attualmente  l'opinione  più  diffusa  —  qualun- 
que sia  la  sua  sostenibilità  —  è  che  la  statua  ef- 
fettivamente non  raffigurasse  affatto  una  Venere. 
E'  1  idea  iniziale  dell'artista  americano,  ma  con 
altra  applicazione.  Secondo  molti,  dunque,  l'affer- 
mazione che  la  statua  rappresenti  la  Dea  dell'A- 
more, è  troppo  affrettata.  Le  figure  di  quel  genere 
non  rappresentano  Venere.  Di  regola,  le  statue  an- 
tiche di  questa  dea  miravano  a  presentare  un  tipo 
più  molle,  quasi  lussurioso,  di  bellezza  femminile, 
e  raramente  avevano  elementi  che  suggerissero  Fi- 
dea  di  vigore  o  di  azione.  Ora  la  Venere  di  Milo 
non  è  soltanto  bene  sviluppata:  è  decisamente  vigo- 
rosa e  muscolosa,  e  dalla  sollevazione  della  spalla 
ra  e  dalla  posa  di  tutto  il  busto  è  evidente  che 
1  artista  che  la  creò  la  pose  in  atto  di  fare  qualche 


La  ricostruzione  di  Bell. 

I  \  ENERE    CON    LA    CORONA). 


cosa  che  richiedesse  un  certo  sforzo  tisico.  L'auto- 
re dell'articolo  che  stiamo  riassumendo,  avendo  in- 
terrogato un  archeologo  di  gran  fama,  di  cui  per 
altro  non  è  autorizzato  a  fare  il  nome,  ebbe  la  ri- 
sposta seguente: 

«Sarebbe  difficile  deci- 
dere in  modo  assoluto  : 
1"  Se  la  Venere  di  Mi- 
lo debba  considerarsi  co- 
me una  statua  isolata  o 
facente  parte  d'un  gruppo 
in  cui  fosse  pure  o  Mar- 
te o  Nettuno,  od  un'al- 
tra deità  pagana.  20  Se, 
dato  che  la  statua  fosse 
isolata,  debba  cedersi 
che  essa  stesse  decorando 
un  termine  di  Bacco  con 
la  sua  sinistra,  o  tenes- 
se uno  scudo  con  le  due 
mani,  od  altro.  Pur  l'an- 
no scorso  fu  portato  al 
Louvre  un  termine  di 
Bai  0  '  che  era  stato  tro- 
vati  a  Milo  con  la  Ve- 
nere. Chi  sa  che  la  sua 
base  da  tanto  tempo  per- 
duta non  possa  trovarsi 
un  giorno  o  l'altro?  Si- 
no allora  è  perfettamen- 
te inutile  per  l'archeologo 

speculare.  Quanto  all'artista,  è  libero  di  far  ciò  che 
vuole».  Ma  se,  come  tanti  ammettono,  la  statua  non 
e  una  Venere,  quale  altro  personaggio  può  raffigu- 
rare? Ora  noi  troviamo  che  tutti,  quasi,  gli  avver- 
sari della  teoria  del- 
la Venere,  concorda- 
no nell'  ammettere 
che  la  figura  che 
l'artista  volle  fer- 
mare nella  statua  è 
quella  della  Nike 
Aptcros.  o  Vittoria 
senza,  ali,  di  Atene, 
della  quale  fu  detto 
che  gli  Ateniesi  vol- 
lero che  fosse  senza 
ali  perchè  non  po- 
tesse abbandonare  la 
città.  Questa  teoria 
fu  messa  innanzi 
per  la  prima  volta 
nel  1826  dal  Millin- 
gen,  il  quale  sosten- 
ne che  la  pretesa 
Venere  di  Milo  non 
1 1  sse  altro  che  una 
Vittoria,  la  quale  do- 
veva,  nel  suo  stato 
originario,  tenere  u- 
110  scudo  con  le  due 
mani.  A  sostegno  di 
Venere  col  pomo  questa    idea    si    sono 

ed  un  uccello.  addotte  non  soltanto 


LA    LETTURA 


i 


La   Ykm  kk 
SECONDO    IL    TARRAL. 


prove  desunte  da 

I  .1   così  detl      l 
ii     di    i  lapua   -      una 

i 
quasi      una 
|ualità    a 

\i 
e   li  ria    si  mo 

in  una  p  sizii  ne  che 
ci  'le.  >rda  perfettamen 
te  Ci  il  la  ti  i  iria  ili  cui 
si  sia  parlando.  Ma 
più  li  irte  .mi  ora  la 
prova  che  si  trova  nel- 
la Vittoria  ili  Bri  si  ia, 
una  figura  alala  e 
drappeggiata  di  I  >  r>  ria  i 
che  ha   ui  ;lian- 

za  si  rai  ordinaria 
sì  per  la   |"  sa   genera- 
le,   •  i  «ne    pei    la    | 
del  busti  '  e  i«r  il  drap- 
amenti         con  la 
te  di    Mila    Q 
si  '    \  ittoria  tiene   nel 
la     sua     inann     sinistra 
um  ■    scudi  .    che    pi  g- 
sulla     i  i  si  ia     de- 
si ra.    mentre    la    mano 
■  li  si  ra       scrive      sullo 
scudo  dei  numi  ili  eroi. 
i  !osì    la    Vi  nere  di   <  lapua   come   la    Vittoi  a   'li 
■   si   considerano     -  e  con  sufficiente  fondar 
i  quanti  i  paj  come  o  piate  dalla   figu- 

ra   più    antica    rhe    noi 
chiamiamo    col    non 

M  rhe. 

nell'    antichità,       d 

■ 

a\  remmo 

gli     elementi      sufficienti 

giudicare    quale    do- 

-  | ..  -i/ii  ne 

«Iella     statua     ili     cui     ci 

upando,   ed   in 

-vinile 

lira,  ria    mancanti. 
Il    sitili,  r    W.    J.    Stili- 
raan,    il    q  dedi- 

npo  e  mol- 

r'uvr- 

B 

.    nella    ! 
ircondante  il  meda- 
dei    minato 
pio   della    Mike     \[ 
nell'  Acropoli       d'  Atene, 
gure 
della    Vittori;         e    ave  ,  •  .„.  v 

una     rassomiglian-    D>UN  artista  viehnesb. 


pi    della   Venere  ili   Milo.   Avevano  le  stesse  pro- 
porzioni   •  stesso    ampio   sviluppo   delle 

'    nude    e    la    stessa  

ne      dei      drap 

1 1  signor  Stillili. in 
pi   ali  uni  esperimenti   in- 
i.  ressanti      t  ai  endi  i     pi 
un    modello    nella 
sima    attitudine 
la    Venere   'li    Mil".   con 
uno    scudi      cioè    tenuto 
dalla    maini   sinistra    nel 
modo    già     d«  scritto .    e 
che    si    vede    rappn  si  n 
tato    nell'ultima    delle   u- 
nite    liguri-.    Con    questo 
mezzi     li  ■    Stillman    p  tè 
dimostrare    che    la    posa 

torso    ilella    statua    è 
esattamente  quella  rhe  li- 
na donna  .issimi'    nel   si 
stero  re     uno     scudo     a]>- 
poggiato    sulla    risila    si- 
nisl  ra  .    mentre     la     destra 
-min. 
\i  n   si    può  giurare  «  he  nemmeno  così    la   qua 
ne  sia  risulta  definitivamente,  e  che  il  mistero 
sia    p-r   sempre   e   per   tutti    svelai  ■;    ma   —   ilice 
l'autore  dell'articolo      -   è   assai    probabile    -he  la 
pretesa   Venere  ili    Milo  non   sia  affatto  una  Vene- 
re, ma  una  Vittoria  senz'ali. 

iDa    un  articolo  dell' Harmswai 111  London  Maga:i 

La   casa  ciechi  i  animali 

a  Calcutta 


La    k ICOST RUZIOK1 

Tir    ACCREDITATA. 

scrive     sulln     Minio 


Quanti  paria  della  vita  ruggirebbero  ili  sdqj 
gno  se  sapessero  il  culto  e  le  curi  materne  rhe  nel- 
l'India  lontana  si  prodigano  alle  vacche  vecchie^ 
ai  cavalli  fuori  d'uso  e  ai  cani  moribondi. 

le  palmi-  ombrose  e   fresche  del   pai 
S' ili  pniir.  a  dieci  chilometri  da  i  -'    la 

grande   casa    degli    animali,    dove   trovano    nr. 
i-   anni,     quattrocento   vacche.   quattrocento  e    i 
pecore,   duecento   pappagalli,  una   ventina  di   i 
e  dozzine  di  cani,  di  gatti  e  di  scimmie.   V 
consacrati    al    culto    della    vari  a        uni     spel 
ben   strani    quello  dei   ricchissimi    indiani. 
vano    da    Calcutta    o   dalle   campagne    virine,    alli- 
neano  sui   verdi   prati    le  liestie  sarre,    le  inghirlan- 
dano   di    fiori   e   prostrati    dinan; 
spinti  delle  bestie  decrepite  ne  implorani 
ne. 

La    mani  dello   stranu   stabilimento  t 

sia  prezzi  favi  tosi.   L'n  diretti  re  ha  sotto  di  ><■  ven- 
tiquattro   impiegati,    chi     attendimi     alle    scudi 
ammirati  divino   di    quel    mi. 

voci,  di  muggiti  e  di  latrali.    Il  governo  i>'.    - 
v,  ia   fare  p  nsandi    fi  rse  i  he  mi  ntre  gli  indiar 
111    I  «si  ii  mpi   di 

di   i»  li'  - 


Danze    sacre    e    profane 


Un  poeta  orientale  ha  detto  che  «i  canti  del 
poeta  sono  più  eloquenti  delle  semplici  parole  ;  la 
musica  frinirne  più  che  i  versi,  la  dm/a  più  che 
la  musica:  grazie  a  lei,  l'essenza  dei  Numi  è  resa 
visibile  e  si  comunica  ai  mortali;  grazie  a  lei  i 
sentimenti  degli  uomini  prendono  la  forma  degli 
oggetti  animati  ».  E  ci  me  nell'antico  Egitto  e  nel- 
l'antica (Irina,  anche  oggi  in  India,  nell'Indocina, 
nella  Cina,  nella  Malesia,  le  danze  sono  associate 
a  tutte  le  feste  religiose  o  politiche,  e  simboleggia- 
no tutto  un  monilo  di  idee  e  di  sentimenti. 

La  danza,  in  India,  illustra  prima  d'ogni  altra 
cesa  la  storia  sacra,  evoca  agli  occhi  dei  fedeli  le 
avventure  di  Brahma  e  «li  Visnù.  Le  ballerine  sa- 
cc piotali  appartengono  all'ordine  delle  Devàdhaiì, 
0  spose  degli  Dei.  Reclutate  nella  casta  più  alta, 
.-"ii"  allevate  nei  templi  ed  esercitate  alla  danza 
sin  dai  più  teneri  anni.  Xon  solo  la  loro  vista  e  lo 
spettacolo  dei  loro  balli  sono  vietati  agli  Europei, 
ma  agli  stessi  Indù  che  non  appartengono  a  certe 
caste  religiose:  esse  non  lasciano  mai  il  santuario 
al  quale  appartengono.  La  classe  delle  Sutradhasì 
può  invece  andare  talvolta,  in  occasione  di  matri- 
moni, o  di  grandi  feste,  presso  i  rajah  indigeni  e 
presso  gli  stessi  dignitari  inglesi.  Spetta  allora  alle 
ballerine  una  lauta  retribuzione,  non  meno  di  cen- 
to rupie,  che  esse  versano  nel  tesoro  del  loro  tem- 
pio. La  musica  segna  il  ritmo  di  queste  danze: 
quattro  o  cinque  sonatori  si  seggono  in  giro  sopra 
un  tappeto  ;  uno  fa  scorrere  l'arco  sul  sarangi,  spe- 
cie di  violino  dai  suoni  acutissimi,  un  secondo  sof- 
fia nel  sanai,  flauto  a  due  canne  ;  gli  altri  pic- 
chiano sul  dolaka  ed  il  joragai.  tamburi  cupi.  An- 
che fuori  dea  templi,  nelle  case  private,  il  soggetto 
della  danza  è  tolto  dalle  leggende  divine. 

In  altri  casi  la  danza  è  eccitatrice  dell'emozione 
guerresca,  come  si  vede  nelle  popolazioni  delle  i- 
sole  malesi,  dove  la  danza  del  kriss,  appena  scop- 
pia una  rivolta,  è  il  segno  dei  massacri  e  delle  più 
spaventose  atrocità.  Al  suono  di  striduli  strumenti 
e  di  gong  assordanti,  le  ballerine  si  dimenano  fre- 
neticamente, brandendo  il  kriss  malese,  la  cui  la- 
ma aguzza  riluce  e  lampeggia  ;  fingendo  di  lottare 
contro  un  essere  immaginario,  esse  fanno  il  gesto 
ed  esprimono  la  gioia  feroce  di  ucciderlo.  Nella 
danza  dell'arco,  in  vere,  tìngono  di  combattere  le 
une  contro  le  altre,  si  affrontano,  s'investono,  si 
scagliano  freccie  di  penne  e  un  delirio  selvaggio 
s'impadronisce  di  loro  come  degli  assistenti. 

In  Cina,  nel  Tìng  Vu,  danza  degli  scudi,  e  nel 
Tal',  danza  dei  guerrieri,  i  ballerini  vestiti  di  abiti 
dai  colori  violenti  dove  sono  dipinti  draghi  ed  al- 
tri animali  fantastici,  col  viso'  rabescati  da  disegni 
terrificanti,  il  capo  coperto  da  un  berretto  irto  ili 
penne,  s'agitano  picchiando  con  le  lame  e  le  scia- 
bole sugli  scudi  di  bronzo,  mandando  urie  selvag- 
ge,  facendo  i  rribili  smorfie,  mentre  la  musica  stre- 


pita   e    assorda.    NélYU-Vatlg    Sono    tappi,  sentati"    le 

lasi  della  lotta  d'un  Imperatori  contro  i  ribelli: 
l'agitazione  degli  insorti,  la  rotta  delle  truppe  im- 
periali, la  riscossa,  il  massacro,  il  trionfo  dell'Im- 
peratore. Superfluo  dire  che  oggi  in  Cina  queste 
danze,  con  le  quali  un  tempo  cominciavano  le  spe- 
di/ioni guerresche,  sono  ridotte  a  semplici  rappre- 
sentazioni   teatrali. 

Anche  a  Giava  certe  danze,  che  erano  un  tempo 
vere  cerimonie,  sono  diventate  semplici  diverti- 
menti. Tale  è  il  caso  dell'antica  danza  sacra  delle 
Saranga,  che  fu  riprodotta  a  Parigi  durante  l'EspO1- 
sizione  universale  del    1889. 

Anticamente,  le  Saranga  erano  addette  ai  templi, 
come  le  Devadkazì  indiane;  oggi  formano  delle 
compagnie  come  quelle  dei  comici,  e  vanno  attor- 
no, sotto  la  direzione  d'un  impresario,  a  dare  spet- 
tacoli presso  i  rajah  dell'isola  e  i  funzionari  olan- 
desi. Ballano  al  suono  flebile  d'un  piccolo  flauto 
e  del  gamclatig,  minuscolo  gong  sul  quale  si  pic- 
chia con  un  bastoncino  coperto  di  stoffa:  ne  esce 
una  musica  malinconica,  monotona,  dolcissima  e 
quasi  lontana.  Le  ballerine  assumono  atteggiamenti 
ieratici,  come  piccole  divinità  ;  alzano  le  braccia, 
le  lasciano  cadere,  le  stendono,  le  incrociano,  oscil- 
lando sulle  gambe  ;  talvolta  si  prendono  per  le 
mani  e  danzano  unite,  come  una  ghirlanda  di  fiori. 

Al  Giappone,  nelle  feste  solenni,  le  piccole  gei- 
she perpetuano  coi  loro  balli  il  ricordo  d'un  Dio, 
di  un  semideo.  di  un  eroe  leggendario.  Xon  c'è  più 
nessun  sentimento  religioso  nei  loro  seroizì.  ma 
la  leggenda  serba  il  suo  incanto  puerile  e  delizio- 
so. In  altri  casi  i  balli  giapponesi  rivelano  l'imma- 
ginazione leggiadra  di  quel  popolo,  come  nelle 
danze  delle  farfalle,  dei  fiori.  (Iella  pioggia,  del 
lite,  dei  ventagli,  della  coppa  di  Saki.  e  vi  adicendo. 
(Dalle  Leclures  poni  tous). 


Una.   pianta   carnivora 

Sulle  rive  del  lago  di  Nicaragua  esiste  una 
pianta  abbastanza  strana.  Il  viaggiatori-  naturali- 
sta Dunstan  passeggiava  un  giorno  col  suo  cane 
sulle  rive  del  lago  quando  fu  sorpreso  da  terribili 
latrati  di  dolore.  Si  volse  cercando  il  suo  amico 
quadrupede  e  fu  non  poco  atterrito  vedendolo  im- 
pigliato fra  i  tentacoli  misteriosi  di  una  pianta  fila- 
mentosa che  li;  aveva  stretto  nelle  sue  foglie.  La 
pelle  della  vittima  era  chiazzata  di  sangue  e  an- 
dava già  qua  e  là  strappandosi  sotto  le  strette  del 
terribile   nemico. 

L'animale  fu  a  stento  liberato  con  un  abile  colpo 
di  accetta  dalla  morte.  La  pianta  che  era  rimasta 
fin  qui  sconosciuta  al  mondo  degli  scienziati  è 
chiamata  dagli  indigeni  pianta  del  diavolo;  essa 
viene  ad  aumentare  il  numero  già  abbastanza  0 
pioso   delle   piànte   carnivore,    i    pirati    delle   foreste. 


Le     truppe    alpine    svizzere 


•ne  più  montuosa  d'Eu 

nigliaia  di   stranieri   l'hanno  visi 

no,  vale  la  pena  di  dire  qualcosa 

i mpiute  dal 

Vndermatt   è  il   lui  i   per  vedere  quei 

lovran     -  Aglietto  da  Li 

Milano,   scendete  a  Goeschenen,   all'ingresso 
tunnel  del  rn.ttar.lo.  e  salite  al  villaggio. 


i  forti  e  !>-•  cas \  ■  »ì  potresti  ■  he  que 

ste  montagne  alt issitiit-  lusserò  ilifesa  sufficiente 
per  sé  stesse,  guardando  le  mass.-  di  nubi  che  ri- 
posano immobili  <//  di  sotto  del  villaggio  ili 
dermatl  che  è  alto  presso  a  poco  quanto  il  culmi- 
ne estremo  del  Rigi.  Ma  la  Svizzera  ricorda 
l'anno  1478,  in  cui  tra  gli  svizzeri  e  i  mercenari 
Htn-a  ili  Milano  una  battaglia  ebbe  luogo  stil 
ghiaccii  1. 


Dovrete  fare  parte  della  straila  su  per  una  scala 
tto;  quando  sarete  vicini  alla  gola  'li  Schol- 
1   de]  Diavolo,  dove  il  terribile  Reuss 
tgna   'li   spruzzi,   guari  late   in   basso 
e  in  alto.   Se  qualcheduno  vi  dicesse  .1»'  dei  sol- 
possono  manovrare  in  quelle  regioni,  non   lo 
u     1    ì,i  porte  9 spettose  e  stra- 
proibito   entrari  ;    poi    ve- 
1 1  m    1  l"-  -1  arrampicano  in  a 
ipre  sono  soldati  che  tirano  su  cannoni.   Voi 
in  Andermatl  Ira  i  Torti  e  le  caserme  Splen 
a        soldati  hanno  un  equipaggiamento 
re.  Sono  uomini  belli  o  robusti,  pieni  ili  forza. 
ih  fiducia  e  'li  risorse. 

Qui   vi   sono  dei    forti   situati    in    luoghi   dove 

irerebbe  che  non  potessero  trovarsi  che  aquile 

l-    qui    ì      1    vero   esercito   permanente 

entinaia    di    uomini    impiegati    in 

modo  continuo  al  servizio  dei  torti  e  dei  cannoni 

muovono   1   cannoni,   tra    le 

fili   elettrici  che  conneti 


Si  I.1JAT1  SVIZZERI 
CON    OLI    ALPKNSTOCK,    I 
FUCILI   B   '    BAGAGLI   IN   MAR- 
CIA SI'    UNA   MONTAGNA. 


..Durante   l'inverno  e  la  primavera   la  guamif 
ne  'li   Andermatt  consiste  in  cannonieri  e  vedi 
zappatori   e  minatori  e  una  compagnia  di   tiratori 
.annoni   Maxims.  Vi   sono  compagnie  speciali 
i„i    forti    vii-ini   .li    Airolo.   e   verso  il   sud   del    San 
Gottardo,   altre  compagnie  ancora  tengono   i    I 
della    Furka   a   Bukl,  ad   Altkirch  e  sul    Bazl 
sopra     andermatt.    Poi   vi  sono  speciali  reggimenti 
di   fanteria  addetti  ai  singoli  corpi  e  questi  dei 
prestare   il    loro  servizio  an- 
nuali    0    biennale    lassù    in 
condizioni      sorprendenti  : 
hanno  il  servizio  'li  soldati 
ordinali,  il  servizio  'li  muli 
da.    trasporto  e  il    servizio 
pericoloso    ili    guide    all'ine. 
Vi  sono  in  ogni  estate  cir- 
ca tremila   uomini   sotto   le 
armi    nelle    diverse    fortifi- 
ni  alla  frontiera  meri- 
dionale  della    Sviz 

"  1  l'inverno,     naiitralmen- 
pericolo   il'inva- 
sione.        Nessun       alpinista.  li.    TRASPORTÒ 

per    quanto    sperimentato,  dbi  feriti. 


DALLE    RIVISTE 


829 


potrebbe  vivere  in  quelle  regioni  o  attraversarle 
anche  al  principio  di  primavera  e  tanto  meno  po- 
trei >be  un  corpo  di  truppe  invadere  la  Svizzera  in 
quell'epoca  dell'anno.  Tuttavia  si  tengono  sempre 
guarnigioni  che  montano  la  guardia  continuamente. 
ogni  giorno,  ogni  notte. 

«  D'estate  le  cose  vanno  diversamente  e  le  trup- 
pe delle  vallate  sono  addestrate  all'alpinismo  con 
alpenstocks  e  con  picconi  e  abituate  a  passare  do- 
vunque può  passare  una  guida  alpina.  Voi  sapete 
cosa  significhi  questo  e  se  non  lo  sapete  domanda- 
telo a  qualche  amico  che  lo  sappia  ed  egli  vi  dirà 
delle  terribili  solitudini  delle  nevi  eterne,  dei  cre- 
pacci traditori,  degli  abissi  dove  nuotano  le  nu- 
vole,  rlei   muri   di   ghiaccio   azzurro  o  verde  dove 


nuvole  col  solo  peso  del  proprio  corpo:  basta  pen- 
sare a  questo  per  immaginare  la  forza  di  questi 
soldati  alnini  che  ascendono  terribili  precipizi  di 
rocce  e  di  ghiaccio  col  carico  sopra  le  spalle,  e 
sono  allegri  e  contenti. 

«Tutte  le  manovre  della  vera  guerra  sono  pra- 
ticate con  cura,  e  alle  volte  si  fanno  tinti  com- 
battimenti che  durano  giornate  intere  al  di  sopra 
delle  nubi  e  dei  burroni.  Naturalmente  quanto  più 
gli  uomini  si  arrampicano  in  alto,  tanto  maggiore 
diventa  la  portata  della  loro  visuale;  e  quando  il 
nemico  è  in  vista,  i  segnalatori  si  mettono  subito 
all'opera  per  richiamar  l'attenzione  dei  forti  più 
vicini. 

«  Nella  chiara   atmosfera  delle  alte   Alpi,   il   si- 


QUANDO  I  MULI 
NON  POSSONO  PORTAR 
I  CANNONI,  LI  PORTANO  I 
SOLDATI,  SMONTANDOLI. 


bisogna  tagliarsi  i  gradini  col  piccone  o  salire  con 
una  corda. 

«I  fucili  sono  attaccati  alla  schiena  al  modo  boe- 
ro e  il  caporale  porta  il  piccone. 

«Questi  uomini  salgono  al  di  sopra  delle  nevi 
eterne  dove  ogni  passo  può  portare  la  morte  e  non 
si  può  procedere  se  non  con  estrema  cura  e  intel- 
noni  ordinari  e  i  Maxims  sono  portati  da  loro;  ma 
ligenza.  Sin  dove  i  muli  possono  viaggiare  i  c.m- 
quando  neanche  questo  utile  quadrupede  può  an- 
dare più  oltre,  cannoni  e 
fusti  devono  essere  smon- 
tati e  portati  a  spalla  d'uo- 
mo per  modo  che  il  peso 
sia  diviso  tra  le  spalle  di 
più  alpini.  I  Maxims  sono 
di  dimensioni  molto  ridotte 
in  tutti  i  dettagli,  ma  non- 
dimeno qualche  uomo  por- 
ta un  peso  da  25  sino  a 
29  chilogrammi  sulle  spal- 
le, oltre  a  tutto  il  re,,;  . 
Ora  la  maggior  parte  del- 
le persone  trovano  difficile 
Il   trasporto  arrampicarsi   su   per   quelle 

dei  feriti.  altezze    al    di    sopra   delle 


stema  di  segnalazioni  con  due  esagoni  bianchi, 
che  sembrano  due  ombrellini  da  signora  aperti, 
è  molto  efficace  anche  a  grandi  distanze. 

«  Come  si  è  detto,  gli  alpini  portano  sempre  a- 
I  iti  molto  grevi.  Il  sole  può  bruciare  in  Ander- 
matt  quando  le  truppe  partono  per  qualche  mano- 
vra, ma  il  soldato  indossa  sempre  la  sua  unifor- 
me di  lana,  perchè  in  capo  a  un'ora  o  due  può  tro- 
varsi in  mezzo  alla  neve  profonda,  dove,  se  avesse 
abiti  leggeri,  potrebbe  trovare  facilmente  anche 
la  morte. 

«Gli  uomini  portano  sempre  con  loro  nelle  spe- 
di/ioni di  montagna  del  legname  come  fanno  le 
guide  e  i  portatori  che  accompagnano  gli  alpinisti 
dilettanti  a  Zermatt .  a  Chamonix  0  nell'Ober- 
land.  Si  porta  anche  qualche  liquore  come  riserva 
in  caso  di  bisogno. 

«  Una  delle  parti  più  interessanti  delle  esercita- 
zioni alpine  è  il  trasporto  dei  feriti,  nel  quale  i 
soldati  vengono  esercitati  continuamente,  essendo 
quel  servizio  assai  difficile  ed  importante  a  quelle 
altezze.  Grandi  cani  del  San  Bernardo  sono  adde 


LA    LLTTURA 


roccie,  tra  1 
torrenti.   Quan 
rasportarli     l  l 
dd    l     il   servizio  delle  ambu 
ta   solidamente,   una   tavola 
:.  1     i  viene  a  trovarsi 
re;    li   gambe,  una 
sinistra,  appoggiano  su  dm 

ii    fianchi   del   portatore 

.  imbe   legate  solidamente  alle 

,    le  braccia   intomo  alle  spalle  del 

,  ambulanza,    la   vittima    \  ii  ni     i  raspor- 

otrà  ure  nei  essai  ie.   I  tue 

in     rappres  ntano  appunto  il  sisti 

feriti. 

ie  ogni  anno  circa  j8oo  uomini  si  no 

iddestrati  in  questa  vita  «li  montagna 

lon  capita  sempre  agli  stessi  reggimenti  di 

iridati    .'.I    si  rvi  li      Forti    al    ili    sopra 

mivi  de,  è  nai  i  i  >m  lusii  ne  che  col  tem 

S'      era  avrà  un  grandissimo  numero  'li  so] 

i  valore  incalcolabile.  Gli  pappatori,  per 

ni]     i"    operazii  ni   importani issime  re. 


UN    SOLDATO  CON    i  N    CANNONE   sl'LLK  SFALLE. 


unioni,    gel    ind 
luo| 


tonti    .sin 
potn  bbe 
'  nico.  Anni  or  seno  i  torrenti  di  mon 

ro  gran  tran.,  della  strada  del  1 1 

mi    svizzi  ro  ordinò  im- 


nii  dia  i      ro  ci  mpagnie    ili    zappati  iri 

■  li  porsi  all'opera.   In  poche  settimane  i  danni   Fu 
'  ino  riparati  con  un  grande  muro  lungo  circa  due 
metri  posto  a  sostegno  della  strada  in  mi  pen- 
dìo ripidi: 

■  Questi  zappatori  lamio  insomma  un  poco  ili 
tutto  quanto  può  esser  necessario  |xr  Facilitare  il 
cammino  'li  un  esercito  in  un  territorio  che  sem- 
brerebbe impraticabile  o  per  accrescere  all'eserci- 
ti   stessi  i  li       modi  l  della  vita  del  camp 


Segnalazioni. 

a  Essi  costruiscono  persino  il  pulpito  pel  cap- 
pellano pel  servizio  della  domenica.  In  tale  occa- 
sione le  bande  militari  suonano  inni  religiosi  e 
nei  reggimenti  cattolici  si  celebra  la  messa  cantata. 
Sarebbe  difficile  immaginare  Funzioni  più  solenni 
ed  imponenti  di  quelle  che  si  tengono  per  il  bene 
spirituale  ili  queste  truppe  in  quell'ambiente  su- 
blime,  tra  le  montagne  vestite  di  nevi  e  i  ghia' 
scintillanti  sotto  la  vòlta  del  cielo  azzurro,  che  rap- 
presenta la  vòlta  della  chiesa  ili  Dio.  Quando  il 
predicatore  raccomanda  ai  suoi  uditori  ili  dedicarsi 
alia  difesa  della  loro  bella  pania,  .-gli  è  sicuro 
che  le  sue  parole  penetrano  in  fonilo  del  cuore  di 
quei  .'Mali  che  l'ascoltano  religiosamente  coll'al- 
penstocks  e  ci  1  picei  ne  in  mano. 

■  Ma   le  truppe  alpine  della    Svizzera   non    - 
seri  i'  uno  sul  ( lottarli"  i    sui    Forti  i  he  si 

ino   in  quelle  regioni.    Le  stesse  cose  avvengo- 
no, pei  esi  mpio,  a  S.   Mi  ritz  o  anche  altrove.    \.à 
ogni  modo  li   Frontiera  meridionale  della  Svi; 
'    fi  rse  la  parti    megli  i  pri  tetta  della  .   In 

guerra  una  grandissima  parte  dell'effettivo 
Federale  che  ascende  a  oltre   jjo.ooo  uomin 
trebbe  dedicarsi  alla  difesa  delle  altre  tre  fri 
n    pcii  hi    1 1   Frani  iei  ion  ha  bisi 

di  gratuli   i  essere  e 

(Dal  Ptarson's  Magatiti 


In    lotta    col    mare 


Poche  persone,   fi  rse,   sanno  farsi  un'idea    della  con  che  si  irta  ili  difficoltà  abbia  a  lottare  chi  deve 

forza  fin  .mie  esercitata  dalle  onde  sopra  una  spiag-  costruire   barriere   contro    il    terribile    flagello    delle 

già  allo  spirare  di  certi  venti.    Soltanto  coloro  che  onde. 
hanno    veduto   l'estrema    devastazione  e   la    rovina  Ma  quando  si  sia  avuta  una  prova  materiale  del- 


FlG.    I. 


lese  solide  in  apparenza  come  scigli,  possono     la  potenza  del  mare,  non  c'è  nulla  che  possa  rii'hia- 
immaginare    quale   e   quanta    sia    quella    forza,    e     mare   alla  mente   un    ricordo   di    forza    most  i 


Fio.   II. 


LA    LETTI  R  \ 


,,  li  a  quelle  che  sì 
l  .1  tremenda  potenza  i 
nda  vi  si  vedi 


FlG.    III. 

figurata  nel  modo  più  impressionante  che  si  possa 
immaginare.  Quando  un  flutto,  come  quello  che 
si  vede  nella  prima  delle  figure  che  illustrano  que- 


sto orticolo,  incontra  un  ostacolo  pari  a  quello  eh? 
si  vede  nella  seconda  figura,  ripetendo  il  suo  uno 

formidabile  con   ritmica    precisione,   il   risulta; 
tale  da   eccedere  ogni   immaginazione. 

Questa  potenza  delle  onde  si  può  studiare  hene 
a     LoweStoft,    dove    furono    prese    le    fotografia     11 
man-  del  Nord  è  partici  larmente  .  i  lento,  |x-r  l'in- 
crocio di  correnti  e.  implicato  e  terribile  che  av\ 
in   quel    mare  I     si    può   dire   in   tutte   le  coste   inglesi. 

Le    illustra/ioni    che    riproduciamo    dalla    ri\ 
inglese  e  che  costituiscono   il    principale 

dell'articolo,      non      richiedono     grandi 
spiegazioni.     'La      prima     rappn 
una    di    quelle    ondate    rovinose    ed    e- 
n.  irmi     che     sfidano     la     solidità     delle 
migliori   costruzioni    ed    in    breve  tem- 
po   le    riducono    ad    ammassi    di    ro- 
vine.    La    sei-onda     figura     rappi 
ta    una    difesa,   che.   quando    fu    co- 
struita,   si    credeva     invincibile.     Sino 
a  qual    punto    fosse   invincibile    s 
de   mila   terza   figura.    Essa   pone  sot- 
to gli   occhi   del    lettore   gli     Metti   di 
una   burrasca   che   durò    forse   non    più 
di     dui  nlla     difesa     'e   invincil.i- 

le  ».  Come  si  vede,  tutto  quanto  è 
e  nato  e  distrutto.  R'  vero  che 
quella  burrasca  fu  particolarmente 
violenta;  «ma  non  I  necessaria  una 
tempesta  eccezionale  per  produrr 
danni  grandissimi.  L' ultima  figura 
rappresenta     gli     effetti      prodotti      su 

una  solida  spianata,  in  due  sole  ore  di  tempo,  da 

una  tempesta....  moderata  ! 

(Dallo  SI rand  Afagaziiic). 


FlG.   IV. 


Il    viaggio    d'una 


l&& 


goccia 


d'acqua 


Nella    pn  fi  nd  tà    del    mari  .    i  abissi   si 

sprofondano,  in  un  mistero  pauroso,  abitava  da  se- 
coli una  :  acqua.  Un  giorno,  trabal- 
zata dall  marini .  arrivò 
alla  superficie  sulli  n  te.  Una  nuova 
vita  e  un  nuovi  i  rizzonte  le  si  schiudeva  dinanzi: 
una  pianura  immensa,  un  cielo  azzurri,  un'orgia  'li 

Iure. 

Il  sole  si  i  S]         '   Lva  nel  sue  seno  tremolante  f. 
in  n  pn  -        ssa  sentì  discendere  in  sì  la  forza  s-. 
del   granile  astro,    sentì  essa  stessa    gì 
.•mare    un   gn  sso   mi  m  i      Migliaia    e    milioni   di 
roscopichi      ■  si   \  iden    alli  ira    turbinare 

in  quella  gì  -       nze  che  a   lei  scia  e  al   s 

i  mi  ■  la  gii  ia  della  vita. 
Questi    goccia  :.     scintillava  ora  alla 

superficie  ili  u  i  aveva  pi  rò  già   fatto  un  as- 

sai lungo  viaggio.  Aveva  toccato  altezze  e  proi 
dita  che  non  aveva  raggiunti  mai  nessun  uomo. 
Di  pprima,  in  seno  ai  mari,  ne  aveva  percorso  lenta- 
mente tutti  i  bass  Fondi  spinta  dalla 
corsa  impetuosa  i  11  con  riti,  da.  un  polo  all'ai 
attraverso  le  torride  regioni  dell'equatore.  Ed  ora 
rimontata  ad  un'altezza  di  molti  chilometri,  av- 
volta in  un  torrenti:  di  luce  abbagliante,  in  procin 
to  di  compiere  un  nuovo  giro  mondiale. 

E  noi  seguiremo  la  picei  la  goccia  in  questo  suo 
immenso  pellegrinaggio  attraverso  il  mondo,   la  se- 
ino  nei   m  nuore  vite  ch'essa  andrà  a 
vivificare,  nei    meandri    impercettibili    delle    vene  e 
nei  cuore  ili  vi                   ai  secreti  della  vita  umana. 
Noi  potremo  ci  -      i    n    'ere  la  terra  con  tutto   il 
suo  organismi  11    mare   non    è  che    il   suo 
cuore  nel  quale  si  agita  con  vive  e  talora  terribili 
pulsazioni    il   sangue  che   vivifica  questo  strano  or- 
sino  penetrandone  i    più   secreti    recessi.    E  an- 
il  mare,  cui  re  del   mi    idi      ha  le  sue  pulsazioni 
diche,    rappres  nta  i    >u   tutte  le  spiaggit  dal- 
l'alta e  bassa  marea.  Le  grani  ;liano 
i   mari   rappresentano  le  artei       principali   di   que- 
-  i    i  orpo  misteri.  -   .                      ìumi,   i   ti  iti  ni  i    i    i 
ruscelli  ne  simb  leggiano  le  vene.   E  giorno  i    i 
le  arterie  e  ie                          ;ellate  dal  flato  tumul- 
tui si                nde  che   le   pero  m    con       in  ; 

Ila   terra   è   l'atmosfera 
a  quale   -  n'ubi    viene  trascii 

dal    calori     si  lan     il    sì       i  Ila  terra   purifii 

dalle   infezioni    chi 

suolo.   E    ■<  me   nei    nostri    pi ilrw  ni    il    sangue 

■    1    l'impeto   e    la    forza    necessari 

invadere  tutti   i  muscoli  umi  anche  nell'i 

I  \  .ij"  re  acqueo  prendi 
per   poter    precipitare  una 
tutte  le  fi  ii. 

La  potenza   dei  ile  che  essi  tra- 

nelle  più  ii  ni  quantità  spaven 

La  Lettura. 


i    concorroni    a   formare  le  nubi.   Certa- 
i.       et   un  viaggii     i   regioni  così  rem  te  l'acqua 
deve  perdere  la  sua   fi  1:11.1  solita.   11  calore  del  sole 
ci   npem  1  rando    la    n  la    1  rasforma   in 

una  nuvola   invisibile  'li  '   Lpi  ri    che  si   Solleva   tran- 
quilla  ad  altezze    inesplorati      La    gocciolina   il  u 
qua  è  allora  divisa  in  centinaia  di  atomi   invisibili: 
nel  fondo   dei    mari    non   era  che   un    pio  corpo 

un  in  ;  ora,  pi  mirata  dalla   potenza   della  luce  e  del 
calore,   turbina  come  in   una   piccola   esisi  -nza  nelle 
gli   uragani.    Essa   rappresenta   del  resto 
anche  un  elemento  pitturili     decorativo   sulla   tavo- 
:    sterminata  del  cielo.  Nei  giorni  afosi  di  un 
1  ■piati  ria  le ,  quandi     il   cielo  ci  abbacina  l'oc- 
chii     colli     iridescenzi     metalliche   del  suo   azzurro 
profondi     e    sterminato,    una   nuvoletta    bianca    che 
lavighi    lontano    rompe    la   malinconia  grave  e  in- 
o  mbente   dello  spettacolo  e  porta  la  nota  gaia  della 
'    del  moto:   e  come  una  vela  bianca  sul  tremo- 
lio azzurro  d'una   manna. 

Quanto  più  alto  salirà  la  m  stra  goccia  d'acqua, 
maggiore  sarà  la  forza  che  le  imprimerà  il 
cali  re  de!  sole  per  la  nuova  corsa  che  l'attende,  e 
tanto  più  visibile  sarà  l'effetto  che  produrrà,  pre- 
milo sulla  terra.  Ma  anche  forgia  pazza  della 
gì  1  11  lina  che  a  ire  negli  altissimi  spazi  ha  il  suo 
limite.  Aveti  mai  osservato  un'ascensione  aerea? 
11  pallone,  trascinato  dalla  forza  ascendente  del- 
l'idrogeno, sale  rapido  rapido  e  vi  rticoso  sottraen- 
dosi ben  presto  alla  vista  degli  spettatori,  ed  ar- 
riva così  alle  altezze  spaventose  di  cinque,  otto. 
dieci  chilometri  ;  ma  giunto  a  un  certo  livello,  len- 
tamente si  arresta:  data  l'estrema  rarefazione  del- 
l'aria a  quel  limite,  il  pallone  non  ha  piti  nessuna 
forza  d'ascensione  ed  è  assolutamente  immobiliz- 
zato. 

O  sì  anche  per  la  nostra  goo  .1  d'acqua,  trasfor- 
mata 11  vap  1  .  sisti  un  limite  di  altezza  oltre  il 
quale  essa  non  potrà  mai  salire  e  dove  regnerà  e- 
ternamenti  splendido  e  imperturbato  l'azzurro  im- 
m<  ns.    del  cielo. 

Seri1'     allora    il    primi  0    della  creazione 

-a  nuova  goccia  d'acqua:  ecco  che  spunta  una 
nube,  ('di  atomi  dispersi  si  riuniscono  nuovamente 
assieme  in  un  mirabile  agi  di  cristallo:  la  goccio- 
lina allora  ha  raggiunti'  li  staio  della  sua  massi 
ma  purezza. 

per  la   nuova  stilla   di   pioggia   ap- 
a  subito   un  nuovo  ciclo   di    la- 
voro.  Ai    ui         edi,  per  un   immenso  orizzonte,   si 
che  esv,.  1  Ecco  che 

li    nubi  si  ragia  upj  iam  scavallano,  ecco  che  a 

ni   e  a  milioni    i  piccoli  cristalli    bianchi   navi- 
formano  un'unica  cappa   oscura   che 
il   ti  atre.   E  intanto  ecco  che   lontano   Ione 
sulla   sup  '  I  1     mari   ali  re  gì  ccii  dine    - 


I 


LA     LETI  i  P  i 


j 


mai    rapire   a 
(  'hi  non  ha  i  sa  i  inchi  i  ramonti 

na  incorniciata  lontano  dai 
riflessi  i\\  porpora  dell'orizzonte  infuocato     I     un 


HO    DI    Nl'BI. 


ilta  il  sole  si  i  suoi 

[infrangendo    i    torrenti    della 

il  prisma  purissimi  i  di  quelle  masse 

■  li  ghiaccio:   sono  allora  effetti  'li  luce  e  'li 

gliosi  dipinti  <la    una    tavolozza   che 


incendio  meraviglioso  che  arde  in  distanza  e  sem- 
bra la  line  grandiosa  'li  una  nuova  Troia.  Talvolta 
nell'  alla    pallida 

luna  si  disegna   un   immenso  anello  circolare  liian- 
il  pallido  chiarore  lunari    Qi 


DALLE    RIVISTI. 


S35 


enormi  anelli,  chiamati  aloni,  sono  costituiti  da  mi- 
lioni e  milioni  ili  piccoli  aghi  cristallini  che  danza- 
no una  ridda  meravigliosa  sotto  lo  sguardo  materno 
•della  luna. 

Le  nubi  di    ghiaccio   sono  però   ben  diverse  di 


bra  della   vallata.    E   su  tutti  quei  tanti   comignoli 
fumanl  i  sotto  la  neve  si   leva  ardito  e  fiero  il  i  i  ri 
panile  della    chiesina.    simbolo    di   pace  e  di    pi 
ghiera,   come    un    padre    che  vegli    sul    riposi 
figli. 


Meran  sotto  la  neve. 


quelle  che  producono  la  neve:  queste  ultime  sono 
ancora  più  complicate  e  risultano  da  milioni  e  mi- 
lioni di  piccole  stelle  cristalline  di  forma  esagonale. 
In  estate  le  nubi  nevose  non  si  fermano  che  nelle 
regioni  soprastanti  alle  alte  catene  di  monti,  dove  le 
piccole  si  il  cristallizzate  avendo  da  traversare  un 
mini  r  strato  ili  atmosfera  arrivano  sulle  vette  e  sui 
fianchi  dei  monti  senza  squagliarsi. 

Lenti,  lenti  cadono  i  fiocchi  bianchi  e  silenziosi 
e  coprono  con  un  candido  lenzuolo  tutta  la  pianura 
sterminata.  Oh,  come  è  bella  l'acqua  in  questa  sua 
forma  di  purissimo  e, nidore,  quale  meraviglioso 
panorama,  quale  imponenza  di  inarrivabile  gran- 
fi i  sita  ! 

La  neve  '<■  uno  degli  elementi  pittorici  più  splen- 
didi 'he  si  conoscano  nel  gran  quadro  del  creato. 
Vedel     lassù  lungo  le  catene  dei  monti   lentamente 

gradanti  a  valle:  è  un  panorama  che  sorge  ali  oc- 
chio estasiato  come  una  visione  infantile  di  bian- 
chezza e  di  candore.  Nella  vallata,  come  branco 
di  pecore  raccolte  a  sera  presso  il  pastore,  si  stende 
tacito  e  tranquillo  il  paesuccio,  come  un  ultimo  a- 
■vamposto  di  civiltà  contro  le  regioni  della  natura 
grande  e  selvaggia.  Nello  sfendo  leva  a  picco  la 
ite  fiera  una  montagna  bianca  che  dà  riflessi  di 
luce  e  di  candore  sui  tetti   dormienti   nella   penom- 


Ma  ecco  che  l'inverno  scompare  dalle  pianure 
e  dagli  altipiani  e  ben  presto  le  prime  tiepide  brezze 
e  le  prime  furtive  corolle  spuntano  nei  prati.  E' 
la  palingenesi  della  natura  e  della  vita.  Un  nuovo 
fremito  di  vita  e  di  riconoscenza  vibra  nelle  viscere 
feconde  della  terra  e  tumultua  nei  secreti  misteri 
del  suolo,  che  riversa  al  trionfo  e  al  bacio  della  lu- 
ce la  sua  nuova  meravigliosa  fioritura.  I  raggi  de! 
sole  battono  allora  come  un  risveglio  e  un  richia- 
mo sulle  vette  nevose  dove  sta  imprigionata  timi- 
damente la  nostra  gocciolina  d'acqua.  E'  il  richiamo 
alla  vita  e  al  lavoro.  E  la  gocciolina  ubbidiente  si 
inumidisce,  si  scioglie  e  si  stacca  finalmente  dalla 
roccia  e  ripiglia  il  laborioso  cammino  verso  un  nuo- 
vo pellegrinaggio. 

Ma  quante  leggi  sapienti  ;  quanta  economia   mi- 
rabile si  rivela  in  questa  metamorfosi  nuova  della 
primitiva    gocciolina!    Il    passaggio  al    nui 
di  vita  provoca  uno  sprigionamento  enorme  di  ' 
che  se  non  fosse  contenuto  in   giusti    limiti    pi 
cherebbe   una    rivoluzione  tellurica.   Guai    se   a  un 
segnale   o   allo    scoccare  di    una  data    tutta    quella 
massa  portentosa   di   ghiacci  si  movesse  principian- 
do  in  un  solo  istante  la  marcia  verso   la   pianura! 

Quali    cataclismi,  quali   rovine   sullo 
passaggio  di  quell'irruzione!   Ma   la  natura 


LA     LETTI  HA 


ne. 

o  mini  ia 
altre  lui 
i   lenti   pendi  im 

SO     |>lló     IUvm: 

che  la    nosl ra    \»  vera  goccii 
n    un  ghiacciaio    pi  ssa    riacquista 

.  ; ,    daJI  nini!'  ibilità      l'i 

rionalmente  rìgidi 
.mi  accumularsi    in   quantità   tale  da 
■  ompletamente  vi'  Ita  che   in  un 
mero  i  -  -ai  calde. 

1  ghiacciai  sono  i  grandi  arsenali  'li  riserva  del 
nell'eco)  rra  rappresentano 

■    i  li.-    impi irtante,    destin  ita    i    fi  mire   mi 
perenne    ai    fiumi    anche    nei    lunghi 
n  cui  l'inclemenza   del   cii  I    ri- 

eri fidanti.  I  ghiai  ciaj  si  1 1    appuri 
riserva  che  a  poco  a  pocoquando  più  grande 
sprigiona  i  suoi  tesori  risti  rati  ri. 


norme  massa  ili  installi,  che  li  preme  e  sprizzano 
]m>ì  in. .il   violentem 
la  ia  \  alle. 
L'uscita  'ii  questi  torrenti  dagli  ultimi  mass 

i  dei  imi  belli 

i    ii  pia.  uscendi    da  un  \  iaggiu  lung 
tenebri  si  ■.   atl  rav<  i  uidri    che  non 

conoscono  il   sole,  par     rallegrarsi   del   tr'n 
stoso  ili  luce  e  di  colori  chi    ne  l'arrivo: 

hi    i  umultuano  e  flagi  llarn  >  gli  ulti- 
mi ghiacci  comi    un  addio  alla  rulla  e  un  saluto  al 
ita. 
L'acqua    poi    prei  ipitando   in  ittraverso 

le   roccii  li  acquista    una    potenza 

meravigliosa    pari  alle    più    formidabili  esplosioni 
ili  dinamite.    V  ssune   1 1  mba  Dai  la   poti 

'•  potrà  compii      1  lavori ,  qua   nelle 

viscere  dei  monti;   essa  sola   fra   la  massa  stermi- 
nata  ili   ghiacci,  che   rappresentano  uu<i    forza    ili 
i  "i'i   ìsìi  ni   'li  migliai  iellate,  sa 

■    roccii    più  aspre  e  'Iure  aprendosi   una   via 

rterebbe  all'uomo  anni  ed  anni  di  lavori    '.| 
picei  ne  in  mano. 


Giar iHs  i  ico  bi  Berlino. 


-'  ■  i  Mera  puri     a  p      i  za  dei  ghiaccia 

i       ita       si  quando  si  iiiriti.no  in  moto.  Tutta  quella  m 
in      immane  ili  cristallo  acquista  talvolta  una  forza  'li 
si  endente   su  nagi  nazione  e  al 


DALLE    RIYks  I  I 


83 


li  ira   nella   sua  marcia  lenta   ma  inesorabile  travol- 
ge e  trasporta  quanto   ino  ntra  sul  sud  passagg 
è  una  fi  i  '.a  bruta  e  fatale  che  si  avanza  dalle  gì  ' 
e  dai  burroni  alpestri  verso  le  \  i     saranno 


/ 


freschez?  Si  rdi    del    fiume,    al    bacio 

'le!    -  'in   le  avide  corolle  i    fiorellini  ir  p 

•  ienti  di   vita:    ed  essi   succhiano  dalle  acque  scoi 
tenti  quella  linfa  ristoratrice  rhe  li  difeni 
jiera  far'  -..lari.  E'  tutta  una  fioritura 


Bocca  di  un  ghiacciaio. 


Talvolta  massi  rocciosi  minati  dalla  corrosione 
«Ielle  aeque  o  dalle  sei 'sse  telluriche  si  staccano  dai 
ii  nti  e  precipitano  sulla  bianca  super- 
ficie dei  ghiacci.  E  il  ghiacciaio  li  raccoglie,  li 
trasporta  sul  suo  dorso  fino  alle  pianure  lontane. 
Arrivati  al  punto  dove  il   gli  esaurito  e  di- 

strutto dalle    stillicidio    muore    con   pochi    ghii 
liquefacentisi,  le  pietre  e  i    rottami  trasportati   da 
si  accumulano  formando  piccole  collinette  che 
ne  di  morene. 

Anzi  reni  rialzi  morenici  sono  pel  geologo  un 
indizio  e  un  documento  per  stabilire  la  fronte  di 
antichi  ghiacciai.  Lo  stillicidio  dei  ghiacciai  dà  le 
prime  origini  ai  fiumi  che  a  traverso  le  pianure  por- 
tano poi  al  mare  il  tributo  dei  monti.  E'  O  SÌ  uno 
scarnici,  perenne  tra  il  monte  e  il  mare  che  i 
presentano  i  due  poli  estremi  della  marcia  dell'ac 
qua  nel  mi  ndi  . 

i  ti  la  vita  del  fiume,  dalla  culla  alla 
■sua  foce,  nel  mare.  Poco  a  poco  esso  sale  dalla  ge- 
lida temperatura  primitiva  ad  una  temperatura 
più  mite,   pur  conservando  sempre  il    ricordo  d 


speciale   -lo    accompagna    i  primi    passi  del    lumi' 
attraverso  le    regioni    montuose:    è    la    magnifica 
flora  alpina    lai   colori   vivi   e  smaglianti,  che   vigi 
reggia  in  tutta  la  sua  pompa  fastosa  ci  rxn    un  inni 
alla  vita.   E  i   prati  e  i  pascoli  si  stendono   lungo  i 
margini   sassosi  del  fiumicello  e  portano  Fuberl 
la  ricchezza  al  colono  tranquillo  e  felice.   Ma   ossei 
vate:    mando  il  si  le  indora  le  prime  corolle  aperte 
al  bacio  ii  qua  e  là  per  le  balze  scoscese  .• 

pei  prati  pianeggianti  vola  ronzando  irrequieto  un 
piccolo  sciame.  Sono  insetti,  che  i  zoologi  distin- 
guono nelle  molteplici  famiglie  degli  imenotteri,  le- 
pidotteri, coleotteri,  alidi,  ecc.,  ma  che  lutti,  come 
una  sola  famiglia,  accorrono  ali.-  medesim  fonti 
ili  vita.  E  le  api  e  le  farfalle  >i  posano  leggere  sui 
petali  umidi  di  rugiada  e  vi  succhiano  avidamente 
il  nettare  dolce  della  vita.  V'Ha  festa  del  sole,  nel 
iviglioso  mattino  ,  un  piccolo  poema  montano, 
un  idillio  campestre. 

E  tuti'   qui  -1     si I  rsi  di  fi irze  e  di  i 

tufo    rìsale   alla   timida   e    povera    goccia    d'acqua, 
-tappata  dal    sole   ardente    agli    abissi   dell'io. 


LA    LETTURA 


Usa  cascata  in  roccie  dolomitiche. 


Nella  !  instancabile 

la  terra  essa  vivifi- 

mpre  nui  ■ 

ti  umon- 

creazii  ! 

alte  e   inaccessibili   rupi   un    fiore 
ha  la  melan- 
dolo,   ,n'' 
uille  notti   v.  I 
..  la  stella 
sulle  roc- 
b  rg     Ni    i  aste  un 

altro  '"•     '''; 

rifugia  SU 
,.;  per   -  ilvarsi    dalle    mani 

E  man   mano  che  scendiamo  a 

livelli  minori  ecco  sui  margini  dd 

il,      5punl  in     li     prim  ■    rose 

t-orolle      via     ■    -    istillanti, 

mano    biancheggiano    le 

primi  ssMk 

lanciato,  in  alto  come  una  sfida  ai 

venti  .   e  i   man   man     le  macchie 

dall'aroma   acre 

.  i,,  stani    e    i    noci 

di,  si  e  secolari  colle  immense 


Valle  CO»  GHIACCIAIO  E  UNA  morena  MEDIANA. 


DALLE    RIVISTE 


83Q 


radii  -late  titanicamente  nella  terra.    1 

la   ni  stia  goccia  d'acqua  penetra  vivificando, 
nelle  I  -tulle  a  dare  il  verde  pallido  alle  foglie,  nei 


dei    monti  si   forma   nella   valle   profonda   un  tor- 
rentello audace  forte  di  acque  bi< 
che  d'una  balza   in   un'altra   scende  finalmente  tur- 


UNA    CASCATA    FRA    I     MONTI. 


pini   a  creare  la   resina   e   gli   aromi  stillanti    dalle 
ferite,  nei  castagneti  a  creare  il  frutto  buono  e  sa- 
che  nutrirà  le  povere  genti. 
M  he  di  tutti  i  rigagnoletti  egli  stillicidi 


e  fiero  nella  pianura  immensa  che  digrada  al 
mare. 

Ma   prima,   spesso   ai    piedi  dei    monti    stessi,    il 
nte  deve  distendersi  lento  e  placido  in  un'ara- 


re    un 

e    il    tri- 
ai  ni  i,    il    fiume 
paesi 

muc- 
I        pi 

Ita    le 
buoi  i 

e  beì- 

tricli    meri 
ne  renda  meno  fai  ii 

sudore  alla 

l     'i'i'  Ila  d  acqua    porterà   colla   1 1 

anche   la    fi  >r/a  e  la  ricch       i     I  ,ungi  i  il   suo  i 

lalle  uh  ir    in   •  , 

: 

■  i   la    lini!/ 
in    un    fluido    misi 
in  tutti  rza. 

ili  una  pire. ila 
i  un  giro  lunj 
elo  e  dell  t 
dell  i  uà    timida  che  un  |  iorno 


LA    II   li 


■    LONTANO. 


Rovine  d'alberi  presso  in  torrente. 

iiiiir  ■  »i  mi,-  volte  nei  lon- 

tani deserti  di  mentre  il 

inlin  !•'■  sulle  sabbie  'li  fuoco,  un 

din  tto  a  una  mi  la  lontani 
arsura  nella  lari 
conforto!   Ma  lontano   lontani    -  intilla   al   soli 

argenti      l 
mori  |  la,  il  misi 

natore  vola  verso  il  limpido  ruscello  che 

piedi  ili  qualche  ani         I         ili  carabo,  ne  suc- 
chia  a\  idamente   i  prende  mi.  va 

e  in:  per  la  mèta  che 

ìorrii       "  n   più  tanto  lonta 
Altra 
sgorga    ini] m  '  •  :    i 

traia  e   là  dove   prima   bruciai 
le  n  « vir  seb  _■  re  l'uno 

dopo  l'altro  i  caravanserragli,  le 
pi  vere  i  apanne  ili  fango  e  'li  barn 
liìi.  poi  infine  tutto  un  \  illaf . 

un'improvvisa    crear 
zìi  i  I  a  dalla  terra- 

Altra  voli  i  si  pra  uni  i  stagno  pu- 
tridi   i  gì  mo  le  deboli 
Ialini-  ;  he  diventeranni 

|uandn  la 
tenza   degli    ai  delle 

i  i  cresciuta  ■■•Ile 
indusl  rie      ci ii  commerci. 
I     la    timida    gocciolina  en 

no.    entrerà 
i"  noi  maturano 

al 

che    sorprenderemo    I  inne 

d'una  palud  ini- 

■  i   in- 


DALLE    RIVISTE 


841 


li.  fiume  Rosanna  presso  Sant'Antonio  (Arlberg). 


somma  in  ogni  alimenti,  del  n<  atro  corpo,  rome  ingrediente   costitutivo    e  necessario,  e  penetrerà  così  in- 
fine ne]   nastro  organismo,   entrerà 
nelle    nostre    vene,    scorrerà  per   le 
i"  stre    arterie,    carne  della    nostra 
carne,    \  ita    d  -Ila   nostra    vita.    E 
infine,    compiuta    la    sua  missione 
passata   dal  mare  alle  alte  regioni 
celesti,   la  1  li  >ve  più  terribili   Fuggo- 
no gli  uragani,  discesa  fra  i  ghiac- 
ciai  sublimi    ed    eterni,    sprigii  ria 
tasi    in  un    zampillo  fresco   e  mor- 
ante,  1»  rduta  nel  corso  maesto- 
so   di    un     fiume,    tornerà   umile    e 
ignorata     al    mare    d'onde    partì     e 
all'     miriadi   di    goccioline   che    ac- 
corri ialino  colla  marea  a  salutami 
il     ritorno,     nai  n  rà    la     storia    del 
ii     meraviglioso,    la    bellezza 
del    mondo,    la    soddisfazione    del 
ben     compiuto,  e  forse  meni  re  an 
ci  ia   esulterà    dei    primi    abl >racci 
colle  sorelle    ritr  i\  ate,    un    nuovo 
raggio  di  sole  la  fisi  Ueverà  nui  «  a 
mente    nel    cieli  1.    nuovann  nt.      lan 
dandola    nel  viaggio   del    ninnilo. 

(Dalla  rivista    Velhagen   und   Klasings 

Mollatili,  1:,    . 


(ìli    affreschi    di     animante 


nori  che   I 

dagli 
,     j  \l     m 

i  Uri  ive      sanno 

tale  pittore  che.  s  ■ 
i     mdonal     i  p  nm 
dato  del  filo  da  ti 

I;    quella    ■ 

lobbero   'li 

'  '■     B. 

poi    nitri   cinquecentisti    insigni 

\  iutO   ('filini,    il    Lo- 

dell'arte  t 

1 '  Berga 

m    •       M  ■  di    quali  però  avanza 

i  della 

-i  dal- 

ì      i  nel   Casti        SI    rzesco, 

onna  nell'abazia   'li 

ravalle   e     (monumento    maggiore    del- 

sua)  gli  otto  affresi  sa  Pa- 

nigar  Prinetti,  in  via  Lanzone,  n.  4), 

mesi  trasportati  nella  R.    I 
,li    Bl  fermano   una   delle  cui 

a  ori. 

hi    rappresentano,    in    figure 
.  Eraclito  che  Demi 

ride,  e  sftte  ligure  maggiori  del  ve- 
ro (due  sole  intere)  'li  divi  i^;  mai  stri  d'arm  •. 
d'alcuni  dei  quaJ      :    !  omazzu  ha  lasciato  il 
in    [uesto  |"  riodo  : 
■  \.  I  11  l'armi  con  il 

insieme,  - 

ii]    ,  Giorgio  Moro  da  Fi- 

,(  cim  ramo  che  fu  ancora  pitti 

«  quali  tutti  tre  furono  ;  nza  sua  ri- 

a  tra-  ii,  da    Bramante,  in 

dei   P  migan  la  a  Santo 
Di  i  nominali  si  trovano  in 

iriche,  molte,  in  el  primo 

la. 
Rispetto  poi  alla  persona  che  avrebb    da 
Bramante  l'incarici    delle  pitture, 

G  Panig  irola,  che  fu 

izzo  Sfor- 

.    oli    XV,  ed 

ebbe  una    figli. 1     \jcangela.    nata    nel    1463, 

1   rinchiuse  nel    148;   nel  monastero 

1  a  pochi  passi  Malia  ca 

loia   fu  uomo  'li   fiducia 

e  il  confidente        G  M.    Sfi  >rza,  o  1 

..gli. irsi   se,  abituato 

al   lussu  dèlia  -  ■'   continuo 

lale  'Iella   ' 

;  ti     'lai     ■ 


fu  un  celebre   archi)  so    nello    . 


:A    INTERA    l'I    1  S"    1>E1    MAESTRI    D  ARME. 


DALLE    RIVISTE 


843 


predetti      maestri 
d'arme. 

Giuseppe  Mori- 
geri aveva  dubi- 
tato ohe  gli  af- 
freschi nella 
di  via  Lanzone 
non  si  trovassero 
più  al  li 

primitivo .  ma  vi 
-  ro   stati   tra- 
sferiti    da    altra 
parte.    Gli    studi 
dell'ing.   Gaetano 
V    ,  tti  e  di  Lu- 
Beltrami.     e- 
-•'1    da   questo 
ultimo  nella  Ras- 
i  e- 

scludono  (con  le 
più  evidenti  pro- 
ve di  fatto  1  quel 
dubbii  1  e  determi- 
nano la  loro  di- 
dizione  e  tutta 
la  decorazione 
■  iella  sala,  con- 
cludendo che 
t  Bramante,  pur 
i:  u- 
na  sala  che  aveva 
un'altezza     roino- 


i 


Frammento  di  un'altra  figura. 


ti  di  i'i.  5.  ^eppe 
svolgere  un  mo- 
tivo decorativo  di 
non  comune  gran- 
diosità ,  ed  adat- 
tarvi figure  sen- 
sibilmente mag- 
giori   del    vei 

Rispetto,  infi- 
ne, allo  stile  del- 
le pitture.  Corra- 
Ricci  si  è  di- 
lungato a  mostra- 
re ch'(  ssi  '  non  ur- 
ta con  la  storia 
che  le  assegna  a 
Bramante ,  per- 
che- 1 

videnti      caratteri 
di     scuola     mar- 
xiana, affini  a 
quelli    di    Ma 
Meli  zzo  da    I 
li.  per  ricexpal 
za  severa   di 
me.     mi  mumenta- 
lità    decorativa    e 
per  colori 

(Dalla    Rassegna 
•  le  e  dal  Cosmos 
Catlwr 


Una    città    isui    "trampoli 


apitale   dell  (  (landa    è 

m'aita  mas  'li  acqua 

gè  la 

■ut,,  ili  torba.  Tutte  le 

■     su   «  t  rampoli  »,    alti 

neti     Se  per  un  fe- 

iqui  ,  pei  una  piena. 

miliquida   inti  i  posta  I  ra 

ra  solida  i 

ii  zzo  milione  di   abitanti 
strade  su   cui  i 

anti  i  per  \  ia   >!i  si 
o  'li   funi.    I  a  rei he  stra 

ma   non  bisog 

romeno   un  itiri 

1 1  governi 

•  li    invasione   nemica.    le 
città  e  tutte  le  ten  r  inondate 

m   ■    .1   all'im  a 

durare  molto 
a    lungo,    l'imn      -  qua   dimi- 

nuir ■   la   consistenza   dello  • 

n    nda  le  palafitte,  le  quali,  secondo 

quanto  assicurano  le  autorità  tecniche,  va- 

fondanienta,  >    ben 

bbei      precipitare    l'intera    città 

anche  una  grande 
bufi  a  precipitare  la  catastrofe.   E  col- 

I  aiul  esempi  separati  e  «  indi 


ali  a  'li  altre  cat astri  fi  consimili  già  orrore 

può  l  ai  ilmente  in  n  olo  della 
■    e  il  terrore 
di  essere  da   un   mon  litro  but- 


i  Ina  casa  ■ 


Un  terreno  edilizio  in  Amsterdam. 

tati  in  acqua.  Poiché  avviene  di  tempo  in  tempo 
che  le  palafitte  qua  o  là  cedano,  e  nella  storia  mu- 
nicipale sono  consegnate  nur  itastrofi  di  tal 

1752  gli   abi- 
tanti   di  G  raat, 
svegliandosi    una    mattina, 
si  avvidero  ili  un  disi 
lo  eh  tra 
il   lato  nord  e  il  lato  sml 
della  via.  Gli  abitanti  del 
lato  nord,   che  alla   matti- 
na erano  soliti  salutai 
abitanti  delle  ras.-  di 
eia,  «  ]itt-l  giorno  videro  che 
■  |ueste,  che  prima  erano  allo 
stt->so  livello  delle  lor. 
raro                idate  nel   fan- 
go per  quasi  due  ter/i.  |kt 
moilo  che  non  se 
va  più  ehe  la   parte  supe 
re    e    il    tetti  >.    1  )'  altri 
ranti                              nord 
nln 

in    alto, 

penile     elllel-e\  all'i     in  -Il  .1 

ria  eoin.  h 

dono    in    una    delle    n 
illustrazioni,     ehe 

1     futi     ralla    ili    . 


l'AL.LE    RIVISTE 


845 


•  Itili»  conservati  nel  Museo  di  Amsterdam.   E 
tevole  che  questo  fatto  straordinario  non  ; 
grande  sensazione  nella  città.  A  forza  'li  vivere  sui 
trampoli,    [uei  bravi  cittadini  hanno  acquistato  una 
propria. 


TRE   CASE   SUI  «TRAMPOLI».  (Modelli  del  Museo  di  Amstei 

Xel  1822  gli  enormi  magazzini  di  grano  fatti  co- 
struire dalia  Compagnia  dell'India  Occidentale  O- 
landese.  caricati  eccessivamente  di  cercale,   rovina- 
ne!  fango. 
Xel      1840     furono     co- 
struite tre  case  secondo  un 
nuovo    sistema,     con     pali 
più    gr<  ssi    del    soliti 
più   lontani  tra  loro.  L'ef- 
fu   abl  astanza  curio- 
SO.    Dopo    un   ceno   perio>- 
Ho  di  solidità,  le  case  co- 
minciarono a  muoversi,  un 
la  una  parte,  un  piv 
un'altra.    Qu   - 
Stillazioni      durarono      un 
pezzi  .   Finalmente,   benché 
gli  abitanti  di  Amsterdam 
non    siam.    abituati    a    stu- 
pirsi troppo  si    ì  pavimen- 
ti   dell  stanze   non 
i!    livelli 
si    stimò    prudente 
far    evacuare    le    rase    in 
Btiestii  n           lnittarle    giù 
senz'aiin  . 

Xumerosi     incidenti     di 
minor  conto  sono  avvenuti 
in  ili\  t-i  si  tempi.  Ad  esem- 
nel   1886  le  mi- 
gliaia  di    pali 

la  Stazioi      •    intrale 

e  la  Sta- 

abbas- 


tale  rapidità,  ohe  una   sera  molti  abitanti 

andarono  a  letto  con  la  convinzione  che  1  indomani 

avrebbero  più  visto  l'edificio.   Invece,  dopo  es- 

assata    di    parecchi    piedi,    la    Stazione    si 

termo,   permettendo   agli   architetti  di   rafforzare  le 

fi  in  lamenta. 

11    Palazzo  di   Città  è  sorretto  da   13.659  pali; 
1!  palazzi    della  Morsa  ve  ne  soni     ina  30.000; 
-     calcola  che  sotto  la   citta    intera  ve   ne   siano   al- 
meno 20.000.000;   secondo  certuni,  la  cifra  si  do- 
vrebbe  portare   a    ^0.000.000.    In    alcuni    luoghi    i 

pali  - vicini  che  quasi  non  intercede   alcuno 

spazio  tra  l'uno  e  l'altro.   Si  comprende   facilmente 
la   ciò  come   le  spese  di    foi  di    una   rasa 

debbano  essere  enormi.  Bisogna,  anzitutto,  chiudere 
con  un  solido  recinto  il  luogo  destinato  alla  rasa 
perchè  non  vi  penetri  acqua.  Poi.  scavando  e  pom- 
pando, bisogna  togliere  tutto  il  materiale  semi-li- 
quido  che  vi  si  trova,  tinche  non  vi  si  sia  raggiunta 
la  terraferma.  Ciò  fatto  si  piantano  i  pali  :  da  due- 
cento _  a  seimila,  secondo  le  dimensioni  dell'editino 
progettato;  e  infine,  segati  tutti  i  pali  alla  stessa 
altezza,  si  pone  su  essi  l'impalratura  destinata  a 
reggere  la  casa.  In  Amsterdam  arrivano  continua- 
mente enormi  rarichi  di  pali,  e  spesso  i  'anali  a- 
diacenti  alla  città  sono  quasi  letteralmente  bloccati 
da  quelle  specie  di  foreste.  Quando  le  fondamenta 
hanno  raggiunti!  il  livello  della  strada,  si  ti  glie 
via  il  recinto,  e  si  lascia  il  fango  penetrare  libera- 
munte  tra  gli  interstizi  dei  pali.  E'  straordinaria  la 
resistenza  di  molti  di  quei  «  trampoli  »  all'opera 
dell'umidità.  Durano  spesso  lunghissimo  tempo.  Ul- 
timamente sono  stati  tratti  fuori  pali  che  erano 
stati   sepolti   nel   fango   per  otto   secoli    e   si   erano 


Le  fondamenta  visibili  di  in  magazzino. 


M" 


LA   LETI 


' 

l 

11 

Il  nemico. 


—  imi.  Altri  si  erano  comi    pietrifi- 

ano  acquistato  una  resistenza  di  granili  >. 

M     d'altra  parte  molte  migliaia  di  pali  die  so 

centinaia   di   fase  sono  condannati 


ad    una    prossima  distruzione,    i una 

buona   porzione  della  città 

hi,  o  deb  li  pei  si,  o 

Vmsti  i ri   ha   un   ni  n 

terril  ■  lavora  di  i  ontinuo 

e  che   i   su.i   abitanti  vt un 

I;    spagnuoli.    (Juesto   nemico  è  un    ins 
i    ride  di   un  gì  inello  di  riso,  che  s  ini  ro 
duce  con  le  navi  a  schiere  nume:  ro 

\  ina  il  legno  su  cui   p  utta   la  città.  <    se  la 

guatata  a  tempi  pò 

nesse  riparo,   la  casa  cadreblie.   Spesso  l'animai 

i  tanti    .ni  un  pai  .  che  non  ne  resta  nep- 
ima    qu  i  Ilo    spessi  re    origina 

Sarebbe    impossibile    calcolare    quante   i 

ate  dall'insetl I"'  r  .    Si    fa  di   tutto  pi 

stirp  npresa  tutt'al- 

i     chi    fai  ile. 

Se  un  giorno  una  causa  qualunque  as| 
I  angi  ■  e  l'acqua  eh  idi  ini  >  le   ' 

Amsterdam,  si  vedrebbe  pei  qualche  momento  tut- 
ta la  città,  con  le  sm    chiese,  i  suoi  palazzi,  le  sue 
.    campeggiar   nell'aria;    ma    molta    parte,    per 
1  ..pera   dell'insetto  «  nemici  ..    i  certi    in 

pochi    secondi. 

(Dalla  rivista    Wide    World  Magczine,  d'agosto). 


Le  fondamenta  di  un  edifizio. 


Leoni 

domestici 

li  a  Margate.  A  poca  distanza  dal  mare  sor- 
ge una  casetta  dall'apparenza  connine  ed  assoluta- 
mente inoffensiva.  Entrate:  la  faccenda  cambia  a- 
-.ulla  pi  ina.  trovate  un  leone;  in  cucina. 
aliuui  funi  si  stirano  innanzi  al  fo- 
re  ;  altri  leoni  giuocano  sopra  i 
letti:  leoni,  insomma,  per  tutto.  E 
i  muri  sono  ricoperti  di  fotografie. 
quadri  e  trofei  di  «leoni  che  furo- 
no".... 1  padroni  della  casa  sono  il 
signor  e  la  signora  Sadler. 

—  La  prima  volta  che  ebbi  a  che 
fare  con  i  leoni,  fu  il  giorno  delle 
mie  nozze  —  dice  la  signora  Sadler. 
—  Feci  la  mia  colazione  nuziale  in 
una  gabliia  di  leoni. 

Il  signor  Sadler  considera  i  leoni 
piccoli  come  un  divertimento,  come 
cagnolini,  per  esempio,  e  i  leoni  a- 
t Kilt i  come  fonte  di  guadagno.  Egli 
non  è.  dopo  tutto,  che  un  uomo  d'af- 
fari, un  in  rao  d'affari  fortunato,  per- 
chè guadagna  molto.  Forse  i  coniu- 
gi Sadler  non  sono  le  uniche  persone 
che  tengano  i  leoni  così  in  giro  per 
casa,  ma  certo  tali  persone  non  sono 
estremamente  numerose.  Forse  potrà 
venir  di  moda,  tra  le  persone  ric- 
chi .   tenere  un   leone  come   si   tiene 


un  automobile;  e  si  dice  persone  ricche,  perchè  un 
leone  adulto  in  buono  stato  costa  su  per  giù  300 
sterline,  ossia  circa  7.500  franchi. 

«Quando   visitai    il    signor    Sadler    -  -    rao 


*S£ 

K 

. 

ìk 

r 

i 

i 

fa    * 

"' 

à 

Pp2P^-: 

-- 

La  signora  Sadler  tra  i  suoi  amici. 


Un  cane  che  ha  allevato  molti  leoni. 

1  articolista  —  domandai  se  era  permesso  vederi 
tutti  i  leoni  della  casa.  «Altro  che!»  esclamò  il  pa- 
drone, ed  aprì  una  stanza  introducendomi  al  co- 
spetto di  un  numero  considerevole  di  fauci  spa- 
lancate, che  mi  fecero  indietreggiare  impugnando 
ii  manico  dell'ombrello,  pronto  a  morire  combatten- 
do. Il  mio  Fotografo  era  pallidissimo  e  tormentava 
un  suo  temperino  tascabile  nervosamente.  Tuttavia 
i  tre  leoni,  perchè  alla  fine  dei  conti  non  erano  che 
tre.  ed  assai  piccoli,  per  giunta,  se  ne  stavano  indif- 
ferenti, guardando  con  occhio  che  pareva  addor- 
mentato. «Sono  proprio  mansueti  ed  addomestica- 
ti —  diceva  il  padrone  tirandone  da  pane  uni 
Col  piede;  —  ma  io  non  mi  fidai  del  tutto  se  non 
quando  vidi  la  signora  Sadler  che.  seduta  pressi 
la  porta,  teneva  sulle  braccia  contemporaneamente 
un  suo  bambino  ed  un  piccolo  leone. 

«Lentamente  il  maggiore  dei  tre  animali  che  si 
tri  \  .ivano  nella  stanza,  alto  più  di  un  grosso  terrier 
irlandese,  si  alzò  e  venne  a   fiutarci  l'estremità  dei 

ir  :    poi  una  gamba  del  treppiede  che  reggi 
la  macchina  fotografica  attrasse  la  sua  attenzione; 
si  sdraiò  lì   accanto,   stette  un   poco  quieto,  ma   pre- 
ti   si  stancò  anche  di  quella  posizione  e  si  mise  a 
cherellare  innanzi  a  I      -indo  al  detto  che 

la  musica  abbia  la  proprietà  di  mansuefare  le  bel- 
ve, mi  diedi  a  inori:  orare  la  prima  aria  che  mi  ven- 
ne in  mente  pei  ami  irmi  la  fiera,  ma  l'unico  ef- 
fetto del  mio  canti    fu  che  il  leone  mi  addentò  il 


84* 


LA    LETI 


per  do 

miss    Sa 

padroni    di    casa,    nel    suo   su 

lue  anni,  ,  li  •  m    p  * 

■  -r  le  lai  i  gli)  rome 

nza  ;   probahilmen 

leoni,  se  anchi    non  ci 

ii     dichiarava  che  i 
mi  ■    che 

inersi  sepai  limali 

pii 
,   |i  irò  quaii'  pa  gli  i 

alli  ra.  non  -  iiù  pi  ssibile  tenerli 

pei    rasa,    diventa    necessario    rinchiuderli 
in  un  «  lion  hi  u 

Pi  i  esemp  i  a  la  signora,  «  sino  a  poco 

i,  in  \ ami    qui    Emperor,    il    nostro 

si  j  i   i  .i  i  i\  um  |ue  1 1 'Un    un  i  ane  . 
più  possibile.  Giorgio  ve  lo  Farà  ve- 


Al.I.A    FINKSTRA. 


1 1                condusse  i    ci  presentò 
rx>r.   I   mài      om]  igni  erano  alquanto  pal- 
lidi e  mi   ricordava         h  non   bisognava    perdere 
ier  il  ritorno. 


« — Questo»,  mi  diceva  il  Sadler,  «  è  il  leone  di  cui 
vi   parlava  mia   moglie.   Certo  saxeli!*.'  contento  ili 


I.MI-KKOR. 

essere  fotografato.  Verrà  fuori  dalla  gabbia  come 
un  agnelloi. 

i—  S   in  mini  maritati»,  mormoravano  i  miei 

compagni  al  mio  orecchio,  e  si  eclissavano,  mentre 
il  signor  Sadler  entrava  nella  gabbia  e  legava  un 
collare   intorno  al   colli  del    leone.    Si 

fosse  stata   una   -  ala,    '  mlemplato  1  uscita 

di    Emperor   dall'alto   della   scala,    sull'ultimo 
inno,   perchè   l'animale  si   comportava   come   ui 
-nello  .li  genere  molto  stravagante, 

„ —  E'  |a  pn  - 
un    por.,   nervoso»,    diceva    il    padrone,    m 
volava   alla   velocità  di  quaranta  miglia  ali 

il  dia  1 1  rda  da  i  ui  i  ra  legato  il  Icone,  e  n 
tre.   per   i  no  mpiuto   dal    ì 

stessi      era  orti   i     pei    aria    ad 

un  n     i  Iti  zza.  La  ,  del 

resti  >,  pi  i     farsi  senza  incidenti  ». 

I     piccoli    leoni    ili    cui    i    i 
Sadler    I  mmercio,    ni  n 

allevati    dalla    leoni  ssa    che    li 
al   inomlo.    ma   da    un    San    Beri 
die   fu   .unii  jrafato... 

molta   mim  ri    emozii  me  di  quell 
■  nata  da   i 
Quel    -ionio   il   cani 
a   curari-   due   piccolissimi    leoni:    UT 
masi  -''hiti 

si  mi  vi;.  ri  larmenti 

za    pn 

d'i  t.'i.  e  il  sin    \  alnre  ora  qu 

sterline  (750  franchi  !) 

Dalla  1  ivista   knyal   l\l 


Bagli  i 

di    mare    e    nuoto 

Secondo  i  medici  più  reputati,  il  bagno  di  mare, 
per  essere  veramente  efficace  —  curativo  —  do- 
vrebbe esser  breve  quanto  una  iloccia  e  durare  tut- 
t'al  più  tre  minuti.  Ma  qual  è  il  dilettante  nuota- 
tore che  se  ne  appaga?  Coi  loro  lunghi  esercizii, 
ro  non  fanno  altro  che  sforzare  i  muscoli  ;  la 
qual  cosa  sì  può  fare  egualmente  bene  nell'acqua 
dolce  ;  ma  il  bagno  freddo  d'acqua  dolce  non  è 
salutare,  e  neppure  semplicemente  anodino:  è  anzi 
molto  spesso  nocivo,  specialmente  quando  è  pro- 
lungato. 

L'acqua  del  mare  è  una  soluzione  d'iodio,  di 
soda,  di  potassa  ;  ha  un'azione  violenta  sulla  pelle, 
che  alla  lunga  imbrunisce,  e  per  via  dei  fori  fa  ri- 
sentire la  sua  influenza  sull'organismo.  La  durata 
del  bagno  marino  dev'essere  proporzionata  alla  co- 
stituzione di  ciascuno.  Si  pensi  soltanto  a  questo: 
che  la  cura  degli  scrofolosi  consiste  principalmen- 
te in  bagni  di  sabbia  marina  secca  e  in  inalazioni 
li!  ere  d'aria  di  mare.  Ora.  la  sabbia  e  l'aria  sono 
molto  meno  ricche  di  principi  salini  che  non  l'ac- 
qua del  mare.  Quindi  la  durata  dell'immersione 
nell'acqua  dev'essere  prescritta  dal  medico. 

In  generale,  i  bagni  prolungati  sono  nocivi,  per- 
chè il  corpo  perde  troppo  del  suo  calore,  e  la  rea- 
zione è  troppo  lenta  a  sopravvenire;  donde  indebo- 
limento, mal  di  capo,  raffreddori  e  peggio.  Il  più 
pericoloso  è  che  questo  disperdimento  di  calore  av- 
viene insensibilmente  ;  anzi  che,  passata  la  prima 
impressione,  la  temperatura  bassa  dell'acqua  piace: 
intanto  si  gela  a  poco  a  poco,  finché  sopravvengi  <- 
no  improvvisi  quei  crampi  che  sono  tanto  funesti 
ai  nuotatori  più  provetti.  Xon  si  parla  della  pru- 
denza, cui  son  costretti  i  malati  di  cuore. 

Prendere  il  bagno  di  mare  senza  saper  nuotare 
è  privarsi  d'uno  dei  più  grandi  piaceri  ch'esso  pro- 
cura: la  sensazione  di  fendere  le  onde,  d'essere 
cullati  dal  loro  moto.  Il  grande  ostacolo  che  hanno 
da  vincere  i  principianti  è  tutto  psicologico:  la 
paura  d'annegare.  Tutti  :  maestri  di  nuoto  lo  san- 
no: appena  essi  vedono  che  l'allievo  comincia  ad 
abbandonarsi  un  poco,  non  lo  sorreggono  più,  fa- 
cendogli credere  il  contrario:  a  un  certo  punto  egli 
s'accorge  che  si  regge  da  sé  e  allora  ha  già  impa- 
rato. L'ostacolo  fisico  è  meno  grave:  consiste  in 
una  quistione  d'equilibrio.  Il  corpo  umano  ha  una 
densità  appena  superiore  a  quella  dell'acqua,  del- 
l'acqua marina  particolarmente:  il  minimo  movi- 
mento basta  dunque  a  farlo  galleggiare.  Ma  in  tut- 
to il  corpo  umano  la  parte  più  pesante  è  la  testa, 
in  modo  che  il  nuotatore  tende  ad  affondare  da. 
quella  parte.  Per  conseguenza,  a  nuotar  l>ene  si 
rirhiede  di  stendersi  sul  ventre,  di  tener  la  testa 
alta  ma  non  rigida,  le  labbra  chiuse,  le  mani  ori/ 
zontali  e  le  dita  accostate:  si  devono  quindi  flet- 
tere le  braccia  e  le  gambe  in  un  movimento  analo- 
go a  quello  che  fanno  le  rane  nell'acqua:  congiun- 
ta Lettura. 


gere  le  mani,  poi  allontanarle  luna  dall'altra,  men- 
tre si  stendono  le  gambe  prima  accostate  al  corpo. 
Ufficio  delle  mani  è  di  mantenere  a  galla;  i  piedi 
fanno  invece  da  propulsori.  Vi  sono  anche  altri 
modi  di  nuotare:  per  avanzare  più  speditamente, 
si  possono  fare  grandi  movimenti  con  un  braccio 
per  volta,  servendosi  delle  mani  non  solo  per  gal- 
leggiare, ma  per  spingersi  avanti.  Per  fare  il  mor- 
to basta  stendersi  sul  dorso,  lasciando  inerti  brac- 
cia e  gambe;  per  avanzare  in  questa  posizione  ba- 
sta mettere  in  moto  le  gambe. 

Un'altra  sensazione  piacevolissima  è  quella  del 
tuffo.  Vi  sono  due  posizioni  per  farlo.  Una  è  quel- 
la classica,  popolarizzata  dalle  statuette  e  dai  di- 
segni :  piedi  giunti,  il  corpo  ad  arco  di  cerchio. 
le  braccia  più  alte  della  testa  e  le  mani  giunte  con 
le  dita  distese.  Questa  posizione  è  molto  estetica, 
ma  poco  pratica,  essendo  necessario  fare  un  salto 
su!  trampolino  per  far  descrivere  al  corpo  una 
traiettoria  semicircolare  e  produrre  una  caduta  qua- 
si perpendicolare.  Chi  non  vuol  dare  spettacolo  d'a- 
crobatismo preferisce  mettersi  coi  piedi  giunti  al- 
1  estremità  del  trampolino,  col  corpo  leggermente 
inclinato:  allora  i!  minimo  sforzo  basta  a  far  ca- 
dere il  corpo  con  la  testa  in  giù.  Durante  la  cadu- 
ta, naturalmente,  la  testa  verrà  a  mettersi  tra  le 
due  braccia,  cosa  necessaria  ad  ammortire  il  colpo, 
e  le  gambe  si  piegheranno  leggermente  in  modo  da 
permettere,  appena  sott'acqua,  la  propulsione  ne- 
cessaria a  risalire  a  galla. 

I  crampi  si  vincono  con  vigorose  frizioni,  li; 
(inali  difficilmente  si  possono  fare  nell'acqua:  bi- 
sogna quindi  trarre  subito  a  riva  il  nuotatore  che 
ne  è  preso.  In  generale,  solo  un  membro  o  un  lato 
del  corpo  è  paralizzato,  talché  il  paziente  può  muo- 
vere un  braccio  mentre  il  salvatore  lo  rimorchia. 
A  terra,  si  rianima  la  parte  colpita  con  fregagioni 
secche  fatte  con  una  stoffa  ruvida  o  con  un  guan- 
to di  crine  ;  non  s'impieghi  l'alcool  se  non  nei 
casi  estremi.  Si  dia  da  bere  un  cordiale  all'infer- 
mo, e  se  la  reazione  tarda  a  venire,  si  ricorra  a  un 
pediluvio  caldo. 

Nei  casi  d'annegamento  prima  che  arrivi  il  dot- 
tore, bisogna  schiudere  i  denti  del  paziente,  aprir- 
gli la  bocca  e  solleticargli  la  gola  per  fargli  riget- 
tare l'acqua  ingoiata;  se  il  solletico  non  basta,  bi- 
sogna stirare  leggermente  la  lingua.  Poi  si  ricorro 
alle  frizioni,  si  flettono  le  membra  e  si  preme  sul 
petto  e  si  soffia  aria  nei  bronchi,  per  eccitare  con 
questa   respirazione   artificiale   la  naturale 

Per  evitare  i  crampi  e  i  pericoli  d'annegamento 
basta  esser  prudenti,  non  presumere  troppo  delle 
proprie  forze  e  particolarmente  non  mettersi  nel- 
l'acqua e  nuotare  se  la  digestione  non  è  compiuta. 

Da    un    articolo    di    Pietro    Piobb,    nelle    Lectures    mo- 
derne* :. 

54 


Tra    furti    e    «Cci«tsi 


delle  vacanze  è  anche  il  «tempo  del 
per  il  pi  intraprendente,  che  ap 

spesso  dell'assenza  dei  padroni  di  casa  i»t 
•  iursi  nei  domicili  altrui,  e  fai  man  bassa  su 
il  legittimi  imprudente  ha  la- 

n-  dei  ladri.   L'articolo  che  rias- 
.7  ìrmsworth    London    Magaaine    è 
uc  proprio  "li  Stagione.    i.Uianto  a  conqictenza, 
la  rn  ura  che  ■  i  itto  da  un  la. Ire... 

rifornì 
Se  v'è  uomo  che  possa  coni  scei    bene  il  valore 
dei   vari   sistemi  di    proteggere   una  casa, 
ladro  prò!  del  Egli  sorride  sulla  inutilità 

•  li    tanti  catenacci    e   tante  serrature   massiccie   ed 
aeri  tre  digrigna  i  denti  al  pensiero  di 
igegni  semplicissimi  che  sfidano  i  suoi  mal- 
;egni.   La  direzione  della  rivista  londinese 
dunque  in  cerca  di  un  birbante  che  fosse 
re  al    pubblico  qualche   notizia   su   un 
os    ini  n  ssante.    Naturalmente   ci  vo- 
li \  a    uno   che   si   fosse    ritirato   dalla   professione, 


L'NA  PORTA  CHE  NON  SPAVENTA  I  LADRI. 

ma  che  anche  fosse  cosi  pentito  della  sua 

mala  condotta  da  esser   disposto  a   mi 

re  in  guardia  il  pubblico  contro  le  astuzie  dei  suoi 

_'hi.  i>,  mi  _ mì.  ( rrazie  ai  buoni  ni 

i  della  brigata  delle  prigioni  dell  I  della 

Salvezza  (eccellente  istituzione  che  fa  ottima  ope 


in.  si  mise  la  rivista  in  relazione  min  un  gentleman 
il  cui  nome  era  sulle  labbra  di  tutti  pochi  anni  or 
sono  i"T  un  turtn  audacissimo  commesso  in  casa 
di  un  nobile  nel  West  End  di  Londra.  K  l'ex  ladro 
ha  acconsentito  volentieri  a  dare  qualche  informa 
zione  interessante  sul  suo  mestiere. 


Una   porta  che  spaventa  i  ladri. 

Il  punto  più  debole  di  una  casa  è  ordinariamen- 
te una  finestra,  perchè  permette  uno  dei  più  comodi 
accessi  al  ladro.  Specialmente  sono  pericolose 
quelle  finestre  che  si  aprono  come  quella  che  si  ve- 
de nella  pagina  seguente.  Basta  introdurre  una 
L'ina  nel  basso  per  mettere  in  azione  la  molla  ed 
aprire  la   finestra  con  la  massima  rapidità 

senza  rompere  i  vetri.  Le  finestre  più....  ne- 
miche  dei  ladri  sono  quelle  la  cui  chiusura  non  è 
Eatta  a  molla,  ma  è  costituita  da  una  vite 
vale  a  din-  con  la  parte  superiore  fatta  come  quel- 
li della  chiave.  Sul  telaio  mollile  della  fini 
o  ssia  sul  telaio  ohe  tiene  il  vetn  )  è  praticata  una 
fenditura  verticale  per  cui,  quando  la  finestra  vien 
chiusa,  entra  la  lesta  della  vite;  sta  viene 

pei    girata  in   posizione    orizzontale    e    la    fini 
non  si  può  più  aprire.   Allora  il  ladro  non  può   lar 
oltrO   che    rompere  il  vetro.    Riuscire    in  ciò.    senza 
produrre  rumore,  è  fallici  dell'arte:  basta  imps 
re  sul  vetro  un  pezzo  di  fida  prima  di  rom- 

perlo; ma  non  sempre  si  ha  la  pasta  a  propria  di- 
sposizione, e.  del  resto,  ci  vuol  sempre  parecchio 
ti  mi 


DALLE    RIVISTE 


85 1 


Quanto  alle  porte,  una  delle  migliori  chiusure 
è  sempre  costituita  dalla  vecchia  e  robusta  serra- 
tura, specie  se  è  incastrata  nel  legno.  Anche  essa 
si  può  forzare,  con  molta  abilità,  ma  c'è  pericolo 
che.  cedendo,  dia  il  rumore  di  uno  sparo  di  pisto- 
la.  I   lucchetti,  che  un  tempo  valevano  poco,   ora 


Un  canale  che  favorisce 


JALFATTORI. 


son  molto  migliorati.  Era  facilissimo  una  volta  ot- 
tener l'impronta  con  della  guttaperca  e  fabbricare 
una  chiave  falsa  di  rame  ;  ma  con  i  lucchetti  ro- 
bustissimi che  usano  adesso,  v'è  molta  probabilità 
che  la  chiave  di  rame  non  funzioni  ;  e  a  farla  di 
ferro  si  richiede  molto  tempo.  I  catenacci  ordinari 
non  presentano  valida  difesa.  Il  ladro  ha  le  sue 
armi  contro  di  essi:  o  li  fa  saltar  via,  ovvero  li 
sega  con  grande  facilità  e  senza  rumore.  Le  catene 
sono  assolutamente  la  migliore  difesa  per  tutte  le 
Bitte.  E'  assai  arduo  forzarle  o  tagliarle,  e  fanno 
strepito:  e  questa  è  la  cosa  che  il  ladro  più  teme. 
D'ordinario  non  si  scopre  la  presenza  della  catena 
se  non  dopo  che  si  sono  forzati  i  catenacci  e  gli 
altri  serramenti,  e  il  primo  indizio  che  se  ne  ha  è 
sempre  rumoroso.  Tagliare  una  catena  è  impresa 
tutt'altro  che  agevole,  appunto  per  il  rumore  che 
dà  e  perchì  non  si  riesce  mai  a  tenerla  ferma.  Vi 
sono  strumenti  appositi,  ma  son  poco  usati. 

Una  porta  col  vetro  è  una  delizia  per  un  ladro, 


il  quale  non  ha  che  da  rimuovere  la  vetrina  per 
entrare.  Sono  anche  pericolose,  dal  punto  di  vista 
dei  padroni,  le  porte  ove  è  praticata  una  buca  per 
le  lettere,  se  dietro  la  buca  non  c'è  una  cassetta. 
Allora  non  occorre  grande  abilità  per  far  saltare 
tutte  le  serramenta. 

La  miglior  difesa  per  una  porta  di  casa  è  cor 
stituita  da  due  catene  (una  in  alto  ed  una  in  basso) 
ed  una  o  due  viti  ad  alette,  come  quelle  cui  si  è 
accennato  per  le  finestre.  Una  porta  cosi  munita 
sfiderà  i  più  energici  sforzi  di  un  ladro,  a  meno 
che  questi  non  si  metta  a  tagliare  il  legno:  impre- 
sa difficile  e  rischiosa.  Se  si  vuol  mettere  un  luc- 
chetto, bisogna  provvedersene  uno  forte,  di  acciaio. 
di  ottima  fabbricazione  e  fissarlo  non  per  mezzo  di 
viti,  ma  più  saldamente  attraverso  il  legno  della 
porta.  I  campanelli  od  altri  congegni  destinati  a 
dare  l'allarme  sono  di  poco  vantaggio  :  la  loro  pre- 
senza è  generalmente  scoperta,  e  si  ottiene  il  risul- 
tato che  non  funzionano  proprio  al  momento  del 
bisogna  Naturalmente,  se  suonano,  il  ladro  non 
aspetta  altro  ed  abbandona  il  campo  con  la  mas- 
sima velocità. 

Le  porte  inteme,  specie  quelle  delle  stanze  ove 
si  trovano  dei  valori,  debbono  essere  sempre  chiu- 
se alla  notte  ;  ma  occorre  portar  via  la  chiave! 
Molta  gente  crede  che  lasciando  la  chiave  nella 
toppa  —  dalla  parte  interna,  si  capisce  —  si  renda 
impossibile  di  aprire  a  chi  si  trova  dalla  parte  e- 
sterna.  In  realtà  invece  così  non  si  fa  che  porre  la 
chiave  nelle  mani  del  ladro.  Esaminate  la  porta, 
e  vedrete  che  quando  la  chiave  è  nella  toppa,  la 
sua  fine  sporge  dal  buco  della  chiave  all'altro  lato. 


Come  s'apre  una  finestra. 

Ora  il  ladro  possiede  tra  i  suoi  strumenti  un  pic- 
ei ilo  ordigno  che  somiglia  ad  una  chiave  di  piano- 
forte, e  che,  afferrando  la  parte  sporgente  della 
chiave,  può  farla  girare  e  così  aprire  la  porta. 

La  miglior  chiusura  per  una  camera  da  letto  o 
per  altra  porta  interna  consiste  in  un  cuneo  sem- 


LA    LETTURA 


I  ti   la   i»>rta  e   '1    |'.'\  i 
ben  ni' 
aprire  la  porta  dall'esterno 
e  nessun   ladri 
re  nella  stanza  e  è 
cuno  che  don  Ita,  jht  :ihn>.  è  poss 

una  I.  hi  i  porta  e  e  *i   i  ssa 

tro    '     u Pei    impedir  ciò,  l 

ilo,  per  esempio,  una  ! 
1 1  ii.i\ imento.  Un  paio  ili  pic- 
ie    dovrebl  trovarsi    nel   bagaglio 

:  tto  a  recarsi  in  lu<> 
sulla  cui  sicurezza  non  sia  perfettamente  tran 
quillo. 

detto,    i  ladri  hanno  poca  paura  dei 
campanelli  d'allarme  et  similia;   ma  ci  sono  o 

icissime  per  tenerli  a  distanza.   Per  esem- 
pi ladro  entrerà  in  una  casa  ove  vi  sia  un 


In  città  son  molto  pericolosi  i  tetti  e  le  conduttura 

■  ie  se  i  canali  passano   vidi 
finestre.    Le  spranghe  di   ferro  delle  inferriate,  se 


Come  si  sforzano  le  barre. 


bambino  che  pianga,  sebbene  sfortunatamente  il 
bambino  non  pianga  sempre  al  momento  opportu- 
L'n  buon  cane  prodinv  anche  ottimo  effetto, 
ntunque  un  pezzo  di  carne  avvelenata  possa 
ridurlo  all'impotenza.  I  cani  tenuti  nei  canili  fuori 
«li  ca  di   poca  utilità,  perchè  è  facilissimo 

Ila   loro  carriera  anzi  tempo.   E  se  il 
ro  cane  muore  improvvisamente  senza  che 
garvi  la  cagione  della  morte,   bai 
ai   ladri   la  notte  segue: 

di  campagna  le  stanze  più  minacciate 

•   i  mando  i  padroni  di  casa 

i    da   prati/.'  e  tutti    i   domestici  sono 

/         I    ladri  hanni  i  cento  modi    |ht 

una  stanza  da  Ietto.  I  p  mi  usano 

diciamo  cosi  telesi  i  piche. 


Un  cuneo  protettore. 

non  sono  molto  vicine,  non  presentano  utile  difesa, 
perchè  i  ladri   posseggono  un   attrezzo  che  le 
allargare  abbastanza  da  dar  passaggio  ad   un  uo 
mo  magro. 

Tra  le  varie  avvertenze  che  dà  l'ex-birbante  au- 
tore dell'articolo,  c'è  quella  di  non  chiudere  tutt. 
le  finestre  quando  si  va  in  campagna,  perchè  l 


Come  si  rivoltano  le  chiavi  dall'esterno. 

vale  avvertire  i  ladri  che  il  terreno  è  lil»er- 
viene  invece  lar  vedere  che  la  casa  è  occupata  e< 
.  wertire  la  [m >lizia  che  si  va  fuori. 

Quanto  agli    oggetti    di  valore,    la  migli-  • 
che  si  possa  fare  è  di  consegnarli  ad  un  banchieri 
cheli  tenga  in  deposito.   Altrimenti 
a   tenerli    in   casa,    il   miglior   luogo   |«-r    metterli 
quello  dove    il    ladro  può   mei  irsi   di   tr. 

varli. 


Un  giornalista  francese  multo  reputato.  Teodoro 
Cahu,  si  è  recato  ultimamente  a  Cléry  per  esamina- 
re i  resti  mortali  del  famoso  re  di  Francia  Luigi 
XI  e  della  regina  Carlotta  di  Savoia  sua  seconda 
moglie,  e  così  rende  conto  della  macabra  intervista 
nelle  Lectures   modernes. 

Devoto  della  Vergine,  e  particolarmente  della 
miracolosa  Xostra  Signora  di  Cléry.  presso  Or- 
léans, il  re  Luigi  XI  le  fece  un  voto  fin  da  quando 
era  Delfino  e  assediava  Dieppe  occupata  dagli  In- 
glesi :  promise  alla  Madonna  di  ampliare  la  catte- 
drale in  cambio  del  suo  ausilio  nell'assedio.  Espu- 
gnata la  città  con  poche  perdite,  mantenne  la  pa- 
rola. Poscia  designò  il  santuario  di  Cléry  come  sua 
sepoltura,  e  quantunque  avesse  una  terribile  paura 
della  morte,  si  fece  preparare  la  tomba  in  vita,  e 
vi  scese  e  vi  si  distese  più  volte,  per  assicurarsi 
che  era  adatta  alla  sua  statura.  Il  sabato  30  agosto 
1483  egli  morì  a  Plessis-les-Tours.  e  il  sabato  suc- 
cessivo, 6  settembre,  i!  suo  corpo  fu  deposto  con 
gran  pompa  nel  sepolcro  di  Cléry  :  il  r  novembre 
la  consorte  Carlotta  di  Savoia  ve  lo  raggiunse. 

Oltre  i  resti  di  questa  coppia  sovrana  nella  cat- 
tedrale di  Cléry  sono  sepolti  anche  i  cuori  di  Filip- 
po il  Bello  e  di  Carlo  Vili,  un'altra  principessa 
di  casa  Savoia,  e  un  figlio  di  Luigi  XI. 

Queste  tombe  furono  violate  durante  la  Rivolu- 
zione, nel  1792.  II  governo  della  Restaurazione  le 
fece  rimettere  in  ordine.  Si  rinvenne  allora  un'ur- 
na, suggellata  con  otto  suggelli  vescovili,  la  quale 
si  ruppe  appena  tentarono  di  prenderla  :  vi  si  tro- 
vò, insieme  con  frammenti  di  ossa  umane,  un  vaso 
di  madreperla,  rotto,  il  quale  conteneva  un  oggetto 
somigliante  a  una  spugna  secca  :  era  ciò  che  restava 
del  cuore  di  Carlo  Vili.  Sul  monumento  funebre  del 
re  Luigi  XI  fu  ricollocata  la  statua  originale  del  so- 
wami,  rappresentato  in  ginocchio,  a  capo  scoperto: 
opera  eseguita  nel  1622  da  Michele  Bourdin  per 
ordine  di  Luigi  XIII.  I  resti  del  Re.  della  sua  sa- 
bauda consorte  e  del  Delfino  sono  nella  cripta.  Si 
disse  che  i  protestanti  avevano  tolto  quelle  ossa 
dal  luogo  sacro  e  che  avessero  giocato  alle  bocce 
con  la  testa  di  Luigi  XI.  Xon  è  vero:  essi  si  con- 
tentarono di  rompere  il   mausoleo. 

Gli  scheletri  sono  stati  studiati  dagli  anatomisti, 
i  quali  hanno  accertato  che  sono  proprio  quelli  del 
Re  e  della  Regina.  I  cranii  sono  segati  per  l'imbal- 
samazione, come  si  praticava  a  quei  tempi  per  i  soli 
rronarchi.  La  struttura  di  quei  teschi  corrisponde 
a  quella  dei  ritratti  autentici  :  in  Luigi  XI  è  note- 
vole la  depressione  della  parte  superiore  del  cra- 
nio; in  Carlotta  il  mento  piatto,  gli  occhi  grandi, 
il  naso  fine  e  diritto,  il  profilo  regolare.  Di  più. 
si  sa  che  il  cuore  di  Luigi  XI  fu  estratto  dal  corpo 
e  trasportato  a  San  Dionigi  ;  ora  precisamente  si 
vede  dallo  scheletro  che  lo  stemo  fu  segato,  opera- 
z">ne  necessaria  per  l'estrazione  del  cuore. 


a  Lungamente  ».  dice  il  Cahu.  «ho  tenuto  il  cra- 
nio di  Luigi  XI  tra  le  mani,  ed  ho  pensato  che  solo 
gli  umili  godono  veramente  il  riposo  della  morte.... 
Quel  cranio  apparteneva  ad  uno  dei  re  che  più  ri- 
saltarono nella  storia  di  Francia,  senza  che  avesse 
la  fastosa  grandezza  di  Luigi  XIV,  né  la  bonomia 
senza  fiele  di  Enrico  IV,  né  il  bollente  coraggio  di 
Filippo  Augusto.  Il  romanzo  e  la  tragedia,  Walter 
Scott  e  Casimiro  Delavigne,  l'hanno  sfigurato.  Ne 
fecero  un  ipocrita  sotto  il  mantello  di  San  Luigi, 
un  grottesco  seduto  sul  trono,  se  non  addirittura  un 
carnefice,  un  codardo,  un  avaro  e  un  crudele.  1-  ss 
hanno  dimenticato  tre  sole  cose:  che  discacciò  gli 
stranieri  dalla  Francia,  che  domò  i  baroni,  che  uni- 
ficò la  patria.  Per  raggiungere  questi  scopi,  due 
mezzi  gli  si  presentavano:  la  spada  o  il  pensiero, 
la  guerra  o  la  diplomazia.  Egli  optò  per  l'oro  che 
compra  le  coscienze  e  la  penna  che  redige  i  trat- 
tati. Sotto  quel  cranio  viveva  un  grande  spirito,  a- 
gile.  conoscitore  di  tutto  il  suo  mondo.  Quest'uo- 
mo pagava  una  pensione  a  Wanvick.  arbitro  della 
corona  inglese  ;  ai  Croy,  consiglieri  dei  Borgogno- 
ni ;  agli  Sforza,  tiranni  di  Milano  ;  ai  principi 
della  Chiesa,  ai  turbolenti  Liegesi.  Se  una  parola 
si  diceva  sottovoce  a  Londra,  egli  l'udiva;  se  un 
complotto  si  ordiva  a  Digione  o  a  Bruges,  egli  lo 
vedeva  ;  se  una  sommossa  scoppiava  a  Liegi  o  a 
Dinant.  egli  l'attizzava.  La  rete  della  politica  eu- 
ropea finiva  nelle  sue  mani  agili  ed  operose.  Lo 
chiamavano  il  ragno  universale.  Il  peso  del  suo 
scettro  curvò  la  testa  di  ogni  vassallo,  la  punta 
della  sua  spada  o  della  sua  penna  raggiunsero  il 
petto  di  ogni  invasore....  Tenendo  quel  cranio  fra 
le  mani,  io  ho  ripassato  la  storia  di  Francia  — 
senza  nondimeno   preferire  Fieri   all'oggi». 


Clie  cosa,  contiene  l'uomo 


Un  chimico  tedesco  ha  fatto  l'analisi  chimica  del 
corpo  umano  ed  è  arrivato  alle  conclusioni  seguenti  : 

Tutti  gli  elementi  costitutivi  di  un  uomo  il  quale 
pesi  68  chilogrammi,  sono  rappresentati  dal  bianco 
o  dal  giallo  di  1200  uova  ordinarie.  Allo  stato 
fluido,  lo  stesso  uomo  fornirebbe  98  metri  cubi  di 
gas.  e  tanto  idrogeno  da  gonfiare  un  pallone  a- 
vente  la  forza  d'ascensione  di  70  chilogrammi. 

Il  corpo  umano  contiene  inoltre  tanto  ferro  da 
potersene  fabbricare  due  grossi  chiodi  ;  tanto  grasso 
da  farne  6  chilogrammi  e  mezzo  di  candele;  tanto 
carbonio  da  fare  65  dozzine  di  matite,  e  tanto  fo- 
sfuri) da  rivestirne  le  capocchie  di  820  mila  fiam- 
miferi. 

E  non  bisogna  neppure  dimenticare  20  cuc- 
chiaini di  sale,  50  dadi  di  zucchero  e  42   litri   ili 

acqua. 

Ecco  che  cosa  contiene  un  uomo  !... 


molto  tempo  che  La  pan. la  a- 

i  nome  d'una  nota  città  :   Arras. 

ii  chiamano  arazzi   quei   tessul  i   <  1»'  • 

l  raj  col  ne me  ili   i  e,  gli  [n- 

. .  i  Tedeschi  lo /><■ ti u.  •  ■  che 

la  i  ina   venne  dopo  che  i  modelli  della 

mpi  i  ìli  atti  degli  Apost m 

si     a   Leone  X  a  Raffaello,  furono  eseguiti   ad 

Ma  il  Gerspach  ha  dimostrato  l'errore,  per- 

n  osi  modelli  furom  i  messi  sui  telai  a  I ini 

arazzi  giunsero  al  Vatic ri   1519 

1520,  mentre  la  parola  trova  fin  dal  1498 

nelle  prei  Savonarola  quando  il   frate  sca- 

ì   e. .litro   il    lusso  del  .'ìero.   La  qua! 
.   se  vuol   dire  clic*  la   parola   arazzo  non   venne 
noi  con  gli  Alti  degli  Apostoli,  non  implica  che 
non  venisse  da  quegli  artisti  ili  Arras  i  quali  un- 
tarono la  nuova  industria  in  Italia. 
L'origine   .li  quest'arte   si  perde    nella    notte    dei 
tempi  mitologici.  La  conoscevano  gli  Egiziani  3000 
anni   prima  dell'E.  V.  come  lo  provano  le  pitture 
di  Beni  Hassan  ;    anche  i  bassorilievi  che  copriva- 
no il  palazzo  .li   N'inive,  dimostrano  che  quest'arte 
era  coltivata  in   Babilonia.   Si  citano  pure  i   ricchi 
tessuti    di    Salomone    e    l'industria    sviluppatasi    in 
A  11  dopo  la  lunga  prigionia  degli  Ebrei,  e  le  stof- 
fe di  seta  dei  Cinesi.  Anche  in  Grecia  questi  tes- 
suti furono  noti,  e  un  campione  è  stato  conservato 
nel    famoso  tesoro  degli   Atridi    a    Micene.   Elena 
lavorò  a  una  gran  tela  rappresentante  la  guerra  di 
Troia.    I   Fenici   portavano,   fra  le  altre  mercanzie, 
sti  1  ate.  Sopra  un  vaso  antico  è  rappresen- 
1  telaio  di  Penelope,  di  poco  diverso  dai  te- 
lai ili  atto  liccio.  Di  diverso  dai  telai  moderni  non 
litro  se  non  questo:  che  il  lavoro  si  cominciava 
dall'alto. 

In    Oriente    l'arte  dei  tessuti    el.l.e    importanza 
massima,    particolarmente  a  Bisanzio,    il    maomet- 
mo  l'adottò.  Nel  Medio  Evo  sembra  che  l'alto 
liccio   toss.-   lavorato   solo    in    Persia   e   negli    Stati 
.    perchè  i  vari  tessuti  bizantini  arrivati  sino 
he  broccati.  Ma  anche  in  tempi  di 
decadenza  si  trovano  traccie  di  arazzi,  in  F rancia, 
rs  e  a  Limoges,   in   Inghilterra,   in  Germa- 
Col   Rinascimento,   l'arazzo   risorse,    prima  che 
e   in    I-  rancia  e  in    Fiandra,  a    Parigi,   ad  Ar- 
es,  nella  prima  metà  del   XIV  secolo; 
ma  l'industria  prese  cor]*,  realmente  sotto  Carlo  V 
(1364-1380);     i   suoi    successori,    il    re    Carlo   VI  e 
suo  fratello,  il  duca  Luigi  d'Orléans,  lasciarono  una 
vera  ricchezza.  Di  quell'epoca  si  a  risi  rvano  magni- 
come   la  Storta  del  romanzo   dello 
fi      ..    le  Dame  clic  par/ono   per  lo  cocciii.  ecc.   L'a- 
razzo  rappresentante   la  Storia  di   Alessandri    fu 
rare  il    figlio  di    Filippo  t'Ardito,   11 
inasto,  alla  battaglia  di    Nicopolis,   nel    1396,   pri- 
gioniero del  Sultano,  il   quale  lo   rilasciò  quando 


ricevette,   pel   riscatto,   due  bestie  da   soma  cai 
di  drappi  di  alto  liccio. 

Alle  grandi    rappresentazioni   cavalleresche    suc- 
cesseli,  le  siine  sacre.    Verso  la  fine  del   secolo  si 
òa   far  sentire  l'influenza  della  pittura  ita- 
li.in. 1.   e  la   prospettiva  perfezionata  da   Van   Dijk 
e  dai  fiorentini  permise  un  maggiore  sviluppo  nelle 

composizioni.    Col     pieno    Rinascimento    gli     arazzi 

nnero  veri  quadri.  Arras,  do]>o  aver  lottato 
in  l'augi,  ne  trionfò;  Francesco  I  impiantò  una 
nuova  fabbrica  a  Fontainebleau  nel  1530,  per  la 
quale  artisti  italiani,  il  Primaticcio  fra  gli  altri, 
fecero  dei  cartoni.  Allora  gli  operai  erano  pagati 
da  dieci  a  quindici  lire  il  mese  (la  lira  pesava  do- 
dici onde  d'argento  puro)  e  la  famosa  Storia  di 
Scipione,  eseguita  a  Bruxelles  su  cartoni  di  Giulio 

l'i  li1  ini ..     I  n    pagata    22    nula    scudi. 

Per  nozze,  il  dono  di  arazzi  era  uno  dei  migliori. 
Pel  matrimonio  di  Caterina  dei  Medici  ne  furono 
eseguiti  appositamente,  e  ne  esistono  ancora  alcuni 
portanti  le  armi  di  Francia  e  quelle  ili  Casa  Mi 
dici.  Sotto  Enrico  II  e  III  l'arte  decadde;  risorse 
per  opera  di  Enrico  IV,  il  quale  accordò  patenti 
di  nobiltà  agli  arazzieri  Marco  di  Commans  e 
Francesco  de  la  Bianche.  Questi  si  stabilirono  pres- 
so la  fabbrica  che  Jean  Gobelin  aveva  impiantato 
nella  metà  del  XV  secolo  sulla  Bièvre.  affln 
della  Senna,  le  cui  acque  si  credevano  avere,  ma 
si  è  oggi  dimostrato  che  non  hanno,  una  virtù  spe- 
ciale per  la  colorazione  delle  lane.  I  Gobelin  spe- 
sero somme  enormi,  e  la  loro  follia  divenne  prover- 
biale: si  diceva  a  proposito  di  qualunque  si  ■ 
(bizza:  E'  la  follia  dei  Gobelin. 

Il  secolo  XVI  li  finisce  per  la  fabbrica  dei  GoJ 
belin  col  1780.  La  copia  dei  quadri  produsse  una 
vera  rovina,  perchè  si  ebbero  dei  quadri  tessuti, 
non  più  invenzioni  originali.  La  Rivoluzioni  sepa- 
rò le  manifatture  regie  dall'Amministrazione  della 
lista  civile  il  29  novembre  1792.  Roland  protesse 
le  fabbriche  e  gli  arazzieri  facendo  ottener  loro  dei 
sussidi.  Il  nuovo  direttore.  Agostino  Belle,  ottenne 
di  festeggiar  Marat  e  Lepellettier  bruciando  ai  pie- 
di dell'albero  della  libertà  vati  arazzi;  fu  roni  >  tra 
gli  altri  distratti  quelli  rappresentanti  la  visita  di 
XIV  ai  Gobelins. 

Nel  1794  il  Comitato  di  Salute  Pubblica  mise 
lo  stabilimento  sotto  la  sorveglianza  della  Commis- 
sione di    agricoltura    ed   arti. 

Napoleone,  appassionatissimo  degli  arazzi,  pro- 
tessi la  fabbrica  dei  Gobelin,  dove  oggi  esiste  una 
vera  scuola  con  quattro  corsi:  scuola  di  disegno 
eli  mentare,  (orsi  superiori,  l'accademia  e  la  si 
degli  arazzi.  C'è  un  museo  con  acquerelli,  obie- 
zioni di  fotografie,  disegni  del  Van  der  Muelen, 
ecc.  Con  quello  di  Firenze  è  il  solo  museo  speciale. 

(Da  un  articolo  di  Amia  Franchi  nella  Natura  ed  Atie\. 


Kor^a    e    salute 


Non  sempre  si  può  dire  che  i  muscoli  di  un  atle- 
ta siano  buoni  muscoli.  Accade  spesso  agli  atleti 
di  trascurare  lo  sviluppo  armonico  e  razionale  di 
tutti  i  muscoli  del  loro  corpo,  intesi  come  essi  sono 
quasi  esclusivamente  a  rafforzare  certe  parti  sol- 
tanto. Taluni  di  essi,  dopo  aver  trascorso  l'intera 
loro  vita  nelle  lotte  e  negli  esercizi  più  straordinari, 
perdono  improvvisamente  ogni  energia  e  muoiono 
di  malattie  polmonari.  E  ciò  perchè  essi  hanno  sa- 
crificato la  salute  alla  forza:  la  natura  non  concede 
tali  traviamenti,  e  presto  o  tardi  punisce  chi  offen- 
de le  sue  leggi.  Volendo  —  assicura  l'autore  degli 
articoli  che  riassumiamo  —  voi  potrete  diventare 
atleti  in  sei  settimane:  basta  che  facciate  certi  e- 
sercizi  con  grossi  manubri  da  venticinque  o  cinquan- 
ta libbre:  ma  in  tal  modo  diventerete  grandi  mac- 
chine muscolari,  capaci  di  sollevare  un  peso  assai 
greve  ;  ma  non  saprete  correre,  non  saprete  saltare, 
né  fare  alcuno  di  quegli  esercizi  che  richiedono  agi- 


non  sono  necessari,  come  si  vede  dalle  figure.   Per 
i    primi   esercizi   è  sufficiente  un   bastone   comune. 


Fig.   I. 


Fio.  2. 


lità,  e  soprattutto  non  saprete  farli  con  grazia.  La 
miglior  cosa  è  conformarsi  alle  leggi  della  natura, 
acquistando  salute  e  forza  insieme,  non  sacrificando 
luna  allaltra.  Ognuno  dovrebbe  studiarsi  di  cu- 
rare quanto  meglio  è  possibile  i  propri  muscoli,  in 
guisa  che  le  braccia  e  le  gambe,  sviluppandosi,  non 
perdano  elasticità,  che  il  corpo  non  si  irrigidisca. 
e  via  dicendo.  Sviluppate  la  vostra  forza  sin  che 
volete,  ma  badate  che  questa  forza  vi  torni  non  a 
danno,  bensì  a  vantaggio. 

Per  mettere  i  propri  muscoli  in  condizioni  di 
salute  e  di  agilità  durante  un  periodo  di  attivo  ad- 
destramento, bisogna  sottoporsi  ad  una  serie  di  e- 
sercitazioni  che  richiedono  molta  cura,  molta  pa- 
zienza e  quasi  quasi  anche  un  po'  di  dolore,  perchè 
taluni  degli  esercizi  qui  illustrati  sono,  almeno  in 
{ rincipio,     alquanto     dolorosi.     Attrezzi     ginnastici 


Fig.  3. 


Fig.  4. 


non  troppo  pesante  e  della  lunghezza  di  circa  un 
metro  e  mezzo. 

Prendete  il  bastone  alle  due  estremità  e  tenetelo 
a  braccia  tese  innanzi  al  petto.  Poi,  portate  il 
peso  del  corpo  quanto  più  è  possibile  sulla  gamba 
sinistra,  inclinando  a  sinistra  ed  in  avanti  il 
busto  (fig.  1);  in  questa  posizione  dovete  restare 
qualche  momento;  poi  dovete  tornare  diritti  e  ri- 
petere l'esercizio  sei  o  sette  volte:  indi,  dopo  un 
po'  di  riposo,  dovete  fare  lo  stesso  dalla  parte  de- 
stra. Altro  esercizio  utilissimo,  da  fare  pure  col 
bastone,  consiste  nel  portar  questo  dietro  la  schie- 
na, alzare  un'estremità  con  un  braccio  ed  abbassare 
l'altra,  cercando  di  stendere  tutti  i  muscoli.   E'  dif- 


Fig.  5. 


Fig.  6. 


I.A    1.1    II  I   H  \ 


uoni  effetti  che  se  ne  ot- 
tlluoghi  - 


7\\ 

Fig.  7. 


Fig.  8. 


dinariamente,  che  le  giunture  si  snodino  completa- 
mente   Ed  ('■  questo  appunto  che  si  deve  cercare 
2). 
Per  allargare  il   petto,   i   polmoni    e    le    spalle. 
il  bastone   innanzi  al   petto,   come  nella   pri- 
ma posizione   del    primi»  esercizio,    sollevatelo   so- 
,>ra  i  elo  in  basso  e  indietro  quanto 

punture  ve   Io  consentono.   Raggiunta   la   posi- 
L] 'presentata  nella  lig.   ,}.  respirate   profon- 
damente, lentamente,   empiendovi    bene   i   polmoni 
nell'aspirazione  e  cacciando  fuori  tutta  l'aria   nel- 
irazione.  L'esercizio  sarà  doppiamente  utile,  e, 
0  ogni  mattina   per  due   0   tre   minuti,    vale   ad 
allargare  la  parte  superiore  del  busto  rapidamente. 
i  segnati  nelle  ligure  4,  5  e  6,  non  oc- 
corre  il  bastone.  Stendete  le  braccia  in  alto,  e  pie- 
gate il  corpo  indietro  sin  che  l'equilibirio  ve  lo  per- 


nio. 9 


Fig.  i". 


■  poi  piegate  il  1  orpo  in  avanti  con  le  bra  1 

11  too  an  1   le  punte  dei 

le    dita    delle    mani.     In    principio,    pochi 


vi  riusciranno  senza  piegare  le  ginocchia,  ma  1  u 
ste  non  vanno  piegate,  qui  sta  appunto  la  difficol- 
tà ed  il  vantaggio  dell  esercitazione  ;  comunque, 
con  la  pazienza,  tutti  dovrel>l>ero  riuscire.  Infine, 
sollevandovi  sulla  punta  dei  piedi,  sedetevi  sulle 
ginocchia  non  già  lasciandovi  cidenv  ma  lentamen- 
te ;  e  poi  rialzatevi  pure  lentamente  senza  valervi  di 
alcun  appoggi  .  \nche  in  questo  non  tutti  da  pria 
cipio  riusciranno,  ma  i  sempre  questione  di  tempo 
e  di  Intona  volontà. 

Passiamo  ad  una  feconda  serie  di  esercizi  (lig.  7, 
8  e  9).  Per  essi  occorre  una  corda  elastica  1 
busta.  Prendete  questa  corda  e  tenetela  con  le  mani 
dietro  la  schiena,  in  modo  che  tra  una  mano  e  l'al- 
tra ci  sia  poco  meno  di  un  metro  di  distanza.  Porta- 
te avanti  il  piede  sinistro,  ed  inclinando  il  corpo  in- 
dietro ed  a  destra,  sollevate  il  braccio  destro  ed  al>- 
bassate  il  sinistro:  la  cosa  vi  parrà  facilissima  e 
non  richiederà  grande  sforzo.  Arrotolate  la  corda 
attuino  al  pugno,  in  mode  che  la  parte  interposta 
fra   le  due  mani  sia  accorciata,  e  ripetete  l'eserci- 


FlG.    II. 


Fio.  i-1. 


zio;    questa    volta    incontrerete  maggior   difficoltà; 
ma  se  ancora  vi  accorgete  di  non   fare  vero  sf 
arrotolate  ancora  la  corda,  arrotolatela  sempre,  sin- 
chè  non  sentiate  che  i  vostri  muscoli  proprio  lavo- 
rano.   In   questa  guisa   il   braccio   si    rafforzerà   con 
progressione  lenta,  ma  sicura.  La  rapidità  non  im- 
porta:   l'autore  ha  già  messo   in   guardia   i  princi- 
pianti contro  gli  esercizi  che  danno  una  forza  stra- 
ordinaria  in   sei    settimane,  ma  rovinano   la    salute 
Si  può  variare  l'esercizio  tenendo  una   delle 
inità  della   corda   sotto  un  piede,   e   l'altra   ora 
la   mano  d. -si  ra.   ora   con    la  sinistra,    e   piegando   >' 
stendendo  il  braccio. 

Questi   ultimi   sono  esercizi  di   pura    forza. 

Ma   bisogna  sempre  avere  in  vistami  dopp 
pi  1  :  rafforzare  i  muscoli,  e  dare  al  corpo  scioltezza  e 

S latura.     In    generale,    i    vari  esercizi   ordinati    B 

questi  due  scopi  diversi  dovrebbero  essere  alternati. 
Bastano    semplicissimi   movimenti    per   dare    sciol- 
te//.! ali*    membra    intorpidite.    Quelli  rappresen- 
tati  dalle   ligure   io,   11    e    1:   non   richiedono  si 
e    sono  efficacissimi.    Uno   consiste    semplicemente 


DALLE    RIVISTE 


85? 


nello  stendere  le  braccia  sopra  il  capo  quanto  più 
è  possibile  ;  un  altro  nel  sollevare  alternativamen- 
te il  braccio  destro  e  il  sinistro,  ed  abbassando  l'al- 
tro; il  terzo  consiste  nel  portare  le  mani  ai  fianchi 
ed  inclinare  il  corpo  ora  a  destra  ora  a  sinistra, 
senza  curvarlo  in  avanti. 

L'na  terza  serie  di  esercizi  si  vede  nelle  cinque 
figure  di  questa  pagina. 

E'  facile  intendere  di  quanto  vantaggio  essi  deb- 
bono essere  non  solo  per  le  braccia  e  le  gambe. 
che  sono  costrette  a  sollevare  il  peso  del  corpo,  ma 
anche  per  la  schiena.  La  spina  dorsale  non  può  non 


Fig.  13. 

essere  straordinariamente  rafforzata  se  si  facciano 
queste  esercitazioni.  Non  sono  necessarie  molte 
spiegazioni.  Si  appoggiano  sopra  una  seggiola  i 
calcagni  e  si  puntano  le  braccia  a  terra;  indi  si 
alza  e  si  abbassa  il  corpo  alternativamente  per  sei 
o  sette  volte,  od  anche  più,  secondo  la  robustezza 
dell'individuo.  In  principio,  del  resto,  non  è  neces- 
sario ripeter  l'esercizio  molte  volte:  si  può  andare 
gradatamente  aumentando.  Lo  stesso  si  fa  poi  con 
il  corpo  prono,  appoggiando  sulla  seggiola  non  i 
calcagni,  ma  le  punte  dei  piedi.  Si  può  fare  un  mo- 


Fig.  14. 

vimento  consimile  sul  fianco,  ma  è  alquanto  diffi- 
cile. 

Un  movimento  analogo  a  quello  segnato  nelle 
figure  15  e  16  si  può  fare  anche  senza  seggiola, 
stendendosi  proni  a  terra,  e  sollevando  il  corpo 
sulle  braccia;  se  questo  esercizio  è  bene  eseguito, 
senza  che  si  pieghino  né  le  gambe  né  la  schiena, 
ma  tenendo  tutta  la  persona  rigida,  si  fa  una  gran- 
de fatica,  che  per  altro  benefica  quasi  tutti  i  mu- 
scoli del  corpo. 

Gli  esercizi  cui  si  riferiscono  le  figure  18,  19  e 
20  sono  esercizi  di  forza,  utili  più  che  altro  per  la 


posizione  che  tiene  il  corpo  e  destinati  a  beneficare 
particolarmente  la  schiena. 

Nelle  tre  figure  successive,  le  linee  cui  sono  ap- 


Fig.  15. 

poggiate  le  mani  dell'uomo  rappresentano  lo  sti- 
pite di  una  porta.  Prima  posizione:  mettetevi  sulla 
punta  dei  piedi,  tenendovi  ben  diritti.  Seconda  po- 
sizione: abbassate  i  piedi  e  spingete  il  corpo  in- 
dietro. Terza  posizione:  spingete  il  busto  in  avanti, 
con  moto  repentino,  più  che  potete.  Xel  compiere 
tali  movimenti,  dovete  sempre  respirare  profonda- 
mente: allora  è  che  recano  maggior  vantaggio.  Del 


Fig.  16. 

resto  si  scorge  subito  quanti  muscoli  siano  mes- 
si in  azione,  e  come  il  petto  e  la  schiena  debbano 
trarre   giovamento. 

Le  ultime  figure  fanno  vedere  altri  esercizi  che 
giovano  a  diverse  parti  del  corpo,  al  collo,  alle 
gambe,  alla  schiena,  ecc.  L'ultimo,  piuttosto  difficile, 
consiste  nello  sdraiarsi  a  terra  supini  e  nell'alzarsi 
poi  a  sedere  senza  valersi  dell'aiuto  delle  mani  e 
senza  piegare  le  gambe.  Senza  esercizio  non  riusci- 


Fig.   17. 

rà  certo  a  tutti  di  mettersi  seduti,  ma  anche  il  sem- 
plice sforzo,  ammesso  pure  che  non  abbia  successo, 
basta  a  rinvigorire  le  gambe  ed  il  dorso. 


LA    l ETTURA 

non  si  limita  a  consigliare      fare  lunghe  passeggiate.  Se  non  abitate  a  più  di 
il  regime  di  vita     un  miglio  ,.  due  di  distanza  dal  luogo  dove 
lon  riuscì     gli  affari,  recatevi  ali  ufficio  o  a  bottega  ogni  mal 

tina  a  piedi.  Se  a  tal  imi»-  vi  è  necessario  levarvi 
mezz'ora  prima,  levatevi  mezz'ora  prima. 

«Partite  camminando  rapidamente  e  risolutami 
te;    non  indugiatevi,  non  andate  avanti   svogliata- 
mente come  se  foste  ancora  mezzo  addormentati; 
ma  procedete  diritti,  col  capo  alto,  il  petto  ap 


li...    18. 

rsi   muscoli   potentissimi   se  non  conformandosi 
rmi    che  da  principio  sembrano  fastidio- 
poi,  cor  la  consuetudine,  entrano  così  Viene 
nella    natura    s'essa    dell'individuo)    che  ogni   senso 
di  i  ompare. 

Tutti,  assicura  l'autore,  sottoponendosi  a  tali  nor- 
me, ecompiendo  gli  esercizi  da  Ini  consigliati,  pos- 
sono diventare    fortissimi   e  robustissimi.    Egli  stes- 
ra    un    giovine    molto   macilento   e    deb  le j    ma 


Fig.    19. 

>  un  anno  di  esercitazioni  pazienti  si  costituì 
una  tale  muscolatura,  che  al  concorso  per  la  «cul- 
tura fisica»  bandito  dal  New  York  Journal  conse- 
gui il  primo  premia 

l,i  principale  delle  norme  accennate  è  quella  di 
r  spirar  bene;  respirare  profondamente  e  lenta- 
mente, per  la  via  del  naso,  con  la  bocca  chiusa. 
I  spalle  debbono  essere  aperte,  il  petto  spinto  in 
avanti    e    lo   stomaco    indietro,    in    maniera    che    i 


Fio.   20. 


polmoni   abbiano  libero    giuoco.    Imparato   questo, 
to  il  più. 
consiglio  ai  giovani  —  dice  l'autore  —  di 


©   1 

Fig.  21. 


Fig.  22. 


in  modo  da  allargare  i  polmoni  alla  loro  massima 
capacità.  Dovete  spiegare  energia  e  risolutezza.  Per 
fare  un  miglio  non  ci  dovrebbero  volere  più  di 
quindici  o  venti  minuti.   La  velocità  di  tre  miglia 


Fig.  23. 


Fig.  24. 


all'ora  implica  un   buon  passo,  abbastanza  rap 
ma  non  così  da  stancare  o  da   far  sudare  troppa 
Ma  se   provate  troppo   caldo,   andate   più    adi 
\..n   è   prudente  entrare   in    ufficio  in  uno   stato   di 
eccessiva  traspirazione;  al  vostro  tavolo  sareste  me 
no  attivi,  e  sareste  tentati  di  aprire  le  finestre,  col 
rischio   di    prendervi    un    malanno,    perdendo 
tutto  il  vantaggio  della  passeggiata,   anzi  rimetten- 
doci. 


DALLE    RIVISTE 


s;.(  i 


«  Troverete  presto  quale  sia  il  passo  che  vi  con- 
venga. Tenete  a  niente  il  fatto  che  passeggiate  per 
godere  buona   salute,   e   ricordatevi  sempre  di    em- 


FlG, 


Fig.  26. 


pirvi  i  polmoni  ad  ogni  respiro.  Dormirete  meglio, 
lavorerete  meglio  e  mangerete  con  più  appetito  ;  e, 
ciò  che  è  più,  in  poche  settimane  vi  accorgerete 
che  il  vostro  petto  va  guadagnando  parecchi  centi- 
metri in  larghezza. 

«Se,  dopo  il  vostro  lavoro  quotidiano,  non  siete 
troppo  stanchi,  tornate  a  casa  a  piedi,  facendo 
ancora  gli  stessi  esercizi  di  respirazione  compiuti 
la  mattina.  Ma  se  vi  sentite  stanchi,  non  cammina- 
te :  non  vi  farebbe  mai  bene.  Se  abitate  troppo  lon- 
tano dalla  sede  dei  vostri  affari,  e  vi  riesce  impos- 
sibile percorrere  a  piedi  tutta  la  distanza,  cammi- 
nate almeno  per  un  miglio  o  due,  e  fate  il  resto 
della  strada  in  carrozza  o  in  tram.  Un  giovane  non 
può  avere  nessuna  scusa  per  non  camminare  af- 
fatto. 

«  Un'altra  cosa.  Non  dovete  immaginare  che  la 
passeggiata  quale  ve  l'ho  consigliata  possa  giovar- 
vi se  la  fate  una  volta  la  settimana  o  una  volta  il 
mese.  L'esercizio,  di  qualunque  specie  esso  sia,  è 
benefico  soltanto  quando  venga  ripetuto  sistematica- 
mente: dovete  fermare  il  proposito  di  percorrere 
a  piedi  almeno  due  miglia  al  giorno. 

1  Anche  prima  di  andare  a  letto  è  utile  fare  una 
passeggiata,  ma  basta  che  sia  breve;  ne  occorre 
riscaldarsi  troppo.  Tuttavia,  se  si  vive  in  un  luogo 
segregato,  ove  si  goda  di  completa  libertà,  si  può  fa- 


re il  seguente  esercizio  che  è  straordinariamente  pro- 
fittevole: proponetevi  di  percorrere  un  miglio  o  due, 
e  fatelo,  parte  correndo,  parte  camminando  di  buon 
passo,  alternativamente.  Nel  correre  non  dovete 
saltare,  ma  fare  un  passo  lungo  e  rapido,  come  in 
un  piccolo  trotto.  Troverete  che  ciò  vi  farà  respi- 
rare più  profondamente.  Finito  il  percorso,  reca- 
tevi a  casa  immediatamente,  senza  arrestarvi  per 
via,  senza  soffermarvi  a  parlare  con  alcuno;  en- 
trate subito  nella  vostra  stanza,  asciugate  il  sudo- 
re con  una  spugna  ;  poi  con  un'altra  spugna,  senza 
adoperare  sapone,  lavatevi,  ed  infine  con  una  terza" 
spugna  strofinatevi  forte.  In  capo  a  pochi  minuti 
sentirete  un  vero  benessere,  un  sano  calore  per  tutto 
il  corpo.  Allora  andate  a  letto,  andatevi  subito. 

«A  proposito  di  passeggiate,  va  notato  che  se 
il  fumare  è  sempre  dannoso,  è  particolarmente 
sconsigliabile  l'uso  di  fumare  per  la  strada  duran- 
te le  passeggiate.  Tutto  il  beneficio  della  respira- 
zione va  perduto». 

Insomma,  ciò  che  può  dare  forza,  salute  e  buoni 
muscoli   è   la   perseveranza   in    esercizi   non    troppo 


Fig.  27. 


Fig.  28. 


violenti,  ma  razionali,  l'abitudine  delle  passeggiate, 
di  non  fumare,  di  non  bere  liquori,  il  mangiar  cibi 
sani,  masticar  bene,  ecc.  E:  con  questo  regime,  ri- 
petiamo, che  lo  scrittore  assicura  di  essere  dive- 
nuto in  un  anno,  da  giovane  malaticcio  e  debole 
che  era,  un  ottimo  campione  dell'umanità. 

(Da  una  serie  di  articoli   dell' American  Magazine,  setti- 
manale). 


Fig.    29. 


Tra 


i    pompieri 


li,  in  cui  il  combattimento  col 

il  salvataggio    Ielle  persone  sono  acciden- 

e  pericolos  mpre  qualche  pompiere  che 

si  distingue  partici  per  azioni  ili  eroismo; 

alcui  però,    le  a/ioni  più   clamorose   non 

sono  necessariamente  le  più  audaci  e  le  più  ardite. 

lotta  col  fuoco  è  piena  ili  incidenti  e  ili  emo- 

ni  pompiere  compie  non  uno.  ma 

molti  atti  ohe  fanno  fede  del   suo  coraggio,  della 

sua  freddezza,  della  sua  energia,  della  sua  riochez- 


Lawrrncb  k  Clvton. 


za  di  risorse.  Ma  se  è  facile  riconoscere  in  tutti  l'e- 
sistenza di  tali  faci  .Ita.  a  volte  esse  si  rivelano  con 
fatti  tali  che  colpiscono  la  fantasia.  Lavorare  nel 
perìcolo  è  il  mestieri-  dei  pompieri,  di  tutti  i  pom- 
pieri, ma  in  tutte  le  grandi  città,  si  può  dire,  \ 
un  ceno  pompiere  che  è  rimasto  celebre  e  magari 
anche  leggendario. 

Manchester,  per  esempio,  ha  il  pompiere  La- 
wrence, che  si  acquistò  fama  nel  18Q4.  in  occasio- 
ne di  un  incendio  scoppiato  in  certi  magazzini  al- 
l'angolo della  Prince's  Street 
con  la  Portland  Street.  L'incen- 
dio era  gigantesco.  Tutto  il  ca- 
seggiato era  investito  dal  fuoco, 
che,  propagatosi  dal  basso  al- 
l'alto, l'aveva  conquistato  piano 
dopo  piano,  spingendosi  sino  al- 
l'ultimo. Tutte  le  persone  erano, 
0  si  credevano,  salve:  d'improv- 
viso, un  grido  corse  tra  la  fol- 
la: a  C'è  un  uomo  sui  tetti».  Su- 
bito vien  rizzata  la  scala;  ma 
è  troppo  cuna:  non  giunge  al 
cornicione  della  casa,  e  per  farla 
arrivare  più  in  alto  che  si  può, 
bisogna  ]><>rla  ijuasi  perpendii-o- 
larmente  contro  il  muro,  tra  le 
vampate  dell'incendio.  Non  im- 
porta: è  necessario,  e  non  biso- 
gna esitare.  Due  pompieri.  La- 
wrence e  Clayton,  tentano  inva- 
no di  salire  sul  tetto  per  la 
la  interna  della  casa,  respinti 
dal  fumo  asfissiante,  tornano  sul- 
la strada,  e  si  lanciano  su  per 
la  scala  appoggiata  al  muro 
fiammante.  Ora  sono  in  cima: 
tutto  sembra  inutile:  il  corni- 
cione è  ani-ora  troppo  alto,  e 
non  si  può  toccarla  Ma  La- 
wrence, senza  esitare,  si  sia 
verso  il  cornicione,  s'afferra  al- 
l'orlo con  una  mano,  piega  il 
braccio,  s'afferra  con  l'altra  ma- 
no, e  sale  sopra  il  tetto.  Dopo 
pochi  minuti,  ricompare 
tando  un  corj>o  inerte,  lo  passa 
a  Clayton  che  barcolla  e  si  tie- 
ne a  stento  in  equilibrio  sulla 
vertiginosa  estremità  della 
la,  e  poi.  mentre  Clayton  scende 
coll'uomc  sabato,  salta  sulla 
scala  stessa:  salto  spaventi 
quell'altezza. 

Che  in  tali  atti  di  valore  al>- 
bia  influenza  l'eccitazione,  è  fuor 
di  dubbio.  Infatti  se  ne  compiono 


t"^      ' 


DALLE    RIVISTE 


M.i 


spesso  di  inutili  :  il  caso  del  pompiere  Cragg  lo  di- 
mostra. Era  scoppiato  un  incendio  in  un  negozio  a 
Rochdale.  nel  Lancashire.  Nei  piani  superiori,  ben 
presto  invasi  dal  fumo  e  minacciati  dalle  fiamme, 
si  trovavano  parecchie  ragazze,  una  signora  e  al- 
cuni bambini.  Di  tutte  queste  persone,  minacciate 
gravemente  nella  vita,  talune  si  salvarono  quasi 
miracolosamente  per  la  scala,  altre  saltarono  dalla 
finestra  e  furono  raccolte  sui  lenzuoli  stesi  sotto 
dai  pompieri,  ma  due  bambini,  così  atterriti  da 
essere  incapaci  di  muoversi,  erano  rimasti  in  una 
delle  stanze  superiori.  Saputo  ciò,  il  pompiere 
Cragg,  attraverso  ii  fumo  che  quasi  lo  accecava, 
sali  la  scala  della  casa,  e,  guidato  da  un  suoni i  ili 
gemiti,  giunse  nella  stanza  ove  si  trovavano  i  bam- 
bini, insieme  con  un  cane.  Prese  uno  dei  bambini, 
e,  scendendo  a  precipizio  la  scala,  lo  condusse  a 
salvamento.  Respirò  un  poco  d'aria  libera  per  riac- 
quistar forza,  tornò  indietro  e  salvò  l'altro  bam- 
bino. Ciò  fatto,  affrontò  per  una  terza  volta  il  pe- 
ricolo, ora  più  terribile  di  prima,  perchè  l'incendio 
andava  sempre  più  ingrossando  e  propagandosi. 
per  salvare....  il  cane. 

I   pompieri  non  si  valgono  mai   delle  scuse  che 
spesso  si  offrono  loro  per  distoglierli  dall'affrontare 
gravi  pericoli.   In  un  gravissimo  incendio  scoppiato 
a  Londra,  quando  erano  arrivati  i  pompieri  con  le 
loro  macchine,  il  fuoco  aveva  già  investito  tutto  l'e- 
difizio.   Con  grande  difficoltà,  e  concentrando  tutti 
i  getti  delle  pompe  su  un  punto  solo,  si  era  riuscit 
a  portare  a  salvamento  da  una  finestra  del  secon 
piano  un   uomo  ed   una  donna, 
quando  si  seppe  che  v'era  anco- 
ra un  bambino  nella  casa.   Nes- 
suno   credeva    che    esso     fosse 
ancora  vivo.   Il   fuoco  aveva  in- 
vaso completamente  la  parte  su- 
periore della   casa,   ove  infuria- 
va indomabile.   Pareva  vana  au- 
dacia tentar  di  penetrare  nell'e- 
difizio  con    un'infima    probabili- 
tà ili  salvare  una  vita,  con  gran- 
dissima probabilità  di  aggiunge- 
re     un'  altra       vittima      all'  in- 
cendio. 

vi      s  \ 

Questo  dicevano  tutti  al  capo 
dei  pompieri.  Dane,  che  parla- 
va di  tentare  il  salvataggio  ;  ma 
egli  respinse  le  scuse  che  gli  si  avanzavano:  non 
volle  che  una  vita  andasse  perduta  per  man- 
canza di  buona  volontà  da  parte  sua.  Quindi  deli- 
berò di  entrare  nella  casa.  Due  pompieri  diressero 
il  getto  delle  pompe  sulla  finestra,  fu  piantata  una 
scala,  e  Dane  salì  sopra,  scavalcò  il  davanzale,  e 
scomparve  nell'interno.  Il  calore  ed  il  fumo  sulle 
prime  lo  fecero  indietreggiare,  ma  egli  si  riebbe 
presto,  ed  intrepidamente  andò  avanti,  strisciando 
con  le  mani  e  con  le  ginocchia  sul  pavimento,  ove 
gli  era  più  facile  ricevere  un  po'  d'aria.  Con  la 
faccia  contro  il  tavolato,  egli  procedette  nell'oscu- 
rità soffocante,  arso  dal  calore,  a  tastoni.  Final- 
mente la  sua  mano  toccò  un  corpo  abbandonato 
sopra  una  seggiola.  Dane  lo  prese,  e,  guidato  dai 


bagliori  dell'incendio  e  dall'acqua,  tornò  alla   fine- 
stra. Il  bambino  era  ancor  vivo:   questa  fu  la  mag- 


Dennis  Rver. 


giore  ricompensa  dell'ardito  Dane.  La  sua  azione 
è  particolarmente  notevole  pel  fatto  che  il  Dane 
era  capo  della  brigata  dei  pompieri.  Il  comandante 
si  impone  ai  subordinati  con  la  virtù  dell'esempio. 
non  già  limitandosi  a  dare  ordini  stando  egli  stesso 
al  sicuro. 

Un  buon  pompiere  deve  essere  un  atleta  :  ad  ugni 
istante  egli  può  essere  chiamato  a  compiere  un'im- 
presa che  richiede  grande  forza  ed  attività.  In  un 
incendio  scoppiato  alcuni  anni  or  sono  nella  Setti- 
ma Avenue  a  Nuova  York,  una  signora,  che  avrebbe 
potuto  salvarsi  facilmente,  era  tornata  indietro  per 
prendere  un  pappagallo  :  ma  quando  fu  sul  punto 
di  discendere  la  scala,  trovò  che  le  fiamme  le  ave- 
vano tagliato  la  strada.   Corse  alla  finestra   (stava 


LA    LETTURA 


quanto  fiato  aveva 

apierì,  die  si  trovavano 

■  irda;    ma   la   signora 

:  Ed  ecco  uno  dei  tre 

la   corda   attorno 

3so  dai  due  compa- 

prender  que- 

o  quel  fardello  a  tanta 

\  ssuna  scala  poteva  giun- 

due  pom]  ira  uon  poteva 

su  quel  doppio  pesa  Bisognava  ohe  Dennis 

i  ed  alla  signi  i 


che  quella  stessa  per  ali  debliono  entrare  i  sal- 
vatori \<>n  è  sulle  alte  scale  o  sui  parapetti  delle 
finestre  che  i  pompieri  compiono  le  loro  azioni  più 
belle  ed  eroiche,  ma  giù  nelle  l lamenta,  tra  l'o- 
scurità piena  ili  turno  e  di  vapori  velenosi.  Un  in- 
i ruilii.  sotterraneo  avvenne  a  Muova  York  nel  1897. 
Il  Cuneo  era  scoppiato  nelle  cantine  di  un  maj 
/ni",  esalando  quei  vapori  pestilenziali  che  sin 
brano  sfidare  la  resistenza  dell'uomo.  Uno  dei  ]*>m- 
pieri  si  era  staccato  dai  suoi  compagni,  e.  soffi 
dal  fumo,  si  era  lasciato  radere  a  terra.  Gli  altri, 
accortisi  di   non  averlo   più  con   loro,  si   diedero  a 


UN    PONTE   UMANO. 


ra.  Egli  notò  che  la  finestra  vicina  era  immune  dal 
era    altro    da    tare   che    raggiungere 
quella  finestra  e  presto,  perchè  il  peso  lo  stancava. 
M  -  lo   una   mano   al    muro,   egli 

si  mise   in   moto  rolla   signora,  oscillando  come  un 
peni  a    sinistra;    ad    ogni    oscilla- 

zione si  avvicinava  sempre  più  alla  fin  uan- 

nalmente  la  r.  alla  donna  di  ab- 

la     lanrio    dentro    la   casa,    con    uno 
sforz  .  spezzando  i  vetri  e  il  legno  del  te 

laio.  gli  stesso 

ra. 
dì    più    terriliili    per   i    pompieri  sono 
nelle   cantine,   dove    il    fumo 
stagna  pesante  e   s  e   non   ha   altra  uscita 


cercarlo,  immaginando  che  egli  dovesse  correre 
qualche  grave  pericolo;  ma  per  quanto  face>- 
non  riuscivano  a  trovarlo.  Andavano  e  venivano  at- 
traverso il  fumo,  essi  stessi  minacciati  continuamen- 
te di  soffocazione,  costretti  ogni  tanto  ad  uscire 
all'aperto,  perchè  non  ne  potevano  più.  Finalmente 
l'uomo  perduto  fu  trovato  e  portato  fuori;  ma  di 
lì  a  poco  spirò.  Se  egli  fosse  vissuto,  la  cosa  sareb- 
Stata  dimenticata  come  un  semplice  accidente. 
Morto,  si  comprese  che  egli  era  un  eroe. 

Pure   a   Nuova   York     fu   estremamente  dramma- 
tiro   l'incendio  dell'Hotel   Rovai,   in   cui    si   disi 
per  gesta  inaudite  il  sergente  Vaughan.   La  gente 
saltava  dalle  finestre  pazza  di  terrore,  o  aspettava 
soccorso  nella  disperazione.   In   una  stanza  deH'ul- 


DALLE    RIVISTE 


863 


timo  piano  si  trovavano  quattro  persone  già  rasse- 
gnate alla  morte,  quando  giunse  il  Vaughan  in  loro 
soccorso.  Egli  era  salito  su  per  una  casa  vicina,  e 
(imi  era  pervenuto  a  poca  distanza  dalla  finestra 
della  stanza  ove  si  trovavano  i  quat- 
tro disgraziati.  Ma  c'era  di  mezzo  il 
vuoto,  e  quelle  persone  non  poteva- 
no passare  con  un  salto  da  una  casa 
ali  altra.  Allora  il  Vaughan  si  spor- 
se fuori  della  stanza  ove  egli  si  tro- 
vava ;  si  fece  tenere  per  una  gamba 
da  un  altro  pompiere,  puntò  l'altra 
su  un  intrico  di  fili  elettrici  che  si 
trovava  vicino,  e  con  le  braccia  si 
afferrò  alla  finestra  della  stanza  mi- 
nacciata, facendo  per  tal  guisa  del 
proprio  corpo  un  ponte  pei  quale  tut- 
ti poterono  salvarsi.  Dopo  ciò,  egli 
salì  sul  tetto,  e  vide  dalla  parte  op- 
>ta,  ad  una  finestra  dell' ultimo 
piann,  un  uomo  che  non  aveva  via 
di  scampo  dal  fuoco.  Vaughan,  sem- 
pre per  i  tetti,  potè  giungere  sopra 
la  finestra,  ove  stava  tuttora  il  di- 
sgraziato. Dal  tetto  alla  finestra  c'era 
poca  distanza  :  una  corda,  un  pez- 
zi i  di  legno,  un  canale  sarebbero  ba- 
stati a  trarre  in  salvo  quell'uomo, 
ma  mancava  tutto.  Allora,  ancora 
una  volta,  furono  il  coraggio  e  la 
ricchezza  di  risorse  del  Vaughan  che 
irono  la  situazione.  Egli  ordinò 
ai  suoi  subordinati  di  tenerlo  per  le 
gambe,  mentre  egli,  stendendosi  giù 
dal  parapetto.  a\  rebbe  preso  l'uomo. 
1  pompieri,  per  tenere  più  solidamen- 
te il  sergente,  si  sedettero  sulle  sue 
gambe,  premendole  forte  contro  il 
davanzale  del  finestrino  ove  si  tro- 
vavano. Vaughan.  con  la  testa  all'in- 
giù.  si  sporse  in  basso  più  che  potè, 
ma  nemmeno  così,  per  pochi  centi- 
metri, poteva  toccare  l'uomo  che  si 
era  proposto  di  salvare.  Allora  il 
bravo  sergente  gli  ordinò  di  spiccare 
un  salto  in  alto:  l'altro  obbedì,  e  i 
due  individui  rimasero  sospesi  ed 
oscillanti,  tenendosi  per  le  mani  con 
tutta  la  forza,  a  più  di  venti  metri 
dal  cortile.  I  pompieri  che  tenevano 
Vaughan  per  le  gambe  cercarono  di 
"irar  su  i  due  uomini,  afferrando  le 
gaml>e  dell'eroe  come  se  fossero  state  corde,  e  fa- 
cendo scricchiolare  tutte  le  ossa  e  tutti  i  tendini; 
ma  il  peso  era  troppo  forte  e  non  riuscirono. 

Con  le  teste  che  si  toccavano,  le  braccia  intrec- 
ciate, i  due  penzolavano  inerti  ed  impotenti.  Ma 
mentre  così  oscillavano,  venne  al  Vaughan  un'ispi- 
razione:  lanciare  il  suo  carico  sul  tetto.  I  suoi  com- 
pagni, di  sopra,  osservavano  ciò  che  egli  faceva, 
senza  fiato.  Innanzi  e  indietro  egli  faceva  oscillare 
il  corpo  del  poveruomo,  con  impeto  sempre  cre- 
scente; infine,  con  uno  sforzo  supremo,  lo  lanciò 
!  in  alto.    Quelli  che   stavano   sopra  poterono  affer- 


rarlo: era  salvo.  Subito  fu  tratto  su  anche  il  Vau- 
ghan, che  cadde  esanime  al  suolo  dopo  tanto  sfor- 
zi i.  Non  passò  molto  tempo,  per  altro,  prima  ch'e- 
gli si    riavesse.    Egli    medesimo    prese    l'uomo  che 


L'ultimo  salvataggio  di  Vaughan. 

aveva  salvato  e  lo  portò  sulla  strada.  Quell'uomo 
era  ancora  svenuto,  ma  anche  il  Vaughan  era  ri- 
dotto a  tale  stato,  che  ci  vollero  parecchi  mesi  a- 
vanti   che   riacquistasse   pieno  vigore. 

Quando  si  incendia  un  edificio  ove  si  trovino  ma- 
terie esplosive,  l'opera  dei  pompieri  diventa  ancora 
più  difficile  e  pericolosa  che  negli  altri  casi.  Di  re- 
cente si  incendiò  una  fabbrica  chimica  a  Wand- 
sworth,  in  Inghilterra.  Due  pompieri,  Jacobs  e 
Ashbv,  presa  la  conduttura  della  pompa,  entraro- 
no nell'edificio  per  domare  il  fuoco,  che  infuriava 
nel  secondo  piano.  Siccome  la  scala  era  libera  dal- 


LA    LETTURA 

stremiti   opposta   dell'e-         La  frase  1N011  li"  fatto  che  il  mio  dovere»,  che 
.,.1  all'ultimo     vii .ii    spesso  posta   in  bocca  agli  eroi   |M>|xilari.  a 
gere    meglio  il    getto     vi  che  l'espressione  'li  una  modestia  Ì|m>- 

con  calma,  quando  ri-  crìta,  ma  quasi  sempre  è  l'onesta  convinzione  del 
pompi  re:  l'eroismi  la  prontezza  ad  arrischiare  la 
vita,  e,  occorrendo,  a  perderla  («t  salvare  quella 
degli  altri,  tutto  questo  non  gli  sembra  che  il  do- 
vere. 

Entrate  in  una  ras.  ima  ili  pompieri.  Là  ■• 
la  macchina   rossa,   bella,    lucente,  ingegnosa;    ma 
non  vi  parrà  a  tutta  prima  molto  interessante.   Do- 
po, però,  avvertirete  un  siimi"  continuo,   un  Imm- 
tolio  sordo  ed  incessante:   la  macchina  è  sotto  va- 


nell'aria   uno  scoppio  tre- 
l  :  ■  1  \  nata,  e  il  fuoco  p 

ii    due.    Essi 

■    a  \k--t  chi)  rso  e  calarsi 

:        lieri,  ma   la   finestra  era 

iai re  'li  ferro  che  era  ini|«»s- 

sibil  I   due   p  '••■  in  una 

vano  condannati  a  morte.   Tut- 

ando  l'apertura  «li  un  ventila)   re,   Vshby, 

e  piccolo,  potè  uscire  Iu.tì.  aiutato     j  ,.,„.,    Alicia  essa   cambia  aspetto  per  voi;    è  una 


il  s<  ala  era  stata  appoggiata  con 

tm  il  ninni:   non  era  alta   abbastanza,  ma  Ashby, 

andò  un   salto,    potè    raggiungerla   e  salvarsi. 

ito   l'altro,   che   era    grosso   e  non    poteva    pas- 

i  ipertura   praJ  icata,   tace  a  sfi  irei  inutili, 

che  la    folla    dal  l'asso  contemplava   inorridendo. 

D  mprowiso  egli  scomparve,  e  'li  lui.  ad  incendio 

finito  non  si  trovarono  che  pochi  avanzi. 

Nel  terni. ile  incendio  che  scoppiò  nel  giugno 
so  nella  via  Regina  Vittoria  a  Londra,  il  pom- 
piere West  fu  certo  l'eroe.  Le  scale  erano  troppo 
corte  ili  almeno  un  metro  e  mezzo.  e<l  alle  finestre 
dell'ultimo  piano  le  vittime  cieche  'li  terrore  urla- 
vano invocando  soccorso  Fu  allora  che  il  maggiore 
I  \.  munito  di  una  conia,  e  accompagnato  da  di- 
versi pompieri  tra  cui  West,  salì  sul  tetta  La  corda 
fu  li  orno  alla  vita  di  West,  che  si  fece  ab- 

bassare  sino  a  raggiungere  le  finestre  della  stanza 
ove  si  trovavano  le  vittime;  e,  prendendole  tra  le 
1  raccia  una  alla  volta,  le  salvò. 


cosa   nuova,    una  cosa   viva;    e   tutto   all'intorno   \i 
bra   caini. i. l'i 

Un   pompiere  vi  spiegherà:    «La   macchina  è  te- 
nuta sotto  vapore  notte  e  giorno.  Vedete,  se  quel 
Campanello  suona,  in  due  minuti  essa  uscirà  fuori. 
e  mentre  i  cavalli  galopperanno,  noi   la  mi 
a  tutta  pressione». 

E  quale  è  la  macchina,  tale  è  il  pompiere.  Se 
mai.  egli  è  ancor  più  passivo  e  più  pronto.  Ter  lui, 
come  per  la  macchina,  passa  il  tempo  nell'attesa 
che  suoni  il  campanello  d'allarme  ;  anch'egli  è  sem- 
pre sotto  pressione,  pronto  all'azione  istantanea. 
Un  bottone  premuto  in  una  delle  tante  vie  della 
città  farà  muovere  la  macchina,  e  nello  stesso  tem- 
po, prima  ancora  che  esso  abbia  cessato  di  sui  na- 
re,  il  nostro  eroe  sarà  avviato  verso  il  campo  dell'a- 
zione. 

(Dalla  rivista  Rovai  Magazine,  d'agosto). 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore. 


Milano,   1903.  —  Tip.  del   Corriere  della  Sera. 


Gali. czzi  Giovanni,  gerente  responsabile 


!     ANEMIA  -  CLOROSI     S 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA   IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 

si  curano  e  si  guariscono  col  fi 

™  Ferro  Pagliari 


IL  PIÙ   ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

L.    1    la    bottiglia    in   tutte    le   farmacie 

?GC* 

SCIROPPO  PAGLIARI 

//  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


Biogenol  Pagliari 


PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


ESTRATTO  PANERAJ 


I 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD)    ||f 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE  jfl 

If 

PER     USO     INTERNO     E     PER     USO     ESTERNO 

I 

L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

J 

1 

I 
1 
I 

u 
a 
j 

DI  CATRAME  PURIFICATO  fi 

*  ■  t'  t"  1  »  ■  i  i  «  -  i  -■  —■  i  xrtnL  o      «elle     Sor  rxx  o      «  -  «  •  t  :  »  «•*"  <  •  1  i  I  [ 

n 

tn 
ru 

II 

1 

li 

al 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

|  Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 

si 


ADDIO,    NIKOLAL. 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 

autore  del  Dottor  Nikola,  della  Verga  della  Sapienza,  

—  •  m 

(Continuazione,  vedi  numero  precedente). 


ITOLO    l\ 

ill'animo   oppresso    ..    chia 

ndola    diedi    ord peri  he    mi   con- 

i»iu  presto    possibile    al    palazzo    Ri 
..  .   ■   betti,  che  stava 

ro<J  lo   seppe    do^  e    ero    dii 

nidi  segni  d'approvazioni 

o  i.  pi  osando  al  nuovo  trionfo 
imi  iell'all   ntanarmi 

ivo  con  H  Lstezza   alla  nostra 
l  di  i  i  ni  i ii  un  i.  ed  alle  belli 

.1  una  malattia   mistei  ii  sa 

i    ih    portarci    via    la   nostra    compagna.... 
se  Galaghettl   si   tosse  lui  puri    raccontai) 
il  gondoliere  di  far  presto,  pece  simpatia  per 

è  ci  mmo  al   palazzo   In   bi 

tempo.  Decisamente  la  mia  buona  stella  mi 
,  n  i!  Non  avevo  ancora  saliti  gli  scalini 
,'enne  ad   aprirmi   il   vecchio  servitore  di 
i  ili   domandai   se   il   suo  padi  mi         se  in 
potess     ricevermi.   Mi  tu  mestieri  ripe- 
te li  mia  domanda,  prima  i  be  egli 
i  ipire    il    mio   b  u  bai  1 1    italiano.    Alla 
mi    additò    le  per  lai  mi    intendere   che 

Nikola  era  in  casa,  i    che  se  volevo  parlargli  an- 
i, —  a  cercarlo.   Vola)   su  delle  scale,  e 
mi  «li i . — i  verso  La  stanza  già  descritta,  di     <;     ei 

,  .    pdo    Picchiai   all'u- 
no i  v ben   nota,   un  disse     entrati       in 

Inglese.   In  quel   momento  ero  troppo  agitato,  per 
il  significato  ili  tutto  questo    Non  tu     I 

l'ili    lardi    chi  ,    Questo,    lomandai 

e,   non  avendomi  visto  giunge]        ivevo  ..sser- 

era  alla  finestra  mentre   mi  avvicinavo   a 

egli  avesse  saputi    della  mia  presenza, 

e  mandato  ad  aprirmi   pi  ira  u  eh  io  a\  essi 

suonai  i    Mi.   come  dissi,   non    fu  che  dopo  molto 

temi  ai    a   questi    fatti  ;  allora    l'unico 

mio  pensiero  era  d'informare  Nikola  della  ragione 

della  mia  visita 

Quando  entrai,  lo  trovai  ritto  in  piedi  pressouna 
tavola  ii  di   bicchieri,  di  tubi   d  assaggio  e 

ih  v.ui  attrezzi  chimici,   Egli  era  intento  a  vei 
un  i  erto  liquido  si  uro  In   un   \  etro  granato. 
Mi  parlò  senza   voltar  la  ti 

ieto    di    vedei  vi,   cai  o    Hatti  i  ts 
/ero    i    i  tese    di    aver   a\  uto    p 
mia  solitudini     Sedete  e  se   non   vi   disp 
un  momentino  eh  li i  abbia  Unito;  intanto 
i  -.  i    uno    sigai  o    che    troverete     In 

la   si  Ila   ia 

—  Mi     dispiace,     ma 



te   as]  risposi 

Sono   venuto   da  voi 
pei  i  i  Iella  mas 

sima  i/a. 

—  Vuol  dire  i  he  miss 
Trevor    è     peggio) 
—   disse  posando 

i  quale  a 

sulla 
tavola  Temevo  pur- 

.   ibi 
i,,   i  . 

—  Ma    ci  >iì  e   mai 

•    annua 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 


che  si  rompono  subilo  I 


U  I!  i:;i  ucpie  ittttsu  eruttili 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


domandai,  sorpreso  che  egli  ne  lussi-  in- 
form  i 

—  Se  sapeste  quante  i  -  se  lo  so!  Sapevo  i  he  i 
era  ammalata,  e  mi  domandavo  quando  mi  avre 
ste  chiamato    Supi  sii   altri   dottori   non 
\ .  dranno  i  olonl  Ieri  il  mio  Inten  ento,  ni  m  è 

—  Certamente        i  Isposi  Ma   essi  non   li 
cero  nessun  bi 

i  rodete  voi  che  io  sia  capace  ili   aiutarvi?  — 
un  disse  fissandomi  col  suo  strano  sguardo 
Senza  dubbio        repl 

—  Vi  ringi  azio. 

—  All'  i a  (rerrete,  non  è  vero 

—  Sì.  se  proprio  i"  de 

—  Credo  che  voi  solo  potrete  salvarla  -    risposi 
Ma  venite  subito,  ve  ne  prego,  o  giungeremo  troppo 
tardi.    Essa    stava    malissimo   quando    lasciai    l'ai- 

Con   una   mano   ferma    che   mai    tremò,  versò   il 

ontem lei   bicchieri'   in   un'ampollina,   e  se  la 

mise  in  tasca. 

—  Sono  ai  vostri  ordini,  —  rispose.  —  Andiamo 
puri    subito,  \  i-i"  che   non   c'è   tempo  da  perdei  i 

—  Ma  non  dovete  portarvi  dietro  qualche  rime- 
ilio     -  -h  domandai 

—  Prenderò  questo,  —  rispose  mettendosi  il  cap 
pi  il"  in  testa 

Mi    ricordai    ch'egli    stava    preparandone   quando 
enfiai   da  lui     \\eva  egli   l'intenzione   di   and 
a   vedere   nella   persuasu'ii.'   cb  li  indato    a 

chiamarlo?  Non  ebbi  l'opportunità  di  poterlo  inter- 
ro.L'ari'   su   rio. 

—  Avete    una    gondola    dabbasso?    —    mi    chiese 
mentre  scendevamo   le   scale 

liissi  di  sì.  e  quando  ebbimo  raggiunto  la  porta 
d'ingresso,   scesi   gli   scalini,   vi  entrammo  dentro 

Giunti    all'albergo    lo   i lussi    suini.,    nel   salone 

dove  Glenbarth  ed  il  decano  ci  aspettavan 
samente.  Presentai  Nikola  a  quesl  ultimo,  i 
ad   informare   mia   moglie  del   suo  arrivo.   Mi    u 
compagno  dabbasso  a  raggiungerli,   e  quando 
ir.,   nella  stanza   Nikola  le  andò   incontro  a  salu- 
tarlo. 

Volete   avere    la    gentilezza   di   condurmi   dal- 
l'ammalata?    -  le  disse,  appena  si  furono  salul 
—  Visto  la  gravità  delle  sue  condizioni,  è  meglio 
che  non   perdiamo  tempo, 

Seguì    mia    mi  .glie     e    noi    i  iniai mo    si  à 

aspettando  trepidanti   il  su.,  raspi 

Quello  .  In-  successe  dui  ante  la  sua  \  isil  i  a 

I  revor,    i lo   posso   dire  che   dietro   quanto   un 

vi  noe  rifei  ii"    Mia  mi 

ene  i  particolari    Essa  mi  disse  che  giunto 
dell'  ammalala,    si    avvicino    al    letto 
e  la  lui         Poi  le  la-io  il  polso,  le 

le  palbebre,  e  le   lenne   la    mani  onte   per 

ali  uni    secondi.    \  oltatosi    all'infermiera,    la  q 
ben   inteso  aveva  saputo  .  he  i  dottori  se 

andati.  1 lino  di    portai    : bici  hien 

gelata.    Essa    andò    a    cerca  mentre 

fuori.   Nikola  si  sedette  i  dell'infei 

le  prese  la  mano  fra  le  sui    i  andò  un 

un  mento    di    fissarla.    Giunta    l'infer ra 

qua,  \  ersò  alcune  goccio  del   liquido 
oeva   nell  ampollina    in    lasca,    nel    bici  li 
.    .li    un   ,  ii.  .  hiaio   ne   diede 
/nule.   Ciò  fatto  -i   -cicli.'   un'altra  volta   i 

e.  fiaml"    pazienti  mente    il    risulta         PIÙ 
di  una  volta,   in  una  ine// ora.  -i  chinò  sulla  ligura 


LE  DONNE  FRANCESI 

£  LA  SCOPERTA  DEL  DOTTOR  VERVIER 

InFranciamohosi  discorre  della 
recenl  a    fatta    dal  dottor 

Wrvier,  il  quale  con  uno  speciale 
processo  noto  a  lui  solo,  è  riuscito 
;id  estrarre  dalk'  foglie  della  Ga- 
Itga  Officinali*  un  prodotto  rigoro- 
samente  scientifico  a  cui  ha  dato 
il  nome  di  Galrghiiia,  e  che  com- 
binato con  altre  preziose  erbe  to- 
niche, corroboranti  ha  non  solo 
virtù  di  sviluppar?  e  ricosti- 
tuire il  seno,  ina  anche  di  dare 
rotondità  e  grazia  alle  forme  mulie- 
bri. Frrs.i  in  pillole,  questa  Gale- 
ghiìia,  oltre  sviluppare  il  seno,  col- 
mar.- i  vuoti  e  far  scomparire  le 
gonze  ossee,  rinvigorisce  e  for- 
i  l'inleroorganismo;  applicata 
m    forma   di   lozione  agisce  sulla 

parte  coi  medesimi  effetti,  ed  i  giornali  riferiscono  che  sia  nell'uno 
coni,  nell'altro  caso,  furono  visti  dopo  circa  un  mese  i  più  soddi- 
Lì  risultati.  Quindi,  le  signoro  e  le  signorine  possono  con 
piena  fiducia  ricorrere  alla  Galeghiva  del  dottor  Vervier,  che  agisce 
a  meraviglia  anche  sui  temperamenti  e  le  costituzioni  più  delicate, 
e  non  deve  essere  confusa  con  altre  specialità  delle  quali  si  tiene 
segreta  la  composizione. 

In  Italia,  il  premiato  Laboratorio  Chimico  Farmaceutico  por  i 
preparati  del  dottor  Vervier,  Milano,  via  Passarella,  10,  s; 
secondo  la  richiesta,  od  un  flacone  di  Pillole,  od  un  flacone  dì 
Lozioue,  con  relativa  istruzione,  verso  rimessa  anticipata  di  L.  5.50 
Aggiungere  L.  0.80  per  affrancazione  e  spedizione  di  no  o  più 
flaconi  nel  modo  più  discreto  in  cassetta  suggellata. 

Pjr>  la  Lozione  indicare  se  si  desidera  quella  st  molante  per  lo 
sviluppo,  o  quella  astringente  per  la  ricostituzione.  In  mancanza 
di  indicazione  si  spedirà  quella  di  doppia  azione,  stimolante  e 
astring-ente. 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVO  E    DEPURATIVO   DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

'"  '■""'  lrl  'l'timto  prof.  Girolamo  Fagliano  premiato  al- 
I  Es|  osizione  nazionale  farmaceutica  1891  ei  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere   sulla  boccetta  e  sulla 

atscola  la  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


"^*  **&'"*  ^^r* 


e  restar 


PER  DIMAGRIRE 

Fate  uso  delle  "  Pllules  Apollo"  a  base  di  "  Vesiculosine" 
estratto  dai  vegetali.  —  Queste  Pillole,  approvate  per  le  eccelse 
qualità  medicinali  sono  benefiche  alla  salute  perchè  fanno  dima- 
grire  in  modo  naturale  diminuendo  la  produzione  del  crasso, elimi. 
Dandone  quanto  ne  è  in  eccesso  nell'organismo.  Olire  la  sparizione 
dell'eccesso  della  grassezza  le"  Pllules  Apollo'' regolarizzano 
le  funzioni, ringiovaniscono  i  lineamenti  e  ren  fono  al  corpo  l'agilità 
ed  il  vigore.  E' il  segreto  di  tutte  le  signore  che  vogliono  restare  giovani  e 
svelte.  Queste  Pillole  con  vengoni  ■  ai  temperamenti  i  i>iù  delicati  tanto 
agli  uomini  che  alle  donne  (marra  depositata).—  Il  Ancone  Ir.  6.35 
(L.  6.70)  contro  assegno  cent.  35  in  più.  Invio  discreto  e  franco. 
d. RATIÉ.farmacista. 5, Passage  Verdun.?  -ri tri.  9".  Deposito  generalo 
per  l'Italia:  Farmacia  Dott.L  ZAMBELETTI,  Piazza  S.  Carlo, 5, Milano. 


URGENTE! 


settembre  1902  defiaCasa Artìstica   "-  rnUbRESSO  -  MllullO 
M   tastasio,3,  (angolo  via  V.  Monti)    Casa  fondata  nel  1895,  spe- 
cialità ingrandim.  fotogr.  — Concorrenza  impossibile  —  Esportazione 
Un  ingrandimento  fotografico  è  il  più  bel  ricordo  dei  nostri  cari, 
o  defanti;  è  il  miglior  regalo    per  onomastici,  compleanni  e 
:i  :  è  ornamento  adatto  ad  ógni  casa.  Qualunque   ritratto  può  I 
ingrandirsi  e  si  rende  intatto.  Per  diffondere  fra  i  lettori]  nostri ar- ] 
listici  lavori,  offriamo  a  tutti  gli  abbonati    e   lettori  che    ci   mande- 
,o  prime  del  30  settembre  1902  L.  17.— in  cartolina-va- 
glia (Estero  Fr.   19.—)  eoi  due  ritratti  da  Lngr&ndin 


I>XJE> 


Ingrandimenti  fotografici  ai  sali  di  platino  in   eleganti   passepar- 
atatì   in    due    ricche   cornici   dorate,    grandi  I 
i  ni    60      50   come    il    disegno.    Due  bei  quadri  che  fanno  j 
i    II  loro  prezzo  .è  di  L.  15  ognuno,  totale  L.  30;  ma 
Udo  .li  Dono  semigratuito  li  diamo  insieme  a  metà  prezzo  sino  al  | 
30  settembre  1902,  cioè  al  prezzo  straordinario  di  sole 


Ivire  15 


La   Casa  PROGRESSO  ha  ricevuto  migliaia  d 
Roma.  1G  febbraio  1899. 
Ho  ricevuto  l'ingrandimento  e  mi  è  grato  annunziarle  come 
rabbia  trovato  ecc  -;  per   fedeltà    -li    somiglianza 

come  per  bontà  ed  esattezza  di  lavoro. 

Aw    Pasquale  Romano. 


più  I,  2  pi  r  porto  ed  imballaggio  totale  L.  17  (Estero  Fr.  19»  anticipati' 
fili  ingrandimenti  si  spediscono  in  20  giorni  franco  porto  in  tutta.) 
Italia.  Chi  non  ha  pronti  i  ritratti  mandi  intanto  l'ordinazione  «•  | 
cartolina-vaglia  di  L.  17  prima  del  30  settembre;  ed  invierà  poi 
i  2  ritratti  da  ingrandire.  —  Chi  vuole  un  solo  ingrandimento  paga- 
I  9  (Estero  Fr.  IO)  anticipate.  —  A]  30  settembre  1902  cessano  i  sud- 
detti prezzi  e zionali,  chenon  saranno  più  accordati.  Affrettare  quindi 

vaglia  (i  ritratti  in  busta  aperta  ra  alla    Casa  | 

\  ■  IL  PROGRESSO,  via    Metastasio,   3,    Milano.  Nominare 

i  Rivista.  —  La  Casa  non  ba  piazzisti,  né  viaggiatori,  ne  suc- 
■  '  di;  dirigere  gli  ordini  esclusivamente  al  nostro  indirizzo  a  Mi- 
afio.   —   Diffidare  delli    imitazioni, 

uno  il  Catalogo  illustrato  di  ingran  dimen- 
ìi cartoline,  ecc.,  a  chi  lo  chi<  decoi 
_   con.  risposta.  Domand 
PROGRESSO. vìa  Metastasio,  3,  Milano  -B  [uesta  Rivista . 

\  ttestati  come  ì  seguenti  : 

Ca  I  !  b  1901, 

Ricevetti  i  riuscì  graditissimo  a  me   ed 

alla  mia  famiglia  per  la  perieli  danza. 
±J.  Baroni  va. 


GRATIS 


N.irni .  20  dicembre,  1001. 
Sono  rimasto  soddisfatto  dell'ingrandimento  e  ve  ne  rendo 
grazie. 

Marchese  O    Eroli. 


i  1901. 

Dei   due   bellissimi   ingrandimenti    sono    assai   contento 
perca  tti. 

io  I>.  Rizzo 


1! 


VDDIO,    NIKOLA 


Immobili    e   pi  o  di    si  orgere   In 

lei  il    menomo   cambiamento    p 

pò    le  rtiede  un  al  «io  ili  quella  pozione, 

prima    Dopo  'a,   la  sodai 

suo  volto,   e  voltatosi   da 
la  era   Indicibile,   le  disse  : 
e  loro  dire  che 
,  ii.    da  ottenere,  ma  pi 
i   vivrà 
.,„.  era  iroi  mia  moglie   uap- 

.,rmi  re,  poi   venne  presa  da 

di  I  ppiare   In 

piani      i  stanza  in  punta  di  piedi,  e  scese 

,i  i  ,  ,,  primo  sguardo  che  le  gettai,  q 

d„  ,  Lione,   i  apll    i  he   e)    pori  iva   delle 

buone  mi  .  ,       , 

Ebftene    che    notizie   ci    portate!   —   grido    n 
dimenticandosi  della    presenza    ilei    il 

ni  piedi  guardava  mia  mo- 
glie senza    proferire   pari 

Buonissime       disse  mia  moglie  col  viso  rag- 
.,,,,.        ii  dottor  Nlkola  dice  che  vivrà 

in,,  sia    ringraziato     ■  esclamammo  con   una 
GÌ,  nbarth   mormorò  qualche   altra   pa 

,  he   i   riuscii   ad  ali  Vvevamo   una 

li  i   in  Nikola,  che  accettano il  suo 

enza    un    so  ondo    pensiero     Ibbi  aci  lai 
mia   moglie,   e   strinsi   la   mano  al   decano    Glen- 
barin    intanto   era    uscito,    probabilmente   era    an- 
imerà sua  a  meditare  su  certe  cose  senza 

vcnii  distui  bato    Dopo  un  momento,  Phllis  ril 

aella  dell'ammalata,  dove  trovò  Nikola  vi- 
cino al  letto,  come  prima  A  parer  suo,  miss  Tre 
v,,r  non  aveva  tatto  gran  cambiamenti;  [orse  11 
suo  respiro  era  meno  afta so  ili  pinna  Ciò  no- 
ni,.. Nikola  si  mostrava  soddisfattissimo,  i  hi 

no  leggermente  il  capo  ih  seg li   approvazione 

qu  ti  do  mia   glie  entrò,   poi   si   rimise   a  cuntein- 

plare  la  sua  ammalata,  in  questo  modo  passarono 

molte  ore.   Una  volta  all'ora   esso  veniva  da  noi 

dei  bollettini  sempre  più  rassicuranti. 

Pare  che  stia  un  tantino  meglio,  pare  che  la 

febbre  accenni  a  diminuire. 

Finalmente,  verso  le  duci,  ci  disse  che  lamina- 

[lidiamente.     Nikola     non     e  orni - 

.  he  vei  so  mezzanotte. 

-  Il  peggio  ••  passato  —  egli  disse  avvicinandosi 
al    decano;         vostra  figlia  ora  dorme,   e  per  due 

non  ha  bisogno  che  di  riposo;  trascorso  questo 
tempo,  ritornerò  a  vederla,  e  spero  allora  di  poter 

statare  nelle  - ìondizioni  un  notevole  miglio- 

remento 

—  Vai   potrò  in  ai   ringraziarvi  abbastanza,  mio 

e.  —  disse  il  degno  vecchio  ecclesiasti- 
co, stringendogli  rorte  la  man.',  mentre  grosse 
lagrime  -rendevano  sulle  sue  smunte  guancie.  — 
Se  n  te  stato  voi  col  vostro  talento  a  que 

sa  i i  sarebbe  più.  Essa  è  l'unica  una 

figliola,  la  mia  dolce  bambina!  Possa  Iddio  bene 

dirvi   per  la   vi. -tra  I ti 

Mi  pareva  che  11  dottor  Nikola  lo  fissasse  con 
aria  curiosa  mentre  il  decano  u-u  parlava.  Era  la 
prima  volta  che  lo  ve. lev.,  m  rapporto  con  un  di- 
gnitario   delia    Chiesa   Inglese   ed    ero   ansiose    di 

vedere  come  si  sarebbe 

ro  comportati     insieme 
in     simili     circostanze 

si   i difficilmente  im- 

inare  due  tipi  più 
diametrali te  oppo- 
sti. Essi,  e. .me  l'aceto  e 

non  avrebbero  pi 
hip.  assimilarsi. 

—  S  irei  stato 

meno  che  umano  se  non 

avessi    [atto  il  possibile 

tre    ile-Ma  bi  Ila 

me      esistenza      — 

Niki  la         Ed   ...  ' 

•  il. temi    di   s.! 

i  ,  ,    due    ore 
qui  di  nuovo, 


Supponendo   eh  i  i  isse  di    troi  irsi    vici 

i  ammalala,  insistetti  perchè  rimanesse  ali 
bergo .  ma  egli  i ie  volle  sapere 

—  a  quesl  ora  dovreste     I  *    lo 

i lormo  mal  ri li  casa—  rispose  In  un  tono 

.  i i  ammetteva   insistenze        Se  nel 

.  i  ili  h,    cosa,   venite  a  chia 

i,   ,-ii    lo    i rò     ull  i  tante.    Sono    persuaso 

p.  rò  .  iie   i   succederà    nulla 

Quando  - tu  andato,  andai  In  cerca  del  duca 

chi   'i  ■<>■  ai  In  carnei  - 

Dick,        mi  disse        guardatemi  ben  bene   in 

faccia  e  ditemi    se    no trovate  cambiati      MI 

sento  comi    -.   avessi  vissuto  pei   anni  In  mezzo  ad 

dolori,   Un'altra    settimana    : a    e    mi   sana   rt- 

dotto  vecchio    Come  st9  miss  Trevor? 

—  Migliora  senslbll nte    \  i  assicuro  che  vi  dico 

!..  e  che  •  il  caso  di  tare  lo  scettico    I  i 

miglior  prova  gli  è  che  Nikola  andò  a  i  isa     uà  a 
i  iposai e  pei  toj  naie  tra  due  ore. 
Mi  strinse  cosi  torte  la  mano  da  farmi  male 

—  (..in  ero   lonta lall  Immaginare        dissi 

quando    eravamo    relegati   in  quell'orribile    stanza 
in  Porto  sani,  e  quando  mi  giocò  quel  uro  a  Sid 
iii'v.  che  un  giorno  sarebbe  stato  destinato  a  ■ 
dermi  il  pio  gran  servizio  che  un   uomo  mi  abbia 

„n  restì  mila  Mia'  Non  ave\..  io  ragione  quando 
\  i  dicevo  che  quei  dottori  noi api>  ano  un  bel 

nulla    e    elle    Nikola    è    il     più     famoso   dottore    del 
do? 
Ammisi    che   avesse   detto   la   prima  rosa,   quanto 
alla  seci  oda  avevo  i  miei  dubbi.  Poi,  Immaginan 
domi  in  quale  stato  d'animo  dovesse  trovarsi,   ^*ii 
proposi  .li  listare  m  gondola  a  pigliare  una  boccata 
d'aria  tresca    Dapprincipio  egli  rifiutò:  poi,  quali 
do  seppe  che  il   decano  ci  avrei. ne   accompagnati, 

assenti.    Oliando    rientrammo    all'ali. ere,,. 

che  Nikola    era   tornai...    ed   aveva   ripreso    il   suo 

posto    al    capezzale    dell'inferma,    dove    passo    tutta 
la   notte  senza  muoversi,   rosi   mi   ih— e   una   mtì 

nanne  .he  per  darle  qualche  medicina,  e  tutto 
senza  mostrare   la  menoma  stanchezza. 

L'indomani    manina    lo  vidi    mentre  stava   nella 
sala  da   pranzo  bevendo  una  tazza  di   caffè   nero 
<l.  ve   aveva    versato  alcune  goccie   di  uno   dei    suol 
-trani    decotti.    Non    som,  mai    riuscito  a    rapii, 
megli   potesse   vivere  nutrendosi   cosi   frugalmente. 

—  Conie  va  stamattina  l'ammalata?  —domandai 
quando  ci  fummo  salutati, 

—  E'   fuori  di   pericolo.   —   rispose   rimescolando 
piano  piano  il    caffè.   —    ora    continuerà    a   mi- 
rare,  spero  che  sarete  soddisfatto  di  quanto 
per  lei. 

—  Più  che  soddisfatto  risposi.    -     Ve   ne    SODO 

profondamente  riconoscente.  E,  come  vi  disse  ieri 

Sera    suo    pa  Ire.    è    ietto    i  he    se    non    foste    venuto 
v --a     -nel. I.e     1 1  lev  1 1  ah  1 1  men  t  e    morta      Kssa  be- 
nedirà  il    vostro  nome    durante    tutta    la    sua    Vi 
Mi    guardò    meravigliato   mentre    dicevo   qui 
parole 

—  I,o  credete  proprio?   —  domandò  con    enfas 
insolita    —   Credete  davvero  che  si   ricorderà  che 

.  -sa    deve   a    me  la  sua   vita  '.' 

—  Sono  sicurissimo  che  ve  ni  rnamente 
i  ie. ai. .-.enti'  —  risposi  quasi  ambiguamente.  — 
Suppongo  che  \  oi  stesso  Io  sani 

—  E    vostra    moglie,    i  he   ne    dire  ' 

—  Essa  vi  considera  il  più  la so  dei  dottori  — 

risposi   ridendo.  —  Dovrei   .piasi  essere  un   pò 
|,.-o.    ma.  strano   a   dirsi,    non  lo  sono. 

—  Eppure,    non     ho    fatto    nulla    di    str.a. 

. ,, minilo  quasi  come  se  pula--.,  a 
Se  quegli  altri  ciechi  vermiciattoli  non  - 

tasserò  ih  -.lutare  nel  loro  rango,  ma  cercas 
la  luce  in  un'altra  direzione,  essi  avrebbero  I 
quello  che  feci  i  i  \  proposito,  non  avete  più  i 
don   Martini,-,   da   quella   sera  chi 

n,    i   di    no.   ma  riferii   come  culi   si   fosse  < 

ri  |Sato   a   miss    rrevor,    mandando   so- 
\a  i.ti  a  prendere  notizie 

—  e  voi  i  avete  visto  ancora  " 


H% 


J     I 

Una  cassa  di  TANGLEFOOT  un  foglio  di  TANGLEFOOT 

TANGLEFOOT 

il  distruttore  vero,  pratico,  assoluto  delle  mosche.    Iq  Vendita    pFeSSO  tllttì  Ì  OpOQhieKi. 
Vendita  esclnsiTa  all'ingrosso  MAX  FRANK  -  Milano. 


Alimi      X. 


ISTITUTO  AERO-EIiETTKOTERflPICO  01  TORINO 


A.«*^o     X. 


j>e«"     Xet.    ourt»     delle 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,    37,    piano   terreno 


È  Vunico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correziotie 
delle  lesioni  statico-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici.  Nebulizzazioni 
medicate,  Bagtw  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alta  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cora  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  riteriuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico ,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


dolete  la  Salute  TIÌ 


ACQUA  MODERA  UMBRA 

(SORGENTE     ANGELICA) 

L'acqua  di  Nocera  Umbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  sul  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare,  ma  curativa  per  molte 
malattie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie.  , 


F.  BISLEKI  e  C.  -  Milano. 


HILAXO 


ADDIO.    NIKOl  \!. 


i  stemmo  circa   quattro 

l     ii     M 
[U 

.  Mkola 

l  dei 
i  i    suo  padre  e  mia  moglie, 
può  dire    he  *i  ora  in  01  u  qui 

i         n    quel 

o    Nikola, 
domami 
.  dirsi,  non  l"  tu  punto,  —  mi  risi 
Mi  imi.  i     l    adorni  i  miei  sospetti,  che 

e  produi  esse    un   cattivo  effetto     in 
■  ■  dò  i'  mquillamente,  1 1 ime  se  ! 
ii,'  di   questo  mondo  i  he   Nikola 
si   ir.  di   lei 

il  .' 
he    \i    sentirete    meglio,    miss     rre 
i     i    rispose    i  Molto   meglio 
i         tutto.  Nulla  ili  più  semplice,  come  vedete, 
adornami  Nikola   non   venne   pia  chi-  due  sole 
...  di  poi  una  sola .  ed  alla  Une  dell  i 
i      a  sua  presenza  non  era  più 
ma. 

i  ..il'  i       ìompensarv i   di   quanto 

oiT  —  pli  < J i  —  i  forse  per  in  centesima 
mentre  stavamo  Insieme  nel  corrid 

d    11    ninnila!. i 

Non  desidero  punì  lire  rie pensato  — 

Mi  basta  ili  aver  guarito  miss  Trevor 

di  ricordarvi   un   nostro  discorso  riguardo 

a  questa  signorina,  la  sera  .in'  \i   imi-imi   la  storia 

lei   ragazzo  maltrattato  da)   Governatore  spa- 

gnuolo.  Non  vi  avevo  lo  detto  che  i  nostri  destini 

iti   inestricabilmente    legati    insieme  ! 

\      formai  che  un  .-i  a  si  il .  e  lato,  molti  ano!  fa, 

iremn sontrati    Non    vi    meraviglierete 

dunque  se  \i   dirò  che  sapevo  puri'  di   questa   Mia 

malattia. 

i       guardai  colpito  e   meravigliato  come  già   mi 

i"ir  volte. 

■   6  '.i  sorprende,  newero  ?  Eppure    per  quanto 

\  i    appai  linari.  la  vei  ita    Sapevo   che 

ato  nella  \  ita  miss  Tre^  or,  e  sapevo 

desi  mail,   a    salvarla    dalla 

-n    Che   alla    Ime.    I  unica    cosa 

ch'io    abbia    desiderato   mila    vita,    un    sarà    tolta 
dalli  ini. 

Non  rii  ipirvi,  —  dissi 

—  l'ii..  darsi,   ma  verrà  il  giorno  in  cui  capirete 

-    rispi  si         i sto  momento  min  •■  giunto  ance 

ra.  i  i    ate  ed  attendete:  la  cosa  avverrà 

unente. 
Poi,  con  un.,  sguardo  destinato  a  perseguitare 
■aim    lunghi    gii  i  ni     mi   salutò  e    uà  I    dall'ai 

i  IPITOLO    X. 

i  u   il  gii  vedi    seguente, 

i  revor  fu  in  condizioni  di 

■    I  la  a\  aim.        tutti 

lieti    e    felici 
giorno  '  li  du<a  poi  pa 
dal  la 
i  .   non  l'ave\ ..  visto 
mai    cosi    esaltato     La 

man  USCI     l  mi 

mia   mi  "in'   i"  i    compe 

qualche    fli  ire    per 

im -ila     stanza 

doveva    venire   la 

i  ente 

i         t.  i  imi  ono    a    .  Elsa 

hi    di    Imi  i    >•   in    po 

co   temi 

no  il  salotto  in  mia  ser 

i a  .1  in  una  i  >p i    i / 1 ' ■  i . . ■ 

i 


\  are  a   mia  moglie,  ma  essa   un  i  ispose  i  hiaj 
tondo  ch'Io  non  m  intendeva  alt  Ltto  di  qui 

ih in .u  anni  più  bocca    L'unico  che,  In  mezze 

a  questo  generale  esaltamento    conservasse  la  sua 
ialina,   ero  certamente   io;  debbo  però  confessare 

che   quando  misse   Trevor     te pagnata   da  suo 

padre  e  da   una  moglie,  entrò  In  salotto,   non  mi 
sentii    più  io    Essa   al    era   ridotta   t'ombra   di    se 

Stessa,    ninni    ma     -ina-,  i  ila    e    sciupata.     Né     IO,     Qè 

Glenbarth,    non    l'avevamo  più    vista    dal    giorno 

li  s'era  ammalai  i     -  ssima  col 

e   mi  ringraziò   di   quanto  avevo  [atto   per 

tei    i>.. in.  a\ aria  ad  n  una  poltrona  e  mes 

si  le  uno  sgabello  sotto  i   piedi,  no unni   u 

per  un'oretta   per  timore   di  starnarla  tri 

• . .Ma    nostra   pn    i 

ai  nostro  ritorno,  trovammo  sulla  tavola  uh  ce- 
stino di  splendide  rose,  con  una  ratta  di  visita  di 
di.ii    José    m  iitim./.    Glenbarth   ne   lesse    il   nome 

senza  mostrare  la  me la  contrarietà,  e  i  io  prova 

ni  linai.'   ansia  fosse  per  la  salme   di    miss   Trevof. 

i    bensì  vero  i  he  dopo  si  sfog i  me    bia  ù  mando 

i  del  duca,  ma  In  pn  senza  della  convalee 
te    ih. n    tradì    il   suo  sentimento  per   timore   d'In 
quietarla. 

I    uni. .mani    miss   Trevor  ebbe    il    penne--.,    di    al- 
zarsi   Un    PO'   prima  e    resi    pure    il    giornt) 
limi  José   mandava  ogni  giorno  dei   fiori,   dopo 
sei-si   informato   personalmente  dei    progressi  del- 
l'ammalata, il  dottor  Nikola  non  si   lasciò  vedere 
che  dopo  tre  o  quattro  giorni.  Quel  giorni    ero  ri 
masi solo   a    tener   compagnia   alla  nostra  con- 
valescente:   gli  altri    erano  m   giro   per  comp 
stavo  seduto  d'accanto  a  lei.   intento  a  tagliare  i 
fogli  di  un  romanzo  inglese  che  le  avevo  compera- 
to  quella    mattina.    Era   una    beila  e  calda   gior- 
nata; avevamo  le  finestre  spalancate,  e  la  stanza 
era   piena  di  luce  e  di  sole.   Dal  canile  sottostante 
ci  giungevano  delle  risate  giovanili;  una  VOCI 
in m   sbagliarsi   per  americana,   gridava   forte:   «Eb- 
bene,  ragazze,    che  ne   dite  di    questa  Venezl 
I  nahra     voce    rispondeva:     •  I  ma    pian     quantità 
d'aqua.  ma,  a  quanti,  pare,  non  se  ne  sei 
pulire  le  loro  case».  Miss   Trevor  slava  per  pari 
e  già  aveva  mosso  le  labbra,   quandi,   improvvisa- 
mente   il    suo    viso    pigliò    una    -trama    espressione, 
i  bluse  u'ii   occhi  ed   io  temetti  che   si   senti— e   mail 

Quando   li  riaprì,   fui   colpito   dalia  loro   strai 
spressione:   erano  degli  i>ochi  senza  vita;  si  sarei. 
be  detto  che  non  vedevano   nulla  ili   quanto  i 
loro    attorno,    lai    momento    dopo    udimmo   bus 
alla   porta  ed  il   dottor  Nikola.    accompagnato  da   un 

cameriere,   entrò  nella  stanza    Dopo   aver   stretta 
la  mano  a  miss  Trevof  ed  a  me.  rivoltosi  alla  sua 

ammalala    e   tastandole  il    pois.,,   le    disse: 

—  Avete  davvero  migliore   aspe 

—  Difatti  uw  sento  assaJ  m.  i  ispose 

non  so  il  perchè,  non  colla  sua  solita  animazione. 

—  in  questi,  caso,  questa  -ara  la  mia  ultima 
sita,  nella  mia  qualità  di  dottore  —  disse.  —  S 

.  un'ammalata  modello,  e  nell'interesse  di  quel- 

i  i  .he  [1  nostra   imi il  i ate  chiama  sci< 

permettetemi   di   ringraziarvene, 

—  Som.  io,  piuttosto,  che  dei.i.i.  ringraziarvi,  — 
li-i..'- me  se    ripetesse    una    lezione  studiata  a 

meni. ii  ii 

—  inimnii.  quindi  delia  salute  di  mia  moglie,  di 

.  endomi  di    temala   bene    ni  riguardo,    perché   nel 
che  cadesse  ammalata,   coi   precedenti  avuti. 
nessun  dottori    di  Venezia  avrebbe  accettato  di  cu- 
rarla .  poi,  alzatosi  In  piedi,  ci  saluto 

i  he  visitimi,  dottor  Nikola 
p<  lete   proprio   coni  ancora  un  po'  della  vo- 

stra preziosa  compagnia  ? 

—  Me  ne  din. le.  ma  non  posso  Sto  facendomi 
una  clientela  qui  in  città  e  non  ho  più  un  minuto 
pi  r  me, 

—  Avete     altri    ammalati   '    —    «Il     domandai 

quanto   sorpreso,    non   immaginandomi  ch'egli 

.  .  Masse    una    simile   ...sa 

—  StO    .  in  and.,     il     \  OStTO    a ..    don     loSI     M 

nos        mi  disse.  —  Il  buon  Galaghetti  mi  opprime 


DIGEST!  BLE-CACHETS 


Digestivo  in  cachets,  d'origine  anglo-americana,  che 
agisce  per  graduale  antisepsi  direttamente  sulle  vie  di- 
gerenti, biliari,  ed  intestinali  con  sorprendente  efficacia. 
Un  tubo  l.  5,  par  posta  l.  0.30  In  più  -  6  tubi  franchi  di  porto  l.  27 
In  tutte  le  farmacie 

o  presso  la  TOT  "  COMPANY  Vm  Giulini,  2  _  Milano 
Chi  ha  difficoltà  di  digerire,  chi  soffre  di  infiammazione  in- 
testinale, chi  la  vita  sedentaria,  chi  lavora  troppo  di  cervello, 
chi  eccede  un  tantino  nel  mangiare  o  nel  bere,  chi  non  è  re- 
golato di  corpo,  chieda  l'opuscolo  sui  "Disturbi  di  stomaco,, 
con  tavola  sulla  digeribilità  degli  alimenti,  e  figura  scom» 
punibile  a  colori,  che  si  invia  gratis  e  subito  dovunque. 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata:  «  Globo  sopra  fa- 
scia rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darvi  altra  marca. 

elidila  esclusiva  all'insrros'o  :   ÌVIAX  FRA:VK  -  MILANO. 


[tapoleope, 


con    lo    etato    Maggioro,    vlaoeva    molte    battaglie. 
Così    vlnoono    qualunque    ANEMIA    1   mlraoolosl 
Cì  li  O  ITI  E  UH  li  I  del  HI GGEKI!  Infallibilmente.  Prezzo  V.  SS 

alla  scatola  In  tutte  le  Farmacie  e~alla  DITTA  0.  BUGGERI  -  PBSARO. 


4* 


IV 


AHI  He,    N1KOLA 


;      -  he  feci  per  sua 
be  che  lu  rado  i  spi  rimeni 

e  la  mia  se  vi  do 

non  ha  i Lo  I  i 

he  don 

in  Niki. la.     -        \'l 

possa  tacilmi 
rinied 

iccompagnal  lu 
il  .  i  ino  alla  hall, 

il  i  mi  dissi   quando  fummo  * 

■  be  il  nostro  amico  si  gì  de  la  \  il  i  da  li"  tempo. 

,    ultimamente  <-vrl  ì  perdette  una 

,   ma    al    gioco,   •  Irca    clnquantarrliia 

Ine    E' dunque  naturale  che  I  su irvi  se  ne 

■  e,  allora  ?  — ■  d 
i  ii    giocatore  inveterato,  direi   —   rispose    Ni 
[uando    uno   spagnolo   si    da    a  questa 
c'è  più  rimedio 
Qualunque  potessi                i  malattia  ih  don  Mar- 
■    i  che    li    i  tee   èva  in  viso  ch'egli  i 
Qui        lori                  m'imbattei   in    lui 
i  onte  ili   Rialto  e   im   colpito  dal  suo   cambia- 
li viso  pallido,  gli  occhi  infossati  e 
i   Qte  il  una   debolezza    di  i  no 
Q        lo  si   termo  per  parlarmi,  osservai  che  le 
.  tremavano  come  se  fos  si    i    I lai   bai 

chi    miss    1 1  '\  or  continuerà  a    miglio 
-  mi  disse,  di  ipo  a\  ergi!  fatto  notare  che  ti  i 
i  i  -in. 

Mi  assai,         risposi.   -    Si    i lire   che 

i     in    piena  convalescenza.   Fui  dolentissimo 
ima:  dal  d     or  Niki  la    i  he  voi  pure  non 

\  i  seni  ite  ti  oppo  bi 

'  osa  da  poco,   non   si   natta   che  ili   nervi,  — 
li ,  quasi  -pa\ entato       Dottor 

Nikola  mi  rimetterà  pn  sto    no  persuaso    Ebbi 

ultii  i  in  cattivo  colpo  ili   fortuna,  e  ciò  mi 

e    a  cosa    volesse    alludere 
ma  finsi  'li  ignorarlo.  Poi  mi  saluto  e  continuò   la 
strada.  Qu  i  a  giunse  un  altro  splendido 

pa -  ili  fiori  per  miss  Trevi  i  .  non  era  i 

ito  da   nessuna  carta  da  visita,  ma  siccome  il 
i   ili   non  a\  ei  li  mandati  lui,  cosi   me 
i    la    provenienza, 
L'i  i  per  la  pi  ima  volta  dopo  la  sua  ma 

rrevoi  i  n  srado  di  fai  e  una  pa 
01  dola.  Eravamo  tutti  cosi  lieti  di  averla 
ili  nuovo  con  noi  ed  andavamo  a  gara  nell'usarle 
ogni  riguardi  perchè  non  avesse  a  stancarsi,  li 
duca  orpassava  tutti.  Il  cuscino  era  soffice  ab- 
i  i  i  imodamente  seduta  "  Preferiva 
una  barca  invece  della  gondola?  Non  dissi   nulla. 

naso  i  hi ano    da  quell  osserva 

he  egli  è,  notò  la  cosa,  Quanto  alla  \  ale 

te,   ella   affettava   liel.a  !■  lir-ata   Ir  sue   premure 
Qua  'i        essa    si    sentì    in    fora    di 

pi   pose  di  andai  e  a  fare  un 

i    i    San   m Dopo  i  ssen  i  trai 

trinili    alquanto,    sei  on 
do  la    nostra  abitudine, 
davanti    ai     negozi,    ci 
incamminammo     pian,. 
piaiHi  verso  la  cai 
le.    Era    uno    splendido 

lo,    una    bri 
zolina   veniva  dal 
a    temperare    l'aria 

un    po'    i  alila. 

I  I lira 

ohe  Glenbarth  era  al 
settimo  cielo  della  feli 
ed  a  .1  ricomln 
ciato  a  Ianni  le  sue 
confld  à  imi  re    i  i 

di  miss  i 
gli   aveva   fatto  ritarda 


ESIGETE 


MARCAi" 

HERMANN 
mii.ano-torìxo 


opportunità  di  palesarle  i  suoi  sentimenti,  ma 
i  -  mtava  'li  fai  bì  ix\  anti  Essa  a\  èva  i  ai  la  di 
accettare  e  'li  gradire  la  sua  corte,  ma,  nella  mia 
esperienza  In  queste  faccende,  non  ve, levo  la  i 
sicura  un  tantoché  non  mi  venisse  annunziala  da 
lei.  K  non  mi  sbagliavo,  perchè  In  quel  giorno 
stesso  dovetti  constatare  la  verità  di  quel  prover 
he  dice       i  e  vie  dell'amoi  i 

Stavamo  traversando  la  piazza,  quando  il 

Martinos  si  presentò  a  noi  felli  tandi  si  ci  n 
l'revor  della  sua  guarigione,  Egli  era,  come  sem- 
pre, vestito  rulla  massima  correttezza,  ed  aveva 
to  miglior  aspetto  dell'ultima  volta  che  l'aveva 
visto  Si  uni  a  noi,  riuscendo  a  mettersi  d'accanto 
a  mi       ri       i    e  tutti  insieme  andammo  a  sederci 

al  caffè  Florian.   Dacché  I"  conoscevo,  i  l'avevo 

visto  mai  cosi  premuroso  e  gentile  li  duca  aveva 
lana  sei  cata  la  uà  allegi  la  se  n  era  andata  e 
non  apnva  più  bocca    Era  evidi  di w    loaè 

aveva   della  simpatia  per  mi--    rrevoi   e  che  cer 

cava  ili  tutto  per  fargliela  capire.  L'ind ani  mal 

lina  trovò  modo,  con  una  scusa  qualunque,  di  unir 

i   a    noi      I  a  I  "Urrà    ,1,      dura    inni    Conosce}  a    più   li 
unti     II   po\  ri  etto    mi    fai  r\ .,    pri'pnn    pietà!    I  ira  che 

le  cose  parevano  bene  avviate,  veniva  un  seo 

a  iutr ettersi  fra  ili  lorol  L'unico  mezzo  pei  i 

ler  fine   a  questa  posiz era    che   ti   duca 

trasse  la  sua  domanda;  ma  egli  non  aveva  11 

i"   <ii    farlo,    per  timore  ili    i fiuto     i 

,i,,\  èva  rassi        rei  a  vedei  la   sori  idei  e  e  par 
lare  col  suo  rivale! 
Mia  moglie  intanto  <i,\  disperata, 

—  Credevo  che  ititi"  tosse  combinato  —  mi  disse 
un  giorno  coll'aria  malinconica   -    ed   ora  eo 
più  che  mai  allontanati  '  i  he  gli  è  <  enuto  in  mente 
;i  quell'importuno  ili  mei  tersi    ra  di 

—  l'.wii  in'  ina  i"  -t. --"  il irit to  ili  quell'altro  — 
risposi.  Se  il  dura  ne  e  innamorato  si  faccia 
avanti,  ma  egli  inni   vuole    Se  già  lo  avesse  fa 

a   quest'ora  tutto   sarebbe   combinato. 

—  E'  facile  a  dirsi!  —  rispose.  —  il  poveretto  lo 
avrebbe  fatto  prima  anrura  che  essa  si  fosse  am- 
malata   Siete  stato  voi  ad   impedirgliela 

-  E  feci  benissimo-    continuai.  -   Miss  Trevor 

era      tata    inaiala    a quindi    non    permettevo 

i  in giovane,    pei    quanti    stimabilissimo,    dopo 

due  soli  giorni  che  la  conosceva,  ne  rpiedesse  la 
mail.,   senz'altro 

—  E  perchè  ora    lo   spingete  a  farsi  avanti? 
Perchè   miss  Trevoi    or  i  ha   suo  padre  . 

a  lui  a  pensarra   —  dissi         D'altrond  '      iunsl 

dopo  un  minuto  -     perchè  don  José  non   potrebbe 
tarla  felice  quanto  <  llenbarth  "  Egli  • 
buonissima   famiglia,    in  condizioni    ila    farle 
una   bellissima  figura   in  società 
i  --a   mi   guardò  una  a\  igllata 

-  E  sirir  voi,  amico  del  duca,  che  sapete  .piani" 
esso  l'ami  e  quali  sieno  le   sue   Intenzioni,  che 
stenete    la  causa  del    suo    rivale!    \ii  '.    Dick,   non 
avrei  mai  supposto  questo  ili  voi  ' 

Mi  affrettai  ad  assicurarla  che  non  parlavo  sui 
serio,   ma   ri  volle  un  momentino  per  persuadi 

—  Ma  se  siete  del  partito  del  duca,  mi  meravi 
comi     Incora     iate  don  Martinos   a    contii  u 
sue    visite   —    ini    disse     Non    potete    unni       i 
quanto    mi   sia    antipat  ico I   l'i  efei  irei    »  eder    i  li 
nulle  sposata  a  uni   spazzino  piuttosto  che  a  quel- 
l'odioso essere    Non   i"  —  i  capire  come  essa  possa 

attoi  in,    I"  non   poss  i  dai»  vero. 

—  Po\  ri  o  don   fosè,        dissi        decisami 
non  ha   fatto  una   molto  buona   impressione.  P 

isti,  egli  fu  sempre  d'una  gentilezza  squi- 
sita 

—  I   ;li    fioca    fino  all'ultin u  Simo  i  he   pos 

siede       so  rgiunsi    i  lie. 

La  guardai  sorpi  e  mai  lo  sapeva  '  Glie- 

lo eh 

—  Me  i"  disse  la  he  lo  seppe  qui 
l'albergo    Dicono  pure    che  non  ninna  mai  prima 
•  li  ile  il ielle  ire  dopo  la  mezzanotte, 

\"ii  e  ammogliato,  quind 
Essa  non  si  deg i    rispi  ndei  ini,  e  dopo  avi 


Scheuerin 

il  migliore  sapone   per   cucina;    chiedetelo  ai  droghieri  e  negozianti  di   ge- 
neri casalinghi  a  20  centesimi  il  pezzo  grande. 

Vendita  esclusiva  all'ingrosso  MAX     FRANK  —   MILANO. 


Col  29  Settembre  l 


I   GRANDIOSI   MAGAZZINI 


Il  SR&H  MERCURIO 


DI 


FRANCESCO    OUFFAS&TI 


verranno    traslocati     nella     nuova    Sedo 

CORSO  VITTORIO  EMANUELE,  (Angolo  Via  San  Paolo),  MILANO 

completamente    rinnovato    colle    ultime    novità    di    PARIGI.    VIENNA.    BERLINO,    ecc. 


Chincaglierie,  Articoli  per  regalo. 
Orologeria,   Articoli  in   pelle,    Ceramiche   artìstiche,   ecc. 


IVLACCHIHA  PE$  SCRIVERE 

WILMA 


ii 


J5 


Unica  macchina 

di     1°    ordine,     a    scrittura    visibile 
e  senza   nastro 


Maneggio  facile  -  Tastiera   Universale 


l!In9 


I  pregi    della   macchina 

«  WILLIAMS  N.   4 

l'hanno  fatta   preferire 

anche  a    quelle 

già    ritenute    le    migliori 

K:E>— 

Chiedere    Cataloghi,    lista    clienti 
e   macchine  in  prova 
agli  Agenti  generali 
f  ed  esclusivi  per  l'It^elin 

G.  PONTREMObl  &  C.   »  JWilano  -  via  Dante,  7. 


I 


Stampato  completamente   colla    macchina  -  Fulgor  »  NEBIOLO    e  C.  -  TORINO  -  Milano  -  (Jenova 


ADDIO,    NIKOLA 


,  nde  evi 

...      .    che  Glenbarth   e 
elosl   I  ai 

,-,  ,,i  o    in 

ro    icciul 


,   impossibile    i  a  i 

'■  Bli  ''''""' :  ,,         „„„ 

,i,.   ,n    modi  parvi    Mi     ■ 

rdarvi  che  ci  - delli 

.,,,,,,,■    quell'Imbecille    Don  m 
piedi  '         mi    domandò    Incollerito 

,  ,  ,.,.,i  ti  i    ma  non  ve 
meco   villani    '   MI   conti  id 
mi  tratta  come  se   fossi  un  rar 

i    .        aa]   i  anto  vostro,  lo  trattate  con 

avesse  il  diritto  di  gu  urdare, 
d    rii  ola  a  miss  i  revor. 

ii    i  ■     ro  i piani,,  meno,  se 

..  stato   presentato   da    amici   nostri 
(nettamente  che  desidero  non  mi 

no  delle  auesl ad  ogni  i".  che   mm  :i>;- 

dl  :    n  stra   presenza  e  in  questo  ai 

ero  lontano  dal  supporre  che  le  mie  pa- 
,    cosi  alla    i 
.    don    Martinos,    seo  ndo   I  abitudine 
qualche  tempo,  venne  dopo  pranzo  a  farci 

,.  -i  p.iii..  con  sé  la  chitai ra    Guardai 
il  QU(  ,    Era  pallidi  iveva  l'ai  la  di  un  uomo 

,  |,,.   na  o  una  risoluzione. 

Mi  l   moglie  ed   lo  i  antammo  un  duetto,   ma   in 
modo   tale  da  capire  che    i    nostri    pensieri    erano 
Miss   rrevor  ci  ringraziò  coll'ana  distratta, 
non   avesse   tatto  attenzione  a  noi.  Poco 
-,  pure  al  pian.,  e  cantò  una  romanza 
-se  gli  applausi  di  lutti  noi.   Dopo 
in\  inumilo  ilon    Ins.     i     i     nire   il  nostro   est-m 
pi0  ■■  la  chitarra,  e  dopo  due  o  tre  ac 

pose  a  ramare.  Benché  il  ricordo  di  quel 
iU,,n  ento  mi   desti  ancora  adesso  una  gran  pen  i 

pur,-  devo    confessare   che    mai    ave\  i    cantal -i 

■  ,,,   quella  sera   La  mei., dia  si  sprigionava 

i  rmi  nto   Era  un'allegra  canzone  popolare, 

ritiu  pelli   clic  imitavano  biiHainentc    il   dia- 

ustli  ani     Mia   moglie,  quando  ebbe  finito,  lo 

.,      olercem      ire  la  traduzione. 

_   i     la  stoi  la   di  un   pove tadinotto  inna 

di   una  bella  ragazza,  -    ri-qmse,  mettendo 
ntenzlone  nelle  -ne  pan. le.  —  Laman- 

■  i        ra/iatamente    non    aveva    il    i 

Ho    cuore.    I'.u'li    laic-'inva    .1  amore 

desiderio  di  palesarglielo,  ma  quando  si  tre* 

•  Iella   bella,  gliene  mancava    1  ar- 

0    di    parlarle    di    cose    banali. 

.  i     dei    cai egli     animali    che     stavano 

dia  di  suo  padre    Finalmente  la  ragazza, 
stufa  'li  quell'Indeciso,  lo  mando  a  spasso,  ad  im- 
di  i      i     riari     <    si"  -  ■  un 
\a  l'aliar  suo. 

Se    la    canzone    fosse 
precisa     alla     vi  rsione, 

non  potrei  dirlo  .  e  cer- 
io però  che  almeno 
quatti  i  tra  noi  presenti 
vi  scorgemmo  l' insi- 
nuazione, e    ne  fum 

■  [sentiti     li 

.Ilici      Si       fece     1 

poi  Impalli- 
dì remetti  per  un  mo- 
mento eh.-  dicesse  gual- 
chi cosa,  ma  si  i  on 
lem,.      prese    un    libro 

Dal  ni" 
.1.,  con  cui  aveva 
rato  il   libro,  capivo  la 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

'MILANO-  TORINO 


i  mpesta  del  suo  animo    Mia  mi  glie  iman'     1 1 

v"a  ,ii  sviare  la  convers  a e  domandava  al  de 

, .-  n iello  che  pensasse  d  una  vei  dna  i  h 

sitata  niiella  manina    l  io  rialzò  alquanto  la  pi 

zione   Imbarazzanti     Di  pò   di dnuti,   d 

.,  ai/ :i  diede  la  buona  sera    i  on  un  riso  bel 

la  di.-de    pure    al    duca,    il   quale    -  Ini  b 
p  urola    Partito  lui,  gli  altri  si 
,1  suo  eeemplo,  e  Glenbarth  ed   lo  rimanem- 
ii    invece  di  prorompere  In  sdegno,  come  mi 
immaginavo,  egli,  a  mia  grande  sorpresa,  non  dia 
>e  nulla  dell'ai .  adu  feci  lo  pure    Dopo  un 

, piano  d'ora  di   conversazione,   ci   salutammo 

mimo  nei  nostri  rispetta  i  apuana ntl    Quan 

,i  ,  pm  tardi  entrai   in  canu  ra  di  mia  moglie,   ero 
già  sicuro  di  ai  ei  e  una  disi  usatone. 

—  Ed    ora  'he  ne   direte   di    questi     vostro    amie, 

_  mi  d, .maini.. .a   pumi   di  sarcasmo   sulla 

parola     uno  oi         Avete  certamente  notato  come 
insultasse  II  dui  a  I 

—  Egli  fece  Infatti  una  grande  sciocchezza,   non 

solo   nell'interesse    SUO  riguardo    a ina    pei 

ragioni   ancora,    E    i  erto  '  he  se  mai   ci   fo 

qualche    probabilità  con    l.eltrude... 

_  n0I]  ci    in  mai    la  pm   remota   probabilità,   vi 

I  assi,  uro    -       interruppe    mia    moglie, 

—  Voleva  dire   appunto  che  dopo  il   fatto  di   sta 
sera,   tutto  andrebbe    m   fumo.  Questo  vi  dovrei. b. 

i     piacere. 

—  Non   mi   piace   punto  Che  egli   tratti  villaiiaincii 

te   il   misti spne.    spei  laimeiiie  poi    in    presi 

—  Non  v'inquietate  —  le  dissi.  —  Probabilmente 
egli    non   si    lascierà   piti  vedere.    Gli    diro  qua 
cosa    a    proposito,     per   quanto    mi    secchi,    per    ri- 
guardo a   Austl  iiiher. 

—  il  signor  Austruther  avrebbe  fatto  assai  me- 
glio di  conoscere  bene  che  individuo  fosse  prima 
di  mandarcelo.  L'unica  cosa  di  cui  ringi 
dio  e  il  modo  cu  cui  il  dui  a  pigliò  la  cosa  .  egli 
avrebbe  potuto  salire  in  collera  e  fare  una  - 
,  ii, ,u  aliene  avrei  fatto  torto;  invece  si  mostro 
calmissimo. 

Non  le  dissi  die  la  calma  di  Glenbarth  m  inquie- 
tava assai  piu  che  se  lo  avessi  visto  dare  in  escan- 

(Ì0SC6I1Z6 

L'indomani  mattina,  dopo  colazione,  mentre 

vaino   fumando  insieme   sul  balene,    portai uni 

lettera    a    Glenbarth  ;    dopo     tverl  i    letta    atti 
mente,  la  mise  frettolosamente   in  tasca. 

—  Non  ve  risposta.  —  disse  accendendo  il  si? 
Mi"  parve    che   la    sua     nano    tremasse   alquanto 

mentre  avvicinava  lo  zolfanello.  Egli   era   più  pal- 
lido del  solito,  ed  aveva    Io  sguardo  fisso  e  pi 
.upato.  .   , 

—  Qui    mi  si    nasconde  qualche   cosa  —  dissi    tra 
di  me   -  \  oglio  sapere  di  che  si  traimi  Spero  I 

,  he    non    farà    una  qualche    corbellai  Ifl  ' 
Sapevo    perfettamente   che    se    v 
re    qualche    cosa  da    lui.    non 

scorgere   la  mia    inquietudine   e  interrogarlo  sum- 
i,     per  tastar  terreno,  gli  dissi  : 

—  che  ne  diresti  se  la  settimana  ventura  andas 
a  Roma?  So  che  mia  moglie  e   miss    i  revor 

lo  desiderano.    In   questo  momento  ci   sono   molti 
amie stri.  ,  . 

—  Sarei  contentissimo.  -   rispose  con  un  visibile 

sforzo.  , , 

In  un'altra  circostanza  quota  proposta  1. avrebbe 
,  saltato    Dei  isamente  vi  era  qua',  he  cosa  di  si 

\   merenda  si  mostrò  m upato    miss    i 

osservava  domandandosene  la  ragione    <  ne  avreb- 
be  dello   la    poveretta,    se    avesse   immaginato    i 
spetto  che   mi    balenava  alla    mente  ' 

\,-i   doi  ouranzo   le  sigli  ire  decisero  di  m 
re    ed    il  decano   rimase  a  tener   loro  compagnia. 

i    ■ U  ni'  Lrth  .  egli  continu  n 

,,i,nii..     i ibbi    il   coraggio  d'interrogarlo.   A  un 

ceri..    | lo    gli    domandai    la     rai I< 

lenzio   ed  egli    mi  risposi    ■  nt«      che  non 

era    In   vena    di    parlare   miei    glOIDO». 

Mi    avvicinavo   al    punto. 


Attente  MADRI! 


'VSxsSOfc©^ 

L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini  ;  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Caflè 
Malto  Kiieipp.  Il  Caffé  Malto  Rneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


PIPA  MAGICIENNE 

di  vera  radica  inglese 
prem.  con  med.  d'oro 
ormai  mondialmente 
riconosciuta  insupe- 
rabile per  la  sua  bon- 
tà e  costruzione  inter- 
na che  isola  total- 
mente la  nicotina.  Per 
evitare  d'essere  mi- 
stificati, esigere  su  o 
gni  pipa  la  marca  LEONE  e  il.  FISETZKY.  Ricercarla 
presso  i  Rivenditori  oppure  spedite  L.  3  (Estero  L.  3.50' 
^irr.^l^fai^rÌca.dipipeWAURI2IOPISETZKY 
Milano,  Via  Vittoria,  ili.  Vicino  al  ponte  Corso  Genova, 
e  la  riceverete  franco,  dritta  o  curva  secondo  richiesta. 


PIPA  STELLA  POLARE 

-i  suo  _  enere,  di  vera  radica  inglese,  Pre- 
miata oon  med.  d'oro,  girevole  in 
tutte  le  parti,  antinico:inosa,  con 
apposito  riservatore  (Vedi  dise- 
gno). Il  fumo,  causa  l'interna  co- 
struzione di  detta  pipa,  arriva  fre- 
sco e  gradevole  alla  laringe. 

cercatela 

presso  i 

Rivendit-ri,    oppure    spedite   L.    3    alla    premiata 
Fabbrica  di  pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria.  21  -  Milano 
e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 
Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 


LA  BELLEZZA  delia  CAPIGLIATURA 

Mistura  vegetale  assolutamente  priva  di  sali  nocivi. Garan- 
tita dall'analisi.  Cn'applicazione  al  mese  per  ridonare  il  pri- 
miero colore  o  per  correggere  t  capelli  rovinati  da  altre  tinture. 
Deposito  6.  Agnelli,  Corso  S.  Celso,  lu  Milano.  L.  5  la  scatola 
per  posta  cent.  80  in  più.  sale  riservate  per  l'applic.  -Iella  tintura. 


SVILUPPO  DEL  SENO. 

bellezza,  rie  stituz'one,  solidità 

in2°"ee°u'one,,Pilules0rientales" 

del  6ig.J. Battè. chimico  farra  5  PassageVer- 
deau.  Parigi.  Benefiche  per  la  salute,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cotta  con  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,35. 
Dep.  in  .Milano:  fami.  Zambeletti,  piazza 
S.  Carlo.  6.  —  Buenos  Ayre»  U.  Perrel,  Gli 
«47,  Calle  Cnyo. 


Sciroppo^  £Q^i 


PELI  0  LANUGGINE 

>I  DEPILEND,  Depilatorio 
rhaave.  Flacone  i.on  istruzion 

CAPELLI  NERI 


del   viso    e   del 
corpo  sparisco- 
no   per  sempre 
COI  DEPILEND,  Depilatorio  innocuo  del   Dott.Boe- 
rhaave.  Flacone  con  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


Culi  ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  ,  tintura 
istantanea,  che  >i  applica 
mi  20  giorni  si  può  dare  ai  capelli  bianchi  o  grigi  o 
la  barba  quella  tinta  naturale  che  più  si  desidera.  E1 
fatto  innocua.  —  Flacone  L.  2.50    franco  L.  3.10  . 


CALLI 


dnrioni.  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigioni 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
cazioni dell'infallibile  Callifugo    CORNA- 
LINE. Flacone  con  istruzione  L.  1  (franco  L.  1.30 


SORDITÀ 

Boc-etta  L    1,75 

SI  DIMAGRISCE 

TRO  L  OB2SI 

curo  effetto  e  se 
dipe.  sono  pure 
stitichezza,  emo 
s.-olo.  sp 

GRATIS 


E    M&.LI    D'ORECCHIO   si    gua- 
riscono usando  il  linimento  acusi  ico 
UDITILA  del  dotlor  W.  T.  Adatr 
Boc-etta  L.  1,75  (franco  L.  2).  Istruzione  gratin 

in  poche  settimane  pren- 
dendo   ogni    [.'iorn 
cune   PILLOLE   COL- 
TRO L  OB2SITA    del  dott.  Garulwall.  Rimedio  <li  si- 
curo effetto  e  senza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  la 
dipe.  sono  pure  indicatissime  contro  i  disturbi    dlgestlv- 
stitichezza.  emorroidi,  asma,  apoplessia,  ecc.  Cfxatisopn- 
olo,  spiegativo  L.  4.50  la  scatola.  L.  4.75  franco  di  porto). 

IL  MEDICO  DI  SE  STESSO.  Consi- 
gli pratici  ad  uso  dei  sani  ed  ammalati, 
—  Guida  pei-  le  famiglie.        E>2  pag.   il- 
lustrate,  si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  di   semplice. 
carta  ila  visita  colle  iniziali  M.  S.  s. 
Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  loticamente  all' 

OFFICINA   CHIMICA   DELI,  AQUILA    vià^'cl^o0^ 


VI 


ADDIO,    NIKOLAl. 


pren  lerete  mica  per 

gli     dissi 

i in ni< ■  .ili  albergo   per  il 

unir      Dal 

\  [de  entrare    11    duca, 
ii  hn  la  gentilezza   In  persona,   fi  rei    pei 
della  \  Ulani;  i  a   prw  eden 

i  [soi  ride>  a,   Interessandosi  a  lui  e   I  i 

i  eretto  non   sapeva    più    in   che 

i,    -  uni  in  l 'i  andam 

lo  fui  l'ultimo .  il  mi"  cameriere 

mi   .  d     pochi  minuti,  quando  i  itorno 

intera  a  dirmi  che  il  servitore  del  duca  deside 

ii  dire  due  o  ti 

gli   dissi, 

Eni  -li  dom  indaj  appena  entro 

Ch     notizie?  Il  \  ostro  padrone  non 

nza  de' irere   qualch sa    'li 

mi    risposi  Sono    Inquietissimo,  ed  è 

he  \ .Hill  suini.,  da  \ oi 
Ma  d  ratta.  Egli  aveva   lana  ili 

ene  quando  ci    [asciammo   una 

mezz  i'i  a    fa 

Non    -i    nana    luna    ilrlla    sua    salute,    egli    sia 

ma  ci  iii'\  e  essere  qualche  co- 

■  .  min  a   voi,   ma  li-m  i  urne 

-   insomma,   ditemi   chiaramente   il  vostro  pen- 

sappia  regolarmi. 

Ecco    Stamattina   Sua   Eccellenza    scrisse  una 

ma   ih    lettere   che    mise  nella  cassetta    della 

'    a.  dicendomi  i-in'  più  tardi  mi  a\  reh 

...  h.    M,    dovessi   lai  e.    Lì   per  li 

non  le so  delle  sue  parole,  ma  quando  sta 

quello  che  avrei  fatto  se  mai   avessi 
isciare  il  suo  servizio,  dopo  avermi  detto 
che  mi  aveva  assicurato  per  testamento  cento  ster- 
line, nel  .i      ch'egli    <  mentre  ero  anco- 
ra con  lui,  cominciai  a  dubitare  che  ci   fosse  un 
qualche  m     ei       l 'oco  fa,  pi      menti  e  uscivo  dalla 
sua                  .la   letto,    mi  richiamò    Indietro  e  mi 
disse:        Domattina,  pei    tempo,  andrò  a  fare  una 
a    nuotata   in    mare;  non   gliene   parlai  a    su- 
perchè  egli  ha  L'idea  che  vi  sia- 
\d  ogni  modo,  sicco- 
iii>-  non  si  sa  mai  quello  che  può  succedere,  se  mai 
rdessi    spero  che  ciò  non  sui  i  edi  rà    vi  prego 
ili  rimettere  questa   lettera  a  su-  Riccardo.   Ma   ri 
latevj  bene  :  non  gliela  con      nei  ete  prima  di 
...     \     i.    capito 7        Dissi  di  si,  ma  ero 

Oli  '       I     '■  l  '■     ito  dalle  sue   parole,    clic  pen- 

sai di  venir  da  \  oi   unni,  dial  unente. 

Da  tutto  ciò  era  evidente  che  tra  Glenbarth  e 
don  José  '  i  doveva  i  ssi  re  un  di  io  ilo  In  questo  caso, 
che  mi  rimaneva  da  ir.  '  i  ercan  ili  ragionare 
con   Glenbarth,    nelle  sue  condizioni  d'animo,      i  a 

lo    D'ali  ronde,  l'oni  re  ei     impegnato  e,  ben- 
ché awersissimo  al  duello,  m  tutta  l'impor- 

Vvete  fa  i   dirmelo,   Enrico,  e  ve   ne 

ringrazio  —  gli  dissi 

.         ,    ,  .Ili,'         ,,         , 

Ianni     .Non  v'inquietate 
sui  conto  del  vostro  pa 

i  tornati  Ina 
ili-ri.   peri  he   egli   1 1 

filato  mentre  sarà 
in  mare.  Andate  a  letto 
tranquillo  senza  pensar 

In-  non 

bisogno  di    

segn  ,    . 

n   poveretto  se  ni 
do     i  Ingraziandomi      e 
completamente    ras 
rato    sui    conto  del   suo 
i  l     •  detti  per 
riflettere    al     da     farsi. 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MI  UNO- TORINO 


vo  che   don   José   era  un    famoso  spadaccino, 
mentre  il  duca,   benché   fosse   un   discreto   tir  i 
■  li    carabina,   avrebbe  certamente    avuto  la    pi 

III    durilo   a    pistola    Od    a    spaila      \\  rei   a\  in 

sogno  .li                 o  mi   con  qualcuno,  ma  a  chi  ri- 
volgermi '    \i  il. '..in ii  ora  il  raso  di  pensarci 

avn  in -■-  lorato  I se  .  ed  andar.'  da  don 

Manin   -    pregandolo  di  sacrificare  il  suo  onore  por 
l'amicizia   che  ci    lega   a  Glenbarth,    era  correr   il 
rischio  .li   venir  messo  alla  porta.   Pensai  u    Nil 
e  decisi  di  andare  subito  da  lui,  \  isto  i  he 
tempo  da  perdere;  prima  perù  di  lasciare  l'albergo, 
andai  a  raccontare  la  i  osa  a  mia  moglie. 

—  Avevo  il   presentimento  che  sarebbe  finito 
—  ini  disso,        Dick,   voi   dovete   ass  ilutami 

di     tutto    ponili-    questo    ducilo    non     abbia     In 
Non  potrei   mai   perdonarmelo  so  succedessi' 
olio   disgrazia   mentre  egli   è   nostro  ..spilo'    \nil 
soli  i  tanti     dal    dottor    Nikola.    raccontategli    li 
implorando    il    suo    aluto,   conio    già   ci    aiu 

\  olio 

Incoraggiato  dalle  suo  parole,    andai   a    Unire   di 
vestirmi,    poi  scesl    dabbasso   coll'idea   di    trovare 
una   gondola     La    fortuna  mi    arrise    Era    riei 
dal   teatro  in   quel   momento  la  comitiva  di   ameri- 
cani giunti  da   pochi   giorni   all'albergo;   salii   nella 
gondola    che    li    a\  e\  a    tu  compagnati.   dio-iid. 
barcaiolo    di   condurmi    al    più    presto  pò 
palazzo  Rovecce. 

—  E'  troppo  lardi,   signore;  preferisco   andare   in 
qualsiasi  altro   posi.,  che    in    Un.  del   Consiglio. 

—  Non  temete,  vi  saprò   rii  tre  del  sai 

zio  che  tate        ed   un  momento  uopo  ci  eravamo 

Staccati    dalla    riva. 

Quando  giungi  n al    palazzo,   un   Inni 

ceso    in    camera    di    Nikola,     Dissi    al    gondolieri'    di 

attendermi  e  per  esserne  sicuro  aspettai 

al  ritorno.    Suonai    il  campanello   ed    un    momento 

dopo  udii  i  passi  di  Nikola  giù  dalla  scala  che 

vicinavano  alla   porta.  Egli    fu   vivamente       so 

di   vedermi,  cosa  che   mi   stupì,  ma   in   un   i 
riprese  la  sua  espressione  abituale,  e  mi  invii 
entrare 

—  Spero   non    sia   successo  nulla    di    male  '         mi 
domando  colia   sua   solita   gentilezza  —   altrimenti 

i saprei    come   spiegarmi    una    vostra    visil 

quest'ora 

—  Purtroppo  —    soggiunsi.   —    Ho    bisogno   del 
vostro  consiglio  e   del    vostro  aiuto 

i  "si   dicendo    avevamo    raggiunto   il    su,,  studio, 
quell'orribile  stanza  di  cui   Scorderò  sempre. 

—  Ecco  di  che  si  tratta  —  dissi   mentre  mi 

vo  sulla  sedia  chegii  mi  aveva  offerto.  -     Domat- 
tina   di  buon   ora  don   Martinos  ed  il   duca  .1 
battersi  in  duello. 

—  Un    duello  —   ripetè  Nikola.    —  Fino    a    qui 
punto  e   arrivato  '    bene,   Che    volete   da 

—  E'  mutile  che  vi  dica  che  sono  venni,    perchi 
mi    aiutate  a    far  sì   eh  esso    non    abbia    luogo     S 
Che    avete    della    simpatia    pel    dina,     e    cerlam. 

vorrete    che   la    sua    giovane   esistenza    vi 
sacrili*  ala    da   lineilo  spaglinolo 

—  Dal   minio  con  i-m   parlate,   si  direbbe  .  In- 
vi curati    punto  dì  don  José,       replicò  Niki 

Francamente,   debbo  dirvi  ch'egli    non   mi   in 
teressa   aitano    m,    ,  enne  pi  da  un  mi 

ma  egli   non  gode  la  simpatia  ili  nessui 
'    ed  "ri  poi,  dopo  questo  nuovo  fatto,  meno  an 

'  '    .li    | a     I  'altra      i  i  i  iloti. i.   in 

presenza    nostra     egl        i    dtò    i  delibanti   in   m 
no,  e  questo  duello  ne  è  la  conseguii 

—  S  ii ip  .    li  -einprc  lo  stesso,  -     inorino 
io    fra    si'    Nikola           Ma    si    avvicina    il    numi. 

in    cui    le  sue   infernali    azioni    porteranno    n 
frutto,    -     Poi,    volgendosi    a    me,    disse    forte 
Ebbene,    dacché    lo    desiderate,    io  \i  aiuterò.    1' 
li         è   un    esperto   tiratori'    e    possian 
cantiti    di  egli   farà   di    tutto    per   uccidere    il    du 
Ma  .  omo  uiii   [i ,  sapi  i  i   domand  i 

0     "i  ii  .ho    mi     i  isuli  i\  a    the    non    si    erano   più 

visti,  ila  quando  li  avevo  presentati  I  in 

—  Lo  conosco  e  so  di   lui   più   di  quanto  v'inima 


a  prezzi  ridotti 

(Franco   di   porto  nel   Regno) 


OCCASIONE  UNICA 

per  acquisti 

IDI    BUONI    LIB'^I 
Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Vedi    numeri    antecedenti    della    LETTURA    da   Maggio    a    Luglio. 


Opere  inedito  o  rare  di  A. 
Manzoni,  pubblicate  per  cu- 
ra di  Pietro  Brambilla  da  Ru? 
gero  Bonghi,  6  voi.  in-ltì"  di 
compi.  i>ag.  2338  con  molti  fac- 
similp.  L.  30  per     .     L.  12.— 

La  vita  di  Volfango  Goethe 
di  Giorgio  Enrico  Lene-,  tra- 
duzione dall'inglese  di  Giulio 
Pisa,  elefante  volume  in-8°  di 
pag.  776.  L.  5  per  .     L.  2.50 

Il  teatro  Classico  del  sec.  XVI 
di  Francesco  d'Ambra  gros- 
so vo  .  i.i-s.°.  di  pag.  3*3  L.  lù 
per L.  1.50 

Giacomo  Leopardi,  storia  di 
un'anima  pei-  Emilio  V.  Ban- 
terle.  elegante  voi.  in-é°  di 
pag.  so,  L.  1  per  .     L.  —.50 

Giuseppe  Giusti,  poesie  illustr. 
da  Adolfo  Matarelli  commen- 
tate da  un  condiscepolo  del- 
l'autore ed  annotate  di  ricordi 
storici  del  prof.  Giulio  Cappi, 
grosso  voi.  in-4°.  pag.  5  jo  con 
circa  500  ili.,  ediz.  di  lusso 
L.  8  per L.  3.— 

Felice  Cavallotti  II  libro 
dei  versi  con  illustr.  di  Alear- 
do Villa,  elegante  voi.  in-lS- 
di  pag.  401,  L.  2  per  L.  1.50 

La  Baraonda,  romanzo  di  Be- 
rolamo  Rovetta ,  elegante 
voi.  in- 16°  di  pag.  500,  L.  3 
Per L.  2.— 

Ben  Hur.  una  storia  di  Cristo, 
di  Levis  Wallace,  elegante 
voi.  in-16»  di  pag.  512  L.  3 
Per L.  2.— 

Olivieri  Sangiacomo.  —  Il  loi 
fanteria,  romanzo.  Eleg. 
voi.  in-16»  di  pag.  560  L.  ! 
Per_ L.  1.50 

,  I  richiamati,  romanzo,  fi- 
legante  voi.  in-16"  di  p.  328 
J"*  P.er     •     •     .     .     L.   1.50 

•  La  vita  dell'esercito,  no- 
velle militari.  Elegante  voi 
in-16°.  p.  228.  L.2perl,.  1.50 

■  Il  Colonnello,  romanzo  mi- 
litar,'. Elegante  voi.  in-  6° 
Pag.  256.  L.  s  per    L.  1.50 

•  Jt?  ""'Iitaresse.  romanzo, 
tlegante  voi.  in-16",  p.  333 
p-  2  Per         •    .    .     L.  1.50 

-  La  Cognata,  novelle.  Ele- 
gante voi.  in-16»,  pag.  216 
L    -'Per  ...     .     L.  1.50 

Clemente  Tornei.  —  Vita  mi- 
litare in  marina.  Elegante 
y.  ln-lS°p.2d8,L.^perL.  1.50 

■  ■  pescatori  del  Tirreno 
racconto  Elegante  v.  in-i6°' 
Pag.  824,  L.  -i  per     L.  1.50 

Bruno  Sperani.  — In  balia  del 
vento,  romanzo.  Elegante 
y-in-li!»p  396.  L.  3  per  L.  2.  - 

-  limante.  romanzo.EIegan- 


te  voi.  in-16".  pag.  340.  L.  2 

per L.  1.50 

.     Anime  avvelenate,  roman- 
zo. Eleg.  voi.  in-16",  p.  180 
L    2  per     .    .     .     .     L.  I.- 
B     Sulle  due  rive,    romanzo. 
Elegante  voi.  in-16-  pag.  174. 
L.  i  per  .    .     .     .     L.  — .  50 
La    Tenebrosa      romanzo    di 
Giorgio    Ohnet.    grosso   voi. 
in-l°.   pag.   332   con  40  incis. 

L.  3  per L.  1.50 

La  storia  dei  papi,  di  S.  Em. 
il    cardinale   Hergenrother 
grosso  voi.   ini"  di  pag.  65S 
con  258  ritratti  di    pontefici 
da    S.    Pietro    a    Leone  XIII. 
L.  2.50  per    .    .     .     .     L.  I. — 
Gustavo  Chiesi.       I  marche- 
si d'o'regina.  romanzo  con 
43  111.  di   G.  Amato,  grosso 
v.  in-4°,  p.  346  L.  3  per  L.  2.  — 
■     La  conquista  della  gloria 
romanzo  conij  ili.  voi.  in-i°. 
pag.  31i'.  L.  2  per     L.  1.50 
La  Bohème  di  Enrico  Murger 
con  51  ili.,  grosso   voi.  in-4", 
pag.  413.  L.  2.50  per   L.  1.50 
Teresa    Raquin,  celebre   rom. 
di    Emilio    Zola.    voi.   in-r. 
p.  252co.i45ill.,L.2perL.  1.25 
La  Signora  dalle  Camelie,  di 
Alessandro  Dumas  (flgiio)  con1 
30  ili.,  voi.  iu-4°,  pag.  216,  li 
re  1.50  per   .    .    .    .    L.  I. — 
Storia  di  Manon  Lescaut,  del- 
l'abate  Antonio  Prèvost,  voi. 
in-4°,  pag.  170  con  20  illustra- 
zioni, L.  1  per  .     .     L.  —.75 
Saggio  di  un  sistema  etico- 
giuridico,    del   prof.    Fran- 
oesoo  Magri,  v.  in-S".  p.  2><  I, 

L.  4  per L.  1.50 

Degenerazioni  sociali,  stadio 
di  patalogia  sociale  del  prof. 
Francesco  Magri,  v.  in-1  1°, 
pag.  15S,  L.  1.50  per  L.  —.75 
L'emancipazione  dei  sordo- 
muti. Considerazioni  critico- 
filosofiche  d:  Giuseppe  Rota 
grosso  voi.  in-8°.  pag.  376  con 
tavole.  L.  10  per  .  L.  1.50 
L'eredità  del  mutilato,  ro- 
manzo di  P.  Manetty  _-r  isso 
voi.  in-16",  pag.  366.    L.  1.5C 

per L.  I.— 

Salgari   E.  —  La  Favorita  del 
Mandi    voi.  in-lt>°.  pag.  2ls. 
L.  1.20  per.     .     .     L.  —.75 
Duemila  leghe  sotto    l'A- 
merica, voi   in-16",  pag.  198 
L.  1.20  per.     .     .     L.  —.75 
La  bisca  di  Monta-Carlo.    11 
giuoco  della    roulette,    studio 
serio  sui  giuochi  d'azzardo  e 
sol  modo  di   paralizzare  l'a- 
zione del  caso  mediante  il  cal- 
colo di  Miguel  Garcia.  Ele- 
gante voi.  in-16",  pag.  236,  con 


16   tavole  dimostrative.  L.  3 
per L    2.— 

Codice  dei  giuochi  di  socie 
tà,  regole  e  descrizioni  di 
tutti  i  giuochi  delle  carte  per 
cura  di  G.  Perelli  ,  grosso 
voi.  in-16°.  pag.  32J,  L.  2.50 
per L.  1.50 

La  capanna  dello  zio  Tom 
racconto  di  Enrichetta  Bea 
cher  Stowe  grosso  v.  in-16". 
p.  353  con  ili.,  L.  2  per  L.  I.— 

Lo  schiavo  bianco  (.II  compa- 
gno dello  zio  Tom),  romanzo 
americano  di  R.  Hildreth. 
grosso  voi.  in-16",  pag.  318  con 
ili..  L.  2  per      ...     L.  1,— 

Il  miserabile  di  Parigi,  ro- 
manzo  contemporaneo  di  A. 
Bouvier.  con  42  ili.,  grosso 
voi.  in-4°,  pag.  340,  L.  2.50 
per L    1.50 

Manuale  di  ginnastica  per  gli 
insegnanti  nei  giardini  d'in- 
fanzia e  nelle  scaule  elemen 
tari,  compilato  da  Nicola  Co 
rinci.  voi.  in-8°.  pag.  192  con 
molte  ili.,  L.  3.50  per   L.  I.— 

Trattato  di  scherma,  teorico 
pratico  ili.,  del  maestro  Vit 
torio  Lambertini,  voi.  in-8° 
pag.  118  con  29  tavole,  L.  e 
per L.  2.- 

Il  pensiero  di  Giuseppe  Maz 
Zini,  per  Pietro  Brozzoni,  voi 
in-8°,  pag.  83,  L.  1  per  L.  —.50 

Nuovo  manuale  popolare  di 
ragioneria  applicata  al- 
l'amministrazione delle  a- 
ziende  agrarie  di  Vittorio 
Sterza,  voi.  in-16",  pag.  212. 
per L.  I.— 

La  contabilità  in  relazione  a 
principi  economici,  ammini- 
stativi  e  giuridici  per  Vit- 
torio Bianchi. grosso  v.  in-M" 
pag.  516  L.  5  per         L.  2.50 

Elementi  di  ostetricia,  ad 
uso  dei  medici  e  degli  stu- 
denti, per  il  Dott.  Felice  La 
Torre.  2  grossi  voi.  in-S°.  con 
molte  ili.,  di  compless.  p.  1256, 
L.  22  per     ...    .     L.  8.50 

Trattato  profilattico  e  cli- 
nico della  Pellagra,  di  C. 
Lombroso,  v.  in  8°,  d'  p.  393. 
con  20  tav.,  L.  10  per  L.  4.50 

Codice  Civile  Italiano  coor- 
dinato alle  leggi  affini  ed  alla 
giurisprudenza,  col  richiamo 
articolo  per  articolo  delle  di- 
sposizioni affini  e  delle  cir- 
colari dall'anno  1798  a  tutto 
il  1*93 .  per  cura  de'  cav. 
Adolfo  Camous.  4  voi.  in  8°, 
compi,  p.  159rt,L.  50  perL.  12. — 

Diritto  amministrativo  pub- 
blico ,  ovvero  prenozioni  e 
principii  giuridici  dell'ammi- 


nistrazione, dell' a\v.  Salva- 
tore   Francone.  grosso  voi. 
in-8",  p.  74o.  L.  12  per  L.  3.50 
Trattato   di   Diritto   Penale. 
del  Iloti.  Alberto    Federico 
Berner    tradotto  e  annotalo 
dall' avv.   Eduardo    Bertola. 
v.  in-s-  .  p.  tu'  I..  9  per  !..  3.50 
Istituzioni    di    diritto   civi.e 
Romano  .   di    Eduardo    Bo- 
ching    tr.id  itto   dati  a\v.  IJal- 
dassare    s. pinti,    .-rosso    voi. 
in-.s".  pag.  4.1 1  L.  S  par  L.  3.50 
Vincenzo    Monti.   Postille   ai 
commenti  del  Lombardi   e  del 
Biagioli  sulla  Divina  Comme- 
dia, interessante  voi.  in- '.  di 
pag.  510.  L.  IO    per    L.  3.50 
Il  Libro  della  donna,  di  Fer- 
nanda De-Amicis.  eleg.  voi. 
in-16".  p.  2x«  L.  2  por     L  1.50 
Malavita  napoletana    di  Giu- 
lio Caggiano.  Eleg.  voi.  in-16* 
con  111., p. 224,  L.  1.50perL.I. — 
Caccia  grossa,  scene  e  figure 
del  banditismo  sardo,  per  Mi- 
les    liiulio    Bechi,  elegante 
v.  in-l2°.  p.  252.  L.  3  per  L   2.— 
Giosuè   Carducci.  —  Cadore, 
ode,  L.  1  per   .    .     L.  —.50 
„     La  guerra.  L.  lper  L. — .50 
,     Carlo  Goldoni,  sonetti.  L.  1 

per L,  —.50 

.     Alla  città  di  Ferrara,  ode, 
L.  1  per .     .    .    #     L    —.50 
Bicocca  di  San  Giacomo, 
ode.  L.  1  per  .     .     L.  —.50 
-     La     libertà    perpetua    di 
San  Marino,  discorso  al  Se- 
nato e  al  popolo.  3  I  settem- 
bre 1891,  L.    1   per  L.   —.50 
laufre  Rudel.  poesia  antica  e 
moderna.  L.  1  per       L.  —.50 
Sopra  una  carta  .  dramma  in 
5  atti  di  Enrico  Sienkiewic, 
tradotta  da  Domenico  Ciam- 
poli.  Eleg.  voi.  in-16°,   p.  151, 
L.  1.50  per  .     .    .     .     L.  I.  — 
Arlecchino  re.  commedia  in  4 
atti  di  Rudolphe  Lotiar.  tra- 
duz.  unica  autorizzata  dei  pro- 
fessori Bindler  e  Ottolini.  E- 
legante   voi.   in-16",  pag    116, 
L.  1.50  per    .     .     .     .     L.  I.— 
Quando  noi  morti  ci  destia- 
mo, epilogo  drammatico  in  3 
atti,  di  Enrico  Ibsen,  (rad. 
di    Piero    Ottolini,    eleg.  voi. 
ini')",  p   96,  L.  1.50  per  L.  I.— 
Il    posto  all'altro  mondo  ed 
altn-  novelle  di  Max  Nordau. 
trad.  del  prof.  Romeo  Lovera. 
Elegante   voi.    ln-ló"  pag.  R6, 
L.  1  per     .     .          .     L.  —.75 
La   forza   del   momento,  rac- 
conto di    Paolo   Heise.  trad. 
del  prof.  Romeo  Lo\  t  ra.  eleg. 
volume  in-16°,  pagine  90.  L.  1 
per L.  —.76 


A  YV  W  r-iTl^ T\T7Tr     '  suddetti  libri  si  spediscono  franco  di  porto    in    tutta    l'Italia  —    per    l'e- 

.     _  .  -*-<-rv  i.  Hi  Vi  LàEj,       "    stero  aggiungere  le  spese  oltre    il    confine —    le    ordinazioni    inferiori    alle 

1--.5.  aggiungere  il  15  o[o  in  più  per  spese  di  posta  e  raccomandazione  —  il  doppio  per  l'estero  —  tutti  i  libri  de- 
scritti sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  assegno  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non  accompagnate  dall'  im- 
porto verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —  lettere  raccomandate  e  cartoline 
Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via  Manzoni,  20,  Milano. 

Compra   e    vendita.    Ingrosso    e    dettaglio. 


VII 


ADDI»  »,    NIK01  A 


chi  lucenti. 

e  il  duello 

abbiamo  un  m i- 

dall  altra  parte  della  stan 

-ii  un  foglietto  sta 

.    in  una  busta  e  s'informò 

,1.1  he    n  i  VUa 

isclò   -"i"  '■ 

,  indaJ    appi  uà  ri- 

di  cui  alle 

pi  ■ ,  in    tenga  bene  aperti 
chi  [are  è  di    ritornai  i 

,■  di  melten  i  a  letto    Dormite  ti  anqulllo  . 

e  quei  due  non  si  batterà 

ili.  ito,    entrate   nella    gondola    che 

,    poi    i    del]  albergo .    c'incontreremo 

ni  un  'i  Ed  ora,  buona  notte 

\ii  ai ,  '  mpa  rnò  t i  adi  la,  poi,  dette  due 

il]  ,  i , ,  -  1 1 , ,  1 1   1 1  ■ ,  1 ,  ■  i  afferrai 

ò  un'altra  volta  e  ritornai  all'albergo,    Ule 
•  in,;  irono  alla  p  ita.  mi  vestii,  in- 

ii  un    mantello,  che  la    mattina   era    fredda    ■■ 
si  nella   hall    La    mardia    notturna    mi    d 

l  a\  a  aspebtand fuori  e  mi  vi 

Entrai,    senza    pi  i  (ei  ir   pai  ola,    e 
in  silenzio,  dopo  avi  r  svoltato  per  parecchi  ca 

iti,  giungemmo  ai  piedi  il ricciolo.   Un 

in, ni,,  avvolto  in  un   mantello  oscuro  stava  seduto 
entrò  nella  gondola  e  -  pres 

a    Riprendemmo  subito  il  i 

in  quello  stesso  unni,,,  cosi    mi  disse  Xikola, 

Gle'nbartb  usciva   dal]  albergo. 


I    IMI   II        XI. 

il  giorno  spuntava  mentre  andavamo  chetamen- 

ingo  i  canali.   Sotto  quella   tenue  iure   mattu 

i  ui    aspetto  fan  fast  ii  o    in  ven- 

nte  veniva  dal  mare  ed  io  non  potei 

a  meno  'li  lodarmi  della  precauzione  presa  ili  por- 

t.-'inu  mantello. 

i  i  me  fate  a  sapere  il   luogo  del   loro  incon- 

,|, , maini  ai   dopo    alcuni    ninniti. 

trovai  e  la  cosa  io  stesso, 

ti  che  lo  fanno  per  me   -  rispose  i  là 

,    pare  difficile,   in  realtà  è  semplicis- 

Pei    r  iggiungere   il    pi  sto   stabilito,    pensai 

dovevano  di   necessità  pigliarsi   una  gondola; 

oi  pure  lo  sapete,  è  assai  difficile 

trovarne    una    d'tncontr [ueste    ore    cosi 

mfnaginai   che  ne   avessero  fissata    una     Mi  ri 
i    ilcun]     ondolieri  per  saperne  qualche  co- 
ii  essi   mi  diedero  le  informazioni  che  deside 
5   ■  uto  questo,  tulto  il  resto  \  iene  da   sé 
—    E  vi  .  remo    all'appunta 

monto  prima  ili  lori 
Ni  li  altronde  rii  ordatevj   che  vi 

h'essi  non   ~i   sarebbero  battuti. 
i  ito   ila  questi    sue    nassicui  aiì 

mi  mi>i  tranquillamen- 
te ad  e   la  stra- 

he     perei  i  ri  i 
Passamn  la 

chiesa  di  Sai  Maria 
I  ormi  sa,  poi  pi  esso  il 
Palazzo     Ducale,      indi 

ni  ii  -i       del      (  anal 

Gì  inde  Qui  giunti  Ni- 
kola  disse  ai  gondolie- 
ri di  ! 

otto   i  loro 
vigorosi    '  olpl    in  pi  i  hi 

la    ili    Sai  maR 

i  •  erso 
mezzogiorno.  Chissà 
quali   pensiei 


mente  di   i  ilenbarth   in  quel   momento  I 
,  un     a     [.inni    un'idea    ili     dove 

ai in  lge>  anni  \  erso  il  lido  .  era  quindi 

evidente  che  il  duello  doveva  aver  luogo  in  quella 
lingua  ih  sabbia  che  separa  la  laguna  dal  mare 
anni,,     Non    mi  Ingannavo  difatti;    dopo    i i 

.•ninni .   bi  esi    a   terra     Nikula    disse    qua] 

al    g tolleri    e    questi    tornar indii 

Passeggiammo  su  e  giù  dalla  spiaggia,   poi  ci  ria 

scondemi n   un    luogo    dove    potevamo    vedere 

I  approdo  senza  venire  osservati. 

Saranno    qui    fra    una    decina    ili    minuti,    — 

Nikola   guardando  all'orolo 
i  osi  dicendo  ci  sedemmo  aspettando  il  loro  arri- 
, ,,     Il   min    compagno   si    pose    ;i    pai  lare    ilei   \ 
modo  ili   appi  ezzai  ■•   la  \  ita  ab! 

tanti  della  terra  Nessuno  più  ili  lui  era  in  gradu 
di   giudicarne    avendo   vissuto    sotto    tutti    i    climi. 

Pari n  amarezza  e  con  sprezzo  delle   mesci 

vanità  degli   uomini,  come  non   lo  avevo  mai  >, 
prima     In,  unente    rt-ssn    di    parlare    e    vi 

nardo  a  slnisti  a 

—  Se  non  mi  sbaglio,  ecco  il  duca  di  Glenbarlh 
Che   arriva. 

liuanlai     in    quella    direziono,     e    scorsi     effetti 
melile   la    maschia    ti-una    del    duci    ili.     eamtllin 

lungo  la  spiaggia.  Poco  dopo  fu  Begulto  da  altre 
due  persone,  uno  di  questi  era  certamente  don 
Martinos.  ma  il  terzo  chi  poteva  maj  Man 

ma :he  si  avvicinavano  a  noi,  capii  che  lo 

nosciuto    non    doveva   essere    straniero    a    Niki 
Egli  mormorò  fra  di  sé,  con  un  ghigno  feroce: 

—  Burmaceda  ! 

Il  duca  s'inchinò  cerimoniosamente  ai  due  indi- 
vidui; appena  reso  il  saluto,  I"  straniero  s'tngl 
linei  imi    sulla  sabbia    ed    apri   una  scatola    chi 

era   portata  dietro,  e  ne  uni  f i  due  pistole  che 

i  ■.  in,,  con  cura  ostentata  i  io  fatto  le  diede  a 
scegliere  a  Glenbarth.  Notai  che  lo  spagnuolo  era 
completamente  vestito  in  nero,  non  vi  si  scorgeva 
un  ululila  di  Inane, i.  il  dina  ve-u\a  .ulne  di  solito. 
Quando  ebbero  tutti  e  due  la  pistola  in  mano,  lo 
straniero  misurò  la  distanza  sul  terreno, 
udì.  loro  la  posizione.  Ero  in  un  tate 
d'agitazione  che  Nikola  mi  teneva  la  sua  mano  sul- 
la spalla  per  impedirmi  di  muovermi, 

—  Aspellale'    Nuli  vi   Im  forse   dato   la  una    pa 
(he   il   vostro   amico   non   verrebbe  ferito?  N"ii   iti- 
le  rpeteli    aurora.    Ho    dei    sospetti    e   ini    preme 

in   assicurarmene.. 

Dovetti  per  forza   aspettare:  quei    pochi  secoi 

mi    parver l'eternità.    I   due  stavano   in  posi 

ne,  mentre  lo  straniero,  da  quanto  potevo  capire, 
dava   loro  le  ultime  istruzioni.  1  duo  dovevam 
tarsi    le   spalle   ed   alla  parola  di   comando   voli 
e  far  fuoco    In  quei  momento  mi  baleno  alla  ni 
il    sospetto  di   Nikola     Lo    straniero    favoriva 
li  -,      pei    cui    quando  Glenbarth,    fedele  a 

avuto,   si   sarebbe  voltato,   egli   non   se    far 

inteso,   e,  secondo  osni    probabilità,    lo  a- 
b     freddato  prima   i  he   egli    si    aoi  oi 
fattogli    Burmaceda  aveva  alzato  la  mano  e 

perdam   il  segnale,   quando  Nikola   balz piedi, 

gridando  fune:  —  Fermatevi I       Lo  se   uii  su 
go  dove  sia\  ano  i  com 

Pallenti 

—  Giù    le  pistole     -i 
gnori.  —  disse  loi 

\  me     impei   II    -a  l'fi't 

ervi.     Ec 

oza    siete  stato  voi 
che    avete    sfidato    don 

Mari G  '     \  I    prego    di 

porgergli       le 
,  use, 

—  Non      consentirò 

mai    a     lare    una    simile 
I  IspOSe    il    duea. 

C lito,    Nikola    lo 

prese   da    parie   e    parla 

rono   Insie per  qua! 

minuto.     Poi,    te- 


rifiutate 
le  Soprascarpe 


che   «i   rompono   subito! 


li |t  un1,  usprt  i: :;e.i:  tratutl 

Soprascarpa  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  *  TONNO 


o 
ri 


TUTTI  FOTOGRAFI!! 

100,000  hvt^ooih: liste  fotografiche 

sono  state  bloccate  dalla  sottoscritta  Ditta  e  si  mettono  in  vendita  ai  seguenti  prezzi  : 

Il  nuovo  fotografo. 


o 
'cri 


e 
o 


ET 


<r> 


n. 

<u 

e 

03 
CO 

o 

e 


—      L. 


Elegantissima  macchina  fo- 
'j-,1  un'.  tografica  in  legno,  ricoperta 
uso  pelle  segrinata  nera,  con  maniglia  —  per  fotografìe  della 
grandezza  di  centimetri  6  i]2Xg  con  sei  chassis  per  poter  cari- 
cari  la  macchina  con  6  lastre  in  modo  da  poter  fare  successiva- 
mente sei  fotografie  di  persone  o  gruppi,  animali,  paesaggi,  mo- 
numenti, ecc.,  sia  a  posa  che  istantaneamente.  Obbiettivo  lumi 
noso,  un  visore  spulito,  otturatore,  sempre  pronto,  valore  0  <j  f. 
L.    20   per   sole L.    V.ÙO 

,.  La  Regina.  -£&£ 

uguale  al  Nuovo  Fotografa 
ma  con  visore  chiaro,  anziché 
sputito  e  con  due  anelli,  0  Ufi. 
valore  L.  25  per       L.   U.IU 

PWEZZI 
per  Rivenditori 

6  del   N.  I  .     .     .   L.   18- 

6   .lei    N.   2  .      .     .      «    20.- 

6  del  N.  3.     .     .     "22.- 

6  del  N.  4  .     .     .     »  58.— 

6  del  N.  5  .     .     .     -  66.- 

Come  la  Regina,   macoli  aite  risoti  iman 
anziché  con    uno,    e    con  due  anelli,   A  OR 


3.  La  Reale. 

valore  L.  30  per 


L. 


4.  L'Impera- 

tpipp  _  Splendi- 
li lue.  da  mac- 
china fotografica 
per  eseguire  foto- 
grafie di  gabinetto 
da  cm.  9X12,  op- 
pure gruppi,  ani- 
mali, monumenti, 
paesaggi,  sia  a  posa 
1  he  istantaneamen- 
te e  ciò  che  si  vuole 
fotografare;  perso- 
ne ,  animali  ,  car- 
rozze ,  anche  men- 
tre sono  in  movi- 
mento; ha  un  ob- 
biettivo luminoso, 
due  visori  spuliti, 
cambi  amento  di 
diaframma,  otturatore  sempre  pronto,  contatore  delle  lastre  ope- 
rate, con  caricamento     per  6    fotografie    successive.    Valore  0  Àfi 

Id.  con  caricamento  per  12  lastre        L.   *  V.UV 


La  Divina. 


Mai  chi  na  fotografica 
non  plus  ultra  venduta 
fin  ora  a  L.  40  e  50. 

Onesta  eccellentissi- 
ma macchina  è  coperta 
in  tezoderma  nera  gra- 
na grossa  con  mani- 
glia. —  Serve  per  foto- 
grafie della  grandezza' 
9X12  obbiettivo  acro- 
matico,  luminoso,  ot- 
turatore per  posa  e  per 
inea  ;  regolatore 
della  velocità;  diafram- 
ma a  iris;  e  cioè  che 
si  restringe  concentrando  i  vari  raggi  come  .  ..Il-  le  maccnine  da 
parecchie  centinaia  di  lire,  con  due  visori  luminosi,  contatore 
delle  lastre  operate,  madrevite  per  l'uso  del  treppiede. 

Per  6  fotografie  6  112X9  L.  $0()  Per  6  fot.gXiaiócbassisj  L.  j  2.00 
Per  1  2  fotografie  6 113X9  "J2.00  Peri*<°t-9Xi2('acnassÌ9)  "14.50 


rapide  yQ 


Corredi 

indispensabili  per  dette  Macchine. 

Corredo  per  le  macchine  IL  NUOVO  FOTOGRAFO 
X.a  Regina    e  la  Reale. 

Questo  corredo  è    indispensabile   per   ottenere 
fotografìe  di  centimetri  6    <>. 

12    Lastre   americane    extra 

6X9 

Bagno  per  lo  sviluppo  delle  1 
lastre.     .     

Bagno  viraggio  ...... 

Bagno  fissaggio  per  la  carta  I 

Busta  carta    sensibile    con    12   fogli 
per  12  fotografie L. 

12  cartoncini  per   applicare  le  foto- 
grafie.    .  L. 

Corredo  suppiitivo 

in  legno  di  noce  con  panno  e  molle  d'acciaio 


L. 


0.40 
0.20 


2.4 


Torchietto  per  stampare  .     .     .     L. 

2  Bacinelle  celluloide  per  le  lastre 
6  112X9 L. 

Lampada  portatile  novità  per  foto- 
grafo cent.  13  ^S  per  cerino  o  lu- 
mino ad  olio    ......     L. 

Sgocciolatoio  per  asciugare  le  la- 
stre     . L. 


0.45 
0.60! 

O.90i 
0.40  ' 


2.35 


Corredo  indispensabile 

per  le  macelline  fotografiche  0X12 
o  cioè  L'Imperatrice  e  la  Divina. 

2.50 
l.OO 
0.60 

12  cartoncini L.    0,40 


12    Lastre     americane    extrarapide 
9>-'i2 !.. 

Bagno  sviluppo  per  le  lastre  / 

n      Bagno  viraggio      .     .  >.£.>    L. 
n      Bagno  fissaggio     .     .  \     g. 

Busta  carta  sensibile  12  fogli    .     L. 


4. 


Supplemento  al  corredo 

per  le  macchine  centimetri  9X12. 


0.60 
O.80 


Torchietto  9X12  in  legno  noce  con 
panno  e  molle  acciaio  per  stam- 
pare   ....  .     .     .     .     L. 

2  Bacinelle  celluloide  9X12.  i. 

1  Sgocciolatoio L.    Q40 

1  Lanterna  portatile  novità  per  fo- 
tografo, grandezza  cm.  13XS  per 
candela L. 


2.70 


0) 


Per  acquisti  a  centinaia,  da  ri- 
vendere in  Italia  o  all'  estero, 
prezzi  da  convenirsi. 

Dìriqere  le  richieste  col  relativo 
importo  alla  Premiata  Prima  Casa  di 
Liquidazione  Permanente  MICHELE 
DE  CLEMENTE,  Foro  Bonapartc,  71. 
Mi /ano-  Succursale:  Via  Mercato,  14. 
Milano, 


Vili 


ADDIO,    NIKOLa!. 


sulla   spalla,   tornarono 

\  >         llsse  Gli  ni '.-irtii.  in 

\  i    ■  i        lenza,        disse   rs  i  u  <  »  i  ;  1 .   — 

ilio  spagnuoli      spero   farete 

i    sii    InBultl    \  ostri  che    tur 

i  duello. 

iì'1  contro  que 

di i  'h  non  aver  mai  ratto  una 
mile  cosa  durante  tutta  la  Bua  vita,  Allora  Nikola, 
tardò  Asso  col  suoi  occhi  penetranti  e  con  vo 
conciliativa  gli  di 

i    ranni  piacere,  non  è  vero?  — 

.  ini   gli  sussurro  alcune   parole 

i    Intendemmo,  Queste  ebbero  su  di  lui 

iì  suo  viso  si  rece  bianco  come 

etti  i"' mi imento  che  cadesse  a 

i     ma  si  rtcon  ito  con    uno   sforzo,   e 

quanto   i  tato  ordinato. 

\i    ringrazio,   sign  -  disse   Nikola.   —   Ed 

permi  neremo  Insieme  In  città, 

tosi  allo  straniero:  —  Non  è  la  prima  voi- 
-  gli  di  sse       i  he  prendete  pai  te  In  quesl  I  pie 
i:  in    Già  vi  avvisai  altre  volte;  sappiate  pro- 
fittai h     ni.  ,,i  a    in  tempo.    Hicnrdatev  i 
Pii   ro  Sai  lomi. 

Noi    so  chi  f     i    Pietro  Salloml,  ma  al  solo  suo 
ione  ih  millanteria  scompar- 
ve dal  suo  volto,  e  si   rece  umile  come  un  asnello. 
-  Andiamo,  signori  —  dissi'  Nikola 
i    preso  con  se  don  Martinos,  si  avviò  frettolosa- 
mente verso   il   luogo   dove  eravamo  sbarcati.    Lo 
1   due  i 
\ni"       ilio        gli  dissi  mentre  camminavamo 
—  ma  comi    mai  avete  potuto  rare  una  simile  co- 
i  tra  vita   non  Ila  dunque   nessun   valore 

per  voi    '*   per   i   vostri   amici,   da  buttarla   via   in 
un  modo  cosi  i  o  ribile  " 

Sono   ia   creatura   più    miserabile  del   mondo. 
Sarebbe  stato  assai  meglio  per  me  ili 
Unirla  con  una  schioppettata. 

Sentjt,..    dlenbarth    —    gli    dissi    alquanto    adi- 

ontinuate  a  djre  delle  sciocchezze  di 

to  cenere  io  comincio  a  credere  che  non  siate 


responsabile  delle  vostre  azioni    Che  diamine  ave 
te   per  considerare  i  tanto  infelli  i 

—  i"  sapete  perfettamente  —  mi  disse  scuro  in 

—  Vi  rendete  infelice  credendo  i  he  mi      ["ri 

pi     irvi    Ma  se  non  gliel'avete  ancora 
i    me  ^  olete  saperlo  " 
5 i  preferì    e  don  Mai  tlnos, 

Minio 

—  Che  sci hezzal    -    risposi         S persu 

ili   no.  Ora,  vi  diro  schiettamente  il  uno  progetto, 

Noi    partiremo   dunq (uesto  pomeriggio  per   Ro 

ma.    dove  passeremo    una   quindicina    di    gioì 

di  \ e    a\  i ete    i  opportunità    di    palesarvi   con    m 
Trevor.   Se    durante    questo    tempo    non    vi    sarete 
pronunziato,    lasciate    ch'io    vi    dica    rrai 

che  non  siete  queir io  ch'io   supponevo    Ed 

rdatevi    bene  che   non  abbiano  maj  più   a  sue 
cedere  slmili  cosel  Padronissimo  ad  uno  spagnuo 
lo  qualsiasi,  ili  andare  pel  mi  ndo  facendo  io 
ione   ed   insultando   la  gente   per   poter 
ni   riiipo  nel    peti  i  :   ma    un  uomo   del    vostro  | 
i  un  lieve  aver  più  (lei  rapporti  con  degli   indh 
slmili. 

—  \vete    ragione,    Dick,    e   ne  so nortiflcato. 

Perdonatemi   e   i  ne  parlate  con    lady  Hatteras 

—  Esso  già  lo  sa  e  come  potete  immaginarvi  era 
fuori  .li  se  Pensate  quello  che  sarebbe  di  noi,  del 
vostri   par. 'un   in   Inghilterra,  se  vi   fosse 

una   disgrazia.    Basta,   non   se  ne  parli  più.   Tutto 

e  tiene    em    elle    Unisce   ili    delie 

(Jiianilo  edliimn  raggiunto  la  gondola,  Nikola  mi 
prese    da    parte. 

Tornando  In   città   voi    farete  bene  a  pigliare 
i  '  n  voi  in  gondola  solo  il  duca,  io  andrò  in  un'al 
tra    oii  don  Martinos. 

—  Che  ne  è  successo  di  quell'altro?  —  gli  (diesi. 

—  Lasciate  che  nuoti  dove  vuole.  —  disse  Nikola 
crollando  le  spalle.  —  M'immagino  che  avreti  vi- 
sto quello  che  successe  laggiù. 

Arci ai    di  sì. 

—  Bene,  non  ne  fate  parola  con  nessuno.  Queste 
cose   e   meglio  tenersele    per  sé. 

A  colazione.  Glenbarth  si  mostrò  sereno  e  tran- 
quillo. 


Confi 


t  ÉJ"3nr 


S. 


Anno-II 


ÌNvm-IO 


•LaLettur 


Ottobre 


RIVSTA-AEN5ILE- 
DEL-rORRILRL- 
^DELLA"5LRA- 


^NTONIERA  IN  MAREMMA1 


jvanni  Roverbelli  si  scosse  di  si  pras- 
salto  nel  suo  canile,  spalancando  gli  oc- 
chi  attoniti   nel   buio. 

Tutt'intomo  era  un  grande  silenzio  solenne  ili 
deserto,  solo  trapunto  qua  e  là,  pei  circostanti  can- 
neti, di  voci  rauche  di  rane. 

Il  guardiano  stette  trasognato,  ascoltando.  Gli 
pareva  già  fosse  l'alba.  Dalla  camera  attigua  giun- 
E  i  il  russar  denso  della  sua  discendenza  incon- 
mii.i.  povere  anime  pasciute  di  sorgo  alla  giuria. 
del  sole!:  e  lontano,  nella  notte,  i  fischi  sonnolenti 
delle  locomotive  di  Orbetello  gli  arrivavano  dolo- 
losamente  alle  crecchie,  angustiandolo  pur  nel  suo 
scarso  riposo. 

Acceso  un  fiammifero,  dette  fuoco  alla  lanterna. 

—  Due  ore  di  giorno  !.. 

Dalle  fessure  delle  imposte  un  tranquillo  e  fer- 
ini: albeggio  penetrava,  a  fargli  perdere  il  senso 
i  ira. 

D'un  colpo,  per  cacciare  la  insidia  del  sonno, 
buttò  le  gambe  giù  dal  saccone,  levò  la  testa,  e  fu 
in  piedi. 

—  Le  scarpe,  i  pantaloni,  un  pezzo  di  camicia, 
e  il  cappotto  !... 


(i)  Da:  —  /  lavoratori   del   1110/0.  —  Scene   del 
dei  ferrovieri,  di  prossima  pulii  licazione. 

La  Lettura 


('olla  lanterna  in  mano  uscì  all'aperto. 

dna  passione  di  luna  enfiata  e  sghemba  ardeva 
alta  nell'aria  fredda  d'ottobre,  serenando  nel  suo 
dolce  calare. 

Posata  la  lanterna  a  terra,  il  guardiano  avanzò 
lentamente  sul  binario,  che  brillava  rome  due  fili 
di  ragno  tesi  a  due  punti  remoti  ed  introvabili. 

Egli  afferrò  la  sbarra  del  passo  che  era  lì  ac- 
costo al  casello,  sbattendola  a  furia  contro  il  pi- 
lastro. Poscia,  a  corsa,  ansando  pe'  suoi  cinquanta- 
cinque anni  suonati,  si  avviò  all'altro  passo,  più 
verso  le  macchie  di  Montalto,  che  bisognava  chiu- 
dere pure,  ed  era  la  sua  disperazione. 

Chiusene  in  fretta  le  sbarre,  a  destra  ed  a  sini- 
stra, si  piantò  fermo,  aspettando. 

Non  si  vedeva  anima  viva  all'intorno;  sempre 
la  luna  serenava,  ed  il  treno  non  si  udiva  avanzare. 

Egli  accendeva  tranquillamente  la  sua  pipa,  al- 
lorché lo  sorprese  un  rumor  sordo,  come  un  fru- 
scio,   improvviso,    incalzante. 

Erano  i  pastori  di  Montalto.  che  scendevano  coi 
loro  greggi   alla  pastura. 

Proiettando  la  luce  del  l'anale  verso  la  strana. 
guardò  profondamente  nel   buio. 

-  Oeh  !  Ci  lasciate  passare?...,  —  tuonò  im- 
provvisamente nel  silenzio  una  voce  aspra  e  im- 
perativa. 

5.5 


LA    LETTURA 


II 

he    aqui- 
lina   bionda   fiumana, 
di  I  pasto  con   fals 

\     .    i,  alto  là  !        prese  .1  urlai     '         belli, 
:  na   sul   musi,   a   colui   eh     avi  va 
landa:     -     siete   matto,  Ghitone?,  — 
il  ti  ni  da  un  minu- 

to .ili  altro!.... 

I     in(   1  nfodei    a     si    pose 


nini    veniva 


che  il  tuo 

i 1      'ili  n 

G     one:        apri  le  si  li  dò  un  : 

lo  'li  tre  giorni.   1  he  mangi  ri     alla    pn  ss  ma 

u    ! 

Tu  pimi  dire  a  tua  pi sta,        ril  nj iass 

bile   Ri  iver!  «Ili  : 

li,  non  1     vi  glio  and  in    perdio  ! 
Le  pecore,  quali       ra'ni      brancate,        nordi 
ni  >  l'erba   brulla   dei   ciglii  ni  :     |ual 
-,  iate  ni  sulla  \  ia,  1    stai  ani  il  muso  n  l 

olvere.   Alla  retroguardia,  dove   l'armento  tini- 
1    .  ratto,  lasciai  a  le  file,  gali  1 


•  4*  '  I 


a    ]•  star  sul    mus     alle   prime   peo >re    più    impa 
chi        landò  volevano  invadere  il  binario. 

e,  in  cui   ia    man  mm  1    parei  .1 
[uammi  pelle  ili   lucertola,  <  l'ni 

imi,,,    ih,     so  uipariva    sotti  • 
alle  cadenze  del  suo  lungo  mantello,  pareva  un  gi- 
,  ,    Il     ,11.'  pecore. 
—  Animo!  Tenetele  indietn    1'-   vostre  I  rstie !... 
andò  i!  guard  quello 

ipita  ,  gè    parla    chiari 

\  , tei  ra   la  sua   lancia 

1      i    d'un  colpi    in  sulle  staffe,  e   1 
volgendo       rei  etti     una    voce   .il   com 

urlava  co- 

.     |  , 

1 1  cavallu<  1         ido  o 

to  al  ci  >rpai  cii  1  del   I  >utteri  1,  1  he, 

colle  ellose  al   par  ili  quelle  d'un   fauno, 

In  sti  mi-  in  una   morsa. 


•  li    incerta  versi    il  chiuso  lontano:   e  allnra  s'alza- 
va   rauco   nell'aria   l'urlo  del   mastino  ili   guai 
un  dalla  voce  ilei  pasturi. 

Vedi    'In-    non    viene?...    —   disse   Ghi' 
sempre  immoto,  con  voce  iraconda:    —    se  mi  fai 
piilii.    il    pascoli    ili   Santa    Brigida,  che  .li  mani 
si  brucia,  ti  ammazzi 

E,    in   così    dire,   già    s'era   avanzata   curvam 
in  sull'arcione  come  ad  impadronirsi  della  sba 
Tutte   Ir  pei'iii'.   in   una   v. •!   volta,   s erano   levate, 
1 1  .un-  ili>,'  imi  .   ingolfandosi  tra   le  due  i 
esili   '-In-   -  '. ■".i\  .un  '   il    passi       Vni  hi    il    pastori 
i  a  ci  me   un    fantasma  :    le   besi  ie   assalivano 

I  larra,  ch'era   si  i l,  e  ni  >n  tene\  a. 

Rovi  rbelli,  a  quella  vista,   fu  presi    dalla   i  !  - 

ne  : 
—    I  i"!ii  tro,   iii'l1     i    !  urlava  rome  un 

sesso,   affannandosi   a   rorrei    dietro  alle  primi 
i  |  |  ivani  il  ri 


i  AN  D  »N1ERA    IN    MAREMMA 


3ò7 


E    appresso,    in   un   attimo,    s'avviò   d'un   tratto. 

con   impeto,    il  grosso   dell'armeni!  .   serrato    • 
mo  a  Ghitone,   che  veniva   tra    il    suo   p 

un  re  trionfati  re. 
Il    guardiani     guardava,   rassegnato  e   muti 
ohe  gli  martellava  ne!  petto  acerbam 

-  Che  disgrazia.  Die  mi  !  Se  venisse  adess 

Ma  non  aveva  finito  quel  pensiero,  ohe  s'intese 
una  strappata  secca  e  lucida  di  corno  dalla  vicina 
ra,  e  in  sul  ventre  della  curva  apparve  pri- 
ma un  occhio,  p«ii  1  altro,  della  locomotiva. 

Allora,  egli  perdette  il  lume  degli  occhi;  come 
una   tìera   s'avventò  alla  sbarra: 

-  Eccolo,  eccoli  !...,  -  urlava,  correndi  qua  e 
là  sulla  strada  come  un  pazzo:  —  salvatevi,  pol- 
la  Madi  min  !.... 

Menichello,    il   buttero  che  veniva  in  onda   aliar- 

arrivare  la  stanga  tra  le  gambe. 

te  un  grido  da  fiera,  e  cacciando  le  calcagna  nel 

re  alla  sua  cavalcatura,  disparve. 
Le   ultime    pecore   rimaste   in   sulla   strada   corre- 
\  ino  sbandate  dietro  al  pasti  re.  che  più  n<  n  si  ve- 
deva. 

Roverbelli   restò  sul  binario  a  menar  calci   sino 
all'ultimo   istante;    poscia,  a  sua  volta,   dette  fiato 
alla     cornetta,     appostandosi     fermo     davanti    alla 
ira. 

11  treni  passò  sopra  una  confusione  di  gemiti 
e  di  voci,  soffocate  dall'ansia  del  fischio.  Rover- 
belli, piti  morto  che  vivo,  non  si  decideva  a  min  - 

:     pareva    impietrito,    colla    lanterna    in    ma 
e  gli  occhi  sbarrati. 

—  Fossero  solo  pecore!  Ma  se  ci  fosse  rimasto 
anche   Menichello?.... 

—  Sono  perduto  !.... 

Egli  gettò  all'intorno  un'occhiata  torbida  e  smar- 
rita : 

—  Roverbelli.  scappa!....  Non  ti  lasciar  piglia- 
le!     Maledizione! 

Man  mano  che  gli  occhi  gli  ridavano  il  senso 
della  vista,  egli  li  intendeva  alle  rotaie,  con  un 
brivido  ili  torn  re  nelle  ossa. 

-  L'omini    no     per   grazia   di    Dio!    ma  pecore, 
quante!.... 

1  .  infatti,  un  !>elar  compassionevole  e  fioco  par- 
tiva da!   ferro. 

Avvicinando  la  lanterna,  egli  vide  chiaramente: 
un  macello  : 

Alcune  ne  giacevano,  dilaniate,  al  suolo,  e  ne 
uscivano  da  ogni  parte  le  interiora  in  sull'acci 
miserevolmente.  La  testa  d'una  d'esse,  spiccata  net- 
ta dal  torso,  era  andata  ruzzolando  giù  per  la  ri- 
pa, ad  arrestarsi  tra  i  pruni  della  siepe.  Un'altra 
era  ancor  viva,  ma  stava  immota  come  ella  fosse 
inchiodata  al  terreno,  e.  ad  ogni  poco,  levava  la  te- 
sta dolente,  in  un  gemito  quasi  umano. 

-  Oh,  miseria!.  —  esclamò  Roverbelli,  curvan- 
■     i  guardarle  negli  cechi  imploranti:   —  e  que- 
'  ■•  •  ■    '    1!    buono  ha  da  venire   poi....    E    chi 
ci   andrà   di    mezzo5   Roverbelli.    perbacco!    Manco 
!...:   quella  bestia,  quell'asino,  quell'orbo  ad- 
dalo   di    Roverbelli.    che   non    sa    far    risi 


tare   la    >l  arra  ei   regolamenti!....    Diamine!    S 
gli   stracci   che   vanno  alla   folla!... 

\l<  ni  re  o  ȓ  fantastii  ,r.  a,  uh  venni    un  ii  li  a  :   p  r- 
tar  via  le  pe< ■<  re  mi  rte,  al  più  presti  .    Le  bestie  si 
rimu  -oto   anello    appena    morti  :     non    è 
cristiani,    che    si    debbono    lasciali-    a    pi- 
gliar le  mosche  sini    a  che  arrivi  l'Autorità!... 

Quanto  a    quella   disgraziata    am    i    viva,    finir- 
la!....   Ma    come?    Egli   non    se    ne    sentiva    il    ci 
raggio  ! 

Frattanto    la    misera,    che  a    forza   di    annaspi 
sera  trascinata  sulla  banchina,  straziando  l'aria 
suoi    lamenti,    dette   due   o  tre   crollate    della    testa. 
e  si   allungò  in  sulla  terra,   mi  i 

-  Animi  .   Ri  verbelli,  prima  che  passi  il  treno! 
Egli   prese  a  correre  verso  la  cantoniera,  col   fia- 
to,   sm  zzicando  in   parole    incomprensibili   la 
patir  ne  che  gli   si    andava    profilando   nel 

rato:  —  il  sorvegliante,  il  capo  stazii  - 
ne,  e  l'ingegnere,  e  i  carabinieri.  ;  il  Preti  re....  e 
in  fondo  a  tutti,  sul  cavalluo  i  nero,  o  me  un  fan- 
tasma. Ghitone,  che  correva  pancia  a  terra,  lo  stile 
in  pugno,  verso  di  lui.  urlando:    —  dammi  le  mie 

peci  re! —  E  i  testimoni....:   tutti  venduti,  tutta 

carne  da  fi  rea!....   E   la  pagnotta-.... 


Egli  pesto  il  muso  e  la  lanterna  contro  la  porta 
ella   casa:     la    porta    cedette:    era    aperta.    Entrò 
me   ubbriaco,  senza  nulla  vedere  d'intorni    a    - 
Nel    vestibolo    angusto,    sua    moglii     s'avanzava 
flemmatica,  in  pieno  assetto  di  guardia:    il  cappel- 
laccio di   paglia  in  testa,   la   cornetta   alla   cintola, 
e,  tra  le  mani,  ancora  arrotolata  attorno  al  fusti  . 
la  bandiera. 

—  Che  fai?,  —  dissella,  vedendoli  così  infu- 
riato; e  gli  puntò  la  bandiera  al  [ietto,  per  tener- 
lo a  distanza:   --  stanimi  indietro!...  Che  haC. 

Egli  non  rispondeva.  Istintivamente  il  suo  occhio 
ricadde,    come    stupito,    errando    sulla    eni  rme   ri 
tondità  di  quell'esausto  ci  rp    femminile,  che  sotto 

mira   del   cappellao  va   un   gran    funi 

sfiancato. 

—  E'  passato  Ghitone  coll'armento!  Per  forza 
ha  voluto  passare.  —  balbettò  Roverbelli  colla 
voce  tremante. 

— ■  C'è  rimasto?....  —  domandò  ella   ansii  sa. 
-  Ci  sono  rimaste  le  pecore,  che  è   [leggio! 

Ella  parve  restare  un  istante  in  pensiero;  poi, 
senz'altro  dire,  usci  fuori,  mentre  suo-  marito  stava 

bocca  ap  rta  a  guardarla. 

La  luce  era  nata  d'ino  mo;  egli   ne    1  Ir  il  sen- 
so preciso  della  realtà  delle  cose:    guardava  a   d 
stra.    fissamente,   lungo    la    linea,    là    dov'era    1- 

—  Venti   anni  senza  una  punizii  sci  ?  — 
se  d'un  tratto,  come  sei  con 

sua  moglie:   —   sette  ormai   passati  qua.  in  qui 
galera,   e   senza  una  multa....    E'   la   rovina,   che  mi 
è  venuta  addossi  !....    Fossi   giovine!.... 


LA    LETTURA 


me  n  ero  scordato, 
pallido  I 

\     .li     vii)     I 

ma  fuori  sta 
Non 

Mi  presti  una  lira? 
Aj       .1  trasse  'li  mal  fogli,  dov'è 

rari  re  e  il   ritratto  di   Maddalena  :    il 

liigu  teva  a  toccar   quegli    i 

ne  un  edilizio  in  cui  si  muovano  le  pietre 
gono.  Cercò  la  lira  e  gliela  porse  senza 
guardarla;   non  voleva  divagarsi. 

perchè  sono  -  disse  Musi  h 

allegra. 
—  Pi  i  questo,  s'intende. 

V  .  pei  un'altra  cosa,  che  ti  farà  molto  pia 

OSI  due  dal  portafogli,   dove  (uva   ri]» 
sto  la  lira,  trasse  due  biglietti  verdi,  che  stese  sulla 
tavoli  canto  all'altro. 

Cos'è?   —    domandò  Andrea    sempre   assorto 

m    prima. 
i  os'è?   —  fece    Muschiarosa    scotendolo   — 
non   vedi?  Son   biglietti   per  andare  al   Lohengrin, 
al  Lohengrin  i  Poi,   guardando   per  aria 

e  agitando  le  braccia  si  mise  a  cantare: 

Mai  devi  domandarmi, 
Ve  a   palesar  tentarmi 


Il   giovane   musicomane  si  scosse  leggermente  e 

oblio//,',  un    Vago   Sor: 

—  Vieni,  vieni  —  disse  l'altro  con  insistenza  — 
dimani  chi  sa  che  bei  motivi  saprai  rifar  sul  man- 
dolino! Vieni. 

—  Non  ne  ho  voglia  stasera. 

—  E  per  un'altra  sera  i  biglietti  in  regalo  non 
si  trovano  più;    ma  perchè  stasera  no?  Cos'hai  tu 

•r:i  ? 
Andrea,  geloso  de'  suoi  pensieri,  temeva  di  tarsi 
scoprire;   stava  a  disagio;   volentieri  avrebbe  man- 
dato via  Muschiarosa,  ma  ci   voleva  pazienza  per 
non    provocar   spiegazioni.  E    poi,   come   mandarlo 
se  ancora  si  sentiva   piovere  dirottamente?  A 
poco  a  poco  la  compagnia  dell'amico  cessava  d'es- 
importuna   e    lo   scrosci     della    pioggia   dimi- 
nuiva. 

—  Hai  cenato  tu?  — -  chiese  Muschiarosa. 

—  lo  no. 

—  Allora  vado  a  prendere  qualche  cosa.  Man 
geremo  qui  tutti  e  due.  Spendo  la  lira  che  mi  hai 

Si  mise  il  cappello  e  corse  via.  Andrea,  rimasto 
solo,  senti  tutto  quanto  l'enorme  fastidio  della  so- 
litudine, provò  una  pena  infinita:  gli  doleva  di 
non  aver  seguito  il  suo  amico  e  desiderava  quasi  di 
corrergli  dietro.  Al  pensiero  che  avrebbe  potuto 
metter.-  ad  effetto  il  suo  pi  in  quei   pochi 

istanti  si  sentì  rivoltare  dalla  ripugnanza:  sulla 
soglia  della  morte  tutto  risorgeva  il  vigore  del  sii' 
animo  integro  e  della  sua  verde  giovinezza.  Capì 
che  non  avrebbe  mai  commesso  la  viltà  d'uccidersi, 
sentì  che  gli  bastava  ancora  la  forza  di  affrontare 
la  vita  e  di  sfidare  il  destino. 


I  .mi'.  ti  in.,  in  un  lampo  e  mise  sulla  tavola 
ni,  [  di  polenta  frìtta  e  di  pesce  tutto 

i  limante. 

—  Adessi  liamoa  secco,  poi  usciamo  subito 
e  ani  "  '  prender  un  bicchiere  di  \  ino.  Su, 
Andrea,  mangia;  se  si  fredda,  questa  roba  divi 

\  a. 

I  li  .1 ..  '  aver   presi  >  quel   cil si   asi  iutti    i 

i  i "| k  -  to  per  il  suo  stato  ili  sfinimento,  An- 

'  -ini  k  'il  !..  i  '    ini  rte  e ■  un  cuscino. 

Sulla  strada  l'aria  aperta  non  gli  faceva  quasi  nes- 
sun effetto:  dietro  il  consiglio  ,•  l'esempio  dell'arai- 
i  o  bevette  un  gri  ssi  b  i  i  hiere  di  vino,  e  questo  valse 
davvero  a  scuoterlo  da  quel  torpore  mortale: 
minilo  subito  a  ri t arsi  un  pochino,  ma  restava 
sempre  mesto  e  come  assorto  in  un  profondo  pen- 
siero. 

Anche  a  teatro  l'opera  potente  di  Wagner,  ch'egli 
già  conosi  èva  tanti  p  fama,  sul  pi  ìncipio  non 
giovi)  a  disi  rarlo  ;  ma  all'arrivo  del  cigno,  al  pezzo 
del  tenore,  si  scosse,  sì  commosse,  s'infiammò  di 
guisa  che  non  pareva  più  quello  di  prima.  Per  tutta 
1  opera  egli  fu  Come  rapilo  dalla  musica  meravi- 
gliosa e  stupenda,  che  rispondeva  allo  staio  del 
SUO  animo  afflitto.  Ah.  lo  stiano  incanto  della  mu- 
sical Quella  non  era  più  l'arte  di  Wagner,  quella 
non  era  più  la  voce  di  Elsa  e  di  Lohengrin,  era  la 
voce  naturale  della  sua  passione  e  del  suo  di 
che  si  effondeva  in  concenti  divini.  I^e  idee  fiere  e 
losche  cedevano  tutte  quante;  egli  eia  invaso  da 
sentimenti  generosi,  delicati  e  sublimi;  sentiva  i] 
cuore  aprirsi  di  nuovo  alla  speranza  e  le  ciglia 
inumidirsi   di    pianto. 

A  casa  lo  aspettava  la  stanza  solitaria  con  le 
memorie,  gli  affanni  e  i  propositi  lugubri.  L'in 
lauto  della  musica,  che  infondendosi  nella  sua  pas- 
sione ne  alleggeriva  i!  peso  e  ne  diradava  le  tene- 
bre, lo  abbandonò  d'un  tratto.  In  tono  sommi 
anche  per  le  scale  Andrea  aveva  cantarellato;  ma 
sulla  soglia  della  stanza  la  voce  gli  morì  nella  gola 
e  una  nube  di  piombo  gli  si  aggravi'  fosca  sull'a- 
nima. Provò  nuovi  tormenti,  che  poi  all'appi 
del  giorno  si  dileguarono. 

Col   mandolino   sotto  il    braccio  entrò   da    Mu 

i  uosa,  che  era  aurora  in  letto,  lo  svegliò,  aperse 
la   finestra: 

—  Torno  a  stare  con  te  almeno  un  po'  di  tempo, 
la  mia  camera  l'ho  disdilla  per  stasera;  a  momenti 
porteranno  il  mio  baule,  tu  avviserai  la  padrona. 

L'altro  non  chiese  spiegazioni,  suppose  che  fosse 
avvenuto  un  battibecco,  provocato  dalla  padrona, 
la  quale  aveva  Movalo  da  affittar  meglio  la  stanza: 
COSe  noiose  queste,  che  nell'idealità  giovai' 
gin  no  trascurare.  Muschiarosa  non  ne  fece  un  caso 
al  mondo  e  stirandosi  cominciò  a  rilare  i  più  noti 
motivi  del  Lohengrin;  Andrea,  ch'era  più  abile, 
correggeva,  suggeriva:  cessavano  di  cantare  solo 
per  abbandonarsi  izioni  e  a   slanci  di  en- 

l'i     parlare  con    la    padrona,    per   cominciare  a 
mettere   in    ordine    la    Stanza,     Andrea   si    trattenne 
molto  press.,  il  suo  amico;    andò  a  negozio  vi 
le  dici:   aveva  voluto  aspettar  tanto,  perchè  Mad- 


ANDREA 


809 


dalena  già  fosse  partita.  Per  tutto  quel  giorno  1 
volle  attendere  al   suo  lavoro;    ma    s'interrompeva 
ad  ogni   poco  e  cantando   appassionatamente   non 
faceva  che  ripetere  fra  un  sospiro  e  l'altro: 

Merce,   merci:,   cigno  gentil 

La  sera  tornava  alla  stanza  di  Muschiarosa,  già 
preparata  per  due,  con  un  gran  librone  sotto  il 
Diaccio:  s'era  abbonate  per  un  mese  al  gabinetto 
musicale,  portava  a  casa  lo  spartito  del  Lohengrin. 

XII. 

A  negozio  tutto  era  mutato  ;  sor  Luigi  senza  fa- 
miglia mangiava  alla  trattoria  e  non  pensava  ad 
altro  che  al  matrimonio  della  sua  Maddalena.  Do- 
po alquanti  giorni  partì  anch'egli  per  assistere  alle 
nozze  che  avvennero  il  23  di  gennaio  ;  poscia  tornò 
a  Roma  con  la  sora  Adelaide,  ma  non  c'era  più 
nessun  amore  né  per  la  casa,  né  per  il  negozio: 
a  maggio  volevano  stabilirsi  nella  loro  villa  in  To- 
scana. 

Si  vedeva  spesso  il  nuovo  padrone,  al  quale  sor 
Luigi   cedeva  la   drogheria  :    era   ricco,    giovane   e 
audace  :    voleva   ingrandire  e   perfezionare   l'azien- 
da, voleva,  com'or  si  direbbe,  slan- 
ciarsi ;    scartò    alcuni    uomini    del 
personale ,    ma    volle    tenere    An- 
drea,:  idi  parve  dolesse  essere  una 
fortuna   per  il  negozio  un   giovane 
tanto  serio,   intelligente  e  raccolto. 

In  casa  del  nuovo  principale 
si  faceva  una  vita  tutta  moder- 
na: cera  molta  apparenza,  molto 
lusso;  la  signora  sonava  il  piano 
e  andava  in  bicicletta.  Andrea,  per 
l'eleganza  della  persona  e  per  il 
gusto  che  aveva  naturale  ali  arte. 
era  molto  apprezzato:  egli  da  par- 
te sua  si  sforzava  per  non  parere 
scortese  e  qualche  volta  accompa- 
gnava anche  la  signora  in  bici- 
detta;  ma  non  seppe  mai  abban- 
donarsi pienamente  a  questo  gene- 
re di  vita,  in  mezzo  alla  qualt  re- 
stava spesso  ritroso  e  rustico  come 
un  lepretto.  Il  tipo  ideale  della  fa- 
miglia semplice  e  saggia,  dove  si 
trova  la  pace  e  s'attinge  il  vigore, 
era  già  formato  per  sempre  nella 
mente  del  giovane  ;  credeva  d'a- 
verlo veduto  nella  casa  del  suo 
primo  padrone  e  l'amava  tanto  che 
per  ora  nulla  di  diverso  poteva 
piacergli. 

Aveva  sempre  nel  viso  una  tri- 
stezza profonda  :  pareva  che  fa- 
cesse il  funerale  ad  una  vita  ca- 
rissima, ch'egli  non  aveva  veduto 
che  al  tramonto:  —  E'  finita,  è 
passata  via  per  sempre  dal  mondi, 
la  luce  calma  e  serena  d  una  ci- 
viltà   matura ,    ora    non     e'  è    più 


che  nebbia .  nubi  e  vapori  che  la  luce  nuova 
non  ha  ancor  dileguato!  —  e  malinconica- 
mente restava  liso,  come  chi  mira  gli  sprazzi  di 
rosa  e  di  viola,  che  dopo  il  tramonto  ancor  riman- 
gono ad  occidente  nel  cielo. 

Poco  dopo  la  partenza  del  sor  Luigi,  il  nuovo 
proprietario  cambiava  locale.  Era  proprio  il  tem- 
po che  si  doveva  cominciare  lo  sgombro,  allorché 
Giovanni,  il  facchino,  disse  che  la  sora  Maddale- 
na mandava  a  chiedere  la  madonnella  di  maiolica. 
che  stava  nella  retrobottega.  Il  padrone  dapprima 
disse  che  non  voleva  darla,  poi  brontolò,  e  infine 
la  concesse,  tanto  più  che  anch'egli  ricevette  una 
lettera  di  Maddalena,  che  lo  pregava  e  lo  scongiu- 
rava di  lasciarle  la  sua  madonnella;  l'avrebbe  pa- 
gata, ne  avrebbe  mandata  un'altra,  ma  per  carità 
non  gliela  negasse.  Andrea,  che  era  rimasto  colpito 
dalla  strana  richiesta  e  dal  nuovo  desiderio  di  Mad- 
dalena, ebbe  poi  l'incarico  di  fare  la  spedizione  ; 
egli  vide  le  lettere,  lesse  e  commentò  quelle  parole 
umili  e  ardenti,  che  gli  parvero  come  lo  sfogo  di 
un'anima  appassionata,  e  ne  trasse  argomento  per 
credere  che  Maddalena  non  fosse  felice. 

Ah.  che  triste  trionfo  l'infelicità  della  persona 
amata  ! 


LA    LETTURA 

era  carie,  di  gente  ;    vi  si  scoi 
ritti    in    i  iche   punì 

I      i  lo  pai      terra   lo  n  noto,  per  il 

osi'    Hi  grave  e  lento. 

Quandi     p  le  chi  vi  stava 

pi        Ha    fu  colta   da  un  sul  nari 

undolo  colle  '  ■ .aglio   di   eoa 

dannat  il    li    som  gliai  te,    ritta    nel  mezzi 

darvi  anche  questo  lusso,  p   li  carta   in  criveva  ;    Roveri 

sospirò  malinconi-     duto  in  sull'urli,  o  Ile  gambe  penzi  Ioni  e  la 
indo    il   bimbo  con   una     bassa,  stava  come  di  m 

rante;  uno  all'an-  ti  carrell  >tò  <la- 

;  liana  ?...  dia  cas        nentn    tutti    d'un    balzo,  m 

uardo  sulla  brigatella,     devai  - 

ill'intomo,  i  Presto!  manca  un  quai  J  lampo.  - 

ma  noi...   noi    lob      disse  il  sorvegliante,  guardando   l'orologio: 
oriti  ben  bene,  puma  di  prender  la     le  bestie   i    p  i,  Fuori  subiti    dalli    ;  rarrelloj 

l    ,    -  i    padn  ni   p  risani    i  ssi   a   ten  i    ialtri! 

]  ir  Che   razza   di    pasticci!...   —   andava   bri 

Roverbelli    si  Sua   moglie,    invece,   sta       landò,  collana  ili   magi      e,  menti 

sentire:  ■''     'a   manovra,    seduto    trancimi lamei  i    alla 

Sfidi     olVii  arie  da  signori  !  Colla     vigna:  sempr     fastidi        npn 

e  della  vita  strapazzata  eh    vi      mpossibile! 
iinlair  all'i  sieri. i.  ed  anche  ai  risto-         E  crollava  la  ti 
:  ii  ni,  si    capita....  quelle  imboscate  di  Roverbelli   seguiva   il   sin     lavi  ro.    livido  e  zitta 

ladri e  \         otti    un  litro  a  colazione!....  'l'uno     Un   gran   furore  gli    ribolliva    n  l   sangue,   ma   Dio 

l'amministrazione    vi    paghi?....     guardi  se  l'avesse  dovuto  sfogare  a  pani'! 

i  ■  i  ■. ai    fate  i  politi-         Come  li    bestii    l deposte  in  sul  terreno,  in 

anche,  adesso!....   Povera  gente!  un    mucchio    di    carnan  uinolento,    ,1 

Mentri  iccendevano    nel  dibattito,    un  grillo     gliante  prese  con  voce  iraconda  a  interro^ 

lungi    •■  sti  fece  udire,  che  partiva  dalla  -   Dite   la  verità,  via  '....   Avete   lascia 

.  rinnovato,  insisterne  la  sbarra,  di  sicuro3.... 

A   rivederci! -      disse   il   macchinista   le-  Ma  che  storie!.   --   interruppe  con   vii 

unente:   -       Dio   ve  la   mandi  bue*-     Roverbelli:       -    quando   voi    siete    solo,    ■   gli 
olle  vostn    pecpn  '        Non    vi    fate   bucare  la     ve  l'aprono  per  forza,  la   sbarra,  e  sa   potreste  fa 

mi  rai  i    mando  ! re  voi  ? 

L'n  acuto  fischii    della   locomotiva  copri   la  sua         —  Chi  c'era? 

!  treno,  d  pò  un  lungo  stiramento  di  ganci.  |   butteri  dell'Alberese,  sempre  quelli!  <J 

e  un  e  ordo  d      repulsori,   simile  al  suono  dei      d,     ,-','■    una    prepotenza,  non    si    sbaglia:    son 

cocci    rimangiati,   si    mossi     un    istante:    si    arrestò,      Ma    fanno  bene'....    Trovano   tutti    col    cappello  in 
rotoland     via    pigro   e  grave,    11     mano,  pronti  a  serviili  !....  S'accomodino! 
m     fu  davanti   alla  cantoniera    il    suo  Gente  che  sa  il  suo  mestiere,         sentenz 

carr  rrò  la  spranga,  e  d'un  balzo,  pei  la     soi  e:    —  sono  al  servizio  del    Dina!... 

siala  di    ferro  che  vi   correva    in  sul    liane,.,  |     ,  ,,,    questo?... 

dia    sua   -aiuta,  e  sparve  zufi  I  n  signore  che   sa  il  fatti   su.  :  E  i*>i  bisi 

lindo.  vederi    con     si  ne    andati    vei 

Roverbelli   dette    un    gran    sospiro.    Finalmente,      con    voialtri  guardiani,   chi    arriva   a    saperne   i] 
la  linea  era  libera  :   per  due  ore  non  sarebbero  pas-     che  cosa       bravi  '     Iveti    sempre   ra 
impicci.  vi  i      una   tattica  !... 

Svelti,    dunqui   '    La    carriola,    la    zappa,    e   tu,  Roverbelli   si   morse   le   labbra,  per  non   urlare. 

i  -,   le  carichiami    tinte,  e  le  por-         L'occhio   gli   si  I    rvi  :    il    sangue   gli   cor» 

u:  >.    Dopo....   quel   che  sarà    sarà!         disse     va  alla  lesta  furioso,   irrorando  un  nugolo  di 
alla  moglie,  avviand  sieri  tristi  e  violenti. 

Quel  camorrista  titolati    di  Duca,  altro  chi    sape 
re  il    fatto  suo!....    Ter  quelle  poche  pecore  ei 
«**  paci     di    tare    un    chiasso    indiavolato,    la: 

i  laniera      i      m    ter  sossi  ipra  mi  //'  ■  mi  melo:   e  che 
le   ferrovie  sono   in   mano  del    primo  verni 
i  lunga,  interminabili     I      gì  irdiana,      il  personale  dorme,  e  non  c'è  sicurezza  di   nii 
"iti    alla    casa,    ti-      l\    gli    danno   subito    ragioni  !    fili    turano   la    i 
i  u  ore  di  ruote,   si   levò  di     con    un.\    manciata    di    biglietti    |ht    indennizzarlo, 

prima  che  parli  !  Anch  Quella 

ie  venivani  n  111     I  sso     Fi  ;  n    ragline!  Strilla,  fa  la 


CANTONIERA    IN    MAREMMA 


s7' 


Tutto   questi     Ri  verbelli   si   inghiottì   eri  icamen 
in  un  bocci  ne,  che  ne  aveva   piene  le   fauci,  e  si 
\  a   si  ffocare. 

—  I    figliuoli!...    Pensa  ai   figliuoli,   Roverbelli! 

K    duro  il  pane  della  vita!... 

E    poi....    il    sorvegliante    aveva    quella     \ 
spina   ni   gì  la.  ..    La    preda   gli  era   sfuggita   dagli 
gli,   al   vecchio   lup<  !...   Ecco  dunque  giunto   il 
momenti,  propizio  «Iella  vendetta! 
"Roverbelli    si   sentì   venir   meno,  a   quel    ricordo. 
Istintivamente   levò  gli  occhi,  spingendoli   a  cerca- 
re lungo  la  1"  l'opprimeva  eolia  sua  solitu- 
.  e  scorgendo  vi  un  profili    di  <'■<  una  che  veniva 
.   .v,     la     antoniera,  tutto   si   sentì   rinfrancare. 

La    fanciulla,    sopraggiungendo   colla    zappa    in 
ispalla.   entrò,   silenziosa,   buttando   l'arnese   da    un 
o.    Il  padre   non    si    saziava    di    accarezzarla   col- 
sguardo,    (.'n'ombra   di   lividore  si   disegnò  sulla 
Fa  eia    del    sorvegliante,    mentre   essa   passava   die- 
tro alle  sue  spalle. 

—  Basta:  verrà  il  cavaliere,  —  diss'egli,  a  mi  do 
ili  conclusione;  —  verrà  lui.  a  mettere  le  cose  a 
dovere!  E,  in  confidenza:  se  volete  un  buon  con- 
siglio, lasciate  che  l'acqua  corra  via  liscia  per  la 
sua  strada M'intendete  !... 

Roverbelli.  a  quella  proposta,  uscì  con  un  urlo 
ti.  ri  In  ndo: 

—  Perdio,  se  farò  il  mio  dovere!  Dovessi  la- 
sciarci la  pelle;  — e  levava  gli  occhi  di  fucco  in 

i  al  sorvegliante:  ■  -  E  la  vedremo'....  La 
verità  ha  da  venire  a  galla,  e  ci  verrà...  Me  ne 
ii  fischio  del  Duca  e  della  camorra,  io  '. 

La  moglie  e  la  figliui  la.  sentendolo  infuriato  .1 
quel  modo,  erano  apparse  in  sulla  porta,  sgomente, 
affannami!  si  a  fargli  colle  mani  dei  segni  di  pre- 
ghiera e  di   scongiuro.   Ma  inutilmente  ! 

Esse  non  riuscivano  ormai  più  a  dissipare  la  mi- 
ti rva  che  per  suo  malanni  1  s  era  distesa  in 
quella  trista  ora  sugli  occhi  del  padre.  Tutta  la 
sua  vita  gli  riaffluiva  ora  alla  mente  d'un  tratto, 
rinnovandogli  le  amarezze  e  le  soperchierie  onderà 
vittima  nella  sua  lunga  carovana  ed  esage- 
rami gliele  fatalmente  allo  spirito  turbai-  . 

—  Sissigni  ri  !  Ho  taciuto  quarantanni,  ora  par- 
'   Tante!  sono  vecchio,  carne  da  tagliere!....   E' 

li  finirla,  che  un  uomo,  perchè  è  solo,  perchè 
la  il  suo  di  vere,  e  non  presta  mano  ai  prepotenti 
e  alle  birbe,  lo  si  debba  schiacciare!.... 

Il  sorvegliante,  pallido  come  un  cencio,  stralu- 
nava minacciosamente  gli  occhi,   senza   dir  motta 

I   cantonieri,  che  sapevano  della  vecchia  ruggine 
tra  lui  ed  il   guardiano,   s-   ne  stavano  silenziosi   ed 
1    uieti  ad  ascoltare,  come  chi  fiuta  nell'aria  il  tem- 
ìe.   Dalla  casa,    dove   s'erano   ritirate  le  donne, 
partiva   un    piagnucolar   sommesso    di    ragazzi,    che 
1  sceva   la   tristezza  del   moni. 
Quando  Dio  volle,   s'udì   il   segnale  dalla   canti 
a    prossima:    mentre   Roverbelli   era  entrato    in 
casa  a  cercar  la  bandiera,  il  tren.    lampo  passò  via 
le  un  terremoti  .  nel  polverone,   in  mezzo  a   uni 
'piglio  improvviso  di  galline,  e  ad  un  grande 
sventolio    di  cenci    sciorinati    al    si  lc   attorno   alla 


isa.    I  !    -  0  usciva  fri  1  i   can- 

tonieri avevani    posti    mani    al  cari   Ho.  e  lo  stava- 
no trascinando   verso   il    binario   a   grande   fai    a 

—  Oh,  leva!...   Oh,   aizza!... 

('.ilo  pertiche  puntate  a  terra  incominciavano 
a  muovere  il  veia  lo.    Il  sorvegliante,  che  01  si  era 

UlO   tranquillamente,   senza    più   aprir   bi    ca,  o 
me    furono   appena    avviati,    ne    balzo    svelto    d'un 
tratto,    inforcando    la    giacca    che   tenevasi    appesa 
alla  spalla. 

—  Ecco  il   cavaliere!... 

Cerne  Roverbelli    non    fiatava,   egli    replicò: 

—  Viene  il  cavaliere!... 

—  E  lasciatelo  venire!,  —  gridò  con  tono  ira- 
condo il   guardiano:    ■ —  s'accomodi!... 

Il  sorvegliante  gli   s'avviava   incontro. 

—  Vacci  anche  tu.  —  disse  sottovoce  sua  moglie 
a  Roverbelli:  —  non  lasciare  che  gli  parli  prima 
quella  carogna  ! 

-  Ah,  no.  perdio!   11  cappello  in  mano  l'ho  te- 
nuto anche  troppo,   sinora  !  Venga  qua   lui! 

11  cane  bracco  dell'ingegnere,  ch'era  all'avan- 
guardia, comparve  in  sullo  spiazzo,  scodinzolando 
festevolmente,  e  fregandosi  alle  gambe  di  Rover- 
belli. che  gli  menò  un  calcio  senza  misericordia  per 
-.iluti.  l'i  00  lontano,  il  sorvegliante,  che  frattan- 
to aveva  incontrato  l'ingegnere,  si  vedeva  sbracciar- 
si in  grandi  salamelecchi  ;  poi  gli  si  era  posto  alla 
sinistra,  un  passo  indietro,  rifacendo  insieme  la 
strada  : 

-  Oh,  cavaliere!...  Sor  cavaliere!....  Eccolo! 
Roverbelli  toccò  appena  l'ala  del  cappello,  ma- 
sticando a  sua  volta  tra  i  denti  un  cavaliere  incom- 
prensibile, mentre  di  sottovia  ne  andava  squadran- 
do la  grottesca  figura  di  fattore  inselvatichito  nella 
macchia. 

Giungendo  davanti  alla  casa,  egli  s'era  levato 
il  fucile,  che  teneva  ad  armacollo,  appoggiandolo 
come  a  rastrelliera  tra  i  rami  della  siepe;  il  cane 
saltellava,  annasando,  dalle  sue  gambe  a  quelle  del 
guardiano,  che  ora  dovevano  trattenere  i  calci  per 
forza. 

—  Siamo  alle  solite  !,  ■ —  l'apostrofò  l'ingegnere. 
rolla  voce  aspra  e  la  cera  buia:  —  contate  su:  co- 
me è  andata  questa  baracca? 

Ma  Roverbelli  non  si  scompose;  a  quella  roz- 
zezza c'era  abituato  da  un  pezzo: 

—  Xon  lo  sa?  Non  gliel'ha  detto  qua....  il  suo 
dipendente?  E'  andata,  quando  devo  parlar  chia- 
ro, che  è  ora  di  finirla,  sor  ingegnere,  di  metter 
un  uomo  a  repentaglio  contro  le  canaglie  che  gi- 
rano di  giorno  e  di  notte,  per  fare  economia  d'un 
guardiano  0  di  una  sbarra.   Ei  o        me  è  andata  ! 

-  Ma  che  guardiano!  Ma  che  sbarra  d'Egitto!, 
—  proruppe  invelenito  l'ingegnere:  -  Vi  1  fate  il 
vostro  dovere,  e  queste  faccende  lasciatele  a  chi 
tocca!  Tutti  voialtri  ave'c  il  ticchio  di  voler  fari- 
la  lezione  all'ufficio  di  sorveglianza!  E  se  non  a- 
\ete  i  passi  sul  naso  fate  il  diavolo  a  quattro!... 
Cosa  vorr.'steTJ  Che  vi  mandassero  qui  in  villeg 
giatuxa?  Chiudetele  le  sbarre,  e  poi  nessuno  si  az- 
zarderà di  aprirle!  Ma  voi  fate  agevolezze,  vi  im- 
brancate nelle  clientele,  e  chi  n^  va  di  mezzi       I 


LA    LETTURA 


\       .1  non  va,  e  non  va  '.  I 
lanari,  perdio!  I  della 

[-mentati,  capirete  bt  ne  >  he 


non  si  può  lasciare,  non  si  devel   Bisognerà   prov- 
'    Forza!...    Sfori   è  accaduto  un   disastro 

D  'lo  ! 

Dopo   quella    sfuriata,    egli    tacque,    ricaricando 
rte  la  pipa,  e  guardando  fissi    Ri 
me   in   attesa   d'una  parola,  di   una  giusti- 
qualsiasi.    1  >  a  Ila  i  asa   si    udiva 
parole,  rotto  da  un 
singhiozzare  sommi            contenuto,  che  parlava  ili 
un   grande  rammarico  segreto,   ili  una  tormentata 
■  il   amarezze. 
Roverbelli   cacciò   1"   sguardo   dentro   alla    fini 

eno  'li    una    bui  :  pass patema, 

e  gli  occhi  gli  si  fecero  irresistibilmente  lucenti. 
—  Rub  nari  ?  !.... 

I  .        tette    intontiti        i   o     un    bue    che 

la  prim  i      ap  >.  ripetendo  mec 

atticamente  quelli  senza    più  quasi   al 

il  situili 

Ani  Proprio  ti  ro  di   lui, 

dunque  ?   l'r.  iprii  ■  i     io  pei     offocarlo,  pei 

j     il    pane  di    t> 

I  ':.  va  bene  !  Fai  '       i     inondi 

fatti  !  Si  può  bene  ava  ni  la 

he  iii.n  conta  un  li'-"  seci  ol  Sei   vec 

il  gran  guaio  !   E  dei  vi 

trovano  tutti   i  pr-  ne....    Ri  ba 

I  ■.    si    butta   via   come   un    limone   spre 


In  mezzo  alla  burrasca  che  imp  i  iva  nel  suo 
cervello,  egli  ebbe  un  lampo  'li  chiaroveggenza: 
Ecco  tri  vati  dunque  il  bandi  lo  per  liberarsi  ili  lui. 
pt-r  mandarlo  via!  I  na  lira  al  giorno  'li  pensione, 
r  molto,  e  non  più  i  isa,  ni  n  più  tetti  :  la  mi- 
vi  ia  ' 

Egli  si  sentì  soffocare,  davanti  a  quella  prospel 
.   tutti   i  suoi   propesiti  di  ribellione  sbollii 
\  i.t   in  un  subitaneo  accasciamento  'li  tutte   le 
che   j h k -i >   prima,    davanti   alla   prepotenz 
perta,    ivevano  ancora  vibrati    con  baldanza  ed  im- 
prontitudini irdle. 

—    Faccia   quello  che   crede!,         disse  in   tono 
sommessi'  che  tradiva  la   intema  crescente  oommo- 
ii  :  ma    prima    ili    rovinarmi    vorrà  almeno 

aspettare  la  sentenza  del  pretore!.... 

Ma   che   sentenza! Vorreste  dar  corso   al 

verbale?....   Siete  matto?!    Prr   i  an- 

che le   spese   dell'  ammiin  Bravis- 

simo!   Eh.   già:    i>er  voialtri,   i    danari   del- 
l'amministrazione    sono    danari     del     diavo- 
lo!...   Meglio  accomodare    il    male! 
Din.,  eh    è  un  gentiluomo,  e  metter  ao 
sul    fuco  i  !...    Quanto    a    voi,   siete    un 
l'iiin  agente...:    sapete  che  l'amministrazii 

fa    sempre    più    del    dovuto.... 

Egli  si  alzò,  o  ^1  dii  endi  .  e  rimi 
i  rani  nuli. unente   il    fucile  ad   arni; 
tò   un    (ischio   al    sin >   cane,    che   scorrazzava 
indemoniato   addietro   alle   galline,   giù 
.   e  si   avvi...   seguiti i  dal  soi 
Signor  ingegnere,  per  carità!...  ■ 
I    ttava     Roverbelli,    camminandogli    di. 
fulminalo  da  quelle  ultime   parole,   che  pa- 
ri vano  la  conferma  del  suo  .-...spetto:   —  signoi 
n  !.... 
Ecco   fatto!,  esclamò,    lasciandosi   cadere 

annientato  sulla  panca,  mentre  i|iiello  se  ne  ai 
va  senza   più   rivolgersi   riè  darsene  |ht   inti 
eco    fatto!...   Tutto  perch     ci    di   mezzo  un   D 
imbroglione  e  prepi  tente  ' 

Ebbene:   che  ha  detto?,  —  gli  domandò 
siosa    la   moglie,    venendo   a   lui.    mentre   egli    si   di- 
sperava parlando  nel  vuoto,  come  un   pazzo 

I      finita!,  —  gridava  esaltandosi,  colle  mani 
anelli  in  atto  disperato:         verità  di  Dii  . 
stavolta  non  faccio  uno  sproposito!.... 

Ma    vedendo    la    donna,    con    quel    fardello    vivo 
nel  grembo,  la  voce  gli  si  soffocò  nella  strozza. 

Madre  e  figliuola,  comi    inebetite  esse  pure,  guar- 
davano   fissamente    lontano,   lungo    la    linea. 
l'ingegnere    si    allontanava    col    sorveglianti 
.    landò  e  parlando  forte,  che  ancora  ne  giung 
distinta   fino  a  loro  la  voce.  La  fanciulla,  dopo  di 
rsi    fatta    forza    alquanto,    si    ritrasse  in    i 
indo  la   faccia  tra  le  mani. 


allorquando  Roverbelli, 
uscendo    dall'Ufficio    della    se/ione,    si    im 

.    lungo   la    lini  la   cantoniera. 


I  A\  fONIERA    IN    M  \KI.MMA 


Tutti  era  ormai  deciso  ;  gli  avevano  fatto  ve- 
dere l'ordine  che  veniva  diritto  dalla  direzione,  e 
non  c'era  altro  da  dire.   Era  fatte!.... 

Egli  precedeva  colla  testa  china,  in  attitudine 
di  uomo  profondamente  avvilito  da  una  sciagura 
immane.  Perchè  per  lui.  con  quella  sua  baracca, 
il  dover  fare  fagotto,  adesso,  per  andarsene  lag- 
giù,  nientemeno  che  ad  Avellino,  era  un  disastro! 

Trasloco  in  punizione,  e  quindi  senza  incerti  ; 
paesi  nuovi,  faccie  e  umori  nuovi!....  E  dieci  gior- 
ni di  tempo:  per  il  primo  di  novembre,  al  posto:  — 
la  cantoniera  numero  dieci  fra  Castelf ranci  e  Mon- 
temarano:  ancora  malaria,  e  di  quella  buona! 

—  Dieci  giorni  !...  E  qua.  chi  mi  paga  il  conto 
del  mugnaio?  Chi  mi  paga  il  latte  che  ho  a  debito 
colla  castalda  di  Butri?  Oh.  poveretto  me!... 

E  poi....  quello  che  veniva  di  più  duro,  come 
conseguenza.  1  ragazzi,  si  sa.  hanno  la  testa  leg- 
giera.... oggi  qua.  domani  là!....  Ecco  bell'e  anda- 
to all'aria  anche  il  collocamento  della  figliuola, 
che  sarebbe  stato  un  ristoro!  Il  commesso  di  Chia- 
rone  sì  che  ri  pensa,  quando  l'avrò  condotta  lag- 
giù!.... Dio  sa  se  non  tira  il  nato  tanto  lungo,  an- 
che lui.  d'essersi  liberalo  d'un  impiccio,  con  quella 
paga! 

Fra  le  fitte  che  gli  davano  quei  pensieri,  egli 
volgevasi  tratto  ira".  .1  1  -.servar  la  maremma,  che- 
sotto  alla  luce  del  vespro  si  andava  sinistramente 
colorando  d'asfalto,  come  il  mare  quando  è  sfer- 
zato dal  maestrale. 

Stormi  d'uccelli,  dal  lento  e  plumbeo  volo,  er- 
ravano in  lunghi  giri  monotoni,  abbattendosi  d'im- 
provviso, sospettosi  ed  incèrti,  là  dove  il  terreno 
dava  qualche  scarsa  promessa  alla  loro  vor. 
vagabonda  :  e  il  loro  strido  malinconico  si  dissol- 
veva nella  immensa  pianura  grigiastra,  dove  tutti 
i  toni  de!  verde  andavano  fondendosi  insensibil- 
mente in  un  tono  unico  e  neutro. 

Appena  qua  e  là.  dove  il  terreno  si  rompeva  in 
padule,  e  le  scope  alte  salivano,  ondulando,  nel- 
l'aria, dei  riflessi  metallici  si  levavano  dalle  ac- 
que unte,  come  in  un  cielo  torbido  che  si  fende  ap- 
pare tra  le  crepe  il  sereno. 

Soltanto  una  fantasia  meno  tetra  si  disegnava 
alla    linea    dei    monti    lontani. 

Bagnati  dall'ultimo  e  tenue  riflesso  turchino,  le 
loro  groppe  vellose  pigliavano  fantastiche  figure  di 
ciclopei  armenti,  addossati  alla  linea  estrema  del- 
l'orizzonte, immobili  in  aspettazione  della  veniente 
notte  e  del  riposo. 

Lunghe  strisele  di  fumo,  candide  e  quasi  immote 
nell'aria,  se  ne  staccavano  in  vari  punti,  volgendosi 
inerti  verso  l'occaso,  dove  andavano  sfilacciandosi 
in  una  vasta  distesa  di  strati  di  bambagia.  Alter- 
namente, di  quelle  sorgenti  fumide  scoprivasi  alla 
radice  il  lampeggiar  sinistro  del  fuoco,  come  il 
guizzo  d'un  có!]x>  di  cannone  nell'aria  che  vieppiù 
si  affoschiva  ;  e  in  quel  lampeggiamento  tutta  una 
zona  verde  si  illuminava  intorno  intorno,  in  cui 
si  palesavano  nitidamente  le  chiome  dei  boschi  ■ 
le  radure  dei  pascoli  sulle  pendici  tònse.  come  l'au 
reola  cappelluta  e  la  tonsura  in  sulla  testa  d'un 
certosino. 


873 

A  poco  a  poco  quei  fuochi  avvampavano  con  cre- 
scente intensità,  a  misura  che  i  toni  si  confondeva- 
no nella  uniforme  se  I  .a 
dove  prima  il  fumo,  assiepandosi,  era  andato 
formando  verso  la  bassura  un  largo  stagno  g] 
ora  apparivano,  nella  invadente  tenel  ,  ttrali 
aggrovigliamenti  di  vapori  opachi,  dalle  figur. 
ni  macabre,  traverso  ai  quali  smarriva»  l'ultimo 
segno  dei   monti. 

Insensibilmente,  anche  quei  vapori  divennero  ini 
percettibili    allo    sguardo:     la    terra    ed    il   cieli 
confusero   in   un'unica   distesa    .li    smalto,   trapunta" 
da  una  pleiade  di  fiammelle  e  di  fuochi  vacillanti, 
come  un'immensa  calotta  forata  immersa   in  un'at- 
mosfera incandescente. 

Xon  più  suoni,  ne  voci  d'uomini  0  di  bestie: 
solo  un  grande  silenzio  solenne,  increspato  da  qual- 
che leggiero   brivido  di  brezza. 

Roverbelli  affrettava  il  passo.  Mai  la  strada  gli 
era  apparsa  tanti,  lunga  e  faticosa  come  in  quella 
malaugurata  notte.  Quella  ineffabile  tristezza  di 
cose,  a  cui  forse  egli,  in  tanti  anni,  non  aveva  mai 
badato,  gli  penetrava  ora  acutamente  nell'animo, 
terminando  di  prostrarlo. 

Camminando  in  sul  sentiero  fiancheggi  ante  il 
binario,  egli  pensava  con  terrore  all'istante  in  cui 
si  sarebbe  trovato  davanti  alla  moglie,  alla  figliuo- 
la, a  tutta  la  sua  progenitura,  con  quella  notizia 
sciagurata  da   spiatellare. 

-    Poveretti  !    Per   colpa    mia.    in    quello    stato, 
laggiù  !.... 

In  quel  punto,  senza  avvedersene,  egli  passava 
davanti  alla  cantoniera  precedente  la  sua;  un  lieto 
fuoco  di  sterpi  crepitava  in  sul  camino,  avvolgen- 
do del  suo  riflesso  tutta  quanta  la  cucina  :  voci  e 
risa  ne  uscivano,  di  gente  lieta  e  tranquilla. 

Il  guardiano  del  posto,  udendo  rumori  di  pi" 
in  sulla  linea,  uscì  fuori  a  vedere  chi  fi  isse.  colla 
lanterna  in  mano. 

—  Oh,  siete  voi,  compare?  A  quest'ora?...  Che 
miracolo?  !... 

Roverbelli  si  scansava,  tirando  avanti. 

—  Voglio  che  entriate  a  mangiare  la  polenta 

a  berne  un  bicchiere  con  noi  !  Entrate,  via  !  Xon 
mi  fate  questo  torto'....  ■ —  e  lo  tirava  per  la  giac- 
ca: —  Un  bicchiere,  perbacco!  alla  salute  della 
ra  donna,  che  a  momenti.... 
Roverbelli  si  arrestò,  come  stordito,  in  sulla  so- 
glia, asciugandosi  il  sudore  colla  mano:  un  sudi  re 
non  .li  fatica,  ma  che  veniva  dall'anima  in  tri 
lazione. 

—  Compare:  salutiamoci....  —  disse  colla  voce 
triste  e  soffocata. 

L'altro  gli  ficcò  gli  occhi  in  viso,  come  uno  che 
capisce  a  stento,  e  non  può  credere. 

—  Ma  che?  Siete  matto? 

—  Vi  dico:  vado  via  fra  dieci  giorni!  Mi  man- 
dano alla  malora!....  Salutiamoci....  E  vi  ringrazio 
di  tutti   '..  . 

La  voce  gli  si  spezzava  per  la  commozione,  men- 
tre l'altro  e  la  sua  donna  ed   i   figliuoli   s'erano  le 


1  A    I 


■ 
rb    li 
.li  cuore  !...   Mi  asp  ttam 
a  !.... 
Ad  uhm  .iil  uri  Beati, 

ripresi  'li  quel- 

!  i       e. odiano    li>    ac- 

,  fuori  della  i  rrendo  con  lui  sot- 

-  inzi  ito  un  sii 


Ebbene  '....  t,  levatid 

i     ni    \  im     .1    sui     in.ii  ito.    con    una   granili 
mezza. 

I   gomiti   puntellati  alli    ginocchia,   la   faccia  tra 

li    mani,  gli  i  echi  i  onfitt  i  ni  i  la   Rai i,  egli  n 

va  iniini  bile  e  muto  come  una  pi. -tra,  segi 
me  un  deniente  le  torbide  immagini  che   in  quella 
tristi    i  ra    della    sua    vita    germinavano    spontanee 
uo  ]  i  ervelli    m  n  nati    ali  idea. 

i    nt<     propi -siti,    l'uno    più    disperato    dell'ai 


.  .li  gente  che  vede  nella  d      i  no,  incomposti,  nella   sua   mente;    più 

.,1  pensiero  che  ui  pi       tenace  di  tutti,  l'un  d'essi  toma  ndoli    col 


ria  puri-  quandochi 
Ri  vi  rbelli  lontani    l'occhio  r  ss< 

tforo   'li    Chiarone,    che   ammiccava    nella 
p  issi  .   p  nendosi  quasi  a  cor- 
li  lumicino  verde  della  posata  a  terra 
■iti  alla  casa,  si   a.\  \  icinava   si  mpre  più.    I 

ni    ri   mani    i    pei    la   o  rsa   e   per   il 
:he  si  poi  .  arrivò  alla  p  i 

;a.  i-In    insi  Inameni     era  i  hiusa. 


la  insistenza  d  una   persei  uzione. 

i  li  ni"    le    pi  core  !....    (  !ome   era    ai  i  aduto  ili 
quelli 

Egli  non  batteva  palpebra  davanti  alla  lugubre 
scena,  l'iati  i  figliuoli  suoi  allineati  e  stesi  a  tra- 
versi il  binario:  lui  da  un  rapi,  sua  moglie  dal- 
l'altro.... veniva  il  treno,  passava  via....  e  addiol... 
Bella  e  finita  ogni  tribolazione!  Andati  quelli  che 
si  n< .  ed  ani  he    |uelli  i  hi    ani  ora   noti  s !.... 

|in  .   tre  minuti,   egli    stette  così,   colle  palpebre 


V  i  gliando.    Un  gemito  fioco  si  udiva  stretti        li    spasi n   sulla    l>  irezzando 

chiaramente,   traversi     dl'impannata;    e,   commisto  quella  visioni    orrenda   colla   voluttà  della 

i  quella  voce,  un  seguito  di   pan  Ir  confuse  e   al  zione;    poscia,    invaso    da    un    tenore    invincibile, 

fannau-.  una  cadenza  'li  l'assi  ineguali  e  rotti  per  si   le; un  urlo,  come  chi  si  sveglia  dall'ine» 

la  stai  sili  nziol  bo  'li  un  sogno  maligna 

Apri,  si    Roverbelli,  assalilo  dal  batti-         Egli  si  trovò  davanti  alle  dui    donne,   che.   pò 

io:   ehe  c'è  ili  nui  -   mentre  verette,    stavano   spianili    i   suoi   motti,   ritte   in  un 


un  pensiero  gli  passava   via  come  un  baleno  nella 

(  'he    t.  SSe    già    nato  'J.... 


canti  .    [uasi  trattenendo  il   respiri  .   senza   i  saie  'li 
più  interri  garli  .   I  sse  avi  vano  già  troppo  capito!... 


La  figlù  aprire  la  porta,  ed  egli  vi     Gli  occhi   «li    Roverbelli   si   incontrarono  con  quelli 

dentro,  ansioso  e  pallido.  li  -sua  moglie  e  della  figliuola,  penetrandosi,  fon- 

Ucl     n  <     affumicato  del   lume  che  ardeva   in     dendosi  in  una  sola  luce  ili  reciproci  e  dì 

sul  tai'  li  .  egli  intravvide  in  un  canto  un  o  rpii  ino,     conforto 

un   fiero  tremore  e  da   sussulti   incalzan-  -  Oh.  poveretti  noi,  oh,  poverétti  noi!...  - 

Lbbandonato  tra  le  braccia  ili  sua  moglie,  chi      spirava,  ora  che  la  febbre  dei  brutti  sogni  era  paai 

fatica    seduta  virino  al  Fui    o. 

Quando  gli  •'•  venuta?,  — ■  gridò   Roverbelli, 

ii'    olosi     versi    di    lei.   e  curvarli 

il    figliuolo,    che   era    livido:    —    Oh, 

poveretti    noi!,  sospirò,    rialzandosi,   eolla   cera 

contraffatta    d'un    uomo    ehe    perde    il    sentimento: 

oleva  !....  Tutti <.  proprio  unto. 

addosso    i   questo  povero  cristo!  Anche  'niello  là. 


sata. 

Non  ii  disperare,  via!,  —  disse  la  donna. 
0  ii  una  dolcezza  nuova  nella  voce:  già.  un  giorno 
i  l'altro^  Insognava  aspettarcelo:  troppi  nemici  ab- 
biamo dattorno!  Ce  l'hanni  giurata!....  Ma  non 
conviene  avvilirsi:  tutte  il  mondi  paese,  e  un 
tOZZO  di  pane  ci  sarà  pine  amile  ]kt  noi!...  Tieni 
duro:    fatti    vedere   ehe   s(ri    un    uomo,   ehe   non   hai 


in  alto,  che  non  ne  azzecca  una  di  buona!   Male  paura  della    prepotenza,   da  qualunqui 

n  ndo!....    E   fate  il  galantuomo!...  —  arrivi!....    E    andiamo    anche    al    diavolo!    i 

'    Inori    di    s     sedendo    davanti   al    fuoco,    ed  '•onta!-'.... 

n  furore:         ecco  la  ricompensa!....         Roverbelli   pareva   rinascere  a  quelle  paro! 

maglie,   che   stanno  benone,   e  vivom     im  tne  un  fi<  re  che  si   rinsalda  al  cader  della  pi<  | 

dell'universo   e   del    prossimo,    a    quelle  Stava  intontito  a    fissar   sua   moglie,   non    |>.  i 

gli  va   bene  tutti  !    Nossignori:    a   Roverbelli.   no!  distogliere  gli  orchi  da   lei.   t'osi  grossa,  cosi  gial- 

l1  lare,    sino  all'ultimo:    marcire,  la,  così  brutta,  quanto  fuoco  ancora,  in  quella  po- 

.r  ,'....  vera  carcassa! 

\  un  -do  di  conci!  aravi  ntò  le  mi  Ile 

fuoco,  squarciandolo,  mentre  le  due  donne   |,  m 

guardava™  .  stupiti  glie,  va-  *   * 

'  illando   per   il   dupli"-  ad 

im .in    tentami  I  topo  d'avi  i  li    atteso  durante  tuti  i  la   - 

|*-r  la  mo  i   bri-  fui. dun  me.   quando  il   sole  era  j  ìo  sull'ori* 

1         più    in  /onte,    giunse    il    .anello,     mandalo    dalla     So 

in    una  modica    del  per  il  acri  mpagnato  da  due 

■  ni'  1 1.   eli.-  di  ivi  \  ani  i   presta 


I  ANT<  tNIERA    IN    MAREMMA 


875 


Ri  vi  rbelli.   chi    lavi  •        no,  vei  li  m  li  li, 

lette  della   voci    ai    >ui  ;  :    Su.  o  raggii  ,  eh 
rica  la  roba  prima  che  annotti! 

Nella    casa,    intanto,  era     in    grande   strepiti     di 
martelli  .        I;     ivoli      h     si  schii  davam  .  'li  mi 
rizie  rimosse  dalla  loro  lunga  e  p  lveri  sa  g 
Man    mani,   ch'esse    vi  livaro     p  rtati     fuori,    all'a- 
perto, a   rivolere  la  luce,  nelle  camere,   chi    n 
vani    vuote,  coi  riquadri  più  chiari  sui  muri   là 

prima  erano  stati   appi  ggiati   i   mobili,   1  1 
l'echeggiamenti    dei   passi        gni    suoni      nj 
nel  lilieru  rimbalza 

Ri  verbelli,  affaccendate,  -1  Ile  maniche  della  ca- 
micia rimbeccate,  dirigeva  lo  sgi  mi  n  :  si  cari- 
cava la  mba  in  ispalla,  anche  lui,  puri  1  idi  la 
fuori,  sullo  spiazzo  della  casa,  attimo  al  pozzo, 
1  ve  si  andava  adunando  per  collocarla  poscia  in 
una  si  la  volta  in  sul  carri  . 

Si  lavorava  in  silenzio,  in  mezzo  a  una  tristezza 
incombente  sull'animi  di  tutti.  Anche  i  ragazzi, 
che  si  trovavano  riuniti  e  pronti  alla  partenza,  a- 
vevani  chiaro  il  senso  dell'ora  maliconica  che  si 
andava  approssimandi  :  l'ora  dell'addio  a  quella 
li  ro   casetta   solitaria,   dove  più   d'uno  di   essi   era 

Stavano  silenziosi,  seduti  sul  ciglione  del- 
la   strada,    seguendo    attentamente  il    lavoro    dello 
Spianti     con    intelligenza    rassegnata,    come    se    in- 
51  ro  il  perchè  di  quel  trambusto,  e  ne  sentiss  ri 
il  cru  :i  ii  . 

Come   la  roba  fu  ormai  tutta  all'aperto.    Ri  \   1 
belli,  colla   SO  pa,   i. un'ava  spolverando  alla  grossa. 

Povera    roba!    A    metà   squinternata,  le   se{ 
sventrate  e   zoppe,   le  tavole   fesse  per   le  schioda- 
ture  e  la    vecchiaia,    róse   dal    tarlo   e  dall'umido, 
rimessa    ali  aria    essa   esalava   tutta   la   sua  consun- 
zione e  la  sua  muffa  al  sole. 

Si  li     la  cucina  non  era   ancor  stata   interamente 
libra.   In  un  canto,   su  d'un  pagliericcio  stesi     a 
terra,  dacché  anche  i  cavalietti  e  le  tavole  che   b  r- 
mavanc  il  letto  erano  stati  tolti,  vi  giaceva  il  pio- 
li   malato  di  terzana. 

Ri  verbelli.  tratti  tratte,  vi  compariva  in  sulla 
porta,  affaccendato,  a  guardare,  crollando  la  testa. 

—  D<  rmi,  figliu'  lo:  dormi'  Non  è  ancor  l'ora... 
Ti  svegleremo,  non  temere:  verrai  anche  tu 
ci  in   noi  ! 

Intanto,  di   fuori,  coll'aiuto  dei  cantonieri,   s'era 
incominciato  a  caricare  il  carrello.  Di  sotto,  i   sac- 
coni,  '-he   perdevano   foglie  e  tritume  da   tutte   le 
parti,   poi.  via  via,   i   cavalietti,   i   canterani,   il   ta- 
rla cucina,  e  tutti   i  ferravecchi  della  casa. 

—  Tutta  roba  da  mettere  in  pensione,  come  me!, 
—  diceva  scherzando  malinconicamente  coi  canto- 
nieri: —  roba  frusta,  buona  da  fuoco!  Quando 
era    nuova,    oh,    allora  si,   che   la   baracca  andava 

S  ate  in  gamba,  giovinotti,   perchè  tira  un'a- 
ria....  Troppo  peso  da  questa  parte?.... 

La  casa  era  ormai  vuota.  Restava  solo  a  spian- 
tici   ci  triti  io.    l'altarino   della    Madonna,    in- 
.  ci  1   lume  1  In    ancora  vi  ardeva,  e  le  paini     di 
carta,  cariche  di  polvere  e  di  ragnatela 

rbelli    appostò   la  scala  al   muro,   salendovi 


in    1 1  ri      [uell'opera.    Ma  i  cine   fu 

in  alto,    lai  inti  a  quella  immag  ni    di   legno,  tanto 
ita,   egli    indugiava,    presi    da  un   vago  turba- 
li     ! 

A   strapparla   dal    imiti,  da   quella   sua   religiosa 
mete   votiva   di   tanti   anni,   gli    pareva    di   compiere 

una  profanazione.  Ella  aveva  vigilati,  sulla  casa: 
ella  iveva  sorretti  la  fede  Milla  buona  e  nella  cat- 
tiva fi  mina  ' 

Due,  tre  volte,  .gli  allungò  la  mano  verso  la  re- 
gina di  legno,  che  dal  sui,  io  no,  ci  bimbo  tra  le 
braccia,  spandeva  intorno  una  fervida  luce  di  dol- 
cezza, e  altrettante  rimase  inoperoso,  stupito,  fis- 
sando devotamente  gli  occhi  attoniti   in  lei. 

-  Regina  del  dolore.  Regina  dell'amore,  prega 
per  noi  !... 

Egli  ripetè  ritmicamente  colle  labbra  estatiche 
la  invocazione,  coll'ardore  d'un  voto.  Tutto  d'in- 
torno a  lui  taceva:  nella  sua  anima  onesta  e  rude, 
egli  senti  come  un  consentimento  e  una  promessa  !... 

Scendendo  svelto  la  scala,  ci  rse  fuori,  chiaman- 
do a  voce  alta  tutta  la  sua  gì 

—  Venite,  venite  a  salutare  la  Madonna  !  Ve- 
nite ! 

butti  accorrevano,  e  si  inginocchiavano.  Sola  in 
piedi,  ritta,  cogli  occhi  verdi,  rimase  la  guardiana, 
scorrendo  tra  le  mani  affusolate  e  gialle  il  rosario. 

Allora  Roverbelli,  in  alto  della  scala,  come  un 
patriarca,  sotto  alla  luce  della  lanterna  che  gli  i- 
nargentava   la  barba,    incominciò: 

-  Madonna  Santissima,  pregate  per  noi  !  Ma- 
di  urna  Santissima,  tenete  lontano  i  pericoli  ila  noi! 
Madonna  Santissima,  perdonate  ai  prepotenti  che 
■i  hanno  fatto  del  male!....  Madonna  Santissima, 
date  la  salute  a  Gesumino  ! 

Su  quell'ultima  parola  soffiò  nel  lume,  tolse  dal- 
la sua  nicchia  l'immagine,  e  mentre  ancora  per  la 
casa  ripetevasi  l'eco  del  coro  de'  suoi  fedeli,  di- 
scese col  sacro  peso  tra  le  mani,  che  tremavano 
per  la  commozione. 

Si  sentiva  più  tranquillo,  più  forte;  una  nuova 
1  mia  di  speranze  andava  fiorendo  nel  suo  cuore 
oppresso. 

(  011  ogni  cura  adagiò  la  piccola  vergine  nella 
sua  custodia  di  legno,  tra  la  paglia,  circondato  da 
tutti  i  figliuoli,  che  stavano  a  vedere,  silenziosi  e 
compunti. 

Quando  anche  la  reliquia  fu  inchiodata,  gli  par- 
ve di  avere  compiuto  una  grande  opera. 

Ormai  nulla  più  restava  a  caricarsi,  altro  che 
il  saccone  su  cui  giaceva  Gesumino:  poi  la  casa 
sarebbe  stata  veramente  vuota. 

Una  gran  fretta  d'andarsene  gli  veniva  addosso, 
ora:  di  abbandonare  quel  posto,  clic  gli  ricordava 
tanti  malanni  e  tanti  dispiaceri  ! 

In  quegli  estremi  istanti,  la  memoria  di  quella 
malaugurata  notte,  e  di  Chitone,  e  dell'armento, 
si    rinverdiva  con   un'evidenza    insoffribile. 

Andiamo!  Tutto  è  fatto!  Andiamocene!....  — 
rip  teva,  pis-,eggiando  irrequieto  per  la  casa:  — 
andiamocene,  per  amore  di  Dio.  prima  che  ci  ca- 
piti  addissi    qualche   alto,  accidente!... 

Aspetta  almeno  il  di  tti  1        -  diceva  la  guar- 


LA    11    IH  RA 


ntrigare.  ..  oh,  questo  si  !  Cac- 
tt'acqua  i»t  stare  a  galla  li  : 
<  ili  :  andiamo,  una  buona  vi 
Egli  si  avviò  alla  cucina,  seguito  dalla  moglie, 
hi    |  -  viene     [*i  prendere  il  figliuolo,  che,  non  vedendo  rompa 


chinino!   Voglio  che  veda 
moda,  quella,   |»-r 


il  muratore  e  1"  sbiancatore,  che 

tua  ed  il  | 
ili.    per  i  pul      i    nella 

si  «  i  entraroni    subito,  i  k 
ini,  pes  del  martello  sui 

■'.nani  •  ila  ogni  pai 


rire  |>iù  alcuno,  singh 

la  madre,  e  avvinghiarsele  al  collo  di- 
speratami nte,   in  tutt'uno. 

La  guardiana  uscì,  col   fan. nullo  tra  le  1  i 
•  he  già  le  aveva  reclinato  la  testa  sulla  spalla,  in- 
cammihandosi    Fai  ite    lungo    La    linea,   in 

a  tutti.   Buttato  anche  il  saccone  in  sul 

rello,  questo   lentamente  si    mosse,   oscillando  nel 

suo  carico  squilibrato,  sospinto  dal  t  can- 


ti  murai  endo  il   ragazzo  aurora  disteso  tonieri,  che  duravano  gì  cs  a  tenerlo  in  - 

in  cucina,  us  u         on  Rovei  M"  perchè  la  roba  non  ne  cadesse. 

nòdi  guardarla  Egli  aveva         '-  dietro  tutti  gli  altri,  colle  scarpe  penzolanti 

•    n    alla  sua  nu  razione  che  lo  a."r  spalle,  ed  il  I  toal  brai 

giù,  lontano,  lontano,  fuori  del  mon  '''"• .  nnU'-    'a  testa   (>hina,   oppressi    dallo  schiant 


lell'Italia  del  - 
E  chi  sa.  se  là  pure  non  ci  fosse  qualche  Ghi- 
ualrhe  sorvegliante,  l-  qual- 
cun cora.  della   forza  di  quelli  che  aveva 


lell'abbandono. 

Solo   si  udiva    nel   silenzio    il    rullare   nitidi 
secco  delle  ruote  sull'acciaio  delle  guide,  che  nella 
noe  raccolta   del    vespro  segnavano  la  loro  tra 


Mitrati    lì!    Prepotenti    e  canaglia,    pensava,    ce     "irui  lucida  ed  infinita,  simile  al  cammino  d'una 
in   abbondanza   dappertutto!...   Come  era   solo, 
lui  !  G  ti.  olo!       Poca  strada  ma  a  fron- 

te levata,  e  poter  guardare  in  faccia  al  sole  senza 
nicchiare....    Quanti  ce  n'erano   de'   suoi   carnei 
che  ;  re  altrettanti!  ....    Farsi   ri        n: 


i;maca.  Due  carabinieri,  che  venivano  lungo  la 
linea,  col  fucile  agganciato  al  braccio  e  la  pipa  in 
bocca,  riconoscendo  la  famiglia  del  guardiano  dove 
spesso  facevano  sosta,  si  fermarono  a  salutarli. 
i «villeggiando   la  liella   figliuola. 

—  Andiamo   lontano,   lontano!.... 

—  Oh,  che  peccatol....    Buon   viaggio!... 

La   guardiana   non   si    rivolgeva,   non   si    indi  . 
va;    essa    camminava  sempre,    gli    occhi    fermi   e 
tesi   verso  la   unta    lontana,   dove  avrebbe  potuto 
posare    il    suo    malato,    non    lasciatili'  Mere 

dalle  braccia  da  nessuno,  neppure  a  morire. 

E   la   notte  rapidamente   avanzava.  Lungo  la  li- 
nea si   ledevano   accendersi   via   via,    in   lontaii' 
le  lanterne  dei  segnali,   piccoli  punti   luminosi  che 
parevano  uscire  dal  nulla,  e  si  staccavano  appena 
segnati   sul   fondo  ancor   purpureo  del   crepusi 
acquistando   gradatamente   intensità   e   vibrazioni  . 
e   verso  i   monti,    la  cui    linea   s'era  quasi    perduta. 
un   gran   chiarore  di    incendio   avvampava,    illumi- 
nando  alternamente    di     riflessi     sanguigni     latini 
sfera,  già  corsa  dai  primi  gemiti  del  vento. 

Tutti  marciavano,  intenti  a  quello  spettacolo, 
pauroso  nella  solennità  della  notte,  sopraffatti  dal 
l'incubo  di  alcunché  di  fatale  che  incombesse  sulle 
lor  povere  vite. 

A  \m  punto,  Roverbelli,  che  camminava  in  coda 
alla    brigata,    rome  un    guardiano   dell'arni 

ito,  e  li  fece  arrestare  tutti   di  colpo  con 
zitto  imperii  «si  i  e  bru 

l  n   ronzìo,    indistinto,  giungeva   sino  ad  essi   tra- 
verso  alla    pianura:    un   crep  incute  e   sini 
stro.  come  di  legna  verde  die  si  torcesse,  spaccati 
dosi,   sotto  al   calore  d'un    immenso   fuoco. 

I  orecchio  teso,  il  respiro  mite,  stavano  in  a- 
scolto  impauriti,  cercandosi  a  vicenda,  tentando  di 
orientarsi  nelle  tenebre,  che  andavano  in 

rno,   |>el    contrasto   invincibile    di    quella    igi 
I   mie   di    luce.    L'n    suoli 


CANTONIERA    IN    MAREMMA 


*77 


pazze  e  chiamanti,   di   urli    disperati,  veniva   dalla 
stessa  traccia  del  fuoco. 

Roverbelli    guardava,   pallidi)    e   impietrito: 

—  Laggiù  brucia  a  tutti)  andare!  Chi  sa?....  là 
forse  si  muore!...   Povera   gente! 

La  guardiana,  anch'essa,  s'era  arrestata,  seden- 
do, sempre  col  figliuolo  in  grembo. 

—  Ci  fosse  almeno  Chitone,  là.  in  mezzo  !  — 
dissella,  còlla  voce  fredda,  piena  di  vendetta:  — 
quella  è  la  tenuta  del  Duca!... 

Roverbelli    si    sentì    un    brivido  scorrere    per    le 
ssa. 

-  No!  E  la  preghiera  della  Madonna?  No! 
Campino,  campino  pure!  Il  castigo  verrà  dopo!... 
Nessuno  scappa  al  castigo!... 

In  quel  punto,  un  cupo  rombo,  che  si  avanzava 
minaccioso  dalla  pianura  fosca,  li  arrestò,  sgo- 
menti. Una  frotta  di  bufali  attraversava  la  linea, 
come  una  meteora,  fuggendo  precipitosamente  ver- 
so mare,  in  sulla  strada  attigua  all'ultimo  posto 
di  guardia.  Neri  spettri  vaganti  nel  buio,  i  butteri, 
curvi    sui   cavalli    lanciati    al    galoppo,    sferzavano 


le  bestie  atterrite,  tra  grida  orrende  e  selvaggie; 
e  l'orda  passava,  sfrenata  e  cieca,  la  cervice  prona 
e  le  corna  a  terra,  solcando  l'aere  del  suo  lezzo 
brutale,  tra  una  densa  nuvola  di  polvere,  in  cui 
i  muggiti  ed  i  rantoli  si  fondevano  in  un  solo  urlo 
sinistro  di  minaccia  e  di  spavento. 

Quando   il  torrente   fu   scomparso   nelle  tenebre 
della  campagna,   la  povera  comitiva   riprese  tristi 
mente  il   suo  cammino,   passando  in  fretta  davanti 
alla  cantoniera,  che  era  buia  e  sex-chiusa. 

Di  fuori,  tranquillamente  avvolto  nel  suo  cap- 
potto, il  guardiano  russava. 

—  Beato  lui  !  —  disse  Roverbelli.  andandogli 
vicino  e  guardandolo  bene:  a  questi  che  dormom  . 
non  capitano  malanni!.... 

Poscia  i  lumi  della  stazione  apparvero  tra  il  fo- 
gliame. 

Egli  dette  un  grande  respiro:  —  Ecco  che  ci 
siamo,  —  disse  colla  voce  rincuorata. 

Gli  pareva  d'essere  in  porto  ! 

Lontano,   l'incendio  ardeva  sempre   più  violento. 


Eugenio  Bermani. 


Canti  del  ritorno 


~Wr**S,!>&«S7i'WT' 


I. 


Ella  d'intorno  si  guardò,  tremando, 
e  riconobbe  la  selvaggia  e  strami 
terra  che  a  fiume  si  dirompe  e  frana 
entro  l'acque  che.fuggon  mormorando. 

Il  guado  aulico  riconobbe  e  il  prato, 
e  le  foreste,  azzurre  in  lontananza 
sotto  il  pali  or  dei  cieli: 
e  il  passato  di  lotta  e  di  speranza, 
il  suo  ribelle  e  splendido  passato, 

omparve,  senz'ombra  e  senza  veli.  — 
—  Piegavano  gli  steli 
in  torno;  ed  ella  respirava  il  vento: 
vento  di  libertà,  di  giovinezza, 
soffio  di  primavere 

Ite,  belle  come  messaggere 
di  gloria,  piene  d'ali  e  ili  bit/, 
violente  e  d'immemori  dolcezze!... 


CANTI    DEL    RITORNO  879 

II. 

Ora,  silenzio.  —   Un  battere  di  remi, 
solitario,  nel  fiume:  un  lontanare 
di  cantilene  Lungo  l'acque  ciliare, 
e  nel  suo  petto  il  cozzo  dei  supremi 
rimpianti.  —  Oh,  prega,  anima  che  t'infrangi 
a  Fonda  dei  ricordi,  travolgente 
come  tempesta  a  notte: 
anima  slanca  in  vene  quasi  spente, 
così  giovane  ancora,  oh,  piangi,  piangi 
con  tutte  le  tue  lacrime  dirotte 
qui  dove  i  sogni  a  frotte 
ti  sorrisero  un  giorno!...  Ora  è  finita.  — 
E  strinse  fra  le  mani  il  capo  bruno: 
a  lei  da  la  profonda 
coscienza,  coni  onda  chiama  l'onde/ 
nel  plenilunio  a  fior  de  l'alta  sponda, 
salivano  i  ricordi  ad  uno  ad  uno. 


III. 


E  rivide  la  vergine  ventenne, 
con  la  fronte  segnala  dal  destino, 
sfiorar  diritta  il  ripido  cammino, 
fiero  aquilotto  da  le  bronzee  penne. 
La  nuda  stanza  fulgida  di  larve 
rivide,  e  il  letto  da  le  insonnie  piene 
di  cantici  irrompenti  ; 
ed  il  sangue  gittata  da  le  %'eite 
robuste,  il  sangue  di  veder  le  parve 
ne  le  febbri  de  Farle  su  gli  ardenti 
ritmi  a  fiotti,  a  torr,  m/i 
gittato.  —   E  i  versi  aiutarono  pel  mondo, 
da  la  potenza  del  dolor  sospinti  : 
e  parvero  campane 
a  martello  ;  e  le  case  senza  pane 
e  senza  fuoco  e  la  miseria  imi  in- 
dissero, e  F agonie  torve  ilei  vinti.  — 


LA    LETTURA 

IV. 

Ma  la  vinta  or  sei  tu,  che  de  la  morte 
senti,  a  tre n t\iiì ni.  il  brivido  ne  Fossa, 
e  ben  altro  aspettavi  da  la  rossa 
tua  gioì- 'ili w  .ii  così  stittia  e  forte/... 
Tatto  dunque  fu  va  no?...  e  così  fu  ì: 

uramente  a  te  dal  cor  la  vita, 
dal  cerebro  il  fervore 
dei  ritmi,  come  sabbia  fra  le  dita?... 
Ah,  iiiun  guarisce  il  mal  che  ti  distrugge!... 
....  Pur  tic  le  sacre  tue  --viscere  il  fiore, 
la  bimba  del  tuo  amore 
torna  dai  boschi,  carica  di  rose.  — 
Essa  clic  porta  la  divina  fiamma 
del  sogno  tuo  ne  gli  occhi, 
lascia  cader  le  rose  a'  tuoi  ginocchi. 
e  dice,  e  par  che  l'anima  trabocchi 
ne  la  sua  voce:  Perchè  piangi,  mamma?...  — 

Ada  Negri. 


FlG.    I. 


La  Rata  A  [organa 


(i) 


N  ali-une  ore  del   giorno,   date   certe   - 
dizioni  meteoriche,  si  osservano  general- 
mente,  dalla   spiaggia   di    Reggio    Cala 
e     lai     suoi     dintorni,     le     immagini     degli 
tti      reali      posti      limi;"      il      late,     orientale 
ilei  la    Sicilia    e    lungo    la    parte    della    eosta   cala- 
rne  va    dalla    punta    di    Catena    a    Pentimel,  . 
immagini,  nella  circostanza  in  mi  si  presenta 
il    fenomeno,    si    raddoppiano,    si    triplicano,    o   si 
osservano  in  concorrenza    cogli   oggetti   reali,    o  si 
nli  mo  con  essi,  e  formano  una  continuazii  ne 
al   disotto   e   al    disopra    dei   mede. imi.    risultandi 
gnuni    di  essi  un  soli    ■  ggetto  doppio  o  triplo 
in  altezza,  o  me  se  gii  edifici  fossero  tanti  pilastri. 
e  gli  alberi  tanti   festoni. 

l.e  immagini  talvolta   si    presentare     unito  al   di 
qua  dell,, ggetto  reale  e  più   ingrandite,   ma   sopra 
l       i     del   mare,   come   se    b:ssen     ianti    altri 
corpi   sollevati,   regolari  e  distinti,  i  quali  tuttavia 
liscono  di  vi  dere  anche  nei  loro  veri   luo- 
ghi  gli   oggetti    reali. 

Alcune  volte   si   vedoni     porzioni   del   lidi    opp 

cogli    oggetti    reali    e   contemporaneamente    le 

immagini  sul  mare  che  rappresentano  in   tal  guisa 

ira   isole,   era   capi,  ora  istmi.   Oppure  si   osservarli 

ggetti    reali    al    lire    posto    e   le    immagini    di 

essi  sospese  in  alto  nell'aria.   Tutte  le  volte   di.    si 

tua    un:;    delle   accennate   fenomenali    rappre- 

ta/ii  ni  compare  sulla  opposta   costa  sicula  una 

gace  nebbia,  indi  n  tale  del  pn  dursi  del   fé 

III      comunemente    detto    della    Fata    M 
n  è  quindi   da  confondersi  e,  n    piedi  di  comu- 

La    Lift  ara. 


fuga 

nr  ni 

Non 


ne  ed  ordinaria  riflessione  sulle  acque  tranquille, 
ne  con  il  fenomeno  di  .1/  raggio.  In  questo  gli  og- 
getti reali  si  riproducono  capovolti,  in  quello  le 
immagini   si   vedono  sempre  diritte. 

La  Fata  Morgana  è  tutta  propria  della  caia  di 
Reggio  per  la  sua  posizione  topografica  e  curva- 
tura della  costa,  per  il  prospetto  orientale  della 
vicina  Sicilia  e  j>er  il  mare  che  si  frappone,  per  lo 
stretto  del  Faro,  pei  monti  della  Calabria  e  della 
Sicilia  sovrastanti  allo  stretto  e  che  gli  fami,  i 
rona  e  per  molte  altre  condizioni  tutte  particolari 
di  questi  luoghi. 

11  lettore  potrà  farsi  un'idea  più  esatta  del  feno- 
meno leggendo  quanto  nel  più  breve  modo  possi 
bile  sto  per  descrivere,  riferendo  ci,,  che  io  vidi 
in   epoche   diverse. 

Il    27   giugno   1900  era   una  giornata   sciroccale  : 
l'afa  toglieva  litiasi  il  respiro.   \,  rso  le  ore  un  li, 
ima  delle  tante  persone,   di   ci,',  da    me  incaricala, 
venne  di  corsa  ad  avvertirmi  che  probabilmente  si 
sarebbe  vista   la  /■',//,/  Morgana.  .Mi  precipitai  sulla 
spiaggia,  lauta  era   l'ansietà   di  vedere  il  fenomeno. 
Ed  ecco  che  vidi  (fig.    [).  Presso  alla  costa  sicula  e 
parallelamente  ad  essa,  un  velo  senza  line,  diafano, 
biancastro,    probabilmente    di    vapor   acqueo,   so 
reva  velocissimo  dalla  punta  di   Scilla  verso  Mes 
sina  che  aveva  già  sorpassata.    In  [lochi  mimili  il 
vapore    biancastro    divenne    grigio    chiaro,    poi    più 
-  "e  .  indi  binasti'    1  unse  certa  stabilità, 


(1)  Da  La  Fata  Morgana,  studio  storico  scientifico    ilei 
dott.   Vittorio  Boccara. 

so 


LA    LKTI 


dinanzi  un'altissima  mura 
n     is    ni     i  mente 

\l  Cercai  i 

ndeva  il  fenomeno  e  rin 
I   vedere  che 
i  fino  a  \  illa  San 

ii    i  ;  .1.1 
■ 
mai  ■     !->   : 

\         Jloi         'i       utta   una 
i    immensi,    vicinissimi    a    me,    i 
quali   l'i.'  in'    sulla  e  a//urr;i   del 

1 1 1. 

i, Mi. mi"  'Uni''  questa    illusi!  a  '    Xml    p 

he  inni  vo- 
.  i,-  nessun  >,  e  quin 

..  ;     però    |"  5SO    aderire 


di  si  raversi    la   fitta  1 1 irtina  'li  nubi. 

\.  n   mi   aspettavo,  date   1-  condizioni    meteoriche, 
.li  vedere  la  Fata    Morgana,   l'uri- un-  ne  app 
un    i  amente   |«  r   hi    presenza    di 

ali  un.'  '-.isr  alla  sinistra  del  cimitero  ili  Messina 
che  apparvero  'li  molto  avvicinate,  bianchissime. 
lima  sopra  l'altra,  'li  dimensioni  quasi  identiche, 
molto  ingrandite;  sembravano  una  volta 
la  loro  grandezza  apparente  ordinaria 
mini  ,  un  tre  m i i un  i.  poi  l'u- 

nico  raggio   rivelatore  del    fero  meni  i      i  nparve  e 
pii    nulla  1  imas     Mi  alli  intanai  tosto  da  i  |uel  li 
|i  rch     avi    •     Fi  tta    ili    recarmi   al  porto,  dovendo 
re  per   Palermi      I    fu   una   vera   fortui 

esso   in   viaggio,    perchè    fui    così    favoriti 
dal  ■  per  tutta  la   traversata    del 

ile  da  Reggio  a    Mi  rontinue  e  svaiiate 


l'IG.     II. 


che  di  pò  circa  una  mezz'i  ra  tul  allo 

ii        nessuna  ti  meno  era 

rimasta.    La   maggior   parte   di    questo    tempo  ira- 

--■    nella  rsa    dell'unii  .  giato    im- 

si     il  quale  quasi   a   metà    d  idosi    in   due, 

arate   nel   man-,   sì  che 

i    sui    seno  le  in- 

men     b        d     |u 

in  precedenza. 

Bfii   Imi  nti    si  i  [presenta  si  I 
i     do  il  rafl  n   n   . 
schiva  di  farsi  vedere  in  una  forma  nella  quale  già 
1  1 1  infatti  la  vi  Ita  ch'io  la  vidi 

nti   il    -'(>  'li   marzi)  nio:    Forti 

cala- 

•  ni  di  Ila  città   di  I  '  ■ 

ngo   la   o  della   Sii  ilia     I   i 

na   del   giorno   predetto,   ali  tte,  uscii 

dalla   mia  ab  h  sta  ni  I   lato  sud  della   \  ia 

zi  A  -ula 

M       na  e  suoi 
dintorni.   Appena   in   istrada,  guardai  come  il 
sulit'  quale  a]  i  lata  'li  ■ 

ine  che  in  uno  1 1  due  punti.    Il 

ure  qualche  raggio 


manifestazioni  della  Fata  Morgana.    Il  temp     non 
era  cambiato  affatto,  anzi  si  aggiunse  un 
pii  ggerella   che   cadde  per    alcuni    minuti.    Il 
appariva   o  si  offuscai  ndo  di   penetrali 

traverso   le   dense  nubi    e    spirava    un    leggeriss 
vento  ili  borea.  Mi  eram  iggio  l'i.ig. 

Russo  del  Genii  l  vile  ed  il  collega  prof.  M 
feri.  Questi  aveva  più  volte  veduto  la  Fata  M 
na,   ti  i    ma     in   quesl  i   stagii  ine.    Poti  on  il 

loro   valido  intervento,   aver 
che  \  sciarmi  qu 

una  più  duratura  impress'n  ne.    \'i  ogni  m 
eh    il  tempo  non  i  i  |ualcuna  delle  im] 

rice\  ute,  ;li   schizzi  sul  luogo  e  pò 

ore  dopo  gettai  giù  quanti.'  ora  trascrivo. 

Come]  pra  dissi,  i  raggi  solari  qualche  volta 

riuscivano  a  penetrare  nello  spazio  a   noi   visil 
Ebl  iene,  in  quei  momei  i  _>  \ .ne >  dallo  .-•  ; 

in  bbioso,  di  coli he  rio  priva  la  i 

sictila.  alcune  case  bianchissime  le  quali   . 
e.     i  m 'i  m  nte  molti  i  \  icine.    In  Si 

i   rea   in  dui     i  tre  minul  i, 

state   inghiottite   da!   m 
colli  npai  ire    lei    raggi    si  ilai  i.    Ma   <  |u 

presto  ricomparivano  ed  allora  in  altri  punti  \ 
vani,    altri   caseggiati  avanzati  sul  mare,   l'uno  sul 


LA    FATA    MORGANA 


ss.; 


livello  del  mare  stesse,  l'altro  sollevato  alquanto, 
ma  quasi  sullo  stesso  piano  verticale  del  ptinm. 
Tali  caseggiati  si  lasciavano  benissimo  distinguere 
e  ci  davano  tempo  sufficiente  ili  rimirarli  e  tarli 
rimirare  ad  altri  passeggeri  che  con  noi  erano  sul 
ponte  del  ferry-boat.  Questi  ed  altri  simili  scherzi 
molte  altre  volte  (Vedere  figura  III  a 
sinistra). 

Infine,  all'uscire   del   sole,   vedemmo  un   qualche 
cosa  di  biancas  'ere  la   fotoincisione 

destra),  a  me  un  caseggiato  lunghissimo,  uniforme. 
ma  alto,   nel   quale   nettamente   appari- 

vano, per  un  terzo  circa  della  sua  lunghezza,  delle 
strie  verticali  oscure  attraversanti  tutta  l'altezza,  sì 
che  parevano  contrade;  per  il  rimanente  erano  di- 
stinguibili altre  macchie  le  quali  avrebbero  dovuto 
rendere  immagine  di  finestre,  di  pone.  ecc.  L'al- 
tezza di  questa  striscia,  per  quanto  non  molto  ele- 
vata, arrivava  a  coprire  le  prime  file  delle  <  - 
prospicienti  sul  mare,  della  città  di  Messina,  la 
quale  appariva  vagamente  attraverso  la  nebbia  che 
l'avvolgeva.    E   questo   lunghissiri  •  ggiato  (se- 

guiterò a  chiamarlo  così  perchè  tale  appariva),  per- 


a  tinche  avvicinandoci  a  lui  perdeva  la  primi- 
tiva apparenza,  scemava  in  lunghezza  ed  in  altezza 
e  si  mostrò  infine  qual'era  realmente,  cioè  il  mu- 
ragliene a  grandi  masse  che  staccandosi  dalla  Lan- 
terna di   Messina   cinge  la  batteria   del    Fi  ite. 

Con  la  scorta  degli  schizzi  presi  lai  vero  ilo 
tentato  rappres  unente  il  fenomeno  un 

di  cui  U    è   rappresentato  nella  lig.    111. 

In  tale  figura  è  rappresentato  tutto  insieme  il 
fenon  ntre   che    questo,    come    già    disri.    si 

ni"  parzialmente  e  successivamente.  Così  ; 
tre  caseggiati  del  disegno  apparvero  non  conteic- 
neamente,  ma  liensì  ad  istanti  diversi.  Quando 
apparve  il  secondo  caseggiato,  il  primo  (quello  a 
sinistra*  era  già  scomparso;  quando  apparve  il  ter- 
zo, il  secondo  più  non  esisteva,  e  così  di  seguito 
(nello  schizzo  sono  omesse  le  successive  apparizio- 
ni), lino  a  che  ci  mparve  quella  specie  di  caseggiato 
che  è  disegnato  a  destra  e  più  in  basso  Quelle 
parti  che  spiccano  piti  in  chiaro  sullo  sfondo,  rap- 
presentante lo  strato  nebbioso,  dovrebbero  figurare 
il  caseggiato  di  Messina  che  appena  si  intrawe- 
deva. 


Dott.  Vittorio  Bocca k a. 


FlG.    III. 


-^p^ -^zd^ìh 


E ^^Xi'/7-v.- _.V      A!     , t_e^i  -      _ ^^« 


m^MÈ^^^f^É^mzé 


f 


& 


Le  ferrovie  elettriche  valteliinesi 


Un  pregiudizio. 


strana,  eppure  anche 
applicazii  ni  industriali  e  - 
fiche        che  meglii    di  tutte  dovrebbero 
sul    più    assoluto    pi  sitn  ismo    ■ —    il 
h  i  la  su  i  influenza. 
Data  la  ricci  rgia  idraulica* 

nibile  nel   ro  si  ed  illustrala  da  innumi  re- 

prove la  della  tras 

lettrica  a.  •  ,  è  sembrato  i 

in  breve  vi  Igei  ili  tempo  le  magg 
•  d'Italia  ì         rasfi  rinate  e  si 

mite  da  ferrovie  elettriche;  la  legge  anzi  —  qi 
vi  It..  ta  del  ne  - 

ha  messo  un  freno  alle  concessioni  'li  «fi  r- 
' acqua*  per  us<    industriale,  nell'intento  'li   ri- 
per  la  lor    eventuale  utili//. i- 
■i  grandissima 
■  nelli   sp 
[n  fatto  poi  — •  affrontata  la  traduzione  pratica 
problema  —  la  soluzione  ha  richiesto  studi  la- 
<liffi<  ili.  i  li  lunghe  e  vivaci. 

11    risultati  uni    e    delle    altre    •'• 

brevi  Le  prime, 

ttrich  mi  sono    ferrovie   italia- 

1 

entri    quali   limiti, 

Il    pi  iti     dal 

i 


ziale  e  colla  «terza  rotaia*,   l'altra,  la  Valtellii 
recentemente  inaugurata,  utilizza  ("energia  ad 
che   viene  distribuita    esclusivamente 
conduttura  aerea. 

1       eri      he  altre   due  ferri  rie  elettrichi 
mentali   funzii  Italia:    la  Milano-Mori 

la   B(  li  gna  San    Felice      |ii  ad  accumula- 

tori, doventi    servire  per  un  percorso  brevi   ed   in 
li   specialissime.    Von  crediamo  perciò  'he 
la  si  luzii  ni   generale  del  pri  blema  possa  essere  det- 
tata   dai    risultati    .li   queste    esperienze.    Dun 
quale    poi  re    la    vittoria    dell'elettricità    sul 

vapore?    La    I  -  -ara    vinta    dalla 

lalla  conduttura  aerea? 


I  ,'i  L'eneralmente    invalsa  rhe.    ] 

li  ndanza  delle  ingenti    forze  idrauliche  da  noi.  la 

sia   senz'altro  preferibile  alla 
zìi. u.  per    il    risparmi'     di 

(istillile,  è  purtroppo  in  buona  parte  em 

II  n  usuine   di   «  earl  -  non    rap] 

ehi- una  piccola  parte,  poco  più  di  un  decimo  delle 
spes  sercizio;    -  isiderano  quindi  le 

che  la   maggior   parte  delle  voli 
< ìt  \  ■  :n  '  incontrare  ]>er  gli   impianti   idroelettrici  di 
de    importanza,  gli    oneri    del    loro    amm< 
della   loro  manutenzione,   si   romprvni 
come    possa  .mire    il    presunto  vanta. 

dell'economia 

Si  noti  im  ili  i  ferrovii 

ci  ntrariamente  a   quanto   avvieni-   per  quello   i 
tram  si    ha    un   movimento   rontinuo   di 


LE    FERROVIE    ELETTRICHE    VALTELL1NES1 


885 


carrozze  isolateti  di  «  leggere  unità  di  treni  ».  ma  si  impianti  a  corrente  alternata   ciò  non  è  più   possi 

devono  azionare  «unità  pesanti»  con  grandi  sbalzi  bile,    poiché    questa,    disgraziatamente,    finora    non 

nella    richiesta   di   energia   alle   officine   generatrici,  può  venire  in  alcun  modi     accumulata. 
Si   dovranno  quindi    preventivare  centrali    idroelet-         Il  solo  risparmio  del  combustibile  non    •  dunque 

triche  di   potenza   notevolmente   superiore   al    «ca-  il    piti    importante   dei    fattori    per   decidere   se   su 


Interno  delle  carrozze  elettriche  automotrici. 

1'  classe,   treni  di  1'  classe,  treni  Urtiti,  scompartimenti  fumatori. 

rico  .medio»,    incontrando   cosi    maggior    costo    di  una   determinata   linea  convenga  o  no  adottare   la 

impianto  e  sostenendo  in   seguito  spese  d'esercizio  tra/ione    elettrica;    fortunatamente   ben    altri    sono 

maggie  ri    di  quelle    che    rendono    rimunerativi    ini-  i  vantaggi  che  essa  può  offrire! 

pianti   più  uniformemente  utilizzati.  Un  treno  elettrico  composto  di  due  o  tre  parroz- 


Isterno  delle  carrozze  elettriche  automotrici. 

//'    -lasse,  treni  diretti.  /."  classe,   treni  diretti,    tentatori. 


E'  vero  che  per  gli  impianti   a  corrente  continua     ze.  delle  quali  una  automotrice,  richiede  una    sp  sa 


si  provvede  alle  anormali  richieste  di  energia  di- 
sponendo di  opportune  batterie  di  accumulati  ri 
che.  immagazzinando  dapprima  una  parte  dell'e- 
nergia prodotta,  la  restituiscono  automaticamente 
al  momento  della  maggiore   richiesta.   Ma   [>er  gli 


in  '   volmente  minore  a  quella  eco  rrente  per  attua, 

re  uno  degli  ordinari  treni  a  vapore  e  ciò  principal- 

per  due  ragii  ni. 

In  primo  luogo,  pel  treno  elettrici       richiesto  un 

minore  impiego  ili    personale  viaggiante   e   d'altra 


LA    LETTURA 


enienza  di  utilizzar 
uniforme  il  materiale  rota- 
i  dalla  si 
■  la  convenienza  'li   aui 


unità  'li  irmi,  vincolati  da  corrispondenze  d'orario 
intemazionali  e  da  Fi  ri  golari  affluenze 

di  pa  sarà  dunque    issai  difficile  che  p 

la  ti  isformazione,  mentre  invece 


L' IMPIANTO   IDROELETTRICO   DI    MORBEGNO. 

irà   in   alto  il  bacino  di  carico,   nel  unirò  Ir  opere  di  sottegno  ed  i  tubi  (he  r  i   alti  turi  tue. 

.:    finitile!  la   VtduJa  esle'n.I   della   centrile  idro-delti 


numero   e   la  dei   treni    die   giornalmente 

na  data  linea.  Sono  possibili   notevo- 
lissime   riduzioni    ili    tariffe  e   per  conseguenza   il 
traffico  aumenta  in  misura  assai  considerevole, 
che  la  pratica  ha  già  dimostrato  superiore  ad 
■iva. 

I  maggiori  vantaggi  della  trazione  elettrica. 

il    vantai.  i    essere   meglio 

••in  ]»-r  le  linee  secondarie,  le  quali,  in  Italia. 
per  2600  chilometri  circa,  danno  ora  un  provi 

00  1  ' r. -  per  chilon  rolmente 

tali  criteri  possano,   in  prin 

anche  lai 

■  I  1  ii  he 
ri  serviti  da   | 


si   impone  già   senz'altro,   per  una    parte  alm 
delle  linee  in  cui  soni)  lunghe  o  numerose  gallerie. 
I  assenza   '!i    fumo  —  oltre  al    permettere  una 
_;it>-  comodità  ai  \  .  una  miglior  con 

servazione  del   materiale,    una    miglior   pulizia   ed 
una  assoluta  sicurezza  i>H  personale  viaggiante  — 
evita  disastri  e  rende  possibile  una  assai  raagg 
nsità  del  trarli' 
•  i!  nte  spirito  pratico,  pel 

passaggio  del    tunnel    di    Baltimora,    che    è    li 
cinque  chilometri  soltanto,  hanno  sostituiti 

al  vapore  la  trazione  elettrica  |*-r  l'intero  servi- 
zio  di   mi  ni   e  di  i     attravers 

sto  tunnel  si  susseguono  incessantemi 

facilitando  il  traffico  in  molo  meraviglii  • 

Oh,  perchè  in  Italia  non  si  provvi  ad 

una  dei 

ri  ? 

\'  tai  almeno  venti  minuti  per- 

chè    1    ventilatori    renda»     sicuramente    respir 


LE    FERROVIE    ELETTRICHE    VALTELLINESI 


tutta  l'aria  della  galleria  e  che  quindi  i  treni  de 
rano  forzatamente  succedersi  con  tale  intervallo,  è 
evidente  che  la  sostituzione  della  trazione  a  vapore 
mila,  trazione  elettrica  potrà  di  punto  in  bianco 
raddoppiare  la  potenzialità  di  traffico  della  galle- 
ria medesima. 

Le  prime  ferrovie  elettriche  del  mondo. 

Lo  abbiamo  detto:  sono  italiane.  Poiché  non 
possono  considerarsi  vere  e  proprie  ferrovie  elet- 
triche alcune  che  in  America  esercitano  per  brevi 
tratti  il  servizio  locale  dei  soli  passeggeri. 

Nella  Svizzera  abbiamo  la  Thun-Burgdorl .  di 
vuta  all'ardita  iniziativa  della  ditta  Brown,  Boveri 
e  C.  di  Baden.  ma  anche  essa  è  assai  breve  ■ — 
_)0  chilometri  —  con  treni  a  velocità  limitatissima 
—  18  chilometri  all'ora  —  e  non  può  considerarsi 
come  una  vera  e  completa  ferrovia. 

La  prima  ferrovia  elettrica  del  mondo  veramente 
completa  è  dunque  la  Lecco-Colico-SondrioChia- 
venna,  la  cui  lunghezza  complessiva  è  di  150  chi- 
lometri, che  è  percorsa  giornalmente  da  treni  merci 
e  da  treni  passeggeri  alla  velocità  di  60  chilometri 
allora  ed  in  cui  la  vecchia  locomotiva  a  vapore 
non  rappresenta  più  che  una  macchina  di  ri- 
serva. 

La  linea  non  è  stata  scelta  a  caso.  Essa  riunisce 


887 

tutte  le  difficoltà  tecniche  possibili,  ioni  pendenze, 
curve  ristrette  e  numerose  gallerie.  Le  condizioni 
di  traffico  inoltri  -  m  e  pel  movimento  delle  merci 
e  per  quello  dei  viaggiatori,  le  più  indicate  per  a- 
dall'esperienza   i   migliori   insegnamenti. 

Su  questa  linea,  pel  passati  .  naturalmente,  eser- 
cita a  vapore,  nei  mesi  estivi  il  movimento  dei 
viaggiatori  provenienti  da  tutta  la  costa  di  levante, 
dal  centro  del  lago  di  Conio,  da  Sondrio  e  da 
Chiavenna  per  le  messaggerie  dell'Engadina,  del- 
l'Alta Valtellina  e  dello  Spiega  era  tale  da  rap- 
presentare negli  introiti  più  del  65  per  cento  degli 
introiti  totali.  Per  le  altre  ferrovie  secondarie  tale 
quota  è  del   35   per  cento  soltanto. 

K'  stato  quindi  necessario  provvedere  per  un  ser- 
vizio  adatto    a    trasportare    specialmente    touristi, 

viaggi; i  di  lusso  e  per  un  numeroso  servizio  di 

bagagli. 

Le  carrozze  elettriche  sono  state  «istrutte  per 
1  10  con  tutti  i  D  mi  li  possibili.  Sono  generalmente 
divise  in  due  scomparti,  di  cui  uno  pei  fumatori.  I 
sedili  sono  disposti  trasversalmente  nelle  carrozze 
di  seconda  classe,  quelle  di  prima  —  come  si  vede 
nelle  unite  incisioni  -  ■  sono  veri  salotti  elegantis- 
simi, a  tavolini,  sedie,  poltroncine  mobili.  Le  cor- 
tine di  seta  elegantissime  sono  sostenute  da  arti- 
stici anelli,  i  drappeggi,  le  tappezzerie  dei  mobili 
pure  in  seta  sono  a  fiorami  di  « stil  novo».  Le  lampa- 


Le  opere  di  presa  nei  pressi  del  ponte  di  Desco. 

A  destra  il  •  fugatore  delle  ghiaie*,  a  tiitistra  le  paratati  e  la  griglia  dell'edificio  ili  presa. 


— 


LA    LETTURA 


•  ■ 


UNO    DEI    GRUPPI   GENERATORI    DA    2000  CAVALLI. 

ìppartcthi  di  regota^i$ut    a  tittittra  l'alttt  iati   t  a  20, 


dipartimenti    |>ei    viaggiatori    è 
del  capotreno  consegnatario  dei  bagagli. 
'■  la  uffii  ìi   non  i   usata  a  •  asi >,  p  ichè  anche 
il  capo-treno  ha  il  sin>  tavolo  coi  suoi  registri  e  gli 
ji.  per  controllare  l'i  rarii  .  per  Far  segnali. 
per  ogni  opp  rtu-      _ 

no  provvedimento  che  vai- 
rare  la  reg 
rità  del  servizio 

Anch>-    uri    minimi   parti- 
colari   si   è   voluto  adunque 
i    rrovii    \ 
1  primo  ino  lelli  •  di 
ferri  moderne 

plete    Sarebbe  giusto 
e  log         h      i  sso  mo- 

rale •  •  finanziario  anche  ili 
questa  ardita  iniziai  -.  i    fi  - 
italiano. 


munte   sulla  Sp  In     |UestO    inulto    l'ac- 

qua   -  ri  [UÌlla    fi  .ini. uni. .    un    gì 

pn  fondi  i  quasi  sette  ri 
andie  in  temp    .li  massima 

sto  g  rgo  vi  une  ci  struita 
una  diga  che  o  rivoglia 
versi     l'i  presa  — 

dal  ponte  dì 
Desco  sulla  strada  naziona- 
le dell  Stelvio  ■  un  \.  . 
lume  d'acqua  «li  circa  25 
metri   cubi. 

I    unita    illusi  Lu- 
stra    l'insieme    dell'» 
ili  ];i  \ ■  1       ìtra   sono 

»■   di 
1  colle  sellici   para- 

toie  che   permettono   ili    a- 
prirle  e  l'i  chiuderle        pn 
cedute    dalla  gri- 

glia, la  quale  ini|>edisce 
I  immissione  ili  ghia . 
d'altro  che  possa  ingombra- 
re il  canale.  Tali  ghiaie. 
che  in  periodi  di  piena  so- 
no trasportate  in  rilevanti 
quantità  dalla  corrente  im- 
petuosa, finirebbero,  urman- 
1  li  si  contro  le  griglie,  ad 
ostacolare  il  passaggio  del- 
l'acqua. Perciò  si  è  provve- 
duto ad  un  opportuno  1  I  Ielle  ghiaie».  Tale 
manufatto  è  visibile  ]>er  la  sua  pane  emergente 
dall'acqua,  a  sinistra,  nella  nostra  vigni 

Sul    fondo   del    ùume.   in    corrispondenza   ed   in 
seguito  alle  tre  paratoie  che  si  vedono  attualmente 


Come  è  resa  utilizzabile 
l'energia  idraulica 

Dove  più  ridente  ■-  1! 

0  al  confine,  tra  i  co- 
di I  lazi    e  di  Cari 

\  1.1..  il  .  orso  dell'Adda  pre- 

1  un    brusi  1 1    cambia- 
to di   direzione,   di 

all'ui  correnti    o  li- 

tro    il     p 


L'interno  della  centrale  idro-klettrjca. 

1 


LE    FERROVIE    ELETTRICHE    VALTELLINES1  88<) 

a  llevate,   è  disposta  una  «platea»,   più  bassa  del  più  esattamente   l'alternatore   che   genera    corrente 

fondo  del  canale-,    ohe   comincia    appunto   in    curri-  alternata    trifase  al   potenziale   ili    ventimila    Vi 

spondenza  alle  luci  dell'edificio  di  presa.  Tale  di-  Tale  macchina  pesa   la  bellezza  ili   settanta  ton 

spositivo  permette  ed  agevola  il  rapido  corso  del-  urliate  e  la  parte  girevole,  che  deve  compier)     i  i 

l'acqua,  in  modo  che  le  ghiaie  possano  essere  facil-  malmente   centocinquanta   giri    al    minuto  ne    pesa 


mente   pettate  via    dall'impeto  della  corrente 

Le  tre  paratoie  del  «fugatore»  servono  a 
meglio  regolare  l'afflusso  dell'acqua  nel  canale 
e  —  chiuse  durante  i  periodi  di  magra  —  si 
tengono  più  o  meno  aperte  durante  le  piene. 

(  'i  si    una    media    di    venticinque   metri    cubi 
qua  ogni   minuto  secondo  viene  convogliata 
nel  canale. 

Questi  >,  per  una  lunghezza  complessiva  di 
circa  cinque  chilometri,  e  colla  lieve  penitenza 
dell'uno  per  nulle,  si  svolge,  tortuoso,  protetto 
da  altre  opere  accessorie,  sulla  sponda  destra 
dell'Adda,  comparendo  tratto  tratto  in  aperti 
trincea  e  nascondendosi  in  gallerie  scavate  nelle 
falde  del  monte  od  artificialmente  costrutte  per 
difenderlo  dalle  frane.  La  massa  d'acqua,  viri- 
aia  spumeggiante  nelle  rapide  rumorose,  sci  irre 
lenta  e  tranquilla  fino  allo  sbocco  dell'ul- 
tima galleria.  Esso  si  trova  sulla  falda  del 
monte  dirupata  e  s  oscesa  in  un  punto  alto 
circa  30  metri  sul  livello  dell'Adda.  E  qui  vie- 
ne utilizzato  il  salto  per  la  produzione  dell'e- 
nergia  elettrica. 

A  tal  fine  si  sono  dovute  compire  le  opere 
invero  grandiose  che  sono  chiaramente  visibili 
nella  unita    illustrazione. 

A    ridosso    del    monte    si    è   dovuta   costruire 

una    vasca    <li    carico   lunga   venticinque  metri. 

prof,  mia   cinque  e   larga   sette.   Dal   fondo   di 

questa  partono  due  enormi   tubi   poggianti   an- 

ssi  su  opere  in  muratura,  i  quali  conducono 

uà  alle  turbine. 

Questi  tubi  di   ferri  .  che  hanno  un  diametro 
interno  di  due  metri  e  mezzo,  sono  lunghi   ses- 
santotto metri  e  sono  costruiti  con  tale  artificio  da 
permettere  la   loro  libera  dilatazione. 

Paratoie,    griglie,  scaricatori,    sfioratori   ed   altre 

issi  rie  completano  quest'opera  per  la  qua- 
le è  resa  utilizzai  ile  l'energia  di  circa  ottomila  ca- 
valli. 

(Iella  eentrale  idro-elettrica. 

I  ilue  tubi  di  ferro,  di  cui  abbiamo  detto  più  so- 
pra, fanno  capo  al  sotterraneo  di  un  grande  editi- 
la centrale  idroelettrica  di  Morbegno.  Quivi 
i  tulli  si  biforcano  e  ciascuna  delle  quattro  dirama- 
zioni fa  capo  alle  enormi  turbine,  ad  asse  orizzon- 
tai-, e  del  diametro  iti  oltre  cinque  metri.  L'asse 
aie^te  turbine  è  direttamente  collegato  a  quello 
delle  dinamo  e  l'insieme  di  ogni  gruppo  ■ —  capace 
di  sviluppare  duemila  cavalli  —  è  davvero  impo- 
nente,  titanico. 

Xel  primo  piano  della  nostra  vignetta,  che  ri- 
prixluoe  appunto  uno  di  tali  gruppi,  è  visibile  la 
turbina,  cogli  organi  di  regolazione  automatica  e 
di  manovra. 

Più   in   fondo    si    vede   la   dinamo  accoppiata  0 


quarantaquattro.  Le  matasse  di  (ilo  isolato  —  vi- 


0 


cài.:  ..  e  buwpest 


• 


Uno  degli  apparecchi  di  trasformazione  della  cor- 
rente  DA   20   MILA   A  3    MILA  VOLTS. 

sibilissime  nella  nostra  illustrazione  alla  periferia 
interna  della  parte  <àssa  dell'alternatore  ■ —  rappre- 
sentano una  massa  di  ottomila  chilogrammi  di  rame. 

Tali  matasse  si  risolvono  in  tre  soli  fili  che  — 
guidati  per  vie  opportune  e  lontani  da  dannosi  e 
pericolosi  contatti  -  -  portano  al  quadro  duemila 
1  avalli    d'energia   elettrica. 

Il  quadro  stesso,  che  si  vede  rappresentati)  nella 
nostra  veduta  d'insieme  della  centrale  idroelettrica 
di  Moxbegnp,  riceve  pure  i  fili  provenienti  dagli 
altri  due  gruppi  ed  è  già  pre<li^«  •',  per  ricevere 
quelli  del  quarto  gruppo  generatore  non  ano  1,1 
un  «itati 

Raccolta  su  sistemi  di  sbarre  di  rame  scrupoli  sa 
mente  isolate,  regolata  prudentemente  da  complessi 
sistemi  di  interniteli,  di  commutatori,  di  valvole, 
meticolosamente  scrutata  da  apparecchi  di  misura. 
la  corrente  elettrica  si  propaga  finalmente  in  aperta 
campagna   sulla  linea. 

La  linea. 

La  corrente  alternata  a  ventimila  volts  perico- 
losissima  e   non   conven  1    ai      utilizzabile    nei 


LA    LETTURA 


ti  della  loci  motiva   "  delle   i  arrozze  auti 

ita  enorme  tens 
li  traspi 

ria   e   per  far  ciò 

i  ùoni  »  ili 

pi  i.  nziale  può  ■ 


sotto-stazioni  «li   trasformazioni  :    'lui-  all'Abbadia, 
una  a  Liema,  .1  l •  «  II. uh  .  .1  1  ten io,  a  Colii •        I 
510-Traona,     Vrdenno-Masino,    Castione    '•'!    un'ul- 
tima sulla  linea  'li  Chiavenna  a  -'o  chilometi    da 
1  .  lieo. 

1  la  questi  i.i  1 1  ■>  rente  esce  1  rasfop 

mata  e  va  ad  alimentare  la  linea  ili  servizio. 


V'edita  della  carrozza  automotrice  in  movimento  lungo  la  linea. 

campani  multiple.  I  ori  di  linùtra  portano  la  linea  primaria  a  jo,o. 

//  irollty  anteriore  delia        a        ndaria  a  sooo 


portata  su   (ili  di  rame  relativamente  sottili,   a 
|h  ggini  '  su   isolatori  ili  1»  1 
lana  accuratamenti    costrutti   e   provati.    \>!i   sono 
rilevanti  le  perdite  dovute  alla  resisten- 
tggio  della  cor- 
rdite  che    san  l  ibero   tanto    più   notei 
quanti  la  lunghezza  del  |x-r>orso. 

Mei  1  1 

ata  per  1  al  p  tenziale  ili  qua 

1  mi l.i  volts  ed  i  fili  ili  bronzo,  mercè  la  te 

ti  '^|*  titano,   re  «1   od 
frendo  eccessiva  n  ton      igionano  1  ■ 

11  un  diametro  ili  soli 
abbiano  una  lunghezza  ili  oltre 
150  km. 

■'imaria  »  a  tre  o induttori  ili 
si  dirama  in 


I  trasformatori. 

A  questo  punto  comincia  la  sostanziale  ilifferi 
tra  l'impiantn  per  l'esercizio  ferroviario  a  coir 
continua  ci  a  Lassi  potenziale  colla  «ter/.' 
taia  11  e   l'impianti'  pei    rurrente   alternata   .1 

tenziale  elevati.  ■      n>l  trolley. 

Nelli  ii mi  'li  Ila  ferrovia  Milani   \ 

Porto  (  'eresili  la  euriente  alternata  inette  in  azione  un 

rtuni    motore,  il  quale,  a   sua   vi 'Ita.  anima  una 
imo  generatrice  ili  corrente  n  ntinua.    I   due  fili 
che  partono  da  questa  dina  1  1  capo,  uno  al 

uio  e  l'altro  alla  «  conduttura  ili  servizio  •  co- 
stituita dalla   terza    rotaia.    In  contatto  colla  ' 
rotaia,   infatti  i   pattini    che  alimentano  i 

motori   delle  carrozze  automotrici.    In 
stazioni  dunque  vi  seno  delle  marchine  in  moti 


LE    FERROVIE    ELETTRICHE    YALTELLIXESI 


89I 

appoggiare  in  modo  sicuro  i  trolley  «Ielle  locomo- 
tive e  delle  vetture  automotrici  in  marcia  alla  velo- 
cità di  trenta  e  di  sessanta  chilometri  all'ora,  che 
questo  appoggio  deve  essere  sicuri,  ma  elastico, 
così  da  non  occasionare  eccessivi  scuotimenti  che 
possano  dar  luogo  al  rapide-  deterioramento  od  alla 
rottura  dei  tilt  —  si  comprenderà  e. une,  anche  per 


i   trasformatori    rotativi    —    che    richiedono    sorve- 
glianza   assidua,    attenta   ed   intelligente. 

Invece  la  trasformazione  della  corrente  alterna- 
ta ad  alto  potenziale  in  corrente,  pur  sempre  alter- 
nata,  ma  a   potenziale  inferiore,   può  essere  fatta 
mediante  apparecchi  relativamente  semplici  che  non 
richiedono  quasi  alcuna  sorveglianza,  in  cui  nessu- 
na  parte   è    in    movimen- 
to e  che  si   regolano  da 
se  stessi.  Tali  sono  i  tra- 
sformatori     statici      uno 
dei  quali  è  rappresentato 
nella  nostra  vignetta. 

In  essi  i  tre  fili  della 
condbttura  primaria  fan- 
no capo  a  tre  spirali  di 
conveniente  numero  di 
spire  ravvolte  su  tre  gros- 
si e  massicci  nuclei  di 
lamiere  di  ferro  dolce. 
Gli  altri  tre  capi  di  que- 
ste tre  spirali  sono  colle- 
gati fra  loro.  Al  disopra 
di  questi  strati,  che  co- 
stituiscono il  cosidetto 
«  avvolgimento  primario  » 
su  strati  successivi,  sono 
avvolti  a  spira  altri  tre 
fili,  di  cui  tre  capi  sono 
pure  '  collegati  fra  loro 
come  i  primi  e  gli  altri 
tre  costituiscono,  senz'al- 
tro, l'origine  della  con- 
dì mira  secondaria  a  cor- 
rente trasformata. 

Il  rapporto  tra  il  nu- 
mero delle  spire  dei  due  avvolgimenti,  primario  e     questi  impianti,  si  siano  dovute  superare  non  lievi 


Veduta  esterna  di   un  vagone-salon  di  prima  classe. 


•  1  indario,  indica  il  rapporto  di  trasformazione 
e  le  dimensioni  dell'apparecchio  sono  maggiori  o 
minori  a  seconda  della  sua  potenza. 

Cosa  si  potrebbe  immaginare  di  più  meraviglio- 
so e  più  semplice  ? 

La  relativa  frequenza  delle  sottostazioni  di  tras- 
formazione consente  ora  che  la  linea  di  servizio 
possa  essere  costituita  da  due  conduttori  di  rame 
della  sezione  di  cinquanta  millimetri  quadrati  tesi 
sopra  al  binario  che  serve  da  terzo  conduttore  pel 
sistema  trifase. 

Una  tale  grossezza  di  filo  è  necessaria  per  tra- 
sportare senza  eccessiva  perdita  —  come  si  è  detto 
più  sopra  —  la  energia  che  dalla  tensione  di  20 
mila  volts  è  trasformata  a  al  potenziale»  minore 
di  3000  volts  soltanto.  Scendendo  a  500  volts  si  do- 
vrebbe ricorrere  a  conduttori  delle  dimensioni  della 
terza  rotaia. 

La  linea  secondaria. 

Il  potenziale  della  linea  di  servizio  è  dunque  ri- 
dotto a  tremila  volts,  tensione  sempre  pericolosis- 
sima. Per  questo  anche  i  due  fili  sospesi  al  disopra 
della  linea  sono  accuratamente  isolati  ed  il  loro 
«montaggio»  ha  richiesto  le  più  diligenti  cure. 

Quando  si   pensi  poi  che  contro  di  essi   devono 


difficoltà  e  si  potrà  intuire  fin  dora  che  occorrerà 
una  sorveglianza  attiva  ed  intelligente  per  la  buona 
conservazione  della  linea. 

Come  si  manovrano  le  carrozze  automotrici 
e  la  locomotiva. 

Lo  abbiamo  detto,  contro  i  fili  della  linea  secon- 
daria appoggia  il  trolley,  od  organo  di  prosa  della 
corrente.  Esso  è  essenzialmente  costituito  da  due 
rulli  di  bronzo  separati  fra  loro  da  legno  di  bosso 
imbevuto  di  creosoto;  uno  dei  rulli  poggia  su  uno 
dei  fili  di  linea  e  l'altro  sull'altro  filo. 

Mediante  opportuni  organi  di  contatto  questi  due 
rulli  girevoli  su  sfere,  come  le  mote  della  bici- 
cletta, comunicano  con  due  cavi  i  quali  servono  a 
condurre  la  corrente  ai  motori  trifasi.  Il  terzo  filo 
di  questi  motori  è  in  buona  comunicazione  colle 
ruote  e  colle  rotaie  che  appunto  costituiscono  il 
terzo  conduttore,  perfettamente  innocuo,  perchè,  in 
eccellente  contatto  col  suolo,  si  trova  al  potenziale 
di  zero  volts. 

Sulla  vettura  sono  montati  due  trolley,  uno  nella 
nostra  illustrazione  si  vede  innalzato  per  la  mar- 
cia in  un  senso,  l'altro  —  abbassato  all'estremità 
opposta  —  per  la  marcia  in  direzione  contraria. 


LA   LETTURA 

abbassare   il    traile}  Le  quali  a   loro   volta    interromperebbero 

subito  dopo  il   trolley,   ed   i  ven- 

pei  evitare  tale  tuaimente   anche   al    principio   della    linea 

degli   appari  i  dai 
,    disposta  una  oppor-        Quest'ultimo  fatto  si  verificherebbe  anche  quan 

ie  pnei  do  dovesse  rompersi  il  filo  e  cadere  .il  suolo  o  sul 

i    i  ente  di  linea  aziona  tetto  della    vettura   in  contatto  con   qualche   | 

io  speciale  chi  nprin    <     l'aria  mi  fallica  di  essa. 

in    U|  ,,.    Tale  mpressa    serve    per         Anche  la  lo  elettrica,  che  serve  soltanto 

freni,  pei   la  manovra  a  distanza   degli  per  la  trazione  dei  treni  merci,       manovrata  nello 
lei  commi             i    Ile  n  sdsti  ""'lo  e  neppure  in  essa  e  possibile  al/. ir.-  il 

[io  della  corrente  le  re  trollej    pei   metterlo  in  contatto  rolla   linea,   pi 

i  ,i  treno.  che  ogni  sportello  che  protegge  gli  internali  ri  di 

i     ;  la  mano\  i  i  i  la  coro  nte  sia   stato  chiusi .    \  pei    lo 

i    riduce  .il  semplice  maneggio  ili   pochi  dispositivo  meccanico,  non  si   possono  ri 


sportelli  'li  custodia  degli  interruttori  senza  una 
chiave  che  non  può  essere  estratta  dal  posto  in  cui 
si  trova  prima  che  il  traile)  sia  abbassata 

Come   si   vede,   dunque,   ogni    pericolo,    non   sol- 
ma    anche  pel    personale,  i 
stato  ingegnosamente  evitato. 

Gli  apparecchi  di  staff. 


rubinetti,  tutti  a  portai  :  I  «  wattm 

i    i  ui  m  i   o 'inimica."'  ne  o >lle   i ui  te,   colle 
Ila  terra. 

municazione  è  più  che  sufficienti 

.  per  garantii  ncolumità  delle     tanto   pei    passeggeri 

ne  che  li  maneggiano,  anche  in  casi,  .li  even- 
tuali  contatti   «li   questi    rubinetti   o  ili  altre   parti 
che  dell  con    qualche   cavo    che 

la  corrente  ad  alto  potenziale. 
Questi  ciM  medesimi  disivi  lai  tetto  della         La   linea   ferroviaria  ]ier  tutto  il  sue  | Km-orso  è 

i.    opportuni  tubi  metallici  e  anche  que-     a  semplice  binario.  Perciò  dovendo  attivare  un  con- 
sti sono  in  buona  comunicazione  '"I    suolo.  siderevole  numero  di  treni,  per  la  sicurezza  di 

;a    avverrebbe  nel   raso  che  si    pi 'ducesse  un     sercizio    si   è  illustrata   necessaria   l'adozione   di   un 
tto  fra  il  cavo  ed  il  tubo  metalli  sistema   spulale,    sicurissimi;,   di    segnalazioni;    di 

La    Corrente,    anziché    passare    pei    motori,    tende-     un    sistema    che    ini]>edisca    nel     modo    più    eti- 
che due  treni 
sano     correre     in- 
contri)     l'uno     al- 
l'altn  imI  uno   ne 
raggiunga    un    al- 
tro     che      mai 
nella    stessa    dire- 
zione. 

11  mezzo  più 
semplice  per  otte- 
nere la  sicurezza 
completa  dei 
m  sopra  una  li- 
nea a  semplice  la- 
nario consistereli- 
l>e     n  derla 

in  tante  sezioni  — ■ 
quante  sono  le- 
sta/ioni. |kt  esem- 
pio e  di  . 
gnare  ciascuna 
ne  ad  un  a- 
gente    speciale  — 

il     pilota  i  he 

abbia  l'incarico  di 
scortare      tutti      i 

treni      chi 
vi  rsani  ■  la   sua 
/ione.     In    tal    mo- 
do \  limi- 
i    i  :        i    ittravei       naia    la    possibilità    di   avere    1 1 

passerebbe  subito  in  quan-     «I gli  sopra  un  medesimo  tratto  di  linea. 

■I  i  ■  ■   '-i-i-  e  imamente         S me  |ht.'.  una   disposizione  di  questi 


0COMOT1VA    ELETTRICA    PKR    TRENI    MERI   I. 


LE    FERROVIE    ELETTRICHE    VALTELLINESI 


a  i3 


condurrebbe  ad  un  notevole  aumento  del  personale, 
gli   inglesi   sostituirono  all'agente  pilota   il   basti  ne 
pilota  o  staff.    Nessun  treno  può   viaggiare   su   di 
una  sezione  qualunque  della  linea  senza  che  il  i 
duttore  («1  il   capo-treno  sia  muniti,   di   un   bai 
speciale  o  ["rispondente  ad  essa. 

Tutti  gli  staff  suno  disposti  in  apparecchi  spe- 
ciali nelle  singole  stazioni;  la  nostra  vignetta  rap- 
presenta  appunto  la  stazione  di  Ardenno  che  è 
fornita  di  due  di   questi   apparecchi. 

Essi  suini  formati  da 
una  colonnetta  cava  di  ghi- 
sa sormontata  da  una  sca- 
tola. Nelle  pareti  della  co- 
li -ma  sono  praticate  due  fe- 
verticali  larghe  ap- 
pena quanto  il  diametro 
dei  bastoni  che  vengono  col- 
lidati nella  parte  inferiore 
della  e. -].. una  stessa.  Le  fe- 

ie  si  prolungano  in  alto 
ad  arco  di  cerchio  e  termi- 
nano con  un  foro  circolare, 
.li  diametro  alquanto  mag- 
giore  di  certi  anelli  che  so- 
ni:  fissi  sul  bastone. 

\!1  arrivo  del  treno  il 
conduttore  discende  col  ba- 
stone, lo  introduce  nel  foro. 
In  guida  nelle  feritoie  e  lo 
lascia   cadere. 

Passa  quindi  all'  altro 
apparecchio  e  sollevando 
uno  dei  bastoni  che  esso 
contiene  attraverso  alle  fe- 
rii' :ie  ed  al  foro,  se  ne  im- 
padronisci per  proseguire 
il   cammino. 

(  !i  ai  questa  speciale  ma- 
ta \  ra  —  in  virtù  di  collegamenti  elettrici  e  mec- 
canici che  vengono  azionati  dal  movimento  dei  ba- 
stimi nelle  feritoie  dell'apparecchio  di  staff  all'atto 
in  cui  vengono  tolti  o  posati  —  si  rende  impossi- 
bile il  togliere  un  altro  bastone  dalla  stazione  di 
partenza  prima  che  quello  tolto  sia  stato  restituito 
al  prossimo  apparecchio  nella  stazione  successiva, 
ed  in  questa  non  risulta  possibile  togliere  un  ba- 
stone di  staff  per  potersi  inoltrare  nella  zona" a  i  u 
I  ita   dal  treno  in  marcia. 


\<  ii  mancarono  all'impresa  difficoltà   cYi   ;ni 

ta.    anzi    sul    principio   furono   tali    da   sembrare   a 
prima  vista    insuperabili.    La   linea   ferroviaria,   pro- 

à    dell     Stato,   è  affidata   in  esercizio   alla   Si 
i    della    Rete    Adriatica.    L'ardita  iniziativa    as- 
sunta da  questa  Società  di  trasformare  la  linea   a 
trazione  elettrica  è  stata   accolta  con  socMisfazii 
dal    Governo,    ma    questo    dichiarava    che    avrebbe 

ti     il    costo   dell'interi     impianto    soltanto    nel 


isi  che  l'esperimento  avesse  esito  favorevole.  La 
-  -ai  k  n/a  il.  il.-  !  'i  nvi  nz  i  mi  era  troppi  pros 
(30  giugni'  1905),  l'Adriatica  dunque  si  trovava 
ni  ll'alti  rnativa  o  di  di  wer  attendere  che  li  Conven 
zioni  venissero  rinnovate  o  di  rivi  Igersi  ad  un  al- 
mi  ente  —    COm<    lei    fiduciosi     nel    !  in  'Il   esiti,    della 

impresa  —  il  quale  accettasse  'li  ottenere  il  paga- 
menti :  delle  spese  1  orrent  Itanti  nel  1  aso  che 
l'esperimento  venisse  dichiarato  soddisfacente.  La 
cosa   non   fu  né  semplice,  né   facile.    Fu  allora  che. 


La  stazione  di     Ardenno-Bagni  Masino. 


specialmente  per  l'opera  attiva  ed  intelligente  dei- 
ring.  Franco  Magrini,  da  un  forte  gruppo  di  ca- 
pitalisti italiani  e  col  concorso  di  altri  capitalisti 
esteri  venne  costituita  la  Società  per  la  trazione 
elettrica  sulle  ferrovie. 

I  ssa  '■  presii  duta  dagli  ingi  gni  ri  Saldini  e  Zu- 
nini.  professori  al  Politecnico  di  Milano,  uomini 
di  raro  ingegno  e  di  caratteristica  energia  ed  è  di- 
retta dallo  stesso  ing.  Franco  Magrini. 

La  ferma  ed  intelligente  fu  lucia  e  lo  slancio  de- 
gli   amministratori   delle    due    Società    cosi    ali    iti 
hanno  assicurata  questa  prima  vittoria  cui  concorse 
la    mirabile    tecnica    degli    ingegneri    della    Cali/    di 

Budapest  e  della  Schuckert  che  hanno  fornito  tur- 
bine e  materiale  elettrice 

Cosi    renni    condotta  a   termine   quota    impn 
che  dà   legittima  conferma  alla  speranza  che  altre 
e  maggi  ri   1  nergie  siano  latenti  nel  nostro    Paes 
la  storia  de!  quale  da  mezzo  secolo  è  un  seguito  di 
vittorie,    le   prime   —  epiche   e   leggendarie,    qm  Ile 
ti      -    vittorie   industriali,   rie  In-   delle   più    rei 

e  miglii  'ri  a  ro  [uiste. 

G.    TURRINELLI. 


La  Buca  del  Corno -Le  Laghe 


i. 


Ira  i  labili  di  Com<>  e  ili  Iseo,  tra  la  Val- 

e    la    Val    (  'ann  nica    si    eleva 

un  gruppo  bellissimo  ili  Alpi,  le  Orobie, 

hanno  radunate  in   si    tutte  quanto  le  U'ilezze 

i:   prati  verdissimi  e  sparse 

!i      dai   e  bianchi    nevai;    profondi,    sel- 

_.  rigidi  valloni;   altissi tuonanti  cascate; 

ti    e  maestose.   Lo  Stopparli  ilice  (i)  che 
non   vi   ha 

\ipi   altra   ■ 
più 

varia,   più   dilettevo- 
in   essa   il  vago, 
il    ridente,    1  orriili  i, 
tblime  si    accor- 
dano insiemi-  a  man- 
nello   spirito 
nozioni  più  vive, 
-  ■  «de,      | 
in      i-sse 
l'ari 

il    botanico,    il 
mini 

i  iii- 
]«•   più   vasto  e   più 

'li      stilili. 

I  Val  t  '.gallina 
una  delle  valli  mi- 
nori    delle     Orobie, 


l'iealpi  he, 
ti  he.  —   Al  lettore. 
—  <»iugno  1877. 


I.A    BUIA    E    VASTA    ENTRATA. 


chi    1  >rre  parai  li  la   al    lagi    ili    Iseo,  congiung 
B    ..uno  con   la  Val  Camonica,  offre  testimoni: 
numerose  e  ili  rara  bellezza  di  quegli  anti 
dai,  che  allagarono  un   giorno,    quasi    per    ini 
la  regione  delle  Alpi.  Trescorre  ne  è  il  capolui 
pausi-  assai  noto  per  i  bagni  sulfurei,  ricco  di  fos- 
sili e   di  marmi   carnidni.    Ma    saliamo,    la    vi; 
breve,  sul  monte  Sega. 

Su  quel  fianco  che  il  monte  Sega  espone  al  tra- 
monto c'è  un'insenatura  ricoperta  di   | 

ta    da   un   bosco  an- 
nuso 'li  castani,   dal- 
la quale  discende  u 
na  valli  tta  :   al  ba 
vedi    una   gran    con- 
ca  coltivata    (la    line 
Iella  Val  Cavallina) 
divìsa     dal    torrente 
Cherio,  che  corre  via 
tra    i    pioppi,    vicino 
alla    strada    mai  s 
bianca   e  polveri 
di   fronte   s'intrecria- 
no   jK-nilii   ridenti  di 
sole    e    «li     luce,    e 
monti     variotinti     si 
rincorrono     nell'oriz- 
zonte   sereno;     ulti- 
mo  coperto  di    m 
sorge  il  Si -m  pio  in. 

La   buia    e    \ 
entrata    della    prima 
caverna   itali 
sa    famosa    nel    Bel 
Paese,  si  delinea  nel 


LA  BUCA  DEL  CORNO  —  LE  LAGHE  <|S.> 

fondo  silvestre  <li  quell'insenatura.   Si   dice  che  la     le  torcie  :  una  grotta  circolare  apparisce  ;   ili  conti 
lìuca  del  Corno  non  abbia  fine,  che  oltre  un  certo     all'ingresso   grandi    colonne    in   rilievo,    coperte    da 
limite  non  convenga  andare;    ohi  ha  tentato  queste     un  velo  d'acqua,  riflettono  la  luce  viva  delle 

i  dorme  d'Ercole  si  è   perduto,  e  lembi  delle  vesti      fiaccole.  E'  il  Campanile. 

stati  ritrovati  nel  lago  d'Iseo.  Ma 
aggiungi  a  ci"  i  resti  fossili  dell'uomo  pre- 
rico,  i  recessi  intraveduti  e  non  esplo- 
rati dallo  Stopparti;  comprenderai  come 
mi  fermassi  involontariamente,  quando 
passavo  da  quella  insenatura,  a  riguarda- 
re l'antro  nero,  come  glt  occhi  vedessen 
nella  penombra  della  soglia  aggirarsi  for- 
me antiche  di  animali  antidiluviani,  come 
l'orecchio  udisse,  in  quel  luogo  pieno  di 
grida  e  rumori  di  cascate  dai  re- 
cessi misteriosi  della  montagna. 

A  grado  a  grado  nella  entrata  grandis- 
sima della  Buca  il  giorno  vien  meni 
l'ingresso  dispare  con  l'insenatura  allo 
sguardo  di  chi  s'inoltra  (i):  piccole  gal- 
lerie, starei  per  dire  camini,  si  innalzano 
tra  le  ombre  nella  vòlta,  certe  vie  fuggono 
lateralmente,  ritratti  fedeli  della  grande 
caverna  che  visiteremo  ;  i'acqua,  l'amica, 
mormora  sulla  pietra  ondeggiata  del  suo- 
li'. Una  striscia  di  luce  si  disegna  ancora 
su  una  parete  cuna,  che  sembra  la  chiu- 


L.\  bocca  dall'  interno. 

sa  della  caverna:  là,  dove  più  forte  s'ode  il  gorgia 
glìo  dell  acque,  la  via  prosegue  e  gira  di  dietro  alla 
parete  curva,  tubo  enorme  nella  roccia  viva.  Ben 
presto  c'è  un  bivio.  A  destra  la  galleria  ha  fine 
nella  densità  delle  tenebre.   Avanziamo  e  agitiamo 


1 1 1  Nella  massa  di  granito,  che  regge  l'arco  di  quest'en- 
trata, sale  una  galleria,  ma  è  ostruita  da  terra,  dove  fu- 
rono trovati  utensili  e  ossa  dell'uomo  preistorico. 


Nell'antro. 

Per  vederne  la  cupola,  lanciai  in  alto 
molte  torcie,  le  quali  misero  lo  scompiglio 
tra  le  orde  dei  pipistrelli  ivi  annidali: 
fino  ad  una  certa  altezza  la  grotta  era  or- 
nata dal  deposito  calcareo  e  dalle  colon- 
ne ;  ma  più  su  appena  distinguevo  roccie 
nere  e  scabre,  che  le  fiamme  erano  sbat- 
tute da  un  vento  ignoto,  o  spente  in  ac- 
que celate  alla  nostra  vista.  Riflettevo  a 
ciò  appoggiato  ad  un  pilastro  sull'ingres- 
so del  Campanile. 

—  Guardi,  guardi  !  —  mi  gridò  un 
contadino. 

Levo  gli  occhi:  in  alto,  molto  in  alto, 
una  torcia  rischiarava,  rimasta  su  una 
sporgenza,  la  bocca  ili  una  via.  nella 
quale  sparivano,  volteggiando,  i  fantasmi 
della  caverna.  Se  avessi  potuto  arrivare 
lassù  !.... 

L'  altra  galleria  del  bivio  si  ag- 
gira nella  montagna  ingombra  di  pie- 
tre, ricca  di  ornati  calcarei;  quando 
mi  soffermai  e  mi  volsi  indietro  quasi  po- 
tessi  misurare  la  via  fatta,  gli  uomini  di  aiuto  con 
scale,  con  picconi,  con  corde  apparivano  e  spariva- 
no sopra  un  balzo,  dietro  una  rupe,  stringendo  nel 
pugno  le  torcie  fiammeggianti:  nei  bacini  della 
n  «-eia  riluceva  l'acqua,  sorgevano  grandi  ombre 
mobili,  si  rischiaravano  e  i  recessi  un  istante  illu- 
minati ricadevano  nelle  tenebre  ;  solo  in  queste, 
si  muoveva  il  lume  lontano  di  un  arretrato. 


I  A    LETTURA 

i  i    :.  ni- 

di due  massi 
\ì  un  v  ani     e  è   uriche  un 

i  lui    massi   \  i 

sa   .1  mezzo 
han  dato  il    n 

nel  fi  ndo 
,   un   pili  ne  al- 


La  spelonca. 

gge  e  divide  due  altissime  e  vaste  ar- 

lla  serata  XIX  del 

Sti  ppani  narra  ili  i  ss*  n   entrato,  mal- 

ntos     della  guida,   in  una  ili 

1         pi  iì      tro,     ■  

della  solitudine  e  ta  panni  bagnati. 

Prima  'li  inoltrarmi  in  queste  il'"-  vie  di 

i    volevo               di   raggiungere  qualcuno 
■  li  qi                 che  apparivano  lassù,  ir.i  le  i  mi  ire, 
altissimi   diri) 
1  ■  rti     li         n         nai  sta       io!  —   mi 

mino. 

Megl       ci  .ii ■'.    andremi i    là   —  e 

i  che  si   tn 

in  alto  tra  il  dirupo,  che  dimezza  la  sala,  e  uh'ar- 
d<  Ile  vii  ■  :  era  l'ui 

ui  disp  mevi  i  io,  pi  unto. 

due  lunghe  scale,   li    appi  g 
|ui  Ila   parete  e  mi  «itai   i  i 

Igli   ultimi   scalini,  vidi 
ri-  i;.  iponenti  'li  qui  Ila  cava  montagna 

n  un  ver  i  nei  aii    di  guani  >.  Qua 
_li".  Salir  sali- 

vi 

una 


lunghissima,  i  la    mi  ttei  a    cai  alli  i  ili 

qualche  rupe  e  servirmene  nella  discesa.  O 

i  o,l  i. mainili  il  guani  i,  ai 

sii  un    app  , 
al  piedi .  |"  i.  coni  il  alto 

un  mei  n  >,   preparai   un   seo  mdi    appi  gg'u      poi   un 

'unsi  all'orificio  ili  una 
:  ia  :    che  altez        i         rdan    ini  lietro    •  he  va 
ìi    sguan :'  '  Seduti  i  si  pra  un 

rial/'    nel  -  vidi,  alla   luce  Ioni 

■  li  una  torcia,  Cesco,  il  quale  pipava  tran- 
quillo,  fissando  l'acqua  che  scorri         G 
gridai    chi  noi    Rissi 

I  n  i  n    '  ni  rammi    nella  ilta 

un  paii    di  vi  Ite  in  na.   1 1  nana 

urna,   ma    la   sua  ripulita   (Ih 

che  m  n   mi  tu  p esibite  ili  salire  più  a 
lungo  in  essa  Veli  avan- 

precauzii  ne,    perchè   il   sin  lo 
risili  issi    in    modo    non  tn 

icurante.  1  >']><■  un  lungo  tratto  la  vòl- 
ta si  abbassò,  la  galleria  saliva... 

—  Non  andiamo  più  avanti!  Vedi  -   LI 
c'è  la  traccia  'li  un  serpenl 

L'occhii    di  1  era  più  acuti    e  più 

lei  mi'  :    innanzi  due  '  i  i  re 
c'era    una    ped  ita    I  n  schissima    e  pi 
da....    soltanto   io   l'avrei    detta   'li   viti 
Avanti!  Avanti  1  Ma  i  contadini   si    i 
vano  <•  neppure  volevano  che  mi  inolti 
io,    ma    mi    ripetevano    tutte   le   leggi 
spaventose  sulla   Buca  del  Corno,  n 
smarrimenti,    cat astri  ifi 
arditi. 

—  No,  a  ni  —    rip. 
In     quel      punto     c'era      tanto    b 

che,    lungo    distesi   .    stentavo    ad    avan- 
zare .    ma     i  '     1  eci      si  m  ra    ili 
eavità    grandi.    Avanti!    La    galleria     ingrand 

mpare    un  i    laggiù    nella 

pietra  bianca....  la  bestia.   Accendo  ui  lo  lu- 

mi, estraggi    un  coltello,  avanza  e  distinguo  l'en- 
trata piccola  ili  un  tunnel,  a  destra  "    n'è  un 
condì»,  a    sinistra    un    terzo:    sì    aprono   nell'ombra 
vastissima,  senza  limite.   Ma  è  imp  ssibili 
A  tratti  ili  tempo  uguali  sentivi  vin  tue  cui 
/..ti    e   lenti   .    il  getti    ili  qualche  sitine  nasi 
un   orologio   'li   quel    regni     antico   delle   ; 
del  silenzio.   Ritornando,  scorgemmo  l'entrata  1 
ili   un  sotterraneo,  dove  riposava  acqua   limpid 
silenzi*  sa  a  tto  un 

causa  la  bassezza,  avi  vuto  nuotare  nell'acqua: 

ndecisi  i.  e  pi  ri   ri  lisi  esi  nella  Sala. 
I  ii  111    due  grandi  \  il    di  Ila  Sala  scelsi  p  -r  pi 
quella  'li  sinistra,  chi    n  n  si  apre  pn  prio  al  h 
ju. delie  mi-trn  sopra  una  balza:   questa  I 
ra,   '  -  perta    di  guani  i   un  laddove  l 

la  pi<  ;  >a  :   su  quella  mel- 

ma scivolai  più  volte  prima  ili  aver  trovato  il  p 
Sa!  dirupi   iiup<  menti  di 

|iiintp  di  un  ti  ll'A- 

m  rm     e,    di  ve    inn  n    tenebre,    scoprii    ; 

•  i   inarrivabili  nell'i 


LA  BUCA  DEL  CORNO  —  LE  LAGHI 


897 


Si  era  intanto  inoltrato  di  qualche  passo  un  con- 
tadino, rischiarando  la  via;  non  era  già  una  galle- 
ria, ma  una  valletta,  una  piccola  valle  chiusa  nel 
monte.  Questa  valletta  ha  termine  in  un  meandro 
alpestre  e  basso,  oltre  il  quale  le  rupi  della  n 
tagna  formano  una  gola,  dove  il  suolo  manca  e 
profonda  un  abisso  tenebroso.  Esitai  intimorito, 
poi   decisi  di  avanzare  sull'abisso. 

—  Ma  cosa   fa?   Ni  n  sa  che.... 

—  0  non  dubitate,  starò  attento. 

Su  sporgenze  delle  rupi  avanzai  benissimo  per 
un  bel  tratto,  ina  dopo  i  lati  della  gola  scendevano 
a  picco,  e  al  piede  mancò  ogni  appoggio.  Che  fare? 
Tornare  indietro  ?  Non  troppo  lontano  si  vedeva 
un  nero  pendìo  e  con  le  ginocchia  e  con  le  brac- 
cia, sforzando  tra  parete  e  parete  della  gola,  avan- 
zai ancora  e  finalmente  mi  slanciai  su  quel  pen- 
dio, coperto  di  moltissimo  guano.  Un  caos  di  ca- 
mini, di  rupi,  di  botri  mi  circondava  nella  luce  in- 
certa e  piena  di  fumo;  gettai  allora  una  torcia  e 
uno  sguardo  nell'abisso  varcato;  vidi  larghe  ca- 
verne, nuove  gole,  in  esse  incastrati  macigni,  vidi 
in  fondo  in  fondo,  il  luccichio  di  acqua  corrente. 
L'occhio  cercò  una  via  migliore  r>er  il  ritorno,  ma 
non  ce  n'era  alcuna.  Nel  meandro,  inoltrandomi 
alquanto  in  una  fenditura  verticale,  trovai  un  al- 
tro abisso  di  cui  non  si  scorge  il  termine  ;  una 
torcia,  volando  nelle  fonde  tenebre,  illuminò  d'un 
lampo  un  grandissimo  antro  dalla  roccia  chiara,  e 
una  gola  che  racchiudeva  tenebre  invitte. 

Eravamo    da    poco   entrati    nell'altra   via    della 
Sala    (quella   cominciata    dallo    Stoppani),    quando 
vidi  galleggiare  codesta  torcia  sull'acqua  racchiusa 
nel  letto  della  pietra.    La   raccolsi  e  proseguimmo. 
Questa   via   non   è    larga,   a  tratti    regolare   galleria 
scavata  nei  vivi  massi,  che  diresti  opera  di  un  mago 
architetto,  a  tratti  Ietto  terso  delle  acque  so- 
litarie,  dove  gli   scogli   offrono  ponti   va- 
riati, a  tratti  si  eleva  ricca  di  volute,  ricca 
di  ammassi  calcarei  di  tutte  le  fogge,  ric- 
chissima di  camini,  opera  che.  per  quanto 
ammirassi,  mi   è  riuscita  sempre  nuova  e 
più   bella,   a  tratti    selvaggia  e  altissima, 
tanto  che.   agitando  e  agitando  le  torcie. 
sempre  vedemmo  tenebre  mute  e  vuote.  Al 
suo  termine  un   antro    altissimo    scavati  1 
nella   roccia   viva,   con  grosse  colonne   in 
rilievo  come  nel    Campanile,   e   una   gran 
balza  che  non  ho  potuto  superare.  Cercai 
consolarmi     salendo   in   un   tulxj    scavato 
nella    roccia    con    nettezza    meravigliosa   e 
avente  un  paio  di  metri  di  diametro  ;   ma 
sassi  e  terra,  ostruendo,  mi  vietarono  il  pas- 
so e  dovetti  ritornare.  A  suo  tempo  ritro- 
veremo quest'antro. 

A  metà  circa  del  cammino,  che  aveva- 
mo percorso,  venendo  dada  Sala,  mi  ac- 
corsi d'una  apertura,  che  mi  era  sfuggita 
all'andata  ned'antro,  sopra  un  rialzo  cal- 
carea Entrai  in  essa. 

—  Che  fa,  vuole  andare  anche  lì  ? 

—  Naturalmente. 
Ero   in    un   burrone    dal    fondo   erto   e 

La  Lettura. 


sassoso  'Ito  divideva  le  alte  rocce  .Iella  montagna: 
risalendo,  giungemmo  ad  un  piccolo  ripiano,  le, e 
era    a  livello  de]  suolo  un   foro;  mi  stesi  in  terra 

per  entrarvi,   e  quelli  di   nuovo: 

Ma     Cove    \    1    -     Ni    11     Vede    i  he    qili   ttlttl)    lìllisCe  ? 

-    Invece   vedo   il    contrario. 

Pi  r  iiuel  toro  passai  in  una  via  angusta,  che  sa- 
liva a  spirale.  Un  contadino  mi  volle  seguire,  ma 
rimase  preso  nel  foro,  e  non  avrebbe  più  potuto 
nò  entrare  né  uscire,  se  non  lo  avessimo  estratto  di 
forza. 

In  queUa  gallerietta  mi  occorreva  camminari-  di 
fianco,  tanta  era  la  strettura,  e  guardarmi  il  capo 
dalle  sporgenze  del  sasso:  dopo  non  molto  mi  tro- 
vai nel  fondo  di  un  pozzetto,  dal  quale  riuscii  in 
un'altissima  via,  e  grandi  dirupi  si  ergevano  al- 
l'intorno: da  due  parti  la  via  era  aperta;  dall'una 
saliva,  dall'altra  mi  parve  terminasse  nel  vuoto; 
andato  a  questa  parte  vidi  sotto  di  me,  giù  giù  in 
basso,  i  miei  uomini,  che,  alzate  le  fronti,  mi  guar- 
davano stupefatti. 

—  Venite,  la  caverna  continua,  vieni  tu,  Rissu- 
lot,  per  di  qua,  lega  due  scale,  gettami  una  fune. 
ti  tirerò  su. 

Intanto  io  mi  guardai  attorno:  vedevo  per  un 
tratto  l'alto  burrone  che  dispariva  nelle  tenebre, 
dalla  parte  opposta  la  via  continuava  dentro  den- 
tro; nel  suolo,  nelle  rocce  imponenti,  trafori,  bu- 
che, tubi  ;  in  alto  rupi,  dirupi  e  balze  si  sormonta- 
vano nelle  tenebre.  E  ora  il  lettore  ricordi  quel 
pendìo  che  trovai  dopo  il  varco  della  gola  (la  quale 
aveva  nel  fondo  una  corrente  d'acqua)  ;  quel  pen- 
dìo si  trova  altissimo  sopra  la  nostra  via,  se  ne 
sono  accorti  alcuni  contadini,  estraendo,  per  mio 
consiglio,  il  guano,  ottimo  concime. 

Le  scale,   ogni   cosa  pronta,   tutti   vollero  salire, 


N'ELLA    GOLA. 


LA    LETI 


grai  re,  poiché,  con  tanti  lumi, 

ii  tratti   la 


Ina  valletta  chiusa  nelle  viscere  della  montagna 


I  pipistrelli  scendevano  a  orde  a  orde  come  tra- 
volti da  Inderà,  e  travolgevano  noi  stessi,  e  il   no- 

volto  subiva  il  bacio  di  quelle  ali 

le..  Mi  uno  sfoggio  magnifico  di 
stalattiti  secolari,  ma  gradinai,  di 
deposito  calcareo,  sulle  quali  si  po- 
teva salire,  salire;   ciò  che  non  h<>  fat- 

bimè,  che  per  brevi  tratti:  a  quan- 
te cose  pensiamo  troppo  tardi  : 

Ed  eccoci  ai  piedi  di  una  rampa,  in 
un  tetro  sotterraneo,   dove   il  guano  si 
a  in  grande  quantità:   da  una  bu- 
ca nera  bassa,   sopra   la  rampa. 
scaturivano   le  orde   alate   con    rumore 

uso  e  lontano;  in  una  rupe  c'era 
l'orificio  di  una  gallerietta   abbastanza 

ire.  Era  l'i  na  che  mi  n sstas- 

se  aperta;    la  raggiunsi:    la  gallerietta 
girava  i  on  curva  dolce,  i*>i   1 
allargavano  in  il  sin. In  decli- 

nava verso   il  centra:    li   si   apriva   un 
buco. 

Un  buco  nel  pavimento?  Un 


I  r<  irato  un  a]  accesi  la  candela  che  si  era 

spenta  (non  avevo  preso  una  t. .ni.i  ]»-r  non  rima- 
dal   i  timo)  e  guard  li   di  «re  fi  ssi  — 
i  r  ■    in     una    specie    di     pi  . 
vaio    nella     roccia .    il    quale    disi 

la      gallerietta  .      e      di- 
si   am  h'ii '  ;    ma   per  poco:    tutti 
riduceva    a    un    tubo   verticale.    Al  li 
cavai    dal    portafoglio  un  biglietto   da 
visita,    lo    la  in   quel    tubo, 

l>oi   risalii  e  abbandonammo  quella  ca- 
rta, che  tanto  mi  aveva  attratto. 

LE  LAGHE. 

Lago  nel  diali  amasco  è  il  ni 

me  di  qualunque   pozzo  o  caverna,  che 
scenda  verticalmente  nella  terra. 

I  ino  a  pochissimi  tempo  fa  non  sa- 
pevo che  di  una  laga  (esistente  sulla 
Sega)  —  dirò  anzi  che  avevo  sempre 
creduto  laga  nome  proprio  di  quella 
pozza  scavata  nella  roccia  viva,  con  un 
diametri  alleilo  di  sette  o  otto  metri, 
profonda  il  doppio.  Ma  girando  sui 
monti  della  Val  Cavallina  in  cerca  di 
nuove  caverne,  specialmente  su  quelli 
offerenti  al  mio  occhio,  ormai  esperti  , 
indizi  di  cavità,  che  io  mi  deducevo 
dalle  pietre  traforate  e  scannellate,  che  uscendo 
quali  scogli  di  sotterra  fiancheggiano  i  sentieri  e  se- 


mi  chii  si.    <  ìuardai 


dentro  ma  vidi   ben   poco;    guardai   ol- 
p    i      della  gallerietta  finiva,  la 
[inalzava  perdendosi  nelle  ti  n 
—  tre  lunghe  stalattiti   scendevano 
gli  orli  circolari  del  bino. 
Chiamai  due  uomini  dicendo  che  "portassero  una 
■ut  ro  un  ■  ramo 

1  altro  ad  un  ■  mdare  nel 

i  cerca  di   app  i 
spai  occh     pei    vedere     |ual 


Il  fondo  della  laga  e  l'uscita  in  esso  dell'antro. 


minano  i  pian,  ho  scavato  sui  pendii  meno  battuti, 
presso  alle  cime  dei   m  cchie  di  queste 

ght,  come  me  le  non         i   il  pastori  o  il 

io   dei    luoghi. 
talora   ti  nta    metri   di  corda   m 


LA  BUCA  DEL  CORNO  —  LE  LAGHE 


8(19 


per  scendere  al  fondo  (quando  pur  c'era),  ma 
quantunque  il  desiderio  che  avevo  di  entrare  per 
esse  in  qualche  via  sotterranea  estesa  e  meravi- 
gliosa (i)  ncn  sia  -tato  soddisfatto,  pure  non  sono 
pentito  di  aver  girato  tanto  per  trovare  quelle  lagke 
chiuse  quasi  tutte  a  me  /attristii,  ma  che  non  devono 
rimaner  tali  al  geologo. 

Scientificamente  che  cosa  sono?  Forse  le  mar- 
mitte  dei  giganti,  di  cui  lo  Stoppani  Ha  cercato  in- 
v  ino  la  denominazione  italiana,  che  dovrebbero 
trovarsi  a  centinaia  anche  da  noi,  mentre  se  ne  co- 
noscono,   com'egli    dice,    pochissime? 

Dirò  di  queste  laghe  singolarmente. 

Sopra  il  paese  di  Redona,  sul  sommo  del  monte, 
si  apre  un  pozzo  cilindrico  regolare,  molto  largo, 
più  di  una  dozzina  di  metri.  Con  una  fune  di  trenta 
metri  sono  sceso  là  dentro  e  giunto  su  un  pendìo 
di  mobili  ciottoli,  in  fondo  al  quale  stava  un  maci- 
gno enorme  ;  là,  ritirando  le  pietre,  discesi  ancora 
per  una  diecina  di  metri,  fino  a  che  venne  la  sera 
e  stanco  ritornai. 

Sul  monte  di  Grone  ce  ne  sono  due,  una,  a 
pochi  passi  dalla  ca_scina  del  Belòmm,  ha  l'orificio 
in  un  dirupo  quasi  a  picco  e  però,  di  poi,  la  vidi 
anche  a  grande  distanza,  scende  con  ripidità  verti- 
ginosa e  ampiezza  imponente  ;  una  corrente  d'aria 
fredda  investe  venendo  dal  basso;  causa  l'insuffi- 
cienza di  tutte  le  mie  corde  e  di  tutte  le  mie  scale, 
non  ho  potuto  raggiungere  il  fondo  che  ho  appena 
intravvisto.  Una,  a  pochi  passi  dalla  cascina  dei 
Droi.  si  apre  in  un  declivio  cosparso  di  bellissime 
pietre  scannellate  e  levigate;  è  di  sezione  ovale, 
le  pareti  scendono  verticali  per  una  quindicina  di 
metri,  ma  dopo  un  colossale  ammasso  calcareo 
sbarra  la  via. 

I  pastori  del  monte  di  Grone  mi  hanno  narrato 
che  nei  vicini  prati  Sedine,  a  San  Roc,  una  laga 
comunica  con  una  grande  caverna,  ma  mi  è  manca- 
to il  tempo  di  andarla  a  vedere. 

Dopo  due  giorni  di  ricerche,  ho  trovato  una  laga 
interessantissima,  a  metà  del  monte  Faet  (m.  1378)  ; 
essa  scende  nel  masso  vivo,  prima  verticalmente, 
poi  con  forte  pendenza  ;  dove  termina  la  discesa 
verticale  sta  in  bilico  un  macigno  ;  lanciai  giù  delle 
torcie  e  potei  intravvedere  quel  tubo,  che  misura 
cinque  o  sei  metri  di  diametro,  gettai  anche  alcuni 
sassi  :  rotolavano,  rimbalzavano  e  rotolavano  an- 
cora, finché  il  rombo  si  spegneva  lontano  e  più 
non  l'udivo.   Quale  profondità,  quanto  mistero  ! 

Ma  purtroppo  queste  vie  vanno  disparendo  dal 
mondo,  si  chiudono  per  sempre  a  noi  nelle  viscere 


non  di  templi  romani,  ma  di  antri  sfondati,  di  co- 
lonne e  stalattiti  spezzate,  di  archi  che  i  tempi  ave- 
vano adomi,  vie  otturate,  sepolte  dalle  acque  e 
dalle  frane,  dove  ai  colpi  del  piede  trema  il  suolo 
e  il  vuoto  rimbomba.  Fra  tanta  rovina  una  laga 
è  ancora  intatta  nei  pressi  del  bosco  annoso  di  ca- 
stani, quell'unica  di  cui  sapevo,  come  ho  detto  al 
principio.  Mi  avevano  detto  che  fumo  di  torcia 
usciva  da  esse,  quando  mi  recavo  alla  Buca  del 
Corno,  e  perciò  avevo  creduto  che,  girando  nella 
caverna,  avrei  finito  per  riuscire  in  quella  laga. 
Ciò  non  essendo  stato,  un  giorno  discesi  in  questa. 
Al  fondo  era  meno  larga,  e  uno  specchio  d'acqua  ri- 
fletteva il  cielo  chiaro  e  i  rami  dei  noccioli  spor- 
genti dall'orlo:  oltre  esso  era  l'ingresso  di  un  gran- 
de antro. 

Nel  varcare  l'acqua.  Rissulot  ca'dde,  si  bagnò 
tutto,  e  spense  quell'unica  voce  laggiù  di  quanto 
palpita  sulla  terra.  Inoltratomi  alquanto  credetti, 
come  già  mi  era  capitato  tante  volte,  che  ogni  via 
fosse  chiusa,  che  tutto  si  riducesse  ad  una  grotta, 
a  una  grande  grotta  adorna  di  stalattiti  bellissime  ; 
ma  in  fondo  dove  queste  più  si  ammassano  sco- 
primmo una  via  nascosta.  Dopo  un  tratto  Rissu- 
lot, che  mi  precedeva  in  essa  carponi,  si  arrestò. 

—  Che  c'è? 

—  Non  si  può  più  andare  avanti. 

—  Come?  Perchè? 

Senza  udirlo,  strisciai  con  precauzione  da- 
vanti a  lui  che  mi  predicava  non  so  che,  e  mi  aveva 
afferrato  per  un  braccio.  Che  rabbia!  La  galleria 
era  interrotta  dal  vuoto.  Gettai  una  torcia;  ma. 
non  essendo  stata  bene  accesa,  si  spense,  ed  ebbi 
appena  agio  di  vedere  che  di  contro  a  me  c'era  un 
dirupo,  dove  la  nostra  via  continuava.  Ne  accesi 
un'altra,  e  la  lanciai  legata  ad  un  filo  di  ferro;  a 
destra,  a  sinistra  scendevano  a  picco  alti  massi, 
un  laghetto  immoto  e  scuro  si  appoggiava  ad  essi 
giù  in  basso,  molto  in  basso,  dinanzi  tenebre  scon- 
finate e  mute. 

—  E'  la  Buca  del  Corno,  —  disse  un  contadino. 

—  Può  darsi,  ma  questo  sito  io  non  lo  ricordo, 
non  l'ho  vista 

—  Oh  !  è  la  Buca  del  Corno  —  ripeteva  quello 
soddisfatto  ;  ma  non  lo  ero  io,  e  però  rivoltomi  al 
Rissulot,    dissi  : 

—  Io  torno  alla  Buca,  tu  aspetta  qui  con  delle 
torcie  accese,  e.  quando  giudicherai  che  io  sia  den- 
tro a  metà,  grida  forte. 

_  Così  fu  fatto;  ero  giunto  al  termine  della  galle- 
ria  cominciata   dallo    Stoppani,    quando    udii    voci 


della  terra,  e  le  leggende  (che  nascono  dal   vero1)     che  parevano  venire  da  tutte  le  parti  da  quei  cieli 
ci  fanno  rimpiangere  inutilmente  queste  morte  ta- 
glie :    su  quel   fianco  che  il  monte  Sega  espone  al 
levar  del  sole,  alcune  laghe  sono  ridotte  a  burroni 
pieni  d'erbe  e  di  spine,  e  si  vedono  misere  rovine 


(1)  Giacché  credo  che   quelle  laghe  siano  la  prima   pie- 
tra di  ogni  caverna. 


di  tenebre:  corsi,  e,  al  tempo  stesso  che  entravo 
nell'antro  simile  al  Campanile,  scorgevo  lontano, 
sopra  le  altissime  colonne  in  rilievo,  la  nebbia  di 
una  torcia.  Là  attendeva  Rissulot.  che  mi  parve  il 
Genio  della  caverna.  Un  evviva  d  eruppe  dal  cuore 
e  corse  quei  recessi   meravigliosi. 

Quella  era  la  fine,  anzi  l'origine  della  caverna. 


Giorgio  Quartara. 


Ì1PP 


COME  SI  ESTRAE  111  MARMO  DI  CARRARA 


e    come    s.i   converte     in     statue 


"w* ;  ■<■  •  v«<  §  "■  v 


ìr  estrarre  i   marmi  da  una  miniera  oc- 
corrono parecchi  operai  'ietti  cavatori,  i 
poi,  secondo  il  lavoro  cui  sono  de- 
a i-i     ih  un.  o «me  vedremo  a  suo 
tempo 

(Ili    operai    cavatori    distinguono   negli    strati  di 
marmo  componenti  una  cava  tre  fili  o  peli,   i 

cioè:  pel  ><>  la  linea  del  mar- 

mpre  in   direzioni-   de]  mezzodì,    pelo 

del  contro  quella  che  trovasi  tra  il  monte  e  il  masso 

di   faccia  tei  secondo  la  linea  inferiore  pa- 

rallela   al   piano  della  cava. 


Vi  sono  cave   molto   compatte,   quando   ci< 
strati   o  corsi   di    marmo  sono   molto    lunghi   e   di 
grosso  spessore,  ed  altre  a  strati  più  sottili  ed  in- 
terrotti in  vari  punti  da  fenditure. 


Per  estrarre  il  marmo  da  una  cava  a  strati  conti- 
nui e  di  grosso  spessore  ilue  e  più  cavatori  incido- 
no il  masso  da  sinistra,  in  direzione  verticale,  nel 
punto  indicato  dal  capo-cava;  e  con  subbia,  che 
varia  in  lunghezza  dai  20  ai  50 
la    profondità  a   cui    devono    arrivare,    e    mazzuolo 


COME    SI    ESTRAE    IL    MARMO    l'I    <  ARRARA 


fanno  dei  canaletti  giù  giù  fin  che  non  trovano  il 
pelo  del  secondo  e  verso  il  mente  fin  che  non  tro- 
vano  quello  del  contro.  Levano  poi,  in  larghezza, 
tanta  materia  quanto  largo  dev'essere  lo  spazio  in 
cui  possa  entrare  comodamente  un  uomo. 

Tale  apertura  dicesi  tagliata  e  il  piano  verticale, 
che  per  ciò  vien  fatto  al  masso  da  levarsi,  chia- 
masi testata  del  verso. 


901 

in  avanti,  ciò  basta  perchè  il  bloo  1  si  stacchi  anche 
dal  pelo  del  contro,  e  in  quella  fenditura,  prima 
turata  in  basso  e  lateralmente  con  terra  e  pietruzze, 
versano  della  polvere  pirica  (non  tanto  perchè  in- 
crinerebbe il  marmo),  alla  quale  comunicano  il  fuo- 
co per  mezzo  della  miccia  che  vi  hanno  introdotta 
prima  di  turarla  anche  in  alto. 

L'esplosione  da  ciò  prodotta  spinge  in  avanti   il 


<5 


Fatto  ciò.  passano  a  tagliare  il  blocco  dalla  parte 
opposta,  nel  punto  in  cui  presenta  dei  difetti,  o, 
non  avendone,  alla  sua  estremità  visibile.  Questo  ta- 
glio lo  fanno  per  mezzo  di  formelle  praticate  nel 


masso,  e  allora,  tra  esso  e  il  monte,  adattano  il 
martinetto  di  ferro  la  cui  vite,  girata  da  diversi 
cavatori  che  tirano  la  corda  allacciata  all'estremità 
della  stanga  pure  di  ferro  in  essa  incastrata,  ha  la 


masso  stesso,  in  direzione  del  pelo  del  verso  e  in 
ciascuna  di  esse  introducono  un  conio  fiancheggiato 
da  due  lastre  mobili  di  ferro,  indi,  con  un  grosso 
martello,  il  cavatore  percuote  ciascun  conio  fino 
che  il  marmo  non  si  apre. 


forza    di     staccare     totalmente      il      blocco     dalla 
miniera. 

Se  poi  la  cava  è  a  strati  non  tanto  grossi  e  inter- 
rotti in  vari  punti,  la  scavazione  si  fa  con  altro 
metodo:   o  scassinando  con  la  leva  (che  chiamano 


Allora,  se  il  pelo  del  secondo  è  un  po'  inclinato     falò)  fra  le  commessure,  o  mettendo  tra  esse  della 


LA    LETTURA 


nell'altri  questa  la 

itti  n  mdo 
buona  parte  'li  strati. 
I  più  delle  volte,  vien  fatta  nei  a 

un  sacrificai  quei  buoni  fa- 
ss  .  perchè  si  sp  bbero  troppo  mi- 

I  i  idrico  che 

rido  la  quantità  'li  mini 
ils    atterrare,   fatto  da  due  o  più  minatori 
feri     avi  nte  la  forma  cV  Ilo  scalpello  e  una 
50  centimetri  ai   15  metri. 
(erre,  che  1  minatori  chiamar)  fìstoletto 
raggiunge  una  lunghezza 
due  metri,   vien  tenuto,   quando 
del    primo,    p  olarmente   al    punto  da 

:  ila  un  minatore;  <-<l  un  altro  con  un  gros- 
a  1  uba,  \  i  I  latte  sopra  fino 
a    che    il     foro    abbia    raggiunta    la     profondità 
volut 

vuoisi  fare  una  mina  piccola,  quello 
l  asta    ili"  scopo:  s'introduce  in  esso  della  ]*>l\'  re, 


lindrico,  ma  più  sottile  del  primo,  detto  mesti 
perchè  una   delle  sur   estremità    ha    quella    fot 
estraggono  dal    foro   la   poltiglia  che  coli  acqua  e 
la  polvere  'li  manne >  vi  si  è  formata,  e  poi  l'asciu- 

0  bene  con  un  altro  ferro  che  chiamano  tona 
al  quale  hanno  attorcigliate!  stoppa  o  cenci.  A  <|ue- 


Mina 


C 


Mazza  -  Cuba 


Leva 


Pistole tto 


<z 


a  questa  si  congiunge  la  miccia  e  poi,  con  terra, 
sassi  od  altro  si  tura  ermeticamente  lasciando  fuo- 
ri l'uno  dei  capi  della  miccia,  con  una  lunghezza 
sufficiente  a  dar  tempo  a  mettersi  in  salvo  al  mina- 
è  rimasto  a  darle  fuoco.  (Prima  di 
dar   fuoco  alla   mina  avvisano  'lamio  (iato  ad   una 


sti    punto,  se  basta  la  capacità  del   foro  fatti 
l'esplosione  che  vogliono,   con   un  imbuto  di    ! 
avente  un  tubo  lungo  quasi  come  la   mina  stessa 
e  che  introducono  nel  foro,  versano  in  esso  la  pol- 
vere  necessaria,  e  se  la  mina  avesse  una  posi/ 
zontale.  ve  la  metterebbero  facendo  oscillare  limi 


Mestolmc 


Tondino 


/m  buto 


^m 


-1 


lunga  tromba  di  latta  0  semplice!  1  voce  ac- 

ne 1  lavoranti  delle  cave  circonvicine  0  i  pas- 
n  luoghi  sicuri). 
Per  le  mù  rono  due  o  più 

uomini,    i    quali    impugnano   il   ferro  detto   mina,   e 
1  un  tempo  lo  battono  continuamente  nel  punto 
in  cui  in-  perforare;  e  per  impedire  che 

con  ne    il    terni    si    riscaldi    troppo  e 

perda    La  ito  la 

parte  che  deve  ina  mio),  vers  icqua 

Milo. 

1    un   altro    ferro  ci- 


Se  poi  '1'  uni  capacità   maggiore,  la  ot- 

tengono facendo  gocciolare  nella  mina,  sempn 
mezzo  dell'imbuto,  dell'arido  nitrico  (che  i  cavatori 
chiamano  acqua  forte),  il  quale  corrode  tanto  il  mar- 
mo in  tuitc  l'  che  fi >rmn    in  1  ssi 
vita  a  guisa  di   hasc...   1  ività   la   riempiono 
ili  polvere  Come  nel  raso  precedente  e  ne  otteng 
un'esplosione                    tendere  e  d'atterrare  bi 
parte  della  min    ra     Si   tanno  mine  capaci  dico»' 
re  30  e  più  quintali   di   polvere)      lauto  le  ta- 
gliate, quanto  lo  scassinare  e  le  mine,  molte  vite 

Capita    di    doverle    lare    in    l'asso,    e  all'  ra    i   cavatoti 


COME    SI    ESTRAE    11.    MARMO    l'I    CARRARA 


lavorano  stando  in  piedi  sul  suolo;  ma  per  lo  più 

ih,  lavorare  ali  altezza  di  20,  30,  40  e  più  me- 
tri e  in  questo  caso,  arrampicandosi  su  pel  monte 
vergine,  vanno  alla  sommità  della  cava,  ivi  fissano. 
in  un  punto  saldo,  un  grosso  bastone  di  ferro,  a 
questo  raccomandano  una  corda  robusta  per  la  quale 

dono  fino  al  punto  in  cui  devono  lavorare,  e 
quivi,  o  si  avvolgono  la  fune  alla  cintola  e  sii: 
le  coscie,  o  fanno,  con  tavole  e  grossi  ferri  fissati 
nei  massi,  specie  di  ponti,  sui  quali  stanno  più 
comodamente  0  ritti  o  seduti  (chiamano  tecchia  la 
ita  della  miniera). 


Fra  i  massi  atterrati  con  l'uno  o  l'altro  metodo. 
ve  ne  sono  anche  d'inservibili,  per  la  quantità  di 
macchie  e  peli  che  hanno,  e  allora  il  cavatore  li 
spezza,  se  grossi,  con  minette,  se  più  piccoli  col 
martello;  ed  altri  operai,  che  possono  essere  o  ca- 
vatori vecchi  non  più  in  grado  di  scavare,  o  uo- 
mini incapaci  di  far  altro  (detti  manovali),  portano 
via  quei  frammenti,  passando  pel  piazzale  della  ca- 
\.i.  con  una  carretta  tirata  da  uno  e  spinta  da  due 
di  essi,  e  li  fanno  ruzzolare  sopra  altro  rottame  giù 
[»-l    ripido   ilei  monte,   chiamato  dai  cavatori   rava- 


Carreita 


I  marmi  buoni  vengono  purgati  nel  miglior  modo 
possibile  da  qualche  difetto  che  essi  pure  possono 
piesentare,  e  poi.  per  mezzo  di  leve,  vengono  messi 
sulla  Uzza  e  spinti  avanti  nel  piazzale. 

La  lizza  non  è  altro  che  una  specie  di  slitta  for- 
mata da  due  travi  di  varia  dimensione  secondo  la 
mole  che  devono  portare,  riunite  parallelamente  per 
mezzo  di  una  legatura  di  canapo  fatto  all'estremità 
che  deve  andare  avanti,  la  quale  deve  essere  leg- 
germente appuntata  e  rivolta  in  su  come  puri1 
l'altra. 


qo3 

La  parto  inferiore  della  lizza  è  necessario  che 
sia  un  po'  levigata  perch  scorra  con  facilità  mi  otto 
o  dieci  travicelli  senza  spigoli,  superiormente  levi- 
gati essi  pure,  bene  insaponati,  colle  punte  nelle 
condizioni  della  lizza  e  disposti  sul  suol.,  paralle- 
lamente l'uno  all'altro  (o  quasi  se  quella  deve  far 
delle  voltate)  e  ad  una  celta  distanza,  pei  es.,  di 
50  o  70  centimetri. 

Questi  travicelli  (di  leccio  0  faggio)  dai  cavatori 
h  amano  /•arati. 

Lizza 


JL 


T 


17 


Man  mano  che  la  lizza,  su  cui  è  stato  messo  il 
blocco  marmoreo  sollevato  da  terra  per  mezzo  delle 
leve  e  del  martinello  a  cassetta,  scorre  sui  parati, 
più  uomini  stanno  ai  fianchi  della  medesima,  o  a 
spingere  la   (anca   (la  quantità  di  marmo  caricata) 


Curio 


od  a  levar  di  dietro  alla  lizza  quei  parati  su  cui 
e  già  scivolata,  e  porgerli  a  lineilo  che  deve  rimet- 
terli davanti  fino  che  il  sasso  non  è  al  posto  desti- 
nati 1. 

Quivi  giunto  viene  scaricato  (cogli  stessi  stru- 
menti); se  per  la  qualità  e  le  dimensioni  pilo  ser- 
vire da  figura  gli  lasciano  la  forma  che  ha,  se  poi 
e  adatto  per  altri  usi.  per  es.,  per  farne  lastre,  sca- 
lini, stipiti,  piedistalli,  colonne,  ecc.,  il  quadra/ore 
con  martello,  piccone,  subbia,  mazzuolo,  riga  e  squa- 
dra gli  dà  una  forma  regolare  (quadrangolare  o  ci- 
lindrii  i 

Subita  quest'operazione,  quel  sasso  passa  per  altre 


<|M.| 


LA    LETI 


■ 
in  numero  di  qua 

■  he  ha  un 

gono  i  ravaneti  por- 

:  rente 


ssi  perni  di  legno  (fag- 
daJ  lizzatoli  i  h  Dente  incastra- 

ti nel  mass.,  naturali'  ed  in  un  gr  sso  blocco  fiss 
stabilmente  al  su.  .1...  e  detl 

it'  ri.  giunti   al   j>iam>  della  cava   in  cui  tro- 

fldzzuo/o 


5yaadr<3 


per  condurre  al  basso  i  marmi  lasciati  dai  cavatori, 
e  cioè:  tre  grossi  canapi  (iella  lunghezza  di  50  o  60 
metri. 

Ciascuno  di  questi  canapi,  che  i  lizzatoti  chia- 
mano cavi,  viene  arrotolato  in  vari  punii  a  4.  6  od 
8  giri  e  quivi  legato  con  funicelle  ;  questi  rotoli  poi 
i  lizzatoli  se  li  caricano  sulle  spalle,  e  uno  dietro 
l'altro,  a  guisa  di  catena,  imprendono  la  salita. 


varisi  i  monoliti  che  devono  far  scendere,  e  deposti 
tutti  quegli  attrezzi,  si  danno  a  caricarne  uno  0 
più.  a  seconda  del  loro  volume,  sulla  lizza  che  già 
posa  sui  parati  ;  indi,  con  uno  dei  capi  di  eia» 
dei  tre  canapi,  legano  la  carica  (essi  dicono  imbra- 
1  e  il  rimanente  di  essi  l'avvolgono  cinque  o  sei 
volte  attorno  ai  primi  tre  perni  che  son  fissati  nel 
piano  della  miniera.  A  ciascuno  di  questi,  resta  un 
uomo,  il  (piale,  con  molto  senno,  deve,  all'ordine 
del  capo,  lasciare  scorrere  adagio  adagio  il  canapo. 
che  quando  la  carica  è  giù  per  la  china,  stride  al 
grave  pesi  della  medesima,  o  frenarlo.  Assicurati  i 
canapi,  ognuno  prende  il  suo  posto:  il  cafo-lizsa 
si  mette  in  testa  alla  carica,  ed  ha  cura  di  togliere 
alla  strada,  o  con  la  leva  o  con  le  mani,  certe  sen- 
sibili  prominenze  o  cavità  che  potrebbero  farla  ai 
restare,  deviare,  conficcare  od  anche  dar  volta.  Ol- 
tre a  ciò.  il  capo-lizza,  mette  davanti  a  questa  i 
parati  che  i  lizzatoli,  disposti  ai  fianchi  della  ca- 
rica, gli  porgono  man  mano  che  la  medesima  li  la- 
scia dietro  di  sé  scorrendo.  Vicino  al  capo  sta  uno 


Altri  portano  la  lizza  che  può  esser  lunga  304 
metri  ed  avere  un  peso  dai  cinquanta  ai  cento  chi- 
ammi,  altri  finalmente  portano  dei  fasci  di  pa- 
rsi pani  di  sapone 
Ora   corrvien    dire.    che.    dalla    cava    al  basso,    vi 
sono  (se  così   possonsi   chiamare)   apposita- 

mente ]>er  le  lizze,  fatte  nel  vivo  masso  0  sui  rot- 
tami della  cava  ;  e  ve  ne  sono  di  quelle  che  fanno 
venire  i    brividi    soltanto  a  guardarle   da    Ioni 

ed  angi  in  certi  punti 

son  quasi  verticali. 

.  la  via  della  lizza,  alla  distanza  di    15.  20 
o  30  n  linea  retta,  e  più  vicini  s 


COME    SI    ESTRAE    II.    MARMO    HI    CARRARA 


(j05 


addetto  ad  insaponare  i  parati  prima  di  consegnar- 
glieli (quello  è  il  sottocapo)  e  così  piano  piano  pro- 
cedono con  online  lino  al  bassa 

Quivi   giunti,   alzano  colle   leve  quei  -pezzi   (così 


catene.  Al  timone  di  quello  a  quattro  ruote  attac 
cano  un  paio  di  buoi,  e  molte  altre  paia  le  attac 
cani,  davanti  a  questi  per  mezzo  di  una  grossa  e 
lunga  catena  fermata  sotto  il  carro.  Questa  lunga 
fila  di  buoi  dai  carralorì  chiamasi  vetta,  ed  ogni 
vetta  è  guidata  da  tanti  uomini  quante  sono  le  paia 
ili  buoi,  più  uno  che  è  il  capo-carratore,  il  quale  ha 
il  compito  di  stringere  la  martinieca  al  principiare 
della  scesa,  guardare  se  vi  sono  ostacoli  nelle  car- 
reggiate, o  se  la  carica  si  sposta  sul  carro;  e  allora 
avvisa  i  carratori  che  tosto  fan  fermare  i  buoi  e 
lutti   insieme  rimediano  a  qualsiasi   inconveniente. 

Dietro  il  carro,  prima  di  partire  dal  poggio,  so- 
gliono legare,  colla  catena,  dei  pezzotti  di  marmo 
che  servono  a  frenarne  la  corsa  quando  scendono 
certi  punti  in  cui  la  via  è  ripida,  poiché  la  marti- 
nieca non  sarebbe  sufficiente.  Quest'appendice  la 
chiamano  ritenuta. 

Ai  carri  a  due  ruote,  che  servono  per  i  pezzi  più 
piccoli,  attaccano  un  solo  paio  di  buoi  ;  e  siccome 
non  hanno  martinieca,  quando  sono  nei  punti  più 
ripidi  della  strada,  non  bastando   la   ritenuta,    av- 


chiamano  qualsiasi  porzione  considerevole  di  mar- 
mo) prima  da  una  parte  e  poi  dall'altra,  tanto  da 
poterli  calzare  e  lasciar  libera  la  lizza,  per  poi  ri- 
prenderla in  ispalla  e  fare  un  secondo  viaggio  se 
il  luogo  è  vicino,  o  per  metterla  in  capanna  (casetta 
in  cui  ripongono  tutti  gli  attrezzi  sì  da  cava  elu- 
da lizza,  e  dove  dorme  un  custode  detto  capannaro) 
e  riprenderla  il  giorno  appresso  se  la  miniera  è 
molto  lontana. 

Al  termine  della  via  della  lizza  vi  è  un  poggio, 
0  naturale  o  fatto  dalla  mano  dell'uomo  (cioè  un 
rialzo  di  terreno  o  un  ammasso  regolare  di  pietre"). 
sotto  il  quale  stanno  i  carri  a  due  e  quattro  ruote 
pronti  a  ricevere  i  marmi  per  trasportarli  o  alle 
segherie,  dove  vengono  ridotti  in  lastre,  stipiti,  ecc., 
o  ai  laboratori,  se  destinati  a  divenir  statue,  monu- 
menti, colonne,  ecc.,  o  alla  marina. 


# 


>. 


(La  maggior  quantità  di  marmo  viene  oggi  tra- 
sportata in  giù  dalla  ferrovia  marmifera). 

Caricato  il  carro,  ad  esso  fermano  i  blocchi  con 


volgono  una  catena  al  mozzo  delle  ruote  e  così  fre- 
nano più  sicuramente  la  velocità  che  in  tal  punto 
prenderebbe. 

Giunti,  col  carro  a  quattro  ruote,  al  laboratorio 
pel  quale  sono  destinati  certi  marmi,  i  carratori 
jwggiano  le  solite  leve  di  ferro  in  diversi  punti  sotto 
I  I  ilocco  da  scaricarsi,  e  chiamandosi  a  tempo  con 
la  cantilena:  b!  issa...  b!  issa...  lo  mandano  a  bi- 
lico sul  fianco  del  carro  e  quindi  lo  gettano  al 
suolo. 

Se  trattasi  di  scaricare  quello  a  due  mote,  uno 
dei  due  uomini  addetti  al  medesimo  drizza  una 
delle  leve  che  hanno  sempre  sul  carro,  tra  il  capo 
del  timone  (chiamato  dai  carratori  perticone)  e  il 
suolo;  staccano  i  buoi,  e  con  una  leva  per  uno 
mandano  indietro  i  pezzi  a  poco  a  poco  quanto  è  ne- 
cessario per  far  loro  passare  il  punto  d'equilibrio, 
e  allora  il  carro  cede  e  s'alza  dalla  parte  del  timone 
facendo  sdrucciolare  uno  o  tutt'i  pezzi  che  porta, 
su  certi  legni  cilindrici  stati  messi  in  terra  apposi- 
tamente, perchè  facilitano  la  scaricazione  ed  il  tra- 


LA    LETTURA 


hi. inni  ni  Questi  legni  son 

urli. 

iratou  i  anno,  e  al 

del  laboral   i  • 


o  con  martìnelli.  secondo  i  casi,  spingono  quel 
nello  studio  (così  chiamano  a  Carrara  qual- 
siasi laboratorio  di  marini). 


imitando  da  un  blocco  scaricato  deve  uscirne  una 
statua,   allora  questo  viene  affidato  àll'abboszatore 
i  qualche  misura  presa  sul  modello  da  ripro- 
dursi, gli  dà  la  prima  forma,  adoprando  compasso, 
lapis,  subbia,  mazzuolo  e  martello  quando  vi  sia  da 
;   multa  materia.    Indi,  coll'aiuto  di  altri  lavo- 
ranti, quel  pezzo  vien  messo  in  posizione  verticale,  e 
i  .iMxjzzatore  (che  chiamano    anche    smodella- 
tore)  mette  prima  di  tutto  su   di  esso  i  cosi   detti 
io  pi- punti,  i  quali  servono  di  punto  di  partenza  per 
mettere  i  molti  altri  intermedi;   e  quindi,  con  sul>- 
e  gradinetti  spiana  tra  l'uno  e  l'altro  di  que- 
sti, e  il  masso  prende  approssimativamente  la   fi  r 
ma  del  modello. 

la  statua  da  riprodursi  deve  avere  le   stesse 
dimensioni   del   modello,   l'abbozzatore   adopera   un 


compasso  a  quattro  punte,  tre  delle  quali  chiamansi 
chiodi  perchè  son  quelli  chi  fermai 

viti  appena  si  sian   presi  sul   modello  i  ire   punti 

principali  e  riportati  sul  marmn;    l'altro  è  detto  la 
spinti  ed  è  un  ferretto  lungo  ed  ai  ino  posto  in  cima 
una  specie  di  brao  lato  che  puossi  al- 

lungare are  p<  r  mezzo  di  \iti  a  cliia\ 

Questo  braccio  serve  por  prendere  le  misuri 
qualsiasi  punto  del  modello  per  mezze  della  s| 
che  essa  pure  può  in  tutte  le  dir 

a\ anzarsi  e  ritrarsi. 

L'n  tale  compassi  .  chi    è  d'ottone,  chiamasi  mac- 
ellino da  smodellare. 


SPfr. 


Bancone 


1 2.S.  Chiodi 


Se  poi  la  statua  devesi  fare  in  proporzioni  mag- 
giori o  minori  al  modello,  l'abbozzatore  adopera  i 
compassi  a  due  punte,  e  con  tre  di  quelli  prende 
su  di  esso  le  misure  e  le  porta  sulla  scala  di  pi 
zione  già  preparata  sopra  un  piano,  e  cosi,  venendo 
ingrandita  l'apertura  di  ciascun  compassi  .  viene  in- 
grandita anche  la  statua  sulla  quale  si  portano  di 
mano  in  mano  queste  misure.  La  stessa  opera. 
si  fa  dovendo  riprodurre  un  lavoro  dal  grande  .il 
piccola 

Quando  lo  smodellatore  ha  finito  il  suo  eòmp 
lo  scalpellino  s'occupa  di   lare  la  base  su  i  ni 
la  statua,  adoprando  subbie,  scalpelli,  gradini,  maz- 
zuolo,   riga,    squadra   di    terrò,    compasso,    lapi 
lima. 

Prima  di  tutto  adagia  la  figura  in  posizioni-  i.riz- 
ale   sopra   uno  o   più  baili    ni.   e,  coi  punti 
fissati   dallo  smodellatore,    stabilisce    la    linea    del 
piano   interiore,    togliendo  poi  con   subbia,  gradino 
al | k.-1  1 1 >  il  marmo  superfluo. 

Fatto  il  piano,  con  lapis,  compassi  .  riga  e  sqiuM 


COME    SI    ESTRAE    IL    MARMÒ    IH    CARRARA 


dra,  disegna  sul  medesimo  i  contorni  che  dovrà 
prendere  la  pianta,  come  indica  il  modello  ;  poscia, 
colla  guida  del  piano  e  la  squadra,  ne  limita  le  fae- 
cie  laterali  e  le  pulisce  coi  soliti  ferri.  Indi,  per 
mezzo  del  graffietto,  segna  la  grossezza  della  moda- 
natura, che  fa  copiando  esattamente  il  modello  per 
mezzo  di  misure  prese  sul  medesimo  col  compasso  e 
la  squadra  ;  ed  in  ultimo,  servendosi  di  subbiette 
l>er  togliere  una  prima  quantità  di  materia,  di  gra- 
dini per  unire  un  po' meglio  i  vari  punti  di  ogni 
superficie  e  di  scalpelli  a  taglio  tondo  e  quadro  per 
pulire  nitidamente  la  sagoma,  riesce  a  finire  il  suo 
lavoro. 

A  questo  punto,  se  la  base  vuoisi   lucida,   passa 
per  le  mani  del  lustratore  che  sfregandone  le  faccie 


907 

con  rota  grossa,  rota  fine,  pomice',  rota  inglese,  piom- 
baggine, spai  tiglio  la  rende  lucida  come  uno  spec- 
chio. Se  poi  in  essa  vi  è  dell'ornato,  vien  fatto 
dall'ornatista  subito  dopo  che  ha  finito  lo  scalpelli- 
no. Esso  delinea  col  lapis  i  contorni  dei  fiori  o  fo- 
gliami che  deve  ritrarre,  e  poi  con  mazzuolo.  sub- 
Ma.  gradinetti,  trapano  (chiamato  dai  marmisti  vio- 
lino) e  scalpelli  di  varie  forme  e  dimensioni  li 
finisce. 

Finalmente  lo  scultore  guidato  dai  tanti  punti 
messi  con  precisione  dallo  smodellatore  toglie  la 
poca  materia  che  trovasi  tra  un  punto  e  l'altro  con 
gradinetti  e  scalpelli  ;  e  in  ultimo  con  delle  raspe 
prima  grosse,  cioè  a  grosse  bulinate,  e  poi  più  fine 
riduce  la   statua  perfettamente   uguale  al   modella 


Edoardo  Conti. 


ha  nuova  opera  di  Guglielmo  Ferrerò 


i  La  stona  di  Ruma  continua  ad  attirare  l'at- 
tenzioni- degli  studiosi  a  preferenza  di  quella  dei 
vetusti  impari  orientali.  Fino  a  mezzo  secolo  fa 
ciò  poteva  spiegarsi  col  fatto  che  l'antichità  clas- 
sica era  la  sola  della  quale  si  aveano  notizie  al- 
quanto precise  e  dettagliate,  sicché  la  Grecia  e  Ro- 
ma formavano  1  unico  ed  immenso  edificio  di  ci- 
viltà estinta  che  fosse  abbastanza  noto  e  che  chiu- 
deva, con  la  sua  stessa  grandezza,  l'orizzonte  del 
passato,  togliendo  quasi  al  mondo  moderno  la  vi- 
sione di  edifìci  più  antichi.  Ora  invece,  coll'aumen- 
tare  delle  nostre  cognizioni,  siamo  arrivati  più  in 
alto,  l'orizzonte  si  è  allargato  e,  dietro  al  primo 
edificio,  ne  scorgiamo  distintamente  altri,  qualcu- 
no dei  quali  racchiude  misteri  che  forse  non  ci  sa- 
ranno mai  del  tutto  svelati.  Eppure,  malgrado  ciò, 
il  mondo  romano-ellenico  conserva  sempre  per  noi 
un  fascino  speciale  che  si  sente  più  che  non  si  sap- 
pia spiegare. 

Credo  che  questo  avvenga  perchè  è  umano  inte- 
ressarsi a  preferenza  di  ciò  che  più  davvicino  ci  ri- 
guarda e  più  ui  rassomiglia.  Anche  a  proposito  dei 
fatti  contemporanei,  proviamo  maggiore  interesse  a 
quelli  della  Francia,  della  Germania,  dell'Inghil- 
terra, paesi  di  civiltà  molto  analoga  alla  nostra, 
anziché  a  quelli  della  Persia  o  della  Cina.  E' 
perciò  dunque  che,  anche  dopo  conosciuta  l' im- 
portanza dei  più  remoti  centri  .li  civiltà  umana. 
dopo  che  iil  Marno  approssimativamente  misurato  i 
millenni  della  loro  antichità,  che  abbiamo  quasi 
paurosamente  ammirato  i  vetustissimi  loro  monu 
menti,  faticosamente  ed  incertamente  interpretato 
i  frammenti  che  ci  restano  del  loro  pensiero,  sen- 
tiamo quasi  più  forte  l'attrattiva  dell'Eliade  e  di 
Roma,  delle  nostre  pr  genitrici  dirette,  dove  tro- 
viamo un  pensiero,  un'arte,  una  concezione  della 
vita,  che  ci  sembrano  più  umane,  perchè  più  affini 
alle  nostre. 

Del    •  per   quanto  siano   state   studiate,    la 

Grecia  e  Roma   non   sono  argomenti  esauriti.    1 


formano  un  solo  mondo  sociale,  un  unico  tipo  di 
civiltà,  che,  dopo  aver  sbocciato  prima  e  fiorito 
meravigliosamente  sulle  rive  dell'Arcipelago,  fu  da 
Roma  assimilato,  completato  e  diffuso  per  tutte 
le  contrade  bagnate  dal  Mediterraneo.  Or  questo 
tipo  di  civiltà,  questo  periodo  di  capitale  impor- 
tanza nella  storia  umana,  contiene  ancora  due  gran- 
dissime incognite:  il  suo  primo  principio  e  la  sua 
fine.  L'indagine  dei  primi  elementi  che  entrarono 
nella  formazione  della  civiltà  greco-classica,  che  in- 
comincia con  Omero,  attira,  proprio  in  questo  mo- 
mento, più  che  mai  l'attenzione  degli  archeologi  e 
degli  storici,  e  questi  d'altra  parte  non  hanno  sa- 
puto ancora  spiegarci  completamente  le  ragioni  in- 
time della  decadenza  e  della  dissoluzione  dell  Im- 
pero romana  Si  comprende  quindi  facilmente  che 
lo  studio  di  quest'ultimo  problema  abbia  appassio- 
nato l'animo  giovanile  di  Guglielmo  Ferrerò  ed  i 
due  volumi  sulla  Grandezza  e  decadenza  di  Roma 
testé  pubblicati  rappresentano  appunto  i  primi  ri- 
sultati delle  sue  pazienti  ricerche  sull'argomento. 

2.  —  Questi  due  volumi  si  possono,  prendendo 
per  base  la  diversità  della  materia  in  essi  tran 
dividere  in  due  parti:  nella  prima,  che  è  qi 
un'introduzione  a  tutta  l'opera  e  che  comprendi- 
un  centinaio  di  pagine  del  primo  volume,  si  narra 
sommariamente  la  storia  che  va  dai  primi  tempi 
di  Roma  fino  a  quando  questa,  vinta  Cartagine, 
divenne  lo  Stato  più  potente  dell'antichità  :  nella 
seconda,  che  abbraccia  il  resto  del  primo  volume 
ed  il  secondo  per  intero,   l'autore,   d  ac 

cennato  alle  grandi  conquiste  romane  ed  alle  prime 
lotte  civili,  studia  analiticamente  gli  ultimi  i 
quanta  anni  della  Repubblica  fino  alla  morti-  di 
Cesare  e  descrive  la  grande  crisi  politica  che  tra- 
mutò appunto  la  Repubblica  romana  in  Monarchia 
burocratica  e  militare.  Siccome  la  figura  principali- 
di  questo  periodo  storico  fu  Giulio  Cesare,  da  lui 
appunto  s'intitola  il  secondo  volume  dell'opera. 


OPERA     l'I    (dV.LH.LMO    FERRERÒ 


Nella  prima  parte,  ossia  nell'introduzione,  il 
ferrerò  fa  una  sintesi  mirabile  delle  cause  della 
grandezza  di  Roma.  Questa  si  mostra  già  fin  dal  li- 
origini  uno  Stato  di  tipo  greco-italico,  cioè  una  o  il 
i  umana  in  cui  vi  era  una  classe  dominatri- 
ce, che  avea  il  monopolio  delle  armi,  possedeva  la 
terra  e  quindi  quasi  tutta  la  ricchezza,  adempiva 
a  tutte  le  funzioni  direttrici  e.  nei  tempi  primitivi 
e  nelle  città  più  rustiche  e  più  frequentemente  nei 
suoi  strati  meno  elevati,  lavorava  alle  volte  anche 
manualmente,  ed  una  classe  dominata  composta  di 
schiavi,  liberti  e  stranieri  domiciliati  che  non  ave- 
vano la  cittadinanza,  la  quale  eseguiva  tutti  i  la- 
vori più  umili  e  grossolani  ed  esercitava  anche 
qualche  po'  di  industria  e  di  mercatura. 

Ma  l'originalità  dello  Stato  greco-italico  non  con- 
sistette già  in  questa  divisione  in  classe  dirigente  e 
classe  diretta  comune  a  tutte  le  società  umane  e  nep- 
pure nella  preponderanza  della  funzione  militare 
specializzata  nella  classe  dirigente,  perchè  questa 
preponderanza  e  specializzazione  troviamo  in  molte 
altre  società  fino  a  qualche  secolo  fa.  ma  piuttosto 
fu  dovuta  al  fatto  che,  nella  Grecia  ed  a  Roma, 
la  società  non  fu  ordinata  sotto  la  guida  di  un'au- 
torità indiscutibile  fondata  sulla  religione  o  sopra 
una  rigida  ed  immutabile  gerarchia  militare  con 
capi  ereditari,  ma  si  resse  sempre,  almeno  in  tempi 
normali,  mediante  un  regime  di  libera  discussione. 
Regime  che  rendendo  necessaria  una  assidua  lotta 
per  la  preminenza  sociale  fra  la  maggior  parte 
degli  individui  che  componevano  lo  Stato,  facendo 
sì  che  molti  potessero  aspirare  ai  primi  posti  dello 
Stati,  contribuì  indiscutibilmente  ad  acuire  e  raf- 
finare oltremodo  le  facoltà  intellettuali   dell'uomo. 

Racconta  Erodoto  che  quando  Ciro  re  di  Per- 
sia intese  parlare  per  la  prima  volta  dei  Greci  e 
ne  conobbe  i  costumi,  disse  che  egli  non  avea  pau- 
ra di  uomini  che  usavano  di  riunirsi  periodicamen- 
te nelle  piazze  delle  loro  città  per  ingannarsi  a  vi- 
cenda. Xon  è  dubbio  infatti  che  essi  spesso  s'in- 
gannavano o  cercavano  d'ingannarsi  a  vicenda,  ma 
quest'  abitudine  dovette  anche  sviluppare  1'  attitu- 
dine a  guardarsi  dagli  inganni  e  la  necessità  in  cui 
erano  di  persuadersi  a  vicenda,  per  poter  far  trion- 
fare il  proprio  partito  e  primeggiare,  rese  gli  in- 
gegni più  sottili  a  percepire  la  verità  ed  a  distin- 
guerla dall'errore.  Xon  per  nulla  lo  stesso  Erodo- 
to affermava  che  il  Greco  si  distingueva  dal  bar- 
biro  specialmente  perchè  era  immune  da  ogni  scioc- 
ca credulità,  non  per  nulla  Aristotile  era  profonda- 
mente convinto  della  superiorità  dei  Greci  sui  bar- 
bari e  non  per  nulla  noi  moderni  abbiamo  di 
constatare  che  i  Greci  ed  i  Romani  furono  i  primi 
popoli  che  conobbero  l'arte  di  ragionare  e  che  di 
quest'arte  ci  sono  ano  ira  maestri. 

Ma  perchè  fra  tutti  gli  Stati  di  tipo  greco-italico 
Roma  fu  quello  che  riuscì  a  conquistare  tutto  il 
mondo  civile  e  buona  parte  del  mondo  barbaro  co- 
ni seduto  dell'antichità? 

Il  Ferrerò  riassume  in  una  frase  molto  sii: 
le  cause  della  speciale  grandezza  della  città  dei  s  ' 
te  colli:    Roma,    egli  scrive,   seppe   essere   barbara 
senza  avere  i  vizi  della  barbarie.  Credo  che  in  que- 


909 

sia  frase  ci  sia  buona  parte  della  verità,  ma  non 
tutta    la   verità. 

E  mi  spiego  subito.  Anzitutto  Roma,  dal  primo 
momento  che  si  presenta  nella  storia,  fu  barbara 
solo  relativamente.  Essa  ebbe  quel  grado  di  bar- 
barie, o  meglio  di  r.  zzezza,  che  poi  era  frutto  di 
un  lungo  periodo  di  prepara/ione  alla  civiltà  ed 
eredità  di  civiltà  primitive  ed  estinte,  il  quale  fu 
generale  in  tutta  la  Grecia  tino  a  sette  secoli  avanti 
l'èra  volgare.  Però  mentre  Atene,  Sparta.  Siracusa. 
Taranto,  Efesi  ■  aperte  più  o  meno  alle  influenze 
delle  civiltà  orientali  ed  in  continua  comunicazione 
con  tutto  il  mondo  ellenico  rapidamente  si  trasfor- 
mavano, Roma,  che  stava  isolata  all'estremità  del 
mondo  civile  d'allora,  che  parlava  un  dialetto  in- 
comprensibile ai  Greci  che  non  era  diventato  an- 
cora una  lingua,  si  mantenne  per  tre  o  quattro  se- 
coli quasi  immobile,  e  questa  immobilità  mentre 
da  una  parte  la  tenne  chiusa  ad  ogni  progresso  let- 
terario, artistico,  scientifico  ed  economico,  dall'al- 
tro la  salvò  da  quelle  trasformazioni  sociali  che 
fecero  sì  che,  fin  dall'epoca  di  Alessandro  Magno, 
quasi  tutte  le  grano  i  città  dell'Eliade  e  delle  sue 
colonie  fossero  in  piena  dissoluzione  politica. 

Difatti  chi  semplicemente  abbia  letto  la  politi- 
ca di  Aristotile  sa  benissimo  che  perchè  uno  Stato 
greco  potesse  funzionare  bene  era  indispensabile 
che  fra  i  suoi  cittadini  non  ci  fosse  una  soverchia 
disparità  di  fortuna,  che  i  maggiori  possessori  di 
terre  non  fossero  pochi  ed  oltremodo  doviziosi,  che 
i  poveri  non  fossero  nullatenenti  e  che  non  man- 
isse  un  certo  numero  di  medii  proprietari.  Giac- 
ché se  la  disparità  delle  fortune  diventava  ecces- 
siva, se  (antitesi  fra  l'uguaglianza  politica  e  la 
disuguaglianza  economica  troppo  si  accentuava  en- 
tro il  corpo  dei  cittadini  sovrani,  avveniva  imman- 
cabilmente o  che  i  ricchi,  giovandosi  delle  loro 
clientele,  accentravano  intomo  a  se  il  monopolio 
delle  cariche  e  dei  pubblici  poteri,  o  che  i  poveri, 
valendosi  del  loro  numero,  si  facevano  strumento 
del  potere  politico  per  espropriare  i  ricchi  o  vi- 
vere alle  loro  spalle. 

Or  senza  dubbio  a  Roma  fino  alla  prima  guerra 
punica  non  ci  fu  né  grande  ricchezza  generale,  né 
grande  concentrazione  di  ricchezza  particolare,  poi- 
i  hi-  essa  fino  a  quell'epoca  non  ebbe  né  commerci 
rilevanti,  né  industrie,  né  fece  conquiste  nei  ricchi 
paesi  d'Oriente  dove  erano  ampie  riserve  di  metalli 
preziosi.  I  suoi  patrizi  aveano  allora  proprietà  mi- 
liari piuttosto  vaste,  ma  erano  ano  ra  scarsi 
di  rapitali  mobiliari  e  di  schiavi  ed  i  suoi  plebei 
erano  quasi  tutti  piccoli  proprietari.  Tutti  poi,  pa- 
trizi e  plebei,  nelle  diuturne  guerre  coi  popoli  vi- 
cini, conservarono  l'abitudine  di  combattere  perso- 
nalmente, tutti  ignorarono  lungamente  i  bisogni 
nuovi  e  le  mollezze  di  una  civiltà  più  raffinata  e 
nell'isolamento  della  loro  città  mantennero  intatta 
l'antica  rusticità  dei  costumi  e  quella  mirabile  di- 
sciplina morale,  così  efficacemente  descritta  dal  Fer- 
rerò, basata  sulla  potestà  dei  padri  di  famiglia  e 
sulla  sorveglianza  che  ogni  cittadino  esercitava  su 
tutti   gli  altri. 

Ma   tutto  ciò  non   basta   a  spiegare  il   prevalere 


()I0 


LA    LETTI  IRA 


\  Fui 

i .unii    linee  commerciali   ed 
o  nulla  p  .11  vantaggi  della 

s    mantennero  poveri  e  ni- 
ni  pei    assoldare  mer- 
cenari, o  ibitudine  delle  milizie  nazio- 

gli    Etolì,    gli     V  .ir 

nan,  v  nessuno  di  questi  i*>i»>lì 

conquistò  il  monda 

I..i  verità  è  dunque  che  Roma,   pur  avendo  il 
gli  Stati  greci,  fin  dalle  origini    Fu 
superiore  ai  Greci   per  il  suo  genio  'li  organizza- 
i  lazione  politica. 
te  in  Grecia,  infatti,  e  nelle  colonie  greche, 
di  eccezione  Siracusa,  lo  Stato  si 
confuse   sempre  colla   città,   tanto  che  a  dinotare 
l'ima    e    l'altra    si    usò    l'unii  abolo  nòAi;  a 

Roma  fin  dai  primi  tempi  ì'urbs  fu  la  capitale  del- 
lo Stato,  la  città  per  eccellenza,  ma  a  dinotare  tut- 
to lo  usò  la  parola  res  pubblica  di  significato 
più  ampio  e  che  non  ha  l'equivalente  nella  lingua 
greca.  Nella  quale  mancava  il  vocabolo  per  he 
mancavano  l'idea  e  la  cosa,  perchè  basta  avere 
letto  l'I.  Aristotile  \»-r  comprendere  come 
fra  gli  Klleni  non  si  concepisse  che  uno  Stato  potes- 
se abbracciare  più  di  una  città  e  del  suo  territorio 
e  che  i  cittadini  potessero  stabilmente  abitare  a  pa- 
retrhie  giornate  ili  distanza  dal  luogo  dove  si  do- 
vevano lìeriodicamente  adunare  ]>er  discutere  delle 
pubbliche  faccende  e  procedere  alla  nomina  dei  ti- 
tolari  delle  cariche    pubbliche. 

Invece  Roma,  conservando  fin  dapprincipio  la 
cittadinanza  alle  sue  colonie,  che  restavano  così 
parte  integrante  dello  Stato,  accordandola  di  fre- 
quente alle  città  alleate  e  qualche  volta  alle  città 
vinte,  seppe  vincere  la  debolezza  precipua  dello 
Stato  ellenico,  organismo  politico  abbastanza  per- 
fezionato, ma  che  mancava  di  forza  di  espansione 
perchi-  i  suoi  organi  erano  adatti  a  funzionare  solo 
in  uno  Stato  il  cui  territorio  non  fosse  più  vasto 
di  qualche  migliaio  di  chilometri  quadrati,  i  cui 
cittadini  non  fossero  più  di  dieci  0  dodicimila. 
E  senza  dubbio  l'aver  saputo  formare  uno  Stato  di 
tipo  ellenico  ma  ni.  :  più  grande  di  tutti  gli  Stati 
ellenici,  fu  una  delle  cause  precipue  della  grandezza 
di  Roma,  che  già  nel  trecentoquaranta  avanti  Cri- 
sto contava  intorno  ai  centocinquantamila  cittadini, 
un   numero  ci  od   otto    volte   maggiore   di 

quanti   ne  ebb    Atene  nei   suoi   momenti  più  pro- 
speri una  base  solida  per  iniziare 
l  d  -lf  Italia  e  poi  del  mondo. 

3.  —  Dopo  l'introduzione,  il  Ferrerò  narra  mae- 
strevolmente non  ta  vicende  delle  conquiste 

romani-  quanto  le  graduali  trasformazioni  che  esse 
cagionarono   ni  mina   ed    italica.    Egli 

descrh'-   pen  himento  generale  avvenuto 

dopo  la   seo  nda  guerra  punica,  il  sorgere  del  1 
medio  1  apitaJ  lii    propri) 

appai  !    usurai,     il    continuo    inurbarsi    di-Ila 

plebe   rustica,    il    lusso  sempre  crescente   dei   grandi. 

l'aumento  dei  bisogni  ,•  della  mania  dei  godimenti 
avvenuta  in  tutte  le  classi  per  il  contatto  colle 


viltà   pili    raffinate   dell'Oriente  e  per   il   progressivo 
rallentarsi     dell'antica    severità    dei    costumi.     Me 
mania  di  accennare  ai  disperati  tentativi  di  coloro 
che  volevano  fermare  Roma  su  questa  via  o  pi 
lo  in  senso  direttamente  e  grettamente  con 
valore,   oppure,    come   con    più   avveduto  consij 
aveva    progettato   Caio   Gracco,    volendo   esteni 
ttadinanza  a  tutti  gli   Italiani,  allargando  • 
tsi  della  Repubblica  e  nello  stesso  tempo  sfol- 
Uldo  la  città  dalla  plebe  oziosa.  illirica  ni  e  ,    p.n 
sita  mercè  e,, Ionie  che  si  doveano  fondare  in   Italia 
ed  in  Africa. 

E  poi  viene  alla  prima  crisi  che  ebbe  In. 
Italia  nel  pruno  ventennio  dell'ultimo  secolo  a- 
vanti  Cristo  e  che,  cominciata  colle  guerre  sociali, 
continuò  colle  lotte  civili  fra  Marine  Siila.  Duran- 
te questa  crisi,  come  si  sa,  si  estese  la  citta' finanza 
a  tutti  gli  Italici,  ma  siccome  in  fatto  per  es 
tare  i  diritti  politici  bisognava  venire  a  Roma, 
si  mantenne  l'egemonia  politica  degli  abitanti  di 
questa  città;  l'acquisto  della  cittadinanza  però  die 
agio  a  molti  uomini  nuovi  ed  a  molti  membri  delle 
antiche  aristocrazie  locali  di  acquistare  il  grado  di 
cavalieri  romani  e  di  partecipare  così  a  molti  af- 
fari e  contribuì  a  creare  quel  medio  ceto  italico, 
che  cominciò  ad  essere  una  delle  forze  sociali  più 
importanti  verso  la  fine  della  Repubblica  e  che  da 
Vespasiano  a  Marco  Aurelio  fornì  poi  i  più  validi 
elementi  alla  classe  tlirigente  dell'Impero.  Le  guerre 
sillane  poi  ruppero  l'antica  tradizione  legalitaria 
ed  abituarono  le  fazioni  alla  sopraffazione  ed  alla 
violenza  e  resero  familiare  ai  grandi  il  concetto  di 
arrivare  alle  cariche  con  qualunque  mezzo  ed  ai 
mediocri  ed  ai  piccoli  fecero  nascere  il  desiderio 
di  servirsi  della  politica  per  far  fortuna. 

Dopo  Siila  infine  comincia  la  grande  epoca  par- 
ticolarmente studiata  dal  Ferrerò,  quella  che  segna 
il  punto  culminante  della  grande  rivoluzione  |h>Iì- 
tica  che  cambiò  Roma,  la  città  che  ordinata  se- 
condo il  tipo  politico  dell'Eliade,  cioè  con  regimi- 
di  cariche  elettive  e  di  pubblica  discussii  in-  degli 
atti  dei  governanti,  avea  conquistato  il  mondo,  nel- 
la capitale  di  un  solo  grandissimo  organismo  po- 
litico retto  colla  forma  della  monarchia  burocrati- 
ca e  militare.  Organismo  entro  il  (male  tutte  le 
città,  tutte  le  nazioni  conquistate  vennero  gradata- 
mente fuse  ed  assimilate  nell'uguaglianza  dei  di- 
ritti e  dei  doveri  civici  e  soprattutto  della  civiltà. 

Il  Ferrerò  segue  le  fasi  di  questa  grande  rivolu- 
zione,  per  ora   fino  alla  morte  di  Cesare.    Ria 
mendo  quanto  egli   scrisse  dirò   prima    dei    diversi 
strati  sociali,  che  riempiono  lo  sfondo  del   quadro 
efficacissimo  che  egli  presenta  al  letti  Iel- 

le figure  che  in  esse  principalmente  spiccano 


4.  —  In  ogni  società  arrivata 
di  sviluppo  naturalmente  esiste 
ne  fra   le  diverse  classi  sociali, 

rchia  fra  le  classi  elevate  e 
i  criteri  e  le  qualità  che  aprono 
dirigenti,   la   facilità  maggiore  o 
■  la  una  classe  a  quella  superiore, 
di    molto,    secondo   l'epoca   ed    il 


ad  un  certo  grado 
la  differenziazio 
ma  i   rapporti   di 

quelli-    più    ba 
l'adito  delle  ci 
minore  di  pa- 
pi .ssono  i  ambiare 
pi  polo,  e  rappre- 


LA  NUoVA  OPERA    DI    GUGLIELMO    FERRERÒ 


911 


sentano  l'elemento  variabile  nel  fatto  immutabile 
e  costante  dei  pochi  che  dirigono  e  dei  molti  che 
sono  diretti. 

In  Italia,  durante  l'epoca  della  quale  ci  occu- 
piamo, e  prima  e  dopo  di  essa,  lo  strato  più  umile 
della  piramide  sociale  era  costituito  dagli  schiavi, 
dei  quali  una  parte  era  indigena,  un'altra  proveni- 
vi 0  dei  paesi  sottomessi  dell'Impero  o  da  quelli 
barbari.  Come  fa  bene  rilevare  il  Ferrerò,  nella 
società  antica  le  terre  erano  quasi  sempre  più  ab- 
1k  iridanti  che  nelle  società  moderne  di  antica  col- 
tura, dove  la  popolazione  è  ordinariamente  fittis- 
sima ;  scarseggiavano  invece  nell'antichità  i  capi- 
tali mobiliari  e  le  braccia,  quindi  un  popolo  vinci- 
tore s'impadroniva  anzitutto  dell'oro,  dell'argento, 
degli  oggetti  preziosi  dei  vinti  e  poi,  quando  non 
li  catturava  in  guerra,  comprava  degli  schiavi.  Per- 
ciò l'Italia,  vincitrice  e  spogliatrice  del  mondo,  per 
prima  cosa  accrebbe  di  molto  la  sua  casta  servile. 

Ma  in  questa  casta  esistevano  molte  varietà.  An- 
che presso  gli  antichi  vi  era  la  differenza  fra  il  la- 
voro skilled,  che  richiede  un  tirocinio  più  o  meno 
lungo  per  essere  bene  disimpegnato,  che  esige  nel 
lavoratore  una  certa  finezza,  una  certa  intelligenza, 
incompatibile  coll'estrema  inopia,  ed  il  lavoro  un- 
skrfled,  ossia  rozzo,  che  si  può  anche  stimolare  a 
colpi  di  frusta.  Perciò,  mentre  gli  schiavi  più 
grossolani,  quelli  provenienti  dai  paesi  incolti  e 
barbari,  venivano  impiegati  nelle  miniere,  nella  pa- 
storizia ed  in  tutti  i  lavori  più  rudi  e  ripugnanti; 
quegli  altri  che  conoscevano  un'arte  od  un  mestie- 
re, e  che  provenivano  quasi  sempre  dai  paesi  più 
chili  dell'Oriente,  erano  molto  meglio  trattati.  Fra 
essi  reclutavansi  gli  agricoltori  intelligenti  ed  e- 
sperti  che  trasformavano  il  suolo  d'Italia  piantan- 
do oliveti,  vigneti  e  frutteti  ed  introducevano  nuove 
piante  e  nuovi  metodi  di  cultura,  gli  artigiani  pro- 
vetti, gli  artisti,  i  segretari,  i  pedagoghi,  i  collabo- 
ratori delle  opere  letterarie  più  insigni.  La  loro 
attività  veniva  stimolata  per  mezzo  del  peculio, 
ossia  della  partecipazione  ai  profitti  che  il  padrone 
dovea  loro  consentire  e  dalla  promessa  dell'affran- 
cazione che  molto  spesso  veniva  mantenuta. 

L'esistenza  di  questa  categoria  di  schiavi  colti, 
fenomeno  rarissimo  anche  nell'antichità,  ci  fa  com- 
prendere quanto  duri  fossero  i  primordi  della  do- 
minazione romana  nei  paesi  civili  ed  industriosi 
dell'Oriente,  ci  spiega  pure  come  e  perchè  allora 
il  lavoro  intellettuale  libero,  quando  non  era  ac- 
compagnato dalla  nascita  e  dalla  ricchezza,  diffi- 
cilmente riuscisse  a  conquistare  una  posizione  so- 
ciale analoga  a  quella  che  ha  nel  mondo  moderno 
e  finalmente  contribuisce  a  chiarire  l'importanza 
assunta  dai  liberti  nei  primi  tempi  dell'Impero. 

Al  di  sopra,  almeno  ufficialmente,  degli  schiavi 
di  ogni  categoria  vi  era  la  plebe  dei  liberi.  Come 
avviene  in  tutte  le  epoche  storiche  agitate,  nelle 
quali  è  rara  la  rassegnazione  di  restare  attaccati 
alla  condizione  dei  propri  padri,  era  comune  allora 
in  questa  classe  l'aspirazione  verso  i  miglioramenti. 
Ma  quest'aspirazione  si  estrinsecava  in  modo  tutto 
affatto  diverso  di  come  avviene  nei  tempi  moderni. 
Nell'antichità  infatti  vi  era  l'artigianato  dei  liberi 


e  dei   liberti,  vi   erano  molti    piccoli    commercianti 

di  condizione  libera,  alle  volte  molti  piccoli  pro- 
prietari,  ma  l'assenza  della  grande  industria  ed  il 
fatto  che  le  grandi  proprietà  erano  in  buona  parte 
coltivate  da  schiavi,  impedivano  che  si  formasse 
un  vero  ceto  di  salariati  liberi.  A  ciò  bisogna  ag- 
giungere che  il  lavoro  diuturno  e  regolare  ad  ora- 
ri" fisso  è  appunto  quello  al  quale  l'uomo  barbaro, 
o  recentemente  uscito  dalla  barbarie  ripugna  di 
più,  che  i  bisogni  delle  plebi  antiche  erano  più 
semplici  e  più  facilmente  soddisfatti  di  quelli  del- 
le plebi  moderne  e  che  infine  i  poveri,  che  nello 
stesso  tempo  erano  cittadini,  putivano  sempre  allora 
più  o  meno  contare  sull'assistenza  dello  Stato  ed 
anche  dei  privati  ricchi. 

Perciò  l'ambizione  di  un  piccolo  artigiano'  semi- 
ozioso di  Roma  e  quella  di  un  piccolo  proprietario 
della  campagna  tendeva  soprattutto  all'acquisto  di 
un  capitanicelo,  mediante  il  quale  si  poteva  diven- 
tare un  piccolo  uomo  d'affari,  comprare  qualche 
schiavo,  intensificare  all'occorrenza  col  lavoro  di 
questi  la  coltura  del  proprio  fondo.  La  guerra  e 
la  politica  erano  i  mezzi  migliori  per  raggiungere 
questo  scopo,  poiché,  attaccandosi  alla  fortuna  di 
qualche  uomo  importante,  di  qualche  generale  ce- 
lebre, si  godevano  le  largizioni  elettorali,  si  parte- 
cipava alla  spogliazione  dei  paesi  conquistati  e 
spesso,  dopo  una  campagna  fortunata,  alle  distri- 
buzioni di  danari  ed  anche  di  terre  che  il  duce  vit- 
torioso faceva  fra  i  suoi  veterani. 

Al  di  sopra  della  plebe  vi  era  la  classe  dei  cava- 
lieri, composta  di  medii  proprietari  ma  soprattutto 
di  capitalisti,  speculatori  ed  appaltatori,  la  quale 
nel  mondo  romano  antico  rappresentava  ciò  che  vi 
era  di  più  rassomigliante  alla  borghesia  moderna. 
Come  si  è  già  accennato,  dopo  l'estensione  della 
cittadinanza  agli  Italici,  in  questa  classe  si  erano 
fuse  tutte  le  antiche  aristocrazie  locali  dei  popoli 
già  confederati  di  Roma.  I  più  ricchi  fra  i  cava- 
lieri prestavano  danaro  agli  aristocratici  che  si  di- 
sputavano le  cariche  più  alte  della  Repubblica  e 
formavano  clientele  interessate  alla  riuscita  dei 
candidati  alle  preture  ed  ai  consolati,  i  quali  in 
qcesto  modo  venivano  ad  essere  rispetto  a  loro  in 
una  certa  dipendenza,  altri  tentavano  ogni  specie 
di  speculazioni,  investivano  nelle  miniere,  nei  com- 
merci o  nelle  terre  capitali  spesso  imprestati  ad  un 
tasso  usuraio  o  esercitavano  alla  loro  volta  l'usura 
nelle  provincie  o  prendevano  appalti  dallo  Stato. 
Occupavano  anche  i  gradi  subalterni  negli  eserciti 
e  naturalmente  cercavano  di  metterli  a  profitto. 

E'  interessante  il  constatare  come  ben  pochi  dei 
cavalieri  allora  aspirassero  alle  prime  cariche  della 
Repubblica;  essi  si  contentavano  quasi  sempre  di 
arricchire  e  di  rappresentare  le  se-onde  parti,  la- 
ssando le  prime  quasi  esclusivamente  ai  discen- 
denti delle  antiche  famiglie  senatorie  romane.  Rari 
sono  infatti  in  quell'epoca  gli  uomini  nuovi  che  ar- 
rivano a  farsi  strada  fino  al  consolato  e  nella  gene- 
razione di  Cesare,  quasi,  il  solo  uomo  politico  di 
prim'ordine  che  fosse  di  mediocri  natali  era  Cice- 
rone, il  quale  costituì  un'eccezione  giustificata  dal- 
la grandissima   influenza  che  seppe  esercitare   sul- 


LA    LETTURA 


pubblica     rane  n;- 

,  n   Roma  antica  il  me- 

lle    nostre    |n    : 

i  llettuali  ;  -     ssori  ili  in 

schiavi,  i 
vano  |«--r  lo  più  dalla  Grecia  ;    la  si 
più  un  mezzo  di  acquistare  aderen- 
■  politii  he  che  una  vera   carne] 
:,  Repubblica  enei  primo  secolo  dell'Im- 
fu  nulla  di  corrispondente  agli   alti 
burocrazia.   Ma  non  pei 

■uva  la  cultura,  spe  talmente 
bisogni    'li  raffinatezza  in- 
[e  che  la  società    italica  avea  preso  dalla 
he  l'istruzione  era  diventata  anch'es- 
!■■.  un  modo  'li  distinguersi  'lai 
.  di  acquistare,  come  ora  direbbesi,  quella  di- 
.  piava    la    familiarità   coi    potenti, 
ira    tutte    le  altre    classi,    infine,    stava    l'ari- 
tzìa    romana,    i    cui    membri    sedevano  quasi 
tutti  in  Senato,  occupavano  a  turno  le  alte  cariche 
■  Iella  Repubblica,  rappresentavano  i  personaggi  di 
una  società,  'li    un'epoca  che   resterà  sempre 
bre  nella  storia  e  e.  .me  tali  son  diventati  quasi  tutti 
gì  .storici. 
in  tutte  le  epoche  ci   sono  state  aristocrazie 
più  0  menu  chiuse,  i  membri  di  nessuna  di  esse  fu- 
rono cosi  potenti,  quanto  quelli  dell'aristocrazia  ro- 
llami d'allora  ed  i  membri  di  nessuna  altra  aristo- 
crazia disp  sera  a  sì  illimitatamente  di  tante  voli 
umane.    Dicesi   che    durante    la   guerra   contro   Pir- 
ro, un  ami  re  del   re  epirota  stando  davanti 
il  Senato   abbia  avuto   l'impressione  che  trova  vasi 
davanti  un'assemblea  di  re;   il  paragone,  la  meta- 
fora era  diventata  realtà  centocinquanta  anni  dopo. 
Pei  comprendere  infatti  i  vizi  e  le  virtù  di  quella 
dobbiamo   tener    presente   che   i    nati    nelle 
ito  famiglie  più  illustri  di  Roma  era- 
no sempre  padroni   assoluti  ed   ini  .  ut  rollati  di  cen- 
tinaia e  qualche  volta  di  migliaia  di  schiavi  e  al- 
ternativamente erano  padroni  assoluti,   poco  0  ind- 
iati, di  provincie  vaste  alle  volte  quanto 
l'Italia,  dove  andavano  come  consoli,  proconsoli  o 
Quei    patrizi  aveani  i   piuttosto   i   molti 
vizi  eie  rare  virtù  dei  si  -  luti  anzichi  quelli 
delle  ari»-   i 

\l  mini  che  in  casa  pn  pria  ci 

man  niente    i    loro    schiavi,    che    in 

ncia    erano    generali    degli    eserciti,    con    tutto 
il    potere  che   loro   conferiva  la   disciplina    militare. 
no  tremare  le  popolazioni    sotterri  sse 
ed   i   re  allea'i.  in   Roma  erano  cittadini   illustri  ma 
niente  ali  .    per   arrivare   alle    'ari- 

■  m  izt,     tornire    giui  chi 

e  distribuire  danari   al   popolino,   assoldare-  bravi, 

rsi   una  clientela    Ira   gli  affaiisti   e  gli    spe 

tori  del  r  dare  coll'audai 

l'improntitudine  gli   avversari,,  venire  a   patti   coi 

iti.    In    fondo   non    si   arrivava   a  diventai 

n  rando 

prima  a  Roma  tuti  de    irti  che  son   pr 

di  un  paese  di  democrazia  con 


sì  renata.     E     le     |  se  .    che    ei 

■  di  Ile  gan    fra  gli  oligarchi,  forni- 
vano a    questi    i    mezzi   di    vincere   le  gai 

.la   da  esse  ohe  si  traeva  il  danaro  |>i   e,. nomi 
gli  elettori,  erano  esse  che  offrivano  ì  ni  di 

rendere    favori    ai   cavalieri   che    vi  esercitavano    i 

O  minerei   e    le   usure.   i-«r  che   supplivano   alle 
se   di   tutta   la  coorte   di   parassiti   che   si    string 
attorno  ai  grandi   pi  ì   di   Roma.    I.a   |«  i 

di  costoro   infatti   o  nel    rovinarsi    per 

nere   un  comando   fuori    d'Italia   e   servirsi   di 
per   rifare   la   propria    fortuna  e    conservare    il 
maini i   ottenerne  un  altro   più   importante. 

5.  —  Questo  regime,  che  fu  quello  dell'io 
secolo  della   Repubblica,  e  che  ho  appena   rapida- 
mente   accennato,    viene    dal    ferrerò    effii 
descritto  a  proposito  del  processo  di   Verre  e  quan- 
do parla  dei  fastidì  che  ebbe  Cicerone  nel  governo 
della  Cilicia,   durante  il  quale   l'i llusti  e   ri- 

schiò di  farsi  nemica  mezza  Roma  per  avere  voluto 
solo  frenare  alquanto  i  saccheggi  che  nella  provin- 
cia affidata  alle  sue  cure  commettevano  i  pubblicani 
e  gli  ufficiali  italici. 

Or  anche  non  anunettendo  la  fatalità  storica, 
anche  non  credendo  che  tutto  quello  che  ,'■  accaduto 
nel  mondo  dovea  necessariamente  dere, 

anzi   direi    si  deve    ammettere,    che   se   l'oligarchia 
romana   sempre    più    restringendosi    in    pò 
consorterie   legate   a   pochissimi   capi,    non  si   tras- 
formava in  triumvirato  e  se  la  lotta  fra  qui 
sortene  e  questi  capi  non  finiva  col  trionfo  di  una 
sola  consorteria  stretta   attorno  ad  un  uomo  supe- 
riore e  da  lui  guidata,  in  altre  parole  se  la  RepuU 
blica  non  si  fosse  trasformata  nell'Impero,   la 
minazione   romana   nel    mondo   antico    non   sai 
durata   altri   cinque   secoli,    quanti    ne  corrono   in- 
fatti dalla    morte  di    Cesare  alla   fine  dell'Impero 
d'Occidente.    Poiché  era   impossibile  che,   sotto   un 
regime    così    spogliatore    e    disorganizzatore    1 
quello  dell'ultimo  secoli'  della  Repubblica,  il  mon- 
do d'allora  avesse  acquistato  quell'equilibrio  si 
che  permise  l'assimilazione  e  la  fusione  di  tutti  i 
popoli  antichi  entro  il  popolo  romano,    I 
della  civiltà  greco-romana   nella   Gailia,   nella    S 
gna,  in  tutto  il  nord  dell'Africa,  nel   Xorico,  nella 
Rezia,   in  tanti  paesi  fino  allora  barbari,  che  alla 
fine  della  Repubblica  erano  già   in  gran  pan. 
temessi  a  Roma,   non   ancora  conquistati   alla  cul- 
tura romana. 

Giacché   dunque   la  grande  trasformazion 
tica  che   comincia   con    Cesare    fu,    - 
certo  provvidenziale,  voliamo  se  egli  era  veram 
l'uomo  più   adatto  alla  grai 
fu  soltanto  il  più   fortunato  o  anche  pure  il  m 
temprato  fra  i  suoi  contemporan 

E  qui  anzitutto  è  opportuno  di   riferii 
Stesso   ferrerò  deserve   le  figure  dei   principali  |>cr 

iggi  di   Rima,  nell'epoca  da  lui  trattata.  1- 
caggi  che  son  quelli  fra  i  quali  1  agi- 

Lucullo    fu    indiscutibilmente    un    uomo   n 
mo,    ohi-  amie    capii 

ma  ima  certa   mollezza  n  superiorità  signorile 


LA  NUOVA  OPERA    DI  GUGLIELMO    FERRERÒ 


si  che  egli  tardi  si  lanciasse  fra   le  lotte  del    Foro 
e  tardi  aspirasse  alle  prime  parti  della   Repubbli- 
ca;   ottenuto  il  comando  della  guerra  contro    Mi 
tridate  mostrò  straordinaria  attività  ed   audacia   e 
doti  mentali  di   prim'ordine.  ma  non  seppe  mante 
nersi    devoti    i   soldati,    non    seppe   tenere    a   posto 
tutti    i   suoi   ufficiali   e.   quandi     vide  i    suoi   ti 
troncati  a  mezzo  dalla  indisciplina  degli  uni  e  de- 
gli altri  e   dalle  cabale  che  contro  di  lui  si   ord 
vano  a  Roma,  si  disgustò  del  comando  e  della  vita 
pubblica  e  tornò  in   Italia  a  fare  il  gran  signore. 
Crasso,   al  contrario,  era  un  uomo  attivo  e  tei 
dotato    di    eccellenti    qualità    di    second'ordine,   un 
abilissimo    amministratore    della    propria    sostanza 
un  organizzatore  non  meno  abile  d'intrighi    pi  i 
e  di  una  vasta  clientela  elettorale,  avea  le  doti  di 
tip  banchiere   politicante   moderno   unite   a    quell'e 
nergia.    a   quel    riero   disprezzo   della    morte,    chi 

sì   raro  nei  banchieri  moderni  e  viceversa  era 
Ci  mime  a  tutti  i  romani  di  quel  tempo.   Era  ari 
un  discreto  generale  ma.   impegnato  in  un  gravissi- 
mo cimento  per  superare  il  quale  ci  sarebbe  voluti 
un  uomo  di  primissimo  ordine,   non   seppe   frenare 
il   panico    delle    sue   truppe,    non    seppe   mantenere 
la  disciplina  fra  i  suoi  ufficiali  e  vi  peri. 

Pompeo,    l'antagonista  di  Cesare,   fu   senza    dub- 
bio anche  egli  un  buon  condottiero,  un  generale  che 
sapeva  il  suo  mestiere,  ma  ammollito  dai   succi 
precoci,    dovuti    in    gran    parte    alla    straordir 
buona   fortuna  che   segnalò   l'inizio  della   sua   car- 
riera politica  e  militare,  si  rivelò  nel  cimento  mol 
to  inferiore  per  risolutezza,   pertinacia  e  prontezza 
di  decisione  al   suo  avversario.    Cicerone  certo    fu 
un  ingegno  largo  e  simpatico,  un  uomo  che  seppe 
diventare   uno   dei    direttori   dell'opinione   pubblica 
italiana,  che  ebbe  sempre  nel  complesso  mire  oneste 
sinteressate,   benché   alle  volte   facesse   transa- 
zioni   colla    propria   coscienza,    e  che   nei    momenti 
gravi  seppe  dimostrare  dignità  e  coraggio,  ma  come 

Iuomo  d'azione  nessuno  certo  vorrà  paragonarlo  al 
vincitore  delle  Gallie.  Catone  era  un  idealisti  di 
vedute  strette,  tenacemente  attaccato  alle  sue  pi 
ertissime  idee  e  che  sognava  di  poter  ricondurre 
Roma  alla  semplicità  dei  tempi  di  Fabrizio  e  di 
Attilio  Regolo.  Lo  stesso  Bruto  è  dipinto  dal  Fer- 
rerò per  uno  di  quegli  uomini  che  si  formano  un 
concetto  della  vita  più  dai  libri  che  dalla  realtà  e 
che  subiscono  oltremodo  la  suggestione  degli  altri, 
sieehè  egli  avrebbe  compito  l'atto  più  decisivo  della 
sua  vita,  la  partecipazione  all'uccisione  di  Cesare, 
non  già  per  propri,  impulso  o  per  disegno  spi  n 
neamente  meditato  ma  perchè  lo  persuasero  che 
ciò  egli  doveva  al  mondo  e  che  il  mondo  queste  si 
aspettava  da  lui. 

6. — Cesare,  invece,  scrive  il  Ferrerò,  tu  «  uno 
più  splendidi  campioni  del  genio  umano...  Una 
portentosa  lucidezza  e  plasticità  di  pensiero,  una 
alacrità  infaticabile,  una  mirabile  fretta,  una  stra- 
ordinaria resistenza  nervosa  furono  le  sue  virtù 
maggiori  con  le  quali  egli  sarebbe  riuscito  in  ogni 
età  e  tempo  un  grand'uomo». 

sto   giudizio,    nella    sua   concisione,    mi    pare 

La  Lettimi. 


qt3 

maravigliosamente  esat<  .1    non    del   tutto 

esatte  mi  sembrano  le  considerazioni  con  le  quali 
il  Ferrerò,  sviluppandolo  e  completandolo,  lo  ha 
modificato. 

1  omprendo  benissimo  che  nell'autore  (fella  Gran- 
i  1  decadenza  </:  l<<>nia  sia  sorta  una  spon- 
tanea e  naturale  reazii  ne  contro  il  feticismo  di  al- 
cuni scrittori  verso  il  fondatore  dell'Impero  romano. 
Il  l'errerò  anzi  ha  perfettamente  ragione  quando 
1  la  leggenda  secondo  la  quale  Cesare,  fin  dai 
primi  anni  della  sua  giovinezza,  avrebbe  avuto  il 
programma  che  attuò  nella  sua  matura  virilità, 
maniera  di  vedere  che.  oltre  a  non  essere  conforme 
alla    realtà    storica,    rivela    una    soonoscenza   quasi 

1  -pietà  della  psicologia  del  primo  imperatore  di 
Roma  e  dei  dettagli  della  sua  vita. 

Ma  il  Ferrerò  non  si  contenta  di  sfrondare  le 
esagerazioni  dei  feticisti,  di  distruggere  la  leggen- 
ti della  predestinazione  di  Cesare,  e  dopo  avere 
riconosciuto  la  straordinaria  grandezza  delluomo. 
dopo  avere  descritto  con  quali  sforzi  d'attività  pro- 
<l;giosa,  di  volontà  inflessibile,  d'intelletto  supe- 
riore seppe  superare  i  gravissimi  frangenti  che  tra- 
versò  durante  l'ultimo  anno  delle  guerre  galliche 
e  nelle  guerre  civili,  dopo  di  avere  posto  in  luce 
il  fascino  grandissimo  che  nei  momenti  più  diffi- 
cili sapeva  esercitare  sui  suoi  soldati,  segno  infal- 
libile che  era  non  solo  un  valente  stratega  ma  an- 
che un  grande  conduttore  d'uomini,  poi  quasi  lo 
rimpicciolisce  definendolo  un  gran  demagogo  e  ne- 
gandogli la  qualità  di  grande  uomo  di   Stato. 

Or  in  verità  Cesare  avrebbe  potuto  essere  a  pre- 
ferenza indicato  come  un  gran  demagogo  se  egli 
fosse  stato  uno  dei  tiranni  classici  descritti 
da  Platone  ed  Aristotile  ;  se  egli  si  fosse  cioè 
messo  a  capo  della  plebe,  dei  nullatenenti,  per  di- 
struggere le  classi  elevate,  dando  libero  sfogo  a 
tutte  le  cupidigie  ed  a  tutte  le  vendette  sue  e  dei 
seguaci  e  distribuendo  fra  essi  le  ricchezze  degli 
oligarchi  uccisi  o   andati   in  esilio. 

Ma.  se  non  fosse  già  abbastanza  noto  che  Cesa- 
re non  agì  in  questo  modo,  basterebbe  la  semplice 
lettura  dei  due  voltimi  del  Ferrerò  per  convincersi 
che  la  sua  figura  non  può  essere  confusa  con  quella 
di  Dionisio,  ili  Agatocle  o  di  Nabide.  Certo.  Cesare, 
negli  inizi  della  sua  carriera,  disponendo  di  mezzi 
d'azione  meno  efficaci  di  quelli  dei  suoi  emuli,  per- 
chè discendeva  da  famiglia  antica  ed  illustre  ma 
ehi  nelle  ultime  generazioni  si  era  alquanto  eclis- 
sata e  non  avea  grandi  ricchezze,  combattuto  acca- 
nitamente da  rivali  che  coll'istinto  sicuro  di  tutti 
gli  ambiziosi  divinavano  la  sua  pericolosa  superii 
rità.  per  affermarsi  fu  anche  più  di  loro  schi\ . 
si  rupoli  morali  e  legalitari  e  si  appoggiò  anche 
agli  avventurieri  più  diffamati  ed  ai  caporioni  del 
popolaccio.  Ma,  una  volta  arrivato,  non  sterminò 
né  impoverì  l'antica  oligarchia  ma  ne  volle  sola 
mente  diventare  il  capo.  La  possanza,  le  cariche, 
gli  onori  continuarono  come  prima  ad  essere  l'ap- 
pannaggio di  un  centinaio  di  famiglie,  senonchè 
invece  di  essere  accanitamente  disputate  nei  comizi 
furono  distribuite  dal  favore  dell'uomo  al  quale 
unta   Roma  si  inchinava  e  gli  eserciti  obbediva 

58 


LA    LETTURA 


fondo  la  distribu 
pubbliche  tra  i  suoi 

i     i.i'.  re  coli  «ie,  m  i   l  uro  • 
Itro  furono  in  quei  tempi  abbastanza  freqi 

iderarsi 
|ir..\  v  prudente. 

Il    1  principali 

sane:    la  ricostituzione  del  partito  legalita- 
iquantam 
l'ingrandimento  della  politica  conquistatrice  di  Lu- 
cullo,  la  costiti  1 1  pei     naie  di  >j>  i 

la  morte  di  Pompeo.  Tutti  llirono  perchè, 

«do  il   nostri)  autore,   i   due  primi   erano  lanini 
ed  il  ter/,    acerbo  e  da  ciò  egli  trae  La  conseguenza 
:i  fu  un  grande  uomo  di  Sta 
ponderò    anzitutto    che    nel    cinquanta' 

non  potea  aspirare  a  si  p 
piantar  da  solo  l'oligarchia  romana  :  tutto  al  più, 
secondando  il  movimento  che  tendeva  ad  organizza- 
re |uest'oligarchia  attorno  a  pochissimi  capi,  po- 
tea ottenere  un  |*>sto  cospicuo  fra  questi  capi,  il 
quale  gli  dovea  giovare  anche  pei  prepararsi  un 
migliore  avvenire.  E  ciò  egli  senza  dubbio  i  (tenne 
entrando  nel  primo  triumvirato  e  tacendosi  aggiu- 
dicare il  comando  della  Gallia. 

In  secondo  luogo  non  si  può  ammettere  che  la 
forza  di  espansione  di  Roma  fosse  all'epoca  di 
Cesare  completamente  esaurita.  Ne  diede  una  pro- 
va lo  stesso  Cesare  conquistando  la  vastissima  Gal- 
lia transalpina,  la  quale  d'allora  in  poi  fece  parte 
del I  Impero.  Sotto  Augusto  poi.  ed  i  suoi  primi  suc- 
cessori, furono  aggiunti  al  dominio  di  Roma  l'E- 
gitto, la  Mauritania  e  la  Bretagna,  furono  domate 
le  popolazioni  ancora  indipendenti  delle  Alpi  e  dei 
Pirenei  e  furono  definitivamente  raggiunti  i  con- 
fini del  Reno  e  del  Danubio. 

E  finalmente  neppure  si  può  affermare  che  a  Ce- 
t'alli  il  terzo  suo  disegno,  perchè  egli  fu  indi- 
scutibilmente il  primo  imperatore  romano.  Né  fu 
strappato  dal  posto  altissimo  al  quale  era  arrivato 
dai  suoi  insuccessi  o  dalla  sua  incapacità,  ma  dai 
pugnali  dei  congiurati,  ed  un  colpo  di  pugnale  si 
sa  che  non  può  essere  sviato  né  dalla  clemenza 
più  generosa,  ne  dalla  severità  più  sospettosa  e 
sanguinaria. 

Ma  afferma  il  Ferrerò  che  se  Cesare  non  fosse 
ucciso  nei  famosi  idi  .li  marzo,  il  suo  ferreo 
volere,  la  sua  mente  vastissima  si  sarebbero  in- 
franti contro  difficoltà  insormontabili  e  che  egli 
non  avrebbe  più  potuto  padroneggiare  né  la  situa- 
zione, né  i  suoi  stessi  seguaci.  Potrei  rispondere 
senz'altro  che  qui  siamo  nel  campo  delle  ipotesi, 
però  è  giusto  riconoscere  che  questa  ipotesi  del- 
l'autore  -    :  su  molti   fatti  che  avvennero  do- 

po la  morte  di  Osare,  e  nel  fatto  stesso  che  questi 
quando  fu  ucciso  stava  per  partire  in  guerra  con- 
tro i  l'arti,  guerra  dalla  quale  sperava  quell'au 
mento  di  prestigio  che  forse  gli  era  indispensabile. 
archia  romana  ila  lui  vinta 
■  ancora  del  tutto  domata.  Quel  fiero  pa 
trizi.  ■  dominare  il  mondo,  prima  .! 

nitivamente  ad   un  iLal 


tema,  prima  di    riconoscere  sopra  di   se  un   prin- 
avea  bis.  suoi  superbi  spiriti  fossero 

del    tinto   spenti,    ed   a  ciò   era   indispensabile    forse, 

I"  i  .lnl.i  con  frase  'in. la  ma  evidente,  una  nuova 
'di  sangue  .   quella  appun- 
to che  ebbe  luogo  al   principio  del   secondo  trilim 

Ebbene,  se  Cesari  non  fece  né  permise  la  strage 
eia  spogliazione  di  circi  metà   del   mondo  |x>litico 

italiano  ebbe  ragione  ;   perch ro  n  era  conforme 

al  suo  carattere,  perchè  egli  poteva  essere  il  prin- 
cipe  non  il  carnefice  dei  suoi  concittadini  e  non  si 
rappresentano  lune  che  quelle  parti  per  le  quali 
siamo  naturalmente  adatti. 

Ciò  che  perpetrarono  il  l>estiale  e  feroce  Antiv 
nio,  l'incoscienti  Lepidi  ed  augusto,  reso  alla  sua 
\cilta  spietato  dall'esempio  ,■  dalla  codardia,  non 
potea  essere  compiuto  da  un  uomo  la  cui  indole 
un  fondu  di  generosità  e  che  dall'orgoglio  at- 
tingeva il  e  i  .■.-.:-;,  .he  gli  facea  dire  essere  meglio 
subire  la  morte  una  volta  che  vivere  temendola 
sempre. 

Dopo  tutto,  conchiude  il  Ferrerò,  che  Cesare 
non  fu  un  grande  uomo  di  Stato  perchè  non  po- 
teva esserlo,  io,  che  forse  in  fondo  son  d'accordo 
coli  autore,  dirò  die  tu  un  grande  uomo  di  Stato 
come  sapeva  e  poteva  esserlo. 

Ma  grande  ad  ogni  modo  lo  fu,  perchè  la  sua 
mano  possente,  sia  pure  inconsciamente,  indirizzò 
gli  avvenimenti  per  quella  via  nella  quale  lunga- 
mente restarono,  perchè  era  forse  la  più  adatta 
alla  natura  delle  cose  e  la  più  conforme  agli 
interessi  dell'umanità  e  della  civiltà.  Certo,  il  di- 
segno di  Cesare  per  essere  condotto  a  termine  ebbe 
bisogno  dell'opera  di  un  uomo  di  qualità  meno  bril- 
lanti il  quale  però  fu  notevole  per  il  grande  talen- 
to di  organizzatore,  per  la  sua  calma  e  per  la  sua 
moderazione  e  che,  arrivato  al  jxitere  giovanissimo, 
potè  lungamente  governare  l'Impero.  Ma  Augusto 
nulla  avrebbe  potuto  fare  se  la  sua  azione  non 
fosse  stata  preceduta  da  quella  di  Cesare  e  se  non 
si  fosse  presentato  come  il  re  ed   il  conti- 

nuatore di  Cesare. 

7. — Ed  ora,  dopo  avere  fatta  per  sommi  capi 
l'esposizione  critica  dei  due  volumi  del  Ferrerò, 
mi  resta  il  compito  di  dame  un  giudizio  sia  pure 
s.  miliario  ;  compito  certamente  non  lieve,  perchè  è 
difficile  riassumere  in  qualche  pagina  i  pregi  e  le 
mende  di  un'opera  di  polso,  tanto  difficile  che  nes> 
suno  dei  gimli/ì  sull'argi  mento,  che  finora  ho  letto, 
mi  sembra  del  tutto  soddisfacente. 

l>no  anzitutto  'In  il  Ferrerò  ha  tentato  un  ge- 
nere negli  ultimi  decenni,  ad  eccezione  del  Villari, 
del  Negri  e  di  qualche  altro,  quasi  del  tutto  disu- 
sato in  Italia.  Egli  infatti  non  ha  scritto  un  n>m- 
pendio,  un  manuale  di  storia  romana,  ed  invece 
di  fare  delle  monografie,  delle  ricerche,  della  pura 
erudizione,  ci  ha  dato  i  primi  due  volumi  di  una 
vera  storia  di  Roma,  ne  contenuto  il  qua- 

dro completo  di    una   delle   grandi   civiltà   mondiali 
descritta   mentre  traversava    uno  dei 
suoi    momenti    più    decisivi. 


LA  NUOVA  OPKRA    DI    GUGLIELMO    FERRERÒ 


9l5 


La  storia,  secondo  gli  scrittori  del  buon  tempc 
antico,  è  l'arte  di  narrare  i  fatti  realmente  avve- 
nuti in  maniera  che  i  posteri  possano  rendersi  con- 
to delle  passióni,  delle  idee  e  delle  azioni  degli 
uomini  che  a  quei  fatti  parteciparono,  ricostruire 
l'ambiente  in  cui  vissero  e  la  loro  psicologia,  sen- 
tire come  essi  sentirono,  spiegarsi  perchè  temetti 
sperarono,  odiarono  ed  amarono  in  quel  dato  modo. 

E  quest'arte  il  Ferrerò  conosce  e  specialmente 
alcuni  capitoli  della  sua  opera,  quelli,  ad  esem- 
pio, nei  quali  narra  la  guerra  dei  Parti,  l'insurre- 
zione della  Gallia  sotto  Vercingetorige  e  la  morte 
di  Cesare  sono'  degni  di  uno  storico  che  è  nello 
stesso  tempo  un  artista  della  parola.  Ma,  anche 
astrazion  facendo  da  questi  capitoli  e  giudicando 
nell'insieme  il  lavoro  del  Ferrerò,  io  credo  che  lo 
si  possa  dire  riuscito. 

Difatti  il  profano  che  abbia  letto  i  suoi  due 
volumi  e  che  sia  una  persona  di  media  cultura, 
resta  coli  impressione  che  i  membri  delle  classi  di- 
rigenti nell'ultimo  secolo  della  Repubblica  aveano 
raggiunto  un'efficacia  d'azione  dominatrice  vera- 
mente maravigliosa,  dovuta  non  solo  alle  migliaia 
di  volontà  umane  che  allora  dipendevano  dai  cenni 
di  un  solo  uomo,  ma  anche  alla  vastissima  e  raffi- 
nata cultura,  alla  versatilità  grandissima  che  svi- 
luppava nei  rami  più  disparati  le  attitudini  diri- 
genti delle  notabilità  politiche  d'allora.  Ma  nello 
stesso  tempo  il  lettore  scorrendo  le  pagine  del 
Ferrerò  facilmente  si  sarà  accorto  che  quegli  uo- 
mini, cosi  simili  a  noi  per  la  mancanza  di  pregiu- 
dizi intellettuali,  per  la  finezza  dell'osservazione, 
per  lo  sviluppo  del  senso  critico,  si  distaccavano 
profondamente  da  noi  per  l'indifferenza  con  la 
quale  affrontavano  la  morte  e  la  infliggevano  agli 
altri,  per  la  mediocrissima  compassione  che  pro- 
vavano dei  patimenti  altrui,  in  una  parola  per  lo 
scarso  sviluppo  del  senso  morale,  che  avea  perduto 
i  freni  che  le  consuetudini  e  le  superstizioni  im- 
pongono nelle  epoche  barbare,  senza  avere  acqui- 
stato quella  squisitezza  che  nelle  società  d'antica 
cultura  è  il  retaggio  di  lunghi  secoli  di  vivere  pa- 
cifico ed  ordinato,  del  diuturno  costringimento  del- 
le passioni  egoistiche,  del  rispetto  abituale  ed  e- 
reditario  per  la  personalità  altrui.  Or  queste  im- 
pressioni, secondo  me.  corrispondono  ad  una  sin- 
tesi molto  esatta  delle  condizioni  psicologiche  della 
società  romana  nell'epoca  dal  Ferrerò  ora  studiata. 

Certo  nel  lavoro  di  volgarizzazione  della  storia 
di  Roma  che  egli  ha  intrapreso  non  tutto  è  per- 
fetto, ma  prima  di  lanciare  una  censura  conviene 
tenere  presenti  le  grandissime  difficoltà  del  tema 
e  vedere  quante  di  queste  difficoltà  siano  state  fe- 
licemente superate. 

Parecchi  critici,  ad  esempio,  hanno  protestato 
contro  quell'abitudine  che  il  nostro  autore  ha  di 
descrivere  con  termini  modernissimi  gli  uomini  ed 
i  fatti  dell'antichità.    Essi   non  amano  che  si   parli 


.il  politicians,  di  iaiutts  e  di  bosscs,  quasi  che  si 
trattasse  della  modernissima  New  York  e  non  di 
quella  Roma  antica  di  cui  ammiriamo  i  classici 
ìuden.  ed  affermano  di  non  riconoscere  più  i  per- 
sonaggi rammentati  nelle  lettere  di  Cicerone,  nei 
commentari  di  Cesare  e  nelle  pagine  immortali  di 
Plutarco,  in  quei  tipi  che  ci  vengono  presentati  tra- 
vestiti alla  moderna  e  che,  invece  della  toga,  por- 
tano la  redingote  ed  il  cappello  a  cilindro. 

Ma  i  critici  che  fanno  questi  appunti  al  Ferrerò 
sono  persone  che  forse  conoscono  la  storia  per 
conto  loro,  ma  non  si  sono  mai  provati  ad  inse- 
gnarla e  che  credono  quindi  che  basti  narrare  sem- 
plicemente le  vicende  di  un'epoca  lontana  per  farle 
capire  ai  profani.  Invece  non  è  così  :  la  storia  è  la 
chiave  di  tutte  le  scienze  sociali  ma  è  disgraziata- 
mente scienza  difficile  a  volgarizzare  per  la  ra- 
gione molto  ovvia  che  per  incominciare  a  com- 
prenderla bisogna  saperne  già  molta.  Non  si  ar- 
riva infatti  ad  avere  una  visione  alquanto  esatta 
degli  avvenimenti  e  degli  uomini  di  un'epoca  mol- 
to distante  dalla  nostra,  se  non  quando  si  è  con 
essa  in  certo  modo  familiarizzati,  e  non  si  acqui- 
sta questa  familiarità  se  non  a  prezzo  di  lunghi 
studi  e  diventando  quasi  uno  specialista  della  ma- 
teria. 

Or  il  Ferrerò  narrando  le  vicende  di  Roma  antica 
non  solo  per  gli  specialisti,  ma  anche  per  uomini  di 
media  cultura,  non  potea  fingere  d'ignorare  come  sia 
per  essi  difficilmente  intelligibile  il  mondo  antico  ; 
egli  quindi,  applicando  il  vecchio  principio  didattico 
che  per  arrivare  all'ignoto  bisogna  partire  dal  no- 
to, si  è  sforzato  di  fare  un  parallelo  continuo  fra 
gli  istituti,  i  fatti  ed  i  personaggi  dell'antichità  e 
quelli  moderni.  Parallelo  che,  se  non  sempre  dà 
un'idea  perfettamente  esatta  degli  avvenimenti  del 
passato,  ne  dà  almeno  un'idea  approssimativamen- 
te esatta,  ed  agevola  oltremodo  il  formarsi  di  quel- 
la percezione  delle  società  estinte,  che  è  in  fondo 
il  migliore,  il  più  pratico  degli  insegnamenti  che 
la  storia  può  darci. 

Poiché  è  guidando  in  questo  modo  i  lettori,  è 
facendo  loro  comprendere  con  continui  paragoni  le 
differenze  e  le  analogie  fra  le  condizioni  politiche, 
economiche,  morali  ed  intellettuali  di  venti  secoli 
fa  e  quelle  di  oggi  che  si  può  sviluppare  in  essi 
il  senso  della  realtà  negli  studi  sociali  ;  è  solo 
cosi  che  essi  potranno  imparare  a  distinguere  ciò 
che  è  carattere  accidentale  di  un  dato  consorzio 
umano  da  ciò  che  è  base  stabile  ed  immanente  di 
tutte  le  società  in  tutte  le  epoche,  ciò  che  è  essen- 
ziale da  ciò  che  è  apparente,  ciò  che  è  possibile  da 
ciò  che  è  sogno  ed  utopia.  E  va  tributata  quindi 
ampia  lode  al  Ferrerò  per  averci  dato  un'opera 
storica  di  questo  genere  e  per  averci  consacrato 
per  lunghi  anni  le  sue  mirabili  attitudini  di  ricer- 
catore paziente  ed  indefesso  e  di  artista  della  nar- 
razione. 

G.  Mosca. 


-v^&^m. 


Vft 


ALLA      MA  KT I N I C  A 


I  g  i  che  stampiamo  in  questa  p 

una  delli  prime  arrivate  in  Europa  dopo  il  secondo 
gravissimi  ha  colpito  la  Martinica.   1 

giornali  hanno  parlato  diffusamente  della   sea  nda 


eruzione  del  vulcano  Pelée,  che  non  fu  meno  grave 
della  prima,  e  che  produsse  minor  numero  di  vit- 
time soltanto  perchè  la  prima  eruzione  aveva  mie- 
ima  quantità  spaventosa  di  vite. 

La  seconda  eruzione  comint 
notte  del  25  agosto,  accompagnata 
da  scariche  elettriche  e  da  una  pi» >g- 
gia  di  materie  incandescenti  proiet- 
tate sopra  un  raggio  di  200  mitri. 
La  cenere  piovve  sino  sulla  Guada- 
lupa,  tanto  che  gli  abitanti  di  que- 
st'isola 1  che  si  fosse  .1 
to  qualche  vulcano  in  vicinanza,  ed 
il  governatore,  per  rassicurarli,  do- 
vette far  esplorare  tutta  l'isola.  Ri- 
petutasi il  30  agosto  con  violenza 
anche  maggiore,  l'eruzione  produs- 
se la  distruzione  di  parecchi  vil- 
laggi situati  intorno  a  Saint-Pierre, 
nelle  vicinanze  del  vulcano.  Questi 
villaggi,  che  dopo  la  prima  cata- 
strofe er  in. •  si  ii i  abbandi mati  dai 
li  n  1  abitanti,  die  ila  un  mi  .mento 
all'altro  temevano  dì  dover  subire 
la  stessa  sorl  degli  abitanti  di 
Saint  Pierre,  erano  poi  stati  1 
cupati  per  volere  delle  autorità,  le 
quali,  dichiarando  che  ogni  pei 
lo  era  scomparso,  ordinarono  agli 
abita  .li    di    tornare   alle    li 

1 .  .osi  la  montagna   Pi  lée  : 
tu.     :are  nuove  vittime  che  si  sono 
coniate  a  migliaia. 

ne    si    ,'■  detto,    parecchi    vil- 
laggi    intorno  a     Saint-Pierre 
stali        distrutti        completameli 
quanto   a    Saint-Pierri  -mia 

razione  ha  completato  l'opera  di 
distruzione  iniziata  dalla  prima.  La 
nostra  fotografia  mostra  ciò  che  è 
rimasto  della  via  principale  della 
città.  Solo  un  muro  è  ancora  in 
piedi,  con  le  sue  porte,  le  Mie  fine- 
stre, le  sue  Ulì|"  ali 
di  legno   pei'                    intatta. 


1 


ss*! 


S  O  3.J  M  ^V  1*  I  O 


Duelli  studenteschi,  pag.  917  —  11  latte  in  polvere,  pag.  922  —  Il  teatro   all'aria  aperta,    pag.  923  —   L'ultima   sco- 
perta   scientifica,    pag.  924  —  La    fine    delle    grandi    corazzate,  924  —  Una  notte  con  un  astronomo,  pag.  925 

—  I  cappelli  di  Panama,  pag.  927  —  Nel  mondo  dell'ignoto,  pag.  929  —  La  casa  del  Petrarca  a  Val 
chiusa,  pag.  930  —  La  donna  nell'arte  veneziana,  pag.  932  —  La  morale  della  vita  degli  animali,  pag.  941  — 
Arti  e  mestieri  nel  regno  delle  bestie,  pag.  944  —  Ouanto  costa  un  cucchiaio  di  legno,  pag.  94S  —  1  cani  pò- 
liziotti.   pag.  949  —  In  mezzo  al  ghiaccio,  pag.  953  —  Verso  il  Polo.  pag.  954  —  Vi  sono  fanciulli  di  genio?,  pa 

—  Idoli  e  idolatri,  pag.  960. 




Duelli 

studenteschi 

....  Eravamo  informati  che  il  duello  avrebbe 
avuto  luogo  alle  otto  di  mattina  ;  ma  ci  si  era  detto 
che  se  volevamo  vedere  un  vero  «  bel  duello  »  san- 
guinosi ,  sarebbe  stato  meglio  venire  un  poco  più 
tardi.  Per  i  combattimenti  era  stato  scelto  il  villag- 
gio di  Wollnitz,  celebre  da  cento  anni  come  scena 
di  duelli  studenteschi.  In  generale  il  giorno  desti- 
nato a  queste  funzioni  importantissime  della  vita 
studentesca  è  il  sabato. 

Giungemmo  a  Wollnitz  alle  nove  e  mezza.  Ave- 
vamo percorso  in  vettura  tre  miglia  per  giungervi 
dall'Università,  tre  miglia  di  paesaggio  magnifico. 
Giunti  al  villaggio,  trovammo  un'ottantina  di  stu- 
denti che  stavano  tranquillamente  a  bere  la  birra. 
Il  presidente  del  corpo  annoverese  ci  venne  incon- 
tro, si  fermò  ad  una  certa  distanza,  riunì  i  tacchi 
come  un  soldato  che  si  mette  sull'attenti,  e  si  in- 
chinò solennemente.  Xoi  prendemmo  posto  alla  sua 
destra.  Un  grosso  recipiente  di  birra  stava  in  mezzo 
alla  tavola,  e  noi  fummo  serviti  in  tozze  ciotole  di 
legno,  chiuse  da  uno  strano  coperchio  su  cui  erari' 
incise  le  iniziali  ed  i  misteriosi  simboli  geometrici 
del  corpo.  Il  presidente  alzò  la  sua  ciotola  e  disse: 
«  Prosit  ».  Tutti  lo  imitammo.  La  cerimonia  iniziale 


era  terminata.  Lo  studente  tedesco  è  molto  forma- 
lista- 
In  principio  non  scorgemmo  indizio  del  duello 
che  eravamo  venuti  a  vedere.  Tutto  sembrava  per- 
fettamente amichevole  e  tranquillo.  Una  rosea  ra- 
gazza serviva  salsicce  e  pani  di  segala,  e  gli  stu- 
denti, di  ottimo  umore,  scherzavano  allegramente 
con  lei.  E  di  duelli,  nemmeno  una  parola. 

Ma  ecco  che  uno  studente  di  chirurgia  entra,  in- 
dossando una  lunga  Mouse  bianca.  Il  suo  berretto 
azzurro,  il  berretto  del  suo  corpo,  è  gettato  ali  in- 
dietro, e  le  sue  braccia,  nude  sino  ai  gomiti,  sono 
insanguinate. 

Pochi  minuti  dopo,  ecco  altri  studenti  di  chirur- 
gia, tutti  più  o  meno  insanguinati  ;  ed  infine  ecco 
uno  studente  con  la  testa  e  la  faccia  quasi  comple- 
tamente fasciate,  e  pallidissimo  per  quanto  si  può 
giudicare  dalle  poche  parti  del  viso  rimaste  sco- 
perte. Tuttavia  egli  cammina  con  sicurezza  e  porta 
con  spirito,  quasi  comicamente,  il  suo  berretto  so- 
pra le  bende.  Tutti  i  nuovi  arrivati  prendono  posto 
intoni"  alle  varie  tavole,  senza  suscitare  intei 
speciale. 

Eravamo   arrivati    nell'intervallo   fra  due   duelli. 


LA    LETTURA 


iuel  primi  avuto  im- 

i    mata  do 


Il  benvenuto. 

consistere  in  una  sfida  lanciata  da  certi  stu- 
denti berlinesi,  venuti  a  combattere,  come  cava- 
lieri antichi,  chiunque  avessi  osati  scendere  in  cam- 
po contro  di  loro. 

Ma  prima  ancora,  doveva  aver  Luogo  un  combat- 
timento fra  un  bavarese  ed  un  tirolese,  due  forti 
campioni  molto  conosciuti  dalla  studentesca.  Dopo 
che  i  chirurghi  si  furono  ristorati  con  birra  e  sal- 
siccia, si  andò  tutti  nella  sala  del  duello.  Era  bassa, 
lunga,  piena  di  banchi  e  di  tavole.  Nel  mezzo  era 
distesa  una  tavola,  che  costituiva  il  terreno  del  com- 
battimento. Era  tutta  insanguinata. 

Gli  spettatori  fecero  circolo  intorno  al  luogo  ove 
dovevano  stare  i  combattenti  ;  coloro  che  non  ave- 
vano potuto  occupare  i  primi  posti  salirono  sopra 
le  tavole  e  sopra  le  seggiole  per  vedere  ;  e  molte 
dell»  Fan  i  he  si  scorgevano  attorno  portavano  i 
segni  di  duelli  come  quello  cui  stavamo  per  assi- 
stere. Due  chinirghi  vennero  portando  un  bacino 
di    s  antisettica,     molta    ovatta    e     delle 

bende. 

Uno  studente  con  un  berretto  rosso  prepara  due 
seggiole  alle  estremità  della  stuoia,  ponendole  in 
modo  che  si  si  volgano  le  spalliere.  I  padrini  intanto 
procedono  all'equipaggiamento  dei  combattenti.    Si 

la  ci  Tazza.  E  che  corazza  ! 

Essa  difende  il  petto  e  la  gola  fin  proprio  sotto  il 
mento,  in  guisa  che  soltanto  la  testa  sia  esposta  ai 

della  corazza  ili  questi  due  con 
tenti  era  di  un  color  bronzeo  che  in  principio  attri- 
buimmo al  lungo  uso.  ma  che  poi  sapemmo  deri- 
vare dal  sangue  che  vi  ei  a    I  ognuno  dei 

due  avversari  aveva   un   paio  di   grossi   occhiali,    ben 

riparati,    sporgenti    e  fermati    dietri     il   capo*,    per 

Anche  parie  dell  e  era 

estremità  supi  i  erano 


dere  studenti  tedeschi  con  le  orecchie  più  o  meno 

sino//. il  e. 

Al    braccio    destro   di    ogni    duellante    fu    assi- 
ito  un   grosso  bracciale,  e  finalmente  tutto  fu 

pronto. 

Gli   avversari  ino   l'uno  in    taccia  all'altro 

e  si  fissavano  fieramente  negli  occhi  ,  non  dicendo 
nulla,  nemmeno  ai  loro  padrini.  E'  un  punto  d'onore 
per  questi  spadaccini  non  mostrare  emozione  di 
sorta.  Entrambi  portavano  il  berretto  del  loro  corpo, 
con  le  visiere  rovesciate  all'indici  n ..  Quando  alza- 
ia no  il  braccio,  i  padrini  posero  loro  in  mano  le 
spade,  non  molto  lunghe,  ma  acuminate  e  taglienti 
come  rasoi. 

I  duellanti  si  avanzano  fermandosi  l'uno  in  faocia 
all'alito    alla    distanza    di    una    spada;    potrebbero 

•  irsi  con  le  mani,  ed  al  vederli  così  vicini,  noi, 
non  ini/iati,  pensavamo  che  quei  due  infelici  doves- 
sero tagliarsi  a  pezzi.  11  giudice  di  campo  salì 
sopra  un  banco  con  una  piccola  lavagna  in 
mani  - 

I  secondi  si  avvicinarono  ai  lori  punii  e  'misero 
loro  i  berretti,  lasciandoli  a  capo  scoperto:  questo 
e  il  segno  che  non  c'è  più  ritirata  possibile.  Deposti 
i  berretti,  i  secondi  si  pongono  ciascuno  virino  al 
loro  primo;  gli  spettatori  danno  un  passo  indietro; 
i  duellanti  portano  la  sinistra  dietro  la  schiena  af- 
ferrando con  le  dita  i  lacci  della  corazza;  uno  dei 
padrini  ordina:  «  Tn  guardia!  »  ;  |«>i.  dopo  qual- 
che secondo,  il  duello  comincia. 


I    CHIRURGHI    SI     RIFOCILLANO. 


Prima  del  combattimento. 


LA    LETTURA 


delle   lame   balenanti,    si 

x  ori    molta 

mo  .li   affari,   esamina 

ìi  n 

so  allarme.  Dopo  un  momento  di  ri- 

n  ni  i".  I  ferri  si  ini 

-,  in     i  »i   impn  n  so,  vi  demmo  un 
I    Ili  volare  in  aria,  S    fi  idere 

•  mbattimento,  e  le  spade  furono 
I  chirurghi  i 

ri.  Non  v'a 
avuta  una  prova  i 

■    ■.  iffo  di  ca- 

:  l,i,    a]  bavarese,  proprio  ra 
[1  gii  sulla   la\ 

un  i  i  'in'   del  i in  lese,  ed  ord  prò 

assalto  fu  bre\  «imi     Quasi   ap 
i   sci  ab  ile,  fu  ordinato  l'alt.  Questa 
i  i  chirurghi  si  affrettarono.  A  traversi   un 

i  chia    quasi    sino  all'angi  »li 
delli  .  -   vedeva  una  lividura,  I  duellanti 

qualche    pass        id  ipp  ggiandosi 

>   li     si  ggiole  chi 
he  potessi  i  giarvisi,  \  isti    chi    le  o 

imp     ì  di  sedere  comodamente.  La   ferita  ilei 

cominciò  a  sanguinare.   Noi  ci 

isando  che  oramai  era  finito,  ma     s 
ivamo.   I  chirurghi  medicarono  alla  meglio  con 
ovatta  la  ferita,  ma  non  la  fasciarono.  11  giudice  di 

1    colpo,  ed   i  duellanti  si   rin 
in  guardia. 

Fu    il    bavarese,    alla    ripresa,   che  ebbe  un   suc- 

s  .    restituendo  al   tirolese   il   colpo  ricevuto  in 

a.  Il  tirolese  fu  ferito  così  profondamenti  che 

il  sangui  subii       n   copia   dal   taglio   fatti 

sulla   fronte,  inondando  tutta  una  gota  del  colpita 

V    fu  un  nuovo  riposo.   Nemmeno  questa  volta  la 


fu    fasciata;    i   chirurghi   >i  contentarono  di 
passarvi  sopra  una  stretta  striscia  di  pelle  per  fre- 
la   perdita  di  ma  con   p 

risultato.    Del    resto    i   d  non    si    affannano 

mai  ,ul  impedire  l'uscita  di  1  sangue,  perchè  appunto 
il  \ ali m    dello  «  spettacoli i  »  sta   nella  , |uani ita 

^  l'arso. 

Di  i"    i  gni   assalto  le  spade  venivano  pulite  con 
, iv atta  ed  immerse  nella  soluzione  ai  i  |«-r 

■  he  il   dui  i    un  duellista   rag 

Col  1  dui  Ilo  noi  a  imprenderli -o- 

nii   si  i  minti  i,  I  .lue  avversari  non 

tini     dei    movie  nano 

i  i  m     la     scherma,    m  non  ami. ivano   a 

fondo,  non  si  avanzavano,  non  si  ritiravano;   sta- 
li i mi,    p'  e  in    pei    Ieri i   sarebbe   un   dison 
muoversi   di  un   pollice;    non   muovevano   nemmeno 

:         tene* ano  il  braccio  destro  sollevai 
muoveva»    la  man.    ed  il   polso  in  maniera  che  la 
punta  della  sua. la  dovessi    sferzare  il  volto  dell'av- 
versario.    Molto    dipende    dalla   resistei  Lilla 
forza  del  braccio  destro,  perchè  su  essi   i              niasi 

la   ferita  è  quasi  1 1 
l  n     vecchio    lottatori     diventa     straordinariam 
forte  nel  polso  e  nell'avambraccio;  ma  non  si  può 
ii     a  meno  .li  considerare  che  tutto  idde- 

-ti. untine  riuscirebbe  inutile  in  un  duello  ordinario. 
Questi  duelli  di  studenti  costituiscono  un'istituz 
tutta  speciale,  degenerazione  del  ver.    duello. 

Fra  chiaro  che  il  tirolese  tra  i  due  era  il  miglior 
combattente.  Quanto  più  il  duello  progrediva,  tanto 
piu  fieri  si  facevano  i  suoi  colpi:  quasi  ad  ogni 
assali,  egli  colpiva  il  bavarese  in  qualche  punto 
di  I  capo  o  del  volto.  Il  sangue  era  sparso  dovun- 
que, sul  pavimento,  sugli  abiti,  sui  combattenti,  sui 
padrini,  sui  chirurghi.  I  due  avversari,  specialmen- 
te, ne  erano  a  dirittura  inzuppati:  usciva  persino 
dalla  loro  schiena,  .li  sotto  la  a  corazza  ■>.  ove  di- 
scen.  lei  a  dalla  testa     \  I  un  certo  punto  il  lui 

Sputò  Un   pezzo  .li   .lente  che  il  tirolese  gli   avev 

a  un  colpo  spav-ntoso.  Narrare  queste 

non   fa   piacere,  e  nenmien      fa   piao  re  il  vederle,  ma 
senza    di    '^se    non  !  ,e    un'i'iea    adeguata   .li 

ciò  che  sia  un  duella  tra  studenti  ted 

I     le  ferite  ed  il  sangue  non  costituivano  la  - 
■  sa   pei  hi  si  trovava  là  dentro.   Era  una 

mattinata  calda,  la  stanza  era  piena  .li  studenti,  e 
nessuna  finestra  era  aperta,  e  l'unica  porta  era 
cata  dagli  spettatori.  Quindi  si  soffocava  perii  ■ 
e  lana  cattiva,  ma  la  tortura  di  chi  stava  a  vedere 
doveva  essere  nulla  in  confronto  alla  tortura  dei  due 
hi  .    chiusi  entro   un 
la  dalle  ino  costretti  a  o  m 

battere,   e   nella   fatica   e  nell'eccitazione   suda 
in  n 

ti  bai  ra   pallidissimi i  .love  il  sangue  non 

aveva    tolto    la    vista    della    pelle,    e    pareva    che    a.l 

i  colpo  dovi  ma  tutte  le  volte  che  si 

la    ripres  unente 

.'iv  igore    e    talvolta    eoli 

I.     spadi    oscillavano  con   rapidità   incredi- 
bile,   e   talvolta  colpivano    anche   chi    non   .lovcv.m. 


DALLE    RIVISTE 


colpire.  Dopo  un  colpe,  vedemmo  il  padrino  del 
bavan  »o  p<  rtarsi  la  manti  dietro  la  testa;  quando 
la  tolse,  era  insanguinata.  Talora  accade  che  i  se- 
condi siano  feriti  seriamente  come  gli  stessi  o  m 
battenti,  i  sicché  uno  studente  può  ottenere  un  I  li- 
gio assa  ospicuo  ed  onorevole,  senza  prendersi  il 
disturbo  di   scendere  in  campo  come  combattente. 

Alla  fine,  dopo  quindici  colpi,  i  duellanti  furono 
disarmati  e  liberati  della  corazza  perchè  p 
sedere  comodamente.  Ci  stavamo  rallegrali'1 
pensiero  che  la  lotta  fosse  oramai  definitivamente 
finita,  quando  venimmo  a  sapere  che  quella  era  sol- 
tanto la  prima  metà.  Ci  volevano  ancora  altri  quin- 
dici colpi.  I  chirurghi  erano  occupatissimi,  nell'in- 
tervallo, ed  i  compagni  così  dell'uno  come  dell'alio. 
combattente  si  facevano  loro  intorno,  dando  consi- 
gli sul  miglior  modo  di  maneggiare  l'arma. 

L'intervallo  non  fu  che  di  pochi  minuti  ;  al  grido 
del  giudi.,  di  campo,  il  bavarese  ed  il  tirolese  ri- 
presero con  passo  sicuro  i  loro  posti.  Sarebbe  diso- 
nore mostrarsi   deboli   o  malsicuri. 

E  il  combattimento  ricominciò. 


Una  delle  stranezze  del  duello  era  ((istituita,  per 
noi  non  abituati  a  tali  spettacoli,  dalla  tranquilla 
indifferenza  degli  spettatori.  Non  vi  erano  ne  ap- 
plausi, né  proteste,  né  altre  manifestazioni  sia  di 
entusiasmi!,  sia  di  eccitamento.  Molti  avevano  por- 
tati  nella  sala  d'armi  le  loro  tazze  di  birra,  e  be- 
vevano  a  quando  a  quando,  e  talvolta  brindavano 
ad  alta  voce  alla  salute  di  qualche  amico  a  traversi* 
la  sala.  Le  kellerina  andava  e  veniva  tra  uno  stu 
dente  e  l'altro,  talora  rasentando  i  pa- 
drini ;  ad  un  certo  punto  la  vedemmo 
venir  dentro  con  un  piatto  contenente 
salsiccia  e  pane:  qualcuno  aveva  or- 
dinate; una  colazione  in  quella  stanza 
ovi    si  versava  il  sangue! 

La  seconda  serie  di  quindici  colpi 
fu  ancora  più  sanguinosa  della  prima. 
Noi  non  ci  imprendevamo  propri  come 
il    bavarese    potesse  resistere  a  quella  J 

tempesta,  poiché  ad  ogni  ripresa  la 
punta  della  spada  avversaria  gli  pro- 
duceva una  nuova  ferita  o  ne  apriva 
una  vecchia.  Finiti  anche  questi  quin- 
dici colpi,  i  combattenti  ebbero  la 
forza  di  camminare  da  soli  sino  alla 
stanza  di  sopra,  ove  dovevano  essi  n 
curati.  Il  bavarese,  per  altro,  pareva 
dovesse  stramazzare  a  terra  ogni  mo- 
mento. Il  tirolese  non  aveva  ferite 
gravi  tranne  una  alla  fronte.  Lo  ve- 
demmo uni  ira  dopo  passeggiare  tran- 
quillamente fumando  una  sigaretta.  Il 
bavarese  non  lo  rivedemmo. 

Il  duello  era  durato  in  tutto  quaranta  minuti. 
Quando  tutto  fu  finito,  volemmo  informarci  quale 
fosse  stata  la  causa  dì  tanto  spargimento  di  san- 
gue. (  erto  quei  due  uomini  dovevano  essere  nemici 
giurati  ;  doveva  esservi  stata  tra  loro  un'offesa  im- 
perdonabile,   forse   un   romanzo.    Ma   sbagliavamo. 


92  I 

Questo  era  un  duello  «  preparato  ».  Naturalni' 
doveva  esservi  stata  un'offesa,  anzi,  in  questi  caso 
speciale,  per  una  combinazione,  ci  era  stata  vera- 
mente un'offesa;  ma  non  era  questa  la  cagione  del 
combattimento.  Quello  cui  avevamo  assistito  era 
uno  dei  duelli  ordinari  del  sabato:  i  due  uomini 
rane  stati  scelti  e  messi  di  fronte  in  base  alla  Li 
i -ita  ed  alle  prove  date  in  altre  occasioni,  ed 
era  stata  precedentemente  stabilita  la  durata  della 
lotta.  Essi  non  potevano  sottrarvisi,  sotto  pena  di 
disonore. 

Ogni  sabato,  in  qualche  villaggio  intorno  ad  ogni 
Università,  si  combatte  un  certo  numero  di  duelli; 
la  studentesca  provvede  e  paga  un  maestro  di 
scherma,  sebbene  spesso  scendano  in  campo  novizi 
che  non  ne  hanno  alcuna  pratica,  forse  non  hanno 
tenuto  mai  in  mano  la  spada.  Le  ferite  sono  giudi- 
cate un  titolo  d'onore,  specie  quelle  belle  ferite  che 
attraversano  la  gota  per  intero  dall'orecchia  alla 
bocca,  quantunque  spessi  ci  voglia  un  pezzo  perchè 
guariscano,  e  talora  certi  studenti  siano  costretti  a 
portare  le  fasce  per  parecchie  settimane. 

E'  assai  raro  che  qualche  disgraziato  muoia  in 
duello.  Se.  qualche  volta,  i  combattimenti  del  sabato 
hanno  conseguenze  letali,  è  per  avvelenamento  del 
sangue,  giacche  i  chirurghi  non  sono  gente  molto 
pratica  dell'arte,  ma  semplici  studenti  di  una  peri- 
zia limitata.  Si  può  anche  morire  per  mal  di  cuore, 
0  per  lo  sforzo  eccessivo,  0  per  l'eccessiva  perdita 
di  sangue. 

L'uso  del  duello  ha  preso  talmente  radice  tra  la 
studentesca  della  Germania,  che,  sebbene  il  codice 
vieti  il  duello,  non  si  è  mai  riuscito  ad  estirpare 
quel  genere  di  sport  molto  inumano. 
Si  vuole  affermare  che.  dopo  tutto, 
quell'uso  serva  ad  ispirare  sentimenti 
forti   nella  gioventù. 

Se  fra  i  duellanti  vi  è  stata  vera- 
mente un'offesa,  ed  a  volte  ciò  accade, 
il  combattimento  ha  luogo  con  le  scia- 
bole e  con  le  braccia  a  metà  nude.  Al- 
lora la  lotta  è  più  seria  che  nei  duelli 
a  spada,  e  la  polizia  cerca,  quando  può. 
di  intervenire,  mentre  nei  duelli  soliti. 
non  ostante  le  proibizioni,  non  inter- 
viene, tanto  che  noi  non  vedemmo  che 
si  prendessero  precauzioni.  Di  senti- 
nelle, nemmeno  l'ombra.  Chiunque  a- 
vesse  avuto  qualche  conoscenza  tra  gli 
studenti  era  perfettamente  libero  di  ve- 
nire ài  I  assisti  re  al  bello  spettacolo. 

Xoi  assistemmo  ad  un  altro  duello. 

ma   poi   ce  ne  andammo,    unni  re   nella 

sala  bassa  ed   affollata    si   continuava 

nbattere.    Si   combatte,    effettiva- 

LESE,  mente,    sino   a  pomeriggio   avanzato. 

Prima  di  lasciare  il  villaggio,  |x-r 
altro,  vedemmo  ancora  una  vittima  di  quella  istitu- 
zione barbara  :  il  presidente  degli  annoveresi,  quelli 
che  ci  aveva  ricevutoal  nostro  arrivo,  stava  sulla  scala 
col  volto  insanguinato.  Aveva  anch'egli  combattuto. 
(Da  un  articolo  del  sig.  Ray  ^tannarci  Baker  nel  Peai 
ron's  Magazine,  fascicolo  di  settembre, 


Il    latte    in     polvere 


Il  lai  dimoiti  p 

i  igienici.    I    medici   1"  ordinano 

ì  ■  .    principale 
del  nutrimento  dei  bambini    Pi  i  quai 

procurarsene  dappertutto,    vi    hanni 
frequenti  in  cui  è  ass  ':  diffi 
pei  esempio,  era  impossibile         ra  arlo 

tropicali  .  così  sulle  navi. 
_i  <li  lung  I  latte  faceva  si 

pre  difetto  ;  molti  ave 

vani  mai  ni  quantità  sufficiente.  Tutto 
perchè  il  latte  sin  qui  doveva  essere  con- 
incora  fresco  sotto  pena  ili  ren- 
derlo inservibile.  Da  più  di  cinquan- 
ni  i  chimici  si  sono  quindi  applicati 
a  cercare  il  segreto  della  sua  con1 
sensazione,  ma  disgraziatamente  i  lon» 
sforzi  furono  fin  qui  senza  successo.  Il 
miglior  sistema  fino  ad  ora  scoperto  con 
sisteva  nel  far  bollire  il  latte  fino  a  ri- 
durlo a  un  quinto  del  suo  volume  pri- 
mitivo e  a  rinchiuderlo  allora  in  scatole 
di  latta  ermeticamente  chiuse.  Ma  il  me- 
ttalo era  imperfetto  perchè  non  si  elimi- 


nava tutta  L'acqua  e  quando  l'evaporazione 
spinta  a  un  grado  più  elevato  si  otteneva  una  pa.sta 
che  ricondotta  p  i  .'11"  stato  liquido  era  impropria 
alla  digestione.  Infine  il  latte  concentrato  e  spogliati) 
delle  materie  alcaline  non  contiene  più  alcun  ele- 
mento del  latte  puro,  ei  •>  tto  la  caseina  e  le  sue  pro- 
prietà nutritive  sono  interamente  modificate. 


II.    SERBATOIO    l'I    CONDENSAZIONE    E  STERILIZZAZIONE. 


Latte  pronto    per   essere  dis- 
seccato. 

Non  ve  dunque  da  meravi- 
gliarsi che  la  scienza  abbia  con- 
tinuato attivamente  le  sue  ricer- 
che per  arrivare  alla  soluzione 
del  problema.  E  ora  finalmente 
il  dottor  Campbell  di  Pennsyl- 
vania è  riuscito  ad  ottenere  un 
latte  in  polvere  che  sembra  ri-, 
spendere  a  tutti  i  requisiti  del- 
l'igiene e  della  comodità. 

I.d  Stato  di  Pennsylvania  è 
uno  di  quelli  dove  la  fabbrica- 
zione del  burro  si  opera  su  va- 
stissima scala.  TI  Campbell  ebbe 
l'idea  di  utilizzare  la  crema  in 
modo  da  conservarne  le  sostanze 
non  grasse,  imprigionandole  per 

dire  in  un  corpo  soli. lo 
rilizzato   e    perfettamente    igie- 
nico. Questo  prodotto  non  costa 
che  la  metà  del  bum.  e  assicura 
dei  benefici  molto  più  grandi. 

Infatti  il  latte  non  contiene 
che  il  a  per  ioo  di  burro,  men- 
tre i  corpi  non  grassi  rappre 
sentali,  almeno  il  q  |«-r  ioo  .Iel- 
la polvere  di  latte.  Il  profitto 
annuale  può  quindi  in  tali  con- 
dizioni     arrivare    a    milioni    di 


DALLE    RIVISTE 


t)23 


dollari.  A  questo  risultato  si  è  arrivati  però  dopo 
molti  studi  e  fatiche.  Sono  occorsi  tre  anni  di  espe- 
rienze e  quasi  mezzo  milione  di  franchi  per  le  espe- 
rienze. Ma  oggi  il  latte  in  polvere  o  il  Nutrium,  come 
si  chiama,  è  entrato  trionfalmente  nella  cucina  nord- 
americana. 

Un  disegno  di  questo  articolo  mostra  uno  stadio 
delle  manipolazioni  che  subisce  il  latte  prima  di  es- 
sere ridotto  in  polvere  perfettamente  secca:  conden- 
sazione ,  granulazione  ,  polverizzazione  ,  disseccazio- 
ne. Il  prodotto  assomiglia  a  fior  di  farina,  si  vende 
in  pacchetti  e  si  può  spedire  nel  mondo  intero. 

La  seconda  illustrazione  mostra  l'apparecchio  ili 
condensazione.  E'  un  vasto  recipiente  in  rame  sta- 
gnato. Il  latte  vi  arriva  aspirato  da  una  pompa. 
poi  vi  è  sterilizzato  ;  infine  è  raccolto  nei  quattro 
grandi  recipienti  rettangolari  dove  avviene  la  con- 
densazione. Il  latte  è  allora  sottoposto  a  un  vio- 
lento movimento  di  rotazione  assai  più  turbinoso  di 


una  ordinaria  bollitura.  E'  allora  evaporato  fino  a 
un  sesto  del  suo  volume.  Fatta  la  condensazione  si 
abbassa  la  temperatura.  Si  apre  una  valvola  e  la 
massa  condensata  cade  in  una  serie  di  recipienti 
dove  penetrano  fiotti  di  aria  sterilizzata.  Tali  reci- 
pienti fanno  due  giri  al  minuto  e  girando  mettono  la 
pasta  in  contatto  dell'aria  che  assorbe  l'umidità  e 
che  rende  la  massa  lattea  assai  più  dura  e  consi- 
stente. Infine  quando  il  prodotto  è  interamente  secco 
si  stritola  sotto  le  macine,  si  riduce  in  polvere  e 
si  chiude  in  piccoli  recipienti. 

Il  Nutrium  permetterà  di  approvvigionare  le  re- 
gioni tropicali  e  le  armate  di  terra  e  di  mare. 
L'igiene  degli  ospedali  ne  sarà  sensibilmente  mi- 
gliorata. La  scoperta  infine  contribuirà  a  diminuire 
la  mortalità  infantile  e  a  favorire  l'accrescimento 
della  popolazione. 

i  Dalla  Revue  (ancienne  Revue  des  Revues),  fascicolo, 
settembre!. 


Parlando  di  teatro,  quasi  istintivamente  la  mente 
corre  a  un  gran  salone  ermeticamente  chiuso,  alla 
luce  fosforeggiante  delle  lampadine  elettriche,  agli 
strani  effetti  del  palcoscenico,  a  tutta  quella  fin- 
zione insomma  alla  quale  non  tutti  possono  permet- 
tersi il  lusso  di  assistere. 

Tuttavia  il  teatro  moderno  non  risponde  alla  sto- 
ria dei  migliori  periodi  del  dramma  e  della  trage- 
dia. Ad  Atene,  alle  rappresentazioni  drammatiche 
che  si  davano  ogni  anno,  una  folla  immensa  assi- 
steva sui  gradini  di  pietra  scavati  ai  fianchi  dell'A- 
cropoli sotto  la  vòlta  del  cielo. 

Nel  medioevo  in  certe  grandi  solennità  si  cele- 
bravano sulle  pubbliche  piazze  i  Misteri,  cui  accor- 
revano in  folla  nobili  e  plebei,  artieri  e  lavoratori 
della  terra. 

Ed  anche  nell'evo  moderno,  in  un  romito  paese 
d'Europa,  dove  palpita  ancora  la  grande  anima  me- 
dioevale coi  suoi  entusiasmi  e  i  suoi  fremiti  reli- 
giosi, ad  Oberammergau,  nelle  Alpi  bavaresi,  lo 
spettacolo  dei  Misteri  si  riproduce  ancora  ai  nostri 
occhi  stupefatti. 

Il  paesello  di  Oberammergau,  accerchiato  da  col- 
line leggermente  ondulate  colle  sue  piccole  case  sor- 
montate da  una  croce  di  legno,  è  al  primo  aspetto 
un  grande  scenario  poetico  e  religioso.  Gli  abitanti 
sono  artieri  modesti  che  passano  il  giorno  nello 
scr  Ipire  con  rara  maestria  in  legno  figurini  di  santi 
che  si  vendono  poi  in  tutta  la  Germania.  E'  ad  Obe- 
rammergau che  ogni  dieci  anni  ha  luogo  la  rappre- 
sentazione del  Mistero  della  Passione  dì  Nostro  Si- 
gnor Gesù  Cristo. 

L'origine  di  questa  usanza  caratteristica  rimonta 
all'epoca  della  guerra  dei  trentanni,  periodo  spa- 
ventoso di  morti  e  di  epidemie,  nel  quale  i  monta- 
nari bavaresi  giurarono,  se  fosse  scomparsa  la  pe- 


ste, di  riprodurre  ogni  decennio  la  scena  della  Pas- 
sione. 

Dapprima  il  teatro  era  a  cielo  scoperto:  ma  ora 
si  è  costrutta  una  sala  gigantesca  che  contiene  4000 
posti.  Sui  gradini  digradanti,  come  in  un  anfiteatro 
romano,  assiste  una  folla  cosmopolita.  La  scena  è 
semplicissima.  Da  un  lato  un  porticato  rappresenta 
il  pretorio,  sullo  sfondo  le  mura  bianche  di  Gerusa- 
lemme, il  tutto  sullo  sfondo  verde  delle  colline  lon- 
tane... e  reali.  La  rappresentazione  comincia  alle 
otto  del  mattino  e  continua  fino  alle  cinque  del  po- 
meriggio con  un  breve  riposo  a  mezzogiorno.  Queste 
rappresentazioni  sono  un  avvenimento.  Le  parti  sono 
distribuite  sei  mesi  prima,  il  tempo  necessario  per 
compiere  l'abbigliamento  personale. 

Ad  Oberammergau  si  è  così  creato  un  tipo  quasi 
orientale,  che  ricorda  i  nazareni  dell'epoca  di  Cristo. 

Il  successo  del  Mistero  è  colossale:  nel  1888  vi 
erano  accorsi  180.000  spettatori  e  nei  1900.  500,000! 

Altri  Misteri  si  riproducono  in  altri  paesi.  Così 
in  Bretagna,  nella  terra  classica  delle  leggende,  si 
riproduce  quello  di  S.  Gweunolé  con  una  messa 
in  scena  semplicissima  :  un  telone  rappresenta  il 
mare  ;  il  cielo  rappresenta  il  cielo,  e  le  finestre  delle 
case  vicine  rappresentano  i  palchi.  Anche  i  perso- 
naggi non  sono  eccessivamente  pretenziosi  :  il  pro- 
tagonista esercita,  in  tempo  di  pace,  le  quattro  pro- 
fessioni di  operaio,  albergatore,  barbiere  e  campa- 
naro. 

Eppure  questo  teatro  semplice  è  un  ritorni»  ai 
primi  grandi  esempì  del  teatro  greco  e  alle  origini 
della  letteratura  drammatica  e  costituisce  per  le  po- 
polazioni villerecce  un  mezzo  educativo  e  istruttivo 
ben  più  degno  delle  nostre  quinte  di  cartone  dipinto, 
dietro  cui  occhieggiano  le  ballerine. 

'Dalla  Let/ures  tour  tous). 


fra   i  dotti  nelli 

i     diventale  di  dominio 

do  una  lai?  nte  rfammira- 

lla    relativa    alla  radio-attività   della 

I  .    Becquerel  trovava,  cinque 

.   che  l'uranio,   metallo  pesantissimo, 
ma    facoltà  'li   emettere   un   genere 
diazioni  luminose,  le  quali  non  hanno 
nienl  col  fenomeno  della  fosforescenza. 

Qu  in  mio  si  propagavano  normal- 

mente in  linea  retta  e  rivelavano  la  loro  esistenza 
impressionando  le  lastre  fotografiche;  dall'occhio 
umano     i  inosservate.     Furono    chiamati 

ggi   uranici  »  per  designarne  la  provenienza,   e 
li    Becquerel  »   in  onore   del    dotto    che   li 

l 'erti. 
Un  anno  dopo,  nel  1898.  furono  trovati  dal  Cu 
rie,  dalla  sua  signora  e  elei  Bemont  due  nuovi  me- 
talli: il  polonio  e  il  radio,  e  nel  1899  l'attinio  dal 
Debierne  ;  nei  quali  nuovi  metalli  si  scoperse  una 
attività  radiosa  straordinaria.  Il  radio,  particolar- 
mente, emetteva  sp  ente  una  luce  tanto  vi- 
va, che  era  possibile  all'osservatore  leggere  uno 
scritt.  .1  breve  distanza  ';i  un  («-//etto  di  minerale. 
La  penetrazii  ne  di  questi  raggi  era  cosi  intensa  che 
la  retina  li  percepiva  anche  se  l'occhio  era  chiusi/ 
1  -ente  s'interponeva  una 
lamina  di  platino  e  se  la  sorgente  stessa  stava  chiu- 
sa dentro  una  cassetta  con  le  pareti  di  piombo. 

le    -sena/ioni  si  moltiplicarono.  Si  vide  che  l'at- 
tixi'à  radiosa  di  qu  ere  comunicata 

per  induzione  ai  corpi  vicini.  Un  corpo  che  si  trova 
nella  sfera  dazione  di  un  metallo  radioso  ne  acqui- 
sta rapidamente  tutte  le  proprietà,  sebbene  in  mi- 
nor grado.    Levata   la  sorgente,  il   corpo  perde  re- 
golai molto  lentamente,  talvolta  dopo  vari 
mesi,  le  sue  proprietà  indotte.  Il  Becquerel  ottenne 
dell'acqua  che  emetteva  per  parecchi  giorni  dei  raggi 
luminosi,  e  un  gas  radioso.  L'attività  radiosa  si  p» 
paga  più  0  meno  palesemente  a  tutti   1  corpi.  Xei 
lei  <  urie  e  del  Debierne  non  si  possono 
più    '  -  nazioni,    perchè  tutto  è  diven- 
aria.  i  muri,  le  panche,  i  vestiti. 
I  re            Becquerel  hanno  maggior  analogia  1 
quel!  con   la  luce  ordinaria.   Essi 
di  una  specie  unica,  ma  risultano  da  un 
complesso  di  radia/ioni   di  genere  e 
proprietà  diverse,  di  cui  non  si  è  potuto  fare  an- 
analisi.  A  si  l'origine  e  la 
natura   di     queste    strane    radiazioni,    gli    scienziati 
hann                    invano    compito    pazientissimi    studi, 
"■•nsì  a  scoprire  ali  1  n    singolari 
propi                             1  capacità  di  produrre  modi 
lìcazioni  chimiche  e  molecolari  nei  corpi  sui  quali 
per  esempii  .  il  cloruro  di  ba 
diventa  prim  1" in- 


Buenza  à»  >  nui  n  •■  raggi  ;  1  acido  1  ira  dì 

vii  letti  e  l'azodico  monoidrato  di  giallo;  l'ossigeno 
si  trasforma  in  ozono.  Le  stesse  pareti  delle  boccet- 
tine  che  contengono  sali  dotati  di  attività  radiosa, 

'ano  nei     1    violette  secondo  che  nel   vetro  si 
trovi  o  non  si  trovi  del   piombo.   Il  Geisel  ha  veli- 
gli  effetti    fisiologici    dei  nuovi   raggi: 
austici:   battendo  sulla  pelle 
duna  man«.  vi  sviluppano  un  forte  rossore,  seguito 
da    o  ni    i    cui  effetti    durano   vari 

l)i  quali  pratiche  applicazioni  sarà  feconda  la 

erta  della  radio-attività?  Impossibile  dirlo  per 
il  momento;  ma  certo  saranno  molte  e  grandi.  Già 
si  sono  fatte  alcuni  prove  coronate  da  buon  esito. 
11    Besson,  servendosi   della   proprietà  dei   raggi  di 

nerel.  di  rendere  alcuni  eerpi  vivamente  fosfo- 

nti.  ha  ottenuto,  mescolando  a  grandi  quantità 
di  cloruro  di  zinco  pochi  milligrammi  di  radio,  dei 
tubi  luminosissimi,  delle  lampade  che  non  hanno 
nessun  bisogno  né  di  alimentazione,  né  di  semplice 
manutenzione.  Il  Curie  e  il  Debierne  hanno  otte- 
nuto ottime  radiografie  di  lettere  chiuse,  e  già  in 
Inghilterra  alcuni  dottori  cominciano  ad  usare  il 
radio  per  accertare  la  più  o  meno  completa  cecità 
di  alcuni   individui  e  per  altri  scopi  medici. 

I  fenomeni  della  radio-attività  sembrano  contrad- 
dire a  tutte  le  più  elementari  leggi  della  fisica,  della 
chimica  e  della  meccanica.  Siamo  qui  in  presenza 
di  corpi  spontaneamente  luminosi,  che  emettono  elet- 
tricità e  producono  effetti  chimici  e  fisiologici,  senza 
in  essi  si  avveri  una  apprezzabile  spesa  di  ener- 
gia. Il  Curie  ha  calcolato  che  dovrebbe  passare 
un  miliardo  d'anni,  prima  che  nei  metalli  radio-at- 
tivi si  modificasse  0  trasformasse  un  milligramma 
di  materia.  Questa  misteriosa  attività  resta  per  il 
momento  inesplicabile,  e  disgraziatamente  le  espe- 
rienze sono  troppo  care:  un  grammo  dei  nuovi  me- 
talli. ]xr  le  inaudite  difficoltà  d'estrazione.  < 
parecchie  migliaia  di  lire. 

(Da  un  articolo  di  F.    Savorgnan  nella  Nuova  Antologia, 
del  i"  settembre». 


La  line  dollc  grandi  corazzate. 

Il  journal  si  preoccupa  in  questi  giorni  dei  tré- 
milioni  annui  che  costa  la  marina  da  guerra 
alla  Francia.  Non  molti  anni   fa   le  navi  da  guerra 
non   avevano  che    70    o    80    metri    lunghezza;    ora 
hanno    [30    metri     da    prua    a     poppa.     Dove    ci 
eremo  in  questo  crescendo  spaventoso  di  pny 
porzioni?  Se  si  pensa  che  un  sottomarino  può  far 
saltare  con  un'abile  mossa  la  più  grande  corazzata 
e  sprofondare  in  mare  una  trentina  di  milioni  d'un 
colpo,    al    concetto   attuale   di    poche   unità    tattiche 
devi    succedere  quello  di  unità  numerose, 
10  enormi   e  meno  costose.    Il    sottomarino  è   la 
line  della  corazzata. 


Una    notte    con    nn    astronomo 


Quante  stelle  possono  vedersi  in  cielo?  Pochi  po- 
trebbero rispondere  al  quesito.  Naturalmente  il  nu- 
mero delle  stelle  visibili  varia  colle  diverse  latitudini 
e  collo  stato  dell  atmosfera  ;  ma  in  tempo  normale 
una  persona  che  abbia  vista  normale  può  vedere  sul 
nostro  orizzonte,  più  o  meno,  tremila  stelle,  ad  oc- 
chio nudo,  s'intende.  Giacche  coll'aiuto  di  un  pic- 
colo telescopio  dall'apertura  di  dieci  centimetri,  si 
scorgono  non  meno  di  324,188  stelle.  Quando  poi  si 
osservi  il  cielo  attraverso  uno  dei  grandi  telescopi 
che  si  trovano  negli  osservatori,  il  numero  delle 
stelle  visibili  cresce  enormemente  ;  e  a  ogni  au- 
mento del  diametro  della  lente,  appariscono  nuove 
stelle,  sinché  si  arriva  a  contarle  a  milioni.  Coi 
maggiori  telescopi  che  esistono  si  calcola  che  siano 
\isibili  sopra  t25  milioni  di  stelle,  sebbene  quando 
si  ha  a  che  fare  con  numeri  così  grandi,  i  conti  pre- 
cisi diventino  impossibili. 

Per  avere  un'idea  adeguata  di  ciò  che  significa 
l'espressione:  cielo  stellato,  bisogna  visitare  un  OS 
servatorio  moderno  e  passare  una  notte  intera  con 
^in  astronomo.  L'autore  dell'articolo  che  riassumia- 
mo ha  potuto  infatti  passare  una  notte  nell'Ossei 
vatorio  di  South  Kensington  per  la  cortesia  del  ce- 
lebre astronomo  inglese  Sir   Norman   Lockver. 

Quando    giunse    all'Osservatorio,  le  porte  erani  ■ 


■  ^bÀbÌ 

■■■■■■Ben 

V 

j^^^^H 

■ 

''^9              1 

ir  * 

■1 

^B 

vi 

■  JUl             H 

Wk 

iT9$é4^È          B 

Una  fotografia  lunare    mezza  una). 

chiuse  e  il  luogo  pareva  deserto;  ma  suonato  il  cam- 
panello e  presentate  le  sue  credenziali  a  un  poiice- 
man  che  si  presentò,  l'articolista  fu  ammesso  nel- 
l'ufficio del  direttore,  da  cui,  attraverso  una  serie 
di  stanze  piene  di  apparecchi  di  ogni  genere,  fu 
condotto  a  una  terrazza  circolare  dove  si  stavano 
facendo  delle  osservazioni.  Nel  mezzo  della  terrazza 
si  trovava  un  grande  telescopio  del  diametro  di 
quindici  pollici.  Esso  poteva  volgersi  in  ogni  dire 
zione  ed  era  connesso  con  un  movimento  di  orolo- 


gerìa cosi  fatto,  che  il  telescopio,  una  vi  Ita  pun- 
tato verso  una  stella,  girava  col  girare  della  stella, 
in  modo  che  questa  restava  sempre  visibile  nel  mez- 
zo dell'obbiettivo.  Questo  movimento  di  orologeria 
(è  inutile  dirlo)  è  uno  dei  congegni  più  delicati  e 
notevoli  che  si  siano  inventati.  Senza  di  esso  sa- 
rebbe impossibile  la  fotografia  delle  stelle. 

Poiché,  come  è  noto,  ormai  il  lavoro  astronomico 
si   fa  in  gran  parte  colla  macchina  fotografica,    là 


Una  cometa  scoperta  da  una  lastra  fotografica 
durante  un  eclisse  solare. 

quale  conserva  un  ricordo  vivo  e  permanente  del- 
l'impressione fuggevole  avuta  dall'occhio  umano. 
Questo  è  per  la  scienza  un  vantaggio  immenso, 
quantunque  diminuisca  in  parte  l'interesse  delle  ope- 
razioni per  un  profano. 

La  macchina  fotografica  è  connessa  col  ti  le- 
e  disposta  in  modo  che  quando  l'astronomo  vede  una 
stella,    l'immagine  di    questa   si  trova    esattamente 
nel  mezzo   della   lastra    sensibile,    cosicché   si    può 
avere  la  fotografia  in  tutti  i  dettagli. 

All'estremità  inferiore  del  telescopio  si  trova  lo 
spettroscopio.  Come  è  noto,  la  luce  bianca,  passan- 
do attraverso  un  prisma  di  cristallo,  si  scompone  in 
una  striscia  colorata  che  va  dal  rosso  al  violetto, 
come  l'arcobaleno.  Questa  strisela  si  chiama  speltro. 
Usando  una  serie  di  prismi  e  scomponendo  più  che 
si  può  lo  spettro,  si  vede  che  1  colori  in  esso  sono 
interrotti  da  tante  righe  nere.  E  questo  Fatto  si  spie- 
ga così.  Se  voi  bruciate  una  sostanza,  per  esempio 
del  potassio,  e  analizzare  la  luce  della  fiamma  che 
esso  dà  nella  combustione,  vedrete  nel  1'  spettro  una 
1  striscia  nera.  Se  bruciate  un'altra  sostanza,  per 
esempio  del  sodio,  vedrete  una  striscia  diversa.  I  1 
sostanza  ha  le  sue  righe  speciali,  ed  è  così  che  gli 


,m,  LA    LETTURA 

trovino  Quando  le  lastre  sono  stante  esposte  un  tempo  de- 
tcrminato sono  portati    ir  una  vicina  camera  oscura 

scopio  connesa    colla  mac-  dove  rimangono  fino  alla  mattina  seguente.  Allora 

china                                                  talvolta  delle  foto-  sono  sviluppate  e  stampate.  Spesso  è  di  giorno  che 

quella   che    riproduciamo  l'astronomi     la  le  sue  osservazioni  e  scoperte,  che 

,,n  t u In t                                  i. Lutai-  deduce  multe  volte  dalle  fotografie  prese  durante 

Os    rvatorio  di  South  Kensington.  I  n'al-  la  notte. 

nuta   |kt  caso  i    che  pure  ri  Lo  studio  delle  stelle  è  uno  dei  più  affascinanti 
quella  di  una  meteora  die  esplode.  Una  e  meravigliosi.  Per  fortuna  esso  è  - —  limitatamente 
novembre  uno  degli  scienziati  dell'Osser-  s'intende  —  alla  portata  anche  di  persone  che  hanno 
ra  fotografica  coll'ob  mezzi  modesti,  poiché  per  fare  un'osservazione  inte- 
biettivo  rivolto  verso  una   pane  del   cielo  dove  si  ressante  non  è  necessario  un  Osservatorio  e  un  enop 
.Ielle  meteore.  11  giorno  dopo,  svi-  me  telescopio.  Basta  una  finestra  bene  esposta,  o, 
luppando  la  lastra,  vi  si  trovò  la  trac-eia  dell'espio-  meglio  ancora,   il  tetto  della  casa.   Quanto  al  tele- 
sione  di  una  ii                twenuta  proprio  mentre  que-  scopio,  si  possono  fare  studi  curiosi  anche  con  un  sp- 


era entrato  nella  nostra  atmosfera. 

ne  spesso  jx'rò  che  si  ottengano  simili 
doni  imprevisti.  Di  solito  gli  scienziati  fanno  le 
stesse  osservazioni  monotone  notte  per  notte,  quan- 
do il  tempo  lo  ]iermette.  si  intende,  perchè  spesso 
una  pioggia  improvvisa,  una  nube,  un  poco  di  neb- 
bia costrìngono  gli  scienziati  a  sospendere  i  lavori 
magari  nel  momento  più  interessante.  D'inverno  poi 
non  si  può  dire  che  l'astronomo  faccia  i  suoi  la- 
vori in  condizioni  molto  comode.  Spesso  fa  molto 
freddo  e  il  disgraziato  osservatore  prima  che  sia 
terminata  la  sua  giornata  di  lavoro  è  mezzo  gelato. 
Non  c'è  da  pensare  ai  caloriferi,  perchè  l'inegua- 
glianza della  temperatura  produrrebbe  l'appanna- 
mento delle  lenti. 

Del  resto  il  lavoro  dell'astronomo  si  compie  sem- 
pre nella  massima  quiete:  il  continuo  tic  tac  del 
movimento  di  orologeria  rompe  solo  il  silenzio  della 
notte.  Lo  scienziato  sta  spesso  immobile  parecchio 
tempo  coll'ochio  alla  lente  del  telescopio,  e  il  lavoro, 
che  è  forse  il  più  importante,  si  compie  silenzio- 
samente   sulla    lastra    della    macchina   fotografica. 


chio  che  abbia  l'apertura  di  dieci  centimetri, 
montato  su  un  sostegno  conveniente  in  modo  da  po- 
ter essere  puntato  e  fissato  in  ogni  direzione. 

In  Inghilterra,  ora.  pare  che  gli  studi  astronomici 
si  vadano  popolarìzzando.  C'è  una  casa  fabbricante 
dì  strumenti  ottici  che  vende  telescopi  a  buon  mer- 
cato e  con  pagamento  a  rate.  E' notevole  del  resto 
che  alcune  delle  più  importanti  osservazioni  e  sco- 
perte nel  campo  dell'astronomia  sono  state  fatte  da 
osservatori  del  cielo  quasi  sconosciuti,  e  con  stru- 
menti relativamente  piccoli.  Si  intende  però  che, 
per  studiare  i  sistemi  platenari  più  distanti,  occor- 
rono telescopi  eli  immensa  portata  e  di  meccanismo 
assai  complicati  t. 

I  più  potenti  telescopi  finora  fabbricati  ci  per- 
mettono di  arrivare  colla  vista  sessantacinquemila 
volte  più  lontano  della  più  vicina  stella  fissa.  Quan- 
do se  ne  fabbricheranno  di  più  perfezionati,  si  po- 
trà penetrare  ancora  di  più  nell'immensità  dello 
spazio  e  scoprire  nuovi  firmamenti. 

(Dal   London  Magazine,  fascicolo  d'agosto). 


Fotografia    dello 
spbttro  di  un  pul 

MINE. 


Una  meteora 
fotografata  ac- 
cidkntalmbnte    al 
momento    dello 

SCOPPIO. 


Duemilacinquecento  lire  per  un 
cappello  di  paglia  !  Sembra  una  fol- 
lìa, eppure  un  finanziere  accorto  come 
il  signor  Lvman  Gage.  segretario  di 
Stato  per  le  finanze  nella  Confedera- 
zione nord-americana,  ha  pagato,  di 
recente,  quella  somma  per  un  cap- 
pello di  Panama  sopraffino  ;  e  per 
giunta  dichiara  di  aver  fatto  un  ot- 
timo affare.  Si  assicura  che  Re 
Edoardo  VII  abbia  comperato  da  un 
cappellaio  di  Bond  Street  un  panama 
per  2250  lire,  mentre  il  celebre  te- 
nore Jean  de  Reszke  ha  pagato  il 
prezzi?  massimo,  poco  meno  di  3000 
lire,  per  procurarsi  un  simile  oggetto 
in  America.  E  l'ex-sindaco  di  Nuova 
York.  Van  Wyck,  si  gloria  di  aver 
.  ottenuto  un  vero  successo  comperando 
un  cappello  che  gli  intenditori  di- 
chiarano superiore  a  quello  del  Re 
d'Inghilterra  ed  a  quello  di  de  Reszke,  e  che  fu 
pagato  la  miseria  di  1250  lire. 


La  lavorazione. 


Un  cappello_sopraffino. 

Queste  cifre  servono  ad  illustrare  sino  a  qual 
punto  arrivi  la  smania  del  Panama,  una  delle  mode 
più  costose  che  siano  state 
mai  adottate  dagli  uomi- 
ni. Costosa  perchè  un  Pa- 
nama mediocre  costa  so- 
pra cento  lire,  e  i  cappelli 
così  fini  da  potersi  ridur- 
re a  minime  dimensioni 
e  far  passare  entro  un 
anello,  costano  vere  som- 
me. Nondimeno  i  Panama 
si  spediscono  dall'America 
meridionale  in  quantità 
enormi  ;  sono  grandi  va- 
pori che  partono  intera- 
mente carichi  di  quei  cap- 
pelli ;  nell'Ecuador,  metà 
della  popolazione  è  occu- 
pata nella  fabbricazione 
dei  Panama  per  gli  ele- 
ganti d'Europa  e  d'Ame- 
rica. 

A  prima  vista  la  sma- 
nia del  Panama  potrebbe 
parere  una  follìa  sfarzosa 
dovuta  al  desiderio  di  es- 
sere al  corrente  con  la 
moda;  ma  vi  sono  altn- 
cause  che  spiegano  la  po- 
polarità del  Panama,  pri- 
ma fra  tutte  questa,  che 
il  cappello  di  paglia  or- 
dinario è  fragile  e  si  rom- 
pe e  si  insudicia  facil- 
mente,   mentre    un   bui  in 


I  A    LEI  I 


rita,    può  es- 
qualunqu  mi  dissimo. 

sarebbi 


Et 

£T       •—  'VS--  r 

*».    «L_^ 

li»-r*TB*Vll 

('.LI    l'I.  I  IMI    LAVORI. 

Mentre  il  nome  farebbe  credere  che  i  cappelli  in 
fabbricati  esclusivamente  nello  Stato 
ni  Panama,  in  realtà  essi  si  fabbricano  in  tutta 
l'America  centrale  e  meridionale,  ma  specialmente 
nell'Ecuador,  nella  Columbia  e  nel  Guayaquil  ;  in 
questi  pa^   si  fabbricano  due  terzi  dei  l'anama  che 


si  trovano  in  commercio.   La  città  di    Panam n 

il  centro  ove  si  no  portati  i  cappelli  fabbricati 

per  essere  imbarcati  poi  sulle  navi    < ralm 

ad  una  leggenda,  secondo  la  quali-  i  fabbrica- 
tori tesseri  bben  i  la   paglia 

t'acqua.     Comi     si 
da  una    delle    ni  stre 
sioni,    ciò    è    falso.     Fo 
la    leggenda   <■    dovuta    a] 
fatto  che  la  paglia,  avanti 
di  essere  tessuta,  \  iene  ba- 
gnata perchè  acquisti  mag- 
giore morbidi  ghe- 

/za.     Ma    non    si 
vreblx-    verami  nte    pari 
di    paglia    a    proposito    di 
Panama:     la     paglia    non 
c'entra   affatto;    i   l'anama 
son  fatti  o  con  steli  di 
glie  di  palma  o  con  tu- 
ba rara    che     creso      neU 
l'America    meridionale. 

Gli  indiai  ino  le 

palme  con  i  denti,  poi  le 
lavano,  ed  infine  tessono 
le  fibre,  con  estrema  <ur.i 
ed  una  pazienza  ammire- 
vole, badando  bene  'he 
ogni  filamento  sia  a  i> 
La    tessitura    di  un 

cappello  richiede  talora  quattro  mesi.  I  Panam.. 

generale  sono  fabbricati  da  donne,   perchè       assai 

diffii  ile   indurre  gli  uomini   a  sottoporsi  a  quel   ge- 

nere  di  lavoro. 

(Dallo  Stralici  Magazine,  fascirolo  di  settembre). 


Un  pacco  di  cappelli  pronti  peh  i.a  spedi 


Xel   mondo    dell'ignoto 


Il    problema    delle    spiritismo   è   tropp     difficile 
1  importa  troppo  all'anima   nm. ma.   ]    rch     li    ul 
discussioni  appassionate  abbiani    potuti    esau 
i-li  .  Gli  studi,  le  indagini,  le  ipotesi,  li         : 
rmazioni  e  le  negazioni  si   -   gui  ri        si  av\ 
ii    quasi  qui  itidianamente. 

I  nostri    lettori   ebbero    notizia    delle    prim 

-    del   dibattito.   Ora   la   Nuova   Anlolog  i,   dop 
li  i  scritto  piutti  sti    se  trio    ili  un  in- 
nziato,    l'ietrn    Blaserna,    pubblica    le   di- 
chiarazioni   d'Un   filosofo    altrettanto    insigne,     ma 
-I  i  ii ico. 
Raffaele  Mariano  —  si  tratta  di  lui  -         nincia 
cri   dichiarare  che  non   appartieni    alla   ci   •- 

nti  i    degli  illuminati,  «come  il  buon    Pasqua- 
I  u r i 1 1 1 1  » .  e  che  neanche  milita   «fra   gl'iniziati 
ò  i   dilettanti   fervorosi  'lei   genere,  ni  n    si     - 
\  issali    i    dei  Checchi.  D'altra  parte,  neppur  pos- 
, intarmi  ili  essere  uno  scienziati  .  un  cultore  di 
psico-fisica  o  di    psicologia    sperimentale   (ch'i    più 
■    chiamare  patologica)  della   forza,  per  esem- 
pio, del    Sergi.    Pretendi     semplicemente    di    ess 
un  uomi    dalla  mente  sana,  almeno  sino  a  dimi 

le  in  contrario  da  parte  di  qualcuno  dei  .-ignari 
del  Lombroso.  Ragionando,  miro  alla  verità,  senza 
r  tazioni    passionali    o  sentimentali         senza 
ncetti   di    sistema», 
(ira.  egli  dichiara  che  della  realtà  dei   fen 
spiritici  nelle  li  ro   forme  svariate,   psichiche  e   fisi- 
.  non  si  può  oramai  dubitare.  A  parte  i  rasi   di 
trappolerie,  si  sono  fatti  tanti  esperimenti  i  cui  ri- 
sultati   sono   attestati    unanimem  i       i  nziati 
dall'intelligenza  tanto  sobria  e  sana,  che  ni 
sibile  negarli.  Ma  che  cosa  soni    cotesti  fenomeni,  e 
"uni.  spiegarli?  Secondo  la  scienza,   sarei  for- 
me di  malattie  della  psiche,  e  segnatamente  della 
vi  lenta;    e   per  quel    che    in    esse   i      p  ssa 

i'     l'ignoto,   resta   di    studiarle  sempre  più    ri- 
amente,  affidandosi    al    mi 
rea    positiva,   con    la  certezza   che   il    noti     sarà 
all'ignoti   .   e  il  noto,  a  giudi/ir  del  Sergi,   pn 
verebbe  che  si  ha  a  fare  ci  n  feni  meni  bensì  p- 
fatici,  ma  puramente,  assolutamente  naturali, 
za  interventi    di  motori    td  agenti   speciali. 

II  .Mariano  dire  che  queste  conclusioni     sempli 
tìrani    tropp     il   problema   e   lo   mutilano.   L'ui 
dato  plausibile  ed  ammissibile  è  il  rio  nducim 

fatti  ipm  tiri  a  stati  psi  i  pai  ci.  Ma  |m  sta 
non  è  una  spiegazione.  A  guardili  lene  in  fondo, 
il  fatto  viene  usi   sp    j,:  stesso.    \   chi 

ile   chiede    una    spii  _  si    ri]n  ne    inn 

li   niente  altro  che   le   stes  Ma   ititi  i  m 

alle  vere  i  ag  ioni,  si  ri  sta  al  I  mii  .1-    pi  i,  • ,  n   i   soli 
ci  il  probli  ma  dell. .  spiritismi    n  n  è 

riti  .  Alle  perturbazii  ni  mori  •  -     -     iggiungi 

"i   lati  .   i   rasi   di  ac  rescit 
fermento  dell'attività  della   psiche;  e  dall'altri,  ma- 
ta  lettura. 


nifestazioni  fisiche  contrastanti   alle   leggi   meccani- 
che,   fenomeni   di    attrazione   e  di    sospensione   au- 
ca,   movimenti   a   distanza,    per   forza   media- 
ni'a.  a  corpi  gravi  nel   vuoto;    nei  quali    fenomeni 
_  _     E       idi  della   ii, ii  ura  appaii  ni    quasi   sop 
presse.  Quanto  al  primi    ridine  di  rasi.  ,  i<  ■  visi*  ni 
i    presentimenti,  il  Sergi  riconosce  che  non  si  lascia 
M     spii  gare   con    la    pati  'logia,    ma    nega    che  essi 
abbiano    carattere    spiritico.     Il     Mariano     rispon- 
I     chi     [ui  sta   i    una   i  ipinione  sua   partio 
Sergi,  che  altri   non   accettano   E  in   realtà,  dalle 
estrinsecazioni   della  psicopatia   a   quelle  dell'és 
i    delia  esuberante  tensioni  e  intensità  della  ps    h 

una  !  fferenza  nei  modi,  non  nella  si  stanza. 
Assai  più  ardui  è  invece  discorrere  dell'altro  i  idi, li- 
di casi.  Dir  che  i  fenomeni  spiritici  di  natura  fi- 
sica, attinenti  alla  meccanica,  si  spiegano  con  l'e- 
strinsecazione delle  forzi  nervose  motrici  o  sen- 
sibili del  medium,  è  un  risolvere,  da  capo,  ['idem  per 

in.    E    se   lino  scienziato  ha   dato   questa  spiega 

.    un   altre   ha  trovato,   nei    fenom 

si  ii  ne.  un  argomento  a  sostegni    delli len    i  nel 

miracolo.  Mei  campo  della  natura,  il  miracolo  fi- 
sico, l'empirico,  il  materiale,  pare  che  sia  da  e- 
scludere;  ma  altrimenti  è  a  dire  nel  campi  dello 
spiritue  del  miracolo  spirituale,  causati  pei  azio- 
ne interiore  della  fede  e  della  grazia  divina.  Di 
questi  miracoli  Iddio  ne  liti  fatti  sempn  e  s  n 
n     farà     Nel    mondo   i  lelli    spi]  iti         della    libi  età, 

nella  vita  delle  anime  come  anche  nel    movi ti 

e   nel   divenire  dei    consorzi]    umani       degli    Stati, 
l'intromissioni    energica,   efficace,   benché   non     n  - 
,i.  del  santo,  del  divino  spirile  assi  luto,  è  in- 
l 'ile. 
1  ,a   psicologia   sperimentale,  con  1    sui     inalisi  e 
le  sue  osservazioni,  è  qui  costretl     a     icere.  1  prò 
cedimenti    empirici,    osservativi,    sperimentali,    sono 
inadeguati  all'     -  ,  |  .      (  ',  n  gli   studi   ulterii  ri,    fin 

i  mezzi  di  ricerca  della  sci  nzz  resterani  nel  li 
eh  si  io,  si  pesti  1 1  I  acqua  nel  mortai'  ,  «  Appena 
alcuni  anni  fa»,  ha  detto  uni  ti  .  un  fistoli 

go,   al  cui  modb   di   ragionare  il   Mar 

ri  avvenimenti  che  oggi  a  cadoni  sotti  ai  no- 
stri occhi  sarebbero  stati  annunziati  come  sopran- 
naturali ;    il   quale  epin  to    san  I  !      bastati     pei 

1    i  irte  i  l'unni  e  pii  credenti,  niuno  a\ 

-.in    a  discuterne  la   pi  ssil  lilità    1 1  disingani  i 
\  .iti     per   la    se,  iperta    di  errori    e   di    i  ium  erii    ci 
'    va    mi  in'  i    alla    illusi'  rie    inversa,    di    credere, 
n  t,  che  tutti    quelli    che  si  al  li  ntana  dalla  ni 

'  qui  tidiat  :  nul- 

la, del  quale  ni  n  mette  il  ci  nti    di  parlari .  I  *ggidì, 
invi  >>-.   sani  '  ininria   a   rr-  den    neli    vision     I      ! 
tr'.ri   e  nei   pn     ni  m  I 

e,  -     i,    alli    spirti,    umano  la 

ani  or;     mal 
:    interamente   ina  ci  ssibili 

59 


\iuri  il  11  e  di  i 

ricordarsi    sempre    <\  • 
i  un  mondo  ignoto,  sul  limitari-    Iella 
ps    hi    umana,  dm 

l  con 

i   ■  ìt-l U-  elementari 

1  unica  conclusione  sicura  cui 

che  c-i  Mnii>  pure  nell'universo 

pob  il/i-   spiri- 

.  ih  cui  noi  tutti,  chi  più  chi  unni»,   l'uno  in 

infinitesimale,  l'altro  in  quantità  formidabile, 

saperli    né  accorgersene,  siamo 

diventiamo  partecipi.  Di  queste  forze 

i  si  può  dire  d  ano  ali 

che  governano  il  mondo  materiale  a  noi  esteriore; 

mentre  sembra,  .il  contrario,  che  prevalimi»  ail  esse. 

unark,  non  scienziato,  ma  scrittore  più  in  vo- 

scienzia    .  ha  detto:  «  Noi  vediamo  una 

i-.i    ferma  ed    una    forza    convinta   esercitare 

un'azione  anche  sulla  vita   dei  corpi.   La   linea  ili 

razione  tra  il  possibile  e  il  reale  in  tal  genere 

di  azione  niuno  l'ha  potuta  sin  qui  tirare  con  sicu- 

I     neppure  ad   alcuno  ili    precisare 

situi  a  qual  limite  si  estendano  la  potenza  e  l'effi- 

;   dell'anima  sulle   anime  ed  anche  sui   corpi. 

he  'li  straordinari  in  questo  campo 

i.i.n  ■'•  lecito  reputarlo  illusione  ed  inganno.    Mira- 


LA    LETTURA 


i  ili  ni  .11  ne  sui  i  edi  ni  • .  ma  del  merav  del 
l'inesplicabili                    mondo  d'avanzo»-  Il    Ma 
i  uni    osserva  <                      parali    non  i    i  ai  ili    n 
plicare,    perch     non  esprimono  opinioni,  ma  certi- 
nò fatti,    i               te,    i«-r  conto  suo,   ciò  che 

1 1' i  i  volta  :  «Si  potrebb  pi  nsan  che  li i  spi 
mo  sia  venuti  i  fiaccare  il  nostro  orgoglio  ]x-l 
in  -i  ii  i» isil  ì\  ismi  tea  smo  empirici  e  scet!  ici, 
facendoci  awertire  che  vi  ha  più  cose  in  cielo  e 
in  terra  che  la  nostra  filosofìa  non  abbia  sin  qui 
sognati  i    Le    [uaJ  ggiunge  ora,  significano 

qualcosa  'li  diverso  dal  mondo  degli  spiriti  vaga- 
li e  delle  animi-  i  mdage,  che  non  si  arn-ml» >n< ■ 
alli-  evocazioni  se  non  p<-r  dir  sciocchezze.  (  i 
Ami. un.  Fogazzaro,  Raffaele  Mariano  crede  che, 
per  certi  aspetti  offerti  dai  fenomeni  spiritici,  noi 
siamo  trasferiti  'li  li  della  cerchia  delle  cose  visi- 
bili e  sensibili  che  ne  i  irci  ndano,  e  sentiamo  spun- 
tarci dentro  un  intuito,  se  non  della  soluzione  fi- 
nali- del  mistero  dell'universo  e  del  destino  dell'uo- 
mo, per  In  meno  d'una  vita  della  psiche  e  dello 
spirito  dotata  'li  energie  latenti,  ili  una  essenza 
sua  specifica,  che  non  ha  niente  a  che  fare  con  le 
forme  ili  vita  conosciute,  delle  quali  riesce  a  noi 
ili  scrutare  l'intima  compagine,  ma  insiemi-  pure 
ili  misurarne  i  limiti,  le  immanenti  imperfezioni, 
l'insuperabile  caducità  e  le  molteplici  miserie. 


_l  Italiani  s'interessarono  molto  alle 
reliquie  lasciate  dal  Petrarca  ili  là  delle  Alpi,  nel 
contado  venosino;  ora  trascurano  un  poco  quei  li- 
ed i  problemi  che  essi  sul  levano.  Dopo  la  di- 
scussione sull'identità  'li  Laura,  che  più  stugge 
quan  crede  d'averla  afferrata,  non  ne 

iltra   più   eccitante  che  niella   sulla   situa. 
della  casa  aiutata  in  Valchiusa  dal  jwieta. 

La  prima  escursii  n      he  egli   fece  alla  sorgei 

della    Sorga   risale  al    1316,   quando  aveva   dodici 

anni  appena;   ma  si  Itanto  nel  1337  si  fissi,  in  quel 

raviglii         Vi   dimorò,  n>n  interruzioni   più 

lunghe,   fino   al    1346  ;    poi   ili   nuovo  nel 

1351,  nel   1352,  nel  1353.  Ritirandosi  nella  vallata 

chiusa        valli  s  chiusa  —  il  Petrarca \  1  anzi- 

i  -   [iosa     \\  igni  me,    la    Babili 
del   Medi   Evo,  e  di  ritemprarsi   in  contatto  della 
uogi    delizi  si      Egli   ]>erii  ni  n   1" 
:    l'incai  alle   ebbe  ammira- 

ferventi  prima  ili  lui,  ed  era  stata  apprezzata 
lai  Romai  a  1       rato  dai  vesl  igi  1 

opere  loro.  Nel  secolo  XIV  la  sorgenti   della  Sorga 
!  ■■  _  il     p.-r  gli   amici   della 

I  . 

n/.i  del  l!i  ccaccio,  che  tan- 
te minime  circostanze  della  bk> 
'  dell'amico  suo,  la  casa  dove  questi  si  stabili 
itruita  espressamente  |ht  luì,  ma 


proveniva   da   una  compera.   Lo  stesso   Petrarca  ci 
informa  che  il  suo  angusium  hospitium  era  situato 
sulla   riva   sinistra   ilei    fiume.    Dopo  averlo  abitato 
1  arecchi    anni,    .sentendo    la    nostalgia   dell'  Italia, 
egli  pensò  di  abbandonali-  quel  ritiro.  Alcuni  iriti- 
ci  moderni,  da   questa   instabilità  del   poeta   hanno 
ti  atto  argomento  i>er  accusarlo  di  neurastenia    l 
sare  Lombroso  lo  ha  trattato  addirittura  da  ep 
tiro;    il    più    recente    dei    suoi    biografi.    Giuseppe 
l-'in/i.  parla   della   «noia  che  lo  possedeva   frequen- 
temente e  gli  suscitava  il  fastidio  dei  luoghi  e  del- 
le cose».  Ci-  qui  l'eco  delle  bestemmie  e  delle 
triU-  appassionate  proferite  contro  il    Petrarca   da 
l'no  scrittore  tedesco:    Giorgio  Voigt.    11    lungi 
li  iin  del    Petrarca  jier  Valchiusa,   la  sua  residenza 
di  quindici   anni,  non  consentono  di  ammettere  in 
lui   altro  che   una    instabilità    relativa,   della   quale 
egli  stcss.,  ebbe  coscienza;  prova  che  le  su,-  facol 
tà     litiche   non   avevano  t r< q >] >' >  sofferto  della   sua 
in'\  rosi. 

Nel  1345  il  ]>oeta  parla  d'una  partenza  che  do- 
veva essere  definitiva;  ma  nel  1346  lo  vediamo  di 
ritorno.  L'anno  .1o|hi  il  desiderio  di  rivedere  la 
1  ut.,  natia  diventa  più  vivo;  nondimeno  nel  set- 
umbre  egli  va  ancora  a  Valchiusa  e  vi  resta  dui? 
Il  1  giugno  del  ì^i  scrive  da  Verona  al 
Boccaccio  die  conta  di  passar  l'estate  nella  sua 
ii  .1    solitudine   in   ii\  1   alla    Sorga,  dalla  quale 


l'ALLE    RIVISTE 


o3i 


è  rimasto  lontano  quattri  anni.  Il  23  maggio  1352 
è  ancora  lì.  ed  ospita  Angelo  Aeriamoli.  ve&cm 
di  Firenze.  Ne]  dicembre  dello  stessi  anno  si 
te  definitivamente  in  cammino  per  l'Italia  :  ma  una 
pioggia  torrenziale  gl'impedisce  di  dirigersi  a  Ge- 
nova, ed  eccolo  di  nuovo  a  Valchiusa  S>  li 
un  irte  del  suii  fedele  servo  Monet  lo  spinge  ad  una 
risoluzione  suprema,  e  nella  primavera  del  1353 
dà  l'ultimo  saluto  alla  sua  rara  fontana.  Egli  si 
era  già  stabilito  in  Italia,  quando  apprese  che  il 
giorno  di  Vaiale  dello  stesso  anno  una  banda  di 
ladri,  penetrata  nella  sua  umile  abitazione,  vi  a- 
veva  appiccato  il  fuoco.  Ma  la  vecchia  vòlta  di 
pietra  aveva  arrestati  >  l'incendio,  e  quanto  ai  ma- 
noscritti, il  tìglio  del  servo  li  aveva  portati  al  ca- 
stello: grazie  a  tale  precauzione  sfuggirono  alla 
rapacità  dei  malfattori.  Questa  aggressione  staccò 
per  qualche  tempo  il  Petrarca  dal  suo  ritiro;  ma 
egli  non  lo  dimenticò,  e  solo  i  torbidi  politici  gli 
impedirono  di  tornarvi  quando  si  era  già  messo  in 
viaggio  per  n vederlo. 

Col  testamenti)  dettato  nel  T370.  egli  lasciò  quel- 
la piccola  possessione  all'ospedale  di  Valchiusa. 
in  vantaggio  dei  poveri,  e  in  caso  d'impedimenti 
ai  due  tìgli  del  Monet.  S  ignora  che  cosa  avvenne 
di  questa  disposizione  ;  ma  si  sa  dal  Boccaccio  che 
la  casa  del   cantore  di  Laura,    del   fondatore   del 

I  umanesimi  1.  divenne  la  mèta  di  un  pellegrina^ 
gio,  come  la  fontana,  per  gli  eruditi,  i  poeti  e  tutte 
le  anjme  sensibili.  Col  ritorno  del  Papato  a  Roma. 
ridivenuti  deserti  Avignone  e  i  suoi  dintorni,  per 
oltre  cento  anni  non  si  trova  più  menzione  della 
casa  del  Petrarca.  I  edizione  del  Canzoniere,  pub- 
blicata nel  1501  da  Aldo  Manuzio  col  concorso 
del  Bembo,  riportò  l'attenzione  sull'uomo  come  sul 
poeta,  e  qualche  lustro  più  tardi  Alessandro  Vel- 
lutello.  passati  tre  giorni  a  Valchiusa.  incaricò 
qualche  disegnatore  del  paese  di  fare  una  carta 
deila  vallata  e  dei  dintorni.  Alteratasi  la  tradi- 
zione, la  casa  del  Petrarca  fu  posta  in  alto,  a  lati 
del  vecchio  castello  feudale.  Xel  ^39  il  Beccadelli 
fece  parecchie  escursioni  a  Valchiusa.  ma  trascurò 
d  informarsi  della  collocazione  della  casa.  Più  tar- 
di, nel  1557.  il  fiorentino  Simeoni  menzionò  ola 
piccula  collina  dov'è  posta  la  casetta  del  Petrar- 
ca» e  vi  fece  apporre  una  lapide  con  questa  iscri- 
zione: Francisci  et  Laureae  —  man/bus  —  Gabriel 
Symeonis.  Anche  il  Tommasini  collocò  sull'altura. 
nel  1635.  la  casa  del  poeta,  facendone  un  vasti 
fabbricato  1  due  piani  con  una  torre  gigantesca: 
al  paragone  il  castello  dei  Cavaillon  pare  affatto 
piccolo1    II   romanzo  poi  si  mescolò  alla  leggenda 

II  topografo    Zeiller    scrisse:    «S'indicano    ancora 

III  questo  b  rgo  le  case  sovente  citate  di  Petrarca 
e  di  Laura  ov'essi  dimorarono  (  !).  La  sua  casa 
(di  Pei  rana  1  è  ora  minata;  non  se  ne  vedono  piti 
che  le  vestigia,  fra  l'altro  una  grotta  impiega 
come  cisterna,  per  cui  Petrarca  poteva  pervenir.', 
mediante  una  via  sotterranea,  alla  casa  di  Laura. 
situata  in  faccia.  Xella  parte  superiore  della  casa 
SUmmentovata  si  trovano  ancora  delle  indicazioni 
d'appartamenti,  e  principalmente  un  membro  che  a- 
vrebbe  servito  di  gabinetto  da  lavoro  al  Petrarca...» 


Molti  altri  autori  colla  ino  .e  1  In  10  in  1  nelle  ro- 
vini dell'antico  maniero  l'abitazioni  del  poeta.  Poi 
!••  cose  cambiarono.  Nel  1764  l'abate  de  Sade  as 
segna  com2  post,  della  casa  la  base  della  re* 
a  lato  ilei  giardino  irrigato  da  un  braccio  della 
Sorga  Tutto  concorre  a  dimostrare  che  l'abate  è 
nel  vero.  Il  [meta,  nei  versi,  nei  trattali  e  nelle  let- 
tere, due  che  la  casa  sua  era  in  vicinanza  del  fiu- 
me, «tra  l'erbe  e  l'acque».  Ultimamente,  nel  1896. 
una  memoria  del  marchese  di  Mondar,  è  venuta 
.1  sconvolgere  l'opinione  accreditata.  Questo  arche 
I.  go  torna  a  collocare  la  casa  del  poeta  sull'altura, 
a  pochi  passi  dal  castello;  anzi  l'identifica  con 
una  costruzione  composta  di  due  piccoli  corpi  di 
fabbrica  sovrapposti.  Ma  l'affermazione  del  Mon- 
dar non  è  sostenibile.  L'esigua  piattaforma  >u  cui 
si  eleva  la  doppia  costruzione  dà.  a  nord  e  ad  est, 
su  precipizi  :  gli  altri  lati  sono  talmente  ripidi 
che  non  si  può  concepire  cerne  vi  avessero  potuto 
costruire  altri  alloggi  allo  stesso  livello,  (ira  il 
Petrarca  aveva  un  ceno  treno  di  casa,  dei  cavalli, 
mezza  dozzina  di  servi:  dove  li  avrebbe  alloggiati' 
E  mentre  egli  dice  che  la  sua  abitazione  confinava 
. .  in  giardini,  questa  doppia  casetta  sulla  piatta- 
forma  confina  coi  precipizi.  E  poi.  la  casa  del  Pe- 
trarca fu  minacciata  una  volta  dalla  inondazione: 
come  mai  l'acqua  della  Sorga  avrebbe  potuto  sali- 
re sulla  rocca  quasi  inai -eessibile?  Di  più,  se  una 
parte  di  questa  doppia  casetta  è  antichissima  ed 
.  sisteva  ai  tempi  del  Petrarca,  l'altra  è  moderna, 
e  non  può  esser  quella  «contigua  alla  mia»  —  so- 
li, parole  dello  stesso  Petrarca  —  dove  abitava  il 
suo  fedele  Monet.  «Quando  voglio  isolarmi  ».  disse 
ancora  il  poeta,  «chiudo  la  piccola  porta  che  ci  se- 
para». Ora  nel  muro  che  separa  le  due  costruzioni 
non  si  scorge  traccia  di  porta. 

In    conclusione,    la    casa   realmente    abitata    dal 

1 ta   e   scomparsa   da   più   di   due   sei-oli;    al     ;uo 

posto  sorge  una  volgare  fabbrica  moderna,  a  un 
piano,  senza  carattere  e  senza  altro  ornamento  che 
un  ceppo  ili  vite  e  l'iscrizione  Di  maire  ci  jardin 
de  Pétrarqin  au  XIV  siede.  Se  nuovi  fabbricati. 
una  cartiera,  la  casa  del  signor  Eliseo  Tacusset, 
hanno  completamente  mutato  la  fisonomia  di  que- 
sto angolo  di  terra,  la  vicinanza  dei  ih\f  giardini 
concorda  in  tutto  con  la  testimonianza  del  poeta 
''no  di  questi  due  giardini,  quello  consacralo  :, 
bacco  i  a  Minerva  (forse  il  Petrarca  vi  aveva 
piantato  vigne  ed  olivi),  evoca  ancora  nel  modi  più 
persuasivo  l'immagine  dell 'Jtortulus  da  lui  cantato. 
Comprènde  due  parti  distinte:  quella  più  vicina 
alla  casa  è  la  più  elevata;  l'altra  ,'•  situala  più  in 
basso.  Due  bracci  della  Sorga  li  irrigano  entrambe 
e  un  piccolo  punte  rustico  le  unisce;  questo  p  nte 
ha  sostituito  quello  del  pini.-  parla  il  Petrarca. 
Siepi  (..he  di  boss.,  incorniciano  le  aiuole;  K  ma 
gnolie  imbalsamano  l'aria;  infine,  a  lato  d'un  lau- 
ro secolare  —  l'ombra  favorita  del  po.-ta  il  cui 
enorme  1  ronco  rivendica  un'antichità  di  molti  se 
coli,  rampollano  altri  lauri  ricchi  di  linfa,  Qu 
si  legge  così,  in  questo  luogo,  la  firma  dello  stessi 
>uo    mtico   abitatore. 

(  Da  un  articolo  di  Eugenio  Muntz  nella   Vuova  Antologia). 


Ln    donna    nell'arte    veneziana 


I  paralleli    .il 

dapprin- 
o  di   i 

si    sviluppa    I  i    l'- 
ullir;!    di    \ 
! 

dell    l         chi 
la  mei 
li  vani    li    ! 
ire,  versi    l'Adi 
in  richiam    alli    reg  lei  sol 

II  i.  va  alla  storica 

unghissimo,  che  l'u 
va  l'ir 

uri- 
mi   |en  le  possen  a  va 
randiosa    impi         ne.    E 
, 

■   ,  .    |  .. 

ppi    logi  ci    eh     l' a  rch  i t ei 
tura,   la  pittili  utb     li     u  i'! 

I      i         i  al   1500 

ll'Italia  b  'ii  |n  chi  punti  di 
irte  e  ,n!i  intei 

pi      h      I  ol     ;ali    ■mi  erri 

:ì.ì    debolezza       1    gli    intrighi   'li 

:  delle  cri  I  apertura 

mn    1      diretti  colla  Siria  1         l'Egitto  strin- 

1  ra   di   più   i   vinci. li    fr.i    Ven  II 

Il  .    della   cn  1  iata    Francese,   1  1    |uarta, 

tà    dei    dogi,    abilm    iti       fru 
ci  ■        n  roperi     I 

del  Bosfon       reo  1  uovi     ■  1     ili 

della    •olossal  finanziaria  della   Repubbli- 

La   città   delle   lagune   alzò   la   bandiera  'li    San 
Mar.  1  ni  Peloponneso,  su  Hi    isi  li    j 

fini  '    ■  ina     I     un    p    1         eri    iam 

ni  mi    a   dip  un  quadre 

si  degli   avvei 

'.irsi    dei   quadri,    n 
ricon      l  A     u  zia. 
In  tutti  i  paesi  lac 

ro  la  schia 
oriva  fi  nei  degl 

E  il  barba  n    comm 

■  Ì  II'  [IH  -■  -.  I  ... 

an  ichi    di    B  I  impi 

i  tuia     lopo  l'altra   l>    b 

1 .  ivi  erarn    un  lu 

i.|  usi  più 

E .     .1    lì'  rlin 


Crivelli       Santa  Barbara. 


Carpaccio  —  Die  dame  veneziane. 


"  ;4 


I   \     1  1   !  Il  RA 


ni 
■  he  nelle  teste 

1 

iti    una   si  h    ira,  gì 

"  "  '  •' 
i    abbasta  '''  ' 

n     ceni  rale     rispetto    al 
Venezia    divenne 

l'in  ■  •'  '    van1 

oli,    ,,  ambii 

mpre   più    floridi    si 
iluppò    la 

ttà  marinara. 
\l  i  nui  va  \  ia  al 

Ielle  Tem 
Porti  galli     un    i»  l 

i     J lora  1     ; 
divenne  un  e  ni  n  de  'li  trans  to 

delle    Indie, 
i  la  via  a     ■  <    h 
tnd.    I  Arabia   Faceva  i  api    a   \ 
i  dopo  la  scoperta  dell' Ame- 

I  e  Cadice   si  ppiantarono 


Giovanni   BELLINI  —  MADONNA. 

Venezia   e  questa   cadde   dinanzi 
I    labile  concorrenza  dei   porti  ceci- 
na dell'Adriatico  fu  (te 
tri  nizzata.  ma  la  sua  potenza  1 1 
\  isse   ano  ra    florida  ■         chi 

secoli. 

Fu  appunto  nel  lenti  insensibile 

declinare  dell:     sua    fi  rza    politica   i 
si    svilii]  pò  hi  Ila   e  meravigliosa   l'ai 
ii.    che    sorsero    i    classici    su 

in m  n  I   Mi.  che  fiorirono  le 

le  superi  e  di  opulenta  belli  zza.   Fu  in- 

.,  questi    ti  mpo  che  divenn  > 
lebri  le  donni    di  Vi  nezia.  pass  in 
me  una   •■  che  simboleggiava  1  i 

deale   fi  nominile  anche  nei   paesi   d'oc 
i  identi        1 1  stituendo  un    primato   arti- 

.    che  rimase  alla  città   'li   S.    Mai 
fini    .il  secoli    XIX.  E  raro    i  i  fi- 

gure m  cui   vibrava   un'anii  o- 

rientale.   Intai  e  del   lusso  in- 

erì    i    ;     di    vesti   e   'li    abitudini   della 
grandi   i  ittà  marinara  si  spargevano  p  r 
tutta    Europa   destami 
il  invidia 

E  questa 
|e  ,1,  ane   aveva   insieme   fon- 

delli ni  meravi- 


r,i  «vanni   Bellini—  Madonna  col  bambino. 


DALLE    RIVISTE 


o35 


gliose  dà  pittori  veneti,  nelle  loro  tavolezze  superbe         Dapprincipio   l'arte   veneziana    si    ispirava 
di   morbidezza  e  di  colorito.    Venezia  ebbe   in   tal     più   rigido  ideale,   ma  rolla    figurazione   succi 
modo    la    perfezione    dell'arte    mentre     pel     resto     delle  fiorenti  bellezze  vive  e  realistiche  essa  ha 


Giovanni  Bellini 


Madonna  con  due  figure  di  sante. 


dell'Italia    questa   non   era   che   una   gradazione   di 
vari  problemi  estetici. 

Le  tendenze  realistiche  del   Masaccio  e  dei   suoi 
imitatori   del   Quattrocento,   e  le  ardimentose   con 
ioni  di    un    Michelangelo,    non    potevano   fiorire 
nella  città  marinara  dove  i  commerci  avevano  poi 
lato  tutte  le  molli  raffinatezze  del  lusso  e  della  ci- 
viltà.  Cesi    lentamente   scompaioni     anche  nell'i 
veneziana   la   rigidità  e  il  convenzionalismo  di    Bi- 
sanzio  e   questa    rinnovazione,    questa    palingenesi 
artistica   di   tutta   l'anima    veneziana,    si   ripercuote 
ome  un'eo     .ino  nei   paesi   li  mani   di    terraferma. 
E   dopo   l'espansione  territoriale   di   Venezia   verso 
Occidente   troviamo    questo   influssi»   ripercosso    in 
tutti  i  pittori  della  scuola  di  Pad'  va. 

Intorno  a  questo  periodi  rammentiamo  farlo 
Crivelli,  morto  nel  149.,.  celebre  per  le  sue  ligure 
femminili.    Le    veneziani-    si  ate    dalla    vita 

di  di-Ile  grandi  dame.  Le  \ ere  dami  veneziane 
seno  infatti  robuste  e  forti  in  modi  sorprendente 
■■  divenivano  tali  sin  dalla  lori  gioì  ntù  con  rapi- 
dità meravigliosa.  E  1  io  si  può  veder  benissimo  nel- 
la. Lavinia  di  Tiziano,  il  cui  sviluppo  progressivo 
■  consacrato  in  parecchi  quadri  del  padre,  e  anche 
in  parecchie  modelle  che  sen  r  ni  per  diversi  anni 
e  che  sono  quindi  cerne  uro  dell    svilup- 

po del  loro  corpo.  Certo,  osservando  questi  copie 
•li  un  medesimo  tipo  muliebre,  si  notano  alcune 
differenze  dovute  più  che  tutto  alla  diversità  del 
l'acconciatura,  seci  ndo  che  le  di  nne  eraro  copi  ite 
sui  balcnni  o  nei  sali  tti.  ai  balli  0  nei  viaggi,  ma 
i  corpi  flosci,  le  carni  in  riposo,  e  tutta  la  model- 
latura insomma  ci  dà  liiba  di  trovarci  di  fronte 
alle  figlie  n  1  uste,  floride  1  tranquille  di  un  m  1 
rante  di  grano  0  di  un  foni 


sto  il  fondamento  insuperato  di  tutte  le  figurazioni 
femminili. 

Il  Crivelli  ha  ancora  qualche  reminiscenza  bi 
zantina  e  qualche  ai-cenno  all'aite  convenzionale 
d'Oriente  nelle  sue  Madonne  dal  viso  magra  ed 
ovale,  da;.  !i  cechi  simmetrici,  dai  corpi  gracili  mi- 
nutamente drappeggiati.  Oggi  che  il  preraffaelli- 
smo  ha  invase  l'arte  moderna,  e  tutti  ne  imitami 
li    pensose  e  nervose  cren/inni,  oggi  che  gli  arche 


Giovanni  Bellini  —  Madonna. 


LA    LETTI 'HA 


pei   scoprirvi 

usti- 

i-  il  culto  ili  (  trivelli,  il  pre- 

'■ 


quadri  die  p  Alcuni  t 

ini  i.  che  hanno  lasciato  desci 
ni  della  \  ita  delli 

sservano  ■  talmenti 

ivolavano  dalle   spalle.    M 


Giovanni  Bellini  —  Madonna  col  h  \miuno. 


I  ...       ■  ■  1  le  sue  figui 

chiamare    1 
mamenti  si  pos 

i  diciamo  anche  che  la 

un  ]  ori     -  itici 

■  1    .    (  '.irlo   Crivelli    •'• 

un  gran  -  h  'Mezza  1  he  | 

paragonata  a  un  1  meta,  a  un   Ir  1 

■  li  luna  0  a  un  veo  h"    inno  latina 
I        -     ingiustamente   alcuni   continuano    la    pa- 
ro il  piti  se  fu  alquanto  conven- 
mpiacque  1  n  ppo  di  ninn  j  ii  niel- 
li, di  orecchini  e  'li  decorazioni,  rimani 

ntemporanei  del  Crivelli,  anch     G  ntile 

■ii,  mi  alo  nel  1 507  e  Vittore  l   trpaccio,    1 

intorno  al    1522.   dipinsero  scene       tipi  \  tieziani. 

imni  leggendi       sti  prie  chic- 

■  pieni    ili    vita    rubati    alle 

calli  e  ai  rii  ili  Venezia. 

Li    ci  stumanze   •  le  mode  erano  allora  abbasi 
vani    rag  porta 

■    nvece 
le  adulte  e  alle  r  l      scoli  u 


n  ssuno  ne 
Solo   più  tar.li   però  I;'    la   ^ua  comparsa  alle  iine- 
rtigiana. 
VI  il    imi    del   tempii  un    |u  n  In    1  urii  isissinn 
:    s  no  due  granili    rlanie,    probabilm 
due  sorelle,  nel  lori    completi    abbigliamento  d'i 

alcuna   ind 
■  entare  la  propria   I  dav- 

vero lue    panile   ili    illustra/i' 

Staimi    le  iltii  •  dute,    forse  facendo  la   - 

sta,  certi    in  atto  di  riposo  e    li  sollievo.   Entran 
hanni  ligliatura    sporgente   sulla   fronte 

nellata  e  abbondante  nascosta  sul  capo  ila  un  ber- 
la alquanto  il  corno  ducale.  La  s 

latura  è  profonda  ed  è  leggermenl 1  da  una 

ili  perle  che  gira  il  collo  nudi-  .1 

lille     i 

1.  ui  Una    diritl  giata    col 

alla  balaustrata   'li  un  balcone,   l'altra  è  più   in 
nata    e    porge   la    mano    sinistra    a    un    cagnol 

sta   n  lean. In  un  bastoncino  fra 
le  zanne  'li  un  piccolo  cingi  ciato  da- 

vanl  i. 

Entrami  una  tunica  o  clamii 

plice  che  scende  liberamente  dalle  spalle  senza  al- 


DALLE    RIVISTE 


937 


culi  ornamenti :.    in  curioso  contrasto  colle  maniche 
ricchissime  e  ricamate. 

('■li  accessori  della  scena  sono  abbastanza  strani. 
Oltre  il  cagnolino  bianco  già  ricordato  che  porta 
:  l  collo  una  piccola  sonagliera  e  oltre  al  cinghiale 
che  sembra  grugnire  debolmente  accovacciati  a  ter- 
ra, la  scena  è  animata  ila  un  vero  serraglio  di  b 
suoline:  una  gazza  ha  sollevata  la  zampa  e  sta 
immillile  ([nasi  pensierosa,  un  pavone  sta  riti-  sol 
t.i  l'archetto  elegante  ili  un  intercolonnio  mentre 
ilue  bianchi  colombi  passeggiami  sulla  balconata. 
Ma  ancora  più  strana  è  una  figurina  che  è  ci 
unta  a  stento  tra  una  colonnina  e  l'altra,  una  figu- 
rina veramente  microscopica  in  confronto  colle  tur- 
ine esuberanti  delle  due  veneziane:  è  una  grottesca 
figura  ili  nano,  la  strana  creatura  che  la  moda  ilei 
tempo  vi  leva  in  ogni  rasa  signorile,  oggetto  ili  lus- 
.  .  di  il-  a  e  1  lì  corruzione. 

Queste   esistenze  disgraziate  e   ripugnanti   erano 

anzi   ottenute    fin    un    sistema    speciale    'li    selezione 


i  di  riilim. 1  e  rappri  s  mta^  .un  1  nell'ai  isti  •  1  izia  \  e 
ni  i.i  una  parie  non  mi  h'  diversa  1  la  qui  Ila  rap 
presentata  dagli  eunuchi  nell'Oriente.  Si  arrivò  per- 
sino ad  ottenere  'lille  stanne  che  non  superavano 
il  un  zzo  metro  e  ci;,  era  il  10l.no  dell'eleganza! 
I  n'altra  strana  creazione  del  tempi  era  il  cici- 
sbeo, l'adoratore  galante  delle  'I' une  altrui,  cui  il 
compiacente  marito  affidava  la  moglie  perchè  la 
conducesse  al  l'alio  0  alle  lunghe  passeggiate  nelle 

gì  in  I.  le   l'itine. 

Un  vero  mistero  rimane  per  noi  una  bella  figura 
■  li  donna  ili  Bartolomeo  'la  Venezia:  ssa  e  un 
insieme  meraviglioso  «li  contrasti  <  in  certi  parti- 
colari sembra  quasi  una  falsificazione  'Idia  realtà. 
E  mia  donna  silenziosa,  austera,  dalle  carni  vive, 
colorite  come  una  promessa  ili  gioventù:  una  gem- 
ma, circondata   ila   perline,   brilla    sulla   fronte    la 

v,  Mia    più    In   al'o   ila   un   velo  che  lascia    scorrere  al 

disotto    il    torrenti    abbondante  della   capigliatura: 
una  capigliatura  davvero  curiosa,  divisa  in  piccole 


Giorgione  —  Madonna  di  Castelfranco. 


r 


LA    LETTURA 


MA  Vecchio  —  Quadro  di  donn< 


Mille  spalle:    un  efcg 

■  ■1  lenente 
.la  una  ghirlanda 

gg 

Iella   pie- 

na  una  fi- 

I 
•.••i,« .    -:.\  ha  finalmen- 

•11  ar- 


te italiana,  an  alla  perfe/U-ne  massima 

,  e  ^lla  r  orazione  fero- 

minile 

•llini.    morto   nel    1516.    fu    Un 
._    so  che  libei  veneziani 

la  mani.:  renzionalismo  e  la 

I1el    :  -Ila   più  pura  beli 

•venta  la 
. 

Isabella 

prin 

\         .iK-   Uà  dà   nna 


DALLE    RIVISTE 


939 


il  ti]»'  reale  della  vergine  e  della  madre,  unito  alle 

ideali  della  bellezza  ultramondana.  Egli 

tamente   dalla    scuola    fiorentina. 

Le  sue  Madonne  non  hanno  quella  fresrhezza  fan- 

sca  di  carni  e  quasi  quell'infantilità  di  - 
vani  madri  di  cui  si  compiaceva  Raffaello  e  nep- 
pure il  riposo  intimo  e  sicuro  della  Madonna  della 
seggiola.  II  loro  sguardo  •■  fisso,  leggermente  star.ro 
e  melanconico  e  in  esso  vibra  il  pensiero  del  li  ti- 
tano martirio  del   figlia 

Osservando    successivamente    le    Madonne    leni- 
niane,  da  noi   riprodotte  in  queste  pagine,   si    1 
chiaro  il    passaggio   fra   la    prima   maniera   dui 
triste  che  ricorda  ancora  ("ima! aie  e  Bisanzio  e  la 
t.  ima    li!  stica    e    realistica    che   contraddi- 

stingue le  sue  Madonne  posteriori:  in  queste  ull 
la  modella  spunta  di  sotti  icezione  ideale. 

Gli  altri  artisti  seguirono  le  orme  del  grande 
maestm.  Le  modelle  acquistano  allora  un  posto 
importantissimo  nella  storia  <lelfarte:  e  tutti  li- 
ra i  nomi  di  Bella  e  di  Ignuda,  i 
più  superbi  fiori  della  bellezza  femminile  di  Ve- 
nezia. 

Il  medio  evo  aveva  dipinto  Eva  quasi  come  una 
dura  figura  biblica,  senza  il  sorriso  e  l'incanto  della 
femminilità:    toccava  a   Venezia  creare  il   prini' 
pò  realistico  della  prima  madre  degli  uomini:   si 
quadri  che  compaiono  nei  primi  anni  del  500  e  si 


al  Palma  Vecchio   (1480-1528)   e  al 
(1470-1511). 
Quanta  bellezza  nelle  figure  muliebri  del  primo: 
di    lui    un    magnifico   ritratto    di    donna 
tnte.    !\    una    donna    in   tutti  di   una 

l-ellezza   superba   che  ha   qualche  cesa   della   mae- 
stà e   -  La  capigliatura  ricchis- 
sima  piove  come  una   bionda   cascata  sulle  spalle 
l'occhio  e  nelle  labi  ra   si    legge   l'incanto  del 
il    si  rr;si  ;    della    grazia.    1  mi 
mature  del  Quattrocento  ni  n  avi                 tuto  prò 
durre  un'opera  più  fine  e  precisa  in  ogni  particolare. 
apigliatura   spiovente  ed                ante  è  nel 
un   postuli                              spensabile 
e  forme     ggetto  di  trattati  e  di  inchieste  speciali, 
dando  vita    a   molti   libri    fra  cui   è   ancora   celebre 
il    Libro   della    bella   donna    di     I                   Luigini. 
I  1      ure   più  meticolose  della   toeletta                 onsa- 
alla  chioma  femminile:    il  colore  ideale  era 
il   biondo  che  spiccava  così   bene  sull'azzurro  delle 
onde    lagunari.    Ma    la   natura    1                  .a    essere 
egualmente   benigna   con  tutte   le    fanciulle   di    Ve 
nezia.  e  di  qui  una  cura  assidua,  in-                 uasi 
martirizzante,    per                        la    natura   stessa. 

Nei    caldi    giorni  di    estate,    quando    lo    si 
umido  e  asfissiante  lambiva  le  onde  tranquille  del- 
la spiaggia  di  Malamocco,  le  dame  si  recavano  sulle 
terrazze  e  nei  cortili  soleggiati.  Avevano  con  sé  un 


pM 

^ 

% 

X 

W    ■■  /1f 

i 

Lorenzo  Lotto  —  Quadro  di  famiglia. 


M|M 


LA    LETI! I  A 


come    un 
razzolo:    posto    in 

.li 

'   I 
.,1  bario  bi  nerico 

ma  le  chi 

i  [i  irato 
I  Ile 

Spui  ura  di  1    n  nz     I  ■  I 

:  i  l    Palma    i     col 
glo- 
Vbbiamo 
n.  ianin   un  quadro  ili 
...  un  vero  idillio 
una   mi  raviglii 
bellezza  matura  :  riscontro  al- 

la grazia  infantile  ili  due  amorini 
!■  in.' 

I  magn  potente  con  tut- 

ta 1  numei    >a   dei  suoi  imita- 

Egli  fu  n  tutte  le  sin-  or- 

me:    tu  nei    ritraiti    ilelle 

:   dinanzi    al    sili     pi  ri 
nelli  uno  ]    saie  in   tutta 

la   pom]  elli  sza,     fu    sovrano 

nelli  Madi  ine,  che  hanno  quali  h  osa 
che  ricorda  la  donna  in  tutta  la  sua 
maturità,    fu  insup  ''ne  mi- 


i     e  'li   genere  e  fu   l'idolo  dei   signori   'li 
dì,  non  escluso   I  rani  es  o  1.    Le  sue  m 


Tiziano  —  Maddalena. 

erano  nella  più  alta  ari-  vena 

.1.1    e    l.i    sti  ria   ha   in 
lui   i   nomi   celebri   delle  trii  nfali   1*-1- 
lezze  i  hi    suggi  rivano  a  lui  li 
zi.  ni.    Chi   non    rio  rda  < 

Fra  tutti  i  suoi  so  lari,  Paris  Bi  rdi  ne 
rto  il   più   fedele,   perchè  gli  altri. 
che  dalle  sue  ti 

mi.       primi   sogni   nel] 
rebbero   pn  sto    si  u  cati   dal    maestri    i 
,i\  rebbero  i  n  e  il  Tintori  tto  una 

scuola  affattu  diversa  Con  qu 

giunta  al  sin 
Paolo   Ver  Ila  sua  gamma 

,.    il    Bi  llini     -oli  i    nobile 
i  ,    ,    one  colla   fantasia        ' 
ziano  colla  mitologia  hanno  sternato  il 

della  belli  iana  e  ti 

dato  ai  secoli  le  teste  merai  ig 

p  pi  larn 
,1,      più     sur*  rbo    'li    Venezia     repubj 

(Dalla  rivista   Welhagen  uud  /■ 
nalih' 


Tiziano  —  ijuauro  di  covane  donna. 


Una  scuola   scientifica  e   filosi  fica  ha   voluto  ri- 
durre tutta    manta  Sa  vita  all'egoismo  ed  alla  letta. 
Un'altra,  invece,  al  concetto  della  lotta  per  la 
ha  -  -  quello   dell'accordo  nelle  vita.  <  i 

di        -        uè  teorie  ha  più  -  imeni 

Le  leggi  della  vita. 

Ogni  i  rganismo.    hanno    detto    i    partigiaj 
fegoisi   o.        composti     «  lì    due   serie   di   argani   ili- 
stinti:   quelli   della  vita  organica  —   stomaco,   cu 
re.  polm.  ni.  ecc.,  -      chi       -  :11<   passi  ni 

gli   appetiti  :    e  quelli   della  vita  animale 
ne:    cervello,  sensi,   ecc.   Ora.   secondo   il    Bicha 
lo    Schopenhauer,    questa   seconda    vii 
tanti,  per  appagare  i   bisogni  della  prima,   la    - 
fi  ndamentale.    Quindi   tutta   la   morale   del   mi 
vivente  si  ridurrebbe  a  questo:    mangiare  e,  all'oc- 
i'.  renza.   mangiarsi. 

Ma  k  .\se  non  stanni    rissi,  e  la  vita  non  si   ri- 
alla  fame,  coim   orci  lette  il   Rolph,  e  come  il 
Nietzsche   non    fece   altr. ;   ohe   ripetere.   La   cellula 
vivente  compie   tn        -       -s-nziali:    lavora,    s/    ri- 
Ora  il   lavoro,       non  già  la  nu- 
trizione,   t    la  C(  sa   essenziale.   Anche   per  una 
-     oziale  è   funzionare,   non  già    rii 
rarl«  ne  nei  fornelli  e  acqua  nella  caldaia.  La  nu- 
trizione non  è  altri    che  un  mezzo  di   reintegra 
ne.  La  fame  e  l'insaziabilità  -  seguenze  d'una 

attività  ini  essante,  e  la  vita  è  costituita  dalia  fun- 
zione, non  dal  bisogno.  Certo,  e  per  disgrazia,  'a 
nutrizione  d'un  individui  si  compie  trop] 
con  la  distruzii  le  di  altre  vite,  e  la  funzione  nu- 
tritiva e-,  per  parlare  come  il  Nietzsche,  accaparra- 
triot    e  conquistatrice;    ma.   per  essere   soddisfatta. 

in   seno  ad  ogni   vivente,   la 
sione  del  lervoro.  la    :  wperasi  ne  delle  cellule  e  la 
■    degli    organi.    Da  questa    cooperazione 
e  solidarietà  dentro   l'individuo,   sono   nate  la 
perazii  ne  e  la  solidarietà    fra   gl'individui.    End 
dui    che    provano    bisogni    analoghi,    simpatizzano 
dapprima   meccanicamente  e   fisiologicamente;    poi 
si  imitano  nelle  azioni   dirette  a   raggiungere    uni 

rze  dei  diversi   individui   ter..1 
ad  unirsi,  perchè  con  l'unii  ne  ess     -      noli  pi 
—  per  es.  dinanzi  a  un  nemici    comune.  —  Al 
quindi   cooperazion  entro   cias 

essere   vivente,   ma   tra   diversi   esseri   viventi.    I 

re  la  m.  rale  animale.  Per  appropriarsi  e  met- 
tere da  parte  le  prowis  alla  nutrizio- 
ne, o  anche  per  produrre  gli   alimenti  —   corni- 
le api  che     liì    rani     il   miele  —  gli   animali  si 

danni     l'esempio    della    cooperazione  e    della 
divisione  del    lavoro.    I    due  moventi   ai   quali 
obbediscono  som  ettivamente,    l' utilità    reale 

che  risulta  dal   loro  accordo;    subbiettivamente.   la 
simpatia:   quanto   più   forte  è  la  simpatia  eh-  uni- 


i    membri    di    una  ne.    più   grani 

l'utilità   comune.    L'altruismi  .•naie,    in    i  \ 

membro,  è  il  miglior  mezzo  di  utile  colici'  ,  s  i 
si   vuole  -  .    ma  d  e§  rn  Iti  i 

si    da    quelli    che  intendono  il  Nietzsche  e  il 
La  R  auld. 

Se  dalla  nutrizione    passiamo   alla   riproduzi 
si  vede  che  il   legame  tra  gl'individui  di\ 
pre  più   sino  i  .la 

razione  h  :    parte  di   egi  isi l'indi- 

ma  l'indh  iduo  { 
nitore:  1.  nello  spazi  .  [I.  nel  temp  :  III.  nell'or- 
dine di  causa,  perchè  il  primo  si  sente,  più  0  menu 
chiaramente,  produtton  de!  secondo;  IV.  nell'or- 
dine di  similitudine,  perchè  il  primi-  riconosce  se 
stes*.  nrio;    V.   nell'ordine  di   finalità,   per- 

che molti  bisi  e  comuni   al  primo  ed  al  se- 

ci  itilo.  Di  più,  il  i  itti  -  oziale,  nella  generazio- 
ne, è  la  separai  ne  d'una  parti  dell'organismo  ge- 
neratile, quindi  ui  chi  talvolta  arriva 
alla  mi  rte.  -ira  del  padre,  i  ra  della  madre.  Pi 
l'amore  è  tutto  nella  ilirezii  ne  altruista  Quindi 
la  Ilici' già  min  giustifica  le  teorie  immorali  :  al 
contrari!  :  mostra  lo  sforzo  universale  degli  esseri 
per  .                                ;mo. 

Le  virtù  sociali   oei  bruti. 

I   ììi  -       scettici,        i  legare  la  - 

che   si    vede  nel    mondo   animale,    dio     - 

ta  dall'interesse  prima  che  dalla  sim- 
patia.   Neppure  questa  affermazione  è   giusta, 
cgni    essere   vivente    è    un    piacere   vedersi    intoi  io 
a  lui  simigliatiti  ;   un  ,  che,  frequente- 

mente provato,  finisce  col  produrre  un  bis  gw  L'u- 
tilità, l'interesse,  .  ni  dopo.  Primordialmei 
istintivamente,  quanti  più  grande  è  la  similitudi- 
ne fra  «I:  .  tanti  più  Fa  I  quindi  grade- 
vole, è  per  ciascuno  'li  essi  rappresentarsi  l'altro. 
Al  contrario,  più  la  divi  re  tà  grande,  più  è  gran- 
de la  diffi  •■.        m/a.  esempio,  il  comico 

re  della  scimmia   quando  vede  un   carnale.  : 
Una   volta   nata    la   simpatia    fra   gli     sseri    simili, 
sta   produce  la  -      l'imitazione   dap- 

prima e  l'aiuti  \  asi  oro    o  ani- 

mali, grazie  alle  quali  i  membri  che  le  contraggono 
ngi  no  un  p  -     ipn  o  . 

Queste  divei  _  lineano  dapprima  nella 

famiglia.  Nelle  i  rme  inferiori  della  vita  animata, 
fra  i  pesci,  quelle  specie  che  non  hanni  ui  della 
prole,  vanno  incontri  a  due  -Ianni:  sono  costretti 
a  una  fec  .  e  i  loro  piccoli,  abbandi 

nati  alla   morte  e 

ipaci   di   pi  Più  si   sale  nella 

.mica,   più   l'ann  n-  familiare  è  sviluppato, 
re  umano,   le  razze  inferiori  som 
dalla    ;  itudine    i 


■'»-' 


LA    LETTI  K.\ 


le,  dalla  precoce  ma  i  piccoli  stanco,   finse  d'allontanarsi,   vide  il   ladro  ao 

solvere  il  :  possibile  e  d  piombò  addosso  e  1"  malmenò, 

quindi  dalla  rapida  scomparsa  dei  meno  be-         La   subordinazione  dell'/e   individuale  all'i 

genito)       condizione  i*  lettivo,   il   sacrifizio,  soni    provati   da    fatti  eviden 

progresso  morale,  ma    anche  tesimi.   Il  naturalista   Eioussaj  ii[;i\:i  dei  sassolini 

Altrettanto  dicasi   dell'ai-  in   una    p<>zz. i    d'acqua    dove   stavano   delle   anitre, 


truismo  coniugale:    dove   il  recipi  n        più 

tra  i  dui  operazione  <■  più  grande 

<•  duratura,  la  divisione  dei  lavori  meglio  detenni 
l'intelligenza    più    perfezionata    e    varia,    la 
prole  meglio  educata  e  più  capace,  il  benessere  ma- 
re. 
Ma  la  vita   individu  rfezio- 


nna  di  esse  pensava  a  fuggire  <■  ai 
i  proiettili,  finché  una  tu  colpita  al  rapo  e  cadde 
sa:  allora,  quantunque  lo  sperimentatore  ti- 
rasse ancora  pietruzze,  tutte  sfidarono  il  perii 
pei  ■  ma  inti  rm  dia  disgraziata  e  .lunaria  a 
sollevarsi.  Lo  stesso  Houssay,  togliendo  un'anitra 
da  un  branco  e  avviluppandole  la  testa  in  un 


particolarmente    nella    \  ■    Je.    Nella    ■         eh  tto  di  tela.  vide  le  altre  dapprima  fuggire  spa- 


nza  di  ciascuno,  i  Itre  .il!    -  individuale,  c'è  un 

r rarabi   in   rapporto  instanti-,   tanto 

che  di    diventa   così  un  elemento  essenzia- 

primi        !  ii  i    società»,   ha  detto  l'Espinas, 

nte,     <u\     organismo     di 

idee  ». 

Ogni   individuo,   ali  idra    del   gruppo   del    quale 

fa  pa        sente  aggiungersi  l'impulso  ad  agire  come 

ruppe  e  pei  il  gruppo.  Un'azione  in  prò   d'altri 

non   è   possibile  se   mm  quando  più   in  sono   Itisi   in 


ventate    alla    vista    dell'intruso,    ma    j »*  •  i    accorrere, 

stante  la  sua  presenza,  ad  aiutare  la  vittima. 

L'obbedienza,    la    fedeltà,    l'abnegazione,    il 
t'unenti    del  dovere,  tutte  le  virtù   sociali  sono  alta- 
e  sviluppate  tra  gli  animali  la  rui  organizza- 
zione è    ben   definita,   amie  le  api  e    le   formiche. 
La   formica  operaia,   potendo  vivi  chi   anni 

—  il  Lubbock  ne  ha  viste  che  sono  vissute  8  e  la 

—  mette  tanl  i  ci  scienza  nel  compiere  il  suo  la\ 
da   logorarsi:    lo   stesso    Lubbock   ne   ha    usseri 


uno:    la  coscienza   psicologica  diventa  cosi  una  co  alcune  lavorare  fin  16  ore  il  giorno  e  morire  doptj 

scienza  morale,  sociale.   Eguale  nasi  orma/ione  nel-  poche  settimane.  La  mutua  assistenza  è  regola  ed 

lontà:   l'affezione  sino  alla  morte  sarebbe  ini-  stante  nei   formicai.   11  Bell   vide  una   formica  al- 

.  li  animali,  se  l'io  di  ciascuno  di  essi  1  intanarsi  da  una  o  mpagna  quasi  sepolta  sotto  la 

non    al  il  .radiasse    realmente    ciucilo    di    tutti    gli  terra:  etili  credette  clic  l'abbandonasse  •   invece  era 

altri;      se     il      sentimento     che     ciascuno     ha    di  andata  a  cercare  un   rinforzo,  e  insiemi-  con    i^   al- 

stessi      non     fosse    dominato    da     quello    della  tre  compagne  salvò  la    pericolante.   (  "l-  qui   qu 

comunità.  sa  di  più  che  il  semplice   istinto.    Pei    mettere  al 

Gli   esempi   sono   innumerevoli.    Lo  stesso   struz-  riparo    le    ninfe,   le   stesse    formiche   continuano  a 

zo,  eh,-  passa  per  stupido,  può  morir  d'amore,  co-  muoversi  anche  se  sono  tagliate  in  due:    la  testa 


me  mori   il   maschio  del   Giardino  delle   Piante,   a 
perduta  la  sua  femmina. 
Non  >-  vero  che  l'egoismo  sia  imperativo,  tra  i 
liruti  :    al   contrario,   la  forma   imperativa  può  an- 
che -  -unta  dall'impulso  simpatico,  da  un'i- 
,.  contro  l'interesse  immediato  II  ca- 
ne del   celebre   scienziato    Romanes,    dopo   avergli 


e  il  tronco  vanno  avanti  |ier  la  salvezza  della  co- 
munità. Altrettanto  eroismo  si  vede  tra  le  api.  ! 
sempi  di  sentimenti  fraterni  danno  gli  elefanti: 
'  li  essi  caddero,  una  volta,  in  India,  dentro 
una  di  quelle  fosse  coperte  di  fronde  che  si 
vani  appunti  per  catturarli;  uno  riuscì  a  solle- 
varsi fuor  della  buca,  ma  non  si  allontanò  se  non 


rubati    una  costoletta,   restava  sul  divano,  sospeso     prima   ci, In-  salvato   il   compagno,    porgendogli   la 


tra  il  bisogno  di  sfamarsi  e  il  sentimento  del  do- 
vere: quest'ultimo  trionfava,  la.  bestia  riportava 
la   carne    ai    piedi    del    padrone   e,    dalla    vergogna, 

iva  a  nascondersi.  Il  Franklin  racconta  che 
un  terranova  e  un   mastino  si  azzuffatili.  ini 

ente  sul  molo  ,li  Bonahhadee,  finché  caddero 
in  mar-*;  il  iiu-'ìh-,  cattivo  nuotatore,  .in.'  per 
annegare,  e  allora  il  terranova  depista  la  collera, 
lo  .'iti  rrò  •■  lo  trasse  a  riva.   L'AragO  vide  un  cane 


proboscide.    Tra    le    formiche,    dopo  le    battaglie   i 

feriti   sono   |K.rtati    via   e  curati.    Tra    le   scimmie  è 
I  ri-quenl  '   sim      il     asi  i  dell'adi  gli  i  ri. ini. 

Il  rispetto  ai  capi  è  singolare  tra  gli  elefanti.  La 
mandria  ha  un  capo,  scelto  tra  i  più  sagaci  e  pru- 
di mi.    fedelmente  seguito,  e  sostituito  soltanto  se 

i     |ualche  sua  colpa  un  pericolo  minaccia  la 
munita.  1  branchi  di  bovi  selvaggi,  quando  si  spar- 
pagliano in  una    pianura    pongono   delle   sentim 


rifiutarsi   di    girare   lo  spiedo  perchè   non  toccava     al  cui  cenno,  avvicinandosi  un  pericolo,   vacche  e 


■ra  a  lui:    \i  consentì   solo  quando  vide  il   su. 
compagni  re  regolarmente  la   patte  chi    gli 

ava.  Qui    si   vede   nascere  l'idea   di   giustizia. 
I  n  colombofilo  mi  .    il  Thauzies,   nari 

piccione   1. mirava. 
andando  e  venend  iteriali   per 

fabbricarsi  il  nulo-,   un  suo  -      i]  igne  pigi'"  li  m- 
-    nelle  assenze  dell  operoso,  e  li  portava  in  un 
la   L'uccello  sfruttali,   ad  ogni   viaggio  di  ri- 
torno, esprimeva  il  sui    stupore  vederi)  parsa 
la    rolia.  si    guardava    intomo    e    ripartiva;     finché, 


li  i  -i  riuniscono  nel  centro,  mentre  i  tori  pren- 
dono posto  tuti  intonio.  prniiu  a  configgen  le  cor- 
na nei  corpi  degli  animali  nemici.  I  cavalli  riuniti 
in  mandria  riesconi  a  difendersi  dalle  bestie  feroci 
contro  le  quali  sono  disarmati  individualmente 
Róndini,  gru  e  ogni  sona  di  uccelli  migratori  tra- 
mi >  immensi  spazi  aiutam  losi  reciproi 
I  I  dwards  ha  descritto  le  società  dei  corvi,  le  quali 
arrivano  a  .-iene  fino  a  200  mila  individui.  Quo 
sii  uccelli  avrebbero  27  modi  di  gridare,  corrispon- 
di  agire. 


DALLE    RIVISTE 


943 


Is1  into  <>  coscienza 


Né  la  moralità  degli  animali  mei  •     ,:    -  ! 

bassata  a  un  Istinto  automatico  e  cieco.  Essi  sono 
più  intelligenti  che  non  si  creda.  Il  Geoffroj  Saint- 
Hilaire  racconta  d'un  chìmpanzè  che.  arrivato  al 
Giardino  del  Mttsetim,  si  sospendeva  a  una  corda 
nel  cui  mezzo  cera  un  nodo  scorsoio:  esso  volle 
dapprima  distare  questo  nodo  al  disopra  del  pro- 
prio capo,    mentre   il    peso  del   corpo,    stirando   la 

<  orda,  tendeva  a  stringerle.  Dipo  qualche  vano 
sforzo,  l'animale  salì  sulla  corda  tino  alla  parie 
superiore  al  nodo,  e  lì.  mantenendosi  rovesciato. 
col  capi'  e  le  braccia  in  giù.  riuscì  a  disfare  il 
nodo  della  parte  di  fune  rimasta  libera.  Certo, 
questo  chimpanzè  sarebbe  stato  imbarazzato  a  si- 
gnificare per  via  di  sillogismi  l'azione  compiuta; 
111:1  un  membro  dell'Accademia  delle  scienze,  lan- 
che fornito  della  parola  che  dà  torma  ai  ragiona- 
menti, non  avrebbe  neppur  lui,  nella  situazione  del- 
la scimmia,    perduto  tempo  a   sillogizzare. 

Certe  specie  di  scimmie  spezzano  i  rami  e  se  ne 
servono  per  scacciare  le  mosche.  Il  gorilla  se  ne  fa 
dei  bastoni.  Certi  altri  antropoidi  sanno  scegliere 
le  pietre  più  aguzze  e  le  adoperano  per  aprire  le 

he.    Il   Romanes  vide  un  cebtts  imparar  da   s, 
lo  a  invitare  e  a  svitare  una  vite,  e  ripetere  poi  a- 
bilmente    l'operazione    con    tutte    le    altre    viti.    Lo 
stesso  scienziato   insegnò  a  una  scimmia   la   nume- 
razione   fino   a   cinque:    chiedendo    all'animale,    a 

<  aso,  due  o  quattro  o  tre  fili  di  paglia,  esso  ne  pre- 
sentava il  numero  richiesto.  L'uomo  ha  concetti  e 
notiti,  che  son.  segni  dei  concetti;  l'animale  ha 
soltanto  segni  0  denotativi  ».  Quando  il  pappagallo 
impara  a  chiamare  il  cane  facendo  uàu-uau,  si  può 
dire  che  lo  chiami  e  che  riconosca,  imitandolo,   il 

abbaiare  e  che  faccia  tra  se  questo  giudizio: 
«Ecco  la  bestia  che  fa  uau-uaun.  Quando  l'ui  mo 
chiama  il  cane  e  gli  dà  un  online,  quel  quadrupede 
comprende  il  linguaggio  umano;  vuol  dire  che  in- 
teriormente parla  a  sé  stesso,  e  che.  se  avesse  la 
laringe  come  la  nostra,  parlerebbe  come  noi.  e  so- 
stituirebbe la  parola  mangiare-  ai  guaiti  suppliche- 
voli che  emette  vedendo  il  cibo.  La  scimmia  ha  una 
specie  di  linguaggio.  Il  gorilla,  marciando  contro 
i  nemici,  emette  un  acuto  grido  simile  al  grido  di 
gverra  dei  selvaggi,  e  come  gli  atleti  si  picchia  il 
petto  coi  pugni.  E  noto  che  un  recente  osservatore, 
il  Garner.  ha  fonografato  i  gridi  e  le  articolazioni 
delle  scimmie,  ed  ha  creduto  di  scoprirvi  un  lin- 
guaggio elementare:  vi  sarebbe,  per  es..  una  p.i 
rola  particolare  per  il  bere,  un'altra  per  il  man- 
giare; certi  altri  gridi  annunziano  il  perirò],,.  Il 
Darwin  narra  che  un  gibbone  sapeva  modulare 
un'ottava.  I  chimpanzè  neri  si  riuniscono  talvolta 
in  un  certo  numero  e  fanno  un  concerto,  stambu- 
rando con  bastoncelli  sopra  legni  vuoti,  .simile  a 
quello  dei  negri  africani. 

Nella  .sensibilità,  in  una  specie  di  coscienza  e 
talvolta  nella  riflessione,  le  scimmie  hanno  certi 
tratti  quasi  umani.  Un  chimpanzè  del  capitano  Pa- 
pié,   arrivando    a    bordo,    stese    sp<  mancamente   la 


mano  a  certi  marinai  che  gli  piacquero,  e  la  rii 
ad  altri.  Gli  antropomorfi  accarezzano  ed  abbrac- 
ciano gli  esseri  a  loro  cari;  il  gorilla  vecchio  pu 
nisce  i  giovani  schiaffeggiandoli.  Le  femmine  dei 
boni  furono  viste  Lavare  accuratamente  i  visi 
dei  tìgli  nell'acqua  del  fiume.  Quelle  dei  gorilla 
-cacciano  le  mosche  ronzanti  intorno  ai  piccoli  dor- 
mienti. Una  scimmia  ilei  Giardino  zoologico  di 
Dresda,  molto  affezionati  al  direttore  Schoepf,  al- 
cuni istanti  prima  di  morire,  gli  circondò  con  le 
braccia  il  collo,  lo  guardò  a  lungo,  lo  baciò  tre 
volte,  gli  stese  la  mano  ancora  una  volta  e  spirò. 
Gli  esempi  dei  sacri, vi  che  L'amor  materno  fa  com- 
piere alle  scimmie,  come  del  resto  a  tutti  gli  ani- 
mali, sono  troppo  noti.  In  certi  volatili  arriva  al- 
l'eroismo. Una  cicogna,  sorpresa  coi  suoi  pica  li 
da  un  incendio,  a  Deltt.  non  riuscendo  a  metterli 
in  salvo,  si  Lisciò  incenerire  con  essi.  Come  prova 
della  capacità  di  amicizia,  si  cita  il  caso  di  due 
cingallegre,  una  delle  quali,  ferita,  fu  curata  esem- 
plarmente dalla  compagna,  ma  in  capo  ad  otto 
giorni  morì:  pix"hi  giorni  dopo  anche  l'amica  su- 
perstite morì.  Un  canarino,  vedendo  i  passeri  vol- 
teggiare intorno  alla  sua  gabbia  per  raccogliere  i 
chicchi  di  grano  che  ne  cadevano,  si  mise  a  strap- 
pare delle  bricciche  dal  pane  che  il  padrone  gli 
dava,  e  attraverso  le  sbarre  le  diede  col  becco  agli 
affamati.  Fra  gli  uccelli  e  gl'insetti,  vi  sono  molte 
specie  dove  è  consuetudine  servire  premurosamen- 
te 1  vecchi  e  curare  gl'infermi.  Il  Blyth  ha  osser- 
vato  i  corvi  indiani  nutrire  i  compagni  ciechi.  Una 
formica  storpiata  fu  curata  durante  cinque  mesi 
dalle  compagne. 

Si  vede  che  tra  gli  animali  c'è  già  Y umanità  e  la 
pietà.   Essi  non  hanno  ietto  Zaratusttà! 

(  '«inclusione. 

La  morale  degli  animali  è,  come  la  nostra,  la 
lotta  contro  la  lotta  per  la  vita:  è  l'ordinaménto 
in  società,  la  devozione  alla  causa  comune.  Le  teo- 
rie che  presumono  giustificare  1  egoismo  con  la  bio 
logia  interpretano  falsamente  i  fatti.  Le  idee  di 
divisione  e  di  unione  sono  entrambe  essenziali  al- 
la stessa  idea  d'esistenza  concreta  e  finita  :  ma  non 
stanno  allo  stesso  piano:  è  quella  dell'unione  la 
legge  superiore  e  finale.  Legge  fondamentale  è  la 
simpatia  e  la  sinergia. 

Falsa  ed  astratta  è  l'idea  della  vita  data  dal 
Nietzsche  e  dai  suoi  seguaci,  quando  ne  hanno  fat- 
to una  specie  di  autonomia  e  di  sufficienza  intima. 
La  vita  è  invece  un'esistenza  le  cui  partì  e  Fasi  su 
cessive  -,  ,,  ,1  ;,  1  li  -,  Itantc  nel  e  col  tutto  al 
quale  appartengono.    Fisiologicamente,   essa  è  una 

serie   di    movimenti    solidali,    riducibili    a    loro   volta 

a  delle  cellule  solidali.  L'idea  di  associazione 

insita;    e  siccon gni   armonia   .li   esseri  associati, 

I>er  poco  che  sia  «lisciente  e  volontaria,  divieni 
moralità,  così  si  deve  concludere  che  le  nozioni  di 
vita,  ili  società,  di  morali  racchiudono  un'intima 
identità. 

(Da  un  articolo  di  Alfredo  Fouillée  nella  Revues  des  deu  1 
Mondes). 


Arti  e  mestieri  nel  regno  delle  bestie 


t'iii 

i 

i  mu  ri.  una  dh 
n 

di  un  ordine  mei 
:tv  in  quel   regni    ili   negU !  '      ■  ••■    ■ 

ii.'   la    materia    prima,    alti  :     ' 
l'ut  il  rasforman 

•  li.   tutti  allineando  parallele   le 

urtarsi,    a  nza    imp 
-:  rana    la\ 

si  li    la  i 
zìi  ne  delle  abitazioni  '.    I       ■     davanti  a 
un  cantiere  in  piena  attività:    qua   è  un 
n  eh     porta  i 

.li    un 

. umili  •chiai  i  e  ben  si 

pi  sa  in  '  ipera.  t  ìià  una 
pam-  dell'edificio  si  innalza:    è  un'arcli 
i  ria  con    una 

i      /iana:     SOno 

tetti  a  terrazzi 

lite.   Ma   dov'è    il   murati  n       Eccolo.    1-.' 
un   muratore  alato  con   un   elegante  cor- 
iridesci  nti  :   è  l'eumène. 

(  'he   i  itimi'    lavorati. n  !   Gì     rda 
prende  un    po'    d 
Ita  sulle  strade  bruciate  dal  sole  e  la 
saliva,  quindi  I  a,  la  tritura  e 


Formicai  sospesi  agli  alberi  al  Madagasc  ak. 

sui     antenne   per   ottenerne   un   cump 
Il    ni  iteriate    è   allora    pronti 


Tri'.  MIMI   d'insetti. 


DALLE    RIVISTE 


["operaio  all'opera.  Sorgono  dapprima  le  fondamen- 
ta: soni  fi  ndamenta  minuscole,  di  forma  circolare, 
con  tre  millimetri  di  spessore,  costrutte  in  una 
.specie  di  cemento  che  indurisce  assai  facilmente  al- 
l'aria, come  il  cemento  minano  e  che  resiste  tenace- 
mente agli  agenti  atmosferici. 

L'animaletti  vola  allora  verso  il  suo  mucchietto 
di  pietre  che  sono  minuscoli  grani  di  quarzo  dalle 
faccette  scintillanti,  raccolti  con  una  selezione  scru 
sa.  Così  una  prima  pietra  scende  sulle  fonda- 
menta, poi  una  seconda,  poi  una  terza....  è  il  pri- 
mo strato.  Allora  versa  una  seconda  superficie  di 
cementi  e  quindi  un  nuovo  strato  di  pietrine  e  I  i 
microscopica  costruzione  s'alza  lenta  e  gentile.  L'ar- 
chitetto andare  sdegna  i  legami  eie  chiavi  di  vòlta 
e  arrotonda  le  su.  -uni  lette  semplicemente  in  ce- 
mento, sicuro  che  esse  non  crolleranno,  benché  sen- 
za architravi   e  senza  -poutrelles. 

Ed  ora  che  la  casa  è  pronta  non  resta  che  d'ab 
bellirla:  e  l'operaio  non  manca  neppure  a  questo 
ultimo  toc  i  dell'opera  sua:  esso  stende  così  sulle 
pareti  di  ciascuna  cellula,  che  a  lui  serviranno 
da  camera,  un  sottilissimo  strato  uniforme  di  ci 
mento. 

E  finalmente  l'opera  è  compiuta:  alta  due  cen- 
timetri, larga  altrettanto,  la  costruzione  lillipuzia 
na  è  l'orgi  Lilio  del  suo  costruttore  che  sta  contem- 
plandola i  ;za  e  a  Idisfazione,  mentre  colle 
antenne  e  colle  zampine  sta  lisciandosi  il  corpo  p<  r 
scuotere  la  polvere  del  lavoro  rendendolo  pulito  e 
lucente. 

L'architettura  in   pietra  conviene  in   certi   climi. 


945 

in  certi  altri  è  preferibile  il  legno  e  allora  il  mu- 
ratore cede   il   posto  al    falegname.    Anche  questo 


Nido  aereo  di  una  formica  della  Gujana. 
La  Lettura. 


Un  insetto  che  fabbrica  il  nido  di  cartone. 


mestiere  è  conosciuto  nel  regno  degli 
animali  e  vi  si  trovano  operai  per  ab- 
battere e  trasformare  il  legname.  E  sic- 
come questo  rude  lavoro  esige  forza, 
non  sono  deboli  insetti,  cui  esso  viene 
di  solito  affidato,  ma  bestie  armate  di 
denti  e  di  becco.  Tale  è  l'amblyornis, 
uccello  della  Nuova  Guinea,  che  si  fab- 
brica delle  casette  di  circa  mezzo  me- 
tro d'altezza.  Questo  uccello  sceglie  un 
piccolo  spiazzo  nel  cui  mezzo  si  innal- 
zi un  tronco  liscio  e  pulito:  e  attorno 
a  questo  pilastro  centrale  pianta  dei 
rami  e  delle  bacchettine,  facendone  ap- 
are  un'estremità  al  tronco  stesso: 
allora  non  gli  resta  più  che  di  tappez- 
zare e  consolidare  l'esterno  della  pic- 
cola casa  mi  un  po'  di  fango  ben  bat- 
tuto. Ma  all'industrioso  abitatore  non 
d'  ve  neppure  mancare  il  conforto  del- 
la bellezza,  il  profumo  dei  ti,,ri.  1 . 
<!'  >  '  li  ri  -.-il  ecco  che  dinanzi  all'uscio 
della  capanna  esso  smuove  la  terra  e 
su  un  .-erto  tratto  \  i  getta  1  vini  più 
vari  in  modo  chele  piantine,  crescendo 
come  un  piccolo  parco  lillipuziano,  dan- 
no 1  aspetto  di  un  tappeto  vario- 
pinti 1. 

Ma  v'ha  di  meglio.  Il  viaggiatore  che 
negli  Stati  Uniti,  nella  regione  del  Mis 
souri,  costeggia  la  riva  del  mare,  veda 

60 


LA    LETTI  RA 


Una  costrizioni',  piramidali-;  di  termiti 


d'un   tran.  irgli    innanzi    un 

villaggio  in  legn  im 

in    Forma   di   cupi  li 
rano  alla   I 
v/.i:   alcune  sono  piantale  in  mez- 
i     sulla  1  na  e  di- 

nanzi belle 

terra  bai  uta  !  -  nza  dubbio 
malche  villaggio  indiano:  ma  ecco  che 
da  una  pi  rta  esce  tranquillami  nte  \ut 
animale  'li    media  dal   peli 

li 
indio  dei   n  diti  i  i,   dag] 

il  proprietario  in 

;io  di    Pelli   Ri  sse 

e  un    vili..  h  ini 

-■    ben    lega 

Immirabile    a  m  ■    architi  tto,    il    ca- 
iiù  ammirabile  ci  me  in 
i  Iraulioo.   1  ostruire  ra 

pidamente  >1<  Ile  dighe  sui  fiumi  pi 

fi  rmari    di  gli  stagni 
lille  cui    i  più  tar- 

ili  la  a  'li   la- 

piani   prestabiliti 

nte.   I    materiali   ni 
un   mai   all'ingegnere    »  no   gli 


stessi  delle  Foreste,   Rodendi    Furiosamente  la  b 
..-vi,  alberi,  >li  cui  alcuni  misurano  persino  ,^o 
-,.  in  .lì  diami  ne       -astori  finisi  farli 

,  rollare  e,  riunendi    i   li  no  sforzi,  a   farli   roti 

i    si  o  minciano  allora    a    piantare 
d'acqua  dei  pali  da  une  a  du  • 
a    il  lineandoli   gli   uni    pressi     gli 
tri.  Quindi  li  aliai  vimini    il 

ne  turano  i  buchi  ci  n  pietr       fanj      La  diga 
,  ,-,  n'avere  uni    s]  quattro 

metri  alla  '  tri  alla  somm 

Ma   piii  che  tutti    è  meraviglioso  l'ordine  del   la 
i  ri  rode  e  al 

liberi    (e    loro  bastano  talvolta   tre    - 
per  i  li  tern  no),  altri  puliscono 

i   tr.nchi.   ne  Staccano  i   rami,  e  altri   ci.nlìccan 
palafitte  ni  Ila  melma  del   fiume  fero  m 

Questo  lavoro  arriva  a  risultali  che  sembrano 

Mirre  dighe  'li 
una  lunghezza  considerevole.  Agli  Stati  Uniti  su 
un   fiume  esiste  una  diga   ili  divisa  in  due 

ni,   una  ili   35   nutrì,   l'altra   'li    ijo.    Si 
nosci    pure   un'altra   'li    ^oo.    divisa   essa    pure   in 
.lue  parti  e  per  le  quali  hanno  dovuto  muovere  e 
traspi  11  ire   1500  metri  cubi  di   ti 

Quando  l'albero  comincia  ad  inchinarsi  per 
1  ni  siri  1  perai  si  arrestano,  pi  i   ricominciano 


Un  insetto  i-ai  kg 


DALLE    RIVISTE 


il  lavoro  con   circospezione  sino  al  momento  della 
caduta:    allora  essi    fuggono   nello  stagno  i    vii 
stano  nasi'  sii   per  poco  nel  timi  re  che  il    fracassi 
d  I  crollo  dell'alberi    faccia  accorrere  qualcuno. 

Particolare      u  toso:     i    saggi    ingegneri    rodono 
gli  alberi   dalla  parte  i li  l    fiume  in  modi    da    farli 
vi  rsi    l'acqua. 
Passia  ni    ad  altri  animali. 
Costrutta  la  casa,  non  rista  più  che  i  maria,  ab- 
bellirla, provvederla  'li  tutti  gli  utensili  necessari: 
e   di   qui  nascono   altri    imp  rtanti   mestieri.   Guar- 
date  un    po':    un    animale    sta    applicandi     le    sue 
serrature  di   sicur  ,-za  alle  p  n       I  i    p  rte,   affatto 
ide,   s  no  in  terra  battuta  e  legata  con  un   in- 
io  ili  fili  :    le  e  rnien    s<  ni    fatti    con  un  intrec- 
ci   fili   elastici   di   seta  e  la  serratura   è   raj 

di    piccolissimi  bastoncini  di- 
5]    sii   in  cerchii  . 

I     peraio.  che  i    un  ragno  che  vive  nel   M.  zzi   li 
della    Franila,   prende   la   sua   porta   che  misura   un 
centimetro   ili  diametri    e   va    a    fissarla   all'entrata 
della   sua    galleria       rcolare,   posta   a    fior  di  terra, 
Ila  quale  abita.   Esso  adatta  alle  pareti   le  sui 
cerniere   di    fili   ili   seta  e  quanto   alla  serratura  ne 
us,     in   questo  mi  do.    Quandi     un   nemici     si 
za,  chiuderà   rapidamente  la   porticina,   appog- 
gerà le  sue  /ani] line  da  una   parte  ai  piccoli  basi 

;:     nlati    nel    terreno,  dall'altra    alla  porta     ■ 
sì  in   una  posizione  solidissima   e  impedirà 
a  chiunque  di   aprire. 

Continuiamo  la  nostra  o  rsa  nel  regno  del  lavi  n 
animale  con   una   visita   ad   un   tappezziere.    Instai 
lato  nel  mezzo  ili  una  sala  dai  muri  ruvidi  e  neri, 
devi    dei  orarla,   fissarvi  i  o  li  ri  delle  tinte  ar- 
moniosi    ■   drappeggiarla  abilm  nte.    La  sua  scelta 
si  orma  su  una  bella  stoffa  serica,  d'un  color  ri  ssi 
lutulente:    esso  ha    dinanzi    i    pezzi    tagliati    nelle 
nsioni    volute,    ne    prende    uno.    lo    stende    sul 
muro,   li    t'issa  ai   bordi,  quindi    li    liscia  con  cura 
,    i    donargli  tutta    la   sua    lucentezza.    Questo  ani- 
maletto è  una  specie  di   scarafaggio  che  raccoglie 
tali   dei   dori   per  ornare  le  pareti  della  casetta 
•  li    ess     si  i  i  struisi      ni  1  terricci,    molle  dei  canini. 
Entriamo   (maini  nti    nella    bottega   d'un   vasaio. 
e  fall  ricanfe  in  i  gni  genere  e  ha  un  assi  ru- 
mente  ahi  ondante    di   tutti    gli    articoli   che    Tignar- 
la sua  specialità.  Ecco  ìua  ■    là  vasi  di  torma 
diversa,   alcuni  allungati,   ahri   con   un   ventre   enl  i 
slanciati,    svasati,    sferici,    ovali...    ve  n'ha    di 
tutte  le  dimensioni,   piccoli     m  di  e  grandi:    i  più 
idi   però  non   s     passai      un   ni  cciuolo  'li   cilie- 
gia. La  qualità  è  garantita   perchè  l'argilla    impie- 
fine  -      l'ima.  All'interno  i  vasi  sono  rivestiti 
di  una  vernice  resistente  e  brillante.   Del   resto,    in- 
die voi  potete  assistere  al  processi    di   questa   fai 
bricazione.    perchè    il    vasaii     lai  ora    sotti     i    vi 

1    coli     arrivare   quas  si  tto    il 

di  una  massa  d'argilla.  Tosti    si  mette  a   pi 
pararla:   la  manipola,  la   tritura,  la  batte  colle  sue 
zampe:   a  grandi  colpi  comincia  a  darle  una   fi 

nolanamente  rotonda:  le  sue  zampine  leggere, 
agili,  si  dibattono  con  frenesia  d  ecco  poco  a  poci 
sotto  di  esse    disegnarsi    le   grandi    linee   del    vasi  , 


947 

Coll'arte  di  un  vasaio  greco,  l'operaio  modella  il 
ventre,  liscia  la  strozzatura  de!  collo,  svasa  l'aper- 
tura. Un  ultimi  colpo  d'ccchii  sull'i  pera,  un'ulti- 
ma correzione  e  quindi  l'artefice  distilla  una  goccia 
di  vernice  che  copre  l'interni    e  lo  rende  impermea- 


(  lift 

'''egP 

Pili 

I  1 

mml't 

Aruusto  coperto  di  r.ozzou. 

bile,  perchè  più  tardi  le  ui  va   che  esso  vi    lep  rrà 
siano  scure. 

Ma     utto   ciò   non    basta   ancia:    bisogna   abit- 
arsi   secondo    la    moda.    Andiami     al    magazzino 
di  confezioni  i    novi   i     i  sso  è  in  pieni    -,  I  .  su  una 
f  iglia  d'oli 

Si  tti  il  cielo  azzurro,  sopra  la  fi  glia  tri  mol  mte 
al  mormorio  del  vento,  là  si  taf  li  mi  li  sb  ffe,  si 
pi  g  ino,  si  i  e,  isi  i  ni  .  >i  mi  Iella»  si  p  ngi  no 
com  gli  ultimi  figurini  parigini  all'ammira/  ne 
uni.  Chi  dirige  la  sartoria?  k  un  bacoli- 
no,  il  baco  dell'i  In  i  Essi  naso  i  I  li  e  end,  . 
e   la  necessità    lo  spii  lavori       d  ecco  con 

esso  di  rasfoi marsi  in  un  san,  . 

L'anima1'  tt.  .    eh      sa    li     disillusi*  ni   del    fa  *  . 

ni  ii  vuoli  i  iche,  Iussui  u  :   essi    si  : iten 

ia   di  sii  "      solidi    i     i      stenti,   quali  >    :  nite 

dalli    foglie  stess  •  dell  alberi     •  ',  si  pun    d;  11;     ,, 

sartorii n      ri  /, .    riè   altri    vi 

che  impaccia.no  e   imprigionano,  ma   ampi   mantelli 
■    da  i    ri 
[1  m  eri     ita  i  a    al  ìlm  riti    un    brani    di 

foglia:   coi  dentini  impercettibili  dà  la  forma 

voluta:  è  il  davanti.  Manca  la  parie  posteriore,  ma 
anche   qui  sta    non  tarda    a     omparin     Ci    a    ri 

vigliosa  :    i    dui     i  soni     perfi     i te   uguali  ! 

Non   manca   che  di   cucirli   e  il    nostro  operai,,  con 


LA    LETTURA 


un  o  ''    dia  pra   della   l « 

in    filo  impercettibile  col    piale   riunisce   i 

i. mia  abilità  che  diffidi- 

poi  un  buco.   1 1  risultato  'li 

diluirò  di    forma   irregolare 


' 

-\a      \«'    :.-'m(à 

^^WiìK! 

fi 

Un  nido  di  ragno  sospeso  a  un  ramo  di  pino 

animaletto  imb  |      con  un  soffice  strato 

ili  materia  serica. 

Ma  passiamo  rapidamente  in   rassegna  altre  in- 
sistenti pn  ssi    gli    mimali, 
voi  che  esiste  un  insetto  i  he  fabbrica  la 
e  il  cartone?    E'  il   Chalet         i  s   del 

Mess  o    i  he  i    nfi  zi'  na  i  sui  i  nidi  in  cartone  bian- 
n  ssimo. 
Così  voi  ignorerete  probabilmente  che  Carmen  e 
le  sue  compagne  di  Siviglia  hanno  un  rivale  nella 
in    sti    sa  r.  ii  lare  le  fi  *■ 
ingegnoso;  comincia  ccll'in- 
re  un  lun  la  lunghezza    !  Ila 

foglia;   l'umore  della   fi  ;lia  svapora  per  la  ferita 
i  a  n  tolarsi  :    il  risultato  è  una 
ito  mi  l'i  ma   il  coleottero 

non  lo  fuma  :  vi  d 

barche?    E'   il 
arco-di-cielo  che  abita   i  mari  della  Cina.   Ess    n 
struisce  dei  piccoli  galleggianti  intrecciando  I 
ghe  ■•  vi  depi 

\  un  i  ■ !  '     ['a      '.  iiitc.  un 

ai  qu  ■  s       una  camp  ma  ■ 

i  qua. 
I  '  mali    non   sanno  organiz- 

si ci  iltiva  I  Mutamento   della    ]  ■ 

ITO  leniva     della     terra.      elisissimo  ; 

Chi  ha  ra  umida  di  questa  galleria 


miih  i  questi  min 'iiu  n  i   di   sementi?   Noi  sia- 
li un   formicaio,  nei  sotterranei  della    I 
Saiili,i  del   Brasile.  Questi  eserciti  di   formiche  in- 
vadono le  piantagioni  di  caffè,  salgono  sulle  ] 
ne  staiiano  le  toglie,    l'i  i,  tenendone  un 
forti  mandibole,  riprendono  la  via  una  dietro  l'al- 
tra. Viste  da  li  ntai  i  lie,  rm  «veri 

mbrano  un   em 
pente  che  si  snodi  sulla  terra.  Giunte  al    I 
depongono   il   carico  e   altri   operai    l'afferrano 
n  asticano  e  lo  I  terriccio,  s 'minan 

poi  i  "Iti. 

Ma  noi   non  abbiamo  ancora   l'unto  culle  lormi- 
\  ■   ino  alla  •  i  in  nta  il  nido  della 

formica   pagomyrmex,    si    stende  uno  spazio   abba- 
stanza    vasto  che  ha    l'aspetto   d'un  eani))o   lavi 

minato.  Si  vede  allora  questa  minuscola  colti- 
vatrice attendere  al  lavoro  di  aratura  e  di  sarchia- 
tura e  poi  quando  il  suoli  è  ben  sortire  un 
istante,  poi  ritornare  curva  sotto  il  peso  di  sementi 
più  grosse  'l'i  |  colo  corpo:  è  il  seme  d'una 
graminacea  di  cui  essa  è  assai  ghiotta.  Passato  il 
tempo  necessario,  la  piantina  comincia  ad  innal- 
verso  il  sole  il  piccoli  stelo  e  la  spiga  comin- 
i  biancheggian  n  -  della  foresta. 
La  maturità  è  prossima.  Allora  le  finniche  accor- 
rono in  massa,  s'arrampicano  sullo  stelo,  ne  stac- 
cano colle  robuste  mandili'. le  le  spighe  mentre  al- 
tre rimaste  a  terra  le  raccolgo™  I  -Umano  in 
covoni.  Ma  i  covoni  rappresentano  un  pesi 
derevole:  e  allora  ecco  un  '-erto  numero  di  I-m 
trici  attaccarsi  contemporaneamente  al  carico  e  tra- 
cimarlo dipo  sforzi  enormi  al  formicaio;  qui  il 
grano  e  pulito  della  pula  e  riposto  nei  magazzini. 
Come  si  spiegano  questi  prodigi  del  lavoro  ani- 
male ? 

Sono  problemi  dinanzi  ai  quali  l'intelligenza  u- 
mana  si  arresta  sbalordita,  ammirando  una  mente 
superiore  e  divina  che  ha  segnato  ad  ogni  anima- 
letto  la   sua   missione   nel   gran   dramma   della 

(Dalle  Lectures  pout  lous). 

Quanto  eosta  un  eueehìaio  di  legno 

La  fabbricazione  dei  cucchiai  di  legno  è  una  det 
I     occupazioni   (piasi   esclusive  della    piccola    indu- 
stria   domestica   nella    Russia    europea      Ma 
bricanti    sono    ferocemente   sfruttati  dagli    interme- 
diari, che  si  frappong'  in    fra  il  produttore  e  il 
stimatore.    Un  operaio  abile,   lavorando  si 
può  fare  centoventi  cucchiai  al  giorno,  guadagnan- 
di    circa  un   franco  e  m  zzo.   La  verniciatura  e  la 
dtcorazione    di  fatta    poi    da    fanciulle. 

che  sono  costrette  al  lavoro  dalle  quattro  del  matti- 
<  i   della   sera     Queste   piccoli 

franchi  alla  settimana.  Vessuna  me- 
lia  quindi  che  a  quattordici  anni  siano  ormai 
sfibrate  dal  lavoro  brutale.    I  cucchiai  vengom 
lanciali    il  rcio    a    milioni.    Ognuno    di 

pochi   centesimi,   ma   essi   soni)   I 
iti    la   vita   '■   la  gioventù   a   tante   piccole  i 
ture 


I    cani    poliziotti 


All'epoca  dell'ultima  Esposizione  ili  Parigi  ven- 
nero istituiti  nella  capitale  francese  gli  agenti  flon- 
rs,  agenti  il  cui  compito  poco  divertente  consi- 
ste nel  perlustrare  di  continuo  le  rive  di  quel  tratto 
della  Senna  che  scorre  nell'interno  della  città,  per 
salvare  coloro  che  volontariamente  cui  involontaria 
niente  aiutassero  a  finire  nelle  acque  del  fiume.  Fu 
il  signor  Lépine,  prefetto  di  polizia,  spirito  inge 
gni  so  ed  innovatore,  che  penso  di  creare  quel  ser- 
vizio di  salvataggio,  utilizzando  quegli  agenti  che 
prima  servivano  a  proteggere  le  mercanzie  fluviali 
dai  ladri.  Così  ebbe  origine  la  brigata  degli  agenti 
■flongeurs. 

Versi)  la  line  dell'anno  scorso  un  agente  di  nome 


vigazione,  alla  cui  autorità  sono  sottoposti  gli  a- 
s-plongeurs  ed  i  loro  quadrupedi  compagni,  ha 
i  suoi  uffici  sul  Quai  de  la  Toumelle,  nei  cui  sous- 
sols  è  stabilita  la  stazione  della  polizia  fluviali. 
La  stazione,  poco  comoda  ed  attraente,  non  presen- 
ta tali  attrattive  da  distogliere  gli  agenti  dal  coni 
piere  il  loro  dovere  ispezionando  le  rive  del 
fiume. 

Attualmente  gli  agenti  della  brigata  sono  venti. 
1  cani,  in  principio,  erano  due  soli.  Successiva- 
iii'  nte  se  ne  comperarono  altri.  L'articolista  ammi- 
ra molto  1?  trovata  del  signor  Lépine.  I  giornali 
parigini  sono  meno  entusiasti,  ma  il  servizio  dei 
Terranova,  ad  onor  del  vero,  va  migliorando.  L'ad- 


La    l'OLIZlA    UMANA  E   CANINA. 


Bailly  perse  la  vita  in  un  tentativo  di  salvare  un 
uomo;  e  questo  tragico  incidenti-  ispirò  al  Lépine 
i  di  errare  un  nuovo  corpo:  il  corpo  dei  cani 
igeurs.  Stesi  i  documenti  necessari  per  la  co- 
stituzione del  nuovo  corpo  poliziesco,  se  ne  affido 
l'organizzazione  al  signor  Mouquin,  vice-direttore 
'iella  polizia  municipale.  Per  cominciare,  furono 
comperati  due  cani  Terranova  al  prezzo  di  milk- 
lire  l'uno:  essi  ricevettero  il  nome  di  Ture  e  Cesar, 
e  furono  investiti  della  loro  uniforme,  consistente 
in  un  collare  di  nikel  recante  l'iscrizione:  T'n 
tura  di  polizia,  brigata  fluviale.  Essendo  cani  di 
una  certa  importanza,  si  stimò  giusto  trattarli  co- 
me tali,  e  li  si  provvide  di  un...  domicilio  conve- 
niente e  di  due  bellissime  scodelle  per  gli  alimenti. 
ognuna  recante  inciso  il  nome  del  proprietario. 
11   signor  Guillemin.  ispettore  generale  della  na- 


i libramento  ò  eerto  tatto  in  minio  sistematico  e 
razionale:  gli  in\cnts- flange  un  vi  hanno  messo  tut- 
to l'impegno.  L'esperienza  ha  dimostrato  che  i  due 
cani  non  possono  essere  addestrati  insieme,  bisc* 
una  attendere  a  ciascuno  separatamente. 

Poco  dopo  l'acquisto  dei  due  cani  si  ordinò  la 
fabbricaziora  di  un  puppattolo  che  dovesse  servire 
per  le  esercitazioni  di  salvataggio.  Il  mannequin 
tu  presto  preparato,  e.  nonostante  il  suo  orribile 
volto  di  stoffa  dipinta,  su  una  testa  di  sughero,  e 
nonostante  il  suo  aspetto  generalmente  floscio,  .ivi 
va  una  lontana  somiglianza  con  una  creatura  uma- 
na, quando  una  guardia  lo  portò  in  riva  al  fiume, 
tenendoli  sotto  braccio  come  se  fosse  stato  un 
in  ino  vero,  |ier  ingannare  Ture  e  Cesar. 

Entrambi  gli  animali  spiegarono  tutto  l'impegno 
di  buoni   impiegati  per  far  vedere  ai   loro  superiori 


i.A    LETTURA 

lon  Cesai     Guillemin        fea    Fare  pei  l'articolista  inglese  una 

mentri    il  manti,       prova  generale  dei  operati   dai  cani. 

Il  cari      I         rvì  per  la  prova    xa  un    ren 
terra,  ma  alli  ra     gii  i  |  dato  alle  cure  del 

nte    I  >ubois,    uni     dei   più    ;iliili    della    p  li  zia 
fluviale.  SulU  tale  è  il   ro   m    del     an  si 

vedi        un  nostre  fot i  ■■'uhm  vicino  al 

mannequin,    anch'i  sso   -  (luti     s 
In  un'alt  ra  f i  I  animali    si  vede  insii  me  e  I 

idi  I  Dubois,  il  quale  ha 

rato    il    sui     sul ialti  rm     ad    rbbedii 
mprendendi      I      rdii         .  ■  :■  . 
l'Ini'  i    nm    di  Ila  mani  . 

Sultani  re  come  si  del  il>a  n  ni] 

[*ra  di  s  nza    iattanza,   senza   ostenta- 

zìi  ne.  si  nza   rii    rea   dell'effetti    teaJ  rale,   ma  ci  in   la 
massima  semplicità.   Dupo  che  il  mannequin   fu 

nel  tinnì  ,  Sultano  si  slanciò  nella  ci  rrente,  e 
ci  n  pi  chi  o  Ipi  'li  zampa   rapidi,  fi  ni  e  sicui 

fé '1  d  licatezza  ma  con   fermezza   fra  i  denti 

'    a  ."  i  .1    de!    perio  lante,    e   si    avi  icinò   alla 


SlXTANO    E    IL    «MANNEQUIN». 

avvenne    una    scena      ra      a.    Ture,   offeso    di    non 

ìi.    31 .  alla  ]>r. iva,  e  'li   ni  n 

abilità,    si 

-ni   mannequin  indi  li     furiosanien- 

irdi     i  seguire  l'es  impii    del  con 

il  mannequin  fu   ridotti    in  uno 

om  si  ibili .   I .a   I in  il  cui 

ivinsen    i  nu 
liiando  si  fi  sse  sulla  \  ia  i  li  I 
irebbe  ri  i  gal  i    eh 

qu      i    ren    mannequin  :    ma   il 
i  dia  scena,  non 

divertì.    Naturalmente    quei 
ra 
ri 

islinli    ii'. n    li  sì    il 

1  'I   quale 

ii     coli 

-    Mi  uquin  ed  al  signor 


L'agente  i 


DALLE    RIVISTE 


i  -    il  puppatti  li  .  che,  arrivati    a 
ita  dell'agente,  fu  da  lui  tirato  a  terra. 
Per  ;  «-ani  si  s<  m    stabi 

speciali,  come  una  specie  di  regolamenti  .  ci  n 
azioni   e   1.     -;  strizic  ni.    Gli   agenti 


Sultano  va  al  salvataggio. 

'.versare  mai  con  i  loro  sub 
nati;    le  si  li    frasi  permesse  soni    le  seguenti: 

—  Ah  f 

—  'Derr, 

—  hi! 

—  A   terre! 
S     rtce! 

—   Va    chercher! 

—  Apporti! 

—  Couches! 

—  .-I 

—  ,4'  la  n>che! 

—  A!  l'eau! 

In  questi     toc-ari.    v'è  tutte   quanti'  .«'corre  per 
il  buon  andamenti    «lei  servizio. 

Gli  agenti  non   debbono  mai    percuotere  gli   ani- 
mali, ni.-  soni    tuttavia  provvisti  di  una  bu 
he  -  rve  sia  per  incutere  rispetti;  ai   li  i 
.    sia    per   tenere   lontani   gli   altri   cani   chi 
--  i       ntralciare  il   servizio.    I.-    istruzioni  inoltre 
sigliano,    i 
canini  p  la   di  lcezza  e  la  persua- 

i.   ma  pn  il 
nenti...    alimentari. 
Gli  agmti  plongeurs  debl 
pre  presente  alla  mente  che  i  loro  cani  sin 
molto    all'amministrazione    della    polizia    e    quindi 
li   mantenerli   in   buono   sta' 
Quindi    nei    giorni    ili    bassa     tem]  •  r; 
quando  l'acqua   della   Senna  è  fredda   più  del 
lito,  non  -  I  rcizì  col  manni 

ulare  i  cani  in  acqua,  salvo  in  caso  ili  stretl 

uno  'lei  cani  viene  man- 
■  lai.    in  acqua,   finita  l'eseroitazi'  re  ri- 

condotto subito  alla  stazione  e  bene  as 

Si  no  'late    pi  i 


9^1 

ckiens 

,liu.  1,.'  persi  ne.    Potrebbe  parere  strano  'In-  sia  ne- 
cessario prender    simili   disposizioni   riguardo  '-ani 
iati  a  sahare  la  vita  alla   gente,   ma 
1     che   il  compito  'li 
animaleschi  n<  n  si   ridi»*  a   il.  rei 
vare   la    vita    'li   chi    ann  s  i  m- 

prende   anche    il    servizi'    di    perlustra- 

....  1    |     I    ' 

dei    li  n  1     rive 

Si  i.m.i    nelle   1  n     n  ttume.    Agli 

pn  ibiti  .lineine    di 

re     ,-he     i     loro    cani     attacchino" 
le    persone,    anche    quando    sono     so- 
spette. 

In  questa   funzii  ni    cons    ti    la   parte 
più  spiacevole  ilei  servizi',  deg] 

urs,  alla  cui  v  r\.  glianza  -  1  1 
affiliate  centinaia  <li  migliaia  ili  lire, 
.  indubbiamente,  il  valore  delle 
scaricate  dal]  barch  <■  deposi- 
tate  sulla  riva  'Iella  S  mia.  in  attesa  di 
essere  penate  nei  magazzini,  ascende 
sempre  a  cifre  altissin  .  Qu  51  merci  at- 
traggono innumerevoli  ladri,  ili  cui  gli 
agenti    1  Fend  rie.    Tra  essi   na- 

sconi     spes       lotte   disperi        che,    seb- 
la  polizia  sia  annata  di  revi  Ivers,  ni  n  sempre 
finisci  no  col  trionfo  della  giustizia.   Spesso  si  sono 
elle  guardie  uccise    e    |uasi   mai   si   è   po- 
tuto sapere  chi  le  avesse   nei 

Si   spera  che  con  l'assistenza   ilei   cani   si    rie»  a 
se   nini    ad   impedire,  per   li  a    rendere    |  in 

rare  queste  infrazioni  della  legge  eh,-  troppo  spessi 
finisci  no  tragicamente.  E  per  quante  si  cerchi  di 
i'.n  favorire  gli  istinti  animaleschi  ilei  chiens- 
plongeurs,  v'è  da  credere  eli.  molte  vi  Ite  1  ssi  ni  n 
eranno  di  segnalare  i  ladri  abbaiando  — 
sen  i'j  •       s   1  abbastanza  utile  —  ma  quando 

avvenga   lotta  ed   1   loro   padroni  corrano   perii 


II.   SALVA  1  AGGIO. 


LA    LETTURA 


IL  €  mannequin»  portato  A  Ri\  \. 


ranno  loro,  nono 
stante  i  regi  lamenti,  si  c- 
corso  'li  tor/.i  e  'li  bui  ni 

n 

La  spesa  per  il  mante 
nimento  dei  chicns-plon- 
geurs  non  per 

.  he   i  Ten  n   bue* 

Jute  godono  ili   un 
appi  titi     i        ti  abile.    Si 
>l>;  ndi  ni      i"  i     ciascuna 
riti  simi  al  gior- 
iio.    I  pasti  vei 
viti    caldi    o   fredd 
condo  il   i l'in] io.    Ora    si 
sta   proi  vedend  ■   pei 
struire,    per    uso  dei  ca- 
ni,  una  grande  casa  an- 

alla  stazione 
numi'  .in!.-  o  n  essa.  Ogni 
cane     avrà     il     su 

parti 

una  specie  ili  cucina  con 
M     alderone,  desti- 
nato    esclusivan 
questi    agenti    'li    nuovo 
genere, 

(Da  un  articolo  del  signor  K- 

douard  Charles,  nel    Wind- 
sor Magatine). 


fa?  V 


MB 


I>OIO   IL   SALVATAGGIO. 


In    mezzo    al    ghiaccio 


Il  ghiaccio,  che  d'estate  ci  rinfresca  deliziosamen- 
te, ha  prodotto  una  vera  rivoluzione  nel  commen  i 
da  quando  è  suiti,  adoperato  per  conservare  le  so- 
stanze alimentari  soggette  a  corrompersi.  A  Lon- 
dra, a  Parigi,  in  tutto  il  continente  europa.-,  si  può 
mangiare,  così,  i!  peso;  preso  nei  mari  del  Nord: 
in  America,  dove  le  distanze  sono  enormi  e  i  calori 
torridi,  dalla  sola  costa  dell'Atlantico  si  spedi-  :o 
ni,  nell 'interno  più  di  50  mila  tonnellate  di   pesce 

isi  rvato    nel    ghiaccia,    con    prezzi    di    trasporto 
rdinariamente  miti:  55  centesimi  per  ogni  100 
chili 'grammi  ;   meno  di  quel  che  costa  un  pacco  po- 
stale. 

Grazie  anche  al  ghiaccio,  arriva  in  Europa  una 
gran  quantità  di  carne  macellata  nell'Argentina. 
nella  Nuova  Zelanda,  negli  Stati  Uniti,  la  quale 
si  vende  a  Londra  a  un  prezzo  che  è  la  metà  di 
quello  della  carne  inglese.  Anche  la  frutta  fresca. 
mantenuta  a  una  bassa  temperatura,  arriva  in  Eu- 
ropa ci  me  se  fosse  appena  colta. 

\     si  ih    soppresse  in  tal  modo  le  sole  distanze, 
ma  anche  le  stagioni.    Non  c'è  più  bisogno  di  cul- 
ture intensive  ]>er  ottenere  primizie:    basta  serbare 
col  freddo  le  produzioni  da  un  anno  all'altro.  Ogni 
importante  degli   Stati   Uniti  ha  luoghi  di  de- 
posito   costruiti    in    modo    da  mantenere    costante- 
mente la  temperatura  appropriata  a  ciascuna   der- 
:    tutti   insieme  misurano  più  di  mezzo  milione 
di   metri  cubi.    Il  pesce  si   fa  dapprima  gelare,   e 
quando  è  ridotto  secco  e  duro  come  un  pezzo  di  le- 
gno, si  ammassa  nelle  stanze  dove  regna  un  freddo 
intenso.    I    legumi,    invece,    sono  mantenuti    a    una 
temperatura  un  poco  superiore  a  o°.   L'uva,  parti- 
niente   quella   di   Malaga,    e   le   mele,    serbano 
inalterati!  il  loro  profuma  Economicamente,  la  spe- 
culazione  è   vantaggiosissima:    a   Chicago,    nell'ot- 
1  lei   1899,  le  mele  si  vendevano  da  2  lire  e  50 
1  3  e  75  ogni  70  chilogrammi:  otto  mesi  più  tardi. 
ate   nei    delusiti    frigoriferi,    valevano    n    lire 

■  -     Xella  stessa  Chicago,  e  nello  stesso  anno,  si 
immagazzinari mo    212   milioni    di    uova:    la   spedi- 
ne non    riuscì,    perchè   gl'incettatori    non   si  re- 
padroni  dell'interri  mercato. 


Dove  si  pigliano,  coma  si  ottengono  i  milioni  di 
tonnellate  di   ghiaccio  ohe   si  consumano   nel    mon- 
ili' Milioni  di  operai   sono  addetti   a  questa  indu- 
stria che  dà   luogo  a   scambi  per  milioni  e  milioni 
di  lire. 

In  Europa,  il   paese  che  produce  più  ghiaccio  è 
la    Norvegia.    Intorno   al    pittoresco   fjord   di   Cri 
Mania   si   sten. Inno  numerosi  laghi   che   danno   un 
eccellente  prodotto.   La  raccolta  si  fa  in  gennaio  e 
febbraio,  prima  che  il  ghiaccio  sia  esposto  al  sole 


primaverile,  e  dopo  che  è  stata  spazzata  via,   con 
un  lavoro  lungo  e  penoso,  I  ell'inverno.   Lo 

strato  del  ghiaccio  si  taglia  in  blocchi,  mediante 
seghe  mosse  da  cavalli.  Il  trasporto,  quando  il 
lago  non  è  distante  dal  mare,  si  fa  automaticamen- 
te, per  forza  di  gravità,  mediante  impalcature  a 
piano  inclinato,  lungo  le  quali  i  candidi  blocchi 
si  ivi  'lane  rapidamente,  con  una  velocità  e  un  fra- 
stuono di  valanga.  Le  grandi  spedizioni  si  tanno 
in  marzo,  quando  il  tempo  è  ano  ra  fredda  Xegli 
anni  buoni,  dai  porti  della  Norvegia  meridionale 
scono  \2o  mila  tonnellate  di  ghiaccio  ugni  mese: 
I  '  più  gran  parte  va  in  Inghilterra,  il  resto  in 
Francia  e  in  Germania.  Nel  1898.  l'esportazione 
norvegese  sali  a  6  milioni  e  mezzo. 

Anche  la  Svizzera  esporta  il  suo  ghiaccio,  ma  in 
minori  quantità.  Nelle  Alpi  del  Delfinato  si  sono 
creati,  per  la  produzione  del  ghiaccio,  degli  stagni 
alimentati  da  torrenti  le  cui  acque  si  filtrano  pas- 
sando attraverso  strati  di  sabbie.  Uno  di  questi 
laghi  artificiali  è  situato  al  sommo  del  colle  di 
Lus-la-Croix-Haute,  a  ino  metri  sul  mare,  sulla 
ferrovia  da  Grenoble  a  Gap;  un  altro  sulle  rive 
de]  Buech,  altri  ancora  a  Montmaur.  La  superficie 
ti  tale   è   di    una   ventina   di    ettari. 

Curioso  è  lo  spettacolo  della  raccolta.  Quando 
lo  strato  gelato  ha  lo  spessore  voluto  (da  18  a  40 
centimetri)  si  segnano  sulla  sua  superficie  una  se- 
rie  di  rettangoli  mediante  aratri  dentati;  quindi 
delle  squadre  di  operai  segano  il  ghiaccio  seguendo 
le  linee  così  tracciate  e  lo  tagliano  in  pezzi  rego- 
lari, mentre  altre  squadre  traggono  a  riva,  mi 
■liante  lunghi  uncini,  i  pezzi  già  pronti.  E  il  ghiac- 
1-I1  così  preparato  è  poi  messo  a  sua  volta  nelle 
ghiacciaie,  dove  il  freddo  lo  solidifica  e  quasi  lo 
ghiaccia   una  seconda   volta. 

Oltre  questa  produzione  artificiale,  c'è  quella  na- 
turale data  dalle  abbaglianti  frange  nevose  del 
monte  Bianco,  della  Jungfrau.  del  Pelvoux.  Lì  il 
ghiaccio  si  estrae  come  la  pietra  o  il  marmo  da  una 
cava. 

E.  per  finire  con  una  nota  igienica:  ohe  cosa 
vale  il  ghiaccio  ottenuto  dalli  npur   quando 

adoperalo  come  bevanda?  Troppi    spesso  il  tifo 
ne  è  la  conseguenza.   Ma  recenti  esperienze  hanno 
strato  che  la   peggicre   acqua  del   mondo  pro- 
duce  un    ghiaccio  inoffensivo   se   non    è  gelata    sino 
a!    fondo.    Grazie    al    congelamento,    si    opera    una 

di  epurazione,  e  tutte  le  impurità  si  coni 
trailo  nello  strati  più  basso.  Se  questo  si  ghiaccia. 
diventa  un  focolare  di  microbi.  Quindi,  se  vi  pre- 
sentano un  blocco  di  ghiaccii  chiaro  e  lucido  da 
una  parte  e  scuro  e  torbido  dall'altra,  diffidatene. 
Non  bevete  mai  il  prodetto  delle  estremità  del  pez- 
zo di  ghiaccio  d'una  bottiglia  d'acqua  congelata: 
c'è  lì  una  cultura  di  microbi  se  l'acqua  non  è  asso- 
lutamente pura. 


Verso     il     Polo 


Il  di  ii     San*  n  spii  gò  una 

r»] 

.il    più     prt-sti   :      | 

ggiuntoi    ness 

\|     !        -1 

llora,    il    'in  «di    .i\  r.'i   lii 
Pi  ii  nini  au- 

i  . 

quel 
punto  esl  remo   ni  n 
,'\>  ri. 

ver  mi  sso  firn    alla    |ui 
della  ricen  ai    i    Pi  do.   E   do- 
l  i  .    \  .rr.'t    il    tempo    d  Ila    ti- 
nte   scientifiche 
nelle  n  gii  ni   I»  reali,   i  ii 
i  he   si  tra 

scurate  per  la  «  pi  li  mania  ». 

spedizi< i 

punte 
Ultimamente   il    vi 
era  intrapn 

la    di    0        S     rdi  up,    quella 

Pearj   e  quella  ili 

Baldwin. 

I!    i  Sverdrup,    im- 

ban  sulla  ì    vi      hi     -  rvì 

Man      i.    il    Fram,   è   indubbia- 
■  ■  ratoi       Partito  da  Ci 

avvicinato   alla    Groenlandia,    ed    ha 
ito  quella  i  lalla   parte  i  vest. 


Curia    delle    regioni    artiche,    con    l'indicazione    del    cammino    percorso    ./a 
Nansen    al    Duca    degli    Abruzzi   e    dei   percorsi    che   si  sono  pi 
lìald.t  in  e  /lei  nici . 

Uno  degli   scopi   principali   chi    Sverdrup   • 
eti 'i  minare  sinn   a  qual   punì 
(  ,n   mlandia  si  distenda  al  n<  ni.  Ecco  il  su.,  piano: 
la  nave  più  innanzi  che  ]  lungo  la  i*o- 


fi    Fram,    la    nat'e    di     Yansen 

•  lolla  verso  il  nord  ■'•  up. 


DALLE    RIVISTE  <).">.> 

sta  groenlandese  ;    poi,  quando   la  nave  non   possa     successivo  tra  gli  Eschimesi,  mentre  la  nave  toma- 
proseguire,  con  cani  e  slitte,   raggiungere   l'estremo      va  in  America  .1   rifornirsi    li  viveri.    \.li 
limite  della  Groenlandia  ;   e  di  lì  proseguire,  possi       l'anno  seguente,   la  nave  si   ricongiunse  alla  s] 

talmente,  verso  il  Polo.  A  suo  svantaggio  per  altro     < :.     romò    indietn     mesi    sono,    recandi     m 

sta  il  fatici  eh;-  egli  doveva  viaggiare  contro  corrente,  chi  Peary  era  arrivati  già  a  83'  o'  50  .  Ma  anche  la 
contri  la  correnti  ci  ■  che  portò  la  nave  di  \an-  sua  sp  dizione,  come  tutte  le  altre,  fallì  allo  scopo. 
seri  dalla   Siberia   allo  Spitzbergen.    Sverdrup,  alla      11  mese  si    1-  nparso   l'articolo 

partenza,   si   era   fornito  di   provviste  per  un   viag-     che  riassumiamo,  un  t(  legrarhma  annunziava  che  il 

di  cinque  anni,  ed  aveva  preso  con  sé  cento  cani      Peary   èra    tornati     indietro   felicemente,    ma 
per  tirare  le  slitte.  aver     raggiunto   il     Polo.    Di    recente,    l'esploratori 

Di     lui    si     ebbero    notizie     un    anno    dopo    la     americano  era  stato  raggiunti    in  Groenlandia  dalla 
partenza    dalla    Norvegia,    per    mezzo    della    spe      pri  |  uà  moglie,  che  rimase  con  lui  per  un  anno. 
dizione     Peary.     Allora    si    seppe    che    le   rose    al  * 

principio  gli  erano  andate  male.    Poi   per  tre   anni 

non  si  ebbero  notizie  di  lui.  Finalmente  nel  settem-  !■  n  altra  spedizione   fallita   è   la   spedizii  ne   Bald- 

brt   di    [uest'anno  è  giunta  la  notizia  ohe  la  spedi-     win-Ziegler.    Il  Baldvvin,    u  il    Peary, 

zione   era    completamente   fallita    pel    cattivo  stato     t,a  aPP  1   un  milionario,   il 

dei    ghiacci    e    per     diverse     avarie     toccate     alla      il  qual<    gli  aveva  dai.    mezzi  per  preparare  il  viag 
nave.  ■    n    una   organi  ■  non   si    :<; 

,  '     mpio   m  Ila    storia    d  Ile    sp  u    poi  uri.    La 

strada  laldwin    era    la 

stessa  seguila  dal  Duca  degli  A- 
bruzzi  :  egli,  cii  è,  si  proponeva  di 
recarsi  sulla  terra  francese.'  Giu- 
sepp  .  e  di  li  fare  una  punta  verso 
11  P<  I'  ■  Per  qui  Ila  via  il  Duca 
di  gli  Abruzzi  riusci  a  battere  il  re- 
cord ili  Vms  n.  raggiungendo  la 
massi,),.!  latitudine  che  si  sia  rag- 
giunta sinora  ;  ma  nel  mondi 
gli  scienziati  quel  p  rcorso  è  giù 
■  sfavi  e  volmi  nte.  Li  grandi 
difficoltà  sta  nel  tempo  lim 
h  si  ha  pei  fare  il  viaggio  in 
slitta  dalla  l  rancesco  Giù 

seppe  al   Pule,   infatti,  non   1 
'!'  S      fare     il    cammino    che    nella 
primavi  ra  e  nell'estate,  non 
si    hanno    in    pratica    più 
di     150    giorni    disponi- 


li tenente  Pearv,  che  ha 
dato  il  suo  nome  ad  un'altra 
sedizione,  è  americano.  Egli 
lia  seguito  presso  a  poco  la 
stessa  strada  seguita  da  Sver- 
drup, costeggiando  la  Gì.  en- 
landia  dalla  parte  ovest  Os- 
sia dalla  parte  della  baia  di 
Uafnn)  a  bordo  del  Wind 
icard.'  bella  nave  che  portò 
già  la  spedizii  in-  Jacksi  n- 
Hannswi  nh.  Anche  Pear} 
incontrò  cattivi  ghiaccio  in 
principio,  ma  egli  aveva  un 
piano  di  campagna  diverse 
da  quelli  di  Sverdrup.  Spin- 
ai più  a  nord  che  pi  -tes 
se.  a  traverso  lo  Smith  Sund, 
egli  intendeva  prendere  terra 
tra  gli  Eschimesi  di  una  1  1 
situata  presso  Capi 
York,  arn ilare  al  suo  servizio 
un  ceno  numero  di  quegli  E- 
srhimesi,  e  e.  n  quegli  metti. 
fedeli  e  resistenti,  pn  cedere 
nel  viaggio,  ponendo  lungo  il 
cammino  varie  basi  di  rifor- 
nitili nto  sin  ohe  avesse  trova- 
no. 1  (all'ull  imi  di  |"  sii  - 
avreblie     fatto      la      spedizione 

versi    i!    l'.lo. 

Nella    prima    parte   de]    si,. 
viaggio,    il     Pearj 
trovò   il   ghiaccii    o sì   avversi 
che    il  ssan     l'invi  1  n 

a  bordo  del   Windward,  ma  tu 
anche  tonni  ntati     da    un  fred- 
do 1  rribili  .  tanti  1  che  p<  r 
gelamento    dovette    farsi     am- 
ptuare   sette  dita.   Nondimeno 

minili     il  1  1 

mavera     e    1  rasi  1  rse    l'inverno 


bili  tia   and  ita  e  ri- 
torno;    e    quindi, 
per     raggiunge 

I  GALLEGGIAN- 
TI DELLA  SPE- 

IHZION  I 

Baldwin. 


ti 


LA    LETTI' WA 


n  i 
i 
luartierì  d'inverno 
i  .1  500  nn;_;li;i  dal   Polo.  '  Ira   fare  un 
isibile,  ma  certo  è  'liti'' 
Il    Baldwin   p  nito  'li  viveri 

1.  <li  .|oo  cani  ••  <li  pa- 
...111  russi.  Egli  ave* 

iuo"       ■:-  no  si- 

ta   'li    mandare    proprie    ni 
ni  i     \ 
|K>rtati>  ri'ii  sé  una  qua- 
rantina   li    palloncini  e  buon 
numero   'li    ga  si 


< v)m->(  i   dettagli    possi  un'idea  della    | 

parazii  ine  che  aveva  a\  uto  la 

spedizione.    Disgraziatamente,    parte   |*-r    il    dis 
cordo  tra  i  capi  della  spedizione  (  Baldwin  e  il  1 
Lui"  Johansson),  parte  per  altre  difncxiltà  incontra- 
te,   lantr    fatiche    andarono    perdute: 
nemmeno    Baldwin    potè   battere  il    tei 
cord  del  1  luca  degli    Abruzzi. 


Tra    le  spedizioni    in    prò* 
importantissima  i     |ui-l- 
la    del    capitano    Bemier.    Lq 
via  che  egli  si  propi 
guire  '■  la    stessa  ' 
da    NTansen.    Il   grande 
pitam  1   norvegese   'lini 
e  n  la  spedizione  del  Fram, 


II.   PALLONE   l'I    AniiKKB. 

proponeva  'li  utilizzarli   in  questo 
modo:    '  luto  la- 

ne qualchi  a;  rebbe 

gonfiato  nini  dei  palli. urini  e  l'a- 
vrebbe fatto  salire  in  aria,  allo 
spirar  'li  un  vento  favorevi  le,  con 
quattm  ,.  cinque  galleggianti  at- 
taccati  uno  si  ii"  l'altro  p  r  mezzo 
ili  una  rurila.  Il  palli  ni  .  dopo  un 
certo  percorso,  si  sarebbe  abbas- 
sato sull'acqua  0  sul  ghiaccio,  in 
seguit"  alla  inevitabile  perdita  <li 
ij.|  abbassandosi    avrebbe    fatto  sì 

ultn lei    galleggianti    venisse    a 

contatto    della   superficie   dell'acqua    o    del 
ghiaccio.   Allora,   |m  r  un  congegno  automati- 
co, il  galli  1  sanili"-  dalla  coi 

n  1 11  >■  1  un. ist.    sul   lui  gì  .   mi  ni  ii-  il   pal- 
li, per  la  perdita  ili  quel  pes  >,  si  sa 
mente  in  alto  ed  avrebbe  ri- 
presa il  suo  '■  Continuando  la  fuga  del 
dopo  una               stanza,  l'aereostati    si  sarebtx   nuo 
rebbe  depi  sitato  un  ali  ro 
galle)                     sì  avrebbe  continuato,  sinché  tutti 
1   galleggianti  deposti.    Di   questi    palloni, 
Baldwin  ne  aveva  i*>rtati  seco 
iuta. 


LE      I  "  I  1". RAFIE 

PI  ES  K     dal- 
l'alto. 


DALLE    RIVISTE 


che  attorno  al   Pol<    non  vi  e  man-  aperto,   ne  un 
mantelle'  di  ghiaccie  saldi    ed  immol  ile.  ma  una  va- 
stissima area  di  lastroni  di  ghiaccili  trasportati  al- 
la  deriva   da   una  corrente   che   muove   dalla  o 
siberiana   verso  la  Groenlandia.   Le  profondità   del 
mare  sono  piene  di  un'acqua  calda  che  viene   dal- 
l'Oceano Atlantico  e  che  è  raffreddata  e  congelata 
alla   superficie   nella  regione   polare.    I    lastroni  di 
ghiaccio  dalla  parte  della  Siberia  si   avvicinano  al 
Pi  lo  e  poi  discendono  a  sud  verso  l'Atlantico.   Na- 
turalmente,  il  tragitto  è  lento;    ma  una  nave  che. 
e  lineila  di  Xansen.  si  lasci  chiudere  tra  i  ghia 
pra  !a  Siberia,  viene  dai  ghiacci  stessi  pori 
molto  a  nord  e  coscia  ricondotta  verso  la  zona   del 


957 

ceni  volanti  0  per  mezzo  di  piccoli  palloni.  Le  ve 
dute   che   si    otterranno    in    questo  modo,    saranno 

■  molto  interessanti.   La  spedizione  cercherà  di 

avvicinarsi  con    la    nave  al    Polo  quanto    più   sarà 

l>  ssibile  e  poi  mentre  una  parte  di  essa  resterà  a 

della   nave,  un'altra   parte  si  dii  on  le 

slitte  verso  il    Polo.    11  capitano   Bernier  spera  che 

lave  possa  giungere  ad  una  distanza  di  sole  100 
1  150  miglia  da]  Polo.  Gli  esploratori  si  terranno 
in  costante  comunicazione  con  la  nave  per  111 
della  telegrafia  senza  fili.  Nell'avari 
sceranno  sul  prcorso.  alla  distanza  di  un  miglio 
l'uno  dall'altro,  dei  tubi  conlenenti  provviste  ali- 
in.    che    serviranno    anche    corra     traccia    per 


p" 


L\    NAVE    TAGLIA-GHIACCIO    ERMACK.    IN    CO    L'AMMIRAGLIO    MAKAROFF    SI    RECHERÀ    AL    POLO    NORD. 


mare  libero  dalla  parte  dell'Atlantico.  Xansen  ha 
calcolato  che  dallo  stretto  di  Behring.  tra  la  Sibe- 
ria e  l'Alaska,  alla  Groenlandia,  una  nave  in 
gherebbe  cinque  anni.  Non  son  pix-hi.  ma  il  clima 
artico  fa  bene  alla  salute.  Lassù  non  vi  soni-  mi- 
tri; si  tratta  soltanto  di  evitare  lo  scorbuto  ed 
i  congelamenti,  e  di  scegliere  compagni  allegri.  Io 
quei  cinque  anni,  completando  il  viaggio  della  na- 
ve  ii>n  spedizioni  in  slitta,  si  può  far  molto. 

Appunto  in  base  1  queste  idee  di  Xansen.  l'i  spi 
rati  >re  canadese   Bernier  si    propone  di  tentare 
conquista  del  Polo.  Egli  ha  già  raccolto  un   fi 
di  mezzo  milione,  ma.  a  suo  giudizio,  gli  000  n 
ranno    altri    250.000    franchi.    La   spedizione    sarà 
organizzata  con   somma  cura,   e  porterà  apparecchi 
Marconi. 

Si    otterranno  anche   fotografie   panoramiche   in- 
nalzando   le   macchine    fotografiche    per   mezzo  di 


non    perdere    la    strada    che   dovrà    ricondurre    alla 
cave. 

Il  capitano  Bernier  rimarrà  a  bordo  sinché  la 
sua  avanguardia  nini  alibi::  messi  i  min  ad  una  di- 
sianza di  cinquanta  miglia  dal  Pi  !  :  allora  egli 
ibarch  1  1,  andrà  al  Polo,  dmem  eoa  egli  spera, 
alzerà  la  sua  bandiera  e  risolverà  per  sempi 
grande  questuine. 


Perfettamente  opposto  al   pi  :    Bernier  è 

il  progetto  del  russo  Makamff.  Egli  è  un  ammira- 
gli    della   marina  ruspa,   amante   della    lotta,  e   so- 

ne   che  bisogna    conquistare    il    Polo    lottandi 
Invece  di  una  nave  costruita  in  modi  ^tere 

alla  pressione  del  ghiaccili,  egli  ha  costruiti  una 
nave  destinata  ad  affrontare  il  ghiaccio  stesso  ta- 
gliandolo.   VErmack,    cosi   si    chiama    la    nave,    è 


LA    LETTURA 


lei  mondo  ; 
rompere  in 
manov 

il.  imli       in 

un    lasi  ghiac 

;    fi  i     i 

Ila  nave 

spezzato.    I    /  ■ 

i     di  ooo  torn- 
ita    In 

■  ampi    ili 

'  i  ■    • i 

eie  dell'ac- 
qua.   I 

ì    ssen 

tilt     un     : 

un   miglio   'li   'li. n 
ri 'ti  la  mas 


:  Ti 

|,     per   -i  di  un  ba  tello 

coro    pita 

da     un  Iti    audaci     i   ■  ìgati  i i. 

i  Norvegia  an- 

!  i, 

■  i    Italia.  (  >ra  è  stati    ripn  si 
ila  un  tedesco,  il  signoi    ^nschiitz-Kàmpfe,  ili  M 

.    il   quali     si  '  si ruire  espi     si 

un  ba  3  irli     I  nte  alla  Società  gè 

■    i       !,     Fra  molti     rieri 

ili  Monai  i  chi  li  sp  ssi  re 
hi  ili  ghiacci*  sia  di  ventiquattro 
'      i    nitri    i     spessore  medio  

p<    ....   si     ii    n    sini    150  me- 


struila in  ini>-     tri   dalla   superficie    Potrà    stai     sommersi    pei    1 -, 
di     '  re,  nel  qual  tempo,  pei      rei  cinquanta  mi 

grande  velo     glia.  Siccomi       banchi  ili  ghiaccio  continui  non  si 
stendi  mi    per  |>iii  ili  tre  miglia,  nt  11 
difficile   salire   -i    ini  ■   ■    |  1  1    preiv  I 

aria.    Inoltre,    |«-r  mezzo  tlel 

-  tnpre    sapere    quanilo    I"    si  rati  1    'li 
•Jn.ii  ciò  i    sotl  ile,   ed  ali 
può    praticar     un'  apertura    fai  endi  1    s 

Coriir    il    ugnoi    .  I ns.  Ini/;  Ktitnfi/'e  di 
Monaco    (ruteni    di    giungere     .il 
l'ulu  con   un    battello    sottoma- 
rino .    navigando    follo    il 
ghiaccio,    e.     dove      la 
strato    del    gli 
,     dettole, 
dolo     sa 

/><•>     /Olii 

dei  .1 

?  1,1. 


la  supi :  gelata  1     0  \"el 

■  tri-  |ue  ni  mini.    1 1 
dell'esploratore  tedesco  <■  di   lar  trasportare  il 

I arino  sino  allo  Spitzbergen  .1   bordo  'li  un 

nave       pi  1  pn  seguin   da  solo  il  viaggio.   Per  giun- 
il   Polo  dallo  Spi'  00  miglia 

■  li    percorrere. 

Si   riuscirà   per  questa  strada    a    risi  lvere  Iti  ■ 
quesl 

(Da  un  articolo  del  Rovai  Magazine,  fase,  ili  setteml 


V  **. 


I    v    SI  UDIZIONE    l'I  AK-,  . 


La    leggenda   attribuisce  a  unti   gli   uomini  illu- 

.siri  un'infanzia   ili  genio,    (ili   antichi   avevano   già 

immaginato  il  situi"  li    di   Ere  le  che  strozza   fra  le 

braccia  «ii   minati'   due   s,  rpenti  mandati   con 

di  lui  da  una  divinità  gelosa.  Ma  i  fatti  danno 

ragii  n<   .'I   -  imi  i  li    ed  alla  leggerli 

Plutarco  narra   che   Cicerone,    a    scuola,    fu    ni 
tati    subito  per  la  pi  uà  eloquenza  e  messo  al 

posti     ii>   i   ii      rome    un    console,    dai    compagni. 
Fénelon  predicava  a  quindici  anni  ;    Bossuet  dodi- 
nne  un    sermoni    all'Hotel    Rambouillet,    a 
mezzanotte,  e  Voiture  esclamò  a  questo   proposito, 
dendi    all'età    dell'oratore  ed  all'ora   del    sermo- 
ne: '(  \i  n  ho  mai  sentito  predicare  né  tanto  presti 
■.    11  casi  i  di   Mirai'  au  è  più  s;  rai  i 
ii       ii     concii  masse    a   I  re    anni.    Egli 
itituzione  così   erculea   ili     sua  madre 
In  pei   morire  ne]  metterlo  al  mondo;    nacque  an- 
"ti   parecchie  anomalie:    un   piede  storto,   due 
in  lari    piantati    nella    mascella,   come    Luigi 
XIV.  Si    Mirabeau  teneva  disp  rsi  a  tre  anni.  Mi  ri 
parlava  latini     prima   ili   balbettare  il   fran- 
cese. E   Pico  della  Mirandola?  Oratore  già  celi 
a  io  anni,  a   18  conosceva  non  meno  di   ventidue 
lingue  ed   aveva    studiato   in    Italia,    in   Germania, 
in    Francia,   la  teologia,    la   storia,    la  grammatica, 
la  cabala.  A  Roma,  nel  1480,  a  23  anni,  si  dichia- 
rò  pronti,  a  sostenere   qoo   tesi    su  tutto  ciò  che  si 
può   sapere,   ed   altro   ancora! 

Ma.    in   generale,    i  dotti    precoci    sono  dei    falsi 
dotti,  mostri  di  memoria,  nei  quali  l'eccesso  di  que- 
-1.1   faci  Ita  cori, le  tutte  le  altre.    I  ssi   ripeti  no  sul- 
tani., ciò  che  gli   altri   hanno  trovato;    il  loro  cer- 
velli   è  un  magazzino,  e  la  loro  biblioteca  ne  sa  al- 
anti   quanto  essi.  Del  resto,  l'eloquenza  presup 
iplina  e  il  saper-  dipende  dallo  stu- 
ma   la   facoltà   veramente  geniale  è  quella  poe- 
tica:  oratori  si   diventa,   ma  si   nasce  poeti.    E   gli 
pi  della  prii  1  cita  di  i  pi  eti  soni    innumerevoli. 
Dante   e    il    Tassi    cominciaroni     a    cantare    a   io 
anni;    Ovidio   narra   che   fin   dalla   più  tenera    età 
a  la  smania  di  versificare  e  ohe.  quando  il   pa 
or.    minacciava   di    picchiarlo   perche   smettesse,    le 

le  0  n   le  quali   il   bambino  prometteva   di 

più  ricominciare  si  disponevano  naturalmente  nella 

formi  d'un  verso.    Ma  resta   ancora   da    sapere  che 

l'"s-1   valgoro    queste  poesie   infantili.    Victoi    Hugo. 

mi  sublime,   nana   d'aver  composto  versi,   da 

ni!'  •    a    diecine    di    quaderni,    ma    eh      mesti 

versi   n..n   rimavano  e   non    stavano   in    piedi. 

«  l  n     poema,     il     Ditti  'io,     annotato    da     un    a 

.finisce   con   questa    ricapitolazione:    20    e 
cattivi.  ^2  buoni.   15  buonissimi,  5  passabili,    1 
Cole.  Io  domandi    a  me  stess.   eh    ■    sa  poi    raro    es 

""e  le  altre  centinaia   di   versi   che  non  eoo 
ne  cattivi,    né   buoni,    né   buonissimi,   né   passabili, 
né  deboli....  ». 


Un  p.  sta   fanciulli    ni  ri  ì    altn  .   in  eoncli 
ohe  un  fanciullo   il  quale  sogna  di   divenir  pi 
Altrettanto  .li.  pittori  e  degli  sculti  ri     'I 

lebre  Callot,  quantunque  destinato  allearmi,   pas 
mpo  a  disegnare  1    a   12  anni  fug 

<  asa.  sen  !  .  1    venirs  Italia.   1  '.li    1 

ueddoti  intorno  all'infanzia  'li  Cimabue  e  di  Giotto 

11   non  c'è  bisi  gni  >  di  ramn 
VIichi   ang  li  .  a  10  anni,  lavorò  il  marmo,  che  d'or- 
dinarii    non  m  tocca  se  non  prima  si  .'■  maneggiata 
la  cera  o  la  creta.  Si  dio    'In-,  rivedendo,  a   76  anni 
uno  iki  suoi  disegni  ili  fanciullo,  egli    ili'  rma 

averne   saputo   ili    più  nella    pi    ria  1     l  ci 1    in- 

11. ni. I.  .  ma  qui  .  è  si  Itanto  un  esempii  ili 
quella  indulgenza  con  la  quale,  ad  una  certa  età. 
gii  ii.  lumi  11  msiderani    I.-  l'in  ■  pi  ime  poi'     Se 

li    stesso   Vasari,  il  genio  di    Michelangeli    gii 
vanetto  si  riduce   all'ai':  randissima,    ma    serri 

pi".-  semplice,  del  copiare,  dell'imitare'.  Così  Rai 
la.  Ilo  s'impadronì  tanti  I  in  'Iella  maniera  del 
Perugino,  suo  maestro,  che  non  si  riusciva  a  di- 
stinguere la  copia  dall'originale.  In  letteratura,  in 
I'  sia.  nelle  arti  b  Me.  il  gonio  dei  fanciulli  m  n 
lar  altro. 

i         Ile  scienze'  Qui,   contrariamente  a   ciò  eie 
parrebbe,   la   precocità   e   più   granile   e    più   sincera. 
L'idea  astratta,   l'astrazii  ne  matematica,  non  è  una 
cosa   oscura;    l'evidenza   geometrica   è  anzi   la   più 
chiara  di  tutte.    1     Sofia   Germani,  a   18  anni,  mera 
viglia   il  eolel ai    Lagrange;    e   Pascal,   a    r.2   anni. 
avendi    saputo  ohe  la  geometria  e  il   modo  ili    lai 
■  ielle   ligure   esatte,   si   mette   a   tracciare  eoi    catl 
linee  rette  e  curve,  e  trova  .la  sé  tutta    la   sedei 
ri  Euclide:    a  quindici   anni   egli   è   ammesso    nella 
tà    dei   Descartes,    dei    Mers  nne,    1    1  lai]  [tali 
e  dalla    Germania    lo   consulta™     intorni     ai    pro- 
blemi difficili. 

Dalle  matematiche  alla  musica  la  distanza  è  bri 
l;.  in  musica  i  prmlii;';  non  soni    l'eoi    zione    51 
anzi   la    regola. 

Vi       1  lunque  un'ini uizii  ne  del   numi  n     un  doi 
stintivi    .lei  ritmo    •  dell'armonia,  chi    possono  ri- 
velarsi  nella   prinia   ali    .     'Ila   vita.    Ma.  anche  qui. 
I lisi  L'n.i  e\  ii.-iu-  ili  confendere   il  genii    o m  la 
plice    abilità    n  1  matica.     1  I 

Inaiali,  che  sapi  vi meri    pei    parecchi  g i  d 

numeri  di  quindici  1    venti  cifri    e  1  risultati  d'una 

vi  ut  ina    d'i  perazii  ni   1  seguite    in    una    sed 

incapace  del   minimi  nto  e  non  i  ius 

a   risolven    i    più   semplici   pn  !  ili  mi     E  quanl     d 
\  irtuosi  che  1  gni  anno  eso  no  dai  1  atori  o 

dipli  uni  .-  0  n  premi   n.  n  si   sterilisci  ni  1  ■ 

In  .-. inclusione:    non   esiste   un'opera    importante 
sia  frutto  del    1  un    faro  iullo.    [1  pei 

sien.   dev'essere    fecondati     dall'i  da] 

serva/i. 'tu-,  dallo   stesso  di  li  n 

(Dalle  Lectures  pour  loti 


I  \ 

p.  Ilo,  Palladi  gravi,  va  stupendi, 

■  Lpporto   Fra    li 
lerale  della  civiltà,  i  costumi  e  i  sentimi 
..,.  ,.  |a  i-  rm  i  sotto  la  quale  essa  i  •  m 
la  divin 

Le  tril  i     Iella  Costa  '•  A' 

01     I  osso  d  ippopi  ta  m  . 

un'unghia  di  belva,  dei  sassi  bianchi,  delle  corna 
d'antilope.  I   Lapponi  hanno  per  idoli  coma  e  zoc- 

di  renne  scolpiti.  (  >kè,    l'u    delli   mi  ntaj  ro    ni 

|a  ( ,  rappresentato  da  una  pietra  rotonda, 

I  ia,  ...   dea   dell  one,   da    una   pallotti  La 

,1  indaco  o  da  una  zucca   piena  di   piccole  conchi- 

-  gione  del  Kilimangiaro  si  adorano  de- 

i  ti  in  rima  a  bastoni  confitti 

.,1  sm  I- .    Un  albero  senza   rami  ed  irto  di   punte 

di    ferro  è   l'idolo   supremo  degli  australiani.    Gli 

\.  ianti    rispettano   delle  code   'li    vacche    fermate 

a  un  manico  ili  cui  io  e  delle  creste  di  gallo  chiuse 

imiì.    Il    Gran    Spirito  dei   Cafri  è  un 

pieno  d'acqua.  Un  flauto  di  legno  è  la  firma 

del  dii  w  a  Pokomo,  nel  Zanzibar. 

\i  ,i  di  peggio.   Al  Gabon  un  viaggia- 

idde  venerata    una    vecchia   carcassa   ili   para- 
finita  laggiù  chi  sa  come    Con  altrettanta 
compunzione,    gli    indigeni    dell'Oceania  collo 
li  altari  Le  vecchie  scatole  di  sardine  o  ili  gam- 

.... 

I  numi  concepiti  col  sentimento  della  paura  dai 

africani      sono     terribili.      Essi      hanno 

ili  sangue:   vittime  umane  sono  decapitate  di- 

n  i-voli  .statuì-  'li   Legno,   ili   pietra 

0  «l'argilla,  eh  lOSCOno  da   lontano  al  disgu 

rappreso,  d'olio  'li  palma  e 

■  li   grassi  . 

rabili  ed  infimi  hanno  idoli  simili 
a  loro.  In  Vsia,  nell'India,  ci  n  una  natura  . 
tanti-,  le  divinità  sono  enormi,  come  Siva  dalle 
braccia  furiose.  La  lori  set»  di  sangui-  è  pro- 
porzionata alla  loro  statura  colossale,  e  le  vittime 
debbono  offrirsi  ari  essi  spontaneamente.  1  Mili- 
tari del  sacrifizio,  che  non  mainano  mai,  trovano 
li  uncini  infissi  ài  muri  del  tempio,  dove  si  fan- 
no app  ndi  re,  e  delle  ghigliottin     auti   rial  u  hi    di 


ve  il  paziente,  premendo  si  pra  un  pedule,  si  taglia 
,1  collo  da  se.  Vi  sono  poi  i  '-arri  divini  ili  Jagger- 
nanth.   enormi    ma  li    legno   duro,   scolpito   a   fi- 

gure   terribili,    -  ito    li    quali    i    fedi  li    si    lasi 

SI     hi     I 


\    poco    a   poco    l'uomo    concepisce  divinità    mi- 
gliori, più  benigne,  che  ama  e  non  teme.   Gli  stessi 
Negri  adorano  il  dio  della  lucei    prati 
dell'arcobaleno:    grami'-    e    liei 
,  he  appoggia  la  coda  sulla  terra  - 
nel]  Ocean       La    miti  ■!-  ndinava    ha    il   elio 

Thor  ihe  castiga  e  fulmina  i  demoni  malfattori. 
Tra  gli  Indù,  il  dii  l  li  I  inte,  Ganesa  personifica 
la  bontà  e  la  saggezza,  e  il  toro  Mandi  la  forza  be- 
nefica e  feconda,  rome  in  Egitto  il  Iute  Api.  Ma 
l'idolo  ehi-  più  interameiii,  siinlmli-ggia  la  dolcezza 
eia  clemenza  è  Budda  11  buddismo  proclama  la 
legge  di  universale  bontà,  vieta  che  si  sparga  il 
sangue  anche  nei  sacrifici  i  he  si  spezzi  la 

liana   in  fiore:    l'opera   del   Creatore  non 
ferita  neppure  nella   sua   pn    luzione  umil       11 

Budda  più  famoso  ,-  più  giganteso   •  lineilo  ili  Ka- 
macuras,  nel  Giappone:   l'antica  capitale,  i  ggi  mez- 
zo   rovinata,    ha   serbato   intatto   il    suo   colosso:    la 
statua   del   dio,   rappresentato  con    li 
date,  nell'attitudine  della  meditazii  ne.  è  alta  venti 
mitri'  Vi  si  entra  dentro  e  vi  si  trova  un  santuario 
pieno    di    altri    idoli:     vi    som     delle    capitile    nei 
fianchi,    nei    gomiti-,    cime    spina    dorsale   ha    una 
scala    per   la  quale  si   ascende    alle   ca|  p  Ile  rielle 
spalle;   un  di<    veglia  entro  la  testa  e  il  naso  è  una 
nicchia  di  santa    LTn  altre   Budda  celebre  al   Giap- 
pone e   quelli     di     \ss.iksa.    il    cui    tempie    .     pii 
delle  scarpe  lasciate  cime  offerta  votiva  dai    | 
grini.    Stranissimo  è   il   modo   di   esprimere  la    pre- 
ghiera a  questo   Budda.    11  credente  la  scrive  sopra 
un   [H-zzii  di  carta,  che  mastica   in  modo  da    fame 
una  pallottola  molle  e  appiccicaticela  :    |xù  la  tira, 
quanto  più  destramente  è  possil)ile.  contro   la  sta- 
tua. Se  la  pali  m    la   vi  n  ! 
gnu.    Invano,  per  salvare  il  nume  da  questi  pn 
tili.   i   sacerdoti   lo  hanno  messi,  in  gabbia  i    circon- 
dato 'Li    una    fitta    rete:     i    devoti    hanno  trovato   il 
niodo  di  scaraventargli  le  loro  pallottole; 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore. 


Milano,    1902.  —  Tip.  del   Corriere  della  Sera. 


Galluzzi  Giovanni,  gerente  responsabile. 


CSI 

u 
i 
l 

I 

U    E 

i 
1 
I 
1 
J 
RJ 


PJ 


in 


ANEMIA  -  CLOROSI 

TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE 
si  curano  e  si  guariscono  col 


IL  PI  U'  ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 

JL.    1    la    bottiglia    in   tutte   le  farmacie 


£$-- 


SCIROPPO  PAGLIARI 

il  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue 
ottimo  per  la  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


I 
1 
J 
U      A 

1 

u: 
I 

III 

il  L. 
u 
J 
l 

ji 


Biogenol  Pagliari 

BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 


PER     USO     INTERNO     E     PER     USO     ESTERNO 


5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da  1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE  PANERAJ 

il  migliore  dei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


ESTRATTO  PANERAJ 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

>  ■  i  i  ;  <  •  .•  i  «  -  i  —  —  i  zxi  <  ■     nelle     >  •  >  t-  m  o     •  •  <  ■  i  .  ■  rr  ali 


il 
II 

fll 
il 
il 

HI 


pi 

fi 

i 

al 


ni 

l 
al 

il 

il 
In 


pi 
ìi 
il 
IP 
al 


n  Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori 

j  Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno 

n,T=3  =iPC^=ÌP^P~=^P  I=T7='  =i7=>  c=;p  c=^^d=r^  c=^=^7=i=^P^  ^7=3  <=^c 


al 


ADDIO,    NIKOLAL 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 

autore  del  Dottor  Nikola,  della  Verga  della  Sapienza,  v<u-. 


{Con/nutazione,  vedi  numero  precedente). 


\i   ,  stavano  le  cose,  si  mo- 

n  lui,  in  n  i    miss 

Durante 

Roma  .  venne 
,  ifato    pei    Qs   ire    le 
nomo 
i    due  i    mi     o.  Ci 

1  vavamo 

distanza  da   Venezia.   Nmi   appena   ol 

piti    dell  impro\  \ 

istra  ip     na     Pa 

iecie  di  letai  >  ■  volgeva 

e  tornasse  ad  essei  e  ijui  Ha  di 

Rideva  i  on  mia   plie  e  con 

Ldn  .    •■   tratl  m  ai  iava    a    punzec 

mi 

rimi    n  Ini    irò  vecchii    a] 
ijnentino  ni  piazza  Bai  bei  ini.  Da    i  tem 

nire  del  ai  stro  soggiorno,  il 

i    matamenti  ritornar!     in    h 

ghilti  1 1  il   e  beni  he   \  enezia   non  si     rova        sulla 

pose  ili  pass  in  di  là    n  cambia 
l'aria  avey a 

era  il  ta,  e 

quell  espn  ssi li  iste  e  prei    i  aveva  a 

—  Godiamo  era  che  ci  ri 

mane  da    termali  i  ma  ci  dissi     mia 

stra  pai  lenza,        domat- 

ire 
alzamm  luna 

dori     \  \  ■  ;  : 

mpagnare    I  po>  eri  tali  ai  q 

ci  lesi       u      o  m ai  ato, 

i 
- 

e  e  solenne    i  ai 
parer  mio,  cri  do   ai  a   si   trovi   i  eguale  al    mondo 

p  tiiaro  di   luna    in i  alla  rifli 

i-,  p  5.  Ma  [uesta  i  e  doli  e 

,    uno  spe  idimenticabile, 

ne    il   Coli  sseo   sorpassa    tutti 

i  spettai  in   lunga    I  '  atro 

rand 
rtirand 
: 
parlò  di  quei  ci        mi  che  ai 

ii  martii  :  leste  mura   immense,  in 

.  |< 

Difinfnf»  '  lirellam  i  -  e  di 

id  .  . 

mmo   i  li''   Glenbarth 


{.fiutate 
le  Soprascarpe 


che  si  rompono  subito] 


U I !  i::i  usyi  secchio  cruenti 

Soprascarpe  di  Gomma 

MAGAZZINI  HERMANN 

UHI.NO   •  TORINO 


Im  r  ti 
on  ii"i  .  quandi 
er   uscire   essi 

i  ni  ambi 

silenzi  solita, 

il  mia  moglie  arguì 

ii"\f\ 

ra    ili 

lO    I-m    li  nli 

e   ed    il   dei  ano  si    i 

irai Ili 

lavo     pi  r    da 


mandargliene  la  ragione,  quandi    i         con  grande 
solennità,  mi  di 

—  Caro   Dick,   congratulatevi    meco     VIiss    l'revor 
consenti  'li  diventar  uni  mi 

Rimasi  talmi  nte  In     lì  | n  seppi 

chi    i      i  dirgli, 

Mi  alloi  a.   I il      !  •  nito 

tortata*    Davvei  i  .    che    vedendo\  i 
i  he  essa  a\ 

—  Ben  lonti dall  essere  den  uni 

inni"  i  olla  ste     -     ulennità  -in    I io  più   te- 

delia    terra  '   (  ni  i  he   luitn   «•   deciso,   che 
ihi.-i,   la  cosa   mi   i  ■  he 

in  isi  non  la  ]    sso  credei      Dick,  come  sono  a 
,ii  a-. erla  pei   mi ig 

—  Avete  ben  ragione  con  entusiasmo    — 
E  voi 

—  Non  mi    merito   tanto  —   disse   umilmente.   — 
i         è  ti    ppo  buona,  troppo  superiore  a  me 

—  Io    pure   dicevo  le   precise   parole   nelle   vi 
condizioni,    aspettate   fra  cinque  anni  e  me   ne   sa 

dire  qualche 

—  Andate  al  diavolo!   Peri  he  d 

—  Perchè  i  osi    \  anno  li   cose  del   in 

mio.    Basta,    ne   Farete  voi  Kd 

■  i  ii     p i   d  andai  e  a  leti lenii   eh 

un   bici  hierino  di   whisky. 

Neain  he  p  mi  disse  ci 1 1  ore.  — 

E  voi    'i  edi  ii    ch'io    i i lei   w  isk>    iu 

mili       Dopo   i  mi    ili    e- 

'   -un   matto  ! 

—  Fate  comi  parti    mia,  io  non  ho  di 
li  sci  iip.iii    Sol             '      -  liato  da  tanto  lenipo  ' 

\.-l    frattempo    miss     l'revor   aveva    fatto    le 

confidenze  con  mia  glie    Quella  sera  non  mi  iu 

i ..<ii  addor ita tanl  i  era 

,  osi  contenta  e  felli  e,  chi    non  cessava  dal   parlar- 
mene 

—  i    avevi      empre   (leti  p    io  che   quei   dn 

per    l'altro!    i  he    duchessa    idi 
Egli  può  ben  dirsi   to iati  I  i  he  ne  dici? 

—  Dico   semplicemente 

e  per  lui      I  n   d'una  simile  felii 

i'..\  'i .'  raga 

I.'ind  furo I  una 

n      i  ■      Il  lui. .n   decano  nmiifiu   la 

■  olazione   tranquillamente.  della    Inni 
chi      lava  pei          pp     r   da    li   a  p 

mi  intenta  arai  e    il    thè.    faceva    n  a 

Iratt'  -  .li    ini'i  iivaziuni»  ai  due  limai ati 

Intanto    m     peli  -  <\       '    ^il     la.    i   lineilo  che   .ivi. 
detto  di  '  Ionia  la  cola 

Il     I  .Imi. arili     i  il 
,  ano     i  in  --.i    in    finali     airii 
il    povero   dui  ?  '   Qu  nulo   più    lai 

lp  in    v  iso.   mi   strinse  calorosamente   la   ma 

lidi      Chi      il    il. .'ini li     Iu plil    lllli 

ili   questo  ì nlo.   e     he   io   sii  venivo  sulii 

do     '  apii   che   lutti  bellissimo 

..ir  lo    ii    '  un-    ni; nio    paterno.    I    dui 

ni     ippi ' intuirono    del    \ tempo    .In     i 

manev  a.   prima  i  lenza  del   inno,  p 

re     H  -  mperare    un    ani 

in    brill  mti   per  i  ire    il    Lno    tidaii/am 

.  i  impagliato    da     un    hi  dei    'ti'1  i 

i  he  .i\-i.-liliii  .1    fatte        invulin     h    qual  - 
Vollero    pure    i  esalai  ne    uno    a    in  n    moglie,    di 
etrusco  di   molto  gusto 

—  -~  ri    coi<    in 


Attente  MADRI! 


L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini  :  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  dì  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  i!  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Caflè 
Malto  Kneipp.  Il  Caffè  Malto  Kneipp  ba  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffé  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Se  vi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto  ;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


CUCINE    ECONOMICHE 

PIÙ    DI    CENTO    MODELLI 

per  &  ami  glie  -  Ristoranti  -  3li€ergn*i  -  0  spedati-  GoUegi 

'"""""""""""^•'i     Case  di  saiute 
Carceri 
Caserme,  ecc. 


C.   MON7ALBET7I 

Via  San  Tomaso,  N.  6 


ACQUA  NOCERA  UMBRA 

(SORGE3NTE     A>GEIJCA) 

L'acqua  di  Nocera  L'mbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  sul  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare,  ma  curativa  per  molte 
malattie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


" 


Il 


ADDIO,    NllM  il. a!. 


■  i     menti 

\i 

i    uomini  '    I"    .  he 
in  i  ■ ■  1 1 1 

\  lino,  •     disse  i 

S 

...    anni,   avrò 

i  i     partana  uscii  di    ■ a  i. 

agemino  a  \  enezia    Bei 
un   buonissiri  ii  .    pui  e  di  vo 

.    non   fui    punto   spiacente  d  esservi 

li  due  innai ali  che  si  guarda 

hi,  bisbigliandosi  d 
-,     sci    coli     stani  ai  mi     \\  e 
Vii  .,  i    i\  \  u  ìicn  pi  nte 

quando   notai    che 
itta    Improvvisamente  tacitui 
■  ■  ;i  mia  moglie  i  tu    a^  iva  un  pò  di  mal 
ii,!  ii   bbe  durato  a 

lungo.  Giunti  alla  stazione  prendemmo  una  barca 
.  i    mpa    i   ii,    a     nostro  albergo.   Il 
igli  scalini  d'approdo  dan 
i    ise   Cestosamente  e 
•  ava  ili  fare  dei  complimenti  a  mia  moglie 
i  ile  aveva  una  speciali    simpatia    Quando 
i  ti  tutti  nei  loro  rispetti 
:  da  parte  Gai  ighetli  e  gli  domandai 
e   di    don    Mulini. s. 

—  s  re,  mi  rispose. 
_  Mi  ,iu  i  vostro  amico,  ma 
io  n                                l  inuare  a  tenerli     Vostra 

non  saprà  ch'egli  muco  tutta  la 
fortuna,  e  che  non  gli  rimase  più  'li  che  saldare  i 

—  Non  lo  sapevi  e   me  ne  duole  assai. 

_  \  M;i  se   la 

i  desiderasse  ili  si  redo  che  mi  sareh 

ssibile  'ii  poterla  informare. 

—  v  •    ne  ringrazio .  cjomand  tvc  ci  si 

ariosità. 

Augurandogli  il   buon   giorno,  ini  avviai  su  per 

do   a   guanto   mi    avevano   detto. 

Non  mi  sorprendeva  punto  ch'egli  fosse  caduto  in 

rovii  i,  ma    non   m'immaginavo  rlie   La   catastrofe 

iwenuta  ito.  Intanto  mi  rallegra- 

i     l'idea  che  molto  probabilmente  egli  non 

ri  a  'i  più  dato  delle  no 

Nel  dopopranzo  andammo,  secondo  la  nostra 
abitudine,    a    passare    nuora    al    caffè    Florian.    Il 

rrei  iavano  su  e  giù  i 

piazza,   mentre   noi   li   seguivamo  coll'occhio,    lieti 
il,  Ha  i.  Più  dì    una  col   decano, 

-i  del   mio   amico  :  egli   1 1  i 
■ .  la  sua   ambizione  ili   pa 
dre  non  poteva  essere  più  soddisfatta    Mentri 
vamo   in   piaz  dai    più   vi         l'atti  rno 

ili  vederi  ma  invano    Ma  se  fui 

\ì  mio   arrivo  ila    Roma   mi 
una    'inai 

di    Lettere,    a    due    delle 
quali    d  rispondere 

mina     per 
cui   ilis^i   ai   miei   i 
gni  di  ritornare  a  casa  col 
sarei    an- 
dato    all'ir 

i  .  andai  in 

irlo  dei  Barcaioli   a  pren- 
dermi men 
|                          -  Un  \  i  den- 
■  -i    che    un 
.  guardandomi. 
I  o    Assai    ben    I  I 
don     Martinos, 
.  ambiato  i  ne  mi   ci  volle 
un      moli.,  ni"      pi  in 


riconi  I  :..    ,[,,  n 

ni,    iiaii  ultima    volta    che    i  ave\  •     \  i 
«•-lì  si  era  i  Idotto  il'  Ila  mi  tà    la  i  dì 

mortale,   i  su  il  i  echi   bi  ili  i  una 

ch'io  ni  ii  avevo  mai  vi-      Credetti,  per  il 
I   i         ivesse   bevuti  vuta 

sua    espressi!  ne.    Fui    li    li    per   non 
ricordandomi    la    sua    inori'    in 
la    mattina   del   mainai.,   duello,    ma    la    pietà  ebbe 
prawento,   i    lo   salutai     Euli  non    mi 

liuto,   mi  guardò  fisso  ,• „.   mj  aVi 

i    volte,  ma  non  si  ricordasse  più  del  mio 
li  i  .  iii.iiii.ii  per  ni  me. 
P  ''  li     i  mi  supplicò  ili  seguii  lo  e  di 

allontanarci  per  non  essere  udito  dal   barcaiolo 

—  Non   un    riesce  di    trovan    il    vostro   n e.  — 

mi  iii>-.\  afferrandomi  pel  braccio  -    ma  so  bei 
sinio    '  \  isto    Non  posso  più  ricoi  dai  mi 

di  nulla  ora.  perchè       peri  he 

Q  i    taci e  -i  mise  una  mano  sulla  fronte  >  ome 

dolesse.  Tentai  d  ma 

Inutilmente  Egli  mi  fissava  scuotendo  la  testa, 
parlando  un  momento  italiano,  un  momento  in 
spagnu  ilo,   frammisto  a   un   pi i    d'infili  -•     i 

immaginare   una    più    pietosa    condizione!    in- 
fine, credendo  che  questa  il anda  lo  risi 

gli  chiesi  : 

—  Scniite.  è  un  pezzo  tbe  non  vedete  più  il  d 

i  effetto  prodotto  fu  istantaneo.  D'un  balzo  fuj-'K'ì 
ie  .olili   se  fosse  stato  colpito  e  si  appoggiò  al 
mino  d'una  casa   li  d'accanto  tremando  comi    una 
a    Quale  cambiamento   per  un   non .-i   si- 
curo .li    sé,   direi   quasi    aggressivo!    Ora,    più    che 
non    un    iioi,\ ,,    spiegare    la    cosa     Egli    .  ra 
l'ultima   persona    al    mondo    ili  '  ni    avrei   potuto   im- 
maginare una  simile  trasformazione 

—  Non  diteglielo!  per  rarità  non  diteglielo! 
mettetemelo.    —    mi    sussurro    in  —    Egli 
mi  punirebbe,  se  lo  sapesse,  e....  e 

Qui    si    mise    a    piagnucolare   rome    un    bambino 
.In     teme    <li   venir    castigato     Era    uno    spettai 
mi  altro   che   piacevole   e   che  destava   una    -i 
di   ripulsione.  Sapendo  le  sue  misere  condizioni  fl- 
nanziarie,  fui   preso  da   compassione   per  lui   e  gli 

li   fargli  un   imprestito  che  egli  mi  avn 
be  poi   restituito  col  tempo. 

—  No,   no.  —   mi  disse,   con   un    lamini   della    - 
antica    vivacità,    poi    soggiunse    a    bassa   voce:    — 
Egli   i"  saprebbe. 

—  Chi  lo  saprebbe  1  —  domandai. 

—  il  dottor  Niki. la.  —  rispose.  Poi  app 

di  nuovo  la  sua  mano  sul  braccio,  ed  avvicinando 

la    borra     al    mio    orecchio,    rome    per    aerei 

in    altro   poteva    udirlo,    continuò:    —    Preteri- 
rei  morire   di   fame   in   mezzo   ad  una    stralli,    piut 
tosto  ib  cadere  nelle  sue  mani    Guardatemi!  —  con- 
dopi .  una  breve  pausa.    -   i  .nani. ne  rome  mi 

dotto!  Egli  s'impi  ssessò  del  mio  corpo  e  della 
mia    anima,    e    non    posso    sfuggire    al   suo    imi 
la  sua  volontà  è  la  mia;  egli  mi  uccide  oncia 

i    Tentai  di  sfuggirgli,  ma  mi   fu  imp — ibile. 
Se   fossi   all'alti  lità  del   mondo    ed  egli   mi 

chiamasse,  sarei  costretti    di  tornare  a  lui.—  P 

in   cambi  .   come   il   pensier 

pi  se  a  sfidare  Nikola,  giurando  e  spergiurando 
egli    sarel.be    In.  che    nulla    al    moni 

e  indotto  a  tornala    da  lui.   l'n  momeii 
egli    era    di    nuovo     quel     povero     rimbambito 

—  Buon     gii  Bis 

d  .    Non  vi  è  tempo  da  perd. 
mi  aspetta. 

Si  i  lite,  ii.  n  mi  a\ .  me  ira  dove  abii 

—  Non  ve  lo  immaginate?  —  rispose  r.^i  qui 

Abito  in  rio  del  Consiglio, 
I . 
Quale   tu    la    mia   mi  ravie  lia      Don    Martii 
dato  a   vivere  col   dottor  Nikola!   Mi   domandai 
presi 

un    puro    senti  per    motivi    - 

speciali  ' 


Marca 
YjreveVtaW- 


«$V 


■ 


ORO 
ARGENTO 
VETRI 
SPECCHI 

i    yiiusue    unicamente    colia        m  i     ^ty         x^^K  "^B^^^    ^^^^. 

Saponetta  (jrJ-/OBO 

Pezzo  piccolo  Cent.mi    ±0       Pezzo  grande  Ceni.m    J.S 

Esigete  sempre  l'etichetta  colla  marca  depositata  GLOBO  sopra 
fascia  rossa  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darri  altra  marca. 

Per  pulire  i  metalli  comuni  adoperate  la 


WP<?sA2„  GLOSO  "per pi/tire, 
oggetti  a//  metal/c,  vetro  ecc. 

rr/'rz  Schu/zjun.  L/ps/a. 


si    pulisce    unicamente    colla 


PASTA 


(  H3s"tx-a,irto) 


GLOBO 


Vendita  esclusiva   all'ingrosso:  MAX    FRANCK,  MILANO. 


Anno      3C 


Anne»      JC. 


ISTITUTO  RERO-EliETTROTERRPICO  DI  TORINO 

MALATTIE  DEI*  P0LM0NÌ""È  DEL  CUORE 


del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »  nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,    37,    piano    terreno 


E  V unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statica-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bag?w  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione.  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate,  Bneno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ed  a  'a  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Tura  speciale  locale  eh  ini  lirica  (metodo  propri' > 
della  Usi  pò  tuonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  mesi 
di  cure,  ne:  ca  ì  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali 
avanzate,  e.  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a    tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustra  tivo  che  si  spedisce  gratis. 


ADDII  »,    NIKI  »1  A.!. 


•  mi iolo  \n. 


don 

I  Ufi 

i    In- 
mod 

i  he 

'imi"  un   l'ili  che 

Iti  i'.  ei  sai  .1  i  i  1 1 i.-t i 

[appariva    i 
1 1   ricordo 
ila   Nikola,   dei   suoi   unni    giovanili, 
avvenimenti,  e,  più  ani 

l  inps,  di- 
i   più  di    [uant 
:  .in  i'  \  .ni"   il    mio   sospetto 

urli  anni 

.in.,  da  i  o  da  dimi 

ilh  0    m-iun  0,     il    li 

i  he   a\i-\ 

detta       qui  il  mio 

lei 

poco   prima, 
.     e  ome   l' angeli 
per  'in    risolvetti   ili    ni  o    pensare   più    a    lui 

,-   di   ii"n    rai    parola   -  lei    no  tro   in- 

i     inuiiic  dire  che  Quest'ultima  deliberazio 
■  i ii  -i  dell  i   ri  ima. 

i     nostri    primi    ,  i anzo  a    \ ,   dopo   il   no- 

■ii        he   allegro     n    mal    ili 

■  h  miss  !"   trudi    in\  ei  i    di  il nuh 

la  a    inettei  si    in   let- 

i  tutti  eravam 
i .,     i 
entiva    un    tanl  ino  me  jlio;    ma 
,    in  ma   notte 

rribilj     ogni     e    quando   rai    svi 
i,  osavo  più  ili  chiuder  gli  occhi,  ■  -  d 
i   mia  mi 
_   \  1 1 1 1 

i  ■  i  endomi  le  sue  p  u  ole 

entran 

i    fece  una  cosi  terribile  im- 

■  ne. 

i  ,  ih  stare  poco 

Uida,  colli        !      li    Asso    ben  lontani ■  dal 

elice   da   quando 

R a. 

—  Ohi  r  bbìano  a  s Ieri 

i    i.  mentre  '-■■■•  mia 

'   persua- 

lii.i  molto  meglio  a  i ve- 

qui   a  Venezii n   avremmo   più 

Mai  m        Dri 

ed         sarei    pei 

erribili 
■  i     era   inutile  ti  pensan- 

iH'awenire     Mi  do  ire  1  Idea    che 

0    'Il 

i      don  privo  a  Vei 

I'. ilunn 
i  Minili"    tutti    il 

(issi li  perdere  un  cosi 

prezic  i 

\  enne    stabilito 

"Hill    ni    In- 

-  ire i" 

duca     i    trovarlo 

ansioso 

di    pn  ""i    ii- 

i  .     ii   ■  tite    la 

-ii  i   i 

ibbia 

mia. 

bei    ■  •■     sia 

erto  tempo, 


ESIGETE^ 


MAUCAi'':^ 

HERMANN^ 

MI  LA NO -TORINO 


ivento  ]  \i   i 

l'i.,  li"  me  I"  si   leggeva   in  viso 
Cred  un   inni  il  izio- 

•  illumini-   sia,     li  hi 
mi    fece   ui  ma    impressione,    tanto    più 

il"  -  ii     '  "i    pensiero   dominante    ili 

ni     Sognai    dui  que   che    era  di 

.."In   in   una    stanza  del   suo 
\   quanto   pai  e,  in\  isibile, 

i"    i-i  .      ..,.  jella  mia 

H/'i    Egli   -in'.  il  -"in... 

i  Lmenti    chimici      '  ili 

-in.    senz  - 
orna    ombra   di    pietà,    -una   sul   suo  viso,   ma 
ii.i.    presa    nel    vero  senso   della 
parola  1 1  ida   di-  vi  S      pei  fett'ime 

endo  quanto  sto  si  co  a 

dare  satta  dell'impn  provata  •    che 

i   .  -in   oscuro    il    i  ni",   imi 

non  posso  far  'li  più  .  la  mia  penna  è  ine  ipai  e  di 

descrivere   un   simile   sguardo    Dopo   un    momento 

in    mano,    alzò   la 
>lto,  per  udire  se  - 
in   dei    suoni   dalla  camera    attigua.    Dei    passi    in- 
mattei  mi    si    avvicinav  in 

doio .    la    i a    -i     iperse    ■•'!    una    h        i         ibile 

entrò   nella   stanza.    Ind  pito  'li    ti 

re  '    Era    don    Martinos!    Ma   non    i  ra    più    lui  !    Il 
•  la  statura  foi  i  lavano  lontanar 

te,    m; ii    era    più    lo    stesso    indi\  iduo  '    \  eduto 

Nikuin.   andò  .i   lui   vai  i  stramaz 

.  ippandosi     ili"    ginocchia   e    gettandi     un 
mito,  simile  a  quello  ili  un  anni 
-..in  i 

—  Alzate;  i,   ■      d  munii.    Nikola,    ai  cen 

'    in    tondo    alla 
stanza 

V vi  andò  i  ob 

bedisse  ad  una  [or:  i  il  e, 
scopertogli  il  petto,  prese  da  irin- 
ghetta,  la  riempì  del  liquido  contenuto  in  uno  dei 
'  i  ,  1 1  ii  i . u  i  i  il  i  glie!'  iniettò  II 
venne  testo  prese  da  violentissimi  brividi,  seguiti 
i  iluli  contorcimenti  nel  <  iso  Imi  nen- 
ie s'irrigidì  come  se  fosse  morto,  il  dottor  Nik"!a 
l'orolog \  i  guardò  attentamente  l'o- 
ra.  Il  mio  s<     chiaro,   distinto,  eh 

i  il   tic  ta 
P  issarono    alcuni    minuti,    finalmente    don    Mai 
tinos  aprì  gli  occhi    Non     ra  più  umano  ; 

ri  a    un    animai. •  '    Dalla 

ni  orribili,  simili  all'urlo  arni"  del  lupo  e  quando 

Nikola  -1    intii li  mm  versi,  si  pose  a  canini 

re  a  quatl  ro   gambe  ci  ime    u  i  »opo   un 

digrignando  i  d  uar- 

.  ,  i  ii    minai  eia,  ci  mi    -■■  da   un  mo- 
mento  all'altro  volesse  si  su  ili  lui.  Nik..la 

da  ma         re  nella 

-i  inula   mi  — un"  .  egli  \  i  -i  avvi  ntò  ad 

dosso  e  lo.  d  a  Famata 

la    schiuma; 
iman    dimostravano   ch'esli 
■/il..    \n  ola,     li  pi     ili    ii".    ritornò    alla    sua 
tavola  '■  -i  pose  a 

i  imi  ri,.  i  'la.   che 

e    non  posso  chiamar- 
;   nome  'li   uoi he  »ta\  h   in  un  ansolo  del- 
la  carnei  a     si    alzò    in  nò  a   lui. 

di   avvisare   \ 
lo  minai  i  ia\  a  ;    in   un  halen  -li  lui  e 

in   afferrò   pel    ""II",    un  n    un    pici  "1"    l 

il   liquido  in 
un    momento  dopo    il    povei  ite    giaee\ 

insando    pei  neutre    Niki 

sciugava  i    usciva  a    sinistra    del 

collo    i'     questo  punti     mi   -\  .■-  liai.   e  mi  trovai 
duto  sul  ;  dante  di  sud' 

I  eci  un  orribile  i  Ila  . L'ina 

ili     li,  .'   ISi     (li     Slipi    i  --all'  ■ 

li  "ni"    mal    '1  aver    i ato    un    simile 

vento 

—  Povei  v  lutto  —  ■ 


PIPA   MAGICIENNE 

dii 

■  l,  d'oro 
oondialmente 

nsupe- 
:,!,!■  p  pia  3ua  boli- 
ne inter- 

■  total- 
m ente  la  nicolii      Pi 

■ 
stulcati,  esigere  su  o 
Ml  li  LEONE  e  25.   PISETZKY    Rie 

i  R         litorì   oppun    spedite  L  3  (Estero  L.  3.50! 

aUapr.  oliata fabbrica  rHAURBZiO  PBSETZKY 

Milano,  Via  Vittoria,  sei.  Vicino  al  ponfc    Corso  Genova 
e  la  riceverete  franco,  dritta  o  curva  s< 

PIPA  STELLA  POLARE 

uuica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  Pre- 
miata con  med.  d'oro,  girevole  in 
tutte  le  parti, antiuicotinosa,  con 
apposito  riservatore  (Vedi  dise- 
gno). Il  fumo,  causa  l'interna  co- 
struzione di  detta  pipa,  arriva  fre- 
sco e  gradevole  alla  laringe. 


=~3  Ricercatela 

presso  i 
3    alla    premiata 


Rivenditori,   oppure   spedite  L. 
Fabbrica  di  pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 
e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 
Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 


LE  DONNE  FRANCESI 

E  LA  SCOPERTA  DEL  DOTTOR  VERVIER 

In  Francia  molto  sì  discorre  della 
reconte  scoperta  fat  ta  dal  dottor 
Vervìer,  il  qxiale  con  uno  speciale 
processo  noto  a  lui  solo,  è  riuscito 
;id  estrarre  dalle  foglie  della  Ga- 
lega Officinali»  un  prodotto  rigoro- 
samente scientifico  a  cui  ha  dato 
il  nome  di  Galtghina,  e  che  coni-    , 

■  n  altre  preziose  erbe  to- 
niche, corroboranti  ha  non  solo 
virtù  di  sviluppare  e  ricosti- 
tuire il  seno,  ma  anche  di  dare 
rotondità  e  grazia  alle  forme  mulie- 
i  -  mi  pillole,  questa  Gaie- 
ghìna  oltre  sviluppare  il  seno,  col- 
mare  i  vuoti  e  far  scomparire  le 
n  e  ossee,  rinvigorisce  e  for- 

tificn  l'intero  organismo;  applicata 
in  forma  di  lozione  agisce  sulla 
parte  coi  medesimi  effetti,  ed  i  giornali  riferiscono  che  sia  nell'uno 
cono'  nell'altro  caso,  furono  visti  dopo  circa  Un  naso  ì  più  ! 
sfacenti  risultati.  Quindi,  le  signore  e  le  signorine  possono  con 
piena  fiducia  ricorrere  alla  Galeghina  del  dottor  Vervìer,  che  agisce 
a  meraviglia  anche  sui  temperamenti  e  le  costituzioni  più  di  | 
e  non  deve  essere  confusa  con  altre  specialità  delle  quali  si  tiene 
segreta  la  composizione. 

In  Italia,  il  premiato  Laboratorio  Chimico  Farmaceutico  per  i 
preparati  del  dottor  Vervìer,  Milano,  via  Passarella,  10,  spedisce, 
secondo  la  richiesta,  od  un  llacone  di  Pillole,  od  un  .lucono  di 
Lozione,  con  relativa  istruzione,  verso  rimessa  anticipata  di  L.  5.50. 
Aggiungere  !..  0.80  per  affrancazione  e  spedizione  di  no  o  più 
flaconi  nel  modo  più  discreto  in  cassetta  suggellata. 

Pio  la  Lozione  indicare  se  si  desidera  quella  st  molante  per  lo 
sviluppo,  o  quella  astringente  pur  la  ricostituzione.  In  mancanza 
di  indicazione  si  spedirà  quella  di  doppia  azioue,  stimolante  e 
astringente. 


a 


]«acchìHa  pER  scrivere 

WILLIA 


55 


Unica  macchina 

di     1°    ordine,     a    scrittura    visibile 
e  senza  nastro 


Maneggio  facile  -  Tastiera  Universale 
I   pregi    della   macchina 

<  WILL6AIMS  N.   4   - 

l'hanno  fatta   preferire 

anche  a    quelle 

già    ritenute    le    migliori 

Kc> 

Chiedere    Cataloghi,    lista    clienti 
e   macchine   in   prova 
agli  Agenti  jjeneniiì 
ed  esoiitsivi  per  l'Itfiiif» 


IflCj.  G.  PO|S^HE IvTOLiljfe  C.    -  filano  «  Via  Dante,  7. 


[V 


ADDIO,    NIKOLa!.. 


on  fu 
chi 

i 

•I.IV  a 

mi  n  iblli   sospetti,   i  hi 

itamenie    pei  suadermi    i 

i  pura  immaginazii 
i    d       i  e  mi  posi  a 

;  do  di  rladdomentai mi  e  di 

i   n 

Mi    riappai 
imagine   di  i  mnicchiato    a 

1 1    prilli^    app  irire    dell  alba    i    I  una 

[ilei 
\  intò   il   ih. 

riunenti    MI      ii^         aon  di  se  pa- 

[HO    l'in     lanini  i 

V'ei        era  G  \  enne  da   me  col- 

demoi  ih/ 
proprii    ■  he  d  mi   disse 

-  i   di   star  bene  e  di   esseri    < 
ia    apparenza   dice  tutt'altro.    E'   molto   se 
mi  le  uscire  una  p  di   bi    ca    Se  non 

in-   mi   ama,   comincerei  a   immaginarmi 
i   della  parola  datami. 
-  Quanto   i  questo  potete  vivere  tranquillo,  —  ri- 

!-  i  capii e  i  h'essa 

è  Ini  i  ih  voi.  Sapete  i  tie  vi  dico?  Io  ci edo 

■    miglior    cosa    da    (arsi,    è   di    lasciare    al 

più  presto  Venezia;  in  quest ido  eviteremo  l'oc 

di    incontrarci    col    dottor   Nikola    che   fu 
i  .h  tante  aoie  per  noi. 

Perfettamente,  —   rispose  con  aria   convinta. 
n. 'ili. .  ,  .ni.  ss  ire  che  per  quanto     li      i 

in    pi  odigate  a  i  leltrude,  pure  non 
mi  auguro  .li  ne  di  mai  più  \ ederlu  in  vi- 

ta mia. 

\  pranzo,  s odo  l'intesa  avuta,  misi  h  discorso 

no    ro    i  '    in.,    ni    Inghilterra     Mia    moglie    e 
nani:   aci  olsero   .iin.-ri.ira   con   sim  era  soddi 

sfaz .- .  miss  Trevor,  al  contrario,  i  ne  mostrò 

il   menomo  entusiasmo    Ciò  mi   stupì   a.— ai.  non 

i ;  peri  in'  fosse  impazienti  - 

al   pari  di   noi,  di   ni. .mare  in  pai  i  ia,    Non   tardai 
aperne  La   rag  ione 

ebbi  i  ... ■.  asione  di  rimanere  quali  he 
•   solo    con    lei.    Dapprincipio    parlammo    ili 
mille  cose  indifferenti;  però  dal  suo  ii  si  ca- 

piva    li.  va   dirmi   qualche  cosa,  ma   che 

non   trovava   modo  di    entrare   sull'argomento.    Fi- 
nalmente >i   alzò,  ami.,  a   prendersi    una   sedia   e 

sedersi  aci • 

—  Sir  Richard    potete  Ianni  un  grande  favore? 
—  mi  disse. 

w  '  ancora  di  .-aprii'  di  i  he 

-    Ditemi,  in  che  vi  posso 
sei  vi 

Vi  p     i  '  n...   ma   ho  l'intima  cc<m  tnz 

per    quanto     issurda,    ridii  ola    e   supei  a    vi 

a   apparire,   che  se  parto  ora   da    \  ene  ia   mi 

i    succedere    una    quali  he   disgrazia     Sic  :ome 

sono  padrona   di    fare  quello  che  voglio  e  di 

i  prego  di  trovar  modo 

di  combii    i 

—   Ma    ■  hi     \  olete    mai 
che  \  '  succeda  ?  —   le  di 
manda 

Non  lo  so  —  n 
So  solo  '  he  di  bbo  trat- 

H   qui   a a    Non 

potete    fan  i     un'idea    d 
i    pel    pas 
siatemi   b 
sir   Richard,   —  mi   disse 
mi    un..  uppli 

.  1 1,  \  ole        e  non  si  i 

■I    me,    \  e    ne 
luro 
\i 
supporre  u 

-    ri- 
sposi    Se    propi  lo  deside- 


ES'GETE 


HH 


ìMAIICA 

HERMANN 

MI  LINO -TORINO 


■  li  rimanere  qui   ancora,   nulla   ih   pi 

alti  Imeni i    amm  i  olta. 

i  me,  tutto  .  i"  non  i    do>  uti    chi   alla  ve- 
nazioni 

—  Ah  I    voi    non  utto         rispose.         Da 
qualche   tempo   fai  ciò  del   i  .  lu- 
mi   spaventa    la    sola    idra    di  dovermi    mettei 
letto 

Dopi     11    sogno   della    notte    antei  edente,    capivo 
.    .;  ianti    la  p  isse  !   Dopi 

vermi    detto  questo,    tacque    pei 
ma   -i   \  ..I.  i  i  .  he  aveva   ancoi  a   quali  he  .  osa   da 
parlò 
-ii  Ri  hard    vorrei  domandarvi  una  cosa  della 
mas  E'  una  cosa  che   mi  ■  ■  sai, 

ma  •.  rete    non  è  vi 

—  Farò  del   mio  mi  ie  dubitate        ri 

-i         Hi  che  -i  tratta  dunqu 

Si  tratta   del   mio  fidanzamento         rep  1  i ci 
Vi  tanto   buono   e   onesto   sia    il   dui 

quale  ini  u  la  abbia  il I  Fra 

bene  so  i  he  non  i  i  de\  ono  i  ■  he  non 

si    deve  nascondere    nulla    .    ora,    io,    pei    non    in- 

'i lai  lo.   gli    nasi  ondo   tani  \i  intendete 

quello  chi    voglio  dii  e  ' 

-  in  massima  parte,  -    risposi  —  ma  vorri 
peri    '    "  prei  isione.  Miss  i  lelti  ude,  se  non  sbaj 
voi  a\  ete  di   i vo  sognato  del  dottor  Nikola  ? 

—  si.  —  rispose  di  i n  momento  di  esii  i 

Per  .pian'.,  assurdo,   i  posso  a  mi  no  di   - 

sare  sempre  a  lui  '  Égli  mi  opprime  la  mente  come 
una  cappa  di  piombo .  eppui  i  sento  .  he  crii  do- 
vrei essere  rii  onoscente  per  qu  i  per  me, 
quandi                  cullata     Se    non    era    lui,    a    i 

t'ora   i   m    si i  al  mondo 

—  Avete  dato  troppo  peso  a  ciò,  —  tinuai.  — 

Ricordatevi   che   siamo    nel    dii  ianno\  esimo   si 

e   che  non   si   danno  più    miracoli   come    il    d 
Nikola    \  "i  inhlit     larvi    i-redi  i 

—  Ah,  sir  Riccardo,  continuò  -  se  sapeste 
tutto,  un  compiangereste  certo    Ma  nessuno  I 

pi  a   mal  e  non  potrò  ma  i   dirli     i  na  sola  cos 
-uni  a  ed  '■  >  /'.    pi ..  oro  .i.\  o  stare  a  \  enezia,  a\ 

a    iji  ni    rtir    a\\nr'i     IJinililir  '"sa    ni.'    In    dna- 

g ■   notte.    E  quando  penso  al   duca,    il 

i.     .  -,  inalila    per  la  paura  .h  dargli  un  dolore 

Feci   il  possibile  per  confortarla  .  le  promisi  ■  hi 
ti    pi  ..pi  n.  desiderava  di  rimane)  e  ancora   a  \ 
zia  avrei  fatto  in  modo  di  combinare  la  . 
sta   mia    proposta    come  i  apii   più   tardi,  era    tut- 
t'altro chi  •-  .■  giudiziosa    Quando  ebb 
mi"  di   persuaderla,    mi   ringraziò   affettuosami 
del   mio   mirri--''  per   lei.   e  con   un   lieve   sospiro 
che  mi  entrò  nel  cuore  usci  dalia  stanza.  Più  tar- 
di, quando  mi  trovai  con  mia  moglie,  le  raccontai 
il  colloquio  a\  ni.     ,    la  pi  omessa  fattale. 

—  Che  significa  tutto  ■  io,  Dii  k  —  mi  chiese  una 
moglie,  mai  dandomi  con  oi  chi  mi  :  ti.  — 
i  li.,  cosa   ha  paura   i  hi    le  suci  eda,   -•■   lascia   Vi 

ni'/ia   ■ 

—  Ecco  appunto  quanto  non   mi   riuscì  di    I 

•In  .  .'.  pi  .i  ai  Ni ;    -in. 

lei   lo  sapesse    E'   un   affare  complica  tutto 

ciò,  e    ai  .a   ben   lieto  di   non    i    va  mici   in  mezzo 
La  miglloi   cosa  da  farsi  è  di  secondarla  in  tu 

di   ii  n.  i  ii    i    -    i  ...  i  ,  i.        j  è  possibile,  e,  venuto 
il  ini. ai    momento,    allontanarla   di   qui   e   portarla 
a  casa  su 
Mia    moglie   mi   appi  bilimmo   .1    nostro 

pia h  ci  ndi  Ita 

Verso  sera  presi  una  risoluzione    Siccome  il  mio 
i  ini-.'i  abile  don  Mai  un.-  si  faceva 

itoli  rabile  e  il  r do  di  quel  si 

mi  pi  i     iorno  e  notte,  capii  che  in  n  a 

avuf  he   non  mi   fi  ■  irai.,  dell 

spetto,  quindi  decisi  di 
i  ila//..  Revecce,   nella 
di  i  edere   il   dottoi    Nikola   e   .li   riuscire   a   -aprir 
i  lui. 

—  l'i  .a  —  mi   di  :evo  per  tranquil 
mi.  —  i  min  I  -nidi,  e  fra  don   \i 

i  del  Sud  \  i  è  nessun  rapi" 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri  a  io,  15  e  30  centesimi.  Chie- 
dere sempre  le  scatole  colla  marca  depositata  :  Globo  sopra  fa- 
scia rossa  e  rifiutate  assolutamente  se  il  vostro  fornitore  volesse 
darvi  altra  marca. 


Vendita  esclusiva  all'iuirrosso  :  MAX  l^RAIVIC  -  MILANO. 


SVILUPPO  DEL 

bellezza,  rie  stituz'one,  solidità 

mt^eTìoncPilulesOpientales-fl 

del  sig.  J.Batlè. chimico  farm  5  Pass  .  .  V-  r  v . 
deaa.  Parigi.  Benefiche  perla  salute,  appro-  V 
Tate  da  celebriti  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta con  Istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,35. 
l>ep  in  Milano:  fami  Zambeletti,  piazza 
S.  Carlo.  6.  -  Buenos  Avrà»  C.  Porrei.  615 
«7,  Calle  Cnyo. 


C^SséJSSB 


"P-:  :: 


.'.  Ufi 


LA  BELLEZZA deiia  CAPIGLIATI'KA 

Mistura  vegetale  assolutamente  priva  di  sali  nocivi  Oaran- 

tita  dall'analisi    Cn'applicazione  al   mese   per    ridonare  il  pri- 

colore  o  per  correggere  i  capelli  rovinati  daaltretintiirc. 

Deposito  G.  Agnelli,  Torso  S.  Celso.  IO  Milano.   I,    i>  la  scatola 

per  posta  cent  80  in  più.  Sale  riservate  por  Pappili-  .lei!»  tintura. 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVO  E    DEPURATIVO   DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

inote  del  defunto  prof.  Girolamo  Fagliano  premiato  al- 
l'Esposizione  nazionale  farmaceutica  ì-.'i  ed  All'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  e  sulla 
itscola  1»  nostra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali. 


NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 


V;.VV. 


Col  29  Settembre  1902 

I    GRANDIOSI   MAGAZZINI 

Il  6R&H  MERCURIO 

d.    FRANCESCO    GUFFANTI 


*v  errannci 


tr.'isloouti     ii«-'U.i     nuovi»     Sede 


CORSO  VITTORIO  EMANUELE,  (Angolo  Via  San  Paul..).  MILANO 
completamente    rinnovato    colle    ultime    novità    di    PARIGI.    VIENNA.    BERLINO,    ecc. 

Chincaglierie,  Articoli  per  regalo, 
Orologeria,   Articoli  in   nelle,    Ceramiche   artistiche,   ecc. 


PELI  0  LANUGGINE  §■£■ 


DO]  DEPILENO, 

rhaave.  Flacone 


spai 
no   per  sean 
Depilatorio  innocuo  del    Dott.Boe- 
con  istruzione  L.  3    franco  L.  3.50:. 


CAPELLI  NERI  t 


Il  ACQUA  CELESTE 
ORIENTALE  .    tintura 

i  che  -i  applica 
ogni  20  giorni  si  può  dare  ai  capi  Ili    bianchi    o   grigi  o 
alla  barlia  quella  tinta  naturili.'  che  più   ti   desidera 
affatto  innocua.  —  Flacone  !..  2.50    franca  l.   3.10  . 


p  X  T        [    dnrloni,  occhi  di  r 
1  I  U  1.1,1     pronta  e 

VX1JJJJ1     ,  .,,,„„,  ,lelI  ,„,-.,ii, 


pcrnr  '  luarigioni 

aanenl  e  ipplì- 

Iii.il.-  Callifngo   CORNA- 
LISE.  Flacone  con  Isimztone  L.  1    franco  L.  1.30 


SORDITÀ 

SI  DIMAGRISCE  £j 

TRO  L  OBESI 
curo  effi 
dlpe.  poh 
stitichez 
scolo,  spiegalivo. 

GRATIS 


E     MALI    D-  ORECCHIO    - 

usando  il  linimento  acustica 
UDiriiJA  del  dottor  W.  T.  Adair 
:   i     1.75    frane     i     2). 

timanepren- 
mio   ogni    giorn 
Une  PILLOLE  CON- 
TRO L  OBESITÀ    del  dott.  Qandwall. 
curo  effi  Ito  .■  Ben  nienti.  '  litri  re  l'a 

di]..',  fon.,  pure  Indicatissimo  contro  i  disturbi    (Figi 
stitichezza,  emorroidi,  i  tsia    ecc   Gratis.. pu- 

"  olo,  spiegativo.  li.  4.50  4.75  franco  di  porto  )- 

IL  MEDICO  DI  SE  STESSO. 

mi  ed  ammalati. 
nia  per  le  Fani  52  ps 

lustrate,  si  spedisce  a  chiunque  dietro  invio  .li   seni] 
carta  da  visita  colle  iniziali  M.  S.  S. 

///dirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 

MILA  -V  «  > 
Via  S.  Calocero.  25 


OFFICINA    CHIMICA   DELL  AQUILA 


stampato  completamente  colla    macchina  _  l'ulani-  ••  NEBIOLO   e  C.  -  TORINO  -  Milano  -  Genova. 


Alibi",    NIKOLAL 


i  i    pi.-. 

del   

i  ria  i   malini  i  nlca,  •■  i 

ippariva 

-oli 

h  aspettai  mi 

i  \  ni  quello 

ie  il  suo  padi  oni    era   fuoi  I, 

i.   i  miìii .  i -i ..■   molto   a 

I  i    SUO 

iperte,   Dal    luogo   dove 
luto  poti  •■  ■    dall'altro   lato  del   ca 

i  i  .1    placid  i 
luto  mangiando  pa  La  star 

parve,  i  npre  i    ■ 

lavano  come  al  so 
,  |  i,  quella  :  i  nostra  ei  a 

i;  apparecchi  chimici,  eà  il 

.;.  i      iccia  dall'altra  ] 

ri  tt  o  al  tre  vi    i 
trabocchetto,  per  cui  non  9£  ne 
re    la    presenza     -   ivo    alla    Ani 
:  i  so  il  canale,  Quando  la  porta  in 

.i  stanza  u   ime i  un  uomo  ri 

[lardandomi  fisso  fisso    Dio   mio  I  mi 

api  icciai  i  desso  al  solo  ricordo  ' 

i         i  e  yura  ili  ili  i    M  ma  così  mutata  an 

quando  l'avevo  ine te  in  rii   del  Bar 

ivo  a  riconoscerlo.  S glia"»  a  al 

la  lai  i  ia  di  un  animale  e  'li  un  pazzo  i  usi    in  le 
Dopo  ai  i  mparve   chiudendo 

dopo   ale meni  i  - 

quii  à  ■  •      ol rò  nella  stan 

za   ni  al               tala  si  avi  icinò   a    me.    I  :    per   U 
1 1  mi     non  ch'io  ai  e  si  pau 
in-  quel   poveri    disgraziato  potess -    tarmi   del 
male,  ma  un  sentimento  di   ripulsione  mi  allonta- 
nava da   lui    P  ini    piano,  in  punta  di  piedi,  col 
,    labbra,    i  ,    mi    mormorando  qual 

,  he  co:  a  in  spagi li    i  he  non  riuscii  o  a  capire, 

Ululili       II        111. 

Zitto,  zitto,  imiti  h  vedete,        non 
i   indicò  colla  mano  tutto  in    tiro  alla  stanza 
iuoi  ere  delle  figure    i  na  volta 
ii    inchini    profondo,  scostandosi  a  lato,  come 
a  un  personaggio  di  grande 
i    Peni    voltatosi  a   ine.   mi  i  hiese  : 
Lo  '   Sapete  chi   è?   No!   I  bbene  ve 

i  i     i  nobilissimo   ammiraglio  Re- 

propfii   ario  di  questo  palaz 
p  nzio  per  un  momentino  piluc 

losi   la   punta  delli    dita    guardandomi  ih   tari 

u    i        la   à  n'occhio    Improvvisameli 

te  si  inii  ii ii  passo  frettoloso  nel  id la  porta 

lar  pass       ■    a]   liquor   Nikola     \i> 
orto    il    miserabile  che   mi    stai  a    v  i 
lardi    non  dissimile  a  quello 
che  gli  avevo  visto  in  sogno;  tu  un  attimo,  poi  La 
sua  enne  a  m       olla   sua 

esla    in  allora  i  he  capii  L'a  -  ai  dii  b  del- 
la mia  visita    Q  peti  i   fossero      n 
pi    uto  tare?  E,  d'altra  par- 
te, come  mai   potevo  sup- 
porre   che   Nikola   s'indu 
cesse  a  pa  li?  Nel 

Il    'III.      I I! 

i   addi- 
Mai 
tremante    come    una 
glia,  se  ne  andava  quatto 

•  uniti ,    un   cane   ba 

stonato.  In  quel  i lento 

i    m 
la  mia   presenza  .li 
i...    li    letti  lichei  i 

ravil  i 
della      mia      in  • 

i"  dirò   che   pn  i 

i  in-. 


iva  dall'i  o  di  Nil      i    co- 



te    li' i  i  dunque  veri 

\i.n    p  li  unirvi    quante  lieto 

.li   ii \ i-ii.  i vi,  cai  nor  Richard.        mi  dissi 

knla   sedendosi.  Sapevo    che    eravate 

qui  a  Veni 

Ricordando  lanze  in  mi  in  ero  tro- 
\  ato,   cred  nte   i  In    fu   quesi io  dei   ino- 

liai azzanti   della  mia   vita     Sii  ola   mi 
fissai  a   •  un  cei  1 1   occhi   in  cui   si   leggei  a   un   - 
so  malizioso    Homi     il  solilo,  egli  traeva  vanta 
ili  Ila    imi  i      per   cui    non    imi    ii ih 

in.  .la   [are  i  he  di  lei  un   a   lui  .   poi    rii  or- 

dand la    taccia  di  d  [arti  in  s,    un    .h-  -i    che 

non    doi  r\  , ,    ,'.  -.olni    il ninnarlo   al     il, 'Mi- 

llo che  l'aspettava,   senza   venirgli    in  aiuto    \ 
\  enne    sull  ai  : tento    pi  ima    :n 

E   ei  idi  nte       mi  disse,  ntre  u 

donico   gli   sfiorava    le   labbra.   -     che   sin 

i  oll'intenzione   ili    tal  mi   una    domanda    n rlante. 

Ebbene    ditemi,  di  i  he  si  tratta  ? 
\  queste  pai  ole  mi  alzai  dalla  mìa  ndai 

a    lui,    mettendogli    una    mano    sulla 
dandolo  nes  li  occhi  per  pigliar  coraggio, 

—  Sentite,   Niki  la    noi  due  i  i  i    nosi  iamo  da  pa- 
hi  anni,  entra \  edemmo  delle  cose  sori 

denti,  con   più  o   meri     di    soddisfazione  .li   i li 

noi  .     II. lanl do     .li       no utili 

uiei   l'ini   l'altro  e  su   in  cosi 

diffli  ile  i  "ini'  in  quesl ento. 

—  Mi   spiace,   ma   non  \  ogliate   il 
—   replico   Nikola 

Sapevo  benissimo  che  i lice\.>  la  verità,  ma" 

e io.  mio    che   l'insistere   sull'argomento    avreb- 

i ato   la   . 

-  Vi   ricoi  date  la   seri mi   narra* 

ria  di  quell'infelice  che  visse  in  questa  casa  e  che 

inori   ii sola  lontana,   dopo  essere  stata   tradita 

da  uno  spagnuolo  ' 

A  queste  pan  lo  egli  si  alzo  lu-iiscameiite  .lalla 
sedia,  ed  andò  alla  fini  tra  Lo  sentivo  respirare 
affannosamente;  evidentemente  egli  era  commosso. 

—  Che  volete  dire?  mi  domandò  con  tono  bru- 
sco, voltandosi  a  me. 

—  Ecco,  vi  dirò,  lo  venni  da  voi  si 

pere  il  dénouement  di  questa  storia;  ci  venni  per- 
ii.' non  potevi  assolili  intente  più  itiza 
'l'Olir  qualche  cosa.  Non  potete  immaginarvi 
quanto  questa  storia  mi  abbia  colpito  i  r. -<  1 . -t ,-  voi 
ch'il  non  abbia  letto  fra  li  righe  i  n  mi  sia 
Immaginato  ili  che  si  trattasse?  Voi  me  la  narra- 
si.' perchè,  per  un  qualche  vostro  mezzo  inscruta- 
bile sapevate  che  don  Martinos  =j  sarebbe  pre- 
sentati    a    me    con    una    lettera    d'introduzione   del 

M in \m-ii  iiiii.'i    Se  ben  ve  late    fui 

in   che    ve    lo    i  e    notai    tosto    l'impressione 

i  he   ne   ricevi  l  •       lardi    mi    nacque   il    s..sp. 

Don   Mai  lini  -  et  ■     pa    i lo    ri .1  aveva   - 

messi     la    grave   imprudenza    li   confessar! 

-no    lungo    soggiorno    nel   Chili,    non 
mai    stato    ad    Equinata     Poi.    voi    mi    pn 

olirlo  a   casa  vi  istra  e  qui  esercitaste  per  la 
ma  volta  la  vostra  Influenza  su  di  lui, 

—  \l ro    I  lai  i.  i ..-  disse   Xihnla 

dati    i  i"h"'   lungi    colle   vi  stri    supposizioni    e, 

1 1 1 1  a  1 1 1  o    l  li  i     - 1  o ,  /  i      |  rv  i      Noi      - 

l j  ho  .  li,    vi  fatti   più     ■ 

l    miei  sospetti   sono   più    forti   dei    fai 

Voi   d     poni  mollo   d'incontrai  i 

.    •■  cosi  la  vostra  influenza  su  di  lui  '  i  ebbi 
no.  1    li    I  triacere  al  \ 

lisperatamenti 
.1.  nari    gli    ii-.  i\  ano    di    mano    come    l'acqu 

|         |o 

i      n  questo  pure  me   ni 

—  Noi,   precisamente,  —risi 

la   sua  calma  e  dalla  viva   attenzione  .  In 
alle   imi    parole. 

pò    1  i.l     vostro    piano    ,|| 

per   non   fai  \  ene   un  pi  chino   ri  sponsabile    r 


Digestivo  in  cachets,  d'origine  anglo-americana,  che 
agisce  per  graduale  antisepsi  direttamente  sulle  vie  di- 
gerenti, biliari,  ed    intestinali  con  sorprendente   efficaci.-.. 

Un  tubi  L.  5,  per  posta  L.  0.30  in  più  -  6  tubi  franchi  di  porto  L,  27 
In  tutte  le  farmacie 

o  presso  la  '    TOT  "    COMPANY    Vi»   Giulini,  ;   —   Milano 

Chi  ha  difficoltà  di  diperire,  chi  soffre  di  infiammazione  in- 
testinale, chi  fa  vita  sedentaria,  chi  lavora  troppo  di  cervello, 
chi  eccede  un  tantino  nel  mangiare  o  nel  bere,  chi  non  è  re- 
golato di  corpo,  chieda  l'opuscolo  sui  "Disturbi  di  stomaco,, 
con  tavola  sulla  digeribilità  degli  alimenti,  e  figura  scora. 
pooibile  a  colori,  che  si  invia  gratis  e  subito  dovunque. 


PER  DIMAGRIREI 

Fate  uso  delle  "  Pilules  Apollo"  a  base  di  M  Vesiculisino" 
estratto  dai  vegetali.  —  Queste  Pillole,  approvate  per  le  ecrelse 
qualità  medicinali  sono  benefiche  alla  salute  perchè  fanno  dima- 
grire in  modo  naturale  diminuendo  la  produzione  del  grasso, elimi. 
Dandone  quanto  ne  è  in  eccesso  nell'organismo.  Oltre  la  sparizione 
dell'eccesso  della  grassezza  le  "  Pilules  Apollo  "  regolarizzano 
le  funzioni, ringiovaniscono  i  lineamenti  e  rendono  al  corpo  l'agilità 
ed  il  vigore.  E' il  segreto  di  tutte  le  signore  che  vogliono  restare  giovani  e 
svelte.  Queste  Pil  loie  con  vendono  ai  temperamenti  ì  n;ù  delicati  tanto 
e~li  uomini  che  alle  donne  (marca  depositata).  —  Il  Ancone  fr.  6.36 
(L.  6.70)  contro  assegno  cent.  35  in  più.  Invio  discreto  e  franco. 
J.  RATIE,  firmacista.  5.  Passale  Verde-ut. Pirici,  9".  Deposito  generalo 
per  l'Italia  :  Farmacia  Dott.L.  ZAMBELETTI,  Piazza  S.Carlo, 5, Milano. 


Gzuiuta/  scafi 

Stir»  NEGRI 


HOH    PIÙ' 

CAPELLI  BIANCHI 

Il  Ristorotore  dei  Capelli  Fattori 

i    in    modo    ammirabile    :iì    capelli 

bianchi  •■'!   alla   barba    il   loro  primitivo 

castano.  Non   è   aocivo  alla 

Batate,  non  macchia,  ci  ha   profumo  ag- 

glia    L.  1,20,  più   cent.  60   •      peri 

-  l    bottiglia    I..  4,60    ii.iin'he    di  ! 
porto. 

Indirizzai'-  le  domande  ai  Chimici  prò-  I 

i  G.  FATTORI  &  C  MILANO, 

Via  Monfoits,  16.  —  1  rivenditori  rivol- 

Tranquillo   Ravasio 

'  i!  tv'    le    sp<  cialità  | 

■    [nali 


Chi  vuol  guarire  radicalnente  di 

GOTTA 

REUMATISMI  -ARTRITE 

faccia  lso  del  rinomato  ELISIE  FATTORI  di  fama  mondiali  -  Opu- 
scolo grati  t  rich  bi  [Uetto  da  visita.  Lire  a  in  tutte 
I    i                         i  turnici  G    FAI  COR]  a  -    .  \    i  Vlonforl      16,  Milano. 

■■Tranquillo  Ravasio, 

i 


MALATTIE 

NERVOSE 

DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 
ESAURIMENTI 

Cura  radicalo  coi  succhi 
organici  del  Laboratorio 
sequartiianu  ^  1  « ■  t 

DOTTOR  MORETTI 

MILANI),   via     l'orino 

O/ÌKSr  olo 


II 
DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

Italiano-Tedesco 

GRÙNWALD  &  GATTI 

editore  Belforte  -  Livorno 

Per  acquisti  rivolgersi  UJ- 
ficio  Annunzi  Domenica 
del  Corriere  e  Lettura 
—  Via  Pietro  Verri,  12  — 
Milano. 


VI 


ADDIO,   NIKOLA!. 


ntali 

- 

i  unitili 

itivamente 
che  I  '  ira 

.1    durre  un 

-In.    ili    voi    1" 

D         il    duello  che,    Fortunatamente, 
i    ebbi 

i  ;  I 

ti,    lo   incontrai    presso   l'uf- 
>.'   primo  in nto  sten)  hai  [co- 
ito;   pareva    un    idiota; 
ili   riuscì    i   farsi   intei 
0        i  .tizia  mi 

inde    impressi!  i        Pei 
Nikola,  pei   quanto    i\. 
il  mondo,  \  i  di  sciogli)  i 

i  altra   notte   feci   un   tal   sogno! 
I  edeti 

asse  appena. 
i     senza  i  urarmi  del  suo  -  lielo 

li  orribili  par- 
i      i  mi    iscoltò,  fisso,   immobile,  e, 
unto  il  iil:*~-ui m •  del  racconto,  mi 

E    una  strana  cosa  daA  vero,       <  isp  se,        ma 
vale  la  pena  ih  dargli  tanta  importati 

i natamente  non  si  tratta  che  ili  un  sogno, 
,   ime   \"i  stesso  ci 

li  ttor  Nikol  - i    iu  -     non  era  mi   - 

i.    per   convim  eri       i       iei  mette- 
domandarvi  .unir  a\ este    [u<  sta   lunga 
-ul  collo  " 

sa  muover  palpebra,  pò    d 
E  se  lo  ammi  Se  vi  dicessi  che  il 

la    verità  '    Chi     di   erenza    vi 

Lo   juardad   uni  a\  igliato.   A  dire  il  vero  mi  col- 
li     stupi\  i   assai   più  il  vedere  i  :he   i   miei 
se   avesse   negata    la 
Rimasi    qualchi    minuto    muti  i    estera  fatto, 
incapai  e  'li   proferir  pan. in. 

.  via,  —  mi  disse  —  rispondete  alla 
domanda,   pi  ii  he  i  onfesso  tutto  I 

—  i  ite  che  tutto  questo  fu  fatto  col  pro- 

i    far  entrare  nella   trappola  quel    misera 
■  .li   averlo   nelle   vostre   mani,   come  da  un 
pi .  getta 

—  -  risi    si    fissandomi  si  mpre   in   viso    — 

Pai  late,  pai  i  i 
Mi  senth o  dar  di  s'olti  lo.  (  he  potevo  io 

•  i  ,    |...i.  \ .. 

Nikola    si    avvinili,    un    tal  : 

i la  m                  ia\ ola,   mi  disse  con  una 

i -i  li  ggeva  la  commoz  i 

i     hard    Hatteras,    venendo   da  me  que- 

■  i    parlarmi  di  questa  faccenda,  vi  i   date 

uomo  di  cora  ri  ne 

l.l.i    mai    fra   ■: 

avrebbe  fat- 

.  i  pei    \  oi 

ii  in.  i    .  he    .  ercate 
orrere  cosi   fi 

i 
ito  il   imi  cai 

I      UH 

come 
non  si  sarebbe  fatto  scru- 
polo di  rubai  vi  vosti 

_'i  ene  fosse  venuta 
i  idea  Egli  '■  senza  pietà 
1 

di    nulle    vihi- 
il 

'  della 

in    ladro,     un 

i 


ESIGETE 


MARCA 

HERMANN 

MILANO-TORINO 


paese  che  giurò  di  governare  con  rettitudine  In 
un  solitario  camposanto  ili  un'  isoleita  lontana 
lontana,  ai  nostri  antipodi,   riposa  in  una  piccola 

ti  uilia  una  p..\  ei  a  ,|.  ima  mia  madre.  In  qu 
camera  dove  stiamo,  essa  fu  tradita  da  suo  pa 
•  'l  in  questa  stess  i  verrà  vendicato  il 

tradimento,  luna  la  vita  ho  aspettato  questo 
Siene  che  fu  eosi  lunga  a  venire!  Ora  è  finali 

lunto  il   II mio,   ed   il   lai,,  un   decreto  ■ 

o  della  vendetta. 

—  Ito    l'impeto   della    passione    la    sua    voce 
mava,    i  suol    lineamenti    si   erano    irrigiditi    ed    i 
suoi    occhi    brillavano    come    due    carboni    a. 
Man    mano  ch'egli    parlava,    la   mia   pietà   per   •  1  < - 1 1 
Martinos  si  mutava  in  un  sentimento  simile  a  quel- 
lo .li  Nikola 

—  No,  ciò  non   i ssere,  —  ripeti  .!>■ 

"ini'i   l'orrore    della   cosn  S 

possibile  i  he    ibb  ate  il  coraggio  ili  trattai 
sto  modo  un   vostro  simile. 

—  N..ii  è  un  mio  simile,   né  un  simile  vostro,  — 
mi  risposi    isprainente  i  om 

bino   che    fosse   nel    torto  Chiamereste    voi 

nome  .li  un  vostro  simile  l'uomo  che  (ece  fin 

sotto  gli   occhi  delle  loro  madri,  quegli   i ■• 

giovanetti  ili  Equinata  ?  E'  egli  possibile  i  hi 
nglii  mo  ilic   ingannò  e   tradì    la  donna   fi- 

ni   \  i.le  per   la  prima  volta   in   qui 
h       :  condusse  attraverso  IO 
donarla   e    mandai  la    alla    tomba,    p.  issa    .  Ina- 
marsi   col    nome   di    uonn  .71      ovi    un  alti  a    pi  o\  a 
della  sua  crudi 

Cosi  dicendo  si  tolse  il  soprabito  di  velini,,  i 
rhe  indossava,  -  rimboccò  la  manica  della 
micia  e  un  fece  vedere   il   braccio.   Dalla  spai 

aito  esso  era  i    perti    di  vece] icatrici.  di   - 

ni  segni  bianchi  accoppiati,  ciascuno  della  lun- 
ghezza ih  i 

—  Quei  inno.  —  venivano 

dir  tri line    suo,     •  on    delle    pinze    arrovelli 

quando  ero  ragazzetto.   E  mentre   il    i  segui- 

va   i  suoi    ordini,    egli    rideva,    insultando    il    i 

dì  mia  madre.  No!  No!  Questo  non  è  un  uomo, 
egli  e  una  belva  che  bisogna  distruggere  Mi  ven- 
ne detto  che  voi  ed  io,  non  ci  dovremmo  più  vede- . 

re  che  due  sole   volte.    Speriamo   che  quesii    in - 

tri    vi    lascino    una    migliore    idea    'li    me     v 
molto   lontano    il    giorno    in  cui    dovrò    lasciare    il 
mondo!   Quando   -ara   giunta   l'ora,   mi   ritirerò   in 
mi  solitario  monastero,  in  una  catena  ili  monta 
dell'Oriente,  dove  nessun   inglese  vi  pose  mai   , 
.le  fi  nessuno  mi  vedrà  più.  Colà  si  compierà  il  uno 
...  e  se  a\  rò  per,  alo,  siate  pur  persuasi 

I  il  .  \  ero     il    Castigo    dalle     mani     di     colui     che    - 

lo    Ed  "i-i   lasciatemi. 
Km  mi  aiuti  per  la  il  dia  '  I]  fatto  •  ■  i  he 

li    lasi  ia    senza  aggiunger  par.  la 

(  iPi XIII 

Qua  ito  d'aninn  da    p  i- 

lazzo   Re\    ci       dopo   il    mio   pi ri   re.  ve   lo   las 

immaginare     Ero    inconscio   ih    tutto.    Questo 
sapevo,    che    ero  andato   ila    Nikola    coll'intpuz 
.li   salvare   un   uomo  che  a   buon  diruto    • 
vitto  odiare  e  che  al  l>u"ii  momento,  per  viltà 
nini",    avevo    abbandonato    il    camp  più 

grande   umiliazione!   Nikola   aveva   avuto   una 

di   riguadagn  u  la 

L'id  trovarmi   coi di    dovei 

la  serata  insieme  di  di  nulle  cose  indif- 
ferenti,  mentre  avevo  tanto  ln<..-' li  soìitud 

mi    mettev  ■  •    spavento     \    pochi    passi    dall   i 
m'imbattei   in  .  mpagno  .li  scu 

moglie,  di  ritorno  dal  su.,  viaggio  di 

ze     feci  loro  Ite  feste  e  li  invitai  a  pran 

mi. ai.,   dovendo    imbarcarsi    la   si 
■  il  ira  li   lasciai   pi 
a   salutai  :  Non  p 

presentarsi   una  mi  lìiunto  al 

:    i'liilh>   il    mio    incontri 
i|..lf  Ito  im  Hat"   a  pian/.,  dal    mi"   ali 


a  prezzi  ridotti 

(Franco   di   porto   nel   Regno) 


OCCASIONE  UNICA 

jjt?i-  aiH[iiisti 

IDI    BUONI    LIBRI 
Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Vedi    numeri    antecedenti    della,    LETTURA    da    Maggio    a    Luglio    e    Settembre. 


Gli  amori  di  Ugo  Foscolo  nel- 
le suo  lettere  ricerche  e  studi 
ili  Giuseppe  Chiarini 
io  16.  compi,  pag.  1201,  e  liz. 
ili  luss      I      IO  per         1.    6 
Giovanni   Pindemonte 
e  lettere,  raccolte  e  illustra- 
Giuseppe  Biadego  e- 
!     volume   in    16,   ;''i . 

!..  5  per I.    2  SO 

Studi  Letterari  di  Domenico 
Gnoli.  i  ,    in  16  di  pag. 

115.  L.  4  per  .  .  .  1.  2.- 
Masi  Ernesto.  —  La  vita,  i 
i.  gli  amici  ili  France- 
sco Albergati,  commedio- 
grafo -  i  Win.  eleg 
voi-  in  16  di    pag.     192,    1.     3 

per I..  1.50 

>  Lettere  li  Carlo  Goldoni 
con  proemi'  •  e  n  ite,  e  eg. 
volume  in  16  di  pag 
L.  3.50  per  ...  I.  1.50 
»  Fra  libri  e  ricordi -li  Si- 
ria della  rivoluzione  Ita- 
liana, eleg.  ...lumi'  io  16 
dipo?  .".:..  1..  1  per  L.  2.— 
»  Il  segreto  del  re  Carlo 
Alberto  Cospirator  i 
magna  dal  1815  al    1-  - 

g    voi.  in  16  'li  pag.  284, 

L.  3  per !..  1.50 

-    Nuovi  studi  e  ritratti.  •! 
eleg.  voi.  in  16  ili  pag  664 
L    6  per    ....!..  3 
Albertazzi  Adolfo.       Roman- 
zieri e  romanzi,  del  Cinque- 
cento  e    del    Seicento,   eleg. 
voi.  in  liì  di    pag.   394,    L.    4 

per I.    2  — 

»    L'Ave,  romani 

in   li',  di   pagine    198,  !..   i 
per   .....     I..  2.— 

•  Vecchie  storie  d'amore, 
eleg  voi.  in  16  di  pag.  216, 
L.  i  per  .    .    .    .    I.    1.50 

•  La  contessa  O'Almond  e 
il  ■  Partitante      Oavia.    - 

:    volume  in  16  .!. 
294,  !..  3  per   .     .     I.    I  50 
Parvenze    e    sembianze, 
eleg.  voi.  in  16,   pa_ 
I  .  "i  per    ....     I..  I. — 
Per  la  storia   d'Italia   e  dei| 
conquistatori  nel  medio 
Evo  viù  antico,  ricerche  va 
rie  »i i  Carlo 

in-liV'  di  pag.  692  con  tavole. 
I.    »  per       ....    1..  *.— 
La  battaglia  di  Gavinana   di 
■    eleg  v   in-16" 
di  pag    i  IO,  l.    i  per  !..  2  - 
II  cardinale  Alberoni  e  la  Ke- 
pubblicà  .li  s.  Mann 
e  ricerche  di  Carlo  Ma 
- 

I.    •:  per !..  3.  - 

La    Repubblica  di     Venezia. 

dalli-  sin-  origini  alla  sua  ca- 

•  l'i'.ì   .li  Antonio  Battistel- 

la.  .deg.  voi.   in-16°  di    pag. 

r   .     .    .     !..  2.— 


Don  Giovanni  D'Austria.   - 
Si  irici    di    Giovanni    Bo- 
glietti.  eleg    ■  'l.    ia-16°  'li 
pag.  374,  L.   1  per   .     I.    2  — 

La  caduta  della  dominazio- 
ne francese  nell'Atta  Ita- 
lia del  l.arou,.  v.,n  Helfert. 
:  '  L.  G.  '  Insali 
0  .'Ti.  eleg.  voi.  ni-."    . 
pag    282,    I.     I   per    .     !..   2  — 

Galati   Domenico.     -  Gli    uo- 
mini  del  mio  tempo. 
ediz  igrafie. 

eleg.  '. l 'i.  in-l  i    .h   pi  \ 
!..  3  per  .    .         .    .    L.  1.75 

Cosimo  De'  Medici  Duca  di 
Firenze,  saggi)  di  Luigi  Al- 
berto Ferrai,  t-lei.'.  voi.  in- 
l'i   di  p   334,  !..  4  per     !..  2  — 

Ugo  Bassi,  bii  grafìa  con  note 
ed  appendici  di  Didaco  Fac- 
chini, eleg.  voi.  in-16 
23".  1  I..  1.50 

Le  madaglie    del    terzo    Ri- 
sorgimento    italiano,    de- 
scritte   'la    Nicomede   Bian- 
chi   anni   17 18-18  18,  eleg 
in-l6°dip.340,  L4. per   C  2  — 

Le  rappresaglie  nei  comuni 
medievali  <-  specialmente 
in  Firenzi',  saggio  storico  di 
A.  Del  Vecchio  ed  E.  Casa- 
nova, eleg.  v  il.  ii;--  .li  pag. 
118,  I..  10  per  ...!,.  5.— 

Marco  Mìnghetti.  —  La  Con- 
venzione di    settembre.  •■- 
leg.    voi.   in-8°   di    paa 
L.  5  per !..  3  — 

Raffaello  Viti  .  di  Marco 
Minghetti.  eleg.  voi.  in-8  li 
pag   -  ritto  di  Raf- 

faello nella  G  -li  Uffi- 

irenze  .  I..  8  per     !..   5  — 

Monografie  storiche  sullo 
studio  Bolognese  -li  Carlo 
Malagola.  eleg.  voi.  in-8°  di 
pag    17".  1,.  n  per   .     I.    3 .— 

Giuseppe   Parini.    —    Le    Odi 
dichiarate  per  uso  delle  scuo- 
le dal    prof.    Pio    Michelan- 
geli,  uu  voi.   in-l 
--''  'i.   L.   USO  per.     .     !..  -  -75 

Nei  Ministeri,  bozzetti,    pro- 
li;! e  scene  della  vita   buro- 
cratica, tratte  dal    ■•  ■ 
Fausto,  eleg     voi.    ni-    i 

n  ir   .     !..  1.50 

Le  arti  belle  ne1  vani  tempi 
della  loro  coltura,  di  Fran- 
cesco Mazzotti.  eleg.  voi. 
in-  B"  di  pagine  230,  i.  ;; 
per I  50 

La  vita  e  le  opere    di    0.    0- 
razio     Fiacco     di    Onorato 
Occioni.  elég    voi.    in-W5°  di 
.:-,  L.  -'.'■  i  per    L.  I. 

Il  Teatro  della  Rivoluzione, 
la  vita  .li  Molière  e  altri 
vi  sci 

sedi  Guido  Mazzoni 

voi.  in-160  di  pa_-     I  I 

per 1-    1.75 


In  Sardegna,  leggende  ••  crc- 
i 
Giuseppe  B. ir-  pili. 

'.    I..    3 
per      .         .  1--  1-50 

Roma  Antica     ì 
ne  all'in  ■  mi. li  i  ' ..'i dico  .li  VV. 
Ihne.     rad 

Masi  .'  in  u  " 

Ruggero    Bonghi 
voi    in-16 

pei  L,    -.75 

Roma  e  Cartagine   Le  _ 
Puniche  di  Boswort  1  Smith 
tra  luzione  di    reresa   Amiri 
Mas         :i  una  lettera  di  Rug- 
gero Bonghi  .eleg   voi   in-16 

■  li  p  3  i".  !..  1  "'  '  per    L.  —.75 
Vecchie  e  nuove  Odi  Tiberi- 
ne di  D    Gnoli     2   Bleg. 
in-16  .  di  compless.  pag 

L    i  per i     2  - 

Travestimenti  Carducciani, 
svaghi  ritmi  :i  di  Giulio  Pa- 
dovani, eleg.  voi.  in-16.  di 
pag  150,  !..  i  ."  per  i,    -.75 

Voci   della  vita,   versi    1.  Gui- 
do Mazzoni,  eleg,  voi.  in-tii 
ig    i  in.  i.  2  per    L.  1.25 

Collezione  Elzeviriana,  i 
voi.  di   circa   300  pag    L.    l 
per L.  -.50 

Dodici  racconti  li  Giuseppe 
Costetti. 

David  Lazzaretti,  li 

SO,  detto    .1   san'.,  ;    i   suoi    se; 

guaci  e  la  sua  leggenda  di 
Giacomo  Barzellotti. 

Leggende  di  mare  di  Jack 
la  Bolina     Vi':  Ti"    Vecchi 

Confessioni     di     un     autore 
drammatico,  di 
con  prefaz.  di   Giosuè  Car- 
ducci 

La  donne  che  uccidono  e  le 
donne  che  votano,  di  Ales- 
sandro Dumas    figlio). 

Bozxelli  di  teatro  di  Giu- 
seppe Costetti. 

Teatro  e  romanzo  note  e  ri- 
cerche di  O.  Cenacchi. 

Feste   e    santuari,    di 
siciliani 

I  Pinzocchetti.  scene  iella  Ri- 
a  incese,  romanzo 
di  F.  Petrucelli   della   Gat- 
tina   .'  volumi)    .    .    !..  I — 

Ricordi     d'arme,    di    Ni 

Moglia 
Nicola  Misasi,  racconti  cala- 
bresi  n-16  di  pag. 

per       .        l.    1.25 
Sacrifizio    d'amore,    ro- 
manzo    liei    voi.    in 
.    _■  1.     I  25 

•     Frate  Angelico 
■1 
I.     2  123 

»     L'assedio  di  Amantea.  :    - 
inai.' 
di  (..  528.  1..  '■  per    L    2  50 

■  Cronache  del    brigantag- 


gio   liei  \ol    iii- 

.1.125 
■■     In   Magna    Sila,    r.i 

£      22  i. 

i..  -'  per  .    .    !..  l.— 

■     Marito    e  sacerdote,    ro- 
manzo    Bel    voi 

16  '.  I..  8  pei      i.    I 

La  tenebrosa,  romanzo  di 
Giorgio  Ohnet .  con  IO  ili  . 
iu-4  '  di  p.   :"'■.'.  I.    3  per  I.    I  50 

La   baraonda  di  Ge- 

rolamo   Rovetta.     li 
in-1  '. .  e  :•  i  ■.  l.   :;  per  i.    I  50 

Storia  dei   papi,   la  S 

a   Leone   xill   del  cardinale 

Hergenròthor.     grosso    voi. 

ìii-i    'I;  pag.  26  i   con  258  ri- 

p  .1..  I.— 

Sulle   due    rive,    romanzo    di 

Bruno  Soerani.-'l'-Lt.  \.  in-1  ì° 

ig    172  i.   ■.'  per  l.    -  50 

Il  segretario  immersale  ita- 
liano li.'llidl 
a  sop           ...  argomen- 
Arturo    Fornaci 
in-lfi  .  a    104,  !.   3  per  I..  I  25 

Romanzi  storici  e  morali  ili 
Antonietta  Klitsche  de  la 
Grange,  in-12  CI  rea .  p  203, 
I      le  I.    1.20  per      L.  —  75 

Isa  o  occhi  di   Zaffiro- 
Bernardo  da  Sarriano  o  il  ca- 
- 

Il   Navicellaio  del  Tevere. 

Gli  ultimi  giorni  di  Gerusa- 
lemme. 

Pomponio  Leto.  (Voi.  doppio 
L.   1.5  ' 

La  Vastale. 

Cignale  il    Minatore. 

Le  figlie  dell'impiccato . '  An- 
drea Vesalio. 

Lo  spettro  di  Framoriale. 
'.    .    doppio  l.    i.".a  . 

Leone   il   muratore. 

Un    racconto   del   guardiano 
del    cimitero.     V 
L.  1.""  . 

Un  episodio  della  vita  di 
Guido  Reni. 

Tribolata,   voi  dopp      ' 

Ottavia 

Le  figlie  di  Pier  delle  vigne 
o  il  cavalier  del  toro. 

La    vittoria,  i    della 

ani. 

Cesare  o   I'  Ebrea 

Due  cuori. 

La   maledizione 

Il  denaro   maledetto. 
pi  .  I. 

Dimo.  siali.-   romano  dell' Im- 
:i  Traiano. 

Il  Declamatore,  l'u   r 

La  torre  del  corvo, 

I 
Il  cavalier  di  Malta,    rol.dop- 

Bruna 
Manuelle  Nero 


A  TTTTr;DTt?W7r  l  suddetti  libri  si  spediscono  franco  di  porto    in    tinta    l'Italia  —    per    l'e- 

AV  V  fcj  ri.  1  Cj  i\J  ù  IL  .  .  aggiungere  le  spese  oltre    il    contine  —    le   ori  all' 

L.  5  aggiungere  il   15  ojo  in  più  per  spese  di  posta  e  race.  ne  —  il  doppio    per    )  1    de- 

scritti sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  ass,_.4,,,,  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non    ac  ompagnate  d  il 
porto  verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarii  a  Ima    doppia  —  lettere  raccomandate  e    catti 

Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via  Manzoni,  20,  Milano. 

Compra    e    vendita.    Ingrosso    e    clettj»t»;li<>. 


VII 


ALMo,    NIKOLA  '. 


ar  era   a 
presi   una   gondola  e 
Sai    Mari       Q 

I     l!;i 

l  di 

sempi  e  al  pai  izzo  I  • 
i  quel     ra  no  le  più 

l'ulto  11  n  i  rivoltava  a  que 

i    Nikola   un   seni Imento  di   a\ 

ono> 

i    i 

mi  sudi'i    ti '  ddo  dalla  te 
i  he  mi  rimane,\  a  a  tare  "  i  ei  cai  e  di 

di  Ile  a/i h   Nll  i  peg 

i re  aii'ii' 

indomj  col  dottor 
ti  ilo  che  avri 

ih    cedere  le 
litro  pui  Do]  pei 

i a 

i  miei  propri  e  in- 

la  mattili  ■  LI  due! 

,    M  miei  i'"'.   ii   'ii 

fanciulli    fucilati    ad  Eq ad  i  "    Inoltre    egli 

.■il    i  ■■■     '     : Perchè 

dove\  '  

nini  a,  e  dalli    mani  di   Nikola  :  i  ercavo 

di   convim  iustezza   dèi    rag a 

pi \  i  riuscivo 

.  indo     ni. in. ..    i\ anti    da    sinisti a    a 

-iio.  anche  un  tro 

un    quarl  iei  e  di  Ila  i  Ittà  che  non  conosci  \  o, 

I  Inai,  i    a    grosse    pil 

i      casi    dall'aspel    i   bile. 

Improvvisamente    uri    vecchio,    svoltando    l'angi 

me     mentre  passava,   lo  guardai  in 

\  i>,,  -  ibi  in  lui  quello  stesso  individuo  che 

con   Nikola,   nella  piccola  chiesetta, 

m  quella  sei  a  memorabile  i  he  ei  <\  ami    andati   in 

Ittà.   Egli  ri  i   \  isibilmente  agii  ato  ed 

i     pei    una   qualche   ragione   che 

ir .ii  nr  -i    spiegare  e  che  suppi in  pie 

nin     \  l'imi  ih  .     ■  ti  a   un  ir 

,    ,;i-  idei  i"   di    si  "un  I"    i)"\  e\  a 

ni/i  essere  qu  più  di  un  di  siderio,    perchè 

i  apivo  rlu    dovevo    i         i   in tirlo,    vo 

lai  dietro  .  enti  ammo 

in    una   di    qui  i  '  I   mimi.,    lui.,    al    sec I" 

Q         nini. i  il   vecchio  si    te ,   apri    pian 

.    ed    enl  i  o    denti ...    lo    seguii,    i  na 
iì      .         ii    miei    occhi. 

(  ii      biliata    tutta  la  mo 

i   in  una   i .  zza  >a\ ola  e  In  un   lei 
luccio    i  ne  vi  sta>  a  coricato .  un  indh  iduo, 

ai  canto  a  lui,  tene\  a  tra  le 

mani    quel  le    sotti ci lell'ammalato 

ikolal  i  apii  che  si  era  i della 

una  presenza,  ma  non  pose  attenzione  a  mi me 

Mi   a\  ete  chiamato  troppo  tardi,   mio  povero 
Aiton                     '  ■        en dosi  al  a ecchio  che  a\ e 
■  ■  .  può  più  salvarlo   Quando  giun- 
si  •  1 1  ■  i    .         .iì    'ente. 

\  queste   parole,   il   pò 

-  adde  ai   di  del 

scoppiò    in    lagi 
\  p         iii.'i 

i  :  1 1 .  i      man  o 
sulle  spalle  :   in  quel   mo 
mi      '    rò 
e  pei 

limali  ■  [li  di 

se.    —    Fin     danni-  urini" 
lapii    .  he    non    \ 'era    più 

l'-Mll        '         I 

p         i    tutta  la    ■' 

i  don 

,1 ,    ii 
I    0       il      cui 


Rifiutate 
le  Soprascarpe 

che  i!  rompono  subito  1» 


Di  (5  mi  «npn  lottino  eruttiti 

rascarpe  di  Gomma 


Sop 


MAGAZZINI  HERMANN 

MILANO  •  TORINO 


unii  -  lava    lo  sul    letto    Iguor  n..  i 

.li   questo   intelii  i  ,   uè   ne    in- 
diri    mai    i Ila     ma    il   caso   aveva   M.luiu 

ilo   del  carattere   di   NI- 
i    di    una    (cria    importanza    nelle    annali 

tanzi      M.ni  re   stava    parlandogli,    si    udì    un 

passo   pesante  al  di   fuori,   ed   un   prete  entro   nella 
stanza.  Ci  guardò  ben  i due.  poi  andò  dal 

—  Addi.,  mio  buon  Viitouio  disse  Nikola.  — 
Noi li  in.,   che   .1  ora  mn. in- 

lo  a  voi. 

Poi,   dopo   a\ .  r  detto   - 

al   pi  clr.    un    n  un.  sulla   spalla   e   u   i  ninno 

ir-  irmi'    Miiaml"  fummo   fuoi  i,   mi   disse  collo 
so  tono  di   voce  con  cui   a\  e\  a  pai  lato   al    veccl 

—  i  laro    Hat  tei  .■•■-     ei  co    un  alti  a    lezioni 

i.i  tanto  difficili   da  imparaj 
Noi     ci  edo    di    avergli    risposto     Si  endi  mino   in- 
1 1  a.la.  ci  fennarumo  un 
mento    SUUa    porla    di    casa. 

—  Voi  te   Intendermi   ■      seguito  Ni] 
ciò   nonostante   \i   diro   che   questa    scena  a   cui 

■    assistito    affi  "i  li      In    line     Kssa    non    tard 
molto  a  giungere    Tutto  hen  considerato,  n 
.ii  i  impiangerlo. 

l'in,  senza  aggiungere  parola,  si  allontanò  da 
m.  lasciandomi  solo  a  fantasticare  su  quanto  ini 
i\  e\  a    detti       Rimasi  i      issort",     in    piedi. 

qualche   minuto,    i ipresi    la   sirada    fai 

v'immaginate,   un   seni  i\  u  tutl  altro  eli 
zione    di    trovarmi     fra    gente    allegra    come 
ponevo    di    incontrare    sui    bastimento    dove    an- 
davo a  salutare  il  mio  amico    ma  glielo  avevo  prò* 

■  e   i'"M   pote\ ..  mancare  di   paiola.  I;  - 
la    mi  a  va   >     Marco   mi    tei  i   condili  i  e  al  porlo   il 
.  i  ■     ancorata    la     na\  e     Oliando    I  ebbi     i 
ed  ebbi  salilo  la  scala   il  appi  odo.    i   pa 

isciti   allora    dal    pranzo   .    passeggiavano    - 

•_ ri  iì    dal    ponie.     La    compagnia    del    n 
quella  di   sua   moglie,    una   simpatica   bruna,   i 
.li   vivacità,  mi   fece  bene  e  quando  uscii  di   la  mi 
sentivo   comparativamente    alle    ro:    ma    i appe- 
na  mi   trovai   solo   n     gondola,    nelle   vie 
e  deserte  della  città,  ui\  ripiombò  la  una  uistez/.a, 
Il    presentimento  di   una   disgrazia,  che  non   riu 
vo  a  scacciare,  non  mi  .ia\  a  requie. 

Hi.Mii  ni  I  .   all'albergo    trovai    mia    mogi 
letto    Glenbarth  pine  si  era  già  ritirato  nel  sin.  ap- 
partamentino.  Sin-, .un-   non   mi   sentivo   in   disp 
zi. 'in    di    dormire,    risoh  ett  i    .li    andare    ne     -    Ione 
di    lettura    e   di    leggi  i  e    firn  hi     \  enissi    preso   dal 
senno    Cosi   fi preso  un  libro  che  mi   ero  Pom- 
pei ato   la  mattina  e  che  mi   pai  i  i  intere* 
sante,  mi  sedetti   comodamente  su   una  poltroi 
ini  posi   a   leggere,   Provavo  molta  dm 

ci  nli  are  li a  attenzione  .   il   mio  pensici 

va    sempre   al    colloquio   avuto  con    Nikola 
scena    pietosa    in    quella    miserabile    stanza.    Sup- 
pongo però  di  iddormentato,   già.    tu 

più   di   nulla   tino  al    momento  In   m 
mi  svegliai  e  mi  trovai  In  piedi,  attento  ad 
-..  leggero  che  udn I  corridoio.  Guardai  all'i 


rologio   pei    sapere   l'ora 
la   zzanotte  '   <  hi   potè 

sto   ,  in     ii    corridoii     ap 

parlciii'\  a  a  imi.'     \prii  pia 
no    pian.,     la     porta.     Alla 

delia  lampada 
che  stava  accesa  noia  la 

rie libi 

una  suri! 
su  ugni-;,  rbr  si  dui  e>  ' 
di  servizio 
in     fondo     al     corridoio, 
Questa   scala,   comi 
di    poi     .i  i'- a    in    un  altra 
pai  te     dell  albergo 
ir .M  ero  ma i  stato    In  vita 

una    mai    seppi    mal 

i  i , 


ciano  i  tre  quarti 


ESIGETE 


IIIIlWIIIMllI 


MARCA 

HERMANN 

MILA NO -TORINO 


1^^     1  )ILTA 


G.  &  A.  FOSSATI 

MILANO  —  Via  Monte  Napoleone  43  e  Via  Bigli.  18       MILANO 


Ha   l'onore   d'annunciare    alla    distintissima  clientela  l'arrivo 
delle    NOVITÀ    D'AUTUNNO    ed    INVERNO. 

Costui  mi  da  passeggio  -  Abiti  per 
ricevimenti  e  eia  sera  -  Paletots, 
Mantelli  e  Jàcquiettes  »  Kourrures 
-  Cliemisettes  juipons  ~  Costume 
tailleur. 

GRANDE    RIBASSO    SULLE    RIMANENZE. 


!    .;tt 


GRANDE  SCOPERTA  SCIENTIFICA 


CURA 
ESTERNA 


CURA 
ESTERNA 


(MALATTIE  NERVOSE) 


ANEMIA  -  NEVRASTENIA 

Esaurimento    cerebrale    spinale 

-  ■ .  ^ — ^^*- — ♦  ■  - 

Fate  la  cura  della    IE*  ""5T  T—i  T  H  O  ^ff    che  è  utile  a  tutti 

VERA  E  SERIA  SCOPERTA  SCIENTIFICA.    —   Opuscolo  gratis. 

Rinforza  il  sistema  nervoso,  il  sangue  e  tutto  l'organismo  che  ringiovanisce.  Cura  e- 
sterna,  facile,  economica  molto  in  uso  in  unto  il  mondo.  Sostituisce  i  bagni  salsojodici,  la  cura 
elettrica,  le  iniezioni,  il  bromuro  joduro,  le  incomode  doccie.  Guarisce  radicalmente  tutti  i  disor- 
dini nervosi  dell  Emicrania,  Convulsioni,  Nevrastenia,  Anemia.  Esaurimento, 
Paralisi,  Apoplessia,  Epilessia,  Isterismo,  preserva  dalle  malattie  e  pro- 
lunga la  vita.  Asma,  Affanno,  Spleen    i] ndria  .  Malesseri  continui  incomprensibili, 

alla  debolezza  ed  esaurimento  cerebrale  e  spinale,  Mali  di  cuore  fi  di  Fegato,  san- 
gue debole  o  guasto.  Debolezza  della  vista,  dell'udito  e  della  vitalità  in 
generale,  ecc.  l.;i  Lozione  Pylthon,  puniste  ovinare  l'apparato  digerente  e  gl'inte- 

stini come  altri  rimedi.  Immette  nel  sangue  nuova  vita,  opuscolo  del  cav.  Auxilia.  medi  o  on   cario 
della  Real  Casa.  Sispeciisce  gratis  achi  manda  il  pn  iprio  indirizzo  all'Anglo-American  Stores, 
Milano,  Monte  Napoleone,  23.  La   Lozione  Pylthon  si  vende  in  tutte  le  primari' 
—  Vendita  al  minuto  :  Farmacia  Strazza.  Milano.       Erba,  Manzoni,  Cooperativa,  Zambelletti,  Ta- 
lini*»  Centrale,  Emanuele,  Migliavacca,  Brera,  Garrone,   Pott.  Milani,  Coniglio,  ecc. 

Ài  nostri  lettori  1    con ■    '  prezzo  speciale  di  L.   <>  *•">  il  flacone  franco  di  porto  e  di  im 

■  liio.  -  -  Scrivere    -///'Anglo-American    Stores.   Milano     Monte    Vapol     ■ 


Vili 


ADDIO,    NIKOLAL. 


pei    fiun 
Soii  ii 

in 

'      I  Bflrà 

i   b  Iona   Idea 

labi  i  ttolosa   i  i 

i  ■    i    quale  ei  avi 

iiiil    con 

disinvoltura    Evidentementi 

pi  ima  \  olta  che  -•■  ne 
i         id     si  tiro  dietro   la   poi  ta     Mi   ero 
momentino  ad     ssei  vai  la,  ma  appena  fu 
i.  un  affrettai  di  nuoi  o,  apersi   la  porta   preci 

ni.   i  i'    il.  i-    un 

i sll'ri'  111:111 

hiuso  da  ambe  le  parti  ila 

■      ili:  i'UMI     llll.'l      pll    1        :.i      l'i.' 

due  n  ut  altre  viuzze    m    5  Ti 
11  ,  ii  andi  '  lungo  una  ili  queste  : 
si    utvo  a  pochi  passi  di  distanza    Fra  le  lan- 
ini''  dm  : ::    nostro     '  -  '-in 

1    1  ri  tamente  questa  fu  una  delle  più    w 

ma    Gì li evor.  l'onesta  in 

■    Affila  ili  un  dignitario  della  Chiesa,  pri 
:    esseri    eletto  \  escovo    usch  a   dall'albei 

■  andò  di  qua  e  ili  la.  per  vie 

Questo  era  un  un  Icile  a  spiegai  -1  '  (.man 

.1"  ebbe  attraversato  un  piccoli    ponte,  essa   svoltò 
tra  '."Ha  a  sinistra,  camminò  lungo  il  marcia- 
■  1 1  in.  pai  1//"  mezzo  in  rovina,  ed  en- 
ti uno  stretta  Viotti  ilo    1  sinistra,  ftani  beggiato 
da  altissime  case 
1  -    -  1  nia    ,ia    ,  osi    oscura    che    avevo    qual- 

diffìcoltà  a  seguirli Il'occhio,  Essa  si  fermò. 

11  1   .  li  ni  un'  no  accorgessi   mi  trov  U   a  due 

1  '   lei     neanche  allora  imi  \,-  di  avvedersi  ili 

in,'    Stava    davanti   a   una   piccola    porta   1  in1   ten 

I  iva    (li    ai  I  '    un    qualche    sfni'Z"    la    imi  la 

persi  rrevor  discese  due  o  tre  scalini  senza 

ma  esitazii  ne  naturalmente  continuai  a 
di    ■      benché  non  avessi  la  menoma   idea 

.li  dove  eravamo  e  cosa   stessimo   per  tare    Scesi 


gli    scalini,    11    trovammo  in    un    nii  1  ileito 

lastricato;  un  stupii  come  non  udisse  1  nini  passi 
-ni   lastrico    ma  evidentemente  cosi   ria.   poiché  si 

e   1  Isoluta   versci   una   poi  la   nel!  augni 

di  di  »  e  'a  av. 11.  senza  \  olgei  -1   in 

in  questo  momi  nto  rimpiansi  il n  avei 

co  una  pistola  o  qualsiasi  ultra  arma    Vlentre  stava 

re    I ila.    la   .Inai  lai    sntt'  voce    |il 

la  ili  aspettarmi,  ma  essa  non  fece  atienzi  un  1  he 
sia    sonnambula  ?    mi    1  hiesi     Ma    in 

ieri     imi    specialmente    questa    1  asa  " 

1  'l'i  epassata   la  poi    1     ci   lro\  anni 1  un 

Ile  imi  grande  del   piccolo;  imi   punito  capii   il 
mistero!   Eravamo   nel   palazzo  /■  ./   io   l'a- 

veva seguila   mentri    andava   .1   trovai    VÌA  ■         Pei 
quale  ragione  \  1    nula',  a  essa     Era  questo  um 
soliti   brutti   in  1   di   Sikola  '  1  ippure  1   suoi   tei  ribili 

sogni   l'aveva lolpitn  al   punto  da   renderla   irre- 

spi  nsabile  delle  sue  azioni  ?  Entrambi  ipo- 

tesi  erano  terribili    Si  fermò  un  momentino  pn 
il  pozzo .  poi  -■  l'Ita  svel  e  ci  ndu- 

cevi al    primo   piano   dove   \i    era   quell'orribile 

stanza  che  essa  pei  'inani"  mi  consta,  non  aveva 
mai  visto  Che  dovevo  io  fare?  Entrare  lietro  lei 
nella  camera  ed  accusan    Nih   la  ria  trasci- 

nata a  sé  ?  1  ippure  aspettar  fuori    ceri  andò  .1 
prire  quello  che  si  passava  fra  'li  loro?  Abbraci 
quest'ultimo   partito,   e   quando   essa    fu     1 
masi   nel  corrid aspettando   eli  eventi,    attraver- 
so la  porta  semi   api  ria.   mi   riusciva  di    >-eder  Ni- 
kola  vicino  alla  tavola,  intento  a  guarda  n 
getto  che  mi  pareva  un  microsci  - 

M'apparire  di  mis?  Trevor  alzò  pli  occhi  peti 
■  1"  un  grido  di  sorpresa     \  questo  prido  il  in 
niiii'i  si  sollevò    <  in  mi  provava  che  la  sua  vi 
non  era  stata  im-vista. 

—  Miss  Trevor,  disse  andandole  incon'ro  a  sa- 
lutarla. -  Che  vuol  dire  ciò  '  dime  mai  siete  venu- 
ta qui  ? 

—  Venni  a  voi,  —  disse  con  voce  tremante  — 
perchè  non  avevo  più  pace  Venni  a  voi  pei  implo- 
rare la  grazia  di  quel  miserabile  Ilnttur  Nikola,  ve 
ni'  supplico  per  pietà  ' 


^=^?%^2^S=^ 


Anno  -Il 


Nvaa  •  I  i 


•La  Lettura- 


Novembre 


RM5TA-AEN5ILE 
DEL-(pRRlLRL- 
»^DELLA-5ERA- 


1902' 


A  POSTA  ELETTRICA 


Il  concetto  fondamentale. 

tE  il  buon  Mardocheo  —  quel  rari,  e  buon 
Mardocheo  ohe  ebbe  il  merito  di  sugge- 
rire a  Re  Assuero  l'uso  delle  lettere  - 
tornasse  al  mondo,  e  con  lui  ti  massi  n  Luigi  XI, 
il  primo  organizzatore  della  posta,  e  Roland  Hill. 
l'inventore  dei  francobolli,  tutti  costai  spalanche- 
rebbero tanto  d'occhi  ed  andrebbero  in  visibilii 
dinanzi  alle  sorprendenti,  meravigliose  audacie 
del   prof  |  lell'ingi  gn 

Roberto    Piscicelli-Taeggi. 

L'egregio  ingegnere,  non  a  tono,  tri  va  che  —  di 
fronte  ai  meravigliosi   progressi   scientifici  ed  indu- 
striali dei  -  ì  rso        la  pi  sta  -   1  sercitata  an- 
1    :  mezzi  relativ  an  pi  radi. 
La  mansioni'  di  raccogliere,  classificare,   dirigere  le 
corrisp  indenze   fino   al  di  unii  ilii     1  lei    1  li  si  natari 
affidata  in  massima  parte  ad  un  p                 numeri  s 
che.  per  quanto  abile  e  attivo,  non  p  erta 
mente  competere  ci  m  m 
mo  per  dire  semi   ntell  igi  riti                           I  o  ncor- 

si    dei  più  sottili  artifici  mecc; li  i   più  rapidi 

mezzi  .li  trasporto,  permettessero  di  ridurre  al  mi- 
nimo l'opera  manuali',  lenta  e  mi  confusa 
dell'uomo. 

L'ingegnere  Piscicelli  ha  studiati    il  pn  blema.  ha 
burocratizzate  le  macchine  ed  ha   compilati    e  Ito 
venato  un    progetto  che  —   senza  esagerazione  — 
ramente  del  fantastii 

La  Lettura. 


La  buca  delle  lettere. 

E  poiché  ho  tirato  in   ballo  la  fantasia,   1 

servo  colla  speranza  di  rendere  così  più  beilo  il 
mio  compite.  La  posta  elettrica,  supponiamo,  fun- 
ziona. 

Le  vecchie  cassette  postali  a  chiusura  automatica 
sono  oggetti  da  museo,  ed  al  loro  pi  sto  sorgi  no  per 
le   città   le  agili  ed  elegami   colonnette  di    feri 
utili  a  quella  che  vedete  nella  vign 

Alla  baso  di  questa  colonna  è  la  buca  pei    le   lei 
.   una  buca  —  in  apparenza         o  .lire; 

ma  viceversa  in  essa  la  leggera  pressione  che  si 
deve  esercitar!  p  1  imi  u  ari  !  1  lettera  è  sufficiente 
per  imi'  loro  una  speciale  tavoletta  interna  in  cui 
la  letti  vi    fi  rzatamente    !     1       iare,    1 1    moto 

della  tavoletta  perni  tti  chi  urti  in  azii  ne  uni  spe- 
ciale irti  essi  tizia  I  soni  ci  si  il  uite 
da  timbi  i  gii  a  l 'onto  m<  In,  ;|  rate  •  he  annul- 
li, il  francobollo  di  vunque  esso  è  ap- 
1  boat... 

L  in.!.  '    :    quali     si  mi     si  ampal  1        I 

bolli  e  quello  di  cui  sono  intris'    le  punti         no  quasi 
1     •    di   natura  tale  .-he  la  sgorbiatimi  non  av- 
11   1  per  la  loro  chimica  ci  mi  ùnazii  me.   Per 
1  re  gli  indirizzi  1    li    I luste  restarli    pu- 
lite —  il  solo  fra;.'  oboi  lo  an- 
nullato. 

3empi  oto  di  questi    ruotismo  sulla   I       1 

\  ione    impn       1    ''li    timbri .    speciali      la    lo  al' 

61 


Olì. 


LA    LETTURA 


rifa,  il  niiniri  Ila  bui  a.  l'anno,  il 

I  i  mimiti  in  ''ni  la  li 

mància    il    su.. 
ina  d'imbuì 

Irà  giungere  in  cima 
alla  colonna,  •     fili   d'acciaio 

cui  la  ci  lonn:  pure  'li  s<  stegno        un 


l.\  !  I  1  \  11   IMPOSI  \/  1 

li,  (,,;vv.,.  /,/  1  lellert    propriamente  detta. 

tu  alto,  hi  puleggia  ./.•/• 
l'asci  ■-■  •  la  .//  corna 


carrelli  1  elettrico  automotori  con  la  relativa  «cass 
raccoglitrii 

Nelli  1  una  fune  d'ac- 

ne 'li  un  moti  «ini  1  1  leti  1 
automaticamente  in   azione  per   l'arrivo  delta 

collettrice,    la   ca&settina    d'impostazione   sale 
rapidamente  alla  1    versa   il 

nulo  ni-l  carrello,  questi  •  fulmini 
mi  tte  in  ni.  to  .-  la  ii  m   ti  ma  al 

sii'      p- 

Il  carrello  raccoglitore  rno  sempii- 

lettrico  trifase  si  p<  [ 
con  quattro  puleggie  d'alluminio  a  gola  larghiss 
su  lìli  d'ac  no,  .li  guida 

e  com    alim  ritatari  di  coi  bente. 

I  a   \  ignetta    n.    2   può  darne  un'idea   su 
mente  esatta. 

(  '.  mpiuto  il  suo  gin    .   \  uotate  pan 
il  carrello  arriva  vertiginosamente  alla  posta  cen- 
trale. 

All'ufficio  centrale. 

K   un  edificio  imponente,  cui  ni 
bui  n  gusto  architettonico.   In  questo  edificio  si  ac- 
centra, meccanicamente,  tutto  il  movimento  postale 
della  città. 

Dai^i  paltoni  piccole  ferrovie  elettriche  a  cor- 
trifase  in  cento  direzioni  diverse;  e  nell'aria 
sulle  varie  linee  è  un  continuo  succedersi  ili  minu- 
scoli veicoli  che  vanno  e  vei 
vertiginosa  rapidità.  Sono  i  nuovi  messi  ]x;stali.  le 
nuove  minuscole  messaggerie  ambulanti,  le  macchi- 
ni- quasi  inti  lligenti  che  sostituisci  arda  e  la- 
boriosa opera  dell'uomo. 

l'i.  ci  diami  ■■  ci  m  1  in  line. 

La  letti  1:1.  assieme  ad  altri  i>ieghi.  ad  altri  stam- 
pati, ad  una  miriade  ili  cari  irriva 
dunque  all'ufficio  centrale. 

Un  complesso  sistema  ili  nastri  continui,  ili  i.- 

tuie  simili    a    quelle    usate    nei    silos    per   lasciai 

etere  il  grano,  ili  scorie  esattamente  paragonabili 
alle  altre  usate  nelle  ortaglii 
li  vare  l'acqua  e  che  consistono  in  una  serie  .li  sec- 
chielli atta. citi  ad  una  catena  senza  line  (vedi  figu- 
ra) serve  allo  sm  meccanico  della  corri- 
spondenza. 

Ci  sì  essa         in  men  che  non  si  dica  — -  si  tri 
]  n  ma  nei  singoli  uffici  ili  partenza  per  la  spei 
ne  fulminea,  sia  per  le  sue  ursali  di  Ila  città,  sia  per 
gli  altri  uffici    li  prima,  seconda  e  terzi  1  • 

Regno. 

La  partenza  ed  il  viaggi:. 

..  chiaramente    rap]  nella    11 

illustrazione.   I  .e  l<  tt<  re  pei 
vengono   chiuse   accuratamente   in   una    leg| 
tuia  di  alluminio  che  porta  all'esterno  tre  quadranti, 

|kt   l'indicazii  entri   di 

tenza  e  di  1  ed  un  ultimi  1  che  s  e,n.i 


LA    POSTA    ELETTRICA 


o63 


La  cassetta  è  collegata  ad  uno  specialissimo  mo- 
torino elettrico  munito  di  due  puleggette  a  gola  e 
di  una  specie  di  trolley. 

Motore  e  cassetta  poggiano  mediante  lotelle  e 
rulli  di  contatto  su  quattro  fili  d'acciaio  che  a  loro 
volta  sono  sostenuti  lungo  tutta  la  linea  da  pali  di 
tcrn.  t  da  isolatori  di  porcellana.  Come  i  logico, 
oltre  all'ufficio  di  sostegno  e  di  guida  delli  strano 
veicolo,  questi  fili  devono  compiere  anche  quello  di 
conduttori  della  corrente  elettrica. 

L'organo  che  soltanto  per  similitudine  noi  ab- 
biamo chiamato  trolley,  non  è  propriamente  di>n 
nato  ad  attingere  —  per  così  dire  —  la  corrente, 
ma  i  f(  rinato  da  due  leve  sostenute  da  molle  che 
reggono  in  alto  un  piccoli  cilindro  rivestito  d'eba- 
nite con  una  piastrina  metallica.  E  poiché  la  fei 
rovia  elettrica  postale  ha  i  suoi  scambi,  i  suoi  si- 
stemi di  blocco  destinati  ad  impedire  gli  investi- 
menti  —  fatali  anche  per  le  lettere  alla  velocità  ili 
400  chilometri  ali  ora  !  —  tale  piccolo  organo,  que- 
sto  ohe  noi  abbiamo  chiamato  trolley,  coll'aiuto  di 
un  quinto  filo  e  pel  contatto  con  esso  aziona  auto- 
maticamente ed  in  modi'  opportuno  gli  scambi. 

Infatti,  quando  ad  una  certa  distanza  dello  scam- 
bio il  carrello  incontra  il  quinto  filo  ed  il  trolley 
si  mette  in  contatto  con  esso,  una  speciale  deriva- 
zione di  corrente  viene  lanciata  ed  una  elettrocala- 
mita attrae  nel  modo  voluto  i  piccoli  «aghi»  dello 
scambio.  Né  questo  è  tutto.  In  modo  automatici 
è  reso  impossibile  l'avvento  contemporaneo  di  due 
veicoli  sul  medesimo  scambio,  in  modo  automatico 
è  pure  evitato  il  pericolo  che  un  veicolo  ne  investa 
un  altro  raggiungendolo  a  tergo,  poiché  i  contatti 
elettrici  con  sottile  ingegnosità  sono  pensati  in  mo- 
do che  la  corrente  non  possa  alimentare  una  zona 
di  blocco  che  è  già  percorsa  da  un  carrello. 

Insomma,  la  ferrovia  aerea  della  posta  elet- 
trica è  una  minuscola  rete  ferroviaria  ci  i  suoi  scam- 
bi, coi  suoi  segnali,  coi  suoi  posti  di  blocco.  Questa 
in  servizio  dei  viaggiatori  è  meno  perfetta  di  quel- 
la. Nell'una  ha  parte  ancora  rilevante  l'opera  e  la 
responsabilità  dell'uomo,  nell'altra  -  peri  zionata 
in  modo  ideale  —  attenzione  e  sorveglianza  sono 
richieste  in  minimi  termini. 

Né  si  deve  'rodere  che  la  soluzione  del  problema 
di  un  così  ideale  perfezionamento  possa  essere  stata 
ottenuta  con  mezzi  così  semplici  come  può  sembrare 
dalla  nostra  descrizione  incompleta  e  sommaria.  Le- 
ve, nottolini,  naselli,  contattini,  commutatori,  tras- 
formatori, dispositivi  elettrici  e  meccanici  d'ogni 
sona  —  singolarmente  semplici,  complessi  nel  loro 
■  me  —  hanno  trovata  una  nuova  applica- 
ci ne. 

Si    pi  tessi  paragonare  il  pn  getti    della  posta 
trica  ad  un  enorme  cale-  Io,   direi  che  si  è   rio  rso  a 
tutte   le  operazioni  dell'aritmetica.    Concorsero    in 
f^ran  mole  le  operazioni   dell'abbaco,   ma  vi   h 
pur    fatto   capolino    le    abiscie»   degli    integrali,    i 
quadri  dei  determinanti,  le  formule  della  gei  metria 

analitica  ed  anche  in  gran  parte la  teoria   degli 

immaginari  ! 

Il  furgoncino  viaggia,  sale  e  scende,  imperturba- 
bile e  senza  deviare,   le  catenarie  descritte  dai    fili 


tra  i  punti  di  sostegno  e  continua  nella  sua  corsa 
vertiginosa  di  quattrocento  chilometri  allora,  di 
centi    undici  metri  per  secondi 

«  Il  bello  e  orribile  mostro»  è  un  mostro  preisto- 
rico oramai,  un  mostro  tartaruga 

La    fulminea    ferri  via   elettrica    collega    tra    loro 


Cassetta  Raccoglitrice 


Veduta  di  Lato 


Proiezione  Orizzontale 


nr 


zefr 


I  v— i  ita  raccoglitrici:. 


ululili  imi  elettrico  è  compreso  tra  le  due  ruote 
anteriori  d'appoggio  sui  fili  La  cassetta  è  un 
perniata  in  modo  che  all'interrompersi  del  flin 
d'appoggio  più  basso  si  apre  e  si  dispone  nei 
licalmente  cosi  da  ricet  ere  h  lettet  e  1  he  •  en 
iimin  versate  in  essa  dalla  buca  d'impostazione 


città,  cittaduzze  e  1"  rghi  o  ri  linee  di  primo,  secon- 
do (    terzi  -  1  rdine. 

Sulla  linea  di  prim'ordine  si  inseriscono  mi 
:  derivazii  ni  e  scambi,  soltanto  pochi  centri  di  me- 
dia importanza.  Ciascuno  di  tali  contri  a  sua  vi  ita, 
pei  mezzo  d'altre  linee  è  legati  1  centri  minori,  che 
si  trovano  nel  suo  àmbito,  por  un'irradiazione  rela- 
tivamente breve. 

Lungo  tutta  la  rete  sostenuta  da  coli  inette  di 
l'erro  ed  al  disopra  del  binario,  è  sospesa,  medianb 
Opportuni  isolatori,  la  conduttura  elettrica  ad  alto 
potenzialo   ed    a  filo   sottile.   Da.  questn    sono    1 

■  rtune  derivazioni  che  conduci  m    la  corrente  ai 
trasformati  ri.  situali  ad  opportune  distanze  gli  uni 


Cassetta  Distributrice 


Veduta  di  Lato 


Proiezione  Orizzontale 


Posizione  nell'Appiombo  oi  una  Succursale 

Veduta  ih  La  dota  bifronte 


4 


? 


*Tà 


LA    POSTA    II  I    fTRH    \ 


QÓ5 


dagli  altri.   Di  qui  esce  trasformata  in  correrli 
basso  potenziale  e  passa  ad  alimentare  i  binari,  gli 
aghi  degli  interruttori   di  blocco,    i   segnali   agli   e- 
stremi  del  percorso  e  gli  apparecchi  tutti 
zione  e  di  manovra. 

11  blocco  elettrico,  cui  abbiamo  accennato  più  so 
pra  e  che  nel  sistema  ha  tanta  importanza,  ci  nsiste 
infatti  in  una  disposizione,  mercè  la  quale  due  vei- 
coli  che  percorrono  contemporaneamente   la   si 


imprudente  cattivo,  un  primo  ostacolo  alla  scalata 
sarebbe  offerti  da  una  fìtta  corona  di  acutissime 
punte  disposti    normalmente  alla  colonna 

E   se  neppur  questo  bastasse  -  .   giuo- 

cano    nel   eira    con   pugnali!      -  salendo   ulterior- 

menti      i  la  colonna   si   imbatterà  nel    terribile 

anello  fulminante  collegato  colla  conduttura  ad  alto 

liliale!    Ti  morire. 

11   vagoncino  trascinato  dal  motori    i 


_. 


L'UFI  !'  in  i  I  NTRALE. 

i   destra   ed  •/   sinistra   i    vagoncini    sulla   piccola  ferrovia  elettrica    •• 


linea  nella  stessa  direzione  sono  obbligati  a   manti 
nersi  fra  loro  ad  uni  distanza  non  inferiore  a  quel- 
Ile  intercede  tra   due  successivi  casotti   di    tras- 
formazione. Dunque  nessun  pericolo  di  investimenti. 
Neppure  i    ladri   oseranno  fermare    i    celeri    va- 
nii, poiché  le  linee  che  sono  protriti    cori 
portuni   parafulmini   e  scai  a   corna  delle   ire- 

dei  cieli-  sono  protette  dalle  cattive  intenzioni   di  i 
terreni  colla  stessa  energia  elettrica  ci  n  cui  si  pr< 
all'aliment  a  ella  rete. 

Ogni  colonna  di  sostegni    porta  scritto  .dia  base 
in  caratteri  da   - 

NON    I ENTATE 

SALIRE 

PENA 

LA  VITA 

I.    si    pure   l'amichevole   avviso   ripetuto  d.i 
per  la   intera  linea   dei   pali,   in   tulli   i    pai 
in  mezze-  a  tutte  le  genti,  sfug< 

i    non  fosse  preso  alla  i  qualche 


sante  in  tutto  soli  trentacinqui  chilogrammi....  viag- 
gia dunque   sicuro. 

Attendiami  di  i   all'arrivi  >. 

L'arrivo. 

Sarebbe  troppo  lungo  descrivere  minutami  n 
ogni  casi    i    pei   ogni  tipo  di  stazi  ni    il  mi  i  li  i  d'ar- 
della  cori  apito  al  suo  desti- 

ratarii  - 

Seguiremo  dunque   la   nostra  lettera  soltanto,   la 
quale  —   lo  diciamo  ora  è  diretta  ad  una  sta- 

zioni-   di     prima   classe.    Il    vagoncini  cassetl 
pn  -i  nza  del    |uale       i  -  me  si.  è  detf         -    stata  pn 
veni  ivai  t  secondo  la  sp 

àizion  canii  a.    ha    regi  l   mi 

il  ia  veli  <rità  e  gli  scambi  in  n 
andai  si  a  fera  nto  al  posti    di  destinaz  i    u 

e  in  n  ali  n  vi  , 

Infatti,  ad  una  certa  distanza  dalla  centrai' 

i    i  s:  ci  «  -pn  weduta  di  coi 


Cassetta  Dispaccio 


■ 


Veduta  di  . 


Ttf» 


^J> 


J 


nell'Appiombo  di  u*j 


Veduta  di  Ly>Ti 


iste 


«Ih 


WV~ * 


LA  CASSETTA  DEI  DURI    ILLA  VELOCITA    DI    UK)  CHILOMETRI    LLL'ORA 


LA    POSTA    ELETTRICA 


rente»  e  l'impulso  della  corsa  è  più  che  bastevole 
perchè  —  per  legge  d'inerzia  —  esso  possa  cammi- 
nare più  di  quanto  è  necessario  per  raggiungere 
l'ufficio  di  arrivo.  Così  per  ammorzale  completa- 
mente la  forza  viva  del  veicolo  al  suo  ingresso  nel- 
l'ufficio postale,  questo  viene  guidato  tra  due  assi- 
celle imperniate  ad  un  estremo  ed  azionate  da  un 
contrappeso  all'estremo  opposto.  Esse  sono  disposte 
secondo  una  direzione  inclinata  rispetto  alla  traiet- 
toria del  vagoncino  e  rispetto  ai  binarietti  che  nel- 
l'interno dell'ufficio  sostituiscono  i  fili  d'appoggio 
de!  motore  e  della  relativa  cassetta-dispari  ;<  . 

Per  azione  delle  assicelle  e  del  peso,  il  carrello 
si  ferma!  Ora  con  metodo  analogo  a  quello  della 
trasmissione  della  corrispondenza  fra  città  e  città, 
fra  paesi  e  borgate  e  viceversa,  funziona  anche  il 
servizio  interno  nelle  grandi  città  per  la  distribu- 
zione della  corrispondenza  agli  uffici  succursali. 

Coi  soliti  sistemi  di  scorie,  di  nastri  senza  fine, 
di  botole,  eccetera,  la  corrispondenza  viene  smistata 
per  le  varie  succursali  e  cosi  la  nostra  lettera  viene 
istradata  per  quel  rione  della  città  dove  si  trova  il 
parente,  l'amico,  l'uomo  d'affari,  l'innamorata  od 
il  creditore  che  l'aspetta. 

Il  vagoncino  che  deve  portarla  è  comandato,  in 
virtù  della  sua  stessa  costruzione  elettro-meccanica, 
per  quella  determinata  succursale  che  è  più  prossi- 
ma al  luogo  di  recapiti'. 

Lo  si  appoggia  all'  «apparecchio  di  lancio»  - 
un  semplice  piano  inclinato  che  lo  avvia  fino  al 
tratta  di  linea  alimentato  dalla  corrente  —  e  lo  si 
lascia  andare.  Esso  si  fermerà  soltanto  quando  sarà 
giunto  al  suo  destino.  Un  impiegato  aprirà  la  cas- 
setta, toglierà  !a  lettera  e  la  sostituirà  con  altre  • — 
consegnate  a  mano  dal  pubblico  agli  sportelli  — 
che  prenderanno  nuovamente  la  via  della  centrale. 

La  nostra  lettera  dunque  è  nelle  mani  dell'im- 
piegato e  da  queste  passerà  subito  a  quelle  del  fat- 
torino ciclista  che  senza  indugio  in  pochi  minuti  la 
porterà  a  destinazione. 


L'ultima  trovata 


\ 


L  ingegnosità  del  sistema  Pisciceli")  è  spinta  al 
massimo  limite. 

Il  suo  sagace  ideatore  ha  voluto  dotare  anche  di 
un  altro  macchinismo  assai  utile  —  azionato  natu- 
ralmente dall'elettricità  !  —  il  servizio  di  consegna 
della  corrispondenza,  sebbene  non  ne  abbia  fatto 
cenni,  speciale  in  nessuna  delle  cinquantacinque  ri- 
vendicazioni che  riassumono  il  brevetto. 

L' apparecchio    al    quale    vogliamo    accennare    è 


967 

rappresentati  da  uno  spei  iale  eli  1  tti  re  elettrico  ma- 
novrabile a  mano  e  collocato  all'interno  ili  quei  pa- 
lazzi ove  sieno  quegli  abbonati  che  una  volta  si  per- 
ii, irranno  il  lusso  e  la  comodità  d'avere  una  pro- 
pria cassetta  postale  e  tolleravano  la  noia  d'andare 
a  cercare  la  corrispondenza  all'ufficio  e  non  trovarla 
in  arrivo,  oppure  di  trovare  la  corrispondenza  in 
arrivo  e  d'aver  dimenticata  la  chiave  della  cassetta. 

Basta  che  il  fattorino  collochi  la  corrispondenza 
da  recapitarsi  in  una  buca  dell'apparecchii  .  e  spo- 
sti un  indice  che  segni  i  diversi  piani  dell'edificio, 
perchè  subito  la  cassetta,  che  è  nella  parte  cava  del- 
la colonna  montante,  si  innalzi  e  vada  a  fermarsi 
al  piano  prestabilito:  ivi.  la  cassetta  si  capovolge 
facendo  abbattere  una  mensoletta.  specie  di  guan- 
tiera, su  cui  rovescia  le  lettere.  Dopo  ciò  la  cas- 
setta ridiscende. 

Xello  stesso  momento,  un  campanello  elettrico 
avverte  il  destinatario  dell'arrivo  della  corrispon- 
denza, e.  per  far  cessare  il  tintinnio,  deve  rialzare 
la  mensoletta  che  chiude  la  gabbia  dell'elevatore. 

E  così,  in  pochi  istanti,  il  fattorino  distribuisce 
successivamente  la  posta  nei  diversi  piani  dell'edi- 
ficio 

A  conti  largamente  fatti,  una  lettera  impostata 
a  Genova  per  Milano  in  meno  di  din-  ore  potrebbe 
essere  recapitata  in  camera  del   destinatario. 

I  dettagli. 

Non  mancano  davvero  nella  labi  n  sa  I  mtìzìo- 
ne.  che  costituisce  i!  brevetto  Piscicelli.  Saremmo 
per  dire  ce  ne  una  vera  abbondanza.  Cento  in- 
gegnosi congegni  vi  sono  ideati,  disegnati  e  descritti, 
ogni  minuzia  è  meticolosamente,  anche  tn  ppo  me- 
ticolosamente, curata....  e  si  capisce:  l'inventore  ha 
voluto  proteggere  efficacemente  l'opera  propria  ed 
ha  fatto  bene. 

Secondo  il  mio  modesto  parere  però,  egli  ha  di- 
menticato —  od  omesso  ad  arte  --la  descrizione 
di  altre  parti,  di  altri  dispositivi,  di  altri  apparec- 
chi che  in  effetto  non  devono  mancare  alla  pratica 
applicazione  del  sistema. 

Per  esempio  —  e  non  è  un  dettaglio  questo  - 
perchè  non  ha  aggiunto  il  Piscicelli  una  descrizio- 
ne più  dettagliata  dei  motorini  applicati  ai  carrelli 
i  quali,  pesando  complessivamente  soltanto  trenta- 
cinque  chili,  sono  capaci  di  marciare  ad  una  velocità 
di  quattrocento  chilometri  all'ora? 

("a.-  diamine!  anche  a  questa  parte  dell'invenz 
1    ■    tutt'altro  chi    !  rascurabile  '. 


IL  DOTTORISSIMO. 

/ 


^QTà- > 


IL  PONTE  l'i   in:  si  v 


Attorno  a  Stambùl 


L'È VC 

[opo  una   rapida  corsa    attraverso    il    mar 
Nero  e  kmgc  le  mirabili  spi  ride  del  Bo- 
sf  re.    il   pii<  scafo   rumeno   Princi-j 
inoltra   ora  lentamenti     ira    i    vapori  e   i 
velieri    ancorati    davanti   a   Costantinopoli,   la  cui 
Fun     e  dalla  ni  bbia. 
Sulla   riva,   in   pros  el   Gran    Ponte,  una 

bizzarra  è  tutta  intenta  a  n  ne  a  immi- 

nente preda,    fi  ta   la  passerella,  ella  ir- 

rompi sulle  esili  tavole  urtando  l'altra  folla  che  con 
par 

due  ci  trenti  nell'i  fi  rzo  si  immo- 

bilizzano:  un  incredibile  urlio  si  leva. 

rra  alcuni  hamah  (facchin        i     tarda  di 
rchiar  quella  muraglia  vivente,  ci  ll'aiuto  di  eoa 
,ii  .  spio  ano  salti  smisurati. 
indo  uni  p.  nte.  Ben  due  vi  Ite  debb    i 
quegli  arrabbiati,  che  a  qualunq  ogliono 

impadronirsi  'ì'-l  n  glia  Alcune  guarii 

piati  contenei 

volai  "/a. 


Vólto  verso  la  riva,  cerco  invano  raccapezzarmi 
Ira  la  folla  ilei  dragomanni  colà  adunata  i   strepi- 
tante. N'iuno  reca  sul  berretto  la  scritl 
che  rappresenta. 

Alla  mia  chiamata:  «Hotel  Li  min- In  venti  mani 
si  alzano  e  illustrai   vi1    i  sibizioni  I 

ni  dieci  lingui'.  Un  gre  na  l'attenzione  mia 

su  w\  uomo  tarchiato,  il  viso  butterato  dal  > aiii'  I". 
che  ;il  ili  me  il  suo  cappello  'li  paglia. 

—  Balino?       gli  di  mando  pei  assi  urarmi. 

Egli  accenna  >\>.  si  e  mi  im  ita  a  gettai  il  baga- 
glio leggero  al  disopra  della  passerella,  scricchio- 
lante sotto  l'urto  delle  due  correnti,  sempre  infu- 

mani  s'alzano  ili  nuovo  |*-r  afferrare  le  va- 
ligie al   vi  i"  i    disputarle  con  accanimento,  e   la- 
dopo  ali  uni  cazzotti 
Balini 

Il  panorama. 

1 1 ,  fanti    .r    ; 1 1 ii  stn  ni  della    ti  rr    d    G 

.       ,,  siduo   delli     fi  rtifii  u  li  ni   gì  novi  si  del 
seo  lo  XIV         la  prima  cosa  che  mi  n  Ipisce  i   li 


superba  e  caotica   immensità  del  panorama  di   I 
stantinopoli. 

Curvo  sulla  carta  «Iella  città,  ceree  strappare   il 
segreto  ilei   ni  me   a   quell'intrico  di    parvenze   i 
nel  cielo,   sorpres  ■  quando  alcuna  di  esse  rispi 
ali  immagine  lìssata  nella  mia  niente. 

Prime  al  mio  sguardo  le  città  franche.    Pera  e 
Galata.  in  dolce  declivio  verso  il  Bosforo  e  il  t  '<  mi 
d'Ora  Di  là  del  Bi  sforo,  Scutari  e  una  fuga  fanta- 
stica   di   bianche    ville,    svanite    nell'atmosfera   az- 
zurrina. 

Sul  Coi  Oro  veleggia  una  lieve  nebbia  che 

aggiunge  vaghe/za  alle  linee  indecise  di   Starnbùl. 
la  città  turca.   Lentamente,  come  per  magio     ìncan 
i-  'li  tra  gli  squarci  del  bianco  veli 

'rragli.  Qua  e  là.  al  sommo  della  citta 
misteriosa,  si  aprom    occhi  di  azzurro,  in  cui  si  |  n 
filano   le   macchie  cupe   dei  cipressi.    Poi   la  nebbia 
si  raffittisce  ed  è  un  lento  scolorar  delle  cose,  un  va- 
cillare e  vanire  delle  linee  del  quadro  seducente. 

Finalmente,  a  brevi   soste,   il  velario  vaporoso  .si 

ssipa. 

Ed  ecco,  nella  gli  ria  luminosa  del  cielo,  sorge- 
re dal  mare  l'immensa  mole  di  Starnbùl,  in  una  ani- 
mazione superba  di  forme  e  di  colori  '. 

Dalla  punta  del  Serraglio  all'estremo  Eyoub,  su 
■  colline,  è  un  ammasso,  un  saliscendi  di  case. 
rji  moschee,  di  bazar,  ili  chioschi,  un  fremito  di  ve- 
getazione  rigogliosa,   un   soverchiar  di  cupole,   uno 
slancio  di  minareti. 

Le  più  bizzarre  dentellature,  i  più  pazzi  contorni, 
i  profili  più  leggiadri  e  mostruosi  si  trovano  là  riu- 
niti e  fusi  in  una  varietà  di  linee  meravigliosa. 

Sul  gran  pente. 

Corso  incessantemente  da  due  opposte  folle,  il 
Gran  Pente  sul  Corno  d'Oro,  fra  Galata  e  Starn- 
bùl, offre  uno  dei  quadri  più  caratteristici  dell'O- 
riente. 

Senza  tregua  le  due  folle  si  muovono,  si  urtano, 
con  indescrivibile  rimescolio,  alimentate  dalla  città 
franca  e  dalla  città  turca.  Un'altra  folla  è  ferma 
lungo  i  parapetti  o  preme  sulle  rampe  degli  scali, 
fra  1  insistente  sibilo  dei  vapori  che  partono  o  ap- 
prodano, quest'ultimi  riversando  sul  ponte  una  folla 
ancora,  che  incalza  e  rifluisce  sulle  prime. 

Fra  rauche  strida  il  torrente  umano  arresta  un 
istante  il  suo  corso  e  ramifica  al  passaggio  dei  ciucci. 
dei  cammelli,  dei  carri  e  delle  carrozze  delle  oda- 
lische scortate  da  eunuchi. 

Degli  arabi  ravvolti  nello  sciamma,  il  profilo  fine 
ed  estenuato,  se  ne  stanno  accoccolati  lungo  il  pa- 
rapetto, in  un'attitudine  che  diresti  di  soft 
tensione.  Xel  quadri  bizzarro  emergono  le  macchiet- 
te degli  acquaioli,  dei  venditori  di  semi  o  di  latte 
coagulato,  e  spiccane  in  toni  vivi  i  magnifici  e  pitto- 
reschi cenci  di  un  gruppo  di  hamaìs,  che  lasciarli' 
trasparire  le  membra  bronzee  e  muscolose. 

Qua  e  là.  sole  o  a  gnippi.  con  passo  indolente,  le 
stgnore  turche,  fiori  misteriosi   dell'Oriente. 

Hanno  i!  volto  dipinto,  anche  le  giovani,  i  chi 
neri  espressivi  e  mani  e  piedi  di  bambina. 


ATTORNO   A    S  rAMBÙL  969 

Un  lustrascarpe  ortodosso. 


In  quella    folk  .   un  tipo  originalis- 

simo, rif'    dietro  lina  "a   da   lustrascarpe,  at- 

tenzione. 

Bel  \  dalla  barba  fluente,  con  in  capo  un 

turbante  enorme,  di  quei  turbanti  complicati  che 
1  miai  si  vedono  soltanto  al  musi  giannizzeri, 

egli  è  certamente  un  magni:  ,  n      lei  turco 

li  ss»  .  che  sprezza  la  civiltà  occidentale  e  ancor 
più  i  giovani  turchi  che  portani    il 

Anche  nell'umile  sua  profe  sii  mi  il  vegliardo  non 
ha  imitai  .  Egli  a--  m  .-arpa 
la,  «he  io  gli  porgo,  a  un  tal  numero  1  varietà 
ili   m:  th'ii     rimangi  1  stup guar- 

dare. 

Soni  pannolini  che  si 

avvicendano,  e  pi  \<  mi  brillantine  e  ancora  un 
pennello  a  n  cui  filetta  la  stilla  e  dipinge  il  ta 

Convivi  interess  assisto  alle  diverse  fasi  per 
cui  passa  la  mia  scarpa  sotto  le  abili  mani  del  bel 
quand'egli  ha  finito  rimango  là  col 
piede  alzato  sulla  cassetta,  promettendomi  chissà 
quali  altre  operazioni,  quando  viene  il  gesto  libe- 
ratore e  insieme  un  graziosi'  saluto  .dia  anca,  toc- 
cando  n  Ila  destra  la  fronte  e  il  peti.  . 

(  a  Ila  mente  e  col  cuore:  saluti  1  molto  più  espres- 
vo  del  nistro  che  si  manifesta  nell'atto  di  dar 
aria  alla   1 

Santa  Sofia. 

L'n  intricate  ammassi    ili  Ci  tringe  dav- 

\  ieitii  Santa  Sofia,  mascherandone  la  struttura. 
N'iuni  s'attenete  all'indescrivibile  spettacolo  che 
il  sue  interini,  se  non  fosse  là  ad  attestarlo, 
sentinella  avanzata,  quel  gioiello  dell'architettura 
mussulmana  che  la  fontana  di  Ahmed.  divino  gioco 
il  un'arte  raffinata. 

Dopo  una  prima  visita  in  o  mpagnia  del  drago- 
manne,  mi  sorride  di  vederla  da  solo,  un  pi»'  geloso 
mie  impressioni. 
Infilato  un  andrene,  riesco  ,u\  un  piccolo  recinto 
ci  mi  it'  'li  finissime  stuoie  e  ingombro  di  babbuecie 
d'ogni  dimensione.  Sul  fondo  una  tenda  di  cuoio 
maschera   1  entrata   della  moschea. 

Anche   una  volta  sto    per    compiacermi    dell'uso 
'!    rmesso  ai  fedeli)  di  scalzarsi  in  lungo  ve- 
nerabile, lasciani li.  sulla  soglia  la  pubere  ilei  piedi. 
ulo  mi  ai  ci  rgi    d'una    p 
E  cioè  che  non  avendi  pi  iscarpe, 

intendendo  valermi  delle  babbuecie  che-  si  trovano 
all'in.  1  gni  mosch  là  aliarne  che  nu- 

le p'  re.  né  mi  è  possibile  servirmi  da  me 

attere  un   atte  sacrilego,   perchè 
dovrei  attraversare  la  stuoia,  ch'è  pane  del  recinto 
n 

Posso    iti'.n>   appigliarmi    ;.<1    un    altre    mezzo: 
chiamare,  curando  di  Me    -      !   grido  gutturale  del 

11    simili    >;r<  1  ■:  m/e.    Ma    quell'in 
lille  mi   ha   talmente  su  ito,    insistendo  sul 

lissulmani  .   da   incutermi    il   timore  che 


,)-..  LA    I  ETTI  R  \ 

in  .  per  una 


ro  in  cui  n 
mbra    mi(  glio   asp 

Neil  '  i   I  "  eia  «lì  mummia  in- 

■M!  :     nero  iate, 

nel  vuoto,  rigirando  fra  le  inani  le  pai 

lettine  di  na  da  cento  grani, 

li   Allah. 
.  alcune  donne  vi  late  pa  lentamen 

alcuni  minuti  di  vana  attesa,  mi  risolvo 
mare. 
i  i  me  per  li  i li  una  molla  s'alza,  al  mii i 

grilli',  un  lembo  della  tenda  'li  cui  li  i  fuori  ne  e- 
merge  un  piccolo  dervis,  specie  di  scaccino.  Fattomi 
un  p  e  un  paio 

di  babbuccie  e  silenziosamente  riceve  le  piastre  che 
l^li  dò  per  bakehich. 

La  i  runa  volta,  non  appena  entrata  in  Santa  So 
I  dragomanno  si  era  affaccendato  a  mostrarmi 


Imi  uno  in  m   \K-  hi  v    Mimi  i 


le  bazzecole  del  tempio,  tutt npreso  del  suo  uf- 
ficio:  Vi  li   quella  macchia  sul  secondo  pilastro  dei- 
dra     11  impn  unta  della  man.,  di  \i        etto  11 
quando  entrò  vittorioso  nel  magi  ■  'li  Bi- 

sanzio.  E  sa  perchè  i  tappeti  sono  allineati  di  sbie- 
co all'asse  del  tempio,  e  il  mihrab  non  si  trova  al 
centro  dell'abside  ?  Perchè  puma  .li  essere 
era  una  basilica  cristiana  e  naturalmente  non  venne 
orientata  verso  la  Mecca....  che  a  quei  tempi  neppur 
I  a. 

E  non  mi  lasciava  pren  ler  fiata  N'on  appi  . 
maio  l'attenzione  su  un  particolare,  subito  mi 
primeva  con  mille  dettagli.  Ammiravo  l'aereo  slan- 
cio della  cupola,  fonda  sì  che  lo  sguardo  vi  si  smar- 
riva rome  in  un  abisso.  Ecco  la  guida  investirmi  col- 
le cifre  rappresentanti  il  suo  diametri  e  la  sua  al- 
tezza. 

Osservavo  le  faci  sive  n  meditabonde  dei 

•  l'-rvis.  nelle  loro  ampie  e  bizzarre  drappeg 
Ed  erro  il  mi,  premermi  colle  sue  ciani 

quello  dal  turbante  verde 
è  un  dervis  reduce  dalla 
Kààba,  questo  un  dervis 
Mevli  vi.  e  '|iiest  altro  un 
dervis  del  tekké  dei 
roufai. 

Finito  l'inventario.  |rt 
sopramercato  mi  regalò  lo 
spettacolo  delle  abluzioni 
alla  lontana  di 
spettar.. lo  ripugnante, 
che  i  turchi,  mentre  si  la- 
vavano, tossivano  e  sputa- 
vano rumorosamente  e  si 
forbn  ani  i  il  naso  col  moc- 
,  ichino  del  buon  Dio. 

In  questa  seconda  visita 
come  mi  sembra  mutata 
Santa  Sofia  ! 

Nella    luce    diffusa     dai 
numerosi    finestroni    le  va- 
ste i  usu- 
inoli'   un   rili' 
e  solenne.    Queir  imm 
tà.       quel       racooglim 
muove  l'anima  in   un  tur- 
bamento delizioso  coni 
na  musica  dolce  e  Ioni. 

N'ella     mite     penombra 
io    m'  inoltro,    sui    morbidi 
tappeti  e  fra  li  ggi 
dri   intai  >ial i  'li   argeni 
di  madreperla,   guardando 
estatico     i     lampadari     di 
bron/.  .   le  uova  ili  stri 
gli   immensi  globi  verdi  li- 
brati sul  mio  c.i|K>. 

i  'In  ti  ■.    cheto   mi 
i    ci.  • .  hi     di 
badando     nel     camminare 
non    mi    sfuggano    le    i 
Imi  i  ii    i  n  .p|>o  larghe  e 
cendomi     piccino    quando 


ATTORNO   A    STAMBUL 


gli  sguardi  si  volgono  a  me  corrucciati,  per  essermi 
rmato   davanti   a    un    iman    che   spiega    il    Co- 
rano,  o  ]iei   aver  guardato  con   insistenza  le   logge 
■  graticci  ove,  appartate,  stanno  le  donne  turche. 

5  luto  a  gambe  incrociate,   in  atto  di  silenziosa 
lettura   di    un   Corano   manoscritto   e    miniato,    un 
b   prorompe  tratto  tratto  in  una  cantilena  na- 
sale, or  alzando  or  abbassando  le  bra.  < 

Poe,  discosto,  un  turco  elegantissimo  in  tez  e 
Stambulina.  ritto  e  immobile,  di  schianto  si  butta 
in  ginocchio,  poi  bocconi,  colla  fronte  sul  tappeto, 
ripetendo  più  volte  quell'evoluzione  in  tre  tempi. 

Sotto  le  logge  la  voce  acuta  d'un  invisibile  ean- 
colle  brusche  interruzioni  e  le  brusche  riprese 
a   sua    preghiera,   regola    l'azione  d'una   schiera 
di  oranti,  moventesi  come  un  sol  uomo. 

In  quella  quiete  —  per  contrasto  —  sorge  allora 
in  me  la  lucida  visione  del  dramma  svoltosi  nel 
1453.  quando  dall'alto  della  rifulgente  basilica  di 
Giustiniano,  riboccante  di  cristiani  sbigottiti,  tutti 
gli  sguardi  erano  intenti,  in  una  ansietà  tremenda, 
-  1  marcia  delle  colonne  mussulmane. 
preceduta  dal  fumo  degli  incendi. 

Nei   cristiani   era   fermo  il   convincimento  che  al 
momenti    supremo  si  sarebbe  manifestato  un  mira- 
colo, per  cui  gli  infedeli,  stupefatti,  non  avrebbero 
ti  i-care  al   maggior  tempio  di    Bisanzio. 

Oh  !  come  i  colpi  di  scure  devono  aver  risuonato 

j!    Veniente    sulle   grandi    porte    di    bronzo   e    di 
quali  gridi  di  spavento  e  di  raccapriccio  echeggia- 
le maestose  vòlte  all'irruzione  delle  orde  mus- 
sulmane,  prima   attonite  davanti   a  tanto  splendore 
il  e  di  marmi,  poi  infunanti  al  saccheggio  e  al 
massacri  ! 

Ancor  dura  sotto  le  logge  lo  spettacolo  dei  devoti 
riprese  della  preghiera  dell'invisibile  cantore. 

Quella  voce  di  falsetto,  lamentevole  e  monotona, 
esercitantisi  alle  brusche  interruzioni  e  alle  brusche 
ha  pure  un  certo  fascino. 

Non  potendo  avvicinarmi  durante  la  preghiera. 
per  una  rampa  interna  trovo  modo  di  riuscire  sopra 
la  massa  orante. 

Il  cantore  non  è  visibile  neppure  da  quella  tri- 
buna, ma  nella  penombra  in  cui  mi  trovo  posso  os- 
servare a  mio  agio  tutti  quegli  uomini,  volti  nella 
direzione  della  Mecca  e  illuminati  in  pieno  dai 
Gnestroni  della  navata. 

E     ime     s  che    più    non    dimenticherò! 

Ritti  colle  palme  alzate,  o  bocconi  colle  vene  delle 
tempie  turgide,  il  loro  essere  spira  l'estasi,  l'an- 
nientamento assoluto.  Gli  occhi  sono  dilatati  e  fissi 
le  a  qualche  a  sa  .il  di  là,  in  un  mi  ndi  1  he  non 
è  il  n> 

I  cani. 

Protetti  dalla  benevolenza  de!  turco,  i  cani  vi- 
vono liberamente  a  centinaia  sulla  strada,  ove  man- 
giarti 1.  donnoin    e  si  ripn    lu 

Dall'ambiente    mussulmano    sembra    abbiati,     as- 

bito   l'accidia  e   il   fatalismi.   Sonnecchianti   sui 

marciapiedi  e   fin   sulla   soglia   delle  botteghe,   non 


971 

<i   scuotono  né  socchiudono  gli  occhi   camminando 

■litio   fino  a  rasentarne  il   pel 

Il  cocchiere  turco  se  s'imbatte  in  un  cane  addi  1 
mentalo  nel  bel  mezzo  della  strada,  preferisce  non 
scomodarlo.    Se   ciò   non    gli  è    possibile,   allora   gli 
lancia    un    rauco   grido,    modo    d'intendersi    fra    il 
turco  e  il  cane. 

Siilhi  soglia  di  macellerie  si  vedono  talvolta  dei 
dalle  costole  eloquenti  per  fame  cronica,  in 
estasi  davanti  a  quarti  sanguinolenti  di  monton 
a  un  palmo  del  lon  muso,  senza  che  alcuno  s'at- 
tuiti di  cacciarvi  il  dente.  Guai  per  [uella  carni1 
si  staccasse  dagli  uncini,  giacché  allora  li  vedreste 
disputarsela  con  ferocissimo  impeto! 

Misoneista  come  tutti  i  cani,  il  cane  turco  tiene 
al  suo  quartiere.  Guai  a  quegli  che  per  fame  o  per 
più  nobili  appetiti  si  spinge  oltre  il  suo  contine! 
Gli  articoli  del  taciti  iccoi  lo  gli  saranno  ribaditi 
nel  vivo  delle  carni  a  colpi  di  mascelle. 

Uno  specimen  di  giustizia  canina  ha  sempre  il 
lati  buffo.  Giacche  i  turchi  accorrono  chi  versando 
-  1  1  hie  d'acqua  sul  viluppo  dei  cani  infuriati,  chi 
tirandoli  perla  coda  dolcemente,  per  non  far  male, 
chi  premendo  col  bastone  leggermente  là  dovè  mor- 
dono i  demi  degli  assalitori,  coinè   faci  -s  ;      l<  re   ti 

V   1  letico. 

Attraverso  Stambùl. 

Una  mattina,  in  vena  di  girar  alla  ventura,  m'in- 
camminai lungo  la  ferrovia  per  Adrianopoli.  facen- 
di  ■  punte  qua  e  là. 

La  linea  costeggia  da  una  parte  il  mar  di  Mar- 
mara.  dall'altra  le  case,  le  mura,  le  moschee  di 
Stambùl.  Passa  sulle  mine  della  vecchia  Bisanzii  . 
mettendo  a  nudo  le  grandiose  volte  sotterranee  del 
palazzo  di  Giustiniano  e  attraversa  in  pieno  i  giar- 
dini del  Serraglio,  non  più  dimora  dei  Sultani  dopo 
la  rivolta  dei  giannizzeri. 

Oh  !  quei  giardini,  in  una  delle  più  ridenti  posi- 
1    del   mondo,   di   quanti    foschi   drammi  fui 
testimoni!  Che  aria  sinistra  su  quelle  zi  Ile! 

Fatta  una  sosta  a  Santa  Sofia  minore,  m'avvio 
pel  dedalo  dei  vicedetti,  che  mi  ricordano  col  loro 
rigiro  e  il  loro  incanto  le  cali/  di  Venezia. 

Dappertutto  case  di  legno,   le  [iurte  chiuse  1     1 
besoate.  le  finestre  a  graticci,  e  un'aria  di  silenzio 
i-  di  misteri  . 

Ci  nili  ombrosi  in  cui  dei  pezzenti  sono  occupa- 
tissimi a  far  niente,  0  piazzette  solitarie,  deliziose 
di  verde,  ove  sonnecchia  qualche  vecchio  col  becchi- 
ni -lei  narghilè  Ita  le  dita.  Poi  ad  un  largo,  la  vi- 
sta del  mar  di  Mannara  inourvaiilesi  lungo  la  linea 
frastagliata  di  Stambùl.  e  lo  sfondo  della  riva  asia- 
tica morente  in  una  dolcezza  infinita  di  tinte. 

l'iii  m'inoltro  e  vieppiù  cresce  l'incanto.  La  stra- 
na città  appare  là  nel  suo  vero  aspetto:    un   labi 
tmto  .li  formicai  umani,  di  rovine,  solitudini. 

Qui  la  massa  cupa  di  alti  cipressi  scendenti  in- 
colonnati da  un'altura  iti  cippi  e  pietre  sepolcrali; 
là  un  crocicchio  di  strade  in  'iti  la  città  spiega  tini.. 
la  sua  anima/  d'un  vicoletto  dal- 

le case  mute,  le  cui  finestre  lasciano  talvolta  ti 


LA    LETI  i  l:  A 


neri  eli- 
di munii  l'immensità  ■<■ 

Stambùl. 
l  »  i  ■  cipita  :  or  è  una  boc- 
spira    nella    solitudine   della 
più  in  là,  eccoci  nel  l  rambusto 
inde  artei ia,  nel  sui i  pulsaj  più  \ ivo. 

..  caffè  ture;. 

gami»    inerì  i  iate  sui  dh  ani,  dei  turchi 

si    in-  slamili  immobili  i   sileiv 

Sp  avolini  gii  mali  turchi  e  greci,  | 

tazze  |k-I  caffè,  in  terra  rosso  scura, 

allineati  lungo  li  pareti  o  disseminati  dei  narghilè 

i  ili  metallo  damasi  alo,  o  i  tubetti  a) 

Ili  i    svolti  rumi-  serpi  sui  dh  ani. 

I     là  un'accolta  ili  gente 'bizzarra,  dall'hamol  al 
porti  qua,   dall'astuto  saraf  al   vecchio  fa- 

li  ì  l'.i/.u  i Ielle  a i 
Mi  i  silenzio  si  ode  distinta  liar  l'ac- 

ju.i  nei  i  l    fumatori,  in  una  completa  ina- 

lila, si    m    stanno  assi. ni  i   o  noe  intenti  a  una 
ih    suscitata  in  loro  dal  narcol  io  •. 
l'i;  ii  turbante,  evoca  vivamente 

biltà  ilei  lineamenti  dei  patriarchi  biblici.  Ai- 
tila quadratura  possente,  con  nasi   a 
dunchi,  occhi  i  irientali    neri    è   bianchi, 

Ila     [«rumili  ira    ili     11:1  ";i>  ■■  |i  i.»  - 

Ap]  1  '   caffettiere  m'offre  una  tazza 

deli    osi    aroma   e  insieme  l'immancabile  nar- 
i  lacco  dolce  e  odorante. 
Il  narghilè  mi  tenta.  Ma  l'arte  ili  adoperarlo  non 
iile  a  tutti.    lVr  quanto  cerchi   ili   imitare 
Stanti,   non   so  tuttavia  far  ben   gorgogliar  Tar- 
lila,  né   trarre   le  lunghe  e   sottili    lux-rate,    ch'è   un 
degli   iniziati.    E   nel   vano  tentativi,  sento 
un  alla  ti     1  .    fumo  del  narcotico,  sì  che  re- 
puto prudente  fermarmi  a  quel   primo  saggio. 
l  i.a   fuggevole   increspatura   ilelle  labbra,   sin./ 
.11.  appare  sul  volto  del  vecchio  bar- 


Ma  l'Incanti  più  in  là,  inafferrabile, 

con  una  vii  lenza  nui  1.1  di  profili,  in  una  gamma  in- 
concepibile ili   si  111        1  ' 

Sulla  mia  si  rada  si   e.  \  icendaro 

ti  Ito  ricurvo,   in     til 

dalle  mirabili  inferriate,  da  cui  s'indovinam       sai 
di  i-.n in  mires  e  ,Ii  trine,  e  eimiteri 
e  mi  si 

Piccoli   cimiteri,    in  cui    le  galline  razzolano    - 
le  tomb  ini  si  scalda™  1  al  sol 

app.  si  fra   dui     cip  cciolai  nonti  mi 

scui  ial  i  1   sanguini  li  m  i. 

Mi  si  hee   'li   marmo,  di    pietra     urai  tira,   1 

■  ni  fianco,  vigili  sentinelle,  si  partono  in  uno  - 
CÌO   filiforme   i   minai.  1  i, 

Minareti  enormi   o   lillipuziani,    minai  di   •> 

poligonali,   a   faccii    piane,    a  nervature,  a  scanella- 
ture  con  tino,  due  u  tre  giri  r li  balconata   la\ 
.1   stalatt  iti  0  I  rali  irata    a   giurilo. 

Sottile  come   il   gamba   d'un    fiore   sbocciato   nei 
caldi    meriggi,    il    minareto  s'erge   sul    suo  stelo   a 

unb 1  ni  'li  ini!  ini  anto  dei  cieli  meridionali,  al 

ni   sorris     sembra     u        lubilmei 

La  squisita  creazione  .'■  integrata   dalla    presenza 
del  muezzin,  che  vi  fa  ufficio  di  campana. 

Quel   giorno   nell'ora   imminente  della    preghiera, 
trovandomi  davanti  a  una  moschea,   me  da 
siili    al   nuovo  spettacolo.   La  strada  .   le 

case  chiuse  e  unite  ci  me  ti imbi . 

Io  guardo  in  su  verso  la  balconata  del  minar 
come   lo  consente   l'insostenibile  chiarità    del    cielo, 
seguendo  a  intervalli  la  freccia  dell'orologio.  Qu 
d'ecco  apparire    sulla    loggia   esterna,  come    per    lo 
seatto  ili  una  molla,  un  bianco  muezzin.  Con  passo 
d'automa  egli  si  muove  lungo  la  galli  ria,  e  ron 
acuta,  gutturale,  una  voce  indimenticabile  che  sem- 
bra  veniie  da  lontane   regioni,   lancio  nello  spazio 
il   grillo  sacrami  male  dell  islam. 

La  sua  voce  si  perde  nelle  lontanane    -  nza 
gliare  alcuna  eco.   anzi   imprimendo  un  rilievo  stra- 
ordinario  al    silenzio    circostanti.     \la    il     muezzin 
continua  impassibile  il  suo  giro.  t.  ai  quattro  punti 
dell'orizzonte   fa   risuonare   la  formula  suggestiva: 

l<i    Allah!    Il    Allah!    011    Mohammcd    rafani 
Allah! 


Lungo  il  C;rno  d'Or;. 

All'indomani   un'i  ornata   di   allegro   va 

idaggio  attravei       Oun-Kapan,    Fanar,    Balata, 

ita  pii  na  di  dolci  emozioni,  la  calda 

nata  di   n  n   u lo   'li   tur- 

chesia,  l'anima  pi.  na  di  sogni  e  di  canti! 

Lontano,  lun 
1  Ini  1  1  riusi,    palazzi 

in.   verdi  cupo, 

ni.  tutto  uno  smaglio  di  tinte,  uro    sbarbaglio 
di  colori,  riflessi  nel  man  nuli    parvenze. 

Mi  avvicini  ed  ecco  sva 

miei   occhi   degli   orti 

rollanti 

nel  silen 


I  muraglioni  li  montagna. 

!    0    sull'orizzonte  una  linea  sterminata  ■■    pi  ten- 
ie;  un  triplice  ordine    li  mura  minaccia  il  pia 
si    rizza   sulle  alture  saldi,  ci  me  una    rupe. 

osseci  ndando  li   accidi  ntalità  del  tern  in  1 
midabile  rilievi  .  i  muragli)  ni  di  mi  n 
gono  dalli    mi    et  n    di    Vnema    il    I 

I    Ilo    delle    .Sette    T.    Ili    ili    Ulta     sUcccSsinne    (lì    i|ll.l- 

dri  mirabili    al  nn  impallidiscono  le  più 

1  elle   visioni    d'altre   mine. 

Sulle   mure   interne    levansi,   a    regolari  distanze, 
un    torri    quadrangolari,    ali  1 
altre  lacerate  da  cima  a   fondo.    Le  torri   rotonde, 

sulle  inni  imi.  in   l'urto  degli 

assali         1     ono  in  un  a  rimasso  di  ruii 

Maceri)    colossali    ingombrano    le    piattaforme  e 


ATTORNO    A    STAMB1  1. 


973 


Colmano  il  fossato,  mettendo  a  nudo  il  terriccio  del- 
le o  rtine.  La  vegetazione  cupa,  irrompente  1 
deri,  vi  aggiunge  una  vigorosa  nota  silvana. 

Un  non  so  che  di  tragico,  di  arcano  vi  i  s<  pra 
diffuso:  il  Tempo  ha  compiuto  il  miracolo  depo- 
nendovi rimpercettibile  suo  velo  magico. 

1  >h  !  come  stavolta  la  realtà  soverchia  il  sogno, 
questa  che  'le!  sogno  ha  tutta  la  inconcepibile  e 
fantastica   linea  ! 

E   tutto   rievoca   l'antica    Bisanzio:    i   resti   delle 
e  delle  torri,  la   frantumata  linea  del U    o  r 
tinr.   le   I  reccii    aperte  negli  assalti  e  tuttora  visi- 
bili. In  alcuni  punti  la  mina  è  sì  vasta  e  tremenda 
da  dar  l'impressione  viva  che  pochi  anni,  non 
ci  dividano  dall'ultimo  e  memorabile  assedio. 

E  qui  che  tuonò  il  mastodontici  pezzo  'li  tir 
■ani  .  servito  da  quattrocento  artiglieri  ;  per  di  qui 
passarono  in  una  notte  ottanta  galere,  trascinate  a 
■Taccia  e  tragittate  cosi  per  via  'li  terra  dalla  baia 
di  Besci-tass  a  quella  di  Kassim-Pascià  ! 
Qui,    su   queste    zolle  or    occupate    da    cin 

no   li    a  un'ora   'lei   mattino,   il    29   maggio 
1,;;.   diede  l'assalto  decisivo,   sanguinosissimo. 

Oh!  l'urto  tremendo  'li  quelle  orde  fanatiche,  in- 
fervorate 'lai  ilervis  e  sospinte  a  nerbate  dagli 
sciaù  ! 

E  dietro  esse,  sacrificate  come  '.une  ila  cannone 
per  colmare    i    fossati   e   predisporre   la   scalata,    il 
migìil  co  e  pauroso  spettacolo  del  grosso  dell'eser- 
maomettano,    il    iure   'Iella    gioventù    asiatica, 
ranle  ili  vita  e  di   ferocia,   in   fremente  atti 
ilei   comando   del    Gran    Signore   per    avyentarsi   al- 
ito. 
Fu  il   cozzo  di   due  civiltà,   di   due  mondi,    rigi - 
l'uno,    l'altro  decrepita  una   crudele   e 

.  idenziale  legge  della  vita  trapiantava  nuovi  e 

Iisenti  germogli  la  dovi    la  pianta  uomo  era 

I  iervia  rouia'i  ^urlanti}. 

Uno  ad  uno.   lentamente,  entrano   i   dervis  nella 
-ala  e  fatto  il  baciamano  all'iman,  seduto  al  mih- 
rab,  si  accoccolano  su  pelliceie  di  cane  stese  nel  re- 
che  li  divide  dal  pul  Mìe,  .  Alcuni  parlano  si  I 
■  e.  altri  se  ne  stane  Min 

rdo  d'intelligen.  mi. 

:  tekké  dei  dervis  nti)  a    Baka- 

n'era  s      nate  un  dubbio  sulla  sincerità  di 
cerimonie,  quantunque  a.  tutta   prima  inai   sa 
gare  la  sorprendente  loro   resistenza   nelle 
■  ni.   il  tri  nei     i-retn-  e   le  braccia   ;rri- 
.  senza  il  concorso  d'un  esaltamento  psid 
l 'r  qui  a  Somari,  nel  tekké  dei  dervis  roufài,  s  ti 
re.  a  quei   preliminari,   gli  stessi    Si  sp- 
ando la  sala  è  piena,  l'iman,  un  bruno  es 
ed  emaciato,  comincia  a  pai  al  mihrab. 

La   predica  è  per  me  lunga,   mi  ni  ti  na.   ni  n   riu- 

ad  afferrare   nella    sua    discorsa  che   le    ; 

«Mohammed  Allah»  iterate  stucchevi 

1      guardo  i  iman,  i  cui   occhi   neri    sfavillano  e 

il  aii  gesto,   prima  grave  e  misura  a   vivace 

e  incisivo;  guardo  i  dervis  seduti  all'intorno  sulle 


[lelliecie  di   cane   nella    solenne   immobilità   che   un 
leto   degli    orientali,    quell'immobilità   in    cui    i 
muscoli  sembrano  tesi  come  un  arco,  pronti  a  scal 
tare;   ed  ho  l'acuta   percezione  d'essere  completa 
mente  estraneo  al   loro  mondo  di   sensazioni 

Finita  la  predica,  un  movimento  si  fa  tra  i  der- 
vis: quattro  si  dispongono  in  mezzo  al  recinto,  al- 
tri in  fila  sul  fondo,  mila  fronte  rivolta  al  mihrab, 
e  i  rimanenti  qua  e  là.  in  piedi,  e -me  se  assistes- 

s  I 

Uno  di  questi  ultimi,  giovanissimo,  che  si  ferma 
'lavanti  a  me  sì  da  togliermi  la  vista  della  sala. 
vien  scostato  da  un  anziano.  L'atto  cortese  mi  con- 
ferma nel  sospetto:  se  fossero  sinceri  in  ciò  che 
Ianni,  si  occuperebbero  essi  del  pubblico? 
E   la  cerimonia  incomincia. 

Una  nenia  dolce,  monotona,  sorge  come  per  in- 
anto  e  si  espande  nella  sala:  si  direbbero  le  modu- 
lazioni di  un  flauto  sulle  note  gravi  dei  tarboukas. 
L'no  dei  quattro  dervis  seduti  nel  mezzo,  una 
I  accia  violenta  e  furbesca,  con  voce  acuta,  guttu- 
rale, la  voce  indimenticabile  dei  muezzin,  comincia 
a  cantare,  alternando  cogli  altri  tre.  questi  in  tono 
più  basso. 

Movesi  al  canto  come  un  sol  uomo  la  lunga  schie- 
ra seduta  in  fondo  alla  sala,  piegandosi  avanti  e 
indietro  con  oscillazione  ritmica  incessante  e  fa- 
cendo ci  ro,  ad  ogni  oscillazione,  con  una  laude  ad 
Allah. 

Continua  la  nenia,  monotona,  opprimerne;    con 
tinua  l'alternato  canto  dei  quattro  dervis  o  n  ripre 
se  a  voce   più   alta,  continua    il    moto   oscillati 
della  schiera  con  pausate  laudi  ad  Allah. 

Ciò  dura  ormai  da  un'ora,  né  accenna  a  cambiare, 
lilialmente,    quando    i    nervi    degli    astanti    sono 
sauriti,  eco    la  schiera  levarsi  in  p  , .  la  can- 

tilena mutare  d'intensità. 

I  ufo   1  r   si    sv  1  ilge   in    un    I  le 

voci   dei   cumauti   sono  più  vivaci  e  penetranti;  il 
movimento  della   schiera    più   rapido   e   complica 
si  direbbe  la  risultante  del  moto  oscillatorio  'li   pri 
combinati    con  un   movimento  semirotatorio,   sì 
che  il  tronco  e  le  spalle  torconsi  in  modo  singolare 
■    indescrivibile. 

Gli  altri  dervis.  disseminati  nel  recinto,  si  as 
al    movimento  e   al  coro;    l'iman   sti 
ompagna  vivamente  dal  mihrab. 
Tutta   la  sala  ra    ri    preda    a    un    mi 

ritmico,  accelerato;  per  un  po' che  dui 
gini. 
S'ella    si  hii  ra,   sotti     l'incitar  5,   i 

1  si  piegano  in  cadenza  icio: 

ssi  un  gì.  obeso  ' 

maccione  si  iù  zelanti. 

I  lantunque  or  più  animato,  a  lun- 

tnca.  Ond'è  ch'il  1  trovo  più  p 
nella   contempla/ione    di    alcuni    catafalchi,    di    cui 
ho  in  iscorcio  la  lieta  prospettiva  del  vano  di  un'al 
tra  sala. 

Ma   l'indugio  ;■  breve.    Nel 
gutturali,  ecco  sorgere  repente  un  gridi 
si   propaga  per  contagio:   da  tutti  quei   petti  chi 


974  LA  '■'  ri  '  R A 

-i  piegano  su  i  aden  un  grido 

un  r 
Rabbrividisco  nel  mir.ir  hi  trasformazione  'li  quei 
•  mi  sono  convulsi!  gli  occhi  brilla» 
d'un  fuoco  interiore,  un'occulta   Eorza  ossessiona  i 
insieme  -  i  curvarti    e  ai  rialza» 
erbe  sotto  un  vento  'li  tempesta. 
In  tale  mutamento  il   fondo  della  loro  anima  è 

ritorni  tangibili.   Upo 

uei   in.  nari  mussulmani    brutti    durante   il   ri- 
sembra  gurato  Gli  occhi  fulgidi,  La 

diosa,  tini,    in  lui  parla  un  accento  'li  ie- 
ratica nobiltà.  Altri,  le  vene  gonfie,   le  gì 

i  corpo  fremente,  danno  la  lucida  vi- 
sioni- della  fai  iza  dell'islamismo. 

Il  pubblica  guarda  <  ra  muto  e  serio,  le  sigro  re 

vini  .  'l'iuta  quella  massa  torta  e  pie- 

u   un  sol  uomo,  continua  nel  moto  rìtmio  . 

o  ad  .  gni  slancio  il  terribile  Allah  hoù  ci  n 

un  crescendo  paun  si  , 

L'iman,  che  nella  sua  esilità  rivela  muscoli  d'ac- 
Jla  testa  della  schiera.  Collo  sguardo, 
Dall'esempio  incita  i  devoti,  segnando  il  tempo  còl 
piede  '•  avanzando  sul   fronte  della   fila  e  insieme 
piegandosi   e   rialzandosi    ron    incredibile   elasticità. 
'nti       un'oppressione,   un'ansia:    un   o- 
<i  isviluppa  da  tutti  quei  corpi 
in  un  vimenti  .  da  quei  visi  lividi  r  decomposti,  nie- 
nti  di   sudore,  e  sulle  cui  labbra   spumeggia  la 
bava  degli  epilettici. 
Le  voci  diventano  fioche,  languidi  i  movimenti: 

lar  più  in  là. 
Allora    l'iman   si  toglie   la   sottoveste  e  cacciai'  si 
nella  schiera,  fra  i  devoti,  con  impeto  la  scuote  e 
ina  nella  vii  lenza  d'un  ritmo  vertiginoso. 
h    una    ripresa    formidabile.    I   torsi    si   drizzano 
nell'irrigidimento  dei  muscoli,  i  visi  si  contraggono 
l*-r  lo  spasimo  nel  supremo  sforzo,  ansano  i  petti, 
l'urlo  inartici  lati    non  ha  più  nulla  di  umano. 
E    un  urlo  i"  I    in. il-  si  fondono  i  gridi  di  invo- 
ne  e  di  rabbia,   la   frenesia  dell'estasi,   il   ran- 
tolo di  \i 'luti.  ute. 

!      spettacolo  è  talmente  suggestivo  da  muovere 
gli  astimi  ad  oscillare  in  piena  inciiscienza.  a  tem- 
po di  ritmo,  b.  stesso,  inconsapevolmente  domili 
mi   trovo  a  oscillare  cogli   altri. 

Con  febbri!  il  moto  continua,  continua, 

e  sembra  non  debba  più  finire. 

ne,  che  non  pujb  più  reggere,  è  tenuto 
a  braccia  dai  compagni  e  sospinto  come  inerte  mole 
i  bbri  trabalzi,  e  piange  e  urla  insieme.  Fram- 
mezzo alle  urla,    lei    si  spiri   d'una  tristezza  pr  fi  n- 
da,  che  fanno  venire  i  brividi. 

Il  moto  va  '  ra  diminuei   I     d'intensità   e  linal- 
menl  I  ■  unni      solo  ci  n  ncora    por 

qualche  istante,  a  guisa  di  automa  cui  non  s 

l'n  dei  '  gge  a  una  colonna, 

nvulsivi. 

Allora  ha   luogo  l'ultima   pan.    della  cerimonia 

\i  1  lato  sgombro  della  sala,  versi    il  mihrab,  i  di 

'  .  sdraiandosi  in  lila.  I" co  ni.  \  i  som 

uomini    d'ogni  inzionarf,    ufficiali,    bambini. 


qiest'ull presi    dalle   braccia   delle    madri    e   alli- 

pei  terra 
L'ima  i  i.  cammina  sui  corpi,  premete 

do  o  1  piede  ed  eccitando  colla   pressione  il  pianto 

l 'ini. 

La  fede  insegna  che  ciò  li  guarirà  dai  mali  tisici 
e  mordi... 

Il  cimitero  di  Scutari  CBouyouk-Mó- 
zaristan). 

Su  terreno  montuoso,  il  cimiteri  di  Scutari  (uno 
dei  più  vasti  e  popolati  dell'Oriente)  si  preannun- 
cia all'orizzonte  colla  massa  cupa  e  dentellata  de' 
suoi  cipri  SSÌ. 

Ho  tuttora  negli  '«chi  la  visi  llezza  mae- 

stosa e  serena  del  luogo:   vi  si  respira  la  pan-  pr.- 
fonda,   si   è   penetrali   di   quella  'alma  dolcezza 
e  tutta  del  sentimento  turco  sulla  morte. 

Non  è  un  sentimento  triste,  quasi  d'orrore, 
da   noi,  che  releghiamo  i  nostri   morti  in  luoghi 
serti,  evitati  di  notte  come  sinistri. 

I  cimiteri  mussulmani,  in  granile  venera/ione,  so- 
no anche  luoghi  di  amena  passeggiata. 

Orientate  verso  la  Mecca,  li  no  indicate 

da  due  alti  i  ippi,  posti  alla  testa  e  ai  piedi  del  de- 
funto,   foggiati   a   guisa   di    sottile   colonnetta   i 
nata  da  un  turbante  per  gli  uomini,  da  un  fé: 
fanciulli  e  per  le  donne  da  una  palma  o  da  un  maz- 
1   in  il  scolpiti  nella  pietra. 

Sulle  tombe  dei  ricchi  i  cippi  sono  di  marmo,  lar- 
ghi e  coperti   di    iscrizioni.    Fra  essi   vien   deposta 
una  lastra,  egualmente  di  numi",  con  un  incavo  nel 
mezzo  in  cui   i   parenti    metti  no   fii  ri.   latte  o  pn 
lumi. 

Alla  testa  della  fossa  vien  praticato  un  foro  in 
ci  [rispondenza  all'orecchio  del  defunto,  perchè  pos- 
sa sentire  il  pianto  e  la  nenia  dei  congiunti. 

Sulle  ti  in!  e   s.  in     piantati    dei    cipressi.    Perciò 
ogni  albero  ritto  ha  un  mi  rto  sotto.  Coll'andar  ilei 
tini])'-   i   cimiteri   diventano  boschi.    Quello  di    - 
tari,  il  cui  suolii  ;•  sacro  per  gli  orti  di  ssi,  è  un 
sco  immenso, 

\el  soleggiato  pomeriggio  con  viva  compi; 
mi   inoltro  nel   verde  e  nell'ombra.   E'   nell'aria  un 
acuto  profumo  di  resina,    l'ir  viottoli  cammino 
folto,  imbattendi  mi  in  qualche  turco  meditai* 
od  addi  uni  ut. ito.  l'n  numero  straborchevi 
pi  abbattuti  ed  altri  ritti  in  tutte  le  posizioni   I 
della  verticale,  attestano  l'antichità  del  lu  _ 
sieme  il  I  nti    ci  di  r  del  terreno  per  lo  sfai 
della  base. 

Innanzi   a   un  chiosco   recente  un   vecchio  in  tur- 
bante,   per    nulla    disturbato    dalla    mia    presi 
patl.i  ad  alia  voce,  tutti    si  !   .   fumando  a  pae- 
sini chibouck.    l'aria,    palla,  con  gesto  leu 
rompendosi  per  attendere   la    risposta   del  mori 
ripigliando  quasiché  il  mi  rto  l'avesse  data. 
l'in  m'addentri    e  più  stupisco  n<-l  mirai 
lupp. .  e  il  colorito  di  quei  cipi 

1  ).il  vi  rde  cupi  >,  vigi  il  vi  rde  chian  . 

i  ■  .    tutta    la   gamma   di  1   ci  ilore  è    là    r.q  pi 
(ìli  alberi  in  fondo  sono  velati  duna  sfumi 


ATTORNO    A    STAMB1  L 


975 


la.  Ve  ne  sono  di  chiomati  da  cima  a  tonilo,  altri 
nudi  line  a  mezzo  il  tronco  con  fuor  dalla  terra 
radici  mostrili 

Tutti  hanno  una  tisonomia  e  un  accento  parti- 
colare: si  direi. lie  che  coi  materiali  delle  spoglie  si 
si.in  trasfusi  in  essi  l'animo  e  le  passi<  ni  del  defun- 
ti :  ve  ne  sono  di  baldi  che  irrompono  nel  cielo 
coll'immensa  loro  massa  conica;  altri  molestanti 
i  vicini,  i  rami  contorti  in  un  vigorosi  yel t .  >  late- 
rale; altri  nani,  tutto  muscoli  e  bitorzoli;  e  altri 
ancora  che  nella  sete  del  sole  non  osan  farsi 
largo  fra  l'intrico  delle  fronde  onde  sono  svi- 
luppati. 

Qui  un  solitario,  maestoso  e  meditabondo  ;  là  un 
gruppo  di  spensierati  che,  dritti  e  leggeri  nel  loro 
quieto  rameggio,  cullatisi  nella  dolce  contempla- 
zione dell'azzurro;  più  oltre  un  cipresso  consunto 
e  inaridito  come  di  passione,  i  bronci]  o  ungati  da 
nodosità  aspre  e  violente. 

E'  nel  bosco  una  gaia  animazii  ne,  un  incessante 
fruscio  d'ali:    ai   bacini   delle  lastre  marmoree  dei 

ombi  bevono  a  piccoli  sorsi,  gonfiando  il  collo 
delicato;  altri  guazzano  festosamente,  spruzzando 
l'acqua  alfingiro.  o  si  asciugano  al  sole  in  una 
immobilità  spirante  1  riessere. 

Numerose  coppie  tubano,  il  maschio  con  continui 
rigiri  ed  inchini,  la  femmina  ini(x-ttita  e  seansan- 
tesi  come  una  damina  civettuola. 

0  -1  da  una  parte  il  supremo  nihil,  la  mone. 
dall'altra  la  suprema  manifestazione  della  vita, 
laniere:  ancora  una  volta,  in  quest'antitesi,  la  na- 
tura tradisce  l'implacabilità  del  suo  piano  misterio- 
S  .  mui  vendo  gli  esseri,  incoscienti  fantocci,  a'  suoi 
fini. 

E'  credenza  dei   turchi  che  i   morti   soffrono   fin- 
ché non  sono  resi  alla  terra,  la  gran  madre.  Epperò 
i    cadaveri,    tosto    impartite    le    abluzioni    lustrali, 
a  no  portati  al  cimitero  a  passo  di  corsa  e  pronta 
mente  coperti  di  un  pugno  di  terra. 

Allora  l'iman  interroga  il  defunto  sui  principali 
articoli  di  fede  del  Corano,  e  il  suo  silenzio  viene 
interpretato  come  un  assentimento.  Gli  astanti  ri- 
spondono «  Amin  »  .  dopodiché  il  corteo  si  di- 
sperde. 

Il  Selamlik. 

Due  ore  avanti  la  cerimonia  del  Selamlik.  il  pa- 
diglione degli  ambasciatori  rigurgita  d'una  fi  Ila 
>ea.  avida  di  assistere  al  passaggio  del  Sul- 
tano, recantesi  da  Yldiz-Kiosk  alla  moschea  Ha- 
miiìie  per  la  preghiera  del  Venerdì. 

A  custodia  delle  finestre  starmi  alcuni  funzionari 
turchi,  silenziosi  ed  immobili.  Proibizione  assoluta 
di  sporgere  il  capo,  di  valersi  di  binocci  li  e  tanto 
meno  adoperar  macchine  fotografiche,  essendo  in- 
terdetta dal  ("orano  la  riproduzione  della  figura 
umana. 

Incomincia  lo  sfilamento  delle  truppe:  preceduta 
dalle  fanfare  e  dalle  bandiere  colla  mezzaluna  pas- 
sa l'infanteria,  passano  i  festi-zouhafi  (o  I  fez),  i 
marinai  in  nero  con  gran  colletti  turchini,  i  lan- 
cieri e  infine  la  truppa  scelta,  i  sarygly-souhafi  (col 


turbante  verdi  .  1  di  pi  ilcune  evoluzioni  si  schie- 
in  triplice  fila,  chiudendo  ermeticamente  gli 
>bo  chi. 

Sono  bei  soldati,  alti,  muscolosi;  ma  l'uniforme 
con  ha  ampiezza,  né  smaglio:  quelle  linee  rigide. 
quei  colori  monotoni  accusano  i  frequenti  contatti 
coll'Occidf  nte. 

Degli  spazzini  sono  in  moto  .1  scopare  e  a  sparger 
sabbia,  mentre  altri  spazzolano  i  soldati  della  pri- 
ma linea,  immobili  anche  in  tale  opera/ione. 

Arrivano,  alla  spicciolata,  i  grandi  dignitari,  se- 
guiti dalle  ordinanze  recanti  \ aligie  colle  insegne 
e  gli  uniformi  di  ricambio.  Quante  pance  fra  quei 
pa      à  dalla   faccia  più  tedesca   ohe  turca! 

h  mezzodì,  e  tutti  gli  sguardi  sono  intenti  a 
Yldiz-Kiosk.  N'el  padiglione,  malgrado  il  caldo, 
nessuno  dei  turchi  si  leva  il  fez  essendo  ai  loro 
occhi  sconveniente  stare  in  pubblico  a  testa  sco- 
perta. 

Precedute  dal  grande  eunuco  nero  e  scortate  da 
altri  eunuchi  cavalcanti  agli  sportelli,  passano  in 
carrozze  chiuse  le  sultane  e  le  odalische  dell  harem 
imperiale.  Vivissima  in  tutti  la  curiosità  di  vedere 
le  misteriosi  abitatrici  di  quell'eden,  la  cui  soglia 
è  a  tutti  interdetta.  Attraverso  il  velo  bianco  s'in- 
dovinano i  lineamenti  molto  giovanili  e  il  viso 
dipinto. 

S  gue  uno  sciame  di  pezzi  grossi,  civili  e  militari, 
0 tperl  1  i'i  deci  ras  ìi  ni. 

Una  gran  calma  e  insieme  un'intensa  aspettazio- 
ne r  ira  nel  padiglione;  le  sign<  re  sono  le  più  esi- 
genti: s'alzano,  premono,  pur  di  poter  vedere  l'uo- 
mo dal  poter  sconfin 

Le  musiche  suonano  la  marcia  turca,  un  urrà 
scoppia  improvviso  e  formidabile  fra  le  truppe  alli- 
neate. 

Preceduto  da  sfarzosi  cavas.  ecco  giungere  Hab- 
dul-Hamid,  in  cali-che  tirato  da  una  magnifica  pa- 
riglia  saura,   con  cocchieri   dalli'   livree  scintillanti. 

Se  ne  sta  in  fondo  alla  sua  carrozza,  vestito  d'una 
semplice  stambulina.  11  suo  viso  pallido,  un  po' 
emaciato,  nulla  ha  di  caratteristico  all'infuori  del 
masi    grande  e  adunco,  il  naso  di  razza. 

Quando  arriva  innanzi  al  padiglione,  chinandosi 
leggermente,  un  silenzio  mortale  si  fa  intorno  e 
passa  tv  Ilaria  un  non  so  che  di  tragico. 

Xel  riti  mi  le  carrozze  delle  odalische  sono  an- 
cora precedute  dal  grande  eunuci  1  ini.  .1  avallo. 
Habdul-Hamid  questa  volta  è  in  phaeti  n,  e  guida 
egli   stesso  una  magnifica  pariglia  bianca. 

I  corpulenti  pascià  e  gli  alti  dignitari  trotterel- 
lano appiedi  dietro  la  carrozza  in  una  gara  a  chi 
vi  si  attacca,  e  in   atto  di  protezione  e  insieme  di 

umile   dedi/ii  ne. 

Ancora  una  volta,  al  suo  passaggio,  si  fa  un  si- 
ai 

Un  tramonto  sul  Corno  d'Oi 

In  fonili  .  dietn  Evi  ub,  ;1  1  ielo  è  tutti  un  in- 
cendio: con  indi  tesso  lavorio  le  nubi  battagliano. 
crollano,    si    ricompongono    in   fantastici    accavalla- 


"7" 


LA    LETTI 


ninni,  ed  i    m  mul ai  di  uni  .  ili  luci 

h     rapido  si 
ni  purpun 
allargare  >.  in  una   cupa   m 
l.i  \  \s  ttà  della  pugna  :  il  C  i         go  ili 

li.<«  ii    n   cui   liniii.nn  .ili  ibustione.  gli 

-..ili.  dei  >.  teli    lancie.  dei 

i  ai  qua  i :  rve  in  rapide  scint ili 
Su  t  lalata  il  i  ui  ci    ascende,  ir- 

rompe in  nitidi  sprazzi  su  111        ria    ,  le  lingu 
Rami  -      il  S<  '.uni.  .  ci  iinw'.uiili    sui   lì  1 1  si 

della  ti  >rre  gen 

Il  Gran  Ponte  è  \<it  quadro  dante 


Muovonsi  fra  bagliori  sanguigni  ^'li  Immal ■  mr- 
vi  sol  i  pesi,  i  portatori  d'acqua,  i  mercanti, 

i  soldati   in  un   frammischiari  torme;    i   volti 

sono  congestionati   e   violenti:    è   una    pop 

iitn. 

Sull'opposta  riva,  già  avvolta  'li  tenebre,  levasi 
dalle  acque  Starnimi  l'immensa,  proiettandi  nel 
cielo  l'arco  dell'oscura  sua  mole  in  una  spezzatura 
'li  linee  caotica  e  sterminata.  Al  sommo  sta  la  Su- 
teimanié,    stiu.  e    tenebri  sa    all'ombra    del 

Si  raskii  ra 

rutti  nero,  misterioso,  inaccessibile  allo  sguaff 
do;  solo  i  vertici  emergono,  arresi  d'un  rosa  sfu- 
mati i.  d'una  «le ilcezza  profonda. 


CELESTINO    ROSSI. 


Santa  Sofia 


eix'autunno   de]    '95,    il    padre   di    Ve\ 
fu  traslocato  a  Torino. 

Arrivarono  di  Sicilia,  babbo,  mamma, 
Vevè  e  masserizie,  sballottati,  infranti  da  una  tra 
versata  burrascosa.  Eran  venuti  per  mare  da  Mes- 
sili.1  a  Genova,  e  la  furia  degli  elementi  li  aveva 
accompagnati  in  quel  primo  viaggio  di  gente  che 
affrontava  un  incerto  destino. 

Fummo  a  riceverli  alla  stazione.  Non  li  conosce- 
vamo affatto,  sebbene  fossimo  un  po'  parenti;  una 
parentela  lontana,  piasi  perduta,  ohe  ci  impegnava 
però  sempre  ad  occuparci  di  loro  durante  il  pe- 
riodo difficile,  nostalgie,  che  aco  mpagna  ogni  cam- 
biamento di  paese  ed  ogni  conseguente  mutar  d'abi- 
tudini. 

Mi  ricordo,  anzi,  ch'era  stato  molto  noioso  salire 
endere  qualche  dozzina  di  quarti  piani,  alla  ri- 
di quel  miracolo  che  si  chiama,  in  una  città 
come  Torino,  un  quartierino  un  po'  arioso  e  un  po' 
ridente,    per   settecento  lire  all'anno. 

Ci  sgomentava  il  pensiero  che  lo  avrebbero  tro- 
vato brutto,  immancabilmente.  Venivano  da  un  pa- 
radiso di  sole,  di  azzurro,  di  aranceti  in  fiore. 

Lei,  una   picei  la  signora  Imma,  affacciò  ai   vetri 
Lello    sportello   un    visino   stravolto.    Siciliana,    non 
.1   mai   lasciato   l'isola;    e  il   pianto,   l'ansia,    lo 
stupore,  lesi  eran   fissati  sul  volto  in  un'espressione 
bizzarra  di  sbigottimento:   solamente  gli  occhi,  due 
d'ombra,    dicevano   la   rassegnata    docilità   del 
che   segue    il    padrone,    fedelmente,    fino   alla 
morte.  Oh.  un  buon  padrone  amoroso,  a  giudicare 
chiari    sorrisi    che  apriva  due  chiostre  di  denti 
.  nel  viso  abbronzato  di  lui.  E  la  piccina.  \<  . 
1    Vi  vette,  1  iii  e  '.i  1    1  li  rata  1 1    ;    un  grappi  ili    matu- 
rato agli   ardori   di   laggiù,   li   specchiava    entrambi 
grandi  occhi  scuri  e  nel  riso  candido  che  fioriva 
improvviso  ira   le  labbra  sii  n.  -    amente. 
La  signora,    ipp  1  1   disi  lai  treno,  si  strinse 

nella  mantellina    legger; inimicò  la  sua   pri 

ma  impressioni'  penosa  : 
—  Fa  freddi  1. 
La   Lettura. 


Spiravano  dalle  Alpi  i  soffici  ottobrini  che  sono 
così  acerbi  agli  stessi  settentrionali.  I1  cieli  era  ri- 
nerognolo,  pieno  di  neve  lontana. 

-  Dacché  abbiamo   lascialo  Messina     -  riprese 

1    11  \ piemia  —  non  s'è  più  avuto  un  momento 

di  bene. 

fi  tacque,  in  attitudine  dolente,  come  non  s'aspet- 
tasse più  bene  alcuno  dalla  vita. 

franco  Franchi,  che  non  aveva  rivedute  Torino 
da  che  v'era  stato  allievo  all'Accademia  militare  e 
vi  aveva  sloggiato  le  sue  spalline  nuove  fiammanti 
di  bel  si  in  ii  inailo  '"  nquistatore,  ritrovava  con  lii  ta 
meraviglia  la  cara  città  del  tempo  gii  varale.  A  vi- 
veri laggiù,  fra  gente  chiusa  e  raccolta  nel  cerchio 
di  vecchie  tradizioni  austere,  sera  quasi  dimenti 
cato  il  cordiale  aspetto  della   capitali     piemonti 

Ed  erano  esclamazioni   continue,   richiami: 

Rosalia,  guarda,  in  fondo  a  quel  viale  ci 
stavo  io  di  casa....  Vevè,  Vevetta,  laggiù  cera  la 
scuola  di  babbo,  sai  ? 

Vevè  sgranava  certi  occhioni  stupiti  al  pensiero 
che  babbo,  un  giorno,  lussi;  andato  a  scuola;  1  si 
ridevano  in  faccia  tutti  e  due,  col  riso  muto  dei 
denti  candidi. 

Li  trovavo  carini,  i  ninni  parenti  cadutimi  dal 
cielo;  semplici,  quasi  ingenui.  Diventammo  subito 
amici. 

Per    pili    di    una    .settimana,    ne]    quartierino    che 
avevamo   presi    s   pigioni    per  loro  in  corsi    Vinza- 
glio,    fu  l'orribile  confusione  che   precede   l'assetto 
della  '  asa     \i".  ita  di  martello  1    di  o  raggii  .   ' 
della  mia  esperienza  di  zingara  nata,  venivo  sp 
in  aiuto  allo  sgomento  di  Rosalia.   Ni  n  era   proprio 
fatta,  e      ra   B     alia,  pei    |uel  mesi  ieri    di  mi 
di  militare;    le  mancavani    la  bella  serenità  gioì 
la  disinvoltura  impagabile  della  donni     l 

cai/. ire  signorilmente  il  breve  guanto  di  un  bis 

immacolato,  per  pranzare  la  sera  al  restaurant,  di 
pò  aver  lavi  rati    tutto  il  giorno  da  bravo  imballa- 
ore,  a  1  iatter  chiodi  ed  a  s\  itar  coperchi. 

Lei.  era  di  quelle  donnine  timide  ed   inconsape- 

62 


I  I 


LA    LETI  i  i   \ 


ial  :  si  m 
derai  mbiro .  \  bini 

>  vezzi  i aro  iulleschi,  t    rin>- 

I  auti irità  del  capo  'li  casa,  an- 
studente  licea 
'     ■   re  d'amore  i  d'obbedienza  che  fanno  parte 

alari  vetusti  i 
\  l  Franco  e  Vi 

\  no;  ma  il  babl  «  ■ 

piccina,  la  piccina  'li  cinque  anni,  avevani 

che  sì  largisce  agli 
ri  deboli  e  indifesi,  un  po'  inutili;  mentre, 
luti  e  fieri,  s'intendi  \  ino  tanti    fra  loro! 

libre  ci   i  lusione  di  pi  ìmavi 

i.i.  Sapendo  comi    Franco   fosse  molti    occupato  in 
quartiere,  andavo  tutti  i  giorni  a  prendere  le  'lui 

I  I   Valentin     fresco  i 

■  li    prati    per    i    piedini    infantili,   cortese   d'ombre 
■ 
Vevetta,  per  solito  taciturna  ni  buona  si- 

ciliana, usciva  pei  me  dal  su.    riserbo;  cinguettava 
'    lsI  randi    già    |ualche  gemma  pie- 


montes  ■  ni  !  sui    italian  sfu 

mature  meridionali    Rosalia  guardava  \   rso  le  Alpi. 
rabbrividendo.   \1>    lo  diceva   sempre:    pensava  alla 
che  aveva  veduto  qualche  volta,  così  'li  li 

lare  sul  cono  '!'-ll  luna,  e  che  non  poteva 
raffigurarsi  calante  a  larghe  fai  di  piane  per  sep- 
pellire tutte  le  cose.  La  neve  I  \*e  aveva  un  terrore 
puerile;  gemeva  'li  fredde  a  parlarne. 

E  venne  presto,  quell'anno,  la  neve.  Venni   ch'era 
i.i    ni  rvembre  .    vestì    'li    Inani"   la  città,    I 
di   silenzio    li    case.    N'essuno   sapeva    ancora    • 
l'annata  sarebbe  rigida;   rigida  e  crudele  ]kt 
v<  n  cuori. 

Il  7  dicembre  piombò  come  un  fulmine  sull'Italia 
rrita   la  notizia  del   disastro  d'Amba   Alagi:    il 
I  at taglione  Toselli,  il  bel  battaglione  come  lo  chia- 
mavano,    il     battaglione    eroico    era    passato    alla 
Sti  ria. 

Fu,  dapprima,  un  senso  d'angoscia  paurosa;  poi 
tra  il  vele  'ii  lagrime  e  'li  sangue,  balenarono  i  rac- 
conti  epici,  vibrò   1  eco  delle  voci  già   divenute 
genilarie.    Un'ebbrezza   <li    dolore  e  di    entusia 
i\>rse  tutta  la  penisola  come  un  soffio  agitatore, 
gonfiando  i   petti  giovanili  di  ardimento  e  «li 
sdegno:    la   vendetta,   la  vendetta!    Ma   giunge- 
vano di  laggiù   notizie  anche   più  tristi,   minac- 
ciose-   Makallè.  (ira.  c'erano  i   tran-Ili  da  sal- 
vare.   Partivano  i   tirimi   rinforzi. 

Fra  i  preparativi  febbiili  e  l'ansia  di  un 
popolo,  Rosalia  Franchi  portava  la  sua  timi- 
da inconsapevolezza.  Si  diceva  che  avrebbero 
scelto  gli  ufficiali  scapoli,  a  preferenza 
immogliati,  per  mandarli  alla  gloria  od  alla 
morte.  (Di  sconfitta,  allora,  non  si  parlava 
neppure.)  ("era  tanta  gioventù  1  il -tera  e  ar> 
chi  vibrava  di  desiderio!  Pareva  inutile  tur- 
Lare   le   fami. 

Ri  salia   avi  va   i  hii  sti  i  al  mai  iti  i.    fidui 

Tu  non  vai   n 
E  lui  aveva  risposto  evasivamente:  Fi- 

gurati!. -  •  ma  gli  luce,  ani  gli  occhi  e  narrava 
con  voce  fremente  di  compagni  che  partivano, 
sempre  il  primo  a  conoscere  le  notizie  di   lag- 

c. hìci    di    giornali,     smanii  si  .     irn   | 
s 'i  nti 

Ri  salia   -'  ra  cullata  placidamente  nella  cer- 
ti /za.      dimenticando     quasi     quella 
guerra    lontana    che   non   la 
\      sapevamo  che  il  nome  del  teneiv 

I  ra .  i  i  già  sulla  lista  di 

Ioni  tri. 

Laggiù,    cominciavano   i    primi 
guati,    li         fezioni   dei  i  api   indigeni. 
li    scaramucce  feroci  i    • 
i  nosti'     L'n'ombra  di  sconforto 

a   inv  isibile  pn  mta  a  calar  ■  sugli 
mimi.    Ma   il  tricolore,  sul    forti 
liano,    sventi  lava     ancora,     intr.  ; 
mei  te. 

-i   m\  uni 
solita,    gridando: 

—  Si 

—  Chi  Rosalia. 


Il     <  A.PPOTTINO    ÒKIG10 


979 


j'ita.   senza  capire.   I   grandi   occhi   scuri   interroga- 
vano quietamente. 

Vevetta,  in  un  canto,  aveva  drizzato  gli  orecchi 
come  un  puledro  di  sangue  che  fiuta  il  pericola 

—  C'è  che  domani  può  toccare  alla  mia....  e.... 
e  all'. tu  si  parte.  Bisogna  farsi  < 

mia  piccola  Rosa....  Si  tratta  dei  nostri,  della  ban 
diera.  E'  un  dovere  sacro!   Perchè  piangi,  ora?... 

Lente  lagrime  rigavano  le  guance  della  picce  ila 
donna  rassegnata.  Allora  il  babbo,  desolato,  chia- 
mò in  si  scorso  !a  bimba: 

—  Vevè,  Vevetta.  tu  che  sei  il  mio  bravi  solda- 
tino, che  faresti,  ili',  se  papà  dovesse  andare  alla 
guerra  ? 

I-a   bimba   spalancò   i    neri  occhioni   tante   simili 
a  quelli  di   Rosalia  ;    ma  non  ne  caddero  lagrime, 
ritardò  quel   pianto  che  grondava  silenzioso 
dagli  occhi  materni,  e  poi  rispose  gravemente: 

—  Xon  piangerei. 

Franco  partì  colle  prime  batterie.  Dalle  finestre 
della  palazzetta  che  io  abitavo  in  fondo  al  corso 
Vittorio  Emanuele  proprio  davanti  alla  caserma 
dell'artiglieria  da  montagna,  assistemmo  alla  par- 
tenza. 

Rivedo  la  lunga  fila  tortuosa  di  muletti  docili. 
di  cannoni  lucenti  e  di  begli  alti  montanari  dalle 
spalle  quadre  e  dal  viso  assorto.  Xon  vi  furono,  al- 
l'uscita, dimostrazioni  rumorose;  la  folla  aspetta- 
va alla  stazione.  Lungo  il  viale,  poca  gente  fece 
ala  rispettisamente  ;  qualche  evviva,  qualche  con- 
siglio,   [tialche  singhiozzo: 

—  Tornate  presto!  Picchiate  sodo-  e  viva  noi! 
Sempre  Italia!   Arrivederci!   Addio'... 

Vidi  cittadini  correre  dietro  ai  soldati,  agli  uffi- 
ciali, per  stringere  quelle  destre  d'ignoti;  sentii  po- 
polane gridare  ai  partenti  una  benedizione  :  le  si- 
gnore sventolavano  i  fazzoletti. 

La  guerra  d'Africa  non  lo  era  :  ma  i  soldati  che 
vanno  a  morire,  sia  pure  soltanto  per  la  bandiera. 
sempre  popolari. 

Quando  Franco  passò,  molto  pallido,  rigido  sul 
suo  morello.  Rosalia  mi  svenne  tra  le  brac- 
cia. Egli  ebbe  un  moto  disperato.  Vevette 
era  salita  furtivamente  sul  davanzale:  so- 
la, ritta  nel  vano  scuro,  scrollando  la  te- 
stolina ricciuta,  gridò  con  voce  squil- 
lante: 

—  Papà  va  alla  guerra,  e  viva  l'Italia! 
Tutti  alzarono  gli  occhi.  Nella  fila  degli 

artiglieri  corse  un  lungo  fremito. 

—  Ho  detto  bene?  —  mi  chiese,  qusn- 
do  la  strinsi  a  me.  ancor  tutta  vibrarle. 
—  Mi  ha  insegnato  papà.  E,  anche,  ha 
detto  che.  se  piango,  il  cappottino  si 
macchia  e  papà  va  in  ci  llera,  ni  n 
torna  più 

_  Allora    soltanto   mi    avvidi    che  la    pic- 
cina  indossava   un   cappottino  grigio,    al-  " 
l'artigliera.   coi   piccoli   bottoni   d'oro  fre-                \ 
giati   del   simbolo   dell'arma  e,   alle  n 
scie  del  colletto,  le  stelluccie  d'argento  ri- 
camate....  Una  sorpresa,  un  dono,  un'idea 
gentile:    l'addio  di  papà. 


-     • 


Le  finestre  di  casa  mia  come  divennero  tetre' 
Pareva  che  un  presagio  di  lutto  già  le  abbrunasse; 
parevano  segnare  il  progresso  della  desolazione  nei 
cuori. 

A  due  a  due.  le  batterie  sorteggiate  prendevano 
la  via  dell'esilio,  raggiungendo  altre  batterie,  altri 
battaglioni  offerti  con  strazio  da  ogni  città  italia- 
na. Il  reggimenti  di  Franco  si  dissolveva,  come 
un    grano'  la    un   male   insanabile. 

Vedevamo  la  vasta  caserma  ore  più  squal- 

lida; finestre  chiuse,  camerate,  scuderie  deserte.  La 
sentinella  andava  su  e  giù  battendo  nervosamente 
il  calcio  del  fucile  sul  terreno  gelato.  Il  trombet- 
i.u  .  stonava  i  segnali.  Che  tristezza  il  si- 
\  suonato  cosi,  sfiduciatamente!  Due  volte  al 
giorno,  nell'ampio  cortile,  scarsi  gruppi  di  soldati 
accudivano  al  governo  dei  muletti,  macchinalmente. 
senza  gettare  agli  echi  gli  allegri  ritornelli  paesani. 
Sul  viale,  si  riunivano  in  crocchio  i  pochi  ufficiali 
rimasti,  commentando  le  notizie  del  giorno.  Pas- 
sava fra  tutti   il  vecchio  colonnello  a  capo  chino.... 

Perchè  la  vittoria,  ora.  non  era  più  ben  sicura. 
Si  pensa\a  a  quelli  che  erano  in  viaggio  e  a  quelli 
che   aspettavano:    i    cuori    battevano    all'unisono   il 


LA    LETTI 


nini 

l  esaspei 

■  :  \  ita  o  di  ni 
\  sempre 

più  bari 

i    un   nodi    'li     pian 
suo  i  apportino,   ritta    sul 
jiiill 

\i\a  l'Ita 


l      era  rimasta 

i    po- 

arla  ;    la  gridava    p  all'impnH 

ndo    Voli  Ili 

la   \ 

i  i   una   spe 
le,   la  ri- 
i  r\  al  li.  sempre 
no  'li  sfida  i   di  trionfo,  rolla  vi  cetta 
i  dai 
incubo,   p-r  noi,  quella    fras      \  ■ 
i  e  la  faccia  smorta  'li  Ri 
ta  un      i     i.  una  pii 
nelle  mie  mani,  pregavo  la  bin 
più  I 

i  qualchi 
e   in   un   cantui 
M  ■  rale  di   un  n<     in 


l  In  -.1  che  i  isii  me  azzurra,  i  to  di 

pitanti,  gli  balena  ad  un 

onieri  '  Un  trillo,  un  si  li  i  trillo  inat- 

rapido,   sfai  mi    un  guizzo  ,1, 

tra  i  i  piava  ad  un  tratti    la 

.1   di  Vevi 
i  :  guerra.  |»r  lei  ?  (  !ome  la 
Mu     de,  |«  un.  in.  bandiere  al  vento  ;   e  i 
nilii  I  aloppo  si  renato  dei 

cavalli,  li    si  ini  illii    i  lei  le  armi,  gli  elmi  durati 
svolazzo  delle  penne  bianche,  ira  l'applauso  della 
moltitudine   fi  la    luminaria. 

■  li  luce  tricolore    la  croce  e  1<>  stellone  in 
alto,  lo  stellone  d'Italia...  '-"mi-  un  giorno  ili  pa- 
rata,  come   una   sfolgoranl 
in  ima  città  lontana,  sulla  riva  del  l»-l  mai 
n  i  con  ne  di  giardini  in  tìore?... 

Papà  va  alla  guerra,  e  viva  l'Italia! 
L'ultimi  :  se  ni    andò  tacitamente,  tra  la 

lita,  salutata   soltanto  da  quel   grillo 
no  di  bimba 
Ri  salia    non    usciva    più    di    casa,    colpita    da   un 
languoie   invincibile,    freddolosa,  ammalata  di 
stalgia  i  'li  paura  ' 

Portavo  Vi  con  me  a  passeggio;   il  cappot- 

tino gì         i  Furi  re;  ii  .  entusiasmava, 

tirava  i  baci ...  e  ì  si  spiri. 

—  E'   la  piccina   ili  un   [hitIUù  —    - 
i    intorni    all'inconscia  infanzia  ridente  taceva  ogni 
tristezza    più    li  quace. 

\<  i  trams,  si   la  passavano  ili  braccio  in  bri 
rava  in  o  mfidenza,   I 
ria  ili  quel  sui    tesi  ro,  si   alzava   in   piedi   perchè 
tutti   potessero   ammirare   il 

teneri-//. ■  ;    ne  lucidava  i  bottoni  'ella 

manica    perdi,-   risaltassero   ì   minuscoli   cannoni    ili- 
iti;   e  finiva  col  dichiarare  seriamente: 
-  Ora  l'asta,  non  lo  toccate  più,  perchè  si  gual- 
>-.  e  allora  !... 

Aveva   un   gesto   vago,   come    iccennando  a 
saputa  ila 

Lo  adi  rava,  letteralmente,  il  cappottino  di  / 
\    vedere  la   sua   allegrezza,  o  a  sentirla  ricordare 
l'assente  senza  una  lagrima,  qualcuno  torse  avrebbe 
potuto  dubitare  della    passii  iveva 

ita  al  padre  :  ma  sarebbe  bi  - 
di   quali   cure  gelose  circondava   il  cappottino  |  er 
rio  a   ricredersi.   Lo  riponeva  lei  stessa  a- 
i.le   le   piccole   maniche,   ar- 
-  iamlo  il  colletto,  rivolgendolo  tutto  ogni  volta 
nel    loglio   di   carta   velina,   come  quandi 
portato  dal   sarto  militare.   Spesso,    ni  iella 

giornata,  sgattaiolava  via  furtivamente:   era  andata 
•ino.  ad  accarezzarlo  delicatamen- 
Ci  'tuirli  i  di   baci   impeti 
—  Se  tu    piangi,    il   cap|>  ttino   si   macchia.... 
avevi  ammoni- 

■  l'ilio,   eh,-   freddo,    su    Torino   e  pei 
in  quell'inverno  sinistro  !   Addio, 
di    Makallè.    l'n    vento   di    sventura    spirava    dalla 
terra   n   ri     Si  ino   le   notizie.    Da    qualche 

tempo,  noi.   nuli  si   sapeva   più  nulla  di    l'r.i 


IL    CAPPOTTINI  »    C.RK'.K  i 


98l 


Nei  tr.uns.  dove  tutti  s'incontrano  senza  cercai 
e  la    folla   anonima    ritrova    sé   stessa,    accadevano 
scene  caratteristiche  e  pietose. 

Due  signore  velate,  riconoscendosi  all'improvviso, 
-  ppiavano  in  pianto,  singhiozzavano  abbracciate: 
madri,  mogli  di  ■partiti....  chi  sa? 

Un  impiegato,  un  militare,  un  operaio,  entrava 
c<  I  giornale  spiegato  in  mano;  gli  si  Eacei  ino  in- 
terno; correva  un  fremito  nelle  due  file  di  teste 
che  si  sp<  rgevano  per  vedere,  per  indovinare.    1  li  1 

ino  le  interrogazioni  e  qualche  volta  c'era  let- 
tura ad  alta  vi  re  delle  notizie  più  impressionanti. 
Una  vecchietta  del  contado,  venuta  in  città  per 
vendere  le  ova.  stava  narrando  ai  vicini  del  fi- 
gliolo l>ersagliere  ch'era  laggiù  e  che  non  scriveva. 
Una  bella  sposina  triste  coglieva  a  volo  il  numero 
de!  battaglione,  chiedeva  subite,  animandosi,  quel- 
Iti  della  compagnia,  e  la  vedevo  raggiare  pueril- 
mente felice  d'aver  scoperto  che  il  soldatino  bersa- 
1  ■  apparteneva  proprio  alla  compagnia  di  lui. 
La  sposina,  naturalmente,  aveva  ricevuto  una  lunga 
lettera  piena  di  ragguagli:  stavano  tutti  bene,  alla 
quarta  :   erano  accantonati  a***.... 

Contadina  e  signora  elegante  discendevano  in- 
sieme, divenute  amiche,  per  discorrere  ancora  un 
poco.... 

E  tutto  questo  alla  vigilia  di  Adua. 
Alla  famiglia  di  Franco  Franchi  non  fu  data 
la  tragica  felicità  dell'incertezza.  Egli  era  caduto 
tra  i  primi,  accanto  ai  suoi  cannoni,  credendo  an- 
cora alla  vittoria.  Pochi  superstiti  ne  attestavano, 
senza  errore  possibile,   la  fine. 

Ma  Rosalia  non  lo  seppe  mai.  Quando,  avvertiti 
del  disastro,  accorremmo  in  casa  Franchi,  gli  stril- 
loni ci  avevano  preceduti;  la  trovammo  che  strin- 
geva ancora  il  giornale  fra  le  dita  rattratte. 

Ella  non  aveva  neppure  concepito  il  pensiero  che 
tra  quei  morti  - —  migliaia  di  morti  !  —  non  fosse  il 
suo  Franco.  Era  caduta  di  piombo,  senza  un  ge- 
mito. 

La  servetta  siciliana,  che  non  aveva  capito  nulla, 
urlava,  strappandosi  i  capelli.  Vevè,  atterrita,  pian- 
geva, chiamando:  -  -  Mamma....  —  Neppure  lei 
aveva  capito. 

Rosalia  ci  morì  circa  un  mese  dopo,  senza  essere 
rientrata  in  sé.  Di  che  morisse  precisamente  non  lo 
seppe  nessuno.  La  vigilia  della  morte,  poiché  l'in- 
ferma pareva  stare  un  po'  meglio,  pensammo  a  Ve- 
vetta.  La  povera  piccina  languiva,  relegata  in  una 
stanza  remota,  in  compagnia  della  servetta  siciliana 
che  avevamo  dovuto  allontanare  dal  capezzale  di 
Rosalia  per  gli  urli  selvaggi  coi  quali  eccitava  mag- 
giormente il  delirio  della  morente.  La  ragazzotta. 
che  s'era  finalmente  accorta  di  qualche  cosa  e.  più 
per  istinto  che  per  le  nostre  raccomandazioni,  si  ren- 
deva  conto  della  necessità  di  non  far  trapelare  nul- 
la colla  piccina,  aveva  passato  il  tempo  a  raccon- 
tarle avventure  favolose  e  prodigi  compiuti  dal  si- 
plorimi  alla  guerra  lontana  dov'era  andato.  Quando 
la  narrazione  cadeva  addirittura  nel  grottesco,  s'u- 
diva la  voce  della  bimba,  scontenta: 
—  Non  è  vero,  dici  bugie. 
Ma  intanto  le  ore  passavano  e  Vevè.  pa'liduccia, 


rattristata,  negletta  da  tutti,  dimenticava,  fantasti- 
cando sulle  gesta  di  quel  papà  da  leggenda,  la  tri- 
stezza della  piccola  inanima  che  stava  male,  lì  vi- 
cino, e  da  cui  nessuno  voleva  portarla. 

La  vigilia  della  mori.-,  dunque,  m'incaricari  ni  di 
condurre  a  passeggio  Vevè  che  non  usciva  da  un 
mese.  Dissi  alla  servetta  siciliana  di  vestirla;  e 
aspettavo  nell'altra  stanza,  quando  fui  richiamata 
da  strida  acute  della  binila. 

Era  accaduto  questo:  che  una  parente  venuta  di 
Sicilia  per  assistere  Rosalia,  una  di  quelle  persone 
che  hanno  la  facoltà  straordinaria  di  pensare  a 
tutto,  aveva  ordinato  il  bruno  per  l'orfanella  di 
Franco.  La  servetta,  cui  erano  stati  consegnati 
quegli  abiti  luttuosi,  pretendeva  di  farli  indossare 
alla  piccina  che  si  ribellava  violentemente,  trovan- 
doli «  neri  e  brutti  »,  e  reclamando  con  grida  dispe- 
rate tra  lunghi  sussulti  del  corpicciuolo  nervoso, 
il  «cappottino  di  papà». 

L'angoscia  di  Vevetta  era  quasi  feroce,  e  il  suo 
orrore  per  quel  sinistro  apparato  di  morte  m'entrò 
nell'anima  sollevandovi  un   fiotto  d'indignazione. 

—  Porta  via!  — ordinai  alla  ragazza  sbalordita. 
—  E  vestila  come  prima. 

Vevè.  acquietata  dalla  mia  presenza,  ripeteva  an- 
cora tra  i  sussulti:  -  -  11  mio  cappottino,  il  mio 
cappottino.... 

—  Anche  quello?  -  -  interrogò  cogli  occhi  la 
siciliana. 

—  Anche  quello  --  accennai,  rivolgendo  invo- 
lontariamente il  capo. 

Uscimmo.  Era  un  tempo  splendido.  Vevetta,  ap- 
pena rimessa  dal  grave  dolore,  mi  trotterellava  ta- 
citurna a  fianco.  Incontrammo  un  soldato  di  arti- 
glieria ;  guardò  il  cappotto,  la  piccolina  ;  non  seppi 
perchè,  e  forse  neppure  lui  lo  seppe,  alzò  macchi- 
nalmente la  mano  alla  visiera  del  kepi,  salutando 
militaimente. 

Un  l>el  sole  primaverile  accendeva  il  visetto 
smunto  di  Vevè.  le  scaldava  le  piccole  membra  in- 
torpidite: eppure  Vevè  non  parlava  ancora,  chiusa 
in  un  suo  pensiero  occulto. 

Passava  un  tram;  vi  salimmo.  Come  di  solito, 
il  cappottino  fu  accolto  da  un  mormorio  simpatico. 
Una  signora  anziana,  vestita  di  nero,  alzò  gli  oc- 
chi e  diede  in  un'esclamazione  indicibilmente  do- 
lorosa. Indi,  affascinata,  trasse  a  se  la  bimba. 

—  Chi  è?  —  mi  chiese  piano,  mentre  le  lisciava 
i  riccioli  biondi,  scivolando  colle  dita  tremanti  sino 
alle  stelle  ricamate,  ai  piccoli  bottoni  d'oro,  per  i- 
sfiorarli  carezzosamente. 

-  La  piccina  del  tenente   Francie 

-  Ah  ! 

I  nomi  dei  morti  erano  ormai  familiari. 

—  Anch'io  —  riprese  la  signora  ci  avevo  mio 
figlio  alle  batterie  da  montagna....  e  non  so  nulla, 
nulla.... 

Vevette  non  ascoltava,  meditabonda,  e  n  certi  oc- 
chi pieni  di  cose  fantastiche  die  le  avevo  veduto 

altre   volte. 

Quale   memoria   lieta  da!    giorno   in   cui,   tra  due 
11   zze,  le  era  stata  insegnata  quella  frase,  sorse  a 


LA    LETTURA 


lai*  un'onda 

>  .1  in  ra,  'li 
i  di  sole: 

n   sussun  p  na   i    'li 

locchia, 
-  nte  :    ì<-  gron- 

ca    pottino. 
i  i- ni ..i.  svino  landi  si  brusca- 
li    ni.i  ■eh  !  i  ih.  oh, 


me  i  ha   mai  i  hiati  ..    I     papà   li   in  collera....   oh, 
ufi.  papà  va  ii  ni  □  tenui  più.... 

Vevi    piangeva:   come  se  il  piccolo  cuore  gonfio 
roppo  doloi 
zio,  si  fi  sse  a  un  tra        eh     itato,  piangeva  .i  ta- 
glimi i   n  'i    li,  che  si  coni  us quel- 

indi    '1  n li •  il   panno 

io,  ii  '   la  duplii  e  fila  'li  I»  unni,  dove  il  ix-ttu 

'    li  sangue. 

Scendemmi    .il   Valentino.   Per  i  viali,  vendevano 

i    mazzi    ili    violetti     Qi  Fragi  anti  ! 

Sembrava  rhe  le  siepi  ili  Valsalire,  quell'anno,  non 

si  ^t.inrassero  più  di 


TERESAH. 


^•M\fWK? 


'^Ì5$£* 


CANTICA    FRANCESCANA 


\/r/  peri  ft'io  no«    proi  e  da  troppo  chiuso 
Francesco  e  Povertà  per  questi  am 
Prendi  "inumi  nel  mio  parlar  diffuso. 
Dante,  Paradiso,  C.  XI). 


I. 

Frate  Leone  <■  frate  Egidio  assisi 
sul  verde  colle  ore  in  sua  grazia  impera, 
come  novizia  in  bianco  reto.  Assisi, 

vedean  per  gli  archi  de  /'immensa  sera 
stelle  varcare  :  udiva  no  da  7  piano 
tremar  gli  spirti  de  la  Primavera. 

0  frate  Egidio,  com'è  Insto  e  vano 
chiedere  al  mondo  quel  ch'a  noi  già  piacque  ' 
noi  sogniamo,  e  il  bel  sogno,  ecco,  è  lontano! 

—  Fratello,  spera! — disse  l'altro  —  e  tacque. 
però  che  un  lume,  in  tremolìo  d'argento, 
venia,  svaniva  sopra  un'ala  //'acque. 

-  O  frate  Egidio,  com'è  fosco  e  lento 
nostro  mortale  brancolar  tra'  vivi  ; 
l'uni , mi  è  stanca,  se  il  corpo  è  in  tormento  ! 

—Fratello,  spera!...     Adesso,    era   pe' clivi 
tutto  un  raggiare,  ed  era  come  un  oro 
limpido,  sui  fastigi  de  gli  olivi; 

era  come  se  un  palpito  sonoro 
destasse  il  vento  con  volo  più  fresco 
ira  le  foglie  fragranti  de  l'alloro  : 

e  cantavan  le  siepi,  e  ti  melo  e  il  pesco 
favellavan  d'aurore,  e  vìa  per  l'aria. 
risonaci/  il  bel  nome  aureo:  Francesco! 

perii  che  da  la  terra  solitaria 

OV'  Egli   giacque.   ,  lime     stelo,    ignudo, 

tra  sua  piccola  gente  terziaria, 

l'anima  dolce  senza  dardi  o  St  "do  — 
Povertà  coronata  ili  Vittoria 
-c'hi.  ululando  in  <uo  fraterno  ludo. 

e  balenando,  come  fiamma,  in  gloria! 


1 18  |  LA     LETTURA 

II 

luminiti  sii,  per  in  tua  bianca  pace 
sorella  Sotte:  nel  tuo  sen  profondo 
l'ira  s'aduna  de  gli  umani,  e  tace. 

Tace,  se  in  gesto  lieve  ni  moribondo 
chiudi  le  ciglia,  «  se  di  te  si  sazia, 
stanco  i/i  sogni  e  di  misteri,  il  /mintiti. 

Laudata  sii,  per  In  tua  santa  grazia, 
vergine  Notte:  In  bontà  de' cieli 
t  a/  n-  in-  l'ombra  ove  il  tuo  Cor  si  spazia. 

Poggia  tra  cime  azzurre  d'asfodeli 
l'alta  tua  intuir .  e  per  le  stele  snrllr 
intuì  ni  i,  le  verità  de  gli  Evangeli 

Laudala  sii,  per  le  tue  mille  ancelle, 
Volte  regale:  su  7  tuo  minilo  l'Ore 

ridi  situi,  itm  ardenti  ale,  le  stelle, 

f  /in  che  duri  il  circolalo  ardore, 
e  splenda  ancor  la  sideral  milizia, 
ti  Sotte,  è  Sire  del  tuo  regno,  Amore! 

«  Amor  ih  è  d'ogni  ben  Mimma  dovizia, 
Fonte  <li  Vita,  per  colui  che  rumi. 
e  converta  in  tristezza  ogni  letizia, 

però  che  <  min-  allodola  oltre  i  rumi . 
l'uomo  s'inebrii,  e  in  suo  cantar  non  oda 
de  la  schietta  Umiltà  in/ii  ì  rivìntimi  '. 

«  Fratel,  che  vivi  in  su  la  inoriti  proda 

tifi   intintiti,  schiudi  a   Carità   Ir  porte, 

a  Pazienza  ogni  imi  spirto  annoila, 

mi  /n  sereno  come  il  Sole,  e  forte, 
umile  in  gloria,  libero  in  servaggio, 

lì  urlìi'   da  l'ombre   nostra  SUOTO    Morir 

min  giunga,  e  spezzi  il  tuo  fatai  viaggio  !  » 

III. 

Tacque  il  gran  Cuore.         <>  mio  fratello,   mh 

,  hit  se  il  fedele  al  dubitanti'.       l't/ii  ' 
Tro]ij)o  son  rimi  i  min  giudizii  e  tristi . 

—  Convien  lasciar  questi  profondi  oblìi, 
fratello.  E'  l'ora.  Aranti  eh' Ei  morisse 
ne  /rutili,  ir  tristezze  degli  addii.    -» 

\»  /-/  mi/tr.  il  giardin  ih-  Ir  Clarisse 
folgorava:  una  croce  era  ogni  ramo, 
e  d'improvviso,  m  fiero  zelo,  disse 

frate  Leone  a  frate  Egidio:        Andiamo! 

ETTORE   MOSCHINO. 


Fio     1. 

Corrente  nervosa  sensitiva  o  centripeta  che  va  dalla  periferia  alla  parte  posteriore  del  cei 
Corrente  nervosa  di  moto  o  centrifuga  che  va  dalle   pani    anteriori   del   cervello   alla   periferia. 
M  —  Spaccato  del  midollo  spinale 


La  velocità  degli  atti  psichici 


'elemento  funzionale  di  qualsiasi  atti- 
vità nervosa  è  un'onda  invisibile  che  viag- 
gia dalla  periferia  del  corpo  ai  centri 
rappresentati  dalla  polpa  cenerognola  nell'asse  del 
midollo  e  nel  manto  del  cervello  ;  oppure  decorre 
da  questi  centri  alla  periferia.  (Vedi  Figura  li. 
Ina  sensazii  ne  è  una  vibrazione  generata  da  una 
forma  qualsiasi  di  energia  (meccanica-chimica-ter- 
miea-luminosa-elettrica)  sulle  terminazioni  nervose 
de'  nostri  classici  cinque  sensi  esterni  o  del  nostro 
senso  interiore  e  che  si  propaga  centripetamente, 
lunghesso  i  cordoni  nervosi,  per  i  fasci  posteriori 
della  midolla  sino  a  un  dato  territorio  della  cor- 
teccia cerebrale,  ivi  divenendo  consapevole,  cioè  co- 
nciente. 

Ugualmente  una  vibrazione  è  in  fondo  a  ogni 
movimento:  in  questo  caso  però  tiene  una  strada 
inversa  a  quella  battuta  dalla  sensazione,  diffonden- 
cenfrifugamente.  Cosi,  nel  movimento  volon- 
tarie, L'onda  piglia  le  mosse  dalla  scorza  grigia  del 
cervello,  attinge  i  fasci  al  davanti  e  ai  lati  del  mi- 


dollo e  per  i  nervi  si  scarica  nei  muscoli  delle  no- 
stre membra. 

F.  mire  per  lo  spostarsi  di  una  vibrazione  nervo- 
sa che  in  ultima  analisi  si  compiono  i  fenomeni 
psicologici  :  per  esempio,  l'evocazione  voluta  di  un 
ricordo,  l'attenzione,  l'associazione  mentale  sponta- 
nea. L'onda  lanciata  dall'organo  della  volizioni  va 
a  porre  in  trepidazione  una  determinata  ac< 
di  impressioni,  cioè  di  imagini  antiche,  o  anche  tra 
din  centri  diversi  di  esse  si  stabilisce  una  comuni- 
cazione per  oscillazioni  molecolari  spontanee  lung' 
le  così  chiamate  vie  associative.... 

Prima  del  '50  i  fisiologi  disperarono  di  poter 
computare  la  velocità  di  propagazione  dell'onda 
nervea:  anzi  il  grande  Miiller.  pur  tanto  confidente 
nel  meditare  e  nel  cimento,  lo  proclamò  uì\  inti  n 
perennemente  sterile.  Il  meraviglioso,  l'inaccessibili 
che  si  annetteva  alla  vita  della  psiche  faceva  repu- 
tare ibile  l'intervallo  cronologico  necessa- 
si  n'ire,  alla  determinazione  del  muoversi,  a  ri- 
cordare, a  pensare.  Un  discep  li    dello  stesso  Mul- 


LA    LETTI  RA 


dapprima  irritando 
v  intento 
ore,  \  ide,  mediante 

scoli  tar- 

«  niva  ap 

irallelamente,  replicandi 
nervi    deputati  alla    sensibilità 
l'onda  dalla  periferia 
notò  che,  applicando  uno  stimolo  di  li  n 
del  ranocchio,  il  az& 

■     più  ]  i,  ntamente,    inani.'  più  vicino 
al  cervello,  veniva 
le  Quel  che  fu  scoperto  nel  piccolo  ai> 
,.  ttrii  o,  Fu  ci  ni'  r- 
gni  altro  individuo  zoologico,  1 1 
l'uomo,  e  per  ogni   altro  genere  ili   stimili",  corn- 
ilo naturale. 
andò  si  viglia,  per  esempio,  con  un  atto  di 
■;.  inviare  un  ordine  simultaneo  ili  contrazi 
ai  muscoli  delle  labbra,  che  sono  tra  i  più  prossimi 
al  cervello,  e  a  quelli  del  piede  che  ne  sono  i  più 
i»  ssa   giurare   subbiettivamente 
due  movimenti  si  effettuano  nello  stesso  atti- 
pure  gli  orologi  speciali  dei  gabinetti  ili  fisiolo 
cun         in   i  he  fra  i  due  gesti  c'è  per  lo  mi  m 
tardo  di   un   trentesimo  di   minuto   secondo,   a 
vantaggio   del    moto   della   bocca.    Ciò  per  l'onda 

D'altro  lati»,  per  l'onda  sensitiva:  se  supponiamo 
che  due  stille  di  pi  idano  nel  medesimo  mar 

tematico  -nlla   persona,    bagnando  luna  il 

l'altra  la  mane  l'impressione  su  questa  giun- 
ti   una    mìcri  so  pica    mi  ra, 
dopo   l'altra,   a  mutivi,  del   sentiero  più   lungo  da 
orrere  jx-r  toccare  la  mèta,  la  corteccia  dell'en- 
tra media  ormai  sicura,  che  possediamo  per 
tuire  una  comparazione  tra  la  velocità  della  vi- 
psichica  e  quella  delle  >  ndi   db'  altre 
ll'universo  misurate  dall'uomo,  è  ili  30  ai 
50  metri  1*  r  minuto  secondo:   numero  che  sbalor- 
non   per  la  sua  incommensurabile,    favolosa 
grandezza,  come  imaginavano  i  nostri  ni  imi.  ma  per 
linità.  L    molecole  ilei  nostri  sensi,  dei 
tri  nervi,  del  nostro  cervello  si  urtano  con  un  rit- 

■  nabill      a     quelli  11  ,    e    ilii  l'i 

■mi  frequente  ili  quello  dell'aria,  nella  quale, 

si  sa  il  ■  ondo  lo 

ili  oltre  trecento  metri. 

E'  ci  re  l'i  ii'la  ni  :  ea  che 

potremmo,    'lini   quasi,    zoormorfizzarla   e,    coll'cc- 

!  intelletti.,   tener   di  id  essa    ne!    suo 

|llej 

gua  il  volo  dell'aquila  ' 

d'un  cavallo  che  si  spi  - 
rolla  ttiva  ili  ,55.  :~.  2-,  iiv  al  se 

rdivo  il 
itti  'li  qui 
umani    -  di    altri  1  he 

1  |glesi      'le- 


ggi del  sui  1  eri  -     >  chilometrici 

nervi  'li  quelli  valesse»    le  leggi  fisiologiche  dei  no 

-      1  laute    avesse    intuito  la    un  ■  Il 

rità  ili  11  agi  oso,  non  avrebbe  forsi    • 

giuntelo  paura  ■    al  i     dei    ci(  li 

\euii  1    alte,  Anteo,  là  im  zzo  •  1<-I- 

l'ultima  bolgia  infernali 
Membri         he  avea 

«  ....  la  faccia  lunga  e  grossa 
Come  la  pina  di  San   Hittro  in   Roma... 

quella  di  Betvedet  < 
E  a  sua  proporzion  eran  l'altr'ossa  » 

1   .li  cui  possiamo  dire  che  la  statura  fosse  ali  ini 
ca  d'una  trentina  ili  metri,  avrebbe  Bpesi    n  n  meno 
ili  un   intero  minuti,  sen'tiilo   pei  -;    d' sser 

toccato,  [kt  iniziare  un   passo,  e  quasi   altretta 
per  cominciare  a  levar  la  man":  sì  che  i  dui    poeti 
p  llegrinj  avrebbe»    potuto  punzecchiarlo,  prender- 
si giuoco  ili  lui.  come  Ulisse  ili  l'oli  forno,  e  fare  in 
tempo  a   schivare  l'enorme  reazione. 

Per  bisogno  di  un  altro  e>.  I  ibbrichiami 

qui  jier  qui  un  mito  e  diamo  a  credere  a  n 
che    l'Italia,    nella    sua    sagoma   geografica,    sia    la 
gamba  di  un  immane  gigante,  steso  a  terra  e  fossi- 
lizzato  dagli  Dei  in  castigi  di  qualche  suo  ardimento. 
Se  quelli    spaventoso  colosso  si  spettasse,  se  ricir- 
O  lasse  il   sangue  nei  suoi   tinnii,  se  i   fili   d 
telegrafica,  ritornati  nervi,  conducessen >.  in  vece  del- 
l'elettrico, il  fluidi    nervoso,  impiegherebbe  1"  spa- 
zio di  ben  dodici  ore.  una  giornata  sana,  per  invia- 
re un  impulso,  un  ordine,  un  dispaccio  fisiologico 
da  'l'orini'  a  Reggio,   dall'anca  alla  punta  del 
!<•:    tempo  eterno  rispetto  all'ordinario  telegramma 
elettrici,  che  supera  in  meno  di   46   secondi   i    1400 
chilometri  fra  le  due  estreme  città  della  penisola 

Ma  l'in  qui  abbiamo  sempn  chi-  le  •  1 

nervose  si  accavallassero  lungo  i  fili  nervosi,  lungo 
una  fibra  bianca  più  0  meno  lunga,  ma  uniforme  dì 
struttura.   I  dispacci  del  telegrafo  e  del  ti 
fan  strada  non  unicamente  per  le  funicelle  metalli- 
che, ma   ani-ora  per  gli  apparati  degli  Uffizi  i  quali 
l'ingiungono  i  vari  tratti  e  trasformano  la  corrente 
in  differenti  espressioni  di  movimento,  di  sui  no, 
e  per  tal  motivo  patiscono  un  rallentamento  nella 
loro  pi  gressione.    Mia   stessa  guisa   la  vibra 
nervea  1  Itre  che  a  rdoni  1  mi  gì  n<  i  (Vedi  figura  II. 
a-b)   ha   da    attraversare    strutture,    macchine    più 
-     mplessi  .   Come     le  cellule  grigie  dentro  il   midollo 

spinale  e  alla  0  rteccia  del  '  '  M'Ho  (Fig.   11.  e),  le 

quali  hanno  l'incarico  di  riannodare  le  reti  dei  l'ili 
nervosi  e  di  elaborai,  li  agente  che  passa  ]>er  i  me- 
desimi. 

\.  i   fisi  li  gi   parliamo  assai   frequentemente  del 
1, .  \  mi  nti    riflesso.  E'  qui  Ila  reazioni 

nsap  vi  li    '    no,   ad   una  eccitazione   recata   sulla 
p  riferia  del  corpo,  ma  senza  che  la  volontà  entri 
in   campo    per  nulla;    insomma,   diceva  quel 
si  chiama    mi  isi ■  quello  di rve  m 

punto  da   riflettere.   E'  un  movimento  riflesso,  ad 

.  il  battito  della  palbebra  pei   una  mar» 
trui  che  si  avvicini  velocemente  al  viso:    l'ammic- 
care ■    irresistibile  e  Plinio  racconta  che   neppure 


LA    VELOCITA    DEGLI    ATTI    PSICHICI 


087 


i  gladiatori  riuscivano  ad  impedirlo  su  sé  stessi  con 
sforzi  volontari.  Si  genera  un'onda  nervosa  sensitiva 
che  ascende  al  centro,  traversa  gli  elementi  cellulari 
erigi  del  midollo  o  della  base  del  cervello  e  si  ri- 
verterà  nuovamente  all'esterno  sotto  forma  motrice. 
L'agente  nerveo,  pel  fatto  che  trascorre  per  le  cel- 
lule del  midollo,  rallenta  il  passo  e  s'avanza  dieci 
volte  più  calmo  che  lungo  i  nervi,  la  soltanto  quat- 
tro metri  al  minuto  secondo. 

Lungamente,  pazientemente,  i  fisiologi  hanno  ap 
plìcato  l'orologio  alla  determinazione  di  questo 
tempo  detto  riflettono,  ne  stabilirono  le  minime 
oscillazioni,  a  seconda  del  posto  dell'animale  nella 
serie  degli  esseri,  del  genere  di  movimento  osser- 
vato, le  modificazioni  impresse  dalla  ricchezza  o 
rtà  di  sangue,  da  tossici  deprimenti  come  il 
cloralio  o  esaltatori  quali  la  stricnina,  da  stati  fi- 
siologici come  il  sonno,  il  riposo,  il  lavoro,  l'esau- 
rimento, su  che  sorvoliamo.  Tentarono  anche  di  co- 
gliere le  variazioni  indotte  dalla  razza,  dalle  con- 
dizioni di  civiltà,  di  coltura,  dall'età,  dal  sesso. 

Le  azioni  riflesse  spinali  del  gattino,  del  cagno- 
lino appena  fuori  della  matrice  materna,  avvengono 
più  sollecitamente  che  negli  stessi  animali  adulti. 
a  cagione  del  tardivo  sviluppo  funzionale  della  scor- 
za del  cervello,  emissaria  di  ordini  antagonistici 
che  vanno  per  una  specie  di  interferenza  a  mode- 
rare le  correnti  passanti  pel  midollo.  Per  lo  stesso 
motivo  —  la  mancanza  d'un  freno  valido  che  pro- 
ceda dall'alto,  cioè  dal  cervello —  le  reazioni  invo- 
lontarie del  bambino,  l'agitazione  delle  membra,  il 
grido,  oltre  che  più  vivaci  sono  più  pronti;  e  quei 
fisiologi,  ostili,  ahimè,  al  sesso  bello,  sostenitori  di 
una  minor  potenza  moderatrice  o,  come  si  dice  tec- 
nicamente, inibitoria,  nei  più  alti  centri  nervosi 
delle  donne,  vorrebbero  scavare  anche  la  prova  della 
maggior  velocità  dei  movimenti  riflessi  muliebri  per 
metterle  cavallerescamente  nel  limbo  fisiologico  dei 
bambini  e  dei  mammiferi  senza  confessione  reli- 
giosa. 

Del  resto,  la  rapidità  dei  moti  riflessi  è  spesse,  in- 
dizio di  superiorità  nervosa,  di  una  maggiore  edu- 
cazione fisiologica  dell'organismo.  Qualche  mio  al- 
lievo ed  io  crediamo  di  averlo  comprovato  mediante 
ricerche  sulla  reazione  dei  vasi  sanguigni. 

Il  prof.  Gaule  di  Zurigo  (1)  ingegnosamente  fece 
notare  come  si  possa  avere  una  dimostrazione  della 
più  grande  rapidità  dei  riflessi  nelle  popolazioni 
più  a  lungo  incivilite,  osservando  gli  aggregati  u- 
mani,  le  folle.  Tutti  gli  stranieri,  egli  dice,  si  la- 
mentano dei  tedeschi  e  vantano  il  contegno  del  po- 
polo latino  che  anche  nella  ressa  più  fitta  non  urta 
mai  nessuno.  Il  popolo  tedesco  non  vi  cansa,  non 
perchè  non  voglia,  ma  perchè  non  può:  i  suoi  nervi 
non  lavorane  abbastanza  rapidamente  per  sentir  to- 
sto gli  ostacoli  che  gli  si  fanno  improvvisamente 
innanzi,  per  poter  dare  un  comando  pronto  ed  ac- 
concio ai  muscoli  ;  non  può  cambiare  con  lestezza 
la  direzione,  ciò  che  riesce  facile  al  latino.  Le 
grandi  città  tedesche  colla  loro  folla  sono  un  pro- 
dei  tempi  moderni  ;  da  poco  il  popolo  viene 

(1)  Citato  dal  Mosso  nella  fatica. 


giù  dalle  montagne  e  dalle  colline  lontane,  ove  la 
turba  non  è  stretta  e  pigiata  in  piccolo  spazio.  TI 
latino  invece  ereditò  una  a  luna  che  fiorisce  da  mi- 
gliaia d'anni,  sviluppatasi  nelle  città;  da  secoli  è 
assueto  alla  vita  delle  piazze,  dei  Fóri;  possiede  i 
nervi  dei  suoi  progenitori  ed.  è  adatto  a  rapidi  cam- 


FlG.     II. 

<(-()  —  Figura  di  fibra  nervosa, 
e  —  Cellula  grigia  dei  centri  nervosi 
spinale  e  cervello). 


midollo 


biamenti,  perchè  il  suo  tessuto  nervoso  lavora  da 
più  tempo  e  più  presto. 

La  stessa  causa  fisiologica  contribuisce  al  feno- 
meno —  già  da  altri  messo  in  luce  —  che  alcuni 
mestieri,  o  professioni  e  virtuosità  meccaniche,  le- 
gate a  celerità  e  rapidità  di  una  serie  di  movimenti 
riflessi,  ad  esempio,  la  danza,  la  scherma,  la  tratta- 
zione del  violino,  il  canto,  ecc..  hanno  in  genere  i 
latini  tra  i  più  celebri  campioni. 

Il  parlare  —  intendo  l'atto,  per  dir  così  este- 
riore, dèll'incatenamento  delle  sillabe,  non  la  for- 
mulazione del  pensiero  —  è  una  successione  di  mo- 
vimenti riflessi  secondari,  ai  quali  presiedono  cen- 
tri nervosi  collocati  più  in  basso  della  corteccia 
cerebrale.  Perchè  difficilmente  tra  i  nordici  si  rin- 
viene la  vertiginosa  rapidità  di  loquela  dei  meri- 
dionali? Perchè  non  fu  tedesco  Bernardino  Gri- 
maldi che.  stando  ai  conti  del  senatore  Mariotti, 
pronunciava  la  bellezza  di  193  parole  al  minuto,  il 
che  approssimativamente  dà  386  sillabe  eerrispon- 
denti  ad  altrettanti  atti  muscolari  ?  Il  vecchio  Zelter 
nella  sua  corrispondenza  con  Gothe  ascrisse  all'a- 
buso dei  cibi  grassi  e  vegetali  da  parte  dei  Germani 
la  poca  scorrevolezza  degli  oratori  tedeschi,  e  non 
aveva  inveri  il  torto,  perchè  il  grasso,  che  è  un  ec- 
cellente lubrificante  per  la  ruota  d'un  carro  o  la 
puleggia  d'un  pozzo,  non  è  affatto  propizio  agli 
ingranaggi  nervosi,  è  un  alimenti  di  faticosa  ela- 
borazione per  le  energie  funzionali;  ci  vuol  troppi 
tempo  e  troppi    ossigeno  per  bruciare  niella  mole- 


LA    LETTI  K,\ 

\i  probabile  che 

Goth     ■ lei 

sione 
i  sercizii 

sai  'li    |uel  che  ne 
■  mani  e  greci,  del  si  me 
Tullia 

mi  i  rano  le 

•     lungo  i  fili  nervei  sensitivi  e  moti  ri, 
;   centro  midollare 
senza  volontà,  prendiami  li 
ili  n  ino  pel  e  de  di  co 

i     lligenza....    i>el 
vello  :  in  alti.  '      i  i  durata  del] 

amente  di 
Su  1 1  [  p  issati  ra  ti  Lpassati  i  ■ 

istronomi,    I    Maskel) ne  e  il  Kin- 
il  i   una  diversità   ni  m   I 
i.i  ll'apprezzamento  del  ;  111    dinari 

filo  del  cannocchiale.  Siffatta  variazione  indi- 
viduale  nel  percepire  le  differenze  di  tempo  e  nel 
irle,  fin  si  die  il  nome  ili  tequazii  ne  persona- 
le»,  notò   pure  più   tardi   il  celeberrimo    Federico 
Gug  B  ssel,  confrontando  i  risultati  di  altri 

nomi   coi   suoi  (('..   Buccola).    Si  attribuì   l'er- 
ti metodi  allora   in  uso,  ma  la  sconcordanza 
tra  le  segnalazioni  dei  diversi   i  -•   rvati  ri   ci  ntinuò 
anche  dopo  il  perfezionamento  degli  strumenti. 
I     grazia  al  I       l  quel  punti    ini  ei  n  gal  ivo 


d 


di  Hipp  che  può  misurare  il  millesimo 
indo 
icella  che   libera   il   movimento  d'orologeria 
lo  arre 

l  rocchetti  i  ici   d 

che  a 
due  ruoti 
'     -  l  cheta  d  pei  chiusura    della  corrente  e 

tra  i  denti  della   i  uota   a  cor 

ma  rei  ■    il  movin 


Pei  la  perces  •  ne  di  una  impressione  i 

il  segnale  con  una  mano  il  più  rapidamente  p  ssi 

Liile,   i  saia    pei    la    prop  dell'onda     «n 

dall'organi  li  senso  ai  centri  percettivi  < K- 1 

•  i vello,  pei  la  i ramutazii  ne  in  mete,  nel 

n    della  voli  ntì  e  il  riti  imi    al  di  i  ui  ri  fin 

pe  della 

rn    un 

inde 

I"  i    i  cri  nometri  di  somma   i tu  dita,  già   i  b 

■     circa  i  lue  decimi  di  !   inuti    secondo:  e  di 
npn  m  le  e  mi    in  una  cifi  npia 

ivamente  ali  unita  di  misura  ili  cui  p 
disporre  ci  sia  margine  |*-r  apprezzare  diffe- 
individuali,  e  le  differenze  sono  legate  non 
tanto  ai  cordoni  nervosi  che  press'app  o  no,  in 
tutti  gli  uomini,  della  stessa  lunghezza,  ma  al 
saggio,  diremo  ''usi.  j«-r  i  ponti  del  cervello,  agli 
intervalli  psico-fisici. 

Non  sarà  forse  senza  interesse  metl  chio 

la  ti  i  nica  (Figura  111). 

Ecco  qui  il  cronoscopio  elettrico  ili  Hip; 
scandire  il  tempi)  msi  minutamente  ed  esattam 
da  porci  sott'occhio  la  millesima  parti  del  i"    Pen 
sate:  l'istante  tra  un  battito  e  l'altro  dei  nostri  polsi 
diviso  in  mille  istanti,  una  quantità  irra]  ibile 

al  nostro  raziocinio,  un  tempuscolo  immem. nobili, 
direbbe  un  classico,  o  icori-ino.  direbbe  la  cinema- 
tica epicurea. 

L'anima   ili   questo   preziosi  a   dirla 

breve,  m  <a  è  che  un  volgan 
canesimo  di  orologeria,  autonomo. 
il  quale  può  andari-  i  urri 
col  maneggio  delle  due  funicelle 
(a  e  b,  Fig.  Ili)  a  seconda  che 
si  favorisce  o  si  interdire  il  di- 
stendersi li  una  molla:  tirando 
la  prima  io),  l'ingrai  :  vol- 

ge e  canta:  tirando  l'altra  (b), 
sta  e  tace.  L'indice  del  quadrante 
inferiore  gira  con  una  velocità  da 

re  i  di-  imi  di  minuti    s 
d".  quello  del  quadrante  sui» 
re  ha  un  movimento  cento  volte 
più   rapidi  .    fa   leggere    perciò  i 
centesimi  dei   decimi,  ossia  i  mil- 
lesimi di  secondo.  Fin  qui  dunque 
nulla  di  nuova    II  tratto  i  ararti 
ristico    di    questo    cronometro     è 
un'ancora   (e)    (Fig.    1 1  1 1    in  rap- 
-  •  "  due  ri  ■   betti  i  leti  ro-ma- 
l,   la  quale  sotto  la 
pendenza  'luna  ci irrente  elett 
può  tenei    fi  rmi    (e')  i  due  aghi 
indicatori         ancorché   il   sistema 
di    ruote    non    sia    in   ri]x>so 
farli  trascinare  dal  giro  di   i 

I"  marni  i  mecca- 

nismi   funzionano  e  stridono,  ma 
le  sfi  re  sono  immobili,  esse  inco- 
minciano a   vi  i  mi. .   nel 
hi  sui  na  un  camparteli 
itando  il  diti    su  qui  sto  ma- 


di   minuto 


.-    .  olle 
sta    sa 


LA    VELOCITA    DEGLI    ATTI    PSICHICI 


nipolatore,  io  laccio  uno  scambio  'li  correnti  elei 
triche:  interrompo  quella  che  ter»  va  attratte  le  sfere 
e  simultaneamente  allaccio  quella  che  agita  la  suo- 
neria elettrica.  Premendo  nuovamente  il  tasto,  il 
campanello  tace  e  gli  aghi  per  il  ritomo  in  essi 
ilei  circuito  si  arrestano,  nonostante  che  l'ingranag- 
gio cigoli  ancora  e  continui  il  sm:  l.u<  ro. 

Si  può  dunque  disporre  lo  strumentario  in  ma- 
niera che  l'inizio  del  movimento  delle  sten  o  in 
rida  coll'accensione  di  una  lampada,  di  un  tubo 
elettrico,  culla  prima  vibrazione  d'una  suoneria  — 
:ome  è  qui  il  caso  —  e  il  loro  arresto  si  avveri  nel- 
l'attimo in  cui  il  soggetto  d'esperimento,  il  così 
detto  Reagente,  spinga  un  bottone  elettrico  in  segno 
d'aver  avvertito  il  fenomeno. 

Facendo  prima  e  dopo  la  lettura  dei  quadranti 
i  sottraendo  dalle  seconde  le  prime  cifre,  si  avrà 
il  tempo  interposto  tra  l'avvenimento  esteriore  dell.: 
stimolo  di  luce  o  di  suono  e  il  fatto  psicologico  in- 
timo della  constatazione  cosciente  e  volontaria.  I 
questa  l'equazione  o  correzione  personale,  il  tempo 
di  reazione   0  tempo  fisiologico,   come   diciamo   noi. 

Per  le  stesse  ricerche  possiamo  giovarci  del  me- 
grafico.  Supponete  che  l'ancora  elettromagne- 
tica (Sg.  TU)  che  va  a  mettersi  o  no  fra  i  denti  di 
t.n.i  ruota  legando  o  lilierando  gli  aghi  dell'orologio 
di  Hipp.  invece  di  terminare  come  un  chii  do.  si 
affini  in  una  pennina  sottile  e  leggera  (fig.  IV  a) 
—  una  comune  penna  elettrica  —  che  si  sposti  in 
su  9  in  giù  alla  chiusura  d'una  corrente  elettrica,  e 
in  senso  iinriM  allo  spezzarsi  della  medesima  ;  fate 
strisciare  la  punta  di  quella  pennina  sulla  carta 
infumata  d'un  tamburo  rotante  (fig.  IV  b)  a  gran- 
de velocità,  come  nel  <lisegno,  e  tradurrete  in  una 
linea  bianca  orizzontale  il  segmento  di  cerchio  per- 
c.  rse  dalle  sfere  sui  quadranti. 

Avrete,  per  esempio,  un  dente  in  basso,  e.  nel  m 
menti  in  cui  si  dà  la  corrente  e  accade  simultanea- 
mente il  tatti;  luminoso  e  sonoro,  quindi  la  traccia 
sulla  cuna  del  cilindro  di  una  linea  continua  lì n - 
che  la  persona  sottoposta  a  misura  psichica  non 
dia  avviso,  colla  mano  su  una  chiave  elettrica,  di 
.oer  veduto  e  udito  e  faccia  fare  alla  penna  un 
di  ute  in  alto  (d  fig.  IV)  aprendoli  circuito.  Le  spa- 
zio limare  tra  i  due  denti  si  traduce  facilmente  in 
tempo,  conoscendosi  la  velocità  del  cilindri;,  oppure 
vi  Ita  per  \;  lui  si  fa  scrivere  sullo  stesso  tamburi 
e  tante  a  gran  velocità  la  setola  attaccata  (linea  e) 
alla  brani. i  di  un  diapason  vibrante,  del  quale  si 
conosca  il  numero  delle  oscillazioni  nell'unità  di 
tempo.  Il  numero  di  vibrazioni  del  corista  abbrac- 
dalla  linea,  per  esempio  200,  di  un  diapason 
a  rooo  vibrazioni  al  1",  dà  il  valore  dell'equazione 
p  1-  11  il--,  cioè  -oo  millesimi  di   1  '. 

Meditate  quanto  incorporee  e  ideali  sieno  le  real- 
tà (passi  la  contraddizione  delle  parole)  che  queste 
macchine  traducono  in  numeri  rigorosi:  fermare 
l'attimo  fuggitivo  del  distacco  tra  lo  spirito  e  il 
circi  stante  mondo,  i  cui  fenomeni  ci  paiono  senza 
tregua  presenti  e  in  rapporto  indissolubile  con  noi  : 
convincersi  che  !'  «io  voglio»,  «io  faccio»,  creduti 
fulminei  e  sovrani,  sono  schiavi  della  legge  del 
tempo;    sorprendere   la   segreta    maniera    persi    tali 


989 

di  mettersi  in  comunicazione  e  1!  I  niversi  ...  E' 
l'alfabeto  di  una  vera  scientifica  lettura  del  pensie- 
ro individuale,  è  l'uomo  ih'-  ghermisce  questo  pen- 
siero   )ier    i    retorici    impalpabili    vacui,    ne   ascolta 

b 


In.     I\ 

1/  —  Penna  elettrica 

//  —  Cilindro  rotante  a  gran  velocità,  rivestito  ili 

carta  affumicata 
c-d  —  Linea  scritta  dalla  penna  elettrica 
e  —  Linea  scritta  dalla  setola  del   diapason   che 

fa  mille  vibrazioni   al  secondo. 


l'altezza  musicale  del  frullare,  e  ne  novera  i  bat- 
titi come  il  fisico  e  il  fisiologo  fanno  del  ronzìo 
ili  un'ape  o.  del  volo  d'una  libellula!...  Di  fronte 
alla  scienza,  direbbe  un  pessimista,  tutto  si  impic- 
ciolisce, «solo  il  nulla  si  accresce!». 

Ouesto  tempo  dì  r<aj<>ne.  come  non  è  uguale  per 
ciascuna  persona,  non  lo  è  per  ciascun  senso.  Ab- 
biamo coi  cinque  sensi  cinque  finestre  per  le  quali 
spiamo  nell'Universo  e  l'Universo  penetra  in  noi. 
Xoi  lo  comprendiamo  più  preste  questo  mondo 
quando  risuona  o  ci  tocca,  che  allorquando  brilla 
di  luce  o  ci  invia  il  profumo  dei  suoi  fiori.  Ciò 
quanto  dire  che  il  tempo  psichici,  saggiato  ci  n 
questi  metodi  esatti,  va  allungandosi  man  mano  che 
la  una  sensazione  uditiva  si  passa  ali'-  impressioni 
tattili,  ottiche,  a  quelle  dell'odorato  e  del  gusto.  In 
media  noi  percepiamo  un  suono  in  150  millesimi 
di  secondo,  un  semplice  tocco  sulla  pelle  in  170 
millesimi,  una.  scintilla  in  200  millesimi,  l'odore 
d'una  essenza  o  il  gusto  di  una  sostanza  sapida  in 
400-500  millesimi  di   secondo. 

Curioso,   eppure  Oggidì   è  ammesso   senza   discus- 
sione,   che  tra    le    impressioni,   le    quali    più    tardi 
giungi  in     lilla    coscienza,    è    il   dolore-,    un    aspetto 
della  sensibilità   generale.   Nella    eccitazione    dol'ii 
liei,   l'onda  nervosa  indugia  a  pervenne  alla  psiche, 
lime  ehi   a  malincuore  debba  recare  una   non   lieta 
e.  \illa.    E'   provato   da    innumeri    osservazioni  che 
il  paziente  vigile  sotto  l'inizio  di  un'operazione  chi 
rurgica  avverte  prima  il   freddo  del  coltello  e  sui 
cessivamente    la    lacerazione   dolorosa:    l'ingrandi- 
menti ,  1  ne  del  fenomeno  si  riscontra  in 
taluni  malati  di  nervi,  nei  tabetici,  pei   esempli 
punti  da  uno  spilli,   far  iamo  il  caso  dell'ago  da 


LA    LETTURA 


un  tempo  apprezzabile  senza 

ito  i  e  la  smi  'ina 

il   -  ne  neppure 

sa  'li 
•  .in. h. 
.  tto  minori 
inultanea  della  prima,  ter/a  minore  <■  quinta  (d<>- 
sulla  scala  .1  un  pianoforte  è  un  ai 
unente  consonante,  disagevole  ]n-l 
ote  in   rapport i 
\  in  .le  calcoli  facil  i   pei    |uel  segreta 
ll'aniroa  nel  quale,  secondi  ■  l 
:  ibe  la  mi  'i      ii    .  msa 

di    |uel  disagio  che  sottende  soggettiva 
■  alla  melanconia  di   quelle  tre  note  suonate 
ne  l'accordo  minori',    taccordo    che 
Gounod  Fanciullo,  arriverebbe  al  nostro 
i     ili  uni     i  io  rche,    non   jht    quelli-    .li 
•  '  negative)  un  tempuscolo  più  iar.li 
dell  accordo    maggi  > jut-t  1< >   ili   prima,    terza 

maggiore  e  quinta         ohe  è  perfettamente  conso- 
nante e  non  reca  turbamento  ai  nostri  nervi  e  alle 
lille. 


E 


In.     V,    1 

tenzlone  [Meti  d  i  Patrizi    di  un 
no  Intelligente  e  colto 
D        Vibrazioni  del  di  tpa  vibrazioni  al 

ndo 


Numerose  al  par  .li  quelle  che  vedemmo  pi  i    la 
d'un  movimento  riflesso  involontario  sono 
nfluenze  che  si  spiegano  sulla  rapidità  del 

iki  psichico;   li. uni    influenze  biologiche,   co 

nativa  .struttura  orgi  n  1 1  psii  hii  a,  la  razza,  il  sessi  . 
l'età  :  altre  fis  |uali  la  forza  dell 

.■ita.-     i  ma,    gli   alimenti    nei  vi  si,   il    thi .    il 

'  affé,   I  assenzio^    la         dna,    attizzatori    o   spi 
tori  della  il    lità  nervosa  in  generale.  E  i 

no  inoltre  influenze  psichiche,  come  l'esercizio,  la 
freschezza  e  la  stanchezza  della  mente,  il  tendere 
più  o  meni  I  attenzione  mentre  si  fa  l' esperi- 
mento. 

Faccio  una  brevissima  sosta  unii  unenti    sull'at- 
tenzione: il  rapporto  tra  il  grado  ili  essa  e  la 
lerità  dell'atto  psichico  è  cosi   stretto,  che  l'equa 
/ione  personale   tu  a  buon  .liritto  chiamata  dina- 
mometro dell'attenzione    \<     abbiamo  dunque  gli 

orologi   che  misurano  l'attenzione. 

Assoggettando  un  individuo  ad  una  sei 
moli   (p.    e.    suoni    di   campanello)   succo  lentisi    tra 
.loro  con  una   pausa  breve  e  costante  ogni  »"  — 

e  ingiungendogli   di   concentrare  al  sommo  l'ai 
zinne  e  di  indicare  al  più  presto  possibile  l'avvenuta 
percezione  di  ciascuno  di  essi,  e  ricorrendo  al  m 
do  grafico  abbozzatovi  poco  fa,  si   possono  avere 
diagrammi  (fig.   V.    1)   conte  questi  che  io   chiamai 
■pròsexigrammi  0  grafiche  psicometriche  dell'a 
/"  un  . 

Qui,  di  reazioni,  havvene  una  cinquantina,  l'ima 
sopra  l'altra,  dal  basso  in  alto;  in  E  suona  il  cani 
panello,  in  R  il  soggetto  risponde,  e  tutte  le  rispo- 
ste sono  riannodate  dalla  grossa  linea  bianca  tirata 
poscia  a  mano. 

Le  distanze  tra  E  e  gli  A'  sono  valutale  col  nu- 
mero delle  vibrazioni  del  corista  />.  Il  tempo  del- 
l'atto psichico  si  va  gradatamente  abbreviando  e  la 
curva,  rientrando,  attraverso  piccole  oscillazioni. 
delinea  l'aumento  progressivo  dell'energia  dell'at- 
tenzione, approssimandosi  alla  verticale  E,  ma  se 
ne  discosta  di  nuovo  quando  l'energia,  dopo  aver 
toccato  l'optimum,  comincia  a  rallentarsi  1  .1  stan- 
carsi. 

Xel  seo  ndi  tracciato  (.fig.  VI,  2,  p,  seg.)  off 
•  la  una  bambina  di  sei  anni,  il  tempo  di  reazione 
si  allunga  presto,  oltre  di  che  dall'una  all'altra  rea- 
zi<  in-  ci  sono  delle  oscillazioni  enormi,  il  zig-zag 
tipico  di  chi  è  invalido  a  t'issare  l'attenzione.  La 
(fig.  VII,  .})  fu  scritta,  se  si  può  dir  .osi.  da  una 
signora  di  29  anni,  intelligente  ma  inabile  a  qual- 
siasi applicazione  mentali-  prolungata,  a  causi  di 
nalattia  .i:  impedimento  della  respirazioni 
si  detta  aprosexia. 

Dopi    qualche  minuto   di    grande   sforzo,    l'atten- 
d'un  .-'  1;»'  si  risolvi   .    non  .'■  più  atl 
giungere  il  livello  primitivo. 

Ili    tracciato   curve   analoghe   il   pi  di 

Parigi,   misurandi    con   questo  metodo  da   un-  prò 
posto  la  capacità  di  attenzione  nelle  donne  rio 
rate  alla    Salpètrière,    riscontrandi     l'attenzione   de- 
boli- nelle  ma  li  ni -uni' -In-,   oscillante   nelle   1 
niche.    facilmente  esauribile  nelle    afflitte   da    is 


LA 
fi 


VELOCITA    DEGLI    ATTI 


PSK  111CI 
R 


QQI 


Tal  metodo  della 
misura  dell'atti  nài  - 
ne  giovò  nella  recen- 
te inchiesta  lìsio-psi- 
0  il  u'ica  compiuta  a 
l'ine  giudiziario  sul 
bandito  Musolino.  A 
un  ceno  passo  della 
perìzia,  presentata 
dai  professori  Bian- 
chi. Patrizi.  Cristia- 
ni, al  paragrafo  ilei 
Tesarne  più  partico- 
larmente intellettua- 
le, si  disse:  La  sua 
(di  Musoàino)  atten- 
zione è  facilmente  e- 
sauriòile  e  grande- 
mente oscillanti . 
me  anche  fu  rilevalo 
da  ricerche  grafiche 
e  croiioscopiche.  Ed 
emme  qui  la  prova. 

La  figura  Vili  A. 
che.  come  le  altre 
consimili  precedenti, 
ha  da  essere  letta 
dal  basso  in  alto,  è 
la  curva  dell'atten- 
E 


D 


rmrrtrmwimrrrmrnrrAvmm<nwrìnr^^ 


Fio.    VI.    2.  Diagramma  dell'attenzione    Metodo  Patrizi)  di   una   bambina. 


zione  di  Musolino. 
rilevata  al  mattino, 
di  buon'ora,  nella 
cella,  a  poca  distan- 
za dal  ristoro  del 
sonno.  Egli  doveva, 
a  brevi  pause,  il  più 
rapidamente  che  fos- 
se in  suo  potere,  ad- 
ditare mediante  la 
pressione  su  un  ta- 
sto telegrafico,  gli 
squilli  d'  un  campa- 
nello elettrico:  e. 
me  appare,  inter- 
i  rreva  un  tempo  as- 
sai lungo  (in  media 
279  millesimi  di  mi- 
nili. -. lo)  tra  l'e- 
straneo fenomeno  si  - 
ni  ro  e  quello  intimo 
psichico  della  perce- 
zione e  della  segna- 
I  azione  volontaria. 
Appariscenti  poi  so- 
gli sbalzi  tra  le 
velocità  mutevoli  del 
medesimo  atto  psi 
chico  che  si  ript  1 
a  corto  inten  ali  , 
Da  180  millesimi  di 
minuto  secondo,  fu 
possibile    saltare    ti- 


wwrmnwm)^^ 


Fio.  VII,  3.  Diagr.  dell'attenzione  Met.  Patrizi   in  una  donna  affetta  da  aprosexia 


LA    LETTI  K A 


•  ninna 
ndietro, 


I  IG     \  IH       I 

i  ili.  ;i  dell'atteri  e  sul  bandito 

Giuseppi    Musolino 

ni  ni.  ]  .  di  tratti  fanciulleschi  e  pri- 

•■ .  i  tua  psichica  del  fan 

I  i  gante,  rischiarata  talvolta  da  baleni  geniali. 
jura  IX  B  i  i produce  un  idenl  io    i  ilievi    sp  i ; 
Musolino  in  l  i"  mi  i  ggii    del  i 
1     mi   ili  un'udienza  della  Con 

icato  più  del  solita  La   lun 
idei  «tempi   ili  reazione!  ■   la  grandezza  d 
i  ni  sono  qt  Ila  stanchezza 

1  Tali  :  un  vii  uno 

amento  della  - 

stante  che 

Il  ss  ■ 
!  gni  va- 

ti i 

ris]  ite  alle 

ualità  mentali  che  attri- 


lc  simi  ili  prima  .  r  la  scelta  di  adopi 

una  '  ra,  a  ,^oo.  a   ioo  millesimi  e  più. 

risultati  mirabili  ottenuti  in  questo  campa 
della   scienza,  oltre  quello  ili    Helmoltz,    il  ri   due 

n  m  nera    i   i 

■  n/a :  quello  di   Donders,   il   grande  oculista  e 

fisiologo  'li  Olanda,  quello  ili   Wundt,  il  filosofi    e 

■  li  Lipsia.   Tutti  e  tre  quei   r*  m      I  l.lni- 

1  li  ridere,  Wundl   soni  ti  di   immi 

l'uà  e    mi  ritamente  .    a    queir  alti  zza  di   gioì  ia    si 

sarebbe  di  più  avvicinato  un  giovane  della  nostra 

terra.  Gabriele  Buccola,  se  non  li    avi  top 

ini  i  in  randi  ilo  a  i  rent'anni, 

all'indomani  delle  sur  ricerche  originali  ili   ps 

i  i  della  classica  pubblicazione:  /../  legge  del 
tempo  net  tintinnili  del  perii 

Dinanzi  alla  scienza  •  ale,  alla  ■  pacifica 

filosofia  securai      caduta  con  tronche  ali  la  l 
immagine       rapido  conti  il  pensiero       che  i  poeti 
aveano  librato  a  volo  pei   cieli.    La  metafora   era 

ita    Forse  suggerita   dall'antico   org 
tiico  della  nostra  spi  di    che,  a  mi    fai  èva  la  ti  rra 
pernii    dei  roteanti  universi  e  investiva   l'uomo  del 
vicereame  del   mondo,  doveva   vantare  le   I 

entri  l'uomo  comi  maggiori  »•  vincitrici  delle 
energie  circolanti  al  ili  fuori  ili  lui:  oppure  l'e- 
spressione nacque  [ht  un  sentimento  ili  gratitudine 
■   Mi  venerazione,  pel  bisogno  intimo  ili  magni' 


ymTfrrrntjrrmmmrmmr. 


\l      alt  1 1   atti    psichici. 
■  v 
•  nsazii  ne,  si 
■  '     con  qu    ■  Second       ■  inca  d 

i        pio. 

rienza  a  tener  pi   ni 
'ni   per  fan     il 
ne  di  ]  ■  appa 

lina    lui 

'  Ila    .  i  ni  i 

Il      ■  unir 

di  fai  scintillare 

un    lampi     ii    mari  I  impani-    ih  1 

■ 
apparir,   un  numero  da  una 

par-  una  I  ngua  non 

aro  stati  re  degli  indici 
si  enuncia  il  risul 

li  atti  psichici  meno 
nent     la  i 

medi  t  -o  mil- 


tttfntTìnrrmìrrìmim*  . 


Fin.  i\.  lì. 
ell'attenzione,   presa  sul   bandito  Giuseppe  Musolino. 

la  largizii  sa  del  pensiero  agli  umani. 

I  a  soddisfazione  di  quell'orgoglio  e  la  d 

ii  ligii  sa  'li  qui  Ila  venerazione  p  ss esserci  com- 
pagne  anche  dopo  l'ultima    parola   della    scienza. 
mina  lenti     è  vero,  dir     i  |ua  -    p  di  stre,  il  | 

I I  dell'ui  mi  :    i  '  i  ■  :  n    al  massimi  ;  trenta  m 

do;    ma,   pi  r  misurarle,  ha  sapul n  un 

fora    assai   più   veloci,   il 
sin  ni    che  gli  gali  ppava  innanzi  dieci  volte  più  ra- 
pido, la  li  ino  all'in- 
,     ; .  i    i 
la  mei  ri.   P               dire  che  il  fanti .  acciuffan- 
do le- criniere,  è  1                        ppa  ai  cavalli  e  li 

-. i mti  al  cari  La  sua  viti 

ispira  in  ' Mie  e  di   » 

da  uomo  ad  uomo  -      che  ha  qualche  cosa  di 
-li  divino. 

L.  M.  PATRIZI. 


Società'  bel  museo  Industriale 


111  MUSEO  ARTISTICO  INDUSTRIALE  DI  flflPOItl 


Ientre  l'attenzione  generale  è  rivolta  sul- 
■J  l'Esposizione  di  Arte  decorativa  di  To- 
ry,-?: ~^a|)  rino,  non  sarà  inutile  considerare  uno 
dei  maggiori  Istituti  italiani  in  cui  la  decorazione 
è  insegnata  con  metodi  veramente  artistici  e  ra- 
zionali ed  eseguita  con  lode  e  con  successo.  Nes- 
suno degli  Istituti  d'Arte,  sorti  nei  tempi  più  pros- 
simi a  noi.  può  vantarsi  come  il  Museo  Ani- 
Industriale  di  Napoli,  con  le  sue  scuole  e  le  sue 
officine,  di  avere  avuto  a  fondatori  ed  a  capi  due 
insigni  e  gloriosi  maestri:  Domenico  Morelli  e  Fi- 
lippo Palizzi.  Difatti  è  ai  due  grandi  pittori  e  ad 
un'altra  anima  ardente  e  generosa  —  il  principe 
Filangieri,  che  dotò  Napoli  di  un  Museo  del  suo 
nome,  in  cui  si  conservano  pi  te  di  anni 

e  di  manoscritti,  di  quadri,  di  argenti,  di  porcel- 
lane delle  più  antiche  e  celebri  fabbriche  ■ — ■  che 
si  deve  l'esistenza  fra  noi  di  bu<  11  artefici,  che  in 
quell'Istituto  hanno  appreso  le  norme  da  cui  le 
loro  tendenze  artistiche  dovevano  essere  regolate,  e 
che  producono  i  più  svariati  oggetti  di  uso  comune, 
ispirati  ai  più  sani  principi  della  decorazione.  Gli 

La   Lettura. 


anelici  italiani  hanno  una  innata  tendenza  deco- 
rativa, la  quale,  se  i  canoni  dell'arte  vengono  a 
costringere  dentro  gli  argini  l'esuberante  fantasia, 
può  dare  dei  risultati  veramente  mirabili  ed  ina- 
spettati. Il  senso  del  colorito,  che  4  una  vivace  ca- 
ratteristica dei  nostri  artefici,  eira  scritto  nei  giu- 
sti limiti,  dà  un'impronta  speciale  e  simpatica  alla 
l<  n  1  pri  duzii  nr. 

Filippo  Palizzi  e  Domenico  Morelli,  negli  ul- 
timi anni  della  loro  vita  ;i»  nasi  abbando- 
nato la  grande  arte,  per  dedicarsi  alla  formazione 
di  una  schiera  di  operai,  coscienti  dei  più  severi 
princìpi  artistici,  che  portassero,  nel  produrre  tutto 
ciò  che  è  di  pratica  utilità  nella  vita,  una  pura 
impronta  -  nalità  e  la  e  di  un  godi- 
mento estetico.  Essi  vollero  che  il  criterio  ed  il  si- 
stema, anche  dopo  la  loro  morte,  fossero  eseguiti 
e,  secondati  da]  Filangieri,  ottennero  la  fondazione 
di  questo  Muse  \  -'  0  Industriale,  che  con  le 
sue  scuole  ed  officine,  fondato  nel  1882,  conta  già 
venti  anni  di  vita  attivissima. 

L'Istituto,    fondato    col    concorso    dei    Ministeri 

63 


idustria,  dell'Amministra 
l  «  lomune,  ebl     nei  pi  imi  b 
a  pi  cipe  Ga  Fi!  ungieri  ;  a  di- 

pi      Palù  del 

Mi      ili,    a   iliri'tliT' 


LA    LETTURA 


Robbia,  anzi   limita  le  sole  provincie  napo- 

letane, ii  '  tempi  non  molto  lontani  da  noi 

bi    Fabbi    hi   degli  Abruzzi  i   quelle  del  vi  i 
chio  Cherinto  di    Napoli;    le  fabbriche  di  Capodi- 
;nano  un  p  riodo  magnifico  nella  sto- 
ria dell  i       |       ii    quelle 
della  Casa  (  riusi  niani    Fa 

mesa    |mt  i    su.  li  cuscini   1" 

zantini  in  maiolica,  ili  una 

morbidezza  'li   forma  e  <ìi 

i  li  ti  raramente  raggiunta. 

Alla      di  o  trazioni 
maiolica  dedicarono   1  i  iti 
raria  del  Iure  insegnar! 
to,    con    maggiore    int< 
se,    Morelli   e    Palizzi 
al   primo  dei  dui 
quella  mirabile  loggia  'l'in- 
gresso —  che   riproducia- 
mo —  non   già   ili   dei 
zione  maiolicata    innestata 
ad  altre  materie,  ma  intera- 
mente in   mail  in  ,i  i"  lii-ro- 
ma,    non    si  li  i    àbile    parli 
piane  o  in  rilievo,  ma  an- 
che   in  quelle  'li   tondo  o 
-li    mezzi '    b  ndi -.     Questa 


\       I     PITTI  IH    BEI  ORATIVA 
IN     I  EHAMIi  \ 


- 

al  Musei  Industria- 
le tutti   i   ragazzi   che   al>- 
dicà  anni   compiti 
■ 

il  corso  'li  stmli  dura  cin- 
.  ili  cui  mi"  di 
'  classe  prepara- 
etri- 
.   .hit-   alla 
pia  i!'  lì.i  stampa  e  'In-'  al- 
l    i 
gni 
antimeri- 

:     n.  I    |'  gli 

al  li.  Bici- 

la  gin. la  dei 

tono  in  pratica  quello  che 
hanno   ini] 

ii  ti.    per  • 

rani                  nelle  sai.    del   Musi  ...  addirii 

lavi  i                !■•  impi  «ri  ni  che  inulto 
te  all']  si  il 

di  pn  duzione  del 

i.    L'Italia   ha   avuto  il    primato   per 
I  arte  del  tiolii  li.-  .-.  senza  risalin-  ai  ti 

gloriosi    'i'-lì'  della 


Officina-sci  ola  ceseli  mi  e  sbalzo 


'  pera,   jurparata  .lagli   sforzi  concordi   del   Morelli 

in  prima  linea,  e  'li  tutti  gli  altri  che  validamente 

I.'  cooperarono,    tu   inaugurata  solo  nel   ioor   dal 

■  presidente  i  letto  al  posto  del  defunto  Filan- 

...     i     \  i  '-i.il-,   ili.     regge  ora 

..•il  tait.i  e  ''"ti   /'-1<>  l'Istituti,  affidatogli,   quando 
!  tlippo  Pali  !ZÌ  era  uianr.it..  ai  vivi  ;   poco  prima 

.in.  !"■     hi  in.  in..       M'  i.l  '  i    aM'  am  1.  .nasse    per 


II.    MUSEO    ARTISTICO    INDUSTRIALE    HI    NAPOLI 


9C)5 


sempre  la  cara  atti,  che  i  due  maestri  avevano  som- 
mamente diletta  tanto  negli  ultimi  e  più  calmi  anni 
della  vita,  che  nei  periodi  più  combattuti  e  più 
vibranti  della  loro  gloria. 

Le  opere  in  maiolica,  eseguite  dalle  officine  del 
Museo  Artistico  Industriale,  e  specialmente  i  pa- 
vimenti e  i  camini,  hanno  incontrato  l'universale 
favore.  Il  Vaticano  commise  al  nostro  Museo  la 
fabbricazione  del  noto  pa- 
vimento della  sala  Borg 
eseguito  su  di  un  motivo 
che  sembra  doversi  attribui- 
re al  Pinturicchio.  Il  duca 
d'Aumale,  si  spirando  la  dol- 
ce sua  terra  di  Francia  dal- 
l'esilio, diceva  al  Filangieri 
che  avrebbe  commesso  al 
Musco  l'esecuzione  di  un 
pavimento  per  la  sua  casa 
dei  C<  ndé  a  (  'hantilh  se 
gli  fosse  stato  dato  di  ritor- 
nare in  patria.  E  un  egual 
desiderio  espresse  il  Duca 
di  Edimburgo,  quando  ven- 
ne a  visitare  le  sale  dell'I- 
stituto napoletano. 

Accanto    alla    produzione 
della    maiolica    hanno    an- 


del  porticato  di  San  Francesco  di  Paola  nella  piaz- 
za del  Plebiscito. 

L'edificio  è  composto  di  tre  piani,  oltre  quello 
tirreno.  In  questo,  a  destra  sono  le  officine  del 
tornio  per  la  fabbricazione  dei  vasi,  e  la  fonderia 
metalli;  in  fondo,  il  Museo  propriamente  detto, 
e  a  sinistra  le  antiche  fornaci,  poiché  adesso  sono 
state  costruite   .Ielle  nuove   in  uno  dei  giardini   di- 


Officina-scuola  orefici. 

che  notevole  importanza  i  lavi  ri  delle  altre  offi- 
cine del  Museo.  L'edificio  che  racchiude  le  scuole, 
le  officine  e  le  sale  di  esposizione  è  quello  dell'an- 
tico collegio  di  Marina,  sito  in  unti  dei  più  bei 
posti  di  Napoli  :  è  quasi  alla  cima  del  monte  Echia, 
sopra  Santa  Lucia  e  guarda  il  mare  ed  il  forte  del- 
lOvo:  tutt'intorno  è  circondato  da  giardini.  L'in- 
gresso è  dalla  piazzetta  della  Paggeria,  alle  spalle 


I  IFFII  INA-SCUOLi 

LEGNU. 


INCISORI       SU 


pendenti  dall'Istituto.  Dia- 
mo la  riproduzione  della 
più  piccola  delle  antiche 
ti  rnaei.  accesa  per  la  cot- 
tura di  un  grande  camino 
che  si  deve  eseguire  per 
un'ordinazione  venuta  dal- 
l'America. Io  ho  visto  gli 
operai  assistere  con  un'an- 
sia e  una  trepidazione  mal 
dissimulata  all'apertura  del- 
la fornace  quando  in  essa 
si  erano  cotte  delle  opere  di 
un  non  comune  valore  arti- 
stiro.  La  o  itura  p 
un'opera  in  maiolica  è  una 
vittoria  contro  il  terribile 
ignoto.  Il  fuoco,  non  di  ra- 
do,  snatura,  rompe,  ci  ri 
fi  mie  il  colore  e  Io  smallo. 
annulla  o  distrugge  il  lavo- 
ro paziente  di  tanti  e  tanti  mesi,  con  la  forza  smisu- 
rata del  suo  ardore.  Niente  è  più  bello  del  fuoco 
che  fiorisce  consumandosi  con  indomabile  attività 
e  la  lingua  vibrante  della  fiamma  porta  in  se  come 
un  dono  prezioso  e  fatale  i  germi  della  vita  e  della 

Altre  volte   il   fuoco,   come  animato   da  una    su 
periore  intelligenza,  compie  arti  di  riparazione  e  di 


l'HIV  \    SALA    DELL'ESPOSIZIONI 


SEI  ONDA     SAI  \    DELI    ESPOSIZIONI 


IL    MUSEO    ARTISTICO    INDUSTRIALE    HI    NAPOLI 


giustizia.  Mi  è  stato  raccontati    di  un'opera  in  ma- 
iolica rappresentante  un  martire  che  si  appres 
ad  esser  decapitato,  inginocchiato  dinanzi  al  carne- 
fice che  aveva  la  scure  levata  in  alto.  Il  fuoco  nella 
cottura  ruppe  e  fuse  in  alcuni  punto  lo  smalto  e, 
dopo  l'apertura  della  fornace,  si  trovò  che  il   de- 
capitato   era     il    carnefice, 
quantunque    brandisse    fie- 
ramente    Io    strumento     di 
mi  irti . 

I  più  perfetti  prodotti 
delle  fornaci  sono  esposti 
come  i  lavori  delle  altre  of- 
ficine nel  Museo  propria- 
mente i letto.  Il  quale  ha 
due  grandi  sale  di  esposi- 
zione contenenti  la  prima  i 
modelli  antichi  o  moderni 
acquistati  o  donati  all'Isti- 
tuto, e  la  seconda  il  pro- 
dotto migliore  delle  sue  of- 
ficine. 

Nella  prima  sala  è  so- 
pra ogni  altra  cosa  inte- 
ressante quella  che  può  dir- 
si una  vera  e  quasi  com- 
pleta esposizione  retrospet- 
tiva    della     ceramica     arti- 


997 

Notevoli  anche  dei  frammenti  di  mattoncelli  per- 
siani ed  ispano-moreschi.  Inoltre  dei  bronzi  cesel- 
lati cinesi  o  giapponesi,  dei  lavori  di  oreficerìa,  dei 
vasi  di  cristallo,  dei  mobili. 

La  seconda  sala  accoglie  la  produzione  delle  of- 
ficine del  Museo.  Sono  esposti  i  due  quadri  in  ma- 


Svl  \    Palizzi. 

stica.  Secondo  l'ordine  cronologico  della  loro  fon- 
dazione, le  principali  fabbriche  sono  tutte  rappre- 
sentate dai  prodotti  di  Strasburgo  e  di  Moustier; 
dalle  antiche  fabbriche  siciliane  e  da  quella  di 
Capodimonte  passiamo  a  quelle  di  Sassonia  e  di 
Sèvres,  dei  Ginori  di  Doccia  e  dei  Giustiniani  di 
Xapoli  ;  di  Boulenger,  di  Choisy-le-Roi  ;  alle  ve- 
neziane  antiche  e   alle   napoletane   contemporanee. 


Operaio  napoletano  che 

SQl    IDRA    I    Ql    UiRON'I. 


iolica  eseguiti  dal  De 
Criscito  sul  bozzetto  del 
Morelli,  che  dovevano  a- 
vere  nella  facciata  il  po- 
Sto  occupato  ora  dalle  sta- 
tue. Su  delle  tavole  o 
dentro  le  vetrine,  vasi  in 
maiolica  decorati  portano 
il  nome  di  l'ali/zi  o  di 
Morelli  con  la  doppia 
menzione  inventò  ed  ese- 
guì. Lungo  le  mura  o 
negli  angoli,  camini  ed 
- i  rans  ;  appesi  alle  pareti 
delle  eccellenti  litografie 
o  «Ielle  notevoli  incisioni 
in  legno;  su  piccoli  e 
leggeri  piedestalli,  o  su 
tavolinetti  finamente  in- 
tarsiati e  lavorati,  sta- 
tuette in  bronzo  e  deli- 
cati lavori  di  argento  a  cesello  e  sbalzo.  Fra 
i  vasi,  quelli  fabbricati  ultimamente  sono  decorati 
a  smalto  sul  fondo  grezzo  ed  hanno  un  gradevolis- 
simo aspetto. 

Al  primo  piano,  oltre  la  scuola  dei  formatori 
in  creta,  in  cui  i  ragazzi  sono  esercitati  a  ritrarre 
«lai  naturale  foglie  e  fiori,  sono  gli  uffici  e  la  bi- 
I  iioteca  ricchi  di  libri  e  di   pubblicazioni   perii 


LA    LETTURA 

i  .11  le  scu  "il;      voli.  Gli  ora  /orano  i   metalli  pre- 

iì\ìe\         '  loro,  s  coni 

■  '  più  al 

l  ù  rumoros  |uella 

dei   lavi  ri  a  ceselli        .balzi     i    I  offii  ina   dell'inci- 

allievi  a  i 
tenacia   della   materia,  ottenendo  risu  -liei 


i   i 

i   i     semplicii 

I 

in    sono  ;lii   unii   i    la 

durante  il   su  cut.,   in 

.  a  CUI,  negli  ultimi  anni  ili  sua  vita, 
sue  cure  e  la  sua  attività, 
ne  i'Ih-  ri]  ii  ni  z- 

■      i.     ni   chi-    il    l'alt/.'i    disegnò   ed 

i  bre  Pavimento  delle 

da  lui  io  'in  la  Mia  din 


aturi. 

I  e    'Illa    lan- 
ciali...  questi  nobilissimi  mezzi  per  la  riproduz 

d  ari  mi- 
gliori e  più  ra              li  quante  i  no  in  Na 

Ci  ;,  •  industriale 
-in   i   più  pin           i  ni   principi  estetici,  vietando 

così  .In-  si  disperdano  le  tradizioni  e  le  rinomanze 


.  Ila   della   prin     ;         rtchakofl    ■>      degli    antichi   arti-liei    italiani.   .,  ha    ri 


il  pavimento,  nel  centro,  non  ha  alcun  di 
O,    ma    S'iln    n  IO    ilei    lati    vi    si.no    ilei 

.li  r..se  sfogliate  e  sparse  come  per  o  lebrari 
ido  il  classico  uso  'li  lei 
1  petali  .li  rosa  soli"  ih  un  realismo  impressionante 
e  danno  l'illusione  ili  una  cosa  vera  e  viva;  e 
sopra  ogni  altro,  questo  Pavimento  delle  rosi   eh 
ha   fomiti    il   saìdo  argomento  a  coloro  che,   rico- 
endo  le  altissimi   iloti   ilei    Palizzi,   gli   n 
utamente   il    -  ■        d  corativo.    Tutte   le  altre 
open  Palizzi,  eh.-   la  morte  interruppe,   som. 

e  sono  esposte  incompiuti  - 
rga  le  sui.. le.   ii.  1  se 


uti    i    proclamati    .i  Parigi,  nell'ultima  Esp  - 
tiva  dell'incisione  in  1.  ( 
Neil  officina  'Iella  pittura  e  i 
Lea.  vedendo  la  vivacità  e  l'armonia  dei  colori,  io 
pensavo  all'influenza  che  sull'opera  d'arte  esercita 
retta  e  continua  \  .  .    ricor- 

davo,   nel   contrasto,    i    colori  gri  n  rti  delle 

bellissime  maioliche  della  rea!  manifattura  di  Co- 
penhagenj   o  nsi  rvanti,   indelebili,   il    i 
.ii  i    cieli    nordici    e   la    freddezza  dei    mai 
ciati. 

L'opera  del    Musa    Artistico  Industriale  <li  Xa- 
!  Ile  sue  scuole  ed  officine  .    utilissima  per 


vuoto  e  deserto.  La     1  insegnamento   impartito  agli   onerai   e  per  i   pro- 


ine   ("Ila.   che   nell'i  re   mattinali   lo  popolò   si- 
i    passata   al   piano  superiore,    al 

i  umoroso  di  Ile  officine. 

1       rapii    --.ile  del  ter/o  piano,  inondate  di  luce 

e  di  aria,  col  verde  degli  alberi  da  vicino,  e  più  in 

là   l'azzurro  del   mare,   di    Posillipo,   di   l'apri,   del 

i  nei  giovani  lavi  rati  ri  una  raag- 

ed  una  1 1  ia. 


dotti   che  concorrono  efficacemente   alla   diffus 
dell'arte  in  tutte  le  manifestazioni  della  vita:    in- 
tento di  tutte  le  epoche  e  caratti  pedale  e 

nobilissima   dei    nostri   tempi. 

Ed  io  auguri    che  presto  sia  p    wi  duto  ad  i 
gere  i  degni  success  ri  nelle  cariche  rimaste  vacanti 
per  la  morte  del   Morelli  e  del   Palizzi.  Con  u 
enti    .1  insegnam  nto  e  con  i  ernità   di 


Gli  sti]  11.  !..  lavoro  industre,   foggiano     indirizzo  il  nostro  Istituto  raggiung 

li    artisticamente    prege-     la  più  piena  ed  i trastata  efficacia. 

GIUSEPPE  VORLUNI. 


L'apertura  delle  tombe  imperiali 


del    te  iti  pio    di    Spira 


Ialle  verdi  e  tumultuose  onde  del  nostro 
magico  Reno  sorge,  severa,  nel  Palati- 
nato  Bavarese,  l' antichissima  città  di 
Spira  (Speyer),  per  la  sua  vetustà  ricordata  nelle 
più  antiche  leggende  e  per  la  sua  gloriosa  storia  fa- 
mosa attraverso  i  secoli. 

Testimonio  eloquente  della  sua  passata  grandez- 
za, in  essa  s'eleva  maestoso  il  grande  duomo  imp  - 
riale.  il  più  ricco,  forse,  di  storici  ricordi  e  di  sacre 
reliquie  dell'intera   Germania. 

Xel   suo   «coro  regale»   di  forma  rettangolare  e 
della  lunghezza  di   17  metri  e  larghezza  di  circa   14 
metri,  un  poco  elevato  sulla  navata,  ben  8  imp 
tori  e  re  tedeschi  ebbero  sepoltura  e  cioè  i  potenti 
salici  Corrado   II   ed   Enrico  III,   IV.  V  ed  in  una 
seconda  serie,  più  vicina  alla  nave  della  chiesa,  il 
figlio  di    Federico  Barbarossa,    Filippo   di    Svevia, 
Rodolfo  di  Absburg.  grande  e  popolare   fonda 
della  casa  imperiale  austriaca.  Adolfo  di  Xas~' 
ed  Alberto  I  figlio  di  Rodolfo. 

Anche  Gisela,   la  savia  consorte  di  Corrado   II. 
Bertala.  ammirevole  per  fedeltà  compagna   «li   sof- 
ferenza d'Enrico   IV,   la  quale  andò  col   marito   a 
Canossa,  e  Beatrice  di  Borgogna,  potente  e  fortu 
nata  moglie  di    Federico  Barbarossa.  colla   pio 


figlia   Agnese,  trovarono  fra  quelle  sacre   mura   ul- 
timo riposo. 

Le  vicende  guerresche  non  vollero  però  esenti  di 
loro  vestigia  ne  la  «città  dei  morti  del  santo  impero 
romano»,  né  i    suoi  venerati   sepolcri,    giacché   nel 
1689.    attratti  da   insano   desiderio   di    lucro,  alcu- 
ni    predoni     francesi    prò  (aliavano   gran    parte   di 
[le  umili  eppure  auguste  tombe.  Doloroso  dirsi 
he  tanto  turpe  oltraggio  rimase  impunito.   Noti- 
storiche  accertano  che  nel    17Q4   i   rivoluzionari 
francesi   pure    tentavano    una   nuova    profanazione, 
ma   pare  che.    disturbati,    non    riuscissero    nel   loro 
intento. 

Le  p>  liqtùe  giacevano  nel  gran  cor.    si  1 

to  il  pavimento  e  nulla  stava  a  precisare  la  loro  po- 
li- e  tanti    m  a»  1  a   tesi  imi  iniare   la    li  ri .  gran- 
dezza, anzi,  cosa  indegna,  erdoti  e  visi- 
tatori  calcavano  incuranti   il  suolo  soprastante. 

Circa  cinquantanni  or  sono.   Ludovico    1.  re  di 
Baviera,   nobile  me  1  tutte  le  arti  e  lettere, 

manifestava  il  proposito  di  aprire  dette  tombe,  sti- 
mando forse  convenissi-  dare  ai  regi  avanzi  più 
degni  monumenti,  ma  i  tempi  sfavorevoli  gli  impe 
di rono  ili  eseguire  il   suo  progetto. 

Le  molte  e  contradditorie  notizie  che  si  conten- 


LA    LETTURA 


ini 

all'uso  d'importarli  i  di 
ill'archivio  ili  Cai  Isnìhe,  permi  I 
■    n    certe;  za    l'ordine   delle 
■ 

■  -  pubblicai,     nel 

orico,  nel  quale,  notificando  quan- 


is I''\  a  si  tt<    ai  ni  si  1 1  piedi,  udimmi  i  sui  i 

dersi,  lenti  ed  alternati,  i  primi  colpi  ili  piccone. 

I  .1  nostra  ansiosa  attesa  per  buona  fortuna  non 
fu  lui  \  .111.1.  giai  che  la  sera  di  quel  gii  imo 
stesso,  a  soli  58  mi.  di  pri  I  ipparve  al  no- 
stro sguardo  attento  un  antico  feretro  reti 
ili  piombo.  Il  domani,  con  ogni  possibile  cura,  l'a- 
primmo 1  fa  ita  in  preziosissimi  drappi  di  seta 
lavori  palermitani)  ni  Ile  f< 


LA  CA IALE 


ti,  ,r.  uevo  i  ssei  doveri isi  1  rendersi 

lugusti  avanzi 
nella  tur]  I    1689  ed,  ordinate  le 

dar  lori  ■  1 , .;  1    11.1  li  in  1  grandezza, 

anebi  Su!,,  impunementi   ci  m 

.  dappertutto,  in  1  Sei 
mania  ed  in  Austria,  grandi  prin 

issenso  del   ves 
•  li  Spira,  conforme  il  parere  dell'Accademia    B 

ipertura  delle  '■  >nil>e  e 
ntropologhi,    u 
ai    lavori. 
Gli  I  ben  1  prii  16      gosto  1  noo  ; 

non  fu 


si  muliebri  per  la  loro  delicatezza,  ci  si  presentò  la 
figura  ili  Filippo  di  Svevia  (morto  nel  1208).  Sul 
petto,  Ira  splendidi  ricami  d'oro,  gli  brillava  s..|>ra 
un  disco  'li  metallo    un'immagine  sacra. 

Ripresi    colle    migliori  speranze  gli  scavi,    dopo 
un    lavoro  di    due  giorni  rinvenimmo   più  inna 
un  enorme   feretro   d'arenaria    rossa,    recante    però 
pali  1    delle  violenze  sofferte.  Una  delle 

su.    pareti  laterali  era  «masi  completamente  sfon- 

-I  suo  interno  era  disordinatissimo,  ma  fra 

il  ripieno  'li  terra  colmante  e  qualche  vestigio  di 
stoffe,  stavano  quasi  n  m|>l<-te  le  ossa  di  Enrio  V 
(morto    nel    1  1  25). 

Della   testa,   -1   1  lede  asportata  dai  predoni   nel 
i68q.    non  trovammo  che   la  mascella    inferiore  an- 


L  APERTURA  DELLE  TOMBE  IMPERIALI 


IOOI 


cura  ornata  di  tutti  i  robustissimi  e  ben  conservati 
denti.  Virino  alla  tomba,  abbandonati  dai  predanti, 
giacevano  ancora  un  gran  martello  ed  un  pesantis- 
simo palanchino. 

Per  quattro  lunghi  giorni  continuò  poi  ininter- 
rotto e  faticoso  il  lavoro.  Il  piccone  batteva  instan- 
cabile ad  una  profondità  di  4  metri  e  mezzo,  quan- 
do, con  commozione  vi\  issima,  vedemmo,  sotto  il 
continuo  lavoro  degli  operai,  disegnarsi  enormi  due 
massi  d'arenaria  bianca.  Erano,  come  supponeva- 
mo, le  tombe  di  Corrado  IL  fondatore  del  duomo 
(morto  nel  1039)  e  della  moglie  Gisela.  Vennero 
aperte  il  domani  fra  l'interesse  più  vivo  e  l'impres- 
sione ricevuta  durante  questa  cerimonia  sarà  per 
noi   indimenticabile. 

I  due  corpi  giganteschi   di  colore  bruno,  ci   ap- 
parvero a  tutta  prima  come  perfettamente  conser- 
vati, ma  ben  presto  ci  accorgemmo  che  eran  ridotti 
invece  a   finissima  polvere.    Xon   restavano  che  gli 
abiti  sottilissimi.  Alle  tempia,  i  cadaveri  portavano 
aurora  le  grandi  corone  fu- 
nerarie   di    rame    completa-     == 
mente   coperte    di    verdera- 
me.  La  corona  dell'impera- 
trice    recava     l' iscrizione  : 
«Gisela   imperatrix  R.  ». 

In  .uni  10  lue  le  tombe, 
sotto  il  capo  del  cadavere. 
stava  una  tavoletta  di  piom- 
be, corrosa  dal  tempo,  por- 
tante il  nome  del  regio  mo- 
rente, la  data  della  sepol- 
tura ed  i  nomi  dei  presenti 
alla  cerimonia. 

Si  trovarono  pure  sui  due 
corpi  moltissime  vestigia 
di  capelli  e.  cosa  meravi- 
gliosa, il  cervello  di  Cor- 
rado II  ben  conservato  per 
quanto  indurito  e  raggrinzito. 

Accanto  a  Corrado  II 
che,  come  fondatore  del 
tempio,  aveva  il  posto  d'o- 
nore, in  un  grande  feretro, 
simile  ai  precedenti,  tro- 
vammo gli  avanzi  di  En- 
rico III  (morto  nel  1056) 
avvolti  in  sottilissimo  velo. 
Il  suo  corpo,  anch'esso  ri- 
dotto in  minutissima  polve- 
re, indossava,  conservati  1 
meravigliosamente,  un  abito 
completo  di  seta  finemente 
lavorata;  le  sue  mani  por- 
tavano guanti  ed  una  di  es- 
se teneva  un  globo  imperia- 
le con  croce  semplicissimo  ; 
gli  cingeva  il  capo  una  co- 
rona funeraria  di  rame. 

L'n  poci  1  più  elevata  del- 
le    precedenti     giaceva     la 
tomba  di   Enrico  IV  (mor-    L 
to   nel    1050),    il  cui    sche- 


letro  era  intatto  fin  sotto  le  ginocchia.  Dei  vesti- 
menti non  restavano  che  pochi  indizi.  Ma,  alla  ma- 
no destra,  gli  brillava  un  anello  preziosissimo  col- 
l'iscrizione  «Adalbero  episcopus». 

Negli  ultimi  giorni,  a  grande  profondità  e  nella 
parte  più  meridionale  del  coro,  rinvenimmo  pure, 
in  un  gran  feretro,  il  corpo  dell'imperati  ice  Berta, 
adagiato  sopra  un  cavalletto,  come  era  stato  traspor- 
tato dal  luogo  di  sua  morte  a  Spira. 

Avevamo  con  ciò  aperte  tutte  le  tombe  della  pri- 
ma serie  più  vicina  all'altare  maggiore,  constatan- 
do con  piacere  grande,  come  tutte,  tranne  quella 
di  Enrico  V,  fossero  uscite  esenti  dalle  turpi  pro- 
fanazioni del    1689. 

Ben  sconfortante  e  pietoso  spettacolo  ci  presen- 
tarono invece  le  tombe  della  seconda  serie  giacenti 
vicino  a  quella  di  Filippo,  rinvenuta  all'inizio  dei 
lavori.  Erano  l'immagine  della  più  completa  distru- 
zione !  Alla  vista  di  quelle  misere  reliquie,  cosi  bru- 
talmente maltrattate  dalla  malvagità  umana,  invo- 


La  facciata. 


LA    LETTURA 


I     INTERNO 

lontariamente  il  nostro  pensiero  corse  alla 
s.ita  -a  e  si  comi  Fron     a 

dente   contrasto. 

A  iirinne    del    coro,    nella    tornita   estrema. 

rinvenimmo  parte  delle  esequ  i  Vdolfo  di   Nas 

nel  1298).  fondatore  della  casa  degli 
Lussemburghi,   ed   una    par1'    delle  gracili  Un  degno  mausoleo,  appositamente  elevato,   rio- 

ne della  pica  l     I  rico     coglierà  le  spoglie  travagliate  ili  quei  grandi. 


barba  rossa,    in  td    a- 

\  anzi     d'  un  in 

cui  p  ran  conte- 

nute. 

Nella    tomba    vicina,    in 
una  1  ai  grande,  sta- 

ancora  le  ossa  tri 
nel    1739  in  seguito  .1  1 

.  r  or- 
ilin. ■    dell  imperati  ire    1 
V I .  e.   pi 

1 1  un    semplicissimo 
feretri    1 1  dcuni  re- 

s'i  del    famoso  e 
re     l<< idollo    di     I [absl  urg 

(morto   nel     [29] 

("un    sapiente    lavoro   gli 
antropoioghi     ,  riu- 

ino  |" n  a  0 mpi  u  re  le 
differenl  i  <  ssa  rii 
parti  rilevanti  dei  ci  rpi  di 
Rodolfo,  di  Alberto  1  suo 
figlio  (morto  nel  1308).  ili 
Adolfo  di  Nassovia  e  di 
lie  di  Federi- 
co B  .  giacente  nel- 
la medesima  tomba  con  Al- 
I  "  iti  ■.  1  osa  interessanti 
testa  che  nel  1 7^9  veniva 
attribuita  ad  Alberto  I.  fu 
invece  dichiarata  cap 
Ridolfo-,  il  cranio  aveva 
una  grande  ferita  battuta 
probabilmente  nel  1689. 

finiti   i   lavori  e  campo» 
ste  le  regie  reliquie  nei   fe- 
retri   il   3    settembre   ebbero 
luogo    per    quanto    prowi- 
;     sori.   i   pur  solenni   funerali 
dei    12    principi,    fatti    dal 
vescovo   di    Spira.    Si    vide 
cosi.      Spettacolo     degno     di 
ricordo  nella  storia  umana,   pel  vasto  temi 
sato  a  nero,  fra  il  suono  delle  campane  ed  il  per 
dersi  nelle  oscure  navate  delle  melanconiche   armo- 
nie funerarie,   un'immensa    folla   dar  ultimo  e  sen- 
tito saluto  a  quei  grandi  vissuti  con  tanto  lustro  nei 
li   andati. 


Mùnchtn. 


Prot.  Dott.  GIOVANNI   PRAUN. 


-1»%^ 


SOMMARIO     «-- 


Romanzi  e  novelle.  —  Delitto  ideale.  Luigi  Capuana.  —  //  maleficio  occulto,  Luciano   Zùccoli.  —  Gente  alle- 

f»    ,  L.  Verni.  —    Tra  i  pirati  del  Ri/,  Guido  Menasci. 
Letteratura  e  critica,    —  Mahàbhàrata,  Paolo  Emilio  Pavolini.  —  I frammenti  dì  T.  Petronio  Arbitro.  Adriano 

Colocci.  —  Studi  e  diporti  danteschi,  Giovanni   Federzoni.  —  //  Secentismo  e  le   eause  che  lo  determina 

ron,<.  Maria  Cremonini.  —  La  vita  di  Giacomo  Leopardi,  (..  A.  Cesareo.  —  Nel  campo  letterario.  Achille 

Mazzolerò. 
Poesia.  —    l'erso  un  aprile  lontano,  Giovanni  Testa. 
Teatro.  —  Giulio  Cesare,  Enrico  Corradini. 
Belle  Arti.  —  Attraverso  gli  albi  e  le  cartelle,  Vittorio  Pica. 
Filosofia.  —  Nuovi  studi  sul  genio.  Cesare  Lombroso. 
Sociologia.  —  Marx    e  la  sua  dottrina.   Achille  Loria. 

Scienze.  —  La  vita  delle  piante  da    Teofrasto  a  Pai -uni.  Giacomo  Loforte. 
Geografia  e  viaggi.  —  Nei  due  Emisferi,  Natale  Condorelli. 


Romanzi  e  Novelle. 

Luigi  ('apuana:  Delitto  ideale.  (Palermo,  San- 
dron).  L.  2.  —  \ella  lettera  dedicatoria  a  Edoardo 
Rod.  l'autore  lamenta  che  non  si  scrivano  più  no- 
velle e  che  sia  lontano  il  tempo  quando  Guido  di 
Maupassant  diveniva  celebre  per  le  sue  narrazioni 
la  più  lunga  delle  quali  non  oltrepassava  le  cin- 
quanta pagine.  E  certo,  i  Maupassant  sono  oggi  ra- 
rissimi, per  non  dire  introvabili  ;  ma  che  non  si 
scrivano  più  novelle  non  è  precisamente  conforme 
ni  vero;  è  vero  che.  tra  le  infinite  che  si  scri\ 
pochissime  hanno  qualche  valore.  Il  Capuana  ha 
perfettamente  ragione  di  dire  che  è  più  facile  com- 
pi rre  un  mediocre  romanzo  di  cinquecento  pagine, 
che  non  un'eccellente  novella  di  dieci;  ed  anche  di 
soggiungere  che  vai  più  una  mediocre  novella  che 
un  mediocre  romanzo:  non  foss'altro,  la  novella  è 
più  breve  e  annoia  per  meno  tempo.  L'eccellenza 
si  richiede,  naturalmente,  tanto  nell'uno  quanto  nel- 
1  altro  genere;  e  come  è  spesso  un  difetto  di  ceni 
romanzi  il  diluire  un  argomento  da  semplice  no- 
vella, cosi  è  un  difetto  in  certe  novelle  il  narrare 
fatti  che  non  valevano  la  pena  d'essere  narrati.  11 
difetto  contrario,  quello  di  condensare  in  un  breve 
racconto  un  argomento  capace  e  degno  d'ampio  svi- 
luppo, è  molto  più  raro;  né  si  può  chiamare  pro- 
priamente difetto,  quando  l'arte  del  narratore  rie- 
sce, con  pochi  tratti,  a  far  vedere  ciò  che  non  si 
vedrebbe,  per  opera  d'altri,  senza  lunghe  dimostra- 


1.  Luigi  Capuana  possiede  quest'arte,  ma  non 
ne  fa  mostra  nel  presente  volume.  Dopo  avere  scrit- 
to tante  novelle  che  sono  veri  romanzi  visti  col  can- 
nocchiale rovesciato,  ora  egli  si  attiene  di  preferen- 
za a  motivi  semplici,  traccia  rapidi  scorci  di  figure, 
narra  impressioni,  ricordi,  frammenti  di  vita,  mo- 
menti di  passione,  episodi  di  sentimento.  Abbondano 
nel  suo  libro  le  pagine  argute  e  profonde,  che  farmi  > 
sorridere  e  pensare;  ma  alcuni  di  questi  bozzetti 
sono,  in  verità,  un  poco  troppo  tenui  e  dicono  cose 
troppo  poco  importanti.  L'autore  crede  evidei 
mente  che  la  novella  debba  e  possa  trovare  argo- 
menti anche  nella  più  minuta  cronaca  :  ma  non 
tutti   lo  seguiranno  in  questa  opin 

Luciano  Zùccoli:   //  maleficio  occulto.  (Paler- 
Sandron),  L.  2.  —  a  Un  autore  che  tace  è  uno 
scrigno  chiuso,  e  nulla  vieta,  anzi  tu'  ire  a 

far  credere  che  i  più  inestimabili  tesori  vi  sian  ge- 
losamente custoditi.  Un  autore  che  pubbli 
scrigno  aperto:  e  vi  si  avventai!  tutti  gli  sguardi, 
e  tutte  le  aspettazioni  rimangono  deluse».  A  questi 
giudizi,  che  lo  Zùccoli  significa  nella  breve  prefa- 
zione, se  ne  potrebbero  opporre,  come  ad  ogni  giu- 
dizio umano,  altri  del  tutto  contrari.  Quando  un 
autore  tace,  noi  possiamo,  senza  dubbi  .  attribuirgli 
qualità  straordinariamente  perfezionate  nel  tei 
del  raccoglimento;  ma  possiamo  anche  pensare  che 
egli  tace  appunto  perchè,  viceversa,  il  suo  ingegno 
sterilito.  E  se  Luciano  Zùccoli  ha  taciuto  per 


LA    LETTURA 


piova  d'esser     modificarne  i  costumi  e  la  vita,   finisce  consacra» 
riografo  delle     dosi  alla  fanciullezza  pericolante.  Non  mancano  al- 


ti  il.-  ■  '   apprezzarli nei 

lumi,  nell'ultimo  A'  Fi  rse 

antico  Ih  tignato.   I 1  ni 
uderi  izioni,  le  ap 

i  he  egli  mette  in  opera 
uesto   l/"  ulto.  <  taculto  i 

nente,  e  tali    che  soltanto  l'anima  in 
acutamente  sensibile  e  dolor  -  unente 
protagonista  >•■  può  di- 

l'anima  <i'nn  uomo  amante  non  più  ri;i- 
f i  rtunati  ■  rivale.  Qui  sto 
l  Scavolini     non      pie 

sino  della   propria   moglie  ; 
un'arte  infernale,  ha  fatto  in  modo  che  un 
la  uccidesse;  ed  ora.  libero,  sta  pei 
.  Jtra:   quella  cieca  e  tuia  Clara 

dall'antico  amante  l'infamia  <1<1  nuovo 
■ir.  per  un  momento  pare  scossa,  ma  ]H'i 
non  dà  più  .ascolto  agli  ammonimenti,  li  crede  inte- 
tti e  bugiardi,  i    sposa  senz'altro  il  malfattore. 
del  quale  è  resa  dall'autore 
i  me  acutissime  si  mi    le  più 

innovazioni  alla  drammatica  lotta  che  scop- 
i  ra  le  anime  degli   ex  amanti.   Tre  soli   persi 
_i   ha   il    rom. n  arsi   vi   sono  gli   episodi; 

mezzi  tanto  semplici,  lo  Zùccoli  eo 
aten    li''  nzii  ine  dei  lettori.  Con 
una  forma  ag  t,  egli  resta  elegante  ed  ama- 

bile anche  nel  caustico  scetticismo  e  nell'umorismo 
un  poco  amaro  che  è  il  suo  segno  particolare. 

!..  Verni:    Gente  allegra.   (Firenze.  Bemporad), 
!..    v         L'ai  -  o  l'autrice  —  ha  torto  ili  te- 

.  nella  prefazii  ri     i  I     ti  suo  ri  manzo  trasporti 
soci  ilismi  ,  Si  può  lenissimo  seri 
un  rimai!  e  non  ne  mancano  esempi  ; 

hi    un   romanzi    si  i-  ssa  dire  tale,  non  ba- 
lli   due  personaggi  come  la  protagonista  Livia 
e  la  sua  vecchia  amica,  la  marchesa  di   Monfiorito, 

mo  all'eguaglianza,  alla 
!  «corre  qualche  cosa  di  più: 

i  mali  del  presente  assetto  della  famiglia  umana,  i 
rimedi  da  mettere  in  opera,  debbono  scaturire  logi- 
camente dalla  stessa  azione,  narrata  dal  romanziere. 
Ora,  che  la  si  •  colta  sul  lago  di  Como  si  di- 

stupidamente,  e  che  l'elegante  Beppe 
Veri   licenzi  un  mi.,  servo  poco  fedele,  non  sono 
.i   sufficienti    a    spiegare   le    intenzioni    sociali 
del  libro.  Il  |'  che,  mentre  non  si  può  chia- 

•    de.  questo  romanzo,  che  vorrebbe  pur  es- 
litico  e  ps  n.  n  ci   fa  leggere  nel- 

l'anima  dei   persona}         I    autrici    ci    narra   soltanto 
I    Ile'    Veri,  dopo  una   lunga  malattia,   scrive 
alla  cugina    Livia   prò]  di    sposarla  ;    ma 

duto  prima,  che  e.  sa 
mo  suo;  né.  sostituendosi  in  tutte 
li    del    '■  Inni'    alla  protagonista  e  pai 
land  i  bene  la  crisi 

■    pei     la    quale   la    giovane,    invece   di    ri- 
ti   ii"  'li'-  ama,  o  pare  i  he 

'si   con   lui.   di   tentai    di 


l'autrice  buone  e  belle  e  rare  qualità;   appunto  per 
ciò  ;■  pin  da  die  ella  non  le  abbia  me- 

glio adoperate. 

Guido  Menasi  i:  Fra  i  -pirati  del  Rif.  (Milano 

l'.ileiiuo.   Sandron),   !..  3.  -     L'esempio  dato  dal 
\i  nasci  componendo   questo  libro  d'avventure    di 

10  per  gii  i\  in.  ■      ni  '  di  li  "le  e  d'imitazio- 

ne.   La   letteratura  narrativa  ad  uso  della  gioventù 

torto  sdegnata   dagli   artisti  come  inferiore  a 

uà   dell)     !•  'i' 1   1  .e  1'  he;    l ali  he    1  roppo    spiasi  1 

abbandonata   a  scrittori  che,  con  le  migliori 

intenzioni  del    mondo,    non    ci   danno  opere    molto 

ite.  Guido  Menasci,  novelliere  e  poeta  di  buon 
gusto,  lui  voluto  provarsi  in  quivi, ,  genere,  ed  ha 
scritto  con  forma  eletta  un  grazioso  romanzetto  nel 
quale  non  si  potrebbe  desiderare  altroché  un  )>•■,. 
più  di  movimento  nella  favola.  Ma  se  le  awer 
del  mozzo  Andrea  Fahretti  a  bordo  del  Sui.  1 
non  sono  straordinarie,  non  sono  neppure  sempli- 
cissime; perchè  la  sua  nave  è  catturata  dai  pirati 
de]    Rif,    lungo   le  eoste   di!    M  dinanzi  alle 

isole  Zaffarine;  e  (piando  l'equipaggio,  dopo  una 
dura  e  pericolosa  prigionia  tra  i  Riffani.  è  riscat- 
tato e  consegnato  ai  soldati  spaglinoli,  il  piceo],, 
marinaio  livornese  riesce  da  solo  nell'impresa  di 
ritogliere  ai  pirati  la  sua  nave;  talché,  più  tardi, 
quando  egli  è  set  t'ufficia  le  nella  marina  da  guerra, 
sposa  la  figlia  del  padrone,  con  la  quale  c'era  si 
del  tenero.  L'amor  del  mare,  delle  imprese  navali, 
ispira  tutto  il  libro  del  Menasci  e  sarà  ispirato 
nelle  anime  dei  piccoli  lettori:  opera  provvida  nel 
nostro  paese,  dove  crescono  troppi  spostati  e  dove 
é  perciò  più  grande  il  bisogno  che  le  giovani  gene- 
razioni siano  avviate  alle  lotte  sane  e  feconde. 

Letteratura  e  Critic 

Paolo  Emilio  Pavolini:  Mahàbhàrata.  (Palei 
mo,  Sandron),  L.  3.  —  Sotto  la  dire/ione  di  Gio 
vanni  Pascoli,  s'inizia  con  questo  bel  volume  una 
Biblioteca  <icì  Popoli,  la  quale  comprenderà  i  ca- 
polavori di  tutta  la  letteratura  mondiale.  Il  Pavo 
lini  si  é  assunto  il  non  lieve  ufficio  di  tradurre  — 
beninteso,  non  per  intero  —  l'immenso  poema  •  pi- 
co,  la  vasta  enciclopedia  indiana  del  Mahàbhàrata. 
Quando  si  pensi  che  esso  occupa,  nell'origiri 
quattro  grossi  volumi  in-quarto,  i  quali 
no  diciotto  libri  e  un  totale  di  no  mila  stl 
mentre  lo  stesso  Ruminali, 1.  che  parve  ed  è  real- 
mente enonne,  ne  ha  soltanto  :.\  mila,  e  Xlliadc 
ha  15,653  esametri,  e  YEneidi  appena  g.868  ; 
quando  si  misura  così  la  giganti  -,  a  mi  le  di  quel- 
l'opera, s'intende  la  necessità  di  rinunziare  a  una 
traduzione  completa.  Tanto  più  che,  j»-r  l'affastel- 
lamento degli  episodi  epici  con  gl'insegnamenti 
morali,  delle  leggendi  eri  iche  con  i  concetti  fil 
liei,  delle  azioni  drammatiche  con  i  precetti  giuri- 
dici, l'opera  riesce  un  poco  indigesta.  I  soli  Ingie- 
si,  e  se  ne  intende  la  ragione,  ne  posseggono  finora 
una    tradii/,  ne    completa;     la    francese    si     an 


I    LIBR 


1005 


all'ottavo  Libro  e  soltanto  da  poco  è  stata  ripresa. 
[ri  Italiano,  rome  in  quasi  tutte  le  lingue  europee, 
non  cerano  finora  altro  che  alcuni  episodi,  tra  i 
quali  quelli  famosi  di  Naia  e  di  Savi/ri:  il  Pavo- 
lini  ha  avuti:  un'idea  felice.  Per  dare  un'adeguata 
idea  dell'intero  poema,  lo  ha  seguito  passo  passo, 
traducendo  integralmente  le  parti  più  caratteristi- 
che e  necessarie  a  intendere  1  insieme,  mettendo  in 
rilievi'  fazione  principale  e  concedendo  un  discre- 
to posto  non  solo  agli  episodi,  ma  anche  a  taluna 
delle  parti  filosofiche  e  morali,  e  compendiali,  li  i 
più  o  meno  rapidamente  ciò  che  non  era  opportu- 
no  tradurre  per  intero.  Accortamente  egli  ha  pre- 
ferito tradurre  brani  (inora  sconosciuti,  sorvolando 
sugli  altri  bellissimi  ma  troppo  noti.  Grazie  alla 
disposizione  tipografica,  il  lettore  può  riconoscere 
subito  quali  sono  i  passi  testualmente  volgarizzati. 
e  quali  i  compendiati  ;  egli  riceve  però,  grazie  al- 
l'arte del  Pavulini.  Impressione  di  un  tutto  orga- 
nico ed  armonico.  Una  dottissima  introduzione  pre- 
cede l'opera  ;  la  chiudono  opportunamente  una  se- 
rie di  note,  l'indice  esplicativo  dei  nomi,  ia  spie- 
gazione delle  figure  poste  in  testa  a  ciascun  libro. 
l'albero  genealogico  degli  eroi  del  poema,  l'elenco 
di  tutti  i  passi  tradotti  integralmente,  e  una  carta 
dell'India  coi  nomi  dei  luoghi  citati  nell'opera. 

Adriano  Colocci  :  /  frammenti  di  T.  Petronio 
Arbitro.  (Catania,  Calatola),  L.  2.  —  Se  si  met- 
tessero insieme  tutti  i  libri,  la  pubblicazione  dei 
quali  >è  dovuta  alla  strepitosa  fortuna  del  Quo  Va- 
da ì,  già  si  potrebbe  formare  una  discreta  libreria, 
tanti  sono  i  romanzi  e  gli  studi  storici  e  critici  ve- 
nuti dietro  al  capolavoro  del  Sienkiewicz.  Alla  li- 
sta non  breve  è  ora  da  aggiungere  questo  volume 
del  Colocci.  il  quale  ha  scelto  come  oggetto  delle 
sue  fatiche  quel  Petronio  che  nell'opera  polacca  tie- 
ne tanti >  posto  accanto  all'imperiale  protagonista, 
e  che  è  forse  la  figura  meglio  riuscita  fra  i  tanti 
personaggi  del  celebre  romanzo.  Ma  è  poi  tanto 
storicamente  vera  quanto  artisticamente  riuscita? 
Questo  il  punto  dal  Colocci  esaminato  nel  proemio; 
dove  l'autore  comincia  col  trascrivere  il  passaggio 
«li  Tacito  che  è  la  principale,  per  non  dire  l'unica 
fonte  di  notizie  biografiche  intomo  a  Petronio  ;  e 
poscia  discute  gli  argomenti  di  coloro  i  quali  cre- 
dettero di  poter  identificare  il  console  Petronio  di 
Tacito  col  poeta  Petronio  Arbitro,  autore  del  Sa- 
iyricon.  Il  primo  ad  esprimere  questa  opinione. 
ma  in   forma  dubitativa,    fu   il    Pithou  ;    molti    la 

i  >atterono,  fra  i  quali  Giusto  Lipsio.  il  Petit 
ed  il  Voltaire:  il  Colocci  fa  ben  valere  tutti  gli  ar- 
gomenti che  le  stanno  contro.  Parimenti,  esaminan- 
do la  questione  subordinata,  se  il  Satyricon  si  deb- 
ba   apprendere  cerne  una  allegoria   satirica  rivolta 

ro  Nerone,  l'autore  sostiene  la  risposta  negati- 
va e  adduce  le  molte  e  non  lievi  ragioni  per  le  quali 
quel  libro  non  si  può  credere  scritto  a  Roma,  in- 
torno a  persone  ed  a  cose  romane,  ma  si  deve  con- 
siderare come  concepito  fuori  d'Italia,  in  qualche 
colonia  orientale.  Ad  ogni  modo,  e  quantunque  in- 
torno alla  persona  ed  alle  opere  di  Petronio  l'oscu- 
rità non  si  possa  dissipare,  il  Colocci  ha  voluto, 
attese  che  il  Sienkiewicz  lo  ha  messe  di  moda,  sce- 


gliere alcuni  frammenti  dell'antico  scrittore:  epi- 
grammi e  poemetti  erotici  e  filosofici,  e  pubblicar- 
ne una  libera  traduzione  in  prosa  col  testo  a  parte 
e  note  filologiche  e  letterarie  in  fine.  Le  note  - 
erudite,  sebbene  non  copiose;  una  maggior  purez- 
za sarebbe  stata  desiderabile  in  qualche  luogo  della 
versione. 

Giovanni  Federzoni  :  Studi  e  diporti  danteschi. 
(Bologna,  Zanichelli),  L.  5.  —  L'autore  riunisce 
in  questo  volume  tre  serie  di  suoi  scritti  su  Dame, 
alcuni  dei  quali  già  prima  pubblicati  e  unanima- 
mente  lodati,  altri  inediti  e  non  meno  degni  di' 
lode.  Sia  per  l'attrattiva  della  ni  ...  -  a  per  l'in- 
teresse dell'argomento,  questi  ultimi  sono  anzi  i 
più  importanti:  importantissimo  è  il  primo,  in- 
torno ad  Una  /inora  canzone  di  Dante,  della  quale 
il  Federzoni  dà  il  testo,  trasi  1   cura  .li   Ma- 

rio Menghini   dal   codice   \.<  te,   se 

pure  gli  argomenti  coi  quali  l'editore  ne  dimostra 
1  autenticità  lasceranno  qualche  dubbio,  certo  me- 
rita, come  egli  vuole,  che  sia  da  ora  innanzi  p 
insieme  con  le  canzoni  a  Dante  attribuite.  Attraen- 
tissimo  è  il  capitolo,  inedito  anch'esso,  sulla  poesia 
degli  occhi  e  dello  sguardo  di  Guido  Guinizelli  a 
Dante,  e  notevolissimo  il  terzo  intorno  ai  Primi 
germi  della  Divina  Commedia  nella  Vita  Nuova. 
Tutti  gli  altri  scritti  non  sono,  come  già  si  disse, 
nuovi;  ma  rinnovati  nella  sostanza  e  nella  forma: 
eccone  i  titoli:  //  Canto  XII  dell'Inferno,  Sopra 
Celestino  V  e  Rodolfo  d 'Absburgo  nella  Divina 
Commedia,  Breve  trattalo  del  Paradiso,  La  Vita 
Mova,  Filippo  Argenti,  L'entrata  di  Dan1  e  nel  Pa- 
radiso terrestre.  Seguono  dieci  postille.  Dotta  sem- 
pre e  sempre  elegante,  la  critica  del  Federzoni  rie- 
sce particolarmente  grata  ed  amabile  perchè  Fau- 
tore, il  quale  non  scrive  senza  aver  compulsato  tut- 
ta la  letteratura  dantesca  antica  e  moderna,  pae- 
sana e  straniera,  non  ostenta  con  le  citazioni  in- 
gombranti l'erudizione  sua. 

Maria  Cremonini:  //  Secentismo  e  le  cause  che 
lo  determinarono.  (Bologna,  Beltrami).  —  E'  uno 
studio  breve,  ma  sagace  intorno  ad  un  fenomeni  1 
letterario  al  quale,  generalmente,  si  assegnò  una 
sola  causa,  mentre  un  complesso  di  circostanze  pi  - 
sono  solamente  spiegare  la  sua  complessità,  ber  al- 
cuni critici  la  corruzione  del  gusto,  nel  Seicento, 
dipese  dalla  dominazione  straniera,  dallo  spagno- 
lismo; per  altri  dall'amore  di  novità,  per  altri  ai 
ra  dall'ipocrisia  religiosa,  dal  gesuitismo,  dal  pe- 
trarchismo e  via  dicendo.  Secondo  l'autrice,  tutti 
questi  elementi  concorsero,  in  misura  diversa,  a 
produrre  il    Secentismo;    svi  ilarmen- 

te ciascuno  di  essi  in  uno  speciale  genere  letterarie 
od  in  una  determinata  parte  d'Italia:  nella  lirica 
il  petrarchismo,  nella  storiografia  e  nella  eloquenza 
il  gesuitismo:  e  più  nel  Napoletano,  da  lungo  tem- 
po soggetto  alla  signoria  spaglinola  ;  meno  nel  Mi 
lanese  da  poco  asservito  ;  meno  ancora  in  altre  re 
gioni  rimaste  interamente  italiane. 

G.  A.  Cesareo:    La  vita  di  Giacomo  Leopardi. 
(Palermo.  Sandron).  L.    1.50.   -      11   (Voi 
tempo   addietro,   arricchito   la   copiosissima   lettera- 


. 


LA    l.I'.'l  1 


rita  e  te  i 
.  lì  d  narra  rintera  vita 
i-  nti    i«  risati  ■.   La 
ma  finora 
I  ,  ncipaJmente,  alla  mate 
■  delle  circostanze,   alla 
avvenimenti  ;  il  I  a  vi 

ne  rispetto  allo  spii 
he  l'uno  prendesse 
nsiderarli  tutti   \ns  ■  «  la 

,  i  oda  dei  tempi  e  delle 
.    d'un  solo  i 
una  rapida  esposizione  delle  con- 
morali  d'Italia  all'alba  del  secolo  decimo- 
i    ii  .  mento,  narrando  i  primi 
i      pardi,  la  fuga  da  Recanati,   il  tempo 
Fuori  del  paese  nativo,  l'ultima  dimora  in 
l'ultima  dimora  in  Firenze  e  la  din    i 
sino  all'estremi    giorno.  Chiude  il  libro 
,    nel    liliale   sono   definiti    il 
e  le  qualità  del  poeta.  Se  qual- 
cuna -li    di  1  <  !esareo  potrà  dar  luo 
tutto  ciò  che  egli  dice  è  degno 
ne  e  di  studio. 

\   i  imi    Mazzoleni:  Nel  campo  letterario.  (Ber- 
i ,  1      2.  —  Questo  grazioso  volume  è 

il   frutto  di  una  accorta  e  diligente 
spigolatura  nel  campo  letterario:   vi  si  trovano  rac- 
colti  una   serie  di   studi   sintetici  e  di   note  analiti- 
che    rivelano    nell'autore    molta    coltura    e 
critica    1   capitoli   più  pregevoli  sono 
unente  i  cinqui-  primi,  nei  quali  il  prof.  Mazzo- 
leni  sservazii  ni,  documenti  e  notizie  in- 
poeti,  agli  scrittori  che 
ro   il    proprio  ritratto  ed   il   proprio  epitaf- 
antoi    dell  inverno  e  ai  poeti  della  patria: 
.  ggi       particolarmente  degno  di  nota 
per  la  ricchezza  delle  informazioni  e  il  calore  del 
sentimento.  Tra  i  minori  paragrafi  sono  importanti 
I         .  i  due  sul  Leopardi,  quello 
siciliani,  ecc.  Per  varietà  d'argo- 
rii  •    dizione,  la  lettura  di  que- 
\.  le  ed  istruttiva;  forse  il  Maz- 
ni  non  ha  sempre  la  sua  atteri 
ad  opere  e  ad  amori  che  verami  nte  la  militavano  : 
ma                   piccolo  difetto,   perchè,  comi-  d 
i   lare  non  nu  ■ 

Porsi  A. 

i        ■ .     i    -       m  aprile  /ontano.  (To- 

L.  2.  —  C'è  in  questi  o  mpi  nimenti 

la  i  rtgegno  poetico,   alla 

Ira    ••    malinconica    si 

erai  certa  nu  m  ti  mia    ri 

lente   dalla    forma,    dalla  costante 

la  stri  fa  li- 

l  Nella  prima  parti  si  volge  al  passati 

in  preda  i  in  |uii  i  udirle  .  nella 

tusti  presagi  e  la  di\  ina 

d'una   stagione  •  ria    a 


tutti  gli  uomini,  a  tutta  la  terra.  L'alba  di  questo 

aprile  lontano  i si  confonde,  pei   il  mite  pi 

di  .  adoratore  della  bellezza, 

della   verità,  credente   nella    forza   del   verbo,   l'au- 

'.  i    i|l(  visioni  ' ii"'-  pun  ed  armoniose.  Come  è  alto 

il  suo  pensiero,  così  i    nobile  la  sua  espressione. 

i  era  ed  è  fai  il  mente  correg- 

i  ■  .■    • 

I  \rico  Corradini:    l  dramma    in 

cinque  atti.  (Roma,  «dizione  della  «Rassegna  na- 
zionale»). —  Due  scrittori,  giovani  e  valenti  en- 
trambi, ma  per  indole  e  studi  diu-rsissimi,  hanno 
quasi  conti  mpoi  cato  la  figura  di  <  ìiu 

Ilo  Cesare.  Guglielmo  Ferrerò,  il  quale  ha  dedii 
al  ti  ndati  n   di  11  Impero  un  intero  volume  della 
Grandezza  e  decadenza  di  Roma,  ed  Enrico  Ci  rra 
dini.  che  lo  ha  fatto  protagonista  del  presenti-  ili 
ma.   Come  parti-  d'un'opera  grandiosa  appena  ini- 
ziata,  il   dotto   lavoro  del    Ferrerò   potrà  essere 
glio   studiato  e   giudicato   quando    finterò   ciclo  al 
quale  appartiene  sarà  compiuto;    l'artistico  compi- 
nimento  del  Corradini  non  ha  invece  bisogno  d'a- 
spettare. E,  per  un  caso  fortunato,  la  critica  si  può 
avvalere,  nel  giudicarlo,  d'uno  scritto  nel  quale  l'au- 
tore del   dramma  significa  la   propria  opinione  in- 
torno   al    libro    ili    storia.    Avendo    già   parlato   del 
primo  volume  del    Ferrerò,    La   conquista  dell'Im- 
pero, il  Corradini  ha  voluto  parlare  anche  del  se- 
condo, Giulio  Cesare  ;  e  pochi  come  lui,  dopo  avere 
tanto  attentamente  studiato,  per  dipingerlo  in  un'o- 
pera d'arte,   il   personaggio  della   storia,   erano   in 
grado  di  parlare  dell'opera  dello  storico.   Ora,   poi- 
ché al  Ferrerò  il  Corradini  addebita  d'aver  fatto  di 
Cesare  un  uomo  di  «forza  meravigliosa,  ma  cieca, 
ossessa,  frenetica,  non  mai  veggente,  signi 
armoniosa»  ;   e  di  una  «volontà  quasi  direi  involon- 
taria», diminuendo,  per  obbedire  a  un  preconcetto 
etico,    sociologico,    ]M>litico.    filosofico,    la   figura,    le 
imprese,    l'azione   che   esercitò    nel    mondo    il    gran 
capitano,    così    noi    siamo    preparati   a    trovare    nel 
dramma  del  Corradini  tutto  il  contrario:    una  esal- 
tazione deW'imperator,  «il   più   stupendo  campioni 
dell'uomo  forte,  volente  e  combattente».  Cosi  è  ' 
mente.    Mei  cinque   atti   del  dramma,   al   Rubicone 
dove   ci  n    la    dominatrice    parola    vince    i    ornati    di 
resistenza  dei  suoi  soldati:   a   Roma,  dove  entra 
renamente  scotendo  le  redini  del  <m-  cavallo  e  di- 
sperde la  [laura  della  folla  e  l'ostilità  dei  nemici; 
a   Farsaglia.  dove  trionfa   dell'esercito  di    Pompeo 
con  l'impeto  delle  infiammate  legioni,  e  di  -     - 
con    la    magnanima   clemenza    verso    i    vinti,    e  di 
Bruto  con  l'eloquenza  della  filosofia;   ancora  .. 
ma.  nel  giorno  dei  trionfi,   in  mezzo  al  popolo  che 
lo  suole  far  Dio  e  agli  omicciattoli  che  non  gli  con- 
ilo   di    essere    re;    ed    ai    fatali    idi   di    ma 
nella  coscienza  della  sua  forza,  della  sua   misi 

ra  compiuta  ;   nella  trascuranza 
monimenti  e  dei   pronostici   infausti,  sacerdote  aru- 
spice e  indovino  di  sé  stesso,  il  Cesan    di  En 
Corradini    è   ]  nte  un    Eroe,   una   delle   più 


I      I.  I  B  K  1 


vaste  orme,  secondo  l'espressione  del  poeta  di  un  .li- 
tro Eroe,  stampate  dallo  Spirito  creatore;  non  so- 
lamente un  -politropo,  ma  «l'uomo  di  lutti  gl'inge 
gni  e  di  tutti  i  modi  e  di  tutti  i  principi  e  di  tutte 
le  leggi  dell'esistenza».  Avendo  così  visto  Cesare, 
cosà  il  Corradini  lo  ha  reso.  Se  anche  il  Conquista 
tore  non  fu  realmente  tale,  se  anche  avessero  torti 
le  secolari  tradizioni,  e  ragione,  col  Ferrerò,  i  nui  \  i 
critici,  la  bellezza  poetica  e  la  forza  drammatica 
della  concezione  del  Corradini  resterebbero  inalte- 
rate. Un  uomo  ed  un  mondo  stanno  a  fronte  ;  e  la 
niente,  il  cuore,  l'anima  di  quell'uomo  contengi  ni 
e  mantengono  quel  mondo,  che  è  il  più  vasto,  il  più 
vario,  il  più  agitato  e  fragoroso  tra  quanti  ne  ri- 
cordano le  storie;  e  l'uomo  che  ha  creato  una  po- 
tenza sovrumana  è  sopraffatto  da  negatori  oscuri, 
da  denigratori  ambiziosi  e  da  sognatori  infermi. 
ma  dopo  aver  compiuto  un'opera  che  gli  sopravvive 
nei  secoli,  dopo  aver  dato  per  sempre  il  nome  suo 
proprio  a  quella  potenza.  Grandioso  nelle  linee, 
preciso  nei  particolari,  profondo  nella  psicologia, 
il  dramma  del  Corradini  ci  dà  la  misura  d'un  inge- 
gno che  nell'arte  narrativa  e  nella  critica  filosi  fii  a 
aveva  già  dato  prove  evidenti  del  suo  grande  vali  re. 

Belle   Arti. 


Vittorio  Pica:  Attraverso  gli  Albi  e  le  cornile. 
1 1 1  fascicolo.  (Bergamo.  Istituto  italiano  di  arti 
graficheN,  L.  2.50.  —  Con  questo  terzo  fascicolo  si 
chiude  la  prima  serie  dell'opera  di  Vittorio  Pica, 
che  abbiamo  qui  due  volte  rammentata  e  raccoman- 
data, e  che  torniamo  ora  a  lodare,  perchè  il  buon 
gusto  dell'autore,  la  sua  scrupolosità,  la  sua  preci- 
sione, la  sincerità  delle  sue  impressioni,  l'equani- 
mità dei  suoi  giudizi,  rimangono,  col  variare  degli 
argomenti,  sempre  inalterate.  La  nuova  tappa  del- 
l'artistico suo  giro  è  fatta  nel  campo  dei  cartelloni 
illustrati,  modernissima  forma  d'arte  e  principale 
elemento  di  quell'  «estetica  della  strada»  che  è  nei 
voti  di  molti  artisti  e  sociologi.  Il  Pica  ci  descrive 
e  ci  mostra,  con  le  bellissime  riproduzioni  che  ador- 
nano il  suo  lavoro,  ciò  che  di  meglio  si  è  fatto  nel 
genere  in  Francia,  in  America,  in  Inghilterra,  nel 
Belgio,  in  Olanda,  nella  Scandinavia,  in  Russia, 
in  Germania,  in  Austria-Ungheria,  nella  Spagna  e 
da  ultimo  in  Italia.  Egli  mette  in  evidenza  i  parti- 
colari caratteri  d'ognuna  di  queste  manifestazioni 
nazionali,  e  d'ogni  nazione  enumera  e  studia  i  cam- 
pioni più  insigni.  Intensamente  provate,  queste  sue 
Sensazioni  d'arte  sono  efficacemente  espresse  e  de- 
stramente partecipate  a  chi  legge. 

Filosofia. 


Cesare  Lombroso:  Nuovi  slatti  sul  genio.  Vo- 
lume secondo.  (Palermo.  Sandron),  L.  3.  —  Le 
teorie  del  Lombroso  sono  note  ad  ognuno,  tanto 
rumore  hanno  levato,  a  tante  polemiche  hanno  dato 
argomento.  Qualunque  opinione  si  possa  avere  in- 
torno ad  esse,  bisogna  riconoscere  ed  ammirare  l'in- 
domita costanza   con    la  quale   l'autore  le   sostiene. 


Min; 

le  difende,  le  illustra,  le  conforta  di  sempre  nuove 
prove.  In  questo  secondo  volume  dei  suoi  Nuovi 
studi,  egli  dichiara  ohe  fra  i  tanti  critici  sorti  con- 
tro la  sua  teoria  del  genio,  uno  solo  glie  ne  ha  ad- 
1  itato  la  vera,  capitale  lacuna:  il  Sergi,  quando 
gli  ha  obbiettato  che  con  questa  teoria  non  si  è  an- 
spiegato  come  sorgano  geni  di  varietà  così 
differenti.  E  gran  parte  de]  libro  è  appunto  occu- 
pata dalle  risposte  a  tale  quesito.  Premesso,  come 
lo  stesso.  Sergi  riconi  sce,  che  la  varietà  non  distrug- 
ge l'unità  del  genio,  l'autore  va  rintracciando  le 
eause  per  le  quali,  nonostante  la  comune  nanna, 
1  ascun  genio  ha  caratteri  propri;  e  le  trova  nel- 
l'eredità,  nell'ambiente,  nelle  circostanze  economi- 
che e  morali,  fisiologiche  e  psicologiche,  nelle  im- 
pressioni tardive,  nell'incosciente,  ecc.  Nei  rimanenti 
capitoli,  il  Lombroso  ritorna  allo  studio  dei  rap- 
porti del  genio  con  le  varie  degenerazioni,  della 
patologia  psichica  ed  anatomica  degli  uomini  di 
genio.  .■  finisce  adducendo  nuove  prove  per  dimi  - 
strare  che,  cime  lui.  i  pensatori  antichi  ed  anch  li 
genti  primitive  e  selvagge  credettero  e  credono  alla 
pazzia  del  genio  o  alla  genialità  dei  pazzi,  e  che 
anzi,  presso  i  popoli  primitivi  i  pazzi  e  gli  epilet- 
tici si  creano  artificialmente,  per  farne  dei  santi, 
dei  profeti,  dei  medici  e  dei  maghi.  Il  volume  è 
provveduto  di  appendici,  di  statistiche  e  di  tavole 
illustrati^  e. 

Sociologia. 

Achille  Loria  :  Marx  e  la  sua  dottrina.  (  Pa- 
lermo, Sandron),  L.  2.  —  I  sei  saggi  dei  quali  è 
composto  questo  volume:  Karl  Marx.  L'opera  po- 
stuma di  Carlo  Marx,  Intorno  ad  alcune  critiche 
dell'Engels,  Due  parali  di  anticritica.  Le  vicende 
del  marxismo  in  Russia  e  Serate  socialiste  a  Lon- 
dra nel  1S82,  apparvero  tempo  addietro  nella  .1  Nuo- 
va Antologia»,  nella  «Riforma  Sociale»  e  nella 
«Critica  Sociale»,  quando  più  vivaci  ed  ardenti  e- 
rano  le  "ontose  intorno  al  sistema  marxiano,  e  par- 
tic  ilarmente  l'interpretazione  del  Loria  era  oggetto, 
einie  dice  lo  stesso  auti  io.  .li  fere  rampogne.  Fgli 
li  ricompone  in  un  libro,  ora  che  nella  discussione 
intorno  al  Marx  è  ternata  [a  ealma;  e  la  sua  ese- 
gesi è  degna  di  attentissimo  studio  tanto  da  parie 
di  coloro  che  seguono  i  concetti  dell'autore,  quan  0 
e  più.  da  parte  di  chi  professa  idee  diverse  0  con- 
trarie. Ben  venga  dunque  questo  nuovo  commento. 
e  ben  vengam  1  commenti  al  commento,  dato  che 
iì  Loria  ha  potuto  istituire  un  parallelo  tra  Carlo 
Marx  e  Dante  Alighieri,  come  uomini  e  come  pen- 
satori. Aristocratici  entrambi,  il  Marx  e  l'Alighieri, 
lice  l'autore,  sortirono  dalla  nascita  entrambi  lo 
spirito  «[pertinace,  fiero,  incrollabile  degli  uomini 
di  parte.  Cacciati  in  bando  dalla  terra  natia,  esu- 
lano e  traggon  vita  raminga,  mendicando  un  pine 
fra  genti  straniere.  L'Alighieri  è  accusato  di  ba- 
lia da  Cai  Gabrielli,  come  il  Marx  da 
farlo  Vogt».  E  passando  dalla  biografia  alla  psi- 
cologia: «Nell'Alighieri  l'esilio  suscita  il  genio  ir- 
requieto e  ribelle,  e  di  lui,  priore  fiorentino,  tratta- 
tista  scolastico,    fa    il    profeta    dell'evo    medio.    In 


LA    LETTI  IRA 


M.ir\    i  i  «diti     d(  1- 

re  'li  filosofia,  figlio  ad 

id  un  min  I  i 

•  tali    ■    una  critica   della  <>- 

». 

Sci  i 


delle  piante  da  1 i 
Sandron),  L.    1.50.  — 
to  pa  sto  manualetto  1  aufc 

ire  tutto  11    'li  più  ni 

anica,      oria  che 
malmente  riodi:  il  primo, 

trita  class  1  igloi     ;amen- 

arante  tutto   il   medio  evo,  quando   lo  studio 
[tanto  mai 

Cinquecento,  famoso  ]ht  le  sco- 
ntile e  della  sessualità  e  per  il  di 
dell  1   della   specie;   il  terzo,  contempora- 

traddistinto  da  un  maggior  rigore  ili  inda- 
gini e  «li  esperienze,  ed  esplicanti  si  sotto  il  coni 
della  mi  Iella  variabilità 

delle  forme  specifiche  11  Loforte  non  ha  destinato 
il  suo  libro  ai  botanici,  ma  al  gran  pubblico  che 
ama  ili  fortificare  la  cultura  generale;  egli  ha  po- 
perciò  il  progresso  della  scienza  delle  piante 
in  relazione  con  l'ambiente  intellettuale  delle  varie 
epoche.  Il  suo  libro  è  riuscito  così  accessibile  ai  pro- 
fani e  ricco  di  nozioni  utili  piacevolmente  volga- 
rizzi' editore  inaugura  una  Piccola 
ìm  del  secolo  X7i  sarà  continua- 


in  gli  stessi  criteri,  merita  di  essere  accolta  fa- 

Geogr afi a    e   Viaggi. 

orelli:   Nei  due  Emisferi.  (Cata- 
nia,   G  I,    L.    1:.   —   Ciò  che  un  viaggia 
curioso  e  studioso  può  vedere  ed  ammirare  in  quat- 
tro opposti  angoli  della  Terra:    nell'Egitto  ari  ■ 
e  nella   Scandinavia  gelata,  ira  i  vestigi  della  re- 
ni itissima  civiltà  greca  e  le  testimonianze  • 
moderna  Ira  tutte,  —  l'americana  — ,  il  Condorelli 

rive  ii.  questo  sontuoso  volume  con  molto  garbo 
infallibile  diligenza.  La  lettura  del  suo  libro. 
gradevole  e  proficua  a  coloro  che  non  con 

11   da   lui  visitati,  è  preziosa  per  quelli  eli 
accingono  a  rifare  qualcuno  di  questi  suoi  qua 
\  aggi,  tanta  è  l'abbondanza  e  la  sicurezza  delle  in- 
formazioni, non  solamente  storiche,  geogratichi  . 
nografiche  e  in  generale  erudite,  ma  anche  pratiche. 
Narrando  tutto  ciò  che  egli  ha  fatto,  l'autore  ri 
una  guida  sagace  e  previdenti -,  mi  si 'lo  e  lieve  di- 
fetto  di    diffondersi    in   particolari    troppo   minuti; 
difetto  perdonabile  perchè.  1  e  il  proverbio, 

abbondare  non  nuoce.  ('d'Italiani  viaggiano  poco, 
forse  perchè  hanno  la  ventura  di  abitare  uno  dei 
I  aesi  più  belli  che  siano  al  mondo,  forse  per  altre 
e  più  persuasive  ragioni;  ma,  i|tialunque  ne  sia  la 
ragione,  questa  ignoranza  delle  cose  grandi  e  degli 
spettacoli  magnifici  dei  quali  è  pieno  il  vasto  mon- 
do riesce  loro  dannosa.  Gli  scrittori  che,  come  il 
(  '0111  lineili,  lavorano  ad  eccitare  l'amore  dei  viaggi. 
i  anno  opera  buona,  e  ottima  quando  i  loro 
sono,  come  questo,  scritti  bene  e  copiosamente  e 
nitidamente  illustrati. 


Il  Lettore. 


-ji. J\fìj- — -v* 


V~ì;'&?'-£&'*?:t 


SOMMARIO 


1  drammi  del  m  1009  —  La  cavallerìa  à  »     ìaio   pag    1017  —  La  temperatura  dei  beoni,    pag    1017 

—  7  più  grandi  m  !  mondo,  pag.  1018  —  /.''  niicr^Hu   mo^uiiii'iiia.  pag.   1023  —  Per  !ro- 

■■(/•  marito,  pag    1023  —  Fra  </'<  struzzi,  pag.   1024  —  /.<    mari  :ii  ppmn^i,  p.  1024  —  Le 

casi   che  SI  muoiono,  pag.  1025  —  Come  linoni   uno  sculture,  pag.    1031   —   (  hirurgia  anim  ih 
pag.  1036  --  i7  principio  di  Montecarlo,  pag.   1040—  Vel  i/fl,    pag.   1042  —   Voci  artt/l- 

' •  ^ < z / / .  pag.  1046  —  /  popoli  nei  loro  Idoli,  pag.   1043  —  /i<   tiìcìric;!a   i,,      Madagascar,  pag.   1052  — 
L'oro  dei  Po(o.  pag.  1055  —  G/i  animali  scoimi n irati,  pag.  1056. 


I    dra  ni  m  i    del     m  are 


Arrivando  a  bordo  degli  enormi  transatlantici  che 
legano  l'antico  mondo  al  nuovo,  la  vecchia  Europa 
agli  altri  continenti,  si  prova  un  impressione  di  be- 
nessere e  di  sicurezza.  Le  loro  dimensioni  imponenti. 
la  loro  struttura  robusta,  l'abilità  e  l'esperienza  del 
capitano,  la  disciplina  dell'equipaggio,  l'ordine,  il 
'art,  il  lusso  stesse  che  regna  nei  minimi  parti- 
colari, tutto,  a  bordo  di  un  piroscafo,  contribuisce 
a  fugare  i  timori,  a  rinfrancare  il  coraggio  e  a  dare 
infine  l'impressione  gradevole  che  il  genio  umano 
abbia  trionfato  definitivamente  degli  elementi  più 
libelli,  domata  la  loro  forza  e  annientata  la  loro 
perfidia. 

Questi  sentimenti  diventano  sempre  più  profon- 
di man  mano  che  i  piroscafi  si  ingigantiscono  e  si 
perfezionano.  Ed  è  giustizia  constatare  che  gli  studi 
ilei  costruttori  e  degli  scienziati  rendono  ogni  giorno 
sempre  più  piccoli  i  rischi  del  mare.  Le  perdite  in 
mare  sono  ridotte  alla  proporzione  piccolissima  di 
i  su  119.  Le  statistiche  marittime  contano  infatti 
tre  rotonde  142  mila  navi  e  bastimenti  da  pe- 
sca  di  jualche  importanza  sui  mari  del  globo;  ora 
il  totale  dei  sinistri  è  di  1200  per  anno  in  media. 
Si  vede  quindi  che  vi  sono  molte  altre  situazioni 
nella  vita,  nelle  quali  noi  siamo  esposti  a  ben  altri 
e  più  seri  pericoli  che  non  sulle  onde  del  mare. 

La    "Lettura. 


Generalmente  le  traversate  sono  fortunate  e  non 
rappresentani  per  il  viaggiatore  che  un  periodo  di 
dolce  cullamento.  La  nave  lascia  lentamente  il  porto 
dominando  colla  massa  gigantesca  le  banchine  dove 
i  parenti  e  gli  amici  danno  l'ultimo  addio.  Ed  ec- 
coci finalmente  al  largo.  Il  tempo  è  calmo  e  dolce, 
la  speranza  mette  una  nota  di  gaia  spensieratezza 

lordo  del  transatlantico.  Ognuno  si  prepara  a 
passare  il  meglio  possibile  i  lunghi  giorni  di  bordo. 
Gli  uomini  giuncano  e  fumano  nei  saloni,  le  donne 
nelle  cabine  ricamano  i  merletti,  i  fanciulli,  avidi 
ilaria  e  di  sole,  corrono  fra  le  gomene  del  pi 
gettandi  al  venti  le  loro  grida  di  stupore  e  d'am- 
mira/ 

\1  1  1  [uanl  ■  -:ano  diminuite  le  probabilità 
di  sinistri,  esse  .sussistono  sempre.  Guai  se  in  se- 
guito a  qualche  etrore  di  direzione  oa  qualche 
lenta  tempesta  la  nave  fosse  scagliata  contro  qual- 
che so  glio  !.  ..  La  sbadataggine  è  realmente  la  cau- 
sa più  frequente  dei  sinistri.  Per  essa  perirono  e 
periranno  migliaia  e  migliaia  di  bastimenti.  1 1 
li  formidabile  flotta  di  Serse,  che  |ierdette  quattri - 
cento  vele  sulle  coste  dell'Ellesponto,  sino  alla  Rus- 
sia gettata  col  venire  squarciato  all'imboccatura  del 
Rodano,  quante  navi  arenate  fra  le  sabbie,  sven- 
trate sulle  rocce,  squarciate  dai  banchi  sottomarini! 

64 


LA    LETTURA 


ie   .1    i    febbra       i  • 
ini  di  eqi  va   a 


\  i  ■  ■  i  it  r  <  -  le  roco    della  sp    e  -  te  traspon 

in   una   danza  concentrica  che  b 
una  tromba  >li  mari-.   Il  capitano  gettò  un  grido  >i 

sfuggire  alla 

trappola    m'Ha   quale  era  cadul       I  i    fregata  era 

naia   pazzamente  nel  vortice  fatali-.   E'  facile 


i  k  Seminante  sollevata  da  un'onda  i i.rri ih  1.1  -i  sfascia  contbu  le  bocce  dell'isola  i  ui//i 

m  1    i  vnu  !    ni    SAN    BONIl  villi 


bordo  400  uomini  'li  truppa  che  dovevano  sbaj 
rimea  per  la  guerra  contro  la    Russia.    Ma  il 
iriiente  alla  sua  partenza,  essa  s    perdeva 
Bocche  di   San    Bonifacio.   Che 
D      ;oo  uomini  che  portava   neppur 
jgì  alla  terribili 
saprà  l'intera  verità  sul  dramma  -  oltosi 

dell'uragano,   si  ha  tuttavia  il 
non   ci  tnpleti        I  I    jtanza    difl  usi 
iti  ri  che  dalle  ed  im- 

nti  alla  terribile  sventura  Verso  l'alba  del    15. 
:        da   una  terribile  raffica,    fu 
parecchie  miglia  all'esl 
Il  • 

nendo  'li  'lar  fondo  sulle  scogliere,  prese  il  pai 
;so  nelle  Boi  rhe  di  San   Bi 

il  •■  sai 
in  t-TiiiM >  ili  bonaccia,  ma  quel  pomo 
delle   Bocche  •  Il   venti 

■    . 


immaginare  ma  non   ra  la  scena  ili  terrore 

che  dovette  svolgersi  su  quella   povera  tolda  sbal- 
zata dalle  onde  "ra  verso  il  cielo  e  ora  verso  gli  a- 
l'issi.  rome  una  testura.  La  nave  era  ormai  all'agiv 
nia.  Il  mare  l'avrebbe  annientata,  da  un  moni 
all'altro,  srnza  fallo. 

Infatti  un'onda  smisurata  con  una  potenza  irre- 
-.  stibile  a  llevò  d'un  tra  Si  vide  l'i  rida 

gigantesca  ribollire  sotto  la  chiglia,  si  udì  un  urlo 
di  terrore,  poi  uno  schianto  terribile.  La  nave, 
sventrata,  si  rovi  rnparve. 

Il  giorni    dopo,   |k-I   man-  tranquillo,    le   barche 
ree  e  le  zattere  ilii   pescatori  sardi  andarono 

luogo.    I     non  tardar scoprire  sulla    punti 

strema    dell'isola    Lave//    un    ammasso    informe    e 
miserando  di  travi  spezzate,  ili  nxtanii  ili   fui 
■  li  rannoni  avvinti  da  una   rete  ili  cordami  e  ili  \ 
lacerate.    Sopra  il    mare  galleggiava   un   lil>ro:    il 

■  li  bordo  ili  1  n:  il   vento  aveva   strapp 
l'ultima  pagina.   Era  la  più  terribile  della 

'!•  I  mare  ! 


DALLE    RIVISTE 


1011 


Che  ima  nave  soccomba  all'impeto  dell'uragano 
dopo  una  lotta  disperata  dell'equipaggio  pazzo  di 
terrore,  è  spaventoso:  [iure  tali  catastrofi  sembrano 
conseguenza  ineluttabile  della  necessità.  Ma  perire 
nella  calma  delle  inde!  Quale  ironia  viene  allora 
ad  aggiungere  la  sua  amarezza  alla  crudeltà  del  di 
sastro  ! 

Eppure  si  ha  un  esempio  di  questa  tragica  anti 
tesi  nella  eatastrofe  del  Drummond  Castle.  Questa 
nave  si  perdette  nelle  vicinanze  dell'isola  d'<  lui 
sant.  durante  una  festa  di  bordo.  Il  Drummond  Ca- 
stle, vapore  inglese,  era  partito  da  Città  del  Capo  con 
ioo  uomini  di  equipaggio  e  150  passeggeri,  in  mag- 
gioranza donne  e  fanciulli.  Il  6  giugno  intravvede- 
va  le  coste  ilei  Finistère  e  proseguiva  la  rotta  per 
Londra,  a  tutta  velocità,  malgrado  la  nebbia  estiva 
che  si  stendeva  sulla  calma  super- 
ficie de!  mare.  Dopo  mezzogiorno, 
essendo  la  nebbia  più  fitta,  il  ca- 
pitano ordiin'i  di  rallentare  la 
marcia.  E  a  poco  a  poco  la  notte 
cadde  sul  mare.  La  temperatura  era 
<li  una  dolcezza  squisita.  I  fanali 
rischiaravano  il  ponte.  Alla  loro 
luce  incerta,  le  donne  cantavano  ; 
poi  comparve  qualche  violoncello 
e  si  intrecciarono  le  danze.  La  fe- 
sta duri)  tino  alle  dieci  di  notte. 
A  quell'ora  il  capitano  vide  un  fa- 
ro lontano;  egli  lo  credette  il  faro 
di  Ouessant.  Tuttavia  ebbe  un  i- 
stante  di  esitazione.  Come  mai  si 
era  già  all'altezza  di  Ouessant?-' 
Era  un  errore  enorme,  di  12  mi- 
glia.... 

Un  muggito  prolungato  e  terri- 
bile usci  a  un  tratto  dalla  stiva. 
Il  capitano  comprese.  La  nave  a- 
veva  toccato  fondo.  Si  s  llevò  d'un 
tratto,  e  poi  ricadde  svettrata,  tra- 
volta dalle  onde  tranquille  e  pla- 
cidamente silenziose.  All'alba,  sol- 
tanto tre  persone  restavano  attac- 
cate disperatamente  a  qualche  ta- 
vola : 

» 

Non  :  solo  contro  la  natura  cir- 
ca che  l'uomo  è  costretto  a  lottare. 
ma  spesso  contro  il  suo  simile.  Vi 
ha  infatti  uno  scontro  assai  più 
terribile  e  fatale  di  quello  di  una 
roccia:  lo  scontro  contro  un  altro 
bastimento.  Uno  dei  più  terribili 
nella  storia  delle  grandi  catastrofi 
marine  rimarrà  quello  della  Borgo- 
pia   nei  mari  della  Nuova    Scozia. 

Era  Tanno  1898.  La  Borgogna 
era  partita  al  2  luglio  da  New 
■\ork  con  un  tempo  splendido  e  tut- 
to sembrava  promettere  una  t ri- 
versata placida    e  felice.    Oltre    l'e- 


quipaggio erani  .1  bordi  circa  .^^  persone.  La  sera 
del  giorno  dopo  la  nave  si  tri  ava  i  1  a  una  distan- 
1  O  nsiderevola  dalla  terraferma,  quando  sulle  on- 
de tranquille  scese  improvvisa  la  nebbia,  folta  e 
densa  come  le  grandi  nebbie  estive. 

La  Borgogna  filava  o  ;  fanali  accesi,  colle  sirene 
in  azione.  Tutti  riposavano  a  bordi  .  eccetto  gli  uffi- 
1  tali    di   guardia. 

Ali  alba  la  nebbia  era  ancora  assai  densa  e  il 
timoniere  non  distingueva  nulla  oltre  la  distanza  di 
venti  0  inn:a  metri.  Vedendo  l'immenso  profilo 
della  nave,  a  stento  visibile  nella  grigia  solitudine 
dell'Oceano,  si  sarebbe  creduto  a  qualche  vascelli  e 
fantasma  che  navigasse  nella  notte. 

I .  orologio   di    In  irdo  segnav  a    le  cinqui-. 

A  quest'ora  l'ufficiale  intende  tra  il   venie  il  ru- 
tili te  di  un  naviglio  vicino.   La  Borgogna  rispond 
'in   un  colpo  di  sirena,  breve,  stridente,  disperato. 


Il  naufragio  dei  Drummond  Castle  duranti   una  festa  \  bordo. 


I  A    LETTURA 


alzati 

i 


uni.  ritto  sul  ponte  della  passerella,  immobile 
come  la  statua  del  doli  mandi  secchi. 

•  rati,  come  colpi  di  revolver.  E  la  nave  si  gettò 
a  tutti  i  \  a  un  ist  >la  i  ii  in  i  ti  ntandi  -  di 

ii. usi  ^1 1  qualche  banco  di  sabbia. 

I       stiva   sotto    i  ansare  sp 
ti  si    delle  unii  chini    i  uggiva  e  tra> 
ballava,     le    raldaii     sembravano 
icoppian  ^sione 

del   vapore  e   la   navi   sventra 
ina>  a  peni  >sam  i    ima 

tigre    Fei  ull'Oce; almi  i  t 

tranquillo.   Ma  il    ponte   si    in 

i  rapi  ì  nelle  onde,  1  acqui 
irrompeva  a  t<  trenti,  i  fuochi  si 
spensero,  gli  stantuffi  9 
sntid  il  Livello  delli  i  «di  e  la  Bor- 
gogna  ristette  immobile  sul  mare. 
I  passeggeri  piange\'ano  sul  pon- 
te. Era  l'ultimo  pianto era  l'a- 
gonia.... La  Borgogna  si  ripiegò 
sp  esala  sul  fi  ini  o,  poi  li  nta,  ma» 
sb  sa,  iliscese  negli  abis 
cento  vite  umane  scomparvenj 
con  lei. 


Il      11   ni  I)     IN     ' 

■       o  canotti  incendiari   contro      Vrmata  Invincibile 


L'uri  itabile ... 

•  i  produsse  terribile,   spai  entosi     I  due 

mmobili,    l'uno  nel 

I  .i   nave  invesl  il  rio    ebl  e  una  ]ir<  - 

i ' ura  al  fianco,  l'altra  uni.  squan  io  'li 

metri  ili  lunghe//. i  sopra  cinque  'li  altezza. 

'i,i  virò  'li  bordo  e  s'allontanò  dal  ve- 
ndo   lunghi  colpi    di   sirena    come  una 
U    Tutti    i    marinai 
o  gli 
eri  si  iui  aroni    dalli    i  abine, 

ricchi  pieni   'li  angoscia.    Il 


Nella  ne  tte  dal  io  all'i  i      - 
del  K)oo  la  squadra   del   Mediter- 
raneo,  comandata   dal!  ammii  i 
Fournier,  la  cui  barn  mola- 

va sul   Brennus.   si    dirigeva   v 
Gibilterra.    La  luna    rischiarava    il 
mare.  L'ammiragli'    volli     ricarica- 
re la  controtorpediniera  Frantói  'li 
trasmettere  un  online    all'incrocia- 
tore Fonare  e  le  fece  cenno  di   a- 
vanzarsi   a  portata   della   voce.  La 
Framée  che  era  a  400  metri  si  av- 
vicina, ma  invece  ili  seguite,  cornei 
si    suole   111    simili    casi,    una 
parallela  al  Brciimis  si  piega  vi 
la  nave  ammiraglia. 

\i!en/ii  ne  !   -         rida    l'uffi- 
ciale  'li  guardia    sulla    nave   ai 
raglia. 

Sulla    Framée  il    capitano 
con   terrore  il  suo  bastimento  cori 
rere  ad    investire  il  Brennus,   sale 
sulla   passerella  e   grida    con 
terribili  : 

—  Venti  gradi  a  sinistra  ! 
Questa  manovra  avrebbe  evitata  la  collisione. 
Ma  con  spavento  tutti  si  accorsero  che  la  Framit 
ripiegava  ancora  più  entro  il  Brinino  e  gli  taglia- 
va la  via.  Il  Brennus  rovesciò  le  macchine  ]ier  ar- 
restarsi ;  ma  era  tardi:  due  minuti  dopo  lo  sperone 
di  prua  della  corazzata  entrava  nel  ventre  della 
controtorpediniera  chi  scomparvi  d'un  colpo. 
sonando  tutto  l'i  quipaggio. 

Che  era  successo     11  timoniere,  dopo  il  comando 
del  capitano,  invile  di   mettere   la   barra  a   destra 
aveva  commesso  un   errore   semplicissimo: 
posta  a  smisi  1.1 


Il  naufragio  della  Borgogna 
colata  a  picco  in  pieno  Oceano  in  seguito  a  una  collisione. 


LA    LETTURA 


;.  •;    1 789    I  ammiraglie   V  Isan 
Eppui     gli    11      ' :"'  avi  1  1  in  Egil  1  to  di  Kapolo 

bordo,     ne,  nà  la  ancorata  ad  Aboukir. 

Pei    la   ■  delle    il  I        0  forse  le  9  'li  sera. 

Sul    ponte  dell'  Oriente,   in. 
Iirn  'li   moni   e  'li   leriti. 
ancora    validi    sparavano  gli    ulti- 
mi colpi  ili    fuco  .    in iTi    .  : 

ultimi    cannoni,    urlando    impreca- 
zioni  e  bestemmie    \ 

ira   ili   essi   1  ra  il  tui  ni  1   e  il 

1  ra  impadronita 

ili  quegli  ni  mini,   ultimi  superstiti 

1.      Tratto 

!..    irromp 

«Viva   la    Repubbli 

Improvvisamente  si    feci    un   si- 
ili  morte.   L'Orienti    bruciar 
va    Un  fremii     di  l 

sin  nelle  \  isci  re  del 
Lve  Ai  I"  '•'.!]  »  «ti  1 
alcune  teste  nere  ili    polvere,  orri- 
l'ili   (li   sangue....    Il  terrore 
spava  i  tratti  energici  di 

l.lli. 

I A  •  rdei .un  .   Il    in'  10 '  era 

stibile.  In  un  istante  il  baglio- 
Fu  immensi  .  L'incendio  1 
rava  il  mare  ;   1  mbravani 

l'Oriente  illuminava  la 
in.... 
Lontani',  nelli 
dai     lampi    sinistri    dell'  incendi»  . 
comparivano  i  fantasmi  ili  II--  n.i\ 
inglesi,  come  avvoltoi  nottum 

■  di  piombare  sul  cada- 
vere del  vinto. 

I  •    spetl  ti  h  nente.  in- 

fernale.   I  fucili  caddero  di  mano 
ai    combatti  1  utti,    ingl 

1.  vinti   e  vincitori,  sti 
bili    a    contemplare  la   scena 
spaventosa. 

Alle  dieci  e  un  quarto  un  rim- 
bombo immenso,  come  'li  un  vul- 
cani '  che  lanci  le  sue  \  isi  1  re  al 
cielo,   feci   '  ri  mare  l'atmi  •  1 

raila   intiera   apparve   illuminata  di 
un  chiarore  orrendo  e  magnifici 
l'Oriente  era  saltai.  , 
( 'ome  un  vulcano  morente,  lo  si  vide  ffon- 

ilare  peci       poco,  in  un  crepitìi   'li  travi  infiammate. 
poi,  annientato,  ma  indimenticabile,  scomparire  sui 
Butti,   rome  un  sole    che  si  inabissi   nell'oceano  di 
a   di   un  tramonto  boreale.... 
Novi      nti     Ul  mini  erano  morti. 

**♦ 

Nel   c886  la  nave  mercantile  France  della  Com- 

pagnia   transatlantica,   partii. 1   da   San    S'azaro  pei 

l'America    del   Sud,  250    passeggeri   e  60 

metalliche   contenenti    8.000  chilogrammi    di 

eri,  destinati  alle  guarnigioni  del  e.  Il 

;o  dicembre,  a  880  miglia  dalla  Guailalupa.  il  ' 


NELLA  BATTAGLIA  DI     VBOUKII  inni     |ik    SEGUITO     IU.IKCENDIG 

'  \     POLVI  1:1 


he  nel  antica  marina  da  guerra  si  faceva  ap- 

1  un  grande  uso  di  barili  idlarì.  (  li  sì  nel 

I  rinata  In  he  I  rasp  rtai  a  su  joo 

80.000   uomini,    venne   distrutta  nel  porti     di 

idiai  "■.  1  he  le  ven- 
dalla    marea    mon- 

■      navali  antiche 
'  Le  navi  1 

ivano  '•  d'un 

id    \1  "  tikir. 
tro  di  A 

- 


La  catastbofe  della  controtorpediniera  Framée  sventrata  dalla  nave   ammiraglia   Brennus 


LA    LETTURA 


bordo   I  ] 

mare  i  cani  tti  di 

il  tutta   I  i  li  un 

\  eh     abbando- 

sta,    in 

do  di 

spaventi 

un  colpo  colle   polveri.    Rimanendo  sulla 

pui   sempre  una  s|  non  bi- 

ibban  donarla. 

continuava  minacciando  di  invadere 


■  ■  ostato  re  che  il  fu ra   ari 

ad  u  diali.  Si  rr.i  giunti  appena  in 

tempo  .1  salvar  tutto  ! 


Dopi  I  li  co,  il  gh  torio.  Ai  nostri  tempi  il 
Polo  Ili  affascinato  gli  esploratori.  Ma  quanti  han- 
no cominciato  il  terribile  viaggio  e  non  hanno  I 


i  iti  -ni!  i  : 

Fra  tutti   i 
giri    <■   quello 


I  \  /     ufi.  ti,    DELLA  SPEDIZIONI    POLAH  OLIA  DAI  GHIACCI 


A  un  irati.>  si  \  ide  un  guiz- 

una  vampa  pi  alenarsi  dr  .u 

I  rani i  le  munizioni  ili  bord    i  hi    preni li  vano 

mpe  mano\  rate  ci  I1 

rrenti  d'acqua.  Finalmi 

ntille  dell  ra   a  prua,   si 


tentativi  compiuti,  uno  dei   pi.  tra- 
della  f cannette.    Questo  solid 
stimento    acquistato    da    Gordon- 
Bennet,    diretti  ire   del    .\  eu    )  ori 
Herald,  fu  da  lui  inviato  ;il  miste- 
nel   1879.  La  /cannette. 
in. 1,  doveva   afe 
tendere  sulli   si  retto  di  Behring  ihe 
li  la  trasportas- 
sero verso  il  Polo.   Pari  ita  da  Saa 
Francisco  l'otto  giugno,  si  scontrò 
coi  primi  il  tre  settembre 

e  al  settantunesimo  grado  ili  latitu- 
dine    nord    rimase   prigioniera    dei 
i.     senza    più     potersene     li 
tre. 

Due  inverni  pa 
si,    trrriliili.    fra    le  privazioni   |>iii 
I    viveri    mancavano,    le 
malattie   infierivano  a  bordo  e  la 
:   indi ii «lata  nel 
bile. 
Finalmente  IH   giugno  1 88 1   si 
produsse  il  disastro  estremo.  Dopd 
una  giornata    radiosa,    gli    iceberg 
si  strinsero  ancor  più  dawicino  al- 
la feannetlc  e  lentamente,  come  u- 
na  vittima  fra  le  spire  ili  un  sex 
pente,   la  striti  lan  no.  I   marinai  la 
videro     piangenti     inabissarsi    nel 
mare. 

Da  allora  alla  fini  ore  fu 

per  le  32  persone,  che  compi  mera 
no  l'equipaggio  della  nave  naufrsy 

in  mi 
il  freddi    e  la  I  II iplicavaao 

le  vittime.    Il  giornale  del  i-uman- 
dante  della  spedizione  ha  riprodot- 
to in  tutta  la  sua  Imitale  verità  i 
partir,  lari  della  l ragica  agonia. 
1 1     30 

i  no  di  ghiac- 
Boyd   •    ( '."ti/  moni  ;    ( !ollins 
....  ». 
Qui  il  giornale  è  finito....  La 

dalle  dita  e  am-h'e- 
l'Iì  cadde  sul  campo  deserto  e  'li 
spera 
Cinque  mesi  più  tardi  si  sci  prii   1  ■  rjii  sotto 

la  neve  a  meno  di  quaranta  chilometri  da  una 
/ione  russa,  dove  avrebbi  I  la  vita. 

Furono  sepolti  sopra  una  roccia  ai  piedi  di  una 
isa  croce  di  le; 

(Dalle  Lectures  pou>  lous). 


La    cavalleria    d'acciaio 


Un  ufficialetto   d'artiglieria,   da   poco    arrivi 

Parigi,  dove  veniva  per  chiedere  giustizia  al  mini- 
stro della  guerra,  passeggiava  un  giorno  sulla  ter- 
razza dei  Feuillants,  quando  il  suo  sguardo  fu  at- 
tirato da  uno  strano  spettacolo.  Un  uomo,  seguito 
da  un  codazzo  di  monelli,  montava  una  specie  di 
cavallo  di  legno  fisso  sopra  due  ruote  poste  l'una 
dopo  l'altra:  appoggiando  alternativamente  il  piede 
destro  e  il  sinistro  al  suolo,  quel  singolare  ca\  al  iere 
si  dava   la  spinta  per  poter  avanzare. 

Certo,  il  tenente  d'artiglieria  sarebbe  rimasto  mol- 
to stupito  ed  incredulo  se  gli  avessero  profetato  che 
dodici  anni  dopo  egli  sarebbe  stato  Imperatore  dei 
Francesi,  col  nome  di  Napoleone  I  :  ma  uno  stupì  n 
e  una  incredulità  più  grandi  avrebbe  prodotto  in  lui 
il  sentire  che  quel  primitivo  celeri  fero,  trasforma- 
tosi col  tempo  in  bicicletta,  sarebbe  stato  adottato 
un  giorno  dagli  eserciti  di  tutti  i  paesi  del  mondo 
e  avrebbe  modificate  le  condizioni  della  guerra 
quasi  quanto  ogni  altro  progresso  della  balistica! 


I  primi  saggi  della  velocipedia  militare  risai 
gono  al  1S75.  e  sono  merito  dell'Italia.  L'ultima 
creazione  d'un  corpo  di  ciclisti  porta  la  data  del  lu- 
glio di  questo  anno  iqoì.  ed  ha  avuto  luogo  nel 
Belgio,  dove  la  guardia  civica  si  è  rafforzata  d'una 
compagnia  montata  su  biciclette. 

L'introduzione  del  ciclismo  negli  eserciti  euro- 
pei si  è  compiuta  fra  il  1885  e  il  i&9$-  un  poco  dap- 
l>ertutto  nello  stesso  ordine:  dubbii,  tentativi,  criti- 
che dei  retrivi,  lodi  dei  novatori,  ostilità  da  parte 
cella  cavalleria,  riconoscimento  ufficiale  dell'utilità 
ilei  ciebsti  come  corrieri  ed  esploratori.  Ora  c'è 
qualche  cosa  di  più:  si  crede  che  il  cavallo  d'acciaio 
possa  darci  la  quinta  arma,  la  fanteria  montata, 
eterno  sospiro  degli  strateghi,  strumento  di  vitti  ria 
molta  più  prezioso  oggi  che  non  ai  tempi  di  Na- 
poleone, il  quale  voleva  pure  «  dei  volteggiatori  de- 
stinati ad  esser  trasportati  da  truppe  a  cavallo  nei 
luoghi  opportuni,  ed  abili  quindi  a  montare  con 
un  salto  in  groppa  a  un  cavaliere  e  a  discenderne 
con  un  altro  salto  leggiero».  Già  i  partigiani  del  ci- 
clismo militare  in  Francia  chiedono  cinque  milioni 
per  fornire  l'esercito  di  24.500  biciclette,  destinate 
alla  creazione  di  un  corpo  di  fanteria  montata,  ca 
pace  di  correre  alla  vittoria  con  la  velocità  di  30 
chilometri  all'ora  ! 

Per  il  momento,  le  esperienze  fatte  nelle  mano- 
vre dimostrano  i  grandi  vantaggi  del  ciclismo  nel 
servizio  di  scoperta.  Un  ciclista  esploratore  può 
jiercorrere,  tra  le  cinque  e  le  dieci  della  mattina, 
andando  e  venendo  per  il  disimpegno  delle  sue  va- 


rie missioni.  60  chilometri    in  tre  ore  e  mezza.    li 
òmpito  principale  dei  ciclisti  combattenti  è  quello 
di  coprire  e   sostenere  i   reggimenti   di  cavalieri  ;    e 
questi,   che  sulle    prime   guardavano  con   disprezzi 
i  cavalli  meccanici,  ora  rendono  loro  giustizia. 

Ma  questi  servigi  del  ciclismo  pugnace  si  sono 
sperimentati  solo  teoricamente,  nelle  manovre  in- 
cruente; mentre  quelli  del  ciclismo  informatore  si 
sono  visti  e  misurati  praticamente,  nelle  guerre  vere. 
Al  Transvaal,  ciascun  battaglione  di  volontari  in- 
glesi aveva  una  sezione  ciclistica  di  20  uomini,  co- 
mandata da  un  ufficiale.  Nella  campagna  di  t'uba, 
agli  Americani  riuscirono  singolarmente  utili  i  ci- 
clisti per  il  Sigimi  corp.  In  caso  di  rottura  d'un 
filo  telegrafico  la  cui  riparazione  è  urgente,  il  eie] 
sta  corre  in  un  lampo  a!  punto  del  guasto.  Trat- 
tandosi di  collocare  una  linea  nuova,  gli  Americani 
adoperano  una  bicicletta  speciale:  il  filo  è  avvolti 
in  un  rocchetto,  dal  quale  si  svolge  mediante  il  mo- 
vimento della  ruota  posteriore  della  macchina.  Ogni 
rocchetto  contiene  circa  un  terzo  di  miglio  di  filo,  e 
il  ciclista  se  lo  lascia  dietro  correndo  a  rotta  di  collo. 
Mediante  gli  accessori  del  telefoni  1  deH'apparec- 
di  Morse,  posti  dietro  la  sella,  questo  filo  può 
essere  utilizzato  tanto  per  le  comunicazioni  telefo- 
niche quanto  per  le  telegrafiche. 

(Dalle  Leciures  pour  tous). 


La 


te  m  p  e  ra  t  u  ra 

dei 


beoni 


La  lotta  contro  l'alcoolismo  ni  n  è  cosa  tanto  re- 
cente quanto  si  potrebbe  credere.  Il  Vandervelde. 
in  un  suo  studio  sull'argomento,  narra  che  nell'an- 
no di  grazia  1600  il  conte  palatino  Federico  V 
fondò  la  prima  società  di  temperanza  :  la  quale 
aveva  però  nei  suoi  statuti  le  seguenti  disposi- 
zioni : 

«Impegno  valevole  due  anni  di  astenersi  da  ogni 
ubbriaeatura    completa. 

«  Obbligo  di  non  bere  più  di  sette  coppe  di  vini  1 
durante  ogni  pasto,  e  più  di  quattordici  coppe  al 
■  no. 

«Per  estinguere  il  resto  della  sete,  oltre  alle  ac- 
que minerali,  si  consente  la  birra. 

0  Facoltà  di  fiere  una  sola  coppa  d'acquavite  o 
di  altre  bevande  alcooliche....  j>. 

Tanto  per  cominciare,  era  già  qualche  cosa  ! 

(Dalle  Leciures  modernes). 


I    più    grandi    macelli    del    mondo 


n  a»i  i  vegi  i. ii  i. un  conver- 
ntero  alla  \  i  rrà  il 

:  uomo,  abbandi  mando  le  carni  sap 
d'erbe  e  i,  di  foglie  e  di  t  ru 

il  ntani.    Pi  i   si  d 
i      |  uni    si    I  i 
mondo  un  a 
plicato,  prodig  attivo  che  sempre  più 

Dal  n  ii  ''ili  il  bestiame  bruì  i 

.  nento  in  cui  un  buongusl  a 

[uante  l  rasf  rmaz 

danni    subito  le  \  ivande  !  1 1 

costituisce  un'industria  che  ha    le  sue 

ora  i    bue  i    il  ma  jale,  come  al- 

lavora  il    fern  Entriamo   in 

no  mondo  Noi  vi  tro\'eremo  uno  spd 


.ni. i.    ii,  ,  dall  Au 

siria.  dall'Olanda  e  dalla  Russia. 

!  cai  del  bestiame  è  alla  stazioni  <  U-l la  Vii 
lette.  Disorientati,  atterriti,  gli  uni  ricalcitranti,  gì 
altri  docili  e  quasi  mi  iti,  sono  tratti  dai  \ 

ii  dai  cani  al  mercato-bestiame  della  Villette. 
Là  si  innalza  una  tettoia  gigantesca  ili  cristallo  ca- 
p  ce  di  contenere  20.000  montoni  gli  uni  serrai 
contro  gli  altri  in  modo  da  formare  un  solo  tap- 
inili di  lana  bianca.  V"è  inoltre  il  padiglione  dei 
buoi,  lungo  mezzo  chilometro  e  capace  da  contenen 
6.000  delle  grosse  bestie  ruminanti  dai  grandi  i»-- 
chi  pensi  si  e  placidi. 

V'è  infine  il  mercato  dei  inaiali  :  lunghe  tettoie  da 
cui    si    innalza    una  lamentazione  fra  icuta, 

minabile.    1  .<■  v'  1  ime    si  ni  ■   là    aromi  m  icch 


I    UtRIVO    DEI    \l  U  w       u     M  uxi.l.u  ih    i  .uh  IGO. 

uoi  macelli  immensi  dove  1  treni  rovesciano   ad  ogni  ora  migliaia   di   bestie   dalle 

praterie  iti  Fai  w  .       1  hicaqo,  fra  tutte  le  grandi  città,  1  quella  In  cui  II  commercio 
delle  •  'a  in  ha  la  più  foì  miaabili   estensione 


ni  Ila  sua  ferocia.  E  vediamo  dap 
prima  come  si  prepara  l'alimento  alla  fami  di  Pa 
rigi. 

La  popò!  o   ita    circa  j. 700.000 

si  indi  \  ina  1 ;     .         fare  un  enorme  o  m 
sumo  ili  rami-.  [1  ventri-  ili   Parigi  esige  ogna  setti- 
mana jo.ooo   buoi,   60.000  montoni,    quasi 
majali.  S;  vede  dunque    |ual  ih.ih.Io  for- 
ibile  'li    animali   rappresenta    il    consumo    an- 
lueste  truppe  belanti  ili  montoni   spauriti. 
polo  urlanti-  e  rivoluzii  1  buoi  e  di 

.  1  ano 
errovia  dà  tutti  i  punì i  1  .  dai  pa- 

li    Bretagna  e  di    Norma a     Ma  la  produ 

•   ma  non  basta  all'eri 


colle  lunghe  orecch  riti  sugli  occhi,  con  un 

leggero  grugniti.  Ira  i  1  lenti  stretti,  l'in.,  immobile, 
sonnecchia,  un  altro  sorride  col  ventre  enorme  al- 
iarla, un  u-r/o  sugna  forse  visioni  da  Epulone 
dappertutto  sulla  paglia  i  Testasi  della  pinguedini 
i .  i  1  rii  '  ilma 
Minu/ii  sani.  ni.  esaminati,  palpeggiati,  pesati, 
tutti  gli  animali  sono  comperati  dai  grossi  mercanti, 
che  si  incaricano  di  farli  uccidere  e  di  rivenderli  in 
seguito  ai  più  piccoli  commercianti. 

appena   vendute,   le  mandre  sono  sospinti    fuori 
dalle  tettoie   a   colpi   di    frusta,  di   bastone,  • 
baiamenti  e  da  morsicature  di  cani.  Come  una  fi 
a   dal   panin..   i   montoni   si   precipitano  rolla 
bassa   in  una  sola  valanga,  belando,  string 


DALLE    RIVI-    I 


dosi,  schiacciandosi.  Una  fiumana  bianche, 

di  dossi  lanuti,   macchiati   di   marchi  azzurri.   r<  ssi, 
verdi,   violetti,   si  succede  senza   riposo.    1   buoi    si 

precipitane-   con    un   tumulto  feroce  e   dramma; 


r  o  1 9 

tà.  la  Ila  morte.  Strana  città,  dove  l'inerme 

>  p       ii  ne  non  vive  che  pi     •  ed  è  continua- 

nti   sostituita  da  altra  che  morrà  ben  presto. 
Quaranta   o  cinquanta  scompartimenti    poco  eie- 


Comesi  ch.ui.imii  majali  negli  stabilimenti  Armour  e  C,   \  Chicago. 

Sotlo  queste  tettoie  grzg  intinsi  in  meccanicamente    Le  chiamate  dclU 

elettriche  si  mescolano  ai    trugniti  delle   bestie  sgozzate    Lr  operazioni  si  succedono 
che  si   possono  uccidere    10.000  maiali  <>,ini  giorno 

ih  una  massa  enorme,  in  cui  le  grandi  teste  cozzano,  vati  sono  allineati  regolarmente  come  reggimenti  che 

e  le  grandi  come  si  spezzano.    I   majali   si   attrup-  attendano  la   rivista.   E    là  il  macelli    comune,  per- 

pano  in    masse    indisciplinate,   rivoluzionarie,    men-  che  non   bisogna  credere  che  ie  bestie  siano  eguali 

tre  i  col|>i  di  frusta  piombano  con  voluttà  sui  ventri  davanti  alla  morte.   Se  i   montoni  e  gli  agnelli  sono 

soni  ri.  abbattuti  gli  "ni  in  presenza  degli  altri,  i  buoi  han- 


COME   .-t    LAVANO  E 


STRIGLI  imi   l    \imu    i  i  i  i-i 


isi,  i  maiali  cadono  in  \ina  pi  dna  d'acqua  bollente.  In  cui  vengono  con- 
tinuamente  rivoltati  da  lunghe  forche  e  quindi  passano  in  una  macchina  dalla  quali 
escono  poco  dopo  colla  ini'.'-  Uscì 


Ed  eccoci  al  macello,  la  città  del  sangue.  Il  ma-  no    l'onore    di    una    sala  particolare.    Entriamo  in 

cello  di  Parigi  è  vicino  al  mercato  del  bestiame.   I  una  di  queste  sale  private,  dove,   secondo  l'espres 

suoi  lunghi  scompartimenti  rettangolari,  le  sue  sale  sione  tecnica,  si  fa  il  bue. 

ripiene  di  strumenti  terribili  formano  una  vera  La    -ola  è    alta   e   più    lunga  che    larga.    A   due 


I02t) 


LA    LETTURA 


nifi  ri  e  n  i  suolo,   forti   poutrelles   in  I 

m-[\.  no  ad  appendervi  i  buoi  uccisi.  Dalli' muraglie 

uncini  ai  quali  spesi   i  v isceri 

animali,  i  polmoni,  il  fegato,  il  cu  n     \  terra 

1  ferrate.    Presso  La 

un  anello  conficcato  fortemente  nel  suolo:  è 

il  lui  il  bue  viene  a  mi  iure.  Un  uomo  1" 

I-  i  echi  coperti  con  una 

maschera  ili  cuoio  come  un  i>rsu  di  zingari.  La  be- 

i    i   •  ingue,  mugge,  esita,   infine 

nella  rimerà  fatale.    I  garzoni  lo  legano  pre- 

all'. inelln.  e  gli  tirano   la   testa  vicini 


Allora  le  vittime  caricate  su  piccole  carriole  ven- 
gono portate  in  un  salane  contiguo  dove  s'ode  pe 
renne  uno  scorrere  d'acqua  bollente.  Qui  centina 

ili    mani    e   di    spazzole    grattano    con    lestezza    1 
pelle,   il  gnigno,   le  orecchie  e  il  ventre  ai  majali 
che  galleggiano  a  centinaia  nel  fiume  fumante. 

In  tutte  le  grandi  città  divoratrici,   a  Berlini»,  a 
Londra,  a  Vienna  si  riproducono  spettacoli  simili, 
-i  possono  facilmente  immaginare  dopo  quanti 
abbiamo  detto  di   Parigi.   Ma  la  produzione  locale 
non   basta   all'immenso  consti  i    dovette  orga- 

nizzati-  un'importazione   colossale  e    incredibili 


Come  i  maiali  vengono  decapitati. 
Slesi  su  grandi  tavole  vengono  decapitali  con  straordinaria  sveltezza  da  speciali  operatori 


terra  .   il  mattatore  prende  la  mazza  americana,  una 
sorta  'li    martello   di   ferro,   munito   di    una  punta 
d'acciaio  e  l'abbatte  sul  cranio  della  vittima  E'  un 
istanti.   Senza  \m  gridi»  di  dolore,  lanciando  sola 
mente  un  sospiro,  il  Ime  e  caduto,  come  un  albero, 

una  piccola  macchia  rossa  alla  fronte  e  qua] 
■  he  r.  a    di   sangue.... 

amo  una  visita  alla  sezii  ni    dei  maiali,  è  la 
sezioni  Qui  si  brucia  e  bollono  le  cal- 

daie.   Eccoci  davanti   come  un  gran   tempio   nero  e 
devastato,  in'  idi  accampati  attor- 

abbandi  nano  ad  un'orgia  or- 
renda di  sozzamente.  Attorni»  a  questi  fuochi  di 
I  ivacchi  si  agitano  uomini  e  donne.  I  colpi  cadono 
e   i  maiali    pn  i    a  terra    I    mi  ri  i 

■  allora  coricati  sulla  paglia,  nascosti  in  essa. 
Alle  volte  non  spunta  fuori  ohe  qualche  gru 
■  ■  n mi  nte.  Si  dà  dlotra  fuoco 
alla  paglia  e  cosi  finisci  a  Pai  il  majale,  tragi- 
■  un  Rajà  indiano,  Una  leggera  car- 
1  un  izza/ione  e  alcune  scintille  che  si  s)  . 
tutto  quello  che  resta   dopo  j k n  h i    istanti   sul  corpo 


lesile  pei    saziale  la  fame   divorante  di  queste   ca- 
pitali. 

Una  gran  parte  dell'America  del  Sud  è  occupata 
da  estensioni  senza  termini  di  praterie  dove  l'i 
'  reso  in  abbondanza:  sono  le  pam-pas.  Colà  in  uno 
stato  di  libertà  assoluta  vivono  mandre  sterminate, 
ognuna  delie  quali  conta  non  meno  di  io.ooo  capì 
di  bestiame.  Il  numero  dei  buoi  non  è  inferiore  ai 
venti  milioni  e  quello  dei  montoni  a  cento  milioni. 
Ogni  anno  i  custodi  fanno  la  scelta  delle  bestie  mi- 
gliori e  le  spediscono  ai  grandi  porti  11  principale 
e  naturalmente  quello  di  Buenos  Aires. 

Al  principio  degli  allevamenti  nelle  pampas  gli 
speculatori  si  proponevano  di  procurarsi  la  pelle 
|ht  i  cuoi;  la  carne  dell'animale  era  considerata 
I  iuttosto  come  un  imbarazzo.  Ma  da  quando  si  ot- 
tenne il  modo  di  conservarla  pei  mezzo  di  potenti 
frigoriferi,  tutto  fu  cambiato.  E  si  |H>tè  allora  uti- 
lizzare ([nella  quantità  immensa  di  carname,  al»l>an- 
'leii.ua  ai  vermi,  che  prima  ingombrava  le  pampas 
i  giorni  successivi  al  macella  Fu  un  colpo  di  foi 

Ulna,    .speeiali    Compagnie   vennero   (ondate   per    l'e- 
sp   rtazione  dei  lana  e  dei  montoni  dall'America  del 


DALLE    RIVISTE 


I U2  I 


Sud  ;  tutte  prosperarono  e  moltissime  sono  diven-  sgozza.  Poi  le  vimine,  sempre  trasrinate  dalle  ruote, 
tate  ricchissime.  Attualmente  Buenos  Aires,  che  fa  passano  dinanzi  ad  altri  operatori,  che  li  sventra- 
delle  spedizioni  al  mondo  intero,  manda  animai-  no,  ne  tagliano  le  teste  e  li  spaccano  in  quarti...  E' 
mente  al  solo  porto  dell'Ha- 
vre  105.000  buoi.  70.000  vac- 
che, 60.000  vitelli,  2. 500. 000 
montimi  e  130.000  majali. 

In  grazia  dei  vagoni  frigo- 
riferi tutta  questa  carne  può 
arrivarci  fresca  come  se  fosse 
allora  allora  uccisa. 

Le  cifre  che  abbiamo  date 
sono  rispettabili  e  impressio- 
nanti e  si  potrebbe  facilmente 
credere  che  Buenos  Aires  sia 
la  città  che  ha  le  statistiche 
maggiori  riguardo  al  commer- 
cio degli  animali.  Eppure  vi 
ha  un'altra  città  che  la  sorpas- 
sa. E;  Chicago,  la  città  dove 
la  sola  casa  Armour  sgozza  o- 
gni  giorno  30.000  porci. 

E'  qui  che  trionfa  la  mec- 
canica, il  vapore,  l'aria  com- 
pressa. l' elettricità,  applicati 
alla  manipolazione  degli  ani- 
mali uccisi.  Nelle  sale  gigan- 
tesche  il  frastuono  degli  in- 
granaggi, il  fischio  delle  cal- 
daie, il  rumore  dei  cilindri  in 
azione  danno  l'idea  di  un'officina  metallurgica  piut 
tosto  che  di  un  macello.  Il  visitatore  europeo  è  stu 
pefatto  di   quelle   interminabili   file   di    maiali    ur 


Nei  magazzeni  del  macello  di  Chicago 


L'ULTIMA    OPERAZIONE    DI    Rll'l   LIMENTO 


lami  che  vengono  con  rapidità  spaventevole  sospesi 
ai  raggi  di  enormi  mote,  che  circolano  nell'aria,  e 
che  uno  ad  uno  passano  dinanzi  ad  un  operai'  ri 
che  con  un  sol  colpo,  senza  muoversi  dal  posto,  li 


une  spettacolo  maestoso  e  terribile,  quello  di  que- 
ste carcasse  tremolanti,  di  carni  rosse  e  di  adipe 
candido,  carcasse  che,  obbedienti  a  una  forza  im- 
mensa, camminami  nelf  alto, 
discendono  a  terra,  salgono  i 
piani  inclinati.  1'  una  dietro 
all'altra,  sventrate  e  orrende. 

Passiamo  in  altri  magazzini. 
Qui  la  carne  è  spedita  in  reci- 
pienti frigoriferi  agli  Stati  Ug- 
niti e  all'Europa,  oppure  fat- 
ta a  pezzi  e  affumicata  in  sca- 
tole di  latta  perfettamente 
chiuse....  E  le  salsicce  s'allun- 
gano, s'allungano  di  centinaia 
di  chilometri  prima  ili  span- 
dersi sul  mondo  intero. 

Nulla   si    perde.    Le    corna 
servono   a  fare  pettini    e   bot- 
toni,  le  ossa  più  grosse  a  far 
manichi  di  coltelli,  le  più  pic- 
cole, bocchini  di  pipa.  I  piedi, 
le  articolazioni,     i     frammenti 
di    pelle  sono  trasformati    in 
gelatina,   in   stearina,  in  sego, 
in  grasso,  in  sapone;    gli  sto- 
machi   passano    alla    farmacia 
per  la   prepar  izii  me  dei  sughi 
u.iv'rici  artificiali. 
Ma  quali   soni     i    popoli   che   fanno  un  consumo 
così  enorme  di  carni?  I  popoli  del  Mezzogiorno  e 
dell'Oriente  ne  fanno  un  uso  assai  limitato,  mentre 
le  razze  del  Nord  hanno  bisogno  di  carne  per  rea- 


LA    Ili  I URA 


In  -\l  STRAMI  NTO   i    i  \    ].\\  mi  iu 


gire  i 

vomì' 


I  freddo  <■  dell'umidità.  Gli 
in  tutto  il  monili    i  più  '  i  li  di- 

urne. In  tutte  le  taverne  ìngl  :si  sono  al- 


9  .                                     •  ^il^^^^ffr^A 

E                  JL    •W^T^^^ 

v                      —            '^^^ 

fi        |  *       E*  Aris 
firn     Mr-JB 

la  i  ITB     •  v„ 

I  v    PI  -III  H\    I    L'I  \lliw\    IN    GHI 


lineate  sui  banchi  li  fetti  rosseggianti  'li  roastbeef. 
Le  statistiche  dicono  che  ogni  giamo  Londra  ilivora 
8.000  buoi.  Nel  consumo  della  carne,  all'inglese  se- 
gue il  tedesco,  il  quale  però 
preferisce  il  majale.  Gli  spa- 
gnuoli  e  gli  italiani  in  con- 
fronto  sembrano  dotati  di  un 
appetito  meno  mediocre;  Que- 
ste differenze  smic  giustificate 
dalle  differenze  del  i-lima  e 
dèi  genere  di  vita. 

Ali-uni  popoli  poi  mangiano 
la  rame  appéna  rosolata,  altri 
i,   j,'li   aralu  ] m >i  non 
tanno  rhe  collocarla  tra  la  pel- 
la  >ella  e  di- 
i    col    miglior    appetito 
del  tuonilo  dopo  una  giornata 

ili   cavalcala. 

I  medici,  che  non  molti  an- 
ni fa  raccomandavano  le  car- 
ni quasi  citulc.  ora  danno  le 
preferenze  alle  carni  as- 
sai cotte,  eccetto  nei  casi  <li 
etisia.  L'abuso  delle  carni  pe- 
rò non  è  senza  pericolo  e  si 
crede  generalmente  che  i 
rigine  a  una  malattia  oramai 

appendicite. 

•  ille  Leclnrei  poni  fon 


Gli  studi  superiori  si  compiono  presso  gli  Arabi 
in  luoghi  e  con  metodi  molto  diversi  dai  nostri. 
Il  tipo  dell'Università  maomettana  è  El  Azhar.  al 
Cairo,  la  cui  fondazione  risale  al  q88  e  fu  opera 
del  califfo  El  Aziz.  principe  della  famiglia  dei  Fa- 
limiti  e  amico  delle  scienze  e  delle  lettere. 

El  Azhar  è  tutt  insieme  moschea,  scuola  ed  al- 
bergo. Situato  nel  pittoresco  quartiere  del  Bazar  e 
nascosto  in  un  dedalo  di  costruzioni,  l'edilizio  non 
ha  una  facciata  monumentale  e  si  rivela  soltanto 
per  mezzo  dei  sei  svelti  minareti  che  slancia  al  cielo. 
Vi  si  entra  dalla  porta  dei  bari 'ieri,  così  chiamata 
j>eR-hè  vi  stavano  in  altri  tempi  i  barbieri  che  rade 
vano  gli  studenti.  Attraversato  uno  strette:  passag 
gio  popolato  da  mercanti  di  legumi  e  di  frutta,  si 
sbocca  nel  Sahn  ci  Gamia,  cioè  cortile  della  m< 
schea.  Questo  è  interamente  lastricato  e  chiuso  da 
portici  merlati,  da  nicchie,  da  balaustre  delicata- 
mente traforate.  Vi  formicola  una  popolazione  com- 
posta d'individui  d'ogni  età.  d'ogni  razza  e  d  ogni 
condizione:  Turchi  e  Negri.  Arabi  e  Indù,  fan- 
ciulli, vecchi  e  adolescenti,  poveri  e  ricchi,  sani  ed 
infermi. 

Intorno  alla  corte  centrale  si  aprono  i  iman,  salt- 
ila 1  tetto  basso  sostenute  da  arcate  a  colonne  di 
marmo  ai  La  più  vasta,  i  he  è  tutt'insieme 

aula  e  moschea,  non  ha  meno  di  nove  navate  e  di 
centoquaranta  colonne.  Con  una  superficie  di  circa 
3000  metri  quadrati,  accoglie  una  moltitudine  nelle 
ore  di  studio  e  di  preghiera.  Il  mihràb,  o  nicchia 
della  preghiera,  ha  l'asse  rivolto  verso  la  Mecca.  I 
professori,  gli  sceicchi,  accoccolati  ai  piedi  delle  co- 
lonne, leggono  e  commentano  il  Corano  e  i  libri 
[tifici.  Seduti,  coricati  o  in  piedi,  sul  nudo  sui  lo 
o  sulle  stuoie,  i  discepoli  stanno  a  sentire. 

Tutte  le  classi  sociali  sono  mescolate  in  quella 
moltitudine  avida  d'istruirsi.  I  ricchi  hanno  il  solo 
privilegio,  finita  la  giornata,  di  ritirarsi  nelle  came- 
re, vicine  all'Università,  delle  quali  possono  pagare 
l'affitto.  I  meno  favoriti  dalla  fortuna,  i  disgraziati 
e  trecento  ciechi  abitano  El  Ahzar.  Lungo  i  muri 
dei  liuan  sono  disposte  delle  casse  dove  essi  depon- 
gono i  loro  indumenti.  D'inverno  il  liuan  centrale 
>erve  da  dormitori.  ;  d'estate  si  dorme  all'aria  a- 
perta.  Non  solo  l'alloggio  è  gratuito,  ma  anche  il 
vitto  per  coloro  che  non  <«  ssom  pagarli  .  O  me  nel- 
le Università  europee,  durante  il  medio  evo,  gli 
studenti  sono  divisi  per  nazionalità,  in  rinak  e 
barali.  Si  contano  trentuno  r'màk  di  Turchi,  di  Al- 
gerini, di  Tunisini,  di  Marocchini,  di  Giava  11  -  1 
Tranne  questa  classificazione  tutta  geografica,  i 
mugauÌTtn  o  studenti  godono  la  più  assoluta  libertà. 
Essi  sono  padroni  di  scegliere  i  maestri,  di  seguire 
questo  o  quel  corso,  di  studiare  tre  anni,  sei  anni. 
od  anche  più  a  lungo.  Alcuni  entrano  fanciulli  ad 
El  Ahzar,  e  ne  escono  vecchi.  L'insegnamento  è  del 


tutto  gratuito.  I  professori  vivono  del  prodotto  del- 
le lezioni  particolari,  dei  cloni  volontari,  della  rico- 
piatura di  libri  0  della  retribuzione  ottenuta  per 
l'esercizio  del  culto.  Insegnano  a  leggere,  a  scrivere, 
a  copiare  e  a  recitare  il  Corano;  danno  le/ioni  di 
grammatica,  di  religione,  di  giurisprudenza,  di  lo* 
gica.  di  rettorica,  di  versificazione.  Xon  vi  sono 
osami;  quando  un  discepolo  si  crede  in  grado  di 
far  da  maestro,  apre  un  corso,  liberamente.  Non 
1  è  bisogno  ili  aggiungere  altro  per  dimostrare  come 
e  quanto  le  Università  mussulmane  sono  diversi 
dalle  euro]»',  ' 


Per    trovar     marito 


In  ogni  parte  del  mondo  l'impazienza  delle  ragaz- 
ze da  marito  è  messa  in  evidenza  da  qualche  super- 
stizioso costume  ;  uno  dei  più  curiosi  è  quello  che 
vige  in  Alsazia,  su!  monte  di  Sant'Odilia.  Celebre 
non  tanto  per  l'altezza  —  la  quale  è  di  settecento 
metri  —  quanto  per  i!  monastero  fondatovi  nel 
VII  secolo  da  Santa  Odilia.  figlia  del  duca  Adal- 
rico,  questo  monte  è  la  mèta  ili  due  diverse  serie 
di  pellegrinaggi. 

Xarra  la  leggenda  che  Odilia,  cieca  dalla  nascita, 
recuperò  la  vista  col  battesimo;  più  tardi,  quando 
suo  padre  volle  accasarla,  ella  fuggì  verso  Fri- 
burgo, dove  una  roccia  si  dischiuse  dinanzi  a  lei 
sottraendola  agli  inseguitori.  Il  duca,  impressionato 
da  questo  miracolo,  non  si  oppose  più  alla  voca- 
zione della  figliuola  e  le  diede  il  castello  di  Ho- 
henburgo  per  farne  un  monastero.  Dopo  la  morte 
del  padre,  Odilia  fondò  il  convento  di  NIedermun 
ster  ;  in  una  delle  sue  gite,  avendo  incontrato  un 
pellegrino  morente  di  sete,  fece  scaturire  la  fontana 
che  porta  il  suo  nome,  e  da  allora  tutti  gli  ammalati 
d'occhi  accorrono  confidenti  a  quella  sorgenti-.  Ma 
la  virtù  della  santa  si  esercita  in  altro  modo,  sul 
destino  delle  fanciulle  da  marito.  Sopra  un  pro- 
montorio roccioso  del  monte,  sorge,  quasi  a  picco 
sul  precipizio,  la  cappella  detta  degli  Angeli,  la 
quale  è  circondata  da  un  sentiero  così  stretto,  che 
nei  punti  più  larghi  arriva  a  misurare  appena 
mezzo  metro.  Il  lunedì  della  Pentecoste,  le  giova- 
nette  salite  al  sacro  monte  tentano  di  fare  il 
di  quel  vertiginoso  sentiero;  ma  non  basta  chi  l 
facciano  una  volta  sola;  bisogna  anzi  che  lo  0 
piani'  nove  volte  di  fila,  senza  appoggiarsi  mai  ne 
ai  muri  della  cappella  ne  alla  balaustra,  se  voglio- 
no  trovar  marito  rientro  l'anno.  Molte,  prese  dalla 
vertigine,  rinunziano  al  tentativo,  1  si  mettono  il 
cuore  in  pace.  Salvo  a  ricominciare  la  prova  l'ani 
seguente  ! 

(Dalle  Leciures  moderne*  ■ 


tura  di   |ii!-Nti  grandi  e  magnifici  uccelli,  le 
ito  appn  diffii  ili .  perchè 

una  veli  ra  rdinaria, 

derli   por   poterli  pren- 
-    i  schia  ili  distruggerne  la 
■  o  nsumo  delle  pi  nru  . 
quindi,   dapprìi  Inglesi   d'Aus 

oc     i  in  California  dagli  Americani,  ili  i 
I levamento  dei  preziosi  volatili.   I  risultati 
spinto  i    Francesi  a    fare  altn  l 
,  l  gitto. 
\  un'i  ra  e  mezza  dal  Cairo,  presso  il  villaggio  ili 
l ire  per  il  sicomoro  all'ombra 
Verg  Bambini  sarebben 

nda,  ripos  5    dal  1880  un  pai 

i  delli  .  una  s]  •  asi  in  mi  zzi    .il  desi 

mbreggiata  dalle  palmi   e  composta  d'una  serie  'li 
nne  scoperte,  disposte  a  cerchio  intorno  a  un 

Ni  Ile  capanne,  che  sono  160.  aliaci 

ma   strada  di   ronda   jh  r   i   guardiani,   vivono 

1400  struzzi,  uniti  in  gruppi  ili   25   i>  30.  senza  di- 

one  di  sesso  finché  non  hanno  compiuto  i  cin- 

tnni.  A  quest'età,  divenuti  adulti,  si  formano  le 

ina  delle  quali  ha  un  alloggio  parti- 

I    maschi    ^i    riconoscono  facilmente  dalle 

■  re  tra  le  quali  ino  alcuni  ciuffi  b 

come  se  Fi  sseri    di  coralli  1  ; 

tutte  gì  gie.  L'na  volta  l'an- 

1  - 1  mbr  ,  ess     1  lep  mgi  mo  durante  13  1 

giorni  un  uovo  al  giorno.  Il  nido  è  un  s  uiplioe  buco 

nella   sabbia  del    su  lo,  e  riparato  da  una 

di  piccolo  fi  3so  circolare.  La  cova  dura  in 

a  4.:  giorni  ;    ma  ogni  giorno,  sull'annonari-,   la 

1     le    lasciare    il    nido,    dove    il    maschio 

de    il    posto   rimasti     vuoto.    Più  coraggioso  e 

pugn  meglio  in   grado  di   d  Fendere   la 

ira.   e   per   intimidire   i    nemici   caccia   urli 

prolungati,   grilli   gutturali   che    somigliano  strana 

mene  gg  ne;    la  sua   forza  è  tale  che 

■  11  un  colpo  della  zampa  uncinata  sventra  un  uorm  . 

Durante  il  giorno,  quando  nel  nido  sta  la  femmina. 

monta  la  guardia   presso  di    lei.    1  guardiani, 

quando  hanno  da  entrari-  nelle  capanne,   debbono 

le  più    s         i      .nazioni,  e  talvolta  non 

riescono  a  penetrarvi   senza  pericolo  se  non    i] 

indo  il    maschio,    la   qual    casa   ottengono  agi- 

tandogli  dinanzi  agli  occhi,  sulla  cima  di  un  basto- 

|  .  zzi  di  stoffa  di  colore  azzurro. 

pra  quindici  uova,  solo  cinque  o  sei  si  schiudo- 

li rettanti    pulcini,    grossi  quanto 

hanno  niente  di  bello:    la  1 

le  zampe  si  no  enormi. 
M  ■  crescono  rapidamente:  di  dodici  1  >« «lini  al  n 

azil  ne  degli    adulti  si   1 

'.mimi  di  Fave,  2  di  crusca  e  6  di 
nda,  quindi,  quella    si 

1    gli   sttuz/i   hanno  uno  ..   di 


struzzo.  Senza  masticare,  con  una  sola  fucata,  essi 

10  una  dozzina  di  aranci.   Un  meli 
sa    si  nza    difficoltà    nella   loro   esili     gola 

Vivono  lino  a  trentanni,  e  già  quando  ne  hanno 
appena  due  rappresentano  un  capitale  termine! 
re.  Due-  volte  l'anno,  in  maggio  e  in  novembre,  si 
tagliano  loro  le  penne,  •  due  volte  fanno  la  natura 
ripara  il  danno  prodotto  dagli  uomini.  I .'nitrazione 
del  taglio  non  è  senza  difficoltà:  cinque  0  sei  uomini 
robusti  non  sino  troppi  pei  legare  le  zampe  del- 
l'animale, distenderlo  a  terra  e  mantenerlo  termo. 
In     America    sì     pi  Itrimenti,     involgendo    il 

Ilo  ni  una  specie  di  sacco;   ma,  |*t 
esser  date  alla  cieca,    le   zampate   non  si 
pericolose. 

Data    la    scarsa   pi  gli   struzzi   hanno 

un  valore  piuttosto  caro:  di  2500  franchi  in  me- 
dia. Siccome  le  penne  non  s  guale  bellezza, 
molte  hanno  bisogno  di  essere  pulite  ed  anche  ar- 
ricciate, operazioni  che  ostano.  I  visitatori  del 
pain,  egiziano  possono  avere,  con  7.  8  0  12  fran- 
chi, una  piuma  grigia;  le  nere  valgono  25.  e  30  le 
bianche. 

(Dalle  Lectures  moderne!). 


Le   ma rine 

inglesi  e  giapponesi 

L'alleanza    anglo-giapponese   comincia    a    por 
i  suoi  frutti.  Un  prestito  di  125  milioni  di  franchi 
è  già    stato   lanciato   sul    mercato    di    Londra   colla 
ra   omandazione  ai  capitalisti  a  mostrarsi  geni 
i-erso  la  nazione  alleata.    E  trecento  milioni    - 
stati  versati  in  pochi  giorni,  somma  enorme  dS  de- 
naro che  partirà   pei   porti  giapponesi  a  creare  una 
nte. 

Il  piano  navale  dell'ultima  terra  dell'Estremi  >  l 
riente  è  grandioso:  quattro  corazzate  fra  le  più  po- 
tenti che  saranno  costrutte  in  Inghilterra,  sei  inerì  - 
datori  ili  prima  classe  e  altri  piccoli  incrociatori 
e  torpediniere.  E'  un  totale  di  irò. 000  tonnellate. 
pel  quale  l'effettivo  della  marina  giapponese  si  tri  - 
vera  in  qualche  anno  più  che  raddoppiata  II  nu- 
mero delle  corazzate  giapponesi  viene  cosi  aun 

del  40  per  cento  e  quello  degli  incrociatori  del 
100  per  cento. 

D'altra  pane  però  l'Inghilterra  non  vuole  rima- 
nere addietro  alla  sua  alleata,  né  lasciarsi  sui*  : 
dai  suoi  piani  grandiosi.  Il  programma  delle  costru- 
zioni navali  ih  r  l'anno  prossimi,  è  già  pubbli 
Esso  comprendi  due  corazzate  di  10.500  tonnella- 
te, dm-  incrociatori  corazzati,  tn  incrociatori  di 
terza  classe,    |uatl  n  e  nove  conti 

pi -dimore. 

E'  insomma  il  disarmi  ncia  ! 


Uè    case    clie    si    muovono 


C'era  tempo  addietro 
nel  Kansas  (Stati  Uniti) 
una  ritta  che  aveva  fatti 
tutto  quanti  ■  ra  possibi- 
le per  indurre  una  Com- 
pagnia f'ern  .viaria  a  farle 
passare  vicino  una  feri 
via,  ma  non  aveva  otte- 
nuto nulla  :  un  bel  gioì 
no  si  st  ppe  che  •  ra  stabi- 
lito che  la  fi  nw  ia  d 
vesse  passare  a  dieci  mi- 
di .lisi. in. i.  ed  in- 
in  l>rt-\r  tempo  la 
linea  fu  impiantata.  Al- 
lora si  fece  un  meeting 
generale  della  cittadinan- 
za, e  gli  abitanti  con  u- 
nanime  entusiasmi;  stabi- 
lir! >m  cii  la  fer- 
rovia m 'il  voleva  venire 
in  ritta,  la  città  sarebbe 
ain lata  alla  ferrovia.  Il 
io  lopo  - 1  ;  '  mincda- 
ii  .in  li  opera  ii  ni.  Tut- 
ti- le  rase.  Ir  botteghe,  le 
se,  i  caffè  furoro  mes- 
si -i  |  tra  ilelle  ruote,  e  ti- 
rati da  dozzine  e  di  //ine 
ili  forti  cavalli  e  la  pn  - 
cessione,    capitanata    dal 

sindaco  e  ila  .lue  ecclesiastici,  si   avviò  lentamente     --.sa    raggiunse    finalmente    la    sua    destinazione,    e, 
per  la  prateria     I   i   storia   non  dice  Quanto  tempo     menti      gli    ecclesiastici    innalzavano    lodi    a    l'i 
1  i  città  per  traslocare,  ma  è  un  fatto  che     tra  il  giubilo  .Iella  popolazn  ne,    lu  depositata  sul 


Il     rRASPORTQ   UtM    CASA   IN    CALIFORNIA 


,!>" 


Minpn 


- 


/.(/  /. 


A  mvvi  RSO    iv    i  n  v   l'I    ili  MBOLm 


«5 


LA     LETI  I   I    \ 


Il     [«ASPORTO   D'I  M   i  \-\   \    BROOI  K1V\ 


Gli  amei  ii  ani  hanno  giu- 
nti-   ingegnosa.    Il    trasj 
pei    loro  una 
stanza    semplice   e  naturale.    Anche  tre 
anni  un  abitante  ili  Muscongas,  nello  Stato 

M  unbiar  paese  e  ili  andarsi  a 

1  i.i:ii.u iscotta   Mills,  i         •      ere  la  sua 
sopra  un'armatura  di  legno,  che  fu  tirata  da 
sappiamo  quante  paia  di  buoi   fin  sopra  una 
collii  uva  poi  scendere  la  collina  e  traver- 

sato.  Giunti  che  si  fu  sul- 
l'altura, l'americani 


I  w  .  ISA  nr.nl  [ATA  DA  SUD  A   KOBD  I  un  GÌ  I    via  u\il  DI 


una  spinta  all'edilìzio,  che  scivolò  giù  [>er  la  china 
eoa  una  rapidità  o  le,  arrivando  sino  alla 

superficie  del  lago  gelato.  Qui  i  buoi  furono  attac- 
cati nuovamente,  e  la  casa  ti  senza  arri.. 
la  superficie  ghiacciata. 

Non    meno   interessante   è    la    stona   della    casa 
si  vede  nelle  due  figure  della  pagina  preceden- 
te. La  casa  —  una  complicata  costruzione  di  li 
—  appartiene  ad  un  avvocati    di   Eureka  in   C 
Imma,  il  signor  Ernesto  Savier.  Essa  fu  tolta  d 

amenta  in  Arcata,  piccola  città  vicino  ad  Eu- 
reka, e  trasportata  sino  alla  sponda  della  baia  di 
1  [umboldt,  ove  erano  pre- 
parate- due  chiatte   piane 
e  l  gnui 

pan-   di    trasportare   ,;oo 
tonnellate.    Sulla    spond  1 
si   era    praticata    un'aper- 
tura  quadrai  in- 
tn  dussero  le  chiatte  che. 
Ute    Ferme   inferii  irmeli 
da   appositi     sostegni, 
non     sul  ili.  rio     sci  .ss,-     né 
dislivelli  quando  la 
vi   fu  spinta  sopra.   Indi 
si    tolsero   i   sostegni    1 
chiatti-    con    la    casa    gai- 
di 
Humboldt.   In   tal    mi 
la                                         ]K-r 
migl  ia     si  11/.1     inci 

denti.    L'  edilizi it 

aveva  un 

fun  d     era      tutta 

minuzii  lavi  irata. 

Pesava  oltre    cento  ton 
nelli 

Quando    essa    raggimi 

s     I  1  •  ka.  fu  trasportala 

a   lerr.!  alla    presenza    di 


DALLE  RIVISTE 


una  folla  di  spettatori,  e  poi  spinta  per  mezzi,  mi- 
gliò, ci  mi    si    vede  nella   figura,  nell'interno  della 


Ina  casa  ni  8000  tonnellate  trasportata  a  Chicago 


città  di  Eureka.  Durante  tutta  l'operazione  non  s 
ruppe  un  sol  vetro.  La  ditta  assuntrice  compì  i 
trasporto  in  due   mesi. 

Le  case  non  sono  sem- 
pre trasportate  su  rulli 
di  legno.  La  prima  casa 
che  fu  trasportata,  nel 
1832.  fu  mossa  su  sfere 
di  ferro  rhe  so  rrevi  ni  1 
in  apposite  scanalature. 
Altre  costruzii  :  ;  -;  feo 
ro  muovere  su  guide  me- 
talliche ingrassate  a!  mo- 
di stess.  1  che  nel  varare 
le  navi  le  si  fa  scorrere 
per  un  passaggio  lui  rilì- 
cato.  Questo  m  tod  an- 
cora praticato.  DI  ra:enle  • 
fu  applicati  1  per  il  tra- 
sporto di  una  casa  .1 
Broocklyn.  Sotto  l'impal- 
catura del  piano  terreno 
si  posero  larghe  travi  alla 
,inza  di  circa  un  me- 
tri luna  dall'altra,  e  [hiì. 
sotto  questa  prima  serie 
di  travi,  se  ne  pi  -  un'al- 
tra trasv  ■!  salmi  Sot- 
to la  travatura,  poi,  si 
misero  potenti    martinetti 


1027 

a  vite  per  sollevare  la  costruzione.   li  suolo  su  cui 
la  casa  deve  muoversi,  viene  sempre  sp 

rat  amen  | 

spone  anche  un  binario 
di  travi  di  legno.  La  for- 
za   nutrire,    salvo    lì 

di  ci  si ruzii  ni  mi  iti ■  pe- 
s  uni.  è  fornita  da'  ca- 
valli. Si  stabiliscono  ad 
una  anza    dalla 

isa  due  ai  l  legati 

alla    casa    p 
ci  Tile   11   catene   1     1  1 
gè.    I    cavalli    31  ni    | 
al     servizii     degli     argani 
rhe     fanno     girare 
mezzi:  di  sbarre  di   legni 
e  di  ferri  .  <  '1  sì    la   cas  1 
si    muove.    Quando    si    è 
avvicinata     agli     wg 
questi  vengoni  :  pi  rtati  più 
li  titano,  e  cosi  si  procede 
sinché    non    si    sia    giunti 
al  luogo  dest  11 

Allorché  invece  si  us  i- 
110  i  rulli  sui  quali  si 
spinge  la  o  n  ne  fa 
cendoli  rotolare,  ogni  rul 
!  .  appena  1  sei-  dalla  par- 
te posteriore  dell'edificio, 
viene  presi  1  e  portato  alla 
parte  anteriiii  . 

Le  nuove  fondamenta 
sono  stabilite  fra  le  travi  sottostanti;  e  quandi'  i 
muri  di  fondazione  sono  finiti  e  si  sono  asciugati. 


I  \  il  TRA      ISA    fRASPORTAl  I    \   I  h 


LA    LETTURA 


Ma     |uandc,    | 

M 

I     5] 

attra 

trafile     fu    com 
una 

I 
u  particolarm 
|ht   le  dii  ''I 

l'edificio  che  t-ra   anche   as 
omplicata    I    trasporti 
■  li   questi 

lenti    per  gli    Vmerica- 
che    per    gli 


I  N'ABITAZIONI     MV01  mi   UÀ    NORD    \    SI  n 


stranieri,  e  la  gente  spesso   compie  lunghi   viaggi  per  vederli.   L'industria 


li.   nusp  ir rn  b'i  \>  si azione 


DALLE    RIVISTE 


è  puramente  americana:  e,  come  si  può  vederi 
dalli-  illustrazioni  che  figurano  in  queste  pagine, 
viene  applicata  alle  costruzioni    più    rispettabili 


IN    CAMINO  TRASI-ORTATO. 

E  ciò  che  è  più  ncte<  ole  è  che  esse  non  vengono 
affatto  danneggiate,  non  subiscono  urti,  ne  scosse 
disastrose.  Spesso  si  trasportano  residenze  con  gli 
abitanti  dentro.  Issi  attendono  alle  loro  consuete 
occupazioni,  mangiano  tranquillamente  senza  che 
un  soli*  bicchiere  si  rovesci,  e  alla  fine  vedono  il 
sole  tramontare  dalla  stessa  finestra  da  cui  prima 
lo  vedevano  sorgere.  Il  blocco  di  tre  edifici  che  si 
vede  in  una  delle  incisioni  fu  voltato  da  sud  a  nord 
dal  signor  Friestedt.  capo  di  una  delle  principali 
imprese  di  trasporti  di  Chicago.  Il  signor  Friestedt 
si  incaricò  anche  di  altri  trasporti  notevolissimi  fra 
cui  quello  dell'edilizio  che  ]>esa  8  mila  tonnellal 
e  dell'altro  che  si  vede  nell'illustrazione  seguente. 
entrambi  rimossi  per  far  posto  ai!  una  lem  \  a. 

Il  materiale  impiegato  pel  trasporlo  di  queste 
costruzioni  cosi  grandi  deve  essere  robusto  e  resi- 
stente. Si  adoperano  buone  travi  di  legno,  ovvero, 
per  le  case  eccezionalmente  pesanti,  travi  di  ari  iaii 
Bisogna  prima  fare  un  computo  del  peso  dell'in- 
tero edificio,  al  che  si  arriva  facendo  computi  se- 
parati per  metro  cubo  dei  materiali  usati  nella  CO- 
struzii  ne.  Poi  si  fa  il  conto  della  robustezza  delle 
travature  di  legno  o  di   acciaii    da   adoperare    ne] 

trasporto.     Per    evitare    incidenti,    si    sottoponi       [U 
sto  materiale  a  prove  accurate. 

Un     imprenditore    di    trasporti    di    case    deve    ih 
cessariamente  avere  un  forte  capitale.  I  suoi  magaz- 
zini sono  pieni  ^i   travi   di    legni    e  di   mei  illi  -   ri 


IO29 

argani,   di   pulegge',   di  catene,  di  corde,   e   via   di- 
cendo:  e  tutto  ciò  rappresenta  una  somma  chi 
rebbe  difficile  calcolali'.  Tutto  questo  ammasso  di 
materiale   è    raramente    in    disordine,    ina   quando   è 
finito   un   trasporto   e   tutti    ciò  che    vi    fu  adibiti 
viene  riportato  al  magazzino,  questo  sembra  deva 
da  un  ciclone. 


Certi  imprenditori  americani  sono  specialisti  pei 
l'elevazione  0  il  trasporto  dei  camini,  cosa  partico 
larmente  difficile.  Il  camino  ch(  si  vede  in  una  del- 
le nostre  illustrazionii  era  alto  oltre  quaranta  metri 
e  fu  trasportato  da  una  parte  all'altra  di  una  va- 
stissima    strada    a    Chelsea,    nel    Massachusetts.   A 

li  mire    la    forza    motrice   bastò   Un    solo  cavallo   con 
un  argano. 

La  Ditta  Isaac  Pian  ■  ('..  di  Boston,  sollevo  'li 
sette  metri  e  mezzo  una  torre  già  alta  ^j  metri. 
Ma  il  fatto  piti  notevole  nella  storia  dei  trasporti 
americani  \'v  la  traslazione  'li  un  albergo  di  Brigh- 
ton,  ohe  era  minacciato  dalle  acque  dell'Atlantico. 
Aveva  la  lunghezza  di  oltre  centocinquanta  metl 
cinque  torri  alte  sei  o  sette  piani. 

Sollevata  la  costruzione,  si  piantarono  al  di  sotto 
ventiquattro  binari,  e  su  questi  si  posero  mj  va- 
goni piatti,  ai  quali  si  appoggiò  la  casa.  Si  misero 
poi  grossissime  travi  da  un  capo  all'altro  di  ogni 
linea   di    vagoni   ed   altre  travi   si   disposero  trasver- 


I  \i    11111,11     iwvi  ZATA 


LA     i 


due 

• 

Quando    il    di- 
il 
nel 
ile  della 

ì  la- 

ivano 

1     i   istici. 

le  lo 

no    tutta 

1'  i    un    ni.  mi 
:i  momenti    sul. 

m    vani      1       ruote 
i     far     pn 
che  né  li-  macchini 

-    ■  v   .  tiva!  I.a  fulla  lanciò  un  grido  d'entusiasmo  cui  ri- 

mali  che  riferiscono  la  srena,   fu     sposero  le  macchine  con  le  loro  gole  d'acciaia 
un  mi  I  cominciarono  -\  far  pre- 

la  gran  mi  Era  l'albergo  che  par-  (Dallo  Sirand  Magazine). 


(  N   AI  in  ■:'■'■  i   01    BRIGHTON     M  I  UNI  INATI 


I    \i  il  in. ii    un-  inviii   nv  -ii    ih  0MOT1  .i 


Come    lavora    uno    scultore 


In    un    articolo    'lei    signor    Edoardb    Conti    sui 
marini  ili   Carrara,  pubblicato  nel  fascicolo  scorsi 
della   Lettura,   si   accennava   ai   sistemi  tenuti   dagli 
scultori  per  fare  statue  di  marmo.   Lo  Strami  Ma- 
ne,  di    Londra,   ha   pubblicato   un   articolo  sul 
li     m  cui  si   fanne   le  altre  statue.   L'articolo  è 
■  mpagnato  da   interes- 
santi  illustrazioni   che   ri- 
produciamo in  gran  parte. 
Non   vi   è  forse   arte  i 
cui     procedimenti     siano 
così     poo      i"  I      .il    gran 
pubblico    come    la    scut 

In  ogni  lavi  >ri  imp  i 
tante,  prima  cura  d(  ll'ar- 
tista  è  di  fari  un  bui  n 
mi  dello  i Iella  sua  opera. 
Egli  comincia  col  lare 
una  specie  'li  scheletro 
su  cui  poi  farà  il  model- 
li  .  Tanti  creili  air  che  li 
sculture  premia  un  pezzo 
di  creta  che  abbia  press 

a   poco  le  dimensioni   dell'i  pera    voluta  e  gradual- 
ne  cavi   la  figura. 

La  creta,  invece,  è  presa  pezzo  per  pezzo  ed  ap- 
plicata sullo  scheletri,  nei  luoghi  ove  l'anatomia  lo 
richiede,  e  con  gran  cura  di  conservare  le  prop  i 
zìi  ni  delle  masse  e  gli  angoli  esatti  dei  piani.  Così 
-     t.i    sinché   si    i  t tenga  una    figura  che  si   avvicini 


Le  t'  «lei  cavallo  si  spiegano  da  sé.  La 

iìg.  1  rappresenta  li  scheletri  ;  la  fig.  Il  rappresen- 
ta la  forma  parzialmenti  sviluppata,  e  la  fig.  Ili 
la   forma   definitiva. 

(Juani  ali.-  l'i  n.gralìi'  di-I  fusi',  esse  non  rap- 
presentane ci  me  nel  caso  del  cavallo  un  pi? 
coli  mi  delli  che  serve 
per  lo  scultore  come  uno 
schizzo  pel  pittore,  ma 
un  busto  in  granile//.!  na- 
turale. Il  modo  'li  pro- 
cedere', del  resto,  è  lo 
sti  sso  in  entrambi  i  casi. 
La  prima  figura  nella 
Si  Ci  inda  pagina  mostra  li  ' 
scheletro  su  cui  lanista 
lavora  applicandovi  la 
ci  a  i  diti  che  è  il 
suo  migliore  strumento. 
Con  le  dita  si  i  sigi  ni 
epere  aperte,  ardite,  ro- 
buste quali  non  si  posso- 
Fig.  1).  no  ottenere  con   gli   stru- 

menti più  elabi  rati.  Il 
vecchie  \i  llekins.  notissimo  scultore,  soleva  dire: 
«11  mio  migliore  attrezzo  è  il  mio  pollice*.  Con  le 
dita,  l'artista  ha  più  libertà  nel  maneggiare  la  ereta. 
e  consegue  effetti  migliori.  Certe  famose  statue  gre- 
che non  possono  essere  state  modellate  in  origine 
che  dalle  dita  di  artisti  sommi. 

Naturalmente    un    buste    non    si    modella    in   un 


Fig.    2) 


l'Ili.       3). 


ii  più  possibile  a  quella  desiderata.  Poi  si  elabi  - 
i  dettagli,  o  a  mani  ,  o  o  gli  strumenti  appo- 
siti. I  diversi  stadi  dei  modelli  si  possono  vederi 
nelle  prime  sette   figure  che  accompagnano  questo 

olo.  Som  fotografie  prese  appunto  per  rap- 
presentare   i   diversi    mementi   dell'opera.    Si    sorn 

te  due  ligure  semplici  e  comuni:  un  cavallo  ed 
un  busti  . 


giorno.   Per   produrne   une    presentabile,    quandi 
abbia    da   ricopiare    un    modello,    ci    vogliono    più 

li,  non  foss'altro  perchè  il  modello  stessa 
stanca  e  si  annoia,  -  di  pi  un'ora  o  due  di  seduta 
perde  la  vivacità,  si  stanca,  si  annoia,  e  tutta  l'e- 
spress  i  ne  ni  mutata...  in  peggio.  Tuttavia,  nel 
rappresentato  nelle  lustre  illustrazii  ni.  il  la- 
vi ro  i  n    [uatl  ri  i  «re. 


ì   \    LETTUI    ■ 


(FIG.   il 


I   [G      ■ 


I  I' 


FIG     7 


DALLE    RIVISTE 


o33 


Sin  che  il  modello  è  in  elaborazione,  è  necessa      applicazione),  lanista   procede  a  costruire  lo 
in    mantenere  la  creta  umilia,  cièche  si  fa  con  un      letro   della   statua   o   del   gruppo  che   vi* 
ii-affiatoic  speciale.  grandezza  naturale.  Naturalmente,  se  il  lavon    è  di 


Il  busti  .  |uand<  finiti  .  \  ero  gettato  in  gesso; 
se  invece  se  ne  vuole  ottenere  una  terracotta,  è 
necessaria  un'altra  operazione  preliminare.  Si  ta- 
glia con  un  tilii  metallico  una  parte  della  corona,  e 
si  scava  l'interno  in  maniera  che  il  modello  resti 
di  uno  spessore  medio  di  circa  quattro  i  i 
centimetri.  Ciò  fatto,  il  busto  si  può  staccare  fa 
cilmente  dal  pernio  dello  scheletrii.  Il  modello  viene 
vuotati,  per  quattro  ragioni:  perchè  diminuisca  di 
pesi,  perchè  si  asciughi  prima,  perchè  resista  al 
fuoco  e  perchè  non  si  spacchi. 

Quando  il  modello  non  deve  servire  che  da  ab 
bozzo  per  un  lavoro  più  finito,  le  sue  dimensioni  in 
generale  son  piccole:  il  cavalle  fotografato  era  alto 
circa  venticinque  centimetri.  Pel  resti  .  la  grandez- 
za dipende  dalle  dimensioni  che  si  voglion  dare 
alla  statua,  e  da  varie  altre  o  nsiderazioni.  Il  mo- 
dello può  essere  buttato  giù  grossolanamente  o  fi- 
nito con  cura,  secondo  i  casi  ;  ma  di  regola  l'artista 
non  bada  molto  ai  dettagli,  e  lavora  solo  quanto 
basta  per  avere  un'idea  della  sua  opera,  e  se  1  est 
dizione  rispi  ridi  al  suo  desiderio.  Va  ricordato  che 
lo  scultore  non  opera  come  il  pittore  su  una  supea 
ficie 'piana,  che  dà  una  sola  vista  ;  il  sui  lavi  ro 
deve  essere  soddisfacente  da  tutti  i  lati. 

Ottenuti    un  modello   secondo   il   proprio  deside- 
rio (e  talora  ci  vogliono  mesi   interi   di   studio  e  di 


i  te 


(Fio.   8). 


grandi  dimensioni,  intesti  preliminari  richiedono 
grande  precisione  ed  abilità  meccanica.  Per  illu- 
strare bene  il  procedimento,  lami  re  dell'articolo 
che  riassumiamo  ha  raffigurato  i  diversi  stadi  di 
un  gruppo  dello  scultore  Adrian  Jones.  Il  gruppo 
è  alto  un  po'  più  di  tre  metri.  11  modello  ,•  rappre- 
sentato nella  fig.  VII;  nella  tig.  IX  si  vedono  i  la- 
vi ri  di  preparazione  dello  scheletro.  Ogni  cavalli 
deve    essere    lavorato   sopra    uno    scheletro    proprio, 

il   quale   deve  essere   stabilito    in    base   a    dui 

celti:    alla    posizione  che   dovrà    teneri     l'animale   e 
il  peso   di   creta  che   l'armatura    stessa    dovrà    SOSti 
■  te.    Pel  gruppo  del  Jones  si   adoperarono  sbarre 
di  terrò  e  tavole.  Affinchè  ogni  pezzo  abbia  la  pò 
si/ione  giusta,  si  divide  la  base  su  cui  posa  il  mi 
dello   in   tanti   quadrati   uguali   che    vengono  nume- 
rati. Poi  si  divide  in  ugual  numero  èli  quadrati  sim- 
metrici   la    piattaforma    su   cui    poggerà    il   grupp 
definitivo,  ed  anche  ad  essi  si  danno  i  numeri  coi 
rispondenti.   Dopo  ciò,  col   filo  a  piombi    i    con  la 
pazienza,  è  facile  dan   alle  sbarre  ■*    lene  la  posi- 
atta  che  devom    tenere. 


Ci  mj  sì    lo  scheletri  i   atolo   sepia 

una   tavola  girevole,   in   modo  che  ogni    sua    pari 
essere  posta  in  buona  luce  al  momento  d'es 


: 


LA    LETTURA 


che, 
ilto. 
■ 

Nelle  parti    più   sditili. 
Ili.  perchè  la  creta,  in  i> 
-,  ia  dopi 

pongono  dei  pie 
b  o  alle  sbari     me- 

nere 
Ula 
.1   del   lav<  n    può 
irte;  ma 
tratta  di  n*  i  li  '  lare  la  forma  e  le  membra, 
D'artista,   eh  con  l'o 

i   con  la  mano  deve  ilare  vita  <   carattere  al 
1  quasi  assi 

ontinuamente  ad   un   mi  lelli    vivo  od   a 
perchè    la    posizione   e    li 
della  figura 
A-.  in     ni»  sti  i    la 

che  certi   dettagli  non   i  • 

■  va  U  bui  ii  effetti    che  i  I 

nel  modello,  i  iweda  di  i  erti  <li- 

che  nel  modello  non  gli  eram    salta 
'■       allora  bisogna  corr  modificare.   0 

gnuno  comprende  che  un'opera  di  grandi  dimensioni, 
quella   rappresentata   nelle   nostre   figure,  ri- 
pai      !     mesi  di   temp     Durante  unta  IV- 
necessarii    inumidire  la  nti- 

eni  .  bagnandola  tutti   i  giorni  e  coprendola 
la  nuttr-  con  panni  umidi.  Se  non  si  usass 

■ii/ii  m-.  tutta  la  ereta,  prosciugandosi,  si  s  i 
n  tarderebbe  a  cadere  in  pezzi. 


Ai: .%  '  I 


\l.<  piglia  di  coprire  il  la'  la  notte,  l'ar- 

tista contempla  il  lavori  iella  giornata,  i  <>n- 

fronta   tra   loro  le  masse  ]»'i   poter  correggere  gli 
eventuali  errori,  le  sprop  raion i  fra  le  diverse  parti, 
-.une   si    t.i   bene   nella   mezza   luce   della 

'  Allora  le 
masse  risai 
nei  laro  veri  \  ali  - 
ri  megli  i  he  nel 
re  he 
quando  la   lu 

troppo     vi- 
va il  d 

pò    visibile 


-ione  generale  «a;    men- 

tre   ni  Ila    mezza    luce    i    dettagli    spai 
l'occhio    COglie   SOltariti      gli    effetti    generali. 


La  ereta  che  lo  scultore  adopera  è  la  i 
dei  vasai,  ma  sin.    bene  anchi    la  creta  ordi- 
naria  da  mattoni.    Quando  è   troppo   dura   e 

pei  una  notte  a  bagno-,  in  n 
chi    l'acqua  l'ammollisca;   poi  si  passa  in  una 

i  la  dalle  parti  •Iti- 
lo, ed  infine  si  pone  a  prosciugare  sin  che  alv- 
ina  raggiunto  quel    punto  ili   consistenza   che 

te   perchè   mantenga    la    forma  chi 
vuole  imprimere. 

La  creta  ntn  va,  -il  lavoro,  non  è  abbastanza 
elastica;  invece  quando  è  troppo  vecchia  per- 
de coesione,  diviene  troppo  friabile  e  va  in 
]x/zi  facilmente.  Serve  bene,  invece,  qua 
non  è  né  troppo  nuova,  ni'-  troppo  vecchia;  è 
elastii  ligliori  ri- 

sultati e  mantiene  la  fi  mia  desiderata. 

VII.  ii  he  il  modello  è  comi 
:i  pi.  :  i  \  questo  lavoro  atto 

e.     .1;   s,  In,.  ..perai   s)t<viali.  ap- 


DALLE    RIVISTE 


1 1 1.  »5 


punti     quel    mestiere.    In   certi    casi 
scultori    stesso  che  prende  la    forma,   ma 
um    sculti  re  che  fa  molto  lavoro,  l'e- 
rnia  che   fa  risparmiando   gli    optrai 
non  In  compensa  di  ciò  che  perde  rinun- 
ziando,  per  una    mansione   manuale,  alla 
propria    <  pera    di    artista.    Infatti   l'opi 
zinne  è  lunga,  specie  quandi    si  tratta 
un  grappo  grande  come  quello  che  è  rap- 
presentato nelle   nostre  incisioni.    Di    più, 
è    un    lavoro    esclusivamente    meccanio 
sebbene  richieda   abilità  e  delicatezza. 


La  prima  cosa  che  deve  fare  chi  è  in- 
:aricati  di  prendere  la  forma,  e  di  studiare 
accuratamente  il  modello  per  vedere  in 
qual  me  ile  gli  convenga  procedere  nel  suo 
lavoro.  Bisogna  che,  presa  la  forma,  si 
possa  togliere  il  modello  e  l'armatura,  e 
che  non  succedano  guasti  né  altri  incon- 
venienti. Se  vi  sono  pezzi  difficili,  come 
la  gamba  del  cavallo  che  cade,  -  pezzi 
che  si  potrebbero  rompere  facilmenti  . 
necessario  staccarli.  Poi  si  studiano  tutti 
i  dettagli  ed  il  modo  di  prendere  la  for- 
ma, ed  infine  si  comincia  il  lavoro.  (  '"il 
una,  striscia  di  creta  larga  quattro  o  cin- 
que centimetri  e  spessa  due  o  tre,  si  deli- 
mita   sul    gruppo    un    pezzo   di    superficie 


*£/ 


FlG.    13). 

da  cui  si  comincia  il  rivestimento.  Si  applica  cài 
su  una  parte  della  superficie  la  striscia  di  creta  in 
guisa  da  isolare  quella  parte  che  resta  rinchiusa 
entro  quel  confine.  Ciò  fatto,  si  copre  quel  pezzo 
del  grappo  con  il  gesso;  dopo  di  che  si  toglie  ia 
striscia  che  circonda  il  gesso,  e  questo  resta  così  a 
rivestire  una  parte  del  gruppo.  Allora,  vicino  a  quel 
primo  pezzo  di  rivestimento,  se  ne  delimita  un  al- 
tro, sempre  con  la  creta,  e  si  ricopre  anche  quest'al- 
tro di  gesso.  Perchè  poi  il  gesso  messo  prima  non 
aderisca  a  quello  messi  dòpo,  si  passa  sull'orlo 
una  vernice  che  impedisce  l'adesione.  O  sì  faci  ndi  . 
le  diverse  sezioni  del  rivestimento  si  potrà  ini  stai 
care  l'una  dall'altra  quando  verrà   il   momento. 

Con  questo  sistema  si  riveste  il  gruppo.    Inutile 
dire  che  il    km  ri    richiede  parecchi    g    rni,    perchè 
se  il  grupi'i       complicato  le  difficoltà   da   supei    ri 
sono   molte,   e   bisógna    fare   gran  numero    di    p 

sezioni   di   rivestimento.    Per   il   gruppo  di   cui  ci 

cupiami    i     volle»    cinquantotto  pezzi,    non  con 
la   pane  solida. 

Durante  questo  lavori    fi  i    cura  che  il 

mpre  mani  nuti    umidi  .  e-  me  duri 
la  mi  ne,  e  che  la    sua   superficie  non  sufi 

sca  danni.   Ogni  sera   perciò  è  necessario  bagnarlo 
con  un  in.'t  li  panni   inumiditi. 


FlG     l.' 


I 


LA    LEI  I  I  RA 


O  |«-r  p( 

più. 
i  applica  ■  ■'  ■       hi.  ili 

ii  qua    ■  peni  ti  interstizi  fra 

o  la    vernice  chi    si    era 
ili  .li  ciascun  pezzo,  il  gesso  si  si 

i  .  n  i ,:     bisi  gna  da  questa 

di  l  in  dello  originario.    \u 

i     -    Feo 

modellare.  Si  lavano  i  |«-z/i  di  gesso  | «i 

parti    di  creta  vi  resti  ;  e  si 

■  i  i  : ,  ■  i       i  sapone  o  con  olii 

affini  ìi    eh       rvirà  a  prendere  la  forma  pò 

i  a  quello  che  ser\  ì  pei  la  forma 

i  i  paratore  versa  poi  il  materiali-  liquido 

sulla  forma  mettendovi  anche  qualche  pezzo  ili       p 

|..i    pei  i  naggion    aderenza   e  consistenza, 

ere  uni    strati  i  uniforme  dell    spi  s»  re 


ih  i|i  metro.  Si  zione  pei  sezione,   la   fai 

ma  si    metti     insieme,   attaccando   le  diverse    patti 
all'altra  col  gesso  e  rinforzando  i  punti  più 

I i  si  stegni  ili  ferro. 

Infine  -  l  la  forma  nega      i  scalpellandola. 

Pi  i    li     il  n   ,i  guasti,   si    usa   .lare   al  gì 

che  si  adopera  pei  I  tìva  un  color  giallo. 

L'operaio  dunque  scalpella  tutti  il  gessi  giallo,  sin 
che  non  trova  quello  biarn  -  i  luali  he  pezzo  .li  quel- 
lo giallo,  naturalmente,  resta  anche  quando  si  è 
lavata  la  prima  forma,  ma  si  può  toglierlo  con  gli 

-ii  i    si  rimirili  i.    Il   •      acci    della    i a    n 

i  i  .i  dall  alti    al  bassi  i  :    pi  ima  si  liberano  le 
e,   |>"i  il  corpo,  ini   i  piedi.   Se  si  oomini 
dal  basso,  tropp  i  bbe  sulle  parti  sot- 

i ili  del  grupp  . 

Questo  lo  stato  in  cui  ordinariamente  si  esibi- 
scono i  lavori  alle  esposizioni,  dopo,  naturalmente, 
che  lanista  vi  ha  portato  i  perfezionamenti  che 
necessari.  Del  modo  ri.nn'  si  lannn  le  fusioni 
in  bronzo,  l'articolista  dello  Strana  non  si  occupa. 
L'argomenti  richiederebbe  una  diffusa  trattazione 
iarte 


Chirurgia    animalesca 


i      una  Leila    favola   qui  Ila  della 
un    lo  .ne   per   Ani  In  eie  elle   gli   avev 
spina  ila  una  zampa.  Senza 
dubbio    in    quel    tempo   di 
chirurgia  primitiva  il  1 

•le  ehe  quella  tosse  una 
i  u  rdinaria  ; 
ma   ai   giorni   nostri   le  cosi 
stanno     diversamente.      1  n 
cenno    sulla   chirurgia    ard- 
ii a   fu   dato  già   in  uno 
numi  ri    della    Lettura 
|H»'h  Ora  ne 

un.     altri     ini'  ress 
sul  Jiinol  l'i /,  rittary  Colle 
Londra    l     un  < 

i    .ili.    puro 

glia    in    mi  urdi 

iei  gli    in  uni- 

ni.  Tra  le  nove  e  I"  undici 
della  inai' 

non    possi    ■ 

■  ■ 
privati.    Kss:    ,is]>. 

lai  lori    padroni,  e 
u    un   muc 

rortili     I 


gratitudine  ili     terinari    a 
i    .  si  ratta  una     gatti,  cani 


I   \      |  lMPA  FALSA 


ffaccenilati  giram  attorno,  esaminando 
tutto  quello  che  Iure  capita.  Un  piccolo 
i  1 1 H  r,  cogli  occhi  neri  pa- 
tetici, guarda  attraverso  un 
intrico  ili  peli  e  ili  paglia  E 
geme  come  se  la  sua  ni 
ora   fosse  venuta 

—    (  'Ile    età    ha?    —    ili  - 

man1,!  H  veterinario. 

-  Da  quanto  tempo  e  in 
questo  sta  i 

E  le. solite  interrogazioni 
si  ri j  >  ti  ni  per  tutti  T-e  ri- 
sp.  ste  sono  accuratami  nte 
annotate  e  considerati 
ne  trae  una  diagnosi  men 
tale,  e  si  pronunzia  il  va 
detto. 

1  ,a   tal   maiali  i.i  :    I  .in 
questo    e    questo  :     '1 1 
|ui  si  i    medicina    e    ira   un 

due  starà  benone 

Il  veterinario  scrive  la  ri- 
cetta -ni  biglietto  ed  il  prò 
,    ita  via.  e 
va  alla  Pannai  ia  a   fai 
parare  il  medicinale. 

Il  caso  numi  più 

Il    ]  i/i, -nte    è    stato 
rtato    sopra    una    tavola, 
I  pn  I    1  !•  bdaj .  ".1  il  si 
gni  .i     WTi  <  li  idge,    sui  i 


HALLE    RIVISTE 


in.l- 


stente.  dà  tutte  le  spiegazioni  ad 
un  gruppo  'li  studenti  che  stan- 
ai   atti  i"'    i    n  quaderni   i li   ap 
punii   in   mano.   Una  pioggia   'li 
termini  tecnici  cadi    si  pia  la  po- 
vera  bestia   che  sembra  gloriarsi 
della  gravità  della  sua  malattia. 
Essa  si  si  ti.  ip  ne  o  si  aria  rassi 
graata  airesame  del  chirurgo  che 
la  tasta  e  la  fa  rivoltare  da  tutte 
le  pani  per  poterla  studiare  me- 
gli*    V  .  non  v'è  rimedio  :   hisi 
gì  ia    procei  lete  ad  un'opi  razi   ne, 
sentenzia    il    pr<  >fess<  n    o    l'a 
stente,  ed  in  seguili:  a   tali    giu- 
dizio, la  bestia  viene  traspi  i 
altrove,    in    attesa    di    momento 

più      Oppi  TtllUi:. 

Così  uno  dopo  l'altro  i  pazienti 
passano  sotti  gli  occhi  delle  au- 
torità costituite  Tra  l'animale 
io  il  padrone,  è  questo  il  più 
ansioso,  sebbene  in  reni  rasi. 
anzi  in  mi  >lti  rasi,  si  direbb  :  che 
il  poveri  -  fferente  sapi  ss,  1  ,■ 
Dissimo  chi  cosa  gì  i  sue  j  da  at- 
torno. Anche  il  prof.  Hobday  è  di  questo  parere,  ed  stie.  Uno  ili  questi  cani  era  stato  operato  per  una 
in  prova  egli  adduce  il  fatto  che  due  cani  ti  ma-  grave  malattia  interna.  Passati  sei  mesi.  Torse  ri- 
ri  ni  da  li  a  farsi  curare,  sei  unsi  dop  che  eram  sentendo  gli  stessi  dolori  che  aveva  sentito  la  prima 
stati,  curati  una   prima   volta  all'ospedal     delli    I         ><  Ita,  corse  a   farsi  visitare  dal  suo  medico,  che  lo 


n. 


SISTEM  \    III       i  M  M'INI    Rt": 


CN    111  E  '  UN  I  M   GAMBA   IH    I  I  GNC 


- 


LA    1.1   I  i 


alattia 

di  che  la  1 

-  no   liquidati   tutti. 

dna  :    .ilt ri   .i 

I    primi    vanni 

che 


I    i  STHAZIONt    D'I  N    DENTE. 


i  guale.  In  taglio,  un  altro  taglio,  la  spugna  lavo- 

I  n  ima  che  vi  sia  i  ili  ciò  i 

suo  i  !Si  i,   i.i    i  ei  <■ 
usa  e  ricu 
Il  cane,  i 

ta    hi    sensibilil 

1.  ina!.        ali   ari.,      a 

mezz'ora   de* 
po,  tu 

I  si  i."  i-1 

i 

attorno     per 
l'i  sp  i  ani- 

mali :   un   I 
stalli-  e  'li    inferme' 
rie,  'li  aule  scolasti- 
i  he  e  ili   lai»  i 

\'ni    passate    innanzi 

ad  mi  cavallo  d 
rettiere    la    cui 
/'min-     vi     fa     i 
nini    '  siantr    il     pen- 
siero  chi    se    sta    in 
quel   ti:1  di    è   per  qualch  Essi 

a  mi    un  cavali >  da  i  ro    di  Fri  nte  a!  sui 
ii  ii-:   siede  così  perchè  qualunque  altra  posizi"- 
tii-  gli  è  vietata  ila  una  s.  che  I" 

attaccato  al  soffitto,  La  povera  bestia  Ha  una  del 
;  pe  anteriori  malata,  e  non  deve  perciò  ap- 
oria contro  terra  ;   <  SS3  si   rass  -:  COO- 
pacificamente  .li  sedere  sulle  zampe  ; 
ri'  ri. 


In    .  \  Ni     RI  NDA1  i 

MORDA     DURANTI      I  ":  i  RAZIONI 


mirivi  il  loro  turno.  Tre  chirurghi  sono  contempo- 
mente  al  la  Ile  sale  delle  operazioni, 
ste  sale,  non  i  stante  il  loro  nome,  ncn  hanno 
nulla  ili   ripugl i     Tul- 
li 
pulii            •      puliti .    '  ''  ' 
ambienti    seroi  ra 

sale    da    oper 

I   pa\ 

il  i  dì  ri  ntinuo, 

'..le     sono     nette,     i 

ferri    i  hirurgici    vi  n 
a    bollire    alu 
|ht    mezz'ora    avanti    di 
pei   ti,   in  solu- 
1 .'  ani- 
si  lascia  i" 

depon 

|UI 

i  I 
■ 

un  i  luce  i 


Per  essere  brevi,  intesta  istituzione  dell'i  - 
per   i  veterinari   non   è   che   una   serie  continua  ili 
sorprese.  Ciò  che  vi  colpisce  è  la  somiglianza  • 


I    APPARECCHIO    lini. Hit   PER    LE   OPERAZIONI    '  Il  mi  IH.  n  III     u    i  w  \I  I  I 


DALLE    RIVISTE 


Dissima  fra  gli  animali  e  gli  uomini  malati 
cavalla  là  nell'angolo,  con  quell'enormi 
sma  sulla  testa. 
col  collo  bas>.  . 
51  miglia  in  un 
modo  assurdo  ad 
una  vecchia  che 
al>hia  il  mal  di 
denti.  Curiosis- 
sima è  una  vac- 
ca D  >n  una  zam- 
pa di  legno.  Es- 
sa si  ruppe  la 
sua  gamba  al 
ginocchio  e  ri- 
mase per  parec- 
chi giorni  in  ti- 
no stato  da  ta- 
re pietà  ;  ma 
appena  ricevet- 
te una  zampa 
di  legno  (e  ce 
ne  volle  una 
molto  forte.  1 1 
me  potete  im- 
maginare)    nac-    !  N    (|VTT0   con    0N   oc. 

[UÌStÒ    sul  .ite     il         chio   BENDATO. 

buon        umi  ire  . 

come  se  non  le  fosse  successo  nulla. 
Un'altra  vacca  con  una  zampa  di  legno 
si  vede  in  una  delle  incisioni  alla  se- 
conda pagina  di  questo  articolo. 

Uno  dei  casi  più  straordinari  capi- 
itati  all'ospedale  fu  quello  di  un  cane 
che,  saltando  da.  una  finestra,  si  era 
rotte  tutte  due  le  zampe  anteriori.  Per 
qualche  tempo,  di  fronte  a  quella  cata- 
strofe, si  rimase  incerti  se  rimediarvi 
om  \ìn  poco  di  polvere  da  sparo  o  con 


io3q 

Quella  un'operazione  chirurgica:  ma  poi  si  scelse  quest'ul 
catapla-  timo  partito,  e  le  gambe  rotte  furono  amputate  i 
sostituite  da  un  paio  di  zampe  false 
che  s  rvi  m  I  eni  «sin*  al  cane,  e  gli 
permetti  ni  :  di  saltare  e  ci  irrere  1 1  n 
la  massima    facilità. 


Ma  non  è  soltanto  all'ospedale  ve 
terinario  che  trovate  questi  casi  stra 

ordinari    di    chirurgia    canina.    I    casi 

«issimi     si     trovano    anche  fuori 

delle    mura    dell'ospedale.    Per    esem 
pio,    merita   di  essere  citato   il    signor 
Mi  seley,  che  mn  è  veterinario  di  prò 
fessione.  ma  dentista,  e  che  ha  unito 


t'.LOROFORMIZZAZII'NI. 


L'APPARECCHIO    DOI.LAil    IN     AZIONE 


questa  sua  qualità  di  den- 
tista  con    l'altra   di  ado 
ratcre  dei  cani.   Una  vol- 
ta egli   aveva   comperato 
nel  Belgio  un  cane  1"  II' -, 
ma  avanzato  in  età  ;   tan- 
to avanzato,  che,  un   an 
no  dopo  che  il    Mosele; 
l'aveva   o  mr*  rato,   avi  va 
perduto  tutti  i  denti.  Sa- 
rebbe stati  i  necessario  nu 
trire    il    cane    esclusiva 
menti   con  alimenti  molli, 
ciò   i  he   è    contrario    alle 
regole  ili  bui  ma  salu 
i  cani  .  ei  |  alli  ra  il  denti- 
3    perchè  l'animale  non 
M  salute,  decise 
di  pm\  vedi  rli    i  li  una  den 
riera   fìnta.    Prese    l.i    fot 
ma,  e   preparò  la   denl  ie 
:  «lenti    u- 


1 


i' 


1  A    I.K  TTIRA 


l  la  chirurgia   animale  non   si   ferma  alle  den- 

tiere false  per  i  cani,  dentiere  ch<  non  sono  più  una 
Quando  il  che  sono  in  commercio  .il  presa 

trovò  molto  .1  'li-     circa  ^oo  hrr.   né  alle  zampe   false  (anch'esse  ar> 
ma  dopo  dui  '    stanza  i -..11111111  sebbeni   un  poco  care:  costa    •  275 

che  s  .1  uni  ù)  ;     persino  degli 

.',1    vetn      l  ll'articolo  che   riassumiamo 

visto    'li    un 

ra    così    |" 
essere       irriconoscibile 
dall'    altru 
I  ura  anche 

i\  ali: 

con  la  coda  fa 
Alcune  delle  illusi 

ioti  impaglia- 

ferisci  no  ad  un  1  1  ■ 
apparecchio 

pei  .avalli. 

.1     pa 

gina    10^8   si 
- 
stra,    nitro    l' apparec- 
chio,  in   modi    1  !" 
1  re    può   ava 
medita    .li    operare    in 
parte     dell'  ani- 
male. 


\\i  Min     I     m-i   IREI  1  Hill    Dui. I. MI     IN     \/l"\l 


(Dallo  Strana  Magazine). 


Il    principio    eli    Mon  teca  rio 


I  1  li  Monti  ca  rli    ni  n   mancano  ;   ta- 

llir»* sono  anzi  ricche  di  e  .li  riflessioni  lì- 

.•he:    ma    nessuni     mai    ha    narrate   le  origini 
isim     I  della  col'  ssa 

■.    che    Int't.i    miliardi    agli    azionisti.    Pochis- 
uta  la  città  di    Mi 
1:    \\//,\    ■   hanno   assistito 
vilupp  pure  questa  storia 

i  -      mostra  la  potenza  meravi- 
rasfi  irmare  un  vil- 
■  di  600  aliitanti  in  un  Principato  ili  20.000. 
si  può  chiamare  il  giar- 
dino d  i 

1002  il  primo  Grimaldi  compare  sulla 
M  -  1848        signi  rotti 

di  Monaco.   Ra 
-  1  iscia   «li   terra 
Ess    _ 
naie  dei  re  .li  Sar- 
nel    lon     rude 
il    nonn 
[II.  l'ii  non  vi  niva  m 


Florestano  I.  finalmente,  si  ricordò  che  1 
cipe,  scacciò  dal  suo  dominio  un  esattore  fero 
odiai.    1    -    stabilì  nel  suo  castello.  I> 
Li   regg  mt. na.   un   castello  crollante  gemeva 

al  sibilo  di  tutti  i  venti  del  mare.  Sulli  sfondo  del 
pan.  rama  giganteggiavano  gli  olivi  dalle  grandi 
hiaccia,  biblicamente  levate  a]  cielo,  quasi  in  pre- 

v  ;    |8       buon  ]  li  ri  stani    -      1 

mpii    dei  sovrani  d'Europa  e  di 
h   Costitu  ioni  :    la   sera   di  quel   giorno   la   riviera 
mi  il-  ■_  parh  1    dal    mare   illuminata    da 

1  di  fiammelle  e  rintronata  dai  colpi  ilei  minu- 
scoli cannoncini.   Ma   la   notte  porta  1 
pentin     il    sovrano  dei    suoi    entusiasmi   custituzio 
nali  .  al   mattino,  quando  1   liU-ri  cittadini 

si    ris  '■  ari  "i"    dei    gratuli    avi  - 

quali    si    annunciava  che   la    Costituzione    -ra    1 
cala.   I  citta. lini  di   \leiit.-ne  e  di  Roccabruna,  indi- 
i,  mandali    una  deputazione  al  conti-  di  Cavour 
e  gli    pr  ;  ma 

I   disastro  di    X.'V.ir.i   mette   in   lacere  ogni    veli 


DALLE    RIVISTE 


[O41 


All'epoca  dell'annessione  di  Nizza  alla  Francia 
gli  abitanti  di  Mentane  e  di  Roocabruna  furono  as- 
sai stupefatti  un  bel  giorno  di  sapere  che  essi  ave- 
vano votata  la  propria  annessione  alla  F randa. 
Ma  la  cosa  era  fatta. 

Nel  1856  a  Florestano  succedeva  Carlo  111.  t'.n 
lo  III.  morto  poi  cieco  e  vecchissimo  nel  1S93.  era 
allora  un  bel  cavaliere  di  carattere  avventurosi 
mante  dei  cavalli  e  del  fasto.  Da  Napoleone  III. 
in  cambio  dei  due  paesi  perduti,  ebbe  quattro  mi- 
lioni, capitale  insperato  pel  giovane  principe  che 
potè  con  esso  lavorare  al  risorgimento  della  su.;  fa- 
miglia. Egli  comprese  pelò  che  da  un  villaggio  di 
60  famiglie  non  avrebbe  poi  ricavato  abbastanza 
pel  suo  fasto  e  decise  di  ricorrere  al  giuoco. 

Dopo   infinite   pratiche  cogli   impresari   del 
sche  parigine,  un  bel  giorno  un  cono  Daval  sbarca 
a  Monaco.  L'impresario  fu  esteri:! atto.   Una   1 
miserabile  circondata  da  olivi  spasmi  dicamente  con- 
torti terminata  verso  il  mare  da   poche  baracche  di 
pescatori.  Tuttavia  si  decide  di  tentare  l'affare. 

Daval  compera  una  casa  in  faccia  al  castello. 
casa  che  esiste  ancora  mutata  però  in  una  caserma. 
Una  sala  lunga  venti  metri  e  larga  cinque  conte- 
neva due  tavole  di  roulette  e  una  di  trenti  et  qua- 
lantc.  Qualche  volta  una  piccola  orchestra  veniva 
a  strillare  le  sue  note.  Ma  gli  affari  erano  miseri. 
I  giuocatori  apparivano  una  prima  volta  e  poi  non 
ritornavano  più.  Occorreva  una  passione  veramente 
feroce  pel  giuoco  per  prendere  a  Nizza  una  cattiva 
barca,  e  smontare  in  uno  dei  pessimi  alberghi  di 
Monaco.  Daval  fu  costretto  a  ritirarsi.  Senza  essere 
fallito,  fu  però  costretto  ad  abbandonare  la  1 
Ma  poco  a  poco  i  visitatori  aumentarono  aprendo 
uno  spiraglio  di  speranza.  Affaristi  intelligenti  com- 
presero la  situazione  unica  di  questo  Principato 
posto  al  confine  di  due  nazioni  possenti  e  chiamato 
ad  essere  una  stazione  invernale  di  prim'ordine.  E 
le  porte  chiuse  da  Daval  furono  spalancate  da  un 
certo  Lefèvre.  Due  volte  al  giorno  un  battello  si  re- 
cava a  Nizza  a  cercare  giuocatori  e  i  giuocatori 
affluivano.  E  allora  la  sede  antica  del  giuoco  di- 
venne angusta  e  indegna  ormai  della  fama  europea 
ohe  godeva  la  casa  e  fu  necessario  eostrurre  un  Ca- 
sino apposito.  Il  terreno  fu  ci  mperato  sopra  una 
rocca  detta  La  Spelonca  e  chiamata  poi  Montecarlo. 
Non  vi  esistevano  allora  che  tre  capanne  le  quali 
vennero  abbattute  in  otto  giorni.  Il  terreno,  del  re- 
sto, non  era  allora  troppo  caro,  al  punto  che  il  conte 
Gastaldi,  sindaco  attuale  di  Monaco,  vendette  a  un 
amico,  per  un  pranzo  di  dodici  coperti,  il  terreno 
dove  ora  si  innalza  il  sontuoso  Hotel  Beau  Rivage. 
terreno  che  qualche  anno  più  tardi  veniva  calcolato 
per  500  fr.  al  metro  quadrato.  Ma  le  fondai] 
del  Casino  vennero  innalzate  soltanto  quand 
primitivi  impresari  successe  il  vero  fondatore  di 
Montecarlo,  il  signor  Blanc.  Era  l'aprile  del   1863. 

Blam-  arrivava  da  Amburgo  dove  egli  aveva  fatto 
in    pochi    anni,    come  concessionario   di    giuochi,   la 
fortuna  colossale  di   una  ventina  di   milioni...    P 
colo,  mingherlino,  col  viso  deturpato,   non  ispirava 
alcuna  confidenza  che  quando  discorreva  di  affari. 

Egli      fu      colpito     dall'avvenire     meraviglioso 

La   Lettura. 


che  si  schiudeva  dinanz         1        no  e  tosto  conchiu- 

1  principe  di   Monaco  un  contratto  che  d 
stra   la  confidenza   assoluta   che   aveva  cieli  tifare. 

Blanc  diede  dun  tratto  1.700.000  franchi  al  prin- 
cipe, obbligandosi  a  far  eseguire  per  7,000.000  di 
lavori,  a  restaurare  il  1  e  a  pagare  le  impo- 

ste per  tutti  i  monegaschi  presenti  e  futuri.  D'al- 
tra parte,  il  principe  accordava  una  e  rin- 
novabile che.  in  caso  di  rottura,  gli  dava  il  diritto 
di  entrare  in  possesso  di  tutti  i  beni  mobili  ed  im- 
mobili del  Casino.  Era  insomma  un  contratto  leo- 
nino che  obbligava  l'amministrazione  a  far  di  ti 
per  andar  d'accordo  col  governo.  Ed  ecco  i  capitali 
affluire  in  modi)  incredibile  verso  questo  lembo  di 
terra  quasi  sconosciuto.  I  terreni  decuplarono  di 
valore  ogni  anno  e  ogni  anno  sorgevano  nuove  co- 
struzioni. Si  costrusse  un  teatro;  furori!  disegnati 
i  giardini  e  le  piante  rare  e  gli  alberi  del  tropico 
vennero  a  rendere  quel  soggiorno  un  parco  incantato. 

La  strada  ferrata  costrutta  nel  1868  fu  per  Mo- 
naco l'assicura/n  ne  definitiva  della  sua  fortuna. 
Era  a  binario  unico  da  Nizza  a  Ventimiglia  e  co- 
stò una  somma  favolosa  in  causa  del  terreno  acci- 
dentato, pel  quale,  su  un  percorso  di  18  chilometri. 
furono  necessari  dieci  lunneli 

La  guerra  del  '70  fu  per  Montecarlo  un  colpo  di 
fortuna.  Nessuno  avrebbe  osato  in  quell'epoca  di- 
sastrosa recarsi  a  Baden  o  ad  Amburgo  e  le  due 
città  germaniche  furono  d'un  tratto  rovinate,  perchè 
gli  enormi  capitali  frani  esi  e  inglesi  che  le  face- 
vano vivere  rifluirono  quasi  interamente  su  Mo- 
naco. 

Nella  sua  impresa  colossale.  Blanc  fu  potente- 
mente aiutato  dalla  moglie,  nata  nei  dintorni  di 
Amburgo,  in  un  paesello  occupato  dai  discendenti 
dei  protestanti  immigrati  dopo  l'editto  di  Nantes. 
Bellissima  e  buona,  essa  si  compiaceva  anche  di 
versare  una  parte  delle  ricchezze  guadagnate  al 
giuoco  nelle  mani  dei  poveri. 

Ma  l'aiutante  principale  fu  il  capitano  Doineau, 
un  capitano  che  aveva  goduto  di  una  ben  triste  ce- 
lebrità sotto  il  secondo  Impero.  Si  diceva  che  era 
stato  scoperto  in  Algeria  alla  testa  di  banditi  e  di 
saccheggiatori  :  un  uomo  era  stato  ucciso,  altri  fe- 
riti e  il  capitano  era  stato  finalmente  arrestato  e 
condannato  a  morte.  Ma  graziato  dall'Imperatore 
venne  a  Monaco. 

Egli  rese  a  Blanc  dei  servizi  incomparabili  per 
la  sua  attività,  per  la  sua  sorveglianza  sui  lavora- 
tori italiani,  che  trattava  da  schiavi  e  da  forzati. 
Ma  un  giorno  dispiacque  a  Carlo  III.  Carlo  III 
non  era  più  il  principe  straccione  di  pochi  anni 
prima  ;  ma  una  malattia  gli  minava  lentamente  la 
vista  e  lo  rendeva,  ricchissimo  e  invidiato,  il  più 
infelice  uomo  della  terra.  Il  capitano  dovette  esi- 
liare rifiutando  sdegnosamente  l'indennizzo  di  60 
mila  franchi,  che  il  principe  cieco  e  tormentato  dai 
dolori  gli  offriva. 

Ma  ormai  Montecarlo  era  creato! 

I  frutti  del  Casino  divennero  in  breve  incredi- 
bili. Oggi  esso  frutta  25  milioni  all'anno. 

(Dalla  Revtte). 
66 


Nel     paese    dei    Califfi 


signor  J,    \     Lei 
■  li  un  sui  i  '    -  hdad, 

una  reg   ine  piena  di  interesse.  avi . 
tradizione,  si  sarebbe  trovato  il   l'ara. lisi. 
le  supposte  fonda- 
II. i  torre  'li  Babele,   la 

re  della  gì 
dell'impi  r.  ■ 

dei    Califfi,    segnata-      

li  Harun-el- 
schid,  il  famoso 
Ho  delle  MrfL  , 

Il  viaggio  è   inte- 

I 

n.  si 
.ii  uno  dei  Ir  l 
della 
EuphraUs  and  Ti- 
gris  Company,  e  si 
risale  su  ivi  Tigri. 
a  traverso  una 

nserva  an- 
cora i  segni  di  un'an- 
dezza,    sol- 
cata da    canal 

ri  dagli  Arabi 
impo    del     loro 
splendore,  ham 

n  .litica     quella 
terra.   Si  vedono  im- 
mense foreste  di  pai- 
te    datteri:    l'e- 
sportazione   dei  dat- 
teri   costituisce    una 
ricchezze   prin- 
cipali   della  regione. 
Sin.    alla  confluen- 
za  del  Tigri   e  del- 
l' Eufrate,    le    città 
ni  ni  si  .no  mai  situate 
sulla   riva  del  fiuti 
ma    qualche    miglio 
dentn     terra, 

fino  •        anni    addietro  il   fiume   era  infestato 

pirati,  che  si  spingevano  anche  a  Gumah, 
il  lui  i  tradizì. ine  o  mi  adamil 

rova  un  albero  della  famiglia  delle  acacie. 

amato  t l'albero  della  scienza»,  e  che,  se- 

sarebbe   appunto  quello   che   a- 

imito  ad    '■  ■  ad  Eva  le  loro  scarse 

•  ■nta. 

sicura.  I  pira1 
compii  r   chi  viaggia    per 

un  altro  pericolo,  rappi  lai  leoni. 

«  I  '  iggia- 

—  mi    riferì   che   in   Ul     ■ 


!   \   -i  PP0S1  v  TIIMI1A 


no  magnifici   leoni  adulti  i  giavano  tran 

quilla  ulla  riva  del  fiume   a   poca   distanza 

dal  vapore.  Uno  fu  ucciso  mentre,  gettatosi  in 

ava  di  raggiungere  la  nave,  ed  i  due  altri 
furono  inseguiti  ed  uccisi  anch'essi,  lhie  delle  l- 
lumno  portate  a  bord     Pochi  ninniti  dopo,  com- 
parve un  altro  leone  maschio  grandissimo,  che  agi- 
tava la  i  .da     me  pei 

disperazione.     Fei 

da  una  fucilata,  lan- 
cio un  ruggito 
mondo,  e  si  slanciò 
l*rr  andare  all'assal- 
to della  nave;  ma 
->  o  n'i.i  fucilata 
li i  Ino  cader  ri 
Anche  i  pirati,  co- 
me si  è  detto,  non 
sono  completamente 
scomparsi.  Pur  di  re- 
aliami  Arabi 
tentarono  di  impa- 
dronirsi di  un  vapo- 
re della  Tigris  and 
Euphrates  Company, 

uccidendo  il  timo- 
niero e  ferendo  altri 
uomini  dell'equipag- 
gia Essi  speravano 
che  la  nave,  persa  la 
direzione  ed  abban- 
donata alla  mrrente. 
andasse  a  cadere  nel- 
le loro  mani  ;    ma  il 

ino,  1  enchè  gra 
veniente     ferii 
(Kisc    al    timone,    e 
condusse     il     vapore 

ilvo. 


DEL  PROFETX   ESRi 

I  appunto  risa- 
lendo il  fiume  che  si 
incontra  la  tomba  di  Esra.  il  profeta.  Una  cupola 
di  forma  conica  si  eleva  sopra  una  costruzione  qua- 
drata, che  ha  una  porta  verso  il  nord.  La  tomb 
venerata   ugualment  ristiani  orientali,   dagli 

Ebrei  e  dai  Mussulmani.  Molti  passeggeri  scene 
a  visitarla. 

«Dopo  la  tomba  di  Esra  le  rive  del  fiume  diven- 
gono monotone.  Ogni  tanto  si  incontra  qualrlv 

della  Oman  Ottoman  Company,  vecchie  car- 
di,   sjx-vs.i  rifiutano  di  navigare,  e  che  nella 
migliore  ipotesi  compiono  in  quindici  giorni  il  viag- 
rtemi  richiede  cinque  gii 
\  '    \u  ira  \  idemmo  net  la  prima  volta  qu 


DALLE    RIVISTE 


I  I  14  J 


strane  barche  antichissime  —  antiche  già  al  tempi'         iQuelle  regioni  paludose  (L'inno  asilo  a  numerose 
di  Erodoto  che  le  menziona  —  conosciute  col  nome     e  forti   tribù    arabe   che  tormentano  di   continuo   i 


rmym 


igg   ~ 


Le  navicelle  rotonde  usate  sull'Eufrate. 


di  kufas.   Sono  come  ceste  piccole  e  perfettamente     turchi.  Si  è  cercato  in  molti  modi  di  sterminarle: 
rotonde,  ricoperte  di  bitume  e  coi  bordi  ricurvi.  Per     si  è  persino  tentato  di  stringerle  in  un  cerchio  di 
lo  più  vanno  a  flottiglie,  sospinte  per  mezzo  di  remi      fuoco,  ma  non  si  è  venuto  a  capo  di  nulla. 
corti  e  larghi. 

a  Quanto  più  si  risale,  tanto  più  si  resta 
colpiti  dall  incuna  in  cui  è  tenuta  la  navi- 
gazione del  fiume,  che  è  spesso  difficilissima. 
L'attuale  apatìa  è  in  stridente  contrasto  con 
le  vigorose  misure  che  adottavano  per  questo 
riguardo  gli  antichi  re.  Un'iscrizione  trovata 
a  Babilonia,  e  che  probabilmente  data  da 
2300  anni  prima  di  Cristo,  dà  un  esempio 
degli  ordini  perentori  dati  dagli  antichi  si  - 
vrani  perchè  si  facessero  le  necessarie  ripa- 
razioni alle  rive  del  fiume.  Adesso,  sotto  il 
felice  impero  del  Sultano  1  -  antinopoli. 
le  acque  sono  scarse  ed  il  fondo  è  troppo 
alto,  perchè  si  è  lasciato  che  qualcuno  dei 
tributari  del  gran  fiume  rompesse  gli  argini 
e  dilagasse  per  estensioni  enormi,  ove  le  ac- 
que si  disperdono  invece  di  andare  a  finire 
nel  Tigri.  L'Hud  ed  altri  tributari  annac- 
quano il  deserto  e  formano  vaste  paludi. 
mentre  nel  fiume  principale  l'acqua  è  cosi 
poco  profonda,  che  spesso  riesce  difficilissi- 
sima  la  navigazione  anche  ai  battelli  della 
and  Eupkrates  Company,  che  pure 
pescano  poco.  Di  recente  la  Porta  fece  un 
debole  tentativo  di  rimediare  a  questo  stato 
di  cose,  incaricandone  un  ingegnere  francese. 
Il  risultato  del  tentativo  fu  questo:  che  l'in- 
gegnere ed  i  suoi  assistenti  furono  depredati 
dagli  Arabi,  spogliati  e  denudati  completa- 
mente: e  quel  poco  di  lavoro  che  essi  aveva-  lA  TOMBA  DI  ZoBEIDA  moglie  di  Habun-el-Ras  hi 
no  fatto  fu  distrutto.  11  famoso  califfo  delle  M  ina  notti. 


LA    LETI 


I-    Il 

phon, 
de 

e  'li 
la   più  impo- 


L'ah  i  pio  di  i    Soli 

nente  è  costituita  appunto  dall'arco  accennato.   Più 
avanti  si  mine  di  Seleucia.  Ctesiphon 

Seleucia.  a  loro  volta,  furono  edificate,  secondo  i 
sulle  rovine  ili   Babilo- 
nia.   Rovinate  esse   stesse,    a- 
vrebbero    fornito    i    materiali 
per  !a  città  di  Bagli' 

i    \     Ctesiphon 
una  triliù  di  Belluini  nomadi. 
i    hezza  di  una  fa- 
i.     tra    qui  3ti     B  rduini, 
;i    beni  mobili 
rum-    un     inventario:      pochi 
cammelli,  quali 

i  pollame,  una  cavalla, 
una  tenda,  una  lancia,  una 
scimitarra,   un 

a  pietra  i 
0  una    minia,   una    pipa,    una 

ria,  una  pentola,  un 
una    macchina   da   caffè,     una 
.  \\n  man 
ii-lli     .li    lana    nera, 
anello  ili   vetr li   arj 

od  ali.  Se  ni m  m 

\l 

osi  ituisce    il 
■  .nulo  il   Beduino  vuol 

I 
aria. 


«Gli    Vi  si indusl i ii  si,   |>  rch 

no  pò  In  e  limitati.  Il  lori    ci  a ercio  si 

e  allo  scambio  ili  cammelli,  capretti  e  stalloni 
e  latte  con  arri 

seppelliscono  per  non   farsi  lo   rubare.    La 

letti  ratina  si  limita    i  ì  ed  alle 

mmagi- 
I  ..  n.     ii 

ill'aperti  .  intoni.    .1  fu  co,  i  uraando  la 
pipa,  i 

sim  In-  ad  un  tratto  uno 
di    loro  rompe  il   -  m    umiche 

racconto  romantico  sul  g  n  i  quelli 

delle  /Utili   e  urta  notti. 

ghdad,  sul  pi  i      .  i  una  ma- 

gnifica  impn  ssioni  I  mura,  li 
le  ''  'i  ri  e  i  minar  ti  e  le  cup  ile  delle 
innumerevoli  moschee  rhe  s'innalzano 
pali:ie  tanno  uno  spetta.',  lo  gran- 
■  raversati  da  un  cu- 
rioso e  bellissimo  ponte  ili  barche  La 
cupola  di  irata  -li  Kazima  n,  li  tomba 
del  genero  ili  Maometti  Ali,  risplende 
al  sole,  ed  a  poca  distanza  si  eleva  la 
punta   della   tomba   di  Zobeii 

..  Ma,  avvicinandosi  alla  città,  la  pri- 
ma  impressione   di    ammira/ione    resta 
molto    attenuata.    Le   case  di   mattoni, 
ad  un  solo  piano,  sono  piuttosto  brutte, 
le  strade   sono   sporche,  mal  pavimen- 
tate e  così  strette  che  a  stento  possono  passarvi  (lue 
persone  a  cavallo.    1    notabili    turchi   che   hanno    la 
fortuna   di   possed  •  vetture  debbono  pren- 


II    LUOGO  OVE,   SECONDO  Ù    ntADIZIONE,   SAREBBE    SORTA    M    mimi     DI    BAI 


dere  nulle  precauzioni  labori.  :  uno 

di  1.  ro  passa  per  una  via,  nessun  altro  abbia  a  pas- 
sarvi :  un  incontro  darebbe  luogo  ad  una  situazione 
complicatissima,  e  farebbe  sorgere  le  più  intricate 


DALLE    RIVIs  i  | 


I  (  145 


<_  pericolose  questioni  ili  precedenza.  Le  case  dei 
ricchi  sono  abbastanza  belle.  Hanno  tutte,  sulta 
fronte,  un  ci  itile  ove  crescono  belle  piante  di  aran- 
cio e  di  cedro.  I  bagni  ed  i  caffè  sono  molto  fre- 
quentati, sebbene  mal  tenuti,  e  di  mercati  sono 
provvisti  abbondantemente.  La  vita  non  costa  m 
a  Baghdad. 

«I  bazar,  per  chi  ha  veduto  quelli  di  Costantino- 
peli  O  del  Cairo  o  di  Teheran,  soni»  una  delusione. 
Vi  si  cercherebbero  invano  le  belle  scimitarre  ric- 
che di  intagli  e  di  gioielli,  le  armature  intars 
i  magni  tiri  .-escili  in  rame  od  in  bronzo,  le  ricche 
sete,  i  broccati  ed  i  ricami  e  tutti  gli  altri  articoli 
dei  grandi  bazar  dell'Oriente. 

«Comunque,  a  Baghdad  ve  molto  da  vedere:    il 


la   una    unta    moderna:    una   linea    tramwiaria 
ire  tia   la  metropoli  ed  un  sobborgo, 
oli  clima  è  buono,  sebbene  la  città  sia  tutt'altro 
che  pulita.   Dal  maggio  all'ottobre  fa  molto  caldo, 
e   per  parecchie  ore   dopo    il  mezzogiorno,    in 
mesi,    tutti  gli    abitanti   si    ritirano   nelle    loro   case 
mire.   In  primavera  l'aria  è  di  una  limpidezza 
meravigliosa.   A  grandissima  distanza  si  vedono  gli 
tti    chiari    e    netti    come    se    fossero    vicinis- 
simi ». 

* 
*   * 

quella   l'epoca  migliore  per  andare  a  visi-" 
il  paese.  Anche  oltre  Baghdad  questo  è  inte- 
ntissimo. 
Ma  .1  parte  Baghdad  e   Bassi  ra   e   l    rse  Hillah. 


ggr^*^-*         T^'SE^^iè^ 


Una  carovana  accampata  sulle  rive  del  Tigri. 


fiume  grandioso  di  fronte  alla  città,  i  tramonti  glo- 
riosi, il  movimento  incessante  dei  battelli  da  pesca 
e  delle  barche  per  le  acque  torbide,  le  carovane  di 
asini  carichi  di  grossi  pesci  e  di  otri  ripieni,  le  mo- 
schee ed  i  minareti,  gli  arabi  dall'aspetto  mae> 
i  turchi  autorevoli,  i  persiani  raffinati,  gli  armeni 
miti  e  mansueti,  i  caldei  ricercati,  ed  i  campioni 
del  bel  sesso,  informi  nel  loro  abito  larghissimo. 
e  con  le  facce  coperte  da  orribili  maschere  nere  di 
panno  o  di  mussolina.  Vengono  continuamente  pel- 
legrini dal  kanato  di  Bokhara,  da  Samarcanda, 
gente  quieta  ed  apatica,  in  cui  sarebbe  difficile  rav- 
visare i  discendenti  dei  sudditi  di  Tamerlano  il  fe- 
roce. 

«L'aspetto  orientale   della   città  non   è  guastato 


sull'Eufrate,  non  vi  sono  in  quella  regione  vere  città. 
Mi  ntre  però  la  popolazione  generale,  sotto  il  domi- 
nio mussulmano,  è  diminuita,  la  popolazione  di 
Baghdad  in  questi  ultimi  tempi  u   1   rapida- 

mente. Ora  vi  sono  in  quella  città  1:0  mila  abitanti 
tra  cui  30  mile  ebrei. 

Ixj  scrittore  inglese  non  si  dilunga  a  descrivere 
minutamente  le  tante  curiosità  che  vi  sono  da  ve- 
dere a  Baghdad  e  nei  dintorni.  Si  limita  ad  accen- 
narle: la  splendida  tomba,  ora  pur  troppo  in  gran 
parte  rovinata,  ove  si  dice  riposi  il  corpo  di  Z>>- 
beida,  moglie  di  Harun-el-Raschid.  le  misteriose 
rovine  conosciute  col  nome  di  Biri  Nimroud  0  Torre 
di  Babele,  e  le  rovine  numerose  ed  antichissime 
della  smisurata   Babilonia. 


Il  140 


LA    l.l-.'l 


un  enlate    da 
frani . 
no    (Issate    alla 

•il   lui.     1 

quando  l'ai 

unziano 
■    ite  per 


Iti 

:..■  \1 


Voci   artificiali 


L'idea  'li  imitare  la  voci   umana  per  mezzi    'li  strumenti  mei 
nici  non  è  nuova.  Artifìci  acustici  'li  questo  genere  si antichis- 
simi e  hanno  trovati    sempre  gì  nte  credula,  che  ne  ha  fatto  argo- 
mento  di  superstizii  ni . 

l'ili  oracoli  ili  Lesimi  .li  Delfi  e  il  0  li  ssali  Memnone  di  Tebe 
appartengono  appunti  a  [uesti  g  nere  ili  trucchi  I  1  ossale 
statua  ili  Memnone,  a  quanti    dicom    gli  antichi,  salutava  il 

mattina  al  suo  levarsi.  Appena  i  raggi   dell'astri 
splendevano    sulle  labbra  della  statua,  usciva  da  questi    un  - 
che  colpiva   di  terrore  tutti  coloro  che   lo  udivano.    L'ini] 
era  anche  accresciuta  dalla  posizione  che  teneva  la  sta 
un  gigante  seduto  chi  sembra  però  sia  per  alzarsi  quasi  a  salutare 
il  sole. 

Che   tal  suono  si  udisse  ogni  mattina  è  certo,  perchè  il  fati 
corroborato  da  numerose  e  autore\  1  li  testimonianze.  Anchi    1; li  sto- 
rici  più  scettici  lo  ammettono  senza  poterlo  discutere.  Una  spiega- 
li,   moderna  abbastanza  plausibili-   del   fenomeno    può    1 

questa.  L'aria  contenuta  in  certi  cavità 
della  statua,  scaldata  dal  sole,  si  e- 
spandeva  e  usciva  dall'apertura  della 
bocca    Si  dice  che  il  sui  1  _ basse 

allo  strappi    di  una  curda  d'arpa. 
M.i  am  he  se  fi  sse  si 'migliati  ■  pi 

alla    voce  umana,    in  mi    \  Stata 

ragli  me  per  attribuirlo  a  una  caus 
prannaturale.    Il  dottor   Marage  di  Pa- 
rigi  ha   presentato  di    recenti 

francese    di    medicina   una   serie 
di  teste  di  cari  1  pesta,  che  emetti mo  il 

SU'  i"  nana  e.   se   il    vecchio 

Stral-  ;se  risuscitare  e  udiri  qua* 

sto  suono,  la  tri  prova 

nella  pianura  di  Tebe  dinanzi  .1! 
-.ili    Memnone  sparirebbe  d'incanti     I   • 
sti  1  io     greo     pi'  i" li  n  1  ibe  i    preti  egi- 
ziani pei  tanti  ciurmatori, 
inventate  molte  macchine  parlanti,  assai  più  perfette,  probabilmente. 

ite  e  t  mtii .  di  laboriosi  studi.  Gli  apparecchi  del  doti    Ma    igi  sono 
fondano  sulle  nozioni   elementari  della       1     del  suoni    Tutti  sai hi    ''-unno 


DALLE    RIVISTE 


è  un  movimento  vibratorio  dell'aria  che  raggiunge 
!a  membrana  del  timpano  e  produce  1  impressione. 
Quando  il  suono  è  una  voce  umana,  le  vibrazioni 
sono  date  all'aria  dalle  corde  vocali.  La  voce,  pas- 
sando per  la  bocca,  modificata  dall'opera  della 
lingua,  de!  palato,  dei  denti  e  delle  labbra,  organi 


in 
la 


»»mmm 


i  ì 


àtiÙttKÉ 


tutti  che  sono  'V^S^W  «^ 

adoperati    va-  V^  %*^*fc%3^Mfc1 

riamente  a  se- 
conda     della  ' 
lingua  che   si 

parla.  Poiché  è  certo  che 
ogni  lingua  imprime  alla 
bocca  e  alle  mascelle  certe 
speciali  abitudini  di  movi- 
mento, che,  per  lunga  ere- 
dità, diventano  istintive.  Si  direbbe  anzi 
che  l'abitudine  modifica  addirittura  la 
conformazione  degli  organi  vocali. 

Il  dottor  Marage  dice  che  egli  può, 
t-ntro  certi  limiti,  determinare  la  nazio- 
nalità di  una  persona,  semplicemente  osservando  la 
oiiformazione  della  sua  bocca.  Se  questo  è  vero, 
si  spiega  facilmente  la  difficoltà  quasi  insuperabile 
che  provano  le  persone  adulte,  quando  vogliono 
imparare  a  pronunciare  correttamente  e  specialmen- 
te l'accento  di  una  lingua  straniera.  E'  una  difEcol- 
tà  assolutamente  fisica  alla  quale  poi  se  ne  aggiunge 
un'altra  di  ordine  assolutamente  diverso.  Quando 
un  inglese  dice  che  dopo  aver  parlato  in  francese 
per  cinque  minuti  le  mascelle  gli  fanno  male,  l'af- 
fermazione può  essere  letteralmente  vera. 


IO47 

vibrazioni  corrispi  ridenti  ali.  vibrazioni,  da  cui  l'a- 
ria è  mossa,  vibrazioni  ohe  sono  regolate  e  trasfor- 
mate in  modo  da  riprodurre  lo  stesso  suono  o  al- 
meno un  suono  analogo  a  quello  iniziale.  L'orecchio 
umano  ha  appunto  una  tale  membrana,  la  mem- 
brana del  timpano. 

Il  dottor  Marage  nel  suo  apparecchio  adopera 
una  membrana  sottile  e  moderatamente  tesa  di  1 
1  li'  u  ;  questa  membrana  è  chiusa  entro  una  scatola 
modo  da  dividerla  in  due  parti.  Da  una  parte 
-.noia  porta  un  tubo  che  ha  un  padiglione  si- 
e  a  quello  del  telefono,  clic  serve  per  ricevere  il 
suoni;.  L'altra  pani-,  invece,  comunica 
con  un  serbatoio  di  gas  ari  1  ;  m  ,■  ha 
u  una  bocca  donde   i]   gas  uscendo  viene 

acceso.    L'apparecchio  è    rappresentato 
chiaramente  dall'incisione  che  si    trova 
in  questa  pagina. 

Ora,    quando    una    perso- 
na parla,  ne!  padigilione,  le 
onde    sonore    entrano    nella 
scatola    e   fanno  vibrare    la 
membrana.  Le 
vibrazioni  del- 
la   membrana 
si     riprodueo- 
gas 


vW 


no     sul 


!M», »>,>*..»,»«, n.  tM»>>' 


l.r  oscillazioni  della 

•  lenii    alle    1  urie    t  urtili 


Immilla  corrispon- 


'—  ^   ai 


=  ì  &* 


Per  rendere  le  vibrazioni  delle  corde  vocali  visi- 
bili all'occhio,  oltre  che  sensibili  all'orecchio,  si 
—no  trovati  vari  metodi;  ma  ve  n'è  uno  semplice. 
che  si  fonda  sullo  stesso  principio  su  cui  si  fonda 
;1  fonografo  e  che  è  poi  lo  stesso  su  cui  è  fondato 
.1  sistema  uditivo.  Le  onde  sonore,  urtando  contro 
una  membrana   sottile,  no  in   questa    I 


contenuto  nell'altra  parte  del  tubo  che  premendo  o 
ritirandosi  produce  delle  oscillazioni  che  hanno  il 
loro  effetto  sulla  fiamma  accesa  sul  becco;  che  vi- 
bra e  saltella  continuamente.  Fotografando  la  fiam- 
ma più  volte  successivamente  e  rapidamente,  si 
hanno  dei  diagrammi  caratteristici,  alcuni  dei  quali 
sono  riprodotti  in  questa  pagina.  Ogni  vocale  pro- 
duce vibrazioni  diverse  nella  fiamma. 

Ottenuto  così  il  diagramma  del  suono,  il  dottor 
Marage  ha  trovato  modo  di  riprodurre  il  suono  stes- 
so senza  valersi  della  voce  umana.  Egli  prende  tanti 
dischi  e  vi  pratica  dei  t'ori  corrispondenti  alle  vi- 
brazioni della  fiamma.  Per  esempio,  per  la  vocale  /, 
che  produce  delle  vibrazioni  regolari  e  rapide,  si 
praticano  nel  disco  numerosi  tagli  vicini  e  tutti  ti- 
gnali in  lunghezza.  Il  suono  U  si  ottiene  pure  fa- 
cendo dei  tagli  tutti  uguali  ma  più  larghi  e  meno 
numerosi.   E  cosi  via. 

Spingendo  l'aria  rapidamente  come  in  una  sirena 
attraverso  questi  dischi  fatti  girare  da  una  dinami  . 
si  ottengono  i  suoni  voluti. 

Il  dott.  Marage  ha  fatto  ancora  di  più.  Ha  preso 
la  forma  di  una  bocca  umana  nell'atto  di  pronun- 
ciare le  varie  vocali.  Facendo  passare  l'aria  per  mez- 
zo della  sirena  nelle  bocche  artificiali  ottenute  con 
quelle  forme,  si  riproduce  il  suono  delle  vocali. 

(Dal  rcarson's  Magatine). 


I     popoli     nei    loro    idoli 


amo  le  pa| 
pli,  i  mus 

■■ 

'    :    i  ■  i .  i    ri 

Ma       i 

i    i  moralisti   piena   di 

leg- 

quali  i 

i  iw  'Iti  alla  cli- 

titu    ce   mi  do- 

nb .  importarti  issimi  ■  del 

Un    ;in .'  ■  >li  i     neir  ultimo 
oli    della    Lettura   ha 
rapporti  chi 

gli    idoli.     \    i  ompletare   lo 
stinli' ■  uni.-  non  può 

spiacere  una  passeggiata  in 
un  museo  di  idi  ili   pei   sci  - 
prirvi  le  forme  i    melar»  i 
nioh>  iri  c- 

cbe  '•  burlesche  davanti  alle 
quali  si   -    vergi  -nte 

inchinata  l'umanità. 
Ben  spesso  l'uomo,  invece  di 
•  li  à»  ilcezza  e  di  verità,  si 


I  N 


V    STATUA    GIGANTI     DI    SlVA    NELLI     GROTTI     D'ELLOIU     [lidie 


//  fanatismo  degli   indiani  ha  eienlo    delle    divinità     mostrv 
Talee  Siva,  il  dio  distruttore    felle  montatiti     d'Ellora,  dovi 
del    santuari   scavati    nellt    rocce,  alcuni  bassorilievi  lo  rapp 
con  otto  braccia    ornato  di  collane  di  crani  e  schiacci  indo  gli  inumili 

SOttO    il    SUO    l'i    ' 


il  culto  a 
Dei 


terribili,  mostruosi,  ai  quali  c-yli  attribuì  tutti  i  vizi 
e  le  passioni  più  vili  e  san;  Qua!  orribile 

concezione  è  la  divinità  presso  i  selvaggi  del  conti- 
nente nero!  Ecco  Oduclua.  la  madri  ri,  a 
cui  lo  sposo  divino  Obataia  ha  un  bel  fiorii" 
strappati  gli  occhi  in  un  momento  'li  fun  n  1 
Champana,  dio  della  lebbra  e  ■  1  1 K-  malattie  im- 
monde.  Ecco  Ogo,   il  gemo  scellerato   del  ma 

delle  lagrime. 

Un  giorno  Ogo,  gelosi    della  buone  armonia  die 
esisteva  tra   due  vicini,    risolve    di    disunirli.    I 
prende  un  berretto  bianco  da  una  parte  e  rosso 
sangue  dall'ai  i  i  essi i  passa   fra  i  due    u 

salutandi  li  ccl  levare  del  cappello  fatale. 

I  I     bel  berretto  bianco.        dice  uno  dei  due 

uni. 

—  E'  rosso.  —  urla  l'altro. 

E    l'odio  e  la    lotta    Ira    i  due   amici   comincia. 

Sono  le  poveri  concezioni  dell'intelligenza  umana 
malata,  ma  quale  rivelazione  in  paura,  di 

terrore,   di   sangue  ! 


VlBH!  i       DIO    -I  I  tu  MO    DEG1  I     INDIANI    SI   •■ 


Il   sangue!   Questi    idoli   terribili  hanno  sete  di 

la  vittima  uman  i 

iscinata  davanti  .il  mostro  di  legno  o  di  argilla. 

dal  ■  lalle  grandi  i  echi  aie  rotonde, 


DALLE    RIVISTE 


Idolo  indiano. 

Nell'India  la  maggior  p 
degli    idoli    hanno   parei 

uno  dei  segni  del- 
la loro  potenza 


dalla  bocca  spalancata  in  un  ghigno  feroce.  Il  pa- 
ziente è  inginocchiato  davanti  a  quel  simulacro 
e  un  colpo  di  spada  gli  stacca  la  testa  in  modo  che 
il  sangue.  rilx>llendo 
dalle  vene  strappate. 
■  li  un  tur 
rente  fumante  il  mo- 
stro. 


Ma  spesso  al  sen- 
timento d'orrore  che 
si  prova  dinanzi  agli 
idoli     chiazzati     di 

sangue  umano,  su- 
bentra un  sentimento 
di  ilarità  irrefrena- 
bile, quando  si  vede 
il  modo  grottesco 
con  cui  quegli  idoli 
disgraziati  sono  fog- 
giati. Sulle-  rive  del 
Xiger.  all'epoca  del- 
la prima  conquista 
francese,  venne  sco- 
perto uno  stranissi- 
mo idolo  che  si  tro- 
va attualmente  a  Pa- 
rigi, al  Museo  del 
Troeadero,    e   che  è 

sormontato  religiosamente....  da  un  vecchio  cappello 
a  cilindro.  La  tuba  è  presso  i  negri  simbolo  di  po- 
tenza ed  essi,  avendone  travata  una  nelle  valigie  di 
qualche  spedizione   europea 
massacrata,     l' hanno    ado- 
rata. 

Nell'India  lem  r 
resta  atterrito  e  sbalordito 
dinanzi  alle  intere  monta- 
gne tagliate  con  titanico  'la- 
voro in  forma  di  mostri  spa- 
ventosi, di  divinità  mina 
danti,  il  cui  interno  è  sca- 
vato in  forma  di  tempio  mi- 
sterioso. Là,  nelle  viscere 
squarciate  del  monte,  Siva 
brandisce  fra  l'ombre  mi- 
steriose le  cento  braccia  fu- 
riose, mentre  gli  occhi  schiz- 
zano dalle  occhiaie  spalan- 
cate nei  crani  delle  tre 
teste. 

Talvolta,  dice  la  leggi  n 
!  da  indiana,  in  quell'ombra 
Si  tterranea.  mentre  sull'ara 
e  nelle  gorgie  dei  sacerdoti 
scorrono  a  torrenti  i  liquori 
inebbri  anti  e  fumano  il 
sandalo  e  gli  incensi,  l'idolo 
si  anima  poco  a  poco,  la  vi- 
ta risveglia  le  sue  membra 
di  pietra.  Si  mette  allora  a 
danzare  sul  suo  piedestalli). 


Un   fi  riccia  africano. 

Boz:>  statue  di  ic- 
ijno,  tali  sono  gli  idoli 
che  gli  africani  ado- 
rano. Quando  un  ado 
raton  cri  de  che  la 
sua  preghiera  sia  e- 
saudii  i  pianta  nella 
statua  un  chiodo  di 
ferro. 


1049 

poi  ad  un  tratto  brandisce  una  clava  e  schiaccia 
colle  sue  mani  i  suoi  adoratori,  poi  curvan- 
dosi sulle  vittime  agonizzanti  ne  beve  il  sangue  tu 
mante,  finché  ricadi  morto  sul  suo  altare. 


Il  gran  toro  della  pagoda  di  Tandjour  è  uno 
degli  idoli  più  venerati  dell'India.  Esso  è  scolpito 
hi  un  blocco  di  porfido,  ma  la  pietra  è  ormai  invi- 
si! ile  ed  è  interamente  scomparsa  sotto  un  denso 
0  d'olio  seccOj  (rutto  delle  copiose  libazioni 
che  ogni  pellegrino  è  obbligato  a  l'are  visitando  u 
i  ro. 

I  pellegrini  arrivano  da  lungi  poveri  e  cenciosi, 
ma  guai  se  non  recano  sulle  spalle  flagellate  lai 
scio  un'otre  gorgogliante  dell'olio  più  squisito!  La 
li  ro    preghiera   è  respinta  dal  nume  crudele  che  si 


I   \     WIMai.i:    DIVINIZZATO    —    GANECS  II.    DIO    DELLA 

SAGGI  / vi   PRESSO  GLI    HFRII  INI 

Per  gli  imitimi  Vclefanle  incarna  la  saggezza, 
quindi  essi  hanno  immaginato  di  dare  al  loro  dio 
hi  testa  di  questo  animah 

compiace  di  cullarsi  nella  viscida  veste.  Dinanzi  al 

mi  stro  gli  adoratori  si  ingi li  in      depongono  il 

iti    fardello  e  col    massima     raco  glimento  1  0 
minciano  a  pennellare  le  zampe  del  mostro,  pò 
gambe  e   via    risalendo,   finche  la  bestia   gronda  e 
<illa   sotto   i  torrenti   della    luce  tropicale.    Ogni 
pellegrino  dà  la  sua  mano  d'olio  e  l'animale  ingras- 
sa a  vista  d'occhii  .  Sotto  le  zampe  tutta  la  terra  è 
\11ta  «la  un'enorme  quantità  di  materie  in  riam- 
ili, accumulatevi  in  secoli  e  secoli  di   supersti 

■  Fi  rmerà   pri  lilialmente  la  prossima  fontina 

di  qualche  Compagnia  inglese  che  abbia  il  coraggio 
di  sfruttare  quella  miniera  'li  combustibile  «li  nuovo 
genere. 


LA    LETTURA 


Budda  dei  templi  mera- 
\    Giapp 

- 


>l\n   \  D'UN    tO80  NI  I  I     l\M\ 


Simi  •  forza,  il  toro  è  l'idolo  più  nell  India.  Gli 

razione  cospergono  d'olio  ili  cocco  la  statua 
nolo  della  p  {goda  di  i  andiour. 


VII  Vfrica  noi  scendiamo  ancora  un  gradino  nel 
moralizzazione  umana.  <',li  idoli  san  colà  a 

pHcemente  infernali.  Scolpiti  dal- 
ie unni  di  artisti  davvero  inetti, 
schizzano    il    tenore    e    La    stu 
dalla  gratuli'  I»  «va  aperta 
a  ricevere  il  sangue  degli  sciti  a- 
\ i.   loro   immi 
rite. 
Essi  si  mo  generalmente  In 

.   di  una  pei 
che   forma  la  fortuna 
•  ;.-i  i  al >!' ricanti  che  li  ven- 

I    fedeli    si    prostrano   davanti 
al  mostro  ridicolo  e    implorano 
azia  desiderata.  Quandi 

■  •.sauditi,  riti  iman.. 
all'idolo  con   un    mai  un 

chiodi  i  e  l"  piantali'  •  senza  p 
nel  cuore  e  nel  ventre  dell'idolo 
disgraziato,  che,  dopo  un 

tipo,  scompare  sotti»  la  pioggia 
di  quegli  strani  proiettili.  Allora 
è  tolto  e  sostituito  con   un  altro 
il  cui 
uni  ve  martellate. 


ca  .Iella  sua  aureola,  appoggiato  al  piedestallo 
di  bronzo,   in  mezzo  ai  boschetti  di  pini  nelle  valli 
cinguettano  gli  uccelli. 
Altrove,   specialmente  nelle 
grotte   trasformate  in   templi, 

ggia  la  statua  giga 
di  Siva.   Nella  notte  eterna  di 
quel!'  di  montagna,  la 

statua  mostruosa   brand  - 
venti  di  oo- 

mandb   e  di    sterminio.    Ogni 

io  porta  un  ria. 
una  spada,  un  bastone,  una 
i  lava...  Sotto  il  piede,  pian- 
i-mente a  terra,  si  a- 
gitano  nelle  pose  più  convulse 
di  doli .n-  i  cadaveri  umani 
delle  vittime  decapitate,  men- 
tili.i    sfondo    della    cinica 

nereggiano      sinistramente      i 
teschi. 

Stranissima  e  quasi  sp 
tosa  è  la  rap|n-  u    del 

aggezza  divinizzata 
a  in  un  enormi 
•i  mi 

•     o   lima 
imbe  incro- 

I    grandi    occhi    sbarrai 

e   la  lunga 
//a     il 


rutte   queste   aberra/inni    del- 
l'intelligenza     umana      provano 
però  che  è  istintivo  nell'uomo  l'aspirazione  e  il  so 
gnu   di   un  essere   possente,  superiore,  sovraumano, 
divino,  che  noi  non  possiamo  comprendere   perfet- 


1  \\   -un  \   ni    l'.t  im\    \l    io  IPPONI 


Dìi  inità  tutelare 
./.  //  Estremo  Oriente 
tua  dorata. 


e  benefica,  Budda  é  II  'im  preferito  <ii  una 
a  Giappone  m  Incontra  dappertutto  la  sua 


DALLE    RIVISTE 


i  o5 1 


temente,  ma  di  cui  intuiamo  l'esistenza  e  la  gran-  E   pure  tra    le    spaventose    ignoranze    della   co- 

dezza.  Esso  è   il  sogno  delle  tribù  selvagge  che  ne     scienza  umana,  tra  i  grotteschi  fantasmi  dell'India 


Gli   Dei   giapponesi   Kduanon  e  Seiski. 

►       Oli  Dei  giapponesi  sono  per  lo  più  rappresentati  da  statue  sedute  nel  centro  di  enormi 
di  loto,  assorti  in  \m  i  meditazione  sorridi 


.  _   no  l'esistenza  nei  fenomeni  grandiosi  e  terribili     e  dell'Africa,  l'idea  di  Dio  è  un  sorriso  e  una  spe- 
a    natura,   è   l'aspirazione  delle  razze  più  colte     ranza. 
e   incivilite  che  le  intrawedono   negli  ideali    della 
bellezza.  Dalle  Lectures  paio-  lovs). 


Idoli  della  Siberia  pagana. 


In    bicicletta    nel     Madagascar 


■  i  mi   avevano  dissuasa   dal  tentare 

bicicletta    .1  traverso  il    M  u 

rocheera  una 
Ma    propi  M 

lUOghi,    II: 

lui  i.i  stessa 
\u  ili  I ari 
love  era 
dichi  ih  lari- 

anch' 

v       |  Bi    u I,  autrice  ili  qu 

è  una  cicli  «nani  1  li  prima  fi  rea.   Vvi 

hi   parli     d 
.Iella  I  dell'Africa    Au- 

strale. Ktl  nra  si  in  in  viaggii    pei 

M  '  ■  ■  :  amen 

1  0  n  un  piccolo  negro  che  la  seguiva  a 
piedi    portandole   i  li,  e  che 

■  rene  ad  1  mi    passo,  s 

.irsi,  cinquantacinque  chilometri   al  giorno. 
La  ;  .  miss  Lucy  arrivò  al  villag- 

raka,   un  ammassi     'li    1 
■   .li  foglie,  s  11/ 1  \t tri 
n  modo  che  la  solitudine  vi  è  scono- 
num  .    dal!  1    propria  rasa,    sente 
'  io  che  si  ilice  e  si  fa  nelle  cas 

miss  Broad  in  tutto  il  suo  viag- 


gio.   Il  Madaj  tato  spesso  descritto  e  non 

è  stato  esplorato  per  la  prima  volta  dalla  signorina 

•1  iì.i  la  1  I  suo  sesso 


I 


> 


La  pettinati  sa 


a  percorrerlo  in  bicicletta.  La  gita  le  ha  ilato  occa- 
sione ili  fare  interessanti  fotografìe.  Iti  una  di 
|inlli-  che  riproduciamo  si  vede  una  «madagasca- 
rese»  che  si  fa  pettinare.  Questa  è  una  funzione  che 


Hi  [III MI- MI \k » 


DALLE    RIVISTE 


[o53 


si  compie  regolarmente  una  volta  la  settimana.  Ogni     ungendole  i  capelli  di   grasso  ed  aggiustandoglieli 
sabato  le  donne  dell'isola  fanno  pulizia  e  si  petti-     dietro  il  capo  con  una  cura  che  richiede  moltissimo 


nano  scambievolmente.  Capita  spesso  di  vedere  sul-     tempo.  Le   fai  li  casa  si   fanno  assai  spesso 

la  strada  una  signoia  che  pettina  un'altra  signora,      in  mezzo  alla  strada. 


. 


LA     LETTURA 


I   \   1  REPARAZIONE  DEI    RISO 


l "n  .ih  1.1   incisii mi    mosl ra  al<  une  donni    i 

lunghi  bastoni   pestai»    il  risoi  uno  degli   alin 

principali  della  popolazione.    In  un'altra  aurora  si 

un   malato  trasportato  da  due  servi.   Questo 

signore,  molto  cortese,  dovendo  la  miss  britannica 

traversare  un  icquaovenon  v'erano  punti. 

le  cedette  la  sua....  vettura.  La  traversata  dei  corsi 

jni   ei  i   sempre  dilìicile.    Spesso   miss   Lucy   do- 

Earsi  portare  in  braccio  da  qualche  indigeno. 

La  fot  grafia  che  è  alla  pagina  precedente  fu  pre- 
sa una  volta  i  la-  la  popolazione  di  Tananariva 
era  tutta  raccolta  per  udire  un  proclama  del- 
I  .1111  onta. 

Il  viaggio  della  ciclista  inglese  ebbe  luogo  senza 
incidenti  Beni  '  I  donne  bianche  siano  rare  nella 
vastissima  isola  —  e  (orse.  anzi,  appunto  per  que 
sto  —  la  viaggiatrice  fu  ovunque  rispettata  e  trat- 
tata con  tutti  i  riguardi.  Soltanto,  avvenne  più  volte 
che.  quando  ella  arrivava  in  qualche  villaggio,  l'in- 
tera popolazione  si  facesse  un  dovere  di  andarla  a 
vedere,  e  di  seguire,  con  un'attenzione  qualche  volta 
importuna,  tutti  i  suoi  più  piccoli  movimenti.  Quan- 
do  però  miss  Lucy  mangiava,  i  curiosi  sparivano 
d'un  tratto  come  per  incanto.  Al  Madagascar  non 
r  bon-ton  stare  a  guardare  una  persona  mentre 
mangia. 

Non  sempre  riusciva  a  miss  Lucy  di  mangiare 
«io  che  voleva:  ignorava  la  lingua  del  paese  e  non 
sapeva  come  spiegarsi.  Una  volta  dovette  fare  sfor- 
zi sovrumani  per  far  capire  che  voleva  un  uovo. 
Da  allora  viaggiò  sempre  con  qualche  guscio  d'uovo 
nel  proprio  bagaglio:  quando  voleva  un  uovo  mo- 
strava un  guscio  ed  era  subito  intesa. 
(L'articolo  di  miss  Lucy  è  comparso  sul  Wide  World 
Magazine,  di  ottobre). 


1  [ALATO 


L'oro    del     Polo 


Nelle  solitudini  mute  delle  regioni  artiche,  sotto 
le  inrinite  distese  di  ghiaccio,  dove  manca  tutto  ciò 
che  è  necessario  alla  vita,  .iU>onda  quel  metallo 
«portentoso,  onnipossente»  all'idea  del  quale  la 
mente  degli  uomini  suole  diventare,  come  quella  di 
J  igaro.  un  vulcano.  E  ciò  che  accadde  alla  scoperta 
dei  giacimenti  auriferi  del  Klondike,  la  febbre  che 
spinse  migliaia  e  migliaia  di  persone  ad  accorrere 
in  quella  inospite  terra  da  tutte  le  parti  del  mondo, 
sfidando  i  disagi,  le  privazioni,  i  pericoli,  è  storia 
di  ieri.  Oggi  il  fenomeno  si  ripete,  con  circostanze 
alquanto  diverse,  in  un  altro  punto  della  penisola 
di  Alaska,  sulle  rive  del  Capo  Nome.  Sul  principio 
del  1900,  alla  notizia  di  meravigliose  scoperte,  tutte 
le  navi  disponibili  sulle  coste  del  Pacifico  furono 
noleggiate  per  trasportare  non  meno  di  40  mila 
avidi  cercatori  ;  altri  vi  andarono,  a  migliaia,  per 
via  di  terra.  La  grande  ricchezza  dei  giacimenti  e 
la  straordinaria  facilità  di  estrarre  l'oro  da  quelle 
sabbie,  fecero  sì  che.  dopo  un  mese,  la  produzione 
era  già  di  150  mila  franchi  al  giorno. 

La  spiaggia  di  Xome  è  larga  ila  50  a  100  piedi 
inglesi,  e  si  estende  dalla  linea  della  bassa  marea 
fine  alla  Tundra,  specie  di  altipiano  dove  l'oro  è 
anche  abbondante,  ma  di  più  difficile  estrazione, 
perchè  il  ghiaccio  che  ricopre  il  suolo  si  strugge 
per  soli  trenta  centimetri  nella  stagione  più  calda. 
Nelle  sabbie,  invece,  gli  strati  auriferi  sono  pro- 
fondi quindici  piedi,  e  il  prezioso  metallo  si  trova 
nelle  pepite  sciolte  e  non  mai  incastrate  nelle  roc- 
cie.  Si  trova  anche  oltre  la  linea  della  bassa  marea 
verso  il  mare;  ma  lì  riesce  impossibile  estrarlo  coi 
metodi  primitivi  attualmente  adoperati.  Finalmente 
abbonda  nei  piccoli  corsi  d'acqua  che  solcano  la 
Tundra,  ed  anche  nelle  montagne  delle  regioni  in- 
terne. Mentre  sulla  spiaggia  i  cercatori  lavorano 
isolatamente,  i  fiumi  sono  sfruttati  da  piccole  asso- 
ciazioni. Qui  la  produzione  è  più  copiosa  ;  alcuni 
claims  (campi  doro)  hanno  un  valore  fantastico; 
ce  n'è  uno  che  ha  dato  100  mila  franchi  al  giorno 
e  più  di  un  milione  in  due  me 

Quando  i  primi  Americani  arrivarono  al  Capo 
Xome.  non  trovarono  altro  che  qualche  capanna  di 
Indiani,  in  breve  sommersa  in  mezzo  a  centinaia  e 
centinaia  di  tende.  La  necessità  di  ripari  un  poco 
più  seri  si  fece  tosto  sentire,  e  avanti  che  l'inverno 
sopraggiungesse,  grazie  ai  materiali  fatti  venire  con 
grandi  spese  dal  Sud.  già  sorgevano  le  prime  case 
di  legno.  Furono  tracciate  le  strade,  si  elesse  una 
amministrazione  municipale,  si  formò  una  magi- 
stratura e  un  corpo  di  polizia,  e  un  distaccamento 
militare  venne  da  San  Michele,  la  città  degli  Stati 
Uniti  più  vicina.  Nacque  così  tutta  una  nuova  città, 
Nome  City,  dove,  nell'ultima  stagione,  si  pubbli- 
carono due  giornali  settimanali  e  si  iniziarono  i 
lavori  per  l'illuminazione  elettrica,  il  telefono  e  la 
1    str      zione  dell'acqua.   I   primi   arrivati  dovettero 


affrontare  le  grandi  difficoltà  dello  sbarco  sulla 
spiaggia  quasi  inaccessibile;  ora  anche  a  questo 
inconveniente  si  è  riparato  come  era  possibile.  E 
per  dare  un'idea  dell'entità  degli  interessi  creatisi 
lassù  e  dei  relativi  agi  che  vi  si  possono  godere,  ha 
sti  dir  questo:  che.  mentre  dal  Klondike  i  mina- 
tori erani  ■>  stretti  a  fuggire  ai  primi  freddi,  per 
poi  ternani  con  la  bella  stagione,  a  Nome  City  non 
meno  di  tremila  persone  restarono  l'inverno  scorso. 
Mai  una  agglomerazione  umaife  tanto  numerosa 
fu  vista  ifT  quelle  latitudini.  Sul  Klondike  il  Capo 
Marne  ha  questi  altri  vantaggi  naturali:  che  la  ri- 
cerca dell'oro  è  infinitamente  più  facile,  e  che  la 
qualità  del  nieta Ilo  è  tanto  migliore,  che  si  vende 
da  30  a  40  centesimi  di  più  al  grammo. 

Ma  la  vita,  naturalmente,  è  molto  cara  in  (niello 
condizioni.  I  sigari  americani  da  20  centesimi  co- 
stano 2  franchi  e  mezzo  a  Nome  City  ;  una  cola- 
zione di  due  uova,  caffè  e  pane,  si  paga  da  7  a  8 
franchi  ;  la  farina  si  vende  a  250  franchi  il  sacco  ; 
un  paio  di  scarpe  arriva  a  75  franchi.  Un  numero 
dei  giornali  locali  costa  2  franchi  e  50  ;  l'abbona- 
mento sale  a  1 20  franchi.  Negii  alberghi,  per  dor- 
mire in  una  di  quelle  cuccette  che  sono  sovrapposte 
a  3  ed  a  4  per  ogni  stanza,  si  chiedono  da  io  a  15 
franchi.  L'unico  possessore  degli  8  cavalli  che  at- 
tualmente prestano  servizio,  li  noleggia  in  ragione 
di  2500  franchi  il  giorno  nella  buona  stagione; 
d'inverno  li  adopera  per  il  trasporto  del  legname 
che  si  raccoglie  sulla  costa,  trasportatovi  dalle  cor- 
renti meridiane  :  il  prezzo  di  questa  legna  sale  a 
cifre  fantastiche.  Tra  i  minatori  accorsi  lassù  si 
trovava  un  avvocato,  il  quale  ebbe  occasione  di  eser- 
citare la  sua  professione  :  in  una  sola  stagione,  que- 
sta gli  fruttò  250  mila  franchi,  oltre  la  proprietà 
di  un  certo  numero  di  claims.  La  proprietaria  di 
un  piccolo  iHergo-trattoria  ha  messo  insieme  una 
sostanza  durante  una  sola  estate. 

Queste  cifre  non  sembreranno  esagerate,  quando 
si  paragoneranno  a  quelle  degli  utili  ricavati  dai 
minatori.  Un  ex-operaio  meccanico  potè  mandare 
in  regalo  alla  moglie  una  quantità  d'oro  del  valore 
dì  225  mila  franchi.  Uno  svedese,  che  per  lavorar 
da  solo  si  rivo  a  Ni  me  City  prima  che  cominciasse 
la  buona  stagione,  mandò  a  San  Francisco,  quando 
ancora  l'estate  era  lontana,  700  libbre  d'oro  ;  è 
vero  però  che  ci  rimise  un'orecchia,  gelata  per  il 
gran  freddo.  Cu  avventuriere  che  aveva  in  tasca 
2500  franchi  sbarcando  al  Capo  Nome,  li  impiegò 
nella  compera  di  due  claims  che  ora  valgono  due 
milioni,  l'n  missionario  protestante  raccolse  400 
libbre  d'oro  nel  solo  mese  d'agosto  da  una  miniera 
che  vale  un  milione  e  mezzo.  In  tre  mesi  di  lo  ri 
un  giovanotto  .li  San  Francisco  ha  messo  insienu- 
400  mila  franchi.  LTn  pezzetto  di  terra  di  cinquanta 
piedi  quadrati  ha  dato  40  mila  franchi.  Un  giorna- 
lista,   da  un  quadrato   di   60   metri  ha    ricavati     in 


LA    LETTURA 


mini, 

}o  i!  'ìi  un  min 

in   un  lo.   1  lue 

quasi  in  mez- 

chi  in  quaran- 

•   del 

uè  milioni  di  i         N    la  Tundra 

ii  furono  trovati  da  quattro  lavi  i 

ini. 

oni  ili  allucinati.   1  e  si 
S   ittle  ■  hi    i  ■  ina  parte 

■  di   20  mi- 
di metallo  in  un  anno,  provenienti  da  quell'e- 
rio.   Hi  rutto  dell'ultima  camp 
in  50  milioni. 

ito  dureranno  queste  pi inier      l 

I      sabbie  della  spi  1  co- 

iano  ad  esaurirsi  ;  quelle  dei  o  rsi  d'acqu 

I  .1  Tundra  non  può  esser  p 
rutto    sen  ,  costo    delle 

quali,  naturalmente,  scemerebbe  i  profitti.  Ma  fitta 
h  addentale   dell'Atlantico   è  ricca 
oso  meta!  '  iota  un  movimi  m 

•  ■ii   verso  il  Capo  York,   a  qualche  centi- 
■  ili   miglia  da   \<  ni.  .    .ìlruni  pionieri  si   s<  n 
spinti    lino   al    Capo   Principe  di    Galles,   estremo 
punto  del  continente,  a  un  centinaio  ili  chilometri 
na  dalla  costa  della  Siberia,  dove  pare  che  non 
1  giacimenti  auriferi. 
dunque  un   largo   campo   all'avidità    umana. 
la  quale  scatena  tutte  le  più  brutali  passioni.  1  prò- 
ise  ili  gioco  hanno  già  guadagnato  a 
Nome  City  più  di  mezzo  milione.  Bisogna  però  dire 
quantunque  i  poliziotti  e  i  soldati  non  restino 
lì    iti'  -turni  si    sono  alquanto  ingentiliti. 


il  n  volver  •■  il  coltello  non  sono  il  supremo  argo- 
mento. 1 1  furto  è  più  raro  che  ni 

le,  ma  la  questioni 
r.itana  s  Gravi    epidemie  di  tifo  si   sono 

-\  iluppate   in    mezzi  >  a  ne   aggio- 

igii  11  1  he.    Ma  ri 
tifo,  né  il  freddo  glaciale,  né  qualunque  altr.i 
li  u  u/. 1  0  pericoli  1  ari  1  i  <  upidi  ;  e  50  mila 

si  .ii<  -   ni'  imami  nte  imi  ui  li'' 

(Dalli-  Lectures  Moderne*). 


Gli    animali   scomunicati 


Il  professi  re  (iiranl  riferisce  che  in  una 

1   -1  ia    prodi  tta   dagli  iggi,    si    si 

contro  'li  essi  i  fulmini  della  scomunica.   Nel  17  ;■) 
furano  citati    1  comparire  dinanzi  al  tribunali 
clesiastico  di  Losanna  e,  dopo  il  dibattimento  della 
causa,  turino,  naturalmente  in  contumacia,  condan- 
nati al  bando  dal  territorio. 

Nell'opera  Supplizi,  prigionie  e  gì  ■  Fran- 

cia, il  consigliere  Desmaze  narra  che  nel  ino  1! 
vescovo  'li  Laon  scomunicò  i  bruchi  |«-i  punirli 
•  Ielle  loro  devastazioni,  e  che  nel  1516  il  pubblico 

ale  di  Troyes  pronunziò  contro  di  essi  la 
guente  sentenza:   «Udite   le  parti,   facendo  diritto 
all'istanza  degli  aiutanti  di    Yillenoxe,   ingiungiamo 
ai  bruchi  di  ritirarsi  nel  termine  di  sei  giorni,  senza 
di  che  li   dichiariamo  maledetti  e  scomunicati». 

Anche  ai  nostri  giorni  si  fanno  pubblici  esorci- 
smi, nelle  campagne,  in  caso  di  straordinaria  mol- 
tiplicazione 'li   insetti  nocivi  all'agricoltura. 


GIUSEPPE  GIACOSA,  Direttore 


:  rip    del  '  otri 


Galli  //i   Gio\  inni,   gerente   n  sp 


Ili 


ANEMIA.  -  CLOROSI     I 

E  TUTTE  LE  MALATTIE  DIPENDENTI   DA  IMPOVERIMENTO  DEL  SANGUE       [[ 

si  curano  e  si  guariscono  col  fi 

li 
1 
I 
1 

L.    1    la   bottiglia    in   tutte    le   farmacie 

SCIROPPO  PAGLIARI    i 

il  migliore  dei  depurativi  e  rinfrescativi  del  sangue  n 

Ottimo  per  la  CURA  PRIMAVERILE 

liquido  L.  1.40  la  bottiglia  —  in  pillole   L.  1.50  la  scatola 
franco  in  tutta  Italia. 


IL  PIÙ    ECONOMICO  DEI  FERRUGINOSI 


il  migliore  (lei  rimedi  contro  LA  TOSSE 


u 


i      Biogenol  Pagliari       l 

A  BASE  DI  SUCCHI  ORGANICI  (metodo  BROWN-SEQUARD) 
lì  RIGENERATORE  DELL'ENERGIA  FISICA  E  MENTALE 

u 
J] 

[U 


PER     USO     INTERNO     E     PER     USO     ESTERNO 


H       L.  5  la  bottiglia.  —  Per  posta  aumento  di  cent.  60  da   1  a  4  bottiglie 

PASTIGLIE  PANERAJ     S 


FU 


B     ESTRATTO  PANERAJ    ! 

DI  CATRAME  PURIFICATO 

t-  t  i  i  •  -  -•  «  «  -  i  -.  ~i  1  il»  <  •      nelle      «■<»!-  ra»  o      i  *  i  •  t  ;  ■  i- 1- <  ■  ■  i 

= n 

LTI 


Opuscoli  gratis  richiesti  ai  soli  produttori  n 

i  Dott.  ENRICO  LANSEL  &  C.  succ.  di  C.  PANERAJ  -  Livorno  f 

- „„„„^„ in 


HE 


ADDIO,    NIKOLAL 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 

autore  del  Dottor  Nikola,  della  Verga  della  Sapienza,  ecc. 


{Continuazione  e  fine,  vedi  numero  precedente). 


Mia  Usse  Nikola  cori   una 

■  i  rdi    quella  stessa  udita 

I    i         1 1  letti >  i  ae  ito 

\  Lello  <  li"    tate  I    i  .asciate   ■  he 

vi   riai  compagni   all'  ili  vostri  a i  ! 

he  siati    qui  il: a  quest'oi  a  I 

Ma  \ t    !••  dissi  che 

i  o  pivi   stare  rlarvi    Risparmiate 

i  '   Pei    amor  d 

\       igni  rate  quelli    i  he  h ledete    N ite 

ii rmale,  stasera, 

ch'il    pei    itinuamente  a 

Voi  non  dovete  farlo  '  Sie 
li     rosi   i"  tente.  che  d  w ete  ai  cordar- 

i     pigliate  la  mia  \  ita,  ma  i 

i  I   ma  le    \  e  i  offro  v  olenl  ieri,   pure  di  sal- 
\ :u\  i  ila  questi '  pei  cato  ' 

Pei  rmi  I  -     mormoi  ai  a   Nikola   a    bassa 

l    \  uole   salvarmi  '. 

1 1      ì  ve  I"  perd ebbe  mai  più  —  conti- 
nui               i  ìso  tono  ili  voce, 
Nikola  si  allontanò  da  lei:  dall  i  pi  rta  semi  apei 
levo  scoi  rem    quanto  rosse  agitato.  Essa  s'in 
chiò   'ia\ ami    a  luì,    le   braccia  tese  In    atto 
suppl                 Nikola  le  disse  qualche  cosa  a  bae 
he  non   riuscii  a  capire    La  sua  risposta, 

è    tati    ri*  elato  nei  miei  sogni, 
—  ri-'  i 

i    -  ù   malgrado  persistete  perchè  io  perdoni  ? 
N      nome  ili  Dio,  vi  prego  ili  affrettarlo  il  più 
"  possibile,   Ne  va  di   mezzo  la  salvezza,  del- 
:  anima  vostra. 

Ni]    la    -    pose  ili  nuovo  a   pa  iare  su  e  giù 

della   sta 

\    è  noto  che  su-  Richard  Hatteras  in  qui  i 
da  me  per  lo  stesso  motivo  "  —  le  domandò 
o    i         rispose 
Come  ne  fu  nata  inm  potei  spiegarmelo 

—  i  1 1  a  \  isita  ih  stasei  a  per  in- 

i        :i  perdono 

SI,  egli  i"  sa,  egli  mi  ha  seguita 
i  i  me  aveva  I  i  li    a  scorgermi,  visto  chi n  s'era 

rollata    : 

I        "         '  I  1 :  I        I    '       •  I  '   'i 

Venite  avanti,  Hatteras.  —  mi  disse,  -     da 

no  si    pei 

i  ■'  i     unoi    del   cielo,   Nikola,    spi  che 

\  noi  dir  ■  dendo  che  miss  Trevoi 

mostrava  ili  avvedersi  della   mia  presenza,  — 

i    ìsci    sotto   la  .imi'"! ica 

li  i 

No,  tdrtormi  mala,   cionoi 

liscia  del  ioni     Vi  è  qualcosa  in 

li -in    ni    Se  mi 

etto     ivrei  fatto  ili 

o    Miss    i  revor, 

con    sir   Uiehanl. 

carezze\     i      mentre    I  aiutava 

pi mi      iura 

mi  un  po'  di  tempo  per  r  Hi  ttere 

empi finché  11  dol 


i   i"    detto    usi  nnni"    tulli    e    ire,    ed    alti  a\  ei  - 

dui iiieii  i.    giungemmo   alla    p"i  nenia    laiei  aie. 

Qui  munii  Nikola  mi  disse 

Non    i" le    nulla   per   miss   Trevor,   essa   tor- 
nila, a  rasa  nello  stesso  modo  con  nn  vei e  do- 

:  1 1  ina  non  •  i   i  icordei  à   più  di  iiuauto     in  <  esse 

!•'.  presa  la  mano  di  Geltrude  i  aia  osio  alle  labbra, 
poi.   salutandomi,   spari    nel   silenzio  del   palazzo 

Rifeci  il  camino  fatto  dianzi,  seguendola  a  pochi 
pas.-i  di  disianza,  col  Cuori  non  meno  abitato  dì 
prima 

Se  Nikola  avesse  rinunziato  a  vendicarsi  dei  suo 

ne almeno  l'az ■  di   miss    Trevor  e  la  mia 

i  inni  sarebbero  stali  inutili  '  I,o  farebbe 
li  la  nostra  compagna  di  nai^in  avrebbe 
dato    daw  in  "    la    sua    a\  \  .altura    d. 'Ha    notte  ? 

Intanto  a  forza  di  svoltare  a  destra  e  a  -mislra 
avvicinavamo  all'albergo,  la  mia  gran  paura 
era  di  trovarne  chiusa  la  porla  da  cui  eravamo  li- 
sciti. Fortunatamente  ciò  non  fu.  Miss  Trevor  en- 
trò e  sali  difilato  le  scale  dopo  avei  pi 
lungo  corridoio.  Quando  mi  fui  assicurato  .in-  .■-■ 

i  era  tranquilla  in  camera  sua,  andai  nel  mio 
appairtamentino.  Mia  moglie  dormiva  placidamen- 
te: essa  non  -i  era  accorta  della  mia  assenza  del- 
la    notte,     pei     CUi,     lieto    della     cosa,     decisi     di     Iloll 

dirle  nulla  delia  nostra  avventura, 

in  mattina  miss  trevor  fu  l'ultima  »  trovarsi  a 
colazione  Come  potete  immaginarvi,  la  squadrai 
ben  bene  con  una  certa  ansietà.  Era  pallidissima 
■  il  aveva  l'aria  stanca,  ma  dal  modo  con  cui  mi 
siiui"  "'  a  '  \  idente  i  he  non  ave-  a  n  più  re- 
molo ricordo  di  quanto  era  siici  esso  nella  notte. 
Nikola  aveva  detto  il  vero,  per  cui  più  che  mai  ri- 
solsi  ih  tacere 

Poco  dopo  la  colazione  un  venne  portata  una  let- 
tera; la  uno  sguardo  settato  sulla  busta  capii  che 
era    del    dottor    Nikola.    Fortunatamente    in    <piel 

momento    ero    solo,    per    cui    v'immaginerei n 

quale  impazienza  L'apersi,  Ess itevi 

ii"  ■    a  semplicemente  di   tro\  armi,  se  m\  ei  a   pos- 
sibili    pi  ini    Ielle  di  In  i.  al  palazzi.  Iti  Venti 
minuti   prima   dell'ora   fissata   stai .     di     porla  del 
•" .  \  enne  ad  aprirmi  il  vei  duo  sei  ■. 

"i  mai    un    C \  a      mi    tei  e    enti  ai  e    in    ea-a    ed. 

dei.'  quell'altro  signore?        mi  disse  intanto  die  ci 
dirigeva verso  la  scala. 

—  Forse  Vostra  Eccellenza  lesidererebb  di  ve- 
deri   quell'altro  signore?  -    mi  disse  mentre  <i  di- 

ne  verso  la  scala. 
Mentre  \m  affrettavo  a  dirgli  di  no,  udii  una  voce 
'  he  r lobbi  pei  duella  di  don  Mai linos,  die  mi 

I va    dalla    galleria    al    pruno    piano. 

—  V'enit"  su.  sir  l'ich.ard     Ilo  una  lettera  da  i 
egnai  \  i  del  amii  o  dottoi    Nikola. 

Non   poti  Lillo    vedevo    e    a    .inalilo 

udn  "  '  ine  mi"  ebbi   raj   i  In      da  di  cui  ser- 
bavo dei  cosi   terribili   ricordi,  la  mia  sorpresa  fu 

an  e  ora 

Don    Mai    inos    u\  e\  a    subito    una    completa    un 
morfosi      all'apparenza    non    era    più    la 

i-lie   il    giorno   prima    mi    aveva    destato  tanto 
terrore    e    ripulsione     Egli    era    di  . 

conosciuto  i"  i   la  prl ma  volta, 
I  i"v  .■    e    il    rintlor    Nikola  .'    ■       gli    di  mandai, 
dopo  aver  dato     u  nardo   in 

-'  i  »  ai me    tutti    gli    isti  unenti    chimici,    i    li 

■  ii  n  ■, 


Attente  MADRI! 


v@^Ofe(?^ 

L'uso  del  Catte  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini;  il  Calìe  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  ih  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  odi  un  terzo  il  Cafle 
Malto  Kiieipp.  Il  Caffé  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tut*;  i  medici.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Sevi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  »  iroghieri  che 
nessuno  ne  è  sprovvisto. 


A„„o  x.    ISTITUTO  RERO-EliETTROTERflPICO  01  TORINO 

%^G>xt     la     cura     d.*3>ll«3 


A.*r\+\<y     X» 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »   nel  Policlinico  Generala  di  Torino. 
Vin    della    Zecca,    37,    piano    terreno 


È  V unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
1  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-diuamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattìa 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  io  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pncumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  /lagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici,  Nebulizzazioni 
medicate.  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alla  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  lisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-j  mesi 
di  cura  ?iei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  pjer  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)   e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


Volete  ter'r  lcne?fr 


FERRO  CHINA  BISLERI 

ItICOSTITUENTB  DEI.  SANGCE 

Sono  lieto  di  poter  dichiarare  —  scrive  il  chiaro  prof.  L.  Vanni  della  R.  Univer- 
sità di  Modena  —  che  avendo  avuto  più  volte  occasione  di  sperimentare  il  FERRO 
CHINA  BISLERI  ne  constatai  i  notevolissimi  vantaggi  come  liquore  eupeptico  e 
tonico. 

F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


mujkxo 


Il 


ADDIO,    NIKOLA!... 


i  ii  i   tempo, 

i  per  voi  che  mi  disse  ili 

Ho  o  pi  icere   di 

macchinali 

K  sapete   .|  '  "lesi 

l    |  ni.  mi    ri-i" 

mi   il  '  •■'  i    colle   lacrime 

,  i  nini,,    ii    migliore   dei 

i  .il 
t   irtunatamente   qui 
enei  -  fidarmi 

me   n Irà    pel    i lo 

ii  ii,    ,i:i\  ven        iai    In     11 

pa   nava   le  sui    parole 

passato,   mi   allontanai   da    lui 
Uutatolo  freddamente,  uscii  dalla   i 
i  entrare  più  in  vita   mia 

irei    hii      :    lode. 
i  ioi  è    andato   per 

dissi. 

Purtroppi  i    re,  —  mi   rispo        espirando 

Egli  un  ha   lasciato  dei  quattrini,   pi  r  cui  potrò 

vivere  comodamente,    ma   mi    rattrista    assai    assai 

ro  ili  non  più  mai. 

Mi  si  delti  sul  muri,  ciolo  del  p  izzo,  e,  tratta  tuoi  i 

la    il  : 

Iddio,    amico    mio  '.  Quandi  reti    questa 

io    avi  ubbandonato    \  enezia    pi  i 

vi   più    n   Fato,  ih  cui   \  i   parlai,  mi 

chi  Pensate  a  me  qualche  volta  e,  se 

ii    un    po'    ili    l"'iu'\  i'1'i 

NIK01  A  •. 

Mi  mi  diressi  vei  top      iver 

mani  dei   vecchio     gettai 

un  ninnili  sguardo  -il  cortili       ci    i    rli    scalini,   ed 

i  ila   gondol  i   co]   cuore   stretto  e   p  eno  ili 

i      ..     tristi    destini    del  più  si  ra  irdin  h  li 

i   i    ini,  ch'io  aibbia   mai  conosi 

i   kPITOLO   \iv 

i       orno  do                  randi    dolori    di  i  falaghetti. 
su     lue    piedi    'h    la     iari     Vi    e     i 
i  ■  i      repìi       lei I  Vdriatti on 


.  a  più  attrattive  pei    noi  e  pi  i    la   prima   -, 
isciammo    senza    i  Impianto     F  in   dal    mal 
(ìeltrude  si  senti  pli    sollevata  ili  spirito  e  pareva 
quel!  i  ili  una  volta    Non  \  I  dico  la  teli- 
i   i,    di  Gli  ubai  ih    dopo  i  tristi  giorni   passati 

n  -        he   eravamo   in    treno,    mia 

moglie   'li 
_    Dio    IMI.,  '    i  he     tbbi  imo    tatto  '    Nella    nostra 
pei    la  partenza  i  dimenticati  ih   an 

I  ii  ire   il   dottoi    Nlkola  I 
Miss    I  rei  or  ebbe  come  un  leggero  brii 
—    Sai  [  '  '    '"'    sogno    ben 

ricsol   Sognai  che  11   dottor  Nikola  era   nel  cortile 

di    in ii     rabbi  li  ato    sulla   sommità    di    una 

itagna     Egli   vestiva   una  strana  tonaca   gialla, 

molto  dissimile  da  quella  che  portano  i  preti 

t-tiddisl  i     Pai  '".  a   un'ombra   tanto  ei  a    sma   riti 
molto  i  ii  ■■  i-i'  hiato    Si  ai  \  icinò  a  me  e  pi  - 

doi ■  ni  uni,  mi  disse  una  cosa     hi  iena 

nei     lei     io non  ha  senso  alcuno,  ma  i  hi 

mi  tece  una  grande  impressione. 
i  h,.  v  I    ii--'1  '    -   le  domand  i  rido  < ì «  non 

tradirti)  I   colla   voce 

Queste  pi V  i-i'  pai  ole     Ri lafei  I  che 

ona&o;   orti   a   voi   spetta   ili   tlim  i  hi 

\  oleva  egli  dii  e  ' 

Si    tratta   di    un    sogno    è   quindi    impi 
i  apire        osservò  mia   moglie,  salvandomi  dal   p( 

lo   'h    cercare   d'interpretarne   il    signiflcato 

Per  por  termine  a  questo  ormai  mio  troppo  lun- 
go  i a ito,    vi    din     che    il    dui  a    e    miss    I  re\ or 

i       nel    maggio    scorso     Essi    passai 
la  luna  <  i  >  miele  sul   loro  vachi  ed  andarono  nelle 
Indie  ■  u-ii  Lentaili,  Qualcuno  propose  loro  di    i 
re  a  \  enezia    li  conte  ili   Sellingboui  con 

però    ultimamente    il    palazzo   Revecce,    mobiglian- 
dolo  sontuosamente,   glielo   offri    pei    soggiornarvi, 

ma  essi  non  ai  cettar ■  «a  i  i 

no,  da  quanto  mi  venne  detto. 

Mia    notte,    quando   il    vento   sibila    intorno   alla 
casa  ed  il  mondo  appare  squallido  e  deserto, 

d'immaginarmi    un    i i asterò   sulla   runa   di    una 

montagna  e  nella  mia  fantasia  vedo  una  misterio- 
sa  figura,  vestita  ili  giallo,   i  cui  occhi  scuri  i 
ih  tranti  si   fissano  nei   miri  con   uno  sguardo  che 
non  è  piti  di  questo  mondo    Ed   io  grido  a  lui 
Vliliu.    Nikola! 


FINE. 


^-^+2%&Sfi8$i-l  i%*** 


DICESTI  BLE-CACHETS 

Digestivo  in  cachets,  d'origine  anglo-americana,  che 

agisce  per  graduale  antisepsi   direttamente  sulle  vie  di- 
gerenti,  biliari,  ed  intestinali  con  sorprendente  efficacia. 
Ai  Medici   Italiani  campione  di  prova  gratis-franco 

a  richiesta  .   con  preghiera  di  riferirci  sull'esito,  partendo 
da  tre  l'atti  clinici  anatomicamente  e  chimicamente  accertali 

1.  Il  "Tot"  tonifica  disinfettando  le  ghiandole 
che  secernono  i  succhi  gastrici. 

2.  Il  "Tot"  discioglie  i  catarri  e  le  mucosità 
dello  stomaco  e  degli  intestini. 

3.  Il  "Tot"  impedisce  le  fermentazioni  gastro- 
intestinali, assorbendone  i  gas.  senza  neu- 
tralizzare l'acido  cloridrico  come  il  bicar- 
bonato di  soda. 

Un  t jba  L.  5.  per  pasta  L.  0.30  In  più  -  G  tubi  trancili  di  porto  L  27 
In  tutte  le  farmacie  j 

o  presso  la  "  TOT  "  COMPANY  Via  Glutini.  2  -  Milano 
Chi  ha  difficoltà  di  digerire,  chi  soffre  di  infiammazione  in- 
testinale, chi  fa  vita  sedentaria,  chi  lavora  troppo  di  cervello, 
chi  eccede  un  tantino  nel  mangiare  o  nel  bere,  chi  non  è  re- 
golato di  corpo,  chieda  l'opuscolo  sui  "Disturbi  di  stomaco,, 
con  tavola  sulla  digeribilità  degli  alimenti,  e  figura  scora- 
si invia  gratis  e  subito  dovunque. 


nonibile  a  colori,  che 


Sciroppo  NEGRI 


MALATTIE 

NERVOSE 
DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 

ESAURIMENTI 

Cura  radicalo  coi  succhi 
organici  dol  Laboratorio 
sequariliano  del 

DOTTOR  MORETTI 
MILANO,   via    Tonno,    il. 
Opuscolo   gra 


DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

Italiano-Tedesco 

GRÙNWALD  &  GATTI 

editore  Belforte  -  Livorno 

Per  acquisti  rivolgersi  Uf- 
ficio Annunzi  Domenica 
del  Corriere  e  Lettura 
—  Via    Pietro    Verri,    12    — 

Milano. 


Stampato  completamente  colla    macchina  ~  Fulgor  »  NEBIOLO   e  C.  -  TORINO  -  Milano  -  Genova. 


In  strana  compagnia 

Romanzo  di  GUY  BOOTBY 


I  N  I   1 1  i  i  1 1  I    /.|o.\l 

la  ,,,,  si  rede  perchè  renne  scritto  questo  libro. 

ito  in  questa  sti 

0,     I  II''. 

vi  convìncerete  che  Lo  personalmen- 
ìi  ne  effettiva,  peri 
e  punto  atto  a  mi 
ertosi    e    i  lo  i  he  •    più, 
in  vita  mia  non  sono  uscito  mai  d'Inghilti 

one.   vengo  a     I 

da  chi  sia  stato  indotto  a 
o  a  parlare  di  me, 
■ 
m     chiamo   I  'v-    sono    scapolo,    di 

posseggo    min    di-erela 

fortuna,   ed    una   i  giardino    d  Inghilterra. 

,  che  i  miei  amici  trovano  bel- 
lissima  E,  to  verità,  essa  lo  è  davvero  ;  se  i  .lue  ter- 
mi,,. Qimi,  direi  comoda  e  piai  e 
tornita  di  tu  modità  mi  derae  imma 

u    una    posizione    fidentissima, 
ina  veduta  di  cui  non  mi  stancherei  mai.  E, 
unente,  nessuna  vista  1 1  me  questa  di  Spithead 
in  qi  lina  il  autunno,  -  irebbe  meglio  scelta 

della  strana   st<  ria   i  he   mi 
cingo  a  uni  i 

Ma  m'aci  orgo  che  è  più  facile  parlare  ili  comi) 
dare    che  di  ,;i    intinto  due 

I  anna  nei  calamaio,  e  avvicinai"  il  L-srlio 
i    Eci  orni  all'opera,  pronto 
■  unii  nto    Non  è  destino!   Sento  un  passo 
.  .i   una  voce   maschili 
,  Luke,  i  !    I  '     dove  diai  e  ?  » 

di    John    Ramsay,    mio    cugini 
giun  ,.    marii  i        mii    da  una  quindi- 

i    sua    giovane   sposa 
tra  i  .in  cam  col 

viso  mozione,  brandendo  in  mano  un 

biglietti  ili  bau 
Smi  mi  di  lavorare,  cugino  Luke,    i  i  indo 

i  n,  si  ritti  con  violenza  Eo  o  che  i 

in  questo  momento  dalla  posta,  da  mi-  Benjamin, 
_  ,  domando  j-'uunlamlu  il  suo 

bel    viso  abbronzato  d  i  son  idendo 

mandarmi    sir    Benjamin  " 

i  ppia  .h  .  avalli  marini  '  I  dii  endo 

in.'i  il  mio  manosci  itto,  dal  ta 

to    -il    plico    dei    biglietti    ili 

_  m      |    ...     :    do  ei  vi  disturl  Lui 

un,  rmi   la   vostra   attenzione;  qui   vi 

i   .li  ,'in 
Itino  'li  '-ani  pel  .i  ro 

f,..  ero 
e  i e  di 

ne    una    ini  / .'a    il"/. 

i  -        i  voleva 

alludere    Mi   obnl 

forte    t.a 
starvi 
imi  ,  nzlone,    pi  li  h  ■   di 

in- 


i  alparaiso  "  III      8  agosto   I89i 
1/   Ho  noi    Uri,  l'inni,   Plowden   Kut,  i 

Basi  India  ai  <  nui .  i. mi, imi 
oh  trabile  e  rispettabile,  zìa  Benjamin. 

Non  crediate  eh  io  non  m'immagini  e tuai 

te  questa  iritera 
,1;,  una  persona  Indegna  quale  è  vostro  nipote,  ila- 
tata  da  un  simile  paese  ni  in  cosi  difficili  momenti. 

Queste  -"in.  appunto  le  ragioni  che  un  spingo i 

,  ìi  ,  rare 
p,  1-  essere  ai  corrente  dei  miei  affari,  è  necessa- 
ri     i     ostra  memoi  ia   i  itoi  ni   Indii  tro  ih  una 
. ] i » 1 1 > i ì i i  ina  ili  anni,  quando,  dopo  un  certo  avveni- 
iii,  ni,,,    che   entrambi     il 

abbastanza  genero:  i    da  si  ai  i  iarml 
dal    Inghilterra   •■  ili   mandarmi   altrove,  ai 

n,  un   di  ecci  li,  e  di  cinqu 

i,,  poi  in.  parola  dovete  sapere  che  venni  qui 

ci  fortuna.  Poss isiderarmi  un  uomo  ricco. 

Introduzione. 
■  ìi  ,   bi  D'  l'è  e.  .-ia.  per  istinto  e  per  edui  azi. 

Bpettoso,  cosa  strana,  rinnego  i  miei 
,  mi  ai  punto  di  riporre  la  mia  fiducia  in  vi. 
li   mio   padre,  sicuro  della  vostra   probità 
e  del  vostro  onore.  In  altre  parole    visto  i 

minaccia piesto  pai 

nave  Culloden,  che  partirà  di  qui  mi 

s ,  i  intera  nna  fortuna,  >ii  duecento  mila  - 

in  specie,  ben  sigillata  se- 

.ii,  golamenti   della   Compagnia   di 

ed  indirizzata  a  voi  a  Londra.  La  presente 

i,. t'era   verrà    portata    ed   impostata   a    Londra   .lai 

capitano  Parsi  n,   della   nave  (  haulicleer,    Il   quale 

las<  ni  à    \  a  paraiso  domattina,    accompagnata 

ietto  .li   consegna.   Questa   straordinaria    confi 
iieii/.a  vi  sorprenderà  certo,  ma  conoscendo  U 
carattere,  sono  persuaso  che  non  solo  accette 
[uesto    in .aii..'.    ma   che   accudirete  ai    miei 
i    --i  ,■, ,ni.    -r  fossero  vostri. 
-,    non    fosse  ch'io  considero  dovere   un.,  di 
manere  in  questo  paese  finché  la  pa  tabi 

ina.  verrei  i..  stesso  a  sorvegliare  i  miei  interessi 

Mi,  isibile,    lo    faccio    la    ini 

pliore    il.ll.     cose     mettendo    la    mia    fortuna    nelle 

\  •  -Ile    ni 

Duna    :osa  soprattutto  vi  supplico  di  ricordarvi, 

|,     i,,,    un.,    quantità    di    nemici    invidiosi    della    mia 

ina    i  quali  no,,  si  farebbero  scrupolo  di  ser- 
virsi  di   qualsiasi   meZZO   pel    quanto   Las-",    pn: 

mettermi  in  rovina.  Vi  prego,  e  vi  supplico,  di  ni  n 

porre   attenzione  a   qua!  -ina.   non 

naie   veni--.'    a    \  "i   a    nome    1 0  per    let- 

isi   aiti-"  ine//...  eccettuato  il  se- 
gui ni.' 

s,    i,,  — i  obbligato  a   ■  "ii   voi.   tanto 

personalmente,  quanto  per  mezzo  altrui,   voi   non 

nulla    ii !,''•  vene,   non   date   reità   a    su- 

.  .  nza    di-Ma    una 

fortuna,    Anche    non   avrete    nell  mani    la 

lente  prova. 
Wendo  considerato  la  cosa   in   unti   i   suoi   lati. 

clusione.  ci 
olutamente  Impossibile  di  falsificazione  e:   uno 

,ppO    in    un    Iodio  (I,    carta    or. Im 

Per  applicare  ai  miei  scopi  questo  prue 

tenni    da    (onte    speciale    un   Campione  di    .aita 

ai    ni    due    111    un    modi 


ìi  CACAO  STOLLWERCK 


dUarca  Slquila 

fabbricalo  dalla  Casa 
Gebrùder  Siollwerck  S.  A.  capitale 
Marchi    [5  Milioni   e  riconosciuto  il 

migliore 


in     tutto    il    mondo    perche  peretta- 
mente  solubile,  di  gusto    gradevolis- 
simo e  straordinariamente    nutritivo. 
Nessun    altro    (  !acao    può   rivaleg- 
■»  giare  col 

CACAO  Siollwerck 

Marea  Aquila 

Rappresentante  generale  por  1  ulta    1'  Malia  : 
JVIÀX:    I^je^.:VI<:  =  Milano 


:         • 


■&&- 


LIBRERIA  EDITRICE  NAZIONALE 

.MILANO  —  Via     Uurlui,     3-**  —  MILAIVO 


Novità  librarie  pubblicate  nel  corrente  mese. 

ROBERTH     M  I  S  C  H.  Eterno    Femminino-  Fantasia  ero in   versi. 

—  Riduzione  dal  tedesco  di  G.  E.  Nani  e  P.  de  Luca.  -     Prefazione  di  G.  Bovio.  —  L'Eter- 
no Femminino  ebbe  un  successo  immenso  in  Germania,  dove  venne  rappresi  ntato  già   pi  i  quasi 

iooo  sere.   In  Italia  il  successo  non  sarà  infi  ci  re   .1  quello  'li    Citano.  Ed 1  li  gantis- 

sima,  volume  di  300  pagine L.  3,  — 

S  AL  V  AT  ORE  FARINA.  —  Nodi  e  catene.  -  Fino  alla  morte.-  Romanzo  nuo- 
vissimo, precedute  da:  /  soliloqui  d'un  solitario.  Edizione  di  lusso,  con  ritratto  del- 
l'autore         L.  2.50 

EMILIO  DE  MARCHI.  —  Il  cappello  del  prete.  —  Romanzo.  Quinta  edizione 
popolare.  —  E' uno  dei  più  geniali  lavori  dì  1  >e  Marchi,  un  n  manzo  che  ottenne  un  larghis- 
simo e  continuo  successo  presso  il  pubblico  e  la  ci  ole.  ime  di  300  pa- 
gine, ci  n  ritratti    del  compianto  auti  re L.  1,  — 

A.  OLIVIERI     SAIMGIACOMO.  -I  Reali  d"  Italia.  -  Letture  storiche  e  anc- 

tiotticke  per  1  giovinetti  italiani.  —  E'  un  libro  interessantissimo,  sommamenti     istruttivo,   dal 
quale  i  giovinetti  italiani  apprenderanno  la  storia  completa  1    le  glorie  della  Casa  di   Sa 
attraverso  i  secoli.  —  Edizione  di  lusso L.  2,  — 


IV 


IN    STRANA    COMPAGNIA 


i  i  la  tengo 

lerlo  dJ   •  "inni 

nessuno   sa 
•  .h  carta,  che 

l 

i 

i    più   importante,  si  i  ai  ciato  in   n 

ie\  < 
i  rubato  a  m      cosa  che  idi  rè  cei 

re   il   mio  In  questo 

ma  egli  ri 
i  intera   sosta  Ma    1 1 

Imi  i 
I      I 

he   si  dich  ;   i  o 

nipote,    fintanto    che    Questo  doppio 
i    mani. 

Per  rag ihe  non  avrebbero  il  menoi nte- 

voi.  sor  ito  ad  agire  cosi  miste 

sono  pronto  ad  assolvervi   (in  d 

auzìoni  e 
fallissero,    per   l'immensa   tede   i 

he  li"    nel    vosi oore   e   nel   vostro    in 

ita 
Ni  :  .|..  questi  consigli,  credi 

ini  li  tenteranno  di  ap 

di  naro.   Dopo  mature  riflessioni,  mi 
oico  m  :     i  rat  mi 

unii   vi   giungessero  altre 
ntu    anno,  giorno  i 
no,  da  questa  data  dell  8  agosti 

rto,  ed  i"  quest  i  ca       i    o  la  mia 

una  ai    vostri    àgli,    si    a   quell  •  ,  anno 

vita,  e  in  della 

di    mie   padre   viventi   allora,   cogl'interi 

ìnti  i  imulati 

dicntissimo  nipote, 

M  vi:  I      PLO 

Quando  ebbi  finito  ili  leggere    Ramsay,  u  quale 
a   ascoltato  con   viva   attenzione   la  lettura   di 
i    |  i  i    picchiò 

ridando: 

—  K  cosi,  mio  di  che  ne  dite  'li  que- 

i  dovuta  ;i  una  cosi 
ili   una   lettera   ili 
ruperfo     scritta    in   un    □ 

Che  '  ire   vostro 

gì  iccl  ■  ro  parente,  non  è  \ 

l)i   Marmaduk     P 

\i  i  <ciuii,  nel  Cile  sotto  II  nome  di 

Voi  à  ivei  /ente, 

do  era   i 

lo,  Jack,  una  mezza  dozzina  di 
ni  più.  Egli  abitava    Iiiiilti  di  qui,  i»>i  non  era 
da  desiderai  e   molto  dì    vederlo  sovi 
■  i  individuo  i 
ti  dica     •  '  più  bel 

ale  i  re  i 
nardo  i 

l  peci  e  di  fi  roi 

Ni  ■    i   più  alla 

i       .  ideli    ••  'li 
mpo 

—  '■ 

pan 

i 

l     I       uoi  ili 

Il   -i   avvicina! 

I  l      ,    Uhi 

i   ebbe   prima    un 

ni  .nino. 
ne    un    posto    in    in 
■   di   l  ondra 


—  E  do] 

—  I  a io  a  i  idere  ili   male  in  ppg. 

diventò  un   fi  equentatoi  e  di  em  i  ondo 

ordine,  un  ammiratore  di  halleriiie  e  .li  kellerine, 
c  finalmente  si  dici  ch'egli  abbia  falsificato  la  ur- 
ina del   suo  benefattore,   andando  a  un  ni.,  di  es- 

rlnchiuso  In  galera. 

i  n   i"'!  campione,  da\  vere    r.  . ■■  m. 
Bi  in  ■  i  inorò  della  sua   fimi  i  ' 

—  Lo  fece  per  riguardo  a   sua  madri'    in  allora, 

che  gli  diede  le  r>oo  sieri li  un 

parla   nella  lettera,  e  i  ne  lo  imb 

—  E     non    si    seppe    mal    più    nulla   di    Ini.    tino  ad 
ora  unse    la    lettera   io! li-    .!I)0,IHK)  sterline? 

—  No,   .hi"  difatti,    se    non   me    ne    par- 
lavi   tu,   i"     i\i.\ o  quasi    dimeni h  aio    in 

stenza. 

—  Ben  i    fare   due 

e  immin  facendo  vi  nai  rem  quanto  so  di 
Marmaduke  Plowden.  altrimenti  detto  Mar.  "s  Ve- 
iii'ii.i.  e  della  sua  carriera  dai  Giorno  m  un  lasciò 

nllterra  fino  a  quando  feri  la  Mia  <■<  ■ 
lui  mesi   fa.    IndH 

prenderete  penna  carta  i  .  iiaiuaio  ,•  scriverete 
la    pinna   meta    di    questa    Storia,    lo    faro   l'altra,   e 

pileren isieme    un   libro   per   informarne   il 

ir.   Milo. 

Presi   il  mio  ed   il  bastone:  ed  il   risul- 

tato di  'I  ila.   fu  questa  stt  ani  -tona. 

qui  seguente 

PARTE     I.    -      '    UPITOLO    1. 
Il   quale  ilice   la   vera   provenienza  del   denaro. 

'    ine  abbiamo  \ist...   l'astuto  Marmatine     P    .' 
di  il   li"'.,  nel  Cile    come   \i  u   os    Veneda.   -pedi» 

i".  -ir  Ben j are       Pli   vden,  in  Cast  india  ave- 1 
ime.   Londra.  I.     .'nii.iiiu.    in   moneta   inglese,    pn 
dolo  iiie   volesse   tenerla  a   sua  disposi; 
che  fosse  giunte  a   casa   pei    disporne   e-rii   Messo.) 

i  ira  per   ben    capire    la    nosti  a    stoi  ia.    >i 

ritornare    al    pini.  i|  ..  .  i  .prue    di    dO^H 

venisse  quella  em  rme  fai  luna  .  poichi 

•  i  edl  ia    degna    di    fede      I  attenua 

avesse   ricavato  questo  danai-"  dalli 

rgento  e  dalie  sue  proprietà  nel  Cile   Non 

•  i       ma   i  -- a   chiarirci   il   miste^H 

e  noi  racconti  rema  lucine 

S  ippiate  dunque  che  Michi       Bi    d< 
in  Pari  I  -  i  r« 

una    di  Mipcrlalivaiiieiiie    alali.   c^H 

una  vita  di  grandi  i  oups  iiin-< 
i    in   qualche    i 

cui   eliti"  al   servizi"  u        .1    >I^H 

Anglo-Kamtchatka,  la  si  i  a  del  pi 
\\  nitehall,  come 

I. I'l|]  11:1,         III      lut^H 
la  Ili  i  .  I  I 

dei    Bakeii -Asl.ei  M    Syndacate    e    che    mai 

vanta'.'-".,    della    Italica    la    Company    l.olden    >Ui^^B 

I   :  -i      munì  zi.,    i  lie     r.radshaw     pai 

per  Moie  i  celia   di   pipi 

1  \ .  ce  di  divertirsi   a    \! 

me   i   suoi  upponevano,  • 

Una  imente   l'arrivo  dei   pie- 

na»! imeni"    /  i  ii    Ti 

ne      e    pai  th  a    pei    Unrp    »     Vile»      Ila    li 
111  masse  il  suo  p 

Vinrei  l'i  a     mirano    l"ii  e    chi 

o  avesse    portato   con    si 

il  !  n.     Nella    stiva    pero    \  erano    - 

col    -un   nomi  ' ii  betta      I  i  ""  nto  ». 

I  n   mesi'   i|"ii".    l'imi. ti    liithil 

:ia  '  he  Vlii  nele   Bradshaw.   amm 
universalmenti    rispettato,  era  n-rrtiin  <  1  ■  •  1  ' 

Sotto    l'accusa    di    aver    defraudata    la    sin    Col 
-ina   di   850    li'  Ine 

Ml'arrivo      i     destinazione     de 
Bradshaw,    cioè    Vii  ioì   I 

i  il.iln-i     iti     Arsenti  Ila 


LA    BELLEZZA    DEL    SENO 

E  LA  GALEGHINA   VARVIER 

i    preparali    a    base   di     Galegrhina 
Vervier     ■  e  ratio    sp  ciale 
Officiaalis)  sonoqnauto  scienti  fi 
te  ili  meglio  si  possa  dare  perii  Seno. 
Assolutamente  innocui,  igienici, 
per  sigo  nelle   le   più 

aelìcaie.  C  une  più  Lorna  comodo 

uso   della    Ga leghino    Vervier    in 
forma  di  Pillole  o  di  J  per  que- 

si'ullima  indicare  se  si  desidera  quella 
•li  azione  stimolante  o  quella  astrin- 
gente .  -    L.  Ix.50  il  flacone.  —  Per  Ila- 
Colonie  aggiungere  !..   O.B0 
ione    e    affrancazione    per 
più  flaconi  nel  modo  più  discreto  in  Cassetlina   piombata. 
—  Per  estero  consultare  tariffa  pachi  postali,  in 
sempre   le    richieste   ..I   Premiato  Lab 
i  preparati  ^"ervier,  Milano,  via  Passerella,  X.  IO. 

lFSCIROPPOI'AGLIANO 

RINFRESCATIVI)  E   DEPURATIVO  DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto  prof.  Girolamo  Pagliano  premiato  al- 
l'Es'  osi/ione  nazionale  farmaceutica  1891  ed  all'Esposizione 
nazionale  d  e  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  eoa  le  ricette  originali. 
Badare  alle  fals  sulla  boccetta  e  sulla 

atscola  la  nostra  inarca  depositata.  Non  abbiamo  succursali 

NAPOLI.  Calata  S.  Marco,  n.  4. 

la  iji;lli:zz v(l,i.a capkjliàitka 

Mistura  vegetale  assolutamente  priva  di  sali  nocivi. Garan- 

.lisi    Un'applicazione  ;i!   mese   per    ridonare  il  pri- 

re  o  per  correggere  i  capelli  r  «vinati  da  altre  tinture. 

Deposi*     G.  Agnelli,  C    r-  i  S    Celso,  1"  Milano.   1*.  5  la  si 

per  posta  cent.  80  in  più.  >ale  riservate  per  Tap  tintura 


PIPA   MAGICIENNE 

: 
| 

ormai  mondialmente 
■ 
labile  per  la  sua  boti- 
ti a   che 

mente  P 

e  vi  tari 

stificati,  esìgere  su  o 
i  a  la  matea  LEONE  e  2f.   PISETZKY.  Ricercarla 
presso   i    Rivenditori   oppure    spedite  L  3  (Estero  L.  3.50i 
al!i      n  Mlt   !    ;     t  ijpjp   MAURIZIO  PISETZKY 
Milano,  Via  Vittoria,  ifl,  ì  ;,>  Corso  <■ 

e  la  riceverete  franco,  dritta  o  curva  - 

PIPA  STELLA  POLARE 

unica  nel  suo  genere,  di  vera  radica  inglese,  Pre- 
miata con  mei  d'oro,  girevole  in 
tutte  le  parti,  antinico linosa,  con 
apposito  riservatore  (Vedi  dise- 
gno). Il  lumo,  causa  l'interna  co- 
struzione didettapipa,  arriva  fre- 
sco e  gradevole  alla  laringe. 

Ricercatela 

presso  i 
alla    premiata 


|  Rivenditori,    oppure   spedite  L.    3 
:abbrica  di  pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 
I  e  la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 
i  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 


||llillll|||||||||||||||||||llimillllllll!llllllll!!IMII!!ll!llllllllllllll!l|[lllll!ll!llllllll 


,-^ÉSTRATTO  „„> -N 

GLOBO  fabbricante 

Marca 


Per  puiire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLO 


della  Casa  FRITZ 


>g- 


SCHULZ  Jun.  -  Leipzu 

In  vendite  pr  sso  tutti  i  froghieri    a   eent    10  -  15  -  30     Chiedere 
sempre  le  scatole  con  dicitura  italiana,   colla    marca    depositata 
sopra  fas  ia  e  ssa  >•  e  rifiatate  te  se  il   vostro    fornitore    vo- 

lasse dirvi  altra  marra    Per  oro  -  argento  -  sp  echi  -vetri,  a 
Saponetto  <  Globo  >   a  cent.  10  il  pezzo  piccolo  -  cent    15  il  pezz 
Vendita  esclusiva  all'ingrosso  :  MAX  FRAXK  -  MILANO. 


OELM  ^ 


Mu  GRAN  MERCURIO  franti 


fondata  nel  1856 


Orologerie  d'ogni  genere 

li    piti   rìooo  assortimento   <ii 

DZovità  e  fantasia  per  regali 

ARTICOLI    IN    PELLE 

PICCOLI    MOBILI 

BRONZI  E  PORCELLANE  ARTISTICHE 

I^A  AI  I  ».  VI  >  13      UMJTTRICIIE. 


MILANO 

Corso  Vitt.  Eman. 

angolo 

Via  San  Paolo.  N.  2 


1  *WIC^55I 
1^1 


l\    STRANA    COMPAGNI  \ 


in 

i 

1,1  i 
,  i,,    ii 

Bue,    ii  ■    soppoi 

,    di    atti 
,    ie     pi  i   uà       i  he   là   non 

ilo     in    su    e    penoso    \  la 

lo    porto         Mi    di     '.    città    sii 

vi   con    srande   i 

barili  'li  i  e 
nelle   montagne,    giungend 

\ 

m  ,  i3se,   il  suo  ai  i 

ord 
la  fortun  i  ditto  il  pi 

ii     tattica      l'osto  o    tardi 

i  na  sera,  \i  B    idshaw  stava  nella  sola  i  a 

un    manuale    di  Ha 

l.  Era.  iv  A  alp  ira  rea   un  i 

.in,    non  s'era  mai  avventurato    ai 

rta,  il  tempi    a  I   pesava.   Io  non 

li  non  ci  isse  a   rimpian 

in  delitto,   fars a   per  si  rupolo  di   i 

trovava  In  un  imbroglio,  se 
ne 
s ,,,  i   .    ,    .     persoli  Llmenie    si   consl- 

luttavia    il    rispettabili    banchiere    in 

i  tinua  i accia  >i  ass  issinio  non   la 

ira    immaginari     n enden      '  ostretto    a 

.,,,.   i  argentina     i  redi  ndo   m    suo   secreto   sco 
,     ,    era   spaventato   dal    timore   di 

ii unirvi  quali  he  vecchio  nemico  e  di  esseri    i 

d   aveva    una   gran    panni,  tanto   più 

,    un   porto  ili  estradiz 

giuntovi   aveva    sballati    i   suoi  barili   ili 

_  ran  cura  nascosto  il  tesoro  con 

il  pavimento  della  sua  camera.  Que 

litro,  sii  aveva   procurata  un'occupa 

n  ;  napo  consultò   i  orologio   e    - 

vide  'I ra  tórdi    Mise  giù  il  libro,  e  già  si  dispo- 

neva  ad  letto,  non  cosi  soffice  come 

quelli     dell!     Sua    \  '    'li    Ki'iisiiicli'ii,   ninni 

ito  udì  delli    pedate  furtive  nei  cor 

i  ,  i  imera    I  a  i mto  di  pò  la 

porta  si  apri,  ed  entrò  un  uomo  alto,  ili 

bellezza.    Egli    s'inchinò   cortesemente    e    disse    In 

buon  in-1' 

li  slgnoi    Bradshaw,    suppoi 
i        banchiere  fu  troppo  terrorizzato  per  rispon 

_H     presola    ibertà  «li  venire  da  voi,  per  par- 
colo  affare    Posso  sedermi  ' 

—  i  za    aspettare    il    permesso     sedette   sul    tetto 

ffocato,  -i  lasci lei 

sull  dia. 

ntemente  dall  Inghilterra,  credo? 

Bradshaw  tr  u  i  \ i  disse  la  pri 

h.    gli  passò  pel  capo 

-  i  he  i  oli  >■■  da  me  'Noi         pi     o  badar "a 

sto  bene 
iiiiiii  \'"i    arrivasti         1 1    mos    Mres 

Mi  ma  quello   che   devo  dirvi    non 

Innie  di  1  itti 

,  i,.     :  i    quelle  850  mila  sterline  ? 

■  • 

—  i 

qui.  ma   il  \  '  pare  lo  abbiate  vati 

i ,                 tirvi    molto   triste,  La 

in   uni  storia 
Va, o  'li   sentirle 

—  \  li  affari 

i,,  li;,,  nsultan  i  dipendono  da  essa, 

i  .   . 

delle  fate,   un   gii  ac 

ii  un  delitto  '  he  > ave>  a  coi isso    i  u 


i"  «li   spirito    -■    ne 

risi  un     Vndò   nel   i  love  visse   quindici    anni. 

na,  egli  detesta  il  <  Ile  e  li 
mali  de\  e  \  \\  'i  ■■  e  i  uole  i  Itoi  nai  e  in   In   hil 
iena,  dove  unii  i"  odiano    Quello  che  farà  quivi 
lo  [gii   i       egli  i  rede  di   poter  voltare   una   nu 
.  ie    nella   bua    \  ■  oi        i  ri 

i  ita  tranquilla  In  i  ampagna    i  orse  lo  voi  reb 
non  si   sa  .  a  buon  i  onto  qu 
i        ,   m,    pei     [ili  l'ili'  i   anni,   \  ol   doman 

'  -.i    naturalissima,    come   egli    uon Bi 

pratico,    non    lo   riduca    In    atto.    Ed    io    risi... min. 

egli   non   può .   il 

i ha  denari     i  i    della  gente  i  he 

in   tanto  denaro  da   non  sapei    i  he   fai  ne  i  d 
ni'  ha. 
_  (.in    -u  i,    voi,    e    perchè  mi    raccontate    tutto 
i  uan  ite,  se  non  mi     i  lo  farò 

\,,.    i    |i,,i.  te   far   nienti  '        disse    lo 

olerò  estraendo  una   rivoltella         i  ome   stavo  di 

i  ,ii.i. n  i.  quel  giovane,  i  he  dopo  tutto  n in  i  at 

rivo     "  setto,   I.  .  blsog li   abbandonare   la   tua 

\  ita  poco  '■'  Lstian  i   e     tabilirsi    in    Inghlltei  ra     In- 

tunto  egi ii  è  'stato  pi   ro    P  are  I 

i,,i luna,  ha  formato  una  certa  Società,  Il  • 

,    di  accumulare  denaro  con  mezz sti  o  Infami 

essa  è  forse  la  più  potent ganizzazione  ili  que 

enere  i  he  su.  nel  mondo,  «  ira,  sentite  con 
,  ni,,  attenzione  quanto  vi  dirò    Notizie  da  I  i  ndra, 

\ te  alla  Società    11  cui  servizio  di  informazioni, 

i  irvi,    è   soi  prendente  i  he 

imi     ,.,  to    banchiere    molto    noto     si  omp  irvi    con 

■  ,11,111,11  lire  i  a  sua  dimora,  benché  egli  suppon 
che  nessuno  lo  sapesse,  Buenos  Ures,  torri' 
in    quel    porto,    fu    spiato    continuamente.    Fui 

i;  in    due    attentati    pi  r   procurarsi    U    suo   dei   in 

Per  un  incidente  essi   tallii Si    pettando  qual 

che  cosa  sulla  sua  sorte,  egli  andò  a  Valparaiso  e 
prese  una.  casa  in  calle  de  San  Pedi  o    Le  spie  della 

Società  seguirono  i  suoi  movimenti  con  attenzi 

miri   i  ni Ite  piombarono  sull'infelice.  \  i  la 

sci"  immaginare  quale   ne  fu   il   risultato. 

Bradshaw    non    proferì    pan, la     Pareva    paraliz- 
zato. .   .    . 

—  ora.  sentite,  i  sono  .li  quegli  uomini  che 

derubano   un   altro  senza   lasciargli  la   via 

a     \\.'i.'   avuta   una   lupina   occasioni     l'ave* 

■  ,  ,  lata  -.appaiv.  ora   l'ho  lo  e  voglio  metterla  a 
un,,    Voi  non  potete  uscire  vivo  da  questa  i 

e  se  vi  rimarvi'!''  sanai-  uni-i,    sictr  sorvegliai 
de    .a  ed  a   sinistra,  Se  dubitate  delle  mie  pai 
scendili'  nella  via     dopo  pochi  passi  vi  vedete  se 
,  da  un  uomo  che  ha  un  mantello  verde    Siete 

fra  rinculili i!  martello.  <  he  ne  dite  ' 

Bradshaw   gemeva   debolmente,    il   suo  visitatore 
prese  un  mazzi    di  carte  nella  sua  tasca  e  le  gettò 

sulla    i.t,  .,  a 

_  Sapete    che    un. 'ini.,   tare  !    \  oglio    vi  ndi 

miei  i si     in  altre  pai-, .ir  voglio  fare  affai  I 

voi   per  mio  proprio  conto    Faremo  u 

uadagno,  prendo  la  quota  Intiera  ili   .'Mi. min  lin 
lo  ,  he  rimane  'li  essa  e  troverò  la  \  la  pi  i 
i ,,,  mene  tuoi  i  di  casa    Se  vìncete  voi  vi   promi  tti 
.li  aiutan  i  a  si  appare  con  essa     abbiate 

iir  potete  far  altro    Vveti  '  Non 

fate  rum. a.'    '   vi  a  sii  uro  i  he  vi  uci  Ido  dove 

i  ii ..    tagliate  '  .    . 

—  Non   posso  '   Un  uso  '   i  he  diritto  avel 

farmi    tale   richiesta      i  he    i  agione   avete   voi    per 
tradire  la  vostra   fede  '    andatevene  ' 

_  vi  i  "ii.  edo  un  minuto,  e  se  voi  non  tagi 
vi  giuro  che  v  i  brucio  I i  <  ella 

—  Noti  avete  pietà  '  _     .         ' 
_  affatto    i  agliate  '  Benel  Guardate     Ri  gina  ''( 

i  miri   '  , 

—  vvete  fortuna  '  i  b  mia  carta  dovrà  \  In  ere  la 

vi  stra  I  Gran  G roteggeteml  I  Voi   solo  sapete 

,  ome  e  perchè  io'  giuoco 

—  Ri   ili  spade  ' 

—  Ti  ni".    Mi     Hi  adshaw,  .1  a\  en  i    vinto   pei 

,  unto    Se   a-, ,         pei  duto   mi  sarei    ucciso   pi  Ima 
della  mattina    Cosi  il  danaro  ••  mio    -  i  he 


a  prezzi  ridotti 

(Franco   di   porto   nel   Regno) 


OCCASIONE  UNICA 

per  «ccjuisti 

DI    BUONI    LIBRI 

Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Vedi  numeri  antecedenti  della  LETTURA  da  Maggio  a  Ottobre. 


Grossi  Tommaso).  Opere  com- 
plete, grosso  voi.  in  H",  pag. 
328    L.  I  per  .    .     .     L.  1.50 

Remanzo  (il)  di  un  giovane 
povero  di  0.  Feuillet.  voi. 
in-130,  pagine  160,  L.  1.50 
per L.  —.50 

Quattro  anni  fra  i  Birmani 
•  ■  le  t  nini    limit  rofe,    -  i 

■  li  Leonardo  Foa,  ili  da  195 
ti.'  e  'I  i  3  tal  top  'grafiche. 
eleg.  voi.  In  8"  di  pag.  570, 
L-  '■'■  '  >  per      .    .    .    L.  4  - 

La  Corea   e   la    guerra    >  ino- 

Giap  ioi li  E    W.   Hesse- 

Wartego  Tra  li  tt.i  da  Otto 
n>-  i  reLt  ri  con  37  silografie 
nel  testo.  2  :;iv.  a  colori  e  la 
caria  della  Corca  e  del  tea- 
tro della  guerra,  eleg.  voi. 
in-s» .  pagine  278 .  !..  6.50 
pei- L.  2  50 

I  bisogni  della  vita  e  gli  e 
le  enl  i  della  pri  sparita  del 
doti  Giulio  Rengade.  gr.  v. 
in-8  .  pag.  728  con  moli  ■  ili. 
L    7  per L.  3.50 

Ciò  che  le  signore  dovreb- 
bero sapore,  pregiudizi  e 
precetti  Igienici  riguardanti 
la  'vita  fisiologica  della 
'lamia  q  la  prima  età  dei 
bambino  del  dottor  Romo- 
lo Polacco,  eleg.  voi.  in-lt!° 
pag.  210  con  illustr.  L.  2.:,(i 
per L.  1.50 

Manuale  dei  nuovi  medica- 
menti più  usati  in  medicina 
e  in  farmacia  del  dotti  Lo- 
dovico Zambelletti.  grosso 
voi.  in  li!',  pag.  1  us,  L.  ll.òo 
pei L.  3.- 

La  craniotomia  nell'epiles- 
sia traumatica  ilei  dottor 
Guido  Sembianti,  voi.  in-s' 
pàg.  156  lon  ligure.  !..  4.50 
per L.  I.5B 

Antonio  Rosmini  quaranta 
proposizioni    attribuite     adì 

■  M  te-ti  originali  completi 
dell  atti. ire  e  e  in    altri    dello 

s  osso  elie  ne  compiono  il 
«li  Lorenzo 
Moh.  I angelo  riìlli a,  Inter,  v. 
in-8°,p.582,L.8.ì  iper  I..  2.50 
Nuova  Antologia  italiana  ail 
uso  delle  scuole  pratiche  • 
-i"  ali  'li  agricoltura  ■■  de 
gli  istitati  tecnici  compila)  i 
dai  doti.  Giulio  Capone.  2 
voi.  in  'o     co  ;  piess.  pag    't i 

L.  <;  per L  2.- 

Oizionario  dei  Sinonimi  nuo- 
leUn  lingua  italiana  'ti 
Niccolò  Tommaseo,  grosso 
voi.  in-8  ,  pagine  ns5.  L.  1 
per L.  B.- 
Carlo Goldoni  teatro 
di  ili  da  Giacomo  Mante- 
qazza.  ^v.  v.  in-4",  pag.  174. 
L.  io  per     ....     L    5 


Storia  dell'abitazione  uma- 
na dai  tempi  preistorici  Ini" 
ai  nostri  giorni,  testo  e  dise 
gni  ili  Viollel-I.c  line.  gr.  v. 
in  8°,  |'.  316,  I..  1  pei'     L.   1.50 

Geometria  descrittiva  (le- 
zioni 'li'  'li  Ferdinando  ft- 
schieri.  gr.  voi.  in  8  .  pag. 
■192.  con  Iso  incisioni.  !..  8.50 
per L.  4.- 

Oei  remoti  fattori  della  po- 
tenza economica  di  Firen- 
ze ne.  Meli"  Evo  del  dottor 

Giuseppe  Tomolo    voi.  in  s' 
pi:.  820.  I..    1  p.r  .     !..   1.50 

La  Viticoltura  dei  tempi  'li 
disto  secondo  L.  '■.  M.  Co 
Iuniella  comparata  alla  viti- 
coltura razionale  moderna 
del  ilott.  Raffaello  Serna- 
"ii ito  voi.  in  s  ,  pag.  ''0 
L.  3.50  per.    .     .    .    L.  1.50 

Elasticità  la  teoria  dell')  nei 
suoi  principi  fondamentali  e 
nelle  sue  applicazioni  prati 
che  alle  costruzioni  per  Fran- 
cesco erotti,  voi.  in-8,  p 
208  con  2ti  !ì_-    I.  .".  ]icr     L.  2  — 

Topografia  moderna  tratta- 
to teorico  pratico  'li  dell  ing. 
Agostino  Tacchini,  g.  "I. 
in-s-1  ]iaj-.  701;  1  on  L92  ligure 
molte  tavole  numeriche  1..  16 
per L.  8.  - 

Le  abitazioni  architettura 
pratica  alberghi,  case  ope- 
raie, fabbriche  rurali,  case 
civili,  palazzi  e  ville,  per 
l'iog.  Archimede  Sacchi.  2 
g.  voi.  in-s  p.  1094  corredato 
da  471  fig.  e  H  tavole  I,.  'ò 
per L.  15  — 

Elettricità  e  Magnetismo  ri- 
so- ,  tegnologica  Nozioni  fon- 
■  11 1 al i  dell'  elei  trotecnica 
ili.  ila  una  compendiosa  1  spo 
sizione  delle  principali  ap- 
plicazioni nel  l'attua' c'oro  svi- 
luppo di  Rinaldo  Ferrini  g. 
voi.  in--°  p.  536  con  1«9  fig. 
L.  12  per L.  6- 

Movimento  dei  corpi  prin- 
cipi! della  teoria  matematica 
deli  corso  di  meccanica  ra- 
zionale del  prof.  Gian  Anto- 
nio Maggi  g.  voi.  in  s  pag. 
504,  L.    12  per  .     .  L.   5 .— 

I  Fallimenti  tratta/ione  siste- 
matica secondo  il  nuovo  Co- 
dice di  commercio  italiano 
del  professor  Ercole  Vidari. 
2  voi.  in-8"  pag.  960  I..  15 
1  er L.  6 — 

La  Moratoria  e  il  Concor- 
dato preventivo  dell'aw.  Pro- 
spero Ascoli  \ot.  in  s°  pag. 
ani.  L.  7.0  per    .     .     I..  3. 

Ostetricia  minore  lezi 
prof.  Carlo  Minati  vi.  in-s" 
nag:ne  400  con   102   in    -1  on 
L.  8  per L.  2.50 


Vita  americana,  ili  Tullio  De 
Fuzzara  Verdi,  versiune dal- 
l'inglese di  Edoardo  arbib, 
eie  .  voi.  in  [6°  pagine  29i. 
!..  3.50  per  .     .     .    .    L.  1.50 

L'animo  ili  Torquato  Tasso 
rispe  cin.iio  nei  scoi  scritti 
Studio  ili  Felice  Vismara  , 
\"l  i n - 1  . ■•  pag.  li;  ',  !..  2,5  1 
Per L.  1.  - 

La  Rivoluzione  Lombarda 
del  1848  e  1849.  stona  'li 
Vittore  Ottolini  g.  v.  in-16" 
pagi   678    I..     ,5  '  per  L.  2.50 

Il  Petrarca  e  i  Carraresi 
studio  ili  Antonio  Zardo . 
volume  tii-li'i°  pag.  324,  !..  1 
1  er I,    I.— 

Vita  Contrastata.  Psicologia 
sociale  di  Alcibiade  Mone- 
ta, eleg.  voi.  in-ié'  pag.  260 
L.  3.50  per    ...     .     1.    I. 

Fra  Paolo  Sarpi.  studio  di 
Alessandro  Pascolato  con 
fae-simile  ed  appendice  con- 
tenente alcuni  scritti  inediti 
del  Sarpi.  interess.  voi.  in-10 
pag    240.   !..  3,50  per     L.  1.25 

Ues  Foscolo  e  O  Orazio 
Fiacco  .  sttiilio  critico  di 
Gian  Martino  Saragat  voi. 
in  16  pagine  I2J ,  L.  1,5  ' 
per Cent.   60 

Artisti  Lombardi  a  Roma 
nei  secoli  XV.  XVI  e  XVII 
studi  e  ricerche  negli  archivi 
Romani  di  A.  Bertolotti  i 
gr.  voi.  in-IG°.  compi,  p.  772 
I..  s  per L.  4.- 

Genova  e  le  due  riviere  Li- 
gure da  Vantimi!  lui  a  '".ir 
zana,  guida  storico-artistica 
del  prof.  Giulio  Cappi,  voi. 
in-16",  p.  oli  con  numerose 
ine,  pianta  ilei  Comune  di 
Genova  col  l'orto  e  carte  gì  0 
grafiche  delle  due  riviere, 
L.  8.50  per .    .     .     .    L    125 

Storia  tfella  Rivoluzione  I- 
taliana  del  1848  di  Gar 
nier-Pagès.  versione  di  Fran- 
■  sco  V:  aii",  gr.  v.  in-Kl".  p. 
.  0  I..  6  per     .     .     .     L.   1.50 

Cronache  Italiane  dettate  da 
Mauro  Macchi,  voi.    in 

SO.  I..  -'io  per    Crn  .  75 

Le  contrade  di  Londra,  sce- 
ne della  vii  1  inglese  contem 
1  ormici  di  Dton  Boucicault 
traduzione  di  <  '>.  Berri,  voi. 
in-10  ".  p.  572.  L.  :l  per  L.  I.— 

I  tre  regni  della  Natura. 
Zoologia.  Botanica.  Qeologia 
e  Mineralogia  di  Ezio  Co- 
lombo cu  1  molte  ili.  n.  I  t. 
sto  e  tavole  fuori  testo  colo- 
rate. 3  voi.  in-lG"  di  compi. 
pai.-.  1632    !..  lo  per    L.  4  — 

G.  B.  Niccolini.  Opere  com- 
plete raccolte  e  pubblicate 
da  Corrado  Gargiolli.  -  voi. 


pi.  p    ci"   I,.  1  Ì2.80 

per 1.    25  — 

Prati  corani  Giovanni.  Opei e, 
5  voi.  iii-iii",  compi,  p.  1911. 
le   80  per    ...     I..  10.— 

Nuovo  Manuale  dei  Liquidi 
di  M.  Lebeuf.  tradotto  da 
'  :,  Uel  Monto  voi.  in-  I  !  p 
304,   I,.  :;   per    ...      1..    1.50 

Il    Liquorista  pratico,    com- 
pilato sui    pili    recenti    siste 
ini  da  Luigi  Sala.  elea.  -.  ,n 
'       p.  437,  L.    i    per   1..    3.— 

Vinificazione.  Iran. 00  com- 
pleto per  fabbricare  Vini  ed 
Aceti  di  Luigi  Sala.  elei', 
volume  in-16  ,  pagine  285,  L  5 
per      L.  3.— 

Manuale  pratico  di  Agri- 
coltura ad  uso  degli  allievi 
agricoltori  o  dei  proprietari, 

< ipilato  dal  prof.   O.   Cas- 

sella.  gr.  voi.  ln-16°,  p.  598, 
!..  "'  per L.  3.— 

La  vita  campestre,  studi  mo- 
rali ed  economici  di  Antonio 
Caccianiga  .  ili  da  .7  vi- 
e-nette, voi.  in-10",  pag.  370, 
1.    3.50  per   .     .     .     .     L.  I.— 

Francesco     Petrarca.  I 

Trionfi,  secondo  il  Codice 
Parmense  1636)  collezionato 
su  autografi  perduti.  Edito 
da  Flaminio  Pi  llegrini,  voi. 
111  foglio,  pag.  oa  .  tiratura  in 
1  "e  lìssiml  esemplari  a  L.  5 
per L.  2.— 

L'imitazione  di  Cristo  di 
Giovanni  fiersen,  attribuito 
a     f  011111. 1-0   da     Kenipis.     voi. 

in  le,  ■    pagine    11".    1,     1.50 

I  er !..    I.- 

Ff.hiola  "  la  chiesa  del  e  Ca- 
tacomba del  Cardinale  N. 
Wisemann.  :i  voi.  111  :;_"  di 
complessi^ '■  pag  1 16,  !..  l.->  1 
per !..  I.  - 

L'Ebreo  Errante  di  Eugenio 
Suo.  a  voi.  in  32°  coir,  I  pag. 
1785,  !..  5  por      .     .      I..   2.50 

Carlo  Porta.  —  Poesìe  mi- 
lanesi ''il  alcune  inedite, 
voi.  in-32  pae  »70,  con  mol- 
te ili..   I,.  2   |"  1  I.     1.25 

Nuovo  Dialoghista  Italiano- 
Tedesco  compilato  da  Ma- 
na  Uosa  I  ommasi,  voi.  in-32" 
pag.  363,  elee  leg.  tela  e  oro 
1,    3   per.  ,      .     I..    1.50 

PerfeltoOialoghisto.il  Ita 
liano-Francese  voi.  in-32" 
p.  :ìl8  dee  leg.  in  tela  e 
oro    I,    3   pei'         .     .     !..   1.26 

Perfeìto  Dialoghista  il  Ita- 
liano-Spagnolo voi.  in  11" 
pa  •  32  '.  deg.  leg.  in  tela  e 
"io    I  .    .e:,"    per    .      .      L.    1.25 

Canti  Popolari  Slavi.  Greci 
e  Napoletani  di  Pietro  Tu- 
rati volume  in-iii"|  rag.  176 
L.  2.5)  per      .     .     .     L.   0.75 


AVVERTENZE. 


I  suddetti  libri  si  spediscono  franco  di  porto  in  tutta  l'Italia  —  per  l'e- 
-  stero  aggiungere  le  spese  oltre  il  confine  —  le  ordinazioni  inferiori  alle 
L.  5  aggiungere  il  15  opj  in  più  per  spese  di  posta  e  raccomandazione  —  il  doppio  per  l'estero  —  tintici  libri  de- 
scritti sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  assegno  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non  accompagnate  dall'  im- 
porto verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —  lettere  raccomandate  e  cartoline 
Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via  Manzoni,  20,  Milano. 

Compra    e    vendita.    Ingrosso    e    dettaglio. 


IN    STRANA    i  OMPAl  AIA 


P  U  mirili"      qui       I  ' 

.1  ora   Innanzi  chiam 

i"'  iwden,   i  orni Il   la>  uro 

i 
ill'infolii  ■ 

iì...    \i  consiglio  'li   scomparire 

enza  il  i  ri  giuoi  beranno 

i      u         o  poi  terò  \  la  'li  i  asa 

Oh  Dio    Ora  s\  lene  I 

ivuto  essere    cauto    pei 

i  maro  dalla  casa,  senza  attrarre 

i    ei        critta 

lente    una   i  opia   della  quale   noi   ab- 

La  li      ii  parti  dal  <  ile  pei   mezzo 

:  1 1  i    ag  lese   i  aa  cassa  di  va 
itimana  i   e   arrivò   sana   a 

-ni   si accertato  da  un  e 

•  orapagnia  <  1 1  navigazione. 
i  a  \  eneda  che  di  seguire  li 
■  inse  a  farlo.   Egli  era    pei 

li,         |  Milli.         I     , 

o  •  he  i-i  Società    il  cui  nome  aveva  tanto 
li  adshaw     e  <ii  cui   egli   era   membro, 
in  fiducia  in  lui.  e  lasciare  li   i  w 
nte   i-    pei    le    solite    vie   conosciute, 
o   per   risultato    d'essere   preso   e   ac 
io  ai  rivo    i  di  «tini  izio  ae    Rischio  che 
li  >idera\  a   con 
ulto  .i  Bradshaw,  quel  disgraziato,  era   in  un 
non         n \ enturava  poteva  rssere 
ito     mentre   se   si    muoveva  poti 

era  vera nte  da  compiangere    E  gli  man 

iì-  ; i     secchia  ma  sima  : 
penso  a  si 

i    >    ITOLO    II. 

I  na  strana  notte. 

mente  una  settimana  dopo  ^rii  eventi   ri 
ipitolo  in  ei  edente,  Mari  os  \  eneda     e 
indava  lentamente   lungo   la  banchina,    diritto 
■  ii  •    ontana  della  citta.  La  corta  -     i 
ii    piii    corta   da   dense 
privano  il  cielo,  slava  morendo.  I  ag 
i       una  debole  ai 
rima  quasi   dolente  ili   dare 

■   ..    più    vicino   le  casi    e   :  acqua 
i  ime  il  manto  della 
Nelle   \  ie,    beni  né    mancassero   venti 
minuti  alle  sei,  si  vedi  ?ente,   perchè  tali 

i  disoi  dinata  condizione  'li  \  alparaiso  in  quel 
idei    di   la    notte  era 
diventata   un'impresa    non   solo  sniacevole,    ma   in 
■    i   ami   ■      pericolosa 
"■l'i"'    potuto    ni'    mare,    giudicando    dalla 
e  dalia  piega  d< 
he  i  pensiei    d    Veneda  fossero  molto  imi 

e lava.    Evidentemente 

i  .i  era  anche  che 

i  ento   "un   a\ esse  ancora   trovato 

ii    ■   ema  che  lo  cruci  ia\ ;L  da  \ i  n 

li     erità  era  i  he  si   trovava    in    une 

Era     tato   e  itato    a    com 

ipi  ni  una  riunione  del  i  on 

nferire  ci  il   membi  I  e 

potersi    Lmposse:  sai  e   del    te 

i\\ 

Mei  i  di  macchinare  il  suo 

i  a  Informa  - 
ii,|i  issesi ato  ed   aveva 

i  aggiustò 

ili  indimi 
i   d'un   uomo  che  si   sia  ri- 
ci   pi    matui a  considi  \  lora  appunto 
uazzone 

iremo  se 
in  profonda  conosi  enza  con 


1  qu  seri  ni"   parei  i  hie 

d 

■    da>  \  ero   singolare    qui   Lo    Mai  cos   \  eneda  . 

mplesso   di    tali    contraddizioni,    che   ci  sa 

rebbe  da  dubitare    che   i   suoi   amici   intimi    potes 
in    '         Dotato  di    tali    qu 
■    morali,  che  di  rad"  sono  il  i età 
l'uomo,    pareva  un'ironia   del   destino,   ch'egli   non 
potesse   dedurne   II    minimo   vantaggia   reale  i    du 

Odiai "ili  mente    ed    apei  tamente    dal 

cileni    e    appena    tollerato    dalla    Colonia    inglese, 
mi  ii>\  -a    nel    i  ile    un'esistenza    cosi    diversa 

altre,    e e   era    unii  a    la    sua    individualità 

Per  qualunque    altra    persona    sensibile,   tale    vita 

tata    insoppoi  ma      larcos   \  minia 

ireva  dei  d  d  I  illa   sua  esistenza 

e    pare;  a   tanto   più     i   Idi  fatto   quanto   più   di\  en 

abisso  fra   lui  ed  il  prossimi      I 

,  era    una   caratteristica   ch'egli    trattava 

tutti,  grandi  e  piccoli,  allo  stesso  modo;  non  si  pie 

ni". 

i  .  me  egli   vivesse         perchè    non  a\  >-■■■  a    pi 

ii»      i  idrmil     -    ni   -  -un,. 

peva.  Si   vantava  di  non  aver  mai  ricevuto  dei 
da   altri,   eppure  si    sapeva  che  non   aveva   rei 
proprie    Ma  benché  non  dovesse  nii  n 
aveva    i  mpn  denaro  da  spendere  e  quelli  che  ave- 
vano avuto  il   privilegio  di   vedere  il   suo  apparta 

i".    diceva :he    non   era    poveramente 

dato    i  mne  molte  altre  pei sone 
stato  trascinato  nella  guerra  civile  del  1891,  ed  ora 
sapeva   che    le    prossime   ventiquattrore    sarebbero 
state  decish  e  per  lui. 

K    nuli    sul"    pei     Veneda.    ina    per    molti    altri    di 

sgraziati  costretti  a  rimanere  in  Valparaiso  qu 
ii.    il    fatto    dell'indomani    sarebbe   questioni 
Per    gnu     pane  dell'anno,    s'era    combai 
lotta    feroce  tra  le   forze  del   dittatore   B 
ceda    e   quelle    dell'opposizione.    Ora   doveva   avei 
la   battaglia  decisiva. 
R  ilmaceda    ave\  a    i  inforzai  •   la    guarnigioni 
Valparaiso  con  truppe  fatte  venire  dal  sud:  pò 

un'armata    di    KOI  l'I   u ini.    si    era    posto 

alture  sovrastanti  la  città,  pronto  a  combattere 
l'ultima  baita-dia.  Così  stavano  le  cose  la  sera  de 

scritta   ni    principio  di   quest"   capitol ne   già 

dissi.   Mai'"-   Ve la   aveva   preso   il   suo  partito; 

l"  si  poteva  facilmente  scorgere  dal  suo  passo  de 
li    tutto  il   sun   insieme,   nel   sim  sguard 
èva    un'espressione   singolare   di   sfida,    mi 
attraversava  la  calle  della  Vittoria 

\   metà   strada,  -i   ai  :  leggere  un   nu 

avviso  appiccicato  al  muro  S'accorse,  leegenuo 
i  ne  qualcuno  l"  osservava,  alzò  lo  sguardo  e  «I 
trovò  tai  eia  a  faccia  i  on  un  signore  inglese,  ri 

i    fra    i   pochi    rimasti    in   città 
Marci  s  Veneda  tentò  di  voli  -palle  .■  di  >\  i- 

narsela   essendo  que  ti  un   - n  en  imo  nei 

ma    il  veccl  i  lielo  permise, 

'i  nne  per  le  laide  del  soj to 

—  Probabilmente  andiamo  entrambi   nella 
ione,    —    Kli   disse    frettolosamente,    | 

tempo  a   Veneda   di    rimettersi    dalla  sorpresa     In 

questo  caso,    non    abuso   del    vostro   tempo,    se   \i 

do  di   far  strada   insiemi     I  levo  dirvi  una  i 

—  Non    permetto    assolutamente    che    mi    ' 

in    'illesi..   I".    replic  i    l'ali  i  o.   col    viso   alti 

dalia   i  oliera 

—  I  ii   i :i. di     e  tranqui 

mente  il    suo  comp  i  iamo  pai 

le,  fermato  perchè  desidero  di   rendervi   un 
/il.    so  benissimo  che  voi  mi  detestate. 

—  Sari  i  m'bi    —    di 
con                   irda    Veneda          Confesso    pere   che 
non  sento  un  grande  ai •■  per  . 

—  Bene  il   caso  di    discutere  su    qui 
ora                    vi  voglio  dire  è  che  in   ni 
questi,   noi  Inglesi  dovi  i  ire  un  pò  più  uni 
li.   p.                                   ii  eri  i  gli  uni  irli  alti 

i"  issiamo     limi   \  i  pare  ? 
Il  ver, ■pi"  sii/non     le  i  ui  ìnten 
nte  benevole. 


co 


&f~><  ;  sì\jr-VT.  '  r 


^K/r 


^J.2 


: 

+j 

r-ì 

fj 

C^ 

o 

a; 

"U 

.5 

3 

k 

-M 

^ 

</V 

: 

< 

<D 


01 


e 

4 


0$ 


O 

E 

o 


0-8 


£ 


- 

:- 


IN    S  l  RAN  \    l  .(  iMPAi  INI  \ 


.  i  te  p  irole 

Hill. IMI  a.      i    III' 

rdo  degli 
menti  avuti   da  lui 

Urli- 
li'', in  i brusco. 

vi  iin '■  che  voglio 

.    i  Iguai  dante  chi  ? 
P  rd  natemi,    ma    In 
don 

i -.  appogi  'imi 

i  irdù  in  ra<  eia  LI  suo  compagno. 
i  ii  dopp  disse   lentamente,  come 

troia   l'Mini    .ii    pronun- 
ziai E  in  ci  i  :  i  chi 
Bad  ite    i"  '"■   a    qui  Ilo   che 
tenervi  come    responsabile 
'  caute    provò    una    specie   di    males- 
lava  (  erti  episodi   del   passato  ili   Vene- 
nelle  sue  annali  circostanze  non  lo  rassi- 
iv  ano  punto. 

ve    la    pi  aro  mio  -    s'affrettò    a 

per  puro   vostro   intei  i 
Si  mormora  che  vi  tate  il   piede  ni  due  staffe 

he  mentre   \  i    professate   con  noi    >  ome   att  l\  o 
oppositore,  in  ete  in  rapporti  coi  pari 

ni  ili  Balmaceda   In  altre  parole,  che  voi  vendete 
in.  ■  ; i  al  nosi i o  nemico 

imi  in-  ■     disse  \  eneda       posto  che 

'  In'    altro    dicono    i   vostri 
ani 

lente,  essi  dicono...  Ecco:  se  il  nostro 
parili.,  vince  domani,  cosa  chi  sembra  quasi  cer- 
ti. '■  voi  rimanete  nella  città,  min  darei  cinque 
sniii  vite 

—  E   pei    mia  mi   dite  voi   tutte  qui 

desidero  di  mettervi  in 
guardia  i  perchi  noni  stante  il  vostro  numi'  spa- 
■aiuolo,  tutti  sanilo  che  voi  siete  Inglese;  e,  rome 
vi  di  di  i'i". in.  fare   il   possibile   per 

aiutai  -   'i    quesl    tempi.. 

Il   rimbombo  del  ut        a    portato  dal 

venti..  Nell'udirlo,  I!  mercante  si  agitava  Inquiete 

—  i  :  Bea  ciò? 

ili  a  che  domani  si  decideranno  aweni 
menti  più  importanti  che  la  in  -  tra  ami  tzia    Ecco 

i    una    strad  i  .'    Allora. 

rio  trattenuto,    il 

prosi  '     ..'~ii  .i.i.i  \  erso  sini- 

indo  (n  scomp  irso,   \  etned  i  s'incamminò, 

i ii.   -i  guad  i.-'ii.i  nell'a- 

■  .1  '    le  donne    Si  no  stato  un   idii  ita    ad   immi- 

.'..     u  i .  i    dovuto    Min 

prendere  ch'essa  mi  avrebbe  tradito    Non  importa, 

il    denaro  •    andato  in    Inghilterra,    e  se  riesco  a 

Ma.  Uni  ..'  ,i  .•  ad  ai  cordarmi  con 

in  li  bai 

Ha  'i  il      In  uni  a     avi  •--•■     gualche     SO- 

' 
i      in  que  eh 

mini  senza  volgere  a   de- 

nto metri    i  re 
a.  ii.i    chiusa 

luto     \ I . 

.   entrare  o  no 
. . .   dell  . 
lai  ii  erta,  ed  un  vecchio  con  una 

imi.,    fuori, 

'  • 
Vvi  il  -ih me,  iii.i ii  in i  \ e  Interro- 

olse   alla 

i  ■  iamo  qui  qui 

P  losi      \ /  Il  lui 

—  I: 


i\  \  ii  Inai  i  i        cina  nella  p  irte  si- 

nistra della  corte  .  atti  i\  er  >ure  trapelai  a 

una  viva   luce    I lai  di  dentro  * enh a  un  inorai 

voci  che  cessò  come  per  Incanto  qu  indo  il 
vecchio  picchiò  alla  porta.  Dopo  un  istante,  Vene- 
da  era  nella  e  binerà,  si  asciuf  ava  II 

sforzava  ili  assuefa      I  suol  occhi  alla  luce  di 
uni'  ola  ih  ferro  app  sa  alla  p  it 

Era   una  |.i. .  ola  e  intera,  senza    mobilio,   ti  unir 
una  tavola  rustica  ed  una  sedia  o  due,  ■    sud 
all'ultimo  grad      i    tri    uomini  che  Veneda  sapeva 
■  li    trovarvi    parevano  aspettare    il    suo   arrivo.    SI 
bbe  però  dubitato,  a  giudi,  ai  e  dall'espres 

del   loro   volto,  se   fosse utenti   o  seccati   della 

sua   puntualità. 

Beni  li.'    i.  -  sei  o   i   capi    della    m  Lstet  ios  i  asso 
rione  che  aveva   tanto  spaventato  Bradshaw,   essi 

i  u\e\  ni"   nulla    ili    intei  ess  inte, una 

ni"  ni    I l'ai.i. is    Varga     •     losi    Nunez   erano 

semplicemente  cileni  della  i  lasse  media,  ma  i  in 
e,  John  Mai  kiin.  era  un  uon  i  dinarlo. 

Fra    le    altre   particolarità,    egli    era    un    all'ino 
dal   tipo  imi   pronunciato,  col  corpo  più   picei 
la  testa  l'in  grande  i  he     i   pc    a   i edere  in  un 
sere   umano .    le  sue   bi  ai  •  la,   i  ome   quelle  di  un 
babbuino,  erano  tanto  lunghe,  che  le  dna.  quando 
egli  stava  in  piedi,  potevano  toccare  le  gambe  sol 

i"  alle  ginocchia  Le  guancia  era lor  di  ri 

gli  occhi  rossi  come  quelli  ih  un  coniglio  bianco, 
i  capelli  sottilissimi,  aggiungi  a  queste  partici 
ina  la  sua  voce  di  uno  stridulo  falsetto  e  l'abitu- 
dine, quando  egli  si  eccitava  di  rar  scricchio 
le  nocca  delle  dna  l'una  dopo  l'altra,  abitudine 
che  alle  volte  diventa  una  furberia  per  sconcer 
tare  gli  altri. 

Per  quanto  se  ne  diceva,  la  sua  storia  era  ni. aia 
di  avventure  e  meritava  di  essere  indagata.  SI  sa 
peva  da  mi  stesso  che  era  nato  a   Exeter,   in    in 
ghilterra,   e   che  m  quella   ruta    suo   padre   aveva 
tenuto  una  scuola  per  i  figli  di   piccoli  mercanti. 
\  dieci  anni  il  giovane  Macklin  era  stato  ammesso 
fra  i  ragazzi  del   coro  nella  cattedrale,  ma  per  n 
suo  aspetto  e  per  il   suo  carattere   insopportabili 
ai  suoi  ci  mpagni,  egli  fu,  dopo  un  mese,  accusato 
di    qualche   mancanza    e    licenziato    Ignominii 
mente    Questa  circostanza   non  servi  che  ad   ina 

spiare    la    Mia   già    perversa    natura. 

\  diciassette  anni  era  divèlluti,  scrivano  di  un  a,\ 

voi  ii"  a  Bristol  e  a\ e\ a  1 1 mtinuato  I al  \ entun 

anni,  dopo  di  che  si  perse  la  sua  traccia    SI  i 
per.,  ehi-  per  la  maggioi   parte  41  quel   tempo  - 
scontasse   una   inaia   in   prigione   per  inule,   ed    i 
tanto   più   probabile  che  fosse  cosi,    perchè  sì  sa 
che  appena   riapparso  nella  egli   s  imi. 

per  i  america 

i  a  narrazione  delle  sue  gesta  al  di  là  dell'Atti 
ini.  sarebbe  interessante,  non  foss' altro  per  la  sua 

i  ■        re    a rra    i    trenta   e   i   treni  ttre, 

esercii lite  pri.fessi.ini.  fra   altro  .niella  di  ter 

razziere .    ladri,    di    libri .    agente    di    i  ompa 
immaginarie,   figurando  anche,   In  un  oscuro  mu 
seo  di   >an    Francisco,    comi       i  uomo    selvaggio 
della   \n"\  a   i  rulnea    .   man   Landi    carni       uda  in 
una    gabbia    e    ringhiando    al    pubblico   dietro    a 
sbarre  di  feri  o   Poi  emis  rò  nel  Messico,  ove 

'  ondUSSe      una      9\  aiaala     BSiSl me     USUI  I  il 

.  .  ie —  di  lotterie,  diretto  e  di  luo 

.     .     upposto  capo  di  una  Panda  di  ladri    Quando 

il   Messico  i gli  offri  i Bi  a 

silo,  e  di  la  nel  Cile,  ove  si  era  dato  agli  altari  che 
:  i    ttono  a  questa  sti 
Veneda  h  gu  irdò  uno  ad  uno  prima  di  pai  I 

ini.  si  fermò  più   a   lungo  sui   volto 
di  li  albino,  al  .male  Indirizzò  11  I  i    Finse 

di  non  vedere  Vai    as  e  N z,  i 

Mi  SSi 

—  Ebbi  '  egli  disse  entrando  in 

sipni  .  ne.  voi  siete  il  pei   non  dir 

altro     A     '  I tnione     inaM.iell.ala  '      v. 

alni   affari   più  Importanti 
semina   sempre  che   voi  .  •  iminclò  Nunez 

Pi  ego.   la.  ete         disse  l'albino  sogghignando, 

—    voi    f  ite   pi  mpo  ali  onori  \  ole    signore 


PILLOLE  FATTORI 

di  CASCARA    SAGRADA 


l*£iClÌO£»lÌ     nel 


ASTRICIS 


Pillole    Fattori.    —    Nel    vasto    campo    delle    forme    a   fondo 
dispeptico  intanale  queste  pillole  riescono    provvidenziali,    e  possono 
tarlo  specialmente  quanti,  mercè  l'uso  di  esse,   poterono  riacqui- 
stare in  breve  l'appetito,  il  benessere,  la  regolarità  delle    evacuazioni. 
Corriere  Sanitario  di  Milano  del  4  agosto  1901. 


. 

10  anni 

di 

continuo 

successo 


10  anni 

di 

continuo 

successo 

TJ£r 


Scatole  il  i  1  ''  2 lire  dai  Chimici  (J.  Fattori  &  ('.,  Via  Manforte,  16,  Milano. 
1  Rivenditori  devono  rivolgersi  esclusivamente  a  Tranquillo  Ravasio,  Milano 
depositario  di  tutte  le  Acque  Minerali.  Specialità  .Medicinali,  Marsala  Engham  o 
Italia  Termale,  Via  Dante,  ti  —  Milano. 


ili 


IN    SI  KANA    I  OMPAl  >N1  \ 


•       ilglio 

Ni  -     'pi :i  hi 

il  i  da  sbrl- 

-  del  tumulti    i  potremo  torse 

■ 

il  i  onsiglio  cominciò 

di    e  l'albino  ci 

\  i   sono  delle   lettei  i    Impi  i 

i  esami]  in     Ecco  una  lettei  a  da  i  or 

.  come  il  giorno  13  maggio,  i 

Società 
dall'Inghilterra    i 

i     i    :   pei    i  ittà   del   i  apo 

missionai  lo  (    si   Iscrisse  per   la  tra- 
dì   Blan  :        Si     mi    per ttete 

direi  'li  a\  vertire  i  nostri  agenti  di 

le  peri  he  \  adano  ad  Ine are  Mr. 

,. 
a  massima  vi  ocità  per  occuparsi  «li  que- 
i    ir ov  ati  ' 

\  altri    a-s.-r.ti ti»,    l'ali )    fece    una   an 

■     3C    un'altra    le 

la  Budapest    Ci   [a  sapei  e  i  he  il 
Giulii    Kai  linska    lasciò  Quella 
u   ni     poi  tandi    ci  n  sé  una  somma  equi 
Li-tenente  ai  suoi  i 

redi    dii   ti Australia,  e  si  è   pò 

ciai       '. ■      a  i ' Said    I  la  in 

elusa    i  he  cosa  volete  fare  al  riguardo  del  si 
Karlii 

i  il  primo  a  dai  e  un  -  uggei  ìmento 
Con  di   comunicai  e    ì  affai  e   al    n 

Mi  Ibourm    e  'li  mandare  suini. 
ene 
Chi  c'è   in   liberta   ai   presente  '         domandò 

l'uni,.  Valdoz,   Shlvalofl   e   Maundei 

se  Man  i    i  lapo  :    tra    le   donne 

\i   i  i,i   Darnée  e  .Inanità  \  ildoi 

inani:  i  '  Proprio  quella  i  he  che  ci  vuole,  man 
lissi    \    neda 

Impossibili  I  Ci    n'è   bisog mi. 

li    mandò   un   lievi  di   delusii 

VII  ora  mai  i   Darnèe,  —  propose  Vargas, 

troverà  i  meglio  di 

altro. 
i     i  ui  >to  il  vostro  desiderio,   signori?  —  do- 
-ni. ntp. 

.il   sì. 
io.  allora  la  Darnée  andi       I   i 
1 
\  ened  -  ebbe  un  liei  e  sussulto,  cosi  lie\  e  chi   . 

:  Viano. 

'    I 


Il  nano  «li  gettò  uno  sguardo  cari»  hiac 

disprezzo. 

—  Via,  egli  disse  con  collera,  che  gusta 
.  .  t  veni)  ai  lai  mi  ci  edere  che 
.  i  li-  i  .li  raccontarvi  tutta  la  storia  da  capo  ' 
Sapete  benissimo  quel  lire. 

—  Suppi  "  ..  che   intendia  i    di  quel   pi 

diavi       d    '    banchiere  inglese  Inseguito   in 
di    San  Pedi  o 

—  Voi  supponete!  Sentite,  Marcos  Veneda,  per- 
.  he  \  uh  te  perder  tempi  i 

—  (  ome  potei  o  pensare  a  che  i  osa  allude\ 

\i  i    i    ii  he  slamo  su   questo   argomento,    ho  qual- 
i     dirvi,  Macklin    Non  vi  pai       hi     l  pò 
tiri.ii.  dare  a  quel  disgraziato  l'opportunità  di  met- 
imi    in   salvo  la  sua   po\ era  \  ita  '  Da  quel  eh 
igli   è   già   abbastanza   spaventati 

—  Non    .    ■  qui    '"    vostro    gii  i  • 
ri'  io. 

L'albino  ' ■   i  ua\  ano 

Ba    a,  rido   veneda   "   >  ■  «  >  f  ^  - 1  <  >  ,i 

liia  I  ■  '    Non    voglio   '  -•!   ila    un 

gì  1 1 1 1 1 >■ .  ili  sudii  i  birbanti,  rumi. 

Le  ri  >a  ce:    ari  no  e  I  albino  ne  approfittò  per  1 1 
ii  iii.ii i-  agli   affari 

—  Domani,  qualunque  esito  abbia  11  combatti- 
mento, vi  sarà  annullili,  imi  nelle 

Sarà   una   i a   - pei    i 

—  E  i-ili  doi  ia  i  ompii    i  .  pei  a 

—  Dei  iderà    la  sorte 

—  Ma  siete  voi  certo  che  non  sia  fuggito,  o  che 
la  cosa  n  pi  .  ia  già 

tato  via  ? 

—  ("ih  '  no,  ii".  amico  mio .  come  voi  b  n   sap 

i  casa  fu    .  ■  -.  '     lata     ii  imo  e  m   ..    dal  un 

il-   egli   entrò   di    soppiatto   in  i  ittà     No,    noi 

abbiamo  prese   tutte  izioni  :   nessu- 

no vi  è  Mitrai. i    Non  si  è  al 

sicuro    B               bb  er  un   uomo  ben 

pei    '     ".    ai   inganna 
Veneda  res li  nuovo.    Vveva  passato  un  brut- 
to momento:   ma  si  rallegrava  ili   non  essersi  tra 
dito,    e   'li  avere   nello   stesso   tempo   saputo   tutto 
uni    i  he    i      derava     Le  domande   che   stava    per 
[are  Man.    solo  allo  scopo  di  al 
spetto   che    Li    suo   contegno  potesse   aver   destato. 
i    quando   il  denaro   sarà    ru 

—  Sarà  diviso  qui,  sul  posto;  e  quando  ciascuna 

avrà  rice\ uto  la  sin   paiir    p e  le  tende, 

e  andare  al  diavolo  dove  .~  1 1   piacerà» 

—  A  quanto  credete  voi  i  he  ara itera  "  Ri 

datevi  che  il  veccl te  ha  già  avuta  una  buona 

pai  te  per  sé 

—  Quante  altre  doi  intendete  di    fare  '  Si 

'  -  odo    i    nosl  -  duei  inquemila 

i  i  line     \  i  basta 

—  Ooasi.  quasi.  Ed  ora.  se  i  è  ani  ora  qualche  al- 
tra    osa,   sbrighiaim  ci     Ho  affari   in   città 


confi 


^-^^a&SSÉ&j"-**-- 


Anno 


Nvav12- 


•La -Lettura 


Dicembre 


RIVI5TÀ-ALN5ILE 
DEL-rORRlLRE- 
sjDElXA"5E.RA- 


SUL     VESUVIO 


|a  bionda  e  pallida  signora  americana,  che 
il  caso  per  mezzo  della  Compagnia  Cook 
mi  aveva  posto  di  fronte  nella  vettura 
allo  scendere  dal  Vesuvio,  non  sapeva  darsi  pace  di 
non  aver  assistito  ad  un'eruzione  in  piena  regola  : 
sporgendo  la  gracile  persona  sull'orlo  slabbrato  del 
buio  cratere  ella  aveva  veduto  salirne  soltanto  una 
colonna  di  fumo  grigiastro  che  si  confondeva  con 
la  nebbia.  Ella  non  aveva  schiuso  le  labbra  che  a 
rari  e  freddi  monosillabi  durante  l'ascensione,  vol- 
gendo attorno  gli  occhi  stanchi  e  quasi  indifferenti, 
dapprima  sulle  luride  vie  della  spiaggia,  poi  sui 
magnifici  frutteti  del  declivio,  e  più  su  sull'improv- 
viso pittorico  deserto,  nero  e  cupo  di  fronte  al  riso 
dellincantevole  paesaggio.  Anche  l'ultima  ripida  sa- 
lita del  vertice  e  la  visione  della  fumante  bolgia 
dantesca  non  le  avevano  strappato  una  parola  di  me- 
raviglia o  di  commento:  soltanto  forse  il  generoso 
lacryma  C/iristì,  bevuto  ai  piedi  del  cono  terminale, 
era  riuscito  a  renderla  comunicativa  nella  discesa. 
—  Il  Vesuvio  era  quasi  la  mèta  del  nostro  viag- 
gio —  diceva  ella  additando  con  un  gesto  quasi  im- 
percettibile il  marito,  allontanatosi  un  istante  col  pro- 
posito di  cogliere  il  più  bel  grappolo  d'uva  lucente 
nei  vigneti  non  inghiottiti  dalla  lava  ;  —  da  tre 
mesi  ci  aggiriamo  tra  le  meraviglie  artistiche  e  le 
rovine  della  vostra  vecchia  Europa  e  ne  abbinino 
affaticati  gli  occhi  e  la  mente.  Siamo  giunti  a  Na- 
poli l'altra  sera.  Affacciandomi  al  finestrino  del  tre- 

La  Lettura. 


no  immaginavo  di  vedere  la  vetta  del  vulcano  ros- 
seggiante come  la  dipingono  alla  nostra  fantasia  i 
quadri  e  le  cartoline.  Un  debole  pennacchio  di  fu- 
mo, imbiancato  dalla  luna,  si  profilava  sul  cielo. 
Era  già  una  delusione.  L'idea  di  salire  fin  quasi  alla 
cima  della  montagna  infuocata  con  la  ferrovia  mi 
era  parsa  più  attraente  delle  ascensioni  in  funicolare 
o  in  cretnaillhe  sui  dirupi  della  Svizzera:  ma  nella 
sera  lunare  la  montagna  aveva  un  aspetto  mite  e 
modesto,  senza  alcun  riflesso  sanguigno.  Mi  atten- 
devo di  vedere  almeno  le  fiamme  ribollire  nel  fondo 
del  cratere:  avrei  creduto  invece  di  essere  sul  Righi 
o  sul  Tilatus  quando  la  nebbia  fuma  dai  burroni  cir- 
costanti. Cosicché  imbarcandomi  domani  sera  per 
Nuova  Vork  dovrei  ricordare  della  gita  soltanto  le 
noie  e  le  cattive  impressioni:  per  esempio,  hi  vista 
degli  accattoni  lungo  la  via,  più  numerosi  e  impor- 
tuni di  quel  che  non  lo  dica  il  Baedecker.  Avete  ve- 
duto stamane  come  stavano  appostati  ad  ogni  svolto, 
ad  ogni  angolo  per  attendere  ad  una  ad  una  le  car- 
rozze al  varco  e  inseguirle  protendendo  i  moncherini 
nudi?  Alcuni  perfino  si  strisciavano  carponi  ((nasi 
tra  le  zampe  <lei  cavalli,  che  debbono  probabilmente 
convincerli.  E  dopo  gli  infermi  erano  i  monelli 
strillanti  che  volevano  una  moneta  di  rame  per  un 
mezzo  miglio  di  capriole  o  una  frotta  di  suonatori 
che  chiedevano  una  moneta  d'argento  per  un  mezzi  p 
miglia  di  canzonette.  Forse  agli  Inglesi  gli  accat- 
toni sembrano  una  nota  caratteristica  del  paesaggio: 

67 


io58 


LA    LETTURA 


ni   t.iiin 

Pei  fottuti  le  impressioni  so 

;  sor]  resa  ni  1  con 
.  teneri,  luridi  i  fichi  del  Vesuvio  «In- 
ni Ài  sch  secchi 


ni  inuava  la  sigm  ira  i  on 
Li  loquacità  inglo-sas 

transatlantici,  cosi  diversi  dai  i"i"  cugini  d'ol 

-  mpleta.  1 1 
rasto  i  ra  la  montagna  desi  ilata  e 

omparabilmen 
te  bello    I  ■    pendici  so  rte  di  i  rutteti  come 

una  u-rr.i  promessa;  vedete  come  i  grappoli  i 

■  pii-m,  lucenti.  Ma  ad  "uni  tratto  le  nere  colate 
•  li  lava  si  insinu. inn  nelle  piccole  vaili  come  un  si 

■  -il  maled  più  su  si  apre  l'immensa  di- 

- 1  brulla,  come  un  mare  in  tempesta  pietrificato. 
che  mi   ha  ricordato  le  più  desolate  regioni   nere 
della   mia    Pennsylvania.    Sol   che  qui  levando   lo 
1     ivete  innanzi  il  meraviglioso  spettacolo  del- 
la  lontana  imi  ita  sulle  colline,  cur- 

va intorno  al  man-,  coronata  da  lungi  da  monta 
e  da  isole   E'  un  piacere  nuovo  e  stranq  l'ammirare 
un  belliss  o  Borente,  da  una  landa 

rile:  rome  dire  che  -  come  l'innestare  la  poesia  più 
dolce  ad  una  tragedia.  Vi  ho  |  orlato  dei  suonatori 
ambulanti  come  'li  accattoni  importuni:  ma  la  mu- 
riella loro  piccola  orchestra  era  deliziosa  in  mez 
I  verde  e  al  profumo  dei  poggi  al  limitare  della 
zona  de\  i    lassù  al  ristorante  della  Funico- 

lare, si  faceva  colazione,  uno  sciancato  che 

o  sul  piazzale  cantò  con  una  voce 
llante  di  tenore.   Era  una  canzone  napoletana 
he  per  noi  (pur  troppo,  a\  rei 
voluto  interrompere,  lo  sanno  gli  italiani  che  hanno 
udito  miagolare  l'eterno  Funicoli,  Funicolo  ila  una 
e),   ma  io  dimenticavo  lo  sciancato  per 
ire  soltanto  la  dolcezza  della  su  i   voce  e  imagi- 
navo  per  ogni  paróla  delle  canzoni  un  signifii 

nelle 

le  mi  davano  l'idea  dell  i  i    sale  e  trionfa 

.■nelle  dove  regna   la  desolazione.  Voi  avreste  ere 

duto  ehi-  soliamo  1  Ila   ripidissima    lei 

bbe  d<  '\  UtO  danni  una  simile  impri 

E'  vero:  i  noi  sappiamo  cogliere  le  forme 

;     che  ]  no  la  vostra  i  antasia.  I  '.<  - 

mi   sono    fermai.'    anch'io   sorpresa    e   pensierosa    in- 

.  ■  i   i  ;  i     sboo  ial  i  tra  due  bloc- 
la  lava  o  n  li   figure  biz- 
<•■  'in ■  irsioni  mi  ha 

abbattul  i  con  le  radici  all'aria. 
bili  alla  bellezza  i    alli    suf 
nelle:   salendo  or  ora  attraversò  la  nebbia 
'  ■    rno   dia  vetta,  mi 
ne  di  un  ; 
ulla  distruzione  di    Pompei. 
'   ': 

■  >•  i  una  fi  Iella  pianura  e  del  m 
re  1. intano.   | ,a  nel  '      ma  dal  ci  n 

Idi   e    dal  IpOti    di    z 


dete  voi  che  io  abbia   prestato  attenzione  alle 

parole  sconnesse  e  incomprensibili  delle  guide  o  al 

cicali  mopolitO    dei  li     di     viaggio.- 

avo  allo  strano  piacere  di  visitare  per  diporto 
quel  luogo  di  morte  e  di  distruzione,  pronta  ancora 
a  seppellire  le  nuove  i"i I  arte  e  di  vita  rifiorite 

LOÌ   piedi  sulle  antiche  rovine,  e  ricordavo  la  sor- 

ie  di  quei  miei  compatriotti  che  una  trentina  d'anni 
■■  i"  •    ii   biotti  re  dal  mostro. 
E  la  Inonda  signora  avrebbe  continuato  se  ad  un 
nano  lo  scalpitio  i  ra  aroso  dei  cavalli  sul  las 
catodi  l'urtici  l'on  avesse  coperto  la  sua  voce. 


Ella  sarebbe  rimasta  più  soddisfatta  della  sua 
a  se  il  marito  taciturno  e  mingherlino  losse  stato 
più  sollecito  nel  condurla  in  giro  per  l'Europa.  Cin- 
que "sei  anni  la.  incontrandola  sul  Vesuvio,  l'avrei 
avuta  a  gentile  compagna  di  un'escursione  più  av- 
venturosa e  più  rispondente  alle  sue  segrete  aspira- 
zioni. Ma  allora  non  avevo  trovato  sul  mio  cammino 
ini   i  ispettabile  cop  se:    la  matrona  co- 

ii-v.i   dovuto   terni. irsi   a  mezza  via  pei 
gli  asinelli,  sulla  cui  groppa  bisognava  trave 
i  campi  di  lava  che  avevano  distrutta  la  strada,  pie 
gavano  sotto  il  suo  peso.  In  compenso,  curvo  sopra 
un  torrente  di  lava,  mi  era  apparso  un  curioso  tipo 
di   vulcanologo,   dal   largo  cappello  nero  di   paglia, 
con  un  grosso  strato  di  polvere  rossastra  sull'abito 
professorale,  con  le  scarpe  semiarse.  Aveva  il   viso 
abbrustolito  dai   riflessi  torridi  della  lava  che  Si 
deva  lenta,  flessuosa,  traditrice,  ricoperta  da  una  sol 
lile  crosta  solida,  con  un  sordo  e  continuo  crepitìo 
di  bollicine.  Era  l'abate  Mercalli,  fido  discepolo  del- 
lo Stoppani.  che  da  parecchio  tempo  si  aggirava  co- 
me un  innamorato  sulla  montagna  per  sorp 
i   misteri.   La  montagna  attraversava   wii   pitton 
periodo  di  convulsioni':  a  sera  la   folla  si   radunava 
sulla  spiaggia  di  Mergellina  per  contemplare  la  vet. 
i.i  elie  pareva  ardere  come  un  vastissimo  bracete. 
Da  una  larga  fessura  squarciata  nel   fianco  quasi 
perpendicolare  della  cima  fluiva  tuia  lar^a  con 
di  magma,  incolore  di  giorno,  incandescente  di   i 
le.    che   si  rompeva    in  mille   rigagnoli    aprendosi    a 
ritaglio  sull'ampia  pendice  boscosa  rivolta  ad  oc 
ne.  di   fronte  a  Napoli.   In  pi  nane  sul 

del    torrente   principale   si    era    formata    una 
ri  i  mostruosa,  dai  riflessi  di  rame,  tempestata  di 
macchie  gialle:    pareva  un  mucchio  secolare  di   de 
di  una  immensa  fonderia..  11  vulcano  accompa- 
opera  di  distruzione  con  un  concerto 
di  l'oiii  intermittenti:  l'apertura  del  fianco  non 
Priva  mi"  sfogo  bastevole  alle  ribellioni  interne.  Il 
i  iti  re.  che  allora   aveva  un  diametro  di  circa   due- 
llici ri.  ribolliva  come  una  caldaia.  L'abate  vul- 
cani 'I'  'U".  che  salendo  sulla  vetta  si  era  chinalo  ogni 
'ano  .id  ascoltare  il  brontolìo  sotterraneo  attraverso 
gli  spiragli  delle  minuscole  solfatare  ed  a  raccoglie- 
re con  sollecitudine  ciottoli  d'ogni  latta,  si  era  tra- 
i.to  innanzi  al   grandioso  spettacolo.   Ad  inter- 
valli regolari  la  cplonna  full  di  vapore  ac- 
queo che  erompeva  dal  (ondo  dell'imbuto  si  s<|uar- 


SUL    VESUVIO 


io5o. 


dava  rotta  da  lingue  immani  ili  fuoco:  con  fragore 
assoldante,  pauroso,  una  massa  cupa  roteante  3 
tava  in  alto  tra  le  fiamme,  scompariva  nella  nube 
sovrastante  a  qualche  centinaio  di  metri:  dopo  po- 
chi istanti  una  grandinata  di  pietre  come  una  sca- 
rica accelerata  di  fucileria  crepitava  sulle  pareti  e 
sull'orlo  del  cratere.  Un  pacifico  mercante  milanese 
che  cedendo  alle  insistenze  della  guida  aveva  osato 
avventurarsi  fin  lassù,  al  primo  indizio  di  imminente 


colare,  egli  scomparve  giù  pel  ripidissimo  declivio 
in  mezzo  a  una  nube  di  polvere  nera  come  il  car- 
bone. 


11  «formidabil  monte  «  mi  è  apparso  lo  scorso 
mese  in  un  periodo  meno  imponente,  tra  la  nebbia 
fredda  e  capricciosa  sbattuta  dal  vento  e  dilla  bu- 


Conopidio  di  vita  esplosione  centrale  con  vapori  bianchi  emessi  da   un  crepaccio 
Fotoaraftti  presa  il  13  maggio  1000  dal  prof.  II.  V.  Matteucci. 


eruzione  se  l'era  data  a  gambe,  sprofondando  nel 
terreno  polveroso,  con  una  serie  di  eloquenti  interie- 
zioni dialettali.  La  profonda  bocca  che  vomitava 
fiamme  e  pietre  si  inabissava  nella  parte  settentrio- 
nale del  cratere,  le  cui  pareti  ivi  scendevano  quasi 
a  picco:  a  mezzogiorno  il  cratere  aveva  un  aspetto 
meno  terribile,  poiché  a  pochi  metri  al  disotto  del- 
l'orlo si  stendeva  per  un  largo  tratto  una  conca  ac- 
cidentata che  affascinava  l'imperterrito  abate.  Ma 
ad  ogni  nuova  eruzione  la  pioggia  si  faceva  più  fit- 
ta :  bisognava  rivolgere  il  naso  all'insù.  per  evitare 
con  rapide  mosse  della  persona  i  proiettili  più  mi- 
nacciosi, e  la  ginnastica  non  era  né  piacevole,  he  ras- 
sicurante. Un  sacrificio  alla  scienza  non  sarebbe  sta- 
to molto  utile,  e  forse  soltanto  per  questa  considera- 
zione il  vulcanologo  si  decise  ad  allontanarsi,  dopo 
aver  dato  un  ultimo  sguardo  al  cratere  ribollente  che 
sapeva  destinato  ad  una  metamorfosi.  Ma  invece  dì 
assidersi   comodamente   nel  carrozzone   della    Funi- 


fera  come  se  il  Vesuvio  fosse  sorto  in  mezzo  alle  Al- 
pi e  tra  il  fumo  asfissiante.  Ma  fu  non  piccola  sor- 
presa il  trovarlo  dopo  alcuni  anni  ingrandito.  Sul 
piano  del  vecchio  cratere  si  è  formato  un  cono  alto 
e  sottile:  il  nuovo  cratere,  assai  più  piccolo  dell'an- 
tico, ha  la  forma  di  un  imbuto  quasi  regolare: 
l'orlo  ne  sembra  quasi  più  fragile  e  malsicuro.  Vi 
si  ascende  per  un  sentiero  incerto,  diagonale,  calcan- 
do profondamente  nella  polvere  densa,  instabile,  af- 
faticante come  la  neve  farinosa  nelle  salite  alpe- 
stri, ambo  le  piote,  secondo  il  ricordo  dantesco  evo- 
cato da  un  dotto  giudice  tedesco  che  mi  precedeva, 
serio  e  composto  come  se  avesse  dovuto  pronunciare 
una  sentenza. 

E1  da  un  paio  d'anni  che  la  montagna  si  è  innal- 
zata di  un'ottantina  di  metri.  La  sua  cima,  del  resto, 
è  di  frequente  soggetta  ai  capricci  delle  forze  endo- 
gene. Essa  era  crollata  nel  1891.  scomparendo  negli 
abissi  interni:   la  bocca  aveva  la  profondità  ili  due 


Il  1(111 


LA    LETTURA 


li  .mni  Bue-cessivi  il  bacino  termi- 

■  j  et  la  lenta  attività  vulcani- 

il  tetto  camino  in  un  ai 

lo,  \  lo  eruttivo  dei  [895-1896  che  con 

il  1  j;raii  tratto  'li  uberti se  cam 

andi  1  lo  1  Isa  rvatorio,   il   ba- 

sprofondò  nuovamente  pei   : 
più  tarili  ili  materiali  detritici  in 


Ira  fotografia  presa  dai  ;//<</    Matteucci  il  13  maggio  1900 


remi.  Ir.igili.  E'  al  carattere  ili  simili  materiali  che 

■  delle  mi  crateriche  al 

■  ri  1.  <  'un  1.  .  ì  aii 

pò,  il  vuli  lo  scompiglio 

ila  cranica  :  le 

frani-  improvvise  precipitano  ad  ingombrai 

■•■  il  respiro  nomo 
l'importuno  mate 


riale.  I  ■  scompiglio  diventa  maggiore,  le  tram-  pia 
e  pei  poco  che  il  vulcano  si  mostri  osti- 
noli \  più  un  pezzo  'li  scoria  craterica  che 
rimanga  tranquilla  al  suo  posto,  li  Vesuvio  tra-. 
un  perìodo  ài  grande  attività  esplosiva  nella  prima- 
vera  del  iyoo.  si  acquetò  durante  l'estate,  e  infuriò 
nuovamente  nell'autunno.  [1  cratei  innalzato 

iungendo  i  1300  metri,  mentre  nell'interno  di 
esso  si  era  formato  un  con 
'■mi; ivo  che  ai  primi  di  dicem- 
bre !o  sorpassava  ili  una  qua- 
rantina i'i  in. -tri.  il  conetto  si 
ìi  isciato  .il  cessare  del  pe- 
riodo  attivo,  ma  la  nuova  cu- 
pola troneggia  aurora  sul  pia- 
mi del  vecchio  cratere. 

Gli  interessanti  fenomeni 
del  iyoo  sono  stati  osservati 
da  vicino  con  cura  dal  profes 
sor  R.  V*.  Matteuo  1  che  ne 
ha  fatto  l'oggetto  ili  una  tri- 
tissima monografia.  Egl 
a  caro  prezzo  l'amore  per  la 
scienza.  L'attività  era  incomin- 
ciata agli  ultimi  di  aprile.  I 
massi  infuocati  sempre  più  fit- 
ti e  unissi  cadevano  ancora 
più  lontani  dal  cratere.  La  ca- 
setta delle  guide,  umile  e  lu- 
rida come  una  capanna  alpe- 
stre, ne  rimaneva  schiacciala: 
i  meccanismi  nella  stazione  su- 
periore della  Funicolare  era- 
no ridotti  a  frantumi:  pietre 
ardenti  piombavano  sul  per 
corso  della  ferrovia  minaccian- 
do di  incendiarne  il  legname 
protetto  dall'-  pompe:  massi  e- 
normi  rotolavano  fino  ai  piedi 
del  gran  cono  II  Matteucci  vi 
sali  quando  il  vulcano  parve 
acquietarsi  e  si  trattenne  per 
tre  giorni  sul  piano  delle  Fu- 
marole, pi  asetta  delle 
guide  che  è  a  meno  ili  trecento 
metri  in  distanza  orizzontale 
dall'asse  vulcanico,  spingendo- 
si ogni  tanto  fino  all'orlo  del 
cratere  per  osservale  e  studiare 
le  misteriose  gesta  che  vi  si 
compievano  La  conca,  allora 
profonda  circa  ottanti  metri. 
era  un  ammasso  di  ruttami  at 
traverso  i  quali  si  sprigionava- 
no! vapori,  di  una  temperatura 
ci  si  alta  che  le  pareti  scoscese  interne  anche  pressi 
l'orlo  apparivano  incandescenti  in  pieno  sole.  Un  ni 
more  sordo  come  di  una  gigantesca  fucina  alimenta* 

im  poderoso  mantice  erompeva  dalla  conca,  r 
to  di  quando  in  quando  da  cupe  detonazioni  profon- 

oropagnate  da  leggeri  tremori  del  suolo  e  se- 
guiti da  più  forti  sbuffate  di  vapori  acidissimi,  spe 
'■i almente  di  anidride  solforosa.  La  mattina  del  13  il 


SUL    VESUVIO 


lOÓl 


Matteucci  si  trovava  sull'orlo  della  voragine  intento 
a  costruire  un  pilastro  di  scorie  per  potere  dall'alto 
prendere  con  la  macchina  fotografica  una  veduta 
panoramica  del  cratere.  In  quel  momento  il  fondo 
del  recinto  fu  turbato  da  moti  sussultori:  le  pulsa- 
zioni sempre  più  affrettate  annunciavano  un  nuovo 
attacco  febbrile  del  mostro.  Furono  dapprima  leg- 
geri sbuffi  di  sabbia,  poi  getti  di  lapilli  e  slanci  di 
scorie  e  di  grandi  blocchi.  Immensi  globi  di  fumo 


«,-• 


Sui.  Vesuvio.  [Da  una  vecchia  stampa 


nero  balzavano  impetuosi  dall'abisso,  roteando  e 
snodandosi  nell'atmosfera  con  superbe  volute:  da 
quelle  nubi  piovevano  con  orrendo  fracasso  i  bolidi 
infuocati.  Il  Matteucci  regalò  ai  globi  maestosi  il 
termine  classico  di  conopidio,  che  è  la  veste  greca 
dell'umile  cavolfiore,  per  la  strana  rassomiglianza 
che  la  nube,  risolvendosi  in  mille  globi  di  fumo  ro- 
teante, presenta  col  modesto  decoro  degli  orti  subur- 
bani. Il  battesimo  di  un  tal  nome  è  stato  conferito 
dagli  abitanti  di  Santorino  agli  sbuffi  di  quel  vul- 
cano: il  nome  non  vanta  origini  antiche  come  il 
pino  pliniano,  la  cui  forma  caratteristica  è  determi- 
nata da  condizioni  speciali  dell'atmosfera.  Le  più 
grandi  esplosioni  si  succedevano  a  brevi  intervalli. 
Il  materiale  del  cratere  precipitava  nella  gola  vul- 
canica, e  la  marea  esotica  ricompariva  poco  dopo 
quasi  fusa  in  un  sol  pezzo,  lanciata  a  vertiginosa  al- 
tezza. I  blocchi  più  voluminosi  ricadono  nel  cratere 
o  sono  scagliati  contro  le  pareti  :  altri  più  piccoli  e 
più  numerosi,  uscendo  dalla  densa  massa  fumosa,  si 
disperdono  sibilando  con  ampie  parabole.  Intanto 
dalle  fiamme  del  cratere  si  sprigionano  effimeri  va- 
pori bianchi  d'idrogeno  che  assumevano  la  forma 
di  giganteschi  anelli.  All'annunzio  di  un'esplosione 
più  violenta  delle  altre,  il  Matteucci  e  le  sue  guidi 
si  diedero  alla  fuga  :  ma  non  avevano  fatto  una 
ventina  di  metri  che  un  terribile  fragore  li  stordiva 
mentre  i  bolidi  piovevano  da  ogni  parte.  A  stento 
poterono  evitare  colpi  mortali,  ma  le  ferite  e  le  bru- 
ciature costrinsero  poi  il  Matteucci  a  tenere  il  letto 
per  lunghi  mesi.  Anche  la  macchina  fotografica  era 
rimasta  vittima  dell'esplosione:  il  Matteucci  non 
potè  salvare  che  poche  negative,  ed  alla  sua  cortesia 
debbo  il  permesso  di  riprodurre  le  due  migliori. 

Nelle  ore  di  scolta  sul  margine  del  cratere,  l'ar- 
dito professore  osservò  con  cura  speciale  il  fenome- 
no strano  delle  bombe  esplodenti.    Sono  blocchi   di 


grandezze  svariatissime,  che  possono  avere  il  peso 
di  parecchie  tonnellate  o  di  pochi  grammi,  di  so- 
stanze eterogenee,  dalla  superficie  bollosa.  Proven- 
gono dalle  viscere  profonde  del  vulcano:  la  massa 
pastosa  che  li  forma  trascina  seco  una  grande  quan- 
tità di  vapori  ad  una  temperatura  elevatissima.  La 
massa  viene  proiettata  in  alto  con  un  rapido  moto 
rotatorio  che  imprime  ai  gas  chiusi  nell'  inter- 
no, già  soggetti  ad  una  forte  tensione,  un  vio- 
lento movimento  centrifugo.  Gli  aeriformi,  dilatan- 
dosi d'improvviso  per  l'azione  combinata  della  du- 
plice forza,  fanno  scoppiare  il  blocco  durante  la  sua 
traiettoria,  e  i  frantumi  ricadono  al  suolo  in  ogni 
direzione:  taluni  di  essi  dopo  la  caduta  si  rigonfia- 
no ancora  senza  scoppiare,  per  i  vapori  rimastivi. 
Il  Matteucci  potè  vedere  le  bombe  scoppiare  a  cen- 
tinaia come  granate  artificiali  intorno  al  conopidio. 
Le  più  eleganti  erano  quelle  che  esplodevano  du- 
rante l'ascesa:  allora  i  frantumi  prima  di  ricadere 
salivano  ancora  per  un  tratto  a  forma  di  cono  rove- 
sciato, con  una  corona  di  vapori  bianchi.  Il  blocco 
solido  più  grosso  caduto  ai  piedi  della  vetta  a  quel- 
l'epoca misurava  dodici  metri  cubi  e  pesava  trenta 
ti  nnellate:  dopo  quattro  giorni  il  masso,  che  al  mo- 
mento dell'eruzione  aveva  la  superficie  pastosa,  era 
ancora  ardente. 


I  boschi  secolari  di  castagni  che  coronano  con  una 
gradevole  nota  alpestre  la  zona  inferiore  della  uber- 
tosa flora  meridionale,  si  spingevano  un  tempo  fino 
alle  estreme  balze,  se  è  vero  che  prima  dell'eruzio- 
ne pompeiana  le  pendici  del  Somma  —  dal  cui 
seno  doveva  poi  estollersi  gigantesco  il  cono  del 
Vesuvio  —  erano  tempestate  di  ville.  A  tratti  a 
tratti  si  delinea  ancora  la  strada  lastricata  per  cui 
salivano  le  lettighe  dei  nobili  romani.  Lucnllo  si  a- 
dagiava  mollemente  negli  ozi  della  sua  villa  son- 
tuosa alla  punta  estrema  della  bella  Partenope.  alla 
cadenza  delle  onde:  i  suoi  amici  preferivano  l'aria 
pura  e  lo  spettacolo  incantevole  dei  verdi  poggi  del- 
la montagna.  Perfino  gli  ultimi  Goti,  che  si  erano 
ridotti  a  cercar  rifugio  lassù,  dovettero  trovar  dolce 
la  morte  in  quel  sorriso  di  natura  :  le  vittime  della 


MÌ, 


Sri  Vesuvio     Da  una  vecchia  stampa). 


litOJ 


LA    LETTURA 


©Ite  sui  campi  più  unii 
molo  'ti  lava,  e  talvolta  gli  *  avi 
illa  luce  le  i  a 
può  seminai  la  di  le  e  la 

lava  larghe  più  >li  un  chilomi 


IVI    I  I  11    U    M  0\  V    I  !  luti i \  iv    ELEI  imi  v 

o  ancora  tra  i  boschi  e  i  vigneti  fino  alle 
prop;  ggini.  fino  ai  villani  che  si  riteneva 
no  fuor  d'ogni  pericolo.  Correnti  nuove  si  sono  so- 
■■  alk-  antiche,  distruggendo  campagne  ri 

vallette  amene.  E  le  rovine  < l»-l l<- 

romane  si   sciolgono  dai  loro 

\>-li  secolari  all'estremo  lembo  del   leclivio  stanno  ad 

ammonire  della  perenne  minaccia  che  grava  sulla 

Che  importa     La  natura  è  così  bella  che  un 

lei  suo  ri s< ■  sembra  aleggiare  sulla  stessa 

ia  e  brulla.  L'incomparabile  panorama 

dell'ampio  golfo,  innanzi  .1  rocciosa 


("apri,  è  un  gaudio  pei  gli  occhi,  e  lo  spirito  imi 
che  dal  mistero  delle  forze  distruggitrici  si  lascia 
dall'incantesimo  del  luogo.  La  natui 

sa.  del  resto.  offre  l'esempio  'li  una  serenità   fecon- 
da, poiché  su^li  strati  di  lava  antica  essa  rifiorisce 
•spera  nelle  sue  fon, 
belle. 

Aleune  curiose  vecchie  si 
dipingono  con  eloquenza 
le  difficoltà  'li  l'n  asoinsione 
del  Vesuvio  nella  prima  metà 
del  secolo  scorso.  (Ili  escursio- 
nisti sono  armati  di  1 
l'astimi  come  per  la  più  ardua 
ascensione  alpina,  e  li  p. 
grosse  'lime  della  compagnia 
piombano  ugni  tanto  come  1». 
lidi  sugli  infelici  cavalieri  che 
ino  di  sorreggerle.  L  ini 
presa  semi  ira  meno  difficile 
nella  discesa  ;  le  giovani  cop- 
pie si  lasciami  scivolare  gaia- 
mente sul  pendìo  pericoloso. 
Era  inevitabile  che  fosse  la- 
scialo agli  stranieri  il  compito 
di  rendere  agevole  una  vielle 
più  belle  e  caratteristiche  gi- 
lè italiane  ;  ma  gì'  inglesi  si 
sono  impossessati  del  Vesuvio. 
i  napoletani  si  sono  acconten. 
tati  di  creare  i4  Funicoli.  Fr- 
vicolo. 

La  Funicolare  si  slancia  con 
una  linea  arditissima  sul  gran 
cono  terminale,  per  una  lun- 
ghezza di  820  metri,  con  una 
pendenza  che  raggiunge  perfi- 
no il  63  o/o.  Le  due  stazioni 
brillano  come  due  punti  bian- 
cheggianti sullo  sfonil.i  nero 
della  montagna.  La  linea  ì 
stata  costruita  sul  pendìo  1  h  • 
sembra  meno  soggetto  alle  ire 
del  vulcano,  ma  le  ultime  erti 
zioni  non  la  risparmiarono. 
Fino  alla  sta/ione  inferiore, 
che  è  a  23  chilometri  da  Na- 
poli e  a  789  metri  di  altitudi- 
ne, si  ascende  in  comode  car- 
rozze per  la  via  che  ser] 
tra  ville  e  vigneti  e  più  su 
tra  i  boschi  sulle  falde  ilei  monte,  e  che  attraversa 
poi  diagonalmente  il  gran  rampo  ili  lava.  L'ultimo 
tratto  appartiene  alla  Compagnia  inglese  che  !  ha 
dovuta  pili  volte  ricostrurre  ad  ogni  nuova  colata  di 
lava.  Per  la  visita  di  Guglielmo  II  la  strada  car- 
rozzabile, che  era  scomparsa  sotto  una  recente  eru- 
zione, dovette  essere  improvvisata  in  un  giorno  con 
quanti  operai  si  poterono  trovare.  Nei  periodi  di  in- 
terruzione le  comitive  compiono  l'ultima  parte  del- 
l'ascensione lino  alla  Funicolare  pittorescar» 
cavallo,  contemplando  dalla  groppa  le  ginestre  ispi- 
ratrici di  Leopardi  che  macchiano  di  giallo  la  nera 


SUL    MISI  VKi 


Kit).; 


distesa.  Il  pian  delle  ginestre  forma  quasi  un'oasi 
nel  deserto  della  lava,  al  lembo  inferiore. 

La  salita  con  le  vetture  richiede  quattr'ore  cosic- 
ché per  la  gita  occorre  un'intera  giornata.  Fra  pochi 
mesi  in  men  di  due  ore  da  Napoli  si  potrà  toccare 
la  vetta,  e  scenderne  ancor  più  sollecitamente,  con 
la  nuova  ferrovia  elettrica  che  si  sta  costruendo. 
La  linea  traverserà  i  ridenti  Comuni  vesuviani,  e  sul 
dolce  pendìo  tra  viti,  olivi  ed  agrumeti  guadagnerà, 
a  trazione  aerea,  la  costa  più  erta.  Ivi  per  un  chilo- 
metro e  mezzo  le  carrozze  saranno  spinte  da  una  lo- 
comotiva elettrica  sopra  una  linea  a  dentiera,  per 
traversare  poi  rapidamente  il  tratto  leggermente  in- 
clinato che  va  dall'Eremo  alla  stazione  inferiore 
della  Funicolare,  alla  quale  anche  sarà  applicato 
il  sistema  di  trazione  elettrica  dell'inventore  Strub, 
con  cui  si  sta  per  dare  la  scalata  alla  Jungfrau  e 
ad  altri  giganti  alpini.  In  complesso  la  nuova  linea 
di  montagna  dalle  ultime  case  di  Resina  in  su  mi- 
surerà circa  otto  chilometri  :  la  parte  superiore,  ne! 
campo  di  lava,  è  già  quasi  condotta  a  termine,  e  i 
lavori  sono  ora  incominciati  in  altri  punti.  Già  ora 
si  organizzano  talvolta  gite  notturne,  che  special- 
mente nei  periodi  di  attività  vulcanica  riescono  ol- 
tremodo pittoresche:  con  la  nuova  ferrovia  le  gite 
diverranno  assai  più  facili  e  frequenti,  e  certo  una 
delle  più  belle  attrattive  sarà  lo  spettacolo  dell'au- 
rora o  del  tramonto  goduto  dalla  vetta  tra  una  corsa 
e  l'altra. 

Ma  con  la  nuova  ferrovia  il  Vesuvio  sembra  dive- 
nire ancora  di  più  la  proprietà  particolare  di  una 
Compagnia  estera:  il  che  non  può  essere  troppo  lu- 
singhiero per  gli  italiani,  benché  gli  stranieri  si  sia- 
no installati  sulle  falde  del  monte  con  la  miglior 
grazia.  Mentre  il  corteo  delle  carrozze  coi  visitatori 
cosmopoliti  saliva  l'erta,  vedevamo  la  gente  del  con- 
tado —  che  abita  i  cascinali  e  le  fattorie,  conten- 
dendo palmo  a  palmo  il  terreno  alle  lave  —  accor- 
rere, inchinarsi  con  saluti  festosi  e  prodigare  il  ti- 
tolo di  «  Eccellenza  »  a  una  elegante  signora  che. 
con  un  leggero  accento  straniero,  rispondeva  loro 
in  pretto  napoletano. 

Una  contadinella.  che  per  pochi  soldi  offriva 
in  un  canestro  sorretto  sul  capoi  più  bei  frutti  della 
regione,  interrogata  chi  fosse  la  dama  a  cui  si  ren- 
devano tanti  omaggi,  disse  semplicemente:  «E'  la 
regina  del  Vesuvio  !  ».  E  pare  che  il  titolo  sia  stato 
confermato  alla  signora  Faerbir,  che  col  marito  rap- 
presenta sul  Vesuvio  la  Compagnia  inglese,  anche 
da  visitatori  principesi  hi. 


Il  Governo  italiano,  che  ha  ceduto  così  facilmente 
lo  scettro  di  quella  incantevole  regione,  vi  si  è  riser- 
vato due  istituzioni  proprie:  l'Osservatorio  e  le 
guide. 

L'Osservatorio  è  un  bell'edilizio  di  stile  classico 
che  si  erge  a  676  metri  d'altitudine,  sulla  groppa 
che  si  protende  dal  piede  del  cono  verso  Napoli  e 
divide  in  due  braccia  il  torrente  «li  lava  che  sgorga 
nei  periodi  eruttivi  dai  fianchi  del  cono.  L'edifici., 
con  la  sua  torricella  quadrata  spicca  tra  i  castagni 
sul  poggio  come  una  villa  del  cinquecento,  accanto 


ad  una  .idee  bianca  eretta  pochi  anni  or  sono  dai 
cattolici  napoletani  i  quali  non  ebbero  l'ardire  di 
farla  sorgere  sulla  vetta  stessa  del  monte.  Una  i- 
scrizione  latina  s..pra  il  maestoso  peristilio  avverti-  1 
passanti  che  l'Osservatorio  è  dovuto  alla  munificen- 
za, di  Ferdinando  li  di  Borbone,  il  quale  nel  1854 
lo  affidò  alla  direzione  del  celebre  scienziato  Mace- 
donio Melloni.  Era  stato  fondato  con  buoni  inten- 
dimenti scientifici,  ma,  strano  a  dirsi,  il  mutamento 
di  govèrno  non  gli  portò  grande  fortuna.  A  poco  a 
poco  quella  che  doveva  essere  una  preziosa  vedetta 
vulcanica  si  trasformò  in  una  comune  stazione  di 
meteorologia.  Il  Palmieri  lo  diresse  per  lunghi  anni, 
restandovi  coraggiosamente  anche  nei  periodi  delle 
più  gravi  eruzioni,  lo  fornì  di  parecchi  strumenti 
che  resero  celebre  il  suo  nome,  vi  fece  importanti 
scoperte;  ma  la  scarsità  dei  mezzi  gli  impedì  di  da- 
re all'Osservatorio  quell'incremento  che  era  lecito 
attendere.  Dal  giorno  della  sua  morte,  avvenuta  or 
sono  più  di  sei  anni.  l'Osservatorio  venne  lasciato 
nel  più  completo  abbandonò,  alla  cura  di  uri  sem- 
plice custode  che  attende  al  lavoro  del  suo  orticello. 
Ledi  Azio  è  chiuso  ermeticamente,  ed  è  un  bene  per- 
rhè  i  forestieri  potrebbero  meravigliarsi  di  vedere  in 
quale  stato  sono  ridotte  le  raccolte  e  gli  strumenti 
scientifici,  resi,  a  quanto  si  dice,  insensibili  anche 
alle  scosse  più  forti  del  vulcano. 

Alcuni  mesi  or  sono  la  stampa  napoletana,  all'ini 
zio  dei  lavori  della  nuova  ferrovia,  intraprese  una 
vivace  campagna  chiedendo  il  ripristino  dell'Osser- 
vatorio. Il  Governo  parve  scuotersi  e  bandì  il  con- 
corso per  il  posto  di  direttore  dell'Osservatorio,  sot- 
traendolo alla  dipendenza  della  cattedra  di  fisica 
terrestre  dell'Università  di  Napoli.  Ma  l'esito  del 
concorso  si  fa  attendere.  \"è  basterà  che  il  Governi 


FORI  ST1ERI  SUL  CRATERI     PR1  SSC    LA   CASETTA   DI  LI  I.     GÌ  IDI 


incorrenti  I"  scienziato  più  degno,  per 

idi  e  le  sue  attitudini  spedali,  di  occupare 

l'alti  be  gli  offra  il  modo  di  non 

nziali  stranie) 

ire  il  Ve- 
sue  »    ende  Btorii  he  e  pei  le  sur  condi- 
li vulcano  che  maggiormente  in- 
fu  definito  un  vulcano  da  la- 
peri' Italia  se  non 
si  provvedesse  .1  rinnuv.irc  con  sollecitudine  la  sup. 
pelle  itifica   dell'Osservatorio,  adattandolo 

!   •      mporta  se  il  portone  del- 
ia chiuso  ieri,  anche  quando 
si  soffermeranno  a   fai   colazione  nel  gran- 
mp    aia  Cook  sta  costruen- 
1   Jl'Osservatorio:    gli  strumenti 
non  debbono  essere  ]  ravveduti  per  la  curiosità  pro- 
fana: l'importante  si  ;•  che  non  si  attenda,  per  ini- 
iin.i  serie  di  feconde  osservazioni,  il  soccorso 
di  qualche  mecenate  inglese  0  americano.  Il  Vesti- 
uà  troppo  poco  italiano. 
Con  la  nuova  ferrovia,  che  in  poco  più  ili  un'ora 
e  mezzo  porterà  «la  Napoli  al  cratere,  dovrebbe  riu- 
facile  lo  stabilire  un  porto  avanzato  di  osserva 
■  ulla  cima  del  gran  cono.  La  stazione 
irebbe  non  soltanto  per  osservare  più  da  vicino 
il  vulcano,  ma  anche  per  tener  d'occhio  le  famigi  ra 
uide  che  ora  sono  le  sole  rappresentanti  dell'I- 
talia sulla  vetta.  Ove  finisce  la  giurisdizione  della 
Funicolare  inglese,  incomincia  il  regno  delle  guide. 


LA    LETTURA 


Pei  una  disposizione  del  Governo  nessun  visitatore 
può  accostarsi  al  cratere  senza  la  sua  brava  guida 
che  non  deve  lasciarlo  avvicinar  troppo  al  precipi- 
zio: la  misura  è  prudente,  U*nchè  sia  cjuasi  sempre 
inutile,  ma  ha  una  origine  curiosa.  Le  guide,  che 
accompagnano  il  visitatore  per  poche  cent  inaia  di 
metri,  si  (anno  pagare  lautamente  e  si  facevano  pa- 
gare anche  di  più  prima  che  il  Governo  riuscisse 
ad  imporre  loro  una  tariffa.  E'  una  specie  di  ped 

■  he  il  Comune  di  Resina  per  antichi'  tradizioni 
inestirpabili  riscuote  a  favore  delle  guide,  che  son 
tutte  'li  quel  borgo. 

Vivendo  sulla  vetta  di  un  vulcano,  le  guide  Ij 
sentono  di  spesso  ribollire  il  sangue,  e  si  disputano 
i  forestieri  con  calore.  Sono  forse  le  più  innocue 
persone  della  terra:  ma  annerrite  dal  fumo  e  dalla 
polvere,  con  gli  abiti  laceri,  sembrano  fin  troppo 
intonate  all'ambiente.  La  Società  Pro-Napoli  con 
opportuna  iniziativa  manda  ogni  giorno  sul  Vesuvio 
un  rappresentante,  la  cui  presenza  è  preziosa  per  il 
mantenimento  dell'ordine!  ma  per  me  e  per  i  miei 
compagni  di  viaggio  non  è  stata  una  piccola  sorpre- 
sa il  trovare  sulla  cima  liei  vulcano,  oltre  al  cortese 
rappresentante  della  Pro-Napoli,  un  maestoso  dele- 
gato di  P.  S.  e  un  maresciallo  dei  carabinieri  con 
parecchi  militi.  Certo  non  vi  erano  saliti  per  sorve- 
gliare il  contegno  del  vulcano,  che  per  la  sin  calma 
borghese  doveva  quel  giorno  procurare  una  acerba 
delusione  alla  bionda  signora  americana. 


P.  CROCI. 


I  *  1  ORZA  1  1  111.1  h  (  -1  1    Vi  -1  \  ih 


IL  SOGNO  DI  RIO  JANEIRO 


ev> 


—  Perchè  non  ha  mai  scritto  nulla  su   Rio  Ja- 
neiro? 

Cento  volte  mi  fu  fatta  questa  domanda  nei  di- 
ciott'anni  che  passarono  ila  quando  fui  al  Brasile, 
e  cento  volte  diedi  la  stessa  risposta,  pronta,  come 
vengono  ai  deputati  certi  periodi  di  discorso  elei 
tarale:  -  Perchè  vi  stetti  appena  tre  giorni,  quanto 
vi  si  fermò  il  Sirio,  su  cui  feci  il  viaggio  da  Bue- 
nos .Aires  a  Genova.  Dei  buoni  amici  fecero  quanto 
poterono  per  farmi  vedere  ogni  cosa,  portandomi 
in  giro  in  carrozza,  in  tranvai  e  in  strada  ferrata, 
dalia  mattina  alla  sera,  come  uno  che  volessero 
scampare  dalla  caccia  d'una  banda  di  creditori  ; 
e  vidi  multo;  ma  tutto  di  fuga,  con  l'animo  affan- 
nati! e   gli   occhi   velati    dalla    stanchezza,    per 

modo  che  molte  cose  dimenticai,  altre  non  rammen- 
to più  che  per  nebbia,  e  anche  fra  le  immagini  ri- 
maste  più  vive  ho  delle  lacune  oscure,  dove,  nean- 
i  he  a  pensarci  lungamente,  non  son  mai  riusciti)  a 
ripescare  il  minimo  ricordo.  Che  cosa  potrei  scri- 
vere? Sarebbe  come  descrivere  un  sogno.  - 

A  questa  risposta  solita,  pochi  giorni  fa.  un  bra- 
vo italiano,  ritornato  per  poco  dal  Brasile  in  Ita- 
lia, ribattè  argutamente:  —  E  non  la  tenta  la  de- 
scrizione d'una  città  maravigliosa.  dove  lei  non  ste 
te  che  pi  i  he  ore,  e  di  cui  non  si  ricorda  che  coni" 
d'un  sogno? 

-  Ecco  un'idea     -  pensai. 
E  quell'idea   mi  pose  in  mano  la   penna  e  m'in 
chiodò  al  tavolini  •. 


Ma  erro  una  lacuna  della  memoria  proprio  al 
primo  principio,  al  momento  che  il  Sirio,  in  una 
mattinata  splendida  di  ghigno,  gittava  l 'àncora  nel 
porto  di  Rio  Janeiro.  Chi  è  che  sali  a  bordo  ad 
nunciarci  che  Sua  Maestà  l'imperatore  Don  Pedro 
desiderava  di  rivedere  la  sera  di  quello  stesso  gior- 
no il  capitano  Boxe,  reduce  dalla  Terra  del  FllO 
e  di  parlare  la  Stessa  mattina  con  quel  quidsimile 
di    scrittore   italiano,  che   aveva   avuto   la    fortuna 


La  Lettura. 


d'imbarcarsi  con  lui  sul  Rio  della    Piata  per  ritor- 
nare in  Italia?  Il  messaggiere  gradito  era  in  mezzo 

a  molti  cari  italiani,  di  alcuni  dei  quali  ricordo  il 
nome  e  di  nessuno  il  viso.  E  non  ricordo  neppure 
come  io  sia  sbarcato,  con  chi  sia  salito  in  carrozza, 
che  cos'abbia  visto  per  le  vie  che  percorsi  per  an- 
dare al  sobborgo  di  Buttafogo,  il  quartiere  dell'a- 
ristocrazia e  dei  diplomatici,  dove  m'aspettava  il  se- 
gretario  della  Legazione  italiana,  il  buon  De  Fo- 
ìesta.  il  piale  m'offriva  la  sua  casa,  e  doveva  ac- 
compagnarmi dall'Imperatore.  Ma  no:  una  iosa  ri- 
tordo di  quel  tragitto:  la  tentazione  vivissima,  a 
gran  pena  vinta,  che  ebbi  di  sali. ir  giù  dalla  carro/ 
za  piando  si  attraversò  un  mercato  di  frutta.  Ah, 
che  attrazione  magica,  quei  grossi  frutti  tropicali. 
di  forme  e  di  colori  sconosciuti!  Ho  dimenticato 
sobborghi,  monumenti,  personaggi  illusili:  ma  ho 
aliena  davanti  agli  ocelli,  in  mezzo  alle  fruttaiole 
negre  e  mulatte,  ai-cucciate  per  terra,  fra  i  mucchi 
degli  ananassi  e  dei  banani  d'oro  e  d'argento,  quelle 
frutta  misteriose  dall'apparènza  di  pigne  verdi,  di 
palle  dorate,  di  pomodori  a  fuso,  di  zucche  metal- 
liche; alcune  delle  quali,  tagliati'  in  due.  mostra- 
vano dentro  certe  creme  bianche  e  rosale,  che  pro- 
mettevano sapori  sovrumani;  senio  ancora  il  ram- 
marico di  non  aver  potuto  saltar  là  in  mezzo  col 
portamonete  in  mano,  a  fiutare,  a  addenl  ire,  a  sa- 
ziarmi di  tutte  quelle  delizie  di  paradiso  terrestre, 
non  mai  gustate  né  viste,  che  mi  riaccesero  in  con  ,, 
la    smania   curiosa    e    ladri    della    ghiottoneria    d'un 

Fanciullo  E  m'aspettava  un  Imperatore!  Che  ver- 
;ogna  !  Ma  la  sincerità  è  d  primo  dovere  d'uno 
scritti  a 


Ricordi  i  I  iene  ;l  \  is ■  i    ;ioviale  del  1  >e  l' i 

resta,   le  sue  accoglienze  amichevoli,   l'occhiata  che 
lanciò  al  mio  vestito,  che  mi  parve  significare: 
K   passabile      ,  e  il  colpo  che  mi  diede  stillilo  dopo 
con  la  domanda  inaspettata:         E  il  cilindro? 
\on  si   ooieva  andare  dall'Imperatore  senza  cilin- 
dro. I-i  io  l'avevo  lasciato  a  Buenos   Vires!  Accenni 

67  bis. 


lobo 


LA    LETTI  K.\ 


I 
,.iTri  •  diamo 

\i  mi  rispose       .  con 

iso  'li  passar  dieci  cappellai 

('.li 

|  li     pp  Ilo  in  un 

he  i;li  pareva 

n  ,  ranio  i  """•   Su- 

di  corsa.  Il  depu- 

del  diavolo.    Neanche  'li  quella 

ordo  nulla,    fuorché  le  i  dute 

dell  i  un  '  quando 

ure  delle  vie   laterali.   S'arrivò  i 
l .  .se  non  m'inganna  la   me- 

ire  mi  portò  un  cappello 
m  \i  iena  in  bilico  sulla 

ta  era   stato  illuso 
dalla  pigliatura  dell'onorevole.        Non 

elio 
i  figura  buffa.        Ma  il  1>.-  Foresta  in- 
i  i   altro,  era  unii,  e  poi.  entrate 
fossi  nel  pala//",  non  avrei  più  avuto  occasione  ili 
coprirmi.        1.    vero         Salvo  il  caso  -     soggiunse, 
i  i\.-      .  che  Sua   Maestà  la  imiti  a  fare 

un    e.ini   nel    pan...   come    ta   qualche   M'Ita    COÌ    sui" 

\1    vidi  perso,  e  glielo  dissi.  —  Se 

mi    vede  ballare   questo   affare   sul   capi»,   gli  pi 

un  "rigiri.  i  l".  o  indovinerà  l'imprestato,  e  si 

farà  una  bella  idea  degli  scrittori  italiani  che  ac- 
no  perfino  il  i  tppello  '         Ma    bisognò  stri- 
.   era    l'ora,   dovetti    ripartire  in  carrozza   con 
quell'embrione  'li  tuba  sulla  tesi  i,  e  a  ti  iverso  al- 
l'anima. 


Parrà  incredibile;   ma  non   ricordo  più  del   pa 
lazzo  né  il  sito,  ne  le  vicinanze,  né  l'architettura  i 

come  se  non  vi  fossi  stato.  Solo  mi  ricordo 
d'un  unico  soldato,  un  negro,  che  stava  di  sentinel- 
la al  portone,  digliava.  Entrai  col  cappello 
in  mano,  mostrando  d'avere  un  gran  cali  In.  Delle 
scale,  dei  o  rridoi,  ili  chi  ricevette,  nulla.  L'Imi 
t.ire   comparve   tutr/a    un  tratto,    non    annunzi 

padion  di  i  asa,  nel  picei  ili  i  sa 

■.. ■.  ;    il  quale  s'apriva  da  un 
lato  sur  una  galleria  vetrata  luti.  inondata 

.li  hi  una  finestra  sopra  un  p 

stupendo. 

Tutti  sanno  quanto  Don  Pedro  fosse  buono  d'a- 
nimo e  semplice  ili  modi  e  affabilmente  cortese  con 
o  pure,  e  nondimeno,  dopo  pochi 
minuti  ch'ero  là,  mi  parve  più  buono,  più  semplice, 
bile  'li   qu  va  la  fama.   A  questa 

!'liiità    amabile   davi  i    effetto    l'alta  sta- 

vi  ni ilnle  del  viso,  la   in  testa   ■■• 
■uà. 
V.  •      la   figura  d'un  guerriero,   la    fronte  d'un 

I     orriso  d'  \m 

m  moria  una  quantità  'li 
ii  e  <li   radure,    come    in    un    panini    logoro. 


Quanto  <!i  quella  conversazione,  che  durò 

quasi  un'ora,  1"  posso  stringen  in  poche  parole.  Mi 
chies  e  e  m'espi  sse  la  su  ioni    pei 

vari  italiani,  dei  quali  non  mi  son  rimasti 

in  mente  che  il  I  I  Rapisardi  e  il  (  !antù  : 

i  i   rammentato  con  pam- ..lare  simpatia.   Si  la- 
gnò 11!    'li  essi    111 'Il    "li    . 

sero  mandati  i  libri  che  gli  avevan  promessi  in 
Italia,  e  ibsse  m ti iilemli i :  Mi  hanno  dimenti- 

cato. Si  capisce!  Sono  tanto  lontano!        A  un  • 
punto  mi  domandò:        Che  vi  pan-  del  modo  come 
maltratto  il  vi st ro  bell'idiom  i     Dico  molte  impro- 
.  eri  ■  '        K  ini  atl  i  gli  scappavano  dei 
francesismi;  tra  i  quali  mi  rimasero  impressi  / 

per  commedia,  e  come  si  fa,  interrogativo,  per  

me  ì  possibile?»;  del  che  non  mi  stupii,  avendo 
sul  Sirio  inteso  'lire  enfaticamente  da  uno  spagnuo- 
lo  che  egli  parlava  Ma  pai 

della  in-  e  delle  nostn 

gnizione  così  varia  ed  esatt  sentirlo,   non 

I  areya  tanto  uno  straniero  che  non  avesse  studiato 
abbastanza  l'italiano,  quanto  un  italiano  che  l'aves 
se  un  po'  dimentii  giorni  soltanto  nel 

Brasile?  —  mi  domandò,  con  un  sorriso  che  voleva 
■  lire:         E'  un  po'  poco  per  un  |  nde  venti 

volti    l'Italia.      -Pi  nò  alcune  cose  notevoli 

ili  Rio  Janeiro  e  luoghi  del  contorno,  i  i  do- 

vuto  vedere,  e  raccomandò  al  De  Foresta  che  mi 
«costringesse i>  a  visitarli.   E  ricondotto  il  disco 

non   su   a   qua!    proposito,    sulla    letteratura    italiana. 

mi  il. imandò    >  ■  mi  inti trno  a  eerti  colla! 

tori  della  Nuova  Antologia,  ch'egl  abitual- 

mente,  con  una  curiosità   ili   particolari  bio 
bibliografici  da  letterato  ili  professione. 

Ecco  tutto. 

l'i  issi bi le? 

Anzi,    è    naturale.    Capirete:    era   egli    Stesso 

mentre  parlava,  distraeva  la  mia  attenzione  dai 
discorsi,  perchè,  insomma,  egli  non  parlava  che  di 
letteratura,  e  in  lui,  per  me,  era  molto  più  impor- 
tante e  ammirabile  l'Imperatori  che  il  letterato.  11 
suono  della  sua  voce  non  era  che  l'accompagnam  ai- 
to ispiratore  ilei  un  i  rivolto  al  suo  pas- 
l'i  iis. i\"  ehe  '[nel' uomo,  erede  ilei  trono  ancora  fan- 
ciullo, era  stato  incoronato  Imperatore  cinque  anni 
i\.!i,ii  ch'io  nascessi;  che  durante  il  suo  regno  di 
quasi  mezzo  secolo  s'era  nel  ■  quasi  tripli- 
cata la  popolazione,  costrutti  novemila  chilometri 
di  strade  ferrate,  la  produzione  decuplicata,  combat- 
tute e  vinte  tre  grandi  guerre  .  pensavo  che  in  tutto 
quel  tempo  egli    S'era   tenuto  sempre  sulla   via   della 

liberta,  che  aveva  promosso  mirabilmente  l'istruzio- 
ne pubblica,  assicurata  la  pace  interna,  propugnata 
e  iniziata  la  soppressione  della  schiavitù  ;  che  era 
stato  sempre  mite  coi  vinti,  generoso  con  gli  avver- 
sari, protettore  d'ogni  disciplina  gentile  e  in  tutte 
le  tonile  bene  Victor  Hugo  l'aveva  chia- 

<  nipote   di    Marco  Aurelio)',    il    I.amartine   pa- 
ragonato       Federico  il  (".rande.   l'Accademia  tran- 
salutato  magnanimo;  e  che  un  giorno  egli  a- 
veva  detto:         Se  non  tossi   Imperatore  vorrei 

sere  maestro  di  scuola.  E  amile  mi  distraeva  dai 

suoi   discorsi   letterari  il  contrasto  rhe  "uni   tai 


11.    SOGNO    l>I    RIO  JANEIRI  i 


mi  s'affacciava  al  pensiero,  fra  lui  così  colto,  così 
profondamente  e  raffinatamente  civile,  e  la  visione, 
.•he  avevo  come  a  baleni,  ilei  suo  sterminato  Im- 
pero, sparso  di  grandi  foreste  vergini,  popolato  di 

milioni  ili  negri,  di  cui  più  d'un  milione  ancora 
schiavi,  abitato  da  centinaia  di  migliaia  d'indiani 
selvaggi,  attraversato  dal  pia  gran  fiume  del  mondo, 
quasi  ancor  favoloso,  in  molte  parti  tuttora  inesplo- 
rato, pieno  di  misteri  e  di  pericoli;  dove  anche  l'è 
sistenza  dell'Impero  era  ignorai.;.  E  poi,  perchè  non 
dirlo"  Mi  distraeva  anche  un  poro  il  continuo  ti- 
more ohe  egli  mi  invitasse  a  fare  un  giro  nel  parco, 
dove  mi  sarei  dovuto  coprire  il  rapo  -pro  forma; 
tanto  che  ogni  volta  che  il  suo  sguardo,  per 
caso,  si  posava  su  quello  sciagurato  cilindro, 
tremavo. 

Ciò  che  più  mi  fece  senso  fu  l'ultima  cori  :sia 
ch'egli  m'usò,  prima  del  commiato;  la  quale  mi 
chiarì  meglio  d'ogni  altra  cosa  la  sua  indole  e  il 
suo  modo  di  vita.  —  Volete  per  ricordo  il  mio  ri 
tratto?  —  domandò.  Io  credevo  che  sonasse  il  cam- 
panello per  mandarlo  a  pigliare.  Invece  s'alzò,  per- 
corse  a  passo  lento  tutta  la  lunga  galleria,  usci  in 
fondo,  e.  ricomparso  dopo  un  po',  ritece  con  la 
stessa  andatura  dì  viandante  tutto  quel  cammino, 
ita  da  una  mano  una  fotografia  gran- 
dissima, che  quasi  toccava  il  pavimento:  come  un 
buon  piccolo  borghese  che.  non  potendo  tenere  un 
servitore,  si  fa  tutti  i  servizi  da  sé. 

— r  Portate  i  miei  saluti  a  tutti  —  furono  le  sue 
ultime  parole,  e  le  disse  con  l'accento  con  cui  si 
raccomanda  a  un  amico  di  salutare  dei  vecchi  amici. 
Pensare!  E  cinque  anni  dopo  egli  era  deposto  dal 
trono  e  mandato  di  là  dall'Atlantico  a  morire  in  un 
albergo.  Ma  morì  senza  rancori  e  senza  rimpianti, 
nobilmente,  dopo  aver  esclamato  con  le  lacrime  agli 
occhi,  al  ricevere  dal  suo  paese  la  notizia  della  sop 
pressione  compiuta  della  schiavitù  :   —  Grana', 

'  —  (Grande  popolo!).  Lo  esiliò  la  forza  delle 
cose  ;   ma  regna  ancora. 


Il  pericolo  dei  cappello  era  scampato;  ma.  pur 
troppo,  era  scritto  che  nel  palazzo  di  don  Pedro  io 
dovessi  fare  una  figura  comica.  Eccomi  davanti  a 
Sua  Maestà  l'Imperatrice.  Mi  è  rimasta  ben  scolpita 
nella  memoria  quella  piccola  signora  coi  capelli 
!..  ih -hi.  un  po'  Fatticcia,  dall'aria  bui  ma  e  dagli  oc- 
chi bruni  e  vivi,  vestita  come  una  modesta  borghe- 
se, ritta  in  mezzo  a  un  salotto  modesto  ionie  il  suo 
vestito;  e  vedo  ancora  la  vecchia  dama  d'onore  '1  i 
sua  i;i^  parabile  mademoiselle  Josef  hine,  come  sep 
pi  poi)  in  piedi  dietro  di  lei.  nell'ombra,  e  così  im- 
mobile della  persona  e  del  viso,  che  mi  ricordò 
quella  'irta  dama  d'onore  della  regina  di  Grecia, 
la  quale,  a  detta  di  Edmondo  About,  ^n  creduta  da 
un  attore  francese  una  statua  di  cera,  fatta  l'I  l 
care  dal  ìe  per  economia.  Ricordo  dell'Imperatrice 
il  dolce  suono  di  voce  con  cui  mi  fece  le  domande 
solite  che  si  fanno  a  un  nuovo  arrivato  nel  1 
paese.  A  un  dato  momento,  parendomi  di  dover  dire 
qualche  cosa  di  non  domandato  (ah.  che  ispirazione 
infelice!)  le  feci  i  miei  complimenti  (meritatissimi, 


I0Ò.7 

invero)  per  la  facilità  e  la  corretti  .  con  la  quale 
pai  lava  La  mia  lingua. 

Non  avevo  finito  la   Frase,  che  vidi  gli  occhi  del 

De  Foresta,  ritto  accanii»  .1  me,  arrotondarsi  come 
quelli  d'un  granchio,  e  riportando  lo  sguardo  sul- 
l'Imperatrice arrivai  in  tempo  a  cogliere  sulle  sue 

!.. libra  un  sorriso  che  fuggiva.  Mi  colse  il  brivido- 
che  vien  della  coscienza  d'uno  sproposito;  non  in- 
tuii subito  qual  fosse;  ma  sentii  .he  doveva  essere 
marcii 

Non  intesi  più  le  parole  di  commiato  dell'augusta 
signora,  e  appena  fui  nel  corridoio,  ansioso,  do 
mandai  al  mio  accompagnatori  Che  ho  del  0 

li  ittenne  una    risata,   e    mi    domandò   alla    sua 
volta:  Ma    non   lo   sapeva    che   donna    Teresa 

Cristina  è  italiana,  figliuola  di  Francesco  I.  re  delle 
due  Sicilie,  zia  di  Francesco  II.  re  di  Napoli?  E 
lei  fa  dei  complimenti  perchi  sa  parlar  la  sua 
lingua  '. 

Per  tutta  risposta  mi  lanciai  verso  l'uscita  quasi 
di  corsa,  e  quando  fui  in  carrozza  non  mi  voltai  a 
guardale  il  palazzo.  E'  forse  per  questo  che  ne  ho 
dimenticato  affatto  l'architettura. 


Per  che  vie  son  salilo  d  monte  I  ijuca,  il  famoso 
belvedere  della  Baia,  la  passeggiata  classica  di  Rio 
Janeiro?  Mi  pare  ora  che  la  carrozza  tirata  da  quat- 
tro mule,  nella  quale,  se  non  sbaglio,  stavano  con 
me  il  console  Gloria,  il  bravo  Jannuzzi  e  il  buon 
I  irmacista  Foglia,  sia  arrivata  lassù  come  un  pal- 
lone volante  a  traverso  la  nebbia.  Ricordo  soltanto 
l'ultimo  tratto  della  lunghissima  corsa,  per  i  viali 
d'un  parco  incantevole,  fiancheggiati  d'una  vegeta- 
zione superba,  fra  cui  s'alzavano  felci  gigantesche, 
la  forma  d'ombrelli,  d'un  verde  chiaro  ammira- 
bile e  duna  snellezza  el  eia.  e  dove  la  cai 
rozza  ei  ogni  poco  dei  solitari  cidadaos  bra- 
z.laros,  che  stavan  là  ad  aspettare  pazientemente, 
■ol  viso  voltato  in  su  e  col  cacciafarfalle  in  pus  1 
in  attodi  filosofi  armati,  la  preda  gentile.  Ricordo 
d  aver  più  volte  desiderato  di  saltare  a  terra  e  di 
strappar  lo  strumento  di  mano  ,1  qualcuno,  quando 
vedevo  passare  e  posarsi  sul  fogliame  uno  di  quei 
grandi  gioielli  volanti  che  sfuggivano  all'insidia  dei 
sacchetti  aerei.  Che  maraviglie  !  Erano  pezzi  di  poi 
pura,  di  laso  azzurro,  di  velluto  bruno  101  ligli  L'iti 
a  bandierine  minuscole,  argentate  e  dorate;  pei, ih 
di  ginn!;  rose  candide,  d'una  trasparenza  di  ritagli 
di  trine,  parvenze  di  mazzetti  di  fiorì  alati,  di  nodi 
di  nastri  ingemmati,  striati,  orlali  di  tutti  i  colori, 
frammenti  di  vesti  di  regine  orientali,  ili  manti  d'i- 
doli, di  musaici  di  reggie  arabe,  portati  via  dall'a- 
ria ;  a  ciascun  dei  quali  mandavo  dietro  un  sospiro 
di  desiderio  e  un  pensiero  di  rammarico.  Sento  la 
del  bravo  Jannuzzi,  die  d  —  Ci  siamo!  ■ — 

I  iù  tutti.   F.   nessuno   rifiata   1  iù.    bieco  il 

1  rodigio. 


Forse,  se  potessi  riferire  per  l'appunto  il  solilo- 
quio, per  quanto  confuso  e  rotto,  che   feci  su 
belvedere  sublime,   ne  uscirebbe  una   pagina   meno 


l.lllS 


I.A    1.1 


quella  che  sto  per  scrivere.  Ma  vatte- 
meno 

jii.ind"  in 
(  'cu  vostra  buona  pai  e,  Rio    I   neiro  i    più 
ntinopoli.         \l     non  la  città  i    p 
|Ue,    tutl      la    natura    che    l'at- 
tori liì  mre  mi  par  d'avei 
volta,  coni  .  in  un  - 
iso  e   gentile,   qualche  cosa    'li    si 
\  isione.  Ni  m  •■  una  l  iaia    |uesta  .  ma 
un  ,                      m                    contornato  di   baie, 
i  nella  gì  azia  delle  i  urve  e 
II.'  ri\ i- .            •  i    cento  isole  che  \  i 
sono  il  più  incantevi Je  piccolo  arci- 
pelago del  pi 

onda  è  la  pi      ri  sa  e 

ito  che  abbia  preparato  la  natura  alla  capi 

d'un  impero.  Se  sull'opera  della  natura  si  po- 

;  la  critica  come  su  quella  d'un  artista. 

che  in  q  i  inde  "|  era   ella   ha   troppo 

pali  •  per  marai  ij  liare  gli  uomini, 

la   '  contrasti  della   bellezza.  Un  caos  di 

......  Chi  1"  disse?     E     ini  itti.  Una  varietà 

e  una  stranezza  'li  Forme,  su  cui  lo  sguardo,  attrai 
la  mille  parti,  si  perde  com«  sulla  faccia  can- 
no  in   tempesta.    Ci  ini   solitari   ili 
granito  che  paiono  monoliti  enormi,  piramidi  tron- 

e  spaccati  gemelle,  ali  issime  guglie  . 

guzze   come   lancie   titai  igne    ^  ì  l  >'  «  >se  e 

•uni',  dell  ■       Mi/i  sconquas 

dal  terremoto  e  rimasti  immobili  nell'atto  dello 
sfacelo:   mi  par  ili  vedere  riunite  e  alternate  mon 
Ila  Calabria,  della  Savoia,  dello  Spitzberg, 
della    l.i!  .    del   Fuoco,  Cervini  contraffatti.   Dolo 
affilate,  tu  pine  più  bizzarre 

!  ardite  'li  cui  ho  nella  mente  l'immagine    I 
che  bellezza  tutte  queste  isole  che  paiono  distribuite 
rti       '  te,    là   sparse,    li-  une  rocce 

e  dirupate,  le  ali  re  riboccanti  di     e§        ione, 
simil  'ii  lini  gallegg  ianti,  e  qua  li  i 

in  disparte,  lontana,  come  \m  picei  lo  pài  idiso  miste- 
sorto  per  incanto  dalle  acque!   E'   un  para- 
,  veramente,  e  pai   che  la   natura 
l'ahl<i a  voluto  separar  dal   n     idi        rrandone  così 
|uei  due  alti   Minai,  intorì,  che  ali  i  ic 
chio  quasi  si  toccar         piantando  ancora  in  mezzo 
a  quel  passo  un'isoletta   rocciosa,  come  un  naviglio 
|>erp  .   che   vigili   e  minacci  chi 

sawii  n  .  I    non  le  pare,  caro  Foglia,  che  quell'al- 
ste   fuori  nell'<  Iceano,  abbiano  l'aria 
il  irino  la  grazia  ili  pi 

1  <  I  mon  Foglia,  che  ac- 
che 
do  ^illa  riva  la  ritta  ili  Nichteroy, 

pro\  incia  ili  Rio  | 

I  i  irenz  i.   Icaraho,    furajubù. 

ndom '  lungo  il    m  ire.    s  adi I  nelle 

Ili  e  si  perdon  nei  boschi.   Ma  una  città 

poco  in  baia  immensa. 

\|  i'  mainata  Rio  Janeiro,  ili  cui  vediamo 

■  Tiiuca  e  ili  qua 

forza    ili    star- 


li       mmira     n      i  

di  bosi  hi,  'li  colline,  ili  picchi,  che  dal!  azzurro  in 
tinsi,  del  mare  ascende  i  er  mille  sfumature  'li  vei 
de,  per  tutte  le  forme  della  maestà,  della  gì 

del  bello,   dell'orrido,    fino   all'azzurro   leggerissi 

del  '  u  In.  limpido  come  quello  d'un  astro  senz 
pori.   Rifuggo,  anzi,  dalla  vista  della  metropoli,  la 
quale   mi    rappresenta    in   qui  sta    bellezza 
miserie  e  gli  ali. inni  degli   uomini.   Ma  che  - 
Li  ritrovo  anche  qui  da  ogni  parte  e  sotto  ogni  a 
spetto.  Sulle  rocce  che  serrano  l'entrata  della  baia 
sorgono  fortezze,  i  bei  promontori  sono  armiti  ili 
cannoni,  quelle  isolette  incantevoli  racchiudono 
ti/i  .li  ili igana,  ospedali,  m  ip  izzini  ri 
me:  anche  in  quest'I  den,  ili  pei  tutto  si  lati, 
'■ni",  si  pensa  alla  morte.  E'  possibile?  E  tutto  ap 
pare  così  quieto  e  ridente  :  Il  traffii  o  del 
follato  ili  navi,  il  via  vai  dei  vapori  e  delle  barcfM 
tra  Rio  Jan. -in.  e  Nichteroy,  I  r.i  isole  ed  iso 
l'uno  all'altro  dei  cento  scali   dei  sobborghi,  e  il 
formicolìo  umano  delle  rive  che  s'incurvano  sotto  il 
nostro  sguardo,    non  turbano  punto,  neanche    al  li 
ni".  I.    pai  e  della  baia  i asl  issima,  •  he  in  que- 
st'ora  del  tramonto  sembra   solitaria  come  un  an- 
golo ilei  niomlo  non  ancora  scoperto  dall'uomo.    1 
si  direbbe  che  non  sono  mai  stai  :  solcate  da  una 
nave  quelle  acque  limpidissime,  tinte  ili  slum, 
cosi  soavi  d'azzurro,  'li  verde  e  di  roseo, 
ravigliose  ili  trasparenze  e  ili  chiarori  cristallini,  i  h 
metti  mi  i  il   desiderio  'li  berne,  •  i 

dare  bbrezza  sovrumana.  Che  mi  viene  in  men 

te?  Il  motto  del  Dumas  su  /  Miserabili:   —  i 
trep  beau  pei"  un  rumati.         Sì.  e  tutto  questo 
troppo  hello  per  gli  uomini.    Forse  per  ciò  furon 
mandate  qua  la  febbre  gialli    e  le  febbri  palustri; 
senza  di  che  sarebbe  staio  troppo  invidiabile  il  ; 
che  li  ha  piantato  !e  tende.  Ma  che  cosa  dice,  caro 
Fi  iglia  ?  Ripartire,  già? 
Era  necessario,  avevamo  un  orario  inflessibile. 
Ah.  vi  chiedo  ancora  dieci  minuti,  cinque  minuti, 
perchè  non  rivedrò  mai  più  in  vita  questa  bellezza 
e  ogni  suo  minimo  aspetto  che  mi   sfuggirà   dalla 
un  moria  sarà  per  me  una  gioia  perduta.   Che  io  ne 
perda  quantomeno  è  possibile!  Che  m'entri  l 
nella  mente,  che  mi  si  stampi  pri  ite  negli 

e   nell'anima  questa   maraviglia   unica  della 
crea/ione,  il  cui  ricordo  mi  sarà  mille  volle  un  • 
li  il"    e    Un    sorriso,    e    come    la     visione    d'un    altro 

mondo.  Allargati,  povera  mente  mia.  con  uno  sfor- 
zo supremo,  e  abbraccia  tutto,  e  afferra  con  tutti 

irtigli   del   i  ensiero  e  premi   in  tutti 
della  memoria  la  preda  degli  occhi  innamorati 

nor  Jannuzzi  I  <  ih.  inesorabi] 
za  !  Addio.  leste,  j  ei  sem]  re  ! 


Che  dire  i  di  Rio  Janeiro?  ('hi  la  de- 

finì n  hi  la  paragonò  a  un  polipo  n  i 

il  quale  ha  la  ti        nella  pi  cola  città  primitiv  a  di  S. 

■  '  i  ino.       posta  1 1 1  due  colline  in  i  \\  a  alla  h 
ancora  quasi  intatta,  tutta  via  sii 
antica  all'aspetto,  benché  non  abbia  ancor  quattro 
e  pn il  ni i.-  lue  o  il  mare,  di  qua  e.  di  là. 


11.    SOGNO    DI    RIO  JANEIRO 


intorno  a  una  serie  di  lagune  e  di  seni,  e  su  per 
i  colli,  e  nelle  valli,  e  nei  valloni  che  in  queste 
sboccano,  i  suoi  tentacoli  sterminati,  tatti  ili  catene 
di  sobborghi,  fra  le  cui  estremità  opposte  rorre  mag- 
gior distanza  che  fra  un  rapo  e  l'altro  di  Londra. 
Feci  fra  i  punti  più  lontani  delle  scarrozzate  inter- 
minabili. Chi  m'accompagnava  mi  diceva  ogni  tanto 
il  nome  d'un  nuovo  sobborgo,  e  m'accennava  una 
veduta  nuova  delle  isole,  della  riva  opposta  della 
1  aia.  e  delle  montagne  che  la  coronano.  Ma  come 
ricordarsi  di  quel  visibilio  di  nomi  portoghesi  e  in- 
diani, di  quella  grande  varietà  di  prospetti  ammi- 
rabili,  di  tanti  passaggi  da  un  sobborgo  deserto  a 
uno  pieno  di  vita,  da  un  porto  ad  un  parco,  dal 
piano  all'altura?  A  quando  a  quando  pareva  che  la 
città  fosse  finita;  ma  dopo  un  tratto  ricominciava. 
Alle  case  pesanti  dei  primi  costruttori  portoghesi 
succedono  le  ville  sorte  da  poco,  largamente  aperte 
sui  giardini,  come  per  bere  l'aria  a  gran  sorsi  ;  ai 
nuovi  palazzi  signorili,  di  architettura  presuntuosa, 
ornati  di  finti  marmi  e  di  stucchi,  pitturati  e  an- 
che dorati,  gli  edifici  pubblici  enormi  e  semplici,  so- 
miglianti a  grandi  caserme,  i  vasti  conventi  e  le 
chiese  dell'epoca  coloniale,  di  stile  gesuitico,  i  lun- 
ghi muri  di  cinta  dei  vasti  parchi  privati.  In  vari 
punti  la  città  è  interrotta  da  folti  boschi  senza  sen- 
tiero ;  s'alzano  fra  l'abitato  rocce  a  picco,  rivestite 
rli  licheni,  massi  isolati  di  granito  dalle  strane  for- 
me di  mausolei  e  di  campane  ;  un  sobborgo  è  se- 
parato dall'altro  da  piccoli  monti  scoscesi,  sui  quali 
si  disegnano  a  zig  zag  strade  e  sentieri  e  alti  acque- 
dotti inghirlandati  di  verzura.  Da  ogni  parte  si  ve- 
dono come  folle  di  case  che  danno  l'assalto  alle  al- 
ture, che  invadono  le  conche,  che  s'allungano  ser- 
peggiando per  le  rive;  si  coglie  juasi  sull'atto  l'o- 
pera conquistatrice  della  città  crescente,  la  quale  ro- 
de i  promontori,  abbatte  le  rocce,  squarcia  e  divora 
le  culline  che  fanno  impedimento  alla  sua  impetuo- 
-  '  espansione.  Sono  dieci  città,  e  Rio  Janeiro  pro- 
prio non  si  sa  dire  dove  sia.  Lascia  l'impressione 
d'uno  sparpagliamento  enorme,  d'una  varietà  im- 
mensa di  forme  e  di  colori,  d'un  labirinto  infinito  di 
saliscendi,  d'un  misto  non  mai  veduto  di  civile  e  di 
selvatico,  di  metropoli  raffinata  e  di  natura  vergine, 
di  vita  esuberante  e  di  solitudine  morta,  d'un  disor- 
dine tumultuoso  e  magnifico,  dove  anche  l'opposi- 
zione d'aspetti  che  è  opera  della  natura,  sembra  o- 
pera  umana  che  abbia  ispirato  e  guidato  l'intento 
di  ferir  la  fantasia  con  un  grande  spettacolo  tea- 
trale. E  un  teatro  è  ogni  via  frequentata  per  1"  spet 
tacolo  vario  e  pien  ili  contrasti  che  vi  presenta  la 
gente  che  passa,  fitta,  vivace,  portata  via  rapida 
mente,  per  la  maggior  parte,  da  una  fiumana  di  om- 
nibus, di  tranvai  e  di  carrozze:  signori  brasiliani 
in  tuba  e  in  guanti,  coi  calzoni  bianchi  e  le  scarpe 
inverniciate;  negri  agiati  vestiti  elegantemente  al- 
l'europea ;  facchini  negri  con  un  sacco  da  imbal- 
laggio per  camicia,  segnato  d'un  grosso  numero,  co- 
me una  casacca  da  galeotto;  meticci  nati  dall'incro- 
'iamento  delle  razze  portoghese,  africana  e  indiana, 
di  tutte  le  tinte:    indiani   puro  sangue  dalla   faccia 

di  bronzo;    faccie  d'italiani,   d'inglesi,   d'a ricani 

del  nord,  di  francesi,  di  tedeschi,  di  svizzeri,  bv  di 


1 1  )6y 

armeni  e  di  turchi,  divise  dorate  d'ufficiali  mulatti, 
signore  e  signorine  negre  col  cappellino  piumato  e 
i  guanti  bianchi.  E  tutta  un  tratto  qui  sto  spettacolo 
cessa,  e  \i  ritrovate  sopra  una  spiaggia  deserta,  tra 
il  mare  ed  un  bosco,  soli  in  cospetto  delle  montagne 
acuminate,  dentate,  gobbe,  pendenti,  dalle  archi- 
tetture temerarie  e  minacciose,  dai  fantastici  aspetti 
di  ligure  umane,  più  strane  della  vita  da  cui  siete 
usciti,  piti  \arie  e  più  stupri  .uniti  della  folla  di 
dicci   razze  di  cui  avete  rotto  l'onda  di  fuga. 


rutti  i  miei  ricordi  di  Rio  Janeiro  brillano  in 
campo  verde:  passi  il  traslato  di  cattivo  gusto.  Ri- 
vedo col  pensiero  di  là  da  ogni  cosa,  più  bella  d'o- 
gni eosa.  una  vegetazione  opulenta,  sfarzosa,  domi- 
natrice, appetto  alla  quale  mi  par  l'immagine  d'una 
squallida  povertà  quella  che  pur  dà  belle/za  ••  alle- 
gria alle  città  dei  nostri  paesi.  Gli  alfieri  sorgono 
dal  lastricato  delle  strade  come  da  noi  i  ciuffi  d'erba 
dalle  vecchie  mura,  ostinati  a  vivere  a  qualunque 
costo,  nelle  condizioni  piti  avverse  alla  vita:  dai 
muri  dei  giardini  sporgon  fuori  e  vengon  giù  rami 
fioriti,  capigliature  verdi,  ghirlande  e  cascatelle  di 
fronde  e  di  fiori;  s'aprono  giardini  da  ogni  parte, 
pieni  d'ogni  forma  di  felci,  d'orchidee,  di  brome- 
lie.  di  banani  dille  larghe  toglie,  rigogliosi  e  'itti. 
che  pare  si  contendano  lo  spazio  e  la  luce,  e  vogliati 
soverchiare  le  case  ;  giardini  ammirabili  sono  la  più 
parte  delle  piazze,  dove  gli  alberi  giganteschi,  dai 
fusti  strani  e  dal  fogliame  grazioso,  sono  cosi  folti, 
svariati  di  forme,  disparati  d'atteggiamenti,  diversi 
di   verde,   che   l'occhio  s'affatica    anche  a  guardarli 

per  i i,   è    masi   n'ha  un  senso  d'abbagliamento, 

come  da  uno  spettacolo  continuamente  mutevole. 
Tale  è  la  magnificenza  della  vegetazione,  sparsa, 
ammontata,  ondeggiante  da  per  tutto  dove  non  l'ab- 
I  ian  soffocata  nella  terra  le  pietre  accumulate  dal- 
l'uomo, da  parer  quasi  innaturale  che  su  quel  suolo 
stesso,  rosi  meravigliosamente  fecondo  di  maravi- 
glie vegetali,  non  vengati  su  altrimenti  che  sul  no- 
stro anche  le  piante  umane,  che  non  sian  fra  loro 
più  comuni  che  fra  noi  la  grandezza,  la  bellezza  e 
la  forza.  Su  questa  infinita  bellezza  verde  sorgono 
a  ogni  passo,  a  tutte  le  altezze,  dalle  rive  dei  porli 
alle  sommità  delle  colline,  le  palme  colossali,  dai  fu- 
sti diritti  e  lisci  come  altissime  colonne  granitiche  di 
templi  ideali;  formano  coni,  boschi  aerei  al  di 
sopra  dei  boschi  che  veston  la  terra,  propilei  da- 
vanti alle  ville  e  ai  palazzi,  corone  sulle  alture. 
archi  intorno  ai  seni,  e  vicino  e  lontano  alzano 
dietro  agli  edilizi,  come  insegne  di  sovranità  pian 
tati  sulle  terrazze  e  sui  tetti,  i  loro  pennacchi  su- 
perbi e  L'enti!!,  che  spici'. ino  sul  cielo,  su!  mare, 
sull'azzurro  dei  monti,  e  par  che  diffondano  alle- 
va nell'aria  e  grazia  su  tutte  Ir  cose.  E 
propriamente  l'allegrezza  e  la  grazia  di  Rio  Janeiro, 
sono  ir  ultime  immagini,  credo,  eh.-  svanirebbero 
dalla  mia  mente,  se  ogni  ricordo  di  quel  paese  ne 
dovesse  fuggire,  fuorché  quello  d'esservi  stato;  so- 
no le  prime  che  mi  balenano  sempre  al  pensiero 
l'udir   rammentare  il   suo  nome.    Sento,   leg 


LA    LETTI  R  \ 


e  vedi i  urli  azzui m.  tutto  Lnti n 
in  lontan  ili  siili  i 

|uei  mazzi  leg         i        -  i   ili 
i,  < ] in-Hc   grandi    raggiere   tremule  ili 
:    zampillanti  di   vei 

d'aspetti    umani, 
e  «li  i nini 

•  he,  s.illi-\ andosi  dalla 



moria,  ci  ritrovo  in  fondo  al 
tri                                                     ini;  slegati  af- 
II  litro,  e  o  une  dispersi  nel  buio.  Rin- 
dove,  un  gioì  ine  atti  ire  italiano, 
d     sé  e  mi  domanda  sul  ii  i 
baia          ed  esprime  un  pensiero 
Non  è  \                           ella  che  è  quasi 
triste?  Se  vedi                 notti  <li  luna!  Fanno  pian- 
\l     vedo  accanto  sul  tranvai  un  signore 
o,    il  quale  in  ibbarbaglia   gli  occhi  ugni 
\"li                  la  mano  p                    rsi  la  barba  ne- 
nia :   una  mano  che  pare  un  ■      ns li  I 

sfolgorante  di  diamanti,  ili  smeraldi 
e  'li  sento  dire  che  è  comune  fra  i  signori 

o  di    -    ■  elleria,  e  che.  nelle 
ie  ore  da  a  Rio  Janeiro,  senz'esserme 

sto,  io  debl  «  i  aver  già  toccato  con  le  mie 
te  ili  mano  pei  un  mezzo  milione  di  gemme.  Ri- 
rchi  to,  che  bevendo  una 
limonata  accanto  a  me  a  un  canili  ili  strada,  an- 
nunzia  all'acquaiolo  che    il    suo   potentissimo   pa- 
drone,  in  occasione  dello  sposalizio  della  figliola, 
lo  ha  affrancato  dalla  schiavitù,  onde  egli  è  da  tre 
tdim    !  i   -il  imi '  ;  e  dice  questo  co- 
li sia  affati' ,  indiffen  nte,  1 1  ime  se 
la  libertà  non  fosse  che  una  parola,  quando  con  essa 
i leu. ni   per  servirsene  e  per  go 
derla:  strano,  non  ■■  vero?  Strano  anche  quello  che, 
ndo  in  carrozza,  vedo  affisso  accanto  a  un  pur 
i     i.i  d'un  gruppo  di  ragazzi  negri  tutti 
nudi:    un  cu  Compagnia   Lambertini. 

innuncia  un  dramma  in  un  atto  del  Cuciniello. 
Ed  ecco  la  bottega  dove  fei  ferm  i  la  carrozza 
con  un'esclamazione  di  maraviglia,  per  discem 

ir  nelle  vel  i  ine  uni  i  »  iame  di  >  piccoli  re 
"'ri»:  uccelli  mosi  genere,  che  paion 

di  lìori.  d'oro  e  di  perle,  luccicanti,  sfavillanti, 
.   piccoli  'i  e  per 

un    anello,    delicati    da    soffocarli    con  un   bacio, 
osi     da    farvi    buttar    sul    banco   del    botte 
i     fin     l'ultima     lira,    a     costo   di    farvi    «  rim 
patriarci  dal  Consolato.   Poi...        Guardi,  un  e  art 
Udendo  dal  buon  farmacista  queste  | 
mi  fauni,  fremere,  ini  voi  0  appena  in  tem- 
pi' pei  veder  passare,  da  un  missio 

figura  di  sel\ 

perto  di  panni  cenciosi,  d'una  faccia  nte  il 

e,  di  color  bronzo  rossastro  lucido,  con  tri 

di  legno  infissi  nella  bocca  e  alle  orecchie 

niili  a  tre  medaglioni  pendenti:  uno  di  quegli  indo 


mabili  b  delle  foreste  vergini,  che  accolgo 

no  le  avanguardie  della  civiltà  a  colpi  di  frecce  a\ 
velenate,   e  di  cui   .dima   cr.ui"   ancor   pochissimi 
quelli  che  i  missionari  fossero  riusciti,  non  a  con 
-  !    immansare  :   li  i  vedi  i  svoli  are  a  una 
cantonata  con  un'andatura  di  fiera  presa  al  laccio, 

lo  '-"ii  un        i         nule  i\\m  tranvai  chi 
\  ien  sopra.  Si  ferma  un'altra  volta  la  carrozza 

il  passo  a  una   frotta  di  contadini  scamiciati. 
che   attraversano   la    strida    in   disordine,   con   gl'in- 
volti  dei  panni  infilati  ni  i  basti  ni.  a  passo  stani 
coi  visi  tristi  ;  nei  ' guati  riconosco  al  primo  sguardo, 
con  una  stretta  .'l  cuore,  la  fraternità  del  sang 
immigranti    italiani,   meridionali    la   più    parte,   mi 
sembra,  che  vanno  a  cercar  la  vita  nell'interno  del- 
l'Impero. Ahimè!  La  vita  o  la  morte?  E  mi  riti 
ora  in  carrozza,  ma  non  so  più  dove,  con  un  : 
naie  ili  Rio  fra  le  mani,  leggendo  un  poetico  arti 
colo   intitolato:   —  zi   civilisaeao  e  e  progreso   - 
e  riscni"  la  scossa  che  mi  diede  il  contrasto  violento 
delle  idee  quando,  voltato  il  foglio,  lessi  tra  gli  an- 
nunzi di  quarta  pagina:     -  Si  vende  una  robusta 
creola  di   JJ   anni,  con   una   bella   creai unna  di    il 
mesi  :  ten  a    ■  r,  a  pre    o  discreto.        E  ho 
iui-.t"  curioso  ricordo  d'una  delle  Me  principali  del- 
■   città,  di  prima  sera:    di  certe  am]  tre  a 

terreno,  tutte  aperte,  per  le  quali  si  vedevan  dei  sa- 
lotti illuminati,  dove  delle  signore  biancovestite 
versavano,  e  quanti  andavano  a  passeggio  per  la 
via,  signore  e  signori,  ci  vedevan  dentro-,  del  che 
avendo  espressa  la  mia  maraviglia  a  chi  m'accompa- 
gnava,   questi    mi    rispose    con   una    lineata    del 

mito. 
Che  mara\  iglioso  paese  '. 


Senza  dubbio   fui  sulla  cima   del   Corcovado,    il 

glorioso  moine  gobbo,  che   torma  la   testa  d'un  Gi- 
gante coricato,  del  quale  rappresenta  i  piedi  con 
giunti,    sporgenti    dal  mare,    il   non   meno  celebrato 
Pan  di  zucchero  ;  ma  se  a  metà  della  strada  ferrata 
a  catena   per  cui  v'andai,  fra   le  ombre  d'un  b 
avessi  persola  coscienza  come  un  aereonauta 
siato,    per   non    riacquistarla    che  alla    discesa,    non 
potrei  aver  nel  capo  un  buio  più  fìtto  intoni"  al  pa 
coralli, '   decantato  che  si  gode  da  quella  cima.   ' 

i  mente,  visitai  il  mirabile  Giardino  Botanico,  sulla 
laguna  di  Rodrigo  de  Freitas;   ma  all'infuori  del 

gran  viale  delle  Palme  giganti,  famoso  in  America 
ito  la  [lincia  di  Ravenna  in  Europa,  e  d'un 
bicchiere  di  birra  che  tracannai  là  in  un  moment" 
di  sete  d  '  Mastr' Adamo,  non  ho  più  traccia  di  nulla 
nella  memoria.  Nella  mente  affaticata  dalle  infi- 
nite e  svanitissime  cose  viste  di  volo  in  poche  ore. 
'■ime  sopra  un  foglio  rat 'esciti,  dove  non  rimanga 
più  spazio  per  una  frase  intera,  non  s'imprimevano 
più  le  cose  nuove  chi  "1  abbreviature  e  frammenti. 
E  fui  o  non  fui  all'isola  di  Paquetà,  la  pia  florida 
e   più    gentile    dell'arcipelago,    della    quale    intesi    in 

quei  tre  giorni  rammentare  il  nome  cento  volte,  co- 
me  d'un   nido  di    delizie  che   nessuna    penna   poti 

ne  melile  immaginari     Si    *i  fui,  chiedo 


IL    SOGNO    lil    RIO    JANEIRO 


perdono  e  misericordia  a  chi  m'usò  la  cortesia  im- 
meritata d'acrompagnarmivi.  E  con  quest'atto  di 
(nutrizione  potrei  finire,  perchè  già  respinsi  fin  da 
principio  la  tentazione  di  scombiccherare  d'inchio- 
stro le  aurore  e  i  tramonti  maraviglisi  di  Rio  Ja- 
neiro, avendo  già  segnati  troppi  tramonti  e  troppe 
aurore  sulla  mia  fedina  criminale  di  scritture:  ri- 
spetterò almeno  il  cielo  del  Brasile.  E  non  è  un 
piccolo  merito  perchè  ricordo  bene  che  la  mattina 
prest'i.  quando  saltavo  giù  dal  letto  ospitale  del  De 
Foresta,  e  rimanevo  come  intontito  a  guardare  al- 
l'orizzonte quel  cielo  purpureo,  che  pareva  acceso 
dall'  incendio  di  tutte  le  foreste  dell'  Impero. 
e  la  sera,  ritornando  a  casa,  quando  vedevo  inar- 
gentati dalla  luna  i  boschetti  delle  palme,  le 
acque  della  Baia,  l'arcipelago  e  le  montagne,  di 
cevo  tra  me:  —  Oh!  Cercherò  le  immagini  per  dei 
mesi,  mi  metteiò  il  cervello  alla  tortura,  suderò  san- 
gue sulla  carta  da  protocollo,  mi  caverò  le  parole 
dal  capo  a  forza  di  pugni  nelle  tempie;  ma  riu- 
Si  irò  a  dare  un'idea  di  questo  miracolo!  —  Propo- 
siti  ili  scrittore,  giuramenti  di  marinaio. 


Una  cosa  non  posso  tralasciar  di  ricordare:  la 
sciata  che  passai  il  giorno  avanti  la  partenza  nelle 
sale  del  Circolo  filodrammatico  italiano.  Della 
stanchezza  di  tante  corse  affannose,  fatte  con  l'arco 
della  mente  sempre  teso  a  cogliere  le  maraviglie  fug- 
genti, e  che  m'avevan  ridotto  al  punto  d'uno  scolaro 
disfatto  e  istupidito  da  uno  sgobbo  disperato  per  gli 
esami,  mi  rifeci  a  un  tratto,  quasi  per  incanto,  nella 
compagnia  di  quei  miei  concittadini  cordiali  e  gen- 
tili, come  se.  stando  in  mezzo  a  loro,  mi  ritrovassi 
già  in  Italia,  coi  miei  vecchi  amici,  e  nella  mia 
casa.  Ah.  che  buone  strette  di  mano,  per  le  quali 
passava  da  cuore  a  cuore  una  scintilla,  che  ci  ri- 
destava mille  cari  ricordi  della  patria,  lampeggianti 
nei  sorrisi  prima  che  espressi  dalle  parole  !  Ma  era 
destino  che  anche  là.  come  nel  palazzo  di  Don  Pe- 
dro.  fosse  velata  la  mia  contentezza  da  un'ombra 
di  ridicolo.  E  non  accennerei  quest'inezia  se  non  mi 
porgesse  occasione  di  ricordare  ancora  una  volta 
il  caro  capitano  Bove,  alla  cui  memoria  mi  par  di 
rendere  omaggio  rammentando  l'umor  giocondo  e 
arguto,  che  era  una  delle  tante  sue  qualità  amabili. 
Egli  era  fra  gli  altri  in  quel  Circolo  ;  egli  solo  sape- 
va ch'io  ero  stato  costretto  a  andar  là  con  un  lungo 
cappotto  da  mezza  stagione,  che  m'aveva  impresta- 
ti non  so  chi.  in  non  so  quale  albergo,  perchè  era 
toccato  al  mio  vestito  un  infortunio  irreparabile,  e 
m'era  mancato  il  tempo,  in  quella  vertiginosa  fuga 
ir.  carrozza,  di  mandare  al  piroscafo  a  prendere  un 
cencio  di  ric.uiil,;,)  :  egli  sapeva  che  se  mi  fossi  tolto 
di   dosso  quel  saccone,  reso   ridicolo  dal   caldo  che 


loyi 

m'imperlava  la  fronte,  sarei  rimasto  in  maniche 
bianche;  lo  sapeva,  il  barbaro,  e  non  so  (piante 
volte  nella  serata,  a  udita  di  tutti,  mi  disse  con  un 
sorriso  perfidamente  finto  di  sollecitudine  fraterna: 
Ma  perchè  non  ti  togli  quella  palandrana,  po- 
vero  amico,  che  si  vede  (In-  soffochi  ?  —  Ma  perchè 
non  ti  metti  in  libertà....  con  quest'ala  ~?  —  Ma  per- 
chè....? -  Tante  volte  mi  torturò,  istigato  alla  fe- 
rocia dalle  contrazioni  dolorose  del  mio  viso,  che 
alla  fine  mi  rivoltai,  e  gli   risposi  disperatamente: 

-   Ma  lo  sai  bene  che  non  posso,  cannibale! 
alzando  un  po'  troppo  la   voce;   onde  il  vergogl 
secreto  fu  scoperto.,  e  tutti  ne  risero,  e  io  pure  ;  e- 
concorse  quel  caso  ameno  a    render   più   familiar- 
mente allegra   e  cordiale  la  serata  indimenticabile. 


La  sera  della  partenza,  la  Baia  era  tutta  color 
di  rosa;  Rio  Janeiro,  già  coperta  di  un  velo  roseo 
che  clava  aspetto  di  sobborghi  anche  alle  rive  lon- 
tane quasi  disabitate,  pareva  una  città  senza  con 
fini,  e  sull'orizzonte  rosato  da  una  parte,  dall'altro 
azzurrino  e  verdeggiante,  d'una  trasparenza  ideale, 
si  disegnavano  i  denti,  i  coni,  le  cupole  delle  mon- 
tagne e  le  chiome  scapigliate  dei  boschi  con  una 
nettezza  così  precisa  di  contorni,  che  pareva  tutto  in- 
tagliato nel  cielo.  Eppure,  davanti  a  quella  belle. va 
immensa  e  serena,  ch'era  augurio  d'un  viaggio  felice, 
e  in  vista  di  quel  Sirio,  che  mi  doveva  riportar  difi- 
lato in  Italia,  avevo  il  cuore  pieno  di  rimpianti,  e 
punto  quasi  da  un  rimorso.  Partivo  da  quel  paese 
con  la  certezza  di  non  ritornarvi  mai  più.  e  non  a- 
vevo  visto  il  Rio  delle  Amazzoni,  ne  la  foresta  ver- 
gine, ne  la  cascata  di  Paolo  Alfonso,  né  le  savane 
sconfinate  ;  m'ero  appena  affacciato  alla  terra  più 
maravigliosa  del  mondo,  e  ne  scappavo,  come  un 
barbaro,  con  poche  memorie  monche  e  confuse,  pò 
co  meno  ignorante  d'ogni  cosa  che  se  non  vi  fossi 
nemmeno  sbarcato.  E  in  una  gran  parte  di  quel 
paese  erano  sparsi  migliaia  di  miei  fratelli,  quasi 
divisi  dal  mondo,  in  maggioranza  poveri,  molti  di- 
sprezzati ed  oppressi,  tutti  curvati  a  un  duro  la- 
Miro,  e  tristamente  pensosi  della  patria,  e  io  non 
avevo  potuto  andar  fino  a  loro,  raccogliere  i  lori 
lamenti,  confortare  almeno  con  la  parola  paterna 
i  loro  dolori,  e.  come  avevo  fatto  in  altre  terre, 
dare  alla  fronte  dei  loro  bambini  un  bacio  e  un 
sospiro.  Gli  altri  pensieri  si  dispersero  nell'aria  ap- 
pena il  Sirio  fu  fuori  dalla  Baia  ;  ma  l'ultimo  ram- 
marico durava  ancora  (piando  il  Pan  di  Zucchero, 
guardiano  di  Rio  Janeiro,  poc'anzi  dorato  dal  sole. 
non  m'appariva  più  che  come  un  piccolo  cono  nero 
ravvolto  da  una  nebbia  grigia,  che  sprofondava  pò 
co  a  poco  nel  mare:  immagine  della  fine  d  ogni 
gioia  umana. 


E.  DE  AMICIS. 


•^ 


Canti   della  culla 


co 


i. 

Ora  Ella  veglia,  calma  net  sorriso, 
presso  la  calla  ove  la  bimba  dorme. 
Ila  a  no  nel  sonno  le  infantili  forme 
I  Ha  soavità  di  Paradiso.  — 
S'addormentò  la  bimba  con  la  mano 
ne  la  sua  mano;  ed  Ella  più  non  osa 
toglier  le  sue  da  quelle 
piccole  dita,  pelali  di  rosa. 
S'addormentò  la  bimba,  su  lo  strano 
ritmo  d'una  cauzou  d'ali  e  di  steli' 
e  di  bionde  sorelle 

l  li  Ella  cantava  —  ora  la  sogna,  forse.  — 
lì  ne  la  calma  quasi,  augusta,  piena 
di  taciti  pensieri, 

la  smorta  Donna  dai  grand' occhi  neri 
ripete  nel  suo  cor  la  cantilena. 

II. 

"C'era  una  volta...»   ma  perdutamente 
si  spezza  la  canzon  nel  triste  cuore. 
L'anima  antica  insorge  in  un  clamore 
ili  tempesta.  —  «  Sei  tu,  quasi  morente?... 

-  Sei  dunque  tu  la  zingara  boema 
libera  come  il  sole  e  come  l'onda, 
the  respirò  l'ebbrezza 
<iei  venti  e  de  la  rondine  errabonda, 
e  nei  canti  onde  l'aria  par  che  frema 
ani  or.  tutta  versò  la  giovinezza? .. 
L' infinita  stanchezza 
del  tuo  viso  confessa  il  lungo  male 

a  poco  a  poco  ti  vuotò  le  vene. 
E  pur  Ut  condannata 
non  sei.   Ti  vuole  a  se  quest'adorata 
culla  ove  dorme  e  palpita  il  tuo  bene.   — 


CANTI  DELLA  CULLA  myò 

III. 

Vivrai  per  questa  dolce  creatura 
che  uscì  da  la  tua  carne  dolorosa. 
Una  potenza  che  a  te  stessa  è  ascosa 
avvampa  ancor  ne  la  tua  fibra  oscura. 
•  In  cor  tu  guarderai  la  vita  in  faccia 
per  lei,  per  lei  ctìè  sangue  del  tuo  sangue: 
e  ascenderai  le  cime 
eccelse  ove  lo  spirito  non  langue; 
per  lei,  per  lei  ritroverai  la  traccia. 
Se  l'anima  nel  pianto  si  redime, 
raccogli  tu  ne  l'ime 
viscere  il  tuo  dolor  come  in  un'urna  ; 
poi  va  —  trasumanata.  —  E  avanti,  avanti, 
fin  che  ti  regga  il  piede, 
fin  che  non  abbia  la  tua  nova  fede 
infiammati  d'amor  tutti  i  tuoi  canti!... 

IV. 

Passano  l'ore  e  passano  le  stelle 
pallide  su  quel  sonno  d'innocente, 
mentre  la  Donna  fragile  e  possente 
dal  fermo  cuore  ogni  viltà  si  svelle. 
—  0  creatura  mia,  piccolo  fiore 
che  chini  e  chiudi  le  tue  foglie  a  sera 
per  riaprirle  al  raggio 
de  l'alba;  —  immenso  ed  inesausto  amore 
oltre  la  vita,  oltre  la  morte  nera; 
tu  de  F anima  mia  guida  e  coraggio 
lungo  il  cam  ni  in  selvaggio.'..    — 
....  Passano  l'ore  e  passano  le  stelle.  — 
La  Madre  veglia  —  e  ancora,  nel  divino 
silenzio,  Ella  non  osa 
toglier  la  sua  da  quel  hi  man  ili  rosa 
che  tiene  avvinto  tutto  il  suo  destini'. 

Milano,  16  ottobre  ;yo2. 

Ada  Negri. 


'•UH,0, 1?SSì^- '. r ' :i5S^" *v3*». 

»•  -Jf 


"•4iMig^%8w^^myf%à(tc^ 


EMILIO    ZOLA 

Commemorazione    tenuta    nel    salone    della    Borsa,   in    Milano. 

11     .-»      iiovrnilirc-      I  :  m  >  l_- 


nnanzi  che  la  salma  ili  Emilio  Zola  fosse 
resa  alla  ti-rra.  un  ministro  della  Repub 
Mica  Francese,  insieme  col  saluto  della 
Francia,  1"  puri,,  quello  dell'Italia,  patria  paterna 
del  som  i  ■     i  ■    ijucsto  riconoscimento  di  pa- 

rentela fra  i  due  popoli,  rispetto  ad  un  nomo  che 
gloria  alla  terra  nativa,  liberalmente 
o  nell'ora  dell'ultimo  distacco,  quando  Tor- 
io e  la  tenerezza  domestica  sogliono  (arsi  più 
ed  esclusivi,  fu  un  atto  di  grande  ed  ospi- 
ilezza  che  mosse  a  gratitudine  l'animo  degli 
italiani      E     bello    che    un    ministro    d'Italia    ab- 
bia in  quell'ora  rivendicato  al  nostro  parse  una  sin- 
ne    di    fraternità    colla    Francia.    Ci    è 
tanti    uomo  portasse  un  nome  italiano 
•  ■  tosse  nato  di  sangue  nostro;  ma  per  la  pnrez7.a 
dell'omaggio  che  oggi  rendiamo  alla  sua  memoria, 
debito  affermare    che   nell'affetto  che   por- 
li,-I   dolore  dejl'acerba  sua  morte 
nella    mai  munirai  iva    che    desta    in    noi    la 

ipera  innanzi  tempo  compiuta,  non  intervenne 
■  ■■  nessun  sentimento  di  orgoglio  e  di 
tener  Nato  in  Francia  di  padre  tran 

nato  in  quale  altro  paese  della  terra,  di  parenti  che 
'   nome  d'Italia,   Emilio  Zola   i 

avrei  ui lo  I 

cultori   della  sua   memoria. 
I  pai  ria  di  uno  -  quella  che  gli 

foni  lo  strumento  dell'op  I         Vn 

'  he  cita,  ed  il  sangue  ma- 

terno e  le  lunghe  materne  cure  nella  misera  ini 

a  di  vita 
>  manzi,  la  m  i 


ravigliosa  padronanza  della  lingua  che  colà  conob- 
be, e  che  già  duttile  e  sottile  ancora  egli  seppi 
gare  e  costringere  ad  una  non  mai  prima  raggiunta 
minutezza  di  significati  ed  arricchire  di  termini  tee 
nici,  pure  serbandole  sapore  e  vigore  letterario,   lo 
stile  magnilexmente  per  impeto  interiore  di  persila 
sione  e  di  passione,  ma  chiaro  e  spedito  per  pron- 
tezza e  frequenza  di  comunicazioni,   la  coltura   non 
guari  allargata  oltre  i  confini  della  patria,   il 
fjlice  e  pratico  concetto  della  vita  e  dei  destini   u 
mani,  la  fantasia  fervida  e  concreta,  l'acume  ed   il 
metodo  dell'osservazione,  raccolgono  nell' immi 
mole  dei  suoi  scritti,  in  una  somma  quale  raro 
centra,  i  caratteri  essenziali  del  genio  francese.  Mar 
co  di  gaiezza,  ma  il  suo  tempo  non  ne  espresse  che 
agli   indifferenti,   e   ne    difettarono   e   ne   difettano 
quasi  tutti  gli  scrittori  degni  di  questo  nome  chi 
vennero  dopo  di  lui.  Anche  gli  fu  rimproverato  che 
mancasse  di  grazia,  ma  lo  su  sso  appunto  moss 
Vittor  Hugo    Enrico  Heine  che  se  ne  intendeva,  e 
concorde  al  Balzar  tutta  la  critici  sua  contemp 
nea.  E  sarebbe  a  vedere  se  proprio  ne  mainassi    a 
lo     sdegnasse    quale     mezzo     non     atto     ai    suoi 
lini.    Potrei  citare  ne'  suoi  romanzi   mille  esempi  di 
quella  sfiorante  precisione  nella  quale  appunto  con 
siste  la  giazia.   Ma   a  voler  lumeggiare  in  breve  ili 
scorso  la  figura  di  uno  scrittore,  non  conviene  insi- 
stere stille    qualità    formali    se    non    in    diletto    di 
maggiori.  A  chi  reca  in  mente  un  vasto  e  chiaro 
inondo,  e  poco  merito  saperlo  esprimere  nella   foi 
ma  che  più  gli  si  conviene,  perchè  le  cose  ben  pi 
dutr  nell'intelletto  vi  serbam  •   co 

m  ind  Jorano  la   parola. 


EMILIO    ZOLA 


IO7O 


Due  soli  fra  i  romanzieri  del  nostro  tempo,  parla- 
rono così  alto  al  mondo  ila  parere  la  loro  voce  tr 
re  di  moltitudine:  Emilio  Zola  e  Leone  Tolstoi.  Al- 
tri furono  più  di  essi  cari  ai  raffinati  pregiatori  della 


genti.  quale  culto,  a  quale  eri 

a  quale  fede  appartenessero,  quale  miseria,  o  là  vo- 
lontaria 0  l'inopia  o  la  servitù  li 
affliggesse.    Di    agitarla    intendo   così    per   consenso. 


I  mi/io  Zola  e  i  suoi  genitori. 


perfezione  artistica,  altri  regna con  più  esclu- 
sivo impero  in  devoti  cenacoli  ed  ebbero  meno  nu- 
merosi e  meno  acerbi  denigratori.  Ma  nessun  altro 
possedette  altrettanta  virtù  di  agitare  per  così  larga 
cerchia  di  terre  remote  e  diverse  la  coscienza  delle 


e. mie  per  dissenso,  due  moti  opposti  dell'animo  che 
procedono  dallo  stesso  impulso  e  ne  attestano  del 
pari  l'energia. 

Disparati  negli  aspetti  dell'arte,  avversi  uno  all'ai, 
tri    nell'idea  finale  del  bene,  essi  s'incontrano  in  una 


I,  LA    LETTURA 

il  ||   ottin   si   .1  ew  hi   di\  ei  sa  del  I  utu- 

I  in  una  \  simista  dell  odierna  società.  E 

i  don  non  proce 

to,  ma  dalla  spietata  con- 

I  loro  i 

>nhi  filosofica  dispei  to  delle  sorti  umane. 

già  pei  ,  issi  i  e  ri  nell'impi  itenza 

■  destino.  M  i  un  pessimismo  sperante 

di  sdegni   |  i<  toso  e  'li  gagliardi i 

utture  umane  non  si  riflettono  già  nel 

in  uno  spi  n  Iih  ■.  ma  sì  ■  i  me  in 

ima  brandita  per  estirparne  la  semenza.  Solo 


/.ni  \   HM  [DUO. 

■  hi    arde   comunica    ardore.    L'umanità  non   segue 
li  ». 

re  eroe  I"  Zola,  non  vorrei  che  la  vostra 
■   -  -    i  ira  rio  indotta  .1  quel  supremi  1  atto  'li 
-'ii"  ''he  tenne  il  mondo  sospeso  al  suo  grido  di 
e  'li  pietà.   Mi  prosterno  alla  magnanima 
ndezza  ili  quell'atto,  ma  la  viitù  eroica  dello  Zola 
appariva  intera  nella  sua  opera,  innanzi  che  egli 
lo  ci  Quell'atti    appartiene  .ili"  spirito  ani- 

lei  suoi  romanzi  come  I"  zampillo  alla  fonte, 
to  a  quel  %  rido  se  egli 
ili    za  dell'opera   lette 
r.iria. 

re  'li  avei  i  giorni  andai i 

un  si  v.i  e  quasi  di  nento  per  l'i- 

nsiero.  nel  me  troppi  articoli 

pirati  a  ri\  per 

re,  a      bi  di  questo  quasi  di  pas- 

tovratutto  la  prodezza  della  ma- 

\"n  |  osso  .1  meno  di  n    che 

unni  'li  lavoro  ni      splendore 

forte  piei  1       e 

me  'li  "lirr  mil  lecento  ]  1  di- 


stinti ognuno  pei  evidenza  e  precisione  'li  cari 

••'1  Operanti  Ognuni)  mi   mio  miv/n  etl  es]  ir  i  nienti  gli 

innumerevoli  aspetti  della  vita  ili  un  popolo,  pei 
poco  non  eclissati  'lavanti   la   virtù  ili   un 

momento  già    rimunerata   col  maggior  premio 
possa  aspirare  l'eroismo  umano:  la  persecuzione  per 
l.i  verità  ed  il  trionfo  della  verità. 

So  bene  che  è  più  facile  discorrere  dei  fatti  che 
delle  idee,  e  che  lozione  può  sull'animo  ìuisir..  assai 
più  che  I  1  troia.  Ma  l'opera  letteraria  dello  Zola 
contenne  tutte  le  energie  ed  indusse  tutti  i  pericoli 
dell'azione.  Sfessu lei  suoi  libri  pass.,  sereno,  ve- 
stito di  siila  bellezza.  Tutti  levarono  clamori  di 
trombe  0  mandarono  rombo  di  mine  sotterranee,  E 
nessun'.iltro  scrittore  ebbe  cosi  congiurati  al  silen- 
zio dapprima,  e  di  pni  così  furibondi  avversari  i 

dispensatici  di   fama  dall'alto  delle  grandi  rividi-  0 

del  giornali   in  maggior  credito.  Egli  bene  pi 
deva  quelle  ire,  e  quasi  si  godeva  di  incitarle,  come 
previde  <•  pregustò  i  danni  e  gli  oltraggi  che  gli  a- 
vrebbe  fruttato  la  denunzia  dell'ultima  iniquità. 

I"  cercherò  Zola  nella  sua  opera  letteraria.  Fac- 
ciamo di  richiamarcela  intera  alla  men 

Quale  edificio  !  ('he  mole  immensa!  Quando  la 
struzione  se  ne  andava  svolgendo  e  compiendo  noi 
non  ne  vedevamo  \  in  via  ''he  le  parti  ultime  venute. 
E  ognuna  di  queste  ci  dava  sensazione  e  emozioni,  i 
suggeriva  pensieri  e  giudizi  rhe  la  riflettevano  sola. 
E  ne  andavamo  esaminando,  la  singola  struttura,  il 
modo  della  lavorazione,  ne  pregiavamo  le  delicate 
finitezze  di  fattura,  i  vigorosi  rilievi,  e  l'armonia 
delle  parti  rhe  s'integravano  nella  parte.  Ma  non 
tutte  s'integravano,  e  certe  sovrane  linee  ascendenti 
troneaie  a  mezzo,  certe  membrature  dispaiate,  certi 
archi  non  sorretti  0  non  chiusi,  ci  mettevano  a  di- 
sagio e  quasi  in  sospetto  ili  mancamenti  0  di  pen 
menti  tardivi.  E  quando  l'opera  fu  compiuta,  essa 
ci  --'ava  a  ridosso,  si  che  non  potevamo  d'uno --nardo 
abbracciarne  la  mole,  e  le  si  alzava  intorno  come 
polverìo  per  lo  Sgombero  dei  materiali  il  gran  liti- 
gio offuscatole  dei  pareri  sapienti  e  delle  cupid 

rivali.  E  ancora  l'artefice  infaticabile,  impari 

riposo,  tentava  altre  imprese  e  ci  chiamava  a  riguar- 
darle, distraendoci  dall'opera  maestra. 

Ma    l'artefice   è  morto   e  la   morte     allontana    di 
colpo  le  cose,  le  colloca  nel  giusto  prospetto  e  dis- 
sipa quelle  nebbie.  O  se  ancora  qualche   fumo  sta 
gna  con  insidia  alle  basi  0  qualche  strappo  di  nu 
voletta   velenosa  s'avvolge  intorno  ai  sommi  pinna- 
coli, essi  nulla  appannano  la  veduta,  e  quasi  le    • 
scono  maestà  e  vaghezza,  così  che  il  colosso  ci  ap- 
pare  armonie 1    intero,    serrato   come   una    rupe, 

'tipo  nelle  ombre  meditate,   robusto  negli 
comisci ,  e  fiammante  al  sole. 


Chi  più  ricorda  le  diatribe  intorno  al  natui 
ci  al  romanzo  sperimentale?  ( 'he  più  ne  resi  1  j  Co 

>ii.    >i      |    in    male  dell'arte  nostra  e  di  qu 
sima    a    noi  I    Quanto   durano   le   dottrine  artistiche 
bandita    ognuna    quale    apportatrice  dell'ultima    ve- 
rità?  Delle  opere  nate  sotto  il  loro  dominio,  la  parte 
più    li    1  specchia   è    la   più  caduca.    Il   naturali- 


EMILIO    ZOLA 


Iti 


/  / 


smo  è  morto.  «Non  giungerà  al  secolo  XX».  predi 
(•va  il  (ìunon.nt.  «Morrà  con  noi»,  confessava  lo 
Zola.  E  con  ciò  essi  non  rinnegavano  già  il  princi- 
pii  animatore  dell'arte  loro  ma  riconoscevano  che 
1  arte  è  così  grande  cosa  che  non  può  rapire  nello 
stretto  ambito  di  una  teoria;  perchè  quanto  l'artista 
porta  con  sé  dalla  nascita  è  elemento  incoercibile,  e 
al  movimento  generale  degli  spiriti  nel  proprio  tem- 


DlSEGNO    DI    A.    C.ILL 

pò,  non  si  sottrae  volente  o  nolente  nessuno.  .1  quale 
scuola  artistica  egli  appartenga. 

Già  lo  Zola  si  rideva  di  quelli  che  volevano  fare 
del  naturalismo  una  dottrina  estetica  e  non  si  sa- 
ziava di  ripetere  che  esso  era  un  metodo  e  nulla 
più.  Ma  quelle  benedette  parole  in  nino  contengono 
una  indeterminatezza  che  le  predestina  ad  ogni  più 
cervellotica  stiracchiatura.  E  neanche  per  metodo. 
esso  non  era  cosa  nuova. 

«Non  ho  inventato  nulla,  scriveva  lo  Zola,  nem- 
meno la  voce  naturalismo,  già  usata  dal  Montai- 
gne, nel  senso  stesso  che  le  diamo  noi.  Essa  già 
corre  in  Russia  da  trent'anni  e  la  si  trova  in  Eran- 
cia negli  scritti  di  venti  critici  almeno  ed  in  parti- 
colare in  quelli  del  Taine.  E  come  non  ho  inven- 
1  ito  la  parola,  così  non  ho  inventato  la  cosa:  non 
un  capo-scuola:  ho  trentasei  mila  padri  prima 
dfl  Diderot,  e  dal  Diderot  in  poi.  riconosco  multi 
illustri  maestri.  Lo  Stendhal,  il  Balzac,  il  Flaubert 
i  due  Goncourt.  Non  c'è  scuola,  non  ci  -.uno  scolari. 
Pigliatevela  coi  miei  romanzi  se  vi  spiacciono:  Essi 
soni,  ripugnanti,  odiosi,  abbominevoli :  il  naturali- 
smo, non  ci  ha  nulla  a  vedere,  lo  romanziere  non 
credo  che  nell'ingegno.  Siate  uomini  di  genio.  stu 
diatevj  di  dire  la  verità  del  vostro  sec<  lo  <■  l'immor- 
talità vi  aspetta  ». 

Mille  volte  lo  Zola  ritorna  stili  argomento  e  sem- 
pre  ribadisce   le  stesse   idee  e   per   poco   non    colle 
stesse  parole.  Al  suo  spirito  battagliero,  ed 
veder  chiaro  dentro  di   se.   nulla   piti   co    »      delle 


o  ifusioni  che-  gli  facevano  intorno  gli  insao  ttori 
di  nebbia.  Ma  nelle  cose  umane,  il  torto  non  è  mai 
ii,'  una  parte  sola  e  bisogna  pur  confessare  che  il 
piimo  tenue   filo  di   nebbia   —  e  si   sa   che  le  nel  1 

gonfiano  e  s'allargano  —  l'aveva  proprio  portato  lui 
■  pi  ipiio  trovato  di  suo,  coll'uso  illegittimo  dell» 
oi    :    Esperimento    •.,;,  /.■.         .   ■    coll'ahuso  di   a^s 

inibire    l'arte   alla    scienza.    Us I    abuso  che   si    ri- 

scontrano  nella  sua  opera  critica  e  assai  meno  nella 
creai  i\  a. 

Il  Flaubert  ha  risolto  la  questione  del  romanzo 
sperimentale  in  due  parole.  «Quale  sia  l'ingegno  spi 
so  in  una  data  favola  tolta  ad  esempio,  sempre 
un  altia.  favola  potei  fornire  un  esempio  contra- 
rio, perchè  gli  scioglimenti  non  sono  conclusioni». 
E'  verissimo.  1!  temperamento  che  lo  Zola  fa.  con 
tanta  ragione,  intervenire  nella  genesi  dell'opera 
d'arte,  e  un  coefficiente  disturbatore  dell'esperimen- 
to scientifico.  Le  bilancie.  le  storte  ed  i  provini  non 
hanno  temperamento.  Quando  lo  Zola  diceche  un 
processo  penale  è  un  romanzo  esperimentale  svolto 
nel  cospetto  del  pubblico,  esprime  con  una  imagine 
felice,  benché  solo  approssimativa,  un'idea  giustis- 
sima. Se  non  che  il  processo  penale  è  un  romanzo, 
senza  romanziere.  I  latti  vi  si  compiono  da  se.  ogni 
elemento  costitutivo  vi  fa  la  sua  parte  e  non  altra, 
e  chi  conchiude,  ne  ideò  il  delitto,  né  formulò  l'im- 
putazione, né  condusse  le  prove,  né  fece  testimo- 
nianza, né  arringò  per  accusa  o  per  difesa.  Ma  è 
inutile  sfondare  una  porta  aperta.  Piuttosto  gio- 
verà cercare  come  la  mente  lucida  e  minuziosa  dello 
Zola  sia  caduta  in  questa  confusione  di  termini. 

lo  sono  persuaso  che  se  i  principi  della 
scienza  francese  intorno  alla  metà  del  secolo 
XIX.  invece  di  chiamarsi  Claude  Bernard  e 
Pasteur  si  fossero  chiamati  Gay  Lussai:  e  La- 
voisier, lo  Zola   sarebbe  stato  ad   un   modo  schiet- 


Nut  luusMii   Disegno  dì  .1    GUI. 
1     Petite  lune.  0   44 


LA    LETTURA 


in.i  non  avrebbe  mai 

pred 

i 
he  sulle  menti   dell'uni 
ile    non  ha  sempr 

di  movimenti   intellet 


/  ,m  mi    1881      Fot    B<  nque 

tuali.  Vi  sono  rami  del  sapere  che  si  allacciano  per 
una  fitta  retedi  fili  alle  ide(  patrimonio  di 

rutti  gli  uomini  rolti.  W  ne  sono  altri  che  c'ispira- 
no un  i  fiduciosa  r;'  La  legge  dei 
rapporti  pond                              izioni  chimiche,  la 
e  della  dilatazione  di  i  gas.  1 1  legge  della  gravi- 
li computi  i  i  Ielle  distanze  siderali 
Ini. mo  noi   profani  di   maraviglia,  ma  non  ci 
muovono  ad  induzii                     li  mo  in  noi  nessuna 

i     siamo  ili 
■  >idio  'li  una  formi 


dabile  dottrina.    Non  così  avviene  delle  scienzi    ri 
flettenti  certe  funzioni  della  nostra  vita  e  certi  modi 
.li  essa,  ili-i  quali  siamo  spesso  chiamati  .1  testi  mo- 
llami problemi  della  scienza  fisiologica,  com- 
portano l'accertamento  di  latti  che  1 . ninno  sotto  gli 
,ni  mollali.  L'osservazione  'li  tali  fatti 
appartiene  ad  un  modo  allo  scienziato,  al  roman 
re.  ed  anche  semplicemente  all'uomo  esperto  «iella 
vita.  Quanti  psichiatri  interrogano  intorno  a    fatti 
spa  i'ici   il    giudice   istruttore   colla   medesima    se 
ositi  con  cui  un  chimico  interroga  nel 
ino  le  combina 
dei  co  pi!  I    31     1  istruttore  avrà  confidato 

1  medesimi  fatti  al  romanziere,  saranno  essi  perciò 

e  meno  attendibili  ?  Qui  lo 
il     n  10    spesso     la    medesima 

stanza  e  ne  colgono  1  medesimi  aspetti.  Notiamo  poi 
che    queste     recenti    scienze    della    vita,    adope 

un  linguaggio  prossimo  a  noi  e  non  • 
affatto   delle   vaghezze   stilistiche.    Molti    pud  Tosi 
iti  di    psicologia   sperimentale   citano  ad   illu- 
strazione dei  più  sottili  fenomeni  della  psii  U   urna 
na  intere  pagine  di  poeti.  Quasi  tutti  i  fisiologi  sono 

llenti   scrittori  che  dalle  memorie  accader 
volentieri  scendono     -  0  salgono,  se  meglio  vi  pi 

agli  articoli  di  rivista.  Essi  ci  trasmettono  il  pro- 
li''t"  della  ricerca  scientifica  col  linguaggio  dell'o- 
pera letterina.  Conforme  dunque  la  sostanza,  e 
conforme  il  mezzo  di  comunicazione. 

Avvertite  finalmente  che  l'esperimento  scientifico 
raggiunsi-   verso   la    metà    del  secolo   NIX.   mere'-   il 
sussidio  di  maravigliosi  istrumenti.  un  rigore  di  os. 
sensazione  e  di  indagine  non  mai  conseguito  per  l'ad. 
dietro,   e  che  di   tutti   i  metodi  escogitati   per   la  ri- 
1  del  vero,  esso  è  il  più  facilmente  persuasivo, 
perche  ognuno  di  noi  lo  adopera  inconsapevole  ad 
acquisto  e  verifica  di  ogni  più  usuale  cognizione. 
Quale  meraviglia  che  lo  Zola  giovane  e   fervi 
l"l   vittorioso  movimento  scientifico  del  suo  tempo, 
smanioso  di   strapparsi  alla  chimera   romantica,  as- 
setato di  certezza  per  necessità  fisi lei 

prio  ingegno    eh'  solo  a  contatto  colla  diva 

ad  acceii  limetiti  poetici  ed  a  fervore  imagin 
dotto  dal!  mità  che  ho  detto,  si  illudess 

poter  applicare  alla  preparazione  della  sostanza  ar- 
tistica i  procedimenti  dell'osservazione  speri  mei 
e  ne  vantasse  l'eccellenza?  11  Taine  non  aveva  egli 
affermato  che  i  \i/i  e  le  virtù  sono  dei  prodotti  allo 
Stl  SS0  modo  'he  l'acidi  1  solforico  e  lo  zucchero  ''  Ma 

non  bisogna  mai  prendere  alla  lettera  i  ragionamenti 

ci  di  un  artista,  perchè  nuesti  è  inconsapevol- 
mente inclinato  a  conformarli  alle  proprie  attitu- 
dini ed  essi   vi  si  piegano  compiacenti. 


Quali  sono  i  protagonisti  della  maggiore  opera 
zolianà  ?  Quale  ne.  l'idea  dominante"'  I  protagoni- 
sti sono  forse  quei  Rougon-Macquart  che  'e  diedero 
nome?  Forse  che  l'idea  dominante  è  proprio  quella 

dell'eredità  fisiologica  ?  Nel  1868.  giovane  di  28  an- 
ni, lo  Zola  concepisce  il  proposito  di  scrivere  una 
Si  rie  di   romanzi  legati   insieme  non  per  diretta  con 


EMILIO     /OLA 


tinnii,!  di  azione  o  di  personaggi,  ma  per  la  trama 
«ielle  influenze  ereditarie  dipartite  da  un  cognito 
]) ri >t agonismo.  (Questo  misterioso  influsso  atavico 
già  adombrato  forse  nella  leggenda  del  peccato  ori- 
ginale e  circonfuso  poi  di  sacra  terribilità  dai  Greci 
che  lo  chiamarono  Fato,  affascinò  in  ogni  tempo 
ed  affascina  le  menti  imaginose.  Lo  stesso  Zola  ne 
aveva  fatto  pochi  anni  addietro  argomento  di  un 
dramma  che  allargò  di  poi  nel  romanzo  intitolato 
Madelaint  Ferai.  Ma  in  quello  egli  era  rimasto  nel 
Fantasioso,  pago  di  derivare  dalle  eredità  naturali 
un  contrasto  drammatico  di  affetti.  D'altra  parte 
un  solo  romanzo  non  poteva  contenere  ad  un  tempo 
la  causa  originaria  dei  fenomeni  ereditari  e  le  sue 
molteplici  conseguenze  che  si  manifestano  col  voi 
.in    degli  anni  e  delle  generazioni. 

Nel  concetto  iniziale  la  serie  dei  Rougon-Macquart 
doveva  constare  di  dodici  volumi,  e  furono  venti 
di  poi.  Innanzi  di  mettersi  al  primo,  La  fortune  des 
Rougon,  lo  Zola  si  diede  a  compulsare  trattati  e 
memorie,  a  interrogare  medici,  a  postillare  statisti 
che,  ad  osservare  intorno  ed  a  notare  con  una  dili- 
genza fatta  insieme  di  inestinguibile  ardore  e  di 
probità  impareggiabile.  L'albero  genealogico  dei 
Rougon-Macquart  che  egli  pubblicò  in  capo  al  ro- 
manzo: Una  page  d'amour,  l'ottavo  della  serie,  fu 
stabilito  intero  con  tutte  le  sue  annotazioni  caratte- 
ristiche, durante  quel  periodo  di  studi  preparatori. 
Ma  questi  lo  indugiarono  a  segno,  che  La  fortune 
des  Rougon,  incominciata  a  scrivere  nel  maggio 
1869,  apparve  in  appendice  solamente  il  giugno  del 
1870  ed  in  volume  l'inverno  del  '71.  Nel  tempo  cor- 
so fra  la  concezione  iniziale  dell'opera  e  la  pubbli- 
cazione del  primo  volume,  la  Francia  era  caduta 
dal  colmo  della  prosperità  all'estremo  della  mise- 
ìia.  La  guerra  Franco-Prussiana,  l'ecatombe  di  Se- 
dan.  il  crollo  dell'Impero,  la  dedizione  di  Metz  con 
un  esercito  di  100  mila  uomini,  lo  sfacelo  gover- 
nativo, gli  incerti  comandi  nell'assedio  di  Parigi, 
erano  passati  su  di  essa  come  un  torrente  in  piena 
che  spazza  via  tutte  le  ragioni  e  tutti  i  segni  della 
vita.  E  come  alla  rovina  delle  acque  furenti,  segue 
lo  stagnare  delle  limacciose,  che  dissolvono  coll'oc- 
culto  lavorìo  corrodit ore  fin  l'ultime  fondamenta  de- 
gli edilìzi  crollati,  così  nei  giorni  stessi  che  si  pub- 
blicava, fra  tanto  squallore  di  morte,  quel  primo, 
piccolo,  male  avventurato  volume,  bolliva  sorda  nei 
fondi  popolari,  più  terribile  e  più  minacciosa  delle 
guerre  aperte,  la  grande  collera  che  divampò  ben  to- 
sto sui  due  bracieri  della  Senna  negli  eccidi  della 
O  nume. 

A  che  si  riduceva  il  caso  di  fisiologia  sociale 
ideato  e  studiato  dallo  Zola,  davanti  a  tanto  scon- 
volgimento di  uomini  e  di  cose?  Potevano  la  sua 
mente,  e  la  sua  coscienza,  appartarsi  dai  tragici  e- 
venti  nella  pacifica  contemplazione  di  una  così  te- 
nue realtà  ?  E  poteva  il  soggetto  cosi  subitamente  im- 
miserito, contenere  il  bollore  degli  affetti  e  l'enor- 
mezza  delle  immagini  mosse  da  quella  vista?  Lo 
Zola  si  era  proposto  di  scrivere  la  storia  naturale 
e  sociale  di  una  famiglia  durante  il  Secondo  Im- 
pero. Ma  quando  ne  aveva  formato  il  divisamente 
il    Secondo   Impero  trionfava    sull'istmo   di   Suez   a- 


'"79 

perto  da  un  francese  caro  alla  famiglia  imperiale, 
ed  accoglieva  ospite  riverente  all'Esposizione  di  Pa- 
rigi quello  stesso  sovrano  cui  doveva  in  breve  ri- 
mettere la  spada  di  Sedan.  Il  periodo  de!  tempo 
assegnato  all'azione  dei  suoi  romanzi,  ne  fissava  il 
punto  ili  partenza,  ma  non  quello  di  arrivo.  Ed  ec- 
colo, quel  periodo,  chiuso  di  un  colpo  colle  spranghe 
della  morte.  Il  morbo  ereditario  preso  ad  osservare 
nella  famiglia  dia  Rougon  Macquart,  era  quella  ne- 
vrosi che  esce  dalle  voglie  si  renate,  dalle  inconti- 
nenze carnali,  dalle  urgenti  impazienze  e  dalle  spie- 
tale  fatiche.  Ed  ecco  che  quelle  voglie,  quelle  in- 
continenze, quelle  impazienze  e  quelle  fatiche  avi 
vano  attossicato  non  una  famigli.!,  ma  un  popolo, 
del  quale  parevano  aver  disgregato  la  compagine 
ed  annullata  fin  la  coscienza  dell'essere. 

Confessò  lo  Zola  a  se  stesso  il  repentino  impic- 
ciolire della  prima  impreca  ~f  0  hi  inconsapevolmen- 
te trascinato  a  sconfinarla.-1  ("erto  è  che  ila  quel 
punto  il  vero  protagonista  del  suo  poema  fu  il  po- 
polo di  Francia  e  che  l'idea  informatrice,  di  pseudo- 
scientifica che  era  da  principio,  divenne  storica,  con 
animazione  di  impeti  lirici  e  di  larghi  compendi 
simbolici.  Rimarrà  inalterato  il  piano  generale  che 
è  come  l'ossatura  dell'opera,  rimarranno  i  personag- 
gi già  ideati,  quali  punti  di  richiamo  sparsi  tra  la 
moltitudine,  rimarrà  la  nevrosi  quale  uno  fra  i  tanti 
aspetti  del  gran  morbo  sociale,  ma  altre  innumere- 
voli infermità  ne  pulluleranno  come  schiuma  da  bol- 
lore di  caldaia,  ed  una  gente  intera,  dai  campi,  dai 
mercati,  dalle  officine,  dai  cunicoli  delle  miniere, 
dalle  sfrenate  locomotive,  dalle  banche,  dalle  taver- 
ne, dalle  alcove,  dalle  stamberghe,  dagli  ospedali 
urlerà  le  sue  paure,  i  suoi  tripudi  e  le  sue  brutture 
con  tal  voce  da  coprire  il  gemito  di  una  poca  fa- 
miglia e  da  echeggiare  fino  agli  estremi  confini  del- 
la terra. 

Tale  mutamento  nella  sostanza  dell'opera  si  pa- 
lesa fin  dal  secondo  volume  La  Curie,  scritto  per 
l'appunto  sotto  la  percossa  delle  recenti  sciagure. 
\l>-ntre  nella  Fortune  des  Rougon  la  figura  cente- 
naria di  Adelaide  Fouque  campeggia  quale  genera- 
tile della  malattia  destinata  a  diramarsi  ne'  suoi 
discendenti,  ed  il  caso  particolare  ci  è  di  continuo 
presente,  nella  Curée,  il  titolo  istesso  ci  solleva  dal 
particolare  al  generale  ed  il  precipuo  personaggio. 
quella  Renée  che  riempie  tutto  il  romanzo  della  sua 
morbosa  bellezza  e  dei  suoi  amori  incestuosi,  nulla 
appartiene  ai  Rougon-Macquart.  Né  dei  due  perso- 
nali che  vi  appartengono,  Aristide  e  Massimo.  l'Ip- 
I  olii,,  di  quella  Fedra,  nessuno  di  noi  rileva  la  tabe 
ereditaria,  tanto  essi  ci  appaiono  quali  spiriti  di  ma- 
leficio sociale,  ideati  a  rappresentare  le  enormezze 
orgiache  di  un  Passo  Impero. 

Provatevi  a  ripensare  i  principali  romanzi  della 
serie:  Le  ventre  de  Paris.  UAssommoir,  Nana,  l'f! 
!,.  \n  bonhew  des  itt/mes.  Germinai,  La  Ter- 
re. La  liète  Imma  ne.  VArgent,  La  Vèbài  v.  e  ditemi 
se  nessuno  di  essi  vi  richiama  alla  mente  il  filo  del- 
l'influenza atavica,  se  da  nessuno  di  essi  vedete  e- 
mergere  i  rampolli  dell'inquinata  famiglia.  Che 
giunge  all'orrore  ed  alla  nausea  dell  Issommoh  l'i 
sereG  1    1       nata  di  padre  beone  ?  Tra  i  fumi  delle 


LA    LETI 


.  :  ,  :      elid    od  afose  sol 
utravvediamo  noi  torsi-  mille  altri  piccoli 
i  nell  i  foia  ilei  vii  e  dell  as- 

ti delitto?  Non 
moltitudine  suicirl  i         rande  anima  ; 

Chi  mai  può  riconoscere  in  E 
I  antier    il  '•    <  i .  'minai  '    E 

quando  ■  tenebn    della   miniera   inondata 

ù  mai  può  imputare  l'eccidio  ne 
il   veleno  che   dormiva    ne' suoi    muscoli, 
.mi  lentamente  accumulato  nella  sua  raz 
lista  r  l.i  secolare  miniera,  che  stremò  ili 
.i/ii  mi,  che  impingua  gli 
li  intani  ignari  perfino  del  sui  i 
nome  ■■  del  li  sa  s'inabissa  nella  terra,  che 

il   magro  peculio  ili  un  primo 
ni      rj    padre  in  figlio  l'oziante 
tudine  Forse  che  l'ultimo  romanzo  della  serie 
di  tutti  il  più  artificioso,  che 
fuor  d'opera,  tardo  e  meccanico  richiamo  al  con- 
mento giovanile?  o  non  sentiamo  noi  tutti  che 
-i  chiude  nella  Débàcle,  alla  quale  conver- 
come  .1  fiumana  devastatrice  tutti  i  rivi   fan 
:  della  corruzione  raccolta  in  ogni  strato 

A    ni. m    mano  che    l'autore    penetra    nei    fondi 
depravati  e  doloranti,  ogni  romanzo  si  fa  più  irto  ili 
fatti,  tanto  egli  accanisce  nel  gittare  in  faccia  ai 
contemporanei  unta   interi  la    realtà  che  essi 
barn  entieri  rifuggono  dal  contemplare. 

Via  la  polita  ■  ie  tanto  cara  alle  menti  deli- 

ri isl i  impeccabili.  Non  i  tempo  ili  re- 
ticenze né  di  omissioni  compiacenti.  L'impressione 
che  egli  vuole  indurre  nei  lettori,  non  è  già  quella 
di  ui  mento  estetico,  "'li  un  fuggevole  velli- 

into  sentimenti         Basta,  basta,  gli  gridano  i 
ri.  e  gli  uri  ino  i  critici,  a  che  insistere?  Lo  sap- 
l  i.iu  n  i  stori  :  delle  miserie  e  delle  bruttu- 

re umane».  No,  non  basta  saperlo,  (  juesia  misera  sto 
erchè  la  sua  conoscenza      sommaria  : 
le  verità  disgustose  prese  in  blocco,  si  inghiottono  e 

SConO  troppo  facilmente.   E'  troppo  eomoila 

voltarsi    dall'altra   a    più 
tiposanti  spettacoli.  Bisogna  sparnazzare  in  questo 
tritume  'li   sozzure,  e   farne  vaporare  tutti   i  fetori 
-alare  tutti   i  veleni,  fino  al  ribrezzo,   lino  alla 
nausea,   finché  in   luogo  ili  sclamare:    "cosi  è»,   la 
ribellata  comandi:  «così  non  deve  essere». 
Pei  '    I  modo  I"  Zola,  soverchiando  i  mezzi  con- 
sueti  ile! ;  m'effi  istica  così 
"'■■rosa  che  non  ha  altro  riscontro  moder 
•i  in  quella  di  1  &  mi     rolstoi    I    o  me  al 

russ"   giovò  l'appari    nei       id    un    popolo   ultimo    ve- 
ne! concerti:  intellettuale  del  m lo  e,  perchè 

nuovo  aliane,  prossimo  ancora  alle  ingenui    fonti 
della  vita,  così   giovarono  allo  Zola  l'infanzia  sei 

nezza    intristite,   che 

insero  in  rban  mi  ■  nell'anima 

ti  aromi  della  terra.  Solo  Ira  i  grandi  scrittori 

rovi    fino  al  li- 
li  Ila  vecchiaia,  le  pronte  ingenue  ire  e  le 
temei  Facìi 

M        n    to  dal  freno  dell'arte  il  suo  sdeimo  non 


inveisce    né    sermoneggia.    Obbiettivo    quanti    altri 

mai  nel  ri  e  nell'ordinare  i  fatti  e  nel  

dune  via  per  la  trama  dei  fatti  i  personaggi,  as 
sente  in  apparenza  dai  suoi  romanzi,  egli  vi  guida 
a'  suoi  fini  senza  prendervi  pei  mano  i  senza  addi 
larvi    la   mèta.    1    suoi    libri  hanno  un'occulta   anima 

persuasiva.  Poiché  registrò  a  sazietà  tutte  le  mimi 

zie   delle   '"si     inerti    e    delle  animate   e  vi    imi 1 1 

invano  riluttanti  nella   realtà  brutale,  ecco  lei 
di  colpo  da  quella  realtà  una  grande  imagine  elea 
le.  che  pure  le  appartiene,  che  la  continua,  che  ne 
serba  la  sodezza  e  l'asprezza,  ma  che  insieme  la  il- 
lumina e  la  commenta  assorgendo  ad  immaterialità 
di  simbolo. 

Alle     corse     di      Longchamp     Nana      la      prosti- 
tuta    empie     il     recinto     del     pesaggio     della     sua 
trionfale    inverecondia.     La     prode    bellezza 
procacciò  l'alto  onore  di  battezzare  col  suo  ni 
una  polledra  iscritta  a  correre  il  gran  premia   \ 
per  gli  steccati  e  nei  palchi,  tra  la  febbre  e  le  ti 
pule  del  giuoco,  tra  i  fumi  dello  champagne,  sulla 
moltitudine  ebbra  di  se,   dei  colori,  del    la 
sole,   sta   sospesa    una  mordente  ansietà   patriottica. 
Gli   oracoli    profetizzano   il    premio  ad    un.i   scuderia 

inglese.         Ecco  il  segnale.  La  piccola   schii 
sferra  nella  pista.  Due  cavalli   francesi  contendono 
all'inglese  il  trionfo,   In  giro,  due  giri,  lo  eguaglia- 
no,  lo  sorpassano,   riperdono  terreno,  l'inglese  urge 
primo  al  traguardo  imminente,  ma  di  un  attimo  \ 
uà  la  polledra  saetta  <  ra  le  informi  groppe  serrate  i 
colori   di    Francia  e  li   porta   vittoriosi   alla  mèta.   E 
allora   dal   prato   immenso,   dai   palchi,  dalla    lo 
imperiale,     dall'ultimo    formicolio     remoto  ed    indi 
stinto,  scroscia  in  un  urlo  trionfale  il   nome  di    Vi 
na  :  di  Nana  la  polledra.  di  Nana  la  prostituta,  cui 
si  tendono  d'ogni  parte  vicina  le  coppe,  gli  sguardi, 
le  voci  e  le  bramosie,  in  un  sacrìlego  miscuglio  di 
vanità  patria  e  di  concupiscenza  carnale. 

Il  poeta  è  rimasto  tino  all'estremo  nella  realtà  ac- 
cettai'ile  e  ijiiotidiana.  ma  dal  cozzo  delle  cose  reali, 
come  sprizza  dai  capi  opposti  dei  fili  conduttori  la 
scintilla,  è  divampata  un'immensa  fiamma  ideale 
i  he  illumina  e  rivela  i  reconditi  nessi  delle  azioni 
umane.  Al  soffio  dell'arte,  la  realtà  è  salita  d'un 
colpo  d'ala  tino  al  simbolo. 


Quanto  non  fu  deriso  lo  Zola  per  le  sin  i 
inchieste!  Ari  ogni  nuovo  romanzo,  erano  nuovi 
cusedi  indagini  frettolose,  condotte  alla  -rossa,  con 
animo  parziale,  a  sola  cura  di  vellicare  le  malsane 
curiosità  ;  e  dove  non  mordeva  fa''  usa.  suppliva  il 
dileggio,  pure  di  fargli  increduli  i  lettori.  Quando 
egli  pubblicò  la  Débàcle,  fu  uni  mento  di 

in    feroci   che  lo  segnavano  all' abbon 
Francia,  dalla  quale  a  sentirli,  egli  i  su- 

pina   ignoranza    vilipeso  l'esercito   ed    insudicia'.!    la 

bandiera. 

E'  cerio  che  di  tutti  i  suoi  romanzi,  la  l> 
era  II  più  arduo  a  condurre  con  i  — rvanza 

del  vero,  perchè  il  più  estraneo  alle  sue  inclinai 
ed  alle  condizioni  della  sua  vita,  ed  il  più  mo 


I  Millo    ZOLA 


108. 


DlSEGNU    ni      V      (.ILI 

;  i   Courrìei   i  >  ini  ois 


plice  negli  aspetti,  e  perchè  lo  sua  materia  era  per 
diffidenze  e  gelosie  ili  casta  la-più  difficile  a  pene 
e.  Eppure  semai  nella  sua  opera  egli  conseguì 
la  precisione  storica,  fu  in  quello  per  l'appunto.  U 
.lite  la  testimonianza  che  gli  rendono  i  fratelli  Mar- 
guerite .   ai   quali   le 

Li  'in;  etiche    e 

g  e      ssidui    studi  at- 
tribuirono     in      tale 

ti  -      mi  autl  a  Ha 

incornatesi  ita 

«  Noi    pine,    dopo 

li  i  /.'  'la.  abbiamo  1 1 1 

luto      percorrere      il 

in     sanguinoso 

di      quella     guerra  . 

."inni. Un  dei  nostri 
ii"  ali  Noi  pure 
dopo  ili  lui  sui' ' 
io  quella  triste 
terra  arrossata  .  e 
pe  1  le-  ri  ii  a  ni  M' 
campi    di  battaglia  . 

'  li.'  \  utero  il  crollo 
di  un  Impero  ed  il 
barcollare  di  una 
nazione,  l'i  interra- 
lo Morie,  tatti,  episodi,  ricordi  e  testimoni  po- 
temmo accerl  ire  |uanta  scrupolosa  verità,  quale  e- 
satta  e  severa  autorità  di  documento  il  romanziere 
calunniato  abbia  raccolto  nel  doloroso  e  pròbo  libro 
della  Debacle». 

Una  sola  volta  la  ricerca  del  vero  gli  riuscì  man- 
chevole, e  fu  nel  libro  di  Roma.  Ma  qui  non  si  pa- 
lesa già  la  pochezza  del  suo  lavoro  indagatore,  ma 
bensì  l'insufficienza  di  simili  indagini  quando  le  no 
tizie  positive  accumulate  per  deliberato  propo 
non  trovino  nella  mente  che  le  accoglie  e  le  regi 
ara  ii.n  I  largo  corredo  di  notizie  generali  che  sola 
può  dare  la  lunga  consuetudine  delle  cose  e  delle 
iti.  Xe  l'ingegno  dello  Zola,  aperto  a  tutti  gli 
aspetti  della  vita  odierna,  conscio  dei   suoi  macchi 

a  ngegni  e  innamorato  dei  suoi  travagli,  i 
va  afferrare  e  penetrare  la  i  ndi  Roma,  dove  il 
issato  non  sorge  soltanto  malinconico  spettro  dalle 
rovine,  ma  regge  istituti  millenari,  crea  consuetudi- 
ni, modifii  i  li  '  indizioni  degli  animi,  governa  il 
sentimento  della  bellezza,  tranci  gli  spiriti  dal!  i  I 
funere  adorazioni,  rivive  nella  concisa  familiarità 
del  linguagj  io  pi  polare. 

Le  cose  non  p  Ilo  /oli  se  egli  non  co- 
nosceva gli  uomini  che  vivono  loro  frammezzo  lo 
lo  vidi  a  lungo,  quando  tornava  da  Roma  i  >\a  Ve- 
nezia che  e-li  aveva  visitato  la  |  i  n  ralta  e  un 
liane  non  ne  avesse  compresa  intera  la  helle//  i  I 
■  intera  ad  attenuazione  riverente.  E  .  li  era  sordo 
al  patito  .•  svogliato  di  |"  i.i  leu.!  ra.  La 
vita,  la  vita  d'oggi,  gli  nomini  d'oggi,  poderosi,  ac- 
caniti, malvag  osi,   ini    rmi,  violi 

Mia  sostanza  d'arte,  ecco  il  solo  mondo    atto  a  mo- 
vere il  suo  spirito  a  prodezze  creatrici. 

Nessuno,  che  io  sappia,  cercò  mai  di  proposito  se 
nell'arte  o  nell'indole   dello   Zola   si    riscontri   qual- 

La  "Lettura. 


chi- vena  di  influenza  italiana  discesagli  'lai  pai 
L'indagine  sarebbe  in  special  modo  curiosa  trattan 
dosi  di  un  uoiiin  die  attribuì  tanta  efficacia  alla  ere 
dita    fisiologica    da    farne    argomento    iniziale    della 
sua  maggior  crea/ione.   Il   Bonghi,   riprovandone  .vi 
le   sconcezze,   accennava,   non   so  bene  se   3    titolo   d 
derivazione,    ai    novellieri    italiani    del   500.    Ma    non 
mi  pare  che  i  novellieri,  i  cronisti  e  gli  autori  comici 

l  lancesi   Eossero  meni  1  salai  i  e   meni  1   si il  1    dei 

nostrani.  \i-  il  Brantòme,  ne  il  Rabelais,  né  il  Saint 
Simon,  uè  il   La   Kontaine  hanno  nulla  da   invidi  uri 
all'Aretino,   al    Bandello  ed   al   cardinale    Bibbien 
Invece  io  mi   domando  se  dal  sangue  paterno  non 

dovesse  lo  Zola  riconoscere  una  qualità  die  si  rivei 
hera  bensì  negli  scritti  .•  ne  diventa  carattere  distinti- 
vo, ma  che  appari  iene  ■  li  leti  aulente  all'animo  ,  d  .   m 

modo  della  coscienza.  Voglio  dire  l'assenza  di  pregiti 
dizì  intorno  .1  tutti  i  fatti,  a  unti  gli  aspetti  del  \  • 
re  sociale.  Per  pregiudizio  non  intendo  già  un  giudi 
zio  errato,  ma  semplicemente  un  giudizio  preventivo 
fisso  ed  immutabile  che  inibisce  "lui  ulteri  ire  disa 
nima.  Mi  par  certo  che  idi   altri   popoli  ed   il    Iran 

cese  in  special  modo,  assai  più  di  noi  aman arsi 

delle  verità  intangibili  nelle  quali  riposano  e  che 
difenderebbero  a  prezzo  di  vita.  L'argomento  di 
sta  verità  può  variare  a  seconda  degli  individui: 
per  gli  uni  sarà  la  credenza  religiosa,  per  gli  altri. 
la  somma  potestà  politica,  0  la  magistratura.  0  le 
si  n  ito.  o  il  cavillo  cavalleresco,  0  saranno  uomini 
eminenti,  o  le  convenienze  mondane,  ma  un'arca 
santa  e  magari  parecchie  ce  l'hanno  tutti. 

Ce  ne  abbiamo  forse  anche  noi  in  Italia  delle  ar- 
che s.nie.  un  la  loro  santità  è  piuttosto  precaria 
tanto  amiamo  di  smontarle  per  vedere  come  sono 
fatte,  e  come  l'abbiamo  veduto,  non  c'è  rispetto  li- 
mano  che  ci    trattenga:     la    verità    sbotta    ad    ogni 

e,  isti  1. 

Se  sia  bene  1    male  non  importa  qui  di  cerei.',  il 
fatto  ;•  che   di    tulli    i    popoli  noi   siamo,    nella    pia 
tica.  il  meli"  impastoiato  da   preconcetti  e  di   rive- 
renze convenzionali.  Lo  siamo  oggi  e  lo  fummo  nei 

ili  tino  da  quandi  1  Ri  una  rn^ev  a  aitai  i  al  I  li.  - 
ignoto  e  riconosceva  il  diritto  di  cittadinanza  agli 
Dei  d'ogni  terra  1    d'ogni  tempo.  Ricordiamo  che  il 

.   ,  ■  .i         In   il   si  'io  andato   immune  dalle  gin 
di   religione,   quantunque   da    noi   procedessero  i    pri- 
mi moti    per  la    libertà 
religiosa.    Che   non    in- 
trodusse   seismi     prleli 
nelle  cose  dell'anim  1  1 

G  II   III'  '     ini    la    il    '  '  ■: 
suo  senza  che    di'  CCOI 
ra  di  ■'!  Il   imbra 

di   u\ì.\   doti  riiri.    Ri'     1 

diamo  le   ■  ■  1     sa 

pore    'li    forte   agrume 
I  :     te  m  in  si  | 

di    gel  tare    in 
tutti  i  pi  ti  1    sin  1 

tempo.   Ricordi  i.in  1  eh 
il    libro    più    S] 

Disegno  di  Valloton 

mondo  è  il  Principe  di  (Bei  ite  Bianche.  1894). 

68 


LA     LEI  IT HA 


I    no- 
di  patria,   in 
i  ii  hiare 
Mancanza  ili  o  mi  Inzioni     No    Ma 
H'anima   popolare, 
rica  i  he  i  p<>- 
moderni 

■   pronto  ed  oculato  accoglim 
spetl  i  del  veri  i    I  .<■  verità  invecchiali 
i     rico  Ibsen  al  pn 
commedi;     A  quel  modo  che 

mpo  coll'immagine  ili 
no  che  ■•   figli,  io  vorrei  suggerire 

i    pi  sentare  il  Vero  col 
i,  i  chi  si  divora  i  suoi  padri. 

i       ppunto  ed  in  grado 
spirito  iconoclastico.  Franco 
menzionale,  era  in  lui  una  sete 
d   un  bisogno  prepotente 
!       nassima   i  rana  se  :  /•</*  tanti 
non  faceva  pei  lui.  La  vi 
sua  impresa.  E  nnu  si  resta 
Ito  in  tigni   momento  della    \  ita.    1 1 
prim  II  ultimo  romanzo  rimasto 

sullo  "scrittoio      51  mpn    1"  stesso  ardore  in 
t|i  imiti ■  ':'  vei  ita. 


I  dite  quel  ch'i  sse,  i  ieri,  non  nel   fi  i 

vore  dell'ultima  mischia,  ma  vent'anni  oi  sono  nella 
prefazione  del  volume:  l'm  campagne. 

«Oh,   provare  la  continua  ed  irresistibile  ne 

te  alto  quello  che  pensiamo  e  più  quan 
do  siamo  soli        i         o,  a  costo  di  avvelenarci  la 
vita!  Questa  ì  la  mia  passione  .  ne  sono  tutto  in 
guinato ,     ma    l'adoro  i    nulla    vorrrei    senza    ili 

I.  più  sotto  nello  stesso  libro:  ■  Muoiano  li 
venienze,  ì  riguardi,  i  sentimenti,  cadano  i  ni 

gli   e   le  nostre  glorie,   purché  si  rità». 

Non  squilla  in  queste  panile  tutta  la  diana  risve 
gliatrice  del  !' accasci  Altri,  altri  molti  ardano  di 
verità;  ma  che  un  idolo  si  frapponga  fra  essi  ed  il 
ed  il  loro  ardore  li  rode  dóni  ri  i  e  si  tace.  LoZo 
la  non  conosce  idoli  o  quello  solo  cui  si  dà  in  conti- 
nuo olocausto.  Quando  offerse  la  lama,  la  pace,  la 
vita  perchi  giustizi;  fosse  resa  ad  un  ignoto  ili  là 
dei  mari,  egli  fu  nel  naturale  esercizio  delle  sue  fa 
colta  animatrici.  Non  contendiamo  alla  Francia  il 
vantu  di  quel  grande  spirito  veritiero  M  se  da  noi 
gli  venne  ili  francarsi  da  ogni  riverenza  inibitrice 
di  verità,  teniamocene  come  ili  assai  munifico  dono. 
I'  bello  noverare  eroi  per  la  verità.  E'  più  bello 
che     ìiatm  eroismi   id  asserire  il  vero. 


GIUSEPPE  GIACOSA. 


A 

£ 

aAsfci  ti.     v  i 

f~  '  <■.»  /"  Aam 

¥~u     lA+i  <    wn 

v*t 

«    u\f"     1 

"«-1A11 

dA 

,^.,1<       7Ì  <V 

«T 

«U 

Ut«-v-v 

4. 

A 

■H.a^h.4.      Vs* 

t\,       <Ìa  vt\i 

<*^\ 

■^^''•^««n,^* 

/m<à  & 

/fi  6-, 

i  7 

i 

. 

[)1     EMILIU    /hi  V 


F  n  ufficiale  si  presentò  sulla  soglia  della 
?-|  misera  i  panna  di  fango  —  un  veni 
ranchilo  pampero  —  che  serviva  di  quar- 
J  tier  generale.  Si  fece  un  silenzio  d  aspel 
tativa.  Egli  portò  la  mano  alla  visiera,  si  pose  rigida- 
mente sull'attenti  facendo  risuonare  con  un  colpi  d 
tallone  i  grandi  sproni  gauchos.  •  nò: 

—  Generale,   l'ordine  è  eseguiti!. 
La  sua    igura  si  profilava  in  nero  contro 
livida,    del       •      na   alba  che  l'inquadratura    di 
l'urta  limitava  duna  cornice  di  tenebri     I'     lontano 
veniva  il  rumore  dell'  n  ppena  di 

mormorio  cupo  d'alveare  che  hanno  le  molti- 
tudini, e  sul  confuso  tumulto  echeggiavano  alli 
mente  per  l'aria  fresca  e  calma  i  nitriti  dei  cavalli. 
simili  a  brevi  scoppi  di  risa  squillanti  e  podi 

L'interno  panna   era  oscuro;    | 

la   notte   inseguii,:   dallalba  vi   cercasse  in: 
Un  fuoco  di  brage.  acceso  in  terra,  nel  mezzo,  illu- 
minava va  due  ufficiali   dritti  ed  Lmmol 

Gl'incerti   riflessi  sanguigni   s'attacavano  ali 
ghe  pieghe  dei  loro  foncìios  ed  agli  energici  rilievi 
delle  loro  fisionomie,  lasciando  tutto  il  resto  av  i 
in  un'ombra  uguale  e  folta. 


Uno  di  essi  si  volse  vivamente  verso  i!  nui  vi      i 
tivato  che  restava  nella  sua  posizione  ili  saluto: 
Luogotenente   Cha  -  esclamò  con 

in   fondo    ili     quale  ringhiava  la  collera  - 
potevate   farmi  ir  meno.    Non  c'è  tempo  da 

perdere.  Sono  tutti  arrestati? 

Sì,    generale;    tutti    i   soldati    che    erano    di 
sentinella  al  >    mpi     [uesl     notte  si  no  in  ai  resti  i. 

—  Q 1 1  ■  i 
-    Ni 

(  ondueeteméli    sotto  buona  scorta.  E  subito! 
L'ufficiale  girò  sui  talloni  e  scomparve,  men 
rale,  con  un  gesto  rabbii  un 

colpo  del  suo  revenche —  li 

/oni   ardenti   spriz  i  rno  co- 

me il  ferro  incarnir  io  al  martello,  e  il 

dalla  frustata  arse  più  vivido  per  .il 
cimi  istanti,  illuminando  a  pieno  due  volti  barbuti 
e  rudi,  sui  quali   si  dipingeva   una   preoccupai 
ansii 

fi  di  i    ll'arrivo  dell'ufi 

tinuò: 

—  Se  fosse  una  vendetta?  11   vostro  aiutante,  ir 
comandarne    Ricasal,  frustava    troppo;    non  er; 
nnto  molto.... 

—  M  un  semplice  assassinio.  Dimenticate. 
colonnello,  i  documenti  sottratti  dall' 

no  stati  rubati  i  piani  d  jna  e  gli  ordir, 


1084  LA  LETTURA 

■..  tta  da  Victorica,  documenti 
sai    custodiva   come  mio  aiutante  :   No.    il 

i 

lerale,  ;  piani  e  gli  ordini  ci  sono  noti, 

Imente?!  M  ;  Jani  vanno  nelle 

rcito  rivoluzionario?  I  nostri  movimenti 
revenuti  ! 

quasi  l'i-r  il  un 

u  nemico  poti  re   un  oi 

■ 

.i.  Ma  delle 

ratizzati  ;    tutta 

mguin  lagna   pei  con 

durre  gli  insorti  al  Paso  de  los  l  lutile, 

remo  battuti,  battuti,  battuti  !  Non  potn  mo  pi  - 

guado  del   Rio  Saladi  i  di  imani,  i 

.il  generale  Paum  tro  giorni    i 

Il  generale  sferzò  ancora  due  p  tre  volte  il  fuoco 
lis  ne  per  battere  un  nemico  im 

bile,  e  la  fuga  delle  scintille  si  riflettè  'li  nuovo 
occhi  adirati.   Poi  riprese  : 
Il  traditore  è  qui.  Ricasal  ssassinato 

nella  sua  tenda,  nel  bel  mezzo  del  camj  i 
rio  vicino  a  questo  ranchilo  dove  dormivo  io.  1 
imenti  rubatigli  sono  qui  nel  campo;  non  posso 
muovermi  se  non  li  In»  ili  nuovo,  e  vi  giuro  che  se 


E  il  generale  Porfidi»  Fuerte,  questo  generale 
accampato  '"1  suo  reparto  'li  truppe  nazionali  m'Ha 
l'ami'  i  .li  Vii  torii  a,  '■  la  cui  mar  spesa  i  ira 

pi  i  mi  così  strano  e  tragico  avvenimento,  non  aveva 
forse  legami  'li  parentela  con  l'uomo  che  pò 
dirsi    l'anima  della  rivoluzione,   con    Romero, 
che  il  i>n|i"l"  chiamava  ''"I  suo  nomignolo  'li   Di 
minguito?  Come  dunque  non  sospettare  «li  tutti  e 

ili  tUtl 

Quando  la  lotta  divampa  fra  i  figli  d'una  sti 
.  il  nemico  è  'li  casa.  Nulla  lo  fa  distinguere 
alle  volte;  può  essere  vicino;  può  sedere  alla  ta- 
vola  dell'avversario.  Il  sospetti  caratterizza  la  vita 
ili  quei  momenti,  nei  quali  il  tradimento  diventa 
noe  l'eroismo  tradimento.  Il  sospetto  è  nell'a- 
ria come  un  sottile  veleno,  penetra  negli  animi  di 
vantatore  d'affetti.  Si  troncano  quei  fili  del  senti- 
menti i  '  he  le  nomini,  e  non  ne  resta  <  he 
una  finzione  tramala  dalla  pania.  Tutti  sono  in 
guardia.  La  diffidenza   fa  d'ogni  uomo  una   sp 

li    pania    d'ogni    amore  I Un   dubbio  può 

re  una  \  ita. 
Ecco  perchi  i  >gnura  >  di  i  [uei  soldi  i  ava.  e 

rerj  iva  d'essere  sospettato. 

11  campo  si  fé      silenzios me  nei   mi  • 

che  precedono  la  battaglia.  Tacquero  i  lievi  accordi 
ili  chitarra  e  i  consueti  canti  A' habanera  e  di  mi 
longa,  dolci  e  tristi,  che  si  levavano  nel  sereno  pal- 
laio della  prima  mattina  in-  fumo  dei  fuo- 


nche  dovessi  con  le  mie  mani   frugare  uomo  per     chi  appena  accesi;  cessarom  i  mot 


uomo  e  tenda  per  tenda,  li  troverò,  perdio! 

Si  udì  all'esterno  lo  scalpiccio  di  molti  passi,  poi 
are  di:        Alt!  armai  <i  tierra!        se 

_mt'.  da  quel  caratteristico  rumore  di   pesanti   terra- 
menta    -citate  al    suolo    di   colpo   che   tanno    i    calci 
fucili   battendo  tutti  in   un   tempo  il   terreno.    Il 
ente  Chasico  compane  ili  nuovo  sulla  soglia 
nnun/ianilo: 

! 

Il   generale    e    il   colonnello    uscirono    dalla  ca- 
I   nove   prigionieri   erano  lì.    schierati.    Dietro  di 


teggi    e     le    dispute  ;     le    /ucclle:  t  e 

acato  non  passarono  più  di  n 
mi  mano. 

I  soldati   si. uc \  ani  »  di  1  ra  le   lari  i  m 
—  irregolari  e  malferme  come  quelle  d'una  tribù 
di  zingari,  tutte  bagnate  di  ru  -e  si  avvia- 

vano lentamente  verso  il  ranchilo   del  quartiei 
cerale  sul  quale  la  bandiera  argentina,  bianca 
zurra.  cadeva  floscia  i    in  nimata  nella  '-alma. 

Una  tenda,  proso  alla  capani        ra  guardata  da 
Ogni  tanto  qualche  ufficiale  si  appi 
va.   sollevava    cautamente   \n-\   lembo  e  sporgeva    il 


Intorno   intorno  si    andavano  tacita        capo  con  quel    tare   rispettoso  che  ogni    Uomo  ha    di 


meni  pendo  i  soldati.  La  notizia  del  misti 

i  ios.  i  a\  venimenti  i  ave*  so  il  campo  con  la 

■  l'una  folata  di  vento. 

litri  e  di  tradi- 
tegli uomini  erani  i  abituati   ai  suoi 
'.  ma  un  n  I  cuore  di  un 

ni.  nto  ei  i  mo,  che  le  fantasie  sel- 

•  ate  e 
re   il   traditore?   Nessun 

i  (gnuno  dui  impagno   di   tenda, 

tirare  pei   il  suo  vicino  in  un'epoca  di 

nche  Ira   p 
di'        in   quella  I 

\l  ■  Inni  i.    govei 
ilare 

lipoti    Don   Pedro  Pavos  pei  si  ispetti  i  di  conni- 
nsorti.  I  P  turii i  ave> a    un 

;   Ico. 


fronte  alla  morte.  In  quel  momento  gli  sguardi  cu 
riosi  che  da  lui  '.ivano  in  folla  per  l'apertura 

a  frugare  avidamente  nell'oscurità  dell'interno,  in 
Ravvedevano  presso  alla  porta  >h]f  piedi  nudi,  rat 
tratti,  lividi,  orribili:   piedi  di  cadavere  che  sol 

no    Inori  dal   buio;    e.   appariva    spaventoso  alle 
menti    il    pensiero  di   quanto  quel   buio  nasone' 
preda  del  mistero. 

Alcuni  soldati  che  tornava lai  l'avere  abbeve 

iato   le  cavalcature  all'acqua    torbida  d'un    foss 
no,  montarono    sulle  nude  groppe   dei   loro 
v  dli  e  sostarono  in  gruppo,  dominando  la  folla. 
Era  '  i  lacera  e  se  ilza  di  soldati  ai  quab 

i  ivoluzii  iiiaria   non    ci  mi  edev  i    rip 
Ita  di  figure  enc  rgiche.  di  fisionom 
e  risoline.   Vi  si   |" 
lell  i    l'ami. a.  tipi   i  tei  i pi    di  mei 

ere  ili  ni.  profili  da  ,  > 

idilìos.  rudi  volti  coronati  da  barbe  ispide 
e   da    corvine   capigliature    disordinate,    espressioni 


il     BAQUEANO 


IO 


85 


fiere  e  feline;  e  tutta  una  confusione  di  vecchie 
uniformi,  di  ponchos  gettati  sulla  spalla  con  la  di- 
gnitosa negligenza  di  mantelli  guasconi,  di  bomba- 
chas  gonfie  come  brache  di  moschettieri,  <li  eh, 
ne  ricordavano  le  vestaglie  abbondanti  degli  arabi. 
Quando  il  generale  comparve  tutti  gli  occhi  si 
volsero  ai  prigionieri,  rhe  salutarono  portando  la 
mano  alla  fronte.  La  scorta  presentò  le  armi. 

—  Atencionl  —  comandò  il  luogotenente.  Le  ma- 
ni si  abbassarono  e  i  calci  dei  fucili  tornarono  al 
suolo. 

nerale  Porfidio  Fuerte  si  appressi  imo  a  pò 
chi  passi  dai  prigionieri,  si  carezzò  nervosamente 
la  barha  grigia,  gì  Sto  che  era  abituale  in  lui  nei  mo- 
menti di  preoccupazione  e  di  eattivo  umore,  poi 
lentamente  parlò: 

—  Chi  di  voi  non  dirà  il  vero  avrà  cento  colpi  di 
revenche  —  e  girò  un'occhiata  penetrante  e  minac- 
ciosa sui  nove  volti.  Cento  colpi  era  la  morte. 

I  prigionieri  impallidirono. 
Poi  continuò: 

—  Chi  era  di  sentinella  stanotte  allo  stato  mag 
giure  ?  Si  avanzi. 

Due  uomini  uscirono  dalle  Sia. 

A  che  ora  montaste  di  guardia? 
Vile  nove. 

—  Io  all'una,  senor. 

II  primo  era  un  indio  colossale,  stil  cui  volto 
giallastro  il  pallore  pareva  livido.  Il  generale  si  ri- 
volse a  lui. 

—  -Dove  stavate  ? 

—  Là.  vicino  alla  tenda  del  comandante  Ricasal. 
(li  fianco  al  rancluto  —  e  indicò  col  gesto  ia  tenda 
del  morto. 

—  Chi  è  entrato  nella  tenda  ? 

—  Nessuno.  Il  comandante  è  rientrato  una  mez- 
z'ora dopo  che  ero  di  fazione.  Nessuno  s'è  più  av- 
vicinato. Ho  visto  la  luce  della  lampada  da  campo 
trasparire  dalla  tela,  ma  per  poco.  Vedevo  l'ombra 
del  comandante  che  passava  e  ripassava.  Dai  suoi 
gesti  capivo  che  si  preparava  a  coricarsi.  Poi  la 
luce  è  sparita.  E  non  ho  visto  altro. 

—  Hai  dormito  ? 

—  Xo,  generale. 

— ■  E  non  hai  udito  niente,  niente" 

—  Sì,  la  ronda.  E'  passata  a  cinquanta  passi  da 
me.  Ho  gridato  il  —  Quieti  es?  —  mi  ha  dato  la 
parola  d'ordine.  Io  ho  risposto.  Poi  è  sparita  lag- 
giù, dalla  parte  dei  carri.  Ho  rivisto  la  sua  lanterna 
lontano,  per  un  momento.  All'una  sono  smontato  di 
guardia  e  sono  andato  a  dormire  nella  mia  tenda. 

11  generale  con  un  gesto  iroso  roteò  lo  scudiscio 
che  mandò  un  sibilo,  breve  e  violento  come  un'im- 
precazione. Poi  interrogò  l'altro  snidato,  un  giova- 
ne alto  e  forte  dal  volto  quasi  adolescente,  dall'e 
spressione  un  po'  timida  e  umiliata. 

—  Che  hai   visto? 

Niente  —  e  ripetè  con  accoramento         nula. 
nuda,  naia:   —  niente,  niente,   niente  ! 

—  Niente,  in  tutta  la  notte?  Racconta  : 

Il  soldato  abbassò  la  fronte  raccogliendosi,  e 
dopo  qualche  istante  soggiunse: 

—  Verso  le  tre  ho  sentito   la   voce   del  sergente 


Unitoli,  che  ha  la  tenda  laggiù,  il  quale  canta\  i 

querida    es   tan  leja,   m      -      ini subiti       V 

lora  io.... 

A\  mi  i.  svelti  i  ! 

—  Allora  io  ho  continualo  il   suo  canto,   ma   SOI 
tovoce,  per  scacciare   il  sonno.    Ma    mi    metteva    me- 
lanconia e  mi  sono  taciuto.    Poi  ho  avuto  freddo  e 
mi  soni»  messo  a  passeg; 

—  Ma  che  cosa  hai  sentito? 

Niente.  Ah!  sì;  ho  sentito  i  cavalli  del  quar 

0     dalla     parte     del     fossetto,    che     nitrivano.     Io 

i  i  pensato:  —  Che  hanno  slam. ini  J         ma  mi  sono 

corto  che    non    tirava   vento,   e    i    mosquito!,    dove 

vano  martoriarli.  E'  segno  di  tormenta  vicina. 

—  E  poi  ? 

—  Poi  ha  cominciato  ad  albi  ggiari    ed  è  suonata 
la  diana.   Ho  visto  il  lume  nel   vostro  rancho  e  ho 
detto  ira  me:  —  II  generale  s'alza  subito;  oggi  si 
marcia.   --  Poi  è  venuto  da   voi   il   colonnello    I 
luno.   E'  suonato  il  «rapporto»  e  tutti  gli   ufficiali 
seno  arrivati.    Poco  dopo  è  venuto  il   luogotenenti 
Chasico  che  mi  ha  domandato  sé  avevo  visto  il  co- 
mandante Ricasal.         Vo,  senor        ho  risposto.  Egli 
s'è   appi. 'ss, ito   alla    (cu, l.i    e    ha    chiamato:  O 
mandante!   Comandante!   —   Nessuno  ha   risposti 
Il  luogotenente  aveva  la  lanterna  di   servizio;  è  en- 
fiato nella  tenda.   Subito  è   uscito    fuori,   è  corso 
me  e  mi  ha  messo  la  lanterna  vicino  al  viso  dicen- 
domi:  —  Chi  è  stato  là    dentro;-'   Chi;-'  Chi? 
aveva  la  voce  affannata.   Io  non  sapevo  niente.  He 
risposto:    —    Nessuno'         Egli   mi   ha  preso  per  li- 
spalle,   mi  ha   scosso  forte   ripetendomi  :    —   Chi  ? 
Chi?  —  poi  mi  ha  tolto  i]    fucile,   la   daga,   il  coi 


l'i     ìlio    flguni    M    nrti/lhini    ni    in  in    e, uhn    1,1    hi. 

della  prima  alba 


LA    LEI  . 


\  ■ 
I  un  i"   hanno  arre- 

i    .1 1  mi .  p  eh 

l  eco 

rezzando  convul- 
i  della  g 
i    i  ente: 
\     ferri  questi   due  manigoldi  i  ;uar- 

■  i  irio  'li  commenti  corse  fra  la   folla,  la 
iveva  udito  l uori   'li  quell'ordine   che 

■     seni    "-ili  agli 
no  dopo  l'altro  !<  cero  le  loro  depi si 
.  va   udito  duto    nulla,   fuori 

incidenti  della  unite  al  campo.   La  m 

[li  Ila.    I  ..i   sentinella  '-li'-  guardava 
del    fossi  \n\   rigagnolo   ricoperto   di 


/  prigionieri  i  i>n,>>  lì,  schierali.  Dietro  ■'/  essi  lu  ■ 


aite  veniva   a  scorrere    >  ■ 

indo  1'  intero 
i  l'irrequietezza  'lei 

li.  tormentati  dai  mosquito*  che  si  levavano  a 
■li  dall'acqua.    Il  soldato  stes-o  aveva  avuto  il 
volto  insanguinato  dagli   insetti,  liei  resto  questo 
un  flagello  o  i  Ila  prateria  quando  l'aria  è 

'•alma. 

alcuni  istanii.  il  ge- 
mi   ordini        I    •       voce.    Il    luogote 
:ò.  e  leni  amente,  a  voce  spie 
ne   un  b  _'riilo  alla    moltitudine: 

I  edeli  difensi  n  i  della  causa  nazionale  '  1  '  "i 
dim  i    Porfidio  Fuerte. 

■  />,  io •  I" ilh iani  d'ori i  a 
chiui  I  traditi  ire 


ssassino  del  comandante  Ricasal,  e  qualunque  sia 
il  suo  grado  avrà  gli  ri  militari  e  la  prò 

sui  . -.111,1". : 

Si  levò  un  brontolio  dalla  folla  dei  soldati,  e  un 
lampo  selvaggio  'li  desiderio  passo  in  tutti 
li.  M  uno  si  mi isse, 

Il  generale  sferrò  un'imprecazione,  e  gi itori 

no  un'occhiata  bieca,  quasi  cercando  di  ri< 
i  "ii  uno  sforzo  ili  volontà  il  traci 
tudine  <lei  suoi  soli 

l'n  ufficiale  mormorò  un  nome:  El  Baqueanol 

ni  li  '  i  ipetei ■  riti  i  dopo  i  eoKj 

\,«-i    gridavano:    Il    Baqueano!    Si    chiami  il    Ba 
queano ! 

Il    generale   fece   un   cenno   'li  consenso, 
mando  : 

Sta  bene.  <  Chiamatelo.  I  d  n  i 
Una  voce  gli  risp 

Sono  qua,  generale,  */  vos  ordem 
E  un  vecchio  fece  largo  fra  la  folla  <■ 

gli  comparve  davan 
li  togliendosi  il  cap 
pellaccii  i  ci  ni  l'ampi' 
gesto  d'un  antico  hi 
dolgo. 

II. 

baqueano  i  uà 

uomo  che  conosce 
palmo  ,i  palmo  veni  i 
mila  leghe  iiu.nlr.ue 
■  li  paese.  K^li  è  nel- 
I  immensità  della 
Pampa  quello  che  il 

piloti I!    Munirli. 

sita    «lei    mare.    Ogni 

gaucho  dell'intei 
un     pò      baqueano. 

Come  oj;iii  isolano  ì 
un  pò  marinaio.  \ou 
vi    e  sentiero   eh 

sciuto    al     ba- 
Egli     viag- 
giand  imane 

sul    piano   illimita 
sa  dire  dei  mille  p  ts- 
■  ni  rani  .   li  inde  vengono  e  di  >w  \  .nino. 
Al  suo  occhio  abituato  all'eguaj  lianza   angoscianl 
'li    |uegli  orizzonti,  che  fuggono  lontano  tra  le  bri 
dell'infinito,  ogni  differenza  intima  ili  colore o  d 
forma   acquista  rilievo,  diviene  percepibile,  prende 
una  fisionomia.    L'na  lieve  macchia  lontana  ili  \' 
getazione,  o  un  ombù,  sono  per  il  baqueano  cose  e- 
videnti  e  non-  del  suo  paesaggio,  come  per  noi  una 
valle  o  un  monte. 

come  gli  esseri  che  vivono  nello  spazio  seni 
sa  confini,  come  i  pesci  e  come  gli  uccelli,  possiede 
un  senso  ili  più:  quello  dell'orientazione.  E'  un  - 
,i"  si  si  forma  dalla  raffinatezza  estrema  de 

gli  : i  li  ri  cinque. 

Se  ne  'li  notte  'li  essere  in  dubbio  sulla 

k  reoi  rere.  non   fa  che  scendere  da  cai 


II.    BAQUEANO 


eri  esaminare    le  erbe,  per   riconoscere  il   punto    in 

cui  si  trova.  Egli  sa  che  le  stesse  piante  variami  da 
luogo  a  luogo;  sono  differenze  imponderabili  ma 
che  egli  conosce.  Se  l'oscurità  è  troppo  folta)  se  la 
tormenta  vela  il  cielo  di  tenebre  spaventose,  il  ba- 
queano  strappa  le  erbe,  le  fiuta,  fiuta  la  terra,  ma- 
stica le  radici,  lentamente.  Basta  questo,  li  sapore 
delle  erbe  gli  rivela  anche  la  vicinanza  dell'acqua,  o 
della  Canada  salsa,  o  la  vicinanza  dell'abitato;  e 
galoppa  dritto  alla  sua  mèta.  Si  dice  che  Rosas,  il 
tirannico  dittatore  di  Buenos  Aires,  conoscesse  per 
il  loro  sapore  le  erbe  di  tutte  le  fattorie  al  sud  del- 
la capitale. 

Nella  sua  vita  selvaggia  le  erbe,  i  cespugli  e  gli 
alberi  divengono  gli  amici  de!  baqueapo.  ('ili  im- 
mensi ombù  millenari  isolati  nella  pianura,  bassi. 
contorti  dai  furori  della  bufera,  larghi,  folti  e  mae- 
stosi come  antiche  quercie.  egli  li  distingue  tutti  ari 
uno  ad  uno  con  i  nomi  che  egli  stesso  ha  imposto 
loro.  Sono  spesso  nomi  dolci  e  affettuosi.  Talora  no- 
mi di  donna  o  nomi  di  santi.  Qualche  volta  questi 
nomi  divengono  popolari,  si  perpetuano,  restano  al- 
la località.  Molti  nomi  di  nuove  citta  hanno  avuto 
così  origine  nella  sentimentalità  d'un  gaucho. 

Il  baqueano  è  capace  di  portare  un  messaggio 
ad  una  città  dove  non  è  mai  andato,  percorrendo 
duecento  chilometri  al  giorno.  Si  ferma  un  istante 
appena  montato  in  sella  —  come  il  colombo  appe- 
na lanciato  si  libra  immobile  —  scruta  l'orizzonte, 
esplora  il  terreno,  poi  si  slancia  al  galoppo,  cambia 
nettamente  di  direzione  per  ragioni  che  egli  solo 
conosce,  e  trova  cosi  la  sua  via. 

Egli  è  prezioso  in   guerra.   Il  baqueano  e  la  mi- 
gliore delle  carte  topografiche  nelle  selvaggie  pia- 
nure americane.  Conosce  le  distanze  e  le  ore  di  mar- 
cia che  separano  un  luogo  ila  un  alito,  conosce  pas- 
saggi  e  sentieri  ignoti,   per  i   quali  si   può  arrivare 
di  sorpresa  e  nella  metà  del  tempo.  A  dieci  li    li' 
di  distanza  s'accorge  della  presenza  del  nemico,  e  sa 
dirvi  il  cammino  che  questi  segue,  soltanto  osservali 
■  io  la  fuga  dei  nandù,  dei  guaiiachos  e  dei  caprioli 
tra  le  erbe, e  la  loro  direzione.  Se  il  nemico  s'approssi 
ma  egli  studia  la  polvere  che  si  le- 
va   dalla   sua    marcia  all'orizzonte, 
e  giudica  della  forza  di  esso:  «  So 
no    duemila    uomini»   —    dice    — 
«  cinquecenti  »,  centi  >  »  —  e  diffìcilmen- 
te si  sbaglia.  Distingue  la  polvere 
sollevata  da  una  mandria  che  passa 
lontano,  da  quella  sollevata  ria   in 
mini  a  cavallo.  Se  dei  corvi  o  dei  condor  si  librano 
in  aria,  egli   dal    loro  numero  e  rial    loro   volo  coni 
prende   se   aggirano   volteggiali!  lo   sopra    gente   na- 
sta,  o  ad  un  accampamento  ria  poco  abbandonato 
i  ppure  a  carogne   ri'animali.    II    grido   rii    spavento 
d'un    uccello    in   fuga    lo    fi    arrestare   un    momento 
pensoso,  poi  dice: 

—  E'  un  serpe,  è  una  volpe,  è  un  gatto  selvaggio, 
è  un  uomo. 

Egli  può  far  vincere  o  far  perdere  una  batta- 
glia. Ogni  generale  con  le  sue  truppe  è  nelle  mani 
del  baqueano.  Terribile  posizione  !  Quando  il  dub- 
bio s'insinua  nell'animo  dell'ufficiale,  il  baqueano  ac 


[087 

quista  .11  suoi  occhi  una  poien/, 1  sovrumana  dalla 
quale  si  Miiic  prigioniero.  Ma  il  baqueano  è  rare 
volte  traditore.  Talvolta  ri  generale  è  anche  baquea- 
no, e  allora  la  vittoria  e  sii  lira. 

Il  generale  Rivera,  della  Repubblica  dell'Uru- 
guav.  era  un  baqueano  che  1  oro  sceva  ogni  albero  di 
quei  paese.  Senza  di  lui  i  brasiliani  non  avrebbero 
conquistato  l'Uruguay,  e  senza  di  lui  gli  argentini 
non  avrebbero  scacciato  i  brasiliani. 

Cominciò  la  sua  carriera  facendo  La  guerra  alle 
autorità  del  suo  paes-  come  contrabbandiere,  ai  con- 
trabbandieri come  impiegato  del  governo,  agli  spa- 
glinoli come  patriota,  ai  patrioti  più  tardi  come  av 
venturièro,  agli  argentini  come  condottiero  brasilia- 
no, ai  brasiliani  come  capitano  argentino,  a  I.aval- 
leja  come  presidente,  al  presidente  Oribe  come  pro- 
scritto, e  a  Rosas.  alleato  d'Oribe,  come  generale 
della  Repubblica  dell'Uruguay,  sempre  vincendo 
perchè  era  baqueano. 

La  guerrilla,  questa  caratteristica  forma  rii  com- 
battimento sud-americano,  è  guerra  rii  baqueanos. 
Guerra  rii  astuzie,  rii  fughe,  di  sorprese,  di  marcie 
rapide,  quasi  miracolose.  Il  baqueano  è  un  caccia 
tore  che  persegue  le  traccie  del  capriolo  e  sente  e 
fugge  la  vicinanza  del  giaguaro;  e  la  sua  guerra 
non  è  che  una  caccia  nella  quale  il  nemico  la  a 
volta  a  volta  la  parte  del  capriolo  e  del  giaguaro.  I 
più  celebri  generali  argentini  e  uruguayani  avevano 
l'istinto  del  baqueano.  Hanno  vinto  gli  spagnuoli, 
gli  inglesi,  i  paraguayani.  essendo  spesso  in  forze 
minori:  non  è  necessario  che  il  cacciatore  sia  più 
forte  della  selvaggina;  basta  che  sia  più  rapido  e 
più  astuto.  Garibaldi  apprese  laggiù  ad  essere  un 
baqueano,  e  da  baqueano  inseguiva  e  sfuggiva  nel- 
le sue  gloriose  guerrille. 

TI  baqueano  è  anche  un  po'  rastreador.  come  tutti 


;   ;  IN 


'  soldato  ni»  tè  '■mi  cu  commento 
natta!  —  Mente    niente    nienti 


Nada,   nada, 


LA    LETTURA 


Vitti,  la    |ualità  'li  rastreadot 
i   ooltà  del  Laqueario.    Quella 
si  dire    la  scienza  dell 
li    orme  d'ui 
sa  mina  piano  o  fi 

ii    un  baqueano  che  guidava  lo  - 
■  ■  in  un  viaggio  pres  o  a  Bui  ni  is   lires,  vi  il 

hi  .ii  suolo  esclami  :         Qui      | 
Ila  mora,  .issai  buona,  che  appartiene  alle 
1 1  munii  i  miilin  bene 

Quesi  ui  'in.  i  wni\  .1 
,',    .  ,    .  i    mata  da   Buenos    \ 

■  -  ssato  un    in la 

ra,   li-  <'ui  traode  aveva   ricono 

s,-int. .  in  quelle  d'un'intera   mandria,   in   un  sen 

,li   larghezza     Ma  quella  guida 

mm  faceva  nulla  ili  straordinario;  ogni  buon  gau 

sarebbe  stato  capace  ili  altrettanto   Questa  I 

che  sem  ■  i imune  ira  gli  abi 

della  Pampa.  E'  una  specie  d'istintiva  scienza 

ereditata  dagli  indiani,  e  della  quale  tutti. 

più  ii  meno,  conoscono  i  primi  elementi. 

Ma  vi  i  il  rastreador  di  professione.  Quest'uomo 
ha  qi  n    go.  <  lonipie  delle  «'"se  prodi- 

se  e  terribili.  I  suoi  compaesani  lo  circon 
■  ili  un  rispetto  che  somiglia  al  timore. 
Figli  ha  acquistato  una  tale  potenza  di  per- 
cezione  e  d'induzione,  che  sembra  sovruma 
na.  Nei  tribunali  inferiori  la  sua  testimonian 

- 1  ime  1  V\  iden 
za.  Se  avviene  un 
t'urto    durante    la 
notte,     appen 
ne    ha    notizia    si 
n  i  del 
ladro,  e.  trovatala, 
ipre  con  qual 
che  il 
vento  non  la  spei 
da  :  poi  si  corre  a 
chiamare     il     ra 
streador.  Questi  la 
osserva,    la    segue 
,i  rio    ed 

fissanilu  ili  tanto 
in  tanto  il  suolo,  quasi  che 
occhi  scorgessero  in  evidente  rilie 
in  urnir  per  altri  impercettibili,  at- 
traversa delle  strade,  penetra  negli 
orti,  entra  in  una  casa,  e  indicando 
un  ii-  lice  i  reddr 

meni-  sto! 

E'  raru  che  il  delinquente  n 
Il  delitto  ■  i.  Oppi  irsi 

'  '■■  alla 

non    nza  del    rastreador  come 

ad  un  vi. Ieri-  della  giustizia  divina, 

lebre  ancora  nelle  i  ntini   il  ni 

di  ('alibar,  un  rastreador  che  molti  vecchi  ricor 
dan  i  Ha  volta,  mentre  eg 

lontano  in  viaggio  per  Bua    a   Vires,  un  ladro  pene 


.   ■■•■ 


un  nella  sua  casa  e  ^li  rubò  un  vestito  di  gala.  Sua 
a  del  malfattore,  e  la  i 
Due  mesi  dopo  (  '.ilil.. ii  tornò,  ossi  rvò  1 
■    n    -II. uà  e  iin  isibili  .  e  non  si   parlò 

più  dell'accaduto.  I  n  annue  mezzo  do] gli  cam 

:  li. issa   pei   una   strada  del   suburl 
Improvvisamente  si  ferma,  guarda,  e  poi  entra 
luto  in  ima  casa.  11  suo  vestito  è  là.  appeso,  pia  un 
po' consumato  dall'uso.   Egli  aveva  itilo  Ibi 

ma  del  ladro  nel  fango  della  via. 

I  n  -di  ra  vi  ilta  (  lalihar  In  chiamato  a  riir 

un  evaso,  condannato  a  i te    li   fuggitivo,  pi 

dendo  di   venii    rastreado.    m 
aveva  presoogni  prei  mzione.    Vveva  camminato  pei 
lunghi  tratti  sulla  punta  dei   piedi,  si  era  attao 
alle   muraglie   basse    dei    recinti,    aveva    fatto    niri 
pazzi,  tornando  spesso  indieti       Ma   ('alibar  s 
il  suo  cammino,  implacabile   Giunge  a'\  una  i 
na.  e  da  certe  traode  deduce  che  il  colpevole  è  là. 

I  soldati  elle  lu  accompagnan trano,  cercano  lun 

mente,  non  trovano  l'evaso,  e  tornano  fuori  a  ri 
me  al  rastreador.    Ma  questi   non  risponde  die 
due  panile:  A  \  è    |iii  !   --     E  i  osi 

Dupli  nuove  e  diligenti   ricerche  il  fuggitivo  \ 
rinvenuto,  disfatto  di  paura,  dentro  un  cumuli 
Foraggio. 

Durante  la  tirannia  di  Rosas  alcuni  pri- 
gionieri    politici     tentarono     un'evas 
Tutto' era  preparato;  i  complici  e  i  parti 
giani  prevenuti.    Nel    momento  di    fin 

prigionieri  esclamò:      -  E  Cali 
bar?  lo  si 

:  imento  li  colpì.  — 
Certamente,    ri 

gli  altri  — 
Calibar!!  E  la 
fuga  tu  sosp 
fino  a  ehe  (  'alibar 
consentì  ai  compli- 
ci di  cadere  inala- 
li, per  quattro  gior- 
ni. E  Fevasion 
compì. 

i  i_in     bai  |iieano 

pi  issiede  la  scienza 

spicciola    del     ra- 

dor,  e   questo 

nini,  i  uà  au- 

i     Quando   si 

al     servizio 

d'un   esercito,  egli 

non  è  soltanto  una 

;.  ma    un 
pò.  1  soldati  lo  ri- 
ano  e  gli  urli- 
li i     tenu  ino. 
ha  quasi  una  p 
del     e.  un. indi  >     su- 
premo.  K'  come  un 
altro  generale        un  generale  taciturno  e  misero  — 
il  quale  mormora  gli  ordini   ehe  il  generale  gallo- 
gridare.  Quando  ha  condotto  i  soldati  alla 
vittoria   non  I"  aspettano  gloria  e  onori.   Egli  inta 
sea  pochi  scudi  d'argento,  In  sua  mercede,  sprona  il 


/'  BaQueano  restai  a  immobili 


apu  si . 


11.    IÌAQI  I  ANO 


il'  .  e  sp  irisce  lontano.  Ritorna  galoppando 
1  igni  ti  . 

Era  uno  di  questi  uomini,  guida  delle  truppi 
zumali,  che  si  trovava  ili  fronte  al  generale  Poi 
Fuerte. 

Il  Baqueano  restava  immobile,  .1  capo  51 
1  suoi  capelli  bianchi  scendevano  sulle  spalle  an- 
cora erette  e  forti.  La  barba  ingiallita  da]  mate  e 
dal  fumo  spiccava  sul  nero  corfino  ruoli.,  e  la  cor 
nice  delle  canizie  faceva  sembrare  ancora  più  ab 
bronzato  il  suo  volto,  sul  quale  il  sole  torrido  e  il 
flagella  ululante  della  tormenta  avevano  scavato  ru 
ghe  profonde  come  Fi 


li  disse  il  generale 


l  089 
ho  bisogni  1 


—  Pedn 
del  tuo  servizio. 
Si  ino  ;1  vos 

Là  s  1  n    1  li   Ricasal,    rutti  1  è 

ancora  al  suo  posto.  Vai,  guarda,  gira,  cerca  ;   io  ti 
seconderò  in  tutto;    ma  possibile,  il 

ite 

Ho   n  \  .M    ili    là. 

Ebb 

Ebbene,  generale,  siel nganno.  Fra  i  vo- 
stri soldati  non  vi    fu  tradimento,  l'assassino 
è  qui  ! 


{CoHtiìina'). 


LUIGI  BARZINI. 


rv- 


I  NSOSA 


MACCHIETTE   E    MACCH1ERELLE 


CARLO    SPIRIDIONE    MARIOTTI 


ildassare  Orsini,  nelle  sue  Memorie 
pittori  perugini  di  XVIII,  com- 

pila/e (si  legge  sul  frontespizio)  «con  ac- 
'-uratezz.-i  e  con  verità»,  ci  assicura  ''he  Carlo  Spiri- 
dione Mariotti  era  un  originale  ili  tre  cotte.  I 
lisegni,  e  certi  mol  rinati  ne'  suoi 

libercoli,  ne  fanno  ampia  fé 
\ppassionato  delle  folle  e  misantropo,  muto 

e,   affabile  e   dispettoso  (in 
ii   concittadini),  motteggiatore  e   pei 
mali  te  ed  uguale  se  non  quando 

ili  bere  In  questo  soltanto  non  i 
bile  coglierlo  in  contraddizii 

Offriva  agli  altri  il  caffè  largamente,  ma  egli  be 

navitf  ».  1    tanto  e  così  lun- 

che  intìnt-  «si  ridusse  ad  un'e 

ma  malattia  ;  onde  lini  la  sua  vita  il  ili   11  ili  mag- 

ell'anno  i;qo.  in  età  'Ianni  6j  ». 

I   sui  li  liuoni  o  ti  altri  cittadini  non 

tini   funerali  e  li    sotterrarono  in  San   Si 
dove  il  giovane  K  iffaello  aveva,  lavorando  col 
itro,  intravvista  prima  la  dolce  curva  'lei 
consesso  de    Santi,  ■'  ■  i    szata  più  tardi  nella  Di- 

■   'ìli,  Ilio. 


L'aspetto  'li  Spiridione  e  nemmeno  il  su"  senti- 
mento d'arte  rivelerebbero  però  il  misantropo.   Pic- 
colo,   pingue,    rubizzo  pel   sangue  contenuto  e   pel 
vino  bevuto,  «era  molto  aderente,  ilice  l'Orsini,  a1 
professori    stranieri   che  capitavano   in   Perugia,   e 
poco  o  nulla  coi  compatrioti».  U omnibus  iarus  del 
suo  epitaffiu  è  dunque  una  pietosa  bugia!   Infatti 
del  poco  affiatarsi  '-"1  prossimo  ci  sembra  prova  an- 
che l'irrequietudine  che.  da  giovine  ancora,  lo  fa- 
ceva  balzare  ili  scuola  in  scuola.   Studiò  in  patria 
il    Boccanera,  poi  sotto  Anton  Maria  Garlii  . 
poi  passò  a  Città  ili  Castello  per  seguire  i  consigli 
li   Marco  Benefiale;  indi,   recatosi  a  Roma,  entrò 
nello  stuilio  del  Sulileyras.  poi  in  quello  ili  Corrado 
Gianquinzio.    Finalmente  l'afferrò   la  vivacità    fran- 
:   chiese  ed  ebbe  lezioni  prim. i  ila  Gian  Krance- 
Detroy,  indi  dal  Natoiree,  per  ultimo,  da  Luigi 
Gabrieli    Blanchet.    Il  povero  Orsini  resta  un  po' 
sconcertato  dalla   i  tsa   di  Spiridione  a  tra- 

tànte  scuole  e  si  domanda  «se  questo  ili  a- 
vere  abbondantemente  moltiplicati  i  direttori  in  una 
facoltà  che  richiede  in  chi  l'apprende  un  genio  ori 
finale,  possa  aver  giovatoo  piuttosto  d'impedimento 
fosse  a  lui  per  avanzarsi  nella  pittura».  E  continua 
renilo  che  ìa  fornisce  molti  casi  ili  ph- 


M  \i  l  1111.  Il  E     1      MA»  CHIERELLE 


\l\.\    I  'RI  DICA 


1091 

\.  in  sappiami  1  se  esistam  1  ani  1  1  ;  ceri  1  altri   sui  • 
[uadri    indicati   dal    Siepi   1    dall'Orsini.    Abbiamo. 

ìempii  1,  cercato  uni. min  il  Batti  *  :mo 
dipinto  in-1    1765,  1 

Santa  Mari  ri  ;  e  ro  m  abbiami  1  veduto  il 

San  Paolo  ni  gloria  che  intima  a,    ■'  Uessandro 

Seni/;  di  fondare  il  nuovo  suo  istituto  eseguito  nel 
775  per         h         del  Gesù,  né  il  Beato  Arcang 

itali   fatto   pei   Santi     Maria   <l<-i    Fossi,  né   la 
Santa  lucia  1  sostanze  ai 

■    ,  ■    ronta   si  ma-  '.irto,   eseguiti    p'-r    la 

1  hiesa  di  Sani  1  1  ucia.  \  dii  vero,  li  sue  pitture 
conservate  nel  duòmo  ci  hanm  invogliato  poco  .1 
perder  tempo  nella  ricerca  d'altre.  Sono,  senz'altro, 
infime.  Nemmeno  i  putti  a  chiaroscuro,  dipinti  ne- 
gli  angoli  delle  cólte  fanno  rimpiangere  la  perdita 
i  1  unmei  'lei  vecchii  1  teal  ro  perù   ino 

E  i  due  quadri  del  presi  itei  11  • 

\i  Ila  tela  del  papa  Sis\  0  al  martirio  si 

hanno  russi  e  bianchi  violenti  senza  fusione  di  mezze 
unir.  1  a  l'i^a  del  diàcono  che  precede,  è  dura,  ini 
barazzata.  Il  papa  ha  cena  solennità,  ma  è  goffo 
.li  proporzioni,  ili  carnagione  ombrata  troppo  oscu- 
ramente in  rosso  '-"ii  risali"  ili  luci  biancastre,  cru- 
de, stonate.  Brutti  i  soldati  'li  fondo,  senz'aria  in 
tomo,  schiacciati,  foschi. 

Un  poco  migliore  è   San    l  he   battezza 

San  Romani',  come  composizione  ;  ma  disegno  e  co- 
lore sono  del  pari  grossolani.  Un  rosso  petulante 
nella  veste  del  santo,  ma  poi  nessun'altra  vivacità. 


tori  «che  da  un  maestro  più  0  meno  abile  sono  pas- 
sati ad  un  altro  abilissimo,  0  ohe  per  morte  del  pri- 
mo hanno  prescelto  un  altro  addatto  al  genio  di 
loro;  ma  ohe  rari  sono  stati  quelli  ehe  sono  andati 
ad  erudirsi  dal  ter/o  professore  di  pitturai'.  E  qui, 
sfoderato  un  bel  conciossiach'e,  nota  ehe  «la  divei 
sita  dei  geni  e  delle  maniere  potrebbe  certamente  in- 
sinuarsi ne'  talenti  de'  giovani  con  'Iella  confusione  ». 
L'Orsini  ha  ceno  ragione  da  vendere,  ma.  anche 
senza  tante  riflessioni,  potevano  levarlo  di  dubbio 
pere  maggiori  di  Carlo  Spiridione,  misere,  gra 
me.  e  su  tutto,  ibride. 


1  0  parecchie  tele  per  altari 

della  sua  Perugia,  rimanendo  nella  più  umiliante 
mediocrità-  Si  dice  che  il  Martirio  lei  sani-  Proto  ■ 
Giacinto,  dipinto  da  lui  in  Roma,  ed  esposi"  a  M011 
"rio  prima  ili  spedirlo  in  patria,  Eosse  lodato. 
Certo  alla  lode  contribuirono  diversi  fatti:  l'aiuto 
del  Blanchet,  la  condiscendenza  verso  un  giovai» 
principiante,  lo  staio  della  pittura  in  Roma,  incerto 
allora  '-"ine  il  cervello  di  Spiridione.  Il  quadro,  del 
resto,  portato  nella  chiesa  di  San  Proveto,  poco 
lungi  da  Perugia,  trovò  negli  artisti  umbri  altri 
elogiatori;  ma  quand'ei  vi  pose  di  contro  il  San 
Michele  Arcangelo  semi  dileguare  ogni  voce  benigna 
e  ne  fu  livida  d'ira.  Perchè,  fra  l'altro,  egli  era 
«geloso  dell'arte  pittorica,  ed  ambiva  di  pi 
re  e  non  sofferiva  emulazione». 


Il      UH  III  UH,   l'I  I    MMWi  I 


LA    LETTURA 

ddi  candori  su  basi 
I-  i.i   le  r 

ione 
ste  due  tele  <  !arlo  Spiri- 
ippena  un  de 
ni    il  altronde,  !•■  giudicò  bene,  'li 

che, 
due  quadri  del  duomo,  i  ngannò.  «Il 
i    irlo  M  tratti,  egli  d'u  i  ■  ■  ■ 

unni,   che  i   quadri    non  van    dipinti    col 
ny  quali  re- 

evo  e  l'ai  '"I  'ii""  insieme  delle 

M   :  otti  abbandonò  in  seguito  il 

-i  at- 
-,  fan»  sn  forse  con  tale  stile  gli 

zo  bassorilievi 

ron  questo  Fare  servì  d'aiuto  a   più 

dun   pittore   quadraturista ;    ma    non  però  così    vi 

le  figure  colon  rtamente  in  piccolo 

i  ire  codi  in  chiaroscuro, 

gl'intelligenti.    Nel    nuovo  teatro 

però  molto  in  fai  di  chiaroscuro. 

lovi    b  issorilievi   e  m  isi  !"  re   sceniche  su 

dava  palchetti,  e  vari  ritratti  a   foggia^  di 

mei  nel  fregio  che  gira  intomo  Intorno  al  vòlto 

,]t.n  atue  die  fece  sulle 

si    aveva  fatta  la 
prai  luand'ebbe   !  one   'li   pin 

IP    rane,  e  le  lavora- 
va ...si  sollecitarti  i  come  un  lavoratore  in- 
ai guad              i     i  ■  'in"  arti  fi  e  desidProsn  .li 
gloria  ». 


In  quest'ultimo  giudizio  non  conveniamo,  i     i 
Spiridione  era  ben  desideroso  dì  gloria,  ma  il  bi 
no  di  tirar  via.  •  1  ■  fai  presto,  era  in  lui  sponta 


Paesani  \ssonnati. 

neo,  naturale.   Quando  riempiva  centinaia 
e  d'albi  con  schizzi  istantanei  a  che  guadagno  mira 
va?  Egli,  a  dirla  con  Properzio,  seguiva  semina 
turac  mai .  Null'altro  ! 


Meriggiando 


Rar.. Milani,  che  San  Spiridioni    arcivescovo,  vis 
o  nel  se  olo  IV  e  nell'isola  di  Cipro,  richiesto  un 
giorno  d'elemosina  da  un  povero,  non  avendo  più 
nulla  a  donare,  si  chinò,  raccolse  ili  terra  un  serpe 
e  gliel'offrì.  11  mendicante,  piene  ili  con  nel 

sani...  allungò  la  mano  e  prese  il  serpi,  il  quale. 
pi  i  compenso  della  sua  fede,  si  cambiò  subito 
in  on  i  ! 

Ani'he  il  nostro  Spiridione  tostochè  lascia  in  .li 
sparte  la  pittura  storica  e  si  ila  agli  schizzi  di  co- 
stume muta  in  oro  l'arte  sua.  L'inlravvidero  tal.  I 
colta  i  contemporanei,  ma  non  l'apprezzarono  per 
quinto  valeva.  «  In  opere  grandi  -  continua  il  suo 
biografo  —  non  era  molto  scrupoloso  intorno  al 
pi  ilezionare  i  suoi  dipinti.  Onde  siccome  dalla  pri 
niir-r  i    si  uol  i   del    Boccanera   aveva   appreso  il 

nai i  maniera  franca  le  figurette,  quindi  il  suo 

principale  studio,  pareva  che  l'avesse  consumato  in 
mesto  fare,  toccando  in  penna,  e  coli' acquerello  nel 
suo  libretto  i  gruppi  di  gente  bassa  e  vile,  che  rum 
rava  nelle  piazze  >■  ne'  cantoni  della  città;  e  so  ehi 
di  questi  libretti  ne  aveva  fatto  un  buon  novero,  ed 
in  questa  guisa  ira  le  vulgari  genti  si  era  guadagna 
i  credito  di  disegnatore,  lo  per.',  faccio  una  ben 
ampia  distinzione  tra  il  disegnare,  e  il  segnai 
per  questa  ragione  non  nego    che  il  Mariotti  non  se 
gnasse  con  grazia  i  suoi  pensieri  pittorici,  e  con  tal 
i„.ua  man  piacessi  ro  a  chi  gli  rimirava  :  ma 


MAI  il  III. 'ITE    E    MACClUF.Rl.l. LI 


IU93 


LA  SCUTIFAZ]  V. 


to,  grandi  pergamene  miniate  con  varie  figurazioni 
d'avvenimenti,  rilegate  in  sedici  volumi  che  vanno 
dal   [530  al   1796. 

Ma  poichi        onfronti   sono  sempre  odios,   lascia 

mei    andare    1  ei    Eatti    li li   .il1 1 1    ari isi i    '-li'   si 

si  mi  1  attenui  1  al  la  vita  o  mtempi  iranea,  e  guai  diamo 
le  cronache  del    Mariotl  i. 


La  parola  cronacìu    ci  i    venuta   spontanea,  e  >■> 
pare  la  giusta.  Non  uno  storico,  ne  un  poeta,  ni   111 
filosofo  è  in  arti'  il  Marietti  ;   ma  un  semplici      '. 
nìsta   .1    caccia    d'aneddoti   e  ili    fatterelli;    per   le 
chiese,  pei  conventi,  per  le  strade,  pi  1  tea  ri.  pi  1    li 
osterie;  in  ugni  luogo  dove  possa  assistere  .1  giuo 

chi,  a  baruffe,  a  funzioni,  a  gazz a  spaventi,  a 

nozze,  a  funerali.  E.  rientrando  in  rasa,  il  sun  vivo 
bisogno  ili  cogliere  a  volo  gli  appunti  della  vita 
vissuta,  lo  fa  schiz  are  il  servo  che  spazza,  la  donna 
che  sonnecchia  con  lo  scaldino  fra  le  mani,  la  fa- 
miglia che  desina,  il  suonatore  che  arpeggia,  la  vi- 
sta del  medico,  cosicché  nessuna  raccolta  di  mac- 
chiette servirebbe  meglio  ad  illustrare  tante  scene 
del  Goldoni  e  tante  pagine  eli  Giacomo  Casanova. 

Sorprendiamolo  in  chiesa,  dovagli  indugia  con 
■un'. ilnc  scopo  che  quello  di  pregare  Ècco  dap- 
prima negli  albi  alenine  persone  devote,  in  pieno  rac- 
coglimento, e  qualche  gioviti  signore  e  graziosa  da 
ma,  dal  volto  mal  celato  dad  velo  nero,  che  si  cri 
i-ano  et  ai  lo  sguardo;  poi  popolosi  pubblici  che  as 
sistono  ade  prediche  sotto  alle  quali,  segna  date  e 


però  tutti  convenivano  ch'egli  non  avesse  felicità  nel 
eseguirli  col  colorito». 

Via.  per  tm  accade  mico,  d  giudizio  è  notevole  !  Na 
turalmente  bisogna  pass, ir  sopra  all'attributo  di  vul 
;siin  dato  alle  persone  che  gustava™ ,  le  macchiette 
e  le  macchierelle  di  Spiridione,  e  trovare,  all'in 
contro,  che  la  distinzione  fra  d  segnare  e  51  finire 
lina,  e  dovrebb'esser  ripresa  dalla  critica  oggi,  che 
ti   disegnano  e  molti   segnano!   Dunque   noi  ci 

lin  1  i.'iun  francamente  tra  le  persone  vulgarì  per 
che,  trovati  i  libretti  del  Maricini  posseduti  dai 
conte  Ettore  Salvatori  di  Perugia,  ci  siamo  perduti 
(per  sua  gemile  condiscendenza)  diversi  giorni  ad 
esaminarli  attentamente,  uno  pei  uno,  col  maggio] 
.  idiraento  e  talvolta  inche  con  tmmirazione.  Costi 
tuiscono  infatti  uno  dei  più  abbondanti  documenti 
rafia  degli  nsi  e, lei  costumi  che  scomparvero  con 

votazione   francese.  Certo  il   nostro  Spiridi 

con  la  opere  d'arte-  lini  e  geniali  come   Pietro   Lon 
.In.   ir     ritraendo  lolle  di   piazza   può  competere  col 

diabolico  hrio  de]  Magnasco  0  di  Micco  Spadaro. 
spi  unendo  solennità  e  processioni  dimostra  i! 
gusto  e  il  fasto  elegante  di  Giampaolo  Pannini  ; 
ma  s'avvantaggia  su  tutti  per  la  quantità  dei  nmt;\ 
e  l'istantaneità  de!  riprodurli  dal  vero,  con  pochi  e 
rapidi  segni  eli  matita  che  poi  fissava  con  la  penna 
■  <  0  ni  l'acquerello. 

Inferiori  inoltre  per  ispirilo,  benché  tanto  inle- 
nssanti  per  la  storia  del  costume,  sono  anche'  I' 
Insienia  conservate  in  Bologna  nell'Archivio  di  Sm 


I.A  MIlNe ni. MI  ll\ 


LA    LETTURA 


Santo  del  1 785  1  0  più  lar- 
iìo,  al  Padre  Mauro 
Sari  .   dello   Studi* 
nella  chiesa  'ii  San  Severo 

n        di  Quaresima  1 

In  ni 

11  ibondo  dal  i" 
e  punti.  I  aci  enni  1  i    ul  ile  pi  1 
:    n  Predica  di  Quan  sima    1 787,   in 

tt  mi  di  scaglii  ila    li    ci  don li 

1    con 

alla  predica,  si li    altro 

con  la  scritta     1  V !.   [5  ot 
lobn  I  >ui  imi  1  pei  1  esequie 

del  M.  Riminaldi  morto   in    Perugia 

.      I  : 

scendono,  p<-r   le  piazze  e  per  le 
1  ssioni  '-"ii  le  cappe 
buffe  delle  confraternite,  coi  labari,  co    gonfaloni 
dipin  "H  le  lampade  don 

uti.  mentre  ai  balconi  •■  ali 

Idensano  dame    •  cavalieri.   Vediamo,    Fra 
tante,  ila  ne  della    Fi  11 

tezz  1  ■  e  la  «Proo         le  di  penitenza   pei   ottenei 
l'acqua  da    Iddio  1   in  Cui  «pi  ilmente  porta- 

no li  santi  gonfaloni  con  l'ai       ipagno  di    Mora 
■  di  tutto  ii  clero,  e  Religioni  e  Compagnie. 
Mons.   Governatori       N      strato  e   Popolo  d'ogni 
rango,  ma  maggiormente  ili  contadini,  fatta  nel  dì 
(      maggio    1789     E    si    ottenne    la    grazia    della 
ia  1 1. 


I 


Mercato  nella  n izza  m   Pan  ci  1 

Nr  atura  Intente  non  mancano  schizzi  parziali  delle 
macchiette  che  vivono  delle  chiese,  e  stanno,  r 
intorno  alle   loro  porte.    Vedi    fra    1  mendicanti  il 
1  ieco  '  he  tende  la   maini,  il  coronato,  la  1 
d'immagini  sacre,  cui  vicino,  sulle  gradinate,  stari 
no  i  contadini  venuti  alla   festa  da  lontano,  'li-1 
dalla  stanchezza,  sonnecchianti   in  ogni  posa,  come 
hi  sa  e  può  dormire  in  tutti  1  modi,  51 
e  senza  riguardi,  vestito,  calzato,  appoggiato  al  mu 
li  1,  seduti    o m  le  gambe  aperte  e  il  capi  1  sul  pi 
sdraiato  sugli  spigoli  del  marmo,  sotto  le  grida  dei 
canti,  nel   raggio  estivo  del   sole,   fra  nuvoli  di 
pi  ilvere  e  di  mi  "-che. 


E  in  ogn      ngi  ili  1,  1  ra   la   folla,  appaiono  tipn 
figure  'li  iraii.  più  che  altrove,   freqi 

Uml 1    li  ul    n     inni  del  s 

XVI  11.  il  quale  doveva  chiudi  rs    con  la   li  n 

1  '.ni..  Spiridione  è  mai  strn  nell'espi 
'  he  tratta  con  un  pizzico  d'umore  ed 

I ..  '  sa   lui  stessi    e  I"  sanno  i  contemp 
nei,   ■  dietro   la    prima   carta   d  un  fasi 

si  legge:    «Gruppo  'li   1  !arlo   Mariotti   inventi 

II,   scritto  mani"  sopra    il 
suo  amii  <  1 1 

1  1 


WAn  1I1I-TTK    E    M.V 'CIMEREI. LE 


donne  e  di  frati,  e  guardiamo  le  istantanee  conve- 
nienti: frati  che  riposano  nella  cella,  altri  che  leg 
gono  il  breviario,  o  scrivono,  o  suonami  la  chitarra, 
altri  che  si  preparano  buoni  bocconi  in  cucina,  che 
.1  earte,  rhe  motteggiano,  in  visita,  scal- 
dandosi a  un  camino  o  sorseggiando  il  caffè,  che 
dispensano  la  minestra  alla  poveraglia,  che  ascol- 
tano confessioni  piccanti  (la  loro  fisonomia  è  rive- 
latrice!), che   idocchiano   le  contadine  pei  mercati. 


I  I  M  |5 

gliose».  I  monelli  s'arrampicano  alle  travi  pei  ve 
der  meglio  e  da  vicino.  Altrove  ciò  che  raccoglie  il 
pubblico  sono  de' giunchi  :  i  bussolotti,  il  Turco  che 
porta  in  ili"  la  spada  con  un  bimbo  falsamente  in- 
filzato; il  castello  de  burattini,  la  caccia  .il  bove 
aizzato  dai  cani,  i  suonatori  e  i  canzonettis  i  ambu 
lauti  che  mostrano  sul  cartellone  l'orribile  storia. 
l'incantatore  di  serpenti,  i  su  tutto  il  volo  'I*  i  pai 
lune  aereostal  .  allora  piena  d'interessi 


La  badessa  morta 


Xè  il  Mariotti  si  contenta  della  macchieretta,   che 
pei  frati  raccoglie  anche  e  scrive  arguti  proverbi: 

n  d'inverno,  nuvolo  d'estate, 
Amor  dì  donna,  discrezion  di  frate  . 


<  ippure  : 


Frati,  monache,  mura 
son  tutte  una  mistura. 


Monache  e  mura 
sempre  aita  mistura. 

Peri  i  li    schei  no,  o,  almeni  i,  lo  schei    >  pei 
nache  si  limita  ai  versi,  che  ne' disegni  le  tratta  con 
delicato  riserbo.    Una   vecchia   monaca,    morta,   di- 
stesa sul  cataletto  è  uno  dei  disegni  più   fini  e   ri 

osi  della  raccolta,  che  contiene  puri    1; 
alle  suore. 

Mi  torniamo  all'aperto,  nelle  piazze  e  nei  mi  n 
polverosi,  nelle  strade  e  nei  chiassuoli  ripidi  e  fer- 
vidi di  pettegolezzo,  e  guardiamo  i  gruppi  che  e 
mostra  il  nostro  Carlo  Spiridione.  La  folla  ora  cir 
conila  attonita  il  chirurgo  ambulante  che,  sul  palco, 
leva  purri  e  tumori  o  strappa  denti  a  «vittime  i  : 


tutto  il  mondo.  Parecchi  perciò  sono  gli  schizzi  dal 
vero,  che  il  Mariotti  fa  sulle  varie  fasi  del  gonfia- 
mento, dell'innalzamento,  del  viaggio  aereo  ;  e  non 
contento  de'  segni  di  matita,  scrive  in  tutte  parole 
il  ricordo  del  grande  avvenimento. 

«Ai  13  aprile  1784.  Adamino  Ballerino  rifóndi 
il  suo  pallon  volante  verso  l'ore  22  1  -  e  andò  bene 
e  calò  al  palazzo  di  campagna  .1  Monte  Vile  del 
signor.  Giov.  Friggeri». 

«  Ai  ia  aprile  IJ84  (Perugia.  Domenica  delle 
Palme)  fu  lassato  d  pallone  dal  signor  D.  Sax  1  1 
comii, uni  e  andiede  felicemente  con  universale  ap 
plausi 

iAIIì  22  aprile,  fu  lassato  un  pallone  dal  signor 
Achille  Manarelli.  dei   padri   (il  vi 

di  li  alzatosi  .1  grande  disi. m/a  sopra  la  città,  p> 
la  strad.i   verso  S.   Faustino  e  andò  a  cascare   die 
due  torri,  o   poco   più  vicino   alla  città». 

«Genti  a    vedere    il     palloni-    volante 

andare.  Al  Frontone  il  dì  :o  maggii  1,  che  non  andò». 

«  23   maggio    1784.    Il    pallone  non   andò:    vi    fi 
gran  concorso  di  pò]  ei  1  lo  stesso  del  dì  20». 

»  Adi  2(i  febbraio    178-   verso  le  ore  22    1  2  al 
Frontone  fv.  ni. uni. ito  in  aria  un  pallon  volanti    CO 

■'.1 1.1  che  so.  11, .  e  mandi  1  in  ai 
1    un  sonetl 1  uha  canzone  :  tutti  1  cii  1  idi  ito  d 

11, ,r  Anuel.,  Colli,   uno  dei   Comici   della    Pros 


LA    LETTURA 


i       i     Mobil     nel  passate 
Isti  ■  ni  ». 

rano  avei   fatto 

i ■■,  nto  intinto  a  una  donna 

ì    mata 

ivatl< 

ha  rii ratio  in  un  buon 
■  Alli  2  I      -■  I  '  I 

•  ,  rebbe  magni  fi 

laddove  le  cronache 
lestinato  alle  femmine  da  conio, 
ibbia  'li  ferro,  nel  n  i,  ai  proti. 

[«   inrludei  sso  memorie   di 

,    ,      ids  dans  la  rue  el  sous 
urs.  Je  regarde  et 
i   celnture,    is 
-ur  un  .'tur.  sua  ir  des  valets  du  bourreau,  qui  i' 
frappenl  <!o  verges.  une  Inule  de  birichini  boli 
remplissaient  l'air  le  leurs  cris  de  joi 

to  contrasto  con  la  si  1   della 

Scu  n      -  |  netto,  in  cui  I 

ti  ni  rita    del    Mai  iotti    riproi  lui  e  il    funerale 

d'una  bambina  che  il  padre,  dimesso  per  l'angoscia. 

sopra    un'assicella   fiancheggiata    da  ceri 

sso  fi  indo,    di  iminati  •   da    un    gì 
r,  sce  con  la  sua  s  verità,  valore 

all'episodio,  pii  1 
Questo  disegno  e  l'altro  della  monaca  morta  sono 
■  1   due  -i' 'li  consacrati  i   doli irosi.  Si 

direbbe  che  al  nostro  Carlo  1  tasse  uno  schiel 

to  e  rapi«ln  sensn  di  commozione,    perchè,  da  vero 


'1     SII  IH  IMI    II    -I  wti  1 


I  I    MORI  [1  I\\ 

figlio  del   suo  tempo,   sembra   volersene  subito  al- 
lontanare col  pensiero. 

Voltata  la  pagina,  vi  schizza  con  rapidità  una  fu- 
tile Visita  in  villa  0  scrive,  tenendosi  .1  fianco  una 
I  nti iglia  'li  vino: 

1       non  ama  il  nume  /■' 
e  de  mi  non  empie  il  sacco 

restar  possa  il  musi'  secco. 
,  per  tini  abbia  una  sposa 
che  sia  brutta  e  sia  gelosa. 


Tutto  ciò,  con\  leu  ilur.  .  un  pò  dalla  con- 

suetudine e   dall'andamento  uguale,  quasi  monoto 
no,  d'ogni  giorno  e  d'ogni  ora    Bui  ittini  0  cerretani, 
1   pellegrinaggi,  prediche  solenni  e  solenni  prò. 
al  bove  e  innalzamento  ili  pallimi, 
tunnel. ti  e  timer. ili.   non  l'i  straordinarie. 

ma  non  erano  nemmeno  ordinarie,  t n< >1 1 <>  più  in  quel- 
la città  e  in  quello  scori  olo,  Si  trovano  iti- 
li he  netì'Insìgnia  bolognesi  oon- 
ille  a  se  più  raggu  irdevoli. 
\i      !  in isl n '  Mai ii ''ti  sa  pur  re  I  interesse 
nei  soggetti  normali  della  vita:  in  ciò  che  i  di  tutti 

i   momenti,  e  che  a  uno  spirito  ti"  figgi- 

-   o  non  importerebbe.   !  con  vivacità 

meramente   goldoniana,  che   ogni  più    piccolo   uso. 

più  un "li-.ii  1  -  peculiare 

1    fa  parte  del  carattere  d'un  tempo.  Si  penserebbe 


MACCHIETTE    E    MACCHIERELLE 


rinc  che  ai  primi  sentori  della  rivoluzione  che  do- 
veva sconvolgere  non  solo  le  idee  ma  anche  i  costu- 
mi, egli  tentasse  di  fissare  in  carta  ciò  ch'era  nella 
sua  capacità,  ossia  questi  ultimi  prima  che  dileguas- 
sero. In  questo  egli  ha  una  percezione  che  si  può 
lodare  senza  restrizione.  Dai  sog- 
getti umili  e  consueti  trae  qua- 
dretti deliziosi,  e  riempie  fasci- 
.  oli  che  vorremmo  poter  ripro- 
durre per  intero.  Gli  stovigliai  di 
Deruta  gli  forniscono  alcuni  bel- 
lissimi gruppi,  cui  servono  di 
fondo  il  duomo,  la  sua  gradina- 
ta, la  maestosa  statua  di  Giulio 
ITI  e  la  fontana.  Varie  scene  di 
contadini  in  viaggio  per  la  fiera 
o  nei  mercati  fra  i  buoi  e  le  pe 
core  o  presso  la  fontanella  di 
Piazza  piccola,  donne  di  servi/io 
che  fanno  la  spesa  e  indugiano 
con  altre  pettegole  o  con  l'aman- 
te, lo  scrivano  pubblico  accostato 
da  un  gruppo  d'analfabeti,  l'am- 
malato di  gambe  che  si  fa  portar 
nella  via  sopra  un  trabiccolo  di 
portantina,  i  monelli  che  giuoca- 
no  a  rimbalzello,  si  alternano  al- 
la riproduzione  rapida  ed  elegan- 
te dei  mestieri,  che  il  Mariotti  ha 
disegnato,  certo  con  minor  sa- 
pienza ma  con  sentimento  più 
schietto  del  reale,  che  non  Anni- 
bale Caracci  nelle  sue  celebri 
Arti  di  Bologna. 

Vediamo  il  friggitore,  il  sano. 
il  barbiere  con  la  testa  di  legno 
di  forma  alle  parrucche,  lo  stac- 
ciatore.  l'oste  che  dispensa  vino, 
il  mercante  di  panni  vecchi,  il 
mercante  di  stampe,  l'arrotino,  il 
lanternaio,  ecc. 

Né  mancano,  in  questa  ripro- 
duzione generale  della  vita  pub- 
blica, i  rappresentanti  della  giu- 
stizia e  della  sicurezza:  gruppi 
di  soldati  con  l'archibugio,  la 
sbirraglia,  il  giudica,  il  custode 
delle  carceri  che  assiste  alla  visi 
ta  festiva  che  si  soleva  concedere 
ai  parenti  dei  carcerati. 

Poi   il  nostro   bizzarro   artisl 
lascia  le  strade,  e  porta  nell'in- 
terno delle  case  la  stessa  curiosi 
tà.  la  stessa  indagine  di  tipi  e  ili 
•  aratteri,  spesso  animati  da  un  umorismo  felice.  E 
tutti  i  momenti  della  vita  cerca  di  sorprendere:   del- 
la rozza  vita  popolare,  della  laboriosa  vita  borghese, 
delia  futile  vita  dei  nubili. 

A  molte  vignette  si  potrebbero  sottoporre  dei  bra- 
ni del  Parini.  del  Gozzi,  del  Goldoni.  Ecco  due 
dame  che  si  confidano  segreti  d'amore;  un  giovin 
signore  disteso  mollemente  nella  poltrona,  in  atto 
di  meditare  i  -piani  d'allocco,  la  dama  che  in  attesa 

T.a   Lettura. 


[O97 

impaziente  del  cavaliere  va  riguardando  la  pendola 
e  stuzzicando  irrequieta  la  cagnetta,  oppure  siede 
al  cembalo  e  ne  sfiora  la  tastiera  con  le  dita  affu- 
solate, il  damerino  che  per  ingraziarsi  la  padrona 
ne  accarezza  il  cane,  la  signora  che  ascolta  la  lei 


Eleonora 

trite  0  si  fa  reggere,  a  sua  volta,  la  lucerna 
per  la  lettura,  i  due  innamorati  reclinati  carezzevol- 
mente, un  Florindo  e  una  Rosaura  d'incanto. 

Però,  a  lode  del  Mariotti.  è  da  notare  che  la  vita 
artificiosa  e  le  lei  mondo  aristocratico  e  cor 

rotto  non  l'attrae    quanto  la   vita  modesta  e  s 
delle  case  inferiori,  dove  sorprende,  in  tutta  la  lori) 
grazia   ingenua,    le  giovinette   che   cuciono   pri 
al  fuoco,  alla  finestra  o  al  letto,  le  tessitrici  che  - 

6c, 


LA    LKT'iTKA 


-ni  mao  hinoso  telaio,   le  filatrici  con  la 

tende  a  preparare  il  pranzo,  che  s'adopra  n  un  lìe 

iuoletto  che  dorme, 
tndosi.   Né,  benchi 
uhm".  int<  omini,   gio 

vani  e  vecch     L'uno  si  lava,  l'altro,   meriggiando, 
sonni  ripara  al  fuoco  dalla  bufera  esterna, 

mi  nella  .-''ansia  ini  s  abban- 

lettura. 
re,  che  ili  molti  rapidi  schizzi  vediamo 
trove  i«'i  formare  dei 
quadretti  ridi    -    trovano  insieme 

mai  '  conversanti  1  on  la  carnei  ii 

ra,  la  madre  razioni  a    suoi  piccoli, 

il  maestro  che  indisciplinato 

nel  modo....  dipinto  d     Benozzo  Gozzoli  .1  San  Gi- 
augnano,  il  medico  a!  letto  dell'infermo,  gli  an 
che  givocano  al  tarocco  e  sino  una  rapida  e  vivacis 
sima  baruffa  di  di  >nne    ;elose    mal  trattem 
iti. 


E'  inutili  1  «  parecchi  'li  questi  disegni  ri- 
traggono  la  casa,  I"  studio  e  le  persone  ili  famiglia 
ili  Carlo  Spiridione.  Intanto  presso  .1  una  donna 
ili  tipo  en  la  matita  con  grande  vi- 

goria d'ombre,  si  legge:  Cara  Eleonora  mia,  e  la 
rara  Eleonora  sua  riappare  ancora,  seduta  presso  il 
tavolo  con  1"  scaldino,  0  intenta  .il  lavoro  0  in  atto 
'li  lar  di  il  al/'-lta. 


I    I   I  I  UN' III  \    Mll 


I   v  GAMBA   -I  hi. AIA. 

Del  pan  i  suoi  compagni  ili  lavoro  (certo  fra 
sii  jl  paesista  Eugenio  de  Marchis)  e  i  suoi  scolari 
sonò  frequentemente  riprodotti  nel  momento  che  di- 
segnano in  pose  d'una  esattezza  0  naturalezza  idea- 
le. Questo  sistema,  anzi  questa  sua  passione  ili  co 
glien  centinaia  'li  figure  nel  vero  lo  conduce  inevi- 
tabilmente  ai  ritraili  tantoché,  in  questi  schizzi,  si 
trovano  in  numero  grande,  0  come  macchiette  istan- 
tanee  colte  sulla  via,  ocome  preparazione  di  tei. 
olio,  ili  miniature  per  tabacchiere,  0  'li  rametti  per 
doni  1. 

Ita    le    tsta  parecchi  ritratti   sono  nominati 

ila  lui.  Presso  un  uomo  che  dorme  ha  scritto  «Li- 
ni figlio  della  Salili  1»  e  la  Sabba,  viivhia 
data,  ippare  tosto  con  le  parole  (Ritratto  della 
Sabba  .li  Lisses.  Seguono  il  (Canonico  Cherubini 
.li  Panicale »  assiso  in  una  ramerà  piena  .li  stampe; 
il  a  signor  Fasoli  >  che  si  pavoneggia  di  pieno  pn> 
spetto;  il  poeta  (Gaetano  da  Vicenza  »  cantastorie, 

stran  ioni-,  'li   p  'erutta  nel  settembre  del 

1785.  ail  R.  Padre  Maestro  Boriani  Agostiniano*, 
ecc.  Tutti  questi  si  distinguono  perfettamente  dai 
veri  ritratti  a  posa,  destinati  a  più  fina  0 

es zione,  1    che  ci  conservano  l'aspetto  ili  signore 

pomposi-  in  atteggiamenti  sentimentali,  con   fiori  e 
col  cagnette,   'li  bambini,   di  cavalieri,   di    Prelati. 
luna    Badessa,   gente,  tutta,  passata  ali 'obi 
fardello  delle  sue  vanità  senza  i-he  il  pittore  abbia 

ii,.  un  nome.  Appena  sotto  una  figura  d'un  1 
pa   no  d'arte,  ha  scritto:  «L'eg.  sig.  Pietro  Labruz- 
/i  Pittore  Romano,  novembre  .1  del  178Q». 

U-iuie  altre  figurelh  >  far  fede  dell'amo- 

;  Mariotti  pei  le  pi  e  e  per  la  vita  1 


MACCHIETTE    E    MACCIIIERELLI. 


IL   SUONATORE    ni    VIOLONCELLO. 

pestre.  Vediamo  il  montali. irò  che  sunna  il  piffero. 
le  lavandaie  ai  canali,  il  cacciatore  con  l'archibugio, 
l'uccellatore  coi  richiami,  e  varie  scene  di  contadini, 
e  fino  l'osteria,  con  l'ostessa  addormentata  presso  i 
tavoli  e  l'armadio  ingombro  di  fiaschi  e  di  piatti. 

Del  resto  l'amore  del  nostro  artista  per  la  i  .im- 
paglia e  pei  viaggi  è  rivelato  anche  dalla  cura  che 
mette  nell'abbozzare  larghi  paesi  con  una  freschezza 
e  una  discrezione  di  segni,  da  farli  talora  parer 
moderni.  Spesso  indica  anche  il  luogo  riprodotto, 
cerne  Ponte  Falcino  in  riparazione  (1785).  il  Monte 
d'Ancona,  Loreto,  Porto  Recanati.  Serràvalle,  Col- 
fiorito  «dove  successe  l'assassinio  (?)».  la  Madonna 
di  Mongiovino  col  palazzo  dei  Borgia,  il  convento 
dei  Cappuccini  e  altre  vedute  di  Panicale.  Certi 
ricordi  di  sue  fattorie  o  poderi  o  campagne  con 
larghi  e  poetici  orizzonti  di  mare,  sparsi  di  vele 
bianche,  dileguanti  nell'aria,  hanno  tratti  tali,  che 
se  spesso  non  intervenisse  la  figura  umana.  co;  suoi 
costumi,  si  stenterebbe  a  crederli  del  secolo  XVIII. 

Gli  albi  recano  pure  diversi  disegni  di  monumenti 
romani  ;  ma  essi  erano  tanto  della  consuetudine  ac- 
cademica e  scolastica  del  tempo,  da  non  costituire 
un  interesse  speciale  per  noi  od  un  merito  pel  Ma- 
riotti. 


V  si  creda  che  fascicoli  pieni  di  disegni,  vera- 
mente accademici  e  scolastici,  manchino  alla  rac- 
colta che  esaminiamo.  Molti  non  contengono  che 
studi  di  nudo,  e  braccia  e  mani  e  teste  e  piedi  e 
orecchie  e  nasi  ;  oppure  copie  di  cammei  o  di  sta- 
tue classiche  come  Marte.  Alessandro  Magno,  il 
Fauno,  Mercurio.  l'Ercole  Farnese  e  il  Laocoonte  ; 


IO99 

od  anche  copie  di  dipinti  come  la  Madonna  della 
Seggiola,  la  Trasfigurazione  e  alcune  teste  del  Par- 
naso di  Raffaello,  l' Annunciazione  del  Barrocci,  una 
Madonna  del  Sassoferrato,  due  di  Guido  Reni, 
qualche  particolare  della  Comunione  di  S.  Girola- 
mo «lei  Domenichino  e  via  via.  E  poco  importanti 
sono  del  pari  molti  disegni  di  episodi  biblici,  a 
penna,  in  gran  parte  parafrasi  di  cose  note,  rese 
mediocremente  in  un  tempo  che  aveva  tanti  e  tanto 
facili  e  sicuri  esecutori.  Presenta  invece  qualche  in- 
teresse la  riproduzione  disinvolta  e  piacente  di  pa- 
rtechi  oggetti  come  lucerne,  vasi  d'ogni  forma  (al- 
cuni arieggiami  di  già  all'impero),  trofei,  libri, 
[Strumenti,  stemmi,  targhe,  cornici,  specchiere. e  sino 
una  ricca  portantina. 


Ma   due    altre  serie 


schizzi  meritano   d'essere 


guardate  con  attenzione:  quella  degli  animali  fan- 
tastici e  quella  relativa  ai  teatri  e  ai  virtuosi. 

Preparazione  necessaria  pei  primi  furono  certo 
gli  studi  d'animali  condotti  con  cura  e  con  acuta  os- 
servazione del  vero.  Specialmente  belli  sono  alcuni 
gatti  che  dormono  e  alcune  cicale  ;  ma  la  raccolta 
contiene  pure  diversi  uccelli,  paperi,  pipistrelli,  pe- 
core, capre  e  buoi. 

E'  pel  loro  tramite  che  si  entra  nel  regno  dei 
mostri,  trattati  su  lunghe  stiiscie  di  carta  a  penna 
e  bistro.  Là  s'incontrano  bestie  multiformi  con  visi 


In  pompa  magna 


I   \    I  !   fTURA 


imnini.  ili  «ii  corvo,  ...mU-  di  •  apia,  piedi  d'aquila 

mammelle  eadenti 
mali  ischeletriti  <>  scorticati;  o  con  testa  d'ir» 
■  canino,  braccia  d'uomo,  zampe  caprine,  \''" 
.l.i  .li  serpe  che  termina  in  testa  eli 
\  soliti  grotteschi   nati  sulla  fine 

,l,-|   v.  .       \\.   ma  individui  proteiformi  nati   da 
una  fantasia  sfrenata,  quasi  •  onvolta    Talora  un 
mobile,  un  istrumento,  un'arma  s'incorpora  col  mo 
stri),  e  appaiono  draghi  con  li    ruoti    al  posto  delle 
be,  diavoli  con  !<■  gambe  di  legno.  TaValtra  in 
comi)  ita  il  costume  e  si  pn 
est»  !  ili.  la  lucerna  e  il  mantello, 

..ri  !..  schioppo  e  1"  spiedo,  coi  gambali,  il  vezzo 
.li  pelle,  gli  sproni.  I  ne  fanno  .li  tutte  le  sorta. 
Chi  suona  il  mandolino,  chi  tira  bersaglio  o  di 
•ma.  ehi  perlustra  con  la  lanterna,  chi  impicca, 
chi  fa  quello  che  fa  il  diavolo  dantesco  per  chiù 
il.re  allegramente  il  .auto  XX |  dell'Inferno. 

endo   imìne    la   fantasia    del   Mariotti   tutti 
questi    ridicoli    mostri  intervengono  a  creai    storie 
st  i  he.  voi-, in  e,  spessi  >.  s  ilaci. 


Un  altro  vasto  rampo  d'indagine  pel  nostro  pe- 
rugino fu  il  teatr...  L'Orsini  scrive  che  dipingeva 
statut  nei  scenari,  e  noi  già  sappiamo  che  aveva 

tribuito  alla  decorazione  del  Teatro  del  Paw 
Di  qui  la  consuetudine  con  quel  luogo  e  coi   vir- 
tuosi, senza  tener  conto  dell'entusiasmo  generale  ilei 
pentisti    per  li   vita  teatrale  e   per   la   musica. 


«  I  ,|,.\  IN  SIGNORI 

Fra  i  suoi  schizzi  si  trovano  il  pittore  di  scene,  il 
decoratore  d'un  teatrino  di  marionette;  parecchi 
suonatori  'li  violoncello,  .li  .'orno.  ,li  mandolino.  Hi 
.  hit  arra. 

La  serie  dei  figurili,',  con  l'indicazione  ilei 
naggi,  degli  spettacoli,  .lei  teatro  e  dell'anno,  rap 
presenta  un  prezioso  contributo  tanto  per  la  storia 
ostunie  quanto  per  quella  .lei  teatri  di  Perugia, 
■lai  1778  al  1790.  Molti  schizzi,  unicamente  al  la 
pis,  coi  colori  segnati  a  tutte  lettere,  dimostrano  ehi 

Carlo  Spinili li  copiò  sommariamente,  pei   su.. 

ricordo,   assistendo  allo  spettacolo  e  ammirando 
pomposi  e  bizzarri   costumi  che  gli  istrioni   pi 
vano  dalle  capitali.  Altri   invece  sono   ripassati   .1 
e  minutamente  Uniti    Le  postilli-  dicono  gene 
r.ilin.  1 

(Figurini  al   \ol.ili.   1778  aprile». 
Figurini   pel  ('ivi.  >  nel  A'.../'  %ut        l'intornio. 
(  ',  roi  1 1  -si  <  1  7  8  7  ■ 

1  Istrioni  del  sett.  1  789». 
(Fiorana    seconda     figlia     nel    Brai 

1  1  mante  di  sini  nella     Viva    Se- 

polta ». 

Sestio  nel  Braccio  Fortebràc  !    reatro 

<  1  del  1 789  ». 
1  Medea  al  Mobile  1700.  Primo  hallo». 


MACCHIETTE    E    MACCHlERELLh 


IKU 


'  Si  ENOtìR.M  i 

Cosi  si  hanno,  benché  confusamente,  i  numi  e  le 
ligure  (scrìtte  così)  'li  Coppola,  Neè,  Osbite.  Fala- 
ride,  Piramo  e  Tisbe,  Teresa,  Montezuma,  Brighel- 
la. Marchesina,  Eugenia  Pancioni.  Fabrizio.  Casil- 
de,  Don  Gaspero,  Gernampi  resuscitato,  Conti 
Amalia  tedesca,  Amleto.  Giannina.  Quacquero  olan- 
dese, figlia  di  Giovanni  contadino,  Beatrice.  Giulia 
amante  di  Wolsan,  Carolina  Emisifoch  Mesicoff.  Ai 
titoli  delle  produzioni  segue  quasi  sempre  quello  del 
teatro  in  cui  si  fecero:  Dorimene  e  Floridea  al  Ci- 
vico, Medcii  al  Nobile,  eo  . 

In  tal  modo,  la  cronaca  che  talora  fa  per  so 
lennità  ecclesiastiche  e  per  avvenimenti  come  la 
lanciata  dei  primi  palloni,  ripete  pei  teatri,  non 
senza  però  insinuare  ricordi  che  non  hanno  rela- 
zione coi  disegni,  come  ad  esempio  questo  :  «Aprile 
1784.  Venerdì  Santo  a  ore  novi-  morì  il  sig.  Nicola 
Giuli  pittore  perugino,  ornamenti  sta.  fiorista  ed  an- 
che d'animali,  d'anni  sessantaquattro». 

Ma  su  tutto  abbonda  di  epigrammi  e  di   rio 
per  la  salute  che  andava  perdendo  per  l'eccesso  del 
bere.   In  un   fascicolo  registra:   «  Massimiliano  Stol 
medico  tedesco  non  ammette  che  attacchaticci  o  al- 
tri mali   Rogna.  Vaiolo  e   Malfrancese:    'I  resi..  I.- 
erede  tutte  buffi  mate  ».   In  un  ali  n  : 
/  attori,   servitori  e  e  mi  da 
quando  son  vecchi  ognuno  li  scaccia. 

[n  un  terzo  vicino  al  proverbio:  «Per  gli  uomini: 
Donne,  Denari  e  Dignità),  si  legge  i!  ricordo  di  al- 
cuni quadri  veduti  «In  casa  •  eccomanni:  due 
tratti  al  naturale  di  Dame  a  mezza  vita  del  Bacac- 


elo,   e    un    quadretti,    in     i.mie    rappresentante    un 
paese  in  piccolo  di  Monsieur  Musceron  ». 

Finalmente,  qualche  fascicolo  serve  anche  alla 
ì  liografia  del  Mariotti  :  alcuni  schizzi  di  paesi  e  cam- 
pagne provano  che  nell'estate  del  1782  egli  si  tro- 
vava nelle  Marche,  che  nel  maggio  del  1783  era  in 
Toscana  e  poco  dopo  a  Roma. 


L'esame  compiato  dell'opera  di  questo  artista  con- 
duce alla  conclusione  che  vero  valore  egli  non  ha 
che  per  l'istantanea,  come  percezione  e  come  esecu- 
zione. Le  cose  piccole  ch'egli  disegna  rapidamente 
guardando,  sono  vive,  belle,  adorabili.  Tostochè 
s'impegna  di  tradurle  in  grande  o  di  finirle,  tutto 
gli  langue  nelle  mani  e  si  scompone  nella  torma  e 
nel  sentimento.  Perciò  i  disegni  ingranditi  e  con 
dotti  a  colori  appaiono  grami,  stentati,  e  i  quadri 
bruttissimi. 

L'Orsini  racconta  che  1  aveva  dipinto  de' qua- 
dretti di  gusto  coi  fatti  i  più  curiosi  delle  novelle 
del  Boccaccio».  Può  darsi,  ma  noi  ne  dubitiamo, 
perchè  tutta  una  novella  di  esorcismi,  che  occupa 
un  albo,  con  una  donna  che  conduce  un  mago  in 
una  grotta,  seguile,  da  un  muoio  di  bifolchi,  armati 
di  lanterne  e  di  pale,  e  diversi  preti  che  suscitano 
demoni  e  s'abbaruffano  con  loro,  sentono  già  dello 
stento. 

Quand'egli,  pur  facendo  scene  di  vita  reale,  s'al- 
lontana dal  vero,  si  direbbe  che  perde  terreno  e  tra- 


N'ELLO    -unni   111    DISEGNO 


LA    LETTURA 


a  .-ululo.  Si  scoige  bene  dalie  figure  di  alcune 
d'intenzione  arcadica,    divenute   smoi 
languid  ■  il  lana  di 

1 1  data  del  1788  di       1  formare  un 

voluta  1  "ii  villani,  preti,  frati,  donnei  pastori 
rimediata.  Sono  più  finiti,  ma 
le  caricature,  che  non  s'ino  ini  rani 1  1»' 
ri  1  in  gran  numeri  1  0  piacevoli.  Il  vero  sem 

plicemente  inteso  e  semplicemente  reso:  ecco  il  ca 
•re  1  rionfale  delle  migliori. 

I     strano  •pimeli  eh  oprisse  assai  tardi   le 

più   preziose  qualità   del   suo  ingegna    L'albo 
la  data  più  remota  è  del  1778.  quand'egli 
i.i    cinquantadue    anni,    e   non    contimi-    >  piasi 
figurini  teatrali.  Kd  oltre  alla  prova  sicura 
della  data,  dimostra  ch'egli  aveva  cominciato  1  suoi 
ianto  allora,   il   latto  che   la   sua 
ta  non  i-  ancor  libera  nei  tratti,  come  nei  Easci 
in.mo  date  posteriori.  Un  albo  dell'anno 
1790  s'arresta  alla  carta  t  1  con  uno  schizzo  in 


di  una  folli     rutto  il  rei  ianco.  Il  pittore 

•  1  

I  1  (rsini  s.i  ive  ancora  :  1  (  !in  a  otto  anni  pruni 
ch'e'  morisse  si  esibì  ili  riaprire  l  Accademia  del  di- 
rlo, rimasta  chiusa  pei  molti  anni,  e  l'ottenne. 
Era  l»  :i  grande  I  aspettazione  d'ognuno....  ;  ma  quei 
che  inalizzavano  le  cose  della  pittura  con  più  fino 
discernimento  giudicavano  la  cosa  diversamente; 
perciocché  il  soggetto  che  doveva  lar  da  maestro  e 

rettore  non  era  versato  in  tutto  ciò  che  risguaxda 
■  osi    Fatti  esercizi;   e  non    isl  1.    (ili    seolari 

non  vi  stettero  lungo  tempo;  0  che  egli  se  ne  svo 
gliasse  o  che  le  promesse  degli  opportuni  provvedi- 
menti non  corrisposero  all'idea  che  se  ne  aveva, 
l'Accademia  del  disegno  restò  chiusa  lino  alla  morte 
ili  lui  ii. 

Non  poteva  succedere  diversamente  La  sua  in- 
dole d'impressionista  si  accordava  ali  il  1  ac. 
me  il  diav  >lo  con  la  croce  ' 

CORRADO  RICCI. 


Fi 


1 .' 

mi 


~7V 


.     *_    -    tÌ*l*'     '      "rr^---^^- 


«• 


*~ 


DIVISTE 


SS  O  AX  MARIO     £3-  - 


/  """  delti    praierii     pag.  1103  —  Nella  patria  delle    bisteche,    pag.    1105   --   /    francobolli    prenomi. 
pag.  Iloti  —  L«  pittura  alla  locusta,  pag.  1106—  Giuoco  e  forza,  pag.  1107  —  L'esordio  letteraria  'ti 
Leom    TolStOi,   pag.    1110  —  Lrt   materia   <■   eira:',   pag.   1111  —  Una  nuova    Stella,   pag.   1114  —   V 
abissi  del  mare.  pag.  1115  —  /  mestieri  pericolo**,    pag   1122  —    Swìla  montanini,    pag.    1123   - 
f  mi   metropoli  originale,   pag    1134  —  Pappagalli   ammaestrati,   pag.    1135—  //   pianoforte   che 
scrive,   pag.   1136  r-   Falsilirazioni  artistiche,  pag     1137   --    Nei    paese    «Mie  /aie,    pag.    1138    - 
(  n'ini  W<  slu  suoli  esami,  pag.  1144  —  GH  alberghi  si  izzeri.  pag.  1144  —  Dove  wa  /'oro:1,  pag.  1144. 


Nelle  praterie  dell'America  del  Nord  vive  una 
graziosa  bestiolina  non  più  lunga  di  35  o  40  centi- 
metri, dalla  pelle  coperta  di  foltissimo  pelo,  misto 
di  grigio,  bruno  e  nero,  dalla  testa  relativamente 
grossa  e  mobilissima  il  cui  muso,  cerchiato  da  una 
corona  di  pelo  grigio,  porta  un  naso  schiacciato  af- 
fatto caratteristico.  Il  grido  di  questo  animale  ras- 
somiglia al  latrato  del  cane,  epperciò  gli  si  è  dato 
il  nome  di  a  cane  delle  praterie»,  sebbene  non  abbia 
somiglianza  alcuna  col  migliore  amico  dell'uomo; 
appartiene  metà  alla  famiglia  degli  scoiattoli,  metà 
a  quella  delle  marmotte;  ed  all'aspetto  sembra  un 
porcellino  d'India  od  un  grosso  topo.  Non  mangia 
carne,  ma  si  nutre  di  radici  e  di  grano:  solo  in 
caso  di  bisogno  mangia  mosche  od  altri  insetti. 
D'indole  quieta  ed  allegra,  esso  si  distingue  per  una 
spiccatissima  gioia  di  vivere,  che  manifesta  con  i 
più  strani  e  vivaci  movimenti,  salti,  giuochi,  corse, 
e  si  potrebbe  dire  perfino  con  danze.  Socievole,  ne- 
mico della  solitudine,  sempre  in  compagnia  dei  suoi 
simili,  stabilisce  vicino  ad  essi  la  sua  dimora.  E 
che  abile  architetto  si  dimostra,  quante  raffinate  co- 
modità sa  procurarsi  ! 

Il  cane  delle  praterie  non  si  preoccupa  dell'aspet- 
to esterno  ;  non  è  un  riccone,  e  perciò  la  casa  sem- 
bra una  semplicissima  collinetta,  simile  a  quella 
della  talpa,  ma  assai  più  grande,  e  diversa  in  que- 
sto che  la  terra  non  è  ammucchiata  alla  meglio  e 
malferma,  ma  tutta  solidamente  battuta  e  indurita; 
alla  cima  poi  si  presesta  un'apertura  a  forma  di 
imbuto:  è  l'ingresso  della  casa,  alla  quale  conduco- 
no due  passaggi,  lunghi  ciascuno  quattro  metri  e 
del  diametro  di  dieci  centimetri,  uno  obliquo  prima, 
ed  uno  orizzontale  poi,  dal  |uale  ultimo  si  distac- 
cano corridoi  più  O  meno  lunghi  che  conducono  alle 
stanze,  di  divers  dezza,  ma  tutte  rotondi 

La  stanza  maggior-  •    riservata   al  capo  della  fa- 


miglia ed  alla  sua  consorte  ;  ma  tutta  la  casa  è  abi- 
tata per  la  maggior  parte  del  tempo  da  una  sola 
coppia;  il  maschio  è  un  modello  di  marito,  e  ri- 
mane sempre  fedele  alla  sua  consorte,  perchè  tra  i 
cani  delle  praterie  la  monogamia  è  in  vigor  di  leg- 
ge. L'abitazione  si  anima  più  in  estate,  quando  ven- 
gono i  figli,  che  talvolta  sono  sei  od  otto,  ed  occu- 
pano le  altre  stanze;  ma,  come  abbiamo  detto,  per 
poco  tempo;  i  figli  crescono  ed  alcuni  si  sentono 
forti  abbastanza  per  mettere  su  casa  propria;  altri 
della  famiglia,  meno  felici,  soccombono  alle  malat- 
tie, alle  intemperie  o  trovano  la  morte  tra  gli  artigli 
o  le  zanne  dei  nemici;  insomma  la  famiglia  si  de- 
cima finché  nella  casa  paterna  una  sola  coppia  ri- 
mane, che  al  sopraggiungere  dell'inverno  cade  in 
letargi  ». 

Al  destarsi,  nel  principio  della  primavera,  il  pri- 
mo pensiero  del  cane  delle  praterie  è  di  mettere  in 
■  rdinc  la  casa,  riparare  le  pareti  esterne,  ecc..  opera 
faticosa  e  paziente  perchè  "molti  sono  i  guasti  cagio- 
nati dalle  pioggie.  dalla  neve,  da  altri  attacchi.  Oc- 
corre  poi  spazzar  via  l'erba  crescente  e  le  piccole 
radici;  e  il  cane  delle  praterie  compie  quest'ultimo 
lavoro  col  naso,  che  è  schiacciato  appunto  per 
fetto  di  esso  lavoro,  ovvero  perchè  deve  servir*  e 
me  strumento  atto  ad  eseguirlo. 

Il  cane  delle  praterie  conduce  una  vita  molto  re- 

re.   Al   tramonto   rintana   per  riposare;    si  leva 

all'alba  e  corre  a  cercar  cibo.  Trovatolo  e  nutritosi, 

va  a  visitare  gli  amici  ed  i  conoscenti  per  divertirsi, 

giuocare  e  godere  insomma  con  loro  l'esistenza.  Non 

ruesto  però  dimentica  di  essere  minaccialo 
vari   pericoli  e  di   avere  intorno  moltissimi  nemic;. 
Questo  pensiero  anzi  lo  accompagna  sin  dal  primo 
destars     Sguscia  allora  dalla  stanza  e  adagio  ada- 
gio, con  ogni  precauzione,  si  arrampica  pel  pas~ 
I         o.  ma  non  esce  subito  all'aria  aperta  ;  pri 


I  I"  I 


LA    LETTURA 


ma  'li  giungere  alla  bocca   trova  un, e  piccola   nic 

uni  guardiola  '«I  osseo  Ltoriot,  ed  in   [uè 

•  i  ferma,  tende  l'orecchio,  annusa  .  solo  allorché 

uro  <"he  nulla  v'è  'li  sospetto,  che  tutto  è  ancora 
.  do  ide  .1  metter  Fuori  poi.  p<>ci> 

co,  il  corpo;  e  di  nuovo  si  ferma  entro  l'imbuto 
d'apertura  .  piantate  solidamente  le  /ampe  poste- 
min  ed  allungato  il  collo  quanto  più  può,  esplora  in 

i      .  ■)  •    il  i  i| min  i  sensi,  tende 

l'odorato  e  l'udito  nella  direzione  del  vento:  intoi 
no,  dalle  altre  case,  i  suoi  simili  viam  alla  porta  vi 
gili  anch'essi.  Nulla  da  temere!  La  prateria  è  tran 
quilla.   I  io  un  bel  salti  »,  e  sono  l  «ori  : 

■  iteria  si  anima  e  si  fa  piena  di  vita  e  ili  alle- 

disposta  una  completa  serie  di  avamposti  e 
ntinelle,  i  cani  cominciano  i  loro  giuochi  ira  le 
omiche  capriole  e  le  più  allegre  danze, 
pur  saltando  sono  sempre  attenti  al  pericolo, 
quando  a  quando  levano  in  alto  la  testa   a 
ime  l'orizzonte, è  guardano  le  sentinelle.  Ecco! 
All'improvviso  s'ode  un  breve  latrali.:  è  il  segnale 
del  pericolo,  che  spinge  in  un  attimo  tutte  le  he- 
stioline  nell'entrat,  -.     loro.     Tremanti,   ap 

[Mattate   nell'osservatori.,   ascollano   e   fiutano,    poi 
sporgono  nuovamente   il   rapo,  e   L'occhio  sul. ito  esa- 
mina la  situazione,  subito  vede  si   I  allarme  era  I  tisi 
lawero  un  ospite  non  desiderato  ha  voluto  en- 
trare onia. 

vengono  simili  visite.  Ora 

ti  o  cani   selvatici,  ora  tassi,  ora  uccelli  ili 

i  artigli  e  le  zanne  fanno  migliaia  di 

me  tra  le  inerii  i  I  >elli    piali  giungono 

I  \  arsi  solo  quelle  che   hanno  tempo  di  entrar. 

nella  casa  e  che  debbono  assistere  dall'entrata,  im 

| intenti  a  prestare  qualunque  S rso,  alla  triste  sor 

Ielle  loro  famiglie.  \  è  però  un  terribile  nemico 
spesso    paga    il    fio  ilei    suo    misfatti:    è 
sto  un  serpentelli,  che  appena  s'accorge  dell'as 
i  dei  capi  della  famiglia  si  introduce  nella  casa 
per  strati  liccini:   ma  il  più  «Ielle  volte  qual 

.imo  lo  li  e  con  uno  speciale  latrato  avverte 

tnpagni;    tutti  corrono   allora    a   quella   collina. 
in  una  rapidità  prodigiosa   la   circondano,  lan- 
ca nell'entrata  e  la  chiudono,  seppellendo 

il    reo  colla    sua    stessa    \  it t  ima. 
\nehe  nei  giorni  ili   pace  e  ili  tranquillità  i  cani 
delle  praterie  si   aiutano  a    vicenda    per  costruire  e 

riparare   le   I case:    il    sistema    di    tener   sempre 

numerose  seti!  te    loro  questa   r-ix>pera- 

•.  e  fa  sì  checon  i  l  i  ui  esercizi  la  razza 

si  rinforzi  sempre,   sebbene  ogni  giorno,  ogni  ora. 
irò  ilenze  rend  difficile   l'esistenza 

Pochi  anni  addietro  nell'esteso  territorio  tra  il  Mis 
sissippi  e  le  Montagne  !  da  una  parte, 

stati  ili  Montana.   D  I  .  vis  e  Messi...  dall'ai 

«.ano  poche  colonie  spaisi-  qua  e  là  'li 

Ma  il  1  nero  i  rei. he  in  breve 

prò  he  ora  si  può  parlar.-  ili   un 

impero  ili  cani  delle  praterie,  con  villaggi,  cil 

tamii  e  pi'  cole  '-'1   una  i   .pria   capii 

■  ■  chiamare  altrimenti  la  coloni,   che  vive  nello 

una  superficie  di  80.000  chi- 
quadrat       I  ei  reno  son 


a  mite  circa   50  collii icchè  di   pOCO  SÌ   pilo  amia 

re  errati   annoverando  a    |oo  milioni   gli   abitanti   di 

questa  città  gigantesca.  Queste  enorme  aumento  di 
popola/ione  ira  i  cani  della  prateria  e  dovuta  al 
fatto  che  nell'America  settentrionale  vengono  oca 
dedicate  all'agricoltura  grandi  estensioni  ili  terreno 
finora  limaste  incolte.  .-  questo  specialmente  verso 
l'ovest  nelle  sconfinate  praterie:   così  il  cane  delle 

praterie  si  vede  considerevolmente  diminuita   la  dif 

ficoltà  di  procacciarsi  il  pane  quotidiano:  esso  non 

ha  da  aspettare  altroché  l'arrivo  dell'agricoltore  che 
sparge  il  grano  sul  terreno  Appena  nelle  loro  anti 
che  sedi  le  famiglie  dei  con  delle  praterie  vedono 
il  suolo  privato  dell'ultimo  filo  d'erba,  dell'ultima 
radice,  emigrano  all'ovest  ove  trovano  senza  stenti 
di  che  nutrirsi.  Anni  addietro  quando  il  loro  numero 
non  era  cosi  grande  e  ^agricoltura  era  poco  estesa, 
i  danni  da  essi  prodotti  non  erano  rilevanti  e  poco 
si  volse  l'attenzione  dell'uomo  a  queste  bestiole.  Og- 
gi  la  situazione  e  ben  più  grave:  sia  per  i  proprie 
tari  delle  terre,  sia  per  1  nostri  cagnolini.  Essi  ari 
eora  son  lieti  dell'esistenza,  ancora  costruiscono 

se.   corrono,   giuncano,   vivono   in    pieno  tripudio. 

Essi  non  hanno  alcun  presentimento  nella  sorte 
Che  gli  uomini  loro  preparano,  quegli  stessi  uomini 
che  lino  a    ieri   hanno  trovato  piacevole   assisti  tri 

hi  di  questi  animaletti  .-  contro  cui  scagliano  a 
desso  le  loro  maledizioni  ed  al  cui  grande  impero 
dichiarano   fiera  guerra. 

I  soli  animaletti  della  colonia  del  Texas  COI! 
sumano  Ogni  inno  una  quantità  di  prodotti  del  suo- 
lo che  basterebbe  a  nutrire  mezzo  milione  di  buoi  , 
il  danno  che  i  proprietari  soffrono  ammonta  a  parec- 
chi milioni  di  dollari,  senza  poi  contare  che  quei 
danneggiatori  rendono  diffìcile  e  pericolosa  I 
coltura  perchè  nelle  collinette  e  nelle  buche  d'in- 
gresso il  bestiame  e  gli  uomini  stessi  inciampano. 
.  adi  »no,  tali  ira  si  storpiano.   Sono  pi  labili 

gli  americani  se  vogliono  mettere  un  fine  all'opera 
apparentemente  innocente  ma   in  realtà  pemicii 
sima  dei  cani  della    prateria   e  tempestano  il  Mini- 
stero dell'agricoltura  di  Washington  con  preghiere 

e  domande  per  avere  un  aiuto,   li   Ministero  ha  olili 
nate    un'inchiesta    incaricandone    il    dotto     zoologo 
Ilari    \loriam      il  quali    si   recò  sul  luogo  accompa- 
gnato da  molti  assistenti  e  pubblicò  le  su.-  osserva 
/ioni   nello   Yeaf  Back  di  quel   ministero  del   1901. 
Da  tale  annuario  sono  tolte  queste  notizie  in  massi- 
ma parte  nuove  dell'animaletto  finora  sconosciuto 
che  porta   il   nome   scientifico  di    Cynomys  lua 
(ìaiìt/s. 

(  Ira  che  l'Opera  notevole  del  Meli. un  ha  messo  in 
evidenza    il   m  solo   questione    del    imodoi 

di  curarlo.  Poiché,  trovata  l'arma  più  idonea,  stu 
diato  il   miglior   piano  1,   1;    guerra   distrili 

trice  proseguirà  continua  e  spietata  tinche  esistei.' 
l'ultima  bestiola,  finché  sarà  calpi  stata  ed  inlranta 
l'ultima  sua  dimora.  Cosi  scomparirà  il  grande  ini 
pero:  copiose  messi  copriranno  gli  antichi  circhi,  le 
litiche  arene  dei  cani  della  prateria  :  né  una  CO 
lonna,  né  una  morta  rovina  rimarrà  1  serbai, 
loro  memoria 

li,       I  t'Ir). 


I  nostri  lettori  ebbero  nell'ultimi  Eas  ilo  alcune 
curiose  notizie  intorno  ai  grandi  macelli,  desunte 
dalle  Lectures  pour  tous.  Un'altra  rivista  frani 
le  Lectures  Modernes.  ne  dà  altre  intorno  all'origine 
del  commercio  della  carne  nell'Amei  ca  del  Nord, 
le  quali  ci  sembranti  degne  d'essere  brevemente  rias- 
sunte. 

Furono  gli  Spagnuoli  quelli  che  introdussero  nel 
Nuovo  Mondo  i  bovini,  gli  equini  e  tutte  le  m 
specie  di  animali  domestici.  Al  Messico  il  conquìsta- 
Fernando  Cortez,  di  sinistra  memoria,  importò 
il  toro,  la  vacca  e  il  cavallo.  L'allevamento  fu  una 
sorgente  di  grande  ricchezza  per  gli  emigranti  spa- 
gnuoli, poiché  tutte  le  circostanze  erano  propizie: 
•clima  temperato,  vaste  praterie,  ruscelli  copiosi  e 
vantaggiose  vendite  ai  coloni  europei  che.  venuti  dal 
Texas,  avevano  bisogno  di  un  cibo  sostanzioso.  Un 
bel  giorno,  questi  Texasiani  trovarono  che  era  ridi- 
colo ci  imperare  dai  Mess  ri  1  bestiame,  mentir'  i 
tevano  es>i  medesimi  allevarlo  altrettanto  bene  in 
casa  loro;  e  cosi  le  solitudini  del  Texas  furono  pre- 
sto popolate  di  numerose  mandrie.  Cresciute  stra- 
Imente,  e.  divenuto  dilìiciie  il  diss  t:  rie, 
gli  allevatori  cominciarono  a  spingerle  all'ovest  del 
Missouri  ed  all'est  delle  Montagne  Rocciose,  dove 
aronoil  terreno  e  l'acqua  di  cui  avevano  bisogno. 
Quella  regione  divenne  il  centro  della  pastorizia 
americana. 

Per  custodire  quegli  sterminati  armenti,   occorre- 
vano uomini  giovani,  robusti,  capaci  di  vivere  nella 
Udine,    di    resistere    alle    intemperie,    di   tenere 
unite  le  bestie,  di  affrontare  i  ladri,  i 

non  ha  paura  di  nulla.  Col  lazzo  pen- 
dente dalla  sella  atterra  il  toro  infuriato;    col  re- 
volver assicurato  alla  cintola  tiene  a  dovere  un  Fel- 
ini Bushranger  (ladro  delle  praterie).   Più 
diffii  -mare  la  mandria,  specialmente  nelle 

ore  di  panico.  Mentre  le  bestie  pascolano  tranquil- 
lamente, a  un  tratto  voltano  tutte  il  capo  verso  una 
-  ssa  direzione,  e  dopo  essere  rimaste  così  strana- 
mente immobili,  si  mettono  tutte  in  :  so  la 
direzione  opposta,  poi  affrettano  il  passo,  poi  ga- 
loppano furiosamente,  strette  le  u  Itre  come 
una  vivente  valanga,  li  con  •  gli  hi 
al  cielo,  scoprendo  una  nuvola  minacciosa  di  color 
io  scuro,  comprende  che  una  tempesta  di  gran- 
dine e  di  neve  è  sul  punto  di  s  ;  e  allora 
gli  tocca  tener  fronte,  solo,  montato  sopra  un  ca- 
vallo mezzo  selvaggio,  a  un  ini 
ghiante.   galoppante  e  come  impazzito;   a    furia  di 

i,  di  urli,  di  frustate,  in  mezzo  al  turbi] 
gli  riesce  a    far   retrocedere    l'avanguardia    dell'ar- 
mento, e  con  essa  tutte  le  migliaia  di  bestie  a  lui 
affid 

A  primavera  comincia  un  lavoro  non  lieve:  il 
bilancio  delle  nascite  e  delle  morti.  Siccome  cia- 
scun allevatore  ha  segnato  a  fuoco  con  le  sue  ini- 

T.a   Lettura. 


ziali  i  suoi  tori,  l'operazione  non  sarebbe  difficile; 
ina.  poiché  le  bestie  dei  diversi  proprietari  si  sono 
mescolate  e  confuse,  bisogna  riunirle  tutte,  esami- 
narle e  separarle.  oltà  di  riunire-  in  uno 
spazio  relativamenl  sto  gl'innumerevoli  ar- 
menti è  grandissima,  e  sarebbe  davvero  insuperabili 
senza  il  B  tco  /■'.. rfi  -,  o  < li  sti  I  ire  di  '  avalli. 
Bisogna  in  pochi  giorni  ridurre  i  cavalli,  vissuti  li- 
beri come  l'aria,  a  lasciarsi  montai  ibedire  al 
cavaliere  in  modo  da  girare  su  se  stessi  a  una  sem- 
plice pressione  del  a 

Il  comi  gno   degli   .  !    > 

degli  aiutanti  si  fa  in  una  gran  valle,  presso  una 
sorgente  abbondante.  Si  nomina  un  Boss,  a  capo,  il 
quale  stabilisce  il  giorno  all'alba  de!  quale  comin- 
ci rà  il  «circolo  ».  cioè  1  le  bestie 
per  opera  dei  cowboys  -  Ed 
ecco  il  primi  albore:  tutti  gli  uomini  sono  in  piedi, 
fanno  una  rapida  colazione,  sellano  i  cavalli,  sono 
passati  a  rassegna  dal  boss,  che  finalmente  grida: 
«Rìde  the  eirele  and  round  up  the  calile»  (a  cavallo 
il  circolo  e  circondate  gli  armenti  i.  A  due  a  due  i 
venticinque  o  trenta  cowboys  si  disperdono  nelle 
direzioni  indicate,  per  un  circuito  duna  ventina  di 
chilometri.  L'accampami  deserto,  ma  dopo 
qualche  ora,  da  tutti  i  punti  dell'orizzonte  comin- 
ciano ad  arrivare,  galoppando,  soffiando  e  mug- 
ghiando, i  ruminanti  cacciati  dai  cavalieri:  la  pia- 
nura si  copre  d'una  nube  di  polvere  talmente  fitta, 
i  he  i  sopravvenienti  dietro  gli  ultimi  grup- 
pi di  animali,  appena  riescono  a  riconoscersi.  Quan- 
do tutti  gli  .miniali  sono  riuniti,  si  procede  alla  di- 
visione. 

Il  Far-West  non  è  più  il  'he  era  un  tem- 

po. L'agricoltura  si  è  impadronita  a  poco  a  poco  di 
tutte  le  terre  coltivabili,    i  fatti  io  le   loro 

bestie  chiuse  dentro  solide  ciri        I 
venu  rzone  di   fattoria  e  tutto  il   p 

sua  nomade  e  solitaria  esistenza  è  scomparso. 
Ma  se  le  condizioni  dell'allevamento  si  sono  n 
ricate.  i  risultati  som  ■  lunghe  processio- 

ni di  bestie  destinate  al  macello  si  avviano  rassegna- 
tamente alle  numerose  stazioni  delle  molte  strade 
ferrate  eh,-  ora  solcano  il  Far-Wi 

che  rapidamente  porta»  nenti  ai  macelli  de- 

gli Stati  orici r 

Si  potrebbe  credere  che  I       ,  ine  di  esseri  vi- 

venti si  effetti;  Iche  cura,  a  risparmio  di 

ferenze   inutili.    Niente    affario.    Il   1  am- 

mucchi ito  come  carne  già  morta  in  va  i  perti, 
stretto  ci  une  biso  itti  da  the  in  un 

Alla  line  del  viaggio,  gli  animali  sono  condotti 
in  un  recinto  dal  quale  non  usciranno  se  non  per  es- 
sere spinti  al  macello,  0  venduti  a  qualche  mercante 
delle  città  vicine,  o  imb  :  l'Europa.  A  Nuo- 

va York  il  sito  dove  sono  riunite  le  b  inate 

ai  macelli  o  all'imbarco  è  in  Jersey-City,  presso  le- 

70 


LA    LETTI  R  \ 


e  i  viaggiati  »n,  ben- 
chi  poco  disposti  .1  comuoversi,  tv 
meno  Ji  soffrii  i  lamenti  disperati  che  quei 

mo       noti       [1    ponte 

d'imi  I  City,  e  il  trasbordo  ilulla 

:    si   t.i  mediante  un  largì i  battello  .1 

yapi  Una  volta  a  bordo, 


gli  animali  som  iti  di  ni  n  1  stalli  di  quercia, 

abbastanza  funi  da  tesi  tere  .'lì'-  spinte  delle  mas 
se  viventi  che  le  urteranno  alle  prime  ondate  gros 

m        Ivolta,  durante  le  tempeste,  le  divisioni  si 
spezzano,  e  i   rumin  1  mo  schiacciati,  schiac- 

ido  a  loro  volta  le  persone  che  si  arrischiano  in> 
mezzo  ad  1  ssi 


I     francobolli     preziosi 


Ai  1  sti    'li    francobolli   —    1  quali    sono 

.'oo  mila,  secondo  atistiche        ed  anche 

al  pubbl  empiici  curiosi  —  farà  un  o  rto 

ntire  che  due  minuscoli  pezzettini  di  '-.irta 

3  mila  1  ranchi.  Questi  1  prezzi  1  ha 

chiesto,  ed  ottenuto,  un  grosso  negozianti    di    r 

rigi,  il  signor  Lemaire,  per  due  francobolli  dell'isola 

Il   loro  valore  i    cosi  grande,   perchi    di 

tutta  l'emissione,  la  quale  risale  al    1847,  non  ne 

no   più  che  2 1    es  Tripla:  i  :    ciascuno  di   1  p 

_•  1   francobollo  ha  uno  stati    civili  la  regola: 

.1  chi  appari  1  chi  ha  appartenuto  ed 

vendita  I  ra  i  filatelici. 

Eppure  il  francobollo  più  raro  non       mesto:  il 

merlo  bianco  è  un  Ila  Guiana  inglese, 

bruttissimo,  perchè  consiste  in  un  cerchio  irregolare, 

impresso    in    nero  su    carta     r<  sea,   con    le  parole 

iman  a  alla  circonferenza  e  2  centi  nel 
tro,  senza  fregi.  M  1  no  solo  in  tutto  il  mondo^ 

ed  è    |uindi  inestimabile.  L'ultima  volta  che  fu  ven- 
duto, fu  pagato  io  mila   1  ranchi. 

Altri    membri    dell'ai  sono  i 

1  rim  ;.  1 1    I l.iv .ii-  1  li  uhi  1,  spe  :ialmi 

non  -  mo  più  'li  fi  0  7  esempi  ri:  è  il  2  centi 

impresso  in  azzurri     \    '   re:  8  mila  franchi.  Altro 
tipo  p  ci    bello,  1  1,  è   ii    francobi  ilio 

della  Moldavia  del  1858.  ra]  nte,  in  un  cer. 

e  un  ionio  .1,1   caccia.  E' 
impn  urro,  e  vale  8  mila  franchi. 

I   francobolli  di   Maurizio  vengono  a  costare,  a 

800   franchi  il  miìligramma,  il  che  vorrebbe 

800  milioni  di  franchi  il  chilogramma!  tjuella 

che  1  sista 
al  mondo  !  Il  più  picei  ilo  francobollo  che  esista  negli 
ollezionisti,  il  io  centesimi  di  Ilo  Stato 
■  li  Bolivar,  vale  almeno  500  franchi:  un  metro  .li 
quel  costare  4  milii  ini  di  t  ranchi. 

ncobolli  europei  non  vi  sono  di  queste 
rarità.  La  perla  della  ci  illi  zi  ese  è  quello  da 

un   t  iì!  del   1 848. 

Vei  181  fi  paga  250, 

e  1  ;oo  quando  è  nuovo.  1  «li  fa  con- 
correnza il  fj  centesimi  del  1875.  bruno  su  rosa, 
fruito  d'un  crron-  durante  la  stampa,  un 

clichè  del  .  ■  ■  mesi  ol    

del  1  "i rancobolli i,  -  he  pine 

1  350  franchi  quan- 


unito  a  quello  da   io  centesimi,  la  qua]  0 

la   sua  aulenti 

Altro  francobollo  storico  è  niello  dell'isola  della 
Riunione,  impresso  verso  il  [851  per  la  francatura 
nell'interno  dell'isola.    Ne  furono  tirati  1500  es 
plari,  ma  gli  abitanti  della  colonia,  disturbati  nelle- 
loro  consuetudini,  non  lo  adoperarono  moli 
ferirono  o  m  inuan  re  il  porto  delle  lori  1 

i'i  ale  'li  San   I  Dionigi  non  ne  ven 

dette  neppure  pei   to  frai  chi  durante  i  io  anni  che 
fu  in  uso.  Ora  ogni  esemplare  vale  1000  franchi! 

Ma  la  storia  dei  francobolli  ha  I  igolarità. 

Se  il  prezzo  di  questi  pezzettini  ili  carta   fosse  in 
ii  [azione  ci m  li  loro  rai  il imabile  di n rebbe 

essere  il   francobollo  della  Nuova  Caledonia  in 
verso  il  1851;  .lai  Triquerat.  A  quel  tempo,  quella 
colonia  francese  si  trovò  a  corto  'li  bolli  postali,  e- 
perciò  un  certo  Triqui  1  1       nel!     Liuteria 

ili  marina,  fu   incaricalo  dai   superiori  ili  fare  un 
bollo  provvisorio  che  servisse  mentre  si  asn 
i  francobolli  nuovi  dalla  madre  patria.   Il  sergi 
trovò  una   pietra  litografica,  e  vi  incise  una  tavola 
ili  50  tipi,  ri proi luceni lo  il  francobollo  ufficiali 
lora  in  uso.  Come  disegno,   l'ultimo   dei   <  '.macchi 
ivrebbe  fatto  'li  meglio.  Or  bene:  questo  rarìss 
1    curiosissimo   francobollo  non  è,  come  parrebbe, 
uno  dei   più  curi  ;    al  contrario:  si  può  avere  per  I 


misi-ria    ili    25    franchi  ! 


1  Dalle  Leclures  modernes). 


La    pittura   alla    locusta 


Si  conosi  èva  già  1  id  olii  1    1   [uella  ad 

acquerelli  1,  ma  si  igni  1 .".  a   ano  ira  che  <     ni    1 
una  alla  locusta.   I  fn  ari  hitetto  algerino,  il  sij 
>Jeige,  l'ha  ora   scopi  rta.  Schiacciando  il  torace  ili 
uno  ,li  questi  animaletti  rimasti  per  qualche  i[ 
ha  1  ittenuti  1  un  bel  bruno,  ana  I 
iia  ;    il  quale,  allungato   1 1  n   l'ai  |ua,    bas 
colorire  una  superficie  d'un  decimetro  quadrato. 

Il  nuovo  coli  putrescibile,  inalterabile  alla 

luce  e  la  il  la  ni  e  in  un  "lo  .he  ni  n     necessario  aggiun- 
ei    !   gomma    Basta  lasciar  digiuno  l'animaletto  du- 
rante iluc  0  tre  ore.  perch  0  il  tubo  digestivo) 
si  otti  1        |uesta  nn.  iva  si        zao  ilorante. 
Le                    infesti    ai  cinipi,  e  già  pi 
un    iwen 


Giuoco    e     forza 


Il  famoso  atleta  Sanckw.  che  ha  fama  di  essere 
l'uomo  più  forte  del  mondo,  pubblica  nel  fascicolo 
di  ottobre  dcXYHarmswortìi  London  M agasine  un  ar- 
ticolo interessante  sul  modo  di  praticare  l'educazione 
fisica  dei  bambini. 

«Xon  è  mai  troppo  presto  —  dice  il  Sandow  - 
per  cominciare  ad  allevare  il  bambino  quale  dovreb- 
be essere.  Appena  esso  è  in  grado  ili  tare  una  eoa  . 
si  può  cominciar  subito  ad  insegnargli  a   far  bene 
quella  data  cosa. 

«  Xon  mi  stancherò  mai  di  insistere  nel  far  rileva- 
re ai  genitori  l'importanza  estrema  e  la  necessità  di 
provvedere  allo  sviluppo  fisico  dei  loro  figli  e  delle 
loro  figlie,  di  dedicarvi  fin  dal  principio  la  massi- 
ma attenzione.  Per  tirar  su  un  intelletto  sano,  una 


casi,  specie  allorché  si  traila   .li  bambini  molto  pic- 
coli, la  cosa  èo  pare  impossibile:  ebbene,  anche  al- 
lora, non  ,;■  detto  che  si  debba  trascurare  l'educa/, 
tisica  e  che  non  vi  sia  altre  mezzo  'li  provvedervi. 


forte  costituzione,  un  carattere  robusto,  è  della  mas 
sima  importanza  che  il  fisico  sia  convenientemente 
esercitato.  Alla  mia  scuola  di  allevamento  fisico  sono 
condotti  spessissimo,  perchè  io  li  curi,  bambini  che 
soffrono  'li  curvatura  spinale  o  di  altri  malanni  e 
difetti.  Ebbene,  di  tutti  questi  bambini,  moltissimi. 
anzi  il  maggior  numero,  avrebbero  potuto  con  eser- 
citazioni giudiziose  sfuggire  al  male  completamente 
o  in  parte.  Nessuno  negherà  che.  in  questa  materia 
almeno,  prevenire  sia  meglio  che  curare. 

«Xon  bisogna  aver  paura  di  far  male  ai  bambini 
con  gli  esercizi  fisici.  Xaturalmente  si  può  eccedere  ; 
ma  io  oso  dire  che  per  un  ragazzo  che  ha  sofferto  a 
causa  degli  esercizi  fisici,  ve  ne  sono  mille  che  han 
no  sofferto  per  mancanza  di  esercizi  fisii 


[Quando  un   ragazzo  è  abbastanza   avanz  I 
età  per  poter  frequentare  una  scuola  di  fhysical  cin- 
ture, come  dicono  gli  inglesi,  o  quando  può  cornili 
dare  ad  esercitarsi  da  sé  con  leggieri  manubri.  ì 
gna   incoraggiando  in  ogni   maniera.    Ma    in  certi 


«Io   credo  fermamente    nell'estrema    utilità    dei 
giuochi  per  i  fanciulli,  grandi  o  piccini.  Al  pu 
di  vista   tisico,    si   può  dissimulare   sotto  iì    giui 
molto   lavoro  utilissimo:   ed   i   genitori  dovrebl 
giocare  con  i  bambini  assai  pivi  di  quanto  non 
ciano  comunemente. 


no8 


LA    LETI 


nulla  che  confei  s  freschezza  fi- 

più  del  giuocare  <•  dello  a 
rapo  migliore  e  forse  la  sera. 
e  mohi  credono  tutl 

Imo  dell  i  >  \''rs"  il 

non  credo  'li  potei 
Nella  mia  scuola  di  educa- 
li numero  di  esperien 
ilari,  io  h"  dovuto 
unge   il  massima   di  Ila 
1  i  co  peri  ! 

di  fanciulli,  perchè  pio- 
i  profondo  e  saluti 

ntende   che    il 
.  ci  i,     perchi      sia 
mezzo  veramente 
nerico  di  educa 

re  or- 
dinato     scientifica- 
,  in  vista  dello 
ipodi  unti  i  va- 
ri   muscoli    del    o  ;- 
pò;  ed  a  tal  uopo  io 

5   rie  eli 

duati  che 
non  richiedom  i  appi 
ut, -hi.    e   sono 
sempl  ni  pa- 

dre   può    tarli    com> 
senza  difficoltà 
ai  pn  ipri  figli.  Si  ba- 
di   soltanto    'li    ren- 

modo  che  i  bambini 
ne  ni  si  accorgano 
quasi,  nel  compierli, 

rli    stare     1 

;  ;  no  di 

essi  deve  essere  com- 

ve  i    n    gioì 
,  hii     ;   ù  difficile.  Quando  p  rubi- 

stanco  o  i  e  nel 

ento,  conviene  sospendere  senz'ali 


\  svilu]  lolmoni,  il  petto  ed  i  n 

•esso. 


rto  modo,  in  una  specie  di  palestra  ginnastica. 
Il  principio  generale  delle  esercitazioni  fisiche  cori- 
ne] liniere  una  resistenza  —  rappresentata  da 


manubri,  da  corde  elastiche  od  altro  —  con  uno 
sforzo  gradatamente  crescente.  Ora  tale  processo 
può  essere  facilmente  imitato  senza  necessità  di  at- 
trezzi ginnastici.  Le  figure  che  accompagnano  que- 


iletto  spiegano  la  cosa,  e  sono  al  .bastanza 

evidi  laver  bisogno  di  molti  schiarimenti. 

,]   muscoli  delle  braccia  e  delle  spille  possono 
svilupp  i-i  facendo  sollevare  ed  abb  ma- 

fanciullo,     a    braccia   tese   e    pief 
un  bastone  alquanto  pes  \  rendere   l'esercizio 

un  poco  più  difficile  e  divertente,  il  padre  chi 
irritazioni  del  figlio  può  fai 

I    ,|  suo   si  lendo  il  bastone  per  le  l 

■  i         e       •• 

i  muscoli  imbe  non  ve  nulla  di  più 

che  l'abbondanza  di  moto,  il  correre,  il  sali 

per  i   muscoli   della  schiena  è   1  eser- 


DALLE    RIVISTE 


cizio  raffigurato  in  due  delle  incisioni  che  si  trovano 
nella  pag.  precedente.  Prendete  il  bambino  sulle  gi- 
nocchia, facendovelo  sedere  sulla  coscia  destra,  e  te- 
nendo i  suoi  piedi  sotto  la  coscia  sinistra.  Poi  fa- 
telo piegare  all'indietro  lentamente,  sin  che  il   suo 


v, 


capo  vada 
care  il  pavimen- 
to ;    infine  fate- 
lo   rialzare    per 

modo  eh'  egli 
faccia  forza  si  I 
tanto  con  la  schiena,  senza  valersi  minimamente  del- 
le mani  e  delle  braccia.  L'esercizio  è  difficile  e  deve 
essere  appreso  grado  a  grado;  da  principiti,  anzi, 
bisognerà  che  il  padre  sostenga  con  la  mano  la 
schiena  del  ragazzo;  egli  diminuirà  poi  di  giorno 
in  giorno  l'aiuto,  man  mano  che  il  ragazzo  andrà 
facendosi  più  forte,  sin  che  sarà  capace  di  tare  a 
meno  completamente  di  ogni  appoggio». 


L'n  altro  esercizio  difficile  ma  che  riesce  molto 
divertente,  consiste  nel  far  distendere  a  terra  il  ra- 
gazzo supino,  e  fargli  afferrare  un  fazzoletto,  od  una 
corda,  od  il  manico  di  un  bastone  con  le  inani.  Il 
padre,  tenendo  l'altra  estremità,  appoggia  un  piede 
contro  i   piedi   del   ragazzo,    pei  oi  or- 

dina  al   ragaz 

zione  orizzontale.  Sulle  prin:<  nhino 

non  vi  riescirà  senza  piegai  le  ginocchia  ;   ma  a  for- 
za di  esercizio,  riuscirà  a  rialzarsi  stando  i 
me  un  pezzo  di  legno.  Inutile  dire  che  in  t 


I  109 

entrano  in  azione  molti  muscoli  e  che  quindi    l'esei 
Cizio   è   utilissii!    ■ 

a  Ancora  più  difficile  è  l'esercizio  rappresenl 

una  delle  ligure  che  si  trovano  in  questa  pagina  ;   il 
no  sta  su  1  lue  51  1 1  in  la  testa  sull'una  ed 


edi      sull'al- 
tra,    e    tiene    il 

■ne      mUSCO. 

Lue.    E     questo 

un  esercizio  che 

rinforza     molto 
i      muscoli 
collo,    ma    che,d 

le    prime    volti-. 

deve  essere  compiuto  con  molta  precauzione:   il  pa 

dre  dovrà  sostenere  con  la  sua  mano  La  schien  1 
ragazzo  odella  ragazza,  diminuendo  soltanto  a  |«  - 
poco  l'appoggio.   In   Ogni  naso   il   piccino   non 
dovrà   stare  sulle  due  seggiole  che  per  qualche  se- 
condo, perchè  lo  sforzo  grande 

Ma  del  resto  non  è  necessa.no  distendersi  nel  ci- 
tare  -li   esercizi  che  possom     giovare  al   fisico 
I  ■  ani  .mi.  (  >gnum  1  può  comprenderli  da  sé  ed  aiutar- 
si con  il  proprio  criterio  e  regolarsi  secondo  la 
pria  I  Si  sa,  pei  esempio,  ohe  tutti  gli 

cizì  in  cui  si  esercita  uno  sforzo  per  resp 
per  ai:  ii  ire  una  persona   od   un   ■  ■ 

L'abilità  dei  genitori   dovi 
ire  nel  modo  di   presentare  queste  esercitazioni, 
ni  I  renderle  divertenti  1 

mbini  vi  pi  -■ni. ino  più  il 

che  la  stanchezza. 


11  poeta  Nekrasoff,  direttore  dell'importante  rivi- 

sta  •  urgo,  II  (  ontcmformeo,  ricevette  pei 

m  i   1852,  col  bollo  ili  un  piccolo  paese  d<-l 

Caucaso,  un  racconto  intitolato  Infan  ia  e  firmato 

li   L.  T.  Lo  lesse  e  lo  pubblicò 

nel  fascicolo  del  t<  bre,  impressionato  dalle 

qualità  non  comuni  di  quella  semplice  narrazione; 

prima  di  inserirlo,   iveva  scritto  una  lettera  d'inco 

dicendogli  fra  l'altro:  «  Il 

,  lavoro  e  1!  vostro  ingegno  m'interessano.  Vi 

però  di  non  nascondervi  dietro  le  iniziali, 

di  incominciare  subito  a  firmare  '"1  vostro  no- 

meno  che  non  siate  un  ospite  di  passaggio 

nella  letteratura.  •■  L'anonimo  aul non  aveva  an 

il   Nekrasofi  gli  diresse  una 
1     pei  confermargli    la   grata  impres 
,      ttura  delle  bozze  di  stampa  e 
nvitarlo  ancora  a  fargli  conoscere  il  suo  nome, 
endo  la  censura.  Ma  dovette  contentarsi  di 
il  racconto  con  le  semplici   iniziali,  e  ancora 
una  volta,  il  30  ulte  il  .re.  chiedendo  un  secondo  scritto 
all'anonimo  collabo  offrendogli  il  compenso 

ili  50  rubli  a  foglio  ili  stampa    -  il  massimo  com- 
iche// Contemporaneo  pagasse  agli  autori     ià 
11       ripei   :  1  \"i  si, min  obbligati  a  sapere  il 
nome  dell'autore  ili  cui  inseriamo  le  opere,  e  perciò 
mi  delle  notizie  precise  in  proposito.  Se  volete, 
uno   all'infuori  ili  noi    saprà   niente.  »   Allora 
finalmente  la  risposta  venne:    l'autore  si  chiamava 
Nicolaievich  Tolstoi  ed  aveva  ^4  anni. 

Fu    il   pri 'omponimento  dei   grande  roman- 

.  quantunqui    pressi  1  'li  noi  0  tradotto 

temp      opo  i  posteriori  capolavori  :  per  que- 
-  ito  1  1  -liuti '  uno  degli  scrini    più 
stato  attribuito  un  valore, autobiogra- 
anzi   le  due  edizioni  francesi   hanno  mutato 
il  titilli»  ili  In  '  quelli  di  Ricordi  e  ili  Mie 

memorie.    Invece  il  Tolstoi   intendeva  iniziare  con 
quel  racconto  un  grande  romanzo,  da  lutiti  lare  Sto 
11  quattro  epoche,  nel  oliale  avrebbe  narrala   la 
nvam     dal    primo  apparire  della    co- 
riza infantile,   fino  al  punto  in   cui   diventa    pie 
namente  e  moralmente  uomo.    Infatti   ad  Infanzia 
■  1  [85  1  '  ed  a  la  prima 

pait<  855)  ;  ma  non  1  siste  neppure 

un  abbozzo  della  quarl  1  ed  ull  ima. 


un    simile  art  ista  }     l'in 

troppo  i  dati  che  fino  ad  oggi  sono  conosciuti  in- 

prinii    anni  della   » 

[furienti.  <  >;:m    persona   che  scrive,    sa    che   un 

;  devi  essere  s         pn   '-'11110 

tentativo  meno  bene  riuscito.   1,111. nulo 

1  si  trovava  nel  Cauc iso,  dove 


si  era  recato  presso  un  suo  I  rateilo  che  vi  militava 
nell'artiglieria  (egli  stesso  era  sottotenente).  Era 
andato  Laggiù  .1  cercare  nella  vita  libera,  a  contatto 
■  li  quella  natura  terribile,  la  pace  che  non  aveva 
trovata  né  a  Pietroburgo,  né  a  Jasnaia  l'oli. ma. 
prò  isamente  come  doveva  fare  il  suo  eroe  ilei  Co- 
sacchi. Olénine.  In  quel  momento  ih  grande  incer- 
tezza iii.ialc.  quando  cercava  e  non  aveva  scoperto 
1  le  regole  'lilla  vita  d.  forse  egli  ripensò  al  tempo 
meraviglioso  in  cui  lomhra  deU'ii:ivrte//a  non  gli 
era  ancora  apparsa,  esulta  trama  delle  sue  memorie, 
variando  e  scegliendo,  scrisse  allora  una  narrazione 
che,  pui  essendo  inventata  e  ordinata  non  secondo 
la  realtà  ma  -•  *  <  mio  un  criterio  d'arte,  gli  permise 
di  riprodurre  ciò  che  la  sua  anima  fanciulla  aveva 
pri  ivati  . 

E' difficile  ricini. ire  un  altro  autore  tanto  felice 
nei  suoi  primi  passi.  Dopo  aver  trovato  nel  Nekra- 
soff  l'iniziatore  deale,  ebbe  un  fervido  elogio  da  una 
rivista  molto  diffusa,  /..  memorie  fatrii  :  ■  Se  questo 

il  primo  lavoro  del  signor  L.  T..  bisogna  ralle- 
grarsi con  la  letteratura  russa  per  l'apparizione  d'un 
grande  ingegno.  »  I  numeri  del  Contemporaneo  col 
racconto  del  ["olstoi  arrivarono  fino  in  Siberia,  al 
Dostojewski,  che  viveva  lassù  gli  anni  del  suo  mar- 
tirio; e  l'esule  manifestò  la  sua  ammira/ione  per 
l'esordiente  meraviglioso.  Rapidamente  questi  com- 
pose altri  racconti  bellissimi;  talché,  tornando  nel 
1855  dalla  guerra  di  Crimea,  fu  ricevuto  nei  cir- 
coli letterari  come  il  nuovo  genio  dell'arte  russi 
i  più  famosi  scrittori:  Gonciaroff,  Maikoff,  Tur- 
ghenieff,  lo  acci  ilsei mi   1  rateilo. 

Quando  l'Europa  occidentale  lo  cominciò  a  co- 
noscere, egli  era  già  diverso;  giudicando  l'alti  vita 
letteraria  troppo  miseri  'osa.  egli  aveva  inviata  la 
propaganda  religiosa  e  filosofica,  e  sconfessato  i 
primi  scritti.  Anche  l'infanzia  egli  non  v  trrebbe  mi 
avere  scritto.  A  questo  proposito  Elia  [gnatoff  1  u 

1  un  episodio.  Una  volta  che  il  Tolstoi  era  in 
carro//.!  con  un  amico,  il  cocchiere  gli  si  rivolse 
per  dirgli  : 

—  Eccellenza,  ho  [etto  molti  vostri  lihri ,  mi  sono 
piaciuti  moltissimo,  ma  non  ho  potuto  avere  Infan- 
zia e  Adolescenza,  che  mi  dicono  sieno  molto  l>elli. 

Il  Tolstoi  si  mise  a  chiacchierare  col  cocchiere,  e 
finì  invitandolo  a  venir-  da  lui  per  prendere  dei 
libri. 

-  Mi  darete  Infanzia  e  Adolescenza?  —  ins 
l'autoraedi  «ite. 

—  No.  quello  è  un  libro  inutile;  in  gioventù  hi» 
scritto  molte  sciocchezze.  Ti  darò  a  leggere  un  rac- 
contino: Andate  per  il  mondo  finche  c\    la  luce. 

Noi,  che  non  siamo  dei    predicatori,   non  sapiem- 
tppagarci  del  giudizio  dell'autore 

(Da  un  orticolo  di  Giulio  l'aprili,  nella  Rassegna   inter- 
nazionale  del   15  ottobre). 


La  casa  editrice  Logmans,  Green  e  ('..  di  Londra, 
iha  pubblicato  il  mese  scorso  un'opera  scientifica  del 
prof.  Bose,  di  Calcutta,  che  non  solo  ha  messo  a 
rumore  il  campo  scientifico,  ma  già  comincia  ad  es- 
sere riassunta  e  discussa  animatamente  sulle  riviste 
■di  coltura  generale.  E  si  capisce.  L'opera  del  Bose 
mira  a  stabilire  nientemeno  che  la  materia  è  viva. 
Naturalmente  il  prof,  liose  non  si  spinge  lino  ad 
affermare  che  un  pezzo  d'acciaio  abbia  anima  o 
sesso,  ma  afferma  che  le  sostanze  inorganiche,  ed 
i  metalli  in  particolare,  hanno  sino  in  certa  misura 
la  facoltà  di  sentire,  e.  per  essa,  di  dare  una  certa 
«rispostili  agli  stimoli  esterni. 


A  qual  si  gno  possiamo  noi  -indie. ire  se  un  corpo 
qualsiasi  sia  materia  viva  od  inerte?  A  qual  segno 
distinguiamo  una  pianta  da.  un  animale?  Sin  che 
.si  tratta  di  esseri  altamente  sviluppati  ed  evoluti, 
li  distinzione  è  sempre  tacile;  ma  noi  sappiamo 
i  he  fra  i  tipi  inferiori  del  regno  animali'  \i  sono 
creature  incapaci  di  molo,  mentre  d'altro  canto  vi 
Sono  piai. le  che  si  muovono:  e  il  moto,  ionie  ila 
tutti  si  sa.  e  una  delle  caratteristiche  Ioni  lamentali 
dell'animalità.  E  come  non  v'è  criterio  assoluto  che 
ci  permetta  di  discernere  per  ogni  caso  se  un  essere 
sia  animale  o  vegetale,  COSÌ  non  vi  è  criterio  as-.o- 
luto  che  divida  il  regno  degli  esseri  viventi  da 
quello  (iella  materia  inerte. 

Sinora,  a  dire  il  vero,  si  credeva  di  possedere  un 
elemento  di  distinzione  in  una  proprietà  che,  rie,. 
noscendosi  solo  negli  animali  e  nei  vegetali,  poteva 
■darci  la  chiave  della  divisione.  Proprietà  esclusiva 
[egli  e-seri  viventi  si  diceva  essere  l'irritabilità,  la 
facoltà  di  rispondere  agli  Stimoli.  Voi  vi  date  un 
pizzico  ad  un  braccio:  tosto  risentite  un  dolore. 
«he  è  la  risposta  dell'organismo  ilio  stimolo  opera- 
to. Una  qualche  cosa,  in  seguito  appunto  allo  sti- 
molo, viene  trasmessa  come  per  una  corrente  eli 
trica  dalla  parte  stimolata  al  cervello  per  mei 
■de!  nervo.  V'ha  come  un  circuito  elettrico. 

Ad  intendere  bene  ciò  che  segue,  bisogna  tenere 
a  mente'  questo  fatto  fondamentale.  Se  si  mette  un 
nervo  od  una  fibra  muscolare  su  un  galvanometro 
(strumento  che  scopre  l'esistenza  delle  correnti  elet- 
triche), ogni  volta  che  a  questo  nervo  od  a  questo 
muscolo  si  dà  uno  stimo!,,  sia  con  un  pizzico,  sia 
con  un  colpo,  sia  con  altro  mezzo,  si  vede  allo  sti- 
molo tener  dietro  una  specie  di  pulsazione  elettri- 
ca. Questa  risposta  elettrici  del  tessuto  organico 
allo  stimolo  e  la  prova  che  il  tessuto  ,'■  vivo,  perchè 
quando  r!  tessuto  è  morto,  la  pulsazione  elettrica 
cessa  completamente.  Aggiungiamo  che  per  mezzo 
di  stiumenti  semplicissimi  ■■  possibile  registrare  que- 
ste pulsazioni  col  mezzo  di  una  punta  scrivente  

«■essa  al  galvanometro.  per  modo  che  si  possono  ot- 


tenere trac-iati  grafici  fedeli  e  diretti  degli  effetti 
di  uno  Stimolo  0  di  una  serie  di  stimoli,  e  si  possono 
seguire  le  fasi  di  un  tessuto  organico,  che  gradata- 
mente, messo  al  galvanometro.  va  diminuendo  le 
pulsazioni  co!  diminuire  della  (acuità  vitale,  lui 
che.  morto,  non  dà  più  allo  stimolo  risposta  alcuna. 


ECCO  dunque  un  elemento  importante  di  distin- 
zione fra  i-ose  vive  o  morte:  le  vive  rispondono  agli 
stimoli,  le  morte  non  rispondono.  Ma  ammesso  que- 
sto principio,  ne  scaturisce  una  conseguenza  mera- 
vigliosa, che  ila  ima  nuova  orientazione  ad  uno  dei 
0  ricetti  fondamentali  della  scienza,  e  la  cui  poi 
tata  non  è  possibile  per  ora  misurare  completamen- 
te. Se  è  vero  che  il  rispondere  agli  stimoli  e  ile 
di  vita  —  ciò  che  sarebbe  dimostrato  dal  latto  che 
gli  organismi  viventi,  venuti  a  morte,  non  danno 
pità  risposta  -  se  questo  e  ver,,,  bisogna  conclu- 
dere che  i  metalli  siano  cose  vive,  perchè  anche  essi 
danno  risposta  e  sottostanno  alle  medesime  leggi 
cui  sottostanno  gli  animali  ci  i  vegetali.  Un  pezzo 
di  ferrei  risente  gli  stimoli  esterni  al  modo  stesso 
che  un  nostro  muscolo  od  un  nostro  nervo.  Onesta 
è  la  conclusione  cui  arriva  il  prol  Bos  Non  e  me- 
raviglioso ? 

Il   prof.   Bose,  prima  ancora   di    Farsi  coni 
per  questi   ultimi   studi,  era    lavorevolmente  noto  nel 

mondo  scientifico,  benché  viva  così  lontano  dai  cen- 
tri della  coltura,  essendo  professore  all'Università 
■li  Calcutta,  in  Indi, e  A  Calcutta  il  buse  empi  i 
suoi   primi  studi,   che  completi,  poi   a   Cambridge, 

fra    il    i88l   e  il  1884.   Ottenni,'    la    laurea.   In  none 

e;, io  professore  di  fisica  al  Presidencj  College,  ili 
Calcutta.  Dieci  anni  più  tardi,  la  Rovai  Society,  di 
Londra  —  una  delle  più  importanti  S01  ietà  S<  ienti 
fiche  de]  mondo  —  pubblicava  un  mio  studio 
interessante,  e  quando,  qualche  temi,,,  dopo,  il  1'.,.,. 
si  recò  a  Londra  per  una  delegazione  scientifica, 
fu  nominato  dottor,-  da  quell'Università.  A  quel 
tempo  si  parlò  molto  del  professore  indiano  per  il 
suo  appai--, -ehi,,  destin. ito  a  scoprire  ed  a  misurare 

le    proprietà    della    luce    invisibile. 

A  partire  dal  suo  ritorno  in  India,  l'energia  del 
Bose  eleve  essere  raddoppiata,  a  giudicare  dai  ri- 
sultati. Egli  fu  mandato  ancora  una  volta  in  Eu- 
ropa cai,-  delegato  al   ('oneroso  scientifico  intei 

nazionale  che  si   tenne  a    Parigi  or   fan lue  anni. 

\    Parigi  fu  annunziata    la   prima   volta   la  sua 
peita  della  responsività  della  materia   inerte:  1. 
municazioni  dello  scienziato  comparvero  negli  Atti 
della  «  Royal  Societj  »,  di  Londra. 

Il  concetto  fondamentale  della  sua  scoperta   l'ab 
bi. imo  già  esposto.  La   scossa  elettrica  in   risp 
ad  una  tensione  esterna  è  un  segn.    di   vita.  Il   B 
ha  trovato  che  questa  caratteristica  non  è  limitati 


1112 


LA    LETTURA 


.,!!,,  9  alle     stimolo    continuamente    ripetuto,    finivano    con    lo 

•    da  un  pizzico,   si     stancarsi,  e  della  staro  lavano  segno  gì 

pparecchi  del  Base,  ;il  mo-     evidente.]    quasi  tutto  questo  non  bastasse,  s    scopri 
i  muscoli  degli  animali  e      incora  i  un  certo  periodo  di  riposo,  gli  ef- 

fetti della  stanchezza,  come  in  un  corpo  uma- 
no, sparivano  uri  metalli  :  e  che  a  rinnovare  il 
.!  ilissirro i  anchi  il  bagno  tiepidi >.  Sem. 
i  spci  ienze  « 
non  fossero  corredate  da  un  ricco  materiale  <H 
fatto. 


E  i  t.i  Ir  .-un-  ien- 

ziato   indiano  \  'è  aneli.-  questa  :   che  i  mi 

sono  suscettibili  'li  stanchezza,  cosi  sono 
suscettibili  «li  morte. 

Un  anim  i/o,  sin  che  è  capace  'li  mo- 

rirò. Vero  è  che  la  morte  può  essere  affrei 
dal  veleno   Può  un  metallo  essere  awelen 
La  risposta  .1  questa  domanda  è  stata  data  dal- 
la parte  più  interessante  degli  esperimenti  del 
1 

Fu  sottoposto  all'azione  ili  un  veleno  un 
pezzo  di  metallo  che  precedentemente  jm-j  .la- 
to risposta  eletti  ii  1  agli  stimoli.  11  metallo  par- 
ve passare  per  una  specie  di  spasimo  elettrico, 
e  subito  i  segni  «iella  vita  divennero  più  deboli, 
sin  1  lie  1  es-a  roiio  i-i  implet  amente.  Il  meta  li 
diventi  01  i  lo.  Dunque?  Dunque  un  metallo 
può  essere  avvelenato. 


Piuma. 


1        1    -     Effetti  del  cloroformio  sulle  pulsazioni  di 
1  primi  Ire  segni  Indii  ano  le  pulsa 

., ,      .    gii    .1  ,  i  f,   pulsazioni  In  seguito  m 
l'azione  di  primenle  •  ol  «  tori- 
dei  tessuti  delle  piante.  Hanno  risposto  allo  stimolo. 
n  ciò  hanno  dimostrato  che  non   sono  materia 
mora. 

Non  Dati   i  tracciati  ili  pulsazioni  musco- 

lari, e  metalliche,  il  prof.  Bose  non  scoprì 

tra  loro  differenza   alcuna   |  iche  i   metalli. 

come    i   tessuti   organici,   sotto    l'influenza    di    uno 


1  ■ 


1  ig  I        '1  •//  uno  ■.limolante  sulle  pulsazioni 

ilio 


Prima.        | 
1  ig.  3         1  zinne  di  un  dep>  Imente  su  un 

E  di  ipo  il  veleno  \  iene  ['ani  idoto! 

Fu  applicata  una  1  -  di  un  antidi         ! 

lentamente  la  sostanza  cominciò  a  riaversi,  a  rivi- 
eri   in  capo  ad  un  rerto  tempo  tornò  a  ilare 
agli  stimoli  la  sua   risposta  normale! 


Se  la  materia  inorganica  dà  la  -  «Iel- 

la   materia   viva,    deve   essere    possibile   —    |iensò  il 


DALLE    RIVISTE 


i  u3- 


Bose  —  costruire  organi  artificiali  ili  sensibilità. 
Egli  rivolse  la  sua  attenzione  particolarmente  al- 
l'occhio. Naturalmente  non  bisogna  credere  che  egli 
abbia  inventato  un  occhio  che  possa  all'occorrenza 
surrogare  i  nostri  occhi  naturali  somministrati  da 
madre  natura;  ma  egli  è  riuscito  a  creare  una  re- 
tina artificiale  che  risponde  alle  impressioni  lumi- 
rsose. 

Fra   le  altre   osservazioni   che  il    I 
con   la  sua  retina    artificiale  è   notevole   questa.    In 
base  alla  teoria  generale   pri 
gli   elementi   sensibili   della    re' ina   ris] 
impressioni  luminose  semplicemente  perchè  si  no  ila 
esse  turbate  o  stimolati      I      ome,  in  un  filo  le 
brazioni  continuano   inch  cessato  lo  stimolo. 

così  le  parti  stimolate  rtificiale  o 

nuavano  a  oscillare  ani  to  1"  stim 

E  se  si  ammette  che  la  retina  naturale  si  comp 
come  quella  artificiale,  ecco  spie,  ato  |  i  ri  hi  .  dopo 
aver  guardato  un  oggetto  molto  luminoso,  noi  con- 
tinuiamo ad  avere  la  <ua  immagine  nella  \;sta  an- 
che se  chiudiamo  gli  occhi.  Sono  come  echi  visivi, 
assai  persistenti,  e  [tiare  il  primo 

si  idio  di  quella  che  noi  chiamiamo  memoria. 

L'n  altro  fatto  notevol  •.  scoperto  col  mezzo  delle 
retine  artificiali,  è    [uesto:  lo  noi  guai 

mo  un  oggetto,  i  nostri  occhi,  in  un  momento  qual- 
siasi, non  lo  vedono  ugualmente  bene  ;  ma  mentre' 
l'uno  vede,  l'altro  riposa,  e  così  avviene  sempre,  con 
rapida  alternazione.  L'n  occhio,  per  così  dire,  cade 
addormentato  mentre  l'altro  veglia  nella  pienezza 
della  sua  facoltà  visiva;  e,  stilato  dopo,  avvieni  il 
contrario. 


Ma   queste  osservazioni,   per  quanto  interessanti, 
non  hanno  l'importanza  generale  del  principio 
perto  dal  Bose,   principio  che  tende   a    distru 
le    barriere   tra    il   mondo  organico  e    l'ini 
mostrando  che  quest'ultimo  è   solfanti  com- 

plesso dell'altro.  Questi  >  mis 
tutte  le  cose  è  veramente  impressionante. 

11    dott.    Bose.   in   fine  della    sua    lettura    innanzi 
alla  «  Rovai  Institution »,  mesi  or  sono,  diceva: 

«  Di  fronte  alla  muta  testimonianza  di  qu  :s  e  re 
gistraz  i  ni  automatiche,  quando  in  ess  :  uni 

manifestazione  dell'unità  p  ne  in 

•cose — il  mo'  ui.i  nelle  onde  lumi- 

nose, la  vita  che  germi  glia  sulla  terra,  e  i  sol 
irradiano  sopra   di    noi    --   compresi    allora    per   la 
prima  volta  una.  parte  della  verità  proclamata   dai 
miei   antichi  sulle  rive  de]    Gange  or  fanno  tri 
seo  ili  : 

ii  Chi  vede  una  '"'s.'    sola    nella    pluralità  inulti 
«  torme  e  mutevole  di  questo  un 
n  siede  la  verità  eterna,  e  nessun  altri  p,  nessun  ali 

Così  un'altra  delle  differenze  che  si  errilo  stabilite 
fra  organici  e  materia  inerte  viene  a  mancare,    l'i 
la   cosa  vivente  che  dà  risposi  !   agli  stimoli.    ■ 
■  osa   inerte  che  pareva   non   dovesse  darne,  non  v'è 
una  linea  di  separazione  netta  e  recisa.  Si  vede  la 
materia   inorganica    possedere    l'irritabilità   e    dare 


risposta  agli  stimoli  come  l'organica,  e  recedere  alla 
lunga,  o  per  effetto  di  un  veleno,  dallo  stalo  di 
resfonsivttà  allo  stato  di  irresponsivìtà.  Abbiamo 
l'attività,  la  stanchezza,   la  depressione,   la   capa 


l-MUUA 


Dopo. 


!  n..  4,  5,  6.  - 
nari,  flg,  ; 
tallo    ii<i   6 


F.fh  ili  di  uno  U  no  su  un 

•hi    .".    e  su  ii< 


di  riaversi,  l'eccitamento  anormale,   la  morte  ri 

materia  vivente  come  in  quella  non  vivente. 

E'  il  destino  dì   tutte  le  concezioni,   che  tendono  a> 
lire  nella  natura  classi  e  divisioni   precisi- 
essere  a  poco  a  poco  tutte  sfatate. 

Da  un  articolo  della  Review  of  Review  di  Londra  . 


I   ila    nuova    «Iella 


.1  e  mei  [vigliasi 
.   i     I  impn  vvis     apparizii me   'li    nuove 
stelle    Nei  tempi   antichi,   precedenti  l'èra  voi 
[pp  ■  per  il  primo  nella  costellazione  dello 

rpione  un  brillantissimo  astro,   mai   avanti   ve 
■hit",  questa  apparizione  1"  decise  anzi   .1  compi- 
li   primo   catalogo    stellare,    contenente   102^ 
stelle  e  giudicato  lavoro  degno  degli   Dei    Dui 
e  mezzo  dopo  ne  fu  notata  una  seconda  nella 
'Dazione  d'Ercole,  e  dopo  un  tempo  press'a  poo 

ile  una   terza    nell'Aquila,    Passar pan 

'    prima  che  una  tmo\  a  strila  appai  issi 

ma  p'  ipparizion    Fosse 

Cresciuti  i   mezzi  d'indagine,  applicata   la   foto- 
11  allo  studio  'lei  cielo,  le  apparizioni  di  nuove 
ite  ci  'ii  grande  frequenza  ne 
ultimi  tempi.  L'ultima  è  quella  scoperta  aal l'An- 
derson ili   Edimburgo,    il    '|uale    recentemente,    os 
servando  una  s'-ra  la  costellazione  'li  Perseo,  notò 
una  nuova  splendida  stella.  La  sera  seguente  1 

.  sii  me,  '■  tn  «  a  1  he  l'asl  ro  ri\  aleggiai  .1   o  in 
:   minor  grandezz  1,  sorpassando  nello  splen 
dorè  la  Ca]  r;l  ''  gareggiando  con  la  stessa  Siri".  I 
rum    ' !  imento.  La  noi  izta  I  u  tosti  1  telegra 

all'Ossèrvalorió  centrale  di  Kiel,  come  si  fa 
di  tutte  le  scoperte  astronomiche,  ed  altri  studiosi 
del  aneamente  all'Anderson, 

nota  i        ro,  chia  nato  latinamen- 

te A  in  triangolo  isoscele  con 

Vlfa  'li    Perseo,   prese   posto  ufficiai- 
,;.  Il  suo  splendore  è  dimi- 
nuito  un  poco,  ed  ha  preso  1  ra  una  tinta  giallastra. 
1  ipariscono  improvvisamente  e  doj  a 

un  ti  10  meno  i1  p  mgoap,  hanno  il 

nome  ili  temforam  e,  mentre  quelle  che  appai  iscono 
e  spa  regola  fissa  si  chiamano 

periodiche:  tanto  le  le  seconde  formano 

la  numeri  oria  delle  stesse  variabili.  L'ana- 

lisi  5]  -tra  rlie  alla  SUperfii 

temporanee  s'innal  mme  gigantesche  dovute 

.ci  enormi  combustioni  ili. Ir" 

1    'ni'-  si  spiegano  questo  improvviso  accendersi  e 
'  lento  spegnersi  degli  astri  ?   Alcuni  crea 
rsi  '!'  stelle  'iie.  dopo  essersi  raffredate  e  co 
I  "t'e  di  un.'  solida  crosta,  a  un  tratto  la  spezzano 

moz i    interne,    e    ridivengono 

quindi  luminose,    ridivenendo  opache  quando,    pei 

un   nUOVO  t,  ,111,  1    un,,    ,,,, 

litri  suppo  1     corp     pachi  0  nebu- 

■i"  .1  incorniti  msurabili 

distanze,  lo  offuscano  e   lo  Oscurano  ai   nostri   occhi, 

i  .li  riappare  51  omp  irendo  l'ostacolo.  Altri    in 
lue  corpi  cri, -sii  opachi, 
li  isi,  provochini  1  enormi  maree  nelle  rispel 

istro 
lolo  lumin         Ma  le  1  ommozioni  in 


t.-ine   in  un  astro   |  allo   stato  O] 

s  Mi"  'lo  luogo  soltanto  ad  accensii mi  parziali  e  li- 
ite.   L'ipotesi  più  plausibile  è  quella  chi 

buisce  le  accensioni  a  'anse  esterne,  '"tue.  per  est-m 

I  io,  all'urto  ausato  dalla  caduta  di  un  pianeta  sul- 
I  ist  n  1  semispento. 

Framil i  e  milioni  d'anni,  per  esempio,  il  nostro 

Sole  avrà  raggiunto  quel  grado  di  raffreddamento 
-  he  ii'"  essa  rio  alla  formazione  della  crosta  soli  da  . 
allora  .ss,,  sarà  invisibile  agli  abitanti  degli  altri 
sistemi  planetari.   Ma   ad  uno  alla   volta   1  pi 

iranno  attirati  nelle  sue  spire,  finché  si  precipite- 
ranno stilla  stia  massa:  i  piccoli  pianeti  non  pro- 
durranno grandi  catastrofi,  ma  all'urto  dei  grandi 
la  scorza  solida  del  Sole  si  squarcerà,  la  materia  in- 
lescentè  -1  riverserà  all'esterno,  ed  anche  pei 
l'immenso  calore  prodotto  dall'urto  violentissimo 
l'astro  diverrà  nuovamente  luminoso  e  caldo:  allora 
gli  abitanti  del  cielo  assisteranno  all'improvviso  ap- 
I  11  ie  d'una  nuova  stella,  'onte  noi  ora  all'apparire 
della  .\e,  Persei.  Questa  ipotesi  ,'•  confortata  dal 
fatto  che  intorno  a  molte  stelle,  e  lorse  anche  a 
tutte,  si  aggirai  p  ri,  e  renderebbe  ai- 

ragione  del  fenomeno  osservato  nella  s'ella 
della  costellazione  della  Nave,  la  quale  si  è  accesa 
e  spenta  più  volti-:  l'accensione  si  ripeterebbe  tante 
volte,  luante  sono  le  cadute  di  grandi  pianeti  rapaci 
■  ii  squ  irciare  la  scorza  dell'astro. 

E' dunque  avventi'"  uno  scontro  celeste,  che  ha 
prodotto  l'accensione  della  stella  veduta  dall'astro- 
nomo Anderson?  Se  l'ipotesi  risponde  al  vero,  lo 
scontro,  In  caduta  di  un  pianeta  su  quella  s'ella 
unente  avvenuta,  ma  non  già  la  sera  durante 
la    pi.  le  l'Anderson  fece  la  scoperta  dell'astro,  sib- 

I  'io-  moltissimo   tempo   prima,    tanto   tempo    prima. 

orso  alla  luce  per  arrivare  da  quella 

plaga  del  cielo  fino  a  noi.  La  luce  corre  con  la 
vertiginosa  velocità  di  trecentomila  chilometri  al 
minuto  secondo;  ma  li  distanze  celesti  sono  incom- 
mensurabili. I  1  strila  a  noi  più  vicina  è  l'Alfa  del 
Centauro,  eppure  la  sua  luce  impiega  tre  anni  e 
mezzo  per  giungere  al  nostro  occhio;  più  che  sedici 
anni  impiega  quella  di  Sirio,  e  più  che  quaranta 
quella  della  Stella  polari-.  ]-,  jueste  distanze  sono 
r  ente  al  confronto  di  quelle  che  ci  separano  da  altri 
la  cui  luce  non  ci  arriva  se  non  dopo  mi- 
1  e  migliaia  d'anni,  Quando  la  nuova  stella 
di  Perseo  si  accese,  le  onde  luminose  se  ne  diffu- 
sero tutt'intomo  per  il  cielo,  ma  prima  di  arrivare 
a     noi    dovettero   superare    gli    abissi    dello    spazio: 

p  rcepimmo  poche  sere  addietro,  ma  l'accen- 
sione dell'astro  è  probabilmente  avvenuta  in  tempi 
remotissimi,    torsi-  anche  anteriori  a  quelli  in  cui 
'     egiziani  innalzavano  le  loro  piramidi. 

<t>.i  un  articolo  di  Ulta  e  G       ni,  nella  Rassegna  nitri 
tale  del   1 5  otl 


Gli  abissi  del  mare!  K'  una  frase  piena  ili  attra- 
zione misteriosa,  cui  si  mescola  quel  brivido  ili  ter- 
rore che  sempre  accompagna  l'ignoto.  E  questa  ir- 
resistibile seduzione  si  comprende  facilmente,  quan- 
do si  pensa  alla  quantità  ili  meraviglie  che  le 
profondità  degli  Oceani  rinserrano  sotto  l'immensa 
massa  ilelle  loro  onde  grandiosamente  immobili  a 
una  distanza  spaventosa  dalla  superficie  delle  acque. 


portava  le  lettere  da  isola  in  isola  e  più  di  una 
volta  i  bastimenti,  trovandolo  in  alto  mare  in  mez- 
zo alle  tempeste,  credettero  vedere  un  mostro  sco- 
nosciuto, un  delfino  umano. 

Federico,  re  di  Sicilia,  trovandosi  a  Messili... 
ebbe  vaghezza  di  conoscerlo,  e  fattolo  chiamare, 
gli  mostrò  una  ricchissima  coppa  d'oro.  Poi,  sca- 
gliandola in  mare: 


Un  giardino  sottomarino.  —  Gli  anemoni  di  m  uu 

Non  sì  è  forsi  sorpresi  di  trovare  negli  abissi  del  mare  dei  fiori  che  ricordano  per  in  loro 
turimi  quelli  terrestri?  Tali  sunti  gli  anemoni  dì  mare.  Mn  in  realtà  essi  sono  ammassi  di 
milioni  e  'li  miliardi  di  animaletti  che  agitano  senza  riposo  i  minuscoli  tentacoli  in  attesa 
delia  preda 


li  desiderio  di  conoscere  i  secreti  del  mare  ha 
sempre  stimolato  la  curiosità  umana  sino  dai  tempi 
più  antichi.  Unico  mezzo  era  allora  l'immergersi 
nell'abisso:  processo  barbaro  e  pericoloso,  in  cui 
l'esploratore  arrischiava  di  morire  asfissiato  o  dis- 
sanguato, se  per  un  ritardo  fatale  avesse  prolun- 
gato un  solo  istante  di  troppo  la  sua  dimora  sotto 
le  onde. 

La  storia  però  ci  ha  conservato  il  ricordo  di  un 
esploratore   siciliano    davvero    straordinario,    detto 
Nicola  il  pesce.  Si  dice  anzi  che  egli  fosse  cos 
celiente   nuotatore   da   poter  restare    [uattro  o  cin- 
que giorni  in  mare,  nutrendosi  di  pesci  crudi.  Egli 


-  E'  tua  gli  dissi  -  se  sai  ripescarla  in 
questo  terribile  vortice  ili   Cariddi. 

Nicola,  senza  esitare,  si  scagliò  nelle  onde  e  vi 
restò,  secondo  la  leggenda,  quasi  trequarti  d'ora. 
Il  Re  e  la  folla  attendevano  ansiosi.  A  un  tratto 
Nicola  apparve  trionfante,  ree. nulo  la  coppa  d'oro; 

ma    il  suo  volto  era  di   un    pallore   spaventoso. 

-  O  Re  —  egli  disse  —  io  ti  ho  ubbidito,  ma 
io  non  sapeva  a  quale  perio  I i  esponeva.  Dap- 
prima una  tromba  d'acqua  mostruosa  mi  ha  assa- 
lilo, travolgendomi  in  tutti  i  sensi,  prima  che  io 
potessi  toccare  il  fondo;  là  io  ho  trovati-  grotte  e 
caverne  come  nelle  montagne  teirestri    M  i  ecco  che 


111(1 


LA    LETTURA 


un  secondo  ^"rj;i>  mi  travolge  e  mi  trasporta  più 
lontano.  I"  li"  vistò  allora  uno  spettacolo  terril 
Mandre  di  piovre  gigantesi  he  erano  aggrappate  alli 
in   direzione  le  loro  braccia 
immense.   Se  una   si  ila  rl'ess  unto, 

io  sai  distrutto    n  un  istante.    Io  ho  \ 

iù,    nell'abisso  terribile,    cani    ili    mare  mostri 

I    li,   A     |uella 
fondita   la    m 'iti-  cri     \\  pietà  .    tutta\ 

villi    un    luccii  •     I . .e    |T' 

sono  risalito.  Eccola,  <>  Re  ! 

Ma  il    Re  crudele  \ uol  t . . r -^ ì  un  bari 
dell'esploratore  Nicola:  prende  una  seconda  n 
più  splendente  e  hi  ili 

rJdi.  1 1  nuotatore  esita,  ma  la  i«'lla  e  il  R 
inrit.-i! o,  ed  egli,  "'il  uno  sforzo  supremo,  pai 
ili  terrore  come  un  cadaveri  re  nelle  onde. 

I    ittesero  invano  sulla  superficie  del  man-.  Così  finì 
Nicola  il  /■ 


I   MiiMIII  IH   MABE. 


I   \\   PIOVRA. 


giudicare  da  indimi  tentacoli  trovati  netto 
stomaco  ih  certi  pesci  incinti  n  grandi  pro- 
fondità  devono  esistere  inaura  degli  esem- 
plari terribili  ih  Questa  piovra  gigantesca. 


Certo  la   leggenda  ha  i  la  storia  del  me- 

ravigl  p  oratore;  ma  certamente  essi,  poi 

ilere  ali  uni    dei  mostri   <li   cui  è   parola. 

Ogj^i  noi  possiamo  discendere  più  sicuramente  a 
una  certa   profondità,  grazie  allo  scafandro   C 
ste  in  un  enorme  elmo  di  bruivo  con  forti  cristalli 


\     JOOO    METRI    DI     1  IMI 


1  'i    SQ1    VI  0 


o  formicolano  ih  i  Ita   i>a  poco  tempo  col  un  ::n  •  /<  spi  ci  ili  esplorazioni 
(irritali  a  co  tegreti  dei  deserti  oci  micie  a  conquistare  ai cuni  esemplari 

fauna    mOStrUOiU  Che  popola   i   bassifondi   dei    man 


DALLE    RIVISTE 


I  I  17 


davanti  e  ai  fianchi,  nel  qua]  elmo  si  introduce  la 
testa  del  palombaro.  L'elmo  è  poi  unito  ermetica- 
mente a  un  vestimento  di  caucciù,  dal  quale  esco- 
no soltanto  le  mani  fortemente  strette  ai  polsi.  Mal- 
grado il  peso  dell'apparecchio,  l'esploratore  non 
potrebbe  scendere  che  pochi  metri  nell'acqua,  se  non 
calzasse  speciali  scarpe  pesantissime  di  piombo. 
Per  discendere  ancora,  poi,  egli  deve  attaccare  al- 
l'elmo, mediante  c.'tcìn-  solidissime,  delle  masse  as- 
sai pesanti  e  tali  che  sulla  terra,  sotto  la  semplice 
pressione  dell'atmosfera,   egli  non  potrebbe  muove 


le  il  sole  vi  appare  ci  me  un  pallido  globo  verdastro. 
Il  ritorno  alla  superficie  è  semplicissimo.  Voi  ne 
date  il  segnale  con  un  filo  speciale.  ••  se  il  pericolo 
è  urgente,  non   avete  eh  li    cilene  che 

vi  legano  ai  pes  ,  e  voi  rso  l'alto  colla  stes- 

sa velocità  di  un.\  palla  di  cannone 


Ma  se  a  quindici  0  a  vi  ri   la  permanenza 

in  mare  è  ancora    possibile    ali  uomo,   alla    profon- 


PAESAGGIO   SOTTOMARINI) 


/  palombari  vmpo       ì  onlro  le  pressioni  spaventose  dell'acqua  non  possono  spin 

gei  si  pensa  che  a  questa  proto  terrìbili   tempeste 

ertile   si   indovina  quale  grandiosità  dì     li  1  •        di     1  litudine 
ultimi    1  •-  rìne  a  5fl  ifl  metri  dalla  s tipi  1  n  l 


re  un   passa    Ma  nell'acqua,   gravato  di  tali   pesi, 
egli  cammina  speditami  pat- 

tini.   I  ine  tubi  di  gì  'ne  ti  mi  1  di  1 

rare,  uno  a,  l'altro  asportan- 

do i  pn dotti  guasti  dell     respira 

Il  palombaro  rj  La    prima  impressione  è 

penosa.  Voi  s  li,  in  fi  indi  1  alle  ai  [uè.   Al 

torno  è  un  silenzio  di  morte.   Non  udite  che  il  leg 
gero  fruscio  d  .Se  essa 

si  arresta  un  solo  is:  inte,   se  il  tubo  di  gomma  5 
pia.  è  la  morte. 

La  calma  è  impressionante.    A    una  ventina    di 

metri   di    profond forti    tempeste   non    si 

fanno  neppure  sentire.  S  1  ad  ur- 

tare contro  i  cristalli  dell'elmo  davanti  ai  vostri  oc- 
chi. Una  semi-oscurità  vi  a\ -,  jua- 


dità  di  una  cii  di  metri  1    .   nta  intollera- 

bile.   Sotl  "i  iressii  me  lo  stordi- 

mento, il  sudore  e  il  terrore  della  morte.  Solo  al- 
cuni indi\  1  possono 
arrischiarsi  lino  a  cinquanta  metri.  Ma  che  e,  .sa  è 
tutto  questi  ■  >nto  della  pn  ifi  indità  spaven- 
ti isa  dell'i  (ceai 

11  mar  Baltico     -  il  meno  profondo  di  tutti  — 
ha  già  500  m  :,i  1  ;  nel  Mediterraneo 

e  nell'Atlantico  si  trovano  t-'oo.  4800  metri  ;  e  nel 
Pacifico  si  arriva   sino  a   8500.  se  vi  si 

lasciasse   piombare  il    Monte  Bianco,  questo  si 
parirebbe  in   un   gorgo   formidabile.    Ma   che  cosa 
esiste   in   ques  una    notte  eterna? 

Quali  esseri  possono  vivere  a  -ione  cosi  spa- 

ventosa? E  qual  flora  può  sviluppane 


1 1 18 


LA    LETTI' KA 


Pei   ■  ii>  pc   squ 

t<   spedizii  mi  si  ienl  ifii  he 
imiii  Cornili    aromi  gli  sve 

ol  /  • 
infine  il  prin- 
■  vachi  Pi  Ilici 

i  inuò  la  brillante  campa  e 

1  sa rono  tutte  le  speranze.  Quel- 


■  \\    PIANTI    SOTTOMARINA 

Le  /"•!/'/.   del  mare   sono  In   realtà   deali   animali 
dal  o,  le  l ut  membra  <ii  lo- 

busli  formano  delle  foreste  sottoma- 
rine ammirabili 


le  regioni   inaccessibili,  diesi  immaginavano  come 
serti  senza  luce,  formicolavano  invece 

•  li  vi:  i.   Una  pi  ere  un  gii  n  m  i 

jo.ooo  animali.  Miliare!  di  esseri 

popi  S  n  II  e  che  questi  esseri. 

che  vivono  eternamente  nelle  tenebre,  debbano  essere 

che  i  lerci  («-chi  si  siano  atrofizzati.  Nulla 

■  li  tutt"         i  Ile  !  interne  per  rischia- 

i  la  via. 

1 . //    osaurus  MacTochir,    pescato   a    1400   metri 

•  li  1  più  illuminato  di  un  candelabro. 

.111.1  delle  quali 
ria    1  impai  '     che  l  trilla  diei  n  1  una   membrana  : 

una  tro!  Ah all'  a- 

nim  iquilla  i  he  illumina 

ra  la  mar. 
i  hanno  '  menie  luminosa 

lureola  misteriosa. 
I  s;Ii  strani  abitatori    degli 

'    Ile   'li   mare,   polipi. 
multicolori  :   ve  ne  seno  .ii  rosse,  di  gialle,  •  1  i  ver- 
di, 'li  azzurri 

Del    resto    in  di  tenebre,   ogni  ani- 

mal'  .  1    .    ilumina,' 

Talvolta  la  li  messa  da  tutta   la 

del  corpo  ;   tal'altra  dagli  occhi   stessi  ; 


spesso  da  alcuni  .  ppi  ndici  speciali  disposte  a  :_ui- 
si  'li  antenne.  Alcuni  pesci  portano  realmente  un 
paio  '1'  antenne  per  rischiarare  li  acque  davanti 
ime  le  nosl  re  vetture,  Si  mi  1  così  le  lan- 
letiu  ami  ulani  1  dell'abisso. 

Vggiungiamo  poi  chi   se  gli  esseri  dell'abisso  ci 
noscono  la  luce,  non  sono  neppure  privi  dei  coli  ri. 
Alcuni  di  essi  hanno  delle  livree  magnifii  he.  Alcuni 

perfino  di  un   bel  russo  scarlatto  e   venj 
chiam         1      menti   i  cardin  ili  del  m 


A   |ooo  metri  esiste  un  pesi  e  strano  e  ingegnoso. 
Ma  pin  che  \\\\  corpo  completo,  esso  non  e  che  una 
immensa  spalancata  verso  L'abisso.  Vicino  al 
naso  ha  un  apj  endice  lunga  e  flessibile 

li  canna  da  pesca        dalla  cui  estremità  pende 

I  amo.   Appena  un  pesce  0  un  mollusco  s'avvicina 
alla  punta  fatale,  attratto  dall'esca,  il  traditore 
lanca  le  l ama  e  tutti  1  e  finito. 

Presso  alcune  specie  di  animali  gli  occhi  non 
esìstono,    ma    in    re  sono    allora    fomiti    (li 

tentacoli  lunghi  ed  assai  sensibili.  UEustonitas  Oh- 

nitriti,    pescato   a   3000  metri,   ha   un   organo   ■  il t ile 

1    e  ilmente  sul  dorso  1  orni     I 
trolley  d'una  vettura  elettrica.    Il   Bathypttrois   loti- 
ci   possiede  dinanzi  due  tentacoli    lunghissimi, 
l'ali  ;  asta  il...  terreni  1  pi  ima  di  a\  anzare,  1 
un  cieco  col   suo  bastone. 

Questi  esseri  bizzarri  subiscono  nella  profondità 
pressioni  spaventose,  e  quando  sono  ricondotti  alla 
superficie,  le   loro  viscere  sono  proiettate  Ioni 

II  loro  regno  la  profondità,  là  essi  vivono;  ma  a 
una  condizione  :  di  divorarsi  a  vicenda.  Perchè  lag- 
giù non  esistono  quegli  esseri  minuscoli  ,  he  alla 
superficie  delle  acque  formano  il  pasto  delle  no- 
stre magnifiche  trote.  La  lotta  per  la  vita  trova  in 
londo  ai  mari  la  sua  più  ti  ,  plii  izione.  (• 
uccidere  0  essere  ucciso:  0  mangiare  0  ess 

giato.  E  deve  essere  uno  spettacolo  terribile  la  cac- 
cia spietata  e  la  strage  di  quelle  povere  visceri    di- 


I    IMI 


DALLE    RIVISTE 


1  I 


vorate  nel  silenzio  degli  abissi,  al  luccichio  sin 
delle  lanterne  che  rischiarano  l'orgia  della  mi  i 


Come  per  gli  animali  che  vi   vivono,  così   anche 
per  i  vegetali  il  mondo  sottomarino  è  un  mondo  n 
vesciato.   Anche  l'Oceano  ha  le   sue  piante,    i   sui 
.  le  sue  foreste  vergini,  ma  ben  diverse    la  quei 


di  spugne,  posle  le  une  al  ili  sopra  delle  altri 
modi  tituire  dei  veri  banchi  e  delle  vere  mon- 

mtro  cui  urtano  gli   scandagli.   A  stenti 
può  immaginai      I   imi  ensità   'li   tale    vegetazione, 
indagli,  per  un  i    u    di  centinaia 

■  li  chilometri,  sempn     la  continuazione  'li 

una  si  issa  foresta,  che  segue      s;,  distende  pei  tutti 
mi  ratti  del  mare,  pi  i  da   miliardi   di  es- 

ignorati. 


UN  PESCE  1  i        OLFO  DI    I    U.IFOBNIA, 


(  erti  pesi  l   che         <no  nelle  profonà  letti    foi  me  ■ 

ono  !<••  nitt  di  un  vi  i  ome  qui  Ilo  ■/<  in    ■    i  -       ilio. 


le  che   noi    possi. mio  immaginare.  Gli    ali 
non  hanno  radici,  ma  un  semplice  piede  eh     le  at- 
tacca al  suolo:  non  è  infatti  il  sui  lo  che  li    n 
ma  l'acqua.  Abbiamo    '  tti    gli    ilb  ri    Ma  ]     p  rola 
non  è  esatta.  Le  piante  marine,  spe  ialmi  ■ 
delle  più  grandi  profondità,  sono  degli  ammassi  ili 
animali,   e  CO!  una  specie  di  ani  Ilo   fra   i 

due  regni:  sono  infatti  piante  per  la   torma  e  ani- 
mali per  il  modo  di  vita. 

La   pania   «  foresta  1,  però,  non  è   affatto  esage- 
rata per  designare  le  vegetazioni  sterminate  e  m 
viglio.se  del   tonilo  del  mare.  Negli   abissi   si  sten- 
dono in  una  notte  perpetua,  a  stento  rotta  dal  pau- 
roso comparire  dei  pesci-lanterne,  campi   sterminati 


i   a  un  livello  alquanto  sup 
viamo  l'anemone  di  mare,  un  beli  mali    i 

ha  tutte  le  apparenze  del  bel   fiore  che  rallegra    i 
nostri  boschi  al  E'  for. 

ii    rpi    I     '     ii    viso •- n  petali   p 

che   possono     ssumere   colorazioni   infinite  e   ripro- 
durre unta    la  tavolozz     della    n  tui       Ma  questi 
animale  non   può  corri  : 

sta  pas>i  vicina,  attratta  dall'ostili 
liei  petali  deli  ecco  che  una   forza 

ignota  l'attrae  nel  i  divo- 

rutta    1      i nimaletto  servi    pu 

re  d  i     o  e  i   rifiuti  della  digestione  ti  imam 

per  la  stessa  via  all'esterni  . 


i  [20 


LA    LETTURA 


i  \  mii  mi. ii  utissi  dei    mari     Decorazione  della  Sorbona). 

Sui  h,  le  meduse,  che  vivono  quasi  alla  superfl  eie   tra  le  foreste  di  coralli  e  di  spugne,  quii  ir 
danza   di  <<>   abissi  osi  u  ri  dt  I  ma  e 


di  mare  forma  il  passaggio  fra  il 
male  e  il  i  corallo  costituisce  ra- 

si" i ra  il  regno  animale  e  il  re- 
i      i       credevano  che  il  corallo 
no  figlia  del  mare. 
lux.'  un  arbusti >  porpi irino  che  i 

inii.'i  dei   numi  mi   dei   piccolissimi   fiori 

ti  di  un  candore  in  to.    In  vei 

he  una  colonia  'li  animaletti.  I 
rellini  sono  gli  inquilini  dell  i 


Grimaldi]  é  una  '  ariosa  i  ariete  del 
•  i'i-  nostre  costi    I  ;     i  iinri 
lana  di  w 


pri  ducono  dei  piccoli  altri  esseri  ehe  alla  loro  volta, 
sviluppandosi,  daranno  luogo  ad  altri  rioni, 

terminata  la  loro  umile  esistenza,  j^li  strani  ani- 
mali si  fossilizzano,  e  >  piccoli  fiori  bianchi  e  ina- 
nimati dui  ibissi  per  secoli  interi, 
monumento  e  rio  »rdo  'li  miliardi  'li  \  ite  che  ora  non 
si  ino  p 

il  fondo  del  maree  il  regno  dove  le  forme  primi- 
ione  si  som  -  consei  per  mi- 
forme  'li  stelle  ili  mare,  che  si  cri 
io  scomparse  ''a  secoli,  sono  poi  state  ritro- 
vate viventi  e  immutati-  nel  profondo  delli 
de.  11  30  novembre  tShi  l'equip  M'av- 
viso 1  vapore  Alecton  vide  sulle  acque  fra  Ma 

le  Ca     1        ualche  cosa  che  ri 
fra  le  "'"1  •    "Hi'-  un  rottame  'li  un  naufragio 
M      issi  lente 

qualche  .mimale.  TI  corpo  aveva  cinque  0  sei 
1  i  di  lunj  I  otto  1  iraccia   formidabili, 

occhi  a  fior  >li  testa  spuntavano 
dalle  ond      I         irpioni   non  avevano  presa  in 

01 lo   immenso,   orribile.     1 

dop    sforzi  inauditi,  l'equipaggio  riuscì   1  pas- 

solili  al  corpo  dell'animale  una  gomena  e 

ni!  '   mostro.    Pesava   certamente   non 

odi  2000 chilogrammi,  ma  ad  un  tratti 
norme  bestia,  dibattendosi,  si  ruppe  in  di 
le  due  parti.  inguinose,  scompar- 

vero fra 

(Dalle  Lectures  pour  tous). 

Pescatori  di  tesori. 

11  mestiere  del  paloni!  tato  esercitato 

dall'  tlba  dei  tempi  storici  ;   ma  solo  dopo 

l'invi  degli   scafandri   esso  potè   acqui- 

vera  importanza. 

Con  gli  scafandi  detto  nell'articolo 

e,  si  può  scendere  parecchio  sotto  il 


:  ALLE    RIVISTE 


112  1 


livello  delle  acque;   ma  il  limite  ordinario  è  'li  50 
ì  res    da   qui  -     appai     eh     ielii 
-1  rie  marittime  sono  immensi.   Più  interessanti    e 

eramenti   drammatica  è  stata  li tesori  in. 

;     1  'tiri   dal  mari  , 

Xel    1SS5    il    pin  scafi  i  AVA 

andando   da   Cadice  all'Avana,  colò  .1    fondo,    per 

un'esplosione  delle    macchine,  in  vista   delle  Càna- 

<  litro  un  carili:  ragguardevi  le,  essi    pi  rtava  una 

somma  'li  dm  milioni  e  mezzo  in  altrettante  mi  n 

1  !  ■   scèndosi   il    punti    esatti    del   naul  ; 

e  misurata  con  li    scandaglio  che  il  t'  ndo  del  mare 
superava  lì  i  50  metri,  fu  chiamato  il  cel 
ombari    Alessandri    Lambert,  il  quale,  lavorando 
-'  ti  acqua,  riuscì  ad  <  ntrare  nel  piroscafi    sornn 

ina   di  I    tesi  n  >,   'li   di  ve   trasse    fui  ri 

sette  cofani  contenenti   un  milione  e  settecento  in 

quanta  mila    franchi.  Centodieci  mila   toccarono  a 

lui  come  premio,  e  non   furono  molti,  se  si  pensa 

difficoltà  ed  ai   rischi  del  lavori  :    la   pressioni 

tanti     forte,  che   il    Lambert,   ad   ogni   discesa, 

poteva  lavi  rare  più  .li  qualche  minuto,  e  quan- 

iatt<  IL    naufragato  dieci  altri 

ani    ili    numerario,    l'ardito   palombari     rinunziò 

alla  partita,  tanto  era  malagevi  le  cercarli,   l'uà   5 

da  spedizione  fu  allora  tentata,  ma  il  palombaro 
ngli  si    r>  ster,  sosl  ituifc    al  fi  incese,  1   si  es<    in  fi  n 

al   mare  per  20  minuti,   appena    tirati    a   { 
spirò.    Nonostante    l'esiti     funesto,    si   tentò   aurora 
lina  terza  esplorazii  ne  o  n  due  palombari  I 
ma  bue   ili   essi,   di  pi     una  ricerca   infruttuosa,    fu 
tratti    all'aria  libera  mezzo  mòrte,  ci   impazzi:    l'al- 
tro, più  resistente,  continuò  i  tentativi  durante  al 
cimi  mesi,  ma  dovette  finalmente  rinunziare  ad     gni 
speranza  'li  riuscita. 

Presentemente  une  ilei  più  celebri  palombari  è  1" 
jnuolo  Angelo  Erostarbe,  illustratosi  nell'esplo 
razione  dello  Skìro.  nave  perdutasi  nel  1891  al  capo 
Finistère,  a  una  profondità  'li  60  metri.  Sci  anni 
ilopo  il  naufi  igii  dei  mainatasi  la  pi  sizi  tu  pn 
lisa  del  rottame,  fu  chiamate  Erostarbe  per  ripe- 
scare le  verghe  d'argento  che  lo  Skyro  trasporl 
In  settanta  discese,  e  in  veni  I  d'im- 

.  il  palombari,  litri  vò  Ottantuna  verga,  sul- 
le et,.,  :       ,         ,!:„     ,1    1  ,   fili  . 

Un'alti  lebre  è  quella  dell' Hamilla  Mit- 

riteli, naufrag  to  presso  Scianghai  nel  1869.  con  un 
milione  e  duecentocinquanta  mila  franchi  di  moni 
ta  aurea.  Reputandosi  difficilissime  I<    ricerche,  nes- 
suna  Compagnia  av-v  1  voluto  incaricarsi  di  recupe- 
rare il  tesori    che  i  proprietari  ci  ani    come 

bai    ili 

Liverpool   vollen    tentare    la    fortuna.    Andarorn 

■  ttarono  la  barca  d'un  pilota  e  si  un 

, .1  1,1.    I  e  vari  ih    |i    scafo  d&WHamilla  spai 

in  'lue.  la  qua!  cosa   facilitò  la   I01  :l 

arrivati    alla   cabina  del   tesoro,    rinvenni  e     tutl 

rdini  ;  ri  1  it  I  le  1  assette  c<  mi  ni  nti  il   nu- 

mera: hi    l'    i", 

■'Itti  ini  1  mi  1.     I                           i"  n    eb- 

lltri     imbaia/  '  ■  glii  il'.'     h  Cupe- 

raroiT    un  milii  ne.  S  1       rsi  alla  ci  sta. 

quandi    vidén    sopì  utica  di  pirati 

La    T.O fura. 


ederi    lori    la  1  .irn.\.  1  d  ai  quali  si  u§ 
gin  ni    p  1    miraci  lo. 

N   I  "mi     [869  naufragò  press    Suez  il 

pii         '     «     matte,  in  acqui    p    1    profonde:   fu  im- 
presa molti    facili    ripescari     l  milioni    del  quali    1  ra 
arici.    1    palombari  australiani,  nel    1806.   ritrova" 
rio  i  cent<    mila   franchi  che  trasportava  una   navi 
cinese  perdutasi  presso  le  coste  della  Nuova  1, 
del   Sud.   Ed  altri  ed  altri  mi  Iti  casi  si   pi 

1  'naie. 

Grazi    ai  li  n    apparecchi,  i  pai  mbai  i  ha p 

luto  esplorare  anche  i  punti  di  antichi   naufragi   fa- 
mosi  e   frugare   in   mezzo   ai  un. uni:    il   caso    più 
■  m  sciute  ,    qui  111    dell    l 'tnada  spedna   da    Filip- 
11    dopi    giganti  -,  hi  sforzi,  0  ntn    gli   Inglesi,  e 
disp  dalla  ti  mpi  sta.  N   l  issin  ■  1    quel- 

li   011  galloni  chi    portavani   alla  Spagna   il  tribul 

delle   Sue   colonie   americane  e  che    furono   affondati 
dalla  flotta  inglese  durante  la   guerra   pei    l'indipen- 
3  ai  Uniti. 

Un    vascello   >\,\    guerra     francese   perdutesi    nel 
1798.  a  nord  di   Amsterdam,  era  carice  di  tri 
1  inque  milioni  di  numerarii      I  a   p  -    ii  ni    del   rot- 
tame e  m  ta,  disgra  iatamenti    sso     coperti    da  uno 
strato  di   sabbia   1    di   fango  che   rende   le   ricerche 
molto  difficili.  Ma  durame  il  secoli    so  re    non  si  no 
mancati    i    tentativi.    Una    prima    esplorazione    nel 
1800  e  nel    1801    lece   ritrovare  circa    un   milione   , 
quattrocento  mila   franchi.    Nel  1856  i  lavori  pn 
yuiti  per  quattro  anni   diedero  ancora   più  di  un  mi- 
\el     iSSò.   essendosi     la    navi      m     1,1    più    af 
lata,   si   recuperarono  solamente  diciassette  mila 
franchi.   Nonostante,  una   nuova  Compagnia  ha  ri- 
pn  si    ultimamente  le  ricerche. 

Ma   i   palombari   non   rip  scano   solamente  d   nu- 

S  dvano  anche  il  carico  delle  navi  si  nimer- 

se.   Così,  per  esempio,   trasseri    a  galla  per  me 
milieu,  dei  tessuti,  delle  botti  di  vini    1   dell    verghe 
di  j'H  mi"   che  crani    stivati  nel  Cadix,  perdutosi  nel 
1875  tra  Ouessant  e  Molène,  sul!,.-  coste  della  Breta 
gna.  Ali  ri  ha  un- ,  fatto  delli    scoperti    artistiche,  ci 
me  quelli  che  al  largo  dell'isola  di  ("erigo  recupe- 
rarorn    un  ceri,    numeri    di  statue  della  ]iiù  1    M    p 
.  e  ca,   perdutesi    in   un    n  mi  ragii    1  h  1      uà  le   le 
ni    nulla. 
L'opera   di   quesl  i    lavi  rati  1 ;   del    man    I    ani  1  ra 
prezii    '    in. ni, 1,    si  tratta  di  rime  ,11,,  tutta 

la  nave  o  di  praticare  delle  min  li  ne,  La 

v  isita  dell'   na  ,  :  51  mmi  ra   i    pan  io  la  1  mi  nti    perio 
primi  giorni  dopi    il  nani  1  agii       >]       o  li 

ii   ni  >n  1  spi,  doni  ma    |ualch  

pò.   fi   il  mestiere  di  palombari    I    talmenti    perio 

loso.      hi     i    più    ri  busti    non    ■  1        più   l 'una 

na  d'anni.  Oltrepassata  la  profondità  di  20 
metri,  ni  n  I  rari  hi  -1  cominci  a  perdere  sangue 
dal   e  orecchie.  Ci  nsurizioni   e  mali    di 

cuori  M     le  1 1  no.  guena  .    In  compenso,   la  ri 

-min'  i  ma,  1    lame  ,  ita,  per- 

chè il  paloml  in    d  vi    conoscere  molti  mestieri,  tra 
gli  altri  qui  Ili  del  ri  o  e  del  cai 

l 'alle  Lei  lures  moderni 


I    mestieri     pericolosi 


■  non  c'è  i  uman 

|uale  non   si  vada   incontri    .1  riM-hi.  tal- 
i  requenti.  I  m  n  pio,  pi  s 

gni  sorta  'li  ui.iI.uin-  al  capezzale 
m  li  ina 
del  naufragio.  Ma  l'industi 
he  ha  fatto  troppi  ivon 

un  »  pò  'li  battaglia,  dove  ni  ri  si  può  - 

valide  difese. 

Ile  quali    si    pn  para    I 
le  più  terribili:  non<  stanti  tutte  le  precau- 
-    spand  ■  nell'atmosfera, 
■ne  tallii'  n  siva,  chi  a  parecchi 

vegetazii  ne  è  1  lisi  rutta    Su 
gli  uomini  ''he  lo  respirano,  si  pr   luce  un'intossica- 
1  malattie  alli  >l iti  cri pni- 

ecc.,  e  |kt  conseguenza  della  scomparsa 
dell'appel        gì    attossicati  som   spinti  a  bere,  com- 
■  11  l'alcool  la  rovina  organica  iniziata  dal 

ghi  pericoli  presenta  l'industria  del  cloruri 
l    izioro  corrosiva  e  irritanti'  di  questa  si 
gli  operai   che   la    maneggiano  a 
portare  degli   apparecchi  speciali:    alla  bocca,   una 

rmata  con  mi  Iti 
flanella,    ]kt   impedire   l'aspirazione   del    gas  asfis 
sianb  <-'-hi.   grossi    occhiali.    Nonostante 

he  1  ra  ali 
manipolazioni. 
Per  evitare  l'inoculazione  dei  gas   letali,  si    - 
laginati    diversi    sistemi.    Il    respiratorio   De    la 
Un.-  ha   1  'li  risultati;   con  essi     la   vista  è 

1  anti 
ne  'li  due  anelli  ili  gomma  ; 
un   tubo  'li   gomma,    la   cui   esti  rriva   alla 

xaio,  mette  quest'ultimo  in  comun 
esti  ma.   I-    1  [ualche  1 1  imile 

all'a]  ito  dai  pompieri  quando  han- 

no da  penetrare  in  luoghi  chiusi  pieni  ili   fi 

La  cine  dell'anilina  è.   fra   le  industrie 

chimiche,  una  delle  più  insidi  si     l  ssa   determina 
mala!  ali  designa 

li  [lamento  rapili"  chi 
e.    11   man  li  ri  d'ani] 

1   'li   malattie  della   pelle,  1  he  ni  m   si   e\ 
nettezza,  levandi    dalla  persi 
■•ria  coloranti     I  >  sgraziatame 
som.  ]iiii  efficaci  le  soluzioni  di    ■ 
■  loruro  ili  calcio,  le  quali  pi  ;  riesi 
]a-t  loiD  propi 

'li    rammentare 
prodi  -ili  'li   pi  «nb 

P  1   e\  itarli .  gli 

rrere  :i   bevani 

1  ■    biac- 

■ 

]>er- 


M  - 

In    alruni  processi    >li    smaltamento   si    adoperano, 
nltre    al    pii  «nb  .    I  ani  imi  nii  .    l'arsenici  >,    s.  isi 
tanti     1  iricolose  che  i   regolam  nti   impongono  una 
perii  risita  medica  ti  cri 

giano 

l  vros     Fosforica    minaccia  ci  iloti 

ci  I  fi  -!•  1  .  ni  Ile  fabbriche  'li  fiammiferi.  Ri- 
!  recauzioni  sono  state  \\    im 

die  quali  i  casi  di  ai  velenami 
ci  nsiderevi  >lrm  1  nati. 

In  un  altro  ordine  di  l.i \ •  >rì.  la  mi  conti- 

nuamenti  1   fabbricanti  ili  esplosivi 

si'nl  ino  '  ;  :         dumi 

altre  tracce  'li  me 
scarpe.   L'abitudine  del   pericolo  li   rende 
pur   troppo    impevidenti;    non    si    sono   fi 
dei   minai  n  le  cartucce  ili  dinam 

(ili  operai  chi    ,  ino  il  cotone  fulminante  di- 

l'i  perazii  ne  da  lungi,  nascosti  dietn    un  ri- 
pan    I   rmati     I       rd     ntreo  ate,  il  quale,  in 

spi  sii  mi .  ■  sendi  1  elastico  1    Hi  ssibili 
molto  meglio  che  ni  n   una    parete   rigiila. 

Altri   mestieri    perii  sono  quelli   ilei   coni 

laio.   L'introduzione  dei   frammenl 
hi,  pei  via  ili-Ilaria  respirata,  produce 
un'irritazione  che  può  assum  vi.  Ma  il 

peri.  |uello  di  contrarre  il  carbonchio, 

l>eri'li  \  nditori  senza  scrupoli  mescolano  alle 
pelli  sane  [uelle  ili  animali  morti  ili  carbonchio. 
La  di  sin!  <  ia,  ma   punì 

rovina  il  materiale.  -  ivece  e  si  ilei. 

nfettare  le  mani  e  le  vesti  tutti  ci 

Nello  spulire  le  pieti  i<-talli  si  corrono  al- 

tri risi-hi:   le  |  uli  prodotte  durante  qi 

i\ oro  penetrani    nelli    \  ii    respirati >rie  -    1        mina- 
m    1  Si  suole  ricorrere  a 

1.  che  in  qualche  caso  riescono  però  insù! 
ai. uni. .  si  spulisce  '  1  si  incide  con  la 
sai. I. ri.  Alli  ra  si  adottano  altre  precau 

"i  I;  simili  a  quelli  adi 

rati  negl         I  bili,  1  ppure  il  lavi  n 

pie  nell'interno  di  un  cilindro  d'acciaio,  nel  qua- 
le i1  lavi  11  mani  da  due  app 
buchi,  guardai                        mediante  un  finestrini 
Altre  precauzioni  severe  si  devono  prendere  nelle 

sotto  le  gì 
pressi. .ni  dei  gas,  vetri  scoppiano  facilmenl 
hanni  (111  ..|K-rai   si   riparami 

ni  \\\ì.\  maschera  'li  til  'li  ferro,  simil 
'  1  he  si  usa  nelle  -  ■  le  ili  scherma,  e  pi  ri 

rossi  e  lunghi  guanti, 
i  ano  di  gomma  elastica. 

risulta  il  1 
•    1 .  1 


S  vi  1 1  a     montcìi'-iici 


La  montagna  è  ili  moda  attualmente  nelle 
viste    straniere.    Parecchi    periodici    pubblicano 
contemporaneamente   articoli    interessanti   su  a- 
scensioni    alpine,   sulla   fotografia   della   monta 
gna.  ecc.  Un  magatine  inglese,  il  Pearson's  Ma- 
>< .  ha  vm  articolo  su  : 

La  fotografia  della  montagna. 

Atitnie  è  il   sign.  r  Gei  rge  D.    Abraham,   un 
appai  '(elle  ascensioni  alpine  e  della 

.ni  a. 

«Un  leniiio.  egli  ilice,  la  fotografìa  della 
montagna  come  sì  fa  oggi,  sarebb  stata  impi  - 
sibile.  Il  trasporto  delle  macchini  e  grafiche 
e  degli  accessori  era  difficile  ed  anche  pericolos 
Ora,  invi  e-,  tutti  il  necessario  pei  fare  ottime 
può  stare  comodamente  in  due  zaini 
che  a  lori  vi  Ita  possono  esseri-  pi  ioni  a  spalla 
dovunque  da  due  buoni  alpinisti.  Non  nego  per 
altro  che  talora  arrampicarsi  su  certi  picchi  a 
punta  d  agi  a  n  uni  zaino  ben  pieno  sulla  schie- 
na possa  ■  SSI  re  una  faccenda  alpi. ino    pericoli  Sa. 

»  li  stesso  ho  passalo  un  bratto  quarti  d'ora 
facendo  un'ascensione  salii  Aiguilles  des  Char- 
me/. Era  stata  esposta  una  lastra,  e  la  nostra 
\  che  aveva  già  raggiunti  in  pr<  idenza  la 
.1  di  affrettarci,  perchi  la  fot  gra 
fia  ci  faceva  perdere  tempo.  I  mstri  zain  avreb 
bero  .i  •  sser  tirati  su  separatati  onte  con  le 
corde,  ma  siccome  la  guida  continuava  a  mo- 
strarsi impaziente,  cominciai  senz'altro  la  diffi- 
cile as  sa  col  mio  bagaglio  sulle  spalle.  Bisi 
gnava  salire  jx?r  una  fessura  angusta  ed  aspira. 
In  principio,  tutto  andò  beni  ne,  ma  ad  un  -  rto 
punto,  zaino  ed  alpinista  rimasero  stretti  nella 
fessura.    La   posizione  era  tutt'altro   che   piace- 

-  forzi  che  facevo  per  libi 
mi  non  servivano  che  a  peggiorare  la  mia  condì 
zione.  La  guida  che  stava  in  alto  i    non  pi 
uni.  immaginando  che  vi  fosse  quale! 
conveniente,   diede   un<     strappo   alla   corda:    e 
quella  fu  la  mia  salvezza.   Mi  trovai   penzi 
sull'ai. isso,  tenuto  soltanto  da  una  lune  da 
nista  :   ma   stavo  meglio  cosi   eh  rati 

fessura.  Mi  liberai  del  sacco.  I  •!  un'altra 

corda  cai. ita  dall'alto,  ed  esso  salì  certo  molto 
più  Facilmente   di  noi.  Comunque,  - 
giungere  sulla  cima  senza  altri  incidenti. 


«  Salire  una  u  pej  un  Ipini- 

sta.  può  essei  aplioe,  m 

non  è  altrettanti    semplice.  Il  pericolo  e  la  t 
■  iuti. 

«Un  gii  n  :embre  iSqS.  a  Zermatl 


i  / 


■ 


!   \    LETTURA 


•  grafica   I 
,,,|  ,  i  'ii.nn.it.!   • 

.uni. 

,  .    |uali  uno  daJ    vii 
■  In, i.i    f<  tografica 
la  spalla,  e  quai 
,i   in- 
nii 
.tori. 
\     .,  uni    fatti    la   salita  si  nza  guide,  i  d  ave 
quasi  tutta  la  notti    precedenti    i    la 
parte  della  gii  mata  arrampicando  i  i    t 
I  luranti    I  i    liscesa,  avi  vamo  ancora  una 
intato  la  ni  stra  macchina  pei 
non    'li  quel 
sulle  munì. lj  1-    I    Faci  ia.  Rici  rdo 
i  he  i   p  n. ii. .ri.  duri 

nte   addormentati.    \l  ii 
.  v  :demmi  ,  guar 
I    rtatori  i  he  donnivani  .  i  r.i  li    s] 
i  hi    avevamo  atti  rni     V  poo     i  |  ntim- 

.   si  anche  noi  dal  torp  re  .   li    ultime  luci  del 
speri  natt,  giù  nella  vallata, 

si  ro  i  lumi,  ma  noi  finimmi    roll'addormi  n 
i.-     tami  nte. 
„  il  |  la  si  ra  alfine  ri  desiò,  e.  una  vi  Ita 

5fli,  comprendemmo  unta  la  stranezza  della  no- 
;  izii  ne.   S'on  ri  rimaneva  altri    da  fare  che 
mire  all'ai  '  '-"•'■  '    scendere  al  lu- 

delle  lanterne.  Scegliemmo  l'ultimi  partito,  tanti, 
più  che  alla  capanna  avevamo  lasciato  amia  nervi  si 
anzi  che  no,  i  quali  avrebbero  certo  sospettato 
qua]  ni  n  vedi  ndi  ci  ti  mare. 

tuna     I    emp      ra  buono,  e  le  nostri   due 
ano  una  buona  luci  .   ma  i  nostri  mo- 
vimenti erano  lentissimi,  così   lenti   che  ri   vollero 
il un-  ore  prima  che  giungessimo  fuori    dei   punti 
.     .    |  :  piarci  nella  capanna,  ove 

nini    le  delizie  'li  una  m  i  il<la. 


prima  m  hi    tentammi    o  Ila   mac- 

.  afica  fu   il   Rothorn.   Qui  avevamo  un 
re  solo.  (  ni    .li  una   forza 

nente   prodigiosa: 

i.   Rio  r.lo  l'un 
.,    !..   sua   fai  eia   gii  «  iale  e  li    sue  si  rai  a_ 
d   ngl 
non  voleva  a  nessun  patti  legare 

in  .!  lava  poco 

uni.  Ma  la  ci  sa  andò  a 
male  per  lui.   Ci  ti  in  un  luogo  "liffi- 

l  ghiaccii      ra  poco  praticabile,  e,  al  <li 
apriva  un   crepaccio  ampi,    e  mii 
Il   i  dunque,   a   pn 

Stilli    spalle.  Ail  un 
ii   indicil  i 

I  Per  bui  n.i    VI  nlnra.   lini   eoi- 

i  irsi    in   una    fessura    •  dvò  quasi 

I  'l'eia     f.  ■ 


ina.  a  la  sua  pii  1 1  zza,  si  alzan  m    in  foi 

al  ci 

«Noi   non  i  apivami    il   /•<//"/>  mezzi 
mezzo  tedesci   chi    parlava  quell'uomo;  ma  cibaste 

fa- 
ceva del  ]  perduti, 
hi    le  pan  li    i  he  i  gli  dici  va  m  >n  erano 
precisamente  benedizii  ni. 
■  i  a  puma  ci  m  da  fan    pei  salvan 

i   passargli  una  corda,  col  cui  aiuti    egli 
trarsi    Fuon      la  i  [uella   posizii  m  .    Indi   lo  calan 
un  centinaio  'li   piedi   ne]  crepaccio,   ove  -  gli 
precipitati  e  i  he  i 

.  .ulula  a\.  I  ..in     Subiti  -  pi  CO  .lamio. 

..  I  )a   ali.  ra   in   poi,   il   brav'uomo  si    i 
proci  den  i  on  noi,  da   persona   rag 


a  Sella   regione  alpina,  dei  mij 

caccia  »,  dii  >ì,  ]  er  un  fotografi  .  si  ha  ro 

Aguilfi  s  .In   Mi  "I    Bl  ine.    1   piceli  drizzano 

le  loro  i  ri  si •  -    attraverso  la  m  ve  .teina  sino 

dtezze  che  variai*   dai  tre  ai  quattromila  metri. 
Quelle  son.  certi    fra  1    punte  più  difficili  d'Europa. 
Ter  tali  ascensioni  ci  vuole  una  macchina  foti 
ca  Forti   ma  ;.  ggii  ra  I  !hi  si  propi  nga  di  prend 
vedute  - 1  li  aitandosi  a  premere  un 

bottone  farebbe  meglio  a  lasciare  a  casa  la  macchi- 
na foti    ranca     "fon  i    tante  il  maggioi   p  so,  ci  vo- 
gliono  lastre   ,li   vetro   per  ottenere   \eilute   belli    ■ 
grandi  a  tali  altezze.  E'  anche  bene  p  rtarsi  parec- 
lenti   di    fuoco  diverso;   ma  guardatevi  dallo 
spendere  tropp    per  le  lenti,  perchè  l'obbiettivo  mi- 
gliore si  rovina  facilmente       anchi   -  rom- 
pe      ia.len.lo  entro  un  crepaccio  o  giti  per  qualche 
centinaio  .li   meni  .li   roccia'.    Fnol                    devi 
eri   semplice!  di  facile  maneggio,  perchè  alle  gran- 
di altezze  non  si  ha  voglia  ili  badar  mi  Ito  ai  minuti 
dettagli    La   stanchezza  nuoce  l'attenzione.   Un  di- 
ante, una  v.lta.  prese  non  so  quante  va 
un  sol.,  rouleau;   ma  invece  .li  cominciare  la  - 
al  punto  giusto,  sbagliò  .li  qualche  centinn 
tagliato  il  film    si  acci                        tgliato  a  metà 
le    '.  tigrati.'. 
o  Ma    ai    fi  ndi          s    capisce  l>ene  -■    le  fa 
-  i      quelle   della    fi  ti  grafia.    - 
quelle  della  salita.    Trovare  un   p'  sto  conveni 

per   la    macchina    foti  grafica,   a   volti  . 

li,,.  Tal.  ra  vidi  re  la  comitiva  in  due 

sezii  la  ■  hi   si  assume  l'incarico  'li  foti 

.apre  faticare  e  rischiare  più  del- 
l'altra. 

.,  \',-n  dimenti.  I  ilmente  la  gita 

un,  sull'Aiguille  du    Moine   Ci  eravamo  divisi  in 
ii,    comitive.  ,■  la  comitiva  ■  fotografantei  andava 

ni     \,  n    s.  11/  .    tali.  a.  .ss.,   si   anali. j      ò  SU   una 

punta  strettissima  che  si  staccava  dalla  moni' 
e  si  preparò  rtalare  sulla   I  sibile 

su  |h  r  la  i tagna  si-  -sa.  A 

tando  che  noi  giungessimo   a  macchina, 

.   la  o  mitiva  s] 
na  grossa  1      ra  i he  ci  pa 


%:. 


n 


Sull'Aiguiixe  ni     Mi  uni     Fot     ìbraham     A- 


LA    l.KTTURA 


Quan- 

i\.va 

[lacchi  na    I 

mpre 
\  rti     punto,  li 

rda, 
li  qualche  bui  «n  pui 

ii  t  xi  un  |  •>  ■ 

.  rdinarie  degli  alpinisti  ni  n  semi 

:  pi    »  itili. 
ncoi  pienan 

n  qui  Ile  cir  i  stahz  .  'li  sen- 

1 1  mi  ten 

11:  nto.    i   t.irnii  an- 

!  i         Ile,  alla  fine  potei 

i    tto,  -    mi  accinsi  al 

r>.  Il  vento,  per  alti 

un  assi  lutamente  «1  a  posto  la 

vii...  [  suoi  sforzi  ù  de- 

man  mani    chi  nza  del   vi  nti  •. 

ossil        udii  isl  ru- 

■     :i    davai ■ mpagni   a    fi  rza  -li 

Il    peg  pianili    la   guida  che  leni  > a    la 

orda     i  ibbandonò  la 

ssa.    l'i-r  qualche  minuto  mi   parve  ili   es 

soli    al  mondi  !   Senza   rii  ird<    si  calò  giù  un 

potei 
li   altri. 


un  alla  vita  e  d  ntinua 
-l' ine,  i  ra  ani  i  chi 

guidi  I  nel  passar  su 

un  crepaccio  nasi  i  e  vii  I  ri 

sparire  attraverso  il  nodo,  nella  profondità.  Chia- 

mpagno   i 

non  ebl tilt  ra,  \  isti ■  che  il  crepai 

ndissi ed  immaginando  che  il  dis 

fosse  morto,  tornarono  indietro  alla  capanna 
in  cerca  ili  aiuti     per  p  rtare  fuori  gli  ai  inzi 

li    mi  unii  alla  i  ari  vana  'li  socc  reo,  una 
tiva  numerosa,  munita  Mi  corde  e  'li  tutto  quel 
In  che  poteva  occorrer    per  p  i  il  cada- 

si calò  giù  nel  crepaci  io,  per  un  na  di 

- 1  una  guida  sp  i  intentata  i    si  atti  x    Dall'i 
rità  venne  un  suoni    'li  voci....  Il  tedi 

o  i  ,a    guii  la  ave\  a    I  n  ivato    l'alpinista    -  ■■  luti     su 
un  mucchio  ili  n<y>-  sopra  il  quali  era  caduto.  S 
salvato    per  miraoo]         non  aveva 

.   del  resto,  stava  benone,  e  ]>er  ingannare  il 
i   messo  a  fuma 
Egli    rifiutò    i  "  idurre   in 

salvo  sinché  non  ebbe  contrattato  con   la  guida  il 
i    del  safvatag         Pai    che  un  suo  amico,  una 
i'  ssi    stati '  sali  i  udizioni   simili, 

i •.•  dovuti    pa| are;  gio. 

«E'  facile  immaginari  la  n  stra  meraviglia  quan- 
do la  guida  renne  su  per  riferii  i  le  condizioni 
della  resa.  Le  tu  si  in  quel  momento  meri- 

tavano 'ìi  essere   fot  igra fati  -   Si    'i'  n   avess 
pato  prima  tutti*  le  las(  i  preso  una 

lia  per  eternare  la  memoria  di  quell'ep  pin    ' 

..  E'  un  fatti   '  b    sp  ssi    5ulli    ni,  ntagne  un  ii 
dente  che  parrebbe   doversi    risolvere   in   una   i 
strofe  spaventosa,  si  riduce  quasi  ad  un   - 
.    - 1      -in tato  come  tale». 


delle  punte  più  difficili  delle  Alpi,  se  non 
la  più  difficile,    -  L'Aiguille  I     estrema- 

salirla,  e  più  pi  nbsi  ancora 
prendere  fotografie  durante  la  salita.    I 

vi  Itt-  l'ascesa,  ma  il  cattivo  tempi        ;.i  nebbia 
ron  rmine.  Tuttavia,  fu 

-  i  ili-  «li  tantu  in  tanto,  quando   la   nebbia   per 
quali  he  n  diradava,  pi 

la  ''he  è  qui  ripn  di  tta. 

i  ai  i  li 
luti ,  sebi  i  trop 

1        ori      per  non 
ti  dal   mali  Fai    rumo  il 

u    gioì  nate 
i.iliili   su  quegli   irr  in  pi  'li   nevi 

ntei      i  adendi    i  :  |ual- 

•  mi.    quandi    si  è  1  i,    ni  ri 

'■  -    ma  si  m  u  si  •  li  gati  beni .  pui  i  capi 

all'ultima  di  un  inci- 

■ 


I  >u-  giorni  stilli'   I  >. domiti. 

t  "i  n  questo  titolo  il  bar  rgio  von  H 

pubblica  sui   Tìaheim  di   Berlino  un 
interessante. 

■  Due  montagne  egli  dice  —  stavano  nel  mi 
programma,  entrambi  ili  una  curiosa  somiglianza. 
I  ss  non  sono  certamente  difficili  ;  tuttavia  esigoni . 
I  ir  potei  le  salir    musi    li     polmoni  d'a 

l    \iiin.i,  alto  2566  mi'tii.  e  il   Peterki  Pel, 
anche   Monte    Pater,   alti    .'711  meti 

■  Quest'ultimo  poi,  per  la  sua  speciale  situazione, 
mi  offriva  una  buona  occasione  di  foto] 

orizzonti  e  anche  le  rocce  più   strani    1    s  Iva 

■  Ogni  giorni     dalla  mia  finestra,  io  contemplavi 
iulli    sfondo  del  cielo   le  punte  aspre  e  taglienti 
della  lerio,  naturalm  si   a- 
cuiva. 

■  Un  mio  amico  alpinista,  amante  delle  difficili 
altezze,  era  ila  'pulle  parti.  11  programma  fu  ben 
presi,  combinati  e  un  bel  mattino  lui  l'al- 
tro ci             rum            ' 

«Tutte  le  escursioni  precedenti  su  altre  montagne 
eiam  n  ci  npiti  sotto  la  guida  'li  un  abile  mon- 
tanaro, provato  ai  pericoli  •  itica.   Per  via, 


à 


•<<.' 


I 

4 


M 


Le 


■^à. 


1 


'» 

mi 

/ 

Wl 

*^r     «•?> 

1           W.          .^K 

SI  I  L'AIGUILLE    DE    1,1:  Ihnilmin      A 


-- 


LA    LETTURA 

me  n- 


2     i  del 
imi    la  salita. 


i  i  nosiiu 


i    le  capanne  restai  ani  i 
oramai  la  pace  i > i ìi  imp 


\ 

ini  liei  t.  .   i 

«Il  nostro  montanaro  procedeva  dinanzi  ti 

,':■  una   fui  11,1 

1        -    la  salita  continuava,   - 
li   sguardi  ad  i  gru  sp  i  ■_■ 
del  n  rchè  ogni  pass  èva  e  ridurre 

alla  I    ii  presto  ci  trovammo  s>  pra  una  china 

•    impn  • 

ti  i  .  sulle  spalli  -  - 
sull'abissi   esplorandone  la  pi 

più  innanzi  ? 
i       n  ntagna  diventava  sempre  più  intei 

Dopi    ni  imi»    dia- 

n  un  canaletto  'li  ghiaccio  sino  a  che 

arri  l  una  punta  più  elevata     Da   princi- 

immo    a    vedei 
■  iella    \  ■  edi  nomo   alcun    si  n 

f  11  i  da  un  altro 

|Kirt  it.  re,  fu  lanciato  in  a*, 
il   i-  riton  rea   di  n 

dift'v 
ili  I 

• 
unii  troppo  i  difficile  e, 


fura- 
mi   finalmente  vicini  ali 

il  i   :  i,,\  .ixii.ii-    al  li  ra  ad  un  p 
I  ..i  n.  si  ra  guida  era  i  iu  lui  i 

brava  rabile   pipa   sulla  roccii 

\  rastante,  ci  lanciò  una  ci  rda  alla  qua 
pammi 

Ui  :  Quel  i 

,    piedi  l'abiss    '  l    i  imi    ci  vi  deva 
[i,    i..  i   mi  mini,   dinanzi 
l'imp  della   natui 

.,  \i-il.i   pai  '    immensa  ili  quel 
\  amo  in  I  [hi  ni  ti  dove  i  ra  il 

ed  i  nostri  amici. 

d  I  aggiù,  laggiù,  lontano,  si  distingi 

i  che  si  p  ardeva    ali  orizzi  : 
era  una   strada   mulattiera  che  noi  stessi  avevamo 
fatti    tante  volte. 
«La  pi  su   |uella  punta  della  moiv- 

nisti  nel  1879.  il  25  lugl  1 
a  (  ira   ] 
sa  e  arsi  in  una 

1 .1    delle  braccia.    Il    pas 
I  Ma  arditamenti 

p posta  1    rimas  r  un 
pra  l'abissi   colli    gambe    iperte  saldamente  pian 
coni  :  della  vi  ragine,  poi  s 

una  seconda  spinta,  pass.',  sopra  l'abis  dal- 

l'alti 1  1 

0  M  chi  e  ri  era  necessario 

un  pi     1  Dopo  un     ginn  istica 

l'i   muscoli   e  (fi    p  aver   visto  più   ili 

una  volta  la  morte  -Turarci  il  viso  col  brividi 
pei  io  ili  1.   le  ni  stre  foi 
vanii-  un  poc    di  tregua   Una  piccola  piattal 


•  1  1 1  \  1  •  1  — <  1 


DALLE  RIVISTE 


[120 


iosa  s    -    rideva  fi  rtuna  ino  e 

là  ci   s 

«  \ttraverso  un'enorme  spaccatura  della  ti> 
vedeva  il  cieli    e  pareva  che   la   ruj 
ad  ogni  momento,  dovesse  crollare.   Certo,  quando 
il  venti    soffiava  attraveTsi    quella  fenditura  doveva 
gettare   lamenti   terribili. 

ripos      gustati    con  suprema   vi  iluttà  < 
con  legittimo  i        ;        dovemmo  intraprendere  una 


i  aggii    e  le  forze  per  so| 

punta  del   Patei    I    ben  presti    l  uni 
all'alirc  legati  da  una  I  i    ripigliammi 

via  al  primo  spuntare  della   luce. 

["re  vii        i  lu         al  monte  Pater.  La  più  diffi 
(.ile  si  apre  a  nord-nord-est  e  conduce  direttamente 
alla  punta  più  alta:  anche  le  altre  due  però  chi    si 
ne  quelle  -  sono  1  acili  ci 

me    si    vede    facilmente   dalla    ni  .-.tra    illus 

N  i  avevamo  possibili- 

tà re.  perchè   la   scell 

sta  dalla  ris  i  del 

5s<  ilutamente  ess  i 
Ila  capanna  di 
mi     :  ■   ■  I  II  l    V 

mo   quindi    abbandonare    la    prima 

pei  qualcuna 
le  ali  re  due.  Sap  :\  ami  i  che  la 
di  -  la  più  fac 

pida  e  la  più  battuta  dei  tpuristi. 
Vi    quindi    abbandonammo    le 
spre       iii 
nammo  ir.  un  profon    imei 

«La  via  i  sca  e  in  qualche 

punto    veratri  .  ca.    Qualch  ■ 

volta  si  iva  l'abissi 

sdrucciolevi 
,       .    .    |        La  nostra  incis 


Una  dis    - 


.     _  ...  _ 

persuademmo  che  se  la  via  crr.  rima- 
sta fin  là  aspra  e  dura,  ora  mina 
va  'li  aumentarci  le  difficoltà  La  roc- 

bliqua  qi 
era  e  sa  spaventosa  vedere  degli  uo- 
mini  aggrappati   a  una   parete   i 
cale  si  tto  cui  si  sprofondava 

iMi  unai  da  dieci  ore  eravamo 
in  marcia  e  le  gambe  irrigidite  rifiu- 
tai ari  o  ntinuare    lineila    strana 

■  \        '  stro  programma  rimaneva 

ancora    l'ultima   punta   del    Pater   cui 
dare  la   scalata,  ma  a  ciò  si  sarebbx 
un  ■  ttimo  riposo.  !>■  pi  i 
una  cena  divorata  col  miglior  app 
drl    niitulo.    ravvolti   cime    testi.. 
nei  nostri  abiti,  ci  abbandonammi 
su  al  si  nm    ristoratore. 


!  M    CRESTA 


alzammi      I 
ci  priva  ancora  la  montagna  e  la  vetta  si  in- 
nalzava tiera  fra  le  tenebre  perdendosi  verso  il  cie- 
lo.  Tra   poco  sarebbe  l'alba  (    la   poesia   di   quel 
lenziosi   crepuscoli    antelucani    ci  raddoppiava  il  co- 


uce  uno  di  i  passaggi  più  emozionanti 
della  salita.   La  roccia  sale  diritta,  a  picco,  sospesi 
paurosamente  sopra   la   voragine:    un  pass 
una  mossa  poco  equilil  èva  travolg 

senza  speranza  di  risollevarci  mai  più. 
.,  I      guida  pn 
oss  rvava  e  studiava    le  sue   mosse  cani 


1 1 3o 


[.A    LETTI  "HA 


i  qual- 

I.    non 

il    |H111tii     | 

ida  ri  applicò  un  appai 

ile  si  p        i  tentare  a  nza    1 1 

C       esso,  Imi  dopi i  l'ali ro,  ci    u 

,  ■  .  r»  n 

l  '         la  gì  rido  il  sui     sguardo  d'a- 

Ci  rrv\  a   più    libi 

I  i    ultime-   diflfici  it'i 

:  n'ull  ima 
i    alle   sue  conquis 

li,    quasi    staccandosi    dalla 

iti  veri  ical- 
da  lunghi 

da  quel  |>uni>  riti  ■  :   ai 

li  era  1  .  un 

si  nani   rifì.  ssi   g 

silenzio  e  di  a.  E  dina 

alla  ciugandi  si   il 

re,  non  ci  pan  due  giorni  ili  lotta 


eran  meravigliosi,  indimenticabili,  alcuni  - 

ii  ni.   n. il  ci.  Di  *.  iti  quindi  limil    i 
il  numero  delle  lastre  disponibili  e  si  .nche 


I  N    PASSO  l'I.  I  i 

■     \  l'ini  .i1  di   un   an 

meravigl 

I  I  io  ninni >\  i 

ji       \l 
■ili  ili   cui  II  I   ' 


I  I  GÌ  [DA   IN   I  SP \ì  IONI 

1  .i  in  ssibilità  di  mi  ttere  la  macchina  a  fui  ci  .  Quan- 
te posizioni  terribili,   raccapriccianti  per  la  n 
guida,  su  quelle  rupi  a  picei  !   Eppure  ben   p 
io  ni  perchè  I  n  p]  i 

no  .il  campo  della  mia   i  i iscura  ! «. 

Un'ascensione  sul  Weisshorn. 

Nella   rivista  tedesca   Zur  guttn  Stunden,  il  s:- 
gnor    reodor    Wundl   racconta  una  sua  ascens 
;     Weisshorn. 

Nella     grande    catena    alpina    \i    sono    diversi 
Weisshorn  nel  senso  letterale  della  parola. 

Weisshorn   significa  infatti  punta  bianca  e  mol 
ni  soni    i  monti  che  si  trovano  eternamen! 
jK^ni  dalle  ni  \  i  i    dai  ghiacci. 

Ma    per    l'alpinista,    | x-r    l'entusiasta, 
.li    altezze,    Weisshorn  un  monte   noto   ■■ 

rito,  un  monte  che  troneggia  o  me  w  re  sopra 
ievettechi   li  circondano)   ch<   si  innalza  comi 
grandiosa  piramide  bianca  sopra  una  .list.s.i 
minata  .li  monti  del  Vallese. 

Non  sarà  quindi  senza  interessi    Farvi  una 
.  scurs 


iti     1   Mi  nte  Bianco  •  i  i  suoi  4810  metj 
assa  tutte  le  vette  alpine  :   n 


I  1    PUNTA   0RIF.N1  M  I    hi  I    \Yl  [5  5HORN 


M.;j 


LA    LI   IH  R  \ 


irata  'Irli,    varie  alti  zze 
che    K-   Alpi   del 
nmediatamenti   per  numero  il 

- 

prii     I  una   x  icino  al 
, ,  del  Gì 

l'Ortlei    i.i  ''ni  |i:  -"I" 


di  -pivi..  ami 

'ila  un  dens  i  si  rati    <\ 
I  nza   nulla 

era'  i    rama     rie  ci  stava 

ì  nostri  muso  li  fun 

■  l  stica  dell'ascensione  del   Weisshorn 


PANORAMA   IH   SUD-0VES1    VISIO  DAL  WEISSHORN 


metri   al  di  si  |uati  n  i  i  hili  1 1  ut  ri. 

tr ano  pai  nonti  che  li  ren- 

dita umana  \ 

sibil ariamente 

sempio  nelle  Alpi  01  ientali. 

trot  ìami     piccoli   vii  la 

ve  si   cred  rebbe  impossibile  la   vita. 

l'ultima  rima   dell'Orti  appena    1000 

umane,  1»  o    più  quin- 

1 

ili  dii  rolla   in 

i      1  presentò 


è  chi    1  ssa  •   1  [uasi  una  1  ntinua  da  rupi 

brulle  e  ai  ide.  a  rupi  coperte  di 
ii  un  in.    preseni a    un    asp  tto  fa  .1 

uni    -        ro  a  di'  fo  ho  p  tuti    1 

del  Wi  isshi  tu.  alcune  delle  quali 
si  mi  ti    pagine    I  a  1  ui  11  «a  1 

teristica  vi  si  1  iramente:   la  roccia  si  innalza 

mula  e  nera  1  1  pei  pendii  oli 

improvvis  scompare  sotto  \\n,i  distesa  inima- 

:   è  un  ri  1 
pp  sti    il  effetto  prodoti 
La  punta  orientale  del  monte  è  all'ai- 


DALLE    RIVISTE 


11. '-3 


i  >li  circa  4000  metri,  ossia  ad  un  centinai    'li 
metri  ili  più  dell'Ortler.  Però  al  vis  --.1  non 

-ii.i  1  ìsi  mi i.  ci  lata  da  un  densi  strati  di  ghiac- 
cii  :  9  li  da  qualche  spaccatura  profonda  si  intrav- 
vede  la  dura  roccia  sotti  stante.  Un  pi  più  sotto. 
ad  un  livello  inferiore  di  circa  .^oo  metri,  v'è  una  - 
-.  11.1.1  punta  che  presenta  gli  stessi  caratteri  della 
prima. 

a  "Viste  da  lontano,  le  due  cime  sembrano  torri 
che  vegliano  sulla  sicurezza  dell'immane  ci  l  ss<  in 
riposa  Un'incisione  che  riproduciamo  'là  un'idea 
della  salita  ili  una  puma  del  Weisshorn.  E'  sempli 

nti    rai  1  apricciante  e  spav  nti  sa  1  in- 

credibile che  un  uomi     possa    avventurarsi    su   una 
china  così  ripida  dove  parrebbe  chi    ad  ogni  istan- 
te la  nn>rte  stia   per  scaraventarci  negli   abissi.   La 
salita  e  più  la  discesa  d     mesta  puma  rappresenta 
però  realmente  un  pericolo  per  ehi   non  è   avvi 
alle  emozioni    dell'alpinismo:    facilmente  ad  un   ■ 
si  ursii  mista    mal     sti      pui  1   suo  e  lere   che    pei    li 
mozione  e  pel  il  suo  piede  scenda  in  fallo 

e  all'  ra  51    ni  n  è  rattenuto  da  con  li    scivolerà 
parendi    rapidamente  lungo  la  china.  Ma  i  mi 
nari    -  ezzi  a  dominare  collo  sguardi    sicuro 

quelle  altezze  e  quei   precipizi   raccapriccianti 

piede  pesante  armi  unte   ferrati 


sulla    ri  eeia. 

«  Particolarmen  :  la  o  sì  L'ra 

versata.  Per  arrivare  alle  pumi  del  Weisshorn,  bi- 
sogna attraversan  un  campi  di  ghiaccii  chi  s  sten- 
ile  su  una  linei  dente  ai  cui  fianchi 
precipitare  a  schiena  'li  mulo  li 
Ma  i  ni-  lai.  una  vera 
acuta  'li                          ni    impedisce  il   li- 

rtamenl     

punti  piu  perii  Wi     shorn  e  la  sua  a 

isione  si  pi  i  gli 

uni  agli  altri  1  guài 

sto   ostacoli      la    via     ■  ntinua   lungi,    la    lin 
sui  sa  della  pi  .  he  ci  ndui  e  alla  punta 

del  mi  ut     I   1  piramid    di  ghiai  cii    ì    forsi    uni    dei 
miglii  ri   pimi:   di  oss  rvazione  per  godere   la   1 
del      Weisshorn.     \      1         a       [Ui  11  altezza  .    quasi 
dalle     nubi  ppani      in     li 

nan/a.   il    munte    ha    un    faicil         !      gra l  e  di 

misteri 

E  si  comprende  comi  essosia  la  m  ta  di  continue 
ensioni.   I  peli.  Lini:  ardimentosi  delle  altitudini 

1  ri  vano     in    quel     desei  rid         i    rocce    e    di 

ni  .  la    poesia    del    peri  '1  ilo    e    il    1  asi 

l'infiniti  . 


UNA  PUNTA  DEI    Weiss 


Uria    metropoli    originale 


Normanni  ■  he  partir  ino  tlall  i 
\   ;  rre  i  ransatlant 

li    il    ìiì       [ngolfur. 
ì   dito  'Li  una  tempesta  sulle 
dell'Islanda,  statuette   'li 

rapp  gli  D     lari,  fai  endi    il 

•   i ii ii  vate.  E  'I' pi   mi >Ite 
fruì       5     e  ritrovò  in  i 

sorgente  d'acqua  calda. 
Reykjavik   i A  calda; 

la    irta  capitale  dell  i 

pi  li   nordica  conta  3000  abi- 
sa,  data  la  popolazione,  per- 
ise  non  sono  ad  me  da  noi,  m 

iti  l'ima  dall'altra.   Sono  tutti  spio,  tranne 

i  Cattedrali     il  Pai 
lami  linea  e  la  prìgii  ni     I  i    ittà  si  distende 

arteria  principale,   \' Austurstroen  (s 
•  M  I  ontinuata    dalla     Vesturgata    (si  i   i 

dell'i  tvest)     Pi  ssn  1 1     un   musi  i  .   un  -   uni 

nio  balneare  ;    ha   un   g  i  .   un    \  <  - 

_  ornali  e  la  i  l'un   grand'uomo  : 

scultore    111  rvaldsen.   I  it  mani  .    s  I 
uà  gli    [slam li  si    hanm     ; k    a    ini  linai 
izii  ni   sceniche.    Som.  un   |" 
•  i-ri   tranquilli,    semplici,    malinconici, 

».iilan< i   piano  e   vivono  CI  m      I 
dei  patriarchi  •  1  i  cui  parlano  i  libri  sacri. 

sua  '  asetta,  costruita  su  Fi  n 
■  nta  di  muratura,  o  n  I<  e  h  ,'ieni  Noi 
a,  perchè  non  i  ll'isola.  Le  pa 

:  iie,  con  l'intei  ■         pien    di     gal  ura 
poi        hiu  i  ;    le 

orba   fornita  i 
■  Irli  interno    ...    il    cari  ■ 

grado  di  raion-  necess  iric  in  qui  11 
latiti  Vi.-.  die  finesi  re  ; 

l'intermina  dell'està 

per  tutti  .        a       >  magica  chiarità  della   luna 
tant.  -  luce  delle  aiin  re  I  ■  reali. 

L'Isl  i    quandi    ha  sonni   :    man- 

i  mia  dei  gii  i  ni  i    dell    ni  tti,   nulla   I 

La  n 
incherebbe  senza  gli  i  t< 

n  le  quali  gli  altri  po- 
odicano  le  divisioni.  Generalmenu  egli 
I  cibi 

K  quattri  altre 

mali  hi    -!  di  1  r<  ddo  prim 

[i    i  ■       i      ninestre, 
nostri  bri  zzar- 

ne 'li  pesi  e,  'li  i isi •  nel  latte,  d'uva  'li  l 

i  .  mi    | 

•  rlìizzi  >  l  resi li  trote,   ■  quanti   alla 

ne,  peri  he  il  bue  '<■  ra 
It  ia\  ik  e  dal  n  a  «li 

I      i  Ioli    I 


salsa   'li   mai n  i 
zuccheri    in  polvere.   Lo  zucchen    predomina 
nell'alimentazioni  di  quegli  isolani,  il  cui  i 
trova  in  questa  sostanza  la  forza  e  il  calore  ro 

sopportare  le  ugni'-  temperature.   Si  im- 
portarli i  niel- 
la terra  glai  iale  n               no  a  maturità, 
un  poco  'li  latina  ili  segala,  con  la  quali    si  lenta 

■  Ita  ili   fare  del   pan  .ili  curiosità.    Min 

no.  .  gni  industria,  l'importazione  compren- 
de tutti  i  prodotti  manit  otturati  ;  si  esportano  in 
cambio  il  merluzzo*  Tulio  d  i    le  piume  ili 

Il  commercio  si  fs  pei  m  zzi    di  velii  ri  e  ilei  pi- 
lli della   linea  danese,   i  quali  approdano  una 
vi ilta  .il  mese  lassù,  ' l  est 

vi  .1  inveì  :  i  c-attivo  temp     I 

i.hI.i  .li  Reykjavik  serve  'li  porti  naturale,  quan- 
tunque poc  sicuri  Se  non  si  può  approdare,  il 
piroscafi  aspetta  al  largì  ohe  il  mare  si  calmi: 
nessuni    ha  I  retta. 

i      un  albergo,  si  i   detto,  in  i  |uesta  mi 

I*  li  I.  reale:    uni    sol  :   YHolel  ìsliimi.  il 

.  '.  stranieri  ;  gl'ind  \ 

i  bondéi    (contadini  dell'interno  dell'isola)  pori 

ndo  alla  città,  una  tenda  e  tutti  gli  utensili 
--.ni.  e  si  accampani    in  piazza,  dinanzi  al  pa- 
la//', ilei  gì  Minatore. 

Il  governatore  i    danese,   nominati    dal    re.   che 
presenta.   I!    Parlamento  isolano,  VAlthing,  può 
metterlo  in  isl  ma  l'ultima  pan  la  spet- 

ta al  sovrano.  VAlthing  vota  le  leggi-,   il  re  le  san- 

■  •  promul  I  uropa,  le  l 
mere  si  m                  <  '■  rp     legisl  iti' 

30  memliri.   24   dei  quali  eletti   dal   popoli  :    ogni 

■  li    famiglia  a    25    anni   è   elettore,   fili   altri   I' 

scelti  dalla  Corona  su  proposta  'lei 
inani,  insieme 
tanti  designati  dal  Ci  rp  itivo,  il  Senato  'tel- 

ila politica  dell'Islanda  i-  tutta   una 

n.  .il    le 
rivoluzioni,  ma  la   moderazione  paziente,   il   la 
perseverante,  e  l'intelligenza  e  la  magnanimi) 
Cristiani    IX.  hanno  lilialmente  emancipata  e  li!»-- 
1     ;      ola  ma  nobile  naz 
Il   ■  non  con 

sala  «Ielle  adunanze,  ma  anche  un  mi 
antichità  una  biblii 

1  tutti  •  il  inondo  intorno  ali 

perchè  la  città  ma  che  <•  realmente  la 

i  11  popoli     i  Islanda  è  lui  1 

1  ;  io  :  vi  è  una  si  la  famigli 

elebra  pero  la 

non  quando  un  prete  cattolico o il  cappellano  ili  quat- 
ta guei  ra  sbai  l   Pastori  islandes 

stanm 


DALLE    RIVISTE 


[  I  OD 


dei  rettori  dell'Università.  (Ili  studi  sono  lunghi 
seri  in    [slanda:    gl'isolano    non   som     impazienti, 
non  \  ì"i  no  in  fretta  come  noi,  non  hanno  obblighi 
di  servizio  militare;  quindi  non  si  affannano  a  iu- 
re dottrina  per  passargli  esami,  ma  li  affron 
tane  quando  sentono  di  esser  veramente  e  solida- 
mente preparati.    L'Università   ha  quattro  facoltà: 
lettere,  te  1<  già,  diritto  e  medicina.  Gli  studenti  im- 
parano prima  d'ogni  cosa  la  loro  lingua:   lo  scandi 
navi  .    di   ma  ai  mi  nii  so  e  o  mplii  iti    dal  quale  t ut 
te  le  lingue  germaniche  sono  derivate  ;   pi  i  il  latini 
e  il  greci  .  i   da  ultimo  le  lingue  mo  leme:   francese, 
inglesi    >   tedesca   L'educazione  è  più  letteraria  che 
ntifica.  L'Islandese  ha  serbato  il  gusto  ilei  suoi 
antenati  per  gli  studi  letterari:   gusto  che  si  rivela 
nelie  vecchie  s  nposte  dagl     scaldi,    ron  atori 

del  N'i  rd.  Le  lauree  piit  numeri  si    sono  quelle  date 
dalla  facoltà  !  ia  i    di  medicina:    il  dottori 

e  il  preti  som  entrambi  pubblici  ufficiali,  egual- 
mente retribuiti.  Il  vesi  cap  del  clero,  è  uno 
dei  retti  ri  dell'Università;  l'altri  è  il  landfhyskus, 
capo  del  corpo  sanitario.  La  pri  fessione  meno  ri- 
cercata a  giuridica.  Ce  un  tribunale,  ma  ohe  rosa 
ha  niai  giudicato?  C'è  una  prigioni,  fabbricata  con 
i  pietre;  ma  chi  mai  ha  custodito?  Da  tempi 
immemorabili  non  accade  un  assassinio,  un  furto, 
rimine  qualun  [uè.  1    Cslai  dese  è  un  popolo  per- 


ielio :    in  n    ha    |"  lizii  il  i.    in  n    snidai  i.    n 
campestri.  Tranne  l'amministrazioni    civile,  rompo 
sta  d'un  gì  \   in  noie,  dei  prefetti  delle  dm 
eie  di  Reykjavik  e  d'Akureyri,  e  ili  qualche  sotti 
prefetto,   incaricati  di  riscuotere  lievi  imp 
rappresentare  un'autorità   inutile,  non  vi  soni    alti 
funzionàri.    Non  c'è  debito   pubblico,    p    i    denari 
si  spende  di  tanto  in  tanto  per  rifare  qualche  p 
su  qualche  fiume  non  guadabile.  \on  vi  sono  sti 
n  tahili  i  erchè  manca  il  traffico  che  le  ridi 
be;    la  genie   \  a   da   un   luogo  all'altro   a  cavali'. 
tutti    sanno   cavalcare. 

La  razza  ì    sanissin  i    nonostante     I   rigid     clima. 
e  molte  delle  nostre  malattie  ereditarie  sono  lì 
m  -mie.   viceversa  due  mali  orribili  vi  fanno  - 
gè:   le  cisti  epatiche  prodotte  dal  tenia  echi, 
trasmesso  all'uomo   dal   i   mi  conto     il    qua! 

leggi   li  "io  in     :n   guari  lia    la  popolazii  ne,         e  la 
lei  fera. 

Senza  questi  malanni,  il  p  polo  islandese  sarebbe 
tanto  t'elice  quanti  è  ammirevole.  Perduto  sopra  uno 
SO  glii  arido  e  ingrato,  sotto  il  cerchio  polare,  lon- 
tano da  tutti  gli  altri  popoli  attivi  e  rumorosi,  essi 
vive  una  vita  di  lavoro  raccolto  e  di  pensici,  in- 
timo, senza  gelosie,  senza  ingi  rdigie.  illumini'  i  i 
dal  buon  senso  e  dai  sentimenti  più  generi  »i. 

(Da  un  articolo  di  P.  Piobb  nelle  l.eclures  moderne 


Pappagalli    ammaestrati 


uccelli    stantii,    per    la   maggior    parti.    Ira    i 
più    intelligenti    animali:    ma    hanno   un    cara 
tale    che    difficilissimamente    si    riesce   ad    armi 
strarli.  Fanno  eccezione  i  papagalli,  l'attitudini 
quali  ad  imitare  la  voce  umana  è  passata  in  pr< 

m     anche,   grazie   alle   loro   zampe, 

che  sono  delle  vere  mani,  ed   al    becco,  adunci 
celienti  acrobati,  e  si  dàini'    ci  n  visibile  piacere  agli 

i/i  ginnastici.  Il  Guyot-Daubès  narra  a  qu 
prò]  un   ararouge  si   divertiva   a   lasciarsi 

re  lungo  la  catena,  restando  a  un 
per  una  zampa;   allora  cominciava  a  lanciale  grida 
i      i  >se  in  un  perio  1    estre 
.    poi   i    suoi   gridi    diventavano    lamenti,    finche 
un  certi    numero  di  ri  non  si  erano   radunati 

dinanzi  alla  gabbia:  ottenuto  l'intento  d'avere  intor- 
no a  sé  un  pubblico  imp  l'uccell  si  rialzava 
ad  un  tratto,  s'arrampicava  tranquillamente  sulla 
sua  pertica  aiutand  si  coi 

ma- 
i      i  di  averli  can- 

ili. 

l'ano  Ferrari  è  arrivato,  con  la  pazienza  ed 

il  tempo,  a  risultati  veramei  i       ll'ad- 

tgalli.   I  su  galli  sin- 

tn  di       to  i  i  erti   anelli   attaccati   al 

timoni    di  minusi  "li  cari  i,  e  li  tirano;  e; ■  an- 

;  pra    una   microsci  pica    ■ j 


lane  b  io  v  ic/.i  .'.in. i'    il  segna 

la  partenza    Pi  li  mna  d'un  fucil  :,  tv  n  ma- 

il minimo  turi  [uam  raili 

mi     .incile  impassibili   sull'orlo  duna   ti 
ha    dalla    quale    si  i      striduli    sii'  ni.     I  anni 

anche  il  giuoco  dell'aitali  ci  :  dui   di  loro  si  mettono 
alle  due  esl  n  mità  dell'attrezs      i  [uili- 

bi  in  ;  un  terzi    sale  nel   mezzo,  e  pre 

ra  or:  nisl  ra   fa  divertire   i  compagni  - 

astanti. 

Tutti  q  esercizi  guiti  dai  papp 

1      ikatoa  si  no  ano.!.' 
telligenti.    Vlcuni   imparano  a  fare  il  salti 
e   fui.     od  rti.    Altri    imparali'     ad   i 

al  comando,  la  bandiera  d  una  o  ni    in  i  i 

ma  ad  un'antenna,  a  sparare  un  i 

filare  in  parata  dinanzi 

loro   g(  nei  aie. 

a  volt;    a    ."■  ste   stupì  I 
esperieni  di  attribuire  ai   papp 

un'ini  ramenti      upei  una   spei  ii 

raziocinio.  Ma  non  si  tratta  in  realtà  si    non  di  un 
puro  e  semplici    automatismo.   Questi  volatili 
macchinalmei  sti   che   hanno 

senza   intenderle  li     fra 
frasi  che  hanni    s|  essi 

(Dalli    Lei  Un  es   m  ■  i 


Il     pianoforte    che    scrive 


ssanti    'in 

issai 

ire  l'atten; 

mposi    1 1  .li  imi 

in  ap 

vi  i 

:  ;    piani  i 

niti- 
damente su  un  fnglii    la  »  ■ 
ne. 
I.'  inven  aita  a 

un  americani  .  il  signor  <  ìu- 
i  '  i  assai 

Vrm  ■  ii  .1  n  me  pianista 

1 1  mio  apparecchii  i  si  pufi 

gliare    ail 

una    macrhina    da    scrivi  re 

•  >1  mi  //i  i  ili  fili  elett  rici 

meccanismi  compii 

licatissimi 

pianofoi       ipp 

'  filili   . 

La  carta  ^;  svi  Ig 
mente  i  automatii  amenti 
un  rotola  speciali  e  p 
fra    i   cilindri    della   strana 

macchina.  Voi  vi  sedete  al  piano  nel  momento  del- 
|Tispi  colle  i     i    sulla  tastiera,   per- 

Forti   i  picei  li  tasti  d'avorio  con  la  \>  li 
i  he  vi  lete.   Quani  '  riniti    I  ultimi  i   accordo, 

apparecchio  e  vi  troverete  scritta 
in  modo  i-hiai  issimi    ;  utl  a  !  i  \    stn  impn  \  \  isa: 


Il     i'l  i\ ili    i  HE  -i  Hl\  I 


I    particolari    'li    questo    apparecchio   americano 
ni  n  suini  ancora  ben  m  ti.  I  issi  rviamo  che  un  appa- 
recchio consimile  in  inventato  ili  recenti   da  du 
p  rai    milanesi,    e,    spei  me   ati     mi  si    si  i  ■ 
bui  li.'   prova 

(Dalla   JJV/.rl. 


I.  I\\  l  Mi. HI     FRA    I    S IKTRI   MIMI 


Lane  di  falsificare  l'arte  è  multo  antica. 

Spesso  si  paga  più  la  menzogna  dell'erri  >n  .  i 
un  pittore  onesto  che  dipinge  come  sente,  dura  fa- 
tica a  vendere  il  suo  quadro,  mentre  quello  che  imita 
e  copia  bene  l'antico  fa  buoni  affari.  Nel  Rinasci- 
mento i  casi  di  falsificazione  furono  frequenti. 

Persino  di  Michelangiolo  si  narra  che,  aven- 
do scolpito  il  Cupido  dormente,  lo  tenne  sotto  terra 
per  venderlo  di  più  quando  avesse  preso  il  colore 
dell'antico.  Uno  scultore  sostenne  che  quella  scul- 
tura ha  dei  segni  fatti  col  l'evidente  intenzione  di 
simulare  un  restauro  ;  segni,  aggiunse,  così  bene  ese- 
guiti, che  non  possono  essere  se  non  di  Michelan- 
giolo. 

E'  uso  dei  falsificatori  fare  i  segni  del  restauro 
per  isviare  il  giudizio  ;  così  una  placchetta  del  Mo- 
derno, rappresentante  una  Crocifissione,  fu  alterata 
e  se  ne  fece  un  ratto  delle  Sabine,  e  per  dargli  mag- 
giore autenticità,  vi  si  aggiunsero  le  parole  RAPT 
(us)  SAB  (inarum)  ;  lo  stesso  si  fece  con  un  bronzo 
posseduto  dal  Louvre  e  rappresentante  originaria- 
mente l'incarcerazione  dì  San  Pietro:  si  tolsero  le 
ali  agli  angeli,  e  passò  per  opera  pagana.  Qualche 
cosa'  di  simile  sarebbe  anche  venuto  al  San  Pietro 
della  Basilica  Vaticana,  il  quale  sarebbe  una  statua 
romana  trasformata  o  fusa  col  metallo  di  un  Giove. 

Il  giudizio  degli  autori,  intorno  all'  autenticità 
delle  opere  d'arte,  è  molto  vario.  La  Tazza  Farnese 
del  Museo  di  Napoli  è  antica  per  alcuni  ;  per  altri 
sarebbe  una  contraffazione  moderna.  Anni  sono  il 
Berenson  giurò  che  il  famoso  Sposalizio  del  Peru- 
gino, da  Raffaello  parafrasato  nel  suo  Sposalizio 
di  Brera,  e  dal  Museo  di  Caen  posseduto  e  tenuto 
come  un  Perugino  indiscutibile  e  inestimabile,  fu  di- 
pinto dallo  Spagna,  non  già  dal  maestro  del  Sanzio. 
Il  Museo  Poldi-Pezzoli  di  Milano  possiede  una 
cassetta  intagliata  da  Giovanni  Dupré.  scultore  se- 
nese morto  venti  anni  or  seno  ;  ma  acquistata  dalla 
marchesa  Poldi  come  lavoro  antico,  anzi  come  in- 
taglio di  uno  dei  Del  Tasso,  famiglia  di  celebri  in- 
tagliatori fiorentini  (XV-XVI  sec.)  su  disegno  del 
Cellini  !  La  marchesa,  trovandosi  un  giorno  a  Fi- 
renze, capitò  nello  studio  del  Dupré.  e  parlandogli 
della  cassetta  che  possedeva  a  Milano,  glie  la  de- 
scrisse e  vantò  come  opera  d'uno  dei  famosi  Del 
Tasso;  il  Dupré  nicchiò,  pare,  un  poco;  ma  poi 
confessò  che  quel  lavoro  era  suo.  La  nobil  donna 
rispose  :   a  Non  importa  ;  anzi  ci  ho  gusto  ». 

Altrimenti  si  comportò  il  conte  di  Niewerkerke. 
preposto  alle  Belle  Arti  sotto  Napoleone  III,  quan- 
do. all'Hotel  Druot.  celebre  casa  di  vendita,  com 
prt>  un  busto  bellissimo,  rappresentante  —  gli  dis- 
sero —  il  poeta  cinquecentista  Gerolamo  Benivieni. 
Era.  viceversa,  la  testa  di  un  sigaraio  fiorentino.  Giù 
seppe  Bonaiuti.  detto  il  Priore,  modellata  da  G.  B. 
Bastianini  di  San  Domenico,  presso  Fiesole.  La 
scultura  fu  pagata  13.600  lire:    ma  il   povero     u 

La  Lettura. 


tore  ne  intascò  soltanto  350.  11  Niewerkerke,  fatto 
l'acquisto,  fece  battere  la  gran  cassa  sui  giornali; 
e  quando  si  presentò  il  Bastianini.  questi  ebbe  un 
bell'addurre  prove  e  testimonianze  per  rivendicare 
l'opera  sua:  il  conte  non  volle  credergli,  per  poco 
non  gli  diede  del  pazzo,  e  mori  a  Lucca,  nel  1892. 
impenitente. 

Lo  stesso  Bastianini.  valente  imitatore  della  scuo- 
la fiorentina  che  ebbe  fra  gli  altri  maestri  il  celebre 
Desiderio  da  Settignano.  modellò  un  altro  busto. 
quello  di  Girolamo  Savonarola,  che  fu  creduto  ope- 
ra del  XV  secolo  e  fu  pagato  10.000  lire  --  ma 
non  all'autore,  il  quale  ne  ebbe  sole  500.  —  Un  al- 
tro suo  busto,  rappresentante  Lucrezia  Donati,  tu 
attribuito  a  Mino  da  Fiesole.  Mei  1865.  all'Esposi- 
zione d'arte  antica,  una  cantastorie  dello  stessi  1  Ba- 
stianini fu  spacciata,  nonostante  le  proteste  dell'au- 
tore, come  squisita  scultura  del  secolo  XV  :  ed  an- 
che oggi  molti  Musei,  sotto  nomi  reboanti,  offrono 
a!  pubblico  delle  opere  dello  scultore  tosi-ano. 

Anche  il  Louvre  sarebbe  ingannato  con  la  tamosa 
Vergine  delle  Rocce  di  Leonardo,  se  è  autentica 
quella  della  Galleria  nazionale  di  Londra  ;  e  l'in- 
ganno sarebbe  di  quest'ultima,  se  la  vera  Vergine 
leonardesca  è  quella  di  Affori.  presso  Milano,  mes- 
sa in  evidenza  dal  Sant'Ambrogio  (nella  nostra  Let- 
tura). Londra,  se  non  può  andar  superba  di  possi 
dere  l'autentico  Leonardo,  può  vantarsi  di  alcuni 
bei  Botticelli  ;  ma  tra  questi  ve  ne  uno  falso.  l'As- 
sunzione della  Vergine,  che  sarebbe  non  del  Botti- 
celli,  ma  del  Botticini. 

II  dar  giudizio  sopra  le  cose  d'arte  antica  è  diffi- 
cilissimo, e  disgraziatamente  oggi  la  critica  è  colti- 
vata da  eruditi,  letterati,  avvocati  ed  archivisti  che 
non  posseggono  la  tecnica  :  difetto  grave,  che  può 
produrre  per  conseguenza,  come  è  accaduto  nella 
Galleria  Nazionale  di  Roma,  di  far  attribuire  al 
Giorgione  un  quadro  meno  che  dozzinale. 

Il  pittore  Gaetano  Bianchi  ha  fatto  arrossire  di 
rabbia  e  di  vergogna  una  falange  di  pomposi  giu- 
dicatori. Egli  dipinse  in  una  sala  del  Bargello,  a 
Firenze,  una  bella  Vergine,  senza  firmarla  e  col 
proposito  di  beffarsi  della  superbia  umana  :  nel  qua- 
le riuscì  ottimamente,  perchè  egli  potè  assistere  al- 
l'affannarsi della  critica  autorevole  intenta  a  dare 
un  autore  al  suo  dipinto!  famose  turi  ino  anche  le 
sue  contraffazioni  di  Gentile  da  Fabriano,  che  ese- 
guiva su  tavole  un  poco  tarlate,  acchiappando  merli 

destra  e  a  manca.   Ma  il  Bianchi  era  un  galan- 
tuomo,  >'  scherzava  sulle   proprie  falsificazioni; 
una  volta,  ivendo  contraffatto  un  Pesellino,  che  era 

diito  dal  Tosi-anelli,  impedì  ''he  passasse  .1 
pare  una  Galleria  italiana,  dicendo  al  direttore,  il 
quale  stava  per  comprarlo:   et  Bada,  se  lo  prendi  ti 
bruci  le  dita  !...  ». 

(Da  un  articolo  di  Alfredo  Melarli  nella   Natura  ed  arie 
del  15  ottobre». 

72 


Nel     paese    delle    fate 


Spiriti  dell'aria  <■  dell'acqi  a,  <  saeri  tenerli  i  o  ana- 
li,  i   nani,   le  streghe,  tutto  ina 

■uest '"1"  meraviglioso  i  reato  dall'immaginazio 

ne  dei  j» >jk>1ì  nella  prima  età  della  loro  vita,  non 

sato  'li  esercitare  un  certo  effetto  sulla 

sia   Certo,  noi  siamo  ora  ben  lontani  da 

ita  infantilità  inventiva  che  occupava  'li  esisten- 

tutta  la  natura  ;  tuttavia  è  sempre 

i  un  un  certo  fascino  che  noi  rievochiamo  le  fanta- 


nire  è  torse  Li  giuria  e  l'amore  che  ri  attende,  op- 
pure la  miseria,  la  guerra,  l'abbandono?  Veramente 
l'avvenire  s.ir.i  .issai  probabilmente  quale  ce  lo  a- 
vreniu  preparato,  felice  dopo  una  vita  «li  lavoro  e  d 
lettitudine,  sconfortante  dopo  anni  di  ozio  e  ili  go- 
dimenti. Ma  questo  ragionamento  è  troppo  compli- 
cato per  i  popoli  bambini  e  preferiscono  quindi  cre- 
dere che  degli  esseri  misteriosi  stiano  vegliando  [>er 
distribuire  a  capriccio  la  felicità  e  la  sventura. 


Il     GIGANTE    I     l.\    FATA 


■    le  straneaiéggende  dell'oltre  tomba, 

pur  rispondono  a  quel  vago  terrore  dell'ignoto 

e  dell'infinito  che  ancora  al  presente  agita  le  nostre 

'ize. 

dei  popoli  <■  comi   quella  degli  uomini 
piena  di  miraggi  e  di  illusioni.   Nei  primi  anni  della 
l'universo  ci  appariva  ''.ni'- una  fantasmagoria 
perp  ■    rinnovantesi  pure  |»-r  i  po- 

llili  fanciulli,    lìssi  creano  tutto  un  nuovo  mondo 
i  i .-  i  ani  astici,  i  quali  non  avendo 
probabilmente  nulla  da  fai  i  propi       vi  in- 

ippure 

i  i  uore  pieno  di   desideri  ino  «n 
e  insod<  >ul  sentiero  oscuro  dell'avve 


Questi  artefici  del  nostro  avvi  sssere 

davvero  innumerevoli  perchè  noi  ne  abbiamo  cri 
uno  per  ogni   nostro  desiderio  e  illusione,  e  qi 
per  ogni    palpito   < lei    nostro  cuore.    E    in    cambio 
drl    loro   interessamento  per  noi   doniamo   loro  per 
abitazione  tutto  l'universo,  l'aria,  l'acqua,  le  I" 
e  le  \  iscere  della  terra. 

Nei  parsi  del  Nord,  ove  le  cose  non  si  illuminano 
die  di  luce  incerta  e  fuggevole,   l'anima  pop 
ha  trasformato  in  streghe,  in   fate,   in  ond 
scherzi  della  luce  e  delle  tenebre,  le  nevi,  le  nebbie 
e  le  nuvolette  vaporanti  sopra  le  onde  tranquill 
ii  ,-  dei  tiiim     Nelli   foreste  l'eco  diventa  la 
de]  nano,  il  fischio  del  vento  si  converte  nel  lamento 
di  un  fantasma      di  uno  spirito  in  espiazione 


DALLE  RIVISTE 


Il3 


•  I 


Leggerci,  grazioso  e  vaporoso,  ecco  intanto  il 
bianco  corteo  delle  regine  del  gran  regno  della  chi- 
mera, le  principesse  meravigliose:  le  fate.  Esse  pas- 
seggiano in  tutti  i  mondi  e  in  tutti  i  cieli.  Ma  men- 
tre nelle  brume  settentrionali  le  fate  della  neve  e 
del  freddo  passano  intirizzite  tr; 
i  fiocchi  lenti  di  neve,  le  loro  s 
relle  d'Oriente  vivono  sospese  so 
pra  la  terra  avvolte  in  una  nuvola 
di  vapori  o  distese  sull'arcoba- 
leno vivendo  di  profumi  che  esa 
lano  verso  di  loro  i  calici  dei  gel 
somini  e  i  cuori  delle  rose.  Nel- 
l'antica Alemagna.  Freja,  la  fa 
ta  dalle  lacrime  d'oro.  Sauna,  che 
marita  i  giovani,  sua  sorella  Vo 
ra,  che  conosce  l'avvenire,  errano 
per  la  notte  all'orizzonte  e  sono 
a  stento  intrawiste  per  il  fruscio 
luminoso  della  loro  capigliatura 
bionda 

Figlie  «lei  geni  >  celtico,  le  fa 
te  della  Francia  hanno  scelto  la 
loro  dimora    nei    boschi    sacri    e 
nelle  lande  misteriose  «Iella  lire 
tagna.    Oriana,    litania.    Vivia- 
na,  Titania   vi   passeggiano  co- 
perte di  lunghi  veli  bianchi  e  ac- 
compagnate   da  nani  che    strap- 
pano  dinanzi  ai  loro  piedini  nudi 
e    rosei    le   spine    «Iella     foresta. 
Ricche  pietre  e  zaffiri  scintillano 
alle  loro  braccia  e  al  loro  collo. 
talismani  di  felicità  che  esse  da- 
ranno a  coloro  cui  amano:   il  ru- 
bino sanguinante  che  dà  la  for- 
za, lo  smeraldo  dai  riflessi  marini 
che  scongiura  i    demoni,    il   tur- 
chese celeste  che  salva  dalla  mi  >r 
te.  Talvolta  esse  filano  stoffe  in- 
visibili, tal'altra  colgono  dei  fiori 
le  primule,  le  rose  e  le  verbene  : 
sotto  un  tocco  della   loro  verga 
magica  dei   virgulti   d'oro  spun- 
tano dal  suolo  e  la  mandragora, 
la  pianta  magica,  si  mette  a  can- 
tare.  Quando  esse  sono  stanche 
della   terra,   si   involano  sul   file 
della  Vergine  con  equipaggi  mi- 
nuscoli.   Se  voi  non   conoscete  quello   della    regina 
Mah.   la  piccola  fata  dei  sogni,  ascoltatene  la   de 
scrizione  di  Mercuzio  in  Romeo  e  Giulietta: 

«II  suo  carro  è  un  guscio  ili  noce  lavorate  e  ,  « 
nato  da  un  bacolino  che  da  tempo  immemorabile 
fabbrica  i  carri  delle  fate.  I  raggi  delle  ruote  sono 
fatti  con  pagliette  dei  giardini  ;  un'ala  di  locusta 
forma  l'imperiale  «Iella  vettura  ;  le  reilini  sono  tes 
sute  col  più  sottile  filo  «li  ragni  .  \  rassetto  un  un 
scerino  notturno  vestito  di  grigio  guida  il  carro,  il 
:arrn  dei  sogni  che  corre  la  mate  nei  cervelli  dei 
dormenti  ». 

Brillanti   di   giovinezza   eterna,  queste    fate   sono 
prodigi  di  bellezza.   Mi  fra  tutte  Viviana  ;    la  più 


bella:    e  quella  a   Cui   i   poeti  e  i  cantastorie   hanno 
attribuito  la  più  meravigliosa  chioma  bionda.   Nes 
suna  gioia  può  equiparare  quella  di  vederla  ;  la  li 
licita  consiste  nel  trovare  l'incantesimo  che  l'attiri 

sulla  terra. 


La  fata  Viviana  e  i.'im  intatohi   merlino 

\  h  i  ina  è  la  fata  dell'amore.  Ed  ecco  come  i 
banli  d'un  tempo  raccontano  la  sua  storia,  accom- 
pagnandola dal  Unto  oscillare  delle  corde  dell'arpa, 
la  vecchia  favola  simbolo  dell'amore  eternamente 
trionfante: 

"Merlino  l'incantatore  aveva  abbandonato   n     \i 
turo.    Dopo  qualche  tempo,  si   sentiva  oppresso  da 

pena  indefinita  e  un'immagine  radiosa  si 
!a\  a  .1 1  sui  i  i  risiere  La  spai  la  pendi  ra,  pi  nte  al 
braccio  e  il  suu  spirito  dimenticava  l'arte  degli  in- 
cantamenti. Egli  partì  mimi  l'iuin  .li  i.  I  mulina. 
cammina,  cammina  e  un  giorno  eccolo  alla  foresta 
di  Brocelianda.  Là  una  fontana  zampilla  sotto  gli 
archi  verdi  degli  alberi  in  una   vasca  di  smeraldo 


i  i4<> 

i 
nel  >.iv>>  della  mano, 
inde  un  fragore  spaventi  dire  nella 

on  una  raffica  ili  pioggia  e  'li  tempesta 
reno:   degli  uccelli  buio 
alloia  invisibili   lanciano  nell'aria  armonie  divine, 
lino  stupefatto  si  ritira. 

dalla  inule  si  innalza  ima  torre  al 
erta  come  una  nicchia  per  una  statua  : 


LA    LETTURA 


La  cattiva  fata 

una  fata  vi  dorme,  una  fata  d'una  bellezza  meravi- 
gli.-sa.  dal  collo  bianco  come  quello  dei  cigni.  Mer- 
lino si  rammenta  allora  della  sua  arpa,  ne  fa  vibra- 
re le  corde  e  la  fata  misteriosa  si  sveglia. 

o —  Ah,  eccoti  alfine  --  dice  la   fata  bella.  - 
■ti  addendi 
\l      ili  sei  tu  dunque?  —  grida  Merlino  at- 
territo. 

a —  Non  mi  riconosci  ?  Io  sono  quella  il  cui  pen- 
'  enta  e  la  cui   immagine  ti  perseguita. 
ria  e  i  i  >lgi  i  l'erba  d'i  »n  i  nella  foresta 
•  li  Biocelianda. 

»  \  ntava   i    la   sua  voce  era  quale  nes- 

sun mai  udì  sulla  terra.  Al  suono  meravi- 

glioso, Melimi,  dimenticò  l'universo,  ma  quando  le 
libre  della  sera  comparvero  sotto  la  foresta, 
la  fata  impallidì  e  gli  occhi  le  si  velarono  per  tri- 

Merlino  -      disse         io  muoio  col   giorno. 
Solo  una  parola  può  salvarmi;  sai  tu  dire  questa 
parola  di    vita  ? 
■  E  Merlino  le  rispose  semplicemente: 
•       [i  i  t'amo  ! 

proruppe  in  un  grido  di  vita  i   di  vitto 

ii  disse,  i  atta  i  risti   d'un  I  ratto  : 

Ahimè,  io  mi  .rro  di  'inani. 

Perchè  morrai  ?      chiese  piangendo  Merlino. 

Perch    'ii  domani  mi  dimenticherai.  Ma  io 

■  ■  siste  mi  incantamenti  >  per  fai  itare 


un  uomo  e  segregarlo  dal  resto  dei  viventi,    l'u 
il  terribile  segreto   Svelamelo  ! 

sua  vita  stessa  «  he  Viviana  gli  domanda 

va,  Mi  Merlino,  sospinto  dall'amore,  lo  rivelo.  A 

,  mentre  Merlino  dormiva  nei  sogni  dell'amore. 

la  fata  desi-risse  nove  cerchi  e  reciti ve  volte  la 

formola  magica.  E  <l>  allora  in  poi  Merlino  dorme 
ancora  nella  foresta  di  Brocelianda  e  nessuna  per 
al   mondo  potrà  mai  risvegliare  l'incantatore 
incarnalo  dall'amore  ». 


Vi  sono  fate  che  nelle  i  este  ri- 
di  fiori  tengono  le  g 
la  ricche//.!  e  la   bellezza  ;   altre 
che  depone,. mo  sui  riccioli  biondi 
i  lei  bimbi  i  piccoli  regali  del  \  < 
tale. 

I ..  ih  .'te  che  nacque  Ruggero 
danese,  sei  bellissime  fanciulle 
si  presentarono  alla  porta  .1.1 
stello  domandando  di  vedere  il 
neonato.  Una  d'esse,  chiamata 
Glorianda,  lo  prese  fra  le  brac- 
cia, e  vedendolo  cosi  forte  '■  sor- 
ridente gli  disse: 

—  0  fanciullo,  eccoti  un  dono 
per  la  bontà  di  Dio:  tu  sarai  il 
cavaliere  più  ardito. 

Ecco  un  bel  don..  -  ag- 
giunse un'altra  fata  —  ma  io  ag- 
giungO  che  mai  tornei  ni-  batta- 
glie mancheranno  al  prode  Rug- 

l-.d  io —  aggiunse  una  terza  fata  —  gli  farò 
un  dono  che  non  l'esporrà  ai  pericoli  della  guerra. 
lo  ti  dò  l'amore. 

Poi  le  fate  tutte  l'abbracciarono  e  scomparvero 
nella  notte. 

Venne  cosi  il  costume  d'imbandire  alla  nasi 
qualche  bambino  lungamente  atteso  sontuose  tavole 
per  le  fate  invisibili.  In  Provenza  i  neonati  erano 
portati  nel  mezzo  della  tavola;  poi  tutti  si  allonta- 
nammo, per  permettere  agli  esseri  misteriosi  e  be- 
nefici  di  avvicinarsi  e  ricolmare  il  bambino  di  virtù. 

Ma  come  vi  sono  individui  cui  tutto  sembra  riu- 
scire la\ vole,  altri  ve  ne  sono  cui  tutto  sembra 

contrario.  E  allora  la  spiegazione  .-  facile;  si  trova 
nel  maleficio  di  qualche  fata  adirata  con  essi.  Le 
fate  dimenticate  o  trascurate  sono  terribili  nella 
vendetta. 

i  ii  -ionio  Melusina  coglieva  le  primule  leggia- 
dre nella  foresta  del  l'oitoM.  (piando  ecco  l.irlesi 
incontro  il  liei  Raimondino.  tiglio  del  re  di  Breta- 
gna. Egli  camminava  cogli  occhi  a  terra,  assorto  in 
melanconici  pensieri.  Melusina.  che  lo  conosceva  per 
uno  dei  più  gloriosi  cavalieri  del  regno,  gli  offerse. 
se  l'avesse  sposala,  ih  crearlo  il  più  favorito  genti- 
luomo di  corte.  Ella  non  poneva  se  non  questa  con- 
dizione: il  suo  sposi.  ii. .n  ivreblie  mai  dovuto  ve- 
derla il  sabato  Raimondino  accetta  e  le  nozze  soie 
celebrate  in  gran  pompa  I  .a  fata  bella  si  presenta 
alloi  '    il  r         i    d inda  pel  su.,  spi  ~.  t  mto  ter- 


DALLE    RIVISTE 


ritorio  quanto  può  circondare  una  pelle  ili  cervo.  Il 
re  sorride  alla  strana  domanda,  acconsente  e  La 
maliziosa  Melusina  taglia  la  pelle  in  tanti  piccoli 
filamenti  e  così  ottiene  una  rocca  importante  in  una 
regione  elevata.  Lavorando  alcune  notti  sino  ai  pri- 
mi canti  del  gallo  sotto  la  luce  della  luna,  la  fata 
costruisce  un  castello  magico  e  i  viaggiatori  delle 
ere  piccole  raccontarono  di  averla  vista  trasportare 
nelle  dita  fatate  le  torri  e  le  mu- 
raglie tutte  d'un  pezzo. 

Da  principia  Raimondino  fu 
fedele  al  giuramento.  Ma  ben 
presto  egli  lo  dimenticò  e  un  gii  li- 
no di  sabato  apri  la  porta  della 
camera  di  Melusina.  Allora  l'in- 
felicissimo sposo  vide  con  terrore 
la  sua  donna  convertita  in  sirena. 
Ogni  sabato  infatti  la  fata  bella 
si  tramutava.  Raimondino  la  udì 
allora  ^citare  un  grido  di  spa- 
vento, e  poi  la  vide  involarsi  nel- 
l'alto, descrivere  a  volo  tre  gran- 
di ruote  sopra  il  castello,  e  scom- 
parire mentre  risuonavano  anco- 
ra lontani  i  singhiozzi  della  tra- 
dita. 

E    pure    dopo    molti    anni,    i 
pellegrini  della  notte  raccontai, 
no  di  avere  udito  ai  piedi  del  ma- 
gico   castello    suoni     misteri,  si, 
coirle  lamenti  di  fata.... 


Assai  più  saggia  di  Raimon- 
dino fu  la  fanciulla  di  cui  i  poeti 
russici  hanno  tramandato  la  leg- 
genda. 

C'era  una  volta  una  piccola 
bambina  infelice  chiamata  Vas- 
silissa.  Alla  morte  della  madre 
il  padre  si  eia  rimaritato  e  da  al- 
lora era  cominciata  per  l'ori, 
nella  una  vita  di  stenti  e  di  do- 
lori, sotto  le  persecuzioni  conti- 
nue della  matrigna  e  delle  .soni 
lastre.  La  piccola  sventurata  non 
che  una  sola  amica,  una 
bambola  incantata  ricevuta  in 
dono  da  una  fata  il  giorno  della 
sua  nascita. 

Sul  letto  di  morte  la  povera  mamma  le  aveva  rac- 
comandato di  non  dimenticare  mai  la  bambola  e  di 
chiederle  consiglio  in  tutti  i  suoi  dolori. 

Una  sera  la  matrigna  chiamò  l'orfanella  e  le 
disse  : 

—  Vassilissa,  il  fuoco  sta  per  spegnersi,  fa  Fred 
do  e  tu  andrai  nella  foresta  a  chieder  luom  a  babà 
Yaga. 

Vassilissa   proruppe  in   lacrime.   Babà  Yag 
una  strega  dalle  mascelle  enormi  che  maciullavano 
carne  umana.   La  bimba  corse  nella  sua  cameretta. 
diede  da  mangiare  alla  bambola  e  le  chiesi-  eh 
salvasse  nel  pericoli.. 


I  141 
por- 


Non  linieri'        le  rispose  la  bambola 
fami  con  tee  la  strega  non  ti  potrà  divorare. 

La  fanciulla  si  mise  l'amica  in  tasca  e  tutta  tre- 
mante s'addentrò  nella  foresta.  Dopo  lungo  cammi- 
no pervenne  finalmente  alla  dimora  della  strega. 
I.a    palizzata    che    le  stava    attorno  era    latta    di    Ossa 

uni, me  sormontate  da  teschi  che  ancora  avevano  gli 
■  echi  s!  ranamente  vitrei  e  spavi  ntosi  -,  i  cardini  del 


L'INVOi  IZIONI     Hl:l    DEMONI 

le  porte  erano  fatti  di  tendini  umani  ;    le  serrature 
.la  bocche  fornite  di  denti  acutissimi. 

Appena  scesa  la  notte,  gli  cicchi  cominciarono  a 
sfavillare  di  una  luce  sinistra.  D'un  tratto  si  fecero 
udire  muggiti  terribili:  Babà  Vaga  arrivava.  La 
!  un  ut  Ila  1  remando  le  domandò  fui  »  . 

Te  ne  darò  se  lavorerai.  rispose  con  voce  ca- 
vernosa  la  fata.  —  Bisogna  che  per  domani  mattina 
svegliandomi,  io  trovi  il  cortile  scollato,  la  casa  ri- 
pulita, il  pranzo  cotto,  il  grano  macinato  chicco  per 
ciucco....  altrimenti....  —  e  i  denti  della  strega  scric- 
chiolarono sinistramente. 

—     N'nii     piangere.     Vassilissa,     —     disse    la 


LA   ini 

a    ripi  lascia 


1142 

■:.i  la  notti  ola  bambola  lavorò.  '  'ome 

imbola,  1  ome   lavorava  1    La 
1  U'ordinc  Pn  - 
g  :  i  occhi  si  a>  illanti  e  li 
alla  fanriull  1  1  hi    si  mise  pei    li  via  del  ritorno. 

lei  cranio  e ncian  ino  .1  brillare 

tìssandi  1  la   mal  1  igna  e  le  sorellasl  re. 
ire,  ma  im ano:   la  sera  eram 


solo  il  mistero  < it - 1  ni  isl  n    .n  venire  che  ci 

tormenta    Davanti  .il  silenzio  di  un'immensa  I 

davanti    alle    tenebre,    davanti    alla    grandio- 
del    ni. 'ir    noi     prcn  iamo    un    timi  ire    rago 
un    brividìi  ili    paura.   I    allora   abbiamo 
to   le   1   '1    'lii    boschi   e  «lei   man-.    l>i    ni 

don  uni  il  loro  albero  favorito,  il  ti- 
glii<.  e  si  riuniscono  per  le  mai  abre  danze.  Esse  sono 
lo  un  poeta  tedesco,  come  il  pollice 
.li  uhm  bambina;  ma  colle  piccole  braccia  possono 
trasportare  blocchi  enormi  di  granito,  Hanno  occhi 
di  una  fosforescenza  strana,  la  chioma  bionda  che 
ggia  v, itto  un  ii  Ti' '1 1.  E  tutta  la  ni itte 

danzami  descrivendo  larghi  cerchi  opalini  a  stento 
visibili  ne)  candore  lunare,  al  suono  ili  arpe  miste 
riose.  Disgrazia  .1  chi  li   incontra,  Attratti  dal  can 
egli  le  avvicinerà;  il  cerchio  fatale  gli  si  strin- 
imi sempre  più.  sinché  l'infelice  cadrà  stri- 
ne piccole  manine  stregate:  poi  sul  suo  1 


(\  O  In    \nl  IMI 


11/ 1    ripij  '  n  uls  1    ed 

■_  iasl  ica 

I  Corrigan,  fratelli  delle  fate  dei  boschi,  danza- 
no invece  alla  lire//.'  del  mare,  passandosi  ili  ma- 
no ni  mani    la  coppa  che  contiene  il  liquore  mera> 

glÌOSO. 

Ma  ecco  gli  spiriti  delli  ai  |ue  chi  chiamano  colla 
voce   melliflua   ili    sirena.   Talvolta    scivolano  sulla 
supei  i"  ie  delle  1  inde  sin  irandole  ap|>ena  o  ii  pico  >1 
piedi .  1. il  ali  1.:.  sotto  le  apparenze  'li  piccoli  bambi 

ni  dai  capelli  d'oro,  ir.m  rsan 1  rapidità  porti 

tosa  le  riviere  e  i  laghi  lanciando  in  giro  sgu 
ammalianti.    La    loro  voce  vi    promette  la    felii 
laggiù,  in  fondo  alle  acque  silenziose,  nel  regno  del 
mistero.  Le  ondine  fanno  più  dolci  i  loro  canti  che 
sorgom .  dalle  onde,  e  le  ninfi    I  ■    1  herzare 

nella  trasparenza  dei  l  ighi  1  loro  raggi  'li  smeraldo. 
L'incanto  i  orma  onnipotente,  e  nessuna  forza  u- 
mana  vi  può  salvare  L'uomo  si  protende  sulle  onde, 
verso  questo  mondo  ignoto  e  prodigioso.  Le  \isioni 
si  allontanano,  egli  si  piega,  si  piega  sempre 
sull'abisso:  ecco  un  tonfo,  un  uomo  scomparso  sul 
cammini  1  <*he  non  ha  ritorno. 


1        m  nel  mistero,  in  fondi  :  alle  onde,  il  vi 
N'ichus  rcinlr  giustizia,  se  almeno  è  vera  la 
da,  la  vecchia  leggenda  dei  parsi  del  Reno. 

Come  fu  arrivato  il  giorno  del  matrimonio  colla 
ricca  e  bella  castellana  del  Reno,  il  conte  Pietro 
Staufenber]    volle  traversare  il   ninni'  pei    raggiun- 
gere la  fidanzai  1,  quando  si  levò,  improvvisamente, 
una  tempesl      1    un  1  forma  strana  e  allungata  sorse 
dalle   acque  e  si  collocò  dinanzi   alla   prora   dell: 
barca  impedendo  il  passaggio.  L'essere  strano  pian. 
geva   dolorosamente.    Il  fidanzato  ebbe  un   rug| 
ili  terrore,  poi  dissi    ai  suoi  cavalieri  ili  andare 
prendere  notizie  di  Gottlieb  di  Braubach  ili  cui  ave 
va  prinm  domandato  la  mano  e  che  ora  tradiva 
un'altra  sposa.   Quindi  continuò  la  via....   S 
mezzo  il  pranzo  ili  nozze.  Di  fianco  ali. 
sa  il  1  i\  ilien    non  rammentava  ormai  più  il  fanti 
sma  del  l'unni-,  quando  un  nuovo  ruggito  di  ter 
gli  usci  dalla  gola  dovi  ■■  1  il  miglior  vino 

del  Reno.   E  limasi-  immobile  rissando  in  alto  un 
essere  in\  isibile. 

Ebbene  -        chiesero  i  commensali  atterriti. 
l'n  piede  ili  donna,         rispose,         un 
I Mini '  '■  pici  oli ' 

E  runir  un  ossesso  prese  la  testa   fra  le  mani  e 
scomparve  fra  le  sii'   del  castello.  Ma  sul  suo  pas 
!, .  una  ■  appezzeria  cadde  e  di  sotto  ne  si 

unt ii"  i a,  bianca  còme  ili  un  cadavi  re 

intese  uiì  galoppo  'li  un  cavallo.  Era  il  mi 

1  he  tornava  colla  notizia  che  l'antica  fidan  I 

bandonata  ei  1  mi  n 

Dami. i/ii  mi'       gridò  il  cavi  idde  pal- 

lido al  suoli     Qu  indo  1"  sollevarono  viden 
I  colli    un  giro  bluastro.   La  tradita  l'aveva   si 

Qui  la  le|         la  finisci    ma   non 

\.  ■      la  personificazione  del 


HALLE    RIVISTE 


Ma  se  le  fateci  sembrano  tropi»,  lontane,  esisto 

no  altri  esseri  che  la  fantasia  popolare  ha  collocato 
al  nostro  fianco,  sotto  il  nostro  tetto,  presso  il  no- 
stro guanciale,  i  nani,  popolazione  innumerevole  di 
lillipuziani.  L'n  tempo  essi  ebbero  a  lottare  contro 
i  giganti  i Iella  terra  e  allora  milioni  e  milioni  di 
essi  caddero  stritolati  sotto  il  tallone  di  qualche  mo 


114J 

strigliano  le  groppe,  montano  in  sella  e  via  per  l'im- 
mensa campagna  contro  le  raffiche  gelide  dei  vi 
Al  mattino  riconducono  i  puledri  in  stalla,  ma  pri- 
ma  tanno  alla  criniera  un  piccolo  nodo,  al  quale  si 
sospenderanno  di  giorno  per  riposare. 

Spesso  noi  ci  siamo  coricati  alla  sera,  stanchi,  sfi- 
duciati forse  da  un  lavoro  tormentoso  che  non  riu- 
sciva alle  nostre  forze,  forse  avviliti  dinanzi  al  mi- 
stero di  un  problema  di  cui  non  sapevamo  ti"\  ire 


I    \\M    I     LA    im 


stri  .   Ma   la  \  ittoria     1 1  nalmi  nte  ai  nani,  sim- 

del    predominio  dell  astuzia   e  del  genio   sulla 
forza      i  bruta  della  natura.  Ora   i  tempi  delle 

epiche  lotte  sono  lontani  e  i  nani  hanno  abbandona 
to  le  '  avi  ni'-  sotterranee,  dove  fabbricavano  le  spa 
>ono  venuti  ad  abitare  presso  i  nostri  focolari. 

Coi  nani  la  felicità  è  entrata  nella  vostra  cas 
Quando  i  servi  sono  affaticati,  ecco  i  nani  ad  un 
vostro  cenno  irrompere  in  cucina,  pn  p  i  tre  il  pran- 
zo, pulire  le  camere,  sprimacciare  il  letto,  poi  'li 
notte,  mentre  voi  dormite,  eccoli  correre  su  e  giù 
per  le  scale,  so  'pam  li  i.  pi  ilverandi  >,  e  tutto  ciò  seri 
za  rumore;  svegliandovi  solo  al  mattino  col  loro  riso 
|uasi  infantile.  E  intanto  le  pico  dei  nani, 

le  minuscole  dame  bianche,  scendono  in  scudi 
Esse  hanno  dei   gusti   assai   aristocratici  e  preferi 
no  i  purosangue    l'i   notte  mentre  gli  stallici 
di  rmi  ini  \,  ess1    ac  :en  li  mi  :  un  i   |  ndela,  poi 


la    soluzione.    E    spesso   ci    i  il    mattino, 

'ii  forza  e  di  intuizione  e  allora  le  tenebre 

dono  e  tutto  ci  sorride  piano  e  facile  Che  è  mai 
!S0?   Il  nano  ha  lavorato  pel    noi. 


I  ollic.    fi  illie,    follie  !   I  .e   nostre    late  Si 
nostri  nani  non  esisto '  i o,    noi,  .-^isi 1,-  mon- 
ili  di  cioccolata  e  le  sorgenti  di  mieli  '  Sia  [ture, 
ma  lasciateci  nella  prosi  triste  della  vita  la  poesia 
di  qui    e  i       ì i' "ii  m.  m\  igliose  della  !  I  'u- 

manità   in   un'ora  di   sogno  ha  ci. -ito  un  universa 
(  >ra   vecchia  e  stanca   ricade  su  sé  stessa,  senz 
sorriso  delle  ingenue  visioni  infantili.  Oh, 

i  he    lj  I  i    anni    i 

gi..\  in.-// 1  lontana  ! 

I  Dal' 


'  «44 


LA    1  il 


1  1   Iv. 


Ili 


exta 


suijlì    est  1 1 1 1  i 


con  20  .li  mediocre  attenzioni    e 
■i  che  si  distinguevano  per  la  negligenza  asso 
luta. 


rdare  le  pn  «nozioni  e  le  licen- 
lelle  scuole,  mediante  esami,      provvido  e  razio 

naie,    oppure  II      [olstoi    gli    ■■ 

Ufonso  Karr  definì   l'esame  d'arti 
gabl  ore»,  e  1  ino  Feri  iani,  noto  stu- 

dioso d  -  i  ile,  è  delli  i  stessi  •  parere, 

giudice  dell'allievo  non  è  l'è 
saminatore  del  momento,  bensì  chi  gii  in  maestro 
durante  l'anno;  e  che  l'esame,  del  quale  i  diligenti 
o  spauriti,  ila  occasione  ai  fanciulli  svegliati  ma 
negligenti  ili  e  i.i  furberia,  l'er 

confortare  la  sua  opinione  con  documenti  ili  prima 
mano,  il  Feniani  ha  compito  un'indagine  tra  gl'in 
so  'lari,  e  ne  pubblica  i  ri 
I  rie. 
1  maestri  hanno  definito  l'esame  una  «  lustra  »,  una 
n  commedia»,  una  «gran  fatica,  madre  'li  de- 
lusione e  di  amarezze»,  una  «comica  distribuzione 
ili   polvere  negli  occhi»,  una  dotta    per   il  povero 
-ir. m.  un  «mese  di  tempo  perduto»,  uno  rsciu- 

I li  forze»,  ecc.  I  genitori  hanno  dichiarato  che  il 

periodo  degli  esami  è  tormentoso  per  loro  e  per  i 
tìgli,  che  la  rasa  non  è  (allora)  più  tranquilla,  che 
tutti  sono  in  trambusto;  e  così  via. 

Ma  le  risposte  più  interessanti  sono  quelle  di 
scolari.  Tra  questi,  i  diligenti  hanno  espresso 
la  paura,  il  terrore,  l'orgasmo,  t'incubo  dei  quali 
sarni  sono  ade  ne;  mentre  i  negligenti 

hanno  dato  risposte  di  questo  genere:    «Gli  esami 
non  mi  fanno  né  caldo  né  freddo.         Basta  essere 
un  po'  svelti,  e  l'esame  è  una  cosa  da  nulla.  -    Pei 
me  non  me  la  scaldo  troppo.         Se  non  passo 
passerò  dopo».   Il    Ferriani  ha    interrogati    in 
tutto  150  fanciulli,  tra  i  quali  ne  ha  trovati  70  pau- 
rosi dell'esame,  35   incuranti  e  45   arditi,   (ira  tra  i 
70  paurosi.    30  erano   molto  studiosi   e    -'7    por,,.  ,■ 
solo    13   negligenti;   mentre  fra  i   $-,   incuranti,   il 
minor  numero,  appena  5,  erano  veramente  studiosi. 
tudiavani  1  poco  e  ben  :o  che  non  stu 
(Fati pure  tra  i  45  arditi  app 


Gli    alberghi    svizzeri 

11  numero  complessivo  degli  alberghi  e  delle  pen- 
sioni   in    [svizzera,    nel    1899,   era   di    1806,    con 
10.1.876  letti  pei  1  viaggiatori.   Dieci  anni  prima, 
nel  1889.  il  numero  dei  letti  era  poco  più  della  me- 
8, 1,57.  in  [oo.'  alberghi. 

Duranti-  il  [899,  gli  arrivi  salirono  .1  2.559.000, 
e  il  numero  complessivo  dei  giorni  di  permanenza, 
fu  di  9.763.000.  E'  interessante  desumere  dalle  Sta- 
tistiche ufficiali  la  proporzione  delle  diverse  nazio 
n. dita  dei  passeggeri.  I  tedeschi  tennero  il  primato 
rappresentando  il  33.6  per  cento;  vennero  poi  gli 
Stessi  svizzeri,  col  20  percento;  in  terzo  luogo  gl'in- 
glesi, col  17.3  per  cento;  poi  i  francesi,  con  l'u.a 
per  rem,,,  poi  amori  gli  americani,  col  5.2  per 
,  ento. 

Quanto  agli  italiani,  tennero  uno  degli  ultimi 
sti:    le  statistiche   non   assegnano  una  percentuale 
particolare   per  essi,   ma  li   comprendono   nel    12.7 
per  cento  di   nazionalità  diverse. 

I  )ove   vn    l'oro*.' 


In  amante  della  statistica  ha  calcolato  che  i  den- 
tisti americani  impiegano  ogni  anno,  in  media,  per 
aggiustare  i  denti  guasti  dei  loro  connazionali,  la 
favolosa  quantità  di  ottocento  chilogrammi  d'oro. 
Questo  peso  rappresenta  un  valore  di  due  milioni 
e  mezzo  di  franchi  ;  valore  che,  naturalmente,  è 
seppellito  insieme  coi  suoi  proprietari  e  portatori, 
quando  costoro  passano  a  miglior  vita. 

Se  la  cosa  continuasse  allo  stesso  modo  pi 
tre  secoli,  ci  sarebbe  nei  cimiteri  degli  Stati  Uniti  la 
rispettabile  somma  di  settecentocinquanta  milioni. 
cioè  quella   stessa,  esattamente,  che  ora  circola   in 
quel  paese. 

Bella  cosa,  la  stai  ist  ica  ' 


-^nn/s— x 


GIUSEPPE  GIÀ  COSA,  Direttore. 


I  i|,  tirila 


.'in/zi    Giovanni,    gerente    responsabile. 


ed 


Le     rinomate     specialità 

PASTIGLIE  PANERAJ 

a    base    di    tridace    contro    la    tosse 

ESTRATTO  PANERAJ 

di    catrame   purificato 

sono  state  riconosciute  come  meritevoli  della  mag- 
gior fiducia  dal  Consiglio  supcriore  di  Sanità  clic  ne 
ha   ordinato    l'inscrizione    nella 

FARMACOPEA    UFFICIALE 

Ì3Sh 

Chiedere  in  ogni  farmacia  i  prodotti  l*^?siZILj±j 
evitando  le  sostituzioni  ed  esigendo  il  nome  e  la  marca  de- 
positata.       Unici  proprietari  e  produttori: 

Dott.    E.    LANSEL  &  C.  succ.  di  C.   PANERAJ 

-K      I^  I  V  O  I*  IV  O 


Contro     l'anemia     usate     solo 


FERRO  PAGLIARI 


-MADRI! 


*^s<cgofe©^ 

L'uso  del  Caffè  Coloniale  puro  è  nocivo  alla  salute,  specialmente  per  i 
bambini:  il  Caffè  Coloniale  è  troppo  eccitante  ed  è  causa  dei  tanti  e  tanti 
disturbi  —  specialmente  la  grande  nervosità  —  che  infastidiscono  la  vostra 
vita  e  pregiudicano  la  salute  dei  vostri  bambini. 

Non  è  necessario  di  abolire  completamente  l'uso  del  Caffè  Coloniale; 
bisogna  correggere  le  sue  qualità  nocive  ;  il  miglior  mezzo  per  fare  ciò  è 
di  aggiungere  almeno  nella  proporzione  della  metà  o  di  un  terzo  il  Cafle 
Malto  Kueipp.  Il  Caffè  Malto  Kneipp  ha  gusto  piacevolissimo;  è 
un  forte  nutriente,  come  constatato  da  tutti  i  niellivi.  Adoperatelo  e  po- 
tete fare  a  meno  di  servirvi  dei  tanti  surrogati  che  generalmente  non  fanno 
altro  che  colorire  il  caffè  senza  togliere  le  sue  qualità  nocive. 

Sevi  preme  la  salute  per  voi  e  per  i  vostri  bambini,  non  mancate  di 
fare  continuamente  uso  del  Caffè  Malto;  chiedetelo  a  tutti  i  droghieri  che 
no  ne  è  sprovvisto. 


dolete  la  Salute  W 


ACQUA  NOCERA  UMBRA 

(SORGIATE     A>(ii:i.lCA) 

L'acqua  di  Nocera  Umbra  è  eccellente;  ha  un'azione  potente  sul  ricambio 
materiale  onde  riesce  molto  diuretica  ed  è  non  solo  salutare ,  ma  curativa  per  molte 
malattie  croniche  e  specialmente  delle  vie  urinarie. 


F.  BISLERI  e  C.  -  Milano. 


XIILAKO 


in  strana  compagnia 

Romanzo    di    GUY    BOOTHBY 


Vai    as  mise  i  dadi  sulla 
\  eneda   fu   fortunato, 
e  I  albino  fui 

«  r  i.i  notti 

la 

li.'l     I. Utili 

à  udizione  ili  \  alpai 

pensa  che  ri :  erano  auti 

rdine,   bisi 
■    molto    ii  anguilla    \  eneda    era    i  osi 

I   pensiei  >  i  ivo  a  casa,   entrò, 

Uno  alla  sua  i  amei  a   pi  im 
;  dato.  La 

Si    i\ an/..  Uno  a  una  mensola  o\ i 

ed    avendone    a. .  eso    uno    si 

ridere  una  i  andela  \  Icina.   •■ 

fiamma  -i  comunicava  al  lume,  un  riso 

di  ,i  . .  : ■  .\  .'\  a  avere  i 

■    ni  con  \  iolenza,  e  poco  man 

cadere   candelie zolfanello. 

lume,    guani.,    dalla    parte    donde 

veniva  il 

—  .Inanità  ? 

itete  i      o  di  a  edei 

I  |  .i  aver  ai  ci  so  due  altre  i  andele  pri 

>pondere.  La  sua  \  isital  i  mancò  di 

e  il  tremito  delle  sue  inani    Quando  la  carne- 
illuminata      CI  i  .Ì.T.I\  .l.i 

.  ben  chiusa,  rudi  ricordò  i  doveri  dell'ospita- 
lità, lied        '        ini'  il  benvenuto.  Qu 

li  dire  che  era  contento  ili  vedei  i  r,  sorrise 

—  Man.. s.  ti. mi  so  .pianili,  imparerete  a  dire  una 

aria   sini 

dare  -  opra  una  sedia  preparando 
i  ire. 

Juai       I      I  '  ■  amari. ili     Valdores     e a     .Lama 

i  noi  ■  fisicamente,   ma   per  molti 

i  i  sua   belli  zza  era  tale  da  fermare 

;•  alta,   aveva   un   portamenti 

to  ila  farla  parere  anche  più  alta.  Perfino 

per  una  donna  'li   i  azz  i  spagnuola   il  sui  i 

talmente  scuro  che  pareva  abbronzata;   il  suo 

iveva    oju  una.    Eppure 

altre,  in 

i    i 

la  bm  ni  impressione.  Le  mani  e  i  pii 

tura,  non  troppo  grandi  né  trop- 
po pi  nodi  cangiavano  a  suo  talento,   ora 

il     il    riSO,    i  piatili  ' 

risuona^  u  i  ome    una 

M  pan  .li  Mar.  os  \  eneda,  ella  i  ra 

-ni 

i  i.  io  debbo  conve- 

non  tutte  toi  navani  I      ^  noi  ba 

a    parln.    essa    .  .  i 

>,  i  probabile  che  rimani 

mi.. 
ij.iii.i-  .la  compromel 

■  '  inga 

a  ultima   — ervaz e.    — 

\  i    ~. •mia',     una   dOl 


r    uscita    in    i 
.  proprio  a  \  edei   voi 

—  S  i       ma  suppongo  che  a\  rete  li 

ioni. 
Ella  ilu  di    una   scrollatina   .li   spalle,   e  fece  un 
per  dire:  •  chi  lo  sa  ?  ».  i-  indo 

modo  jandosi    avanti,    mise   una    mano   sui 

braccio  <li   lui 

Marci 
■-aprir,   suppongo,  che   la   geute  mi  dii  irda 

perchè  pi :he  io  raci  ia  pei  der  la  testa  agli  ui 

mini    i             anche  che  alle  volte  io  pi  eso  leg 
i  pensieri  degli  i ni  pire  i  futuri  eventi 

—  Allora,  .iiianii  i  ti    il  mio  destino  e  mi 

i  i  agire 
Si  i'/  altre    parole,    ella   si  i    mano   ili    lui 

dalla  sedi  i  o\  era  l'esaminò  con  ai 

lonzi. 

—  Debbo  dirvi  tutto  quel  eh 

—  Pel.  la'   no  ' 

—  Perche  ho  paura,  perchè  c'i  -  i  di  or- 
ribile nella  vostra  mano. 

i  he  ? 

—  Tradimento,  e  per  una  gran  somma  di  de- 
naro  ' 

Egli    ritirò   via   la  sua   mano  con  collera,   e 
dissimulare  li fusioni    finse  una  gì ande  i  u 

illllila. 

—  Siete  davvero  una  p  i  di  buona  ventura! 

li  a     i i  m'i he  di  a\  er  assai  sinato 

il   presidente    <  he  altro  e  è  ' 

—  Man..-    ho  veduto  nella  vostra  mano  più  che 

Voi  meditate  u 

—  Non   è    ii'  '.  ile  da   indovinare.   Se  qui  le  cose 

moli i  .h   ii".   s  iranno  costretti 
ad  andarsene. 

—  Non  .•  tutto.  Vedi,  che  avete  mandato  un  gran 
tesoro  in   un  ntano,   e  che  contate  di 
guirlo. 

—  Questa  è  bellissima  '  E  poi  ' 

—  i  ine   l'amore   per  d  into  sulle   labbra 

he    avete    intenzione    di    abbandonarmi. 

—  E  poi  .' 

—  Che   il   vostro  tesoro  an i    i    i  più  d 

nula  sterline  ed  è  indirizzato  a  ....   lasciatemi 
\edere       e  fingeva  di  studiar  Itene  la  man.. 
i  ;  i  '     '.:.■!      ih  I  il    vostro   nome  Ingli 

.ina  nel  \  i  .ir  Est  india.  Londra    I  Mi. 

\  era  un  ranni  di  trionfo  n  di  lei    v 

,!..    una    i  aria    inn  i  la.    e    Ottenuta     la    \  IttO 

\  eneda  era  dis  fatto   n  suo  \  iso,  pi  ima  pallido, 
.  i  a  bianco  come  i  ■  di  sudoi  i 
ia  sua  troi 

—  Come  avete  voi  saputo  tutte  ques  hez- 

1, ali. ni. 

—  Dalla  vostra  inano.  naturai  in  ■  i  i  sono  dav- 
vero sciocchezze  '  Man  .  li"  sempre  detto 
che                   ir...   ma   vi   bisi  ina   di   essi 

■  i gannai  mi    •  ipere  di  più  " 

1 1.  ..il.   dirvi    ciò   che    ne   di  Macklln    e    la 

to  che  se  fi  eto  è  cu  ìtodito  il 
a   dubbio  —    •-ini" 
dalia  del  nervi  da  salire  quasi  ad  un  fal- 

setto. 
Intanto  si  studiava  'li  leggere  un  dentro  all'ani- 


11  CACAO  STOLLWERCK 


DTZarca  Sìquiia 

fabbricato  dalla  Casa 
Gebrùder  Stolhverck  S.  A.  capitale 
Marchi    i5  .Milioni  è  riconosciuto  il 

migliore 


in    tutto    il    mondo    perchè  perfetta 
mente  solubile,  di  gusto    gradevolis- 
simo e  straordinariamente    nutritivo. 
Nessun   altro    Cacao    può   rivaleg- 
"ia  ijare  col 

CACAO  Stollwerck 

Mai1  <•<(  Aquila 

Rappresentante  generale  per  tutta    l'Italia: 
MAX    :F\RA.IV:k:  =  Milano 


Anno     :m  . 


ISTITUTO  flERO-EIìETTROTERflPICO  DI  TORIHO 


x  i  i  i  »<  •      "v . 


r>©r    l«.     oura     delle 


MALATTIE  DEI  POLMONI  E  DEL  CUORE 

del  Dottor  GUIDO  SCARPA,  specialista 

Direttore  della  Sezione  «  Malattie  di  Petto  »   nel  Policlinico  Generale  di  Torino. 
Via    della    Zecca,    37,   piano   terreno 


E  V unico  Istituto  in  Europa  per  la  cura  esclusiva  e  completa  delle  suddette  malattie  secondo 
i  più  recenti  progressi  della  terapia  e  la  più  rigorosa  razionalità,  cioè  con  a  base  la  correzione 
delle  lesioni  statico-dinamiche  degli  Apparati  Respiratorio  e  Circolatorio  prodotte  dalla  malattia 
stessa.  E  ciò  perchè  non  è  attualmente  più  possibile  esercire  la  specialità  della  terapia  polmo- 
nare e  cardiaca  quando  non  si  possieda  quanto  è  necessario  a  compensare  quel  tanto  di  alterata 
funzionalità  meccanica  che,  in  grado  ora  più  ora  meno  grave,  esiste  sempre  in  ogni  malattia  di  questi 
organi  la  cui  base  di  funzione  è  precipuamente  meccanica. 

L'Istituto  possiede  quindi  nelle  sue  16  sale  di  cura  impianti  grandiosi,  perfezionatissimi  per 
la  Pneumoterapia  completa  e  l'Elettroterapia  di  tutte  queste  malattie,  cioè  Bagno  d'aria  com- 
pressa semplice  e  medicata  ad  alta  pressione,  Apparati  pneumatici  automatici ,  Nebulizzazioni 
medicate,  Bagno  idro-elettrico  e  Bagni  di  acido  carbonico  (per  le  malattie  del  cuore  e  dei  vasi), 
Correnti  ad  alla  frequenza,  Esocardio ,  ecc.,  ecc.  Cura  speciale  locale  chirurgica  (metodo  proprio) 
della  tisi  polmonare,  l'unica  razionale  ed  efficace  anche  nei  processi  avanzati,  sì  che  2-3  vusi 
di  cura  nei  casi  gravi,  e  4-5  mesi  in  quelli  gravissimi  e  ritenuti  inguaribili,  bastano  a  dare  risultati 
ottimi. 

Impianto  di  straordinaria  potenza  per  la  Radioscopia,  Radiografia  e  Stroboscopia  del  torace 
a  scopo  diagnostico,  mezzo  di  importanza  straordinaria  in  tutte  le  forme  polmonari  sia  iniziali  che 
avanzate,  e  nelle  malattie  dell'apparato  circolatorio. 

Consultazioni    tutti    i    giorni    dalle    15    alle    17. 

PER  GLI  OPERAI  E  LORO  FAMIGLIE:  Domenica  e  Giovedì. 
Consultazioni  (dalle  17  alle  19)  e  Cure  a   tariffe  di  favore  ridottissime. 

Chiedere  opuscolo  illustrativo  che  si  spedisce  gratis. 


Stampato  completamente  colla    macchina  u  Fulgor  »  NEBIOLO   e  C.  •  TORINO  -  Milano  -  Genova. 


Il 


IN    SI  RANA    COMPAi 


m.i  sicuro,  perchè 

mutò  a   atto. 
i 
giunsi 

\  i  ,  ompl  molto  de 

o  'li  l'in  per  potermi  ingan 

Con         ipete  chi  o?  Poii  he   ho 

perchè  1         i    Irei  dirvi  tu 

i  ii  i  mia, 

in  ■  i  certo  i  ii'1  v.'i  non  sapete  i  >" 

-l:u    VOStrl    OC 

chi. 

ilo  il. 'ila  camera    i  a  cai 
,(.ii;,  vania  apei  ta  a  rove 

Eg|j  n  della  i 

uno 
_  ..\ii  '  .-ih  '  ■  ola  lndo\  Ina  I  Siete 

E1   h  hia  '■   buona.    Mi   ricordo  il  aver 

ne  d  :      della  letti  ra 

ni    r,  stilo  i Per  sapei    tutto  quello  i  he   m  a- 

i  avete  a\  uto  da  far  ali 

cian  M  ' 

te,  l'ho  un  sso  sulla 

dopo  tutto,  voi  non  potete 

ali-mi   danno. 

p  ch'io  vi  vi  recai  danno  " 

_  I  ,  penso  soltanto  i  he 

lo  ]  i    vedete,   per  mettere  al   sii  uro  due 

centi  mila    lire,   ci  no   duecentomila    precau 

Ora  eh  i    i che  voi   siete  cosi  b 

informata,  oon  sarebbe  un'imprudenza  il   lasciarvi 
isa  : 

Ni  i  in li. si  di  questa   min essa  con- 

nijii  ii  l'avesse  pronun- 

_  Avresti  l  i-i'"   lidarsi   'li  ""  ■    Murcos. 

Vi  1  che  n ni  Udo 

_  N0n  |  avete  detto,  i  diffidate,  n  altron 

de.  \  i        d ani  si 

_  i  ome   lo  sapeti   ' 

_l  ■  vero  7  E  voi  mi  prendi  reti 

con   voi,   nevvero?    Vnche   se  non    mi    amate   più, 
'  £  co  amico  eh  io  ali- 
ina  .pn    Non  mi  lascerete  in  man     .         "i-i.  Sono 
questa  vita  .li  spi  maggio  e  ili  corti- 
.,   sarei  tanto  devota 
i  ,,   sua   voce   In  mai  a.  Egli    pa    -  gì  iava    a 
mei  i     l'..i  m    fermo   imi 

lardi      P       q ti    ei  li    vi    leg    e>  i, 

,,,,,,  Cera  che  un  grande  amore  negli  occhi  di  lei. 

i      ;   tentazione  ed  un  peri. 

era  quello  il  partito  più  si 

In   ,,,.   ,;  ndo  egli   si   decise,  e  al 

,,i      di   ti   ieri  ■  -      In  ili"   pure   iickIi 

occhi   di   Man         Sarei  ito   diffli  ile   i  ompren 

i    più  sincero   Tornando  a 
den.  ,.       braccio  intorno  alla 

V 1 1  ;t    6    (li  SSG  '. 

,  li,,  voluto   provan  i     \  i     

adare  di   voi .  avvenga  che  può,  ce 
indr Insieme 

M 

\i.  ■  Ittoria, 

ma  ito    ma  i  ausa 

i  e   minuti   ■ 

mia     SOla, 

...      i 

ita    dell  i        .    

do  a  mezza  voce: 
_   i  •    per  farmi    pei 

ma 

pra  .ii  lui  itorizza 

i  in  u 

•  i   doppia   i  fttena.    I   hi 

,  ,   petto. 

i ,  posta  eh  io  abbia 

, aliar,-    una    il. ama 

1     ■ 

ibbl  ■    - 


I    MI  IHMI     III 

l'uà  strana  giornata. 

i  q'oi  a   pi  ima  dello     puntar  del    riorno,   \  eneda 
venne  svegliato  da  un  i  ontinuo  rumoi  e  chi 
dalle   vie  della   città.    La      loi  nata    si   annunzi  1 i  a 
freddissima:  ciò  nonostante  quasi  lutti  gli  abitanti 
erano  In  pi, ah,  atientl  se  udh  ano  i  olpl  di 
d  ille    alt annunziane    un    combattimento.     U- 

18    il nini  lai  Ono  alcuni    rari    colpi  .  man   man,, 

che  veniva  giorno,  questi  si  fecero  più  forti  i 
quenti     Decisamente    la    tanto    aspettata    battaglia 

iniiii'ial.i. 

Ventala,  seguendo  l'esempio  del  su, a  vicini,  apri 
i  i  Questi  a  e    i  pei  ascoll  ire    Di  pò  la  con- 

ei  azione  della  sera  Innanzi  col  me In 

in  i  alle  della   Vieti  irla    la  su  i   fede  nella  \  Iti 
del  Governo  ora  in  qualche  modo  diminuita,  6  per 

la  prima  volta  coi ad  allarmai bI  pei    la  prò 

pria  salvezza    Supponendo  ci  stato 

dai  Con  re    lonalisi  I   pei   il  suo  tradlmen 
potrebbe  egli  fu    rire  dal  Cile  ! 

in  questo  caso,   Boulger  non   lo  aspetterebbi 
Jiianiia,  per  porsi  m  salvo,  i"  tradirebbe    Ma   era 

i  m  m, al  il  m  In  spinelli, -irsi  Un  d  >.r,a  .  dal  Ir,. mie.  quan- 
te volte  n, ni  si  ,-r.a  egli  già  trovato  in  momenti 
difficili! 

La  gente  nelle  vie  presentava  uno  strani 

Nella  loro  agitazione  non  conoscevano  più 
partito  di  sorta .  i  pens  ieri  e  le  ansie,  tanto  del 
Gobiernitos  quanto   degli    Oppositores,   erano   tutti 

e,, -Mirali  neiia  battaglia  che  slava  combattendo- 
i    Erano  come  gli  spettatori  duna  commedia.  A- 
vrebbero  pensati,  più  tardi  alle  ire  di  partii,,. 

Verso  le  8  l'agitazione  era  giunta  al  pan 

I  lai    SUOnO  disimi, ,   dei    Colpi,   si    eapi\  a    elle   le    fi 

del  Governo  erano  re  pinte  e  che  il  parili.,  dell'Op- 

posizi ■  si  avanzava  su  Valparaiso    ih  minuto  in 

minuto  il  suono  si  faceva  più  forte;  già   la   i 

turbolenta  della   popolazione     cominciava    a    

strarsi   indie  vie;   ma   quartieri   più   bassi   si   udiva 
il  siili  lo  dei  colpi  di  moschetto:  molti  dei  principali 
magazzeni   erano   chiusi,    menile   da    parecchie    di 
rezioni  il  fumo  defili  incendi  si  staccava  sui  cielo 
sereno. 

Tutti    erano    cosi    sicuri    dell'esito    del    comb 
mento,  che  molli  partigiani  del  Governo    faci 
fagotto,    fuggendo   dalia   città    il    più   quietamente 
possibile,  rifugiandosi  o  nelle  vieni,-  montagne,  o 
domandando  asilo  a  houli,  delie  navi  straniere  an- 
corate  nel   porto.  Alle  dicci   il   fuoco  cominciò 
minuire,  dopo  una  mezz'ora  lutto  era  Imito    Di  chi 
era   la    viti, .ria.'    Ecco    la   domanda    che    era    sulla 
bocca  di  tutti. 

La  notizia  non  si  fece  a  lungo  aspettare  Da  ogni 
direzione  giungevano  di  corsa,  a  piedi  o  a  cavali,,, 
uomini,  donne,  fanciulli  che  erano  stati  al  campo 
di  combattimento,  raccontando  ad  alta  voce  la 
completa  distaila  delle  truppe  del  Governo,  esage- 
randone i  parti,, .la,  i  col  ripeterne  il  raci  ■  i 

\|,pena  con.,-,  mi.,  l'esito  della  battaglia,  l'Inten- 
dente consegnò  la  citta  agli  ammiragli  delie  navi 
da  guerra  forestiei  i  le  quali  a  loro  volta  la  rimi 
sero  ai   capi   '  lonalisti;  in   questo  modo  lo 

,  ni.-,     era     p  i~  -ala     di     una     l'eplll.M 

una  classe  di  cittadini,  ad  un'altra  più  popolare 

\  .neiia,  come  è  facile  imi  fece  di 

me "i lo  per  essere  al  corrente  di  ci    deva. 

'entrare  delle  truppe  in  città,  egli  vide  con 

tamente    distrutta   ogni    sua    speranza    poliMca,    e, 
nella  sua  fervala   nunie.  (ria   stava  combinando  il 
mezzo  per  assicurare  la   -uà  salvezza   Uni 
iunto  ii  ni. .mi  nto  di  lasciare  il  paese. 

,  ,1      :  he    la    sua    salve/'/a    dipi  ndi  . 

maini!,,  dalla     uà    q n  ip<    di  questa 

prima  e,, sa.  in  cinque  minuti  la  sua  bai  ba 
1 1 ,  s'incerò  e  si  tirò  all'insù  i  folti  bnl 

Il  ;.  l'Un    I la  d"- 

n  in  lento   ,ai,  i.  .......     di    un    i ho 

e  di  un  sombrero  a  larghe  falde    '  i    i  equ 

nion>]>l..  davanti    allo  specchio,    lodandosi   della 


DIGESTI  BLE-CACHETS 


Digestivo  in  cachets,  d'ongme  anglo  americana,  che 
graduale  antisepsi  direttamente  sulle  vie  di- 
gerenti, biliari,  ed  intestinali  con  sorprendente  efficacia. 

Ai  Medici  Italiani  campione  di  prova  gratis-franco 
a  richiesta  con  pie- lucra  di  riferirci  sull'esito,  partendo 
da  tre  fatti  clinici  anatomicamente  e  chimicamente  accertati: 

1  II  "Tot"  tonifica  disinfettando  le  ghiandole 
che  secernono  i  succhi  gastrici. 

2.  Il  Tot'  discioglie  i  catarri  e  le  mucosità 
dello  stomaco  e  degli  intestini. 

3.  Il  "Tot"  impedisce  le  fermentazioni  gastro- 
intestinali, assorbendone  i  gas.  senza  neu- 
tralizzare l'acido  cloridrico  come  il  bicar- 
bonato di  soda. 

Un  tjiia  L.  5,  per  posta  L.  0.30  in  più  •  6  tubi  franchi  di  porto  L.  27 
In  tutte  le  farmacie 

o  presso  la     '  TOT  "    COMPANY    Via   Giulini,  2   -   Milano 

Chi  ha  difficoltà  di  di^en-e,  chi  soffre  di  infiammazione  in- 
testinale, ctn  fa  vita  sedentaria,  chi  lavora  troppo  di  cervello, 
chi  eccede  un  tantino  nel  mangiare  o  nel  bere,  chi  non  è  re- 
golato di  corpo,  chieda  l'opuscolo  sui  "Disturbi  di  stomaco,, 
con  tavola  sulla  digeribilità  degli  alimenti,  e  figura  scom- 
ponibile a  colori,  clic  si  invia  gratis  e  subito  dovunque. 


MALATTIE 

II 


DI  STOMACO 
NEVRASTENIA 
ESAURIMENTI 

Cura   radicale  coi  suc- 
chi organici  del   Labora- 
torio Scquardir.no   del 
DOTTUH    MORETTI 
Milano,  vìa  Torino  N.2I. 

Opuscolo  gratis, 


DIZIONARIO 

Tedesco-Italiano 

Italiano-Tedesco 

GRÙNWALD  &  GATTI 

editore  Belforte  -  Livorno 

Per  acquisti  rivolgersi  Uf- 
ficio Annunzi  Domenica 
del  Corriere  e  Lettura 
—  Via  Pietro  Verri,  12  — 
Milano. 


u£k>  UyU  «*y^«  *À&<t  *j£*J 

c3^^rf5$^(fto35àJ',(f!3SL4a^Kii 


3Sfi|&(2! 


•©.  svassi. 


e  restar 
giovani. 


iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiii 


PER  DIMAGRIRE 

Fate  uso  delle  "  Pllules  Apollo"  a  base  di  "  Vesiculosine" 
estratto  dai  vegetali.  —  Queste  Pillole,  approvate  per  le  eccelse 
qualità  medicinali  sono  benefiche  alla  salute  perchè  fanno  dima- 
grire in  modo  naturale  diminuendo  la  produzione  del  prasso, elimi- 
nandone quanto  ne  è  in  eccesso  nell'organismo.  Oltre  la  sparizione 
dell'eccesso  della  grassezza  le  '*  Pllules  Apollo  "  regolarizzano 
le  funzioni, ringiovaniscono  i  lineamenti  e  rendono  al  corpo  l'adii  ita 
ed  il  vigore.  E"  Il  segreto  di  tutte  le  signore  che  vogliono  restare  giovani  e 
svelte.  Queste  Pillo  le  con  vendono  ai  temperarti  enti  i  più  delicati  tanto 
agli  uomini  che  alle  donne  (marca  depositata). —  Il  flacone  fr.  6.35 
(L.  6.70)  contro  assegno  cent.  35  in  più.  Invio  discreto  e  franco, 
d.  RATIÉ,  firmacisla.5,  Passage  v>ri.e«ni.Ptrigi,  9#.  Deposito  generale 
per  l'Italia:  Farmacia  Dott.L  ZA  MB  ELETTI,  Piazza  S.Carlo,  5,  Milana. 


9§£E 


*^«  «^^  r<or*  *^'  '^;'      — 


Ili 


IN    STRANA    COMPAGNIA 


:  i   3i  ,.ni',  i  ento 

iti    In  > i < i<- 1   vero  tipo 
,i  \        ,     d  ora  prima, 

.ino  il  sm>  piano 
di  ,  ,ii  rimanere  dove 

lo  aspei 
landi    il   momento  <i  Imi  Ma    ri  mia  . i s   al, 

bali,'  disunisse 

lutti  i'  SSe    ni    mani    al- 

qualche  p 
pei    mi  un  rii  ordo .  poi  si 
ito,  apri  la 

i,' li   uscire  dalla 

per    timore  ili    essi  en  ato 

momento  mi  asi  filari',  poi  non  uden 
dia   di  difilato   nella   \  la,    Ni  ti 

ii  aveva 
[are  (noi 

,     In    mina 

,i.'i  i  i  ih  vedere  (pianti 

•    ih  pigliar  parte  aU'agltazJ 

uà  aa\  \ ,         i      città  era  i 
idati     sei  i    tumulti    avevano    avuto 
i  i,i    ancorate    a  ■  barcate    «ielle 

truppe    per    pi  la    Mia    degli  ina 

nei  bassi  quartieri  la  fri  aia  uni"  \  e 

-i  i,i  n  na\ estito  i-In'.  tro\ andosì  fra 
ih  sua  cono  non   venne  rii 

ni.    rass  coi       di    li    -  -•  enti 

della  giornata  con   vivo   ini  Ma  un  grande. 

impre\«'iiuT«i  |  i\  a  ' 

i  ria,  si  avviò  verso  una 

iterale  in  direzione  ilei  porto;  fatti  una  cin- 
quantina rii  passi,  tuli  un  suono  a  lui  ben  noto; 
quell'i  ih  una  folla  qualcuno  o  quali  he 

cosa  liuti,  ili  svignarsela  per  non  correre 

il  risi  hio  'li  venii  confus Ila  Inni  preda,  ma  inni 

gli   fu   possibile,  in  quel   momento   udì   dei   passi 
\  -ni  grai  resa  riconobbe  nei 

li  ini  Macklin,  l'albino,  il  presidente 
-  irta,  il  viso  livido  da!  terrore,  respirati- 
li,, tceri  e  strai 
ciati,  in/-  ini  sopra  -rii  occhi,  senza  cap 
pelln.  colle  gu  pi  rte  'li  ammaccature,  i 
gosc  i  dava  una  stra- 
ordii 

—  Salvatemi,  salvatemi!  —  di  un  filo  di 

\ ,    ne  supplico,  in  no- 
me ,,     I  : 

Nulla   •  più    f.-u-ilc   a    \  meda    ili    li 

darln  via  n  lo  aveva 

in  u  ito   poi,  per  ragioni  che  ni  n 

del  nani'  I"  avrebbe 
aim  ■  rsida  q  bai 

deci-  io  per  venirgli  in  aiuto 

.  ,  ',  ole,  senza  dubbio,  ma  che 
ire  e  pieno  di 
traddizioni   dell'indivia 

tata  olla  tumultuante  s'avvicinava;  anco 

ra  un  numi'  irpresi.   Veneda  si 

volse  alla  povi  rizzata  e  -li  disse: 

—  Tari,    ilei    I  i    tacchi,    tu: 

comando 

P  i  di    forze,   l'albino  gli 

,    Imitami  lini- 

a  di  qua  e  di  là,  come  un  mulini 
Mi  vano  di    corsa,    la   folla   li 

un  •  idi  il  sibilo  d'una  palla 

lo   spavi  i 
mini  d'essersi   interi  del- 

l'ali -  ridi  Più 

in  fretta,   più  In   : 
terni  '   Era 

■ 
I"-    a    inala    pena    I  l'an- 

nitina   di    passi    di 

folla   ci  ■  oliva 

he  a  ui  di  ih 

quan- 

pri    ■    i  -    ■ 
se  li  di   un 


fuscello  e  riprese   a   fu  ingoio  di 

-    ih  mai  si  -  i  -'-l'i'  nessuno,  si  ih. 
verso  un  gruppo  di  i  ase  abbandonate  al  di  là  della 
iunto  -i  i  della  ter- 

11  SUO  cai  un  in  terra. 

—  Non  posso  più  i  or lai  e  a  poi  larvi,  na 

diamoci  I        gridò  mentre  scuoteva  energicamente 
una  porta  che  dava  m  na  entrar 

qui   prima  ih   o--or,  alti  inn-nli    in-   \  a   della 

\  uà.    aiutatemi,  aiutatemi  I 

L'albino  non  ebbe  bisogno  di  un  secondo  co- 
niami,', e  tutti  e  due  insieme  sfondarono 

edette  propi  io  in  [uel  momento  che  i  a>  an 
guardia  delia  folla  svoltava  l'angolo  urlando.  N,m 
era  questione  che  di  pochi  minuti  Vi  edo  era 
persuaso  che  gli   Inseguitori,  non  vedendo  più  la 

loro   preda  davanti   agi in.   avrebbero  comin- 

a  cercarla   nelle  case.  Egli  sapeva,   per  pro- 
pria esperienza,  e. .ine   la   folla  mu:   ne   VOg 

derubala  senza  loti 

rati  in   una  casa   salirono  rapidamente   i   tre 

piani  della  scala  fino  al  solaio  e  colà  s-'iu 

udirono  in  basso  la  folla  mormorare  mi- 
nacciosa   \  eiieda  Si  voltò  a  li  èva 
ira.  cercando  di  riprendere  il  jai 

—  (i  hanno  rintracciati    Non  su  come  fare a 

irli. 

Cosi  dicendo  udirono  un  man  rumore. 

—  Stanno  sfondando  il  portone.  —  continuò  con 
calma    Veneda.   —  Andiamo   via  di   qui.    Slete   al- 
ni- " 

Per  tutta  risposta,  l'albino  scattò  in  piedi 
L'unica  via  di   salvezza  erano  i   tetti,   ma   e   poiT 
Un  gran  vociare  annunziò  loro  che  gli   Insegui- 
tori erano  entrati  in  casa    Eccoli  presi  in  trappola 
i  ome    topi.    A    parte    altre    considerazioni.     q  . 
sarebbe  stata  per  loro  la  più  spiacevole  delle  ninni. 
\  eni'da  pensava  che.  dopo  aver  sfuggito  tanti  pe- 
li, sarebbe  stato  troppo  umiliante  morire  nelle 
mani  di  una  folla  sfrenata  per  causa  altrui. 

Mentre  questi  pensieri  crii  turbinavano  per  la 
niente,  cercava  il  mezzo  di  salvarsi:  non  vi  era  al- 
tra via  tranne  la  porta  dalla  quale  erano  entrati 
e  la  finestra  che  dava  dietro  la  casa,  su  dei  tetti 
bassi.  Dalla  porta  era  impossibile,  a  meno  d'un 
battersi  coi  nemici,  quanto  alla  finestra  essa  era 
ali  altezza  di  15  piedi  dal  tetto  sottostanti 
al  cortile  ve  ne  erano  almeno  venti,  lutanti,  la 
maggior  pan,'  della  rolla  era  entrata  nella  stanza 
Il  sotto.  Un  sudor  freddo  copriva  la  fronte  di   Ve 

neda  :     l'albino    stava     rannicchiato    in     un 

col  viso  coperto  dalle  mani    No,  non  era  possìbile 
essi  non  potevano   lasciai    venire  a   loro 

i    lottare,   senza   cenai-  di  salvarsi!    avvenga 

quel    che   può.    I      Veneda    si    slancio    versi,    la 

stra.  facendo  cenno  ai  nano  di  awii  i  lui. 

—  Ora,  —  eu'li  disse.  —  non  ci  rimane  altro  che 
di  salire  di  qui  sui  teiti.  strisciandoci  sul  culmine 
finché  troveremo  un  luogo  dove  scendere  Non  per 
dete  il  vostro  tempo  piagnucolando,  ma  badate  a 
quello  'he  vi  dico.   Mi  slanciar 

quando  sarò  limito,  farò  del  mio  meglio  per  tirar- 
vi   su.    Tenetevi    pronto,    altrimenti    vi    giuro   che 
'.abbandono  a!  vostro  destino. 
Ogni   consiglio  era   vano.   L'albino   era  proni 
alar  tutto,  perfino  una  caduta  nel  cortile,  piut- 
o  di  cadere  nelle  mani  di  coloro  che  erano  sui 
pianerottolo  che  metteva  nella  loro  stanza    Veneda 
-iriscni  rinculando  fuori  dalla  finestra,  - 
alla  sottile  gronda  del  tetto  soprastante    L'imi 

non  era  soltanto  difficile,   ma   risei  Ima 

Poco  a  poco. nsa   fatica,  si  tiro  su  li 

le    sue     spalle  ra     delle     -T Ir      I 

muscoli    delle   sue   braccia    parevano   rome 

l'immenso  sferzo    I  era  terribile    Ma 

Vincila   parve  eterno  il  tempo  prima  di  raggiunge- 
re i  tetti,  quanto  più  lungo  apparve  al  povera  al- 
luno ancora   rannicchialo   nella  stai,.-  iute  I 
ilmente  una  voce  gli  disse: 

—  strisciatevi  indietro  fuori  di  a  da- 
ti mi  le  mani    Presto,  i posso  più  durare  in  que 

"M/ione. 


LA    BELLEZZA    DEL    SENO 

E  LA  GALEGHINA   VARVIER 


I    preparati    a.    base   di     Galeghìiia 
Vervier   [estratto   sp<  siale   di     Galega 
Offlcinalis)  sono  quanto  scientincamea- 
te  di  meglio  si  possa  «lare  perii  Seno. 
Assoluta  mente  innocui,  igienici,  adatti 
per  signore  e  signorine   anche   Le   più 
delicate.  Come  ptù  torn  i  comodo  si  può  I 
fare    uso   della    Gtaleghiuu    Vervier    in 
forma  di  Pillole  o  di  Lozione    per  que- 
st'ultima indicare  se  si  desidera  quella 
di  azione  stimolante  o  quella  astrin- 
gente .  —  I-.  5.50  n  Flacone.    -  Per  Ita- 
lia e  Colonie  a^Liiun^'-re    I 
spedizione  e   affrancazione   per   uno  o 
più  flaconi  nel  modo  più  discreto  in   Uassettfna   pion 
—  Per  estero  consultare  tariffa  pacchi  postali,  indirizza 
sempre  le   richieste   al  Premiato  Labora  oi      Chimico 
i  preparali  Vervier,  Milano,  via  Passerella,  v.  LO. 


aia. 
ndo 
per 


LO  SCIROPPO  PAGLIANO 

RINFRESCATIVO  E   DEPURATIVO  DEL  SANGUE 

del  prof.  ERNESTO  PAGLIANO 

nipote  del  defunto  prof.  Girolamo  Pagliano  premiato  al- 
PEsposizione nazionale  farmaceutica  1894  ed  all'Esposizione 
nazionale  d'Igiene  1900  con  Medaglia  d'oro. 

Preparato  con  le  ricette  originali. 
Badare  alle  falsificazioni.  —  Esigere  sulla  boccetta  o  sulla 

atscola  la  nustra  marca  depositata.  Non  abbiamo  succursali 

NAPOLI,  Calata  S.  Marco,  n.  4. 
LA  BELLEZZA  deli»  CAPIGLIÀTUKA 

Mistura  vegetale  assolutamente  priva  di  sali  nocivi. Garan- 
tita dall'analisi.  Un'applicazione  al  mese  per  ridonare  il  pri- 
miero colore  o  per  correggere  i  capelli  rovinati  da  altre  tinture. 
Deposito  o.  Agnelli,  Corso  S  Celso,  ;  i  Milano.  L.  :>  la  scatola 
per  posta  cent.  80  in  più.  i-ale  riservate  per  Tappile,  della  tintura 


PIPA   ffiAGICIENNE 

:iinglese 
prem.  ci 
ormai  mon  UabnenU 

riconosciuta 

iì;i  Ih.ii- 

tàeco  ■  ■ 

,  . 
e  vi  tari 

. 

■    LEONE   a    M.    PISETZKY.    [tfeer    aria 

presso   i    Rivenditori   oppure    spedite  li  3  (Estero  L.  3  50 

ÌiS^rv-i';';li:r,-1'i'i|i''fl!IAUR|z,op|sET2KY 

Milano,  Via  Vittoria,  21,  Vicino  al  ponte  Corso  G 

e  la  riceverete  franco,  dritta  o  curva  secondo 

PIPA  STELLA  POLARE 

unica  nei  suo  8  enere,  di  vera  radica  inglese,  Pre- 
miata con  nied.  d'oro,  girevole  in 
tutte  le  parti, antinicotinosa,  con 
apposito  riservatore  (Vedi  dise- 
gno). Il  turno,  causa  l'interna  co- 
struzione di  detta  pipa,  arriva  fre- 
sco e  gradevole  alla  laringe. 

Ricercatela 

presso  i 

[Rivenditori,   oppure  spedite  L.    3   alla   premiata 
I  Fabbrica  di  pipe  ed  articoli  da  Fumatori 

MAURIZIO    PISETZKY 

Milano  -  Via  Vittoria,  21  -  Milano 
la  riceverete  franco  nel  Regno.  Per  l'Estero  L.  3  35. 
I  Ogni  Pipa  ha  impresso  in  oro  il  nome  Stella  Polare 


Per  pulire  i  metalli  adoperate  unicamente  la 

PASTA  GLOBO 

della  Casa  FRITZ  SCHULZ  Jun.  -  Leipzig. 

In  vendita  presso  tutti  i  droghieri    a   cent.  10  -  15  -  30    Chiedere 
sempre  le  scatole  con  dicitura   italiana,   colla    iu.ir-;i    ilepositata    «lilobo 
sopra  fascia  rossa  »  e  rifiutate  assolutamente  se  il   vostro    fornitori-    vo- 
darvi  altra  marra.  Per  oro  -  argento  -  specchi  -  vetri,  adoperate  il 
Saponetta      Globo      a  cent.  10  il  pezzo  piccolo  -  cent.  15  il  pezzo  grande 
Vendita  esclusiva  all'ingrosso:  MAX  i5\RA.:v*c  -  MILANO. 


oELM  _ 


vfllt  GRAN  IVIEHGURIOf.guffjijiti 


CASA 

fondata  nel  1856 


r»R  13  55  sci 

FISSI 


Ofologetne  d'ogni  genere 

ri   pivi   e*)ooo  eL0aortltxi.ezito    «lì 

Dio  vita  e  fantasia  per  regali 

ARTICOLI    IN    PELLE 

PICCOLI    MOBILI 
BRONZI  E  PORCELLANE  ARTISTICHE 


MILANO 

Corso  Vitt.   Eman. 

angolo 

Via  San  Paolo,  fi.  2 


I  "WlCZi^I 

EcISSl 


l\ 


IN    SI  RAN  \    I  I  MPAGNIA 


(■li  urli  della  folla  <■  lo  scalpitio  sul  piai 

-    Vi    eda  aveva  dura 
irsi  sui  ii 

i  i"'i    mantenersi   In   e 
•  imi..  i  peso  di    una    i 

enti  comi 
i  dirsi,   fu   allora   soltanto 
nobh  ri     Due  s       ndi  dopi  i 

■  ulmini  in  Quel 

;  i  he  avevano  alloi 

•   ili  temi 
itair  bino    \  olgendosi    a    \  eneda,    gli 

vo  la   vii      \  >  he  mai 

<ii   quanto   avete  fatto   per   me,    que- 

iti  punto  ili  perdei  la   i  he  diavolo 

t  fan  i  dare  la  caccia  ti  quel  i lo. 

M  imbattei    in    loro   nella   calle    de    Vieti 

■  d bierni  ta    e  un  momi 

irono  ne    tanti   cani     Dio 

non  v'incontravo,  ti  quest'ora  sarei  ni 
non    rispose,  tursi'   non    lo   aveva    a 
iva    attento    al    rumore    della    I 

ti  quanto  sarebbe  suo  ess a  che 

i  d'i  S9ere  stata  Insani 

1  a  sua  attesa  fu  lunga    (  api  dal  silenzi) 

mplottando  qu 
-  Al  fuoco  '        ed   un   momento 

nti    denso   rumo    usciva    dalle   di stremità 

•   ipl  tosto  'li  che  -i  trattava  I  La   folla, 

non  averli  trovati,  voleva  bruciarli  vivi. 

Da   •  mità    delle    case    più    lontani 

livampava    con    una    velocita  I    laria 

i    giubilo  ili  quei  crudeli.   Fortunatamente 

ni  i-ili  culmine  stavano  \    neda  i    l'albino 

t   cui  il  pericol n  era  immi 

I  nare  i  on   quale   ansietà   seguis- 

I  il  incendio,   speculando  sul   tem 

he  rimaneva  loro  ancoi  l  b 

i    cald       pa  cante    i   fi  i 

nati    a\ evano   dato   il    fuoco   nella    p 

i- 1  di  mezzo   i  '    I  «ole  si  iaii-\  ano  di  minu- 
to  in  minuti    imi  scottanti   ed  essi    non  avrebb 
pi  chi   istai  ti    il   ti  niM 
i nte  fumo  li  avvolgeva. 
\  nia\ a    intorno    a   se    cercar 

co   i"  -i"   ir i"  era   un    pii  coli ssimo 

un    l'arai"  tto   alla    loro  destra,    ad    una 
i   dalle   fiamme,   dove  a    mala    pena 
uà .  egli  i"  prese  tosto  d'as- 
salto, senza  più  badare  al  su,,  compa 

Poi                 l'albino,   mezzo  soffocato   dal    fumo, 
venne  a   lui   implorando  un   po'  ili   posto,   Vi 
gli   ordini  li    mai   volle.   Non 

:  a'  ■   o  l'in i  altro  doveva  tor- 
nare  Indii  tre       i 

folla,  in  nel  fui 

il    combattimento   fu    breve    Si    strii 

l'ini   altro    pei    ale minuti,  p       \    i    da 

i  olla  lo   del    compa  dogli 

i  abbassandogliela.    Vlla  Une.  l'alt 
-I  collo,  lasciò  la  sua  i 
i  un   urlo  Ma 

non    volle    permettere    ai    compagno    ciò    i  he 
e   nel  i  idere  diede  un 
irto  rielle  gambe  di   Velleda    Qu 
1 1  quilibrio;  tentennò.  ntando  ili  sal- 

invano.  Egli,  al  pari  de 
Quando   fu   in   :  qual- 

senza  -• 

dine 
fra  le  due  case  ili  cui  già  p 

qualchi 
tini  i.    tutto   era    buio     i  i 

da    un    pezzo     Dell  ali 

!■     ;     i    pra 
irato  da  I         inqui 

indo  i  )"'  n  ■  '  bbe 

impo 


irato  -n  questo,  si  alzò  e  i  costatò  ili  non 
avere  nessuna  rottura    Si  era  salvato  per  miracolo1 
Si  ai  ..uni  icò  -ni  tetti,  poi  si  eco  a  terra  fai  ei 
strada  in  mezzo  al  rottami,  entrò  nella  \  ia 

itolo  i\ 
L'albino  deluso. 

Qu  indo    i  albino,    dall  altra   parte   della   casa     a 

lue  piedi  ili  distanza  .,1,,,,, 

ricuperato    i    sensi,    ai 
Min.  he  non   era   ferito,   ceri  ò  di 

che  '  avvenuto  di  \  eneda. 

•"  Qualche   scottatura  ed   un   indolenzimento 
•    sua   caduta  egli  non   ave 
tato  che  delle   lesioni   insignificanti,    forse  perchè 
nel  cadere  egli  si  era  afferrato  al   parapetto  e  ciò 

S"  aveva  am rtito  il  colpo.  Cei      diligi  ntemente 

'  pai na  le  ma 

vasse  qualche   n  m  ia   . i , •  i    -n,    .,■,  versano    m  i 

1  -  ii    non   potè  n  inora    ni 

i""'  e ■  non  fossi  da  un  tra 

te,     '   ammazzato  dalla    turba    furente,   o   bruì 
mentre    giaceva    in    ti  i 

Nella    via    tutto   era    tranquillo,    pere --li   pensi 

I   ti  altrove  credi 
i    distrutto    iti    loro   preda;   quindi    tastam 
i  ■  ti   bene  per  essere  sicuro  del 

il    buon    mento    In    cui    non    passasse  nessuni 

e  si  diresse  verso  il  calle  de  San  Pi  dro   v  m  si  mte 

'  ente  a\  ventura   egl i  aveva  scordata 

l'appuntamento  con   Vargas  in  casa  del   banchiere 
ese  fuggiasco,  e  mi  -  ■  ttava  il  p 

fervi    pensava  con       ila  che,  se  secondi,  ogni 
probabilità   Veneda   fosse   perito   nell'incendio 
i  ebbero  stati  in  meno  a  dividere  ili  l 

gnava   p  irne  il  cadavere,   altrimenti   Vai 

e  Nuflez,  colla  paura  che  avevano  ili  Veneda 
non  avrebbero  creduto  alla  sua  morte  senz  i  avei 
ne  la  prova  testuale 
Mentre  svoltava  nel  calle  de  San  Pedro,  fu   i 

chi    attraversò  la  via.  Era  Pa 
blos   Vai  -       ilutarono,    i         ecero   -traila  m 

sieme   versi    ia   casa  dell'appuntamento.   Era   una 
vecchia   decrepita    costruzione  ad   un   solo   piai 
una  veranda  correva  lungo  i  tre  lati  di  essa,  nel 
quarta  eravi  un  ampio  patio,  quest'ultimo  era  pro- 
ti tto  da  una  pi  santissima  porta. 

Mentre    i    il"  itori    sta>  ano  i  rarvi, 

furono  raggiunti  ila  due  aliri  uomini. 

—  Ebbene,   Miguel,        disse  l'albino  rh 

i  alto  dei  due.  —  che  notizie  ri  portati      \ 

Vi    è    li: 

—  No,  -  'fior,  non  sappiamo  più  nulla  di  lui  da 
una  settimana,  e  lo  abbiamo  cercato  giorno  e  imiie, 

—  B'  ne,   --li    -    ne   a i  nsate   pui 

fare  subita   le  valigie,  >-ii  a  lasciare  il  paese   per 

—  N'.ii  vogliamo  il  nostro  denaro  —  disse  l'uomo 

■  he  non  avei  a  ano  ira  pari 

—  C voi    pretendete  il   danaro,   miserabile, 

prima   che    abbiamo  visto  come   avete   eseguito   il 

!  Fui  ai  di  qui  '  Voi  sarete  pagato  alle 
diei  i.  nel   posto  stabilito. 

—  Non  abbiamo  :  mpo  da   perdere  in  promi 

ora    sull'istante 
i  albini.)  non  si  lasciò  intimorire  dai  suo  accento 
iwìi  tiiiii.ii  •  - 1  ti  lui  gli  sussurrìi  una  fi 
orecchio    i  □  mi  mento  dopo  egli  correva  a  pre- 

■  ipizio  san  della  strai 

Mucklin  si  voltò    i   Vargas  con   un  sorriso  mali 
ii 

—  La  pai  i-tu'  ebbe  il  suo  effetto,  a  quanto 
tur    Ora  ti  noi,  riprendiamo  i  nostri  lavori. 

cendo,  trassi'  fuori  una  chiave,  ed  apri  la 
di  una  casa,  a  destra  di  quella  in  cui  aveva- 
no deciso  di  entrare  Entrati,  attraversarono  un 
'.ai  idi  io  '  he  mettei  a  in  un  pii  coli  i  orlile  .  qui 
giunti  scavalcarono  un  muricciolo,  si  avvicinai 
ad  una  finesti a  l'apei  sei  e  p  i  mi  szo  li  qi 
entrarono  nell'abitazione    poi  piano  piano,  In  pun 


a  prezzi  ridotti 

(Franco   di   porto   nel   Regno) 


OCCASIONE  UNICA 

idi   Buonsri   LIBRI 

Via  Alessandro  Manzoni,  20 

MILANO 


Vedi  numeri  antecedenti  della  LETTURA  da  Maggio  a  Novembre. 


Omero,  Iliade,  tradottati    «in 

cenzo  Monti  ed  ili.  da  priiu  » 
ri  artisti  bellissimo  voi.  in-8 
p.  292.  leg.  in  canon'.  I.  13  30 

per L.  3.50 

Ili..  1  Odissea  tradotta  da  Ip- 
polito Pindemontec  I  i  1.  da 
primari  artisti,  bellissimo  voi. 
in-S°,  p.  224.  legato  in  cartone. 

L.  Il  per- L.  3.  - 

Virgilio.  l'Eneide  tradotta  da 
Annibale  Caro  ed  ni.  da  pri- 
mari  artisti     bollissimo  voi. 
p.  196   'og.  in   cartone, 

L.  il  per L.  3  — 

Orlando  Furioso  «li  Lodovico 
Ariosto,  ili.  da  160  incisioni  di 
Gustavo    Dorò,    grosso   voi. 
in-s".  p  664,  L,  22  per  L.  8.— 
La  rivoluzione  francese  del 
1789    e  la  Rivoluzione  ita- 
liana del  1859.  B&ggio  com- 
parativo di  Alessandro  Man 
zoni.conproe  uio di  Ruggero 
Bonghi,  crosso  voi.  in-^    pa 
gine  361    !..  B  per  .    L.  2.50 
Manuale  dello  Estimatore  del 
geometra    Costantino    Rog 
,  geri.  voi.  in-S".  p.  302.  L.  5,50 

per L.  2.— 

Manuale  teorico-pratico  dei 
Qiudioi  conciliatori  e  dei  loro 
Cancellieri  ed  Uscieri,  seguito 
dal  formnlario  che  li  riguar- 
dano, del  cav.  avv  Lorenzo 
Scamuzzi.  voi  in-S".  p.  616. 
I.  I  I  per  ....  I.,  2.50 
Sull'educazione  e  sull'istru- 
zione .  pensieri  trai  ri  dalle 
opere  di  pedagogisti  e  filosofi 
italiani  e  stranieri  di  A.  To 
nioni,  eleg.  voi.  in-16".  p.  2:12. 

L.  2  per L.  I.— 

Parassitologia  Manuale  di) 
in  tavole  sinottiche  (venni  e 
artropodi  dell'uomo  e  degli 
animali  domestici)  del  dottor 
Bruno  Gal  li-  Valerio,  v.  in-16". 
pag.  126,  L.  3  per  .  L.  0.75 
Malattie  mentali  (trattato sul- 
le per  Enrico  Mausdley,  tra- 
duzione italiana  del  dott.  Dq- 
menico  Collina,  gro- 
ln-8°,  pag.  446,  L.  12 per L.  5. — 
Delitto  e  follia  pel  dottor  En- 
ric  i-Mausdley  trad.deldott.An-' 
tonio  Raffaele,  voi.  in-s°,  pa- 
gine 217  L.  I  per  .  L.  2.50 
Anatomia  topografica  (com- 
pendio diì  applicata  alla  chi 
rorgia  ed  alla  medicina  di  V. 
Paulet.  tradotto  ed  annotato 
dal  dott.  Enrico  Lemme  coni 
prefazi  me  d  1  prof.  Carlo  Gal- 
lozza voi.  in  I-i",  pag.  »2I  COI 
incisioni  I.  -  per  .  L.  3.— 
Paolo  Mantegazza.    -  Le  leg 


geode  dei  fiori,  eleg.  voi. 
10-16°,  p.  428  L.  à  per  L.  3.50 

l'I.  Il  Dio  Ignoto.  grOSSO  VOI. 
in-16".  p.  530,  I..  a  i"T  !..  3.50 

ld-  Un  viaggio  in  Lapponia 
coll'amico  Stephen  Som- 
mier  In-16°,  p.  330, 

I..  .     .  L    3 

I  misteri  di  Parigi  di  Euge- 
nio Sue.  romanzo  ili.  d  1  olrc  1 
150  incisi, mi.  grosso  voi.  in  8", 
P  il-.  952,  !..  6  per     .    L.  3  — 

II  fabbro  del  convento,  ro- 
manzo di  Ponson  du  Terrai! 

'ii     ina  no  ili  .  grosso  voi. 
in  s  '  p.  su.  L.  :>..j0  per  L.  3. 


.Mi  1  1  1  1  ■  :  1  I  t 

di  alterazioni  e  falsifica- 
zioni delle  sostanze  alimen- 
tari 0  di  altre  importanti  ma- 
di  uso  comune,  scritti 
la  un  gruppo  di  persoli'  >c  im- 
potenti e  appartenenti  alle 
Dniverslta  e  ad  altri  istituti 
scientifici  del  Regno  sotto  la 
direzione  del  prof.  Egidio 
Pollacci. 
Prodotti  chimici  organici, 
osati  com  ■  medicamenti,  di 
Torquato  Gigli,  voi.  in-16". 
"73  con  incisioni .  L.  4 
per  .  .    .    .    .    L.  1.50 

Prodotti  chimici   inorganici. 

usati  come  medicamenti    di 

Torquato    Gigli,  voi.    in-16", 

mi,   L.   4 

per !..   1.50 

Latte,  cacio. burro,  oli  grassi 
alimentari  di  Torquato  Gi- 
gli. 0  ai  il  incisioni  voi  in  16 
pag    :;l  1    I,.  3.7,0  per    L.   1.25 

Frutti  freschi  e  seccai .  or- 
taggi   di    Rodolfo    Farneti. 

l'in   290  Incisioni,  voi.  in 
pag    t  1  j.  I..   5  pei-    .     L.  2.— 

Funghi  mangerecci  e  vele- 
nosi di  Rodolfo  Farneti.  con 
107  incis.  e  7  tavole  colorate, 
voi.  in-16".  pa.-  318.  1.  1.50 
per L.  1.50 

Acque  potabili  considerate 
come  bevanda  dell'uomo  e 
dei  bruti  di  P.  E.  Alessan- 
dri e  L  Maggi  con  199  lu- 
mi, voi.  m  16  pag  412 
L.  1  per !..  I  75 

Calci     e    cemenf  i .     laterizi. 

gesso,    pozzolane  del    prof. 

ing.  F.  Molinari.  con  -7    in 

ini.   voi.    In-16 .    pag.   336. 

I.     1  i>er 1..  1.75 

Fibre  tessili,  filati,  tessuti  e 
carte  di  varia  natura  e  va- 
riamente colorali  del  dottor 
c.  A.  Revelli   '-"il   67   incis., 


voi.    ,11  i"   .    p  ii».     11,;.    L.    4, 

per L.  1.75 

L'aria  atmosferica  studiata 
dal  lato  fisico,  chimico  e 
biologico  del  dottor  Giorgio 
Roster.  oon  134 

tavole      voi      in   !..  ,     |,  ig,     53J, 

L.:>  per L.  2.— 

Glucosio,  saccarosio  e  prepa 
rati  a  base  di  zucchero  di 
P.  E.  Alessandri,  con  18  in 
cisioni,  vii.    in-16",   pag.  24H, 

I,.    2.50    pei-      ....       !        I 

Droghe  medicinali  del   dottor 
P.  E.  Alessaidn 
visioni,    voi.    ili-M1  .  pag.    516. 
1..   ■  por L.  2.- 

Carui  fresche,  carni  salate 
0  in  alt ro  m  >do  preparate  e 
e  inserval  v  '■  rassl  anim  di  d  1 
dott.  I.  Nosotti,  con  76  d 
voi.  in-16  pag.  ;  v  I  1.50 
per      1.    1.53 

Cereali  farine,  sostanze  fe- 
culacea.  pane  e  paste  ali- 
mentari del  dott.  P.  E.  Alos 
sandri  con  si  incisioni.  VOI. 
111-1  i«  p  .!.;  1  I..  :  .1  per  I.    1.50 

Caffo  e  surrogati,  the.  cioc 
oolata.  zafferano,  pepi  ed 
altri  stimolanti,  del  prof. 
Pietro  Polli,  con  ni  incisioni, 
voi.  in-li'."  ini:  336  I.  3.5 1 
per I..  1.50 

Manuale  teorico-pratico  di 
manipolazioni  e  operazioni 
fisic  chimiche  del  dol  t.  P  E. 
Alessandri  1011  11  1  ini  isioni, 
\  ni.  in  -    |,  1^  1  L,  :.  per  I..  2.  - 

L'igiene  dei  contadini 

derati    nei   loco    rapporti   co' 

bestiame   e  01  incisioni  di   \ 

of.    in-16".  i'.  26 1, 

L.  3  per !..  I  - 

Il  re  dei  cuochi  trattato  di 
gastronomia  universale  di 
Giovanni  Nelli,  crosso  voi. 
in-S ".  "in  350  incis.  e-  16  tav.. 
L.  10  per !..  8- 

Dante  Alighieri.  La  Divina 
Commedia  voi.  ln-32°,  p.  356, 
L.    1.15   pec  .     .     .     .     L.  0.75 

ld.  Commentata  dal  prof.  Paolo 

Costa     3    voi.   in-320,    compi. 

1    I..    ;  per    .    L.  2.— 

Orlando    Furioso  di  Lodovico 
Iriosl  •    proceduto   da  alcuni 
pensieri    di    Vincenzo     Gio- 
berti. 2    voi    ln-S8°,   compi. 
I..  2.50  per    L.  1.50 

ld.  Conservato  nella  sua  epica 
integrità  e  recato  ad  uso  della 
gioventù  dall'ali  ite  Gioacchi- 
no Avesani.  2  voi.  ln-32°,  di 
uomp  cBsive  pag.  772,  1,.  2.50 
per 1.150 


Omuro,  L'Iliade     tra  lotta  da 
Vincenzo  Monti .  VOI,    I 
pag.    181,  L.   1    ,0  pei-  .    L.   I  — 

ld.  L'Odissea,  tradotta  da  Ip- 
polito Pindamonte,  v.  in-3a°, 
■ni  i-      L.   I.— 

Giulio  Cesari    ,  lommentarl  di) 

in  italiano    ,1 1  Camillo 

tigoni,    voi.    in-32",    pag.  MO, 

L.  1.5 1  per    .     .     .     .     L.  I. — 

Senofonte.  La  Ciropedia  ira 
ditta  da  Francesco  Regia, 
voi.  in-32°.  pag.  4*8,  L.  1.50 
per L.  I  — 

Id.  Dell'Anabasi  o  spedizione 
di  Ciro  Libri  VII,  tradotti  da 
ir  -  imbrosoli,  v.  in-32', 

p.  2.H4  con  tav.,  L.  lperL.—  .78 

P.  Ovidio  Nasone  Le  meta- 
morfosi recate  in  altrettanti 
versi  italiani  da  Giuseppe 
Solari,  voi.  ln-8!  1  1  «96, 
L.  1  per L.      .78 

Cicerone  i.M.  T.)  Dell'oratore. 
Libri  tre.  Traduzione  italiana 
di  Giuseppe  Antonio   Canova, 

,  -voi.  in  32°,  pag.  232,  L.  1 
per L.  —.75 

Foscolo  Ugo  poesie  varie, 
voi.  in  32  pag.  36s,  L.  1 
per .    .  L.  —.75 

La  Gerusalemme  liberata  dt 
T.  T.mso.voI.  in-32".  pag.  400 
I..    1    per L.  75 

Francesco  Petrarca,  rime, 
\  il.  ln-33*.  pag.  :)'.'',,  L.  1 
per L.  -.75 

Giacomo  Leopardi,  poesie  pre- 
•  1  ite   d'alcuni   con  ,i  di  Do- 
menici Cappellini,  voi.  in-32*, 
pag.  320,  L.  1  per.     L.   —.75 

Melchiorre  Gioia,  nuovo  ga- 
lateo, voi.  in-32'  .  pa:;.  140, 
I,.  1.25  per      .    .     .    L.  —.80 

I  Fioretti  di  S  Francesco, 
voi.  in-32",  pag.  216.  L.  0.75 
per L.  — .SO 

Istorie  fiorentine  di  Niccolò 
\1  iiiavelli,  voi.  in  32  .  pag. 
11.;.  1.    1.50  per     .     .     L.    I.— 

Vittorio  Alfieri,  vita  scritta 
da  esso,  voi.  in-32°,  pag.  464, 
L.  1.20  per      ...     L.  —  .80 

Nuova  racoolta  di  poesie  d'oc- 

me    per   faniculll    e   per 

adulti,    voi.    In-32",    pag.  261), 

L.  1  per L.  -.75 

Goldoni  Carlo,  commedie  scel- 
te, voi.  in-32»,  pag.  411.  L.  1.50 
per    . L.  I. — 

Saggio  intorno  ai  sinonimi 
della  lingua  italiana  di  Giu- 
seppe Grassi  voi.  111-32".  p. 
208,  1.     '  7 ,  per  .     .    t.  —.50 

Monti   Vincenzo    I  poemetti. 
voi.    in-32°.    pag.    321,    I,    1 
per  .     .  L.  —.76 


j,  -j  y-,  7--T7T-)  T,TT,i\T'7ir  '  s>"'ilt'"i  libri  si  spediscono  franco  di  porto    in    tutta    l'Italia  —    per    l'e- 

A.  V  V  Hir\.  L  HjVÌ  Llhj,  ~  stero  aggiungere  le  spese  oltre  il  confine—  le  ordinazioni  inferiori  alle 
L.  5  aggiungere  il  15  oto  in  più  per  spese  di  posta  e  raccomandazione  —  il  doppio  per  l'estero  —  tutti  i  libri^  de- 
scritti sono  garantiti  nuovi  e  completi  —  contro  assegno  non  si  spedisce  —  le  ordinazioni  non  accompagnate  dall'  ini 
porto  verranno  annullate  —  chi  desidera  schiarimenti  scriva  con  cartolina  doppia  —  lettere  raccomandate  e  cartolili' 
Vaglia  alla  libreria  Luigi  Perrella,  via  Manzoni,  20,  Milano. 

Com\pra    e    vendita.    Ingrosso    e>    dettaglio. 


\ 


IN    STR  \\.\    COMPAGNIA 


stanza  ed  arida 
\.i  un   cenno   di    Macklin, 

1 

la  camera  dove 
prima  di 

I    mirra    -I 

momento  ad  id     saml 

ai  mi .    poi    aprin  unente    la 

dall  .11  la  i  pa  me 

i  i  vide  .11  incon 

-  miti,   -  linciò   pai  land 

•     i  scorsa  setti) 
irate  tutto  sossopra .  venni  qui  solo 
la    mia   casa   a    Kensin- 
i  ranzo  con  me,  non  è  vero? 
di  mandò  \  arga 

i  coi  ipletai 

odatevi   -   continuava   il  loro  o 
peri  he   mettano   il    v  Ino   In    fresco 

Ma  '  ii  i  i  .i    i. i la    dei 

ffari  ■    la  mia  memoria  noi serve  più 

Ho  ai  uto  dei  dispiaceri   di 
vi  .ì 

Lo  s  ippi  imo    ,  1  imo,   caro   amico  — 

Maledetta    la    vostra    memo 

liamo    del    denaro,    Vbbii bis     m 

infamila  lire  che  avete  scroc 
K  imti  ii. ni. a  nani.   Se  ci  tenete  alla  vo  ti  i 

I    ve  sono,   e   vi   lasceremo     in 

■'  inumava  a  sorridere  doli  emente 

club  della   città  si   parla   di   una    strana 
■      i  ipp  irti   coi    questo     i  ord   Bui 

n   -'<■■   i lente,    che    incontrai    oggi    in 

idilly,   mi  domando  se  ne  -  ipi  5SÌ   qualche  rosa 

Rovi  che  andando  al   Cile  mi   portai   die 

■  i    per  impiegarla   a    profitto  della 

i    l  na    ;i  i  i   stavo  seduto   nella   mia  ramerà 

-  ,;i  Pedro,  quando  un  individuo  strano 

ispetto  venne  a  trovarmi       Mi\  Brad- 

\V.    -      mi     disse,    —    mi    spiare    disturbarvi     ina 

ire  alle  rane  quesl man 

non    feci    difficoltà      •      ìOSl    i  i 
mino,   ii  caso  gli    Favori  e  gli    pagai   tutti 
ne  rimaneva  delle  Ì50.000  lire    i       ata  una  buona 

1    ■  io    slanciandosi 

indole    alla    jola     Siate    dannato 

t    bugia  '  onesta   non   è  che  ima   delle    VO 

perdere  la  trai  eia    Doa  •  ■  ' 

olO. 

\       --inno  che  è  la  pura  venta  -  disse  l'in- 
re,   mi  zzo  strozzato.  —  \  i   posso  an 
me. 

la!, 

l'i-,  sto,  ditemi  il  suo  nome. 

■'•'•  che  ni   pensi      SI...  si...   mi   pari    i  he 
v".  Vened  he  cosa  di  si 

aire    i  ..o    ■  ertezza 
qui    M.  Ver 
na 

i   non  avrebbe 
'    Mi  '    Marcos  \  •  ti. -.la 

'1  ""   tradì  ori  ,.,, ivanti 

bene  ! 

Vai     is    il 

..ili 
imei 

d     .    l'ai- 

i    rdi  re  un  solo 

i 

■  i  Pena 

!  La  i  oliera   di 


radimento  di   Veneda   In  termini  tali    da  far 
indietreggiare  dal  terrore  perfino  Vargas    D'un  trai 
voltarono  per  parlare  al  banchi  .    ap 

pi  oriti  mdo  del  momi  nto  In  cui  i  dm  iitrati 

1 ultra  stanza,  se  l'era  svignata 

N'"-  disse  m  per  ora  non 

\  I         dobbiamo  rad 
1  bile  e  perquisire  i,, 

fincb  /eneda.  Se  egli 

'inai,  uno  la  sconterà  colla  \  ita. 

I    II  I  lui  M     \ 

Lo  toga  dal  Cile. 

1  '•' !"  ;i   le  sette  quando  Veneda   abli  u 

le   mini    della   sua   casa   ove  aveva    provato   tante 

llU|-i  -•■  emozioni,  e,  come   ria  tli  i  n i    per  le  sette 

•'   mezza   era   convenuta   la   sua   ruga   dal   <  Ile     \ 

vev?   stabilito  .li  condurr sé  luanita    benché 

-"  come  I  associare  una  donna  i  .  .  iani 

irli    diminuisse    la    sua    liberta    .1  az !,    >tti 

in    pencolo   la   sua  non    vedeva    però 

modo  di   liberarsene.  Siccome  ella   possedeva 

di  i  suo  segreto,  sarebbe  stata  follia  lasciarla 
dietro,   nella  possibilità  di  unirsi  a  quelli   ■  hi 
vrebberp  indubitatamente  perse 

'  osi  ragionando  giunse  piani    piano  alla  casa  di 
■inanità,   guardandosi   attorno  se  nessuno 
guiva.  Qui  giunto  attraversò  il   patio  e  bussò  alla 
porta, 

luanita    stessa    venne  ad   aprire.  Riconosciutolo 

diede  un    tridolino  di  triola  e  lo  introdusse  li a 

camera  appartata,  chiudendo  la  porta    ai 

zione 

—  Marco.  —  gli  disse  alzando  a  lui   le  mani  giun- 
te. —   E    proprio  vero  quello  che  diceste  ieri  - 
Siete  venuto  per  portarmi  via  con  voi  ' 

—  E  credevate  voi  ch'io  mancassi  alla  mia  pri 
messa?—  rispose  mezzo  incollerito,  non  t 

1  per  la  partenza    —  Perchè  non  vi  siete 
!""''  i  '  N'oii   abbiai  io  un  secondo  da  perde...    \\< 
biamo  appena  il  tempo  di  raggiungere  la 

—  Aspettate  un  momento,   torno  subito    r.    usci 

di   camera 

x  eneda    i  im  ise    per   cinque   minuti    assorto   nei 
suoi  pensieri   in   preda  a   una   -rande   Impazienza 
a  dipendeva  da  quella   mezz'ora,  ed 

correva     rischio    di     perdere     ni. -.rune    .  li    -al 

vezza  per  .ausa  di  una  donna  ohe  non  aveva 
pito  un  suo  ordine  La  sua  inquietudine  e  la 
1  oliera   i  resi  evano  di  minuto  in  minuto;  alla 

'"    O'Nil. .ne    pili,    deci, e    ,|i    ami. u  I.,    .,    .  ,. I, 

quel  momento  mii  dei   passi  pese  vici- 
navano a    lui     La   porta   si  -palane |   un   uomo     m 

imi    cileno,   entrò   nella   i  imi  ra     L'aspetto  su,, 
•    i  curanti     Gettò  uno   sguardo    'univo 

a  \  eneda,  che  stava  presso  la  porta  e  con  ti 

-co  u  li  disse  : 

—  Che  fate  i  oi  qui,  -■  i 

—  Aspetto  un  mio  amico 

—  La    -.'l'inni   .inanità     probabilmenl 

—  Fi  i    e 

allora   potete  aspettare  un  pi  i  è  fnsr- 

\  inolia   mila  ireg    io  dalla  ..n 

''"  Sii  si  aliai  tutti  i  tradimenti 

•i-ili 

—  Fuggii    '  idò        i  hi    diavolo  volete  di! 
iio\  e  e  andata  ! 

1  hi    lo  sa  i  ai  1 1   indine- 

alzando  I  i  nte  le  -palle    1 1  af- 

ter su  a  Di 

Si    avvento    a    liti    m    tri     pas    i.   avvìi  a    il 

revolver  alla  testa 

Badate   bene,   Milano  che   n 
non  mi  ri late       bi  ■    sapete  sul  conto 

-no.    N  i    -auro    che    Vi    fui  io  II  i 

i  uomo  tacque  un  minuto,  poi  una  risatina   i 
i  usci  d         lo  le   falde  di  i     ■  mbn 

—  Marcos    non    trovate    Che    mi    -il a-.  Iterala 


r 


—  —  — 


V  ;»*< 


</  ^ 


IkF?/; 


J.H.! 


I 


—  I 


/ 


•  \   '    j 
■  0j/fr 


'     È 


^^ r       '-muta       t-«if 


V-, 


r  fife 
■   '  I  I 


J 


/ 


y 


i.. y 


u 

■«.2 
H  = 


01 


0 


ti 


o 
E 

o 

■  « 
L. 


o  « 


4 


CO 


0 

e 
0) 

ti 

•r-l 

0 
/ 

J 


o 

0 
0 

H 


VI 


IN    M  KAN  \    i  o.Ml'M.MA 


m  i    voleva  Quasi  i  redi  chi  I 

adola 

\  no  vi  potrebbe  i 

indiamo  In  fretl 
i 
i 

ti,  terribili      Durante   tutto  il    giorno  la 

preda    i    ■    lommosse  ed  b 
,  ,  he  i.-  ti  privano  I  misfatti, 

(urbi  itenate  con   maggior  [e- 

!,.•  erano  state 
•ri  d'incendio  attraversavano  o- 
.:  temente  il   rombo 
oni  dei  moschetti.   Nella 
ammui 
hi  parte  donne    luanita  pa 
uilla  in  •■ 

con     Una  volta  si  la  ebbe  pau- 

ono  ila  un"  stretto  \  iale 

ari  un  altro  il  quale  finiva  in  un'ampia  piazza.  Era 

di    attraversarla    onde 
lie  coi  duce\  a  al   ! 

Non    appena    giunti,   \  .■ la    s  a< 

fallo  .  un  solo  sm 
iva  ia  schiuma  di 
■  irati  cileni  trenetii    di  assassini  e  ili  inci 
ni  unir,  hio  'li  case  incendiate 
:  i  cielo,    mentre   nel   lato 

piu  ina  folla  'li   i"-i  - ■  uomini  e  donne, 

mari  eri  più  infami  della  città    b 
vah  i        a.   il   ballo   nazionale,   con   un   furore 

selvaggio,  indescrivibile.  Mentre  Veneda  stava  os- 
\  M le   per  ben   due  volte  degli   uomini 
tirare  senza  ragione,  mossi  da  crudeltà,  contro  del- 
le miserabili  donne  in  faccia  a  loro,  mentre  b 

indo   Questo  s]  per 

Juanita  '  A  metà  nciò  a   vacillare 

nuta  se  \  eneda  non  l'a  i  i  retta 

pel  braccio.  Fuori  ili  sé  dalla  ili 

ù  in  un  oscuro  viale,  le  ord         I       dere  e  'li 
finché  si  sentisse  la  forza  d  -  uire, 

il    carni più  frettolosamente    ili 

prima    Per  loro,   in  quel   momento,    il  tempo 
più  pi  del  d  \  "levano  partire  qu 

,:...  mi  solo  minuto  da  per 

lon   '  he  poco 

da  fan      Svi  in    angolo    sentirono 

una  i  a  rezzar  loro  il  viso,  ed  un  momen 

pò  -i  trovarono  da>  antl  alle  acque  scure  della 

baia  1 1  ino  ansiosamente  attorno,   per  \  ede 

re  se    sei  '  ni"  i  intesa    qualcuno  li  aspettava    Ni m 

scor-  -me.    Veneda   diede   un   fischio 

pandi  I      ombra   alla   loro 

unente,   e     pochi   si 
ili    dopo,    un   -  il  all'oscurità,   dirieen- 

i  he  era  al 

tinn                 so  e  guardò  attentamente  per  accer- 
ii lonnotati 

—  Chi    siete?   —   domandò   loro   prudente™. 
prima  ili  avvicinare  la  barca  agli  scalini,  —  e  che 

Voli  : 

—  Mi  chiamo  Veneda  ed  ho  un  bisogno  rli  un  bat- 

Island  Queen. 

te  la  risposta  era  soddisfacente,  poi- 
die 

—  Ini  .i\  vicini  'Ma  |. an- 
china E  da  un'ora  che  n  aspetto  La  marea  6 
buona 

Mentre  l'uomo  stava  intento  ad  uncinare  la  bai 
da   anno   luanita  alini, 

aii    entrai    dentro,    ma.   l'uomo    che 
era  ai  contundo  non  era  disposto  a  permei    i 

—  -  gli    disse    e. ili    Mire   gentile 

ma   risoluta.  —   l.e  mie   istruzioni  si   limitano  ad 

una   i  .   .lue 

—  \ ■.  •  li    perfett amenti  aico  mio .  une 

ni  imo  amico  personali 
uni  a  bordo 

—  S  ma  non  pi  ®so  ti  a 

agli   orlimi   rii      utl     i  Miiue   presto,    non 


uno  un  minuto  'li  n '  ppo  -"  voglia ; 

lutare   della   li  area 

—  Ma  torno  a   i  Ipeten  i  che  il   mio  amii  o  di 
mpagnarmi,        rispose  Veneda  entrando  nella 

barca        Me  ne  assumo  lo  la  responsabilità  pi 
il   capitano 

—  No,  as  olutamente  no,  non  Insistete  oltre,  non 
posso,   i .li   ordini  erano   espliciti    t  n   sig 

e  nessun  altro  I 

—  i  api  i  o  ora  Sicuro  Un  solo  perfet- 
tamente. Ma  non  vi  dissero  nulla  riguardo  a  mia 
mogi 

Il   sei  ondo    tale  egli   era.   come  seppe  di   poi 

I  eVa      '   empiei,  mielite      mistificato 

—  Vostra  moglie  ?  E  di 

—  One-  a  è  mia  moglie  —  disse  Veneda 
Indicando  Juanita    In   piedi    sugli    scalini.   -    i 
una  noiie  slmile  era  Impossibile  condurla  In  giro 
per  la  città  cogli  abiti  suol,  per  i  ni  fui  obbligato, 

per   assicurare  la  sua  salvezza,  di  travestirla  a  ipie 

Si lo     Inanità,    moglie   tuia     convinci    il    su 

delia  verità   delle   une    parole. 

i     li   un   suono  di   voce  dolce  e  femminile,  disse 

ì  1  ese  : 
Sicuro,  sig •'•.  mio  marito  vi  disse  d  vero 

Il  secondo   scuoteva    la    testa.    Egli    li"ii    sapCVB   CO- 

' -eii"  da  quel  dilemma.  Finalmen       I 

—  l  prò   questo   rischio.    Signora 
"Mie   i.i  cortesia   di   entrare.    Sono   si 

di  avervi  [atto  aspettare,  ma  la  colpa  è  unta  del 
capitano  che  non  mi  avvisò  che  dovevate  venire 
voi   pure. 

Entrati  nel  battello,  .luanita  sedette  in  l'accia  a 
\    leda,  e  si  spinsero  avanti.   Prima   che 

o    il    largo,    udirono    i  passi   frettolosi   di    un 
nonio  che  correva  sulla  panchina  e  poco  dopo  vi 

dei la  strana   n      ■  ei  ipitosami 

le  scale.  Era  l'albino  I  Col  viso  acceso  dalla 
i  capelli  sciolti  al  vento,  gesticolando  energicamen- 
te, egli  chiamava  Veneda  con  voce  fremerne  d  Ira. 
Per  fortuna  dei  due  fuggitivi,  egli  parlava  spi 
gnuolo,  lingua  sconosciuta  al  secondo  ed  alla 
ciurma: 

—  Man        Veneda,  —  gridava  egli  coi  pugni 
—  ladro!  traditore!  vile!  tornate  indietro,  tori 
indietro  e  datemi  quello  che  avete  un. aio' 

Ma  la  sua  collera  era  inutile    11  battello  già  - 
a  una  cinquantina  di  yarde  dallo  scalo  e,  sotti 
forti  braccia  dei  rematori,   si   allontanava   a   vista 
d'occhio.    Ma    l'albino    non   era    uomo   da   lasciarsi 
scoraggiare;  in  un  attimo  fu  allo  scaio  e  presa 
barca  si    p"-e   a    inseguirli    furiosamente  coni, 
la  sua  vita,  ".   meglio,   le  200.000  lire,  dipendessero 
dalla  forza  dei  suoi  muscoli. 

V Island    Queen    stava    a    una    gran    distanza 
quando    Veneda  e    la  sua   compagna   l'ebbero   rag 
-unita,    il    capuano    Iioulger    era    sul    ponte 
non   fu  poco  sorpreso  mentre  s'affrettava   ad  andare 
/giungere  il   viaggiatore,  di  trovarne  due   in- 
vece di  uii". 

—  Sono  contentissimo  finalmente  di  vedervi 

Veneda,  ma  non  contava  che  veniste  In  coni- 
ala. 
\  eneda  se  lo  aspettava,   e,  presolo  da  pa 

narro    ogni    iosa,    poi    raggiunse   .Inanità    dicendole 

come  tutte  le  difficoltà  si  fossero  appianate.  Il  se 
ruiiiln  andò  a  sorvegliare  al  levare  dell'ancora  e 
prima  I  he  la  barca  dell'albino  fosse  a  portata  di 
lo  schooner  si  era  allontanato  e  stava  uscen- 
do dal    porto 

Quando  vide  che  il  nemico  gli  sfuggiva,  l'albino 

sali  In  piedi  -ni  l'alleilo,  fremente  d'odio,  la  schiu- 
ma alla  bocca,  Incapace  di  parlare,  minacciando, 
coi  pugni  lesi,  il  bastimento  finché  scomparve    Nei 

suo  [un  i  "  i egli  non  aveva  si  ordato  di  lef 

il  nome  del  bastimento  scritto  In  bianche  lettere 
sulla  poppa:   Island  Queen,  Tahiti 

i  i  volle  molto  tempo  prima  ch'egli  potesse  ap 
prodara     Quando    giunse    a    iena    disse    solei 

mente  a   se  stesso: 

—  Marcos    Veneda,    debbo   confessare   ci 


ìsum 


Guarita/ '  -cot 

sinwNEGRI 


-€><><><><>G<><>€>-G-0  ■©-©-€><>-€>€> 

SVILUPPO  DEL 

bellezza,  rie  stituz  one,  so  itl'tìl 

in2o,n:n,uco.uM,Pilules0rientalesi' 

del  Big.  J.Ratié.  chimico  farm  5  Passa 
deau,  Parigi.  Benefiche  per  la  salute,  appro- 
vate da  celebrità  mediche  di  Parigi.  —  Boc- 
cetta eoa  istruz.  franco  per  posta,  fr.  6,35. 
JUep.  in  Pillano:  farm.  Zambeletti,  piazza 
S.  Carlo.  6.  Buenos  Ayrec  C.  Porrei.  615 
6^7.  Calle  tino. 


PELI  0  LANUGG1NE 

eoi  DEPILENO,  Depilatorio 
rhaave.  Flacone  <on  istruzlon 

CAPELLI  NERI 


ilei   viso    e 
corpo  sparisco- 
no   per  sempre 
col  DEPILERÒ,  Depilatorio  innocuo  del  Dott.Boe- 
rhaave.  Flacone  .  on  istruzione  L.  3  (franco  L.  3.50). 


I    .Il  ACQUA  CELESTE 

ORIENTALE  ,    tintura 
i  applica 

ogni  20  giorni  si  può  dare-  ai  capelli   bianchi   o  grigi  o 
alla  barba  quella  tinta  naturale  che  più  si   desidera.   E' 
innocua.  —  Flacone  L.  2.50  (franco  L   3.10  . 


SORDITÀ  ; 

:  -al.    1,75  'ir; 

SI  DIMAGRISCE 


MA.L.I    !>'  ORECCHIO 

■olio  usami. i  il  linimento  a 
UDiriNA  del  dottor  W.  T.  Adair 
I.   2.1-  ruzione  gratis. 


CALLI 


duri  ni.  occhi  di  pernice,  ecc.    Guarigioni 
pronta  e  permanente  con  sole  poche  appli- 
>ni  dell'infalli  ago   COR  JA- 

L1NE.  Flaconi'  eoa  istruzione  !..  1    franco  L.  1.30 


in  poche  settimanepren- 
dendo  ogni  giorno  al- 
cuno PILLOLE  COL- 
TRO LOBìSITA'  del  dott.  Qandwall.  li  si- 
curo effetto  e  s.nza  inconvenienti.  Oltre  distruggere  l'a 

dipe.  fono  pure  indicatissirae  i tri  esttv- 

stitichezza,  emorroidi,  '      :      e       G-ratìsopn- 

a1  ivo.  L.  4. 50  la  scatola  L. 4.75  franco  di] 


GRATIS 


IL  MEDICO  DI  SÉ  STESSO.   Consi- 
gli pratici    idi  n  dati. 
Gì                     :  amiglic.    -  b-i  pas.  il- 
lustrate, -i  spedisce  a  chiunque  dieti  i  invio    li    semplici 
carta  da  visita  colle  iniziali  ».  s.  >. 

Indirizzare  lettere,  vaglia  e  cartoline-vaglia  unicamente  all' 


I.xA     DITTA 


G.  &  A.  FOSSATI 

MILANO  -  Via  Monte  Napoleone,  43  e  Via  Bigli,  I  8       MILANO 


Arrivo    delle    novità    per 


Ha  l'onore  d'annunciare  alla  distintissima  clientela  ch< 
in  occasione  delle  prossime  Feste  Natalizie,  mette  in  liquida- 
zione tutte  le  rimanenze  di  COSTIMI.  PÀLETOTS, 
MANTELLI,  JACQUETTES,  CHE  MISETTES, 
ecc.,  nonché  tutti  gli  scampoli" a  prezzi  eccezionali. 


VII 


IN    STRANA    COMPAGNIA 


un    u  ■■  M  •   "u    l'ai.'   I"'" 

\    i     ete  v(  nulli 
,    id  una  ili  Ile  più  p 
\  ano  l'ultimo  cen- 

eri irvi    per 
ivra  il  suo  di  naro 

i    kPlTOLO    \  I 

L'Isoli  della  regina. 

•  im-'iiti'.  a  favorire  la  tu  fa  da  \  a  paralso, 
i\  a  mi   vento  Impetuosissimo  i  he 
i        oiett  a  L'I  sola  A  ella  R  i 

o    il  capitano   Boulger, 
L,   in   tutto 
1 1  come  resistenza    in 
stanza,    non    -i    trattava    solo   ili 
qualità,  e  il  capii 
nell'i  nsiderevole   pel  nolo  'li 

ijua     rischi  andasse  con- 
lr,..   I  èva  resse  onde   ni 

nisse  ad  im la  partenza 

Pei   uscire  dal  pi  rto  In  una  n 
trattava  solo  dJ   un  abile  manovra, 
i  e  dalla  sua  un  po'  ili  toi  luna 
a    sangue    fi  i  ddo    al    i  ischi    corsi    in 
tutto  ciò  pareva  un  sogno.   Per  ben 
due  volte  la  goletta  fu  sul  punto  ili  urtan    i 
delU-  ranien  o  più  volte  la  convin- 

toli atti  nzione  di   un 

tore  ,  sta,  pi  ii :  i"  chiamati    a 

V0Cl.  denc"  ordini    perchè 

jiuii    in  meno  di  mezz'ora  □ 

di  udire  un  colpo  di  fu 

elle  da  ■ ùnuto  all'a    ri      fioi  ar  loro  il  viso,  non 

vider..  più  terra  e  dal   porto  pigliando  la 

r0Ua  fa]  attraverso  11   Pai  ifli 

\  la   Piti   ni  n   1- 

Durante  questo  tempo,  Veneda  e  Juanita  stavano 
sul   ponti  là    -li    eventi     I  e 

spertenza  fatta   in   pas^  runava    inm   a    i 

considerarsi  ai  lalgrado  gli  sfu 

perir.ij    I  fre  Cile  che  si  udii 

li  inquietavan  ibi   ai  rebbero    pi 

rito   i.i   -  ttosto  'li   cadere   nelle   mani   dei 

joro  .  1 1    nel   momento  stesso  in  cui  a  edi 

\  ani 

Intanto  \  eneda  pensava  a  tutto  quanto  ■•>  i  suc- 
cess' memoi  m  naia  ;  e  ai  ricordo 

dell  i  I  luogo  il  imbarc 1  alle  sue  assurde 

minaci  le    si   mise  a  son  idere .  poi,   riflettendo  i  he 
la  su  iza   in   qttel    luogo    provava   che 

era  al  coi  rente  dei  suoi  piani  e  che  era  'imi uh  pos 
sibili  u       diretti, 

si  fece  serio  in  vis      Q  lo  tui  bava  e 

lo    ,,  i  i  mnita    tosse    d  accòrdo 

'  |  ,      avessero  avuto  affari 

insiemi  Quindi  I     più 

probabile  i  he   in  i  teso    affare    in  cui 

si  irai'  ,-.  a  ili  una  cosi  i  -  '  sidi  rei  ma    la    ■  io 

vane,  per  politica,  stesse  con  entrambi  i  partiti,  i 

iltrezza    e    ingannando    gli   uni    e    '-'li 
ido   egli    la    guardava    mentre   si 
ento  <•  la 
nava    i    movimenti     No 
i  ri  itui  i 

scondesse  tanta  perfidia!    vi  ogni  modi     qi   ique 

-. .  egli   N  m   le  a\  rebbi 

ostrato    -   i 
■   b 

i  .:  .  tutto  vapore .  1"  -    i  ipiva 

dalla     i  hiuma 

al  suo  pa     i  paraiso  i 

I  a  n  t  e    Le 
li 
; 

M 


lungo     i lopi  d  'ila    baia    trovai ono    il 

i       basi  [mentine  i  on lo  a  i  ullai  e 

più    'Il    una    volta    \  ■•inala    dovei 

luanita  perchè  cadesse  a  teri  a    i 

i  l'uno  ali  altra  -i,  itero  sul  ponte  finché 
sero  le  ultime  i  Cile    poi  un  violento  colpo 

■  li  vento  buttò  In  mare  11  cappello  a  larghe  falde 
ih  Juanita;  allora  Veneda  la  prese  pel  braccio  con 
un  sincero  sentimento  ili   protezione,   dicendole: 
Veniti      <  endiamo,   non  vi  con\  lene  di  rima 

nere  qui   più  a   i l 'ei  metteti    i  he 

pagni. 

Ma  era  più  Fai  Ile  ad  a  farsi,  tanto  era 

:i  un .\  imento  ili  rullio  e  d  lo    Finalmen 

te,  coll'aiuto  del  secondo  che  stava  a  guardia  del- 
la nave  mentre  il  proprietario  era  i  pranzo,  potè 
riparo  In  una  spei  le  •  1 1  cucina.  In 
quel  momento  usciva  dalla  sua  .ai. ma  il  capitano 
Boulgei   ii  quale  andò  incontro  ai  via  dan- 

do loro  il  beni enuto.  Era  un  uomo  alto  alto, 
tlle  ■  ome  un  foglio  ili  rana,  i  on   un  \  iso  lun 
i  me,  ai  quali     •  ■   lui  reva  l'Idea  ili  lunghi 
una   barbetta    da    capra    ben    ravviata;    d<    li    oc 

chietti   straordinariamente  grigi   luccicai 

verso  le  sin.  tolte  ciglia  Parlava  lentamente  e  un 
po'    pedantemente    con  voce   bassa   ,    profonda    e 

quando  non  aveva  nulla  da  dir la  pens  <  i 

ticchiava  dei   vecchi    inni  di     i  .li   cui   a1 

un  ampio  repei  tori 

Juanita    era   tropi :1  irnppo 

gli   uomini   per   non   aver  notato  tosto  questi 
i i..  debole;  e  ricordando  la  sua  speciale  condi- 
zione a  bordo  della  nave,  e  la  possibile 
mi  giorno  ili  avere  un  amico  accanta   decise  'h  at- 
tirare subito  la  sua  attenz senza  perder  tempo 

Da  parte  sua  il  i  ipitano,  benché  essa   tosse  vestita 
da    uomo,    fu   colpito  dalla    sua    grazia,   e   quando 
i   gij  ebbe  fatto  gli  elogi  della  -uà   nave  /  ìsola 
,i,  Ha   /;.  gina,   un   gì  an   passo   sulla   via  della 
quista  era  stato  tatto 

Veneda  s'informò  se  vi  ti  ssero  delle  cabim 
sponibili.   sulla  goletta  non   ve   n'erano  che  quat- 
tro  le  cui    dimensi u  metà    più   pii 

delle  celle  d ioni,   ratte  ei  identementi 

lini   ai  disotto  della   ni. '.ha  statura    Quella   del 

capitano  era  l'ultima  a  tribordo,  quella  del  secondo 

stava   a  bai lua       i  i    quella    vicina   al 

capitano  e  Veneda  andò  nel  dormitorio  con  Craw- 
shaw,    uno   degli    uomini    dell'eq     i  Vile    11, 

ippena    la    cabina    di    Juanita   fu    all'ordine, 
andò  a   letto,  e  Veneda,  dop  le  augurai 

buona  notti .  accese  uno  sigari    e   salì  sul  ponte 

Tra  una  splendida  notte,  non  una  nube  si  ved 
sull'ampia  distesa  del  cielo,  il  vento  continuava  a 
ire  freddo  e  impetuoso  e  di  tanto  in  tanto  delle 
violenti  ondate  di  schiuma  sci  i  sul  ponte 
,  ome  grandini  I  a  goletta,  col  vento  in  favore,  an- 
dava avanti  relativamente  sicura.  Ve la  stava  os 

ih    lui   il   rapitami  app  lll'al- 

beró  'li  poppa  avvicinandosi  a  lui  senti  che  zufo- 
lava ih'  i  l'i  Hundrecht»  con  un  eccezionale  fer- 
vore 

_   Una    bella    notte    capitano    Bi  li 
offrendoci    un    sigaro          Se   questo   tempo  conti- 
nue! m   cosi,  fri n  moli ■ a    I  ahìti 

—  Piano,  pian..  -   rispose  il  padrone  della  gì 

ndo  uno  sguardo 

non  crediati    i  he    i    temi secondi   sempn 

rante  >.  E  vi  assicui  mare 

e  in  questa  stagioni    i  sa  facile. 

__    \,i    i  mpllmenti 

Iste  dal   porto     tu  un  colpi 
imo. 

—  potete  'i pii '  ontinuò  il  i  api 

tano  con   voce  lugubre         I  ediate  già 

la  passi  liscia  '   \i  mio  ritorno  a  Valpa 

leranno  di  quanto  tei  l  t    mi  inno. 

Qualoi 

si   è   Inutile  tornare  stili  ar- 
mo 
E  quella  signora  '  '  '"''•- 


LIBRERIA  EDITRICE  NAZIONALE 

3III,A>0.    Tia    Durini,   34,    Telefono  15-05. 


5Pu€€Ucazioni  litirarie  recentissime. 


EMILIO    DE  MARCHI.      -   Il    cappello    del 

Romanzo.  Quinta  edizione  po- 
lare. 


prete. 


poh 

Nella  prima  edizione  di  questo   romanzo  a 
lime  l'orti  e  d'un  interesse  affascinante,  Emi- 

espoheva,  in  un'arguta   pre 
zione    le  ragioni  che  l'a\.\  le    in—m  a   s 
e  due  erano  le  principali. 
i  ,   prima   per  provare  se  sia  proprio  ne- 
n  io  andare  in  Francia  a  pn     li         :   ro- 
manzo detto  d'appendice,  con  quel   beneficio 
del  senso  comune  che  ognuno  sa:  o  se  invi 

un  pò  di  buona  volontà,  non  si  possa 
provvedere  da  noi  largamente  e  con  più  giu- 
dizio ai  semplici  desideri  del  gran  pubblico. 
_  La  seconda  ragione  fu  per  esperimentare 
quanto  di  vitale,  di  onesto  e  di  ! 
ni  auesto  gran  pubblico,  cosi  spesso  calunnia- 
to e  proclamato  come  una  bestia  vorace,  che 
si  pasce  solo  di  incongruenze,  di  sozzure,  di 
carni  ignude....  ».  L'esperimento  diede  perfet- 
tamente   ragione   a   Emilio   De    Marchi    ed   il 

o  riuscì  in  modo  completo  : 
che  il  romanzo,  prima  pubblicato  su  Lira 
...  a   ,  di  \  a  poli,  poi  ut  volti- 

le   un    immenso   successo,    tale    da   ri- 
chiedere  parecchie  ristampe. 

Anche   l'ultima   edizione   è  da   tempo   esau- 
rita   Credemmo  di  fare  opera   utile   e   grata 
agli  innumerevoli  ammiratori  dell'arti 
l'ingegno  di  De  Marchi,   ristampando,    per   la 
'.punta  volta,   questo  romanzo,   insistenten 
te  e  quotidianamente  ricercato  in  tutta  1  Italia. 
Prezzo   del   volume   !..  1- 

SALVATORE  FARINA.  Nodi  e  Catene. 
—  Fino  alla  morte.  —  Romanzo  nuovis- 
simo, preceduto  dai  Soliloqui  d'un  soli- 
tario: 

la    pubblicazione    di    un   nuovissimi       bro 
di  Salvatore  Farina,  costituisi  e  ai  |    ben 

.no  avvenimento    nel  mondo  delle  lettere  e 
per  tutti   coloro,   di   elevato   intelletto   e   di    a- 
nima  aperta  alle  nobili  impress 
e  della  vita,  che  amano  ì  libri  elettissimi   !  ei 

e.    per    forma,    per   significato   i 

e   per   lucidi   ed   onesti    intendimenti.    Qu 

n/n  di  Farina  ha  in  sé  tutti  1 
i  tutte  le  gemme  di  pensiero  e  di  forma, 
,   ,  itto  dei  libri  prei  edenti  di  Farina 

o    eloquentissimi    documenti    d  arte    i 
bellezza,   e   dell'autore,   uno   dei 

dell'Italia  contemporanea     11 
Farina   affronta,   con    la 
maestria    i  ne    gli    è    propria,    l'ardente    que- 
stione  del  divorzio .   eppen 

p,    talmente    interessante    p  ir    le    si- 
gnore,  che  troveranno  in  ci  ti 
■  -me    profonde,    deliziose,   affasi   i 

Volume  m  edizione  di   lusso  di_ P|g»ne  -m 
eirca,  con   ritratto  dell'ai)  ore  i      --  **'• 
A.  OLIVIERI  SANGIACOMO.-I  Reali  d'Ita- 
lia. —  Narrazioni  storiche  per  i  giova- 
netti italiani. 

Un    libro    dedicato    alla    gioventù   italiana. 
che  in  forma    facile    spigliata,   - 
buona    lingua    italiana,    nani    le    gesta    • 
glorie  di   Casa    Savoia,   attravei 
la  -tona,  e  dica  l'impi 


stia  guerriera,  nei  destili    di  11  intera  ciazi 

cava    ancora   all'Italia.    Il   volume   clic    i  ol 
i     Ri    ■!.     ,;  /    di  |    e    dovuto    ad    I  ilivieri 

San  notissimo  e  genialissi 

re  ed  ufficiale  tra  i   più  tudiosi  — 

è   or    ora    comparso,   crediamo    i  aga   a 

mpire  in  modo  assai  degno,  la  lamentata 

lacuna.    Il    libro   si    apre   con   un    rapalo   sguar 
do   a   quelli    che    furono    i    primi    domini    della 

iosa  Dinastia,  fin  dai  tempi  più  oscuri  'I 
Medio  fa  i     elaSavoiaele  pittoi  i     h      illi  del 

Piemonte  son  des  ritti    ere  n  evidenz 

•  >  ,  e     i   dop  i  questa  splendida  pi  i  senta 
01i\  iei  i    im    m  n  i  i    la 
,an  izione  e  procede  in  una  mirabile  sii 

noi    11  libro  è  diviso    in    quattro  parti,  il 

son  raccolti,  Dettamente  deti  raninatiin   qua 

epoche,    ì   dieci    secoli    di    storia    Sabauda.    — 
/  (  onii  di  Sa  i   d  Medio  Evo  più  cu- 

po   /  Duchi  di  Se     io     età   veramenl 
lere  e   della   Dinastia;   /    Pri 

di  Savoia,  reta  turbolenta  delle  Si   m  :  te    dei 
Principati  e  delle  Leghe;  /  Re  dì    Sardeg 
d'Italia    il  peno, io  epico,  cioè     d      i  Nazioni 

e   della   Dinastia.   L'ultimo   capitolo,   co 

lOgO    gentile,    e    dedicalo    a    /  i     D 

>,,,  „;,;.  _.  e'  un  libro,  insomma,  qu 
l'Olivieri  riuscitissimo,  che  offre  una  lettura 
interessantissima  ed  eminentemente  educati- 
va, ricco  di  pregi  letterari  e  storici  e  ben  de 
gno  di  correre  tra  le  mani  di  tutta  la  eletta 
gioventù   italiana.  . 

Bellissimo  volume,  di  circa  Sto  pagine  in-16 
carta  distinta  e  in  edizione  di  lusso  1. .  *■-• 

ROBERT  MISCH.  —  Eterno  femminino.  - 
Fantasia  eroicomica  in  versi.  Riduzione 
in  martelliani  dal  tedesco  di  G.  E.   Nani 
e  Pasqi  ali;  de  Lui  t, 

Questo    lavoro    del    chiarissimo    letterato    e 
poeta  tedesco,  è  stato  uno  dei   più  larghi,  im- 
ponenti ed  assidui  successi  teatrali  di 
so  anno.  Rappresentato  in  tutti  i  teatri  della 

i  ìi  i  mania  e.  in  taluni,  replicalo  per  'luco  tO 
e  trecento  sere,  varcò  presto  il  confine  e  I  ac- 
coglienza, dovunque  si  intenda   il  tedi       i,  fu 

opre  entusiastica.  La  satira  arguta  e  feli- 
cissima, m  esso,  e  così  fine  e  sca  il  cosi 
naturalmente  dal  complesso  delle  figure  e  delle 
situazioni,  che.  seguendo  il  fa               ol    linei 

dell'azione,  ci  vien  fatto  di  di  n   indan 
l'autore,   non  abbia  avuto   l'intenzione   di   n- 
costrurri    un    mi  mento   storico,   piuttosto  che 
prenderlo   a  preteste   per   una   dimo 

d'indole    sociale.    L'azione    dello    Etei 
minino  è  trasportata  ai  tempi   4 

ed  i  pi    tagonisti  sono  lis  ai  idra  il  I  i so  con- 

iero     n  co  e    Infiope,  che  tu  ia  delle 

donne  guerriere  e  vinse  tante  pugi ""'',>' 

dodi  li  chi    li    i  mti  ■■  avano  h  domini 

sonia.  Senonchè  n  poeta  eoe la 

eggendaria    alle  idee  ti  mimi 
■nte,   interi  ssand       illi      rido,   traen 
isioni  i       ornamenti 

enialità    rara 

enea  e  l'adattamento  sono  do 

vuti   a  due   m 

,,    r    vani    ,1  traduttore  preferito  da  su 

mai:.,   -    Pasqv  iti    D     Luca,  poeta     quisito  e 

-nitore   di  rara   elegam 

,.      j        lM    di- 
stinti "a  L  •*• 


La  LIBRERIA  EDITBICE  NAZIONALE 
nuovissimi.  CATALOGO  GENERALE,  a  chi  n 


(Via.  Durini.  34     Milano),  spedisci,    gratis  il 
e  fa  richiesta,  anche  con  semplice  carta  da  risita. 


Vili 


IN    STRANA    I  0MPAGN1  \ 


Nel  contrnti  i    ;    a  di  lei 

-  irà  l   vi  v  propi 

comi      no   un 
.  a  i                             i.  il  quali 
i  voi?  <  he  - 

r  o     i         n  on    i 

darà  a  me .  lutto  à  f) 

,     ,  i  ne  tri  ppo  sicuri.  Se 
erto  che  non  \ 
,.  ,  nti  pi  ti 

e  del  nostro  bastimenti 
i    i  abiti  il  più  presto  possibi 
siccome  egli   non  ne  i 
re  pai  ole  sono  inutili, 
ipes  >e  " 
_  \.  lete  i  he  lo  sappia  ? 

—  La  ci  issima,  Sicc  ime  v'ii a 

i  inni  al  momento  In  i  ni 
e  vi  girò  attoi  no     pei  andò 
-  ,var  il   modo  di   aggrappare  ici  su    è  naturale 
■  he 

redeti    chi    abbia    letto   >i   nome  " 

—  -      .  no  eh ii  avesse  (di  occhi 

mprowisa  ttata    notizia     meravl 

ente  il  pi  i  he  rimase  un  mo- 

oferh    pai  ola    \  enne   preso   i( 

1 
per   quali                 ivessi    ottenul  i    la   sua 
ina,  ma  per  timore  che  ne  venisse  scopei 

i     i         ■  ■  '         i        i   -i • 

:,i  ,,  i  i  al  collo,  ove  era  rim  hiu 

in, mila  era  impa- 

i  lunsro  il  ponte   in   pendìo,  scese 

suo  dorm Pa   .andò  davanti  allo 

e,  -'  stuardo  in  viso  e  fu  colpito 
allore  mortale. 
Noi  diceva  fra  ili  sé  mentre 

i  ii,!,.  lo  spaventarsi    fin   d'ora. 

i    ,  i  |  ra  talmente  fuori  di  pò  e 

lissimo  che  non  abbia  pensalo  a 
della  navi' 
\i  ,  ri  bel  lare,  un  bel  ragionare,  il  cuore 


i  che  rallini. i  era  a  parte  del  buo!  piani 

Egli  aveva  avuto  i"-i  passato  buone  rag 

apei  ■•   che   il    nano   amministrai  a    la   Soi  li  la 
quale  erano  membri  entrambi,  e  ricordando 
io  i  arattei  e  v  endleativo,  che 

itiche,  né  pene,  né  denari,  potevano  di 
■  dal  vendicarsi  'li  quest'ultimo  e  mani! 
no    Qui  ste    consid  razioni    unite   allo 

■  hiolami  nto  delle  tra\  i    ai  topi  i  I ri  c-\  ano  su  e 

lei  dormitorio,  ed  al  fra  tu lei  le  onde  con- 

chifo;  lo  tennero  i  an  parte 

della  notte    Quando  sii   riuscì   finalmente  d'adi 
mentarsl   fu   perseguitato  da  sogni  tormentos 

,   Inseguis 
terra  e  per  mare,  e  riuscisse  poi  a   raggium 
nella  sua   vecchia  scuola   dove   aveva   studiato  In 
Inghilterra 
Egli  slava  per  dargli  n  medagl e  per  regol 

gli    ;i  .  indii    un    rag  -in    di 

rum   disco   che   gli  serviva    da    fine 
-n  a  io  svegliò   Quale  fu  la  sua  gioia  qua 

corse  che  tutto  e ra  stato  un    ogno  I  1 

reno  si   vestì   in   fretta   e  andò  sul  ponte,   il  i 
i  uhi  stava  in  vedetta,  mentre  i  mozzi  ei  u 

.i  ia\  are  sulla  lold  i 
Continuava   la  brezza  frizzante  della  sera  Innar 
zi  è  dalla   schiuma   che   sollevava   la   na\ 

,    sj  capiva   che  L'Isola   di  Un    Ri  il  na   an- 
,i  iva   a   ani i  ite    II   cielo   era   azzurro,    il 

m  ire  verde,  come  solo  11  i  lelo  e  il  mare  de!  i 

fico  possi  Le  i fiate,  bianche 

quel   sole   luminoso,   spiccavano 

-ni  cielo  d'un  azzurro  intenso,  e  faceva n 

di      che    s'accordava    coll'aninn ,    lieto    di   \  <  i 
il  '  Miniano  stesso  parc\  i    l'effetto  di  qu 

ì  ella   mattinata   e  si   mostrava   meno  bui 
solito  :  salutò  Veneda  e     !    domandò  ni  il  Izle  di 
moglie  con   una  certa  affabilità    In    pie] 

Juanita  apparvi  sul  i te  vestita  dei  suoi  libiti  fem 

minili.    Veneda    le  andò    incontro   premurosai 
e  quando  essa  sì  fu  ai  coi  ta  della  pi  i 
intani,  si  misero  a  passeggiare  su  e  giù  del  ponte 
Insieme.  Essa  \fi\  soffriva  il  mar...  le  sue  gua 
sotto  quell'aria  pungente  erano  prò  colorite  del 
[ito,   mai   Veneda   l'aveva    vista  cosi   bella   i    - 
cente.  Fu  un  momento  sul  punto  .li  aprii  le  11 
re,  ih  confidarle  ogni  cosa,  ■   di  assoc  iarla  nei  suoi 
piani   ili   fortuna.  Ma    ben    pi i  sto   si    i a\  vide, 
samio  a  certi  episodi  del  passata  di  luanii  i  i 
i,<     arebbe  stata  una  follia. 


(Continua 


iCSlW