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LIBRARY ofthe
UNIVERSITY OF TORONTO
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the estate of
GIORGIO BANDIN1
LA
LETTVRA
RIVISTA-MENSILE
Corriere-della5era
DIRETTO RE-G-G1 ACOSA
ANNO1902
•AJLAMO-VIAPVZRRI-H-14-
I In del </'•//.( Seri.
INDICE GENERALE DEliliE MATERIE
SCRITTI ORIGINALI
Antropologia e psicologia.
LOMBROSO C.
non hanno
LOMBROSO P.
Perchè i criminali di genio
il tipo
I difetti dei due sessi
PATRIZI : La velocità degli atti psichici
Pag
407
781
H85
Biografia.
GÌ VCOSA i. : Emilio Zola ... . . . 11174
NmNATI: Gaetano Negri 769
SIMON1: Ferravilla 773
Geografia e viaggi.
Alla Martinica 916
C1PRIANI: L'esploratore Casati 327
CROCI: Sul Vesuvio 1056
DE AMICIS: Il sogno di Rio Janeiro 1065
C. P. : La Martinica 529
PALADINI : L'isola del Re 415
QUARTARA: La buca del Corno . 984
SOLITRO: La penisola di Sirmione .... 610
ROSSI: Attorno a Starnbùl 968
Letteratura ed arte.
ALBERTA/.ZI : In romanzo per Lucrezia Bui
già 809
ANGELI: Per un palazzo 715
BELTRAMI: L'arte nuova all'Esposizione di
Torino 599
» Memorie di architettura del Ri-
nascimento a Milano 230
CROCI : La portentosa chiave di Bacone . 106
GABRIELI : Il vino e la poesia del vino pres
gli Arabi 237
GrACOSA G. : Emilio Zola . . 1074
» 11 monumento al Principe Ami
deo 516
LI ZIO: Il primo amore di Ippolito Nievo . . 487
MALAGUZZI VALERI: Archi trionfali del Ri
nascimento 589
MEDIN: La morte del Re buono nei poeti del
popolo 698
MELANI : I campanili medioevali in Italia 391
» Storia di un campanile 815
NOVATI: Il passato di Meflstofele . .18
P. : La sala delle Asse nel castello di Milano . 521
RICCI : Il campanile di San Marco 705
» Macchiette e macchierelle .... 1090
RUBETTI : Victor Hugo disegnatore . . 336
SALVAGNINI: Villa Borghese . . 316
SIMONI: Ferravilla 773
Pan
I III iVEZ : Olbrìch e la colonia di Darmstadt . I
IN ITALIANO RICONOSCENTE: Tre poeti
stranieri amici dell'Italia 704
\ ORLUN1 : Il museo artistico industriale di Na-
poli 993
Medicina Igiene.
BOCCIONI: Gli alimenti falsificati
130
Novelle Bozzetti
Romanzi
Drammatica.
BARZINI : Il Baqueano 1081
BERMANI : Cantoniera in Maremma ... 865
BOOTHBY: Addio Nikola!... f. VI. VII, Vili. IX. X, XI
» In strana compagnia . fase. XI, XII
CERVANTES: Cornelia fase. IV, V
DE AMICIS: Divorzio d'anime 290
DEI.EDDA: Il battesimo d'Adamo ... 306-385
DOSTOJEWSKI : Un fanciullo eroe fascic. IL III
EVANGELISTI: Andrea 686-801.
FOGAZZARO: Il ritratto mascherato ... 193
GORKI : Il Khan e suo Aglio .... fascic. II
» Sasubrina » II
KOROLENKO : Di notte .... 1
OJETTI : La Messa di Natale 481
PANZINI: Lo sciopero della gloria 584
ROVETTA: Casta Diva 25-97-201
TERESAH : Il cappottino grigio 997
Storia naturale.
BOCCARA: La Fata Morgana 881
FERRERÒ: Il giardino zoologico di New York 500
GIACOSAP. : La Mandragora 212
Storia
Usi Costumi.
8
:,iu,
33
673
430
219
908
BERTARF.LLI-CAROZZI : Nella vechia Milano
CROCI : L'incoronazione di Re Edoardo .
D'ANCONA: La Toscana nel 1799
LUZIO: Il processo Pellico-Maroncelli . .
MOI.MENTI: L'origine dei giornali
MOSCA: La municipalizzazione dei pane a
Palermo nei secoli XVII e XVI II . .
» La nuova opera di Guglielmo Fer-
rerò
NEGRI: La battaglia di Abba Garima
PRAUN: L'apertura delle tombe imperiali 999
X X. : Gli ordini religiosi 136
Opere pubbliche.
BIANCHI: Il più gran tunnel del n fto 40
TURBINI'! LI : Le ferrovie elettriche Valtelli-
884
La posta elettrica 'H'>1
nesi
rojsie.
Romanzi e novelle.
1 1 wii \m aa lampada pompeiana .
GI< »nGII 111 i UN I HI la log
\i> iSCHINi i risiano •■ Isotta
i .liti i < a 1 rarii i ioan i . . 98 1
m i.iii i imi della culla . - 101
i .imi del ritorno . . 878
NOVA! • I irhusto. Imi talita, Franz Schu-
I Notte 16
Itaria BOB
S wti1' >]■ del campanile < i ■ S.
Varie.
( IPRl VS1 M trucchi
CONTI: ( ,1 ni.ii Il i arrar i
DE AMICIS : La mia i 577
GAVIANI: Dumonl il*
i.mii i francobolli nella lotta uaglo boera . 493
1 1 \ i \ \ : La misura 298
ROVETTA V'ita e gloria del Guerin Meschino
SCHERILLO: L'uso della camicia nei secoli
v\ ■ w 32S
BI BLIOGRAFIE
Arte.
Frani Malaguzzi \ alei i 719 Pica i ,-
720 1007 Rici i 347 - Tumiati
l ampi rtico 819
Biografia
Mazzini 16
Filosofia.
E ni. 246 ' Lombroso 1 19 100* Mari he ini
\ mirili 51 — Platone 246 — Rozan 51.
Geografia e viaggi.
i ,.ii.i .[via 1008
i orni naco 819 Ojetti 34'
Letteratura e critica.
i in. uni 344 i ii dm i i »3.r> i esaivo imi ,
n 1005 — Cremonini 1005 Federami nios —
Gian) 145 — Giannini 51 — Ma/,
/nielli |ih«< Muraioli 50— Pacano 245 — Panzacchi
Pavollni 1004 — Pellizzaro .".:> — Polinnia 620
Si hlpa ■• i forraca 135
i
\
Medicina. - - Igiene.
Musica.
Poesia.
li. i ìsìo si: _ (inni his - i ■
Mancini 719 — Mai ianl 346
i \ i.
Psicologia.
Pao
Mi !43 Brocchi .".; Capuana lira —
" — Dadone 133 Deledda 718 Dlotallevl
817 Foè US Gatti ti: ki 144 Kipling 49
Mi rie 147 Menasci 1004 Norsa 718 ( ■
U20 Pirandello 243 Rod ?18 Sauvin tit —
Li, ii- i.i long 718 Térésab 345 Vanzl Mussini
345- Venturini 134 - Verni nm; Zoppis 19
/ li 1003
Scienze.
Giglio-Tos 52 — Giovannozzi 622 Loforti 1008
Sociologia e politica.
B i ili 818— Chimlentl 347 — Loria 1007
Mej ni. r 623 — Pierson 149 — Poggio! ini 623 - sin.
gè 150 — Tolstoj 819 — Zi. pin.Ia 246
Storia
Irla Bertolinl 547 Bragagn
i appelletti ^47 - conti 346 Errerà 51 Felli
i 136— Frali sin Giani 436— La Giovine Italia
621 — l.oevmsi.ii 346 - Raulich 819 Rompe! 148
Siotto 436 Vismara 437,
i uirailiiii unii;
Teatro.
Franchete
Varie.
Viratili 53 - Barnabal 53 - Brofferio 820
Broussolle !48 Fumagalli 624 Mellerio 54 -
\l. .nalili li.'i l'eli-ai ,'ts Hai,, :»7 Interstei-
ner 53.
RIVISTA DELLE RIVISTE
Archeologia.
I megaliti della Bretagna ....
La grande scoperta archeologica nel Fon tt.
mano . ,
Arti.
365
:
Vrazzi e gobelins
i 1 1 ii aturistì americani UH
i .une lavora uno scultore ... 1031
Francesca da Rimini e i Polentami
Falsificazioni artistiche .... 1137
(Ili alfiesi-hi ih Bramante 842
L'arte assira !^>
I arie ili ill|,|li ■- il e ri, il : !•.•!
l.a casa della bambola
■ : i ' i , i V l i ... ...
La donna nell'arto veneziana .
i e braccia della Venere di Milo
L'ideale femminile ne! Rinascimento i:"
Nuove porcellane nordiche ... 660
Per la difesa di Roma ...
Salome nell'arte • •
Un'oasi liane
Astronomia.
intoi no alle eclissi
i uà notte con un astronomo
Una nuova stella I1M
Geografia e viaggi. Osi e costumi.
ìi, i e in un giorno
mazla
Gli eroi del Niagara
Idoli e idolatri • • •
H i .invento dei Mechitansli nell isola Sai
Lazzaro presso Venezia
Il siro del mondo per 5 soldi
Il golfo di Napoli
Il sultanato dei Migiurtini ...
In bicicletta nel Madagascar
I negri in America
I popoli nei loro idoli
La città della birra
La città rotolante
La Corea
La pesca del tonno
La posta in tutti i tempi
L'aria delinquente
La scoperta d'una necropoli
La tratta dei negri
Le esplorazioni polari
Le tragedie dell'oro
Lhassa. la Roma del Thibet
Nel mondo dei fumatori
Nel paese dei Califfi
Per trovar marito
Sulla montagna
Una città sui trampoli
Un lago che scompare
Una metropoli originale
Verso il Polo
Vita medioevale inglese
Pag.
558
960
79
735
440
57
1052
67
1048
643
544
189
667
631
634
822
731
547
83
468
63
1042
1023
1123
844
354
1134
955
641
Letteratura.
Canti d'amore
Curiosità dei mondo epistolare
Dietro le piste 'li un circo
Francesca da Rimini •• i Polentani
1 risaltati di un'inchiesta poetica
La biblioteca di Giosuè Carducci
La nostra lingua nel Piata . . .
Shakespeare o Bacone '......
Giornalismo.
66
379
Donne giornaliste
I giornali giapponesi
I più vecchi giornali francesi *]
Guerra e marina.
Collesercito di Menelik 6497~
Cose di marina J™
Duelli studenteschi •*!'
I drammi del mare 1(^
II più potente cannone *7J
In lotta col mare
831
La cavalleria d'acciaio imJ
La fine delle grandi corazzate .... 9U
La marina inglese e giapponese .... w~-*
L'automobilismo sottomarino 7*<
Le truppe alpine svizzere
Pescatori di tesori
Invenzioni e scoperte.
Corriere scientifico
Fabbricatori di santi
Fra i camini
I barilotti galleggianti - • ■
II contributo dell'Italia al progresso del secolo
NIX
Il latte in polvere
Il petrolio sostituito al carbone
Il pianoforte che scrive
Il principio meccanico del volo
La corazza di seta • • •
La fabbrica dell'oro nel paese dello zio Sam .
La fotografìa del moto
La fotografia dei lampi
L'armoniografo
La materia è viva ?
La pittura alla locusta
Le campane
Le case che si muovono
Le frodi fotografiche
L'ultima scoperta scientifica
Monete false
Nel cuore di un temporale
Una fabbrica di aereostati
Un cavo sottomarino
Voci artificiali
Pag.
353
367
151
.'.62
576
653
89
Medicina ed igiene.
Bagni di mare e nuoto . . .
Chinirgia animalesca ...
Forza e salute
Ginnastica e salute
Giuoco e forza
Il bimbo in fasce e la sua culla
I mestieri pericolosi
I popoli a tavola
La bellezza per mezzo del riposo ....
La cura del moto
La guarigione del cancro
La luce che guarisce
La Nuovaiorchite
La sieroterapia della febbre tifoidea . . .
La temperatura dei beoni
L'influsso dell'alcool sull'organismo umano
L'ospedale della bellezza
Per la vita umana
Si può guarire dalla vecchiezza?
750
1120
Mode.
Come nascono le mode
Gli artifizi della toeletta
I cappelli di Panama
II cappello a cilindro
Il re della moda e dell'eleganza
Intorno a un costume
La bellezza, arte e martirio ....
L'uniforme dei deputati in 1- rancia
Stoffe antiche ...
Toilettes new style
Università di barbieri
Opere pubbliche.
849
1036
855
382
1106
364
1122
368
726
•257
262
370
85
77
W17
477
539
371
261
556
927
478
747
654
721
550
59
657
475
550
471
464
753
178
922
355
1136
449
61
249
570
254
574
1111
1106
470
1025
729
924
760
737
748
186
1046
Fra le ferrovie „■,»,.,
I nuovi lavori di sbarramento del Nilo
Le ferrovie bizzarre
L'istmo di Panama
Un miracolo di ingegneria
Politica e storia contemporanea.
Come trionferà l'Inghilterra
Il nuovo profeta dei Mormoni
I Russi in Asia ...
L'avvenire dei popoli di lingua inglese
Le atrocità americane
Polacchi contro prussiani
Psicologia.
Perchè si piange
Vi sono fanciulli di genio '
Ritratti, profili e aneddoti biografici.
Come si arricchì Chamberlain
Emilio Zola sul tavolo anatomico . . . ■
Gli occhiali di Bismarck ....
La vera « Signora di Monza ■
l'esordio letterario di Leone rolstoi .
L'eroica milanese capostipite di sei dinastie
Nel centenario di Augusto Comte . . .
541
348
821
456
72
78
367
671
•259
730
380
Ì.Y.'
959
89
479
178
286
1009
93
Pdfl
l'irti: i CI! I SI
Scienze occnlte.
i
i ricordi spiritici di uno Bclenzial
Nel i 929
ite 1139
\. 165
69
Sociologia.
Il in femminista nel mondo 75
i l I dei linciaggio 90
nlmali
I e i ili-nna ... .62
ivr di ; delinquenti
ladri ...
! ragazzi di 3 Uniti 362
Statistica.
Pag
i "un mini uhi gli animali ... 263
Pra gli smizzi |024
Fra i microbi
Fra i pinguini .
i i i ragni .
«•Il animali scomunicati
i cani agenti ili polizia
i cani delle praterie 1103
i iiiiiusanri N5
Il gran serpente di mare . . 86
li \ leggio d'una goccia d'acqua .
i pesci dorati
li morale della vita degli animali . 94]
La previsione del tempo :i~4
I e bizzarre forme dei flocchi di neve . . 191
I.e code
Le orme degli animali . . 746
Leoni domestici
Le piccole meraviglie il. 'ila natura
Le scimmie a tavola 180
abissi del mare imo
Pappagalli ammaestrati
Sanimi' alldlio
Imi pianta carnivora
Teatro.
... 183
. . . liti
(ili alberghi svizzeri 11 li
(.li uomini pin ricchi del mondo 379
i.r.iinii uomini e uomini grandi . . .477
: una guerra 361
lo mezzn al ghiaccio 953
La diminuzione della popolazione . . 561
la produzione del carbon fossile 185
L'avvenire dell'oro 168
i i' - in:.;
I i sugli esami 1144
Storia
Fra ne .625
l filibustieri 171
il principio di Montecarlo . . 1040
I prigionieri dello Spielberg in luce austriaca . 537
La cu 930
La Corona ferrea 1^',
I a l 561
e pirati a \l 767
Storia naturale
Annua], v< li nOBl . . 554
Arti e mestieri nel regni delle bestie 944
Bolle di sapone e bolle d'aria 459
Che cosa contiene l'uomo 853
ioni. iti -1 trasformano in brillanti . 169
I drammi di Sada Jacco
II teatro all'aria aperta
375
923
Varietà.
Danze sacre e profane B27
I balocchi e la loro origine ... .174
I cani poliziotti 949
t circhi del Nuovo Mondo ... 463
I francdbolli preziosi ... ! 106
II linguaggio dei vagabondi ... i>47
Il prezzo dei topi 747
Il tabacco e gli scacchi rispetto alla civiltà 85
In un circo equestre 90
I più grandi macelli del mondo . . 1018
La donna pompiere 444
L'amore dei fiori 556
L'aquila di Savoia . .
L'arte della fuga . 273
La scuola delle mogli 563
Le principesse disponibili 73
Libri costosi 95
L'università mussulmana
Mascelle forti
Nella patria delle bistecche . 1105
Pasticcerie regali 75»
Per la fortuna . . uà
Quanto costa un cucchiaio di legno . 948
Tra furti e scassi *<50
Un archivio fotografico a Parigi . 361
Un seminario di domestici . 66
Tra i pompieri
Ammo-II
NVM-I
•La Lettura-
Gennaio
RIVS7A-AVEN5ILE-
DEL-(pRRIE.RE.-
^j PELLAGRA"
• 19OP
Olbrieh e la Colonia di Darmstadt
->v»
redo che il battito del cuore non abbia la-
sciato prender sonno al mio amico archi-
tetto la notte che precedette il nostro ar-
rivo a Darmstadt. Da giorni e giorni gli leggevo ne-
gli occhi l'assiduo pensiero.
Né la Alte e la Neue Pinacolek di Monaco, :iè le
squisitezze barocche dello Zwinger di Dresda, né
le lusinghe umane della Friedrichstrasse a Berlino,
ne i pensosi castelli del Reno avevano potuto at-
tutire la sua malcelata impazienza. Ed egli . che
aveva girato mezzo mondo, provava ora ad un
tratto un'improvvisa nostalgia della patria, un bi-
sogno urgente di rivederla. Ed io pensavo soiri
derido che Darmstadt e l'esposizione della sjia
Kiinstler-Kolonie erano sulla via del ritorno.
La sera era bella. 11 treno correva veloce tra le
pinete e i prati dell'Assia. Francoforte, la città
magnifica, e l'affollata Zeil, e il delizioso Palmeti-
garten, e le torme di misses vestite di bianco e di ri >a
ritornanti colla racchetta in pugno dai tennis su-
burbani, e la lunga fila delle carrozze reduci dalle
corse, erano scomparsi come un sogno, l'n fulgido
cielo di smeraldo fiammeggiava sulle nere sagome
dei casolari fumanti, sulle linee ondulate di umili
colline profilate all'orizzonte. Le nere barbe dei
pini, le fogliuzze degli ontani, gli steli rigidi dei
canneti si intagliavano nitidissimi in quel chiarore:
la poesia tenera e grave della sera sulla campagna
scacciava le immagini mondane della febbrile esi-
stenza cittadina. Ma l'amico architetto non pareva
accorgersene, assorto nel suo pensiero. E a un punto
alzò il capo, e disse: « Sei certo che ci avrà asj
tati, Olbrich? ».
La Lettura.
V'era da un lato nel compartimento una coppia
di sposi elegantissimi, di quegli strani Tedeschi fatti
Americani, che parlano tedesco con spiccato accento
inglese, e nei quali il carattere teutonico originario
appare travolto e trasformato dalla magica potenza
assimilatrice della razza angle sassone Idia era bel-
lissima, e, come avvolta in una odorosa nuvola di
trine candide , la sua persona agile e felina vi si
agitava con un'irrequietezza morbosa, profonden-
dosi nelle più terribili moine di cui sia capace l'au-
dacia di una sposa inglese per esasperare i nervi
dei compagni di viaggio. E dal Iato opposto del
compartimento un'altra coppia di sposi sembrava
posta dal destino umorista a procurare una COmpa
i.i/ ione etnografica: il professore cinquantenne bar-
buto e panciuto, scapigliato e trascuralo negli abiti.
che ha sposato la ragazza trentenne, povera, non
bulla e inelegante, per cui non ha ohe rari sguardi
e modi i.iic premure. I. costei guardava con occhi
infinitamente tristi quella fastosa eleganza d'oltre
oceano e quell'audace ardore voluttuoso, e bev
col pciic . ppresso dall'invidia quel profumo di vio-
letta bianca e di amore...
Ma l'amico architetto non aveva occhi per la psi-
cologia. Anzi disse con un sorriso di compatimento
sprezzante: « Questa gente ci ascolta parlare di 01-
brich e nuli mostra nemmeno di accorgersi ili que-
sto nome: essa non immagina nemmeno 'li passare
accanto ad un uomo e ad un'opera dai quali prende
inizio un nuovo periodo della storia dell'arte... »
L'improvvisa fermata interruppe le sue m;din-
ennie. Fa 1 1 trovai -: ad mi tratto piombati
dall'animazione fa-'1 1 rano [ ''e nella tran-
LA LETTURA
-l*m,T-vn*nt
^ p
^sBL-m-i
Casa di lavoro della Colonia di Darmstadt
quillità morta 'li quella cittadina ili provincia. Cam
minavamo malinconicamente sotto gli arsi fanali
«li un viale deserto, quando mi sentii afferrare ira
provvisamente il braccio. « Guarda! » mi ■ liss< • la
un lampo negli occhi.
Una strìscia ili carta <-ra appiccicata al muro; e
su di essa era scritto in caratteri stilizzati: All'I
« Olbrich! i ri ili Olbrich! Ha : Uto
tutto! •.
Ed ii> sorrisi i ido l'unghia del leone an
che in quell'umile avvisi E salendo le scale del
l'albergo ed affacciandomi alla finestra della mia
camera e guardando oscure massi- di verde e con
fuse linei- ili edifizì ignoti, mi domandai: Qual'è
dunque il fascino ili quest'uomo ch'è riuscito a far
attuari' ila un granduca tedesco del XX secolo un so
no ili un principe del Rinascimento? Ma
la domanda rimaneva senza risposta. Un'ala ili
vento frusciò nel fogliame, e da lungi giunse un
fievole suono ili hainla cogli ultimi accordi dell'ow-
■■cTtiiTc del Tannhàuser.
Il giovine granduca Ernesto Luigi ili Assia
dt ha dimostrato ai suoi colleglli e parenti
mezzo I" con nato euro-
peo), che, malgrado i progressi dell' id sia.
resta ad un principe qualchi più nobile e
<li più utile da compiere che non sia il mettere la
sabbia a m nistri, i |ua Ichi o a che nes-
sun presidente ili repubblica, nessuna assemblea le
tiva, strumenti immediati e dei desi-
deri '■ delle idee della moltitudine, possono fare: ha
un; i Ionia 'li artisti : |
chife e ori ori e resel
nelle sci nui . ';ra
ualchi dum pei de • rari- il
qualche altro. Mo : il prim i]
per ila\ \ • avuto uno sgu
più acuto ili quello d'un qualunque assesson del
lizia urbana. Kgli ha dir
-ori- della più bella delle due
copii una del borgomastro Meyer . ili
1 1 bein 1 1 i chiamato nella sua
nel più I "•' :'' ■ della
un ampio terreno ad un affitto irrisorio di qualche
centesimo al metro quadrato, e non ha imposto loro
.iltm obbligo se non ili risiedervi e ili lavora
Grazie a questo sogno ili poeta, che sarà seni
brato pazzesco e che avrà fatto fremere ili indigna-
zione ogni anima borghese o socialista, Darmstadt
è divenuta quest'anno la Mecca degli studiosi, e cen
tinaia ili migliaia ili persone hanno imparato ilalla
esposizione delle dimore della Kiinstler-Kolonit
pili scienza estetica che non in dieci anni ili il
guarnenti > teoretico impartito nelle università pop.
lari 0 governative.
Josef Olbrich architetto, Peter Behrens pittore,
Hans Christiansen pittore, l'ani Biirck disegna-
tore, Ludwig Habich scultore, Patriz Huber deco-
ratore, Rudolp Bosselt bronzista e gioielliere, so
no gli artisti chiamati dal grandui a
Ma l'anima «lì inno ;• stato Joseph Olbrich, il
giovanissima architetto viennese, il più vivace ram-
pollo della scuola <li Dito Wagner, elle in |H*-hi
anni di' multiforme attività ha messo a rumore il
campo dell'architettura e quello della decorai
■ oli audacie decorative, bizzarre, discutibili, impro-
I rie magari, ma improntali' ili una originalità ili
concepimento e <li ima genialità 'li elaborazione che
non hanno uguali nel campo 'lei rinnovamento t
tiro moderno.
Il viennese Olbrich, chiamato a Darmstadt dal
granduca, cadde rome una bomba nel pacifico
campo dell'arti tedesca. In poco più il' un anno
sette palazzine, alle' quali vennero ad aggiun
i quella detta ilei principe e destinata ad
■ spitare i laboratori degli artisti, e due app
mini al fabbricante ili mollili Gluskert , noi
li Spielhaus, la Blumenliaus e il Gebàude far die
Flàchekunst, mumt' .innate ili lutto punto, e per
la massima parte su piani dell'OIbrich, il quali
segnò tutio: architettura, ili razione esterna '-'l
mi' ma. mollili, utensili, stoffe, inferriate, cancelli,
giardini, aiuole, cartelli, libri; e nel mese di mas
.'mimi la pittoresca colonia era aperta al pub
blico, riunì- esposizione 'li ambienti domestici pre
sentati, per i-osi dire, nella loro vita!
t 'he rosa non se i" disse "i Germania! •■ S
ionie la chiamano? mi diceva un arguto architetto
della " 'hia scuola: la Vafren Austellung; l'espo
dizione dei pazzi >
\1 i i fedeschi sono un popolo ragionatore e-' e-
SALA DELLA i OLONIA DI DARMSTADT ALL'ESPOSIZIONE I»I PARIGI.
LA LETTURA
i m In r it i campioni del ci
ch'era un
ed un documento della
pazienza salivari
! ripide \ ii 'Iella i
■ il.i colonia, curiosi 'li vedere nel
■ \ ìdamente studiate ni III- ripn -
Ielle ri \ isti- '. 1 1 sole era cal-
ili montagna, l'i i
La pa na dall'I i forma
ed i gnuna 'li ■ sse o inti neva un cartellone
I» r richia bbricanti 'li cose in stile moder-
no, i llone era dipinti i su tela dal
brich e dal ( n tiansen i li i uole che si
iii -li - 1 1 . \ ain ; lungo il re-
cinto, disegnate pur dall'Olbrich, a combinazione di
metrichi nello stile a lui cari '. erano
|" ni i ni una gamma 'li fieri a masse ili colori puri
intensissimi resse e turchino sul fondo verde del-
rba, d'un ' ••■ originaliss ni i I» Dissimo.
I tcciammo innanzi an dopo
Huber: Studio per un camino.
ba fluttuava al sole. \";. salivamo Ira villini e
mi |»-r la ri | > i della collina. Ed eccoci
all'ine al sommi . sulla MafhildenhOhe, in un pi
prati e 'li albi ni dell'in-
5] ■ isizione ci arrisen i in fondi i a ille
il babilonese,
un pan ssismo 'li i
i am ■ dalle larghe lim-e ri-
ni 111 di Paul Hurek ehi- ne
fianchi e rappresi ntai l
iitclleltualc i '
arielli alti dalla superba 'aria <lri vini
illustrata dal Hurek all'opuscolo i rat ivo
dal Behrens I
I una ili -
eravamo sul sommo del poggio dov'è stata '"strutta
la Ernst-Ludwighaus, la casa detta del prim
ma 'In- in realta espila i laboratori degli artisti.
Ina larga scalea a mattoni smaltati gialli e tur
chini saliva all'ampio arco della porta, E dai due
lati sorgevano due colossali figure ili pietra
naria, l'Uomo e la Donna, opere ili Habich, i
eui larghezza sintetica rivive veramente la serenità
diosa dei '"lessi egizi.
I i'i las ìù la coli mia ci appariva dissi minata ai
piedi Uni stuolo di casette sorgeva attorno
fra i giardini in fiore. Ecco a sinistra la casa del
l'Olbrichj a destra quella del Christiansen ; più ol-
basso luelle del Deiterz i del Keller, quella
tutta del ] l.il'i'li . la bizzarra Halle
fùt die Flache Kunst, I" Sfitlhai t, le dui
LA GRAXDE HALL. CQN VISTA DELLA -ALA DA PRANZO.
<l
LA LI l'I l R \
juella >ii Peter Behn ns
\i « I ii la festa dei
_ i. sse e iddi,
. . le asse delle piante
-in muri, < rami dipinte in rosso vivo; le porte ili
,: fianchi i porta della
1 1 - mpegg avano d'oro sul candore
villa In ti '<<•//, la « i !asa delle rose •
forme e di quei colori, e il tentativo, per |uanl
guale nei suoi risultati, discutibile nei particolari,
eccessivo talora ili audacia, conquistava con un fa-
scino di simpatia e ili forza, ili ingegno e ili fan-
i. ili abilità e di stile Lontane colline boscose
e azzurrine cingevano l'orizzonte, veniva un caldo
profumo 'li fieni falciati .sull'aria pura e punge
il cielo brillava: pareva veramente una primavera
Lavabo.
sotto la limpida sferza
dalle Comici ili le-
>lentemente in ros ■ t, dai mi
urchini del bon
_ ardino fiammeggia-
udaci opposizioni d
luri puri. Un'ilari un Impeto di sangue
vante pei
rima di '|'!< Ut-
ili forme sona improvvisa nella primavera
natura.
*
* *
Ma Joseph Olbrich ci veniva incontro. L'archi-
tetto ormai famoso, spauracchio ili tutti nM archi-
tetti di scuola, l'uomo che ci era staio dipinto come
il semidio onnipossente di Darmstadt, il prodigioso
re ili quasi tutta quella enorme somma ili la-
voro, i-i apparvi nella f< rma ili un giovinotto tren
OLBRICH K LA COL< 'MA hi DARMSTADT
/
tenne, tarchiato e floride, tranquillo e sorridente. I
suoi guanti candidi, i calzoni bianchi, le scarpette
bianche, in quell'ora mattutina, facevano sbarrar
tanto d'occhi ai bonari visitatori del contado. Ma
bene spesso un sussurro si elevava al suo passaggio
e qualche voce diceva con vivacità soffocata: 01-
bricli kommtl Olbrich viene! ed egli passava fra
la folla divisa, con un sorriso felice, non senza una
'•erta olimpica serenità sul volto.
Sotto la sua guida procedemmo alla visita. Le
casette completamente mobiliate ed arredate erano
visibili dal soffitto alle cantine e la folla non ne ri-
sparmiava il minimo angolo. Per la massima parte
i disegni della decorazione interna, dei mobili, delle
stoffe, dei ricami, degli arredi sono dellOlbrich :
in minor parte del Behrens, del Christiansen. di 1
Huber ; e come noi domandavamo sorpresi quanti i
tempo avesse richiesto la creazione della colonia,
egli rispose con un olimpico sorriso: « Quattordici
mesi. In quattordici mesi abbiamo fatto tutto: di-
segni ed esecuzione ».
— Non siete stanco? — disse l'amico architetto
che guardava con una certa invidia quella solidità
di costruzione umana.
— Punto, rispose Olbrich col più dolce dei suoi
sorrisi: ho il lavoro così facile !
La somma del lavoro e l'unità dell'indirizzo sono
le caratteristiche che più colpirono chi visitò quella
memorabile esposizione. Per quanto si possa discu-
tere quello che si può oramai chiamare lo stile del-
l'Olbrich. bisogna riconoscere ch'egli lo ha applicato
con una logica, con un'energia, e con una ingegno-
sità che ispirano rispetto ed ammirazione.
Come descrivere quell' interminabile sequela di
stanze, dì mobili, di arredi ? In quella ricerca della
forma nuova in ogni minimo particolare, l'Olbrich
e i suoi colleghi hanno profuso una grande somma
d'ingegno, ma soprattutto tesori di volontà. E se le
forme non appagano sempre, tesori di colore vi sono
accolti, armonie, audacie, trovate da esaltare l'ani-
ma di qualunque pittore abbia il senso della bel-
lezza decorativa. Per questo rispetto, Darmstadt se-
gnerà veramente una data memorabile nella storia
dell'arte.
Quante soste dinanzi all'ingegnosità di una ma-
niglia, la dolcezza di una vetrata, il fascino di un
tappeto, la sontuosità di un mosaico, l'invito sug
gestivo di una finestra sporgente!
Pi divertivamo a osservare la folla: la pente del
pop tic guardava ci n curiosità benevola, disposta a
imparare: i piccoli borghesi ammiravano il luss. >:
la borghesia colta, esperta in Louis XV e Empire,
torceva la bocca: i gàm verriickt «roba da pazzi».
e gli erscheckL hi - spaventoso », erano frequenti.
Ma Olbrich narrava: « In tre mesi: duecentomila
I i rsone, e centomila marchi di vendile. ».
E parlando ci avviammo verso la Blùmeji,
la casa dei fiori. Attorno ad un bacino dove le im-
mense foglie della Victoria regia galleggiavano sul-
l'acqua, in nicchie illuminate dall'alto, i fiori erano
disposti non secondo l'anarchica mescolanza cara
ai nostri giardinieri, ma per masse di colore con una
sapiente ingegnosità decorativa; e come era il mi
dei gigli, la casa raggiava di un candore virg
rialzato da note di fiori violacei.
Ma la sorpresa maggiore ci attendeva al risi
te. Nel poetico spiazzo dei platani, nel Platanenhain,
le sedie tinte in rosso facevano una macchia san
guigna sotto il verde tenero dorato d'occhi di sole.
La tovaglia a due toni era su disegno dell'OIbrich,
i coltelli, i cucchiai le forchette, le saliere, le ca
raffe, i vassoi, i tondi erano su disegni originali del-
l'OIbrich ; l'oro liquido dei deliziosi vini del Reno,
Rudesheimer, Gensenheimer, Johannisbi rger. la bion
dezza verdognola dei vini della Mosella, /.ritinger e
Brauneberger, scintillavano nei lunghi calici attorti
disegnati dall'Olbrich. La carta dei vini, specie d'in-
folio maestoso, era ricca ili decine di illustrazioni
in legno, geniali creazioni decorative di Paul Bùrck,
e il tavoleggiante ci spiegava che tanto ne era il
successo che s'era dovuto stampare in ogni foglio
un bollo dicente: rubato al ristorante di Darmstadt,
per ovviare ai furti. Che più? Mentre la Wiener or-
chestre suonava un two-steps indiavolato di Souza, il
programma che andava a ruba era inquadrato ila una
vignetta dello stesso Bùrck... E l'abito dei camerieri
turchino a risvolti mssi era evidentemente opera di
Olbrich, e persino gli avvisi appiccicati ai tronchi
erano nei geniali caratteri messi in uso dall'infatica-
bile agitatore...
E come la notte era scesa, nello Spielhaus c'era
ballo, e. sotto la bizzarra volta trapunta di violetto
cupo, le bionde Assiane roteavano nei giri del boston.
o La Kùnstler-Kolonie non .' dunque una colonia
ideale5 » dissi volgendomi all'amico. Ma egli si era
o presentare ad una vivace fraulein, e parlava di
Olbrich.
Enrico Tiiovez.
. , Olbrich : Schizzo per la casa di Habich
fUjT '"'N' a Darmstadt.
Prospetto del palazzo da erigersi verso via Ratti.
Nella, vecchia. Mi la. no
| ra qualche amici vie spaziose e dhitte
sorgeranno sulle viuzze degli Oratici ijei
Ratti e degli Spadari. Un sontuoso quar-
tiere si pianterà su quei terreni, i jI en rmi pa-
lazzi, cogli ufrV i. colle 1 lanche, quasi segnacoli della
granii'- industria, rinascente sul cepp ;ermo-
i ri mi i quelle arti per le |ua 1 1 M ilano
fu grande, ove vissero mille ignoti artefici il cui
nome si perse nella gloria della corporazione.
\ \l
trali qui
ali. Meni re ancora da poci i tempi
molti ricordavano coi loro numi li divi
indù le pi «-he- rimaste dovi mpa
piano regolatore.
hia
polo, malgrado l'unificazione della
■ I I ves lungh » in o m
trapposto agli « Oreves curi ». ch'era il tratto già
• da via Raul al ( !i irdusii i
iella massima parte
Le abitudini eli lusso, il negozia arioso, la mo-
stra civettuola, eran cose sconosciute in quelle bot-
teghe . poste a ridosso dei più ricchi magazzini
della città. Mentre le botteghe consimili s'erano an-
date- lentamente modificandosi, per adattarsi agii usi
ed ai costumi moderni, in quell'angolo della véo
Milano esse erano rimaste tali e quali abbiamo l'a-
bitudine di vederle sulle stampe elei Cinque e del
Seicento. Erano composte i\-i una sola camera a
no, sempre oscura, perche- la luce veniva solo
dalla strada e perchè buona parte dell'ingresso era
otturato dalla piccola mostra, la quale obbligava
spesso d compratore ad i sbieco. Esse con-
servavano poi intatta la tradizione dell'insegna don-
dolante sull'ingresso, specialità ora condivisa
dai parrucchieri e dagli alberghi di campagna.
Ripre duciami alcune eli qui ne d'i Telici
d mercanti d'oro, in uso a Milano nei se -: Wlll
e XIX.
L'uso elesse i antichissimo e leggi speciali che
rime iiii.in. . al secolo XIII difendevani e- regolavano
l'uso elei cosidi mi di bottega ■ che più tardi
NELLA VECCHIA MILANO
ciascun maestro doveva depositare nel libro tenuto sati un a li signorile magnificenza e a
dal ni ■darò del paratico. « Niuno di detta Arte ar-
« disca tenere nel libro delli segni di detta Arte.
« ne nella bottega più di un segno, ne mettere in
ano c/Oo/elLi
(f'/t-'Acc' nello. Lontrata. ?c
■f~c ILtchele ctù 9allo al Segno
^ItaCarr*
Segno di bottega di Gaetano Boselli.
orefice milanese (1790 circa)
« libro, ne alla sua bottega alcun segno il quale
« possi immutare, et rappresentare il segno di un
« altra persona di detta Arte, ecc. ecc. » (*).
Delle marche degli orefici v'è già menzione ne-
gli Statuti piacentini del 1277, ove si stabilisce che
i fabbricatori d'anelli debbano apporvi simili spe-
ciale signutn... ita ut togtwscetur (**).
Questa marca, che veniva posta sull'oggetti ed
era riprodotta anche sulle casse entro alle quali gli
oggetti stessi venivano racchiusi, è facile supporre
come dovesse servire anche ad indicare al pubblico
in un modo grafico l'ubicazione del negozio, in tempi
nei quali mancava la numerazione delle porte e
l'analfabetismo era generale.
Ci siamo diffusi un poco sopra questi segni, per-
chè coll'atterramento di via Orefici scompaiono pure
dalla città gli ultimi avanzi di una gloriosa indi-
zione ci ■mmerciale.
La via certo deve aver presentato nei tempi pas-
(*) Statuti, ordini et privilegi dell'Arte et università
de gì' orefici della Città e Dueato di Milano, Milano,
Pontio, 1554. pag. 23.
(**< Monum. hisl. ad Prov. Pam. et Plac. pertinent.
Voi. V, \ 358, pag. 96.
fuor di luogo ricordare l'ampoll rizione la-
sciataci dal Torre :
u Riguardatele bene (le due vie Orefici lunghi e
« corti) che essendo ogni Bottega ricca di preziosi
« metalli, si d'oro quanto d'argento, credereste, che
« entro di loro riavesse il Vincitore Annibali' vo
« tati i sacchi di quegli anelli ch'egli seppe in i;.i
« lia aggregare col valore delle sue armi. E le chia
« mereste anche tanti Cieli stellati, mirandole | er
0 ogni lato far pompa d'incassate luminosi
« quasi constellazioni dorate » (*).
Molto più modeste d'oggi erano le apparenze, ma
non per questo i suoi abitanti avevano [jersa la di-
gnità spagnolesca del Torre, e ricordiamo d'aver u-
dito da un operaio che passò la sua giovinezza in
quelle botteghe, come un giorno, circa cinquant'anni
fa, tutta la via fosse in subbuglio perchè in essa
veniva a piantar negozio un « magnano » (**).
Sotto il fallace pretesto che la nuova industria
avrebbe infastidito il vicinato, si aprì tra i diversi
mercanti una sottoscrizione per indennizzare il cal-
deraio e così, impedendo il batter cadenzato del
martello sopra un metallo ignobile, venne salvata
la dignità della via.
Protettore degli orefici era il vescovo Sant'Eligio,
nato in Francia, che da fanciullo aveva lavorato
nella Zecca Reale di Limoges e poscia a Parigi co-
me orefice cesellatore alla Corte del re Cintano.
Questo santo, per tradizione locale, era anche il pro-
tettore dei « Ferrari. Calderari, Speronari, Chicda-
roli et altri uniti ».
ANTONIO
B07.7.0TTI
reyuie/ e/
7
■
Qsa&ifuca e- /verna? om& Nantes de, ^PùanJató/re /htUÌ^
siw C^ed& d'Cstraenàr; cerne- Sture? é&efoes AnK//?&e>
yt^ Zaiter & <£/ore/ìr sirex&c><
Segno di bottega d'Antonio Bozzotti.
orefice milanese (1840 cin B
Tanto gli argentieri quanto gli orefici, usaron
molto tempo festeggiarlo in una cappella di prò
prietà del Paratico posta nell'antichissima ch'esa
' San Michele al Gallo oggi distrutta. Negli sta-
tuti dell'arte (1554-88-1730) non si fa una
iokkk Carlo: // ritrailo M . — Milani).
Agnelli. MDCLXXIV, pag. 250.
Calderaio.
Iti
i \ LETI i R \
.■uni Bellano, spadaro milanese (1700-1735 circa).
:
esser » '-un apparati ed addobbamenti
« superbissimi >, come narra il Morigia nel Tesorc
frecioso dei Milanesi (pag. 120), ove enumera l< li
i ani 1 nella 1 ittà 'li
o La 1 ' ilche
ora "gni. usandosi
Ile 14 e 1 ima
nendo le altri- ore a carico del principali , Anche i
vicini spadari onoravano il loro protettore S P
ii! .1 festa che ricorre il 25 gennaio: « El tutti li
Maestri di botteghe et suoi lavoranti si congrt
• ranno andando in processione con ogni divoti ine
11 li Sacerdoti per la contrada de Spadari sin"
■ alla chiesa di Santa Maria Beltrà 0 altre de quat-
111 più vicine pregando il Signore et il Pn
NELLA VECI 111A MILANO
I 1
« tore San Paolo per la conservatìone ili tutta la
n Università de Spadari...
Le processioni dei paratici sono scomparse dalle
mento ed era molto apprezzata da una parte dei
frequentatori che in date circostanze preferiva il
dormitorio di via Orefici .1 quello di via Ratti,
se pagavansi soli 15 centesimi, non v'era però mezzo
di sottrarsi con tanta facilità ad una visita inop-
portuna.
Po a distante da questa casa, intasi nel 1
dell'isolato, eranvi sotterra gli avanzi di una an
tica bottega che oggi serviva da iantina. Fotogra-
fammo quel ricordo, ora sepolto sotto alle ni
rie, come ultima memoria di quei vicoli 0 passaggi
che in antico dovevano intersecare il quartiere
A ridosso di questa costruzione dal lato di via Spa
ilari sorgeva il cortile della cosi detta 1 Pdrta del
l'Inferno » che qua riproduciamo.
Questa corte era nota a Milano per il suo nome
tipico, originato secondo alcuni dai fuochi accesi
dai forgiatori del ferro che anticamente vi abita
vano, 0 più probabilmente dallo speciale disordine
in cui era tenuta la casa, dai profumi acri che e-
manava e dal cosmopolitismo degli abitanti che la
taceva sembrare una vera bolgia dantesca. Xon ri-
arderemo i nomi di un verismo troppo volgare, coi
quali il popolo battezzava alcuni ritrovi vicini ; ba-
sti sapere che ad un buio cortile che dava l'ingresso
Capitello con le cifre del Missaglia.
abitudini cittadine e solo rimane un ricordo nell'uf-
ficio funebre che i tessitori di seta usano far cele-
brare il 26 settembre a Sant'Eustorgio e nel tra-
sporto dell'olio fatto dai facchini alla lampada vo-
tiva nella basilica di San Lorenzo.
In mezzo a tante ricchezze sembrava quasi un iro-
nia l'avervi posto un 0 serrato rifugio a quello che
seppero fare il loro debito » dice il Torre, e non
pagarlo, aggiungiamo noi. Qui sorgevano, da tempo
antichissimo, le carceri della Malastalla, chiamate
anche in alcuni documenti, carccres malae mansio-
ni!, destinate alla custodia dei falliti e dei debitori.
Cercammo se in quel posto esistessero vestigie
manifeste di costruzioni antiche per fissarne il ri-
O n lo colla fotografia, ma esternamente nulla si ve-
deva, né durante l'atterramento comparvero tra
dell'edilizio.
Confinante con quell'area sorgeva oggi una lo-
canda che poteva a buon diritto portare il nome della
Malastalla. tanto era il luridume che offendeva gli
occhi. Lasciamo che i lettori giudichino da un par-
ticolare il comfort e l'igiene di quel covile.
La locanda, nella quale si pagavano venti cente-
simi, offriva anche dei vantaggi alla sua clientela:
al primo piano v'era un comodo ristorante ed ali ul-
timo... la comunicazione diretta coi tetti del vici-
nato. Questa via, che chiameremmo valvola di si-
curezza, costituiva una vera specialità dello stabili-
Archi di finestre antiche nella casa del Missaglia.
agli appartamenti... dell'Inferno il < ìnab
posto il nomignolo di a courtinett di lader»(*) ecome
sovente la ronda faceva di notte, presso quegli af-
fitta-camere, delle abbondanti selezioni cellula-'
(*) Piccolo cortile dei ladri.
I 2
LA LETTURA
anici le bru
qui Ila i» irta, enl n i alla
Orefici ed adiacenze.
le lame e si brunivano le corazze, chi do
tevan servire nei tornei, nelle giostre e sui campi di
.1 i ar brillare la vi ai alieri e
la perfezione dei nostri artefici.
In |uesta porta teneva le sur botteghe il Mis-
spadaro milanese del secolo XV, che
u>a\ spadi colle iniziali del nume sor-
montate dalla .Minna, come nel capitello riprodotto.
In quel torno di tem] o Brescia e Milano, rii tleg
giando nella produzi ■ delle armi, avevano ele-
it'arte ad essere una vera industria artistica
i alcune private raccolte cittadine, co-
sempio le collezioni Bazzero e Bagatti-Val-
gi pi issimi ricordi ili quel
tempo.
I ampi aitr/fe !.
li il suii nume sull'armatura ili ferro di Car-
lo, V conservai D'armeria di Madrid; il \e
Bruiva la corazza pei Emanuel Filiberto,
l'orino; Giovanni Antonio Biancardi fu il
• principale armarolo non solo di Milano ma anco
Italia » ; il I iella ( 'esa forniva la
. Ani. ni. i Pio nino fucinai .1 spadi
1 di ferro senz 1 lesione
alenila »: il figlio federilo lavorava per Ales
ridi I arnesi duca di l'arma, ed Antonio Rr>
1 ( 'orte di Alfi uso | [ d'E ste dura di
molti altri si norie
Morigia iella
(Libro V, cap XVII).
N p : ne occupato dal Missa
ori| che
li [le boi
ne li qui Ile
■ delle lun
ì-901) alenili
ni muri | ha
ni s] onden si delle nui 1 tri il di-
ci >!^j.iis.i da maggiori dettagli descrittivi.
Non potremmo seni un u rato studio, che spe-
riamo pubblicare tra poco, attribuire epoche certe
alle ni di questa casa, perchè numerosi fu
1 1 rifai imeni 1 eseguii 1
I . impressi n e rip rtata da un 1 ìame sommarli 1, ci
conduce a credere che nell'assieme il cortile è del
secolo XV, ma varie parti sono di epoche anteriori.
Ricordiamo che le finestre sono circondate da un
mi ti\o policromo frescato sul vivo dell'antico muro
e che i mattoni del piano superiore portano inciso
il motto Ave. Questi avanzi, |<r cura del locale ul
ficio regionale per la conservazione dei monumenti,
verranno trasportati al Museo del Castello (*).
I echini armaiuoli ricordati più sopra apparten-
gono al secolo XVI, ma la fabbricazione delle ormi
e antichissima nella nostra città e la \ .1 degli Spa
dari compare già con tale nome sino dall'anno
1066 in un documento dell'Archivio di S
brogio, ove parlandosi dei confini di San Sali'
dice che a mare et monte tenent Spatam (**).
Può secoli dopo i cronisti milanesi, frate Bonve
sin della Riva e Galvano Fiamma, ci danno no
tizie curiose sopra quest'arte. Soli enim labri lorica-
rum .uni/ flures centum, così pino erano numi
bissimi gli Mutarti clypeoi fabricantes e gli operai
.'.-I- I I0O
Via Stutilr, Il
Schizzo planimetrico del conile e delle botteghe
del Missaglia.
che attendevano alla man/zanna delle canne <•}
all'agemina delle armi.
Parte degli armaiuoli avevano bottega nella via
che d.dla Piazza dei Mercanti conduceva a « /'
(•1 Le vicende di Milano duranti- là guerra con 1
derigo l Imperatore. Milano, MOCCLXXVHI, pag.
(••, Assaggi posteriori scoprirono anche degli affreschi,
sul prospetto della casa verso via Spadari . rappresen-
tanti del motivi ornamentali, due ritratti ed un'allegoria
astronomica (16. 13, 001).
NELLA VECCHIA MILANO
i3
NovJ, scu fimi, ab armatura icrrcis quae ibi fa-
brkantut ». Più tardi quando forse andarono ad
occupare gii Ann rari , quella strada .
oggi Santa Margherita, divenne per an
titesi curiosa la sede dei mercanti di
libri e dei cartolai. Un'altra categoria
che attendeva in modo speciale alle bar-
dature dei cavalli abitava gli Speronari;
nella Lupa i tempratori di spade, che
usando apporre sulle lame da essi tem-
perate una lupa, avevano forse dato il
nome alla contrada ; al Molino delle
Armi eranvi i brunitori che forbivano
le spade e le corazze.
Negli Spadari tenevan bottega i fab-
bricanti di armi da taglio e di punta.
Essi erano retti da uno speciale sta-
tuto la cui prima edizione, oggi dive-
nuta rarissima, venne pubblicata nel
1583. Noi possediamo l'originale ma-
il' scritto, il quale, dopo le due minia-
ture rappresentanti San Paolo protet-
tore dell'arte, porta questa nota cu-
1 I ivi .
« Statimi et Ordini Stabeliti della
„( Università de Spadari, et Lanzari, ri-
■ trovati dall'Eccellentissimo Senato, et
« ricuperato da Gio. Maria Casato ab-
■ bate l'anno 1609. qua] era stato ro-
« segato da Sorzi, et se ritrova nelle mani del signor
1 Si 1 tario Besozzi il qual la reposto nell'Ar-
« chivio i. (*).
t'urtile della casa del Missaglia.
Gli statuti richiamano dapprima le usanze già
in vigore sotto Francesco Sforza e sanciscono poi
le nuove disposizioni.
L'abate veniva estratto a sorte fra quattro nomi
proposti dal paraticn. Sue ufficio era quello di giu-
dicare ci mie amichevole conciliatore e procedere si nza
lite, in tutte le controversie, frale persone del-
l'arte o per motivi ad essa attinenti: non era per
messo declinare la sua giurisdizione che nel caso « non
ministrasse buona et celere giustitia » essendo con
cesso allora il ricorso al Tribunale di Provvisione.
L'abate nominava il « Tesoriere » e quattri 1 uf-
ficiali, i quali riuniti eleggevano un « Notaio d'in-
tegrità et sufficienza non essendo li Spadari litterati».
Il paratia» interveniva con opportune largizioni a
favore degli infermi 0 di chi si trovava in bisogno,
traendo i fondi dalle tasse pagate per poter eserci-
tare l'arte.
Lo statuto ci ricorda 1 nomi delle diverse
di operai: fodratori. limatori, scopellatori, mani-
chieri, lustranti, adoratori, imbomitori, i quali
tendevano alla fabbrica dei pugnali, daghe, da-
ghette spade, spadoni, stocchi, mmitarre, corti Ila i,
anni innastate, pomi, fodri, puntali, ecc.
Nessuno poteva impiegarsi o -come
lavorante se non pagando determinate tasse a fa-
vori dell'Università. Chi apriva una nuova boi
aveva l'obbligo di una tassa e di un 1 imi di col-
Paiticolari della locanda in via Orefici.
1 1 Questo codice faceva parte della celebre biblioteca
Archinti. Alla dispersione avvenuta nel 186,5-65 veniva
ecquistato dal bibliofilo milanese C. P. Villa e passava
per successione ereditaria al dottor G. 1 ilippo Maggi che
graziosamente Io donava ad uno deyli scriventi.
I | LA LI
laiiii . unire lina spada < 'I un
pugnale 'li pi ura t forastii ri, dopo U pa
ut. ii li una tassa speciale, erano para
i stabilivano i luoghi ili
mai, il trasporti • d essi .
me quelli delle altre
npilati in una forma semplice e senza
I 1 R \
« accettare alcun lavorante se prima non sarà
o l'accordo con il primo maestro ■ (capo VI).
I e ingordigie dei trust* erano sconosciute, ed una
legge liberale disponeva invere die nessuno potesse
assumere un'ordinazione d'armi superiore ai 200
pezzi, dh idendo l'eccei lenza tra 1 Maesl 1 i più pò
veri, col l'obbligo a questi ili pagare l'uno per cento
tCl 1 nSEiiKr^SmA^tQ
ATD
/ JCatj^t Jtk-
^QJfACOl
'li bottegi di Giuseppe Torracbino, mercante d! oro e seta. (Milano, fini
li chi in luogo 'li pie
Con
glia pi r quei tempi
varo l m qui Ile F01
• un portati lerno.
I ivano, p ..il collegio «lei probi
' '■ ridendone l'au
1 del giud i .'..in . ]
• contratto ili lavi ro nei
nziamento: « ninni, del ! possi
a « quello che ha\ era ai cettato tali impn - 1
po \\"). Data la costi 111/ ione dell'arte in paratifo,
questa disposizione non deve considerarsi come una
ne della liberta del lavoro, ma una norma
nata da un lodevole concetto di solidarietà e da un
rido sentimento umanitario.
Non erano sconosciuti gli uffici ili collocamento
ed in alcune arti si doveva accordare il personale
all'uffi "ii del Parai io ■ e pei atti pubblico e « qti
« ail effetto rlir si schivano ni.. hi disordini die il
NELLA VE< CHIA MILANO
13
« più delle volte nascono tra i lavoranti ed il loro
■ Maestro » (*).
Era vietato staccare altri dalle botteghe e si fa-
ceva obbligo del reciproco preavviso di otto giorni
m caso di licenziamento j i libri facevano piena
fede, i falliti con dolo erano per sempre cancellati
dall'arte e per ultimo aggiungiamo che alle infra-
zioni statutarie non si comminavano mai i tratti ili
corda o gli arbitri del giudice, ma delle pene pe-
cuniarie tassativamente stabilite. Né sembra che
queste organizzazioni semplicissime abbiane nociuto
al buon andamento, perchè se osserviamo la prima
e l'ultima edizione degli statuti degli orefici (1554-
1730), non vi è in essi modificata neppure una pa-
rola, salvo l'aggiunta, nell'ultima edizione, di alcune
nonne che si riferiscono pivi all'interpretazione che
al diritto.
Ultimo ricordo della gloriosa corporazione rima-
neva la casa Missaglia, nascosta da un forte into-
naco quasi sdegnasse sopravvivere in un centro di
infezione morale e fisica. Anch'essa è destinata a
scomparire e ci piace a questo proposito ricordare
(*) .Statuii ed ordini dell'Università de' ferrari,
iterali, ecc. Icap. XXVI .
al
una geniale proposta del prof. Giuseppe I una ig lili,
Bibliotecario capo della Braidense, d'intitolare al
Missaglia la nuova via che passerà sui luoghi già
da lui abitati.
Oggi l'isolato degli Qrefici, ridotto a minori pro-
porzioni pernii arretramenti imposti dal piano re
golati re, verrà diviso da una nuova strada in
parti disuguali, una verso via Torino, di metri qua-
drati 3500 ed una in fregio a via Ratti di metri q«
drati 2200 circa.
Sopra questo secondo isolato la S<« letà Edilizia
Centro Milano, costituita dai signori Medici, Marotti
e Feltrinelli, costruisce per conto proprio, su disi
dell'ingegnere Luigi Carozzi, un grande palazzo per
uso commerciale e industriale, del quale diamo il
prospetto verso via Ratti. (Vedi pag. 8).
E mentre sui ruderi, che in altri tempi ospit
la forza viva del popolo, S innalzano grami.' se
moli ad attestare la potenza dell'industria moderna,
ci pane opportuno ricordare le tradizioni d'onesta
bonarietà e di gloria dei primi lavoratori, quasi au-
gurio al quartiere che sta per sorgere.
Milano, 6 dicembre 1901.
Bertarelli Achii I E
Tng. Luigi Tarozzi.
Sant' Eligio protettore degli orefici. (Dal frontispizio degli Statuti,
VERSI
L'ARI il :STO
IMMORTALITÀ
l'n arbusto si protende
dal! ii roccia alta sul mare:
risplende
snrrare.
Palpi/a in ogni ardente
ore un sogno immortale
e un ricordo dolente.
I firmamento
palpitar di mille cuori,
e n. ìel vento
■.ente nulle strani odori.
stella s'accende
di un sogno siderale
un ricordo splende.
!
nrro
I , elesti sorelle
ardono pei fulgori
de le %ià morte stelle,
■
me i e u ori umani
ono gli amori
;:,i lontani.
DIE< ,111, \R( h ,LK i
FRANZ SCI U :i 1ERT
; . Besthov
la /'-r
annua commos i
cantarono all'artefice divino
dell'armonìa, sopra la mula i •
/,; -paté eterna
e dopo il vale diremo
ai taciturni amici
tornando Fra//: : « qui
!', che tutti morremo,
felici od ni felici,
le ricordanze nere
anneghiamo nel rubicondo vino ».
AI ro muti lungamente
stettero assisi, e poi
Franz propose levando alio il bicchiere:
« Be • al Re dell'arm
1 'iva // morto ch'i vivo più di noi,
il sorda clic più di noi lutti or sente.' »
Assentiron gli amici trepidando:
tinnirono : pur para bicchieri
■liò il vino nelle aperti
senza parole.
F. muti ancora stettero sin quando
Funi: ripropose: « L'oggi e come fieri,
come il domani:
quel che vuol esse:
Bevo a colui che primo di noi tre
Non rivedrà più il soie! »
I ;,'.■ amici ritcscro le man:,
sorridendo, con Franz che nupallidia
a . uor presago di ber egli a se.
dei canti al Re!
RIFLESSO
// ricordo d'un viso
diletto, ma nell'ombra d'un cipr,
mas: spento,
quante immagini, quanti
gaudi e tristezze nel tuo cu,
Tal se cammini per la muta riva
di cupo fiume
tu, luna, d'improvviso
emersa dalle nuvole vagì
nell'onda col tuo smorto lume
n' a lira vita pallido ri II,
un brividio
un pallili
VERSI 17
IL GRAPPOLO
lare
da un tralcio ahi! non più tralcio, ora sarmento
nudo e rossigno
ancora pende un grappolo obliato
da un superbo vitigno.
Secco aggrinzi/o. tremolante e solo
ci che gemmò sotto la neve e al vento
de a poco verdeggiare
1 tralci intorno e su le porche
uccelli posarvi il lieto
e /rate/// pre<
invaiolarsi e superbir del vano
fiore di giovinezza e poi del sangue
maturo, e -ride correre i.
mani a la strage con dolore occulto
e piangere senti la pioggia sulla
vigna deserta e brulla...
Pende il grappolo esau-.
su la sua tomba e piange di tra il
di nebbia 0 con le lagrime del cielo
e affida al vento, quando
rigido soffia, l'intimo singulto,
rd arido, sognando
un'agonia più breve
l'imminenti
TRENO 1)1 X( >TTE
.4 notte un fragore lontano
cammina s'avanza man mano
torte più forte . . .
Il treno.' e fiammeggia un bagliore
f>.ù grande più rosso d'un cu re.
Chi seco trascina alla in-
citi seco ridona alla vita.
d'amore all'ebbi nìiaì
rigida romba
trapassa, man mano decresce :
ti l'ombra sì >",
. silenzio di tomba.
Diego • I
La Lettura.
Wittemberga ai tempi del dottor Faust.
IL PASSATO 1)1 MEF1ST0FELE
| re lo <■ spirito che nega » si dibatte
prigioniero nello studio di Fausto, dove
i imprudenza veramente inconcepibile
in un par stm, è penetralo senz'avvedersi della ma-
rditagli sul limitare, il torbido vegliardo
'lipasi innanzi tutto di chiarir la natura del-
l'ospite inatteso e formidabile. Ricorre ci dunque
allo |uattro elementi; ma, fatto ac-
corto poi dall'inefficacia sua. che nel gemente cane
onde ne un Silfo ne un Gnomo
Lina Salamandra ne un'Ondina, ila mano ad armi
più paurosa-: a quella chiave di Salomone, cioè, che
ha virtù di render schiavi i demoni. Il can barbone,
non v'ha dubbio, è un < ila più bell'acqua...
culi stessu. dopoché l.i \ ista di I
o loda ii pi la al Tom ire più i ir ifond i,
I i strano animale si
i la, sbuffa, ia, muggisce, e
ipare quindi jn-r dar luogo ad un nano,
m apparenza, ravvolto nel logoro mantello dello
scolari
Ma •<■ diavoli domo da un potere
.d siin superiore, Mi Fele; 'piando si tratta
di fornire n olareggiati
ragguagli sul luogo che gli compete nell'infer
naie famiglia, ei rifiuta nettamente di rispondere
Anzi, secondochè l'indole sua gli consiglia, ei si fa
beffe dell'interrogante. « La richiesta, noi l'udiamo
« dire a Fausto, mi sembra puerile sulla bocca di
« chi nutre tanto sovrano disprezzo per le parole, e
« nell'avversione sua alle vote parvenze sol prende
« a cuore di scrutare la profondità dell'essenza ».
\ giova che l'interim utor suo lo rimbecchi: « Ove
di voi, signori miei, sia questione, il nome lascia
lentieri trasparire l'essenza •; che il furbo compare
non si dà vinto per questo, ma così bene s'avvolge
nelle artificiose spire delle sue enimmatiche spi
/inni, che ne qui ne altrove ci riesce più di sap< re
con sicurezza con chi abbiamo a che fare. E
un umile gregario dell'esercito infinito degli angeli
ribelli, cui Lucifero trasse seco nell'abisso dove
mie consumando si- stessa l'eterna li. mima sul-
furea? Ovvero <m dignitario del diabolico reg
\d un dato punto egli asserisce modestamente chi-
fra i diavoli «non è de' primi»: fch ititi kana
dtn Crossai : ma poco prima gli era scappato detto
I diavolo, seii/'altio, Satana in persona! Ed
il dubbio di Fausto torna a farsi signore dell'ani-
Il PASSATO hi Wl FISTI >l I 11
"
ino ni. sire: chi' diamine sarà codesto cari barb ne
il quale diviene un elefante?
In perplessità non minore rimane ehi dall'as
e dalle azioni del « bizzarro figlio del Caos » Mi-
glia giudicarne la natura ed il carattere. Il demi
che si fa compagno al vecchio dottore di Wittem
berga, nulla ritiene in se (.lei diavolo, quale amò
foggiarlo secolare tradizione; di quel diavolo o i
nuto, villoso, rodato, grifagno, mostruoso e defoi
me così da comparire grottesco, che s'arrampi
marmoreo, su per gli istoriati capitelli delle cattedrali
n maniche, o digrignava, dipinto, le zanne negli al-
luminati manoscritti. Egli è il junker Satan, un
diavolo gentiluomo, galante, vestito con signi rile
inza, che non serba altro segno della deformità
^ua nativa se non la gamba di cavallo; e questa pure
tanto abilmente dissimulata mercè una calza in
tita, che ninno più se n'avvede. Tanto per il fisi
Quant'al morale, poi, la metamorfosi è più stupenda
ancora. Arturo Graf, che di diavoli, come ognun sa.
è conoscitore eccellente, in un'arguta sua scrittura
lo ha pur teste definito quale un diavolo moderno,
un diavolo illuminato, un diavolo umanizzato. Ac-
corto, sagace, sensato, pieno di brio, di buon umo-
re, ad onta del pessimismo che gli è naturale. Me
fistofele finisce coll'ispirare più simpatia che ripul-
sione. Si direbbe persino che, a suo modo, sia one-
sti e neppur del tutto cattivo. « Sono, osserva l'a
mico nostro, nella natura di lui alcune parti buone».
Bontà, onesta, ottimismo, gaiezza nell'essere desti-
nato a simboleggiare il Male in tutta la disperata
ed orrenda sua inesorabilità? Strano connubio! E
come ha desso potuto effettuarsi in Mefistofele?
L'indole complessa troppo del personaggio n'è
cagione, ci rispondono. E insieme ad essa la diffi-
coltà grande, anzi insuperabile, in cui s'è trovato il
poeta di conciliare la tradizione che gli si ergeva
ben determinata e precisa dinanzi coi concetti nuovi
ch'ei voleva o innestarvi o sovrapporvi. Infine, non
è a passar sotto silenzio l'influsso della lentissima
elaborazione dell'opera artistica, proseguita dal Goe-
the contr'ogni letteraria consuetudine per oltre mez
zo secolo. Son queste, chi mai ardirebbe negarlo?,
ragioni buone e di peso ; pure esse non bastani i f i >rse
a spiegare e giustificare quante bizzarre anomalie si
vennero sin qui additando nel diavolo goethiano.
In realtà, il poeta di Weimar non è l'autore del sin-
golare miscuglio rli bene e di male, ond'appare im-
pastato il più meraviglioso attore del suo dramma
meraviglioso. Ei lo rinvenne naturato così già nella
tradizione letteraria preesistente, perchè, attraverso
ai secoli, Mefistofele s'era venuto profondamente
modificando, avea cangiato natura, carattere, co-
stume. Sicché, a ben intender oggi chi s'asconda
sotto il rosso mantello del tentatore di Fausto, fa
proprio bisogno d'esplorarne alquanto il tenebroso
ed avventuroso passato.
Tostochè Faust s'è determinato a pagare col corpo
e l'anima sua le passeggere ebbrezze che gli può dare
l'inferno, il Maligni , i lusinghiere prof-
ferte: « In non son certo de' primi, egli dice; ma
« se tu vuoi, unito a me, prender la COI -rso
o alla vita, io consenti i ntieri ad apparte-
ii nerti subito ed interamente. Eccomi tuo compa-
tì gnu e, ove meg] lenti, tuo servo, valletto
« tuo ». E poscia, allorquando si dibattono li
zioni dell'esecrabile patto, ei ripicchia: « Vedi
« di qua m'acconcio al tuo servigio, pronto ad ac-
o ci i ii i sen :a riposo né tregua al mei
HISTORIA
Saubtut fcitttfc ©cfmwfcftinfffer/
§Cir er fui? È<$<n Mh Xtuffci auff cimiti
fcl&amt 3bcmfct»cr 3<f<!)<n / f«H>* fl"3<ndj*
«( sub #trìe&fr./bi{jcr enne! id)f<i*
mn wol wr&i«nt«n Uì}n
SWc6mt&dfe aufi fritteli egaeneti W<
torlafjmm ©rijrifTfm/aUmfjodjtra^ntM/
[Grt»tim«n &nb ©onlefcn Wtnfdjcn jum fàr<tf(u$t!t
JB<9fpUi/atfcf}«uwllrf)tnCrcmpJl/Bn&»r<uwfc
t)«5lg«« aUarnung jufamrmn gcjc*
<3<n/fcn&tnect? .©rutf ver;
fenigu.
lACOBt IMI.
©a?t ©off vtiKrt hain'3 / tv(ber(T«J)« bm
'ieuffel / fo |Uuf;<t «rvoiuiicft.
CVM CRAflA BT FRIVILEOIO.
burcf>3cyann(E5pifS.
VA. D. Lxxxvili
i rontispixio della Hisloria di G. Faust (i
o del tuo volere.... » E più tardi, a patto concluso:
« Orsù, oggi stesso nel banchetto del signor dottori-
ci io assumerò l'ufficio mio di valletto ».
Questa vogliosa prontezza con cui il diavolo, im
memore, in apparenza almeno, dell'infinito suo or-
goglio, s'adatta a far da servitore a fausto, è tratto
manifestamente tradizionale del carattere suo. Noi
lo riscontriamo in tutti i testi della leggenda ante-
riori al dramma goethiano. Ma in essi tanto meglio
si spiega la docilità di Mefistofele, quanto più chia
ramente significata v'appare la mediocrità sua come
demonio Nel Fausto di Cristoforo Marlowe, al-
_'' I
LA LI
I K \
|
comparirgli dinanzi, ei si presenta umile ed ubbi
nel mago la più
. Lia :
Mepl ophil
« Com è pieno d'ubbidienza e d'umiltà! l'ali
... i- rza della incantesimi ».
Ma il D tu ndevolezza dell a\
: n. . antico deriva da .iltm i -li ha co-
lza della mki debolezza. All'intimazione che
©rtrucft ju grancffurt
Jfyom/in 93er(r^un33°'
£ann©pifflWn
M. D LXXXVlll.
Marca tip grafica dtlV //istoria di Faust.
Fatisi gli rivolge ili restare sempre presso ili lui,
'i Io sono il si r\ iti in del grande I .in 1 1
ì lecito d'eseguire senza licenza sua.
i Noi non dobbiamo operare se non quel ch'egli
n i I. millanti' dopoché il suo sigm ri
gliere le pn >poste i li B austi .
lice d'ubbidirgli: « Tu sai ch'io sono
. i he ii ser\ irò. ti darò più ili quai
la fantasia potrebl rirti di do-
l-.il i cinqui
mp ie, per i |uan i ti
■ i i
trina del sacco Mai
i più
e molte volte coi
■ maturgi ni. li - italo
■ quel cui
alla luce
n Gì rmania l'anno 15S7. e tradotto poi in 1
uè, valse .1 diffondere pei tutt'Europa la storia
edificante e paurosa del gran saggio 'li Wittem
berga, finita vittima miseranda della sua misi
'ini/. tudacia Mia. Ira !<■ granfie del il'
iiiu. (ir se noi leggeremo il Faustbuch , \i rinverre-
mo descrìtta anche al più vivo la servile condizione
'li Mefistofele. Qualificatosi « ufficialmente » come
/alletto del « principe infernale in Oriente « egli
te ad insegnare a Fausto per ventiquat-
t ranni ogni stia arte e scienza, a mantenerlo, a
remarlo, a guidarlo, a procacciargli con Ir in
'M/i'. ni sue ogni godimento, « a fornirgli ti
'< quanto è necessario all'anima sua. alla sua carne,
« al Sun sangui-, alla sua salute ". S'impegna a
narcisi sempre ossequioso e devoto, ad entrar-
gli in rasa igni qualvolta sia chiamato, a regolarsi
11 sitfattu niDilu che persona veruna, tranne che il
Dottore, s'accorga della sua presenza, ad assumere
! aspetto che a Faust meglio gradisca. K poiché
'listiti, avuta sull'ime promessa dalli» spirito, gli M
obbliga a sua volta, Mefistofele, pien d'allegrezza, si
pone sulla via delle confidenze. E meno prudente
0 più ingenuo di quel che diventerà poi, esce fuori
in confessioni per noi addirittura preziose: • IH
« dei sapere che il home mio è Mephostophiles, e
" con questo nome 'levi chiamarmi quando
< venga d'aver bisogno ili qualche cosa da me,
« che mi chiamo così... Né 'Irvi provar raccaprìccio
' dinanzi a me... lo non sono già un diavolo, l>en.;i
« uno spirito familiare, che abita volontieri cogli
'i nomini ".
« Ecco dunque <|tiello che si relava nel rati bar-
lume! » possiamo ripetere anche noi insieme a Fau-
sto. La rausa prima e fondamentale «Ielle iro
u il/e che s'avvertivano nella natura di Mefistofele
ora chiara e palese. Mefistofele in orìgine non era
pur un diavolo; era un Hausgeist, un Cobol !" '
Incubi, Duendes, Folletti, Jiaus-puken, Coboldi
(tutti questi nomi designano presso i popoli latini
ermanici una sola e medesima famiglia d'esseri
soprannaturali), ebbero un tempo, rom'e noto
assai rilevante nella vita degli uomini. Avvezzi a
girellar sfaccendati pei gli aerei spazi, essi ama
occuparsi 'li quant'accadeva sulla terra, me
sfilarsi, sp.ti. limi invisibili e, finché lor talentasse,
ignorati, ad ogni azione ili coloro ch'avean preso
Mini a tormentare vuoi a Favorire. Sri. in inni, sii ila
vano parecchia noia, si permettevano scherzi più "
uh no delicati, ponevano sossopra Ir case, facendovi
pazze scorribande, ma senza recare in fond
'In gran .lanno mai. L'affare piti serio era quelli
sbarazzasse™ . -.1 stupenda e quasi in
«comprensibili •, come scrive il reverendo Padre 1
Luigi Maria Sinistrali d'Ameno nel su., dottissimi
ti. ni. io. De dacmonialilatc, paragrafo 27, questi spi
riti bricconi non .ililir.lisri.no agli Esorcisti, non pn
vano alcun timore 'Irgli scongiuri, alcuna venera
/ioni- per gli oggetti sacri ; ben differenti in rio dai
rmentano gli ossessi, i quali, per quan-
II. PASSATI i DI ULTiSTOI-hLl
21
tu riottosi ed "stinati. suini ben costretti ad abl
donare la preda, se udì ino pronunziare le sacre
role ed invocare il ninne divino. I Coboldi, invi
accolgono con risate 'li scherno gli Esorcisti, e giun-
gono perfino (o profanazione!) a stracciar loro 'li
(lusso le vesti. Non fugiunt net pavent: quandoque
cachintiis exorcismos recifiunt et quandoque
runa delle men e
e, starò pi
tra tutte: la storia ili Martinetto.
L'n bel giorno a Pavia, eravamo sullo s
del Duecento, messer Anselmo de' Boccoselli, stai
Faust e Mefistofele.
Exon stas ai dtmt et sai
paragrafo 67).
putii ( lllii
Bramosi di tornar graditi, si profondevano al con-
trario in atti di cortesia e di benevolenza. Sempre
vicini alle persone predilette, non esitavano ad as-
sumere in vece loro lavori ingrati e penosi, ad
guir uffici servili, commissioni difficili, a 1
gari ile' rischi pur di guadagnarsi gratitudine e fa
vore. Le storie son piene, quanto dura l'età 'li mezzo,
ed anche più in là, di portentose avventure in cui
cotest'esseri bizzarri e misteriosi rappresentano la
parte di protagonisti. Gioverebbe ricordarne qual-
m in 1 isa sua, 1 de una vi ce. Essa 1 ieni
imo m isibile, che gli dichiara di 1
Martinetto e ili vi : d'allora in poi, ai di lui
servigi senza veruna ricompensa La proposta
■ e Martii oall 1 nag nate!
Ei sbrigava più faccendi 1 assicura frate Ja
copo da Aqui, fedele narratori di questa veridi
stori rne ed ossa e non
ava nulla. Martinetto andai
carne, il pesce, le 1 1 mercati 1, cu pn
parava la tavola, puliva le stoviglie, rifì
i cavalli, lavava il capo ed i p
al padrone, e gli rendeva es nto 'li qui
aveva spe E tutto mosl irsi mai ! I
I \ LETTURA
pun ritentato mezzo .il
cuii. egli avveri
laudato a corri] rare questa i
quel mandando loro 'li r ] ei
bene la he sarebbesi presentata a ritirare
quisti ». ! I I ottegaio aspettava un
ire una vecchia decrepita . stava in al
pato e gli veniva d
t'i,,i [1 tre anni,
tal periodo ili tempo gli affari del Boccoselli
tono mirabilmente. Ma spirato il l
anno, Martinetto chiamò il suo padrone. I
•, gli disse, icercatevi un altro servi-
t tore, ch'io non vo1 più ri vi Ed is-
ti , sparì ( '"il- e messer Anselmo,
non è a 'lire. E il peggio si fu che, scom]
(.inetto, ei non ne azzeccò più una: tutte
i
Quel che Mari ini tto a Pai ia, in asa Boc
elli, noi ved n perai , tn iecoli dopo .1
male agguagliare, in Wittemberga Mefisti 1 le,
pirito 1 amiliare, un folletto
servitore, invisibile per tutti, fuorché per il sin.
padrone, che, prendendolo con sé, ha posta la
espi clausola nel contratto 'li poterlo ve-
dere quando voglia e sotto la forma che meglio
gli sia a grado. Ed al pari ili Martinetto, Me
è tutt'affaccendato nel provvedere ai
comodi del dottore, gli rifornisce la cantina ed
il granaii mima inisce ogni giorno sceltis
-in Ita, pei fai presti », va a rubarli
dalle mense ili gran signori o 'li ricchi I" 1
ghesi), gli procura sontuosi abbigliamenti, gli
riempie la borsa 'li denari, gli 'là dei cono
■ ■-i.lt- ,ii suoi poderi, ne raccoglie i frutti, gli
fa da 1 me. Si governa, in
somma, egli pure da vero Coboldo: sola di!
Mai 1 e lui, che quegli pre
stava 1 suoi servigi al cavaliei pavese senza
mdi fini 1-. pam lil»-. senza speranza 'li pre
mio; mentre egli dell'obbedienza sua si
ini] ima ricomperi 1 Mefistofi
dunque ira i < !dboldi un de* maligni, al pari 'li quello
spirito si ozzi ito 1 ìilpin Horner, < 1 ■ cui Wal
uto 1 tiri nel 2
tasi Minslrcl . essi 1 ha fai nella con
nasso, e gli porge valido aiuto ove si tratti 'li con
durre a perdizione gli imprudenti incapaci il
sue. < !osì, adagio adagio, Mefi
luantunqi diabolica
per 1 ili- ili svi-
lii].[ 'ira. il carattere d'un vero ed autei
I 1 siffatta guisa i primi
intasia creatrice di
mia quanta in un
proprio 1 Fausto, pr< ri
alla vita: al
d'un poeta i-i dovi he lo som
rani
in si mpre meg 1 Il .ninni 1 nostra la 1 1
tezza che il tentatore 'li Fausto abbia trascorso il
periodo più remoto e ca della sua esistenza
misto, anzi confuso, all'innumerevole moltitu-
dine dei 'apri riusi folletti, noi potremo ricavarla
da un'indagine alquanto più accurata sopra il suo
nome. Dalli e dalli, la scienza moderna, più osti
nata ■ lei di ittore di Witti mberga, ha ben finito
lar confessare al Maligno com'egli si chiami!
I 1 forma Mtphistopheles, che, accolta da w ;
1 diavoli che tormentano Sant'Antonio (da Israel von Menclcen .
fango Goethe, raggiunse un'insuperabile notorie!
nostri giorni, non è la sola di cui la letteratura
gica ili-' secoli XV] e XVII si sia giovata ad indi-
car In spirito del quale ritessiamo le vicende;
anzi apparisce in un numero relativamente scarso ili
testi e non troppo antichi, virimi ad altre assai più
diffuse '■ da maggior tempo adoperate. Così in un
magico scartai 1 te la data (non ben ■
però) del 1501). il nume del diavolo evocato da
Faust è Mephis Dophului : e Mephìstopholui
li ..im.iii' in altro lilirn a prima, che si 1
copiato dai manoscritti stessi del I1 ttore, erbai
i i 'li.i nella I liblii ite a dell'abbazia i *
■ li Krnipi. Il Faustbuch del 1587 presenta inveo
la forma Mephostophiles, che con lieve modifica-
-iiH'ii/a diviene \{ tphostophìlis pn
Cristoforo Marlowe, il quale senesi pure dell'ab
breviazione Mtpho I shaki pi are, dal
suo, scrive Mephostophilus.
11.
'ASSATO hi MEI ISTI 'I hi.!.
J
Più prossima alla forma destinata a trionfare, è
l'altra Mephisiophiles, che si rinviene usata in più
libri negromantici del Sei e del Settecento; mentre
una sola fonte, la Praxis Cabulae nigrae Doctoris
fohannis Fausti/ miigi celeberrimi, stampata a Pas-
sati nel 1612, storpia il nome del diavolo in Mephi-
stophiel. Vero è che in compenso Mefistofele ci ap-
pare da essa innalzato alla dignità di Principe elet-
tore del diabolico impero, assistente al soglio, con
altri sei colleghi, di S. M. Lucifero Belzebù \'a-
dannaele Plutone I. sovrano dell'Interni)!
La storpiatura di Mephistopheles in Mephisto-
phiel era suggerita all'ignoto autore della cabali-
stica scrittura ora citata dal desiderio di dare al
nome del « demonio volatico » una cert'aria ebraica,
giacche è noto come tutti i nomi dei diavoli regi-
strati nelle opere magiche del Cinquecento e del Sei-
cento siano senz'eccezione dedotti vuoi dall'ebraico
vuoi dal greco. Ma che in Mephistopheles elementi
semitici ovvero ellenici si nascondano non può ri-
maner dubbio per alcuno. Tutti i dotti sono con-
cordi su questo punto, salvochè gli uni propendono
per l'ebraico, gli altri per il greco.
I fautori della prima opinione s'accapigliano però
poco fraternamente tra loro a proposito dei vocaboli
donde il nome esser dovrebbe composto. V'ha difatti
chi vede in Mephistopheles la risultante di due voci
ebraiche: me piar, che significa « l'infrangitore », e
tophel, che vale « bugiardo ». In tal caso Mefisto-
fele sarebbe: a colui che infrange la menzogna »;
nome, ad essere schietti, ben poco conveniente al
demonio che della menzogna è stato sempre repu
tato il padre. Altri invece sostiene che il nome debl
spiegarsi: « l'infrangitore ed il menzognero »; ma
chi afferma questo, non si preoccupa punto delle
leggi che regolano in ebraico i vocaboli composti.
E prescindendo da ciò, come mai MepMstophel a-
vrebbe assunto quelle desinenze in es, os, its, che gli
vediamo sempre accodate nei testi magici, mentre
gli altri nomi in el d'origine ebraica sono rimasti
immutati (Ariel, Asrael, Achitòfel, ecc.)? Messa, in
disparte cotesta spiegazione, se n'è tirata in campo
un'altra: nel nome s'avrebbe la fusione di mephiz,
che suona « distruggitore », e tophel « bugiardo ».
Ovvero si dovrebbe riconoscervi la parola mephai-
teh, che torna quanto dire « seduttore », congiunta
a tophel, « follia ». Mefistofele sarebbe allora il
« seduttore della follia », cioè « colui che trascina
alla follia »... ; e questo potrebb'anche esser vero ..
per (pianto riguarda agli etimologisti!
Se disertiamo il campo ebraico per passare
nel greco, qui pure rinveniamo discordia d'opi-
nioni. Si ammette in generale dai più che la seconda
parte del nome sia costituita da philos, «amatore»;
ma sull'oggetto dell'amore del diavolo sorge viva
discussione. Qualcheduno volle vedere nella prima
porzione del nome un megas, « grande » ; Mefisto-
fele diverrebbe in tal cas me' che ai
« grande »: un diavolo megalomane! Altri, più pru-
dente, ha creduto dover ricorrere alla voce mephites,
« esalazione sulfurea », che, accoppiata a philos o
,i opkeles, verrebbe a dire: «colui che ama
1 vale di vapori maligni... » Più ingegnosi, se non
più persuasivi, i tentativi di riconoscer! in Mefisto-
fele un « nemico della luce », me-folo-philu±,
un « avversario delle cose liete », me-fausto-philos...
Com'è chiaro, la scelta riesce grande: ve n'è per
tutti i gusti ! Ma il difetto capitale di tutte queste
elucubrate etimologie sta qui: che nessuna tiene
nel debito conto l'essenza ed il carattere di Melisto-
fele. Ognuna di esse è come un abito fatto che si
può indossare da qualunque persona. Qual è di-
I itti lo spirito maligno di cui non si possa riconi
Diavolo (Torri di NotreDame, Parigi).
scere come caratteristiche la violenza, la frode, la
bramosia di distruggere, l'odio verso la luce, l'ani-
mosità per quante gioia, felicità, bellezza? Ma tutti
[uanti i diavoli pi itrebl rei M ■ ''li !
Una nuova interpretazione è stata invi ssa
or ora innanzi, la quale ha probabilità grande di
cogliere nel segno. Ne è autore il filologo tedesco
G E. Rosei,, -r. dottissimo di mitologia eia
mparata. Studiando la leggenda di Pane, il Ro-
1 s'è li unno .1 consn lerare uno degli ! p
sotto i quali quel dio, cosi universalmente venerato
dagli antichi, riceveva culto ''1 omaggi; come I
lialte, quale autore, cioè, 'li quel malessere che in-
coglie chi s'adì '^gra-
A l.l .1 I I R \
ra 'li Pa
:
buone conseguenze per < hi
ne - \ loro sui quali gravava con tutto
il proprio | m-s. i. Kfialte era poi lai) .ori:
consuetudine nei greci ili chiamarlo <>/>//e'-
l'utile, il vani
ito attribuito anche
orma superlativa, chi taluno l'abbia detto:
«in grani utile »: Wegistophelt r. 1 1 ni
ii i magici del X\ I e JCV] I seo ilo,
li l un folletti '. ail un [ncuh >.
ad uno spirito familiare, che dei vecchi satiri con
: rrompi
involontario ili scrittura, sia
che un sentimento superstizioso n'abl gliato
l'alterazione, è diventato Mtfh
più .
fero I II folletto tedesco, il Gestii,
le Kntcht della mitoloj si scopre
legittimo i diretto discendente d'un'ellenica divin
l osa, del resto, non pui fan troppa meraviglia,
5i i bbe i he Mefisti ifi
corto, quando, ai xxnpagnandi l-'austo alla ricerca ili
E lena bella, nella notte sai i sico Sabba,
il pìi de sulle i il plenilunio
Fermo nella persuasione 'li non rinvenir lar-
darmi che gli sia familiare, egl bentosto foa
zato a ricredersi dinanzi alle poco gradite manife-
ioni d'affetto che gli prodiga Bmpusa i lo mi
i redeva . borbotta egli . cacciandosi in mezzo allo
iame provocante delle Lamie ingannatrici, di
i venir tra gente ilei tutto sconosciuta e pur troppi
» ritrovo 'le' parenti! Ej,'li è un vecchio libro da
fogliare: dall'Harz all'Eliade sempre de' cu-
li nini ! ii.
i non vada errato nella sua inge-
nn [Ravvicinamento curioso
Frani esi Ni ivati.
Diavolo e mostro (Torri di N'otre-Dame. Parigi).
I.
Opportunisti irresoluti, ambiziosi e... pau-
rosi!... Xient altro che interesse persi male, vanità
persi male e paura! Hai rapito?
— Sissignore.
- Il panini, il paese, bordine, le istituzioni!
Hanno tutto sotto la suola ilelle scarpe quella gente
là ! Hai rapiti' ?
— Sissignore.
Chi si arrabbia e grida è l'onorevole, cioè ti".
Sua Eccellenza, o meglio ['ex S. E. Gerardo Parvis,
appena arrivato ila Roma col diretto della n
Ha « offerte » le proprie dimissioni da Ministro
delle Poste e Telegrafi, nauseato della debolezza
suoi colleghi che non hanno avuto ne il corag
né l'abilità di tener testa all'ostruzionismo o di di
sarmarlo
— Mille volte meglio quegli indemoniati dell'E
strema Sinnira! Sinceri non sono nemmeno quelli
là... aivo//aglin di idee e dì ideali che fanno a pu-
gni fra loro.. Anch'essi, tutt'insieme, non andreb-
bero d'accordo nel proclamare ciò che vogli ma
sanno però tutto quello che non vogliono! Coi
l'ordine, contro lo Stato attuale, contro li [stitu
zioni sono d' accordissimo sempre, tutti, come
un uomo solo! E qualche volta riescono per
ial ici pei i.i loro audai ia, e hanno ragione di
rider di noi e ili non lasciarci più nemmeno il di
'Min di p.nlare!
A che cusa siam ridotti, noi ' In branco di pe
n . di nullità, gunti di quattrini, di boria e d'igno-
ranza! Dall'altra parti anche quelli che non hanno
rno s'impori'gono ci illa I :ombattività... I i
manca i) caratteri . la o •Inni, abbonda la
ie e la violenza.. E veri sì o no "-1
Sissignore.
Chi risponde all'ex Eccellenza I il suo vecchio
servitore che gli disia li valigie, mentre dal gabi-
netto attiguo alla camera da letto, si sente il rum
dell'acqua che riempie la vasca del bagno
Furboni, sai, i megli I stremi, con tutta
retorica ! Furbi ' «ceti i Gente di poca fa I
Sono i primi lori i .1 ridere dei paroloni 1
montano la testa ali ma ti ma di ipiso mo
i tempi e nel cai van pei conto loro, per le
min iano avanti anche le lori 1 idee, il
1 ari iti 1....
Sissigni ire.
Prospero, il servitore, è taciturno, quanto il pa-
drone '■ verbi -■ Non risponde mai più chi 1
1 e solfanti * 1 |uand
meni 1 (gni volta che il padri 1
l< a 1" e o 'ti un : « Ha fatti 1 buon viagg
del quale si sente tg... »
2(1
I A I I I I I R \
pen delle « jii.xi i r< > par Fi
labbi sbarbato, men
tre un tenero lucicchio degli occhi rivela un affetto
intenso per il ii.nln.ni-. il piacere vivo di rivederlo,
sci., l'onorevole Parvis, -In- si
icca e la 51 1 ti veste, siede sulla I «
(idi 1 letto, mentre il sen 1
arpe. E così, quattro ossessi, 1 si inai i pn
ile, ili urli sono
iti a metterci in un 1 1 laniera
!>ni anche il suo
re: quello 'li fare le leggi! Basta, per Dio!
Da parte mia, capirai bene, li ho piantati là e non
mi ci pigliano altro! A Roma, capisci, non torno
più :
Non torna più a Roma? E il Governo da...
romandan
Prospero non dice queste paioli-, ma alza il capo
le scarpe fra le mani, fermi . irdando il
padrone che gli legge la domanda negli occhi. Era
avvezzo alle sfuria ■ non lentiva né
capiva tutto quanto egli diceva. Era forse anche
per questo che l'onorevole Parvis si sfogava in tal
modo ; le sui | spegne\ ani 1, una di >po l'ai
tra. come tanti fiammiferi buttati nell'acq 1. Ma
quella dichiarazione di non voler più tornare a
Roma, ha fatto al vecchio Prospero una straordina-
ria impressione E l'ex-ministro delle 0 Poste e Te-
|ui 1 p< irtafi >gli seconda
rio, perchè in Italia, dove tutto va innanzi per an-
zian roppo giovane per un mini-
■ più importante si sente lusingato consta-
tando ''I»- il fatto veramente enorme del suo ritrarsi
sull'Aventino, fa colpo anche presso uno zotico ti
storie come il suo servitore
Precisamente così! Li ho piantati con tanto
ili naso! Avranno capito adesso che non facevo per
burla, allorché ripetevo loro che io coi timidi, coi
sto, assolutamente non ci sto!
I Gerardo Parvis continuò per un bel pezzo an-
i-ora, ma il vecchio, - svanito quel lampo fugace
di maraviglia che occhi, — è
impassibile e.l accudisce metodicamente
alle ncombenze, prepara la biancheria
calila •■ fredda, le spugne, le babbucce, .mio
bagno.
li ri, 11 V\ ministro a miro 1
colle) h ■ e a 1 del
ten un Festoso, poi da
un iffai >< ' all'usi io, finche un bolide
api iste a vel ri e le spa
I .nolino lun . basso basso.
bel pt irrone, dai riflessi doro
li Mosso al-
1 contini ad
ab!.
alili' - rgli il volto.
rei lama Pi pero fermandosi ritio
I la luo che gli brilla negli occhi sembra gli spiani
le rughe londe della vecchia taccia. Teol Giù!
reo ' Qui ! Vieni qui !... Teo!
Ma tutto è inutile e anche il padrone tenta in
. oon la voce, con li- mani di schermirsi il volto
dalle lavate della piccola bestiola che salta, si arro
'ola. si allunga e quattrisce e smania sempre più.
Il servitore continua a guardare il cane, poi si
al padrone:
Ila sentito subito la sua voce! Lo ha con
scinto subito! reo! Bravo Teo! Povero 1
reo, diminutivo del vero nome, Matteo, —
salci Ira 1 piedi del servitore, abbaiando, dimenando
ida, dimenandosi tutto, piegando con mille u-z/i
il lungo testone intelligente dall'espressione umana.
come per metterlo a parte della sua gioia. Ma poi
subito si volta, corre, si slancia sul padrone e per
raggiungere lo scopo salta sullo schienale della pol-
troncina e lo lecca sul collo e riesce, finalmente, a
lambirgli la faccia.
Basta! Fermo! Giù! grida Gerardo un
po' infastidito e nondimeno maravigliato e lusin
gaio di tanta festa. Lusinga!" e commosso...
Quella sua casa d'uomo importante e influente.
d'uomo politico e d'uomo di Governo, così piena di
gente seccante, noiosa e interessata non appena
non, il suo arrivo, era altrettanto vuota e melanco-
nica ogni volta ch'egli arrivava quasi improvvisa-
mente comi- appunto quella mattina.
Il: ,1 ha... fai... bon.. viag... » del vecchi
\ tore, e nient'altro.
Teo! Teo! Quel povero Teo! Quanta fc
gli faceva e con quanta sincerità '. Come gli riem-
piva l'anima, il cuore e la casa di affetto, di vita,
di allegria!
Sta fermo, dunque! Giù, giù! Basta, 1
Ad, -ss,, basta !
...Ma le labbre sorridono, cine continuano a
sorridere gli occhi del vecchio Prospero chi ri]
sotto voce:
reo! Povero beo!... Ha conosciuto subii-
Ma se quando sono partito per Roma era un
cucciolo di tre o quanto mesi appena?... Davvero!..
lo non mi ricordavo nemmeno più d'averlo!...
l.a povera bestiola no, invece!.. Quando io
metti VO mano agli al, ai del signor padrone, Teo vi
si sdraiava vicino, vi metteva il suo muso sopra...
e mi guardava come se volessi- domandarmi qualche
a....
reo capiva che si parlava di lui: fermo, attento,
I li OCChi lui I ■n'issimi e pie
gaudo un po' la testina, in atto di dolcezza alfet-
sa.
Il servo andò a chiudere il rubinetto del bagno
Pronti 1 '
CASTA bIV \
-7
— Vengo !
Ma Gerardo non si mosse ; accese una sigaretta
e sempre sdraiato nella poltroncina stringeva, tira-
va, accarezzava le orecchie del cane che gli s
avvicinato, gli aveva messo il muso sopra una gam-
ba, socchiudeva gli occhi e ogni
tanto sbatteva le labbra, con un
senso di deliziosa soddisfazione
Il giovane ex-ministro, per al-
tro, non pensava già più a Mat-
teo. Quella festa, quell'accoglien-
za lo portavano col pensieri, a ri-
cordi lontani, ma che erano sem-
pre i più cari e i più vivi nel suo
cuore.
Quasi ancora ragazzo era ri-
masto senza parenti, e gli anni
migliori, gli anni dell'ardore e
della bontà, li aveva dati ad una
donna, — non la prima, ma la
sola ch'egli avesse amato davvero,
- una donna che ben meritava
quell'omaggio completo, assoluto
di devozione e di passione, una
creatura fatta di grazia, di bontà
e d'intelligenza, uno spirito eletto
ed un'anima grande, un cuore dol-
ce, affettuoso, sapiente e indul-
gente, un cuore di donna innamo-
rata.
La cara e fida e buona amica
era morta da tre anni e il cuore
del Parvis, ila tre anni era ancora
pieno di ricordi e vuoto di per-
sone. Soltanto il lavoro, un grande
lavoro assorbente, e poi gli odi e
gli amori, le passioni, le cure e !e
lotte della politica, lo avevano oc-
cupata, agitato e stordito.
Niente altro!... Nessuna don-
na, mai. Né la civetta che si offre, né la bellezza
che si vende. . .
Ancora giovane, la sua anima non aveva avuto
un palpito, ne il suo sangue un fremito. Lei ancora.
sempre Flaviana, soltanto Flaviana riappariva ai
suoi occhi nelle brevi soste della stanchezza, ritor-
nava a lui nei caldi sogni delle notti agitate.
Com'era stata bella, com'era stata buona ! Bella,
buona e s/airu.
Egli era vissuto, a sua volta, sicuro dell'amore
di lei, come di nessun'altra cosa al mondo; sicuro
dell'amore, sicuro della fedeltà .. E che gioia poter
essere sicuro della donna che si ama.... e che tor-
mento dover sempre dubitare, sospettare, temere !
Oh, egli aveva saputo amare in ragione di quanto
aveva potuto credere... Allorché si dubita... si di-
sprezza o si odia: si desidera ancora, forse, con
tutti gli ardori, con tutte le ansie, con tutta la
ma » amare » no: non si ama più.
Ed egli, invece, aveva potuto amare
veva potuto amarla, sempre, senza una nube,
senza una bugia mai. sino alla fine!. . Buo
- ) ^-K.
r
mal Tonale.
Come rivedeva quel
anto, e bella!... E
signorilità e di abbandono. .
volto classico, pallido, nel quale ardevano i grandi
hi neri pieni di fascini e d'amore, e i e di
/ione... Com'erano stati sicuri sempre anche
quegli occhi, anche quelle labbra, al pari del suo
cuore, di tinta lei stessa! E quanto era intelligente
e lieta e cara e pensosa... e come le sue ansie e le
. la sua anima e i suoi nervi e sorrisi e so-
spiri e lacrime rispondevano sempre al desiderio,
al sogno, allo spirito, al « momento » dell'uomo
mante...
— Cara !...
Coinè gli aveva riempito di sé il cuore e la gio-
vinezza, senza mai attraversargli la via, senza mai
essergli d'inciampo, senza mai dargli una noia,
una pena!... Ed egli — allora! — a' suoi improv-
2H
LA I I I I t K \
i Roma, '"in< saliva di corsa quelle
felice,
la march
el II cuore di lei aveva immanca-
liilii: ■ _ suo ritorno ; e che I
clan che luce in quei suoi occhi,
qual ■ l'improvi del ritorno...
- uotendo il muso lungi e fre-
di i i' rardo . io a fìsare
i stizia negli occhi u-
midi
Più!.. S'on ce più! E da allora... sei tu,
proprio ui il primo che mi fa un po' 'li I
tanto |*t me! reo!... Povero Teo! - e
nl<i. scrollando il capo gli ai a le orec-
chione lunghe e calde — Anche di - ssere
I acqua del bagno diventa fredda
Eco mi ' Vengo subito '.
Gerardo - alza vivamente i in fretta di
rsi. mentre Matteo, preso da una smania di
gioia, r lt* camere, gira su sé stesso, torcen-
dosi xchio, attraversando a salti, innanzi
dietro, il li pi >ltn un'ina, e morden
■ lo jier ischerzo, delicatamente, al passaggio, i p
scalzi del padrone.
II.
anche il Teo. all'Abetone?
e Parvis guarda Prospero con aria stu-
pita bestiola he si parla di lei.
■Ile gambe ili dietro e ritto su quelle
davanti irte, a roncolo, fissando gli
occhi gialli, dalle trasparenze d'ambra, lucentissimi,
guarda a sua volta il padrone ed il servitore, piega:
ora verso l'uno, ora verso l'altro, la bella testolina
• laile lunghe orecchie ''allenti e lo fa con una espres
.i. con un atto fra l'interrogativo
■upplichevi
Prendere anche il TeOj con noi? Diventi
L'n cane? In viaggio? I igurati che sei
tura !
Di rante tutto il viaggio lo terrò con me. I
rgerà neppure!
per quanl puro sangue, i
diano ili Pros] avvicina, ti/
lllpl
alla ,_ ccandogli la mano.
In viag. ntinua il Parvis. —
all'albergo? Con ;
bile '.
me l ' •
mira con me. G io da mangiare, lo con, Imi"
l non ci | ensi neppure !
Trattandosi ili intercedere per Matteo, per 1 .1
inico fedele che sa 'lire, come lui. tante cose senza
parlare, ii vecchio Prospero diventa persino loquace.
Ma l'onorevole è insofferente ili contraddizioni.
Non vuol saperne ili cani in viaggio, all'alivi ■
e siccome l'altro inviste, egli perde la pazienza
arrabbia, alza Prospero, sul, ito. allunga II
brom
Allora, mi ilir.ì lei, dove e a chi lo dovrò la-
Li 10. che in un'altra casa non
ri,,, nemmeno dipinto!... E poi, quando
non vedrà più né me, n magari, anche
ili fame!
Dopo questo aiti atti, e quasi affermali. lo la gra-
vità del probi, -ina. I, toma a t'issare il padrone,
tenendo la coda lussa e dimenandola lentami
come aspettando che venga decisa la sua sorte.
— Si potrebbe lasciarlo alla portinaia I
Prospero non si degna nemmeno ,li rispondere,
ili voltarsi. Continua a chiuden bauli e valigi
— Oh I1 pensa l'arvis. sbuffando. - '
siamo! — Infatti, quando Prospero pianta il muso
ce n'è per un bel pezzo! - Perchè poi, domando
io. non si potrebbe lasciarlo alla portinaia?
Perchè dalla portinaia non ci sta.
Teo dimena la e 'ila più forte. Dice anche lui
che dalla portinaia non ci sta. Egli aveva una -
cata antipatia contro quella donna per cene \
Mine impressioni ricevute sotto l'atrio e lungo le
vale, durante la sua prima gioventù
Gerardo non vuol troppo inquietarsi : s'è inquie-
abbastanza a Roma, per cose più serie, e finisce
col sorridere a 'l'eo e col l'accarezzarlo, per rappa
cificarsi »1 servitore. Riflette, intanto, quale |
essere la maggiore delle e ire: viaggiare
col cane, 1 ppure <■"] broncio ili Prospero che e capa-
cissimo ili farglielo godere per tutto il tem|n, della
villeggiatura...
Star,, lassù, un paio ili settimane per ripo-
. camminare, premiere II fresai e pei s 1
un paio d'articoli sulle condizioni politiche dell'I-
talia al Daily Express... Poi, basta Alietone ! I
neri'i a Roma per una settimana. A Roma ci p
andare senza Prospero e Prospero, invece, potrà t, r-
nare a Milano con Matteo!
Il muso di Prospero ha dunque ottenuto l'effetto
voluto, ('.cranio Parvis è ormai a cedere.
soltanto 'li salvare l'onore delle
e quindi continua a guardare e ad accarezzare il
•tue. mentre domani la al servitore:
l se poi disturbassi
Prospero, sempre zitto. Ha finito di chiudere i
bauli e tutti li valigie e comincia ad arrotolare il
plaid.
, qualche notte, si mettesse ad abba
I Wl \ hlYA
29
Silenzio perfetto.
— Basta! Sarà quel che sarà! Condurremo an-
che Teo in montagna! Ma ricordati. Prospero, ci
penserai tu !
— Sissigni ire !
La faccia ilei vecchio ha un lampo, un sorriso, e
Teo, dalla gioia, comincia a squittire furiosamente,
a correre di nuovo in giro per la stanza, a tirare, 1
mordere la giacca e i pantaloni del padrone; poi
afferra colla bocca una babbuccia di pelle e se !a
porta via scappando sotto le seggiole e il canap
inseguito dalle grida e dalle minacce di Prospero.
L'onorevole Parvis ha fatto conto di fermarsi a
Pracchia e di salire all'Abetone in carrozza , la
mattina presto, col fresco, e così prende l'ultimo di-
retto, quello della notte per Firenze.
l 'urne tutti gli uomini politici e gli uomini d'af-
fari che viaggiano molto e non hanno tempo da
perdere, l'onorevole Parvis legge, scrive, lavora an
che in treno, nel suo scompartimento. L'n ministri
anche dimissionario, trova facilmente il modo di
rimanere solo.
Appena il treno è in moto, egli apre la sua vali-
getta particolare, leva la cartella, il calamaio, poi
un fascio di lettere e di carte. Ne sfoglia, ne esa-
mina alcune attentamente, poi le mette da parte e
comincia a scrivere. Sente di dover inviare una let-
tera al suo sotto-segretario, l'onorevole Donadei.
Bisogna persuaderlo che non è il caso ch'egli pure
dia le dimissioni, e ciò non soltanto per atto di cor-
tesia, abituale in simili casi, ma altresì perchè al
Parvis preme realmente che il suo collaboratore ri-
manga qualche tempo ancora sulla breccia a soste-
nere l'urto delle opposizioni postume ed anche delle
postume invettive.
La lettera non è facile a scrivere, neppure per
un diplomatico fine e consumato come Gerardo Par-
vis. Ma il rullio del treno, che non gli permetti- di
scrivere in fretta, gli lascia il tempo necessario
di meditare sulle frasi. E non c'è male: cene let-
tere, quando meno ci si pensa, si vedono poi compa-
rire, al solito momento più inopportuno, su questo e
su quel giornale.
Gli uomini politici, come le donne che hanno più
di un innamorato, non sono mai prudenti abba-
stanza colle lettere!...
« Oh or evi' le amico :
« Se ho avuto qualche perplessità nel decidermi
.11! abbandonare le cure e le responsabilità del Go-
verno e se ora ne provo qualche rimpianti!, è sol-
tanto pel rammarico di staccarmi da lei, di avi ri
interrotta un'opera con tanta fiducia iniziata in-
sieme, e mercè la di Lei intelligente e provvida col
lavorazione, proseguita in mezzo a contrarie fortu-
ne, non senza onore ed utilità.
ii Ma questo rimpianto si farebbe in me assai
piti grave e doloroso, e mi indurrebbe quasi a te-
mere di aver recato danno colla mia risoluzii
agli interessi del Paese e delle Istituzioni, ove do-
vessi apprendere, che per eccessiva delicateza n
l'intedere l'obbligo morale di un'antica e fida sol
darietà, Ella intendesse di ritirarsi a sua volta....
« Il Ministero del quale oggidì Ella regge iute
rinalmente e così degnamente le sorti, è d'indole
affatto amministrativa, ed in un paese ove le lorme
rappresentative fossero più progredite, dovrebbe al
pari dei dicasteri dell' 'Agricoltura, del Commercio,
dei Lavori Pubblici 1 così via 1 ssere sottratto ali
vicende troppo di frequente mutabili della politica
parlamenntare. A questo carattere imperfetto de!
nostro ordinamento, procuriamo di riparare, anche
.1 costo di personali sacrifici, noi tutti, uomini d'or-
dine, zelanti del bene pubblico; ed Ella, ne offra
l'esempio col rimanere... »
A questo punto, il treno rallenta, poi si ferma
nella stazione di Lodi.
11 Parvis sente tra il fragore del convoglio, il
trepestio dei passeggeri e il gridare dei conduttori.
un abbaiare furioso: è la voce di Matteo!
- Bravo!.... Cominciamo bene!
Poco dopo aprono lo sportello del suo scompar-
timento. L'Onorevole si volta, guarda... E' Prospero,
confuso, imbarazzato, ohe tiene Teo fra le braccia,
Teo che si agita, si dibatte nervoso, furioso, in-
quieto.
('osa vuoi5.... ('osa c'è con quel cane?
— Sa che c'è lei qui vicino, e non vuol più stare
con me!... Xon ha fatto altro che gridare e sma-
niare tutto il tempo !
— Te lo avevo detto io!... Avevo preveduto che
sarebbe stata una seccatura! « Lei non ci pensi!
Lei non ci pensi! E poi subito, tanto di muso,
1 isl inatO, testardo ! >
Ma più del vecchio servitore, che rimane a testa
bassa, l'ostinato e il testardo era Teo, che si divin
e. la. si torce più che mai per sfuggire dalle braccia
di Prospero, e ringhia al conduttore, che tenendi
con una mano lo sportello, coll'altra cerca di acca
rezzarlo.
- E adesso iosa facciamo?
Bisogna ohe lo tenga con lei
La campanella, il fischio....
Partenza !...
I éo fa il diavolo a quattro e Prospero ni
più a trattenerlo.
— Da, qui! E ricordati: se non sta tranquillo,
prima stazione vi lascio a terra . te e la tua
' Tutti e due !
II , ane , già saltato sul -edile, sulle gino chia
.li Gerardo, che lo riceve con uno spintone e uno
scappellotto. Ma Teo. in questa circostanza, non si
tra permaloso. Scuote, pieno di allegrezza, le
3o
LA M ITUKA
sul fine
strino pei guardai
: impone < '•' rardi a n
alzando la inalici in aria «li minai
non capisi e. Si ao |uatta ili colpi .
sulle cui. nini zampi Ma poi, ili indo gli
orch i Izai la testa, fìssa il padrone atti
mente, e lo studia, non ben persuas che
«nel tene di minaccia non sia uno scherzo.
Pros] :omparso . il treno si ri-
• l'onorevole Parvis ricomincia a scri-
ontinua la sua lettera all'onorevok Do
nadei
i cuscino si av-
\ icin i i Iti ine e poi • rem : del musi
lustre» ed iimidi>. sulle- ginocchia di lui, senza muo-
più. Solo di tanto in tanto a] re ed alza gli
i alzar la testa, e guarda Gerardo
ii m una lunga occhiata affettuosa; poi sbatte le
labbra mandando sospironi di soddisfazione.
Quando si giunge a Pracchia, comincia ad albeg
giare. Fra le varie carrozze che attendono presso la
stazione, Matteo distingue subito il più bel landò a
due cavalli, e mentre i facchini scaricano i bauli e
salta in carri '//a, rimanendo app -
■ . ne. iute i allo sportello aperto, sempre guar-
dando il padrone e dimenando lacinia a Prospero,
ndo il vecchio servo si avvicina, per far caricare
ila carrozza.
I tutto il viaggio, per tutta la salita. Ter»
non fa altro che [tassare da un capo all'altro elei
sedili :ia al padrone, allungandosi quasi ad
.ispirare- con delizia i buoni odori della campagna,
fiutando Prospero per accertarsi che sia sempre ben
lui l'uomo che siede a cassetta presso il cocchiere,
poi di nuovo, <ìi qua e eli là, spingendosi multo al-
iinri dello sportello, quando sulla strada passa
qualche mucca o qualche pecora, balzando fin sul
mantice del landò quando la vettura s'incontra in
un qualche cane ringhioso che le corre dietro
latrando.
L'onorevole Parvis sorride a Teo, sorride allo
taccio eli ']uclla gioia quasi bambinesca e mivc-
.1 riamente e inavvertitamente apre l'animo allo
riso eli allegrezza, si sente preso dallo si-
li ssere
Mano a mano che la strada sale e l'aria si fa più
pura ed elastica, e dalla foresta, che si stende verde
e cupa a ridosso della montagna, esalano più forti
fumi dell il sole, anche i pensieri
■librano sollevarsi, farsi piìi leg
più tenui, più languidi Quei buoni odori el.-l
etrano nel cervello, come un blando
otico che lo induce ad una lieve sonnolenza,
' ullata dal molo della carrozza, chi- i cavalli ora-
trascinai) j per l'erta, sostando
• ratle. tratte.. | ,|j nuelle Pei
l Pai i is non si indispetl ìsi e; tul
tra! Pei la prima volta, dopo tanto ti mpo, non ha
nessuna fretta 'li arrivare: non ha più nulla che
le» stimoli, che gli urga, che gli prema di fare o eli
<lir<- : non aspetta ui-ssiuio. non si prepara a parlare
con nessuno, comincia a non pensare più a niet
o qua
( 'he- silenzio I... ( !he delizia '
Poi quel sonili. Forte della resina che lacrima
iverso la scorza bruna degli abeti, gli richi
la fraganza dell'incenso, che fanciullo aspirava
con una specie eli avidità, nella lunga noia delle
cerimonie religiose, al su., | aese, nella cappella della
-rande- e- melanconica Villa paterna.
Quanto tempi , ito I Quante cose, quanti
dolori, quanti amici, quanti nemici !
Ma è inutile. Anche il cumulo delle memorie
vale a rattristarlo sono quel bel sole, in mezzo a
quel verde, a quel silenzio, a quella solitudine!
Oh! il silenzio! La solitudine-! Che- ristoro, che
rezza, che pace, che vita nuova! Non par vero, non
si direbbe \ ero, che lui, proprio lui, è l'i, su quella
strada, solo con Prospero, con Teo, con il vetturale
e non è obbligato né ad ascoltare, ne a dire-, >
pensare niente-, proprio niente, più niente! I soli
rumori che ode sono anch'essi discreti, diversi da
tutti gli altri rumori soliti ; il passo ilei cavalli.
ogni tanto la musica argentina delle sonagliere
-rosse-, od un sommesso squittire eli Teo, che sembra
matto 'li gioia e di piacere, nel anche il ronzìo di un
moscone che batte contro il cuoio < U-l mantice e si-
ile- va, il fruscio d'ali d'uno scarabeo che fende l'a-
ria luminosa con un barbaglio d'oro e scompare...
Più niente, più nessuno' Riposo, riposo e pa-
ce; la pace profonda, calma, completa, immensa,
alla quale ha sospirato tante volte, con uno striti
gimento, una nostalgia da studente e da iiina : n. -r iti .
in mezzo ai fastidi, alle cure, ai disinganni, alle ire
re-presse-, alle- ipocrisie forzate- della sua vita OCCU
pata, preoccupata, eccitata, tutta per gli altri
Come si sente bene, anche eli nervi e eli stomaco!...
Non prova neppure più il bisogno di accendere si-
garette, una dopo l'altra, come poche ore innanzi, in
treno... Forse è una illusione-, ma gli sembra già
di avere appetito... Appetito, eli quello buono, di
quello giusto, e-he la pensare all'odore ilei pan fre-
sie, e elei formaggio, non già quel languore, quegli
stiramenti del ventricolo, a bocca impastata e-d .1
mara, che lo avvisavano di aver lasciata passare
l'ora del pranzo o eiella colazione, per sbrigare
tutto qtie-lld chi a sbrigare non si arriva mai!...
Più niente! Più nessuno! Solitudine e silenzio! La
pace, il riposo !
La strada sale continuamente e i villaggi, i caso
lari, giù nelle vallate ridenti, si fanno sempre più
piccoli. Come si fanno pievine anche le impressioni,
le cose, le battaglie che fino alla vigilia ingombra-
.:.
LA LETTURA
vano la sua mente, agitavano la sua vita ' ( orni
e perfida la grande politica ili Stato,
di tnniic .1 quel cielocosl vasto e cosi puro! Ed
ie 'li salvatore ilellu patria e della
umanil . quella persuasione intima, inavvertita di
al beni degli ali ri,
r caso un.i fìsima, una » anil I is ci
rnincia a dubitarne, vedendo con ill'intorno
ica della vita, in un distacco assoluto,
in una completa ignoranza ili tutto quanto si
indi centri del
i mondo ivile Vnqhe gli uomini |ui i pa
chi uomini che com rari intervalli sulla via
la carrozza si lascia dieti gli sembrano
uomini ili un'altra razza: più (ieri e più onesti ni
poveri panni, ili tutti i suoi colleghi e nienti
dulatori e denigratori 'li Roma e di Milano, in
giubba e in crai atta bianca. Quasi quasi gli spiace
• li arrivare anche all'Abetone Vorrebbe passare
sua vacanza, tutta intera, in quel bel deserto
rerde, tutto pieno ili frescure e 'li silenzi.
All'Ai ui Ila folla elegante, sempre a
el i i p colo incidente atto a rompere la
monotonia della vita, per farne un avvenimento,
la venuta dell'ex-Eccellenza, delle cui dimissioni
parlato i giornali, fu un avvenimento
i tnte.
Era stato consultato l'orario e fatti i calcoli. Si
sapeva che il Parvis sarebbe arrivato in landò a due
dli e che quei due cavalli impiegavano nella
salita tre ore e mezzo. L'onorevole Parvis doveva
dunque giungere all'Abetone verso le dieci.
I ^erso le dieci, la larga strada fiancheggiata,
da un lato, dalla locanda e dalla succursale, formi-
colava ili villeggianti incuriositi.
Quando, sullo stradone, allo svolto ove finiva
bosco d'abeti, spuntò la carrozza, vi fu un mor-
morio.
I. venuto col Carducci !
II Narducci era il più bravo vetturale, quello che
a il più bel lami.', i- i migliori eavalli, di 11 Vi"
e ili tutto Bi so ilungi i
mando il landò fu vicino alla locanda, chi
.tinnì l'ati rale fu reo, sempre appog-
gio sportello, Teo ■ he guardava
a sw fiutava curiosamente quei signori e
quelle signore.
All'onorevole Parvis la vista 'li quella folla eli
i tu. .min » .li I- irenze, 'li Napoli, ili
falla indiscrezione e dalla smania
del pettegolezzo intorno ili dà un
nvincibili \<
umore, addii . addio godimento
uo e profondo della . della munta-
ti n un altro monili. : il
• : ' l ne la fon
s'illude inutilmente ili trovare la solitudine, gira e
rigira, quando meno se lo crede, si trova ili quoto
in mezzo al formicaio.
— Piccolo caaro !
L'albergatore è accorso, tutto ossequi,
o lo sportello della carrozza e Parvis sta per
scendere, quando I" scuote quella esclamazione pro-
nunciata con voce tenera e armoniosa, il langi
■ li quel doppio a, strascicato, del caaro. Mette piede
a terra e si \ulge.. .
E' uno splendori di ragazza, unta vestita di
bianco, ritta in mezzo ad un gruppo di altre si-
gnorine, ma 'li tutte più alta, più bella, più viva.
Slitti, l'enorme cappellone ili trini- <• ili nastri
. le si avvolge confusamente la massa ondulata
ilei capelli neri, e luccicano gli .i-chi pure neri, ne-
rissimi, di un nero lucente, ili fui
Bi Ila - reatura !
E per l'onorevole ParVis ha anche il merito ili
non occuparsi ili lui, ma ili Teo
reo, riconoscente, appena balzato «li carrozza, le
fa lesta intorno, poi Subito segue il padrone, fiu-
tati'lo .li qua e di là, fiutando lungo le scale, nella
camera, intorno ai bauli, alle valigie, sotto il letto,
come per una prima ricognizione ed una presa di
possesso dei luoghi e delle cose.
La ramerà è a primo piano, le finestre sono a-
perte e dalla strada sale un brusìo di voi fr
ed allegre, e fra tutte, più fresca, più allegra, come
una risata, la voce già nota del « piccolo caaro ».
Parvis vuol restare solo e Teo dive andarsene con
Prospera Ma quando il padrone ha finito la sua
toilette, prima ancora che richiami Prospero. eCCO
reo, il quale ha già imparato la strada, —
cipitarsi contro l'uscio ed entrare nella camera come
una bomba.
Prospero, dietro lui. ha la faccia soddisfatta.
— Teo ha già fatto amicizie!
Ci- qualche altro cane all'Hotel?
\'o. no! Amicizia... Con una bella signorina!
E Prospero accarezza la bestiola, come appro-
vando il suo buon misto nella scelta
Cerar. lo non dubita neppure chi sìa la liella si-
gnorina. Rivede la figura bianca, gli occhioni neri
i il gran cappellone rosa, e di nuovo sente la
melodia, l'incanto del doppio a, di quel caaro.
I l.i fatto amicizia, poven l'eoi
E mentre Prospero continua .\^\ accarezzar, il
lido amico. Gerardo si avvede che anche sul vis.
limine del vecchio servitore, quella apparizione di
donna giovane e fiorente ha gettato come un raj
di calore e di luce.
— Piccolo . ..'
(Continua)
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La Toscana nel 1799
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Dal carteggio di due gentildonne
L dominio francese in Toscana nell'anno
J799 — breve parentesi fra il primo re-
1 gno procelloso ed instabile di Ferdinan-
do III ili Lorena e la sanguinosa e tumultuaria sol-
levazione delle plebi del contado — viene illustrato
di nuova luce dalle Lettrcs de mad. Reinhard à sa
mere, teste edite a Parigi dalla baronessa Wimpffen,
nipote dell'autrice, a cura della Società d'instare
e ontemf oraine. Dando ragguaglio di esse, la for-
tuna ci concede di poter aggiungere, quasi a con-
troprova di quanto scriveva la gentildonna fran-
cese, alcuni brani di lettere tolti alla corrispon-
denza della marchesa Maddalena Frescobaldi. ma-
dre di Gino Capponi ; e di potercene giovare ren-
diamo vive grazie alla marchesa Natalia Gentile
Farinola, nipote all'illustre storico della Repub-
blica di Firenze, e posseditrice del doóìestico ar-
chivio di lui.
Ogni pezzo di carta scritta può col tempo diven-
tare documento di storia : in special modo le let-
tere, che alle notizie di privati interessi intreccino
ragguagli di pubblici avvenimenti, e tanto più se si
tratti non di qualche lettera isolata, ma di un con-
tinuato e copioso carteggio. La corrispondenza epi-
stolare può in tal caso ragguagliarsi a quei delicati
ordigni, che riproduci ino impercettibili fenomeni
fisici, e avvertono ciò ili che l'uomo da per sé non si
accorgerebbe, dacché in essa rinveniamo quelle pas-
seggere impressioni, quegli scatti subitanei, quelle
lente modificazioni dell'opinione e del sentir gene-
rale, che la storia non registra, contenta a un rias-
sunto generale e sommario degli avvenimenti più ri-
levanti. Xei carteggi invece abbiamo voci sommesse,
giudizj di primo impulso, aneddoti su uomini e
fatti, che meglio determinano il carattere dei i
occorrenti e dipingono lo stato degli animi nel ra-
pido succedersi .li quelli.
La Lettura.
I carteggi di queste due gentildonne ritraggono
assai bene la condizione della Toscana, e di Fi-
renze in specie, in quel fortunoso periodo di quat-
tro mesi. Cristina Reimarus ili Amburgo era mo-
glie del vurtemberghese Carlo Federigo Reinhard,
ministro dapprima presso la Corte di Toscana, poi,
quando Ferdinando venne licenziato, Commissario
ili Governo a conto del Direttorio. Ambedue, il ma-
rito e la moglie, di tedeschi si erano fatti francesi,
e professavano ardentemente i principj della Rivo-
luzione, temperati tuttavia nell'uno e nell'altra da
squisita educazione della mente e del cuore.
La marchesa Frescobaldi, moglie a Pier Roberto
Capi ioni, maggiori Ionio della < Iramluchessa, era inve-
ce, naturalmente, avversa alle novità venute di Fran-
cia. Rimasta a guardar la casa e i domestici possessi
e a vegliare il figlio appena settenne, quando il ma-
rito seguì Ferdinando a Vienna, i i lo veniva rag-
guagliando dell'andamento dell'azienda domestica
e di quanto avveniva in città. Amantissima del con-
sorte, fedelissima al Principe, seppe, in quel fran-
gente, sopportare con animo alto e virile le repli-
offese al suo modo di pensare e di vivere, senza
dare in escand e serenamente giudicando
di avvenimenti e di persone. Il carteggio della Rein-
hard compatisce ai vinti, e mostra che nell'animo
ntil iva i dolori: quello della Cap
poni è mesto senza viltà, rassegnato senza codardia :
più culto lo stile dell'ami i si vi 'Ita dai
brani che ne ritraduciamo dalla traduzio se:
erta bonarietà casalinga quello della
ntina : dell'uno e altro >ale
la sincerità. Se le due gentildonne si fossero incon-
trate in quei dubbj momenti, probabilmente non sa-
amiche, pei h troppi ragii mi le te-
neva! Itra ; ma potrebbe as-
serirsi che si sarebbero a vicenda stimate.
•;l
LA III l'i R \
quel tempo. Aveva la p
P- di salvarsi dalla tempesta fran-
, ,1, proclamandi i la pn>-
neutralita e stipulando solenne colla
Conw Carletti era stato ricevuto
tutti gli onori in seno all'Assemblea, e il testo
dei iti, i ra siato inserito nei
rendiconti ufficiali in doppia torma: fi ita-
liana Del consiglio 'li attenersi alla neutralità co-
principale fau
il marchese Manfredini, già ajo ora uomo ili
fidu e Grani Egli era un poi
incerato, ma non sempre così forte in
sella da contrastare validami i > avréb-
voluto distruggere l'opera benefica di Pietro
l poldo, alla quale erano state arrecate intanto pa-
recd ■ nell'amministrazione civile, nella li-
Ivrtà commerciale e nella politica ecclesiastica. La
i assidua dei retrivi, insensibil-
mente 'Ina addietro, e tanto più difficile riusciva
perciò una intesa Ila Francia: senza con
tare poi la difficoltà intrinseca di buona e durevole
amicizia fra un principato e una repubblica, fra un
arciduca austriaco e un reggimento a popolo. E poi
anche, gli [ngli si, che avevano negozj e case coni
merciali a Livorno, colla loro prepotenza scompi-
gliavano volta a volta quello che la prudenza or-
diva con tanta fatica per mantener pace fra To-
scana e Francia. La Toscana era veramente il fra-
gile vaso di terra fra due vasi di ferro, e doveva
andar in frantumi: ne la neutralità senz'armi po-
teva salvarla, come non salvò la repubblica di Ve-
nezia.
La signora Reinhard giungeva a Firenze col ma-
rito ambasciatore ai primi di giugno del 1798, e d'al-
lora comincia la corrispondenza colla madre, nella
quale andremo spigolando notizie di storia, a Tutto
qui è tranquillo »: così finiva la prima lettera, dove
aveva pur notato, nonostante l'accoglienza premu-
e garbata di Ferdinando e del Manfredini, le
difficoltà del momento. Infatti, tutto pareva andar
l>ene ; e pensando alle ambasciate francesi di To-
nno e ili Napoli, la scrittrice poteva concludere che
suo marito e lei erano stati favoriti dalla sorte, ed
esposti a minori pericoli. Il Reinhard venne rice-
vuto ,1 1 ni forma d'onoranza, e alla
randucale l'ambasciatrici dia destra
del i La G lessa le parve avere una
1 di bontà, che ne dimenticare la
bruttezza I 1 ruttina era veramente, ne si può rav-
lle pan]. Reinhard una punta di
mal . temperata da \m po' di con,
le altret! uito Ma e da
linando era ti CCata una
moglie non 1 I loto è pii \ lui
■ra arciduca e a V 1 stata promessa la
p r i r di Napoli, figlia pri-
di Caroli tO, al
fratello 1 .il futuro im]
era morta la sposa, e si pensò per lui a un secondo
monio napoletano. Se non che, Carolina — e
Fossi questo il solo suo peccato innanzi alla storia !
— fatti fare i ritratti delle spose, ignote ai futuri ma-
riti, e inviatili a Vienna, indirizzò a Fraina
quello di Maria 'I . ■ I indo l'altro ili
Luisa Amalia: e cosi il prie mperiale ebbe
reale primogenita, e Ferdinando si dovette con
tentare dell'altra, secondogenita, e un po' gibbosa.
Dello scambio si rise dall'Imperatore e in tutte le
Corti: (pianto poi a Ferdinando, era tanto buono!...
Narra poi la Reinhard gli inviti in case ar
1 ratiche, ove piacque la sua toilette: tutte le altre da-
me incipriate, secondo l'antica moda: essa invece,
pettinata alla greca, con penne tricolori intrecciate a
perle: e l'entrar di lei, cosi acconciata, in quei quar-
tieri ammuffiti, pareva quasi simboleggiare l'intru-
dersi subitaneo della democrazia francese nel vec-
chio sistema politico dell'Europa, Assistè anche al
battesimo di un nuovo arciduca ; il neonato venne
condotto attraverso gli appartamenti di Palazzo
Pitti sulle ginocchia della gran maggiordoma Ro-
spigliosi in una portantina, scortata da un corpo
musicale e da staffieri con torce accese ; l'arcivesco-
vo officiava e il Manfredini teneva il battezzando.
Ma dalle noiose cerimonie di Corte la divagava la
presenza di Paolina Buonaparte, allora Ledere, poi
principessa Borghese, venuta allora allora da M ì
lano a Firenze. « in cerca di divertimenti ». Essa
è descritta giovane, graziosa e bonacciona : le piace
scherzare e parlare di toilettes, e la moda è per
lei la cosa di maggiore importanza. Il rappresen-
tante cisalpino volle darle un banchetto, che fu ralle-
grato dalla notizia del felice sbarco di Napoleone
in Alessandria, sicché l'anfitrione bevve un bic
re di vin di Cipro in onore dell'eroe, augurando che
grazie all'eroe, presto esso si chiamerebbe vino fran-
cese, e aggiungendo tuttavia che, per bere alla salute
della sorella, converrebbe adoperare vino di Citerà.
Così, dopo il terrore, il madrigale tornava a fiorire!
Ma intanto, le faccende si imbrogliavano. Ber-
thier era costretto a lasciar Roma, i Napoletani si
muovevano, gli Inglesi si prendevano Livorno, Man-
fiedini restava « désorienté » : la Granduchessa, fi-
glia e alunna di Carolina, stava a capo della parte
antifrancese: solo il Granduca dichiarava di voler
vivere e morire neutrale. Si procedeva ad appare--
chi guerreschi, e il dono volontario di argenterie,
fatto con ostentazione dal clero e dalla nobiltà, non
riusciva ben chiaro all'ambasciatrice. 0 Nulla, scri-
veva, giustifica questo sacrili/io: e vi è conti
di opinioni circa l'usi 1 che vorrà farsene: le antiche
famiglie hanno dato somme ingenti ; il vescovo di
Fiesole tutto il su,, tesoro; e, quando i parroci eb
bero mandato l'inventario delle loro ricchezze, l'Ar
co di Firenze li esortò a non celar nulla. Si riat-
tano segretamente fucili e cannoni, si armano i con
ladini, si indicono preghiere a I>io nelle chiese per
dimandar vittorie ; ini ti ci si rispanc
grandi dimostrazioni di amicizia, e agli impiegati
di polizia e dato ordine di scoprirsi il capo al no-
passaggio ».
Gì izie al Macdonald e allo Championnet, sul fi-
LA TOSI W \ MI I ;> m
35
nire dell'anno gli avvenimenti tornavano favorevoli
ai Francesi: Carlo Emanuele lasciava Torino, i Na
poletani evacuavano Livorno, Lucca veniva demo-
cratizzata dal Sérurier, Roma ripresa, Napoli era
prossima a cadere e i Borboni a fuggire. La burra-
sca si avvicinava sempre più sopra la Toscana.
Mad. Reinhard, che intanto aveva messo a luce
un figliuolo, ripigliava la penna, che provvisoria-
mente aveva tenuta per lei il marito, e notava ai
22 gennaio '99: « Ho assistito ieri alla fine di imi
novale, e ho veduto che il popolo fiorentino non
esce dalla sua sonnolenza nemmeno per distrarsi, e
si diverte dormendo. Dalle quattro in poi le carrozze
si seguivano al passo nelle vie principali e nel Lun-
garno. Le dame in costume o mascherate sfoggia-
vano le loro toileltes in carrozze infiorate: la gente
si affollava sui marciapiedi per ammirarne lo sfi-
lare, ma non si udiva né uno scherzo né una escla-
mazione di allegria , e si poteva credere di assi-
stere a un accompagnamento funebre, se qualche
arlecchino non avesse suonato il tamburo. La sera
al Veglione uguale silenzio da parte di questi mede-
simi vogliosi del piacere ; e Carlo, ritornandone,
ebbe a dirmi : ] e veux ètte pendu, si fai vii tire
une seitle personne! »
Si capisce: l'ambasciatore francese poteva esser
lieto, ma tristi presagi turbavano gli animi degli
altri: della Corte, che vedeva la propria esistenza
sospesa a un filo: dell'aristocrazia, che sentiva ap-
pressarsi la sua caduta: del popolo, così poco pre-
parato agli eventi, da levarsi contro le riforme leo-
poldine, stimandole pericolose al trono e all'altare,
e punto smanioso di sperimentare le novità francesi.
Apparivano infatti i segni precursori della reazione,
e la Reinhard ne racconta qualcuno abbastanza si-
gnificativo. Ma anche la francese gentildonna non
era senza apprensioni, benché avesse ferma fede che
i fati dovessero volger propizj alla spirito de' nuovi
tempi. Né i dubbj durarono a lungo. « Non é più il
caso di farsi illusioni: ormai la guerra è dichia-
rata ».
Il 12 marzo, infatti, la guerra coli' Austria era stata
indetta: e il 16 un ufficiale francese, a nome dello
Scherer, generale in capo delle armate francesi in
Italia, annunziava l'occupazione della Toscana:
un proclama di lui, da Mantova, in data dei 22, la
notificava ai sudditi di Ferdinando assicurando pro-
tezione, pace, giustizia, sicurezza, rispetto al rullo
e alla proprietà, e mantenimento dell'ordine: tutte
quelle belle cose che in tali occasioni si promet-
tono: salvo sì o no, a mantenerle. Eguali as-
sicurazioni ripeteva da Bologna il generale di
divisione Gaulthier , incaricato di varcar l'Appen-
nino. Neanche una parola rispetto al Principe: che
due giorni appresso si volgeva ai suoi popoli rac-
comandando che nell'entrata dei Francesi in Firenze
gli dessero prova di affetto, di lealtà, di gratitu-
dine, tenendosi quieti, rispettando le truppe e a-
stenendosi da ogni atto, che potesse dar loro motivo
di lagnanza. Il 25 le colonne francesi, passando
sotto l'arco trionfale che ricordava l'entrata di Fran-
ili Lorena nel 17,^9 1 corsi cinquan-
tanni i' pochi giorni — entravano da Porta San
Gallo in Firenze.
Invano il Granduca aveva cercato di scongiurare
il fatto, mandando il Manfredini presso lo Scherer.
Il Reinhard di nulla aveva avvisato Ferdinando,
perchè niun ordine glien'era venuto da Parigi :
nulla avevan scritto i residenti granducali a Pa-
rigi e a Milano perchè nulla avevan trapelato: lo
Scherer rispose dovere eseguire ordini precisi del
Direttorio: del resto, l'occupazione non avere altro
fine che di proteggere uno Stato amico, ma debole.
Così, come tante altre volte, la violenza, riconoscen
do la propria deformità, si mascherava d'ipocrisia.
Fra la prima notizia e l'entrata dei Francesi eran
passati intanto parecchi giorni, non senza grandi
dubbiezze. « Non poteva previ - rive la Rein-
hard, quale sarebbe stata l'attitudine del popolo:
e noi eravamo nelle sue mani ». Chi poteva assicu-
rare che la plebe fiorentina non ricordasse gli eccessi
della plebe romana e gli eccidj di Bassville e di
Duphot? Per confortare la gentildonna, timorosa
non per sé soltanto, ma pel marito e pel figliuoletto,
le si diceva, che se anche fosse accaduta qualche di-
sgrazia, pronta e memorabile sarebbe stata la ven-
detta: ma replicava essa non senza ragione: « non
mi sento così fervente patriota, da desiderare di
rendermi illustre a cotesto modo ».
Tutto invece procedette quietamente, e il popolo
che nei giorni innanzi, nelle cerimonie della setti-
mana santa, si era accalcato dietro al Granduca, si
preparò al nuovo spettacolo dello sfilar dei Fran-
cesi. D'ora in ora i corrieri annunziavano l'avvici-
narsi delle soldatesche: quando la distanza fu pic-
cola, il Reinhard colla sua signora, il rappresen-
tante cisalpino e un giornalista francese andarono
a incontrarle in carrozza. Una gran folla in abito
festivo faceva ala al loro passaggio salutando, se
la Reinhard dice il vero, e qualche gruppo di gio-
vanotti applaudiva. Il primo drappello, di cinque-
cento uomini, entrò con musica e bandii ra ip egata,
avendo alla testa il generale: vennero poi gli altri,
e bivaccarono sulle piazze. Dopo poco più di mez-
z'ora, assevera la Reinhard, la truppa toscana, che
tre giorni appresso doveva esser disciolta, venne di-
sarmata, e fu preso possesso delle due fortezze. Al
Granduca si assegnò una guardia, così detta d'onore,
di cinquant'uomini. Il palazzo della legazione,
ri 1 quello Panciatichi in Borgo Pinti, fu invaso da
patrioti, che cercavano uffici, da granduchisti che sol-
lecitavano passaporti •< Non vi fu alcun disordine,
si ebbe nessun caso di resistenza. Alle nove di
sera ci mettemmo a tavola: poi ciascuno andò pei
fatti suoi, e io son mezza morta dalla fati'
.dia mezzanotte ilei 25 scriveva la Reinhard,
diventata a un tratto di moglie dell'amba 1 atore,
moglie del e. rio dilla Ri pul ! 1 1 francese
in Toscana: una specie, dunque, di Orai.'
Ma la mattina appresso, dopo aver meglio dormito
forse della Granduchessa vera, essa si dimand
come probabilmente tutti si chiedevano: Che si farà
adesso del Granduca? The si farà di questo paese?
1, manto al primo, essa si rispondeva: 1 Egli parte
LA LETTURA
e noi restiamo ». E intani, la mattina del -'<> un
aiutai unpo del generale, salito a Pitti, in-
timò .il Granduca la | entro ventiqt
ore Affi i la Reinhard ch'egli non se l'aspetl
■ il Pi fino all'ultimo » . credeva
idurrebbe alla i ccupazii ire di l.i-
• l erdinando al l'uri li ni- perentorio i ;si ì non
aver rimprovi ri da farsi: e in quest'asserzione v'era
del \ non vero: ad ogni modo era vittima
di inescusabile violenza. Aggiunse che pan
be, come fece, la mattina appressa Era l'alba, e la
popi ton avvisata, 'li nulla si ai rse: i
no l'ordine di levar i sonagli ai
illi e non schioccare la frusta, se non dopo ol-
trepassata Porta San Callo da un pezzo. Così, ac-
corri] a pochi, da nessuno salutato, parti Fer-
dinando dalla reggia e dalla rapitali.-. Si andava,
uni vede, per le spiccie, e senza complimenti,
« Ferdinando III è licenzia a un di
todel Governo francese, l'Abram, al governatore
Siena): i ministri sono spariti ; in conseguenza,
domani, avanti il levar del sole, sparite anche voi
dal palazzo ■. Uno, due e tre, ionie nel gioco dei
•lotti ; e un Governo nuovo subentrava all'an-
( 'i pia ntare un aneddoto relativo alla
partenza di Ferdinando. Prese con sé Soltanto
alcune suppellettili di personale spettanza, e
[tanto una Madi umilia di Raf
.1 poc' anzi ci imperato co' suoi
ili, e che, se non erriamo, fu anche
tata 'anni dopo, dal granduca Leo
poldo, (mando, nori per forza d'armi straniere
ma per volontà di popolo, ricalcò le orme stesse
del padre. I a Madonnina ne acquistò il titolo del
I ma sarebbe stato più auguroso chiamarla
del ritorno. Il Cav. Puccini, quello slesso che.
trafugando la Vi nere de' Medici in Sicilia, impedì
il matrimonio, .he Napoleone voleva fare, a Pa
rigi coli' Vpollo di Belvedere ivi pur traslocato, i
d'introdurre nella i randucale una cassetta,
d ii'i Gal lei a, alle sue
Ferdinando se
si trattava, consegnò la ad un ufficiale
mettesse i ■.- sui i lui igo —
il trami'- era pericoli dicendo: questi
non sono miei; ma della \ .. • cana.
Al palazzo furono apposti i sigilli,
per .per; di due segretari del Reinhard. «Essi sono
rta, rive la < 'ommissai a, ve
dendo le ricchezze ivi accumulate. Il Granduca ha
! ni ', '-ria, dell'argenteria di
gran mila lire in oro. Nulla sa-
■ i-i giovanotti,
ma li tate i te ai ( lommissarj
; uno gli si rupi li ii. 1 lifatti,
dar l'armento in guardia al lupo E più
Dui inte la m Me si fanm i balle di
dei carri j . ben in-
. della Repubblica... Mio marito è impotente
-. e il generale pensa che i
i debbono ingerirsi dei
l ti della finanza ».
Quanto al paese, scriveva la Commissaria, « la
I' si-.ma non sarà rivoluzionala, ma l'amministrerà
un Governo provvisorio » ; poteva infatti servii, a
qualche scambio: Venezia e Campoformio
Pei caduti, la Reinhard non ha parola men che
rispettosa-, e alla frasi citata: « egli pari
noi n ti amo •, aggiunge immediatamente: « <
1 che il i as ntrario sarebbe più di mio
gusto». E in altra lettera: « Permettetemi di
non insistere su certi atti, che la natura de
tempi e le circostanze hanno resi necessarj :
ma ogni cuore sensibile sanguina al peri
che un onest'uomo, animato dalle migliori inten-
zioni, coni'.'' il ("irati. Ima. abbia dovuto Lisi i.ire 1
tetto, dove viveva felice, per incontrare le vicissi-
tudini dell'esilio, con una moglie incinta e quattro
bambini; siasi qualsivoglia il suo titolo e la sua
condizione, cotest'uomo ha dritto alla nostra commi-
serazione, e quanti mi attorniano, sentono come
me ». Ma oltre la pietà pei caduti, l'intelligente si-
gnora sentiva il peso che incombeva al marito, e si
confortava soltanto pensando ch'egli, per l'indole sua
rigida e temperata, avrebbe potuto far molto bene
ed evitar molto male, e che fautori ed awersarj ri-
conoscevano quelle sue virtù: « lutti rendono giu-
stizia alla sua rettitudine e all'altezza dei suoi sen-
timenti ».
Così cadeva, senza li sforzi né per tenerla
su né per cacciarla giù, la dinastia lorenese ; e i
giacobineggianti fiorentini, fino allora costretti alle
SOp] iatte congiure, e che non avevano avuto, come
altrove, un fautore e un protettore nell'onesto Rein-
hard, ora venivan fuori dai loro nascondigli. E'
quello che è sempre accaduto:
Su Abbondio, è tuorlo Doti Rodrigo
Sbuca a delle tue paure.
I repubblicani, nota la Reinhard, sono usi
terra come i funghi, Si piantarono subito gli
alberi della libertà, si svelsero le insegne grandi!
cali. I i n mta veniva ornata rli nastri e fio-
ri: il sole la irrag . i patriotti le danzavano e
cantavano intorno. Ma, i < < la Reinhard,
metterà radici"-' porterà i suoi frutti? Chi sa! E
a lei pareva già scorgere che l'entusiasmo del primo
mi imento e lo sbali >rdiment< h fa
desser luogo ni lazione a un senso generale
di fiducia e di speranza.
Era però cotesto un popolo che respirasse a piei
polmoni, dopo essersi liberato da un grave peso i
l'i ipprimesse J Ni n dibile che nello spazi- -
poche ore si fossi- prodotto il gran miracolo chi
• alla Reinhard. Il veto è ohe non molti nu
trivano sensi di liberalismo: radi erano i (autori
di li. • ni ibi li e i ricchi, radissimi nella, pli
Il gri sso .'li libei ali era le i lell i ! « irghesia :
ma es si non erano certamente
ora, col l'aiuto dei francesi, i patrioti avevano II di
sopra, e gli ihri, più o meno volontieri, si ao
al nuovo ordine di ci.se: tutti, " con fidu
LA T< >SCANA NEI I ~< ni
37
i paura, conosceva sentivano la forza della
Francia e la fortuna delle sue armi. Guardando
dall'alto, ove si trovava, alla cittadina Reinhard pa
reva che tutto andasse bene, e si maravigliava, ral-
legrandosene, che questa popolazione, prima così in-
dolente, fosse capace di tanta energia. « Essa rivi Ir.
così scriveva, di aver conseguito la libertà senza ver
5are una goccia di sangue, senza aver passato una
notte di angoscia, e desidera conservare ciò che gli
pan- d'aver conquistato. Povero popolo! Quando ti
si colpirà di contribuzioni, quando le inani del Com-
missario organizzatore saranno legate, ti accorgerai
che la via che conduce alla libertà non <• sparsa ili
n ise » !
Le contribuzioni e gli aggravj d'ogni sorta fioc-
carono presto e d'ogni parte: e la prima fu la re-
quisizione dei cavalli. Si chiusero le porte della città,
e fu fatta una prima razzìa. La Reinhard si impose
di non andare in carrozza, perchè non si notasse
che essa sola possedesse cavalli. In casa Capponi — a
questo punto principia la corrispondenza della mar-
chesa Maddalena — ne furono requisiti quattro.
« Ho fatto ripulire la stalla, e penso di andarci a
pranzo una mattina », diceva non senza spirito. Poi
le si chiesero argenterie pel servizio di tavola e di
camera del generale: e nel palazzo Capponi si mi-
sero ad alloggiare un Commissario, un sotto ("om
missario e un picchetto di soldati : in tutto 18 per-
sone. La marchesa si contentò di andar a piedi,
diede astucci di posate e candellieri, e provvide al
mantenimento degli ospiti, restringendo per se la
spesa quotidiana. Poi convenne mantenere un gene
rale. il Montrichard, e il suo Stato maggiore. « Ci
sono stati venti giorni, e vi giuro che avevano ridotto
la casa, che pareva quella del diavolo : sempre gri-
da, bestemmie, urli, che nessuno ce ne poteva: cor-
sero dietro colla pistola a Luigi mio servitore, ba-
stonarono il cuoco, e poi non vollero nemmeno pa-
gare 25 scudi, spesi per le loro voglie: insomma
fui obbligata di ricorrere al generale, e tanto per
due giorni fece un poco d:effetto ». Sarebbe volen-
tieri andata in villa, ma non le pareva cosa pru-
denti, e Minna repugnanza di vedere il suo nome
sul Monitore, fra quelli dei fuggiaschi ; e poi « ad
ogni momento vengono ordini e contrordini, pei
quali è necessario prendere delle misure, che non
essendoci io, non potrebbero prendersi. Ma
scriveva al marito, non vi dia pena: mi ci presto
voìontieri. persuasa che l'adempimento dei propri
doveri è il solo bene che resta alle persi me ono
rate ».
Alla superficie tutto era. 0 pareva, quieto; ma
le voci che si spargevano nella plebe, di rapine e
saccheggi, l'agitavano sordamente. Verso la ri
di aprile vi fu un allarme a propositi) del quale
così scriveva la Reinhard: « T fiorentini hanno dato
la misura di ciò che possono sopportare, dacché la
piccola sommossa di venerdì scorso sarchile in ogni
luogo passata inavvertita. Qui invece, tutte le donne
incinte hanno abortito, gli uomini tremavano, i pa-
trioti si nascosero e gli impiegati si precipitai
pallidi e smarriti negli uffici di mio marito ». Dove
parrebbe esagerato l'accenno almeno alle sconcia-
ture, se non lo confermasse la ' apponi: « Qui tutto
è tranquillo, .lupo un piccolo rumore accaduto nei
mi Minsi pei una voo j u 1 di saccheggio, che
11 esse all'arme tutto i! popolo, e che poi fu quietato
dalle assicurazioni della truppa francese; un solo
ufficiale restò un poco ferito, [e ero in quell'ora in
Casa, onde poco mi sconcertai, e poi sono così stoi-
camente rassegnata, che in qiesto genere poo più
mi altero. Molti però furono i danni che cagionò
quest'allarme inaspettato; rinite donne abortirono,
molti malati soccomberon », e molti buttarono la
loro roba e denari nei pozzi ».
Nuova requisizione di cavalli: « ma pei me, no-
tava la marchesa, che è da due mesi he vado a
, non ho questo pensiero »: poi, anticipa*
delle imposte, e, dopo una contribuzione forzata di
centomila scudi ai primi d'aprile, verso la metà
del mese un'altra dì quattro milioni di lire: « ma
siccome c'è tempo quindici giorni, rosi può essere
che l'affare si accomodi ». Col pretesto del disarmo
generale fu, tra l'altre, saccheggiata e rubala una
bella raccolta di armi antiche ili 1 Capponi nella
villa di Montughi : ora si faceva man bassa sui te-
sori di Palazzo Pitti.
« Eccovi, scriveva la Reinhard, un esempio di 1 prò
cedere di questi barbari. Eravamo a tavola quando
un impiegato di Carlo venne ad avvisarlo che tutta
l'argenteria granducale e de' pezzi di oreficeria di
Benvenuto Cellini erano alla Zecca e stavano per
esser fusi. Egli vi si oppose energicamente, e salvò
dalla distruzione i sei pezzi rappresentanti le fati-
che d'Ercole e il carro d'Apollo. Questi saranno
mandati al Museo di Parigi ; altri saranno venduti
perchè ci è bisogno di danaro, ed è necessario pri
rarsene ». Recatasi a visitare le sale deserte della
reggia, la eulta signora constatava con soddisfa-
zione, che, tino a quel giorno almeno e grazie all'o-
pera onesta del marito, ogni capolavoro d'arte era a
suo luogo; più tardi se ne tolsero sessantatre quadri
e ventidue tavole in pietra dura, e sette di quelli e
di queste tre furon preda dei ladroni. A Parma,
passandovi per venir in Toscana, non aveva provato
un simile contento : e meritano esser ri orile le con-
siderazioni che le dettò lo spoglio delle chiese e
delle gallerie, « Non potei guardarmi da un senso
penoso, quando le guide ci mostrarono le mura
mite e c'indicarono pessime copie, dicendo:
qui dovrebbe essere la Santa famiglia del Cor-
reggio, od altri quadri celebri, che ricordavo aver
airato a Parigi. Il loro posto era ti;' queste
mura, meglio che su quelle dei Musei ove li ho ve-
duti. Né io avrei avuto il cora ;gio di li : e
-mi contenta che la Repubblica abbia al suo ser-
vizio ilei cuori meno sensibili e delle braccia più
Foli 1. che ih ni sieno le mie ».
Se non che già verso la fine dell'aprili si avevano i
segni precursori di prossima catastrofe. La marchesa,
ai 14. così scriveva: (Dopo un tempo assai scuro e
minaceli so. pare che il sole cominci a apparire sul-
l'orizzonte >'■ \'ero è 1 lie nelle lettere antecedenti si
lagnava sempre della pessima stagione: ma quello
38
LA LETTI
i-h<- - le parole che precedono: « (Iran
gran partenze improvvise ».
rer, infal «tato replii battuto:
l'armata ■ Ma lonald, che quando andava a Sa
. la marchesa aveva v. liuto vedi ire pei la
olo era bellissima .unite, che
.are addietro ■ in stati i ita mui
compi d onta ili essei francesi ■ si met-
ormai in ritirata. ■ Fo di nascosto, scriveva la
Reinhan ei preparativi 'li partenza: nella notte
impacco i bi E più tardi: a Se per mi-
racolo Buonaparte si trova- o qui! si
bbe un'occhiata attorno, sorriderebbe, ripren-
derebbe in mano il timone, e in quattro settimane
tutti: sarebbe riordinato ». Ma B e era lon-
tano, in l i ìe faccende dovevansi ancor più
ingarbugliare, perchè egli deliberasse il ritomo im-
provviso in Francia. Invano si cercava ili rassicu
rare faul aie intimorire avversari con mo-
larmi e lustre <li forza. Ad una ili siffatte di-
mostrazioni ma essa non lo narra, e fu per com-
memorare i plenipotenziari francesi invisi presso
Rastailt - prese parte anche la Reinhard. Nella
sala ilei palazzo Ricciardi, dimora del Commissario.
e che venne ti tata a lutto, fu posta un'ur-
na , presso alla quale orò il Reinhard, e di poi al
iodi flebili strumenti, la cittadina sua moglie,
:.i di bianc n tracolla nera e corona d'alloro
in testa, sparse fiori su cotest'urna. Il pubblico
guar. «oso: ma intanto, per volontà del ma-
rito, la I i ria si ritirava a Pisa.
Era un via vai di truppe e un succedersi di
e. Il contado aretino e casentinese erano in-
sorti: il moto, del quale erano a capo l'inglese Wyn-
Hham e l'Alessandra Mari, una Giovanna d'Arco
da strapazzo, figlia di un macellajo e moglie di un
capitano ilei dragoni, palese ganza di lui, con tu-
multuario codazzo di contadini e frati armati di ron-
che e di falei. si faceva sempre più presso a Firenze.
Ma anche i fedeli granduchisti non fidavano molto
in quei d lei trono e dell'altare, procedenti
dietro quel grido di Viva Maria, che in Toscana ri-
mase di [ioi sinonimo di rubare, e maledicenti nel
lr.ro inno guerresco * l'estranea moderna lìberi,) ».
lei pazzi persistono nel loro errore.... Dio
faccia che tutte queste insurrezioni si quie-
tino • : scriveva la Capponi, che in altra lettera,
del 24 ti- .1 dipingeva lo stato del paese:
a Ad ogni momento arrivano delle truppe, e ad ogni
mi. 11 partono: poche sono le notti nelle quali
non si f.. gli arresti e degli 1 molti
nobili sono stati imbarcati a Livorno. peme
il destino.... \ te nel suo tmento.
M elio — una fattoria dei Capponi i diven-
tino dei viveri degli Aretini: vi sono
alloggiati molti uffiziali e snidati: 1 po-
mi fa la massima pena . temendi
mpromessa: ma, come si fa? b. non ho
forza d re la forza: tanto ho detto a
\erno francese ». E ai 17: « La condotta
Vretin 1 irmai ni ta a tutti ; io non la devi 1
appi non ne parlerei se non si tratti
ria di Mi .ss. iglio.
l'in dal primo momento che il fuoco degli
rgenti nelle campagne toscane . non mancai di
ordinare a tutti i contadini di non prendere veruna
parte nella ribellione, coti minaccia di mandar via
il primo che prendeva l'arme. Questo fuoco si
Smorzò da pi 1 tutto, Inori che in Arezzo, dove
-ii" giunti al segno che ognuno sa. Dopo la bat-
taglia segnila SOttO Cortona con i polacchi. Mosso-
ci", tu occupato da 60 soldati aretini e due co-
mandanti, i quali mangiavano pagando, e obbli-
gavano i contadini della fattoria, tre pei settimana,
ad andare in Arezzo per montar la guardia. Fui
dolente di una tale notizia temendo di essere com-
promessa, com'è succeduto ad altri: e parlai con
un uffiziale che avevo in casa, il più ragionevole,
che mi disse d'informarne subito d Governo e i
generali comandanti ».
Che la marchesa in cuor suo desiderasse la di-
sfatta dei Francesi e il ritorno .li Ferdinando, che
era poi anche il ritorno del marito, si
bene, e si capisce anche che evitasse di compro-
mettersi ; ma sembra anche che di quel moto con-
tadinesco non avesse sul principio molta fiducia,
né mai nutrisse per ess.. molta simpatia. La gen-
tildonna repugnava naturalmenti 1 quel tumulto
incivile, né doveva certamente sembrarle che il
più gradito olocausto a Dio e al Principe doves-
sero essere gli uomini bruciati vivi, come fossero
lascine, in mezzo alle piazze, e altre simili im-
prese delle fanatiche turbe. Se non che, nei fran-
genti, i liberatori non si scelgono; si possono tut-
tavia giudicare: e quando le genti del contado ir-
ruppero in Firenze, la Capponi si senti tanto poco
lieta e sicura nelle loro mani, quanto già in quelle
dei Francesi e 1 .bini.
Gli avvenimenti precipitavano: a non ci sono
pili illusioni possibili », scriveva il 20 giugno la
Reinhard, tornata momentaneamente da Pisa e
prossima a ritornarvi ancora: e la Capponi ai
scritto due giorni innanzi: ■ Siamo alla crisi: Id-
dio ,'■ misericordioso ». Invitato dal generale, il
Commissario riuniva tutte le autorità, e comuni-
cava loro l'ordine ricevuto di lasciar Firenze. Gli
insorti avevano annunziato da Figline che sareb-
bero in città pel giorno del patrono San Giovanni;
« io non credo queste cosacce ». diceva la Cap-
poni : ma il Gaulthier, inabile e di piccolo anima,
vi pi. li de. La mattina del 4 luglio, all'alba,
le autorità civili abbandonarono la capitale. Le
vie erano pine di popolo e le finestre affollate di
Curiosi: tutta la sua. la verso Pisa gremita di fug-
a piedi, in vettura, a cavallo: gli ammalati
; per Ani... ., Quandi • penso , rifletteva
con tristezza la Reinhard . alle calamità che ab
bianio attirato su questo paese, sono grata agli
italiani di lasciarci la vita. S'essi avessero 1
vigore, la nostra condizione sarebbe terri-
bile 1.. E l'8 di luglio sul punto di salpar da Li-
vorno: « Vi scrivo per l'ultima volta dalla To-
scana: la mia gioia è attenuata soltanto dalla vi-
dei disastri che lasciamo dietro di noi. Quante
LA TOSCANA NEL I 71 l'i
39
famiglie in fuga e nella miseria, per averci sagrifi-
cato la loro quiete, la felicità loro, la fortuna ! e noi
siamo impotenti a sollevarli ! Fra poche ore l'Ita-
lia , questo paradiso terrestre , sarà alle nostre
spalle ! »
Così si congedava la gentile signora da quella
terra , ove il marito era stato una specie di sovra-
no: e nel tragitto le sopravveniva un altro inef-
fabile dolore: la morte del figliuoletto, nato in-
sieme francese e toscano. L' unica consolazione
che portava seco , era che il marito non aveva
abusato ne a conto del suo paese, né a conto pro-
prio del potere da lui esercitato in condizioni
così straordinarie. Ne usciva colle mani nette e la
coscienza tranquilla. Si era opposto virilmente alle
prepotenze e alle ladrerie dei commissari ci-
vili e militari , i quali se n' erano vendicati col
metterlo in mala vista presso il Direttorio. Egli
aveva spedito in Francia il suo segretario Leroux,
latore delle proprie discolpe. Questi aveva avuto
il torto di gridare e festeggiare apertamente il suo
ritorno in patria ; e non lungi da Genova , cadeva
morto per quattro palle nel petto. I nemici del
Reinhard « si erano concertati fra loro , ed è più
che probabile che l'assassinio sia opera loro, dac-
ché avevano ogni interesse perchè le relazioni ,
delle quali era latore, non giungessero a destino ».
Così la Reinhard: ma la Capponi, della quale il
Leroux era stato ospite e che replicatamente ne
vanta la bontà e discrezione , è ancor più espli-
cita : 0 questo segretario , quindici giorni addietro,
fu spedito dal ministro a Parigi per corriere , ma
vicino a Sarzana fu ammazzato , e portato via i '
plichi e una cassetta di gioie: si crede fatto am-
mazzare da Gaulthier , giacché vi era una guerra a-
perta fra Reinhard e questo generale >'. Il ruba-
mento delle gioie dava al fatto il colore di un as-
sassinio per rapina ; l'importante stava nei dispac-
ci ; e i gioielli, ad ogni modo, potevano andare
con tanti altri, rubati senz'effusione di sangue.
Qui ha fine il carteggio della repubblicana fran-
cese, che, pur essendo della progenie dei vincitori,
serbò in cotesto scalmanarsi di passioni e di cu-
pidigie, sereno il giudizio, pietoso l'animo, caste le
opere ; quello della granduchista fiorentina segui-
ta a tutto l' agosto. La restaurazione la fece
bensì « piangere per tenerezza » : ma 1" anarchia
che tenne dietro all' arrivo degli aretini , l' inu-
tile e fastidioso stormir delle campane a man
l'inseguimento feroce dei giacobini da parte della
plebe, non erano cose di suo gusto. La plebe, fra
le altre, non risparmiava le donne che portassero
abiti corte e scarpe a punta; e anche la masi
ebbe la sua parte d'insulti per questa cagione: si
voleva ritornare parecchi secoli addietro. Le vie ri-
suonavano di canzoni oscene contro le donne abbi-
gliate alla moderna : venne fuori perfino una pa-
storale dell'arcivescovo contro cotesta foggia: « di-
cono i più , osserva la marchesa, che se la poteva
risparmiare » ; ma le convenne obbedire , e « mi
misi una mantiglia, che mi arrivava alle ginocchia,
e parevo la nonna ». E finisce col deplorare an-
che che « il popolo è diventato un poco imperti-
nente colle carrozze » : e si sa ; le plebi aizzate fi-
niscono sempre coll'andar più là di dove gli aizza-
tori vorrebbero condurle: la vipera si rivolta al
ciarlatano.
Cominciarono i processi politici . e il giudice
Cremani , d'infausta memoria, trovò da imbastire
in tutta Toscana trentaduemila processi « per in-
fezione patriottica », e ventiduemila furono i con-
dannati. La « camera nera » spadroneggiante stese
un velo dì tenebre sul paese: se non che, era
ormai prossimo a spuntare il soli- di Marengo. La
Toscana, com'è noto, fu sballottata da signore a
signore: ebbe prima i Borboni di Parma coli' in-
fausta reggenza della bigotta Maria Luigia, tutrice
di quel Carlo Lodovico, che cominciò coll'essere
infante di Spagna, divenne nominalmente re d'I
truria, ebbe indi speranza di esser re di Portogallo,
poi fu duca di Lucca, indi di Parma, e, sempre o >n
cammino retrogrado, finì conte di Villafranca. Nel
1808 , cacciatine i Borboni, la Toscani divi ntò di-
partimento francese, poi principato di Elisa Ba-
ci occhi , finché nel '14 ritornò granducato con Fer-
dinando. L'invasione del '99 e il successivo domi-
nio francese non segnarono gli anni più felici «iella
sua storia ; ma durante quel periodo si gettarono
e si fecondarono quei germi di amore alle lil n
istituzioni e di italianità, che di vevano fruttificare
dappoi.
Vi SS VNDRO 1 I'Anvi ina.
-*=#®4;
/eTV->
A Briga. — La futura stazione dell'accesso nord del tunnel. — (/•'»/. della « Lettili
IL PIÙ' GRAN TUNNEL DHL MONDO
ini,. Brandau, che dopo la morte del-
l'ing. Brandt è rimasto solo alla testa
della colossale impresa cui è affidato il
traforo del Sempione, è un tipo alto, vigoroso e
orte di svizzero. E' fulvo, sulla cinquantina, rude
e nello stesso tempo d'una cordialità che la sua
scorza non lascia sospettare. Gli ingegneri lo chia-
mano papà Brandau », il che parla meglio di
qualunque cosa in favore del suo carattere.
Qm eli novembre in cui rinnovai la sua
conoscenza nel suo gabinetto di direzione , un
nuo\ d' acqua si era rivelato nel tunnel
ad c>oo litri al secondo la massa liquida
rigurgitante dalle viscere del monte ad impedire
pera. Confesso che aveva pei me una
iale attrattiva il vedere qual era l'aspetto del
capo dell'impresa 'li Ironte agli ostacoli frapposti
dagli clementi, date le 5000 lire ili multa o eli pre-
mio stabiliti per ogni giorno di ritardo o di anti-
e per il quale ogni minuto inoperoso
: può rappresentare una perdita di L. 3,40.
« Papà Brandau », malgrado che molti giorni
ro già trascorsi, tanto • he dal 30 set-
tembre all'8 novembre il traforo era avanzato sol-
tanto 33 metri, m'appariva invero identico a quello
che io avevo conosciuto quando le perforatrici da-
vano persino 7 metri al giorno di avanzamento :
calmo, cordiale e sovratutto sicuro di sé.
— Noi non dubitiamo di poter vincere questo
terribile nemico dei tunnels che è 1' acqua. < >ra
stiamo cercando di superarlo con una galleria su-
periore, o di girarlo con una trasversale, procurando
nello stesso tempo di dare all'acqua uno sfogo
maggiore. Potrà essere questione di giorni, potrà
trattarsi di settimane, ma ci si riuscirà.
E il direttore dei lavori, dal lato d'Iselle, l'inge-
gnere Prcssel, un altro svizzeri, dall'aspetto vivace
e nervoso, gli faceva eco: pareva Dell'udirli par-
lare che l'ostacolo ridestasse in loro degli entusia-
smi combattivi, che essi ritenessero indegno di loro
considerare il traforo di un monte alla stessa gui^a
che un topo considera un buco. E' l'impreveduto
.lucilo che dimostra le abilità tei oi( he e le risorse
geniali , benché la scienza e la pratica lo ren-
dano sempre minore.
IVirna di traforare un monte gli scienziati vi
11. l'I! GR W l i NNEL hl.l M< »ND<
danno già il profilo geologico dei terreni che si de >-
vrà attraversare, e così per il Sempione è stata stesa
— credo dal Taramelli — una carta determinante
lo stato dei terreni : le successioni di gneiss schi-
stoso a quello granitico d'Antigono, con venature
di calcari, di schisti e di calcari micacei, di do-
lomiti cristalline, ecc. E in questa carta voi avete
segnati anche i rapporti, la forza dirò così d' ir.-
lluenza dei varii corsi d'acqua e dei varii bacini.
-Ma l'acqua è traditrice: essa segue spesso vie
ignorate per arrivare ai tunnels, e poiché que-
>ti cercano spesso di passare presso le valli, allo
scopo di diminuire gli effetti delle masse sovra-
4'
nell'info rno avevano compiuto il loro orario di otto
ore. L'ing. Brand. èva dato per guida un
nere italiano, il signor Carlo Mongi.
Eravamo tutti carichi di macchine e di appa-
recchi nella speranza di poter ritrarre qualche ca-
ratteristica fotografia all'interno. C'erano delle
bombe al magnesio, che davano lampi potenti
Prendiamo posto assieme agli operai nei vago)
«ini d'una piccola ferrovia, mentre il tunnel poto
lontano mostra il suo imbocco piccolo e stretto.
La prima parte infatti non è quella che dovrà ser-
vire per il traffico: il tunnel che si collegherà alla
ferrovia italiana avrà un altro sbocco, cosicché
Naters, il villaggio abitato dagli operai italiani, posto di fronte al traforo. —
stanti, succede irequentemente ch'essi facciano pa-
gare duramente l' ipotetico vantaggio.
Il tunnel del Sempione avrebbe appunto , se-
condo i primi progetti, dovuto andare sotto la valle
della Cherasca, e si deve in gran parte all'oppo-
sizione tecnica dell'ingegnere italiano Canovetti
se ciò non avvenne : mentre il raffreddamento sa-
rebbe stato problematico, l'afflusso delle acque sa-
rebbe stato sicuro.
questo, che servì già di tunnel di direzione all'ini-
zio dei lavori, ora serve come d'entrata di lavoro
e rimane all' imbocco piccolo e stretto. La notte
è fredda e stellata: la Diveda rompe il silenzio
col suo gorgoglìo: i minatori s'accovacciano nei
vagoncini in silenzio, i più esau pipa o il
sigaro, perchè nel tunnel non si potrà fumar più.
La locomotiva, piccola ma tarchiata, dal basso
fumaiuolo, fischia e si muove: i vagoncini si
molle, riuniti l'uno all'altro con un semplice gan-
cio, si muovono stridendo e sballottandoci. Bisogna
La sera, alle 21.30, io col fotografo e i suoi gen- , , e fotografie che pubblichiamo furono per la mas-
lui aiutanti ci trovavamo alla stazione di entrata sima parte eseguite dal distinto dilettante signor Eugenio
del tunnel. Da Varzo, da Iselle giungevano i mi- Bonacina, incaricato dalla premiata fotografia Ricci di
natori e gli operai per dare il cambio a quelli che Milano, alla quale la direzione della Lettura lo richiese-
I-
I \ LETTURA
A Briea.
Veduta generale dei cantieri. — (Fot. della « Lettura
rsi saldi per non rotolare. E si entra nel tun-
nel: una vampata di aria calda v' investe, il fumo
della locomotiva vi circonda, un rumore assor-
dante vi intontisce. Ai riflessi delle fiamme fumose
delle cipolle » dei minatori scorgete la volta
e ■'• male: ma ciò dura poco : ecco la vòlta
alta, tutta rivestita di muratura, del tunnel già ul-
timato e pronto per il traffico. Si percorrono cosi
^ km. durante i quali l'occhio si abitua.
Il treno si arresta: tutti gli operai — saranno 400
- discendono, dileguandosi nel bui'., mentre altri
sopra ender posto nei vagoncini.
lo terminato il loro turno.
La galleria già pi tei minata e sin dove l'i
arriva, aiutato dalle numerose lucerne ad olio,
non si scorgono die robusti sostegni e impali . •
tun-. Perchè i lavi nono in quest'ordine:
dappi ma le p ci fanno una galleria di base
8 metri quadrati di se/ del terreno
■ nquistato si impadroniscono altri minatori
■ ingrandiscono late-
rali!.' ite la galleria sino a ridurla
alle proporzioni rese n dal transito. Ai
mmat'.ri a mano tengon dietro frli operai incari-
timento.
Il lavoro d'avanzamento è il più importante,
perchè è quello che dà modo di accrescere la po-
tenzialità del lavoro nella galleria. Mentre il punto
di avanzata è uno solo, i punti per il lavoro di
completamento possono essere parecchi. Ed essi
saranno in tanto maggior numero quanto più lunga
è la linea di lavoro.
Per questa ragione il lavoro di avanzata è il
più febbrile, quello che dà realmente il concetto
della lotta titanica, che l' uomo combatte con-
tro la natura. Le perforatrici Brandt ad acqua
compressa fanno l'effetto di artiglierie indirizzate
contro un nemico. Esse si puntano contro la roc-
cia , e la loro estremità è munita di grosse punte
di trapano , di forma tricuspidale del diametro
variante da 63, a 66, a 78 millimetri.
L'acqua, che arriva in pressione di 80 atmosfere,
fa girare le punte nella viva roccia, non molto
rapidamente. Un zampillo d'acqua proveniente
dal centro della punta tricuspidale serve al triplice
scopo di rendere maggiore la presa, di sopprimere
la polvere e di raffreddare la punta. In questo
modo si devono scavare, a seconda della maggiore
o minore resistenza della roccia, fori di 1 metro e 50
e persino di _• metri ili profondità. Ma per giun-
.1 tale risultato sono necessarie un gran nu-
mero di punte: spesso ad ogni centimetj nqui-
stato occorre alla punta tri( uspidale vecchia so-
stituirne una nuova.
II. l'Il > IRAN I I Wl I. hi L .\lii\iii i
Il lettere si farà presto un'idea di ciò che è il
lavoro d'avanzamento, allorché avrò detto che
su una superficie di poco più di 2 metri quadrati
i fori che le perforatrici devono fare son dodici.
Gli operai sono sempre freschi, poiché si rinno-
vano di 6 in 6 ore: d'altra parte essi sono so-
spinti al lavoro febbrile dal premio per ogni me-
tro fatto in più della media prevista.
Ognuno di questi fori vien poi caricato con car-
tucce da 2 a 3 kg. di dinamite, che scoppiano a
!■'■
lato di Briga che da quello d'Iselle, compirono
iiell' ultimo trimestre (luglio-agosto-settembre) (1)
i ' > 4 1 attacchi con 15,489 fori i quali davano com-
plessivamente una profondità di 20 km. e 118 me-
tri. E per un avanzamento complessivo delle due
gallerie di 1805 metri si consumarono kg. 44,813
di dinamite, scavando 10,792 metri cubi di mate-
riale e adoperando ob, 170 punte tricuspidali. Da
un trimestre si potrà giudicare quale somma di
lavoro rappresenti tutta l'opera.
\
f
:u
A Iselle.
Nel tunnel a
metri. — [Fot. della « Lettura »
breve intervallo l'una dall'altra, e l'eco dello scop-
pio esce ululando , per il tunnel , ripercuotendosi
poi nella valle. Ma il passo avanti non è stato pe-
ranco percorso e già bisogna pensare al nuovo :
bisogna che le perforatrici, che si sono durante lo
scoppio dovute far retrocedere , possano , nel più
breve tempo possibile, ritornare alla fronte d'at-
tacco, coi loro tubi d'acqua compressa.
Kd ecco, appena l'aria rarefatta dalla fortissima
detonazione è tornata respirabile, una squadra di
operai ristabilire le guidovie, sospingere su di esse
i vagoncini che dovranno prendere i detriti e tra-
sportarli fuori. Ma prima ancora che tutte le ma-
cerie prodotte dallo scoppio sieno trasportate fuori,
le perforatrici sono già di nuovo alla fronte di at-
tacco per procedere oltre.
A dare un'idea del lavoro che compiono le per-
foratrici, dirò che le sei adibite al traforo, tanto dal
Al lavoro d'avanzamento segue quello di per-
forazione a mano. I minatori s'impossessano del
foro per cui le perforatrici sono passate e si di-
stribuiscono a destra e a sinistra, nonché nella
volta, armati di mazze e di punte: dapprima sono
dei vani aperti nella roccia chiamati fornelli
che vanno dando al foro quell'ampiezza resa ne-
cessaria dal transito dei treni. A questo lavoro è
impiegato il più gran numero di operai : numeri >
che però varia a seconda della maggiore o nii-
I) < Rapport trimestral N. 12 au Conseil federai suisse
sur l'état des travaux du percement de Simplon ». E'
l'ultimo pubblicato.
1 1
LA I I I I l l< \
I « fornulli » nella vòlta. — Foli ' i della ■■ Lettura » ottenuta al magni .
nore distanza che passa Ira la galleria completata
i la fronte d'avanzamento.
Il lavoro nei « fornelli » è penoso. Qui si rag-
giungono , come il loro stesso nome dimostra,
le più alte temperature , superiori ben spesso ai
entigradi. Specie coloro che lavorano nella
volta e che si trovano fuori della ccrrente di ven-
tilazione sono costretti a lavorare seminudi: i loro
dni si sono imperlati di sudore, le fauci sono riarse,
e le richieste di acqua si vedono ripetere insi-
stenti.
Noi stessi, saliti cogli apparecchi fotografici in
qualcuno di questi fornelli, sentiamo l'umidità calila
investirci, bagnarci gli abiti . mentre la fronte è
umida di vapore acqueo. Si cerca di vincere que-
sfumidità calda, che stagna fermando al basso la
ente della ventilazione, con copertoni, e certo
il risultai') è soddisfacente, perchè gli operai pos-
sono durare ore ed ore in questa temperatura.
E il cercar di fotografare qualcuno di questi
fi irnelli » non è per il fotografo cosa facile. La
umidità calda annebbia l'obbiettivo: essa rende
inservibili, due su tre, le bombe di magnesio.
A rlarc un'idea dell'importanza del lavoro che
si compie col mezzo della perforazione a mano
darò qualche dato: in tre mesi, con poco più di
centomila giornate di lavoro, si fecero [30,474 bu-
chi di mina di II 1 profondità totale di 91,160 me-
tri, 1 un consumo 'li kg. 22,594 di dina-
mite diedero uno scavo di 23,964 me. di mate"
riale, vale a dire più del doppio del risultato dato
dalla perforazione meccanica.
E in quanto concerne i rivestimenti, la loro im-
portanza è grande : essi sono di vario tipo e de-
vono adatiatsi alle speciali condizioni del terreno
Si verificano nei tunnels, anche là ove questi sono
perforati in roccia viva e compatta, delle strani
deformazioni dovute alla diversità di pressione
del terreno sovrastante, che gli scienziati attribui-
sn.no ad azioni molecolari. L'aria umida e cal-
dissima che penetra nell'interno della roccia favo-
risce i cambiamenti chimici. Di queste deforma-
zioni se ne riscontrarono nei lavori delle gallerie
dei Giovi, del Borgallo e del Gottardo, ma per
lori una sembra provato che, raggiunta la stabilità
per un certo temi 10, sia anche assicurata indefini-
tamente, poiché la modificazione portata alle rocce
dall' aver subito l'azione degli agenti atmosferici
non si estende a grande profondità.
Quindi il tunnel completamente perforato viene
normalmente rivestito con cubi di pietra in modi
diversi a seconda delle diverse ' "udizioni, per ga-
rantire la vòlta dalle pressioni mediane, verticali
. 1 da quelle laterali.
Questo lavoro viene compiuto col mezzo di ro-
buste armature, sulle quali operai specialisti la-
vorano. E l'opera di finimento toglie al tunnel
l'aspetto tormentato, che hanno lasciato le mine
IL PH" GRAN II MNEL DEL M< >ND< >
e i picconi: non si può più, lungo la galleria ri-
vestita, parlare di viscere del monte squarciate. Le
pareti liscie e rettilinee fanno pensare, è vero, ad
un budello enorme, ma senza idee di violenza.
L'eco delle mine giunge là, già da lontano.
Più che delle descrizioni, io vorrei fornire su que-
sto , che è certamente il più grande traforo del
mondo, dei dati, i quali valgano a dare al gran pub-
blico, che non legge le monografie speciali e i gior-
nali .tecnici , un'idea dell' opera che si sta com-
piendo.
45
leria per collegare il gran tunnel colle ferrovie
italiane (il distanti km. 18,629
Nello scorso numero della Lettura esposi tutte
le difficoltà che ostacolavano il progetto. Il pri-
mo e più grave era quello della temperatura : co-
sicché F Impresa dovette armarsi per combattere
il temuto nemico con mezzi potenti. Tanto a B
quanto ad Iselle si portarono ai cantieri dell'Im-
presa potenti forze idrauliche allo scopo di immet-
tere nel tunnel una grande quantità d'aria capace
di mantenere respirabile l' atmosfera. Un grande
A Iselle. — A ;,ooo metri nel tunnel in attesa di un treno. — (Fot. della « Lettura » ottenuta al magni
La galleria è, com'è noto, lunga esattamente
1 1 >. 7^Q metri, che è quanto dire quasi cinque km.
più del Gottardo. Ma i chilometri di galleria che real-
mente si devono traforare sono assai più che il dop-
pio. Come infatti è noto, i tunnels sono due paral-
leli, equidistanti 17 metri, e per un tratto cen-
trale di 500 metri si congiungono , per poi nuo-
vamente dividersi. Di questi due tunnels solo uno
viene ultimato per il traffico: l'altro, che viene la-
sciato dell'ampiezza detta dell'avanzamento, non
servirà per ora che all' aereazione. Ma i due tun-
nels sono congiunti fra loro, ogni 200 metri, da
gallerie trasversali, le quali ascenderanno com-
plessivamente a 05. Sono quindi in totale più di
41 km. di perforazione, ai quali vanno aggiunti
sul lato d' Iselle quasi sei altri chilometri di gal-
ventiiatore è intatti stabilito tanto a Briga che ad
Iselle: esso col mezzo di uno speciale comi
spinge l'aria nella galleria parallela, quella cioè
che non verrà completata, e l'aria giunta alla fine,
passando per l'ultima galleria trasversale di con-
giunzione — poiché tutte le altre vengono tenute
chiuse — gira nella galleria N. 1, 0 pn mei
dire in quella che sarà ultimata per il traffico.
Si calcola che il ventilatore di l'.riga — dovi I
fronte d'avanzamento aveva sorpassati i 60OO metri
i, Le gallerie da Iselle a Domodossola saranno sei,
h 1 .ni quella di Varzo, elicoidale, lunga 2y6s ni., quella
di rrasquera chi ni mi lira 1725 e quella ili Preglia che
ne misura 682. Si dovranno costruire anche ire ponti,
rispettivamente di m. 40, 32 e J2 sulla Diverta, s«lla
1 airasca e sulla Bogna.
I \ I
TUR \
allori . i ni'] d'a-
ria nell'interno nelle ventìquattr'
i te peni la
temperatura all'avanzamento era. causa l'acqua,
\ questa grande 1 1 iro nte d'ai ia iniet-
nel tunnel se ne . un'altra sussidi
: esclusivamente alla fronte d'avanzamento,
te noi quest'aria
vi vim s< ispinta di eciali. Essa arri-
I pri Fot. della < Lettura*).
vava alla fronte d'attacco ad una temperatura di
g centigradi a Briga e di 25.9 ad Iselle prima
dell'eccezionale raffreddamento prodotto.
Il calore e la respiri.! jilità Mino i quesiti più im-
portanti: a questa si provvede coi ventilatori, a
diminuire quello coi getti d' acqua. L' acqua al
contatto della roccia, da una temperatura di 12. 5,
iva all'uscita delle perforatrici una tempera-
tura più che doppia tanti' a Briga che ad Iselle. Ma
se l'acqua giova al raffreddamento , oltreché es-
sere necessaria alle perforatrici , costituisce invece
colle sue evaporazioni la principale generatrice di
quel calore umido e miasmatico, che riesce in-
ortabile e dannoso Da qui la necessità ili
bene incanalarla, allineili'' dopo avere esercitato
la sua azione utile, non ne eserciti una dannosa.
A questo scopo il piano del tunnel è in pendenza
trasversale, aftinché l'acqua finisca in un canale
laterale, a mi naie, data la pendenza del
r "[00 del tunnel, riti una rapidamente a me-
scersi nelle acque della Diveria a Iselle, in quelle
del Rodano a Briga.
Alla respirabilità nuoce altresì il fumo delle lo-
comotive che continuamente circolano nel tunnel,
per il trasporta degli operai 0 per quello del mate-
riale, ma a quest'ultimo inconveniente si cerca di
live a benzina e con alcune
con essa tenti coi loro
tubi ripieni d'aria, l'er quanto non sia stato an-
■ ora possibili- sostituirle del tutto alle locomo-
tive a carbone, ti notevolmente
diminuito il bisogno ili queste, specie per i minori
ti
vi è ormai più ali un c'ubbio che la «rande
opera non si • impii ri Se ogni giorno che
oica sugn- dimenti nuovi per
vincere le difficoltà nuove, dall'altro lato nel fatto
molte ipotesi pessimisti- sono state smentite. Il
tunnel ha sorpassato i 0 km. dal lato di Briga e
di qualche centinaio i .; km. da quello di Iselle;
ìi il ' osa vuol dire che la metà del cammino è già
latta; benché sia passata sotto altezze sovrastanti
mio di .700 metri, non ebbe mai in nessuna sci-
atore superiori ai ,i.,ì centigradi all'a-
vanzamento. E malgrado sia il più importante, il
Sempione è il tunnel che 1 osta unno, poiché il
1 1 iste della grande galleria fu preventivato in L. 3750
al metro, mentii- il Gottardo ne instò 4000 e il
Cenisi. 6500, in epoche in cui le mercedi eran
meno elevate.
Mi resta a parlare degli operai, tanto più che
il 90 °|0 di essi sono italiani. Non è senza com-
mozione che io, tanto nelle profondità del tunnel
a Iselle, quanto a Briga, ho udito frammisti tutti
i dialetti della patria. Sono complessivamente 3080
gli operai che lavorano alla grande opera, numero
che in momenti di rapida avanzata ha toccato i 4000.
E allorché si pensa che nel trimestre luglio-
agosto-settembre partirono dagli uffici postali di
Briga e di Naters, diretti all'Italia, 17 13 vaglia,
per una somma di circa 70,000 lire, si compren-
derà quanta parte di attività alla grande opera
abbia data l'Italia. Non è l'iniziativa direttiva, non
è l'audacia del capitale, ma è somma di energie
La pana dc^li operai licenziati a Urina dopo l'ultimo scio-
pero. — i Istantanea del signor Kleinei .
pur sempre apprezzabili, quando si pensi che la
statistica dell'Impresa dell'ultimo trimestre segna
71 infortuni al lato di Briga ed 80 da quello di
[selle.
Fu detto molte volte che senza gl'Italiani — che
A Briga. — L'accesso del tunnel.
A Naters. — Sala di lettura degli operai.
A Briga. — Il tunnel di direzione.
A N'aters. — Trattoria di temperanza.
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A Briga. — Dormitori operai.
Sulla strada di Naters. — Minatori che tornano dal lavoro.
(s LA LETTI R \
contendono -ra anche in Asia e in America il
Cinesi i più grandi lavori ferroviari
d'Europa non sarebbero stati possibili. E ciò è
si, fra gli operai che affollano i mercati
L'ing. Brandau. — (Istantanea dell'ing. Preissel).
internazionali del lavoro, sono quelli che si dispu-
tano le opere più faticose e più dure. Voi li trovate
in ogni luogo ove una grande impresa si compie.
Ve ne sono fra essi di quelli che hanno pass. ita
metà della loro esistenza nei tunnels, anemici per
la vita vissuta in quelle < ondizioni anormali, quasi
i iechi per l'esistenza da talpe che hanno trascorsa,
sordi per il continuo fragor delle mine.
Fortunatamente però oggi le (ondizioni mate-
riali del lavoro e quelle morali dell'ambiente si
sono fatte migliori. I Governi impongono alle
grandi Imprese costruttrici degli obblighi, a ga-
rantir.' l'igiene dei lavoratori. La morìa verifica-
tasi ai Giovi e al Gottardo, al Sempione non la
si lamenta. Gli orari anche sono umani — 8 ore
di lavoro al massimo, altera tó di riposo
per coloro che sono occupati nel tunnel. E se le
irie fanno si che la vita che
rato arrischia venga considerata qualcosa che
re remunerato colla semplice mer-
giornaliera, i l'agni, gli essiccatoi per gli abiti,
i dormitori, li mdano l'i >pi •
raio d'una igiene e d'una pulizia che non pos
moralmente elevarlo. Ed anche moralmente
Top' ì; abbandonato a sé stesso: se
no si è deciso tardi a mandar un rappre-
Briga, la Dante Alighieri ha
provveduto da tempo alle scuole. E fa bene al-
l'anima vedere,, girando per le vie di Naters, in
allettatrici, tutte 1 1 >n in»
italiane, vedere e la sala di lettura per gli operai,
liti e i ' affé di temperanza.
Non illudiamoci; i nostri operai all'estero noi»
sono amati: non si vedono che i loro difetti e non
si apprezzano le loro virtù, che pur sono quelle
che rendono possibili queste opere, le quali co-
stano tanta energia, tanto sacrificio e tante vite.
Ricorderò sempre con amarezza il dolore pro-
vato un giorno in un caffè di Briga. Un signore
parlava degli operai italiani come se fossero stati
tutti dal primo all' ultimo altrettanti accoltellatori.
Quando poco tempo dopo, infatti, in occasione di
uno sciopero la milizia di Naters fece fuoco sugli
scioperanti e ne accompagnò buon numero al con-
fine , pensai se nella severità del trattamento non
avesse avuto parte quella severità di giudizio che
avevo quel giorno udito esprimere, e che mi aveva
cagionato tanto dolore, sovratutto perchè l'abban-
dono in cui per tanto tempo l'operaio italiano fu
lasciato, nella sua vita nomade, alla ricerca del-
l'aspra fatica che gli desse un pane onorato, era
per me la causa prima par la quale agli occhi del
mondo i vizi cancellavano le native e pur così am-
mirande virtù.
Ed è a questo esercito anonimo ed oscuro di
lavoratori italiani, disseminato entro le viscere
calde dei monti nevosi , a compiere la più colos-
sale opera che il genio umano abbia ideato per
spezzare barriere e affermare nuovi vincoli di fra-
tellanza fra le genti: — a questo esercito di cui
L'n i Brandt,
io vidi quanto sia duro il lavoro, grande il sacri-
li'io, aspra la fatica, ch'io chiudo inviando, spe-
lli che al di là del valico Bon più lungi
dalla patria, il grato --aiuto di qu.
A. G. Hi \nchi.
SOMMARIO
Romanzi e Novelle. — n libro della Jungla : Il figlio dell'Homo iRudyard Kipling) — L'Esteta i Luigi Zoppis)
— Mademoiselle Leprina- (Vittorio Corcos).
Letteratura e Critica. — Epistolario di L. A. Muratori (Matteo Campori) — Lettere di dantisti A. Fiam-
mazzo) — Ombre e Corpi i Fedele Romani).
Storia. — L'epoca delle grandi scoperte geografiche (Carlo Errerà).
Filosofia. — Errori l'inani (Agostino Nardelli).
Folk-Lore. — Canti popolari toscani (Giovanni Giannini i.
Scienze. — Les prOblemes (Dott. Ermanno Giglio-Tosi.
Opere varie. — Scritti vari .Cesare Airaghi) — La villa pompeiana scoperta presso Boscoreale Felice Barnabei)
— Rome, la queslion d'ari et la question politique (André Mellerio).
ROMANZI E NOVELLE.
Rudvard Kipling: // libro della Jungla: Il
figlio dell'uomo. Traduzione di Angelica Pasolini
Rasponi. (Roma-Torino, Roux e Viarengo), L. 2,50.
— Nella brevissima prefazione di questo libro è
detto che i lettori italiani possono e debbono ap-
prezzarlo per la simpatia secolare che ci lega agl'In-
glesi, per i comuni interessi politici, e per quel
tanto di natura vergine e selvaggia che perdura
fra noi, nella Sardegna, nella Maremma, nella Pi-
neta, sui lidi dei nostri mari, e per la leggenda
di Roma rinnovata ora in questi racconti del lon-
tano Oriente. L'efficacia di tali ragioni sarebbe
molto debole e discutibile, se l'opera di Rudvard
Kipling non si raccomandasse per il grande valore
artistico. Poesia ed umorismo si danno la mano
in queste storie della jungla, dove compiono le
loro gesta i più strani personaggi: Lhere Khan,
la tigre zoppa; Tabaqui, lo sciacallo; Akela, il
grande lupo grigio ; Baloo, l'orso bruno : Bagheera,
la pantera nera; Hathi, l'elefante selvatico; Kaa,
il serpente della roccia ; Chil, l'avvoltoio. Tra co-
storo cresce libero e forte Mowgli, un bambino,
un « cucciolo d'uomo » , e ciò che egli dice e fa
tra i suoi fratelli bruti è l'argomento di queste
originalissime storie. Nelle quali è uno schietto e
vivace sentimento della natura e quasi l' acuto
aroma della foresta, insieme con uno spirito cri-
tico, caustico e veramente filosofico. Così , per
esempio, gli animali della jungla si astengono dal-
l'uccidere e dal mangiare l' uomo , dicendo che
La Lettura.
questo è la creatura più debole e senza difesa che
vi sia, che perciò non è cosa degna attaccarlo, e
che i mangiatori d'uomo divengono anche rognosi
e perdono i denti : ma la vera ragione dell'asten-
sione è tutt'altra ; è che, dopo avere ammazzato
un uomo, arrivano prima o poi altri uomini bian-
chi, montati sopra elefanti ed armati di fucili, e
centinaia di negri con tamburi e razzi e torcie....
Cosi ancora Kaa, il serpente, quando vede il cuc-
ciolo d'uomo, lo avverte: I'.ada, omino, ch'io
non ti scambi per una scimmia, sull'imbrunire,
quando ho mutato la pelle di fresco » : e viceversa,
Mowgli, tornando tra i suoi simili e vedendosi
fatto segno ad una curiosità indiscreta e rumorosa,
pensa : « Non ha creanza questo popolo d'uomini ;
solo le scimmie grige si comporterebbero cosi.... .
E Mowgli è scacciato dai lupi perchè è uomo, e
dagli uomini perchè lo credono lupo....
Luigi Zoppis: L'i'.steta. (Livorno, IVII.uum,
L. 3. — L'Esteta è Riccardo Loris, 1' « anemone
calvo» — come lo chiamano nei cenacoli intellet-
tuali — scrittore di libri belli ma non buoni, anzi
crudeli e perversi, ed autore della infelicità della
giovane moglie che abbandona col figliuoletto per
vivere con un' amante. Costui crede, nel suo mo-
struoso egoismo, che tutto gli sia lecito, che egli
possa e debba elevarsi in qualunque modo ed a
ogni costo sopra tutti gli altri uomini ; e quindi
crea una letteratura, una filosofia e una morale a
parte per suo uso e consumo. E la folla gli prodiga
applausi, e lo esalta; ma ravveduta, lo schernisce
DO
LA LI !H RA
da ultimo; ed egli stesso finisce con lo scrivere
cose osci 'usi di oracolo o vaniloqui
di pazzo, Un suo amico e seguace si ribella prima
altri i >lice: ili giorno in cui ci avesse dato
una vera opera d'arte, io sarei stato il primo ad
applaudirlo Queste parole si possono adattare
allo stosso romanzo dello Zoppis, le cui intenzioni
sono certamente rispettabili, ma la cui opera è
troppo difettosa. Egli ha voluto metterci dinanzi.
per dimostrarne l'odiosità, la ligura di un Supe-
ruomo, ma il suo protagonista ne è, tutt'al più,
la caricatura. La stessa Maria, che rompe i bic-
i a tavola penh'' il marito le dice di non gio-
care con le posate, non è capace di ispirarci sim-
patia o semplice interesse. Abbondano nel libro
le pagine dove si critica il culto della bellezza e
le affettazioni della forma ; ma, perchè la sua cri-
tica riuscisse efficace, l'autore non avrebbe dovuto
scrivere, per suo proprio conto, che antiche usanze
generano lati estetici, né che un punto ha bisogno
d'una lieve maturazione, nò che Riccardo, se amava,
non lo faceva che per {studiare l'anima umana, e
via dicendo.
Vittorio Corcos: Mademoiselle Leprince. (Li-
vorno, Belforte), L. I. — Pubblicati per consiglio
di Guido Biagi, e da lui presentati al pubblico,
questi bozzetti sono graziosi e delicati, scritti con
molto garbo, pieni di sentimento, ma un poco
troppo tenui : impressioni, profili, ricordi, fatti di
cronaca, senza intreccio, senza studio di caratteri.
Il Corcos rivela ad ogni modo un nuovo lato del
suo grande ingegno, e potrà darci, se continuerà a
si rivere, dei libri belli come i suoi quadri. Questo
volumetto è illustrato da lui stesso, il che vuol
dire squisitamente.
LETTERATURA E CRITICA.
Epistolario di !.. .1. Mura/ori. edito e curato
da Matteo Campor: (Modena, Società topogra-
fica modenese), Il volume, L. 12. — Xel fasci-
colo di ottobre della Lettura fu data una breve
notizia del primo volume di quest'opera sontuo-
sissima, che è veramente un monumento eretto
alla memoria del grande scrittore modenese, e che
meriterebbe il più largo ed attento esame se, per
l'indole della nostra rivista, non dovessimo con-
tentarci di additare all'attenzione ed alla gratitu-
dine degli studiosi le dotte e pazienti fatiche del
man I tteo Campori. A lui la nazione deve
preziosi documenti della vita e del pensiero
di Ludovico Antonio Minatori vengono oggi rac-
colti cui tanta cura illuminata, con tanto signo-
rile ilo. .11 ,. E poiché le migliaia di lettere del
Muratori ai più insigni uomini del suo tempo
trattane di infinite questioni letterarie, li
storiche, arce ,.-, teologiche, ecc., si vede
che ricca e veramente inesauribile miniera saranno
i dodici volumi di questo Epistolario. Nel seco-
che abbiamo s, , n'occhio, sono comprese le lettere
scritte nel settenni 1 < 19-1765, tra le quali li
notevoli sono quelle dirette a Francesco Arisi, a
romeo Arese, ad Antonio Gatti, al Ma-
gliabechi, a Giovar I ìioseffo Orso, ad \ntonio
Maria Salvini, ad Apostolo Zeno. Come il primo
volume, anche il presente è preceduto da una
minuta e diligentissima cronobiografia murato-
riana, e seguito da tre indici: l'analitico, l'alfa-
betico, il generale. Qualunque lode è inadeguata
al valore di questa pubblicazione magnifica e sotto
ogni aspetto propriamente perfetta.
A. Ri ammazzo : Lettere di dantisti. (Città di Ca-
stello, Lapi). — In questo terzo volumetto sono
raccolte le lettere di dantisti italiani del secolo XIX.
tra i quali Luigi Benassuti, Jacopo l'.ernardi, Bal-
dassarre Boncompagni, Rugenio Camerini, G. J.
Ierrazzi, G. B. Giuliani, Vittorio linbriani. (ino-
rato Ciccioni, G. A. Scartazzini, ecc. In una gu-
stosa appendice stanno quelle di un dantista che
fa parte per sé stesso » : quel Matteo Romani,
ari iprete di Campègine, il quale « emendava » il
testo del poema, chiedendo licenza di leggerlo
come lo credeva caduto dalla penna del suo au-
tore » e invece che Mossi la voce- (> anime affan-
nate, leggeva: Musei la voce : O anime a fé 'amate,
e invece che Si forte fu l'affettuoso grido, Risposto
fu all'affettuoso grido ! Indici copiosi e bene ordi-
nati corredano il volumetto.
Fedele Romani: Ombre e Corpi. (Città di Ca-
stello, Lapi). — Sono due opuscoli danteschi: uno
intitolato // secondo cerchio dell'Interno di fante.
l'altro La figura, i movimenti e gli atteggiamenti
umani nella Divina Commedia e nei Promessi
Sposi. Xel primo, il Romani studia l'episodio di
Francesca da Rimini secondo i criteri della cri-
tica estetica, nel campo della quale, come egli
bene avverte, « tutte le opinioni logiche, sincere
e fortemente sentite, hanno il diritto di essere
manifestate, e hanno tutte, in un certo senso, lo
stesso valore, se non sempre la stessa bellezza. »
Questo è il pregio e ad un tempo il diletto di si-
mili studi, alle conclusioni dei quali, qualunque
sia la logica, la sincerità e la forza del sentimenti 1
dei loro autori — e non comuni sono quelle del
Romani — è sempre possibile opporne altre. L'au-
tore ha dunque ben fatto esponendo le proprie
osservazioni sul celebre episodio astenendosi dalle
polemiche; sebbene ribatta l'opinione del I v
Sanctis, secondo il quale la ligura di Francesca
sarebbe annientata se non vi fosse in lei la co-
scienza del peccato.
Nel secondo suo lavoro, paragonando l'arte di
Dante a quella del Manzoni, l'autore si
di dimostrare come le ombre dell' Alinghieri sieno
più ricche di consistenza corporea e piti visibili
delle persone vive, dei veri corpi del romanziere
Lombardo. Questi avrebbe l'occhio del poeta più
che quello del pittore, mentre in Dante le due
l.n ulta si uniscono felicemente. Il Romani dichiara
che non avrebbe neppure pensato a stabilire un
confronto tra i due scrittori « se non fosse che i
nomi di Dante e di Manzoni sono spesso accop-
I LIBRI
Dì
piati insieme per più ragioni, ma specialmente
come quelli dei due più grandi scuttori di carat-
teri che possiede la nostra letteratura : bene inteso
che, anche in questo, il posto d'onore è di Dante. »
Bene inteso, certamente; ma appunto per ciò l'op-
portunità del paragone non è discutibile 'i Ad
modo il Romani non si restringe a dimostrare le
deficienze delle rappresentazioni manzoniane ri-
spetto alle dantesche ; ma loda e propone ad
esempio l'arte del romanziere tutte le volte che
questi raggiunge l'eccellenza ; e, per concludere,
la lettura di queste pagine sarà molto profittevole
agli studiosi dei due grandi scrittori e delle belle
lettere.
STORIA.
Carlo Errerà: L'epoca delle grandi scoperte
geografiche. (Milano, Hoepli), L. 0,50. — L'au-
tore divide la storia della conoscenza della Terra
in tre grandi epoche : nella prima, di remota pre-
parazione, lentamente si svolge l'opera degli an-
tichi ; nell'ultima, di inesaurito perfezionamento,
ferve senza limiti la seria e riflessiva opera degli
uomini d'oggi ; sta in mezzo alle due quel periodo
veramente fondamentale , durante il quale, dopo
che tanta parte della cultura antica crollò sotto i
colpi dei Barbari, i popoli mediterranei non solo
riconquistarono le nozioni perdute, ma raggiunti
e oltrepassati i confini della Terra creduta un tempo
abitabile, si slanciarono alla scoperta del mondo.
Questo periodo, che si chiude col viaggio intorno
al globo della l 'ictoria di Magellano , se non ha
il carattere di altezza intellettuale propria all'età
nostra, e se è dominato dai fini utilitari e dal dis-
ordinato spirito di avventura, è il più importante
ed il più attraente : e l'Errerà lo narra a parte a
parte, cominciando con l'influenza del Cristiane-
simo, delle evangelizzazioni, dei pellegrinaggi, delle
Crociate sulle conoscenze geografiche : seguendo
la storia della scoperta dell'Asia con l'opera di
Giovanni del Pian de' Carpini e di Guglielmo di
Rubruk, dei Polo e dei loro successori, passando
alle regioni settentrionali coi Normanni , cogli
Zeno, e alla via marittima per le Indie coi prede-
cessori di Colombo: fermandosi all'opera del grande
Genovese, del Vespucci e del Magellano. L'autore
attinge alle migliori fonti, e correda la sua dotta
e piacevole esposizione con molte riproduzioni di
carte antiche, di schizzi, di ritratti.
FILOSOFIA.
Agostino Nardelli: Errori Umani. (Treviso.
Tipografia della Gazzetta) L. 1,25. — L'autore non
crede che al progresso scientifico ed all'accresci-
mento del benessere corrisponda, nell'età nostra,
un perfezionamento intimo : anzi egli ha scritto
questo libretto per mettere in evidenza gli errori
umani che hanno prodotto i danni morali : il lusso,
la presunzione, l'abito della menzogna, la tene-
rezza e l'indulgenza soverchia nell'educazione, i
piaceri viziosi del tabacco e del vino, i falsi cri-
terio nella scelta delle professioni. Tutto ciò che
il Nardelli asserisce intorno a questi argomenti è
giusto ; ma le sue osservazioni non sono molto
profonde ne hanno una grande originalità. Ed è
proprio da credere che il vizio dell'ignoranza pre-
sentuosa si manifestasse e si diffondesse rap ! -
mente dopo la Rivoluzione francese ; e che la men-
zogna sia divenuta oggi la regola mentre un tempo
era « eccezione rarissima? » Quelli che l'autore
chiama errori umani meritano propriamente que-
sto nome ; ma essi non sono né nuovi né, pur-
troppo, tanto facilmente correggibili. Con belle e
degne parole egli propone che si ponga mente non
tanto all'istruzione quanto all'edusazione. e 1 he se
ne riformino i metodi: e questo è certamente un
dovere che bisogna compiere anche se non è pos-
sibile sperarne il mutamento della umana natura.
Rozan : La Bontà. Traduzione di Gioconda Ai-
raldi Cazzuli (Milano, Cogliatii, L. 2. — Come dice
Carlo Leveque nella sua lettera-prefazione, non è
cosa facile, ai nostri giorni, scrivere un libro inte-
ressante sulla bontà : tra il luogo comune e il
trattato filosofico, la strada è stretta. L'autore ha
saputo scoprirla e seguirla. Egli ha lasciato ai fi-
losofi di professione le loro formule e le loro dis-
sertazioni, per esaminare semplicemente le condi-
zioni fatte all'uomo nella nostra società, e il ge-
nere di perfezionamento al quale deve tendere per
arrivare al bene. Nella debolezza ravvisa il mas-
simo nostro difetto : e l'opinione del Lacordaire
che disse, cominciando una delle sue prediche in
Notre-Dame : Voi non siete cattivi , signori ;
siete deboli, » è anche la sua. < Debolezza d'intel-
letto e di carattere, » afferma per conto proprio,
il motto della natura umana e spiega i nostri errori
e le nostre colpe assai meglio della parola catti-
veria. Egli rintraccia i deplorevoli effetti di queste
debolezze nella sete delle ricchezze, nelle pretese
dell'egoismo, nella passione della vanità, nella cu-
pidigia dei piaceri, nei rigori della giustizia, nelle
crudeltà dello spirito: e a tutte queste forme del
male contrappone quelle della bontà. Dopo avere
cosi fatto l'analisi dei buoni movimenti, li 1 ompone
in una specie di sintesi, dimostrando come dev'es-
sere il figlio, il padre, l'amico e l'uomo in gene-
rale. Analisi e sintesi sono sottili ed acute; tutto
il libro è denso di pensiero, pieno di concettose
sentenze dell'autore e dei maestri sui quali egli ha
studiato. La conclusione è quella stessa che la sa-
pienza antica ha trovata da secoli, ma che biso
sempre ripetere — visto che, disgraziatamente, gli
uomini la dimenticano troppo spesso — : il disin-
teresse è la stessa virtù, la stessa bontà ; non alla
felicità, ma alla tranquillità si deve aspirare e si
può pervenire.
FOI.K-I.11RE,
Giovanni Giannini: Canti popolari toscani. (Fi-
renze, Barberai, L. 2,25..— Il compilatore di que-
sto volume si è giovato di tutte le raccolte di
32
! \ LETTI RA
canti popolari toscani finora pubbli min-
ciare eia quelle del Tommaseo e del Tigri, ed
escludendo soltanto quelle che gli parvi- conte-
nessero poesie non propriamente popolari o tra-
e dovute garanzie di fedeltà. I rac-
endo lo scopo di dare occasione di
studio ai filologi ed ai cultori della demopsicolo-
gia, non hanno badato alle qualità artistiche ed
singoli canti, e insieme con quelli
stupendi hanno messo i mediocri, i brutti, gli in-
sulsi e i triviali. Il Giannini, por offrire una pia-
le lettura ad ogni classe di lettori, ha tra-
i canti più belli, ed ha quasi sempre avuto
nella sua scelta la mano felice. Il grazioso suo
volumetto è diviso in sette parti, nelle quali sono
rispettivamente distribuite le Ninne-nanne, le Can-
tilene, le Novellette, i Canti fanciulleschi, i Ri-
spetti e gli Stornelli, le Canzoni narrative e i Canti
di questua. In apposite note sono spiegate le voci
e frasi vernacole e sono enumerate le principali
varianti.
SC I E N ZE.
Dott. Ermanno Giglios-Tos: Lrs problema
(I.™ partie). Turin, chez l'Auteur, Palais Cari-
gnano, igoj. — Quando si affronta un problema
complesso, come è quello che ci presentano i
fenomeni che costituiscono la vita, è opportuno
tentare di scinderlo in elementi più semplici o di
studiare ciascheduno di essi. E' il sistema se-
guito quasi sempre , e che sarebbe certamente ot-
i se non portasse con sé un inconveniente
difficilmente evitabile; quello cioè di esser portati
ad attribuire ad alcuni elementi una importanza
prevalente in modo da giungere a credere il pro-
blema complesso risolto, quando questi elementi
vengono sufficientemente rischiarati. La storia delle
scienze mediche permette di vedere quest' err> 're
perpetuarsi attraverso alle età; i due aspetti princi-
pali delle manifestazioni vitali, cioè le modificazioni
fisiche e quelle chimiche degli organismi viventi,
furono per sé presi come essenziali e si considerò
la vita alternativamente come un fenomeno essen-
zialmente tisico o puramente chimico. Il libro del
Giglio-Tos è un singolare esempio di queste ten-
denze unilaterali, ed è destinato a prender posto
cogli altri eguali: i quali, se pure la scienza potè
arsene, sono tuttavia da considerarsi come fal-
lai i tentativi. Nei problemi della vita, il Giglio-Tos
gè essenzialmente fenomeni chimici, e fra questi
predomina: la assimilazione, per cui un
reni giunge a produrre i materiali iden-
i quelli di cui si compone il suo corpo, me-
diante l'esenzione di materiali estranei e diversi.
essi chimici nella natura morta.
per cui da un < orpo trattato con opportuni reagenti
e per una catena di reazioni si giunge alle rigene-
■ne del corpo primitivo, è per lui il punto di
partenza di una serie di considerazioni dalle quali
mole dedurre le leggi fondamentali della ma-
teria vivente. Le quali conclusioni alla lor volta in
gran parte sono verità che non hanno nulla di
nuovo, e in piccola parte sono pure ipotesi, che
nessun fatto prova. Questo è uno dei difetti princi-
pali del libro, che lo mette in cosi stridente disac-
cordo con quelli che ai giorni nostri si occupano
di argomento analogo ; il carattere cioè puramente
deduttivo del ragionamento, in cui una premessa
non giustificata sufficientemente da dati di esperi-
mento, diventa poco a poco da ammissibile, pro-
vata e da provata assiomata. E cosi si costituisce
un sistema artificiale, starei per dire scolastico, in-
tendendo di adoperare la parola nel suo significato
di costruzione artifiziosa di un edifizio di dottrine,
senza alcuna preoccupazione della verità loro as-
soluta.
Evidentemente il restringere la vita nei limiti in
cui l'egregio autore la chiude, è un non ricono-
scerne le caratteristiche ; e se una molecola d'acido
acetico, per il solo fatto che messa in contatto suc-
cessivamente con varii reattivi può trasformarsi in
altri corpi e ridiventare acido acetico, è dall'autore
assimilata a un corpo vivente, deducendosi le leggi
con speciali ragionamenti da questa reazione, ciò
vuol dire che il dottor Giglio-Tos, benché zoologo,
vede nella vita qualche cosa di molto diverso da
quello che vi vedono i biologi non solo, ma tutta
la gente comune.
Non nego che tratto tratto un libro generale che
riassuma lo stato delle nostre cognizioni e se ne
serva come punto d' appoggio per salire a con-
templare orizzonti d'ipotesi geniali che nel futuro
troveranno il loro cimento, possa esser utile. Ma
per queste leve del pensiero sono necessarii punti
d'appoggio più solidi di quello che il Giglio-Tos ha
assunto. Egli si diparte dalla sua reazione tipica,
e dimenticando l'aureo precetto « comparatio non
est ratio » , da una analogia affatto rudimentale de-
duce regole e leggi, con raro coraggio. Egli incappa
poi in altri scogli. Ha bisogno di avere sostanze
organiche come basi delle sue biomolecole, e per-
ciò nega che una sostanza inorganica possa rige-
nerar sé stessa; ma in che cosa differisce il rige-
nerarsi dell'acqua in moltissime reazioni, o il ri-
generarsi dell'acido nitrico nelle camere di piombo,
dalla rigenerazione dell'acido acetico coi suoi eroici
reattivi? Eppure i primi sono per lui fenomeni che
si passano nella materia bruta (vedi potenza della
tradizione che gli fa chiamare bruta quella stessa
alla quale egli vuol ridurre l'essenza della vita), e
costituiscono una reintegrazione, mentre il secondo
è il simbolo del puro mistero della rigenerazione.
Ad un chimico il decidere sulla questione.
l'n altro scoglio; il Giglio-Tos scrive il suo libro
i ontro avversarii che alzano le insegne della forza
vitale ; ma gli avversari sono morti, egregio dottore,
e la loro dottrina seppelita; seppellita come la
dottrina che Ella combatte, che la respirazione sia
una combustione, soprattutto poi nel significato che
che Ella dà a queste parole, il quale può solo
realizzarsi nel caso del carbone che arde.
Seppelliti pure, se pure nacque mai, la dottrina
che i microbi (col qual nome l'autore indica pro-
babilmente l'intera classe degli seizomiceti) siano
I LIBRI
53
da mettersi fra gli organismi più semplici parago-
nabili ai suoi prediletti biomani. Quello che sap-
piamo invece della vita e della composizione di
questi minutissimi organici, ce li dimostra assai com-
plessi nelle loro funzioni chimiche. Probabilmente
le cellule più semplici nel loro funzionare devono
cercarsi negli organismi superiori, dove le divisioni
delle funzioni è di regola, non in quelli monocel-
lulari in cui tutto si accumula in poco spazio e poca
materia. In ogni caso i microorganismi, esseri pa-
rassitari viventi in condizioni eccezionali e dissi-
mili dalla massima parte dei viventi, non possono
essere presi come tipo di esseri elementari.
I neovitalisti d'oggidi non negano che le singole
manifestazioni della vita obbediscano alle leggi
comuni della natura; ma vedono nella successione
ritmica e nella capacità adottiva degli organismi,
per tacere d'altre più misteriose ed elevate abitu-
dini, qualche cosa che non può rappresentarsi coi
simboli e colle formole che per ora possono rap-
presentare e spiegare i fenomeni comuni della ma-
teria cosidetta morta.
L'aftrontare i problemi che il Gilio-Tos si è posto
innanzi è prova di ardire scientifico lodevole , e
la. giovanile audacia dell'autore, che evidentemente
presume di aver gettato molta luce sulla questione
ardua, può fare sperare bene di lui, quando si as-
soci alla calma e ponderatezza la soda ed equili-
brata preparazione scientifica. Una cosa ancora :
io mi domando quale è la ragione per cui egli
italiano e assistente in una Università italiana si
serva della lingua francese per enunciare le sue
idee; forse che l'esser scritto in italiano ha mai
impedito ad un libro buono d'esser apprezzato ?
Non può questa scelta di una lingua straniera es-
sere il risultato di un errore di giudizio sulla por-
tata dell'opera? Io non voglio addirittura, come il
critico del Nature, chiamare quello del Gislio-To;
un libro ambizioso. Ma certo la prefazione rac-
chiude promesse così grandi che nessun biologo
oggidì oserebbe sperare di attendere, e non è dun-
que meraviglia che neppure il geniale naturalista
torinese vi arrivi.
OPERE VARIE.
Cesare Airaghi: Scrittivarl. (Città di Castello,
Lapii, L. 2,75. — Il tenente colonnello Antonio
Pezzini e il tenente Di Giorgio, ai quali l'eroico
colonnello Airaghi rimise per testamento, prima di
partire per la guerra d'Africa incontro a una morte
gloriosa, tutte le sue carte affinchè vedessero che
cosa se ne poteva fare, hanno scelto alcuni suoi scritti
inediti e unendoli ad alcuni di quelli già pubbli-
cati, ne hanno composto questo bel volume, i
proventi del quale pensavano di destinare all'ere-
zione di un modesto monumento alla memoria
dell'autore, ma hanno invece ora destinato, con idea
più degna della modestia di lui, a beneficio della
Dante Alighieri. Meglio che al marmo, il nome del-
l'Airaghi è affidato a queste pagine, nelle quali si
rivelano le sue grandi e belle qualità di uomo e di
soldato : il senso del bello, il sentimento del do-
vere, lo spirito filosofico, la scienza della milizia.
Diamo l'indice degli scritti qui contenuti : Il frutto
proibito, Il bene. Le arti belle, Dello spirito mili-
tare in Italia, Questionario al Mosso sulla fatica.
Il lìbero arbitrio e la necessità storica. L 'umanita-
rismo e la lealtà itegli usi di guerra. Del metodo
negli studi militari, L'iniziativa e gli studi militari
in Italia, Programmi scolastici. Sbarchi, Che cosa
sia la guerra. Il Dembelas, Programma del mio
insegnamento dì tattica alla Scuola dì guerra. Se-
guono alcune sue versioni metriche, molto fedeli
e felici, dal tedesco, e chiudono il libro i versi
dettati in memoria di lui dalla Lippert, dalla mar-
chesa Venuti, da Tommaso Cannizzaro, dallo
Zuppone Strani e da Emilio Di Natale.
Alfredo Uxtersteixer : Storia della musica.
(Milano, Hoepli), L. 3. — La nuova edizione di
questo manuale si raccomanda per gli ampliamenti,
le aggiunte e le correzioni che l'autore vi ha in-
trodotti, usufruendo degli studi recentissimi, come
egli stesso dice, « per rettificare date, completare
ed anche mutare opinioni ed asserzioni non sem-
pre giustificate. » Quanto alle asserzioni ed alle
opinioni, si potrebbero modificare ancora qua e
là, ed è naturale che, a questo riguardo, si trovi
materia da discutere ; ma all' autore va tributata
ampia lode per aver dato all'opera sua un più
armonico sviluppo di parti e una maggiore esat-
tezza di informazioni.
Felige Barnaiìei : La villa pompeiana scoperta
presso Boscoreale. (Roma, 1901). — Quale bril-
lante argomento non sanno rendere arido e fasti-
dioso gli eruditi pedanti ? Quale arido e fastidioso
argomento non sanno rendere piacevole gli eru-
diti d'ingegno e di spirito ? Ma, pur troppo, come
sono frequenti i primi, e rari i secondi !
Ad ogni modo rallegriamoci oggi d'aver trovato
il più geniale fra i rari in Felice Barnabei, così
dotto e così bell'indagatore d' antichità e narra-
tore di storia e risolutore di problemi archeolo-
gici.
Già la sua memoria sulla nave romana, dormente
in fondo al lago di Nemi, era stata prova delle
varie attitudini interessanti dell' autore, che oggi
ci ha offerto il più completo dei lavori nella rela-
zione all'oli, ministro Nasi relativa alla scoperta
della villa di Publio Fannio Sinistore presso Bo-
scoreale, fatta da quel fortunato uomo che è l'on.
De Prisco. Il quale pare che al voto della Com-
missione (che le pitture, rinvenute in ess.i. meri-
tano d'essere conservate allo Stato) sia per rispon-
dere.... mandandole all'estero a far fede della no-
stra gloria passata e della nostra miseria presente.
Ma, mettiamo a parte le melanconie e diamo
una rapida scorsa allo studio del Barnabei. Dopo
uno sguardo generale alla topografia della regione
pompeiana, per considerare la villa rispetto agli
altri punti archeologici già scoperti in passato e
noti per aver fornito tesori (mandati anch'essi dal-
l'on. De Prisco, con vera costanza di propositi,
•'I
LA LI n n; \
all'». 'autore descrive la disposizione della
con le varie parti destinate ai padroni, ai
servi e agli usi agricoli. Sulla scorta d'alcuni gra-
fiti apparsi nello stuo ne e de'muri),
e d'ali une lettere incise sull'orlo d' un vaso di
il Barnabei stabilisce che la villa, quando
fu sepolta dai lapilli e dalle ceneri della famosa
eruzione, apparteneva a Publio Fannio Sinistore
che, però, non ne era stato il costruì'
Alla parte topografica e storica segue una mi-
nuta de- degli ambienti e delle loro de co-
.1 quale il Barnabei passa dal peri-
stilio alla sala detta degli istrumcnti musicali, dal
labthto al triclinio e al cubicolo, tutto raffrontando
esimili edifici e. su tutto, alla casa di Livia
sul Palatino. Ed anima, come abbiam detto, il
scritto con tale efficacia da darci l'illusione
di trovarci nella realtà, rendendoci immemori dei
molti secoli che ci separano dal giorno in cui la
superba villa era intatta e abitata, e dei molti chi-
lometri che ci separano da' suoi ruderi.
André MELLERIO : Rome, la question d'art et la
guestùm politique (Paris. I-'leury). — L'editore, nel
ra< comandare al pubblico questo opuscolo, pre-
vedeva che « certe affermazioni susciteranno vivaci
polemiche nel mondo intero. » La profezia si sta
compiendo, perchè molti giornali, particolarmente
francesi, si sono occupati e si occupano del lavoro
dei Mellerio. Il quale, considerando che l'arte ai
nostri giorni non può vivere fuori della politica e
della quistione sociale, si propone di studiare quali
effetti la prodotto e produrrà a Roma, nei riguardi
artistici, l'unità italiana. Il tema è certo degno di
studio, e lo studio potrebbe essere proficuo , se
condotto con la competenza della quale il Mellerio
ha dato già prova in altri suoi lavori di critica
d'arte. Se non che, la sola competenza non basta:
occorre avere la serenità dell'animo, l'imparzialità
del giudizio, e di queste qualità, che mancano di-
sgraziatamente a quasi tutti gli stranieri ricercatori
delle cose nostre, non si può dire, con la migliore
\>lc>ntà del mondo, che l'autore dia prova. Co-
mincia egli bensì con l'affermare che le sue rifles-
sioni sono derivate dalla diretta osservazione dei
fatti durante un viaggio da lui compito tra noi
nell'autunno del iooo; ma purtroppo egli non vede
tanto con gli occhi suoi, quanto con quelli del
Geffrov, del Bonnefon, come ha opportunamente
dimostrato Diego Angeli in un articolo del Mar-
zocco (N.° del I." settembre). E il Gcltroy, diret-
tore della scuola francese d'archeologia, non per-
donò al Governo italiano di essersi opposto alle
prepotenze dell' Ecole de Rome, e il Bonnefon
diede prova, nelle sue lettere aWEclair, di troppa
ignoranza e di troppa mala fede. Per conto suo,
il Mellerio sarebbe un fedele osservatore se non si
lasciasse fuorviare ; e cominciando con l'allermarsi
neutrale nel conllitto tra le due potestà che si tro-
vano a fronte in Roma, finisce con l'affermare che
la città eterna non si è data all' Italia, ma che è
stata « per cosi dire » violata ! Egli dice che, se
le condizioni politiche presenti si prolungheranno
indefinitamente, lo scempio di Roma artistica, già
iniziato, si aggraverà, perchè essa non potrà ve-
ramente divenire metropoli moderna se non a co-
sto di sacrifizi simili a quelli che furono « perpe-
trati > a Parigi. Se il Papato dovesse andar via da
Roma, soggiunge, la città perderebbe la sua fon-
damentale ragion d'essere e la sua trasformazione
in centro industriale s'imporrebbe. Finalmente, il
Mellerio conclude con l'affermare che, se il Go-
verno italiano abbandonasse Roma , solo allora
questa sarebbe restituita all'ufficio suo !
li. Lettore.
-*-=»-
S * vT g
•^ Diviste
SOMMARIO :
(.'ose di Marina, pag. 55 — Il sultanato dei Migiurtini, pag. 57 — Storie antiche, pag. 59 — La corazza di seta, pag. 61
— Le supremazie della donna, pag. 62 — Nel mondo dei fumatori, pag. 63 — Salome nell'arte, pag. 65 — Un
seminario di domestici, pag. 66 — Donne giornaliste, pag. 66 — I negri in America, pag. 67 — Un'inchiesta sulle
Forze occulte, pag. 69 — Un miracolo di ingegneria, pag. 72 — Le principesse disponibili, pag. 73'— Il movi-
mento femminista nel mondo, pag. 75 — La sieroterapia della febbre tifoidea, pag. 77 — Come trionferà l'Inghil-
terra, pag. 78 — Il convento de' Mechitaristi nell'isola San Lazzaro presso Venezia, pag. 79 — Tommaso
Salvini e un'attrice americana, pag. 81 — L'aquila di Savoia, pag. 82 — Le tragedie dell' oro, pag. 83 — La
Nuovaiorchite , pag. S5 — Il tabacco e gli scacchi rispetto alla civiltà, pag. 85 — Il gran serpente di mare,
pag. 86 — Shakespeare o Bacone?, pag. 89 — Come nascono le mode, pag. 89 — Come si arricchì Cham-
berlain, pag. 89 — La legalizzazione del linciaggio, pag. 90 — In un circo equestre, pag. 90 — L'eroica Mi-
lanese, capostipite di sei dinastie, pag. 93 — Libri costosi, pag. 95.
Cose di (Darma
La Rivista Marittima, periodico mensile che si
stampa in Roma sotto gli auspici del Ministero
della Marina e conta oramai 34 anni di vita, è iiv
dubbiamente una delle più complete ed importanti
riviste di cose marittime, che fa onore all'Italia ed
alla nostra marina da cui esce il maggior numero
degli scrittori che vi collaborano. Se non fosse una
rivista italiana sarebbe certo dichiarata nel suo ge-
nere la prima del mondo: che fuori d'Italia le si
dia una grande importanza lo prova il fatto che da
parecchi anni, anche da prima che venisse la moda
della rivista delle riviste, quasi tutti i giornali ma-
rinari di altre nazioni ne riassumono o traducono
i più importanti articoli o ne riportano per lo meno
l'ndice delle materie con qualche commento. Si
vuole di più? In principio appunto di quest'anno
il capitano di vascello nella R. Marina spagnuola
Don Victor Maria Concas, già capo di stato mag-
giore della squadra dell'ammiraglio Cervera du-
rante la guerra ispano-americana, volendo pubbli-
care alcuni commenti agli scritti critici che hanno
veduto la luce nei vari giornali del mondo a pro-
posito della guerra cui egli prese parte, chiese
ospitalità alla Rivista Marittima che gli stampò tra-
dotto un lungo articolo dal titolo internazional-
mente latino di : Quod justum est judicate.
La Rivista Marittima all'aprirsi del nuovo se-
colo ha avuto la felice idea di pubblicare una serie
di articoli ciascuno dei quali riassumesse il cam-
mino fatto dai vari rami della marina nel passato
secolo e fosse come la storia di ciascuna delle ma-
nifestazioni della vita marinara. Apre la serie nel
numero di gennaio un articolo di storia del profes-
sore C. Manfroni, conosciutissimo eultore di sto
ria della Marina italiana, e segue in febbraio un
articolo del professor K. ( ìelcich, che tratta lo svi-
luppo delle scienze nautiche durante il secolo XIX.
Il numero di marzo ha un articolo del tenente di
vascello A. Bonaldi sulla Meteorologia nel se-
colo XIX, articolo che si potrebbe rhiatiiari Iti
Storia della Meteorologia Xautica, poiché questa
all'altezza di scienza non assurse ohe dm, mie tale
secolo. L'articolo, interessante e accessibile anche
ai profani delle cose del mare, riassume le varie
teorie e mette in sodo quanto di tale scienza si può
attendere e quanto fa parte ancora dell'astrologia.
In aprile e in maggio il Bonamico trattò della stra
tegia e della tattica navale con quella competenza
che i suoi numerosi scritti gli hanno dimostrata e che
universalmente irli | riconosciuta. Il numero di giu-
gno porta un articolo dell'ingegnere navale C. Lau-
rent i. più interessante pei profani che non siano i
due precedenti, giacché fa la storia della Naviga-
zione Subacquea nel secolo passato e segna né con
soverchio entusiasmo né con troppa sfiducia, ma con
56
ì \ ii n i r \
giusl I indicando l'indi
ni I quale i sottom i
un iì eri imento Nei successivi nu-
me ri di li I ottobre ti ati an i
il col Slai ni l'evoluzione
della difes ra, l'ingegnere \ Ruggieri i prò
delle navi da d il
medii i ' \l Belli lo s\ iluppo dell'igii ni navale
nel secolo XIX Finalmente nel numeri 'li novem
Malfatti, ili cui i lettori della A'
sta Marittima conoscono da lungo tempo la rara
competi iza teorica e pratica in fatto ili macchine
marine, fa la apparati motori marini
nel secolo XIX.
E la sintesi navale della Rivista Marittima non
è con ciò finita, ma avremo ancora nel nuovo anno
articoli sull'artiglieria, sulle anni subacquee, sulle
costruzioni e su tanti altri argomenti che possono
are l'intei chiunque voglia conoscere i
e lo staili" attuale della marina da guerra.
E' i pubbli azione finita le varie
monografie siami raccolte in un solo volume che
compen i a m la sintesi il del libro la sin
ntrapresa dalla "Rivista Ma-
rittima.
Ma oltre a quelli accennati, la Rivista ha nel-
l'anno altri scritti di interesse generale Storico 0
tecn notevoli.
Cristoforo Manfredi, facendo seguito ad articoli
dell'anno precedette in cui aveva dimostrata im-
possibile l'invasione della valli del Po da parte di
un nemico pi dalla Francia che non po-
li la padronanza ilei mare, attac-
cai contemporaneamente dalla frontiera Genova-
Venl miglia, dimostra nel numeri) ili gennaio che
qual I in potesse attaccare insieme
dalli Ipi i d di cui avesse il dominio, tut-
tavia l'invasione 'lilla valle del Po sarebbe per lui
non solo superflua ma assai più rischiosa che non
un'invasione 'lai mare. Lo stesso scrittore, nel nu-
mero di maggi", partendo dal fatto che la popola-
i aumentano in un paese coll'au-
mentar dei mezzi ili sussistenza, mostra che questi
dipendono essenzialmente itagli scambi che si fanno
pi i via ili mai i m a fi rza che può togliere
ad un paese tali n i na flotta nemica die in-
teri-, mp i nbt, è interesse non oli di Ile pò
polazioni litoran [latamente minacciate.
ma anche di quelle continentali, che unì narina
rja : -I mari nazionali. In
un terzo articolo nel mine gosto-settembre
le, - .liniostra poi infine come: in una
guerra fra la Duplice e la Triplice le sorti d'Italia
i .li scritti di I Manfredi, inte-
.'i i fani "
per la vivacità delle argomentazioni e pil-
la spigliata e brillanti
Nel numero i
Emanuel l ' u '«e
pi i i\ .ili delle pi ini ipali ni
ed i tipi di navi di feriti, paragonandoli
tro p tipi nostri. L'ai
foni
tende a dimostrare l'impossibi-
lità 'li fai pn grammi a lunga scadenza, come altra
volta si e Luto da noi, fissando il numero delle navi
ed i tipi .la costruire in un determinato periodo
anni. « 1 programmi, egli conchiude, devono essere
i finanziar! < .1 essere compilati dopo l'e-
same i i i] provazioni del tipo .li nave che si può
mettere imme. li. il aulente in cantiere COÌ fondi più
o meno limitati disponibili oggi e non già con quelli
sperabili in futuro ... I.. stesso autori ha poi nel
numero ultimo .li novembre un articolo assai in
ressante sulla Fisionomia attuale del piccolo navi-
glio, nel quale prendendo le mosse dalla pi rdita del-
liniera inglese ( 'obra i i li He a\ ai ii
che subirono molti altri dtstroyers per debolezza dello
-ilo, vuol giungere a dimostrare che tali tipi ili
piccole navi sono sul loro tramonto in i-ausa dell'ap-
parire ili nuovi congegni sommersi o sommergibili
e del perfezionamento raggiunto nelle piccole ar-
tiglierie a tiro rapidissim 1 automatico. Né man-
cano in questo, come negli altri anni, articoli
originali di storia: infatti nel numero «li marzo il
contrammiraglio Giuseppe Gavotti, conosciuto per
le sue pubblicazioni ili storia dell'arte militare ma-
rinaresca, tratta della tattica navale nei libri ili sto-
ria dai più antichi a quelli moderni ; e nel numero
di ottobre il professore Ulisse Grifoni dimosti
saurientemente che non fu Magellano a scoprire lo
Stretto che porta il suo nome, come non fu Amerigo
Vespucci a scoprire 1 America.
La Rivista Marittima ili quest'anno contiene poi
ancora altri articoli di interesse minore ed ali ri an-
cora che pel loro carattere assolutamente tecnico o
matematici i non possono a\er interesse che per un
numero limitato di persone e che io quindi p
si ittO silenzio.
L'articoli del ( Irifi ni, al quale abl
nato, i singolarmente interessante. L'autore
che Magellano non solamente non ha scoperto lo
stretti che farla il suo nomi, ma non ha circumna-
vigato la Terra, ne ha mai pensato a circumnavi-
garla. Ora tutti sanno che Magellano deve l'immen-
sa lama, che da circa qual ro secoli circonda il suo
nome, alla scoperta di questo stretto ed al primo
viaggio di circumnavigazione terrestre (i).
L'autore, dopo di avere svolto una serie di argo-
menti variatissimi a conferma della sua asserzione,
chiude con queste parole, che sono, per cosi dire, la
sintesi di tutto l'articolo:
i. Ed ora continuino pure gli stOrii i l d i geografi.
se in avranno ancora l'ardire, ad affermare che l'ita-
liano Pigafetta ba assei i il falso nella sua rela-
(i\ Infatti Antonio Herrera, uno del maggiori storici
che conti la Spagna, parlando de! viaggio 'li Magellano,
dice che dalla creazione dell'uomo non ricordiamo alcun
avvenimento che pei importanza possa paragonarsi al
primo viaggio 'li circumnavigazione , ed il grande
lunge fino ad affermare che Magellano ba
fatto anchi più 'li Colombo ■ sollevando la Terra dalli
spalle ili Atlante e facenti •■ nell'etere >.
DALLE RIVISTI
zione, e che il portoghese Magellano, traditore e pla-
giario ad un tempo, è da anteporsi a Cristoforo
Colombo, come afferma il Reclus, o che è da porsi
addirittura sugli altari come vorrebbe lo storico
Antonio Herrera.
Magellano, checche ne dicano il Kohl ed il Re-
clus, non ha mai sognato « di sollevare la Terra
dalle spalle di Atlante e di farla girare liberamente
nell'etere ». Lo scopo del suo viaggio è stato molto
meno nobile e molto più modesto ; egli ha voluto
semplicemente, seguendo una via appresa dalle car-
te del Behaim, togliere le Molucche alla sua patria
e renderle ai nemici di essa, pervenendovi attraver-
so uno stretto, da altri raggiunto prima di lui.
Lo stretto di Magellano scoperto da altri D
Che cosa v'è di strano? Tutti sanno che l'Ame-
rica, checche ne dicano alcuni americanisti, chiamasi
così da Amerigo Vespucci ed a molti è noto che
Behring non solo non ha scoperto, ma non ha nep-
pure traversato lo stretto che pi irta il suo nome.
Se l'ardita tesi, sostenuta dal collaboratore della
Rivista Marittima, fosse riconosciuta vera, cambie-
riebbe radicalmente una delle più importanti pa-
gine (forse la più importante) della storia della na-
vigazione, e la figura di Magellano verrebbe ridotta
a modeste dimensioni.
Richiamiamo l'attenzione e l'esame dei compe-
tenti sull'interessante questione.
Il sultanato dei (Digiuftini
iDa un rapporto del console Pestalozza, riferito dall Ita-
lia Coloniale, di dicembre .
Il cav. G. Pestalozza, regio console generale in
Zanzibar, il quale visitò nel novembre del 1899 i
principali scali a nord ilei Benadir, espone che
questa tribù (cabila) ha per sultano Osman Mah-
ìmni. e comprende vani rami (fackida), 1 qua-
li si suddividono poi in casati (rei). Sono rer
speciali quelli degli Haddad e dei Khadem: i pri-
mi, d'origine straniera, si dedicano alla lavorazione
del ferro ; i secondi sono liberti d'origini diverse ,
trattati come razza inferiore e adibiti a lavori ser-
vili: si possono sposare soltanto fra loro. Le tre
fachide più importanti sono quelle degli Omar
Mahmud e degli Issa Mahmud: abitano l'estremo
meridionale della regione, si occupano di pastori-
zia, hanno gran numero di cammelli e cavalli, e
la loro dipendenza dal sultano è più nominale che
di fatto, come prova il non aver risposto al recente
suo appello e il mostrarsi amici di Jusuf-Alì. I
Suacron, abitanti del litorale da Bargal fin presso
Menija e più specialmente in Alula e nelle sue
vicinanze dirette, formano un nucleo abbastanza
forte e rispettato ; sono ligi a Jusuf-Alì e agli or-
dini del Governo italiano.
I punti abitati del litorale sono i seguenti :
El-Har.
Questo nome significa in somalo: pozzo ripara-
5?
tu; fondatore del villaggio fu, alcuni anni addie-
tro, Jusuf-Alì, il quale vi trasporta talvolta la sua
residenza, perchè si trova COSÌ più vicino alla sta-
zione di Harabera , ove convengono tutti gli ar-
menti della regione.
El-Hur sorge sopra una piccola duna di sabbia
arenaria compatta, alta circa 15 metri sul mare.
In prima liena sorgono tre casette in muratura, su
una delle quali sventola il tricolore italiano: è
abitata dal capo del villaggi", Ahmed, cognato di
Jusuf-Alì. Il villaggio, fornito di abbondante ac-
qua potabile, è di 30 capanne. La spiaggia non
offre riparo alle grandi navi. Per lo sbarco dei bat-
telli, c'è una scogliera a fior d'acqua, che costitui-
sce pure un piccolo riparo contro il monsone del
sud. Commercio quasi nullo: poche pelli, pochis-
sima gomma. Qualche veliero indigeno sbarca po-
che ceste di datteri ; per terra si spedisce vino a
Mogadiscio e qualche capo di bestiame.
Obbia.
E' più importante di El-Hur, come sede del sul-
tano, sulla cui casa in muratura sventola la ban-
diera italiana. Si presenta discretamente dal mare
ed è composta di una ottantina di capanne. Sorge
sopra un piccolo promontorio, il cui prolungamento
in mare forma come una banchina naturale. Questo
riparo si prolunga per 150 metri circa: e utilissimo
per lo sbarco durante i due monsoni. Uno scoglio;
che forma come un isolotto più al largo, permette
di ripararsi ai velieri indigeni di piccola portata.
Le grandi navi debbono stare in rada aperta.
Il commercio è in mano del sultano e ile' suoi
parenti; consiste nello scambin di pelli, gomma,
pescecane, burro e bestiame, contro dura, cotonate
e datteri del golfo Persico. Ammonta a 40 mila
rupie, ed è favorito pure dal rinvenimento di una
discreta quantità di ambra grigia, la quale è but-
tata dal mare sulle coste somali e fa la fortuna non
tanto di chi la trova a caso, quanto del capo G del
sultano che l'acquista per poco e la rivende a caro
prezzo in Aden.
Obbia dispone di due sambuchi di portata me-
dia e di qualche canoa da pesi
Hafun.
Dopo aver tenuto parola di Garad, che ha poche
capanne e cattivo ancoraggio; di Ilig (in somalo
significa dente), che sta sotto il capo Ras-el kheil
ed ha una trentina di capanne abitate da pescatori
ngine somala con un pozzo d'acqua salmastra,
e un ancoraggio impossibili' con vento forte di est,
ma riparato durante il monsone del sud : di .Vogai,
abil , -lii somali dediti alla pesra del pesce-
identi, come quelli di Ilig, dal capi
gli Issa Mahmud, con una vallata nell'interno, dove
ogni coltivazione sarebbe possibile; di Var-Es-Ga-
Uh, con due 0 tre famiglie di pescatori e le rovine
d'una casa in muratura ; di Maabes, ovvero Orghi-
lehe, che ha un discreto numero di capanne, prò-
58
LA LETTI RA
di palme dum per sin. . e
ecane, pelli, burro e penne 'li struzzo,
abbastanza frequentata dai velieri «-Ih- vi tro-
vano ottimo riparo contro il monsone 'ti sud-ovest,
parla ili Hafun, località importante di
rito capanne che si stendono per circa
un chilometro lungo la spiaggia. Discreta è l'acqua,
i dintorni sono aridi. Le sta vicino la laguna di
Hordia, dalle cui saline, situate a 20 chilometri a
.lei villaggio, questo ricava il maggior
utile. Vi Sono da sei a settecento mucchi di sale,
■ rappresentano 2 nula tonnellate;
raddoppiando e amile triplicando questa cifra, non
ino mai più «li 6 mila tonnellate quelle ora
prodotte <lalle saline; mentre la produzione, con
poco lavoro, potrebbe divenire enorme. L'usufrutto
■ Ielle saline è riservato alla popolazione di Hafun;
'I prodotto '- venduto ai velieri arabi che si recano
alla pesea nel Benadir 0 allo Zanzibar e si fermano
tutti ad Hafun, dove col sale formano 0 comple-
tati') il carico. Questo sale è il preferito; a Zanzi-
bar giunge in piccola quantità e si paga molto raro.
In Hafun vale da 6 a io talleri per ogni 100 sac-
'iietti. La tassa frutta circa 4500 talleri, dei quali,
iti 1000 talleri per spese diverse e di ospita-
ni resi ino 3500 ■ una metà di questa somma
va al rapo del villaggio ed agli anziani, l'altra metà
al sultano Osman Mahmud.
R nord di Hafan.
Andando verso settentrione, s'incontrano Manda,
villaggio di -o capanne e 300 abitanti, con 5 ve-
lieri e altre piccole barche ; Hordia, con 350 abi-
tanti, dediti alla pesca del pescecane e della ma-
dreperla ; Binna, riunione di circa 20 capanne di
pescatori ; Dan Ali, località con 50 capanne e 2
case in muratura, una del fratello, l'altra dello zio
■ lei sultano; i 200 abitanti posseggono 600 barche
da pesca; Grerirod, con una casa in muratura e
20 capanne, residenza del cieco e vecchio pro-zio
sultano; Bargan, villaggio importante di 400
anti, con esportazione di gomma ed incenso-,
/ hen, con 20 capanne e boschi di palme daltifere :
con 150 pescatori e approdo relativamente
uro.
Bereda e Mula.
la resilienza abituale del sultano Osman
Mahmud, il quale vi possiede una bella casa di
danneggiata fortemente dal botn-
nto della regia nave Colombo. Vi sono io
ura 1 [20 capanne, con una popola-
zione 'li 400 abitanti, i quali dispongono dì 6 ve-
lieri e di io bar* '
di dura, datteri, riso e cotonate;
esportazii jo a 50 mila chilogrammi di ma-
dreperla e qualchi 0 di sanili di pelli, di
gomma e d'ino
Alida ha più di 200 capanne e 2 case in mu-
ratura, a due pia 1 dere e ti
merli, una del sull l'altra del suo pri-
Mahmud Ali rappresenta il fratelli! sul-
amministra in suo n I petto di Aitila
è triste, l'acqua potabile vi difetta. Rada ottima in
ogni stagi -, Minata sulla rotta naturale e diretta
di tutti i piroscafi che navigano per l'Africa orien-
tale e meridionale, per l'Australia, per li fri
orientali, per l'estremo Oriente; ed anche molte
navi dirette a Bombay, che non hanno toccato Aden,
vanno a visitare Aitila per poi prendere una retta
più sicura. Produzione di gomma ed incenso; ab-
bondanza di tonno e d'ogni specie di pesce. La ma-
dreperla si trova lungi» tutta la ''usta. Gli abitanti.
circa 500. sono di indole buona, ed abituati al 1
tatto con gli Europei Da Alula ad Aden corrono
350 miglia.
Riassumendo.
Gli scali 11 punti abitati dal litorale dei Migiur-
t ini sono in tutto 31 ; il paese è ricco di suini spe-
cialmente al sud e al nord, di cammelli, di cavalli
pn "li ma resistenti ; non vi mancano gli ovini ; il
burro, la madreperla, la gomma, l'incenso e i pro-
di itti della pesca esportati rappresentano un valore
di 1.714.000 lire; il traffico generale si può calco-
lare, senza esagerazione, che salga a 3 milioni di
lire.
1 Somali migiurtini non furono sinora sottoposti
ad alcuna tassa. Essi sono prevenuti contro il si-
stema fiscale già in vigore nell'Eritrea. Il Sultano
e i notabili mandarono informatori nella nostra co-
lonia, e al Pestalozza molti migiurtini dissero di sa-
pere che tutto era ben regi iato nell'Eritrea, ma che
gli Italiani facevano pagare troppo tasse.
Gl'indigeni non hanno mai preso, ne prendono
alcun provvedimento per estendere le piantagioni
delle acacie gommifere, le quali suini allo stato pri-
mitivo e boschivo, né tutte utilizzate. I Somali si
accontentano di allontanare, quanto è possibile, le
mandre da quei boschi, assegnati, per diritto di
cessione 11 di acquisto o di uso, alla loro operosità.
11 Sultano, i suoi parenti e i notabili in genere che
dispongono di mezzi per far raccogliere le gomme
e le resine, anticipano a quegli individui, che do-
vranno a suo tempo intraprendere il lavoro, un
numero di sacchi di riso, 0 di datteri, 0 di dura, che
valutano generalmente al doppio del valore; i lavo-
ri, a loro volta, dovranno restituire quanl
più possibile sacchi dì gomma " di buban, ma non
mai meno del qua ricevuta II prodotto è
portate in Aden 11 Bombay, ed ivi è venduto per
OontO del proprietario il quale preleva il valore
.Ielle anticipazioni, poi divide l'eccedenza a metà
terzi fra lui e i lavoratori.
Quanto ai periodi dell'anno durante i quali quelle
popolazioni possono utilizzare le loro navi pei
municare con l'Arabia, con Bombay 0 con Zanzi-
bar, il monsone di sud-ovel comincia a farsi sentire
debolmente su quella eosta in principio di maggio.
rinforza dalla metà di giugno a metà settembre,
per diminuire gradatamente e cessare in principio
dì novembre; quello da nord-est segue la Bb
progressione e diminuzione da novembre 1 magi
il tempo l'iù utile alla naviga/ione è . niello che 1
dal cessare della veemenza di un monsi ne al prin-
cipiare dell'altro.
DALLE RIVISTI
59
Stoffe antiche
.Da un artìcolo di L. A. Gandini, nella Rassegna d'Arte).
La signora Isabella Errerà ha messo insieme una
collezione di stoffe antiche, rare e preziose, che ha
descritte con ammirabile intelligenza in un Cata-
logo pubblicato a Bruxelles, presso la libreria Falk
Fils. E' questo un importante contributo all'antica
arte tessile, arte che va considerata come eminente-
mente decorativa.
La collezione della signora Errerà è stata da lei
donata alla città di Bruxelles, alla quale tempo ad-
dietro ella aveva donato un'altra collezione di stoffe
copte, provenienti probabilmente da necropoli egi-
ziane del V o VI secolo. Nel, suo libm, l'autrice ha
voluto tener conto del giudizio dei migliori scrittori,
i quali non sono sempre d'accordo, perchè disgrazia-
tamente lo studio dell'arte tessile manca di base e
resta anche oggi un pio desiderio.
La figura 1, (N. 29 del Catalogo) rappresenta una
stoffa di seta e lino azzurro (forse del colore detto
Alessandrino) con fili d'oro ed altri di materia ani-
male. Appartiene al secolo XIII o XIV. La scrit-
trice avverte che un eguale tessuto fu giudicato ita-
liano del nord dal Cale, spagnuolo dal Bock, e che
Fi*
il Museo di Cluny lo ha classificate come orientale,
mentre quello di
South-Kensington l'ha
considerato come luc-
hese. Il Gandmi ir
dina a giudicarlo spa
gnuolo, col Bock , ri-
ci 'in scendo i caratteri
moro-ispani tanto lu-
gli ornamenti centrali
quanto nelle curve che
dividono i comparti-
menti.
Altro tessuto di
molto pregio è quello
rappresentato dalla fi-
gura 2 (43 del Catalo-
go). Il fondo è di seta
azzurra , coll'opera di
seta bianca e oro con
leggieri rilievi pure di
seta bianca. Nel dise-
gno dell'opera vedon-
si cervi affrontati, ac-
covacciati sotto una
pioggia di raggi che
escono da nubi fatte a
foggia delle onde del
mare. Un eguale
tessuto fu giudi-
cato lucchese del
secolo XI IT a
XIV dal Borie. LI
Gandini resta
perplesso tra
le diverse opi-
nioni, ma propen-
de a giudicare questa stoffa di fabbricazione si-
ciliana ; perchè, se i raggi e i ceni sono deri-
vazioni orientali, questi simboli furono (Tolte
volte imitati dai tessitori siciliani. E questo
tessuto potrebbe anche essere un avanzo dei
limosi falii radiati, tanto spesso menzionati
dagli storici 'lei bassi tempi.
Nella figura 3 (127 del Catalogo) vediamo
un velluto rosso, forse Cremisino, a grandi
rosoni, banche d oro, lavoro • unitalo e fi rse
italiano. La signora Errerà notò nel Museq
dell'I ri mitaggio a Pietroburgo un quadro del
re pittore furbaran, rappresentante San
Lorenzo vestito d'una dalmatica ornata ili ro-
soni eguali a quelli 'li questa stoffa ; ciò Con-
tona il giudizio ohe questo tessuto presenti
caratteri arabo-spagnuoli, tanto perla for-
ma dei rosoni, quanto per quella speciale dello
foglie a lancia e dei nodi d'amore ''he uni-
scono i rosoni stessi.
Una stoffa preziosa, che merita una spe-
ciale menzione, è quella della figura 4 (186
del Catalogo). Il Tancbaxd la indica
una reminiscenza 1 dentale, ma '■■ lavoro vene-
ziano, del secolo XV. La signora Krrrra trovò
che un ignoto pittore italiano del '300 la co-
lli.', nella stoffa dell: detta del Soc-
Fig.
6o
LA II [TURA
tors ivata nel
Mus fal-
lii h. mi
meni indo gli
armadi i
di una delle
alia-
ne . il tessuto da lui
al Mu
I : dì \ I
la illuni 5
( |oS ilei i si
ha una tela a fondo
azzurro, stampata in
nen ■ gno rap
presi
Vnlli appOSti SUI tu i
i raggi. Ciò ■
e,li dà carattere ■'• un
albero che su nel ten-
ie- radici di-
latate e i rami a fo-
glie 'li cuore simme-
tricamente eretti . che
ricordano un famoso
aurum cum arbore vitae dell'inventario
v III E' pi he l'uno e l'altro
sieno sinci trambi siano di fabbrica-
zione siciliana.
I i II ima parte del
Catalogo è riservata
una interessante
collezione 'li tessuti
Stampati in seta . in
l'atta ec-
cezione 'li pochi fra i
quali due velluti «li la-
na vi rde impn ssi .
classificati ili fabbrica
spagnuola, acquistati
.i Madrid (il primo
colle anni di Filip-
po 11. 1 altro '■■ 'i ui^li
della Casa di Francia)
tutti furori n iti a
( 'i ili mia, il che indur-
rebbe a credere che
sero tele cl.-l l« ■ n
fabbriche antiche re-
nane.
Ail aldine per.'i di
ste il Ca
qualche fonda-
mento at tribù
gine italiana.
-
Flg. 5-
DALLE RIVISTE
òl
Iia corazza di seta
(Dalla Illuslrirtc Zeìtung, del 2S novembre).
... La corazza del geniale inventore polacco Jan
Szezepanik scioglie un problema, che gli attentati
hanno, sciaguratamente, reso d'attualità : essa di-
fende la parte del corpo, da quelle coperte, dai colpi
d'armi da fuoco e da punta. Eppure non è fatta
d'acciaio o d'altro metallo, ma semplicemente di
lasciano su questo tessuto neppure traccia di sé. Ma
ancora più drammatiche ed impressionanti riescirono
le prove di tiro fatte su un uomo, riparato il 1
di questa corazza. I colpi, tirati con un revolver di
7 millimetri, alla distanza d'un braccio, colpi-
rono tutti il segno, ma assolutamente senza effetto
Le palle si ripercossero Milla corazza di seta 0
chicchi di grandine su una corazza di ferro e, con
la punta contusa, ripiombarono' a terra. Nei punti
percossi si vedono soltanto delle piccole macchie gri-
gie. Naturalmente, nulla impedisce che i più pru-
Alla prova.
seta. Rassomiglia anzi ad un panciotto e precisa-
mente come quello d'un solito gilet è la schiena della
corazza. Soltanto sul petto si stende il tessuto pro-
teggitore dello spessore press'a poco d'una stoffa
d'un soprabito invernale. La corazza è chiusa da un
lato da uncinfed occhielli. Pesante a mala pena un
chilo e mezzo, può facilmente portarsi sotto gli a-
biti. Il tessuto liscio, giallo-pallido, è formato, co-
me dicemmo, di seta grigia e la sua capacità di re-
sistenza alle palle e all'acciaio dipende unicamente
dall'elasticità e dalla coesione dovute allo speciale
intreccio de' fili.
De' furiosi colpi di bene appuntito pugnale non
. oltre che la corazza sul petto, ne portino una
anche sulla schiena e della stessa stoffa si facciano
fare bracciali 0 gambali.
Lo Szezepanik, giovanotto di ventisette anni, ha
cominciato col fare il maestro di scuola d'un vil-
laggio. Adesso, una - ! spulale porta il ni
delle sue invenzioni e ne trae prati. - profitto, per-
sse ni n si limitano .ili. idòno
mi [te parti dell'industria tessile.
I cartoni da tessitura che si fanno, secondo nn
suo metodo, mediante la fotografia e l'elettricità, si-
gnificano un grande progresso nella produzione dei
tessuti e il suo telaio a tre colori, sul quale, ap-
1 \ LETTOR \
punì ì suti in tut'.' le
tinte naturali, gli hanno procacciato grande fama.
w
La corazza.
Appunto questi suoi studi e questi suoi esperii!
intonili alla tessitura lo hanno condotto a formare
degli intrecci di lìli ili straordinaria resistenza e, di
©
I •• -i » i i colpi.
, essuto
intangibile. Egli ha inventa'", la corazza senza
voler
lie supremazie della donna
Da un articolo di Paola Lombroso, nella Nuova Anto-
logia, del I" dicembre .
lanini femministi, i quali attribuiscono alla don-
na le qualità e facoltà virili, quanto agli anti-fem-
ministi i qual
dell'ui t] alla non meno incontestata inferiorità
a donna, sono nel torto. Uomini e donne sono in-
elementi che, se non si i quivalgono, si integrano.
La superiorità organica dell'uomo, da tanto tem-
po riconosciuta a segno che il sesso maschile si chia-
nella maggior forza dei muscoli,
nel maggior pesi del cervello, nella maggiore resi-
stenza dello scheletro osseo; ma, còme prontezza
e rapidità di adattamento alla vita e alle condizioni
dell'ambiente, la donna è superiore all'uomo, \m-
che essa sa scegliere molto meglio il proprio tei
di cultura. Nascono più femmine, infatti, dove le
conili/ioni sociali sono più prospere e nelle famiglie
signorili; nei tempi di calamità, di guerra, di
cadenza sociale e nelle famiglie popolane nas
più maschi. In ogni paese, al momento della na-
scita, sono più numerosi i maschi: 105, no, e tal-
volta 117 su 100 femmine; ma poi, tra gli adulti.
sono più numi-rose le femmine rhe i mas I
medico all'ospedale di Dublino, osservò che n
z'ora dopo la nascita, la mortalità stava nelle pro-
porzioni di una femmina contro 16 maschi, nella
prima ora di 3 femmine su 16 maschi, e nelle prime
sii ore di 6 femmine su ^g maschi.
Il limite dell'età è anche più grande per le fem-
mine. In Inghilterra si trovarono 104 centenarie in
paragone di 46 uomini; in Francia 46 contro 27.
Qui sta vita più lunga si spiega con la maggiore re-
enza al male. Le donne sopportano meglio che
gli uomini le operazioni, e Billroth, quando ne dove-
va tentare una nuova, la eseguiva nrima sulle donne.
Di più la donna ha il genio della specie nel ten-
dere ad assicurare è a migliorarla, nel difendere e
perfezionare l'eredità. In una famiglia in cui il pa-
dre 0 la madre sono malati, il pericolo di ereditare
la malattia è maggiore quando è ammalato il padre,
e un maschio eredita più fa : male che non
la femmina; nelle femmine, quando lo ereditano,
tende ad attenuarsi ; nei maschi - a. Queste
facoltà si riconnettono alla funzione specifica fan
minile: la maternità, nella quale la donna ha rag-
giunto un quadro di perfezii ne maggiore di quello
[ unto dall'uomo nella sua qualità 1 : la
llettualità. Oltre a questa su] organica.
la donna ne ha un'altra. Se l'uomo ha inventato la
1 ivile e sociale e le ha dato forma, la donna ha
trovato la formula della vita domestica. La
l'agricoltura, la medicina, l'arte del filare, del tes
sere, del cucire, del cucinare, sono state trovate dalla
donna: un recente libro inglese, "Corigmt dtlPin-
. rivendica degnamente queste invenzioni
femminili. La donna primitiva che stanca ed affa-
mata arriva all'accampamento e i»r difendere il
suo bambino dal sole 0 dalla pioggia, pianta tre r.i
mi in li copre di larghe foglie, L'otta le pri-
mo di ll'inven,
DAL
RIVIS i I
del fuoco è oscura ; ma se non lo trovò la donna,
essa ne fu sempre custode e guardiana : in menu ►
ria di questa antica funzione troviamo le Vestali.
E mentre l'uomo utilizza il fuoco nella fucina per
fondervi armi da guerra, la donna piantava il t
colare sormontato dallo spiedo o dalla pentola. Tutta
l'arte della cucina e delle stoviglie e un'arte femmi-
nile. Quandi i non esistevano recipienti, la donna pri-
mitiva cominciò a intessere con fibre vegetali cane-
stri e panieri i siti come nessun |
moderno saprebbe farne; poi, per renderli più re-
sistenti, pensi', di rivestirli d'argilla, e poi li mise sul
fuoco, creando la prima pentola che anche oggi
rva la forma, le anse, i manichi della o ■
Anche i ggi, presse i servaggi più evoluti, l'industria
delle stoviglie è affidata alle donne. Altrettanto di-
casi dell'industria tessile; e nella leggenda è sempn
la donna che cuce, tesse e fila ; Aracne, le Parche,
Penelope, Lucrezia, Berta. Margherita. Con quanta
sagacità le donne seppero trovare le fibre e ridurle
a materia tessile! Prima cominciarono a torcer, il
filo tra le dita ; poi inventarono il fuso e la conoc-
chia. Trasseni la fibra dalla calma, dall'asti
dalla canapa, dall'aloè, dal lino, dal bambù, dal-
l'ortica, dal cocco; nel regno animale utilizzarono
il pelo dei cani, dei ruminanti, la lana delle pecore,
l'aereo filo del bacìi. Fu la donna quella che trovò;
in Cina l'uso del baco da seta: a Pechino l'altare
del baro è dedicato a colei che lo scoprì: Juen-Tsi
moglie di un antico Imperatore; ogni anno l'Impe-
ratrice regnante fa sagrifici in onor suo. Invenzi. ine
femminile è anche il primo telaio ; e, dopo il telaio,
le donne trovarono anche le forme in cui il tessuto
poteva trasformarsi: ne fecero vesti, vele, coperte
e stuoie. L'arte della tintoria è anch'essa femminile:
le prime donne utilizzarono per essa le terre, il succo
delle erbe, gli animali : le Indiane fanno il nero
la r/itis an mari. -a. il giallo d'ocra, la gomma e
glie di simulacro ; il giallo coi fiori della 1
Ionia, il rosso con la cocciniglia e le radici del cerco-
corpus pamtifolius ; le donne del Guatemala usano
l'indaco per l'azzurro, la cocciniglia per il n
l'indaco mescolato col rosso di limone per il nero.
La stessa agricoltura è dovuta alle donne. I Greci
consacrarono poeticamente il fatto rappresentando
una donna il nume che presiede alle messi : ( !e
rere. alla quale diedero per ancelle Flora e Pomona.
Gli uomini primitivi vivevano alla giornata, an-
dando da un luogo all'altro ; la donna, che per l'i-
stinto della maternità è stata sempre previdente, tra-
sportò e adunò alcune piante preziose delle foreste
in certi luoghi determinati per trovarle quandi
ne fosse bisogno. In certe popolazioni Mohave, tra
le quali sono serbati gli usi primitivi, si può seguire
perfettamente il fenomeno.
E alla donna, in gran parte, si debbono le arti
sussidiarie dell'agricoltura, come l'allevamento de-
gli animali domestici. Accadeva spesso che l'uomo
portasse dalla caccia lanimale ucciso e il suo pic-
colo vivo : la donna, cui era affidata la cura di que-
st'ultimo, s'accorgeva che poteva essere utilizzato
non soltanto come carne da macello. Così trovò
che il formichiere mangiava le formiche che invade-
vano la casa, che la gallina faceva le uova, che il
bue poteva aiutarla nei trasporti, che la vacca dava
il latte, e inventò cosi il pollaio e la stalla. Una con-
aa di questo fa iva nel linguaggio: in
sanscrito, i vocaboli che designano i membri femmi-
nili della famiglia hanno tutti attinenze con le loro
funzioni pastorali: mungitrice di
burro, guardiana delle vacche, ecc. E la donna giun-
se a dare la sua mammella ai giovani animali che le
erano portati.
Queste, conclude l'autrice, sono le vere beneme-
renze della donna, le quali valgono in suo fa\orr
molto più che non la conquista di contestate virtù
virili rhe i femministi si affannano ad attribuirle.
■ ■♦*!»»■■
Nel mondo dei fumatori
Da un articolo delle Lectures pour lous , di dicembre .
Un personaggio di Molière ilice che niente egua-
glia il tabacco, che il tabacco è la passione dei ga-
lantuomini e che chi vive senza tabacco e indegno di
vivere. Quanti non ripeterebbero oggi questo afori-
sma? Eppure il tabacco fu introdotto la prima volta
in Francia come un medicinale, quando Giovanni
Xici.t. ambasciatore in Portogallo, lo portò alla
Corte di Caterina dei Medici. L'erba a iveva
le reputazione di essere « amara, disseccante e
dorè infetto ». ma dotata ili meravigliose proprietà
curative. Pira impiegata contro ogni sorta di mali:
idropisia, ulceri, scrofole, e in tutte le forme, in
pillole, in sciroppi, in balsami, in ri, e con
notevole, con felice successo. Non si dice forse che
un rimedio nuovo guarisce sempre, durante un certo
■ ?...
Ma a poo a poco il gusto del tabacco si diffuse
e invalse l'uso di fumarlo nelle pipe. Adottato dai
soldati, dai marinai e da quelle persone che in ogni
tempo tanno consistere l'eleganza nell'incanagliarsi,
esso incontrava però una grave difficoltà per entrare
negli usi della buona società: l'antipatia di Lui-
gi XIV. Il gran re giudicava il fumo nauseai"
strano ali etichetta, quindi aveva rigorosamente
vietato che si fumasse negli appartamenti e nei giar-
dini di Versailles. Chi potè infrangere il divieto fu
Jean Bart. L'aneddoto è famoso. L'illustre mari-
naio aveva ottenuto un'udienza dal re; ma. i 3SI
quest'ultimo occupato, dovette fargli tare una lunga
anticamera; stanco d'aspettare, Jean bar' tirò fuori
la pipa, la riempì di tal > fu-
mare. L'odore penetrò fino al gabinetto del re; Lui-
gi XIV domanda il tu mie dell'audace che osa fu-
mare negli appartamenti regali, e gli rispondono
un marinaio il quale pretende d'avere ottenuto
un'udienza sovrana.
- Il solo Jean Bart - n I XIV — ■
è capace di far ciò! — e ordina che I pas-
sare.
Un'altra volta, a Marly, il re traversava il castello
e passava presso gli appartamenti della duch
di Borgogna, quando avvertì un odore insolito: en-
balordito: la duchessa e la principessa
del sangue facevano baccano l« [uavite e
fumando le pipe come vecchi soldati. A guisa di
(. | LA LETTURA
|uelle illustri dame avevano mandato
.! pi Svizzeri al corpo ili guai
levano fui vano il ta-
l B use rapidamenl
sotto il primo [m] ero Nap ■
nsumò un numi i i e 'li
. nei momenti di collei i
iva.
l'uso 'li fumare non è più ui
. ma una vera passione indomabile. Già la
non a.\e\ te, non poteva scrivere
alle l'i >ve di un dramma, tratto da
, ella i sa in una specie ili
nenti ■ dèi teatro vietai a
fumasse; : re che ella si destasse,
retta, An
, > ni 111 fumava continuamente e se nel
• di una conversazione il tabacco veniva a man-
i, ri.>n parlava più. non dava più ascolto al-
i si torceva nervosamente i baffi.
in fumatore fa a meno del cibo e 'Ielle be-
^m n 'lei tabacco. Stanlej scoperse in A-
libertà un, di i sui >i compa-
tti tenuto '1. ii selvaggi in una lunga e dura cat-
tività: le prime parole che | ronunziò furono
per lei tabacco, ed avutolo si mise a fu-
mar' samente, dop usò a ringra-
e il suo liberatore
issami, anche questa si com-
plica con alcum bizzarre manìe. Prosp i Mi rimée
fumava altro che sigarette fabbricate da lui ta-
gliuzzando sigari itti quali nascondeva l'orìgine mi-
ti mai «dallo Péjissier rifiutava sdegno-
ili avana, e non fumava se non sigari da
un soldi I imperati ire G no i urna si mpre la
di sigari che gli costano un franco e
mezzo; suo zio Edoardo VII si fa confezionare
ciali di straordinari' ensioni, lunghis-
simi . ino la modesta somma
di 5 franchi.
Tra i fini. il generale Lassa 'ie,
l'eroe di Wagram. La sua pipa era gigantesca; la
canna era lunga 70 centimetri e un'aquila d'argento
ne sormontava il coperchio; egli la teneva in bocca
iglia e N non pi tei a perdo-
1 ria. l'n giorno, di grande 1
1 I issalle chiese all'Impera-
1 di reggimenti di cavalleria
rdia. ■ Quando il generale !.. issalle non
non fumerà più » : ■ — tale fu la ri-
rana.
Il tal mmesse e di re-
rei 1860 un fumatore riuscì a fumare 50 si-
un abitante di Roubaix ne 1
86 in senza soffrirne.
: i' suicidio per
• di ip/itii
■ mia nel fui
I
h. In vo nere
lai la paralisi grne-
■
all'ai ' indosi in gravi ìm-
•1 finanziar! ed essendo - 0 di fa-
issicurò la vita pi o moli pagnie,
e dii mori di urimen a di
consunzione. Si era intossicato a ragii ;6 si-
gari al giorno: ne aveva fumato 17 mila.
In Francia, durante il 1899, si consumi
37-388.479 chilogrammi di tabacco, con una mi
di quasi un eh na per abitante con 325 mi-
lioni d'entrata pei - mo-
desto paragonato a quello degli Olandesi e dei ri
deschi \i 11 ' i.iro «lio un abitante di Amsterdam
sumi lui >i I" 50 chilogrammi di tabarro in un
I Mirami- l'intera sua vita, un simile fuma-
tore ha consumato due vag eco I 1 i;>e
olandesi sono famose: si no ninnile di canne n
lunghe e sapienti-minte curvate, di un mostruoso
fi rnello di porcellana capace di ,?o grammi di ta-
bai-i-o e di un coperchio metallico. Anche in Amei
si fuma molto, e non è raro vedere delle donne,
cialmente delle ni gre, Da I ire ai lavori domestici con
una pipa in bocca.
Viceversa, il paese dove si fuma meno è la Spa-
gna. Non si direbbe, \ isti 1 che la
una specie d'istituzione nazionale; ma la cosa si
ga facilmente se si pensa che. mentre gli Spa-
gnuoli abitanti delle città fumano molto, i contadini
si ne astengono quasi totalmente. Ma in [spagna, a
Siviglia, vi sono le più pittoresche manifatture di
ICCO. In Andalusia si dice: « Chi non ha \
Triana non ha visto nulla ». Triana e il sobborgo di
: 1 dove abitano 5000 sigaraie.
Quelli ' he ci danno dei punti, e che anzi critii
il nostro modo di fumare, sono gli Orientali. I
aggiungono al tabacco il san. lai", le foglia di r. sa,
l'oppio, con i quali mezzi ottengono innumerevoli
qualità Lnebbrianti.
E, per finire, è il tabacco realmente dannoso alla
salute?' Molti dottori lo ino, e dicono che
esso e, .ni ime un alcaloide vii ■ nicotina, vna
sola goccia della quale, introdotta nella glandola la-
crimale di un coniglio, lo fulmina. Si cita un fuma-
tore che, consumando una ventina di pipi al giorno,
perdette la memoria dei nomi propri, uella
di un gran numero di sostantivi. Si dice pure che
la difficoltà di esprimersi, in Napoleone III. pi
nissr dall'abusi, del tabacco. Consultate le liste dei
laureati della Scuola politecnica di Francia, si è-
trovato che fra i primi venti, sei soltanto erano fu-
matori, mentre dal .(O" al 6o° ce n'erano lindi
diciassette dal 1 jo" al 160°.
Il tabacco non attacca solo il cervello, ma tutte le
funzioni, l'n medico ''In- esaminò 63 fumatori dai
66 anni, trovò che \") soffrivano di dispepsia,
_• 1 d'angina -ranni' sa, 38 d'insonnia abituale. ; di
spini --\ di palpitazioni di
Queste Ultime SOnO di tal natura da d. -rmi-
ina .li 1 ' tto. I. 'abuso .1- . può an-
| ...
\l 1 in tutti gli esempi che si adducono, si tratta
sempre di abusi enormi L'uso ragionevoli
Salome nell'arte
I la uno studio ili Maria Luigia Becker, nel Biilnn- unti
Il eli, di dicembre.
Anche prima che Sudermann col su" Johannes,
minai rivelato dal Nani anche all'Italia, venisse a
far rivivere sulla scena l'enigmatica Salome, altri
poeti avevano tentalo in mudi) assai diverso il pro-
blema di quella biblica lìgura.
Xel dramma Erodìade, di S. G. Pfaff, pubbli-
cato a Cassel nel iSó 4, Salome non è che uno stru-
mento, privo di volontà, in mano di Erodiade, un
essere timido e quasi annichilito dinanzi alla pos-
sente sua madre. Le sue grazie giovanili vengono
gettate ai Romani come una specie di esca. Non è
torse Salome l'erede del trono d'Israello ? Più d'una
mano si stende cupida verso di lei. L'amore di Sa-
lome vorrebbe dire un regno. E quale prova d'a-
more e d'obbedienza alla madre, quando questa l'in-
vita a danzare portandole il reciso capo del Battista.
Raccapricciando Salome esclama: « Una testa gron-
dante sangue, quale orrore ! » Ma l'ironico e ridan-
ciano trattilo d'Erodiade: « Ballare con la testa del
fosco Battezzatore, quale magnifica idea! ».
In modo già più poetico e poderoso Max Bruns
fa suo questo tema. In un poema storico-psicologico
« Il Battezzatore » cerca spiegare la catastrofe di
Giovanni con l'assurdo della sua vita ascetica, peri-
coloso specialmente in una Corte come allora era l'i-
sraelitica. Il suo poema è assolutamente l'antitesi
ili quello recente di Josef Lauff (il noto maggiore
d'artiglieria - - poeta cesareo dell'imperatore Gu-
glielmo) che dipinge Antipas quale un dissoluto, un
debole, vizioso discendente dal grande Erode....
Una tragedia, Salome, scrisse pure l'inglese Oscar
Wilde. Il poderoso argomento è tutto concentrato in
un atto. La nota supersensitività di Wilde ha sa-
puto ritrarre con grande finezza la profonda infer-
mità psichica dei caratteri che come quello di Salo-
me paiono fatti a bella posta per lui. Ve una indici-
bile poesia, una profonda bellezza in questo lavoro,
ma anche alcunché di malaticcio, di decadente. E an-
cora più malsane sono le incisioni che adornali" il
libro. Si direbbe che Beardsley le abbia disegnate
con mani grondanti sangue. Sali me è per questi Bri-
tanni la figlia regale, come l'arte e il sentimento
umano l'hanno foggiata da un millennio e mezzo:
femmina e tigre, danzante sull'orlo d'un abiss n
le fiamme nel cuore e il fremito ai polsi. E' la pic-
cola principessa, simile all'ombra d'una rosa 1
in uno specchio d'argento e « i cui piedi ■■ no come
bianche colombe e le mani come bianche farfalle
svolazzanti ». L'ama il figlio del re siriaco, di cui
il Tetrarca ha fatto uno schiavo, e la vede ogni dì
e si consuma di bramosia. Ed ecco nella notte bi-
nare ella viene a lui: « Mostrami. Johanaan, mo-
strami colui che là giù predica penitenza e di cui la
ascende dalla vecchia cisterna: da quella
stessa cisterna, nella quale il padre di Salome sof-
ferse e gemette dodici anni mentre sua moglie Ero-
diade e sua figlia Salome erano diventate proprietà
del fratello. Volonterosa mercede promette la prin
La Lettura.
• Al. II. RIVISTE 65
etpessa .il giovane innamorato ma... mostrami Jo-
hanaan ! »
E cosi il ] mieta abbandona la ci ,;. rna E li
nel giardino ,1,1 palazzo reale gli si protendono
candide braccia e la figlia d'un re gli mormora
ii Io ti amo. Johanaan : Amo le tue membra bian-
chi come li neve che copre i monti della Giudea.
Voglio baciare la tua bocca, Johanaan ».
L'ascolta il giovane siriaco e procombe morto
ai piedi di lei, mentir ella continua a gemere:
« Voglio baciare la tua bocca, Johanaan! » Ma
1 austero Battista ritorna alla sua cisterna impre-
cando: « Maledetta sii tu, figlia di Babilonia! Con
■ une venne il Male nel mondo! »
Saltellando allora, co' bianchi piedini, nel san-
gue del giovane siriaco, la principessa si volge al
Tetrarca e implora da lui la testa del II. mista. Ero
de inorridisce. ( in è troppo anche por il Tetrarca
avvezzo al sangue. Le offre in cambio tutti i
tesori, ma invano. E allora una sete di sangue s'im-
padronisce anche di lui ed egli ordina la ni. irte di
lei come quella del Battista... Se profondamente
drammatico è questo elaborato dell'inglese Wilde.
tutto lirico è quello di Teodoro Suse. Come in un
sogno si svolgono i suoi quadri : un luminoso sogno
che diventa sempre più ardente, angoscioso, crui
Simile a Semele, la figlia del re non vuole avere per
sposo un Dio e trovò un uomo: una profonda,
fine psicologia, cui però manca ogni forza che scuota
l'animo e lo signoreggi...
Anche la moderna pittura s'impadronisce più e
più sempre della figura di Salome. L. Corinth ci
mostra la bella figlia del re attorniala dai carnefici.
Altra donna è quella di blitz Klcrs! Sembra una
tigre, paga della preda, che ha conquistata per sé
e... per la madre!... Caratteristico dipinto è quello
di Gustavo Moreau: in una sala, simile a un tem-
pio, siede il re sull'alto del trono bizantino; e sul
tappeto, cosparso di fiori, la figlia del re, avvolta
in lievi veli indiani, adorna di gemme egiziache ed
.issile, un fior di loto nella candida mano. Tutti
questi pittori confermar i il versetto: ii Questa
la donna, che per me è Salome, la donna che è più
fotte di me ». A questa schiera d'opere 'l'arto appar-
tiene anche la dolce beltà slava del noto quadro di
Muchas. Pochi dominarono il loro tema e di quei
pochi fu latticelli.
i ' r un pud-io "i ■ Li sua s.i li 'mi-
Fredda, cupa, spietata, sciente delle crudeltà che
commette, sciente anche dell'onnipotenza della ma-
dre sua...
E infine, ciiiin mai le donne inti i no qui Ila
donna, quell'essenza del peccato Nell'Esposizioni
di Parigi v'era una Salome della norvegese Frida
Hansen, una delle più insigni donne ed artiste
: tempi. Ignuda, a mala pena circonfusa di
veli, un bianco corpo luminoso in tutto 1" spi
dure della nordica giovinezza, Sta inghirlandai.
fii li. fra le donne dalle magnifiche vesti variopinti
M i nes luni i fi irse I rasi, rmò in noi Pimmag
di Salome come la tragedia di Sudermann. La bal-
lale peccatrice, odiatrice e tornirli ;sa, fatta per lui
la donna innamorata e spregiata.
5
MI.
LA III'
Un seminario di domestici
-!.,1 5 liuti-
liste a Bei I
i del
[egli allievi è molto \ aria : molti
stituto subito dopo la cresima, altri
i : inducono
-i- d'istruzi ne, i he
un pane modesto ma più sicuro che
rum , jiiL-llo 'li molte altre professioni. Adesso, pei
i ro che si guono que' « <"< >rsi i vi
hanno anche vari commessi, uno scritturale, un far-
macista I
Naturalmi ninando il programma d'uno
ili q -', non si possono trovare tanto delle
• materie- • facili •< difficili quanto delle « grosso-
lane» e delle «tini». Tra le più grossolane è forse
la puli/ia della casa, delle vesti, degli utensili;
la più fine l'insegnamento pi l rancese e del-
l'indir- . Complessivamente la scuola conta ven-
I o gli allievi intenti ai vari rami di pulizia,
('hi lustra scarpe, ehi p ni sin- e velocipedi ;
altri imparano a rifare terso e lucente un fucile da
: altri ancora hanno innanzi, quali proble-
mi di pulitura, lampade, portelli da stufa, arredi
milil e, bicchieri. Naturalmente all'arte del
lucidare i parquets ciato un posto distinto,
Dei professori >■ specialisti insegnano ai futuri
he i loro padroni, per quanto viag
e male: i migliori
mi pratici per impaccare la roba, per metterla
nelle \ al;L
I.a parte più insigne, diremo così, delle faccende
d'un don i tu Ila di
servire .i tavola La --cuoia l'insegna in tutti i suoi
particolari, praticamente. Quattro scolari siedono
a mensa: fanno la parte dei « signori ». Due
iina e elianti bianchi, servono. L'uno
-ii un vei liana un pesce,
ahimè, di carti ne! I Itro • trsa, da una boti
i I | nessun elltU
■ - Ma devono aver ;
I loro colleghi in funzione devono imparare come,
he. i
VI I- UHI il
viti" M . i liquori: tutte delizie ga-
tte dal cartoni
•ne inservienti
e < -ano anche le' più ni ce-
suali modi ili dire francesi ed inglesi.
in: la fantasia del
mi in cui pos-
I tarsi ad una si-
gnora |«-r tre- portarle una lettera,
un mazzo di t npagnare in viaggio
un i ■■ mentale o tppia
ve annui
le ..lutare, inchi-
narsi , aprire porte, usci e sportelli, e cosi via
i ia.
Molti de1 suoi scolari — questo è il vanto del
direttore sono già siati spediti anche in Fran-
cia, in Inghilterra, in balia, in Russia. V vette Guil-
bert e andata a quella, singolare ina Utile, scuola
a cercarvi un domestico per la sua villa di Parigi.
Donne giornaliste
In Inghilterra molte donni strette a re-
stare senza manto e a cercarsi un'altra occupazione.
■nudismo è l'unica professione per la quale si
crede che non occorrano tirocinio prelimi-
nari: e quindi le donne inglesi provano facilini
il desiderii i di abbrac tarlo.
Ma la signora Lowndes pone sull'avviso, neH'£fl
glish Illustratili Magatine, le sue connazionali:
per una ragazza è puh pericoloso abbracciare il .
nalismó che un giovanotto, specialmente se non è
fornita ili una bella dote che le permetta di vivere
qualche anno senza stipendio. Anzi l'articolista
suggerisce alle sue giovani amiche che vogliono ar-
ricchirsi con la penna, di viaggiare prima per tre 0
quattro anni all'estero. Gli inizii della carriera si no
assai più difficili di quanto non si possa SUppoi
i guadagni non sono molto lauti: ciò non impedisce
i Londra si siano già fondate due associazioni
per le donne giornaliste. Anche le migliori, che ora
fanno parte delle più importanti redazioni, hanno
incominciato Col mandare qualche corrispondenza
da una città di provincia a un modesto giornale. II
successo delle giornaliste non è sempre eguale: un
tempo si apprezzavano assai le spécialiste: ora sono
in auge quelle che sanno adattarsi ai vari generi
richiesti.
La guerra è stata fatale alle donne: nel iqoo i
mali erano saturi di materia militare, e la colla-
borazione femminile era spietatamente respinta.
Le dmine si posero a studiare gli argomenti guer-
reschi, i il scrivere scene di eroismo: ma quando
impararono a toccare il tasto bellicoso, i lettori ave-
vano già le orecchie intontite e non ne volevano più
sapere.
Quasi tutti i grandi giornali londinesi hanno una
donna in redazione, e non già per gli articoli di
moda o di argomenti domestici, ma per i servizi più
importanti, quali sarebbero i colloqui con gli uomini
usa che questi devono mostrarsi più
cortes n una signora. La più nota
. miss Billington, redattrice del Daily Telegrafo.
Lino a poco tempo fa miss Flora Shaw redigeva la
parte coloniale nel Times: miss Friederichs tratta
perfino la politica nella liberale Westminstet
tette. La s I Irawford è la corrispondente pari-
gina del Daily News: e ni' londinesi
sono con dei giornali del continente.
L'articolista dà molti consigli alle sue ipovani
colli li altri ve n'ha di curiosi. Ella li esorta
a studiare la legge sulla diffamazione, e a non im-
portunar tropp ■ subito pagate.
DALLE KlYKi |
I negpi in America
i Da un articolo di F. E. Osthaus, nella Weite ÌVelt).
Teodoro Roosevelt ha dato, ancora una volta, oc-
casione a' suoi amati compatriotti dì scrollare la te-
sta, stupefatti e malcontenti. Come si sa, ha trattato
proprio come un suo simile il negro Booker T. Wa-
shington, presidente della scuola industriale ed a-
Un negro d'America.
gricola di Tuskeger nell'Alabama ed anzi lo ha per-
sino invitato alla sua tavola nella Casa Bianca ! Mai,
prima d'allora, un cittadino «di colore», un negro,
aveva messo i suoi piedi sotto il desco della Casa
Bianca, che per l'americano è qualche cosa di sacro
ci ime il Kremlino per i Russi. L'avvenimento, quando
fu noto, destò pertanto il maggior stupore e, special-
mente ne' vecchi Stati schiavisti del Sud, anche la
maggiore indignazione. Il senatore Tillmann, della
Carolina settentrionale, si sfogò persino esclamando
che: «in seguito a questo fatto, noi del Sud saremo
costretti ad ammazzare centinaia di negri affinchè
non dimentichino la parte che spetta loro! » Addi-
rittura !
"7
Que bufera, di cui fu innocente cagione quel
l" dagogo nero, e questi pii desi. Ieri del
no caratteristici per la situazione che, negli Stati
Uniti, è fatta ai negri. Malgrado il famoso i
tordicesimo emendamento alla Costituzione fedi
approvato nel 1864, durante la guerra civile, e he
conferisce ai negri i pieni diritti di cittadini degli
Stati Uniti, e benché anche per quelli, suoni la
boante frase della Costituzione: « Tutti gli uomini
sono uguali, tutti nascono liberi », ben poco e
vedere di questa eguaglianza per i a fratelli » di
e lore; specialmente nel Sud i bianchi difendono il
loro predominili con ugni mezzo, ma specialmente
col fucile e la rivoltella. Per mantenere questa su-
premazia i bianchi cercano pure di conservare i
negri nella loro ignoranza. E si capisce! Gli S'ali
del Sud hanno decretato che soltanto coloro che
sanno leggere sono ammessi al voto elettorale. Que-
gli Stati perciò non istituiscono scuole per i negri
e non li ammettono nelle scuole de' bianchi! Che
giovano allora l'Università per i negri, istituita dai
Vanderbilts '' ( 'he l'Istituto scolastico di Bunker Wa-
shington? Soltanto pochi possono approfittarne, men-
tre la grande massa cresce nell'ignoranza, degna dei
« buoni tempi » della schiavitù.
Nelle grandi città, specialmente del Nord, è prov-
veduto un po' meglio all'istruzione de' negri. A
Nuova York, per esempio, le scuole comunali son <
organizzate nel medesimo modo per i neri rome per
i bianchi, e sono loro annessi de' giardini infantili
alla Frobel. Ma anche a Nuova York le scuole per
i bianchi sono completamente divise da quelle dei
neri ed ivi pure, come persino nell'intellettuale Bo-
ston, il negro è considerato come un cittadino di se-
conda classe. Ivi pure i neri non devono metter
piede nelle taverne e ne' restaurants, dove bazzi-
cano i bianchi ; nessun albergo li accetta ; ne' treni
1 roviari sono loro riservati speciali vagoni. Sul pal-
coscenico li tollerami, come, per esenipiu, nel relè
lire «ballo delle offelle» nel Madison Square Gar-
den; ma tra gli spettatori non possono sedere che
all'ultimo posto, nella piccionaia.
La danza delle offelle. rosi detta perchè la coppia
vincitrice è ricompensata con una ofrella, è un ri-
cordo dei tempi della schiavitù. Non è un ballo ton-
do come i nostri. Le coppie scivolano, piuttosto, sul
podio o nella sala, formando ogni fatta di bizzarre
figure. E il premio spetta a quella coppia che sa
muoversi in modo più elegante e grazioso.
Chi vuol conoscere la vita del negro americano
lo cerchi però nel Sud, negli Stati ex-schiavisti. Ivi
lo si vede ancora come la natura lo ha ereato e come
le tristi condizioni di quei tempi lo hanno fatto:
pigro ed ignorante, innocuo sinché in lui non si
desta la bestia, ad un tempo bambinesco e crudele,
cristiano ma pieno di superstizioni, sobrio e sem-
pre allegro, straordinariamente desideroso di piac ri
e .li sfoggio. S'incontrano a migliaia le nere che,
sullo porte delle loro capanne e Con tanto di pipa
in bocca, si scaldano al sole. Esse sono contenti
contenti sono [ture i loro uomini, se possono a
ogni giorno il loro piane di granoturco e, 'li tratto
in tratto, un pezzo di carne de' loro maiali, detti, per
68
LA i i i ;
la loro ii a rasoio ». Se |
man ha ammazzato un possum, il gr
1 lon> giubilo non ha confine, perchè
|kt w\ possum con patate dolci non c'è
non sua primogenitura. Assolutamente ne-
felicità è però il Bandanna, la ] ez
he le donne cingono intorno ai
loro capelli lanosi e la pipetta o il
.ioni >'. Tanto per variare, la m
ta entro a
in polvere e «li sciroppo e si
amalgama dietro i denti ; e
anche più d'una donna bianca che ci prende gusto!
Naturalmente, ri sono anche delle eccezioni. Vi
hanno dei negri, che, grazie alla loro attività e alla
tena I itti agiati, anche milionari.
cialmente da quando l'industria ha fatto il suo Mi-
niai. • negli Stati del Sud e le filature di
i pullulano come lunghi. In queste fabbriche
le giovani negre trovani da, non troppo ta-
ioni ; e per lo più som i sane e n 'bu-
ste, temperate ed , mpre pronte alla celia.
Queste operaie sono anche quelle che megli'
vano le tradizioni della canzone pop rica-
na, la canzone delle | ni, di cui Anti
tte le migliori.
Booker T. Washing forse il più rep
però una prova vivente che an-
che di cultura. Ex-schia-
appropriarsi, attraverso inaudite dif-
m. i tesori della sapienza e nel mondo scienti-
gode di tale fama che l'Università di Yale, in
occasione del proprio giubileo, lo nominò -
al Presidente degli Stati Uniti, al diplomatico giap
ponese Ito e ad altri uomini di Stato e dotti d'i
parte del mondo - suo dottore onorario.
Pi i esser facilita' molti altri suoi
fratelli di razza e di sventura di seguirne I
Una negra d'America.
DALLE RIVIS i I
Un'inehiesta sulle Forze occulte
Uh grande giornale parigino, il Matin, ha inca-
ricato un suo redattore, Giulio Blois, di compiere
un'inchiesta sui misteriosi fenomeni dello spiriti-
smo, dell'occultismo, della seconda vista, ecc. ; e il
Blois ha iniziato il suo lavoro recandosi nel Belgio,
dove, sotto la guida del cittadino Foccroule, diret-
tore del Mcssagcr, giornale spiritista, è andato a
visitare un villaggio «spiritico». Il Foccroule, che
sta a Liegi, ha cominciato col dirgli che un quarto
dei Liegesi sono spiritisti, quantunque la maggior
parte di loro, avvocati, giudici, impiegati, nascon-
dano la loro fede e si facciano mandare il Messager
fermo in posta, con le semplici iniziali per tutto in-
dirizzo; nondimeno Leone Denis, il grande apo-
stolo dello spiritualismo, ha ottenuto di tenere le
sue conferenze dinanzi a un migliaio di persone:
la moglie del Foccroule scrive lei stessa le fascette
degli inviti e sua figlia impacca i libri di propa-
ganda, per zelo alla causa.
Il villaggio spiritista.
' A Poulseur, il villaggio degli spiritisti, Giulio
Blois e il suo cicerone entrarono in una piccola lo-
canda tenuta da una cugina di quest'ultimo, spiri-
tista naturalmente come lui. Si presentò ad essi una
donna, la vedova di Giuseppe Leruth, apostolessa,
la quale li condusse in una casetta molto pulita,
ornata del ritratto di Allan Kardec. Mentre gli « al-
tri », cioè i cattolici sono alla messa, gli spiritisti
ordinano la loro processione: la figlia della Leruth
aiuta la madre a tirar fuori la bandiera, nella quale
si leggono questi motti : « La morte è soltanto la
fine di una delle nostre tappe verso il meglio » —
« Temere la morte è disconoscerla » ; sull'asta c'è
uno scudo dove è dipinta una mano che tiene una
fiaccola, con la leggenda : « Verso Dio, per mezzo
della scienza e della carità ». Il corteo, composto
di donne, di fanciulli, di operai, un centinaio in
tutto, si avvia. La Leruth narra al giornalista che
ella era cattolica prima di divenire spiritista, e che
ruppe con la religione quando il curato ricusò di con-
fessar lei e suo marito.
Intanto il corteo arriva al tempio spiritico ,
posto vicino alla chiesa cattolica, fra il cimitero e
la Casa del Popolo. E' un edifizio più alto degli
altri, con un tetto acuto che pare un campanile.
C'è dipinto un occhio nel vertice, con due motti :
« La sola fede incrollabile è quella che può guar
dare a faccia a faccia la ragione in tutte le età del
genere umano » e « Nascere, morire, rinascere, pro-
gredire senza fine, tale è la legge » : questa se-
conda frase, che riassume l'evangelo di Allan Kar-
dec, si legge anche sulla sua tomba, al Pere La-
chaise.
Il presidente, Leone Foccroule, cugino del cice-
rone , prende posto siili' unica poltrona. « Preghia-
mo! » dice. La signorina Leruth apre un libriccino
e legge un'invocazione al « Dio clemente e miseri-
cordioso che permette il commercio col mondo spi-
ritico per il nostro progresso », e supplica che I
69
allontani « gli spiriti leggeri e beffardi ». 11 tempio
è tutto pieno d'iscrizioni sul gusto di quelle rife-
rite; una carta astronomica, una stufa, una tavola
dì legno, un campanello, e dei plìants formano tutto
il mobilio. Il cicerone dice al giornalista: ■< Aveva-
mo una volta un Crocefisso sul busto di Allan Kar-
dec, ma l'abbiamo sostituito con un Gesù magnetiz-
zatore», cioè con una cromolitografia rappresentante
('risto che guarisce il paralitico.
La folla dei fedeli intona un cantico d'una I' ri
tezza snervante, che è stato dettato dagli spiriti, mu-
sica e parole:
Heureux celili qui croit,
Heureux qui marche droit,
Dans tes chemins ;
Aussi toujours, Seigneur,
Règne dans notre coeur,
Car notre vrai bonheur
Est dans tes mains!
Molte bambine cadono in estasi, una cambia di
personalità e racconta con un filo di voce l'avven-
tura di una fanciulletta smarritasi nei boschi ; nel
« i di un'altra giovanetta caduta in estasi un al-
tro spirito narra la storia di una nobile dama mu-
rata nel suo castello; altre fanciulle, medium-scrit-
trici, sono agitate dal delirio grafomaniaco, e scri-
vono la storia di donne morte, battute in vita dai
mariti ubbriaconi... Così passa l'ora, in un turba-
mento mezzo religioso e mezzo magnetico. Una
nuova preghiera per gli « spiriti penanti » chiude
la seduta. La porta si apre, la signora Leruth ri-
prende la bandiera, e il corteggio, uscendo per le
vie, intona il canto della Risurrezione:
Nous mourrons, mais pour renaitre
La vie n'est qu'un doux sommeil...
11 guaritore Luigi Antoine.
In un secondo articolo, Giulio Blois narra la vi-
sita fatta, nel villaggio di Jemappes sulla Mosa,
a Luigi Antoine, che i nemici dello spiritismo chia-
mano «il Ciarlatano», e che i credenti onorano
col nome di « Guaritore ». Anche in questa visita il
giornalista è guidato dal Foccroule, il quale venera
PAntoine come un santo. I due arrivano dinanzi a
una casa che sembra un edifizio pubblico, una cli-
nica o la sede municipali- di un paesi'ttu I a porta
è aperta; nella sala d'aspetto stanno molte clienti,
di tutte le età, di tutti i tipi sociali; la mai:.
parte tengono in collo i loro bambini, per i quali,
e non già per loro stesse, sono venute a chiedere
l'opera del mago. Foccroule introduce il giornalista
mila camera molto povera e quasi nuda di que-
st'ultimo. E' un microcefalo, coi capelli cortissimi,
la barba di un giorno e una tinta l su tutta
la persona: parla con difficoltà, o perchè il Fi
cese non gli è familiare o perch >o. « Si u
sate », dice al reporter, credendo che questi sia un
ade]' te, ma io non potrò rispondervi
za prima aver//) consultato. Non faccio nulla sei
ili Lui ». Lui è la guida misteriosa dilla quale non
liene il nome: talvolta crede che sia l'anima
del curato di Ars. tal'altra quella del dottor Demeu-
/
I '
LA LETT I
cui ritratti a matita pendono alle |
canto ad alcuni cartelli contro l'alcoolismo. ■ /
mi appare ». . dopo che l'Essi re tri
pronunziato favorevolmente al nuovo ve-
nuto, ■ come una nube luminosa quando io riusci-
. ma quando chi viene a me non ha
la fi nia guida se ne va ed io lo; e
da si Ed a richiesta del gior-
nalista risponde che è magnetizzatore, ma che il per-
venuto quando ha acquistato la
fede quella che guarisce. Se crediamo
che cesseremo d'essere infermi, la malattia se ne
E narra che era o] minatore, e quando
tornava a casa la sera, il ricordo 'li tutte le
tille della fucina . va negli occhi. « Nella
notte, mentre dormivo, somigliavano alle stelle.
Me stelle mi dicevano: \ olta bene, Luigi
line, e comprendi. Il fuoco della fucina rende
il ferro malleabile, e allora l'uomo ne fa ciò che
vuole. L'anima tua è un fuoco anch'essa. Noi le da
ire la materia e la carne
degli altri uomini, e i sordi udranno e gli zoppi
cammineranno.... »
Entra una madre con un bambino che ha le gam-
be storte e il corpo coperto 'li macchie rosse. Luigi
Antoine impone le mani su quelle povere membra
sformate: il piccolino trasalisce di tratto in tratto
come per un bruciore. Poi il taumaturgo gli ordina
di camminare, di correre, e quello cammina infatti
•rre con le gambette in convulsione. Realmente
sta meglio, ride, salta nelle braccia di Antoine;
non che sia guarito, ma è come elettrizzato.
uno insulto sul cibo da dare ad uno zoppo.
Ant' i>:sce la carne suina, permette soltanto
le patate col burro, senza grasso. Questi particolari
culinari sono ascoltati religiosamente, come se uscis-
sero dalla bocca di un Dio.
Poi viene una vecchia. Antoine le tocca la fronte.
e dopo un minuto pronunzia la sua diagnosi. Ad
ogni sintomo che egli enumera, l'inferma esclama:
• Proprio così!.... E' proprio così!... »
Il giornalista, prima di rsi, domanda al
mago che cosa pensa dei medici. Egli non ne dice
nulla di male ■ Velie malattie essi curano gli ei
fetti ; io bado alle cause. Essi hanno firmato in cen-
tocinquanta una petizione contro di me: la mia
missione è loro d'impaccio. Sono stato condannato
però a pochi franchi, ed anchi latamente.
on chiedo denaro; i non
distribuisco r proil lirmi ?... »
giornalista se ne torna a Liegi, pensando a
ciò che. prima di morire, scrisse Charcot, lo stu-
dioso dell'ipnotismo, in un articolo intitolato / a
Quel geniale osservatore, 1-
ma' mandava a Lourdes gl'infermi •
«priva la facoltà di •
I fede non solleva soltanto le montagne ; può an-
che rendere la salute, perchè è una se. reta soi
della vita. Un altro scienzia 'e, li- allo spiri-
chimico Guglielmo Crookes, ha pure
scritto: • Qualunque siano i meriti della medicina
attuale, tutto quel che essa può fare •■ il ridestare
nell'infermo ciò che chiamerei vis medie atrix, vuol
'ine la forza di guarirsi, o meglio la volontà di vive-
ie. Nessuno pertanto guarisce nessuno, ma l'amma-
lai', si guarisce da sé, e il medico non è stato altro
che un aiuto, colui che ha ridestato la vis medicotrix
assopita ».
Gli occultisti.
Continuando la stia inchiesta, il Blois narra d'a-
vere incontrato a Parigi il dottor Papus, capo de-
gli occultisti. E' corpulento, ma svelto; ha una
bella barba assira e occhi sfolgoranti e CU])'! ad un
tempo. E' laureato in medicina, ha passato undici
anni negli Ospedali di Parigi e il suo vero non
l asse. Chiestogli come fosse arrivato ad ammet-
tere la telepatia, la fotografia dell'Invisibile, ecc.,
il redattore del Maini ne ebbe queste risposte:
o Non vi enumererò le prove psicologiche che
ogni giorno fortificano le mie idee: scomparsa di
tutte le cellule materiali del corpo in meno di sette
anni, come risulta dalle esperienze di Flourens ;
morte di ogni cellula nervosa dopo la produzione
dell'idea, secondo Claudio Bernard; battimenti rit-
mici di alcune cellule del mesoderma che costitui-
ranno il cuore prima della nascita dei filetti ner-
vosi, ecc., ecc. Partendo dal materialismo, i i
essere stato un ardente difensore del darvini
sono arrivato a poco a poco a credere che l'evolu-
zione rappresenti solo la metà d'un ciclo ben co-
nosciuto dagli antichi. Ho preso gusto ai libri degli
alchimisti, e oltre la medicina contemporanea ho
studiato l'antica scienza ebraica, ho imparato l'e-
braico ed ho tradotto il Sefer Jesirah. Ho compreso
che i moderni non conoscono nulla deli i an-
tica, ho voluto vendicare quest'ultima e così sono stato
condotto alla spiritualismo scientifico. Sui cadaveri
delle sale anatomiche ho venerato le tradizioni zin-
garesche sui rapporti tra le linee della mano e l'età
della morte. Ho frequentato i laboratori dei dottori
e degli scienziati e vi ho fatto esperienze preziose e
concludenti sui fenomeni di transfert ipnotico, sui
fatti di esteriorizzazione, sulla fotografia dell'Invi-
sibile. Sono così arrivato sperimentalmente alla cer-
tezza della continuità dell'esistenza dopo la morte
fisica, ed a conclusioni grazie alle quali si uscirà
dalla fede ingenua imposta dai vari cleri per affer-
mare l'esistenza di esseri invisibili e la missione
divina di ('risto. Gli Occultisti sono riuniti in gruppi
che si danno la mano per combattere il material
ateo. Nei Congressi del i88oedel igoosi sono tro-
vati insieme i delegati di più di 40 mila aderenti.
Vbbiamo 120 giornali e riviste in tutte le lingue.
D'accordo sulla sopravvivenza dopo la morte e sulla
possibilità della corrispondenza tra il mondo visibile
e l'invisibile, alcune scuole differiscono soltanto sulla
quistione della re incarna/ione, quantunque la mag-
gior parte degli Europei sia per l'affermativa. La
de differenza Ira noi. occultisti, e gli spiritisti
.'■ una semplice quistione di metodo: noi procedia-
mo per eliminazione. \jn spiritismo si pu.. sin
da solo, con l'aiuto di qualche libro; per il magne-
tismo occorre un anno di studio alla scuola spe-
ciale; per essere ammessi nelle scuole OCCull
■ rre una più seria prepara/ione. Voi distingui.!-
ALLF RIVISTE
mo tra i professionisti e i dilettanti, e vogliamo for-
mare dei critici istruiti, capaci ili analizzare un fatto
di ossessione, di svelare gli artifizi di un medium e
di decifrare i manoscritti ebraici e sanscriti. Al
num. 4 della via di Savoia è la sede della nostra
Scuola superiore libera delle scienze ermetiche. I
corsi principali abbracciano lo studio delle forze
psichiche, dei fenomeni di magìa, di magnetismo e
di spiritismo ; più le tradizioni religiose e filoso-
fiche e gli elementi dell'ebraico e del sanscrito. Nei
a rei pratici, si studia la psicometria, cioè l'impres-
sione nell'Invisibile delle immagini degli esseri e
delle cose, e si compiono gli esercizi della preghiera
che noi consideriamo come superiore alla magia.
Abbiamo sette professori titolari, tra i quali Sedir,
il dott. Rozier, Schin, Phaneg, Selva e Saturninus ».
Richiesto se la professione di occultista è rimu-
neratrice, Papus ha risposto negativamente, dicendo
che spesso, anzi, gli occultisti rimettono, nella ri-
cerca dell'anima umana, le loro economie. Egli è
però sicuro che la scienza di domani preciserà le
forze psichiche come quella di ieri ha precisato le
fisiche, e negli spiritisti, nei magnetizzatori, nei
teosofi o cabalisti cristiani vede altrettanti franchi
tiratori che mettono insieme i fatti ai quali le acca-
demie daranno più tardi la cittadinanza scientifica.
Gii spiritisti.
L'autore degli articoli che qui riassumiamo, narra
poi d'aver parlato a Roma con monsignor Battendier
reduce da un viaggio di studio presso gli spiritisti,
i teosofi, ecc. Interrogato, il monsignore rispose che
il protestantismo non è più causa d'inquietudine
alla Chiesa, ma che essa considera lo spiritismo co-
me veramente pericoloso. Esso fa proseliti coi pre-
stigi che opera e incatena le anime combattendo con
la dottrina della re-incarnazione i dogmi fondamen-
tali della Chiesa cattolica: il Cielo e l'Inferno. Co-
me religione, lo spiritismo è una eresia, o piuttosto
la restaurazione di vecchie eresie ; è dunque da con-
dannare ; ma la maggior parte dei suoi fenomeni
rientrano nel campo della psicologia e della fisica.
La Chiesa si pronunzierà definitivamente quando la
distinzione sarà stabilita e la scienza si sarà pro-
nunziata.
Giulio Blois, confermando questo modo di ve-
dere, soggiunge che nello spiritismo ci sono due
parti distinte: una religione, e dei fenomeni. La
religione spiritista non ha nulla di molto originale:
è il deismo ordinario, con l'aggiunta del domma
neoplatonico della re-incarnazione terrestre o della
evoluzione delle anime sui piani estraterrestri e nelle
stelle. Gli spiritisti ammettono, oltre il corpo e l'ani-
ma, un terzo elemento : il peri-spirito, cioè una specie
di fluido che permette a! morto disincarnato di agire
ancora nel dominio della materia, ed a certi vivi,
chiamati m.edium, di penetrare nel mondo degli spi-
riti. I medici trattano questi ultimi da isterici e da
malati ; certo sono organismi molto nervosi e do-
tati di grande immaginazione. Le loro rivelazioni
sono fluttuanti, oscure e contradditorie: gli spiriti
variano d'opinione secondo i medium per bocca dei
quali parlano.
7'
Lo stato m . conta molte pi
rag uardevol I lenis, autori de! o li bre li
bro /' >p, la morte : Camillo Chaigm i
dell'immortalismo : Gabriele Delanne, ricercatore in
faticabile e diretti - R ,„,
rate dello spiritismo : Beaudelot, ingegnere divenuto
apostolo ; la rath, il cui sali
riunisce centinaia di Svendenborghistì liberi pie
sieduti dallo scultore Allaxd; il generale Arnatde,
e tanti e tanti altri. I credenti, nella sola I
va, -Mirri,, secondo i calcoli del dottor Philips,
meno di 400 mila. L'ufficio centrale è in via S. Gia-
como, dove la vedova di Leymarie presiede gli ul-
timi Kardeckisti. Leymarie, successore di Allan Kar-
. sopportò una specie di martirio: fu imprigio
nato per i tiri del fotografo Bugnet, il quale fab-
bricava fantasmi con bambole e vecchi pezzi di
stoffa...
Ed ecco che cosa ha detto la vedova Leymarie al
giornalista che la intervistava :
« Lo spiritismo ha oggi cinquantatrè anni precisi,
essendo nato in America nel 1848. Sette anni
dopo, nel 1855, i suoi adepti, nella sola
America , erano dodici milioni. Un poco più
tardi il giudice Edmonds, senatore e presidente
della suprema Corte di giustizia di New York, con-
tava 3 milioni di nuovi aderenti. Allan Kardec fu
l'apostolo europeo ; i suoi libri sono tradotti in tutte
le lingue, e nel 1870 gli spiritisti erano 20 milioni
in tutto il mondo. Oggi anche illustri scienziati co-
me Lombroso, Richet, Ocnorowiz, de Rochas, Flam-
marion, Janet, ecc., studiano questi fenomeni dei
quali prima si rideva. E' vero che essi parlati,, ,11
suggestione, d'incosciente, d'automatismo psicologi-
co, e di altre cose altrettanto oscure, mentre sarebbe
più semplice ammettere che le anime dei nostri pa-
renti ed amici tornano a noi per consolarci. Ma al-
cuni di essi sono veramente dei nostri: De Rochas
crede agli spiriti. Crookes non ha mai smentito le
esperienze che fece per due anni con Fiorenza Cook,
durante le quali apparve un fantasma che egli fo-
tografò, la famosa Katie Kuig ; ne quelle fatte
con Home, il quale si librava per aria con l'aiuto
degli spiriti. Spiritisti sono e furono anche il pn>-
fessore Aksatoff, consigliere del defunto Zar; l'a-
stronomo Zoellner. il grande naturalista Russell
Wallace, e Balzai-, Vittor Hugo, Sardou, Vacquerie,
Valabrègue, ecc.... »
Il redattore del Matitt, per conto suo, dice che
dopo aver osservato innumerevoli medium, dopo a-
ver fatto appositi viaggi sino in India, dopo aver
letto tanti libri, e tentato tante esperienze, e so-
stenuto tante discu sioni con gli aposl j, av-
versari della dottrina spiritica, non crede assolu
tamente alle materializzazioni, ai fantasmi di carne
■ ■ d'ossa. A Londra egli ha esperimentato il famoso
medium dell'illustre Crookes. ed ha accertato che il
medium, con grossolani artifizi. 'arte
delle apparizioni. Il Blois non crede neppure alla
(""'"grafìa degli spiriti: tutti i fi tografi che la pra-
ticarono finirono male, al correzionale. Da I I
ad Fusapia Pai ad Anna Rothe, tutti i me-
dium che producono effetti fisici, furono sorpresi
LA LI l'I I r< \
nell'atto ire ia buona, fede, come volgari
I ggior pai nunici
/imi i iti ottenu | coi medium
ina tale stupidità che non mi i itano 'li es
Ma si dei eluder non
nulla nello spiritismi i, n né come
fatti \ : in esso uria la nuova psi
una parte della fisica confinante con la psicologia.
Come il magnetismo, esso ha attirati' l'attenzione
sul smini- provi cato ed ha rione
dell'ipnosi e della suggestione, I medium a incar
■ a studiare i cambiament i della
altri complessi problemi della pazzia
m della sensibilii
della rice si tenta oggi 'li spiegarla razio-
nalm uas meo nii amente. La ti patia -
uscita dallo spiritismo. Esso ci darà forse altre cose,
ni modo ci mette sulla via d'una scoperta
ancora indecisa, ma che il secolo nuovo pra iserà
unenti': 1' 'esteriorizzazione del pensiero. 11 pen-
può accumularsi, moltiplicarsi,
agire sulla ma i iggiare intorno a noi. Le ta-
vole | alianti quando non vi sono frodi - prò
vann .iir le anime dei vivi, non già quelle dei morti,
ono uscire dall'involucro corporeo e darci l'illu-
un essere nui ivo. Questo è, secondo il Bli >is,
indubitabile. Noi emaniamo, durante le sedute di
■ istmi e di I elli |iiali non ab-
biamo coscienza o che posson drizzarsi dinanzi a
noi e risponderci come se fossero energie a noi stra-
niere. C'è ancora qualche altra cosa? Vi sono en-
tità I ri ili noi? Qui siamo in pieno mistero.
Lo spiritismo, comunque, ci ha ricordato quale im-
portanza ha per i vivi la memoria e la perpetua in-
fluenza dei ninni ed ha svegliato nelle anime oscure
: seni mieliti i dell'immortalità senza del quale
nità veramente superiore. Questi suoi
titoli gli fanno perdonare le tante riarlatanerie e
31 ii cchezze.
Un mipaeolo di ingegneria
("hi • i dall'India alla Cina, con la ferrovia
.-isa le montagne di burina, può ammii in
nella gola di Gokteik una straordinaria opera di
a: il più idotto del mondi i, i
i pochi li" - nini-ani.
: i ■ pri ifi ndissima, so «cesa . i |uandi i tre
anni costruendo la ferrovia, il Governi
ingli ssun
i ersi l'incarico di erigere il
e di tee I Vcciaie-
ria di Steelton, in Pennsylvania, esaminò il concoi
l mìi.i : . sse furom
i elton si stai
preparando d poni de. « Sudate, o fuochi,
reparar m ! In nane le fot
migliaia, he
di mano in mano .i Nuova York, per
ivi. Quandi i l'ultimo pezzi i i
n i tra gli operai il rentai inque migliori, che
si recarono a Londra, e di là la valigia delle
Indie si portarono a Rangoon. ( 'i volle un mi
perchè il poderoso materiale potesse superare le
rocentocinquanta miglia tra Rangoon e Bui
(ili operai avevano già preso p i grandi la-
vori sul Mississippi e sul Niagara, ma quando vi-
deri la gola di Gokteik, tagliata a picco nelle rol-
line, dui, it. irmio di potersi accingere all'opera. Si
dovevano elevare all'altezza di oltn no metri sul
Pinlii della valle pezzi di metallo di venti tonni
late ciascuno, e da una sponda all'altra correi
irca l 'it' cento metri.
Le torri centrali del viadotto riposano sopra una
serie di ponticelli naturali, formati ili grossi massi.
sotto 'ni passa il fiume, largo una cinquantina di
metri. Si cominciò col costruire un grandissimo pon-
ti- provvisorio per il trasporto dei materiali. Poi
si compose un alno ponte mobile, munito di un
braccio gigantesco lungo sessanta metri, che serviva
per portare in alto i pezzi d'acciaio.
Era da solo un congegno mirabile, che gli
indigeni attribuivano a magìa 11 ponte era
largo da contenere una vera officina, uno studi" pei
gli ingegneri: vi erano installati il telefono e una
stazione di segnali. Pei mezzo di corde e carrucole
il braccio sollevava enormi pesi in pochissimi istanti.
e poi rivolgendosi li deponeva sul viadotto in co-
struzione. Quando una torre di questo era finita, il
ponte mollile veniva trascinato innanzi da una li
motiva fino al punì" ove SÌ doveva posare la torre
successiva. Il braccio era bilanciato da un fortissi-
mo contrappeso. Per innalzare le parti del | te
tra una torre e l'altra, si faceva passare il poti
argano sopra una delle torri stesse.
Gli indigeni erano impiegati per ribadire i chio-
di: ma essi rifiutarono il martello ad aria
pressa, rome uno strumento di abolirò, e l'ausarono
rosi un grande ritardo. Inoltre era assai ditti' ile
trovare operai: si dovette percorrere tutta l'India
per raccoglierne alcune centinaia. Gli Americani
mal resistevano alla canicola e alle febbri: quando
poi soffiava il vento, il lavoro riusciva impossibile,
perchè lo scheletro d'acciaio del ponte si
come la cima di un albero.
L'Acciaieria di Steelton aveva ricevuto l'ordine
di preparare il materiale in aprile: in ottobre la
bandiera americana sventolava sul ponti -v ia. lotto ,
che è certo il più poderoso del mondo, poiché mi-
sura circa ottocento metri di lunghezza, cent".
metri di altezza sulla valle e centosettanta sul fiu-
me, e pesa circa cinquemila tonnellate. Gli altri
lebri viadotti sulPErie in Pennsylvania, nel Texas,
nelle Ande, hanno tutti dimensioni minori e furono
eretti in condizioni meno difficili.
L'opera è descritta diffusamenti nel Munsty's
M agazine di dicembre.
I bbene: pare che quei" sia un miracolo
pato. Il governo inglese si è accorto troppo tai li
hi la via scelta non è la migliore per congiun
I [ndi ' alla ( "ma. ed ha fatto sospendere i i
poco oltre la gola di ('."kteik.
DALLE K1V1M I
73
he principesse disponibili
<Da un articolo del dott. A. de Wilke, nella W'eìlc W
.... La Germania è stato detta il semenzaio di Ile
principesse di sangue azzurrissimo, ancora dis]
bili per tutti i sovrani d'Europa e i loro augusti pa-
renti. Però, oltre quelle, cercando bene, altre se ne
trinerebbero. Vivono tra altro, benché in esilio, tre
linee de' Borboni. Quella che, un giorno, regnò sulle
cosidette « Due Sicilie » ha, per esempio, a sui
capo il conte di Caserta, cui la moglie e cugina.
Antonietta di Sicilia, diede undici tìgli, tra cui vi
hanno ancora parecchie ragazze. Da quando il suo
primogenito si è ammogliato con la maggiore so-
rella del re di Spagna, il conte di Caserta lascia
spesso le sue splendide ville di Cannes o della Sa-
voia per passare qualche tempo a Madrid, dove le
sue figliuole sono congiunte da cordiale amicizia
alla seconda sorella del re, l'infante Maria Teresa,
che nell'espressione del volto e nell'atteggiamenti
è il vero ritratto di sua madre, la regina-reggente
Maria Cristina: lo stesso sguardo serio, gli stessi
tratti melanconici. Non è un mistero che la vita nel
palazzo reale di Madrid non è troppo allegra. Ma
ciò non impedisce che, da buona parente, anche la
Margherita Maria d'Austria-Toscana.
Pia di Borbone-Sicilia.
contessa di Madrid, che suole villeggiare una parte
dell'anno nel suo castello di Villamanrique presso
Siviglia, sia sovente ospite della Corte di Madrid.
La madre del duca d'Orléans era ella stessa una
bella signora e questa dote ella ha trasmesso alle
sue quattro figlie: la regina di Portogallo, la du
hi ;a d'Aosta, la duchessa di Guisa e la princi
pessa Luigia. Specialmente quest'ultima è un mo
dello di fiorente, bionda giovinezza.
11 granduca di Toscana e il duca di Parma,
perdute le loro corone, se ne andarono entrambi
in Austria, il primo a Salisburgo. l'altro nel
stello di Schwarzau sullo Steinfeld. Entrambi han-
no figliuoli in abbondanza. Il granduca di I
ne ha nove, il duca di l'arnia, suocero dell'altro,
ne conta ben diciotto! Le principesse di Tosi
presero parte attiva alle feste della Corte vieni
m, -nire le loro cugine parmensi poco vi si fecei
vedere nelle occasioni ufficiali.
I i Casa imperiale ili Russia ha
una giovane principessa già da n la
duchessa Elena, figlia del granduca Vladim n
dello Zar. La granduchessa è una beli a da
gli occhi bruni già pii ; e sposa a
questo od a (itiello dopo che le si i
con un principe tedesco improvvisamente andai
Beatrice di Borbone-Parma.
Maria Immacolata di Borbone-Sicilia.
Margherita di Gran Bretagna e Irlanda.
Vittoria l'atrizia di Gran Bretagna e Irlanda.
DALLE RIVISTE
a monte. Ma, a quanto pare, ella nutre una se\
inclinazione per il principe Luigi Napoleone," che
serve nelle Guardie russe; e questa diceria, spesso
smentita, forma sempre le speranze del partito bo-
napartista, tanto più che la famiglia Bonapart
estinguerebbe se nessuno de' due fratelli prendesse
moglie. Anche la linea cadetta, che deriva da Lu-
ciano, il secondo fratello di Napoleone, correrà la
stessa sorte perchè il principe Rolando Bonaparte,
noto per i suoi studi scientifici e per il suo inatri-
Maria Bonaparte.
monio con la figlia del signor Blanc, il fondatore
della bisca di Montecarlo, non ha che una sola figlia
diciannovenne, la principessa Maria Bonaparte.
Dal pericolo d'estinguersi salva è invece, per ve-
rità, la dinastia inglese ! Delle moltissimi nipoti
della regina Vittoria tre stanno già poco lontane
dalla dolce età d'Imeneo: le figlie del duca di Con-
naught, principessa Margherita e Vittoria, e la so-
rella del giovane duca di Coburgo, principessa Alice
d'Albany.
La principessa Xenia di Montenegro, sorella mi-
nore della regina Elena d'Italia, ricevette, come
questa, in casa del loro padre, una eccellente, in-
75
tellettuale educazione e non è meno leggiadra della
sorella. La sana bellezza «iella principesca dinastia
montenegrina e le cure rivolte alla cultura di
spirito non sono rimaste, oltre all'amicizia con la
Russia, estranee al fatto che il principe del M
negro è ormai equiparato in araldica agli altri So
vrani d'Europa e le sue figliuole sono considei
come « eccellenti partiti ».
Il movimento femminista nel mondo
(Da un articolo di Kaethe Schirmacher, nella Revue del
i° dicembre).
In Germania.
La Società generale delle donne tedesche ha te-
nuto ad Eisenach una riunione per discutere la fon-
dazione di orfanotrofi, l'insegnamento dell'orticol-
tura alle donne, l'istituzione di uffici d'assistenza
giudiziaria e la necessità di ammettere le donne tra
i funzionari comunali. Un'altra riunione dovevano
tenere a Berlino, e precisamente in una delle sale del
Reichstag, le delegate della Federazione delle So-
cietà femministe progressiste ; ma, appena finita la
prima adunanza, nella quale si era discusso intorno
alla quistione operaia, un rappresentante del Pre-
fetto di polizia si presentò chiedendo di assistere
alle udienze ulteriori. Il Direttore del Parlamento
tentò di opporsi, dicendo che non sarebbe stato am-
messo nessun agente di polizia in uniforme; ma,
insistendo il Prefetto di polizia da una parte, e re-
sistendo il Direttore della Camera, la presidentessa
del Congresso, signora Cauer, e la sua aiutante di
campo, signorina Auspurg, deliberarono di indire
altrove la riunione per discutere intorno alla coedu-
cazione, all'assicurazione contro le malattie e al-
l'educazione politica delle donne.
Il Municipio di Eidelberga, nella Prussia orien-
tale, si è dichiarato partigiano dell'eguaglianza dei
sessi (beninteso, rispetto ai doveri, e non ai diritti).
Esso ha ingiunto ad ogni donna e ad ogni fanciulla
contribuente di prestare il loro concorso in caso di
incendio, <t tranne nel caso che si possano debita-
mente e validamente scusare, o che paghino una tas-
sa di 6 marchi per essere sostituite ».
Nel Granducato di Baden fa rapidi progri
sistema della coeducazione discusso a Berlino. Vi
sono più di 300 giovinette le quali attualmente se-
guono i corsi medi e i superiori negli stessi licei
dei giovai!
Ad Amburgo si è aperta una Scuola-riforma per
le fanciulle: essa si propone di riformare inti
mente i metodi e i programmi attuali dell'insegna-
mento secondario delle signorine.
Le Università bavaresi sono state autorizzate dal
Ministro ad ammettere, ma come uditrici soltanto,
le fanciulle munite del diploma di baccelliere d'un
ginnasio 0 d'una scuola reale.
Il sotto-segretario delle Poste e Telegrafi si è di-
chiarato contentissimo del servizio delle telefoniste.
Gli stipendi sono, per le apprendiste, di 2 franchi
"I I
1 \ 1 1 III l< A
pi ma nomina li
Moo franchi l'anno, più (>oo franchi d'indennità
d'ai no | ni arrivare fino a 2500 tran
«•hi. oltre l'indennità. A Parigi gli stipendi
da 1000 a 2000 franchi, con joo franchi
tanto per l'alloggio.
I irtrici, nella patria di Schiller » 1
11 100 marchi il mese, e t al-
l'i r venire in loro aiuto, la n i
■ vi, a Berlino, ha creato un dep
di abiti, 'ii costumi, ili cappelli, ili oggetti ili ve-
1 gni ire si >n< 1 state pregai
mandare gli abiti che smettono dopo averli portati
una - * li fa rinfrescare, e li
vende alle sue aderenti \ Berlino ed a Breslau si
è iniziata l'organizzazione sindacale delle operaie.
in riunite 800 nella Camera di Berlino e
1500 in quella di Breslau. L'ima città e l'altra sono
ll'industria del vestita
In Ffaneia.
fondata una nuova Società femminista: la
del suffragio delle donne. Essa espone i
seguenti argomenti per sostenere la sua tesi- « Le
donne sono elettrici ed eleggibili al consiglio dei
Pi ibiviri ; pai all'elezione dei giudici dei
0; sono elettrici ed eleggi-
bili ai Consigli d'insegnamento dei dipartimenti .
al (' uperiore dell'istruzione pubblica e al
re del lavoro : perchè, dunque,
non sarebbero ed eleggibili al Consiglio
municipale?» Come mezzo di propaganda, le fon-
dati nuova Società hanno inventato un
■ francobollo femminista ». destinato ad accompa-
re, sulle lettere, il francobollo da 15 centesimi.
■ ultimo porta, in rosso, l'iscrizione dei
« Diritti dell'Uomo », così quello femminista porta,
in azzurro, l'iscrizi Diritti della Donna ».
Le elezioni ai Consigli del lavoro hanno dato una
grande soddisfazione ai femministi: due candidate
sono riuscite: la signorina Lévy, presidentessa del
sindacato delle donne steno-dattilografe, e la signo-
rina Bouvier, del sindacato delle sarte.
Nel Belgio.
Camera belga ha da discutere il progetto di
al suffragio comunale, provinciale e
politico di tutti i nazionali, senza distinzione di
enerale del Partii 0 so-
cialista ha approvato, a questo 0, un or-
lla signora Vandervelde, la quale,
|ue l'eguaglianza politica dei due sess
uno dei principi essenziali del socialismo,
nondimen 1 1 che la rivendicazione immediata
del diritto all'elettorato legislativo minaccia di com-
■ l'unità i '.artigiani del suf-
uomini, ha proposti 1 di so-
il movimi del suffragio uni-
le delle donne finché gli uomini non avranno
nito il li.ro.
Nella Scandinavia
Le 1 t il suffragio comunale e
I oliti... il Pi proporrà al
nuovo Gabinetto liberale d'accordar fragio
municipale alle donne contribuenti. I cinque posti
d'ispettori del lavoro creati in Danimarca saranno
dati ai candidati più adatti, senza distinzione di
In Austria.
Le donne hanno avuto una parte notevole nelle
ultime elezioni politiche in Boemia. Si trattava di
eleggere i deputati al Landtag. Le donne grandi
proprietarie votano per procura; le cittadine
pagano un certo censo possono votare direttamente.
Molte donne appartenenti al partito tedesco non
hanno temuto di mescolarsi alle folle, per dare il
loro voto al candidato nazionale: altrettanto hanno
fatto le czeche.
La rivista femminista viennese intitolata / "Do-
cumenti della donna dà notizie sulle donne steno-
grafe in Austria. Xel 1842, quando furono fondai:
i primi corsi ili stenografia, il ministero dell'istru-
zione pubblica ne escluse le donne. Più di trent
passarono prima che le donne fossero ammesse al-
l'esame di Stato di stenografia (1874). Xel 1884
questo insegnamento fu esteso alle allieve delle
scuole di commercio; ma la maggior parte delle si-
gnorine devono ricorrere all'insegnamento privato.
Esse conquistano i posti negli uffici dei notai, dei
commercianti, ma sono mal pagate : hanno da 40
a 60 franchi il mese. Negli uffici dello Stato.
gnorine steno-dattilografe hanno da 3 a 4 franchi
al giorno.
A Budapest si è insiedata la prima dottoressa
in medicina.
In Russia.
Regna un certo liberalismo nel campo dell'istru-
zione pubblica, e sono stati aperti dei corsi uni-
versitari per signorine, a Mosca: 450 allieve vi si
sono iscritte. A Pietroburgo cotesti corsi già esi-
I.a Russia conta, oltre le dentaste, 624 medi
chesse. Le medichesse dello Stato hanno diritto alla
pensione. L'insegnamento secondario è stato esteso.
nell'Impero, anche alle suddite maomettane. Grazi,
alla dotazione di un rio riante di Baku, un
liceo di fanciulle, di cui la Zarina ha accettato il
mato, . stato aperto in quella città: le allieve
vengono dalle diverse parti della Russia maomel
tana.
In Isvizzera.
La Commissione federale, incaricata di redigere il
nuovo Codice civile, ha invitato le donne .1 tarsi r.ip
ntare da >'m<- delegate, scelte tra le comp
del Comitato della Federazione delle Società
femministe svi.-
In Italia.
I autrice dell'ari < ili 1 pai la 1 lei recente scio] en -
delle telefoniste milanesi, le quali, guadagnando
ia 35 lire il mese, ne chiedevano '10. In l'n
gheria, os mpre l'autrice, ^n^ . da
600 a 700 franchi il mese non è parso suffii •
alle impiegate delle ferrovie dell. - 1. tele-
l'U.l E H\\ lì
toniste italiane sono dunque, sotto l'i o >no-
mico, amerà più modeste che le loro colleghe un-
gheresi ».
In Inghilterra.
11 femminismo inglese, come movimento si i
non è molto vivo nel Regno Unito; ma, individual-
mente, le Inglesi continuano a farsi onore. Sotto
lady Somerset persistono nella lotta contro l'ai
Come ispettrici sanitarie e del lavoro, rendono im-
portanti servigi. Miss O'Kell, ispettrice del disi:
di Marvlebone, dichiara, in seguito a una ini
sta sull'alimentazione delle lavoratrici dell'Ovest di
Londra, che la maggior parte di quelle donne s
insufficientemente nutrite: la signorina reclama la
azione di trattorie a buon mercato.
Negli Stati Uniti.
Le donne americane avranno la soddisfazione di
veliere una delle loro sorelle figurare nel Pantheon
nazionale, a Washington: vi si innalzerà il busto
della filantropa Francesca Villard, fondatrice del-
l'Unione universale delle donne per la temperanza.
Furono licenziate molte impiegate alle poste ,
molte istitutrici, ecc., durante gli ultimi mesi della
presidenza di MacKinley, ed alcuni interpretarono
sto fatto contro le donne, supponendo che si fos-
sero mostrate inadatte ai loro uffici. Invece la ra-
gione del licenziamento fu tutt'altra : quelle impie-
gate non erano elettrici : e le persone interessate
pretendono che, accordando impieghi, si debbono
ottenere altrettanti voti per il proprio partito.
In Bulgaria.
Il movimento femminista è in questo paese più
progredito che non si possa supporre. Vi sono già
27 Società femministe, le quali stanno per fondersi
in una Federazione nazionale che dovrebbe, come
tutti gli altri gruppi nazionali dello stesso genere,
far parte del Consiglio internazionale delle donne.
Il Congresso, che ha studiato questo disegno di
Federazione, ha discusso anche intorno all'insegna-
mento delle donne, ha chiesto la creazione di ginnasi
e di scuole professionali di giovinette, l'ammiss
delle donne alle Università e allo studio ed all'e-
sercizio della farmacia.
In Egitto.
sigliere alla Corte d'appello
del i e titinua la campagna femminista. 11
libro Fabrir al Mirai (1889), nel quale egli re-
clamava, per la donna turca, la stessa situazione
delle donne europee, aveva provocato vive proteste
da pane dei fedeli maomettani. L'autore risp
con un secondo libro. La donna nuova, nel quale
narra il passato della donna mussulmana, chiede
la sua emancipazione nel presente, e si occupa della
quistione tutta orientale del velo.
Nel Giappone.
E' stata fondata ^ I ma scuola d'insegna-
mento sui eriore per le donne; le allieve vi saranno
preparate all'esame di lingua ir to il
quale si accede alle funzioni di Stato. Forse nel
Giappone si vedranno le prime ministri
\ iie a Tokio le donne hanno riformato il loro
urne da bambola, tanto poco pratico. Ed a V
gasaki le Giapponesi hanno fondato una Societ.
1. purezza sociale »: le aderenti dichiarano che non
sposeranno se non uomini la cui reputazione tuo
rale sia intatta.
ita sieroterapia della febbre tifoidea
Da un articolo c}el dottor J. Héricourt . nella Ret'iie del
i° dicembre).
Pochi anni dopo l'introduzione del metodi
roterapico, il dottor Chantemesse, professore alla
Facoltà di medicina di Parigi, in collaborazione col
dottor Vii lai. tentò di preparare un siero anti-tifi s .
inoculando i virulenti bacilli negli animali ; ma il
siero così ottenuto non aveva esercitato una/
terapeutica sull'uomo infermo, e solamente negli a-
nimali aveva prodotto qualche effetto preventivo :
i topi che erano stati trattati con esso non prende-
vano più la tifoidea sperimentale, ma quelli nei
quali s'iniettava il siero dopo l'iniezione dei bacilli
virulenti non presentavano nessuna attenuazione nel
corso della malattia.
Bisogna considerare che i principali e più gravi
sintomi della febbre tifoidea dipendono dall'avve-
lenamento del sistema nervoso centrale, e partico-
larmente del cervello, avvelenamento prodotto dalle
tate nei focolari bacillari sviluppati
nelle pareti del tubo intestinale. Forse per qu
considerazione il dottor Chantemesse ha abbando-
nato la ricerca del siero anti-tifoso mediante il pro-
cesso dell'infezione bacillare, ed ha tentato il pro-
cesso delle tossine, cioè ha sottoposto gli animali
produttori del siero non più all'infezi< ta dei
microbi, ma all'intossicazione con le tossine elabo-
rate da cotesti microbi nelle loro culture. Con
sto processo — che è quello col quale si ottiene il
1 ant i-difterico — il dottor Chantemes
tenuto un siero la cui virtù è oramai <: a. In
una delle sale dello sperimentatore, su 34 malati
cui fu inoculato, tutti 34 guai
mentre negli altri ospedali la mortalità era, sec 1
le statistiche ufficiali, del 25 per 100. Ma una espi
rienza più convincente è quella fatta nell'Ospedale
Tenon, dove 30 ammalati di tifoidea fui
culati. e gli altri non lo furono: orbene: tra
condì la mortalità sali al 31,8 per 100. ma tra i pri-
mi i morti non furono ro, quanti avn
•ondo questa : one, ma appena 4.
alisi di queste cifre è ancora più confor-
tante, perchè sopra 100 infermi trattati col -
tutti quelli che lo ebbero inoculato prima di
lavo giorno guarirono, e tra gli altri 6 soltanto -
morti. La mortalità è ridotta dunque al 6 per 100.
il che vuol dire a un quinto di quella che si avvera
senza la sieroterapia.
Anche l'esame clinico degli ammalati soft
LA I I l'i : RA
a questa cura ne conferma l'efficacia. L'iniezione del
prima che siano passati otto giorni dall'inizio
. | ir. « Iure in poco tempo, nella mag-
. un abbassamento del!
Ila guarigione; se l'iniezione è stata fatta
tasdivami di ipo l'ottavo gii i, non si i >
tiene una caduta repentina della temperatura, ma
una discesa più leni i da un rialzo; bisogna
all< i ne. In geni rade, il pnl.su ral-
battiti in podi
tre gii 'i ni, la pressione sangu
toma ali i naie e la poliuria Si-
mi- molto frequente,
mpai sp< 5so qualche ora dopo 1 inocula-
iiu- microscopico del sangue si vede
che -vi ore bastano perchè gli elementi sanguigni ab-
biano subito la modificazione caratteristica della
-tua.
La ur.i sieroterapica, finalmente, non è incompa-
i l'ordinaria cura della tifoidea, cioè bagni
e Invalidi- abbondanti. Soltanto il chinino,
la caffeina e le iniezioni di acqua salata (volgar-
mente siero artificiale) devono esseri' abbandonati ;
ma l'azione del chinino e della caffeina è così pro-
blematica, che astenersi da questi rimedi non o m
promette nulla. L'iniezione del siero non impedisce
le ricadute; e nuove iniezioni devono esere praticate
quando queste si preparano e si annunziano. Quin-
dici ii cubi è la dose che il Chantemesse
inietta in una sola volta sotto la pelle; nei fanciulli
e nei casi benigni può essere ridotta alla metà. Le
iniezioni devono essere praticate al primo sospetto
di fi dea, perchè il secreto della cura con-
siste nel farla quanto più presto è possibile. E non
re, nei casi dubbi, penili l'iniezione non
produce per sé s'essa nessun inconveniente ed è del
innocua.
Come tpionfepà l'Inghilterra
l'n i io, un mese dopo l'incoronazione di
re E doari indi Potenze europee manda-
no un ultimatum al Governo inglese, imponendogli
di concedere entro due giorni piena autonomia ai
ii Salisbury si mette le mani nei capelli,
raduna il Parlarne! .numi in tutte
le parti del globo, e chiede indarno una dilazione
per dar tempo ali i rere a difendere
il Elegno Unito. Ad ac sgomento, l'Ame-
onde la sua o un] ia enza e si ai
i di dichiararsi neutrale. L'Irlanda accogl
ila prossima invasii me con l uochi di g
iltanto dop,, che il I >uca di < !onnaught
ri ito.
i ìi dichiarata : il g ii uno seguente due
nella Manna. L'In-
r>hiì- ' ni. e l'Europa ne
P i-m' I l.l \ :
rata la loti l squadra inglese del Mediten
i- bloccata nel porto di Gibilterra ri
tinaia di piroscafi mercantili su cui sventola la
dieta britannica sono catturati e condotti sulla co
sta h. incese.
Intanto, protetto dalla vittoriosa fiotta alleala,
un poderoso esercito tedesco si prepara allo sbarco
presso le bocche del Tamigi per marciare su Lon-
dra. Guglielmo II, malgrado la sua anglofilia e i
vincoli che lo legano alla Casa regnante d'Inghil-
terra, ha dovuto lasciarsi trascinare alla guerra dal
sentimento popolare.
La situazione è disperata per il generalissimo
lord Rjoberts, quando gli si presenta un giovane in-
gegnere che, compiendo un voto di Faraday, ha sco-
prilo il modo di riprodurre il fulmine. Si tratta di
una macchina semplicissima, da cui si sprigiona un
fluido elettrico che rade al suolo intanto incontra
lino a venti miglia di distanza E' la manna del
cielo per il povero lord Roberts, che fa subito por-
tare la macchina alla fiocca del Tamigi: l'ingegnere
tocca un rubinetto, e in men che non si dica l'in-
tera flotta nemica cola a fondo o, per meglio dire,
svanisce in una nuvoletta di fumo. Poi la macchina
rivolta contro le truppe appena sbarcate: il pri-
mo colpo è sbagliato e fa andare in fiamme un vil-
laggio della costa, ma il secondo non lascia più sul
terreno che un paio di reggimenti.
L'arsenale di Woolwick fabbrica subito altri cin-
quecento cannoni-fulmine: Calais, Boulogne e gli
altri porti francesi scompaiono dalla faccia della
terra, e la Francia si affretta a ritirarsi dalla coa-
lizione. La Russia cerca ili rifarsi invadendo l'In-
dia, ma basta un paio di cannoni spediti in fretta
a Cabul per annientare l'esercito invasore. Gli altri
alleati hanno tenuto un consiglio 'li guerra all'Aja,
sotto la presidenza del maresciallo Waldersee, i Vi
gliono tentare un'ultima prova. Lo stesso Gugliel-
mo II assume il comando e attacca l'esercito in
sbarcato sul Reno. E' inutile aggiungere che dopo
un quarto d'ora quasi tutti i corpi d'armata alleati
sono ridotti in cenere: e la cenere in cifra tonda
rappresenta un mezzo milione di Uomini. Per un
ordine speciale di re Edoardo, gli artiglieri di Giove
hanno avuto cura di risparmiare Guglielmo II e il
suo Staio maggii ire.
L'Europa accetta senza esitare le condizioni im-
postele: paga una somma favolosa, abolisce gli e-
serciti, e si obbliga per sempre a riconoscere
unica arbitra, in caso di dispute. l'Inghilterra.
Questo meraviglioso brano di storia è nari
con copiosi particolari, al posto d'onore, nétt'Uni-
i; ne, ed è ' ';■ ignaro da numi
illustrazii ri lori, in cui si vi de, ad i si mpio,
Guglielmo II che dopo la sconfitta consegna la
spada al generale French.... penili- non si , auto
il tempo di richiamare Kitchener e ili dargli il co-
niando iti
11 racconto h grottesco, ma meritava un cenno
penili'- dimostra come si coltivi e a qual punti, ar
rivi l'orgoglio nazionale nell'ambiente della piccola
inglese.
DALLE Kl\ 1S i
Il convento de' fflechitapisti
nell'isola San Itazzaro presso Venezia
(Da uu articolo del dott. A. SolokowsLy, nel)' Ueber Land
und Meer).
.... Fra le curiosità di Venezia non ultima è
quella del convento de' monaci armeni, detti Mechi-
taristi, nell'isola di San Lazzaro. In dieci minuti la
gondola ci porta dal Lido a questa che è la più pic-
cola delle isole dell'estuario e che deve il suo nome
a un lazzaretto pei lebbrosi, che, in altri tempi, vi
esisteva.
Dal 1716 l'isola è proprità dell'ordine de Me
chitaristi, che ha celebrato, or non è molto, l'anni-
versario bisecolare della sua esistenza e che fu fon-
dato nel 1701 dal monaco armeno Pietro Bedros-
sian «Mechitar» (il consolatore). Scopo di tutta la
vita del fondatore e dell'Ordine da lui istituito fu
il rinascimento del suo popolo. Mechitar e i suoi a-
depti appartenevano originariamente alla Chiesa
armena non unita alla cattolico-romana e dipendeva
dal Patriarca armeno di Costantinopoli. Ma le sue
simpatie per l'Occidente lo resero sospetto al Pa-
triarca, onde egli ben presto trovò opportuno d
migrare nella Morea sotto la protezione del leoni
San Marco, che gli accordò il permesso di istituire
un convento e una chiesa a Modon. [vi, poco dopo,
l'Ordine de' Mechitaristi si convi Ila parte
della Chiesa armena che è unita alla cattolica} e
papa Clemente XI confermò nel 17 ì-1 i Mechitaristi
quale Congregazione religiosa e conferì loro — che
sino a quel momento avevano vissuto secondo le re-
gole de' Basiliani greci — degli statuti secondo le
regole di San Benedetto. Ma anche nella Morea i
Mechitaristi non dovevano rimanere a lungo. Le
ostilità, scoppiate nel 17 14 fra i Magiari ed i Tur-
chi, li indussero a trasportarsi in un più quieto am-
biente, a Venezia, dove il Senato della Repubblica
donò loro, nel 17 16, l'isola di San Lazzaro.
Ciò che forma ancora oggi la caratteristica dei
Mechitaristi di San Lazzaro, oltre al carattere na-
zionale della Congregazione, è la sua attività de-
dicata, quasi interamente, in servizio della scienza.
La loro, più che una Congregazione, la si potrebbe
anzi chiamare piuttosto una associazione di dotti
viventi secondo certe date regole monastiche. Infatti,
dal 1806 hanno assunto anche il titolo ufficiale di
Accademia e mostrata la loro mancanza di pregiu-
dizi con le nomine di membri d'onore accordate
anche a degli acattolici. Fedeli alle aspirazioni del
Nel convento.
I \ LETTl'RA
i nel 17 15 in |Ui I
mpre serbato pi t so ipo prill-
ili \ amento morale de1 loro ci mnaz
mondo, scopo che tentano conseguire
io rivolte allo studia della lin
della sua letteratura ed ani h
1 11 sacerdote Mechitarista.
u quel loro antico idioma le opere classi-
che d'ogni altro popolo. La biblioteca del convento
ntan la volumi 1 1 : 1 semplare è la
loro tipografia, dal! he un pei odico
il Pur Mavtl, destinato a promuovere
la cultura degli Armi 1 : loro,
nati in vari paesi, come una specie di nui
spini '
V loro riti ecclesiastici i Mechitaristi di San
1 lin-
mi ilti par1 i del 1 ile, ciò
da
stoffi trapunte, dà alle
loro
uro di trovare in Sai
lienza. Ap] sciata
la, trovati- nel . adorni 1 'li fii
ugli, un prete in lunj ilare,
ne, quasi
sempre parlandp nella lingua del visitatore I 1
B Forma a ra
0 di San I e, tra
altro, ben duemila antichi 1 armeni. Nel
1 I di Pietro An-
tonio Novelli, forse la miglii re opera 'li questo mae-
l . ni a, d trutta, in parte, da un
[833, veni 1 ndo i pri-
mi disegni e ci si pi' un elegante tipo
dello stili .1 motivi di deci irazii ine
i 1 monumento è il sarcó-
; tirai., sul sui i ingressi 1 prin-
ipale e che, dio 1 le epigrafi latine,
Ise un ili gli avanzi mortali d'un Costantino
/invola, pio discepolo di San 1 azzaro, amico e di-
fensore della sofferente umanità.
La chiesa ed il convento sono circonda
lini, bellissimi s] ei ialmi nte nella stagione ■
e quanto mai 1 1 per i loro -ruppi ili magno-
l -• e «li cipressi. Su un piccolo poggio stormiscono
livi, che s'intitolano da lord Byron, perchè il
;randi poeta britanno ivi amava sostare, quando,
durante la sua dimora a Venezia, dal 1817 al 1819,
soleva venire spesso nei convento, dei cui abitatori
erasi fatto amico e dai quali s'era fitto in mente di
apprendere il loro idioma, Forse, dopo il basco, il
più difficile di 'pianti ani-ora si parlino in Europa.
Ma, più ancora, ivi egli cercava riposo ed all'am
Tommaso Moore scriveva che quel convento presen-
tava tutti i vantaggi e nessuna delle incompatibilità
della vita monacale. Egli prendeva vivo interesse
ai lavori de' Mechitaristi e collaborava alla tradu-
zione inglese d'un manoscritto armeno, che contiene
l'apocrifo epistolario fra San Paolo e gli Anziani
della comunità de' Corinzi.
Sacerdoti Mechitaristi.
DALLE RIVISTE
Tommaso Salvini
e un'attpiee americana
11 MacClure's M agazine pubblica alcune pagine
dell'attrice americana Clara Morris intorno a Tom-
maso Salvini. Pare che l'America — la quale non è
certamente la patria della modestia — non abbia
fatto buon viso all'autobiografia dell'illustre attore,
perchè questi vi usa troppo di frequente il pronome
personale. La Morris si propone, per così dire, di
riabilitarlo.
« E' strano — ella scrive — come il Salvini abbia
dato di se un ritratto così poco fedele. Ho recitato
con lui, e l'ho sempre trovato di modi cortesissimi
e di carattere modesto, quasi schivo. Era pazientis-
simo durante le lunghe prove, ancor più noios
lui perchè i suoi compagni parlavano una lingua
a lui ignota. L'amore della scena e l'amore del ri-
sparmio si erano trasformati in lui in vere passio-
ni: della sua economia si narravano molte storielle
curiose, ma la sua personale frugalità non gli im-
pediva di essere più che generoso coi suoi cari.
« Ad una prova della Morte civile avvenne un
piccolo incidente che dimostra la gentilezza di Sal-
vini, il quale non seguì l'abitudine delle stelle di
palcoscenico di considerare come una impertinenza
ogni consiglio loro dato. Mentre io studiavo la mia
parte di Rosalia, mi accorsi di un bell'effetto che
si poteva ottenere con una variante assai semplice.
Io dovevo portare sul petto la croce nera che pende
al collo delle contadine abruzzesi : durante una sfu-
riata di Corrado, pensai che se avessi levato la croce
innanzi a lui, il grande attore, rappresentando un
personaggio superstizioso, avrebbe saputo trovare
una mimica efficace. Xe parlai al figlio di Salvini,
che mi chiese subito con calore se il padre lo sa-
peva. « Santo cielo! — esclamai — ma volete che
io dia un consiglio a Salvini, tanto più in una parte
che egli rappresenta da venti anni? Non mi passa
manco per la mente ». Ma il giorno dopo, durante
la prova, Salvini pregò il figlio di mettersi al suo
posto, perchè io potessi mostrargli in che consisteva
il mio consiglio. Quando io levai la croce innanzi al
gii «vane Alessandro, Salvini interruppe con un gri-
do la scena, riprese il suo posto, e mi fece tornar
daccapo. Egli ripetè la sua parte, diede nel suo so ,
pio d'ira, e allora innanzi ai suoi lineamenti con-
vulsi levai il crocifisso. L'attore trattenne il respiro,
con uno stupore sacro negli occhi, lentamente porse
il viso, mentre io, indovinando il suo pensiero, av-
vicinavo il crocifisso alle sue labbra tremanti, e poi
singhiozzando reclinò il capo sul mio petto. Gli at-
tori stessi erano commossi delia scena resa magistral-
mente. Salvini rivolse quindi alcune parole affret-
tate al figlio, che me le tradusse: « Come mai ab-
biamo trascurato questo effetto per tanti anni ? Va
benissimo: di' alla signora che lo ripeterò sempre».
La recita bilingue produceva qualche volta certi
inconvenienti. Per l'attrice americana riusciva sulle
prime assai difficile indovinare quando l'attore a-
veva finito il suo discorso, interrotto spesso da lun-
ghe pause. Una sera in un palco di proscenio alcuni
La Lettura.
81
spettatori chiacchieravano, disturbando gli attori:
Salvini, irritato, dava segni di impazienza, e alla
fine tacque. La Morris credette giunta la sua pausa
e piese a parlare. Salvini si rivolse verso di lei co-
me una furia: ella comprese che aveva sbagliato,
ma dimenticò la parte, offesa da quel contegno, e
protestò con una mimica eloquente. Allora Saivim
si calmò, mormori) un pardon, le fece cenno di ta-
cere e proseguì. Il pubblico credeva che si trattasse
del dramma.
La Morris descrive anche una serata burrascosa,
che il Salvini seppe dominare con impareggiabile
sangue freddo.
Si recitava {'Otello. All'ultimo atto l'attore a-
veva soggiogato il pubblico con le sue tragiche furie.
Il letto su cui Desdemona — la Piamomi, a cui i
giornali americani scortesemente rimproveravano
le dimensioni non cinesi delle calzature — doveva,
essere soffocata, era posto in un'alcova velata dai
cortinaggi. Otello aveva appena compiuta la sua
vendetta, e usciva dall'alcova, per aprir la ramerà
ad Emilia, quando una sonora risata scoppiò nella
sala. Il cortinaggio era troppo corto, e lasciava scor-
gere i piedi della signora Piamomi che. risuscitando,
si era posta a sedere sul fianco del letto e vi si don
dolava. L'incanto era rotto, ma Salvini continuò
imperterrito. Il pubblico cercò di frenarsi. Otello si
avvicinò all'alcova per mostrare ad Emilia il cada
vere .Iella moglie. Allora i piedi della signora Pia
monti risalirono dolcemente sul Ietto, e un'altra ri-
sata fragorosa echeggiò nella sala. Ma Salvini e-
ruppe nella sua invettiva finale con tanta e inso-
lita foga che l'uditorio ne fu nuovamente scosso e
cedette ancora all'incanto.
« Salvini - dice la Morris --ci ha descritto
nel suo libro i suoi trionfi, ma senza mostrare come
sia riescito ad ottenerli. Quale lezione sarebbe
stata per i nostri indolenti attori ! Anche all'apogeo
della sua carriera, egli compiva le più umili opere
che gli altri lasciano ai camerieri. Ogni sera prima
della recita passava qualche ora nel camerino, con
un grembiale ai fianchi, a spazzolare gli scudi, le
armi, gli elmi, a preparare la parrucca e altri si-
mili cose. « Questo lavoro — diceva — è una parte
della mia professione, e non posso vergognarmene.
Mentre io lavoro, penso alla mia parte, lincile ho di-
menticato tutto il resto ». Ed è un peccato che l'au-
tobiografia non acci uni a questi piccoli particolari.
Quando era vestito e pronto per la scena, Salvini
si recava a passeggiare in un corridoio oscuro, in-
nalzi e indi, -ini. talvolta in atto languido, talvolta
con aria marziale. Gli chiesi una volta perchè si met-
teva a passeggiare così, e mi rispose che stava en-
trando nel seo personaggio. Frattanto gli altri at-
tori chiacchieravano fumando una sigaretta.
« Soltanto chi Io ha veduto nell'Ote/h e nella
Morti può apprezzare pienamente l'arte mera-
vigliosa di Salvini. Io conservo di lui nella fama
due immagini: nello splendore della sua fora
quando atterra Jago, e sotto la sua armatura di sol-
dato mostra la ferocia di una giovane fiera, pazza
di gelosia: e Corrado, l'uomo forte, abbattuto dalla
sciagura e dalla malattia, col pallore del carcere sul
6
LA LI 'l'I I R \
incerto, i modi umili, gli occhi pieni
l i vedo, gigante pn strati >, timid
ih-, nell'atti i in cui
supplicante, .1 baciate le mani del sacerdote. Che
importa se il Salvini ha posto nel suo libro troppi
pi. m mal Pai Ire adorato, gentili)
unir attore di i sui >i
giorni. Non v'è che un Salvini, ed e sua colpa
~J ».
li'aquila di Savoia
Dalla niuslrirte Zeitung, del 5 dicembre .
Per molti gii irnali (dell'i ero) corsa la n
che l'Italia abbia adottato un nuovo stemma. Ci af-
assistente.
L'Italia ha riformato i segni araldici su una parte
delle sin- monete e de' suoi francobolli, ma né I"
stemma del Regno né quello della Casa reale hanno
altre modificazioni, tranne quelle poche in-
trodotte ancora durante il regno d'CmbertO.
Lo stemma d'Italia è sempre formato dallo scudo
con la croce bianca in campo rosso, che prima si tro-
va ne' suggelli di Pietro 11 conte di Savoia ed ora
è sormontata dalla corona e dalla 0 stella d'Italia »
a cinque imute.
Lo stemma della Casa reale è identico a quello,
ma è sormontato dall'elmo reale con nastri azzurri
e d'oro e dalla croce d'oro tenuta da due leoni natu-
rali, ed è circondata dalla grande catena dell'An-
nunziata e dai gran cordoni degli altri Ordini della
Monar' Ina, il tutto sullo sfondo del padiglione di
velluto azzurro, foderato di bianco, sormontato dalla
-I ma d'oro e dalla stella d'Italia.
Ji emblemi araldici di Casa Savoia v'hanno
però anche l'aquila ad una e a due teste, il grifone,
il serpe, il nastro col imito F K RT, i cosidc'ti
nodi savoiardi, ecc. Re Vittorio Emanuele III ha
ora ordinato soltanto che le monete e 1 francobolli,
anzi' ' .a. lo scudo coronato con la ero v
bianca in campo rosso, portino l'aquila ad una te
lv fu lo stemma della linea anziana della sua
Casa, quella de' conti di Moriana e Piemonti .
principi d'Acaia e Morea, Come lo mostra il no
no, proveniente dall'Archivio dell'ufficio aral-
dico, è un'aquila p me araldica 0, come si
dice in balia. .. frinì, ile ).. con lo
sul j utigli, sormontato dalla
n 1 f ali . 1 1 ni nastri, col motto l I l< T. si svol-
1 intorno allo scettro Ed è questo uno degli
•■ : - ■ •»■- -5» ■
antichi emblemi araldici di Casa Savoia, che si a Io-
pera soltanto per scopi speciali, mentre gli stemmi
della Casa e dello Stato rimangono inalterati. (E1
he sui francobolli, invece di questa svelta
ed eleganti' figura araldica, se ne sia disegnata una
1 e che è sormontata, per giunta, da una corona
né punto né poco regale. .V. d. /'rad.)
DALLE RIVISTI
83
he tragedie dell'oro
Sulla vetta di una collina nella California meri-
dionale, in vista della linea ferroviaria del Sud-
Pacifico, l'oro si può raccogliere a piene mani. Lo
si trova a pezzi sul terreno, e in gran parte abba-
stanza puro da poter essere cambiato alla zecca con
moneta. Non vi sono leggi, non vi sono tribù sel-
vagge che lo rendano inaccessibile.
La località giace tra il 32.30 e il 34 di latitudine,
e il 115.30 e il 117 di longitudine: la piccola ca-
tena di collina non è punto difficile a salire, e il te-
soro è sulla cima centrale più alta. Fu visitato al-
meno da quattro persone nell'ultimo mezzo secolo:
ciascuna di esse raccolse la quantità maggiore di
oro che poteva portare, e alcuni pezzi sono ancora
in mostra nei musei minerari dell'Ovest.
Si può anche essere più espliciti. Dalla vetta pre-
ziosa si può scorgere il fumo dei treni che passano
presso la stazione di Salton. Se, volgendo all'ovest
dal forte Yuma lungo la linea messicana, e poi vol-
tando al nord, uno riesce a indovinare la strada
buona, vedrà sorgersi innanzi le tre collinette, e
scalando la più alta potrà dire di aver ritrovato la
miniera perduta di Pegleg, che ha fatto un numero
di vittime superiore a quello di molte battaglie.
Il Pegleg.
Il Pegleg è la più grande delle miniere the, dopo
aver aperto per qualche tempo i loro tesori all'uomo,
furono perdute di vista. Xon è un mito, come av-
viene di molti altri giacimenti d'oro che esistono
soltanto nella fantasia dei cercatori. La sua esi-
stenza può essere provata con testimonianze che sa-
rebbero accettate in ogni tribunale: la sua storia è
una serie di tragedie.
Il primo a scoprirla fu un tale Smith, intorno al
1850. Egli si recava da Yuma a Los Angelos, e in-
vece di seguire il sentiero che va da una sorgente
all'altra, tentò di traversare il deserto e la catena di
colline. Ma si smarrì e volle salire sulla vetta di
una collina per orizzontarsi: ivi trovò molti strani
pezzi scuri e pesanti. Xe raccolse alcuni per curio-
sità, senza comprendere che si trattava di oro, per-
chè la febbre del dio giallo non aveva ancora invaso
quella regione: e li portò seco con altri oggetti per
ricordo del viaggio. Alcuni anni dopo, fece vedere la
sua collezione ad un amico, che aveva pratica del-
l'oro e che riconobbe subito il pregio dei pezzi cu-
riosi sotto il loro colore bruno, dovuto probabil-
mente a qualche lega naturale, ma che i Californesi
attribuirono poi ai raggi del sole.
Il povero Smith istupidì quando seppe che aveva
perduto una ricchezza favolosa, ma nei momenti
di lucido intervallo a coloro che lo assediavano narrò
quanto si ricordava intorno alla località del tesoro.
A<1 uno ad uno gli amici se ne andarono a investi-
gare ogni palmo di terreno sulle colline di Yuma,
e per parecchi anni vi si rinnovarono senza tregua :
ancora oggi si trovano gli scheletri dei primi cer-
catori.
Un giorno un s, il forte VTuma,
che è posto sul confine tra la California e il '
sico, arrivò nella 1 San Bernardino in I
torma, con una certa quantità dei preziosi ] ezzi
neri. Egli sapeva dove si trovavano: descrisse li
colline, e la vetta su cui giacevano le pepite, ma
non volle far da guida a nessuno finché non
sumò tutto il danaro che aveva ricavato dall'oro.
Allora parti con una mezza dozzina di compagni e
con un buon convoglio di muli. Molta gente seguì
la spedizione da lontano spiandone le tracce,
furono perdute all'est di Wanur. Cinque anni d pò,
alcuni cercatori trovarono scheletri di uomini ,• di
animali ai piedi delle montagne di Cuyamaca a
trenta miglia da Salton: uno degli schi rtava
nel cranio il foro di un proiettile. Del soldato e
dei suoi compagni non si ebbero più notizie, ed è
assai probabile che essi siano finiti tragicamente ai
piedi del Cuyamaca.
L'oro misterioso.
Mentre si stava costruendo la ferrovia a noni di
Yuma, presso l'attuale stazione di Salton, gli operai
videro sopraggiungere una donna indiana, sfinita,
esausta dalla stanchezza e dalla sete. La soccorsero
e trovarono che ella teneva avvolte in un fazzoletto
almeno due libbre di oro scuro. La donna narrò
che ella e suo marito si recavano a Cocopah, quando
perdettero la loro provvista d'acqua : nel cercare una
sorgente, si smarrirono e dopo due giorni capitarono
su una collina, da cui avevano veduto il fumo dei la-
vori ferroviari. Ivi avevano trovato l'oro. Il marito
era morto di stenti cammin facendo. La domiti co-
nosceva il valore dell'oro e non volle dare alcuna in-
dicazione. Ella aveva probabilmente, secondo l'uso
indiano, fatto il giro del campo prima di entrarvi,
perchè gli operai non potevano dire precisamente
da quale parte era venuta. Molti di essi abbando-
narono il lavoro, in cerca della collina misteriosa,
per popolare il vasto cimitero del Pegleg. La donna
indiana tornò alla sua tribù, e nessuno di quelli
che l'avevano incontrata potè poi rivederla.
Un guardiano di vacche di Warner, allontana-
tosi per alcuni giorni senza permesso, tornò con una
notevole quantità di oro. Per qualche tempo sfoggiò
uno sfarzo non mai veduto nei dintorni di San Ber-
nardino. Aveva una sella d'argento, il cappello in-
crostato di argento, i cavalli più belli. Quando la
sua fortuna scemava, scompariva per alcuni giorni e
tornava più ricco di prima. Centinaia di uomini ten-
tavano di seguirne le trarre, ma egli li eludi va
tutti. Peri in un duello all'uso catalano con un ri-
vale: aveva in deposito, presso una banca di A\
ner, ventimila lire in oro greggio.
La gente del paese venne invasa da nuova febbre
■ li ricerche. Lo sceriffo Tom Carver aveva incontri
una volta il guardiano di Warner che tornava dalle
sue gite misteriose: partì da quel punto con un
amico, sperando di trovare il Pegleg. Un giorno la-
sciò l'amico al basso, per salire a piedi sopra una
collinetta: non tornò più, e non si trovò più alcuna
traccia di lui.
84 l A l ETTUR \
il l'egleg è la miniera 'lì Brey-
. I.i quale porta il nome dell'uomo che l'avrebbe
tpitò un pomi' in una città 'Iella
California meridionale, con un sacco ili quarzo au-
riferi-, ricco 'li un> più ili ogni altro quarzo cono-
scili' ■ ca terra. Egli pari I per tornare
alla miniera, ma non li> si vide più: più tarili un
neyf< gle aveva confi ;sati i 'li aver
trovato il sacco 'li quarzo tra le mani ili un cadavere
nel deserta
Una i reni ina d'anni fa, sul confine ilei Nuovo
M 'n trovato un mulo con una sella nuova da
cui pendevano 'lui- sacchi ili cuoio pieni di mine-
rale di incredibile ricchezza, ma senza alcuno in-
dizio «lei pi. 'pi etarii Si cercò per cento miglia al-
l'ingiro la miniera ila cui doveva provenire il miste
-, ma non si trovò nulla. Tuttavia la
miniera è stata battezzata col nomi- .li burro o mulo
nera,
cercatori sono caduti vittime degli Indiani.
Il più celebre e Mansfield che ha lasciato il nome
ad una strada in quel pericoloso deserto; aveva
miniera ricchissima, ma un giorno si
ni un villaggio indiano per farsi aggiustar la
sella, e vi fu ucciso.
Alcune vecchie miniere perdute sono state nuo-
vamente •-coperte. Un paio d'anni fa Isacco Newton
rler, mentre cacciava nel Cihuahua, nel Messico,
trovò una vecchia galleria, con la bocca in muratura.
I.a tradii ale diceva che si trattava di una
miniera aperta dagli Spagnuoli e abbandonata per
lità degli Indiani. Ora la miniera è in attività,
rimunerai rice: ma non vi si trovano i tesori
delle Mille ed mia notte comi vorrebbe la leggenda
i io-messicana.
Una miniera ancor più ricca venne rimessa in
sul confine tra il Messico e il Texas, presso il
forte Hancock. Ui tore si era imbattuto in
una cava abbandonata: la fece lavorare, traendone
discreto profitto. Si formò una compagnia, e i capi-
talisti vollero allargare i lavori aprendo una galle-
ria: quale non fu la meraviglia, dopo i primi saggi
sui fianchi della collina, di trovare una parete in
muratura, la quale chiudeva l'accesso di una lunga
galleria: al fondo giaceva un filone ricchissimo di
minerale aurifero! I.a galleria era sbarrata a mezzo
da una pi a di mano spaglinola, l'i
bilmente gli Spagnuoli l'avevano abbandonata in
U "> a una rivolta di Indiani, parecchi secoli ad-
ita miniera di Whlte.
più interessante è quella della miniera
di White. nel!.- \i White era un
re d'oro della California, che amava
girar solo, non concedendosi che il lusso di un servo
indiano Tri giorno, nel 1858, capitò a li sta di-ca-
vallo:"! ''..1 recò da un saggiatore tede-
11 pezzi di minerale: il saggiatore gli
dini liie migliaia di dol-
lari in oro. una quindicina. I.a scoperta non
restare segreta. La sera stessa vi fu un comizio pre-
sieduto dal fratello dell'ex-senatore Sharon di V
vada. Un comitato si recò a svegliare White, ed a
dirgli che egli doveva condurli alla miniera.
White li mandò ad un paese, dove l'oro non ab-
ituila: ma una nuova commissione tornò alla ca-
rica con un argomento più persuasivo, una corda.
White acconsentì, e l'entusiasmo dei minatori non
svanì quando egli disse loro che il giacimento si tro-
vava a più di centocinquanta miglia di distanza, al
nord del Nuovo Messico. Due giorni dopo, Testa-di-
cavallo era abbandonato: non vi restava più un
solo abitatore.
La colonna, guidata dallo Sharon, con un lungo
convoglio di approvvigionamento, si pose in viaggio
attraverso le Montagne Rocciose. White era alla te-
sta, circondato da quanti avevano potuto procu-
rarsi una cavalcatura: gli altri seguivano a piedi.
In due o tre giorni la colonna si assottigliò: i più
deboli rimasero indietro, sprovvisti di tutto in una
regione selvaggia: gli altri, per continuare, non
servarono più che lo stretto necessario.
La sera del quarto giorno apparve in lontananza,
al di là di un [>iano deserto, una catena di roccie
grigie. La, disse Vhite, era l'Eldorado. I cercatori
affranti si addormentarono con la visione affasci-
nante negli occhi.
All'albeggiare si svegliarono, ma non trovai
più White. Era scomparso, mentre essi dormivi
col suo Indiano. La storia delle sofferenze e degli
stenti, narrata dai pochi superstiti che riuscirono a
tornare alle loro abita/ioni, non impedì che altri ri-
tentassero la disperata impresa.
Tre anni dopo White ricomparve nella città -lei
Lago Salato con altri pezzi di minerale aurifero:
comperò alcuni oggetti, non volle dir nulla intorno
alle sue avventure, e la sera parti di soppiatto.
Di lui non si ebbe più notizia: della sua misteriosa
miniera si parlò almeno una dozzina di volte, come
se fosse stata scoperta, ma non mai con fondamento.
Il lago d'oro
La storia più curiosa, e che in California è cre-
duta come un articolo di fede, è quella del lago di
Lingard. Litigarli era un cercatore che verso la fine
del 1853 capitò a Nelsonpoint nella bottega di un
tal Carrìngton, ove comperò alcune provviste pa-
gando — come si usava allora in quella regione —
in oro greggio. Ma invece di dare della polvere d'oro
offriva grosse pepiti. Tornò più volte nei mesi se-
guenti a fare altre provviste, finché alla fine
l'anno seguente arrivò a mani vuote.
Allora narrò all'oste Carrington le sue avventure.
Nel novembre del 1853 si trovava nelle alte Sierre
i < di oro: essendogli mancate le provvigioni
divise di scendere a Nelsonpoint traversando le
montagne per far più presto. Non pioveva da molto
tempo e le sorgenti erano inaridite. Un caldo [io-
meriggio, dopo aver sofferto la sete per ventiqu B
ore, scorse da lontano un ampio lago. Vi aCCOTSe,
e avvicinandosi alla riva incontrò un ruscelletto che
DALLE RIVI- i 1
85
scendeva a cascatelle dalle rocce avviandosi al
lago in un breve letto di ciottoli. Cadde sulle ginoc-
chia e si chinò avidamente per spegnere la sete, ma
indietreggiò per lo stupore: i ciottoli del fondo e-
rano per metà di oro puro.
Passò la notte accanto alle sue ricchezze. Al mat-
tino raccolse dal ruscelletto — che tra la cascata e
il lago non misurava più di sei metri — il maggior
numero di ciottoli d'oro che poteva portare, e si di-
resse a Xelsonpoint. Ma dopo alcune miglia , op-
presso dalla fatica, pensò di nascondere la mag-
gior parte del suo carico ai piedi di un alto albero
che sorgeva tra un dirupo e un punto del lago e che
poteva facilmente essere riconosciuto. Scese quindi
a Xelsonpoint a farvi i suoi primi acquisti, e poi
tornò in cerca del suo tesoro. Ma nel frattempo le
cateratte del cielo si erano aperte, e Lingard non
riuscì più a trovare il ruscelletto incantato, per quan-
to girasse attorno ad un lago che gli sembrava quello
della fortuna. Xon riuscì neppure a ritrovare la via
dell'albero. Per un anno intero continuò le ricerche,
finché gli rimase un pezzettino d'oro: ridotto a mani
vuote, si rassegnò a parlarne a Carrington.
Questi gli fornì il necessario, e poi lo seguì con
alcuni amici, ma indarno: Lingard resistette sulla
breccia per venti anni : il ruscello e l'albero erano
scomparsi come in un sogno.
Charles Michelson — che raccoglie queste narra-
zioni in un articolo del Munsey's Magazine — in-
contrò l'anno scorso, mentre era a caccia sul fiume
Iroquois nell'Oregon, un vecchietto che gironzava
intorno al campo dei cacciatori minacciando col fu-
cile chi si allontanava solo. Era un tedesco impaz-
zito, che da giovane aveva trovato in quei paraggi
una miniera e che si era accinto a scavarla con un
compagno: gli Indiani li avevano assaliti, e il com-
pagno era rimasto ucciso: il giovane si era sal-
vato con una piccola quantità di oro. Andò all'e-
stero, guadagnò faticosamente il danaro necessario
per aprir la miniera e tornò nell'Oregon : ma non
potè più trovarla, ed era forse ancora impazzito in
quelle selve.
L'elenco dei tesori perduti è interminabile. La
storia più autentica è quella della miniera di Lee.
Era una vera miniera, non un deposito di pepiti.
Lee la lavorava con un compagno, e aveva costruito
una piccola fornace. Parecchi capitalisti, tra i quali
il governatore Waterman, avevano in animo di com-
perarla : ma la miniera si trovava in una regione
selvaggia tra le montagne, e non l'avevano mai vi-
sitata. Un giorno Lee scese a San Bernadino, a
comperar polvere per le mine e provvigioni, di-
cendo che doveva affrettarsi a tornar subito perchè
il compagno era rimasto senza cibo. Il mattino se-
guente Lee fu trovato morto fuori di città, ucciso
da una palla di fucile. Mancava ogni traccia del-
l'assassino. Pensando che il compagno di Lee sa-
rebbe morto di fame, lo stesso governatore partì con
una squadra di uomini per soccorrerlo, ma ritor-
narono senza aver trovata la miniera e non senza
aver corso il pericolo di perire di stenti.
Ita fluovaiopehite
(Dalla Revue Biette, del 7 dicembre .
Col nome di nuovaiorchite il dottore americano
— siamo in America ! — John H. Girdner battezza
una malattia locale che egli afferma d'avere stu-
diato durante venticinque anni e intorno alla quale
pubblica un opuscolo molto letto e molto discusso.
I sintomi di questa nuova infermità sarebbero fi-
sici e psichici ad un tempo. Muralmente, essa si ri-
velerebbe con una megalomania più grave e peri-
colosa dell'ipertrofia mentale degli ali-tanti ili Bo-
ston e dell'elefantiasi morale degli indigeni di Chi-
cago. I sentimenti di chi ne è affetto si distinguono
per essere deboli, brevi e rari. Fisicamente, si nota
la rapidità e la nervosità dei movimenti che sareb-
bero, nella maggior parte dei casi, anche inutili
Come terapia, il dottor Girdner consiglia la mira
dell'aria e quella della luce applicata al cervello ed
al cuore. Ma forse si potrebbe fargli osservare che
la nuovaiorchite è una malattia oramai endemica nel
nuovo, non che nel vecchio mondo, dovunque gli
esseri umani sono agglomerati in numero superiore
a cinquanta.
■ ti»* "
Il tabaeeo e gli seaeehi
rispetto alla civiltà
(Dalla Revue Biette, del 7 dicembre .
In altro luogo del presente fascicolo i nostri let-
tori troveranno molte notizie curiose intorno al ta-
bacco ; qui è degna di menzione l'opera di ino -" rit-
tore inglese, il quale, in un grosso volume intito-
lato L'erba sovrana (Grant Riehards, editore, a Lon-
dra), canta le lodi del tabacco. Egli osserva che vi
è coincidenza « fra l'introduzione del tabacco nel
vecchio continente e gli essenziali progressi della
nostra moderna civiltà ». Ed egli conclude che que-
sta è conseguenza di quello. L'età dell'oro dell'In-
ghilterra fu l'èra del tabacco; i giganti della lette-
ratura, della politica, dell'azione, furono ispirati dal
fumo del tabacco, e si può anzi dire che l'Impero
britannico fu fondato in mezzo a una nuvola di
fumo.
Un altro Inglese, il signor Antony Guest, trova
che il sintomo della civiltà superiore non è già il
tabacco, ma il giuoco degli scacchi. E in prova ad-
duce questi fatti : che tutta la Spagna, ai tempi del
suo splendore, andava matta per gli scacchi, come
pure l'Italia della Rinascenza. Oggi invece gli Spa-
gnuoli non giuocano più a questo giuoco, e gii Ita-
liani appena ricominciano a tenerlo in onore ; La
Francia, dopo la Rivoluzione, non lo coltiva più;
e — sempre secondo il si 1 - dal 1789 in poi
i Francesi non hanno esercitato più nessuna influen-
za sul mondo. La Germania e la Russia cominciano
ora a giocare agli scacchi . Nella Gran Bretagna,
negli Stati Uniti, nel Canada, in Australia, nella
Muova Zelanda, i cittadini ci si appassionano con
un vero furore. E, per conseguenza, Ride Britannial
86
A LETTURA
Il gran serpente di mare
i ! i.i un arlicolo del l\i!I Mail i
I penti di mari- ricorre spesso
ite strani i i Besso, se ne è occupata
anche la i I un argoi sento che pai la alla
- ma il signor M.ithius Dumi, autore del-
I'aiticolo <lrl /',;// Mail Magasine, ammette che il
fami"-" xrpi esistere nella realtà, o al-
si ulTre alle nostre ricerche. E se si pensa
il gorilla non è stato scoperti, se non ili recente, è
le persuadersi che in avvenire dalle oscurità degli
oceani ora inaccessibili verranno delle sorprese.
Comunque, è certo che nelle storie e nelle leggende
si parla molto del serpente ili man-. Livio parla di
uno di questi animali, lungo 120 piedi, che divorò
molti soldati al tempo delle guerre puniche. Essendo
invulnerabile alle armi ordinarie, dovette esser,
salito con le catapulte eri altn- macchine da guerra
usate contro le torri fortificate, l 'mne fu morto, l'ac-
Vn serpente di mare norvegese.
possano nel mare creature simili ai
serpenti Nel mondo orientale i serpenti lunghi quat-
tro n infrequenti in mare.
Perchè 'Imi. pie dubitare che si possano trovare negli
Dti 'li ancor maggiori dimensioni, dal
momento che, pur m.n vedendo nelli i.'que
ioh animali piccolissimi, noi o ìdentali siamo
ad .mini. Iter.- l'esistenza delle balene? Chi
sa quante altre forme di vita animale a
marimente sconosciute esisi Ila profondità
un terzo della superficie del pia-
qua s'insozzò talmente del suo sangue, 1 mpì
a tal segno de' vapori nocivi eman urti dal sin. ca-
davere, che l'esercito dovette portare le tende molto
lontano. Di questo stesso serpente parlami pure
1 li .1. . e Seneca e Plinii 1.
Di un altro paxla Dindon. Siculo. Questo secondo
era lungo sessanta piedi; viveva ordinariamente in
acqua, ma a volte prendeva terra e divorava il be-
stiame i'he viveva presso le rive del mare. Si orga-
nizzò una spedizione per ucciderlo, ma la si
fu messa in fuga e quanti non ebbero tempo di fug-
DALLE RIVISTE
gire furono divorati. Finalmente fu colto in una
fortissima rete, trasportato in Alessandria e donalo
a Tolomeo II, collezionista di varietà zoologiche.
Venendo a tempi meno remoti, l'arci^
Upsala, in Svezia, riferisce come i navigatori delle
coste norvegesi concordassero nell'attestare l'esisten-
za di un serpente enorme, che, benché solito a vivere
nel mare, usciva talvolta alla riva a divorare agnelli,
vitelli e maiali, e spesso atterriva i marinai levando
il capo minacciosamente dalle onde e prendeva pure
gli uomini dalle navi. Questo campione aveva capelli
§7
centinaia che possono attestare d'avei visto di
quei serpenti. Ho fatto accurate indagini e non no
trovato persona intelligente che non fosse pronta a
intime l'esi I molti dei nostri navìg
settentrionali trovano strano che questa esistenza
possa mettersi in torso: tanto varrebbe dubitare che
vi fossero anguille e merluzzi ».
Veniamo a tempi più recenti. L'n ottobre 1848.
il capitano M'Quhae, «Iella corazzata inglese I >,
dalus, inviava al ministro della Marina questa rela-
zione:
Il serpente veduto dal Dedalus nel iS
al capo, occhi fiammeggianti e ruvide squame per
tutto il corpo nerissimo. Lo stesso arcivescovo di
Upsala parla di un altro serpente esistente presso
l'isola di Mors, nella diocesi di Hamme,r, e pre-
sentante, a quanto si può giudicare, tutte le carat-
teristiche del plesiosauro ora estinto.
Più tardi, il vescovo di Bergen scrive:
« Io ho dubitato dell'esistenza del serpente di
mare lungo tempo, ma ogni dubbio venne meno in
seguito alle testimonianze rese da pescatori e mari-
nai norvegesi assolutamente degni di fede. Ve ne
« Ho l'onore di riferirvi che il 6 agosto scorso,
alle ore 5 pomeridiane, con un ti n lUVO-
loso, il marinaio Satoris ravvisò un oggetto inso-
lito che si avvicinava rapidamente. Egli segnalò la
all'ufficiale di guardia, tenerne Edgardo Drum-
mond, col qui ìseggiavo sul ponte. Ci met-
temmo in osservazione, e scorgemmo infatti un
enorme serpente ohe tei ta e spalle quattro
piedi fuor d'acqua; e si scorgeva alla superficie del
mare una ^no corpo lunga circa 20 me-
tri : la parte visibile non aveva alcun m
88
LA LETTURA
menti «itale né verticale; tuttavia l'anin
procedeva con grandissima rapidità e ci passò così
vicino, che a quella distanza avrei certamente rav-
visato un uomo di mia conoscenza. Il diametro del-
l'animale dietro la testa mi parvi- presso a poni
quello di un serpente comune. 11 colon- era bruno
scuro, giallastro intorno alla gola Non aveva pinne,
ma piuttosto qualcosa coinè la criniera d'un cavallo:
lighe ti sa pente fu visto da <liverse
ne Ne faccio fare un disegno valendomi ili
uno schizzo preso sul momento ».
d'aver velluto l'8 luglio 1875 due balene, una delle
quali era avvinta in due spire da un animale che sem-
brava un enorme serpente e che misurava soltanto
nel capo e nella coda non contando la parte del
Corpo avvolta intorno alla balena 30 piedi. Il ser-
e lece girare la sua vittima durante àrea quin-
dici minuti e poi la trasse soli acqua a capofitto ».
l'no spinarolo simile fu veduto dalla corazzata
1. ondmi nel 1875.
l'n altro seri ente fu visto ni [877 dal-
l'equipaggio dello yacht reale Osborne e il 28 gen-
II serpente veduto dalla nave /Vi.
Il capitano Harrington, della nave Castilian, ri-
feriva al Times il 5 febbraio 1858 che il 12 dicem-
I re dell'anno precedente, a dieci miglia N. E. di
E lena, egli e i suoi ufficiali furono stupefatti
dalla vista di un colossale animale marino che pas-
sava col capi fuor d'acqua a meno di venti metri
dalla nave. La testa misurava circa due metri e
mezzi ' di diametro.
11 io gennaio 1896, marinai fecero la se-
guente deposizione giur
« Noi sottoscritti, marinai del barco Pau/iii di
landra, dichiariamo solennemente e sinceramente
naìo 1879 dal vapore City of Baltimore nel golfo .li
Aden.
All'esistenza di questo animale misterioso credono
del resto il prof. Gosse, il dott. Cray, il prof. Agas-
siz ed altri scienziati. 11 capitano di un'altra nave da
guerra inglese, Fly, riferisce d'aver visto nel golfo
di California, a mare calmo e limpidissimo, un
grande animale marino, il cui collo somigliava a
quello d'un alligatore, ma era molto più lungo \
veva quattro pinne: le anteriori molto più lunghe
delle posteriori. E a detta del prof. Newman, e
sta la più interessante scoperta del secolo XIX.
1 pente <li mare antidiluviano.
DALLE KIYIM !
Shakespeare o Bacone?
E' nota la controversia che si dibatte da lunchi
..... ^
anni dagli eruditi inglesi intorno a Shakespeare:
alcuni pretendono che l'immortale drammaturgo non
abbia mai esistito, e attribuiscono le sue opere al
filosofo Bacone da Verulamio.
La Nineteenth Century and After nel fascicolo
di dicembre pubblica un articolo del professore Mal-
li»!:, che solleva in Inghilterra non poco rumore.
Il Mallock, divulgando una scoperta fatta da una
signora americana, afferma che Bacone usò nelle
sue opere conosciute, e specialmente nel Novum Or-
gammi, un cifrario segreto, lasciandovi scritte molte
cose stupefacenti che egli non poteva narrare ai
suoi contemporanei. Tra l'altro, a più riprese, Ba-
rone si dichiarerebbe di essere l'autore delle trage-
die di Shakespeare, affermando di aver preso a pre-
stito il nome di Shakespeare, che era il migliore
attore di quell'epoca. Dell'esistenza di Shakespeare
non si può dubitare: poco tempo fa si è scoperto
in Vaticano un documento che prova come egli fosse
cattolico.
Bacone inoltre confesserebbe di essere figlio della
regina Elisabetta e del conte di Lancastro, che si
erano sposati segretamente prima che ella salisse al
trono.
La Nineteenth Century è la rivista inglese più
autorevole, ed è facile prevedere che la disputa si
riaccenderà più viva del consueto.
■ i <ii»i ■
Come naseono le mode
La Revue hebdomadaire ha cercato e trovato la
curiosa origine di talune mode che dall'Inghilterra
vengono poi importate in altri paesi. Per esempio,
la moda di rialzare i pantaloni in fondo, data da
una certa giornata di corse ad Ascot, in cui il prin-
cipe di Galles — ora re d'Inghilterra ■ — visitando
le scuderie dei cavalli, rialzò i propri pantaloni per
non insudiciarli nelle lettiere dei cavalli slessi. Poi,
uscendo dalle scuderie, dimenticò di abbassarli, e
tanto bastò perchè dopo mezz'ora cento eleganti
rimboccassero i pantaloni, benché in cielo splendes-
se il sole e il terreno fosse asciutto come l'esca. An-
che quella che ora è regina d'Inghilterra dette spes-
so il tono della moda senza volerlo. Così una /olta
avendo sequestrato al duca di York, che aveva al-
lora sei o sette anni, una bacchetta colla quale aveva
percosso, giocando, le principessine sue sorelle, si
mostrò attorno con quella bacchetta in mano. Non
ci volle altro per vedere tutte le eleganti misses ar-
marsi di una bacchetta per la passeggiata.
A Londra, l'uso comanda di portare il basterne
durante la giornata, ma un giovinetto elegante sa-
rebbe squalificato se portasse il bastone la sera e
specialmente in teatro, perchè il principe di Galles
non portò mai il bastone in teatro. E poiché si è a
parlare di bastoni, si aggiunge che il bastone può
essere rotto e poi aggiustato con filo impeciato. Tare
che questa bizzarria sia molto chic.
89
Ed ecco altre bizzarrie della gente snob. Nel 1895,
quando in Inghilterra infieriva la crisi agrana, il
mondo elegante si piaceva di viaggiare nei vagoni
di terza classe, bene inteso con vestiti all'ultima
moda, ma un po' consumati. I contadini gongola-
vano nell'avere per compagni di viaggio lordi, du-
chi e pari del Regno. Una moda simile regnò in
Francia all'indomani ili un famoso krack lan
rio. La gente alla moda prese ad andare a far cola-
zione ai Bouillons Dnval a due franchi, ma non si
arrivò fino al punto di portare abiti consumati così
da mostrare la trama, come avevano fatto gli ele-
ganti inglesi.
I I ■ » « I I
Come si affieehì Chambeplain
Chamberlain, il ministro inglese di fama mon-
diale, discende da una famiglia di mercanti di cui si
conservano pochissimi ricordi genealogici. Il padre,
magro al pari di lui, severo, tenace, era un onesto
fabbricante di scarpe. A sedici anni, nel 1852, il pri-
mogenito Giuseppe, che aveva frequentato le scuole
nei sobborghi di Londra, troncò gli studi e si diede
al commercio seguendo le orme paterne. Per due
anni si recò ogni giorno alla fabbrica su cui da un
secolo stava la scritta 0 I. Chamberlain e tì„li, mer-
canti di scarpe », vi teneva i conti e vi imparava
anche il lavoro del trespolo in mezzo agli operai.
Avendo uno zio aperto una fabbrica di viti a In'r-
mingham, e avendo il padre posto in quell'azii rida
una parte del capitale, il giovane Chamberlain si
trasferì a Birmingham. Per qualche tempo l'azienda
non fu molto rimuneratrice, specialmente per la
grande concorrenza. L'introduzione del vapore nel-
l'officina, danneggiando i piccoli produttori dei din-
torni, arrecò un grandissimo vantaggio alla ditta
Xettleford e Chamberlain, che comperarono il bre-
vetto per una nuova vite.
La manifattura andò allargandosi negli anni se-
guenti. Chamberlain — che a venticinque anni era
già vedovo con due figli — istituì scuole e sale di
ritrovo per i suoi operai, mentre spiegava una non
comune abilità commerciale. La concorrenza mi-
nacciava di rovinare ancora l'azienda, e i proprie-
tari si decisero ad acquistare a caro prezzo le su sse
fabbriche concorrenti. Il colpo riuscì, e i guadagni
si moltiplicarono. Il futuro ministro fu allora ac-
cusato di aver raggiunta la fusione commerciale delle
ditte rivali con mezzi minatori, ma l'accusa poi sven-
tata era dovuta alle agitazioni politiche che tur-
bavano allora il paese. Chamberlain militava in
quell'epoca nel partito radicale avanzato.
Chamberlain, dieci anni dopo la fusione, las
l'industria delle viti che gli aveva fruttato una co
spicua fortuna, pi 1 dedicarsi alla vita pubblica, in
cui aveva fatto il primo passo nel 1809, entrando
nel Consiglio comunale di Birmingham.
La ditta Nettleford e Chamberlain non pi
soltanto viti, ma anche uni-ini, punte, filo di fi
ed altri oggetti consimili, ed impiega ben quattro-
mila operai. I.a fortuna di Chamberlain giovò an-
che alla sua famiglia, perchè i fratelli e i nipoti
QO
LA LETTURA
,li h are in gì ' ■•'• e formarsi
; i itello Anni
listi della fabl sj le-
sivi K.ynocks
■ industriali di Chamberlain si no
iella pubblicai riunes made ■» bu-
In un cineo equestre
ha legalizzazione del linciaggio
: AY ne Biette, del ; dicembre.
rte del Pri Mai Kinley,
la paura renici è salita, negli Stati Uniti
u a un grado stri ma Un ri-
tadino jankee, il sig. Edwin Lehmann
sso commerciante 'li Menfi, dirige una
mali del su<> paese p dere nii nu-
li sistema na lei linciaggio sia de-
bitamente sanzionato dalle leggi !
L'umanitaria idea dell'egregio Lehmann Johnson
nata mentre egli udiva un uomo che, in
senza di duemila suoi concittadini era sepolto < ivo
dalla folla, a Winchester, nello Stato del Tennesee.
I . igurato aveva UCCÌSO la propria consorte, « a
Freddo», — assicura il degno negoziante; il
quale soggiunge: a Non esito a dichiarare che questa
ra più crudele del delitto che essa
puniva ». Ma la soddisfazione del cittadino ameri-
10 non fu piena ; egli si dolse che il castigo non
con l'intervento dei pubblici ufficiali
se .ione d'una sentenza della «giustizia!»
(Da un articolo di Werner Kurt, nella H'rtte \\ ,11 , del
6 dicembre .
Succede spesso che un giovane, preso da vivo a-
more per lane, abbandoni la casa patema per la
:. ni i non si è mai udito che ciò sia stato fatto
da un ragazza Più che dal teatro, i ragazzi ■• no
Itti dal circo equestre che visita di tanto in tanto
la loro città o il loro villaggio. L'arte teatrale che
si rivolge all'ititeli' non la capiscono;
capiscono invece le esei i degli ammali e gli
acrobatismi degli uomini e vi prendono diletto.
E si direbbe che nella vita dell'umanità, in ge-
nere, avvenga la stessa cosa che avviene nella vita
dell'individuo. Duemila anni or sono, Giovenale
poteva dire del pupi .lo romano: Duas tantum res
atuàus optai, -pattern ti circenses: di due cose sole
,'• curioso: il pane e i giuochi del cirro. Oggi, per
contro, I mi' tesse si rivolge principalmente al ti
e i circhi sono in decadi ai • Vero i he 1 1 rte p se
di cui s'aveva spettacolo nel circo romano, ora si ve-
dono altrove: ad esempio, le corse di cavalli e di
carri. Nel circo moderno, da principio, si cercavano
anzitutto esercizi di equitazione, cavalli ammae-
strati, buffonate di clowns. Più tarili si prese ad am-
maestrare altri animali oltre i cavalli, e poi si die-
dero veri e grandi spettacoli coreografici. Lo sfarzo
e la grandiosità si sostituirono in gran parte in
go dell'abilità ; e oramai, benché il circo trovi an-
cora il suo pubblico, la decadenza è certamente in-
cominciata.
In tempo, quando un circo voleva dare spetta-
colo in una città, piantava le sue tende in luoge a-
II doppio salto mortale.
DALLE RIVISTI
perto e quivi dava le sue rappresentazioni. Ora,
cresciuto sempre più l'apparato decorativo, aumen-
tati il personale, gli animali, gli attrezzi, gli orna-
menti, in alcune delle città più importanti si co-
struiscono veri. edifici stabili. In America tuttavia
quest'uso non è seguito. Bailey e Barnum, per esem-
pio, viaggiano sempre con tutto il loro materiale
e a volte traversano anche con esso l'Oceano. Si
capisce che là le imprese debbano essere più grandi
ancora che in Europa. Gli impresari non si aumen-
tano di un solo maneggio, ma ne tengono tre in
cui si dà spettacolo contemporaneamente. E vi si
vede un po' di tutto: v'è il circo propriamente detto,
v'è il serraglio, v'è una menagcne e tutto un museo
91
in aria, reggendosi sulle mani. Il capotila fa l'eser-
1 già perfettamenti . non rosi gli altri. Uno la-
scia che il corpo s'inchini troppo a destra, un altro
si lascia andar troppo a sinistra ; questo non riesce
a piantar bene le mani al suolo, quello piega le gi-
nocchia, l'ultimo è ancor così debole sulle brao
che non si regge e minaccia di battere il naso a terra
da un momento all'altro. Se questo caso gli su -
desse durante la rappresentazione, tutti lo imite-
rebbero, come se si dovesse proprio far così, e il
pubblico riderebbe. Ma ora non si scherza.
Entrano un cavallerizzo ed una cavallerizza che
eseguiscono i loro esercizi audaci e pericolosi. Essi
sanno già farli con perfetta sicurezza, ma bisogna
Un elefante equilibrista.
di cose talmente orribili da far perdere l'appetito
all'uomo più affamato. Non si può negare ad ogni
modo che nelle rappresentazioni si veggano cose
interessanti e notevoli.
Ma ancor più interessante di una rappresenta-
zione è una prova. In tanti casi ha maggiore at-
trattiva il divenire che l'essere ! E nello stesso tem-
po la prova dà un'idea schietta — quale non può
mai darla, s'intende, lo spettacolo — del modo come
si trattano tra loro le persone addette al circo, delle
loro consuetudini, dei loro costumi. Diamo durque
un'occhiata a quello che succede in diverse parti.
La prima cosa che ci si presenta è una lunga fila di
clowns che fanno le loro esercitazioni con la mas-
sima serietà ; non si direbbe certo che quegli uomini
dovranno poi, a spettacolo cominciato, preoccuparsi
principalmente di far ridere la gente. Ora essi de-
vono stare tutti in linea regolarmente, con le gambe
che si tengano in continuo esercizio. Qui più che
altrove vale la verità che il riposo significa andare
indietro. E' necessario ripetere sempre, instancabil-
mente, le stesse cose, gli stessi salti, gli stessi giuochi
di cui occorre poi dare spettacolo al pubblico. Lo
stesso si dica del ginnasta, che deve fare il loppio
salto mortale, e che compierà domani dalla schiena
d'un elefante l'esercizio che ora compie sulla nuda
terra.
Il ciclista va pedalando sopra un filo d'ai
e tiene in mano una lunghissima asta che l'aiuti
a tenersi in equilibrio. L'esercizio è difficile, e più
ancora è difficile in pubblico che nella prova.
che durante lo spettacolo c'è pericolo che la •
plice presenza della gran folla taccia perdere al
dista l'estrema calma necessaria. Intanto egli porta
una donna sulla sua bicicletta. E' uno spetta
che fa provare la vertigine.
02
LA LETTURA
Esercitazioni di clowns.
Interessantissimi sono i sistemi usati per am-
maestrare gli animali. Non è possibile descriverli
tutti, ma certo si è arrivati a risultati meravigliosi.
rano più soltanto il cavallo, il cane, le
scimmia. A tutti gli animali, miti e feroci, stupidi
e intelligenti, grossi e piccoli, si insegnano esercizi
stravaganti e difficili. Se si tolgano i pesci, si può
dire che tutti gli animali abbiano trovato il loro
maestro, che li fa obbedire con le buone e con le
cattive, assai più con le buone che con le cattive.
Ci vuole pazienza e bontà all'infinito, perchè le be-
stie non tornino bestie, e gli allievi non saltino ad-
dosso al maestro.
Non è certo questo l'ultimo e il meno grave dei
pericoli cui sono esposte le persone addette ad un
circi i moderno.
ipedismo aereo.
DALLE RIVISTE
li'epoiea (Dilanese,
capostipite di sei dinastie
(Da uno studio della baronessa Lodovica di Bodenhausen,
nel Nord und Siid, di dicembre).
.... Come un carattere d'antica grandezza ci si pre-
senta Caterina Attendolo Sforza, alla fine del se-
colo decimoquinto. E l'interesse per la sua storica
individualità è reso maggiore dal fatto che, mari-
tata in terze nozze a Giovanni de Medici, da lei pro-
vennero le stirpi de' granduchi di Toscana, degli Or-
léans, degli Stuarts, de' Borboni ormai espulsi da
Napoli e da Parma, della famiglia regnante di
Spagna.
. . . Suo padre, il duca Galeazzo, venne ucciso, il
giorno di Natale del 1476, nella chiesa di Santo Ste-
fano. Ma allora, già da tre anni, Caterina, benché
giovanissima, era andata in moglie a Girolamo Ria-
rio, nipote del papa Sisto IV. Veramente principe-
schi furono i doni di nozze: due vesti di broccato
d'oro e di velluto verde, adorne di 1538 grandi e
1380 piccole perle, un collare di 429 grandi perle,
innumerevoli gioielli, una borsa d'oro e d'argento.
Nel 1477 Caterina seguì a Roma il marito fatto
principe d'Imola e Forlì e capitano generale dell'e-
sercito pontificio. Ed ivi, alla splendida Corte dei
Papi, ella passò i più bei giorni della sua vita, il-
lesa dalla corruzione e dalle dissolutezze del mon-
do che la circondava. Ma se la purezza dell'animo e
la sincera pietà la difendevano da' vizi, la rende-
vano straniera al marito, che, vero flagello di Roma,
facevasi odiare per la spietata tirannide e la sel-
vaggia crudeltà. L'unica comunanza d'aspirazioni
fra Girolamo e Caterina era l'ambizione.
Nel 1481 ella visitò per la prima volta, col ma-
rito , i propri Stati : Imola e Forlì , e cu là an-
darono a Venezia, dove Girolamo doveva fungere
da Legato del Papa. Suo pretesto ufficiale era un
trattato, che il Pontefice voleva stipulare con la Re-
pubblica in difesa dai Turchi, perche la barn
della mezzaluna già sventolava ad Otranto e una
squadra turca incrociava nell'Adriatico. Segreta-
mente però Sisto IV mirava ad allearsi a Venezia
contro il duca Ercole d'Este, per ridurre anche
rara in signoria del Riario, mentre Modena e Reg-
gio, le due città vassalle di Ferrara, sarebbero state
annesse alla Repubblica.
Con tutte le pompe, che Venezia sapeva sfog-
giare in simili occasioni, vennero ricevuti i Riario.
Centoquindici dame attendevano la « contessa Ca-
terina» al confine, e alle feste, date in onere si
ilei marito, le dame veneziane portavano splenda le
vesti del valore di oltre trecentomila fiorini d'oro.
Ma le trattative d'alleanza non approdarono, e, più
che discretamente disillusi, Caterina e Girolamo pre-
sero il cammino del ritorno, anche questa volta pas-
sando per Imola e Forlì. Frattanto però gli Orde-
laffi, che prima avevano tenuto in loro signoria
93
quelle contrade, avevano ordito una congiura e que-
sta, detta « la congiura degli artigiani », perchè vi
prendeva parte specialmente il popolino, fu da Gi-
rolamo Riario soffocata, alla lettera, nel sangue.
E' notevole che Caterina non prese parte alcuna
a queste cruente persecuzioni ; ella sapeva od in-
tuiva che le congiure che, sempre rinnovandosi, mi-
ravano alla vita ili Girolamo, erano appoggiate ila
Firenze. Perciò ella già pensava ai mezzi per assi-
curare, ad ogni modo, la signoria di quegli Stati
ai suoi figli, non come a rampolli dell'odiato Ria-
rio, nipote del Papa, ma come a quelli di lei, di
Caterina Sforza, sorella del giovane dura di Mi-
lano e nipote di Lodovico il Moro, reggente in no-
me di quello, e da molti anni fedele alleato della
Repubblica fiorentina. La sua segreta politica, che
consisteva nel fare dei nemici di Girolamo gli a-
mici suoi propri, diede poi ragione sinanche al so-
spetto che ella non fosse proprio estranea all'assas-
sinio, poi avvenuto, del marito, ma giova dire che
nulla provò questa accusa ; e non maggiore con-
sistenza ebbero le calunnie, che volevano fare di
Caterina l'amante del papa Sisto IV. Il suo onore
di donna era difeso dallo stesso Pontefice. Quando,
per esempio, un pittore, in un certo suo quadro di
una rassegna delle truppe pontificie, osò dare a
due figure della folla — un francescano e una gio-
vane donna che sembrava in grande dimestichezza
con quello i tratti del Papa e di Caterina, Si-
sto IV entrò talmente in furore che fece bastonare
l'artista e a stento questo sfuggì ad ancora più
duro castigo. Quest'episodio fu, d'altronde, uno de-
gli ultimi della vita del Papa: il 12 agosto [484
morì Sisto IV, cui la Spagna dovette l'Inquisizione,
l'Italia il fatale nepi t'snio, ma Roma e il inondo
dell'arte la Cappella Sistina.
Caterina comprese tosto che la morte di Sisto IV
annientava d'un tratto tutti i castrili in aria dei
Riario e che per lei trattavasi ormai soltanto di di-
fendere i vantaggi acquisiti. Il marito indugiava,
ma Caterina, fattesi risolutamente aprire le porte di
('astri Sant'Angelo, vi si rinchiuse con un niu ieo di
forti soldati e mandò a dire al Sano Collegio che
ella era pronta a difendere . occorrendo con la forza,
il castello, che da Sisto IV era stato affidato al
conte Riario. quale suo capitano generale. Ma i car-
dinali non potevano rinchiudersi in rum-lave sin-
ché non fossero signori della cittadella, perchè il
possesso .li questa decideva anche di quello del Va
ticano e della città, nella quale, dopo la morte
Papa, regnava uno sfrenato tumulto. Il popolo si
precipitò sul palazzo de" Riario e vi distrusse tutti
esori d 1 r cardinali erano tanto spaventati che
alle esequie di Sisto IV soltanto undici Eminenze as-
sistevano. Gli altri non avevano arrischiato di rfn arsi
in I. atera.no passando dinanzi a Castel Sant'Angelo.
Così il Sacro Collegio si vedeva tentilo in isracco
da una donna appena ventenne, di cui il mondo am-
mirava l'audacia e il coraggio.
H tini, uno de' migliori cronisti ili quel tempo,
dice Caterina «saggia, valorosa, intraprendente ,
LA LETTURA
;iuin muta da tutti i soldati i I
ili grande, imponente statura, ili nobile, finissimo
iprè armata d'una spada bene aguzza i
d'un ben Fi imita ili ducati.
\ i ii. Im. ili in ni restò altri i da Fare i he venire .1
> Gii Ianni furono assicurati, alla
prebende sino allora godute quale capi-
di Imola e Forlì, un ini
ni// 'li 1 palazzi ' r otti mila du-
1 a el Sant'Angelo fu
Gii lami 1 - 1 laterina lasc ari im 1 Roma. ..
• !ii anni dopo, Girolamo Rìarìo fu ucciso da
ell'Orso, capitano delle sue guardie, e da
giurati, che ricevevano istigamenti ed ap-
Medici ili Ri 1 1 »rdelafB, gli ex-
n ili Forlì. Il popolo mise a sacco ed a ruba
itello. Illese restarono a mala pena le
della contessa Caterina e de' suoi figli Ma
non un momento, malgrado la disperai. 1 sua situa-
r - 1 donna vacillò. « Muzio Attendolo
e il duca Francesco Sforza, vostri antenati, — di-
a' figli maggiori - non seppero mai che
paura ! » Il irò api stolico Savelli
ria alla balìa degli Orsi assegnandole
per rifugio la tome di San Pietro, e i pietosi sol-
dati le procurarono del latte per i minori figli, per-
lii non erano più in caso di nutrirli.
\,-|: ssuno si moveva in favore della contes-
■ na la cittadella di Rovaldino, difesa dal capi-
Feo, resisteva ancora. I capi della città, non
mti appigliarsi, credettero essere
scaltri ini sa a recarsi ella stessa
nel castello per ordinarvi la resa al fedele Feo. Ella
iva nella torre, quali ostaggi, i suoi figli ; non
ano chiamarsi sicuri? Ma le ore trascorsero e
il (Iran Consiglio e la folla si accorsero che Cate-
rina li aveva canzonati. Invano anche Checco Orso,
l'uccisore di Girolamo, afferrò uno de' figli di Ca-
1 1 . dinanzi al castello, sui cui spalili ella sta-
va, appuntò il pugnale al petto del ragazzo. Ma
lina nemmeno per tanto spasimi' si lasciò in-
timorire. Ritta la persona, si mostrò tutta quanta al
popolo esclamando: « Guardate, 0 stolti, se io non
larti risce ancora altri figli ! j> Ella
■ ita.
nane appresso — durante le quali i cannoni
della 1 1 facevano fu sulla
- un 1 n lanese, spediti 1 dal dui a in
della nipote, eira indi 1 la città : prile
148.- -, quale reggente per il suo primi
1 viano, riceveva gli omaggi de1 vinti. L'in-
■ rina a Fi irli fu trionfale. ..
uenti ella si dedicò esclusivamente
■ uni figli e al Itene 1 le lui à Stai i.
possesso fondiario contro la riscossane
itiva delle gabelle ■■ fondò il Monte di 1
la prima Banca pubblica di queste pr< : rapo
della quale chiamò un israelita l La rico-
perTon - usi ir ■ di-
Rovaldino, che frattanto aveva preso in moglie
tra d Cati rina, fece venire poi que-
sta in il istichezza col fratello di Tommaso, Gia-
Feo. Ben presto ella si sentì presa d'amore
per il bello, culto e valoroso uomo. E col cons.
del duca 1 .1 11 Invici 1 il Muro ella contrasse con Gia-
como Feo un matrimonio segreto, quale era ne
sario per non perdere 1 suoi diritti di tutrice de' fi-
gli... Ma non andò guari che Giacomo, nominato
\ ii e signore di Forlì ed Imola, capitano generale
Olila contea ed anche, per intercessione di Caterina,
l '.none francese, si atteggiò a tiranno di lei, de" suoi
figli e dello Stata Un giorno egli si lasciò indurre
dall'ira a dare uno schiaffo ad Ottaviano, il figlio
maggiore di Caterina, il futuro signore di Eorli. I'oco
dopo, durante una partita di caccia, anche Giaci mio
perì sotto il pugnale de' suoi nemici. Caterina, « h<-
l'amava sempre, volle trarre aspra, feroce vendetta
degli uccisori. Essi furono sottoposti a ogni fatta
di torture. Un prete, che era stato complicato nella
mgiura, fu legato alla coda d'un cavallo e tra-
scinato così per le vie scoscese sinché fu fatta cruen-
ta poltiglia. Non le donne, non i figli de' congiu-
rati ebbero grazia...
Ma il destino de' Riario sembrò offuscarsi vera-
mente soltanto tre anni dopo, quando Caterina osò
rifiutare la mano della bella figlia di papa Borgia,
la poi tristemente famosa Lucrezia, per suo figlio
Ottaviano. Mentre Luigi XII si cingeva a Milano
la corona ducale e con la fuga di Lodovico il Moro
veniva meno a Caterina il suo valido ausilio, Ce-
sare Borgia traeva, con forte nerbo d'armati, in
Imola e Forlì. E, infatti, malgrado il valore di I 1
terina, di suo figlio Ottaviano e del popolo, Imola
ben presto dovette capitolare. Ed anche nella c:ttà
di Forlì il terribile duca entrò il 19 dicembre 1500.
Ma la cittadella resisteva sempre e la difesa che
Caterina ne fece restò per ogni tempo famosa
Dame Catherine soits forme femmine monlTa ma-
seni in eourage, dissero di lei i cronisti dell'ep
Stanco d'attendere, vedendo inutili tutti gli sforzi
dei suoi, Cesare Borgia, alto a cavallo sul suo bian-
co arabo destriero, fece, un bel mattino, annunziare
da trombe e tamburi che invitava Caterina ad un
colloquio.
Madonna - le gridò dal pie delle mura, a-
gitando rispettosamente il suo cappello dalle lun-
ghe piume bianche — Madonna, voi sapete clic mu-
tabile è la fortuna! 1" vi annuirò e m'inchino al vo-
stro eroismo. Ma vi prego, non resistete più oltre;
arrendetevi e alle vostre persone sarà usato ogni ri-
ci trdo.
Immota, ('aterina ascoltò l'arringa. Non un segno
di commozione apparve sul suo bel volto.
linea, ella rispose, io sono ima Sfor/a. la fi-
. li-I ruolini che non sapeva che fosse paura, e ri-
mali" sulle su,- orme sino alla morte. Quanto alle
vostre promesse, sa tutta Italia ciò che vale la pa-
rola d'un Borgia 1
Poi adunati intorno a sé i suoi capitani. 50g
ginn
— Io tengo alto l'onore della mia stirpe, perchè
DALLE RIVISTI
05
mai fra noi s*ebbero vili e traditori. Questa è la
differenza fra gli Sforza e i Borgia!
Occorsero ancora molte settimane d'assedio e
prove d'incredibile valore perchè Cesare Borgia si
potesse dire vittorioso. Né egli risparmiò umilia-
zione alcuna alla sua nemica. Stretta in catene d'oro
ella, si dice, dovette persino cavalcare nel suo se-
guito all' ingresso trionfale di Cesare Borgia in
Roma !
Un lungo anno la infelice fu rinchiusa nel tene-
broso carcere di Castel Sant'Angelo e quando, per
intercessione della Repubblica di Firenze, ella fi-
nalmente riebbe la libertà, le sue forze erano esau-
ste. Le sue terze nozze con Giovanni de' Medici non
furono che un lampo di gioia, una promessa di glo-
ria, della quale certo ella non intravedeva tutto
l'avvenire. Sette anni l'eroica donna d'un giorno ,
visse, tranquilla ed infermicela, a Firenze e il 28
maggio 1509 vi chiuse gli occhi al sonno eterno.
Libri costosi
(Da un articolo del signor Frank Rinder, nel Pali Mail
Magaziiie, di novembre .
La caccia ai manoscritti e ai libri rari, fatta con
criterio e abilità, può essere enormemente rimune-
ratrice. Uno dei più famosi collezionisti inglesi, il
conte Ashburnham, comperò verso la metà del se-
colo XIX una raccolta di manoscritti per duecento-
mila franchi e la vendette nel 1883 per oltre un mi-
lione. Un'altra raccolta, comperata per 150 mila lire,
fu venduta per oltre 800 mila ; un'altra ancora ,
acquistata per un milione e mezzo, fu rivenduta per
cinque milioni e mezzo. La bibliomania non s'arre-
oofautermcra aoora ctlaàtntfum
ìufiì mirò ìnfima, prati? npufc ma
libtt-uotat brcTtrtjrquf noe tjtntura
ararne Sàrtia riltmrartfitniì orooue
0$ cUat.Iaxiua uagtcta:iO t Ituìtit*.
ftuartf uant&ateiquÉ murai* unta*
raue.fcwr9 tìcaWatarìrarqttufont^
rara pnomt Jiijlf traitp libri raoru:
quoe^mrit tuorarb^o etgt anrilar.
èttim,raria$ maini tariutrtt moni*
uni a itju alio naunqui apuO illoa
ìofra bmnurn oirit. ìSrinOt wbtotit
foprbnu io rft iubiru lìtajitt in alimi
tópìngut rum-troia in tatto inaiai:
fra i$ nateat rfiQoria. lamia Itimi*
tur famiutqunn noo rccjmm prati i
&rJmOiam?.Cmart? maladjim io i
Il bibliomane.
Ina pagina della Bibbia di Mazarino.
sta innanzi a nessun prezzo anche elevatissimo. Nel
18 12 una copia della prima edizione del teatro Sha-
kespeariano fu comperata per 2500 franchi e una
copia del Deaamerone . stampata a Venezia nel
15 71. fu pagata circa 57 mila lire.
Oramai soltanto i collezionisti ricchissimi pos-
sono aspirare a ricche raccolte dei primi libri stam-
pati, e siccome a poco a poco questi libri vani
finire in pubblici musei o in mano di persone poco
disposte a venderli, si comprende che il loro prezzo
debba andare continuamente crescendo. Il primo li-
bro completo stampato con tipi mobili si ritiene ge-
neralmente essere la Bibbia del Mazarino, finita
certamente prima del 15 agosto 1456- Una copia
famosa è quella di Ashburnham, che, acquistata
per 12,500 lire, fu venduta per centomila. Un Sal-
terio latino, stampato da Fust e Schoeffer nel 1469,
comperato per 3500 lire, fu venduto per 120 mila
lire, il massimo prezzo che si sia mai pagato in In-
ghilterra per un libro. Un'altra Bibbia di Fust e
& hi effer, fu acquistata da Ashburnham, che acqui-
stò pure contemporaneamente una Bibbia di Gu-
tenberg, pagando per tutte e due 15 mila lire. Il
negoziante che gli aveva venduto i libri, soddisfat-
tissin tifare, gli regalò per soprammer
una Bibbia Pauperum, libro rarissimo. I tre libri,
venduti più tardi, fruttarono 140 mila lire.
La prima stamperia fu impiantata in Inghilterra
da Guglielmo Caxton nel 1477. I suoi primi libri
• m LA LI IH R \
hanno oggi un valore enorme. Ls di Troni, amichi. Molti libri editi nel secolo XIX ilivenuti
che un tempo si aveva per 3 scellini (L. 3,75)1 fu rarissimi nel commercio, sono cresciuti enormemente
vt-n. Ima nel 1S85 per 45 mila lire; e Re Arturo, che di valore. E lasciando anche i primi autori del se-
B Circa tre lire e mezza, fu venduto per piasi colo, pure accennando solo ai viventi, si può ricor-
! oc
-37>
r
ira
ratte ffultmws tomàio,
5 teme reta-f aitato flottar-
Xultate in
Otiti ttnorrr
ófitemfì)
■pfateio Uerc
Dal Salterio latino di Kust e Schoefltr.
50 mila lire. L'aumento è colossale, ma bisogna con-
1 il ii- > rappresenta un capitale immo-
li, lizzato: i tre scellini investiti originai i. munir
nella Storia di Troia, sor divenuti 36,400; ma se
inveo e impiegati all'acquisto del libro, i tre
scellini fossero stati messi ad interesse composto
al cinque 1 er - • nto, il guadagno sarebbe stato mag-
ggi se ne avrebbero presso a poco 64 mila,
profitti della raccolta di libri rari, bi-
sognerebbe tenn questo fatto.
Ma i prezzi alti non si trovano soltanto tra i Libri
^«-^r
dare che un volumetto di poesie, dato alle stampe
da Rudyard Kipling quando aveva sedici anni, fu
comperato ultimamente per 135 sterline, ossia 3375
franchi! Chi pagò quella somma enorme credette
che l'esemplare che acquistava fosse l'unico in com-
mercio. Dopo ne vennero fuori altri che si vendi I
a 80 franchi! I Poemetti di Keats, che nel 1894
furono messi in vendita al prezzo di 40 franchi,
era non s'hanno per meno ili 700. Un'edizione di
Chaucer fu pubblicata nel i8q6 al prezzo di 500
1 hi Nel luglio scorso se n'è venduta una copia
a 2075 franchi Come si vede, certi libri DOSS
lare delle piccoli fortune, ed anche delle grandi!
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1>I NOTTK
R icconto di V. G. KOROLENKO
'. /. B.). — Continuazione <■ fine, vriii numero precedente.
1 bambini rimasero taciturni. I uno
-.un a tog! itosi
sul I la fiamma iridava al-
ti
ii .; mano più pii i ola l'i
fuori, mentre sui bambini i lava comi una
lina d'oscurità, s'udiva il cader della p il ni-
ni..re dell I >ra si spiegavano la strani
della
La malattia della mamma ed i suoi presentimenti,
le preoccupazioni del babbo, il ricordo ili zia Katia,
il trambusto notturno, le voci, i pianti, i gemiti,
unto andava spiegandosi E anche 1" s ettico Mark
era - ire la teoria ■ 1 < - 11 ;\ nascita e-
Una vita nuova era per entrar nella casa, ma an-
che la morte stendeva le sue ali sopra il capo della
inanima, e a j h « ■■ > a poco uno strano spavento con
-a le anime infantili.
Vso ita, disse piani i Mark.
«"he vuoi:' chiese Vassia anche più piano.
gli si avvicinò all'orecchio, come temesse
l'eoo 'Ielle sue pan 'li-
li. se quel che mi hai raccontato è vero,
Due levono essere, sì, devi ino essere qui vicini...
n • . propose Vai
tutto tremai
ii he la vecchia Va tu, a svegliarla,
lo?.. Lo ho paura.
— Anche... Anch'io! — dovette confessare il
coragg Mark.
I due fratelli s'accostarono istintivamente. L'o-
scurità pi lalla 'an'lrla semispenta pareva al-
lontanar la pi condnceva alla camera delle
sorelli i governante; 1 bambini, soli, udivano
un mormorio l al .lisopra 'Ielle loro testi-
Infine Mark si decise a smo ' le dita la
; i : rata illumini i la i amerà,
coperte a terra e la porta delle
baml
Vado a annunziò Mark. Ed eri
- nella camera, chiamò la vecchia, che si .lri//"
presti i, col \ iso sci invi >lto.
i *. . i ria cominciati i ? Ed ii i,
. donno ancora !
I - latosi un fazzoletto in testa, infilò li
ii ' ranquilli [o torno sul
tua spari nel corridoio, mentre Mark,
■•■ilo ' on una smorfia 'li i
. a :
I and ita via! < he stupida !
— Già, era meglio lasciarla dormire. Chi
bine.
M . le bambii ran già destati . si
ndere dal
li iti i. e ni un momenti i o im] ai mio sul limil
tenendosi pei le mani.
Bui m giorno, ci qui anche noi !
disse Ma - ia al li i ami nte, facendo una ri i
a Era tutta iveva v isto che il !
della governante era vuoto.
Piano, stupì. la 1 le gì idò Mark. - l 'alla
ria >ce una nui n a baml
Piano tutti ! - disse Vassia autorevolmente,
re stava in ascolto. Le bambine, docili, sedei
ero intoni. i alla candela e rima i pure ad
ascoltare.
VII.
( '"I cessar della pioggia, si udivano meglio i ru
mori, lo stormii delle piante, i latrati d'un cane e
un certo frastuono che andava creso . vi.i-
namlosi rapidamente.
Qualcuno arriva in carrozza, disse M
\, i : .li \ essere in città.
In mezzo al sonno ed al silenzio notturno, tutti
ascoltavano il rumore.
( "hi '■' hti'\ a e d ive si correva, in una n
così strana ? pensai a Vas
A lui sembrava, nella strada lana <■ deserta, 'ìi
vedere unti piccola carrozza, ma assolutami
cola, con piccole ruote .li metallo; ed i piccoli ca-
vallucci correvano in fretta, battendo lo zoccolo sul
'l'iato, mentre il piccolo Cocchiere li ai//
la frusta. Chi dunque poteva passar così tardi
le strade della città addormentata?
Il rumore andava avvicinandosi, poi si spense
d'un tratto, perchè, terminato il lastrico della i
la carrozza passava sul terriccio della campaf
Traversano il campo. Veng > da noi, —
. issen o Mark.
La casa, quasi fuoi .li città, era presso a un
opriti, d'erbe selvatiche. Chi poteva giuri
una notte simile, quando stava per nascere il barn
lo?
Trattenendi > il respiri >, i fratelli asi ■ Il ai ani
si la | urta i'l entrar nel cortile la carrozza Poi, ni '
I altra parie 'Iella rasa s'udirono .Ielle VOCI.
Manno ponato il bambine! chiese
M ascia.
i ai i, tu '
Vassia ascoltava e sudava immaginandosi un qua-
dro strano. Palla carrozza scendevano gli angeli, e
.lo con precauzione il bambino, I" affidavano
alla man '..m gli auguri dicendo:
Prendetelo per voi. e state tutti b
Ma era strano che in casa regnasse aurora il si-
lenzio e non s'udissero grida <li gioia.
Qualcuno si avvicinò alla porta della e
dove abitava la vecchia zia, che non usciva mai d
sua camera, e Vassia udì :
Grazii i Dio, irri I Ora tutto .unirà
bene.
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Lo scia;
lato rando i capelli in disordine.
i .1 tutta lagno i neoimeni
bambine non eran più a letti •. i rugò
■ una candela che
nan
iti III
I he m 'ii ne capi\ ano nulla, si guai
. mentre ; fi
riunì i> l'altri i comi]
pei formare il coroe riempir la camera ili sin-
\l i tutti era troppo spaventevole :
non riconoscevan più nemmeno il fra fuo
;tiar del vento.
una porta lmitana si apersi e una
ite:
Benissimo, benissimo! — Poi un lungo so-
spiro 'li sollievo passò lento sulla rasa silenziosa.
i. pur non rii spiegarsi nulla, si
ilice. Stava pei iddi rmentarsi, vinto
dalla stanchezza; anche la piccola Sascia dormiva
ma.
Ed io so chi è arrivato! annunziò forte
Mark, che non aveva sonno.
Ma e si ttile, il
pianto d'un bambini I i cosa era tan^o inaspettata,
che Sascia riaprì gli occhi, alzò la testa, e
disse:
1 1 bambinetto pian)
('■li altri si in piedi. Mascia batteva le
mani, e Mark si precipitò alla porta, gridando:
Indiamo ili là !
i si arrestò d'un tratto, sulla soglia,
ino? di
l'ir una volta non sarà niente - assicurò
Mark, il quale voleva
in così 1 • E voi, l'ami'
ni.
\l divei samente.
me sei gentile! Perchè non rimani tu. in-
- Andiami : . andiamo eira! aggiun-
liutando la pi 5 scia.
pi gò Vassin, il (piali'
ii vento caldo
nido soffiò Iure in faccia quando schiusero la
illuminato 'la una rami, l.i
qualcuno vi aveva dimentii ito l'alia porta si
mi-aperta s'intravedeva un lembo di ci cato
un- degli alberi. I bambini sentii
iw- dall'aria. Mark, che
litri, apri adagio un usci" pel quale
rari no ni Ila prima carni i
I ,, vano in nuovo . sbirciando
Iella mamma, i bimbi videro
ibbo chinato amorosamente verso il letto; una
iuta t rav i ■
Mark - ; pel brai
■
II
' Mi hele.
! Enrico, pei seduto ■
la lampada, e nel pallido viso brillavano gli occhi,
che semi i indi del solito. Michele, senza
giacca, le maniche rimboccate, si asciugava le mani.
( 'In- farciamo adesso ? di mandi • \
il quale aspettava sempre le decisioni del fratello.
— Non su, rispose Mark, nascondendosi in
un angolo oscuro, ove gli altri In seguirono,
1 i ]in senza degli zii li stupiva,
Lo zio Enrico, il quale era una volta molto al-
tri il ni " ri, di ipi ;-i ' d'un i
bambina e la morte contemporanea della moglie,
era andato a stabilirsi in un'altra ritta. Tutte le
volte che veniva a trovare i parenti, i bambini
\ ano del sui i mutamenti ni ivano imj
riati davanti a lui.
i ." /io Michele era molto più giovane; aveva <<•-
ehi celesti, i capelli biondi, un viso ■ e fre-
sco. Vassia si ricordava quand'era studente; i>"i i
bambini ricordavano d'aver udito he si
era innamorato d'una signorina, che faceva le ope-
i "ili chirurgiche e che non crei leva più in DÌO.
I utti gli studenti cessa li credere in l»i" pi :
tagliano i cadaveri e non hanno paura di nulla. M
poi, 'piando diventano vecchi, cominciano di nuovo
a crei !' re e domandano perdoni i a Dio; se no, può
capitare loro qualche disgrazia come al vecchio dot-
tore, che i bambini avevan conosciuto. Il povero
dottore era morto sul colpo, perchè gli era scop-
piato il ventre.
Lo /i" Michele badava poco ai bambini, ai quali
uva d'esser da lui disprezzati perche tran tTO]
i piccoli.
Ora, quando lo videro illuminato dalla lampada,
10 trovarono molto cambiato, con la faccia molto
contenta e superba. Gli occhi gli luccicavano, e
sulle labbra errava un Sorriso, malgrado il desiderio
di conservarsi serio. Infine, non potendo ri
accese una sigai disse a Enrico:
I li. ionie ti pare, Enrico' Son riuscito bene?
11 caso era molto grave, e quel vecchio dottore a-
vrebbe 'irto mandato all'altro mondo la madie
o il bambino, o tutte due insieme.
— E' vero. Bravo Michele! Siamo arrivati ap-
,i tempo.. Forse, due anni or sono, se anche
presso la mia l. - e con voce spenta, sen/i
lini re, aggiunse: — La nascita e la morte stan così
vicine '. E' un gran misten i
Michele alzò le spalle.
Questo mistei . disse, - l'abbiamo stu-
! fondo.
I bambini rimanevano sempre indecisi, poiché
tutto pareva rientrare nell'ordine normale ed
temevano di essere rimproverati davanti agli zii.
Ma in quell'istante s'apri improvvisamente la
porta e qualcuno guardò dalla fessura. I bambini,
i quali credevano veder comparire la governante,
ma, coi capelli e la
bari i . e indi a pò." comparve la figura di
un contadino, vestito di un k<if/<i?i. con enormi sti-
vali e con la frusta in una ni
I si guai dò attorno, tossi piano e si gì
nuca esprit] ivano in lui uno stra
ordinario impaccio, il che eccitò hi simpatia
ii Vbituati gli occhi all'oscurità del corri-
doio, il contadino si accorse della presenza dei bim-
bi, e tutto contento si avvisino loro, dicendo:
"t1"'!"""' .''.'■""■■■ .i-fi..-i.i;i-.-»-t'»'.:i.in.tr-^nì-TTT^n-,J ■■-'!■ -r -. , - . .-y^fif^l-wnn a -i^tt ttttt .rTirTn^nrwr nn«tiP.n-iPi.ui,nn-li^-! ■-,.■■.,,.,,.■■■ „,.
Alcune attestazioni sulle Premiate
SPECIALITÀ FATTORI
V
.... Le vostre Pillole Depurative Univer-
sali sono portentose. Da quando ne faccio uso
non mi sento più crampi e dolori di stomaco.
E' scomparso anche il gonfiore di ventre ca-
gionato da un invecchiato e persistenti
stricismo. Ora mi sento perfettamente gua-
\ rito. LUIGI SCARMANAN, fornaio.
Copparo (Ferrara).
.... Ho esperimentato le vostre Pillole Uni-
versali e le trovai di srrande efficacia.
Nieosia. Can. don VINCENZO FURNO.
.... Sono molto soddisfatto delle loro Pillole
Universali Fattori. Dal primo giorno che
cominciai la cura, tosto sentii un migliora-
mento, come pure mia sorella sofferente al
pari di me da disturbi gastrici con gonfiezza
di ventre. Sono veramente prodisiose,"le consi-
gliai a qualche mio amico. FUSETT1 SILVIO.
Riva d'Ariano Polesine (Rovigo).
.... Favoriscano spedirmi un'altra scatola di
Pillole Depurative Universali, da Lire
due. Trovandomi quasi libero dai tormenti ca-
gionati da una malattia insopportabile, non
posso a meno che ringraziarli ie mille volte.
Con tutta stima li saluto. SERRA ANGELO.
Monteluponi (Iglesias).
.... Le loro Pillole Depurative Univer-
sali mi hanno giovato molto, perciò li prego
a spedirmene u .'altra scatola da L. 2. Infinite
Il di a questo loro potentissimo terapeutico il
solo ed unico sollievo all'umanità soffi
Una stretta di mano colla più viva
scenza. ALCIDE DALLARI.
Scandiano (Emilia |.
COBRIEBE SANITARIO
Dirett. Cav. D.r Vincenti
Note pratiche di terapia.
La Cascarci Sagrada nelle forme gastroente-
>■ che. — L'uso e la prescrizione ili pre]
a base di Cascara Sagrada vanno diffonden-
dosi man mano che viene confermandosi la
speciale efficacia di tale sostanza sulla fun-
zione digestiva.
Si spiega e si giustifica adunque la fiducia
che medico e pubblico hanno nelle Pillole
Universali Fattori che sono appunto a base
di Cascara Sagrada e s'impiegano razionalmen-
te nei vari disturbi dell'apparato digerente.
Di facile e comodissima somministrazione, di
effetto pronto esse dh ennero, inbreve.il rimedio
preferito da quanti soffrono dispepsie e catarri.
La parola al sin. prof. dott. COLMAYER di Napoli
Le Pillole Universali Fattori sono state
a da me largamente sperime tate in individui
alfetti da torpore di fegato e da ingorgili epa-
tici e persino da catarri dei dotti biliari;
T
Quindi atte! itano la secre-
zione biliare, riuscendo così uno dei un:
igoghi. 1 pure utilissime nelle
stitichezze determinate da torp uscoli
intestinali, special mi individui con-
valescenti • ■ di debole eostitu/i
Napoli. D. COLMAYER
lied. dell'Osp. Clin. e del Neurocomio di Miano
.... Ho esperimentato con successo sorpren-
!e Pillole solventi Fattori contro le
emorroidi e l'Unguento antiemorroidale
Fattori. VINCENZO MALI BONE.
Ritsi (Caltanisetta).
.... Trovo efficacissimi i vostri prodotti anti-
emorroidali. Prof. PASSERA GIOVANNI.
Colmegna Lago Maggiore).
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delle vostre Pillole antiemorroidali Fat
tori. RI --H PASQUALE.
Torii: -ietta. 3.
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fatto benissimo. PIETRO MUSS, pp.
'/. . ra (Dalmazia
.... Le Pillole solventi Fattori e 1 Un-
guento Fattori ini hanno fatto bi
PIETRUZZ1 LEOPOLDO.
un. islr. 'li Feltre.
.... Anche il dott. Favai-i nel suo periodico //
Dottore di Casa d'igiene popolare e
medicina domestica, nel 32 numero di settem-
bre 18P9. elogia grandemente i preparati an-
tiemorraidali Fattori.
.... L'anno scorso ho comperato da questa
Ditta una scatola .li Pillole solventi Fettori
ed un vasetto di Unguento antiemorroi
dale e un Mino trovalo bene.
PIETRO Don. TOMAT1S.
Curenno Genova .
.... La cura fatta l'anno scorso mi pi
Un. ira dai dolori reumatici.
Castelluccio Inferiore. CARLO ROBERTI.
... Il vostro Elisir anti gottoso Fattori lo
Dott. PAOLO KAMI.
Ba S i nagna.
.... Avendo la sottoscritta ottenuto col vostro
Elisir Fattori ita guarigione (
ha raccomandai. . la cura ad
una - dizione
di due ila. ■oni. Distinti saluti.
M ORIETTA BRAMBILLA.
Lu - ilendide.
.... Avendo fatto esperienza che il vostro Eli-
sir Fattori è e radicale,
ho indotto un altro ! di Lecce a farne
acquisto. Devot MARCELLINA di i
Lecce (Educatorio delle Marcelline
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ìgflUBfegg
■ J.'.. MjJJuJJJJJJ.Jmj.»»i>»i u.j.jjjir.ri'rrrrMjlMJ:
IO NOTTE
Chi S no?
Ah, avete portato miri,
domandò \
• 'li'- bau | tiat< > i due signori,
ma non
ppiamo neppnr noi, rispose il
M
lì che devi fare, signorino J prò
Va
M hele se devo staccare
.illi
Va tu sti
io ho paura. Non oso entrare. Va' tu, che
eran di o
Ma di che hai paura ?
Non mila \ .1 va' !
I il Mark clal SUO angolo verso
la porta. Mark, turbato di d rsi agli zìi
di a I" rniirsi, ma la
mano dell'uomi idolo.
Da dove \ iene quest'aria ? mormorò la
le della mamma.
Mi hele si volse alla ; [ora Mark,
'i'lo 'li es unente
innanzi aj atori meravigliati.
niello lì. incominciò Mark.
a voce alta, coll'intenzione 'li attribuir la colpa del
l'inconveniente al contadino, — egli dice di doman-
dare se ' valli.
''hi' Dove? chiese il babbo, uscendo dalla
camera da letto.
— Questo contadino.
Ma il poveraccio s'era nascosto dietro la porta.
M ia indignato gli ^ridò :
Perchè ti nascondi? Sei furbo: hai spinto in-
nanzi Mark e noi scappare.
Michele prese un lume e alzandolo illuminò il
gruppo dei bambini seminudi.
Oh, oh, quanti sono! — egli gridò. — C'è
anche 1 niello stupido cocchiere. Vieni, vieni avanti!
Ma., io vole\a soltanto domandare se devo
Ili...
Stupido, chiudi la porta e aspetta nel corri-
doi.. I ■ !.. bambini, ditemi un po' come vi tro-
I due fratelli tacevano, attristati di dover ri-
spondi ri .1 M ichi le e di non aver trovato nulla delle
maravigliose 1 11 ttavan di vi dere.
Abbiamo sentilo piangere il bambino,- -dis-
se \l
E allora ?
.amo curiosi ■ veniva,
Milk, accigliato.
il problema! esclamo io zio Enrico,
prendendosi ti ia la piccola Sascia — Fa-
dallo Zio Michele.
I. hanno trovato sotto un cavolo, spiegò
M 11 noncuranza.
/'•: eslamò Mark irritato. - -
pian :ia bugia Fui .ri piove, e il
bambino si sarebbe raffredda
m- lo zio
Trova un'altra spiegazione,
Michele !
l.'han mandati 1 '\.<ì 1 iel n un filo.
< Ih, ite pure ' disse Mark, riscal-
dandosi e indignandosi. - Voi non sapete nulla;
noi SÌ, In sappiami i !
— E' 'ini' sa !
No.
I. chi dlliii|iu f
1 ■ ■ i\ anni, il bottegaio !
Ma he vi ha detto, lo scienziato
inni ?
Racconta tu, Vassia, disse Mark.
No, racconta tu si rispose Vass;a. .1
Ics,, dal tono leggero con cui aveva parlato lo zi,,
M i e hele.
Va benissimo, racconterò io, esclamò Mark
con una voce provocante, facendosi innanzi,
l-'.cco: Dio ha 'hu- angeli...
E raccontò la storia udita da Giovanni, pigliando
coraggio a man,» a mano che s'accorgeva della cu-
riosità svegliata nell'uditorio dalle sue pan. le. Per
lin la mamma, dall'altra camera, gli diceva di par-
lar più teli.- perchè potesse udire anche lei: lo zio
Enrico andava fissandolo co' suoi grandi occhi, ed
d [>adre sorrideva dolcemente Michele pure non na-
scondeva l'interesse destato in lui dal racconto.
— Ebbene. Vero tutto CÌÒ? I cimino Mark,
rivolgendosi agli ascoltatori.
Tutto vero, tutto verissimo, bambino mio, —
nspi.se lo zio Knrico.
Ma Michele, volgendosi impaziente al ragazzo,
interruppe:
Non creder nulla, Mark ; son tutte scioc
ze!... Che idee, — aggiunse poi, a Enrico, — che
idee! Riempir la testa rlei ragazzi con queste stupi-
daggini !
Allora, spiega tu, se puoi...
— Sai bene, che io potrei spiegare. . .
— In qua! modo?
Michele rise.
— Spiegherei la fisiologia in modo facile. Al-
meno sarebbe la verità.
— E perchi- ?
— Tu sai poco, credendo di sapere tutto! I bam-
bini, invece, intuiscono il mistero, e s'ingegnano a
penetrarlo con immagini facili... A me sembra che
essi, piuttosto, s'avvicinano alla verità.
M ichele si alzò in piedi.
— Potrei risponderti. Knrico, ma non è quest >
il.- il tempo ne il luogo. Ti consiglierei, per esempio,
di seguire le teorie di Giovanni quando dovessi a-
gire come ho agito io ora, e in questo caso l'amma-
lata sarebbe morta...
— Oh, si muore anche a dispetto dei medi
scienza, ed io pur troppo Io so.
— Un caso eccezionale. . .
— Aspetta un poco, e capirai anche m che cosa
vuol dire la morte d'una persona amata...
— La verità è superiore ai sentimenti personali!
rispi .- Michele, per troncare la discussione.
Vili.
Nella camera tomo il silenzio; i bambini eran
inali, non essendo riusciti a capire una parola
di uni. . quel dibatt
Frattanto il contadini!, obliati, in anticamera,
capolino dalla porta.
— Dunque, devo o no staccare i cavalli?—- egli
I pi. .). inda tristezza nella \oce.
ISTITUTO flERO-EIiETTHOTERRPICO Di TORINO
MALATTIE DeF POLMONI E DEL CUORE
del Dottor GUIDO SCARPA, specialista
Direttore della Sezione « Malattie di Petto » nel Policlinico Generale di Torino.
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E l'unico Istituto in Europa per la cura esclusiva e completa delle suddette malattie secondo
i più recenti progressi della terapia e la più rigorosa razionalità, cioè con a base la correzione
delle lesioni statico-dinamìche degli Apparati Respiratorio e Circolatorio prodotte dalla malattia
stessa. E ciò perchè non è attualmente più possibile esercire la specialità della terapia polmo-
nare e cardiaca quando non si possieda quanto è necessario a compensare quel tanto di alterata
funzionalità meccanica che, in grado ora più ora -meno grave, esiste sempre in ogni malattia di questi
organi la cui base dì funzione è precipuamente meccanica.
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anche nei processi avanzati, sì che 2-3 mesi di cura nei casi gravi, e 4-5 mesi in quelli gravissimi
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Allora, perchè i cavalli dovrebbero rimanen
to la piog|
." anrh'in così, disse tranqi
Ni mi piove, ma pei i ca-
vall Allora v: locarli.. . Dovi
dirn na...
E, tutto contento, il contadino se ne andò.
oi, bambini, andate a dormire, presi
lino il padre.
I e... e la bambinetta? — domandò Ma-
gi ndo.
causa di tanto trambusto stava in ca-
mera da letto, la mamma ordinò alla balia di n i ari
il neonato ai fratellini. Tra le fasce bianche appa-
riva la piccola testa; gli occhi erano aperti ed ave
vano uno sguardo quasi meditabondo, quello sguar-
do che dà talora alle fisionomie dei bimbi un'e-
ssione da persone grandi. La neonata si stirava
sbadigliando.
(li.- smorfiosa, — osservò Mascia, senza ben
saperne il perchè.
rido nel corridoio. Mascia e .Sascia s'affret-
tarono nella loro camera; ma Vassia e Mark, a-
vendo visto dalla porta semi-aperta che il contadino
Staccava i cavalli, corsero in cortile.
Il contadino legò i cavalli, poi scaricò dalla car-
mi grande baule, e deponendolo a terra, disse
bonariamente a Mark.
— Pare che sia nato qualche cosa, ria voi?
Non qualche cosa, ma una bambina...
Ma perchè i signori facevan questione
tra di loro?
Ti spiego : vedi, noi di' . n he Dio ha il.u-
li...
'i. no ; non due. ma moli i ...
E' vero, dunque E zio Michele dice che son
tutte sciocchezze
No, no, non credere. Il signorino dice i
pei ridi re, e il contadino si unse a ridere egli
pure. ..
I bambini sentirono per lui un grande ris
Allora, diiii'i' i angeli poi
i li. un'
\l i sì, sicuro. <> meglio, i bambini li portano
une, e gli angeli danno loro l'anima... Però
lasciatemi ani I o pi irtare que-
ti i Mule in casa
Vassia e Mark, rim.isn soli, si sentirono superili
nferma alla loro teoria, ottenuta dal vettu-
rale; ' amili' rdarono il cielo; poi s'accor-
sero d'essere in cortile, cui piedi nudi, in camicia,
mentre il vento fresco soffiava loro intorno; le |
nere rifletti vano il cielo stellato. E ai bambini
sembrava \eder nel cielo il volo d'un angelo luroi-
. mentre un altro apriva le ale scure. S'.ttn ''erti-
nuvole vaganti.
I ni" già deciso di attendere la levata
del snle, quando la governante, accortasi della loro
•.!. comparve sulla porta, gridando;
— Via. via, cattivi bambini, via in i
T bimbi corsero attraverso lo strettii passaggio
lasciato dalla persona della governante; il primo
a slanciarsi fu Vassia, prediletto dalla vecchia, ed
ebbe un ceffone abbastanza leggero; ma quello ap-
plicato a Mark risonò per tutto il corridoio.
Mark si fermò dignitosamente, e disse alla donna :
Credi forse d'avermi fatto male? Nean-he
per sogno! Nessun male, hai capito?...
Mezz'ora dopo, la 'alma e il silenzio regnavi
tutta la casa, ma non tutti dormivano.
Il padre pensava che con la nascita della bam-
bina eran cresciute le spese, ma non era cresciuto 1"
Stipendio. La madre pure pensava questo, gliar
dando la bambina e piangendo. Michele s'addor-
mentò, convenendo seco stesso che la vita è pr
bella. Ed Enrico, gli occhi fissi nell'oscurità, n
i.n.i sulla morte... Che cosa era la mi irte'
Solo i bambini dormivano sogni placidi e Felici
F I N E.
DUE NOVELLE DI MASSIMO GORKI
IL KHAN E si'o PIGLIO
Regnava allora sulla Crimea il Khan Mas-
solaima-el-Asvab che aveva un figlio chiamato
i... »
hio tartaro, povero mendicante cr
'i". una delle tante an-
tiche lep: la di genera-
zioni a Crimea, attorno a lui, sulle
rovine del palazzo del Khan demolito dal ten
aliuni tartari, avvolti in chiare zimarre e coperti
il capo di berretti trapunti d'oro ivano se-
duti. La voce del mendico' e tremula: il
sembrava pietra: le pupille non riflettevano
nessuna immagine, ma solo una vaga serenità; le
parole uscivano una dopo l'altra dalle labbra come
se il narratore le avesse mainiate a memoria.
Il Khan era vecchio, disse il cieco, ma teneva
nell'harem molte donne che lo amavano per la
sua vigoria e per le sue carezze piene di fuoco e
di soavità. Le dorme amano sempre chi le carezza
(osi. anche se abbia i capelli bianchi e il volto
solcato di rughe: la bellezza è nella forza, non
nella morbidezza della pelle o nel colorito.
! lite amavano il Khan. Ma egli prediligeva
una prigioniera figlia d'un cosacco delle ste]
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L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini: il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — clie infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la saluti- dei vostri bambini.
Non è necessario di abolire completamente l'uso del Caffè Coli
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per lare i
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Cafle
Malto Kueipp. Il Caffè Malto Kueipp ha gusto piacevolissim
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altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
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del Dniepr e sempre la carezzava più volentieri
che le altre donne dell'harem, che puri
nto >li diversi paesi e tutte belle come i fiori
i e tutte beate. Il Khan consentiva
i apparecchiasi «ro loro piatti prelibati e con-
seativa che danzassero e giuocassero a loro piaci-
ment i Ma la figlia del Cosacco, sua proferita, egli
la chiamava spesso in una torre di dove si vedeva
limare, e dove egli la colmava 'li i u lari,
di tutte li possibili: cibi squisiti, stoffe
magnifiche di colori, 0|p, pietre preziose d'ogni
varietà, musica, uccelli rari di paesi lontani e ca-
rezze ardenti di limami :
in lei egli si chiudeva nella torre durante
riposando Belle fatiche della vita,
tranquillo che la dignità del Khanato non sarebbe
stata messa a repentaglio dal figlio Algalla, quel
te un lupo le steppe russe e
sempre ne traeva lauti ruttino, donne nuove e
nuova gloria, lasciandosi dietro orrori e rovine fu-
manti, cadaveri e sangue.
Un giorno che Algalla tornava da una scorreria
in terra russa, si apprestarono grandi feste in suo
re. Invitati tutti i principi, si diedero giuochi
e festini, si scagliarono treccie, per esercizio, negli
occhi ai prigionieri e si bevve multo alla gloria di
Ila ardito e gagliardo, terrore dei nemici e
colonna del Khanato. Il vecchio Khan si inorgo-
gliva della gloria del figlia. Vedere in lui tanto
re, poter pensare che alla propria morte il Kha-
ebbe rimasto in mani sicure, gli faceva
. Egli si sentiva felice ; ed a mostrare al figlio
innanzi a tutti i principi e i maggiorenti radunati a
1 ietto quanto fosse grande il suo amore, presa
in mano una coppa di vino, disse :
Tu sei un buon figlio, Algalla! Gloria ad
Allah e benedetto il nome del suo profeta.
Tutti in un coro di voci potenti glorificarono il
nome del profeta. E il Khan proseguì:
- Allah è grande. Me vivo ancora, egli ha fatto
rifiorire nel mio figlio coraggioso la mia prima
età: ed iu vedo coi nviei occhi di vecchio che
ancora quando il sole sarà ottenebrato alla mia
vista e i vermi mi roderanno il cuore, ancora vivrò
nel mio figliuolo. Allah è grande e Maometto è
suo profeta. Io ho un buon figliuolo dalla mano
sicura, dal cuore ardente e dallo spirito illumi-
nato. Ora dimmi, Algalla, che vuoi tu dalle mani
di tuo padre ? Dimmelo ed io ti darò ciò che tu
vorrai...
Non aveva qua»i finito di parlare il vecchio Khan,
. he Tolaik Algalla si levava con gli occhi scin-
tillanti come i| mare la notte e ardenti come quelli
di un'aquila della montagna, e diceva:
- Padre sovrano, dammi la prigioniera russa.
Il Khan tacque un istante quanto bastasse ad
acquetare il fremito del cuore, indi rispose forte e
fermo :
- Prendila. Finito il banchetto l'avrai.
Il v.-' alla s'illuminò: gli splendeva negli
occhi una gioia immensa. Egli si drizzò sulla per-
a quant era alto e disse al Khan suo padre:
Padre sovrano, io so il valore di ciò che tu
mi doni. Io so.... Ecco, io sono tuo schiavo. Pren-
dimi il sangue a goccia a goccia lentamente. Pei
te io Mino disposto a morire venti volte.
- Nulla voglio, rispose il Khan, e la tota bianca
i .lionata dalle vittorie si l al pento.
Terminato il banchetto, tutti e due osciroi
palazzo, avviandosi all'harem, taciturni l'uno ac-
i ant i all'altri ■.
La notte era buia. Le nubi stese sul
me un tappeto spesso non lasciavano vedere né
la luna i Ile.
l'adre e tiglio camminarono gran tempo nell'o-
scurità. Finalmente il Khan disse:
— La mia vita si va di giorno in giorno estin-
guendo; il mio vecchio cuore batte sempre meno
forte e il fuoco mi si spegne in petto. Le carezze
appassionate della prigioniera erano la luce e il
calme della mia vita.... Dimmi, Tolaik, dimmi, ti
è veramente necessaria-' Prendimi cento donne,
prenditi tutte le mie donne, lasciami quella.
Algalla taceva sospirando.
(,'uanto tempo vivo, .incora? Pochi giorni
forse mi restano. E quella, la prigioniera russa,
era la gioia estrema della mia vita. Ella mi conosce
e mi ama. Se la perdo, chi mi amerà più? Chi
mi amerà, me, vecchio? Nessuna delle mie donne,
Algalla, nessuna !....
\ Inaila taceva sempre.
— Come potrò vivere sapendo'a abbracciata da
te, sapendo che dorme con te ? Innanzi ad una
donna, Tolaik, non v'è nò padre né figlio. Innanzi
ad una donna siamo tutti uomini , figliuolo....
Come finirò dolorosamente i miei giorni!.... Sa-
rebbe stato meglio che si fossero riaperte le vec-
chie ferite del mio corpo sgorgando sangue , me-
glio, figliuolo, che vivere dopo questa notte.
Algalla taceva sempre.... Alla porta dell'harem
si fermarono e rimasero a lungo pensosi a capo
chino senza dir verbo. La notte intorno era nera;
le nuvole correvano pel cielo; il vento cantava
agli alberi come una canzone triste scotendoli.
— L'amo da tanto tempo, padre, disse piano
Algalla.
— Lo so, ma ella non t'ama.
— Se penso a lei mi si spezza il cuore.
— E il mio cuore di che credi tu che sia pieno?
Tacquero nuovamente. Poi Algalla disse:
— Ha ragione il saggio. La donna reca sempre
danno all'uomo. Bella, stimola negli altri il desi-
derio e dà il marito in preda alle torture della
gelosia. Brutta, fa che l'uomo soffra alla vista
delle altre. E quando ella non è né bella ne
brutta, l'uomo l'abbellisce prima nel suo pensiero
e poi, come s'avvede d'esser caduto in errore,
soffre per lei, per la donna.
— La saggezza non risana il dolore del cuore !
— Bisogna che noi abbiamo pietà l'uno dell'al-
tro, padre.
Il Khan levò il capo e fissò il figlio dolorosa-
mente.
— Uccidiamola'.... proseguì Tolaik.
— Tu ami te stesso più che lei e me, rispose
il Khan.
— E tu pure l'ami.
Tacquero di nuovo.
— Sì, anch'io l'amo, flisse il Khan con vi
triste.
— Dunque l'uccideremo?
— Io non posso dartela, gridò il Khan, non e
possibile !
— E io non so più patire. Strappami il cuore
o dammela.
Il Khan tacque.
— Precipitiamola dall'alto della montagna giù
in mare, insistè Algalla.
— Precipitiamola dall'alto della montagna gin
in mare, rispose il Khan, come un'eco.
Entrarono insieme nell'harem ov'ella dormiva
stesa su un tappeto stupendo, e. giunti Innanzi a
hi. si soffermarono a mirarla. Il vecchio aveva il
volto solcato dalle lacrime che gli scendevano
sulla barba splendenti me perle tra i (ili d'ar-
o; ma il tiglio, che aveva gli occhi scintillanti
e stringeva i denti e fremeva tutto di passione re-
pressa, destò la figlia del cosaci ... Fila apri gli
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VI
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occhi né vide Algalla, ma sol., il Khan e gli offri
le labbra
Bai iami !
Preparati, disse il Khan teneramente, tu ver-
rai • • 'ii noi
i ella vide Algalla, vide il piani
chi i" e, poi» ni I... 1 1 imprese
disse Vi ngo. Né l'uno né l'altro,
L'avete stabilito. I vostri cuori sono
ivete stabilito. Vengo !
Mossero tutti tre verso il mare senza più pa-
ni, per gli stretti sentieri. 11 vento
iovane sentì starna ili cammi-
nare, ma. fiera com'era, non voleva lagnarsi. II
tigli., del Khan, tuttavia, avvedutosi ch'ella restava
indietro, le di
Hai paura?
Ella gli lanciò un'occhiata piena di sdegno e
il piede ins.iirjiiin.it. ..
Ti porterò io, disse Algalla tendendo le brac-
Ma ella si strinse al collo del vecchio che la
sollevò '"ine una piuma, mentre ella con gesti
aggraziati allontanava i rami che avrebbero po-
tuti, largii male agli occhi. Tolaik, che veniva
dietro, disse al padre :
Las. iami camminare innanzi. Mi vien voglia
di darti una pugnalata.
- Passa avanti, l'er questo desiderio Allah ti
manderà a perdizione o ti perdonerà secondo il
volere. Quanto a me. padre tuo, ti perdono
con tutta l'anima. Io so che cosa sia l'amore.
Ecco finalmente il mare cupo e sterminato. Le
onde ai piedi del dirupo rendono un frastuono
sordo e profondo che sembra un canto soffocato:
un senso di terrore fa tremare il cuore e l'ag-
ghiaccia.
- Addio! dice il Khan baciando la giovine.
— Addio! dice Algalla inchinandosi.
Ella contempla l'abisso ove cantano le onde, e
indietreggia stringendo le mani al petto.
— Gettatemi voi nel baratro, dice.
Algalla pretende verso lei le mani con un ge-
mito, ma Tolaik l'avvince con le braccia, la stringe
forte forte, la bacia, la solleva quanto più può e
la precipita dall'alto della roccia giù nel mare.
La burrasca nel fondo suonava cosi lugubre e
cosi selvaggia che gli uomini non udirono il
tonfo del corpo che s' inabissava nell' acqua. Né
grido né suono, nulla. Il Khan si sporse sulle
Cietrc e affissò lo sguardo in silenzio nelle tene-
re Irntanc, là dove il mare si confondeva con
le nubi e le onde cozzavano sotto le raffiche del
veni gitava la barba bianca del vecchio.
Tolaik, ritto accanto a lui, si copriva la faccia
le mani , silenzioso e immobile tome un
sasso. Le ore passavano Cassavano pel cielo una
dopo l'altra sospinte dal vento le nuvole tene-
brose e grevi come i pensieri del vecchio Khan
disteso sul dirupe alto sopra l'< Iceano.
Andiamo, padre, disse Tolaik.
— Aspetta... mormorò il Khan, come tendendo
l'orecchio... Ancora silenzio. Le nuvole non fini-
vano mai di passare. Il vento infuriava tra le ca-
vità delle rocce e urlava tra gli alberi.
— Andiamo, padre....
— Aspetta ancora. ...
Algalla ripetè più volte:
— Andiamo, padre....
Il Khan non voleva allontanarsi dal luogo ove
aveva perduto il coni ilo dolcissimo dei suoi ultimi
giorni.
Finalmente s'alzò, fiero e possente, corrugando
le ciglia, e disse con voce sorda :
— Andiamo.
Si diedero a camminare, ma presto il Khan si
arrestò.
— Perché ce ne andiamo? Dove vado, Tolaik?
Perchè vivrò se tutta la mia vita era in lei ? Io sono
■ hio. Ora non mi ameranno più, nessuna mi
amerà più, e se non si è amati, a che vivere sulla
terra ?
— Tu hai gloria e ricchezza, padre....
— Dammi uno dei suoi baci e prendi tutto. Tutto
il resio, vedi, è cosa morta. Solo I' amore di una
donna è vivo. Chi non l'ha, quell'amore, non ha
la vita, è un povero, è un mendico, i suoi giorni
sui! deserti e sconsolati! Addio, figliuolo. Scenda
sul tuo capo la benedizione d'Allah e ti accom-
pagni tutti i giorni e tutte le notti che tu vivrai.
— Padre ! Padre, disse Tolaik e non seppe dir
altro, perchè ad un uomo cui la morte arride che
cosa si può dire ?
— Lasciami....
— Allah....
— Allah sa....
Rapidamente il Khan s'appressò all'abisso e si
lanciò. Il figlio non lo rattenne perchè non ne
ebbe il tempo. Né anche ora si udì nulla, né un
grido né un tonfo. Le onde flagellavano l'abisso
e il vento mugolava canzoni selvaggie. Tolaik Al-
galla fissò a lungo il mare. Poi disse ad alta voce.
— Allah! dammi un cuor saldo come era quello
di mio padre !
E s'allontanò nella notte.
... Cosi mori il Khan Massolaima-el-Asvab. e
Tolaik Algalla divenne Khan della Crimea... »
SASUBRINA
La rotonda finestra della mia cella dava sul cor-
della prigione: era molto alta, ina. arrampi-
Sulla tavola appoggiata al muro, potevo
vedere unto . io ,„ ,|U,.| cortile, e
tempo udivo i piccioni del tetto tu-
gentilmente sulla mia testa. Da queir.
vatorio avevo .m. he l'agio di scorger.- gli abitanti
,1''1 il più allegro fra
tutti quegli uomini dall'aspetto tesi
chiamava Sasubrina Era un noni corto,
dalla faccia rossiccia, dalla fronte alta, sotto la
quale brillavano i grandi occhi chiarì e
ardenti. Portava iì sulla nui a, e dalla te-
sta rasa le orecchie si allargavano nte.
Egli non abbottonava mai il collo della camicia
ne l.i giubbetta, e ogni movimento dei suoi muscoli
rivelava un'anima immune dall'irritazione e dallo
Si l raggiamento. Col riso sempre sulle labbra, in-
capace di star fermo e zitto, era l'idolo dei
iti: una folla di camerati lo attorniava conti-
nuamente. Sapeva farli ridere, li distraeva con
gli inesauribili scherzi, e quella schietta gai.
rischiarava la noia della loro vita oscura. Dna
uscì dalla cella, per la consueta passeggiata,
preceduto da tre topi ingegnosamente atta.
uno spago a guisa di redini. Sasubrina cor-
reva loro dietro per il coitile, -ridando .he viag-
giava in una carrozza a tre .avalli. Sbalorditi
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dalle sin- grida, i topi si dimenavan me altret-
tali! ii mieri ciri - ist unti i idevano
mbi guardando Sasubrina e il su" equi-
gli dove, : venuto al ndo per
ino, e non trascurava niente per
rapL pò talvolta lesne invenzioni
ncollo al maro, non su
con quale sostan pelli d'un ragazzino pri-
■ lie sonnecchiava con le spalle alla pa-
nel momento che i capi-Ili cominciavano ad
appiccicarsi, Sasubrina lo ite: il
ni piedi, ma rio angendo
il capo le magre mani I carcerati
piarono a rìdere: Sasubrina gongolava, l'iti
tardi dalla finestra, colmare 'li carezze il
povero i
Insieme con Sasubrina, la prigione aveva un
altro lavo rito: un gattino rosso, grasso e vivacis-
i, che tutti carezzavano. » Igni volta che i car-
cerati uscivano per la passeggiata quotidiana, I"
trovavano, e giocavano a lungi > con lui. Se lo pas-
savano di mano in mano, lo inseguivano intorno
■rtile , e allora esso poteva impunemente graf-
fiare i visi animati da quei giuochi. Quando il
ntrava in iscena, nessuno badava più a
.1 brina, il quale non era molto contento di
quella preferenza. Dentro di se, Sasubrina si sti-
mava artista, e come tutti gli artisti era eccessi-
vamente vaniti iso. Quando il suo pubblico si oc-
cupava del gatto, o lo lasciava solo, egli si riti-
rava in un angolo del cortile e di li osservava
gli obbliosi suoi camerati.
[o lo vedevo dalla mia finestra, e comprendevo
quanto dovesse soffrire. Una cosa mi pareva ine-
vitabile: Sasubrina ammazzerebbe il gatto alla prima
sione; e sentivo pietà del gaio prigioniero che
metteva tanto ardore nel voler attirare da solo l'at-
tenzione dei compagni ; perchè so che niente uc-
i ide tanto presto l'anima quanto la sete di piacere
lumini.
nando si vive chiusi in una prigione, gli stessi
in dei muri diventano interessanti. Si capirà
li facilmente con quale attenzione io seguissi
il piccolo dramma del cortile intemo, la gelosia
uomo contro il gatto. Si capirà anche l'impa-
zienza con la quale ne aspettavo lo scioglimento.
l'n giorno che il cielo era chiaro e il sole splen-
deva, mentii i carcerati si sparpagliavano per il
cortile, Sasubrina scorse, in un angolo, un secchio
pieno di una tintura verde dimenticato li dagli
operai die avevano verniciato il tetto della pri-
gione. Egli s'avvicinò al secchio, restò un momento
pensieroso: poi. intingendo il dito nella vernice,
se lo passò sui baffi: la vista di quei baffi verdi
su quella faccia rossa eccitò le risa di tutti,
l'n prigioniero adulto, volendo imitare Sasubrina,
cominciò a tingersi il labbro superiore; ma Sasu-
brina. immersa la mano nel secchio, gli impiastric-
ciò di colore tutta la faccia: l'adulto si dibatti va
teva la testa in tutti i sensi. Sasubrina sganc-
iava intorno a lui : gli astanti si torcevano dalle
risa e incoraggiavano con allegre acclamazioni il
loro bullone.
A un tratto o apparve: s'avanzava
lemme lemme, alzando graziosamente le zampette
una dopo l'altra, dimenando la coda che teneva
ritta lente-mente non aveva paura di
rtre tra i piedi della gente. I prigionieri si af-
vano intorno a Sasubrina e al SUO > otnpagno,
i stropii i iava vigorosamente la laccia per por-
tarne via lo strato viscoso d'olio e di verderame.
Fratellini, — grido qualcuno — eco Miscka!
— Ah, birbante! Miscka!
— Il cosettino ro
Afferrarono il micino, che passò di mano in mano,
vezzeggiato da tutti.
— Com'è ben nutrito I Che grosso ventre!
— E come cresce presto !
E come gralfia bene, il cattivone !
— Lascialo: salterà abbastanza da solo!
' .li voglio presentare le spalle: salta, Miscka!
Non c'era più nessuno intorno a Sasubrina:
questi restava solo, asciugandosi i baffi tinti di ver-
nice e guardando il gatto che saltava allegramente
sul dorso e sulle spalle dei carcerati. Tutti si di-
vertivano e le risa non avevano fine.
_ — Fratellini ! Tingiamo il gatto! — disse la voce
di Sasubrina, e quella voce aveva un non so che
di lugubre. Pareva che Sasubrina, proponi
quel divertimento, chiedesse nello stesso tempo il
permesso di accordarlo a sé stesso. I prigionieri
cominciarono a gridare tutti insieme.
— Ma ne creperà ! — disse qualcuno.
— Crepare per un po' di vernice ? Che scioc-
chezza!
— Via, Sasubrina: tingilo! Fa presto!
Un giovanotto dalle larghe spalle, dalla barba
rossa, color di fuoco, esclamò animatamente: .
— Che nuova farsa ha inventata, quel buffone !
Sasubrina già teneva il gatto nelle mani e lo
portava verso il secchio della vernice:
i. nardate un poco, fratellini miei,
Guardate un poco c|ui :
Si dà il verde al gatto rosso.
Lo si tinge cosi !
cantava Sajubrina, e le risa salivano al cielo; i
carcerati si avvicinavano al secchio tenendo-ii i
fianchi. Io vidi in qual modo Sasubrina prendeva
il micio per la coda e lo tuffava nel secchio. Egli
ballava e cantava ad un tempo:
— Aspetta un poco! Non miagolare!
Non tormentare il tuo padrino !
Le risa divenivano sempre più clamorose. (Qual-
cuno pigolava con voce acuta :
— Oh ! Oh! Giuda!
— Ah ! Ah ! Babbo mio ! — gemeva un altro.
Sbuffavano, soffocavano : il riso curvava il corpo
di quegli uomini, lo torceva in una specie di con-
vulsione isterica. Quel riso possente cresceva sem-
pre, l'aria ne era come scossa. Alle finestre della
prigione s'affacciavano alcune donne con le teste
coperte da sciai letti bianchi; quei visi sorridevano
vedendo ciò che avveniva nel cortile. Il sopra-
stante, con le spalle appoggiate al muro, si teneva
con le mani il pancione prominente ; il suo grosso
riso risonava tutto intorno. I carcerati avevano
formato un cerchio intorno al secchio; nel centro
stava Sasubrina, il quale cantava piegando i gi-
nocchi estendendo le gambe in tutte le direzioni:
— Bella la vita, fratellini miei!
C'era una volta una gattina grigia :
il (tatto rosso nacque un di dia lei;
Mi guardatelo adesso: è un gatto venie!...
— Basta ! Il diavolo ti porti ! — gemè il carce-
rato dalla barba rossa,
Ma Sasubrina era in vena. Intorno a lui risonava
il riso lolle di quegli ubbriachi dalla gioia, e Sa-
subrina sapeva che lui, lui solo li faceva ridere.
In ogni suo gesto, in ogni smurila del suo viso
mobile e bullo, i suoi sentimenti si rivelavano ni-
tidamente, '- la felicità del trionfo faceva vibrare
tutta la sua persona. Ora egli teneva il gatto per
la testa, e scuotendo dal suo pelame il soverchio
della vernice, ballava e improvvisava senza stan-
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\ II!
DI'] MAINI DI M \: — •! W IRK1
ik'ir artista 1 1 msi io della vit-
— Fratellini, cerchiano n< 1 calendario;
Al micio nostro un bel nome daremo;
le I" > Maineremo?
Intorno a lui. unti ridevano Della folla scossa
da u gioia. Sui vetri orlati di ferro il
brillava, : izzurro splendeva, gli stessi vec-
i hi muri sporchi lenevolmente. I na
i sulla tristezza ili quei
ri lugubri e grigi. Il riso, benefico come il
ifica I" stesso fango.
Mettendo il micino sul! erba che cresceva nel
Sasubrina, editato, sbuffante, coperto ili
siul nuava il suo ballo selvaggio. Ma il
iis,, cominciava a spegnersi. Era troppo. LJn uomo
emise ancora quali > convulsivo; si udirono
lue ii tre singhiozzi, poi tutti tacquero,
tranne Sasubrina, che continuava a cantare ed a
ballare : e il patto che si trascinava sull'erba con
un miagolio dolce e pietosi,. Era appena ricono-
scibile su quella massa venie, e forse la vernice
lo accecava o impacciava i suoi movimenti: stri-
si i.iva. si trascinava stupidamente sulle zampette
tremanti, poi s'arrestava, come congelato, miago-
lando sempre.
Ma guardatelo un poco, o brava gente:
Il gatto verde va cercando un angolo!
Mistica, il gattino che eia un tempo rosso,
Dove andare a cacciarsi or più non sa!
iubrina traduceva con le sue parole tutti e
.intenti del gatto.
- Razza di rane ! Sei molto abile ! — gli disse
il giovanott d la barba rossa.
Il pubblico guardava il suo bullone con occhi
sazii.
- Come miagola! — notò il prigioniero adulto,
designando la bestiolina con una mossa del capo
e voltandosi verso i compagni.
ivano in silenzio l'animale.
Resterà verde per tutta la vita? - interrogò
l'adulto.
Ma vivrà poi molto? — riprese un vecchio
• erato, chinandosi sul gatto. — Si asciugherà al
s.le. avrà il pelo tutto appiccicato, e poi creperà....
Il eatto miagolava in modo tanto straziante, che
una reazione si produsse tra i prigionieri.
Sta per morire — disse l'adulto.
— Se lo lavassim
Nessuno rispose. La piccola pallottola verde si
■ lava ai piedi di quegli uomini grossolani. Era
una pena vedere l'affanno della povera bestia.
— UtT! mi pare d'esser cotto! — esclamò Sasu-
brina, gettandosi a terra.
N'oli fili badavano più. I, 'adulto s'avvicinò alla
Molina, la prese tra, le mani, poi la rimise a
terra, pensando: — E tutto un fuoco! > Allora,
i camerati, pronunziò con voce lamentosa
qui
Miscka ! Non avremo più Miscka!
Perchè abbiamo ucciso questa povera bestiolina?
Il gatto, ridotto a un batuffolo verde e infor-
me, si trascinava ancora sull'eri, a. \
d'oi dei su, ti ni, ,\ unenti,
ma ino di quei visi , 'era più l'ombra d'un
l'ulti stavan /itti. !r sti, miserabili qu
il ga ■ va i he questi > avesse 1 1 imunii ati i loro
— riprese l'adulto, alzando
Misi Ica, e lo ama-
,0 tutti.... Perchè lo tormentate . Sari
derlo....
I>i chi è la colpa? gridò irosamente ilpri-
dalla barba ro ■ tato lui . quel
— Ma non sono stato solo!.... Eravamo tutt
ili,,!.... — replicò Sasubrina conciliante.
Tutti? Non è vero! La colpa è solo tua! si.
tutta tua !....
Non ■'■ il caso di muggire cosi, rispose pa-
e iti, ament - Sasubrina.
Il vecchio carcerato presi la povera bestia, ed
esanimandola con attenzione consigliò:
Se la bagnassimo nel petroli,,, la pittura se
in andrebbe.
— Secondo me, sarebbe meglio prenderlo per
la coda e buttarlo dietro il muro, — disse Sasu-
brina, aggiungendo astutamente : - r. la cosa più
semplii
— Come ? — esclamò quello dalla barba rossa.
— E se facessi io altrettanto con te ? Che cosa
diresti ?
— Diavolo! — disse l'adulto, e strappatoli gatto
dalle mani del vecchio, scomparve non so dove,
seguito da alcuni.
Sasubrina restava solo, circondato da gente che
lo guardava con occhi cupi e cattivi : pareva ( he
aspettasssero qualcosa da lui.
— Ma io non sono il solo colpevole, fratellini —
cominciò egli, con aria pietosa.
— Taci! — gridò il giovinotto, girando un'oc-
chiata per la corte. — Tu dici che non sei solo.
Chi è dunque con te ?
— Ma tutti voi !
— Cane !
E il prigioniero dalla barba rossa gli assestò un
terribile pugno sulla faccia ; il pagliaccio indietreg-
giò d'un pass,,; un altro camerata gli scagliò un
pugno sulla nuca.
— Fratellini ! — supplicava Sasubrina, ansiosa-
mente.
Ma i fratellini, vedendo che i soprastanti non
c'erano, si avvicinarono circondando il loro ex-
favorito e con qualche calcio lo gettarono a terra.
Da lontano , quel gruppo compatto poteva pa-
rere una comitiva un poco animata. Ogni tanto
risonava il rumore sordo dei colpi dati a Sasubrina:
lo colpivano lentamente, senza irritazione, cogliendo
il momento propizio nel quale, torcendosi dal do-
lore come un serpente, egli presentava una parte
favorevole a una pedata. La scena durò tre minuti.
A un tratto s'udì la voce del soprastante:
— Perdinci, non ne avete ancora abbastanza ?
I carcerati misero line alla tortura, ma non su-
bito. Uno dopo l'altro lasciarono Sasubrina, e
ognuno, andando via, si congedava con un calcio.
Quando tutti si dispersero, egli restò disteso,
coni; le spalle gli tremavano : piangeva, forse ; poi
si mise a sputare ed a tossire, poi cominciò a sol-
levarsi cautamente, come se temesse di dissolversi
in polvere. Con la sinistra s'appoggiò al suolo e
piegò una gamba, urlando come un cane idrofobo;
lilialmente si mise a sedere.
— Non far la scimmia! — gli gridò severamente
ilo dalla b. uba mssa.
Sasubrina fere ancora qualche movimento , poi
sorse in piedi, barcollando, si dilesse verso uno
dei muri della prigione : con una mano si premeva
il petio. con l'altra s' appoggiava al muro, e oppi
tanto si Fermava, abbassando il capo. Tossiva: io
vidi le goccie del sangue 'filare a terra, spie, andò
in rosso sul fondo grigio dei muri. Sasubrina
curava che il saie ne i adesse a terra, affinchè nes-
suna stilla macchiasse la fabbrica imperiale.
Si prendevani > beile di lui.
Da quel giorno il gatto disparve. Sasubrina non
ebbe più rivali; resto solo ad attirare l'attenzione
.1 divertire i cari eiati.
M VSSIMO I rORKI.
Anno -Il
Nvm2
•La- Lettura-
BBRAIO
RIV[5TA-AEN5!LE
DEL(pRRlE.RL-
b-DELLA-3£RA-
CASTA DIVA
[Continuazione, vedi numero pre<edent .
in.
ardo Parvis era un polemista ed un Gi-
ratore violento e, certe volte, persino ag-
gressivo. Sul terreno, in quegli anni in
cui i duelli erano ancora di moda, era stato un av-
versario pronto e assai temibile; tuttavia nel suo
carattere c'era un fondo di timidezza che pure nelle
lotte della tribuna parlamentare e nelle vicende ru-
morose della vita pubblica non era ancora riuscito
a vincere interamente. Anzi, questa sua timidezza,
non scemava punto, ma al contrario, si faceva più
viva, a mano a mano che aumentavano la sua fama
e la popolarità del suo nome.
Al primo presentarsi in un teatro o in una sala o
in qualunque altro luogo, in mezzo alla gente, egli
iimaneva un istante confuso, impacciato da tutti
gli sguardi curiosi che gli si fissavano addosso. Egli
doveva sempre fare uno sforzo per vincersi, per
mostrarsi sicuro e disinvolto ; ma questo sforzo
non sempre gli riusciva e allora il Parvis nascon-
deva la propria timidezza sotto un'apparenza seria,
quasi dura, pronunciando poche parole tronche e
imperiose.
Quel primo giorno, in montagna, entrando per
far colazione nella grande sala, lunga, bassa e così
affollata e rumorosa della locanda, egli senti an-
La Lettura.
cor più viva e più fastidiosa queir impressione di
debolezza che lo turbava e lo impacciava.
Le due lunghe tavole erano piene. Non un posto
vuoto. Subito, al suo presentarsi, era cessato per un
istante il cicalio e il risonare delle posate e dei cri-
stalli : tutti gii sguardi si erano alzati e fermati si -
pra l'onorevole Parvis.
« Per un ex-ministro era ancora giovane ! E molto
elegante!... Aveva un aspetto simpatico!... — Do-
veva avere del talento ' — ("erto, per arrivare, sia
pure soltanto alle « Poste e Telegrafi », di talento
ce ne vuole ! »
E io rissavano con ostinata curiosità aneli
occhi neri, nerissimi, della bella signorina del gran-
de cappellone tutto bianco e tutto rosa.
Gerardo, aveva veduto l'amica di Teo, pru
guardarla; anzi, più die averla vista, l'aveva sen-
tita.
— Che ci ne! Era lì, proprio lì, di
nanzi, in faccia al suo tavolino!
Per restar solo, per non conoscere nessuno, l'ono-
revole aveva ordinato per sé un tavolino a parte,
e gin e preparato proprio in
eia all'amica ili Teo !
Il primo cameriere, in atto di grande deferenza,
aspettava i su i, porgendogli la lista del
giorno.
Gerardo la guardò un momento.
o8
LA LETTURA
Di. - ' ll/.l.
una alla mil
:rv un bu ind au beiti
me volete. Quello chi Pi i h
pn si
l
\ ellenza e niente vino! Soda e co
i li- mani la Tribuna, e mei
mincia a
terla • senza pareli'.
il gli riuscivano ilei tutto
t dovrò tare pei impedire le
menti e i complimenti !
■ erano ricominciati oni, e
a inani» a mani' divenl e rumo-
! e pronunzie delle varii avano p:ù
Fra quel brusìo festevole e cerìmonii
l piemonti rideva al toscano, il na-
tano e il siciliano al milanese e la parlata ve
romana • a e meli » ;
Ma ben chiara, scolpita, fra quelle milli
. _ ngeva hio la va
• li quella tal signorina — l'amica ili Teo.
P
Cariava benissimo ; senza tradire nessun dialetto.
1> dell'alta Italia... milanese no. L'a
\relili- veduta qualche volta a Milani). ..
gnorina? — Perchè signorina?... — Che
Prospei i re henis-
- gnora.
rdo, culla scusa di voltare la pagina della
" .-. lanciò un'altra
lorina ! I signorina!. . Ture, per
re una signorina è molto disinvolta! Troppo
disinv
Seduta in mezzo a due giovanotti, rhe sembra-
timi piuttosto due giovinetti, col viso sbarbato *e
ibboni ..in', e Tolta capi-
gliatura, ella parlava molto, ridi va molto, si moveva
- gW ri'!. ■ , '.
il cameriere eoi chateaubriand; l'onore-
ril one la Tribuna, e intanto guarda aurora il
sa e i due vicini.
Dalle giacche bige, larghissime, spuntavano i colli
impiccati negli alti solini rigidi
Che caricati l m la marea autentica del-
■ illiti fatua e pretenzi.
-i per piacere alle
E al Parvis, sfugge un sospiro. E' forse il ram-
1 ; liosa lei, di quei due li.
.a un caldo fiore dell'Oriente*, i
*
Eh! Mah !... Po-
te del ( lonsiglio . ma j
non lo ritorno più, pui
i la pi, u
alla per sem|
\ \! ■ ■ ■ i . . ] i Ha a le! -\ iti I un mi i, |ht
fortuna, di breve durata. Sin da quel giorno, allora
di pranzo, la sua entrata nella sala non fece più
i nessuno.
Come iii.n- La bella amica di Teo è partita?
pensa Gerardo mettendosi a sedere, ma poi
la vede al suo («.sto, fra i i cavalierini ri-
gidi, impettiti e augi! ne due cavallette,
nell'aiuto di Sei
' ■ I
Ma ii :'è più il cappi 111 ine ! Peccato !
\i ssuna signora aveva il cappello. Gli uomini
in smoking o in frak, le signore in toilette; non c'era
più nella sala l'allegria espansiva della mattina;
correva invece per le <\uv lunghe tavolate un
• i mpassara di grani le sussiego e di mu
— l'i - iva ras beni con quel grandi
pello alla moschetterà !
Mentre l'onorevole pensa ai cappellone, il si-
gnor Vincenzo — il primo '.unii aspetta i
i ' lini.
— Date aii'he a me il pranzo del giorno! 11
solito della pensione.
L'inchino del sigm i Vincenzo vi la involonta-
riamente meno profondo, 'l'ante raccomandazioni e
tanto strepito per un ministro... che non ordina nem-
10 un extra e beve la soda !
Bel ministro e bel Governo « da carovana! ».
L'onorevole Parvis s'ao ssere un po' in
>so nella considerazione del signor Vinceru
nota pure di non destare più nessuna curiosità nel-
l'amie.i di Teo, la piale mangia di buon appetito
e amie alla mattina parla, ridi, scherza... ma senza
i i "parsi affatto di Sua Eccellenza !
ili un tipo espressivo; tuttavia dev'esser*
una ragazza inconcludente! Come può divertirsi
tanti ai discorsi di que' due scimuniti?... — Perchè
seno due scimuniti!... Positivo!... — Senza cap
pello ci perde moltissimo! E' molto meno bella;
ri il SI mota più lei '.
— Desidera Senapi
— domanda il signor Vincenzo passandogli vicino.
— Datemi il Si e il Corriere detta Sera.
1 i : ni, 1 ne e l'altro comincia a leggere i due
'.ili.
Dio, la politica! .. Sembra una cosa tanto grande
e non ;• ehe un pettegolezzo cosi piccolo! —
ruffe chio//i ti - Invidie e gelosie, ambizione e
volgarità! E' proprio, colla scusa di tari
quello degli altri !
L'amica di Teo a-, una voce ben singo-
lare! t 'he voce strana! Non era forte, eppure come
sentiva bene, anche da lontano ! Che bella
. calda, penetrante!
■ — Una bella voce è una gran U-lla cosa! Deve
avere anche dello spirito, la signorina. Quelle due
mummiette VÌVI -mio condotte per il naso S
de elle e un piacere! ( '"ine m le i li gusto e Co-
me ride bene! Sfido io a non rider Ix-ne con i|uei
denti' (In- bianchezza! E1 una bocca abbagliante'
I bei denti sono una gran bella cosa! — Che
N deve essere più giovanis
'
I VSTA 1 «1\ A
99
L'onorevole Pai vis l'osserva, questa volta con
coraggio, attentamente.
La giovinezza trionfava in lei, in tutto il suo
pieno rigoglio: ogni linea, ogni contorno era vi-
vente e fiorente, mentre il volume enonne e capric-
cioso dei capelli nerissimi sembrava dare alla sua
carnagione, un brunito di sodezza e di forza.
— E pensare che con tante belle ragazze e con
tante belle donne che ci sono al mondo, io ho speso
le ore migliori della mia vita con Saracco. . . e con
Zanardelli ! — Al diavolo il Governo e la politica,
la Camera e il Senato ! — E sua madre? — Ci sarà
- verso! — Prospero continuava passo pa
trascinandoselo dietro, inesorabile e muto come il
destino.
Teo si arrabbia, brontola riottoso, ma intanto
medita il colpo, e sta attento.
Un po' innanzi, passato l'albergo, la valle si a] re
spaziosa e libera, tutta verde di abeti; e in fondo
alta, nuda, rocciosa la vetta del monte Cimone pren-
de, in quell'ora del crepuscolo estivo e dopo l'ultima
la mamma ; certo. — Dov'è ? — La vecchia gialla
che le sta di faccia? — No! No!... Non le
somiglia affatto ! Più che altro , ha l'aria di essere
un'istitutrice. — Ad ogni modo, madre o istitutrice,
perchè non le sta accanto ? Una ragazza seduta in
mezzo a due giovanotti... che le fanno la corte...
Come sono cambiati i costumi e gli usi del mondo :
A' miei tempi...
Ma a questo punto, mentre l'onorevole Parvis, oc-
cupato da così gravi pensieri, si serve distrattamente
dell'arrosto e dell'insalata, è richiamato d'improv-
viso alle piccole realtà della vita e dell'Abetone da
una gravissima disobbedienza commessa da 1
— Com'era stufo il povero Teo di passeggiare
su e giù dinanzi alla locanda, legato e tenuto al
guinzaglio dal vecchio Prospero ! Ogni tanto dava
una grande strappata e tentava di mordere il lac-
cio. Peggio ancora quando passava vicino al por-
tone dell'albergo: si fermava, puntando le quat-
tro zampe, si allungava prodigiosamente. Ma non
doratura infocata del sole, una tinta arancia, poi
violacea, poi quasi rosea, in sullo sfondo, limpido e
del cielo azzurrino.
La giornata non era mai stata tanto bella, riè il
tramonto tanto maraviglioso. Prospero contempla
a bocca aperta, e Teo, che lo vede in estasi, non
one: una terribile strappata e via come
una saetta! Infila la porta dell'albergo, infila l'u-
scio della sala da pranzo e sempre a tutta carriera
e sempre tirandosi dietro il guinzaglio passa si
le tavole, fra le gambe della gente, fra le sottane
delle signore, fiutando, annusando, frugando di
qua e di là in cerca del padrone di cui sente l'odore,
ma non trova ancora le traccia.
Il monotono sussiego della table d'hòte è rotto
come per incanto: due vecchie inglesi — detestate alla
lor volta dai villeggianti, per L'odio che portano alla
sigaretta — si alzano spaventate e inorridite, sbat-
tendo i tovaglioli per difendersi. Teo, credendo
l'atto uno scherzo e un incitamento, corre loro ad-
1 00
LA LETTURA
lì andò. I utti rid i molti
ii del chia
lama l'amica, colla sua
languida <■ più tenera e con un ai
anni ■ • sione.
Piccolo caarol
l reo t - — L'i
• ila il sangue più dell'i]
Ile due vecchie ingli
reo! Qui : Subito!
om prende al tono che non è il momento ili
otto la tavola, poi
• fuori quatto quatto, tutto basso, tutto lungo,
tutti bil i.uuiii il
padrone
nzaglio e di colpo, solle-
vandolo mezzo da terra, lancia il poveri re Fra le
■ che aspettava timoroso sull'u-
dv a sua vi Ita acchiappa il rane e scompare.
Povero ' Che cattiveria !
L'onorevole sente appena queste paini.- volare
nell'aria, sente il lamento, il rimprovero che gli è
< lirett- > e toni re al suo tavolino i on una
faccia rosi scria e Iona, come se non si tn vasse di-
nanzi ai .piani ili un pollo arrosto, ma .li fronte ad
una schiera ili i istruzii misti !
Passata la collera, gli resta in corpo la stizza.
Va presto su, nella sua stanza per dormire. I .• > ha
'uzza delle ilue notti passate in fer-
r..\u e pili ancora dell'aria diversa della montagna.
Ma prima ili coricarsi, ila una lavata ili testa, so
. al povero Prospero, elle laseia passare la hur-
atare e questa volta senza metter mn
orto.
. '.'• quella bestiai-ria maledetta?
I
Prospero indica una poltrona in fonilo alla ca-
mera sulla quale c'è una e. .perla e sulla coperta
' Ito, in.. .:... senza
parere, a tutta la grande sfuriata.
Se 1.. lai un'altra vi 5e\ ieni in sala, un'al
■ ■Ita. stai
E i '.. rardo, .'he ormai s'è
ito. alza ancora la mano, ma nell'atto, più che
una minaccia, c'è adesso un imito Teo ni
muove: iz 1 i occhi bi . guardano .la un'al-
tra pane: invece .li Prospero è lui. questa volta,
i musi, al padi
Ha più fierezza e più carattere
ili molti n ghi '
i icina al povero 1
rio e far la pace, ma a un tratto si ferma
cena .Iella succursale ili faccia
da dell'albergo riservata al ballo, alla musica
'■ ali e dopo i primi accordi incerti
'l''1 I nell'aria una bella
o, limpida e squillante, un canto largo
he riempie tutta la tutta la valle.
M
Prospero, ve-
E' la borbotta
dendo il padri me o ine incantato.
Quale
I hi. -11.1 ilei I |
Non c'era dubbio: i .lue ce .lei t'adoore, avevano
stessa inti e ■ di i due aa del « pii
coati
E' una signorina .li famiglia molto m b
1 vuo lare sul teatro lo stesso, perchè non ha
più né padre, e ha pochi soldi,
i '..me lo sai l 'hi te l'ha detto?
l i signora Clotilde.
I-i chi è questa signora t Hot il de?
-Lai ih n-ma. Siam., vicini .li
tavola. — La signorina è una marchesa. Mar I
.1 A,lbaro di < ìenova.
I ■ i n iil servitore stupiti i
— Oh bella! Quella mutria taciturna del si-
gnor Prospero che all'Ai .etono diventa loquace e pet-
to-, ilo !
IV.
L'onorevole i'arvis non donni bene quella prima
notte: anzi, non dormi affatto. Era troppo
stanco e troppo agitato. E poi non era ancora abi-
tuato ali. nia. al clima, alla montagna alta.
Non polendo dormire, era rimasto tutta
preda al a Je t'adoore! », anche dopoché la marche
sina d'Alban., ricevuto una duplice salva di ip
plausi, si era ritirata con la sua istituti i an
a di rinire.
II I'arvis aveva sentito i complimenti che le erano
fatti giù in istrada, i saluti e il ricambi,, della
Inolia notte.
Sul teatro! . Sarebbe andata a finir male!
1. onorevole Parvis, che in vita sua era stato assai
pi co a teatro .-che non era fi rse mai salito ■-opra
un palcoscenico, aveva tutti i pregiudizi comuni a
chi vede da lontano le quinte e i camerini.
— Sola e libera?. Sul teatro I
Gerardo ora contrariato e indispettiti.. L'onda di
simpatia era svanita Egli, ad un tratto, provava
ti del risentimento contro la n na. E iì,
nel buio, dalla Gilda alla Fos a, tutte le eroine d
he ricordava, gli passavano dinanzi
più provocante. . . ma tutte col viso,
colla I on gli occhi della giovane e bella a-
di 'beo.
Farà certo fortuna con quella sua bellezza!
E an.'he cu quell'espressione che sa dare al co
e al « Je t'adì» rei i
Ani! \ 'i si può dormire all'Abetone I.
lira venuto per godere il fresco . invece soffriva
un caldo, iin'.i I no la smania ad-
t'he letto incomodo I. E quanta gente an-
\la a lui che cosa importava della gente" Era
vi unto ali Abeti me i ei passi sare
con la testa e con li avrebbe fatto una vita
solitaria. Poi aveva tante cose da leg-
■ ere e tanti articoli da scrivere!
— Non voglio conoscere nessuno e non voglio
n nessuno lunghe escursioni, faticare
• \S*1
Idi
tanto da pcter dormire e poi i tavolino!... E se
qui non mi vedrò sicuro, cambierò locanda... e se
ne, anche paese !
La mattina dopo, si alza prestissimo, gii
bosco per un paio dorè e poi, evitando la gente, ri-
torna all'albergo e sale in camera sua, dove trova
Teo che gli fa quattro salti e una corsa in giro, ma
che toma subito ad accucciolarsi, avvolgendosi in -
stesso sulla poltrona.
- Ha sonno! E' stanco, povero piccolo!...
Gerardo non s'è accorto di chiamarlo piccolo,
« povero piccolo » come l'ha chiamato la signorina
del cappellone.
— Povero piccolo!... Tu dormi ed io mi inetto
a lavorare
Infatti, siede al tavolino e comincia il suj primo
articoli» al Daily Express.
Ma quando si donne male, non si può poi scri-
vere bene. E' impossibile! — L'onorevole Parvis
quella mattina non è di lena.
E poi il pianoforte della succursale che non
tace mai.
— E' un'ira di Dio!... E' proprio la terra dei
suoni e dei canti, l'Abetone !
Ma non sono gli accordi della sera innanzi !
Xen sono gli accordi della romanza di Massenet ;
non è il Je fadoore!
L'onorevole Parvis resta per una buona mezz'ora
assorto e pensoso. . . e la carta che ha dinanzi, per
quella mattina, rimane bianca e intatta.
— Andiamo, Teo! Andiamo a fare un'altra pas-
seggiata ! L'articolo al Daily Express lo scrive
remo dopo colazione.
Si era di piena estate, eppure lassù si respirava
un'aria fresca di primavera ! Il verde ancora tenue
sotto il verde carico e cupo dei vecchi abeti ; nei
prati le margherite e i vergiss, nelle rive ombrose fra
il murmure del rio e lo spianciare della cingallegra,
le violette e le fragole. La primavera ! La prima-
vera !
Come consola gli occhi, come accarezza il viso e
penetra nel sangue ed anche nel cuore con un infi-
nito e dolce benessere!
— Mi sento più giovane in montagna! - An-
diamo Teo ! Andiamo a fare una bella passeggiata !
Siam qui per riposare e non per lavorare!... Ci
divertiremo, mangeremo di buon appetito e ci fa-
remo buona compagnia !. . . Noi soli, sempre soli !. . .
E tu, bravo Teo, sta attento e fa la guardia ! Se
vedi un seccatore da lontano abbaia ! E se ti viene
vicino, ringhia e mordi ! Qui non sei costretto a
tare la museruola ; all'occorrenza, approfittane !
Teo, che ha ascoltato il lungo discorso, stando-
sene attento con una gamba davanti ripiegata e so-
spesa, con la testa inclinata da un lato, alzando, al-
largando le grandi orecchie, fissando, dilatando le
pupille, fa un atto di assenso con un piccolo star-
nuto e via come il vento, giù dalle scale, guaiolando
prima, non di dolore ma di gioia, e poi fuori al-
l'aperto, innalzando lui pure il suo inno alla prima-
vera e alla montagna con festevoli latrati che echeg
giano risonanti nel silenzio della valle!
Ma in quanto al non fare conoscenze, il signor Mat-
teo è di tu't Lìti 'ii tutt'altri gusti de '•
norevole Parvis! All'Acetone lui vuol vivere nel
bel mondo, giuocare con tutti, divertirsi con tul
E specialmente con le signore! Quando ne vi de una
in distanza si acquatta, prima, allungandosi e poi
prende la corsa sa a. '.dosso.
— Teo ! Qui, Teo !
Il grande stradone fiancheggiato dagli abeti co-
mincia a popolarsi. Dai boschi spuntano le signore
nelle bianche toilelles mattinali, circondate, seguite
dagli eleganti cavalieri. E Teo, ormai reso popolare
dalla scena del giorno innanzi colle due vecchie stiz-
zose, riceve da tutti saluti e carezze, che gli sono
prodigate anche per ingraziarsi il padrone.
— Teo! Qui !... Teo!
Teo si volta un momento colla testa, sbatte le
orecchie lunghissime, ricadenti come foglie di lat-
tuga appassita, e poi ili nuovo salti, giravolte, ce-
rimonie, di qua e di là, con tutti quelli che incontra,
purché sia gente ben vestita.
A un certo punto, dove la strada si biforca nel
bosco, l'occhio di Gerardo si fa torbido, il viso ac-
cigliato:
— Teo ! Qui ! Teo !
Ha visto sbucare dal verde folto il grande cap-
pellone a trine bianche e a nastri rosa, seguito dai
due soliti giovinotti o giovinetti, vestiti pure di chia-
ro, il berrettino bigio, e con in mano le racchette e
la reticella, con le palle del tennis.
— Teo! Qui! Teo!
Ma che!... Teo si è già abbassato, allungato e
all'invito di un — piccolo caaro! caaro! caaro! —
si precipita incontro alla sua amica del dà innanzi,
le salta addosso, riesce a leccarle la faccia, poi,
sempre di corsa, torna indietro a far testa al pa-
drone, e poi di nuovo alla signorina, e poi di nuovo
al padrone, come per far capire alluna e all'altre
che ormai devono essere amici tutti e tre!
La bella marchesina saluta l'onorevole Parvis
con un cenno grazioso e signorile del capo: i due
giovanotti o giovinetti si fermano a due passi di
distanza, diritti, come due aiutanti di campo, sco-
preni li >si rispettosamente.
Non c'è verso ! L'onorevole Parvis deve salutare,
deve fermarsi, deve parlare.
— E' una grande seccatura questa mia bestiola '
Si permette troppe confidenze, e si prende troppe
libertà !. . .
— E' tanto caaro!
— Il mio servitore. . . E' stata un'idea infelice
del mio servitore, quella di tirarselo dietro, fino
quassù! Giù! Fermo! Besriaccia sconveniente!
— Teo, una bestiaccia?! Oh, povero piiccolo!
Teo, con il petto giallo sporgente e le gambette
anteriori puntate ad arco, scrolla la testa e starnuta
di nuovo con l'atto di dire anche lui di no, che non è
una bestiaccia.
— E' carino, carino, carino! E' un tesooro, lui ,
è un amoore! Soltanto l'intelligenza h ha dimo
strato ieri sera !
— Già, interloquisce uno dei due pallidi cava-
lieri. Quando voleva mangiare il naso a miss Kean
e a mrs Brand !
[02
LA LETTURA
La raarchesina ride, ci >n tuti denti lui
hinand si e tenerli
■ ioni sulla l n issa testa di rasi >.
i i
ia un barbaglio agli occhi e sente una
tutto il corpo: il barbaglio di quella bocca,
di i ji il. ssa dei due bai
irla '!•■! • : . dorè
ria .
ma all'albergo, marchesina?
Vicino all'albergo; al tennis. Facciamo due
ore di tennis tutti i giorni, prima di colazione. Li
giuoca al tenn
e Parvis, guardando la marchesina,
mette involontariamente un sospiri), un rimpianti!
in quel verbo giuocare al tempo passi
narchesina è molto intelligente; coglie al
nazione.
V sso, non giuoca piii?J... E' naturale! A
Roma! La Camera! Tante occupazioni ! Tanto /,/
VOoro\ Ma qui \orrà lx-n riposare un po'! Farà
qualche partita con noi? Accetta una sfida?
vi Ige, senza aspettare risposta, ai due giovi-
notti rimasti fermi, impalati e li chiama per pre-
sentarli :
Se i ' rmette, Eccellenza*. . .
Non sono piii un'Eccellenza!
Come devo dire, allora?... Onorevole?... Se
permette, onorevole, le presento il conte Annibale e
Mattioli, miei cugini.
L'onorevole Parvis saluta l'uno e l'altro, con una
stretta di mano, e tutt'insieme ritornano lino ai
rampo del tennis, che è giù, basso, in una conra
0 sotto l'alberg
L'orn revi le cammina al fianco della marchesina
l> Mbaro, con Teo che gli passa fra le gambe. Ce-
'■ Annibale, Che non hanno dei due grandi con-
quistatori altro che il nome, rimangono dietro, seilì-
pre a <l\u- pasi di distanza.
I narchesina parla e fa ammirare il paes.
li norevole tace e ammira la marchesina. — Come
amabile e vivace, pur rimanendo sempre...
bambina! Ni n i civetteria, è schiettezza, è natura-
lezza giovanile la sua!. Ha bandite — si vede —
tutte ii il ti. nitte le ipocrisie del gran
moni • r altro, ne conserva tutta la grazia si-
gnorile. E' proprio « m Ila punta
uelli meravigliosi 1.. E che
ieri, ncrissimi !.. 1 ).i perder» i denl n >.
l'anima e il corpo !
1 ' I inainola ! Teol
bile !. . . Aveva
da lontano le due vecch re, i ra messi i a
r saltar li ro addi
reo, qui !
na sulle • - d. ili aria birichina,
!" ! La bella fan mila ,
ridendo, lo piglia in bl - il i e ba
li nuovo.
1
Il Parvis ne è ormai più che persuaso: 1.
rinunzian . i [uel momenti i speranza di
solitudine, ad Ogni proposito di non voler lare co-
nosci':.-.. I .i signorina D'Albaro, prima ancora di
il-, li. al tennis, è circondata da una frotta di vil-
. i he appiì hti.mi . dell'i i - a sii me pei i -
revole Parvis. Molti, anzi, dichia-
di averlo già visto, già conosciuto altre vi
e ' -it ino luoghi, date, particolari.
Ili qualcuno, il Parvis si ricorda davvero: di un
vecchio generale, fra gli altri: il generale Bonfei
reri, messo da parecchi anni in posizione ausiliaria
dalla gotta e dai reumatismi.
Aildio solitudine! Addio quiete! Addio pace!
Giunti vicino al tennis, la marchesina ripete l'in-
vito: l'onorevole scrolla il capo, ringraziandola con
un inchino.
Oggi? no? Proprio no?... Ma domani?...
Domani sì?... Promette?
Giuocare al tennis' lo3... Ma io non sono
più un giovanotto!.. Sono vecchio, marchesina!
— Vecchio?.. . /.,
Quanti <•. in quel lei! .. E tutti, uno più delizioso
ilell'altro!
— Bella ragazza! — esclama il general- Bon
ferreri, rimasto solo coll'onorevole. L'onorevole lo
guarda: il generale, lungo lungo, seo . un
po' dondolante sulle gambe malferme, ha i capelli
e i grossi baffi d'un bianco d'argento, che danno ri-
salto al rosso vivo della faccia. Quell'ammira-
zione per la marchesina è tutta paterna. — Bella
ragazza... e buona! Le piace scherzare, divertirsi.
ma non c'è nulla da ridire sul conto suo!
Il Parvis ha uno slancio di simpatia per il ge-
nerale e lo piglia sotto braccio... senza appogg
troppo.
- Quando l'avete conosciuta, onorevole?
- Stamattina ; un momento fa. E' stato Teo a
presentarmi.
- La signorina D'Albaro viene all'Abetone tutti
gli anni. Conosce tutti! Qui, è come un po' la pa-
droncina. . . di i
— Ed è. . . sola ?
La signora De Paolis, la sua antica gover-
nante o istitutrice, adesso è la sua «lama di compa-
gnia. Bisogna sentirla cantare! Come canta! E'
una l'atti ! Una Stoltz!
La sigin r.i I ie Paolis ?
No, che! La marchesina Sofia! La fan
ire! Sentirete!... Una voce! Un talento!...
Straordinario! Ha l'intenzione di andare sul teatro
e farà bene.
Farà male, ('dovane, bella e sola...
Non c'è pericolo! E' una donnina piena di
giudizio! ■ tener testa a \)n reggimento!
Oh, sono molti anni che la COnOSCO. E p"i è d'un
i , I ledilo, positivo. Sapete colli'
chiamo io, per farla arrabbiare?... Nolte dì gelo!
. pei Farla ridere, la casta diva!
< I rrendo, son giunti, passo passo, fin
sulla soglia dell'albergo I Parvis, salu-
'"I
LA LETTI RA
tamii i il g con grande e
sentita effusione.
ntissimo di aven
rale ! Sp< ro i he ci vcd
.;nia.
Che bella mattina! Che aria buona! ( "!i< ■ bel
cielo lina] do!
K il Parvis, messo ili buon umore dall'aria
cale cantarellando, Appena incamera,
chiude la finestra in faccia alla succursale, vi
iva troppo sulc, e apre l'altra di fianco, dalla
quale n na nut.i la vallata e si vede proprio
! giuoco del tennis.
rimane a lungo alla finestra, ma tenendosi
■ i i pers iane.
verde ' < !he aria di liziosa !.. E che
fragranza, che buon odore 'li pino!
■ che il padrone non si occupa di lui,
< sparito. E' andato in cerca 'li Prospero e «iella
V.
In un giorno solo, Gerardo Parvis ha fatto niiw-
n tutti gli abitanti di Boscolungo.
Buona gente, in ('ondo; abbastanza simpa-
tica !
dimostrano molta deferenza, mollo stima e
molta ammirazione: tutte rose che in faccia alla
marrhesina D'Albaro lusingano il suo amor pro-
e la sua vanità. Ma non fa il grand'uomo per
m n sta in sussiego. E' semplice, alla mano;
legni e pieno di brio. Si diverte soprattutto a
punzecchiare, come fa il generale, la marchesina
Sofia.
! t he bel nome !. . .
Ha preso passione alla musica — proprio lui,
revole Parvis, che non ne capisce niente! — E'
vero, tuttavia, che Massenet non è Wagner... e
che si finisce sempre colla romanza del Massenet:
fé fadoorel
Onesta romanza, adesso, la maHu-sina la canta
Ulto per l'onorevole Parvis.. e cantandola, lo
guarda, lo fissa co' suoi orchi neri neri, nerissimi...
/<• fadoorel
i la romanza, mentre il pubblico appiaude.
la marchesina si avvicina all' revole Parvis e
con dolcezza, con soavità, con bontà, gli
domanda sempre:
ritento, signor Par
Il Parvis risponde:
— Si, grazie. . . — e rimane incantato ed esi
tante e studia e pensa per ben capire il signifii
di qi à, di quella
' riudizii . I ìerardo mio Giui ! Potresti i
iUO padre! Domani, niente passeggiata! Scen-
der. ,,. unni no a CO
lazioni ' 11" da lavorare; li" da rispondere a un
mucchio di lettere.
ritiene la parola data a II giorno
dopo, appena alzai . Teo,
lie VUOI I .innaspa con le zai tro le
rdo gli tira un po' | | ,n-/
/.ni. l'ilo , | manda a . con Pro-
' liudiz ■ ! ( , . n U.. gna perdere la
r essi n- su- , padre !
Se a> esse una figliuola cosi bella e cosi buona,
comi bene ! E se ci fessi
vera Fla\ ana, ■ mi ni irebbe gelosa !
Povera i lai tana, non ci sei più, proprio più !
Lavora, lavora in fretta, e per un po' di tempo
'• a non pensan ad altro. In uri paio d'ore ri-
Sponde a tutte le lettere e comincia a scrivere al
Daily i ., quando sente a bussare...
— Toc. tOC, toc.
Si volta, è reo, sulla soglia, chi dimenando la
coda, la Latte contro l'uscio.
— Toc, toc, ti -
reo! \ uni qui ! Teo!
Ma Teo. acca iti che il padrone è ancora lì, in
camera, che non i andato via, invece di entrare spa-
risce di nuovo, e dopo un momento lo si sente ab-
baiare giù. dietro l'albergo.
Il Parvis va alla finestra :
Eccolo là, il cappellone rosa!
La marchesina giuncava al tennis e Teo, abba-
iando correva dietro -die palle. La marchesina \
l'i morevole alla finestra :
Pasta! Non si lavora più! Venga giù! Venga
a sgridare al suo Teo!... Non ci lascia giuoc
Il Parvis scende di corsa e poi, quando la partita
è finita e gli altri si fermano a raccogliere le palle
e le racchette, egli invita la marchesina a fan- n
passi» nel bosco, all'ombra, come raccomanda l'i
giene. Teo li segue, dando la caccia ai grilli e alle
cavallette.
Com'è accesa in volto! Com'è riscaldata'
Si slan 'i i e ippo !
Non .'• vero! Mi sento cosi bene! Ho t
brutta cera !J
E la marchesina lo guarda sorridendo; sa anche
troppo di averla buonissima la cera!
I" ho diritto di farle la predirà, signorina'
Perchè . diritto?
— Perchè, pomi essile suo padre!
— Avrei un papà giovane e un liei papà !
— Le farebbe piarere .. se io fossi suo padre?
— Mooltoì
• .manta tenerezza e quanta grazia! La marchesina
Solia guarda fissa negli occhi l'onorevole Parvis,
ed ' lui questa volta, il forte parlamentare, che al.
l ass i i suoi.
Li pressi i, i i un piccolo numerinolo
Mi siedo qui. Permette, signor papà?
Si copra : se piglia freddo le f.ir.i male. Si
l.i giacca.
( ibbediso • . pa
Il Parvis resta in piedi e Teo si allunga .lima-
lo entro le sottane della marchesina per farsi
Mi dica propi io la vi riti, marchi
I . dir., sempre la v.-rità.
L'onorevi Ir Parvis esita, poi dopo un momenti
ripiglia con un leggero tremito nella v
"a vi rari trazione d andare -ni teatro?
CASTA IUVA
to5
La marchesina lo guarda fissa un istante, pi
bassa a sua volta gli occhi e ha un lampo di rossore
che le corre fin sulla fronte.
— Risponda... Sia buona.. Risponda.
— Adesso... non l'ho più.
Il cuore dell'onorevole lotta violentemente.
— E' molto tempo che non l'ha più ?
La marchesina lo guarda poi abbassa ancora gli
occhi e risponde « di no », ma soltanto con un cenno
del capo.
Rimangono tutti e due silenziosi, poi è lei, la
prima a parlare:
— Che ora è ?
— Le undici e mezzo.
— Uisogna ritoi Facciamo troppi
l,i cola/ione.
- Ritorniamo ] ure
E di nuovo, per puisi tutta La strada, non p,
più ne l'uno, né l'altra: sembrano solo intenti a
guardare Teo, che ha ripresa la sua i
dei piccoli saltetti graziosi e comicissimi.
Cerardo Parvis pensa alle ultime parole, sopì ti
tutto a quell'ultimo no della marchesina: questa,
invece, deve avere tutt'altro in mente, perchè giunta
\ i ino all'albergo esclama con un sospiro:
- All'Abetone, però, c'è un grande inconvenim
te: la posta una volta sola al giorno... e non ar
riva mai !
< ( 'n:!. nua )
' il RI 'I IMI ' Ri i\ I 1 I \.
*m^
LA PORTENTOSA CHIAVE DI BACONE
■jcesco Bacone — barone di Verulamio
visconte di Sant'Albano, if vou /■;,
ha avuto la geniale idea di tornare al
mondo munito di una chiave miracolosa. E* una
chiavi d'oro ma un magistrale grimaldello?
La questione è sub jua . per he l'autorevole per-
sona, ato citato immantinente innanzi ai tri-
bunali, ove gli avvocati discutono con tanto calore
mio al suo caso che pei ora l'unica deduzione
possibile è l'intontimento. Ma ciò non toglie che si
tratti del più strano, più curioso e più interessanti
problema di cut gli studiosi si stiano ora occupando.
Non è la prima volta che accade a Sir Francis
di essere chiamato in giudizio. Già durante la sua
vita mortale aveva dovui comparire innanzi ai suoi
l'ari, che lo avevano balzato dal seggio di grande
re del regno al banco degli accusati. Era
. innanzi al magno con-
sessi Mte di porpora e di ermellino, aveva
umilmente chinato il capo, confessando al suo sue
• i le. < ' ime un qualsiasi pa-
namista moderno, l'ex-ministro ammetteva 'li essersi
lasciato corrompere, E si era quindi ritirato alla
vita modesta e silenziosa, occupando tranquilla-
SUOÌ ultimi anni negli studi prediletti, i
indugiandosi ogni mattino sotto le coltri per smen-
tir'- il noto verso dantesco e dettare al segretario
risia concepiti durante l'insonnia notturna:
■ ■ri alti e nobili, di una saggezza salomonica,
di una impassibili' di una profoni
ina mente sdegnosa
• e della vita, della : del
r oblio.
• Ira non sono più i SUOÌ lari che lo
-■ : ohimè ! La di anzi piuttosto no
ile, >• pei colui" di sventura la colpa chi
'!''■' più gravi di quella da lui
commessa nell'esercizio delle sue funzioni civili. Si
può perdonare anche ad un nobile lord se non è
prudente come Ulisse e non si tura le orecchie con
la cera per resistere al canto delle Sirene auree:
ma non gli si pot rebbi perdonare se si prendesse il
gusto di diffondere le più nere calunnie sul 0
dei più alti personaggi, se si volesse appropriare la
roba d'altri e per sopramercato mistificare il mondo
intero.
Così è: Sir Francis era tornato con la buona in-
tenzione di distrarre i suoi tardi nipoti dalle me-
lanconie della vita contemporanea, di aprir loro con
la sua chiave un paradiso .li meraviglie, di esal-
tarli nella contemplazione di tragedie regali, di
seri dissepolti. Ma in patria non si pi pro-
feti neppure postumi, neppure dopo tre secoli di
tomba, fili ingrati nipoti, invece di fargli buon viso.
di inchinarsi innanzi alla solennità dei suo ino
gli intentano una causa di diffamazione e di truffa.
E buon per lui se potrà uscirne non pili m
ili quel che sia uscito dal processo dell'Alta Corte;
CI une allora si O mi prese I lenissimo che egli non volle
i i fendersi perchè sapeva di essere ."luto in di-
zia del Re, mentre avrebbe potuto facilmente pro-
vare che i danari incriminati ciano vt.u i estorti
ì, così ora potrà dirsi fortun
sue colpe saranno riversate sulla schiera ■
tri ppo fen i< li si guati.
Prima di entrare nel regno delle mera-,
il risi rtO Bacone ci unita. COnvien rinnovare ii
cenza del nobili- personaggio, alquanl i sbiadita,
— se non erro, per molti - dopo i ricordi
stici. La (ama di filosofo lo dipinge alla fantasia
come una figura rigida, austera, a cui ben si addice
di portare la parrucca e il manto del supremo ma-
llo del n-eno Eppure già nella
a i] persona i tedratico
I.A PORTENT» tSA CHIAVE hi BAI ONE
in-
di quanto si potrebbe credere. Fu cavaliere galante,
portò con eleganza il giustacuore, lo spadino e il
cappello piumato: roteò come una stella di prima
grandezza nel secolo d'oro della storia inglese, in-
torno al sole dell'Augusta. Il padre Sir Xicholson
Bacon, grande dignitario dello Stato, lo aveva man-
dato all'Università di Cambridge, ove non si par
lava a quel tempo che latino, greco ed ebraico:
dopo due anni il portentoso giovinetto, non ancora
sedicenne, scrisse al padre che a Cambridge non
aveva più nulla da imparare. Tornò a Londra, e
poco dopo si recò con una ambasciata inglese in
Francia, ove partecipò per qualche tempo alla vita
gaia e galante della Corte di Navarra. La morte
del padre lo richiamò a Londra, ma, con disi i
stupore degli stessi contemporanei, il padre non gli
lasciò alcuna sostanza.
Costretto a guadagnarsi la vita col lavoro, si
diede all'avvocatura, e a venticinque anni era man-
dato al Parlamento. La sua eloquenza scorreva cosi
arguta e piacevole, che, al dire di un biografo, gli
uditori vedevano con terrore avvicinarsi la fine del
discorso. Per quanto si voglia esser scettici, riman-
gono indiscutibili testimonianze del fascino che si
diffondeva intorno a lui e che lo faceva porre così
in alto nella ammirazione dei contemporanei. Sfog-
giava la sua straordinaria coltura specialmente nei
salotti letterari, ove lo chiamavano — nella lingua
italiana, allora di moda in Inghilterra -- il « si-
gnor dolce ». Volendo ricomporre la sua figura non
sulle opere da lui lasciate, ma sulle impressioni dei
contemporanei , bisogna immaginarlo non come un
arido filosofo, ma come un artista raffinato, bril
lante, vivacissimo, una mente capace di dirigere le
sorti di una nazione, se non avesse preferito re-
gnare nel mondo delle idee.
Finché visse Elisabetta, l'elegante oratore rima ■ ■
lontano dal potere, a cui lo chiamò tardi l'avvento
di Giacomo I. Caduto in disgrazia e destituito, at-
tese alla pubblicazione delle sue opere, e cinque
anni dopo, nel 1616, morì a 66 anni.
Le lodi che furono prodigate alla sua memoria
sono liriche, ma portano i nomi di Addisdn , di
Macaulay, di Pope e di altre persone non fardi
all'adulazione e all'entusiasmo. Pope lo dice addi-
rittura il più gran genio che l'Inghilterra, e forse
ogni altra nazione, abbiano mai avuto. Il saggio di
Macaulay è una lucida sintesi dell'opera baconiana
— l'inizio della filosofia sperimentale, di cui sono
gettate le basi nel Novum Organimi - e dei suoi
intenti, che non erano solo scientifici e astratti, ma
di propaganda morale, secondo i precetti utopistici
espressi « sotto il velame delli versi strani « nella
fantasia della Nuova Atlantide.
Il bagaglio letterario lasciato da Bacone, oltre '
due opere accennate, comprende pochi altri volumi,
la maggior parte scritti in latino, tra cui il /'
Augmentis Scientiarum, il Sylva Sylvarum, zibal-
doni di pensieri, di citazioni, di insegnamenti, al-
cuni opuscoli, una tragedia su Enrico VII. Benchi
il Novum Organum sia colossale, le proporzioni
delle opere baconiane non sembrano in rapporto eoo
la straordinaria attività attribuitagli dai suoi con
temporanei. Del periodo più fecondo della vita si
hanno pochissimi frutti: i libri lasciati furono scritti
nell'eia matura e pubblicati negli ultimi anni della
sua esistenza. Gli scritti minori rivelano in lui un
.duo della poesia, una vivacità di stile che avreb-
bero dovuto formarsi nel periodo della giovinezza
r dell'età virile: ma di quell'epoca non si ricordano
di lui che i trionfi oratori e galanti. Alcuni bioj
lo dipingono ''omo un Amleto, incerto della sua via.
Certamente alcuni tratti della sua figura sono enig-
matici, o — per usare un termine di Leonardo, raro
a D'Annunzio — ermetici.
Ponete di fronte a lui, -- geniale, coltissimo,
1:01110 di mondo, miracolo di sapere e di attività, -
r
tMj*t£K£iL*-**-
Traili
4 Li* ■
Shakespeare.
(Dal tìnsi» posto tulio sua tomba a Slralj ■ ■
la figura incerta di Shakespeare, quale esce dalle
nubi storiche in cui è avvolta. Poco o nulla si 0
nosce della vita del grande poeta, e il poco non
tale ila accontentare coloro i quali ritengono che
debba esistere un certo rapporto tra le open- e la
vita di uno M-riitore. Si direbbe anzi che sarebbe
un bene per la lama dì Shakespeare se la Mia
stenza fosse interamente sepolta nella sacra nel b
poiché ii « li' pieno il cuore delle imagini
,1, Ofelia, di 1 ordì lia, di Miranda, non sussulti
di disgusto pensando che il poeta di quelle
.1 ligure era tozzo, brutale, alcoolista come 1
staff e eh. moli a 56 anni per le soverchie 1
zioni.
\aio in un borgo della media Inghilterra 1
famiglia poverissima, ebbe la sola istruzione che
si poteva ottenere nelle campagne: e pare anzi che
il padre non lo abbia lasciato sedere a lungo sui
to8
ne . < 1< >i k •
lawaj i sepi dta
l'edera, è la i pellegrina] ri tu
Icun ann i ■ i ùantò
la ii I idra, ("hi
dissidi domesl ci, chi alla
i di mi signore del
violato ti
\ Londra In si
i un macellaio, che, secondo
. gli avrebbe poi suggerita una ar-
1 1 Itelli e
ma poi le sui perdi «k i. 1
n iraggii
che per qualche circostanza ignota riuscì
re a Coi isi ammirare per il sui i
tori e ad incamminarsi
della gloria, mentre la moglie continuò
per un decennio a vivere i • uà.
Un'altra versione più verosimile — suffragata
da parecchie testimonianze — dire invece che Sha-
kespeare dalla bottega > ì«-i macellaio passò ad un
■ semplice servo, e che il capo-
co, notate 11- sue attitudini alla scena, gli af-
fidò poi qualche parte. Cominciò così a guadagnare
stringere conoscenza coi personaggi dell'aristo-
.1. che non disdegnavano di frequentare le scene
e le quinl
Un paio d'anni dopo aver venduta la carne agli
Ila bottega, il giovane, che aveva non
di 25 anni, faceva recitare la sua prima ci
media « Pene d'amor perdute ». zeppa di citazioni
iche non comuni, e indizio evidente di gran-
ula coltura, mirabile in un giovane che aveva
dovuto vivere tra gli stenti. La commedia era se-
distanza da Giulietta e Romeo, dal
Mei Vcnciti e da altre tragedie, ( he lo
in scena, fin-
ché dopo una dozzina d'anni, arricchitosi, tornò al
•io di Siratford. vi comperò una villetta e
vi pass.', il resin della sua vita, dettando ogni tanto
altre tragedie. Amleto comparve nel 1602, poco pri-
ma della morie di Klis.ìl
Per uno delle più
''1 lavorava che per l'amor del gua-
ri più entusiasti non sanno
rodere un senso .li rammarico pensando che egli
era di un carattere aspro, attaccabrighe, e che pa
la maggior parte dei suoi ultimi anni a Siratford
litigando coi vicini e con le autorità r*r questioni
a dirsi, l'autore di tante e tante migliaia
ite al
riti legali,
1 nito
- ritta di
Sha •
• 1616 prima che delle sue 1 1 ri vi
ina : e quando si pensò
dero capitare sulle loro
■r.i «li una cai: [ uale,
chiarissima.
che in quei tempi gli autori drammatici
sempre attori, e si accontentava:.
«re per la compagnia senza cu-
rarsi di darle alle Stali | - .'are la fecon-
dità degli autori italiani di quel tempo, basterà no-
tare che un capocomico fran eo di
rfGfafo*
nr v-^i'u - ^&tffi^
Li- firme di Shakespeare.
5XV
Shakespeare, Alessandro Hardy, scrisse non meno
di settecento lavori scenici, dandosi la briga di pub-
rne soltanto una minima parte. Ma si può no-
tare che tra i ■trecento lavori non ve n'ha neppur
uno degno d'immortalità come una pagina di Sha-
kespeare, e il confronto non vale quindi a diminuire
la meraviglia che le scarse notizie intomo al poeta
di vono destare.
1 facile ci mprendere come gli studiosi inglesi,
contemplando le due maggiori ligure del regno di
Elisabetta, l'una e l'altra sotto qualche aspetto enig-
matiche, siano stati colti dalla tentazione di pensare
a qualche misterioso legame che le unisce. E nacque
l'ipotesi che le tragedie di fama immortale fossero
state scritte da Bacone — che per qualche suo se-
greti! motivo non aveva voluto apparirne l'autore
— • e recitate da Shakespeare. L'ipotesi non venne
soltanto gettata al vento, perchè esiste su di essa
una intera letteratura composta di oltre duecento
volumi, a cui «piasi tutti i più noti scrittori inglesi
da un paio di secoli in qua hanno portato il loro
granello o il loro macigno. Anche chi non prese
pane alla discussione non si astenne dal manife-
stare il proprio giudizio, e 1" stesso Byron — mal-
grado le sue : Scapigliate che avrebbero do-
vuto indurlo a parteggiare per il genio sbixriato
d'improvvisi, nel cervello del profugo da Stratford
si schierò ira gli avversari della tradizione or-
todossa, in favore dell'ipotesi baconiana, I. e centi-
naia di volumi possono sembrare una vana discus-
sione letti pn tratta in m diosa
ci une una seduta di vecchi accademici incipriati e
eri: ma la sottigliezza dell'indagine induttiva
COSI acuta ed elegante che, lasciando in di-
sparte gli accessori polemici, — ora insulsi ed ora
ome avviene in tutti 1 dibattiti storici e let-
terari, si può seguirla con un .erto compiaci-
1 \ Pi (RI ENTOSA l HIAVE DI B
mento durante le orae suòsecivae. La statisti. -a di-
mostrerebbe probabilmente che i partigiani di
cone furono la maggioranza: in ogni modo, se non
riportarono mai vittoria, se contro di essi si pi
tarono le armi del ridicolo, essi poterono confoi
tarsi vedendo che il dubbio continuava ad aleggiare
sulla nube impenetrabile, da cui non si potei
sciogliere le due figure.
L'iconografia si intromise e contribuì a intorbi-
dare la questione, o forse inconsapevolmente cercò
di scioglierla secondo i desideri dei baconiani. Il
bassorilievo sulla tomba di Shakespeare lo riti te
fedelmente con la faccia tonda, larga, le forme pie
ne, tozze, di cui parlano i suoi contemporanei, e che
sono una maschera poco adatta al grande poeta. E'
vero che Falstaff quando era paggio era sottile, sot-
tile, sottile, e che anche Shakespeare nella giovi-
nezza potè rassomigliare ad Amleto: ma d'altra
parte ì tratti voluminosi conservati sulla pietra fu-
neraria del tragediografo corrispondono in singoiar
modo al ritratto morale non troppo onorevole che
di lui ci venne tramandato. Forse per eliminare lo
stridente contrasto, gli editori e i biografi di Sha-
kespeare si mostrarono meno scrupolosi e fedeli del-
l'artista funebre, e nelle illustrazioni il volto
poeta andò assottigliandosi, allungandosi, si adornò
di una elegante barba a punta, di due occhi pro-
fondi, si rivestì di dignitosa compostezza, e acquistò
una curiosa rassomiglianza col ritratto del nobile
ed illustre cavaliere Francesco Bacone.
Ora si dovrebbe entrare nel regno delle meravi-
glie, ma per averne una impressione più viva è ne-
cessario dare prima un altro rapido sguardo ad
alcuni strani avvenimenti storici.
Il lunghissimo regno di Elisabetta non fu così
solenne e pericleo come vorrebbe la frase conven-
zionale che lo definisce nella storia inglese. La
stessa Sovrana è una figura meno semplici-, meni
diafana di quanto lo voglia far supporre la fama.
Se durante i nove lustri in cui ella campeggiò sulla
scena, tenendo con mano ferrea le redini <: pi
tere, la nazione superò crisi gravissime, sciolse vin-
coli umilianti, rintuzzò attacchi formidabili, g
le basi di una fortuna colossale, l'epoca fu
agitata, tenebrosa. Gli splendori tudoriani fui
talvolta bagliori di incendi : il secolo d'oro rosseg-
giava anche di sangue.
Era del resto l'epoca sconvolta in cui nella So zia
la mite amorosa Maria lasciava che si accendessero
migliaia di roghi, e in essi a Parigi in una sola
notte quarantamila persone cadevano al ri eco di una
campana funebre, al cenno di una donna implaca-
bile. Elisabetta era salita al trono con l'anima
ghiacciato dalle fosche tragedie domestiche. Ella
doveva forse tremare di sentire nelle vene il fu
saturnio del padre Enrico Vili, o la febbre di pas-
sione della madre decapitata. La sorella Maria in
cattolica le aveva lasciato uno scettro grondante di
sangue, e nel sangue, ad un tempo dei cattolici e
dei puritani, intinse subito le mani delicate la gio-
vane Regina. La prigionia, in cui la sorella le ave-
va fatto scontare i sentimenti antipapali, l'aveva
preparata ad aspre cose.
[09
Ambita (lai cogn ! ilippo II - che indamo
lento poi di vendicarsi del rifiuto mandando la
grande Armada ad infrangersi contro le coste
glesi — e da una schiera di principi euri pei, Elisa-
betta volle passare alla storia col titolo di reg
vergine e si impose una maschera impenetrabili
virago. Palpitava sotto di essa il cuore di una
donna? o la 1 ere assoluto, dispoti .
poco a poco conquistato, aveva spento i germi di
ogni affetto ? Certamente, il culto di se stessa fu il
maggiore della sua vita, e assunse forme morbose
quando ella volle nascondere le ingiurie del tempo
sotto lo sfar/o delle vesti e le adulazioni dei corti-
giani.
Bella non fu mai, benché i poeti la licessero a
più bella creatura del mi mio: ma nella giovinezza
dovette essere graziosa, e impersi col fascino della
sua cultura e della sua dignità. I ritraili comuni 1 1
dipingono goffamente sepolta nelle vesti spiegate
a coda di pavone: l'italiano Zucchero le si mo
più benigno, e corresse le linee del volto, facendo
brillare la fronte spaziosa e intelligente 51 tto i ca-
pelli e la corona, allungando spiritualmente il men-
to, e lasciando scorgere, tra le vesti pompose ad arte
sfumate, le grazie del seno. La donna appare si
la fredda maschera.
Il ritratto appartiene a Roberto Cecil, marchese
di Salisbury, che è stato per molti anni il ministro
di Vittoria, come il suo avo Guglielmo Cecil, o
di Burleigh, fu il fido consigliere di Elisal
La storia si ripete. Ma per Vittoria non v'era 0
maggio più sgradevole del paragonarla all'ante
nata, di cui aveva oltrepassato di tre lustri gii anni
di regno e di cui aveva superato gli splendi in. li
suo animo, riboccante di sentimentalità tedesca,
non provava alcuna simpatia per la donna aspra,
gelida, crudele, che non tradì mai i segreti del au-
re, per lasciarli in balìa alla maligna leggenda. E
questa non vuole ammettere che i favoriti titolari
della Regina avessero accessi 1 alle sue stanze sol-
tanto per consigliarla negli affari di Stato.
Vittoria invece numerava con compiacenza i glo-
buli di sangue che le scendevano dagli Stuart, ;':
tenerendosi fino alle lagrime sulla sorte della sven-
turata Maria di Scozia. La dolorosa tragedia,
commove le anime sensibili ed inspirò grandi poeti,
è aneeia avvolta nel mistero. Da oltre tre secoli gii
studiosi si affannano per sollevarne un lembo,
senza riuscirvi. I libri che ne trattano formane
ra biblioteca, a cui da pochi giorni si è aggiunto
un grosso vi. lume di un di vaglia, che non
risolve affatto la questione. Con argomenti di e-
gual valore si può affermare o negare che Maria
scrisse fanetto, su cui i giudici ba-
sarono la loro condanna e per le quali Elisabetta
firmò la sentenza di moi I
provavano la compi ita di Maria nell'assassinio
del 51 ■ ma la Regina proti be sul
patibolo di n> .il averle m
Un'altra tragedia che offuscò il regno di Elisa
betta è ancora in gran parti Nel 1588
morì il conte di Leicester che per molti anni era sta-
to agli occhi di tutti il favi Ila Regina. Le
no
LA I ETTI R \
simpatie 'li questa, che allora era già sui 55 anni,
si r . pi.i un giovane cortigiano, che Ma
caulay ha chi. mia' mento della Corte* del
">. modello 'li cavalleria, munifico mecenate,
• alidi virtù, di granili talenti, ili granili- CO
.in ». Il conte Roberto di E s ex, eleganti
Fu ad un tempo il favorito della Regina e
lo del popoli ■. I 1 ■_' li sie dei l ecil lo condu
alla rovina. Era scoppiata una rivolta in Ir
land ' ci! indussero la Regina a mandarvi il
sse ili gloria. Ma l'Es-
1 vinto, in . i- i siini avversari] lo
mnare per codardia. Esasperato,
ONE I V NI.' Il LI. 1 '.
il gi'. .mi- radunò alcune centinaia di uomini, e
confidando nelle simpatie del popolo si gettò per
le vie di Londra chiamando alla ribellione. Il po-
non si 11 - l ssex lu rinchiuso nella torre.
Lo si nini. nini per alto tradimento. Francesco
hi- dall'Esse» era stato grandemente be-
neficato e che sulle prime 1" aveva difeso, dovette
a maliin 1 -neri' durante il processo l'accusa.
.1 110:1 firmò la sentenza di morte se non
dopo lunghe angosciose tergiversazioni.
_ ■■;nla. popolare in Inghilterra, vuole
che la Regina avesse dato al favorito un .niello.
perchè nell'ora del pericolo lo mandasse a lei come
■ Negli ultimi giorni della
orda, il 1 mei lo ad un fan-
ciulli li p rtarlo ad una delle sue CU-
1 ceva il nome Ma il fanciullo in-
aiale, e lo portò ad un'altra cugina, la
■ di Nottingham, eh rrìma avversaria di
non volli re i anelli 1 alla Regina.
! ■ se indamo il ihi-s-~.il rio, 1 1 n di
che l'Essex fosse ti ro per invocare la
; Essex mi
lira. La \ tin| barn, \
• morire, chiami 1 al suo letto la
■ il tradimento: la cop
lilla mori-
la
Ora I B; le apre con la sua chiave —
o col mio grimaldello la porticina segreta, e sol-
leva il p.t in- secoli il velo dei misteri. Inchinatevi
innanzi a lui: culi ha indossato il manto regale, e
gli araldi lo proclamano Francesco 1, per diritto
divino Re d'Inghilterra.
« Il inondo non dà a me il titolo che compete ai
primogeniti della Casa reale. Il mio nome è Tid-
der ('ruilor). eppure si parla di un- come Bacone,
anche da coloniche sanno come la Regina mia ma-
dre passò a nozze legali nella torre di Londra col
conti- Hi Leicester, in giusto tempo prima della
mia nascita ».
Il conti- di Leicester aveva la disgrazia di aver
già preso moglie, quando la giovane Principessa,
in gli ozi della prigionia, si accese di lui e gli diede
le maggiori prove d'amore, di cui portava già il
frutto quando la morte precoce della sorella le
schiuse la via del trono. Ma la contessa di Leice-
ster mori anch'essa poco dopo, e la Regina celebrò
le nozze segrete col favorito nella casa di Ioni Pem-
broke. Il « Principe di Galles » nacque nel gen-
naio 1559, e fu affidato alla moglie del ministro
Bacon, che lo fece battezzare come suo figlio. Qual-
che voce sulla maternità della Regina corse in quello
e negli anni seguenti, ma la prigione impose pre-
sto il silenzio: e il fatto è confermato dalla storia
Al primogenito tenne dietro due anni dopo un fra-
tello, che fu egualmente trafugato nella famiglia
di Essex.
Il « Principe di Galles » crebbe spiegando tali
incanti-voli doti, che il Cerai, il quale era a parte
del segreto ed avea soggiogato l'animo della Re-
gina, non tardò ad inspirarle il timore che il giovi-
netto volesse tentare l'impresa di Assalonne, ru-
bare il cuore della nazione e infondere al popolo
il desiderio di un re. Lo studente di Cambridge era
tornat > con un corredo inestimabile di dottrina, e
vinceva gli animi col fascino dell'ingegno e della
persona. Un giorno a Corte sorprese sul labbro di
Elisabetta i! mistero della sua nascita: meditò e
scrisse V Amleto Polonio, ossia Cecil, lo seppe, ed
indusse la Regina ad esiliare il portenti so perioo-
giovane, il quale ricevette l'ordine improvviso
di accompagnare l'ambasciatore che si accingeva a
recarsi alla gaja Corte di Francia. Ivi il 0 Prin-
cipe » dimenticò i dubbi e le incertezze, di cui si
sentiva pieno l'animo, nell'amore della dolce e bella
Margherita, sorella ilei re, che « fece del suo ■ norc
innocente un paradiso ». L'ottimo ambasciatore b-
\ rebbi- voluto combinare un matrimonio, ma gli si
impose di non mostrare troppo /rio: Margherita
sposò Enrico di Navarra, ma il cuore del gii^
vane innamorato non conservò per lunghi anni
altra immagine che la sua. Anchi quando,
giunto al nono lustro, il a Principe 1 si rassegnò
no illustri nozze, il ritratto di Margherita « re-
stò appeso, nella pura limpida lx'llc/za dei primi
giorni, sulle pareti della memoria, mentre la sua
amorevolissima presenza continuava ad occupare
il cuore e la mente». Prima di lasciar la gaja Corte,
il giovane poeta consacrò il suo amore scrivend •
etto e Romeo.
LA PORTENTOSA i IMAM- hi BA< I iNJ
I I I
La murte del padre putativo lo richiamò a Lon-
dra: ma con grande delusione il giovane si trovò
solo, abbandonato. La vigilanza cupa di Cecil lo te-
neva lontano dalla Corte: il popolo lo avrebbe ri-
tenuto pazzo se avesse gridato la sua origine: le
oscure minacele regali gli pendevano sul capo. Im-
maginate quale fu lo strazio di quella giovinezza.
Le doti naturali lo traevano verso il teatro. Anche
altri nobili lo frequentavano in quel tempo e vi
facevano recitare qualche lavoro con nomi presi a
prestito, perchè sarebbe stato indecoroso per un ca-
valiere calzare il coturno. L'autore di Amleto in-
contrò un oscuro attore, venale ma intelligente, col
quale fece amicizia, e gli affidò alcune commedie
e Giulietta : non gli parve ancora opportuno il tem-
po per far recitare V Amleto. Ma il destino della
sua vita lo incalzava: l'attore, che gli prestava il
nome, Shakespeare, recitava anche al teatro di Cor-
staurazione di tutte le arti e le scienze, secondi, i
principi adombrati nel Novum Organimi e ancor più
chiaramente espressi nella \ ■• Atlantide. 11 poe-
ta sognava di redimere 1 umanità, e il suo I a
aveva pienamente travolto nella meravigliosa uti
pia gli amici fedeli, 1 discepoli, che si illudevano
di vederlo un giorno predicare gli alti insegna-
li nti dal trono. Ma il suo regno non era di questo
moni lo.
La Sovrana lo teneva lontano. La turbava ì ini
mensità del sapere di quella mente. Il cuore della
vecchia madre si era impietrito per il primogeniti .
11 suo affetto si concentrava sul tiglio più giovane,
meno saggio e più ardente, più audace e meno peri
coloso. Ma in realtà era l'astuto Cecil che volgeva
a suo piacimento ambo le chiavi del cuore regale.
Egli aveva inspirato l'odio per il temibile Prin-
pe ereditario, ed aveva fatto cadere le preferenze
Bacone e il suo pri 51 ITO PADRE, il tonte di Leicesti i
te, e dalla scena il futuro erede del trono voleva
toccare il cuore della madre, chiusasi in una co-
razza impenetrabile di egoismo. Le tragedie che a-
vevano insanguinato il trono inglese furono rievo
cate: e un giorno, quando apparve sulla scena la
tetra figura di Riccardo II, la fredda Regina ebbe
un tremito di paura, e sospettò nell'inteuLo de)
drammaturgo terribili allusioni. Allora Cecil mandò
a chiedere al vescovo di Londra informazioni pre-
cise sul conto di quel Shakespeare. « E' stato un
rozzo garzone di macellaio, e non mi pare possibile
che abbia potuto scrivere le tragedie attribuitegli.
— rispose il vescovo — ; si vuole anzi che le abbia
scritte il vostro cugino visconte di Sant'Albano ».
Cecil cercò di trarre in rovina il cugino, ma questi
seppe evitare il pericolo, e per maggiore misura di
prudenza distribuì i suoi nuovi lavori drammatici
fra parecchi altri amici — Marlowe, Spencer, Ben
Jonson — che erano legati a lui da vincoli segreti.
Con essi egli aveva fondato l'ordine della Rosa-
croce, che si proponeva, tra i simboli e i riti, la re-
sul cavaliere elegante e innocuo. L'affetto materno
ini use a questo l'ambizione e l'energia: Cecil si
ciedette perduto e si affrettò a perdere il favorito.
Alluni si svolse ima tragedia degna degli Arridi.
Il Conte fu mandato in Irlanda: nel frattempo il
ministro istillò nell'animo della Sovrana il sottili
veleno del dubbio. Le fece balenare il sospetto chi
anche il secondo figlio meditasse l'impresa di \-
une: e quando il Conte tornò, il perfid
gliere lo spinse veramente a tentare la folle ini
presa. Ve lo spinse con arte mirabile, infiammando
da un lato i sospetti di Elisabetta, e dall'altro ir-
ritando e aizzando il cugino con ingiuste condanne
in modo da provocare una subita ribellione. L'Es
sex impugnò le armi e scese nella via. Il suo di
Stino era segnato.
Ma l'astuzia ceciliana non era paga, e persuase
la Regina a liberarsi ad un tempo di entrambi i
figli. Ella era così grande ed unica, che l'edificio
dell'ammirazione erettogli dal mondo sarebbe rol
lato d'un tratto, se si fosse mai conosciuta la sua
1 1 J
LA MI li R \
matem ti I il fido onsiglii n le suggerì il modo
ili | .1 ribelle anche il primogenito. La
ire lo chiamò al suo cospetto e gli impose Hi
l'accusa contro il fratello. Il t r . >
(litio '!i quell'ora non m può rendere a par La
na minacciava la morte: « morte per morte,
<■ fratello per fratello « Sarebbe stata 1.
Ise imprese \ agheggiate
sarebbero cadute nel nulla. Il Principe chinò il capo.
Il fratello languiva nella torre, <"•>■ {gi si
■ nlla parete 'li ima cella il suo ni «ne,
, i< ["udor ». In un oolloquio tempestoso,
Francis tentò il» farsi perdonare il fratricidio:
uni. cogliere 1<> scettro,
: i ■ ' ■ re-
itrari bi sarebbero piriti. Il capo 'li Roberto
, si un- Mi .mi he il fratello era per-
duto I ''lira che egli
ib m - '1 melare la sanguinosa ma
dovette dubitare se egli sarebbe mai riu-
3 i incere il destino d'Amleto.
I.a Regina muri l'anno seguente. I Cedi ave-
preparato la via al mimo re. L'ironia della
sorti i iceva succedere .ni Elisabetta il figlio <Ji
Maria Stuart. Amleto traversò nuovi giorni ti dub»
L'antico demone gli consigliava di gettar la
maschera, 'li dichiarar guerra all'usurpatore Mi
l'Inghilterra era felice: gli onnipotenti Cecil lo
odiavano: Polonio non era u i iso che in ef-
figie: i testimoni e le prove dei suoi diri
scomparsi: il popolo lo avrebbe creduto pazzo I
chinò ancora la testa, e si lascio imporre da Già
corno I il manto di granile cancelliere.
lira ormai persuaso che il suo regno non eia di
questo ninnilo. E volle assicurarsi per l'avvenire il
regno nel ninnilo ilei pensiero: volle dettare il te-
stamento della sua dottrina e della sua vita. I
temporanei non potevano porgergli iscolto: né
Bacon: i ti suo presunto fratello, n conte di Essex.
'•hia. E per colmo di malvagità, gli ordinò di pub
blicare un opuscolo per dimostrar giusta la con
danna di Essex, deprecata dal popolo
G avvenimenti incalzavano. La rigida fibra
• Regina era scossa. E una sera il poeta — a-
h pure dai rimorsi — voile far recitare
la prima volta l'Amleto. Con quale ansia spiò
sul volto materno un segno di commozione o di
\ ri( n late la scena in cui il giovane
Prii" narca vuol sorprendere la colpa
hi della madre, mentre gli attori di <
■ i oline di lui il dramma
'• grava sulla Casa reale: pensate che
nto l.i duplice finzione scenica ris[
ne un pallido riflesso alla tragedia vera
• '■■Il autore. (,'i più il pallido giovini
: I
zinne dell'ori- I la un uomo sui quaran
. ma con gli occhi bruciali
■ la una fiamma inti ed in quel momento an
avrebbero inteso la profondità de' suoi insegna-
menti, né il re gli avrebbe concesso di narrare le
sue vicende. Non bastava annunciare la verità ai
discepoli ; nella tradizione orale la verità si sa-
rebbe offuscata e contaminata. Affidare gli scritti
al più devoto amico nini sarebbe stato assai più s:-
curo.
Allora nella sua fervida mente nacque, .si svolse
un progetto audace. Egli dovette temere sulle pri-
me che un vento di pazzia lo travolgesse: che i
personaggi folli delle sue tragedie gli si agitas-
sero intonio pi r vendicarsi di lui.
Egli stava pubblicando le sue opere, alcune col
mio nome, altre coi nomi degli amici fra i quali le
aveva distribuite. I.a storia della sua vita e molte
sublimi concezioni del suo pensiero non potevano
r la luce. Ma in qualche modo dovevano es-
sere tramandai ''-ri. perchè un tempo la sua
i volasse con ali d'aquila verso i secoli lontani,
fi con arte sottile, mirabilmente industriosa e seni
LA PORTENTOSA CHIAVE IH BACONE
[l3
plice, egli sciolse nelle pagine dei gròssi e ruzzi vo-
lumi i tesori segreti, gemme di poesia, diamanti di
pensiero, perle di dolore. Stimma ars est celare
qrtetn.
Egli stesso prevedeva che il mondo Io avrebbe
sulle prime deriso, non potendo prestar fede alla
grandezza del suo genio. « Ma io va —
guardo al lontano avvenire, di secoli non di anni:
l'opera mia è [>er una terra remota nel tempo.
L'Europa coglierà allora la gran messe matura,
come il contadino miete il grano indorato dal sole.
Io semino ora nella solitudine: l'età futura tro-
verà nel mio campo le spighe immortali più di
dell'ambrosia... E il mio nome volerà di terra in
terra lodato dai figli degli uomini, e le vecchie dotte
nazioni indagheranno nel mio nome nuove leggi
della natura ».
Ogni pagina contiene un grido, or di amarezza
or di entusiasmo ; e le vicende della vita di « Fran-
cesco I » sono ricordate ad ogni tratto con una in-
sistenza angosciosa. Si direbbe che al volger delle
pagine si levi verso il volto del lettore il soffio di
follia da cui l'autore temette di sentirsi avvolto.
Ma il metodo stesso adottato per tramandare i se-
greti ai posteri, lo costringeva a ripeterli a fre-
quènti intervalli, or con brevi parole or con lunghe
narrazioni. E così tutti gli avvenimenti di quell'e-
poca turbinosa, su cui la storia non potè gettare lo
sguardo, rivivono nella loro fosca luce. La storia
vera della fine di Essex è narrata segretamente, per
un pietoso contrasto, in quelle stesse pagine di ac-
cusa che la Regina aveva imposto all'autore. Il ni-
pote proclama altamente l'innocenza di Anna Bo-
lena, e il poeta rende omaggio alla bellezza e alla
sventura di Maria Stuart, lavando del sangue di lei
le mani di Elisabetta. La morte dell'infelice Re-
gina di Scozia è da lui attribuita alla congiura di
Cecil e di Leicester che indussero il segretario di
Elisabetta a prestar loro il sigillo: egli ne descrive
con arte e con commozione profonda gli ultimi i-
stanti. e conclude: « Così finì Maria di Scozia: io
ne ho scritto la triste storia, e nel mio cuore ia sua
bellezza vive ancora, pura e dolce, come se ella
fosse ancora tra i viventi ».
Ma gli avvenimenti non sono soltanto accennati
con ricordi personali. Sono fusi in tesori artistici.
Alla parte segreta de' suoi volumi, il poeta affidò
le opere che riservava al diletto delle future gene-
ra/ioni. Sono drammi storici, tragedie, commedie,
poemi, traduzioni. Le opere drammatiche hanno per
argomenti: Elisabetta, Essex. Leicester. Edoar-
do TIT. Enrico VII. La rosa bianca d'Inghilterra.
Marlowe, Anna Bolena, Maria di Scozia. Le tre
commedie hanno i titoli curiosi: I sette savii di Oc-
cidente, Salomone II. La trappola per i topi. 1 poeti
cantano la grande Armada, Cristo, la Nuo\ . \
tlantide.
La grande opera era compiuta. Nel frattempo lo
avevano colpito le disgrazie e le persecuzion
povero e abbandonato, ed aveva sperato un regni
Ma l'anima sua era finalmente paga. La mat-
tina di Pasqua del 1616 . pensando foràe alla
miracolosa risurrezione, spirò serenarne 1.
La Lettura.
Mia tomba, nella chiesa di Sant'Albano , un di-
sce] ■ un misterioso motto la-
tino, il segreto della Rosacroce: e in una torre,
. ve sono scolpiti i nomi dei Re, una mano ignota
nò più tardi tra quelli di Elisabetta e di Gia-
como, il nome di Francesco I.
E' il velo della storia che si e sollevato, 0 il Se-
Uno di una mente inferma che sboccia al sole della
intensa vita moderna? E' un filone d'oro di va
inestimabile che si è s<t<perto, o è una fatua fo-
• /a che illude lo sguardo?
E' una mite e modesta signora americana che
ha traversato l'Atlantico per venire a scavare nelle
profondità .lei Museo Britannico il tesoro nascosto.
Sol > l'immane cupola che sembra coprire la più
ricca caldaia di erudizione e di scienza, l'ho ve-
duta anch'io qualche volta cuna sui lumi
del seicento, occhialuta, intenta a trascrivere mac-
chinalmente segni misteriosi, che un piccolo drap-
pello di seguaci veniva poi interpretando. Chi a-
veva gettato uno sguardo su quelle carte, aveva
sussultato di meraviglia: ma i dotti e i personaggi
autorevoli avevano sdegnato di occuparsene 1
apporre il loro suggello allo strano documento. La
signora non se ne diede per intesa: e giunta al
termine del lavoro, affidò senza rumore alle stampe
la scoperta, in un libro denso, serrato, privo di ogni
lenocinio e affascinante come un abisso. Ella non
si curò nemmeno di ricostruire la storia decifrata
in una narrazione organica, secondo il cenno che
io ho cercato di darne. Lasciò che le pagine esu-
mate parlassero da sole con l'eloquenza delle an-
gosciose ripetizioni, col loro turbamento che a volte
a volte le fa credere uscite da una mente in preda
alle vertigini. Ella non si atteggia a profetessa,
ma a discepola fervente.
I ; -ignora Elisabeth Wells Gallup non è stata
eco. la prima a scoprire e a rivelare il mistero. Già
una dozzina d'anni fa un altro studioso americano,
Ignazio Donnelly, aveva pubblicato un libro. « Il
grande crittogramma», ritessendo in modo nuovi
una portentosa biografia di sir Francis Bacon. M
la sua teoria era stata sepolta sotto il ridicolo:
egli non con sufficiente chiarezza il si-
.1. che lo aveva guidato nella scoperta, e si finì
col dire che aveva avuto le traveggole. Il suo ;
infatti portava molti indizi che non lo din* -
vano il frutto di una mente limpida, e sana: e il
povi n 111 >ei morì, or non è n
piamo Nel 1895 un altro studioso, il dottor Owen,
pletò la so,] erta del Donnelly, ma anche il
SUO libro si sprofondò nel blio:
il mondo non gli voleva porgere ascolto. L'uno e
l'altro avevano avuto il torto di voler mostrare le
comuni mortali, dopo aver posto una
corno ai loro tttra-
labirinto.
Più sincera e prudente, la signora Wells —
la | , èva ] 1 anno all'* >wen h
mess volume la spiegazione del si
lei ! suoi due predecessori avo-
Shakespeare una chiave
8
' ' I
l A I ETTI R \
na : ella pensò chi vi ne dovi va ra
sere un'altra assai più semplice. L'idea le venne
da un capitolo che Bacone consacrò alla
grafia nel De Augmentìi scientiarum.
In « 1 1 1 . -^ ■ . . trattato il filosofo spiega un alfhabe-
tutu ni di sua invenzione. Ed è l'ai f ab
mi i ni , t. ndari h pienti tutti i
telegrafici e tutte tziofti del mg
un punto e una lineetta, con due fasci di luce,
con due suoni diversi, con lo sventolìo di una ban-
i qualsiasi segno insomma ripetuto e al-
- fisse si può e porre qual-
alfabero. E1 il metodo più ingegnoso, più
semplice e più sicuro per le comunicazioni in cui
non si può far uso dell'ali nume: e Ba-
dìce nel più grave latino di averlo usato nella
io a significare a, e le lettere in corsivo rappre
ii" il b. Da ogni gruppo ili cinque lettere scrìtte
impair si potrà estrarre un'altra lettera. Ma
un esempio varrà più ili qualsiasi spiegazione. In
-..Manin secondo questa crittografia nei pruni due
versi, i> pi essere più esatti nelle prime cinquanta
n d ll'ode « Ula Regina d'Italia » il nome del
l'Augusta Donna a cui essa è dedicata. Lo si porrà
poi estrarre secondo questo diagramma:
Ondo .-'lenisti/ quali; a >ioi\socol\\
' b 1' -i bll a a a a|b a a a .i|a a bbalaabb bla
M A R G H
S; m ii/e e beli /a til /r a m a I ndar olno..
I |b A fl •■ .1 a /' a
E
R
1
Là Regina Elisabeth a.
' a Parigi, per la corrispondenza amo-
\i punì eetti dell'alfabeto Morsi
■ni le letti b, Mescolando «meste «lue
lettere a k1""!»!'' di cinque, si può formare un alfa-
|2 fa lido rapi^ ni m 1 A
il B da quattro a e un b, e cosi ili se-
ndo il segui nte spo chietto:
ansai ii aaaab; C aaabs D aaabb ;
tabu 1- aabab; G aabba; il aabbb;
I abaaa; K abaab; L ababa; M ababb;
N — abbaa O abbab; P abbba; Q abbbb
K ima. i.i . s baaab; T baaba; V baabb
W -= babaa; X babab; V babba; / babbb.
■ ■ o stampate con due arattei i 'li
ne le lettere in carattere inni, ab
Orbene, pensati- che, come il nome ili Margherita
esce con tanta limpidezza «lai due fervidi versi pet
una semplicissima convenzione tipografica, così
dalle seimila pagine delle opere di Bacone, di Sha-
kespeare, ili Marlowe e «l'altri poeti, è uscita la
avigliosa storia del vero Amleto, si estraggono
a le spighe più dolci dell'ambrosia • che devono
deliziare il ninnilo.
La signora Wells -, avuta l'idea che Barone
non poteva aver esposto l'alfabeto bilaterale senza
uno scopo recondito esaminò attentamente le e-
ili/iuni del seicento, e vi intravide i due caratteri:
allora con lun| pa ite lavoro di anni si accinse
a trascrivere dai volumi in folio le stupefacenti ri-
velazioni. Sotto le lenti i suoi occhi si stancarono,
I A PORTENTI >SA l HIAVE bl BA< ONE
1 l.)
quasi si spensero, prima che l'opera fosse compiu-
ta: altri tesori sono nascosti nelle vecchie carte:
ma era tempo che il mondo ammirasse i tesori dis-
sepolti.
Il libro usci pochi mesi or sono al di là dell'A-
tlantico, e pochi se ne accorsero. Ma il mese scorso
la più grave rivista inglese non potè trattenere un
grido di ammirazione. Non era dunque un nuovo
sogno fantastico? Prima ancora di esaminare il li-
bro, le oche della tradizione starnazzarono le ali
svile colonne capitoline del Times: e sui larghi
spalti del magno giornale si ingaggiò la più fieTa
battaglia letteraria che si sia mai combattuta dopo
l'epica lotta intorno ai poemi ossianici. La batta-
glia non è ancor finita: le armi delle citazioni e
• lei raffronti storici non sono ancora spuntate: l'ar
tiglieria del più schietto apriorismo continua a tuo-
nare che la vittoria non sarà dell'assurdo. A che
prò' descrivere le fasi dello scontro? Gli spettatoli
pensano che si tratta di un inutile spargimento di
inchiostro, perchè l'arbitrato della pace non ha mai
avuto un compito più facile. Calmati gli ardori bel-
licosi, gli avversari possono incontrarsi sotto la cu-
pola del Museo Britannico ed estrarre insieme dalle
vecchie carte una edizione riveduta e corretta della
meravigliosa storia.
Ahimè, l'impresa non è così facile e schematica
come si può supporre. I volumi preziosi non cedono
facilmente il loro segreto: essi non sono stampati
con due caratteri diversi: le differenze fondamen-
tali che costituiscono la chiave crittografica non
sono che sfumature ottenute con due « fondite »
di una stessa forma di carattere. E per interpretare
rettamente i segni delicati, occorre anche una certa
inspirazione. E' 1' « inspirazione » della signora
Wells che minaccia di far crollare l'intero mirabile
edificio, più che la scoperta di una traduzione del-
l'Iliade e dell'Odissea che Bacone avrebbe sepolti'
nell'alfabeto biliterale senza alcun verosimile mo-
tivo. Tuttavia per questo si può pensare che il
lungo esercizio della crittografia avesse turbato al-
quanto l'intelletto dell'autore, e che l'abitudine del
seppellire i tesori ancora ignoti lo inducesse ad inu-
mare anche i tesori dell'antichità greca ripuliti con
la lima inglese. Ma se la dimostrazione non sarà
chiara, matematica, gli avversari della rivelazione
non si daranno per vinti: al soffio esoterico dell « in-
spirazione» la storia svanirà per la maggioranza
mortali.
Il mistero affascina: ma l'elemento oltrenaturale
infonde la diffidenza. La grandissima importa
della scoperta sta nel fatto che si deve poterne daa
le prove più lampanti. Le otterrà? Allora cadran-
no tutte le obiezioni di ordine morali- finora accu
mulate: e si ammetterà che Bacone abbia potuto
usare la crittografia per uno scopo altissimo, come
l'usava per diletto bizzarro Leonardo da Vinci. Si
potrà anche pensare che nelle lunghe veglie dei se
coli scorsi altri scrittori affiliati alla Rosacroce af-
fidassero al cifrario, i loro pensieri segreti, e che
nelle biblioteche europee tesori innumerevoli atten-
dano la luce.
La questione è sub judice. Per ora la patria di
Bacone non osa acclamare la sua risurrezione, e
non gli si mostra troppo benigna. « Francesco I »
ebbe anche la disgrazia di ereditare dal « padre
putativo » un nome che si presta ad orribili strazi.
TI bacon è la carne di un animale immondo, di cui
gli Inglesi fanno strage al loro » rompi-digiuno »,
ossia a quella piccola colazione che comprende di
solito un paio d'uova, un buon pesce fritto o un
buon pezzo di lardo, una tazza o due di the, e una
discreta dose di pane spalmato di burro, di miele,
di marmelade e di altri dolciumi. Il poeta Cole-
ridge — quando ferveva la discussione ad argo
menti morali su Bacone e Shakespeare — un mat-
tino fece inorridire i suoi amici dicendo loro che
aveva mangiato un buon piatto di Shakespeare.
Anch'io chiesi stamane alla mia graziosa vicina di
tavola: « La signorina prende un po' di Shake-
speare5 ». Ma dalle rosee labbra scese un Dotti b
s'dly, che io trasmisi mentalmente a Coleridge e
che amareggiò tutta la mia marmelade.
Londra, gennaio 1Q02.
P. Croci.
Impresa halle « Opere di Bacone», 1704.
IL PIOPPO
Sopra l'umido suolo alto levato,
precinto il capo di dolce verdura,
Sta il pioppo ; e -cede lungi alla pianura
nascere il sole come un roseo fiato.
Lente 'cede le mucche andar pel prato,
e il mandrian sedere alla frescura,
e poi a sera dentro Paria oscura
accendersi improvviso il del stellato.
Tacito vede. Ma se un voi di --cento
F urta in passare, o se d'uccelli un' onda
rapida /'//-ceste il suo grembo d'argento:
brilla egli, e vibra; e t'anima sonante
-aia. e di sua gioia inonda
ampi e l'aere, armonioso amante.
sonetti r i 7
LA NUBB
La nube che languìa già nel/a valle,
vedendo il sole uscire dall' aurora
di roseo lume tosto si colora,
e s alza, 6 segue lui per F erto calle.
Ma volubile al sole dà le spalle
se appena il vento con desio la sfiora ;
del novo amante cieca s'innamora,
cede a sue voglie, e fugge per la valle.
Ebbro il vento la porta tra le braccia,
con lunga furia la stringe e la morde,
poi sazio verso il morite la ricaccia.
La derelitta in un suo fosco manto
si fascia, e gitta sue querele sorde,
e rompe in largo rumoroso pianto.
L'ORTO ABBANDONATO
Neil* orto abbandonato, a lièti errori
correan le piante ; e in dolci abbracciamenti
stringevansi, mescendo loro amori,
pronubo il sole e paraninfi i venti.
E Primavera a' combaciati cuori
da balconi di nuvole fuggenti
serti gittava di rubini e d'ori
e diademi di perle fulgenti :
Quando crucciosa un'ombra umana venne,
e i dolci lacci franse, e i vaghi errori
severamente castigò e contenne.
Stettero allora con cambiata faccia
le piante assorte in lor feri dolori
tendendo in van le mutilate braccia.
Angiolo Silvio NovàRO.
:rtT'T-7,
^^•%^^^SÉi*^f^^
2^ '1 *T
SANTOS DU]WONT
I^e esperienze nella rada di Monaot
A falla elegante cosmopolita, che cinquan-
ta coppie di treni della Paris-Lyon-Médi-
e, con invidiabile precisione d'o-
rari, giornalmente addensano nella terra di cui Al-
berto I è principe e sovrano, ivi trova que-
st'anno un'attrattiva di più, coronamento straordi-
nario della grande saison mondana.
I giardini eternamente fioriti, da cui si spande un
profumo intonso penetrante, il mare ognora tran-
quillo e sereno come il cielo, i sogni di ricchezza che
ognuno intravede mentre l'oro ricopre, senza distin-
zione di nazionalità, le lunghe tavole verdi del
trenti et quarante, o la pallina d'avorio compie con
pazza resistenza i suoi giri veloci sulla conca, po-
polata di cifre, della roulette, sono pel momento e-
cl issati.
Tutte queste seduzioni, da cui vi sentite presi ap-
pena ponete il piede nel piccolo e fiorente Princi
paio, hanno ceduto il passo alla ansietà febbrile,
con la quale sono attese le ascensioni che sopra la
graziosa rada di Monaco sta per compiere, con il
suo pallone dirigibile, l'intrepido aereonauta brasi-
liano Dumont.
li ipo il trionfo di Parigi, dove guadagnò 1 otto-
bre decorso il grand prix di centomila lire, gira
ino alla torri- Eiffel e ritornando poi al punto
«li partenza.il parco di Saint-Cloud, sono queste le
esperienze che nuovamente assorbono tutto il suo
entusiasmo e la mirabile giovanile energia.
Alb ! h in iou; appartiene ad una delle
più ricche famiglie del Brasile, ma l'esser posses-
sore «li una grande fortuna non gli ha impedito di
dedicarsi, sino da giovinetto, e con vero intelletto
d'amore, alla soluzione del grave problema della
navigazione aerea. Nato nel 1873. manifestò sem-
pre notevolissime attitudini alla meccanica, e alle
scienze in generale.
Aveva un anno — è egli stesso che lo racconta —
quando iniziò i suoi studi aeronautici. Dei piccoli
palloni di kautciù, che faceva scoppiare per ve-
line cosa vi fosse dentro, dovevano essere il campo
delle sue infantili ricerche terrene! La compiuta
conquista dell'aria gli fa pensare con compiacenza
al non fallace auspicio. Più grandicello, conduceva,
lungo le praterie dei possedimenti paterni, delle
veree proprie locomotive, le quali, donategli a scopo-
ili diletto, meravigliosamente servirono a farlo cre-
scere sprezzante del pericolo, calmo nell'azione, in-
crollabile nei propositi. Condotto giovanissimo in
1 lancia, fu soltanto per l'opera costante di lui che
la questione della diiigibilità dei palloni prese nuo-
vo vigore. Dal 1898 al 1901 è tutto un periodo ili
studi incessanti, di tentativi non sempre fortunati,
di trasformazioni suggerite dalla esperienza, fino
a 1 he l'aereo congegno non uscì completo nel tipo,
il quale contando nel suo recente passato una vit-
ti ria clamorosa come quella dell'anno decorso, si
appresta ora a ben più ardua e risolutiva prova.
Il primo pallone sferico da Santos Dumont fatto
uri-, unicamente per suo uso personale, fu il
Brisil, che nel 1898 ricevette, nel Giardino d'accli-
matazione a Parigi, il battesimo dell'aria. La mi-
nuscola aeronave subì da allora la volontà di colui
che la conduceva coraggiosamente a spaziare nelle
ni, e i successivi esperimenti non fecero
che confermare la serietà indiscutibile della scoper-
ta. Ma, non senza pericoli gravissimi si svolsero
tali ascensioni. In una di esse, Santos Dumont cad-
de da una altezza di .100 metri, non riportandone
miracolosamente alcun male, e un'altra volta ebbe
SANTI >S DI MiiN I
I MI
a compiere una discesa in ragione di 4 o 5 metri per
secondo. « Io ho potuto dar varietà ai miei piaceri ■ —
egli disse con molto spirito allora. — Montato in
pallone, sono disceso in cervo volante ! »
Dal Brési!, attraversi, una serie di continui per-
fezionamenti, l'ardito brasiliano giunse a costruire
il Santos Dumont numero 6, vincitore del grand
prix, adesso in attesa di riprendere il volo dal co-
lossale hangar della Condamine.
Di fronte al piccolo golfo, cui servono comi
immenso anfiteatro le alte montagne, cosparse di
bianche case, di ville grandiose ; là dove si scorge
ila un lato, nella punta estrema, il giardino di Mon-
pel quale Santos Dumont non risparmia parole «li
calda, ammirazione, ha presieduto il signor Cabirau,
nere della Sodi 11 dei Bagni di mi
Per chi ancora non lo sapesse, sotto questa ditta
sociale comprendone! i possessori d'azioni si i
fera che allesso tendano al ribasso d( I bi 1
Casino di Montecarlo. Sembrerà un non senso,
ma a me non pare. La differenza è semplicissima.
Dal mare, fatto il bagno, si ritorna vestiti: dal
('asino, tatto il giuoco, se ne esce .solamente spo-
gliati !
Attigua all'immenso capannone, trovasi la pic-
cola officina dove dovrà esser fabbricata l'idrogeno,
con cui sarà gonfiato il pallone: costruzione tanto
semplice quanto pratica.
II. CANTIERE DI SANTOS DUMONT.
tecarlo dall'aspetto orientale, baciato quasi dalle
onde; e dall'altro, svelto e severo appare il castello
principesco su cui sventola sempre una bianca ban-
diera, là dove le tre piccole località, in cui il prin-
cipato si divide, appaiono nettamente distinte, è
sorto il grande cantiere dove Santos Dumont la-
vora.
La strana costruzione in muratura, legno e zinco,
che attira subito l'attenzione di chi transita per il
boulevard della Condamine, occupa 60 metri in lun-
ghezza, è alta quasi 15, e larga 13. Ingegnosa e im-
ponente la porta principale dell'aerodromo, da cui
il pallone totalmente gonfiato dovrà esser tratto per
innalzarsi nello spazio. Due soli uomini possono a-
gevolmente far scorrere quelle gigantesche imposte
di ferro. Alla perfetta esecuzione del costoso lavoro.
Santos Dumont passa intere le sue giornal
tendendo adesso alla montatura della punire armée,
la paite inferiore dell'aeronave, càio ridato dai sui 1
operai, condotti appositamente da. Parigi, echi
coadiuvarono già nelle precedenti ascensioni.
Nessun dettaglio sfugge alla sua 1 :/ione:
nessun pezzo che faccia parte degli organi essen-
ziali del suo dirigibile v ien collocato al proprio
posto, prima che egli lo abbia accuratamente esa-
minato, l'ifi di una volta si è s<
dico tirando i fili di acciaio, esperimentando le de-
licatissime valvole, o facendo agire il portentoso
motore, l'anima dell'aeronave. E tutto ciò non per
inevitabile necessità, ma per brama di perfezione
assoluta, con fede di apostolo.
Si devi- ancora procedere alla immissione del gas,
I 2"
LA II M i i •>
e |>'i ii palli iverà in compii to ili
guei r.i
11 5 •uoiil niiiin ro i mi
hanno asserito alcuni giornali, nessuna m
rione ha subito da quando, in 19 minuti e ,s° se"
condì, compiva vittoriosamente il tragitto regola
Eiffel \ eppure il unni
ni miiio il pallone, e che sostiene la navicella, il
motore, l'elice e gli accessori, il tutto |x-r una lun-
1 ih appena 18 metri. Questo scheletro in
legno. .1 sezione triangolare, capo d'opera di lq
rezza e di solidità, non pesa che s° chilogrammi.
i Formato da un insieme ili travicelle ■ -nr\ il
congiunte da traverse finissime 'li legno, tenute
L'INGRESS I CANTIERE.
I SS< SÌ |'i'
dall'anno tra
1 i |.iii completo e definitivo suo •
Il metri di larghezza e 33 ili lunghezza; ha
1 I". '• sposta 800 chilo-
mi 'l'aria. L'involucro pesa uo chili, ed il
cono,
r paragi nafc 1 ad un enormi
ncipale del 1 allone 'li
1 ' 1 ,1 1 ni'
giunture d'alluminio, e rese lisse da una
ncrociatura 'li ali d'acciaio: gli stessi che
si usano per corde 'li pianol. «1 i.
Santos Dumont è staio il primo a fare 1
questi fili, in aerostatica. Ter la loro debole supei
rimpiazzano molto bene le corde ili canape de-
gli anteriori palloni dirigibili, la resistenza 'Ielle
quali era paragonabile -il palloni stesso. Pei una
innovazione non meno 1. .minala, rinunziando alla
e alla coperta che avviluppano gli altri sistemi.
SAN I' » hi MON I
I _' !
da Henry Giffard a noi, ha jx >i fissato i suoi fili di
sospensione direttamente sulla stoffa del pallone
per mezzo di piccolissimi bastoni.
A 7 metri dall'estremità posteriore dello schele-
tro, trovasi sospeso, a mezzo anch'esso di fili d'ac-
ciaio, il motore a petrolio Buchet, della forza di
16 cavalli : pare un ragno in mezzo alla sua tela.
pienamente a tutte le esigenze della solidità e della
leggerezza. Da quel punto avanzato della aeronave,
l'audace brasiliano può attendere, senza ostacolo ve-
runo, alle difficili manovre con cui regola il suo i
mino.
Tutti i fili di acciaio coi quali vien dato il movi
mento al motore, all'elica, e al timone, si trxn
San lus DuMON i .
Possiede 4 cilindri, ed è direttamente collegati
l'elica per mezzo di un albero vuoto. L'elica trovasi
dunque dietro alla navicella, mentre nel modello nu-
mero 4 era collocata anteriormente; essa ha 4 me-
tri di superficie e può fare più di 210 giri al mi-
nuto. La navicella, interamente in vimini, h inca-
strata nella patire a metri 3,60 dalla punta ante-
riore, e non nel centro, nell'intento di ben dividere
il peso sulle corde di sospensione. Santos Dumont
ne è stato l'inventore, e la piccola cesta corrisponde
unitamente al manometro, di fronte alla navicella.
11 loro uso è reso più pratico da una specie di ma-
nopola con cui terminano.
Allo scopo di evitare le oscillazioni e di assicu-
rare la rigidità del sistema, il pallone reca, vi
cuna d le sue estremità, una lunga traversa
pendio ilare congiunta al pallone per i suoi due e
Un ventilatore in alluminio, collocato sopra il
motore, manda continuamente al pallone l'aria ne-
cessaria per mantenerlo sempre perfettamente gon-
I
LA 11 TI I R \
fio, e un |ua di 20 litri, sormonti
(sicura il i dei
cilindri li qui
novre del movimento verticale e d'equi-
nto delicate che fondamentali l 'u
moni :i. I< ■j«-r;i un guide-i '■. . che altro non è fuoi
che una ...rd.i piul rossa, del peso 'li so chi-
spesa sul davanti dall'aeronave
.1 fune la si trova in tutti i modelli ili pal-
lone - Dumont però ne fa un uso ti >talmi
nuoi
noie salire, la ritira con una funicella
1 il centro, e allora la punta anteriore del pal-
lone si alza e tutto il sistema aereo si solleva gra-
zie all'impulso dell'elica: se invece vuole discen-
. lascia il guide rape libea», mi suo peso gra-
dui davanti ilei pallone. L'inclinazione del-
e in un senso giusto, basta dunque ad assicu-
rare- L'ascensione, la discesa e l'equilibrio del si-
stema.
Ed ora, saliamo un poco sulla parte superiore
■ lei pallone, nella quale elementi vitali per il rego-
lare funzionamento ilei portentoso organismo aereo,
sapientemente distribuiti.
L'involucro ì- in seta del Giappone, fortissima,
bianca e trasparente ; ripetuti bagni ili olio di lino
la rendono impermeabile.
Sopra il pallone, nella parte anteriore, trovasi
una valvola di 40 mi. ili diametro, la quale viene
aperta con una corda passante dentro una manica
di seta verniciata, cucita sotto l'involucro, e verti-
calmenti cadente sulla navicella, alla portata della
0 dell'aeronauta. Inoltre due pareti da strap-
pi rsi, necessitando un pronta sgonfiamento, sono
guidati- sul davanti e sul di dietro: l'aeronauta può
romperle all'istante, tirando le corde che giungono
alla cesta dov'egli trovasi.
Nell'interno dell'aerostato, cucito nella parte sot-
dellu involucro, e pri-cisamente nel cent n>.
è collocato un altro piccolo pallone {ballomtet) di 60
alimentato d'aria dal venti-
latore, di cui abbiamo sopra parlato, e che ha la
si-ojw, di regolare le variazioni di volumi- prodotte
dall'idrogeno. Questo palloncino è munito inferioi
mente di una sola valvola; il pallone ne ha due.
possono automaticamente aprirsi dall'interno
all'esterno sotto la pressione dell'aria o dell'idra
gena. Le loro molle sono regolate in guisa, che la
vaivi ballonnet si apre per la prima dando
usi ita all'aria, mentre le valvole del pallone non
poss perdere il gas che soltanto negli ultimi i-
stanti. quando li- circo
Sono qui generali del sistema che San-
liiimi.nt. dopo fondamentali cambiamenti ap
|H>rtati al primo tipo di sua invenzione, ti /"
ha 1 Sortagli lardila idea di utilizzare per
la lo rioni il motore a petrolio, la
Cominciando ad usami- uno della forza di ap
illi e mezzi 1 Mano mani 1 salirono a
. il pallone numero 6, col quale sta per ripren-
peril ninto ai [6 invaili. Vi
nfine sapere quanti ne avrà a ne il
pallone numero 7. che
sioni preliminari con tanta curiosità Sem-
plicemente 15! Ciò è quasi spaventoso, ma vi si
prestar fede Santos Dumont, quantunque a-
l 'il nato a gonfiar palloni, non sa gonfiate le cifre!
Con d rapido perfezionamento del motore, il
forte aeronauta ha curato di raggiungere altresì la
i leggerezza del sistema e la piccolezza delle
11. nell'intento di renderlo facilmente tra-
sportabile. E a queste ha sacrificato qualsiasi per-
sonale comodità. Col modello numero 1 si arrischiò
persino a compiere delle ascensioni a cavallo sovra
un bambou che gli serviva da sella, spingendo in-
nanzi il suo aerostato, come un triciclo a petrolio,
a forza di pedali !
Del suo ardimento egli sta nuovamente per dare
una fulgida prova E' la prima volta che un pallone
allungato, fornito di un motore e di un propulsore,
va ad avventurarsi in pieno mare, alla mercè di quei
mezzi meccanici sulla cui fedeltà non si può cieca-
mente giurare, fili alberi fronduti del bosco di Bou-
logne o gli alti comignoli delle case parigine non
si opporranno, adesso, al suo veloce andare.
Ma Santos Dumont non si preoccupa neppure dei
tradimenti dei venti 0 dell'acqua ingannatrice: una
fede incrollabile tutto l'invade, e il trionfo asso-
luto della scoperta gli sta assai più a cuore della
siessa sua persona
E' dalla viva voce dell' uomo, il quale in questo
momento attira su di sé e su l'opera sua l'atten-
zione e le simpatie dell'universale, che io ho potuto
raccogliere le speranze con le quali egli si appresta
alle novelle prove, e la narrazione minuziosa del si-
stema aereo, che da lui prende il nome.
Santos Dumont era all'hangar, contemporanea-
mente santuario ili scienza e salone di ricevimento.
Stava ponendo in prova il motore, e si aggirava
irrequieto attorno allo scheletro ancora incompleto
del suo pallone, [>er esaminare se ogni cosa fosse
a suo posto. Il giovane aeronauta brasiliano non è
certo un atleta ; la sua altezza raggiunge soltanto
metri 1.60: di peso non supera i 50 chilogrammi.
l'na costituzione ideale per chi deve sollevarsi nel-
1 aria, sopra un congegno che esige la massima eco-
nomia di peso. E' una figura assai geniale, dallo
nudo vivace e mobilissimo: pelle abbronzata .
una selva di capelli castani, e, viceversa, dei baffi ap-
pena marcati. Veste elegantemente, ma senza pre-
unzioni, proprio all'inglese, e il suo costume non
trasforma nemmeno quando procede agli esperimen-
ti Porta costantemente i guanti.
Un sorriso di soddisfazione illuminava il volto
di Santos Dumont 11 motore aveva corrisposto a
tutti i suoi desideri: ottusa occasione per fargli
noie in scopo della una visita. Egli conversava con
il suo più lido amico e collaboratore, Emmanuel
V'unì'-, che dal debutto lo ha seguito sino ai trionfi
di Parigi, e tuttora lo segue cooperando con indo-
nnii.ile energia alla soluzione del grande problema
della locomozione aerea. L'Alili il nome del
quale ii"" nuovo nella Lettura che riferi da rivi-
L' INTERNO DEI. CANTIERE,
La « POI TRE AK.M1.I. >.
i _> | LA LETTURA
Me [ualche interessante suo articolo —
ha senza dubbio una competenza speciale in mate-
ria, <-d intani la i -, n ndo erudite o nfa
snll >li Santos Dumonl
sima -mula appartenente alla famiglia
lìirttlil
esperienze, innalzandomi sopra la rada di \l n
l . sortite si ripeteranno ogni giorno, lino a quando,
avuta la conferma del perfetto andamento del mio
sistema, mi attenterò a traversare il Mediterraneo
partendo da Monaco e coll'intenzione dS discendere
in Corsica. Costruirò allora un pallone di molto
';
II. PROF. \
fu il trait d'union tra il vincitore del grand
■ \t- queste pagine,
lumonl s manifestò subito di uni
inabilità, e non nascose il suo gradim
appreni i in Italia vi fossi
ai suoi lavori. Mi
aminare la /><>ttn . di ogni
mirabile organismo spiegandomi la costru
unzionamento ; quindi aggiunse:
palli ne, io tra breve ini/iiTo K
ggiori proporzioni, che sarà il mio numero 7. e
rirà dai precedenti soltanto nelle dimensioni
e nella potenzialità del motore. Avrà la lunghezza
di 4Q metri, ed il motore sarà di 45 cavalli.
— ■ E in quanto tempo contate di compiere la
— Se non mi accadono incidenti, quattro ore sa-
ranno sufficienti pei giungere nell'isola. Non sono
che -'oo chilometri di disianza. In man- non si in-
contrano ostacoli, e perciò la velocità è maggiore.
SANTOS DUMI >\ l
123
Inoltre le ricerche sull'equilibrio e sulla direzione
se >n< i più facili che in terra, dove il pallone corre
il rischio di imbattersi in albe
— Ritenete che il vosS ma possa dare
sempre migliori risultati ?
— Il mio dirigibile, attraverso sei successive tra-
sformazioni, è divenuto in quattro anni un modello
semplice e razionale. In meno di un mese può es-
sere costruito in tutte le sue parti. Svolto in pro-
porzioni più considerevoli, potrà quanto prima es-
sere adottato, come tipo di pallone militare, da 1 1
le nazioni del mondo. Attualmente gli stabilimenti
militari di aerostatica sono ancora al pallone frenato.
— E, tornando alle vostre esperienze, perchè
inapplicabile. Sono tutti progetti destinati a rima-
ner sempre tali. Figuratevi, che per mostrare la fi
ma del suo [-.aliene. Deutsch gon-
fiarlo d'aria, ed a sospenderlo, senza -ntro
una galleria della esposizione d'automobili a Pa-
rigi! Anche a Santos Dumont avevano richiesto di
esporre in quella galleria il numero 6 vinci:
centomila lire. Sapete cosa egli rispo tal-
mente così :
<i — hi ne m espongo il mio elirigibile che in piena
aria. Lascio le gallerie agli altri. Ognuno fa
che può '. »
— Accanto al pallone di Deutsch — contini
me — sta pure immobile la navicella del pallone
Santos Dumosi
H
L \ n \\ [CELLA DEL
non vi dirigeie con l'aeronave ad una delle coste
italiane?
— Io vado in tutte le direzioni, quando esse sia-
ne i utili alle mie ricerche.
Non volli occupare più oltre il tempo pi
del gentile e simpatico brasiliano e, ringraziandolo,
pn 'seguii con Emmanuel Aimé — del pensiero di
Santos Dumont interprete autorizzato — la mia con-
versazione.
— Volete voi dirmi cosa pensate degli altri si-
stemi di navigazione aerea, basantisi su principi
fé ne lamentali, diversi da quelli che l'amico \
ha preso a seguire?
— Non ci sono altri sistemi seri — risposemi
senza incertezze il mio interlocutore — che differi-
.<> da quello di Santos Dumont. Ciò che haniv>
fatto Severo, Renard, Roze e Deutsch è illogico e
del colonnello Renard. Non ha fatto un solo viag-
gio da 15 anni, e il pubblico sorride vedendo questi
due sistemi incapaci di affrontare le difficoltà del-
l'amie isfera.
Ben diverso da questi aeronauti ila camera , co-
me li chiamano a Parigi, Santos Dumont continua
incessantemente la serie «lei sui i esperimenti, sfi-
dando i venti. L'estate scorsa lavorò .1 Parigi, e il
successo ne è notoj adesso lavora a Monaco, e
prende il Mediterranée, come campo delle sue eser-
citazioni.
— Ma pure . osservai , talune» elegli aeronauti
che avete nominati, sembra si venga validamente
preparando al granile concorso che, |>el corrente an-
stato annunziato a Parigi.
Se nel 1902 si terrà in Erancia una gara ae-
lonautica : <iT'd
1 21)
LA II III R \
■ li prendervi parte. Unicamente per marciapiede, grato della interessante conversazione
anizzaforì ili tuli- concorso, .il brillante scienziato.
lu- volevano o lantos 1 >umont ,
"ila lire guadagnati , • bandirlo,
ura '!u- egli possa ancora riuscire vincil
il letto '-In' Santos Dumonl si dispone a
Santos Dumont si trova a Monaco dalla metà
rlrllci so tso dicembri . ed è ospite del duca ili Dino,
li. * Santos Di .mon i
un volume pei la storia delle sue ascen- marchese ili Talleyrand
sioni, figlia del iluca è sposa
Nulla 'li più inesatto. Santos Dumonl non ripe ili Poggio Suasa,
scrive in di vi lari ! italiana ili Berna.
I- : anche
volta il volo potrà
i iusciri proficuo pi i la
Non n. dubito al-
latto. Da questo mirabile
teatro ili esperienze, uni-
co al niondo. proti
un semieirr. 'lo ili monta
gne. il giovine inventore
-i spingerà -ni mate. Egli
non si prò ccuperà che di
itro i venti, o
ili trarre profitti i ili 11
lilite sulle diver-
tudini. l'i e li
oiio nostri nemici ,
prendere, divenire i nostri
migli iti. lo ho
avuto e 'li s.-ri
ià . ma noti sa-
i ile il ripeterlo a voi
I venti sono i trot
roulanti dell
i he ci offrono gra
le loro piatta-
i >-,| in
I infilai anch'io il l'asi i NsioNi
e prìncipe ili l'érigord. La
a di -n Marn ' Ruspoli, prin-
. rei ario alla Legazione
La meraviglit sa villa ,
In- sorge su un'altura di
fronte a Montecarlo, con-
tornala da grandiosi pal-
mizi, è un vero museo di
I ii/i' se rarità. Due co-
lonne giapponesi . le uni-
che potute trasportare in
Europa per s] eciale eoo
cessione dell' Imperatore
lei Giappone, sorgono al-
l'ingresso. Nella sala d'ar-
mi credo che pochis
simi potranno vantarne
'Ielle simili in .tasi, tra
l'altro, l'elmo ili Giovan-
na d'Arco, il pugnale di
Cesare Borgia, le armatu-
re di Carlo V e ili Fran-
cesco I. eil una lunga fila
■ li elmi degli ammiragli
lun-lii caduti a Lepanto
Ritratti e quadri di ine-
31 un. il. ile pregio, e ili ogni
sciiol. i. adornano le pare-
li delle magnifiche sale.
\on so dimenticare il più
bel < 'risto che si conosca
ni arie, uscito dal pen
nello del divino Molares.
Dovunque una profusione
SANTOS l'I \\i >\ I
di cose d'altissimo valore, provenienti dalle più
estreme legioni, e distribuite con impareggiabile gu-
sto artistico.
Il duca di Dino, oltre essere uno dei più forti
collezionisti europei, è quanto v'ha di maggiormente
perfetto nel gran mondo. Visse un po' dappertum
studiando i costumi dei popoli, e fu anche snidalo
valoroso.
Alla sua villa, davvero regale, salgono ora inces-
santemente gli ammiratori di Santos Dumont, in
gran parte ricchi americani, recantisi a rendere r>
maggio all' intrepido aeronauta. Anzi si annunzia
di già che alcuni grandi yachis americani, segui-
ranno, unitamente alla Princesse Alice del Principe
di Monaco, le sensazionali esperienze.
La stanza da letto di Santos Dumont è semplice
e severa. Sui mobili, unicamente una grande I
'27
grafia dell'ultimo record di Parigi, ed il ritratto di
Edison, dedicato « al re degli aeronauti ». Quei
due quadri sono gli assidui compagni de' suoi sogni
di gloria !
La sovranità sua Santos Dumoui ora in prp
cinto di affermarla sul mare infinito: in alto, in
alto, verso il sole. Illumini un raggio del gra
vivificatore il periglioso cammino dell'ardito aereo
esploratore, e gli conceda di segnare a caratteri don.
sull'aerostato che, lungo la deliziosa Costa Azzur-
ra, sorvolerà tra breve sopra il Mediterraneo tran-
quillo, l'ambita leggenda Excelsiorl
Principato di Monaco, gennaio 1Q02.
Edgardo Gavi uni.
La camera di Santos Di moni nella villa Perigord.
LA LOC.GIA
Su la loggia deserta alto è l'ini rigo
rossi rami : e sia sotto Fa librate io
ella come se quel purpureo laccio
fosse un castigo.
Bianca, di marmo. E il marmo è pur talvolta
d'una giallezza madida, sì come
guancia/ premuto da le fredde chiome
d'una sepali a.
Che il lem pò rabescò --cerili paro/e
tra grado e grado: e ai balaustri snelli
crebber nel sonno pallidi capelli
di vetriole.
Autunno fuma languido solt'essa
maravigliosamente addormentato ;
, il mare è calmo, come un cuor placato
d'una promessa.
Tanto calmo che sembrano le relè
posar leggere tome nubi : e pare
che il mar sia cielo, e il del slamare; un mari-
sparso di -cele.
Ani unno, è questo il tuo ultimo spirto
questo che esala l'aria <f argento,
questo che reca a l'alia loggia il --cento
odor di mirto?
Odor di rose un dì Ilari te dai
: ili manna ; odor ili dalie: odore
di non so qual misterioso fiore
morto, che amai?
(> non delti antichi anni essa è fragrai:
quand' io salivi^ a' tuoi rigidi steli,
lo- irdavo accendersi nei cieli
la mia speranza?
LA I OGGIA I2d
Quando per questi gradi Lidia carezza
di passi: lu che ad incontrarmi uscivi,
o in questi nata, o in quai dormente clivi,
mia fanciullezza?
UJLutunno allora anche sognava ai piani,
ma non coni oggi sconsolato: era
come uno specchio della Primavera
nelle sue mani:
né sa Ila l'ombra in vortici si spessi
verso la loggia, né ve dea sì triste
lume di stelle, or si or no traviste
dentro i cipressi.
Poi molti Autunni volsero, di tanti
vespri gravando a l'alta loggia il peso :
molli roghi fiorir, via per lo acceso
cielo, amaranti;
ed io qui venni e ben tu meri a fianco
o Giovinezza, e sulla fronte, e sulla
bocca io sentivo il tuo, bianca fanciulla,
zendado bianco,
leggero ondare: e salivam per queste
scale, tra i bussi: e la marmorea spira
fremer parca come una immensa lira
per la tua veste.
■ ih ! quanto tempo ! E tu vai tunge: e guardi
pensosa: e a tratti taci/ a ristai:
ah ben tu sai che il Tempo fugge; sai
ben ch'ora è tardi :
e tra non molto ti vedrò sparire
tra i gialli bussi, con tuo pie mortale
scendendo quelle che già far le scale
de l'avvenire.
E solo io guarderò gravar l'intrigo
dei rossi rami : e nel porpureo laccio
giacer la loggia, come se l'abbraccio
fosse un castigo:
vedrò F Autunno vaporar; sognare
sogni d'amante tenero e fedele,
e il ciel sparso di nubi, il mar di vele
candide ombrare.
( Cosimi i Giorgieri Contri.
La Lettura. l'
GLI flLiI|VIE14TI FALSIFICATI
el febbrile lavorìo dell'umano intelletto la
scienza che in questo ultimo periodo di
anni ha maggiormente progredito, è cer-
tamente la chimica ; è con l'aiuto di questa che l'in-
dustria ha potuto compiere in poco tempo passi gi-
ganteschi, raggiungendo i più straordinari ideali,
portando a resultati pratici le teorie più compli-
che sembravano astruse soltanto pochi lu tri
or sono. Ben la definì il Davy quando, in uno slancio
di sublime entusiasmo, non esitò a chiamarla la
ma delFawenire, appena compiuti gli studi sul-
la composizione dei primi elementi organici. Oggi
tutto il movimento delle applicazioni tecniche s'im-
pernia nella chimica, che dà ancora tanto e tanto
da sperare al mondo degli studiosi.
Mori passa giorno senza che qualche nuova sco-
perta arricchisca il già non piccolo patrimonio delle
chimiche discipline, con vantaggio enorme per la
in stra società.
Purtroppo al lato buono di questo straordinario
progredire, contrasta il fatto che non tutte le appli-
cazioni recenti si rivolgono a nostro beneficio, al-
cune di esse essendo anzi di danno alla buona fede
del commercio ed all'igiene.
Nella chimica bromatologica, in quella varietà
della scienza che si occupa delle sostanze alimentari,
tale inconveniente è più rimarchevole. Cercando, scru-
tando la natura degli alimenti si è potuto stabilire
la loro rom posizione centesimale, in tal modo che
riesce facile sostituire l'artificiale al naturale o per
lo meno trasformare questo in guisa che la parte
prima della sostanza sta sola a rappresentarne la
1 1 • i i/ione. Abbiane i
innumerevoli falsificazioni dei vari generi commesti-
bili che oggi invadono i nostri mercati in una pro-
porzione veramente allarmante.
In una maniera più rudimentale, la falsificazione
degli alimenti si praticava anche nei primi secoli
dell'era. Troviamo citati negli antichi autori editti
emanati per reprimere l'estendersi della frode. Car-
lo V, nella sua famosa ordinanza conosciuta col no-
me di Carolina, sanciva la pena di morte a quei fal-
sificatori recidivi che avessero già dato luogo a ri-
chiami e che mettessero nelle loro frodi tanta ma-
lizia da renderne difficile il riconoscimento.
Man mano che gli studi progredivano si perfe-
zionava l'arte, se così si può chiamare, dei disonesti
negozianti, tanto da rendersi addirittura indispen-
sabile per gli Stati il garantirsi contro di loro con
apposita legislazione sanitaria.
Con la chimica dunque si possono compiere le
più perfezionate falsificazioni, come con l'aiuto di
essa si hanno tracciate le vie per riconoscerle e spe-
cificarle.
Facciamo dunque, cortesi lettori, un'escursione
in questo campo, escursione che non può non riu-
scire vantaggiosa alla vostra salute ed anche alla
vostra borsa.
I_e farine.
Le farine ed il vino, come gli alimenti di uso co-
mune, sono stati i prodotti intorno ai quali mag-
giormente si è sbizzarrita la fantasia dei disonesti
speculatori.
Avere nella panificazione un maggiore prodotto
con minore quantità di farina, ecco lo scopo che t'itti
i fornai di questo povero mondo cercano raggiun-
gere con ogni mezzo. E ci riescono con sufficiente sue-
.1 ALIMENTI IWI.SIIh \ I
i3i
cesso ! Incorporando nella massa una materia che
rattenga in forte dose l'acqua e che costi poco, si
raggiunge l'intento; la fecola di patata sembra fatta
apposta. E' nullo il suo valore nutritivo, ma qt
poco vuol dire, è pure nullo il suo costo ! Alla pani
Reazione si ha un bel prodotto bianco, spugnoso e
che soddisfa, se non lo stomaco, certo l'occhio del
compratore. Uno crede di mangiare cento grammi
di materia azotata, mentre non fa che introdurre nel
suo organismo soltanto il venti di questa e l'ottanta
per cento di acqua, non sempre pura. Anche la
frode nel peso è oggi delle più comuni, mettendo
nell'impasto delle sostanze minerali ; e qui si può li-
beramente scegliere dalla sabbia allo spato pesan-
te , si riesce ad aumentare il peso in una maniera
perfetta. Le ceneri di un buon pane non dovrebbero
passare la percentuale del due ; nella mia pratica
ne ho trovati di quelli che arrivano ad averne
perfino il 15 per cento. Una vera ingestione ter-
restre !
Si sente sgrigiolare sotto la pressione dei rienti,
ma non ci si bada più che tanto, ed il fornaio dà
commissioni di grosse partite di caolino — come se
dovesse fabbricare delle porcellane invece che del
pane !
Il vino.
Il povero prodotto della vite è in generale ridotto
in cosi cattive condizioni che si stenta a riconoscerlo.
Il meno che gli possa capitare è di essere battezzato.
Non crediate che le frodi nel vino siano un por-
tato della nostra civiltà, no; anche in antico la
pratica dell'annacquamento fu esercitata su vastis-
sima scala. Questa bevanda si fabbrica anche con
sostanze estranee, e resterà caratteristico il consi-
glio dato da un oste ai propri figli che aveva chia-
mati intorno al suo letto di morte: « Ricordatevi,
figli miei, che con tutto si può fare il vino, perfino
con l'uva ».
Se comperando un vino credete di alimentare il
vostro sistema nervoso con un liquido che contenga
il 12 per cento di alcool, come vi è stato garan-
tito, sbaglierete di grosso; sarà molto se la propor-
zione si mantiene ad un terzo dell'indicata.
Dando acqua in larga dose, occorre correggere il
colore smorto che la bevanda acquista, eri erro sor-
gere la necessità della colorazione artificiale. Le ma-
terie adatte allo scopo le forniscono tutti e tre i
regni della natura ; la speculazione le ricava con suo
maggiore profitto da quello minerale servendosi dei
colori derivati dalla distillazione del catrame. Avete
mai fatta osservazione al bel colore rosso splen-
dente dell'inchiostro che sta nel calamaio sulla vo-
stra scrivania ? Quell'inchiostro è una soluzione di
anilina ; ebbene essa può, al momento opportuno,
essere mescolata ad un vino scolorito e dargli cosi
la vivacità voluta. Ci pensate un po' il vostro sto-
maco ridotto alle funzioni di calamaio ?
Il colore non sempre basta; talvolta il vino mi-
naccia di alterarsi ed allora una buona dose di aci-
do solforico gli prolunga la travagliata esistenza,
aspettando il giorno in cui verrà a corrodere i no-
stri intestini.
Per la conservazione si pone pure in pratica la
gessatura. Si effettua aggiungendo del solfato di
calcio; si ritiene oggi dovere ascrivere ari una vera
solisi ideazione questa correzione, tanto più che non
è improbabile che il detto sale sia dannoso all'eco-
nomia animale. La nostra legge sanitari, 1 determina
le modalità della gessatura.
Il vino è suscettibile di altre numerose metamor-
fosi; ne ho analizzato un campione fabbricato di
sana pianta. Eppure sul collo del fiasco era tanto
di etichetta che affermava la sua legittima prove-
nienza da una delle più reputate fattorie della To-
scana ! Molti aggiungono al liquido dell'acido sa-
licilico, e ciò allo scopo di non permettere ulteriori
fermentazioni ; la dose di quest'aggiunta è così -te-
nue da non preoccupare l'igienista, come è assai
raro il caso di presenza di saccarina, principio dol-
cificante la cui fabbricazione, del resto, è oggi tute-
lata ria un'apposita legge.
Un commerciante di Troyes comunica alla Rivi-
sta vinicola un processo sperimentale semplice ed
utilissimo per conoscere subito la natura dei vini.
Tutto l'apparecchio consiste in un pezzo di carta mar-
tellata. « Io impiego, dice il Guny, un sistema faci-
lissimo per fare l'analisi del vino. Si accosta al
vero con approssimazione ; ma in caso urgente nelle
cantine, dove assai spesso non si possono tenere ap-
parecchi voluminosi e ove manca il personale tec-
nico, può rendere dei buoni servizi. Di più non si
possono analizzare tante qualità di vino quante se
ne comprano in una giornata, e dedicare a ciascuna
un quarto d'ora per l'analisi almeno. Con questo
sistema, in meno di un minuto, si ottiene il medesi-
mo resultato. Porto meco della carta martellata e
spessa. Lascio cadere una sola goccia del vino da
saggiare sulla carta; una cosa si produce. In prin-
cipio più il vino è alcoolico e meno egli avrà for-
mato un circolo bianco attorno alla nascente mac-
chia verde, e ciò si comprende dato l'assorbimento
della carta. Questa, per capillarità, presenta nel
suo circolo bianco tutta la materia fluida del vino,
e lascia, nel circolo interno, la parte solida che si
compone di estratto secco, tannino, materie colo-
ranti, ecc. Questo per l'alcool. Adesso, per quello
che riguarda il colore, bisogna, onde garantire l'as-
senza di materie coloranti estranee, che il cerchio
esterno sia rimasto bianco. Il cerchio interno deve
essere verde-bottiglia più o meno carico in propor-
zione del colore naturale. Per le materie solide,
esaminando la carta, potrete rimarcare che il cerchio
interno è verde ; ponetela contro la luce e guarda-
tevi attraverso: più il vino abbonderà in estratto
secco e maggiore sarà il deposito lasciato sulla
carta ».
Il latte.
Il latte è l'alimento più perfetto del quale l'uomo
disponga. Sostanza ricca di principi attivi, si può
considerare come completamente naturale, o meglio
si potrebbe, perchè anche per il latte l'adulterazione
si esercita in maniera veramente inquietante. Di-
sgraziatamente vi è spesso una grande differenza fra
la composizione del latte normale e quella dei prò-
[32
LA LETTURA
Molto 'ii rado si ha
he un latte puro e intiero. I
come fai 'l'ag-
giunta dell'acqua e che assai raramente si fa uso
di al anche ammettendo la potabilità
dell'acqua, pure quest'addizione ha tutto il carattere
lidi. diminuisce il valore alimen-
tare del prodi rve ■> compensare 1" screma-
mento avvenuto.
Il burri > si trova in sospensione nel latte; ora
quest i - iati ri i lciss.i ,'• più leggera del liquido nel
quali col riposo i globuli si separano ve-
nendo alla superficie e formando la crema che con-
tiene circa il 40 o/o di grasso. I negozianti tolgono
abitualmente tale prodotto e smerciano il latte di
ne iutiero.
La densità elei liquido viene però ad essere note-
volmente diminuita ed il densimetro rivelerebbe la
frode. Allora che cosa si fa5 Si cerca con l'aggiunta
di sostanze estranee compensare l'abbassamento e
si ricorre, per raggiungere lo scopo, ad emulsioni
nte ed oli
j 'erato anche il cervello di montone.
Per impedire il sollecito inacidimento si aggiun-
gono: carbonati alcalini, ammoniaca, borace, sali-
cilato sodico e benzoato di sodio, Uacido salicilico,
il benzoato, e ag ono come antisettici e antifer-
mentativi ; essi producono però un'azione locale ir-
ritante e quindi il loro uso sarà sempre da condan-
narsi. L'aggiunta di carbonato sodico, fatta in giu-
sti limiti, è innocua.
La quantità massima tollerabile è di grammi 1 1/2
per litro Molte volte per ritardare l'inacidimento,
non volendo ricorrere ad aggiunte di sali, si usa
bollirlo : questa non è una frode, ma si può anzi
considerare come una cautela igienica, purché il
rivenditore sia tanto onesto da non fornire latte
munto ila qualche tempo.
Per impedire l'annacquamento si sono dai Co-
muni emanate una quantità di disposizioni, ma tutto
è risultato inutile; il contadino prima, il lattaio
dopo, hanno l'assi. luto bisogno di allungare con l'ac-
qua il pi Ila mungitura; figuratevi che in
il pregiudizio che non annacquando il
ono i coloni, si sdegna ed il
suo petto rimane sterile!
Il burro e il formaggio.
Il burro è uno dei prodotti alimentari che si fai
si fica con m,^. [iienza. La frode più comune
è quella i ite nel sostituire al burro di latte.
in tutto o in parte, un altro grasso qualunque ed in
particolare modo la margarina. Mège-Mouriès nel
1870 trovò questo surrogato estraendolo dal grasso
di line, sbarazzato dal sangue e dai tessuti aderenti.
La prim la s'impiantò a Pa-
rigi e da questa ne vennero, in breve volgere di anni,
altre numerosissime in tutti gli Stati del mondo. 1
sol.i I 1000 ne produsse per 28 milioni
di ' 'ili Stati Uniti ne esportarono per 20
milioni di lil il ' mi-
: industria prendeva piede,
can' linuire il prezz udita
modificando il primitivo processo, e sostituendo al
odi bue, diversi grassi animali o vegetali, quali
l'olio di arachide, il burro di cocco, l'olio di coto-
ne, ecc. Per Coli rare il burro artificiale si è fatto
uso del legno giallo, del succo di carota, dello zaf-
: anche di materie gialle coloranti derivate
dal catrame, sale alca/ino del dimtrocresolo, che
0 un notevole potere tos
Astrazione fatta dall'impiego di sostanze vele-
nose nella fabbricazione della margarina, è neces-
sario considerare quale influenza ha essa sulla pub
blica salute. Questo prodotto può rimpiazzare il
burro nell'alimentazione? Il Consiglio di Salute
dilla Senna incaricò, l'ino dal primo apparire sul
mercato della margarina, Doudet. di studiare circa
gli effetti fisiologici che il nuovo surrogato poteva
apportare. Lo scienziato francese dichiarò che la mar-
garina del Mège era di sapore gradevole, di buona
qualità, infine che per le piccole borse poteva benis-
simo sostituire il burro di latte. Il Consiglio ne au-
torizzò la vendita a condizione che non fosse smer-
ciata sotto il nome di burro. Qualche anno dopo,
l'Accademia di medicina, essendo stata consultata
dal ministro dell'interno francese, nominò una Com-
missione di tre membri per studiare l'argomento,
ed il responso di questa non fu molto favorevole al-
l'industria che nasceva. Certi accademici , basan-
di si sopra considerazioni teoriche, emisero il parere
che la margarina dovevasi emulsionare difficilmente
e che non fosse facilmente digeribile. Il Mayer com-
battè vittoriosamente quest'argomentazione con nu-
merose esperienze, e con lui illustri medici america-
ni, inglesi e tedeschi nel seguire degli anni, prova-
rono che la margarina ottenuta razionalmente e da
buona materia prima non può recare nocumento al-
l'eCOni 'tuia animale.
E' ] ero sempre sottinteso che si tratti di un pro-
dotto di prima qualità e non ricavato da un grasso
qualunque. NTell'esporre il suo processo, Mège insi-
a sul fatto che il grasso da servire alla lavora-
zione fosse fornito da animali provenienti dai pub-
blici macelli e bene osservati, prima dell'abbatti-
mento, da esperti veterinari. Ora, allo scopo di fare
concorrenza, ceni produttori, come ho già detto,
traggono profitto da ogni sorta di grasso non curan-
done la provenienza, e si hanno così margarine che
portano seco i germi di una notevole categoria di
malattie d'infezione, non bastando la temperatura
usata nella fabbricazione a distruggere i bacteri ed
i microrganismi che si trovano nei tessuti.
Risulta dunque evidente che l'autorità ha l'ob-
bligo di tutelare quest'industria, oltre che per il lato
igienico anehe per quello economico, rispetto ai con-
sumatori, perchè non è giusto che si faivia pagare
per burro un prodotto che non ha le qualità di
lindo e che gli sta molto al disotto per prezzo e
1 er sapore.
In Italia abbiamo la legge del luglio iSg.) che
ila la materia, e la sua applicazione ha dato bui
lussimi risultati, circoscrivendo di mollo la fi
Il formaggio si ha dal coagulamento di latte in-
0 parzià innato, riunendo il
- facendone dei pani di varie forme e dimensioni,
GLI ALIMENTI I A.LSI1 h ATI
[33
che, a seconda della qualità, si consumano suini
oppure dopo avere soggiaciuto ad una lunga matu-
razione. Lo compongono quindi i medesimi prin-
cipi del latte in vario modo modificati. Sono in mag-
gioranza nel cacio le sostanze albuminoidi, e si han-
no poi il grasso ed i sali minerali. A parità di peso
e di volume, il formaggio ha un potere nutritivo
assai superiore a quello della carne.
Il cacio si falsifica con aggiunta di sostanze or-
ganiche, amido, fecola, ecc. ; si falsifica pure toglien-
do prima al latte, che deve servire alla fabbricazione,
tutto il burro che contiene sostituendolo con grassi
estranei, compresa la margarina. Si addiziona inol-
tre con sostanze minerali come: dreta, spato pesan-
te, sali di piombo, ecc. Del resto è impossibile ci-
tare tutte le falsificazioni che già si sono fatte, si
fanno e seguiteranno a farsi sul cacio, perchè con-
tinuamente se ne scoprono delle nuove. Ad esempio,
alcune specialità tedesche, affinchè affrettino la ma-
turazione o meglio per dare loro precocemente l'a-
spetto della putrefazione, vengono sottoposte ad un
trattamento di sali di rame.
Non parliamo poi del come poco pulitamente si
fabbricano i formaggi ; l'igiene non ci guadagnereb-
be davvero. Basti dire che, sempre per migliorare la
specie, si è ricorso perfino, secondo Halle, all'im-
mersione delle forme nell'orina umana !
L'olio di oliva, il più usato nell'economia dome-
stica, si falsifica aggiungendovi dell'olio di cotone,
di sesamo o di arachide. Qui si tratta piuttosto di
una frode commerciale che di un'adulterazione nel
senso igienico della parola.
L,' alcool.
Lo straordinario sviluppo che ha preso ai giorni
nostri Palcoolismo ed i tristi effetti che esso pro-
duce, rendono lo studio delle bevande spiritose della
massima importanza per l'igienista.
L'ubbriachezza è quasi vecchia come il mondo, —
la storia di Noè ce lo insegna, — ma la piaga dell' al-
coolismo data da circa ottanta anni. Descritta per
il primo nel 1852 da un medico svedese, Huss, que-
sta malattia è il risultato della moderna scoperta
della distillazione degli alcools industriali, ricavati
dalle patate, dal mais, dalle barbabietole, ecc. Per
molto tempo ci si è contentati di bere il vino, la
birra, il sidro, ecc., o al più dell'alcool ricavato dal
vino e quindi l'alcoolismo non si è manifestato che
ai primi del secolo scorso.
Oggi l'ubbriacarsi non soddisfa più il parassita;
egli vuole stordirsi nel minor tempo possibile e con
minima spesa, ed all'antica giocosa ebbrezza, s< ini 1
succedute le ingiurie, le violenze e i delitti. La qua-
lifica di acquavite dovrebbe con maggiore proprietà
mutarsi in quella di acqua della morte.
Quale è dunque la causa di un simile cambia
mento? E' presto detta: mentre prima si ricavava
l'acquavite dalla distillazione del solo vino e lo
spirito non produce, in piccola dose, che disturbi
passeggeri, senza lesioni alla massa cerebrale,
invece tutti i bars di questo mondo vendono bevande
confezionate con spiriti di tutte le provenienze, ric-
chi di una forte percentuale d'impurità-
Imi verso il 1824 che si cominciò a distillare il
grano, nel 1840 si estrasse alcool dalla barbabie-
tola, e nel 1855 sorsero le prime distillerie che usa-
vano come materia prima il riso, il mais ed altre
sostanze farinacee. Girard, in una comunicazione
fatta all'Accademia (1895), dimostro come la fab-
bricazione dello spirito di vino sia diminuita in
Francia di 700,000 ettolitri, mentre che quella dello
spirito ottenuto dai cereali avesse raggiunta la ci-
fra di [,943,602 ettolitri. In Austria-Ungheria si
fabbrica generalmente alcool di barbabietola. La
distillazione del grano ci è stata insegnata dagli
Stati Uniti.
Tutte le bevande spiritose consumate ai giorni
nostri, compresi alcune volte i vini, contengono de-
gli alcools preparati dall'industria, e che differisco-
no assai dal punto di vista della loro origine, della
loro composizione chimica, delle proprietà fisiche e
soprattutto per l'azione che esercitano sul corpo u-
mano. La forma più propizia a mascherare gli al-
cools impuri, è quella dei liquori che si vendono
sotto la qualifica di stomatici, digestivi e nei quali
delle sostanze aromatiche e zuccherine mascherano
il cattivo gusto originale, ed espongono i consuma-
tori a tutti i danni dell'avvelenamento.
Il principio tossico proviene da una cattiva retti-
ficazione. Allorché si è ottenuto I'alcools dai cereali,
assai spesso non se ne cura con la voluta ocula-
tezza la purificazione, in maniera che il prodotto
contiene ancora buona quantità di aldeide. E' que-
sto un principio eminentemente nocivo. Essa pro-
duce, in deboli dosi, un effetto irritante sugli or-
gani respiratori, dà origine a vertigine ed a soffo-
cazione ; il Prerie paragona la sua azione a quella
dell'acido solforoso. Accade sovente che l'aldeide si
decompone dando luogo Gaettone, veleno potente,
a dell'etere, ad un olio essenziale e a dei prodotti
pepati dei quali una millesima parte basta per fare
prendere all'alcool quel sapore mordente così accetto
ai vecchi bevitori. Il cognac , il rhum , il gin , il
kirsch, il maraschino, ecc., preparati da prima di-
stillando i prodotti della fermentazione della canna
da zucchero, delle ciliege, delle pesche di Dalma-
zia, ecc., si ottengono, oggi, aggiungendo agli al-
cools industriali dell'essenza di cognac . di rhum ,
di kirsch, ecc., che non hanno altro scopo che quello
di mascherare il cattivo gusto dell'alcool adoperato
e di facilitare la frode.
E' interessante di esaminare ciò che sono in realtà
queste diverse essenze artificiali. In generale si trat-
ta di composti chimici tossici che somigliano in mo-
do maraviglioso ai prodotti naturali tanto nel gusto
come all'odore. L'essenza dì cognac si può avere trat-
tando con l'acqua forte il burro ili cocco ed eteriz-
1 gli acidi grassi ottenuti ; quella «li rhum si ha
col / d'etile, ed anche distillando un mi-
scuglio di amido, di perossido di manganese e di
Il kirsch ed il marosi hino si fabbricano mediante
un aroma composto di benzo-nitrito e di aldeide-ben-
zoica, sostanza nociva che produce degli accidenti
nlsivi tetaniformi I pretesi operativi, che il
Trousseati qualifica 1 ome le ' sto-
\.l\ l \ LETTI R \
bj.., tutti i bitta amori di tutte le
specie, aldini dei quali in forza ili una grandi
dame godono estimazione generale, non riescono
meno rune: l ' maggior parte sono confezionati
con artificiali, \'ald> r, il salici-
lato Farò uni. ne infine che sono ap-
punto quelle pi rsone che fanno grande uso di que-
sti- I he hanno minore appetita
e dei liquori si fa in generale con
matei riti del catrame, alcune delle quali
bite quindi dalla nostra legge sa-
nitaria
Le droghe.
• un pranzo succolento una buona tazza di
caffè t sempre accetta; difficilmente però si ha la
ezza che l'infuso che s'ingerisce sia prodotto
dalla coffea ara
Nel ma i numero dei casi quel liquido nera-
stro che appaga il vostro occhio, non è che il risul-
tato soluzione di strane materie organiche,
nella loro natura di a ben diverso scopo da
quello al quale sono costrette dall'ingordigia di lu-
cro dì alenili droghieri.
In generale, il caffè viene venduto sotto qui sta
tre forme: in grano e crudo, in grano e torrefatto
e macinato. Le falsificazioni trovano più spesso
la loro applicazione nel caffè in polvere. Un'infinità
di semi, di radici, di frutti secchi, è stata adope-
rata per mescolare col vero caffè. Il migliore con-
siglio che si possa dare è quello di fare acquisto
del caffè in chicchi, per quanto anche sotto questo
aspetto 11 : da stare molto tranquilli, essen-
dosi l illiriche che producevano caffè arti-
ficiale, fatto cioè cui terra, materia colorante, ecc.
Or sono alcuni mesi a Granata, in Spagna, l'auto
rità potè scovare una di queste fabbriche che aveva
messo il suo nido in un vecchio palazzo diroccato e
che tutti credevano deserto Là, nottetempo, si da-
va convegno una diecina di operai i quali con ap-
posite marchine, acquistate in Germania, per la
somma di lire sessantamila . fabbricavano il caffè
artificiale. All'analisi il prodotto si presentò com-
posto di coria, fichi abbrustoliti e materia
colorante adattata.
Il lato si falsifica o m aggiunta di buo ie
di cacao tostate, di mandorle dolci, ghiande, gomma,
destrina, zucchero scadente, balsamo del Perii, ter-
ra, ecc.
Arn lm il pepe è soggetto a continue falsificazioni.
Esse si esercitano in modo particolare sul pepe ma-
cinai - pertanto ottenuto pepe artificiale in
grani adoperando una pasta composta di farina e
di una materia attiva qualunque: pimento, pire-
tro, eo ! '- fals Reazioni del pepe marinato, segna-
late da diversi autori, sono numerose: ne darò una
breve enumerazione : vi si mescolano differenti spe-
i ie, di cereali e di legumi'
materie minerali diverse, polvere di noccioli di n'iva
o di datteri, gambi di pepe, polvere di focaccie ot-
tenute dalla compressione di semi oleosi, gusci di
di lauro.
: i nte qui ste differenti
falsificazioni, molte delle quali, del lesto, non si sono
trovate che una sola volta; mi limiterò a considerare
quelle che ho avuto occasione di constatare nella
mia pratica di laboratorio.
I e materie minerali (sabbia, terra) si riscontrano
assai spesso nel | epe nero ed esse sono sovente la
consegui n/a dell'aggiunta dei detriti della macina-
prima della sostanza
La fecola di palate serve per falsificale il pepe
In. meo. Per vendere il pepe in grani è neces*
liberare questi da tutte le scorie inutili, e tali ca-
scami vengono poi utilizzati nella macinazione del
pepe in polvere. l>a che cosa essi sono costituiti?
Dai detriti dei peduncoli, dalle scorie del |>epe e da
molta quantità di sostanze minerali provenienti dalla
raccolta (20. 25 o o).
I detriti si vei I resto separatamente ed
hanno un prezzo che varia da 35 a 40 franchi per
chilogrammo. La così detta poivreltc non è altroché
farina ottenuta da un debole arrostimento e suc-
cessiva macinatura dei noccioli di oliva. Il prodotto
così ottenuto imita il pepe in modo veramente per-
fetto. Il suo impiego è assai rimuneratore perchè
la foivrette costa da io a 15 franchi il chilogrammo,
in maniera che aggiungendone solamente il io o/o
al prodotto naturale, che vale 200 franchi, per e-
sempio, si arriva a farne discendere il prezzo di
rivendita a sole lire 183. Sul pepe bianco il beneficio
è ancora maggiore.
I utte le droghe subiscono la sorte del pepe. Esse
vengono spietatamente trasformate dai disonesti
speculatori. Per lo zafferano, pianta relativamente
cara, la fri de si è specializzata. Si sono trovati cam-
pioni di zafferano che di questa sostanza non ave-
vano che il nome: il prezioso vegetale era sostituito
con parti di altre piante, coi fiori colorati artificial-
mente della calendula officinalis, con quelli del car-
f/iamus triictarius, ecc. Si è pure praticata la frode
di estrarre lo zafferano buono con alcool, e di ridar-
gli quindi il colore con prodotti del catrame; per
aumentare il peso lo si suole inumidire con sciroppi,
con gelatine e vi mescolano infine anche sostanze
minerali.
II the si falsifica tanto nei luoghi di produzione
come nei mercati europei dove si smercia. Le falsi-
ficazioni principali alle quali è soggetto sono le se-
guenti: per fargli assumere un aspetto più attraen-
te, si colorisce artificialmente mascherando cosi l'ag-
giunta di materie estranee. 11 colore si dà con una
delle sostanze seguenti: gesso, bleu di Prussia, cur-
cuma polverizzata, cromato 0 bicromato 1
indaco e sali di rame. La frode maggiore si compie
però mescolando al the buono delle foglie già esan-
per l'infusione subita. Le foglie usate, diciamo
da prima immerse in una soluzione
concentrata di gomma arabica che. seccando, ridona
loro la lucentezza e la forma arrotondata, si colori-
scono quindi artificialmente. Si è arrivati, per ven-
dere con maggiore profitto, 1 re al veto the
lie di vegi tali diversi.
Lo zucchero può essere falsificato o con aggiunta
di marmo, di amido, di glucosio liquido o con ec-
d'acqua. Queste frodi non sono però molto
GLI Al. IMI. \ I I
praticate essendo facile il riconoscerle basandosi
semplicemente sui caratteri organolettici del pro-
dotto.
La birra.
Nei paesi meridionali si usa come bevanda da
pasto il vino, ma la vite non potendo vegetare nei
climi freddi, cosi nel settentrione si consuma la bir-
ra. E' questo un liquido alcoolico che si prepara
principalmente con sostanze amidacee e con luppolo,
e deve esser consumato durante la fermentazione.
Nella fabbricazione della birra la sostanza amida-
cea è destinata a dare lo zucchero necessario alla
produzione dell'alcool, poiché questo si ha dallo
sdoppiamento dello zucchero nei suoi costituenti chi-
mici. Si usa l'orzo costando assai meno degli altri
vegetali ed essendo pure di facilissima lavorazione.
Il luppolo compie un doppio uffizio: assicura da
una parte la conservazione della birra, serve dall'al-
tra a donare a questa bevanda il sapore ed il pro-
fumo che le sono propri.
Anche la birra viene falsificata con l'aggiunta di
acqua; e questa, essendo la frode più economica
per chi la commette, è abbastanza diffusa.
Per correggere l'acidità che può prendere per un
principio di decomposizione, vi si suole aggiungere
del carbonato sodico, calce e potassa, così pure vi
si mette dell'acido solforico per chiarificarla ; que-
sta, come i carbonati, si riconoscono mediante me-
todi particolari che ci fornisce la chimica analitica.
La birra fabbricata col sostituire l'orzo germogliato
con sciroppo di fecola od altre sostanze analoghe,
acquista un sapore assai meno gradevole della vera
birra fatta con orzo. Alcuni rivenditori dopo averla
acquistata dai fabbricanti vi sogliono aggiungere
dell'acqua mettendovi pochi grammi di zucchero per
ogni bottiglia. In tal modo dopo alcuni giorni, spe-
I ALSIFK A 1 I
i35
cialmente in estate, la fermentazione alcoolica vi si
sviluppa di nuovo con energia e la birra, sebbene
diluita, si fa molto spumante, restando però tor-
bida per i globuli di fermento o per le altre materie
solubili che contiene in sospensione.
La birra intacca facilmente i vasi di rame, di
piombo e zinco, ed agisce pure sulla vernice piom-
bifera dei vasi di grès. Intacca i tubi ed i recipit ntj
di piombo anche quando questo è in lega col 90 o/o
di stagno. Fra le frodi più frequenti sono da an-
noverarsi quelle per le quali si usa sostituire il lup-
polo, sostanza assai cara, con materie amare che lo
surrogano.
1 ;i birra viene falsificata con oppio, noce vomica,
e coi suoi alcaloidi, coccola di Levante, aloè, gen-
ziana, quassio, assenzio ed acido picrico, sostanze
che non possono sostituire vantaggiosamente il lup-
polo ne dal lato igienico, ne in modo da rendere la
bevanda egualmente saporita ed atta a conservarsi.
Per dare alla birra un colore più bruno si ado-
perano molte volte il succo di liquorizia, la radice
di cicoria torrefatta, lo zucchero caramellato e le
buccie di sambuco. Le frodi con stricnina ed altre
sostanze velenose sono assai rare.
Questo mio primo articolo è già di proporzioni
ragguardevoli ; se me lo permettete, cortesi lettori,
vi tratterrò in altro mio scritto dei metodi pratici per
l'analisi degli alimenti falsificati e delle innumere-
voli alterazioni di ordine biologico e parassitano
alle quali sono soggette le sostanze, la carne in mo-
do particolare, che servono a formare la vostra men-
sa quotidiana.
G. B. Baccioni.
BlCKKDKTriNo. BUNBOKTTINA.
Cappi» •> [NO.
Cappuccina. Domenicano. I 'omknicana.
Gli Ordini religiosi
-K3E3--
vete mai provato, viaggiando in ferrovia,
a fare osservazione alle chiese ed ai con-
venti, che stanno sulle cime dei colli e
dei monti ? Non c'è, si può dire, una bella posizione
di natura, che non sia stata scelta come la sede di
un monastero. Si suol dire che i frati hanno avuto
buon gusto. E non
solo buon gusto ,
nella scelta
luogo ; anche nel
disegno della loro
l, della eh
nella simmetria
delle parti . nella
bellezza degli or-
nati, i conventi in-
ni il buon ^li-
sto artistico dei
fondatori. < l'è nn-
di arte
nei cento conventi
d'Italia, che si po-
trebbe illustr.no
tutta una storia
dei-
delie
ani figurative, sce-
qua e là, nei monumenti dei religiosi i tipi
essivi, che ancora rimangono, testimonio delle
diverse età ale, quan
do il saperi- e l'arte vivevano quasi . unente
nei conventi, come in luogo sicuro, la erezione di
una badia ritraeva facilmente 1" spirito conservatore
La coi ioni d'un ospite alla Grande Certosa.
dell'Ordine: il farne la struttura bella e ricca ri-
spondeva ad un'esigenza sociale dell'Ordine stesso.
E' così che la storia degli Ordini religiosi ha arric-
chito l'Italia di monumenti maravigliosi.
Quando il senso estetico era decaduto, non venne
mai meno nei religiosi il sentimento della natura,
che , mentre essi
ivano di ritrar-
si dal mondo, li
spingeva a portare
la loro cella di so-
litili line in un luo
go eminente, don
i le rontemplare be-
ne le bellezze della
natura vergine.
Ma i tempi pas-
sano: degli Ordi
ni religiosi, alcuni
caddero, altri sol
sen i; ed i molti con-
venti ebbero a su-
bire le vicende fa-
tali del tempo: al-
cuni stanno sem-
pre, e sono nioim
menti d'arte per-
fetta; altri, o abbandonati, o presi di mira dalle
violenze della guerra, rovinarono; altri ancora han-
no subito una trasformazione quasi più radicale,
indo ad altro uso. o di collegio, 0 di caserma,
o di carcere. Sta si mpre però, che la casa dei religio-
na di un monumento conservato nel suo
GLI uRIUM RELIGIOSI
!..
spirito, o come una rovina illustre di altri
tempi, o trasformata in tutt'altra abitazione,
la vediamo dappertutto. E c'è poi questo 'li
notevole: che ogni convento, nella sua strut-
tura, ritrae lo spirito delle varie regole mo-
nastiche ; luna consentiva che i suoi religiosi
avessero una grande abbazia, come accadeva,
nel medio evo, quando l'abate era una po-
tenza feudale ; l'altra imponeva ad ogni mo-
naco una casetta isolata dalle altre, raccolte
però tutte da uno stesso muro di cinta ; un'al-
tra ancora, quella di Assisi, avrebbe imposto
la povertà della cella, pure dando ogni mag-
gior splendore al tempio.
Curiosa poi quella terminologia partico-
lare, che si riferisce agli usi del convento ,
alle tenui esigenze del loro vitto, o al genere
di lavoro, al quale si sono dedicati i religiosi
di una data regola. Così abbiamo il liquore
dei Carmelitani, la bénèdectine, la chartreuse
famosa, quella di Grenoble, che distillata
invece in Italia, nella Certosa di Firenze, è
poi il liquore Val d'Etna ; poi VEucalipius,
che ci richiama la bonifica laboriosa e pa-
ziente dell'agro romano, per opera dei Trap-
che>fanno talvolta la prosperità del convento,
ed anche del vicinato. Oltre alle distillerie ,
moltissime case religiose hanno dovuto, nel-
l'età moderna, dedicarsi a qualche traffico ,
per dare un coefficiente pratico al loro lavoro,
e per cavare i mezzi di una maggiore prospe-
rità. Si calcolava che in Francia fossero cir-
ca 1500 i conventi, che esercitavano 1 com-
merci: e si è visto più di un Municipio, in
occasione della legge nuova sulle Associazio-
ni, intervenire, per impedire che se ne ; ndas=e
una data casa religiosa, la quale avrebbe fot-
tratto al Comune un cespite importante di
risorsa. Il dizionario della cucina cenobitica
San Paolo e Sant'Antoni!) eremiti.
San Simone Stilita.
non è tanto ricco, per venta:
per quanto i novellieri nostri
abbiano stereotipato il religioso
in una figura pingue e prospe-
rosa, la Cucina del convento non
dà poi molta fatica alla memo-
ria: il risotto alla certosina, e
il caffè cappuccino, ecco tutto ;
senza dire che il caffè cappuc-
rino ha preso il nome dal co-
lore di I sai 'li1 io, più che
dalla dieta semplice dei Frati
Minori. Dove il lavoro dei frati
e delle monache ha esercitato
una certa influenza è nella far-
macia : l'empirismo è tante vol-
te questione di pazienza ; < ri
naturale che, in passato, quandi 1
la virtù delle erbe era cerc;u
studiata con lente osserva/
ditative, riuscisse non di raro
alla pazientissima ricerca del
monaco di mettere insieme enei
i38
LA LETTURA
dato ■. quella bevanda salutare, che, consi
derata la qualità dell'inventore, poteva ir. vare qual-
ina.
amo ad una nuova fase storica: quella
delle soppressioni, che anch'esso pan- obbediscano
alla legge dei ricorsi del Vico, come l'incameram
della proprietà ecclesiastica. La recente dis
di legge in Francia ha determinato l'i lonta-
di alcune Congregazioni; c'è chi si è alianti
davanti al pericolo cappuccino, all'invasione certo-
, ed altri pericoli consimili, dai quali s'ha ben
li. m< inaco Tei ew io i.
. a temere oggi in un paese, che sappia vivere
con libertà, sviluppando le sue risorse del benessere
Comune. Certo pero che gli ultimi avvenimenti di
Francia e di Spagna ci portano a studiare da vicino
il fatto ilei monachismo, nella sua origine e nello
iiu-nto successivo.
Lo studio con , privo 'li interesse per noi in Ita-
lia, dove fu la rulla del monachismo in Occidente.
*
* *
Il monachismo è un fatto dei più intere
nella vita religiosa ili un popolo; il vedere dei gio-
vani, «Ielle fai 1 t:"r.- dell'età, (pianilo si
'manzi la vita, vederli battere in riti
rata dal mondo della famiglia, dalle lusinghe del
l'amore, per rinchiudersi in un chiostro ed ivi E
una esistenza di ai egregati, forse per sem-
I te. .lai consoi le, desta nell'anima un sei
misto ili compassione e ili ammirazione. Per chi
vive la vita reale e fervida del gran mondo, l'idea
monacale dà l'effetto come di uno spettro; altri cre-
dono che la solitudine della cella sia una aberrazio-
ne della vita ; ma si capisce che per valutare con
discrezione il senso e la portata del monachismo bi-
ia guardarlo dal punto di vista religioso. Ci
sono dei momenti nella \ ita che ci sentiamo invasi
da \\\\ senSO di Stanchezza delle cose: dopo un pe-
riodo di vita molto agitato, subentra facilmente un
bisogno di quiete, di silenzio, che, per le anime di
indole religiosa, si trasfonde in un vago desiderio di
riposo monacale. !•'.' noto che dopo la rivoluzione
francese i noviziati si popolarono, e specialmente
quell stri più rigidi. Non era solo un biso-
pai.-, ma una rea/ione del s. nso morale, che
domandava una riparazione, dopo gli accanimenti
orribili della tirannia e del sangue.
Ma non è solamente un bisogno di quiete mistica
o il sentimento di un restauro morale, che rese po-
polati i monasteri; c'è anche un alito finissimo di
: la poesia della cella.
(> una cella, mihi abitatici dulcis amala
Scmpcr ni acteruum, o mta cella, vale!
('..si dava l'addio alla celletta sua il mo-
naco Alenino, sul punto di lasciare il mona-
stero, per andare alla Corte di Carloniagno.
{■'., rivolto al paesaggio bello, che era cerulee
al chiostro: i Io non vedrò più i boschi che
ti recingono coi rami intrecciati e la fiorita
verzura, i tuoi paraggi ricchi di erbe aroma-
tiche e salutari, le tue acque pescose, i tuoi
frutteti, i giardini tuoi, dove al giglio si
frammischia la rosa. Non udirò più gli au-
gelli che cantavano mattinieri come noi, lo-
dando a lor modo il Creatore, né gli insegna-
menti d'una saviezza dolce e santa, che ri-
sii, mavano a un tempo colle lodi dell'Altis-
simo, su labbra pacifiche sempre come i cuori.
Cella diletta! Io ti piango e ti rimpiangerò
per sempre ! »
Se dunque il consiglio evangelico della
fuga del mondo era il principio determinante
del monachi sm. i. certo altri elementi lo cìo-
vettero favorire: le attrattive del riposo, il
sentimento della natura, la poesia del deserto.
Perché, la vita claustrale non e un fenomeno e-
sclusivamente cristiano. <'di Kssem, contemporanei
di San Giovanni Battista, erano ilei solitari, che
fuggivano hi città, per vivere nelle pianure isolate
.Li Mar Morto; e San Giovanni stesso fu un ere-
ii Ma del deserto. La scuola l'i "He sue
prescrizioni sociali, Diogene nella sua botte, se non
'ano la tendenza d'una religione, sono pu-
re la manifestazione di un ascetismo filosofico, che
disponeva meglio lo spirito alla ricerca della ve-
Dove troviamo una forma vera .fi ascetismo re-
ligioso e nelle religioni dell'India e fra i Mussul-
«.Ili iRDINI RELIGIOSI
mani. Fra questi specialmente, forse per influsso
del fatalismo inerente all'Islam, si svilupparono
moltissimi Ordini religiosi. Ed è un fatto curiosis-
simo che uno di essi, l'Ordine dei Chadelya, ha in-
sinuato molte infiltrazioni nella Compagnia dei Ge-
suiti ; si può desumere dagli studi più recenti che
Sant'Ignazio di Loyola ha formato il piano del suo
Ordine su quello di parecchie Congregazioni mus-
sulmane.
Così il potere del Generale dei Gesuiti è un fac-
simile di quello del Cheikh, padrone assoluto delle
anime, dei corpi, delle riputazioni ; e la famosa ob-
bedienza cadaverica dei gesuiti al loro capo, da-
vanti al quale devono essere perindt ac cadaver ,
come un cadavere, è identica nella prescrizione isla-
mita : « Tu sarai nelle mani del tuo Cheikh come
un cadavere nelle mani del lavatore di morti ».
Nel Cristianesimo la vita monacale è piena-
mente giustificata dallo spirito della perfezione
cristiana, ed ha la sua ragione d'essere nel dovere
generico della santificazione individuale. A questo
si arriva, secondo il Vangelo, per tante vie, restando
ognuno in quella condizione sociale dove è cresciuto ;
ma, certo, se l'individualismo dell'anima santifi-
cata è il putte tu tn salicns della attività cristiana, è
più. che logico che altri possa segregarsi dalla so-
cietà, per raggiungerlo con maggior sicurezza. La
ragione messa in campo da molti sociologi, che il
celibato claustrale sottrae alla società una parte no-
tevole degli elementi procreatori, ha un valore, se
guardiamo alla statistica ; ma di fronte al princi-
pio della libertà personale non può aver forza, e
di fronte alle ragioni evangeliche perde la sua ef-
ficacia. Insomma, dal punto di vista materialistico,
il chiostro può apparire come un'aberrazione da cor-
reggere; ma in una concezione spiritualista della
storia e dell'individuo, l'ascetismo dei solitari e delle
comunità religiose è un diritto come tutti gli altri,
che va rispettato, specialmente quando ci presenta
lo spettacolo di una esistenza che vive di sacrificio
e si consuma a sollievo delle umane sofferenze.
***
Nel monachismo vanno distinte due forme: i
monaci solitari od eremiti, e le comunità religiose.
I solitari o eremiti li troviamo nei primi tempi
del Cristianesimo. Specialmente dopo l'impero di
Costantino, la Religione, al contatto della nuova
prosperità ottenuta coll'editto di Milano, subì un
rilassamento nello spirito e nei costumi dei cre-
denti ; gli stessi Padri della Chiesa riconoscevano
unanimi la precoce decadenza del mondo cristiano,
come la si legge nell'opera classica del Montalem-
bert sui Monaci d'occidente. Non c'erano più i
Martiri belli a tener vivo e glorioso il vessillo della
Croce; ai Martiri sottentrarono i monaci.
L'Egitto fu la terra eletta dei solitari. Là, nella
gran quiete del deserto, venne inaugurata, per ta-
cito consenso di molti eremiti, l'èra del monachi-
smo. E si trovarono là, disseminati per una distesa
vastissima, ognuno nel suo romitorio, questi asceti ;
dapprima vi si erano rifugiati per sfuggire alla
persecuzione di Diocleziano ; poi, per conservare
meglio lo spirito cristiano, quando la disciplina
dei cristiani s'era rallentata. Il monachismo del
serto rappresenta una reazione contro la rilassatezza
del mondo cristiano ; ne furono padri gli eremiti
Paolo, Antonio, Pacomio. La Tebaide, popolata
da questi anacoreti, divenne un nome illustre e popo-
lare. Famoso tra tutti Sant'Antonio abate, per quel-
l'aureola di fama e di leggenda che si riscontra nelle
sue tentazioni. Quella tal bestia volgare che vediamo
nei dipinti ai piedi del Santo, e che sembra grugnire
'•i.ntro di lui, rappresenta una poco graziosa tra-
sformazione del demonio tentatore. Un altro soli-
tario curiosissimo è San Simone Stilita, che abitava
in Siria, ed aveva scelto per romitaggio la cima di
una colonna, dove passò tanti anni di penitenza,
secondo la tradizione vuole, affliggendo il corpo e
predicando incessantemente ai molti e molti che ac-
correvano a contemplar il fenomeno mirabile e
strano. Bellissima fra le altre la figura del monaco
Telemaco, al tempo di Onorio: udendo narrare gli
spettacoli sanguinosi dei gladiatori, esce dalla soli-
tudine sua di Frigia, s'avvia a Roma, vi giunge,
entra nel Colosseo stipato di popolo avido di san-
gue, e tenta, solo ed inerme, di opporsi ai giuochi
sanguinari. Il popolo si inquieta, si alza indignato,
e il generoso Telemaco è abbattuto a colpi di pietre.
Si racconta che fosse l'ultimo sangue versato nel
Colosseo.
Dopo questo, sembrerà strano che anche il mona-
chismo d'Oriente sia degenerato. Eppure , rilassa-
tasi la disciplina, gli eretici fecero molte reclute
fra i monaci, che a poco a poco decaddero comple-
tamente, mentre il monachismo si sarebbe poi svi-
luppato in Occidente. Dei casi sporadici di vita e-
remitica ce ne sono sempre, del resto. Piero l'Ere-
mita, l'apostolo della prima Crociata, fu un mo-
naco solitario. Un tipo completo del genere è Be-
nedetto Giuseppe Labre, nativo di Francia, morto
a Roma nel 1783, dopo aver vissuto anni ed anni
in un vero covile del Colosseo. E' stato canonizzato
da Leone XI IT.
In Occidente si svilupparono di preferenza i Mo-
naci raccolti in famiglie, sotto una regola partico-
lare. San Benedetto è il principe della vita mona-
stica. Nato nel 480, la sua vita cade nel pieno dei
tempi barbarici ; fonda l'Ordine dei Benedettini, che
ebbero come Santuario principale la grande abbazia
di Montecassino. Questo convento ha avuto il suo
storico nella persona del Padre Tosti benedettino,
che arrischiò di divenire celebre e quasi popolare
per il suo opuscolo sulla conciliazione più che per
le molteplici opere storiche. L'elemento principale
della regola, il lavoro e l'obbedienza. L'influenza
dell'Ordine Benedettino fu enorme, specialmente
nell'efficacia del loro apostolato in mezzo ai barbari,
che erano i padroni dell'Occidente. Paolo Diacono
era monaco cassinese. Tutti poi sanno la grande be-
nemerenza storica «li questo Ordine riguardo alle
lettere, per la trascrizione e conservazione dei codici,
e le miniature finissime, che sono tra i più preziosi
cimeli dell'arte medievale.
Dall'albero benedettino diramarono varie Con-
gregazioni, di cui più celebri quelle dei Cistercensi
e di Clugnì.
' V
i a i-i i ri r \
l'n < >r. I,n la regola d San Be
quello di ih1.hu da San Bru
none che, pei sfuggire all'onore del vescovado di
is, si portò con sette compagni nei monti sel-
Ifinato, dove fi i ' ariosa
• li Grenoble, adottando la regola benedettina nel
e primitivo, anzi facendola più rigida,
da far rivivere le penitenze dei Padri del
fe>:
La < .k INDE CER I OSA.
serto. Digiunare otto mesi dell'anno; non mangiare
mai carne, anche se ammalati ; non comprar pesce,
e solo cibarsene, se viene offerto; la domenica e il
giovedì uova e cacio ; al martedì e sabato erbe cotte ;
gli altri giorni pane e acqua; preghiera, e lavoro
manuale, ecco le loro occupazioni. Nel secolo XV II
«lavano più di 170 Certose: famosa sempre la
Grande Certosa, ben sei volte incendiata, quella
monumentale di Pavia, oggi abbandonata, di Fi-
renze, custodita appena da pochi religiosi, e quella
di Napoli.
Una riforma ancor più rigorosa della regola be-
nedettina è la 'frappa. Fondatore dei Trappisti fu
Rottoti, conte di Perche, e data dal ino; la loro
regola, alquanto rilassata col tempo, ricondotta poi
al rigore primitivo dal P. Rancé, è tanto austera e
affliggente, che non fu mai approvata dalla Santa
Sede. Quanto al nutrimento il loro pane è quello
che noi diremmo integrale, ma molto integrale ; al
tri cibi sono i vegetali, condimenti 1 sono vegetali e
sale; il tutto in misura scarsa, che si fa scarsissi-
ma nei molti digiuni. Obbligati al silenzio continuo,
Il convento di Montecassino.
si occupano in lavori manuali, a dissodare la terra,
come se la famiglia loro fosse morta, ed
non avessero altra meta che la fossi Qu
il Trappista è presso a morire, l'infermiere lo co-
rica in terra su ]xx-a paglia di cenere !
■ lo stabilimento della Trappa nell'A-
l del Sud, con 1 ili 1 'le, scuole per i pi
rea 62 milioni.
La regola di San Benedetto, applicata e rifor-
mata in vario minio, con nomi particolari, governò
1 piasi sola nei secoli medievali, e costituisce oggi
.ni' om l'elemento fondamentale degli Ordini reli-
giosi propriamente detti ; dite Camaldolesi, dite Ci-
stercensi, monaci di Yallombrosa, sono continue ra-
mificazioni del medesimo albero, sbocciate e fiorite
quasi nel medesimo tempo, intorno al secolo XI,
quando una grande corruzione, a
base di simonia, di eresia, di sci-
sma e ili concubinato, s'era infil-
trata nella vita della Chiesa e de-
gli Ordini già esistenti.
Ma anche i nuovi istitituti non
ro che un riparo momenta-
neo; sulla fine del secolo XII le
condizioni morali del clero erano
infelicissime; la Chiesa sentiva
il bisogno di una riforma più in-
tima, più duratura. Per riformar-
si così non c'era che ricondurla al
Vangelo, spogliandosi di tutti gli
elementi mondani, che atrofizza-
vano gli organi sani della vita
religiosa. E' questa l'èra degli Ordini Mendicanti,
soni i-oll'auspicio della povertà evangelica.
I due famosi sono il Francescano e il Domenicano.
San Francesco di
Assisi , questo poeta
santo della povertà e
della natura nato nel
1182, dopo una gio-
vinezza laica udita
in visione una voce:
a Va, o Francesco ,
ristora la mia casa ,
che rovina », si dà ad
un vivere penitente
ed istituisce quella
famiglia di religiosi
poveri, che doveva a-
vere tanto sviluppo
e tanta simpatia. An-
cora oggi, i Fra! 1 Mi-
nori, come li chiamò
mi ' lestamente San
Francesco, sono i più
popolari. I France-
scani, presi insieme
le tre grandi famiglie
primogenite, Conven-=
ventuali , Frati Mi-
nori , Cappuccini ,
raggiungono una potenza numerila imponente. Chi
computasse a 30,000 il loro numero, nei molti con-
venti sparsi per il mondo, sarebbe forse al di sotto
del vero.
I 1 lappuccini, che rappresentano quasi un terz» di
questo esercii' ano, sono in Italia circon-
dali da particolare simpatia, dopo che il Manzoni
ne ha '1 tipo nella figura del Padre Cri-
no. Il cosi detto 'IVr/t irdine francescano, a cui
possono 1ar parte aiuhe i laici d'ambo i sessi, re-
K2
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^fféSsawK*
•»m«*MHflbj»-'- ]
San Benedetto Labkk.
GLI OH1UM RELIGK iSl
stando nella loro condizione e posizione sociale, al-
larga anche più l'influenza pacifica di San Fran-
cesco, che è sempre influenza morale, aliena da ogni
inframmettenza. Dante Alighieri era francescano del
Terz'Ordine.
L'altro Ordine, dei Domenicani, sorse contempo
rancamente , ma con un intento suo proprio.
San Francesco mirava ad una riforma evangelica
dei costumi; San Domenico volle specialmente op
porsi alle eresie, che sotto il nome di Valdesi, Ca-
tari, Petrobrusiani, minacciavano L'unità della dot-
trina. I suoi monaci ebbero il nome di Frati predi-
catori; la stella dell'Ordine è San Tomaso d'Aquino.
L'Ordine Domenicano ebbe uno sviluppo poderoso,
annoverando nel suo seno uomini di alto merito e
molti dignitari della Chiesa ; ma lo stesso pro-
gramma nativo, che li portava a combattere l'eresia,
li introdusse a gonfie vele nel mare agitato dell'in-
quisizione, dove spicca la figura lugubre del P. Tor-
quemada. Oggi, il domenicano è un religioso dato
allo studio ed alla predicazione.
Un altro Ordine di mendicanti è quello dei Car-
melitani, che ripetono il nome dal monte Carmelo,
e cercano di riattaccare in qualche modo la loro ori-
gine ai tempi di Sant'Elia. La regola, approvata
nel 1224, subì varie riforme, tra cui la più radicale
e completa quella operata da Santa Teresa, che la
attuò nei monasteri femminili, e la fece adottare
anche dai frati dello stesso Ordine. Si dividono in
due grandi famiglie, i Carmelitani Calzati e gli
Scalzi.
Dopo le Congregazioni dei Monaci, impostate ge-
neralmente sulla regola di San Benedetto, e quelle
degli Ordini Mendicanti, vengono quelle dette dei
Chierici Regolari, tra cui campeggia l'Ordine
dei Gesuiti.
Il Gesuita!... Ecco un nome di guerra e di equi-
voco. Il parlare dei gesuiti spassionatamente non è
facile cosa ; in generale, l'opinione pubblica li fa se-
gno di invidia e di contraddizione. Eppure, se si
pensa che dopo tanti attacchi, tanta persecuzione ci-
vile e religiosa, dopo essere stati soppressi da un
Papa, sbanditi da molti Governi, vivono ancora or-
ganizzati perfettamente, e sono l'Ordine più forte
di numero, più florido di mezzi, più cosmopolita,
più dominatore, si rimane meravigliati di una così
tenace coesione, che fa pensare, senza volerlo, alla
resistenza dei Semiti, sempre fermi e prosperosi in
mezzo alle ire dell'antisemitismo.
La prerogativa o l'arte 0 la missione del gesuita
è di lavorare nel mondo dei ricchi, e di cono
assai bene il metodo, anzi, i metodi di signoreggiarli
sottomano. Altra prerogativa è di essere eccellenti
creatori di istituti d'educazione per giovani di fa-
miglie ricche; che se non sanno proprio educar
conoscono tutte le risorse dell'istruzione model
Terza prerogativa, essi si sono fatti i paladini del
Papato, costituendosi come un'armata al servizio
della Santa Sede: solo che, non di rad', io ade che
il duce li deve seguire, pur sembrando di guidarli.
' 1'
Quarta prerogativa, una mirabile elasticità 'li d
trina, di coltura, di usi, di condotta, una straordi-
naria facilità di adattamento a forme diverse di
vita. Sommati insieme questi elementi del program-
ma gesuita ci danno qualche spiegazione della loro
fortuna e della loro potenza; e spiegano in pari
tempo la reazione continua che suscitano dovunque,
La visioni: hi San FRANCESCO.
per quel loro spirito di supremazia, che non am-
mette rivali in nessun'altra istituzione.
Il fondatore fu Sant'Ignazio di Loyola, prima
soldato, poi solitario, infine creatore del nuovo Or-
dine, che doveva opporsi alla Riforma Pro! stante
Oggi non si può ben dire quale sia il carattere spe-
ciale del loro programma monastico; ma forsi
studio, la di collegi e l'apologia della re
ligione sono le tre cose a cui mirano di preferenza
come corpo sociale.
L'esercito gesuita supera forse i trentamila; ma
la statistica in merito è difficilissima. Pi però
mla , ntraddizioni di cui sono
fatti segno, bisogna distinguere nel loro Ordine i
religiosi, che attendono all'esercizio della vita mo-
nastica, e il partito dei dominatori, politicanti, che
trovano modo di dar noie ai Governi, di soppian-
tare .udì Ordini rivali, di attirare nelle loro mani le
i.|j i a 1 1 i ri b \
tellettuali e materiali) che possono aggiun-
gere credito e forza al partiti i.
Una norma tattica di costoro <■ di comparile
il a - bile, per Lai n amente sol
t'acqua, [li s< no tra i più fiorenti ,
non ci manca nulla ; le famiglie più indiffe-
ria religiosa, se non pure ostili, non
mancheranno ili man. lare i figli dai Gesuiti : ma gli
Fk km BSC im in I ORO.
educatori sanno instillare abilmente le loro preoc-
cupazioni politiche. In Italia i giovani usciranno più
o meno religiosi ; ma certo la loro fede politica sarà
<li diffidenza o di sprezzo a Casa di Savoia. In Fran-
cia, dopo la legge di Waldeck-Rousseau, i Gesuiti
non hanno creduto di chiedere l'autorizzazione a ri-
manere, persuasi che o questa non sarebbe stata ac-
cordata, oppure li avrebbe sottoposti ad un con-
' r.llo per loro insopportabile. Poiché tutti sape-
vano la connivenza dei Gesuiti col partito naziona-
lista. Ora, i Gesuiti non stanno sotto a nessuno;
l'unico, a cui dicono 'li sottostare, è il Papa. Ed è
tanto affermativa questa loro attitudine dominatrice,
che il Generale dei Gesuiti è chiamato in gergo il
i nero. La Civiltà Cattolica è in Italia il loro
organo più intransigente; si dirige quasi esclusi-
vamente al clero ed ai vescovi, ed è ritenuto come
l'interprete più genuino del Vaticano regio.
■ re ai Gesuiti, altri Ordini di Chierici Rego-
lari, viventi specialmente in Italia, sono i Barnabiti,
"laschi, gli Scolopi: questi ultimi specialmente,
ed anche i Barnabiti, sono dedicati all'istruzione,
ma con indirizzo più largo e più sereno.
che davano man torte ai Nazionalisti in un coi Ge-
suiti ; e, mediante un loro giornale La Crmx, che
pubblicavano in tanti dipartimenti francesi, propa-
gavano con somma efficacia le loro idee e le ardite
tendenze nazii \nche questi, come i Gesuiti,
non vollero chiedere l'autorizzazione al Governo, e
preferirono scomparire, come Ordine, dal suolo fran-
cese.
Chiudiamo questa rivista brevissima e incom
pietà. A voler parlare di tutte le case religiose, an-
che dicendo poco, ci sarebbe da occupare molti fa-
scicoli della Lettura. Basta osservare che non si è
detto nulla delle comunità femminili; eppure si
può dire che quasi ogni Ordine di religiosi ha un
Ordine parallelo di religiose, governate da una re-
gola affine. Così ci sono le Benedettine, le Carme-
litane, le Clarisse colla regola di San Francesco, le
/ ii'/ncnicane, e via di seguito; oltre poi alle case
sorte con una regola propria ed esclusiva delle Suo-
re, dedicate ai poveri, agli infermi, agli spedali,
alle carceri, agli asili, alla educazione delle fan-
ciulle, alla vita contemplativa, una sequela initer-
rotta di nomi e di divise monacali, che si contano a
centinaia.
Una adorazione di religiose, le Dame del Sacr*
Cuore, sono governate dallo spirito dei Gesuiti e
volgarmente chiamate gesuitesse ; è un Ordine ricco
assai. In Francia hanno seguito la sorte dei Gesuiti,
emigrando altrove. Siamo dunque dinanzi ad un
fatto grandioso e molteplice, un fenomeno religioso
e sociale, che obbedisce a leggi storiche determinate,
sorge, grandeggia, si riforma, si modifica secondo
i bisogni nuovi, declina, scompare in un aspetto, ri-
sorge sotto un aspetto nuovo ; ma, insomma, è di-
venuto un elemento vitale della vita religiosa. Dap-
FR \m ESCANB in coro.
Rimangono le Congregazioni Ecclesiastiche,
i numerose, di cui alcune aventi per base l'apo-
stolato fra gli infedeli, altre l'educazione col mezzo
1 . altre la cura degli infermi. Vogliamo
accennare l'Istituto della carità, fondato dà]
'uni, sviluppato special-
te iti Inghilterra, e gli A di Fi meia,
prima, quando la comunità cristiana degenerava
nella pace, si determina l'esodo dal mondo dei Padri
del deserto; nel deserto si temperavano gli spiriti
colla penitenza, ed erano una tacita protesta contro
la mollezza della nuova generazione cristiana. In
seguito, il monachismo occidentale 'li San Bene-
detto, mentre intende ad una vita di cristianesimo
GLI uRldM RELIGIOSI
austero, si dà all'apostolato fra i popoli barbari, e
nella quiete della biblioteca claustrale provvede alla
custodia delle lettere antiche.
Quando i costumi si fanno più corrotti, e la cor-
ruzione pervade anche il chiostro, nascono le rifor-
me della Regola , con tendenza al rigorismo. Più
tardi, allorché pare che una completa mondanità si
sia imposta a tutte le forme di vita sociale, ecco ap-
parire gli Ordini Mendicanti ad innalzare il
siilo della povertà evangelica. Contro la Riforma, i
Gesuiti. Nell'età moderna, una lunga serie di nuove
Associazioni monasti-
che dedicate di prefe-
renza alle opere di ca-
rità o all'istruzione ,
quasi per accompagna-
re il cammino del pro-
gresso, che nello svi-
luppo del pensiero
scientifico e dell'azio-
ne sociale umanitaria
avrebbe cercato i mi-
gliori allori.
Ma il mondo cam-
mina, gli istituti invec-
chiano: esaurito il lo-
ro compito, pel quale
erano stati chiamati in
vita, decadono. Al
qual proposito fanno
le seguenti parole del
Cavour, dette alla Ca-
mera dei Deputati il
17 febbraio 1855, al-
lorché si discuteva un
progetto di legge per
la soppressione di al-
cune comunità reli-
giose :
«A mio avviso ,
« tutti gli Ordini reli-
« giosi , quantunque
« promossi da persone
» aventi per principale
« scopo la loro eterna
« salute , il maggior
« bene della religio-
« ne , sono stati fondati altresì , sino ad un
« certo segno , per soddisfare ad alcuni bisogni
« sociali dell'epoca in cui venivano istituiti. Vado
« convinto che tutti gli Ordini religiosi, i quali
« hanno avuto vita lunga e prospera, i quali si sono
« moltiplicati e dilatati, tutti questi Ordini reli-
t giosi ne! loro nascere, corrispondessero ad un reale
« bisogno della società ».
L'osservazione è tanto nel vero — e Cavour an-
che in questo mostra l'ugna del leone — che molti
Ordini già fiorenti decaddero per lenta consunzione
e sparvero; altri si rilasciarono tanto nella disci-
plina, da dover essere completamente riformati; al-
tri ancora vennero soppressi dall'Autorità religiosa;
altri infine dalla Autorità civile.
Attualmente le case religiose sono assai diffuse.
San i Ign IZK
1 ]■•
e, quello che è curioso, è non solo la potenza nume
rica di alcune Congregazioni, ma la loro potenzi eco
nomica. Del resto, il fatto ha la sua spiegazione: un
po' le donazioni, i legati testamentari, e le molteplici
industrie alle -piali i religiosi si sono dedicati, ecco
i cespiti della loro ricchezza. La quale tende sempre
ad aumentare; perchè ne entra facilmente, da tante
parti, per tante guise, e difficilmente ne esce,
essendo uso nei religiosi di alienare i beni della co-
munità. E' chiaro che, andando innanzi cosi, a lungo
andare, tutto finirebbe nelle mani delle Congrega-
zioni ; ed è eziai
naturale che un'orga-
nizzazione economica
cosi sviluppata, e in
via di nuove conqui-
ste, metta in appren-
sione un Governo. Gli
Assunzionisti in Fran-
cia, capitanati dal P.
Bailly, i Gesuiti, coa-
diuvati indirettamen-
te dai Domenicani, a-
doperando come leva
il giornalismo, e di-
sponendo di forti ri-
sorse finanziarie, dato
che si fossero gettati
nell'arena politica prò
0 contro Dreyfus, prò
o contro la Repubbli-
ca , dovevano impen-
sierire li 1 Stato , come
accadde, e determina
re il nuovo progetto di
legge.
Del resto, diciamolo
più apertamente: o
una data istituzione ili
religiosi si tiene rel-
l'ambito della \ ita
claustrale, nell'eserci-
zio delle opere ili ca-
rità, ed allora è giu-
sto che goda la liber-
ta, a cui tutti abbiamo
diritto ; oppure inva-
de il campo delle attribuzioni dello Stato, ed allora
lo Stato ha ragione di far valere i suoi diritti. A nes-
suno verrebbe in mente di gettare un sospetto sul bui in
cappuccino 0 sulla stura di carità; mentre tutti
sanno l'opera demolitrice che esercita il gesuita nei
suoi collegi e colle sue pubblicazioni, a danno d
l'unità d'Italia.
intanto ai collegi in genere, alla crescente prò
sperità di quelli diretti da Corporazioni relig
ed alla decadenza dei governativi, che cosa dire5
Se il pubblico ha fiducia in quelli più che in qui
a che prò fare dei lamenti? Il Cavour pensava chi-
fosse non solo utile, ma necessaria la coesistenza
di collegi religiosi e collegi laici, e ciò per intento
di emulazione; ma, aggiungeva, parlando alla Ca
mera : a Fate solo che l'insegnamento laico sia mo-
Lojoi l.
' Il
LA LETTURA
ben ordinato ; state pui oerti che vincerà
la prova nza delle Corpora
udiamo agli ultimi dati statis
re rho il pan-ri- suo non venne a-
M.i gli Ordini religiosi continueranno a vivere,
ve, in una torma o nell'altra: ceri
avranno delle mutazioni; le nuove esigenze riehie-
deranno qualche applicazione nuova del principio
monastico; ma non si potrà mai impedire ad una
fanciulla, che intenda dedicarsi alla preghiera ed
1 prendere il velo del sacrifizio, e ad
un uomo libero, che aspiri all'ascetismo, di ritirarsi
a vivere o nel deserto, o in un chiostro. La vita ce-
nobitica è un portato della religiosità, reprimere
gli abusi, sta bene; ni.i sarebbe strano e ingiusto
che la libertà, tanto reclamata da tutti per tutti,
'asciasse poi vivere in pace chi altro non cerca
che pace.
broso in un suo articolo nella Nuova
.'ogia (i settembre 1901V tratteggiando la po-
sizione del pericolo nero in Francia, ha voluto dir!
un po' l'allarme al nostro paese. Ma, da noi, non
| ricolo O nero, o cappuccino: in Fran-
ge diverse forze vive tendono a distruggersi l'un
l'altra; da noi, invece, grazie a. Dio, c'è un senti-
tzionale più discreto e più sano, anche se
appare m roso. La tendenza a consolidare
l'Italia nuova è .incora il programma minimo che
ii partiti hanno comune. I religiosi dei diversi
Ordini, per parlare sulle generali, non entrano in
ito lavoro antagonista dei partiti nazionali;
Fatta eccezione di : Gesuiti, che lo spirito reaziona-
rio l'hanno nelle vene, e coli atteggiamento loro
giannizzeri del Papato, del Papato temporale in
modo speciale, sono i più caldi oppositori dell'u-
I Italia. 11 che non impedì che, qualche anno
fa, il loro collegio di Mondragone avesse trovato
una piccola legione di uomini politici, che propo-
nevano il pareggio delle sue scuole. Eppure il me-
todo educativo dei Gesuiti è di fare dell'alunno 0
un gesuita o un anti-italiano: questo intento lo si
unge con tutta la ricchezza e la modernità dei
mezzi educativi, .(ira. il perseguitare è una forma
vieta e barbara ; il difendersi è semplicemente un
re dello Stato. Ma sarebbe un grosso errore
l'involgere in un solo apprezzamento, poniamo, il
gesuita politicante e il buon francescano, ossia il
non voler distinguere nelle diverse Corporazioni mo-
nastiche quelle che vivono e lascian vivere, dalle
altre, che, per istinto di predominio, possono essere
nello Stato un elemento perturbatore.
Certosino. Certosina. Trapi
Carmelitano. Carmelitana.
SOMMARIO:
Letteratura e Critica. — Il * .Verone» di Arrigo Botto I Romualdo Giani i.
Romanzi e Novelle. — Ceneri di mirto i Fosco Marte).
Poesia. — Kit un' l Marco Lessona).
Belle Arti. — L'art,- mondiale a/la lì' Esposizione di Venezia (Vittorio Pica).
Storia Contemporanea. — / Boeri e la guerra Sud Africana (Federico Rompeli.
Filosofia. — Nuovi studi sul Genio (Cesare Lombroso).
Sociologia. — Problemi odierni fondamentali dell'economia e delle finanze (N. <;. Pierson) — Femminismo sto-
rilo (Sfinge).
LETTERATURA E CRITICA.
Romualdo Giani : // X croni dì Arrigo Botto.
(Ti Tino, Bocca). — La tragedia del Boito fu oggetto
di vari giudizi ; ma, in generale, l'attenzione di quan-
ti la esaminarono restò avvinta dall'opera letteraria
a segno da far dimenticare che essa sarebbe, che
era già indissolubilmente unita con l'opera musi-
cale. Romualdo Giani, critico d'arte erudito ed e-
legante, ha avvertito questo errore, ed ha quindi po-
tuti, mettere in evidenza ed apprezzare tutto ciò che
gli altri critici, per non essersene guardati, disco-
nobbero o biasimarono nel lavoro del Boito. Il
Nerone non è un componimento poetico da tradursi
nei suoni, bensì un'opera sorta da un'ispirazione
poetica, plastica e musicale ad un tempo; la pri-
ma opera italiana informata al conretto che nella
vera tragedia il verso, il canto, la sinfonia e la mi-
mica, sorgendo contemporaneamente da uno stesso
o stato dionisiaco dell'anima agognante di rivelare
il suo sogno d'ebbrezza » — sono parole del Nietz-
sche - debbono essere cos'i intimamente disposati
ed uniti, da formare un tutto indissolubile.
TI motivo di questa ispirazione complessa e mul-
tiforme, se è derivato dalla storia di Nerone, non
consiste e non poteva consistere negli avvenimenti
particolari della sua vita. Quei critici, avverte d
Giani, i quali credettero che l'argomentò dell'opera
fosse la vita di Nerone, ebbero ragione di dii eh
la tragedia restava senza catastrofe, e più ne a-
vrebbero anche avuta se avessero detto che una vera
e propria a/ione mancava addirittura; m
ment^ dell'opera è un altro, più vasto, più intimo:
è il o ntrasti scoppiato nel mondo, in quell'ora fa-
tale della sua storia, fra due dottrine, dui mi rali,
due fedi; tra la lussuria e l'amore; tra l'ebbi
di godimento e di dominio, e l'ardore di sacrifizio
La Lettura.
e di rinunzia; tra la line di una decadenza e l'ini-
zio d'una resurrezione. Questo soggetto poteva sol-
tanto determinare nell'anima dell'artista lo « stato
dionisiaco », il sogno creatore, e la complessa sua
creazione doveva chiedere a più arti i loro modi e-
spressivd. 11 che non vuol dire che esse abbiano gli
stessi uffici e stiano negli stessi rapporti. Al con-
trario; e il Giani, nelle pagine meglio studiate del
suo bellissimo studio, esamina appunto in quali
proporzioni la poesia, la musica e la mimica con-
ci nano a produrre gli effetti nelle varie parti del-
l'oliera. Per esempio: nel Trionfo (line del primo
atto), la rappresentazione è quasi tutta plastica, qua-
si interamente dovuta alle immagini visive; quindi
la parola è usata soltanto per dare significazione al
grido: non vi sono periodi 0 frasi regolari, non ag-
grumiamomi di sistemi di metri, ma solo esclama-
zioni e interiezioni ; la stessa musica qui non trova
1 fogo a forme simmetriche e chiuse di anodi clan
di monodie, di cori ; ma solo a varietà di tonalità
e di ritmi, dì discordi e ili a cordi. Altrove, nella
scena ÒsYL'Oppidum (pi ima parte- del quarto a
le manifestazioni delle varii ani procedono I
congiunte, ma prevalendo a volta a volta; poiché
agli episodi, alla contesa intomo all'auriga, alla
stilai, i il' Ma lolla, agli apparecchi del supplizio, al
eo delle Dirci, dà valore la mimica; la parola
domina invece nei diali; h Fra Simone e Gobrias,
Ira Tigellino e \i n ne. fra Nei : la Vi stale,
one procede; e la mu
vrana m iì • spri ssii ni imi riti in altri
ghi, seni imeni i ed immagini, ' I li 'ih i, in , i li
'ii al pensieri : ; allora il e. in
e ■ ii- i li la musii '
giunge il sin i comn ono già di finite e
i - sì, per i sempii r, nell ora di Nerone
sulla li s-;i ,1, ve depone l'urna o ri le a neri ma-
io
i )i i LA LETTURA
teme, o la decadenza romana
da Sun n \l . La parola primeggia ancora
quando ritrai- un f: ne una situazione od
declamazione ne dovrà essere nitida,
e quasi scolpita, come nelle formule del
riti > ili Sin» ii ntenze 'li morte che l'In
i ecc. Invece 1" stile la
amente alla music i alla mimica
parola rapida e precisa abbozza ili scorcio l'i-
dea, quando l'azione più urge, quando, per esem
\ roano ansiosi nelli < S/
r:nn I ibi i i >e [ui la poesia ni «1 i
svolg nunzia, la parola si dissolve tutta nei
suoni 'pianilo l'ispirazione lirica è si rta la prima e
. [uando la passione travolge ogni cosa
e la i ■ nell'ultima scena d'amore
nel delirio dell'ultimo atto,
la musica dovrà o >ni inuare la poesia
e la nota intrecciarsi alla parola in un'unica forma
armoniosa, dove il seii'iim un < pensosi» e raccolto
e la commozione non trascende ma si diffonde nel-
l'animi: esempi la scena dei «'risii. mi nell'orto, l'i-
dillio di Fanuel e Rubria, l'addio del Nazzareno al
ili. la confessioni e la visione estrema della
martire.
padre: « Padre nostro che sei ne' cieli... », riferì
il Sermone sulla Montagna nelle parole di Fanuel:
■ I vedendo le turbe ad udir pronte.. v. », ripetè la
parabola delle Vergini delle folli nell'al-
legoria di Rubria: « Veglia la saggia vergine... ».
Nell'addio di Fanuel ai fratelli, pensieri e frasi
sono tratti dalle Lettere apostoliche e dall'Esi
one agli Efesi; il condannato si avvia al sup
pli/io ripeti mio le paioli- di i Simbolo apostolico.
Se Rubria cerca di accordare nell'indotta mi
due opposte fedi, il Giani osserva che questo raso
immaginato dal Boil ri devi parere incredibile,
poiché molte volte occorse realmenti : a Pi
i Simmaco, ad Aconia Paolina. Dissero aliami eri-
lii-i che non negli orti ma nelle catacombe si aduna-
vano i Cristiani; il Giani risponde che, avanti la
persecuzione, essi si raccoglievano nelle case dei più
notabili o agiati; case che non è strano aves
orti. Perchè questi Cristiani cantano: « 0 date a
piene — mani le rose... i si rimproverò al Bi
che i suoi neofiti sapesseri Orazio; il critico rispon-
de che la poesia e l'arie cristiana derivarono imma-
gini e motivi non pochi dal paganesimo; e che,
mai, il o Manibus date fflia plenis... » non è di O-
razio, ma di Vergilio.
Né il Giani si è contentato di spiegare cosi l'in-
tima economia del lavoro d'arte; egli ha voluto
anche rintracciare le fonti alle quali il Boito at-
tinsi, strare con quanta scienza, oon quanto
nti. il mirabile artista è riuscito ad evo-
millenari sepolcri Nerone e Tela che lu sua.
Prima ancora di compiere questa ricerca, il valen-
;a in rassegna gli altri N croni
dell'arte: quello rammorbidito e raggentilito del
del Bacine, quello soltanto violento e
i dell' Mlieri. l'altro borghesemente
Sta del ( 'ossa, e giudica che solamente nel Paolo
del Gazoletti e neW Assuero dell'Hamerling il vero
della storia e il mondo in mezzo al
quale vi se sono abbozzati. Arrigo Boito ha quasi
■ -lite derivato dalle storie, dalle tradi-
zioni, dalle leggende. La cristiana figura di Fanuel
i lai passi dei Fatti e del le I lettere de-
gli apostoli: in Asteria rivive il mito dellFIena
cortigiana; Terpnos, Sporo. Tigellino, M. Anneo
noe in pam- Rubria appartengono alla storia.
Fu dello che il Botto tradisse la verità, facendo di
no un familiare del Cesare; il Giani confuta
he Lucano o lebrò le « virtù
lari di Nerone ». e fu da lui nominalo que
augure. Nel personaggio di Simone si
Matteggia la tradizione dell' Antimessia: tutte le
credenze aberranti fuse al poeta nel si-
monismo, simbolo d'ogni falsa dottrina, cui OppO-
pt i del sentimento cristiano. L'inno di
Gobi « Pi Logos, \nthro-
pos ». e il sacrifizio del sangue sono derivati dai
della religione di Mitra I nella ra|
mondo cristiano l'artista, comprendendo
i ■ potuto
tradusse addirittura dai testi la D
Ma come la figura del protagonista fu quella in-
torno alla quale più si esercitò l'ingegno dei cen
cosi il Giani dimostra che qui appunto essi furono
meno giusti. Il Nerone del Boito, retore e malvagio,
paz.z.o e crudele, superstizioso e beffardo, traviato
artista e ridcvole poeta, infinto sin nei terrori e men-
titore sin nei rimorsi, perseguitato dalle ombre e
spezzato! degli iddii, istrione e COI ' ire e An-
ticristo, trionfatore dei contemporanei e sacro al
vituperio dei venturi, balza mirabilmente vivo, dice
il critico, da un'intima compenetrazione della storia
con la leggenda. In fondo al malvagio bizzarro sta
in lui il retore; la sua follia — come avverti il
Renan -- fu una perversione letteraria. E questo
segno è impresso mirabilmente nel personaggio di 1
BoitO. Si legga l'orazione funebre: lo scolare di
Seneca comincia con una reminiscenza della
ghiera eschilea, ma guasta l'imitazione con imi
gini forzate e con giuochi di parole. Qui il p
fu accusato di non aver saputo esprimere oonven
nte il dolore, mentre l'arte stia sapiente i
sciente volle appunto significare la freddezza
toma di quel tristo. Si confrontarono i w-rsi del
Boito con la divina ]x>esia di Sofocle m-WAn/t-
-. paragone assurdo, poichi Nerone e
mosso dall'affetto o da altro sentimento geni
seppellire le ceneri in l dia 5Up
zione. Si imputò a difetto dell'educazione roman-
tii i del Boito l'esagerazione delle paiole e dei gesti
del protagonista, mentre il poeta la volle espi.
mente ottenere, come segno dei tempi di decadi
da lui rappresentati; decadenza alla quale 11
manticismo rassomiglia naturalmente. Si osservò
che la maledizione della madre rammentata da \i
e ne è contraddetta dalla narrazione di Tacito, ol
i pai i" della maledizione, ignoti
al paganesimo, sono cristiani ; il Giani adduce l'au-
torità di Cicerone e di Plinio circa l'uso del verbo
maledicere, e risponde che. mentre il racconto di
Tacito non toglie che Nerone potesse credere all'e-
strema imprecazione materna, sta il fatto che
quando il ricordo del delitto era ancor vivo, un imi-
tatore di Seneca attribuì ad Agrippina l'impreca-
zione famosa : « Hie est, Me est foediendus, mou-
strum qui tiilì iulit ». Non si volle che Nerone po-
tesse tremare dinanzi al Mago; mentre sta il I
riferito da Tacito, che il Cesare tremo dalla paura
per tutte le membra nel tempio di Vesta Si ag-
giunse che il ricordo del delitto non dette mai a
Xerone il terrore che il Boito gli attribuisce per la
supposizione che Roma, il Senato e la plebe lo ac-
colgano con fieri propositi di vendetta ; ma di que-
sti propositi il protagonista non parla, e le sue pa-
role rendono esattamente la narrazione di Tacito.
La fedeltà non consiste solo nelle parole e negli
atti ; ma tutta la psicologia del personaggio della
tragedia è quella della figura storica. Nel folle so-
gno dellimeneo con la dea è il « cupi/or incredibì-
lium » ; nell'ostentato ricordo delle turpi nozze e
del sacrilegio e del matricidio è la vanità del delin-
ite e del pazzo. Il sentimento espresso a Tigel-
lino durante l'incendio, ha rilievo dalle stesse stori-
che frasi riferite da Svetonio. Nei minimi partico-
lari si rivela lo studio profondo compito dal poeta
per l'amore della verità, dell'esattezza, della preci-
sione. Xel coro delle Eumenidi, quando risuona
furio: a Matricida! » Nerone non risponde come
dovrebbe: o Pensi che il suo sangue sia stato senza
ragione versato? » ma grida invece: « Atroce ma-
— Fiera murena al mio scettro annodata! ».
Il retore rammenta qui l'immagine della murena che
è nelle parole di Oreste, nelle Coefore. Infinite al-
tre volte il suo linguaggio è enfatico studiatamente ;
ma quando l'intima natura del personaggio pro-
rompe, allora il Boito lo fa parlare con estrema e
brutale vivacità. E lo stile muta coi personaggi e si
adatta all'indole e all'educazione di ciascuno: è soa-
vemente semplice nei Cristiani, pomposo e fastoso
nel Mago, fantasioso e fiorito in Asteria. E tutta
questa varietà di espressioni ha rilievo dalla va-
rietà dei ritmi. Come nell'opera del Wagner, così
nel Nerone del Boito le forme metriche sorgono a
un tempo con l'immagine e col pensiero: l'endeca-
sillabo del dialogo discorsivo cede nei momenti più
!:riri ai ritmi ascili e brevi, ed alle strofe animate
ed irrompenti dove la passione più incalza; e il
linguaggio dei Cristiani suona sempre nel verso
sillabico e rimato che si fissò poi negli inni della
nuova liturgia, mentre i pagani, e Nerone segna-
tamente, si valgono dello sciolto o del verso armo-
nizzato di antichi ritmi. Mentre il Carducci ha ri-
prodotto il suono dei versi greci e latini letti se-
condo l'accento grammaticale, il Boito. seguendo
l'esempio dei moderni poeti inglesi e tedeschi, e l'e-
zione di Giuseppe Chiarini, ha preso a fonda-
mento della quantità l'accento della parola ed ha
tuito la sillaba accentata all'arsi, l'atona alle
tesi. Egli ha tentato anche l'alliterazione, si è ser-
vito della rima al mezzo e della rima . d ha
I I . I B R I [47
trovato intrecciamenti nuovi di ritmi diversi, ser-
bando, in una stessa melodia, i suoni dell'endeca-
sillabo e del settenario.
In questo ma [ueste parole, Romualdo
Ciani definisce e misura il valore dell'opera di Ar-
rigo Boito. Noi non abbiamo qui, naturalmente, po-
tuto far altro che rilevare i passaggi principali del
suo libro, essendo impossibile seguirlo in tutte le dì
mostrazioni. in tutte le citazioni, in tutti gli esempì.
Ma per concludere...
« — No », è il caso di ripetere con l'autore.
«concluderemo poi, quando ci sarà nota la musica».
Per ora non c'è da far altro se non augurare che il
poi significhi Presto, anzi prestissimo.
ROMANZI E NOVELLE.
Fosco Marte: Ceneri di mirto (Firenze. Luma-
chi), L. 2.50. — Il romanzo è dedicato a Maurizio
Maeterlinck, e basta leggerne una pagina per inten-
dere come la filosofia e lo stile del Tesoro degli li-
mili e della Saggezza del destino abbiano prò
molta impressione sul giovane autore. Egli trascrive
e nella prima pagina del suo libro il giudizio
dello Schopenhauer: a Un romanzo è tanti
bile e pregevole, quanto più penetra nella \
riore ed ha meno avventure ■ 0 la favola di
queste Ceneri di mirto non potrebbe essere più sem-
plice; il che non vuol dire, purtroppo, che sia tutta
logica e verosimile. La protagonista. Leonia,
sato, per salvare dal disonore il padre suo, un di-
plomatico danaroso ma vecchio, il quale, dopo ap-
pena sei anni di matrimonio, è colpito dalla paralisi.
La vita di lei trascorre vuota e triste, quando un
giorno, visitando la Galleria dei Pitti, ella conosce
il pittore Icilio Monardi in un modo alquanto ori-
ginale: costui, mentre copia la Madonna del Gran-
duca, scontento di sé stesso, sfonda la propria tela ;
e al grido di Leonia, si volta dicendo: « Che
vi sorprende, signora? Io non sono un copiatore di
professione, ne saprò piegarmi a lavorare sulla fal-
sariga di nessuno... ». In poche parole: Icilio e
Leonia si comprendono e si amano: egli rivela a
lei la \ita, ella sostiene ed ispira il lui Nien-
te li turba o disturba: il marito, il vecchio barone
Alvisi, è sempre inchiodato sopra una poltrona,
mezzo inebetito, e nessuno dei due se ne dà p
siero. Se non che, conseguita la gloria grazie ad un
dro dipinto nella febbre dell'amore e con lei
come modella, Icilio sente il bisogno di avere que-
sta donna tutta per sé; ma Lamia, che fino ad ora
non si è neppure rammentata d'appartenere ad un
altro uomo, prova improvvisamente il dovere e il
bisogno di restare accanto all'invalido consorte, per
curarlo affettuosamente. Contrarialo. lei!
va a Parigi, di dove scrive dapprima assiduarn
1 ..mia. ma poi la trascura Ella se ne addolora,
ma non lo importuna con le pn ■ suo
dolente, quando un rte muo-
re. Leonia si ance che 1 il • ni n v
a raggiungerla: ella non gli ha però scritto e nep-
pure mandato la p natia ; il
amante ha l'obb ere che è vedova perchè
la notizia.'- stata» ripetuta da tutta I: ». Il
14»
LA LEI I I RA
fatto .' che Icilio ha un'altra i
: lia, e ini
l ancora parlarle d'amore : ina ora
lo ama più, o non ha |»u fede in lui, <
l ra troppo
re non si è messo di-
e li fa p
,],
rre il suo quadro,
Manda il tuo quadi ro al
andò il quadro , Icilio dice
vite sono legate dal serto d'al-
». Anche nello stile è palese 1" studio d'imi
ri imaginifici : il male è per.', che l'auti re
parla <li una « insensibilità ili vibrazioni » che Leo-
isa, e diceche la medesima Leonia
sangue calmo, il suo cervello riflessivo,
■ conclusioni positive che impoveri-
il privilegio del cuore e aio come tatti
le follie che si erano consumate da loro
O violento degù archi melo-
u ta la -lu suscettibilità ner-
sensibilissima all'espressione musicale ». e che
l I [cibo, " dopo il compimento della cosa
soprannaturale, hanno acquistato il diritto ai loro
legami che li esi rierano da tutto ciò che ormai non
li riguarda più t. L'autore, il cui ingegno innegabile
■ una falsa via, chiama umile la veste
artistica del suo romanzo. Così fosse umile vera-
mente. Essa, al contrario, è gonfia, ammanierata,
rata.
POESIA.
\1 \rco Lessona: Ritmi. (Streglio, Torino), li-
re i. — Dice l'autore, nella Preghiera con la quale
si apre il volume, che il « tenue ritmo » del verso si
perde nel continuo rumore della vita; e tenue ve
rami ilvolta temùssimo, è il ritmo di questi
versi suoi, n In piazza Sant'Andrea, alle otto e mez-
za di sera, le trombe degli alpini suonan la ritirata,
ola piaz/a. sempre tranquilla e deserta coi
suoi palazzi antichi e la chiesa alta e scura, subito
si riempie di ODI ni uno sciame di bimbi
hiamazzando e ridèndi i ». Questi a ino
i primi distici di un componimento; un altro co-
mmi 'ii.i, questa mattina d'a-
prile e proprio bella, ed è un vero piacere andar qui,
lungo il fiume, con lei a braccio, per questo vii
pioppi... •. Talvolta non solo il ritmi itenue
che i versi, trascritti uno dopo l'altro, possi no sem
l.r.i; tati ; ma troppi i di-
messa e veramente prosaica '<■ la stess ione:
« Te ne ricordi ancora di quell I
ino, all'Albero fiorito? Te ne ricordi
di quella frittura. i tanto, e di quel
... Ma l i. quando vuole, sa
pur- sioni ed accenti più ar-
mi n e nel Pi nel Canto delle
Barbari, nel Fiumi . i ri turno
he nel /' inni all' Inferi.
oppo mai ' ni ne baudeli
Il ' ritorna più spesso in questo volu
i . nel
l'attimo felice, di g del
ni. ili gusi.ue senza preferenze le diverse I
me della l.elle//a ; ii. in mancano però altri
p li nobili ed austi risigli della sti
ti. i/i. ne da appi in re, le li di della ri-
nunzia e i SI rrisi dinanzi alli umani- e a
in mie della vita.
BE 1. I. E A R T I.
Vittorio Pica; L'arte mondiale alla IV Espo-
m di l'i n< ■ il- rgami . I si unto italiano di
arti grafiche), 1.. a. Basterebbe rammentare che
questa nuova ..pera del valente scrittore napoletano
ha ottenuto il primo premio al concorso delie criti-
che sull'Esposizione veneziana, pei fame l'eloj
Non uno degli atteggiamenti dell'arte COntemp
nea sfugge ..l Pica, e di tutti egli assi gna le origini,
le ragioni, i vantaggi, i pericoli. L'imitazii
stranieri, quella che egli chiama i nordica
.'. dice, un., dei caratteri salienti .1. Ila pre-
transitoria dell'arte italiana; e contro l'imitazione
pedissequa egli mette in guardia i nostri artisti, di-
stinguendo però ad uno ad uno gli imitatori inco-
scienti da quelli nei quali lo studio dei nordici ha
prodotto naturalmente effetti benefici. Reciproca-
mente dimostra quali altri Italiani si sono mani,
fedeli ai dettami d'una recente tradizione nostrana
troppo spesso povera e gretta, mentre alla grande
tradizione gloriosa del Quattrocento, del Cinque-
cento, del Seicento, si vedono fedeli soltanto gli stra-
nieri, i francesi, gli Inglesi, i Tedeschi. Nelle SI
tele del Corot, del Dupré. del Daubigny e del Millet,
vede la prova che il paesaggio è stato la gloria più
fulgida e più pura dell'arte francesi- nel secolo de-
cimonono, e dei paesisti che hanno esposto a Ve-
nezia addita i pregi e i difetti fermandosi partico-
larmente sulla mostra ri va del Fontanesi.
Dopo aver ti CCati ■ dei pittori di marine, passa ai bi-
blici, cominciando dal grande Morelli, e distin-
guendo in due gruppi, l'inglese e il germanico, i
novatori; poi ai simbolisti, al Boecklin, al Bume
fones, al Latoùche ed i nostri Previati, Laurent!
e Mentessi, e quindi si ferma sugli innumere
listi, ritrattisti, animalisti, .li ogni nazione e di ogni
singolo artista cogliendo e additando i particolari
caratteri. Con la stessa diligenza e con lo st.
acume ragiona degli acquafortisti, dei di
degli scultori, dei medaglisti II bellissimo volume.
ricco di circa invento illustrazioni, fra riproduzioni
di quadri e ritratti d'artisti, è un rito che i
futuri storici dell'arti non potranno
rjsi dal consultare.
STORIA C >\ flMI'i IRANEA.
Fedi Rico 1 ' sud afri-
cana. (Milano. Hoepli), L. 1.50. - 1 .nitore di
qui sto libro illusi i mente una mi
pagina d la gloriosa resisi un pugno
di prodi ini' dall'amor patrio ha stipuli
o|,| .in .il.- fi !<■ d'una «Ielle ii
mondo. Il generali 1 Pfiftei ha det-
tato l'introduzione, nella quale narra come l'Africa
meridionale si acquistò un'importanza storica mon
diale, dal giorno che gli Olandesi fondarono la pri-
ma stazione ili rifornimento sulla via delle [ndii a
Tafelbay, fino allo scoppio dell'attuale conflitto. 11
testo ilei libro e le copie sissime illustrazioni ci di
scrivono e mostrano i costumi dei Boeri in pace e in
guerra, i loro maggiori uomini, li campi,
combattenti, le armi. Sono più di cento le nitide
figure ohe quasi ad ogni pagina corredi l'eie
gante volume, in fondo al quale sta una cronaca
degli avvenimenti guerreschi dal 4 giugno [899 al
30 novembre del igoi e una rana delle due Repub-
bliche sud-africane.
FILOSOFIA.
Cesare Lombroso: Nuovi studi sul Gerì 0. Vo
lume I : Da Colombo a Manzoni. (Palermo, San-
dron), L. 3. — La teoria della degenerazione e della
nevrosi ilei genio, alla quale il Lombroso deve
tanta parte della sua lama, era stata ultimamente
fatta segno a molti e vivaci attacchi; con questo
primo volume di una nuova serie di studi, Tintore
intende rispondere principalmente a due suoi op-
positori: il Bovio e il Tamburini.
'Disse il primi» che la dottrina lombrosiana
è in gran parte fallace, perchè il Lombroso non
adduce esempi di veri e propri geni, ma di geni falsi
e discutibili, di genialoidi. Il Tamburini, d'accordo
col Padovan, osservò che, per sostenere la tesi della
nevrosi degenerativa, il Lombroso si servì di geni
unilaterali e realmente nevrotici, come il Tasso, il
Poe, il Rousseau, il Lenau; ma non si attentò di
affrontare l'analisi dei sani ed universali. L'accusate
risponde esaminando attentamente il carattere e
l'opera di Cristoforo Colombo e di Alessandro Man-
zoni (jdie il Bovio appunto nominò come geni au-
tentici ed esenti da Ogni stimmate degenerativa), i
più brevemente dello Swendeborg, del Petrarca, del
Pascal, ed-. Seiioncliè, nel caso del Colombo, pare
che tutta l'analisi del Lombroso sia precisamente
diretta a negare le vere qualità del genio al grande
navigatore gì ni vose, di 1 quale diceche l'idea di rag-
giungere l'India per la via d'occidente non fu sua,
e che sbagliò nei calcoli, e che non comprese d'avere
sbagliato neppure dopo il primo e il secondo viag-
gio, e che s'appoggiò a una ipotesi spropositata, e
che fu in tutto d'una enorme ignoranza, e che do
vette la sua gloria alla semplice ostina/ione nell'er
rore. Tutti gli altri difetti che l'autore trova nel Co-
lombo, l'abito della menzogna, l'istinto della cru-
deltà, il delirio delle grandezze, sono difetti morali
i quali potrebbero provare l'origine morbosa del ge-
nio sin 1, anni ie -se che ' gli possedesse un vero genio :
ma s<' il Colombo fu. come vuole l'autore, plagiario
nell'idea e ignorante nell'attuazione, e debili re della
fortuna al mero errore, è possibile considerarlo co-
me un genio sovrano? A che co, a. valgono le qualità
che il Lombroso gli concede nelle ultime due pagi-
nette del suo studio, dopo che in sette capitoli gli
ha negato tante cose essenziali ? Egli protesta nella
prefazione contro l'accusa che le sue analisi dimi-
nuiscano il prestigio del genio; e certo, studiando
I LIBRI 14(1
le macchie del sole, l'astronomo n<>n ne nega 1 1» ne
liei ; ma, in questo caso del Colombo, e non solo in
questo, sebbene qui con ri che al
trovo, il nostro insigne psichiatra non .acci rge di
negare appunto la stessa qualità d'astro, di genio,
all'uomo cui inii concede né la grandezza dell'ani-
mi né 1 [uella, che più imp irta, della si. ;sa mi 1
SOCIOLOGIA.
\ ( i. PlERSnN: l'r;>h'. ■ , inudamcnlalì
dell'economìa e delle Ianni e. (Torino, Roux e Via
ungo), i,. 5. - Pregio singolare di quest'opera, e-
amenti tradotta in italiano dal dottor Erasmo
Malagoli, è il tenere la via di mezzo fra i troppo
pondi '.ni e i troppo succinti compendii, e
il rivolgersi tanto a coloro cui i problemi di politi, a
s. eiale s.iii) già familiari quanta a coloro elle non
hanno, ma pur dovrebbero avere dimestichezza con
essi. I lettori di media cultura ehi- sono il più
gran numi ro troveranno queste pagine del lai e con
tanta chiarezza, ordinate con tanta eleganza, avvalo-
rate da tanti esempi, dilucidate da tanti paragoni,
da render facile e pronta l'intelligenza delle questio
ni più grava: il protezionismo e il libero scambio, il
pauperismi e 1 suoi rimedi, le macchine ed il sa-
lario, la. riduzione della giornata, di lavoro, il col-
locamento dei disoccupati, la moneta ed i suoi tipi,
le banche ed il credito, le crisi commerciali e le
loro conseguenze, i sistemi tributari e le loro ri-
lumie. Il Pierson non espone qui metodicamente
le teorie della cattedra ; discute invece praticami riti
questi pratici argomenti . tenendo conio delle teorie
solo quando e di ive è necessario.
11 libro non è riuscito accademico, perchè non
è un accademico l'autore. Ministro del suo paese,
più tardi presidente del Consiglio della ('olona,
egli ni 11 ha tanto pronunziato orazioni dalla tri-
buna, quanto studiato ed attuato piani di riforma
nel suo Gabinetto. Sua è quella rii ta fiscale
olandese che va annoverata tra le più democrati-
hi compiute ai nostri giorni. Narra il traduttore,
nella prefazione, che il sistema tributario olan
poggiava, per la massima parte, su imposte indi-
rette, e le dirette erano tanto male ordinate e .lise
gualmente repartite che, in definitiva, le classi più
colpite erano le inferiori. Il Pierson per prima cesa.
abolì l'imposta sul sapoi Lusse di due terzi
quella sul sale: diminuì anche i diritti di ri
strazione degli atti di trasferimento degli immo-
bili; nelle ini] iste indirette arditamente introdusse
i principi della diversificazion 1 progress
lottopi m ndo a imposta tutti i redditi . ma col
pendo quelli derivanti dal patrimonio più for-
temente di quelli derivanti dal lavoro, e graduando
l'aliquota dell'impi ita senza 1. meo 1 davanti
all'accusa di socialis : di confisca secondo
una i.i' - res 1 nte col crescen di I reddito, in
omaggio al principio della capacità contributiva.
[1 senso pratico dello statista si rivela ni
libro. Qui l'autore atti nde assiduamente a sg m
orare il campo dagli errori, dai pregiudizi, dalli
upi rsl i/'n, ni. quasi duerni lalle leggende , più
frequenti e funeste nelle discipline sociali che non
i3o
LA II i
nelle storiche o nelle mediche Scambiare la causa
per l'effetto, confondere il necessario col suffi-
nsiderare la probabilità come necessità,
ferra che si vede, cercare l'assoluto, cri
dere nelli panacee; questi ed altri non meno per-
-I pensiero impediscono il progresso
della ' Pierson li denunzia, e in tutte le
sur dimostrazioni procede con un ■ con una
prudenza, con una equanimità che gli procu-
nno che gli hanno anzi già procurato — ■ il
plauso d dei quali critica le dottrine:
dei isti da una parte, dei socialisti dal-
l'altra. L'autore ha le sur ide i e le di-
mostra; ma non tace le ragioni degli avversari;
talclir la lettura del libro suo riesce un prezioso e
salutale esercizio della mente, e conferma quella
ide verità che lo Spencer enunzia nell'opera
già i he tutte le scuole e tutti i partiti do-
vrei il ito meditare: « Lo studio della scienza so-
ciale, s, -mi,, metodicamente col risalire dalle cau-
si- pn ssinie alle remote e col discendere dai primi
i secondari ed ai terziari, dissiperà l' illu-
■ tanto diffusa che le piaghe seriali possano
tlmente guarite •. Nell'invitare tutti i
volenterosi a fare ciò che è umanamente possibile,
il Pierson e davvero quell'uomo appartenente « a
un tijxi più eli '.aio ■ - secondo l'espressione del
i inglese — « che unisce l'energia del fi-
lanti i calma del filosofo ».
GÈ: Femminismo storico. (Milano, Società
editrice La Poligrafica, 1901. - Sfinge? Perchè
dbnirno misterioso in testa a un libro
chiani. buono, semplice, onesto"-1 Forse chi lo scrisse
volle stimolare la curiosità dei lettori e interessarli
alla 1 -i l del uoveri nome? In certe pagine, lievi
■trine, si scorge tutto il gusto femminile; nel-
l'energia originale d'altre, vibra qualcosa dell'ani-
ma romagnola ; in altre, ancora, piene di finezza, si
rivela qualcosa di nobile e d'aristocratico. Saremmo
noi sulla strada di sco] rire il vero essere di que-
sta leggiadra Sfinge, che non cela nessun sentimento
dell'anima delicata ?
Il suo libro, ad ogni modo, e squisitamente fem-
minile, nulli siaute il titolo che sembra contenere
1 minacele d'invasione nel campo, 0 meglio nelle
facoltà e nei diritti del cosidetto sesso forte. Ma
per fortuna anche le care, belle eroine, di cui Sfìnge
ci parla, non conobbero ne la brutta parola 0 fem-
minismo » né il vano e pericoloso significato, E
Stinge medesima, che l'ha messa nel titolo del suo
libro, è una donna nel dolcissimo senso antico, mo-
derno, anzi derno! Ella studia le sue sorelle glo-
riose, di cui tanti dotti si occuparono prima di lei,
nella loro anima dolorosa, nei loro amori, nella
loro grazia onnipotente ed incosciente, nei loro e-
roismi inattesi, nelle loro mirabili intuizioni. Esalta
Isabella d'Este Gonzaga nella molteplice sua pas-
sione per ogni cosa bella, per ogni profumo della
prodigiosa fioritura artistica della Rinascenza; a-
dora Giulia Récamier nel vivo contrasto d'una av-
venenza che non si cela e d'una virtù piena di vigi-
lanza ; rianima Laura sfiorita nelle imitazioni pe-
trarchesche; piange il martirio di Maria Anton-
i-osi sproporzionato alle leggerezze che talora ne ve-
larono l'intima bontà ; scusa Cleopatra, assumen-
done la difesa con un atteggiamento leggiadro d;
avvocato provocatore che interessa e piace; lini;'
Gaspara Stampa per la sua tenacia d'affetto, pel
fervore, la devozione, la dedizione completa, quan-
tunque rivolte ad un uomo che non meritava tanto;
spezza infine una lancia in favore di Giorgio Sand
accusato d'aver distrutta la giovinezza d'Alfredo de
Musset. Il femminismi* eli Sfinge contiene dunque,
ni ni la fisima di mascoìitiare le femmine, ma di e-
saltare le loro virtù e le loro passioni dinanzi al-
l'egoismo maschile e dinanzi alla storia, ciò che
sa ottenere con interesse e soprattutto con granile
garl o e grande finezza.
II. Ll'TTORE.
:n , e-
-^V'A
' ' - :
DIVISTE
SOMMARIO
Francesca da Rimini e i Polentani, pag. 151 — L'ideale femminile nel Rinascimento, pag. 154 — Le piccole mera-
viglie della natura, pag. 158 — L'arte di dipingere coi francobolli, pag. 161 — Per la fortuna!, pag. 163 —
Nel mondo ignoto, pag. 165 — L'avvenire dell'oro, pag. 168 — Come i diamanti si trasformano in brillanti
pag. 169 — I Filibustieri, pag. 171 — 1 balocchi e la loro origine, pag. 174 — L'arte assira, pag. 175 — Gli
occhiali di Bismarck, pag. 178 — Il contributo dell'Italia al progresso del secolo XIX, pag. 178 — La scimmia
a tavola, pag. 180 — Ciò che rendono i teatri francesi, pag. 183 — La Corona ferrea, pag. 184 — La produ-
zione del carbon fossile, pag. 185 — Un cavo sottomarino, pag. 186 — La Corea, pag. 188 — Le bizzarre
forme de' fiocchi di neve, pag. 191.
ppaneesea da Rimini e i Polentani
(Da un articolo di Corrado Ricci, nell' Empoi ■ iitm, di di-
cembre).
Una vecchia maga predisse a Guido da Polenta:
« Tu e la tua famiglia avrete gloria d'amore e di
sangue; poi uscirete tutti, sulla via della morte, da
Porta Anastasia ». Guido, ardito e superstizioso ad
un tempo, fece murare questa Porta che s'apriva
a nord delle mura di Ravenna e che da allora fu
detta Porta Serrata. Essa mutò più volte nome, ma
ancor oggi, quantunque della vecchia porta non e-
sista più una pietra, il popolo chiama Serrata quella
che fu riedificata nello stesso punto. Poco resta an-
che delle infinite case Polentane già sparse in Ra-
venna e ricordate nei documenti. E' da escludere
dalle costruzioni della celebre famiglia l'elegante
palazzetta, ora dei Minzoni, nella quale una falsa
tradizione assevera esser nata Francesca. Del pa-
lazzo ili Guido Novello da Polenta restano appena
le brune muraglie, ed alcuni grevi modiglioni ; la
torre, la porta e le bertesche avevano raggiunto, du-
rando più di cinque secoli, la metà del XIX ; ma
fun .ni r abbattute nel 1860 e nel 1877.
Accanto a questo palazzo sorge la chiesa di San
Francesco, dove erano molte sepolture polentane :
ma una snla ne è rimasta, quella del settimo Osta-
ste ; forse l'ira dei Ravennati, fomentata dall'odio
dei veneziani, si fermò dinanzi a quest'ultima per-
chè vide l'immagine del defunto ravvolta nella ve-
ste di San Francesco. Vicino all'altra vetusta chiesa
di Sant'Agata sorgevano le case dei primi signori da
Polenta, e qui Francesca dovette essere frequente-
mente condotta a pregare. Una terza chiesa raven-
nate, Santa Chiara, fu costrutta dalle fondamenta
da una polentana: Chiara, figlia di Geremia; non
ne resta che un fianco e l'abside ; nella navata sì è
imposto un teatrucolo di filodrammatici.
Del castello- esistono miseri ruderi sformati e
convertiti in dimora di miserrima genie. 1 Polen-
tani, affermatisi con la forza e l'audacia, lo avevano
costrutto, e Guido Minore, padre di Francesca, ne
aveva ottenuto l'investitura.
Di ritratti veramente autentici , non resta che
quello di Ostasio, scolpiti» su quel suo sepolcro
del quale si è già parlato. Altri se ne indicano urlìi-
pitture trecentistiche d'i Santa Maria in Porto fu
ri; ai lati del prebisterio, negli affreschi inferiori,
si vedono due gruppi di figure: a sinistra due UO
mini, uno dei quali ha tutti i tratti caratteristici del-
la figura di Dante, l'altro si vuole ma non si
può provare che sia Guido Novello; a destra, due
giovani donne che s'affacciano a un balconcino:
una inghirlandata e ardita, l'altra più bella e timida
nella veste monacale. Nella prima si pretende scoi
gere Francesca, nella seconda Chiara, fondatrice
ilei monastero. Non manca chi in questo gruppo
ciede espressa la tradizione dell'ancella che spinge
Francesca a vedere, da una finestra. Paolo rhe le
si mostra d'inganno come colui rhe dov rebbi
sarla. Ma dinanzi a lei, invece di Paolo, sta Et
che assiste alla strage degli Innocenti.
Lo stemma dei signori da Polenta, secondo a
cimi commentatori di Dante, il quale parla dell'yl-
quilti dei Polentani, era un'aquila vermiglia in cam-
1.1-
l..\ LETTURA
l>.. giallo. M par hi storici
si ricava che in non ebbero un -
ma. Nessun mnia dell;
in Ravenna e fuori: quelli sfuggiti all'odio dei ne
la t uria della rivoluzii
i .in.!., a far fede del-
i polcrale di Ostasio da l'oleata.
l'ini; i l'aquila che abbatte la donnola affer-
irro.
e dei 1'' i 'li Fran-
monumenti. Venendo all'arte, se un solo
furono ispirati dai I'1
ni: il dipinto 'li Giovanni Mochi e due illu-
strazioni ' ila Storia veneta,
intorno all'episodio di I un'intera
. II. UHI.- due. SVOl
iti: o la i ragica unirti- ili
. n il Inm Milo iii-lla ■ liniera in
•a ».
L'ind di stia 'Ini i dui Frati Hi
Gianciotto Malatesta non erano più fan-
ciulli uri 1263, perchè un breve pontificio .1.
novembre ili quell'anno dice che entrami
1 ravveduti ili certe pensioni a carico dei
1 na, prò sineei ne quam
Romanam ecclesiam ; e in un atto ilei
11 • chiamati scolari -. I'. uni dopi .,
1 ■■ bili 11 ( ìhiaggiuolo . dalla 1 |i
due figli. El ii l
n 11/r. restò in i ai ii 1 p co più di
arsene. F raro 1 » .1. dalle nozze a 'ii
Me quali ni 'ii si b .n. im e la data,
ima figlia, chiamata, o 1 nome dell'ava paterna, Con-
rdia 1 ' ragica lei due amanti dovetti
re in Rimini, nel 1285. I poeti fecero 'li 1'
un eroe, un valoroso condottiero, nienti.
dell'Ottimo commento lo disse « molti
l » ■ ■ mi Ita cosi 1 iti 1 '!■ .'. ma acconcio più a ri]
a travaglio; e i documenti e le notizie chi si
hanno confermano questa opinione, cominciando
dalla sua dianzi narrata rinunzia all'ufficio di ca-
pitano del popolo in una citi '■ Gian-
riotti 1 di Pai di 1 : defi rme,
risi luto, battagliero. Il Ba acci . che ebbe parenti
in Ravenna e che vi si reni più volte, raro l
scrisse che Francesca non era stata promessa a
. I usi a Panili, che p"i per inganno le
fu ti. Ite. L' Anonimo fiorentino, come più tardi ("li-
miamo Ressi e il Clementini, raccontarono la stes-
sa l'usa: il raco ni. è ni parte diverso nelle eh
pubblicate ila Inni Vemon, e nel commento 'lei Lan-
dino, ma appunto perchè diverso, prova che di-
ersa era la fonte e. indirettamente, che era opi-
o lumie 'he a Francesca fi sse pn mi sso uno
lineili Malatesta, e poi fnsse data all'altro.
Rispetto alla parte segreta 'Ielle relazioni fra i 'Un-
ii i, nessuni 1 nffre notìzie (eil è naturale) se nuli
parafrasate da Dante Sulla inerte, appena <|ual-
che particolare forse inventato dalla fantasia ovv-
iata ilei pubblico..
Gli episodi min mancherebbero «li varietà; ma
nessuno degli artisti si è allontanato dai soliti: i
ilue amami chi Voi i ■ .1 l'ante 0 ililegua-
li r perso », oppure che lasciano cadere
il libro, osi baciano mentre sopravviene Gianciotto.
Un gruppo in marmo si trova in casa Bellenghi,
a Ravenna; un altro tu acquistato 'la Ioni Glad-
a Parigi; un altro, scolpito 'la Felicita de
Favi :i . ■ i ti dal o «ite Pourta - ["re bas-
sorilii \ i si ni i siali scolpiti da Antoni, i
sizione 'li Parigi ilei 1831), ila Gaetano Motelli
sposizione di Londra del 1852) e Leoni I uigi Buzzi
(Firenze ri
L'elenco dei pitti >ri è molto più lungo e non an-
cora . dai miniatori trecentisti sino allo
11111//.1 e al Dorè: vi si trovano i nomi ili
Carlo Ai Giuseppe Bezzuoli (1816) di Fran-
B ccaccini (1858), ili Arnoldo Boecklin, ili
Uessandro Cabanel, di Giulio Carlini (1857), ili
lo Carpiani (1838). ili Felice Cataneo (iS.'u),
ili Cosimo Cosmi (1839), 'li Paolo Delaroche, ili
Descoudri de Dusseldori (1851), di Henri Decai-
DALLE Rl\ IS
[-53
sue (1841), ili Laderèze (1852), di Cesare Dusi
(1831), di Achille Farina (1845). di Frano
Foumder (182S). di Romualdo Franchi (18
Giuseppe Frascheri, il quali Paolo e
Francesca tre volte; di Francesco Giuliani
di Gian G Henner, di Giovanni Ingres, «li
Gaspare Landi, di Carlo Ernesto Liverati (1833),
di Enrico Monti (1842), di Nicolò Monti, ili li u
seppe Pelavero (1852), di Gaetano Pia [820),
di Francesco Ppdesti, dà Gaetano Previati, di Dante
Gabriele B ss . di Attilio Runcaldier, di Ni
ri, dì Ar\ Scheffer, di Gi rgio Watts. A que-
ste opere, ispirate dalla pietà dei due cognati, s
da aggiungere altre che rappresentano Dante
cade privo di sensi dopo il racconto di Francesca:
due dipinti di Yogel di Volgestein ; un terzo
quadro è di Rober von Langer e un bassorilievo in
metallo di San Rubino.
Venendo alla letteratura, i due che hanno trat-
l'argomento considerandolo nell'arte, nella
storia e nella critica, sono Luigi Morandi (Città ili
Castello, 1884) e Carlo del Balzo (Napoli, 1895).
La parte storica e stata trattata ampliamente da
Luigi Tonini, anche polemizzando con Marino Ma-
rini, ostinato a credere che la fine dei due amanti
- ■ succeduta a Sant'Arcangelo. Sullo stesso ar-
gomento scrive Nicola Santi, come senza novità
riassunse la storia Carlo Yriarte. Nella letteratura
romantica si registra una fredda novella di Filippo
1 1 . un'altra di G. Alberi , un'altra
Jucrs, una li Rem- Delorme e :
quinta di [Idi I venni. Fra le tragedie,
oltre quella ni - Ivio Pellico, sono da ci-
tarne altre di Eduardo Fabbri (1822), di Luig U
lacchi (1824). di Anti do Viviani (1834),
Rapisard Stephens Phillips e quella del
l'Annunzio. Falle tragedie soni 1 erse
parodie: una di Anti lio Perito (1867), una si
da di Francesco Cristofori (1872) e una terza di
I i'.iiì V 1 1887 ). Maggi re è il nu-
mero delle opere in musica: de! erali (Vene-
zia, 1829), dello Staffa (Napoli, 1831), del Four-
nier-Govre (Livorni . 1832), del Boi
1837), del Devasini (Milano, 1841 1, del Cane! I Vi
. [8 1.3 1. 1 li I Brancai cii (\ enezia, 1844), del
Mi scuzza (Malta. 1877), di Hermann Gotz (Mann-
heim, 1877) e- di Ambrogio Thomas (Parigi, 188
Nessuna è nata vitale; un'altra ne sia musicandi
Luigi Mancinelli su libretto del Colatati.
Di poesie se ne hanno poche, e cattive. 1 ehi sa-
1 l 'ante si mo infiniti ; il n iggii
è Francesco De Sanctis; sono da ricordare an
l'amenissimo don Matteo Romani. Nicolò Far
il Kraus, lo Si il Filomusi Guelfi; il N
foro, il Salza, il Poggi, il Maschio, il Ronzi, il R
dani, il Pahzacchi, il Genovesi, il Termine Trigona
e finalmente lo stesso Ricci, autore dell articoli
abbiamo qui riassunto.
Ir^l^B *£*' r3tXk
Presunto ritratto di Francesca.
i.»j LA 1.1 I li i- \
Ii'ideale femminile nel Rinascimento
(Da un articolo della rivista VelHagen unii Klasings Ufo-
natsh
Il bello non è una convenzione, né una creazione
rtisti o ili legislatori) ma ha la sua essenza e per
dire la sua anima, vibrante in tutto il gran
tre» della natura.
ualcosa che fiorisce da s i flora
l di una riviera: o ni uomo anche
primitivo o fanciullo dovrebbe trovare in sé la
tilla dell'invenzione artistica. Il gusto line e
sito nella concezione e nella riproduzione del hello
. i tri quindi sostituire senza difficoltà i
trattati dell'estetica e dell'arte storica.
via anche l'arte storica ha una grande im-
;>. rtanza.
La pittura, la scoltura, la musica fiorirono sem-
inile religioni, sia presso le are druidiche, sia
Fu. uro I.ii-i I.
Madonna.
le ardimentose cupole cristiane: non sempre
uguale però ne fu lo stile, dovendo questo rispon-
naturalmente all'evoluz ca e ai diversi
particolari che ispiravano l'artista. Cosi, ad e-
- ■ -in [ •« .. l'arte del Rina I ur unendosi alla
religione, durante l'opulenza dei Papi, dei ■ mostri.
dei prìncipi, conservò sempre la sua intima natura
alquanto mondana, che sotto le froi se di
angeli in preghiera lascia forse leggere un'idea ten-
l : — lo di I fasto e dei n i ra il
lo dell'umane rto dalle rovine che a-
Vtila e Genserico, era insomma il Rina-
Si intento. La maggior parte delle opere d'arte era
però destinata alle chiese e ai conventi, onde i temi
artistici tutti si aggirano nel ciclo r . I clau-
strale. Scompaiono cosi le pallide madonne ilei due
cento, lasciando trionfare figure ardite di femmi-
nile gioventù, e non potendo gli spenti dei dell'O-
Lorenzo in Credi.
La Maddalena.
limpo discendere più sulla terra, vi discendono però
i Santi cristiani che vengono plasmati da modelli
viventi. Cosi gli artisti più non dipingeranno le
loro Madonne in un'estasi 0 in un sogno di pre-
ghiera, rapiti nelle pallide visioni ultramondane,
ma le empieranno dalle teste procaci delle belle
tentine, fatte posare un istante sotto l'azzurro me-
_■ l'iato del cielo d'Italia.
E' una tendenza realistica, è il trionfi della
minilità sulle visioni, ('osi l'arte del Rinascimento
si esplica principalmente in studi di teste, in ritratti
di Veneri e in riproduzioni di bellezze profane.
L'arte nuova del 500 è cosi la negazione asso-
luta dell'arte mistica del Medio-evo, arte 1 he non
tendeva alla riproduzione della realtà, ma ad un
indefinito e povero simbolismo, al quale bastava
per significare un re morto porre su una tomba una
11 .rona e una spada
L'evoluzione da questa povera arte simboli)
so l'arte trionfale del Rinascimento si operò sul.»
lentamente. Cominciò al perii» lo dei trovatori e
delle buie leggende d'amore cantate ai piedi dei
1 Hi feudali, cominciò nelle giostre e nei tornei,
quando la donna cominciava appunto ad ispiran-
te ardimi iiios.- imprese della cavalleria. C. .d'in-
gresso della donna nel dramma grandioso delle
lette medievali comincia il perìodo fiorente della
unile bellezza
E qui appunto si sveglia Giotto, il Muse di una
nuova pittura.
A lui. nei claUStri e negli eremi silenziosi, sorrise
l'idea di strappare alla testa umana la rigida espres-
sato, di guisa che la figura acquisi
Botticelli. — Ritratto.
Raffaello — La Madonna del Granduca.
Gaudenzio Ferrari. — Madonna.
1.1'
LA LEI i I
un. in . pulsarli i quasi
i panneggiamenti che più non <
nuscoli. Egli ritrae la natura nella sua ve
rità ; egli inizia l'èra della rivoluzione pitti rica che
nel Rinàscimi i nel ■ i-'5
ne : suiio il suo pennello aumenta ari
la pi Iella figurazione pittorica; finalmente
e le vene puls
te, e i seni robusti ed angolosi palpitano nelle
forti figure muliebri: è un realismo quasi bru
che trionfa sotto il sin. scalpello, lasciando
e dal bronzo balzare vivi e palpitanti i
capolavori del bello femminile.
Wl quattrocento la rivoluzione artistica Ila I»
muliebri i i mpre più, vi còni i i
■ Mimi, audaci o licenziasi, pei quali le belle
' i arrossii ani i di posare 'li
ì '.misti in tutta la pompa della bellezza.
I i moda pure portava grandi mutamenti alla bel
lev/a femminile: i capelli che venivano levati ai
mg ii della Fronte rendevano questa più spa
tondeggiante: le sopracciglia strappate con
stoico martirio, pelo per pelo, colli pinze, aceri
l'espi isioni della femminilità . le acci meiature
ed i veli del capo davano .ili'- teste una fine espres-
ili melanconia e 'li idillii ..
E qui già si delinea il trionfo del Vermocchio, ili
Filippo lappi, ili Sandro Botticelli, 'li Piero ili
imo, finché quando il quattrocento si è del tutto
ncipato dalle ultime reliquie del Medio-evo,
ndo il sapere è al fastìgio, quando le guern tai
io dinanzi ai trionfi dell'arte, spunta sull'oriz-
zonte Le nan In ila Vinci. La sua ( ìioci nila 0 Monna
I sa i la prova migli n- del perfezii namento rag-
giunto nella figurazione dell'id di femminile. La
■ li qui sia donna meravigliosa è \m
sorri eri i a - di nobiltà che si diffonde sulla
fronte e agli angoli della bocca, è un'espressione
I da d verità i insii me 'lì idealismo che
una spirituale intuizione della natura. A
lavoro finito i ritratti vinciani dimostrano l'ani-
hi si distende sui lineamenti e li abbellisce,
non pi-r vile adulazione ma per arrivare all'espres-
più elevata dell'idealità femminile.
1 1 modello in i [uesti i ti m| o diventa la ba ;i
ni.-: essa però si rve a dare le grandi li
. il in. \ imenti i pei (5 si 'lire, non l'espi di Ila
, che Leonardo tra la una sublime
visione dell'ideale.
Ma i tempi erari ormai i i I .nini,
Soddoma, Gau zio Ferrari, tutto insomma il ce-
nacolo artistico ili Leonardo da Vinci, possono con-
cretare qua un canone speciale l'ideale della
mi. \ a belli zza femminile.
\. i isulta r' -i una testa 'li donna dalla I
ovale, dalla fronte alta, dal profilo diritto, dai ca-
pelli nie ' .miniati che coronano la
modellatura dell'insieme. Il i riuso del primo
Rinascimento scompare per farsi affilato con una
curva leggermente disegnata, i ti mando rosi alla
gramli traili/ioni dell'arte greco-romàna,
Ma l'idealità femminile comin Miniente
la parabola della discesa Michelangelo, geni.
gantesoo, eternamente sognante i ciclopi e le cupole
immense, volle imprimere la grandiosità anche sui
'iil" li volti femminili e loro tolse quella morbida
'■quasi vellutata plasticità della quale avevano
riso le teste preraffaellesche.
Ultimo del grande ciclo del Rinascimenti
infine Raffaello ehe giunse all'ultima inarru
espressione del bello femminile.
E un tipo ninno che risponde al fui/ «Iella nui va
creazione artistica; un tipo ehe rimarrà fon
sublime espressione del gènio umano.
abbiamo così un dolcissimo volto femminile a
forma rotonda coronato 'lai capelli lisci, quasi <li
seta.
Questa nuova espressioi di Ila belli
a Raffaello nelle loggie di Ri ma presso i grandi
ricordi dell'arte e della classicità : ma non gli bastò:
nella dalatea cercò non più ai ruderi di Ri ma ma
ai si gru del suo genio divinatore il tipo più grande
della belli //a muliebre e lo trovò col trioni" del
l'idealismo.
Con lui si chiude l'epopea artistica del Rii
mento: dai i lì incerti studi di anatomia, a
verso il realismo delle modelle fiorentine, siami
nalmente arrivati alla concezione ideale della fem-
minilità, alla spiritualizzazione dell'amore.
Lkonardo. — Lucrezia Crivelli.
Leonardo. — Testa ideale.
-Ifli ^ ^
.
:
Va*'- n
_
!
ikoo. — Stadio.
(58
1 A LI. TI URA
he pieeole meraviglie della natura
(l>a un utlcolo di John J. W«rd, nei Good Words, gen-
")•
Pochi immaginerebbero che la bocca di una lu-
essere un oggetto interessante ili stu-
dia Eppure così è. I " ■ re dell'articolo ne è i» r
- ■ i' lo dimostra con le sue parole e le sue foto-
. . I a bocca ili una lumaca ordinaria, ili
«lucile che anche si mangiano, contiene non meno
a una nuova Bla, ili guisa che alla fine non
manca niente.
Perchè qualche lettore non resti incredibile su
o numero sterminato di denti, l'autore ripro
la fotografìa (fig. i> presa da lui ili parte del
] alato di una lumaca quale si vede al m'u
col suo gran numero di denti Questa dentiera è tor
midabile se non |»t la grandezza, almeno pel nu-
mero delle anni che servono magnificamente a
ridere i vegetali, come sa ugni giardiniere. Dalla
dentatura si può benissimo distinguere ogni genere
ed anche i ie: in molti un Muschi li -
Fig. i.
Fig. 2.
di 140 file di denti, e ogni fila contiene 151 denti,
per modo che in tutto i denti sono 21,140: di che
disperare un dentista! Ma le lumache non hanno
alcun bisogno di cure artificiali per i denti. Quando
una fila si consuma, quella che sta dietro viene a-
vanti prendendone il posto, e in fondo alla serie si
tura di questi organi basta ad individualizzare la
specie.
L'autore ha fotografato (figura 2) in dimensioni
molto maggiori parte della figura 1. a mostrare la
struttura e lo sviluppo dei denti. Questi sono traslu-
cidi, brillanti. Illuminati e guardati attraverso il mi-
ì
IiAI.Ll'. RIVISTI [5o
croscopio, fanno un bellissimo vedere. Alcuni sono stinati a provare i vari succhi prodotti in tanta ab
sposti come file da baionette, o di aghi, ecc., men- bondanza dai fiori e dai frutti maturi dei nostri
tre altri hanno Torlo seghettato. Una delle figure giardini. La proboscide ha la grossezza di un ci
Fig. 4.
F'g- 5-
che riproduciamo, la terza, mostra anche alcune file
di denti dello stesso palato e di natura diversa.
Le prime tre illustrazioni raffigurano palati par-
ticolarmente adatti alla masticazione dei vegetali;
l'illustrazione num. 4 rappresenta il palato di una
lumaca di abitudini carnivore. Pei vermiciattoli di
costituzione molle, ci vuole un apparato di natura
alquanto diversa. I denti, come si vede dalla figura,
sono lunghi, sottili, barbificati e ricurvi, col taglio
rivolto all'interno, verso la gola. Un verme preso
entro quella serie di 2500 spine incurvate messe in
moto dai muscoli non ne esce più vivo!
Mi 'Iti insetti, come le mosche 0 le farfalle, sono
muniti di proboscidi. La figura numero 5 rappre-
senta la proboscide di una farfalla comune, simile
a quella delle altre farfalle. Ha l'apparenza di una
molla di orologio. Distesa, sene a succhiare il net-
tare dei fiori. Le piccole appendici che si vedono
alle estremità si suppone siano organi del gusto, de-
Consiste in due tubi vicini che l'insetto può allon-
tanare o dividere secondo che vuole.
Tra le varie fotografie di cui l'autore dà ripro
duzioni nei Good Words, ve n'ha una ov'è riprodi
un pezzo di ala d'una farfalla (figura 8). Sulla mem-
brana dell'ala, come tutti sanno, si trovano minu-
tissime squame che vengono via al solo contati
che son quelle che danno all'insetto i suoi magni-
fici colori vistosi. Le squame, disposte su entrambe
le facce della membrana, sono sovrapposte come
sulla pelle di un pesce. La membrana poi, sebbene
sottilissima, è costituita da diversi stati sovrapposti.
Un'altra fotografia (figura 7) rappresenta la testa
e le spalle di una mosca comune. Si vede benissimo
la struttura singolare della parte superiore del pri-
mo e del secondo paio di gambe. Sulla parte ai
riore del capo si vedono come due proboscid
sono gli organi con i quali la mosca punge la no-
stra epidermide quando la sete di sangue s'im]
Fig. 6.
1 1 1. .
LA LI T '
che succede molto spesso La osa più semplici
i piuttosto piccola. 1 1 Farla mondo !
impresa. Sottoporre un l n'aJtra i re illustrazioni (figura 6) rap«
FÌB
alla macchina : tire le sue abitu- presenta la polvere che rimane sulle dita dopo «he
dini vivaci, persuaderla ad assumere un contegno s'è uccisa o toccata una tignuola.
Fig. 8.
DALLE RIVISTE
IDI
li' afte di dipingere eoi francobolli
Non è più necessario adoperare i ci lori per di-
pingere, né i francobolli servono soltanto ad essere
appiccicati sulle lettere. Il signor J. Van Wylick,
di Liegi, nel mese di agosto del 1900 espose a Pa-
rigi cinque quadri confezionati coi francobolli: due
paesaggi, due soggetti religiosi e un quadro di ge-
nere. Il più grande misurava 1 metro e 3 centimetri
per 74 centimetri; il più piccolo 37 centimetri per
30. Il meglio riuscito rappresenta Gesù che fn
il vangelo; il fondo era composto con francobolli
era dispiacevole. Nondimeno questo usta
fu incoraggiato con una a d'argento, il si-
gnor Bizot, chi inch'egli esposto dei [uadri
ottenuti o ni lo stesso [ recedimenti >, ne ebbi un'altra ;
medaglie di bri inzo otti [in e i!
Vari Elven, di Milano.
Le due regole inviolabili di questa riuova arte
sono queste: 1" la decorazione si ottieni
mente coi francobolli; 20 ogni ritocco è una 1 rode.
L'artista si può servire delle obliterazioni, ma non
deve abusarne. Egli procelle in questo modo: mette
dapprima i francobolli nell'acqua, durante un'ora,
per distaccarli dalla carta dove sono incollati. Quelli
che si stingono rivelano di non essere ado] erabili.
Ritratto, da Rembrandt.
svizzeri da 1 lira, interi 0 ritagliati per dar luogo
alle figure: a breve distanza l'illusione era perfetta,
tranne che il quadro somigliava alle opere dei pri-
mitivi. Vi si notava quella semplicità un po: ri-
gida che contraddistingue le pitture ilei XII e del
XIII secolo; la prospettiva era però osservata. Le
carni e le pieghe delle vesti erano ottenuti con tran-
ci bolli di diversa provenienza. Bisognava avvici-
narsi molto per leggere sulle stoffe e sulla scorza
degli alberi le lettere e le cifre attestanti l'origine
dei materiali impiegati: Rep. fratte, oppure /'■
gè. Un altro dei paesaggi esposti dal Van Wylick
rappresentava i dintorni di Delft, con buoi e mon-
toni pascolanti nella campagna : quadro sul gusto
dei Fiamminghi; ma, da vicino, l'impressione ri-
sentita nello scorgere la sovrapposizione dei bolli
La Lettura.
Gli altri si lasciano seccare sopra degli asciugamani,
poi tra fogli di carta sul:. mie e poi Sotto un pi
sotto un torchio da registri copia [uando
bene asciutti, si o in
tante scatolette ili uno di ciasi una :
s'incolla, cniin- campione, sul coperchio; ed
1 onta in tal modo la tavolozza del !
avere delle pica ile I
fi e un tempe 1 una
ina detta Sied lani etta, molto fìi
ente dalle due parti, e finaln pi ni
di divi mie/za destinati alcuni a incollo
pezzetti dei francobolli, altri a clan
smali
Quan I 1 qu eriali I artista
traccia sulla tela, con una matita molto appuntata,
11
ÌOJ
LA LETTURA
le linee dello : gli ha da dipingere un
bleuet, prende un frati b 25 centesimi az-
zurro scurii del 1850 e vi ti (itomi < lei pe-
tali ; ne prende poi degli altri da ;o centesimi
in modo che la penna non incontri dei corpi duri.
altrimenti potrebbe r.>mpersi. Se culi commette un
errori da rifare: se una tinta man
ca, b il francobollo adatto, e quando ri
l'n paesaggio dipinto coi rancobolli.
Imitazione di un quadro di Boucher.
I nini su verde per il ramo
verdi, attuali, per le foglie di diritta.
■1 la penna SU
■ l Ila i fra; ili carta
nalmente questo lavoro paziente da mosaicista è
finito, quando il quadra • secco, si lava la tela con
una spugna imbevuta d'acqua fresca, che ln-
esso senso, per far scompa-
DALLE KIYIS'I
[63
rire qualunque traccia di gomma. Allora l'artista
può giudicare dell'effetto e operare i ritocchi, sem-
pre mediante francobolli interi o ritagli di franco-
bolli. Ventiquattro ore dopo che il quadro è ascii
dopo i ritocchi, si prende con un pennellino una
goccia di vernice, si lascia cadere sopra una parte
Arazzo giapponese eseguito coi francobolli.
della decorazione e si distende sul tutto ; poi si ri-
comincia con un'altra goccia, finche lo strato di ver-
nice è giudicato sufficiente. Si lascia nuovamente a-
sciugare il quadro durante otto giorni, dopo di che
non resta da far altro che metterlo in cornice.
I lavori così ottenuti non sono sempre riusciti:
al contrario, sopra cento quadri, due appena hanno
qualche valore. Per questa ragione i prezzi ne -
molto elevati. Un piccolo paesaggio, rappresentante
due cervi che bevono in un ruscello, è stato venduto
300 franchi: seimila francobolli erano stati
perati per metterlo insieme. Altri quadri, più gran-
di, hanno raggiunto il prezzo di 3000 franchi : la
loro confezione ha richiesto nove, dieci, talvolta do-
dicimila francobolli. Un fratello della Dottrina
cristiana, fondatore di una casa d'istruzione in Al-
vemia, ha eseguito coi francobolli un quadro rap-
presentante, con tutte le minime particolarità, con
L'esattezza d'una fotografìa, il suo immenso stabi-
limento: il quadro è lungo un metro e mezzo e lar-
go 65 centimetri.
Ni 'ti s si 1 Lipingi 1 li ; |uadi i con questo
sistema, ma si decorano 1 piatti. All'espi sizione fila-
telica di Londra, nel iSqo. figuravano delle porcel-
lane nere, nelle quali si staccavano in eh;. irò dei
liori e degli insetti. Alcune signore 1 landi
ghe hanno alti posto dei veri fiori artificiali,
non già incollati sopra un fondo, ma montati sopra
lo St( Il ».
Siamo, come si vede, mollo lontani, dal tempo
nel quale i primi collezionisti si contentavano di
ni' mare dei paramenti 0 di decorare una stanza!
Ma, nel mentre chi dipinge coi Francobolli ammira
1 propri lavori, altri collezionisti li trattano da bai
bari e da vandalo. Non è un delitto di leso-filateli-
smo tagliare dei francobolli rari come quello ver-
miglio da 1 franco della Repubblica o come il 2
■-. antico di Spagna?...
Per la fortuna!
I »a un articolo del signor Lewis Perry
Magatine, fascicolo di dicembre).
nello St tatui
L'autore di questo articolo, un giornalista, ri
aver veduto durante le sue molteplici peregrinazioni
ogni fatta di collezioni ili curiosità, ma soltanto di
recente gli capitò di vedere una raccolta di mascot-
te s per uso dei giuocatori. La vide nell'isola di Wight
in casa di un vecchio lupo di mare che, avendo pe-
stato servizio lungo tempo sui battelli che attraver-
sano la Manica, aveva avuto occasione di cono-
scere gran numero di giuocatori. La raccolta è ricca
di stranezze. V'è, ad esempio, un pezzo di carbi te
l'n pezzo di carbone prezioso.
che all'aspetto non ha nulla di straordinario: pure
o »lui che lo ni 'u l'avrebbe dato via
tutto l'oro del mondo. Egli l'aveva trovato un giorno
che, dopo aver giui 1 Monte-
carlo e perduto sino all'ultimo centesimo, passeg-
a m rido il suicidio In prossimità di una
nave da cui si stava scaricando il carbone: l'aveva
trovato.... in fondo alla propria tasca Pensando
1 sse buon segno, superstizio
tutti i giuocati 1 in prestito una picco! 1 si m
ma e tornò alla bisca. Quando venne via. la mal
'"I
lina segu va vinto .^o.ooo franch l :.> al
lora in i sempre e diva
stanco ili giuocan >■ contento della fortuna i
turila n Inghilterra, regalò il pezzo 'li carbone al
LA LETTURA
1 ire sacchetti di sale.
capitano collezionista. Nella collezione v'è pure un
dito tolto alla inano di un settimo figlio. Quel dito
iicniic ad un'attrice che 1" teneva sempre seco
giuocando, e i empre. pare. Inuma fortuna,
Sno al giorno che, essendo caduto in terra e andato
in pezzi, perse l'incanto: e l'attrice perse la for-
tuna.
Un s ro giù va per mascotte tre uova
chiu- l i faceva vedere la
amici affermando ch'essa gli portava
na, ma che se un solo uovo si fosse rotto, la
P min. i sarebbe venuta meno. Una sera quell'u imo
fu trovato assassinato e non gli si rinvenne ind
la scatola. Questa si trovò indosso all'assassino che
l'aveva rubata e che fu tratto tosto in arresto. A-
perta la scatola, si vide che un uovo era rotto.
Un nostro disegno riproduce un'altra ma
il cui antico possessore assicura che gli portò gran
fortuna. Si tratta ili tre sacchetti ili seta, Li.!!
un tempo, contenenti del sale. Appartennero ai
nuolo che fu giuocatore ostinato e si ritirò pei
da questa sua occupazione abituale straordin.i ria-
mi il
Quantun |ue il ferro di cavallo sia in buona fami
presso i superstiziosi, non sono certo frequenti le
mascottes come quella rappresentata nell'uri
delle illustrazioni qui unite. Si tratta di un |i
ili cuoi" tagliato in forma ili ferro ili cavallo E
chi tagliò il cuoio non si valse ili un cuoio |u;
que: impiegò il cuoio preso da una scarpa di una
Un «ferro di cavallo* singolare.
vecchia che aveva fatto un pellegrinaggio a Lcui-
iles percorrendo in tre giorni 89 miglia. Perchè quel
cuoio ào\ ir fortuna non si capisce he.ie.
Ma in queste cose ehi ragiona?
Tre uova che cagionarono un assassinio.
DALLE RIVISTI
r65
Nel mondo ignoto
La Lettura diede nel fascicolo ili Gennaio il sunto
dei primi articoli pubblicati sul Matin da Giulio II.
intorno alle forze occulte. Poiché l'argomenti . .'■ di
quelli che eccitano curiosità e interesse in ogni or-
dine di lettori, crediamo di non far cosa .sgradita
seguendo il Blois nei suoi nuovi articoli, i quali
sono anche più ricchi di cose notevoli che non i primi.
I teosofi.
Il redattore del Matin, dopo aver notato che tutto
questi, movimento verso il di là è una reazione con-
tro il nullismo materialista, si occupa della scuola, o
per dir meglio della religione dei Teosofi, i quali
(ormano una vera e propria chiesa, con dogmi, con-
cilii e clero, e pretendono di ricevere i loro insegna-
menti da infallibili maestri: i Mahatmas, abitatori
dell'Himalaya e del Thibet, pronti a rivelarsi in
ogni luogo del mondo a coloro che giudicano degni
dell'insigne favore.
_ La Società teosofica fu fondata nel 1875 a Nuova
\ork da una slava, la signora Blawatsky, e da un
Americano il colonnello Olcott ; ma il suo ufficio
centrale è passato a Londra. In Francia l'apostolo
della teosofia è il dottor Pascal, il quale da Tolone,
dove guariva le persone con l'omeopatia e il ma-
gnetismo, passò a Parigi dove fu iniziato ai nuovi
misteri. La gran sacerdotessa Annie Besant eser-
citò una decisiva influenza su lui, e il viaggio in
India, dove egli vide i yoghi traversare tranquilla-
mente, senza bruciarsi neppure i piedi, enormi roghi.
finì di affascinarlo.
Intervistato dal Blois, il Pascal ha detto che la
Società teosofica conta oggi più di cinquecento se-
zioni diffuse in tutte le parti del mondo, dalla Fin-
landia all'Australia, e che nella sezione parigina,
dal 15 ottobre al 15 luglio di ogni anno, si tengono
dei corsi aperti gratuitamente a tutti coloro che vo-
gliono studiare la nuova dottrina. Una guida è ne-
cessaria ai neofiti, perchè altrimenti l'iniziazione po-
trebbe essere pericolosa. Secondo la scuola, gli uo-
mini arrivati a un alto grado dell'evoluzione pos-
sono, mediante uno speciale addestramento, svilup-
pare la capacità dei loro sensi. Esistono, nel mondo,
una quantità di corpi: l'evoluzione generale si com-
pie mediante la loro successiva elaborazione. Per
esempio: nel minerale, la materia fisica si orga-
nizza in atomi ed elementi chimici che producono il
calore , l'elettricità , ecc. ; tra i vegetali più svilup-
pati (sensitiva) e tra gli animali appare la fai
di -entire. La sensazione è il risultato di una vibra-
zione più sottile: la materia iperfisica. Negli animali
superiori e nell'uomo appare un'altra qualità: l'in-
telligenza, risultato di uno stato ancora più alto della
materia: la materia mentale. Attualmente, il ci rpo
mentale non ha chiara coscienza se non dalle vibra-
zioni dell'universo che gli giungono attraverso il
corpo fisico e ciò perchè il corpo fisico è quello che
si formò prima e che è più sviluppato ; ma il corpo
iperfisico (il corpo delle sensazioni) e il corpo men-
tale, benché organizzati più tardi, hanno tuttavia
1 [uistato una certa sensibilità. Per questa ragione,
dopo la morte, quando la cai uomo
sentirà per mezzo del suo involucro iperfisico, il
quale lo metterà in relazione col dì la. con 1.
mondo.
Due pionieri \ ivi sono penetrati in questo mondo
misterioso: il teosofo Leadbater e la teosofessa An-
nie Besant. Essi hanno col loro veicoli perfì co in-
frante le porte dell'altro mondo — o piano astrale
— il quale non è altro che il luogo chiamato purga-
torio dai Cattolici, kamalo-ka (piazza del Deside-
rio) dagli Indù e kades dai Greci. Questo mondo
di là è più gradevole del nostro, tranne che per gli
assetati di voluttà grossolane. Costoro vi soffrono
il supplizio di Tantalo: il desiderio ha sede nel-
l'involucro iperfisico, ma il suo appagamento, l'eb-
brezza, è data solo dalla carne; e siccome quest'ul-
tima è scomparsa, la soddisfazione diventa impos-
sibile. Nelle regioni più dense di questo purgati I
vi è un angolo dove si pigiano i disincarnati in preda
alle più basse passioni, i delinquenti, i suicidi, ecc.:
costoro soffrono talvolta terribilmente, per lunghi
anni. Ma essi sono poi liberati, perchè l'involucri,
iperfisico non dura più d'una trentina d'anni, e quin-
di si dissolve, come si è dissolta in terra la materia
fisica. Avviene allora la seconda morte, e sopravvive
soltanto il corpo mentale; il quale, perduti i due
involucri, resta aperto alle vibrazioni di un mondo
nuovo: il paese della pura intelligenza, il cielo. Ma
gli esseri superiori vanno ancora oltre il cielo, nei
mondi che gl'Indù chiamano nirvana, dove s'inabis-
sano in Dio. . .
Secondo i teosofi, l'Invisibile è pieno di miliardi
e miliardi di forme, delle quali noi conasciamo sol-
tanto quelle che possiamo comprendere e percepire.
Quando l'uomo potrà vedere e maneggiare l'etere,
allora entrerà in relazione con gli esseri ignoti. Tutte
le forze sono altrettanti esseri: l'elettricità, per e-
sempio, è un essere. Come l'uomo dirige gli animali,
parimenti 'gli esseri invisibili che rappresentano le
forze della natura possono essere diretti da colori.
che sanno. Il volgo, assetato di occulto e di magìa,
diviene lo schiavo di jiieste energie mentre, crede di
padroneggiarle. E' facile attirare gl'invisibili ; ma
essi allora si servono dell'imprudente che li ha atti-
rati come d'uno strumento: egli è alli ra pre 0, os-
sesso. In questi casi si verificano fenomeni simili a
quelli dei convulsionari di San Médard e degli Ais-
1 medium che producono effetti tìsici, sono
stati zimbello di 1 eri imbibili. I veri teosofi, in-
. attendono a sviluppare le forze che pus 1
servire alla si lidarietà umana e all'evoluzione. Essi
apprendono ai loro simili il modo di riempire la
Ltmosfera mentale di luce e d'amore..
La telepatia.
Dopo aver passato in rassegna le dottrine spiri-
l 'Miste e teosofiche, il Blois avverte che nes-
sun scienziato autentico le segue. Gli silenziati veri
stilino tanto lontani dalla cieca credulità, quanto
dalla più cieca incredulità ; Carlo Ric.het, eminente
tisiologo, così ha formulato il programma dei dotti
relativamente a questi problemi: « Rigorosi nel-
i66
i \ i .1 in i<\
l'esame, audaci nel Tip i Con tale pr
il Myers, professore all'Università di Cambrì
morto, fondò a Londra la Società 'li ricerche
psichiche, che ha reso grandi sen i/i. svelando da
una parte i maneggi della 1 Blawatsky,
mdo 1 inganno delle 1 ìriti-
che, ecc., ma studiando positivamente dall'altra
f. -ni' meni della chiaroveggenza, della trasmissi
dei pensii mdo i fondamenti di una nuova
scienza, la telepatia.
Questa ■ < ramai ammessa quasi universalmente.
1 professori Rachel e Marillier, i dottori Dariex,
1 e Halle, il filosofo Ribot, il poeta Sully
Prudhomn almente l'astronomo Flammarion
credono all'apparizione dei fantasmi delle persone
vive. Il Flammarion ha testualmente scritto: « L'a-
zione di uno spirito sopra un altro, a distanza, senza
l'intervento della vista, dell'udito, del tatto o degli
altri sensi, • un fatto scientifico certo come l'esi-
ettricità, dell'ossigeno 0 di Sirio ».
Fin dai tempi più antichi i presentimenti si sono
verificati Cicerone narra di un suo sogno telepatico
avveratosi. San Benedetto vide una notte in cielo
una luce che somigliava a Germano, vescovo di Ca-
lma: mando un messaggero in questa città e sepne
che Germano era morto nello stesso momento che gli
appariva. Più tardi. Swendenborg, trovandosi fuori
di Stoccolma, in un paesuccio, si sentì male e vide
in una specie di allucinazione la sua casa, nella città,
investita dalle fiamme d'un incendio. Le persone
mandate a Sti «-colma tornarono confermando in tutti
I particolari la visione dello Swendenborg; Kant fu
chiamato a verificare la verità del caso e dovette,
I he a malincorpo, ammetterla.
II Blois cita quindi alcuni fatti telepatici avvera-
tisi ultimamente a Parigi. 11 chirurgo Guinard ave-
va come dentista un certo L. .. e una notte, preso
da un gran male di denti, non potendo dormire, si
mise a lavorare ad una memoria sulla cura chirur-
gica del cancro allo stomaco. La mattina dopo corse
dal dentista perchè il male ai denti continuava an-
cora più forte, e il dentista gli disse: « Ho sognato
di voi tutta la notte in un incubo terribile: mi pa-
reva che avessi un cancro allo stomaco e che voi
sul punto di operarmi... »
Il Dieulafcv, dotto scrittore, ha narrato al Blois
un altro caso di telepatia. I . trovandosi in
un villaggio presso Tolosa, vide in sogno suo co-
In- abitava a boni. mx: il parente gli ap-
parve molto ammalato: il domani ricevette un te-
imma annunziarne che suo cognato era morto
durante la notte. Lo stesso Dieulafoy, a Parigi,
Ielle barelle, dove giace-
vano dei corpi irrigiditi, traversare il suo salotto ; il
in,, dopo ri. èvette una lettera del suo uomo d'af-
fari, il quale gli annunzi. iva che il mezzadro si era
annegato quella ti- ne con la figliuola: i ca-
daveri erano stati |>ortati a'easa in barelle del tutto
simili a quel n sogno.
Più meravigliosa è .incora l'esperienza di Buca
. nella quale la prò [■patiia non solo è
■ ' ■ tografare.
II i:< . che si trovava a Campana, pr :
al pn I' • ore Hasdeu di apparirgli, a data fissa, in
Bucan 1 - due città disiano press'a poco quanto
gì da Calais. 1. a sera stabilita l'Hasdeu disp
un apparecchio fotografico presso il proprio li
e fistiali non si addormì, a Campana, se non prima
\dlle, con la tensione .li tutte le su. fa 1 Ita mentali,
apparire dinanzi alla lastra dell'amico. Dormendo,
d'avere infatti impressionato la lastra, e ne
avvertì il professor P... Onesti si recò a Bucarest
e irovò l'Hasdeu intento a sviluppare la negativa:
sul vetro apparvero tre immagini, una delle quali
riuscitissima: la figura del dottore con gli occhi fissi
all'otturatore dell'apparecchio, la cui estremità me-
tallica era illuminata dalla luce dell'apparizione...
11 • biometro » e le fotografie dell'anima.
Ma questi risultati, quantunque meravigliosi,
sono oltrepassati da quelli ottenuti a Parigi dal lot-
ti >r Ippolito Baraduc, che il Blois chiama Paracelso
parigino. Il Baraduc ha scoperto l'Anima del Mon-
do, e l'ha battezzata col nome di ZotUre, che vuol
dire « etere vivente ». L'anima individuale di cia-
scuno di noi respira cotesta secreta vita dell'universo.
Il dot ti ir Baraduc procede per via di esperienze pre-
cise, ottenute mediante [Strumenti scientifici. Uno di
questi è il biometro col quale si registra la respira-
zione dell'anima. Consiste in un ago di rame sospeso
a un filo di seta e disposto a due centimetri sopra
un quadrante il quale sormonta un rocchetto di 1.15
metri di sottilissimo fil di ferro, in una boccia ripa-
rata dalle variazioni della temperatura e dalle vi-
brazioni esterne. < "uest'ago ha la strana proprietà dì
essere influenzato, senza contatto diretto, attraverso
la parete di vetro della boccia, dalla presenza di
una persona. Non si deve far altro che dirigere la
mano perpendicolarmente alla punta dell'ago, in
modo che l'estremità delle dita resti a tre centimetri
dal quadrante: dopo tre minuti di posa, l'ago è at-
tirato o respinto dalla forza che si sviluppa dallo
sperimentatore, forza che attraversa tutte le so-
stanze cattive conduttrici del calore e dell'elettricità.
Durante quattro mesi il dottor Branly, tìsico 1
per i suoi studi sulla telegrafia senza fili, fece espe-
rienze col Baraduc su questo biometro, e concluse
che l'elettricità e il calore non avevano n
vedere coi risultati ottenuti, i quali sono dovuti a
una nuova energia, a una forza ignota inerente al
corpo umano. La scoperta del Baraduc è dovuta a
io anni di ricerche ed a circa 4 mila osservazioni.
Egli dichiara di avere osservato che ciascun indi-
viduo impressiona l'apparecchio secondo il tempera-
mento e lo stato della salute: quindi questa forza
sari-Mie la stessa fona vitiiìc. Lo sperimentatore e
arrivato, assicura, a questo risultato: che i numeri
ro", :o". 30" sul suo quadrante hanno un significato
biometrico come le cifre 35°, 37°, 400 hanno un si-
gi liticato calorifico nel termometro clinico. Nelle
esperienze, si serve di due biometri, uno per la mano
diritta ed uno per la sinistra, giacché vi < fra esse
una differenza : la destra sarebbe fisica, esprimerebbe
l'attività, la salute; la sinistra sarchile psichica,
■ che accade nel cervello 0 nel cuore.
RIVISTE
Come i polmoni e lo stomaco, respirando e digeren-
do, alimentano il corpo, sì l'anima inspira ed i
ra l'anima universale, il Zoetere, l'assimila e l'espelle.
Il biometro misura questa funzione...
Il Blois, durante l'intervista oon l'inventore, vide
arrivare una signora. Il dottor Baraduc la cono,
dinanzi al biometro ; l'osservazione dello strumento
diede questa formula: att. 10 / alt. 1 S\ « Voi vi-
vete nel piano materiale », fu il responso del dot-
tore : a siete una biliosa, un'ardente, una violenta ».
La signora si fece rossa, e confessò che, quantunque
oon fosse sempre così, pure poco prima aveva avuto
una scena d'inferno col marito. Il Baraduc la invitò
a tornare più tardi, per fare una nuova prova, dopo
che i suoi nervi si fossero calmati. Ella tomo ini
e il biometro segnò att. 30 j att. jo. « Queste cifre
rivelano che siete spiritualista, ragionevole e calo
disse il dottore ; e la signora confermò che si era ri-
conciliata col marito e che il suo spirito si era sedato.
Ma il Baraduc ottiene risultati ancora più stupe-
facenti fotografando le emozioni. « Poiché la forza
vitale è movimento, e si esteriorizza », dice egli, « de-
ve essere anche luce, quindi deve impressionare le
lastre fotografiche ». Egli procede col metodo a sec-
co, senza contatto, con o senza apparecchio, nell'o-
scurità totale, attraverso la carta nera o nella camera
oscura. La lastra fotografica è da lui avvicinata alla
fronte, al cuore o alla mano del paziente, e resperi-
mentatore ottiene la fotografia degli effluvi elettrici
vitali e delle radiazioni nervose. Il Gebhart, nella
Revue scientìfiaue, ha affermato che queste pretese
fotografie dell'invisibile non erano altro che nega-
tive male riuscite: le macchie, le immagini che vi si
scorgevano dipendevano da difetti dello sviluppo ;
ma il Baraduc risponde che egli agita a dovere il
bagno, e che sulle lastre impressionate si ottengono
dei risultati, mentre su quelle intatte non appare
nulla. Del resto egli assicura d'aver dato a svilup-
pare le sue lastre, per maggior sicurezza, a fotografi
di professione, e che nel Congresso fotografico del
r89Ó, a Nancy, fu unanimemente riconosciuto che
si trattava di negative veramente impressionate, e
non di difetti di sviluppo.
Nelle fotografie così ottenute si vedono come dei
vortici, dei turbini che rappresenterebbero in qualche
modo il brivido cosmico, l'onda vitale; poi le im-
pressioni si precisano, e in una specie di fiotto di di-
sperazione traspare il viso di un fratello perduto :
dalla fronte d'un'estatica guizza come una lingua
di fuoco ; e si vedono ancora le perle prodotte dalla
preghiera, una specie di purissima neve nata da un
cuore innamorato, la nube pallida sprigionata dalla
soddisfazione di un gatto che fa le fusa. Il Baraduc
chiama psichicone, cioè immagini dell'anima, certe
forme ancora più particolareggiate. La forza vitale
è eminentemente plastica e l'immaginazione e la vo-
lontà la plasmano a modo loro.
Pensando intensamente a un'aquila, un ufficiale
produsse sulla lastra fotografica l'immagine flut-
tuante di questo uccello : una spiritista che si cre-
deva in rapporto col dio del pianeta Mercurio diede
per risultato un busto di Ermete : e più stupefacente
e quasi miracolosa è la figura d'una fanciulla r.
[67
impressa sulla negativa dalla madre inconsolabile...
11 Baraduc assicura eh 1 ata
una nuova lastra fotografica più squisitamente im-
pressionabile, adatta alle luci minime, si otterranno
prove ancora più sbalorditive. Intanto a Nuova York
le sue psichicone fanno furore, e sono state adottate
dalle signorine per verificare se i loro spasimanti
le amano .l'amore. Prima di fidanzarsi, esse sotto-
pongono il candidato alla prova fotografica: se egli
proietta sulla lastra l'immagine della sposa deside-
. vuol dire che è veramente innamorato; se non
proietta nulla, oppure un'immagine piana, vuol dire
che uccella soltanto alla dote...
Il miracolo.
I ntinuando il suo studio. Giulio Blois si occupa
della quistione dei miracoli, e nota che essa può a-
vere due soluzioni: o quel ohe si chiamava antica-
mente miracolo è oggi spiegabile con le leggi scienti-
fìche — opinione che fu quella del Renan e dello
Charcot — oppure si ammette il diretto intervento
eli Dio, il quale, per uno scopo superiore, sospende
l'effetto di qualche sua legge — e così pensano i
crei lenti.
II dottor Maurizio di Fleury. medico e filosofo
valentiss ■•• re della Medicina dello spirilo.
1 quale ha studiai.] la misteriosa della
vita psichica sul corpo, rispondendo all'intervista
del Blois. afferma che la grandissima maggioranza
dei miracoli conosciuti, sono in tutto simili in casi di
guarigione repentina osservati alla Salpetrière. In
questo Ospedal. si vedono spesso l'effetto di una
commozione, di una doccia, di una suggestione, gua-
rire malattie vecchie di molti anni: cecità, sordità
e paralisi neuropatiche.
Recatosi a visitare il romanziere Huysmans, il
quale, come è noto, vive una vita quasi monasl
presso il monastero benedettino, gli ha risposto che
molti dei fenomeni straordinari un tempo attribuiti
all'azione divina non sarebbero più, ogf rati
come miracoli. Dio 0 mpie simili atti rarissimamen-
te, e non è a di quel reporter che un
giorno, a Lourdes, domandava ai medici a qual ora
avvenivano i miracoli. La Chiesa adopera, per de-
signare questi prodigi, le parole di grazia ricevuta,
di favore. L'n miracolo, per essere ammesso dalla
1 ' rte di Ri ma, esige un'inchiesta che dura talvolta
li, . la maggior parte delle guarigione di Lonr-
sarebbero ricusate in un processo di canonizza-
zione. Le guarigioni nervose, quantunque sur
. non provano gran cosa: ma talvolta si vede
guarire a un tratto il lupus, un tumore, una piaga:
il cr : 1* riconoscere in qu
il miracolo, ('erto, bisogna studiare molt. . atten-
tamente tali prodigi; ma, se lo studi., manca, la
colpa è dei medici : le autorità eccli non
di meglio che essi facciano le loro osserva-
lo,! Lo < 'harcot mandava lì
gli ammalati incurabili ; e se egli si spiegava li-
guarigioni ottenute nei casi d'isteria, era molto più
imbarazzato dinanzi ai prodigi cristiani.
aggiunto Joris Karl Huysmans, questi ha
rincarato la dose. Ha incolpato il dottor Richer di
...s
LA LETTURA
avere assimilato il Luisa 1 iteau, la stigma-
tizzata, a un sopprimendo
tutte le circostanze imbarazzanti, o me, per i sempio,
qui • Luisa distingueva, senza vederla i n
gli nvhi, l'ostia nel tabernacolo, e indovinava se
it.i consacrata >> no. Anche Zola, a Lourdes, vide
una - intanea 'li lupus: orbene, narran-
dola nel libro, per negare il miracolo, dissechi
stata lenta e progressiva
La forza psichica.
Il Bl .1 che la scienza moderna, finora
re il mi indi > fisico, debba, sei
fedele al suo metodo rigoroso ed alla sua cri-
tica severa, rivolgersi al mondo psichici , Ni 1 campo
della he è ancora ai suoi primi balbet-
tamenti, deve esercitarsi l'osservazione e l'esperienza
scientifica.
Il Crookes già amm i nza d'una forza psi-
chico, dalla quale dipenderebbero quelle emanazioni
ohe il Baraduc misura o J suo biometro. Questi i stru-
mento non sarebbe originale; il dottor Foveau de
Courmelles scrive una lettera al Blois per rivendi-
care la priorità del magnetometro dell'abate Fortin,
col quale il Richet e il IV Rochas fecero delle espe-
rienza nel i8qo. La Rivista universale delle nuove
■izioiu parlò di questo strumento; anche il Fi
ebbe ad occuparsene. Il Baraduc risponde che
a il magnetometro, ma che questo strumen-
to è una ci sa diversa dal suo biometro. ( 'ni primo si
misurano le influenze cosmiche e meteorologiche,
• '■ondo la vitalità umana. Le differenze tecniche
io nell'immersione e nella torsione del filo
nell'inclinazione dei fili del rocchetto.
L'n altro osservatore. Gastone Méry, che si occupa
del Meraviglioso con fede di cattolico e che lanciò
la famos n rina Couesdon, obbietta
al Baraduc che sul biometro non è esclusa l'azione
del calore per il solo fatto die. tra le sostanze di cui
l'apparecchio è rivestito, c'è anche uno strato di
ghiaccio; perchè con una lente di ghiaccio si può
anche, es] e facendone concentrare
i raggi, accendi II Baraduc risponde che egli
non si serve d'una lente, ma di un blocco di ghiac-
l'influenza del calore umano sull'ago del
he eliminala da un involucro di rame
ddatura.
LI magnetometro dell'aliale Fortin e il
Baraduc, il dottor Joire, di Lilla,
òro di-Ila Società d'ipnologia e di psicol
di Parigi e presidente della - degli studi ps;-
i-hi'-i di Francia, ha inventato un altro ro
della i. E' composto di un ago. nel en
in. del piale si trova un pernio d'acciai" molto icu-
min. o pernio riposa con la punta sull'e-
ia d'una colonnetta di vetro colli
nel centro dello strumento; sotto l'ago c'è un qua-
drante graduai non è sospeso, non
la forza di torsione del filo; di più
l'attrito è ridotto al minimo: una punta d'ao
s.pra una superfice di retro. 1 anche soppresso il
B tduc,
I Joii guastava Con
suo nuovo biometro, il Joire ottiene, quando una
persona accosta la mano all'ago, una devia/
angolare notevole: di .io, 6o e anche 75 gradi I
azione avviene quasi sempre nel senso dell'at-
ii ne, '■ con la mail" di 5tra è maggiore che non
I aghi : ne
ha adoperati «li legno, di cartone, di paglia, di ve-
tro, di diversi metalli. I risultati non variano mi
ma gli aghi di cartone e di paglia sono i più
sibili. Nessuna delle forze risichi
calamita, né l'elettricità, né la luce, né il cai
ducilo la deviazione dell'ago: solo la mano delle
pi rsi 'ne dà questi i risultata Per escludere gli effetti
dello scuotimento del suolo, il Joire ha sospeso lo
strumento, mediante corde, ai muri, tenendo lontano
lo sperimentatore: i risultali sono Stati sempre
tivi. Quindi egli li attribuisce alla forza nervosa
emana dagli uomini. Con questo strumento egli ac
certa l'esistenza di essa forza, ma non la misura.
Per misurarla, si serve d'un apparecchio nel quale
I ago i ' mie da un filo di capello: lo sfi go roso ne-
cessario dalla torsione del capello serve alla misu-
ra/ione. Con questo medesimo apparecchio, il ;uo
inventore è arrivato a modificare gli stati psichici,
sottoponendo i pazienti alle radiazioni di luce ••
lorata. : servendosi dà diversi raggi del prisma (me-
diante lampade elettriche diversamente colorate), egli
ne effetti differenti. E infine egli sta studi'
di produrre questi effetti non più col far appressare
la mano al biometro, ma con la sola azione della vo
lontà del paziente, a distanza.
La forza nervosa che il dottor Joire studia e mi-
sura, e di crii il De Rochas mostra, con stranissime
esperienze, le esteriorizzazioni. ;■ quella che il <
kes ha chiamato forza psichica, il Baréty forza neu-
nca. gli occultisti corpo astrale, gli spiritisti
spirito, i magnetisti fluido magnetico.
Oltre ai magnetisti, agli spiritisti, ai teo
un'altra scuola che si occupa ilei Mondo ignol
quella dei Satanisti. Xe parleremo nel prossimo fa-
Io. riassumendogli ultimi articoli della cui
sissima inchiesta di Giulio Blois.
L'avvenire dell'oro
Il prof. Harvard, nell'armadi Nuova York, pub-
blica un articolo interessante sull'avvenire dell'i
Attualmente l'estrazione del metallo prezioso insta
un terzo di quanto costava nel 1850 ed in si _
indie meno. Tra una ventina d'anni le mi-
niere daranno annualmente oltre Avr miliardi e mei
questa produzioni- tntenersi per moiti
decenni successivi. Effetto di piò sarà un aumento
generale dei prezzi, ma siccome questo aumento di
prezzi a sua volta produrrà un anniento delle spi
delle miniere doro, si verrà a co
min- per tal guisa una spi eie di freno naturale, die
non inizierà la sua azione automatica se non
dop inno avvenuti gravi perturbamenti nei
valori.
DALLE RIVISTE
Il MI
Come i diamanti
si trasformano in brillanti
(Da un articolo di Hans Ostuald, nel Welt Spiegel).
Qui sto interessante studio diventa di gran
tualità poiché in Amsterdam gli operai addetti alla
lavorazione de' diamanti si sono messi in isciopero
ed è in quella città che per la massima parte, ar-
si taglia il diamante.
viene la difficile e delicata trasformazione de' dia-
manti ne' ben più belli e preziosi brillanti. Mentre
i diamanti, come li fornisce la natura, sono noti da
antichissimi secoli, fu soltanto nel 1470 che vennero
faccettati in Europa i primi grandi diamanti e rile-
gati- a foggia di pendenti. Già allora 0 brillava »
veramente per questo lavoro un compatriota 1
attuali faccettatori di diamanti, l'israelita olandese
Berquem. Si crede anzi ch'egli sia il vero inventore
dell'arte di faccettare i diamanti e trasformarli in
bellissimi brillanti. Tutta l'industria delle pietre
preziose ebbe poi molto a soffrire per le continue
guerre dal 1790 al 1815. Xel 1824 non viveva più
in Amsterdam che un solo f accecatore di diamanti,
mentre prima, per ben tre secoli, gli ebrei, espulsi
dalla Spagna e dal Portogallo e pietosamente quan-
to intelligentemente ospitati nella città olandese vi
avevano creato e mantenuto in fiore, oltre che le
scienze fisiche, 1 matematiche, anche, come conse-
uenze pratiche, le industrii' ottiche e questa dei
brillanti. Sino allora non si era andati più in là —
e ciò per cura 1 operai di Bruga — della cosidetta
fai o ti lzì a ti >etta.
Le prime 1 fficine erano «iti molto differenti ila Ile
attuali, e l'arte di faccettare era il monopolio' .li po-
che persone. Ma col crescere dell'agiatezza nella
prima metà del secolo decimonono si ridestò in
Olanda anche l'industria de' brillanti e, p ù 1 he mai
tutta quanta in mano d'operai israeliti, ebbe mo-
menti di vero splendi re
Quando nel 1S44 vennero scoperti nuovi giaci-
menti di diamanti presso Bahia, e l'industria non
dovette più limitarsi al materiale proveniente dalle
Indie e dalla Malesia, si fondarono d'un tratto
quattro grandi fattorie. Per lo passato ; diamanti
venivano dati dai negozianti di pietre preziose ai
singoli faccettatori e la mano d'opera necessaria a
quel lavoro incoraggiava l'industria domestica. Ma
lo sviluppo della tecnica condusse al sistema delle
grandi fabbriche e della grande industria. I faccet-
1 comperavano quel materiale greggio che prima
evann dai mercanti soltanto per trasformarlo.
E il materiale lavorato, ma ancora misto, lo cede-
Si mettono i diamanti negli imbuti.
'7"
LA LETTURA
vano, alla lori ti, i ui spettava la
briga della scernita delle pietre grandi dalle piccole,
trillanti dalla più bell'acqua dai difettosi.
Presentemente esistono in Amsterdam circa set-
tanta fattorie, cui sono addett mi! i faccet-
tatoli di diamanti. Una sola «li quelle urtimi
mille operai. L'attività di questi con-
■ nel tagliare, segare, arrotondar
luci. lar.' i diamanti. 11 ma raggio si chia-
ma ì Brut ed è veramente bruttino an-
co; in questo si fa penetrare un'acuta lamina d'ac-
ciaio; la si percuote con un martello; e il pezzo
-1« rgente salta via. Naturalmente per far ciò è ne-
cessaria una profonda cognizione delle forme dei
riistalli ; ma ormai |ht gli operai israeliti d'Amster-
dam queste cognizioni formano una tradizione. Sol-
tanto alcuni pezzi, che a causa della loro forma, non
possono recidersi o ono segati mediarne un
ilio d'acciaio cosparso di polvere di diamante.
Terminata quest'operazione, comincia quella dello
Si faccettano i diamanti.
zi ch> fa tampoco sospettare ai profani che in
lui si celi il fuor. ir la Iure dei brillanti. D'altr< i di
si possono tagliare. Tutte le
altre pietre pi n scheggie. Il dia-
mante invece si lascia tagliare nelle sue otto faccette,
■ ■ segn te dalla natui i m/i che a
taglio si sia venuti in
oltanto nel 1850 per oj 1 in-
\\ .diastoli.
1 manti greggi, tranne nella parte che de-
,1, amputata, vengono
k Itiglia di coli ' e sabbia,
■<i pietrifica Con una sottile pun-
diamanti ce ri 0 un lieve sol-
strofinamento, vale a dire che due diamanti ven-
gono strofinati l'uno sull'altro là dove si vogliono
formare le faccette. Questo strofinamento de' lue dia-
manti, infitti su verghette di mastice, si fa su un
recipiente di ottone, ai cui orli due piccole sbarre
iaio sorreggono le verghette di mastice e il cui
0 .■ crivellato da centinaia di minutissimi fo-
rellini. Attraverso questi cadono i residui che coi
pezzi più grandi rrrisi e COI diamanti di cattiva qua-
lità vengono ridotti a un polviscolo il quale, dopo,
serve ad arrotare e pulire i diamanti da imbrillan-
I diamanti, infissi nelle verghette, vengi
strofinati l'uno '''u l'altro sinché le faccette si
I resenta me piccoli dagli incerti con-
DALLE RIVISTE
'7'
torni. Sono ancora grigio-scure e tutta la pietra è
opaca, simile piuttosto dell'acciaio brunito. E' in
questo stato che lo riceve il f accettatore propriamente
detto.
I faccettatori siedono in modo assolutamente di-
verso dagli altri operai. Volgono la schiena alla
luce e man mano prendono i diamanti da certe coppe
di rame in forma di mezze palle, in cui le pietre
sono state collocate entro a una miscela di piombo
e stagno. Le lastre d'arrotamento sono fatte di ferro
fuso e si volgono intorno a un'asse verticale. Allo
strofinamento serve il polviscolo di cui abbiam fatto
cenno, misto a finissimo olio d'oliva e di cui.
un piumino, si cospargono le lastre. .Affinchè queste
abbiano lo stesso peso e si volgano di conformità,
si arrotano sempre due diamanti ad un tempo su
una lastra, l'uno di fronte all'altro. La maggiore ce-
lerità fu concessa però anche a quest'industria, co-
me a tutte le altre, dal vapore e dall'elettricità. Una
lastra di arrotamento dei diamanti fa ora trenta giri
al secondo ! E per il lavoro, cui prima erano neces-
sari due anni, bastano adesso trentotto giorni ! Così
la « Stella del Sud », diamante del Capo, di 254 ca-
rati, fu trasformata dall'abile operaio Voorsanger
in trentotto giornate di lavoro — ognuna di dodici
ore -<— in un brillante di primo ordine del peso di
125 carati.
I più preziosi diamanti vengono ancora sempre af-
fidati ai faccettatori di Amsterdam, benché simili
fattorie si trovino e lavorino bene — quasi sempre
però con degli operai israeliti olandesi — a Londra,
Parigi, Nuova York, Hanau e Berlino. Anche i pic-
colissimi diamanti, che esigono le maggiori cure ,
vengono sempre lucidati di preferenza ad Amster-
dam. Le spese di faccettamento importano spesso la
metà del valore delle pietre. La diminuzione del peso
scende, di per se stessa, al quaranta o cinquanta per
cento. E tuttavia le mercedi degli operai sono an-
date molto diminuendo, della qual cosa gli operai
stessi hanno la maggior colpa. Sedotti dagli im-
mensi guadagni de' vent'anni scorsi facevano troppo
il comodacelo loro e insegnarono l'arte a dei cosi-
detti « seni », che dovevano lavorare per loro. Ma
quando i ■ servi » ne seppero abbastanza, assun-
cioè assolutamente senza colore. Di 1 seconda
qua » sono i diamanti un po' giallastri e che mo-
strano ile' piccolissimi difetti. Invece, gli esemplari
più difettosi hanno a mala prua il valore d'un ter-
Primo stadio
del brillante.
Prima
pulitura.
Seconda
pulitura.
Brillante
da un lato.
Ultima
pulitura
dall'alto.
Rosetta
da un lato.
zo! Anche le cosidette rosette si possono avere alla
metà prezzo d'un brillante d'uguale peso e d'uguale
bontà. Manca loro, con la metà del corpo, la in-
tensa luce. Le maggiori pietre, i cosidetti solitari,
non hanno, d'abitudine, prezzo di mercato, ma, come
degli oggetti d'arte, un prezzo d'affezione.
I Filibustieri
Giorgio Molli, a proposito del conflitto tra Co-
lombia e Venezuela, ragiona intorno ai 'Filibustieri
nei fascicoli di Dicembre e Gennaio della Natura
ed Arte.
I due Stati in guerra si adagiano nella parte meri-
dionale del mare Caraibico, il quale è grande quanto
il nostro Jonio e l'Egeo e da quando vi penetrò la
prima nave europea non ebbe mai pace. Tutte le na-
zioni europee vi ebbero colonie, e cercarono di strap-
parsele o di devastarsele a vicenda ; così Napo-
leone, volendo colpire gli Inglesi nel Mediterraneo,
dove Nelson si era stabilito da padrone alla Mad-
dalena, mandò due squadre alla Martinica, di dove
tornarono per farsi distruggere a Trafalgar. In que-
sto classico mare delle Indie orientali navigavano
i galeoni, aspettati al varco dagli arditi filibustieri;
1 ggj i due Stati belligeranti vi hanno una marina in-
significante. Il Venezuela possiede alcune canno-
niere lagunari e un yacht, VAtalanta, ''he ha armato
con cannoncini a tiro rapido: la Colombia rum
un ahn- yacht, il Namouna, e lo armò; ma esso
fu sconquassato dalla respinta dei pezzi
questi furono sparati.
Diamanti grezzi.
sero essi stessi, per conto proprio, il lavoro. E la
mano d'opera diventò troppo numerosa e le mei
discesero. Adesso, una lega degli operai tenta di mi-
gliorare la loro triste situazione. Molti de' migliori
fabbricanti e gioiellieri li appoggiano. Ed è pure
nel loro interesse di conservarsi delle forze oneste
ed intelligenti.
Anche la cosidetta pietra di fantasia, i diamanti
dalla tinta verdastra, rossiccia od azzurrina, si pa-
gano ad alto prezzo, più di quelli di « prima acqua »,
Sono celebri le imprese compiute nel mare Ca-
raibico da Mombars lo sterminatore, da Morgan,
dal capitano Grammont, dai Fratelli della Costa, i
tesori rapiti ai galeoni, le eroiche e terribili 1 ;
Filibustieri. Né gl'Italiani vi furono
ma essi non si misero coi Filibustieri, anzi li <
roiio e se ne fecero rispettare. Nei santuari
della Liguria doni di marinai che risal-
al secolo XVI [ e ra]
guarigioni, scampate prigionie e pericoli felicemente
n2
LA LETTURA
rati nel mare delle Indie: sono ricordi d
ntro i Filibustieri dai Liguri na
navi della Grìglia, compagi
indi privilegi per la tratta e per il
ciò dei Negri nei vice-reami delle Indie spagnu
ueste navi genovesi portassero carichi pn
[uanto al ritomo, e non na-
sempre come gli Spaglinoli in com
ma - ivei ani i imparati i a ri
irli.
Chi erano i Filibustieri ?
Spagnuoli, possessori alla fine del secolo de
cimottavo di quasi unta l'America, non si curavano
d'altro che delle miniere d'oro, d'argento e 'li gem-
me e ilella coltivazione, per mezzo di schiavi, di
pochi prodotti tropicali. Dalla madre patria parti-
rli, grandi na\ Ili e
di circa quarantotto cannoni
•i più di 500 persone a bordo; esse erano cari-
che di armi, munizioni, seterie e altri prodotti curo
pei e portavano pure grandi somme per l'acquisto
dei prodotti coloniali. Alle piccole Antille si erano
impiantati gì' Inglesi, i Francesi, gli Olandesi ed
anche i Tedesi hi. Ad Haiti, che Colombo aveva bat-
tezzato Hispaniola, e che allora si chiamava San Do-
mingo, nonostante il dominio spaglinolo, erano riu-
sciti ad impiantarsi molti coloni francesi con pa-
li inglesi. Alcuni di essi coltivavano il tabacco
e i prodotti del suolo, ed erano detti abitanti; altri
cacciavano i tori e le vacche e i cinghiali, ed erano
chiainiti bucanieri. Presto però i Francesi e In-
glesi vennero a conflitto con gli Spagnuoli. i quali
armarono delle compagnie permanenti per estir-
parli dall'isola. Allora, essendo in onore la guerra
da corsa, tanto che il governo francese accordava
lettere di corsa a chi ne voleva, i bucanieri, caccia-
tori rotti a ogni fatica, si cambiavano in filibustieri
o corsari, o, per dire anche meglio, pirati. Dapprima
cominciarono a imbarcarsi coi mercanti ai quali
vendevano le pelli, il tabacco e la carne salata;
ma poi i più intraprendenti si prowedettero di
nav degli stessi loro nemici spaglinoli. Pro-
curatosi un (-anotto, vi s'imbarcavano in 20, jo
ed anche più; spiavano negli stretti fra isola e i-
sola la nave spaglinola 0 anche d'altra nazione, le
si accostavano a furia di remi profittando della cal-
ma, o del vento, o delle correnti contrarie; giunti
a tiro di fucile, cominciavano a sparare i moschetti,
e ad [pò quei \ iatori abbattevano
un nomi ; p, ,i si slanciavano all'arrembaggio men-
tre uno di essi, rimasto nella barca, ne rompeva il
fon'1 si Mimili' r e. C ■ a poco,
i filibustieri misero insieme intere flotte e compirono
ini| ' sembrano incredibili.
Ver • pica fu qui a dal capo fili-
Morgan, il quale rinvi a distruggere la
1 -ni non era d'i vol-
l glio d'un a{ : paese di Cal-
ili spinto alla vita del mare dal suo spirito ir-
requieto, e crebbe alla scuola d'un altro illustre fi-
libustiere, il Manswelt, il quale, non essendo riu
re I'. in. 1111.1. si era ritatto su l 'artagena.
Panama, anche prima dei pirati, ave!
le cupidigie di chiarissimi ammiragli, di Hawkins
prima, e poi del gran Drake; ma nessuno ri 1
anzi quest'ultimo morì dì crepacuore per la mancata
impresa proprio sotto ;. castelli di Porto-Bello, se-
rie di magazzini in fondo ad una bella baja. I ne-
gozianti vi affluivano per l'arrivo dei galeoni, e
l'affitto d'una 'amerà per quattro o sei settimai
al massimo per due mesi, vi costava da 400 a 500
feudi ! Durante il resto dell'anno, P lo restava
erto per la malaria. Duemila muli mantenevano
le comunicazioni con Panama. Morgan aveva già
Ini" un colpo di mano su Pori durante
le trattative per il riscal ra il fili-
bustiere e il Presidente di Panama, don Juan Pi
rli Gusman, vi fu uno scambio di cortesie. 11 Pre-
1 ite mandò a Morgan dei viveri freschi, <hie-
dendo che in cambio gli mandasse uno dei terribili
moschetti dei filibustieri, lunghi quattro piedi e
mezzo, capaci di lanciar palle da sedici alla libbra.
Morgan glie ne mandò mi. itti, e don Juan Pi
nel ringraziarlo, gli fece tenere un anello; Morgart,
ringraziando a sua volta, rispose che pel mon
gli aveva fatto vedere l'arme dei filibustieri, ma
elle, per meglio compiacerlo, presto gli avrebbe ino
strato in Panama come essi la maneggiavano, l'e.'i
questi erano accorsi da tutte le parti, in numero dì
2200, con trentasette navi, la minore delle quali
aveva quattro cannoni, e la ma trentadue.
Passata la rivista, secondo l'uso dei fratelli della
('osta. Morgan radunò tutti a parlamento per -
dere l'obbiettivo: egli propose il saccheggio di Car-
tagena o di Vera Cruz, poi fece intravedere la
quista di Panama, le cui immense ricchezza erano
ancora intatte, perchè nessuno ancora l'aveva sac-
cheggiata. Ma una grossa guarnigione la difendeva
e per giungervi era necessaria una marcia attra-
verso l'istmo.
L'impresa poteva parer folle; ma a Panan
ratio i tesori del re di Spagna, 1 denari dei geno-
vesi mercanti di schiavi, le ricchezze private e qu
dei numerosi conventi con le chiese coperte d'ar-
gento; quindi l'assalto fu votato con grandi accla-
mazioni. Fu fatta allora, secondo l'uso, la Ch
■pardi, cioè il contratto che regolava le parti di cia-
rlino.
A Morgan, come capo supremo, si assegnò
per ogni 100 uomini il lotto d'uno; a ogni capitano
di nave si assegnarono dodici, dieci od otto lotti.
lido l'importanza della nave stessa ; a chi pian-
tava la bandiera inglese sopra una fortezza nemica.
50 piastre; a chi faceva un prigioniero, quando si
aves 1 di notizie del nemico, 100 pastre;
per ogni granata buttata in un forte 5 piastre; per
ogni 1 lizione una ri pro-
porzionata al merito dell'azione pu-
re le indennità: 1050 scudi per la perdita delle
gambe, oppine 15 schiavi; per una gamba
600 scudi o 6 schiavi ; per le due braccia 1800 seu-
DALLE RIVISTE
<7->
di o 18 schiavi ; per un solo o una mano 600 scudi
o 6 schiavi ; per un dito o un occhio 100 piastre o
uno schiavo ; per i due occhi 1000 scudi o io schia-
vi . per qualunque ferito grave 500 scudi o 5 sci
vi ; nulla per la morte, giacche i filibustieri non a-
vevano ne famiglia ne tetto. Al chirurgo furoni
segnati 200 scudi e 100 al carpentiere, oltre alla
loro parte di bottino. Stabilita la Chasse parta, in
virtù della lettera di corsa ottenuta dal comandante
1 Giammaica, Morgan conferì la patente ai ca-
pitani di nave e ricevette il giuramento di tutti i
filibustieri. Poscia divise la sua flotta in due squa-
dre, di una delle quali prese egli stesso il cornai
inalberando la bandiera reale inglese e quella del
Parlamento; affidò l'altra ad un luogotenente. T!
16 dicembre 1670 le navi filibustiere fecero rotta
per l'isola di Santa Caterina, posta all'altezza del
Nicaragua e benissimo fortificata. Morgan vi sbar-
cò 1000 uomini, i quali vi passarono la notte sotto
la pioggia. Gli Spaglinoli ne avrebbero avuto ra-
gione se avessero fatta una sortita ; ma il governa-
tore pensò meglio di proporre la resa purché s fos-
sero salve le apparenze ». Egli finse una sortita ('ti-
rante la quale i filibustieri lo fecero, col suo anti-
cipato consenso, prigioniero: allora le truppe spa-
gnuole consegnarono la fortezza dopo avere sparato
molte cannonate a polvere! Morgan rese la libertà
ai forzati, tra i quali c'erano un mulatto e due in-
diani di Panama : e il capo dei filibustieri aveva
voluto espugnare l'isola sperando appunto di tro-
varvi qualcuno di Panama che potesse servirgli da
guida. Il mulatto accettò con entusiasmo, ma gli
Indiani si rifiutarono. Furono torturati : uno spirò
sotto i tormenti: l'altro, meno forte, consentì di
re anch'egli da guida.
Appena avute le guide, Morgan spedì il capitano
Brandelet perchè s'impadronisse del forte di San
Lorenzo, il quale si ergeva sopra una roccia a sette
chilometri dal punto ove ora sorge la città di Colon.
Vedendo giungere delle navi con bandiera inglese,
gli Spaglinoli aprirono il fuoco delle loro batteri";
i filibustieri gettarono l'ancora nella vicina cala delle
Maranjas, e nella notte sbarcarono in quattri «'ente,
lasciando cinquanta uomini a bordo. Per avvicinarsi
al forte, gli assalitori non dovevano percorrere più
di quattro chilometri; ma, non potendo esporsi al
tiro dei cannoni, furono costretti a procedere al co-
petto, in mezzo alla foresta ad aprirvisi una via, ! 1
troclta, tagliando con l'accetta liane ed arbusti. 1 ' pò
una lunga fatica, arrivarono verso le 2 del t omerig-
51 pra una collina da cui si vedeva la fortezza
la. I tiri del cannone non recavano
tanto danno, quanto le frecce degli Indiani (he sta-
vano dietro alle palizzate e conficcavano al suolo.
trapassandoli con le saette lunghe ed acutissime, i
filibustieri coricati per schermirsi dalla mitra.
• 'di Spagnui li, dal canto lori . avevano anch'i ss
liuto molta gente perchè i filibustieri tir;o
tro i serventi dei pez/i ano affac-
rsi alle cannoniere. Ma la peggio toccava agii as-
mti, e già costoro parlavano di ritirarsi, quando
uno di essi, ferito alla spalla, si strappò la freccia
dalla ferita, esclamando: « A , fratelli miei:
tarò perire tutti gli Spagnuoli ! » 1 dalle
tasche del aitone, rannodo all'asta della freccia, la
t 1 scorrere dentro la canna del fucile, accese il
a ione e tiro la freccia ari 'lente sopra una delle case
del forte. 11 suo esempio fu tosto imitato, e le
frecce appiccarono un incendi. > generale, ("alata la
notte, gli Spagnuoli non poterono più vedere i
rati; mentre questi, alla luce delle fiamme, di
guevano quelli, talché, avvicinatisi, poterono ber-
sagliare chi tentava domare l'incendio. Col vento
della notte, questo penetrò nei forti e fece anche
esplodere una polveriera; ma ciò che colm
i filibustieri fu il vedere che ardevano le palizzate
e le gabbionate, le quali poi, crollando, colmarono
il fossato; sopraggiunto il nuovo giorno gli
dianti poterono cosi slanciarsi all'assalto, e vinta
la resistei 1 1 fli Spagnuoli, entrare nella foi
tezza. Non vi trovarono vivi che 14 uomini e io fe-
riti : gli altri 290 difensori erano tutti morti.
Gli avventurieri trionfanti furono raggiunti da
Morgan, apj eiia questi seppe che il forte era si
espugnato, e subito cominciò la marcia su Panama,
compita attraverso paludi e boschi impenetrabili,
in mezzo alla fame, alla pioggia, alle imboscate de-
gli Indiani e degli Spaglinoli: una volta, per tre
giorni interi, i pirati non masticarono altro che fi
glie; trovati dei cofani di cuoio in una trincea ne-
mii-a, li disfecero, misero a rinvenire il cuoio nel-
l'acqua, lo grattarono del pelo, lo tagliarono a pi
e arrostitolo lo mangiarono come fosse un cibo de-
lizioso. Dopo otto giorni giunsero in vista del Pa-
cifico, dove scorsero un galeone spagnuolo chi vi
gava verso le isole del Gold, delle Perle. Il giorno
seguente trovarono l'esercito spaglinolo nella Sa
vanna: era composto di 400 cavalli, 2000 fan!
roped, 600 indiani, 200 mulatti e 2000 tori da guer-
ra : il Presidente di Panama in persona 1" coman-
dava. Morgan fece inoltrare cautamente 200 dei sui 1
lungo il margine di una palude, mentre il
filibustieri si avanzava urlando. Ma. nel punto che
la cavalleria e la mandra dei tori si slancia;
contro gli assalitori, i 200 pirati imb
il fuoco. In meno di 2 ore. l'ini
gnuolo fu disfatto, lasciando 600 morti sul ten
mentre iosa che sembra incredibile - i filibu-
ioltanto 2 morti e 2 feriti. Vinta 1
sistenza delle barricate di Panama, i pirati penetra-
0 nella città. Questa da fi a 7 mila case
di legno di cedro, O n qualche edilìzio in muratura:
8 •
samente ricchi e un ospedale: fin dal 1651 era stata
ta una Università. Morgan, per incutere
vento ai fac Iti si Spaglinoli che si erano rifu:
nelle vicine ville, fece a] piccare il fi
fui 11 del perimetro della città; ma il vento sp
[e ù 1 rsoil centrò, e il mattino seguente della
Panama non restava in piedi altro che la
'71
dente (dove si era a
. due mon oche altre case! Ni Ile rovine
dell'incendio i filibustieri trovai ntità
<li oggetti preziosi, e il saccheggio dei
dinl moltissimo: i
■ di torture, rivelavano i nascondigli 'li ni
ricchezze Ma le più grandi erano al sicuro, su
ravisto nel G Ifo delle Perle, sul quali
del Re e dei G ver-
e d'argento ne costituivano la zavorrai
M catturarlo, ma dovette rinunziarvi
1 ritomo, trasportando seco una colonna
di circa i joo ] i i lei quali erano
• loii! tire indici-
bili, sotti ime ed timi'1". attraverso le
palm li e le foreste impenetrabili, senza cibo, in com-
]< i pirati. Molti si riscattarono con denaro
M rgan bln-rò finalmente gli altri prima
di rientrare nel forte di San Lorenzo. Qui fu fatta
la divisione del bottino, il quale diede occasione a
tumultuose pri ari persuasi che Morgan
suoi lidi s i parti del leone. Ma il
re, pi ma !"- i recalcitranti gli riprendes-
,1 mal tolto, <ene fuggì di notte e,.n tutte le sue
ricchezze, approdò alla Giamaiea. chiese ed ottenne
in isposa la figlia del Governatore, e divenne un
l ultissimo, coperto d'onori e capo-
stipite di una famiglia illustre.
Panama fu riedificata e pareva che dovesse
tare nuove e maggiori ricchezze; ma poi sopravven-
ne la decadenza della Spagna e l'esaurimento delle
miniere. Impoverita, la città acquistò con la libertà,
rivoluzione accesa da Bolivar, il triste pri-
vilegio delle guerre civili.
1 ' ;< perta delle miniere di California, provo
cando un gran passaggio di avventurieri per l'istmo,
le diede un fugace splendore. < >ggi è una vasta ro-
vina. La I porta i passeggeri sbarcati a Colon,
che subito si imbarcano di nuovo sul postale, e Pa-
nama, dopo una breve vitalità, ripiomba nella sua
sonnolenza
Anche i pochi lavori del Canale sono una lamen-
vina Altri filibustieri, non meno rapaci di
quelli del 1670. hann< izionisti del
canale. L'ultima stima dei lavori, compresa la con-
no il tulio a 35 milioni di dollari.
L'n .r.uden abbandonato nelle trin-
. le liani travate di ferro che la
non ha corrose; le alluvioni hanno abbai-
le dighe e i terrapieni. Sono passati pochi anni
fiali. ì e dei lavoi nei cimiteri
che perai
mpars e croci piantate sulle migliaia di
ri cinesi falciati dalle febbri
Morgan, il filibustiere, offriva almeno il
1 alle pali 'ili speculatori di Nuova
1 ave
0 mai affrontato la malaria dell'istmi I
1 ure la affrontar n ulalori francesi che ab-
bandonavano operai e intraprenditori senza pane e
-•hinino, più ni del pane.
include il Molli : « fu più o-
n an • Mi rg in ! ».
LA LETTURA
I balocchi e la loro origine
1 la un art. di Petrus Durel, nella Noui'elle Rame, 15 d
All'esposizione universale di Parigi due sole fu-
rono le domande p dai fabbricanti di ba-
locchi; oggi, all'esposizion
di trastullo per i bambini, tenuta a Parigi, si con-
tano 273 partecipanti. Questa classe di industriali
far sua la sentenza di Leibnitz : 0 Gli uomini
non dimostrarono mai tanta sagacità quanto nella
invenzione dei giuochi ».
Anticamente, al tempo di Roma, si seppellivano
i bambini coi balocchi che avevai 0 a diver-
tirli: questi, ritrovati oggi ri ri, hanni fatto
conosi i'i quali erano i passatempi dei bambini, e
il principe di Biscari, archeologo catanese vissuto
nel secolo passato, li descrisse nel suo Ragiona-
mento sopra gli antichi ornamenti e trastulli dei
bambini.
Gli antichi fabbricavano piccoli balocchi di le-
gno o di terra coita, come si rileva da alcuni aned-
doti riferiti dagli storici. Un giorno Lisimaco, vo-
lendo spaventare un amico, gli gettò sul mantello
uno scorpione di legno dipinto; Callistrato scolpì
una formica in un pezzetto d'avorio; Aristotile, in
tempi ancora più antichi, c'insegna che già cono-
1 i balocchi automatici. Svetonio dice di Au-
gusto che abbandonò l'equitazione e la schei ma,
dopo la guerra civile, e si mise a giocare alla palla
ed al pallone. Muzio Scevola, Alessandro Severo,
Mecenate e Cesare erano molti destri alla palla.
Le strenne, a Roma, erano associate alla prima-
vera: si distribuivano quando cominciavano a spun-
tare le foglie degli alberi. Fanciulli e fiori erano
celebrati ad un tempo. I bali «-chi distribuiti come
strenne consistevano in uccelli, lepri, serpenti, ca-
valli, muli, tartarughe, scimmie, ed altri animali di
terra cotta, e in minuscoli servizi e addobbi dome-
stici della stessa materia. Molto in voga era il si-
stro, formato di fili di ferro penetranti in quattro
buchi successivi praticati in un pezzo di legno a
foggia di forca.
Camulogeno, scrittore perito combattendo nel
52 a. ('.. nel suo libro intitolato Passeggiate at-
traverso la Roma d'Augusto descrive i fanciulli in-
tenti ai loro giuochi con le noci : alcuni s'ingegna-
0 di farle entrare, scagliandole da lontano,
stretto collo di un'anfora; altri di abbattere allo
stesso modo un castelletto di noci, altri a farn :
dere una dall'alto di una tavoletta inclinata dinanzi
a una fila di altre noci. ecc. I fanciulli più grandi
giocavano ai soldati ed ai giudici.
Tra i Greci i fanciulli giocavano a cavalcare sulle
canne. U Urania era il giuoco del padani. i_
[ppodameia, di cui parla Pausania, aveva un ba-
locco consistente in un letticciuolo da bambola Una
bellissima bambola fu trovata nel s del-
l'imi' Maria, figlia di Stilicene e moglie di
rio. Quel mulinello di li inali i ragazzi
ppdiie. ,no uno stridulo minore il giovedì e il ve-
nerdì santo fu inventato, dicono, da quell'Archita
a cui dobbiamo l'invenzione della vite e della pu-
lii- erano molto comuni ed a buon
DALLE RIVISTI
'7-1
mercato, come si rileva da un passaggio di Ai
fare. Apollonio, discej
balocco che Venere promise ali 'Am in i che i
l'infanzia di Girne: una sfera formata di cerchi
d'oro che si piegano e girano intorno agli altri. An-
che tra i Greci il giuoco della palla era molto in
onore, come si desume da Omero.
Venendo a tempi più vicini, un monaco, il cele-
bre Bacone, inventò uno dei più celebri balocchi :
la lanterna magica. Facendo esperienze sulla na-
tura delle ombre, studiando la loro estensione e la
loro decrescenza, egli ideò questo strumento ottico ;
il quale, con lo smisurato ingrossamento delle im-
magini degli oggetti, fu causa che l'inventore fosse
considerato come un mago. Queste voci arrivarono
fino al papa Clemente IV, il quale ordinò a Bacone
di venire a Roma per giustificarsi. Egli venne in-
fatti, e spiegò tanto bene l'innocente suo strumen-
to, che il Papa lo raccomandò a tutto il clero. Più
tardi un gesuita, il padre Kircher, perfezionò l'in-
venzione del monaco inglese.
Durante il medio-evo, le più celebri fabbriche
di balocchi furono quelle degli ebanisti del Limou-
sin, degli scultori del Jura e dei meccanici di No-
rimberga. La Germania ha serbato il mi
dei soldatini di piombo: la fabbrica Heinrichsen
occupava, poco tempo addietro, 800 operai ed r>
peraie, con una produzione di 100 mila soldati al
giorno, rappresentanti il capitale di un milione di
marchi l'anno. A Limoges, in Francia, c'erano, sul
finire del Trecento, i maestri dell'arte del bimbelot
che divenne più tardi il bibelot, e deriverebbe dal-
l'italiano bambo o bimbo. La parola jouet apparve
più tardi nella lingua francese. Tutti gli olij
scolpiti nell'avorio, al tempo delle strenne, veniva-
no in gran parte da Limoges ; da Norimberga quelli
di bosso. Gli arabi di Spagna erano molto esperti
nella fabbricazione di piccoli cigni i cui movimenti
erano diretti a volontà: questi balocchi furono il
primo passo verso i fantocci, i quali ebbero gran
voga a Parigi nella metà del Settecento. Il giuoco
dei birilli risale al secolo XII ; quello del palla-
maglio e del bìlbnquet furoreggiarono sotto En-
rico III. Il bigliardo fu sostituito al pallamaglio.
che implicava troppe esigenze: Luigi XIV, i si-
gnori di Venderne, di Villeroy e di Grammont vi
si distinsero.
Tra i più recenti balocchi per fanciulli, quelli
che fecero maggior fortuna, l'anno scorso, a Parigi,
furono il lustratore «li stivali, il signore che sa-
luta, inventato dal figlio di Rochefort : il falcia-
tore, la lotta tra l'Inglese e il Boero, ecc. Una sta-
tistica del 1857 ci apprende che i fabbricanti e i
lavoranti di balocchi parigini salivano a 2162, e
che la produzione rappresentava un valore di fran-
chi 3,661.000.
C'è oggi a Parigi una Camera sindacale dei fab-
bricanti di balocchi, composta di circa 200 membri ;
ma soltanto le maggiori fabbriche vi sono rappresen-
tate. Ce n'è molte di più a Parigi e in Francia, vi
sto che questa nazione esporta ogni anno per 34
milioni di balocchi. Oggi, come in altri tempi, il ba-
locco che tiene il primo posto, è la bambola
Ii'apte assira
(Da un articolo di Latouche-Tréville nella Revue del
15 dicembre .
1 direttori della Rivai Institution di Londra si
sono resi benemeriti degli studi archeologici 1
tido eseguire non solo le fotografie, ma anche
i calchi dei tesori artistici assiri tornati alla
igli scavi 1
1 tyard, del (Cassarti, del LÓftus, 1 .1 di
Assar che [uesti dotti hanno fatti . ebbe, in
tempi remotissimi, un'importanza che non ebben
nessuna delle sue rivali. Sede d'un impero che pa-
reva dovesse pesare eternamente sui destini umani
e che. durante un lungo periodo di tirannie, sch
ciò realmente il mondo, questa orgogliosa città ave-
Sennacherib.
va talmente perduto ogni splendore fin dal VII 51
colo a. ( da re nel più do obblìo e da
seppellirsi sotto le sue propi
so dinanzi al luogo dove essa . non
ne fece nessuna menzione. A Magno vi si
rendo di calpestare il su \ ano
1 pala imitava, ma non vi
■ della loro esisti nza Roma
vi fondi, una colonia 01 nza che i suoi le-
gionari sapessero che cosa vi
Cancellata da tutte le meri 1 , Ninive dom
in silenzi le sue macere, ma ciò
stesso, sottratta ai saccheggi degli Arabi. Di lei re-
stava soltanto un nome, la cui stessa ortografia
incerta. Q ; I ayard la I
polcro, vi fu un movimento di ammirazione in ti
il mi ile: agli inv-hi stupefatti appan
templi, pala/.- . I della guerra e d
pace, centinaia di testimonianze della grandezza di
'?'
LA LETI I RA
quel pianto nella
[si . ai . giato
teli.
\i no, grazie all'esame 'li
ornai. i ed urlata; sulle spalle cade una specie di
cappa 'li magnifico lavi ro. Il re p"rta la tiara e tie-
ne in mano l'arco mistico che, 'li regno in regno,
era tramandati - ato: dono — i
Leone alato con testa d'uomo.
iti ruderi, rischiarate di nuova luce. Si è po-
• abilire la parentela tra l'arte
iiieia e greca, parimela ili cui nessuno può
li dubitare e che mette i monumenti assiri come
vano — della dea delle battaglie. Istar. Le braccia
del re sono nude e coperte da braccialetti; l'atteg-
giamento della figura rivela l'autorità di colui che
portava il titolo di « Padre del popolo d'Assiria •.
Leone che serviva come unità <h peso.
dell'architi ttura I
Usuri ; ìi
temuti monarchi. >■
doppia | tzione di
gli i imamenti relativi ai-
all'altra ! I I
La statua di Assurbanipal è anche designata o 1
ne li Sardanapalo: rappresenta il re cane ap-
parve ai sudditi nella m : in cui si compì la
rovina di Xinive. Egli porta II costume di gUl
ed ha la fronte cinta del diadema tempestato di pie-
in pn zìi - . la \ stringe il nde
DALLE RIVISTE
I
I /
lino ai ginocchi, lasciando scoperte le gambe attorno
alle quali si allacciano dei nastri. Una cintura di
stoffa circonda la vita ; la mano destra rial/ala chiu-
de il pomo d'una spada leggera : la posa è piut-
r.a^t*
La scena del giardino nel palazzo d' Assurbanipal.
tosto graziosa. Assurbanipal , gran guerriero di-
nanzi ai nemici, era un principe effeminato quando
si dedicava ai piaceri della vita 'li palazzo. L'arte
e la letteratura lo sedussero: a Ninive si fece co-
struire un edifizio (il palazzo nord di Kuyungik)
La Lettura.
dove riunì le più belle opere di scultura assira e
gli splendidi tributi di Tiro, dell']
nella biblioteca stavano ventimila ta sulle
quali erano scritti gli annali del regno, dalla (
/ione ilei mondo e dal Diluvio, con la copia degli
inni, dei poemi e delle epopee, quali la Discesa di
[star all'inferno e la Leggenda d'Istubai x ai
non mancavano le opere d'astronomia, 'li zoologia,
', catalogai di animali, di uccelli e di p
l'iena di espressione è anche la statuetta della mo-
glie di Sardanapalo: la regi] <:i d'una Vi
lunga, ma meno ornata che non quella del re; con
Sardanapalo.
la destra porta alle labbra una coppa che era proba-
bilmente d'oro. Ma la « scena del giardino » ha un
interesse speciale, perché e una dell'- rare sculture
assire che diano indicazioni sulla vita privata dei
sovrani. Il giardino è un vero paradiso orientale
pieno di fiori rarissimi ; il re è sci
e il letto d'avorio sul piale ripi
con arte squisita. In faccia a lui, siili
sta la regina, riccamente orti
Intorno, i servitori, gli eunuchi reggenti gr.
tagli e un citaredo che suona il suo strumento.
Tra le sculture simboliche è
■ con testa d'uomo. Layard, nella ra su
Ninive, racconta che restò spesso in contempla:
dinanzi a questo emblema n : testa u-
12
dà .ili
LA LETTI
'animale l ne della potenza iti-
li corpo leonino significa la foi
:
La regina, moglie 'li Sardanapalo.
I pensiero e la volontà divina. Queste ligure,
Lrdiane alle porte dei templi, par-
avano quasi ai sacrifizi, e ricordavano ili età
in età le cerimonie itenevano i popoli som-
messi con la potenza del terrore e della comma
sacra.
Gli occhiali di Bismarek
I; ili Breslavia, prof. Ermanno
Cohn, pubblica nella Berliner Klinische Wocken-
tchrift un interessante studio, dal quale si rileva
che Bismarek • l'uomo dallo sguardo d'aquila «
[li \iiti nio de
Werner, in un suo articolo: > il i rincipe Bismarek
e l'arte », aveva ra della guerra
fr.ir . he cominciò a far supporre al dotto
oculista che Bismarek I I
mi prima a WVrnrr e poi al principe
Eri rck. E i |uest'ultimo i isp se con una
diffu <rra che il suo giuri
ivani anni, d'una ottima, acutissi
ma vista e soltanto in età .li anni quarantaqual
trovandi si ali ' /enne a scoprire che. munito
d'una ricava, gli riesciva "li tirar meglio. Per
da allora, in campagna, sia in carrozza, sia a
cavallo e sia andando a piedi, portava sempre
- 1 chiali ; in città ne l ai sol-
tanto nel Pai lamenti i o in numeri «a I a e\ a
uso d'un occhialino e della vecchia forma, in cui
una lente s'incastra nell'altra, Bismai iava
fare ì sui i occhiali con un fusto diverso dal!
male, in modo riti stessero alquanto più lon
tane dagli i echi ; e ciò ; erano al-
quanto protuberanti e, quando l'aria era mossa,
ri I mente lagrima vano.
Era questa anzi la seni] ne per la quale,
.1 sui i p i re, Bismarek doveva poi sovente leg-
gi re rie' giornali che, in certi da isioi
menti esimili, egli « aveva pianto ili commozione o.
Se ne guardava bene! In casa, Bismarek non
tava mai occhiali, eppure, nelle notti insonni,
a, per ore ed ore, alla luce '1 una si ila candela,
anche gli stampati dei più piccoli caratteri. Se
do (pianin pi.tè determinare il prof. Cohn, Bismarek
era lievemente miope, come Goethe e Bi
Il contributo dell'Italia
al progresso del secolo XIX
Da un articolo della signora Paola Lombros i-Carrara, nella
Freie Wort, di Francoforte spM).
... L'Italia può considerare con un certo orgi
glio i suii contributi al progresso del secolo scorso,
mIuuì che debbono tanto più apprezzarsi in-
qrantochè, dopo le invasioni niche, ella .
ceva estenuata ed affranta e nella seconda metà del
secolo le sue migliori forze dovettero spiegarsi per
la lotta in i ro' dell'indipendenza e dell'unità.
Già nel primo anno del secolo decimonono Ales-
sandro Volta rendeva <li pubblica ragione la sua
seoperta della pila voltaica, ehe, mercè li sue mol-
teplici applicazioni nella scienza e nelle industrie,
doveva ben presto creare una vera, completa rivo-
luzione. Così, l'inglese Morse, partendo dal prin-
cipio della pila, inventò il telegrafo, i cui fili con-
giungo iggi i più lontani popoli in una tal
comunanza d'idee e di sentimenti quale il mondo
mai prima aveva veduto. Così pure deriva dalla
scoperta di Volta la luce elettrica, die orinai, espel-
lendone il gas. illumina le tenebre notturne sia delle
maggiori l de' miseri abituri, con una luce
di pieno meriggio; e non è soltanto di grande be-
neficio agli occhi ma. nelle SUI numerose applica
/ioni secondarie nelle gestioni tecniche, o rrisponde
.die più Urgenti leggi dell'igiene e diminuisce i pe-
\i 111- miniere scavate nelle latebre della terra
[le costruzioni delle fondamenta de' ponti nella
ndità lelli ao |ue, I ni si inguibile scintilla i
mente il lavori i degli uomini, che
ma erano, tanto di sovente, esposti all'asfiss
in quell'aria pn sto appestata dalle lampade ad olio
DALLE RIVISTI
.1 a petrolio. Le parole scritte e le parole- pn ni
ciate vengono trasmesse dall'elettricità; i campa
nelli elettrici rendono sicuro L'esercizio ferroviario,
annunziano il pericoli del fuoco, difi tdono dai la-
dri... Anche nella liquefazione de' metalli la pila
elettrica ha pn stato pure i migliori servizi, ha \
il metallo più resistente, il platino, e, con la
vano-plastica, ha reso l'arte accessibile anche alla
più povera gente. Si può anzi dire che li
fi ndamentali nell'elettricità si no dovute a degli tà
liuni. Antonio Pacinotti , un modesto professore di
tisica, pubblicava nel 1S75. in un giornale di Pisa.
la sua teoria delle trasformazioni della forza 1
trica in meccanica, in luce e calore e forniva la di-
mostrazione della sua tei ria, costruendo di sua ma-
no il primo congegno eleUricodinamico. Oggi la dì-
namo è la più poderosa sorgente di forze, mercè la
(piale si muovono, quasi trastullandosi, le masse più
pesanti, sieno gme gigantesche, enormi cannoni di
1 cra/zate , immensi telescopi d'osservatori, carroz
zi l'i di trams e di ferrovie....
(dire ciò, nel 18S0, l'italiano Galileo Ferraris
faceva la grande scoperta del trasporto della forza
elettrica. Prima di lui l'energia elettrica, nel suo
trasporto dalle sorgenti a grandi distanze, perdeva
tanto d'intensità che il vantaggio del trasporto ne
veniva posto addirittura in forse Ma, grazie alla
sua invenzione, la forza delle grandi cadute d'ac-
qua si lasciano trasportare, senza soverchie per-
dite, a straordinarie distanze ne' centri industriali.
ceree, negli ultimi quindici anni, l'hanno già dimo-
strato i grandi impianti di Terni, di Tivoli, di Pa-
demo, di Francoforte, di Sèvres, del Xiagara.
Infine, quasi continuando quelle gloriose tradi-
zioni, dobbiamo a Guglielmo Marconi di P< legna
l'insigne applicazione della teoria di Herz alla te-
legrafia senza filo, probabilmente destinata a sur-
rogarsi ai presenti nostri telegrafi.
Xè meno solerte fu l'Italia in altri campi della
tecnica. Xel 1847 l'italiano Sobrero inventava la
nitro-glicerina, che, resa innocua nella preparazioni
dal geniale processo Nobel, non soltanto diventò
un formidabile mezzo di distruzione e una delle
1 iù efficaci armi in guerra, ma spiegò anche la sua
benefica influenza civile nel lavoro delle miniere nei
traforo de' monti, nella congiunzione de' mari.
Nelle scienze esatte Francesco Siacci fondo la
balistica, e diede alla fabbricazione delle armi
da fuoco una base scientifica. Schiaparelli, il uiù
popolare tra i viventi astronomi, scoperse le 1 ed
molte comete e venne in gran fama grazie ai « ca
nali di Marte » ed altre soluzioni di celesti proble-
mi. Ma anche nella biologia e nella medicina gli
italiani raccolsero superbe e ricche messi. E e
ron l'elettricità aveva dischiuso tutto un nuovo n 1
do alla scienza, così l'Italia creò anche un nuovo ra
mo di biologia: l'antropologia criminale e la si • 11
logia. Per queste il delinquente è un essere anor-
male, i cui istinti atavistici, ridestati da cagioni
morbose, quali l'epilessia . la pazzia, l'ale lismo.
necessariamente lo condannano al delitto Non si
tratta più di far espiare la colpa d'un individuo
con delle pene, cui si annette sempre ancora il
17.)
n della vi chia vendetta, ma di 1 isanare un
malato e difendere la società dalla innata sua pi
1 o I' sita. F. dal delinquente nati era I
peno li delit | 0 a lale, 1 he si iltanto dà
gli impulsi estemi, quali la lame, la vendetta, il
vo esempio o I ducono in fallo e contro
il quale la società deve difendersi con la sorvi
"/a ma. soprattutto, COTI l'educazione de' fan-
ciulli poveri ed abbandonati, col razionale avvia-
m, ,to dell'emigrazione, eo:i le ] topi/;, . . .,ni di
lavi ro e cosi via. . .
Questa nuova scuola, fondata da Cesare Lom
broso, si conquista in Italia gran seguito mercè Fin-
Ferri, che, con la sua « so ii I (già criminale »,
ampliò il campo dell'antropologia. Altri celebri
campioni di questo secolo divennero poi Garofalo
con la sua a criminologia », Mano co' suoi « carat-
teri de' delinquenti ». Sighele e in ispecie Ferrerò
0 ' suoi studi psicologici basati sulle nuove doti rine.
In breve questa scuola italiana divenne interna-
tale.
Ma anche altre grandi so pi rti vennero fa I 1
gli italiani nella medicina. Ugo Bassi, il cui nome
rimase quasi ignoto, scoperse nel 1848 la causa del
calcico de' bozzoli ed anche il mezzo per comi.
terlo. onde l'Italia potè diventare uno de' più insi-
gni centri del setificio; | iù ancora: quale precur-
si io di Pasteur e di Kock riconobbe, durante una
epidemia di colera, che anche quello, Come tanti al-
tri morlii, ira causato da micro-organismi, analo-
ghi a quelli che produoevano il ialino de' bachi e
perciò, in ugual modo, si poteva combattere con l'i-
solamento e la disinfczione.
Xegli anni 1858^860, Paolo Mantegazza, indoi
tovi dalli vista d'un gallo, nella cui cresta era in-
nestata una coda di gatto, attese a' suoi studi sul
l'innesto animale, che diedero il colpo mortale alla
teoria vitalistica. Un altro italiano. Passini, inventò
un nuovo un lodo per l'operazione dell'ernia, che
diventò, con ciò, una delle classiche operazioni chi-
rurgiche; De Castro trovò l'operazione dell'ascesso
del fegato e nel 1860 mio padre, dopo faticosi studi,
assai meno noti di quelli intorno all'antropologia
criminale. Scoperse l'origine della pellagra nel gì a
none guasto. lutine, recentemente, Sanarelli -
perse il bacillo della febbre gialla e il mezzo pei
annientarlo.
Nella filosofia, nella socioL ella storia.
nella filologia pure l'Italia stampò le le del suo
genio. A lei appartiene Carlo Cattaneo, grande so
ioli . rico fra quanti ne vanti la moderna
Europa, spirito chiaro ed eclettico... Suo contem-
poraneo era Paolo Marzi lo. suoi « ne
menti storici della parola » l'ondo un nuovi
d'esplorazione della storia, basato sulla filologia. 1
Altro filologo insigne e in pari m logo è
l'ani ora viventi Graziadii Ascoli, che deli rminò
l'antica parentela delle lingue ariane, semitiche
zingaresche e l'unità di tutte le lingue- Ialine e dei
dialetti. In 1 norando riconi
meriti l'Inghilterra, or sono m nt'anni. gli offi
la cattedra d'Oxford. E' pure tra i vivi lo Spencer
d'Italia, Roberto Ardigò, il fi n della morale
i8o
LA 11 [TURA
i e della quale scienza positiva,
il prii i r. munti- italiani • St
laro e Achille Loria, che, ritornando al co
la teoria dell'influenza delle ira-
jli studi si
fama europea. In italiani'. Panizzi, or
a del « British Musi uni •,
dell- i Uda, invi
Ite 'li filari i
i cappuccini italiani ebbero pei primi I «ione
ii residui legni
■ mi» ■
La scimmia a tavola
(I>.i ano studio di Wilhelm Biilsche, nella II oche , del
gennaio .
Vosmaer raccontò, a suo tempo, ai
inondo stupri, gesta dell'orang-utang Fi mi
nino che il ^o giugno 177'' èra giunto nel serraglio
del principe d'Orange. Proveniva da Bi meo ma,
già da un anno, era stato addon -
del Capo di Buona Speranza. Ne suoi boschi tu
rivi tturalmente, nudriti te di
tali e in el celi Lire frutt' del Durian,
tant" sap into.. . pi://' ileiite . ma nella -
\ itù ben pn sto si avvezzò alle 1 li
vi ila e nulla gli piaci \ a più buon arri -ito 1
buon pesce. Armato di e ili forchetta sene
trinciava de' grandi pezzi. K se gli si ammanh
ilelle frag iva alla borra una dopo l'al-
tra ci 'i la fon itre ri ni l'altra mano teneva
itti 1. La sua lu-\ ani ita era l'acqua, ma
feriva il \ un > e spo almente il di ili - Ma I:
Sturava abilmi
te da un bicchiere di birra Dopo la 1 1 pu-
liva le labbra e faceva destramente uso dello stuz-
zicadenti. E dire che qi Iemali appaiteneva
alla famiglia di quegli orang : cui, sino ai-
lora, si < r.i patl.ui> soltanto rome ili veri mi
più grandi degli uomini e immensamente robusti, rhe
< .1 inseparabili.
DALLE RIVIS l I
|Si
L'orang-utang.
irrompevano dalle foreste correndo sulle gambe an-
teriori, e, co' tronchi nodosi, bastonavano a morte
gli uomini e rapivano le donne.
Persino al Dajak , all' indigeno di Borneo , cui
l'orang è, a così dire, un vicino di casa, il gran sci-
noli, dall'irsuto vello rosso, è ancora sempre come un
essere soprannaturale. Il a Maias ». com'egli lo chia-
ma, è, per lui, un in uno stregato. Chi ne uccide uno
viene terribilmente punito dall'Ignoto. Sul monte
Kedang, in alto in alto, è la reggia d'Urmaia, il re
delle scimmie. Tratto tratto egli esce dalla sua ca-
verna. Ma al chiaro di luna tutta « la Corte » ir-
rompe. Sbucano primi i cinghiali, poi gli orsi neri
e finalmente centinaia di giganteschi orangs e,
sotto la loro scorta fedele, a solenni passi ini
finalmente il vecchio rajà degli scimi : e tutta la
compagnia scorrazza per le solitarie foreste vergini
dell'isola. Così raccontavano i cacciatori, cui erto
non difetta il coraggio, al professore Emilio Se-
lenica quando, assieme alla sua valorosa moglie (la
nota apostolessa della pace), visitò Borneo e ne ri-
ò non soltanto delle rilevanti ni :ii ni i ii ntifiche,
ma anche l'inspirazione per il bellissimo libro:
Mondi soleggiati.
Al i-i i't' d'un vecchio orang-utang sì
prende come siano nate queste leggende. Il giovane
e specialmente il giovanissimo è tutt'altro ''hi- fanta-
smagorico: è semplicemente comico. Ma il vecchio!
Le sue braccia, in confronto del corpo, hanno qual-
cosa del polipo. In tutti i movimenti sono li- brac-
he, in contrasto con le corte gambe e con la
tonda testa, sembrano avere la parte dirìgente. Il
lo corpo a tamburo si muove soltanto, come una
specie di goffa appendice, quando le braccia
gitano. L'occhio è straordinario. Nessun altro oc
chio, né di animale né d'uomo, pi i al-
l'oochio dell'orang. Ne' maschi «li alcuni- specie cre-
sce poi Un certo orribile tumore sulle mandibole
che dà a tutto il volto un carattere mostruoso e in
questo mascherone scintillano gli occhi con tutta l'a-
cutezza satanica del « cattivo occhio ».
Ito diverso però questo tipo del muso del-
[82
LA LETTURA
cimp -ni' i '.
l'i n
d'un lui ultimi Mi
li, ili cui i grandi
['] ruiva d'un
■ j più caldo dell'attuale, vivi I i in
i.i . in Svezia . dell ■ ìmtnii .
simili le ilio scimp altre più al
1 /èva anche nell'In-
ello, indigi no nel con
linei abitatori
■ li di
Venii rti • è, d'altronde, pi r questi « uo
mini ili li nifii -i . in mal
uomo, utang, il b ui utenza ili
e. L'interesse, che gì ui mini i ivolgono .1 que
sti es rio di l radui ii vivi, n«
maggior nun 1 logici. Da
ura "'.'> poi azione ili
Ma soltanto un ben piccolo numi 1
giui | lido lontano! E su questo strani
mercato la domanda ormai tanto più forte del
inquantoch ai giardini zoologici d'Euro-
pa -1 uniscono adesso, nell'ambizione del 1
quelli degli Stati Uniti.
L'i rang-utang, agile, 1 e robusto, non si la-
l ligliare, dagli indigeni di Boi r:
con lai ame e 1 >n la 1 ti che gli si im] ongi
udì lo sull'albero in cui si trova 1 ul
I 1 iai n l'unica 1 evanila che \ iene mess
sua disposizii me. Ma, fatto pi un ;
naie si abitu alle usanz ■ umane
le a tavola, beve dalla scodella, mangia col
chiaio. Certo, nella sua selvaggia esistenza, v'ei
■ 1 le' In -. i germi di cultura i . ini atti, non
tanto egli fa uso d'armi: di tronchi d'albero, clu
agita come spai eie, e d gn ;si m .• 1 e di
l mila spini «e, che geti a con e >u suoi pei
secutóri, ma sa prepararsi addirittura una lotta, in
tutte le regole, sulla vetta degli alberi. Comi
unnr 1 1 aia 'I gì io di foglie, e altre larghi
lie gli 1 unni le veci di le izuol 1 e Nei
DALLE RIY1S1
[83
Beatitudine.
Muse<.> berlinese di storia naturale v'è uno ili que-
sti letti dell'orang-utang. Selenica lo ha portato «la
Bi rn< . Le foglie sono appassite, ma vi si vede an-
cora tutta la costruzione, diremo quasi artistica, e
cui occorse una « mano »: quella stessa mano elu-
sa servirsi poi del coltello e della forchi
ntiiit-
Ciò ehe rendono i teatri francesi
Il visconte Giorgio d'Avenel, studiando il mec-
canismo della vita moderna nella lieviti des deux
mondes, si occupa del teatro, degli autori, del pub-
blico, e di alcune curiose notizie. Vi sono opere
teatrali che, quantunque cadute nel domili!' pub-
blico, vanno ancora soggette ai diritti di proprietà
letteraria: i proventi che se ne ricavano servoro
impinguare la cassa di Si Corso della Società degli
autori francesi. Così Mi li re nudo sette mila
annate buone. L'ann
ritti percepiti da quella Società fu di .5.740.000:
nel 1855 era stato di 1.300,000. I diritti di una
mata salgono a 120.000 franchi alle \
a 160,000 al Ytii" < 185,000
S Martin, e vanno in una sola tasca -
i 1 durante ui • alla 300
rappresentazione La media delle còmmi
sentate ogni anno è di 700 : se ni
250 a 300 ; di una ventina si ricorda il titolo 1 anno
taurini. Alla Commedia
Francese la media serale è di 5000 (ranchi ; se un
lavoi frutta almeno 3800 è soppi
che non copre le spese. All'i '
pò di lui vengono Wagro r, M
, Mi - Mollili. ! '
ncassi: il Ca
650,000 franchi. l'Olimpia 900,000. le Folies
, 1.300,000.
'sl
LA il IM RA
ha Corona ferrea
(Da un artici,» di Adolfo Venturi, nella Nuova Anto-
del i gennaio .
/•', m : fu eh amata una corona di Mi i
il secolo XIII nell'opera De regimine principe at-
tribuita a San Ti mmaso < nella cronaca ili Rolanr
dino ' ' >'i"i >tu detta quella di Acqui-
sgrana, ,'1 aurea quella <li Roma I i era
ferrea li U'italico
lira del dominio imperiale; i Papi ponevano
sul i i ; |ui -t'ultima, dopo che essi
a\ev I, due prime. Ma quando Errico VI
volle incoronarsi con la corona ili Monza, questa
u, ai si trovava più nella Basilica: i signori della
Torre l'ai gno. Furono invano mi-
riuniche dal Cardinale legato e dal
I ino pontificio, e invano Errico VI, giunto
candosi dalla sua Corte, corse all'altare maggiore
.1 Sant'Ambrogio e se la cinse da sé, esclamando:
Dio me l'ha ilala, furiar a chi la tocca. La toccò la
Sani llleanza, che la diede a Ferdinando I. Mei
is.i, la corona andò in esilio a Vienna, e rimpa
nel t866, dopo la pan- con l'Austria. Vittorio K-
manuele, nel riceverla, disse alla Commissione ili
patriotti veneti che glie la recarono: « Signori, la
corona ili fera viene pure restituita in questo gior-
no solenne all'Italia ; ma a questa corona io ante-
pongo quella, a me più cara, fatta con l'amore «lei
popoli ».
Queste le \ ìcende della o «rona ; ma quando giun-
se essa alla Basilica ili Monza? Favola è il rac-
conto di fìalvaneo della Fiamma, secondo il quale
Massimiano imperatore, abdicando, lasciò il dia-
dema ai Milanesi perchè i re con esso fregiati dalle
loro mani, fossero subito riconosciuti re di tutta
l'Italia. Alcuni storici del secolo XIV e XV fecero
derivare la corona da Pipino e da Carlomagno, e
Collare trovato a Kazan
riprodotto dal Bayer.
SMS^iS*^'*
Corona ferrea
nell'incisione data dal Bayer.
a Milano, bandì l'ordine che fosse restituita: egli
dovei rsi d'un'altra corona, lavoro del regio
Orafo Lamio de' Senni.
li 'Tona impegnata e nascosta Iti riscattata da
• • Visconti; ma, infuriando in Monza le la
zioni guelfe e ghibelline, quattro canonici la si ttei
ranmo, giurando di palesare il nascondiglio solo in
punì" di liliale. Uno di essi, ammalatosi nel i.S-'l
remi, rive lo il sego t. ,
all'ai ' M I in Ucardo, il quale fece dis-
seppellire la corona e la mandò ad Avignone. 1
Monz otte ' I -,• loro resi imita ; tra-
Sport '■Mini,, nella basilica amili' Stana, servì
all'incori' : Sigismondo d'Ungheria; poi
Roma fregiò la fronte di Federico 111.
' arto V, rispondendo ai Monzesi di
noni o a correr dietro alle corone, ma «lì vi
d'ersi ro, la ricevi tte dalli- mani di • Ile
■ VII. Fntro allora in is ina la corona che dal
lo XVI in poi fu delta ferrei; l'antica, ornata
dia sommità, dilla quali si , parlalo fi
non servi pie. M i 1 o rchio usato in uà
. die si do irlo d'un
d'oro incastonato di | . i le. Venne
ardi la volta di Napoleone I, il quale.
alcuni moderni hanno seguito la loro opinione; ma
questa ipotesi della derivazione carolingia non ha
alcun appoggio nei fatti, ed è solo avvalorata da
un documento falso. Un'altra ipotesi, -uggì ma al
Ligonio da scrittori milanesi, riporta la corona al
li mpo di Teodolinda, con una certa verosimiglianza
pei i doni che ' illesi a regina lascio alla Basilica di
San Giovanni di Monza, da lei fondata; ma tale
verosimiglianza diede luogo a congetture audaci,
a strane suixTstizioni e alla leggenda che la corona
fosse il reliquiario d'un chiodo della croce del Re
dentore, Sant'Ambrogio, nella orazione funebre 1 1 i
I ■ di e O, disse eh,- Sant'F.lena cercò i chiodi
quali fu Crocefisso il Signore, e li trovò: con uno
.li essi lo,- lare un diadema e lo mandò al B§
Costantino. Per poter riferire questo racconto alla
e, nnia di Monza, si volle che essa fosse recata da
Teodosio e Onorii in Italia, dove sarchile pas
in in,, ,li conquista, ai re longobardi, o che I
donata da Foca ad Agilulfo, ,, che (osse tolta da
S.ini.i Sofia per Costantino Tiberio, il quale l'a-
vrebbe -• lata al papa Gì che , a Mia
. l'avrebbe in.nn lata a l'end 'Inula. Non valse
re ' In- d togliere da Sai 'e con 'in- di
dicate a Dio era un sacrilegio, né v.ds,- il silenzio
DALLE RIVISTE
[85
delle lettere di Gregorio a Teodolinda, ne valsero
tanti altri argomenti contrari a distruggere que-
sta leggenda. Un'allusione al significato della co-
rona corse prima della fine del seo do XVI ; essa
attesta l'ignoranza assoluta che si ebbe della sacra
reliquia, che pure doveva ricordare al mondo il
fatto della redenzione; poiché, a proposito del dia-
dema che si credeva la contenesse, il vescovo di Co-
stanza disse che, come il ferro doma tutti i metalli,
così l'Imperatore, col valore delle armi italiane e
principalmente dei Milanesi, avrebbe domato tutte
le altre nazioni ; ma i Milanesi, invidiosi dell'onore
di Monza, sfregiarono la corona, chiamandola di
paglia, per dire che erano essi forti e ferrei, non i
borghigiani monzesi.
In origine, la corona di Monza non fu ne un cer-
chio per incoronazioni, né una corona votiva. Non
fu un cerchio per incoronazioni, perchè tanto pic-
cola da non coprire la testa a un fanciullo ; tanto
che più tardi, per renderla adatta a questo scopo,
dovette essere, come si è detto, ampliata con un cer-
chio concentrico. Essa non corrisponde a nessuno dei
tipi classici e bizantini, tanto che alcuni vollero
crederla una corona votiva appesa con catenella
innanzi a un altare di San Giovanni. Ma il modo
nel quale è formata e la mancanza degli appicca-
gnoli 'impediscono di accettare simile ipotesi. Con-
frontando la corona ferrea con quelle votive, le
quali hanno un gran diametro e la fascia circolare
molto alta e mancante di articolazioni (mentre nella
monzese la fascia è composta di sei lamine riu-
nite da cerniere dentro alle quali passa uno spillone
d'ore), si deve escludere che sia una corona votiva.
Essa non può essere altro che un torquis, un col-
lare. L'uso dei torques era comune ai tempi romani :
li portavano le donne e gli uomini, i soldati e i bar-
bari, ed anche gli stessi vescovi. Le dimensioni della
corona ferrea corrispondono con quelle d'altri tor-
ques sparsi nei musei d'Europa ; il suo diametro
di 15 cent., è lo stesso dei torques trovati in Isviz-
zera e di pochi millimetri superiore al collare del
museo di Monaco; né l'altezza di quasi 5 cent, può
dirsi enorme, non sorpassando quella dei colletti
moderni. L'articolazione delle lamine, come esclude
che la corona ferrea servisse a circondare il capo
e che fosse un ex-voto, si spiega benissimo con que-
sta ipotesi, giacché per cingere il collo con un og-
getto metallico tanto grande e non elastico, la ne
sita delle cerniere è evidente. Il torquis ha nell'orlo
inferiore 54 forellini distribuiti a due a due, per i
quali passavano fili d'oro sostenenti perle, gocce
d'ametista e fusetti, come nelle collane a lamina
gemmata dell' imperatrice Arianna ; costume che
durò lungo tempo e che si riscontra persino nella
collana a cerniere dell' imperatrice Irene , sulla
pala d'oro in San Marco, a Venezia. Quando venne
meno l'uso del torquis di Monza, ossia quando l'or-
namento personale fu donato alla chiesa, affinchè le
lastre non formassero un insieme spezzato, fu messo
loro internamente un vecchio cerchio di ferro che
doveva saldarle in forma tonda. Questo cerchio fu
tratto da altro oggetto, probabilmente da un va-
sellaio che esso cingeva ; infatti ha sette fori inu-
tili, bastando gli altri avelli che rin-
forzano il monile.
Quanta all'origine, basta ossi 1 caratteri
del torquis di Monza ]<-r escludere che
nesse al l'oreficeria del secolo IX. come \ogIi,, no il
Barbier, il de Montault, il Kondakoff e il M
nier. Essa somiglia moltissimo a due collari trovati
a Kazan, in Russia, lungo la strada maestra delle
invasioni. TI Bayer, che li illustrò nel 1736, vide il
riscontro di essi con la a ro 1, e li chiamò
corone, nonostante la lori piccolezza, come il tor-
quis di Monza tu detto corona parva in un antico
inventario della Basilica. Questi due collari trovati
sotterra pressi Kazan, sulle rive del Volga, rischia-
rano improvvisamente la storia della corona ferrea
In tutta la Scizia, dal Mar Nero agli Urali, s'i
il costume di cingere il collo e d'attorniare li brac-
cia di cerchi d'oro, secondo l'uso orientale. I Greci,
che vivevano in frequenti rapporti con gli Sciti, li
aiutarono a modificare i modelli assiri e persiani in
ellenici. Invece delle teste di belve, dei leoni aco
sciati, dei grifi alati, l'arte classica dette i bei fiori,
le belle rose della corona e i begli smalti. Sul suolo
della Scizia, al limitare dell'Oriente, si era formata
un'arte che le orde barbariche sopraggiunte racco!
sero, svilupparono e sparsero nell'Occidente I 1 I
discendendo nel III secolo dalla strada maestra
delle invasioni verso il Mar Nero, s'impadronirono
del nostro torquis, simile agli altri due. che al p
sar della furia barbarica furono sepolti sulle rive
del Volga. Lo tolsero forse dal collo d'una regina
scitao lo strapparono dal corpo di un vinto re. ( li 1;
servato nella nobile tenda d'un capo, passato ai suoi
iliscendenti ed eredi, ornò probabilmente la bella
e pia Teodolinda, la quale, venuto meno l'uso di ve
stire i defunti con gli ornamenti che pi rtarono in
vita, offerse a Dio, morendo, come esprime la for
mola del suo Evangelario, ciò che le era stato do
rato da Dio. Come Luitprando offri all'altare di
San Pietro in Roma il suo cinturone e la sua spada.
Teodolinda diede a quello di San Giovanni di Mon-
za gli ornamenta muliebra, il torquis splendido,
l'aureo pettine e il dono augurale della gallina coi
pulcini d'oro.
■ <MI»i
Ita produzione del eapbon fossile
Un corrispondente ila Londra comunica a! Siedi
,!i i'.o 1 1 alcuni cifre circa pri duzione del cai
bon tossii-. Nel 1900 la produzione totale di qui
combustibile nel mondo fu ili tonnellate 757 milii :
Sono in tesi 1 a questa produzione tre paesi : In
gli tterra, SI iti Uniti ,1 \i 1 a e 1 lei man a chi
si li detteri 616 milioni di 1 Ila poi
1 \n-tiia. l'Ungheria, la Francia,
Ile complessivamente produssero 111 milioni ih
e: 22 milioni e mezzo 'li tonnellate s
prodotte da cinque altri 1 ili anad
Giappone, l'India, la Nuova Galles del Sud e la
ni. Il resto è' ,1 11- da altri pai - . ne suno dei
quali, ad di l'Africa del Sud, ■■-•trai' dar
suolo piti di un milione ili t ellate alla
Quanto al consumo di ! carbone minerale, si ri
in ai - ' >i"' Nel 1883, 1 '
do Intel 0 imai 1 no 184 nuli' mi di tonni
late: nel 1900 se ne sono bruì iati più di 700 noi oni
IN.
LA 1.1 I I l RA
Un cavo sottomarino
dei conduttori isolati per scoprire e ripa-
rare immediatamente i difetti.
(Dalla «' . WeU .
dopo quindici anni ili tecnica, un cavo
pianta per così 'lire giuocando. S
ndo la tempesta solleva le onde sbatti
qua e la u.i\r e cavo, l'impianto del cavo è anche
ifncile. In temp i\ ano ben
Quando Werner Siemens, sedici anni
ralle stabilire con mezzi meccanici me
sviluppati un cavo sottomarin
maro nave portante il cavo andasse a picco.
< >jmi cavo ha per conduttore elettrico una fune
ili lìli ili rana- (sette) che ne costituiscono l'anima.
I! conduttore si circondadi guttaperca, kautschuk,
piombo, ecc. Fabbricato il cavo, bisogna naturai-
menti rio ad una prova accurata p
tare che il rivi sia buono e sia in
la penetrazione dell'umidità nell'interno. Infin
ste il tutto ili una armatura ili filo ili terr<
altro, e il cavo è pronto per essere deposto in m
I ' nave destinata a portarlo deve esseri
La partenza della nave.
M l'esperienza | i frutti. Oramai si sa-
rtare un cavi i e
il iara solido che anche oggi,
dopo quindici anni, tiene il ni
tutti i pn igressi della tec-
richied gran
molta cura. 11 cavo deve venir giù daU
è arri iti ilato inti imo ad un coni
senza interruzione di sorta. Ogni
pi. ria un gra
tinua ad andare ancora un poco, non potendo
ntinùamenb
i.i massima cura regolare la velocità della navi
• ■ dello s i basi i pi f indite
delle n avvenga che si maini:
ip.p|i.i cavo, né che questo sia l ■ sul fon-
do. Ain hi sempre le pn
tutto di grande tonnellaggio e munita deg
rc-vlii pel carico <• la de] del cavo, la .piale
i ffettuata per via ili congegni precisi e sicuri
che regolano l'immersione con precisione.
L'articolo della Weite Welt è accompagnato da
illustrazioni ili cui alcune sono qui ripro-
dotte. Si tratta ili fotografie presi- durante l'im-
pianto ili un cavo tra il continente euro] \
merica. La prima rappresenta la poppa della nave
al momento della partenza. Una seconda rappre-
senta il cavo all'arrivo sulla costa ove viene l
da gran numero ili pi r» ne 1 1 ste su diversi barche e
zattere. Quando si è arrivati a toccare la terra, hi
un letto pel cavo che dall'acqua vie-
ne- sulla spiaggia e deve andare a finire, natural-
te, nella Cable-housi l rza illustrazione rap-
ita appunto lo scavo ili questo
Il cavo è tiralo a terra.
Il « letto » pel cavo sulla costa.
UH
IfS?
LA LETTURA
La Corea
[Da un articolo di 1 mesto von Hesse Wartegg, nella ri-
■i litui AV.i Ushefte .
alla guerra del i S«> } tra Giappone e ("ma.
sto regno giain'.c press, a poco quanto
la i ìran Bn lagna e pi >p< lati da otti d eci mi
lioni di abitanti, incapace «li vita autonoma, era
di' influenza inglese. Da principio il
Giappone voleva soltanto sottrarre la Corea
influenza n indipendente; ma suo
■ nuli si ili i la Cerea, ina
anche parte della Manciuria. L'intervento della Gei
mania, della : l Ha Russia impedì che il
Giappot l'intento, serbando la Man-
ciuria ai Cinesi e l'indipendenz apparente
1 una e 'ine l'altra terra sono
destinate .1 divenire tosti •■ tardi possessi russi.
La Corea, del resto, è premio la cui conquista
giustificherebbe sacrifizi anche grandissimi.
j.a terra nalmente fertili . si bbi ih- i ( '<
reani siano ben lontani dal trarne tutti i frutti che
potrebbero. Amministrato coi nostri metodi occi-
dentali, il p. 1 : di una prosperità infini-
tamente maggiore, e questo sarebbe certamente av-
venuto ila gran tempo se la Corea (esse stata co-
nosciuta dagli Europei. Ma sino al 1880 circa quel
regno fu completamente precluso agli stranieri: nes-
suno poteva entrarvi; chi l'avesse tentato sarebbe
andato incontro a morte certa. Xel 1865 il padre
del re presente fece trucidare nel modo più orribile
nari francesi e duemila indigeni convertiti
al cristianesimo. lidia penisola non si conoscevano
se non le coste, e queste non erano molto attraenti.
L'autore dell'articolo, la prima volta che approdò
n^'f
W w ] 'à
■■ vivi
S
ffl
HHv ^JP
Il re di Corea.
'ne di
sulla terra coreana da una nave giapp' tem-
po della guerra con la Cina, fu stupito dalla deso-
lazione della costa, spoglia di case e di vegetazioni,
nuda e deserta.
Ma non sempre fu così. Nei secoli andati il po-
polo coreano fu civile, non inferiore al cinese. I
Giapponesi hanno .ip] reso dai loro vicini cureani
molte delle arti loro più importanti) la stampa, la
fabbricazione della porcellana e della carta, ecc.
Tra la Cina, la Corea ed il Giappone inti rcedevano
vive e costanti comunicazioni marittime e commer-
ciali, tinche l'invasione della bellicosa razza man-
ina in Cina mise termine a questa prosperità. Le
schiere audaci, condotte dagli antenati degli attuali
governanti della Cina, conquistarono l'Impero di
\1 ' . 1- ii Re 'he dominava allora sulla Corea, te-
memi. > ugual sorte dC si;-, paese, non si contentò
di cingere il su., regno, lungo il contine mancese,
di un muraglia che era coinè un'edizione mi-
glia della Cina, ma volle an-
che .In- al confine stesso, su una stns.-ia di terra
larga molti chilometri, si facesse il deserto radendo
DALLE RIVISTE
al suolo città e villaggi e traendo via gli abitanti.
Oltre a ciò si distrussero tutti gli abitati lungo le
coste, e questi provvedimenti furono mantenuti se-
T89
Il re attuale del paese è uom< • '• U>le. completa-
mente (luminato, sino alla guerra, dalle mi gli, a
gli eunuchi, dai preti e dai mandarini, che lo tene-
Porta occidentale di Seul e case della città.
Nel ministero delle finanze.
veramente sino una ventina d'anni or sono. La Co-
rea fu, con queste misure di isolamento, salvata da
qualsiasi invasione ; ma per oonverso il popolo, op-
presso e sfruttato da mandarini rapaci, retrocesse
in uno stato di barbarie.
vano in uno stato di isolamento assoluto, n riti
Provincie erano mal governate dalla nobiltà. I man
danni non potevano tenere un governo più di
anni : e in quel breve periodo rubavano a man salva
per sé e per gli amici, pel presente e per l'avvenire.
l'I'
LA LETTURA
l'i : , il popolo, misi to, non si cui
i i : .11 he i'i" .'il"
chin . i ]vn> at,> dove> ani ■ poi essere
rubate dal pi tente? Pei nobili, il lavi
-.1 indegna Li vìe i rano in uno stati
. lue giorni eli distanza dalli
rivano i porti l'Estri mo < •
iasi iare 'I suo pa
i 88 i fu i" rmi ssi ■ agli F un pei 'li ri-
ir pari i del n
L'i re che ^ apitale Seul, dice che sino
m tem] eri i templi, né
riè teatri, i alberghi, né inumi-
le vie, ii ■ acquedotti, né Pognatun .
menti-: la città era un ammasso 'li capanne orri
bili ra un. po' consii
voice la muraglia che i i ne impedisce
l'espansii n 1 - pi rte si chiudpno al tramonto e si
aprono all'alba. La m tte nessuno può uscire.
induce al palazzo reale é Gancheg
ruzii ni che l'autore, vedendi le, aveva
Ile reali. Erano i ministeri! Entra
H Waj ■ i minisi ri fìanchegi
dai loro impiegati, se, in i unente '-"1 cappello
la pi] a in bocca. Se quei rispettabili fun-
zionari debbono sci nza abbandonare la pipa
pn ndono il p racciam sulla carta stesa
al suolo i caratteri cinesi, poiché la lingua ufficiale
della ' rea i il cinese.
I mandarini e gli ufficiali non vanno mai a piedi.
Andare a piedi per uno di quei signori sarchile ta
quanto lo sarebbe per un ufficiale eu-
ire scalzo per la strada.
II corteo di un generale coreano merita d'essei
viste Pri raldi recanti in cima a lun-
ghe aste dui tavole su ui critto: « Pare », e
« Lasciate libero il passo » Seguono: un impu
lo in mezzo alla strada, reca una borsa
■Imitici biglietti ili visita del ge-
nerale; una guardia del corpo di dodici uomini ar-
di fucili, comandati da due sotto-ufficiali e ac-
pagnati da due tri mbetl eri ; e . in mezzo ad
il generale a cavallo d'un pieci,, ,„ ney, e as-
o da un palafreniere che tiene il cavallo a
maini e un altro chi i '•' me dell'ec-
celso signore per ricéverne gli ordini.
In pochi paesi le donne sono cesi poco conside-
1 '■ i l ivorano da mattina a ni tte
Coreana in abito da strada.
avanzata, mentre gli uomini oziano. Sono vere schia
ve, relegate nelle stanze più remote, isolate
giunta, perché trattami poco con gli uomini, ed anzi
le sorelle non possono trattare affatto coi fratelli.
Tutto questo, per altro, col tempo muterà. Già
i Giapponesi, nel breve periodo di tempo che res
Sera praticamente il paese do]
del giovine re. seppero spingere la Corea sulla via
della modernità, ed i Russi continuano ora alacre-
mente l'opera loro. Seul ha fatto progressi enormi;
• mmerCJO è aumentato; lo Stato non ha | iù i li-
biti, anzi |" ssiede fondi cu cui potrà provvedere
i ferri vie, poste, telegrafi. Il re ha un palazzo i
cente e il Governo anche.
Ma Giappone e Russia si contendono la supre
mazia sul ugno riformato, e la sua sorte probabil-
mente non sarà doisa senza gravi lotte.
I il ma del re di ('orca.
DALLE RIVISTI
IQl
Iie bizzarre forme
de' fioeehi di neve
Da uno studio di Schenkling
Gai li n i.
Prevot, nel Haus-Hq)
La formazione della neve si basa sulla
tri corpi nel mo
La neve non è pertanto che del vapore acqueo,
gelato in una data forma, Ogni fiocco di neve,
che cade, forma un corpo chiuso in sé stesso, mia
figura regolare e leggiadra, più o meno complicata
e costituita da una grande quantità di piccoli cri-
stalli a forma d'ago.
l'i r pianto però si sottopongano a | aziente disa-
mina questi cristalli sempre vi si troverà prevalente
la stessa idra, sempre la stessa forma fondamentale:
Questa forma .'• il si i ed appai ni cdo
' &
.
mento in cui dallo stato liquido passano a quello
solido. Ed è la legge della cristallizzazione, questa
attività misteriosa e magica , che improvvisa , in
ir.en che non si dica, la sua creazione e manifesta
tutta la sua influenza nell'aria imeni ile. Onesta
legge, che mira quasi esclusivamente a delle I
diritte, impone alla parcella vaporosa dell'aria di
assumere, congelandosi, una determinata forma.
Quando ciò è avvenuto i nuovi corpicini cadono:
nevica !
le espressioni della cristallografia, al sisti
ad asse unica o ad asse triplice. Per ren-
ili ni facilmente intelligibile, caro lettore, qui >to vo
cabolo tecnico, ti
congiungi gli angoli delle figure con tre linee dii
correnti attraverso il punto centrale. In questo pun
tu configgi j" mi" spillo, che formerà la-M- prin-
pale mentre le tre linee diritte formeranno le i
secondarie. Cosi, senza saperlo, hai fatto tanto une
Studio '-rista: quanto uno studio della
IQ2
LA 1.1. Il
i.i figura forma la base ili rutti i
cristalli nevosi (Ili svariatissimi modi cori cui però
i cristalli od aghi di ghiaccia, sottilissimi e spesso
distinguibili soltanto .il microscopio, si formano e
sformano lung ridane, danno alla pie-
varia assai, ma sempre
. nuno può fare
l'inverno del 1845-46, per esempio, il cuoco di Corte,
1- rat"-< - l<< 'li 1 Dresda, non
meno di iu» varie torme ili cristalli ili neve e l'in-
resby, or mt'anni, ne scoperse nel
Mar Glaciale un numero anche maggiore.
stalli della neve, in una dal •■■ non
si >n<> mai — questo è certo — identici l'uno all'al-
Certo è i*.-r.'>. d'altro canto, che scino simili,
onde se ne trac la conseguei condizi .ni del-
l'aria d<! prevalentemente unifor-
mi in quelle date nevicate. E poiché è positivo che,
nto della» u mperatura, anche
dei fiocchi ili neve si mutano, sembra provato che
il grado ili calore esercita una e
sulla loro formazione. Quali altri fattori — oltre
il contenuto di vapore, il grado ili calore e la mobi-
lità dell'aria — sieno in giuoco, difficilmente può
dirsi ; certo anche l'elettricità v'ha la sua parte.
Dobbiamo, d'altronde, distinguere i fiocchi di
dai cristalli di neve. 1 primi formano la mag-
gioranza perchè i metalli, liquefacendosi alla su]
fide, si appendono o s'intrecciano gli uni agli altri.
Perciò quando il freddo è poco intenso, ved
dei fiocchi di neve anche della grandezza d'un uovo
di colombo, mentre, quando il freddo è più rigo-
roso, vediamo de' singoli e staccati cristalli di 1
molto asciutti e bene delineati, che cadono
lentamente, aggirandosi su sé stessi e ci colpiscono
in volto come acuti spilli...
m&&^r<^~
GIUSEPPE GIACOSA, Direttore.
Milai - Tip. 'lei della Sera.
Galluzzi Giovanni, j,r<r,ntc responsabile.
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Un fanciullo eroe
(Traduzione di ROBERTO FAVA)
i. allora undici anni all'indica.
Nel mese ili luglio ebbi da' miei genitori il per-
uidai .1 ['.issare un po' ili tempo presso il
nnstro parente T. W , in un villaggio vicino a
a.
Trovai in quella rasa una cinquantina d'invitati...
■ ntai. ma forse erano anche 'li più. Si fa-
colà una vita allegra e rumori sa. Pareva una
i senza fine. Probabilmente il nostro ospite si
proposto ili dar fondo il più presto possibile a
tutta la sua immensa sostanza: e vi riuscì, poiché
non . ni tempo che se n'era andato sin l'ul-
timo solilo. Ail ogni istante giungevano nuovi fore-
stieri. Mosca era vicinissima, talché quelli che par-
tivano non facevano che lasciare il posto ad altri
invitati e le feste si seguivano senza interruzione.
Ogni giorno erano nuovi divertimenti: escursioni a
cavallo nei dintorni, passeggiate pei boschi e lungo
i fiumi, partite di caccia, pranzi sui prati e cene sul-
la grande terrazza della casa, la quale era circon-
da una triplice fila di piante di fiori preziosi, che
impregnavano l'aria della notte dei loro acuti pro-
fumi. Le signore, che per la più parte erano belle,
acquistavano anco maggior fascino dalla luce abba-
gliante della terrazza, coi loro volti eccitati dagli
nimenti della giornata, coi loro occhi scintil-
lanti. S'udivano parole scherzevoli frammiste a risa
'ine. si ballava, si suonava, si cantava. Quando
il cielo si oscurava e si faceva minaccioso, si forma-
vano quadri viventi, si scioglievano sciarade ed enig-
mi e si rappn si stavano persino | riduzioni teatrali.
Alcuni declamavano, altri raccontavano storielle ed
anedd A i d'i igni sorta.
Fra gli ospiti ve n'erano alami che attiravano su
'■■ tutti. Naturalmente non manca-
vano ne le calunnie né le esagerazioni, poiché senza
>e il mondi > i i ti re, mi n
milioni d'uomini come le mosche. Sii
nmi avevo allora che undici anni e la mia atti -n.
era attratta da tutt'altre cose, non osservavo minu-
iianto accadeva e, se anche osservavo qual-
che o sa, non \ edevo tutto. Solo più tardi ho riflet-
ti! qui I ti mpi i non mi po' èva far
hi I: parte risplendente del quadro —
dorè, quel ru-
more, tutte queste ciwe, ch'io sino allora non li-
mai . mi stordirono talmi i b
-prnii giorni mi sentii del tutto e la mia
pili-. ■
Ma o ra i nti • tutto coi - i di \\\\ fai
lo di undici anni: e senza dubbio io era allora un
fanciullo, null'altro che un fanciullo. Molte di quelle
signore, accarezzandomi, non pensavano neppure a
tener conto della mia età. Cosa strana però! Un
• ito sentimento che io stesso non riuscivo a com-
prendere sera impadronito di me: qualche cosa di
nuovo sino allora incominciò ad agitarmi il cuore,
il quale perciò batteva sovente come in preda a
terrore, mentre il volto si copriva d'un subito ros-
- ire. Talora mi vergognavo e mi sentivo offeso dei
privilegi che mi si accordavano per la mia età fan-
ciullesca. Altre volte rimanevo come su rdito e mi
nascondevo in qualche luogo, dove nessuno potesse
scorgermi, per rimettermi e per richiamare alla me-
moria qualche cosa che mi pareva di aver rammen-
tato benissimo sino a quell'istante ma che m'era sfug-
gito d'improvviso dalla mente. Altre volte ancora mi
pareva di nascondere qualche cosa agli occhi di tutti
e per nessuna cosa al mondo avrei voluto dirne una
sola parola, perchè essendo un piccolo fanciullo ne
avrei avuto vergogna sino alle lagrime. In breve
giunsi a sentirmi come in una specie di solitudine,
in mezzo al rumore che mi circondava. Eranvi altri
fanciulli, ma tutti erano o più piccoli o più grandi
ili me: d'altra l'arte, non li desideravo. Certo è che
non mi sarebbe accaduto ciò che mi accadde, se a-
vessi avuto colà dei compagni di giuoco della mia
età.
Agli occhi di tutte quelle belle signore, io era an-
cora un piccolo essere impersonale, con cui ama-
vano qualche volta d'intrattenersi e con cui si po-
teva giuncare, come si usa con un bamboccio, Spe-
cialmente una di esse, una bionda incantevole,
una ricca e folta capigliatura quale non avevo mai
veduto e liliale non ■ ', più. pareva avesse giu-
rato di non lasciarmi in pace. Il riso provocato dalle
sue monellerie la rallegrava: io invece ne rimanevo
impacciato e confuso. In collegio, le compagne l'a-
vranno chiamata certamente « la mariuola ». Era
maravigliosamente bella e nella sua bellezza eravi
qualche cosa che risaltava agli occhi al primo ve-
derla. Naturalmente .essa non aveva nulla di comune
con quelle bionde piccole, timide, molli come la
piuma. Non era di statura molto alta, né di grossa
corporatura, ma aveva lineamenti fini di un d
gni ' mai - - i nella sua figura qua
che ti faceva l'impressione del luccicare dei
lampi: tutto in lei era fuOCO e vaia. 1 suoi occhi pa-
o mandare scintille: risplendevano come dia-
manti. A nessun prezzo avrei cambiato quegli splen-
didi occhi azzurri con altri neri, fossero pure più
neri dei più neri occhi delle andaluse. La mia bion-
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I N I ANI II I 1.' i EROI
da poi lo porsi a pari di quelle brune
,-.\\ì-. valente pittore, il quale ha
j^ì ti r.i t . • m-' -i che sarebbe pronto a rom
|htsì il collo pur che gli si permettesse 'li to
del 'In" li
giungere che sebbene la mia bella lussi- maritata
nque anni, pareva la più allegra ili tutte i
,u.. riso da pazrarel i era a u ne una
ribina. Quando rideva, le sue labbra parevano
una l che ha dischiuso appena il bocciuolc
. purpureo, esalante soavi profumi, al primo
che è irrorata ancora ili fresche
rugiada.
Mi rio rdo che il giorno appresso alla mia venuta
si rappresentò una commedia. La sala era piena,
non v'era neppure >ui posto vuoto, io aveva ritar-
dato e dovetti star in piedi. La commedia era al-
legra e m'interessava. Mi Feci più dappresso al pai-
o e senza accorgermene mi spinsi fino alle
prime file, dove mi fermai presso alla sedia di una
signora. Fra la mia bionda, cui però non conoscevo
ancora. E caddi in estasi alla vista delle sue spalie
maravigli* se, rotonde, incantevolmente belle, piene
me una cascata di neve, sebbene allora
avrebbe dovuto essermi del tutto indifferente il guar-
dare di una bella donna o il cappello guer-
nito di nastri rossi ohe copriva i capelli grigi di una
riama venerabile seduta in prima fila. Vicino alla
mia bionda stava una ragazza matura, una di quelle
che, come ebbi occasione di. osservare più tardi, si
pongono d'ordinario presso a donne giovani e belie,
perchè attorno a queste suole aggrupparsi la gio-
ventù.
Ma ciò non importa. La ragazza, appena si fu
accorta ch'io osservavo la sua vicina, si volse a que-
sta e sorridendo le sussurrò alcune parole alt'oiec-
chio. La bella bionda guardò tosto dalla mia pare,
e nella semi-oscurità della sala, lo ricordo co-ri'.- se
■ adesso, i suoi occhi mi fulminarono, sì ch'io
tremai quasi spaventato. Quella maravigliosa ciea-
tura sorrise.
— Ti piace la commedia? — mi chiese essa con
aria tra maliziosa e canzonatoria.
— Sì, — risposi guardandola con una ammira-
rli" probabilmente le faceva piacere.
M . tal in piedi? Ti stancherai. Non
uno, - io ris|«isi, incantato niù della
premura ch'ella si prendeva per me che de' suoi or>
intillanti. Sentivo una vera felicità d'aver fi-
nalmente trovato un'anima buona, con cui poter di-
le mie pene.
1 1 la ogni parte, ma tutte le
-paté — aggiunsi poscia, come ramma-
■ 'ni con lei di non poter trovare un posto.
— Vieni qui disse con vivacità la bella si
sempre pronta a dare esecuz
ad i : pass asse pel capo. N
qui e siedi sulle ni a aia !
ripetei io sorpreso.
H i detto che i privilegi che mi si aco 'rilavano
per riguardo alla mia età fanciullesca incomincia-
■ ad offendermi e f .unente vergognare.
Ma quella signora, per ridersi di me, mi prodi
tali privilegi ancor più ostensibilmente che le altre.
< due di questo, io che a casa era stato sempre un
//<> timido e ritroso, incominciavo a farmi
ci.iio al coiii.uto ili tutte quelle signore e fui pi
ila una mal dissimulata stizza alla proposta lattami
dalla bionda dama.
— Sì, sulle ginocchia ! Perchè non vuoi si
sulle mie ginocchia? — continuò ella con ostina-
zione i a ridi re sempre piii forte. Sa Iddio
perchè rideva '. Rideva forse della sua idea o della
mia stizza? Lo ignoro!...
Io arrossii e, nel mio smarrimento, mi diedi a
care collo sguardo un lui go dove naso ndi rmi
mi prevenne. Senza che me n'a . mi
prese per una mano, sì ch'io non potevo più fuggire,
e me la strinse fra le su. dita ardenti e tiranniche e
incominciò a torcermela producendomi un dolore
così acuto, ch'io fui costretto a piegarmi nel modo
più ridicolo e a raccogliere tutte le mie forze per
non mettermi a gridare. Facendo questo io mi sen-
tivo confuso, stizzito, persino spaventato. Non po-
tevo capacitarmi come esistano simili dame strambe
che — Dio sa il perchè — si divertono a dire a dei
ragazzi, e ancora in presenza di tutti, sciocchezze di
tal genere e a torcere loro le mani. 11 mio volto espri-
meva probabilmente tutto il risentimento che mi
bolliva nell'animo, poiché la strana signora rideva
come una pazza e mi dava dei pizzicotti e mi rom-
peva le mie povere dita. Essa non capiva più nella
pelle dal piacere di essere riescita a fare una mr ind-
iata, a far stizzire un povero ragazzo e a prendersi
gioco di lui, per quanto era in suo potere, natural-
mente.
La mia condizione era delle più deplorevoli. Da
principio mi sentivo vergognato perchè tutti si erano
voltati verso di noi, alcuni maravigliati, altri ri-
dendo, giacche avevano subito compreso che la lidia
dama ne aveva fatto una delle sue. Ma nello si
tempo mi veniva da gridare forti perchè essa mi
stringeva le dita furiosamente, quasi si fosse ap-
punto proposta di tanni strillare. Io però mi si
zavo di sopportale d dolore con sti icismo spanano,
temendo che le mie grida producessero panico nei
presenti e disturbassero la rappresentazii ne. Ad un
dato ni' un ut. i mi sentii preso da vera disperazione
e incominciai a lottare con tutte le forze colla mia
persecutrice per liberarmi dalle sue mani ; ma i ssa
era molto più forte di me. Finalmente non pi
più trattenermi ed emisi un grido Era questo lin-
eila aspettava. Mi lasciò tosto libere le mani i
voltò come se nulla fosse acca ito, i mi non fi
stata lei, ma qualcun altro, a tormentarmi. Il suo
contegno somigliava a quello di uno scolaro che,
profittando del momento in cui il maestro gli v
le spalle, distribuisce pizzio Iti piccoli
boli, dà un colpo di gomito al vie-ino ed ha già
ripreso la posizione dell'alunno diligente, curvo sul
libro ;i studiare la lezione, quando il maestro, ii-
• rumore, si vi Ita infuriato.
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dietro ad una colonna, guardavo con un senso quasi
■ li spavento il punto d duta la strana si-
mi imi. iva seni]
il fa alle labbra. E seguitò :i lungo a cei
carni sguardi scrutatori per tutti gli angoli:
<-\ idi i le rincn i i stupida
lotta fi sse termin ito e pi nsa
..lira pazzarella
( !osì incominciammo a o ini i la qui Ila i ra
m mi lasciò più in pace.
Mi perseguitava, mi martoriava, mi tirani
i.i misura e senza alcuna compassione.
Mi ( uesto tiro birbone: ili mostrarsi inna-
morata pazza 'li me per mettermi in ridicolo. Ciò
naturalmente mi stizziva e mj faceva arrabbiare sino
a piangerne. Talvolta la mia situazione era rosi di-
sperata, che mi veniva voglia di battermi colla mia
scaltra adoratrice. 11 mio ingenuo imbarazzo e la
mia ino vieppiù stuzzicare la bella
dama a tormentarmi. Era addirittura senza miseri-
cordia ed io non sapeva come sfuggirle. Il riso che
scoppiava d'ordinario intorno a noi e ch'essa sa-
provocare cosi bene, l'incoraggiava a nuove
pazzie. I*a ultimo i simi scherzi aveano incomin-
ciato ai 1 eccedere i limiti del convenevole. Come mi
ira, essa si permetteva troppo con un ra-
gazzi ti ii com'ero io in quel tempo.
M i osi era la sua natura. Seppi in seguito che
era il marito suo che la guastava <, >n soverchie ca-
rezze — un uomo grasso e tozzo, con una faccia
i ìsa, gioviale, vivace e, a quanto pareva, ricchis-
simo. Irrequieto ed occupato come era, non poteva
fermo più «li due ore al giorno nella villa del
nostro ospite. Ogni giorno, qualche volta persino
due volte al giorno, si recava a Mosca, e sempre per
affari, come egli stesso assicurava. Difficilmente si
sarebbe trovato un essere più buono di questa figura
dolce, che t'ispirava confidenza di primo
acchito Non soltanto amava la moglie sino alla
pazzia, ma l'adorava comi- un nume. Non le impo
limiti in nessuna o Essa aveva amici e a-
miche in gran mimerò: anzitutto, perchè era diru-
te alcuno che, avvicinandola, non l'amas-
se; in secondo luogo, perchi quella gaia farfalla
non era troppo severa nella sciita dei suoi amici,
<lo il suo i molto ] iiù se-
rio di quello che si potrebbe supporre dal mio rac-
conti ..
le su.- anni lic essa amava e distingueva
specialmente una giovane signora, sua lontana pa-
' l'irte, in quei giorni, della
ra società. Esisteva fra esse un certo tal quale
lega.: e gentile, uno di quei legami che si
stringono talvolta quando s'ii di iratteri
ri, di cui l'uno è più profondo, più
più puro, mentre l'altro, ni desto i mite,
■ i del primo e ne subisce con pia
nel cuore un i ulto pieno
di soave compiacenza. 1 rapporti reciproci chi
stabilisci no 1 1 i simili i rio che vi può
essere 'li più delicato e gentile: amore infiniti
condiscendenza dall'una parte, an tima dal
l'altra — una stima che va tant'oltre, da divenire
limole di comi'. une troppo agli ocelli dell
raggiunge il suo punto culmi-
ite nella litania gelosa, febbrile, di accostarsi
SI mpre più ad esso o Ila mente e i
Le 'In-- amichi la stessa età, ma eravi
fra esse una differenza immensa in tutto,
ciando dall'esterno. Anche la signorina M...
i '. ma ni Ila sua bellezza eravi qua i che
la distingueva da tutte le altre belle dame. Era in
lei qualche cosa che le cattivava irresistibilmente
la simpatia di tutti, o meglio, che ispirava una sim-
patia nobile e pura a tutti quanti s'incontra
lei. Vicino ad essa ognuno si sentiva più calino, più
libero e più a suo agio, sebbene i suoi grandi occhi
malinconici e pieni di fuoco e di vita si volgessero
attorno timidi ed inquieti, come temessero sempre
qualche ci lile e di minaccioso. Questa stra-
na apprensione dava talvolta a' suoi lineamenti dolci
e lini — che rammentavano le immagini delle Ma-
donne italiane -- l'impronta di uno sconforto -
profondo, che anche quelli che l'osservavano si
sentivano presi da un senso di vivo rammarico. In
quel volto pallido e magro, nella bellezza perfetta
delle linee pure e regolari, si scorgevano ani
attraverso al velo di una perenne mestizia, i tratti
morbidi della fanciulla — lo splendore di una feli-
cità calma ed ingenua, che qualche anno prima do
veva aver irradiato quegli occhi pieni di soave in-
canto. Il sorriso dolce, ma timido e indeciso, che
errava talvolta sulle sue labbra, t'ispirava, tuo mal-
grado, una così dolce e viva compassione per quella
donna, che oramai non v'era più nessuno che non
(trovasse per essa un sincero e profondo sentimi
di commiserazione. Con tutto questo, la soave crea-
tura si mostrava sempre silenziosa e chiusa, sebbene,
quando si trattava di dolori altrui, nessuno più di
lei fosse prodigo di attenzioni e di dimostrazioni
uose.
Sonvi donne, che nella vita sostengono la parte
di suore della carità. Ad esse non bisogna nasi
di re nulla, nulla almeno di ciò che amareggia e ch'-
addolora il cuore. Chi soffre, può ricorrere ad i sse
rumato da a i da speranza e senza timore
di essere respinto, poiché rat i sono quelli che cono
scono di che amore paziente e senza limili, di che
pietà affettuosa è capace un cuore dì donna. Te
ili simpatia, di conforto, di speranza sono nasi
in questi animi puri. F.ssi sono spésso provati dalla
sventura, giacché chi molto ama i destino che debba
molto soffrire, ma celano con cura agli occhi dei
curiosi le proprie ferite, poiché il dolore profi
ride ai profani. E non si lasciano spau-
rire né dalla tenta profonda e purulenta, né dal
lezzo pestilenziale che questa esala. Chi si avvicina
a questi esseri, e già degno di loro, che sembrano
nati ]x-r compiile n, ,l,ili azioni.
la signora M .... era alta di statura, flessuosa e
nella. In tutti i suoi movimenti si notavano strane
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guardarsi dalle innumerevoli contraffazioni
IV
UN FANCIULLO l ROE
anomalie. Ora erano lenti, gravi e solenni, ora frel
come quelli di una bambina. Nel tempo i-
i i suoi gesti denotavano una i imis-
nza difesa, il quale pareva
non cercasse appoggio ad alcuno.
Ho già detto che le persecuzioni della mia bionda
tiranna mi empivano di vergogna e mi facevano
re sim ■ .1 Ma era.) incora un'altra
■ ■he mi faceva tremare verga a verga — una
stupida, che nascondevo a tutti e al
cui s ero mi sentivo tutto imp ton-
ili sentimento strano di vergogna e ili paura
mi 5 a l'animo ed io, silenzioso, andavo a
.1 rapo chino, in un angolo nascosto
penetrare gli sguardi scrutatori
eni 'li scherno < Iella bella bionda dagli occhi
azzurri. In una parola, io era innamorato. Debbo
confessare che era una sciocchezza. Alla mia età,
! ile. Mi perchè, fra tutte le
persone che mi circondavano, un volto solo attirava
tutta la mia attenzione? Perchè ini piaceva seguire
lei sola oillo sguardo, sebbene in quel tempo non
mi sentivo affatto portato ad ammirare gli occhi
delle signore e a fare la conoscenza di esse?
Ciò mi accadeva specialmente la sera, quando il
tempo piovoso costringeva tutti a stare in sala ed
lo. nasnsto in un angolo, in mancanza di una
qualunque distrazione, volgevo gli occhi da tutte
le parti. Raro avveniva che qualcuno parlasse con
me, all'infuori della mia ix-rsecutrice. In quelle sere
io provavo una pena da non dirsi. Guardavo le
persone che avevo dintorno, ascoltavo i loro di-
^i, spesse volte senza comprenderne neppure una
parola, e poi lo sguardo dolce, il sorriso incerto e il
tei volto della signora M..., Dio sa il perchè, atti-
ravano tutta la mia attenzione, tutto il mio interes-
samento, e mi affascinavano. E questa impressione
strana, indefinibile ma ineffabilmente dolce, non mi
lasciava più. Passavano sovente ore intere senza
ch'io potessi togliere lo sguardo da lei. Studiavo
. ogni suo movimento, tendevo l'orec-
chio a tutte le vibrazioni della sua voce limpida
come l'argento e, cosa strana, il risultato delle mie
nazioni, assieme ad una impressione di dolcez-
za e di preoccupazione, era una specie di curiosità
indefinibile. Sentivo di seguire un mistero.
Mi riescivano molto penosi gli scherzi maligni
della bionda, quando la signora M. ... era presente.
Mi pareva che questi scherzi e le persecuzioni co-
mii-he cui ero fatto segno mi abbassassero. Quando
poi avevano per effetto uno scoppio di riso generale,
cui qualche volta prendeva parte anche la signora
M , io allora, vinto dal dolore, disperato, mi li-
beravo dalle mani della mia tiranna e fuggivo di
ti nella mia camera, dove passavo solo il rima-
nente della giornata, non 0 Tarmi in
sala. D'altra parte, io stesso non comprendeva che
1 significassero questa vergogna e questa irrita-
le da cui ero preso: io era affati lente
del fenomeno che si svolgeva nel mio interno, l 'olla
signora M non avevo del ra due parole.
1, la colpa era soltanto mia. perchè non 1
ancora pi tuto decidermi a farlo. Ma una sera, dopo
una giornata ]>er me insoffribile, durante una pas-
seggiata io era rimasto dietro a tutti ; mi sentivo
0 stanco e ini ionio a casa pas-
sando pel giardino.
Seduta su una panca, in un viale solitario, trovai
la signora M.... Era sola. Evidentemente aveva
cercato a bello studio la solitudine. Teneva il capo
Curvo sul petto e con una mano stringeva un fazzo-
letto. Era così immersa ne' suoi pensieri, che non
s'accorse ch'io me le ero avvicinato. Oliando mi
scorse, si alzò lesta dalla panca, si volse ed io os-
servai che si asciugava gli occhi col fazzoletto. Ave-
va pianto. Dopo essersi asciugate le lagrime, mi
sorrise e s'avviò meco verso casa. Non mi ricordo
più di che parlammo: rammento solo che ad ogni
istante essa renava qualche pretesto per allonta-
narmi. Ora mi pregava di coglierle un fiore, ora
di guardare chi passasse a cavallo per un altro viale.
E appena io mera discostato, essa portava il faz-
zoletto agli occhi e tergeva le lagrime ribelli, che le
sgorgavano di continuo dagli occhi e pareva non se
ne volesse più disseccare la sorgente. Compresi che
probabilmente l'importunavo, giacché mi allonta-
nava così spesso. Ma essa pure s'era accorta ch'io
aveva veduto tutto. Malgrado ciò, la povera signora
non poteva padroneggiarsi ed io sentivo per lei tan-
to maggiore compassione. In quel momento io era
furioso contro me stesso sino alla disperazione, non
potevo perdonarmi la mia indiscrezione e la mia
inettezza, ma non sapevo come rimediare senza dar-
mi a conoscere d'aver (osservato il suo dolore. Le cam-
minavo perciò silenzioso al fianco. Ero del tutto
sconcertato e non riuscivo a trovare neppure una
parola per sostenere a monosillabi la nostra conver-
sazione.
Questo incontro mi aveva talmente impressio-
nato, che per tutta la sera osservai con grande at-
tenzione, cercando non farmi scorgere, la signora
M , e non tolsi mai lo sguardo da lei. Ma essa
mi sorprese due volte nelle mie osservazioni. La se-
da volta mi sorrise. Fu quella sera l'unica volta
che le sue labbra si atteggiassero ad un sorriso. La
tristezza non le era ancora scomparsa dal volto, che
era pallidissimo. Per tutta la serata si trattenne a
discorrere con una vecchia signora, maligna e liti-
1, che nessuno amava in causa - - pi- >-
naggi e della sua maldicenza, ma che tutti, per lo
stesso motivo, temevano e cercavano tener buona.
Vi rso le dieci arrivò il marito della signora M
Sino allora io l'aveva osservata con molta atten-
zione, senza mai levare gli occhi dal pallido mio
volto. All'entrare inatteso di suo marito, la vidi pre-
sa da un tremito per tutto il coqio e il suo sembiante
si fece addirittura Inauri' '-ome una ]*-/za di lino.
Questo fatto non passò inosservato neppure agli
altri. Udii da una parte un dialogo interrotto, dal
quale compresi che la povera signora M.... era in-
felicissima Si diceva che il marito di lei era geloso
.. ino un aralm, non perchè le volesse bene, ma
puro egoismo. Era un uomo di mondo, un tìgli" del
lo. c-on idei- nuove di cui andava orgogl
Era alto e forte, con capelli e mustacchi neri, una
faccia piena e incantata di sé, denti bianchi con
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L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
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tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
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tra parte, taluni ili questi burloni - che non pos-
tar lavoro perchè non ne hanno mai cer-
i a far cn-i lcn- a tutti che al
• del cuore non hanno un gomitolo ili grasso,
ma, come si dice in gì nere, qualche cosa ili ■ multo
profondo »: — chi- sia poi questo qualche cosa,
non dirlo, naturalmente per educazione,
pure il miglior chirurgo. Questi signori nascono
■ tendenza a mettere in ridicolo ogni cosa nel
modi -"lano, a ci in< lannare senza esaminare,
a disprezzare alte/. tutto quanto cade sotto
i loro occhi. Non avendo altra occupazione che quella
«li osservare le debolezze e gli errori ilei loro simili
e di gridarli ai quattro venti e non avendo da lot-
tare col etti in-, riescono faci 1 niente, usando certe pre-
cauzioni, ad aver nel mondo. Essi sono
gli altri uomini esistono solo per lavo-
rare in loro vece, che tutti, all'infuori delle loro ri-
spettabili | ersi ne, non sono che babbei e semplicio-
ni. A sentir loro, gli altri sono come gli aranci o le
spugne, che si possono spremere a piacere. Dapper-
i > padroni della situazione e se
un ordine così perfetto regola l'universo, ciò si deve
solo, secondo loro, al fatto ch'essi sono così saggi e
pieni ili carattere. Nella loro smisurata super-
bia non ammettono ch'essi pure hanno dei difetti,
hanno grande rassomiglianza con quel genere
di bricconi, d'ipocriti e di Falstaff, pei quali l'in-
• divenuto una seconda natura, sì che credono
esser cosa necessaria ch'essi vivano unicamente per
commettere scempiaggini e furfanterie. Ed hanno
fatto tanto per convincere gli altri ch'essi sono uo-
mini giusti, che finiscono per credere essi stessi di
essere rei lantuomini e per ritenere sul se-
ne le lori ate vanno messe in conto d;
azioni oneste. Questi farabutti non hanno coscienza
e non giungono mai a trovarsi nella situazione de-
licata di pensar male di sé stessi. Innanzi a tutto
la loro aurea persona, il Molccco, il Baal, il
loro prezioso « To ». Tutta la natura, tutto il ninn-
ilo non è per essi che uno specchio immenso, maravi-
glioso, fatto apposta perchi essi vi ammirino la loro
propria i tro a sé nessuno né
nulla: ciò spiega perch m i . non vede nel
mondo nulla di buono né di Lello. Per ogni i
hanno pronta una frase e - ciò I irò ha un
valore immenso la frase più moderna. Essi stessi
contribuiscono molto a rendere di moda una tal
urarle il successo, la vanno
za alcun motivo, a tutti gli angoli di
strada.
.nio per comprendere
una illuda e |ht darsi l'aria d'averla
stessi inventata Hanno alla mano una intera | ro\
vista di trasi quando vogliono esprimere profonda
simpatia per qualche impresa umanitaria. Sono trop-
po poco colti per riconoscere il vero in una forma
irregolare, imperfetta o transitoria, e respingono
tutto ciò elle non e pi ino •■ alla [xirtata della
intelligenza. Ognuno di essi è un uomo ben nul i
che ha passato tutta la vita fra i piaceri e non sa
elle cosa sia il bisogno. Sono uomini che, non a
do mai fatto nulla, non sanno quanto sia difficile il
compiere un'impresa qualsiasi: per questo cons
ratio come un delitto che qualcuno, nel tumulto della
\ ita, osi toccare in qualche modo il loro grasso « Ioi.
Un simile peccato non lo perdonano mai: vi pen-
sano di continuo ed ;■ per loro una voluttà il vendi-
carsene. In una parola, un uomo di tal fatta non è
che un sacco immenso, gonfiato oltre misura e pieno
di sentenze, di frasi alla moda e di aforismi d'ogni
maniera e d'ogni qualità.
Del resto, il signor M... aveva pure le sue spe-
ciali originalità ed era un nomo ammirevole. Par-
lava molto e sapeva narrar bene, talché raccoglieva
sempre intorno a sé un circolo di ascoltatori. Quella
si ra era riuscito in modo speciale ad impressionare.
Dominava la conversazione. Era allegro, ben di-
sposto, e attirava l'attenzione di tutti. La signora
M — invece pareva un'inferma. Il suo volto aveva
un'impressione di sì profonda tristezza, che mi sem-
brava che ad ogni istante le lagrime dovessero scen-
derle dalle ciglia. Tutte queste cose, rome ho già
detto, m'impressionavano molto e mi empivano di
stupore. M'allontanai dalla sala colla sensazione d<
una strana curiosità e per tutta la notte sognai il si-
gnor M...., sebbene prima assai di rado avessi a-
vuto dei brutti sogni.
Il mattino seguente fui chiamato a studiare al-
cuni quadri viventi, ai quali dovevo io pure pn nder
parte. La rappresentazione di essi e di una comme-
dia, dopo cui si sarebbe ballato, doveva aver luogo
cinque giorni dopo, in di una festa do-
mestica, dell'onomastico cioè della figlia minore del
nostro ospite. A quella festa improvvisata dove-
vano venire da MÒS a e dalle ville circonvicine circa
un centinaio di nuovi invitati, cosicché in tutta la
casa eravi un da fare indescrivibile. La prova o me-
glio l'ispezione dei costumi, era stata fissata pel
mattino. Il nostro istruttore, il noto artista K....,
che per la parentela e per l'amicizia che lo legava al
nostro ospite aveva accettato di organizzare i qua-
dri viventi e di dirigere le prove, crasi recato in
città ]ier l'acquisto di vari i : rrenti per il
teatro e per la preparazione definitiva della festa,
cosicché non v'era tempo da perdere. Ad uno dei
quadri viventi prendevo parte io assieme alla si-
gillila M.... Il quadro rappresentava una scena del
medio evo: La castellana e il suo /X7i,'.t,''''. Provavo
un panico da non dirsi quando mi recai alla prova
assieme alla signora M. .. Mi pareva che ella avreb-
be letto immediatamente ne' miei occhi tutti i p
i- le supposizioni che dal giorno innanzi mi
ivano per il capo Oltre di questo, mi par
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sempre 'li dovei espiare verso 'li lei un pi i
die avevo osservato le sue lagrime <• l'avevo
b reprìmi re J do! senza volerlo essa dovi
guardarmi ili mal ooch le ero stato com-
, desiderai mondo indiscreto del suo
dolore Ma, sia lode a l>iid non mi toccò nulla di
evole: passai puramente e semplicemente inos-
servato. Essa p.ir\ i- nini prestare alruna attenzione
né alla prova, né a me. Era distratta, triste, pen-
sa, Si vedeva chiaro che un grave dispiai
l'opprimeva. Come ebbi terminata la mia parte,
cors irmi abiti e dieci minuti appresso uscii
sulla terrazza ; cedeva al giardino Nello
ante venne sulla terrazza, per un'altra por-
ta, anche la sigm ra M...., e proprio in faccia a
. ammirato ili sé stesso, il marito
di |{ rnava dal giardino dopo avervi con-
una numerosa troupe ili signore e averle date
•nsegna ad un cavaliere che non aveva nulla da
fare. I .1 signora M . . non se il perchè, parve presa
■ da subito smarrimento e fece un lieve moto di
impazienza, che denotava in lei una certa agitazione.
Il suo tiranno, che accarezzandosi .'un compiacenza
i mustacchi, cantarellava senza alcun pensiero una
melodia, aggrottò le sopracciglia incontrandosi colla
glie e la guardò, come mi sovvengo adesso, con
occhi da inquisitore.
— Vuoi uscire in giardino? — le chiese egli, ve-
dendola con l'ombrellino e con un libro in mano.
— Xo, vado nel boschetto, — rispose la giovane
signora, arrossendo leggermente.
— Sola?
1 m lui... — fece la signora M accennando
a me. - Al mattino passeggio sempre sola — sog-
giunse poscia con voce malferma, con un tono da
cui si capiva che per la prima volta in vita sua di-
ceva una bugia.
- Hum... Ed io ho accompagnato là in questo
momento tutta la società. Si adunano tutti là presso
al chiosco dei fiori per accompagnare il signor X —
parte Sai che è accaduta una disgrazia laggiù
a Odessa'-' Tua cugina (egli parlava della bionda)
piange e ride nel tempo istesso, non si capisce nulla
davvero del suo contegno. M'ha detto, passando ad
altro discorso, che tu sei in collera, non so perchè,
col signor X e che per questo non vuoi accompa-
gnarlo. E' ver' >
— L'ha detto per ischerzo, — rispose la sigm ira
M. scendendo gli scalini della terrazza.
Qui inique il tuo cavaliere permanen-
te? use il signor M... storcendo la bocca e
all'occhio il monocolo.
— Puh! — gridai io, infastidito di quella sua
canzonatura e di quel suo beffardo scrutare col mo-
nocolo. Gli risi sul naso e mi posi a -.end, re sal-
tando i gradini a tre per volta.
Buon via rmoi I signor M se-
ardo. Ben inte >, appena la
signora M.... mi fé' segno col dito, me li- avvicinai
e assunsi l'aria di u tato avvertito un'ora
prima '■ che da un
lei. Mori sa] evo p
trovata 1 ta e per quale
sco|h. avesse ricnrs.r a quella piccola bugia. Perchè
non aveva detto puramente e semplicemente die an-
I polla? Adesso non sapevo come guardarla.
Benchi confuso al massimo grado, a poco a \-
cominciai a guardarla in faccia, ma me un'ora
innanzi, non badava neppure né a' miei sguardi fur-
tivi, né alla mia muta interroga/ione. Nel suo a-
spettO, nella sua agita/ione, nel suo stesso incedere
si vedeva ora più chiara die mai una preoccupazione
piena di rammarico. Essa si dirigeva evidentementi
verso un luogo stabilito, affrettando si npn imi il
passo, e guardava inquieta dalla parte del giardino,
lo pure era in attesa di qualche cosa d'indefinito,
che non sapevo spiegarmi. Ad un tratto risuonò die-
tro di noi un trottare di destrieri. Era una numerosa
comitiva di signori e di dame a cavallo che accom-
pagnavano quel signor X...., che lasciava così ina-
sixttat amente la nostra società.
Fra le dame si trovava anche la mia bionda, di
cui aveva parlato il signor M.... quando aveva rac-
contato delle sue lagrime. Ma essa rideva, secondo
la sua abitudine, come un ragazzo e galoppava al-
legramente sul suo bellissimo cavallo nero. Quando
il signor X ci ebbe raggiunti, levò il cappello ma
tenza fermarsi e senza scambiare colla signora M —
neppure una parola. In breve tutta la comitiva scom-
parve dai nostri occhi. Guardai la signora M.... e
fui quasi sul punto di lasciar andare un grido di
stupore: era bianca come un lino e grosse lagrime
le scendevano dagli occhi.
I nostri sguardi per caso s'incontrarono. La si-
gnora M arrossì. Si volse per un istante e sul suo
volto mi parve di leggere chiaramente l'inquietudine
e l'imbarazzo. La mia presenza era importuna, più
importuna ancora di quello che non fosse stata
il giorno innanzi — questo era chiaro come la luce
del giorno. Ma come allontanarmi? Ad un tratto
la signora M come avesse indovinato ciò che si
passava nel mio interno, aperse il libro che teneva
in mano e, sforzandosi evidentemente di non guar-
darmi, disse arrossi ndo:
— Ah! è la seconda parte. Mi sono sbagliata.
Vammi a prendere, ti prego, la prima parte.
Non ero così ingenuo da non comprendere. La
mia parte era finita e la bella signora non poteva
mandarmi via con maggior garbo. Fuggii col suo li-
bro, senza più voltarmi verso di lei. Ter quel giorno
la prima parte rimase tranquilla sul tavolo della si-
gnora M
Non conoscevo più me stesso: il more mi batteva
come sotto l'impressione di \u\ continuo timore, fa-
cevo ogni possibile per non incontrarmi colla si-
gnora li.... Guardavo invece con una strana curio
sita quella fatua persona, sempre in adora/ione di
sé stc>sa. del signor M come se qualche cosa di
speciale avesse dovuto avvenire fra me e lui. Non
aprendo affatto che e, .sa si nascondesse in questa
mia comica curiosità. Mi ricordo solo che m'aveva
preso uno strano smarrimento in causa di tutte le
e, .se .he avevo avuto occasione di vedere in quella
melina. 1 .a tuia giornata era appena incominciata
ed era già per me troppo ricca di avvenimenti. Quel
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VII
I \ FANCIULLO I Ri »E
ilio ad un vi-
ta campesi re:
tutti frattanto si affrettavano per potersi preparare.
Di «ni io non sognavo che questi iata
jpiti si erano adunati a
i. in a bello studio mi
agli altri e mi nascosi dietro una tri-
i sita mi pungeva, ma non
vili.-. ntarmi dinanzi ali
i \i \ olle però '■ caso che mi pi n
ino dalla mia persecutrìce, dalla dama bionda.
Qui ì in lei un fenomeno ma-
. qualchi I ncredibile: s'era fatta
bella Non so pi rchè, né in che modo,
ma nelle donne simili fenomeni si verificano abba-
lli quel momento si trovava fra noi
un i - ivane alto, pallido, adoratore
dichiarato della nostra bionda. Egli era venuto da
-tituire il signor X... Del signor
\ circolava la voce che fossi- innamorato pazzo
della Mia bionda. Quanta al nuovo venuto,
egli ii lei ila lunga pezza sullo stesso
piti' B ; nella commedia di
Shakes] > to allarme per titilla. In una pa-
nila, la biònda aveva quel giorno un successo straor-
dinario. I suoi scherzi e i suoi motteggi erano o sì
graziosi, di una ingenuità così intima, cosi impru-
dente e pur così perdonabile; ed essa stessa era
così fiduciosa nel proprio spirito, così sicura del-
l'approvazione e dell'entusiasmo generale, che tutti
non facevano che renderle speciali omaggi. Intorno
a lei s'era radunato un circolo di ascoltatori che l'am-
miravano e la guardavano estasiati. Essa non s'era
mai mostrata così affascinante. Ogni sua frase era
un tratto di spirito arguto e scintillante, che veniva
cólto a volo da tutti e circolava di bocca in bocca.
Nessuna] troia sua passava inosservata. Pareva che
ninno si fosse aspettato da lei tanto gusto, tanto spi-
rito e tanta intelligenza. Tutto ciò che era di buono
in lei non poteva mostrarsi per colpa della sua biz-
zarra irrequietezza e delle sue burle, che talvolta ti-
ravano al buffonesco. Era cosa rara che si osservas-
sero in quella donna delle buone qualità, e anche
quando si osservavano non erano credute, tal li qui
sta volta il successo insolito ch'essa otteneva era pure
nrpagnato da qualche sussurrio di ammirazione.
D'altra parte, a questo successo contribuì pure
una circostanza speciale, abbastanza piccante, la
parte cii«- imposta al marito della signora M — La
mia bella bionda s'era proposta, con grande gioia
di tutti i giovani presenti, di attaccarlo con veemen-
za por diversi motivi secondo lei abbastanza I
dati, [ncominciò contro li lui un attacco in regola
ingenti, motteggi e sarcasmi >ra saiv
n astuzia, con
allus Ste e trasparenti, — uno <li quegli at-
tacchi che vanno diritti alla meta e dai quali non •'■
lersi perchè non si sa da qua! parte
. -- uno di quegli attacchi infine, che stan-
■ la vittima in inutili sforzi finché ossa, ridi na
alla disperazione, sratta in un comico furore,
ivo, ma mi pareva che ti
improvvisato, Ix-nsi fossi- stato
preparato prima. Questo dm-Ilo disperato era già
incominciato a pr.m t>. D perchè il fri-
gno! M il. ti depose così presto le armi. Egli fu
costretti a fai api olio .1 tutta la sua presenza di -pi-
rito. • sua perspicacia, a tutta la sua inusi-
tata abilità pi 1 i"
per non divenire zimbello 'li tutti i presenti. Ciò
niva fra le più grasse risa di quanti assistevano
olla lotta. - 1 -ignora M
faceva di tanto in ni sfi rzo per acqui
la stia imprudente amica, la quale alla sua volta
sentiva una voglia irresistibile di descrivere il ma-
rito geloso come un balordo, un Barba-bleue, a giu-
re '\.i quanto mi rammento e dalla parte eh
volle far ra] presa he a me in questa batta-
glia di parole.
Ciò avvenne tutto d'un tratto, nel modo più gra-
zioso, quando meno me lo aspettavo e, secondo ogni
apparenza, non senza intenzione da parte della bion-
da signora. Senza sospettare nulla di male, me ne
stavo proprio in quel mi mento in una posizione in
mi potevo es>ere veduto da tutti. Avevo dinienti-
rata la mia prudenza di 1 rima e grand'- fu il
turbamento quando mi vidi oggetto della geni
attenzione I avversaria del signor M mi desrris-
s ■ cornei un nemico giurato ed un rivale implacabile
di lui, essendo innamorato cotto della sua signora.
Giurò che aveva delle prove per dimostrare la vera-
cità di questa asserzione e soggiunse che, per esem-
pio, proprio in quel giorno aveva osservato nel bo-
schetto. . .
Essa non potè terminare la frase, perchè proprio
in quel momento io l'interruppi rumorosamente.
Questo attacco era tanto maligno ed era stato ser-
bato in modo così perfido come razzo finale per dare
alla faccenda una soluzione comica, rhe fu salutato
da uno scoppio generale di sonore risate. E, sebbene
indovinassi già fin d'allora che non ero io quegli che
doveva maggiormente irritarsi di simili tirate, mi
sentii rosi preso da vergogna e da disperazione, che,
senza quasi rendermi conto di ciò ohe facevo, mi
feci strada fra le due file di sedie rhe mi stavano
davanti e, volgendomi alla mia tiranna, gridai
voce soffocata dalle lagrime e dall'affair
— E non vi vergognate... dire in farcia a tante
signore. ..e ad alta voce... una così brutta... men-
zogna?!... Siete forse una bambina piccola... da
fare... di tali cose?... Che diranno tutti questi si-
gnori?... Voi che siete così grande... una signora
maritata!
Ma ni n potei finii' : uno scoppio di applausi
sordanti me lo impedi. T.a mia risjxista aveva prò
vocato un ven furore. I miei gesti ingenui, le mie
lagrime e più ani-ora il fatto ch'io mi faceva in certo
qua! modo il difensore del signor M.... — tutto
ciò aveva pndi ito una ilarità da non dirsi e ancora
adesso, quando ri penso, mi seni., supremamente
ridicolo... Ero addirittura fuori di me e, coprendomi
mani il v< Ito rosso come una ciliegia, fuggii
urtando violenti ntro un domestico e 1
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VII]
l N I ANCI1 LD i I R( 'I
te, e mi chiusi dentro. Avevo Fatto I rchè i
min persecutori mi seguivano. Non era passato un
minuto, che il mio uscio era assediato da una quan-
tità di belle signore. Udivo il loro riso limpido, i
loro motteggi, le loro voci melodiose: gorgheggia-
■ tut ti- in una volta come rondinelle. Tutte
tutte mi pregavano, mi supplicavano ili aprir loro
l'uscio sol., per un istante Mi giuravano che non mi
sarebbe accaduto il più piccolo inconveniente, che
vota mi <li baci. Si poteva dare
qua! di più spaventevole di questa nuova
minaccia ? Io mi sentivo ardere di rossore e nascon-
der il volto nei cuscini del letto Ad aprire, non ci
pensavo affatto: non respiravo neppure Esse conti-
nuar no a lungo a battere all'uscio e a pregarmi,
ma ■ insensibile e si rdo, o me poteva rima-
ceri., un ragazzo di undici anni.
Ma che fare ad l he avevo tanto temuto
er:i avvenuto. Tutto era scoperto. Ciò ch'io aveva
sto e custodito tanto gelosamente era
oramai in bocca a tutti... Vergogna e scandalo e-
terno mi aspettavano ! . . .
lo non sapevo con precisione che osa dovessi te-
mere, ma temevo qualche cosa d'indefinito e trema-
vo come una foglia al pensiero che questo qualche
cosa poteva compromettermi. C'era una cosa che
sino a quel momento io aveva ignorato se era buona
o cattiva, onesta o disonesta, lodevole o degna di
biasima Appena adesso, nella mia vergogna e nel
mio dolore, riconoscevo che quella cosa era ridicola
e condannabile. Nel tempo istesso sentivo istintiva-
mente che una sentenza come questa è falsa, cru-
dele, disumana, ma ero vinto ed annichilito. Il pro-
cesso della coscienza s'era come arrestato in me ed
io era entrato in uno stadio d'imbarazzante incer-
tezza. Non potevo comi. attere la sentenza, ma non
potevo neppure giudicarla bene: mi pareva d'avere
come annebbiato il cervello, sentivo che il mio cuore
era - so inumanamente e copiose lagrime di
impotenza mi scendevano dagli occhi. Ero irritato in
sommo grado. Fermentavano in me il dispetto e Po-
sentimenti a me ignoti sino a quell'istante, per-
tanto per la prima volta in vita mia
provai le strette del dolore vero, il bruciore dell'of-
. dell'insulto. Tn me, che ero appena un fan-
ciullo, un sentimento nuovo, ciuto, che non
s'era ancora del tutto sviluppato, era stato colpito in
moilo crudo ; il seni imi riti - del pud' ire, tenero, puro,
gentile, era stato sfacciatamente buttato in publieoe
preso a scherno: la mia prima sensazione estetica
era - sa in ridere. Naturalmente, non sape-
■ molto quelli che si prendevano giuoco di me:
non sospettavano nepmire le mie pene. A questo
punto mi sovvenni di una nuova circostanza, cui
prima non avevo pi preoccupa
ne ti masi coricato sul letto, in preda al
dolore e alla disperazione, col Capo nascosto nei
iali Sentivo di tratto in tratto ilei brividi di
freddo, una febbriciottolà mi serpeggiava per le
vene.
Due punti interrogativi mi davano una pena da non
dirsi. Che av. va visto nel boschetto quella bionda
malaugurata e che cosa mai aveva potuto intrawe-
fra me e la signora M....? Come avrei io po-
tuto guardare ancora in faccia la signora M. . senza
morire, in quell'istante, di vergogna e di disp
zione?
Un baccano insolito nella corte mi scosse final-
mente dallo stato di torpore in cui mi trovavo. Scesi
dal letto e mi accostai alla line, tra. Tutta la corte
i.i piena di carrozze, di cavalli sellati e di servitori
die correvano qua e là. Pareva che tutti si disp.
sero a partire. Alcuni cavalieri erano già in anione,
altri ospiti salivano sulle carrozze. Allora mi ram-
mentai della passeggiata che si era progettata. Fui
preso a poco a poco da una certa inquietudine '
cavo collo sguardo il cavallo ch'ero solito montare:
non vedendolo, aimpresi ch'ero stato dimenticato.
Non potei più padroneggiami i e corsi io pure in
corte, senza più pensare all'incidente spiacevole che
m'era accaduto, né alla vergogna ch'io aveva sof-
feita.
In i cattiva notizia mi aspettava. Per questa volta
non v'era per me né un cavallo da montare, né un
posto in una carrozza: dovevo quindi rimanere a
casa.
Sorpreso da questo contrattempo, rimasi immo-
bile a guardare la lunga fila di carrozze, calessi e
carrettini, dove non era il più piccolo posto per me,
e ai cavalli sellati che impazienti battevano il suolo
coi piedi. Uno dei cavalieri, non so per qual ragione,
era in ritardo. Non aspettavano più che lui per par-
tire. Il cavallo a lui destinato era pronto e mordeva
il freno e scavava colle unghie ferrate il terreno e
ad ogni istante trasaliva impennandosi. Due garzoni
della stalla lo tenevano pel freno e tutti l'osserva-
vano tenendosi ad una rispettosa distanza.
Era un vero peccato che non potessi andare io
pure. Oltre al fatto che erano giunti altri forestieri
e tutti i cavalli e tutti i posti erano impegnati, s'è
ratio anche ammalati due cavalli da sella e uno di
questi era appunto il mio.
Ma io non era stato il solo a soffrire delle -
guenze di queste circostanze. Accadde che neppure
per il nostro nuovo ospite, il giovane pallido di cui
ho già parlato, si trovava un cavallo. Per evitare di-
sgusti, il jiadrone di casa fu cosi retto a ricorrere ad
un mezzo estremo: pose a disp. dell'ospite
uno stallone indomabile, non abituato alla sella, av-
vertendo! r non avere rimorsi, che nessuno
era mai stato capace di cavalcarlo e che da m
tempo l'avrebbe venduto se avesse trovato un
pratose II giovane dichiarò che era abbastanza buon
cavalcatore e che. in ogni caso, avrebbe montato
qualsiasi cavallo pur di prender parte allVs :ursione
L'altro l . ma mi parve notare sulle sue labbra
un sorriso equivoco e malizi.
i Continua).
!•' '. M. DOSTOJEVSKI.
AhlMO-ll
Nv/a 3-
•La Lettura
Marzo
RM5TA-AEN5ILE
DEL(pRRIE.RE-
^DtLLA-5tRA-
II ritratto mascherato
PERSONAGGI.
i'i ilia Mannelli vedova Festi.
Professore Mannelli ) „, • „-t„„;
Signora Mannelli ) SU01 geniton-
Cavaliere Francesco Festi — suo cognato.
Dottor Trechi — notaio.
Signora Trechi — sua moglie.
Giovanni — domestico.
La scena è in casa di Cecilia Festi Mannelli. Rappre-
senta uno studio di scrittore, ammobiliato con elegante
semplicità. Due librerie, un caminetto col fuoco acceso,
un ritratto grande di Cecilia, un tavolino per fumare,
parecchie sedie e poltrone, un canapè, una scrivania
con una lampadina elettrica spenta e un giornale spie-
gato fra libri e carte in disordine
Cecilia, sola, siede alla scrivania di contro alla imi
trona vuota dove avrebbe a sedere il padrone dello stu-
dio. Veste a lutto pesante. Tiene le braccia incrociate
sulla scrivania e la fronte reclinata sul dorso della mano
destra. Oltre alla porta di mezzo lo studio ha due porte
laterali che mettono l'una nelle stanze di Cecilia, l'al-
tra nella biblioteca. Si bussa lievemente alla porta di
mezzo.
Cecilia {trasalendo e levando il capo)
Chi è ? (si alza ni piedi e guarda turbata, lacri-
mosa, verso l'uscio). Avanti!
uni)
Giovanni
Scusi, venivo per il fuoco (accomoda co:: le mol-
le 1 tizzi del caminetto). Se viene qualcuno, la si-
gnora riceve ?
Cechi a (dolcemente)
Ma, mio Din. Giovanni, non ve l'ho detto che
alle due devono \enire min padre, i fratelli e le
Ile 'lei povero padrone ? Non vi ho detto che
ricevi/ questi e non altri ? Non vi ho dato anche
una nota ? Vi prego, Giovanni, cercate 'li aver un
po' di memoria in questi momenti.
I ÌIOVANNI
Perchè, a dire la verità, signora, la nota si è
bruciata n
Cecilia
Ma chi l'ha bri
Giovanni
I,, ni e I.a cameriera dici- che non 1 ha
.■ lo stesso dice la cuoca. Ma non im-
ito inteso: ricevere i signori ch'erano
ri, durante....
La Lettura. 1 ;
'"I
1 \ I 111 URA
l ii i \
Ma n. . ■ il i IH vanni, f E
le ni ite, ma i miei 'Menati lo di >\ reste ben
sapere che non c'i rano, che hanno seguito... (a
i il povero padrone. 1 * ro, dunque, le mie
■ ■ ■ >si ire.
GlO\ INNI
per andarsi tu
Ci 11 i \
\ : Anche il notaio. E nessun alti \
to ? Nessun altro.
I ÌI0VANN1
( 'hi è, signora, il notaii
» i CILIA
Credi 1 dottor Trechi. Fatevi dire il no-
me. Ve Io dirà lui, del resto, ch'è il notaio. Deve
qui alle due.
Giovanni
Hn ini
I 1 I IMA
(S'inginocchia di slancio alla scrivania e vi af-
mani congiunte).
DH Dio l'i' ! Caro caro caro ! (Singhioi
un tocco di campanello interni*. Cecilia si <
s/a un momento in ascolto, poi si clima, bacia lun-
gamente un manoscritto, posa le labbra sulla lam-
na elettrica). Anche te che l'hai servito !
(.Entra Ciò;-, imi;).
( in IV WM
Signora, ci sarebbe la signora Trulli.
("ec II i \
Ma Signoi . Giovanni, non vi ho detto... ?
Giov inni
gnora, ma siccome è la signora del signor no*
Lo. ■. cosi ho creduti > chi I n
1 11 I \
Andate, dite che mi rincresce ma che non vedo
' ■ ni mil.i-.se a dire
quali : voi.
i Siov inni (imbarazzato)
I
1 ,a signi ra Ti
(entrando precipitosa a mani giunte)
Mi perdoni, mi perdoni, ! Un m^
mento, un momento solo '. Sento quanto sono indi-
ili una parola, di un i ■ ila ;
la 1 | ■ nni che non sì muovi
ii i \ (con doli i
ma non senza qualche risentimento nella .
Mi rincresce, signora. . perchè proprio non vedo
nessuno... Lei capisce... non potrei... (La signora
'/'rcc/ii guarda Giovanni che alla sua Tolta inter-
di chi la padrona).
Cei i i i \ (/// tono rassegna
Andate, Giovanni (Giovanni esce).
La sigimi. i Trechi (ausante)
Si tratta di una rosa terribile, signora.
1 i ii i \ ( in i feri nte)
Non so... dira presto.
La signora 'Trechi
lo ho i miei genitori e i miei fratelli in una pò
si/ione tristissima. Ne avranno Forse .un In- colpa
ma insomma sono genitori e (rateili! Mio marito
per un certo tempo li ha aiutati e poi non ha rif-
iuto più, mi ha proibito anche a me di far più
niente per loro. Gli ho disobbedito una volta
h.i saputo, c'è stata una scena spaventosa, voleva
cacciarmi di casa. Un anno fa questa povera pente
aveva bisogno di cinquecento lire per evitare
roM tristissime, bruttissime. Non le trovava»
nessuna pace e io non le avevo. Dio mio. come si
fa? Siccome vedevo qualche volta Suo marito che
veniva dal mio per affari e sapevo ch'era ricco,
ch'era tanto generoso, mi feci coraggio e lo p>
di prestarmi quel denaro che gli avrei poi resti-
tuito un po' per volta. Egli fu così buono da pre-
starmelo e io gli rilasciai un'obbligazione. Mi feci
promettere il segreto assoluto, sa. e mi figuro che
non avrà parlato neppim con Lei. Cinque giorni
sono, lo stesso giorno, credo, che cadde ammalato,
ho finito di restituirgli il denaro, sulle scale di
mia. Egli non aveva con sé, naturalmente, la mia
obbligazione e mi promise di portarmela, che poi
In impossibile. Mi disse che la teneva nella scriva-
nia del suo studio. M'indicò anche il posto preci
so. So che Ira poco deve venir qua mio marito a
prendere il testamento, proprio nella scrivania del-
lo studio; me l'ha diiio lui mezz'ora la chi- ne a-
v.\.i L'incarico dal cavalier Pesti, suo cognato. Ca
pisce, signoi. i, si- vide l'obbligazione, eoi carattere
di mio marito, sarà la rovina mia e .Iella mia fami-
glia 1 come '■ possibile che non la trovi? Farà
il.- lutti Ir e. ole redo. I ... studio e .|Uesto. \r
ro? Allora la scrivania è quella lì. La supplir
scongiuro, signora, sr Lei mi dà la chiave, in due
Il RITRATTI ' MASCHERATI i
l'i.'
n. imiti Lei ha la bontà di andar ad avvertire che
non entri nessuno, io apro, prendo la carta, chiudo
Le rendo la chiave e fuggo. Se lo incontro gli diro
che sono venuta per le condoglianze.
Cecilia
Ma io n<m L'ho, la chiave. L'ho data a m
dre l'altra sera e mio padre deve averla ci
subito a mio cognate.
La signora Trechi
Ah mio Dio! A quale Suo cognato? Al cava-
lier Francesco, m'immagino. Dio, se avess
L^ conosco tanto il cavalier Francesco. Non po-
trebbe, signora, far rimandare a domani ? Lei è an-
cora così scossa, poveretta, così sofferente. Ieri il
funerale, oggi....
Cecilia (si allontana dalla signora Ticchi
gitasi mal sopportando questi compianti)
La prego. La prego. La prego. Scusi. n< in
rimandare, non dipende da me. non posso proprio,
scusi. Guardi che Suo marito sarà qui subito.
La signora Trechi
Provi, signora ! Dica una parola !
Cecilia
Ma no, cosa vuole che dica ? Che ragione vuole
che trovi ?
La signora Trechi
Senta, almeno cerchi che mio marito non frughi
tanto, non guardi tanto! Ci sarà anche il cavalier
Frani > -
Cecilia
Sì.
La signora Trechi
Ah! E allora, non potrebbe Lei fare in modo
che invece di mio marito aprisse lui ?
Cecilia
Questo sì, se sarà possibile. (Saluta del e
La signora Trechi
Grazie, lo faccia, lo faccia! E mi perdoni! (E-
sce).
(Cecilia preme, dopo un momento di attesa, il
bottone del campanello elettrico. Entra Giovanni).
Comandi.
E' uscita?
Giovanni
Cecilia
Giovanni
S --ignora.
Cecilia
Ma perchè l'avete fatta entri
Giovanni
Scusi, signora. 1< veramente, siccome Lei ha
to del signor notaio e anche la signora ha detto:
che c'è la moglie del nota venuto a
prendere gli ordini e intanto la signora, invece di
aspettare, non so che signora sia. mi ha seguito.
Cecilia
Bene, vi raccomando, quelli che ho detto e nes-
sun altro, nessuno, nessuno ! E se insistono, non
venite a prender ordini, insistete anche voi che se
ne vadano..
Giovanni
S -ignora, ho inteso (Esce).
Cecilia (sola)
Dio mio, come può affannarsi tanto, quella don-
na ? Come sarei felice, io, s'egli potesse cacciarmi
di casa! — Ah Signore, almeno lo ti su-
bito questo testamento ! Almeno non mi
tanto le mani nelle sue carte! Forse non sono stata
sincera, io, con quella povera donna. (Si ode un
tocco di campanello). Saranno qui, adesso. — For-
se le ho promesso di guardare che il notaio non
frughi come se avessi pietà di lei e invece non è
vero, il mio orrore è di quelle mani che prende-
ranno la sua chiave, che apriranno la sua scrivania.
Oh Signore, Signore, Signore !
(Entra Giovanni)
Giovanni
Il signor cavalier Francesco.
(Entra Francesco Festi. Cecilia gli va incontro,
gli stende le mani in silenzio. Francesco le prende
le mani, l'attira a se, la bacia in fronte. Nessun al-
tro salìiio e scambiato).
Francesco (a voce ba~
Temevo d'essere in ritardo.
Cecilia (colla stessa s
Io non so mai, adesso, che ore s
Francesco (guarda /'<
Le due non sono ancora suonate', mancano cin-
que minuti.
(Pausa. I due siedono, lontani l'uno da/fa!!'
Francesco
Pietro non viene mica, sai. Neppure Valentina.
IQO
LA M ITI B \
S'ep] un M ch'è inutile \ et
tutti. E i
ii 1 \
Viene certo, perchè non ha mandato a * 1 i r niente.
Francesco (sempre a <ssa)
.ita una dimostrazione immensa, ieri. Pro-
opre il viso con le
man pattuì). Hai visto i giornali ili sta-
mattina"'' (i scuote il capi> silenziosamente).
Sun pieni di articoli e tutti belli. Te li ho portati.
I Pia non fa segno di ringrà-
. né di prenderli). Li metto qui, sulla scrivania.
erai (Pausa). L'ultima volta
l'ho veduto in stato qui, proprio qui.
Mer rso, alle cinque. Si sentiva già male,
qui c'erano quiri liei R aumur, io soffocavo e lui
aveva freddo, stava al caminetto. Ricordo che l'ho
dato, anzi, e lui si è seccato, si è inquietato più
del ragionevole. Non ne ho fatto caso, sai che il
povero Cari . |ualche volta, era piuttosto suso
Cecilia (vivacemente)
\< . no, non è vero, mai non era suscettibile, a-
rdere la pazienza tutti i giorni con
me, non la perdeva mai. Anche qui, quante volte
mentre lui lavorava, non sor venuta a leggere pro-
di tacere e poi ogni momento era una do-
manda, anche ciocca tante volte, per farmi spie-
una cosa o l'altra, perchè capisco così poco! E
lui era sempre buono, mi rispondeva sempre.
(Pausa).
Francesco
che mn mi posso toglier dal cuore quella ro-
manza che ci hai cantato martedì sera, proprio mar-
tedì sera. . .
(ondosi)
Non dirmi, non dirmi questa cosa perchè l'ho
pre anch'io |ui alla gola! Mi pan- di averla
chiamata io la morte! E gli piaceva tanto! D
che sei andato via tu me l'ha fatta due
■ ledi mattina l'ha canterellata
SO quante volte lui, diceva di non potersene
-re:
rima tu mi dai cagion di duol
M:t p
Ah perchè 1 1 i parevani ■ i sta per lui e
peri. uelle romanze dell' • Amor di donna ».
par.- die l'abbia
io. la mori nche tu '
I R \Nl ESCO
(Si alza, va a lei con le inaiti tesi
i Hi ma Cecilia! Cara Cecilia! < ' (En-
tra Giovanni).
( '.un INNI
Il signor professore.
1 ECILIA
: (Fa un ^esti> a Francesco come per dirgli
di troncare e va incontro al professor Mannelli clic
entra. Si abbracciano in silenzio, lungamente. Poi
Mannelli e Francesco si stringono la mano, pure in
\\ \\ NELLI
Se \iioi dare un bacio a mammà è nel tuo sa-
lotto. Qua non viene. Anzi devi scusarmi se ho p r
dina un po' la pazienza con Giovanni che fa
difficoltà a lasciarla entrare perchè tu non gliel'a-
vevi detto.
Cecilia
Vado. (Esce).
M WNF.I.LI
(ansioso e commosso, a Fraine*
Cosa le pare di Cecilia? Come La trova?
Francesco (con agi/a:ione improvvisa).
Senta, ora che uscita. Io devo assolutamente fare
una cosa ; devo aprire la scrivania e prender fuori
delle carte prima che ritorni lei e prima che venga
ì chi.
M \nnelli (meravigliato)
Delle carte? Xeni so, dico. ... faccia... forse po-
trà dirmi... mica per niente... li
non so. infatti. . .
I B VNCESCO
Allora. I.e dirò. (ìià non è il momento di far
ionie, questo. Ito visto qui. cinque minuti fa,
la signora T rechi.
M nnelli (trasalendo)
< ' ■ - La ! io In ha .unto l'imprudenza di venir
qua 3 Ter i
I R ANCESCO
Ecco, i' i tu in SO Si I non
.ne lo ha detto e ii non gliel'ho domanda:'. L'ho
travata in fondo alle scale che mi aspettava. Appena
mi ha visto mi ha afferrato, i irio alTer-
tnni).
IL RITRAT
Giovanni
Il signor dottor Trechi.
Trechi (entrando, i on vod stras
Con permesso.
M wnelli (a Giovanili)
Avvertite la signora.
(Trai::, Mannelli e Feslì si dàini , nte
il buon giorno, senza stringersi la mano. Giovanni
esce).
Trechi
('hiedo scusa di aver tardato. Som. stato a un
pelo di non poter venire perchè ho incontralo poco
lontano da qui la mia signora che si sentiva male.
Ho dovuto accompagnarla fino a casa e se avi s>i a-
scoltato lei ci sarei rimasto.
Francesco
Senta, se crede, possiamo rimandare.
Trechi
Oh, si liguri !
Francesco
Ma si, rimandiamo!
Trechi
Ma neppure per idea ! Sono tranquillissimo. Se
guardassi ai nervi di mia moglie ! Conosco la cura,
quattro parole secche; scommetto che a quest'ora
sta benissimo.
Francesco (a Mannelli)
Scusi, professore. Come Le dicevo, ci sarebbe da
vedere questa cosa in biblioteca. Vuol favorire poi-
chi mia cognata non è ancora qui?
M \NNELLI
Come crede.
Francesco (a Trechi)
Scusi, dottore. (Esce con Mannelli per la porla
della biblioteca. Entra Cecilia).
Trechi (con un profondo inchino)
I miei complimenti.
Cecilia (dolcemente)
Buon giorno Scusi: mia padre? Mio cognati -
Trechi
Sono usciti adesso, per di là.
Cecilia (aprendo l'uscio della biblioteca)
Papà ! Son qui.
0 MASCHERATO P 17
Mannei li (di dentro)
Veniamo subito. (Pausa).
Trechi t sommessamente)
Un colpo granile. (Pausa). La scrivania
Sta, non . vero, signora?
( 'echi a (coi rotta)
Sì, questa.
M \ --.M 1 1 1 (rientrando)
Mi rincresce, il cavaliere non trova la chiave. Du-
bitava di averla dimenticata in biblioteca, ma
non c'è. (Sopraggiunge il cavalier Francesco).
V RANCESCO
Me ne rincresco tanto, non c'è proprio. Ho pania
che bisognerà rimandare per forza.
Cecilia
Io l'ho data a papà l'altra sera, la chiave.
Mannelli
I io 1 ho data al cavaliere la sera stessa Si ca-
pi m -e che l'avrà lasciata a casa.
Francesco
Dev'essere così. Io sto molto lontano e poi, nel-
l'incertezza... Mi pare che si passa benissimo ri
mandare a domani alla stess'ora.
Trechi
laco, \eramente ho avvertito il Pretore che si sa.
rebbe andati da lui per la lettura versa le due e
mezzo, circa. Sarà lì ad aspettarci. Potrei andar io
a dirgli la cosa, ma poi domani sono impedito.
(Francesco e Mannelli si appartano con Cecilia').
Francesco (a voce bassa)
Se domani proprio non può, ne chiamiamo un
altro, ecco. Cosa ti pare?
(Intanto Trechi si è avvù //.ito alla scrivan a,
leva di tasca delle chiavi e ne fa la pi.
\l > «NI I I I
Ter me, benissimo.
Cecilia
Sì, sì, ne chiamiamo un altro, pare anche a me.
V li 3S0 glielo dite.
Francesco (voltandosi)
Senta, dottore.
Trechi
(fa girar una chiave nella toppa)
Signori, è aperto. Io ho una chiave mira
(Mos'ra la chiave e se la rimette in tasca).
ioH
mia).
i ap, rt, \ Mi i" n oni ■ i .
vorrei tanto cercarla io ques
Vnche voi mi per-
TW ft tClllp"). NI WM Miri RANI f.sco
No, no, no, no I
Cecii IA
Ma perchè, ■■' che nessuno le
\i co che se li
Fammi questa grazia, E raw i i
Mannelli
i 'ara. ti ri .ninnivi trorjp
[LIA (attonita)
Mi commovo troppo, papà? Tu mi dici che non
mi devo ropp Tu credi che se non
quelle carte, questa è amara, sai, papà mio.
Francesco
\, . cara, intendilo, tuo padre dice che sarebbe
un si prappiù di angoscia superiore alle tue fi rze.
LA LETTI RA
Tre< hi
Se venissi Farebb | Fi sti, non
■ già !
Mannelli
Francesco
Guarda, farà tuo padre, ch'è tuo padre, oppure
farò io che sono il fratello di Carlo {a Trechi).
Scusi i capirà {Trechi fa un gesto
di acquiescenza. Francesco apre prontamente il cas-
. si (luna a leggere). Ecco, ecco, guarda chi
! (Prende una e art a e spinge il cas-
■ , Eccolo trovato. Fra proprio sopra.
M wnelli {contento)
Bene. Vedi, cara, che non si è rovistato, che non
nte?
Trechi
E' chiusi ipi no il testamenti. -
Francesco
uso.
Trechi
Allora I" apriremo in Pretura. Si
dian i 'di. Li prego di \
e due i on me pi r udir, la lettura.
\I \NNELLI
I, e venga anch'io do.
i u ?
\NCESCO
( 'erto {a Trechi). Vui !
Tri
Volontieri {chiude).
Cecilia
Adesso mi pare che possiate lasciare apei
Tri-.< ih
Senta, signora. (Presenta la chiave a Cecilia) que
sta chiavi non mi eco rre. Io la lascio a lei fii
che avranno trovata l'altra.
Mannelli
\, ,ii s'ino nindi !
Cecilia {che ha presa la chiave)
Poiché è tanto gentile. Il" piaci
,i\ i ria.
{Trechi e il cavalier Francesco salutano Cecilia
ed escono. Mannelli rimane indietro).
Mannelli
Cecilia, adesso vai da mammà, vero? Stai nel
tuo salutili, con lei? lo ritorno appena finito. Anzi,
se permetti, lascio qui un libro che m'incoi la un
poco. Andiamo, cara. Ti voglio condurre io, da
mammà.
Cecilia
No, papà, ti prego. Invece mandamela qua lei.
Mannelli
Ma perchè "J Vieni '.
Cecii ia
\n, no, ti scongiuro; per mammà è lo stesso, io
starei sempre qui, giorno e notte. {Entra la signora
Mannelli).
La sigm ra M \nnelli
Si no partiti? Ah, papà è ancora qui.
Mannelli
Vado. Persuadi tu Cecilia di non restare qui a-
. Ci è stata tutto il giorno, è troppo! {E
l a sigm ira M uxnelli
Non vuoi proprio venir via?
ii i \
\, . mamma, no. (< nendosi di qual-
che , osa) \h - . anche questo; una 1 1 "tira
da tranquillare.
i . signora Mannei i i
Chi ? l 'he creatura ?
IL RITRATTO M VSCH1 R Vl'o
[99
Cecilia
Niente, devo cercar ilelJe carte nella scrivania.
La signora Mannelli
Posso aiutarti ?
Cecilia
Cóme vuoi. Però è meglio che taccia io.
La signora Mannelli
Senti, cara. E non prenderesti qualche cosa, pri-
ma? La tua gente mi ha detto che non hai ai
preso nulla, oggi. Xon puoi andar avanti cosi. Ce-
cilia. Pensa che potresti anche trovarti, chi sa, in
uno stato!...
Cecilia (interrompendo)
Xo, mamma mia, non parlarmene. Dirai chi di
vrebb'essere un conforto, ma io non lo voglio ap-
punto per questo. I conforti della mia fede, quelli
si ; altri no, no, no. E se tu sentissi come sto bene !
Non sono mai stata così bene. Cerchiamo questa
carta, ora.
(Siede alla scrivania, vi punta ì gomiti e strin-
gendosi il viso fra le mani sì affisa, come trasogna-
ta, nel vuoto, recita con voce fioca):
La prima tu mi dai cagion di duol
Ma passa il cor.
Spietato, immerso nel profondo sei
Mortai sopor.
La derelitta guarda intorno a sé
Tutto è squallor
Xon ho più amor — vissuto hai tu
Io non son viva più.
Sai, mamma, che l'ho chiamata io la morte?
La signora Mannelli
Cecilia ! Come puoi dire queste cose ?
Cecilia
Lo dico e lo penso, mamma. Perchè vedi, lo sai
bene, io le cantavo tanto quelle arie dell' « Amor di
donna» di Schumann. Tutte, ma sopra tutte «La
mente mia si smarrisce» e questa. L adoravo, quel-
la poesia, quella musica. Dici di no, mamma mia,
che non l'abbia chiamata io, la morte ?
La signora Mannelli
Cecilia! Tu mi hai rimproverate delle supersti-
zioni, qualche volta, colla tua dolcezza. "Ma questa
cose? Dimmi '.
Cecii 1 \
Ti pare una superstizione, mamma? Ti pare che.
sia peccato di pensare così?' Allora non perts rò
più così, non penserò più così. Il Signore mi pei
donerà perchè non mi è venuto in mente che fosse
peccato. E non ne sono mica proprio sicura, .sai,
ancora. Però, nel dubbio, non bisogna, vero? Non
ho mai avuto tanto orrore di far peccati, mamma,
come adesso che devo pregar per Lui e prepararmi
ad andar con Lui !
La signora Mannelli
Bambina mia, non ne hai mai fatto, tu, dei pec-
cati.
ILI A
(coprendosi gli occhi con le mani)
Oh inanima, mamma fa) E intanto mi di-
I \ ora della carta. (Apre 1! cassetto).
La signora Mannelli
1 .ascia che ti aiuti.
Cecilia
Sì, sì aiutami. Tanto tu non parlerai. Peri
tratta di un segreto, bisogna trovare una lettera
della signora Trechi.
La signora Mannelli (scattando)
Della signora Trechi?
Cecili \
Sì, della signora Trechi. Una lettera in cui si ri-
conosce lebitrice di cinquecento lire che Carlo le
aveva prestate.
La signora Mannelli
Ma perchè la cerchi adesso?
Cecilia
Perchè è stata qui lei, poco fa, tutta affannata
per la paura che suo marito, facendo passar le car-
te, qui dentro, la scoprisse. Suo marito non sa
niente e guai se sapesse. Voleva levarla lei, ma io
non avevo la chiave. Adesso penso di cercarla e
di mandargliela perchè si dia pace, povera donna.
La signora Mannelli
Cara te, lascia un po' stare. La cercherà papà,
quando ritorna. Credo che sarà qui stillilo.
Cecilia
Nò), a papà non lo voglio far sapere. Mi pare
ili aver capilo che la signora Trechi gli sia antipa-
tica. Non vorrei che poi facesse delle, supposizioni
poco caritatevoli sull'uso di quel denaro. (F.eva dal
cassetto e porge a sua madre un fascio di carte).
Fa passar queste, tu, intanto. Sarà bene di levar
fuori tutto. Ah, Dio mio! (/-'ruga nel cassetto per
raccogliervi sulla fiocca tutte fé carte). Qui in fondo
c'è anche... (Leva una fotografia, s'interrompe, '0
guarda).
La signora Mannelli
( '1 s'è ?
Cecili \
(a voce bassa, ma nini turbata, guardando sempre
la fotografia).
Una leti grafi. 1. Una signora in toilette da ballo,
11 11 l.i maschera. (Pausa).
La signora Mannelli
voce un po' tremante)
Con la maschera? Lasi 1 vedere.
Cecilia (le porge la /olografia)
E anche delle lettere ci sono. Sarà forse qui la
lettera della signora Trechi.
La signora Mannelli (vibrata)
Dammele. Le passerò io. La fotografia non è
della Trechi.
Jl II I
LA LETTURA
mquillà)
Non h he sia della ricchi, io.
La s Mannelli
he I" supponi
I CILU ('.'. '
[o? Non supponevo niente, Del resto mi pare
che sia di I hi. Non l'ho mai vista sorridere,
ma ■ Sia di Ila I rechi o
non sia della rred na, pei me fa I" stesso.
La signora Mannelli
S'intende bene l'i « 1 i r ■" » io che fi o rafia E1
i che somiglia alla Trech Mi ricordo che Carlo
l'ha veduta a Milano, in Galleria, un giorno che si
pass nsieme noi due, mentre tu scrivevi
lettere ali G làuta e l'ha comperata.
I adesso dammi le lettere pi
Cecilia
Te le darò ma non c'è nessuna premura!
La sigrn ira M innelli
Oh lo so! Dicevo perchè ci sbrigassimo. Me le
dai ? (Butta il ritratto sulla scrivania).
Cecilia
Perchè lo butti via così, quel povero ritratto?
I a signora Mannelli
Dammi le lettere, andiamo, facciamo presto, se
papà non ha da saper niente. E tu prendi fuori il
. intanto.
Cecilia (balzando in piedi)
Mamma! Tu mi fai male, sai. Perchè io ti ca-
pisco, tu ha dei sospetti, di la verità !
La signora Mannelli (atterrita)
Ma no, non tiu sospetti, non ho sospetti!
Cecii ia
ne crescente e con lagrime)
Sì, sì, tu hai sospetti. Mi fai male, mi fai male,
mi fai male! E non è la prima volta che mi fai
male. Tu e anche il papà. Sì, anche il papà '
La signora Mannelli
Ma no. cara! Ma quietati!
t Iecilia (agilalissima)
Si. sì, si ! Quante volte l'ho capito che avevate dei
etti 1 Non avete mai detto nomi, ma discorsi
vaghi me ne avete fatti tanti! « Meglio che Carlo
non vada qui. meglio che Carlo non vada lai, op
pure « vacci anche tu. non lasciarlo andar \
e tante pan. le così. Credete che non abbia capito?
Credete che non mi abbia fatto male":' Non ni co-
noscete^ ne tu né il papà Scusa, mamma, non ca
pite. proprio non capite che ferir lui, per me, ì
.. . mille volte peggio che ferir me. In passato
Soffrivo dentro di me, ma tacevo. Adesso
morto, no, non taccio. E comi . i n -rto! Con
quella dolcezza di parole che mi ha detto, i
Diazione delle parole che gli ho detto io, col suo
Signori nel petto, con il Crocifisso in man... )■; tu,
ma. mi x ieni fuori, li II 5Si . Con quesl i mi
bili sospetti, con queste offese ! Sì, sì. tu hai paura
che io s.-. i ia chi sa cosa ! Mamma, mamma, tu non
il Lene che gli voglio io ! Tu non puoi
capire i he se m ri fi ì • stato |ht la religione, pi
del Signore, io avrei calcolato niente il mio
soffrire se un'altra donna meno stupida di me, me-
no ignorante di me lo avesse potuto rendere più fe-
bee! Se avessi capito che ci tosse qualche cosa, sai
jiu l che a\ rei fatti ivrei pn i il Sigi ic di
Ianni morire e se il Signore mi avi sse fati a ia gra-
zia sarei morta in pace, tanto in pace, Unto coti
tenta. Non sai che non ho mai potul intendere
come si sia innamorato di me, Carlo? Non t. per-
metto di offenderlo. Dio mio, mi. minia, ho paura di
dimenticarmi che sei la mia mamma. Scusa, scusa,
scusa. Ma tu non le gnu ... incile lettele, nep-
pure una ne guarderai ; e neppure io le guarderò,
adesso; mi parrebbe d'insultare il mio caro, il mio
i re, il mio tutto dopo Dio. Prendi, mamma mia
(/(• consegna le lettere) va. bruciale, bruciale subii..!
S i .- denti., l'obbligazione brucierà e in ogni tr
io scriverò a quella signora che nessuno l'ha vista
e che l'ho disti u
La signora Mannelli
(aitasi supplichevole, tenerissima)
Sì, ma cn di, cara...
( 'l.i ILI \
Va. va. va. brucia, brucia, brucia! E poiché sai
che il ritratto ;• un ritratto o mpi rati . brucialo pure
anche quello, brucia, brucia!
La signora Mannelli
Si. si. cara. (Butta le lettere e il ritratto sul fuo-
co Cecilia l'ha seguita sin quasi al caminetto).
Cecii i\
11, ii bruciato ? Hai bruciato tutl
La signi ni M INNEl LI
lei)
Si, SI. tutto.
I I . 1 1 IA
( )h. mamma mia !
(Le si getta ùnglnozzando fra le braccia. Cala
la tela).
Antonio I ca :zaro.
Nmi. - I versi di Chamisso, musicati da Robi
Schumann. son riferiti nella traduzione, assai efficace, del
conte Vittorie di MarmoiitO.
■■• ■ \/:~:': y
nr
CASTA 131 VA
{Continuazione e imr, vedi numero precedente).
VI.
Il generale Bonferreri, che i veneti della colonia
chiamavano a general gambe de pano», se appunto
stava male in gan'be, era altrettanto forte, anzi du-
ro di testa. Di solito, non gli venivano in niente più
di due idee all'anno, una d'estate e l'altra d'inverno,
ma poi l'idea gli restava dentro fisa, come un chio-
di nel muro, per tutta la stagione. In quell'anno,
a Boscolungo , l'idea estiva era il matrimo
uhi dell'onorevole Parvis con la marchesina d'Al-
baro: due bei nomi , uno vecchio e uno nui>\<>.
per tutti i gusti, e anche due belle persone. C'era,
evidentemente, molta simpatia, perchè si trovavano
insieme spesso e volentieri... — Lui sembrava ap-
passionato per la musica, lei... per i cani — Dun-
que, un bel matrimonio!... Un bellissimo mairi
monio !
E pensandoci sopra, queste nozze sarebbero state
appunto convenientissime. almeno per il generale,
sotto tutti gli aspetti. Egli era un vecchio amico della
marchesina e all'Abetone avrebbe avuto campo di
diventarlo anche dell'onorevole. Lui pure, il gene
rale. — perchè no! — si sarebbe stabilito a Milano.
Sarebbe andato in villa dai Parvis a passare l'au-
tunno ; poi in città, in casa Parvis. a pranzare la
domenica... e qualche altro giorno della settimana.
A teatro, avrebbe avuto il palchetto dei Parvis
dove avrebbe fatto da cavaliere alla marchesina
Sofia, quando l'onorevole sarebbe stato a Roma.
— Sì! Sì! Il matrimonio è più che conveniente,
è necessario !
Oramai « Gambe de pano » sente il bisogno di
avere una famiglia... altrui.
Egli comincia col decantare e col far ammirare
la ragazza all'onorevole, come fosse « un puro san-
gue » di cui volesse proporre l'acquisto.
— Guardate, onorevole, che bella incollatura'
— ■ Bellissima !
- Che portamento superi»)!... E che ginger!
Ma nello stesso tempo di bocca gentile! Garanti
sco: parola donno-! Mente morso, niente briglie!
Si lascia guidale uhi un lilo di seta rosa!
Nella foga dell'entusiasmo « Gambe de pano »
sa trovare anche l'immagine poetica : ma pure, non
perde tempo in chiacchiere e viene subito e diritto
all'assalti).
Sono Otto giurili, in punto, che Ceiaiili) l'anis
è arrivato all'Abetone. E' appena finito il prai
e passegggia su e giù col Bonferreri dinanzi alla
succursale. La sera è dolce e tepida: una di quelle
due o tre sere primaverili, che l'Agosto concede alla
montagna. La luna immobile - inonda l'etei
e dall'orizzonte pallidi, e luminoso la catena dei
monti e il profilo frastagliato della pineta
brano avvicinarsi, sembrano unirsi in un'intim
consapevole ed affettuosa.
Ma Gerardo non vede né la luna d'argento, né
le stelle d'oro, né il cielo bianco, né la terra nera.
Sofia canta; egli non vede: ascolta. La sua anima
e i suoi sensi provano il fascino, il languore di tutti
gli ooo del fé t'adooorc!
Onorevole, una buona idea.
Il Parvis ha una scossa.
- Voi. generale?... Sentiamo.
— Dovete prender moglie.
— Prendere moglie?
— Penso io a tutto '■
Jl'j
LA LETTURA
1 le. I n i\ atemi
intanto una rm igl e, pi ii ne disci irreremo.
I ta.
1 1 Pan i- -: li rma serio, inquieto.
I san i
I .1 ìst : a
< !• . ! il colpi .- però risponde an-
un'alzata 'li spalle:
I I
Ma l'altro replica spiccando le sillabe:
Ed è 'la\ veri i una creatura
ila far diventare matti I Vorrei essere in voi per una
pei spi sai la io !
di scherzare I
Chi di strano? La ragazza vi piace.
Noi . vi -piaci molto: si vede ad occhio
nudo.
Il cai ssati : vien gente in istrada.
— Parlate sottovoce !
E vi - Geranio sente i baffoni bianchi
eil ispidi ilei geni i gli sfiorano l'orecchio:
I lei.
' ( lambiamo discorso !
- Vi guarda in un certo modo!... Quando voi
li punzecchiate finge di arrabbiarsi, ma le rìdono
occhi! E poi, vi lete una prova? In tanti anni
non è mai andata sola a passeggiare, Con nessun^.
e con \ i li sì.
— Min- M'Ite!
ie ve ne ricordate! - Il generale molto
soddisfatto di igliere in trappola un'Eccel-
lenza, scoppia in una risata rumorosa.
Il ! venta ancora più serio, quasi torvo:
vuol mettere fine allo scherzo.
unta a passeggiare con me... lo po-
teva Lo.-. Non sono più un ragazzo. Potrei essere
suo padre.
11 generale si scosta un attimo fissandolo attenta-
mente con l'aria di fare una stima.
— Quanti anni avete?
— Sono... dopo i quaranta, da un pezzo.
- L'uomo, fino a che non ne ha cinquanta, e
i pò, ne ha sempre quaranta.
pun . ma la signorina d'Albani ne avrà
venti, ventiline! Quanti ne ha, generale?
Ventidue che vanno per i ventitre. E' più
ime ragazza, di voi. come ex-ministro.
I i i a, se-' 'lei' ■ la condizii me dell'indivi-
duo. Mi tti in capo a un uomo di quarantanni un
tto di capitano e avrete un vecchio ol eso: met-
quello coi distintivi di colonnello e avrete
I .d'ora voi, chi ? — Il
Parvis comincia quasi a divertirsi agli aforismi dei-
lamie... Ma « Gambi de pano • rispondi con un
doloroso sospiro:
'. si hanno si mpre più anni,
dtà, di quelli ehi- si din
\ qui. tu punto, quasi a conferma dell'asserzione,
ba una spa ie di traballameli!- >. I
il signor l'it., che gli ;• piombato addosso im-
l 'impeto.
— Sapi ■ Fermo... ( ìiù !
Ma Teo, i arsi, continua con le fe-
'ii i salti indiavolati.
Il generale rinuncerebbe assai volentieri a tante
Ui se espansioni. Le Zampe del rane gli
insudiciano le falde del soprabito nero; un :
un po' lustro, che tradisce la pensione
Al! ISSO basta ! I
a raplimi nti !
reo spicca un altro salto: gii strappa qua
bottone della si ttoveste.
— ( ìiù . E finiamola !
Alla voce mi) ne, Teo si acquat-
birciandalo di soppiatto, mentre, per rabbo-
nirlo, gli passa fra le gambe scodinzolando.
Di ve siete stato finora? - Prospero di
1" gli esce di fra le gambe, allungandosi,
seiam lo. terra terra.
I li ve siete stato?
I'" si torce e si avvoltola rimanendo diritto,
distesi, sul dorso, con le gambette corte, ripiegate.
Rispondete! Si risponde! Dove siete stato?
li" si raddrizza, si alza, squassa le orecchie, e
allunga e spinge il musetto contro il padrone: gli
risponde come può, in tutti i modi, sforzandosi
[uasi per trovare la parola che non ha.
Ma intanto ecco Prospero che sopraggiunge, Pro-
spero minaccioso a sua volta, e in atto d'accusatore.
Teo corre di nuovo a mettersi vicino al padrone e
li ' guarda.
Pi rchè non lo tieni con te, questo cane?
Prospero mastica una mezza frase che non si ca-
pisce, poi conclude più intelligibilmente:
— Cerca Mimi; scappa.
— Chi è questa Mimi'
Il vecchio resta muto un momento: si ode
il leggero tintinnio di una piccola bubbolina.
Teo rizza il muso, fissa gli occhi, gli si gonfiano le
'!■■ chie.
— Eccola là !
Una bestiola bigia, arruffata, tonda tonda, mezzo
rane e mezzo gatto, con un grande collarone d'ar-
gento, esce in quel punto dall'albergo: per un tratto
di strada, fin che dura la luce dei lampioni, la si
\i le camminare di sghembo su tre gambe, che sem-
brano <\w. dietro una vecchia americana.
I.a brutta bestiola è Mimi: Teo la fissa, ritto,
immobile finché può vederla: poi quando sparisce
mi buio, via coinè un Ianni" per raggiungere Mimi.
— Teo! Teo! Teo! Qui, Teo! grida Prospe-
ro, mettendosi egli pure a correre.
Si diffonde rapidamente la grande notizia:
reo '■ innamorato, innamoratissimo di Mimi, arri-
vata quel giorno stesso da ('migliano.
— Caaro il suo Teo! Com'è facilmente infiam-
li ! ('auro! E' la marchesina che si affai
ad un tratto sulla soglia della succursù
E' imbacuo ita in un mantello rosso e sono d
riverbero del lampione appare in un conti
.lieo di luci e di ombre. Che bel diavoletto
i il' neri, eoli quegli occhi neri, liain
meggianti I Più l<ello di qualunque angelo biondo I
Vncora non ha finito, il suo sigaro5
Si ria, nla 11 l'arvis e lo fissa si-
I ASTA hl\ A
20 j
cura: il L'arvis, invece, non può sostener niello
sguardo; è intimidito per il discorso di poco prima
del generale.
— Eravamo qui... intenti a sentirla cantare!
— Lo sapevo; e per farle piacere ho cantato
la sua romanza !
La bella fanciulla rispondi i ite, persino un
po' ardita.
L'onorevole ha la voce bassa e alterata.
— Venga con noi ! Venga a giuocare ! Miss Kean
e Mrs Brand sono partite ! La sigaretta è permessa
e, se vuole. . . anche lo sigaro ! Faremo un'eccezione
per lei ! Ma venga a giuocare ! Giuoco anch'io sta-
sera, perchè la chov.ette è a scopo di beneficenza!
— Cioè?
— Si fa così : chi perde perde e la vincita è de-
stinata al povero burattinaio di Boscolungo. E' il
solito che viene quassù tutti gli anni. Pensi, gli è
appena morta la moglie. E' rimasto solo con tre
figliuoli. Una ragazzina di dodici anni con un vi-
sino pallido pallido, tanto intelligente e due bimbi
piccini, piccini, biondi, bioondi, due amoori di pììc-
coli, due tenerezze caarc...
L'onorevole attratto da tante vocali d'oro segue
la marchesina nella sala dove si giucca, disposto
a perdere tutto il suo patrimonio, se occorre. . . e
anche la testa per sopramercato. La marchesina è
allegra e felice : per amore del burattinaio, suo pro-
tetto, si fa un giuoco d'inferno e Sua Eccellenza
perde più di tutti e con grande piacere. Sofia lo ha
voluto accanto, al tavolino di giuoco e gli ride
proprio sotto il naso, con quei denti bianchi, e quella
bocca da baci. Lo guarda, lo fissa e gli dice tante
cose, col solo guardarlo : sono risposte, osservazioni,
arguzie, che si riferiscono a questo, o a quello, alla
parsimonia del generale, alla goffa prodigalità di
Cesare e di Annibale, gelosi l'uno dell'altro, e che
pare, cominciano ad esserlo un po' tutti e due. di
Sua Eccellenza.
Il Parvis è beato ; si diverte a stuzzicare la mar-
chesina, ma il frizzo non punge e gli occhi riman-
gono incantati.
l'na volta, nel passarle il mazzo delle carte, ir-
resistibilmente le stringe la mano, ed ella risponde
alla sua stretta guardandolo calma, tranquilla.
Intanto, c'è chi fa la proposta di una grande rap-
presentazione del burattinaio dinanzi all'albergo.
La proposta è accolta con entusiasmo e subito Sofia
invita l'onorevole ad essere il suo compagno di
questua.
Gerardo starebbe ancora più volentieri lì, accanto
alla marchesina ; sarebbe completamente felice. . .
se lì, non ci fosse anche il generale. Ma questo ha
un'aria prudente e dignitosa. Lanciata la bomba.
« Gambe de pano » spiega una straordinaria diplo-
mazia.
E la marchesina ?
Gerardo non capisce più niente: tanta amabilità,
tanta confidenza, tanta simpatia? E insieme tanta
sicurezza ?
Ingenuità... o civetteria? Che cos'è? Cos'è? Ma
che cos e ?. . . Fosse vero ?. . Davvero una grande
simpatia... per lui?
Quella stretta di mano in risposta alla sua?...
Che cosa h.i voluto esprimere quella stretta di
mani i -
L'ex-ministro mentre è beato, lì, vicino a
mentre non darebbe quel posto per nessun altro,
neppure a capo del Ministero, si sfoga fra sé in
linoni proponimenti.
— Bisogna usare prudenza; bisogna lavorare,
rimanere in camera tutto il mattino, tutto il gio
per non compromettersi, per non compromettere la
marchesina, per evitare la chiacchiera, i pettegolezzi,
i commenti! — Pensa persino di partire.
— Sì, se il generale torna da capo con quel di-
scorso stupido... si fanno i bauli e si parte! Ma
intanto che matura in mente così fieri propositi non
si accorge di dare importanza al più piccolo atto
di Sofia, ad ogni sua parola più indifferente, ad ogni
suo sguardo, a tutto di lei. Non vede che lei, non
sente che lei !
E quella stretta di mano ?. . . Come . a poco a
poco, diventa importante e grave quel piccolo epi-
sodietto !
Quella stretta di mano della sincera, della alle-
gra fanciulla, diventa quasi una promessa. Oppure
una civetteria... Una grande civetteria!
Altro che riposare; altro che dormire! Egli era
molto più tranquillo e dormiva meglio a Roma,
dopo le sedute più tempestose in Parlamento!
Anche quella notte rimase un pezzo alla fin.
l'afa era insopportabile... e dalla sua finestra ve-
deva quella di Sofia.
La stanzetta era illuminata. A un tratto . pure
Sofia venne alla finestra.
Il cuore del Parvis battè con violenza.
— Veniva per lui ?
Nò. La fanciulla lasciò la finestra aperta e si
sedette a un tavolino. A leggere o a scrivere ?
— Scriveva?... A chi scriveva?... Di notte?...
Tutta notte?
Gli occhi di Gerardo diventarono seri, poi
torvi . . .
A chi scrive? A chi continua a scrivere?...
Finalmente Sofia si alza, chiude la finestra, e
dopo un momento anche il lume si spegne.
Gerardo respira! Prova un senso di sollievo:
chiude a sua volta la finestra e si corica. Ma ni n
vuol più restare in camera la mattina dopo, a la-
vorare. Tutt'altro!
Ha la smania che sia giorno, per correre giù,
in cerca della marchesina e sapere, — scherzai
ridendo, punzecchiandola, — a chi ha scritto così
a lungo, durante la noti
VII.
11 generale non disse più una parola a Geranio
Parvis intorno il suo matrimonio; anzi cercava di
nominare la marchesina il meno possibile. Pure
Stava attentissimo, osservava, spiava ogni più |
colo incidente ed era molto soddisfatto del coi
procedevano le cose. Prima ili colazione, dopo il
tennis, passeggiata igienica della marchesina col-
20 | LA LETI 1 RA
1 onoi svoli lazione, musica. Dop |
. iiir.i pass unti i giorni un ]><>' più
lunga, u, arrampicandi si lezzo al l«
i vecchi abeti del .'/</. o giù per la
strada provinciale verso Fiumalbo; e la sera, di
nuovo un:- \ i Je t'adoore » adesso, si erano
■ imi: Yadieu de l'i: [robe e la serenadt
['onorevole, che le sedeva accanto, al
pian' tpire la musica tanto
iper Miliare le pagine al momenti
I l. Sicuro, anche Teo faceva la sua parte!
Come il leardo pomellato della tavola rotonda, gì
Cesare e Achille, pittori dilettanti, dipingono gli
scenari e gli avvisi illustrati, la marchesina pn
una mim >\ a toiletti sfolgorante per la bella Ircana,
e per le damigelle d'onore. Sua Eccellenza Inda il
tali ut., artisti... dei suoi due rivali oramai pie
niente sconfìtti ed anche rassegnati, e ammira la
grazia, la bravura e più di tutto le manine della
marchesina. Due mani bianchi e in.nl/nle. lunghe,
sottili, con le unghiette lucenti come II cristallo.
— ■ Che bella man... la sua! Con l'espressione
del carattere e dell'intelligenza 1
- Oooh ! Ma che cosa di. e. signoi Parvisl
y^jJJ^-
*r''
rava attorno pei Boscolungo coi colori della bella:
un nastro rosi. uguale ai nastri del cappellone —
con un magnifico fiocco e i bubbolini d'argento:
il tutto ricamato e regalato dalla casta dì
« Gambe eie pano « gongolava! Soltanto quando
'.'■dini si oscurava in viso:
Maledetto cane e maledetti bubboli!. Fra-
stornano la testa :
E tornava per la millesima volta a esamin
studiare e a fregare col dito, comi per tarlo sparire.
un ricordo dei dentini di Teo. che era rimasto inde
lebile in tondo alla falda del soprabito, << >n la
forma di un pinolo sette.
Intanto ferve il lavoro per la rappresentazione
dei burattini: e all'Acetone non si parla d'altro. E'
i Stenterello cuoco t genera
le in capo alla corte della bella Ir^aua. Tutto il
mondo ai lato in preparativi ;
l n'espressione intelligente, le mani? Le mani non
hanno occhi, e l'intelligenza è espressa dagli occhi!
— Si, appunto! Oueste sue manine hanno bene
gli occhi: due oochiettini turbissimi.
Sofia, si diverte.
— Dove soni > ?
Lì, guardi li! — I^t indica le due fossettine
della mano. — Eccoli li, e come ridono!
Sofia ride davvero; di gusto, guardando la ma-
il, d/aiidol.i, allungandola, facendo sparire le fos-
sette, n facendole riapparire più tonde.
— Ridere? Di che cosa dovrebbero ridere?
- Di me. - Il l'arvis si corregge subito.
Del papà '
— Pen-hè?
— Non so
— Perché è un papà troppo gióvane I Poi... sa-
iel.be forse un papà troppo indulgente!
I Wi'A DIVA
205
E si finisce sempre che il papà bacia la manina
che la figliuola gli offre scherzando, ridi-
li giorno della rappresentazione — la rappresen-
tazione deve aver principio alle ore due, in pu
— è l'onorevole che sceglie il posto più adatto nel
bosco dietro l'albergo, e che presiede all'impiantii del
teatro e alla divisione dei posti di platea. N'ella
prima fila i bambini, nella seconda le signore, in
fondo gli uomini.
E Teo?. .. Il signor Matteo, dove lo si mette?
Fra i piccini o fra gli uomini grandi? E se non sta-
rà fermo?... Se abbaierà? Teo avrebbe certo mes-
so in pericolo il buon successo della rappresenta-
zione. Era già colpevole di un grave reato:
mentre si stava innalzando la baracca , aveva
rubato il sire di Trebisonda . padre d' Ircana ; era
fuggito . scappato a nascondersi in un cespuglio
e gli aveva strappato la corona, la barba e divo-
rato il naso!... A tanto strazio, figurarsi il dolore
e gli strilli di tutti i bimbi che riempivano il bo-
sco e lo animavano con le loro vocine e lo picchiet-
tavano di bianco e di rosso con i loro vestitini : an-
geli ed uccelletti insieme.
Il generale, energicamente, propone di chiudere
Teo nella rimessa dell'albergo : Prospero si offre di
condurlo a passeggiare finché dura la recita ; ma So-
fia legge fra le rughe del faccione ingenuo e buono
il rammarico di perdere il trattenimento e allora
dichiara senz'altro che Teo resterà con lei, sopra
una seggiola accanto a lei !
— Sarai buono? Prometti che sarai buono, buo-
no, buooono ?
Il generale scrolla il capo malcontento, borbotta
che è un'imprudenza, un capriccio, una pazzia, ma
Teo. invece, che è stato attento al dibattito, pie-
gando la testina e dimenando la coda, risponde di
sì, che sarà buono, con uno starnuto ed un saltetto
di gioia.
E infatti per tutto il tempo che dura la com-
media, Teo rimane immobile, sulla seggiola accanto
alla marchesina. intento alla baracca e ai burattini.
Quando Stenterello, con il manico della scopa,
bastona gli sguatteri che non fanno il loro do-
vere, sollevando l'entusiasmo dei bambini, Teo con
gli occhi fissi, allunga il muso, odorando col na-
setto lustro e timido verso la baracca, ma non ab-
baia nemmeno allo sparo dei petardi che annun-
ziano l'ingresso solenne di Stenterello, creato gene-
v ralissimo, alla corte della bella Ircana. spari in-
diavolati, che portano lo spavento e lo scompiglio
fra le testine rotonde e ricciolute della prima fila.
Furono treeentocinquantatrè lire d'incasso che il
Parvis fece diventare cinquecento. Una vera ric-
chezza !
La marchesina Sofia ripone la somma in una
busta, mentre il generale parla di interessi, di li-
bietti. di Cassa di risparmio.
— Xo, no! Bisogna portar subito il danaro alla
povera piccina pallida pallida, dagli occhi
buoni e tanto intelligenti! Caaral... Tesoorot ...
Il burattinaio e la sua famiglinola — la figliuo-
letta e i due bambini — dm- poveri esseri n
rachitici, con un enorme sudici e mocciosi,
ivano uri 'oro ,,//< .. o meglio, nella
loro casa di legno, ambulami'.
Quando l'onorevole, e la marchesina giunsero al
largo erboso, dietro gli alberi, alla fine dell'abitato,
1 burattinaio aveva piantate le tende, dal breve
fumaiolo di lamiera che sovrastava al tetto del car-
ro usciva un pennacchi di fumo azzurrognola;
ma tosto non lo si distingueva più ; svaniva sul
tornio i!tl lirlo. reso di un azzurro languido, nella
grande luce ultima, prima del trameni
La fanciullata pallida dagli occhi intelligenti,
colata presso l'usciolino del carro-omnibus, ta-
ceva cuocere un po' ili cena in un vecchio tegame
sopra un tornei letto di ghisa; e le cipolle, friggendo,
mandavano intorno certe zaffate grasse, di stantio,
che sembravano più acri e più nauseanti fra i miti
profumi dei prati in fiore e la fragranza della vi-
cina pineta.
Il burattinaio era seduto sopra un muric-
- tiolo, masticando tabacco per ingannare l'appetito,
e sembrava assorto nel rabberciare il cranio nero
di un Matamorb. sul quale la spatola di Arlecchino
aveva picchiato troppo forte per ordine di Stente-
rello. Il capocomico vagabondo delle teste di legno.
quando era nascosto nella sua baracca e stava in-
fondendo una parodia ili vita ne suoi fantocci, po-
teva essere immaginato un uomo simpatico, all'
ed anche geniale. Ma lì. visto in quell'atteggiamen-
to, alla luce del giorno, appariva soltanto quello
che era in realtà: un villano, tra lo scaltro e l'as
sonnato ; un mezzo bruto dal viso gonfio e livido
e dallo sguardo spento dall'acquavite.
All'estremità di una delle stanghe del carro, le-
gato con un cencio di corda stava il vecchio asino
del burattinaio, magro, spellato, malinconioso, sin-
tesi moribonda, o quasi, di tutte le tristézze e di
tutti gli Stenti, le fatiche, i patimenti raccolti in-
torno a quel poveri carro disgraziati che portava
attorno la commedia ime e della miseria.
Quando Teo vide la brutta bestiaccia, non ne
riconobbe subito la razza, si fermò, sospettoso, fiu-
tandolo alla lontana, non arrischiando di avvici-
narsi... e l'asino, a sua e ca-
nuto verso l'aristocratico Teo, ''osi lustro, così ele-
ganti i nastro rosa dal largo fiocco, il d
di S le Fiutava anche il ciuco per r
ma più che fiuto, il suo pareva sospiro: un sospiro
che usciva dalla povera e martoriata carcassa, ta-
tuata di piagl di gt
i nàsti ■''' cuore, diarista di que-
gli infelici. -- la ragazzina, i <\w- bimbi ed anche la
ia ; -, ma volle veder dentro nella baracca. Dal
vano aperto, un raggio del sole basso, entrava di-
ritto nell'interno del carro Quali tri greti fra
tarlate e sconnesse! Là dentro si fa-
i da mangiare e si dormiva in quattro. Si a
mutavano i cenci, i buratti' ne, gli avanzi
dei magri pasti, il bottino ik-i furtarelli campestri
del burattinaio ed anche dei due marmocchi i
cinsi. Sopra mensole Si da funicelle, vecchi
; — il re] per le grandi rap
entazioni — misti a mazzi di rape e di can
200
I A 1.1 TI IRA
a pezzi 'li pane raffermo <■ di cacio ammuffii
o ir. n, nti liquidi sospetti,
i attini mu-
tilati, decapitati, sventri Ule pareti, immagini
sacre, il ritratti' ili Garibaldi, canzoni popolari il-
lustrati-: un vecchio schioppo arrugginito, con una
Ili >;i di chi
n un angolo, un vasetto 'li garofani che pn
deva I uori dal fini si i ini i un bel i ami i i
di bottoni '"ti uialche fiore sbocciato, aperto,
i ome sitibondo d'i ! Il - ra il
iulletta pallida dagli occhi tanto
iti, come suo doveva essere il giaciglio
dall'altro can sudicio, meno scomposto ili
quello dei bimbi...
Il burattinaio dormiva certo più in fondo, laggiù,
sopra quel mucchio ili vecchi panni, ili pacchi, 'li
stuoie non si vedeva bene... nemmeno il sole
voleva entrare fin là !
Sembrava che in quei pochi metri ili spazio, una
ja vita randagia avesse accumulato tutte le re-
toccheria incontrata su tutte le strade,
in ogni pai si . in ogni si sta e si ostinasse a metter.
i.i. ogni giorno di più, senza rimuovere
nulla, senza nulla rinnovare, in una specie di osti-
nazione incosciente, ili compiacimento infingardo...
La fanciulletta dagli occhi intelligenti capiva
tutta la bruttezza, l'orrore di quel suo antro ambu-
lante?
Chi sa5... Quel iore, |Uel garofani», messo lì,
certamente da lei, vicino alla finestretta, non era
un rimpianto, un desiderio, un anelito verso
he ' osa 'li bello, 'li gentile?
Anche l'onorevole Parvis era rimasti' colpito ila
quel triste spettacolo. Egli ripensava alle granili e
tempestose discussioni della Camera ed alla facon-
dia . agli strepiti dei socialisti. A quella piccola
gente lì, chi mai ci pensava? Non aveva « Camera
del lavoro « non aveva « Società umanitaria'... ».
Oh. prima che penetrasse fin dentro a quella ba-
racca il beneficio degli sgravi*.
Come tutti gli uomini del Parlamento, anche i
più avanzati, anche i più scalmanati erano lontani
col loro pensieri, col loro cuore e con le loro chiac-
chiere, da tutta quella miseria materiale e morale!
Invece Sofia Sofia sì. Pur così delirata e squi-
sita nella vita e nei gusti, lei, un vero fiore fra la
e i merletti, li ! i ìrconfusa di grazia, di soa-
vità e di profumo, lei non mostrava né ripugnanza.
so: non era e non appariva altro che pro-
fondamente commossa da una viva, da una grande
pietà.
1 bimbi aveva un ditino malcom
Sufi.' rtare dell'acqua, lo lava delicatamente
ipre col taffetà che ha -■ mpre con sé. E nel
egnare il danaro alla sorellina maggiore, rima-
rdita, trasognata incapace di din- una pa-
rola, le fa raccomandazioni e le dà consigli... Sofia
• che li sua presenza fa del bene là dentro, e
• ne andrebbe mai.
ciò che vi è di brutto e di immondo in
i li non l'ha offesa : ella non ne
te che le sofferenze e le lacrime.
— Quanti dolori, non i vero? dice Sofia al
Parvis, mentre riprendono il sentiero del bosco, av-
viandosi verso casa. Quanti dolori, che nessuno
vede, ai quali nessuno può provvederci...
K quest ih m si agita e non impi
non lii comizi, né scioperi. E tutti, tutti quanti ab-
I iamo la o Ipa di lasciar vivere e crepare tanta
gente, tanti uomini. , ionie bestie !
Quei din- pii ' ini, poveretti. ..
— Erano brutti as
Non Iodica! I bambini non sono mai brutti!
Sono disgraziati, sofferenti, ammalati, ma non <
mai brutti !
Ama molto, lei, i bambini ?
— Sì.
— Le piacciono moli
— Tanto, tanti '.
- E se... — il Parvis si fa forte e le domanda
sorridendo: - E quandi, avrà un bambino suo?
La fanciulla diventa rossa; una fiamma. China
gli occhi, un istante, ma poi li rialza raggianti, con
una luminosità piena di dolcezza e di lacrime:
Non è forse il perchè di tutto, nella nostra
\ita ?
Gerardo la guarda: ella sospira e per un lungo
tratto di strada rimane raccolta, tutta in se stessa,
e ]X-nsicro.sa.
Il Parvis che le cammina accanto passo pas-
so, sente l'odore acuto della massa folta, con-
fusa, ondulata dei capelli neri. Egli guarda,
tinua a guardare e sospira. Sono così neri, quei
capelli, così neri e lucenti che abbruniscono la bella
nuca rotonda e forte sotto il grande cappellone
tutto bianco e tutto rosa.
E intanto, guardando e sospirando, i suoi pro-
positi di saviezza, i suoi disegni di prudenza sva-
niscono tutti insieme rapidamente.
Sì: il generale Bonferreri aveva colpito giusto. Sì;
gli piaceva molto quella bella, quella giovane crea-
tura, cosi giovane e così bella! Ma voleva star a
vedere qualche mesi, voleva aspettare ancora, al-
lontanarsi per qualche tempo. . Voleva mettere alla
prova si- stesso, il proprio cuore, la propria pas-
sione. Sì, questo bisognava fare: allontanarsi, al-
lontanarsi da lei a qualunque costo! Scrivere a
Genova, andare a Genova, sapere, informarsi...
Ma intanto guarda, continua a guardare e
spirare. No, no; non è nera, è bianchissima la bella
nuca rotonda e torte: è la radice dei capelli folti,
è la lanurie dei capelli più fini, che la rendono
bruna . .
Bisogna informarsi, bisogna sapere, prima, tante
COSel Bisogna scrivere, bisogna andare a Geni
Genova I Genova!... Come in quell'istante la vede
bella, Genova, in faccia al mare, piena di luce, pie-
na di sole !
('he cosa ne sa lui, della marchesina d'Albi;
— ('io, -he gli ha detto il generale: niciil'all r<
II generale, del usto, i- un bravo uomo, un peri
inolilo. Egli poi, il Parvis. e riuscito anche
ipere, finalmente, ciò che più gli preme, — a
chi la marchesina scrive tanto boi sì a lun-
i. finalmente, perch.- aspetta con
LA LETTURA
.i IN ra di i i mpre
hi- non si può vivere all'Ai» toni
'■"li la |« sta una — La mai
chesina scrive alle sui aspetta letti n e
Lille sue ami he. Ne ha molte, sparse
in tutta Italia, ma sono tre, le più intime, le più
care; dui di Genova e una ili forino: l'Ippolita,
la Felirina e la Pouf Me.
C< i ■ . \ uol bene alle sue ami
elle!... Buona e sincera! Sopattutto sincera. Che
bella ci sa la sino i
Perchè aspettare ancora a parlare, ad aprirle il
cuore; Per informarsi, per sapere... Sa
Fnfi limarsi ili che o sa ? Mi m lo sa
che è buona, affettuosa, tenera, min In veile che e
i bella . tanto, tanto, troppo. .
Cara, figliui ila.
Sofia si ferma e lo guarda interrogandolo con
gli occhi i idi nti :
— Signor. . . ]> in i
un trem to negli oc :hi, e gli trema
l.i voce:
Papà?... Risponda, marchesina, - Papà?
Proprio. . sempre. . . soltanto papà ?
La laminila ha un sussulto e il suo viso si tra-
sforma mentre si allontana d'un passo, istintiva
mente:
reo Dov'i reo ?, . . Dov'è andato Teo?
( 'he impi rt.i adessi >, 'li Teo i
E' rimasto indietro! S'è perduto! Non c'è
più! E Sofia chiama torte, con tutta la sua bella
[Vn ! Teo ! l'eo !
Il l'arvis fa un passo, la raggiunge e le afferra
una maini.
Risp mi la ! I (ève i ispondere !
— Ma. Teo!...
I ' corso avanti ! l'ho visto io! E' a casa !. . .
Von si tratta di Teo; mi guardi: si tratta di me. —
di un uomo, della felicità, dell avvenire, della
vita di un uomo! Ma non capisce?., ma non ha
capito?— Il l'arvis cerca di afferrarle anche l'al-
tra ni. ino e fa per portarsele tutte due alla bocca:
Von ha ancora capito?
ritrai O itala, scioglie le mani
da quella strel a il l'arvis muta, con una
grandi spri >sione di maraviglia dolorosa,
\ Gerardo si oscura la vista: sente la terra che
gli ili ni piedi :
II. i capiti ■■ e mi i p di no?... E'
un «
. più che attonita, è come atterrita: fissa
quel volto pallido, contraffatto dall'ansia, dall'an-
Poi è lei stessa che gli afferra
una n rinj on forza, con tutta la
le corri ino agli occhi.
1 Vmii i i'i ; nioo mio !
Ili ■ te pan ile. in questo dolore
della bui lilla, che la sua condanna è ine-
ta un istante, poi le domanda. 1 1 in
una voci ma
ferma e scura :
\i e tempo? Ni ssuna ;peran
(lino.
Risponda: mai , nessuna speranza?... Mi
risponda.
Sofia alza il capo lentamente e lo guarda : ha una
ride, una profonda pietà negli occhi dolcissimi.
Vorrebbe parlare, non sa. non ne ha il coragg
Allora leva dalla tasca di-ila giacchettina un l
li amma arrotolato, e glielo dà :
Legga.
Il l'arvis la lissa; guarda il telegramma come
per indovinare, poi apr i [e|
« Mamma 1 1 intentissima - rà lei babbo
som . felice. \ rDREA.
- A lei. — Il l'arvis le ritorna il telegramma:
Un sonisi, cattivo gli increspa le labbra. — Sia
tutto come non detto... E, soltanto, mi usi la li-
ri //a. di dimenticare le mie stupide parole.
I UttO 31 ferma per un istante: anche i due cuori
non battono in quell'istante...
II boSCO, folto in quel punto, dopo un breve
tiatto, diradandosi, si apre sulla strada maestra.
Sofia si arresta per poter discorrere, li. senza essere
veduti.
Signor l'arvis, si fermi! Ascolti... ho aneli io
da parlarle! Lei non mi deve disprezzare, non mi
deve giudicar male... e non mi deve odiare! Sof-
ferei tmppo: voglio sempre essere stimata da lei!
Con Andrea - con mio cugino — ci siamo fidan-
zati da due anni. E da un anno e mezzo non lo
vedo! E' in marina: ufficiale. !•'.' stato in Cina: è
tornato soltanto da pochi giorni.
— Io non ho il diritto di chiederle niente; non
ho diritto di saper niente!
Sì, invece: tutto! Deve sapei tutto! Voglio
spiegarle tutto! Mi ha dato un grande dolore, sa, e
10 merito! Lo merito, perchè senza saperlo, cn
sènza saperlo, sono stata leggera con lei! Ho
gl'iato ; l'ho ingannato !
— No... no!
Sì. mi lasci dire! L'ho ingannato, ingannan-
do me slessa nell'interpretare la mia simpatia per
lei. Mi lasci dire! Mi lasci dire, mi ascolti! Non
ci vedremo più, ma io vi iglio dirle tutto, tutto, unto !
11 sentimento, la simpatia, lo chiami come vuole.
ciò che io sento per lei. è vero, è sincero, è foi
Sapesse... è proprio così. Io le voglio bene. In
lune fatto di stima, di fiducia, di confidenza! 1
cosi bella, cosi buona la nostra amicizia e mi ad-
dolora tanto tantn di doverla perdere! Ho sba-
gliati!, ci siami! ingannati.
No...
In, io! Mi sono ingannata! Peccato I L
scherzava quando mi chiamava » cara figliuola»,
io invece credevo, mi era illusa! Fosse proprio cosi,
proprio, coinè una figliuola! Lei scherzava ed io
ho avuto tort.i di non capire, di aver preso il suo
scherzo sul serio I Ridevo e scherzavo anch'io quan
dicevo « sigm.r papà >• ; ma pure, ni I dirlo.
seniivn in me una grandi tenerezza e un grande
rimpianto! Pensi, i<> non l'ho conosciuto il mio pò
vero babbo, e ho conosciuta appena la mia mani
ma ! I. un rande, sa, nella vita, non avere
il papà . non avere la sua I. un vuoto
nemmeno l'amore non riesce a rolmare! Ho
sbagliato! Xon dovevo scherzare con lei, come ho
scherzato! Ma... avrei mai potuto pensare, imma-
ginare che lei, proprio lei. un uomo così ili merito
e di spirito, così grande. — ne parlavano tu-u con
tanto rispetto, con tanta ammirazione, quando i
veva arrivare quassù : Avrei potuto mai immaginare
the ella prendesse così sul serio una ragazza o
me. una ragazza frivola, che non sa niente, che non
saprebbe lare un discorso con un po' di giudizio...
Io credevo che lei si divertisse a star con me, ap-
I unto, perchè con me non aveva da pensare a nien-
te ' Così... un po'... come con Teo !
Gerardo scrolla il capo, vuole interromperla.
— Mi lasci dire ! Mi lasci dire, mi lasci dir tutl
Poi, a poco a poco, senza accorgermene, lo scherzo
per me diventava realtà... o idealità, come vuole!
Lei è tanto buono, tanto diverso degli altri, tanto
superiore agli altri. Dice cose così giuste che colpi-
scono e fanno pensare!... E io ho sognato, ho spe-
rato... Se davvero, col tempo, diventasse proprio un
amico, un buon amico. . . se diventasse davvero. .
un po' il mio papà? L'amico nostro, buono! — So-
iia si corregge subito — l'amico mio, che mi avreb-
be guidata, consigliata, confortata. Sì, confortata,
perchè la vita non è mai senza lacrime, anche quan-
do si crede di essere felici! E in cambio, di questa
sua amicizia, di questo suo affetto, io sentivo e
sento . che avrei potuto darle lealmente . e a-
pertamente una parte così buona della mia a-
nima, della mia tenerezza! Xon è possib
Non è più possibile. Lo capisco! Lo sento! Per
questo non ci vedremo più, non ci parleremo' più !
Ecco, le ho detto tutto! Adesso... Addio! Ma pu-
re. . . questo mio sentimento . questo mio grande
rimpianto lo proverò sempre, sempre ! Io adesso
torno indietro ; è meglio che non ci vedano insie-
me ; e poi devo avere la faccia stravolta... Si ri-
cordi sa, così... come le ho detto, un gran bene!
Sempre, sempre ! Per tutta la vita !
Sofia si volta a un tratto con la voce rotta da un
singhiozzo e si allontana rapidamente, quasi o r
rendo: il grande cappellone tutto bianco e tutto
rosa si perde e sparisce nel buio, fra i tronchi ve
chi e diritti, in fondi) al lungo viale.
Il Parvis ritorna verso l'albergo, camminando
in fretta, a capo chino, senza veder nessuno, senza
salutar nessuno.
— La posta. Eccellenza.
E' il portiere che gli presenta il solito fascio di
lettere, di giornali e di libri.
Il Parvis lo prende macchinalmente e straccia la
busta della prima lettera, senza nemmeno guar-
darla.
— Il mio servitore, dov'è ?
— Era qui adesso.
— Fatelo chiamare, subito. E il mio conto, su-
bito. E una carrozza.
Il portiere fa un atto di meraviglia:
— Parte, Eccellenza ?
— Sì.
— Prende il diretto per Roma o per Milano?
— Per Roma.
— Vorrà pranzare, prima. Le ordino il pranzo?
La Lettura.
t \- ! \ DIVA 209
— No. Pranzerò a San Marcello 0 a Pracchia.
L'onorevole Parvis parla speditamente, con la
voce sicura, con tono risoluto la sua faccia. .. è la
solita, di tutti gli altri giom Soltanto ha le lab-
1 ia p rate e in mezzo alla fronte e ap
parsa una piccola ruga: una ruga diritta, dura e
non c'era prima.
Fa le scale tranquillami riti . ma j 1 i 1 citrato in ca-
aiude l'uscio con un impeto dì collera. Ra-
pidam ■ nasi macchinalmente prende la pic-
cola valigia a mano e la riem] ie di lettere, ili carte,
di libri: vi caccia dentro hi scatola delle sigarette,
i danari, le spazzole, il berretto da viaggio, l'ora-
rio. — E il portafogli- 1 ii \ Non ricorda se
lo ha messo nella valigia... Lo cerca con la mano...
— Eccolo.
Ma invece del portafogli è L'astuccio di pelle
il ritratto ili Flaviana.
Lo guarda, ma senza commuoversi : freddamente.
— Sei vendicata! Come sei vendicata!
Ripone il ritratto e non pensa più al portafogli.
continuando inveire a cacciar roba nella valigia,
tutta la roba che gli capita sotto le mani.
A un tratto si riscuote, trasalisce: qualche cosa
di fresco, di umido è passato sopra la --uà taccia:
è il nasino nero di Teo; è Teo che è saltato sul
tavolo.
— Via ! Va via '
Lo caccia giù dal tavolo, d'un colpo, ma Teo ri-
torna all'assalto, gli corre fra le gambe, lo fa in-
ciampare !
— Maledetta bestia!
Gli dà un altro colpo così forte, che lo fa rotolare
sul pavimi
Teo non guaisce, corre a nascondersi sotto il ca-
i-ape.
■ — Comanda?. . .
E' la voce di Prospero, entrato dietro a Teo, ma
che Gerardo non ha veduto.
- E' un'ora che aspetto, vivaddio! Mai al tuo
pi isto ! Mai !
Prosi ero non risponde: la sua faccia rasata,
scura, sembra diventata di bronzo
— Il mio baule, la mia roba, sul into la
mia. Tu partirai domani, per Milano
E non dice più una parola. Rimane immobile,
muto, diritto, le braccia dietro il dorso, fissando il
baule che Prospero riempie lentam
Soltanto, quando sta per salire in carrozza, non
può trattenere un impeto, un moto di stiz
E' il generale che lo chiama, che lo ferma. Il ge-
nerale, gli occhi sbarrati, i baffi irti, la bocca a-
perta un punio d'interrogazione:
— Ritornate presto, onorevi
— X11. Xon torno più.
— Come?... Non tornale più?
— Il ito un telegramma: sono eh,
a Roma d'urgenza. Affari issimi. Bui
permanenza, generale; e sempre in buona salute...
M
La carrozza parte. « Gambe de pino » rimane
fermo, in mezzo alla strada, seguendone con l'occhio
stupito la rapida discesa.
14
Ili
LA LETTURA
Pros] 'i la faccia Mina, annuvolata,
ma subito in camera del padrone, |ue
partito, e si china ginocchioni, guardando sotto
il E
\ ani qui !. Teo !.. \ ■ i ■
non risponde, non si muove I ' \ ieni qui!
I
I topo un momento, reo, i |uatti i quatl
k- orecchie basse, la coda na-
zampe ili dietro: si avvicina a Pro
: i«lcir.i la faccia, poi corre ili nuovo ad
-i nel suo nascondiglio.
Prospero scrolla il capo: se ne va chiudendo
l'uscio adagio adagio, ma poi ritmila subito con la
zuppa 'li pane e >li carne.
La pappa reo!..-. Buona la pappa!
Teo riappare quatto quatto, odora il piai;»', poi
gli dà contr in il muso, rifiutandolo, e ili nuovo
si rifugia sutin il canapi.
Teo !.. reo! Povero Teo!
Vili
Com'era vertiginosa quella discesa. Il Parvis
preso da un senso di sconforto, 'li oppressione,
di tedio
Quando si irnvò 'li nuovo improvvisamente alla
ne ili Pracchia, senza mai aver detto una pa
rola al vetturino, gli parve ili essersi destato ila
un sogna 11 solito rumore, il solito, frastuono, il
solito caldo, la solita polvere, il sudiciume, i sa-
luti ossequiosi del capo-stazione, ilegli impiegati: il
correre affaccendato dei facchini.
' ' une ormai erano già lontani l'AbetOrie, il bosco,
il viali- Elena! Quanta tempo era passato in un'ora
Rie ito in un angolo del suo scomparti-
mento, non si muove più. Non scrive, non li
non apre, non tocca nemmeno la valigia.
\ ■ hia, ri conduttore spalanca lo spor-
teli", come il si dito.
— Desidera i giornali del mattino, Eccellenz;
— V
Lo sportello si richiud G rardo, sempre im-
le, rincantucciato richiude le palpebre... ma
hiudere gli occhi. 11 treno ci rre vi
mente lui desolata campagna romana.
I arida, |ua e minata ili ru-
deri , ili avanzi, e ili castelli diroccati... Un
le cimitero ili cui il vento secolare ha
i i cippi, ! le croci. . Ma < ìerardo
che boschi é prati... uno spazio infi-
nito ili verde, e in fondo in fondo e poi vicino, più
vii-ino., il cappellone il grande cappellone tutto
a .
I ■ lei, lei !. I ■ ' / , ' Jt
Sari sempre cosi? Dovrò vederla sempre,
mai chiudi re gli i echi della me
gli occhi dell'anima, •■ non vederla più
tranquillo, feli
Oh Flaviana, povera la mia Flaviana rara.
\ Ri revole Parvis grilla con tutti, stra-
pazza tutti: appena sceso all'albergo ]k r le ■
poi al ristorante per la colazione, poi da Ajar
gno per l'articolo della Tribuna II Governo "r
mai e una bara < .<, i partiti una commedia : il |
è in rovina, la si i 1 rieri
biliare, ingiusto, aggressivo, violenta
( 'he ha l'onorevole Pan is •
\e\ rastenia. . .
I più sorridono con malizia :
Nevrastenia .. prodotta dalle dimissioni da»
te e che furono acci ttate troppo presto ! 1 1 bru-
ciore ili aver perduto il potere!...
- — Non ha equilibrio, non ha prudenza. (Ili
manca la serenità, la stabilità ilei] uomo di governa
— E' troppo impetuoso, violento! K mi
II Parvis se ne va ila Roma dopo una settimana ;
ha levato il saluto a tre o quattro persone ed e
stato sul punto 'li avere un lineilo.
Sono stufo ih '|nest, i vita, 'li questa baraon-
da, di unte queste liti! Manderò le mie dimissioni
anche da deputato! Voglio viaggiare, viaggiare...
Viaggiare in paesi lontani, nuovi, diversi dai no-
stri !
E pensa, in cuor suo. a un paese ili ghiaccio, ili
neve, o scolorito, o giallo, ma senza un filo di ver-
de! Là, finalmente, non lo avrebbe veduto più .
mai più, quel grande cappellóne tutto bianco e tutto
ri isa !
Quando a Milano sta per entrare in casa. Pro
spero gli viene incontro, la : tralunata, bor-
bottando malche parola che Gerardo non capisce
bene.
Che C'è ?
reo ha preso il cimurri • Sta. . . maliss.
11 resto si pen le. vola per aria.
— Xon hai chiamato il signor Lodetti?...
[1 sigrn I '''-ni è il veterinaria
Prosp . borbottando: si capisce.
s'indovina che m n c'è più niente da fare
— DcVi
Prospero va innari « une.
Attraversano l'anticamera, il - lo studio,
la stanza da letto, il gabinetto 'li toiletti N
laroba, si il tettuccio del |h>-
nTii Teo: una cesta rotonda, e un vecchio plaid
ira la i aglia.
- Il pulr ne ! !'ii> ! I ! padri l
Prospero ha un suono tremuli., un accento in-
SolitO i" 1!.'
I qui il padrone, Teo. .
I povero I i mormora il Pan
sua volta, avvicinandosi alla cuccia. Teo fa uno
sforzo... si alza a stento sulle due gambe anteriori :
ha il licione grosso, sformato, che non può più i
Eppure, fa \\n grande sforzo, barcollando
cerca, allunga il muso verso il padrone, e muove
ancora adagio la roda. ma è l'ultimo slor
zo : i giù nella cuccia, abbandonandosi, le
gamb ite, il respiro affannoso, come un ran-
A DIVA
2 I I
i . un lamento doloroso, che Cftntimta. che conti-
nua, mentre l'occhio rimane aj>erto. con la pupilla
vitrea, dilatata.
— Teu, povero Teo. . .
Geraldo si china per accarezzarlo, e allora il la-
mento .Ioli iroso, il rantolo si fa più sommesso
— Teo, povero Teo. . .
Gerardo continua ad accarezzarlo, ;ul accarez-
zarlo... ma poi quando fa per allontanare la mano,
il rantolìi, il lamento diventa più forte, più lungo,
disperato e Teo gli volge l'occhio umano, che
ravviva in quell'ultima, suprema espressione del do-
lore e della morte.
Prosperi) porta uno sgabello: Gerardo siede e ri-
mane sempre vicino a Teo. accarezzandolo, finche il
rantolo, ohe continua, rhe continua per un'ora, per
due ore. si fa più affannoso, più doloroso, terribile,
poi a poco" a poco più lento, più sommesso, finchi
finisce... finche non si sente più... Teo. dopo un
ultimo sussulto, rimane fermo, immobile, disteso.
Gerardo ha il cuore gonfio, stretto: li. nella cuc-
i ia, accanto al povero Teo. c'è ancora il nastro rosa,
regalato da Sofia.
..." La mattina dòpo, all'alba, nel piccolo giai
dino della rasa, il portinaio sta scavando una buca :
Prospero ha pprtato l'eo, rigido. . avvolto
in un panno bianco.
Gerardo, è pallido, ha gli occhi stravolti.
Mentre il portinaio prepara la piccola fossa, Pro
spero scopre il testone di Teo, poi lo ricopre di
nuovo.
Ei co fatto! esclama il portinaio, al
niente. — Dia qua; signor Prospero!
E Stende le mani per prendere il lungo involto
bianco.
Prospero non dice nulla, si alza, e sotto gli oc-
chi di Gerardo '. sempre ritto, muto, pallidissimo,
depone Teo, delicatamente, nella tossa, e lo copre,
lo ricopre con il panno bianco, per difenderlo dalle
palate di terra, umida e nera.
11 portinaio riempie la buca in fretta, poi vi di-
stende .-opra la terra, rassodandola con quattro col-
pi di badile Ix'ii forti, tiene assestali:
— beco finito !
Allora, allora soltanto dal petto del l':ir\ is pro-
rompe un urto di singhiozzi, uno scoppio di pianto
dirotto, desolato.
Egli rientra nella sua stanza, si butta attraverso
il letto, piangendo anema. slogandosi. Finalmente
ha trovato la via delle lacrime.
— binilo! Finito! E' proprio tutto finito!
Gerì m \\i' i Ri i i i \
LA LEGGENDA DELLA MANDRAGORA
[a. il Dio del Sole era vecchio e malaticcio,
se in conseguenza d'uri brutto scherzo
fattogli da [side, che, vogliosa di posse-
o dei potenti sortilegi, aveva fatto pun
gere il padrone da un serpentello velenoso, offren-
dosi poi di guarirlo.
Ka era dunque vecchio e gli uomini mormora-
ro 'li lui ; lo seppe, se ne offese, convi
il consiglio 'li famiglia e deliberi' ili inviare l'oc-
chio divino, la Dea Ator a castigare gli uomini, ra-
e, prima che avessero sentore della cosa
>. dove gli Dei '1 Egitti i non
han più presa. Ator prese il suo mandato a cuore,
ungi in coltello nella valle del Nilo e
Io adoperò così - ente che grande esten-
sione ili terre rosseggiava 'li sangue. Il vecchio Ra
vide che 'li questo passo egli non avrebbe avuto più
sudditi, eli-m' nipre indispensabile a
uire un Re; rirhi anguinaria Dea, la
affamata Ma essa ri-
-ix '-• indo sterminava gli uomini il suu cuo-
guitò La sera finalmenti il sonno
e la stanchezza la presero, e Ka convocò in fretta i
suoi ri. quelli agili e rapidi che volano
come il vento. ■ Correi I fantina e portatemi
te mandi re potrete cogliere ». Giunsero le
piair rdinò al mugnaio della sua città l'ira
ittà ili Ka. Heliopolis dei Greci) <li pec
in i 'I SUCCO alla birra . he
a i reparando dall'orso ; vi ag
tanto -annue umano e preparò 7 mila orcioli ili
questa bibita. Ka l'assaggiò, la trovò <li suo gra-
dimento e rispondente alle sue viste e ne inondò la
terra d'Egitto che ne fu coperta per l'altezza di
quattro palmi La Dea svegliatasi col sole vide que-
st'inondazione « e il suo volto si 1 addolcì : ma
quando ebbe bevuto anche il cuore si ammansò . se
n'andò ebbra, senza più vedere gli uomini ».
Mi pare una gloriosa maniera d'entrare nelle leg-
gende, e non so quale altra pianta possa rompe
tire mila mandragora per la nobiltà di sua origine.
Non reno il frutto del misterioso albero dell'Eden,
ehe ebbe a protagonisti del suo dramma una povera
prima coppia d'uomini inesperti e curiosi e un ma-
ligno serpentello. Le favole egiziane hanno le im-
ponenti proporzioni dei loro monumenti.
Ma tutto questo è leggenda, leggenda formatasi
torse qualche centinaia di anni dopo l'epoca in cui
i fatti miracolosi sarebbero avvenuti e messa in-
sieme dai teologi egiziani nell'ordinare gli elementi
della loro complicata teogonia. Il vero ,'• ques
che gli Egizii conoscevano un'erba velenosa; che
quesrerba era probabilmente la mandragora dei
ri botanici, echecresceva nell'alto Egitto; che
sapevano prepararne miscele inebbrianti , mes
landone i succhi colle bevande. Di che natura sia
poi il veleno, lo si può arguire dai sintomi che
1 la Dea: la leggenda la mostra ebbi
chi lucenti, e incoi al loro ufficio dopo alzatosi il
sole.
LA LEGGENDA DELLA MANDRAGORA
2l3
L'ebbrezza è un sintomo che può esser comune .1
molte intossicazioni e che non è ben definibile ; in
generale, è una alterazione passeggera delle facoltà
mentali per cui si smarrisce la capacità a osservare,
a riflettere e a temperarsi e si acquista una esage-
rata disposizione ad associare visioni di pensieri,
più che pensieri, a disordinati movimenti del corpo.
E' una specie di violento e incoercibile stato emo-
zionale, e come tale può prodursi anche senza il
soccorso di droghe o di farmaci. Una successione
rapida di inusitati, meravigliosi, incomprensibili fe-
nomeni, che colpiscono vivamente l'immaginazione,
produce nelle menti semplici uno stato d'ebbrezza.
Il bambino ed il selvaggio gridano, saltano, ridono
e piangono ad un tempo, s'arrossano in viso, palpi-
tano, escono in parole sconnesse quando si presenta
a loro uno spettacolo nuovo e gioioso, un giocai
ti lo, un dolce, una vistosa stoffa colorata o pezzi
ili vetro brillanti.
Più determinati sono i due altri fatti, che si rife-
riscono all'occhio della Dea avvelenata. 1 poeti par-
lano spessi dell'occhio splendente, come tutti noi
parliamo di .echi belli, grandi, espressivi. E' inte-
ri- il determinare le condizioni fisiche per cui
hio ci rivela cosi rapidi ed efficaci mutamenti
d'espressione. Un primo esame ci prova che l'oc-
chio che noi facciamo protagonista di queste azioni
non ha gran che a farci. Parlo dell'occhio vero, di
quell'organo che è destinato a vedere, che è tatto
di una sfera annidata nell'orbita, la quale per un
polo è unita al cervello mediante il nervo ottico.
mentre la zona polare opposta appare all'esterno
per l'apertura delle palpebre, e mostra il cerchio mu-
tabile dell'iride contornato dalla pallida sclerotica
(il bianco dell'occhio) e perforato dal forellino della
pupilla, nero e profondo come un pozzo, per cui si
scende direttamente nelle profondità dell'anima. Al-
l'infuori della facoltà che ha di volgersi in diverse
direzioni, affermando cosi eloquentemente il do-
minio dell'uomo sullo spazio, l'occhio in se non può
mutare d'aspetto se non in quanto l'apertura della
pupilla può farsi più o meno larga. Se l'iride è
Ì molto scura, il mutare delle dimensioni della pu-
pilla può passare inosservato, se è chiara invece
più evidente; questo cambiamento è però difficile a
riconoscersi, perchè la pupilla non si contrae rapida-
mente e si dilata soltanto all'oscuro, cioè appunto
quando è più difficile osservarla. In alcuni animali
invece, fra cui i gallinacei, l'occhio appare conti
nuamente irrequieto e mutabile, perchè il contrasto
di colore fra l'iride e la pupilla rende manifi
dilatarsi e lo stringersi del cerchio nero centrale.
Alla espressione abituale e giornaliera dei sen-
timenti la pupilla umana in complesso partecipa
1. poiché quando c'è lume sufficiente perchè 1 oc-
chio possa osservarsi, la pupilla suole avere sempre
lo stesso diametro.
Vi partecipano invece vivamente altri aco
dell'occhio ; le lagrime anzitutto, le quali, allorché
stanno formandosi abbondanti senza che tuttavia
trabocchino dal margine della palpebra, danno un
luccicare dell'occhio che pare vi si immerga. Sono
« gli occhi natanti nel lume n cantati da Carducci.
Vi partecipa il giro esterno che va dal si pracci-
glio. lungo la fronte, sui polsi, per la palpebra infe-
riore fino alla radice del naso. L'alzarsi 0 il
.Ieri- dell'arco che spiana la via dell'occhio d la chiu-
de, lo oscura, lo nasconde, lo dirizza; il rìdere
delle sottili aluzze che irradiano a ventaglio all'an-
golo esterno o solcano di linee parallele la palpebra
mire ; lo spalancarsi della rima palpebrale che
disegna nel bianco immacolato la meraviglia de!
1 iccolo cerchio attonito; il socchiudersi che pare
l'invito discreto d'una porticina che si apre nell'a-
nima e si rinchiuderà dietro di voi; e i misteriosi
oli lumi che s'accendono, scompaiono, eri
HkSS£-,£!.S«
Imo. 1.
| Vedi appunti a pai:.
vibrano a seconda delle ombre e delle luci che que-
.11 panneggiamenti esterni sapienti accordano alla
levigata superficie interna; ecco il segreto dell'e-
spressione dell'occhio, ecco le sillabe del suo divino
linguaggio.
E torniamo alla nostra feroce ubbriacata. 11 suo
occhio non è più umano; esso non è più l'occhio
sano, il vigile guardiano e maestro della men
ebbro come il cervello, esso manda bagliori, si ri-
fiuta al suo ufficio e teme il ui riceve l'ali-
mento. Non sono dunque gli abituali cambiamenti
iressione che dobbiamo cercare in lui. Qu;
mutamento più grave si è fatto, che non è arduo
immaginare. La Dea è avvelenata dall'atropina.
E' l'atropina, l'alcaloide contenuto nella ma
gora, nella belladonna, nello stramonio, nel l
1:110. in tutte queste piante che la tradì
- alle idee di oscurità e di sortilegi, di tu-
rare 0 di letargo che ha alterato l'occhio suo.
ha sconvolto il suo cervello, ed ha intenerito il
suo cuore. E' l'atropina che ha dilatata la sua pu-
-! 14 LA LETTI R \
pilla, allargando .i dismisura il nero cerchio (ino
gine della sclerotica, si che su quel
fondo le lui ; mene meno vivi i isaltano e
danno all'occhio quel fosco lumeggiare;
he togliendo all'occhio la capacità a
■-bai' pei cui entra la luce diurna, e ini-
bendo alla lente cristallina la sua motilità, ha pei
messo che l'i echio fosse inondato ili raggi che si iri-
>ensi i, sì che l'immagine si pinge
non potrebbe t .ir-i di nessun'altra alterazione d&
scrittaci dagli amichi.
[quali, del resto, conobbero queste piante e lete
incucili, per essi naturalmente l'effetto princì]
i ii la turbata funz • ceri brale . ad essa ati i ibui
a vedere, come nel lam] eggiare
dell'occhio neri e smarrito videro li
dell'interno fuoco. Gli altri fenomeni dell'avvelena
mento da atropina o sfuggirono all'esame dei me
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'ini Au-><jjr>fitr* •-^w.cjj^'tjift >>-tiu:g^^^H
..-I Tf*l?A\.nt**i Jui-C.4 f". ;i±' -i,
' ' • •. •!•.-! ^.i*».ii-nii;''l'-. "i ,»'•'<■'/■ y.
l'i... 2.
indefinita e torbida Milla retina, L'occhio ilella Dea
avvi -me l'obbiettivo della camera oscura a
• ui si tolgono i di i i rammi e che non si pui i mi en
.1 fUl getti Vicini. !.. .11 ile
finisce che gli sfondi ; il primo piano è incerto e la
ifica nell'intensa luce e nella indetei
minatezza dei contorni dà immagini grigie, un
i
Sia dunque mandra il Dio del Sole
Furiosa figliuola,
ra rto è una del gruppi i
i ' pj{j icura
dici d'allora, o furono inter] me conseguen
za del delirio maniaco; l'incapacità a percepir la
luce, il battere precipitoso del polso, l'arsura della
lanci disseccate, erano considerati come sintomi
dell'ebbrezza. \<>i ne sappiamo ili più ; cono-
mo l'azione violenta eccitatrice della
teccia cerebrale che può giungere al punto
di determinare veri aco lettici, ma la se
pariamo dagli effetti del veleno sull'occhio, sulle
secrezioni delle ghiandole, sui muscoli lisci e sul
cuore Vbbiamo anche imparalo a conoscere e in
pane a fabbricare delle vane,., di atropine, in cui
LA LEGGENDA DEI 1 \ MANDR v
210
si ha solo luna o 1 altra azione, come sappiamo a
doperare il veleno in modo ila avere soltanto lineilo
ilei suoi effetti da cui ci ripromettiamo qualche
vantaggio. Così, instillando nell'occhio tenui traccie
d'atropina, riesciarno a dilatare la pupilla sen-
za che si produca nessun altro degli effetti \''
rjefici ('osi pure sappiamo che \i sono varietà di
atropina che non producono accessi ci mania, ma
calmano e addormentano.
I.a mandragora ricompare nella leggenda in
torme che mostrano essersi intorno ad essa raccolti
altri elementi di terrore. E con essa le sue affini che
ho nominato, la belladonna, lo stramonio, il gius-
quiamo, piante sparse in tutto il continente .il
ropa. che i greci non hanno saputo distinguere bene
le une delle altre, e di cui alcune som i state d< signate
col nome di stricnon, in cui troviamo la stessa ra-
dicale del nome strige, che designa il gufo, anche
esso incapace di tollerare la luce del sole. Fra
sti stricnon vi sono specie innocue, come la comune
dulcamara ; le tossiche sono chiamate stricnon . pn<>-
ticon, stricnon manie on ; questo è probabilmente la
pianta che Saladino d'Ascoli nel suo Codi pendi uni
aromatari orum (circa 1450) chiama Solarum fu-
riale, e che si trova poco dopo descritta e figurata
dal celebre medico senese Pietro Andrea Mattioli.
il piale afferma che a Venezia la chiamano erba bel-
ladonna. Di dove proviene questo nome? Forse dal
fatto che questa pianta o altre consimili entravano
nella composizione dei filtri amorosi, che a Vene-
zia, città elegante e dissoluta, si preparavano e si
smerciavano, forse dall'impiego che si faceva di ess,,
per rendere gli occhi scuri e lumeggiami. Qui
impiego della belladonna si trova ancora ai nostri
tempi; vi sono disgraziate che. per dare alla loro
tisonomia non so qua] fascino d'ebbrezza bacchica,
si applicano dei dischi d'atropina nell'occhio ri-
nunciando a guardare nell'intento d'esser guard
La mandragora si tenne sempre distinta per no-
me e per caratteri dal gruppo affine degli stricnon;
benché meno pericolosa perchè meno ricca d'atro-
pina, benché i suoi fiori e le sue bacche siano d'a-
spetto meno triste delle sue congeneri, essa continuò
a raccogliere intorno a se paurosi miti, e a ra] p
sentire potentissime virtù. E' un'erba che non alza
dal suolo il ciuffo compatto delle sue foglie ovali
e ondose, dall'odore grave; fra le foglie
su uno stelo corto i fiori violacei, che maturano I
che giallognole; nella terra si sprofonda una ra-
dice grossa, lunga, conica, simile a una carola.
s|,rss,, spesso hi ,, tripartita nel suo decorso, mu-
nita di poche e sottili barbe. Tutta la pianta, fron-
da e radice contengono un succo velenoso; ma la
radice è più reputata ed intorno ad essa la leggenda
ha ordito le più fitte trame.
Già Plinio, il grande raccoglitore degli errori
popolari degli antichi . amante delle supersti-
zioni e dispregiatore della scienza, ammonisce dei
pericoli a cui va incontro chi rad iba:
« chi vuol scavare la radice di mandragora si guardi
dal mettersi contro vento; inscriva in-
tonili colla spada e poi m'ji i guardai l'oc
- ». Tranne quella dell'evitar il vento contrario,
pud giustificarsi cui desiderio di .Mirarsi all'o-
dore deli che si pretende narcotico, le al-
tre sono prescrizioni magiche, cioè cerimonie aventi
ittere di scongiuro per impedire alle potenze ar-
cane della piani. 1 d'esen naie d lom malefici > influsso.
A radice cosi terril poteva assegnarsi la
volgare forma ordinaria: qualche cosa doveva nel
SUO a 1 mah agita di sua natura.
pre quando le leggende paurose ricori
Fio
irti rappresentative, queste adat-
tano la rappresentazione al cara nato al-
l'oggetto che riproducono, in modo che funai
sola sia sufficiente 1 tentarlo in tutti i suoi
ilnienlc nei | opoli primi! ivi 0 nelle
epoche di do ttuale, questa tendenza
idealistica delle arti rappres
nella sua ingeni ice efficacissima. In tutto il
medio-evo le piarne furono rappresentate secondo
un tipo fi enzionale, il quale era destinato a
•i in luce quelle particolarità — vere od im-
maginarie— che caratterizzavano la pianta ste
e la sua a
Ed ecco con,,- la ■ Ha mandragora nelle
ligure della pianta
il ciuffo in alto, eh
indifferei le alterazioni,
l'n codice preziosi, che dalla biblioteca borbonica
i ale di Vienna, om
210
I \ l ETTI R \
<li liguri- ili piante disegnate nel settimo secolo, ci
mostra le due mandragore, maggiore e min ri (ma
schio e femmina) colla rosetta 'li fog li bacche
benissimo riprodotte, ma la radice ha già un con
torni» umano colla testa, li- 'Un- braccia e le gambe
ottigliano in ramoscelli serpeggianti, l ri
altro codice 'li poco pò .'ella biblioteca ili
I i oca, .lilla fine del secolo ninni, ha la figura della
man colla radice completamente antropo
moria. Si direbbe che nei tre secoli che separano
1 un codice dall'altro, tu- secoli ili decadimento
ntifico, che vuol dire «li trionfo della supersti
nte del i lisegnati ire si sia sempre più
offuscata. < > piuttosto nano tempi in cui non si pen-
sava più a ricorrere al modello vivente, da cui certo
il disegno del codice più antico era stato tratto.
Nella riproduzione sistematica da ligure sempre
più lali naturale rhe s'esagerasse sem-
pre più quello che voleva mettersi in rilievo. Un al-
tro i della figura è da notarsi: la spropor
zione fra la radice umanizzata e la parte aerea della
0-
Fig. 4.
I i tnta, utta a detrimento ili quest'ultima ; processo
questo che venne sempre allottato per significale la
dignità maggiore d'una parie rispetto all'altra ; an-
Faraoni , scolpiti nei piloni dei templi in
atto 'li saettare il nemico, sono giganti che combat-
- 1 ercito 'li nani.
La leggenda ha già fatto un passo innanzi dal-
Plinio ; ormai ogni scrupolo! S iparso.
nessuna voce vivente oserebbe ancora in quell'epoca
richiamare alla verità . i botanici greci, Teofi
e Dioscoride. cosi esatti e sobri, così schivi ili fiab
1 on 1 san Micro forsi L; il solo
nome loro vi1 me su Ilo a
compilazioni affrettate, ad estratti dei loro liliri.
passati ila Bisanzio ai barbari al di là dei Balcani
tradotti nella lingu biti di tutto il
d'errori popoli primitivi 1
vano
1 la della ni indragi 1 1 »
ad un colli. .'.li I ,ui 1 a dell'i ittavo rai luco
dal latino esto:
« I latini chiamano la ora malun
ano antropomer 1- 1 erchè la
e ha loruia d'uomo, la corteccia della qu
infusa in vino, dassi a bere a quelli che si opera
I» 1 la loro salme (questp accenno prezioso allo im-
piego della Diandra) ora o ìco delle 1 1] 1
razioni mi porterebbe molto lontano dal m
mento, e l"rsr m rvirà ili punto di partenza per un
altro studio) ; i quali come presi da sopore non sen-
iinio il dolore. Ve ne ha dm- Specie: la femmina
li.- loglio .oiiir la lamica e il frutto simile a 'niello
del pruno, il maschio invece ha foglii come di rapa.
Coglila perchi grande è la visione, grandi i \<
fici suoi ; e come tu vi giunga io ti spiego. Di notte
splende come una lucerna. Appena la scorgi con-
ducili- un ferro intorno al capo perchè non ti fugga .
poiché ha tanta virtù che si- viene a lei un uomo im
mondo subito fugge innanzi a lui. Adunque la cir-
■ induci ini lino escavi intorno senza toccarla col
lerro e poi diligentemente smuovi la terra innanzi
con uu palo d'avorio. I-i allorché scorgerai il pii
di quest'erba mandragora e la sua mano, la leghe-
tai con una fune nuova, e l'altro capo lo legherai
^__ al collo d'un cane che avrai affamato
prima; e gli metterai poco lungi del
pane come esca perchè possa sradi-
. are l'erba. Ma se non vorrai ingan-
nare il cane (poiché si .lìce che quest'erba
abbia tanta divinità da ingannare [ucci-
dere] sul momento chi la svelle), se dun-
que non I" \orrai ingannare fa fan- una
grande pertica che funzioni da mangano».
E qui descrive come la pertica arrove-
sciata a cui sarà attaccato il capo della
Inni- nel tornare a sé sradicherà l'erba, 1 he
potrà allora 1 i e si metterà in
una ampolla di vetro.
L'eco di questa leggenda si prolunga
mi secoli. Shakespeare in Romeo e Giu-
lietta vi aggiunge un particolare più dn
matico: la pianta che si sente svellere
manda urli strazianti, che fanno impazzire
eie li sente: «And shrieks like mandrake tom
of the earth. that living mortals, hearing them, run
mail. »
Mi la leggenda non i- che la prova della impoi
tanza che s'attribuiva alla pianta. Come ai tempi
favolosi di ka. cosi lungo tutta l'antichità e il
dio evo, la mandragora si tenne poi ; li c-
saltare l'uomo, di inebbriario in sogni di delizia che
agitavano tutte le energie corporee, e infine di .ni
dormentarlo. Nella medicina, la mandragora prean
nunzia il cloroformio, comi- preannunciò 1
pina.
< Consigliata raramente ni iti, perchè i n
ivano dinanzi ad un rinn-.li" .li così eroica ripu-
tazione, essa trionfa nei rimedi secreti, nei filtri u
sa'! a richiamale Ir forze 0 I irle per e
bili. \ umen si ao enni .< 1 |uesta credenza si
li. e nella letteratura. Ma se si va a fondo nella
rea della s-oria di questo farmaco, si scorge chi
esso ■ soprattutto vantato nella medicina popolare.
mentre gli autori classici non gli riconoscon
miracolose \iriii. [ppocrate la nomina, Galeno v
torna spesso „,] r.i nel libro sui rimedi semplici, ma
LA LEGGENDA DELLA MANDRAGORA
_M
/
si contenta di accennare alle sue proprietà narcoti-
che, all'udore suo disgustoso, alla necessità di non
usare dosi troppo forti e alle sue proprietà refri-
geranti. Dioscoride pure ne discorre distesamente
senza esagerare punto la sua azione, mettendone in
vista quelle qualità che noi riconosciamo ancora nelle
piante affini che racchiudono gli alcaloidi del tipo
dell'atropina. Il botanico senese che ho già nominato,
donati dalla scienza, brancolano per afferrarsi a
qualsiasi tavola di salve/za.
L'antropomorfismo «Iella radice di mandragora
è stato un dogma per m i ■<; un disegnatore
di piante medicinali non stimava poter dare un
giusta della pianta se non ci metteva qualche
d'umano nella radice. Chi sa come il Mattioli dovi
sorvegliare il suo artista per avere Ir due belle
I**H
Fio.
Mattioli, anch'esso non riconosce alla mandragora
virtù speciali, e anzi si ride di quelli che ere-:
abbia forma umana nelle radici. K' probabile
che Machiavelli, acuto e fri sservatore. poco
piopenso a credere alle fiabe, avesse anch'egli la
stessa opinione su quest'erba, e che l'abbia intro-
dotta nella sua commedia Lei mandragora . -
perchè la scena si passa f r i gente ignorante e scal-
tra, cioè in quel ceto che costituì sempre ed in ogni
epoca il fondamento e il s a -Ila medicina
ciarlatanesca volgare, di quella medicina che anche
oggidì sussiste ancora daccanto all'altra, e a cui
forse molti, anche colti, ricorrono quando, abban-
figure di mandragora che illustrano il suo libro .
tirannia della tradizione era tale che in un erbario
della biblioteca eli Pavia che a mio parere non
può essere anteriore al secolo XVI, e che contiene
impronte di erbe ottenute dalla pianta stessa h
sulla carta — la figura della mandragora mostra in
o nel fittone una fisonomia meravigliata
ride e ior^e nella mente dell'art
lo si h ■ ile del lungo inganno ordito alla
dulità umana.
Ma se anche i pittori avessero rinunciato all'uf-
ficio di umanizzare la radice di mandra;.
per questo sarebbe mancata l'esca all'errore popolare.
2l8
LA LETI l RA
si vendevano secri i piccoli
omiciattoli barbati fatti di radici 'li mandragora;
li li chiamano Al-
runiken, «la Alraun che
nome della pianta; si chia
niavano anche Galgen-
miinnchen, omuncu.li della
. perchè una 1 1
zione dai crudi particolari ]
rano o
un- fi isse familiare in tutti
i suoi multiformi fenome- ;
ni i il supplì
zio della imj i ne, li
, ere ai piedi
del patibolo .1 cui fosse
i un innocen-
1 i i «netti si vesl i
i, vi chiude\ ano gèlo
samente in casse, ci face
va loro parte dei pasti
quotidiani . si lavai ano e
ripulivano per averli
propizi nelle operazioni
magiche; nella ricerca dei
1 :. e I er .-Unici,- le
ili Mi cui la
mandragora in ogni tempo
ebbe il privilegio.
Inni cose lontane «li ;
questo nostro seo '1" vente-
simo, non ,'■ vero? Eppure *
io credo che se si rovi-
• bene si troverebbe in
qualche angolo perduto della Germania un piccolo
ciattolo che aspetta il suo tempo per uscire a
propiziare le potenze occulte.
I gli deve avere la coscienza della sua rarità;
I IG. 6.
Macca più. In Italia, del resto, la lama
non s, perduta* delle proprietà benefiche e terribili
dèlia mandragora. ( 'hi
rebbero le mie lettrici
issi a loro che un
ire d'un orto botanico
pò fa una pian-
ta 'ti mandragora ad una
supplichevole signorina .
la i piale la voleva
talismano 'li felicità ? Se
queste righe le caimano
sotio gli occhi. Mirra quel
la signorina rhelan-i se la
pianta ha adempito il suo
ufficio ?
Voglii ■ sperare ili si; non
ho io inteso chi- in un altro
orto botanico 'l'Italia, non
è gran tempo, un giardi-
niere non osava trapian
tare la terribile radice, e
colui che lo fece in vece
sua mi irì poco 'lupo [ I a
leggenda della mandra-
gora non è dunque morta.
Chi sa che qualcuna di
quelle virago che si rac-
colgono intorno al ta-
Milo verde di Montecarlo
e spiano ansiose il vol-
tarsi d'una carta noi
rezzino colle mani irre-
quiete una radice di man-
dragora custodita segretamente nella tasca insieme
agli altri amuleti propiziatori
Febbraio t
Piero Gì acosa.
l'io. I. — Il primo foglio del papiro cosi il«lt" ili Ebers, che contiene una raccolta di testi relativi all'
dicina umana e ai rimedi. Data probabilmente dall'anno 1350 av. Cristo, ma il contenuto è molto più antico. Prima
di questo importantissimo testo si conoscono papiri relativi alle malattie degli animali, ma frammentari.
Fig. 2. — La leggenda della mandragora dall'antico erbario di Lucca. La pianta e legata al cane assetato
innanzi a cui si presenta un recipiente che contiene acqua. Data l'importanza attribuita alla radice, essa è figurata
molto maggiore della parte aerea della pianta.
In.. ;. — Dal Dioscoride coi commenti di Mattioli, professore 1 Siena nel secolo XVI. I.a pianta e la radice
t'unissimo riprodotti
li'.. (. Due piante di mandragora del celebre Codice Napolitano del secolo Vili. I.a rappresentazione
della parte aerea della pianta è molto fedele. Gli accenni al mito si vedono però nella corda con cui una delle
l'ialite è legata e nelle radici che hanno evidentemente figura umana.
FlG. 5. Figura della mandragora in un codice della biblioteca di Pavia (Aldini Cesellati llerbari'im . La
pianta è stata riprodotta sul cale" ottenni" da un esemplare tresco, ma l'artista ha aggiunto di su,, una testa umana
della radice. — A/,'. La testa è 1 vi ibile nella fotografìa «■ venne rinforzata coll'inchiostro.
Pianta di mandragora dall'erbario dell'orto botanico di Torino. Manca la oidi,,.
.-^s*£
--.•
LÀ MUNICIPALIZZAZIONE DEL PANE A PALERMO
nei secoli decimosettimo e decimottavo
I. — Può sembrare strano a prima vista che
la Municipalizzazione del servizio del pane. la quale
per molti rappresenta un'aspirazione dell'avvenire,
abbia funzionato a Palermo per lungo tempo in
epoca che, se non è remota, certo appartiene al pas-
sato. Ma più strano ancora è il fatto che di questo
avvenimento, che ha la sua indiscutibile importanza
storica e che avrebbe dovuto attirare l'attenzione
degli studiosi dei problemi sociali ed .economici .
nessuno degli scrittori contemporanei siasi finora,
a mia conoscenza, occupato.
Eppure è certo che le storie, le cronache ed i dia-
ri, dai quali ho attinto le notizie che sommariamen-
te mi accingo ad esporre, non sono ignoti od inediti
e sono anzi passati per le mani di centinaia di let-
tori. E' vero che la storia della Sicilia, specialmente
quella dell'epura spagnuola e borbonica, è poco
nota nell'Italia continentale, ma essa invece viene
con vero amore coltivata dai nativi dell'isola. E se
molte ricerche sono state a preferenza rivolte alla
ria militare, a quella del diritto pubblico e pri-
vato o alla genealogia delle antiche famiglie
liane, gli studi sulle condizioni e sui costumi delle
plebi e sui fatti storici ai quali esse parteciparono
i sono stati trascurati. Difatti è abbastanza noia
ai Siciliani colti l'organizzazione delle maestranze
artigiane di Palermo, la quale durò dal secolo
mosesto a tutto il decimottavo, e la rivolta popolare
di Palermo del 1647 venne illustrata da una buona
monografia di Isidoro La Lumia. Finalmente
neanche si può dire che la storia economica della
Sicilia sia rimasta inesplorata dopo le pubblica-
zioni del Cusumano sulle Banche siciliane delle
poca spagnuola e gli studi statistici che sulla stessa
epoca fece il maggiore Perni.
Se dunque la Municipalizzazione de! pane, la
quale funzionò così lungamente a Palermo «la esserne
rimaste tracce che ancor si ritrovano negli usi e nei
modi di dire popolari, non e stata ancora illustrata
da alcuno scrittore, io credo che ciò sia avvenuti
perchè esisteva la cosa ma non la parola. 0 mi
1 crchè i termini adoperati ad indicare l'istituzione
erano molto diversi da quelli moderni. 11 buon Di
Blasi ed il Villabianca. ad esem]
sullo scorcio del secolo decimottavo, ci parlano -
pre di colonna frumentai 1. di paniti, della tri
della meccanica, espressioni quasi tutte 1 •-cure e
ili cui non s'intende, a prima vista, il signifii
convenzionale che alla loro epoca avi qui-
stato e che ni nsen ato né nella li ,11
nei dialetto. Sotto questi vocaboli strani ed eti
eliti, che vagamente facevano supporre meccanismi
amministrativi tramonti empre, lo studi.
specialmente se poco versato nelle discipline econo
micln riuscito ad indovinare l'istitu
ima della quale appena da qualche de
comincia a parlare e che solo i più arditi novatori
vorrebbero immediatamente attuare.
11. I/anno nel qua! ;
a Palermi di tare della compra del grano.
della manipolazione e della vendita del pane una
2 2n
LA LETTURA
funzione assegnata al Comune non li" potuto pre-
stabilire. Un documento ufficiale, >'lie ha
Il tOItO , SSere posteriore 'li due snob al
fatto vagamente indicato, autorizzerebbe a supp
che va nel is;<>. Diversi indizi nni
fermano tale congettura e, sebbene sia molto pro-
babile che una simile funzione sia stata assunta dal
Comune per gradi e non sia nata urna in una volta,
credo di unii errare di molto affermando che essa
già in pieno vigore a Palermo alla fine del se-
lz sti incarnente arrenato poi 1 he
nel i' Municipalizzazione del pane nella ca-
pitale della Sicilia era un fatto già antico, la cui
ne andava al di là della memoria dei vi-
venti.
Maggiore importanza ha l'indagare 'inali siano
I'- e, .ndi/ioni peculiari della società palermi-
. le quali lei'ero SÌ 'he 1 istituzione di cui
ani- venisse adottai,! e durasse per secoli.
E qui mi d'uopo d'uscire alquanto dal tema.
ristretto che sto trattando per gettare un rapido
rdo sulla storia siciliana dell'epoca spagnuola.
V i tra 'iti di storia che corrono ad uso delle
scuole secondarie ed anche in lavori di autori di
o, il periodo che va dalla seconda metà del se-
colo decimosesto al principio del derimottavo, du-
iante il ciuale l'influenza diretta od indiretta della
Spagna prevalse nella nostra penisola, è segna-
lato per l'Italia o me un periodo d'uniforme im-
mobilità, di decadenza artistica, intellettuale e so-
ciale. La meritatissima popolarità dei Promessi
ha pure molto contribuito ad imprimere que-
tto nella o scienza di tutti gli Italiani c-
dierui. per i quali l'epoca spagnuola è senz'altro
Musivamente quella dei bravi, della peste e
della carestia.
Un simile giudizio non e esatto o almeno non è
ilicabile a tutta l'epoca della prevalenza spa-
glinola in Italia. Anzitutto, per ben giudicare un
ido storico, si deve paragonarlo non solo a quel-
lo immediatamente posteriore, ma anche a quello
immediatamente anteriore, ed un paragone di que
genere metterebbe subito in chiaro che bravi,
peste e carestia esistevano in Italia anche prima
jli Spaglinoli vi dominassero. In secondo luogo,
si- si studiano attentamente i centocinquanta anni
che corrono dalla metà del coli decimi esto al
principio del decimottavo, si constata che. almeno
primi cinquanta. L'Italia compi sensibili pro-
ali. La legislazione infatti, per quanto an
i ora imperfetta, contenne disposizioni dirette al
bene comune, che cerio furono anche più osservate
che nei secoli precedenti; alitine industrie diven-
nero più attive, la prepotenza privata In tenuta
un p soi -oo ■ un 'li i edifici puh
olii o impirono molti abbelliment i
edilizi e mig1 nnol re pie si
darono a prò delle classi diseredate, la popò
la/ione e la ricchezza di into aumentare
Giuseppe Ferrari, uno degli scrittori che meglio ha
to l'intuito delli condizioni sociali dei secoli
ebbe già a rilevare questo progresso relativo
che l'Italia compi verso la fine del cinquecento.
[nveo è col principiale del secolo decimos
ih.- troviamo non già un regresso ma una certa im-
mobilità in Italia ed m unta l'Europa meridio-
nale, la quale dura per tutto quel secolo e nei pruni
uni di quello seguente. Immobilità che rappre-
senta un fenomeno storico molto grave e caratteri-
stico, poiché contemporaneamente facevano rapi-
dissimi progressi i p.usi posi i verso il nord-Ovest
d'Europa, l'Inghilterra, la Francia, l'Olanda e la
' , i mania. Fu proprio allora che il Mezzog
i i o. q ri venni risolutamente lasciato indietro e '\.i
allora in poi la distanza perduta non ha più po-
tuto riguadagnare. Sicché è appunto nei renio anni
che corrono dal id.'o al 1720 che bisogna rinti
ari le origini della presente inferiorità del Por-
togallo, della Spagna e dell'Italia e specialmente
di II balia meridionale, più lontana dal centro di
Europa e che con esso ha avuto minori rapporti e
nella quale quindi la cennata immobilita secolare
si •• più accentuata.
111. - La Sicilia, specialmente nella seo
meta del cinquecento, ebbe un periodo di relativa
prosperità. Essa non era un paese conquistato, una
provincia lontana, ma era legata alla Spagna da una
unione puramente personale del genere di qui
dir ora congiungono l'Austria coll'Ungheria,
Svizia rolla Norvegia, \m-v.i con la Spagna
nume il Sovrano rappresentato nell'isola da un Vi-
ceré, ma finanze, amministrazione, giustizia 1
completamente separate. Distinto pure era il navi
gì io di guerra, ed a parie qualche reggimento sici-
liano rei-lutato con volontari che al servizio .In
del re di Spagna combatteva per lo più nelle Fian-
dre, distinto completamente dallo spaglinolo era
l'esercito territoriale siciliano fornito dai Comuni e
dai baroni, che aveva il non lieve carini di difen-
dere le coste dell'isola dalle incursioni dei Turchi
e dei Barbareschi.
La flotta siciliana, durante il periodo accennato,
ebbi- parie segnalata nella grande vittoria di Li
patito, sbaraglio una volta da sola un naviglio turco
al Capo Corvo, volò parecchie volte al soci-orso di
Malta e sostenne centinaia di pio-oli ma accaniti
combattimenti ora sulle roste della Sicilia, ora su
quelle della Tunisia. dell'Algeria, dì Tri] oli 0
gidì siamo abituati a considerare la civiltà mai mei
tana come una quantità quasi trascurabile tra i la-
tori della sii. ria drl mondo, ma nel secolo decimo
sesti ' ni anche nel de ni" >s< ti imi ■ 1 sa, se
perduto il suo splendore artistico e scientifico 1
mulinava verso quella barbarie fanatica di cui
dà ora spettacolo, conservava una feroce energia
militare e dalla Barberia e dalla parte d'Oi
1 1 :enza remiss'n mi uà la ci\ iltà 1
ii , quasi tutti gli anni le navi
guerra sicil ani fao ssero la li 1 sulle
dell'Africa se si volevano impedire le scor-
rerie ed anche gli sbarchi dei Barbareschi sulle
della Sicilia La Spagna. Venezia e la Sicilia
resero allora al resto d'Europa il servizio di ;
da aj 1 li un man n nana ; ed in
questa missione, alla quale erano chiamate dalla
LA MUNICIPALIZZAZIONE DEL PANE A PALERMO
2 2 1
loro posizione geografica, consumarono per secoli
le loro forze migliori.
Delle costituzioni medioevali europee due sole so-
pravvivevano al principio del secolo decimosettimo:
l'inglese e la siciliana. La siciliana ebbe sul finire
del cinquecento uno sviluppo più precoce di quella
inglese. Le tre Camere del Parlamento1 siculo, in-
fatti, fin d'allora convocavansi regolarmente ogni
tre anni e non solo la loro approvazione era ne
saria per la riscossione delle entrate, ma una Com-
missione parlamentare permanente, la famosa de-
putazione del Regno, esercitava il controllo sulle
spese e sorvegliava che il potere esecutivo non u-
scisse dai limiti della legalità. Anche l'ordinamento
del potere giudiziario era stato sullo scorcio del se-
colo decimosesto notevolmente migliorato e le nuo-
ve leggi, quasi sempre provocate da petizioni del
Parlamento, erano spesso inspirate dal desiderio
del pubblico bene, inteso naturalmente nel mi li
che i tempi rendevano possibile.
Si sa che la monarchia medioevale era in fondo
una federazione di piccole monarchie rispondenti
alle grandi baronie e di piccole repubbliche raffi-
gurate dai Comuni. Nell'alta Italia il Comune di-
ventò esso stesso lo Stato ; in Spagna, in Francia
ed altrove l'assolutismo che prevalse dopo il mille-
cinquecento soffocò ed assorbì le autonomie locali ;
in Sicilia la monarchia temperata dal potere del
Parlamento non potè distruggerle, ed esse alla loro
volta fornirono sempre al Parlamento una base di
forza politica, un sostegno materiale e morale. Men-
tre quindi -i grandi baroni conservarono quasi in-
tatte le loro giurisdizioni, i Comuni, specialmente i
maggiori, quelli di Palermo e Messina sciagurata-
mente rivali fra loro, mantennero gelosamente gli
ordinamenti di repubbliche quasi autonome legate
da un patto federale al resto del Regno.
E che tali fossero, infatti, lo dimostra la costitu-
zione che il Comune di Palermo guardò pressoché
intatta fino a circa un secolo fa. Era esso un vero
piccolo Stato entro lo Stato con tutti gli organi di
uno Stato. Il potere esecutivo vi era rappresentato
dal pretore e dai sei senatori scelti dopo il 1584 dal
licere fra i cittadini nobili; solo eccezionalmente
due dei senatori furono popolani.
Il potere giudiziario veniva esercitato dalla
Corte pretoriana . dal capitano di giustizia e
dai consoli delle arti funzionanti quasi da tri-
bunali di probiviri per le controversie relative ai
rispettivi mestieri. Finalmente il potere legislativo
eia affidato al Consiglio del Comune, dove tutti i
cittadini aveano teoricamente diritto di parola e di
vi ili, di fatto era composto dai notabili, sia nobili
che ecclesiastici o popolani, e da tutti i consoli delle
maestranze artigiane e dai loro aggiunti. II Comu-
ne aveva il suo patrimonio, il suo banco e perfino
il suo esercito costituito da un piccolo nucleo di sol-
dati stanziali e dalle maestranze armati ed ordinate
secondo i diversi mestieri sotto i loro consoli. Ad
esse, insieme ad alcuni nobili, spettava la cura di
custodire le mura ed i baluardi che erano proprietà
cittadina e si può dire che costituivano la forza
armata preponderante alla quale era ordinariamente
atri. lata la custodia della città e dell'ordine pub-
blico.
IV. - Come ha rilevato Guglielmo Ferrerò,
nella sua Storia della grandi le< idenza di R>
ii/a. nessuna cosa è piti contrari. 1 alle vedute ed alla
p< litica economica dell'antichità, e si può aggiun-
gere del Medio Evo e di tutti i secoli liti" a quello
decimonono, quanto il moderno dazio d'impoi a
ne sul grano.
Infatti nel passato ogni paese avea a 1
do del grano una preoccupazione analoga .1 quella
che era pure cosi comune per l'oro. Si reputava scia-
gura che tanto il prezioso metallo quanto l'indi
spensabile cereale andassero fuori dello Stato e
viceversa faceasi ordinariamente il possibile perchè
gli stranieri li introducessero nello Stato. Partendo
da questi principi era non già l'importazione ma la
esportazione del grano che veniva ostacolata, anzi
in generale addirittura proibita, e solo in casi .li ab-
bondanza eccezionale, assolutamente superiore ai
bisogni, se ne permetteva temporaneamente l'estra-
zione.
L'applicare tale politica era naturalmente più dif-
ficile nei rari paesi che ordinariamente producevano
10 jier l'esportazione. Questo era il caso della
Sicilia, che. esportatrice di grani all'epoca romana.
esportatrice sotto la dinastia normanna, dopo il mil-
lecinquecento, mercè il miglioramento dell'agi 1
tura dovuto al progresso generale della società si-
ciliana, diventò la naturale provveditrice di tutti i
paesi d'Europa, e ce ne era quasi sempre qualcuno,
nei quali un mancato raccolto produceva un biso
gno temporaneo ma urgentissimo di questa derrata ;
bisogno che faceva sì che la comprassero ad un
prezzo oltremodo rimuneratore per i produtti iri
siciliani.
Ora, ritornando alla ricerca delle origini della
Municipalizzazione del pane a Palermo, era inte-
resse della nobiltà siciliana, che insieme all'alto
clero secolare e ad alcune corporazioni religiosi
possedeva quasi tutte le terre a grano, che l'espor-
tazione di questo cereale, o come allora dicevasi la
tratta, fosse permessa. Al contrario gli artigiani,
che ne erano esclusivamente consumatori, tenevano
oltremodo a che esso non rincarasse e s'industria-
vano soprattutto di premunirsi contro quelle bru-
sche oscillazioni del valore del grano che. fino a
qualche secolo fa, triplicavano da un anno all'al-
tro il costo del pane e producevano Aerisi -
Ogni anno facevasi in Sicilia il cosi detto scan-
daglio, cioè calcolavasi se la produzione del grano
1 e sovrabbondante ai bi nsumo in-
timo e se ne potesse permettere l'esportazione
determinava, nel caso affermativo, anche la quai
da esportare. Queste indagini statistiche anche oggi
alquanto fall.; di più du
tre secoli fa, ed allora le conseguenze di un eri
potevano esser tali da provocare la carestia e la
guerra civile. Il Viceré, al quale ogni anno spettava
il carico di permettere 0 proibire l'esportazione, di-
1 inevasi periodicamente fra le pretese e le cupidi
LA LETTURA
Iella m ibiltà, i nel Parlamento ed
in mano della quale erani cariche dello Si
i bisogni del fisco, poiché le imposti dalle
tre i pagavano principalmente mercè dazi
d'esportazione sui grani e sulle sete, e la prudenza
politica, che non perni pigliasse .1 gabbo
In disperazioni- della plebe annata ed organi;
delle grandi ritta. Non bisogna infatti dimenticali
che \ cei . Governo 1 Parlamento, quando esso a.-
dunavasi a Palermo, s tto il cannone dei
baluardi della città gelosamente custoditi dalle
maestranze.
In questa condizione 'li cose, ad evitare un con-
flitto, un uno ili interessi antagonistici che periodi-
nte rinnovavasi, è naturale che siasi escogitato
un temperamento che, almeno nelle apparenze,
Ogni antagonismo riusciva ad eliminare. Uuesto
temperamento si trovò appunto mediante il mono-
pi. lin della vendita del pane assunto dal Comune
di Palermo, monopolio ehe. è d'uopo dirlo subito,
.1 sì Che il pane per i cittadini non rincarava
mai qualunque (osse il prezzo del grano.
V. - Era vecchia usanza dei Comuni medioe-
vali in quasi tutta l'Europa di occuparsi del com-
mercio dei grani e delle grascie, sia stabilendone
i maximum, o proil>endo l'esportazione dei generi
di prima necessità, ovvero facendone in grande
pro\ \ iste che rivendevano a prezzo di costo ai citta-
dini. Quest'ultimo sistema si conservò alle volte
fino al principio dell'era moderna e Machiavelli
nota, a titolo di lode, che in tutte le città liliere te-
deschi, il Comune teneva sempre nei pubblici ma-
gazzeni grano e legna sufficienti al consumo citta-
dino di un anno. Quest,. sii-, su sistema pare sia
stato ah antiquo adottato dai Comuni siciliani.
quando i loro mezzi lo permettevano. Esisti mi. un
un reclamo della Università israelitica di Palermo,
la quale nel ì.pji i col Senato perchè ad
non erasi attribuita dal Comune una quan-
ti la sua importanza mi-
grano che evidentemente il Comune riven
deva ad un prezzo di favore |! 1 ittadini.
Quest'abitudine dovette suggerire l'idea al Co
mune di assumere il monopolio della maini
zinne e della vendita del pane, stabilendo per questo
prima 1 ita un prezzo fisso ed inva-
lon facendo percepire alle maestranze
le fluttuazioni dei prezzi del grano, veniva a to
ro l'occasione e l'interesse di opporsi al-
di questa
■I nismi i cos laboi 1
me fu quello del panific munale di Palermo, si
dovette stabilir gradatamente. Forse 1 primi forni
municipali si aprirono perdi, non tutti 1 cittadini
ino farsi il pani rrpi andi • il grano
dal Comune a partite alquanto rilevanti. In seguito
ide che, quando il ('..ninni non rialzava il
prezzo del suo pane, ^li ar 1 qu te-
sse 1 esporl i/i' me del grano.
Allora p ■ li non rincarare mai
munale, ma si d itare
un pei la pi 1
1 ani ' vendendo, nei temj 1 ^tia,
il pane ad un prezzo assai interiore al costo; ed il
rimedio si trovò nell'adottare il monopolio comu-
nale della vendita del pane, munì .pulii, che permei
leva di spacciarlo, negli anni di abbondanza, ad
un prezzo alquanto superiore al costo.
Mi sono limitato ad affermare che prevalse la
Consuetudine di nuli rincarare giiimiuai il pane, non
soJo perchè non bo mai tnivalo aloinn disposizio-
ne tassativa in questo sensi., ma perche ne ho UO-
vato citata qualcuna nel senso precisamente con-
trario. In un avvisi, ,1,1 Comune di Palermo, pub
il.., ito negli ultimi giorni del 1775. è affermato in-
fatti categoricamente che « le leggi prarn
disposte per il governo della città fin da due secoli
prima prescrivevano al Comune di vendere le v,
vaglie (i misura del costo e delle spese ». Aggiungo
che di tanto in tanto, .piando il Comune era tri
oberato e trovavasi in debito col regio erario, ve-
niva dalla Corte di Madrid e poi da quella di Na-
poli il mònito che si vendesse il pane al prezzo di
costo. Ma questo mònito rimase quasi sempre ina-
scoltato ed una volta che. |ier le insistenze del Vi-
ceré e ilei ministri del regio patrimonio, si volle ob-
bedire agli ordini precisi venuti da Madrid, scop
piò uno dei più terribili tumulti che la storia di Si-
cilia rammenti. Evidentemente la invariabilità del
prezzo del pane municipale era la base politica di
tutto il sistema, rappresentava la clausola fonda-
mentale del tacito compromesso fra l'eccellentìs-
simo Senato di Palermo grande di Spagna di pri-
ma classe e le onorate maestranze della città, era
lamia adottata da queste per assicurarsi la
stabilità dei salari . il corrispettivo del permesso
.1, 'l'uni. no 1, nobili ed agli ecclesiastici di esportare
il loro grano aumentandone necessariamente il va-
lore per i consumatori nazionali.
VI. - M;i il sistema era ad ogni mudo artifi-
cioso ed aveva una falla che non si potè mai sal-
dare. In fondo il Comune, sebbene avesse il mono-
polio della vendita del pane, non OSÒ, 0 non 1
mai impedire la panificazione privata per conto
delle singole famiglie. Quésto diritto dei privati fu
anzi espressamente riconosciuto nel 1648 dal Con-
siglio della città. Ora è assai poco probabile che le
pi vere famiglie degli artigiani abbiano potuto ,
prare il grano, che non vemleasi a minuto, e mani
polarsi il |)ane per conto propri". Ma le famiglie
aristocratiche Con numerosa servitù, che avevano la
comodità del forno in casa e potevano tar venire
la farina dai propri fondi, ed i conventi ed i mo-
nasteri dove erano numerosi i frati e le monache,
dovevano trovare vantaggioso di far-- il pane che
consumavano e distribuivano per elemosina ne
riodi di ribasso dei .urani, sui quali contava il 1
ninne per ristorale la colonna frumeniaria, ossia il
capitale col quali' esso esercitava l'industria del
prestinaio. Viceversa, quando i grani rincaravano e
la colonna t rumeni. iria assottigliavasi perchè d Co
mune vendeva a scapito, 1 forni privali si spegne
vanu. tutti compravano il pane comunale ed il
con»' no •!• esso notevolmente cresceva
LA MUNICIPALIZZAZIONE l'I
ANE A PALERMO
223
Altre causi poi concorrevano all'i stesso effetto.
Nelle annate di vera carestia, una moltitudine ili
poveri da tutta 1 isola concorreva a Palermo dove
era più facile l'accattare qualche elemosina ed il
liane almeno non rincarava mai. 11 Comune quindi
dovea provvedere a migliaia di nuove bocche. Si
aggiunga che l'accentuarsi della differenza ili pri !
zo fra il pane di Palermo e quello dei paesi vicini
facea sì che i contadini delle terre circostanti ve-
nissero a farne provvista in Palermo. Ciò natural-
mente era proibito, ma riusciva impossibile l'evi-
tare il contrabbando.
Lo storico Di Blasi, che visse nella seconda metà
del secolo decimosettimo e morì vecchissimo nel pri-
mo decennio del decimonono, rileva espressamente
che ad ogni carestia a Palermo il consumo del pane
Comunale aumentava enormemente. Egli anzi in un
passo spiega questo fatto affermando che privai io
generat appetitum, che varrebbe quanto dire che la
penuria dei grani sovraeccitava le facoltà digestive
dei Palermitani. Egli stesso poi nelle pagine pre-
cedenti e seguenti ci dà la chiave dell'enigma de-
si rivendo le precauzioni che il Senato dovea pren-
dere perchè non si esportasse il pane fuori della
città, che consistevano nel chiudere le porte della città,
meno quattro affidate alla guardia di gentiluomini e
dei consoli delle maestranze, nell'ordinare ronde so-
pra le mura perchè da esse non si buttasse il pane
agli affamati abitatori delle campagne, nel visitare ì
bastimenti e le barche che partivano per gli altri porti
dell'isola ed anche per Napoli. Nei casi estremi si
arrivava a razionare il pane ai cittadini, vendendone
ad ogni famiglia solo quella quantità che era sti-
mata sufficiente per il consumo delle persone di
casa, con un sistema perfettamente identico a quello
che il sedicente spadaio Ambrogio Fusella propo-
neva all'ingenuo Renzo Tramaglino.
In complesso i limitati guadagni dei periodi di
abbondanza non compensavano le perdite degli
anni di carestia. Aggiungasi che. durante la fine del
secolo decimosesto e nella prima metà del decimo-
settimo, per il continuo affluire dei metalli preziosi
che venivano dall'America, il danaro perdette molto
del suo valore. Tutti gli oggetti rincararono, sin lil-
la media dei prezzi del grano diventò molto supe-
re al costo immutabile del pane che si vendeva
dal Comune di Palermo. Questo quindi ci rimise
tanto e poi tanto che creò, precorrendo i tempi, un
debito pubblico enorme, per pagare gli interessi an-
nui del quale occorrevano centocinquantamila onze,
circa un milione e novecentomila lire. Sio
l'interesse, mitissimo per l'epoca, era del cinque
cento, così il debito corrispondeva ad un capitale
•li trentotto milioni di lire che. dato il valori chi
avea allora il danaro, sarebbero circa cento milioni
di oggi. Somma che fa veramente paura se si tien
conto che la popolazione di Palermo alla metà del
secolo decimosettimo non potea oltrepassare le cen-
toquarantamila anime e che la ricchezza media, e
quindi la materia tassabile, era inferiore a quella
odierna.
Per far fronte agli interessi di questo debito si era
naturalmente ricorso alle tasse a larga base, ai dazi
sui consumi popolari; cioè sulle Farine eh
vano alla manipola/ione de] pane casalingo e dei
maccheroni, sul vino, sulle Carni, Sull'olio e sui for-
maggi. In tomlo si manteneva il pane a buon mer-
cato a spese del companatico. Ma neppure qu
risorse bastavano quando nell'inverno del i fi (ti ;;
venne una carestia che consumò le ultime riserve
della colonna frumentaria e dell'erario comunale!
Mancava già il credito, sicché si dovette ricci
;n prestiti forzosi prendendo il danaro che i depo
sitanti tenevano nel Banco comunale e corrispon-
dendo loro l'interesse del cinque per cento. Qualche
cosa prestò pure l'erario regio, ma finalmente nella
primavera del 1647 s'impose crudo il dilemma di
rincarare il pane o di sospendere il pagamento delle
lande, ora diremmo del cupone della rendita. ai ere
ditori del Comune.
VII - La crisi avveniva in mal punto per la
corona di Spagna, perchè essa, perduto quasi tutto
il suo prestigio militare e rovinata finanziariamente.
traversava allora un momento difficile. Nel 1640
era già insorto il Portogallo, che si era costituito
in monarchia indipendente; qualche anno dopo in-
sorgeva la Catalogna reclamando la sua autonomia ;
nello stesso anno 1647 scoppiava a Napoli quella
rivoluzione che prese il nome da Masaniello e che
resistette per più di un anno a tutti gli sforzi che
la Spagna lece per soffocarla.
In quella stessa primavera del 1647. il Viceré
marchese di Los Velez, timoroso di perdere i da-
nari che nel cuore della carestia l'erario regio avea
prestato al Comune, provocò un ordine tassativo
della Corte di Madrid, il quale imponeva che si rin-
carasse il pane o meglio che ne lussi- diminuito il
peso. Vendeasi esso infatti dal Comune, e Vendesi
ancor oggi a Palermo, in forme di peso uniforme
e costante e diminuire la quantità contenuta in ogni
forniti pareva un fatto meno palpabile e, direi quasi.
meno odioso dell'aumento del prezzo. Arrivò l'or-
dine verso la metà di maggio; il pretore ed i sena-
tori ne sconsigliavano l'applicazione, molto più che
era caduta di recente una benefica pioggia che assi-
1 tirava l'abbondanza del prossimo raccolto. Ma i
ministri del regio patrimonio, chi tene1 ino sopra
ogni cosa alla restituzione del pres ito fatto al '
munì', insistettero perchè Fosse in imente e
seguito; sicché il venti maggio nelle b '• tuni
cipali ogni pam- die si vendeva otto grani, ossia di
- entesimi, e dovea ; • sare circa n<
venticinque grammi, comparve diminuito di cento
cinquanta grammi.
neno pi
maestrali/- però app
invece una turba dell'infimo popi
la <iuale sfondò le
ministri del patrimonio, minacci.! nobili e Vicet
fu per quali : 0 ■ appari nte ite padrona
della città. Ma quando fu 1 ini he il Banco
del Comune, le maestranze accorsero subito .1 tute
larlo 1 ntirono a n pi imere la ri-
volta, ma prima vollero l'abolizione delli
dei dazi ili consumo sui generi di prima neces
22.
LA l i ITU1
giurati 1 1 senatori due fossen i pò
polani. Avendo il Viceré frettolosamente condì»
in un lampo la turba dei s: ori Eu dispei
ne ristabilito ed un certo Nino La Pilosa
e due altri infelici vennero giustiziati come capi « 1* - 1
tumulto.
Abolite le gabelle era inevitabile il fallimento, e
difatti il Comune sospese il pag iti delle lan-
re Si riunì allora il Consiglio del Comune per
provvedere ali à della finanza cittadina e
le risoluzioni che in esso si presero, per iniziativa
un sapi ire i li moi lei nità si n pren-
dente In fondo, senza i ere i canoni della
i senza alcuna nozione della
i della lotta di classe, i rappresentanti delle
itivo energico per fai gra-
vare l'onere tributario quasi tutto sulie spalle degli
dei in il 'ili. 1 lei cinque antichi dazi ili consu
i quello sulla canii' e credi té di
supplire alla d enza dell'erario con un dazio sul
i sull'orzi '. che in Sicilia si dà
ai cavalli in cambio della biada, con la tassa sulle
carrozze e sulle finestre e con un testatico, ora si di-
e una tassa 'li famiglia, da ripartire sui bene-
stanti. Comesi vede, era un vero programma finan-
ziario i dei partiti pupillari del secolo ven-
tesimi i.
Nella concita one del momento ed in mancanza
di dati statistici, che allora non esistevano, non sì
calcolare neppure approssimativamente il get-
tìto delle nuove imj oste. Non si trascurò intanto la
one ili gravare alquanto la mano sui nuovi
iti che si colpivano. L'orzo, ad esempio, veniva
a pagare un dazio equivalente circa al venticinque
• ■ni.i del suo valore ed ogni carrozza tirala dà
due cavalli pagava sessantacinque lire annue, che
corrisponderebbero almeno a centocinquanta ili
Per qualche mese le cose quietarono nell'a
tiva dei risiili. ni della trasformazione tributaria;
maestranze e nobiltà però vivevano in sospetto con-
tinuo e ri Molti nobili cominciarono a riti-
rarsi nei loro feudi e ciò irritava le maestranze che
ino diminuire la elicmela ed il lavoro.
\ questo punì" ebbe luogo un vero, semplice epi-
sodio della lotta Ira le diverse classi sociali ili Pa-
lermo, il iiuale. perchè drammatico e pittoresco, ha
talmente attirato l'attenzione degli storici. Ha
molta ari on l'altro episodio, generalmenb
noto, di cui a Napoli fu principale allori- Ma-
saniello, il quale rappresentò il preludio tragico,
durato una sola settimana, della lunga lotta che,
durante gli anni 1647 e 1648. i popolani parici
sostenner ntro la nobiltà e gli Spagnuoli.
Un artigiano di P iere, a
noni" Gii D'Alessi, trova\ asi appunto a Na
poli negli otto giorni in cui l'infelice pescivendolo
i.ilii fu capitano generale del popolo. u>
a furor 'li popi riti ficato dal popolo. Tornato
era ■ trovati i tempi inquieti e sospettosi,
rati n lai 1 dei con-
■ del ninnili, in- popolo
nessun'arte, volle imitare Masaniello.
Scippi, 1:0 il tumuli", menile il D'Alessi COÌ suoi
tei riusciva a cacciare a viva forza dal palazzo
naie il marchese di Los Velez e la sua guardia
spaglinola, le altre arti rimanevano in certo ino, lo
neutrali. Ma le loro fibre popolane scui
quando il povero orefice, diventato capitan gene
! ile delli OnVOCÒ i Consoli nella chiesa di
San Giuseppe, fu compilato ulto un larghissimo
prograinn ve riforme democratiche da ap
plicare a tutta I isola, cosi largo che comprendeva
perfino la riduzione della rendita fondiaria e la con
lisca delle terre incoile.
Il pn 1 potere dell'Alessi, come quelli
del suo predecessore napi ili no il
fatale termine di una settimana. Più mite di an
1 ' ipei a 11 1 palermitano impedì sen ■
le Vendette personali, ma neppure egli seppe evitare
l'ubbriacatura della grandezza. L'incarico di ine-
briare Il capitan generale del popolo, che a Na
poli era toccato principalmente allo stesso Vii
conte d'Arcos, a Palermo, essendo il Los Velez
pato, lu volontariamente assunto dall'inquisii
spaglinolo Trasmiera, da don Ottavia Lanza prin-
cipe di Trabia e da altri nobili ed e ri. I
risultali furono identici: si eccitò abilmente la ri-
valità fra i pescatori ed i conciapelli, si forni
la gelosia dèi consoli delle altre arti contro l'ore
Sce che camminava a fianco dei principi e disponeva
e comandava da padrone assoluto, ed una giornata
i pescatori uniti ai nobili ed ai loro satelliti assali-
rono il capitan generale del popolo e lo uccisero
coi principali segnaci entro il suo quartiere gene-
rale, nelle viuzze abitate dai conciapelli. Con lui
mori il programma democratico, della chiesa di
San Giuseppe.
Vili. Ma non finivano le incertezze sulla
situazione finanziaria del Comune, né veniva meno
quella riforma tributaria in senso democratico che
era stata approvata dal Consiglio della città e san-
.1 del Viceré.
Moriva, due mesi dopo I Alessi, il marchi
Los Velez, boriosa nullità, come lo definisce I"
rico La Lumia, che erasi mostrato assolutamente
impari alla sua difficile missione, e lo sostituiva il
cardinale Teodoro Trivulzio, milanese di nascita.
in bile di casato, valoroso guerriero in gioventù,
litico accorto nell'età matura.
Entrò in Falerni" senza alcuna scorta di regi
snidati fidando interamente nella lealtà delle ono
rate maestranze, ed il suo programma riassunse m
pochissime paiole, di 'incile che. pei quanto abu
e per quanto si prestino a nascondere l'indeter
11. ni. ne/za dei concetti e la duplicità dei fini, si sen
tono sempre volentieri: pane, giustizia e libro nuo-
vo. Realmente si applicò subito a sradicare molti
abusi, fece in modo che il Comune continuasse a
vendere il pane alf.uilico prezzoe quanto ai prov
vedimenti pei l'avvenire lasci;, che il tempo li ma-
Intanto la sospensione del pagamento degli inte-
ressi del debito comunale avea distrutto ogni ere
■ privato e prodotto tale un disastro
LA MUNICIPALIZZAZIONE DEL PANE A PALERMO
225
generale che il danaro non circolava più ed il la-
voro veniva meno agli operai. Le nuove imposte
i lavano un gettito del tutto insufficiente al bisogno,
e fin d'allora diventava evidente un canone della
scienza finanziaria che sarebbe opportuno di tener
presente anche oggi, cioè che nei paesi poveri e gra-
vemente tassati una parte notevole dell'onere finan-
ziario è indispensabile che ricada sulle classi po-
vere. Gli artigiani inoltre tolleravano mal volentieri
la tassa sulle finestre ed i nobili, colpiti dalla tassa
di famiglia che si annunciava gravissima, minaccia-
vano uno sciopero di consumatori e parlavano di
ritirarsi nelle loro campagne. Si risecarono gli sti-
pendi a tutti gli impiegati del Comune, ma si vide
che il profitto era scarso. Crescendo la miseria pub-
blica e privata, gli artigiani toccarono con le mani
che. per quanto i viveri fossero a buon mercato,
non sempre si guadagnavano i quattrini sufficienti
a comprarli, e le cose arrivarono al punto che. dopo
circa un anno, i consoli si rivolsero al Trivulzio pre-
gandolo che rimediasse lui. anche restaurando gli
antichi dazi sui consumi.
Il porporato milanese, da vero uomo di Stato, non
volle profittare troppo del momento, rispose perciò
che gli antichi dazi erano stati aboliti dal Consi-
glio-dei Comune e toccava ad esso di proporne la
restaurazione totale o parziale. Si radunò quindi il
Consiglio, vi intervennero circa duecento fra con-
soli ed aggiunti e fra le varie classi sociali si di-
scusse, senza soverchia prepotenza da una parte ne
vile dedizione dall'altra, degli interessi reciproci e
di quelli della città e si venne ad un mezzo termine
che li conciliava tutti.
Si escluse anzitutto che il Comune dovesse fal-
lire, in primo luogo perchè ciò era indispensabile
per ristabilire il credito e la circolazione del danaro
e poi anche perchè fra i creditori vi erano molte
Opere pie e molte famiglie di modestissima fortuna.
Ma. precorrendo al solito i tempi ed anticipando
un provvedimento del Sella e del Sonnino. si ridus-
sero gli interessi del debito comunale del cinque
al quattro per cento. Si conservò la nuova tassa
stille carrozze ed il nuovo dazio sul tabacco e quello
dell'orzo, si abolì la tassa sulle finestre ed il testa-
tico o tassa di famiglia, si conservò il dazio consu-
mo sulla carne, che non era stato mai abolito, e si
rimisero un po' mitigati quelli antichi sulla farina,
sull'olio, sul vino e sul formaggio. Si abolirono i-
noltre tutte le esenzioni dai dazi che godevano gli
ecclesiastici, alcuni funzionari ed il Viceré, il quale
diede per primo l'esempio di rinunziare al suo pri-
vilegio.
Con questi provvedimenti fu posssibile di pagare
gli interessi ridotti ai creditori del Comune e di
mantenere la Municipalizzazione del servizio ilei
pane, il cui prezzo però fu elevato li poco più di
due centesimi al chilogramma. rispondenti su per
giù al dazio che sulle farine pagava la panificazio-
ne privata. Il Senato in cambio promise di non e-
levare il prezzo del pane per dieci anni ; gli effetti
di questa promessa si prolungarono per un tempo
indefinito.
Restaurate così le finanze comunali, ristabilita
La Lettura.
la pace, il cardinale Trivulzio seppe talmente atti-
rarsi la fiducia delle maestranze da indurle a to-
gliere i cannoni dai baluardi, di dove minacciavano
sempre il palazzo vicereale, ed a depositarli, come
in terreno neutro, nell'arcivescovato. Li un
pezzo, cioè lino al ró;ó. quando, avvenuta una bat-
taglia navale sanguinosa nel golfo di Palermo, Ira
la flotta olandese e spagnuola da un lato, alla quale
si erano unite le navi da guerra siciliane, e quella
francese dall'altro, sconfitti con perdita di molte
navi gli alleati, saltata in aria fra le altre la nave
siciliana San Giuseppi-, il popolo di l'alenilo, pre
testando le necessità «iella difesa, riprese i suoi can-
noni, che servirono a tutelare l'incolumità della città
e quella del peso del pane per circa un secolo an-
cora.
IX. — Pare realmente che la grande riforma
finanziaria del 1648 sia stata efficace, perchè per
lunga pezza non si parlò più degli imbarazzi finan-
ziari della colonna frumentaria e la Municipaliz-
zazione non solo fu mantenuta per il pane, ma venne
estesa anche ad altri commestibili, e precisamente
alla carne bovina, all'olio d'oliva ed ai formaggi.
Non so quando precisamente ebbe origine questo
allargamento delle attribuzioni annonarie del Co-
mune. Gli storici ed i cronisti del secolo decimot-
tavo ne parlano, al solito, come di cosa già stabi-
lita. Forse cercando bene nei diarii e negli archivi
ili Palermo si potrebbero trovare notizie importanti
in proposito. E' possibile che siasi estesa l'azienda
dei viveri con l'idea di risarcire il Comune delle
perdite che subiva nella vendita del pane; difatti,
per qualche genere, come per l'olio, comprando al-
l'ingrosso nei momenti dell'abbondanza, che ritorna
a periodi quasi regolari di due anni ciascuno, e ri-
vendendo a minuto si può presumere un guadagno
quasi sicuro. Questo è certo che la invariabilità dei
prezzi si estese ai nuovi generi municipalizzati, i
quali, una volta che furono slacciati pel conto del
Comune, non vennero più rincarati. Nel loro prezzo
in origine dovette essere compreso l'importo del da-
zio di consumo, che sopra di essi il Connine esigeva,
l'ino alla metà del secolo decimottavo. fra le per-
dite degli anni di carestia ed i guadagni dei tempi
normali, l'azienda municipale potè tirare avanti sen-
za troppi imbarazzi. Pare che sulla fine del seicento
ed il principiare del settecento il deprezzamento
della moneta siasi arrestato. Siccome poi la Monar-
chia spagnuola. ormai nel suo periodo di massima
decadenza, non curava più la polizia dei man ed 1
corsari barbareschi ostacolavano seriamente ogni
commercio, diminuiva sensibilmente la estrazione
ilei grani siciliani. Ciò certamente aumentava da
un lato la miseria pubblica e privata, ma dall'altro,
producendo un rinvilio dei generi di prima neces-
sità, dava modo alla colonna frumentaria di
lermo di risanguarsi.
Xel 1713 la Sicilia veniva ceduta alla Casa di
Savoia: occupata di nuovo dagli Spagnuoli nel 1719
cadeva tosto in potere dell'Austria, che la sfne
quanto era possibile lino al 1734. anno in cui ti
nalmente Napoli e la Sicilia erano costituiti in rea-
15
_•_■<•
LA 1.1 IH R \
mi indipendenti e separati, uniti dalla solita unione
personale sotto Carlo III ili Borbone. 1. doveroso
re che da quell'anno fino alla fine del se
colo decimottavo !<■ due regioni fecero progressi in-
tellettuali, sociali ed economici rapidissimi
Annientata la sicurezza < l* - i mari e quella interna.
lifioi portazione dei grani e
dell' uelty nuova dei vini e degli
olii, crebbe notevolmente ta popolazione, aumentò
la ricchezza ed il valore delle terre, molte di essi
erano incolte si dissodarono, ed incominciò fin d'al-
sso di intensificazione delle culture
per il quale la vite, l'olivo ed altri alberi fruttiferi
si andai' colo brado ed alla
ricottura. Ma col prosperare della ricchezza e
con nercio e col moltiplicarsi della popolazione,
si accentuò anche in Sicilia un lenonicno. che del
gioni analoghe, nella seconda metà del
ottavo si estese a buona parte d'Europa,
il rincaro cioè dei generi di prima necessità e spe-
cialmente del gratin, delle carni e dei formaggi.
A Palermo l'azienda dei viveri comunali, che com-
plessivamente cbiamavasi sempre culmina frumen-
taria. ne senti presto il contraccolpi'. Nel 1756 nes-
sun appaltatore osò assumere il servizio della carne
bovina ai prezzi ormai tradizionali ; il Comune e-
sercitò allora la vendita di questo genere in econo-
mia, ossia per gestione diretta, comprò buoi in
Tunisia ed in Calabria, li ingrassò nelle sue stalle,
li macellò e rivendette per suo conto e vi scapitò e-
normemente. Nel 1763 una carestia che sopraggiun-
si finì di distruggere il capitale della colonna fru-
mentaria ; ricominciò l'epoca dei ripieghi e dei mu-
tui, si alienò per circa tre milioni di patrimonio mu-
nicipale, e si rimise infine nel 1 7 7 j la tassa sulle
finestre. Malgrado tutto, diventava sempre più im-
possibile tirare avanti, i viveri che si vendevano
nelle botteghe senatorie cominciarono a diventare
di cattiva qualità, infine scarseggiarono e nel prin-
cipiare del 1773 gli artigiani dovevano fare a pu-
gni per potere comprare un pezzetto di cacioca-
vallo.
Fra il popolino e le onorate maestranze, che ve-
devano il sistema dei pnv/i invariabili seriamente
minacciato, il malcontento era enorme. Lo sfacelo
dilla colonna frumentaria veniva attribuito alla
cattiva amministrazione ed alle mangerie degli ul-
timi pretori e senatori, alla loro debolezza verso gli
appaltatori dei viveri e versa i venditori per conto
del Connine, soprattutto poi alla protezione che il
viceré marchese Fogliani accordava agli abusi dei
grandi e dei piccoli ed .dia facilità colla quale egli
permetteva le tratte, ossi., la esportazione dei grani,
degli olii e dei forr illera\ a il contrabbando
quand" la tratta era chiusa.
X. - Il marchese Fogliani non era un gran
signore, un viceré alla spaglinola, ma un modesto
e laborioso nobile modenese che. entrato al sen
tifila Corte di Napoli, colle sue doti d'impiegato
erti ' ' npo ed a luogo en-
trare in grazia ilei superiori, era arrivato, torse col-
I appoggio del ministro Tanucci. altro modenese al-
lora onnipotente nel governo borbonico, al cospicuo
posto di rappresentante 'lei Re in Sicilia, fra le
Ioli che gli tributa il Di Blasi, onest'uomo ma sto-
rico officiale ed incline a trovare meriti in tutti quelli
elle sla\ ano 111 allo, ed il giudi rodi 'Ice. Iloll
i" di abili insinuazioni, chi ne là il Villabian-
c.i. il quale, da vero nobile siciliano, trovava che il
\ icerè ih ii aveva tenuti' abbastanza conto della na-
.1 e ilei meriti dello scrittore e che accordava
troppa in1 icia e confidenza ai paglietta e ad altra
gente di poca levatura. ■ (fi li il formarsi un 1
li | caratti re 1 Iella persi ma che allora
reggeva la Sicilia e della sua parte di responsabilità.
Nel complesso pare die sia sialo ut] nonio dab-
bene ed un buon burocratico, molto supe
media dei prefetti chi il Governo italiano manda
a preparare le elezioni e. incidentalmente ad am
ministrare le provincie dell'isola. Anzi, come rico-
nosce lo stesso Villabianca, il torto principale ilei
Fogliani sembra sia stato quello di aver durato,
con insolilo esempio, nel viceregno per diciotto anni
continui.
Infatti, costituivasi attorno ad ogni viceré una
camarilla, un gruppo di amici e di persone di con-
fidenza che lo adulavano, lo servivano e nello s
tempo lo sfruttavano. Ma. siccome ad ogni tre anni,
al massimo ad ogni sei. i viceré cambiavano, si ve-
niva a stabilire una specie ili turno fra gli ambi-
ziosi e gli intriganti, in grazie al quale quelli che
non erano in auge tolleravano con una certa pa-
zienza la loro disgrazia. Oliando si vide che il turno
non era più rispettato e che il Fogliani. allo sca-
dere di ogni triennio, veniva indefinitami
fermato, tutti gli odi. tutte le ire dei disillusi, del-
l'immensa caterva ili coloro che desiderando dal-
l'autorità una carica, un favore, una indebita
renza o una indebita tolleranza non l'avevano po-
tuto ottenere, si concentrarono contro di lui e. con
sistema non ancor disusato, egli fu additato al [io-
polo come la personificazione e l'origine di tutti i
mali.
Al 5 luglio 1773 si rinnovava il Senato tli Pa
lermo e tome pretore entrava in carica ( 'esare I
tani principe lei Cassero, un patrizio che. co-
me pensatamente fa rilevare il Di Blasi. non aveva
debiti con nessuno e quindi neanche cogli appal-
tatori dell'annona comunale e che all'amore del pub-
blico bene univa una voglia matta di popolarità. An-
nunzio subito che avrebbe tatto guerra agli abusi
e restaurata la colonna frumentaria.
E per qualche mese le cose andarono realmi
molto meglio e per l'aumentata vigilanza dell'au-
torità municipale <■ perchè non erano tempi di care-
ma soprattutto a cagione di un prestito che
ristorò momentaneamente l'azienda dei \ i\ ■
con abnegazione la quale bisogna dirlo non era sen-
za precedenti, il pretore garantì sui suoi beni pri-
vati. La benemerenza acquistata con qui
dal principe del Cassero fra le maestranze ed il
popolino di Palermo non ebbe il tempo di tramon-
tare, perchè nel settembre gli si manifestò il mal
ili pietra. Per isiglio e coll'opera ili un dottore
che era figlio li un cameriere ilei Viceri si sotto
pose al taglio e ne mori.
LA MUNICIPALIZZAZIONE DEL PAN] \ PALERMO
227
Non ri volle altro perchè il popolo credesse ad
una congiura tenebrosa del Viceré e di tutta la
Clicca dei truffatori del pubblico danaro, ai quali at-
tribuì senz'altro la fine del benamato pretore. L'ira
spontanea degli artigiani per la rovina della colon-
na trumentaria e del sistema del prezzo invariabile
dei viveri venne abilmente concentrata ed incanalata
contro il Fogliani. si tumultuò ed i tumultuanti ne
chiesero l'allontanamento.
Convocati i consoli dall'arcivescovo, il diciannove
ili settembre, alle esortazioni del prelato affinchè
persuadessero il popolo a desistere dal rivoluzio-
nario proposito, risposero borbottando fra i denti
che. se il Fogliani colle buone non se ne voleva an-
dare, avrebbero trovato essi il modo di rimediare
a": guai di Palermo.
Difatti l'indomani i cannoni dei baluardi vennero
ancora una volta puntati sul palazzo reale ed una
turba immensa di popolo armato marciò contro que-
sta residenza del Viceré.
Le maestranze non comparivano ufficialmente ma
il grosso dei sollevati era formato dai loro membri e
molti consoli erano con essi. Il palazzo era custodito
da due reggimenti di regie truppe, uno siciliano 1 al-
tro svizzero, ma il Fogliani aveva dato ordine assoluto
di non tirare e di non versare sangue e la naturale
conseguenza di quest'ordine fu che i soldati vennero
sopraffatti e disarmati ed il Viceré stesso fu fatto
prigioniero. Posto immediatamente nella sua car-
rozza fra sei consoli, che coi loro corpi gli facevano
scudo contro le aggressioni del popolaccio, venne
trascinato alla marina e quivi, sopra la prima barca
che capitò, fu spedito al largo.
XI. — La cosa finì meno tragicamente di come
si poteva aspettare. L'arcivescovo assunse momenta-
neamente i poteri di viceré, la città rimase per al-
cuni mesi in balìa delle maestranze ed il pane e gli
altri commestibili furono per allora venduti ai so-
liti prezzi invariabili. Il ministro Tanucci scrisse
che il Re avrebbe considerato i fatti di Palermo con
cuore più di padre che di sovrano. Ed infatti, per
allora non si esigette che la restituzione dei fucili
tolti ai soldati e l'impiccagione di tre o quattro sven-
turati dell'infima plebe, designati al solito come capi
del tumulto, e l'erario regio prestò intanto senza in-
teresse ed a fondo perduto più di seicentomila lire
alla colonna frumentaria perchè essa potesse ancora
per un poco tirare avanti.
Poi mandato un altro Viceré, che non fu già il
Fogliani. rinforzata la guarnigione che ebbe l'ordine
preciso di non lasciarsi più disarmare, un pò colla
persuasione, un -o'colle minacele s'indussero i con-
solati a cedere ' baluardi ed i cannoni al cui pos-
•. scrive ii Villabianca, gli artigiani tenevano
più che alle loro mogli. E poi a poco a poco, e colle
dovute precauzioni, si attaccò il sistema delle mete
fi>se. ossia dei prezzi invariabili dei viveri.
In verità, il rialzo generale dei prezzi era tale che.
riusciva impossibile di mantenere ancora quelli del
1648. Le seicentomila lire fornite dal regio erano
nel 1774 furono consumate in pochissimi anni; ad
ogni nuovo appalto che il Comune indiceva per la
fornitura al pubblico della carne, dell'olio o del for
maggio, se si voleva che l'appaltatore conservasse
le antiche mete, bisognava dargli una gros>.i sov-
venzione del genere di quelle che ancora si usano
per sussidiare gli impresari dei teatri di musica.
he si cominciò nel 1776, anno nel quale il Co-
mune prima rinunziò al monopolio della vendita
dell'olio, autorizzando qualunque privato a fargli la
concorrenza, e poi aumentò il prezzo di quello che
vendeva nelle sue botteghe. Identica riforma si fece
nel 1781 per i formaggi e finalmente alla fine dello
- 1 anno, pi ne l'applicazione all'anno se-
guente, si estese la riforma anche al pane.
Del resto col crescere dei capitali, collintensifi-
carsi dell'agricoltura, coll'aumento della popolazio-
ne dell'isola, la quale da 1.150.000 anime nel 1714
giungeva ad 1.800.000 anime nel 1798. crollava
tutta l'antica economia dello Stato siciliano. Nello
^.■-mi anno 1781 il Governo avea riformato tutto
l'antico sistema delle tratte od esportazione del grano,
sottraendo all'arbitrio del Viceré il permetterla od
il proibirla anno per anno, ciò che. fra parentesi,
era fonte di aggiotaggi, favoritismi ed abusi di ogni
genere, ed adottando misure che erano un avvia-
mento al libero commercio dei cereali. Poi anche
per la sostituzione delle colture arboree a quella
dei grani, sostituzione che faceasi sempre in più
larga scala a misura che aumentavano i commerci,
i capitali e le braccia, verso gli ultimi anni del se-
colo decimottavo ed i primi del decimonono finì l'e-
spi Ttazione dei grani dalla Sicilia e poco dopo ne
cominciò l'importazione dai porti del Mar Nero, e
così si estinse la causa prima della Municipalizza-
zione del pane a Palermo.
Contemporaneamente cambiavano anche le ■•oli-
dizioni politiche e sociali. Il dispotismo borbonico
accoglieva i principi della rivoluzione francese in
quanto gli giovavano e prima risecava e poi to-
L-ieva le autonomie ci 'mimali e scioglieva le corpo-
razioni di mestiere. Finivano perciò le onorate
maestranze di Palermo, che davano gli ultimi segni
di vitalità durante la rivoluzione del 1820. e final-
mente, dopo un tentativo di adattamento ai concetti
ed ai bisogni moderni fatto nel 1812. moriva per
sempre nel 1816 l'antica secolare costituzione si-
ciliana e finiva l'autonomia dell'isola che, divisa in
Provincie, diventava parte integrale del nuovo rea-
me delle due Sicilie.
Siamo già in epoca che i nostri nonni potevano
rammentare ed in essa appunto si trovano gli ul-
timi ricordi della Municipalizzazione del pane e di
altre derrate alimentari a Palermo. Dopo il 1782.
avendo il Comune rinunciato al monopolio ed alle
mete fisse, in fondo la sua azienda assunse il sem-
plice ufficio di tenere quelle botteghe di paragone,
che anche oggi di tanto in tanto s'istituiscono nei
peri,,, li d dei viver:. I esperienza dovette
presto dimostrare che la concorrenza privata dava
roba migliore ed a miglior [tatto, una volta che il
Comune non voleva più scapitare nel vendere la
sua. Per,'», anche dopo che è finita la sua ragion
sere, una organizzazione così anno-.i •• ■ ■ rupli-
cata come quella dei viveri municipali di Palermo
muore ordinariamente in un giorno, sicché
LA I.KTTl'KA
e della sua esistenza si trovano ancora nel
primo decennio del secolo decimonono.
XII. che ì terminata la parte storica
i ibe certo molto interes
sante studiare dawicino il funzionamento degli isti-
tuti annonari >li Palermo, scrutarne i difetti ed i
pregi pratici e da issi trarre lume per la moderna
quistione della Municipalizzazione dei pubblici se
\ i/i. dir- alcuni vorrebbero estendere anche al pane.
Dirò subito che ciò che ho potuti > accei an
proposito non ì all'uopo molto interessante. Anzi-
tutto perchè la Municipalizzazione ili allora ris]
id altre idee, ad altri bisogni, a condizioni so
diversissime ili quelle presenti; poi perchè i
particolari che sarchi pero per noi più interessanti
[uelli a preferenza taciuti dagli storici e dai
cronisti, non già per malizia od ignoranza, ma per-
se allora note a tutti.
.VI ogni tuorlo, dalle notizie che ho potuto spigo-
lare, risulta anzitutto che la Municipalizzazione dei
viveri non era un istituto esclusivo di l'alenilo.
Essa funzionava pure a Messina ed in embrione
qualche cosa di analogo vi era anche nelle altre
e terre demaniali della Sicilia, cioè in quelle
che tu pi) dipendevano da alcun feudatario, nella
quale il Comune se non altro, all'epoca del raccolto.
soleva comprare all'ingrosso del grano, che rivendeva
poi a piccole partite ed a prezzo di costo ai citta-
dini.
La qualità dei generi venduti per conto del Co-
mune di Palermo dovea in generale esser buona .
poiché pochi lamenti ho trovato in proposito. Il
pane vein Ica si. come ho detto, a forme di novecento-
venticinque grammi ciascuna e della metà precisa
ili questo peso. Vi erano poi forme anche più pic-
cole, che in proporzione costavano un poco di
più . forse anche perchè erano più cotte e me-
glio lavorate e rappresentavano il pane di lus-
si i. Ogni forma portava il bollo del Comune.
ijiiest uvo di vendere il pane a forme di peso sta-
bilito e bollato dal fornaio esiste ancora a Paler-
mo; dove inoltre per affermare che il prezzo di un
oggetto i notorio ed invariabile si dice che è come
il pane in piazza.
Anche la carne bovina si vende ancora a Pa-
lermo senza l'osso e le diverse parti dell'animale
vengono divise con precisione anatomica ed ognuna
ha il suo prezzo speciale. In solo bue dà così sette
ualità di carne diverse e pare che questa
minuta suddivisione sia l'ereilità di un'epoca nella
quale il mestiere del macellaio venne sottoposto ad
una rigida regolamentazione burocratica. Dell'olio
formaggi vi erano pure diverse qualità, che
naturalmente aveano prezzi diversi.
Il Comune provvedeva al servizio dei viveri alle
volti | ne diretta, alle volte per appalti che di-
ci v.msi partili. Il grano lo Comprava per lo più me-
diante grossi conti durata ordinaria di cin-
que anni, durante i quali una compagnia appalta-
si obbligava di fornire ppgui anno tante mi-
gliaia di quintali sempre .-« 1 1 < > stesso prezzo. Se so
praweniva una carestia, il grano cosi comprato per
i iascuna annata non bastava più e bisognava prov-
ine dell'altro ad altissimi prezzi. Il pane pare
poi che fosse manipolato e venduto in economia,
ma il Comune dovea avere contratti speciali e sta-
bili colle corporazioni dei mugnai e dei panattieri.
\i gli ultimi decenni della Municipalizzazione pare
si tollerasse anche la vendita di pane latto da (or
nai privati, i quali però dovevano comprare il grano
dal Comune 0 coli intervento del Comune. '
Sti panifici privati venivano complessivamente chia-
mati la meccanica, e sembra fossero fonti di abusi
e che vendessero pane di cattiva qualità torse ai più
poveri che non lo poteano pagare in contanti.
La vendita dell olio, della carne e dei formaggi B
appaltava per lo più a compagnie di speculatori
nelle quali figuravano insieme nobili e popolani.
La prima condizione dei capitolati era che si ven-
desse ai prezzi delle mete fisse. Ignoro con i|uali
ine/zi il Comune si assicurava il risarcimento del
dazio consumo che. sui generi appaltati, era stabilito
fin da prima del 1648. Si cedeva agli assuntori del-
l'appalto, oltre al diritto di monopolio, probabilmen-
te anche l'uso delle botteghe comunali. Qualche volta,
come ho accennato, perchè gli appalti non andas-
sero deserti, si concedi vano agli assuntori anticipa-
zioni di capitali ed altri premi. L'esercizio in ge-
stione diretta era generalmente giudicato conn
vinoso.
Il contrabbando, inevitabile dove ci sono mono-
poli, esisteva e pare fosse punito con una multa di
sessantacinque lire ogni volta che veniva legalmente
constatato.
Abusi, naturalmente, ce ne erano; ma non do-
vevano essere molto comuni e gravissimi, se si con-
sidera che la Municipalizzazione dei viveri durò a
Palermo circa due secoli. Certo, amministratori che
traevano un [privato vantaggio dal maneggio dell'a-
zienda comunale, non ne mancarono, e se non ne
parlano i giornali, che ancora non esistevano, vi ac-
cennano chiaramente le pasquinate e le satire di cui
alcune ci sono rimaste; nelle quali si diceva il fatto
loro agli altolocati senza che gli anonimi autori cor-
ressero il pericolo delle querele di diffamazione.
Del resto, se alcuni rubavano, molti dovettero
essere gli amministratori onesti e parecchi quelli so-
lerti ed accorti ; | ciche i nobili tenevano molto in
generale alla popolarità ed al buon nome dei loro
casati. Inoltre, quando qualcuno era notoriamente
concussionario, rischiava al primo fermento popo-
lare di avere messo a soqquadro e devastato il do-
micilio, l'in d'allora, nell'occasione di queste tumul-
tuarie giustizie popolari, costumavasi di frantumare
e distruggere tutto seti/a rubare uno spillo; e la
forza pubblica arrivava immancabilmente a cose fi-
nite e limitavasi ad impedire gli incendi e gli omi-
cidi.
Il vizio principale del sistema era innegabilmente
la ripugnanza di tutti gli amministratori ad elevare
i prezzi delle derrate, anche quando ciò era assolo
tamente indispensabile. <>gni amministrazione pre
feriva di tirare avanti alla meglio, presentava bi-
lanci accomodati, indebitava il Comune e lasciava
la situa/ione più che mai compromessa ai sui
LA MUNICIPALIZZAZIONE DEL PANE A PALERMO
sori, ma non voleva assumere la responsabilità e
l'odiosità del rincaro. Questo vizio deve dar molto
da pensare ai municipalizzatori di oggi, tanto più
se si considera che oggi le amministrazioni comunali
sono elettive.
Infine, per chi ne abbia voglia, notizie più detta-
gliate e sicure non devono mancare a Palermo .
dove certo si troveranno ancora i verbali dei Con-
sigli del Comune, i registri delle deliberazioni del
Senato e perfino i testi dei contratti cogli appalta-
tori. Non so se e quanto uno studio dettagliato su
questi documenti gioverà ad approfondire i proble-
mi, che ora sono all'ordine del giorno, sui nuovi
servizi da affidare ai Municipi; questo so che esso
getterà una luce intensa sulle condizioni economiche
e sociali di Palermo e della Sicilia di due secoli e
di un secolo fa ; di quella Sicilia che non fu l'an-
tenata ma la madre della Sicilia odierna, e dalla
quale questa per eredità direttissima ha ricevuto 1
229
succhi vitali, le attitudini morali ed intellettuali, i
difetti ed i pregi, e tutte quelle singolarità che an-
cora distinguono l'isola dalle regioni dell'alta e della
media Italia.
Se è vero che si vuole ora risanare il Mezzogiorno,
bisogna anzitutto conoscerlo, ed a questa conoscen-
za nessuno Studio può giovar tanto quanto ([nello
degli ultimi secoli della sua storia. E, poiché amia-
mo meglio le cose che comprendiamo e per coro
prendere le quali abbiamo molto lavorato, è proba-
bile che le ricerche sulle Municipalizza/ioni di Pa-
lermo nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, atti-
vando delle correnti di simpatia reciproca fra l'i-
sola e le altre regioni d'Italia, porteranno il loro
contributo a quel risorgimento morale, intellettuale
ed economico della Sicilia che, senza dubbio, sarà
opera del secolo ventesimo.
G. Mosca.
r
1/
Memorie ili architettura del Rinascimento a Milano
a prosperità economica che Milano at-
traverso le più fi irtunose vicende di
~ yi|l guerre e di governi potò conservare,
grazie alla sua posizione nella monotona distesa
del piano lombardo » , ebbe a provocare ci mtinui
rinnovamenti edilizi, i quali contribuirono a di-
sperdere le memorie dei precedenti periodi, impe-
dendo che, a somiglianza di altre città della peni-
sola, Milano serbasse nell'aspetto suo la espres-
sione di un determinato momento storico, sugli
altri prevalente. Così, non solo le troppo scarse
tra» i ie dell'epoca romana, scampate alle ripetute
devastazioni e trasformazioni edilizie, e non ancora
al completo riparo da vandalici propositi, ci fanno
considerare come iperbolico l'elogio che Ausonio,
nel IV secolo, fece di Milano, paragonandola ad
una seconda Roma nec juncta premit vicinia
Romae >, ma le stesse traci ie del lungo periodo
dei bassi tempi, nei quali le sorti di Milano furono
rcplicatamente poste a dura prova, non ci aiutano
in alcun modo, se non con qualche raro avanzo
di edifici religiosi, a ricordarci la città che seppe
mantenere una importanza notevole anche nella
ra delle invasioni. Ben poco rimane altresì di
quel periodo, a noi più vicino, dei Comuni, che
in Milano trovò quasi una personificazione: e il
può si limita a qualche edificio che della vita
pubi1 conserva un materiale ricordo. Solo
col periodo visconteo, e megli., ancora i :ol succes-
sivo ■ che ne fu la naturale continuazione,
abbiamo — assieme ai maggiori edifii i riassumenti
le varie estrinsecazioni della vita collettiva, il Duo-
mo, il Castello, l'i 'spedale Maggiore — qualche
mem la vita eivile, della vita intima, in
aliuni ed iti ' he < i aiutano a maggiormente
ricostituire l'ambiente di quel tempo.
*
* •
Pochi sono gii avanzi: ma le cronache del se-
XV e XVI, e le vecchie descrizioni di Mi-
Torre nella i wv Bazzero in via Goranl
Secolo XI11.
lano, ci serbano il ricordo di molte altre costru-
zioni, oggi .scomparse: per cui l'asserire che Mi-
durante il periodo visconteo-sforzesco, fosse
i ittà da potere, per abbondanza di geniali mani-
festazioni d'arte, gareggiare coi centri che oggi
MEMORIE l'I ARCHITI ITI KA DEI RINASCIMENTO A MILANO
23l
ancora si presentano come i più importanti, quali,
ad esempio, Venezia e Firenze, potrà sembrare
esagerata affermazione soltanto a chi di Milano
non conosca che l'aspetto attuale, essenzialmente
moderno, di carattere prevalentemente commer-
ciale ed industriale : mentre chi sia a conoscenza
delle scarse traccie delle varie manifestazioni d'arte
che un di ne allietavano l'aspetto, sparse in ogni
punto della vecchia città, chi nei cimeli, oggi rac-
colti in musei pubblici e privati, in Italia e all'e-
stero, riesca ancora a ravvisare le reliquie di edi-
fici e monumenti di Milano distrutti o spogliati,
arriva a formarsi il concetto di ciò che doveva es-
sere questa città nel quattri icento e nei primi de-
cenni del cinquecento, prima che la dominazioc
spagnuola soffocasse sotto gli sforzi di una va< uà
grandiosità di forme e di abitudini, ogni tradizio--
naie caratteristica di genialità e di eleganza.
Poiché si può dire che ogni marmo, ogni fram-
mento di decorazione pittorica, oggi raccolto nel
Musco archeologico al Castello Sforzesco, o nella
Pinacoteca di Brera, abbia il compito di perpe-
tuare il rimpianto per un monumento perduto :
della vasta chiesa di S. Francesco, rasa al suolo
or sono cento anni per far posto ad una caserma,
ci parlano i frammenti dei ricchi suoi mausolei
oggi dispersi : come alcune reliquie del monu-
mento funerario a Gastone di Foix, ed alcuni
frammenti di pittura ci ricordano la chiesa di
S. Marta, pure distrutta nel secolo XIX ; qualche
di S. Maria della Rosa, di cui rimangono solo al-
cuni frammenti di ligure dipinte dal "■ ione*
lo stesso artista che lavorò nella chiesa dei Servi.
Antica casa in via Cerva. — Epoca viscontea.
affresco del Foppa e del Bramammo rievoca la
chiesa di S. Maria del Giardino — la cui navata
aveva la larghezza della navata maggiore del
S. Pietro in Roma — demolita al pari della chiesa
Oratorio della villa PozzOBONELLl l ora distrutta).
Principio del secolo XVI.
distrutta or sono sessant'anni per ar posto al co-
lonnato pseudo-greco di S. Carlo. Altri frammenti
marmorei ci fanno rimpiangere la distruzione della
facciata di S. Maria in Brera, alla quale lavorò
Balduccio da Pisa, oppure di S. Gottardo a ( orte,
la cui mirabile torre campanaria sfuggi di recente
alla minaccia di una mutilazione.
E se tanta iattura, quale non toccò né a Firenze,
né a Venezia, ebbero a subire gli edifici e le me-
morie attinenti al culto, si pensi al danno ancor
più grave toccato alle costruzioni civili. Dal Pa-
lazzo di Corte, che sotto la semplicità delle linee
del Piermarini serba forse ancora le traccie del-
l'antica struttura della Corte Ducale, dee. nata dai
migliori pennelli del secolo XV, al Palazzo del
Carmagnola, mutilato e sconciato pochi anni or
sono, ed alla Villa Pozzobonelli, alle porle di Mi-
lano, di cui si salvò solo, sei anni 01 soni, la ele-
fante cappelletta; dalla Casa Marliani e dal Pa-
lazzo Mozzanica , rasati al suolo, al Banco Me-
diceo interamente rifatto: dalla Casa Landriani,
trasfigurata nella fronte, alla casa Vimercati, il cui
portale, unica testimonianza dell'originaria strut-
tura, poco mancò fosse venduto or sono quindu 1
anni all'asta, quante rovine!
Ciò che maggiormente ci attrista, è il consta-
tare come molte di queste rovine siano di data
troppo recente, e come lo stesso notevole incre-
32
l.A LETTURA
mento eilili/io, cui Milano si affidava, appena li-
berata ila tre secoli di dominazione straniera, ab-
bia fatalmente imposti, o troppo facilmente tolle-
PORTA DELLA CASA 1)1 GASPARE VlMERCATl
IN vi \ FlLODR \mm \ i ici. — Anno 1460 circa.
rati, gravi sagrifici per il patrimonio delle vecchie
memorie: sagrifici tanto più dolorosi, perchè so-
praggiunti mentre nella coscienza pubblica comin-
1 iava appena a germogliare il sentimento di ri-
spetto per (mei patrimonio, ed il desiderio di ri-
parare ai danni che le precedenti generazioni vi
avevano apportato per il prevalere di abitudini ed
ideali troppo discordanti, per negligenza, o ben
anche per erroneo indirizzo nella tutela delle vec-
chie memorie.
Dai primi anni a partire dal 1859 — durante i
quali le esigenze edilizie si svolsero senza suffi-
< i< nte preparazione, e senza riguardi estetici, prov-
vedendo solo al materiale incremento della città
cogli espedienti più comuni, o seguendo concetti
di malintesa monumentalità — venendo ai nostri
giorni, si può dire che un passo siasi fatto nel
senso di conciliare le sopraggiunte esigenze della
vita con qualche sollecitudine per il decoro citta-
dino, inteso nel senso di rispettare ciò che attcsta
il passato e le caratteristiche di Milano. Sfortuna-
tamente, il risveglio giunge alquanto in ritardo:
l'esempio della Casa Missaglia, che al piccone de-
ton non venne abbandonata se non dopo che
una paziente e sagace indagine vi riuscì a legi 1 re
■ ime in un palimsesto l'originaria struttura e de-
sione (i), Don può a meni 1 di condurci a que-
• I n nra del gennai
sta melanconica riflessione: chi sa quante case del
vecchio centro di Milano, condannate or sono più
ili trent'anni alla demolizione, distrutte 1 iecamente
al lugubre chiaror delle torcie, tanto s'imponeva la
impaziente foga demolitrice, chi sa quante di
quelle case serbavano ancora, sotto gli imbratti di
secolari trasformazioni, le geniali traccie del quat-
trocento, di quell'epoca in cui il centro di -Milano
non era che un alveare di artefici, dal quale si
spandevano per il mondo i prodotti più ricercati,
le armature e le spade, i velluti ed i broccati
d'oro, i gioielli, i bronzi!
Quel Coperto dei Figini, che solo nella memo-
ria di chi ha i capelli grigi, rivive colla semplicità
del porticato, dai robusti capitelli adorni di targhi
— di cui un saggio si trova ospitato oggidi nel 1 a-
stello Sforzesco — recava pure, visibili ancora, al-
cune traccie delle decorazioni policrome originarie;
ma chi oggi potrebbe augurarsi, non dirò di tro-
vare qualche altro avanzo di quelle memorie, ma
di rintracciarne il semplice ricordo grafico? E come
quell'isolato, molti e molti altri dovettero sparire,
per far posto ad una nuova città, a fabbriche ma-
stodontiche e prive di espressione, le quali hanno
soverchiato i vecchi edifici pubblici, sminuita e
soffocata la stessa massa marmorea del Duomi 1 :
ed altri isolati di costruzioni sorsero senza nep-
pure rispettare la vecchia conformazione, rispon-
dente ad un logico orientamento. Quanta genialità,
quanta esperienza della vita andò sagrificata in
tale incomposto rinnovamento, stentatamente pom-
poso nella sua mescolanza di graniti e di cemento!
Forse che, con queste parole, si afferma in me il
proposito di sostenere la tesi per cui Milano non
avrebbe dovuto prestarsi alle nuove necessità della
vita, al rapido incremento edilizio, ed alla pro-
sperità meritatamente guadagnata coll'onesta at-
tività dei suoi cittadini ? Tale non può certo es-
sere il proposito, nell' abbandonarmi al rimpianto
di ciò che, nell'ormai lontano ricordo della mente,
si affaccia come in un sogno: ma è pur lecito il
domandare se non sarebbe stato possibile, se non
sarebbe stato degno veramente di Milano, un rin-
novamento del suo centro, il quale non si fosse
affermato soltanto soverchiatore del passati >, ma
fosse stato la continuazione di caratteristiche che
era pur doveroso rispettare e conservare, come
testimonianza di un popolo affezionato alle sue
genuine tradizioni. E ritornando all'esempio della
casa Missaglia — poiché non vi sarebbe ragione
per lasciar raffreddare senza alcun ammaestramento
l'interesse che intorno a questa si è destato — noi
vi troviamo una circostanza propizia per sostenere
come, al di sopra dello stesso valore intrinseco,
noi dobbiamo avere presente l'esempio e l'eccita-
mento che le ingenue e spontanee sue decora-
zioni ci offrono. Poiché, se è doloroso l'essere
ridotti, per la troppo prolungata indifferenza, ed
il troppo tardivo riconoscimento delle sue trai rie.
a rassegnarci alla perdita di questa che è ira le
ultime memorie di architettura civile in Milano,
nobilitata □ in solo dall'arte, ma dalla stessa sua
destinazione, pur ci rimane il compito di salvarne
MEMORIE DI ARCHITETTURA DEL RINASCIMENTO \ MILANO
233
la memoria, non già per un sentimento di erudita
ed egoistica passione di antiquari, ma per la per-
suasione che il ricordo delle sue forme decora-
tive , accuratamente rilevate, non debba rimanere
solitaria attrattiva e distrazione ne! recinto di un
museo d'arte, ma sia seme ancora fecondo da cui
si svolga un risveglio estetico, ed un rinnova-
mento logico e geniale nelle odierne condizioni
dell'edilizia.
chi di spontaneità, di freschezza nelle idee, e trop-
po vi prevalga la incosciente e meccanica ripro-
duzione di viete forme, le quali nella abusata ripe-
tizione hanno perduto ogni carattere, ogni signi-
ficato, ogni sincerità: cosicché sempre più ritenni
che nel sentimento pubblico il desiderio, l'aspira-
zione verso vaagi rinnovata vita delle manifestazioni
dell'arte, dovesse richiamare le nuove forze verso
queir insegnamento che ancora si può ritrarre
Casa Fontana, ora Silvestri, in corso Venezia.
Seconda metà del secolo XV.
Quante volte, rievocando la razionale sempli-
cità delle composizioni architettoniche del Rina-
scimento, l'accorto impiego dei materiali, l'intima
correlazione fra l'ossatura e la veste decorativa,
e posando poi lo sguardo sulle costruzioni dei
nostri giorni, avviene che io mi domandi : quale
è la ragione per cui un complesso notevole di
tradizioni e consuetudini costruttive, di abitudini
della vita intima, e di esempì di ingenue eleganze
decorative rimane lettera morta e non parla a
noi se non come curiosità da museo, che si debba
ammirare, ma non imitare, né riprodurre ? E que-
sta domanda si è fatta in me ancor più incalzante,
dacché nel sentimento pubblico è venuta raffor-
zandosi la opinione che l'arte dei nostri tempi man-
dalle genuine produzioni di altri tempi , anziché
dirigere troppo audacemente lo sguardo verso
una mòta troppo astratta , sciupando le forze
vive in tentativi incoerenti, quali pur troppo rie-
scono gli sforzi oggi assorbiti dal miraggio di
un'arte nuova, la quale ci illudiamo debba soddi-
sfare ai nostri bisogni, mentre n>n soddisfa che il
passaggero nostro capriccio, distrae la morbosa
nostra incontentabilità, ed è pascolo, per un fugace
istante, alle incertezze del nostro pensiero.
Io vorrei che un concittadino, desideroso di una
casa nella quale potere ripartire il tempo fra la
quiete domestica e la vita degli affari, si decidesse
a riprodurre, in una delle vie di Milano, una casa
sul tipo di quella dei Missaglia, senza per questo
proporsi un grave sagrificio per il denaro da im-
piegare. Già vi erano in Milano, nel quattrocento,
-•■;!
I A LETTURA
Casa Landriani — sede dell'Accademia si iehtifico-
i.ì: i rERARIA, in VIA BORGONOVO. — Anno 1520 circa.
delle case a tre piani, di una altezza quale non è
concesso oggidì sorpassare nella maggior parte
delle vie, cosicché la ossatura generale dell' edifì-
cio non troverebbe alcun ostacolo a svolgersi ra-
zionalmente e vantaggiosamente, pur seguendo le
tradizioni e consuetudini del Rinascimento: d'altra
parte, i materiali impiegati non verrebbero certo a
richiedere un dispendio maggiore di quello assor-
bito dalla maggior parte ideile moderne case ci-
vili. Perchè dunque tale ritorno a tradizioni, non
solo belle, ma anche pratiche e buone, non av-
viene? Perchè non si riprende il razionale impii
dei materiali ? Forse che le odierne [consuetudini
costruttive offrono una maggiore solidità, o più
lunga durata alle case civili? No di certo: edift i
che noi ricordiamo di aver veduto costrurre dai
fondamenti , scorgiamo troppo di frequente biso-
gnosi di replicate opere di rinnovamento, dai cor-
nicioni venendo agli intonaci, alle balconata
non manca l'esempio di case che si dovettero rico-
strurre di sana pianta nell'intervallo di soli venti-
cinque anni. Adunque non vi è, per quanto si
cerchi , una ragione qualsiasi che giustifichi il
persistere in consuetudini costruttive né belle, nò
vantaggiose, trascurando insegnamenti positivi, ef-
ficaci, per tentare solo alla cieca un nuovo indi-
rizzo nelle forme statiche e in quelle decorative.
A Milano però qualche tendenza verso un lo-
gico ritorno al passato, e precisamente al pen
del Rinascimento che meglio si presta a fornirci
elementi di pratica applicazione , già si è manife-
stata. La iniziativa di due patrizi, i fratelli ( ;iu-
seppe e Fausto Bagatti-Valsècchi , ha già da un
ventennio dato l'esempio di sincera e scrupolosa
applicazione dello stile del Rinascimento alle mo-
derne abitudini: e l'esempio non rimase senza in-
lìuenza e senza frutto. Se non che , la stessa ec-
cezionalità e le circostanze dell'attuazione hanno
potuto ingenerare una opinione che riesce a pre-
giudizio dell'esempio dato: giacché molti hanno
potuto credere che tale ritorno verso il passato im-
plichi necessariamente il concetto di un lusso,
concesso a patrizi , non soltanto ricchi e disposti
a non lesinare nel dare soddisfazione ai loro ideali,
ma disposti altresi a sottomettersi a restrizioni nelle
1 i * rimi ipai 1 mi 1 \ casa Borromeo. — Epoca viscontea.
MEMORIE DI ARCHITETTURA DEL RINASCIMENTO \ MILANO
235
abitudini normali della vita, pur di rispettare par-
ticolari esigenze di stile.
In realtà, questi dubbi, che possono sembrare in
contrasto colla larga applicazione delle forme del
passato, non sussistono: l'esempio delle case in-
nalzate dai fratelli Bagatti-Valsecchi potrà essere
eccezionale dal punto di vista del metodo che i
due patrizi hanno seguito, procurandosi a caro
prezzo gli elementi originali coi quali attuare le
loro composizioni ; mentre la stessa passione per
le memorie di un' epoca che seppe accoppiare
l'eleganza colla ricchezza, non poteva a meno
di condurre al risultato di edifici i quali, più an-
cora che dimora, sono da riguardarsi come museo.
Ma io credo fermamente che se alle stesse persone
col tramite di una interpretazione d'oltr'alpi. Basti
il dire che i più belli esempi di accordo fra l'ar-
chitettura e la decorazione pittorica nell' interno
di pubblici e privati edifici, figurano in modelli
eseguiti colla maggiore perfezione al South Ken-
sington Museum.
Milano , malgrado le ripetute manomissioni ,
conta ancora una serie di esempi di edifici civili,
i quali ci permettono di seguire lo svolgimento
dell'architettura, dalle forme più tipiche del me-
dioevo al più completo Rinascimento; una serie di
esempi che nella varietà delle forme e dei metodi
decorativi dimostra quan to sia erroneo il concetto,
oggi in voga, secondo il quale, per raggiungere
uno stile nuovo, occorra abbandonare (igni tradi-
CORTILE DELLA CASA ALLEANO!, ORA 1'
Fine del secolo XV.
IN VIA BlC.I.I.
le quali hanno, con fervido culto per l'arte, at-
tuato questo proposito di un ritorno al passato,
1 fosse richiesto un giudizio sulla praticità di tale
attuazione, anche dal punto di vista del vantaggio
materiale che si può raggiungere dal logico im-
piego di forme e metodi costruttivi di altri tempi,
la risposta non mancherebbe di essere in senso
favorevole, ed essendo rafforzata dall' esperienza
avrebbe una grande efficacia.
Ma lo strano delle condizioni attuali dell'archi-
tettura civile sta principalmente nel fatto che,
mentre noi ci acconciamo con eccessiva facilità a
metodi ed a prodotti costruttivi importati d' oltre
alpe, le nostre costruzioni civili dei secoli scorsi
sono studiate, analizzate, imitate con particolare
cura dagli stranieri ; per cui avviene talvolta di
sentirci umiliati vedendo forme decorative tradi-
zionalmente nostre, essere da noi accolte soltanto
zionc del passato, ogni metodo di riproduzione
di forme già usate. In secolo solo s'interpone fra
le forme schiettamente medioevali della Casa Bor-
romeo, e le forme non meno schiette del Rinasci-
mento nella Casa ora Ponti : e fra questi due
estremi, quale varietà di manifestazioni tutte ori-
ginali, tutte geniali, sbocciate dal saggio partito,
non già di rinnegare le forme del passato, ma di
assorbire le tendenze nuove ed assimilarle poco a
poco nella tradizione medioevalc: la quale ha po-
tato cosi raccogliere i nuovi germi, fecondarli, raf-
forzarli, finché questi ebbero vita propria, e la
vecchia tradizione potè ritenere compiuta la sua
funzione.
E' nella varietà delle forme olferta da quegli
esempi che noi dobbiamo attingere ispirazione e
consiglio per ravvivare una tradizione che può
ancora rispondere alle nuove esigenze, può ancora
236
LA l.LTTURA
dare risultati i quali, Don solo dal punto di vista
dell'estetica, ma dal punti) di vista della logica e
della economia, dovrebbero avere forza sufficiente
per contrastare il passo a quella architettura senza
carattere e senza dignità, che Angelo Conti defi-
niva rei entemente « materiata di calcina e di fango,
ita di colori dubbi che imitano tutte le gra-
dazioni delle cose sudine e ributtanti, con ador-
namenti che hanno l'aspetto di immondizie accu-
mulate per ischerno o per dispregio, dannate a
perire in pochi anni, come la fama dei mediocri
che le edificarono. »
Im \ Beltrami,
/\.S". — Ai concetti suesposti risponde nel modo
più lusinghiero la determinazione presa da un
gruppo di benemeriti cittadini, il giorno 12 cor-
rente, allo scopo di conservare la Casa dei Mi
glia, della quale la Lettura diede alcune vedute
nel fascicoli) dello scorso gennaio. l)i fronte alle
gravi difficoltà di piano regolatore e finanziarie
che si opponevano all'idea di restaurare sul posto
quell'esempio interessante di architettura civile mi-
lanese del secolo XV, venne accolta la proposta
dell'architetto Gaetano Moretti, direttore dellTf-
licio Regionale pei monumenti di Lombardia, di
ricostruire quella casa su di un'area adiacente al
gruppo degli edifici monumentali di S. Maria delle
lirazie. Milano avrà cosi un altro e completo
esempio della geniale architettura milanese nel
periodo visconteo-sforzesco ; nel quale edificio si
propongono i promotori della ricostruzione della
Casa Missaglia di formare un museo che ricordi
la fama guadagnatasi da Milano nei secoli XV e
XVI nell'industria delle armature.
Cortili-: della casa dei Grifo, in via Vai 11 irosa.
Fine del secolo XV.
4gffil£
— 5A.V ^wC"
^^^#^^^^^^1
II vino e la poesia del vino pre^o gli Arabi
na delle più desiderabili ed utili Antolo-
gie o Florilegi ovvero Crestomazie, come
dicevano più seriamente i nostri vecchi,
sarebbe quella nella quale fossero raccolte da tutte
le letterature, popolari o dotte, antiche o moderne,
orientali ed occidentali, le più belle poesie ispirate
dal vino, o che del vino celebran le lodi. Siffatta
raccolta di canti bacchici o ditirambici o simposiali
( Weinlieder o Trinklieder. dicono con una sola pa-
rola i Tedeschi), servirebbe, tra altro, ad illustrar
molti problemi di psicologia popolare ; e potrebbe
considerarsi come il prodotto più sincero della poe-
sia umana (almeno per quelle genti che del vino, o
di altre bevande affini, hanno avuto conoscenza e
gusto), se dappertutto ha valore il non mai smen-
tito adagio : In vino verilas!
Io non so se tale Antologia siasi fatta o sia per
farsi, jiè se altri abbia già compiuto un qualche
studio comparativo su questo importantissimo ar-
gomento. Penso a ogni modo che non riescirà inu-
tile preparare alcun poco il terreno, perlustrando un
piccolo podere di una zona tanto vasta ; e mi occu-
però degli Arabi, traducendo alcuni caratteristici
canti simposiali, specialmente dal Delectus vele-
rum carminimi arabicorum compilato nel 1890 da
Noldeke e Miiller, ed utilizzando le notizie raccolte
già sull'argomento dal Perron, dal Goldzieher, dal
Jacob, dal Kremer, ecc.
La vite, come oggi ognuno sa, è pianta originaria
dell'Asia meridionale, donde si diffuse nell'Africa
e nell'Europa. Le genti semitiche nella primitiva
lor sede (Mesopotamia o Babilonide) coltivaron la
vite, e ne bevvero il letificante liquore; il cui ri-
cordo trasportaron poi attraverso il mondo nelle
secolari trasmigrazioni verso occidente, insieme col
culto, se non di Bacco, certo della sua pianta (dove
il suolo si prestava) e del suo liquido simbolo, rac-
colto nelle festanti vendemmie o dalle attese impor-
tazioni. Tutte le letterature semitiche hanno lodi e
biasimo, inni e maledizioni sul conto del vino, di
questo « rugiadoso umore », da cui discende ai mor-
tali, giusta le parole del poeta, « il sapiente della
vita oblio ». Per non accennar che agli Ebrei, la
Bibbia nel Vecchio e nel Nuovo Testamento ram-
menta i pregi e le funeste conseguenze della gra-
dita bevanda, dalla vendemmia di Noè nella Gerii a
agli ammonimenti di temperanza nelle Lettere apo-
stoliche. Celebri erano in Palestina i colli vitiferi
eie vigne di Sodoma, di lezzael, di Sabama o Sibma,
dei monti di Samaria, di Abel. di Engaddi. ecc.
Abbondanza di vino, prega da Dio sul suo figliuolo
Giacobbe, il vegliardo Isacco. Egli -- si dice dal
Signore nei Salmi — rallegra il cuor dell'uomo col
vino ; e la madre del re Lemuel nei Proverbi, pur
ammonendo il figlio che non si conviene ai re ed
ai principi d'esser bevitori di vino e di cervogia ,
soggiunge le belle parole: « Date siceram maeren-
tibus, et vinum his qui amaro sunt corde. Bibant,
et obliviscantur egestatis suae, et laboris sui tu n
recordentur amplius ». Nel Cantico specialmente ap-
pare quanto lo splendore, il profumo ed il gusto de-
liziante del vino fossero cari all'immaginazione ed
al senso degli Ebrei: indimenticabili sono frasi co-
me queste: « meliora sunt, o pulchriora sunt
ubera tua vino ; — guttur tuum sicut vinum
optimum, ecc. » Ma non menu frequenti sono i passi
dove si biasima il vino e l'ebbrezza, e se ne mostrano
gli effetti disastrosi. - Vinum et mulieres aposta
tare f aciunt (Ecclesiastico); Formicatioet vimini
et ebrietas auferunl ''or (Osea) ; ovvero si danno
precetti di moderazione nel bere: Bonum est vi-
num et non bibere. --Et nolite inebriali vino, in
quo est luxuria ; — sed modico vino utere prop
stomachum tuum, ecc. - TI divieto assoluto del
vino, prima che nell'islam, trovasi in altre comu-
nità religiosi-, specialmente per determinate class1
'li cittadini: i Bramani. i Nabatei, i Maniche-, i
Xazirei e i Recabiti nello stesso ebraismo. Per i fi-
gliuoli anzi destinati al nazircato (Numeri, VI. 1-8).
238 LA LETTI RA
pare che anche alle madri loro nel periodo ili gra-
vidanza I del vino: Cave ergane
vinum bibas ac siceram, dice I angelo alla madie di
oro nasci!
II.
Le bevande conosciute dagli Arabi del deserta
tre: I . il latte di cammello, o 'li capra, o ili
ovvero conservato ed acidulo; IL,
l'acqua più pregiata del latti', per la sua scarsezza,
quasi sempre sudicia e melmosa; assai di raro fre-
limpida ; ila ultimi', anche più raro e più pie-
. il \iii". Preparavasi vino da diversi prodotti:
dall'uva, dai datteri, dal miele (idromele), dal fru-
mento e dall'orzo (birra). La produzione dell'uva
ii la cultura della vite era assai scarsa in Arabia,
a causa di quella temperatura tropicale. I geogran
registrano il numi- di alcuni rolli vitiferi (Bacclius
amai e olle s, ha detto il georgieo Vergilio) sorgenti
qua e là nell'arida penisola: le colline di Taif, di
Shibàm ,n\ ovest di Sana, qualche rara altura del
I i- del Bahrain, ecc. Il vino era dunque un
genere d'importazione e anche di lusso, come ve-
dremo, per gli antichi abitatori del deserto: veniva
per mare sulle coste, 0 per via di carovane dalle
vinifere di Siria e di Babilonia -. da Androna,
ila Ana sull'Eufrate, da Basra, da Sarkhad, dalle
dui- Bait Ras sul Giordano e presso Aleppo, da Al
Khuss nei dintorni della storica Badesia, ecc. Il
monopolio della importazione era quasi esclusiva-
mente in mano ai Giudei, che percorrevano in tutte
le direzioni il deserto: portavan anche vestiti e
Kuhl (antimonio, per cosmetico agli occhi o cclli-
rio): andavan da un accampamento ad un altro,
drizzava!] la loro bettola ambulante nelle fiere so-
ii o mercati sacri: eran mercanti, medici, arma-
iuoli, veterinari, e venivan designati col nome di
tàgir, ''he vuol dir mercanti, ma in origine special-
mente ni. rcanti di vino. Trasportavasi in otri e va-
lutatisi variamente, talvolta scambiavasi un otre
di vin<> con un cammello da tre anni, talvolta pa-
gavasi ron destrieri, giumente o schiavi, od anche
con monete coniate.
I nomi dati al vino tra gli Arabi preislamitici, e
rawissuti poi nella società mussulmana, nono-
stante Il divieto sacro, erano quasi innumerevoli:
per lo piii erano aggettivi designanti qualità speci-
fiche, gradazione di forza, di colore o di aroma,
poi acquistavan valore di altrettanti sostantivi.
Si ebbi il hmpnìo. il caldo, il rinforzato, il
karkaf che dava il delirium tremens, il benefacente,
il vecchio, ['invecchiato, {'irritante, il chiaretto o
chiarificato, il por/a/o da tonfano, il ben maturalo,
il bianchetto o rosso chiaro, la lacryma Christi, il
vino vergine o di primo succo, il ma' zibìb o « ac-
qua di zibibo », che rìcavavasi cioè dall'uva pa-
li colore predominante ira però il rosso:
da mii-z :/,/,/ 0 « sangui- dell'otre i>. word 0 « ro-
i' che il poeta assomigliava al zafferano o al
- Ila. Bevevasi per lo più tni
lato con acqua con mieli d'api, sia |>er mi-
sura economica, sia per evitar il capogiro e l'emi-
crania: profumavasi anche artificialmente col mu-
schio, e talora formavasene un pondo, infonden-
dolo in acqua calda aromatizzata con spezie.
Il vino costituiva, per l'egoismo materia
dei beduini, insieme con la voluttà dell'unione ses-
suale, al atyàbàn o o le due cose saporite », i due
elementi di piacere che interrompevano per l'abita-
tore del deserto la monotonia desolante della sten-
tata e pallida sua esistenza. Bere il vino era un ele-
mento indispensabile della muruivwa o virtus pa-
gana; e a dispensatile di vino » reputavasi una
lode caratteristica dell'eroe nazionale, del cavaliere
senza macchia e senza paura, del perfetto genti-
luomo insomma. Negli elogi autobiografici che ogni
più gran poeta fa di sé stesso, non manca mai l'ac-
cenno ai calici tracannati in compagnia dei sozii:
anche perchè reputavasi il vino qual suscitatore di
generosi moti nell'animo, debellatore dell'avarizia,
maestro delle garbate maniere.
« Quand'io ho bevuto vino (dice Antora), pongo
in giuoco i miei averi, e copioso diventa il mio ono-
re, né può venir oltraggiato ».
Amr figlio di Kulthùm:
« Tu vedi che l'avaro spilorcio diventa generoso,
quando a lui arriva il circolar dei bicchieri ».
lmrulqays :
« Tu sei perituro, goditi dunque il mondo! Cra-
pula e belle femmine, bianche come le gazzelle e
brune come le statue degl'idoli! »
Al Ashà:
ci Xel ripostiglio di quanti calici colmi dì vino
sfavillante come occhio di gallo, io entrai la mat-
tina . insiem con giovani valorosi , mentre suona
van le campane! »
« Vino puro, color di zafferano e sangue di dra-
go, che mescesi nelle coppe, e poi si taglia « con
acqua ».
« Spargeva nella casa un aroma penetrante di
muschio, come quello che le carovane apportano dal
mar di Dàrìn ».
Tarala :
— « Se tu mi cerchi nell'assemblea della tribù,
tu mi trovi ; e se mi dai la caccia nelle bettole, tu
mi acchiappi ».
Queste bettole 0 cantine del deserto sono freqUi n
temente descritte dai poeti beduini, i quali si van-
tano d'averci passati interi i giorni in lieta compa-
gnia, trincando e gozzovigliando, seduti su tappeti
artisticamente lavorati, sui quali eran rappresentati
leoni e pollame e n tutte le possibili cose >■. dice
uno fra essi. Il Jacob osserva che possiam rappre-
sentarci questi rustici celiai come altrettante botte
gucce di forma quadrata, con in fondo una specie
di riposto separato da una cortina. Il vino conserva-
tisi negli otri e in boccie o brocche dalla base pan-
ciuta e piatta mezzo sepolta nel suolo, e chiuse alla
bocca con terra citta sigillata. Da questi recipienti
si ricolmavano poi i bianchi boccali che avean la
forma di oche o di gazzelle, a quel che ne dicono i
poeti ; eran incoronate da odoroso basilico ed ave-
vano in cima una specie di filtro o colatoio di lini :
ovvero se ne riempivano le qulal o qilàl, specie di
giare o mezzine di argilla porosa Sfescevasi poi il
IL VINu E LA POESIA DEL VINO PRESSO GLI \.RABI
vino per bere nelle ciotole che potevan essere di
legno, ovvero nei calici o bicchieri di vetro, versan-
done per lo più sino a mezzo, e poi riempiendoli
con acqua: ciò che dicevasi tagliare o ferire od uc-
cidere il vino. Nei conviti dei gran signori o delle
corti usavansi coppe o calici d'argento: mes
un coppiere, con le punte delle dita tinte di firsàd,
abbigliato donnescamente, con orecchinoli, girando
tra i convitati balbettanti dall'ebbrezza, che gli gri-
davan hàti (dà qua!), e colmando il secondo bic-
chiere quando il primo non era ancor vuoto. Ma i |ue
sto era lusso nemmen sognato nelle sudicie hawànìt
o bettole del deserto, la cui insegna par fosse un
ramo verde o una banderuola, che si strappava giù
dai delusi clienti, quando il vinaio avesse esaurito
la sua provvigione. Ma finche vino ci fosse, si fa-
ceva baldoria notte e giorno. Il trincar mattutino,
era il più gradito dai fortunati che avessero il mez-
zo di procacciarsi il costoso liquore. All'alba, quan-
do le « biasimatrici », cioè le mogli brontolone ed
arcigne, non s'erano ancor levate, i beoni accorrevano
alla hànùt a rinfrescarsi l'uzzolo, e davansi bel tem-
po cioncando e ascoltando il canto della qayna o can-
tatrice. che per lo più abbelliva della sua presenza
e della sua voce siffatti ritrovi. Eran queste le povere
e spregiate etère del deserto, che cantavano accom-
pagnandosi con cembali o con istrumenti a corde ;
il loro monotono canto somigliava, dicono i poeti,
al ronzìo delle mosche sopra un campo coperto di
verzura, e veniva ricompensato dagli estatici ascol-
tatori con mancie e doni, talvolta del mantello, che
si gettava loro sopra. Il poeta Hassàn figlio di Thà-
bit, in un racconto riportato daWAganì, narra di a-
veme viste dieci di tali cantatrici : « cinque greche,
che cantavano alla maniera dei Greci, con accompa-
gnamento di arpe ; ed altre cinque che cantavano
alla maniera della gente di Hira ». La qayna non
poteva certo far la pudica con quei rozzi figli del
deserto; dei quali il poeta Tarafa nella sua Mual-
ìaqa descrive gli osceni commenti e le lihertà che si
permettevano su di lei, « molli tenuique corpore,
cum vestes exuerit, praedita ». I sozii avvinazzati
le gridavano « asmiìnà » (facci udire!), e tacevano
ascoltando, sonnecchiando, con gli occhi rossi e im-
bambolati ; oppure canticchiavano anch'essi oscene
canzoni satiriche, accompagnandosi con flauti fatti
di canna forata e con nacchere a sonagli. Il puti-
ferio e lo schiamazzo che ne nasceva, è da Antara
e da altri poeti assomigliato al nitrir del cavallo di
battaglia. Altra volta gli ubbriachi eran presi da
subite commozioni di tristezza, e piagnucolavano la-
mentandosi. Labìd, descrive il raglio dell'onagro, o
asino selvatico, lo dice simile talvolta :
— Al lagno piagnucolante di un beone, a cui
sia arrivato di sera vecchio vino babilonese entro an-
fore ;
quand'egli, dopo averne tracannato, rammenta i
suoi affanni, e lo agita un vino chiarificato con pura
acqua piovana.
Non si creda per altro che la incontinenza nel
bere passasse tra gli Arabi preislamitici per incon-
testata virtù, al contrario, l'eccesso era riprovato e
attribuito a difetto nelle satire personali contro il
239
nemico. E famoso l'esempio di quel Barràd, susci-
tatore della seconda guerra sacrilega, il quale fu
solennemente scomunicato dalla sua propria tribù.
perchè rollo al bere e alla dissolutezza. In alcune
particolari circi istanze, 'piando (osse in lutto per la
morte di un congiunto, ovvero gl'incombesse il do-
vere sacro del tha'r (vendette di sangue), anche il
Beduino s'asteneva dal bere, come per un precetto
religioso; finché, compiuto il suo obbligo, ei non po-
tesse dire ìlallal li a! Khamr (il vino mi è permesso).
Ma sino a quel momento si era sicuri ch'egli non ri-
metteva piede nella hànùt.
ili.
Ouesta temporanea limitazione tradizionale fu
trasformata dall'isiàm in un assoluto e general di-
vieto, mediante restrizioni a volta a volta maggiori.
Ecco qua tutti i passi qoranici che trattan del vino
ti adotti e disposti nell'ordine cronologico che, fis-
sato già dagli antichi commentatori e tradizionisti,
è riconfermato dagli studi del Nòldeke.
I. — Tra i segni della generosità e della onni-
potenza divina. Maometto nella sùra XVI (mecca-
na, della sez. C), enumera parecchie utili bevande,
l'acqua, il latte, il miele ed anche il vino, nella ma-
niera seguente:
« Dai frutti delle palme e della vigna voi ricavate
un liquore inebbriante (lett. ebbrezza), è un pasto
gradito. Certo ve in questo un segno (od argo-
mento della divina provvidenza), per la gente che
intende ». (v. 69).
IL — «Essi (cioè gli Arabi, o piuttosto i Mi:
sulmani) interrogheranno intorno al vino ed al gioco
del maysir. Rispondi : In entrambi è grande ne-
quizia. Sono giovevoli per gli uomini ; ma più gran-
de ancora che la loro utilità è la loro nequizia ».
(Y. 216 della sùra II medinese, composta nell'anno
II della egira: 7 maggio 623-26-aprile 624 di Cri-
sto, poco prima il combattimento di Badr).
III. — «O voi che credete, non v'accostate alla
preghiera mentre siete briachi ; ma attendete, finché
sappiate quel che dite ». (V. 46 della sùra IV medi-
nese. dettata fra l'anno III e V: per il versetto in
questione, assai probabilmente prima dell'anno IV:
15 aprile 625 — 3 maggio 626).
IV. — «0 credenti, per certo il vino, il gioco del
maysir, le statue degl'idoli e le frecce divinatorie
sono un'abominazione, una delle opere di Satana.
Or astenetevene, acciocché viviate felici.
« Satanasso non vuol altro che destar fra di voi
la inimicizia e l'odio per mezzo del vino e del maysir.
e così distogliervi dal rammentar Dio e dalla pre-
ghiera. Non ve ne asterrete dunque? Obbedite a Dio,
obbedite all'Apostolo, e state in guardia; che se de-
vierete, sappiate che il nostro Apostolo non ha altro
dovere di annunziar chiaramente (la legge di Dio) ».
(V. 92-93 della sùra V medinese, composta per que-
sta parte, tra l'anno IV ed il VI, probabil mente nel
mese rabì I: dell'anno IV).
Da questi passi fedelmente tradotti, appare, ad
esaminarli con attenzione, che Maometto non emise
mai un divieto esplicito e categorico; forse pei
2 |o LA LETTURA
facilmente prevedeva di non putir essere in ciò del
tutto obbedito né volentieri ascoltato dai Moslemi.
In senso infatti non assoluto intendono questa proi-
ne ali-uni commentatori qoranici, quali Galàlad-
«lin e Zamakhsharì, ma solo come riferentesi all'i
are; noi ni re ali i i, ad i-sem-
pio, Jahya, asseriscono .1 \ < r il Profeta proibito il
vino tanto in grandi- misura che in piccola» E que-
sta seconda opinione prevalse, almeno in ti
L'apparente motivo che indusse Maometto a ban-
dire il vino dall'uso dei Moslemi fu, secondo il Qj
udì esso insieme col gioco d'azzardo
un'ii i diabolico, serviva solo a far nascere
ra i i redenti, distogliendoli lai loro
ligiosi. Ma, c'unir osserva il Jacob, ia moti-
vazione del Profeta si rivolge ai eredenti e. sebbene
vera in parte, non pare sufficiente: tanto più se si
considera ch'essa è in aperta contraddizione col pas-
so meccano della sùra XYI dove invece « il frutto
delle palme e della vigna » è presentato come dono
e argomento di divina provvidenza. Perciò i cóm
atori sentironsi indotti e quasi autorizzati a
r altre ragioni che confortassero e afforzassero
quella unica addotta dal Profeta a legittimare sì
rigorosa limitazione, intollerabile specialmente alla
indocilità edonistica dei Beduini. Dalle fanta-
sticherìe angelologiche dei Persiani trassero una
fiaba sugli amori dei due angeli Ann e Manu (già
menzionati nel Qorano) per una figlia della terra,
che aveva loro offerto del vino « Quamobrem (leg-
gesi nella Doctrina Mahumeti, tradotta dall'arabo
e stampata insieme col Qorano a Basilea Fanno
15501, inibente Deo, appensi sunt per catenas ferreas
per pedes . demissis capitibus, in puteo quodam
Babvlonis. ita usque ad diem [udicii permansurì ».
Il qual esempio della divina giustizia avrebbe in-
dotto il Profeta dell'isiàm a predicar l'assoluta proi-
>ne del fatale liquore. Tralascio le altre più ridi-
cole fiabe inventate dai volghi d'Oriente e poi d'Oc-
cidente, a legittimare od almeno a spiegarsi siffatto
divieto, e citerò le più probabili ragioni addotte da-
gli eruditi moderni, riconoscendo non essere am-
missibile l'antipatia personale di Maometto 0 citila
sua tribù verso il vino, da aletmi addotta a tal ri-
guardo, e del resto rammentando che le descrizioni
del Paradiso, occorrenti frequentemente nelle sùre
'■ane, fanno larga parte ai simposi! del liquore
letto, corrispondono anzi per alcuni tratti ìlle
hanawit ed alle- orgie descritte dagli antichi poeti.
Il Marraccio dunque crede che Maometto, pur imi-
tando nella proibizione del vino alcune sette ereti-
che contemporanee diffuse nell'Asia occidentale (gli
I uarii, i Cataristi, gli Encratiti, i Severiani), vi
si fosse indotto con il line che i Moslemi fossero più
iti e sjH-diti nelle battaglie, ed anche a fine di
r l'enormi spese ni ad approvvigionare
l'esercito di una b cosi cura. Ma più retta-
menti parmi spieghi la cosa il Jacob; il quale, no-
prìmi 1 aca nm 1 al di\ ii to del vino
(contenuto nella sùra II v :i'ii. collegavasi crono-
logicamente con le prime ostilità di Maometto con-
tro i Giudei d'Arabia, e- la proibizione definitiva
della sùra V cade appunto nel perìodo 'li aperta
guerra eli sterminio contro di essi ; intende il di-
vieto come una rappresaglia 0 piuttosto una mi-
sura militare di guerra guerreggiata; misura
rata da due principali molivi: mici n'oiioniico, per
boycottart (com'oggi si direbbe) un traffico il aù
monopolio era quasi per intero nelle mani dei Giu-
dei; l'altro religioso, per impedire che nelle //
vht, tenute per lo più da bc tt oberi giudei o cristiani,
si tacesse propaganda contro l'isiàm e opera di pn
Si litismo in prò delle due religioni nemiche.
IV.
A ogni modo la proibizione qoramica parve agli
Arabi di una severità angustiarne e insopportabile,
non tanto ixer la cosa in sé (che pochi, già vedemmo,
eran tra essi i fortunati, i quali potessero permettersi
il lusso del vino), (pianto per l'idea d'una privaz'n
imposta loro per ragioni ascetiche, a cui tutto il li ro
modo di pensare era assolutamente refrattario. Co-
me mai infatti poteva nella dura e indomita cervice
del beduino penetrar la persuasione che il vino, cele-
brato dai suoi poeti nazionali, stimato dai padri e
dagli avi antichissimi qual incentivo alla virtù, al-
l'onore ed alla generosità, dovesse or ritenersi ci
abbomìnevole trovata dello Shaytàn, o, secondo la
espressione prediletta dei Teologi posteriori, quale
um al kabàir? cioè «madre elei più grandi peccati»?
Dovranno ancor passare ben molti secoli, prima
dalla vita e dalla letteratura venga a poco a poco
cancellata la aspirazione e la lode in onor del vino.
Nella poesia specialmente la descrizione dei simposii
era diventata tanto indispensabile, che si riproduce
tra i contemporanei stessi di Maometto, nei vi
dei suoi panegiristi medesimi. Ecco qua 1 introdu-
zione a una qasìda di Hasràn f. di Thabit in me-
moria della espugnazione della Mecca (anno YIIT
1 maggio 629-20 aprile 630).
« ... Chi mi aiuta contro l'apparizione di una
donna dalle chiome fluttuanti, che mi tien li-
neila notte profonda, che mi soggioga, e che ha fe-
rito il mio cuore d: una piaga insanabile, con una
bocca deliziosa come vecchio vino di Bayt Ras me-
scolato con acquaecon miele? E giacchi'- si fa parola
di beveraggi, essi debbon tutti cedere al buon vino.
A questo noi attribuiamo la colpa, quando abhi am
commesso qualcosa di sconveniente, sia nelle zuffe
che nei litigi. E seguitiamo a bere, e il vino ci fa di-
ventare prìncipi e leoni, cui nessuna pugna spa-
venta... ».
Se l'autenticità di questa qasìda non è molto si-
cura, nondimeno abbiam qui sempre una prova
serva il Goldzieher - - del fatto che la coscienza po-
polare dei primi tempi non era per nulla scanda-
lizzata dal trovar menzione del vino e della ebbrez-
za in una poesia religiosa. I p et i 1 he, o «ne Hassàn,
al Astia, I.ibid. ecc., avevan vissuto parte della 1 r
vita nella Gàhiliyya, nella gaia, spensierata e libera
età delle Barbarie; or, pur piegandosi
la rivelazione di DÌO sul halàl wa haràm. su quanto
lecito e proibito, non potevan fare a meao
di sospirare tratto tratto verso il bel tempo passato,
verso gli anni lontani trascorsi alle corti dei prin-
IL VINO E LA POESIA DEL VINO PRESSO GLI ARABI
m
pi di Gassàn e ili Hira o s. tt" le teiuie di i gì
rosi eroi del deserto, banchettando ed inaffiando il
palato del vino smagliante, che, secondo l'espres-
sione d'uno fra essi, « occupa il dorso e i piedi ».
Si leggano i seguenti versi graziosissimi di un altra
qasìda composta dal medesimo Hassàn:
— Oh con qual comitiva banchettavo io un gior-
ni in Gilliq nel tempo lontano'....
— Essi ilavan da bere a chi venisse a loro acqua
limpida del fiume Baradà mescolata a vin puro ;
— davano a bere vino annoso, e le loro figlie al
mattino non stavano a pestar coloquintidi :
— bianche di viso, dal nobile nome, ben compo-
ste 'li naso, eoli antichi ricami (?)..
— Che se tu vedi aver adesso il mii | per la
canizie mutato colore, e sia divenuto - ..e la
secca biancastra erba thigàm ;
— fu un tempo quando, chi mi minacciasse, ve-
devano pronto e sicuro, come tossi nel castello di
Duma o delitto la rocca di Haykal.
— Già ne ho bevuto vino nelle loro bettole, cla-
retto inno col profumo del pepe.
— Affaccendavasi attorno a me un garzone da-
gli orecchioli col suo calice, e mi mesceva la seconda
volta, mentre non ancor avevo Mutato la prima.
— (Talvolta io gli diceva: ) — Quel che mi hai'
dato e che ho rifiutato, è vino ucciso (cioè annac-
quato) : possa tu morir ucciso ! Or dammene che tu n
sia morto (cioè del puro).
— Son tutt'e due (cioè, vino ed acqua) latte di
spremuto umore (dall'uva O dalla nube): ma or
porgimi un bicchiere di quello fra essi due che più
- i glie la lingua :
— un bicchiere che ballonzoli con quel che ha nel
sui fondo, come ballonzola la cammei la cavalcata
da un che abbia fretta. . .
Questa ed altre tracce del mondo pagano soprav-
vissero ancor per lungo tempo nell'isiàm, or conti-
nuate alla chetichella nella intimità della vita pri-
vata, or camuffate e travestite (attribuendo, p-
sempio, alle lodi del vino nella poesia un semplice
valore storico e tradizionale), ora finalmente Si
nule a viso aperto in barba alla legge qoramica ed
alle disposizioni penali, in specie nell'età (piasi mez-
zópagana e tollerante degli Ommiadi. Non man-
caron casi di chi, messo con le spalle al muro, pref ri
di farsi cristiano anzi che rinunziar pei sempre al
vino: ''osi avvenne del generoso Rabia f. di Umayya
sotto il califfo Uthmàn ; mentre un altro fieri b
duino, costretto dallo zelante Umar a separarsi dalla
propria moglie (sposata nell'età della Gàhiliyya roti
nozze che l'isiàm riteneva incestuose) e smettere di
bere il vino, diceva :
— Per tutto quel che mio padre reputava
giuro: In verità (una religione» che con la vio-
lenza mi separa da Malika (la mia sposa), è una
grande infamia.
— Non mi preme più nulla di quel che il De-
stino apporti, dappoiché mi si pi Malika "1
il vini i '.
L'ostinata caparbietà dei Beduini, assolutamente
refrattari allo ascetismo pietistico dell'isiàm, ci
La Lettura.
ga anche quell'altro cui - fa irati da
Mas' udì nelle Praterie d'oro, di quella tribù che mm
, bevuto vino allorché era permessi . ma dal
■ mento che « la proibizione venne dal cielo » non
,-i ni Fu più uni i hi si serbasse tem] eranti .
I primi calili. Umar (634-644) specialmente, fu
rigidi nel mantenere in vigore il 'Ionie 'l'i
vino, adoperando spi nezzi violenti e punizioni
esemplari. Racconta Jbn Hishàm nella Vita </<
posto (cii di Mai un ilio :
« Umar, emiro dei crei tetto di
Maysàn (presso Basra) Numàn figlio di Adi,
hio dell'isiàm fin dal tempi dei rifugiati in A-
bissinia ; il quale dissi :
— Non e stato uh rito a mia mog < Hasnà, che
a suo marito si m< sce da bere in calici di vi
\erdi 1» c'ali ?
— Quando io ne ho voglia, cantano 'lavanti a
me i capi del paese, mentre una danzati ce sta ritta
sulla punta de, piedi acuti a me canterii.
— Se tu mi sei buon sozio nel bere, mescimi nel
più capace bicchiere, non nel più piccolo 0 slab-
brato.
Forse all'Emiro dei 'redenti dispiacerà di sa-
pere che noi cionchiamo nel diruto castello.
Or quando i suoi versi furon raj id Umar,
[uesti disse: sì, per Allah! che mi spiace; e lo de-
E quando Numàn s'a] : lui. 1 ei
do d'iscusarsi, disse: In verità, io non ho nulla fatto
di quel che hai appreso: l'ho detti si Itanti
io sono poeta, ed ho largheggiato in abbellimenti di
le. Ma Umar ripn se: Giuro per Allah, che tu
non reggerai più una prefettura, finché io viva, dac-
ché hai detto quanto hai detto ».
Questo rigore, mitigato già da l'Ilmann. il terzo
alito, divenne anche più rimessivo sotto la tolle-
rano a degli Ommiadi (66i ;;o>: e i poco
oti Mosleiiii trovarmi facilmente modo di far
tacere i propri scrupoli. In una ica narra-
zione dall'Agoni, il celebre eroe Ami figlio di M
karib. per lare dil : scrupoli dall'animo di
un suo commensale che 1 ber A ini . gli
questo curioso ragionamento: « Sappi dunque che
io In. letto tutto quel che v'e da li Ha prima
all'ultima pagina del sacre Testo ma non hi
ato 1 he vi sia proibito il vini Si
ti : « V 11 vi ne asterrete voi > » (s ra "\ nel
su riportati I. Noi due rispi
ida: Nossij ai re ; a che 1 »io ha
anche abbiamo taciuto. Bi n ssim 1
il suo compagno, ben 1 ier confuti
nero, cantaron canzoni e trincarono sim
si, Uyayna lava dal suo •
questi versi:
Tu hai detto ch'egli è permess
lare i bicchieri ricolmi di un vino scintillante 1
baleno in buia notte.
Tu hai addotto « un
che riconduce sulla re
bene indirizzato.
— Tu sei, per Ti sul celesti
16
242
trono! un buon esemplare, a cui appellarsi quan-
do il bacchi itone ci vuol tratt» ner da]
Con la sentenza di Abù Thaur (cioè di Amr)
il divieto del vino è al ;ato; e la sentenza di Vbù
'! haui importante, fondata su i erta
L'n .ilt r. > poeta bacchico, anche dell'età ommiade,
Abùl Hindi, compone pei sé questo epitaffio:
Una vita morto, fatemi un lenzuolo funebre
di tralci ili vile, e seppellitemi in un torculare.
D nteresse è la notizia conservata nel-
V Agoni di una gaia compagnia di beoni, costituitasi
tra 1 e immedia amente posterii ni a Mai
metto: specie di club goliardico, ili cui < ra socio un
lì^li,. del pio Alm Avvilii .ii \ 11 -i 1 1 11 degenere
ripose un epigramma trinoatorio, tradotto
dal Goldzieher:
Mescimi dunque nel mio bicchiere, e smetti il
biasimo.
Rinfresca le ossa, cui attende, mèta estrema,
la putrefazione!
Che il bicchiere indugi o sia trattenuto, que-
sta i la mi >rte :
Che invece arrivi a me il bicchiere, questa è
la mia vita.
Finalmente, se sotto Uthman era accaduto che il
governatore ili Kuf.t si recasse briaco nella moschea
a far la preghiera del mattino; sotto i caliti Om-
miadi si giunse a tanto, da tenere nella moschea un
vero simposio: e 1" attesta Abùl Mahàsin.
mi sconfinata non fu più possibile,
quando alla dinastia ommiade (661-750) sottentra-
rono gli Abbàssidi (751 1258). La cui caratteristica,
ili ironie allo spiriti > mondano e laico dei loro pre-
ssori, fu appunto 'li ridare allo Stato lo stampo
'l'istituzione religiosa, considerandosi essi come ie-
1 archi, non solo possessori della sovranità politica
ma anche deU'imàmato 0 suprema dignità ilei culto,
successori legittimi e coni limatori ilei l'rofeta, ilei
piale rivestivano la "Binda o mantello, come insegna
ilei potere; e assumevano attributi teocratici, di
chiarandosi « timorosi di Dio » e ravvivando (co-
me dice il poeta Merwàn, del califo al Mahdì) la
sunna (cioè la consuetudine nei rapporti religiosi
undici) del Profeta in riguardo al Ica/o c<? ai
vietalo. Con questo nuovo indirizzo teorico e pratico,
meni logia dommatica prosperava, e- le tra-
dizioni profetiche riferentisi ai pivi minuti particolari
della vita moltiplicavansi. assumendo valor ufficiale
nell'applicazione al diritto il vino e i suoi fautori e-
ran fatti segno alla pia generale riprova/ione Si
ricominciò allora a incarcerare gli autori 'li p
conviviali, mentre al vino anilavasi a poco a poco
iiendo il ■
' non significa che la proibizione qoramica a-
vesse acquistato valore assoluto e<l inviolabile: le
\ Il III R \
proteste dei poeti contro gli arcigni teologi conti-
nuano per tutto il secolo secondo e ter/o, e le lodi
del vino e le descrizioni dei gai simposii rifioriscono
qua e là, meno empie nella forma, ma non meno
vivaci e appassionate. Il più gran poeta ili
questo perìodo, Abù Nuwas (756-810?), se da
ehio diventò pio e devoto, nei suoi begli anni menò
la più scapest rata e dissoluta esistenza 'li gaudi 1
dedito al vino ed alle femmine, ha meritato tra
Vrabisl 1 mi idi rni di 1 » 1 idi nte, per il su. u 1
e l'incostanza, l'appellativo 'li Heine musulmano
Nel suo Canzoniere occupano il primo posto, 1 per
ilisposi/ione e per merito, le poesie conviviali:
delle quali eccome, ad esempio, pochi versi tra i me-
ni 1 scollacciati :
Non rimpianger dunque la lx-lla Hind ; non
t'allietar di promesse. Va bevi in me/70 alle rose il
- liquore.
- lievi la coppa che. quand'ha versato la sua
onda nel gorguzzule dei trìncatorì, infiltra innesti
la sua rosea tinta negli occhi e per le goti
- Rullino è il vino, rilucente come perla è il
calice nelle mani della bella schiava dalla ta
fine e voluttuosa.
Beltà affascinante che ti p'irge a bere e
l'occhio e con la mano. Così tu resti preso ila du
pi ice eKbrezza.
Ma il più indiavolato amatore 1 cantore del vino
fu senza dubbio Alni Mihgiàn. contemporaneo di
Maometto, guerriero e beone famosissimo.
Resosi moslemo -issai tardi, dopo la presa della
Mecca (630), non volle mai saperne del divieto del
vino. Bandito perciò dal califo Umar, egli si rideva
di tutte le pene e di tutte le proibizioni:
— Dammi vino da bere, o sozio ; so ben io quel
che Allah ha rivelato in riguardo al vino.
- Mescimi vin puro, acciò che più grande sia il
mio peccato; giacche solo quando i" lo bevo sen-
z'acqua, il mio peccato è completo.
- Quand'io sarò morto, seppelliscimi alle radici
d'una vile, acciò che le sue barbe nella terra diano a
ben- alle mia ossa.
Ma non mi seppellire nel deserto ; gi;>
colà io temo, una volta morto, di non assaggiarlo più.
E sia irrigata di vino muso come il htlSS la
mia tomba. .
Così la poesia del vino presso gli Arabi, conti
nuandosi per più secoli nell'età moslema, ad onta
della proibizione qoramica, ha il valore di una lunga
e vivace protesta che i residui del paganesimo e della
intemperanza prcislamitica fanno or più or meno
acremente contro l'indirizzo pietistico ed asce)
dato all'isiàm dalli prevalente teologia ed etica
dommatica.
GirsrppK Gaurii li.
'
- SOMMAR IO :
xiomanzi e Novelle. — Beffe della morie e della vita (Luigi Pirandello — Carteggio matrimoniali
Alemagnai — // Fascino (Virgilio Brocclii) — // dramma del poi/" Mi xim Gorki .
Poesia. — Gorgone nova (G. Agenore Magnoi — La canzone di Venezia (Carlo Vizzotto ,
Letteratura e Critica. — Attraverso la Spagna letteraria. I Catalani José Li un Pagano) — La
del secolo XVI e la novellistica anici iure e contemporanea in Italia (Giambattista Pellizzaro).
Filosofia. — Filosofia pratica lE. D. G.) — Dialoghi di Platone tradotti da Rugg ■ Bonghi.
Sociologia. — Socialismo contro socialismo (Giuseppe Zoppola .
Biografia. — Epistolario (Giuseppe Mazzini .
Storia. — Storia d'Italia, dalla caduta dell' Impero romano d'occidente fino ai nostri giorni Licurgo C
— Apostoli e statisti i Frar Cesco Bertolini) — / trai/ali commerciali della Repubblica ri. oca G
— Storia d'Inghilterra dai tempi più remoli ai nostri giorni G. Bragagnolo .
Geografia. — Piccolo annuario geografico e statistico (Giuseppe Ricchieri).
Musica. — L'arie del Clavicembalo i Luigi Albeito Villanis).
Opere varie. — Lo spirilo delle maschere (Giuseppe Petraij — La critiqne miniane et Fra Angeli
Broussolle1.
(Albeito
conn>
appelletti
ino A'ias)
■o ■]. C.
ROMANZI E NOVELLE.
Luigi Pirandello: Beffe della morie e della
vita. (Firenze. Lumachi), L. 2. -- Beffardo, od i-
ronico. od umoristico secondo il significato inglese
della parola, è il Pirandello nell'invenzione e nella
forma di questi racconti ; dove si vede, per esem-
pio, Tommaso Aversa sposare, a sessantanni com-
piti, la vedova del suo amico Giacomo, al quale
rimproverò continuamente di essersi ammogliato
troppo avanti negli anni ; e Liberto Ciurma, che ha
deliberato di annegarsi per evitare la vergogna e il
castigo d'un furto, prendere un bagno di mare ad
invito di Severino Spàtoli ; e le tre sorelle Giorgia.
Soave ed Irene, sempre deluse nella loro aspetta-
zione d'un marito finché si mantengono oneste, otte-
nere finalmente d'essere sposate dopo che ne hanno
fatte di tutti i colori ; e la signora Lana tornare dal-
l'altro mondo, quando la credono morta ma è sol-
tanto addormentata, e andarvi definitivamente quan
do pare addormentata ed è morta. Nel Se... Turno
rismo diventa tragico, poiché Lao Griffi, uccisore
della moglie infedele, perde la ragione pensando
alla concatenazione degli eventi che lo hanno por-
tato fino al delitto, mentre se una sola di quelle cir-
ci stanze fosse mancata, il suo destino sarebbe stato
tutt'altro. Xel Giardinetto lassù, il tono non è più
ironico, ma poetico e patetico ; poiché vi si narra la
storia d'un povero vecchio che si prepara una zoll 1
tutta fiorita di rose, lassù, al camposanto, e vi si fa
seppellire insieme con una creaturina morta ali alba
della vita. Tutte queste novelle sono molto gus
e dimostrano che nel Pirandello, oltre al poeta 1 I»
gante noto ai nostri lettori, c'è anche un elegante
prosate re.
Alberto Alemagna: Carteggio matrimoniale.
(Milano. Baldini e Castoldi), !.. 2. E'proprioun
bel matrimonio, questo del quale l'Alemagna ci pone
sott'occhio il carteggio! Il principe di Pianosa Nepi
sposa il suo figliuolo Fabrizio alla signorina Or-
tensia Galasso, figlia di un appaltatore arricchito,
e pare che sia una bellissima coppia destinata a
vere tra i sorrisi dell'amore e della vita ; quando la
sposa scrive allo sposo una lettera mollo disinvolta
rolla quale gli dice senza tanti riguardi che egli si
unisce con lei per puntellare la sua « antiqua ma-
gione ». e gli consiglia di mandare un regalo ili con-
gedo alla amante, e di non badare alla spesa, ora
che egli sta per essere ricco 'Iella dote di lei, e fini-
sce col proporgli di avviarsi verso l'ignoto avvi
di coniugi da buoni amici, senza soverchia sfv
eia e senza troppe illusioni. Lo spisi le risponde
« da mondano impenitente » che nosce l'arte di
leggere fra le righe, e le di 1 he le ingiuriose lu-
di lei non significano altro che olla 1" ome
marito per obbedire alla volontà del padre; tutta-
via la lettera che ella gli ha scritta, « con la sua in-
genua impertinenza, con la sua franchezza crudele»
è per lui a un impareggiabile documento psio
1 ». perchi- gli rivela, o a traverso l'irrui
\ .'itile, qualche cosa che è al di là della nosl
convenzionale e che la vince in bellezza ed in fa
no ». l'are dunque che egli accetti di sposarla, dopo
[Mesi. 1 lettera, perchè non crede al cinismo della
ciulla e la stima miglii 1
parere; quando, da un altra lettera che egli sci
a un amico, si vede che soltanto la necessità di sai
\iisi dai debiti lo spinge a unirsi con una donna
1 he lo disprezza e che egli stesso disprezza. La nota
ironii ; pesso ne
•Il
LA l 1 [TURA
altri componimenti dei |uali è eonipos
i tti. Fani ropi irzioni
i ensurabili rispetto alla
Form .1-1 tutti notevoli per qualche pregio di
inveì mlmia.
cm: Il 1 I Vi lano, la a Pi
I ì ( Gabriele 1 aui iana, il
protagonista 'li qui nzo scrive versi, é parla
he i |uando deve dire pn sem
plic ne lui, in pi «sia parlano gli
,ilu i , i icocchio », l'in-
verni i la prim | lessa 1 ,ilis dice a I ìa
briele : i Porgete la cop vi isi re palme e cu
te la mia ricchezza ». e Gabriele dice a lei:
volessi ad alcuna imagine Famosa as-
■vi. esiterei ». Tutto il libro è scritto in qu
Pei quel che concerne l'invenzione della
Favola e la psicologia dèi personaggi, diremo che
Gabriele Lauriana è stato ammaliato da una donna,
Clara, « l'inimica », ma, stanco della lunga
rifu pressa i suoi amici
Almaceni, e li s'innamora della signorina Medina,
nuora ili lui. Ma. sul più bello, egli
riceve una lettera 'li (Mara, nella quale l'am
indottala gli annunzia che sta per maritarsi:
bas a perchè, ripn cine ma
Ugni Medina e ti 'ini con ( "la r.i. LTna
rida volta riesce a liberarsene, e sembra che ora
non erra più nessun pericolo e che la dolce
Medina abbia trionfato della perversa rivale; se
non che arriva la p ri nei] ss: 1 ilis, e soltanto per-
somiglia a Clai pera il >w> stessi i
profumo, Gabriele tradisce con [uest'altra signora
la giovinetta pura e fidente. Da ultimo l'autore as
ra chi' il protagonista ha definitivamente vinto
il lascino impuro, grazie alle prediche ed alle
mi del socialista Lorenzo Arzila. Credia-
molo pure i- speriamo che culi non ricada ancora
una volta, Speriamo pi : Brocchi Fao
i ili nuovi Mini stilili creature meno inferme, ili
animo pm Fi u le, n istante i difetti ih
[uesto suo romanzo, egli dimostra ili possi
rime attitudini all'arte narrativa, ed avrebbe soltanto
gno «li r. nella diretta osservazione
• Iella schietta realtà.
\I\xim GORKI: lì dramma del porto. (Livorno.
Relforte), !.. 1,50. 1 la piana versione italiana
apparsa in volume d'uno scritto del giovane e cele-
bre 1 re russo. La scelta è si.ua (elice. Questo
Dramma del porto (nell'originale Celkas, dal nome
del 1 -'a ira i più forti e mirabili
Griska Celkas, il vecchio ladro ubbria
1 ìavrila, il ; narlo
aiutarlo in ui se CI iminose ;
■..ine. lino a quel giorno onesto, vede
".ili che SOnO I rutto 'lei
compito, unte le cupidigie si de-
0 in lui. Allora un dramma, rap uro.
1] .1 'ra quelle 'ine ■ reature uni. me. e non . pos
mostrare, ali 1 producendo qui
on quali tocchi sobri ma profondi l'autore
narra il leni. ito omn uh" 1 il pentimento 'li (ìavrila
sfida sprezzosa 'lei vecchio delinquente. \l
gnifiche som 1 le desci iz i, am u ielle
rvazioni: gli uomini, ilice l'autore, hanno
ti) i treni, i piroscafi, tulle le inarchine, ina le loro
1 rea/ioni li hanno soggiogati, hanno vinta ed asser-
ita la l"to personalità: i miserabili caricatori ro-
vesciano nelle pancie ili ferro 'Ielle navi migl
di sacchi di grano, pei poter guadagnare alcune lil>-
bre 'li quello stesso grano per la loro propria pan
eia... M Dramma del -p Fa eguito una novellina
più breve, ma altrettanto beila, sebbene 'li diverso
re: Emettati Pilai, la storia ili un vagabondo
die aspetta al varco, per accopparlo r derubarlo,
il ricco mercante Oboimov, ma che vede invece pas-
sare sul ponte, presso al quale sta in una
.metta tutta in lacrime e ferma nel proponili
to 'li buttarsi nel fiume per una pena d'amore: al-
lora Emelian Pilai, invece che uccidere e rubare.
conforta la disperata e la riconduce salva alla casa
patema. La traduzione 'li questi ilue racconti, pei
quali Grazia Deledda ha scritto una breve prefa-
avrebbe avuto bisi cata
qu.! e là.
POESIA.
G. Agenore Magno: Gorgone nova. (Napoli, e-
dizione 'Iella «Matelda»), !.. j. Il poeta, rivol-
gendosi a \1iiss.1. all' « Eletta » che ha « ledi
I rolisse », alla « sorella ili Beatrice. » la invita a
udire il m-m che Farà « più terso d'una gemma e
più puro del metallo provato a la fiamma ». Ottimo
è il proponimento, ma questi versi:
è fonte di dolcezza che «la '1 viso
della diva rapiste Voi di Cnido
la strana mi dà sensazione
che d'un tratto la vita mi manchi,
e qualche alito ancora, non mantengono la pro-
i.nss.i dell'autore. Egli ha una particolare inclina-
l'i la stroi i senza rima i sen i ritmo pi.
l Ino. nella quii, i pie che mai necessaria i ■
lenza della Forma, la bellezza delle paiole e delle
immagini; cose che. invece, fanno Spesso di!
in qiie-ti romponimenti. L'autore dice alla sua don-
na: « il vostro sguardo è una caverna immensa.
senza lune, infinita, inesplorata ». ma poi qui
ma senza lume è anche •• Folgorante <\\u\ ful-
l.e \isioni d'un tempo, impallidite.
" hanno una mite ebbrezza » e pan- che « stormi-
scano qual sai II poeta domanda sso :
.. Quale poema di passione vibrante racchiude e
una m. inni" ! rispondi-: « Ella contiene nei
scoi brevi petali un mondo inconcepito ». La forma
è qui prosaica, e non basta la disposi/ione ti] ogra
fica di qtu sic parole a dar loro la cadenza p etica .
il pensiero è esagerato e propriamente stravagante.
Monostante questi difetti, l'autore rivela qua e là
buone disposi/ioni ; se stuellerà, se sarà severissimo
sso, potrà darci qualche saporoso frutto
di ll'ingegno -ii".
I L I B R
245
Carlo Yizzotto: La canzone / I a. (Bo-
logna, Beltrami). — Rivolgendosi a una « violacea
Signora, » l'autore scrive che questa sua 0] era 0 gio
ven ile» è una ispirazione « pallida ed evani nte, sii
(.urne nel silenzio d'autunno una metallica, preziosa
armonia; » è vero che questo SUO carme aleggia
« meno armonioso e soave dei vecchi carmi d'Al-
ceo »; ma è [iure a spontaneo » e la Signora può
pensare ad esso « come all'eco ili una mistica mu-
sica d'arpe d'oro e di gemmati psalterii ». Nondi-
meno, in tutti i suoi carmi, l'autore non trova mai
ula corrispondenza a quello che sento » e non dissi-
mula che ima « cieca inquietudine n si è impadro
nita di lui « mentre io riguardo questo canto e lo
trovo debole e vacuo s'io lo confronto con il poema
dell'anima mia ». Egli rivolge la sua voc he
viene dal mare, e che odora del man» alla Signora
per chiederle se ha fatto bene pubblicando queste
rime. ( 'erto avrebbe fatto bene, volendo pubblicarle,
a lasciar da parte la lettera-prefazione; e meglio
ancora avrebbe fatto se fosse tornato stili opera sua
per correggerne i difetti. Il tema è bello, nobile, va
sto: Venezia, la sua storia, la sua gloria, le sue scia-
gure ; ma che cosa sono quegli « inarchi puri » sui
quali, di notte, vengono «i grandi» e vanno alla Sa-
lute? E l'onda che si perde lontano come può essere
paragonata al «profumo d'una chioma bionda?» E
chi è quell' « immenso » il cui « destino » è vinto
dal 0 rostro d'avida carena? » Chi sono gli «eterni»
che vengono « sopra del colosso che vigila sul ma-
re? » Come una testa può essere « redimita d'odio
e cinta di bassezza?» E i neri alcioni «volano lar-
ghi stormi? » E la canzone « ferma il piumato an-
dare? » A pensarci meglio, è bene che l'autore abbia
scritto la prefazione, perchè ci ha fatto sapere che
l'opera sua è «giovenile» e che la sua Musa, quan-
tunque abbia « le mani ceree e la voce sonora ». è
« ancora piccina ». Easci che cresca, aspetti, studi,
tenga da conto la semplicità, la schiettezza, e le sue
nuove opere non susciteranno, come egli ora teme,
né « sdegni » né « ire ». ma saranno accolte con voci
sempre più « benigne e protettrici ».
LETTERATURA E CRITICA.
Josi Leon Pagano: Attraverso la Spagna lette-
raria. I Catalani. (Roma, la "Rassegna nazionale»,
editrice), L. 3,50. — Come il nostro Ugo Ojetti nel
suo libro Alla scoperta dei lettera!!. COSÌ il Pagano
riferisce in questo volume una serie di colloqui imi
Angelo Guimerà, Pompeo Sener. Giovanni Mara-
gali. Giacinto Verdogner, Narciso Oller , Ignazio
Iglesias. Francesco Matheu, Santiago Rusinol, ed
altri letterati catalani. Alla Catalogna, avverte l'au-
tore. « appartengono tutta la mia ammira/ione ed
il mio rispetto ». E certamente quella nobilissima
regione merita l'uno e l'altra; ma questi sentimenti
debbono far giudicare anche opportuno e lodevole
il movimento separatista che vi si è determinato?
Se la letteratura catalana è fiorente, l'unità morale
e politica della penisola iberica deve essere peri io
smezzata? In Francia, la letteratura provenzale non
ha prodotto ne tentato di produrre questi effetti ; in
Catalogna sì, e il Pagano significa apertamente la
sua simpatia per questi tentativi e questi tendenze.
Non è olii il luogo di discuterle, basici. 1 averi ai
cennato alle intenzioni dell'autore. Il quale, del re
sto, se non fa vera e propria opera di critico lei
i.irio. traccia con molta bravura i profili dei
autori prediletti. Il bel volume è ornato di nitidi ri-
tratti, ma avrebbe avuto bisogno d'una più atti
revisione
Giambattista Pellizzaro: ha commedia del
secolo XVI e la novellistica anteriore e coniti.
ranca ni Italia. (Vicenza, Raschi). L. 2. — L'autore
ha voluto dimostrare che la famosa imitazione clas
sica nel teatro comico italiano durante il Cinque-
cento va giudicala con molto temperamento, perchi
esistono molte relazioni fra le commedie e la produ
/ioni- novellistica anteriore e contemporanea. Molte
di queste relazioni egli pone in luce e documenta,
come pure afaine di quelle che passano tra la no-
vella italiana e la commedia Ialina. Il Pelli//. là
piova di soda coltura lettei iria e di sano crii
critico ; micce però al suo libro il non essere diviso
né in parti, né in capitoli, né in paragrafi: sono
duecento pagine, piene di citazioni, in mezzo alle
quali riesce difficile orientarsi mancando quàlunqu
indice.
FILOSOFIA.
fi. D. ('.. : Filosofia pratica, lettere di un
a suo tiglio. (Rocca San Casciano, Cappelli), L. 2.
- L'autore crede che manchi un chiaro concetto di
ciò che significa filosofia; ma, col desiderio lod
lissimo di fare la luce. 1 Ischia di accrescere l'oscu-
rità; perchè non vuole che la filosofia sia conside
rata come « un ramo di scienza », ma le assegna sol-
tanto « un carattere educativo e un carattere
rico ». riducendo così tutta la filosofia alla mordi-.
che ne è una semplice parte, e confondendo la di-
1 iplina '-"n la sua storia. Per quel clic riguarda il
contenuto del libro, lo scrinile 1 li 1 1 1 n con rada-
mente ai materialisti, l'esistenza di Dio e dell'ani-
ma ; ma non s'intende bene come I .noi ta in
« forza e materia, ancorché questa a sottilissima
al di là di ogni nostra imma n; '
bordinazione dell'anima a Dio, del sentimento u
mano al divino, l'autore vede la salute, e ne! cri
stianesimo, e particolarmente nel cattolicismo ti
la legge migliore. Giudica ' quella
interpretazione della parola di < 'risi- sei ondo
quale bisogna rinunziare ali.
mina quel che l'uomo deve fare dinanzi a Dii
stesso, al mondo interiore, alla diurna, alla I 1
eie,, aii.i nazione, allo Stato ed agli altri uomini
in generale ; ma crede 1 he tutti 1 danni dipend
dall'o im no scevro d'ogni soggezione ad un
autorità spirituale e suprema, sola possibile u nifi
catrice ». Le idei del! lu ore troveranno so en
,■ contraddittori nelle divei 1 noi hi i 1 onten-
l 1, il campo filos >fico . ma egli avrebbe pò
farle meglio valere, significandole in modo più lu
eido. con logica più severa, con forma più •
J |<> i A i.i il i RA
/' I? Bonghi.
Volume X. (Torino, Fratelli Bocca), L. \. Lon
quesi i volume, il qu i iene il / i
" Delia B 1 /, o DelVl 'omo, e il
Carmidc, a Della Temperanza, l'edizione dell'opera
! compimento: mancano ancora sol
tanto l'undecimo <• il dodicesimo volume, già in coi
li stampa ; il tredicesimo ed ultime apparve tera
pò addietro, a i unenti Non è più il caso di
rilevare tutti le qualità che rendono mirabile la ver-
sione del Bonghi. Molti si provarono a tradurre
Platone; pochi vi riuscirono con lode 11 Fiorim-
il Bonotto, l'Erizzo, il Maggi, il ("cinti, che,
tradussero soltanto qualcuno dei Dialoghi, reni va-
ria fi Dardi Bembo diede tutta l'opera; ma
h sua traduzione è intralciata nella dizione, né gode
i di Fedelissima. Pregevole fu quella condotta
mìo V'errai; ma questa del Bonghi l'ha su-
perata ed è in ttittn degna del filosofo, che meriti
i chiamato « 1 ì \ ini >.
SOCIOLOGIA.
Giuseppe Zoppola: Socialismo contro sociali-
(Milano, Cogliati), L. 3. — Per dare un'idea
delle idee dell'autore basterebbe riferire la dedica
del suo libro: « Al Capo della Chiesa e al Capo
dello Stato, che l'amor del bene avrà uniti nell'ar-
monia perfetta tra gl'interessi sociali e l'Evangelo
di Cristo ». Sta in fronte all'opera, dopo queste pa-
role, ed a guisa di prefazione, una proposizione che
l'autore chiama Teorema: « Il socialismo colletti-
vista, 1 di Stato, verso cui ci spinge la tendenza de-
mag' ma, è o ntrario alla natura dell'uomo,
tato si potesse attuare — ciò che è sommamente
d:fri' — e, attuato, mantenere — e questo è im-
possibile 1 ndurrebbe la società, di regresso in
regresso, al [muto donde è partita, ossia alla primi-
tiva barbarie Si giungerà invece al vero socialismo,
degno della razza che a ragione pretende esser qual-
cosa al disi pra dei bruti, ossia potranno un giorno
gli uomini trovarsi costituiti in una sola famiglia.
ontentamenlo ili ognuno e di tutti, se, rispet-
tando la legge naturale della disuguaglianza, sa-
premo, eoli una organica costituzione politilo so-
ciale 1 con un .di' idi ale religioso, ricomporre una
giusta armonia — rotta ora completamente — tra
gl'interessi diversi delle varie classi, la morale di
tutti e il generale progresso ». Per provare la prima
parte di questo teorema, cioè che il socialismo, ci me
i socialisti lo intendono, ,• contrario alla natura,
l'autore dimostra che i falso il principio sul quale
si appi cioè l'eguaglianza tra gli uomini-, ma
poiché, anche ammessa la naturale e nativa diver-
sità degli uomini, i socialisti potrebbero opporre
11 vista del bene comune, dobbiamo vincere la
natura e rendere gli uomini quanto più è possibile
eguali, così l'autore dimostra la difficolta d'attuare
una simile idea e i mali ohe ne deriverebbero. Ri-
11 la disi ; ai la 1 1 mdieii ne
s.iria dell'umano progresso, l'anturi- passa alla
dimostrazione, enumerando gli
mmessi dalla società, rintracciandone le
cause e proponendone i rimedi capaci di produrre,
e a ri 01 di logi a > l'effetto desiderato, cioè un so-
cialismo spontaneo e non già imposto. Il teorema e
il rigor della logica potrebben dan argomento alla
critica di 'ss, ivan- che la filosofia sociale è divi
dalla matematica, e non può esser govei
inflessibili come le algebriche e geometri
se presenta infiniti problemi, i teoremi le som» i-
gnoti. Qualunque sia l'opinione del lettore relativa-
mente alla lesi fondamentale di-Ilo Zoppola, gli ar-
gomenti suoi, come quelli che egli combatte, hanno
lutti un valore relativo; ed egli stesso, da ultimo,
riconosce elle la verità e tale, di sua natura, « che
non può //e// esser da per tutto, e perfino m ll'errore
e nella menzogna ». Ciò che importa è l'esser sin-
ceri, e della sincerità dell'autore non si può dubi-
tare,
BIOGRAFIA.
Giuseppe Mazzini: Epistolario. Voi. I (Firen-
ze, Sansoni, editore. 1902). — Questo primo volu-
me delle lettere di Giuseppe Ma/zini forma il XIX
degli Senili editi ed medili di lui. ed e per noi uno
de- pni interessanti e vivi e personali. Ernesto Na-
than dire benissimo, nell'avvertenza ai lettori, che
' pei li la posterità potesse avere d'innanzi la Vi 1 a
figura dell'uomo, mal conosciuta dal proprio partito,
e forse più di ogni altro grande sfigurato e dimi-
nuito da livori, invidie e calunnie», era necessaria
la stampa dell'epistolario, che nell'insieme verrà a
li miare una vera e propria autobiografia. Le li
alla Sand. alla D'Agoult e. su tutto, quelle alla
madre, già conosciute, non bastavano a far luce
completa. In esse i! Mazzini non rivelava, piti che
per prudenza, per pietà, le infinite ansie e molto
meno la complessa e delirata azione politica. Era
perciò necessario raccoglier molto di più. perchè
« nulla nel suo epistolario, dal più semplice bigliet-
to agli sfoghi più veementi, ne diminuisce la fi-
gura, e tutto, fin le pieghe più nascoste dell'anima.
contribuisce a completarne la Gsonomia e a renderla
nell'aspetto morale ed intellettuale di una perfezione
r; ra negli annali umani ».
L'epistolario di Lodovico Antonio Muratori, di cui
sono usciti din- volumi in questi giorni, riuscirà più
diffuso nel gran numero delle lettere raccolte fra
quante furono scritte dall'insigne storico. Ma sta
invece che. levando gli anni della prima gioventù,
e restringendosi a quelli corsi dall'esilio alla morte,
il Mazzini srrisse almeno tre lettere al giorno, os-
sia, in complesso, verso quarantamila, il che con
durrebbe. se tutte si trovassero e pubblicassero, ad
occupare un centinaio di volumi. In tutti 1 modi la
parte I accolta sinora, supera già il numero di 3500 ;
e che presenti un interes e biografico di pri-
m'ordine, si rileva dal primo volume, quantunque
non comprenda che le lettere appartenenti al 1834,
1 '.invilii però fare la debita lode agli editori per non
avei inclusa ogni inezia, come si è fatto pel Bee-
thoven, di cui si sono pubblicate sino le lettere alla
la\ ainlaia.
I austera figura del Mazzini dalle nuove pa-
gine balza intera nel suo carattere, nel suo sommo e
li i; ri
svariato ingegno, nel suo animo, e nell'alta sua idea-
lità italiana.
STORIA.
Licurgo Cappelletti: Storia d'Italia; dulia ca-
duta dell' Ini pero romano d'occidente fino ai n
giorni. (Genova, Donath), L. 7. — In due eleganti
volumi copiosamente illustrati, l'autore narra (iel-
la gioventù italiana la storia del nostro paese da
Odoacre e Teodorico alla morte di Umberto 1. Non
è, come egli stesso avverte, un'opera critica, ma e-
spositiva ; nondimeno, giovandosi dei lavori d'in-
dagine, il Cappelletti distrugge molte leggende, e
non si attiene soltanto agli avvenimenti, ma si fer-
ma sul loro significato; e non ragiona soltanto delli
vicende politiche, ma anche dello stato della cul-
tura. Razionalmente, l'immensa materia è distribuita
in parti, e ciascuna parte in sezioni, e ciascuna se
zione in capitoli. Il libro si presenta con una ve-
ste che invoglia alla lettura ed allo studio.
Francesco Bertolini : Apostoli e statisti. (Mi-
lano, Hoepli), L. 4. — Il chiaro autore raccoglie
in questo volume una serie di scritti inediti o sparsi
irv diversi periodici, e pertanto difficilmente ritrova-
bili. Xe è venuto fuori, meglio che un volume, un
libro, vario, ma organico. San Francesco d'Assisi,
Roma senza Papi, Milano in mezzo a due secoli
(il XVIII e il XIX), Daniele Manin e la difesa ai
Venezia, Clemente XIV e la soppressione dei Ge-
suiti, l'opera del conte di Cavour e del principe di
Bismarck sono i temi che l'autore svolge magistral-
mente ; a questi studi fanno seguito tre commemo-
razioni : del centenario di Marengo, di Giuseppe
Garibaldi e di Giosuè Carducci.
Gino Arias : / trattati commerciali della Re-
pubblica fiorentina, (Firenze, Lemonnier), Voi. L.
L. 4. — La Lettura diede già notizia di una prece
dente opera dell'Arias, vincitrice del premio della
fondazione Villari : Le istituzioni giuridiche medie-
vali nella « Divina Commedia ». Insieme con quel
libro, la Commissione giudicatrice volle premiare
anche questo che abbiamo ora sott'occhio, nel quale
l'ancor giovane ma già valentissimo autore narra la
storia economica e commerciale fiorentina nel se-
colo XIII, desumendola, nel silenzio dei vecchi crr,
rùsti, in qualche parte dalle opere di storia generale
fiorentina, come quella del Villari, ma principal-
mente dalle fonti inedite. L'Arias ha raccolto una
quantità di preziosi documenti negli Archivi di Sta
to di Firenze, di Bologna, di Siena, e nell'Archivi'
segreto vaticano, e se n'è giovato per rifare dap
prima la storia esterna dei trattati di commercio, ri-
collegandoli con la politica commerciale fiorentina
e con lo svolgimento progressivo delle energie eco-
nomiche, e mostrandone la logica successione e la
importanza nella storia politica della Repubblica ;
indi per esporre la storia interna di ci testi trattati,
il che vuol dire per esaminarne il preciso valore B
ridico e indicarne i principi informatori, ("ome bene
osserva l'autore, le discipline storiche, già minac-
ciate dalla retorica, si ritemprarono nello studio
2A7
delle fonti; ma ora corrono pericolo di indugi. n
troppo. Egli ha saputo et tari questo rischio, fa
rendo del suo libro una vei 1 evocai m
economica fiorentina. Le belle qualità di dottrina,
di metodo, di forma, che resero tanto pregevole il suo
pruno libro, assicureranno senza dubbio la fortuna
di questo primo volume della sua nuova opei
quale è sperabile che presto seguano gli altri.
G. Bragagnolo: Storia d'Inghilterra dai tempi
più remoli ai nostri giorni. (Milane. Hoepli), L. 3.
- Attinta ad ottime fonti, sagacemente ordinata e
lucidamente esposta, onesta Storia d'Inghilterra ha
il solo difetto di essere un poco troppo rapida ; ma
l'autore aveva lo spazio assegnato, e nelle trecento
cinquanta pagine di cui poteva disporre ha fa
entrare il maggior numero di notizie e di commenti.
Di molta utilità riescono le tabelle genealogiche e
rronologiche die la corredano.
GEOGRAFIA.
Giuseppe Picchieri : Piccolo annuario geogra-
fico e statistico. (Bergamo, Istituto italiano di arti
grafiche), L. 1,50. — In un centinaio di pagine sono
qui condensate tutte le nuove noti zie ottenute negli
anni 1900-901 intorno all'astronomia, alla geogra-
fia fisica, alle divisioni degli Stati, alle statistiche
delle popolazioni e delle ferrovie, alle esplorazioni
delle terre ignote o mal note, alle colonie, ecc., ecc.
E' un lavoro di compilazione che, senza pretend
di rivaleggiare con i grandi almanacchi ed annuari
stranieri, ha la sua utilità, e merita d'essere bene
accolto perchè possa essere continuato.
.MUSICA.
Luigi Alberto Villanis : L'arte del Clavicem-
balo. (Torino, Fratelli Bocca). - Nel 1897, a To-
rino, fu iniziata dal maestro Ermenegildo (orar-
ilini una serie di concerti storici, i quali furono ac
compagnati da conferenze illustrai i\ e ili <\ ute al Vii
lanis. Questa è la prima origine del presente volu-
me, nel quale l'autore ragiona, per paesi e per tempi,
a cominciare dall'Inghilterra, e passando per l'Ita-
lia. la Francia e la Germania, fino ai Paesi Bassi,
degli strumenti a tastiera e dei virtuosi che si di-
stinsero nel l'adoperarli. Tra costoro egli ha scelto
(nielli le cui opere più facilmente giungono ni
moderne edizioni sotto l'esame del pianista, e -
ristretto allo studio dei maggiori gru; più
perspicaci sono i tran! della ti- nomia generale. Il
carattere dell'ambiente dove ciascun artista svolse
la sua operosità, le forn 11 imperanti in
ciascun periodo, la qualità dei risultati raggiunti
sono l'oggetto delle dotte e pazienti indagini del Vii
lanis. le quali formano tutt'insieme un notevolis-
simo rapitolo della storia della musica. Per ri:
di metodo, per bontà di fonti, per chiarezza di espo-
sizione, l'opera sua. come ha meritato di essere adot-
tata nel Liceo Manilio di Venezia, così è degna di
ornare la biblioteca di tutti i pianisti e in generale di
tutti i culti ri della musica.
248
i.\ i iri
R E V A RIE.
Pi 1 1. ■ \i : / maschere,
I .-.50. E' un
nnero in ah ii tempi
la scena, ni n si lamente dei maggii 1 1 1 più fa
qual \ , G induia, Meneg
Pulcini III. 1' 5 nche
ili qu • ni;. 1 1 !as
sandn 1 - • Con G Ruz
1 1 ■ utte il Petra narra l'oi
e la fortuna, descrive il costume ed il carattere, ed
enun ili .muri che le incarnar
■ la parte del suo libro egli riferisce una quantità
ili aneddoti curiosi e divertenti, relativi a questi at-
e maschi re: la li ttura ni pi ice^ 1 ile
edistruttiva per quel che concei tea
_ iute volume.
J < Broussolli : /■■ critique mistiquc ci Fra
(Paris, ( 'in lini. L'aub ire, noto e -'unni' 1
per i suoi Pel 'tnibr* e per la sua Gioventù
del P ima ad occuparsi, in questo grazio-
arte- ital ind 1 la fama
iK-l B 1 contro coloro che, coscientemente
irono 0 la denigrarono.
I abbate Broussolle incolpa i contemporanei dell' V
gelico per aver ammirato in lui il santo molto più
ri ir min l'artista ; quesi re della critica mistica,
lunga ito nel corso ilei secoli, produsse
pei conseguenza che nell'Angelico hi discono»
tutt'insieme l'artista e il santi Ma a pi 0 pei volta,
e principalmente come effetto del rinato gusto pei
1 giu-
stizia; e il Broussolle riunisce appunto tutti gli ai
gomi |uali si prova l'eco I lenza della sua
della sua tecnica, ilei sin. disegno, della sua
statica. « Fu un grande artista
egli concludendo. ■ Lasciamo pure la critica nu-
rsi nel celi brare in lui, con una
felicità d'espressione e 'li convinzione, il cristi
piuttosto che l'artista. Ma col patto, almeno, ili per
mettere all'altra critica, qualunque sia il ri
le si dia. 'li spiegarsi a sua volta che, in Fra A
l'ari sta non 1 u inferii ire al cristiano •. 11 vi
lume si chiude con una serie ili note nelle quali l'au-
tore dà prova di larga erudizione e di spre-
giud 1 rio.
li. Li 1 ["ore.
^^V^&g^=*-
fjy--^# #
^RIVISTE
SOMMARIO:
I. : i dell'oro nel paese dello zio Sani, pag. 240 — l'n' oasi d'arte: Castiglione Olona, pag. 252 — L
«rafia dei lampi, pag. 254 — La cura del moto. pag. 257 — L'avvenire dei popoli di lingua inglese, pi
■ _ si può guarire della vecchiezza?, pag. 261 — La guarigione del cancro?, pag. 262 — Come nuotano
animali?, pag. 263 — Fuori della realtà, pag. 266 — Sardine all'olio, pig. 270 — Un Nietzsche cinese, pag. 272
— L'arte della t'usa, pag. 273 — I Dinosauri, pag. 275 — Fra i ragni, pag 276 — Per la redenzione dei de-
linquenti, pig. 279 — La casa della bambola nei secoli scorsi, pag. 281 — La vera « Signora di Monza? >••
. - .
ha fabbrica dell'oro
nel paese dello zio Sam
(Dalla VfeUe WeU).
Presso il palazzo monumentale della Tesoreria
degli Stati Uniti a New-York sorge nella Wallstreet
un doppio edificio rozzo e cadente, che sembra quasi
arrossire de! suo squallore e nascondersi dietro gli
altri fastosi palazzi delle vicinanze. Eppure e>s.
nasconde nelle ciclopiche muraglie tantum, quanto
basta per comperare provincie e regni. E la fab-
btica dell'oro, dalle cui fonderie trabocca poi il vii
metallo, che feconda la vita industriale dell'Unione
nord-americana e che in parte si riversa sino nella
Europa lontana.
Nella produzione aurifera, come del resto in
moltissimi altri rami dell'industria odierna, gli Stati
Uniti marciano alla testa di tutti i paesi, grazie an-
che alla guerra sud-africana che ha interrotta la pro-
dizione delle miniere. Nell'anno 1900 essi produs-
sero per circa 80 milioni di dollari : nei magazzini
delle tesorerie di Washington. New York. S. Fran-
cisco, ecc.. erano ammucchiati alla fine del 1901
più che 540 milioni di dollari in oro. oltre i 630 mi-
lioni di oro monetato in circolazione.
La maggior parte però di tale enorme produzione
si 'leve alfa fabbrica di New York dove se ne la-
vora tale quantità da poter nascondere con quella
In cupola della Banca d'Inghilterra. Da ogni parte
de! mondo e in ogni forma immaginabile pio-,
loro e l'argento in questo palazzo meraviglioso.
Il piombo dai denti umani, la polvere d'oro dal-
l'Alaska, i vassoi dalle credenze di qualche lord in-
glese, le verghe d'oro dalla Rodesia o dalla Cina.
tutto viene lì portato . perfettamente esaminai
Fus senza alcuna spesa pel pn pi etano.
• *•
Per- l'oro si dà in salario un mandato di
mento per la Tesoreria, oppure una risplend
verga d'oro, per l'argento un certificato di vai'
banconota nuova di stampa, oppure verghe dar
,1 il metallo è entrato nell'officina, vien
0 su due bilancie di precisione e ne viene stesa
una bolletta col peso verificato. Messo poi nei ero-
Lavorazione dell'oro.
■
halli: rivisì e
->.>i
giudi e fuso ad altissima temperatura, è v. rsato ne-
gli stampi per uscirne sotto forma di piastre piai
rotonde, che stritolate fra potenti cilindri, passano
a pezzi nelle mani del chimico che le purifica dal-
l'argento, dal rame e dalle altre impurità, produ-
cendo nel fondo del crogiuolo una piccola perla
d'oro. Il metallo è una seconda volta portato nei
forni e quindi precipitato ancor bollente nell'acqua
freddissima per trasformarlo in minutissimi gra-
nellini.
Vien così messo nell'acido nitrico e agitato nella
soluzione. Questa discioglie l'argento e il rame e
l'oro purificato precipita al fondo, mentre la solu-
zione, sottoposta ad un processo elettrolitico, rida i
metalli assorbiti.
Tuttavia il grande lavoro di selezione non è an-
cora compiuto: l'oro è ancora passato tre o quattro
volte per nuovi processi chimici e sol quando è com-
pletamente purificato vien gettato una terza volta
nei forni per mutarsi finalmente in verghe che si
spargono alla conquista del mondo.
Ogni verga misura pollici sette e tre quarti di lun-
ghezza, tre e un quarto di larghezza e uno e mezzo
di spessore con un valore ili circa 8000 dollari. Così
un vagoncino ripieno di verghe pel valore di tre mi-
lioni di dollari non 1 ; pochi no-
mini possono benissimo trascinarlo.
Tutti gli operai portano guanti e maglie sommi-
nistrati dalla direzione: gli abiti la sera ven-
10 ritirati sotto chiave e ogni sabato accurata-
mente battuti per raccoglierne la polvere d'oro in-
filtrata.
I .1 spedizione dell'oro avviene di solito in vi
strette in piccoli barili, ognuno dei quali ne contii
sette ed ha un valore di circa 50,000 dollari. Rai
colti cosi uno 11 due milioni di bariletti vengono por-
tati da una piccola ferrovia sino alla Wallstreel si oi
tati da uomini armati di revolver. Ogni bari lei io
I « -.1 da iqo a 200 libbre e un milione ne pesa 3800:
quindi i 7.082.583 dollari, che la nave « Kaiser
Wilhelm » trasportava or non è molto in Europa,
pesavano 26.500 libbre, il carico maggiore che s a
partito da New York.
E' rarissimo che vada perduta qualche verga di
oro o d'argento: un'unica volta ne fu rubata una
da un vagoncino. Altra volta un bariletto cadde da
bordo nel porto di Cherbourg ma fu subito ripe-
scato.
Tre milioni d'uro in sbarre.
-!.>_'
LA LETTURA
Un'oasi d'arte: Castiglione Olona
Ili un articolo di l-u> .1 Delirami, Della Rassegna d'Arte).
territorio varesini • o f ra i laghi <li
n tutta la regioni
ili. è tradizionale l'attitudine degli abitam
dedicarsi alle professioni attinenti all'edilizia, e a
•iilcrsi nelle altre regioni ed all'estero. Da più
ili ire. liei secoli la tradizione e la storia si accordano
iel ricordare una non interrotta germinazione di
da quei luoghi si diffusero pi i l'Italia e
glione Olona, a pochi chilometri da Varese. Qui
a i .mali//. ne una fase caratteristica nel-
i i el l'arte, cioè quella della vecchia
dizione medievale i he, agli albori del Rinascimi
■ nuovo vigore e raggiunge nuove genialità
primi simi germi dell influì ma. A <
glione, accanto alle più schietti' manifestazioni del-
l'arte lombarda, così festosa nella vivace decorazio-
ne laterizia, troviamo le più genuine manifestazioni
dell'arte fiorentina, come la chiesa eretta dal i
n le Branda Castiglioni nei primi decenni del se
colo XV, esempio ili architettura del Brunelli
tliiesa del Corpo di Cristo. — Architettura del Brunellesco,
l'Europa, < 1 :«•_■: 1 1 oscuri scalpellini e muratori agli
aitisn che col Inru nume illustrarono la patria nei
iti più insigni: dal Duomo ili Milano al
i Mosca, dalla < lertosa ili l'a\ ia a Sa
nopi ili, dal li ili di < orni i e
Mi «za ai palagi 'li Piei n iburgi >, darla <
Miracoli ili Venezia ai Santuari della Sicilia.
Reciprocati uesta terra così prodiga ili c-
• ispitalità ad ariisii di altri n
li, dalle cui opere le traili/ioni locali seppero
trarre continuo alimento. Il que
presenta nel b rgo di C
e gj ii del battisteri i dipinti da Masi
«7/i i secoli ' pi ima i he i i
ila Vinci mettesse a disposizioni l'u
cale 'li Milano le svariate attitudini del prodigioso
Sun ingegno.
Castiglione è, si può dire, un'oasi d'arte perduta
■ nella sem] licita d'un p
iiiatu. oltre il monotono piano lombardo, dalle pri
mi mentali ondulazioni del terreno dovute alle
E alle murene del fiume. O per nn .
biai i llona. Dalle chii
■ xnacoli ai sepolcri, ai loggiati, ai
DALLE RIVISTE
253
ponici, ai camini, dagli affreschi del batl sten
quelli delle sale, Castiglione Olona ci offre .incera
una visione della passata sua prosperila ; una gita
lassù ci fa rivedere un ambiente d'altri tempi i
Finestra in terracotta della casa
del card. Branda Castiglioni.
permette di ricostituire col pensiero la vita d'una
prospera borgata del secolo XV.
Il suo sviluppo e la sua prosperità furono opera
si ecialmente elei cardinale Branda Castiglioni, che
U.ia porta.
ne! 142,5 era stato tenace difensore delle
chiesastiche nei trattati contro gli Ussiti; a lui si
deve l'appello ad artisti della Toscana. Egli, che
volle essere effigiato nel bassorilievo che adorna la
lunetta sulla porta della Chiesa collegiata, dove la
locale tradizione campionese predomina ancora, non
volle frapporre indugio ad assicurare alla sua pre-
diletta dimora le prime mar
scana in Lombardia. La chiesa della Villa è una
vera importa/ione d'architettura del Brunelli
che si contrappone recisamente alle tradì/ 1
cali: la 1 - col fregio di putti reggi
dei festoni — motivo che si vede anche dipinti
battistero di Castiglione per opera di Masolini
Panicale — e lo stipite della porta a fogliami ra\
genti delle ligure di Santi, sono manifesta
rte che non si direbbero, a prima impressione.
dori di qualche decennio alla venuta in Lom
bardia del Filarete e del Michelozzo. La scoi
li cale però non si lasciò - pi tffare dal nuovo indi-
rizzo, e dalla tomba dello sti ida Castiglioni
l'orla della Chiesa di Villa.
3 chiesa collegiata, serbante ancora la tradizione
campionese, alla tomba di Guido < '. nella
-.1 della Villa, che ha tutta la grazia dell'* '
ileo, si vede quanto fosse robu ile la scu
li mbarda.
Lo stesso dicasi della pittura; poiché l'op
Masolino da Panicale, se fu un | ritrito
ato dall'arte toscana alla lombarda, m
citò tanta influenza su quest'ult' a, la quale ne fu
ammaestrata, ma non rinuncio alle site ini rin
quali à, e cioè a
ia nel disegno 1 nel col « eppe resi sten
anche 1 issa influenza di Leonardo.
I )iego Sant'Ar risse sul 25 :<> di Casti-
• ,, presso Varese, una speciale monografia illu-
ita da 50 tavole, dalle quali sono tratti i disegni
qui riproduciamo.
-'•M
LA LETTURA
lia fotografia dei lampi
.l/.i-
(!'■> mi aiticelo del si^. I. Si Lokyec nel
febbraio).
1 lampi, questi brillanti visitatori che sembrano
splendore, sono ottimi pei
la lastra fotografica, e infatti si sono ottenute 'li
scono l'o Fortemente rlie la retina, sta
rial bagliore improvviso, per qualche secondo poi
vede un'immagine nera ove aveva avuto la sensa-
zione 'li un'immagine chiara.
Perciò non si | i !»■ m vedono lampi
mentre invece se ni mi fotografie. Multi si
sono domandati se queste immagini ottenute nelle
pellicole non siami dovute ,i qualche azione chimica
Fig.
molte bellissime fotografie che fissano l'aspetto
torma di quei fugaci fenomeni luminosi.
Di regola il lampo » là un'immagine chiara su un
speciale piuttosto che alla reale comparizione ilei
lampi oscuri. Dei lampi, s'intende, non si |>ossono
ottenere fotografie istantanee, perchè prima che l'o-
2.
i oscuro, ma avviene talvolta che si ottengono peratore, al comparii d'uno ili quei fenomeni lui
grafie di lampi oscuri Esistono i lampi oscuri? minosi, abbia fatti la molla che scopre l'obJ
Prima di affermarlo, bisogna tener conto del fatto biettivo, il fenomeno è scomparso. Ci vogliono t ■ »-
lampi chiari, per la lupi luce vivissima, colpi- tere in posizione la macchina
Fig. 3-
Fig. J.
Fig. 5-
256
LA 1.1. ITI RA
dalla parte ove lar lasciare scoperto I < >l>-
vo per qualche minuta < ira si afferma da
limi che i laro non esistono, che le imma-
iiin il'\ ute a parti-
i effetti chimici : che se si
a della macchina : a immediatam
il lampo s'è verificato, si ottengono sempre
pi luminosi; mentre se, dopo una prima foto
ci ira la pellicola espi sta, la lenua
diffusa e il bagliore dei lampi successivi oscu
rano la prima immagine.
Ma contro questa teoria si può obbiettare che
spesso nel mezzo «lei lampi usi-uri si vede un filo
chiaro, ciò che sarebbe inesplicabile, e soprattutto
si possono opporre le esperienze di lab che
danno fotografie di scintille elettriche alcuni delle
quali tipi ! ' qui. La figura .; dà esempi ili
diverse scintille scure, chiare, e miste chiare e scure.
Riproduciamo anche alcune fotografie ili
ni limali. I ri una (fig. ; |, | resa in < ìermani
prossimarsi di un temporale, i lampi no da
nuvole lontanissime, verso la una. e l'intensità «Iella
i via che il lampo s'avvicina. Un'altra
(fig. 6), in presa durante lo stesso tempi rale.
una pioggia dirotta. La figura i ikt-
chè 'là un esempio ili diversi -inni .li lampi;
n'è uno orizzontale, e una ^| ecie 'li pioggia ili lampi
verticali.
S/nsc/:i Ialiti nera.
Striscia nera con r,^a chiara.
icia mia con larga striscia . hiara
o chiara con bordi se;
Stri sì ni tutta chiara.
Striscia chiara con bardi scuri.
Striscili chiara coti larga striscia scura.
Strisciti latta nera.
DALLE RIVISTE
Iia cura del moto
1 i.i un articolo del dott. ottone Thils. nella Cartenlaube).
Siamo avvezzi a considerare, in ogni grave inalai
lia. la quiete quale un indispensabile mezzo di cura ,
e una antichissima regola stabilisce, per esempio,
che le membra gonfie e indolenzite debbano rima
nere in perfetto riposo, mediante bendaggi, sino a
che ib dolore e la gonfiezza sono scomparsi.
Ma negli ultimi decenni questa regola è stata molto
modificata. Fra altri, dice Runge nella sua ottima
idro-terapeutica: «Come ormai sappiamo, v'ha, per
quasi ogni sofferenza organica, un periodo di tempo
in cui la necessità maggiore è la quiete dell'organo
malato, sia questo il cervello, il polmone o l'artico
lazione infiammata, e poi un altro periodo, in cui
Millanto eccitandone i movimenti, possiamo combat-
tere la rigidezza delle membra malate ».
Questo principio fu. con l'andare del tempo, sem-
pre più confermato ed in molte malattie la quiete
Miniai è riconosciuta dannosa. Specialmente lo si
i distata nel trattamento delle articolazioni lese. Già
molti anni sono intesi dire in una lezione del mio
maestro prof. E. de Bergmann : « Ammettiamo che
un malato, in seguito ad una recente infiammazione
leumatica. abbia il ginocchio contorto e immobiliz-
zato da' dolori. Se cloroformizziamo il malato, ci
riesce facile di muovere quel ginocchio e stenderlo
diritto. Quando poi il malato si desta, egli è. per
lo più, libero dai dolori, benché, invece, prima della
cloroformizzazione, al più lieve contatto del ginoc-
chio, addirittura gemesse. Dunque sono i movimenti
che gli hanno attutiti i dolori. Questo fatto fu si-
nora poco osservato e ancora meno messo a pro-
fitto ».
Sino a pochi anni sono, infatti, il moto quasi non
consideravasi quale mezzo per combattere i dolori
Fio. t.
-\~>7
iigura i ci presenta uno di questi semplicissimi ap
parecchi.
Ho veduto spesso come de' reumatici mettevano
dapprima quasi impercettibilmente in moto, con
questo congegno, il loro ginocchio rigido e indolen
zito, ma poi man mano passavano a de' più forti
movimenti e inline constatavano che potevano muO;
Vere il ginocchio senza più dolore di sena
Perciò anche l'arte medica volle e seppe lare
e generalmente punto quale farmaci per le arti-
moni. Si adoperavano i movimenti soltanto | er ri-
mediare a delle situazioni difettose e, piuttosto che
altro, come un male necessario. Soltanto ne' ti
recentissimi si costruirono degli apparecchi che abi-
litano i malati a mettere in moto, [nasi senza
lore e di loro propria mano, le giunture malate. La
La Lettura.
Fig. 2.
grandi progressi in questo campo. Lo si vede chia-
ramente nel trattamento ili quelle dita irrigidite,
tanto frequenti negli operai in seguito a lesioni me-
diante macchine. Non è remoto il tempo in cui la
loro lana si operava, anche troppo di spesso, se-
condo l'antico principio: se la tua mano ti annoia,
tagliala! Oggi, anche grazie alla legge sulle assicu-
ri zioni contro gli accidenti, ci si va un po' più ada-
gino. Si sono inventati parecchi congegni, co' quali,
a forza di tirarli e stiracchiarli, si rendono nuova-
niente atte al lavoro delle dita, che prima sarebbero
state spacciate. Due anni fa ho curato io stesso un
garzone falegname, le cui dita della mano sinistra,
ni seguito a grave lesione, erano talmente intirizzite,
che poco o punto potevano muoversi, figli si eser-
citò per molte ore al giorno con un mio apparato
(figura 2) e di notte teneva le dita in un congegno
die gliele tirava di continuo. A forza di tenacia
riusci a rendere nuovamente abile al lavoro la sua
ra mano. Certo, ormai, prima di dichiararsi
storpiato incurabile, bisognerebbe guardarsi un
po' intorni si riconoscerebbe allora che, mercè pei
severanti esercizi, anche de" mali cronici possono
talvolta, venire rimo; si, Lo dimo itra, tra alni, il se
gliente casi i :
Un operaio d'età me lia fu talmenl i o
cavallo al braccio che en tamente i a mala pi na
. a sollevare la man posava il bri
su un tavolo e lasciava pendere la ii ani Oltre Iorio
■di quello. Ma nel corso d'un anno la mano, gì
a degli esercizi, venne rimessa in così buono
che quell'uomo è ormai di nuovo un operaio lai.
vu.iiii. 'lei meglio pagati. Nella prin
del trattamento, i muscoli affievoliti potevano a mala
pena tirare mio grammi d'un dinamometro; dopo
il trattamento d'un annone tiravano 8oo. La forza
i j dunque centuplicata. A un signore di cinquan-
tanni lo scrivere riesciva. da quindici anni, sempre
17
258
LA 1.1 I li I \
più difficile, senza che se ne potesse indovinare la
ili »-• ■ l dinamometro ili
he i muscoli del pollice erano assai inde
boli ti. Il pollice destro tirava ben trecento grammi
meno > ì* - 1 sinistro. Con degl ! mesi e mesi
mi riesci tuttavia ili curare quella debolezza,
i he il ii, scrivi [uasi senza difficoltà -il
«una. Simili '-lira del crampo degli
si rittori u de' pianisti non sono più una rarità.
,i e .| rappi due apparecchi
dita.
\ amente meravigliosi sono, invece, i successi
che nelle apposite scuole della Scandinavia si ot-
mo nella cura degli storpiati. E ancora più
coloro, tra questi disgraziati, che
per propria volontà ed istruzione autoctona si ele-
vimi' ad abilità artistica. 11 chirurgo berlinese dot-
tor Joarhimsthal narra d'un suonatore di violino,
alla cui mano destra mancano l'indice e l'anulare.
Malgrado rie'., maneggia l'archetto così bene che
è un rinomato concertista. Unthan, l'eclettico ar-
tista senza braccia, è noto universalmente. Co1 piedi
piglia e maneggia un lucile sì da colpire un alcione
al vola 11 dottor Joachimsthal mi mostrò la foto
grafia d'un giovane di ventinove anni, che in età di
quattro niesi aveva completamente perduto l'uso
delle gambe. In seguito a ciò si abituò a camminare
u- mani I Può reggersi anche sullo schienale di
una sedia con le gambe in aria e gli basta a tale
pò anche una mano sola. Come artista ila ti
'li specialità sbarca il lunari".
Alla vista de molti storpiati, cui si potrebbe ilar
lucilo <li guadagnarsi il pane col laverò, bisogna
imare involontariamente: ah. come sarebbe
dappertutto un gran numero 'li
ei gli stor]ii. come vr n'hanno in Dani-
marca, nella Scandinavia, in Finlandia ! E più
Ik-IIo ancra sarebbe se si avessero scuole, nelle
quali con degli esercizi fisici si prevenissero le 'le
bolezze e le storpiature 'le' sani. 1 anche conside
ratO Ultto rio che. il.inio. si l.l
nelle scuole d'ogni paese, inni , mai paragonai 'ile
alle cure preventive che l'antica Grecia dedicava al
benessere fisico 'le giovani, [vi si considerava ■
proprio corpo. Si designava un noni"
un olio ci dirlo: .. uno che non sa né leggere né
M"lio tempo e molto ilanaro dedicava
lo Stato ill'educazione del corpo e grandi risultati
si conseguivano. Le statue d'Apollo, Menu
I liana stri hi I en glorificavano la gin-
nastica più di tutti i bei discorsi, Naturale.
fatte bellezze 8 vigorie del corpo non si ottene-
vano chi i ghi ' vari es, ri izi. Ma, ap
punto | en io. gli Elleni erano assolutamente avversi
ili e unilaterali sforzi degli atleti . e di
i abile é i In- i >ggi ■ ini si dedichino all'ade
tismi ie pi ino il loro corpo. Quanti
gli" gioverebbero lori i de' razionali esercizi ginnas
II celebre ginnasta svedesi ■ ■_■ era .lei-
mali o ria, nell'Istituto centrale di ginnastica
Ima. si ringagliardì tanto che diresse poi
l'Istituto Stesso per quarantanni, ciò,- sino al suo
"itanta. luesi i generalmente 1" studi" preciso
d'una ginnastica razionale lo dobbiamo agi -
< "a nel principio del si-colo scorso essi, iiiediantt
movimenti ed esercizi de' muscoli, riescirono non
soltanto a diminuire ma anche a distruggere com-
pletamenti' le gravi sofferenze del cuore, de' nervi
e daltre parti dell'organismo. Si cominciava con
de movimenti lievissimi, quasi impercettibili,
passava, man mano, a degli esercizi energici. Anche
oggi l'arte di questo metodo di cura consiste special-
niente nell'ottenere gli esercizi in giusta misura.
Uno dei migliori testimoni de' risultati che se ne
possono ottenere è il noto medico Oertel. salito poi
in gran fama per la cura cosidetta di Schwening.
Egli si trovava già in condizioni deplorabili. Era i
dropico e la respirazione gli riesciva difficile. Cosi
malandato si recò in montagna e accelerando
si mpre più. ma un po' alla volta, il passo e aste
nendosi dal bere qualsiasi liquido, seppe liberarsi
dalle sue sofferenze. Dapprima doveva soffermarsi
ogni dieci passi per prendere fiato, poi. man mano,
potè percorrere lunghi tratti di via e infine ascen-
dere anche alte montagne. La idropisia scomparve
con gli altri guai.
Di non dissimili qualità di spirito d'intrapi
(lenza, di tenacia e di energica volontà fruiva quel
libraio di Lipsia, che soffriva d'asma e inventò,
proprio uso. una ginnàstica della respirazione
lo libere) da quel malanno. Generalmente però
scirà di rad" ai inalati di curarsi <\.i sé, specialmi
perche alla maggior pane fanno difetto la costai
e la lorza di volontà necessarie. Ne sa dire qual
cosa in proposito il celebri chirurgo Billroth. 1
scrisse ottime regole per il li gli affetti
da mali cardiaci, dimostrando con», con delle a-
scensioni in montagna, possono liberarsi dalle lurn
lenze. E intitolò il su" metodo; « cura dei
reno ». Ma quando egli stesso s'ammalò di ■ >
non osservi'' ni TcrrainkuTtn, né le oro.
zioni del suo medico. Vennero poi pubbli'
lire di Billroth. le quali dimostrano quanto facil-
ine del miglior medico nulla possa in con-
seguenza del carattere del malato.
I ..i quiete é generalmente più dannosa ai i
che inni li giovani. E' un fa in rilievo
che di riveliti dal celebre melico Ermanno We
I er di Londra, che. in età di settantacinque anni,
intraprende ancora delle ascensioni in monta-
gna. Intorno ai cinquantanni ogni fatta 'li sin
DALLE RIVISTE
tomi al cuore ed alla testa si mostravano minac
cifisi. Ma con un regolare movimento all'aperto e
grande moderazione nel mangiare, si liberò comple-
tamente delle sue sofferenze. Egli esige specialmente
che ai vecchi si imponga, tratto tratto, una dieta
inulto limitata. Si legga spesso sul letto o sul ta-
volo da lavoro de' malati di cuore il motto: « Uomo,
non t'arrabbiare!» Io credo che, in molti casi, sa
Fig. 4.
rebbe più giusto di usare le parole che Shakespeare
fa rivolgere da Enrico IV a Falstaff: 0 Scema il
tuo corpo perchè, sappi, la fossa si spalanca di-
nanzi a te tre volte più larga che agli altri uomini ».
Non scarso pericolo per la vecchiaia è anche la
binazione de' vasi sanguigni, ma anche per que-
sta malattia — almeno nei suoi primordi — sicuro
e semplice sistema di cura è il moto. Curavo, tempo
fa, un vecchio signore, in cui la calcinazione delle
vene era già molto avanzata. Alle dita del piede de-
stro già si mostrava la cancrena senile, che. come Io
dimostrò il prof. Zoege de Manteuffel di Dorpat.
proviene appunto da quella calcinazione. Ma, grazie
a un moto regolare all'aria aperta e alla modera-
zione nel mangiare e nel bere, questo vecchio si-
gnore potè guarire e mantenersi per molti anni an-
cora capace al lavoro.
Il moto è anche un eccellente farmaco in molti
disturbi degli organi digestivi e nelle malattie dei
nervi. Già da tempo è un fatto ben noto che per
quegli indebolimenti di nervi, che sono la conse-
guenza di soverchie fatiche dello spirito e del corpo.
la calma ininterrotta è molto dannosa. Stanley
scrisse che invano, col soggiornare in parecchi sili
di cura, cercò espellere le conseguenze della sua tra-
versata dell'Africa. Si recò allora ne' monti, obbe-
dendo .1 un irresistibile desiderili di moto. E man
mano i suoi nervi tornarono in ottimo stato. Ma pei
siiiu contro delle vere gravi malattie de' nervi -
quale, per esempio, l'atrofia della schiena dorsale
— si adopera, con buon esito il moto. Un ufficiale sve-
dese, che era affetto da quel marasmo. tu ristabi-
lito siffattamente dal massaggio e dagli esercizi .
da poter riprendere il servizio e marciare ^| esso
1 per venticinque chilometri al giorno. Per ben un
anno però si era sottoposto a questo trattamento.
In Isvezia si fanno . più spesso che altrove . delle
cure cosi lunghe perchè la fiducia nella loro effica-
cia vi è avvalorata da una esperienza di molti anni.
E la costanza, relativa al male che si vuol combat-
259
tere, è uno dei coefficienti maggiori, indo poi che
le cure dei movimenti anche per gli tster
malati d'infiammazioni articolari e 1 bambini storpi
verranno adottate generalmente soltanto quando
i relativi apparecchi saranno semplici e modici sì
che possano valersene anche 1 inalati meno abbienti.
E questi esercizi a così dire « in massa » l. iranno
ottenere tanti e così grandi mi- ressi che spariranno
tutti i pregiudizi contro le cure dei movimenti ra-
zionali.
Ii'avvenipe dei popoli
di lingua inglese
1 Da un articolo di W. T. Stead , nel Cosmopolilan, gen-
naio 1902 1.
L'autore narra le interessanti interviste da
lui recentemente avute con tre uomini dei quali tutto
il mondo anglosassone riconosce l'alto valore e l'au-
torità: Cecil Rhodes, Andrea Carnegie e Hiram
Maxim.
E difficile immaginare tre personalità di carat-
tere e di altitudini più spiccatamente diversi. Rho-
des, il colosso del Sud Africa. In dapprima cerca
torelli diamanti, poi fondatore d'imperi; Carnegie
cominciò la vita quale poverissimo emigrante scoz-
zese ed ammassò poi una sostanza gigantesca con
vertendo in oro il ferro ih Pittsburg; ed Hiram
Maxim, nato negli Stati Uniti, nel Maine, e stabi-
lito in Inghilterra, ove Vittoria lo creo baronetto,
va famoso eoini- il più grande costruttore di stru-
menti da guerra che vanti l'industria anglo-sassone.
Nonostante la differenza di patria, di occupa
/ioni, d'ideali, tutti e tre. parlando dell'a\ venire della
loro razza, espressero uni impressionante accordo
la stessa opinione: che. cioè, riunire in un tutto
omogeneo le dui; grandi famiglie di cui questa
razza si compone, è il più alto dovere che incomba
oggi alla Nazione inglese cornea [uella americana.
Se altia gente di vista ristretta può esitare 1 pei
diasi in questioni effimere, quei He uomini dall'in-
telligenza aperta, dalla larga esperienza, hanno già
sviscerato il grande problema, si può din appena
si ali 1. Eccone in lue1, , , mini.
I .a razza anglo sassi me 1 api, elet-
tivo uno. l'ah ro ereditai ria dui i fiscali:
uno 1 rancamente 1 1
seconda del momento politico. 1 due Stati manten-
gono pure due eserciti. iì\]v marini due corpi di-
plomatici e consolari I ianO, in una parola, ihtr
entità politiche spesse in n . ino
Ira loro, mentri la lingua, la religione, gl'id
morali, la vita di famiglia. I ma
dei rispettivi popoli SOI ' •lalniente identici.
Non solo gl'interpellati furono unanimi nel ri-
conoscere la ne
t agi misn a 1 ro pine sin ine/.
conseguire I" scopo.
Pei giungere alla naturale della que-
stione, essi dicono, occorre tener presente che il cen-
tro d'unità della razza è ormai p da Londra
Jt II I
LA LÈI rURA
a Wì 1 gì ' ii gra\ ita » lopoli
come pei sistemi planetari, ed il fatto Stati
Uniti hanno popolazione quasi doppia dell'Inghil-
terra, fu sufficiente ad operare l'accennato spi
mento. Il Regno Unito sarà sempre la patria dei
popoli 'li lingua inglese; ma esso ha gi
ili essere il si .il quale naturalmente essi
gravitano.
Come l'>nl Roseberj nel suo indirizzo agli stu-
denti dell'Università 'li Già s os-
servava, col linguaggio energico e preciso che 1" di-
stingue, che, se la pazza tirannia ili Giorgio III
non avesse spinto, sullo scorcio del secolo decimot-
tavo, le tredici colonie ami alla ribellione,
In spostamento sarebbe avvenuto insensibilmente,
naturalmente, ed ormai il cervello ed il cuore della
gratp \ : i ne indivisa sarebbero passati senza
se dalle riu- del Tamigi a quelle del Potomac.
Non \i penso mai, il grande finan-
ziere. — senza un acuto senso di dolore. Se la razza
angli» sassone non fosse stata brutalmente divisa
lue dall'ostinazione di quello stupido, la guerra
sarebbe sparita dal mondo ben prima d'oggi, per-
chè nessuno avrebbe potuto tirare un colpo di can-
none senza il nostro permesso, e noi ci saremmo
bene guardati dall'accordarlo ».
Ma Rhodes è uomo d'azione e non di rimpianti ;
egli pensa che quanto non si è latto sin qui, si possa
e si debba fare in seguito. In apparenza, ciò contra-
ili la sua fama di fanatico imperialista ; ma. in
realtà, il suo ideale è più vasto della semplice estin-
zione e conservazione dell'Impero inglese. Questo
non è, ai suoi occhi, la metà di un tutto di cui la
Repubblica americana forma l'altra metà ; e l'Home
Rule irlandesi- fu, secondo lui. il primo alla inevi-
tabile ed indispensabile americani//a/ii me delle
vecchie istituzioni britanniche. Così egli pensa
quantunque naturali riguardi gl'impediscano di par-
lare pubblicamente in tal senso.
Andrea Carnegie è anche più esplicito ed ha una
a visione del futuro. Crede non sia possibile
Ottenere il completo trionfo della democrazia fin-
ché l'Impero ton siasi completamente fuso
nella Repubblica americana. Il Regno Unito po-
trebbe comodamente dividersi in otto Stati, ciascu-
no altrettanto popolato quanto quelli ili Nuova York
e di Pennsilvania ; ed egli già vede vicino il giorno
incui i sudditi dell'altera Monarchia domanderanno
il glorioso permesso di diventare cittadini della Re-
pubblica americana e, mutando nome, diver-
rebbe la Repubblica federale di tutta la stirpe an-
glo-sassoni Monarchia. Chiesa ufficiale
sarebbero releg ricordi di \m periodo scom-
parso, e la grande Na ubblicanamente 01
ganizzata, dominerebbe il mondo.
Hiram Maxim, senza l'orno OHI la fan-
tasia, constata [iure che gli Stati Uniti sono ormai
il centro vero della razza, né vede foi ld ar-
ri- il naturali- processo di evoluzione verso l'u-
l dunque 're uomini tipici sostanzialmente
nvenienza dell'une nel-
l'interesse dell
mondiale, sulla presente supremazia degli Stati
Uniti e sulla necessità assoluta che il gran fai''
compia, prendendo l'America pei centro ed adot-
tando un sistema fedei .ed elastico.
Un giornalista americano, parlando alla sua vol-
ta con l'autore, afferma che l'Unione americana
non sarebbe disposta ad accettare adesso \in'r;
ture dell'Inghilterra in questo senso, la quale sa-
rebbe invece Stata accolta con grande favore ven-
tanni fa. Carnegie, per contro, sostiene che una si-
mile proposta solleverebbe in tutti gli Stati Uniti
\ero entusiasmo, senza distinzione di paniti né di
i lassi s. iciali.
Per quanto riguarda i cugini d'oltre Oceano, l'au-
tore, — che è inglesi-. non si pronuncia : ma egli
■ manda invece come l'idea d'una fusione vei
rebbe accolta dai sudditi di Edoardo VII,
stretto a riconoscere che pel momento l'immensa
gioranza la respingerebbe con orrore e chiame-
rebbe traditore della patria chi i rsene ban-
re. Ma fu questa sempre la sorte prima delle
aidite iniziative che poi finirono col trionfare.
L'autore istituisce un parallelo fra ciò che av-
vinile in Germania nel secolo scorso e ciò che pro-
babilmente avverrà nel mondo inglese nel nostro
secolo venti sano. L'Inghilterra, dice, rappresenta
l'Austria con le sue tradizioni ed il suo conservato-
rismo, in una parola il passato; l'America giovane,
ardita, intelligente e poco scrupolosa, rappresenta
la Prussia, cioè l'avvenire, e le Colonie inglesi sono
i minori Stati germanici che subirono l'evoluzione e
da satelliti di quella divennero poco a poco parte
integrante del nuovo organismo nazionale.
Molti sintomi fanno sperare che l'ideale anglo-
sassone, a differenza di quello tedesco, possa com-
piersi senza spargimento di sangue. Osservando,
infatti . le Colonie britanniche, si vede come già
nella loro organizzazione politica imitino anziché
la madre patria, la Repubblica americana. In esse
non esistono né aristocrazia, ne Camera ereditaria,
né Chiesa ufficiale-, i deputati sono pagati dallo
Stato ed i principali uomini politici pensano ed a-
giscono americanamente. Uniti al vecchio tronco da
tradizioni ed affetti, quei paesi sentono |ktò l'at-
trazione della Nazione giovane ed energica, alla
i ni vita pubblica prenderebbero parte volentieri e
senza SCOSSe.
La tendenza imperialista dominante adesso nella
polii -'■ ti"ii può che affrettare l'evoluzione.
L'Impero britannico sui ' sul mu-
tuo consenso e non sulla forza. Che il risus.
spirito di Giorgio III manifestatosi nella guerra
del Sud-Afrii ed il Can
Australia, tutte le altre ('..Ionie si ribelleranno;
ma. troppo deboli | i sole, passeranno ;
.. poco a far parte della grande Repubblica ame-
i il .ina.
Quella guerra che apparentemente strinse i vin-
i a madre patria e le sue lontane figliuole.
in realtà li ha rallentati irrimediabilmente. La lunga
di un pugn.. .1. Rieri ha convinto il
li no australiano che in casa propria anch'esso
.uro da invasioni straniere e che la fiotta ingle
DALLE KIMM1
2Ó1
non è più necessaria alla sua difesa : e lo spetta-
colo di duecentomila uomini tenuti in scacco da
quindicimila contadini irregolarmente messi insie-
me, non è tale da accrescere il prestigio dell'Im-
pero.
Vi sono inoltre potentissime ragion: economiche
le quali attraggono poco a poco le colonie stesse
nell'orbita americana, con la forza sovrana dell'in-
teresse diretto.
Ora. se tali pronostici non sono errati, se real-
mente la Gran Brettagna è destinata a vedere le sue
maggiori colonie staccarsi da essa ad una ad una
per diventare americane, quale alternativa le res
Già. parecchi anni fa. Carnegie disse che l'Inghil-
terra doveva (i fondersi con la sua minore sorella
sotto pena di passare in linea secondaria, di diven-
tare un'entità relativamente trascurabile negli an-
nali futuri del mondo anglo-sassone ».
Le sue parole suonarono allora offensive ; ma
dato che l'evoluzione sia necessaria, fatale, conclu-
de l'autore, meglio sarà sempre per noi metterci
alla testa del movimento anziché lasciarci rimor-
chiare, e meglio anzitutto tenere costantemente sotto
gli occhi della Xazione questo grande ideale per
impedire che una inconsulta opposizione trascini
prima, o poi le due N'azioni ad un rovinoso conflitto
parricida. E' questo un desiderio degno dell'entusia-
smo e della cooperazione di tutti gli uomini di buo-
na volontà, al di qua come al di là dell'Atlantico.
Si può guarire della vecchiezza?
I Da un articolo delle Lectures pour tous, di gennaio).
In ogni tempo, a dispetto dei pessimisti, gli uo-
mini hanno amato la vita ed hanno cercato o so-
gnato di eternarla. Anticamente, il privilegio della
gioventù immortale fu attribuito agli Dei. ma i
semplici mortali non disperarono neppur essi di
ottenerlo e questa speranza è espressa nella poe-
tica leggenda di quella ninfa che Giove mutò in
fontana, le cui acque avevano la singolare potenza
di ringiovanire coloro che vi si immergevano. Nel
medio evo questa favola continuò ad aver creili!'.
e nel romanzo di cavalleria intitolato Huon de Bor-
deaux, la sorgente magica è rammentata: « Viene
essa dal Nilo e dal paradiso terrestre, ed ha una
tale virtù che se un uomo ammalato beve delle sue
acque, tosto guarisce, e se è vecchio e decrepito,
torna all'età di 30 anni •. Questa credenza era tanto
radicata, che quando Colombo scoprì l'America
non si dubitò che la fontana mirabile si trovasse
nel nuovo mondo, e cercandola un navigatore spa-
gnuolo scoperse la Florida.
Ma nell'età di mezzo, come si cercò la pietra fi-
losofale in fondo alle storte ed ai lambicchi, così
si tentò di comporre l'elisir di lunga vita. Xel 1590
Bacone raccomandò come adatti a prolungare l'e-
sistenza i preparati d'oro, le perle, le pietre pre-
ziose, e citò, come esempio, la contessa Desmonts
arrivata a 140 anni grazie al liquore d'oro. Tin-
tura d'oro, sali siderali, essenza degli spiriti del sale
erano le droghe in uso per arrestare la vecchiaia.
TI cavalier di San Germano inventò il the di vita.
miscuglio volgare e inefficace ili sandalo, di sena
e di limxvhio. 1 1, più tardi, compose I elisir
mediante l'infusione di certe pian l 'he-
valier. nel 1787. pubblicò un libro per insegnar
l'arte di ringiovanire. Oggi noi non crediamo più a
queste cose; ma. rimasto intatto l'amore della vita.
e trasformatosi lo spirito pubblico, si cerca nella
scienza, nella fisiologia, nell'igiene, ciò che un tem-
po si cercava nell'alchimia, nella magia e nella leg-
genda.
I - asi di longevità sono stati studiati ed enume-
rati attentamente, come quelli dai quali dipende il
modo d'impostare la quistione. In un censimento
dell'Italia fatto sotto l'imperatore Tito, narra Svi
ionio che si trovarono 3 uomini ili 140 anni. 8 di
r.35, 6 di 120. 63 di no. Attila morì a 124 anni. 1 n
Inglese, nato nel 1483. morì nel 1651, vivendo 168
anni e vedendo regnare io re. A Cleves, nel 1666.
viveva un vecchio di 120 anni, dalla \
e dai denti intatti. Il dottor Hufeland vide a Re-
chingen, nel Palatinato, un vecchio al quale
denti rinacquero dopo che li aveva tutti perduti ; i
nuovi denti caddero dopo sei mesi, ma altri ani
ne spuntarono. La statistica ci apprende che nel
1870 c'erano in Europa 62.503 persone che ave
vano oltrepassati i cento anni. Al Canada, nel 1871.
se ne contavano 421. A Buenos Aires vive un negro
che ha 150 anni. In Russia, e precisamente in Li-
vonia. un altro vecchio arrivò ai 168. Un Francese,
ufficiale degli ussari, fu fatto prigioniero dai Russi
alla Beresina : internato a Saratov. si diede all'in-
segnamento: impartiva ancora lezioni a 110 anni,
e visse fino a 126 anni. Più straordinario ,'• il
di Pietro Czortan. morto a Temesvar, in Ungheria,
a 195 anni; il suo primogenito ne aveva 155. In
Francia, tra molti casi di longevità (famoso quello
dell'illustre chimico Chevreul), se ne «ita uno sin
irissimo: la contadina dell'Alta Garonna vis-
1 fino a 158 anni, nutrendosi di formaggio e di
latte di capra: il suo corpo, ridotto al peso di 21
chilogrammi, era coperto da una srgamena.
Questi casi provano che. in certe condizioni an-
Oora mal note, la vita può prolungarsi oltre i limiti
ordinari. D'altra parte si sa che la materia vivente
della quale siamo composti, p>>ssiede un potete .li
riproduzione, un potere plastico veramente meravi-
glioso. Negli animali inferiori, nelle idre d'acqua
dolce, questo potere è massimo: se si tagliano in
due. ciascuna delle due metà ridiventa un anin
completo; la coda, le zampe e gli stessi ooch;
tiitoni rinascono tutte le volte elle sono tagliati 0
strappati. Certe parti del cervello si riprodui
si creano una seconda volta, dopo che sono state
asportate. Negli uomini, la fibra logorata dalle ma-
lattie e dagli abusi si restaura ed acquista mi
le cure. Perchè gli organismi
.rati dalla vecchiezza non potrebbero risor(
allo stesso modo? Gli antichi consigliavano a que-
sto scopo bi speciali. Plinio raccomandava
di nutrirsi di serpenti, per I enti hanno !a
vita lunga : altri suggerivano cose più stravaganti.
MI-
LA LETI
l'ile scienziato moderno, un discepolo del Pa-
steur, il dottor Metchnikoff, ha trovato invece un
siero benefico e vivificante, il siero anti-leucocitario,
ombatten Ma, prima '!i vedere
può veramente ci imbatterla, b i sa] ere
in che cosa precisamente consiste la vecchiezza.
La sua pri ma causa è il consumo dei tessuti. Una
macchina, con l'uso, si logora ; altrettanto avviene
della i umana, con questo ili pan in ilari-.
che, mentre la i che va '■"! carbone è I
d'acciaio o 'li ghisa, noi siamo Fatti della stessa so-
i andare il no tro i irganismi i. In altre
parole, siamo come una macchina che fosse fatta
«li carbone. Le cellule dei nostri tessuti bruciano
no e notte al contatto dell'ossigeno portato dai
del sangue, ed il calore, l'energia, la
forza viva prodotti in questo modo, fanno lavorare,
fanno funzionare la nostra macchina. X< >i dovrem-
mo pertai nerircS in questa confi ''ge-
nerale, se non fosse che le nostre cellule posseggono
la meravigliosa proprietà «li rinnovarsi continua-
mente, 'li ricostituire la loro sostanza mano mano
che si brucia e si distrugge. Nel sangue che filtra
attraverso le pareti ili impercettibili vasi, chiamati
trovano i materiali necessari alla ri-
■i/i' in-, materiali che non sono altro se non gli
alimenti passati nel sangue dopo essere stati dige-
riti. Disgraziatamente, questo potere di riparazione
coti lura sempre. Massimo nella fanciullezza, si
attenua con gli anni, e nell'età adulta le nostre cel-
lule non poss. in" far altro che mantenere l'equili-
brio ne il giorno in cui il potere d'assimi-
ne scema e si esaurisce.
\l.i ni il consumo dei tessuti produce la
hiezza : essa è anche causata dai nemici che
sbaragliano e distruggono le cellule organiche. Que-
sti nemici sono le cellule ntacrofaghe, specie di va-
gabondi che vivono di rapina e di brigantaggio.
Esse formano una razza particolare dei globuli
bianchi del sangue. Partono dalla milza e dai ganglii
linfa' ' i dove sono appostate e s'insinuano nei tessuti,
incontrano le cellule sedentarie, le cellule nobili del
cervello, le cellule lavoratrici dei muscoli ; e se que-
ste sono stanche, esauste, mal nutrite, e in una pa-
rola deboli, i macrofagi le assalgono e le divo-
si atrofizzano tutti i
nostri tessuti, le ossa, i muscoli, la pelle.
Ecco dunque il ragionamento fatto dal dottor
hnikoff: durante la vecchiaia, noi abbiamo da
una parte le cellule nobili, che sono indebolite dal-
l'età, e dall'altra i macrofagi che sono rimasti ga-
gliardi e<l aggressivi. Possiamo infondere (orza
alle celluli No: Ebbene: tentiamo allora
di ridurre all'impotenza le loro nemiche, mediante
un siero simile a quelli che si fabbi ntro i
microbi ' E così egli ha fatto: ha preso un pezzo di
milza di cavia — la milza è in tutti gli animali il
feudo dei macrofagi - lo ha pestato nell'acqua,
■ mulsione di n
la pelle di un Coniglio.
Il irto più volte questa mie/ione in modo ila
nar bene il coniglio contro i macrofagi delle
■ avie. e allora ha visto che il sn-ro del coniglio aveva
la proprietà di uccidere, dissolvendole, le cellule ma-
crofaghe delle cavie. Ha poi ril sperienza
in senso inverso, vaccinando delle cavie contro i
macrofagi dei conigli, ed ha ottenuto così un altro
suto valido contro questi ultimi. Ed ecco trovato il
siero .uni leucocitario, il sien. contro la vecchiaia...
dei conigli e delle ca
Se anche questi sieri si potranno iniettare etti
cacemente nell'uomo, la vecchiaia non sparirà ; per
che saranno bensì .list rimi i macrofagi, i nemici
delle cellule nobili ; ma queste continueranno fatal-
mente a stancarsi, a estenuarsi, a logorarsi. Vecchi
eravamo, e vecchi saremo. Ma la scoperta del Metch-
nikoff non ;• perciò meno notevole; è un progresso
della sieroterapia, e potrà condurre a nuove ap]
cazioni di questo metodo.
Ita guarigione del eanepo?
(Da un articolo del dott. Caze. nella Revue).
Iniziata dal dottor Rutchins. della Carolina del
Sud. la cura del cancro mediante i raggi Roentgen
avrebbe dato ultimamente risultati straordinaria-
mente felici al dottor John E. Gilman, professore
all'Accademia medica di Chicago. Questi ha aiTer-
n ato al corrispondente d'uno dei maggiori giornali
di Nuova York (YHerald) che. sottoposti alla cura
dei raggi una cinquantina di infermi, ha ottenuto
altrettante guarigioni. Un suo collega, il dottor Wel-
dor, ha riconosciuto che almeno in due di tali casi
gli effetti della 'tira sono stati veramente insperati.
Il Caze non crede di potersi pronunziare sulla
reale efficacia d'un metodo tanto recente. E del re-
sto, dato che i raggi X. traversando i tessuti cance-
rosi . li distruggano radicalmente, con questo la
guarigione non sarebbe ancora assicurata. Il cancro
e uno sviluppo morboso spinto all'estremo: i
siiti male organizzati si alterano e riassorbono in-
fettando tutta l'economia organica. Distrutto e por-
tato via, il cancro rinasce, sempre pronto alla i
diva. La sua distruzione mediante i raggi Roentgen
equivarrebbe quindi ad una asportazione chirurgica.
dopo la quale non si può garantire che il processo
morboso non ricominci.
Ad ogni modo, se la forza benefica che si attri-
buisce ai famosi raggi è dubbia, non è inverosimile.
Misteriosi per la loro origine e per il loro modo di
azione, questi raggi hanno una strana potenza, e
una loro nuova applicazione promette di sconvol-
gere totalmente la scienza della elettricità. La
presunta energia salutare può essere tanto più fa-
rjlmente messa alla prova, quanto che, se non fanno
bene, non fanno male certamente.
Ed a proposito della nuova cura del cancro, I
' da parecchi medici inglesi un'osserva-
zione che non manca d'interesse. l'are che la
vrabbondanza del sali- nell'organismo sia una delle
cause che producono questa diatesi. L'abuso della
carne, e per conseguenza del sale, sarebbe quindi
gravemente punito nelle classi agiate, tra le quali
i r. i la più str
halli; rivisti-:
263
Come nuotano gli animali?
(Da un articolo di Rob. Bunsow, nella I!
L'uomo, studiando il nuoto, si iirni.it' ad e-
sempio, come è noto, l'umile rana ; ado] era le brac
eia, come una specie d'ali, per non sommerà
mentre l'impulso propriamente detto gli è dato dalle
gambe.
Il mammifero, che viene a trovarsi in acqua, si
comporta in modo essenzialmente diverso. Nel nuoto
fa i medesimi movimenti che nel camminare, sol-
tanto alquanto più forti e perciò gli animali sono
niente inetti a reggersi nell'acqua, e se vengono but-
tati in acqua in età di quattordici giorni, mi-
niente vi affogano. Le loro madri lo sanno tanto
bene, che durante l'allattamento portano la |
dove non giungono le ondate del ma
re. Mr. YV. D. Elliot, che meglio conosce i cani
marini, osservò che. benché nati in luglio, non si
trovano mai in acqua prima della meta di sei
bre. e che anche allora sono straordinariamenti
bili e si stan sai presto. Soltanto alla fine
di settembre anch'essi si trovano nell'acqua proprio
in casa loro.
Oltre ai cani propriamente detti, sono quelli ma-
rini gli animali che meglio si addomesticano con
Martora nuotante.
per lo più nuotatori migliori e ili maggiore resi-
stenza che non l'uomo, il quale, nuotando, ti.
sempre in posizione non naturale.
Il suo abituale incedere non lo rende idoneo a
nuotare, mentre gli animali non hanno che da o
nuare ne' loro movimenti consueti non soltanto per
■r nuotar bene, ma anche per poter, oltre a
portar gravi pesi. E persino certe tribù, che da se-
e forse da millenni, debbono tutto il loro si
tamento al nuoto, come per esempio, gli iso-
lani del Pacifico e del Pitecirn, i più valenti nuo-
tatori del mondo, che vivono con la pesca delle
perle e delle spugne, non mostrano alcuna modifi-
cazione delle membra, che li renda più adatti a
miotare. né lasciano traccia alcuna dell'arte loro in
rata nei loro discendenti ; anche questi debbono im-
parare a nuotare proprio come « i topi di terra-
ferma « e soltanto il prolungato esercizio ne Fa dei
maestri nel nuoto. Xegli animali, ove si l
ne di alcuni mammiferi e specialmente de' cani
nielli, delle scimmie, delle giraffe e de lama, le
vanno bene altrimenti. Essi nuotano senz'altro
appena si trovano in acqua e si affili - o alle
' mie con la massima fiducia, sin che. in un lungo
viaggio, debbano attraversare un corso d'acqua o
sia che vi siano costretti dai loro persecutori.
imo un po' i migliori tra i mammiferi nuo-
tatori: quello della famiglia delle foche /'
I piccoli della foca comune (Ph >ia) sono
si può dire dalla loro nascita ottimi nuotatori. Li
ho visti, nati appena da uno o due giorni, seguire
le loro madri nel mare più grosso evi si trovavano,
pare, assai meglio che in terra. La lontra di mare.
invece, che. probabilmente, discende dall'orso, e che
è nota per le preziose pellicce, dette Sealskin, o il
grande e grigio cane marino {Halichserus Gryfhus)
sono, nelle loro prime settimane di vita, assoluta-
l'uomo; ma nella loro maniera di nui reifi-
cano assai dai primi, e come le balene elle, gli è
pure non sono pesci, ma mammiferi, nuo-
tano a m : sci. Fanno con tutto il loro corpo
de' movimenti ondulatori, quali sono permessi sol-
tanto a degli animali i cui corpi, come quelli
pesci, soni." in tutta la loro lunghezza, in perle!;..
lui., I piedi, a foggia di pinne o di coda.
vengono da loro usati soltanto quale timone, ma
non per spingersi innanzi o per retrocedere. E così
Cane marino nuotante alla superfice e sotto acqua.
nuotando, la loro celerità è tale che se ne videro
di quelli che in sei minuti percorsero 1650 metri e.
in questi, trattemi.!., misero soltanto tre volte la
■ fui ri d'acqua per respirare. Si muovevano
dunque sott'acqua e contro corrente con una velo
.ita ili venti chilometri all'ora.
A mia convinzione, i nuotatori più rapidi
pari tempo, più costanti, sono, tra i mammiferi, i
delfini, che trastullandosi nuotano presso ai I
itici, percorrenti trentacinque a qua-
ranta chilometri all'ora.
Subito dopo i elei tini vengono, come valenti nuo-
tatrici, le lontre, che cominciano a diventar rare,
2U | LA LETTI RA
tani s i he se ne l a nella loro patria,
l'Alaska, 1 già .^r.m cosa si- un buon 1
nr piglia tre in tutta la mi Il noi issimo ne
di pellicce Bmn 'li Trondhjem, mi 1 •
Iti ■. che, nel 1899, 1 k i una sola
miferi, eh 1 ratto si affidano ali ai
i|ua. non possono imitarli. Quando si inseg 10 col
battello Cervi, buffali, maiali od altri animali
tatisi a miutu in un corso d'acqua, si vede che
ino la loro salvezza in una rapida fuga, ma
cJE
'
Scoiattolo a nuoto.
pelle 'li lontra, ebbe seimila marchi da un gran- mai tuff andosi sotto l'acqua o immergendovisi di più.
duca rnssii.. . I ng de'più imperterriti nuotatori è il martora
Fra i mammiferi, che vivono principalmente sul- Ne uccisi una volta uno nel lago ili Sternberg
rraferma, min v'è miglior nuotatore dell' orso viera). mentri-, enti un piccione in bocca, nuotava
9
Lepre nuotatore.
nuota per delle distanze enormi e tra la spiaggia e l'isola delle Rose, dove, a quanto
ridato d'ogni parte da' ghiacci e dall'acqua pare, aveva la sua tana, e da cui. per provvei
freddissima, mentre, come si sa. abitualmente il di cibo, doveva recarsi a predare, più volte al gior-
freddo è il peggior nemico del nuotatore, l'n con- no. in terraferma. ..
Istrice a nuoto.
ladino irlandese vide un enorme orso bianco giun
dal mare alla eosta. elle, dal più prOS
bai li ghiaccio, distava per lo meno 11-
chilometri !...
i' ii mammiferi, che rimangono gran parte
della loro vita in ai |ua, 1 1 — n< 1 nui tare a pi
loro, poi n'I'i assai fuori dall'acqua o coperti
■ 1 intente da 1 mella, meni re gli ali ri n
Interessantissimi come nuotatori sono poi i topi,
i roditori in genere, tra cui, nuotatori per eccellen
za. i castori. I topi in generale nuotano a perfe
/ione, e quelli che dimorano sulle rive sono in
fìdenza con l'acqua tanto quanto i loro cugini
: 1,1. l >egli scoiattoli ne ho intesi 1 1 ni tre d'o
genere • in tutti 1 sensi, ma io stesso, avendone
veduto uno che traghettava, come niente fosse, un
DALLE RIVISTI
265
nume largo venti metri, gettai in acqua uno scoiat- mirabilia. Ve n'hanno che saltano in acqua da una
tolo mio. Dapprima sembrò che non vi si trovasse altezza di quaranta piedi.
affatto a suo agio e fece un paio di salti in aria Che i rinoceronti e gli ippo] otami sono dei plon-
come per scappare, ma ben presto si mise a mio- ^curs e dei nuotatori di prim'ordine, lo sanno tutti.
tare e cm tanta velocità, che feci fatica a ripren- Meno noto è che in : nelle Indie devono at-
1
Leone a nuoto.
derlo e riportarmelo in barca. Durante il nuoto la traversare a nuoto ogni santo giorno dei larghi tiu-
testa e le spalle stavano fuori d'acqua, mentre la mi e trasportare gravi carichi da una riva ali altra,
parte posteriore e la lunga coda rimanevano im- L'elefante tiene, nuotando, la testa sino agli occhi
mersè. nell'acqua e ne sporge fuori la proboscide.
Elefanti indiani a nuoto.
In modo ben diverso nuota la lepre, che tiene a
stento la testa fuori d'acqua e sporge invece le co-
scie col cosidetto « fiore » bianco-nero. Io credo che
il lepre sia il peggior nuotatore fra i roditori, ma
non. come alcuni credono, anche il più pauroso.
Ho visto io stesso una bella lepre, che. inseguita
da tre maschiotti, si gettò nell'acqua, benché fosse
mezzo coperta da lastre di ghiaccio, nuotò impavida
tra queste, giunta a riva si diede una scrollatina e
scomparve nel bosco, mentre i tre galanti rinun-
ciavano alla doccia e se ne andavano lemme lemme.
Anche tutti i ruminanti, eccezion tana del cam-
mello e forse della capra sei- no buoni nuo-
tatori e vanno in acqua senza farsi tanto pregare.
Animali mezzo acquatici sono gli elei. Anche le
renne, che sporgono fuori d'acqua soltanto la te-
sta, sono buone nuotatrici. Nei circhi si vedono di
frequente dei cervi rossi che. come nuotatori, fanno
f
Kangnrn nuotanti-.
Le manovre di cavalleria ci dicono quanto buoni
nuotatori sieno i cavalli. D'abitudine, soltanto la
266
LA LEI !
e dall'acqua. Anche i maiali, sia domi
che selvaggi, sono ottimi nuotatori. Il porcospino
e il pipistrello sembrano non è vero? assolu
0 del Capo in acqua.
nte inetti al nuoto. Eppure io ne ho visti che
■in a addirittura prodezze. E il por-
Cavallo a Quoto.
pino si bagna anche per un altro motivo : entri
nous: per liberarsi dai molti e troppi insetti che lo
io. Anzi, per metterli ben bene in fuga, fa
persino concorrenza a Tuffolina!
■ •MI»" ■ —
Puofì della realtà
Come abbiamo promesso ai nostri lettori nel fa-
llo precedente, riassumiamo il seguito dei curio-
■ ii del Sfatiti nei quali Giulio Blois e-
samina ancora la quistione «Ielle scienze occulte e
riferisce le opinioni di uomini come il Sardou, il
il Bourgi
Il satanismo.
ti nino un'inten ista dal
bre romanziere Joris Karl Huysmans, au
■ li [.ii lì a \. COmpetentissimO intorno al satanismo. I
fenomeni satanici, per lo Charcol i pei tanti altri
studi elle mal nervose, si riducono a feno
di suggestione; ma l'Huysmans crede che vi
sia qualche altra cosa. Quantunque abbia dichia-
he egli si occupa del satanismo soltanto sotto
l'aspetto religioso, pure ha confessato ili avere as-
sistito, in altri tempi. he fermamente
isero demoniaci i Un mi ■■ • |uasi un
i nella vita ori linai ia, è difi
• -.i ha, in certo qual modo, delle finestre, degli
spiragli verso l'Invisibile. Oli uomini li aprono
occupandosi di occultismo, di spiritismo
imo. Se il diavolo a capre,
io ». Il Blois gli ha obbiettato che tutte
ih ile potrei be pur darsi chi i la
e che pi l'avveni
1 i imanziere ha risposti >: i Lo
fa □ altro che mettere a portata
dei portinai la possibilità del Di là. E' stato in-
ato ad u mo delle anime intime. Il
Diavi i" ha sentito che il materialismo perdeva ter-
reno, quindi ha cambiato giuoco. La sua suprema
malizia è arrivata a far dire ai suoi che egli non i
Il fatto Solo di negare il | liavolo e una pi
che -i ' in sua balìai.. E l'Huysmans rammentò il
0 del poeta Ei luardo 1 lubus amico suo e del
Blois divenuto demoni.!. .. . pazzo per Colpa delle
' he di Stanislao de ' ìuaita e morto
vittima di quelle pratichi Gli spiriti evocati dagli
occultisti », ha detto ancora l'intervistato, < non pos
s ssere altroché demoni. Ma il vero satanismo
è il satanismo religioso. Si è detto che io diedi, in
Bas, indicazioni tanto violente da sembrare sospette.
Che errore! Erano semplici zuccherini» Ed aperto
un vecchio baule, egli ne ha estratto documenti sui
quali il cronista del Matin sorvola. Sorvoliamo an-
che noi su certe circostanze che quest'ultimo riferi-
sce, e ricordiamo soltanto che, a detta dell'Huy-
smans, ia messa nera si celebra nel quartiere d
d romanziere abitava un tempo, in via ili SèvreS.
Chiestogli se vi assistette qualche volta. l'Huy-
smans ha risposto evasivamente, dicendo che nel
suo n .manzo En mute. Duri al se ne confessa. « Molti
particolari che io ho riferiti seno stati presi dagli
archivi di Vintras, eretico eloquente il quale compi
molti prodigi diabolici -, Molti preti hanno giudi-
calo che nelle cose narrate dall' Huysmans vi è e^
sagerazione e vera invenzione ; il romanziere ri-
sponde che. se non altro, il furto delle ostie dimo-
strerebbe che vi è chi compie pratiche sacrileghe e
sataniche.
Le seienze psichiche.
Passando a un ordine di idee meno repugnante,
il Blois ha chiesto una relazione sullo sialo presente
delle scienze psichiche a uno che le coltiva in aran-
cia con grande zelo e con molta autorità. Si tratta
del colonnello de Rochas, matematico e tisico di va-
glia . amministratore della Scuola politecnica, il
quale sarebbe già da più tempi» generale, senza i
pregiudizi che hanno fatto mal giudi, are le sin- ri-
cerche nel campo spiritico. Il Blois ha ] reso parte.
da dieci anni ad oggi . a tutte le esperienze
del colonnello, specialmente a quelle compiute col
famoso Diedi//»! Lina, le quali fornirono notevoli
risultati rispetto alla esteriorizzazione della sensibi-
lità e alla suggestione musicale. \Y1 salone del de
Rochas si riuniva una numerosa e scelta compagnia:
scienziati, attrici, ufficiali, giornalisti. Indù; e tutti
sentivano, in mezzo a \m rei u/io. il venti-
Cello fresco prodotto dalle uscite del corpo astrale,
i .Mie lana si doleva di dover rientrare in
e rivivere sulla terra, come se realmente fosse pat-
tila per qualche regione dell»
1 o che cosa scrive II colonnello ile Rochas al
giornalista: rammenta dapprima fenomeni
della suggestione verbale siano oramai ammessi da
tutti: cioè conie. parlando a certe persone, in certe
circostanze, si possano determinare in loro ceni
impulsi ai quali esse difficilmente resistono, i ■
DALLE R1VIS
267
sta suggestione determina non soltanto effetti mo-
rali, ma anche fisici, specialmente sui nervi sensi-
tivi e motori e sulla circolazione sanguigna. Molto
più raramente si produce la suggestione mentale.
cioè semplicemente pensata, e non formulata con le
parole; ma i ciarlatani la imitano con artifizi più
o meno grossolani. La suggestione musicale, cioè
il risveglio di sentimenti determinati mediante frasi
musicali e l'espressione automatica coi gesti , è
stata finora studiata solo col medium Lina. Quan-
tunque il numero delle esperienze fatte sia ani
troppo piccolo, il de Rochas afferma che i sensitivi
di questa specie non sono tanto rari quanto si po-
trebbe credere. L'esteriorizzazione della sensibilità
D nsiste nel fatto che certe persone percepiscono le
azioni meccaniche esercitate a qualche distanza dal
loro corpo come se fossero state esercitate sul loro
corpo direttamente. La cosa -1 svolge cime se co-
teste persone emettessero delle radiazioni le quali .
fuori del loro corpo sensibile, ricevessero le
impressioni come le 1 icevono interiormente i nervi
sensitivi. Questi fenomeni erano stati accertati da-
gli antichi magnetizzatori, ma costoro non si erano
reso conto ilei processo. Benché oggi i fatti sii
stabiliti in modo irrefutabile dagli sperimentatori.
la Scienza ufficiale esita ad ammetterli per la sola
"ile che contraddicono le teorie in corso sull'a-
zione dei nervi. Alcuni soggetti asseriscono di
dere gli effluvi sensibili a guisa di nebulose più 0
meno splendenti. Nella sala dei dispacci, al .l/<z-
iin, sono state esposte delle fotografie istantanee
del medium Lina prese alla luce del magnesio dal
Gheuzi, direttore della Nouvelle Revue . dal Gai-
lhard. direttore dell'Opera. Le strisele luminose che
vi si scorgono nettissime sono dovute alle emana-
zioni di Lina, fortemente esteriorizzata ed esaltata
mentre ballava una habanera cantata dalla Calve
e accompagnata al pianoforte da Paolo Vidal? E'
difficile rispondere dopo una sola prova.
C'è ancora l'esteriorizzazione della forza motrice,
la quale si avvera quando alcuni soggetti, rarissimi.
riescono a muovere gli oggetti vicini, senza con-
tatto, col solo sforzo della volontà. Il de Rochas
non dubita di questi fatti, dopo le esperienze fatte
da Daniel Home e da Eusapia Paladino. Finché
questi movimenti non erano ottenuti senza contatto.
si potevano spiegare con la teoria dei piccoli movi-
menti incoscienti. Oggi questa non basta più. e nel
caso dei tavolini giranti senza contatto interviene
una forza ancora non definita. Cotesta forza, in
certi casi eccezionalmente favorevoli, può produrre
in una persona la ripercussione di un'emozione vio-
lenta provata a distanza da un'altra persona: la
qual cosa costituisce il fenomeno della telepatia.
Finalmente, dice il de Rochas. sono stati osser-
vati con abbastanza frequenza la vista degli organi
interni, l'istinto dei rimedi e la vista a distanza,
uomini di alto valore, come il marchese di Pu\>
gur. il capitano d'artiglieria Tardy. il generale del
genio Xoizet. il dottor Bertrand, il dottor ("harpi-
gnon, ecc. Oggi si osservano più raramente. Il de
Rochas non ha potuto trovare nulla di molto con-
vincente, tranne un caso di vista a distanza vera-
niente straordinario, con la signora Lambert. Du-
rante più di 6 mesi, essendo addormita magnetica-
mente, ella ha visto, in tutti i particolari della vita,
un uomo che ne lei né il de Rochas stesso conosce-
vano, un ingegnere che in seguito a gravi rovesci
di fortuna, non aveva più dato r Pei
mezzo di un oggetto che gli era appartenuto e
I ' 1 has ] 1 se in man" alla I ,ambert . costei lo
ritrovò nell'America di S ede il nome di
città e degli alberghi dove iveva success
ornato, leggendoli sui muri delle stazion
nei i-anelli, e indicò perfino i ti;. .li dei giornali
i.i nelle mani di lui. Il de Ridia- verificò che
quelle città, quegli alberghi, quei giornali, di cui
ella non aveva la minima idea quando era desta, e
mente; ma quanto al personaggio, le
informazioni assunte non corrisposero a quelle d
dalla Veggente. Vi fu qui. dunque, soltanto una se-
rie di sogni concatenati con logica perfetta e pre-
sentanti, sopra un fondo immaginario, dei partico-
lari esatti dei quali è molto difficile spiegare la |
venienza.
L'opinione del Sardou e della Holmes.
! 1 1 come Vittoriano Sardou sia spiritista con-
vinto: il Blois non poteva, naturalmente, tralascia-
li di rivolgersi anche all'autore di Rabagas. Nella
•ala dèi dispaivi del Maini gno
.ito dal Sardou nello stato di medianità <■ rap-
mante la casa ili Mozart nel pianeta ('.
Questo disegno, compito in pcx-hi istanti, con l'in-
coscienza assoluta del medium, è firmato o Bernardo
Palissy ». e quanti lo hanno visto lo stimano un
vero capolavoro di fantasia leggiadra, degno del
grande artista che lo avrebbe tracciato per mano
del commediografo insigne. Quest'ultimo, all'in-
chiesta del Blois. ha risposto: «Sono stato dei primi
a studiare In « spiritismo « fin dal suo inizio — una
cinquantina d'anni addietro - e sono passati 1 dal-
l'incredulità allo stupore, e dallo stupore alla convin-
zione. Mi occorrerebbe un volume per rispondervi.
Mi restringo a mandarvi il risultati! di mezzo secolo
d:oss I fenomeni materiali osservati nelle
piti rigorose condizioni d'esame non sono più 1
il e per la più gran parte sono inesplicabili
nello stato presente delle nostre I im-
possil onoscere, in un gran numero di casi.
l'intervento d'una intelligenza estranea a quella de-
gli operatori, non consistente ne nella pi
né nella risultante dei loro prnpri pensieri; è im-
possibile ere, nella produzione di certi
nomeni, l'azione di esseri ■■ ei quali r
difficile precisare la vera natura M domai
se credo alle material;: Naturalmente,
che ne ho ottenute io ■ medium
-petto ancora che mi si spieghi per mezzo di
_ iota forza psichica. 0 di qua
della quale io dovrei essere in una volta lai;
il testimone e la vittima, una mano invisibile ha
potuto lasciare sulla mia scrivania un mazzo di
bianchi che ho serbato per anni line!,
in polvere... ».
Il Blois si è poi rivolto ad Augusta Holmes, mu-
208
LA LETI
gno, Mini nata del-
del i Montagna d'are e dell'Inno
a Eros. EHa gli ha he, tre anni ot mimo. >i
iva in casa d'un'amica la quale era piena del
rdo del defunto Ambrogio rhomas. Sapi
che la Holmi s si occupava di spiritismo, la padi
di casa la pregò di evocare appunto l'autore della
\on. E, proceduto all'evocazione, 1" spirilo del
0 im] -i manifesti ■ i Ni in eri
. .1 per comporre le grandi opere che voi
Il mio ver i genei leg-
Pertanto il mio capi ilavi irò è il Par-
hiere della ssi verso i 2: anni.
\l 0 distrussi più tardi per non nuocere alle
mie altre opere ». Orbene, la Holmes, che non aveva
parlare di questo lavoro giovanile del
Thomas, andò il domani presso l'editore del gran-
ile maestro, e gli chiese se questo aveva mai com-
■ un Parrucchiere della Reggenza. Fatte le op
: he nei libri dell'editore, si trovò che
la Casa editrice aveva appunto stampato un'opera
intitolata, del Thomas, ma che questi aveva
• rinato che 1 5seio le tavole liiogra-
!... l'n altro frequentatore della casa dove ap-
parve lo spinto del Thomas, in preda alla media-
nità, si sentì posseduto dallo spirito di un altro ce
lebre compositore : Cesare Frank, già maestro della
Holmes: ad un tratto quest'ultima vide apparire
sull'orlo ilei proprio abito una/alca rosea. « E' il
vostro vecchio maestro |uello che ne la invia... »
udì dire. La musicista lavorava allora alla sitilo
nia d'Andromeda; lo spirito le disse, sempre per
bocca del medium: « C'è un errore nella seconda
1 arte, ottava misura, secondo violino ». — 0 Errore
i copista? » domandò la compositrice;
e lo spirito: « Del copista ». Tornata a casa, la
Holmes si lece dare la partitura, e scoprì al posto
indicato un errore del copista, che le era sfuggito.
M 1 queste non sono le sole cose strabilianti ac-
< adute alla giovane e già celebre maestra. Ella ha
narr.c* al Blois d'avei visto una tavola da pranzo
25 persone, così pesante che parecchi servi do-
no mettersi insieme per cambiarla di posto,
sollevarsi per effetto d'una forza invisibile tino al-
l'altezza delle spalle di lei. Una rosa intrisa di ru-
lì per lì. e caduta nel suo piatto. E-
^pre-so il desiderio che un'altra r. s.i fosse infilata
all'occhiello di uno degli astanti, ella ha visto il
apparire immediatamente al posto
designato. L'na volta la forza occulta ihsse che era
lo spirito del duca di Fionsac. « Ebbene ». esclamò
la Holmes, 1 sari, ben contenta di chiacchierare
VOi. Sedetevi vicino a me n. ["OStO una sedia.
si trovava in un angolo del salotto, fu traspor
tata vicino alla poltrona di lei. Ella avi va sulla ta-
vola il bicchiere ani disse: 1 Bevete,
mio I ! Otto i S propri O chi il vino
disparve, bevuto da uni bo 1 invisibile. 1 no
'■ori. volendo burlarsi del fenomeni 1,1
d duca di Fri I un impostore: l'imprudente
fu n ! • gioia, e ben pestato. . .
'is ha chiesto alla sua interlocutrice se elfi
■ qualcuno degli ,; nel
linguaggio ''.egli spiritisti) dell'Invisibile. Ed ella
gli ha mostrato le reliquie del /)/ la: una peluria
biam ève, piovuta sul suo abito dopo che ella
disse agli spiriti, durante una .seduta: ■ Io vi a-
1110 1 . . » ; un pezzo di carta con dentro una 1
di capelli castani mezzo grigi, apparso tra le sue
dna e appartenente — secondo disse la voce del
medium - apo boero Luigi van Steten, preso
e ucciso dagli Inglesi; una statuetta presenta
improvvisamente tra le sue mani, di bruttissimo .1
Spetto e di stile asiatico. A proposito di quest'ili-
inno apporto, la Holmes ha detto ehe le enei
messe in moto nelle esperienze spiritiche non sono
sempre buone e benefiche, la qua! cosa giustifiche-
rebbe l'opinione della Chiesa sul satanismo. Mi.
tutte le volte che il fenomeno minaccia di divenire
pericoloso, basta alla Holmes fare il segno della
pei arrestarlo. Quanto alla spiegazione di que-
sti fatti, escluso assolutamente il ciarlatanismo —
perchè la compositrice vigila continuamente — l'o-
pinione di lei è che noi siamo circondati non
soltanto da disincarnati , come credono gli spi-
ritisti, ma da esseri vivi che non possiamo
vedere . ma che ci vedono e spesso si diver-
tono a metterci in mezzo. Sarebbero una specie di
umani invisibili. Vittor Hugo era di questo stesso pa-
rere. Un giorno, a Jersey, gli portarono un secchio
d'acqua marina, nel quale egli immerse la mano
senza trovarvi nulla; rovesciatosi il secchio, e spar-
sasi tutta l'acqua, egli vide in fondo al recipiente
una piccola piovra. Era tanto trasparente che nel-
I acqua non si poteva vedere. Esseri altrettanti tran-
slucidi all'aria debbono esistere intorno a noi...
Lettere di Giulio Clapetie e di Giovanni hoppain.
Il redattore del Matin si e rivolto poi a Giulio
(laretie. il quale, incontrato in altri tempi il in
Eliphas I.évv. ed essendo amico dello Chat'
scrisse il romanzo Jean Mornas, nel quale sì occupò
da precursore dell'ipnotismo. L'opinione che egli
professa oggi intorno allo spiritismo è molto cauta.
« Lo spiritismo è potente ». scrive egli al Blois.
per mezzo dell'illusione. Consola i vivi fa
creder Ioniche i morti ritornano. Sembra una porti
dischiusa sul mistero, il mistero grande ed eterno
che dà le vertigini al genere umano. Esso ha la sua
poesia, irresistibile come ogni poesia di sogno. Vit-
tor Hugo », — conferma il Claretie, — t vi cn
va, fermamente. Si evocavano gli spiriti a Gueme
sev ; nelle lunghe sere del nero esilio. Hautevillc
House si popolava di fantasmi. Il coraggioso e spi
ritoso Dumas; Dumas padre — sì. D'Artagnan in
persona — credeva al magnetismo, come suo tìglio
alla chiromanzia... lìalzac. con Ors<>l<: Mirouet e in
altri libri, cadde in pieno magnetismo... In altri
tempi. la magìa era una semplice curiosità di do!
non er.i una moda come Oggi. E lo spiritismo non
va da certi singolari cenacoli. Poi uno scienziato
come 1 Irookes ha dato la sua autorità a coteste fan-
tasmagorie, e gli spiriti creduli possono rispondere
con un'apparenza di ragione a coloro che lente
rannodi negare lo spiritismo; 1 evocazione d'un
fantasma i forse una COSa più incredibile, più ir-
DALLE RI\ [Sì I
ìealizzabile che la lettura dell'interno d'un corpo
umano, per così dire, attraversato dai raggi Roenl
gen?... — Ed ecco il punto. 11 volge confonde vo
lentieri con la scienza le fantasie o le illusioni degli
spiritisti. Le ammirevoli ricerche d'un maestro come
Charcot non hanno nulla di comune con le facezie
d'uno che mostrò gli spiriti picchianti, ma la folla
giudica altrettanto straordinari i fenomeni della Sal-
petrière, i miracoli della Lourdes scientifica, i|iianto
le visioni degli evocatori di fantasmi. Sono due or-
dini di fatti diametralmente opposti : i primi osser-
vati da dotti, i secondi accettati da compari... »
Come si vede, l'amministratore della Comédie Fran-
gaise non ha molto fede nei medium ; ha esperi-
mentato con la celebre Eusapia Paladino, e non ne
è rimasto persuaso. Egli non nega però tutto, si-
stematicamente. « Credo, infatti, alle forze ignote.
Ma gli studi della Salpetrière mi sembrano più con-
vincenti che non i misteri dello spiritismo. Ciò che
ho visto di più chiaro, in conclusione, negli esperi-
menti di Eusapia Paladino, è stata la scatola me-
tallica, con musica, che mi colpì presso alla tem-
pia... » Egli ammette però la telepatia, e ne ad-
duce un caso tradizionale nella sua famiglia. « Ho
dei, presentimenti e delle superstizioni, come tutti
gli altri uomini, e una delle mie tradizioni di fa-
miglia è l'apparizione, o piuttosto il rumore dei
passi dello zio di mio padre, a Nantes, nel mo-
mento in cui, capitano della Guardia imperiale, egli
cadeva ucciso a Wagram... ».
Il romanziere Giovanni Lorrain è stato più espli-
cito. Ha detto di avere abitato una casa, in via di
Courty, la cui atmosfera era una gelatina di cultura
di forze tanto invisibili quanto malefiche. « E' vero
che allora ero in preda a strani turbamenti nervosi,
che attribuivo all'etere, del quale sono gran bevi-
tore. I terrori e le angoscie di cui ero allora vittima
li ho narrati in un libro. Sensazioni e ricordi, e li
ho particolarmente descritti nel capitolo intolato:
Racconti di un bevitore d'etere... Le mie notti
erano atroci: il silenzio della camera era rotto da
rumoii di passi: vi si camminava sui muri, le tende
si aprivano tirate da mani invisibili, le porte si
schiudevano da sole, anche quando la camera era
al buio. Quando era illuminata, dei piedi nudi ap-
parivano sotto le portiere, delle mani di donna u-
scivano dalle cortine. Dovetti andare all'albergo e
lasciare quella casa; ma. dopo che me ne lui ari
dato, l'affittarono a un vecchio celibe, il quale, in
sei mesi, vi impazzi e vi si uccise... ».
Intervista eon Paolo Bourget .
Il Blois ha poi ottenuto un colloquio col celebre
romanziere psicologo, la cui fama è univo
Quantunque avverso alle interviste, egli ne ha ac-
cordata una al redattore del Mettiti, grazie all'im-
portanza dell'argomento intorno al quale questi vo
leva interrogarlo. E l'autore di Mensonges ha di
che. per la vita ordinaria, di tutti i giorni, noi uti-
lizziamo appena una ristretta parte della nostra
persona morale, appena la scorza dell Ve. Esistereb-
bero, sopra, o meglio sotto di noi. delle forze
splorate ed oscure come l'Oce: Queste forzi
sono manifestarsi a un tratto e rivelarci l'avvenire.
\ inazione è possibile. I t coi ni Ila lei
tura di cause non pi ima corte. « Noi arrh iamo
così al soprannaturale, o piuttosto al sopramior-
male. Sono stato condotto a concepire questa ti
dopo le due sedute che tenni in america con la vi
gente Pipers. Metter Ile sue mani, m'entri ella
-i era addormentata da sé. un piccolo orologio da
viaggio: ella seppe dirmi di chi quell'oggetto era
stato proprietà, cièche faceva in vita il suo posses-
sore, e in ciir lo mori (suicidio per immersioni
in un accesso di pazzia). Non potè invece nominar-
mi esattamente il paese nel quale questo suicidio
avvenne. Nondimeno mi descrisse con notevole
esattezza d quartiere che io allora occupavo
a Parigi, in via di Monsieur ; me ne disse il
piano, menzionò una scala interna che metteva nel
mio scrittoio, li vide, sul muro, un oggetto che
parve stupirla e che descrisse senza poter dire che
cosa fosse: era un pezzo di sarcofago egizio che
un amico mi portò dal Cairo e che era appeso sulla
porta. Vide anche un ritratto sul caminetto, e lo
prese per un ritratto di giovanotto. Era la fotogra-
fia di una donna che portava i capelli tagliali corti ».
Questa Mrs. Pipers è stala esaminala dalla So
cietà di ricerche psichiche di Londra e d'America,
la quale ha concluso che in molti casi le rivelazioni
della Veggente non si possono spiegare se non
l'intervento dei morti che comunicherebbero diret-
tamente con lei. 11 Iiourget crede anch'egli alla so-
pravvivenza dell'anima umana; ma qui, ha detto,
« non si tratta di scienza, bensì d'un articolo di
fede ». E nelle sue novelle intitolate Neflunevalt <■
X Avversano (la prima nel volume Voyageuses, la
seconda nei Recommencements) ha narrato casi di
presentimenti e di premonizione. A lui personal-
mente è accaduto di prevedere la morte di Luigi
( hapron, suo collega. , hroniqueur parigino. Un gior-
no il Bourget era col Maupassant, col quale doveva
recarsi all'Ospedale di Loufcine. « Sono ancora
soli,, I"mi| ossi, me ». disse al Maupassant. d'un SO
gno insopportabilmente intenso : ho visto Luigi Cha
i ron a{ izzante, l'ho visto morire, ed ho visto le
conseguenze della morte, la discussione sulla sua
ifUzione nei giornali, le circostanze dei lune
i ali. eco >,. Il Maupassant gli domandò: " Sapi
L.ome „•■,:> „ — « E' dunque all'inalalo;-' » riispo i
Bi urgel Lo Chapron era infatti morente, e il
Bi urget non ne sapeva nulla I au -le di Bel Ami,
i miuiiqiie volesse spiegare naturalmente qui
onfessò pei conto su,, al Bourgi I ì turba
menti che egli stesso provava. « Ina volta su d
tornando a casa, vedo me s', so. Vpro la poi
: vedo sedie -ailla ima 5o I hi una
allucinazione. Nello ti - e:- nento in i ui I hi
I ,n si av.sse due diti
, no,, si avrebbe paura »... « II M u]
allora aveva la in,
, onclude la rvista di,
La scienza umana e la ragion,- hann
mjti mi I »a molli e molti anni il pi
lra nplatori della vita umana . lo Sha
tre, I,., proclamato: Vi si no più cose sul i
non ne s, gni la nostra filosofia ».
-7"
LA l.KTTl KA
Sardine all'olio
m articolo di Cari Eugen Schmidt, nella H I
In certe date epoche, sempre quelle, li
dine fanno la l< t> > comparsa, in quantità cucirmi —
adetti a banchi » sulle coste spagnuole e
francesi dell'Oceano Atlantico. Mentre però i pe
■ti della Vandea pretendono che i « banchi »
dal Sin! e si dirìgono verso Nord, i pe-
ni dicono che l<- sardine giungono di-
I l'alto mare, cioè da < tecidente, vera i
la costa e scompaiono poi nuovamente in lineila
;a direzione. Anche intorno alle cause, che in-
ducono le sardine ad emigrare, un anno o parecchi,
per pni ricomparire improwisamenti a miriadi.
nulla si sa ili positivo. Or sono dieci anni i ban-
chi di sardine — che quei pescatori chiamano « la
manna dei Brettoni » non si fecero vedere, per
<\ur ii tre annate; la popolazione litoranea ne fu
rovinata, immiserita ; il Parlamento francese no-
minò commissioni e delegò dei relatori a studiare
la questione sul pos M i questi onorevoli relatori
dovettero constatare semplicemente che i pescatori
■ nini sapevano a quali cagioni attribuire la loro
sventura. Le sardine non venivano più: questo era
certi'- Ma perchè? Non potevano più, nemmeno,
sciaguratamente, consolarsi col dire : « vattel' a
i ! »
Improvvisamente però, mentre gli omei si face-
vano sempre più acuti e più disparati i commenti,
l< sardine ricomparvero e in quantità tali quali a
memoria din mi" non se n'erano vedute. Ce ucraini
tante i he i fabbricanti, temendo un ribasso di pi
e una diminuzione di guadagno, si dichiararono
solidali e decisero di non e imperare più sardine
dai pescatori. Innumerevoli candii di barche pe-
si gettar a mare. Le sardine un irte non
covarono alt 'i consumatori che le Iure consorelle
vive. E così vanni' le cose per la pesca delle sar-
dine: un anno troppo, un anno niente. L un'indu-
stria che, per quest'incertezza del raccolto, rassomi-
glia alquanto alla viticultura!
Quando degli esseri viventi — siano essi arin-
ghe n formiche, sardine od... uomini, vivono
Mitne a milioni, si danno una certa costituzione,
SÌ . leggono i loro funzionari superiori ed inferiori.
m muovono secondo de' piani ben determinati. I e
m n'ito delle sardine, per esempio, talvolta avanza
in larga falange, tal'altra in lunga catena, e se-
condo che le circostanze del momento impongono
|uesto o |uell'ordine di marcia; iver l'aria
d'un romanzo, ma è la pura verità quanto pe-
scatori scandinavi, olandesi e francesi raccontano
unanimamente intorno alla disciplina dei banchi di
atinghe e di sardine.
Questi eserciti di pesci compaiono nel mese di
maggio sulle coste della Francia e vi si trattengono
sino a dicembre e gennaio. Ma la pesca cessa, in ge-
nerale, già alla metà d'ottobre e ad Ognissanti tutti
i batteli sono già messi in secco. Quelle loro •
l'ir mettere ad essiccare le sardine.
DALLE RIVISTE
-'7'
Le sardine vengono messe in scatola.
dette sardiniere. che si formano nei porti di Con
carneau. Belle-Ile e specialmente di Douarnetie/. cen-
tro della pesca brettona, sono noti, da alcuni anni,
a quasi tutti i Parigini. Ci pensano i pittori che,
d'estate, piantano a migliaia le loro tavolozze nelle
piccole città di quella costa e nelle primavere suc-
cessive mettono in mostra al Salon i risultati della
loro pesca... artistica. Perei., tutti hanno un
abbastanza precisa de' battelli di pesca e de' pesca
tori, delle loro reti, i loro remi e gli altri loro ar-
ni si. Si sa anche che i nuovi battelli pescherecci non
vengono, all'atto del varo, battezzati con dello
Sciampagne, come i grandi piroscafi, ma con del-
l'autentica acqua beni li e da autentici pri ! Ed
è noto pure che nelle lunghe serate d'inverno le
donne brettoni siedono interno al fuoco del camino
non per filarvi come le nostre avole, ma atti
servi le reti per la prossima stagione.
Un battello da pesca è lungo dai trenta ai qua-
ranta piedi ed è munito ili due grandi e di tre pii
cole vele, delle quali la più presso a poppa porla il
nome, che della gente irrispettosa affibbia talvolta
al maestro di scuola: semplicemente.., tufecul.
Oltreciò ogni barca pescheravia è fornita di vari
forti remi, necessari per le manovre durante la pe-
sca. L'equipaggio conta dai cinque agli otto uomini
e -oliali'," nelle barche piccolissime e formato dai
quattro indispensabili: il padrone o capitano, il bri-
gadiere ossia il marinaio, il novìzio 0 marinaio '!
seconda e il mozzo, ragazzo dai dieci ai quattordici
anni. Il resto dell'equipaggio è spesso formato ili
contadini del paese el„. dui ini i i impagna di
pesca, accorrono ai porti e s'improvvisano pesca-
tori.
I n:i volta i baiteli nevano al risi
loro padrone, ma adesso la maggior parti- è di pn
prietà delle fabl n iche, che ] no le sardine
in scatola e le mandano pel mondo. Ce ne vuole
prima che un semplice pesi i annate, io-
me cosa sua propria, una I
mila i ranchi !
Uno dei più interessanti spetta < ili è quel
ci presenta, nel giorno di San Giovanni, il braccio
di maree ireau. 11 parroco dell'isola di Gì
si reca in quel giorno, rivestito de suoi paramenti
sacerdotali e igli altieri del gonfaloni
di lì isola, dove
tutto il popolo s'imbarca e veleggia alla volta del
vicino continente. E di là \ '■• ■ »■ il parroco di
i con la | barche di Larmor, < I '\re e
Louis. A metà via del braccio di mare le 'lui-
flottiglie s'incontrano. I due parroci salgono sul me-
) - >
LA 1 ! [TURA
battello, >ul quale sta anche una
altarino, ["utte le altre barche si pigiano intorno
a quell'ara nati nt< l te si scoproni i e da
i gole, giovani e vecchie, sale la pregh
fra le mani de maschi, mentre a tutte le altre
operazioni avei ani < atteso le donne.
Naturalmente, quando si i in piena stagione di
pesca, ferve il lavoro nelle fabbriche. Ed è un in-
olio nelle scatole.
de' marinai. l'Ave Maris stella. La benedizione so-
lenne, da parte de' due preti, compie la poetica ce-
riia.
\l i le sardine all'olio hanno anche — e come!
le loro vicende prosaiche. La lunga rete rettan-
viene resa allettante per le sardine mercè
una poltiglia, detta gueldre, mista di molluschi e
di pesce. Ogni manina le barche escono alla
marina e ogni sera, se non prima, tornano al porto.
La pesca viene ti isti i messa in ceste e venduta fresca
al mercato o, nella sua maggioranza, portata alle fab-
briche. Ivi. quasi tutto il lavoro spelta ormai alle
donni- Esse tagliano la testa e tolgono le interiora
ai pesciolini ; li lavano in acqua salala e li depoti
• in una specie di rete, per asciugarli col bel
<iì sul tett' il ibriche e, se il tempi i è cai
tivo. in apposito locale, dove l'aria è sempre
che sieno le sardine, vengono messe
nell'olio bollenti- ; e di là si traggono ben cotte pei
venire disposte in quelle scatole di latta stagnata,
che tutti io '• che nelle maggiori fabbriche
vengono lavorate in proprie officine, tn queste sca
tole ufi e numero di sardine, si
si passano poi alla saldatura del
Do] di che si mettono a bag
ni.-ll .!• |ii,i Imlli-ntc. Li- M-aiolf che. uscendone, non
mfie, non sono buone a nulla, e inette
all' espor ono pur quelle che . \
rimangono gonfie anche do] i nella ter
•a normale v da applicare le e-
buone e impaccarle in casse di
- i i tornare le
\oro pittoresco... per chi lo guarda, ma che, a quan-
to pare, mette anche di buon umore i lavoratori.
Le allegre risate, i frizzi di quelle centocinquanta
donne, de' dieci o quindici ragazzi e de' l'orse venti
uomini, che formano la maestranza d'una fabbricai
E la maggior allegria la desta, a quanto sembra,
la decapitazione de* pesci. Povere sardine!
Un Nietzsche cinese
Nella Revue bianche il signor Alessandro Mar
parla ili un filosofo cinese che presenta molti punti
.li analogia con Federii o Nietzsi hi si chiam
Lao i sé > he significa II vecchio fa ill<
I ii maestro ili Konn I sé . che noi i hiamiamo
Conf ed era un laflsico cosi prol
do che Confuc ledesimo confessava ili >
e invilii. -i in che a metà. Si risse, press i
al tempo dei pr filosi i intonazione del
filosofo cinese, dice l'articolista della Berne, si
corda e [uella del Nietzsche; Lao-Tsé vatic
con oi in splendore, non senza una ironia
i apposta per esasperare iiuelli i he
credono ili essere in possesso dellu scien/.ii \i si
trova la desima distinzione di uomini ai
e di uon ri ari la li i coi ed
ni imo, del perfetto che dice l" sono diverso da
tutti . ma ii I" ii he un Ite lutta la sua sui
b i ntelletl naie a poi i e i urne un assoluto l i
indi) idualità, 1 1
ii discepoli : le allusi Imi-
tane, la mar io, il lusso multicoli
. pressione, l'intransigenza individualista nella
essi ■ delle idee che non hanno senso se non
per un'eletta 'li persone, tutto ciò dove\
i.-ue un'attrattiva ili curiosità in quelli ili •■
vano in margine della società confuciana
DALLE RIVISTE
Ii'apte della fuga
Da un articolo delle Leclures poni lons, di febbraio).
Il Rinascimento, il perìodo storie > , :- tanti
enimenti drammatici, ili conflitti, di vendi
di delitti, è quello durante il quale avvennero le più
se fughe.
Benvenuto Celimi, imprigionato al Castel San-
t'Angelo, riduce in tante - ; - le lenzuola, le na-
if sotto il pagliericcio, insieme con un paio di
tenaglie e un pugnale. Poi. in una n zia.
prende con se tutte ques urrampica sul
tetto. Di là. mediante le strisele di tela annodate
-rurale a una tegola sporgente, si lascia an
giù in fondo al primo muro del castello ; ma ne
restano ancora 'lue altre. Srendendo dall'ultimo
cadde e restò due ore svenuto ; quando turno in
sé. aveva la gamba destra totta in tre punti. Tra-
scinatosi sulle ginocchia sino alle porte di Roma.
dovette difendersi dai cani rhe lo assalivano ,■ 1,,
mordevano, e finalmente fu raccolto da un amico
Il ravalier di Pontgibaud. chiuso a sedici anni
in una forte/za. ne fuggì sotto il fuoco dei soldati
della' guarnigione. Costoro lo raggiunsero, ma 1 e-
neru ;gio del giovinetto li stupì a segno che
lo lasciar mi i andare.
gibaud e Cellini concepirono e posero a ef-
fetto da soli i loro audari disegni ; lo seri-
olandese Grazio, nel 1621, riuscì a fuggire, grazie
all'aiuto della moglie, in un rotano dove chiude-
vano la sua biancheria.
Latude dovette la salvezza, nel forte di Vincen-
nes. alla sua presenza di spirito: scelto un giorno
di nebbia, si mise a correre; i custodi si gettai
ro di lui. gridando: « Ferma'.... Ferma!... »
Allora si mise a gridare anch'egli : « Ferma'....
Ferma! ». e si sottrasse rosi all'inseguimento, fa-
cendosi credere intento ad inseguire... sé Stesso.
Questo Latude riporta la palma nella storia delle
evasioni. Per far fortuna, aveva immaginato di man-
dare alla signora di Pompadour una sr.it, da di pol-
vere inoffensiva e di denunziarle poi un compii
ordito per avvelenarla. Sperava nella riconoscenza
della marchesa ; gli toccò invece la Bastiglia, in-
sieme con un certo Antonio Allegre. Non potendo
<\re a fuggire dalle por e. pensò di servirsi
canna del ramino. Essa era piena «li tante
celle e sbarre, rhe' restava appena luogo al pas
del fumo, e poi. giunti in cima, sulla ;
i due prigionieri dovevano ancora scendere li
il muro di cinta, alto più di 30
da un fosso e da un altro mun
non arrestarono Latude e il suo compagi Cui la
biancheria rhe possedevano (il solo Allegre aveva
12 dozzine di camicie) composero una scala di 20
piedi per salire nella canna del ramino, e una
di 180 piedi per srendere dalla torre nel
due rorde della stessa lunghezza per sostenere
ste scale, ere. : i gradini, in numero di 230. furono
fatti colla legna rhe fornivano loro per il fui
n la suppellettile della prigione, coi ferri
La Lettura.
2?3
i candelieri, formò dei coltelli, ui
pulegj ["jtta questa roba tu de]
era
per un'altezza di quattro piedi. Il lavoro piti
so in qui ' ir sbarre nell'interno
ma del camini '- I dentri i due pi ij-ionieri
evano mantenersi nelle posizioni più |
torturanti: dopo un'ora, dovevano disrenderne, con
le mani insanguinate. Le sbarre erano infisse in un
remento durissimi . I. inule e il suo compagno io
rammollivano soffiando dell'acqua, rhe portavano
chiusa in bocca. I preparativi
cinque interi anni; essa tu compita il 2?
i7;o senza altre difficoltà, ne peripezie. Ma, quattro
mesi dopo, Palude era arrestato ad Amsterdam e
nuovamente chiuso alla Bas
Un emulo di Latude fu il barone di Trenk, uf-
ficiale delle guardie erico II. Chiu-
idla cittadella di Cratz. in Silezia. fuggì una
prima volta, ma cai Ide 1 ; I
li dopo, strappata la spada al ti rhe
era venuto a visitarlo nella sua cella, si apri un
passaggio in mezzo agli ufficiali Idati, col-
pendo a destra e a sinistra, buttando a terra una
sentinella, ferendo un'altra e scavalcando la prima
palizzata. Ma il piede gli s'impigliò ira due sbarre
e un lo mantenne in quella dolorosa |
zinne finché arrivarono i rinfoi B tuttavia
ad evadere, dopo una cavalcata epica, a testa nuda,
con la sciabola rotta, le vesti in brandelli, sopra un
cavallo senza sella, in compagnia di alcuni ufficiali
rhe preferirono la diserzione :n rigori della disci
plina prussiana. Ma, come Fannie, in ripreso dopo
qua! 0, e chiuso nella fortezza di Ma
burgo, dove ne pa Carico di 1
una cella lunga 10 piedi e larga 8. sotto alla quale
era la fossa dove sarebbe stato seppellito, con una
lapide portante il suo nome e una lesta di morto.
pensa aurora ad evadere. Riesce .1 liberarsi dei
ferri e con la punta del coltello comincia .1 sdir
/are le serrature delle porte: è giunto alla tei
quando la lama del coltello si ri cade all'e-
sterno. Col ti _li in mano si taglia le
vene; ma bendano le sue piaghe e lo guariscono.
le di
mattoni, del sbar-
ra di ferro delle catene . pi 1, quai
entra nella prigione, egli Stendi 1 primo
e gli si para d
Ila ; ma. dito, gli
cri e rivestono le porte duna lamina
di ' iva una galler 1 in tanto
pena, rhe dopo un giorno .li la-
li passarne tre in riposi
pera aitine la libertà, ' 1 di
Federi oli' dopo 18 anni
di prigionia quasi continua. Finì pi non
era ghigliottinato a Par e I
1 Re 'li l'MIs-
'di fama.
( 'on qui-
nta un posto ili.
-:\
L A LETTU RA
sanova .li Seingalt Chiuso nei Piombi di Vene
ibilire una corrispondenza ep
l ,,, | ioniero che sta al piano di sopra, il
in.. ti i ■ Balbi, ed I ' il tetto che li
separa. Per disgrazia, si dà -il Casanova un com-
pagno, che è una spia. Allora comincia una inde-
redibile commedia: abusando della vigliac-
della credulità 'li questo compagno, il Ca-
gli confida d'essere sotto la protezione della
luale gli manderà tosto un angelo pei
liberarlo l ai _ lo è il padri- Balbi, che scende dal
cielo per il soffitto bucato. 11 Casanova, ranci di
corde e di abiti, seguito dal Balbi, si arrampica sul
per mezzo d'una specie d'uncino improvvisato,
■re il monaco gli si appende alla cintola. Ai
Ito sullo spigolo superiori' de! trito, dove si fer-
ali moménto a cavalcioni, comincia una perico-
lata verso l'apertura d'un granaio; e,
Imente, sfondate molte porte, traversate una
di sale e di scale, i due fuggiaschi ar-
rivano a pianterreno del palazzo, traversano la cor-
ina, e si gettano dentro una gondola.
*%
I . Casanova sono avventurieri poco iute-
e degni di storia soltanto per
la bravura ed il coraggi... Diverso è il caso del
conte di Lavallette, condannato a morte dai Bi l
boni per essere rimasto fedele a Napoleone t. La
lebre. come una delle più dram-
mai, e d'I prigioniero, avendone vana
ilecitato da Luigi XVII] la grazia, lo fece
a lui. Presi gli accordi op-
imi, venne a trovarlo in compagnia della
Giuseppina; e meline questa Stava presso alla lì-
ia. i due coniugi scambiarono i loro abiti. Al-
lora il ci l tue la moglie, coi guanti di
lei .-ci fazzoletto al viso, dà il braccio a Giusep
pina ed esce, passando n.Ha sala della cancelleria,
dovè il custode osserva: « Andate via presi...
signora contessa: » In tondo alla sala, il guai
no non apre ; l.is. ano. Nel corpo di
una ventina di S .Ma' i si scic I pei
der passare la | ].a\ alleile, l'inal-
fuori della porta e i uà I a ar-
rivano dinanzi alla portantina ; ma uno dei porta
tori non c'è. Bisogna aspettarne \tn altro. Tassano
alcuni minuti che sembrano un secolo. Finalmente
la portantina si muove, e depone il padre e la figlia
sul Qua. una carri //a di pi
asco al Ministero degli esteri. la
nasci sto t8 rsi i quali ries. ,■ a
are e. 1 Belgio. Fu ra ci iS.-.- e neutre',
in Fi
. ma quelle prove ten il. ili le fé
. en • perdi ragli .ni-.
i ome l ivalletti . Luigi Bonaparte , divenuto
arili l'ini] ei, itoti- \a| ..In. ne III. rie.-.
• ■ a un travestimento. Egli aveva per la
i : bellari le truppe ; ar-
' a imprigii un. i nel i astello di I lam, i
in Quintino. \ anni. Il suo aulico di
ii. e il se Carlo Th
lin. che, legalmente liberi, ciano rimasti press
lllL io a farlo II caso h aiutò.
Verso la metà del maggio 1846, fu ordinata la ri-
l orazione della scala e dei corridoi del castello. Il
Thélin nolegi irrozza ad Ham, si numi di
passaporti 1 aspettò il 25 maggi". Quel giorni
ine di Consuelo, gli operai arrivarono verso le 6 e
furono sottoposti al! ispezione ordinaria. Il priro
Bonaparte si tagliò nel frattempo i baffi, infilò sul
l'abito una -rossa camicia di tela tagliata all'ai ■
della cintola, si annodo al collo una cravatta az-
zurra, indosso sulla camicia una blusa pulita, e su
questa prima blusa una seconda in i
tutta machie; si mise in testa una parruo
sulla parrucca un brutto berretto; si sporcò il
di tintura, si mise delle ciabatte ai piedi, una pipa
,li terra otta in boo a, e con una tavola sulle spalle,
iis,,. Il Thélin lo precedeva. Dica rdie,
soldati, portinai fecero per squadrare il falso ma-
novale; ma dovettero tirarsi da parte per e\
l'urto della tavola Due operai, sulla strada che I
parava i ponti levatoi, fuori della porta, si ferma-
rono esaminandolo a' leni aulente, stupiti di non co-
noscere questo loro compagno; e già dicevano ad alta
voce il loro stupore, quando uno di essi esclari
o Ah! L Bertoni... » Questa fortuita somiglianza
fu la salvezza di Luigi Bonaparte. che, oltrepa
l'ultima cima della torte/za. montava sulla carrozza
noleggiata da Thélin, prendeva il treno di Bruxel-
les... e due anni dopo era nomina'.. Presidente della
Repubblica !...
* *
Fra tutte le evasioni, quelle che eccitano più sim-
patia s,,no quelle dei snidati dei prigionieri di
guerra. Nel [689 Jean Lari e Forimi furono |
li Inglesi. Essi corruppero il chirurgo che li cu-
l (il ] orbin aveva sei ferite) edile mozzi. Qu
videro un giorno sulla riva una scialuppa ro
giana il cui (ladrone . ubbriaco fradicio, don.
profondamente. Lo trasportarono in un'altra Farci.
arci re e. tirando delle pietre ti
stre, avvertirono i prigionieri che nel trattemi)..
avevano segato le sbarre. Scendendo lungo il 1
per mezzo d'una corda, essi raggiunsero la bai
dopo ^\nr giorni di penosa navigazione sbarcarono
a San Mal...
\.l 180Q. durante la guerra di Spagna, molti
, rigionieri francesi furono condotti sui pontoni alle
Falcata. Una quarantina di loro, vestita 1
uniformi s'impadronirono d'una scialuppa venuta
a portare la provvista dell'acqua dolce e presero il
dando; Viva f Imperni'
Nel 1870 il generale Ducrot. fatto prigion
,1. non trovò posto nel treno che dove' a con-
durlo da Poni en Motisson in Germania. '
-, sciolto dalla ' dalla staj
e coi suoi ufficiali d'ordinanza, il Bossau e il I '•
nella casa del sindaco. Li tutti e tre
rono la barba e si travestirono; venuta la
rio dalla città, traversarono interi 1
e oltrepasarono le linee prus-
siane.
DALLE RIVISTE
275
I Dinosauri
(Dalle « Memorie di viaggio d'un geologo » del prof, dot-
tor E. Fraas, nella Cartenlaubi
... Ci trovavamo in uno dei più interessanti
menti delle formazioni giurassiche americane, a
Bone-Cabin (la « casa delle ossa »), in pieno Wild-
West.
Un lembo dell'antichissimo mondo viene qui Strap
pato dal suo sonno di milioni danni, e dalle
pietrificate l'esploratore sa ravvisarne gli al
'èva ancora. Anche i mammiferi e-
rano rarissimi, e rappresentati soltanto da
insettivori; ma numerosi e grandi e formidabili e-
rano i renili. Quel periodo ili tempo tu il loro re-
gno per 1 ccellenza.
Ne mari tumultuavano veri greggi di ictiosauri a
foggia di immani delfini, di plesiosauri dal lungo
collo, di mostruosi coccodrilli. Sulla terraferma poi,
fra le rapide lucertole e le pigre tartarughe, muo
vevansi giganteschi dinosauri terrorizzanti, e pei
sino l'aria era popolata da ^aiii volanti.
La maggior parte dell'America settentrii
anche in quel perìodi 1 ferma e fi n
I Dinosauri.
Innanzi a lui risorgono figure strane. La fantasia
corre a ritroso, a lungo, a lungo, nella storia della
terra. Per quante centinaia di migliaia 0 per 1 pianti
milioni di anni, io non lo so. poiché antichissima
ra terra ed anche i singoli periodi di qui
vita sono tanto lunghi, che ivm possono calcolarsi
ad anni. Il geologo ha da gran tempo rinunciai
contare con cifre d'anni ; s'appaga di determinare
le epoche secondo gli strati e le formazioni e le pie-
trificazioni. . .
E da queste pietrificazioni sappiamo appunl
nell'epoca giurassica l'aspetto della super
restre era assai diverso dal presente. La magi
parte dell'Europa, specialmente nelle regioni del
Giura, de Carpazi e anche in una gran parte delle
Alpi, era coperta dal mare. Una bizzarra fauna,
oggi quasi interamente estinta, popolava quel mare.
un grande continente. Ma 1
ti, e nel Canada, allora, nell i
Montagne rocciose, da Moni il Wyo
! ' meridionale, il 1 'oì
sino al V 1 rie e il NUOI 1 Mi SSÌO 5Ì stendi -
pianure paludose e vasti laghi. In quel
cosidetto « di depressione • \ le loro ai
i torrenti, che travolgevano 1 di
le sconfinate paludi sera andata
mando una lamia adeguata 1 ssima, qu
dei sam ma-
rnati per le loro forme anormali ■
la loro grandezza.
■ ■ che i dotti d'Europa abbiano creduto
razioni, quando \
loro le prime notizie di queste scoperte. Erano,
-7"
LA LETTURA
ili mai viste, vere monta
semoventi. Ma quanto i venuto alla luce da' lunghi
ti i pienamente i dal i degli espio
tri d gni oni id al-
cuni ili que' o un. iì tali che la ricostm
zinne degli animali stessi, com'erano da vivi, non ci
più immagini fantastiche, ma ci rida vera
mente, o forse con piccolo divario, l'aspetto di quelle
i [uanto i [ueste fosseri i gigantesche, i e
In prova il fatto che. come io vidi, un loro osso del
femore sorpassa in lunghezza per tutta una ti
umana una pei li l'i isso che mi servì pei
m mmeno uno dei più
Mi . ■ Chicago ve n e uno
lungo metri 2,15 i mi 1 metro,
imunemeni il mammuth quale il mai
I erma ; ma il su' » femi ire non
ira ni ppure la metà di 1 [uello del din> isauro.
I n anatomistta crede quasi ili sognare quando
mili proporzioni, attende a completare tutta
iniba, anzi tutto il corpo dell'animale, il quale
■ ■ ire alto dai cinque ai sei me
tri, cioè il doppio di un elefante ili lia grandez
/.1. e 'li conseguenza ancora più grande e più grosso
imuth sinora noto.
letiamolo, d'un mammifero, ma
d'un rettile, che col lungo collo e la robusta coda,
veniva ad avere una lunghezza ili almeno ventidue
metri. 11 maggiore elefante non è più lungo di sette
metri e in [uesta cifra sono comprese la probosi ide
e la colla. Senza questi ,, accessori ». la lunglie//a
dell'elefante non è di più che cinque metri. F tra i
rettili oggi viventi, ira i coccodrilli, ve nTiatno, si
che misurano «liei metri di lunghezza; ma
anrhi' i maggiori esemplari de' nostri Musei si limi-
a sei 0 seno metri.
Lo strano i poichequesti mostri di venti 0 trenta
ri erano assolutamente innocui. Il piccolissimo
110 con la debole dentatura, tutta la struttura
del corpo con le alte zampe, dimostrano che il lori
legittimi) propi 1 ra un pigi" e stupido vt
tari.-, • -He paludi per brucare 1
erbe da mattina a sera. Molto intelligenti non erano
1 . pn iporzii ma olo il
loro cervello.
L'anatomista deve ritenei hi i d auri, in 0-
gni loro atto, procedessero, come si suol dire, coi
di piombo. Eppui [uesl i colossi ; .<
liei e dall'aspetto tert
dersi tranquillamente la vita. Avevano anzi de' for-
i, anche tra i loro a «sanguinei. Le
le vertebre rosicchiate che si trovano
e delle battaglie te
I lattute da quesl 1 m diluviani, < >1
etai un. \ ivevano allora
ani-in- delle specii 1 he 1 acci ani 1 la parte
dei no, in animali feroci. Ni ungev ano. m 1
di proporzioni, ali agili
e dotati di terribili mas eli l ranissimi dove
vani etto, pereti gura e ne
qua!
mali comb . ano
Ili !
Fra i ragni
(Da un articolo del Pali Mal! Maga
L'astuzia dei ragni è proverbiale. Tutti sanno
1 .ni quanta abilità essi sappiano . attillai, la pi
e sfuggire ai nemici. Uno simula l'apparenza d'un
bottone di rosa ed esala un profumo di gelsomino
per attirare gli insetti che amano i fiori; un altro
ha rillessi luminosi che lo fanno somigliare ad una
goccia di rugiada brillante al sole: un altro dissi-
mula la propria identità sotto il colon e la forma
di una formica velenosa o di qualche scarabeo ri-
pugnante. Questi sono ragni dotati di eccezionali
qualità mentali e fisiche ; ma v'ha una famiglia di
ragni meno nobili», tozzi e plebei in apparenza,
I due nemici: ragno e vespa.
uria famiglia che sarebbe sterminata da secoli,
non avesse certi istinti e certe abitudini che le
hanno consentito di resistere agli avversari nella
lotta per la vita. Si tratta di una specie di 1
1 he si labbi il a nidi singi d .1 1 issimi.
Questi nidi, nel tipo più semplii e e pi imi!
(«insistono in tane fonde da tre a dodici o più
liei. no all'ingiù dalla su nolo
e rivestite di seta pei offrire un appo piedi
dell'animale e impedire la caduta della ti
porta della tana-t; fatta di minuti frani-
li di terra, di materie vegetali e di seta 1 he tien
e. hi' imperniata da una parti
suolo e libera per tutto il resto, più o meno s| 1
ndo la volontà del fabbricatore, e alquanto
piii larga dell'api rlura della tana, per mo
non possa entrai sotto. Il pern nsiste in una
strisi ia di seta 1 1 *1 1< mi "1" che i sui ii ti s-
suti elastici, quando la porta si apre, sono sottopo-
sti a pressione e tendono .1 richiuderla. Me)
DALLE RIVISTI
-77
in opera questo congegno così complicato e per- giorni, esce dall'uovo la nuova creatura che divora
fetto non è cosa facile, a prima vista, ma la cono- i ragni accumulati e tuttora assopiti dal veleno,
scenza dei nemici contro cui i ragni debbono com- cade anch'essa in una specie di letargo e si tras-
battere spiega benissimo la cosa.
Una porta.
I nemici capitali di questi ragni sono le vespe,
non le vespe ordinarie, ma certe altre vespe più
attive e formidabili che muovono guerra inces-
sante e spietata contro i ragni d'ogni specie.
Adulte, queste vespe si nutrono di frutta o di net-
tare, ma giovani vogliono soltanto alimento ani-
male, e la madre, quando sta per procreare, deve
provvedere tal nutrimento. Essa va attorno cer-
io per ogni dove, perlustrando ogni angolo,
ogni pollice di terreno. Molti ragni son facile preda,
perchè al solo avvicinarsi d'una di quelle vespe,
i il volo ronzìo che l'accompagna, cadono per ter-
rore in una specie di catalessi; altri combattono,
ma senza coraggio e senza forza, altri tentano in-
vano di fuggire da quel nemico rapido e coraz-
zato, mun'to di un pungiglione che inietta un ve-
leno, il cui effetto immediato è di gettare la vit-
-
Una tana elevata.
tima in uno stato comatoso che dura parecchi
giorni. Il ragno, ferito, viene portato in un locale
apposito, ove, in breve tempo, la vespa-madre aduna
gran numero di quegli animali. Ciò fatto, essa de-
pone là il suo uovo e poi chiude quella tomba
vivente, né si cura più d'altro. Dopo due o tre
forma in una crisalide da cui esce la vespa adulta
che (cndurrà la vita stessa che conduceva sua
re. Se si pensa quante sono queste vespe e il
gran numero di uova che le femmine depongono
e il numero ancor maggiore di ragni che si ri-
chiedono per nutrire i «neonati (giacché a m
vogliono talora anche quaranta per ciascuno), si
capisce che tanta persecuzione debba avere un ef-
fetto decisivo sulle consuetudini dei ragni.
Tornando alla specie di ragni di cui l'articolo
particolarmente si occupa, le tane che essi si sca-
vano servono mirabilmente a sfuggire alle perse-
Tana a tre porti
cuzioni, Nel costruire la porta, essi cercano di
farla visibile il meno che sia possibile, dandole il
colore e la natura del suol,, circostai] m sto
è nudo, la porta ha l'aspetto di terra nuda; se il
suolo è erboso, il ragno si dà attorno cercando
erbe, che pianta sulla faccia esterna della porta.
Le erbe vi pongono radice e crescono, per modo
che è impossibile trovare la porta se non si sa
ove sia. In ciò, i ragni non fanno opera intelli-
gente, ma seguono un cieco istinto atavico. L'au-
tore dell'articolo una volta rase tutta l'erba ; tt
alla tana di uno di questi ragni e sulla porta. Il
ragno, avvedutosene, cercò in giro dell'erba, e
trovandola vicino, andi'i a cercarla lontano, e tro-
vatala, la piantò sopra la porta, per modo che
oramai questa si scorgeva benissimo di mezzo a
suolo brullo. I - male faceva così perdi'
un numero incalcolabile di generazioni i suoi prò-
I \ I ETTURA
genitori lucevano cosi; e, ligio alle ■ onsuetudini tana e vogliono entrarvi ad ogni costo, non co-
ereditario, vi si atteneva anche quando riusciva ad nosce fini Pei impedire clic l'avversario nitri, il
un risultato opposto a quello che doveva rag
giungi
Le vespe e le formiche vanno a caccia soltanto
...
vm
■
La tana bloccata.
il giorno; perciò a notte, quando i nemici hanno
cessato di <v lavorare » e riposano, i ragni si met-
tono alla lor volta al lavoro. Senza allontanarsi
dalla tana, spiano attentamente la preda e, a-
docchiatala, l'afferrano in un baleno e se la tra-
scinano entro la tana per divorarsela. Una volta
sazi, restano sempre sotterra oziando. Ma la per-
severanza delle vespe, quando hanno scoperto la
ragno deve aggrapparsi con le zar ii ori
alla porta e con le posteriori alla seta di cui i
vestita la tana. Se la vespa riesce a forzare I' in-
IO, quasi sempre il ragno ha uno scampo co-
stituito da una tana praticata entro la lani
chiusa anch'essa da una porta simile a quella
esterna.
In Algeria v'è una varietà di ragni che per
sere meglio all'altezza degli insetti di cui si < il
uiscono tane elevate e somiglianti a fasti ve-
getali.
La parte posteriore del ragno.
V'è un'altra varietà che stabilisce il proprio do-
micilio nei tronchi degli alberi. Gli individui di
questa specie non mettono una porta all'uscita
della loro tana: non ne hanno bisogno, grazie
alla costituzione poco estetica, ma utilissima del
loro corpo. Questo, di forma normale nella parte
anteriore, è nella posteriore enormemente gonlio,
fatto presso a poco a cilindro, e mozzo: finisce
con una superficie piatta e dura che somiglia ab-
bastanza alle cortecce degli alberi. Quando vo-
gliono predare, i ragni si pongono all'apertura
della tana con la testa alPinfuori, quando un
-avvicina un pericolo, restano allo stesso posto,
ma chiudono l' apertura con la superficie piatta
che termina il loro corpo e su cui le zampe dei
nemici non hanno presa.
t'n ragno singolare.
DAI l E RIVISTE
279
Per la redenzione dei delinquenti
(Da un articolo delle Lectures pour tous, di gennaio).
La società, nei tempi andati, si restringeva a di-
fendersi dai malfattori, senza tentare di correggerli.
Allora le prigioni erano luoghi orribili, angusti,
malsani, privi d'aria e di luce. Nelle chartres basses
del Petit Chàielet, un ministro di Cari" VI ac-
certava che non era possibile passare un giorno sen-
za esser «piasi asfissiati. In quelle dell'abbazia di
Saint-German des Prés. scavate a trenta piedi sot-
terra, il prigioniero non poteva stare in piedi e vi-
veva nell'acqua stagnante che gocciolava dai muri.
Fino al domani della Rivoluzione francese, un uo-
mo era ancora morto alla vita sociale quando aveva
passato la porta di un carcere. Ai nostri giorni, poco
tempo fa. gli ultimi bagni della Siberia potevano
dare un'idea di ciò che erano quelli d'un tempo.
11 Dostoiewskv. complicato a ventisette anni in una
cospirazione, ne passò quattro lassù, e descrisse
quell'interno nei Ricordi della casa dei morti ; anche
il Tolstoi ha descritto con terribile efficacia gì inu-
mani sistemi russi. Risparmiare al condannato le
compagnie perverse e pervertenti è stato lo scopo
per il quale si creò il sistema dell'isolamento nelle
celle. Con queslo sistema, egli non ha mai testimo-
ni del suo decadimento. Durante l'ora della passeg-
giata, il silenzio obbligatorio lo isola così bene come
i muri della cella. Si evitano in tal modo le influen-
ze degradanti dell'incarcerazione in ci imune e quelle
pericolose amicizie dalle quali nascevano vere asso-
ciazioni di malfattori nelle case di espiazione. Nella
calma e nella pace della cella, poi, coi buoni libri,
coi buoni consigli, con le visite del prete o del di-
rettore, il delinquente è avviato al pentimento. Alia
cura morale si unisce la fisica. Certa gente di spi-
rito superficiale ha scherzato sul preteso lusso dei
penitenziari moderni, sui ventilatori, sul gas. ecc.
« In tal minio ». si dice, « i birbanti stanno meglio
dei galantuomini ». Sta invece il fatto che un va-
gabondo trascurato, abbrutito dall'alcool e dagli stra-
vizi, se è messo in un ambiente luminoso e aerato.
se ha l'obbligo della nettezza e dell'igiene, piglia
gusto alla nuova vita, e la rigenerazione tisica pre-
para la morale. In certe prigioni, il condannato ha
facoltà di ornare la sua cella con qualche minuto
oggetto: quelli che ne profittano, quelli che si crea-
no l'illusione di trovarsi a casa loro, rivelano d'es-
sere sulla via del ritorno dalla delinquenza alla u-
manità normale.
Ma il vero riscatto non può essere ottenuto se non
con un rimedio unico: il lavoro. L'ozio è sialo quasi
sempie la causa «lei delitto; il lavoro soltanto può
correggerne gli effetti funesti: lavoro, beninteso,
normale, proficuo e remunerato. C'è una forma di
lavoro che è il più atroce castigo: il lavorò inutile,
slerile. senza altro oggetto fuorché sé stesso. Tale è
in Inghilterra Xliard-labonr. A Pentonville, a Mill-
bank, a Holloway, i detenuti sono sottoposti, sulle
piime. a un regime il quale, nello spirito della iegge
inglese, ha lo scopo di domare i caratteri ribelli.
Per un mese e talvolta per un tempo mole, più
lungo, il (detenuto) fa girare il tread-wheal
(ruota .1 gradini) 0 il tread-m : (mulinò .1 gradini).
E' un immenso cilindro, guarnito in tutta la supei
&cie, di gradini 0 palette simili alle pale di un
mulino. Vestiti d'una semplice cintura alle reni, 24
condannali vengono a mettersi in fila sulle palette
d'una di questi' macchine, appoggiando le mani a
una traversa disposta un poco al di sopra della loro
A un segnale, essi debbono | osare il |
sulla paletta 0 gradino superiore; il cilindro gira e
presenta successivamente gli altri gradini, sui quali
condannati debbono continuamente arrampicarsi
senza mai cambiar di posto, basta un momento di
distrazione per non arrivare in tempo a mettere il
piede sulla paletta: allora la ruota batte violen-
temente sui ginocchi e sulle gambe e morti
le carni... 11 lavoro così compito in otto ore equi
vale a un'ascensione perpendicolare di 8 chilome-
tri e mezzo !
Il supplizio delio sforzo inutile ha altre forme.
Talvolta, per intere giornate, il condannato al skot-
dnll (manòvra della palla) deve .trasportare delle
palle da cannone da destra a sinistra e da sinistra a
destra, indefinitamente; tal'altra deve girare la ma
novella del crani;, una specie di tamburo per metà
pieno di sabbia: la manovella mette in molo, nel
suo interno, una ruota con godets ; ad ogni giro, tra-
versando lo >trato di sabbia, i godets si riempiscono,
e poi si vuotano, e poi si riempiscono ancora, e co
sì via!
Per fortuna, se la penalità inglese ha ['hard-la
boiir. ha pure il lavoro produttivo e rigeneratore.
Itasi a visitare i cantieri di Portsmouth, di Chat ani.
di Woking. di Dartmoor, di Brixton, dove 1,500 0
1500 COnvUts lavorano a squadre di 20 0 30. soli,.
la vigilanza d'un guardiano. Tanto ordine vi regna.
e tanto proficuo è il lavoro, che «piasi si dimentica di
essere innanzi a galeotti. Magnifiche opere pubbli-
che, le dighe gigantesche di Portland, i bacini enor-
mi di Portsmouth e «li Ohatam, sono opera loro. \
questo modo il bagno diventa una scuola profi
1 ale dalla quale escono eccèllenti operai.
In Francia, le Case centrali di Melun e «li PasSJ
sono stabilimenti industriali dove risuonano i mai
tedi, soffiali., le fucine, strillono le maccl ge-
mono i torchi: vi si stampano le pubblicazioni ni
Sciali, vi si tagliano le unitoli' mpiegati
«ledo Sialo.
Nel Belgio ogni cella è un pi
ve il detenuto ha a stia disposizione gli strumenti
più delicati « costosi. Se la o Ila ètri
per un certo mestiere, il pi i collocato
una spazi, .sa galleria.
Dal lavoro con questi sistemi, gli sciagura
hanno meritato d'essere posti al Lamio dal civile
consorzio, ricavano un vantaggio immediato, il pe-
nitenziario stesso amministra i loro guadagni; una
parte forma il peculio di riserva, l'altra la massa.
280
LA I.l II i RA
che è consegnata ai prigionieri quando hanno scon-
tato la pena, perchè sopperiscano ai loro primi b
sogni appena liberati. Il peculio ili riserva è di
nato ad ottenere qualche supplemento 'li vitto, i 11
puri- può essere mandato alla famiglia. In media
un detenuto guadagna ,}i centesimi al giorno, sui
quali ne economizza 10. I più destri arrivano a
dagnare quasi quanto un operaio libero. In molte
delle prigioni moderne, e specialmente in Inghil-
u-rr.i . il prigioniero può disporre del suo desti
alla sua condotta. A Pentonville e a NI il
lunik ogni detenuto riceve, appena entrato, una tes
s< r.i ove la sua condotta è notata ogni sera coi punti
8. 7 e iì. secondo che egli ha compito il suo la
voro perfettamente, mediocremente o male. Ognuno
dei giorni dell ività bene 0 male impiegati
ha una diretta influenza sulla sua vita penitenziaria,
e in un quadro appeso alla parete della cella egli
può vedere sommati i buoni pumi e 1 cattivi. Se i
punti <-attivi sono molti, egli resterà a lungo nella
Probation clas di prova), mal nutrito, senza
poter né ricever vis le tere I '< m buoni punti.
e e ise, e uh aumento 'li salari". In ogni
rlassc i vantaggi sono regolati matematicamente:
nella seconda si ha diritto di ricevere uqa lettera ogni
6 mesi. ■ 1 , gnì | un si, nella quarta 1 gni
ì mesi. Finalmente la condotta sempre ottima è
premiata con la dispensa dalla quinta classe e con
la libertà provvisoria. Sopra inoo convicis liberati
nel 187 1. solo 128 non meritarono nessuna ridil-
li sistema della deportazione nelle terre lontane
1 XVII e XVI 1 1. dal desiderio di
sbarazzarsi definitivamente dei malfattori: la vec
chia nelle regioni del Mississippi
e nelle isole americane per non aver più da fare
eon loro. M ! la piatirà Inghilterra vi trovò un ec
celli nr: essa tuti
irvi quando gli Australiani accol
sito fate i convogli di convicis. La Francia
continua invece a servirsi di questo sistema nella
Guiana e nella Nuova Caledonia, dove i condannati
■dallo le ti \ano i campi, aprono stra
' igni forzato passa il primo anno nelle fai
■ , 1 mestiere sotto la direzione
iti di cultura ; poi gli si assegna un pi
di terra, ed egli si mette all'opera, Per i primi treni. 1
l'amministrazione gli fornisce dei viveri e lo
iso di malattia. ( igni mi l'is] e
/ione, per verificare i lavori ch'egli ha compiuto,
finché il col 1 d ha n cuperato il suo
posto in mezzi 1 ali Se ha 1
figli, può tarli venire presso di sé; in caso contra-
si può ti Convogli di donne arrivano
al convento peniti di Bourail : quando le
suore di eppe di Cluny le dichiarano
al 11 11 1 pu. . \. fare la sua
raverso l'inferriata del parlatori' 1
l'ex-forzato diventa padri lia e proprietario.
Alla \u non si lro\ ano sol
roprietari d tri : alcuni
ridono il loro dominio e i.iniio fortuna. Nelle
vicinanze di Bourail e Numea, vi sono vaste pian-
■ di tabacco, eon ampie case, eon
carri tirati da buoi pei trasportare 1 prodotti .11
niere.it 1 dell'isola : il tutto apj ne al delim |UI
.1 un tempo. I In frani ese che ha Fatto il giro della
Caledonia di concessione in concessione, l'ani" \|
inand. ha riferito alcuni fatti molto curiosi, dai
quali appari che, laggiù come altrove, le orditi,
molle dell'atti! na producono l'effetto con-
sueto: eon la responsabilità si sviluppano l'ini;
tiva e l'energia. Un ci ito S . per esempio, che ha
fatto fortuna eon ["allevamento dei cavalli, mostra
orgogliosami visitatori, nei suoi paddocks, pa-
recchi cavalli che hanno vinto alle corse. I fratelli
\ si sono arricchiti eon le pelli. Quando la loro
concessione diede loro i primi guadagni, compra
ni 1 dai vicini tutte le pelli di anin
1 .non,, e ih fecero commercio. La qualità del cu
era buona, il prezzo inferiore a quello dei fai
canti australiani. Le ordinazioni piovvero, e i
telli V sono ora degli industriali molto conside-
rati a Numea l 'a un decennio a |t inno
1 ittenuto la fornitura 1 Ielle carpe dei forzai i, e ni I
1 cu le/ Iona re ogni anno per conto dello Stato venti-
mila paia di scarpe, ottengono un ragguardevole
profitto.
Il patronato dei liberati dal carcere fu inizi;
nel 1850 da un maestro di scuola. l'Organ, orga-
nizzati re delle prigioni d'Irlanda. Inquieto della
che aspettava i detenuti quando sarebbero tor-
nati in mezzi) alla società, visitò ad ima ad una
tutte le l attorie e tutte le 1 ifficine della contea di Du-
blino, cercando lavorò per i prigionieri che stavano
per essere liberati. Niente lo stancò, nessun rifiuto
lo scoraggi. Il suo esempio fu imitato. Nel 1857 fu
fondata a Londra la grande e potente società 1
\ aia ai i oiwicts: la Discfiat ed P I
ciety. Più di 20 mila condannati sono stali da lei
finora aiutati. In Francia i rifugi del Buon Pas
e di San' Anna accolgono con grande zelo i prigio-
nieri liberati, alcune antiche Confraternite si si
trasformate in case di beneficenze: l'Opera di
orti ad Ai\ ed a 'l'olone; {'Ufficio della M
li 1 la Sot ('/<> del Patronato dei dete-
nuti e dei liberali a Parigi, la quale, quantunque
hia di mezzo si due anni ad-
dietro apri in via Michele Beuzol u\\ asilo modello.
Cui lavoro e l'istruzione \i si operano meraviglii
guarigioni. Un che ha commesso il più
orribile delitto, l'uccisione della prò] ura,
m Vmi Hi osa e madre di lami
glia. Molte altre sono state redente del pari. S
100 detenuti I Patri nati 1 ó via M ichele Beuzol
ottiene almeno no redenzioni assolute, definitive,
senza timore di ricadute. Per i piccoli delinqui
la Semi;', la recidiva era una
1 del 75 per cent". Pareva che Parigi e i suoi
dintorni fossero un focolare di delitti d'impossibile
risai: I nvece la Si cietà di Patronato fon-
data nel [835 dal Bérenger \i è in gran parte riu-
scita, e la recidiva è oggi scesa al 5 per cento.
DA] LE KIVI-
JS,
ha easa della bambola
nei secoli scorsi
Dalla rivista Velhagen und KUtsings Monats/u
La sete tormentosa di ricostruire in piccolo tutto
il dramma mondiale che ci turbina attorno, ha ra-
dici profonde nella natura stessa del bambino.
A tracolla il terribile fucile inesplosibile, nel pu-
gno che trema un'enorme spada di legno, comba
tono i bambini le loro finte battaglie coll'accanin
to disperato di una lotta campale. E sotto le vi-
siere di cartone abbassate trucemente dinanzi a un
pei la somiglianza continua che il mon-
do piccino ha col resto delle cose, quelle case di
bambola sono fedeli modelli delle costruzioni mu-
e dell'abbigliamento dell'epoca,
raziatamente però sono rare le bambole ar
rivate tino a noi; sia portate dal caso, sia o
affetto al vecchio nonno donatore, sia
l'altissimo prezzo delle vesti e degli addobbi.
Ad ogni modo tanto esse quanto le loro case ci
si no preziose. Queste ultime nella loro costruzionee
emazione sono assai diverse dalle attuali. Una di
esse è riccamente dipinta all'esterno ed è in otti
ora, a differenza delle altre che non hanno
troppo resistito alla guerra dei secoli. >j\n-,r su-
perstiti reliquie dei balocchi infantili appartengono
Vestibolo d'una casa di bambole (secolo XVII .
nolino sventurato, <'he deve rappn -
mila fucili nemici, gli occhietti dei bimbi scintil-
lano del medesimo lampo di trionfo che illuminava
forse lo sguardo di Napoleone. Intanto nella cu
cina le bimbe, curve con materna tenerezza SU una
testina ili bambola ammalata, sanno trovare parole
e lacrime, che solo una madre conobbe sulla loro
culla.
Ma delle battaglie dei fanciulli e delle loro vel-
leità imperialiste, nessun documento alla
erità : essi hanno tutto stritolato nella furia della
battaglia con somma melanconia del babbo che i
pagare le rovine.
Ma delle bambole delle fanciulle qualcuna ha
io passare i secoli e arrivare tino a noi, chi as-
sopita ancora nella culla, chi stesa nel bagno, chi
ritta nella cucina, strani ma non trascurai
menti per la cultura storica.
tutte por un caso strano alla Germania del
sud e quasi tin ecolo XVI I.
Una è nel Museo industriale di Baviera, cinque
nel Museo internazionale germanico a \
una nel Muse le di boriino e una
finalmente nei South K Museiim a Londra.
L'importanza di questi giocattoli come do ui
ene poi confermata dal fatto, che ossi ri-
spondono perfettamente a quanto ci tramanda!
dei costumi dell'epoca ser;- mpo-
ranei.
Nella casa di bambola conservata al Museo di
Bi t Imio si apre al pian terreno un bel \
di magazzino e di bagno (Iìl
in cucina ed a sinistra
bini, ricca di giocattol ra di
. gentile ma Pure a sin
. | tzione e di sotto un bel sotterra-
Camera da letto
Sala da pronao.
DALLE KIVIM'I
283
neo con una vasca spaziosa (fig. 3). Salendo la pic-
cola scala, sulla quale forse tante volte rotolarono
le bambole di fanciulle felici, entriamo direi
mente nella sfarzosa sala da pranzo del medesimo
tipo di quelle che sappiamo usate anticamente (fi
gura 5) e infine penetriamo nella camera dà 1
dove un superbo baldacchino arriva quasi al sol
fitto (fig. 6).
Ma lasciando tranquilla questa casa gentile.
un'altra ne troviamo nel Museo di Berlino, nera del
lusso di un patrizio fastoso: sopra il piano terreno
dove si apre un peristilio si innalzano le camen
e le sale, l'una più splendida dell'altra.
Da tutte noi possiamo dedurre i caratteri archi
tettonici e i sistemi edilizi dell'epoca. Cosi noi ve
diamo che i sotterranei, la cucina e la dispensa sono
pavimentati di mattonelle di pietra, mentre le ca-
mere da letto e i salotti hanno sontuosi tappi
Bianche sono le pareti della casa rustica, mentre
gli appartamenti di abitazione si cullano fra le tap-
pezzerie di seta che si stendono drappeggiate sul
muro. In tutto è la preoccupazione continua e tor-
mentosa di riprodurre in quel piccolo mondo i mo-
tivi architettonici e decorativi dei palazzi e delle
case reali: gli oggetti di uso domestico sono ripro-
dotti con una fedeltà che arriva allo scrupolo, le
panche, i letti, i secchiolini. le scranne, gli armadi.
tutto è fatto come se quelle bambole di legno fos
sero davvero esseri viventi. Si allineano le dure pan-
che nella cucina, si stendono le soffici sedie nelle
sale, hanno le loro stalle i cavalli e i buoi, i loro
letti i servi coi variopinti pagliericci.
Stanno sulle pareti i quadri, qua e là dissemi-
nati i libri di preghiera e di scuola. Anche le ca-
mere per la notte sono curate con ogni perfezione
e vi troviamo pure letti matrimoniali con baldac-
chini e pagliericci, sotto i quali non manca neppure
un bianco oggetto che facilmente si vede nella no-
stra illustrazione. Le sale da pranzo hanno un rio 0
corredo di piatti, di scodelle, di bicchieri, di col-
telli, di cucchiai, di anfore, di caraffe, di - alii 1- ni
mancano in altri angoli della casa spazzole, pettini.
guanti e parrucche, l'arsenale eterno della vanità
delle donne e delle bambole. Altrove, nella cui
si arrampica sulle linde pareti una ghiotta fioritura
di pentole, pentolini, padelle, casseruole, testimoni
inesorabili di ghiottoneria; altrove ciabatte, ri
pantofole, occhiali, specchietti, penne, pappagalli,
mazzi di carte da giuoco, scacchiere, e persino al-
cune statuine di cinesi, t tome si vede, nel regno delle
bambole nulla manca, neppure le preoccupazioni
per una lontanissima questione di Oi
Naturalmente questi costosissimi g
destinati ad allietare le esistenze felici di ricchissi
me bimbo 0 anche alla decorazione di camere arti-
stiche come gingilli curiosi. Cosi almeno leggiamo di
una casa microscopica ehe a noi non .- pervenuta
e che rti costrutta ed arredata per la ramerà del
dura Alberto V di Baviera.
Sarebbe però errore il credere questi m
prodigi del lavoro umano, sémplici curiosità d
bmctto. come da una grande maggioranza sono pur
troppo stimati. Essi sono anzi spesso capolavori ar-
tistici, monumenti di un genio che torse su quelle
il : testine di bamb ile ha sognato in uri
visione di arte.
Introdotte dapprima come un ingenuo diverti-
mento infantile, queste raso e queste bambole di-
vennero più tardi un oggetto di lusso e di tasto.
I già nel 1765 Paul di Stetten scriveva che esse
erano copiate con tanta precisione dal vero e tanta
ricchezza di arte e di materiale, che qualcuna rosi. iva
pusillo 1000 scudi dolo, povera rosa aurora di
fronte a 20.000 lire che furono pagate dalla du
chessa d'Orléans nel 1722 per un'unico bambola
Vecchia bambola.
Musco internazionale germanico di Norimberga .
aboia meravigliosa donata alla giovine prii
j 1 ssina di Francia '.
Nessun divertimento ,'• più raro ali.- bambine
luanto il vestire e svestirò la bambola. E' 1 1-:
della maternità che da loro meravigliose intuis
ut uro 1 cento volte al | se muteranno
alla piccina, che non sento ma pure sorride, gli a-
biti da passeggio, da camera, da ricevimi
, a 1 !"■ ual hi sbrendoli
bi hanna critto le loro 11 - poi
hann 1 ">■ t""1"1
scopica casa, ritorni alla luce dopo ali
i ira.
Ino fu appunto ti ritto in ve
.. povero pezzo di carta che dopo ufi oblìo d
coli ci narra ili una bimba 1 he u orriso
e fu felice.
Vecchia bambola italiana.
Bambola del Museo <!i Norimberga.
Bambola
del Museo di .Norimberga.
Vei chie bambole M
DALLI WIN l^i |
285
Dove ora quella bimba? - Melari
ciniici pensieri del regno delle bambole!
Le bambole coperte dei loro abiti le
troviamo solo nelle case principesche.
Così la defunta regina Vittoria d'In-
ghilterra ne aveva conservate alcune
colle quali aveva giuncato negli anni fe-
lici della fanciullezza, quando le pre i
cupazioni del più grande Imperi
mondo non ne avevano ancora am
giato il cuore. Con qual animo
qual triste sorriso di lacrime avrà
gli ultimi anni cadenti invidiato quelle
reliquie di una giovinezza rimpianta !
La sua fedele imitatrice per l'amore
alle bambole è la giovine Guglielmina,
regina d'Olanda. Essa le ha tutte rac-
colte in un piccolo museo di famiglia e
ancor oggi di lei si racconta un grazio
sissimo episodio e una solenne in
rata inflitta ad una bambola ribelle.
— Se tu non mi obbedisci, aveva gri-
dato la fanciulla, io ti denuncerò alla
regina.
Anche il nome di Elisabetta di Ru-
La stanza dei bambini in un
Vecchia casa di bambole. M
mimili i urinai conosciuto in questo regno infan-
tile. Essa ebbe la parte principale in una riusci-
tissima esposizione «li bambole, che assunse una
importanza eccezionale come rivista di costumi
storici ed etnografici.
Celeberrime sono le bamboli' italiane e di
ste possediamo un'interessante raccolta nelle
arni anno fanno l'attesa loro
parsa attorno al presepio di Natale, o alla
timana santa lungo la via triste del Golgota.
Ai nostri giorni poi il culto pi
1 iamb le di un certo interessi
una mania, uno sport dei pili accanili.
Nelle espi isizioni compatì mi rabiln
lonne di bambole in ri
-ni! i moi la di uno a più seo li Fa Ucu I
esempio madama ('■crai'! Piogey, di
gi, ne fanm i ilta, vesteni Ioli
ci ime personalità celebri nella storia.
Ma qual differenza f] abitatrici
dei Musei di Berlin
i ma ! Quelle rigidi-, in li
gli co i. le mani inflessibili, qi
li ooincr
umano: mani
I anno, nella Natali , bianca di
neve e di sogni infatuili >no alle vi
di tante cameri coltri di
culle dove al mattino le
bacio ii ire bamboli-.
■lite bimbe felici, I hi
nei saloni dei i
povero i '1
ugna
i della in
> SO
LA l.F.T'IVKA
ha vera " Signora di fflonza? „
Da nna conferenza '!i Fi ihardt, nella Samm
In. Kaftlicher l'orlrSge, d'Amburgo),
Secondo l'Eyssenhardt, la nora di Mori
za» — «india immortalata dai Pronti S ti —
arebbe chiani.ua al secolo Severetta Zalugi,
figlia d'Ottavio, ragguardevole patrizio 'li Acqui
o, per essere più esatti, sarebbe stata l'autobiogra-
fia ili questa monaeella il un convento ili cappuc
cine pavesi che avrebbe offerto al Manzoni la tela,
sulla iiuale egli, con maestria d'artista, trapunse i
i ni della misteriosa signora.
I l yssenhardl ebbe la ventura ili scoprire nella
Biblioteca civica d'Amburgo la copia d'un mano-
scritto proveniente dalla biblioteca del barone de
(Jffenbacb in l-'ran ni Menu e nel quale in
ben ,}Sj pagine, questa Severetta Zalugi, nel 1624,
narrava al suo confessore le vicende della propria
vita. Ora la madre 'li Severetta era una Vertemà,
la cui sorella era andata in moglie ad Ortensio Bec
caria; e poiché anche una Beccaria tu poi madre
del Man/0111, nulla ili più naturale che, nel dome
egli abbia avuto visione de' documenti
dia monaca. 1 «altro canto, uhm sorella di
ivi Zalugi era passata .1 nozze con Bartolomeo
('orìo. podestà d'Acqui, ma di antica famiglia mi-
ri anelli- tra le cane ili questo il Manzoni
nfes ione di Severetta. Certo è
che tra i casi, narrati come propri, dalla monaca
ili Pavia e quelli dal Manzoni attribuiti alla mo-
naca ili Monza, corrono molte linee parallele. An-
che Severetta racconta che. ancora prima elicila na-
sse, la madre sua la volle votata a Dio; per lei,
cornei alla Signora ili Mon/a » i trastulli, concessi
da' genitori, 1 - i fissi e bambole vestite ila
ai li-- .un ra ili pietà o, per <lìr meglio,
(ii bigottismo la circondò sin ila bambina; e tutto
tu messo in opera per tarla persuasa eh,- resisten-
za piii bella e 'lentia — e la sola cui ella poti
dovi 're — era quella ilei le 0 spose ilei Si-
ena, nella sua biografìa, non ha ietto far
pizia 'l.-l Manzoni ; ma racconta le proprie vicende,
come g .1 si vede 'lai gran numero delle pagine, con
molta chiarezza e ide lusso ili particolari.
Anzi, non sappiamo davvero quanto a ragione l'Eys
senhardl deplora che l'economia 'lei suo romanzo
non alilo. 1 permesso al Manzoni ili trarre più abbon-
dantemente profitto dalla coi e o autol ii
lia. che la si voglia dire, ili questa sua antica pa-
titoli ili Severi i religii si 1
' un 1 gli 1 sercizi spirituali ;
e la bimba imitava, ne' suoi giuochi, le devote pra-
I ila soleva solersi in un cantuccio del
invento ". Quam
■ llina minore torno a casa dalla balia, ebbe an-
icino in quel « monastero ».
maci Ile e si fabbrica-
vano altarini, innanzi ai quali pregavano e salmo
diavano. Appena tane grandicelle le condussero
di sovente in chiesa e si instillò l< i". come supn
lerio, quello di accostarsi alla santa comuni
\l.i poichi ci. me ancora in troppo tenera età perchè
l'arciprete potesse loro concederglielo, \'
M'Ho con l'imitare la sacra funzione presso il loro
.ih. in uni' lavano tanto di croce su un pezzo Jj
I .me ed imitando i gesti e le parole ile' preti, se lo
porgevano a vicenda. Il padre di Severetta mori
ne più che trentenne ; e forse nulla sep
■ l.-l vi. io fatto dalla madre. Ma tanto più que
operava tenacemente per infondere nell'animo della
fanciulla la sacra vocazione. Specialmente la si.
della passione di Gesù le veniva race,, mata con
lauto paih,", che spesso la bimba scoppiava in
me. Al venerili il suo letticciuolo non veniva
riscaldato affinchè anch'ella « offrisse qualche
per Nostro Signore >,.
Le conseguenze ili queste pratiche e de' non infre-
quenti digiuni erano singolari visioni: 11 spesso —
racconta Severetta il mio corpo si sollevava, nel
sonno, alto sulla terra, e vedeva e gustava tanto ih
bello che si credeva volare per il paradiso; doman-
dava allora alla mia sorellina se aneli ella noi
desse; ma ella mi rispondeva sempre: no ».
visioni si univano i miracoli ; e così mentre i bam-
bini, si sa. rompono tutto quel che toccano, la pic-
cola santa ha per 'Iute miracolosa — e se ne vanta
— di risollevare da terra intatto tutto quanto vi
getta.
Profonda impressione aveva latta sull'animo della
piccola Severetta la morie del babbo. Ma la vi
zinne del chiostro le fu da allora alimentata più che
mai. La zia Dominila Peccarla approfittò della me-
stizia della sorella per farla da padrona in quella
. sa. 1 Mia zia - scrive Severetta — mi affido alle
cine d'un Padre Barnabita, affinchè io imparassi a
servire ancora meglio il Signore. Velia mia sempli-
cità 0, se si vuole, ingenuità credevo tutto quanto
il monaco mi diceva. Cosi, quando egli mi annun-
ziò che nel giorno di Sant'Andrea voleva Crocifig-
gi uni in una oscura cella del suo convento e aveva
già provveduto, a tale scopo una grande enee. 1"
acconsentii a dimandarne il permesso alla zia. tanto
più ili gran cuore in quanto die anche quella si ino-
strò entusiasta del mio martirio». Perchè il Barna-
bita abbia poi rinunciato alla crocifissione della fan-
ciulla cu f ''elio; ma u per indenizzarla
II premiere in bocca, ogni venerili, dell.
e la lasciò gagliardamente fustigare I
('osi visse Severetta sin,, ai quindici anni. Ed an-
che allora, quando la zia Dominila, con cui viveva.
,- « tornare al mondo » la pia fanciulla era
0 persuasa iteli. 1 sua missione che ogni alti
s'enza. ir. itine quella a lei tracciata, le sembrava 0
pera infernale 1 «A Novi (dove, a quanto pare, Do
mitili. 1 Be era con, letta per eoiler.si un po' la
vita) .1 Novi 'vani, indotti a ciò per im-
pulso ilei diavolo " dal gran nome di mia zia. co-
mmei. 11. ,11. . a desiderarmi in moglie e mi diedero
spesse volte ti di me
('io un fece tanto dolore clic quando, pei la puma
DALLE RIVISTI
-—
volta, seppi che a que' giovani faceva ufficio di me-
diatrice una certa mia cuginetta. le diedi un pugno,
in tutta la regola, sulla h C a Bi , quei gio-
vani, per ben tre anni, riempissero ogni sera tutti
i cantucci della nostra casa di suoni e di canti
affaticassero ad impadronirsi della tortezza del uno
cuore, non riesci loro mai. grazie a Dio, di indurre
i miei sensi verso siffatte stoltizie ».
La zia. che. sino allora, aveva sempre detto desi-
derare che Severetta entrasse in un monastero, era
\enuta in altri pensieri ; e il confessore, un vecchio
parroco di Novi, odi quelli che vanno alla Intona».
condividendo pure i nuovi disegni della zia. la i
sigliò a far portare alla fanciulla fiori ed altri «su-
perflui ornamenti » e a condurla ai balli... Gì
disperazioni della fanciulla! E peggio quando
\ette attendere ai preparativi per le nozze ili due
sue cugine, che si celebravano nella stes iella
zia : o Io provvidi a quanto era necessario — scrive
Severetta — ma mi guardai bene di farmi vedere
da nessuno degli ospiti ' »
« Il pericolo » la minacciò poi quando, andando
a Bosco Castello, a sette miglia da Novi, per farvi
visita a un'altra zia. la ragazza ebbe per compagno
di viaggio un suo giovane cugino. « prete sì. ma as-
sai poco virtuoso... b E tornata a Novi, dove la
zia ed anche un suo altro confessore vollero in-
durla a prendere parte a delle teste campestri ed
altre « sciocchezze mondane » . le parve di respi-
rare quando, grazie al vescovo di Tortona, potè en-
trare in un monastero. Ma si ! Avevano scelto lineilo
ricco ed aristocratico di Sant'Eufemia. E quando
Severetta vide i finissimi pizzi, di cui erano adomi
gli altari e i vasi sacri, e seppe che erano stati tutti
lavorati nel monastero, pensò che. « in un simile
convento, non doveva più esservi tempo per il ser-
vizio di Dio » e tornò a casa.
« La più pericolosa trappola che il diavolo m'ab-
gia preparata — racconta poi la monacella — tu
quando il fratello del marito d'una mia cugina.
venne a farci visita. Alcuni giorni dopo giunse an
che un suo fratello, monaco domenicano ». E non
trascorse molto tempo che il primo la domandò in
moglie. Per giunta, mentre Severetta pregava pro-
strata dinanzi al crocefisso e da lui supplicando aita,
entrò una sua antica fantesca, che viveva tutta
dita alle opere di carità, e la consigliò di adi
alle nozze perchè, diceva. Dio stesso vi ha man
sto ottimo giovane e ve l'ha destinar.' in isposo.
La zia. dal canto suo. nulla diceva, ma fai
brare molte messe. E. finalmente, quando tutto fu
combinato fra la zia ed il giovane, venne il confes
-ore e perorò anch'egli la causa dell'innamorato
giovane e del matrimonio: « Io. gli rispi
retta, ero sempre intenzionata di prendere il velo;
ma se. come voi pretendete, è Dio stesso che inti
farmi vivere nel mondo, fate di me quel che vi
piace! » E poco dopo, mentre ella cerca della zia.
ecco che. in sala, trova il giovane, che le si fa in-
contro per abbracciarla. Immaginarsi ! S
sviene e la portano piangente e fuori di sé nella sua
cameretta. Anni appresso, scrivendo la sua auto-
biografia, questi semplici avvenimenti le si presen-
tano anzi sotto un aspetto soprannaturale: « un mi-
racolo mi strappò alle braccia dello spi .so e mi tra-
sporto in men che non si dica sul pianerottolo del
piano superiore ».
Non ci fu verso: la zia e il confessore ili \
dichiarare al giovane che Severetta assolutamente
voleva andar monaca e, dopo aver tutto ma invano
ato prima per dissuadercela e poi almeno per
rivederla, il povero deluso pani. Che però e che
non è? Appanno allora la ragazza comincia a soi
trirr. e struggersi in pianti, a dimagrire tanto che
mana è costretta a « stringere li bustini
delle vesti ». Ella dice che le erano ni uen-
/■■ delle sue bramosie della vita claustrale. Ma poi
le sfugge la cont< unto che ella
« una seduzione del diavolo ». ma
che non era meno naturale: • Io maledivo tutti
loro che m'avevano inspirato il pensiero d'andare
monaca o che mi avevano incoraggiato; anzi, di-
cevo a tutte le madri mie conoscenti dovrebbero tor-
cere il collo alle loro figlie ap] sse loro l'idea
di prendere il velo... ».
Eppure — contraddizione muliebre! — malgrado
que- . malgrado i consigli di due cappuc-
cini e quelli della madre stessa, che adesso anche
ella era favorevole a un matrimonio. Severetta si
un ni. masten >: quello delle Benedel
tine in Acqui e si prepara ad entrarvi. Ma « li
dulazioni dei giovani, ognuno de' quali voleva pren-
dermi in moglie» e che. frattanto, ila inseguivano
costantemente » avrebbero tursi- vinto e avrebbero
fatto della pia fanciulla semplicemente una buona
sposa, se invece, appunto men Si retta sup-
plicava da Dio, «un accenno intorno alla sua -
volontà » non fosse capitato a spron battuto un n
so con due lettere: una della zia Domitilla e l'altra
del vicario de' cappuccini di l'a\ l anzi
cosi avversa al convento, improvvisa:
deva altra salvezza per la nipote; il vicario, natu-
ralmente, l'assecondava. Quale miracolo era ques
Semplicissimo: sino a tanto i
rimasta in casa a curarla e servirla. Domitilla I
caria non aveva voluto che la si facesse mona
ma adesso che era tornata a n se ne curava
più che tanto! Severetta però era stata edu
po nel m per ricini .-cere questa prosaica
verità! Ella vide nel mi un cenno del
; e malgrado i consìgli del suo confessore di
\ ini. obbediva finalmente, si può di
morta, al padre guardiano de' cappuccini
Ormai non c'era più d nmeno
la mancanza ili un cavallo per fare il \
Acqui a
ciulla. Prese congi le chiavi
di casa alla madre, rinunciò alla sua pai •
trimonio materno e montò in groppa al cavallo
preti- ''he aveva i i rtato il ri
e una fantesca la - 1 '
mitilla la pres v,->-
11 pa-
vicario delle i-appi: tei santo
Ilo » era
,ss
LA LE I ! L'RA
sporre d'un | ■ invento . e la ba
' .li questo, suora Onorata, dichiarò, a sua voi
be non conosceva il cappuccino e non aveva
mai : ancora una volta
ìtilla ave> ■ zza, semplicemente
Lndosi sulli d'un frate rimbambito. I
nalro la badessa mandò Severetta dal
la rimandò alla badessa, munita della
i ,: obn [615 li porte
del mona etro Si vereti a Zalugi,
1 li sui 'i I (omitilla.
nolto e troppo lusso di particolari, Severetta
uniamola pui ra coi la ;ua au
i
1 11'. sin dalle prime, per intr<>-
durre nel monastero alcune regole d'igiene, tanto
. ■ lette » fu to
portare fuori dal dormitorio delle novizie
elementi di ap 0 mune, la cui 1 n
1 non contribuisce all'abbellimento della vita d
I . daJ canto suo, il sostituto confessore, prima ili
ammetterla ;ii sacri voti, le ordinava ili portare una
pezzuola >li velo nero, mettersela sul capo la re
na in refettorio, baciarla 1 darli ogni fatta di dolci
nomi 0 cara gioia 9, 1 1 presenza ili uni i. Do
pi, I rali le ordinò poi tra altro
■1 cauassi li occhi ad un piano ili fasoli » 1 am
mani ri i o sale alla badessa come ringrazia-
rti» per il 1 .1 v • ire usatole...
Ma anche nel chiostro Severetta non trovò pace.
1 era robusta abbastanza prr quella vita. Por-
do un tino su per le scale cadde e ne ripoi
delle lesioni. Nel delirio della febbre le pareva
lora ili ■■ diavolo e, respinte le seduzioni ili
■ immaginava 'li assistere alla vita e alla glo
ria ■ I •■ della Vergine Maria. Risanò, n
della vita mondana, i ricordi del pa
la martoriavano. E non aveva nessuno
cui confidarsi! Nel 1618 però udì un giovane
prete chi predicava nella chiesa del monastero. Le
parole le fecero profo pressione. S'in
pe ' he era un geni ivese della 1 amiglia
Mula 1 qua mfessore del con
vento la sua volontà sottopose completamente quella
della giovane monaca. Ella, tra alno, era ili delicata
complessi' me 1 in fatti 1 di cibi . il prete le
impose 'li aver ■ uno 1 di ferro • <•. . .
fu ! Porse però appunto questo grande interi
in 1 verso la monacella uhm' su tutte le tu
rie una parli- delle suore. Varie delle penitenze > h
ero non possono ridirsi. Il meglio era am
quando le ordinavano di mangiare seduta sul pi
menti 1 o da una so ideila itto. Tal
volta doveva stendersi boccone sul suolo e le • buo
ne sorelle » passavano, una ad una. pestandole la
bocca oi piedi. Il tutto, s'intende, per guarirla dal-
Queste punizioni, le proprie sue contrizioni e le
lunghissime orazioni ebbero, infine, una unir.
va influenza sulla sua salute. Sentiva rum a
mente un insi le bruciore in ei ni 1, 1 I"
teva mil igan oltanl I ben- m i a < >■ e >l < "
I rirsi di pannolini bagna Pei unta, il confes
le imponeva di passare gran pan.- delle notti a
n re » le sue visioni ». E di giorno, quando s| 1
riposare nella sua cella, le monache ne aprivano a
fi rza l'uscio e, di pieno inverno, « stracciavano la
carta della finestra ».
Per ' ircostanze psicologiche, non bene chiarite da
questa cronaca, la situa/ione di Severetta andò
|mi assolutamente trasformandosi. Ella crebb
riputa/ione nel monastero tanto da larvi rima-
nila eeria novizia, malgrado il volere della ba-
dessa e del confessore. Ed anche nella città si sparse
la fama della sua pietà. E quando, in 1 alle
penitenze che s'infl «linciò 1 sputai san-
gue, i l'imni pavesi le mandarono cibi di tacile di-
gestione, ma ch'ella respinse perchè le 1 are'
« peccaminosi ».
Con l'anno 1621 si chiude quest'autobiografia,
che firmò nel if>_'j. Degli altri tre anni voli
re poi; ma ni m li fece ni pei [uelli né per altri.
Né --appiani" che di lei avvenne.
1 1 empia udiato da Eyssenhardt, aveva ap-
partenuto, secondo una noterei la in prima pagina,
all' « illu ì na di ma \p> illonia Bi ri ia 1 1
certamente) rrotti. Proviene dunque da Pavia, di
cui un Li irenzi 1 Trotti fu vescovo e vi morì nel 1 700.
-SH*-
i.H-i- PF ISA, Direttore.
• :
zzi Giovanni, responsabile.
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Un fanciullo eroe
(Traduzione di ROBERTO FAVA")
minzione e fine, vedi numero preledente .
In . he faceva tanto a fidanza
. propria abilità ili cavalcatore, neppure il
padrone ili casa era ancora montato in sella.
si fregava le mani con impazienza e ad ogni
la porta il le doveva venire
a] : Vnche i due garzoni che
lo stallone sembravano molto curiosi.
Qua Hi simile al sorriso malizioso del
l riflettersi anche nei loro
i istesso pareva dal suo conte-
che foss rdo col padrone e coi gar
trava superbo ed orgoglioso, come se
ni ito il essi i e ossei \ ato da alcune doz-
di occhi curiosi, e pareva gloriarsi in faccia
a tutti del cattivo nome che aveva, come fanno
li che si vantano delle proprie
mdolo, -i sarebbe di tto ch'esso vo-
i pri ocai il temerario i he \ oleva resi i in
esto temerario giunse
i Imente.
i , ; .,■ | i [atto
ridere tanto a lungo e veniva innanzi con
, |>iii<>. mettendo i guanti, senza nulla
n i - Mini, redini e stava pei posare
la mano sulla criniera del cavallo, ma questo si
sulle due /ampi- posteriori, fra le grida di
balzò dall'uri lai
rd • : i il cavali il quale
buf
i ini. Mali
di rido sempre ad impennarsi
. \ olar \ ia e porta
i un istante come
i. guardò attorno e vide li
tate.
— 11 cavallo è stupendo — fece egli come p
lamio fra sé e sé — e dev'i — re anche piace-
vole il cavalcarlo, ma... sapete che debbo dirvi?
E' meglio ch'io resti a casa, Così dicendo -i
volse al padroni ili casa e sulle sue labbra ap
parve un sorriso sincero, franco, che ben si con-
faceva col suo volto buono e intelligente.
— E con tutto questo io ti stimo mi cavalca-
tore eccellente, te lo giuro rispose allegro il
padrone del cavallo, stringendo all'ospite la ma-
il caloi e e con un certo qual senso ili rico-
noscenza. — Dico questo perchè ili primo
i ti sei ari-orto con che bestia feroce avevi
da fare Credimi, sono stato negli ussari per ven-
titré anni, eppure, in grazia ili questa bestia ho
avuto il piacere ili provare il soffice di
per tre \ olte, quante volte cioè mi son |
vato a cavalcare questo inutile divoratoli' di fle-
n li biada
— Tancredi, amico mio — proseguì egli avvi-
cinandosi al cavallo qui non v'è pubblico
ti\ indai no 1 qui un padrone. Il tuo
valòatore non può essere, si vede, che qualche
iew, che sarà ora in qualche vil-
lo in attesa che ti radano i denti. Via,
ducetelo w.\ di qui ' Indarno l'avete tratto fuori
dalla stalla ! — e :luse volgendosi ai garzoni
e frei le mani dalla contenti
Debbo i| sservare < hi I u redi j.: 1 i ara
■ ii ali una utilità. Inopi ... per la compra di que-
bestia, che egli aveva pagata una somma fa-
volosa pei non avere che la magra soddisfazione
.A.lT.ll.O .Tt.
ISTITUTO RERO-EIiETTROTEKAPICO DI TORINO
Anno -'V .
p>ea* le* otiru. dittile»
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non aveva smentito il proprio
iveva spaventato un ca> aliere bra
Non montate dunque in sella? — gridò la
bionda, La 'inai.' \ ole1» a ad ogni costo <- en
ruita dal -u" cavali* 1 1 avete proprio
pau
.li Dio, '■ proprio cosi ! — rispose il gio-
\ .in.
— E parlate sul
Non h" davvero nessuna coglia di rompermi
il ("il".
Ulora montate presto il mi" i a\ allo I Non
al. l.i, il.' nessuna pini bl, è molto docile. Non dob
biamo più "Un' far aspettare tutti per noi: in un
istante Le -.'III- saranno cambiate, giacché io vo-
glio cavalcare rancredi. Non può darsi ch'esso
. sempre < :osì maleducato.
Detto ■■ fatto. Essa smontò dal «.vallo e
lini l'ultima frase quando stava già dinanzi a noi.
— Conoscete male "Tancredi, se credete che
gli >i possa mettere La vostra sella E poi, nep-
pur i" vorrei permettervi di rompervi il collo!
Sarebbe troppo gran peccato! — fece il padr
i-a. il quale, conforme alla sua antica abi-
tudine, in questo momento di intima soddisfa-
zione, esagi r .... . i ancor più la sua ruvidezza già
senz'altro -indiata ed affittata. A sim avviso,
questa era una prova di carattere buono e socie-
vol Loveva senza dubbio provocare L'ammira-
; ili <ìì; v. Era una delle -ne idee fisse,
i; suo cavallo di battaglia che imi tutti cono
\ amo.
— Ebbene, mi" piccolo amico, inni vuoi pro-
sarti, tu che avevi tanta voglia di venire con
noi? -di--.' lardila lima// appena mi scor
' :i ennando all'indomato cavallo. Essa voleva
evidentemente aizzarmi, giacché avevo commes
.-" l'imprudenza di venirle dinanzi.
— Tu certo — proseguì — non sei un fa..., ma
.in.. ' in -.1 un eroe beo conosciuto e avrai
"L'na di mostrarti pauroso, specie quando
gli -'.'nardi di tutti saranno inulti alla signo
la M...
La della signora M. era \ icinissima
"i.
Il mi" ruiii. ira -tal., preso da dispetto e da
indo la I. imida dama -era
avvicinata a noi per montare rancredi, ma
rivei le i l ho sentito alla ma
spettata provocazione da lei Lanciatami. I miei
iiii-l.l, Ianni.. • i ' i .- 1 1 1 • i - ., nora
\ .'i-ii di lei in atteggiami
l'i'". In quel momento mi venne un'idea... l'u
i aitar.' di un minut". meno ancora che d'un
minuto un ispirazione istantanea, rapida e e
"ii" scoppio di polvere accesa: forse perchè la
misura era colma e il parossismo dell'ira mi
aveva dato un coraggi vo, pel quale mi
tivo in grado di schiacciare tutti i miei neri
'• una voglia pazza di vendicarmi con tutto i]
mondo e di mostrare che uomo in fossi — t
perchi m quell'istante uno strano fenomeno si
ei a prodotto Ln me. 1 1 medioeA o, di cui sin.i al-
lora avevo appena sentito parlare, s'era d'un
tratto svegliato, come per miracolo, india mia
mente. Tornei, paladini, eroi i belle dami' mi
passavano dinanzi agli occhi in una ridda fan-
tastica : mi pareva inoltre di udire un cozzar di
spade '' gli applausi della moltitudine e, in mi /
/" a tutto questo rumore confuso, il gridi, pan
roso di un cuore delicato, che si sentiva più in
clinato alle dolcezze del sentimento che all'esal
fazione del successo e della gloria. N'"ii su come
butte queste cose passassero por la mia fanl
So sultani" che ebbi come l'impressione che
se suonata per me un'ora fatale, segnata dal de-
stili". M'avvicinai a Tancredi, col cuore che mi
batteva forte forte.
— C'è qualcun" che creili' ehi" abbia paura?
- gridai con ardire e con orgogli", mentre la
vista mi si oscurava e il cuore mi scoppiava
dall'emozione. — Ecco adunque di che s i
pace! — E afferrando la criniera di Tancredi
posi un piede nella staffa e prima che alcuno
me lo potessi» impedire ern già in sella. In quello
stesso istante Tancredi si Levò sulle due zampe
posteriori, si liberò dalle mani dei garzoni alli-
biti e \ul" via come il vento.
L'n grido di terrore usci dalla bocca di tutti i
presenti.
Dio sa come sono riuscito a porre l'altro piede
nella staffa ' Non posso comprendere come ho
latin a i lasciar rad. re le redini. Tancredi
usci con me dalla porta della corte, vnit" a de
-tra •' -i pose 8 e. .nere al galoppo. Suhit" udii
di dietro a me le grida di cinquanta voci e que-
ste grida trovarono nel mio cuore quasi spento
un'eco tale .li soddisfazione e di orgoglio, che
non dimenticherò mai più quell'istante di follìa
della mia eia faneiulle-i a. l'ulto il saligne mi
sali al cervi li" ed io mi sentii tosso ed i sal-
tato: non avevo pii --una paura: non cono
scevo più me stesso. In lutto ciò vi era senza
dubbio qualihi cosa dell'antica cavalleria
D'altra pari., la mia apoteosi cavalleresca vai
c inci" e lini in meno di un istante : altrimenti
al | ' ! i e -ani. he toccata hi ulta. E U"ii
saprei dire nemmeno e mi sono salvato,
Avevo imparai" a cavalcare, ma il mio cavallo
Attente MADRI!!
L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini ; il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
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bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Calìe
Malto Kneipp. Il Caffè Malto Kneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
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fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti i droghieri che
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pm ad una pecora che ad un
Ila S'intende che 9arei caduto
Tari ivuto lem] bui
ni a tei ra ma aveva fatto torse una cinquan
lina di passi quando prese paura ili una pietra
-i trovava ad un lato della strada e voltò
indietro colla celerità del fulmine. Ancor i
i per me, e non sono stato lan-
meti i di distanza i ridotto in bri-
cioli rancredi i rta e, infuriato,
spiccava salti a destra e a
nisti Lai mi «li sella,
una tigre fosse stata sopra di lui e gli
nfitto nelle carni i denti e gli artigli.
ira un minuto secondo e sarei i aduto : stavo
rdere l'equilibrio, ma alcuni cavalieri
ei ii, per salvarmi. Due gli aveano
chiuso la strada a fuggire 'li nuovo, altri due si
i l'uno per lato sino a prendere le mie
n 'lini e mi tolsero daJ cavallo.
Ero pallido e potevo a stento respirare. Tre-
mavo come un filo d'eri ti pò lo ad vento. Quan-
to a Tancredi, esso stava immobile, rome se
avi — piantato le unghie nel terreno, sbuffava
mava in butte le ninni. ra. furente d'i
quasi zìi 11" dell'audacia impunita ili un
iullo. Intorno ;i me ri-uonavano grida di
stupore e di spa^ auto.
In qii sto momento il uno occhio smarrito
signora M. Essa era pallida e conni
sa e — non dimenticherò mai quell'istante -
sentii d'un tratto infìammarmisi il volto. Non
ivvenne Bell'animo mio : ricordo so
lo che, confuso e spaventato di quello -tran"
sentimento, mi allontanai vergognoso, cogli oc-
chi rivolti al suolo. Il mio sguardo però non era
it" inosservato: urna stato sorpreso e ru-
bato. Gli occhi di tutti -i volsero alla signora M.
ed essa i irpresa di questa attenzione gè-
nerale, arrossi d'un tratto come un fanciullo e
indarno di padroneggiare la propria emo-
zione
' -it" •■ che tutte queste cose, ai
lima erano moli licole, ma allora ave
vano per me una granii.' importanza.
In quel momento per me imbarazzante venne
a salvarmi un incidente ingenuo ed inaspettato,
che diede a tutto quell'avvenimento i -tran..
colorito. Colei che aveva provocato il tumulto
e ci llora a mia implacabile n ■
un. a la mia bella tiranna, ad un tratto i
a me per abbrai anni Non aveva
quasi creduto ai propri occhi quando io aveva
osato accettare la sua pro> ocazion
re il guanto che mi aveva Weva prova
lo s| rimorso vedendomi ca\ alcai e l an
. : ed ora che tutto era finito, l'aveva pi
un tale entusias per la mia condotta cavalle-
resca che al colmo dell'emozione si gettò su di
me, stringendomi foi te al suo petto I lopo un
nte rlla guardò con piglio ini i nuo e severo
tutti quelli che s'erano raccolti intorno a ni
disse mostrandomi, in un atteggiamento di
ri.'i.i e d'importanza quale non avevo mai o
vato in lei ;
— E1 una cosa molto seria, o signori, non ri-
' —
l. non si curò di notare che tutti le stavano
attorno affascinati, godendo del suo entusiasmo.
La sua co ozii improvvisa, inaspettata,
quel volto sei io, quell'ingenuità sincera qu
lagri ste che li luccicava legli occhi
■niv allegri e son identi e delle quali ni
no fin" allora l'avrebbe ritenuta rapar.', erano
in quella donna cose sì nuove, che tutti stavano
a guardarla come elettrizzati.
Pareva che nessuno potesse togliere lo --nu-
do da lei, per non peni, re lo spettacolo di quid
volto superilo arreso dall .' . n Persino il
nostro anfitrione si fece rosso come un tulipano
i, 'lilie cimi a sua vergogna •■ come
egli soleva dire -che per quasi un minuto in-
tero .ra stato innamorato della Leila donna che
ospitava Ben inteso che, dopo tutte queste e
io era divenuto un cavaliere, un eroe.
— D.'l.u'ges ! Ti.g'j. illuni: ! — si udì all'in-
torno.
Vivaci applausi risuonarono da tutte le parti
— Sì, .si. la futura nostra generazione! — ag-
giunse il padr di casa
— Ma egli deve venire con noi! — grido la
bella dama — bisogna che gli troviamo un pò
sto. starà culi me, sulle mie ginocchia.. Ma no,
in.: mi siinn sbagliata : .. - soggiunse poscia:
e non potè trattenersi da] rider, al ricordo della
tra prima conoscenza Ma menti'.' rideva mi
arezzava dolcemente la man., e si dava ogni
■ ni a per colmarmi di ten tri ■• . perchè non
si a sentirmi offe-.. .. vergognato.
— t erto ! certo ! assentirono alcuni. — De-
ve venire con imi. si è conquistato il proprio
p..sto !
K la cosa fu decise sull'istante. Quella vec
ebia ragazza, per mezzo della quale io a\
fatto conoscenza eolia bionda, fu subito asse-
diata da tutti i giovani, i quali con bel modo la
■urini" di re-lare a ra-a e di cedere il |
a me. Essa accond sorridendo, ma dentro
nell'animo le si agitavano tutte le furie d'Aver-
ii". dell'uscire dalla ...ile la sua protettrice —
coli i che m'aveva tanto p ito e che mi
.i -lamica — le gridò che l'invidiava
e eli.- essa stessa sarebbe volentieri rimasta a
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,alire di nuovo sulle carrozze, quando la si
gnoi -' str caviglia
vestito solo d'un abito leggero e
-, nulla al collo. I" l< risposi che
LVUto tempo di prendermi il man-
ima si tolse un fazzolettino di seta
portala al collo e !■> passò attorno al
lo perchè non mi raffreddassi, assii u
randolo con uno spillo al bavero della giacca:
□ tale prestezza, ch'io non ebbi
neppure .1 tempo ili ringraziarla.
Quando fummo a casa, andai a cercarla in un
oltre di Lei, si trovavano pure la
l,i la e quel giovane pallido, che in muoI giorno
[uistata la fama di burnì cavalcatore per-
chè n ni aveva avuti, il coraggio ili cavalcare
Tancredi: e avvicinatomi ad essa, le porsi, rin-
graziandola, il fazzoletto.
— Scommetto che avrebbe conservato volen
ti, -ri quel fazzoletto! di—.' il giovane ridendo.
I , i, jg0 ne' -uni occbi che eli rincresce sepa-
rai
\\rm ragione, affé di Dio! — fece la bion
da. Questa è un buon bocconcino! — aggiun-
, crollando il capo, ma -i fermò a tem-
pii per effetto di una severa occhiata della si-
gnora M - la 'inale di eertu limi desiderava elio
andasse più oltre con quello scherzo.
p, uscii di corsa.
— No, nmi scappare! I he ragazzo strano che
sei ' di— e l'astuta signora, la quale m ra
e mi prese amichevolmente per una
Dove\ i puramente e semplicemente te-
nere il fazzoletto, se ti faceva tanto piacere a-
verlo. Bastava dicessi che l'avevi smarrito e ini
tu sarebbe lini'" li Peri he non l'hai fati" ? Come
v. i L'i.lfn '
li, , ,,,1,, . -., un prese per un orecchio e
ro divenuto rosso co-
me un -ami
- \ li mi a -a. inni e \ m " ' I'.'
inula la nostra inimicizia? Si o
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mi i miei consigli.
\|, mila una eam. I a . pareva limito
preoccupata per Quando volli svestirmi,
s:] ;ni lasc ò solo, ami., ahi. a--... mi preparò il
the ... li portò -"la. dopo eh.- m ero coricato.
Fu pure i, i che mi portò alcune coperte ealde.
Queste 'uir e queste attenzioni mi sorpresero e
coi i" profondamente. Forse per ef-
fetto delle provate .■ /.mni e della febbre, io mi
trovavo in questa disposizione d'animo, ma il
fatto '■ che quando mi epara da essa l'abbrac
ciai con affetto sincero, e ■ un amico del cuo-
re. Nel tempi: istesso pero mi m erano risvegl
te nella mente le. impressioni dei giorni pn
denti: ma più mi veniva da piangere, e più mi
stringevo con emozione al petto di lei. La Leila
dama mi guardava con tenerezza ed essa pure
s, min a\ . e. inum—a.
— Sci un ragazzo buono oltre ogni misura! —
sussurro ella guardandomi affettuosa
li prego, non essere piti in rollerà con me! Non
ti arrabbi e i'ai più '.'
In una paiola, eravamo divenuti i più intimi
ii più fedeli amici.
Quando il mattino appresso mi svegliai, era
ancora molto presto, ma il sole riempiva già
tutta la stanza della sua luce potente. Balzai dal
letto -ano e vigoroso, come se il dì innanzi non
a Vi - 1 avuto l.i I, |.|.|. -, ull'.n .ili/l HI
za ebe al momento non sapevo spiegarmi. \
co a poco mi sovvenni degli avvenimenti del
giorno precedente : avrei dato molto per pi
abbracciare come la sera prima la mia nuova
amica Ma, come ho già detto, era prestissim
credevo che tutti dormissero ancora. Vestitomi in
(retta, scesi In giardino e di là mi recai nel
boschetto, dirigendomi dalla parte dove il verde
era pili folto e gli alberi spandevano un pmfu-
i, ,, più potente di re-ina e i raggi del sole a
davano bagliori più allegri ,■ più giocondi, per
che erano riusciti a farsi strada attraverso al
fitto fogliame.
Era un mattino bellissi , Quasi senz i accoi
germane m'inoltravo sempre più, finché giunsi
all'altro lato del boschetto, vicino al fiume Mo-
sca che scorreva a circa duecento passi, alle fal-
de d.lla e, .lima. Dall'altra pari,- del Bum
, rano u ini occupati a raccogliere del Beno. Mi
i, ,,,,,,, , conti mplare quella Bla di falci affilate,
che ad ogni movimento del falciatori- risplen-
devano di luce eguale, simili a serpi di film'..
nasc levano per poi mostrarsi di nuo
vo. L'erba, tagliata sino alle radici, volava m
-, hi pieni e compatii e SÌ disponeva ni file
imr, i diritte. Non rammento più 'pianto tem
pò rimasi a--,, rio in quella contemplazione. Ad
,,,, tratto udii un rimi. .re mi boschetto, a circa
Venti passi da me. In un si'liliei". che dal viale
e s i s r« per' '
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lo sbuffare e I" scalpitare Un
iva entii subito il
ilio avi ic inarsi e fermarsi o se avevo adito
. in po' di tempo il rui e ei a da a
- 'i ! i 'i liei
. il mi bosco e dopo alcuni
-i udii un confuso bisbigliare.
M'avvicinai, allontanando con precauzione le
irbusti che impedivano il passo nel
rimasi impietrito dalla sorp)
Gli occhi di lei risplendevano d'entusiasmo!
Era com ssa co non l'avevo mai vista i co
l>i< •>»■ lagrime le rigavano le guance. In gio-
vane a cavallo le aveva presa la mano e la ba-
ciava curvandosi sulla sella 5i erano già acco-
tati vedeva che aveva tolta fretta
Finalmente egli trasse ili tasca un piccolo plico
sigillato e lo diede alla giovane donna. Poi, sen
udere da «avallo, le passò un braccio al
torno alla vita e le die' un bacio lungo ed ar-
dente : e dato ili sproni al destriero, scomparve
colla vel "ii .1 del fulmine. La signora F. guar-
dò verso lui per alcuni istanti, imi. pensierosa
viò verso casa pel viale del bosco.
In la seguii, confuso e sconcertato per quanto a-
i \ i-t<i II cuoi e un batteva forte. Ero atto-
rto, i miei pensieri erano disordi-
nali, ma mi ricordo che, non so pi r qua! tivo,
si ntivo una tristezza indicibile. Hi tratto in trat-
■ . ■ i so il fogliame, il suo abito
bianco. La seguivo macchinalmente, senza pei
derla 'li vi-ta. e tremavo al pensiero ch'ella po-
rsi della una presenza. Finalmente
i Ila usci sul \iale ghiaiatcì rlie conduceva al giar-
dino. I" attesi un mezzo minuto e poi uscii alla
mia volta dal boschetto. Ma quale non fu la mia
maraviglia quando sull'arena rossiccia del viale
osservai un plico sigillato, che riconobbi tosto
pi i- quello ehi pnchi istanti prima era stato con-
iato alla signora M. I Lo raccolsi tosto. Av-
volto in una carta bianca, esso i portava nes-
prascritto. Piccolo, grosso e pesante, pa-
contenere più di tre fogli di carta da let-
ini I plico ■' Senza duh-
in o la piegazione ili tutto il se
lo l orse conteneva tutto ciò che N. non aveva
potuto dire in quei brevi istanti, per L'imminen
Iella affrettata .-.para/ , Non . ra in-ppur
li tanta premura
: pei
Dio lo a I lo tornai a '-'citare per terra il
plico in modo che lo si pò rgere faci!
i perderlo di vista, mi nascosi al
margine del boschetto. Credevo che la signora
rio smarrito e torna
indi i e Ma dopo a\ er atteso qual
Ilo o Cinque minuti, non potei più pailr ■_
mi : raccolsi ili q\io\ o il pino, io posi in la
e mi a\ \ i.-ii per i agg lungi re la signora \i
La raggiunsi appena quando si trovava già
sul viale principale del giardino. Ella caj ina-
va verso casa con passo rapido ed affi
COgli OCChi cluni al -nolo, lo non sapi
fare. Dovevo avvicinarmele? Dovevo darli il pli-
co '.' Ciò ei a lo lesso come dirle che sapevo tut-
to, che a\ i \ o \ riluto t otto. Mi sarei fatto i
scere alla prima parola. E come l'avrei guar
data? Come m'avrebbe guardato lei ' Aspettavo
■' tpre Che 3Ì aCO e di ciò che le era a
liuto i che ritorna---. ■ indietro per la stessa -tra-
ila dond'era venuta, per cercare ciò che aveva
smarrito. Allora io, senza che se ne avvedi
avrei potuto gettare il plico sulla -traila
ella l'avr 'hhe trov ahi. Ma mi !
Eravamo già vicini a casa : già l'avea eser-
vata !...
Quella mattina, in seguito all'insuccesso della
i a oscure del g ionio innanzi . ne
vano progettato un'altra, ili cui io non sap
nulla. Tutti perciò -i preparavano alla partenza
e facevano colazione sulla terrazza, lo aspettai
una diecina di minuti per non farmi vederi
sieine alla signora M.. e girando attorno al giar-
dino entrai in casa molto tempo dopo di lei e
per la parte opposta. Ella passeggiava sulla ter-
razza, colle mani incrociate sul petto, e studia-
va i. secondo ogni apparenza, di dissimulare
per quanto era possibile, il dolore accasciante.
senza speranza, che l'opprimeva e che si manife-
stava ne suoi occhi, nel suo incedere, in tutti i
suoi movimenti. Di tratto in tratto scendeva le
-cale e faceva alcuni passi dalla parte del bo-
schetto, sul viale per il quale era venuta. 1 suoi
occhi cercavano impazienti, ansiosi, con impru
(lenza persino, sulla sabbia del viale e sulla
razza. Senza dubbio, s'era accorta dello smarri-
mento ilei plico e credeva che le fosse caduto
vicino a casa — sì, doveva proprio credere i m la
co a fosse andata cosi ! Qualcuno della soi
aveva osservato ch'ella era pallida ed agitata:
anche gli altri s'erano accorti di ci" e incomin-
ciarono ;i farle interrogazioni sopra interi
zioni sulla -uà salute, Taluni si lasciavano an-
dare anche ad esclamazioni di rammarico, le
quali non le facevano che dispetto, sì eh' elli
trovò costretta a -cherzare, a ridere e a mostrar
-i allegra. Di tanto m tanto volgeva l'occhio ver-
so suo marito, che discorreva con due signi
in fondo alla terrazza, e allora la prendeva li
i inqu iel Ud lo -d SSO tremito che l'av e
va presa la sera dell'arrivo di lui. Io -tavo in
disp. la mano in ta-ca stringevo forte il
plico e ivevo un desiderio grande che il caso
mi fa re alla signora M. Volevq farle
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l \ FANI IMI" I ROE
inquinai i con uno sguai
do, i "ii una parola sussurrata in fretta e ili uà
Ma :n endi
do sopra 'li me, li 01 chi confu
trei ' la era e\ ìdentemente in preda alla
più |i mozione.
sin.» n questo n nin non conosco il suo se
590 non so nulla più 'li quanto ho
\ ed oniaio tin 'ini. Tuo darsi benissi-
mo che ero in modo tutto diverso
da i poti i;i presupporre ili primo acchi-
to. Forse quel bacio era stato un bacio 'li addio,
a stato l'epilogo, il primo ed unico com-
30 ili un a re al quali' ella aveva sacrili
paci N era partito : l'aveva la-
per sempre. La lettera ch'io strin-
ili urino che l'osa poteva contenere ? Come
giudicare e i - ime condannarla ? I !on tut-
to questo, lo svelamento im]irov\ iso di'] segreto
stato -'ii/a dubbio un disastro, un colpo
di fulmine per lei. Ed oggi ancora i icordo l' e-
- -ioin ■ .1.-1 suo \olto in ([uri momenti di do-
isa incertezza: tutti i suoi tratti portavano
l'impronta della più profonda sofferenza. Le pa-
reva che da un minuto all'altro il suo segreto
dovi re svelato. Qualcuno poteva trovare
il plico. Esì o senza indirizzo, l'avrebbe aper-
poi '.' .. Tutto ciò non era forse per lei rome
entenza di morte? E qual castigo
imi terribile che quello di cui era
,i ' Essa passeggiava fra i suoi prossi-
-iudiei ! Fra qualche istante forse quei volti
■ -i,i ridevano pieni di compiacenza, le
si n in ironici ed implacabili : lo scher-
no, il disprezzo si leggerebbero mi loro tratti,
ma e tenebrosa calerebbe sulla
- trita... Ma in quel tempo io non compren-
devo tutte queste cose come posso comprenderle
udicarle adesso. Allora non potevo fare che
delle supposizioni e delle induzioni, e un ram
marico grande mi prendeva, perchè sentivo, sen
nnpri ridere tutto, i he un pei icolo la minai
ciava \d ogni modo, qualunque fosse la natura
del suo segreto, questo era sufficientemente scori
la quegli istanti di ansia dolorosa, se pur.'
■■ --ano che ogni ilio abbia una pena.
Ad un tratto risuonò l'appello alla partenza.
Tutti furi da una emozione di gioia, da
tutti le parti s'udir risa allegre e paiole di
giubilo, di li a rrazza era deserta.
La signora M aveva ricusato di prende) parte
all'i dopo i le' m ultimo a\ e\ a confes
beni Per buona orte tutti
rollo con tanta sollecitazione, che non eh
tempo 'ii toi mentarla con parole di com
irta di d amie e di eoli
ìi ' i a casa i be pochissimi. Suo
manto le indirizzò alcune parole, alle .piali i
rispose 'be unii m preoccupasse, che prima di
i si sentirebbe meglio. Soggiunse che non
era il caso di porsi a letto e che piuttosto avreb
be passeggiato con me nel giardino. Cosi .li
cendo guardò verso di me. Non si poteva darà
una più felice combinazione ! \ ii di ■
i ii ; tante appi-, - so ci mettemmo m cammino,
Ella pei ,,'i i'\ a i \ iai i ,• i sentieri dondi
venuta prima, cercando rammentarsi la strada.
, d -no sguardo osservava attentamente u suo-
lo, senza lasciarne un palmo inesplorato Non
rispondeva alle mie pai-ole. aveva fors'anco di
menticato che la seguivo. Quando fumino giunti
presso al punto dove io aveva trovato il plico,
si ter li botto e con voce quasi -penta disse
che si sentiva peggio e elio voleva tornare a ca
sa. Ma giunta al cancello del giardino -i fermo
di nuovo e stette qualche istante -opra pensiero.
Le sue labbra, ebbero un moto di dispera/ione.
Sfinita di forze, stanca, risoluta a qualunque
cosa, rifece la strada di prima e dimentico di
camminare dinanzi a me. io era addolorato nel
più profondo dell'animo e non sapevo che fare,
Ci recammo, o meglio io la e lussi (ino al luo-
go dove un'ora prima avevo udito lo scalpitìo del
cavallo e assistito poscia alla scena fra lei e il
signor X. Quivi, presso un grosso olmo, ti
vasi una panca costrutta, grossolanamente in un
gigantesco blocco di pietra, coperta di edera e
circondata da gel-omini e da ro-e canine. -
Tutto il boschetto era seminato di ponticelli.
chioschi, grotte ed altre simili sorpi - La
Signora M. si sedette -lilla panca e stette pi i
alenili minuti ad osservare, senza accorgersene,
il paesaggio clic si svolgeva dinanzi ai suoi
cbi. Poi aperse il libro che aveva portato seco e
as-iinse il contegno di cbi e tutto assorto in
lettura, che lo interessa al sommo grado : ma
va immobile, senza voltare le pagine, senza
gire, in una completa incoscienza. Il sole splen-
deva alto -opra di noi. -u un cielo azzurro cupo.
lanciando pei- ogni verso fasci di luce che si
frangevano in un pulviscolo d'oro con un effet
tu stupendo. I falciatoli erano già molto Imi
tali" e dalla no-Ira riva appena potevamo distili-
Mi. niello di loro -i stendevano lunghe file
<i i Seno falciai li taiii,, in lam.. una folata
di v , ni" Ci poi lav a un profilino a. ut" e deli-
zi. ,-o. Intorno a, noi ri-uoiinva un concerto di
mille voci di quelli elle -emiliano, noli I
1 ..un. ma vivono liberi nell'aria, che tagliano
eoli,, loro ali. Ogni fiorellino, il più piccolo libi
d'erba, .-alando soavi profumi, pareva due al
ii atore l 'adi i ' allegro .■ felice ! ,, < ,,
dai la Signora M.. .'be in mezzo a lutto qui
■ di vita pareva una morta. Due grosse
lagrime, eh., il dolore violento le aveva -tiap
pai.- dagli ..eelii. le -i erano fermate sulle guan-
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in stoffa lana impermeabile che ha la proprietà di poter rimanere sotto la pioggia
per mesi senza lasciar passare l'acqua, e quando invece non piove si porta come
un ulster perchè: tien caldo, non puzza e non diventa duro come quelli di gomma,
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N. 1 A forma Ulster con mantellina smontabile, maniche e cappuccio
la potersi usare a tre usi: come Paletot, come Ulster, o la sola
Mantellina; colore nero, adatto anche per sacerdoti e militari,
oppure grigio o marrone per tutti . . . . . . L. 14, 95
» 2 Idem forma Loden con Mantellina intera, cappuccio ma senza
maniche, nero o colorato. . . . . . . . » 12, 95
3 Idem forma Impermeabile a pipistrello, cioè con le due mezze
mantelline copri manica e con cappuccio . . . . . > IO, 95
Montnllino. T Aflfln per cacciatori, agricoltori, fattorini, ecc., nera
lUdlllollllld, LUUCll o colorata, lunga cent. 85 . . » 6, 95
Idem lunga un metro a ruota intera . . . . . . . » 12 —
Idem lunga un metro e 20 a ruota intera > 15 —
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i
VII
UN FANCIULLO ERI
i ni mio potere di rianimai. . ai rendere
maxrito, e non sapi vo
e fare, non Dine muovere il primo
mi il. CÌSÌ ili a\\ i. marni. Ir. ma in quel i nento
il mi., vi èva di fuoco e non ero in grado
di farlo Finalmente mi venne un pi n iero fi
avevo trovato il mezzo, mi sentivo riviven
Di bbo fan i un mazza ? — li in tono
che In ' il ò i hi e
a ari tati
•amm. ■!.. ! - - rispose finalmente con vo
debole, abbozzando un leggiero sorriso, e
. assare gli occhi sul libro.
E ai n ~i fa oggi Lo gridai rido via
tutta l'erba sarà falciata e non
-i troveranno più fiori '.
vi un trailo risuonò l appello alla par-
N. ii erano passati che pochi minuti e il mazzo
Lto Era brutto, meschino, non meri-
tava d'essere portato a casa; ma come mi nat-
ii cuore nel i ai cogliere i Boi i
dovevano formarlo e nel legarlo assieme !
Avevo colto rose selvatiche e gelsomini ili cam-
po. Sap VO Ln VÌI man/a un campo (li frinii, n 1 1 1
coi i e piccai dei fiordalisi e delle
hi .li grano, avendo cura 'li sceglie
li He più piene i più auree. Non Lungi di
la m'imbattei in una larga distesa di «Vergi
meinnicht». Il mio ma//., incominciava ad in
ni in po' più lontano trovai mughetti e
!ani .li campo e presso il fiume dei bellis-
simi gigli gialli.
Nel ritornare al posto dond'ero partito, cer
.■a\ .1 nel boschi tto alcune foglie verdi dentei
ili ontano per chiudere il mazzo, e per
caso trovai un'intera famiglia ili viole tricolori,
io alle (inali — con mia grande gioia - sco
te ni mezzo all'erba grassa e rada,
delli magnifiche mannunli' dir. linguale nnnu.i
ili gocce di rugiada, s'erano date a i scere
il l pigili Il min mazzo era pronto,
Lo i on fili d'erba lunghi e sottili, che Lo
o attorcigliati formando una specie di funi
i e .-.in bel graiin \i accomodai dentro il
he chiunque avesse dato uno
mi! ii"ii pulì \ a a meno di osser
\ ai lo.
Mi diressi poscia vei o la pania dove stava se-
ora VI. Lungo il cammino mi pan e
il plico desse troppo negli lo spinsi
un pò più addentro. Man maini che m'avvici-
navo, i" nascondevo sempre più tra i fiori, e
quan in i dinanzi alla giovi torà, il
i ii.p.'i in. ila unii e ssere quas i più
I nane.' mi bruciavano dall', 'in. i/i..
ni mi venivi d colle
mani e di fugg ire Via i i nardo i miri fioi i
in modo come se av . sse dimeni icato eli io
andato a raccoglierli unente per lei
Se la mi ■.une un ani. una. pri i il
ZO, I" POSÒ Sulla paura senza alzar. • gli occhi,
inni. -■■ glielo avessi dato appunto con questo
I ... e, come Ln sogno, turno a fissare lo sguar-
do sulle i aunir del libro. Mi veniva da pian
ir per il mio insuccesso. Vlmeno fossi
ci li ■ Ila tenesse i fiori ' Ma se li avi
dimenticati? Preoccupato da questo pensiero,
mi coricai sul! ei ba, -opra il fii li
Capo a] juitii sulla inailo, chiusi gli occl
i ì 1 1 ~ i di doni
Non perdevo però di vista la signora ed aspel
tino... Passai oiin dieci minuti all'incirca. Mi
pai èva ch'ella divenisse sempre più pallida... Ad
un trailo mi ve in aiuto un felice evento. Una
grossa ape, d'un bel giallo chiaro, venne a pò
sarsi -ni mio capo e volò subito dopo dalia
gnora \l. Questa cercò pi una di mandai la
colla mano, ma l'ape pareva che a bello studi..
divenisse -empir più seccante. Finalmenl
signora M prese il mio mazzo e cercò con esso
di allontanare l'ape. In seguito a questo movi-
mento il plico -i sciolse dai fiori e cadde pro-
prio -ul libro. Io provai un'emozione da non
dirsi. La signora M. rimase per alcuni istanti
come impietrita dallo stupore, guardando ora
il plico, ora il mazzo di fiori. Pareva quasi non
potesse creder.' agli orchi propri. Ad un trailo
ai i ossi e rivolse lo sguardo a me. Ma Lo l'avevo
pi i Minila : tenevo gli occhi socchiu ii e fingevo
sempre di dormire. A nessun prezz a l a\ rei
guardata negli occhi. 11 cuore mi Latti-, . |
ed ero in preda a profondo termi i Ci me un
UCCI llino ' aduto nelle mani di un pie. olii Ga-
\ roche di campagna
Non -o quanto tempo stetti così cogli -hi
socchiusi. Forse di tre minuti. Finalmente
' --a ap.r-,' il pliro e -i po-r a leu-ere la 1,1!
Divorava lo scritto cogli occhi Li uè guance
ardevano, gli occhi scintillavano, ogni tratto del
SUO volto tremava di una rnnzi ■ lieta, to in
dovinai che in quella lettera era la sua felii
e che il dui a -eoiypar-o : sentii stringermi
il cuore da una tristezza calma e doler ,• dovetti
far forza a mr medesimo per non tradirmi.
ià un tratto s'udir delle voci che si a\ \
na v ano ;
— Simiora M. ! Natalia' Natalia ' — !■.- i
risj ma si le\ ò dalla panca . -i av \ ic
i pire., -ii di me, die fin mpn di doi
mire. .• sentii die mi guardava propi
eia I e pa ip. bi ' in i 1 1 1 ■ 1 1 1 ; i \ ali", ma mi dominai
n dischiusi gli ocelli. Mi -forzavo ,1 i pi
lai • regolai mi nte, con calma, mentre il cuoi e
mi voleva -(oppiare. Ella -i chino -u di me, vi-
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\ 11
1 \ I AM 11 LL( I I RI IE
« ino, v icino, com i atanni, ed lo sentii
.-■ul mio volto il -il. alito ardente. Finalm
ella un baciò due volte sulla mano che i vo
sul petto e calde lagrime caddero su di e
— Natalia ! Natalia ! dove sei? — si udi
nissimo a
— Subito ! - - rispo oora M. culla sua
ti i ita dalle lagrime, cosi pia
no. che io solo potei udirla
Ma in questo momento il cuore mi tradì rutto
ii sangue mi affluì alla faccia e nello stesso
istante sentii un caldo bacio ardermi le labbra,
Mandai un grido ed apersi gli icchi, su cui ella
aveva appena buttato il fazzoletto di seta del
-no innanzi, come per proteggerli dal sole.
Ella era già se parsa [o non potei che udire
il rumore «li alcuni passi affrettati Quando mi
vidi solo, mi tolsi dal volto il fazzoletto e —
so in tutto il mio essere da un sentimento
di gioia Indescrivibile — lo baciai. Per alcuni
minuti mi parve d essere cune in un altro un un lo.
rauccio affondato nel terreno, la mente asser-
ii un -navi- vaneggiamento, e teniplavo està
tico la collina che mi stava di fronte — il prato
iti — il fiume serpeggiante a vista d'occhi
Ira iodi e villaggi, che si scorgevano come punti
appena percettibili nella lontananza luminosa
— la foresta che appariva all'estremo orizzonte
comi una lunga striscia di vapori azzurrognoli,
e un oblio dolce, pim ocato dal sili
che un circi adava mi prese e mi calmo a p
a poco l'ai imo agitato. Mi sentivo più leggii
respiravo più liberamente. Ma l'anima mi -i con
torceva in uno spasimo ineffabile eppure non
privo di doli e/za.
11 mio cuore era sbigottito ed allegro nel tempo
is tesso, perchi aveva indovinato qualche cosa,
ed a -p.t lava, agitato da un leggìi ro tremito. VI
un tratto si scateno la bufera interna. Sentivo
un doline accasciatile, e ■ • fossi -tato fi-rito.
e lagrime, lagrime di doh' urivano dagli
rechi miei. Mi copersi il volto colle mani e —
tremando come una foglia in tutto il corpo —
mi abbandonai tutto alla voluttà dello -chiu-
dersi dell'ai. ima mia. a questo sintomo primo,
e ancora indefinito, dello svegliarsi della
esistenza interiore.
In questo momento io era giunto al termine
della mia prima fanciulle/za..
Quando, due ore appri SSO, 'ornai a casa, non
trovai più la signora M. Era partita improv\
mente per Mosca con suo marito ,. non Ilio più
veduta.
F IN I .
F. M. DOSTOJEYSKl.
•V;
^^3
h^
Ammo-II
•Nvm 4«
•La- Lettura-
Aprile
RIVI5TAAEN5ILE-
DEL-(pRRILRE-
DELLA-5ERA"
902
DIVORZIO D'ANIME
(Frammento d'un romanzo inedito)
uando, dopo la discussione col patire. Al-
berto e la signora salirono in casa propria
e sedettero a tavola cui ragazzo, nella bella
a da pranzo che dava sulla piazza e sul corso,
Alberto s'accorse che sua moglie aveva cambiato
umore. Ogni volta che essa aveva qualche cosa con
lui. non attaccava già briga, non si mostrava irri-
tala: taceva soltanto, pigliava un atteggiamento
passivo, una cert'aria ili rassegnazione indulgente,
he si esprimeva in un sorriso leggerissime 1. E que-
sto gli era insopportabile. Egli preferì di lunare sul-
l'atto.
- Ti pare. — le domandò. — che io abbia detto
gn issi spropositi ?
Essa tardò un momento a rispondere; poi
disse:
— Non dico questo; ma... ti confesso «'he m'ha
fatto pena sentirti dir quelle cose.
— Perchè ?
- Perchè... non so... mi pare che tu ti sia mes-
so per una strada... che non è la tua; per una stra-
da rhe ti potrebbe condurre...
— Alla perdizione?
— Xo... ma, che so io?... Alla volgarità. V n
La Lettura.
forse la parola giusta, non so esprimer? bene la
mia idea... Non mi parevi più tu. mentre parlavi.
Ma come? — domandò il marito sorridendo.
- E' volgarità il dire che il mondo è pieno d'ingiu-
stizie e di miserie, e che a questi mali si può metter
riparo ?
A quella domanda, la signora rispose con uno
dei suoi soliti scambietti donneschi, che era di sfug-
gire a una quistione saltando in un'altra.
Ma perehè. - domandò dolcemente. — non
tieni ronio di tutto quello che si fa per la gente po-
vera, di tutti i denari che si spendono in carità, in
ospedali e in tante altre cose? A sentir le. pare che
ttn:i 1 ' [uesto non sia nulla.
- Ma, cara mia; io ho parlato d'ingiustizia.
Alla ingiustizia non si ripara con la carità, suppo-
sto anche che questa bastasse ad alleviar tutti i
mali ; e tu vedi che non basta, che è come un ri-
gagnolo che si perde in un deserto di sabbia. La
.arit.ì presuppone il male, ossia la povertà, l'abban-
dono; i dunque la causa del male che bisogna sop-
primere, e questa causa è L'ingiustizia.
Ma 1 piale ingiustizia? — domandò la signo-
ra, con sincero desiderio di comprendere.
jQO
LA l I [TURA
v tto dianzi, un'ingiustizia patente. E'
che la rii de è prodotta tutta dal lavoro, in
vece ripartita equamente tra > lavoratori che
la producono, si riduce in poche mani, nelle quali
si moltiplica, formando nella i una
se privilegiata, che dispone 'li tutti i mezzi di
sussistenza del maggior numero, e perpetua in sé
l.i facoltà d'arricchire, d'istruirsi e ili godere, men
tre tutte le altre rimangono forzatamente povere e
Ulti.
gnora stette un po' sopra pensiero; poi
— Non capiso i.
iggiunse:
Ma la ricchezza non s'acquista lavorando?
vndii lavorar gli altri . vuoi 'lire.
endo lavorar gli altri ~j Ma il nostro vi-
l rireri. per esempio, che è ricco, non lavorò
per arricchire? Sai che principiò facendo il mura-
tore.
Ebbene, egli principiò ad arricchirsi appunto
quando cessò di lare il muratore, per prendere degli
appalti, con cui faceva lavorare altri muratori. Se
avesse continuato a lavorare rome i suoi compagni
non sarebbe arricchito mai.
Ma ha continuato a lavorare in ogni modo:
Ila calcolato, ha diretto., che so io? s'è dato moto.
ha messo in opera la sua intelligenza.
- E ti pare che i treo quattro milioni che mise
insiemi-, con cui potrebbero vivere duecento lami-
glie, siano un compenso giustamente proporzionato
al lavoro di calcolo e di direzione che egli fece? E
che sia giusto che le centinaia di lavoratori, che con-
corsero alla formazione della sua ricchezza, e senza
ilei > juali non avrelilie pollilo far nulla, abbiano a-
vuto appena da campare stentatamente, faticando
■re al giorno, logorandosi la salute e rischian-
do la vita, per finir all'ospedale? Ti par giusta la
ripartizione?
Ma allora, secondo te, tutte le ricchezze sono
di mal acquisto?
] lavanti alla legge, no; davanti al diritto na-
turale, si.
Vuol 'lire che sono di mal acquisto anche i de-
nari di mio padre ?
Ma. scusami, tuo padre non li ha nemmeno
ai quistati, li ha ereditati.
Beni ti: sarebbero dun [uè di mal
Sto 'lucili di mio nonno, che li guadagnò fa-
• l'avvocato. Li ha force guadagnati, lui, fa-
■ end i lavorar gli altri ?
No, in apparenza Ma egli potè, come awo
farsi una fortuna in grazia dell'esistenza d'una
• privilegiata, die era in grado di pagarlo in
misura sproporzionata all'utilità sociale del suo l.i
voro, appunto pei irricchita i nenti
in lon. lo 1 1 «a.
Rimonta alla sorgente 'ii qualunque fortuna, • \
m in sempre un'ingiustizia.
li signora scrollò il capo, in atto di negazione,
e disse che non sapeva rispondere, che non sapeva
dimostrare l'errore essenziale del ragionami
ma che non era persuasa, che sentiva che era un
errore. E concluse:
Parliamo d'altro, - col suo sorriso di indul-
gente rassegnazione.
Era quel sorriso che indispettiva suo marito, un
sorriso che arieggiava quello dello suocero.
— E' inutile. disse Alberto, un po' stilo,
queste cose non le puoi capire. E non è colpa tua.
Tutte le donne son cosi. Alla donna manca assoli!
tamente l'amore della giustizia per se stessa. Sente
pietà per la miseria, per il dolore che vede; ma
non per le miserie, per i dolori lontani, delle molti-
tudini. Non sentite che la pietà acuta. E siete carità
tevoli perche la carità vi dà delle soddisfazioni ;
non siete giuste, perchè nella giustizia v'è un di
teresse assoluto.
La signora tacque per qualche momento. Poi ri-
spose in inno conciliativo:
— Sarà cosi. Non ti voglio contrariare. Tu in-
tenderai queste cose meglio di me. Soltanto, ti prego
d'una cosa. Giovedì sera, quando saremo in casa il
tuo padre, per l'anniversario del matrimonio. ,
sarà anche il mio, non entrare con lui in questi di-
scorsi. Tu puoi immaginare come la pensi, e io lo
so. perche l'intesi avantieri: siete, come si dice, ai
due poli opposti. Sai com'è lui, cosi assoluto nelle
sue idee, così... ombroso. La conversazione cadrà
certamente sul primo maggio. Promettimi di non
dir nulla.
La raccomandazione sorti un effetto opposto al
suo scopo. Da un pezzo gli dava noia quello suo-
cero, il Commendati ire. senz'altro, come lo chiama-
vano, messo sempre innanzi da sua moglie e dai suo
come l'autorità suprema dei due casati, il principe
intellettuale della parentela, il nume che non hisu
gnava né offendere né irritare. Egli rispose con
finta pacatezza:
— 0 perchè mai le opinioni che esprimerei
in pubblico non dovrei osar di esprimerle in preseli
za di tuo padre? Che a lui non paiano giuste, ni ri
una ragione perchè io deliba mentire. Delle verità
sgradevoli se ne sentono dire anche i re ; ne può
sentire egli pure. Non può mica pretendere i;
faccia violenza alla mia ragione, alla mia coscienza
e al mio cuore...
Ma non e questo ch'io intendo di dire! Ma ra-
giona un po'... non t'alterare.
Non t'alterare: era una delle sue frasi abituali,
che lo irritava.
Nessuno riprese la signora preti
In- in parli diverso da quel che pensi, lo ti pi-
soltanto di evitare il discorsi' per evitare dei guai.
hl\'()K/[n h ANIMI
- Dei guai?... Il peggior guaio che mi possa ac
cadere è che egli mi dia torto.
- Ma tu sai come s'irrita e quanto gli dura l'ir-
ritazione. Questo solo dovresti evitare, per pruden-
za. Si debbono dei riguardi a un uomo rome lui.
- Eh cospetto! — esclamò Alberto, alzandosi,
— se ne debbono a me pure. E ti dico schiettamen-
te, poiché è un pezzo che l'ho in cuore, che quella
specie di magistratura intellettuale ch'egli vuole e-
sercitare sopra di me. mi secca e mi offende, e che
non glie ne riconosco il diritto ne per la cultura ne
per l'ingegno.
291
dere sul terrazzino, rivolta verso la piazza, con le
braccia incrociate sul petto, in atto di proti
Alberto si mise a sedere sul sofà, dal lato oppo-
sto della sala, col cuore un po' stretto. Altre volte
avevan disputato per piccole gelosie di lei. 0 per
giudizi discordi intorno a persone di connine cono
scenza ; ma la discussione non s'era mai inasprita :
sua moglie aveva sempre ceduto tutta un tratto,
con un buon sorriso, mostrandosi sinceramente pei
suasa d'aver torto. Era quella la prima volta che la
trovava resistente, e col presentimento confuso d'una
resistenza durevole. No. essa non l'avrebbe mai se-
l.a ignora impallidì leggermente, s alzo, e pi-
gliando fra le sue una mano del ragazzo, che guar-
dava lei e lui. maravigliato di quella disputa inso-
lita, disse a bassa voce:
— Non mi hai parlato mai cos'i di m/o padre.
M hai fatto una ferita al cuore.
- Cara Giulia. — rispose Alberto, raddolcen-
dosi a un tratto. — ne ho una anch'io che è sempre
aperta.
Essa capì, e disse col pianto nella gola:
- E una tua immaginazione. Sei tu che non gli
hai mai voluto bene.
— Non se l'è mai fatto volere.
- Ah questo non è vero! — ribatte la signora.
e voleva dir altro ; ma non potè, e mentre il ragazzo
usciva quieto quieto dalla sala, ella s'andò a se-
guito sulla via delle sue nuove idee: il suo carat-
teie, la sua educazione vi si opponevano. Era buo-
na e gentile d'animo ; ma v'era nella sua bontà una
certa mollezza, qualche cosa di rattrappito e di i-
nerte. che le impediva d'uscire dal cerchio egoistico
della famiglia, dì estrinsecarsi in qualsiasi sacri-
fizio che non avesse per oggetto quelle poche per-
sone la cui felicità faceva parte della sua. L'edu-
cazione tradizionale che si dava alle ragazze della
sua condizione, aveva fatto di lei quello che essa fa
di quasi tutte: un'anima divisa in tanti piccoli so
partimenti, nei quali si trovava un po' di religione,
un po' di pietà, un po' di letteratura, un po' di gen-
tilezza mondana e un po' d'alterigia di classe, tutto
dosato in quella certa misura e messo a posto con
garbo, perchè fosse tutto in buon ordine e bello a
_•'._>
LA I 1 l 1 i R \
ma nessun sentimento abba
abbastanza larga e profonda, da pò
teme usi ire un ordine 'li idee e i me
quelle che avevan preso dominio nella sua mente e
nel suo cuore. E forse non li poteva comprem
nemmeno. Chi Perchè egli l'amava.
Una mossa che sua moglie fece in quel punto,
appoggiando una guani , i una mano, gli ri-
cordò l'atteggiamento eh prendere, per lar-
gii il hn nandn egli Hi tredici anni, essa ili
^m±
• lodi. i. v eran la pi ina volta, trovandosi
le loro famiglie a villej 'auto, nei dintorni
igliana. A -. allora a volersi
bene, i irrendosi nei giardini, con un risoche non
era più fanciullesco. < 'un quell'ai «nto, rssa
gli ricordava i primi turbamenti dei sensi, le prime
mestizie, 1 ebbrezza violenta e maravigliosa del pri-
mo b i eran più ritrovati insinui- per
anni ; ma per anni ella era stata il suo desidi
l'alimento quasi continuo della sua immaginazione;
il profumo dei suoi
ide ili bambina . e quan-
do il raso, riavvicinando i loro parenti a Torino, li
messi Cuna in I ili ro, pi cu più
ventenni, lei nel fiore della bellezza, lui raggi
■ li Ila sua prima gioì ia ili scritti ire, egli i i
preso ila una passii ne così irdenti ila gorm
quelli rlie l'amavano, ed essa da un amore mi no im
petuoso, rime voleva l'indole sua. ma così risoluto
e tenace, che sin, padre e sua madre avevan dovuto
rinunziare a combatterlo. Il padre, ricco, avrebbe
voluto uu genero pari suo. e ili natura più al
alla prò] ria, e 'li professione più conforme alle sue
simpatie: anzi, n'aveva già uno in cuore, ignorato
ila lei. e che s'era già dichiarato: il figliuolo ilei dol
tor Gerì, suo vecchii amico; ma egli pure, oltre che
vinto il. ili. i volontà immutabile 'Iella figliuola,
lasciato un po' abbagliare, lì per lì. ila quel bel
giovane biondo, già quasi celebre, che pareva a-
mato ila tutti, e a cui egli pensava che la gloria let-
■'1.111,1 avrebbe aperto un giorno altre vie; e aveva
acconsentito COSÌ al matrimonio, se non ili gran
cuore, ili buon garbo. Ma Alberto aveva sentito fin
d'allora fra sèe lo suorero un'antipatia ili tempi
mento, e poiché, parendogli lo sposo aneor molto
giovane, quegli aveva espresso il desiderio che la
'■oppia prendesse casa vicino a lui o al padre Bian-
chini, egli era venuto a stare vicino a suo padre,
per non aversi a trovar sovente con l'altro, e pei
sottrarre a l'influsso di lui la sua sposa, nella quale
già pur troppo, benché l'adorasse, riconosceva una
vaga impronta paterna.
In quel momento appunto, essendosi sua moglie
voltala di fianco, egli osservò la rassomiglianza che
essa aveva Col padre nella parte superiore del i :i| 0:
la natura, per fortuna, ravvedutasi in tempo.
arrestata alla radice del naso. Ma essa riportava miu
padre in altre piccole rose, in certi movimenti del
colli ', nel modo di pronunzi
prattutto in quel sorriso leggerissimo, eoo cui a
glieva ogni suo moti" o giudizio che stimasse strano
e contrario al buon senso o ai gusti dominanti nella
i lasse signorile: sorriso diverso affano da ogni al-
tro suo solito, e rhe gli pareva il riflesso dell'anima
delio suocero, compenetratasi un momento ron la
sua. Ma non c'era di più, e ne ringraziava il cielo,
poiché la sua antipatia per quell'uomo era andata
. n si endo cogli anni, a poco a poco, come un mal
sere sordo. Egli aveva scoperto in lui un sovrano di-
sprezzo per ogni dote o fonila d'attività delle
liio rhe non portasse l'uomo in alto sulla siala
'i' ll,i gerarchia ufficiale, a wo grado, a un titolo, al-
l'esercizio d'una qualsiasi autorità riconosciuta, i.
sotto a quel disprezzo, un'avversione profonda per lo
per il poeta, come pi i un nemico istintivo
dell'ordine si naie, per un avvocato nato della mala
gente. Non doveva aver mai letto un libro di le
ratina. Egli l'osservava alle volte, |uando ne api
uno per caso nel suo studio, e ne scorreva qualche
rigo: gli vedeva errare Milla faccia un barlume di
lilYoKZU i D ANIME
2Q3
sorrisi i corri] assionevole. qualunque fosse l'autore ed
il passo, come a chi legga delle puerilità, delle stram-
berie, delle gherminelle di parole da burloni oziosi,
delle quali gli sfugga il significato : e gli faceva rab-
bia il gesto col quale, abitualmente, richiudeva il libro
di un colpo e lo buttava sul tavolino. E come s'era
mutato con lui. benché si sforzasse di nasconderlo.
dopo che, tradito dall'ingegno e dalla fortuna, egli
era rimasto un semplice professore di liceo, con le
ali (Iella gloria spennate! Egli capiva bene che lo
considerava come un fallito, e che il suo disprezzo
per le lettere doveva esser cresciuto a più doppi da
poi che gli avevano dato quel disinganno in fami
glia. Nessuna simpatia comu-
ne v'era tra lui e lo suocero,
né di idee, ne di persone o di
cose; mai non usciva da quel-
la bocca una frase che espri-
messe un sentimento suo; tut-
te le mosse di quell'uomo, tutti
gli sguardi dei suoi occhi spor-
genti, d'un luccicore di cristal-
lo., il riso grasso e forzato,
persino il suo modo di cam-
minare maestoso e pesante.
come s'egli sradicasse i piedi
da terra per trapiantarli più
avanti, fino ai suoi minimi at-
teggiamenti, che Alberto osser-
vava senza farsi scorgere, per
forza di antipatia attrattiva .
eran tutti l'espressione muta di
pensieri indeterminati che si
urtavano coi pensieri segreti di
lui. In dodici anni non gli era
ancor riuscito dargli del tu. E .
sarebbe stato un sacrifizio su-
periore alle sue forze l'andar qualche volta a casa
sua. se non fosse stata la suocera, la signora Paola,
una buona signora all'antica, tutta casa e chiesa.
semplice e dolce, piena di umile ammirazione per
il marito, ma che voleva bene a lui come a un fi-
gliolo.
Come mai era uscita da un tal uomo la donna che
egli amava? Eppure, ripensandoci in quei mo-
menti, egli trovava qualche altra rassomiglian-
za, pur troppo, tra il padre e la figliuola: una man-
canza d'ideali, un'ombra di scetticismo, una punta,
benché appena sensibile in lei. e solo a quando a
quando, e in certe cose soltanto, di gretteria. E in
essa pure pareva che dormisse il sentimento dell'a-
micizia. Fuor di casa non aveva mai avuto che un
affetto, a cui era legata una storia dolorosa. E men-
tre essa continuava a tenere il broncio, seduta sul
terrazzino. Alberto, quasi per riabbellirsi nell'ani-
mo l'immagine sua. riandò col pensiero quella sto-
ria, che le aveva inteso raccontare tante volte, e ogni
vi Ita con nuovi particolari, e sempre con viva com-
mozione. Il fatto risaliva a sei anni avanti che si
sposassero, quando essa era in villeggiatura vicino
a un paesetto dell'alta valle del Po, dove l'anno pri-
ma, aveva preso una grande simpatia per la maestra
comunale, che veniva a dark- qualche lezione di bota
nica: una ragazza bella e colta, certa Angiola La
riani, di pi chi anni maggiore di lei (allora quindi-
cenne), rimasta oltana da bambina, d'indole austera
insieme e dolcissima. Essa era tornata quell'anno
alla villa con grande desiderio di riveder la sua a-
mica. Ma. nel corso di quell'anno, questa era stata
oggetto duna ferocissima persecuzione da parte di
un signorotto campagnuolo, assessore comunale e
tirannucolo dei dintorni ; il filiale, offeso a sangue
dalle sue ripulse sdegnose e dalla manifestazione pub-
blica del suo disprezzo, l'aveva calunniata, diffama-
ta, torturata, fatta sospender dalla scuola e dallo sti-
pendio, e ridotta alla miseria e alla disperazione,
suscitando contro di lei le ire ili tutto il paese, 'l'or-
nata là la signorina, mentre la quistione stava nelle
mani delle autorità di Torino, e ignorando nei primi
giorni, del pari che la sua famiglia, ogni cosa, la
maestra aveva ripreso le sue lezioni senza far pa
rola dei propri casi, stringendosi a lei con affetto
sviscerato, che essa le ricambiava con tutta l'anima,
ma impensierita e turbata dalla sua profonda tristez-
za, della quale non le riusciva di larsi dire né d'indo-
vinar la cagione. La cagione era che in quei giorni
appunto le autorità avevan mandato \m ispettore a
lare un'inchiesta, che bottegai, conladini e ragazzi,
comprati e intimiditi, avevan mentito infamemente,
che l'ispettore era stato ingannato o corrotto, -he la
294 LA u-' ' URA
calunnia aveva vinto, che la maestra era stata con
dannata permessa, e che meni re
|ues va, ella si trovava ridotta alle pi
le la pallidezza mortale che la sua
alunna cerca\ .1 «li colorire, scherzando, col suo ba
era la fame. I i gnorìna non aveva so
'li nulla.
la mi.i maestra era mancata alla le-
e : suo padre, informato d'i l'aver a
licenziata bru Inquieta dì m m vederla, essa
andar ili nascosto con la giardiniera
ni Ma, ì atl i pi chi passi per
una avevano udito un rantolo disperato,
veniva 'li dietro a una siepe Era lei che s'era
buttata in una gora immonda, carponi, lei già im-
mersa col capo e col busto nell'acqua, che si contor
orribilmente, delirante e frenetica, cercando la
morte nel fango. Strappata ili là ili viva forza, i
tìnava a voler morire, già enfiata d'acqua, col
i iso infangato, convulsa, sformata, quasi muri In un la.
gridante aiuto, era accorsa gente, l'avevan presa a
braccia pei trasportarla, e mentre la prendevano, ie
eran caduti 'la una tasca del vestito fradicio al-
i-uni soldi e una crosta ili pan nero. Appena vistala
salva, la signorina era svenuta ; e portata a rasa, si
era ammalata. Finita la malattia, non grave, ma
lunga, le avevan detto tutto, e che. divulgata la no-
tizia lei latto dalla stampa, era seguito nel paese
un rivolgimento degli animi, stata compiuta una
nuova inchiesta, la ragazza riconosciuta innocente,
chiamata a Torino, rifatta dei danni, e mandata
maestra dove aveva chiesto, in un villaggio del Lo-
digiani'. Ili là essa le aveva scritto, dopo qualche
tempo, una lunghissima lettera, un quaderno, in
cui era raccontata la storia intima dei suoi casi e
ilei suoi dolori, ed espresso il suo infinito affetto per
lei. con parole che l'avevan fatta singhiozzare per
una giornata; ma dopo quella, non gli eran più
'•mite altre sue lettere, benché ella le scrivesse
più volte. Soltanto l'anno appresso aveva risaputo
che era stata trasferita in Sicilia, dove n'aveva perso
ogni traccia. Ma di quell'avvenimento era rimasta
nel cuor suo una impressione incancellabile: una
pietà sempre viva, una venerazione per l'amica per
duta. per la sua forza d'animo eroica e pei ogni
0 delio mio di cui si ricordasse, come per una
santa, e una cura amorosa di quel suo manoscritto
d'una cosa sacra; e, congiunto a questi affetti,
un certo concetto tristo dell'umanità, nato dal di-
sprezzo, dall'orrore che gli dava la memoria di unta
quella gente, uomini e donne, poveri e signori, bu-
giardi e vigliacchi ino villi] erata e marto-
riata quella povera creatura. Si. da qui sta Ionie.
.i\a suo marito in quel momento, doveva rwi
derivata quella sua freddezza che le amiche le rim-
proveravano, quella mancanza d'affetto umano, che
I fi i : . |i
va '. \'on occorreva che un'idea, che un sentimento di
più. per dar vita piena e fiammante a quella l>ella
persona, elicgli amava ancora come nei primi giorni
sua.
I fissandosi in questo pensiero, la guani.
messa in piedi sul terrazzino, e spiccava con tutto
il busto. Stretto in un semplice vestilo lilla, sul verde
i^1 delle acacie della piazza Kss.( serbava inalte-
rate ancora le sue lormedi ragazza, dima snellezza
e d'una eleganza che aitii.iv.ui gli sguardi per la
via; rispondeva appunto a quell'ideale di donna,
alta di Statura e di contorni virginei. die egli aveva
vagheggiato fin dai suoi sogni di giovinetto, e aveva
in ogni atto e in ogni posa una mollezza e una gra-
zia, che l'occhio d'Alberto studiava ancora, qualche
volta, come pei scoprire il segreto della sua forza
di seduzione Nel suo viso bianco, coronato di folti
capelli castani ondulati, gli occhi azzurri e 1 denti
bianchissimi erano come due splendori, che non la-
scia vari vedere l'imperfezione dei lineamenti, e ia
rendeva più bella un'aria abituale di canzonatura
infantile e benevola, sotto alla quale traspariva la
sensitività squisita, per cui mutava viso sotto una
carezza, con un'espressione di languire incan-
tevole.
("un questa forza teneva ancora potentemente suo
marito, e lo sapeva, e non sorgeva un dispetto in
lui o m\ malumore, che essa non riuscisse a vincere,
non con impeti violenti di passione, ma solo con la
infinita dolcezza che metteva nel suo abbandono.
Egli le sentiva ancora nei capelli la freschezza odo-
rosa della fanciullezza, e sulle labbra il sapori
primi baci, mentre il suo braccio non s'accorgeva
quasi di non stringer più la vita d'una bambina,
egli pareva incredibile, impossibile in quei momenti
In- avesse mai a sorgere fra di loro, lungo il giorno.
un'ombra di discordia. E questo pensiero gii resi-
ni quel punto più doloroso il dissenso di poc'anzi,
E appoggiato il capo alla spalliera del sola, chiu-
dendo gli occhi, penso qual nuovo i- potente legame
avrebbe Stretto Ira loro la comunione di quella gran-
de idea, come avrebbe rifuso insieme tutti i loro
pensieri e tutto il loro sangue, acceso un se ondo a
more, aperto una seconda vita, suggellato luna al-
l'altra le loro bocche più tenacemente, col fremito
d'una rinnovala e più ardente giovinezza. E ciò pen-
sando, con gli occhi chiusi, mise un sospiro di ram-
marico, che si sentì troncare da un bacio.
facciamo la pace, gli disse caiezzevol
mente sua moglie, 'limala su di lui, posandogli le
mani sulle spalle. - E, sentendo nel bacio ili lui
che la pace era fatta, soggiunse con dolcezza: —
Ma ii i i ia pa e e ti perdono ^<\ un patto: pn
mettimi almeno i In- giovedì sera non entrerai in quel
discorso per il primo, '• che se ci sarai tirato dal
papa, esprimerai le lue idee con moderazione... e
con rìspl
DIVORZI! i li ANIMI-.
Jll.l
Egli sentiva il suo alito sulla fronte: promise, e
le cinse la vita col braccio.
Ma quella, lanciato uno sguardo per la finestra
alla piazza, gli sguizzò di mano, dicendo:
- Ce la signora Luzzi che ci guarda col cannoc-
chiale.
Alberto guardò e vide infatti a una finestra della
casa ili faocia, dall'altro lato della piazza, la signora
Luzzi che teneva il binoccolo appuntato verso di
loro.
— Che impertinente ! disse.
— Non lo dire, — rispose la moglie sorridendo .
- nella signora Luzzi, vedi, c'è la stoffa d'una so-
cialista.
Egli prese quello per uno scherzo, e ne rise an-
che lui, mentre il ragazzo, rientrando e vedendoli
riconciliati, faceva atto d'allegrezza e correva ad ab
bracciare suo padre.
Ma il seme fatale, del divorzio, che era in quelle
anime, aveva gettato quella sera il primo germoglio.
Edmondo De Amicis.
SOPRA UNA LAMPADA POMPEIANA
r3K^&di;xKr^
/ co : di pingue oliva
colma e la vecchia argilla ;
tocca lo stami- il rapido
bilcu d'una scintilla,
e subito n.sp/ende
sul breve labbro e crepita
la fiamma die s'accende e si ravviva.
(in le. celando un foco
la fiamma eoa la mano,
spio la madre i pargoli
l'ultima notte invano'
o fermo il tuli et fio
dell'opra, udir le vigili
aia eli e il ere pillo ite'
e la blanda luce
!,'// staitela fogli indora
d dolor dei seeoli
l'occhio pensoso esplora :
dì là. per la notturna
pace la /ima scivola
ra il mar taciturna e :
v riluce.
Xarra : o di quali porte
sul limitar perivi,
ave di baci un murmurc
tra un ansar lento udiv
Il tetro voi dell'ore
SOSpi SO i i-i ••iti .Vi
delirio dell'amore t aclla morte
/'< >, in . lucerna mite
a questo eie/ nifi
fin, t t il tedio
de' lugubri soggiorni.
nife t obliqua i
illuminasti ali ditte.
che pel cieco partili ,, gno iti Dite
un sotteranco rombo
correa dal monte al piano.
e il procelloso in/
urlo del mar lontano .
poi dal culmine incenso
bai: ii la vampa, e i cardini
parve schiantar l'immenso orbe del i>
SOPRA I \\ LAMPADA POMPEIANA
i per l timbri nere
i Ile erranti ?...
,■ dell'ebbrezza i calici
cascati di ninno infranti.
i li atterrite genti
di qua di là si sbandano
vagabondi armenti i con li fiere
29;
1 Al pai i ente
« sugge un malor le vene \
■: \orno suo precipita
« fra disinganni i fette :
« mi iempre in cuor gli dura
ci dil mal ibi fu / assiduo
« rimpianto, e lo tortura amabilmente! »
E ingombrano la fuga
la notte i la mefite,
e {insensato accorrere
alle comuni usati :
ibi paisà ai bimbi .' ... una
dentro li cune 1 miseri
t implacata Noverca i l: trafuga.
1 : .■.'.spanilo e il foco
brevi rattizzo : al
iorn su l'ardui pagine
l'indocile (insiero.
i insani rinasic un tarlo
dentro il cervello, i stridulo
ritorna a succhiellarlo a poni a poto.
Ma da un timor sospinta
che dentro il cuor la strugge,
iorn Cesi ilio! infuria
l ardente piova e fugge
■aiim da luoghi, a cui
■oiiii l'amorosa vergine
frananti pir altrui, starna e non -un/a.
Risi Mara tu alla mente,
vecchia lucerna, il 1
un ramuscel di lauro
un dì spirai ; ma solo
oggi al mio cuor diletta
fugar la nebbia e il tedio
di questa piccioli/la ora presente.
Oh. quanti volte appaia
osò levar le ciglia
di là passando trepida
e di pudor vermiglia! ...
Tocca le amati porli ; ...
un cane oltre il vestibolo
lotta invan con la morte e la ialina.
Grande è (ir ! aria bruna
il ragionar dei morti
mentre di là, su l'umido
rabbrividir degli orti
airvan le cime al vailo
neri 1 cipressi, i parlano
con isso il mar d'argento e con la luna.
S 1 mia. id affannala,
discinta, arsa le chiome,
pel già disirto impluvio
grida tre volte un nome!...
dunque!... e di lei pietosa
laudar lento de' suoli
ha per noi lacrimosa orma seri
Est 'Oi del rotto velo
li miserandi effigie.
i l ombri disti parlano
così d'olire lo Stigie :
« Penili da bui soggiorni.
« mortai, queste reliquie
« a/li chiare ritorni aure del cielo '
Lascia iìie dorma in pace
nel grembo della Urrà
« chi più non ode il garrulo
« suon della vostra guerra.
« Noi conseguimmo il vero
« che. tu persegui: e un bri::
« la vita, e il tuo pan /irò ombra fugace ».
Xapoli.
Guglielmo Felice Damiani.
La misura del tempo e le zone orarie
loco per volta, con passo lento ma sicuro,
il sistema delle zone orarie si va esten-
dendo sempre più sulle regioni civili della
superficie terrestre, e sono facili profeti quelli che
-ii prevedono assicurata, in un lutimi più o meno
remoto, la completa vittoria tinaie. L'adesione più
recente è stata quella della Spagna, la quale ha ìn-
trodotto il tempo di Greenwich (o dell'Europa occi-
dentale) a partire dal primo gennaio inoi, ed ha
n pari tempo adottato la numerazione continua
delle ore da zero a 24. da una mezzanotte all'altra.
secondo l'uso moderno italiano.
Del sistema orario a zone, detto anche a fusi, si
parlò inulto in Italia alcuni anni fa. quando fu di
scussa la convenienza di adottarlo nel nostro paese.
surrogando l'ora di Roma con l'ora dell'Europa cen-
trale Dopoché la questione fu risoluta con un De-
Reale dell'agosto 1803 (1), era naturale che
I argomento passasse in seconda linea, tra le cose
fati itali non <•<• più Insogno di ritornare.
ma. dopo otto anni, si può ritenere opportuni
1 Questo Decreto, dovuto all'Iniziativa dell'oli. Gè
naia, mini ■."ti pubblici, introdusse col i° no-
vembri 1893 due riforme distinte, indipendenti fra loro,
t'na è l'adozione dell'ora dell'Europa centrale nei servizi
ilici di tr;iv. azioni del Restio: l'attrae
la ni aerazione continua delle 2.1 ore.
'li riparlarne, specialmente a scopo istruttivo (1).
Dapprima richiamerò brevemente le nozioni fonda-
mentali che riguardano la misura del tempo e il si-
stema delle zone orarie; poi vedremo quali sono le
rondi/ioni di l'atto relative all'estensione del siste-
ma sulla superficie del gioì», terrestre.
* *
La misura del tempo ,- fondata sul moto diurno
■ lei sole da levante a ponente, moto che è un'appa-
renza, come si sa, dovuta alla rotazione diurna che
il nostro globo compie sul proprio asse polare, nel
senso da ponente a levante. La culminazione del
sole, ossia il suo passaggio al meridiano di un dai"
luogo, determina l'istante del mezzogiorno locale.
che è vero o medio secondo che si considera il sole
vero oppure un sole fittizio, detto il sole medio, che
viene immaginato per facilità di ragionamento.
Consideriamo sulla sfera celeste (fig. 1) il cir-
1 In una tragica e recente occasione — l'attentato
contro il Presidente MacKinle) — nacquero qui <la noi
delle discussioni intorno alle ore di partema dei tele-
grammi che recavano in notizia in Europa e intorno alle
■ni l 'irrisuotidenti nel nostro paese. Si potè allora COH
Statare I be non è sempre facile aver sottomano i dati itti
merici neci risolverà siilatti piccoli problemi, che
pure occorrono abbastanza spesso nel lavoro giornalistico
e nel mond degli aifari.
LA MISURA HKL TEMPO E LE ZONE ORARIE
colo PAP' che va da un polo all'altro passando per
il sole, cioè quello che tecnicamente si chiama il
circolo di declinazione del sole, od anche il suo cir-
colo orario ; l'angolo variabile ZPA (angolo orario)
che ha il vertice nel polo visibile P ed è compreso
tra il meridiano (fisso) e quel circolo mobile, mi-
sura a ogni istante il tempo locale. Qui ci riferia-
mo al caso del sole situato a ponente del meridiano,
cioè al caso delle ore pomeridiane. Nelle ore anti-
meridiane, invece l'angolo orario ZPA del sole (fi-
gura 2), contato dal meridiano verso levante, mi-
sura l'intervallo di tempo che il sole impiegherà
per arrivare al meridiano: ossia misura la differen-
za tra il mezzogiorno e il tempo vero locale nell'i-
stante considerato. Naturalmente l'angolo orario va
espresso in tempo, in ragione di 24 ore per 360 gra-
299
3 gradi e 9 primi, che fanno, in tempo, 12 minuti
e 36 secondi ; dunque abbiamo a ogni istante:
Tempo di Venezia uguale Tempo di Milano più
i2m 36s (1) e viceversa.
Tempo di Milano uguale Tempo di Venezia nir
no 1 2"1 36s.
In conclusione, dato il tempo di un luogo, si
passa al tempo di un altro luogo aggiungendo la
rispettiva differenza di longitudine (tradotta in tem-
po) se si deve andare verso levante, e sottraendola
se si deve andare verso ponente.
Comunemente non si hanno idee esatte sul modo
rapido con cui variano i tempi locali in proporzione
delle distanze dei luoghi in longitudine. Nei nostri
paesi, intorno a 45 gradi di latitudine, la varia-
zione del tempo locale arriva già ad un minuto in-
Fig. 1. — Sfera ..-eleste, veduta da un
punto esterno situato verso ponente.
A = luogo del sole, a ponente del meri-
diano (ore pomeridiane).
NHSW = orizzonte ,
NZSR = meridiano \
N = nord E = est
Z = zen il
Popolo celeste h.n e i : .-
FlG. 2 — Sfera celeste, veduta da un
punto esterno situato verso levante.
A = luogo del sole, a levante del meri-
diano (ore antimeridiane").
del luogo terrestre O, centro della sfera
S = sud \V = ovest
R = nadir
P' = polo celeste australe.
di. cioè di un'ora
ogni grado.
>gn 1
gradi e di 4 minuti per
Ciò premesso, troveremo senz'altro evidenti que-
ste tre proposizioni :
I. — Tutti i luoghi terrestri che sono situati
sotto un medesimo meridiano contano nello stesso
istante fisico lo stesso tempo locale.
II. — In uno stesso istante fisico il tempo lo-
cale è differente da luogo a luogo, quando si tratti
di luoghi appartenenti a meridiani diversi.
III. — Se di tali luoghi ne consideriamo due,
i loro rispettivi tempi locali nello stesso istante fi-
sico differiscono tra loro di una quantità costante
che è uguale alla differenza di longitudine tra i
due luoghi, cioè all'angolo compreso tra i loro ri-
spettivi meridiani, misurato in tempo invece che in
arco (nella solita proporzione di un'ora ogni 15
gradi).
• Per esempio, Venezi- è all'oriente di Milano per
fero per soli 20 chilometri (all'incirca) di distanza
nel senso est-ovest. Ecco una tabella che contiene
dei dati numerici precisi, cioè il valore in chilome-
tri dell'arco di parallelo che corrisponde alla varia-
zione di un minuto nel tempo locale, per diverse
latitudini geografiche.
Arco
Arco
LATITUDIMt
d'i parallelo
Lati, l
di parallelo
equivalente
< .juivalcntc
h A 1- I C A
a un minino
GEOGRAFI! i
r un minuto
ili tempo
di tempo
km.
km.
G"
27.8
50°
17.9
IO
27.4
55
IH.O
20
26.2
00
13-9
3°
-4-1
70
40
21-3
So
4-8
45
19.7
90
0.0
11I giorni e le ore si segnano con d e li, iniziali delle
parole latine dies e hora, e cosi pure i minuti e secondi
di tempo si segnano con le iniziali ni, s, per distinguerli
dai minuti e secondi d'arco ai quali è riservata l'antica
notazione degli apici ('e ' ').
3oo
LA LETTURA
immagìniami
iguali ili 15 gradi l'uno dal-
l'alti .1 definire 2 1 tempi lo
- .ili .lift- progri -11 amente ili
un'ora precisa man mano che si va verso oriente
nche ci li mo alla considei u ii me «li que
mpi locali iliwT.si. . mai he in un
dato istante ei econda delle
1 restri, un 1 ire del giorno.
I1 (uel che precede risulta che quando si
tmbiguità un istante 'li tempo,
e riuscirebbe utile in pare chi r.mu della scienza \l
dal latu pratico, della vita civile, è manifesto che
l'ora universale troverà sempre difficoltà gravissime
adottata. <■ San : p>-r non ilir
- (dice il Celoma nell'Annuario scientifu
industriale del 18851 che gì di San Fran-
ad esempio, dovessero contan mezzogiorno
verso le 4 del mattino del loro tempo locale. E\
dentemente gli affari e la vita degli abitanti ili una
data regione non possono regolarsi su altro tempo
sul lucali-, u al più su un tem] 0 che ilal la
■ li poco differisca ed abbia col tempo universale
un rapporto assai semplice >.
Ecco perchè le conclusioni votate a
Washington circa Torà universale sono ri-
maste sterili.
La discordanza dei tempi locali. 1
stanza sensibile anche tra paesi relativa
mente vicini, non poteva più rimaner tra-
scurala nel secolu nostro, dopo l'inven-
zione delle ferrovie e dei telegrati. Cre-
sciute enormemente la rapidità, la fre-
quenza e la facilità delle comunicazioni,
si riconobbe tei presto la necessità ili
una unificazione regionale od anche na
zìonale delle ore. Questa importante ri-
forma fu eseguita nella Gran Bri
nel 1848 (ora di Greenwich per l'Inghil-
terra e la Scozia, e ora di Dublini pei
l'Irlanda), in Italia nel 1866 (ora di Ru
ma), in Francia nel i8qi (ora ili P
Questo è il sistema delle ore regionali o
nazionali secondo i casi, che ila principili
furono introdotte nel servizio ferroviario,
postale e telegrafico, e poi ili necessità si
estesero a tutti gli altri usi della (
vile.
— Globo terrestre diviso in 24 fusi orjrii, per mezzo di meridiani a intervalli
uguali di i; gradi (ossia di un'ora) l'uno dall'altro. 11 primo meridiano è quello di
Greenwich.
La carta è una projc/.iooc ortografica sopra l'orizzonte del luogo terrestre definito
0 meridiano col parallelo boreale di 5: gradi.
cessano indicare qua! è il meridiano terrestre
-urne ionie regolatore del tempo. Per que
. come per quello di primo meridiano nel
computo delle longitudini geografiche, ora si adotta
dai più il meridiano di Greenwich (il principale
( rsservatorio inglese e uno dei principali del mondo),
conclusioni di un Congresso speciale
tenutosi .1 w ishington nel 1884. il giorno universale
un giorno medio solare) comincerebbe per
tutto il mondo alla mezzanotte del meridiano di
Greenwich e dappertutto porterebbe la data vi-
gente sotti ' qu Min.: le 01 - uno uni
dovrebbero contare per 24 ili segiiitu. a
partire dallo «ero (mezzanotte).
scientifico il tempo. 0 (come si suol
1 un importanza non pi< cola
Le ore regionali 0 nazionali, che in
conseguenza della loro origine erano di-
stribuite irregolarmente, non potevano
tuttavia soddisfare al bisogno (sempre
più vivo e sentito ai giorni nostri) di una
unificazione internazionale, anzi mondiale, delle ore,
o almeno al bisogno di una facile e rapida converti-
bilità dell'ora di uno Stato nell'ora di un altro. A
ciò provvede il sistema delle zone orarie, il quale
ha ricevuto in pochi anni una notevole diffusione.
Con esso si raggiunge una specie di unificazione
mondiale delle ore. senza discordanze eccessive
diversi tempi locali e quindi senza contraddizioni
1 le parti del giorno naturale (mattina, mezz
-era e ih itti
L'idea del sistema orario a zone fu sviluppata
agli Stati Uniti nel 1875 e al Canada nel 1879. ed
ivi venne effettivamente applicata su vasta scala nel
1883. Però già parecchi anni prima, cioè nel 1868.
il Governo della Muova Zelanda aveva adottato
ora ninni. ile quella che anticipa di undici
LA MISURA DEL fEMPO E LE ZONE ORARIE
JOl
e mezza rispetto al tempo di Greemvich. dietro ini-
ziativa di Sir James Hector. direttore dell'Istituto
geologico e geografico della Nuova Zelanda in Wel
lington. Anzi fino nel 1860 il medesimo sig. Hector
a fatto notare i cambiamenti che sarebbero di-
■. entati necessari nel computo delle ore lungo la
gran ferrovia canadese del Pacifico (1). Ma la prio-
rità assoluta dell'idea delle zone orarie va attribuita.
per quanto si sa, al nostro Filopanti. il quale trattò
brevemente dell'ora universale e delle zone orarie
nel suo libro Miranda, scritto in inglese e pubbli-
cato in Inghilterra nel 1859 (2).
Il meridiano iniziale o fondamentale è quello di
Greemvich. A partire da questo (fig. 4 e 5) si con-
siderano gli altri 23 meridiani che dividono l'equa-
tore terrestre in intervalli uguali di 15 gradi cia-
scuno, e s'immagina di numerarli tutti progressi-
vamente, andando verso oriente, da zero a 23 ; si
vengono così a definire, per tutto il globo terrestre.
-4 tempi diversi, i quali corrispondono rispettiva-
mente al tempo di Greemvich. più un'ora, più due
ore. più tre ore. ecc.. restando comuni per tutti le
afre dei minuti e dei secondi.
Questi 24 meridiani sono i meridiani centrali di
altrettanti fusi sferici (fusi orari), ciascuno dei quali
si estende per 7 gradi e mezzo in longitudine (os-
sia per mezz'ora di tempo) a ponente e a levante
del proprio meridiano centrale. Tutti i luoghi ap-
partenenti a un medesimo fuso dovrebbero adottare
1 Queste notizie, riguardanti la Nuova Zelanda, erano
fino a pochi mesi fa poco conosciute in Europa. Vedi
l'eccellente Rivista astronomica inglese The Observatory,
luglio 1901 , pag. 291 ; dove si aggiunge che in seguito a
ciò la Nuova Zelanda dovrebbe venir considerata come
il primo paese che abbia adottato il sistema delle zone
orarie, purché si ammetta di comprendervi anche delle
zone la cui differenza con Greemvich sia uguale a un
numero dispari di mezz'ore.
2 Ouesto libro dev'esser diventato rarissimo. L'inge-
gnere Giuseppe Rocca . nel suo pregevole articolo su
« L'ora universale » Rassegna Nazionale, anno XV 1
Firenze. 1893 . ne ha tradotto e pubblicato il seguente
brano, che è quello che ora ci interessa :
< Conterete i giorni per tempo universale e per tempo
« locale. Il primo giorno dell' anno per tempi universale
< comincia a mezzanotte vera sul meridiano superiore del
« Colle Capitolino. Per l'Astronomia, per i telegrafi, per
€ i bastimenti o per qualunque altro mezzo di comunica-
< zione tra punti molto distanti della Terra sarà usato
< questo tempo universale.
« Per il tempo locale dividete tutta la superficie del
< globo, per mezzo di meridiani, in 24 zone longitudinali.
« o/usi, che differiscono l'uno dall'altro di un'ora. La
« prima di codeste zone avrà nel suo meridiano medio il
« Campidoglio, e comprenderà una gran parte dell'Italia.
« della Germania, della Svezia e dell'Africa.
« Per tutto codesto fuso il giorno locale e civile cornili
« cera quando suonano le 6 del mattino a tempo univcr-
« sale. Per tutto il secondo fuso , procedendo verso occi-
« dente, il giorno civile comincerà un'ora dopo, e cosi
< via via. Con questo provvedimento sarà facilissima la
« riduzione reciproca del tempo universale e dei vari
« tempi locali , gli uni agli altri. Per esempio, sapremo
< con certezza che quando saranno 14 minuti di una de-
« terminata ora, dove che sia. saranno 14 minuti di un'ora
« o di un'altra, dappertutto ».
reme loro tempo comune il tempo medio (ben in-
- . non il tempo vero) che rigorosamente sj iette-
rebbe soltanto al meridiano centrale di quel fuso.
Questo è lo schema dei fusi orari nella sua geo-
metrica generalità. Nell'applicazione pratica il si-
stema deve ricevere necessariamente delle modifi-
cazioni. Le linee di confine tra le successive zone
orarie non possono esser dappertutto dei veri meri-
diani geografici, ma in certi tratti del loro percorso
devono presentare delle irregolarità più o meno sen-
sibili, dovute alle delimitazioni politiche dei vari
Stati, a confini naturali tra regione e regione, od a
speciali vincoli di affinità storica o di prevalente
movimento commerciale. Xe segue che in certi casi
la differenza fra il tempo locale e il tempo nor-
male della zona supera il massimo di mezz'ora che
sarebbe fissato dallo schema teoretico. Ma lespe-
rienza ha dimostrato che anche tali discordanze ec-
cezionali si conciliano perfettamente con le esigenze
della vita pratica.
*
* *
Vediamo ora quali sono le condizioni di fatto e-
sistenti alla superficie del globo terrestre, relativa-
mente alla diffusione del sistema orario a zone. Tali
condizioni sono riassunte nella seguente tabella .
dove è indicata, nella maggior parte dei casi, an-
rhe l'epoca della riforma oraria (1).
Tempo normale = Tempo di Greemvich — - 8"
(Pacific tinte):
Dominio del Canada e Stati Uniti Xov. 1S83.
Tempo normale = Tempo di Greemvich — 7''
{Mountain tinte):
Dominio del Canada e Stati Uniti Xov. lS8$.
Tempo normale =Tempo di Greemvich—- 6h
(Centrai tìnte ) :
\'ov. 188;.
-Il
Dominio del Canada e Sta:
Tempo normale = Tempo di Greemvich —
(Eastern'o New York Unte):
Dominio del Canada e Stati Uniti Nov. iS8ì
Tempo normale = Tempo di Greenwich — 4"
(Intere olonial o maritìnte tinte) (2):
Dominio del Canada e Stati Uniti N'ov.
(11 Per la compilazione della tabella e per le ulteriori
notizie relative alle ore ferroviarie europee mi sono valso
principalmente delle seguenti pubblicazioni:
The Obserz'atory, numeri di febbraio e luglio 1901. —
G. Ricchieri: « L'Italia e l'unificazione mondiale del
tempo col sistema dei fusi orari » (Milano, 1S92). — <..
Rocca: « L'ora universale > (Firenze, 1893), < Les fu
seaux horaires en Europe » 1 Bruxelles, 1897), e le tabelle
stampate nella « Guida-Orario generale pel viaggiatore in
Italia » 'pubblicazione mensile dell'editore <;. Civelli).
Inoltre alcune notizie mi furono gentilmente favorite dal
medesimo ing. Rocca, ispettore principale della Rete Me-
diterranea.
. Si crede che l'intercolonial tinte sia poco usato e
che sulle coste orientali del Canada le ferrovie usino in-
vece il tempo della zona oraria contigua a ponente (ea-
stern lime, zona orientale degli Stati Uniti). Questa no-
tizia è data dall' Observatory, febbraio 1901. pag. 90.
Quanto 3lla denominazione di New York tinte che sem-
brerebbe invalsa per questa zona, si può notare che non
va presa alla lettera, perchè New York si trova a 4I1 56"" di
longitudine occidentale da Greenwich e non a 5" o".
302
LA LEI 1 ! RA
Tempo normale di ( ìreenw ich
(Tempo dell'Europa occidentale) :
. i ,
Bcl^l' U
■ < ...... ìd.
rempo normale rempo di Greenwich | i1'
/ i mfo dell' Europa centrale) :
Aprile
Norvegia Genn
Dani aurea Gìngna
era iJ. id,
Itali* . \ov.
Germania Aprile .id.
i . 1879
i*-Ungheria (per le Otiob
Serbia ... M..
Turchi* (/eie di Salonicco) Aprile i<i.
Stilo lìbero del Congo
Tempo normale Tempo di Greenwich * i!l
1 mezzo :
Colonia del Capo di Buona Sperai) u .
Orangc . id.
IVansTaal id.
rempo normale rempo di Greenwich | zh
(Tempo dell'Europa orientale)
Rumenta ... Ottob.
irla . . Maggio
Turchi» (rete Ji Coiiantìnopoli) Aprile id
1 Ottob. 1900
Naia) Seti cai. 189$
Tempo in.rin tempo di Greenwich \ 8h
\ujttalia occidentale b'ebbr. 189;.
Tempo normale Tempo «li Greenwich l 9h
Giappone Gemi. iSHH
Tempo normale L'empo 'li C.reenwich \ qh
e mezzo.
Australi* meridionale M
Tempo normale Tempo di Greenwich ì- ioh
Victor!* .... ...
New South \\ alea
Quecnsland . ...
■ini
Tempo normale Tempo «li Greenwich f nh
e mezzo.
Nuova Zelanda
l-cbbr. i£ 4;
id. id.
id. Ìd.
lo" Oy I8fc 19*- 2Ò5" 2IX ~TF~ 23v G*
Mappamondo in projexionc di He — Emisfero occidentale.
quello di Greenwicli e le longitudini .uno conute d* zero a 180 gradi, verso tat-e vano uvei
l meridiani tratteggiali .sono 1 meridiani centrali dei lingoli U\\\ or»riÌ, Otti* i meridiani regolatori del
LA MIM RA DEL
I MPi > E LE ZONE ORARIE
3o3
In Europa l'adesione al sistema delle zone orarie
manca l'inora da parte del Portogallo, della Fran-
cia, della Grecia e della Russia. Nella Gran Bre-
tagna stessa vi è un'eccezione: l'Irlanda non segue
il tempo di Greenwich, ma quello di Dublino.
Quanto alla Russia europea, il servizio ferrovia-
Lio è regolato quasi dappertutto sul tempo di Pie-
troburgo, che anticipa appena di un minuto rispetto
al temilo della zona oraria dell'Europa orientale.
Fanno eccezione la Finlandia (tempo di Helsing
fors) e il Caucaso (tempo di Tiflis).
In Francia l'unificazione nazionale dell'ora, cioè
l'abolizione delle ore locali, fu eseguita nel i8qi. e
d'allora in poi il tempo normale per la Francia .
l'Algeria e ila Tunisia è quello di Parigi. Le So-
cietà ferroviarie usavano già da molti anni il tempo
di Parigi per gli orologi esterni delle stazioni. Ma
per un'antica abitudine, che l'Annuario del Bureau
des longitudes attribuisce a « des motifs d'ordir
purement administratif » e che probabilmente ebbe
origine da intenzioni pietose verso i viaggiatori in
ritardo, gli orologi interni e di servizio sono tenuti
in ritardo di 5 minuti rispetto al tempo di Pari-
gi (1). Per conseguenza la vera ora ferroviaria fran-
cese non è quella di Parigi, ma è l'ora di Rouen.
città che si trova a 5 minuti (in tempo) di longitu-
dine occidentale da Parigi. L'ora di Parigi anti-
cipa di 9 minuti rispetto a quella di Greenwich e
quindi ritarda di 51 minuti rispetto alla nostra del-
l'Europa centrale: invece l'ora di Rouen anticipa
appena di 4 minuti sul tempo di Greenwich e quin-
di ritarda di 56 minuti sul tempo dell'Europa cen-
trale.
1, 'Malora la Francia si risolvesse a dare la sua a-
desione al sistema delle zone orarie fondato sul me-
ridiano di Greenwich. lo spostamento del meridiano
(1) Un'usanza consimile, ma applicata in un modo
più razionale, era quella che si seguiva anni addietro in
alcune nostre grandi stazioni, per esempio in quella di
Milano: l'orologio esterno era tenuto avanti di 5 minuti
rispetto agli orologi di servizio, che segnavano l'ora di
Roma. In occasione della riforma oraria (novembre 189,51.
tale abitudine fu smessa, senza inconvenienti e senza la-
gnanze del pubblico.
FlG — Mappamondo in proiezione di Mercatore. — Emisfero orientale.
tempo. I [imiti L'Uditivi delle zone orane sono rappresentati .t.i linee continue e sono tracciati in massima pa
COndo la orti annessi .il libro di E. von Hessc Wjrtcgg ; [),e l:ntì:eiH;fit naeh Stttndenionfn. etc, Lipsia, 1K02.
■ •"I
LA LETTI RA
sarebbe relativamente
>Io: inveì e di passare i i Parigi (ora e» ile a
per Roiien <or.i ferroviaria), quel meri-
iress .1 poco per I <■ I [a\ re. cioè
per il principale porto comi della Francia
sull'Atlani irò (i
Relativamente alle regioni extra-europee e che
non figurano nella tabella data più sotto, qui non
sarebbe di certo il luogo opportuno per un eli
■ li longitudini geografiche, comprendente un numera
Confronto fra le diverse ore ferroviarie i-nnipiv.
N.
3
6
7
8
9
io
1 1
i :
i I
i I
16
'7
18
IQ
20
21
22
-3
-I
STATI
Mi RIDIANO
regolai
dell'oi i
ferroviaria
Irlanda ....
Portogallo . . .
Spagna . : . .
Inghilterra e Scozia
Francia ....
Belgio
( "landa . .
Lussemburgo . .
Norvegia ....
Danimarca . . .
•era ...
Italia
< iermania . . .
Svezia . . .
Austria-Ungheria .
Serbia
TurchiaK: e
I u . Rt te i
Bulgaria ....
Rumenia ....
Russia europea. .
Id. : Finlandia . .
Id. : ( laui .iso . .
Grecia
Dublino. . .
Lisi iona. . .
Greenwich . .
Id.
Rouen (i) . .
Greenwich . .
1.1.
Europa cent. 2)
[d.
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
Europaorien 5
Id.
Id.
Pietroburgo .
1 lelsingfors. .
Tiflis. . . .
Atene . . .
■ ISPBTTIV,
quando è
mezzodì
al tempo
dell'Kuropa
centrale
Il ni
10 J}
11 o
I I
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Differenza
d'ora
col tempo
dell'Kuropa
centrale
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o o
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I o
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I I
0 40
1 So
o 35
ANNOTAZIONI
1,1) Per consuetudine l'ora ferro-
viaria francese è tenuta in ritarda
di ; minuti sui tempo di Parigi, .he
M in poi e il tempo legale
in Francia e in Algeria.
(2) Il meridiano dell'liuropa cen-
trale t quello situato a i; gradi di
longitudine orientale da Greenwich.
In Italia qucMO meridiano passa per
l'Etna e per Termoli; In Austria
per Gmund (Bassa Austria); in
Prussia rcr Slargar.! (T'omeraiita).
(.rtl 11 me i diano dell I .
ricnt.ile è Quello sii
di longitudine orientale .la Green-
wich.
no riassunti i dati relativi
ai principali Stati d'Europa (2).
ne notare espressamente queste circostanze
di fatto; il meridiano di Greenwich passa a meno ili S
■tetri a ponente ili Le Havre più esattamente .1 soli
26 secondi di tempo, equivalenti e 7sj'i metri, contati a
partire dal campanile di Notre Dame, segnale trigonomc
trico . quanto a lunghezza di percorso, il meridiano di
bbe da chiamarsi un meridiano più Iran
che traversa tutta la Francia o<
de da Le Havre fino a I arbes.
ul modello di quello pubblicato
dall'ing. Rocca nella la- Orario generale
velli.
più 0 meno grande di località rimarchevoli della
perfide terrestre; e d'altra parte uscirei dall'argo-
mento del mio articolo. Mi limiterò quindi a indi-
care per quanto è a mia cognizione le princi-
pali fonti a cui bisogna ricorrere quando si tratta
di cercare la posizione geografica di una data
lità e non si crede sufficiente l'approssimazione
con eui il problema si può risolvere per mezzo
delle earte geografiche. Ecco le opere da con-
sultarsi :
Yivikn de S\im Martin e Rousselet,
:i(iu Dictionnairt 1/1 Géographic universe/le ((
/ione Hachette di Pai gi, in 7 volumi con supple-
njoo). — - /.<< Connaissattce </<■< temps,
effemeride astronomica e nautica pubblicata ogni
LA MISURA DEL TEMPO I LE ZONE ORARIE
3o5
anni' dal Bureau di - longitudes di Parigi e che con-
tiene una copiosa Tabli des positions gèographi-
ques des principaux lieux du globe. — Le posizioni
degli Osservatori, ilate annualmente nel Nautical
Almanac ili Londra, nel Berliner Astronomisches
Jahrbuch, neW'Almanaque Nàutico di San Fer-
nando (Spagna) e néìY American Efhemeris di Wa-
shington. - - L'elenco di 237 Osservatori pubbli-
cato da Auwers nel voi. XIX (1896) del Geogra-
phisches Jahrbucli di Behm e Wagner (Gotha, edi-
zione Perthes). — La posizione in longitudine di
366 luoghi terrestri, data nel voi. I (1886) dell'An-
nuario geografico teste citato. — La tavola di po-
sizioni geografiche delle principali città marittime.
. isole, scogli, banchi, ecc., contenuta nel Hand-
buch dcr Schijfahrtskunde (Manuale di Navigazio-
ne) di Carlo Rùmker (Amburgo, 1857). Ma l'o-
pera più ricca in materia, almeno per quel che ne
so io. è il V erseichniss gcograpìuscher Ortsbestim-
mungen (Catalogo di posizioni geografiche) di Car-
lo Ltttrow (Lipsia. 1844): libro che naturalmente
è invecchiato, ma che può rendere ancora utilissimi
servigi.
Da ultimo noterò che per ridurre al meridiano
di Greenwich le longitudini che fossero date, rispetto
a Parigi oppure all'isola del Ferro, bisogna far uso
dei seguenti dati :
Longitudine rispetto a Greenwich
in Arco in tempo
2° 20' 14" oh 9™ 2I5 Est
17 39 46 1 10 39 Ovest.
Michele Rajna.
Parigi ....
Isola del Ferro .
^=*=&J
\3L?^>
La Lettut a
r. .
Il Battesimo d'Adamo
\ luna 'li settembre cadeva sui boschi <li
j j i e >| >| > i in riva al Po, al ili là del gran
fiume argenteo che sembrava immobile
nella calma della sera. Non si moveva una foglia,
non passava anima viva sull'argini- alto, battuto
ilalla luna, che chiudeva con la sua linea dritta il
breve orizzonte del fiume. Un incanto melanconico,
i di silenzio e ili chiarori vaporosi, regnava sulla
riva verso Cicognara; al di là del fiume i boschi
atti, sotto la luna radente, parevano
ni agni- profilate sul cielo latti i
Maria, col suo bambino fra le braccia, scese cui
nte l'argine e s'avviò pei il sentiero sabbioso,
Ira i cespugli di pioppi e di saliei elle crescevano
ibbia umida formando un bo-
sco ni
i n li ■ e d'eri i nel! ai ia immi bi-
le: le fronde del piccol i bosco sfumavano nel chio-
di Uno sii ,ndo vapi 'leso ; tutto era si
leivi.i. solitudine, e Mari in n losi perfi
mente sula. cominciò a mormorare parole lamen-
■ . al pico ilini '.
posto neppure pei piangi
diceva in dialetti! mantovano, ebbene,
amo al fiume: il Po è tanto grande che può ac
i mi del mot
Me iigolin 1 1 proseguì procedendo per
ero quando tu laggiù, ove dorme
tuo padre, avevamo un palazzo. Qui non ci lasciano
neppure nella sralla. Ah. le vacche stanno meglio
di noi...
Il bambino, che avi le bi
della madre, e le Oli i il meni., i i.n le
' ollino.
give appena appena dine, sentì qualcosa di s
bagnargli il visino e le labbra, e si sollevò volgendo
alla giovine donna i grandi occhi violacei pien
un sorriso incosciente. Mariina credette che il barn
bino s'accorgesse del suo affanno. <■ non ebbe più
freno: singulto forte, con un m noso, di-
sperato, e rivolta al piccino ricominciò a moi
lare parole insensate.
Intanto era giunta al limite della riva, e sede
sella sabbia In quel punto il Po era largo più di
un chilometro, i passava con la maestà di un brac
ciò di mare e la dolcezza di un lag . fra rivi
scose e deserte ; al nord un'isoletta. i cui pioppi pa
ie\ano sospesi Ira la luminosità dell'acqua e del
cielo, divideva il fiume: altre isolette di sabbia.
nude e scure, macchia\ ani i 1 ai |iia a szuro
'• pai > ani > nuvole in un cielo seri no Li bianche
torri di Viadana svanivano, all'orizzonte; lo -
scio dei mulini galleggianti risuonava nel sonoro
silenzio del fiume.
1 1 i ratto di riva dove stava sedata la M lì
di minava una lanca (lista d'acqua morta), che un i
solotto di salii. ia div ideva dal fiume, e di
vano a ripararsi le barche. 1 >in
lunf ere, pareva dormissero 1 1 me due enormi
ile alla riva. Un'altra v
solcando obliquamente il fìun i rompendo col
suo punto nero il latti o bagliore dell'acqua m
luna si rifl ome un guizzante serpente doro.
Fu in vista di questa luna che Mariina si calmò:
il bambino s'era rimesso a morsicchiarle
menti il mento: sol., di tanto in tanto sollevavi
ii stina av volta in un fazzolettino. vo! andi
cechi attoniti verso il fiume, s'incantava un momen
tino, eoli la boccuccia umida spalane. ita. poi tornava
a morsicchiare.
IL BATTESIMO 1> ADAMI i
3oy
— .S; ■ (i) mio, — mormorava la donna,
co! petto ancora ansante. -- Ah. no, neppure qui
si può piangere. In nessun posici si può piang
Ma io non mi muovo 'li qui: se ne an< Irà ben via il
vecchio.
Per un momento pensò di nascondersi Ira i le-
sinigli, ma il vecchio barcaiuolo, che risaliva l'acqua
morta puntando il remo sul basso fondo, l'aveva
già veduta e guardava da quella parte. Un passeg-
gero stava seduto nella barca, era un gioì ine ras
(segatore di piante) che ritornava in paese per certi
suoi affamivi, dopo aver lavorato
pareri aio tempo nel bosco della ri-
va op| osta.
— Chi è quella donna? —
chiese.
- E' !a Manina G i bar- . ~ ~
butiiì. — rispose il vecchio con
voce rauca: e non pareva dispo
sto a d.ir altro: ma il rasghin in-
Ah. la Mariina? Ma non era
in America' Che fa li. di notte'
— Domandalo a lei.
— Ih, coinè siete acerbo. Bastia-
niri. Che Taccia l'amore con voi?
Era una bella ragazza: ora è ve-
dova, non è vero? Suo marito è
motto in America? Dicevano che
aveva lasciato la un .gin- ricca.
Cisto che il vecchio non aveva
voglia di parlare, il rasghin ag-
giunse, parlando come fra se:
- Ah. ora è tornata, la Marii-
na: avrà dei liei soldi.
Poi gridò:
I Ibi là!
Il bambino tremò, Maria non si mosse, non ri
spose.
Il vecchio Bastianin,
grosso, approdò proprie
salutò chiedendole:
- Cosa fai qui. Barbutin (2)? Ancora qui
pie qui ?
- Prendo il f re-co. dissella, seccata.
Il vecchio, che la chiamava sempre col nomignolo
che da piccola le davano perchè camminava un po'
dondolandosi, l'aveva già vista parecchie volte li.
in quel medesimo punto, verso sera, sempre cupa.
sempre col bimbo che le morsicchiava il mento.
— Il fresco fa male a quest'ora. disse il ra-
sghin, saltando a terra. — Era scalzo, altissimi
gilè, con un gran naso sul viso roseo.
Maria non gii rispose neppure, ed egli andò via,
a lunghi passi silenziosi, dopo averla esaminata
da capo a piedi al chiaror della luna, men re Ba
sManin legava lentamente la barca ad un piuolo
fissi 1 sulla sabbia.
— E' vestita miseramente. — pensava il segato-
re, risalendo l'argine. — non doveva esser vera la
fortuna dei Giroflè. Ma anche se ella avesse dei
m Idi, io non la sposerei, quella donnina, perchè ha
spacciato già due mariti. Il primo era un mercante
vecchio, il secondo un mercante giovine. Marameo,
il terzo non lo spacci più.
(inulto sull'alto dell'argine si volse a guardare
il bosco lontano, nella cui massa nera il fuoco dei
un rosseggiava come una goccia di sangue. II
1 inottone mise le mani concave intorno alla boc-
ca, ed emise un — oooh ! — fortissimo e prolungato,
che la sonorità dell'acqua portò ai rasghin accam-
*>
■r-
ritto sulla barca, nero e
davanti alla donna, e la
1 ? Sem-
fi 1 Zuflblino.
(2) Piccola barca
pati nel bosco della riva opposta: poi egli s avviò
al paese per la fuga di Sant'Antoni, strada in di-
■ a. biancheggiante fra alti platani immobili alla
luna. Un piccolo cero in un candeliere d'ottone ar-
deva davanti ad una nicchia ove si osservavano gli
avanzi di un rozzo affresco raffigurante Sant'An-
tonio, in un muro che erasi miracolosamente sal-
vato nelle inondazioni de!18o.
Giunto davanti alla nicchia, il rasghin si lece un
enorme segno di croce, e passò oltre coi suoi lunghi
I assi silenziosi, pensando ostinatami n e alla Marii-
na. ai soldi che ella aveva avuti e che ora non aveva
più. ai suoi due mariti, il vecchio ed il giovine.
- Quest'ultimo l'ho conosciuto bei Igino
della Mariina. -- si ricordava il rasghin. - Era
I 1 ivero ci me mi da ra >, ma tro\ a\ a sempre il
quadrifoglio. Io non ne ho trovato mai.
Eppure è morto! mormorò poi, battendo
le mani o n 1 fatto una grande scopi
Si. è morto, guarda! E lontano ,'• morto, si. in A-
merica, e giovine, guarda' E la Mari sta=
va li vicino al Po, staserai' Che si consoli già? In-
somma! — ■ concluse, rassegnandosi a non indovi
nar nulla., ma intanto, sia per neces pei
riosità. s'avviava a passare davanti la casi dei Gi-
roflè. Ora qual non fu la stia meraviglia nel vei
f he in casa dei do. ti c'era testa. Si udiva un suo-
no vivace e armonioso di organetto, ed una luce vi-
vissima, uscendo dal grande portone spalancato, il-
3o8
LA II ITI
laminava un buon bai
lava la furlana da un gruppo ili vispe ragazzette
biondi
notto,
raseni indo il muro per pai
Ma li te l'avevano veduto e due ili esse,
pur ballando on la co ca del
biule iwicinarono e lo presero in
( Ihè, si scarti - domandò egli.
Ni risp. e, sempre bal-
lando. I Giroflè hanno vinto la lite
Che lite?
lite. Balla anche tu, — dissero le ragazze,
sempre danzandi >.
Lo sghangherato organetto continuava la sua
musica trillante, graziosa, perfettamente all' uni-
sono con la dolcezza delia notte molle e lunare.
della largii strada fiancheggiata da pioppi e pla-
tani immobili, delle ragazzette bionde e scalze che
ballavano con ingenua grazia sollevando il grem-
biule ed il lembo della sottana.
Rasghin, Petrin, bravo, balla, ballai — gri-
davano le ragazze, 5 mdolo un po', e circon-
dandolo.
Egli però guardava entro il portone spalan-
cato, nel cui gran vano illuminato si disegnava
un vigoroso quadro rusticano: parecchi volti accesi
d uomini, dai cappellacci sulle ventitré, e tre bei
volti di donni- giovani, due biondastre ed una mora,
intorno ad un tavi lo carico di bottiglie. L'n gio-
vine con un gran ciuffo bruno sugli orchi, suonava
l'organetto, l'n gruppo di persone stava a guardare
fuori, ali ombra rasente il muro: una vecchia gio-
viale, bassa, scalza, calva, si staccò dal gruppo e
venne innanzi al rasghin, invitandolo a ballare la
furlana.
Va là. vecciaì - diss'egli con disprezzo, al-
largando le braccia.
Balla, Petrin, balla con quella bella figliuo-
la! - urlarono gli uomini dall'interno dell'andito.
I egli si mise a ballare con la vecchia scalza,
che ' dere le ragazzette con le sue mosse da
giovinetta, i suoi salti e le sue smorfie.
Ma improvvisamente il suono allegro e molle del-
--ò. la danza lini; e Petrin si trovò'
in mezzo alla strada, pensando alla Ma-
nina che piangeva in riva al Po, mentre i suoi al-
1 divertivano.
II vecchio Giroflè gli accennò di entrare, e il ra-
sghin entrò mentre la vecchia ballerina quistionava
col suonati ire | 1 >n le avo 1 - 1 danzare
che un brisin di furlana.
-il finta collera. io sono
ria, ma tu divejitei echio di me.
Il gii szo alticcio, la guardava attraverso
il ciuffo dei suoi capelli neri con uno sguardo
po. Anclie il v. • dio Gir 'il- ■ che parev a un gal
col viso gonfio ispido di peli e gli occhi ver
ri pieni di una indifferenza felina, anche egli
0: fumava una corta pipa 0
la camici puz-
- di vino e di
I biavo, rasghin, disse al giovinotto, bat
tendogli una mano sulla mano. -Tu vieni dal
bosi -
- 1 [1 1 velino la Manina in riva al Po.
\h ! Ah ! a '. osservò il vecchio,
coi denti stretti sul cannello della pipa. — Ha cal-
do, la Manina: che vada a farsi benedire. Tu \
dal bosco: bravo.
L'ho lasciata là. insiteva il rasghin, ma il
vecchio pensava ad altro che alla figliuola. Fece
siui. ire una bottiglia dalla donna bnina, osservando
se il vino scappava, e faci n ; I a :
— Zsss, /SSS. . .
1 mentre il rasghin beveva, gli raccontò la sioria
della lite. Ebbene, quel bestione di lacum il Cirillo,
il mercante di grano, aveva delio che Giroflè figlio.
stabilito a l'arnia con la moglie, la bella bruna
aveva sturato la bottiglia, s'arricchiva perchè la
glie, ecc....
— Cosa la moglie?
— Tu non capisci niente! — grillò il vecchio,
togliendosi di bocca la pipa. — Perchè I
ecco!
Fece le corna con la mano glassa e pelosa, si
volse, sputò, bevette.
— Ooh! diceva l'altro con meraviglia.
— Capisci? Egli lo disse nell'osteria, davanti a
queste persone, che ora sono qui riunite a fes
giare la nostra vittoria. Allora noi. taffati'. una bella
querela. Corpo di una pipetta, lievi, rasghin. Evviva
l'allegria !
— Ewivaaa! — dissero gli altri in coro.
— Oh, ed è stato condannato? — chiedeva me-
ravigliato il rasghin,
— No! — rispose il vecchio, dandosi un'aria
solenne. — Abbiamo ritirato oggi la querela, ma
egli ha ritirato la calunnia ed ha pagato le sp
lievi; un'altra bottiglia, morettina! Ecco, i miei fi-
gliuoli son venuti da l'arma per festeggiare la no-
stra vittoria.
— E la Manina, perchè è andata fuori?
Corpo d'una pipetta! Te l'ho detto, perchè è
matta. Non vuol divertirsi ! Che ci fan-io io?
L'organetto ricominciò a suonare ed il rasghin
volle fare il galante e mostrarsi riconoscente del
vino bevuto, invitando a ballare la Martina Giroflè,
sorella della Manina, che si fece un po' pregare, ma
infine accettò.
Ili veduto la Mariina in riva al Po: che fa-
ceva laggiù? — tornò a chiedere il giovinotto.
M ;i ina. biondastra e con gli occhi indifferenti e
felini come quelli del padre, rideva sempre: p.i
uva un po' semplice, 0 per lo meno completamente
ino 'sciente.
Mariina non ama divertirsi : disse'.- Che
o? Piange empre
roviiciia. ha ragione. - osservò il rasgìltn.
E' vedi
Vnche l'altra era vedova, ma non pian.
son sei mesi che I vedova: perché piange an-
— E i soldi. 1 In- ne ha Fatto?
— I soldi? Ahi Ahi
IL BATTESIMI i l> ADAMO
— Non c'è da ridere. Martina. -- disse ii gio-
vine, quasi arrabbiandosi. Tuttavia, finito il Lalìo.
cinse la vita della fanciulla con un braccio e la
condusse a passeggiare verso il limite della strada.
\ --uno fece osserva one per la confidenza che
egli si prendeva, e neppure il suonatore d'organet-
to, che era l'amoroso di Martina, s'ingelosì.
— Senti. — disse il rasghin, — andiamo a pren-
der la Martina ; il fresco potrebbe far maie al
bimbo.
Andiamo, - rispose ella con indifferenza,
— Andiamo incontro alla Ma-
rtina. — aggiunse poi. passando
davanti al portone.
Tre ragazzette li seguirono, can-
tando la canzonetta del bel giardi-
nieri con ritmo dolce e malinco-
— I soldi della Manina? —
disse Martina, come parlando fra
sé. — Chi li ha mai visti? Suo
marito gliene lasciò parecchi di ma-
renghini, laggiù in America: ave-
vano una casa da signori ed un gran
negozio. Essa non era pratica de-
sìi affari e lasciò andar tutto in ma-
lora- Poi tornò qui che non aveva
neppure scarpe. Che so io?
Si mise anch'essa a cantare, poi
tacque, poi rise e osservò:
— Tu tornavi dal bosco? —
Rasghin, perchè dunque non vai a
casa tua ? Troverai la polenta
fredda.
— Io non mi sposerò mai. —
disse poi. seguendo un suo intimo
ragionamento. — Si resta vedove
e poi gli uomini son traditori.
— Ti ha tradito dunque?
— Chi?
— Chi "J Me lo domandi.
Essa giurò che non faceva l'amore con nessuno,
poi finì col confessare che l'amoroso la tradiva: egli
voleva far il galante con tutte: quella mattina - -
sa l'avevano trovato abbracciato con una ragazza di
Roncadello che aveva anche lei un altro amoroso-
Erano corsi pugni e bastonate, benché il ragazzo
e la ragazza affermassero che si abbracciavano per i-
scher/
— Chi è là? — chiese ad un tratto il rasghin.
S'avanzava un'allegra comitiva di uomini e donne
che ridevano e vociavano. Quello che sembrava il
capo, l'anima della comitiva, barcollava alquanto
e gridava :
— Dieci, venti marenghini ? Io li sputo. Io posso
pagare più di così per levarmi un capriccio.
— Bumh ! E' il Grillo, — disse Martina. — Egli
è stato con la famiglia all'osteria per farci dispet-
to : si vede che hanno bevuto assai bene.
E si rimise a cantare, mentre il Grillo, riconosciu-
tala, a sua volta alzava ancor più la voce, gridando
che dieci o venti marenghini non gli importavano
niente. Così le due comitive s'incrociarono e passa-
309
rono oltre: e il rasg/un, sebbene in ottimi rapporti
col Grillo, credette cavalleria non salutarlo per non
far torto a Martina.
— Ora passeranno davanti a voi, — disse
— Certo: sono andati apposta all'osteria per
passare 'lavanti a noi e - petto.
— Si azzufferanno, ora...
■iali azzuffare. disse Martina, ridendo
con indifferenza.
Verso la fuga di Saul' Antoni videro infatti la
Manina che ritornava assieme al vecchio bar-
caiuolo: costui le dava dei consigli con voce bassa,
calma, profonda, ed ella ascoltava a capo chino, col
bambino assopito sul seno: le due figure si dise-
gnavano nere sullo sfondo lunare della strada bian-
ca: un canto di carrettieri sfumava sull'argine, in
lontananza :
Amoure, annuire, amour...
La rosa Ve un bel fiour...
Martina s'avviò correndo verso la sorella, e si
gettò sul bimbo, svegliandolo, baciandolo forte, gri-
dandogli sul visino:
— Eh cosa! Eh, caro. caro, caro! Eh cosa, eh
cesa volete?
Il bimbo sorrise, ma la Mariina si ritrasse indie-
stringendolo a se. chiedendo con voce amara:
E' finita la festa ?
M..i;ina le andò dietro, continuando a vezzeg-
giare il bimbo che mostrava il visino sulla spalla
della madre.
Allora la giovine vedova, con gli occhi ac-
collerà, se la presecol rasghin che le stava davi
— Siete voi? Che fate lì 'J Avete fatto la
Che venite a seccarmi, cialtrone, villai
Ma riina... che avi e. spa-
lancando gli occhi, sicuro in cuor suo di non meri-
tarsi quei rimproveri.
LA LETTURA
— '•. —
tTari.
sseg ri-
bella:
la compagnia, mentre Mariina
borr» tt e Martii
rleva
meni' ■
— ' linguin !
R;rc- • - an-
che da lontano fino j! prato «Iella eh • alla
luna. più che mai
■.ltellante.
— Boi
Sta allegra: tu hai venti-
cinque anni, io ne h ottanti
— - ella rispose. —
Buona sera. Rastianin.
G nti a! grande ponooe spalancato, il
spettava di ve-
dere: gli invitati erano cresciuti di numero. Presso
il ve ne di co-
lavano la beli. -nte.
ligi jrava una bottigli.
era un rag :rlone. minacciava di lasciar
scappare il vino spumante e di bagnare così le ■
ne. } - ritraevano: e il vecchio Gi-
rone guardava attentamente la t» «iglia. imitando il
fiusno .iella spuma:
— S - ine!
— Ma gua- I :
le mani.
la Mariina entrare nell'andito, rasentando
il mi iersi in un canto, pallida, con gli
-alati e minacciosi, pieni di dolore e
d'ira selvaggia, e sentendo oramai soddisfatta la sua
'he aveva appetir .èva
tornare a casa.
II.
Mariina vegliava ancora pres-
so il biml in 'tan:.
rideva rv i divinamente gli ••
. ella, la sventuratissima vedova, era grazia
se f ■ -esso
l'alba la :p vava ai Jia.
Durante quelle interminabili, terribili insonnie.
dal!> - schiena rotta
rimi la sua mente lavorava in modo
spa
l
me le ombre in una luce
ì un guan-
ciale 'li piun che le faceva affluire
- ingue alla testa: ' (fitta
sopra la g fienile, colle
ra ingoml •
•
panr •
ragn
dia stalla
■
una -
rmito in quella stanza anche da
za, ma allora era altra cosa: allora la ca:
era pulitina e an< .,• a-
M ri ina n<>n l'avrebbe cambiata
le belle suo se «do matrimo-
\ Maria, aveva sedici anni. l^runa.
simpatica, .-.in due >o-hioni furbi e teneri
( l'a\ - ' ' 'efettura a l'arma.
• |uando andava in vacanza al paese, di cui era il
Mai
_ ava alla Madonna della scodella
1 __ - ne un gatto la si-ala a
piin -li. per recarsi a far l'amore o>n Frar
rofie, suo cugino in terzo grado, il quale aveva se-
anni anch'--. 1> ■->> aver fatto all'ai: M
ria dormiva dieci ore filate
Il ve -Urano all'amore de
cugini, e di tanto in tanto, anche ignorando le not-
turne scappate della figlia, le dispensava una buona
dose di schiaffi. Per questa ed altre ragioni. Mariina
aveva tradito e abt Francesco pr-
ercante di grano, uumosui cinquanta
anni, che parlava poco perchè aveva una lingua
_ --a che spuntava fuor della bocca. Dal dispia-
cere. Francesco era emigrato in America . a New
York, dove aveva impiantato una piccola fabbrica
di scope.
Il mercante di grano era mono dopo parecchi an-
ni, ed i suoi parenti s'erano preso tutto, perchè Ma-
riina non aveva figliuoli: ma appena tre mesi
Francesco aveva scritto una lettera, listata di
per rispetto al lutto della \ nomandola e
!endole nello stesso terr.' «cedergli
la mano di s[ -
Maria aveva pianto di - - ne ora
fra- sse più sedici anni e avesse le
« tallir
> in italiano ed in inglese, il vecchi
,..leva neppure ques 'he la figliuola lo
r.i di una
minacciava di bastonare
riina. va.
Ulora M
una sua zia tanto ricca quanto era ubbriacooa ed a-
vara. Questa zia aveva stamento al nv
:ale la teneva sempre oh;
■he ella era mezzo pazza, ma in realtà perchè i pa-
renti non le strappassero un nuovo testamento. Fat-
ui «i uomo non po'
riina. ma fece di tutto perchè eli
'-.
IL BATTESIM» I 1' ADAMO
3n
Wlle sue lunghe insonnie. Maria ricordava spe-
cialmente le impressioni del suo primo viaggio:
l'altezza losca e paurosa degli Appennini nebbiosi,
l'incubo nero e ruim so «Ielle gallerie (perchè Fran-
cesco L'aveva voluta condurre a Roma e Napoli,
ove s'erano imbarcati), le città sulle quali la notte
pendevano come magiche collane di enormi perle
(le lampade elettriche), ed il giorno erano percorse
da piccole ferrovie senza fumo: e poi il mare, il
mare infinito, il mare che si muoveva, le onde dense
rome piombo liquefatto, che s'aprivano e fuggivano
davanti ed ai lati del piroscafo come sj aventate dal
passaggio di un essere terribile. Ella non aveva
veduto mai ne le montagne, né il mare, né una
grande città. Per parecchi mesi visse in un continuo
sbalordimento, nella gioia incosciente del bambino
crw comincia a percepire le cose.
New York, immensa, fumosa, con case alte come
montagne e strade larghe come il Po. aiutata da
gente che pareva avesse la febbre e che parlava un
linguaggio sconosciuto, continuò a tenere la giovine
italiana in una specie di sogno.
Francesco era ricco, parlava inglese, trattava con
signori, aveVR molti conoscenti. Come Manina era
stata, felice! La notte non poteva dormire, pen-
sando alle cose vedute, alle cose che possedeva, al
suo nuovo stato: non poteva dormire di gioia, come
ira non poteva dormire dì dolore.
Francesi, i le voleva tanto bene: non le lasciava
far nulla, non le parlava dei suoi affari, non le rim-
proverava mai il passato, i cattivi parenti lontani.
Anch'egli, rome tutti i suoi compaesani, era allegro,
burlone, si divertiva a far degli scherzi alla gente, e
rideva sempre Mariina rideva anche lei: per due
anni non fece altro che ridere e godere. 1 due spi si
mangiavano bene, andavano spesso a passeggiare
in carrozza, avevano una serva americana che par-
lottava l'italiano, ed aveva il grembiule bianco e la
cuffietta come una cameriera; frequentavano i cir-
chi, i serragli, le compagnie di saltimbanchi ita
liani: spendevano più di due marenghini al giorno.
ma Francesco aveva sempre molti denari. Mariina
si fece Mia. grassa, con le mani bianchissime,
('ina due anni dopo il matrimonio, nacque Ada-
mo, il bellissimo bimbo dai grandi occhi violacei:
fu portato :i battesimo da Francesco, dalla came-
riera e dal padrino inglese; e siccome trovarono
una funzione suora nella vicina parrocchia, ed il
prete non volle battezzar subito il bambino, anda-
rono in una chiesa lontana e fecero compier la ce-
rimonia dal primo preteche trovarono. La Mariina
scrisse ai parenti annunziando la nascita del bimbo.
ma i parenti, che le scrivevano raramente, questa
\olia neppure risposero. Fu il primo dolore che ella
provò dopo due anni di completa felicità: le parve
che i parenti si rattristassero della nascita di Ada-
mino perchè con ciò veniva a mancar loro una prò
babile eredità. E cominciò a pensarci su tanto e
tantoché Francesco s'arrabbiava.
— E' un cattivo augurio. — ella liceva.
— E lascia che sia un cattivo augurio: sei matta
a pensarci.
Ed ecco che egli una notte tardò a rientrare in
Mariina aveva sempre un po' di paura quando
egli la notte lardava un po': allora l'infinita città,
ove gli uomini si smarrivano come in una foresta
vergine, gli uni sconosciuti agli altri ; allora la ci-
clopica città dove le case raggiungevano il cielo e
brillavano di mille occhi gialli come mostri sveglia- -
tisi nella notte; allora le immense strade rifulgenti
di lumi colorati che davano all'aria fuligginosa
uno strano chiarore d'acqua e di sangue; allora
quel mondo rumoroso e pericoloso come il mare,
dava a Mariina un senso di terrore istintivo, di so-
litudine e di vuoto che le ricordava l'impressione del-
l'alto oceano dalle onde dense minacciose. Aveva
paura che a Francesco venisse male per via, o che
lo aggredissero, o che il vortice ignoto della città
mostruosa lo inghiottisse. Egli una notte usciva e
non tornava più : ella rimaneva sola come in mezzo
ad un infinito deserto buio, e tutto il suo essere si
gelava e si pietrificava a quel pensiero. Ma erano
momenti di follia: terrori morbosi come quelli che
provava ita bambina quando le pareva che un essere
mostruoso, peloso, dalle mani il cui solo contatto
doveva far morire di spavento, dovesse da un mo-
mento all'altro avvicinarsi al suo letto. Ecco il passo
di Francesco, svelto e leggero come un passo di fan-
ciullo, risuonare per lo scalone di marmo ; ecco il
tric-trac della chiave inglese, ecco la luce, ecco la
gioia.
Mariina. sei ancora sveglia3
— Sì. cominciavo ad addormentarmi : dove sei
stato ?
Egli era stato a far la partita presso un vinaio
italiano, mezzo milionario, che dipingeva all'acqua-
rello scenette sentimentali: un suo amicone. Tutti
erano amiconi di Francesco Giroflè.
Intanto si spogliava, metteva la sua camicia da
notte ricamata in rosso, si faceva rapidamente il
segno della croce, saltava sul letto, e spiegava un
giornale. Mariina metteva il muso, si agitava, bor-
bottava: egli buttava via il giornale, sorrideva e
proponeva alla moglie un « abbraccino ».
- Leggi, leggi pure. — ella diceva, risentita. —
Io ti ho atteso -finora, ma la tua vera mogliettina è
il giornale...
Egli però insisteva, e invece di un « abbraccino »
proponeva un « piccolo abbraccino », uno solo solo.
Allora si abbracciavano come due bambini, ri-
dendo piano piano, baciandosi sulla fossetta che en-
trambi avevano sid mento, e spesso si addormenta-
vano cosi.
Ma una notte Mariina dovette attendere l'in a
lungo delle altre notti, e il suo terrore immaginario
si cambiò in terrore vero quando per le scale ri
suonò un passo lento e strascicato come quello di
un vecchio. Fila ascoltò piena di spavento. Chi sa-
liva a quell'ora? Quel passo lento e stras. icato pa
reva il passo del mostro peloso e deforme che Li gì
lava nei suoi incubi infantili, bilia accese tremando
il lume.
Il tric-trac della chiave si confuse con un gemito.
e Francesco entrò; entrò ed aveva il viso giallo le
vesti rosse di sangue.
.;u
LA LETTI R A
M b scollando. —
ai nessuno: è nulla, è nulla.
ali r. •. per non morire disperato, per non dannarsi,
o chi vi per quale altro mistero psicologico pi
■ ii spirare, confessò a Manina l'abbomi-
1 1- \ ■ *i< ■ \i i ferito presso una donna pei
frequentava. Mariina v ide il caos in
torno .'. - . Mi.i perdonò. Non aveva a tra-
sola nel deserto ardente, nella fo-
nel l'oceano spaventoso .della immensa
suo Francesco s'era smarrito e affo-
Neppur uno degli amiconi ili lui si fece vivo;
neppure il padrino del piccolo Aliamo; mentre i
crediti >ri pion ■ -. ne vedi w .1 o in
•11 un frutto verminoso. Si portarono via
tutto, anche il vestitino di tulle ili Adamo, anche
mimili bianchi della serva americana. K que-
urato i n u me ed ave* a pri i\ ve
duto per i funerali, che aveva telegrafato ai parenti
ih Mariina e andò al Consolato italiano per avver-
ine la padrona non aveva più un soldo, rimase
ultimo momento: quando la
padrona ed il bimbo furono a spese del Consolato
imbarcati in una nave italiana.
1. Manina fu accolta roti indifferenza.
senza rimproveri e senza dolore, così, come se tor-
nasse dalla itera di Viadana, dopo due ore di as
senza.
Ripre ibitare la stanzaccia sopra la stalla.
irsi sul lettino duro dal guanciale di piume,
1 la polenta, a spazz ire la 1 asa II vecchio I H
roflè. le figlie, il genero, tutti in casa trattavano la
va con indifferenza, seguendo il loro metodo di
vita come se ella non ci fosse. Stavano beni l in
ch'essi fabbricavano scope durante l'inverno, ed il
ro le portava poi in giro per il Veneto e la Val
tellina 1, a casa, orto, \ gna: due bocche di
più O di meno inni recavano danno, tanto più che
Mariina lavorava in casa^ ma ella ricordava che
le avevano scritto quando era nato il bimbo,
quando era morto Francesco, quando era rima-
sta senza UH SOldo al di la del verrino mon-
do ; vedeva che i suoi parenti non prendevano
parte al suo dolore, anzi neppure pensavano
■ he ella potesse e quanto potesse soffrire, e s'imma-
iva 1 In- essi non solo non ero ma si si e
•rodi lei e del piccolino. Inoltre odiava la VK
1 piena di polvere e di nidi deserti, puz-
zatile d'umido e d'odor di zucca, e soffriva nell'ab-
erti lavori domestici, e non poteva ci-
l 'arsi della polenta e dei cibi paes
■n era il presente che le '-ausava l'insonnia,
1. il ricordo d ; ito e
111 non sarebbe mai più. Soprattutto non poteva
1 tradimento di Francesco . del suo
Francescocos ■ osi puro, cosi fanciullo, così
buono. Ella gli aveva perdonato, e se tosse vissuto.
sì, r.,si. nella dispei
nen Egli 1 aveva
tradita!
mi mezzi 1 al mare tumulili, so e te
dell'enormi rane soli, soli 1 ol loro
amore, 1 ol loro bimbo, con la loro lingua sconosciu
là egli l'aveva tradita. E 1 on chi ! E con
chi I. .
Sì, anch'ella lo aveva tradito con un vecchio, per
pochi denari; ella sapeva come si tradiva, eppure
non potei ■ brutale ti
mento del m 1
E il resti Oh, 1 Ho, Dio, il resto! Tutto il ri-
sto : Tulio l'incubo spaventoso della solitudine, della
rovina miseria, di I lungo v iagj terso
le onde che si api ivano .- 1 1 _ nti ed ai
dal passaggio di
un essere terribile \ppi | parapetto del pi
te, col bimbo che guardava il mare rome affascinato,
' ella fissa delh onde con una ti
malia negli occhi. L'acqua le causava quello stesso
ce del mostro v. Iloso dalle mani molli, che
veva terrorizzato La sua infanzia. Ella provava un
indicibile spaventi 1 e ni >n pi _ire.
III.
Veniva l'autunno, quell'indescrivibile autunno
rapido e di ili e dei par rionali attravei s
da grandi fiumi. Il cielo d'un azzurro grigiastro
copriva di vapori vellutati, di nuvolette chiare,
strie rossastre; a volte aveva la dolcezza tiepida
e grave di una immensa pelliccia tigrata, a vi
era pallido e profondo come pervaso da un sogno
malato; al tramonto ardeva di nuvole che sembra
vano blocchi di sangue coagulato, incendiando il
fiume' e la pianura. Le foglie ingiallivano rap
mente: tutta la vegeta/ione si colorava, la
rosseggiai I ruggine, i pioppi im-
pallidivano l'è entar1 biaro bianchi ar-
genti sfumati sull'argento pallido delle un
ed ogni mattina su dalle nebbie mattinali il pai
gio pareva emergesse sempre più inalato, semi
più malinconico.
Tutto il paese era coperto di saggina rossastra
stesa a disseccare lungo le strade, sull'argine, sulle
piazze: nell'aria gravava un odore di mosto, i cortili
sparsi di granoturco sgranato sembravano coperti da
enormi tappeti d'oro lulvo: nei viottoli risuona
vano le sonagliere dei Cavalli, e sull'argine treni"
lavano le canzoni d eri in giro per la coni
pra delle melighe e dell'uva.
Amour t, amourc, amour...
I a rosa Ve un bel liour. . .
Ed in quella grande malinconia autunnale tutta
ra per la buona raccolta fai
imminenza dell inverno 'ninno e giocondo.
Solo Manina non rideva mai E Ila aveva un 11110-
idoratore in vista, il lungo rasghin scalzo ,• ra
pid". che ritornava spesso in paese, e visitava di
1411I0 in tanto i Corolle: ma la vedova non se ne
geva neppure, tutl nel suo cupo do-
Un giorno verso il trai la si trovava sul
l'argine quando il vecchio Bastianin la invitò »■!
una gitarella in barra. Sulle prime ella rifiutò: che
IL BATTESIMO I> ADAMO
3i3
le importava andare in barca od a p l'anto
non si divertiva in alcun modo. Ma i! vecchio in-
sistè.
— Andom. Andiamo a prendere un tronco che
ho segnato presso quell'isolotto laggiù, poi tornia-
mo subito. Ti verrà l'appetito. Adamìn non ha pau-
ra dell acqua?
— Povero sifolin, egli ha veduto ben altre acque,
— ella disse.
Ella scese nella barca ed il vecchio cominciò
a puntare i temi con (orza: egli aveva le numi enor-
memente sviluppate dall'uso elei remi e le palme ri-
dotte ad un callo.
Adamo si aggrappò alla madre, guardando
qua con gli occhioni spaventati ; ma a poco a p
s'abituò e cominciò anzi a divertirsi, emettendo
piccoli eh! eh! con relativi slanci di lutto il Qorpi-
cino. La barca scivolò lungo il fondo appena o
lo d'acqua giallastra, costeggiando l'isola di sabbia
nuda e scura tutta intagliata dall'impronta delle
onde, in modo che pareva un'isola di legno .scol-
pito, con gli orli finemente lavorati. Qua e là .-.pun-
tavano dei salici e dei pioppi: qualche allodola
saltellava sulla sabbia; pesciolini d'argento guiz-
zavano come virgole vive nella trasparenza del-
l'acqua.
La barca prese il largo, e Bastianin cominciò a
raccontare i suoi piccoli guai. Si. anch'egll aveva i
suoi guai : fra le altre cose era invidiato e p<
guitato dai barcaiuoli ragazzi, e specialmente da
quell'indiavolato Iacum YUslin (l'uccellino) che di
tanto in tanto gli nascondeva i remi, o magari glieli
rompeva.
— Finirò col romperglieli io sul muso. Ho ot-
tantotto anni, ma voglio essere rispettato come un
uomo di cinquanta.
Poi raccontò che una volta era andato con la sua
barca lino a Ferrara, e che il suo sogno era darri-
vare fino a Venezia, e poi farsi rimorchiare dal va-
porino. Ma ci volevano dei bei soldini, ed egli non
ne aveva.
I remi s'incrociavano, salivano, scendevano, rom-
pevano l'acqua luminosa, brillavano come l'accia
A lamo rideva, senza alcuna ragione al mondo, bat-
tendo la manina aperta sulla bocca della madre.
L'ora, l'acqua, il cielo, erano di una dolcezza mera-
vigliosa, t- Manina si sentiva come cullata da un
sogno di pace infinita. All'occidente tutto il Po ros
seggiava come un fiume di sangue, riflettendo le
nuvole rosse del tramonto, mentre giù. giù. (
oriente, dilagava e svaniva con una profonda dol-
cezza di latte azzurrognolo: l'acqua riproduceva le
rive, i boschi, le torri emergenti dal verde malato
della pianura, le isole sulle cui alte sponde i te-
neri pioppi sembravano disegnati con la biacca sul
cielo di velluto.
II vecchio barcaiuolo guardava Manina, corru-
gando le socr*"CC:gha calve per nascondere la rude
contentezza dei suoi piccoli occhi da topo. Ah. ecco,
egli vedeva la giovine vedova colorirsi in viso, sor-
ridere al bimbo, rasserenarsi: egli conosceva i buoni
eflett' d'una gita su' fiume, sul gran fiume tenero e
seiio .-. n un vecchio padre ; e sapeva i consigli savi
dt ll'acqua corrente, e le carezze persuadenti della
biezza . e la pace che inspiravano le lontananze
serene.
— Adamo lo faremo barcaiuolo: io sarò morto.
. ma egli si farà barcaiuolo: diventerà forti-
vaio (i): farà più fortuna di [acum perche sarà
pili buono: o ti piacerebbe più farlo mugnaio, dim-
mi harbuim. Muliner o portmcrl cosa ne dici?
— \o. — rispose Manina. — meglio mercante.
— Ah. i mercanti! — sospiro il vecchio, ricor-
dando la line di Francesco Giroflè. — Non mi piac-
ciono i mercanti. Sei stata alla fiera di San Gallo
•a. barbu
— No. Che ci ho da far io nelle fiere? Ci
Martina, ed ha ballato tanto che s'è presa il mal di
gola: inoltre s'è bisticciata con l'amoroso. Silenzio.
i Colui che tiene il porto e con la barca fa attraver-
sare il fiume ai passeggeri.
'4
LA M [TURA
La bai izii sa e ra
pida: il rumore « K-i molini giungeva affievolito, la
elio, che pareva camminasse sull'ori*
allontanava sempre più, e la riva opposta
i sua muraglia di I nissima.
va nettamente 1<> stradale che tagliai
• • nel mezzo, con uno sfondo azzurro lontanis
Ad \r Manina ridivi nne cupa e inquieta.
( "hi<
Do> il WKfctQ tronco? Torniamo subito in-
irili.
( 'hi ti aspettili?
Ah, è vero, non nu aspetta nessuno: anzi, se
inni tornassi farei loro piacere.
\"n parlare così, harbutin: tu sei ingiusta.
I vero, SÌ, ^'itih anche ingiusta Essi, dopo
mi danno da mangia/e. Ah, cosa faci-in io nel
mondo, Bastianin, cosa faccio io nel mondo? ■ —
con disperazione.
E al tuo bambino;, non ci | ensi ?
Ella guardò il bambino^che cercava strapparle un
bottoncino della giacca, coi piccoli ditini rosei ìrre
quieti; e cominciò a baciarlo ed a piangere.
Tu sarai sventurato, gli diceva. — Tu hai
avuto il cattiva augurio, nessuno ti ama. neppurq
il nonno ti ama. Che farai tu nel mondo? Che fa-
rai tu ?
Ma Vdamo, intento nella sua lotta col bottoncino,
:nm badò alle tristi domande, e solo quando s'ai
orse che il bottoncino era più torte ili lui e non si
lasciava strappare, cominciò a strillare, rosso in viso
e con la fronte terribilmente aggrottata.
Ebbene, che abbiamo ? gli chiese Manina.
sollevandolo in alto.
cosse le rosee zampette e subito dimenticò
suo grave dispiacere. Intanto la barca s'andava av-
ido a riva attraverso l'acqua verde marezzata
s'udiva il picchiar delle accette nel bosco,
•■ lun ronde ili pioppi fuggiva :on l'acqua.
Spirava dal sud un tiepido venticello, e lungo la
riva i ces] ugli - inchinavano e tremolavano e pareva
■ he dicessero in fretta in fretta qualche cosa all'ac-
qua con e 1 acqua corrente pareva sorridesse ai
isse l 'l'ir, in i retta in I una. senza
essi dicevano.
i lambierà il tempi .. disse il vecchio.
L'n n irve sulla riva.
( )h I coni ii lo stavo
appunto per grillare.
Più ili cosi ? disse il vecchio.
Mariina riconobbe il rasghin e lo guardò senza
irlo.
va attraversare il fiume, ma prima in
ir] appn dare e scendere,
iffatti se la vedova-
vi ina e sa.
Ma guarda ' ami ■. i lattendo le mani,
he non i I un momento: vi
i re una ■ i
ami i i er Diol propi se il vecchio,
vuol dire che il tronco lo prenderò stanotte: c'è
la luna.
Allora scesero, e mentre Bastianin legava la bai
ca, il rasghin prese nelle sue lunghe braccia il pii
colo Vdamo che gli sorrideva, e si mise a cunei-
travet 0 i CI migli. La riva era ingombra 'li rami e
tronchi tagliati . attraverso i fusti bianchi dei pioppi
si scorgeva una. capanna ili lav ole cosi runa dai r,i-
Sghin, e Pietro correva verso quel punto. Mariina
gli andò dietro. Il bosco taceva sugli stonili chiari
ilei ciclo: il venticello fremeva appena sulle cime
ilei pioppi ancora rosee per il riflesso del tramonto,
Ah. quei lunghi pioppi, sottili e rigidi, col disio
nell'ombra e le enne rosse ih luce, parevano un pò
polo ili persone magre e malinconiche »n la
niente irradiata da luminose speranze.
Mariina era ignorante e non sentiva la natura, ma
' he. per la seconda volta in quella sera, come
sulla distisa serena ilei gran fiume di sangue e ili
lane, aveva provato un senso ili pace, sotto il DOSCO
dalle cime rosee provò un impelo ili speranza nel
seguire il buon rasghin che correva e rideva col bim-
bo fra le braccia.
Egli si fermò davanti alla capanna: questa era
chiusa, ma al di fuori c'era una tavola, ancora rozza
mente apparecchiata con boccali, piatii e scodelle
di creta. Per tetra Stava un mucchio di cenere da
una '-ni fenditura usciva un filo di fumo. Sullo
sfondo dei pioppi, quella capanna, quei boccali di
creta, quel lineo coperto, parevano i segni di una
abitazione preistorica: nel bosco ronzavano nugoli
di insetti trasparenti, e si scorgevano dei fiori gialli,
dei lunghi pennacchi rossastri, delle toglie vini
tra la vegeta/ione lolla ed umida che appassiva,
Pietro, sempre col bimbo fra le braccia, si curvò
e prese un piccolo cestino nascosto sotto un tronco:
poi si volse verso la vedova con aria trionfante eie
fece vedere il cestino: ella guardò dentro e vide
delle grosse castagne color d'oro bruciato.
Era questo? chiese, guardando il rasghin.
Kgli arrossi come un bambino; poi si mise a ti
dere. e propose di scoprire il fumo e di arrostire le
castag
\o. ella disse E' tardi.
Ma subito pensò che a casa sua. osse ella tor-
nata presto o tardi, non s'inquietavano inulto, e ri-
diventò cupa.
- Vieni. disse al bimbo, battendo lievemente
le mani per richiamarlo; ma Adamo intento ad
b rrare il cestino, mise un pi ilo grido e volse la
faccia sulle spalle del rasghin, rifiutando di andare
con sua madre.
Vedete? Egli vuoi restare con me. disse il
jiov me. mito lieti '.
Intanto giunse il barcaiuolo, e tu del parere di
Pietro, oii j di lesi ne e .fi arri si ire le castaj
Al ritorno, mentre la barca attraversava un po'
ina il limile tao,, si violaceo nella tranquilla
Ine della sera, il rasghin ricordo la notte in cui a
n I Ito Mai mia seduia sulla riva.
IL BATTESIMI i l> \li\\l< >
3i5
— Perchè mi avete maltrattato? — domandò. —
The avevate con me?
Allora la vedova, che non si confidava con nes-
suno all'infuori del vecchio Bastianin, cominciò a
lamentarsi dell'indifferenza e del disamore ilei suoi
parenti.
— Francesco non è morto che da sei mesi, ed essi
fanno festa e si ubbriacano e si divertono come so
mio marito fosse stato un cane. Ah. ciò è veramente
schifoso: essi sono senza cuore, essi fanno conto di
me e della mia creatura come di due cose inutili che
si tengono cosi perchè sarebbe vergogna 1 untarle.
via...
— Non sarà cosi ! Vi parrà così, ma non è ! -
la confortò il ras ginn, che aveva ascoltato intensa-
mente, tutto serio e pensieroso.
— Così non fosse ! — ella rispose sospirando.
Poi tacquero- Adamo morsicchiava il mento della
madre, sollevandosi di tratto in tratto per guardare
incantato il giuoco dei remi. La sera cadeva, tran-
quilla e tiepida: la brezza era cessata : ad ovest il
cielo ed il fiume splendevano d'un chiarore violetto:
sull'argine si scorgeva come campeggiata sul cielo
jualche figura di viandante.
- Mariina. — disse la voce ròca del vecchio. —
e se vi capitasse l'occasione di rimaritarvi?
La vedova alzò le spalle e non rispose. S'udì una
risatina piana piana, come d'uno che ride fra sé
e se.
— Ecco, — disse il vecchio, che aveva riso. —
Petrin cerca moglie.
Il giovine arrossi ancora, e battè le mani stizzito:
ciò nonostante Mariina ebbe un'idea, e cioè che i
due uomini fossero d'intesa fra loro, e avessero pre-
cedentemente combinate le cose accadute quella sera.
- Ha incaricato voi di cercargliela? — doman-
dò con ironia.
— E potrebbe darsi.
— Ed a me cosa me ne importa?
- Potrebbe importarvene benissimo, — proruppe
Pietro con ardore. - Perchè son povero? Son gio-
vine, però, e sono sano, io.
Mariina si offese, credendo che egli le rinfacciasse
ii suo matrimonio; ma rapidamente l'assalì il ri-
cordo di tutti i dolori che il suo errore le aveva ap-
portato, e scoppiò a piangere.
- Mariina ; — gridò il giovine, curvandosi a
guardarla. -- Che avete? Vi ho offesa? Tacete,
Mariina. tacete. Mi fate morire. Mariina.
Ed ecco che quasi si metteva a piangere an-
ch'egli. Però il vecchio Bastianin sorrideva: un uo-
mo guardava da un barcone caricò di botti che scen-
deva il fiume, e Pietro dominò la sua commozione.
So],, ripeteva:
- Tacete. Mariina. tacete: io non vi ho voluto
offendere: io vi voleva confortare ed invece! Ma
guarita !
Ella si calmò: la vive commossa del giovine le
■ ava il cuore, apriva alquanto la fosca nebbia
che circondava continuamente i suoi pensieri. Ah.
dunque c'era qualcuno al mondo che le voleva an-
cora bene?' Sì? Non parlò più finche la barca ap-
prodò, ma l'ietro. che la guardava di tanto in tanto
con un timido sguardo, la vide rasserenarsi e quasi
allietarsi in viso.
(Continua).
Grazia Deledda.
.3.
^¥
%*r*
;£&
V
*toè^***è&$?*H^iftkà
VILLA BORGHESE
che evoca una visione magnifica
.li verde, di prati soleggiati e 'li ombre
profonde, 'li viali opachi e di pinete odo-
frescura discreta e silenziosa. Il rumore
scalpiccio della folla, 1" strepito dei
ili, delle carrozze, dei tranways e degli altri mo-
dernissimi congegni rintronanti sul duro basalto re-
ticolato, sembrano rimanere circoscritti, come da un
isolatore, dalla cinta aureliana e dalla cupa e tor-
tuosa via delle Mura. Appena varcata Porta del Po-
polo, l'antica Torta Flaminia [trapassato il gran-
dioso cancello, sorretto dai due eleganti propilei
rdine ionico, recanti l'iscrizione:
CA 1///./.1.S'. BVRC.HI-SIVS. PRINCEPS, VII
! I !/. .sr.ll/. SVBVRBANAM. IN. AMPLIO
REM. FORMAM. ORXAi 'IORF.MQYE. A"
DEGIT.
passi .li uomini e ''avalli s'ammorza nel-
l'ampio i igresso, che ascende lento fra bo-
olmi e 'li querce, seguendo la cun
muraglione coronato dai ciuffi verdi del vi-
cino mondano Pincio. Più innanzi la veduta si al-
larga e si rischiara, e l'occhio intuisce la vastità del
le misura quasi sci chilometri ili giro. Alla
". valla un'ampia conca erb sa .
mm erri più su il giar-
dino del : i viali e altri i
ciano, divergono e convergono, s'allontanano e
centrano, salgono e scendon do capo ora a
un tempietto, ora l un rudero
laute l'ani
la verde epidermide del
co, lo dividono in vaste zone, ben distinte |xt la loro
caratteristica fisionomia. Qui è un immenso pascolo
ondulato e luminoso, dove le pacifiche annente bru-
cano in silenzio l'erba, diffondendo l'aroma della
mentuccia calpestata : là è un fitto bosco di lerci
secolari dai rami contorti in mostruosi abbraccia-
menti ; altrove è il quadrivio colla fontana dei quat-
tro cavalli marini, emergenti dal largo bacini
fior di terra, quasi inebriati dall'impeto dei qua
possenti zampilli pai I . lucidi come vetro, che,
rinnovando il mito di Ippocrene, scaturiscono sotto
la lom zampa nervosa. Una selva di pini ombrelli
tiri dai fusti erti e rossigni protegge all'ingiro la
classica piazza di Siena, clinico si. elio verdeggi
destinalo a corse e torneamenti. Nella parte più re-
ni ci. i piasi dissimulato dietro le folte siepi di b
s'apre un breve recinto circolare dai sedili di
a pietra corrosa, care alle anime solitari..
leggitore concentrato, alla pittrice silenziosa, al
prete meditabondo, bua vasca rotonda, nel mi
irsa vena stillante dal ciuffo di capti-
le, che ha invaso la sgretolata fontana II si-
lenzio ilei luogo sembra acquistare intensità dal rado
ìolìo dell'acqua, dal guizzo improvviso di un
ranocchio, dal cader di una foglia sullo specchio
limacciosi e vi rdastro Pare il fruscio leggero d
Ninfa spaurita che si ritutìì nel suo umido asili
da pei tutto la gloria verde degli antichi alberi au-
-t,r i delle ville romane, dal grave le 0 al-
l'olino .snello : i, dalla quercia poderosa al
. chiomato, dalla pieghevole fronzuta acacia al-
l'abete rigido dai rami d< solati.
In mezzo a qui gnificenza di \
/ione, nei giorni e nelli ui la Villa api rta
VILLA BORGHESI.
3i7
Mfl£>cPft ■" • . -•■•>■'• •; -..-j
Ingresso principale di villa Borghese — Roma.
al pubblico (per antica liberalità dei principi, tra-
mutata oggi in pubblica servitù), si riversa e circola
la folla variopinta. Xei viali è un lento intermina-
bile serpeggiamento di superbi equipaggi e di mo-
deste carrozzelle. Le praterie si popolano di piccole
comitive disseminate qua e là sul tappeto erboso,
di bimbi che si rincorrono mettendo stridi di rondini
allegre, di seminaristi nei loro tradizionali costumi
neri, azzurri, scarlatti e violacei che lanciano il foot-
ball, con un chiasso più consentaneo alla loro età
che alla loro veste ; mentre gli studiosi, i contem-
plativi, i solitari, i misantropi si rifugiano nelle
parti meno frequentate, dove appena di tratto in
tratto passa una tacita coppia di innamorati, o un
gruppo di amici accaloratisi nella discussione.
Quando la Villa è chiusa al gran pubblico, vi si
può accedere mediante il pagamento di una piccola
tassa. Allora i romiti passeggiatori, i nemici della
folla e de' suoi strepiti, diventano i padroni dell'im-
menso parco deserto, che sembra allietarsi dell'im-
provviso ritorno alla sua aristocratica solitudine-
Allora lo spirito indisturbato dell' uomo consciente
si accorda e comunica coli' intimo spirito delle
cose; a lui si rivela tutta la profonda bellezza ili
ciò che la natura, l'arte, il genio e la magnificenza
degli antichi hanno composto in un tutto mirabil-
mente armonico ; per lui hanno una voce le fontane
grondanti, hanno un'espressione gli abeti dolenti.
hanno un significato le mutevoli visioni di luce e di
ombre, i bagliori di pulviscolo d'oro foranti il fo-
gliame bruno, l'immobile trasparenza dell'azzurro,
solcato da rapidi voli di cornacchie che passano a
stormi
continui, densi, neri, crocidanti.
Questa la villa che il cardinale Scipione Borghese
(nipote di quel pontefice Paolo V. che stampò il no-
me del suo superbo casato sulla fronte della Basi-
lica Vaticana) ideò, commettendone i disegni al fiam-
mingo Giovanni Vansanzio. Un altro Borghese, il
principe Marc' Antonio, la ampliò più tardi sotto la
flirezione dell'architetto Aspnicci. Nuovi abbelli-
menti ebbe al principio del secolo XIX. dal sapiente
e fantasioso Canina, per ordine di quel D. Camillo
marito della bellissima Paolina Bonaparte, chevolle
eternate le sue forme perfette nel marmo del divini
Canova. Al Vansanzio è- dovuto pure il disegno del
palazzo destinato al Museo, e che ora accoglie an-
che la celebre Pinacoteca.
Villa Ilnrghese ebbe a soffrire grandi danni dagli
avvenimenti tumultuosi del 1849 ; molti alberi fu-
rono abbattuti, boschetti e viali subirono tali guasti
da restarne deturpata la primitiva bellezza. Se non
3i«
LA LETTURA
che i littore ini ni l
iche ripai nne delle sue s essi Fi
\ iolerua non sopra] i i ìa] rirle.
Viali e boschetti si erano, in < |in.->t i ultimi i inquan-
i .inni, rinnovellati 'li novella fronda; ma già le
linanti del patriziato e la tendenza ti
. ma 'li u.irrr utile anche da ciò che esiste sol
tanto per ragion .li bellezza, preparavano loro
■ i uine. Si i linciò ad abbattere tron
chi, ad affittare appezzamenti, a concedere il parco
banali ti' i i umi irosi d'i igni spe
ni ii: ise, baracche, casi itti, 1 esi he 'li I»-
I ' ome dalla Pinacoteca pn se la fuga il
Cesare Borgia ■■ per cui si menò, ahimè
indarno, tanto scal] -. e che fu il mal seme di altri
successivi trafugamenti, cosi dalla Villa venni
tritamente asportata l'an « rba balaustrata di
dalle aquile coronate, dai grifi rampanti,
dai mascheroni soffianti l'acqua nelle trigemine con-
e sostituita pezzo per pezzo da una copia ba
nuova.
Giunse quindi provvida la legge votata dai due
rami del Parlamento per l'acquisto di Villa Bor
• da parte dello Stai", il quale, con atto vera-
mente magnifico, ne fece dono al Comune ili Ruma.
perdi 'I pubblico e col legata ai giardini
del Pincio. Lo Stato conserverà nel palazzo, ove
hanno sede, il Museo e la Galleria, il cui acquisto
in sancito con altra legge approvata I" stesso g i
no, giorno invero memorabile e da ni tare con albo
lapillo negli annali pai I amen tari.
I i.i i.i congerie innumerevole ili leggi che si ri
versano sulle trepidanti popolazioni e finiscono
pure '"iitrn la buona intenzione dei legislatori
preparare nuovi tormi nti ai tormentati, o mu al più
ai I inaspi ire contri ivi i li ca
zioni giuridiche, è ben rat" il caso che si giun
disi ii1' re e ad appr w ari |u ili he | >i> >\ vedimento li
gislativo a Favore ili quell'elemento ideale della vita
iale, che è così sapientemente compendiato
detto: Voti •!<' solo pane vivit homo, E mentre la
dottrina socialista intende, e non senza raj
o nseguire una più equa distribuzione dei beni ma-
teriali, ma a torto condanna come spese volutti
quelle che si riferiscono al pascolo dell'intelletto (il
n ferendum pei la .v ala ne è un esempi >), lo S
italiano ha saputo attuare un ben inteso socialismo
intellettuale, assicurando in poco tempo al dominio
del pubblico due collezioni artistiche <li inestii
bile valore, il Museo Boncompagni-Ludovisi e il
Museo e la Galleria Borghese, l'i questo fatto -
rallegra il pensatore, che, senza preconcetti, considera
l'importanza di tutti i problemi sociali e mette i |uelli i
dell'istruzione e dell'educazione a paro, n
mente al 'li sotto, di quello del pam- L'arte è ari-
stocratica, lu detto; ma questo non significa che
essa sia i>i soli ricchi, e l'ammettere liberalmente
.1 goderne tutti coloro che si sentono attratti vi
U I>l PIAZZA M PlKNA, VII 1 v BORGHESI
Roma.
VILLA HoKi.lll SE
3io
Galleria coperta, villa Borghese — Roma.
il bello, è opera altamente civile. Presso le nazioni
maggiormente progredite le gallerie e i musei dello
Stato sono aperti gratuitamente al pubblico ; op-
pure, come a Londra, le giornate a pagamento sono
un'eccezione, quasi un favore accordato agli stu-
rile desiderano attendere alle loro ricerche
senza essere disturbati dalla folla dei visitatori.
E se, col tempo, potrà avere attuazione il gran-
50 disegno espresso nell'ordine del giorno vo-
tato dal Sinato. di concentrare a Villa Borghese
tutte le raccolte artistiche di Roma appartenenti
allo Stato, sarà sommo diletto per lo studente e per
1 artista, come per l'o] eraio intelligente e in generale
per tutti roli.ro i-he dopo le fatiche del lavoro quoti-
diano pn - un sollievo spirituale all'ozio e
ai volgari passatempi, trovare riuniti in lu
rideti i capolavori dell'arte antica, del
Rin.i- -■ dei tempi moderni. 1 loro occhi, de-
sideri si di obliarsi nella pura contemplazione este-
tica, troveranno ampia materia di soddisfazione,
dalla rigida arte arcaica alla perfezione ellenistica,
dalla decorazione murale romana alle mistiche
concezioni del quattrocento, alle tele smaglianti
del cinquecento, al tormentato tecnicismo della pit-
tura modernissima.
Non è qui il rasi, di sollevare dubbi o di i
nare le prevedibili difficoltà che possono opporsi
alla pratica esecuzione di questi voti. E' bello, per
ora. compiacersi del soffio di idealità che ha scosso
per un momento la fredda e greve atmosfera delle
nostre aule legislative-
Si è pure affermato che. a compiere la glorifica-
zione della storica Villa e ad improntare di nuova
italianità questa Roma cosi ricca di memorie delle
civiltà passate, il giovine Re. con augusto pensie-
ro e con pietà filiale, intenda erigere il monumi
al suo compianto Genitore in questi giardini che
Egli in vita predilesse, e dove tutti ricordiamo di
aver corrisposto al suo affabile saluto, mentre per
correva i viali guidando il suo phaéton.
Per questo è sorto in molti il pensiero di
care l'antica Villa Borghese al nome di Umberto I.
Xoi. che professiamo un verace culto alla memo-
ria del Re buono, sentiamo • però nel tempo stesso an-
che un profondo attaccamento al rispetto di quei
nomi che costituiscono, in fondi., la peculiare ca
terìstica di un dato luogo, di una data città, rispetto
a tutte le altre, per gli avvenimenti che \i sur,.
cero, per le famiglie che vi fiorirono, per gli uon
che vi si illustrarono. Ogni grande città, ogni pii
colo borgo ha dero orinazioni sue proprie, molte i li
quali gloriose e della cui conservazione ogni citta-
dino è a buon dritto geloso, come di quella dei m
LA LETTI RA
numi I ramente di
ii \. .. spirito dei tempi pres
t rammento antio
• archeologico, il mal vezzo
imi ili mutare alle \ ie e alle piazze i nomi fami
.il popolo per amica consuetudine, per sosti-
tuirli con altri, non particolari al luogo, ma comuni
isochi tutte le città d'Italia. A nuove
località nuovi ninni, sta bene, Ma lo spirito nova-
■ per fervoros naggio alla storia !■"«■
poco rispettoso dell'antica, imprime
alle città una uniformità deplorabile, cancellando
r> co la li irò tipica fisionomia.
A noi dunque sembra buono e giusto che colora
i quali, nei venturi tempi, verranno a riposan
l'ombra degli elei secolari, a rallegrarsi nel verde
dei prati, a ricreare l'animo in questo lembo di na-
nna esuberante e solenne, ideato e largito a di li
zione estetica dalla munificenza degli antichi, ne
ricordino anche le origini e la storia, che da tre
coli, a traverso le vicende >li età e di uomini, si •
pendiano nel nome di Villa Borghese.
Roma, febbraio igo2.
A. Salvagndjl
Dettaglio balaustrata, villa Borghbsb - Roma.
L'uso della camicia nei secoli XIV e XV
a proposito d'una similitudine dantesca
a similitudine occorre in sul principio del
canto XXIII dell' Inferno. Dante e Vir-
i^&j gilio, fuggendo la « fiera compagnia » dei
diavoli di Malebolge, vanno « taciti, soli, l'un di-
nanzi e l'altro dopo », su per la rupe che separa
la quinta dalla sesta fossa. Paventano d'essere in-
seguiti; Dante specialmente.
Gii mi sentia tutti arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento,
Quando io dissi: <c Maestro, se non celi
Te e me tostamente, i' ho pavento
Di Malebranche. Noi gli avem già dietro:
Io ^l'immagino sì che già gli sento. »
Virgilio argomenta che sia poco lontana la di-
scesa :
S'egli è che si la destra costa giaccia
Che noi possiam nell'altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l'immaginata ciccia.
Ma ei non finì neanche d'esporre questo suo
disegno, che già quei maledetti apparvero con
l'ali tese correndo verso di loro. Venivano a volo
spiegato per volerli prendere; ma Virgilio fu più
svelto, e prese lui, Dante, com'una madre prende
La Lettura.
il figlioletto per iscamparlo da un incendio not-
turno.
Lo duca min di subito mi prese
l'ornc la madre che al romore è desta
E vedi- presso a sé le fiamme accese,
Che prende il figlio e fugge e non s'arresta.
Avendo più di lui che di sé cura,
Tanto vìi? solo una camicia vesta.
E giù dal colle della ripa dura
Supin si diede alla pendente roccia
(Mie l'un dei lati all'altra bolgia tura.
Un quadretto, codesto della madre fuggente, con
in collo il bambino, dei più efficaci ed affettuosi che
l'arte dantesca, cosi sobria nei tratti ma così mossa
e drammatica, abbia saputo sbozzare. Quella fuga
di versi che pare si diano la caccia : e vede e fugge
e non s'arresta; la simultaneità delle impressioni
paurose della madre e la subitaneità della sua ri-
soluzione; la determinazione e la rispondenza, la
madre, il figlio ■ esprimono e ritraggono mirabil-
mente quell'affetto che non ha rivali come non
conosce confini.
A uno studioso americano, al Norton, questa
similitudine già richiamò a mente uno di quei gra-
ziosi aneddoti che fra Sai imbene trovò modo di
21
322 • LA LI III UÀ
innestare alla sua Cronica. Mia madre, questi
conta, era solita i che, quando avvenne il
Natale 1222, essa, temendo
1 he il Battistero 'li l'arma non le cadesse addosso,
giacché la nostra casa era li accanto, prese le mie
,llu- orelle, una sott' ogni ascella, e scappò
a casa del padre suo. Me invece Lisciò nella culla!
E questa <• la ragione — conclude poco cavalle-
lislianamente il frate cronista
, poi i" non le no mai voluto un gran
bene: et ex hoc non ita chare diligebam eam,
aia plus debebat curare de me masculo quam
e de filiabus! »
Sennonché l'ultimo verso della similitudine dan-
lò avere — ed ha, manco a dirlo, avuto
di fatto — due diverse spiegazioni. O s'intende
che la madre, spaventata dal pericolo imminente
sul figliuolo, non s' arresta neppure a infilare una
gonna, e fugge cosi come si trova a letto, in sola
ovvero che essa non s' arresta nemmeno
quel tanto che occorra a indossar la camicia. E
questa seconda interpretazione, che a un lettore
moderno sembrerebbe la meno corretta nei ri-
1 li della decenza, è invece la più corretta
quanto alla sintassi, e, quel eh' è meglio, la più
i onforme ai costumi del tempo.
l'n nostro giovane erudito, morto che non è
molto nel fiore degli anni, il Merkel, ebbe anche
ntar la storia dell'uso della camicia, nel suo
curioso ed accurato opuscolo Come vestivano gli
nomini del Decamerone. Ma le sue conclusioni sono
r forse troppo 1 ttimiste. Più inventari o ca-
pitoli nuziali frughiamo dei secoli XIV e XV, e
più abbia m da meravigliarci del numero esiguo, e
qualche volta dell'assenza addirittura, di quel pri-
mo in lumen o. E insomma il raccapricciante dub-
bio ingigantisce: le nostre nonne — che Dio le
abbia in gloria, comunque! — indossavano o no
quel rudimentale involucro ? o lo riserbavano sol-
tanto per quelle grandi circostanze, per le quali
ora esso.... è ridotto alle minime proporzioni? (1)
i > un oggetto piuttosto di lusso, par-
rebbe da parecchi indizi. Ancora nel [527, quando
Pus 1 n'era divenuto più comune, a Firenze (lo
(i Occorre pure menzionare qualcuna delle fonti a cui
ho attinto notizie e informazioni. Del Mbrkel 1i<> avuto
a : del Quattrocento Ulu-
Roma is<, !; -Il castello ili (Unni nella
ntario ululiti' del 1557, Roma
/ beni della l'in, P , invenia
XV illustrato, • ( 'onU
■li uomini del Decameron, Roma 1898. — Di
tutti r..i|rsti opu una dotta recensione, miri/
Italiano i8q il dott. Ci k/io
M »zzi. Del quale li" 1 onsultato con profitto ani he 1
n< grafia sulla ( ii\u iti maestro Bartolo di Tura, Siena
.// H.iDii Veneziana del tee. XI I.
pubblii ito da Nino i Padova 1
noia il Varchi, Storia fiorentina, IX, 171 si usa-
vano in' respate da capo e dalle maniche », e si
mutavan la domenica insieme con tutti gli altri
panni. [mini-spade » s'usarono , per tutto il se-
colo XV, anche a Venezia. Anzi, nel corredo
della dama veneziana Lunetta ' rradenigo, del 1 537,
è notata una 1 camixa d'oro», per due perle della
quale erano stati spesi undici ducati e grana un-
dici, e una ■ 1 ainixa d'oro et seda crenu n
stimala quindici ducati. Il Tamassia avverte che
queste 1 .unii ie erano pel dì delle nozze e che «una
delle tante leggi veneziane ne vietava espressa-
mente l'uso . Nella commedia L'anello, Pietro
Fortini fa cenno di una « bella camicia lavorata
con oro, di quelle che fecero per mandare a Roma
all'abate », la quale si sarebbe inviata in dono a
un uomo.
Tra le duecento camicie, che fanno magnifica
figura nel corredo di Lucrezia Borgia, quando, nel
[502 , andò sposa ad Alfonso I duca di Ferrara,
più d'una era costata cento ducati. Gli statuti
suntuari di Perugia, riformati nel 1508, vietavano
agli uomini di portare mane-che de camisce che
trascendano uno bracio e mezo da tela a mesura
de braccio de lino peroscino intra tucte doic le
màneche». E a Gubbio, ancor nel 1560, era proi-
bito agli uomini e alle donne di «portare camisce
lavorate d'oro o d'argento». Nell'inventario dei
beni della famiglia del fiorentino Puccio Pucci,
del 1449, diciotto camicie d'una certa signora Ca-
terina son valutate quattordici fiorini, mentre do-
dici del marito solo quattro; quindici d'un'altra
signora, la Bartolomea, dieci fiorini, e dodici del
marito pur quattro; e dieci d'un signor Bartolo-
meo, solo due fiorini; e venti camicette da bam-
bini, un fiorino solo. Nell'altro inventario, della
casa di maestro Bàrtalo di Tura senese, compi-
lato nel 148^, son registrate: cinque camice sot-
tili da donna, nuove e belle»; < un'altra camicia
sottile, lavorata con reticelle larghe per le mani-
che » ; < un' altra camicia da donna di panno di
len/.o, tutta bella»; e poi: «tre camice da homo
quasi nuove, sottili», e < una camicia sottile da
homo, buona», e finalmente « due camice da homo
sottili, e un paio di mutande use ». Maestro Par-
talo e la sua signora madonna Camilla pensa-,
anche al caso che codesta biancheria fosse da ri-
fare; giacché i loro eredi trovarono in casa an
«due libre e mezo d'accia roza, sottile, da lar
camice sottili e belle . e un'altra libra e dieci
oncie d'accia sottile, da far camice roze»,e«due
lire d'accia bianca, sottile, da far camice, in ma-
è e goniici ioli ».
Una curiosità per giunta. Volendo i genovesi,
nel 1381, cattivarsi con doni alcuni signori 01
tali, offrirono loro a chi due camicie, e a chi
fino una. E non pare che quei signori prendessero
il do una lezione di decenza o d' ij."
Che poi e uomini e donne, e laici e ecclesia-
stici, e monache e mondane, delle 1 ami' ie non
silo propii.iiiu me abuso, sj chiarisce e dalle
modi b provviste che codesti inventali mettono
a mulo, e da qualche altro documento. Il signoi
USO DELLA t Wlh'IA NEI SECOLI XIV E \\
323
Carlo de Linas, che nel 1886 pubblicò l'fnven-
taire des meubles du cardinal Geoffrov d' Alatri,
fatto nel 1.287, annota non senza sorpresa: « cir-
constance rare, va l'epoque: notre cardinal avait
huit chemises de toile » .
Di fatto, in alcune regole monastiche era con-
sacrata la concessione di tre sole camicie all'anno
per ogni suora. E a Venezia, ancor del 14511, si
trova stabilito un patto, col quale si promettevano
per salario annuo a una domestica quattro ducati
e mezzo, un paio di scarpe e una camicia.
Che a letto finalmente — eh' è quel che vera-
mente importa per illustrar la similitudine dante-
sca — non se ne facesse addirittura uso, mi sem-
bra che possa facilmente argomentarsi da tutte
insieme le prove addotte fin qui. Ma meglio si
potrebbe dai novellieri, se a me fosse lecito di
andar francamente rimestando nelle adorne si, ma
un po' troppo scamiciate novelle del Boccaccio e
del Sacchetti; e ancor meglio, se si potessero aver
presenti alcune miniature, che fan rider le perga-
mene ove son trascritti antichi libri d'amore, e al-
cuni affreschi che non arrossiscon di trovarsi su
sacre pareti.
Farò intanto qualche discreto accenno a ciò che,
circa l'uso, o il non uso, di quel leggiero vesti-
mento, è possibile ricavare dalle novelle.
Nella I della giornata II del Decameron, si narra
di tre buontemponi fiorentini, i quali, giungendo
in Treviso e trovando tutti sossopra pei miracoli
che veniva compiendo un povero facchino pur al-
lora morto, pensarono di prendersi gioco di quei
sempliciotti. E uno di loro, Martellino, si contraf-
fece come un attratto, e gli altri, sorreggendolo,
lo accompagnarono, tra la folla, innanzi al cada-
vere miracoloso. Il guaio fu che alla scena fosse
presente un altro fiorentino, che , riconoscendo il
suo concittadino quando lo vide raddrizzato, escla-
mò : « Domine, fallo tristo! chi non avrebbe cre-
duto, veggendolo venire, che egli fosse stato at-
tratto da dovero? » Alcuni Trivigiani che lo udi-
rono, si gettarono addosso a Martellino, il pi-
gliarono, e giù del luogo ove era il tirarono, e
presolo per li capelli, e stracciatigli tutti i panni
in dosso, gli cominciarono a dare delle pugna e
de' calci ». I compagni non riuscirono ad aiutarlo
meglio, che consegnandolo ai birri del podestà:
il quale a buon conto cominciò a fargli dare, per-
chè confessasse, alcuni tratti di corda. Intanto
quelli corsero ad impetrare la misericordia del si-
gnore della città. Che mandò a cercare di Mar-
tellino. « Il quale coloro che per lui andarono,
trovarono ancora in camiscia dinanzi al giudice, e
tutto smarrito e pauroso forte > .
Protagonista della novella seguente è un merca-
tante chiamato Rinaldo d'Asti. Essendosi costui
imprudentemente messo nella compagnia di tre
sconosciuti ch'eran masnadieri, questi « veggendo
l'ora tarda et il luogo solitario e chiuso, assalitolo,
il rubarono, e lui a piò et in camiscia lasciarono ».
/// camiscia e scalzo, è la frase che il novelliere
ripete più volte.
In un'altra novella (g. IX, n. 4) si narra di due
Sanesi, « già per età compiuti uomini, ciascuno
chiamato Cecco, ma l'uno di messer Angiulieri, e
l'altro di messer Fortarrigo. > Quest'ultimo era si
ad ogni servigio sufficiente », ma non era un
ottimo compagno di viaggio « perciò che egli giu-
cava, et oltre a ciò s' innebbriava alcuna volta ».
E il fatto fu che in un loro viaggio, avendo desi-
nato in un albergo a Buonconvento, PAngiulieri
se n'andò a dormire e il Fortarrigo a giocare nella
taverna. Dove, perduti i danari che aveva con sé,
e « similmente quanti panni egli aveva in dosso,
desideroso di riscuotersi, così in camiscia com'era,
se n'andò là dove dormiva l'Angiulieri, e veden-
dolo dormir forte, di borsa gli trasse quanti de-
nari egli avea, et al giuoco tornatosi, cosi gli perde
come gli altri » . Quando il povero Cecco, desta-
tosi, volle pagar l'oste e partire, trovata vuota la
borsa, mise l'albergo a rumore. « Et ecco venire
in camiscia il Fortarrigo, il quale per torre i panni,
come fatto aveva i denari, veniva ». Il seguito
della novella è risaputo. L'Angiulieri, derubato e
annoiato, die di sprone al cavallo ; ma il Fortar-
rigo, « in una sottil malizia entrato, così in ca-
miscia cominciò a trottar dietro » , e quand' ebbe
veduti alcuni lavoratori in un campo vicino alla
strada, incominciò a gridare: « Tigliatel, piglia-
telo ! » « Per che essi con vanga e chi con marra
nella strada paratisi dinanzi all'Angiulieri, avvi-
sandosi che rubato avesse colui che in camiscia
dietro gli venia gridando, il ritennero e prèsono....
Il Fortarrigo con l'aiuto de' villani il mise in terra
del palafreno, e spogliatolo, de' suoi panni si ri-
vestì, et a cavai montato, lasciato l'Angiulieri in
(amisela e scalzo, a Siena se ne tornò. »
Per poter dunque esser ridotti alla sola cami-
cia, codesti contemporanei del Boccaccio ne do-
vevan esser forniti; beninteso però, di giorno, e
viaggiando.
E di ciò dà nuova prova la CXXXI tra le No-
velle Antiche. Nella quale si narra d'un contadino
che venne a Firenze per comperare un farsetto.
« Domandòe a una bottega dov'era il maestro: ma
egli non v'era. Ma il maggiore discepolo rispose:
Io sono il maestro ; che vogli ? — Voglio un far-
setto. — Questi ne trovò uno, et provòglile in
dosso. Furono a mercato. Questi non avea il quarto
danari. Allora il discepolo, mostrandosi d'accon-
ciarhle da piede, sì gli appuntò la camusa col far-
setto, et poi disse: Tràilti. Quelli lo si trasse a
rivescio. Rimase ignudo ».
Yalgon di riprova alcune frasi ^ià divenute pro-
verbiali. Una, per esempio, ènei Boccaccio (IV, 2);
che d'una donna dice che « rimase faccendo sì
gran galloria che non le toccava... - non so cosa
« la camiscia ». E un'altra è nel Sacchetti (158),
là dove narra di quei fiorentini ch'eran chiamati
come capitani di giustizia dal Comune di Santo
Miniato; i quali, e per diversità degli uomini
di questo » e per il loro cattivo « reggimento »,
spesso tornavano a casa svergognati, e « talora se
324
l \ l RTTURA
ne veniano in camicia, e t.ilora erano presso che
morti.
E «li notte, a letto, l' adoperava!
Una certa donnetta del Sacchetti, moglie |
fedele d'uno scultore in legno specialista in croci
(nov. 84), se Don della sua onestà intrinseca ci
fornisce tuttavia un documento della decenza for-
male dell'amilo suo. Il meglio ci sia è che tu
ti nasconda >, essa, sorpresi, gli mormora: ma
non le trovare il dove, - essendo 1 ostui in
camiscia »
1 decenza però che si direbbe consigliata a
ìi da una elementare e non inutile prudenza.
11 vini . ili 1 o niugale pare sfranchisse anche da quel
ardo. ' 'io fa supporre la novella sacchettiana
del granchi. 1 marino (jhS), e l'altra (qq) di Batto-
lino farsettaio. < 'odesto poveretto aveva menato in
moglie una vedova e la quale era nerissima ». Ei
avvide la sera, quando essa tutta spogliata
sedea sul letto, segnandosi e dicendo sue orazioni » .
artolino « parea ch'ella fosse in gonnella mo-
na, luna, perocché le carne sua aveano quel colo-
re. » Le gridò : « Spogliati e vaiti al letto. » Ri-
spose la donna : Io sono spogliata . Il malca-
pitato marito la tocca, ed ella squittisce. — Oh
tu di vero! » egli esclama.
La novella boccaccesca (II, 3) di quel presunto
« abate bianco » che, stando a letto, per darsi a
conoscere, « prestamente di dosso una camiscia
che avea » si caccia, potrebbe destar qualche so-
spetto e ingenerar qualche equivoco: se non ci
orresse l'altra novella (III, 3), di quella gen-
tildonna fiorentina, « il cui nome », all'erma il
Boccaccio, « come ch'io lo sappia, non intendo
di palesare, per ciò che ancora vivono di quegli
che per questo si caricherebber di sdegno, dove
di ciò sarebbe con risa da trapassare ». Costei,
dunque, di bellezze ornata e di costumi, d'al-
tezza d'animo e sottil avvedimenti, quanto alcuna
altra, dalla natura dotata », e per di più d'alto
legnaggio e ricchissima, diede una volta a in-
tendere, per un suo line, a un certo frate scimu-
nito rhe un certo tale «stamane, poco innanzi mat-
tutino.... entrò », disse, « in un mio giardino, e
vi nnesene su per uno albero alla finestra della ra-
merà mia, la quale è sopra il giardino; e già aveva
la finestra aperta e voleva nella camera entrare,
quando io, destatami, subito mi levai, et aveva
comim iato a gridare, et avrei gridato, se non che
egli, che ancor dentro non era, mi chiese mercè-
Dio e per voi, dicendomi chi egli era; laonde
io, udendolo, per amor di voi tacqui, et ignuda
come io na< qui, (orsi e serra' gli la finestra nel
viso, et egli nella sua mal' ora credo che se ne
andasse, per ciò che poi più noi sentii. »
Se 1 n potò, stando al suo rao onto, prov-
vedere alla decenza, prima d' andar a chiuder la
tra: la madre della similitudine danti-, a non
ha il eanche di pensarci, avendo più dì lui,
del figliuoletto, che ili si, del suo [nidore femmi-
nile, cura. È un inciso codesto, che equivale a un
magistrale t. n co d'ombra : esso giova mirabilmente
a dar risalto a quella magnifica manifestazione di
amor materno. Fin l'innato sentimento della pu-
dicizia quella madre trascura, quando si tratta della
vita del suo nati 1
l'n tocco solo della sfacciata riconferma che a
queste mie ricerche, anzi che no scabrosette, danno
le arti figurative.
In un codice lauren/.iano-ashburnliamiano del
secolo XV, il Roman de la Rose — unde'più im-
portanti monumenti poetici del medioevo francese
e, nella maggiore e miglior parte, autorevole libro
di galanteria e d'usi galanti — è illustrato da al-
cune miniature, poco perspicue sotto il riguardo
artistico ma molto, troppo forse, per la storia del
costume. Costume per modo di dire: che vera-
mente, quando si tratta di ritrarre personaggi che
siano a letto, questi mostrano « senz'ali un velo »
e le braccia e le spalle e il petto, e tutte quelle
altre parti insomma che le coltri non coprono. E
l'artista non ci ha colpa. Nel testo, un marito ge-
loso non ha scrupoli, avvertendo non so che alla
moglie, di dire :
N.'is la iniit. quant vi. iis ^isié>
l-.n mon lit, lès nini, tonte ime.
Ne poéz vohs estre tenue....
E cosi, coni' un Adamo e una Eva che avessero
un letto, son riprodotti pur due sposi, in una mi-
niatura che illustra Le croniche (II, 417) del Ser-
cambi. E tali sappiamo che la gentile e coltissima
Elisabetta Gonzaga sorprese, nel 1500, nella loro
camera nuziale, il figlio adottivo Francesco Maria
della Rovere e la sua sposa Leonora < ionzaga ; e
il pettegolezzo fu, con molta disinvoltura, narrato
da uno dei cortigiani, per lettera, a Isabella d'Fste,
signora irreprensibile.
Perchè scandolezzarsene. del resto!' Nella chiesa
di San Lucchese a Poggibonsi, in un antico affre-
sco riproducenti i miracoli di San Nicola di Bari,
son dipinte, fiorenti di bellezza e di salute, tre
figlie d'un fornaio (le pulzelle di Dante l addor-
mentate nel medesimo letto , senz' alcun vesti-
mento. E codeste fanciulle medesime dormono,
nel medesimo arnese, a Siena, in un'antica pre-
della d'un altare del Duomo.
Negli antichi trattati di medicina che si conser-
vano in alcuni codici laurenziani. son miniature
che raffigurano in letto i malati, nudi. E nudo è
ritratto, in un'antica WtediSant' Antonio abate,
conservata nella Laurenziana, un giovanetto morto
sul suo letto. ìE' notevole però che son provvisti
di camicia un re, p. 43, e una fanciulla, p. 731.
E nudo è rappresentalo, in un manoscritto fran-
cesi del Quattrocento, un morente nel letto, cir-
condato da uomini e donne.
Mi si permetta un corollario ancor per grazia».
Della voce cornista, che per la prima volta oc-
L USO DELLA l VMK IA NEI SECOLI XIV E XV
325
corre in San Gerolamo, Isidoro dà un'etimologia
che farebbe quasi supporre come fosse una scon-
cezza tutta italiana, anzi, poiché di soli poeti e
novellieri toscani abbiam discorso, tutta toscana,
lo spogliarsene durante la notte. Purtroppo, nei
nostri volghi, specialmente del contado, essa —
dico la sconcezza ! — non è ancora del tutto una
memoria! « Camisìas vocamus», Isidoro insegna,
« quod in his dormimus in camis, id est in stratis
nostris». E canta, spiega egli altrove, est lectus
brevis et circa terram » .
L'etimologia isidoriana — è bene avvertirlo su-
bito — non risponde alle leggi della glottologia
scientifica: ammettendola, non si saprebbe dar ra-
gione di quel suffisso -isia. D'altra parte i mo-
derni, dal Diez al Grober, non son riusciti a
mettersi d'accordo nell' escogitarne una meglio
persuasiva. Tuttavia, ciò che a noi, ora, dà
da pensare, è il fatto che il famoso grammatico
ispalense poneva a base della sua etimologia: la
camisia usarsi in camis, cioè in letto! Non sarebbe
che un'arguzia o un' insinuazione il sospetto che
qui possa trattarsi d'una spagnolata ! Noto bensì
che nel luogo di San Gerolamo, dove la prima volta
quel vocabolo, d'uso fin allora non letterario,
spunta, sembra indicare una sopravveste milita-
resca di lino : un camice a buon conto anzi che
una camicia. « Solent militantes», scrive il santo,
« habere lineas, quas camisias vocant » . Parecchio
più tardi poi, nella narrazione dei Mìracula sancii
Dominici, la stessa voce camisia indica sicura-
mente una sopravveste donnesca, magari una spe-
cie di camicetta ; e guai se cosi non fosse ! Una
devota di San Domenico, vi si racconta, fece, in un
certo suo frangente, il voto di visitarne le reli-
quie, andandovi scalza e.... mal coperta: « illique
vovit quod eius reliquias nudis pedibus et sine
camisia visitaret » .
Del resto, la camiza figura come parte dell'ab-
bigliamento donnesco diurno anche in qualche
canzone provenzale. Marcabru, per esempio, narra
tutto compiaciuto ed ammirato :
I.'autrier iosl'una sebissa
Trobey pastora mestissa.
De ioy e de sen massissa;
E fon tìlha de vilayna:
Cap1 e gonelh' e pellissa.
Yest' e camiza treslissa,
Sotlars e caussas de layna i .
E Peire Guillem, maledicendo le donne che
amano per danaro, augurava loro di andar per via
in camicia sbottonata :
E dona e' ama per argen
Ni sa]> son mercat al colmar.
Volgra l'avengues ad armi
F.n camia desafiblada.
Ma anch'essi, i trovatori, quando andavano in-
torno n'eran provvisti. Anzi Amaut Guilhem de
Marsan insegnava espressamente ai fedeli d'Amore,
che ogni buon cavaliere aveva l'obbligo d' indos-
sare assai bene camicie ricamate d'oro:
Car totz pros cavayers
Deu vestir a sobriers
Camizas de ransan
Primas, car ben estan,
E blancas totas vetz.
E correva di quel tempo un curioso poemetto,
che predicava norme d' igiene e buona creanza,
sotto forma d'una lettera di Galeno ad Alessan-
dro Magno; dove tra l'altro s'inculcava:
(Jue al levar cascini mati.
Quant ti seras ben reveilhatz
Ni un petit esterilatz.
Ni auras vestit ta camisa
Prima, bianca, bela e lisa,
E tu fai ton cap penchaenhar
Un pauc escarpir e gratar.... (i .
Si prova un certo senso di benessere nel sen-
tire un altro di quei poeti precettisti vantarsi:
1 >e vestirs a dobliers sui be apparelhatz.
De camizas, de braguas, de lanssols bugadatz,
De cobertors, de vanoas a mos amicx private,
Que 'ls en puese ben servir, car los ai covidatz (2).
Tutto ciò. si capisce, era per la gente normale;
ma ad un innamorato, e peggio se poeta, che im-
portava di cosiffatti comodi della vita?
Aliar pose ses vestidura
Xutz en ma chamiza,
Que fin' amors m'assegura
De la freida biza; (3)
cantava lietamente Bernart de Ventadoru.
Ma un altro trovatore valente, Rambaut de Au-
renga, perchè il suo valore potesse crescere desi-
derava d'aver anche lui quella camicia, non mai
adoperata, che Isotta donò a Tristano :
Sobre totz attrai gran valor.
S'aitai camisa m'es dada
Cutn Yseus det a l'amador
Que mais non era portada:
Tristan motit presetz gent presen 1
Di codesto particolare non e' è traccia nel ro-
manzo di Tristano qual è giunto fino a noi. Ma
11 -■ L'altrìeri, presso un'aia, trovai una pastorella pò
sticcia. di gioia e di senno ricca: ed era figlia di villana:
cappa e gonnella e pelliccia, veste e camicia a maglia,
calzari e calze di lana. »
il « Che al levare ogni mattina, quando ti sarai bene
svegliato e un poco disteso, e avrai indossata la tua ca
micia fina, bianca, bella e liscia, fatti pettinare il capo e
un p"- fregare e grattare... »
12.1 « Di abiti io sono molto ben fornito, di camici)
brache, di lenzuola di bucato, di copertoi, di copri
piedi, per i miei amici intimi, cosi che li possa ben
trattare avendoli invitati.
| « Andar posso senza vestito, nudo nella mia caini
eia, poiché l'amor mio lino mi protegge dalla fredda
brezza. ^
11 .... * Tristano molto pregiò il gentile presente. >
LA LETTUB \
qui la camita è ancora camicia, o è ridiventata il
càmice tt.i militaresca Noi Roman </<' Rou si
naira del ' 'dcs :
i idea revinl puignant nn I
U l.i bataille esteil plus ti'
l n lialbergol aveit vestu
l 'i Min une chemise blani In
Lcx un li icrs. lee la manche n .
l'I nel Raoul:
lume Alais corni aparillier
■ jes et esperons d'or min
che ermine de poile de quartier (2).
(ih vivano le provvide dame pregiate; e viva
pur la nettezza de' cavalieri antiqui ! Non >■, Torse,
(1) Odes tornò pugnando indietro, dove hi battaglia era
più fiera... un piccolo usbergo aveva indossato sopra una
camicia bianca; largo era il corpo, larj;a la manica ».
mora Alaide o>r-.e ad apparecchiare camicia e
brache e speroni d'oro tino, e ricco ermellino di pelo di
quarti'
degno di-' nostri tempi lasciarsi andare a sillatte
c-s. Lunazioni non propriamente democratiche. Ma.
che volete ? Quanto a me, non mi sarebbe parsa
la felicità il sentirmi troppo vicino qualcuno di
quegli scamiciati antichi, studenti vagabondi o
vagala. mli studenti, i quali cantavano glorian-
dosi :
< >rd<> nostei prohibet
t'ti dupla veste :
Tunicam qui recipit
Ut vadat vii honeste,
Pallium inox reiii u.
E meno male se si fossero fermati alla tùnica e
al pài/io : ma soggiungevano :
Quod de summis dicitur,
In miis teneatur:
Carnata qui fruitur
/iti:, , ù non utatur.
Oh ! shocking.'
Miche 1 s< innubi.
r^av
VS=?=*-
wu -
«ip
g*#^%ftg^f%&S#f^gft
L'esploratole Casati
|L lungo viaggio d'esplorazione compiuto
nell'Africa equatoriale dal maggiore Gae-
tano Casati — testé morto nella sua villa
di Cortenova a Monacel-
lo di Brianza — può divi-
dersi in tre grandi tappe,
trascurando quella ini-
ziale comprendente il pe-
riodo dalla partenza da
Genova (24 dicembre
1879) ali arrivo a Snakim
(29 gennaio 1880). —
Questa fu la porta per
cui il valoroso italiano
penetrò a scrutare nel
gran mistero dell'Africa
tenebrosa.
Lasciata Suakim sei
giorni dopo — il tempo
appena necessario pei pre-
parativi di viaggio — la
prima tappa si chiuse il
26 agosto dello stesso an-
no allorché raggiunse a
Vau l' italiano Romolo
Gessi — (Gessi pascià)
governatore . per incarico
del Kedivè. di tutta la re-
gione di Bahr-el-Gazel —
dal qual Gessi, il Gasati
attendeva istruzioni e mez-
zi per proseguire.
« Io — aveva scritto
Gessi alla Società d'esplo-
razione commerciale in Milano, chiedendole un gio-
vane, possibilmente ufficiale, che conoscesse il modo
di costruire carte geografiche — ; io gli fornirò ar-
mi, ist riunenti, scorta, merci e portatori per proce-
II viaggio da Suakim
Ultima fotografia del maggiore Gaetano Casati.
Fotografia Guigoni e Bossi. Milano).
dere ad una esplorazione completa di tutta la valle
dell'Uelle ».
a Cartura. sede del gover-
natorato generale del Su-
dan (allora, per le dimis-
sioni di Gordon, affidato
al sotto-govematore Rauff
pascià, era stato compiuto
a spese della Società di
esplorazione. A Cartum
- fondata laddove i due
rami del Nilo, bianco ed
azzurro, convergono per
formare il gran fiume tra-
versante l'Egitto — gli sa-
rebbe bastato salpare sul
piroscafo facente servizio
fino a Fascioda — già al-
lora governatorato egizia-
no con palazzo governa-
tivo e per [meo causa di
guerra due anni or sono
tra Inghilterra e Francia,
contestandone questa alla
rivale la precedenza di
possesso - - senonchè le
opposi/ioni timorate di
Rauff gli fecero ritardare
di quasi cinque mesi la
partenza.
Dopo l' incontro con
< lessi cominciò la
tappa comprendente il ve
n> viaggio equatoriale.
Non più di venti giorni stettero assieme il pascià e
l'ufficiale: il tempo strettamente necessario per le i-
struzioni da impartire e la carovana da organizzare.
Mentre Casati partiva pel sud. Gessi tornava verso
328
LA LETTI RA
il nord, desidi i al go
verri ei aie le o i Iella sua pr n ini ia,
•: fremeva la ebolli n Iella
rivolta madhista. Rifatto insieme il tratto di strada
comune, i due italiani si lasciarono a Giur Gatthas
Carta dell'itinerario di Casati
(desunta dalle carte allegate alla Mia opera
per non più vedersi. Casati scendeva fra i magni-
irrori del sud; Gessi doveva morir poco dopo
addolorato dall'apprendere che il temporaneo distac-
i listato a lanciare la sua regione in balìa ad
un'anarchia sfrenata ed indomabile.
I seconda tappa 'li < [ |ieriodo
...r-,, dal i'> settembre 1880 - giorno dell'addio
al 29 aprile 1888. giorno in
primo inconti - inley, inviati
dall'Inghilterra colla spedizione di soccorso onde li-
berare Emin pascià, governatore dell' Equatorìa
colle sue truppe bloccate nell'Africa centrale
tutta quanta in rivolta e liberare assieme a lui
l'italiano Casati ed il dottore tunisino Vita Hassan
o nnpagno di Emin.
E' facile comprendere come > [tu-
sto sia stato il periodo in cui l ope
ra del ( basati assurse ad un'imp >i
tanza tutl affatto speciale Fu in
questi otto anni, infatti, ch'egli potè
esplorare un lungo tratto < 1--1 la. re-
gione dell l'elle constatando come
questo fiume fosse tutt'uno col Mac
qua. col Rubali, l'Obi e l'Obongi,
circostanza questa in cui multi pre-
decessori tra cui il grande
■schweinfurth — avevano equivi cato.
Fu in questi otto anni che da A-
uiaili a Hutanga. da Butanga a Ri
bali, da qui a Tangasi, proseguen-
do lino al Bomocandi, il valoroso
italiano percorse la regione del
Mombettu e del Mori u raco gliendo
dati preziosi sulla storia e sui co-
stumi di remote tribù, la cui selvag
già natura appare spesso nobil
da quel caratteristico valore, da
quegli eroici attaccamenti alla glo-
ria pernii vanno famosi nelli
gende tradizionali i più lontani dei
nostri antenati.
Volendo distinguere in grossola
ne suddivisioni la seconda tappa
delle esplora/ioni del Casati, si pò
irebbe dire elle la prima — la più
profìcua geograficamente — va dal
giorno del distacco da dessi a quel-
lo dell incontro con Emin a Ladò
(aprile 1883). col quale ripetè p i
una escursione nel Mombettu, la
seconda comprende tinto il periodo,
notevolissimo dal punto di vista
sierici 1. che intercorre fra questo
primo incontro e la venuta di Stan-
ley. Cinque anni di tragiche agita
zioni durante 1 quali meni. e !"m
pi ["versare e l'estendersi della insur-
rezione madhista. completamente
trionfante al nord, impediva di ri-
salire il Nilo, nell'Equatoria i so
vrani soggetti si ribellavano 0 tra
divano, mentre le truppe egiziane
molli, sfiduciate, noti pagate, si
sbizzarrivano in periodiche manifestazioni, quando
non in aperte ribellioni, implorando l'iniziativa del
loro capo non appena sentissero necessario un im
pulso alla coesione per l'avvicinarsi d'un stipi
pericolo, abbandonandosi a rampogne ed a congiure
non appena il pericolo imminente svanisse 0 fosse
superato.
Son queste li pagine più palpitanti dell'opera, cui
li freddezza narrativa dell', m". .re imprime quel CB
I I SPLl IRA fORE i VSA 1 I
329
rattere di assoluta credibilità che dà alla testimo-
nianza di un singolo il valore di un documento.
La fuga di Emin da Ladò (aprile 1885) per ri-
parare al sud, óv'ebbe invece a cozzare contro le in-
sidie dell'L'nioro. segnò, si può dire, l'inizio dell'a-
zione diplomatica del Casati, inviato come rappre-
sentante di lui presso il sovrano di questa regione
(re Cina, detto Cabrega o Kabba Rega, come vuole
lo Stanley). E fu questo il periodo delle tragiche sof-
ferenze, poiché re Ciua — prima tergiversando con
sottili astuzie, poscia lusingando Emin per scalzare
nella sua fiducia l'avveduto Casati (onde i rapporti
di questi non avessero valore per lui) ed in ultimo
rompendo ogni indugio, quando ebbe sentore dei
trionfi madhisti e del demoralizzato abbandono in
cui si trovavano le forze di Emin — non appena si
ebbe tolta risolutamente la maschera, fu contro il
Casati appunto che sfogò il livore, facendolo dap-
prima imprigionare e quindi condannare a morte.
Casati, riuscito a fuggire per opera d'un fido ra-
gazzo — l'Oachil di cui conservava tuttora un breve
ciuffo di capelli lanosi — venne cacciato come una
fiera di villaggio in villaggio, qua sfuggendo per mi-
racolo alle insidie, colà respinto, altrove ripreso e
ricondannato a morte, finché l'ultimo giorno inse-
guito presso le saline di Rocòra sui lago Alberto,
quando già stanchi i garretti ed il petto ansimante,
pareva rassegnarsi a dover cedere fra poco l'anima
a Dio. ecco i persecutori soffermarsi terrorizzati
come per l'apparizione d'un arcangelo dalla spada
di fuoco, ed eccoli subito retrocedere a fuga preci
pitosa empiendo l'ora solenne di quel tramonto di
fuoco con gli stridori sgomenti d'uno stormo di fal-
chi frustati dalla tempesta.
Un tenue pinnacolo di fumo aveva germinalo
1 evento. La striscia bianca come una nuvoletta svo-
lazzante sul lago, diceva che un piroscafo del Go-
verno egiziano era alla ricerca dei perseguitati ; ed
il soccorso, per lunghi mesi indarno da questi in-
vocato, giungeva all'istante estremo, elemento unico
di salvezza, mònito di rappresaglie pei persecutori
già provati ad altri eccidi e ad altre devastazioni,
perchè osassero riaffrontarne l'eventualità quando la
flagranza non avrebbe fatto che sollecitarla.
— L'anima umana non muore, se non col permes
so di Dio ; — aveva risposto un istante prima ( a
sati al mussulmano Hurscid. il quale era tutto agi-
tato da dolorosa sfiducia.
E poco dopo i fuggiaschi venivano raccolti a bor-
do del Kedive sul quale Emin pascià e molti degli
ufficiali ed impiegati s'erano imbarcati per ricercarli.
più per pietoso ufficio che per certezza di riuscita.
Da questo giorno (16 gennaio 1888) all'incontro
con Stanley, avvenuto tre mesi dopo, altri eventi ma-
turarono.
Sul soccorso degl'Inglesi, invocato fin dal 1885.
non si faceva più calcolo alcuno ; l'invio di Stanley
era fino allora completamente ignorato. Gli avveni-
menti pertanto incalzavano. Un pronunciamento di
ufficiali egiziani destituiva Emin pascià dal grado di
governatore, incaricando in ili lui vece il maggiore
Hamid ; poi, timorosi d'un ritorno improvviso di
Stanlev tentennano: finalmente Casati interviene.
avverte 1 ribelli che Stanley ha incarico di trattare
pel ritorno soltanto con Emin; quindi occorre ri-
dare a questi il grado usurpatogli, se si vuole oh'ei
possa accordarsi sui particolari i-olla spedizione di
soccorso, (ili ufficiali consentono, il grado vien ri-
dato ad Emin con attestazioni di umilissima devif-
zione e con supplice richiesta di perdono, talché E-
min — prima riluttante, poi persuaso dal Casati —
consente.
Ma la sommissione — per una parte almeno de-
gli ufficiali -- è fittizia ; le congiure si succedono
alle congiure; l'ultima sembra abbia l'intento di
simulare un'adesione al viaggio di ritorno per poter
al momento opportuno dare l'assalto alla carovana,
ucciderne i capi ed impossessarsi, oltreché dei viveri.
delle casse d'armi e munizioni, di cui Stanley era de-
positario e che il Governo egiziano gli aveva affidato
perchè fossero consegnate ad Emin come capo mili-
tare dell'Equatoria.
E qui ha termine l'ultima fase della permanenza
in Equatoria. Le forze egiziane son disperse in pa-
recchi centri ; se ne ordina il concentramento a Va-
delai. perchè poi abbiano a raggiungere la carovana
di soccorso a Cavalli ov'era attendata.
Stanlev era impaziente; queste voci di tradimento
lo inquietavano; fissò la partenza pel io aprile ed
Emin non riuscì ad ottenere una proroga. Lo tentò
ma venne brutalmente investito. La gente radunata a
Vadelai era nella materiale impossibilità di giun-
gere a Cavalli pel dì stabilito e su questo, appunto.
Stanlev contava per volersene distare Avevano essi
bensì votato all'unanimità pel ritorno; ma fra gli
assenzienti eranvi pure i sospetti di tradimento.
- Qui si congiura contro di me — gridava Stan-
ley il 5 aprile ad Emin. - Noi andiamo per le lun-
ghe. Domattina farò circondare il campo de' miei
zanzibaresi e quindi intimerò l'immediata partenza.
\el caso trovassi resistenza 0 tentativo a rifiuto, mi
basta l'animo di far uso delle armi e poi partire con
voi e coi pochi devoti a voi.
Ma io non credo che l'impresa di mezzi con
simili — rispondeva Emin sia reclamata da al-
1 una necessità. Noi partiremo il giorno io.
Stanlev furente battè il piede sul suolo:
Goddam, — gridò. - Vi lascio con Dio e il
sangue che scorrerà ricada sulla vostra testa.
I suoi argomenti per l'abbandono degli accentrati
a Vadelai si riassumevano in questo: Si trattava di
gente che già aveva tradito Emin destituendolo;
non meritava quindi riguardo.
Emin titubava. Casati gli ricordava pero che egli
aveva accolti pur gli attestati di scusa degli stessi
ribelli, accettando da loro fi riconferma nella ca-
rica conferitagli dal Kedivè; 1 di lui doveri a loro
riguardo erano quindi quelli d'un capo d'i
per le sue truppe. Non poteva abbandonarli.
L'imposizione di Stanlev parve più forte di que
ste argomentazioni, ed infatti il io aprile di buon
mattino la carovana di soccorso partiva con solo
570 persone della provincia dell'Equatoria (la spe-
dizione di soccorso si componeva, a sua volta, di
33o
LA LETTURA
,550 persone) e Vadi Ielle
truppe semi-sprov\ . |uasi del tutto spro\
0 ili muli I nin, non osando affrontare
Stanley, non gli aveva neppur chiesto che almeno
una parte delle casse 'li numi/.. 1 1 inviate
agli abbandonati per s Molte 'li
quelle casse ■ renii sepi ilte lungo il
viaggio 'li ritorno per la morìa manifestatasi nei
itori.
La mattina del 10 aprile la colonna si pose in
marcia. Compresi gl'indigeni dell'altipiano e ili Ca
valli, assunti come servi, Stanley calcola fosse com-
. ili 1510 persone. La retroguardia diede fuoco
all'accampamento ili paglia ch'era stato testimone
•• imane ansiose. L'incendio 1 1 a splendido,
le fiamme parevano lambissero le vette popolate da-
gl'indigeni salutanti e verso le quali la variopinta
1 salendo ; la gratuli- nube 'li fu
annunciava fino al Pisgah 'In- la spedizione
era diretta verso la patria.
la terza ed ultima tappa ebbe termine otto mesi
■iir il 4 dicembre) a Bagamoyo,
(lumie i relegati per tanti anni Ira gli (irrori dell'K-
quatoria poterono finalmente spaziare lo sguardo sul-
l'Oceano indiane, in quel giorno leggermente mussi)
dalla brezza sotto un cielo di purissimo azzurro. La
rsata lunga e avventurosa, — durante la quale
non pochi furono i dispersi, i rapiti, gli in risi, e la
traila frequentemente dovè essere aperta a colpi di
fuoco, - ebbe per tristi- epilogo la quasi mortale
caduta di Emin pascià — semi cieco - da un bai-
mancante di parapetto. Casati, pur tanto desi-
derosi- di rivedere l'Italia, sostò cinque mesi presso
di lui. tutelandone salute ed interessi.
Su quest'ultimi, periodo poco il Casati si estende
nei su,.! /» .,.. anni in Equatoria(*). Uscita la sua 1
l' 1.1 un anno dopo dell'Africa tenebrosa di Stanley
nttatamente al Cairo in 50 giorni e
messa in vendita il 28 giugno r8go. cinque mesi
di p" il vi,,, arrivo in quella città). Casati ebbe di
mira di soffermarsi su ciò che di nuovo gli restava
.1 dire e di eoin : [gì -n- a ■: i s] ' - /ione chiara e parti-
colareggiata- pur tenendosi lontano da 'gni intento
polemisti! In di meno esatto lo Stanley a-
1 potuto affermare, assumendo, verso i liberati e
di fronte al mondo, più l'atteggiamento d'un trion-
scinantesi dietro i captivi, che non quello
(•) Oltre quest'opera, il Casati nulla lascia che qualche
opuscolo, in genere riproduzione ili articoli d'occasione
pubblicati mi qualche rivista. Citiamo: « IVr la Culi, ma
Eritrea > (settembre 1895); — - L'Italia in Africa > (gen-
naio 1896 ; - « La situazione in Alma dopo «li ultimi
avvenimenti > (settembre 1896 : — < Dopo Cassala »; —
,,i la vittoria ►. Interi lantl ono li -, lettere da lui
dirette alla Società mmerciale in Africa
edi •' Mil; li ,111 la famiglia 1 - riserva 1 ma-
noscritti ; ci ■ iti tutte pubblii ate ni 1 B
tine della Società. Inediti e di alto valore sotto molti a
s,,in, invile 1 i.| rapporti dal Casati diretti ad Emin
periodo dal 7 ottobre 1886 al 1
in cui rapi - Emin a (.inaia nell'Union). M
Emin, la famiglia li volle ritornar! .il 1 osati.
dì ehi. compiuta l'opera, si ritrae lasciando ad altri
il giudicarne.
\ e, a ì un'impressione che possa desumersi
dall'opera del Casati, il quale sembra anzi volerla
attutire; intera la si desume invece dall'opera
1 dello Stanley, in cui L'asprezza del giudi:
la compiacenza Dell'insistere su alcuni particolari,
costituiscono \m documento irrefutabile.
Fu detto del Casati che nell'Africa equatoriale
aveva portato uno spirito di cavalleria, spinto fin
quasi al sentimentalismo. Il suo amori- pei servi
fedeli, lo studio d'evitarne le fatiche superflue, il sa-
crificio di sé stesso al proprio dovere in qualsiasi
circostanza, quella modestia per cui cedette 1 oli-m-
lamenti- ad altri il merito di risultati da lui COTtSe
guiti. non erano qualità che lo Stanle\ potesse inti-
mamente apprezzare. Persino l'episodio ili Amina
tanto gemile nella sua sciupìi' diventa
sotto la sua penna un sintomo di morbida afte.
del Casati verso i suoi servi, maschi e femmine.
Quell'episodio che neppure la famiglia cono
sce interamente, tanto il Casati era restìo a parlare
delle cose propru- — fu narrato dai giornali (■omi-
si trattasse della bimba d'un soldato fedele che si
dovette abbandonare malato per via, Certo pasto alle
fiere, nel viaggio di ritorno con Stanley verso I -
sta e che il Casati s'era assunto d'allevare, ed al
infatti, come figlia, dandole un'educazione e.l un
nome, ed affidandola, morendo, alle cure materne
della sorella. Ma del padre abbandonato non fa
renno il Casati nell'opera sua. in cui le sole
dedicate ad Amina sono le seguenti:
- Era questa bambina nata a Giuaia, nell'I 'nioro. da
una donna che si trovava al mio servizio; ed io avevo
preso interesse per lei, sia per obbligo di umanità, sia
per non piegare ai sentimenti di taluni, che avrebbero
salutato con gioia l'abbandono di lei e della madre. La
malevolenza, che non era assopita, riuscì dopo dm anni
a provocare una sentenza conforme alle prescrizioni del
Cerano, colla quale si decretava che la tutela della pic-
cola non si dovesse lasciare nelle mani di un cristiano.
ma si delegasse all'autorità governativa. Non mi curai
per altro dello strano ordine, e mantenni la mia prote-
zione alla bambina, che valse a lei ed alla madre la DOS
sibilila di superare le peripezie del viaggio e giungere a
salvamento. -
Il nebuloso racconto rice\e qualche chiare//.! da
quanto scrivi- lo Stanley, il quale pure dedicò una
pagina alla negra bambina. Soltanto qui avviene
Che qualche crudezza di accenno non mil
da una più sicura conoscenza dell'anima del Casati
possa dare alla « protezione » un significato di-
verso.
Dopo di aver detto che di cinquantun servi di
n, quattro soli avevano accettato di seguirlo nel
viaggio verso la costa. Stanley scrive:
. Di questi, uno dichiarò rozzamente di averlo soltanto
nilere una piemia ragazza Che il capitano
ias:, n tratteneva pei forza, e che dopi, impadronita
'. tornato a Cavali per aspettarvi i suoi - fratelli
abbandonati a Vadelal . Avendo chiesto al Pascla
quali titoli avesse Casati verso quella ragazza — cln ,
d'un nero intensi) e di circa cinque anni — mi disse che
Casati si era a lui rivolto pochi anni fa per averi una
L ESPLORATI IRE < \s \ I 1
33 1
cuoca. Essa Io accompagnò ad [Jnioro quando egli lo
rappresentava in quel paese. Durante il sue servizio con
Casati la cuoca diede alla luce questa bambina, ch'era il
rampollo d'un soldato sudanese. Durante tre anni fu al-
Amina. figlia adottiva del maggiore Casati.
(Fotografia della Lettura .
levata da Casati in casa sua. Divenne la beniamina e col
suo chiacchiericcio innocente aveva sollevato la vita tediosa
dell' uomo solingo. Alla sua espulsione dall'Unioro e ri-
tornato alla provincia, la donna fu reclamata dal marito
e così del pari la bambina, ma in pari tempo costui non
ne riconobbe la paternità. Casati rifiutò di consegnare la
ragazza, ed ha ostinatamente rifiutato di farlo sino ad
oggi. Il Pascià crede sostenere che il soldato abbia qual-
che sinistra intenzione riguardo a Casati... -
La supposizione che si potrebbe trarne è che nella
Amina il Casati adorasse una propria figlia ; ora
questo essendo palesemente escluso oltreché dal tipo
perfetto di razza nera che si riscontra nella fan-
ciulla (incrocio d'una màcraca con un dinca) e dal
fatto che il Casati non sarebbe stato uomo da reti-
cenze su tale argomento, l'episodio viene a ricostruirsi
sotto le ali d'un sentimento di protezione generosa.
Il marito della donna o dubitasse sinceramente della
propria paternità o volesse dubitarne per calcolo e
cattiveria, sarà ricorso a minaccie e violenze, costrin-
gendola ad invocare la protezione del padrone.
Questi, affezionato alla bimba, la concesse piena ed
intera ricambiando la devozione della serva con una
tutela sicura e veggente.
Il padre rinnegava la paternità. — Ebbene, egli
concedeva la propria. — Da qui il litigio giudiziale,
la sentenza basata sul Corano, il rifiuto di Casati
ad aderirvi e la persecuzione successiva del soldato...
del quale, né Stanley, né Casati parlando più oltre,
é a supporre possa essersi trovato realmente nel no-
vero degli ignoti disseminati, ili cui ambedue gli
.uituri parlano senza alcun particolareggiato accenno.
Frutto della contesa fu un essere selvaggio por-
tato in grembo alla civiltà, un cuore educato alle
squisitezze del sentimento domestico, una intelli
genza aperta alle forti soddisfazioni dello studio.
Scientificamente, l'opera del Casati negli otto anni
da lui precisamente trascorsi nelle regioni equato-
riali non potè avere tutii quei risultati ch'era dato
sperarne. — Anzitutto egli non era scienziato. Gessi
pascià chiedeva un ufficiale che sapesse costruire
carte geografiche ; ed egli fece rilievi che vanno dal
2° al 70 grado di latitudine e dal 260 al 320 circa
di longitudine; visitò i confluenti principali del-
l'Uelle (Maqua) e deH'Anihuimi (Xepoko) spingen-
dosi ad occidente fino a poche centinaia di chilo-
metri dal Congo (Stanley-Falls) inoltrandosi dove
altri non era ancora pervenuto.
Di lui il Checchi scriveva:
» Il Casati e l'Junker sono i soli europei che dal Bahr-
el-Ghazel si sono spinti sino presso l'equatore.
u Miani, Piaggia, Schweinfurth, Lupton, Petagos, Bohn-
dorff non toccarono che al 3" parallelo, non oltrepassando
ad occidente il 250 meridiano.
- Il Casati , prima ancora di Stanley , dava notizia a
Emin dell'esistenza delle famose montagne nevose.
u Preziosa è la suppellettile di studi , osservazioni che
l'Junker e il Casati raccolsero in quella vasta regione. »
Non era naturalista, ma neppure essendo indotto
potè rendere servigi alla scienza raccogliendo nelle
sue escursioni quanto a questa poteva interessare.
E le grandi collezioni di Emin (il tedesco dottor E-
doardo Schnitzer) esposte a Londra nel British Mu-
seum ne fanno fede. Al Casati, fra altro, si deve
l'unico esemplare del rìebi — catalogato come una
specie nuova sotto il nome di Dendrohyrax Emini
— e la cui pelle costituisce una prerogativa regia
tanto che chi — uccidendo un n'ebi — non lo porta
al re è condannato a morte. Ma ben altro sarebbe
stato il profitto scientifico di quegli anni di gloriose
sofferenze, se le vicende politiche dell'Equatoria non
l'avessero tramutato da esploratore in diplomatico
e se il sospettoso e feroce Cabrega, oltre a tenerlo
in cattività nell'Unioro, non gli avesse catturati e
dispersi — insieme alle ultime raccolte — tutti gli
appunti preziosi, i rilievi topografici e geografici.
i dati raccolti dalla viva voce dei selvaggi sulla sto
ria delle loro tribù, quanto insomma riassumeva lo
svisceramento d'un ignoto attorno al quale s'affanna
il desiderio della civiltà e che resta serrato nei de-
serti, così come il diamante sta rozzamente rinchiuso
nelle pietre.
Dopo anni parecchi, di tutto quel materiale pre-
zioso potè il Casati ricuperare soltanto una piccola
fotografia fattasi fare nel '59 e che Cabrega aveva
risparmiato dalla distruzione generale.
Eppure quel tanto che il Casati serbò nella fer-
rea memoria, basta da solo a far apprezzare l'opera
sua. Le diligenti osservazioni meteoriche, a varie al-
LA 11 l'I i R \
ed 'ii vai pure un docu-
ma più ancora [{ i è il brine ili-
lomparativo fra il linguaggio delle tribù
D M ru. Mombettu, Manila. Sandeh, Bari,
Gai i ano C isatj nel 1S59.
Fotografia sequestrata dal re dell'Unioro assieme a tutto
il materiale scientifico del Casati, e restituita anni dopo
per mezzo delle autorità inglesi .
Lur, m cui ebbe a sostare. E di tutte raccolse, inol-
tre, la storia, sempre ricca di avvenimenti impen-
; 1 costumi che vanno dall'antropofagia ad una
semi-civiltà non disgiunta da squisito senso arti-
stico . le leggende in cui lo spirito dei selvaggi si ri-
vela in una spesso affascinante semplicità. Le favole,
«li cui il Casati dà saggi parecchi, brillano sovente
d'un'arguzia speciale che Esopo non disdegnerebbe.
Ordinariamente, in Italia, le grandi relazioni ili
viaggi non hanno tutta la fontina che meriterebbero.
1 in parte deriva dall'alto prezzo delle edizioni,
dovuto alla parte illustrativa che deve essere neces-
nente copiosa . ma in parte deriva dal pregiu-
dizio che l'intento scientifico da cui sono mosse, il
■ che seguono, e la esclusione per
d'ogni vel ■ raria, le rendano, anche alla
lettura, atte più come libri di consultazione che di
diletto. Ter questo, del,. oni contempo!
dei Dieci anni in Equatoria, italiana, inglese, tede
la (in lingua inglese fu fatta
popolare), la prima fu di -
1 'lire quanto maggiore godi
1 apprendere direti le provò
— anziché romanzescamente in compilazioni altrui
— le vicende dd patimenti, delle audacie e
tnonii! ("<• in questo il contatto coll'eroe, si vive
della sua vita, si vede COI suoi occhi, si sente i-olla
sua anima.
Nello). er.i ' una velleità letteraria.
nessuna enfasi d'auto-glori Reazione ; la narrazione
procedi calma, modesta, documentaria, ma vibrano
ira le sue linee una cosi grande sincerità, uno spi
rito così chiaro d'osservazione e di Unità, una sicu-
rezza cosi tacitiana d'espressione '\^ dare ad alcune
pagine quel valore appunto di cui l'autore non pa-
reva preoccuparsi.
I personaggi incontrati, — re. ribelli, schiavi, sei
ji, europei di nazionalità e temperamenti dn
— son ritratti con degli sbozzi che ne fissano tutta
quanta la essenza psicologica. Eccone uno:
- È Stanley uomo notevole per forza di tempra. I
lutezza d'animo, prontezza d'ingegno e per una ferrea
volontà. Geloso della propria autorità, non tollera in-
lluenze estranee, non chiede consigli: le difficoltà non lo
sconfortano, i disastri non lo atterrano; con una vivacità
straordinaria di mente, improvvisa ripieghi, si toglie da
un imbarazzo. Assoluto e duro nel mandato delle sue
funzioni; non sempre guardingo da giudizi precipitati ed
erronei, l' irresolutezza e la titubanza lo irritano a tanto
da sconcertare la sua consueta gravità. Sempre comp
il viso a serietà, riservato e parco nel dire, pur inchinevole
a socievolezza, non desta senso di simpatia; ma la fre-
quenza del contatto lo rende desiderato per franchezza
di modi, per l'arguzia del dire, per la cortesia di genti
luomo, -
Mettete ora, vicino a questo temperamento, que-
st'altro dell'Emin, ed avrete la spiegazione intuitiva
della disarmonia che doveva inevitabilmente mani-
lesi arsi e trascinarsi in postume polemiche. Casati
così infatti tratteggia Emin :
- Di carattere serio, concentrato, innamorato delle
scienze naturali e della solitudine, si teneva in disparte
da qualsiasi contatto. Se non superbo, certo fiducioso
molto nella propria superiorità . sembrava sdegnasse lo
studio accurato dell'indole degli uomini che lo attornia-
vano; egli credeva bastare a tutto da solo, e il giorno
che da solo non potè trattenere la foga dell'irrompenti
sfacelo, errò nei giudizi, li mutò spesso, fu di grave danno
a sé medesimo. -
E altrove parlando incidentalmente di sé
— a proposito di un'iniziativa diplomaticamente ar
dita verso i ribelli egiziani da lui compiuta, ma con
siderata in diverso modo da Emiri. — così tracciava
lo scorcio del temperamento proprio:
- Il freno al natio orgoglio non era abdicazione di di-
gnitài bensì fredda riflessione sui doveri d'amico ehe mi
era volontariamente imposti. E K necessità e l'orza di
avvenimenti mi avevano costretto a smettere le abitudini
europee a tanto da non far comprendere come potesse
trascorrere per me il tempo, l'animo In sempre saldo, il
pensiero fisso costantemente alla nula, né mi preoo
carezzare, come altri, sapra tutto e tutti, una vana
e inopportuna alterìgia, -
E più oltre riassumendo m poche linee l'insegna
mento derivatogli dai fatti :
- Non bisogna mai combattere di fronte una situazione
quando si presenta irta di difficolti per sfrenate pa«
L ESPLORATI (RE i \> \ i I
333
bensì studiare d accorciarla e dirizzarla prudentemente
a proprio favore; vegliare sempre e saper cogliere al volo
l'occasione propizia, che non manca mai dal presentarsi.
Tutte le questioni, colle tendenze dello spirito orientale,
si presentano al loro principio sotto forme pompose e con
apparati formidabili ; svestite di questa falsa vernici- . il
lato vulnerabile fa capolino e si presenta spontaneamente.
Buon sistema d'informazioni, contegno moderato cogli av-
versari, azioni che valgano a tener viva la fiducia degli
amici, varranno mai sempre a dominare uomini ed avve-
nimenti. -
Villa Casati — (Fotografia della Lettura.)
a Cortenova, frazione di Monacello in Brianza, ove il
7 marzo 1902 mori Gaetano Casati.
E quanti altri insegnamenti trasse l'uomo al con-
tatto con quegli esiliati dalla civiltà ! Parecchie pa-
gine han tutto il valore d'una psicologia di razza,
indicante di essa i lati sfruttabili e quelli pericolosi :
- Il sentimento d'affetto dei figli durante gli anni del-
l'infanzia e il rispetto degli adulti pei genitori e pei vec-
chi sono quasi generali. Lo sviluppo intelltttuale è pre-
coce e marcato, ma presto degenera e si limita in cerchia
strettissima. Hanno fantasia sbrigliata, vivacità che tocca
alla follia. Diffidenti per natura, titubanti nel risolvere,
cavillosi nelle argomentazioni , si acconciano ad una opi-
nione più per esaurimento di sottigliezza , che per forza
di convinzioni. Sono amanti, anzi gelosi, della loro indi
pendenza. Forti, audaci, facili alle impressioni, solo gli
scambi, il commercio e più ancora la mitezza dei mezzi
e la cordialità delle relazioni, potranno aprire una via a.l
iniziare la loro rigenerazione; —la prepotenza, no — ■ essa
ti condurrebbe ad una l<Ua di esterminio. -
E quale epica grandiosità assume sovente nei sel-
vaggi questo spirito di lotta. Qui il ribelle Mamban-
ga, fortificatosi con trenta fucili sulle sponde del
Vavu, resiste allinvasione degli arabi negrieri. G im-
prendendo difficile la vittoria, si getta primo nel fu-
ror della mischia tenendo col bricrio destro il suo
bimbo di due anni.
— Perduta ogni speranza, — dice dippoi, — l'a-
vrei trucidato di mia mano; mio figlie non doveva
cader schiavo.
E vince, e getta la paura del suo nome in lutto il
paese.
Là, è Muanga, il terrore dell'Uganda, il N'erone
giovinetto dell'epopea selvaggia ; grandiosamente
vile, grandiosamente sanguinario. Stermina le mis-
sioni, incendia i villaggi, si butta alle orgie sconfi-
nate. Il nome di cristiano è nel suo regno un ri-
chiamo di morte; poi quando la rivolta freme, quan-
do il nemico s'appressa, quando la salvezza del tro-
no resta un'impossibilità, eccolo fuggiasco per bo-
schi e dirupi, inseguito, ansimante fin che giunge
alla soglia d'una lontana capanna. Ed entra e chiede-
soccorso ; ed un missionario, fuggito alle sue per-
secuzioni, lo accoglie e lo conforta; a lui, che teme
vendetta, annuncia che Iddio perdona e che il prete
è un servo di Dio. E sul negro capo lanuto del pa-
vido fuggiasco scende l'acqua lustrale a farne un
fratello nel grembo del Signore.
E più oltre ancora storie di sacrifici volontari, or-
Vu.r. v BOFl u.ora — Fotografia della Le/lui
nel parco dei conti della Somaglia presso Gernetto (Le-
smo, in quel di Monza) ove nel 1838 nacque Gaetano Casati.
rendi. Sei donne che si lasciano seppellir vive per
tenere sul grembo il cadavere del loro re; dignitari
che si offrono alla scure per invocare col loro sangue
sulla tribù la clemenza del cielo.... E figure di guer-
.!.'.) LA LETTURA
ili istillili
che paiono il riflesse della più classica romanità,
lima, Melili d'un re spodestati ■. giura,
Fanciullo, o di vendicare le violenze inflitte
.1 suo padre. Un gruppo di si basta . p
sugli Ababùa, semina la strage lungo la sua via
,• no dai ani i alla tomba paterna. Ri
no, I" allarga combattendo li
cine tribù, indi tutti vuole accolti in un ambiente di
giustizia e 'li pace Morto, è reputato un semidio;
una vicina tribù superstiziosa ne ruba il cadavere,
li i propiziatore ; ma esso \ iene riconquistati i
e composto in un'urna ili legno, custodito continua-
mente nella funebre capanna. Al sorger del sole il
simili è lavato e tutte le sere vi si colloca abbondante
cibo, che il giorno successivo è distribuito a genti
ideh. La vestale che abbia relazione con un uomo
oche lasci spegnere il fuoco è condannata a morire.
Ed al grandioso ivco mescersi il si ngi ilarmente
i Quando il re stemuta o tosse, la gente gri
da: Ne ckigna cica (al re salute); se altri in pre-
senza sua 'I ii'SM- 1 starnutisce o sputa è reo ili I
tà, passibile ili mori ■
Il re fuma, e la lunga pipa, sempre nuova, è ac-
^■^^c^^a^^^ ^L>^^
^L^*^t^&J? ^C<z-S '-0*1' '+-J ^^Z '/^^
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1 di Gaetano Casa 1 Unioro, 18 gennaio 1887).
1. ESPLORATI IRE i \> \ l I
335
curatamente preparata ed accesa da un a] posilo fun-
zionario, che gliela allunga a dorso nudo ed a gin< c-
chio piegato, mentre attorno squillano le trombe.
rullano i tamburi e gli astanti gridano la bellezza
del re. Azanga amanite! (Come è bello il re!).
E il re per compenso prodiga ai sudditi le pro-
prie virtuosità. Nerone declamava, lottava e improv-
\ isava ; Asari ga balla..
Adorno di pelli di leopardo, code di felini, a-
nelli. collane, bracciali, col berretto di scìmmia in
capo, la pelle del nèbi alla cintura, chiama a conve-
gno la famiglia, i dignitari, i guerrieri e uno stuolo
immenso di donne. I musicanti suonano e fra il de-
lirio degli astanti Azanga intreccia capriole, scam-
bietti, piroette, giri sopra giri, le gambe sollevate in
aria, a in un delirio che tocca la vertigine. Poi tinge
inseguire, raggiungere, attirare a sé una vaga fan-
ciulla : si appiatta , corre . salta . trionfa e gli
astanti s'abbandonano al fragor degli applausi
mentre le donne s'invidiano uno sguardo, un'atten-
zione.
E quando il re è vinto in guerra, spodestato e re-
legato, permane nei sudditi il lacrimoso ricordo di
lui. Raccolti alla sera in mucchio accompagnano sui
mandolini una canzone di lutto:
- Azanga è prigioniero. Perche non ritorna al
paese? Che possiamo noi fare senza di lui? Oh!
s'egli avesse a morire, il nostro dolore non avrebbe
mai fine....
E' in questo succedersi di quadri e figure finte-
resse palpitante del lavoro, dal quale traggon rilievo
tanti nobili caratteri d'italiani. Strano! Mentre al
contatto con quelle razze e regioni vergini, l'esplora-
tore in genere non subisce che l'istinto del dominio;
a costo anche della desolazione, e lo scienziato
come Emin — s'augura di poter uccidere dei sel-
vaggi per farne bollire le teste e preparare i crani
ad uso di museo, l'esploratore italiano è preso so-
prattutto da un senso di umana pietà o di estetica
ammirazi. ne a seconda abb'a lo spettacolo d'una
interiorità lasciata in balìa degli eventi e di una
forza congenita utilizzabile ad alti scopi. Gessi e
Messedaglia. non si distinguono in questo senti-
mento dai missionari Miani e Gavazzi ; il Casati
li seconda, egli che ottenne di salvare dalla distru-
zione di rito un villaggio che lo aveva offeso, alle-
gando, scherzosamente, che alcuni abitanti si erano
prestati a salvargli il somarello.
Così come il nome di Gessi, odiato dai negrieri,
era venerato dai neri del Sudan, quello di Casati
ha lasciato, in regione ben più remota, il profumo di
quella gentilezza latina che non si scompagna da com-
battività e da forza, ma al cui contatto ciò che in
altri è tristo pare si sgomenti e rintani, mentre il
buon seme germoglia e fiorisce.
O. ClPRIANI.
Atami.no. madre (li Anwna. AmbaR. Fareg. ECadiga. CarTUM.
Fotografia Calzolari. .Mi] rita dalla famiglia Casati .
( i l'i questi servi di Casati. Ambar, Kadiga e Cartum (che Cacati raccolse smarrita da bambina sulla via di
Cartumi vollero tornare in Africa un anno dopo; Ataraèno resistette, ma il clima influì anche sul suo cervello e per
consiglio dei medici fu mandata al Cairo, ove mori nel 1896 I areg, desideroso di novità, passò al servizio d'un bar
milanese e mori l'anno scorso al Padiglione Litta. Solo Amina rimane.
- Uno pi i miei i \- 1 11,1 i in Spacna.
Victor tirio-o cliseoiiatore
in/a dubbio, non è un'eccezione. La
storia, questo meraviglioso olimpo del-
l'età moderna, ci parla di non pochi
letterati , romanzieri e poeti, più o
meno grandi ed anche grandissimi, che vollero e
seppero maneggiare ad un tempo la penna e la
matita, se non tutti e sempre con egual sicurezza,
spesso però assai genialmente e con non piccola
maestria. Cosi come abbiamo, nel caso inverso,
e in una maggior quantità di esempì , pittori e
scultori la cui fama va divisa tra le opere del pen-
nello, dello scalpello e quelle della penna; fra mi-
rabili tele, marmi prodigiosi e squisiti o forti versi
ed eleganti pagine di prosa. Salvator Rosa, il Lippi
ionardo da Vinci, il Buonarroti e il Cellini, il
Dupré u il D'Azeglio; per non citarne che alcuni
e dei nostri soltanto.
L'Hofimann — tra i letterati — poteva dirsi uno
dei più franchi ed abili disegnatori del suo tempo.
le forse - li si serviva di questa sua
dote preziosa per imbastire, preparare e svolgere
l'azione di que1 suoi imaginosissimi e paurosi rac-
■ hanno formato la delizia della ai
adolescenza. La matita, per cosi esprìmersi, era la
sua più fedele collaboratrice. Poiché solamente
■ averli disegnati ad uno ad uno con amore
infiniti i, si piamente dopo aver riprodotti ed a lungi i
osservati e studiati sui cartoni le caratteristiche
principali, le fattezze, i costumi de' suoi perso-
naggi, poteva dirsi sicuro e padrone del soggetto
ideato e rappresentarlo ai lettori col magistero
tlella parola.
Théopile Gauthier — tra i più illustri letterali
francesi del secolo scorso — attese con grande
ostinazione, sin dall'inizio della sua carriera, allo
studio del disegno e per qualche tempo visse più
per la pittura che non per i suoi sogni di poeta
e di scrittore.
Luigi Capuana, I' inimitabile autore delle Pae-
sane — per venire ai nostri — non sdegna di con-
cedere alla matita un po' della sua non comune
attività ; e di lui si ricorda, qui in Firenze, una
graziosissima caricatura fatta al povero e buon
o Signorini, il principe dei macchiatoti;
una caricatura, che è un piccolo capolavoro di
finezza e di spirito. Ed io rammento di aver ve-
duto qualche anno fa, nello studio di un vecchio
letterato fiorentino, ricco di sapere e d'ingegno,
benché umile e oscuro, un tramonto a olio di Ga-
briele D'Annunzio, che rivela non poche e non
trascurabili qualità di colorista. E quanti, quanti
:dtri ancora Be ne potrebbero citare!...
Non un'eccezione, dunque. Ma un fatto che
rientra, come si dice, nell' ordine naturale delle
VICTOR HUGO DISEGNATORE
337
cose — data, si capisce, la singolarità del tempe-
ramento di un artista ; — ma un'unione e, quasi,
una fusione di doti, che la natura stessa vuole
nella sua mirabile ed infinita armonia. Si sa che
il Thiers ha lasciato scritto in propositi 1 : Tanto
il pittore che lo scrittore posseggono ad un mede-
simo modo quella immaginazione dell' arte, che
ben potrebbe chiamarsi l' imma^inazion del dise-
gno . L'immaginazione poetica, insomma. E stu-
pisce anzi, in tal caso, la povertà, la mancanza
assoluta di una simil caratteristica in altri grandi
essi pure e che pur sentirono vivissimo in se il
desiderio di secondar con lo studio questo biso-
gno, che li spingeva a cercare nella matita e nel
pennello un aiuto per la estrinsecazione dei loro
sogni e dei loro pensieri. Nel Goethe, per esem-
pio, che, se si deve dar ascolto a quanto egli
stesso dice in proposito ne' suoi Epigrammi di
l 'enszia, studiò a lungo il disegno ed attese alle
arti belle, non riuscendo però a concludere mai
nulla di buono.
E' vero che il Goethe ne accusa la poca perse-
veranza ; ma a me sembra che, di perseveranza,
non sia nemmeno il caso di parlare, dal momento
che egli medesimo confessa di aver molto disegnato,
dipinto ad olio e, perfino, inciso nel rame e formato
con l'argilla.'.'...
Contraddizione in termini, no?...
Ciò che meraviglia invece, in Victor Hugo, è il
modo stesso con cui, diremo, esordì nella sua....
carriera di disegnatore e l'eccellenza che riusci a
conseguirvi senza grandi sforzi; cosi naturalmente,
anzi ; non piegandosi mai, cioè, come il Gauthier,
al giogo di un corso di studi seri in proposito.
Aveva ricevuto, è vero, da fanciullo, allorché si
trovava in collegio, alcune lezioni di disegno; ma
che lezioni!... Come, su per giù, si danno a tutti
i fanciulli e in tutti i collegi del mondo ; semplici-
rudimenti, principi elementarissimi e non altro.
Né, una volta uscito dal collegio e, più tardi an-
cora, all' inizio della sua vita di scrittore, aveva
pensato più a trarne un profitto qualsiasi o, tanto
meno, a perfezionarsi.
Il suo primo tentativo — curioso e stranissimo
indizio di una vocazione naturale all'arte figura-
tiva — lo dimostra pienamente. E' un grosso uovo
di gallina, eseguito a semplice tratto, ritto sulla
parte più convessa e inclinato da un lato, per non
si sa qual miracolo di equilibrio, da disgradarne
lo stesso nostro Brunelleschi ; dentro, vi zampetta
un pulcino dalla coda superba e il becco aperto
con assai manifesta prepotenza. Le linee sono
grossolane, goffe ed incerte; tanto, che il piccolo
autore medesimo credette opportuno di scrivervi
sotto a mo' di spiegazione : — Ceci est un oiseau.
— Ma, a parte il disegno e a parte quella inve-
rosimile coda, vi si scorge qua e là — la grossezza
degli occhi, per esempio, caratteristica nei pulcini
e le piume, anzi che le penne — una precoce os-
servazione della natura ed un intuito rari, se non
del tutto unici in un fanciullo.
Nonostante, questo primo tentativo non può
considerarsi tale se non dal lato cronologico, e,
quindi, a rigore storico soltanto. Poiché la sua
II. CASTELLO IH Ri V GOMEZ.
La Lettino.
LA I I I ! ! RA
Un angolo delle fortificazioni.
prima vera manifestazione artistica, che riempì di
meraviglia lui sti 530, rivelandogli una simile sin-
golarissima dote, non avvenne che molto, ma molto
più tardi; quando, < ioè, l'Hugo era già, come
piare di dire a noi toscani, un uomo fatto nel ge-
nuino significato della parola e la gloria gli splen-
deva sulla vastissima fronte.
Fu viaggiando nei dintorni di Parigi, in com-
pagnia di una signora. Erano in diligenza, e il
pirla cercava di ammazzare il suo tempo e la
degli ormai classici trabalzoni del rozzo vei-
colo, facendo le spese della conversazione con
quell'amabilità che gli era propria, osservando e
notando, secondo la sua abitudine, le bellezze del
paesaggio. Arrivati a un piccolo paese vicino a
Meulan, la diligenza dovette fermarsi per il cam-
bio dei cavalli; e l'Hugo colse subito la buona
occasione per iscendere un po' e visitare la chiesa
del paese stesso, che era assai antica e pittoresca.
Dentro, la grazia e la leggiadria dell'abside lo
colpirai) di meraviglia, lo innamorarono: tanto
che egli senti vivissimo in sé, per la prima volta,
rio e il bisogno 'li (issar sulla carta, per
ne una più sicura e durevol memoria,
' particolari più caratteristici ed impor-
tanti A . ■ va appena, a Mia disposizione, dieci
i. rapidi minuti di tempo.... Volle provar visi,
in piedi, servendosi del cappello rome di ta-
i e vi riu
« Soltanto allora, — racconta egli stesso con quel
stile • l 'in iso, nerv . < mi i io com-
i, per la prima volta, qual profitto poteva
trarre per i miei lavori letterari dalla riproduzione
della natura. La mia compagna di viaggio si burlò
di me e mi disse : — K che?... Vorreste, dunque,
diventare un disegnatore-'... N( ridemmo in-
sieme; ma un simile fatto mi servì d'insegnamento
e in seguito, ■ onie ho scritto più tardi, mi piacque
sempre di fermar sulla carta le caratteristiche delle
architetture locali, quando l'architettura era natu-
rale e non alterata dagli architetti ». E soggiunge,
con una geniale osservazione: «L'architettura dà
un'idea precisa del clima; e, se un tetto è fatto a
punta, indica la pioggia; se è piatto, il sole; ri-
coperto di pietre, il vento».
Dopo questa mietiture infatti, com'egli la chiama,
l'Hugo non trascurò mai di ritrarre quei motivi
di paesaggio, quei particolari di opere d'arte,
quei tipi e quelle figure, tutto quanto, insomma,
gli era dato di vedere e che più colpiva la sua
immaginazione. K così, in breve, a buia di ser-
virsene in ogni occasione, di progresso in pro-
gresso, giunse a maneggiar la matita in modo
tale, che più di un artista, anche grande, gli
avrebbe potuto invidiare... Anche Luigi Boulan-
ger, anche il Roqueplan e Paolo Huet, se si deve
credere al Gauthier!...
Aiutato da una memoria veramente prodigiosa,
da una singolare prontezza ed acutezza nel co-
glier eli ogni persona e di ogni cosa le speciali
caratteristiche, dalle principalissime alle più mi-
nute ; dotato di ciò che gli artisti chiamano il
colpo d'occhio nel penetrar subito l'intima essenza,
lo spirilo del soggetto; bastavano a lui pochi toc-
chi, una specie di appunti grafici presi in fretta,
per poter poi, con più calma, nella quiete della
sua camera d'albergo, 0 nello studio, ricostruire
con una ammirabile fedeltà il paesaggio, veduto,
per esempio, sia pur dopo un lungo lasso di tempo.
La mano, anche nei primi tentativi — benché nrn
ni. ii esercitata per l'avanti, benché ignara delle
malizie, dei segreti o delle finezze del mestiere —
Vii fi >R 111 GO DISI > tN VTl IR!
seguiva obbediente il ricordo con una sicurezza
unica più che rara ; la potenza del pensieri) e del-
l' ispirazione dominava la materia, piegandola ad
ogni suo volere, ad ogni suo ca-
priccio.
« Quando viaggia, — ha scritto
appunto in proposito Téophile
Gauthier, che fu uno dei suoi
più fervidi amici — egli ritrae
con la matita tutto ciò che più
lo colpisce. Da prima non sono
che appunti ; — un angolo di
collina, una linea d'orizzonte,
una strana forma di nuvola, il
particolare caratteristico di una
porta e di una finestra, un vec-
chio campanile; — ma poi, alla
sera , una volta all'albergo , vi
torna su con la penna , li om-
breggia, li colorisce, li vivifica
vigorosamente e vi mette degli
efletti , scelti sempre con singo-
lare arditezza; e allora l'abbozzo
informe, buttato giù in fretta e
furia, sulle ginocchia o sul co-
cuzzolo del cappello, spesso fra
un trabalzone e l'altro della vet-
tura o una scossa e l'altra del
naviglio, si trasforma in un vero
e proprio disegno molto simile
; d un'acqua forte , cosi fantasiosa e di un tale
insieme, da meravigliare perfino gli artisti».
Veramente prodigioso, non vi sembra?...
Egli è che mai in nessun altro come nell'Hugo,
339
chiamava, si è già visto, P immaginazion del di-
segno. Egli è che in nessun altro, mai, la potenza
del pensiero e l'altissimo senso poetico superaron
;ran tempes i \
fra gli scrittori del suo tempo, la natura si era
compiaciuta di sviluppare e, quasi, di perfezionare
quell'armonioso accoppiamento di qualità artisti-
che, al quale altrove ho accennato e che il Thiers
NELLS < ORIENTE.
di gran lunga e seppero dominare i semplici mezzi
materiali oicorrenti all'estrinsecazione; sì che gli
uni e gli altri — io credo — fossero pure i più
diversi fra loro, avrebbero avuto per lui un eguale
valore e si sarebbero ad una
stessa maniera piegati al capric-
cio della sua magica fantasia, sol
ch'egli avesse voluto. Ed è, inol-
tre , che pochissimi al pari di
lui ebbero così viva e profonda
nell'anima, fin dalla prima gio-
vinezza , queir intima significa-
zione delle cose e degli uomini,
quella scienza di ogni più occulto
segreto della vita universa, che
fa del poeta e dell'artista un es-
sere sovrannaturale ; ciò che, in-
somma, potrebbe dirsi il palpito,
il pensiero ed il cuore di tutte
le cose, di tutti gli uomini e del-
l' intera vita universa ; — eterna
sfinge maravigliosa per i n'-
Ietti da Dio. La natura stessa era
in lui.
Non per niente, rivolgendosi
ad Alberto Dtirer , signore ma-
gnifico della materia ed aquila di
pensiero , cantava in quel suo
mirabile verso :
O moti maitre Albert Durer, ó vieti x peintre i" nsil '
Ma, oltre che un aiuto per l'opera sua lettera-
ria, questo del disegnare, era divenuto a poco a
.: |i. LA LETTURA
i un bisogno, ima disi quasi un riposo
del. su. > mando spirito affaticato dalla lotta di ogni
giorno, disgustato e amareggiato dalla malignità
dei tempi e degli uomini. Riposo per modo di
li. i-i in ri. ni Vi wih.n.
dire : poiché certe anime, certe fibre umane vera-
mente prodigiose sembrano non potersi piegare mai ;
ani he quando il dolore le strazia, anche dopo
i più incredibili conati per il compimento di una
impresa; — alla forza della materia e alle comuni
necessità della maggioranza degli uomini. Un al-
tro apostolo, — per citar un esempio
che i alza a cappello — < ìiuseppe Ga-
ribaldi, che dell'Hugo ebbe la mede-
sima e purissima fede e che al pari
di lui consacrò tutta la mitica vita alle
battaglie e alle vittorie della libertà I [),
traeva conforto e riposo, dalle fatiche
dei regni conquistati, arando umile e
solo — come sapete — la sua aspra e
diletta terra di Caprera....
Cosi quella di Victor Hugo può dirsi, più che
altro, una semplice deviazioni- di t . .1 ni ; i data al
suii pensiero e alla sua attività : poiché il pensi'
anche in simili momenti, continuava in lui la in-
stancabile opera di creazione, quasi 1 he
la prosa ed il verso non fossero stati
sufficienti alla sua esuberantissima fan-
tasia e alla sua mirabile fecondità. E
in questo solo, anzi, va ricercata, io
credo, la vera causa diretta del sin 1 la-
voro di artista
ni e visioni, fantasmi e ligure, ri-
cordi di cose vedute in un tempo lon-
tano, che il verso non bastava ad e-
sprimere e che la prosa non avrebbe
potuto esprimere, fiorivano sotto la
penna o sotto la matita in quegli istanti
di distrazione operosa. « Ses dessi/is
— diceva l'incisore Méaullc, clic fu
uno de' suoi più fervidi amici ed am-
miratori— soni fècole buissonièrh de
son e spi- il .
Gli accadeva, talora, di tracciare a
caso sulla carta o nel margine di un
libro un segno qualunque; come se la
penna seguisse un moto incosciente
dello spirito vagabondo. Ma, a poco a
poco, il segno si trasformava in un fiore dai grandi
petali sbocciati ; e il fiore, a sua volta, in una
balza aspra e dirupata ; finché di metamorfosi in
metamorfosi, sempre obbedendo al capriccio della
fantasia, non ne usciva fuori quasi per miracolo
uno strano castello medioevale, perduto fra le te-
(1) Questa com :'i santi ideali ha,
pi 1 dire, come u tri itissima nelle
raterna 1 rivi ilte da
Garibaldi al Poeta, 1 he ave>
invano la sua causa - la causa della
giustizia •■ dell'onore — in un momento in
rtii i membri dell'Assemblea francesi
mettevano e sanzionavano un'azione indegna
del nobile popolo, ili 1 ni erano 1 rappresi 11
tanti. Azione 1 della qual
iinn è il caso ili parlai qui, neppur
brevi idei li ttoi i. basti
ria ordare la data : 1 ivei
eli ' Ero San man il tat ioi
mi 1 1 pi mi mi cntendui i, la vóti bien
11 l'amitié et la ri que ie
vini Li breve! qui ou - m a
u» suffit à i"iiii une existence dévouée
1 humanité doni vous 1 te ■ le pi
N.d. A.
A A
J>"
■^yi'-Sk I 1
■ÉléÉi
M.
>
a .jtfi
Strada i'imkh.
■ e intravisto in viaggio torse trent' anni ad-
dietro.
I 'l è curioso, sopratutto, il mod 1 cuigiun-
nere certi effetti di luce e di
1 erte ti matita di tinte, pui 1
lori, certe finezze e certe squisitezze di contrasti
fra un particolare e l'altro. Mi accade -diceva
VICTOR HUGO DISEGNATORE
egli stesso, sorridendo — di servirmi del mio ca-
lamaio come di tavolozza, e di render più chiare
le tinte versando sulla carta la metà di un bic-
chier d'acqua, o sacrificandole qualche goccia del
mio caffè». E scriveva, ancora __^^_^^^__
in proposito, al Burty inviando-
gli un disegno all'acquarellò, in-
titolato: YEclair: « I miei dise-
gni, o ciò che io ho la bontà di
chiamar tali, sono un tantino
rozzi. Io ve li mando cosi come
sono. E se questo qui, a causa
di tutte le mie piccole libertà,
per cui mi servo tanto della bar-
ba che del becco della penna,
vi sembra troppo difficile a
incidersi , sceglietene un al-
tro, ecc., ecc. ».
Ne' suoi lavori, come nei suoi
libri, egli è un sognatore a volta
a volta giocondo e melanconi-
camente gentile , o un visio-
nario tragicamente strano e fan-
tastico. Vi predomina, e ben HHBBHBBH
comprende , lo spirito roman-
tico con tutti i suoi pregi, la sua
ricchezza, la sua inesauribile fon-
te di poesia, i suoi difetti, anche, e le sue esagerazio-
ni.... Paesaggi paurosi, illuminati da una fosca luce
piena di mistero, castelli medioevali dalle torri
aguzze, dagli oblunghi e neri finestroni, da cui
sembra debbano apparire, da un momento all'al-
tro, nani e folletti o sinistri e deformi fantasmi ;
341
del sobborgo del Tempio, il giardino di via Plu-
met, Gillenormand e Gavroche, nei Miserabili;
le superbe linee architettoniche della chiesa di
Notre-Dame de Paris e Quasimodo nel romanzo
1'*
Un serpente.
omonimo, Triboulet nel Roi s'amuse; Habibrak e
e incantevoli savane sandeminghesi nel Bug-Jar-
gal... Una mano guidata da un genio potente; ed
un genio, che ha del michelangiolesco, con un
po' del Bernini.
Giovinezza infb im \.
vedute in cui aleggia, potentissimo, un sereno spi-
rito di poesia ; tipi bizzarri e caricature, che sono
capolavori di grazia satirica... Vi si riconosce, in-
somma, quella stessa mano, franca e sicura, che
ha descritto la pianura di Waterloo e il sottosuolo
di Parigi, la via della Chauvrerie e l'osteria di Co-
rinto, le barricate del sobborgo Sant' Antonio e
Nel 1862, se non erro, alcuni
dei molti disegni di diverso ge-
nere, dovuti alla prodigiosa fan-
tasia dell'Hugo, o, per esser
più precisi, quelli fra i suoi di-
segni che , cronologicamente ,
possono dirsi i primi , vennero
raccolti in album e pubblicati
dall'editore Cartel. Paul Che-
nay ne fu l'incisore e Téophile
Gauthier vi scrisse, da par suo,
una geniale ed amorosa prefa-
zione. Il ricavato della vendita
doveva esser destinato , per de-
siderio dell'Hugo, a soccorrere
i bambini poveri, che egli tanto
amava ; e il successo fu, come
il Cartel aveva intuito , gran-
dissimo.
E non mi sembra, quindi, i-
nopportuno , così per conclu-
dere, tradurre qui per i miei lettori, la fine della
bella lettera, che il poeta della Leggenda dei se-
coli scrisse in proposito al medesimo Cartel , al-
lorché questi lo richiese del permesso di pubbli-
cazione.
Vi confesso — egli dice — che io non avrei
mai e poi mai pensato che i miei disegni, come
■;l-'
LA LETTURA
voi avete la bontà dì < Ma-
inarli . p. 'tessero attirar
l'atten: ione di un edito-
re ■ voi
siete. ( lue sia ratta dun-
que la vi istra vi ili mtà !....
Essi se la i avi rann -
me meglio potranno, in
quel giorno per coi non
ii destinati dav-
ica ha ormai
su loro un diritto . che
•^ • KlKsi
r«4» ^s*^,
f"é
fc-u--
51- fA^t-
mi fa tremare per essi; ed
io li abbandono al loro de-
stino. Ma . intanlo, ho la
certezza che i miei cari e pic-
coli poveri li troveranno buo-
nissimi* .
| he ve ne sembra ?...
Titano di pensiero ed an-
gelo di bontà !...
A Milano, il 15 febbraio
dil
( Irli n RUBETTI.
Vieto** Hugo e la principessa Galitzin
SPIGO] \ I 1 RI DA UN \] HIM
In questi giorni ne' quali pare rinverdirsi di no-
vella fronda l'alloro che cinge la fronte del cantore
dei Chótimenis, non riescila discaro ai lettori no-
iri rinvenir qui alcune lettere del poeta rima-
ste -inora nascoste tra i fogli d'un vecchio album.
brevi vigliettini, è vero; tuttavia non privi di
interesse: dappertutto l'ugna del leone ha
1 sua impronta.
Una gran dama russa, la principessa Maria Ga-
lit/in. n.ca Souvaroff, passò, tra il 18 10 ed il 1860,
molto tempo a Parigi. Ricca di cuore e d'ingegno,
Lveva saputi 11 mo a s mi 'l'i 0
.1 sinceri tosi, de quali il suo album
die e in scrive ebbe, or som inni tra mano.
rvava le tracce. Vi SÌ tri . difatti, versi
letten oeti ì rancesi del
tempo: lettere di Alfonso de Lamart ine, brevi n
si\e del signor di Chateaubriand, poesie d'Alfredo
de Vigny, ed insieme quale contrasto agli occhi
tri! mposizioni del Belmontet, dell' V
lot, di m.r Viennet, di Louise Coli 1 1 unici
illora anehe Victor
Hi go; ma la coi 1 ispi mden 1 e ira loro. e
di i-m io luce alcuni 1 rammen
ti. appartiene ad un periodo alquanto posteriore. Il
poeta era già stato costretto dalle politiche vicissi-
tudini a lasciare la patria : la principessa aveva pur
esso mutato per il soggiorno di Bath, quello di Pa-
rigi. Teneva dessa il broncio alla nuova Francia na-
poleonica? Tuo darsi. Certo - ì che dall'elega
sima cittadina britannic riandava spesso elo-
quenti prove di memore simpatia all'esule scrit'. re:
;, sterline.
Ed ora eCCO le pi i
1\ N
1.
J'ai recu Ics deux livres destinées aux paui
martyrs '\u droil divin '\c^ peuples; je remercie du
fond de lame en leur nom pour le passe et pour l'a-
venir. Je glorine la noble coeur qui se souvienne
et je baisi- la noble mairi qui donne.
V. H.
Marine Terrace, io mai
| VIlVsSCI '
Af.n,/ In frinirsi,- Gulitziii
Bradford pris Bath.
.Somr ri ri.
VICTOR IH GO DISEGNATORE
IL
Marine Terracc, :y juillet.
J'ai recti. Madame, les deux livres que vous avez
bien voulu m'envoyer. Vous m'approuvez, n'est-ce-
pas?. de partager la somme entre Vassistence et la
propagande, les deux devoirs sacrés ded'exil envers
l'txil et envers la patrie. C'est ainsi que je fais'
toujours pour l'argent que je puis donner moi-
mème.
Vous trouverez sous ce pli un souvenir que je me
permets d'offrir à votre généreux coeur ( i ).
Je mets à vos pieds tous mes hommages et tous
mes remerciements. Madame.
Victor Hugo.
(Adresse)
.1/."' la Princesse Mane Galitzni
Bath. 12 Norfolk Crescent, England.
li) A questo viglietto andava unito un ritratto del poeta
a! Dagherrotipo, curiosissimo.
III.
Marine Terrace, io seplembre 1855.
J'ai recu, Madame, avec votre si gracieuse lettre
du 25 aòut, votre noble et pieux envoi pour la sainte
cause, et puisque Vous le trouvez bon, je continue-
rai d'en user pour le mieux et au point de vue de
tous les besoins à la fois.
Vous accueillez le portrait de l'homme avec tant
de gràce, que peut-étre le portrait de la maison ne
343
Vous deplaira pas. Voici Marine 'l'erraci', avec le
del étrange que le soleil. ce grand perni n-, lui a
fait (1); je mets cette photographie à vos pieds,
Madame, avec l'horumage des mes respeets.
Victor Hugo.
(Adresse)
M.'«' la Princesse Galitzin
Bradford firès Batti.
Somei set.
IV
Gvemesey, Hauieville Teliate, ir novembre 7^55,(2).
Voici, Madame, la déclaration ferite par moi et
sur laquelle le grand, libre, loyal et vaillant gouver-
nement anglais nous a expulsés (c'est leur mot poli)
de Jersey. Il faut que votre généreux coeur con-
naisse cette affaire. Je mets le document à vos pieds,
et j'y joins mes remerciements au nom des souffrants
et tous mes respeets personnels.
Victor Hugo.
Mon adresse:
/ 'ictor Hugo
à Guernesey.
(1) Unita al viglietto è una piccola fotografia della casa
abitata da V. H. a Yersey , ora divenuta una Pensione.
Al disotto della casa il poeta ha scritto in grandi lettere
maiuscole: MARINE TERRACE.
(2) Una nota della Principessa sul foglio dell'album che
segue a quello dove è incollato questo viglietto, avverte
che essa aveva ricevuto da sei a otto lettere di V. Hugo
nel 1S55 in Inghilterra. Le rimanenti son dunque andate
perdute.
La carrozza reale.
SOMMAR IO :
Letteratura e Critica. — Orme di Danti in Italia Alfredo Bassermann) — Domi Panzacchi •
Romanzi e Novelle. -- Vecchie > I anny Vanzi Mussinij — « Al Piccolo Parigi >
Poesia. — Due poemetti ài Alfredo Terinyson Carlo Sorniani j — impressioni e memorie Emilio Mariani).
Storia. - Folti e aneddoti di storia fiorentina Giuseppe Conti) Giuseppi Garibaldi e la su tulio
fi mano Ermanno Loevinson . '
Belle Arti. .'/.■ hel A
Sociologia. — Bismarck nei ••ti ,■ Pensieri Pietro Chimienti .
Geografia e Viaggi. — L'Albania Ugo Ojetti .
Opere varie. — Le piccole Suore dei poveri (Elena Ram .
LETTERATURA E CRITICA.
Ali remi Bassermann. Orme di Dante in Italia.
(Boi gna Zanichelli editore. 1902). — Il bello e
I «lunato libro del Bassermann sulle ignite di Dante
ha avuto, dopo due edizioni tedesche, un'edizione
italiana a cura di Egidio ' ìorra, al quale vorremmo
mandata anche la Vita di Dante del Kraus. Il
Bassermann è uno spirito colto, acuto e possiam
anche arguto, il quale è riuscito a penetrare in molte
■•/.• del pi 1 [ima del
■. Dunque, da parte nostra, siamo lieti di lodare
atnj 1 Gorra pn ita con
le d'ammirazione: 1 Nessuno ha potuto negare
una preparazione 1 ed una edu-
ca adeguate alla difficoltà dell'impre-
una singi attitudine a scorgere e
a discutere problemi chi 1 fra i più complessi
dell'inter] e di Dante; un necessario ardi-
ell'affrontare questioni che dawieino
ite dante-
! ermann art
:.ir rivivere luoghi e pi 1 dal
Liti e descritti; chiarezza e sobrietà
di 1 ed efficacia non di
rado si ulti ir otto-
Fare una ri
accetta come
prove della presenza di Haute in un luogo, il
plice ricordo che questi ne fa nella Commedia. In
una « ] .1 sembra a me la di-
■ la il Ricci tra la descrizione di uno
ci stato durevole e quella di un fenomeno vivo e spi-
li rituale della natura. Egli dice che Dante può
g aver usato le immagini di San Leo. l'ola. Monti-
li Barco ricordandosi di cose udite; ina il correr
« delle nubi sulla Garisenda o il mormorio della
• Pineta di Chiassi deve avergli egli stesso con s
« rati per poterli descrivere ». Ora al Bassermann
re erronea una distinzione che più che naturale
è addirittura ovvia. Il dire semplicemente che una
montagna è a picco o che un nume segna un conli-
ne, non include davvero la necessità d'una cognizione
diretta; mentre invece animar descrizioni e simili-
tudini vive la include davvero, speda niente quando il
a è Dante che non lavora, coni.- - e, di ma-
niera. Infatti, l'opinione del Ricci è anche confer-
mata pei fenomeni citati dalla certezza che Dante
ha vissuto in Bologna e in Ravenna, mentre con
quella del Bassermann s'andrebbe incontro a dover
ritenere che Dante è stato pure sul Bosforo, sul-
I idrate. sull'Indo, sul Gange e via via. Dunque
quell'attributo d'erronea dato a una cosa evidente.
1 un po' l'aria d'un 50 colpo per elimi-
nare in due parole una grossa difficoltà.
Talora amile l'autore s'abbandona un po' Toppo
al gusto di scherzare, il che può rendere piacevole
il libro, ma non gli accres autorità. I
vanni Fedeizoni, altro notevole dantista, ha già
fatto notare questo in una sua assennatissima let-
tela al "Reste del Carlino. V. davvero, per esempio.
dispiacciono in un libro 'auto profondo queste pa-
role: .1 Amor oggi 1 I ! gna) è proprio un 1
tire di Ul unte sensuale g
I LIBR
di vivere. Questa traspare sia dalle succulenti ve-
tiine delle pizzicherie con le innumerevoli salsiccie
e prosciutti e formaggi e pasticci; sia dai nej
di profumerie, che col soave e sonnifero odore dei
loro saponi e delle loro acque capillari vincono il
Bazar di Tunisi ». Ma che storie! Xoi siamo stati
venti volte a Bologna e non abbiamo trovato là più
profumieri e più ricche vetrine e più prosciutti e sa-
lami che non siano a Milano, ad Heidelberg e. in i-
specie, a Berlino che vanta salumerie così splendide '.
Così non possiamo menar buone le parole sotto-
lineate di questo brano:
« Durante i lavori di costruzione che. nell'avvici-
0 narsi delle feste centenarie di Dante nel 1865,
(i furono impresi nella cappella sepolcrale, si rin-
« venne murata in una parete esterna della chiesa
« una cassetta di legno d'abete contenente ossa, le
( liliali erano da una iscrizione segnata all'anno
« 1677 designate come le ossa di Dante... Gli scet-
« liei possono certo trovar sorprendente il fatto che
« la cassetta di abete sia ricomparsa alla luce a
« tempo così opportuno, precisamente, come per
« commissione, in occasione del centenario ; essi an-
ni che quando non vogliano supporre un pio ingan-
« no', possono tuttavia domandare se abbiano po-
« tuto le povere ossa nel loro avventuroso pellegri-
1 naggio attraverso i secoli preservarsi da un qual-
« siasi scambo ». Ora il Bassermann ha il torto di
prendere sul serio quegli scettici che ignorano la
storia del trafugamento delle ossa compiute dai
Francescani per sottrarle all'Ambascieria fiorentina
sotto Leone X. delle ricognizioni di dette ossa e del
fatto d'essersi trovate nel 1865 dentro al sarcofago
alcune piccole parti che mancavano appunto allo
scheletro rinvenuto nella cassetta, parti sfuggite ai
trafugatori. L'accenno poi di quegli scettici sull'op-
portunità del rinvenimento alla vigilia del centena-
rio, può anche parere un'insinuazione per quei gen-
tiluomini che dal Gozzadirri ad Atto Vannucci, dal
Padre Giuliani al Mordani parteciparono alle Com-
missioni di riconoscimento. Le ossa si rinvennero
allora, perchè solo allora si fecero grandi lavori di
demolizione, intorno alla chiesa di San Francese. 1.
Al postutto si tratta di cose da poco di fronte al
contenuto della mirabile opera derivata proprio in
gran parte 0 dalle scaturigini fresche e vive del sen-
timento (un sentimento quasi sempre sorretto e gui-
dato da un senso vigile e circospetto) e non frutto
di solitarie e fredde elucubrazioni ».
Enrico Panzacchi : Dotine e Poeti. (Catania.
Giannotta). L. 1. — Stanno in questo volumetto al-
cune fra le più belle ed argute pagine critiche del
più amabile critico italiano. Oltre e prima che cri-
tici!. Enrico Panzacchi è artista e poeta, e. come
tale, il suo giudizio intorno ai poeti ed agli artisti
è ispirato ai più puri criteri estetici, troppo oggi
disprezzati dai cultori della critica storica e. peggio,
antropologica. Intorno a tre poetiche figure di don-
na: Desdemona. Attala e Mignon, egli compie un
così sapiente ed elegante lavoro, che queste crea
ture immortali ne acquistano nuove grazie e quasi
•'' l~>
direi nuova vita. I capitoli intorno a Niccolò Tom-
maseo ed a Silvio Pellico sono pieni di osservazioni
nuove ed acute; ma la parte più gustosa del libro
è certo quella dedicata a Giosuè Cardurei. Qui il
Panzacchi narra, con rara maestria, i suoi ricordi
intorno al nostro grande poeta, e ne studia le Odi
barbare, e ne descrive un aspetto comunemente igno
rato nel paragrafo che porta per titolo Carducci u-
tnorista.
ROMANZI E NOVELLE.
Fannv Vanzi-Mussini: Vecchie ragazze. (To-
rino-Roma, Casa editrice nazionale), L. 3. — Per
quali ragioni Momina Rovai si riduce, giovane bella
e ricchissima, a fondare istituzioni di beneficenza,
una casa di maternità e un asilo per le vecchie zitel-
lone, rinunziando ad essere sposa e madre ella stessa ?
Le ragioni che ne dà l'autrice non sembrano sufficienti.
Momina è rimasta troppo presto orfana, e due vec-
chie zie l'hanno educata. Il padre suo, Romualdo,
è stato ucciso in duello, da un giornalista che lo ha
accusato, come uomo politico, di aver commesso
atti indelicati. Romualdo Rovai, ha pure amato, da
vedovo, una scrittrice valente. Fides, nella cui vita
c'è stata una tragedia. Tutte queste cose formano
come un romanzo nel romanzo. Ma quandi) entra in
iscena Momina. giovinetta, accade soltanto che ella
s'innamora di Augusto Rossi, pure suo professore e
amico del padre, uomo di trent'anni quando ella ne
ha quattordici ; e che il Rossi, pure dicendosi inna-
morato di lei. parte per Roma, dove ella lo va a rag-
giungere fuggendo sola dalla propria casa; e che
a Roma lo trova ingolfato in un altro amore, e lo
ode dirle, con faccia franca, che sposerà un'altra,
ma che il matrimonio non gl'impedirà di amar lei.
Un cinismo simile non è, purtroppo, inverosimile, e
un personaggio tanto ributtante moralmente potreb-
be riuscire artisticamente stupendo, se ci apparisse
vivo. Out-I '''"' manca di vita a lui nuoce anche alla
vitalità della figura di Momina; perchè, se s'intende
che il disinganno la offenda e la crucci, non s'inti
come ella rinunzi per esso a qualunque altro con
forto. e resista all'amore di Giorgio Pieni/zi e final-
mente si avvii a diventare anche lei una vecchia zi-
tella come le sue zie, come la bella sii tra. come
quelle cui schiude le pi sia (on-
dato. Bene osservate ed ottimamente rese sono le
zie Carlotta ed Amalia. la narrazione della m
tona vita che si svolge in rasa Rovai fa < n
molta arte, vivaci e freschi sono molti episodi, e il
sapore della realtà è in tante pagine: ma, per ciò
stesso, le deficienze dall'indagine psicologica si avver-
tono di più.
Térésah: Al « Piccole Parigi ». (Livorni
forte). L. 1. — La giovane scrittrice di cui i nostri
lettori conoscono la novella Rigoletto, premiata al
concorso da noi bandito l'anno scorso, pubblica nella
Collezione h/ena questo suo nuovo racconto, n
vole per le bette qualità che distinguevano il suo
precedente lavoro. Triste e patetica la storia del po-
vero Bolasco, il proprietario del « Pi l Parigi ».
I \ i.l TTURA
mode . gli affari del 'inalo un
non vanno più bene, Snelli il vecchio
I a,l, , posto ad un suo com-
messo, il Romaneto. L'accasciamento dello sfortu-
pietà che gli accorda il nuovo
proprietario, le illusioni che <-gli ancora miti
e rappri
ìi di Mai iettina Serravezza,
BolasCO ama
d'un bile, quasi paterno, ma
turbatore, del quale la t \ ensierata fanciulla
non gliendo le galanti
,1,.) nuovi Nui ce forse un
i- del racconto ; perchè,
mentre par.- che la Serravezza debba esserne la fi-
principale, n-sta poi nella penombra ; e se il
misi •. se l'autrice s'indugia tanto
nel narrarne la crisi, noi vorremmo sapere qualche
■ .li più su' conto suo. intorno al suo passata
Tranne questi lievi difetti, il nuovo racconto .li Ter
h conferma le rare doti di narratrice accorta ed
ei induce ad esprimere
il desiderio e la speranza ehe presto ella si provi in
qualche compi me più vasta.
POESIA.
Carlo Sormani: Due poemetti di Alfredo Ten-
\\ lano Martinelli), L. 2. — 11 grazioso vo-
lumetto mantiene più che non prometta il titolo:
oltre I,- .lue novelle poeti. -he di Alfredo Tennvson,
ili e il Primo li!:- . 1 tutore ha tradotto altri
quindici componimenti del Longfellow, dello Shel-
ley del Gautier, d'Arrigo Heine, ecc. Le sue ver-
sioni sono generalmenti e con garbo, ma a-
\i,-l I bisogno d'essere qua e là ritoccate.
\ essioni non sono belle: « Raccolsi tutto
insiem pazientemente - il mio bambino », qual-
che altra non è corretta: ■ Al par d'un ladro
nirt appiccato ». — « Essere una sol cosa ». Qual-
che verso non ha un bel suono: « Tornai, già > 1 alt ri
eri. promessa mia», o è addirittura difettoso:
n Credete che mi sia spaventata 1, « Che serba
per gli uomini il Signor ». Brutta senz'altro è questa
- venire:
Le mie pn ndo
L'infinito cammino
Anzi l'ora scendendo,
Venne il tempo < rrendo
Per comando divino.
1 ime si è detto, le belle ed eie
. -1 .no ani
io Mariani: Impressimi: e memorie. (Br>
... Libreria Treves di Luigi I . L. 2. —
Le inpressioni sono di natura e dar'.-, le men
sqno d'amore e di dolore. 11 giovane amor.- 1
• patria, le sue grandezze, le sue sci.).
Fi più puri- delPispirazii me
ii del Mai iani rivelano un
mento d'artista al quale, quando -ara più pa-
drone della forma, non potrà mancare il - mi
lai •
STURI A.
Giuseppe Conti: Falli e aneddoti di stona
: „,:. Secoli XIII W 1 1 1 (Firenze, Bempo-
ra.l). L. 5. — Chi si sia imparata la storia di Fran-
ti nei romanzi .li Alessandro Dumas con
ir strampalerie, I.- fanfaronate e le astrus
si. aliate con tanta disinvoltura, che non con tutte le
e di autori co' lombi grossi, e che tanno
,li lingua », come dir,- l'autore mila prefazione di
nursi., suo 1 ; l ■ 1 • ■. • propriamente un' « eresia ». ed
egli stess 1 lo riconosce: ma che la storia si ]■
rendere amabile e dilettevole nota e prati
da lunghissimo tempo. 11 Conti narra con garbo e
brio una lunga serie di avvenimenti grandi e
òli trascelti nella storia di Firenze, la sommossa
.l'Ognissanti del 1338. il caro del pane del 1340.
la rivolta contri i Capitani di l'arte, l'incoronazione
del poeta Cbluccio, la consacrazione .1 - Marta
.lrl Fiore, moltissimi aneddoti intorno al Savona-
rola, la misterii sa uccisione di Margherita de' Mi
dici, il miracolo della Madonna di l'iazza Padella,
e tumulti, e ribellioni, e slide, e casi d'amore e di
re; e descrive gli antichi costumi, i gin. «-hi. le
cerimonie, le teste sacre e le profane. Nel suo volu-
me, trutio di lunghi snidi e di pazienti ricerche,
nulla rivela l'erudizione dell'autore, non una cita-
zione, non una nota; ma. appunto per ciò. la let-
tura ne è gradevole, pure restando istruttiva, come
[Uella d'una raccolta di artistici bozz.
Ermanno Loevinson: Giuseppe Garibaldi e la
sua legione nello Stato Romano. (Roma. S'H-ieti e-
ditrice Dante Uighieri), !.. 3. Non man. .ivano
notizie intomo all'argomento trattato dall' am
ma egli ha avuto il merito di raccogliere tutte le an-
tiche, di aggiungervene molte altre nuove, e di fame
un'opera vasta ed esauriente. In questo primo vr>
1,1,11.-. con la scorta delle memorie autobiogra
di Garibaldi, degli Atti del ministero delle Armi
1 usi. .ini nell'Archivio di Stato di Roma, delle 1
serbate nell'Archivio comunale notarile di Roma ed
litri Municipi, egli segue a pass., a pass., il
ale in tutte le sue mosse, da Livorno a Bologna,
., p | .isì.i San Pietro, ad Imola, a Faenza,
a Ravenna; narra la sua unione ci Masini, lo afr
1 a Forlì ed a Cesena fermandosi al mot
tale duello Risso-Ramorino, lo riaccompagna da Ri
mini a Sfocerà per il Furio, ed a Roma, scrive la
cronistoria dell.- mare- della Legione lino alla glo-
riosa giornata del 30 aprile ed agli sterili eroismi
del 3 giugno, e d..p.. aver.- esposto gli ultimi
negli uh imi giorni della difesa, chiude dando
notizia del disperdimento dei legionari. Preciso nelle
rotazioni, equanimenei giudizi, il hl.ro.lel I
vinson sarà opportunamente compiuto con gli altri
•...lumi, che l'autore promette e che noi a-
tiamo; uno intomo all'organizzazione della Legione.
alla persona del Generale ed ai suoi ufficiali, l'altro
composto dei documenti inediti citati nei due pre-
. . denti.
I LIBRI
BELLE ARTI.
3,7
GEOG FAFJA E VIAGGI.
Corrado Ricci: Michel- Ange. (Florence, Alinari
frères). — L'ottimo saggio del Ricci su Michelangelo
ha ottenuto il meritato onore di questa traduzione
francese, condotta con molto garbo da M. J. de Cro-
zals. decano della facoltà di lettere nell'Università
di Grenoble. Pregio singolare della presente edizio-
ne sono le splendide tavole e le bellissime illustra-
zioni che. in numero di più di cento, mettono. 51
gli occhi del lettore, i luoghi dove visse quel sommo
e i capolavori che uscirono dalle sue mani divine.
SOCIOLOGIA.
Pietro Chimienti: Bismarck nei suoi K
e Pensieri. (Bari. Laterza). L. 1. -- L'autore, leg-
gendo l'opera biografica del fondatore dell'unità
germanica, mette in evidenza i segni caratteristici
— per cosi dire — di quell'uomo il quale trasformò
l'aite della politica, per adattarla, alle mutate con-
dizioni della società, e particolarmente al nuovo
re creato dalla democrazia : il parlamentari-
smo. Il saggio del Chimienti è una difesa, se non
un'apologia. Per giudicarlo equamente, egli lo con-
sidera sempre in rapporto ai fatti, all'ambiente in
cui si trovi, all'epoca ed al popolo di cui fu il tipo
rappresentativo. Sfata la leggenda che lo fece ap-
parire come imbevuto di pregiudizi, intento ad una
specie di sport autoritario, amante della guerra per
la guerra : spiega le movenze della sua politica es-
senzialmente nazionale : lo mostra intento a misu-
rare la forza della pubblica opinione e paragonan-
ti > a Camillo di Cavour, ne mette in più viva
luce la particolare natura. Dopo aver così studiato
a grandi tratti la figura dell'uomo di Stato, lo os-
serva in tre singolari occasioni: nella lotta contri, i
clericali ed il clero, nella fondazione della Triplice
alleanza, nella legislazione sociale diretta a combat-
tere il socialismo. Lo studio del Chimienti è pieno
di osservazioni acute e di sagaci giudizi: non gli si
può -improverare altro che una soverchia rapidità ;
ma questa era imposta dal proposito e dalla neces-
sità di dettare un libro breve e popolare.
Ugo Ojetti : L'Albania. (Torino-Roma. Roux e
Viarengò). L. 2. — Le lettere che l'Ojetti scrisse
dall'Albania al Corriere della Sera meritavano di
essere raccolte in qui -sto elegante volume; pei
come documento sincero di ciò che fu l'influenza di
Ri una e di Venezia in quella nazione, e di ciò che è
la sua condizione politica, economica e sociale, pre-
sente, definiscono quale dovrebbe essere la nostr
/ione per tutelare, con gl'interessi nostri nell'Adria-
. quelli dei nostri amici Albanesi. Osserva l'au-
nella breve prefazione: « Un solo carattere co-
vante presenta, dacché l'Italia esiste, la politica e-
stera italiana: l'incostanza. Da pochissimi anni pare
che Tunica eccezione a questa mobilità caleidoscopi-
ca sia la fede nostra nelle speranze dei nostri amici
d'Albania ». Il suo libro è tutto pieno di questa
fede ; e « se qualche volta io italiano e romano ho
ito troppo, ho cercato nella pagina seguente di
tornare calmo per ragionare, e per alienar cifre
e fatti ».
OPERE VARIE.
Elena Ram : Le piccole Suore dei poveri. (Fi-
renze, la 0 Rassegna N'azionale ». editrice). L. 1.25.
- Tutte le Suore operative », scrive ii cardinale
Alfonso Capecelatro alla marchesina Giovanna
Denti, traduttrice di questo libro, « sono una delle
più liei le fioriture della carità cristiana nel nostro
tempo, e riescono un'efficace ed attraente apologia
del Cattolicismo. Gl'istituti di rotali Suore son molti
e svariati ; ma in nessuno forse lo spirito di sacri-
fizio è così evidente e nobile come in questo delle
Piccole Suore. La vecchiaia può riuscire cara e ve-
nerata al consorte, ai figliuoli, ai fratelli e agli a-
mici ; ma non ha però di per sé alcuno attrai men-
to ». Dimostrare le benemerenze delle buone crea-
ture che la proteggono e narrare le origini della
loro istituzione, descrivere le loro maggiori case, è
per l'autrice un modo — il migliore — di attirare
>u li in 1 l'interesse, l'affezione, la gratitudine della
società.
^-^r
.< /'
- ~2i —
EMftrtE
DIVISTE
SO M M A R TO :
I nuovi lavori 'li sbarramento <U-1 Nilo, pag. 348 Perchè si piange, pag. 352 — Curiosità de! ninnilo episto
pag, 353 mpan pa | 11 petrolio sostituito al carbone, pag. 354 — Per la difi
I, di là e le Forze Occulte, pag. 358 Un archivio fonografico .1 Parigi, pag. ;6i
1 più vecchi giornali francesi, pag. 361 — Il costo d'una guerra, pag. ,i"i — Una repubblica 'li ragazzi
Stati Uniti d'America, pag. 362 — 11 bimbo in fasci e la sua culla, pag. 364 - I megaliti della Bretagna,
pag. 165 Dietro la pista d'un Circo, pag. 367 il nuovo profeta de' Mormoni, pag. ;h7 — ' Popoli a ta-
vola, pag. 1 1 luce che guarisce, pag. 370 - Per la vita umana, pag. 371 - I pesci dorati, pan. .572 —
La previ ioni del tempo, pag. .•574 — 1 drammi «li Sada Yacco, pag. 375 — Le code, pag. .577 — I giornali
giapponesi, pag. .Ì79 Gli uomini più ricchi nel mondo, pag. 379 — Polacchi contro Prussiani, pa
Ginnastica e salute, pag, J82.
I nuovi lavori di sbarramento del Nilo
(Dall' Emporium di marzo).
L'Egitto fu sempre il parse delle meraviglie e dei
prodigi 'li 'istruzione. Dalle prime dinastie dei Re
ori ad Erodoto, dalle piramidi alle tombe dei
orti è tutta una serie di opere gigantesche, 1 riunii
di statica e d'idraulica, dinanzi a cui ancor oggi ci
miamo meravigliati.
La prima grande opera pubblica, 'li cui si abbia
ni. fu il tentativo ili gettare una diga attra-
verso il Nilo Fu Menes che costrusse il famoso
Muro Bianco che sbarrava il fiume, sostenendo il
livello d'-lle acque ed al imeni andò rosi perennemente
il Delta, bonificato e trasformato dall'inutile pa-
lude che prima l'inquinava. Anche i sette rami del
Milo, rappresentano del resto un audace tentativo 'li
inazione fluviale. Col lento succedersi dei se-
però l'impeto delle correnti travolse ogni opera
ina ' anche quelle barriere rocciose e naturali
che nella 1 levono certamente esser
sorte qua e là sul letto del divino Vpi Ne vennero
inoli,- disastrose e torrenziali in alcuni anni, e
atte terribili in altri. Spesso tutto periva divo-
dalie onde, spesso invi dal si ile
■ 0 tentativi 1 di rimediare al-
l'irregolarità delle inondazioni si deve a Mehemet-
Ali. Migliaia e migliaia di fellàh vennero strap]
■ apanne sul lavori >. Ben veni inula
ivi egli avei a m riso nei lavoi 11 Ina ,
ieri ricava poi pi una bar-
■ al linme. Ma non ri 11 sei : egli mori nel iS|ij
ra incompiuta, invano proseguita ^.<
Ismail. i cui ingegneri non ebbero il coi chiu-
dere le 120 porte della diga, (emendo una caia-
strofe. E la catastrofe venne nel 18(1^ quando, chiu-
se finalmente le aperture, sotto il peso delle onde, la
HALLE KIYISTK
■!-l"
diga tremò e si smosse. Seguì il fallimento dello
Stato, la ribellione di Arabv pascià, 1 ccupazione
inglese.
Rinacque allora la questione della diga attraverso
il Xilo. Abili ingegneri idraulici visitarono le ro-
vine della muraglia di Mehemet-Alì e si accorsero che
non aveva ormai più fondamenta, per cui dovettero
cominciare un lungo lavoro di sottomurazione, sal-
vando così l'opera colossale che costava milioni e
sangue. Spuntò allora l'idea di estendere anche ai-
alto Egitto i vantaggi delle corre/ inni idrauliche e
W. Willcocks, dopo tre anni di lavoro, stese un pro-
getto grandioso diretto al risanamento di immense
paludi inoperose . all' irrigazione di vaste plaghe ,
alla risurrezione economica di terre sterminate. Un
gruppo di capitalisti inglesi assunse l'impresa e nel
1899 ad Assuan, presso la prima cateratta, venti-
mila uomini sventravano i monti per trascinarne i
o [ossali monoliti nel fiume. La scena di quel dram-
ma immense del lavoro umano era certo una delle
più grandiose.
Fantastiche rocce di granito limitano la roccia
verso il sud. mentre a nord si distende un deserto
sabbioso racchiuso tra due pareti di nuda arenaria.
K veramente meravigliosa questa scena di indescri-
vibile bellezza in lontananza e di titanica distru-
zione d'ogni linea naturale del paesaggio sul da-
vanti della scena — un pandemonio presso un pa-
radiso. Nelle fenditure ed anfrattuosita delle rupi
granitiche, che sorgono nella condannata isola di
File, si vedono ombre turchine, iridescenti ; le vene
quarzose e silicee brillano come diamanti e riflettono
i raggi del sole attraverso l'aria luminosa... Il pri-
mo progetto era di ottenere un rialzo del livello
delle acque di 36 metri : ma l'ingegnere consulente
Benjamin Baker fece ridurre della metà la soprae-
levazione del livello. Le colline qui si riuniscono e
distano non più di due chilometri le une dalle altre,
strozzando così già da se stesse il fiume ed offrendo
il posto migliore e più solido per la costruzione della
gigantesca barriera. Questa però elevando l'altitu-
dine delle acque avrebbe sventuratamente sommersi
i templi antichissimi dell'isola di File e travolti a-
vanzi preziosi di una remota civiltà. Il rimpianto
degli archeologi fu universale, i monumenti vennero
fotografati, poi abbandonati alle acque.
Lentamente la diga fu costruita. Nel 1899 si at-
tese principalmente alla chiusura di tre dei cinque
profondi canali che ne tagliavano la linea e che pi te-
vano in caso di piena minacciarne la stabilità. La
chiusura dell'ultima porta rimasta aperta al deflus-
so delle acque presentò la più grave difficoltà M
giganteschi di granito gettativi dall'alto erano tra-
scinati via dalla corrente come sassolini e solo si
potè arrivare alla diffìcile impresa gettando attra-
verso la voragine due vagoni ferroviari col carico di
cinquanta tonnellate.
Una sorte assai importante toccò pure ai lavora
tori italiani : in pochi anni, essi vi raccolsero ben
6.900.000 lire di mercedi e alla fine dello scorso
anno il capo dell'impresa assuntrice disse: « I
già altre volte occasione di veder lavorare egregia-
mente gli italiani, ma non aveva ancora oppi
nità uguale a questa per convincermi dell'attitud
energia e buona volontà che portano al lavoro ».
Contemporaneamente alla gran diga di Assuan.
un'altra ne veniva costruita trecento chilometri più
a valle per alimentare l'antico canale Ibrahimich.
Sebbene meno grandiosa della prima, essa è desi 1-
Frinii lavori della diga ad Assuan.
Ina l'ai i i iti dell
I>.\1 ! 1 RIVISTE
35 1
nata ad un'importante missione nella rigenerazione
del paese.
Per costruirla si dovette porre una fondazione
di muratura e di gettata di cemento, attraversata
da pile vuote di ghisa per lo scolo delle infiltrazioni
e cupi ita per tutta la lunghezza dalla diga. Vi sono
tir aperture ad arcate, munite di saracinesche in
Sezione trasversale della diga.
ferro che potranno sostenere in tempo di magra tre
metri d'acqua. I lavori saranno terminati entro l'an-
no, spinti come sono con grande alacrità da 10.000
operai.
Si è constatato che ad ogni periodo di io anni
avviene ciò che si dice « un basso Nilo ». Le cause
possono essere assai varie: la mancanza di pioggie
equatoriali, l'accumularsi di una feracissima flora
subacquea che sviluppandosi costituisce masse e-
normi ed isolotti galleggianti, che fanno deviare le
onde, riversandole nelle paludi.
Le autorità egiziane dovettero anzi mandare spes-
so sul posto delle cannoniere per spazzare il fiume
dai | ericolosi banchi.
Coi nuovi grandi lavori sul Nilo, le probabilità
di una mancata inondazione e del conseguente di-
sastro economico sono pressoché scomparse.
La diga che deve trattenere l'enorme riserva di
acqua, destinata a sostituire le piene quando mancas-
sero, ha una larghezza di 7 metri alla sommità e di
j-4 alla base. La profondità delle acque sarà ili 28
metri con una sopraelevazione di 14 metri sul li-
vello attuale; il serbatoio che verrà così a formarsi
fra i banchi rocciosi, che limitano lateralmente l'al-
veo fluviale, si estenderà per ben 250 chilometri, trat-
tenendo un'enorme massa d'acqua valutata un mi-
liardo e centosessantacinque milioni di metri cubi !
Una difficoltà speciale pel passaggio delle acque
attraverso le 180 porte della diga era causata dalla
natura delle acque stesse, sature in certe epoche del-
l'anno di limo e di materie solide che. depositandosi,
avrebbero, a lungo andare, ostruito il passaggio.
Non si poteva certo costrurre una traversa di sbar-
ramento comune, dalla quale l'acqua strama asse
sorpassando la cresta, giacché in tal caso l'acqua sa-
rebbe rimasta affatto dépauperizzata dal limo fe-
condante. Si applicarono quindi chiusure da aprirsi
dal fondo per permettere il deflusso anche alle aeque
più limacciose e cariche. Uno studio specialissimo
rovette esigere la scelta delle saracinesche, che. im-
mense e pesantissime, dovevano perii manovrarsi
semplicemente per mezzo di apparecchia mano. Esse
non strisciano contro gli stipiti dell'intelaiatura', ma
vi scorrono appoggiate su rulli liberi a controsfrega-
mento, dimodoché anche le più pesanti, che subi-
scono una pressione idraulica di 300 tonnellate, po-
tranno essere manovrate da due soli uomini.
Per avere un'idea di questi colossi dell'ingegneria
moderna, basterà ricordare che per le porte e per le
chiuse si adoperarono 11.000 tonnellate di materiali
in ferro.
Non possiamo chiudere il rapido accenno a questo
che è uno dei trionfi più indiscutibili dell'idraulica
moderna, senza una parola di lode e di gloria pei
tendesti e oscuri lavoratori italiani che vi portarono
il trihuto del sudore e del sangue. Sobri, instanca-
bili, essi hanno attaccato col piccone e colle mine i
fianchi granitici delle catene dei monti che fiancheg-
giano il fiume, fra il riverbero e l'incendio di un
sole equatoriale, ad una temperatura di 43 centi-
gradi all'ombra. Agli oscuri ed ignoti lavoratori,
alle vittime là cadute nella titanica battàglia contro
la natura, è doveroso un saluto e un ricordo.
Una delle saracinesche della cateratta.
J52
LA 11 li
Perchè si piange
-, marzo).
Si piange per una moltitudine di motivi d'una
varietà sorprendente. Si piange se percossi, si
piange al pensiero della lontananza, si piange al
teati inge ili pietà, di dispetto, di rabbia, di
.1 Vi ha torse una causa comune di pianto in
lutti questi diversissimi motivi ? È possibile ridurli
a due 0 tre : ise ben definite, le sole che
o alla psicologia delle lacrime?
io prima di tutto convenire che la ridu-
ce ad una rigorosa unità ci pare assurda. Sia-
• retti ad ammettere tre grandi specie
di pianto: il puramente meccanico, /' involontario,
il semivolontario.
Il primo lo constatiamo tutti assai facilmente,
giacché spesso si piange senza alcuna emozione
per semplice fenomeno di secrezione glandulare.
La genesi di tal pianto è abbastanza semplice e
si riduce ad un eccesso di produzione delle glan-
dule destinate a proteggere col loro liquido l'ap-
i visivo.
Quando i vasi sanguigni sono troppo compressi,
o i muscoli troppo contratti da qualsiasi sforzo
meccanico, avviene l'emissione delle lacrime. A
questa categoria si possono riferire i pianti al tea-
tro : sotto la suggestione dell'attore che atteggia
il volto a contrazioni disperate, noi imitiamo, col
moto incosciente dei muscoli facciali, il suo volto
stesso e le ghiandole compresse sgorgano il loro
contenuto.
Vi lui però un pianto involontario , quando noi
stessi non possiamo opporci a quegli scoppi irruenti
di lacrime che prorompono al ricorrere di certi
si alimenti: in tal caso l'unico motivo è la. tri-
stezza.
Talvolta si piange dopo un lungo periodo di
lotta ruiitro il dolore, dopo uno sforzo violento
per dominare un disastro o una sciagura morale:
viene allora un momento in cui le braccia cadono
-sate; allora la lesta cade sul petto e si piange.
Talvolta invece si resiste fino all'estremo : poi
una parola di tenerezza, un bacio, un saluto, pro-
di lacrime. Misteri del cuore.
Tal'altra, a teatro, un episodio patetico, un tratto
di riconoscenza o di gioia materna fa piangere una
sala intera. I lei resto anche nella vitti reale, i grandi
di ei sforzano al pianto: vi ha dunque un
pianto di gioia, un pianto - -de al brusco
'arsi di una situazione penosa: cosi un uomo
I ■porterà una straziante operazione
tradire neppure un fremito di dot
ma quando tutto sarà finito ed egli gusterà la
i! pato pericolo, prosar lai rime gli
libito il volto. Il pianto quindi non
isponde forse al dolore, ma alla reazione che
e il pianto semivolontario, quando
mo i" n he noi stessi li i vogliami >.
te, ilei resto, un pianto ipocrite: il pianto degli
istrioni, dei commedianti, delle Cassandre che ac-
compagnano i morti al sepolcro. Ma trascurando
questo fenomeno, cui solo si arriva dopo lunga
educazione dell'apparato glandulare, è un latto
che talvolta si piange per un'emozione reale, non
così forte, però, da non essere invincibile. S
vuole un esempio, basta pensare a certe lacrime di
convenienza che sgorgano abbondanti e sincere
dalle persone che assistono ad una sepoltura sotto
l'impulso di una commozione realmente sentita,
ma alla quale si potrebbe con assai facilità resi-
stere. La volontà è dunque un fattore innegabile
del fenomeno delle lacrime.
Ma come si spiega il suo intervento? Bisogna
riflettere che le lacrime sono un linguaggio di-
retto a far conoscere a chi ci avvicina che noi sop-
portiamo il peso di un dolore: per questo solo
fine noi consentiamo a piangere.
Cosi un fanciullo battuto scoppia in grida e in
lacrime evidentemente per due ragioni, non solo
cioè per intenerire il percussore, ma anche per
chiamare aiuto. Così la moglie percossa dal ma-
rito brutale piangerà per ridurre il suo tiranno a
chiederle un perdono che poi si riserva di rifiutare
e anche per invocare il soccorso dei vicini contro
l'inumano oltraggiatore.
Il pianto però, secondo l'opinione di Schopen-
hauer, non è l'effetto del dolore ma della pietà
per sé stessi. Ed ecco come egli dimostra la sua
curiosa teoria. Si possono, egli dice, presentare
due casi : o si piange su sé stesso o si piange sugli
altri.
Nel primo caso è uno sdoppiamento della pro-
pria coscienza, un ritorno sulla propria situa/i
per dire : — Quanto sono infelice ! Xel secondo,
è una sostituzione di noi stessi a colui che soffre,
è una compassione per l'umanità e per noi stessi,
vittime possibili della triste sorte che ora addolora
gli altri. 11 pianto dunque, conchiude Schopen-
hauer, è la compassione di sé stesso.
Si schiarirà meglio la questione comparando il
pianto al rossore o al riso.
Che è il rossore? Esso è l'effetto della modestia,
della timidità, del pudore, della vergogna, di un
sentimento, insomma, per noi sgradevole, che ten-
tiamo inutilmente nascondere. In tal modo, il
sore e un' emozione che si desidera resti secreta,
mentre il pianto, al contrario, è un'emozione che
si vuole manifestare.
Cosi fra il pianto, il riso e il sorriso, malgrado
l'apparente contrarietà dei termini, esiste una forte
somiglianza. Così v'ha il riso prorompente e in-
coercibile, il riso falso, il riso semivolontario : tre
gradi che corrispondono perfettamente alle tre ca-
tegorie di pianto da noi accennate. Vi è però un
punto di assoluto distacco fra i due fenomeni ed
è che il riso è la significazione di un'orgogliosa
superiorità sulle debolezze altrui che ri muovono
ad esso, mentre le lacrime sono l'indice della de-
■ ili zza e dello sconforti >.
Il pianto è dunque il linguaggio del dolore e
della pietà.
DALLE RIVISTE
353
Curiosità del mondo epistolare
(Da un articolo di Edmondo De Amìcis, in Natura ed
Arie, del 15 febbrai.'.
L'autore biella Vita militare attribuisce ad un
suo amico, letterato chiarissimo la cui reputazione
è più grande della sua. l'intenzione di scri-
vere un Galateo della scr, tiara . per insegnare al
prossimo che scrivere con caratteri inintelligibili è
una forma di villania presuntuosissima. Ma la pre
Minzione li colóro che si rivolgono agli scrittori ce-
lebri per seccarli con le loro confidenze e le loro ri-
chieste, è veramente infinita. Il De Amicis fa dire
al suo intimo amico: « Ah! se mi parli di docu-
menti umani!... Sì, io ne ho una collezione incom-
parabile. To': non più tardi di ieri, uno che m'è
venuto dall'estremità meridionale d'Italia: qua tro
pagine d'un giovanotto che. disperato dall'improv-
viso raffreddamento d'una signorina a cui fa la
corte, prega me — maestro nell'arie di toccare i
cuori — di fargli la bruita copia d'una lettera, la
quale gli lenda l'amore di quell'angelo ormai neces-
sario alla sua vita, e conclude dicendo: Ma
/■resto.' » Un vecchio signore prega il letterato di
scrivere — come egli sa scrivere — a un tenente del-
l'esercito, per indurlo a mantenere la premessa fatta
a una sua nipote che ha innamorata e abbando-
nata... « Ti figuri tu la lète del tenente al ricevere
l'epistola? E se ti dicessi che m'hanno scritto dei
fattori di campagna pregandomi di persuadere per
lettera un ricco proprietario sconosciuto a rimettere
loro un grosso debito ; che ho ricevuto delle lettere
— mandate alla posta con mille sotterfugi e peri-
coli — da condannati alla reclusione, i quali mi
piegavano di scrivere una supplica al re per otte-
nere la grazia ; e delle lettere dai manicomi, una
delle quali mi sollecitava a raccomandare a certi
deputati un progetto favoloso di riforma tributaria.
e di indurli ad imporre quel progetto al Governo,
con la minaccia — ricordo la frase, che è una gem-
ma — d'un implacabile ostruzionismo? » Vi sono
poi coloro che. confondendoli letterato col libraio,
gli chiedono il catalogo del suo magazzino e il ri-
basso che farebbe su certi libri; altri che. trovan-
do un foglio mancante in un volume, gli scrivono!
invitandolo a curare un po' meglio l'impaginatura
delle sue opere. Certe mamme, non del popolo, ma
della borghesia agiata, domandano all'uomo celebre
che pagamento vorrebbe per preparare, con un me-
todo abbreviativo, le loro figliuole all'esame d'am-
missione alla scuola normale. « E senti ancor que-
sta, della settimana scorsa: la vedova d'un farma-
cista di villaggio, che mi prega a tenere una con
ferenza pubblica, a pagamento, con libera scelta del
lena, per far erigere un modesto monumento a suo
marito!... n.
La messe più ricca è quella delle lettere di «com-
missione ». I.e più sono lettere per chiedere poesie
in occasione di matrimoni e di onomastici. « Ne ho
ricevuta una giorni fa. nella quale, per muovermi la
ispirazione, mi si davano i connotati della sposa:
statura media, capelli biondi tiranti al castagno, oc-
La Lettura.
ehi azzurri chiari... e cera un poscritto che diceva:
Non più tardi di marted) prossimo, mi raccomando-
Un alno, non è inolio tempo, mi mandò la poesia
Ielle tana, in onore d'un suo zio nominato cava-
liere, scrivendomi: Iggittnga, tolga, corregga, limi,
rifaccia a suo piacimento . approvo ini d'ora ogni
» l'i qualcuno la capire che la fatica non sa-
rebbe senza compenso.
C'è poi il diluvio dei manoscritti da leggere, di
tutti i generi' e ili unte le misure. «Anni fa. ricevetti
un quaderno enorme dalla governante d'un ban-
chiere, la quale nella lettera accompagnatoria
mi diceva: ti Sono -tana di servire: mi sento nata
per altro: ho deciso di danni alla letteratura. — E
mi chiedeva di leggere il suo lavoro, di trovarle un
editore, di farle una prefazione, di rivedere le ltozze
e di raccomandarla ai giornali. Santo Iddio di mi-
sericordia! E se tu sapessi le impertinenze che m'ha
scritte quella Colombina rabbiosa perchè le risposi
che non potevo incaricarmene!... ». I postulanti di
prefazioni sono una famiglia particolare: qualcuno
di costoro ardisce di stampare tal e quale la lettera
confidenziale che. per gentilezza, in un momento di
nsione. lo scrittore gli ha mandata!
Ma quello che c'è di più esilarante, in certe let-
tere, è l'ignoranza di chi scrive in riguardo alla per-
sona a cui si rivolge, e che pure chiama illustre.
a Ricevo delle lettere piene di complimenti, ma indi-
rizzate con un nome di battesimo che non è il mio.
e anche col nome di famiglia storpiato... Non avevo
ancora quarantanni che molti mi credevano già con
un piede nella tomba, e mi scrivevano delle frasi
come queste: Mi rincresce di disturbare la sua ve-
neranda vecchiaia. . . Con tutto il rispetto dovuto
alla sua illustre canizie . . . — E quando eran signore.
ti confesso che mi ci stizzivo. E quelli che mi scri-
vono manifestandomi la loro ammirazione entusia-
stica per il romanzo., d'un altro! E meno male:
questi sono in buona fede. Quelli che mi muovono
la bile sono i falsi ingenui, i quali, per farsi man-
dare un libro che si trova da per lutto, mi scrivono:
' ' ve potrei rivolgermi per avere la tale opera sua?
Vito cercata inutilmente da tutti i librai... Pove-
retti! Dicono anche d'ignorare il nome dell editore.
Il meglio è che qualche volta ignorano anche il ti-
tolo dell'opera, e me lo domandano accennando al
contenuto. Son tentato alle volle di rispondere che
me l'ho dimenticato io pure... »
A queste lettere melliflue quasi SI ■no preferibili
quelle dei brutali e degli impertinenti. 0 Dei capi a-
meni che mi scrivono quattro pagine per dimostrar-
che ho usato una tal frase non italiana. 0 che
mi lodano 1111.1 ivi' opera e di un'altra mi dicono:
li ijiicsta. mi permetta hi irati, non ho po-
lito andare lino a metà <■ mi tartassano feroce
1 Mei poco che ne hai : e altri che,
chiedendomi un parere sopra un loro lavoro, inCO-
minciano la lettera dicendo: Voglio sperare che ella
non da un orgoglioso egoista come sono aitasi tutti
gli scrittori fortunati, i quali rispondono con un si-
lenzio villano a coloro... — e altre doli 1 EZi d'esor-
dio su questo andare E ci son quelli che mi fanno
delle rudi lavale di testa perchè non ho ancora trat-
23
. 15 1
LA LI
tal caus
udi e lontanissime dal i am
• delle lettere di pn
S Un che
. iiì'b.i! mai scritto una
li rinv
I n ■■■ io 'li ben sono
si licenziose .01
in l grembo della < Ihiesa :
li pn ipongi ni ■ d' intavi ilare
denza periodica per scambiare 1 no-
neppure gli infelici che chiedono
all'autore prediletto: disgraziati che
dono qualche migliaio ili I ire per riempire un vuoto
povere madri che chiedono il denaro pei
1 . fighi 1. gii i\ ani chi
nunziano la risoluzione d'uccidersi se non otterran-
no un so 1 Disgraziatamente, però, in più d'un
re sono abili inganni, eloquenti
menzogne di scioperati, ili viziosi senza dignità, ili
rami astuti della questua epistolare.
Il De Amicis, finalmente, fingendo che il suo in
per un l mzoniere della fan-
ciullezza il quale gli deve aver procurato multe In
■ li fanciulli, fa dire all'amico suo eh
• tra le più gradite. » Quando ricevo una 1 « -t
ni una soprascritta in caratteri grossi e irre-
golari, in cui riconosco una mano ili scolaretto, mi
rallegro, anche prima ili leggerla Mi Ite sono scrit-
irehde, si tti 1 la 'li ttatura del bai 'I» 1 e
della man t ui ii mi Panni piacere an-
penso che il primo pensiero 'li
li. 1 nella n I piccino. E ve ne
■ ili quelle 1'' sì ingenuamente affettuose, piene
• li così cari spropositi, con chiuse così amabilmente
mi delizio a leggerle e a rileggerli'.
Queste le conservo tutte quante. Sono le sole a cui
ii'lu sempn Ho ricevuto delle lettere the mi
hanno fatto venir le I li occhi, scritte <li
da ragazzi maltrattati in famiglia, che mi
chiedevano dei conforti; ne ho ricevuto da raj
zine che mi domandavano un giud pra un com-
ponimi nto ili scuola, a cui la maestra, secondo loro,
0 un punto insufficiente; ho ricevuto pei
sino delle lettere da ragazzi chiusi in Case di cor-
ne, i quali mi esprimevano il loro pentimento
e il propi irsi linoni ed onesti. Molti a]
! foglio il loro 0 intorno
1 1" nelle mie cartelle
una e ili quesl amiri i-
riguardo spesso ad uno ad uno.. ».
Vi sono, fin letten dei gii ivanetti i
ino con entusiasmo alla vita e all'arte
l'animo col primo scrittore che il
- ere più intinti gli altri.
1 ■ mi sono care quelle lettere, benché io non
trovi più in esse nessuna compiacenza d'orgoglio!
Dio bt bene che fra qualche anno
rei lerà quei giovanetti assai
;i volgeranno ad altri la loro stin
inno sul
I opera mia una ci 1 he forse mi di-
menticheranno. Ma che importa? Amo li, stesso le
loro letten I e amo 1 ■ i- he ritrovo in esse gl'ingenui
e facili entusiasmi della mia nza. le
frasi, le stesse parole ch'io scrivevo allora agli scrit-
•'he amavo, e 1 ngii vanisco al calore della loro
passione. I-i perciò quasi sempn rispondo loro con
la \ ivacità d'un 1 < n e con un si
mento ili dolcezza paterna. .. E 1
scritte cordialmente ila mani rozze, che esprimono
un 0 'li simpal ia con rozze parole ; ri-
spondo agli stranieri che mi scrivono nella mia lin-
i'oii stili- fanciullesco, 'Ielle parole gentili pei
ii mio paese, dicendomi '-hi derano l'Italia
me uni rateila e ohe han letto fon molto
misi : rispondo a tutti quei miei con-
cittadini ''he. .la | .-. mi
scrivono ''In- quali I 1 rivata fini 1 la
come una rondine della patria e ha recato loro un
momento 1 li gii >ia. . , »
Un lago ehe scompare
Uh curii so l' in nulli si verifica nel grande La
Salalo dell Itali, dove le acque diminuiscono li
n 1 nte ma continuamente di al ciò che ite
col In- hanno im]
sulle sue rive. L'ufficio idrografico della Geolopcal
Survey degli Stati l imi ha fatto un'inchiesta dalla
quale non risulta ben definita la '•■! latto.
alcuni scienziati essendo di opini' ne che si traili
di un lem un. in . tempi iraneo e suppi nen
stano dei periodi di magra e di | iena alternali, cor
rispondenti a periodi di scarsa 0 abbondante pn
pita/iotie atmosferica, come nel caso di II .0 an/. 1
mento e indietreggiamentq dei ghiacciai alpini. Al-
tri invece suppongono ohe il fenomeno sia perma-
nente e dovuto a cause diverse tra le quali il di
sboscamento delle montagne intorno, la Utilizzaci
dei lerretiti per le industrie. n'C
Il petrolio sostituito al carbone
Il primo esperimento di sostituzione del petrolio
al carbone, come combustibile per le navi, e stato
latin su grande scala a bordo del vapore Murex
della Shed Line, che fa servi/io ira Singapore. Città
del Capo e Londra, La nave che consumava circa
25 a ,'j tonnellate di carbone, a seconda della qua-
ha bruciato dopo la trasfi mia/ione dei suoi
focolai, 17 a iS tonnellate di petrolio, imi
! tratto Singapore t 'ittà
Capo ini per il tratto Città del ('apo-I.on
dia. Il petrolio era americano e veniva bruciato tal
purificazione
I .! 1 !i mi lagnia dichiara che. sebbene al '• a
Mito anche un vantaggio finanziario dalla prova.
ni'i.n ia ' mi ilio infei ii re al \ antaggii 1 del
minor peso del combustibile da portate e della
edita di 11 ulti i pili piccoli spazi dispi
liili nella nave per trasportare il petrolio, men
non farebbe possibile in essi mettere carbone.
DALLE
Per la difesa di Roma
D.i un articolo ili Lina Beltramo nella Rivista Moderna,
del i marzo).
L'autore omincia ol notare che nelle odierne
manifestazioni degli artisti si osservano spesso delle
incoerenze, per le quali, nell'elenco dei gelosi difen
>ori dell'ambiente storico e della nota pinone;! a
[VISI
355
Pero «rendi i 1 un: i everi . l'autore ha o
rato le recenti opere 'li difesa contro gli straripa-
menti del fiume, non soltanto dal lato della utilità,
meho da quello dell'estetica, ed ha visto con gli
occhi della mente e, .me la rigida linea del mura-
le di sponda, quando la sistemazione del I e
vere sarà compiuta, toglierà crudamente la scena
che si svolge dinanzi a ehi sta sul parapetto del vec-
chio l'onte Sisto.
Tempio di Vesta Cloaca
S. Maria
in Cosnielii
Verona, in quella Piazza delle Erl>e ehe è stata mi-
nacciata di vandaliche ricostruzioni, si possono scor-
gere nomi di molti i quali certamente conoscono
Tempio
dilla t-ortuna virile
Allo sbieco del ponte in Trastevere, si eleva
sulla massa del muraglione una casa moderna, colla
vacua pretesa dei suoi cinque piani, nota stridenti-
Tempio di Vesta
Tr'fr^
Janni
Pome Palatini-
Cloaca Massima
Doro I.A SISTEMAZIONE.
Roma, ed all'ambienti
'eristiche di questa città non. darebbero il li
ti ressamento di fronte ad una ben più grave mi-
a che pende su lei.
i moltiplicata fi pò dietro ad alti
mili alveari umani, l'incantevole panorama del Già
nieolo è destinato a sparire. Nella mente dei mo-
derni edili è germogliato il progetto di porticati
.;.">
LA I ETTI RA
della lunghezza di circa tre chilometri, da Ricetta
a Ponte Rotto, « novità ». dice la Relazione del
I iano regolatore 'li Roma, « la quale non avrà ri
altre città attraversate da un pumi
l'edilizia, osserva il Beltrami, anziché pro-
are quanto <li bello e 'li utile già
lebba tentare ciò che altre
non vollero fare, molto probabilmente per la pre
vidente cautela 'li evitare un grossolano errore. Or
che pende su Roma, l'edilizia indegna 'li lei trion-
ferà, spadroneggiando in una fra le più ;
zone della i ttà eterna I . ino erenz i non i -- ili
gli artisti, ma anche in coloro che dovrebbero avere
la coscienza della propria responsabilità nella
rezione della cosa pubblica. Rileggendo le discus-
sioni intoni" i mi i ilatore che rendessi
ma degna del suo rinnovato compito ili capitali
1 1 . i\ a una nota d'idealità, un desiderio del Ix-lln. un
Ponte Margherita.. — Veduta <li Monte Mario, nascosta dal Lungotevere.
sono gli artisti solleciti e gelosi dell'ambiente
stoni pittorico, nemici <le' vandalismi? l'erchè
i i il al/ani. la voce contro le sopraffazioni del piano
regolatore romano?
Un frammento ancora genuino «lei pittorico pa-
norama si trova verso l'isola Tiberina, al disopra
proposito di cose grandi Ma tutta questa idealità,
all'atto pratico, è destinata a rimanere fatalmente
allo stato topografico: gl'ingegneri idraulici soprag
giungono, e in nome di una salus -public a che pre
ventivamente ritengono incompatibile con quals
concetto di decoro pubblico e di estetica, s'imposses
Pome Ponte
Simo G-»rib.ilJi
l'unlc I
l'unte Pabricio
i d'I muraglione degli Anguilla-
ia . mi più a valle del fiume, subito dopo il ponte
Palatino prodotto non meno genuino del
gneria moderna, che \m consesso di ingegneri arrivò
a definire <• strano per là dii t ne, pei
il ni tgerati • di Ile pile, oluta pò
verta di I i riti dell'. e
Roma s ini nte un altro saggi"
del lutino Lungotevere, un casamento torreggiarne
n,i suoi sei piani, quasi .1 schernire il tempio di
i dieti i ia arginatura
dell'opposta sponda, più non si specchia nel Tevere.
Se non si saprà intuire ,• valutare questa minaccia
.ni" della zona solcata dal Tevere, vi spadroneg
giano, battono in breccia le fabbriche lungo la riva
a chilometri di muraglioni in travet
tino. Poi, quando si crede di avi assicurate
le sorti della città, si lasciano i ri delle aree
espopriate in balia di un'altra squadra di caponu
Stri perchè si compia una seconda arginatura di ni
samenti, destinata ad assegnare a Rema l'aspetto
di una i ;,,,i qualsiasi, attraversata da mi fiume «pia
lunque. Intanto a ridussi, del Colosseo, delle Terme
di Caracalla, della Mole Vdriana, si permetteva che
sorgessero i saggi della nuova edilizia materiata 'li
fango; e non solo disparve la Villa Ludovisi, ma
DALLE RIVISTE
altre ancora, e se una piazza nel centro della città
tu beneficata dalla disposizione di uno square, ciò
avvenne solo per inattesa munificenza di uno stra-
357
tisti. ma da idraulici ». Queste parole potranno suo-
nare sgradite, ma sono la schietta aspira/ione verso
un maggior rispetto ed una più efficace preoccupa-
l.uugolcvcre
inizialo
Tonte PaUtino
,! \
nieiu : intanto i vecchi ruderi rimasero abbandonati
all'incuria, le memorie storiche cedettero il campo
a nuovi edifici senza carattere, e appena fu tolle-
zione per ciò che è o dovrebbe essere il nostro mag-
gior titolo di gloria; ed è bene che vengano ila Ita-
liani prima che da stranieri. L'autore conclude e-
II Tevere, a valle d
rata la torre degli Anguillara.
Isola Tiberina, prima della sistemazione.
sonando gli artisti e i cittadini tutti a mettersi al-
rata la torre aegn .-\.nguuiara. sonando gii artisti e i cittadini ium a incuci m ,u-
Il Beltrami fa sue le parole di Angelo Conti, il L'opera affinchè, scongiurati i pericoli materiali che
quale ha scritto rhe « la tradizione sembra perduta. per secoli minacciarono e offesero Roma, la siste-
Pala Farnese
Inizio del Lungotevei
Inizio del Lungotevere
tello Sanzio
e noi ai posteri lasciamo edifizi fatti, non da archi- inazione del Tevere non sia condona a termino con
tetti, ma da ingegneri; statue fatte, non da scul- un danno irrimediabile per l'integrità morale di
tori, ma da pupazzettai ; fontane fatte, non da ar- Roma.
LA LETI IRA
hi/ di la e le Forze Occulte
Vi nos i "il' resse
di * i 1 1 1 1 i • » Blois nel Maini
Di Là ed .il U ■ I ulte, non
li ultimi articoli 1 1* - 1 pubbli'
lo più che sono i ra i più ni itevoli fi-
i | ubbiicati.
Ilo nel quale egli si intrai
Iella
Alchimia moderna.
Il i : conosciuti ' delle pere
a questi lumi di luna, fanno dell'alchimia come
in pieno medio evo : uri certo P un
il a nome Tiffereau. Quest'ultimo riuscì una
ibbricare l'oro, nel Messico, e mostra an-
la polvere di I sui • Parigi si - a
stenuto dal ritentai'- la pn . dice, lana
parig ni iferi ».
\l vani altrettanto devoti alla scienza
ito allo spiritualismo, hanno ripreso le vecchie
tradizioni ili Nicola Fla fondata la Società
olchimistica di Francia, sotto la presidenza ilei si-
elot, trattano nei crogiuoli X'atha-
I . i sei le di a Di uà i, nella \ ia Saint-
\. Ila biblioteca si trovano i libri ili Paracelso,
■ li Eliphas Lévy, ili Strindberg, ili
Lavoisier e del colonnello de Rochas. In mezzo
storte, ai tubi, alle fiale del laboratorio, si ag-
no ii presidente follivel Castelot, giovane eie
e e pallido, e i due suoi assistenti, il signor De-
i nella meccanica, e il signor d'Hooghe,
poeta e filosofo d'ingegno. In un angolo si vede un
obice d'acciaio, posato sulla punta: è 1 « uovo ti
un o pei ii" ■' i di tubi all'apparecchio
Cailletei per i izione dei gas: nell'obice si
inanella l'argento messicano a bassa temperatura.
« L'athanor classico ». ha detto il presidente a
Giulio Blois. « '■ stato sostituito ila un forno a due
luci. La temperatura non \i oltrepassa mai i ,;oo
ulte ' erti regolatori, i ■ nuta
re eguale l ristica delle reazioni è
fattoi ni' : l'Energia e il Tem
1 .e reazioni studiate dalla chimica ufficiale sono
i che deve ] irodurre
dura, al contrario, interi mi
i ilesiiler in ili [ualcuna delle
k razioni, il redattore ilei Maini fu
[1 presidente gli mise dinanzi una
alquanto nana, d'un violetto cupo con
punì I gli 'lisM-. iCi
rivelami ne. L'abbiamo a
i chi non vuole far conoscere il
i II- ghe osservò: < Ari
Quando, nel [618,
la trasmutazione
[elmont, p la pietra bella
i menti ». Dopo
e spiegazioni, il Jollivel prese del mercurio.
ilei piombo, dello stagno, li fuse in una n
■.. ,in frammento della pietra filosofale; e al
lora il Blois assistè ad una operazione verami
misteriosa: il metallo s'ispessì, si contrasse e alla
sua superficie si formò una | edicola dorata . Ma la
trasmutazione non si compì interamente: l'amai
n' risi lise ni un | i uello
_h antichi alchimisti chiamavano la coda di /></
vone. Il presidente spieg L'oro si i formato.
ni. E' Inni provvisorio, l'oro /w>
. noi cerchiamo adesso l'oro stallile, e non ili-
speriamo ili trovarlo.... Dopo tn il forno
andava giorno <■ notte, un brusco raffreddamento,
causato dalla negligenza d'un inserviente, '
piare lai ina l'operazione nini e tallita
interamente ». lai i I
ili crosta bianca e friabile, spiegando: «Questa ma
. dopo all'une manipolazioni, avrà la virtù «li
trasmutare in argento gli altri metalli... » 1.
il oghe aggiunse: n Abbiamo ricominciato
l'operazione, e se la fortuna questa volta e
o fra qualche mese 'li mostrarvi la prima
d'oro artificiale ».
Sally Ppudhomme ed Easapia Paladino.
romando dall'alchimia allo spiritismo, il Blois
narra un'altra intervista: quella chiesta ed
nuta. Con Sully Frullili mime, il poeta 'li cui
recentemente parlato per il premio NToebeh una
parte del quali egli ha destinato in premi ai
vani suoi confratelli,
Il poeta ha narrato che la sua sorellina quando
egli era fanciullo, dimostrava 'li possedere facoltà
i strane: appena posava le dita mi qualchi
getto, questq girava su sé stesso, fosse anche una
tavola molto granile e pesante Ultimamente Sullj
Prudhomme ha fatto parte degli sperimentatori ili
Auteuil: cinque o sei scienziati e curiosi, i quali fé
cero venjre il medium Eusapia Paladino, quella
sii ss. i ibi- ha fatto tanto parlare ili sé a Genova
« Eusapia si è seduta dinanzi a una tavola a
ta centimetri press'a poco d'una tenda in un angolo
• Iella la: ella voltava le spalle alla tenda \'"i
guardavamo attentamente le mani e i piedi ili lei.
mila mezza Une. Dopo un'attesa abbastanza lunga,
un pesame sgabello si e avanzato 'la solo verso «li
Si i sollevato per aria, poi si è posato sul
\nla.. In. il/ai la mani'. Me li sentii afferrare.... Ri-
cevetti sulle spalle uw colpo secco; la seggiola mi
si s ■ .. mi sentii tirate i capelli e spil
la testa verso la tavola Suite i miei occhi una chi-
tarra ha passeggiato per l'aria senza che nulla la
nesse. Alrune note si un- USI
ila altri isirumenti musicali. I>ietr" ili me. sulla
mia testa, i miei compagni hanno visto delle '
ili mani debolmente luminose: sembravano usi-ire
dalla tenda gonfia per un soffio misterii ■■ I
pareva soffrisse ad ogni produzione dei feno
ineni. Pareva che tu- traesse -h elementi 'lai proprio
rato fisìoli ii i M he più m'ha forse
DALLE RIVISTE
ÓDQ
5
d
e:
impressionato è stato, inumilo la seduta era .
nita. una poltrona, r. - al i dietro la tenda, che si
è messa a un tratto a con Eusa-
pia... R aia., l'idea di questi
trona automobile mi tornii mi produceva ini
io, quasi un'ossessione da incubo... » Sully
Prudhomme eselude una spiegazione fisica ili que-
sti fenomeni; la frodi inverosimile; «ma»,
soggiunse. « negherei qualunque attitudine -
Bea a chi. leggendole dichiarazioni che io ■
a voi, credesse sulla panila, senza avere espei
tato a sua \ i (Ita ».
[nterrogato intorno alla elepa ia, il poeta ha i aj
•i fatti raccolti in proposito da una S
inglese; la quale ha proceduto con tanti scrupoli
che si può e si deve credere alle verosimiglianze
«ielle sue conclusi, mi. i Per me. un dotto che neghi
la telepatia è infedele al metodo scientifico». Intorno
allo spiritismo, ha detto che non si sente in istato
da contestare l'esistenza dei fenomeni; ma le de-
duzioni che se ne ricavano sono viziate dall'insuffi-
ienza . dall'ambiguità delle definizioni iniziali. « A
mio avviso, per la salute dello spirito umano, sa-
rebbe caritatevole che una Commissione composta
d'uomini il cui spirito scientifico fosse superiore ad
Ogni si spetto, stabilisse, in materia di scienza psi-
chica, un vocabolario che non ammettesse critica.
Ora. per fare così, bisognerebbe dapprima istituire
scientificamente delle esperienze di psichismo; ma
questa verifica è inapplicabile ; ed ecco perchè. Slip
poniamo (cosa che non possiamo negare a priori)
che esistono esseri spirituali fuori dell'umanità. Non
ci sarebbe ragione — specialmente se debbo credere
a coloro che hanno esperimentato, come il mio
amici i Sardou — perchè questa razza misteriosa
non formicolasse di impostori e di burloni, visto chi-
ne esistono in un mondo chiamato terra. Non sa
rebbe impossibile che questi esseri, offesi dall incre-
dulità e dalla mancanza di fiducia della Commis-
sione sperimentatrice , rifiutassero di rispondere.
Quindi un circolo vizioso, poiché il loro silenzio
non proverebbe nulla...
L'ooinione di un musicista.
Dopo Sully Prudhomme, il Blois ha inten
Vittorino Joncières. autore applaudito di due 0]
musicali: il Dimitri e il Lui ■.> La buona fede
di questo artista, avverte il ci ' ore del Mutui.
è assoluta e indiscutibile: avvertimento necessario,
attesa la straordinarietà di ciò che dice di aver vi-
l'intervistato. Questi ha cominciato col dichia
r.ire che la credulità degli spiritisti di professione,
le precauzioni di cui si circondano i medium, lo a-
\ esano disingannati) e deluso; quando, in provin-
cia, facendo un giro d'ispezione, una signorina, ac-
compagnata dalla madre, gli chiese un'udienza, e
nel corso della conversa -lue donne dissero
che erano spiritiste e, accogliendo la preghiera del
Joncières. lo condussero in casa d'un certo M-... il
quale volle dapprima che il musicista gli promet-
tesse di non rivelare il suo nume, e poi gli presentò
una sua giovane nipote, il medium cui si attribui-
scono i fenomeni che avvengono in quella casa. La
nipote di M - è una ragazza da quindici a sedici
anni, piccola, bionda, linfatica, con grandi rechi az-
zurri, l'aspetto dolce, calmo e più imido: è
religiosissima, distribuisce nastri e croci ed ha Minila
paura del diavolo. Vittorino Joncières fu condottg
in una gran sala dai muri nudi, nella quale si tro-
vavano riunite una dozzina di persone, il professore
di fis eo tra le altre. In mezzo alla sala si
trovava un'enorme tavola di quercia pesante più di
o chilogrammi, sulla quale erano disposti della
cai a. una matita, un organetto, un campanello e
una lampada accesa. A un tratto si udì un brusco
i anto nella tavola, che nessuno toccava, tutti es-
sendo disposti intorno, tenendosi per mano. « Spi-
« fu domandato. Un colpo violento e-
cheggiò. La ragazza, appoggiò le sue manine sul-
l'orlo della tavola e pregò gli astanti di fare altret-
tanto. E quella tavola così pesante si alzò tanto
da terra e sulle teste dei presenti, che questi furono
costretti ad alzarsi per seguirla nella sua ascensio-
ne: si cullò un poco nello spazio, e poi ridiscese
lentamente al suolo dove si pi so senza rumore. Al-
lora M... andò a cercare un disegno, lo mise sulla ta-
vola, vi collocò vicino un bicchier d'acqua, una sca-
tola di eolori e un pennello Poi spense la lampada.
La riaccese dopo due o tre minuti. Il disegno an-
cora umido era colorato in due toni, in giallo e in
azzurro, senza che nessuna pennellata avesse oltre-
passato le linee delle figure. Se qualcuno degli a-
stanti avesse colorato lui il disegno, come avrebbe
potuto, al buio, esser cosi preciso;-' Nessun altro
potè entrare durante l'oscurità, perché la porta era
ermeticamente chiusa; né, durante l'operazione, si
udì altro rumore fuorché quello dell'acqua agitata
nel bicchiere.
Dopo questo pino esperimento, si udirono nella
tavola dei colpi corrispondenti alle lettere dell'al-
fabeto. Lo spirito annunziò che si disponeva a pn
durre un fenomeno speciale per convincere perso
■talmente il Joncières. Ordinò che si spegnesse la
lampada. Dall'organetto si sprigionò un motivetto
grò, tempo otto sei. Api ina ultima me
ta. M... riaccese la lampada, e allora sopra un lo-
glio di carta da musica che era stato disposto vicino
l'organetto si trovò scritto ■ il motivo
prima udito. Sarebbe stato impossibile che uno de-
gli astanti lo avesse scrino nel buio perfetto, E
irsi sulla tavola si videro tre freschi fiori di mar-
gherita. «To'!» fece M.... « sono quelle del vaso
■ in fondo al corridoio. La poi a che dalla sala
delle operaz m mi i /a in |uesto o rridoio era seni
pre rin ista chiusa: apertala, tutti andarono pri
il vaso delle margherite, e si trovarono gli steli dai
aiali i tre fiori erano stati recisi. \I i
la parola allo stesso Joncières: « Appena ritornati
i sala, uno spettacolo inverosimile mi art.
il campanello che stava sulla tavola sinn.il/
[landò tino al soffitto, poi ricadde bruscamente,
ta M.ha il prodigio avveniva in piena luce. La
luta fu veramente penosa, Un freddo
uso. percorrendo circolarmente la sala, c'imp
... alle mani. La ragazza esclamò con la faccia
JOo
LA I 11 i I
stravolta : l spirito, l'i li '.....
ie ella lottasse contro u invin-
cibile [o afferrai una delle sue mani nelle due mie,
mentre il professore si impadroniva dell'altra Ni
ni si tri sfi 'iv la fu io
I suolo, ed io stesso, .1 un certo punto,
sollevata da tei ra. Ah '.
Ila; mi ha morso! E, svincolando la sua
mano sinistra, ci mostrò una morsicatura sangui-
mpronte dei denti. Basta! disse al-
. usciamo da anza : potrebbe
sgrazia, lì domani 1, è sempre Vit-
torino Joncières che 1 aria, «andai a far visita a M...
M nella sala da pranzo. Dalla finestra
spalancata un bel pugno inondava la sala
con la sua luo nte. Mentre parlavamo sal-
tando di palo in frasca, una musica militare echeg-
a lontano. Se qui c'è uno spirito, dissi io ri-
dendo, » dovrebbe accompagnare questa musica ».
dei colpi ritmici, seguendo esattamente la
cadenza d<>! 1 elerato, si udirono nulla ta-
vola. (Ili scricchiolii svanirono a poco a poco, con
un decrescendo abilissimo, a misura che si perde-
vano nella lontananza le ultime sonorità degli ot-
toni. In buon rullo per finire! - dissi io» quan-
do furono spente del tutto E un rapido rullo ri-
si ■ se alla mia domanda, talmente violento che la
lave la ne tremo sulle gambe. Vi posi sopra la mano.
ed io sentii nettissimamente le trepidazioni del le-
1 da una forza invisibile. A mia richiesta,
la tavola fu poi rovesciata ed io mi diedi al più
to esame del mobile e dell'impiantito. Non sco-
persi nulla... »
Dop verdi 1 tuttequeste cose al Blois, il J«»n-
5 prese le lettere nelle quali M... gli riferiva
vari leu. unni osservati in altre Sedute. In una di
queste lettere M.... raccontava che il thè era
servito ila una mano invisibile che dirigeva la te-
iera e co Imav .1 le tazze... Poi, a domanda del rei
ture del Maini, il musicista disse che era ritornato
una volta nella città dove sta M... « Arrivando alla
iridi da lontano M... che mi salutava trion-
falmente, con un pezzo di carta in mano. Quando
su quella carta il numero del
mio vagone letto a distanza da sua nipote. E una
frode ira molto difficile; perchè M... credeva che
io tossi partito da Parigi la mattina, mentre io mi
ero fermato per via. I.a sera, un impiegato teli
fico □ la figlia alla seduta; il figli
rimasto a casa. I soliti colpi echeggiarono nella ta-
L'imp ito rio mi bbe il lii che si a-
dopera 1 fo Morse. Egli divenni pallidis-
simo Mi si annunzia disse che mio tiglio
nalissimo. ne andò immediatamenti E
il dom. mi lo seppi che aveva trovato suo tiglio con
un attacco di polmonite. Il Jon
da quella tra i quali un'immagine
di Satana. Ei llto 1 |UI Sto di»
\1 uà In un
dinanzi a lui dei pezzi di gesso; ri-
filandosi, aperse i due battenti: sopra uno di
1
udendo, il J. |
.-ione di quesl 1 fi nomeni, ha detto: •■ Vorrei
che fossero opera degli spiriti, ma sono nel dui
assoluto. Aggiungerò che numerosi fatti mi hanno
dimostrato l'esistenza del corpo astrale, e che ho la
convinzii me della v ita immateriale, ci ri la p esibì
lità di comunicare coi disincarnati. Disgraz atami
vi sono molti burloni e molti burlati, ed è assai
difficile distinguere la verità dall'errore nello stato
attuale delle investigazioni, fatte anche con la mi-
glio] lede del mondi ».
Opinioni di un pittore e di un romanziere.
La serie degli articoli nei quali il Blois ha nar
tutte queste co, e ,- stata letta con vivo mioc-^-
dagli assidui del Maini, alcuni dei quali hanno
scritto al collaboratore di questo giornale per sotto-
porgli certi casi singolarissimi. Fra costoro s'a Al-
berto Besnard, uno dei più potenti e originali pit-
tori moderni. Anch'egli fu tentato dallo spirituali-
smo, e con la moglie assistette a Londra a qualche
seduta. Come un altro pittore, fames Tissot. aveva
dipinto i fantasmi materializzati dal medium Kglin-
ton, il Besnard ha saputo dipingere graziosi fan
tastiti. Egli ha scritto a Giulio Blois per riferirgli
una storia udita ripetere, durante l'infanzia, da un
signor B.... del quale ha la più gran stima, e che lu
testimonio oculare del tatto. Era il 13 luglio l8j2;
la moglie del signor II... agonizzava, per una ma
lia acuta, durante la quale l'avevano SOttOp sta alla
dieta. L'inferma non mangiava da quattro o cinque
giorni. Suo marito e un'infermiera stavano al suo
cape//. ili-. Frano le due. ■ Da mezzogiorno ». scrive
il Besnard al Blois, • ella era .iss,,piia ,-, me si
piscono i morenti, quando tutto a un tratto ella si
Jia in sussulto, si mette a sedere sul letto, i
sciama, ansante per lo spavento: ti Dio. che di-
Sgrazia! Il Duca d'Orléans si e ucciso. — Senza
I ronunziare una parola di più ricade sul guani
dovei ripresa da un sonno comatoso. Notate che,
per paura del contagio, perchè credo che si tratti
di colera, nessuno era stato ammesso dinanzi a lei
dall'inizio del male L'infermiera non l'aveva la-
sciata dalla notte precedente e nessun rumore della
\ la .ima a potuto .inn are al su- Stupiti
dal suono brusco di quelle parole nel silenzio e nella
solitudine di quella camera, il li... e l'infermiera
si domandavano, vedendo quel corpo r
inerte, se la fatica d'una notte di viglia non li aveva
ingannati, quando il medico, entrando alle tre per
ia visita quotidiana, disse loro: Xmi sapete la ni>-
tizia? Il dui Orléans si , ucciso a Neuilly sulla
:.i della Rivolte 11 suo cavallo, la sua e. e
za.... equi tutti i particolari sulla morte del pri-
llilo di luigi Filippo. Il signoi B... non potè
I ir altro che rispondere al medico: Dottore, noi
lo sappiamo da un'ora. E voltandosi verso il
letto dove l'ammalata 'ornata al SUO assopimento
mori a le. sembrava ormai incapace d'un l
giunse: E lei quella chece lo ha appres I
mio caio Blois, la Storia che vi avevo promessa. Il
signor B... è Giovanni Brémon, il mio vecchio n
DALLE RIVISTE
3e>]
stro di pittura ; la giovane signora che morì il do-
mani, sua moglie; e il medico che la curava si chia-
mava Vidal, e godette di qualche notorietà ».
A questa lettera d'un pittore, il Blois ne fa se-
guire una di un romanziere. Giovanni Rameau ; il
quale, deluso dai teosofi e dai medium, scettico in
fatto di spiritismo, crede però ai presentimenti o
alla telepatia. Come lui, molti spiriti serii hanno
abbandonato ai fanatici ed ai ciarlatani le ricerche
sugli spiriti dei morti per passare allo studio del-
l'anima dei vivi. Egli narra i disinganni provati
quando scriveva versi per le riviste teosofiche e fre-
quentava i Magi ed evocava nella penombra gli spi-
riti disincantati. Una volta, uno dei suoi compa-
gni d'esperienze, che era promesso sposo d'una bel-
lissima fanciulla, ricevette spiriticamente da lei un
apporta di fiori accompagnati da una poesia tene-
rissima, piena di luci di stelle e di profumi di fiori
mistici. « Mi chiesero che cosa pensassi di quella
poesia. Dichiarai che mi pareva molto bella e asso-
lutamente degna delle sue origini eteree, ed eccitai
i miei amici teosofi a pubblicarla nella loro rivista.
La pubblicarono infatti. Otto giorni dopo il diret-
tore della rivista ricevette un reclamo di Armand
Silvestre; l'autore dei versi celesti era lui! » Ma,
nonostante , il Rameau riconosce che la scienza
ufficiale è ancora giovanissima e che essa non cono-
sce ancora la millesima parte di ciò che i nostri di-
scendenti conosceranno un giorno. Egli non ha os-
servato personalmente fatti di seconda vista e di ri-
velazioni telepatiche, ma un suo amico nel quale ha
fede come in sé stesso gli narrò che durante alcuni
anni fu amato da una giovane signora molto mi-
stica e piena di fede nella telepatia. L'amico era in-
credulo. La donna giurò che lo convertirebbe, e per
ciò gli promise che si sarebbe rivelata a lui. di
tratto in tratto, quando si sarebbero separati: ella
avrebbe fatto sentire la propria presenza col suo
lieve soffio sulla fronte di lui. « Ora l'amico mio ».
sciive il Rameau. « che sembra ribelle a tutte le
suggestioni, assicura d'aver realmente sentito que-
sto soffio nelle ore in cui la signora pensava inten-
samente a lui, a duecento leghe di distanza. Vi ho
detto. » soggiunge sempre il Rameau. « che perso-
nalmente io non sono stato oggetto di comunicazioni
telepatiche. C'è però una cosa che mi turba: ogni
volta che penso violentemente, e senza ragione plau-
sibile ad una persona perduta da lungo tempo di
vista ed anche dimenticata, sono quasi sicuro che
questa persona mi sta scrivendo in quel preciso mi <-
mento. Infatti, ventiquattro ore dopo, ricevo gène
Talmente una'sua lettera. Ho fatto questa ossen
zione più ili venti volte, ed essa mi lascia tutte le
volte sopra pensieri.
. <IIH ■
Un archivio fonografico a Parigi
Giunge notizia da Parigi che quella Società ani To-
pologica ha installato in una delle sale del Museo
Broca una collezione di 400 fonogrammi eseguili
dal dottor Azoulet durante l'ultima Esposizione di
Parigi.
La Società ha approfittato della presenza a Pa-
rigi di migliaia di forastieri di tutte le parti del
mondo per fissare sui cilindri dei fonografi i vari i-
diomi che si parlano nel mondo. 11 dottor Azoulel
ha raccolto frammenti di discorsi, di racconti, di
canzoni, di musica, che furono recitati da persone
appartenenti alle più variate razze umane.
I 400 cilindri riproducono rosi le lingue di ogni
specie; dialetti cinesi, tartari, siriaci; rome canzoni
quelle di arabi, di negri Iolof, di etiopi, di suda
nesi e di Madagassi.
Anche le lingue europee furono raccolte e con
esse i vari dialetti francesi, italiani e spaglinoli. La
Società antropologica dà una grande importanza
per scopi linguistici a questo archivio fonografico.
1. 'istilu/ione di un simile istituto fu iniziato già
da molto tempo dall'Accademia delle scienze ili
Vienna.
I più vecchi giornali francesi
dei
za
ad
1.
9'
io
T I
12
'3
M
'5
16
1 Menare de France porta la seguente lista
più vecchi giornali francesi che sono usciti sen-
interruzione dal momento della loro nascita sino
oggi :
Petites Affielies (Paris. 1612);
- Gazctie de France (Paris. 1631) ;
- journal de Trévoux (1701); il Mera/re de
Frane e osserva che il vecchio giornale di Tré-
voux. un organo letterario critico pei scienze
ed arti, morì nel 1767 e che quello pubblicato
ancor oggi sotto lo slesso nome non può essere
una continuazione diretta ;
- journal du lìavre (1757).
Petites Affie/ics de la Gironde (Bordeaux,
1758);
- journal de Roueu (1762);
— L'Union d'Yomie (Sens. 1771 1.
- journal de Maine-et-Loire (Angers, i77.ì);
Mouileur Universe! (Paris. 1784);
- journal des Débats (Paris. 1789);
- Courier du Lo/re/ (Pithiviers, 1780).
- journal de l'Oise (Beauvais, 1700);
- Le Re public a;u de Seme et Marne (Melun.
179°);
. - Journal de Lot et Garonm (Agen, 171)1):
-journal de Meurilie et Uoselle (Nanq
1797 );
Journal d'Indie et Loire (Tours, 1797).
Il eosto d'una guerra
11 signor Morgan Browm nella Fortnightly Rt
va calcola che "al 31 mar/o di quest'anno il co ti
della unerra anglo-boera sale per l'Inghilterra alla
cifra di franchi 4.310. 125.000. Durante l'anno li
nanziario in corso si spenderanno Ir. 1.750.000.000.
La paga delle truppe implica una spesa di 625 mi-
lioni. Le truppe coloniali costano il doppio di quelle
inglesi.
LA 11 ITI R \
Una repubblica di
negli Stati
ragazzi
Uniti d'America
: Wclt, del
Qual La coei
ripetuta li provo ato sempre
u sintetizzano 'lue opposti sistemi
ite la bontà è la dol-
ina l'Ili' ilo].
loro anima stessa i principi educativi: :ii Mini
ioli amministrati, volendo un giorno fare un ■
roso, dichiarò che essi dovevano meritarli
lavoro. Fu il principio della geniale e fortunata n
pubblica stabilita così sull'emulazione vicendevole
e sulla grande idea i he il popolo deve sapersi gover
la sé. I con tale sistema egli seppi
uomini onesti e 1 < >ri i da piccoli delinquenti sor]
ne Ile \ ie quasi dinanzi alle i e delle can
Il lavoro è l'anima di tutto l'ordinamento della
microscopica repubblica; esso frena l'irruenta lira
ma di lib inile, esso figura come l'unico di-
I n ragazzo detta una li tti i a.
po n pi mpre così. Vbbiami i perì -
o recentemente uno splendido caso di auto-edu
lì ' i pi i - 1 1 nsì \- i . Il
dunque una menzione, oggi spe
lità dei imi imi asi ende e
le in nio.lo gpavenl
noi Georges, in Freeville, negli Stati Uniti,
ndato una pii ola repubblica il cui reggimento
netti Mia si rana fondaz
egli non i-enne certo d'un tra i lo dopo aver
diversi tentativi di educazione. Gene
ondatone di n pub
un giorno due fanciulli abbandonati
sul lastrico di New Vork, li tenne con sé e li con
Ma un giorno gli brillò l'idea 'li
m/i i .li cercare mi fondi ■ della
riitn di vita civile, giacché solo i hi lavora ha la sua
pam- nella gestione pubblica. J.a nota massima
pubblicarla che il popolo sia meglio sotto le i
che egli stesso ha creato, è applicata ui tutta la sua
più larga interpretazione 1 ragazzi (tutti dai io ai
18 anni) hanno quindi il diritto 'li reggersi da
di modellarsi le proprie guarentigie costituzionali
e parlamentari e tutti studiano, e tutti lavorano
pensando che oggi sudditi potrebbero domani divi
nire presidenti della fortunata repubblii i Essi bau
ni ■ un Pai lamenti i di >ve discuti >no e vei • ■ rn
di parole, hanno le elezioni politiche, dalle quali
Mino sorgere forti del suffragio dei sudditi i loro
capi. Né mancano i giudici austi i né la
polizia di Sialo, sguinzagliata quando occorre alle
calcagni- dei delinquenti.
f 4>
«k*»
Una stanza del Palazzo governativo.
aofetaanój-
,Wi
: , I
*
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^ < ". , f
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1 «
!-^m ■
ì .PTÌnrìf r\ì un «■•».: *»
.'>i>.| LA LETTURA
li abituali dei cittadini sono 1<> stu-
dio «• il lavoro nei campi sotto il bacio del sole.
Con tal regime 'li \ • -.'-rvò il consolante fé
nomeno del ritorno degli allctti e delle memorie do
• in- in individui nei quali il pensiero della Fa
'li 'li larj Vnche gli amici del ( I
dovettero constatare l'efficacia del sistema auto-
didattico ed è per tutti di 'grande interesse etico-pe
dagogico-sociale il ricordare gli splendidi risul
ottenuti.
La consegna d'un delinquenti.
miglia era <jiiasi spento, cosicché gli antichi piccoli
ibondi, che forse non avevano conosciuto i geni-
tori, sentivano sorgere prepotente il bisogno della
con m epistolare q 'ti essi.
La repubblica fondata nel 1895 raccolse, in cin-
que anni, iiy ragazzi, divenuti tutti migliori e me-
Del resto, gli affari della repubblica lillipuziana,
prosperano* meravigliosamente: essa ha già tanto
credito che potè contrarre un prestito, mentre molte
dame americane si sono costituite in un comi!
l rotettore, sussurrando :
- Ceque lemme velit. Dieli le vcut.
Il bimbo in fasee e la sua eulla
(Da un articolo 'li Mary Oberbeg nella (/'■./.. del primo
mai
affinchè il bambinello abbia sempre vicino a
si un amoroso custode, molte madri tanno, per vari
i, una vita veramente da schiava. Ma che ■ 1 i rtl >-
bero queste donne, piene d'abnegazione, se sì mo-
appunto il loro tropj o zelo <■ spes
della debole condizione «li salute del pie
Spesso si . sserva che nelle Limigli'- | ■•
poiane i piccini, malgrado le dilettose iure. -
più sani de' rampolli, guardati a vista, dagli abbienti.
Ed anche più giudiziosi, sono per lo più, i bimbi in
fasce della genie che poco se ne cura. Le donne
che tutto il santo di lavorano Inori di casa. 1
mente sono disturbate di notte dal pici-ino. I --■
non l'hanno \ inamente cullandolo, tenen-
dolo in braccio o portandolo a passeggio in carro/
/ella. Se il popparne r da\ vero indisposto non I"
si addormenterà né cullandolo n<- scarrozzandolo in
nessun modo. Ma se sia Une. ogni SCOSSa e non sol
tanto superflua, ma dannosa.
A quei trattamenti barbarici, sempre con la ni
DALLE
gliore intenzioni-, assoggettano i Iure bimbi le doti
ne aurora ilei secolo decimottavo ! 1 poppanti veni-
vano stretti ben bene nelle fasce, affinchè non potes
sero muovere alcun membro. Immobili come un
pezzo di legno dovevano giacere fra cuscini e co-
perte. Erano de' veri martiri dell'amor materno. ] .e
madri e le balie si portavano que' pacchi viventi nel
proprio letto. E centinaia di que' poveretti vi peri
vano schiacciati, soffocati. Ma anche sino a' giorni
nostri si è conservato, in parecchie contrade d'Eu
ropa, il barbaro sistema del fasciamento de neo
nati. Cosi, per esempio, nella Francia meridionale,
dove i piccoli esseri, durante i primi dodici mesi ili
vita, giacciono immoti nella loro fasciatura da mum-
mia. Tra questi disgraziati e i bimbi in fasce del
mondo romano non v'è quasi divario. E poi si parla
del progresso della cultura !
La maggior parte ile' popoli del Continente Nero
ode proprio dovere di sformare il cranio del neo-
nato stringendolo e comprimendolo, secondo i pro-
pri bizzarri conretti dell'estetica. Ad alcuni indiani
dell'America meridionale nulla appare più bello di
una testa in forma di pan di zucchero. Altri Pel
lirosse le preferiscono una fronte assai rientrante ;
altri ancora una molto prótuberante, I Chirghisi
schiacciano con la mano il volto de' loro bimbi af-
finchè il naso assuma una forma molto piatta.
Ma simili brutali abitudini non regnano soltanto tra
i popoli barbari. Non è molto costumavasi, nell'Al-
\ ernia, di legare la testa del neonato su un cuscino
assai duro, spesso anche su una tavola. Con ciò si
dava alla nuca una forma meno rotonda della na-
turale. Le madri fiamminghe stringevano la testa
del delicato essere in forti strisele di lino per com-
primergli le tempia. In Germania, con del cartone
e una benda, stretta sotto il mento, si schiacciava il
cocuzzo de' bimbi. 1 contadini dei dintorni di To-
losa s'erano formata la specialità de' crani a loggia
di fungo. Nel dipartimento di Deux Sévres le bim-
be portavano un berretto di cartapesta, compresso
sul cranio ancora tenero. Xe risultava un profondo
solco, da un orecchio all'altro. Non meno penoso per
il piccolo martire doveva essere il cosidettp « al-
lacciateste ». che le donne normanne infliggevi
ai loro neonati... L'n gran numero di quei pove-
retti diventava idiota o pazzo.
Altrettanto crudeli erano i diversi metodi, usati
dalle madri quando erano costrette ad abbandonare
i loro bambini per qualche ora. E purtroppo taluni
di quei sistemi si costumano ancor oggi. In vari
paesi il bimbo viene semplicemente appiccato ad
un gancio, mediante un laccio sporgente dalle fa
scie. In altri, i poveri esseri, fasi-iati come tante
mummie, vengono cacciati entro un sacco e questo
si appende a un trave del soffitto. Nfell'Ariége, in
ogni casa di contadini, si trova un certo congegno,
a cui il bimbo viene siffattamente legato con delle
corregge rhe i piedini toccano il suolo e l'avancorpo
dell'appeso si curva, man mano, sempre più da un
lato. Cosi l'infelice resta per ore ed ore! Nella Bri
lagna, nel Miévre e in altre province s'insegna a
camminare ai bimbi di otto 0 nove mesi obbligan-
doli a spingere innanzi un albero girante. Le na-
Kl\ IS II.
365
turali conseguenze ne sono, per non di] peggio, le
numerose gambe storie. E sino poco tempo la li-
abitatrici della costa del Canal du Midi caccia-
vano addirittura i bimbi entro un cavo di tronco,
in modo che non ne sporgessero che la testa e le
braccia! E tranquillamente le buone madri ne an-
davano alle loro faccende !
I megaliti della Bretagna
(Da un articolo del dott. Keilhack, nel Prometheus di
Berlino .
.... La Bretagna, questo paese il cui melanconico
i arattere mai si smentisce, mostra in poderoso nume-
io i muti testimoni d'un infinitamente remoto passa-
to. Sono monumenti fomiti dal suolo stesso ; monu-
menti d'un popolo, che viveva tra la seconda età
■ iella pietra e al principio di quella del bronzo.
Giganti megalitici, si trovano là soltanto dove Le
rupi del paese stesso ne fornivano il materiale-
Dove pietre calcari ed ardesie formano la struttura
del suolo essi mancano e là dove il gneis, i graniti
e le arenai ie abbondano incontriamo, quasi ad ogni
passo, questi massi isolati e giganteschi.
Alla loro volta questi monumenti d'un popolo.
che viveva nella Bretagna prima de' celti, si divi-
dono in due glandi gruppi: i Menhir e i Dolmen.
La parola celtica menhir significa pietra ritta
(Men — pietra, hir — ritta). Sono massi rocciosi,
non tocchi dallo scalpello, più 0 meno cilindrici,
dalla superficie ruvida ed alti da un mezzo metro
a quattro o cinque. Eccezionalmente se ne trovano
anche di quelli alti otto o dieci ed alcuni colossi
raggiungono anihe un'altezza di ventun metro. So
no sparsi, nel modo più irregolare, per tutto il paese
e ne troviamo tanto lungo le coste quanto nell'in-
terno del paese, nelle deserti pianure e negli aridi
altopiani come nelle numerose isole, emergenti ni Ile
rade e ne profondi seni di mare. Per lo più li ve-
diamo isolati o in piccoli gruppi ; ma talvolta ani he
in gran numero ed in un certo ordine sistematico.
\cl sud del paese, là dove al sud di Auray, si alimi
ga entro •erra il seno semicircolare del Morbihan con
una angusta apertura verso il mare, si stende ad r>
cidente, sino alla penisola di Quiberon, una lingua
di terra, nel cui punto centrale si trova la citta
duzza di Carnac. \V suoi dintorni si trovano a mi-
gliaia i Menhirs, non come altrove sparsi qua e là
in modo disordinato, ma ordinati ti schiere quadran
golan o circolari, che si chiamano Cromlechs. In
questi gruppi di Menhirs le singolo pietre sono, in
generale, della stessa grandezza, e, in me
dia. un certo numero, che vana da una doz
zina a un mezzo centinaio, forma una curva
di cinquanta a cento metri. Alle porte di Camac
peto e in alcuni altri punti della Bretagna meridio
naie, le pietn sono allineate in lunghe schiere e for-
. :. . .
I \ LETTURA
Cai Ve n han-
una ben qi
hilometri in i • > la esl ad ovest.
li, . . gruppi, staccati da piccoli
; i, alte tre i . inqui
rso ti si Mi"
man meno ili ^813
Menhirs sono piai in un tratto ili terra
i ini ito ad. o
1 un semicerchio 'li alti massi, che proba-
bilmente erano il punto centrale delle cerimonii
massi mostra
nella loro parte inferiore, spesso da un lato solo,
una supi fri dire che ni >n le .il
e pieti Ciò lipende dal Fatti chi
1 1 he vennero rimessi in piedi soltanto
Si mpn però ali-uni ne cadonq 'lì
nu< 1 i" o si ilida la lon 1 base. Nel disi 1
■ li Cim:i<- si trovano altri ette '"I otto di questi
he il niiin mpli ssivi > 1 M Menhirs, così
simi nte disposti, è, già soltanto ne! circon-
dario, 'li circa quattromila. Il maggior di questi
ni ili pietra si trova presso il villaggetto ili
1 ,1.1 I 1 i'Un,i e 5 e mi ranto in qual
tro parti. E1 Unii,'" \vntun metri su un diametro ili
quattri e pesa non meno 'li duemila cinquecento
quintali, sicché è enigmatico come mai sia stato pos-
sibile in quei tempi l'erezione d'un simile monolito,
che 1 rasenterebbe delle difficoltà anche alla modi 1
na tecnica, l'n altro Menhir nella Bretagna setten-
lungo undici metri e questa è pure la lun-
ghezza 'li una colonna nel dipartimento del Fini-
stère. ancora altri sessanta Menhirs bretoni sor-
passali" l'altezza ili cinque metri. Nella piccola i-
d'Erlanic, nel Morbihan, si trova un semicer-
chio 'li ma^si. che si prolunga nella parte dell'i-
sola rta 'la flutti e un secondo semicerchio,
dalle uguali dimensioni, sta completamente sotto
il livello ilei mare. Non dissimile aspetto presenta
il Cromlech 'iella penisola di Quiberon...
e il eui singi lingue mo< lerne è per-
ii 1 >' ilmen e "ra . come parecchi dicono .
la l 'olmi . Si mo Fi t mal 1 da due file di massi,
5ti l'uno presso all'altro e più " meno piatti,
sui quali altri blocchi, assai più poderosi, sono 'li
spi»-: 1 i. una specie 'li camera con-
tornata da li- 'li pietra. Se ne trovano ili
tutte le grandezze sino alle ■ he stanze mor-
tuarie dalle pan-li lunghe dai tre ai cinque metri
i iim ssi . che, spessi >. anch 1 ssi ne si h
de maggiori, formano esternamente de' corri-
doi 0 viali coperti lunghi dieci " quindici metri. Il
massimi 1 ili questi cosif atti Dolmen si trova tra I
aker e Camac. E 'inani" alle "ripini de' I)<>1-
1 non havvi più dubbio. Furono, senza dulil
tombe di capi-tribù o d'intere famiglie, lì. infatti,
vi si rinvennero scheletri, avanzi ili ceneri in urne
funerarie, penimi- ed armi. Lo stai", in cui oppi ve
[uesti ammassi gagliardi, non i- il loro ori-
li", perchè certo è che sopra ili quelli s'incur-
vava una colonna ili terra formata non solta
dal terriccio de' dintorni ma anche dal grasso fango
ili mare ili pessimi estuari. Pochi soltanto ili mi
cumuli sì sono conservati sino a noi, ma anch'essi
bastano ad insegnarci con quali enormi fatiche quel
I ani ico p 'i" I' ;ape\ .1 on rare la mi moi ia di
mori i.
Due ili queste collinetu artificiali, sull'altipiano
ili Carnai-, misurano quindici metri d'altezza; e,
contrariamente a quelli dei Menhir. i massi de' Di
meli mostrano, nell'interno, meravigliose bizzarrie
scolpite. Bisogna però distinguere da quelle che da-
ani da remotissimi tempi, dall'altre che poi,
\ari mutivi, furono adorne di sculture. A queste rol-
line appartengono le navi ed altri ex-voto. Ori^
lissimi invece sono tutti gli ornamenti, trovati nelle
tomlie. 'li niente aperte e in Cui, per Secoli e senili.
mai era penetrala la mano dell'uomo.
La superstizione popolare sì ;■ tolta facilmente
d'imbarazzo nel designare le origini de' Menhirs:
li considera semplicemente quali i soldati del
Papa San Cornelio, che, minacciato da nemici.
Ri in a e giunto dia sponda raeridio-
Br igi Ma i nemici li 1 incalzava™
il in diva ili 1 : San ( '< melio al-
1 ira, in 1 un trasfoi mò i
nemici in
I dotti, dal canto loro, hanno cercato tutte le
bili ''I impossibili spiegazioni archeologiche,
simboliche, astronomiche. Più verosimile di
i , he ni Cn mli 1 li- si debbano vedere
in cui i sacerdoti d'un popolo so
parso ed a noi ignoto celebravano i loro sacrifizi,
i orni nel Thing germa-
venivano eletti i duci del popolo. >■ -, delibi
■ rra.
1 Dolmen ■ < ssia.
i lol
E' negli immediati pressi di t'amai-, lì dove 1"
:ese |. Milo fondò un apposito Museo per que-
sti cimeli, che si trova il massimo cumulo funerario
della Bretagna: un poggio circolare del diametro di
oli re centi 1 mei ri ed alto da 0 ai venti
tri. Si è riusrilì a penetrarvi rome in una min
e alla luce della candela è dato ormai ili aggirarvisi
negli angusti corridoi e visitarvi i sepolcreti Tre
infinitamenti diverse ninne -1 stendono la mano
in questa antica stomba degli Inni». Nello sti
più profondo un popolo ignoto seppelliva, in tombe
■ li sasso, 1 suoi eroi : sui culmine i n mani vi ave
vano innalzato un tempi" agli Dei; e le mina I
'lamentali ili quello servivano ad erigere una ''hi'-
suola a San Michele. Tutto intorno per,', vediamo
anei'ra i misteriosi viali pietn d Menhirs. i Ci
lechs e i 1 )oln spirito evoca
1 tempi, in ini gli aborigeni del paese qui si ra
glievano e i lori 1 sai erdoti o le loro s
funzioni e popolavano di ginn testanti i viali
(rosi, 1 ggi deserti e sii,
dalli: riyis i
307
Dietro la pista d'un Gireo
(Da un articolo di Oscar Schweriner, nel H <•// Spiegel,
ilei 6 marzo).
.... Là. in un angolo, sta Jumbo, il grande ele-
fante. Una artista gli fa provare ancora una volta.
tutti i giuochi, con cui stasera dovrà stupefare il
colto e l'inclita. Intorno formano crocchio gli stai
litri, anche alcuni artisti e guardiani, mentre gli
orsi, le lepri e gli altri quadrupedi, accovacciati sul
[unite, che poi dovrà precipitare nel manége,
recchiano.
— Tu ! - - gridano alcuni stallieri ad un loro
collega che si avvicina — sta attento ! Jumbo è qui !
Jumb< i non può soffrire — chi sa perchè? — pro-
prio quell'uomo.
Ma l'artista, la domatrice, lo rassicura:
- Xon temete. Finche ci son io qui. Jumbo ni in
leverà la zampa da questo ceppo.
E Jumbo, infatti, non muove la gamba. Ma fa
ili meglio. Con la proboscide afferra una frusta,
che stava in una vettura lì presso, e con la destrezza
d'uno scudiero la agita sulla testa dell'odiato stal-
liere, Per fortuna, quello riesce a fare un salto
addietro. Se no... poveretto lui !
-- Sacre blcid. chi ha dato da mangiare al ca-
rie?, — gridò una voce irritata dietro a me.
Mi volgi». L'n barlume bianco ed uno nero stanno
ritti sulle zampe posteriori, facendo con l'altre il
noto atteggiamento del « prega prega ». Un buon
ilo d'indiano ha dato a uno de' cani un [ ezzetto
di zucchero e il clown ne va fuori della grazia di
Dio. Xel suo gergo infranciosato spiega, anche a
chi non lo vuol stare a sentire, che ai cani si deve
dare da mangiare soltanto dopo la rappresenta-
zione.
Frattanto, il bozzetti! si cambia. Si avvicina l'ora
della pantomima. Indiani e minatori, negri ed astro-
loghi, cinesi, arpisti, clowns: un po' di tutto. Si
m no radunati nello stanzone del butt'in sella e a-
spettano il segnale. Ma non essi soltanto attendono.
Qui un bel tenentino, là un elegante in pelliccia e
cilindro vanno su e giù con quella disinvoltura, che
ila soltanto l'abitudine. Ne' vari gruppi si sentono
tutte le lingue d'Europa e d'altre parti del mondo.
E la celia fiorisce. Il clown burla il « ricco mina-
tore d'uro » perchè non gli vuol prestare cinque
franchi. Il «'malfattore», che poi sarà gettato giù
dal ponte, dà una lavata di testa all'attrezzista
perchè i « flutti spumeggianti » ieri erano troppo
freddi e bada lui stesso oggi a che vi si immi
un po' più di vapore- L'astrologo ha trovato, in un
carni trionfale, un angoluccio quieto per far la
corte alla moglie del capo indiano: Prudenza!
S'avanza, tirata su un carro, la « caverna » dalla
quale sboccheranno poi gli orsi. l'are impossibili-
che tutto quel coso possa essere trainato da sub
cinque uomini. Che atleti devono essere! Ma la sor-
presa cessa quando, dietro al carro e alla «caverna »
si vede «Jumbo» che manda innanzi la baracca....
E la pantomima è cominciata. Nel butt'in sella
gran calma. Ma d'un tratto squilla una risaia. Che
i hi non è? Entro nel camerini) de' clowns. E' là
che si ride a crepapelle. Gli « sciocchi Augusti »
hanno spirito da vendere. Vibrano gli aneddoti. Me
do. Non sono venuto proprio per questo? Per
sentire le maldicenze del retro-circo? Ma appena
In dico a que' signori, eccoli tutti mutoli.
Lei è d'un giornale? — mi la uno.
- uro: e vorrei dalla loro gentilezza qualche
in. qualche fatterello, sa bene..-
- Ma volontieri, volontieri ! Ma per noi è
del mestiere. Scusi, quanto paga?
De' clowns! - penso certo scherza! Ma essi
fanno sul serio.
A tempo torno nella scuderia. E' finita la prima
parte della pantomima. Tutti sospingendosi, urtan-
dosi, scavalcandosi, si affrettano ai camerini. In
dieci minuti la trasformazione dev'essere completa!
[1 parrucchiere è in gran faccende a truccare gli ar-
tisti, a cambiar loro le parrucche.
Pie hio al camerino di alcune artiste di sdirla
più o meno alta :
— Posso entrare "J
V .. no. Aspetti! Xon siamo ancora rivestite...
— Appunti i per questo !
Ma tutto è inutile. Soltanto quando «tutto è
fatto » posso entrare nel santuario. Di grazia, se
assisto ancora a qualche ultimo tocco di belletto,
di allacciamento di qualche scarpina....
- Avanti, ragazze! Tutte abbasso!
E' la voce del diretti re di scena, del tiranno...
Passa qualche minuto: irrompono nitrendo ca-
valli grondanti d'acqua e con essi i non meno in-
zuppati indiani e briganti. Poi ancora dello stre-
pito, ma d'altro genere: tutti o quasi tutti ridono.
Corrono alla guardaroba. Buttano all'aria le par-
rucche. S'aiutano vicendevolmente a spogliarsi. E
molti « borghesi » aspettano...
La rappresentazione è finita. Soltanto qua e là
qualche visuccio di giovani artiste, specie di balle-
tine, stanco, un po' smorto, un po' disilluso...
Il nuovo profeta de'fflormoni
(Dal Well-Spieg
.... Rilevante è l'avvenimento che si è compiuto
recentemente a Salt Lake City, la celebre capitale
de' « Santi degli ultimi giorni » : in dodici apo-
stoli de' Mormoni, radunati in Concilio, hanno
colmato il vuoto lasciato nella loro presidenza spi-
rituale dalla morte di Wilfond Woodruf, eleggendo
all'alto ufficio a unanimità di voti Giuseppe Smith,
nipote del fondatore della dottrina mormonica, che
si chiamava pure cosi e nel 1843, a Cartagine
nell' Illinois, sofferse il martirio per la sua fede.
Il nuovo presidente è il quinto capo di quella
comunità religiosa, che ha latto parlare tanto di
sé ed estende ormai la sua propaganda su tutto
quanto il globo.
La nuova Chiesa fu organata da Smith, nel 1831 1,
in forma di Società segreta. A capo le sta un pre-
3(>s
l.A 1. Il l'I RA
Bidenti con poteri quasi illimitati, ma Bancheg-
u in. ves( o\ i. an-
ziani e sacerdoti. La sua dottrina si basesul Li-
bro Mormone, » su quello della Legge della
Uleai e a Bil >1 >ia..
La nuova fede trovò dapprima viva opposizione
arte delle altre sette cristi. me, specialmente
per la poligamia che ella, basandosi appunto
sulla Bibbia, ammetteva. Dopo la strage di Car-
tagine, di cui furono vittime lo Smith, suo fra-
telli! e centinaia ili loro adepti, i Mormoni, con
a duce Brigham Young, emigrarono nel deserto
Salato di Utah e, mercè la loro infati-
cabile attività, vi cn arono la fiorente colonia, i he
i hiamarono Nuova Sionnc o Nuova Gerusalemme.
In pmlii anni la sua pi >[>< ilazione crebbe da quin-
di! i mila persone ad un quarto di milione.
Il ' degli Stati Uniti, che nel 1840 aveva
uistato dal Messii. 1 il territorio del Lago Sa-
lti", tollerò dapprima questo piccolo Stato ete-
rna quando sembrò che i Santi degli
ultimi giorni » diventassero pericolosi con le loro
1 erimonie, che furono dette «Orgie poligamiche»,
il Governo procedette a viva forza contro quei so-
ni, proibì la poligamia, e nel 1804 quel paese
ntò uno Stato, come un altro, nella Federa-
le americana. Ciò non impedi alla colonia un li-
monila di crescere, moltiplicarsi ed estendersi an-
che di qua dell'Oceano, specialmente in Svizzera
e in Germania.
I Popoli a tavola
Dalli 11 I pouf lous, marzo'.
Il bisogno del cibo è il primo, il più urgente,
il più imperioso fra quelli che provano gli uo-
mini. E l'uni.! almente minila a soddisfar
lo, che riunendo in un sol gruppo tutti gli operai
addetti, direttamente 0 indirettamente, all'alimen-
me, questo gruppo comprenderebbe i tre quarti
di tutta la massa dei lavoratori. La sola Francia
consuma in media ogni anno 110 milioni di etto-
litri ili grano, i,;8 milioni di ettolitri di paiate.
1 milióni di ettolitri ',; legumi secchi, 7 milioni
■ li ritolitri di castagne, 500 milioni di chilogram-
mi di carne, [46 milioni di chilogrammi di pe-
irdi d'uova, 200 milioni di chilogrammi
di burm. 400 milioni di chilogrammi 'li zucchero
Tutto questo ben di Dio rappresenta in denaro:
.; miliardi di franchi per il grano. 2 miliardi pei
la carne. i.)0 milioni pei il pesce, [80 milioni per
le uova. ;oo milioni per i legun li, 400 mi-
l'cr il burm. ecc.
Gli uomini non si sono sempre nutriti degli stes
si cibi. L'uomo primitivo d barsi di radici,
di erbe, di qualche (rullo, di inselli, di vermi.
di molluschi. Pi iì impa 1 ire, a 1 atturare gli
animali, ma. appena presi ed uccisi, questi era
no 1 ' simun, anelli uggì le
COSe plesso 1 popoli inferiori, (di esquimesi |..
aldo caldo il sangue delle foche; si nutrono
di topi, Che mettono al fuoco senza prima aprirli
ne spogliarli della pelle Hanno un gusto per il
tiglio degli sieli di angelica con uova impu
(ridite e pei mi 1 covate, il tutto in un bagno di
olio di balena. I nativi della Guiana mangiano il .
pesce erudii, e lo preferiscono quando cominci.
decomporsi. I Ketch, tribù abissina, sono spesso
ridotti a triturare Ira due pietre la pelle e
;. "I mimali mi irti. I .ucerti ile e serpeni i, larve rli
-iiss, formiche, farfalle, ragni, sono divorati nu
ili da cerie popolazioni au itraliam 1 .1 Vyel
del Sudan, quando mancano d'ai
aprono le vene giugulari delle loro bestie da soma
e ne bevono il sangui
L'USO del lane risale al tempo in «ili l'uomo
mise a coltivare la iena e ad allevare il bestiari
I Greci dei tempi eroici non lo annoveravano Ira
i loro nutrimenti, e Omero ne parla come di un
mento buono per i popoli barbari . che chiama
sprezzosamente galattofagi (mangiatori di lai
Greci e Romaici appresero l'uso del burro dai I
,uani e dai Galli. I popoli dell'estremo Oriente lo
hanno conosciuto in tempi recenti, dagli Olandesi
e dagli Inglesi. Del resto. l'Oriente, la Cri-eia e
buona parie dell'Italia non adoperano regolari!
te il burro, e condiscono tutto con l'olio. Oggi gli
Indù mungono i loro buffali, i Tartari le giumen
ie. gli Arabi le cammei le, i Lapponi le tenue.
nelle vaste regioni della Cina il latte i ancora in-
teramente inusitato.
L'uso del sale rimonta alla lase agricola. Qi
sia sostanza che Plutarco chiama il condimento
dei condimenti, fu venerata coinè una divinità. Per
indicare in un popolo il più bassi 1 grado di bar-
barie, (linero dice nelle non mette sale nei
cibi». Il sale era simboln dell'ospitalità, e si spali-
li \ a dinanzi all'ospite ''In- non si voleva ricevi
1 un .1 poco tempo addietro, esso era tanto rar...
inessi. i negri dell'Africa interna, quanto l'oro, e
serviva da moneta: con un pugno di sale si coni
prava un paio di schiavi.
E lo zucchero? Per lungo tempo non si impie
gl'i altro che il miele e la canna dolce. Nel me
evo si tentò di trasformare il sue succo liquido in
una sostanza bianca e omogenea. Nel 1370. la pron
vista di una regina di Francia sì ridin'ev.
irò pani di cinque libbre ciascuno. Sotto Enrico l\
li. zucchero si vendeva ancora dai farmacisti. \
tempi di Luigi XIV era ancora una derrata di lus
so. e cui confetti si corrompeva un giud
Anche il pepe In durante tutto il medio evi ra
1 issimi . e si sei, va dire: « Caro come il pepe ».
l'er prevenire il pericolo della corruzione dei m
con regali di pepe. San Luigi fisse a 10 soldi
il valore del pepe che un giudice pi
senza pn v ai ii ari
Ma gli antichi mangiavano più di noi. Eum
1 1 Ulisse, in cide '■ 1,1 cuocere un intero
mìe di cinque anni. In un banchetto presso gli aln
Muli di l'ile, si servono nove buoi per 50 convitati
A Roma, anche nelle tavole ricche, si mangiavano
HALLE R1VIS I 1
asini, cani, volpi, lumache, larve '1 insetti, loirs, héris-
sons. come oggi i Cinesi mangiano gatti, sorci, cani,
rospi, lombrichi, bachi da seta.
Nel medioevo la carne suina, la cacciagione, il pa-
ne d'orzo e di segale formavano la base dell'alimen-
tazione: dalla Rinascenza in poi gli uomini diventa-
rono più difficili, fino alla moderna ricchezza e com-
plicazione consentita dalln sviluppo dei mezzi di tra-
sporto.
E' un tene od un male? I medici assicurano che
per assicurare le regolari funzioni della macchina
umana, ciascuno di noi dovrebbe consumare ogni
giorno 300 grammi di carne. 60 di grasso e di burro,
e circa 700 grammi di fecole fornite dal pane, dai
legumi, ecc. In questi alimenti un uomo trova i 310
grammi di carbonio e i 20 grammi di azoto che il
suo organismo brucia, vale a dire elimina in 24 ore.
Tale è il regime misto. Se poi un individuo si vo-
lesse nutrire di una sola ed unica sostanza, per tro-
vare i 310 grammi di carbonio e i 20 di azoto di
cui ha bisogno, sarebbe obbligato a consumare o
troppo azoto e non abbastanza carbonio, o viceversa.
Così, per trovare 310 grammi di carbonio, bisogne-
rebbe consumare 2818 grammi di carne, ma questa
gran quantità di carne contiene 5 volte più di azoto
che non ne occorra all'organismo, poiché i 20 gram-
mi di azoto si trovano in 651 grammi di carne. Op-
pure, si potrebbe consumare ogni giorno 1600
grammi di pane di segale, o 1430 grammi di fa-
giuoli. o 38 uova, o 4 litri e mezzo di latte, o io chi-
logrammi di patate, o 15 chilogrammi eli legumi
erbacei (cavoli, carote, ecc.).
Se i contadini non mangiano carne, e pare che
stiano bene, il dottor Ponchet osserva che la salute
del contadino non dipende dell'alimentazione, ma
si mantiene, nonostante l'insufficienza del cibo, gra-
zie alla vita all'aria aperta, al lavoro dei campi, al-
l'esistenza regolare, alla mancanza delle eccitazioni.
E. ilei resto, la dispepsia e l'enterite sono comuni
nelle campagne.
Si adducono bensì esempì di vegetariani vigo-
rosi e longevi. Si cita anche il fatto seguente:
a una marcia di resistenza a Berlino presero parte 8
_ -tariani su 22 concorrenti, i vegetariani arrivarono
primi. Per spiegare questi fatti, si dice che i legumi
1 nutrienti della carne e costano meno cari :
540 grammi di fagiuoli o di lenti rappresentano, in
azoto. 1080 grammi di carne. Ma le sostanze azo-
tate d'origine animale si digeriscono e assimilano
presto e bene, mentre il contrario accade delle ve-
li. TI regime vegetariano conviene agli amma-
lati, ai nevrastenici ed agli obesi. Un uomo sano
che rinunziasse alla carne, dovrebbe lare pasti lun-
ghi e frequenti, perchè la sensazione della fame lo
stimolerebbe appena avrà finito di mangiare; poi
la lenta e difficile digestione gli procurerà la dispep-
sia. La carne è necessaria. Un dotto. Geoffroy Saint-
Hilaire. ha scritto che l'Inghilterra domina gli Ir-
landesi e gli Tndù perchè questi popoli si nutrì-
di patate.
Oltre le sostanze albuminoidi e idrocarburate, o-
La Lettura.
3Ó9
gni adulto perde in 24 ore tre litri d'acqua e 30
grammi di sale. Ciò vuol dire che bisogna intro-
durre nell'organismo altrettanto sale e altrettanta
acqua, perchè negli alimenti solidi c'è già dell'ac-
qua: su 100 parti di carne. 78 sono formate dal-
l'acqua, e 74 su 100 parti di patate. Così i sali di
calcio, di potassio, di soda si trovano in propor-
zione variabile in tutti gli alimenti. Gli animali nu-
triti con cibi privi di sale di calcio muoiono
stesso tempo di quelli ai (piali si toglie ogni cibo.
A questo bisogno di materie minerali si de>e l'uso,
più diffuso che non si creda, di mangiare sostanze
terrose e argillose. La geofagia esiste in tutte le
parti del mondo.
Quanto ai condimenti, godono di una cattiva re-
putazione. Si crede comunemente che il pepe, la
mostarda, l'aglio, il finocchio, l'anice, la cannella.
1 aceto, ecc.. siano reclamati soltanto dsi ghiotti che
non badano alla salute del ioro stomaco. Invece,
questi condimenti hanno, in fisiologia, la precisa
funzione di provocare un afflusso di sangue nella
mucosa della bocca e del tubo digestivo, e quindi
una secrezione abbondante dei succhi digestivi. Ma
è vero che di questi eccitanti non bisogna abusare.
E la cucina non è un lusso, ma una necessità. La
'■ottura rende più digeribili gli alimenti, special-
mente i feculacei. Crudi, i piselli, le patate, le lenti,
non potrebbero nutrire né un uomo né una bestia.
Velie carni e nel pesce, la cottura scioglie i succhi
gelatinosi, modifica l'albumina, disgrega l'inviluppo
fibroso nel quale sta la fibra muscolare. La cucina
francese, come si è ora imposta un po' da per tutto,
data da Luigi XV. che era un ghiottone e un ga-
stronomo perfetto. Il dottor Bourdeau giudica la
cucina italiana più lambiccata che salubre, l'inglese
più sostanziosa che delicata, la tedesca brutalmente
pesante.
Oggi la scienza chimica cerca di comporre artifi-
cialmente gli alimenti ; il Berthelot annunziò anche
che la cosa è quasi fatta. Un chimico tedesco, il Li-
lienfeld. ha fabbricato, col catrame, dell'albumina:
una polvere brunastra. composta come le sostanze
albuminoidi e del sapore del bianco d'uovo. Il suo
valore nutritivo è considerevole: un piccolo cubo di
2 centimetri per lato di questa albumina sarebbe,
secondo certi calcoli. 4 volte più nutritiva di una
costoletta ordinaria e 6 volte più di 2 libbri
pane. Il Fischer, di Berlino, ha pure estratto dal
catrame lo zucchero artificiali Qui e due scoperte
sono rimaste confinate nei laboratori. Il giorno che
l'albumina e lo zucchero chimicamente ottenuti si
potranno avere a buon mercato, si produrrà una
delle maggiori rivoluzioni fra quante ne registra la
Storia dell'uni:!:
Ma la cosa non è augurabile; noi siamo troppo
abituati alle dolcezze della tavola, e non ci adatte-
remmo a mangiare delle pillole. L'igiene consiglia
di attenersi al regime misto, e di mangiare meno
che non si mangi abitualmente. La dispepsia, la
dilatazione di stomaco, le ci ngesiioni cerebrali, la
gotta, il diabete, i calcoli, le malattie della pelle,
sono favoriti dall'abuso delle carni.
^4
ha luee che guarisce
I del l« marzo).
L'n medico svedi se, '1 1 ». F insen,
del lupus.
ella pelle urna-
Ino per serri
: una pico ila lente in quar-
1 a dai raggi di una
I j len
iloriferi e lascia passare
solo chimici o ultra-violetti,
hanno i Si : a terapeuti-
la loro influenza le j >an i semi
divorate dal male terribile e mis
ricoprono lentamente di una pelle
io alla gì
meno cui i< >sa .■ 1 eli a della
luce in certe malattie particolari, co-
me il vainolo, o la rosolia. Finsen ha
rvato che un vaioloso custodito in
una camera dove non penetri che la
luce russa guarisci- presto, senza feb
bre, e nelle cicatrici disgraziate
che tutti conoscono. Del resto, qui
ma di cura era praticato su larga
i nel medio-evo, ed ancor oggi,
in Kumenia e nel Tonchino, i vaiolosi
sono avviluppati in ampie (asce rosse.
Per qua] segreti i misteri i la luce -
LA l l i ;
AaUARWM BIEV
lare 0 dell'arco voltaico guaris.
terribile lupus? La risposta, oggi che
medicina e microbiologia sono dive
nule sinonimi, è semplicissima:
gi chimici uccidono il microbo ■_
ratore della malattia.
E le ricerche degli ultimi anni
hanno confermata tale teoria. In
una cultura praticala sotto i torrenti
della luce solare i bacilli più furti.
quelli della tubercoli si, della di! ti
del tifo, sono stati uccisi in podi.
E ra tutte le luci, però, la più i lì
è quella dei raggi violetti, superiori (li
360 volte ai raggi rossi.
Ecco in | una curiosa 1
rienza comunicata un mese fa dal si-
gnor I. credile alle Società di biologia.
1 esperimentatore prese dei 1
della medesima età e li rinchiusi
ili acquari, l'uno in vetri
litro in vetro bleu.
D 8 giorni i primi erano perle!
tamente sviluppati, mentre gli altri non
ano subita alcuna metami n
Anche il signor Jakimovich, osservò il
medesimo fenomeno sulle larve di tri-
da lui custodite in vetri varia-
mente colorati. Uskoff, poi, dirigi ndo
la luce violetta sui cirri vibratali di
una cellula riuscì a provocarvi movi-
DALLE Kl\ [S l I
371
menti così violenti che finiscono per rompere la cel- legn-. gli ammalati vedono tutte le cose color rosso.
lula stessa. A Lione, nella casa Lumière, gli operai illuminati
Non turno curiosa è l'esperienza del signor Bé- dalla luce rossa cantano e scherzano del migliore
ciani. Avendo poste delle uova di mosi am- umore, ma tosto cessano se la sala si illumina 'li
pane di cristallo variamente colorate, potè osservare Une verde.
che tra i vermi natine erano meglio sviluppati quelli Nel 1 So i furono posti, .1 scopo 'li cultura, dei vi
istoditi sotto la luce violetta. ticchi in una erra .1 cristalli violetti. Li n ,
Dispositivo per la trattazione con la luce elettrica.
Un identico risultato fu ottenuto dal signor Loeb,
per lo sviluppo dei polipi. Posti alcuni rami d'Eu-
dendrìum racemosum in bottiglie rosse e violette i
polipi delle prime deperirono rapidamente, mentre
gli altri ebbero un rapido sviluppo.
1 »al complesso di esperienze così varie e cosi
stringenti si può dunque conchiudere che la luce
violetta, ossia i raggi chimici, esercitano un'azione
polente sullo sviluppo e la vitalità dei tessuti.
Tutto ciò si osserva anche meglio in animali su-
periori o già adulti. Le farfalle hanno una decisa
preferenza per la luce violetta, cosi l'esanofele della
malaria. Il signor Nuttal, avendo esposto dei pezzi
di stoffa di vario colon-, in modo che le zanzare, vo-
lo, potessero facilmente fissarvisi, osservò poi
le zanzare appoggiatesi sulle varie stoffe e ne contò
108 sul colore bleu di mare. 49 sul nero, io sul ver-
di'. 9 sul grigio-perla. Applicando tosto la curiosa
scoperta, ideò alcune trappole violette da esporsi
nei luoghi infestati dalla malaria per farvi cadere
le zanzare. Non era. del resto, che la ripetizione ili
quanto praticano gl'indigeni al Madagascar.
Xeppur l'uomo è indifferente alla luce.
Dinanzi all'occhio cupo d'un'isterica in istato di
catalessi, il signor Guinon pose un vetro rosso e
tosto il volto della sofferente si rischiarò di un vivo
sorriso: i vetri d'altro colore la lasciarono insen-
sibile. Così nel delirio cronico con allucinazioni al-
ili meravigliosa ed ogni vite produsse dopo cinque
mesi i.'oo libbre di grappoli.
Tutti questi fatti diversi mettono in evidenza il
potere biologico della luce e particolarmente l'ener-
gia vitale dei raggi chimici, i quali uccidono i mi-
crobi e fanno vivere gli esseri superiori.
Pep la vita umana
S'è costituita in Francia una Lega per la. difesa
della ,11.1 umana, opera di solidarietà sociale co-
me lice I" Statuto — che ha lo scopo di difendere
l.i salute pubblica. La sua azione si manifesterà
particolarmente nella ricerca, nell'applicazione e
nella propaganda dei mezzi legali che possono ga-
rantire il pubblico contro le- falsificazioni e altera-
zioni delle sostanze di diversa natura che entrano
nell'alimentazione. La Lega ha la sua sede a Parigi,
ma si riserva di creare delle sezioni anche in
a. Il minimo della quota annuale è di 2 franchi.
Tutti i membri possono rivolgersi agli uffici della
Lega per fari- analizzare Ir sostanze alimentari so-
spette. La Lega si incarica di quest'analisi gratui-
tamente.
LA 1 l/l ■
1 pesci dorati
Il pes ie cine-giapponese, di-
venuti rdi un prodotto di ornamentazione e
■ li lu-s,,. fu portato in Europa alla fine del se
I ii , resto b rvarne la mi
lescopio e nel
non ere più alcun dub-
, \. --un altro pui
■
fuorché l'estremo Oriente, che già altre
dato animali e piante mi «l i
Il im degli attu; id ogni
e, il pesi i . li-
mi squan i nti- ricon I ora il ] esi -
me fasi ili vita. Per qi m] 1 1,
servano
capostipite e dove sono abbandonati a
e, l'i-r esempio, a Giava, alle Filippine alli-
nei ('il<- ■• al <".ip>. riproducono ani
i iriginaria.
! imento del
ni modo esser cominciati da 1"
leni] io di ( risto
, potrebb i raor-
dinarìami
nu
tre nelle azzurre | i l mbra
delle toglie di loto, e chiama al pasto al suono della
Il povero In vimlc anch'esso sim compa-
gno in rozzi vasi di terra.
1 pesci dorati comprendono una varietà infinita
ili colori, essendovene ili bianchi, ili gialli oro, ili
/
bruni, ili azzurri, di neri, ili macchiati a due o tre
tinte. Così quando parliamo dell'oro e dell'argento
l'elle squame, ciò va inteso in modo relativo, i ■
molti non hanno squame.
Molti coni so no qi iolini di lusso sola
per averli visti guizzare negli acquari o ni
cristallo, e restano sorpresi, sentendo di un pe-
si-e dorato che o>sta centinaia di lire.
Vi sono, infatti, attualmente, delle razze eh
J
DALLE RIVISTI
373
prendono per le loro forme particolari, come, per
es.. il pesce-uovo (fig. 5) senza traccia ili pinna dor-
sale, di una forma perfettamente ovale, che termina
con una pinna caudale a forma di ventaglio, rigida
Fig. 4.
od ondeggiante e di un bellissimo colore bianco lat-
teo. Così abbiamo il pesce dagli occhi celesti (fig. 2),
mostro che solo i cinesi possono trovar bello, con e-
normi occhi sporgenti e così posti che vedono solo
in alto e rimangono ciechi per quanto sta loro da-
vanti, sotto 0 dintorno. Il dorso, senza il menomo
accenno ad alcuna pinna dorsale esistente, è model-
lato come una palla dal capo alla coda, ed è privo
interamente di squame. 11 mostro, quando è senza
difetti, può costare agli amatori 250 lire! Assai pia
bello per noi è il pesce-cometa (fig. 3). a codi
multo lunga, vibratale e a forma «li vela. Recente-
mente, come nuovi prodotti nel regno dei pesci do-
rali, sono venuti in commercio, dalla Cina, il pesce-
tigre e il pesce-telescopio, il cui corpo è disegnato
a striscie gialle e nere. Però come migliore tra tutti
noi possiamo ricordare il pesce-coda a vela (fig. 1).
il cui corpo assai tozzo e ingrossato termina con una
(loppi. i coda, ondeggiante nello stato di riposo e tesa
durante il cammino. Più ricercato però è il pesce-
telescopio-coda a vela (fig. 4). che (come dice il suo
nome) unisce i pregi delle due varietà.
L'allevamento di tutte queste varietà è assai inte-
ressante, perchè, come diceva Paolo Nltsche, capo di
un acquario berlinese e troppo presto rapito alla
piscicoltura. 0 ogni nuovo pesciolino si differenzia
dagli altri, ogni uovo può dare bellissimi esemplari
e meravigliosi risultati ».
Ma ciò che specialmente ci raccomanda i pesci
• li rati è la loro resistenza. l'issi vegetano vigorosa-
mente nell'acqua a 17 o 18 gradi di calore, come
pure d'inverno in una camera che ne abbia solo io:
a 5 non soffrono ancora e neppure a temperature
più basse.
Per mantenerli basta loro dare alcune uova di
formiche 0 un poco di carne; d'inverno ogni due
giorni, d'estate tutti i giorni.
Fig. 5.
'7 1
LA 111
Iia previsione del tempo
1 1 i.i un articolo delle . ut lous, <li marzo).
I pi imi mete iroli tg ■.,..,
I asp e della lun omino e la foi
ma delle nubi per formarsi un'idea intomo al tem-
i rono che l'apparizio-
Htdi piccole nubi addossate le une ;i 1 It -
altre come una mandra di pecorelle suole pi
dere I" scoppio d'un uragano; quindi il proverbio
fraii'
Ciel ponimele, femme l'ardii-
Ne -"in pas de longue durée;
e l'italiano :
( lielo a pecorelle,
Acqua a catinelle.
Nei paesi .li montagna si trova un segno il)
na ili nubi che si forma sulle alture.
"-ira la rondinella dal grido acuto che
ra con l'ala vagabonda l'acqua dei laghi e la cor-
hia smisti i ima la pioggia con alti stri-
lli. Si .lire anche che i il gatto si lecca la
zampa e se la passa poi sulla testa, è segno che sente
I .i pioggia ('.li mveili acquatici, nella stessa •
stanza battono le ali ; le oche si gettano nello sta-
ragliano più forte, le rane crocidano,
■ mill otterrà le formiche e le api
tornano precipitosamente nelle loro dimore, i ragni
. adoim dalle ti Molti fiori Sono chiamati ba-
rometri dei |i i schiudono 0 SÌ chiu-
dono con l'umidità.
Ma questi ed altrettanti segni del tempo sono in-
sufficienti, e la ne I ile osservazioni mi
rologiche esatte fu esperimentata mezzo secolo ad-
dietro, per un tragico cas corsi durante la
ra di Crimea. Il 14 novembre 1854 la flotta Iran-
rata dinanzi a Sebastopoli fu assalita da
furiosa tei nai 1 1 1 Jan >no a pi. -co.
le ambulanze del corpo di sp furono distrut-
te, li 0 Q] està avri
annunziata ; perchè, pi ima di -
sul Mar \n . ai -va attraversato tutta l'Euro-
pa Allora l'illustre astronomo Leverrier istituì, nel-
P un ' ■ le di osser
\azioni e di a\ meteoroli i, fi mdal 1 sulla
1 he presiedono alla forma-
apesta è un turbine
la, di due Ilio
ni i : uno 1 proprio .i-se.
litro di ii dall'ovesl I [1 centro
lei turbine, è il punto dove
la pressi* ne b è più forte; intorno a que-
punto di depressione, il barometro • più alto.
si osservano ogni giorno nel mon
do inoro le pi ,i notano sulle calti
il punto della ma
Il giorno i noia il nuovo
-1 vede quale
è la v 1.1 da essi seguita 0
tutti colon, che «ni rada min
ques 1 ... la media dell.- pre\ ision 1
del UO per cento.
( »ggi gli osservatori meteorologici sono .
nati dovunque, anche sulle . ime delle montagne. In
pa il più alio ì quello del Monti ; 1810
metri), in America è quello di Misti, collocato sulla
del \ ul. mon. mo. ni 1 Perù. Qualcuno
dotti che si chiudono in quelle solitudini ha pas
he brutto d'ora. Il vecchio <■ valor.-..
'il.- de V-. 'I ,1 era stabilito nell'osserva-
torio di I Pie du Midi, in Francia a 3000 metri,
do il 1 1 novembre 1874 un violento tern 1
scosse la montagna, ed enormi blocchi di neve gh
ciata •caddero dal Pie vicino e si rovesciarono sul
tetto dell'osservatorio. Il Nansouty e i suoi compa
gni non poterono ridiscendi 1 osto di nulle pe
1 coli, se non dopo quattro giorni di pi
I din- ossi n ori del Monte Bianco r. , mo
un improbo lavoro. Il primo fu stabilito dal Vallot,
sul Kn.liei de- Bosses a 4365 metri. La casetta di
le^no fu montata in due giorni, e la carovana di
operai vegliò le notti, sotto una semplici
con un freddo siberiano ; di giorno, il male di m
tagna faceva cadere gli uomini e due dovevano es-
-1 ire soccorsi con inalazioni d'ossigeno. V'ondato e
attivato questo osservatorio, il Jansen ne volle erigere
uno sull'ultima cima del colosso. Egli dovette m
tarvi con le slitte, tirate per mezzo di un argano
che si mutava di posto secondo che si guadagnava
cammino. Con lo stesso siste no innalzati i
materiali. L'inaugurazione fu fatta nel settembre
del 1893. Essendo impossibile salire lassù in in-
verno, le osservazioni sono fatte automaticamente,
pei mezzo di registratori mossi da un lento movi-
mento d'ori Questi strumenti, che hanno cor-
da per 8 mesi, turbano soli col loro tic-tac il silen-
zio dell'altissima cima.
Fra 1 molti strumenti meteorologici qua! è il va
lore del barometro? Quando esso si abbassa, vuol
dire che l'aria diventa più . soffiano al-
lora i venti del sud. i quali possono portare con loro
l'umidità raccolta sul Mediterraneo. Quindi, in
urial. ■. l'abbassamento del barometro concorda 1
la pii col tempo coperto. Quando, invi
il barometro sale, l'aria è più pesante, più fredda,
piedominano i venti dell'est: questi venti sono -e
gno del bel tempo. Ma siccome \uì vento del sud
I nò essere secco e uni 1 dell esi e del nord um
1 1 1 va del baroni. „ gno fallaci
non tanto si deve osservare l'altezza, quanto il senso
del movimento. Se il movimento ascendente si pro-
lunga gradatamente per un giorno intero, il tempo
bello .'• virino; se avviene il contrario, si avvicina
l'.r una più esatta previsione, bisogna osservare,
...| barometro, anche il tem e l'igrometro.
Si hanno queste leggi 0 norme:
I Se, mentre la temperatura si abbassa
l'aria diventa ) il barometro sa/c, sono pro-
babili i venii del nord e il bel ietti
MAI. LE RIV1S I I
375
II. — Se il barometro scende mentre la tempe-
ratura salee l'aria diviene umida, si debbono preve
ilere venti del sud-ovest, e con essi la pioggia.
III. — Una a scesa bruisca ili i o 2 milimetri
annunzia la pioggia. Una discesa maggiore, e al-
trettanto brusca, preannunzia la tempesta.
Le previsioni a lunga scadenza si tanno sulla base
nazioni passate. Il metodo consiste nello
stabilire delle probabilità fondate sul tempo che ha
. in un i'en. 1 gii rno. durarne una lunga -
di anni, l'n meteorologo belga, il Lancaster, ha
bilito cosi le probabilità di bel tempo per ogni pri-
irno del mese.
1 1 Renon ha stabilito una legge di periodicità per
gl'inverni crudi, i quali ritornerebbero ogni 40 an-
ni : inverno crudo sarebbe quello in cui il termome-
bn scende a 15" e a 180 sotto zero.
E. invece di prevedere il tempo, non si potrebbe
cambiarlo? Cosi sognò di fare un dotto, il Bobii
Egli era persuaso che tutte le intemperie veng
dai ghiacci del polo, i quali sono sciolti dalla
rente del Golfo e lanciano al cielo nuvole enormi.
Allora il Bobinet propose che si desse la caccia ai
blocchi di ghiaccio che discendono dai mari artici.
Bisognava prenderli a cannonate con una flotta :
una volta distrutti, il bel tempo sarebbe assicurato.
E se poi ci fosse stato bisogno d'una pioggia rin-
frescante, le corazzate non avrebbero dovuto far al-
tro che andare a staccare altri blocchi di ghiaccio
dalle regioni polari '.
'«mi '
I drammi di Sada Yaeeo
Molte riviste si occupano di Sada Yacco, la cele-
bre attrice già] he gira i principali teatri di
Europa. Ecco qualche notizia dei suoi drammi.
1.
La Geisha e il cavaliere.
Una sera di primavera il Samurei Nagoya S tnz
I crcnrre le vie principali del Yoshiwara ove i ciliegi
-ano pomposamente la loro copia di fiori ; egli
si reca a visitare la Geisha Katzuragi. celebre per la
sua straordinaria bellezza, per la sua voce armo-
niosa, per la leggiadria della sua danza, per la fi-
nezza del suo spirito, della quale egli è perdutamente
invaghito. Banza. il quale parimenti percorre quelle
vie, fermandosi di quando in quando per vedere i
danzatori ed 1 rie che fanno mostra dell
loro, incontra ad un tratto Katzu ulta dalle
Ile. Anch'egli l'ama : e la invita a bere insù n
ma la Geisha rifu:- io di non : 1 iffer-
n are perchè è attesa da altri. Offeso per tale rifiuto,
Banza allorché vede passare poco dopo l'amata al
braccio di Nagoya, preclude loro arr nte il
cammino. Ne nasce un vivace diverbio. Alfine Banza.
cedendo alle parole di Katzuragi. chiede perdono al
suo nemico di averlo provocato sulla vi.- Ma V
lo respinge dicendo: « Tu sei un cavaliere e se non
ni la spada per solo ornamento.
« terti meco ». Segue quindi il duello, nel quale
Banza rimane ferito.
L'amore della Geisha Katzuragi ] ci cavaliere N'a-
Sanza è immenso; ed ali amore si aggiunge
ina jiari gelosia, perchè Nagoya ha già un'altra
lie, di nome ( Irihime. L'n giorno che egli pas-
ta con questa dinanzi al tempio di Dojoji, Kat-
zuragi li vede e li segue. Nagoya, vedendola ghin-
di lontano, cerca di fuggire, ma non trovando
alcuna via di scampo, e non potendo tornare inebe-
tì o. pel timore di incontrarsi con l'amante, prega i
monaci del tempia di ricoverarli. I monaci gli fanno
1 «servare che la legge del tempio vieta rigorosamente
l'ingresso alle donne: ma alla risposta di Nagoya,
il quale afferma di essere amico dei padri superiori
e di dover loro parlare di cosa urgente, cedono ai
due il passo. Xagova. entrando, raccomanda ai mo-
naci di vietare assolutamente l'ingresso a qualunque
altra donna si presentasse, e di nascondere a chic-
chessia che egli è entrato con la moglie. Giunge poco
dopo Katzuragi. la quale, convinta che l'amante ha
ito rifugio nel tempio, scongiura i monaci con
mille amorevoli maniere di permetterle eccezional-
mente lai-cesso. Ella ha saputo che in quel giorno
si celebra una grande cerimonia, e vuol prendervi
parte. I monaci, ammaliati dalle lusinghe di lei e
dalla sua bellezza, promettono di fare una eccezione
alla osservanza della legge purché ella si mostri in
alcuna sua danza. La Geisha, pronta a tutto pur di
raggiungere il suo scopo, appaga il loro desiderio;
ma dopo la danza i monaci rifiutano di mantenere
la promessa e respingono Katzuragi. La quale, ar-
dendo dalla gelosia, si ribella contro i monaci, batte
adirata tutti, allontana i custodi, ed entra nel tempio.
Colà, nel giardino, trova finalmente la sua ne-
mica, e ad essa si rivolge rabbiosamente. L'n rno-
naco coraggioso cerca di salvare la moglie di Na-
l, e. preso un bastone, si batte con Katzuragi.
Si ^raggiunge Nagova che divide i due contendenti.
Katzuragi. cieca dall'ira, non si avvede di lui. ma.
sfinita dalla lotta, sviene. Le forze l'abbandonano
poco a p. co ; all'ultimo istante un raggio le illumina
il volto; ella ha riconosciuto con gioia l'ani
nelle cui braccia placidamente muore.
2. - Kesa.
Trovandosi in viaggio la giovanetta Kesa in com-
pagnia della madre sua Koromokawa. di una an-
cella e di un servo, giunge un giorno al monte ( he
1. ove una banda di briganti ha stabilito e for-
tificato il proprio quartiere. La comitiva incontra i
briganti, i quali, ammaliati dalla bellezza di Kesa
e dell'ancella, le circondano e le fanno prigioniere.
lasciando in libertà la madre Koromokawa ed il
servo. Sopraggiunge il cavaliere Monto, tr> va li
piangenti, e chiede la ragione del loro affanno; u-
. 'itala, determina di liberare le giovanotte, e. rag-
giunto uno dei briganti che trasportava appunto i
loro bagagli, lo costringe ad additargli il cammino.
Nel quartiere dei briganti si sta a] parecchiando
un lauto banchetto al quale Kesa e l'ancell 1
-tere per rallegrare con la danza e col ca
loro stessi rapitori. Mentre questi si divertono, le dm-
prigioniere approfittano di una 00 a ■
vole per tentare di uccidere con i loro pugnali il
.l;11 LA li
capo dei briganti. Ma il tentativo non riesce: K
i i mo
nella ì) interna ilei Ma ecco so
pragl ; i che ha indo\ inati i la presenza
delle due fanciulle. Nella lotta che segue tra i bri
iamente per
qualche tempo ai suoi nemici; alfine però, soprai
dal numen >, cede e \ ien pr
-.ir. li .1 fuggire colle due gio\ ani
l ■ rascorsi Resa, cresciuta in età
ed in bellezza, ha sposa Wataru W seb
la madre Koromokawa avesse promesso al sai
■ Morito 'li ilare a lui in isposa la figlia di
Miai isi subito invaghito, ma che in allora
si trovava in tri ippi i poi ane età 1 turante la pi
vera, Rr-.; con I" sposo, la madre, ed i servi, tro
in campa) h 1 1 llezze della natura.
\ i! le il caso che Morito passi appunto per
he apprende che la giovanetta da lui
fedelmen Wataru, si ri-
ei i l'avverte che, pei
ò gli dispiaccia, egli deve vendicare l'oi
fesa ed ucciderla, non avendo essa mantenni" la pr
messa I i Mentre 1 rae la spaila e sta per 1 1
gere la donna, sopraggiunge Resa, che riesce a
Morito ed a calmarlo dicendogli :
rito Wataru ; io ti potrò spesare in sua
■ vece ». Moi ; ente, e Resa gli pn mi tte di
irlo; egli entrerà ili nette nella loro casa, ed il
velo con cui Risa coprirà la lampada appesa presso
l'uscio della stanza ili Wataru, 1" assicurerà che que-
sti trovasi nel proprie letto dormendo.
Nel nella oscurità della notte. Resa si
nella eamera dello sposo e con un pretesto lo
induce a cambiare con lei la stanza. Uscito Wataru,
ella scrive una lettera ; indi tranquillamente si co-
rica; ella •• la eansa ili ogni male; , lta attende
perciò rassegnata la morte. Poco dopo entra chiatto
quatto Morite: il velo alla lampada lo ha assicu-
rato ehe Watarn <■ immerso nel sonno: egli si av-
vicina al letto e vibra un colpo feroce. Chiamati
dal rumore, accorrono Wataru, Koromokawa, i do
mestici. Allorché Morito vede vivo il rivale che crede-
va 'li avere colpito, l'ira e il furore lo invadono;
vi Jgendi p pi ti lo sguardo al leti ice l'a
mata donna da lui stesso uccisa, egli è preso dal
reo e dalla ili e, e con la stessa spada
guinante del -augii'- 'li Resa, in un l'aleno si
trafigge il cuore.
3. - Il Shogun.
i : XIV seci il l.
' parecchi secoli i M ikadi i fo
ani del Giappone, tuttavia l'effettivo |
nelle mani lei Shogun, cioè dei governatori, il CUI
e .il une i amiglie. I Ina
tra queste delli era quella degli Asikaya,
fi siaki, in. e to di M
Ho del S
irsi a lui. t '.li muove quindi guer
r.'l. : ' ischio dì esser
io ; ila tale pi ricolo lo salva un SUO fi
ed è in sua
presi 'li' mdannati i a sqi il veni re. Nessuno
s'avvede della sostituzione perchè il pi non
Meni- ..in. lotio 'Iman/i al Shogun i he lo avrebbe ri-
cono-, uti Mai il - e t die 'li [osiaki, app
Conosce la sorte ilei suo presunto manto, impazzi
i dolore.
Josiaki esce dal suo nascondiglio, e, vagando pel
campo di battaglia, incontra Mitchisuki col tìglio
'l'aitaro e la figlia Riku. e 1" prega ili indicargli
via. Sebbene Josiaki sia travestito, tuttavia è sul
riconosciuto da Mitchisuki che era un tempo al
vizio del padre di lui. Egli si rivela al fuggiasco, lo
in\ ita a segu rio nella propi
nerlo quii i i elati i 1 1 figlii > I li • he ascolta at-
tento ogni loro parola, concepisce il disegno di ri-
riferir tutto al Shogun per averne un compenso; la
figlia Riku invece, che nulla sa dello stranieri
innamora ili lui. La pazza Macai'. i frattanto, dopo
aver girato per qualche tempo di villaggio in villag-
i irmand ì >ui ti e con le sue danzi
zimbello dei monelli, viene raggiunta dai soldati del
Shogun '■ condotta nel suo pala//".
Josiaki, travestito da servo, attende, i <-r non de-
si spi ni. ai lavi iri di imesl ici nella casa di Mit-
chisuki. La giovane Riku gli conlessa il suo am
e lo prega ili sposarla. Tait aro. nasi. olta;
egli pensa ili riferire anche questo al Shogun. Ma
nel frattempo giungono alcuni soldati, i quali hai
l'incarico 'li condurre la giovane Riku in una
il Simulili che ha udito parlare molto della bel-
lezza ili lei, e desidera possederla. Il padre, afflitto
pel doloroso annunzio, chiede consiglio a Josiaki. il
quale gli propone .li vestirsi degli abiti ili Riku
entrare in luogo .li lei nella lettiga e ili lasi i irsi con-
durre al palazzo del fratello. Anche a unto qu
assiste I aitari >, che si pri .pone ih tradii pure il pa
dre. e di riferire al Shogun l'inganno prima chi
sorella Riku sia posta in salvo. Ma il suo piano
malvagio non ri( SCe
Nel granile giardino 'lei pala//", il Shogui
condato ila tutti i dignitari, ad una rap
sentazione di danzatori e 'li commedianti. Entrano
i si .Mai i che liei ii pi ii 'mera la pazza Ma
mail Shogun, poiché vede che ella ì affatto 'min
la lascia in vita. Giungono poi i soldati con la
tiga chiusa, ovi roi i Josiaki. [1 Shogun. ritenendo
che quivi sia la bella Riku, prega i suoi dignitari di
la ciarlo solo con lei, poiché non desidera avei
Stimoni al colloquio. Quali non sono la sua meravi-
glia e il suo terrore allorché, invece della di
oomparire ai suoi occhi il fratello
che i già morto: E' l'ombra di Josiaki che
Questi rivela al fratello ogni cosa, e
violentemente lo a tiri"
mortalmente col suo pugnale: ma il Shogun rai
glie tUtte le Slle l'I
la il rivale, gli cinge il collo e lo soffoca. 1
due fratelli muoiono insieme. Mitchisuki. che aveva
o da 'dati, ch'i
/ n. incelili., la pazza Mai !■ Vllon he que-
p.va i cadaveri ancor caldi del nen
.• dell'amato sposo che già aveva inane. | er morto,
e muore di crepacuore.
DALLE RIVISTE
lie code
(Da un articolo del Pearson's Magazine, «li febbraio).
Sebbene le code siano organi ili essenziale impor-
tanza nell'anatomia e nella fisiologia di molti ani-
mali, pare che esse siano stato alquanto trascurate
dagli studiosi e non abbiano attirato tutta l'atten-
zione che meritavano.
La coda non solo è l'organo più versatile, ma fra
•;77
fruste non esistevano mentre esistevano gli insetti
fastidiosi. Ora la frusta fa l'effetto di una mosca, ed
appena la sferzata è data, la coda, per abitudine e-
reditaria, "pera come se dovesse cacciar via la mo-
Per una vacca sembra che sia minor fatica a-
gitare continuamente la coda a dritta e a manca col
molo regolare del pendolo, che compiere movimenti
difensivi intenzionali via via che l'occasione lo ri-
chiede. In molte località è veramente questione di
vita o di morte per il bestiame l'avere la coda atta
Il giaguaro.
le membra del corpo può reclamare la precedenza
in ordine d'antichità, perchè già in un remotissimo
passato, avanti che esistessero le gambe o le braccia,
compiva funzioni importantissime.
Fra gli animali terrestri la coda serve a moltis-
a cacciar via gl'insetti, e non v'ha dubbio che tra
due animali uno con la coda ed uno senza, in una
regione infestata dalle mosche, quello senza coda
soccomberebbe più facilmente nella lotta per l'es
stenza.
Una ■ oda prensile.
simi scopi. Dai cavalli e dai buoi e usata quasi e-
sclusivamente come mezzo di difesa contro gì in-
setti disturbatori. A tal uopo, essa è provvista di
musi-oli che l'agitane da una parte e dall'altra quasi
automaticamente. Avete mai osservato che quando
una frustata cade sul dorso di un cavallo, la i
ha un sussulto? Ciò può esser dovuto al fatto che
quando i nervi ed i muscoli ihe presiedono ai mo-
vimenti della coda appresero la loro funzione, le
Le pecore domestiche nascono quasi tutte prov-
viste di lunghe code, che però vengono tagliate, per-
pare che rechino danno agli animali. 1 au
dell'articolo non sa spiegare l'esistenza delle i
così sviluppate se non con la considerazione che tra
i popoli dell'Oriente, ove probabilmente le pi-
ti.rono prima addomesticate, la coda è considerata
come un cibo prelibato, e quindi s'è dato sviluppo
alle razze munite di coda. Quasi tutte le pecore sei
I A l ! l'i URA
dalle quali sono d
lomestiche, possegg code magre che
i non servono a cai setti, e ciò
li che vivono nelle rej
, .ni altezze ove le mosche . 1 ta-
ri abbondano.
hanno alcune funzioni cu-
ii he si mbrano essere esl ri
inamente utili resj liratorì quando
l'animale è addormentai he la
cani da timone, e li aiuta a
e rapidamente, ma ciò sembra al-
f autore improbabile, per molte ragioni, eira K
mplicissima, che l'autore non
ricorda d'aver velluto mai un cane muo-
vere la coda nel voltarsi alla corsa. Ma sovratutto la
a del cane ila indi/io del suo stato psicoli
I animale la solleva e fa dimena sotto l'impres
della gioia, l'abbassa quando è afflitto e la piega ira
le gambe posteriori quando è atterrito. L'ai
nte che i e. un abbiano un linguaggio
caudino, che l'agitar della coda sia un metodo «li
'izie. In una muta di cani da caccia
ogni sservando la coda dei compagni, può
stata so ivata la preda, se v'è un nemico
so in \ imi. in/. 1. pui 1 mina farsi un
di quello che si vede.
te la inda serve come appara 1 d
re la trova nel fatto che in molti
la punta della 1 1 bianca e questa partico-
larità n'ra amile in molti lupi. Se un mem
indine .h osa rvare la n da di quelli che li. inno in-
nanzi, <• agire in 1 za.
Fatta 11 per le linci, tutti i felini
■ * |
N
Canguro.
re la si 1
quindi entra in 1 proda»
'ii dal ra 1 Iella 'oda ;
unti i • la consue-
Scinmii.i sud americana.
hanno i-ode bene sviluppate che servono a \ari US .
alcuni ovvi, altri curiosi. Per esempio, si afferma
ehe il giaguaro abbia l'abitudine di far penzolale
la punta della coda nell'acqua per allenare il pes e
a \enire a tiro dei sui 1 formidabili artigli. Tutti
gli animali della famiglia dei gatti, provo
i.ui.i la coda. Onesto fallo non può spiegarsi se non
come un esempio di ciò che si chiama • mimetismo
protettivo». Fra gli insetti ed altre simili ri
ture si veggono spesso gli individui
indi)' 1 are i modi e gli aspetti di altri animali
più formidabili, assicurandosi cosi l'immunità da
gli attacchi. Onesti - sistema di di]
animali appartenenti alle classi più ele\
molti felini, di fronte al nemico, imitano
li n/a 1 vi , [eni «i. e D SÌ si valgi 'ili 1 (lei
mrc isl i ut i \ 1 1 ispiralo da i si 1 peni i. orrore rh
ra in unii gli animali dal sangue caldo.
E' ni ito chi un 1 i scr| enti velenosi, infu-
riati, agitano 1 esl remi 1 1 lei la e da ; e la ci d
1 ' felini ■' 1 igata 1 1 macchiata in modo
da somigliare molto a quella >Yun serperne Vnche
quando il nemico non è completamente ingannato,
il semplici sospetto che si ir.uii di un serpente lo
demoralizza abbastanza per dar tempo al felino mi
1 allontanarsi. L'autore dell'articolo rife-
risce d'aver terrorizzato uw.\ volta una scimm'a fé»
rocissima semplicemente mostrandole un
DALLE RIVISTE
finto, che pure era molto mal fatto. E' vero che an-
che i felini più grandi e più formidabili, come le
[antere, i leoni, le tigri, ecc., che pur non hanno
bisogno di certi inganni per propria di tea. agi
la coda quando sono presi dal terrore 0 dal furori-.
Ma va rammentato che tutti questi abiti ereditari, e
specialmente quelli comuni a specie od a fan;
intere, sono di remotissima antichità: e nei primi
tempi della vita dei mammiferi sulla terra tutti gli
antenati dei felini moderni — e in generale tutti
gli animali dal sangue caldo — erano così piccoli e
Scoiattolo volante.
-V'
mal ditesi che avevano bisogno di quelle simula-
zioni per evitare 1 estinzione
Ai topi ed alle scimmie «lei vecchio mondo la coda
serve coinè sussidio per reggersi in equilibrio quan-
do ve n'è bisogno. Alle scimmie sud-americane serve
1 er afferrarsi ai rami degli alberi, e appunto la
parte inferiore di quell'organo è sprovvista di poh
iperta di una pelle simile a quella del dito li-
mano. \ sono anche molti altri animali provvisti
di coda lunga e prensile come il kinkajou del Sud-
America.
Agli scoiatto=
li la coda s< rve
nello stesso tem-
po da paracadu-
te e da timone
nei salti meravi-
gliosi che essi
fanno 'li ramo
in ramo . e nei
così detti sco-
iattoli volanti i peli della coda sono sparsi ai
due lati in modo da dare un ceno sostegno al-
i animale nel suo a volo » aerei».
Pi ; canguri, la coda costituisce come un'al-
tra gamba: quegli animali si seggono como-
damente su essa e sulle zampe posteriori, e
quando vogliono spiccare un saico, '_* la coda.
;. forte e muscolosa, che dà la spinta.
Tra i pesci, come è noto, la ; 'pre-
senta un mezzo di locomozione importantis-
simo: è essa l'organo propellente. I delfini,
le balene, ecc.. hanno la coda disposta oriz-
zontalmente, anziché verticalmente come
l'hanno gli altri abitanti dei mari. Ciò devesi
probabilmente al fatto che quegli animali
non vissero sempre nell'acqua ma, nati nel-
l'acqua, passarono poi alla terraferma. Più
tardi poi tornarono al loro elemento primitivo-
I giornali giapponesi
Ha un articolo ili R. Candiani, nella Revue Blem- .
Si pubblicano attualmente nel Giappone
500 tra giornali, riviste e periodici diversi. Le dif-
ficoltà per comporli sono grandissime, e il signor A
sahima. direttore dell'importante foglio quotidiano
Nishi-Shimbum, le spiega.
I caratteri tipografici giapponesi non rappresen-
tano singole lettere e neppure sillabe o gruppi di
sillabe. Ciascuno di essi corrisponde a un'intera pa-
rola. Ora la lingua giapponese è una delle più ric-
che del mondo; talché, per comporre un solo nu-
mero di giornale, occorrono da $0 a 50 mila carat-
teri, rappresentanti altrettante parole. Per guada-
gnare tempo, si danno in tipografia due copie di
ogni manoscritto: uno è affidato a una squadra di
operai che vanno cenando nelle elativi ca-
ratteri, l'altra ai compositori, che mettono insieme i
caratteri raccolti dai loro compagn I la s ruadra di
ragazzi porta i caratteri dai primi ai secondi.
lari di tanti tipografi sono alti, e pochi gior-
nali sono quindi attivi. Tutti i Giapponesi chiedono
ohe si rinunzi alla scrittura nazionale, per adottare
i caratteri latini, la qual cosa stringerebl e i rapp
intellettuali del Giappone con le nazioni occidentali.
.limi"
Gli uomini più Fieehi nel mondo
In America ni 11 si è milionari se non
gono 5 milioni di dollari, cioè 25 milioni di lire.
Waldori Astor possiede un miliardo. \ ndi
6 a 800 milioni, altrettanti Guglielmo Rockfelli
parente del re del petrolio.
Ma l'uomi ; più ri' o ■ che sia al mi mi li sarebbe un
se, un corto J. l-iei: . proprietario della mota delle
officine dell'Africa del Sud: il quale possederebbe,
in odra tonda, due miliardi - li franchi.
LA LETTURA
Polacchi contro Prussiani
René Henry, nella K,-.'n, fi
i di cento anni che la Prussia, la Ru
,• si divisero la Polonia
nondimeno questa nazione
prove -in. nulo, in ogni estate, la
il fior fiore della |
ualche città ili bagni, e quaro
, la condotta del clero, altrettanto p
uello irlandese, e negli stessi villa
ntimento nazionale è vivacissimo. I tre pezzi ili
dia. artificialmi irati, vivono 'luna
e quando i tacciato, gli altri
! Austria, che s'impadronì nel 1846
1 Repubblica 'li Cracovia, ha ora .-.incesso ai
Polacchi l'autonomia in Galizia e lascia che essi vi
rimano i Russi austriaci, 0 Ruteni ; e l'elemento
pola ente a Vienn 1 cre-
duto, pochi anni addietro, .li poter far dichiarare
dall'Austria la guerra alla Russia. Quest'ultima fu
considerata a lungo come una nemica irreconcilia-
bile della nazione polacca, specialmente quando Na-
poleone fece sperare l'indipendenza ai suoi fedeli
icchi e quando i Russi occuparono Varsavia, pri-
rxutivamente toccata alla Prussia. Ogni volta che la
propaganda ortodossa ha mi il cattolicismo,
Bismarck e t'aprivi hanno a loro volta minao
la Russia «li giocare la « carta polacca ».
ti alla Prussia nel ducato
. della Slesia, delle Provincie orientali prUS
siane, sono minacciati .li germanizzazione; quindi
tutta la Polonia si arma moralmente per far fronte
al nuovo perìcolo. E' la vecchia lotta dello Slavo
ro il Tedesco, 0 minciala anticamente quando i
I massacrarono, tra l'Elba e l'O.ler. i Wendi
ni, continuata tra Polacchi e ■ Cavalieri della
Croce ». monaci guerrieri che Sienckiewicz chiama,
nel suo romanzo omonimo, « implacabili e duri co-
■ ; proseguita aurora da Federico II. i-
1 ila Polonia. La marcia
- Drang nach Ostai — è ora arre-
.1 dalla frontiera russa; ma. nell'interno del-
l'Impero che resta di slavo è com
oltranza, e particolarmente il gruppo
O ni]" isti 1 'li ,ì milioni .1 anime.
Al principio del iqoi. i maestri 'li scuola tede-
lacchi ebbero or. line ili attenersi
rigii il rescritto il quale imponeva che le
ero essi re recitati in
dagli scolaretti, l'n maestro del borgo di
\v. r chen, fervente germanizzatore, diede prova di
pas-
oli allievi. Ricorse all'ispettore del di-
lle venne insieme ad altri ufficiali sco-
pi io hi non si lasciarono in-
1 rispondere in po-
lenz VH01 irono i ca
tur. -no p
lunghe l giunco. Si U-
divano le grida dalla via; le madri piangevano, im-
precavano, tentavano invano di aprire le porte .Iella
scuola: i gendarmi le dispersero. Nell'autunno, il
tribunale .li Guiezdmo ne condannò una ventina a
anni di carcere. Una vedova, inferma, quasi
in. .lente, i cui sette tìgli erano stali percossi, fu 1
dannata a due anni e mezzo di bagno per aver d
iudici: 1 \"i vogliamo che i nostri tìgli appretv
dano la religione in polacco, perchè altrimenti non
potremmo pregare con loro ». Che sarebbero d
miti i sette orfanelli, senza pane, nella loro capanna
Enrico Sienckiewicz, mandando 200 corone
per essi al giornale Czas 'li Cracovia, scrisse: t Vo-
gliono lar morire «li fame i fanciulli eroi? » Il ce-
lebre romanziere, che ha esaltato il sentimento na-
zionale, denunzia al moti. lo intero il « Prussiano ».
assassino della patria sua. « E' avvenuta in P
sia ». scrive egli. « una decomposizione generale de-
gli spiriti, una degenerazione dei sentimenti «li
stizia e di verità; il senso morale è scompars
Quando un simile organismo sociale, in seguito a
circostanze funeste, si è sentito poi. tue. ehi- e,, sa ne
poteva risultare, se non i mostruosi sintomi dei quali
il processo di Guiezdmo è un esempio?... » Il ce-
re Paderewsky, sopra un palcoscenico pieno .li
fiori, in mezzo a un entusiasmo indescrivibile, ha
a I'osen un concerto a benefìzio dei bambini .li
Wreszno. Il pittore Kossak, al quale Guglielmo li
aveva dato incarico di dipingere parecchi quadri
rappresentanti le imprese dell'esercito tedesco in Ci-
na, ha rifiutato la commissione e.l ha lasciato
lino per Cracovia. Il Czas ha raccolto 200 mila
franchi per i piccoli martiri.
L'incidente «li W reszno non è un fatto is.
eccezionali V''< Provincie polacche è in vig
un sistema ili germanizzazione.
Xel 1870 i reggimenti polacchi dell'esercito prò*
siano si erano battuti accanitamente contro i Fran-
cesi per le ragioni che Sienckiewicz spiega nella
sua novella intitolata Bartek il vittorioso. Il 16
Sto, quando una brigata polacca comandata da uf-
ficiali tedeschi fu attaccata dai Fran.
dante diede online che la musica suonasse l'inno
nazionale polacco; e a quel suono il sangue Ix'llì
nelle vene dei soldati .-.1 essi si lanciarono sul ne
0 cantando l'inno patriottico: <■ La Polonia non
morta'. Urrà! Urrà! » E Bartek pugna
eroe e s'impadronisce di tre bandiere <■ di due can-
noni; ma quando gli domandano: « Perchè ti batti
coi Francesi2 » l'eroe dapprima resta mu>".
traducendo istintivamente il sentimento dei suoi ca-
di, risponde: « Perchè sono Tedeschi, ci an-
eli,- peggio; earogne! ».
I redeschi non furono grati ai Polacchi del va-
lido aiuto che neebbero. finita la guerra peroti
rei1, ca dell'Impero da lui fondato, Bismarck
combattè l'elemento polacco nelle sue cred.
Ila sua affezione alla terra. 11 < «
b di sferzare la Chiesa cattolica poi 1
DALLE RIVISTE
38l
ultima organizzazione ufficiale che potesse servire
agli irredentisti. Il Kulturkamff non fu soli
una lotta religiosa, ma anche un attacco contro la
nazionalità polacca. L'arcivescovo di Posen — oggi
cardinale Ledochowsky, prefetto di Propaganda ■ —
fu condannato a 2 anni di carcere. Nello stesso
tempo egli cercò di far passare la proprietà del
suolo ai coloni tedeschi. Dopo la tregua del 1885 —
quando i deputati polacchi, per un momento 'ben
trattati, votarono il secondo settennato militare, la
legge agraria fu diretta ad aiutare la colonizzazione
tedesca ; allo stesso tempo la banca Ziemski oppose
a questa la contro-colonizzazione polacca. Ma i co-
loni tedeschi, trasportati con grandi spese in Polo-
nia, parte si assimilarono ai nazionali, parte fuggi-
rono per la nostalgia. Gli Slavi aumentarono nel-
l'Impero tedesco. Quando Guglielmo II sali al tro-
no, il leader dei Polacchi al Reichstag, Koscielski,
fu ufficialmente incoraggiato a tentare una politica
di buon accordo, e pronunziò la famosa frase: « Noi,
Prussiani di lingua polacca... ». ma un discorso di
Guglielmo II gli tolse ogni illusione. Ora gli anti-
polacchi sono onnipotenti. Si vieta al clero polacco
di predicare, di cantare, di insegnare nella lingua
nazionale. La lotta agraria si acuisce. Nell'agosto
del 1901 il Governo prussiano compra 120 mila ar-
penti di terra nella Posnania. per distribuirli ai
coloni tedeschi ; dall'altra parte i Polacchi si asso-
ciano per venire in soccorso di quelli fra loro che
sarebbero tentati di vendere le loro proprietà ai ne-
mici della patria, e tutti gli agricoltori polacchi,
tanto quelli soggetti alla Prussia, quanto quelli ob-
bedienti all'Austria ed alla Russia, tentano di fon-
dare una unione economica di mutuo soccorso.
I Prussiani rispondono perquisendo gli uffici dei
giornali polacchi, imprigionando giornalisti e pub-
blicisti. Il caso di Casimiro Rakowski. condannato
a 2 anni di carcere a per ribellione » e attualmente
nella cittadella di Posen. ha fatto chiasso; una
colletta in favore della sua famiglia ha già frut-
tato 30 mila franchi. Anche i soldati polacchi sono
considerati con sospetto. Nel luglio scorso, a Bre-
slau. sono accusati di complotto per disertare in
Russia in caso ili guerra; a Danzica un fantaccino
polacco è condannato a un mese di prigione per-
chè nel suo libro di preghiere si trova un'immagine
sacra con l'iscrizione: « Signore, proteggi la Po-
lonia ». Le lettere con l'indirizzo in polacco non
sono consegnate. Il Governo sassone, nel settembre.
vieta di far uso delle lingue slave nelle assemblee
delle Società polacche e czeche.
I Tedeschi mirano specialmente a germanizzare
le giovani generazioni: ma i risultati non sono
quelli sperati. A Thorn si intenta un processo a
sessanta studenti accusati d'aver « desiderato la ri-
costituzione della grande Polonia. La resistenza dei
fanciulli di Wreszno è imitata in tutte le scuole ru-
rali. Enrico Sienckiewicz. suddito russo, dopo avere
scritta la lettera al Czas, giornale austriaco, è proces-
sato in contumacia, dinanzi a un tribunale tedesco.
per aver attaccato in quel foglio straniero l'Impero
e l'Imperatore tedesco. Questo fatto ha avuto o n
guenze gravi, perchè Sienckiewicz è considerato c<
me il re della Polonia ideale, per aver evocato e im-
mortalato nei suoi libri gli eroi della patria. Il Bii-
low e altri ministri hanno dichiarato, con abili ma
vane restrizioni, che la guerra è impegnata ad oltran-
za. Il credito prussiano per sviluppare e affermare
l'elemento tedesco nelle Provincie polacche, è s
lionato da 400 mila marchi a un milione. A Posen
si fonda una università tedesca e una biblioteca che
conterrà 800 mila volumi; a Bromberg una scuola
prussiana di agricoltura. Il numero degli agenti della
polizia segreta -'accresciuto, le guarnigioni nei paesi
polacchi sono aumentate.
Tutto ciò produce e produrrà molte e gravi con-
seguenze. Col risveglio dei Polacchi, la quistione
delle nazionalità, già sollevata dai Danesi dello
Sleswig e i Francesi dell' Alsazia-Lorena, è già po-
sata nell'Impero tedesco: gli elementi irredentisti vi
divengono numericamente importanti. Al Reichstag
e al Landtag l'evoluzione del Centro verso il nazio-
nalismo tedesco sarà rallentata. Il commercio tede-
sco già soffre per il boicottaggio dei prodotti germa-
nici nei mercati polacchi. I rapporti russo-tedeschi
e austro-tedeschi risentiranno le conseguenze di que-
sti fatti. In Russia parecchi giornalisti hanno tatto
una campagna per i Polacchi di Prussia ; a Varsa-
via, quando fu abbattuto lo stemma del Consolato
tedesco, i dimostranti erano metà polacchi e metà
russi; il Comitato di beneficenza di Mosca ha man-
dato 200 corone alla sottoscrizione del Czas. In Po-
lonia già si vagheggia una federazione slava sotto
la protezione della Russia, e il Governo russo •
tutti i vantaggi che può ottenere nella situazione pre-
sente. Lo Zar, soggiornando in novembre a Skier-
niewice. presso Varsavia, volle ricevere i rappresen-
tanti della nobiltà polacca, ai quali disse: « Polac-
chi, mi trovo bene fra voi ». E i funzionari russi del
Granducato di Varsavia hanno l'ordine d'imparare
il polacco: il dazio sui libri e sui giornali polacchi
in Russia è soppresso; ai professori polacchi non si
contendono più i posti nelle scuole superiori ; la po-
lizia russa, sequestrati una quantità di scritti rivolu-
zionari, ha scoperto che erano opera dei Tedeschi in-
tenti a metter nuovamente in guerra Russi e Po-
lacchi.
Anche i Polacchi dell'Austria sono esasperati
controia Prussia. A Cracovia e a Leopoli le dimo-
strazioni contro la Germania si susseguono e si ag-
t no. A Vienna un ministro polacco del gabi
■ Koerber ha assistito a una riunione nella quale
si è attaccala violentemente la Prussia. Ora i fio
deputati polacchi al Parlamento austriaco possono
formare la maggioranza se si ali.
con gli Slavi del sud e i Tedeschi delle Alpi. Que
sta alleanza non è ancora prossima, ma non è
In le che un'Austria nuova e più forte si allon
tani dalla Germania e si accosti alla Russia ed alla
Francia.
-
LA LETTURA
Ginnastica e salute
1 sin dalla culla ad usare le due parti del o
[mente non si può ottenere la simrai
ta. L'u - he si fa del brai ciò diritto
Hai aret II.
def rmi, e pure ro m si o intano le
spalle curve e gli oo hi munii i 'li
lenti. Tutti questi difetti fisici, spe leg
considerati come vere i
ur tali da sottrarre molto alla salute e alla
belle possi no in gran parte i
sì il benessere
1 bambino, ma si pone la base di Ila
gì ire.
l'n bambino, nella generalità dei casi, è all'atto
i nascita elicati ma non ..ni.- da
:upare. I
«o poi . lentamente .
subdolamente Bisogna dun- r — i — r
que pieve lirle con cura at-
■ uà.
Per vedere se la spina
dorsa li | erfettamente ili
ritta. 1 -'•una far curvare il
bambino tenendo i calcagni
giunti, i piedi ail augnili, e
proti ndendo le mani come
per toccare le punte 'lei pie
di. Questa posizione fa e-
mergere le vertebre 'Iella
.-.pina dorsale, e si vede SU-
bilu se v'è qualche curva-
tura.
il si abitua un l>am-
L'n'altra
t Ina posizione ni'
li più ''he ilei siili-
i he la parte destra 'lei corpo si
sviluppi assai più dell'altra, ma
il diletti' e piccolo e ili pOCO mo-
mento. Ter contro, non \ i
ne perchè un ani >sere
più gè issa dell'altra. Qu -
o è di ivuto al latto ehe i bam-
bini hanno l'abitudine di far | e
sare tutto il corpo mi mia g
o di sedere con una gami'
piegata sotto l'altra.
Nella prima delle tre illustra
ni ni questa pagina, si
una baml lina |uasi acci -\ ai
su una seggiola, con i.- sp
curve, il petto contratto, e il peso del corpo gravante
tutto sul li.i lestro, per modo che anche la spalla
esce dalla sua posizione regolare. Il cape e pieg
in avanti, il libro troppo vicino agli occhi, le gami»-
una sopra l'altra. 1. una posizione pessima: si
pilo dire che unii c'è parte del corpo che non soli i
prima di ititi" gli occhi, i polmoni e la spina doi
sale.
I ,i seo inda foti gì afia un istra la posizione giù
che dovrebbe tenersi scrivendo, disegnando, <■
altra ragione stando a tavolino. Si noti che sedia e
tavola sono di altezza proporzionata; i piedi sono
fermamente sostenui i, e la i spinta al I
stanza sotto la tavola da risparmiare alla bambina
i.i n. ■cessila di curvarsi sul lavoro.
Tutti gli sterzi che danno al corpo una posi/ione
DALLE RIVISTE
383
irregolare devono essere assolutamente esclusi. Proi
bite ai bambini ili portare al collo altri bambini.
Un'occhiata alla fotografia in questa pagina vi spie-
ga subito la ragione.
\
si strofina la pianta del piede fortemente dalle dita
al calcagno. Questo deve essere Fatto dieci o dodici
volte il giorno. E' utile anche, prendendo il piede
per il calcagno e per la punta, farlo girare ripetu-
tamente dentro e fuori; frattanto il bambino deve
ire assolutamente passivo, senza concorrere
nello sforzo. Non si cureranno mai abbastanza il
piede e la caviglia. Il poter camminar bene è con
dizione necessaria per conseguire un bel portamento,
e molti casi ili curvamento della spina dorsale sono
dovuti alla debolezza di una. caviglia o ili tutte e
due. Per l'eleganza del portamento è anche molto
utile una passeggiata quotidiana, praticata con co-
stanza, su e giù per un giardino od anche per una
camera, con un libro sopra il capo. L'eleganza nei
fanciulli si ottiene spesso con alcuni dei metodi più
semplici, con la ginnastica che si compie nei giuochi,
correndo, saltando, giuocando alla palla. I bambini,
e le bambine specialmente, dovrebbero essere vestiti
in modo da avere tutti i muscoli perfettamente li-
beri.
E' innegabile che di tutti gli organi del corpo i
polmoni sono i più importanti. Molte malattie sono
dovute esclusivamente al fatto che non si fanno la-
L'n altro uso da evitare è quello di stendersi proni
sui tappeti innanzi al fuoco d'un caminetto. Le
spalle e le anche soffrono, il guizzar delle fiamme
confonde la vista, e il calore fa male al capo.
L'autrice sconsiglia di far portare ai bambini le
rpe alte. Perchè rinchiudere i poveri muscoli in
un astuccio di pelle che ila bensì un sostegno tempo-
raneo, ma nel medesimo tempo impedisce effettiva
mente che i muscoli stessi si sviluppano e diven
gano forti abbastanza da reggere il peso che dovreb-
be reggere? La scarpa alta, dunque, va bandita:
se fa cattivo tempo, le ghette di panno danno il ca-
lore necessario e una difesa sufficiente dal fango.
L'uso ingrossa e ad un tempo rinforza i muscoli.
Cosicché quando ve una tendenza di debolezza alla
caviglia, due o tre semplicissimi esercizi, purché e-
seguiti regolarmente, basteranno a dare forza ed e-
leganza al piede. Si fa sedere il bambino o la bambi-
na, che deve lasciare il piede completamente passivo.
Si prende la caviglia con la sinistra, e con la destra
i e 2. Posizioni sconsigliabili — 3. Per camminar bene.
38 | la imi iu.\
vorare abbastanza bene. Molti fanciulli respirano
orb ino ed emettono aria
i mani n rare i pi limoni come do^ rebl
L
IVr
la spina dorsale.
i hi, Poi fatele aspirare profondamente e lentam
l'aria attraverso il naso, tenendo lai :a chiusa. Mi
tre i pi Mini .ni si riempii mi i, le braccia debl
sollevate al ili sopra del capo, e abbassate dietro sin
che le dita tocchino il Minio, e poi, i »n ugual
tezza. riportale alla posizione primitiva, espellendo
lana in questo secondo movimento. Bisogna ossei
vare che entrambi i polmoni si esercitino ugualmi
che la bocca sia tenuta chiusa, e che la bambina [
eia in posizione perfettamente diritta.
I n casi ■ di debolezza dei muscoli de]
nete il bambino sopra una i avi ila : fa rrare
l'orlo con le mani e in modo che il corpo dalla cin-
tola in su sia sospeso sul vuoto; poi fategli solli
il corpo più che può al di sopra della tavola. Dopo
questo, che è fai ile, fategli incrociare le braccia ilie-
e questo <■ un gran male. Pi rciò bisognerebbe inse-
ibini a respirare. A quest'effetto si pos-
esercizi. L'n<>. semplicissimo, è
Fate i i ridere la bambina (o il bambino)
al sui diritta, con le braccia ai fian-
Per rinforzare il tronco.
tro la schiena e fatele lare lo stesso esercizio tenen-
dolo ben termo pei piedi. Poi stendete il bambino
sul dorso e fate rifare gli stessi movimenti. L'efl
è utilissimo.
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CORNELIA
a—
NOVELLA
Don Antonio de Isunza e don .luan de
(lamblia, gentiluomini d'alto lignaggio, giu-
diziosi, intelligenti', della stessa età e amici
intimi, erano studenti insieme a Salamanca.
Mossi entrambi dal sangue bollente della gio-
ventù e, come si dice, dal desiderio di vedere
il mondo, risolvettero di abbandonare i loro
studi e di andarsene in Fiandra, parendogli
che [esercizio delle armi, utile e conveniente
in genere a tutti, lo fosse più specialmente a
ehi è nato di buona famiglia e d'origine illu-
stre. Giunsero in Fiandra a pace fatta , o
quanto meno quando la si stava conchiudendo.
Ad Anversa, ebbero lettere dai loro parenti, i
quali oltre al mostrarsi dispiacentissimi per
avere essi abbandonato i loro studi, gli rim
protravano di non averli avvisati, onde aves-
sero potuto viaggiare colle comodità dovute al
loro stato. I ilne giovani, vedendo il dispiacere
che davano ai loro parenti, decisero di ritor-
nare in [spagna, visto che in Fiandra non c'era
nulla da l'are: ma,' prima di rientrare nel loro
paese, vollero visitare le ritta più famose d'I
t;ili:i e dopo averle tutte viste, si stabilirono
a Bologna, dove, allet-
tali dagli studi profondi
di quest'insigne Univer-
sità . de :isero di finire
il loro corso Ne die-
dero avvisa ai loro ge-
nitori, i quali se ne ral-
legrarono, e diedero
prova della loro appro-
vazione provvedendoli
magnificamente, per cui
ESIGETE
Iti!
MARCA
HERMANN
MILANO -TORINO
dal loro <renere di vita apparisse la ricchezza
e la nobiltà della famiglia.
Fin dal primo giorno che entrarono a scuola,
vennero unanimamente giudicati come genti-
luomini, vivaci e di modi distinti. Don Antonio
era sui ventiquattro anni, don Juan non ne
aveva più di vontisei. Ouest'età felice veniva
ornata dalla loro bella presenza, dalla loro ac-
cortezza e bravura e dai loro talenti musicali
e poetici, qualità che li rendevano simpatici a
tutti quelli ohe li frequentavano. Kbbero ben
presto una quantità di amici, non soltanto fra
gli studenti spagnuoli che venivano in gran
numero a quelle scuole, ma fra quelli della
città e delle altre nazioni. Si mostravano con
tutti pieni di liberalità e di cortesia, molto
dissimile da quell'arroganza che si suole attri-
buire agli Spaglinoli, essendo giovani e di buon
umore, non dispiaceva loro di conoscere le
bellezze della città, e benché allora vi fossero
molte dame, ragazze o maritate, in grande ri-
putazione di virtù e di bellezza, una le sor-
passava tutte quante ed era Cornelia Benti-
voglio dell'antiia famiglia dei Bentivogli, un
tempo Signori di Bologna. Kssa era di una
bellezza meravigliosa; viveva sotto la tutela e
la protezione ili suo fratello Lorenzo lienti-
voglio . rispettabile e generoso gentiluomo.
Erano orfani di padre e madre : i loro genitori
li avevano lasciati s. .li ma ricchi, e la rie-
chezza è un gran conforto. Cornelia viveva in
una solitudine cosi profonda e suo fratelli! la
guardava con una tale sollentudme che, uè
l'ima si lasciava vedere. i:è l'altro permetteva
che la si vedesse La riputata bellezza dH'or-
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nelia metteva un vivo desiderio nei due amici
• li vederla, non foss' altro che in chiesa; ma
.r/.o fu vano, per cui il loro de-
siderio andò diminuendo per l'impossibilità che
distrugge la speranza. Dati utili studi e a
qualche onesto divertimento, facevano una vita
lauto allegra quanto esemplare. Di notte usci
i raramente, e se uscivano erano insieme
ben armati.
Ora avvenne che una sera, prima di uscire,
don Antonio disse a don Juan :
Vorrei rimanere ancora un poco per re-
naie certe preghiere; vattene, ti seguirò tra
."•e,).
È inutile, rispose don Juan, ti aspetterò :
che importa se -lascia non usciremo?
No, assolutamente, replicò don Antonio:
te a prendere un po' d'aria : vi ragg ungerò
se passale dove siamo soliti di passare.
- Bene, fate come credete, riprese don
Juan: mi troverete agli stessi posti delle altre
sere.
E usci, lasciando in casa don Antonio. L'ora
era tarda e la notte buia. Dopo aver percorso
due o tre vie. don Juan, trovandosi solo, non
avendo nessuno con cui parlare, decise di ri-
tornare a casa. E così fece. Passando in una
via liancheggiata da portici di marmo, intese,
da una porla, chiamarsi a bassa voce. I, "oscu-
rità della notte, l'ombra proiettata dalle arcate
non gli lasciava vedere donde venisse la chia-
mata. Ristette prestando tutta la sua atten-
zione, e vide socchiudersi una porta. Si avvi-
cinò, e intese a dirsi a bassa voce:
Siete voi. Fabio, per caso?
Don Juan, non sapendo troppo il perchè, ri-
se :
-
(piasi subito dopo, udì il vagito d'un bimbo ap-
pena nato. Don Juan a questi pianti rimase tanto
imbarazzato quanto sorpreso, non sapendo in
tale frangente che l'are e qual parlilo prendi re
Gli pareva che a tornare indietro e Lussare
alla stessa porta, potesse mettere in pericolo la
madre ed il bambino, ed a depone in me
alla strada il lardello, ne andasse addirittura
la vita: d'altra parte, m casa nessuno avrebbe
potuto prenderne cura, uè egli sapeva a ehi
aflidarlo.
Alla line, pensando (die uh avevano detto
di mettere il bambino in salvo e di ritornare
tosto, don .Juan si decise di portarlo a casa,
lasciandolo nelle mani di una governante che
lo serviva, poi di ritornare sul luogo per . ■
dere se la sua presenza fosse necessaria, gi
che si era accorto che l'avevano scambiato
per un altro e (die il bimbo gli era slato ri-
messo per errore. Finalmente, senza più riflet-
tore , se lo portò a casa, e rientrò (piando
don Antonio ne era appena uscito. Giuntovi,
chiamò la governante, scoprì il bambino e ri-
conobbe che era il più bel maschietto del
mondo. Le fascie in cui era avvolto lo dimo-
stravano nato di ricchi parenti.
— Bisogna dare tosto il latte a questa vez-
zosa creaturina, disse don Juan. Ecco e, une vi
suggerirei di fare. Voi, governante, gli torrele
queste ricche fasce e gliene inciterete di più
modeste, e, senza dire che fui io a rimetterlo.
lo consegnerete ad una levatrice, quelle donne
-anno come provvedere a questi casi. Porte-
rete cun voi il denaro per soddisfarla, e attri-
buirete al bambino i genitori che meglio \i
piacerà, pur di nascondere la verità e di non
palesarne la provenienza.
La governante lo assicurò che gli avrebbe
Ebbene, allora prendete, risposero dal- obbedito, ed egli ritornò in tutta [fretta sul
luogo, per vedere se lo chiamavano una
«onda volta.
In po' prima di giungervi, inlese un gran
rumore di spade, come se parecchie personi
ero alle prese, lese lorecchio: non inti
sillaba: per cui capi (die il combattimento ci
fai èva -.'.Ila sordina. Ma alla luce delle scin-
tille che gettavano sul lastrici! le spade, iu-
travvide parecchi uomini che ne assalivano
uno subì. Ciò fu confermalo dulie paroli
intese: Ah! traditori! voi siete molli, ed io.
solo, ma la vostra slealtà non vi gioverà a
nulla. A quella vista ed a quelle parole, don
l'interno; riponetelo in luogo sicuro e ritor-
presto: e una cosa importante.
Don Juan stese il
braccio, incontrò un
involto, e (piando fu
per prenderlo, s'accor-
se che bisognava spor-
gere le due mani. Ap-
pena rimesso , venne
chiusa la porla, ed egli
si trovò mila via . col
-ia> carico, ignorando
di che si trattasse : ma
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Juan, spinto dal suo cuore generoso, mise la
mano alla spada, afferrò lo scudo che indos-
i, e in due salti si trovò al tiamo di ({nello
che si difendeva , dicendogli in italiano per
non essere riconosciuto come spagnuolo :
Non temete, vi giunge un soccorso, il
quale non cesserà che colla vita; menato le
mani: i traditori valgono poco, benché siano
num< ;
— Tu menti, rispose a queste parole uno
degli avversari; qui non vi sono traditori, è
il solo desiderio di ricuperare l'onore perduto
che ci autorizza a qualsiasi specie di violenza.
Non disse altro. Gli assalitori erano in sei,
essi strinsero così da vicino il suo compagno
che con due colpi di punta, dati contempo-
raneamente, lo gettarono sul lastrico. Don Juan
credette i he lo avessero ucciso. Si precipitò
coraggiosamente (lavanti ad essi, e li fece in-
dietreggiare sotto una pioggia di stocco e di
taglio. Ma tutta la sua prontezza Dell'attac-
care e nel difendere, non gli sarebbe bastata
se la fortuna non lo avesse aiutato, mettendo
alle linestre, coi lumi, peli abitanti della strada
usanti la giustizia ad alta voce. Ciò ve-
dendo, i nemici [fuggirono di corsa. Nel frat-
tempo, l'uomo caduto si era rialzato, perchè
pade avevano incontrato una corazza dura
come il diamante. Nella mischia, il cappello di
don Juan era caduto, e mentre lo cercava, ne
trovò un altro che senza più si pose in testa,
senza guardare se fosse il suo. 11 cavaliere gli
s'accostò e gli disse:
— Signor gentiluomo, chiunque siate, con-
fesso che vi debbo la vita, e che l'impiegherò,
per quanto valgo e so, a vostro servizio. In
grazia, ditemi chi siete, e il vostro nome, per
sapere a chi debbo essere riconoscente.
Non voglio esservi scortese, rispose don
Juan, benché io abbia agito senza interesse.
Per i i mpiacervi vi dirò solamente che si no
un gentiluomo spagnuo-
lo, studente in questa
città, e, se vi garba sa-
pere il mio nome, ec-
covi servito, caso mai
vi abbisognasse un'al-
tra volta di me. Mi
chiamo don Juan de
i lamboa.
Voi mi avete reso
un grande servizio, ri-
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
spose il suo interlocutore; con tutto ciò, si-
gnor don Juan, non voglio dirvi chi sono, ah
il nome mio, giacché avrei un piacere immenso
se veniste a conoscerlo da un' altra persona
procurerò che ne siate informato.
Don Juan uh aveva chiesto dapprima se
fosse lei ito, perchè lo aveva veduto ricevere
due gran colpi di spada.
— No, aveva risposto l'altro; dopo Dio, chi
mi salvò l'u la mia buona corazza: però, se
non foste venuto in mio aiuto, i miei nemici
mi avrebbero Imito.
In questo momento videro venir gente. Don
Juan gridò :
— Se sono i nemici che ritornano, mette-
tevi in guardia, signore.
- Non credo, rispose l'altro, suppongo siano
degli amici.
Ed infatti, così era. Questi si avvicinarono
(erano in otto), si accostarono a lui, scambian-
dosi (pialclie parola a voce così bassa e con
tanto mistero, che don Juan non potè inten-
dere. Allora lo sconosciuto si rivolse a don
Juan e gli disse:
- Se questi amici non fossero venuti, non
vi avrei per nulla al mondo lasciato prima
che m'aveste messo al sicuro ; ma ora vi -
plico di andarvene e di lasciarmi qui. dove
ho vivo interesse di rimanere.
Così dicendo, portò la mano in testa, e si
accorse che era senza cappello. Si volto verso
quelli che l'avevano raggiunto e gliene do-
mandò loro uno. dicendo che il suo era ca-
duto. Detto questo, don Juan gli porse quello
che aveva trovato nella via. Lo sconosciuto
lo tastò, e glielo restituì dicendogli:
— Onesto cappello non è mio, signor don
Juan : portatelo per trofeo della battaglia, e
tenetelo molto caro, perchè esso è ben noto.
Gli dettero un altro cappello, e don Juan,
per aderire al suo desiderio, dopo qualche
breve complimento, lo lasciò ignorando chi
fosse, e si diresse a casa sua, evitando di
vicinarsi alla porta dove gli era slato rimi
il bambino, appena nato, perchè gli pareva
che tutto il quartiere si l'osse svegliato .■ com-
mosso al rumore del combattimento-
Mentre tornava verso casa, incontrò il suo
compagno, don Antonio de Isunza : riconosciu-
tosi, don Antonio gli disse :
Ritornate indietro con me; strada fa-
cendo \i racconterò una strana avventura OC-
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I ORNI 1 in
iiini ora, 'li cui Don avete sentito l'uguale
in vita ro
Potrei dire io altrettanto, rispose don
Juan andiai love credete e raccontatemi la
vostra storia.
Si avnarono, e don Antonio alloca disse:
Bisogna che sappiate che, poco più di
un ora dopo la vostra partenza, uscii per in-
contrarvi. Non avevo fatto una trentina ili
passi, quando vidi venire a me una forma nera
che si avanzava frettolosamente: quando mi
si avvicinò, riconobbi che era una persona
avvolta in un lungo abito da religioso. Essa
mi disse con voce interrotta da sospiri e da
singhiozzi: -- Signore, siete voi straniero,
o della città? Straniero e Spaglinolo, ri-
sposi. Sia grazie a Dio, riprese essa. Egli
non permette ch'io muoia senza sacramento.
Siete voi ferito, signore, o colpito da qualche
male mortale.-' - Potrebbe darsi che il male
■ li cui soffro lo fosse, se nessuno mi viene
prontamente in aiuto. Per la cortesia di cui
si vanta la gente del vostro paese, ve ne sup-
plico, signor Spaglinolo, portatemi via di qui,
e conducetemi a casa vostra il più sollecita -
mente possibile. Colà, se voi lo desidererete,
vi dirò 'li die male soffro, e vi dirò pure, a
prezzo della mia riputazione, chi sono.
Don Antonio, dopo una pausa, continuò:
— A queste parole, riconoscendo la neces-
sità ili un pronto soccorso, senz'altro aggiun-
gere, le tesi la mano, e per vie scartate giun-
gemmo a casa. Venne ad aprirci il paggio ,
Santisteban : gli diedi ordine di ritirarsi , e
senza elicgli la vedesse la feci entrare in ca-
mera mia, dove appena giunta cadile svenuta
-ni letto. Mi vi avvicinai , le scopersi il viso
che essa nascondeva sotto la mantiglia e, vidi
la più meravigliosa bellezza che occhi umani
abbiano mai visto: essa avrà diciotto anni.
Forse meno aie-ora. Corsi a cercare un po'
'I acqua die le spruz-
zai in viso Essa rin-
venne con un doloroso
sospiro - la prima COSB
che mi disse In : Mi
conoscete voi? No,
le risposi . non ci, In
mai la fortuna di co-
noscere una simile bel-
lezza. Ah, quanto è
infelice quella a '-ni
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito !
Di 1 5 lui stupri succisiti cttsctote
fa
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
l'io lece questo dniio Innesto! Signore, non
è il momento di lare dei complimenti , ma
di soccorrere una povera disgraziata. In do
me di Dio, vi supplico di tenermi rinchiusa
qui. <• ih non permettere a nessuno di \
dermi. Ritornate al più presto sul luogo dove
mi avete incontrata e guardate se qualcuno
si batte : ina non pigliate le parti di n
.uno dei combattenti; separateli, giacche
una disgrazia da qualsiasi delle parti non fa-
rebbe che accrescere la mia '. Allora la rin-
chiusi in camera, edora vado a separare i
combattenti.
— Non avete più altro da aggiungere, don
Antonio V (liiese don Juan.
Vi pare dunque che non basti, dopo
avervi detto che tengo rinchiusa (e in camera
miai la più meravigliosa bellezza di questa
terra ?
L'avventura è strana davvero, rispose
don Juan; ora sentirete la mia.
Egli raccontò quanto era successo, come il
bambino rimessogli l'osse a casa loro, in mano
della governante, e come avesse dato ordine
perchè venisse avvolto in fasce più modeste
invece di quelle ricche che indossava e por-
tato dove potessero allevarlo, o quanto unno
rimediare alle presenti necessità.
- Quanto al combattimento che voi andate
'creando, aggiunse, sappiate che esso >'■ finito
e fatta la pace. Fui della mischia, e. da quanto
in' immagino, i combattenti erano gente di
conto d'una parte e dall'altra.
I due amici erano molto sorpresi delle loro
scambievoli avventure: ritornarono a casa loro
per vedere se nulla occorresse alla dama rin-
chiusa. Strada facendo, don Antonio disse al
compagno ch'egli aveva promesso alia dama
di non lasciarla vedere ad anima viva, e che
quindi egli non sarebbe entrato nella sua e
mera lincili' avesse disposto altrimenti.
- Non importa, riprese don Juan: Inc.
ben io il mezzo di vederla: mi avete lauto
decantilo le sue bellezze, die ho un vivissimo
desiderio ili vederla
Co-i dicendo giunsero a casa. Alla lue di
un lume, portalo da uno dei tre paggi, don
Antonio gettò io sguardo sul eappello di don
Juan, e vide clic risplendeva come se vi fos-
sero dei diamanti. Don Juan se lo tolse e ri-
conobbe che questo lucie-Ilio proveniva da pa
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pello. Entrambi ioarono attentamente
e riconobbero che se erano schietti, rome pa-
revano, il cappello valeva più di dodicimila
ducati. Riconobbero allora che i combattenti
erano gente d'altissimo lignaggio ed in spe-
cial modo quello cui don Juan aveva soccorso,
e che aveva detto
Prendete que sto e ippello serbatelo, giac
che esso è noto.
larono i paggi. Don Antonio, rien-
trando in camera sua, trovò la dama seduta
sul letto, il viso nascosto fra le inani versando
lagrime abbondanti. Don Juan, punto dal de-
siderio di vederla, s'avvicinò alla porta, pas-
sandovi dentro la testa. Lo scintillìo dei dia-
manti colpì lo sguardo dell'afflitta, ed alzando
echi, gridò:
Entrate, signor duca, perchè mi siete
tanto avaro della vostra presenza?
Ma, signora mia, qui non c'è nessun
duca che abbia difficoltà a vedervi.
Come! esclamò essi, non è forse il duca
di Ferrara colui che si all'accio alla porta?
La ricca guarnizione del suo cappello non gli
permette di dissimulare.
- In lede mia, signora, replicò Antonio,
chi porta il eappello che voi dite, non è il
: se volete assicuracene, permettetegli di
entrare.
Entri, benché se egli non è il duca, ciò
accrescerà la mia sventura.
Dette queste parole, don Juan, cui era fatta
licenza di entrare, si presentò col cappello in
mano. Appena se lo vide davanti e riconobbe
non essere quello che supponeva , gridò con
voce agitata e balbettando:
Disgraziata che io sono! signore, parlate,
non tenetemi oltre in questo dubbio! È egli
vivo, per fortuna mia? od è la notizia della
molle che voi mi recate? 0 mio dolce
amico' Che è successo? Vedo qui i suoi gio-
ielli, mi vedo rinchiusa
| senza di le, in potere
di sconosciuti , e se
non li sapessi stranie-
ri, sarei già moria dalla
tema di essere disono-
ESIGETE
Titsiilìl
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
rata.
Calmatevi, signo-
ra, rispose don Juan : il
padrone di questo '-ap-
pello non è morto
qui non potete temere di alcuna cosa: noi
non abbiamo altro pensiero che di servirvi,
per quanto ce lo consentono le nostre forze,
lino a mettere la vita per difendervi e soc-
corrervi. Mai non vorremmo che aveste a
pentirvi nella vostra lede sulla lealtà spagnuola,
giacché Spagnuoli siamo, e nobili (qui il van-
tarsi è lecito). Siate certa che vi si porterà
il rispetto dovuto alla vostra persona
Lo credo, rispose: tuttavia, signore, di-
temi come mai questo capi elio '' '" mani vo-
stre? Dov'è il suo padrone? Esso appartiene
ad Alfonso d'Este dina di Ferrara.
Don Juan, allora, per non tenerla oltre io
sospeso, gli raccontò come si fosse trovato
preso in un combattimento, e come avesse
-occorso un gentiluomo, il quale, da «pianto
essa diceva, doveva essere il duca di Ferrara.
— Nella mischia, egli aggiunse, perdetti il mio
cappello e trovai questo; quel gentiluomo mi
disse di tenermelo perchè esso era conosciuto.
Nel combattimento, né l'uno né l'altro di noi
fu ferito. Dopo venne gente, probabilmente dei
servi o degli amici di quegli ch'io suppongo
fosse il duca : egli mi pregò di lasciarlo e di
allontanarmi , mostrandosi riconoscentissimo
del servizio resogli. Ecco, signora, come venne
in mio potere questo cappello: (pianto al suo
padrone, se egli è veramente il duca, vi duo
che lo lasciai, non è trascorsa un'ora, salvo e
in buona salute. Ouesto racconto veritiero,
giovi a consolarvi, provandovi che il duca è
fuori pericolo.
— Signori, riprese la dama, aftinché sap-
piate quanto ho ragione d'informarmi di lui.
datemi ascolto , che io vi narrerò la mia do-
lorosa istoria.
In questo frattempo la governante stava un-
gendo la bocca del bambino di miele e a cam-
biarlo di fasce. Come lini, volle portarlo.
coudo l'ordine di don Juan, da una levati ice.
Mentre passava col bambino davanti la camera
dove la bella donna slava per raccontale la
sua storia, il piccino si mise a piangere, in
modo che essa lo intese. Si alzò ritta, tese
l'orecchio per udirne più distintamente i pianti.
Signori , chi è questo bambino? si di-
rebbe che è appena nato.
È un bambino che hanno deposto sta
notte alla porla di casa nostra, e la govei
nanle va a cercargli una nutrice.
l'orlatemelo qui. per l'amor di DÌO, ri-
\ I
I I iKM.I l.\
prese la dama; farò questa rarità ad un bimbo
ili alin. poi In'1 il Signore non mi concede di
farla al mio.
1 » » > r i Juan chiamò la governante, le prese
il bambino e lo mise nelle Inai eia della dama
dicendole :
— Beco, signora, il regalo che ci hanno
tatto stanotte; non è il primo; non passano
molti mesi senza che ne troviamo sulla soglia
di casa.
La signora lo prese nelle braccia, guardan-
dolo attentamente in viso ed osservando le
modeste, ma pulite fasce in cui era avvolto,
e poi piangendo chinò il viso sulla piccola te-
stina e meiitir si adoperava a nutrirlo del suo
latte lo bagnava di lagrime. Così rimase finché
il bambino non abbandonò il seno.
Don Juan glielo prese e lo rimise alla go-
vernante dicendole di averne cura fino a giorno
fatto; ma, prima di portarlo via, di avvisarlo,
e di rimetterlo nelle sue prime ricche fasce
Rientrato in camera, la bella Cornelia disse:
Se volete eh" io parli, datemi prima da
mangiare, ve ne prego, perchè mi sento venir
meno.
Don Antonio aprì la credenza, ne tolse due
0 tre conserve: la dama dopo averne man-
giato qualche boccata, e bevuto un po'd'acqua,
sentendosi rinvigorita e più tranquilla, riprese:
Signori, sedetevi ed ascoltatemi. Essi
obbedirono.
Allora, adagiandosi sul letto, coprendosi ac
curatamente col lembo del suo vestito, lasciò
cadere sulle spalle il velo che portava in testa
mostrando, nel suo viso coperto, 1' immagine
stessa della luna , o per meglio dire del sole
quando sorge in tutto il suo splendore.
Dai suoi occhi cadevano perle liquide . che
i asciugava con un fazzoletto candidissimo,
e con mani d' una bianche/za tale, che riu-
a diffìcile stabilirne la differenza, final-
mente, dopo aver ten-
tato di calmare il suo
cuore oppresso, sospi-
rando, disse i on voce
fioca e tremula :
Simon . voi mi
avrete senza dubbio in-
nominare molte
i olte in questa città. La
fama della mia bellezza
e tale che pochi la
ignorano, lo sono Cornelia Bentivoglio, sorella
ili Lorenzo Bentivoglio; Ciò basta per palesarvi
lue cose note a tutti : la mia nobiltà e la mia
bellezza. Giovanissima, rimasi orfana sotto la
sorveglianza di mio fratello, il quale, fin dal-
l'età più tenera, mi tenne sempre sotto la sua
custodia, benché avesse più lede nel mio alto
sentimento d'onore che nella sua sollecitudine
nel custodirmi. Crebbi fra quattro mura, nella
solitudine, mm avendo altra compagnia che
quella delle mie ancelle. La fama della mia
leggiadria veniva divulgata dai servitori di
casa, da quei pochi intimi che mi visitavano
e da un ritratto che mio fratello mi fece fare
da un famoso pittore, nel caso, egli diceva,
che il cielo, chiamandomi a miglior vita . il
mondo non l'osse privo della mia et ligie. Ma
tutto ciò non avrebbe che debolmente con-
tribuito alla mia perdita, se il caso non avesse
fatto ch'io assistessi alle nozze di una mia
cugina, il cui padrino per la cerimonia era il
duca di Ferrara: mio fratello mi ci aveva
condotto colle migliori intenzioni, e per far
onore a questa nostra parente. Là , vidi e
fui vista, là se non erro vinsi dei cuori
e conquistai delle volontà . là appresi il pia-
cere delle lodi benché rivolte da lingue men-
zognere, là finalmente vidi il duca, e la reci-
proca vista fu causa delle mie presenti con-
dizioni. Non sto a raccontarvi, perchè sai-'
troppo lungo a dirsi, per mezzodì quali astu-
zie di quali artifizi, il duca ed io, dopo due
anni, potemmo soddisfare i desideri che quelle
nozze avevano destato in noi. Né la reclu-
sione nella quale vivevo, né i guardiani, né le
rimostranze, né qualsiasi vigilanza umana vai-
seni per impedire che ci vedessimo La no-
stra unione ebbe luogo solo a condizione di
sposarmi, giacché senza di questa promessa
non mi sarei piegata a' suoi voleri Mille volte
gli dissi di domandare pubblicamente la mia
mano a mio fratello; egli non avrebbe certa
melile rifiutato di concedergliela; quanto a lui,
egli non avrebbe avuto ad umiliarsi qualora
lo si incolpasse di un cattivo parentado, visto
che i Bentivoglio iwn erano per nulla infe-
riori ai duchi di Kste. A questo mio ragiona-
mento, egli rispondeva con dei protesti che io
trovavo ragionevoli e convincenti. Soggiogata
e fidente, lo credetti colla fede dell'amori
m'abbandonai a lui collaudo d'una delle mie
ancelle, più compiacente ai regali del duca, di
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VII
i i i|(M I l \
quanto 1" meritasse In fiducia riposta in lei
da mio Fratello.
Cornelia tacque por un istante, quindi con-
tinuò
Dopo p" 0 tempo mi trovai incinta, e pri-
ma che le l'onnc tradissero il mio stato, finii
di essere ammalata, ottenendo da mio fratello
■ li Ianni condurre da quella mia cugina alle
cui nozze avevo conosciuto il «luca. Colà
giunta, feci sapere al duca le condizioni in
cui mi trovavo, il pericolo ch'io correvo, la
poca sicurezza per la mia vita, giacché dubi-
tavo che mio fratello sospettasse della mia
colpa. Convenimmo fra di noi che nell'ultimo
mese della una gravidanza egli sarebbe venuto
a prendermi con alcuni amici suoi per con-
durmi a Ferrara , dove mi avrebbe sposata
pubblicamente. Ed è appunto stanotte ch'egli,
secondo l'intesa, doveva arrivare; e questa
notte, mentre stavo aspettandolo, intesi pas-
sare mio fratello accompagnato da uomini ar-
mati, poiché udii il suono delle armi. Fui col-
pita da un tale spavento, cheli, sul momento,
misi al mondo un bel bambino. Quella delle
mie ancelle, che era nel segreto dell' avveni-
mento e ne era stata l'intermediaria, ravvolse
la piccola creatura in fasce ben diverse da
quelle che portava il bimbo deposto sulla so-
glia di casa vostra, poi si affacciò alla porta
della strada, e rimise il bimbo (così mi disse!
a un servitore del duca. Quanto a me, poco
tempo dopo, m'aggiustai alla meglio, data la
necessità, ed uscii di casa, persuasa di trovare
il duca per strada. Non avrei dovuto farlo
prima ch'egli si fosse presentato alla porta,
ma lo spavento provato all'avvicinarsi della
truppa armata, della quale mi pareva di sen-
tire la spada alla gola, non mi lasciò meglio
riflettere. Fuori di me, mezzo impazzita, fuggii
di casa, e arrivò quanto voi foste testimonio.
Ora, benché io mi veda priva del mio bam-
•ino, senza di min ma
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito !
Di 15 mi :«npit incusso crescente
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO m TORINO
rito, pure ringrazio il
cielo d'avermi condotta
a voi, da cui mi ri-
prometto tutto ciò che
si può aspettare dalla
ni tesia spagnuola, e
dalla vostra in parti-
olare, accresciuta dal-
la oobiltà personale.
i io detto . si lasciò
cadere distesa sul lello: i due amici accorsero
credendo che fosse svenuta, ma si ai -seni
che piangeva amaramente. Don Juan le disse:
Nobile e bella dama, se (inora don An-
imilo ed io ebbimo pietà di voi, pel l'atto solo
che siete donna, ora che sappiamo chi siete,
questo sentimento diviene un dovere impe-
rioso di servirvi. Coraggio, cercate di riavervi,
e benché non siale fatta per simili avveni-
menti, date prova del vostro valore soppor
tandoli con fortezza d'animo. Non so perchè,
signora, m'immagino che questi strani avve-
nimenti avranno un lieto line. 11 cielo non
permetterà che tanta bellezza vada perduta,
che delle così pure intenzioni vadano deluse!
Mettetevi a letto ed abbiatevi cura, che ne
avete sommo bisogno ; la nostra governante
vi farà da infermiera, potete contare su di
lei come su di noi ; essa saprà serbare il se-
greto delle vostre sventure, e rimediare ai
vostri bisogni.
— Fatela entrare, signore, rispose la dama,
mandata da voi non potrà a meno di corri-
spondere alle mie esigenze. Quello di cui vi
prego e vi supplico gli è che nessun altro mi
veda.
- Sarete obbedita, rispose don Antonio; e
i due amici la lasciarono sola.
Don Juan chiese alla governante di entrare
nella camera, e di portarle il bambino avvolto
nelle sue prime fasce. Essa vi andò dunque,
avvisata però puma dal suo padrone, su ciò
che dovesse rispondere alle domande della si-
gnora riguardanti il bambino. Vedendola en-
trare, Cornelia le disse:
- Siate la benvenuta, amica mia, datemi
il bambino, e avvicinate ii lume.
La governante obbedì. Cornelia, non appena
ebbe il bimbo fra le braccia, mutò colore, e
divorandolo cogli occhi:
— Sig/iora governante, per carità, ditemi se
questo bambini) è quello stesso che mi si
portò dianzi?
— Sì, signora, rispose la governante.
- Ma perchè gli vennero cambiate le fa-
sce? replicò Cornelia, o non sono le slesse o
non è lo stesso bambino di prima.
— Potrebbe darsi benissimo, ri go-
vernante.
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xrif» Roma, :«>«;
\ III
i UHM I I \
Ditemelo, ditemelo, amica mia! IVr quanto
avete <ii più caro al mondo, ve ne scongiuro,
ditemi di dove Tennero queste ricche fasi e
piate, se la vista non m' in-
memoria non un tradisce, che
sono mie. Che in queste stesse rasce, o
in altre in lutto simili a queste che rimisi
alla mia cameriera, venne avvolta la una crea-
turina >ara, il mio tesoro ! Chi gliele tolse?
C.lii lo portò qui
Don Juan e don Antonio, udendola suppli-
ce a quel modo . non vollero prolungare
maggiormente la sua angoscia, e toglierla dal
dubbio penoso provato nel vedere le fasce
diverse dalle prime: Entrarono in camera, e
don Juan dis>r
Queste fasce ed il bimbo, signora, vi
appartengono.
E le racconti' dettagliatamente come egli
e quello stesso a cui la sua cameriera
avesse rimesso il bambino, come egli lo avesse
portato a casa sua e la
ragione per cui aveva
ordinato alla governan-
te di cambiarlo di fa-
sce.
— l'in dal momento,
egli aggiunse, in cui ci
narraste le circostanze
della nascita del bam-
bino, mi convinsi che
questo doveva essere
ostro liglio, e se non ve lo dissi subito, fu
perchè temevo che nel dubbio in cui eravate
ESIGETE
mmm
MARCA
HERMANN
MILANO- TORINO
la subita gioia per la certezza vi dovesse lai-
male.
Infinite furono le lagrime di consolazione
versate da Cornelia, come infiniti i baci che
ella diede al suo bambino, ed i rendimenti di
grazie ai suoi protettoli: li chiamava i suoi
angeli custodi sulla terra, e dava loro altri
nomi in cui appariva tutta la sua gratitudine.
La lasciarono quindi sola colla governante
raccomandandole la maggior cura e vigilanza,
dopo averle narrate le sue condizioni speciali :
poi se ne andarono a riposare per quelle po-
che ore di notte die rimanevano ancora, de-
risi a non entrare più nell'appartamento di
Cornelia a meno di un'assoluta necessità o
richiesti da lei. Venuto il giorno, la governante
condusse una donna di nascosto a dare il
latte al bambino. I due giovani s'inb rmarono
di Cornelia, e saputo che riposava andarono
alle scuole. Passarono davanti la casa di dove
era uscita Cornelia, per vedere se già li
nota la sua fuga , e se il vicinato ne fac
i commenti; ma non intesero parola né della
rissa, ne d'altro. Finite le loro lezioni torna-
rono a casa, e Cornelia, essendosene accorta,
li fece chiamare dalla governante. 1 due Spa-
glinoli si presentarono a lei e le dissero che
avevano deciso di non porre più piede in ca-
mera sua pel rispetto a lei dovuto. Ma Cornelia
replicò, le lagrime agli occhi, che in grazia li
scongiurava di venirla a trovare essendo questo
l'unico mezzo, se non di porre rimedio ai
suoi mali, almeno di consolarla. Essi obbedi-
rono.
Coti
Micheli-. Cervantes
Anno-II
•Nvm 5
•La Lettura
Maggio
RM5TA-AE.N5ILÉ
DEL-(pRRlLRE.-
gjDELLA-5ERA'
1902
Il Battesimo d'Adamo
{Continuazione e Ine — vedi numero precedente).
't In
rmai era sera : attraverso i platani da cui
volavano le foglie gialle, cadendo come
farfalle morte, qualche stella brillava sul
lievemente velato; davanti al Sant'Antonio
sbiadito ardeva una candela ad olio ; la rugiada 1 0
minciava a inumidire l'erba lungo i fossi.
Manina scendeva la fuga con passo lento, col
bimbo addormentato sulla spalla. Una dolcezza te-
nera le rammolliva il cuore. Da quanto, da quanto
tempo non era stata più così consolata come quella
sera! I suoi occhi un po' affascinati vedevano an-
cora lo splendore infinito dell'acqua e del cielo, il
bosco tacito, la capanna di tavole. Poi udiva la voce
commossa di Pietro, di Pietro che mentre risalivano
l'argine le aveva fatto la sua proposta : voleva spo-
sarloPLe avrebbe fatto dimenticare ogni dolore sof
ferto. Ella aveva risposto:
— Ci penserò.
— Quando mi darete risposta?
— Eh. c'è tempo! — dissella stizzita.
— No, in 'ii c'è tempo: domani mattina io devo
tornare nel bosco, ove resterò altri otto giorni. \1
darete la risposta domani mattina: passerò davanti
a casa vostra.
— E passati- pure! — ella rispose.
Dopo 'li che il semplice pretendente erasi sentito
oppresso da tale gioia, e nello mpoda
soggezione, che non aveva accompagnato oltre la vi
dova. Ed ella ora scendeva con passo lento la larga
strada solitaria, pensando già alla risposta da dar-
gli. Giunta davanti al Sant'Antonio -1 fermò di
botto, senza saper perchè: la candela ardeva nel
La Lettura.
crepuscolo, giallo come le foglie che cadevano dai
platani. Manina ricordò la candela che aveva aci 1 1 ■
in quella notte, in quella terribile notte, quando sulla
scala di marmo il passo pesante e strascicato di
Francesco era risuonato come il passo del mostro
pelosi 1 1 he....
- Ah! — gridò con voce sottile; e un brivido
di terrore le salì dai piedi alla testa.
\1lau10 si svegliò piangendo, scosso dal tremito
e dal grido della madre.
Paci, taci, taci, amore mio, tai i, - dissella
cullando il bimbo fra le braccia; ma Adamino
continuò a piangere sconsolatamente.
- Ma taci, sigolin. Che hai? che hai, anima
cara ? Che cosa vedi ?
Anch'ella vedeva una lucciola, un'ultima lucciola,
risplendere come una perla venie sull'orlo della stra-
da : e vi I va e sapeva che era una lucciola, e tutta.
via aveva paura e tremava.
Lvvicinò e si curvò per assicurarsi che il pic-
colo plendore verde proveniva dalla lucciola; qual-
1 uno la sorprese in quell ;
— Che fate? — chiese una voce aita,
Manina si drizzò, rigida, un po' '• V
continuo a piangere. Il vicario don l'almerio,
con la mantellina avvolta nel braccio, stava davan
alla giovine vedoA a.
— Buona sera. — disse ella. - Il mio bari
piange.
- Lo sento bene. Ebbene, che cosa ha qui
puttino? Vediamo un po', che avete, galantuomo?
Il bambino, vedendosi interrogato direttamente ,
LA LETTURA
ndo ancora, e
dalle braccie della ma
ilrt- a quelle d icario.
I bbe disse don Palmerìo, un po' rivolto
al bimbo, un po' alla madre, voi siete un ame-
nino, non Quanti mesi b
N
Bravo! Pare un bimbo ili un anno. Con.'
ni. gaJantu mo Non ani ra, eh ?
i ' .'i in am i a spui
Benissimo, benissimo. Che nome h:
americani)
— Adan
Adamo? Oh, bravo, bravo! ripetè don Pal-
.. alquanto pi poi ad un tratto, dopo
qualche altra piccola domanda, chiese:
Ditemi un po'. Manina, e questo puttino è
cristiano ?
— E duniii.
li battezzato?
— A New York.
In quale chi
Ella nuli lo sapeva. Così i me era
andata la farri-mia ilei battesimo.
— E' rum -"! I- ' curii so! l'i. puttino. Sen-
M mina, non vi : Francesco G
min era molti - Ha ricevuto i sacramenti
prima di morii
No, veramente, egli non li aveva richiesti, e Ma-
nina, credendo che egli non morisse, non glieli a-
\eva proposti: quindi era morto senza sacramenti.
- E' curioso, ripetè il vicario, mortificato. —
Chi vi se questo bimbo davvero battezzato.
L'n velo offuscò gli occhi di Manina.
- Ah! Oh' Ecco che egli i ra battezza me! —
grill ' tendi i il bambino,
che Manina rip itasi a vi '1".
f'iie hai fatto, brigantaccio ! — ella disse, ri-
dendo nervosamente, mentre il prete guardava e
scuoteva la sua mantellina 1
Ella \ r la mantellina col suo grem-
biule, ma don Palmerio assicurò che non occorreva.
Non macchia; vi assicuro che non ma
Bene, domani venite da me, che, riparleremo
li quell'affare. Bui ina sera.
i via.
M ma gli andò dietro per un pezz i, poi svoltò
strada e - i casa. Oh. Dio, oh. Dio! il cuore
le batteva convulso hi le si velavano di la-
grime: e non ricordava più il rasghin. le nuove spe-
rati/ ■ •. la risposta che il giovine al
deva.
!Y.
nel duro lettino puzzante
neppur quella notte ella potè dor-
mire. 11 suo bimbo era E chi
i o la s,-i\ ;i amei icana a
il giorno del battesimo. Chi
iva la serva? Chi sapeva più
Irino I ' trovarli, in _'ran-
ime il ma i
Ma Krances Non bastava che egli avesse del
to: mio Figlio i- diventato crisi i ino
No, non bastava. Egli aveva tradito una volta:
radito sempre. ( Ih. Dio ! oh. Dio
rix.i a Manina che dentro il suo cervello pass
un carro pesante e rumoroso: passava, passava, il
carro terribile, schiacciandole i pensieri, produ
dole alla testa un dolore fisico acuto e il
Il piccolo splendore verde della lucciola brillava a
rvalli nella mente sconvolta: e ad un ti
pane alla giovine che quel chiarori- crescesse, llu-
minando tutto il buio del suo pensiero.
Era un'idea. Battezzare il bambino. Albeggiava
quando la vedova ebbe l'idea salvatrice: ella non
aveva ancora chiuso occhio, ma improvvisameli
sentì sollevata, come allo svegliarsi da un
oo S'alzò e apri le imposte fracide della pi
>tra: il tempo s'era cambiato, come aveva pr>-
detto il vecchio barcaiui I elo, uniforme e
so, pareva coperto di fumo cinereo; la nebbia arri-
vava fui sulla di Manina, e un sili
li lo gravava su tutte
Adamo dormiva, tutto stretto nell;
sa. con gli occhi divinamente socchiusi, l.a vi
lo coprì accuratamente; con la punta del dito gli
tolse un po' di bava lattea dall'angolo della
cuccia, poi richiuse le imposte e tiri") su la botola
che metteva nella stalla, volendo uscire senza
veduta.
1 a scala era sempre al medesimo posto, ti
l'apertura, e Martina scese lentamente all'indii
andò ricadere la botola: la stalla era calda, pu-
lita, perchè i Giroflè possedevano più mucche ed un
cavallo che il cognato di Manina portava in
col carretto per la compra delle meliche: un -
chiodi fieno verdognolo odorava in un angol Ma
riina apri la porta che dava in un gomito di sti
solitaria fiancheggiata da un da una sie
I i siepe semi-nuda svaniva nella nebbia, il I
i-olmo d'acqua cosi coperta di musco che pareva un
sentiero verde; alcune oche bianche macchiati
giallo si piluccavano le ali umide, appollaiate sul-
l'i >rb > del fosso: tu ra di una indi
va.
Manina attraversò la sti tda, e subiti v de Pie
ito che s'avanzava un po' freddoloso, con le mani
nelle tasche dei pantaloni.
Per la circostanza solenne, o per il cambiamento
di temperatura, il i
ina che gli arrivava appena alla vita.
era calzato con certe - uvhe.
vide Manina uscire dal viottolo solitarie
•ti- che ella gli venisse incontro: an
di _ : avanzò verso la vedova con aria
.li trionfatore. Ma che è. che non I
n.iv.i a p.iss.ir oltre, senza neppure
salutarlo, e pareva seccata da quell'incontro.
la raggiunse con passi da lupo, lunghi e rapide
fu quasi si .pra.
Manina !
La vedova volse il vis,, grigio invecchiato dalla
lunga insonnia, e guard.'i il giovii bbe paura
-li occhi pieni di un dolore d
11. l'.A I I ESIMO U ADAMI i
•;s:
rato e di indifferenza per tutto ciò che non era quel
dolore.
— Che volete, voi ?
— Dove andate. Mariina? E la rispi
- Anelate, andate! — dissella, stendendo il
braccio in avanti. — Lasciatemi tranquilla.
Ma dove amiate. Mariina? Per carità, che a-
vete ?
Allora gli occhi di lei si animarono di quell'ira
selvaggia che altra volta Pietro aveva visto ardere
nello sguardo amato.
- Amiate! — gridò ella, con la voce rauca dei
monomaniaci, — andate pei fatti vostri, ("he volete
da me? Tanto io non vi credo. Tutti traditori, uo-
mini e di mne. Andate via.
Egli le corse un po' dietro, scongiurandola li dir-
gli che significava tutto ciò. Le avevano forse rac-
xmtato qualche bugia3 Che? La vedova lo lasciò
dire, ma ad un tratto gli si rivolse cosi inviperita,
digrignando i denti, gridandogli: -- Ma insomma!
che egli rimase li sbalordito ed ella s'allontanò.
Pietro la vide scomparire fra la nebbia, egli sem-
brò che tutto fosse un brutto sogno. Trasse di tasca
una mano e la guardò fisso: poi trasse l'altra mano
e si diede un forte pizzicotto alla guancia. E la guan-
cia diventò rossa, ardente per il dolore. Ah. no. egli
non sognava.
Riprese tristemente la via. camminò fra la neb-
bia, a fianco delle piante che parevano nuvole av-
■ malesi alla terra; e salì sull'argine: tutto era
nebbfa. il fiume invisibile, il bosco nano, l'orizzonte.
Il rasghin vedeva davanti a se solo l'erba umida del.
l'argine, e per abitudine, mentre l'anima naufra-
gava nell'amarezza della recente disgrazia, gli occhi
tiavano a cercare il bene augurante quadri-
foglio !
Maria andò dal vicario, che si meravigliò di ve-
derla così presto. Egli stava per andare in chiesa (
doveva anche recarsi alla posta per vedere se erano
arrivati certi bulbi di Ci ■ > r i (i fiori e la religione ! don
Palmerio non pensava ad altro, e lo stabili-
mento Lungone e i libri di monsignor Bono-
melli erano per lui le cose più grandi dell'uni-
verso). Quindi aveva fretta, e ricevette Mariina
nel cortile ove alcuni gruppi di dalie grana
si sfogliavano lasciando cadere i peta'i che pa
revano goccie di sangue coagulato. La nebbia
affacciavasi ai muri come un nemico invadente.
- Pare che non abbiate dormito! - dissi
il vicario con voce un po' aspra.
Mariina lo guardò coi suoi occhi dolenti e
irosi, con uno sguardo da belva ferita, ma ri-
spose umilmente:
- E non ho dormito, infatti. Come domi •
con quell'idea3 Ecco cosa ho pensato...
— Sentiamo un po' cosa avete pensato. - disse
il vicario, sollevando la mano destra coll'indice teso
Mariina fissò quell'indice, lungo e giallognolo. ,-
provò una strana sensazione di freddo: le parve
che quel dito avesse relazione con la nebbia, con
l'acqua del fosso coperta di musco, e con un'idea
vaga, confusa, venutale durante l'insonnia di quella
triste notte. — idea che ora ella non ricordava chia-
laraniente. ma che le aveva lasciata una impressione
di gelo.
— ■ Ho pensato di far battezzare il bambino. —
disse.
Come3 Che vi salta? Non affermaste voi che
è stato battezzato?
Ma.... e lei non dice che non può essere stato
battezzato ?
- lo propendo a credere così, ma non si può bat-
tezzarlo se non si hanno le prove eh,- non lo è stato...
Ma come? Come? — chiese ella, disperandosi.
- Come? Vedremo, cercheremo....
Ella vide subito l'impossibilità di aver quelle
prove, e disse:
- E' impossibile! ( ) crede lei che New York sia
Viadana? E' grande, grande, quella città: lei non
può sapere come è grande. Battezziamoli bambino,
lo voglio che sìa cristiano: bastano le altre disgra-
zie che lo opprimono: oh. io voglio che sia cristiano.
Il vicario, un po' piccalo dalla supposizione di
Mariina sulla sua ignoranza riguardo la grandezza
di New York, cominciò a seccarsi, e s'avviò per li-
sci re.
— E impossibile. E' impossibile, e ini -pos-si-bi-le !
esclamo battendo il dorso dima mano sulla pal-
ma dell'altra, e sillabando l'ultimo impossibile.
Mariina si passò una mano sulla fronte, con quel-
LA LETTURA
[uando stanno
pei imp [mente i li ella
recitasse un po' di commedia.
>se, tiiaratemi che
non e 1" fareiro i subito i
l gnor vicario: le giuri i che
opre che Adamo è stati i bai
utile. Non si può battezzare. Ni .
egli scuotendo il capo: ma in-
l pensasse ad a
1 uscì t in >ri. sulla strada sei
i. umida e verde di musco, al ili là della quale
veli i della nebbia, in mezzo
ad un pi sembrava una grande pianura ba-
ra.
E allora? ese la vedova, venendo fuori
a neh
Chiudete. E allora aspettiamo. Ed i>ra an-
i. inquina. Ne parlerò col parroco e ci
I fece nn cenno d'addio con le dita e sollevò le
■ Ui a <!| "ii pi t" non bagnarsi fra l'erba
del prato: e la vedova rimase li angosciata, come
prima era rimasto il rasghin.
Rientrata, trovò Ad. mi" sveglio, ma quieto entro
la sua fasi-ia rossa, nel calduccio del letto: appena
la vide le son e, ed ella si intenerì, sentì un nodo
alla gola, ma non potè, non potè piangere. Era una
orribile: le pareva che la sua testa si fosse ina-
ridita, che non avesse più lagrime, che le sue viscere,
il suo -in re. tutto entri, di lei si fosse carbonizzato.
Prese il bambino e scese nella cucina illuminata
lata da un gran fuoco. Il vecchio Giroflè ed
il genero mangiavano e bevevano, seduti davanti al
Martina inginocchiata sull'orlo del camino.
arrostiva sulle brage grosse fette di polenta
che passava al padre ed al cognato. Vedendo Ma
rima ci.l bimbi,. Martina si volse alquanto verso A-
;li mandò un bacio scoccando le labbra: e
un risi lino, scu I ro la
sua fascia rallentata. Allora la fanciulla prese una
fetta di polenta e la fece vedere al nipotino, accen-
nandogli ili venire presso di lei.
— Gì ■ ■ i l.i pi, lem. i ! — disse il genero
ci 1 il giochetto d( I bimbo
idi occhi azzurri sorridenti. — Eh. eh. eh. ecco
i vui le dawen • '
anch'egli porse una fetta di polenta al bam-
egli vuole anche qui
dunque a pre
Ma I vecchio Giroflè s'ari il occhii mi
■ ■ni d'ine io a vociare.
uarda la polenta sul fu l Marti-
na, e : i '
; i li nta....
' •• livida. Ah . dunque suo padri
wicinò al camino, rigida, con |
V '.min rideva e faceva sforzi per
ntinuava a mostrargli la
on vi
— I anche vi ri che que
sia battezzata ?
Sapeva o non sapeva il vecchio Giroflè?
■l'i entemente? Mariina non
riuscì a saperlo, pei non la guardò neppure;
solo, continuando a mangiare, egli rispi on di-
sprezzi , amaro :
— Che SO io dei vostri pasti, i Vi
voi, i vostri pasticci: i miei consigli son roba da
sputarci sopra, ecco, — e sputò sul fuoco.
Mariina guardò il cognato, guardò la sorella:
questa stava intenta alle sue fette di polenta sulle
brage. ed il giovinotto continuava a divertirsi con
Adamo. Ah! La vedova si senti sola, isolata.
duta come nel rumorosi, deserto della città lontana.
Andò a sedersi in un angolo, e con le mani g,
cominciò .i sfa» ne il bambino ed a rivestirlo di
un abituccio di lana scura; e provava una grande,
una infinita pietà per quella creatura che doveva
essere orribilmente sfortunata, che era già orribil-
mente sfortunata, che era nata fra la menzogna ed
il tradimento, e viveva fra l'indifferenza, e forse
non era cristiana e forse non li he diven-
tar mai.
V.
S'avanzava l'inverno, freddo ed asciutto: il Po.
che durante l'autunno s'era ingrossato calando im-
petuoso e torbido com,- un Dio irato, coprendo ,
schi e ingoiandole isole, ora si abbassava ogni gior-
no di più. si-m], rendo nuove isole, nuovi piccoli
golfi, terso e freddo come una immensa lama d'ac-
ciaio. E tutte le e, s,- intorno, dalla riva fino al-
ni,, orizzonte, dove ora apparivano diafane
nuvi le le cenile prealpi, tutto per l'infinita
pianura s'era denudato,, irrigidito come uno sche-
letro. Non una foglia, non un filo d'erba: sulle nu-
vole turchiniccie della sera i pioppi sorgevano con
venature che sembravano disegnale con la cera.
Dall'argine in giù tutta la riva dilungavasi brulla
e chiara di sabbia improntata di piedi umani: I
i rumi ri i bravano sonori da una riva all'altra, nel
silenzio immenso della natura morta e nuda.
Spesso Mariina veniva sull'argine portando,! pas-
o il piccolo Adamo camuffato con uno scuf-
one di lana. Il sole pallido intiepidiva l'aria
trasparentissima, e solo qualche bicicletta lucente
volante e stridente come una rondine, sfiorava Par-
Qualche volta. Mariina soleva aco
pagnar la sorella, e allora inevitabilmente compa-
riva sull'argine la figura del ragazzo col ciuffo brìi
ti" SO Quasi sempre egli aveva o una mano
0 la fronti licava | er bastonature o
beli robe i cevute in contrasti amo-
ri si. eli' n Martina, ma poi
finivano col mettersi a cintare assieme la stupida
rdin ere e quella della obugandèra »:
rol scossatiti bagna.
Intanto camminavano avanti, e Mariina restava
indietro, cupa, finché ad un tratto sbucava da un
viottolo Pietro il rasghin e le si metteva a fianco. La
prima coppia continuava a litigare e cantare senza
occuparsi del nuovo venuto, e costui non faceva
alcuna osservazione sui due ragazzi che precedevano.
E nessuno veniva a molestare la compagnia. Maria
trattava il rasghin ora con asprezza, ora con indiffe-
renza, mai con dolcezza; però gli confidava tutti i
suoi rancori ed i suoi progetti, uno più strano del-
l'altro. Un giorno diceva di voler bastonare il vi-
cario, che le aveva messo quella nuova spina nel
cuore. — quasi non le bastassero le altre! ■ — poi
sognava di ritornare in America per cercarvi la tede
di battesimo del bambino.
— Intanto tutti, tutti sanno questa storia! — ella
diceva con ira. — Tutti guardano il mio bimbo co-
me guardano il bimbo Sagritti (era un fenomeno).
Chi. chi ha raccontato?
— Ma se lo raccontate voi a tutti.
— A tutti ! A voi solo io l'ho raccontato. Le sa-
peva però anche mio padre, e deve averlo raccon-
tato lui in odio a Francesco, — diceva ella singhioz-
zando.
— Manina. Mariina ! Calmatevi. - - la confor-
tava il rasghin. con infinita pietà. Il più delle volte
ella'lo ricompensava con parole aspre, dicendogli dì
ficcarsi nei fatti suoi, di non molestarla oltre, di te-
nersi per se i suoi conforti, ed allora il viso del gio-
vine si accendeva, e la voce di lui risuonava piena
di amarezza.
— Ma guarda ! Perchè mi trattate cosi. Mariina?
Ed io, io cosa non farei per voi e per quest'angelo
ir nocente ?
Infatti egli pensava sempre al modo col quale
avrebbe potuto aiutar la vedova a trarsi di affanno.
In tempo dì face, come egli diceva, cioè quando non
lavorava nei boschi. Pietro faceva il falegname, o
torniva bastoni da scope: guadagnava discretamen-
te, ma non metteva molto a parte. Ora, per aiutar
Mariina. occorrevano denari ; denari e tempo e buo-
na volontà, per recarsi a New York e fare le debite
ricerche onde scoprire se Adamo era o no cristiano.
Da qualche tempo, però, il rasghin aveva anch'egli
il suo bravo pregetto; ma prima di parlarne a Ma-
riina voleva assicurarsi bene se era attuabile o no.
Per spender poco egli pensava di recarsi in Ame-
rica come emigrato; là giunto avrebbe cercato la
fede di battesimo di Adamo, poi si sarebbe fatto
rimpatriare come privo di mezzi. Voleva poi vedere
se la vedova lo sposava o no! Intanto però il tempo
passava: il vicario aveva scritto ad un prete lombar-
do residente a New York, il prete aveva fatto delle
ricerche, ma tutto inutilmente.
- Ebbene, lo battezzerò io, -- disse un giorno
Mariina al rasghin. mentie passeggiano sull'argine.
Il giovine la guardò : ella aveva una brutta ciera,
era livida e raggrinzita, quasi arsa da un fuoco in-
terno, e la sua voce suonava rauca come in quel
mattino dopo la gita sul Po.
— Perchè non deve esser egli cristiano, il mio
piccino? Tutti, tutti, anche i più luridi pezzenti han-
no almeno la fortuna eli esser battezzati: perchè non
BATTESIMO D* ADAMO 389
può esserlo anch'egli? Lo battezzerò io, si, come il
Battista battezzò Cristo nelle acque del Giordano.
Pietro, avvolto nel suo tabarro grigio, la guardava
e scuoteva la testa. Ah, quella donna impazziva:
egli vedeva il pensiero sfuggire dagli occhi di lei, e
sentiva un istintivo terrore nel guardarla. Perche
nessuno l'aiutava? Che aveva ella fatto per meri-
tarsi tanto?
- Io partirò, — pensò egli, - Insogna che la
aiuti almeno io. Ella non mi vuole perchè dice che
gli uomini sono tutti traditori ; ma saprò dimo-
strarle io che ella si inganna. Abbandonerò tutti.
I artirò: dovessi trascinarmi leghe leghe coi ginoc-
chi per terra, ma partirò, arriverò, tornerò.
— Mariina, — le di stasera vado a Via
dana ; avete qualche commissione?
— No. Perchè andate ?
— Ho un affare. — diss'egli, misterioso. Forse
poi dovrò fare un lungo viaggio.
Ella sollevò gli occhi un po' spaventati: ah. an-
ch'egli se ne andava? Buon viaggio. Ridiventò in-
differente, assorta in un pensiero. Discesero la fuga
di San/' Antonio e rientrarono in paese: il tramonto
nitidissimo arrossava la cima della torre; 1 rami
grigi degli alberi nudi tremolavano sull'or., vi
ceo del cielo vitreo: dopo giorni e giorni di .'attivo
tempo s'era fatto un po' di sereno; il tango dissec-
cavasi nei viottoli freddi, la gente vagava per le
strade. Le donne erano diventate grasse e rosse, e
quasi tutti gli uomini erano costantemente allegri.
Anche Adamo stava benone; cresceva meravigliosa-
. il )l I
LA LETI
ma
ntro due sacchettini 'li
; un. spessa umidi di bava, erano
il supplizio e il divago del bimbo: una li
tinna si svolgeva fra e i dentini nascenti del
,■ n| essi • egli si arrabb
«ava le ■ ■ strilli d'aquilotto,
■■li non pi
'(•mio altri', qualche volta si morsicchiava i ditini
nascosti e poi rideva e piangeva per la sua j > r< >-
Giunti davanti alla casa Manina, il rasghtn
salutò la ■' l< >\ a, e le disse:
nani mattina vorrei parlarvi: posso pas-
sare?
i li mi volete,
K Pietro andò via, ed ella rientrò e si sedette nel
- angi lo, nella cuc na i alda illuminata dal I ui
Cera soltanto Martina che preparava la cena.
Adamo, Mari ina, l lallonzolando il
bimbo sulle ginocchia, sai la storia del ciabal
i un figliuolo? Egli bastonava la tao-
iceva.
Martina si volse un po' meravigliata ; vide che la
sorella era diventata rossa, con gli occhi lucenti, ed
ebbe il maligni' pensiero che avesse bevuto.
No, proseguiva l'altra. - nOn gliene fa-
E lui giù, botte da orbi. Allora la madre della
nioglii pensò uno stratagemma: consigliò la figlia
di fingersi incinta, poi di partorire. E presero un
i i iarono, gli posero la cuffia e lo m
nella rulla. 1! ciabattino moriva dall'allegria, carez-
. le portava dolci, mostarda, pollastri.
non perder mai di vista il bambino, il bravo
uomo porta entro la camera il suo panchetto da cia-
battiti' ri trda la culla e dice:
in ca liis,
dà </,/ air ni ,1 so parlar ,.■ ,
nascii />.ir miraroì,
daga mi has.
o bacia, ma -< nde l'odor del
topo ' appena sente fare: Spp, spp... si s an
a sulla culla e àaffa il preteso bambino. Ah!
Ah! Ah! Allora il ciabattino prende la moglie, la
tira giù dal lei | ni : e punì: e pum ! giù botte
tlii.
tuava a ballonzolare
\ nao, che emetteva degli ah prolungati, quasi
le mera\
Mai na indava di qua e di là, ponendo anch'essa
meif' guardami i tanto in tanti i
'■■Ila.
Perch uardi i hiese la vedova i orru
do le sopì, i redi tu ch'io sragioni ~J 11 to-
po, '-.-ipo -i. .1 . i,. ri, .//ai,,. e mio :iglio.
atura umana, non
o lo vuol battezz tre. Lo 1
vedri : del padi
dello Spirito Santo.
Pei ' era non p
che le ombre calavano, la sua voce diventava •
monotona, egli occhi lesi velavano: pareva a.
molto sonno. Diede da mangiare al bimbo,
li porto su: i anch'ella si stese sul letticciuolo,
stita. e stette in ascolto. La notte era nitida, fi
dissima ; nella camera si gelava, ma Manina non
sentiva il freddo. 11 sangui- le pulsava ardente
nuca, m gola, nelle mani, nei piedi. La prese una
sonnolenza piena di visioni contuse, ma ella m
[asciava cogliere mai da una completa insensibilità:
pareva che la sua anima vigilasse in fondo ad una
i tenebrosa ove si svolgevano macabre scene, e
aspettasse un momento por uscire, fuggire.
rarsi.
Adamo dormiva: non udivasi neppure il suo re
spiro lievissimo, ma di tanto in tanto risuonava un
piccolo ,;// smorzato, detto forse in un indescrivi-
bile sogno. Manina cingeva con un braccio il
picciuolo fasciato del bimbo, e continuava anelo
nei suoi sogni nebulosi. K pur scorgendo cose strane.
corpi neri d'esseri spaventosi che cambiavano forma
ogni secondo, bottoni d'argento che erano ani-
mali, suoni che erano montagne, ricordava,
al solito, le orrende cose che erano stati ri
nella sua vita: le gallerie nere, il mare, la
città fuligginosa, le scale misteriose e spaventevoli
delle case enormi, l'orrore degli automobili e dei
treni sopravvenienti, il passo di Francesco ferito, il
■
IL BATTESIMI i 1> Al>\.\b i
391
riso rauco del vecchio Giroflè. la lucciola verde, il
dito del vicario....
Ah. un suono! Che era? Niente, il vecchio che
chiudeva la stalla sottostante. Un uomo passava per
la via. fingendosi ubbriaco per cantare sconciamen-
t( : s'udiva il fabbro battere ancora l'incudine, in
lontananza, e il suo martello vibrava come la vi
d'un uomo entro una montagna, che cerchi spezzar
le pietre ed i minerali per liberarsi.
Tutti i rumori vibravano come corde metalliche
nella notte chiara e gelata: ma a poco a poco tutto
tacque, tutto fu gelo e silenzio.
Allora la vedova fece uno sforzo per scuotersi
dal sopore febbrile; si alzò, impallidì, rabbrividì
dai piedi alla testa. Senza far rumore aprì la fine-
stra poi tirò su la botola, scese, aprì la porta della
stalla e risalì la scala. Automaticamente fece tutte
queste cose con la sveltezza che adoprava parecchi
anni prima quando scendeva a far l'amore con Fran-
cesco.
Un chiarore metallico di luna illuminava la ca-
mera e la stalla: Maria prese il bimbo, lo avvolse
nello scialle usato, e ridiscese cautamente la scala la-
sciando aperta la botola.
E uscì e s'avviò verso il Po.
Il -freddo era acutissimo : il cielo pareva di ghiac-
cio azzurro, e tutte le cose, la luna, le stelle, le siepi
rigide, l'acqua gelata dei fossi, le case mute, le stra-
de deserte, tutto sembrava assiderato. La vedova co-
prì il visino di Adamo e camminò cauta, nell'ombra,
finché arrivò sull'argine.
Il fiume pareva immobile: verso Brescello svol-
gevasi con la solennità melanconica di un lago mor-
to; la torre di San Martino di Viadana biancheg-
giava alla luna e pareva una costruzione di neve:
nuove isole nude e scure apparivano nell'immensità
delle acque come nuvole sul cielo ; i boschi schele-
triti, evanescenti, la luna e le stelle si ripetevano
entro il fiume. Qua e là brillavano, di un pallido
splendore come grandi frammenti di cristallo ap-
pannato, lembi di acqua che cominciava a gelare.
E tutto il grande panorama fluviale aveva la fred-
da, infinita e silenziosa purezza della morte.
La vedova scese la riva sabbiosa, dove i cespugli
parevano macchie di spine, e si fermò davanti alla
lanca (gora morta), che dopo le piene erasi nuova-
mente formata fra una lunga isola di sabbia e la
'"onda.
— ■ Adamo. - - disse Mariina, accomodandogli
Irene lo scialle. — io ti battezzo nel nome del Padre,
del Figliuolo e dello Spirito Santo. — E si
nell acqua col bimbo fra le braccia. L'acqua ma-
gra della latita s'aprì e si riunì rapidamente, tur-
bandosi tutta come cosa animata.
Mariina sentì una impressione indicibile di fn
do. di vuoto e di terrore, e non solo non perdette i
sensi, ma udì Adamo piangere con pi sof-
focati. Ah. quei piccoli gridi entro l'acqua! L'an-
goscia che Mariina provò nell'udirli superò tutte
le altre angoscie sofferte.
— Hai freddo2 — pensò, stringerlo. no.
— Quieto, quieto, ora sei cristiano. Ora tutto è fi.
nito.
11 bambino tacque. Due volte Li giovine tentò
affondare, due volte risalì a galla, rivide il cielo e
il fiume. L'acqua della lanca era bassa, il fondo
duro.
- San Giovanni. San Giovanni mio. — pensava
Mariina con dispera/ione. - voi non volete dunque
che noi moriamo?
Tentò una terza volta affondarsi, e tornò ancora
a galla : pareva che il suo corpo fosse diventato di
ghiaccio. Anche la morte la respingeva.
Allora s'addrizzò, s'aggrappò alla sponda e sorse
miserabilmente sulla riva, come l'avanzo di un lungo
naufragio: l'acqua della lanca rabbrividiva tutta,
e sembrava spaventata, rna tutte le altre cose conti-
nuavano nella loro immobilità rigida e muta di
morte.
Mariina ritornò a casa sua. lasciando un'orma di
acqua dove passava.
Il bimbo restava immobile entro lo scialle gron-
dante, e Mariina credeva che dormisse: ella poi,
con le vesti infangate e attaccate alla persona, coi
capelli sciolti raggrumati e gocciolanti, gli occhi
pieni di follia e tutti i lineamenti contorti, pareva
un fantasma di dolore cacciato da un luogo fan-
goso dove aveva fino allora lottato.
Rientrata nella stalla socchiuse la porta, ma fu
'1 suo ultimo sforzo: non potè raggiungere neppure
la scala. Una potenza misteriosa e mostruosa, im-
palpabile e orribile come l'essere peloso che la ter-
rorizzava venti anni prima, la raggiunse e la fece
cadere.
L'indomani mattina, per tempo. Pietro passò da-
vanti la casa iMla vedova, con la speranza di ve-
derla e dirle che aveva avuto buone informazioni
circa la possibilità del suo viaggio. Il portone stava
socchiuso: s'udivano voci, pianti di donna, passi
affrettati. Una vicina attraversò correndo la
strada . spinse il portone ed entrò. Pietro non
dimenticò mai il triste spettacolo che vide.
Xella cucina, steso sopra un cuscino ove di solito
Mariina lo posava, giaceva il bambino mono: lo
avevano spogliato, avevano inutilmente cercato di
richiamarlo a vita : il su no tornito, non an-
cora irrigidito dalla morte, era bianco come cera:
solo i ditini dei piedini e delle manine restavano al-
quanto contorti Il visetto conservava una espressione
di pianto, le labbra sporgenti, gì eh ni spalan-
con una fissità cupa. IVr terra stavano le fascie.
lo scialle, i sacchettini. Quei sacchettini bagnati!
Pietro sentì un impeto di angoscia nel guardarli .
mentre Martina pia iva con parole
anelanti il triste dramma. Il vecchio Giroflè aveva
trovato la figliuola svenuta nella stalla. Il tepore del
fieno l'a\ ■ a in vita: ella stringeva ancora
fra le braccia il bimbo avvoll ialle bagnato,
ni fieno, sotto l'alilo ealdo delle vacche. I
Ili le si erano asciugati, rimanendo aggrovigliati.
endole il viso cadaveri'. ivi 1 le mani ag-
line, le gambe coperte di fango: il fieno s'era
attaccato alle vesti bagnate, ai capelli ^':' I
3Q2
LA 111
1 1 \.- ito i hiamando le figliuole ed
il genero; poi aveva divelto il bimbo dalle braccia
della madre, rgendosi che era morto aveva
e una donnicciola,
na era rinvenuta, ma vedendo i pari
da convulsioni di rabbia, e si calmò [uando
il iiu-ilici> i imase pressi i di lei.
i i vederla. Sali le scale e ino in
il vecchio Gin iflè i he aveva gli 01 chi n issi ed
un t tone spaventata Alcune vicine amia
pei la casa: s'udiva la malata gemere
■ il lìgliuolino.
i'ln l'uscio aprirsi e credendo fossero i pa-
i, la vedova ricominciò a urlare e dibattersi: il
i tenne ferma, ed ella riconobbe Pietro e
dmò. Era rossa in viso, con gli occhi scintillanti,
i capelli liati sul guanciale. Pietro non la
\ e\ .1 vista mai ci isì bella, e ne ebbe una pietà
la I Ila '!:' e\ a delle cose insensate, richiedeva
insistentemente il bambino; e gemeva, piangeva
senza Lagrime, cercando 'li sollevarsi e ili alzarsi.
Pietro guardò esterrefatto, ricordandosi le |
che la sera prima Manina gli avi va. ■ ■
ecco, gli pareva di impazzire anch'eglil
Non vedendo il 1 bo, Manina diventò furiosa
anche contro il medico: allora costui richiese l'i
ili Pietro ed il giovine fu costretto a legan al
la ili unni-, poi amili via piangendo e non la rivi-
de più.
, v ■ M detta, y>.
Grazia Deledda.
1 I N E.
' WP±*.
I campanili medievali d'Italia
[e chiese italiane hanno tutte un campa-
nile ; di rado ne hanno due come ciò si
vede all'estero, soprattutto in Francia e
in Germania ; in tal caso i campanili formano un
corpo solo colla chiesa e nel caso opposto ne sono
talora staccati. Esempio: il campanile del Duomo
di Pisa, di Santa Maria del Fiore a Firenze e di
San Marco a Venezia.
Da noi gli esempì più arcaici di campanili ap-
partengono al V secolo; ne fa fede il musaico che
orna l'arco trionfale in Santa Maria Maggiore a
Roma, eseguito sotto Sisto III (430-40). ove si ve-
dono delle torri presso a un battistero e a una basi-
lica ; si vede qualcosa di simile nelle celebri impo-
ste lignee di Santa Sabina pure a Roma, imposte
che sono il monumento ligneo più vetusto della Cri-
stianità, risalendo all'epoca di Celestino I. circa
(422-32 i. Però non si è certi che queste torri (io le
ho dette campanili forse arbitrariamente), contenes-
sero delle campane il cui uso non si sa con esat-
tezza quanto sia antico, e non sapendo
l'alta origine delle campane, si manca di un sussidio
indispensabile a stabilire l'antichità dei campanili.
Al certo le campane erano usate nell'VIII secolo,
allepoca di Stefano II (752). perchè questo ponte-
fice ne dotò la Basilica Vaticana, ed Amalario. ve-
scovo di Treviri, coevo di Carlo Magno, credette che
quelle campane fossero le prime adoperate a Ro-
ma. Forse Amalario s'ingannava, perchè sotto Ste-
fano I nel 734-38. si fa menzione di campane in
1 lancia, ed è possibile che su ciò Roma non sia ri-
masta indietro ad alcun paese cristiano. Certo oggi
in Italia la più vetusta campana, quella del Museo
Falcioni a Viterbo, non va più in là dell'VIII o
IX secolo. Essa fu esposta all'Esposizione eucari-
stica d'Orvieto nel 1896 e il Peraté, che ne scrisse
sulla Gazelte des Beaux Arti, la dette a Ferento ,
sbagliando: trattasi di una campana di sommo in-
teresse per l'archeologia cristiana, di nessuno o qua-
si, per l'arte: è semplice e la particolarità più affer-
rabile, ad occhio profano, è un foro triangolare
presso un triplice anello e una lineatura che quasi
traccia il tetto di una basilica a tre navi, come ben
osservò il De Rossi. La sua data sarebbe indicata
specialmente da una croce a volute arricciate, for-
ma comune ai monumenti dell'VIII o IX secolo.
Dunque, rispetto ai campanili io dichiaro che il
Vi secolo potè averne e ne ebbe; e quest'afferma-
zione ripresentata quasi come propria da vari scrit-
.;.M
1 \ i ETTURA
appartieni al De il VI
. a Ri ma, il cam] amie di Santa Pudei
mpanili i h i un'alta
Ravenna \ Ravenna il campanile pivi
bello è quello di Sani Apollinare Classe l' in .ri ».
alto, cilindrico, che si vuol co 111 San \
pollinare Nummi, il quale si attribuisce all'VII] se
colo, ma, forse, ambedue sono più antichi e corri-
spondono all'età delle siliche (VI secolo).
Un elegante campanile, cilindrico come ì precedenti,
vedesi a Ravenna, allato della chiesa dei Santi G
vanni e Paolo con finestre monofore e bifore
semplici.
\ accennando Roma, ho ai ennati > il fa
campanile 'li Santa Maria in Cosmedin; campa
nile agile in cui il vuoto l ifa leggiadramente sul
pieno, a molti pian, 'ìi finestre, quadro, come si le
pni quasi tutti i campanili italiani, »■ non l'ho
in 'n li p reputo i Irli VI 1 1 secolo
rome taluno lo dichiara, ma ilei XII.
Comunque, senza discutere questa mia opinione
qui . la quale, se < storta, qualcuno raddrizzerà,
il campanile ili Santa Maria in Cosmedin, ci fa i
trarr in piena architettura lombarda e in p
•lei più bei campanili
liani ( i i.
La Lombardia nei assai 'inaia, e nessun cam-
panile lombardo sia ("is. a pari, per antichità, i
qtielln ili San Salilo a Milano (va tent ' Ile
Milano p. .ssie.le il cam] iddetto dei Mi
a Sant'Ambrogio, la cui età non può t'issarsi per
mancanza ili documenti, ma .■ inolio aitai, il quale
risalirebbe, secondo autorevoli ipotesi, all'ultimo
quarto del IX secolo, all'epoca 'li Ansperto foni
Iella chiesa 'li San Sauro; e per bellezza
sun campanile lombardo sta a pari eoi i
o» di Cremona, se ne eccettui forse il campai
ili San Gottardo a Milano, la qual cosa si dice Ira
noi eolia speranza che nessun cremonese la senta.
«Trattasi del più bel campanile della Lombardia
e do uno dei più belli d'Italia ; tuttavia la sua storia
in oscurata dalli :ze lino a ieri.
Si attribuisci- ;ill'\" 1 1 I secolo il principio del • I 01
razzo*, ma questa notizia basata su una iscrizione
fantastica, in cui è 'letto che il 15 aprile ilei 7:
ne gettò la prima pietra, è falsa e si citano presenti
alla cerimonia papa Stefano II e Astolfo re «lei
Longobardi i quali morirono avanti il 754.
A parie questa ragione di tati", sembra impossi-
bile che Cremona in miseria durante questeprca,
potesse allora iniziare una torre monumentale come
il « Torrazzo »; e. per me. il vero consiste in ciò:
che il « Torrazzo » fu cominciato nel XII o XIII
suolo ed è certo che nel 1267 la parte quadra era
compiuta e alla line ili questo secolo doveva esser
finita anche la parte superiore ilei campanile.
Ma da chi finita' domanderà curioso il lettore.
Nessuno, perora, sa dirlo: gli autori del « Torraz-
zo » sono igni iti.
11 ■ Torrazzo ,> di Cremona richiama la memoria
sul campanile del Duomo di Crema — e richia
la memoria sul campanile di
( 'rema per una certa
51 piantino nella pane supei
re, coronata, come il « Torraz-
di una loggetta a ghirlanda.
Citai il campanile di S. 1 '."'-
tardo a Milano, di terracotl 1
me i precedenti, agile e del"
sì da confrontarsi ad un gi
lo: anch'esso è coronato da una
a ghirlanda e va m
in su. con un cono aguzzo su
cui s'erge la immagine dell'ai-
Nili >\" S. I .
1 Non vien parlate del 1 ampanile
.h S. Mai ia dell'Ari evia 1 li
1 più bello 'li Roma, pi
del N V secolo,
ni gran parte a Antonio da San-
gallo ialini" fé' il nome del Urani
■ ' m parli-, li n Rioni ■ni'
un artista tedesco.
1 I A.WIWXIU Ml'.hH'.VM.I MI \.
3o5
eangelo San Michele, di ri
panile di cui si vede agevolmente l?età e se ni sa
l'autore. L'età del campanile è il primo mezzo del
XIY secolo, l'autore, il cremonese maestro France-
sco Pecora ri : e se una immaginosa e galante compo-
sizione architettonica fu ideata nel XIV s
sta composizione è il campanile di San Gottardo:
— parlo della Lombardia. Che nell'Emilia la cele-
bre a Ghirlandina». la Ghirlandina di Modena, si
impone, e ad un posto ragionevole si colloca il cam-
panile di San Francesco a Bologna, rimesse in vi-
sta in quest'ultimi anni da un lungo restauri > che,
principalmente, si rivolse alla bellissima chiesa go-
tica di cui il campanile è ornamento elegante e ci m
plemento necessario.
La Ghirlandina di Modena, che sorge presso ai
Duomo, tu costruita nella sua parte quadra, vuoisi,
contemporaneamente al Duomo e finita nel 1159;
su questa costruzione fu eretta, dal 1261 al 1319. la
parte ottagona e piramidale su disegno di Arrigo
da Campione, e fu più volte restaurata e fortificala.
Xel XVI secolo, per esempio, ricevette un restauro
che vorrebbesi confrontare a quello che ebbe a' no-
stri giorni, il quale è durato quanto la fiaba del sior
Intento e.... quello della chiesetta de' Miracoli a
Venezia. Il restauro della Ghirlandina è costato pa-
recchie migliaia di lire; la qual cosa, si nota a sod-
disfazione di coloro che amano i monumenti antich
Quanto al campanile di San Francesco, io nbn dirò
altro che esso ha attirato la curiosità degli studiosi
non solo per la sua sobria bellezza, ma altresì per
ciò che il campanile venne fabbricato (1397 al 140;)
da maestro Antonio di Vincenzo, l'erettore prim i-
pale di San Petronio.
Né parlo della Torre degli Asineli! (1109). ne
della Torre dei Garisendi o « Garisenda » (uro).
e neanche di altre torri più celebri, perchè intendo
occuparmi esclusivamente «li campanili addetti alle
chiese. Le due torri di II li
potrebbero tuttavia qui esser 1
tate per la pendenza la quale
volle artificiale or acciden-
tale, ed è accidentale.
S :onchè su questo proposito
avvi il campanile del Duomo di
Pisa, come tipo di torre penden-
te e la questione agitatasi intor-
le « Torri di Bologna a s
agitò e si agita intorno al cam-
panile di Pisa.
Il campanile di Pisa è 1
bilmente monotoni ■ i sei
piani di loggette che circondano
un nucleo cilindrico ; a malgì
di ciò questo campanile è uno
dei più celebri d'Italia e tre
quarti della sua fama .
al suo strapiombo: quasi due
metri e mezzo. Esso, architettato
da Bonanno, venne fondato nel
n 74. e la sua piegatura sareb-
besi cominciata a verificare es-
sendosi al primo vòlto, così nella
nua 1 ne 1 lei la fabbrica s cerei 1 mi 1 1 .irvi ;
pero a un certo punto si Forse per
mancanza di denaro come ciò avvenne pel Duomo.
e, solo dopo vari anni si ripresero sotto la direzione
■ li Guglielmo Innsbruck. il quale non porti) a fine
la fabbrica il cui compimento si deve a un Tom-
1 da Pisa, che coraggiosamente mise sulla tor^e
pendente la sezione per le campane.
Che la pendenza del campanile di Pisa sia acci-
dentale appaga quasi tutti e anche un recente scrit-
re, lo Schumann, confermò trattarsi ivi di un
movimento casuale di terreno che si tentò di cor-
reggere via via che s'andò avanti nel fabbricare.
un spiriti sottile, uno scrittore nord-americano,
ni indagini forse ignorò lo Schumann. sostenne
ida tratta la voluta inclinazione del campanile.
mesti il Goodyear, un geniale espositore delle
:ze ottiche nell'architettura medioevale italia-
Firenze — Chiesa ni Bahia.
.;.,.,
1 A l.l.l I
Palermo — Chiesa della Martorana.
na di. '■ costui, lungi dal credere a un cedimento
casuale di terreno e allo studio di tornare il meglio
possibile alla direzione verticale, sostiene che il cam
panile di Pisa non si mosse mai dalla posizione
attuale, voluta dai suoi architetti; posizione che
rappresenta un ardimento, il sommo, dell'architet-
tura medievale italiana. Un simil fatto, soggiunse
Goodyear, vedesi nel Duomo di Pisa la cui
omba per poi tornare a piombo ; onde
r lo scrittore americano non è accidentale
nemmeno la pendenza delle due torri di Bologna,
ed io riferisco quest'opinione facendo delle riserve.
non conobbi , i il ( lassici: mi i api ìdo ri
i del Mei ioevi on uita
ne assicura il Goodyear — per via di accorgimenti
n. ih ricordano quelli dell'architettura greca ri
velata dal Penrose: che ora unendo esclusivamente
riferirmi al Classicismo del XV e XVI secolo, sorto
sulla III tica che fecondò gli artisti medie-
vali i qu.di più si considerano più ingrandiscono
davanti ai nostri occhi. E quanti, quanti si vanno
traendo dall'oscurità e dal
l'oblio!
11 campanile più bello d Ita-
lia è, senza possibile conti
/ione, quello ilei Duomo di Fi-
renze e lo studio sereno, oggetti-
vo, basato su documenti di que-
sto campanili-, mise in lui i
degli artisti più insigni d'Italia
di cui si ignorò o poco si coiisi-
' ero la es enza. 1 costui Fran-
cesco Talenti, il principale au-
tore e il più geniale sì del cam-
panile come del Duomo di Fi-
renze. Tuttavia, per il ] ubblico
in genere, il campanile è ancora
di Giotto, mentre appartiene a
Giotto quanto la chiesa ad Ar-
nolfo.
Ne la storia veridica ne fu
narrala ; essa risale al XIV se-
colo e trovasi sul Centiloquìo del
Pucci, scrittore contempi >i
a Gii ittO, sotto l'anno 133 ;
narrata in versi e questi, che
trascrivo, espongono la storia
del campanile di Firenze con
una esattezza la quale può
\ arsi in un poderoso volume fa-
ticosamente inzeppato di date.
1 ■ mente l'architettura n di ebbe delle gè
niali tro-. delle audacie che il Rinascimento
(il Optical refinementi m Medieval ArchUeelure in
Architeclural l v.. L'anno ■ nella me-
la rivista che si pubblica trimestralmente a Nuovi
Vi.rk, il Goodyear pubblicò altri lavori analoghi riguar-
danti l'architettura medievale italiana e le osservazioni
empn 'la un ricc. e 1 irredo 'li i igi
documenti, coni pinti.
Ecco qui :
Nell'anno a' dì diciannove di luglio,
li Ali ra maggiore il Campanile
Fondato fu, rompendo o^ni cespuglio,
Pei mastro Giotto dipinti» sottile,
Jl (/ini! condusse tanto il lavorio
Ch' e" primi intagli fé" con belìo siile.
Vel trentasei, siccome piacque a Dio.
Giotto morì d'età di f.X.Y anni.
E in quella chiesa poi si seppelHo
Po ./ir 7 condusse un tempo con affanni
olenne maestro, .indirà Pisano,
te/a bella /'mia al San Giovanni,
Ma per un lavorio ih,- mosse vano
Il guai si fece per miglioramento,
Il maialilo fU/14 trailo ,<> tolto di >ll<:
E guidai poi Francesco di Talento,
/inni che al lutto fu abbandonato
l'ir dar fu ima alla i Illesa compimento,
' . '■ dunque fondu il campanile nel I
morto nel '36 gli suore! e Andrea Pisano, vale a ■
■-»
àiBS
Cremona — La Cattedrale e il Torrazzo.
Venezia — San M irc i
Roma — S.« Maria in Cosmedin.
Modena — La Ghirlandina.
3qH
LA LETTURA
Andrea da I' Andrea i < di Pon dera
in in di Pisa |, ma i stui, ti i lenne », prò
l„ -, .1, disegni mi» >\ i che non piacquero e il « mae
Milano San Satiro.
il cioè la capo-maestranza, gli fu levata e fu
mandato .1 spasso e al luogo suo venne messo Fran-
1 mto.
Lsione 'li illustrare altrove che i cambia
menti ili ■ iza indicati dal Pucci, o
spondono al fatto, e 'I camj .nule del Duomi» ili Fi-
renze — il quale incomincia in un modo e finisce in
un altro — conserva le traccie de1 vari maestri che
lo diressero e il maggiore artista ne fu il Talenti e
■1 c'entra poco. Ciò è perfino confermato da un
documento sincrono, un disegno ili campanile che se
di Giotto all'epoca ili questo appartiene; un
gno ili campanile, 1 lio 1, • he ha tutti » il ti mi 1 :
inolio iniziato da Giotto a Firenze, ha misuro curri
spondenti ed uto dall'Opera del Duomo di
In breve: dove il Talenti mise la mano, nelle re-
1 ivi egli impresse profondameli'-
■ 1 ere, che non fu piccolo e va rii n
lo XI V, soonlii cui il Ta leni 1 appai
ize potrebbe qui figurare degnam 1 pam.
pinile di Badia, lontano lontanissimo dal campa
di Santa M de di gusto gotici.
! creilo nel 1330 in SOSI l'uno del
1307 stato abbattuto. Il campanile di Badia fa ri-
nello di Santa Maria Novella della sii
un ti-, re. E Pistoia poti
inile del Duomo, quadro, 1 1
la vari piani di loggie, con una piramide
ima, opera appartenente alla fine del XIII se-
coli., d'autore imprecisato, e bell'ornamento di quella
piazza del Dui m-m'i.i con un maschio l'.da/zo
Comunale, leggiadra con un Battistero che è il più
di 'lu.inio la Toscana vide sorgere ne! Me
dioevo. Da qualche tempo si va restaurando
ni affei por ' [nani" d meri
stauro sia contrastato.
Vantano dei bei campanili le città di Viterbo e
di Velletri: Viterbo la città delle belle lontane
ha il campanile del Duomo (seconda mola del
XIII secolo), duna cena imponenza, che nell'8
colpito da una fui 1 ica elettrica e ne ebbe
molti 1 ilaimn ; Velletri ha il campanile di Santa Ma
ria del Trivio fabbricato nel 1353, come viene atte-
da un'isci izii ne in 1 aratteri gotici ; e qui
■ anipanilo a filari alternali di tufo, selce e mattoni,
e una delle cosi ni. -inni più ragguardevoli ili quella
città dalla quale non sono multo distanti le fa
mose abbazie monumentali di Valvisciola, Fossa-
ii' va e Casamari abbazie 1 ìtercensi proti
lidie.
Puglia, regione benedetta dall'arie ari
ionica 11 che a Bit ni ■ l'i ini, Acqu 1
l'is v ' ITTRDRALE,
I CAMPANILI Ml.MI.\ ALI li ITALIA
Andria, Conversano, Bari, Bitetto. Barletta. Bisce-
glie, Molletta si orna d'un tesoro ili monumenti in
cui lo spirito locale s'innesta al lombardo e un po' al
tedesco, differentemente dell arte architettonica della
Sicilia, all'epoca dei Normanni, arte che ricevette la
influenza mussulmana; eia Puglia, dicevo, potreb
be dar molto materia a chi studia i campanili medie-
vali — astrazion fatta dal celebre Castel del M
YJrrtrf»*"*"'
3< )< i
data ne] r.228 riedificata nel 316), si ricorda qu
coi campanili del Din min di Bitonto (primi decenni
del XI 11 secolo) i quali dovevano essere importanti
(non ì vero che la cattedrale bitontina avesse in
; ne un campanile solo) e furono riedificati nel
XV secolo e poi fortificati ; e si ricorda col campa
nile di San Leo (XIII secolo) semplice e forte, lo-
gico e originale, e con quello del Duomo di Trani
cretto da un artista pugliese che lo firmò, Nicolaus
sacerdos et frotomagister me fedi, compiuto però
0 l'arcivescovado di Jacopo Tura Scottini
(1352-78), Nicola avendo fabbricato il basamento
a due piani soltanto. E vorrei parlare del Campa-
nie appartante alla Chiesa Palatina di Acquaviva.
diesa fondata dal normanno Roberto Gurguglio.
\ 1 .1 rei parlarne non per l'importanza
artistica, ma perchè è uno dei pochi
che resta della chiesa (terzo quarto
del XII secolo); lo stesso dico del
Firenze
Ca 1 1 EDRALE.
Pis roiA — Cattedrale.
Ravenna — Sant'Apollinare.
sulla più alta collina delle Murge Basse il quale
rda Federigo II e Dante, e impressiona colle
sue gravissime torri. Noto dunque, anche prima dei
campanili pugliesi, quelli siculi del Duomo di Pa-
leimo, trionfanti sulla calma linea retta di questa
chiesa monumentale ed il campanile della Marto-
lana (XII secolo) gioiello d'architettura sicula. e i
due campanili che troneggiano sulla facciata del
Duomo di Cefalù (XII secolo), esempio raro da noi
di simili torri che, quasi sentinelle, stanno ai fian-
chi dell'ingresso principale sulle facciate delle chie-
se. E la Puglia che ha un simile esempio di due
campanili nella Chiesa Palatina d'Altamura (fon-
■nente al Duerno di Andria (XII-
XI 11 secolo) quasi unico resto, anch'esso, della
antica chiesa normanna; ma se sul mio soggi
l'interesse artistico va ad unirsi all'interesse
rie. il lavoro mio prende delle propor/n mi inad
a una Rivista.
se curassi soprattutto l'importanza storica e
locale, potrei raccogliere, sul campo dell'Abruzzo, più
di quanto oggi vi raccolgo. L'Abruzzo non ebbe an
1 1.1 la fi ruma della Puglia, per quanto vari scin-
ti ni dallo Schulz al Binili, dal Piccirilli al Gmelin.
dal Pannella al Calore, si siano studiati di volga-
rizzarne la conoscenza; tuttavia trattasi d'una re-
I"
a di monumenti mi ni >n pui i vari
rn celebri che si innalzano in Lombardia,
nell'Emil I \ ruzzo nelle città 'li
nente, e di Chieti offre al sole la bel-
i ili due campanili tXIY secolo) chequi non si
dimei Qui ove, ripigliando la via del setten-
ne d'Italia, si nota il campanile di Sant'Agostino
.1 ( lena* a del i -'<>o. quello gol io ■ del 1 (uomo ili Al-
imi della Liguria, i
• -ini.» dal terremoto del 18S7 che scompa
Rei liguri, ci ime a Firenze e
orentino il ten ri Ed a
.li curiosità, passando al Piemonte, indico premu
mente il campanile della Sagra ili San Michele
..il .li Sus mia la abbazia che sorge in
cima al monte anticamente chiamato Picherìano e
nella sua abside altissima pare un campanile o una
inespugnabile. Trattasi ili u ne così pit-
me difficilmente si può trovare l'eguale, e
col ' rampanile e il suo abside, fondata
alla fine del IX i ai primordi del X secolo i o
i nell'Xl e XII secolo, è una delle opere più
monumentali del Piemonte.
Vgli amatori di curiosità indico altresì il rampa-
nile della famosa abbazia di Fluttuarla (X seo
tinti". » resto del monumento più celebre del Mi
nel Canavese, opera 'li Guglielmo da Yolpiano
imorto nel 1031) il quale si c'insedi gloria in Ita-
lia. Francia e Normandia; e indirò il campanile
dell'abbazia di San Stei ino in Urea (XI secolo)
sto, anch'esso, di un assieme monumentale,
che gli storici d'arte hanno il torto
di tr ro quando trattano del medioevo
piemontese, troppo esclusivamente ricorrono ai ca-
stelli valdostani e ranavesani; il P mi nte ha ben
altro da mostrare agli studiosi, e per non sconfinare
indico ancora un e he audacemente si in-
nalza in nane su un arco, il campanile del « Gè
sion » a Piverone.
LA LETTURA
Di nuovo in Lombardia: ivi ergesi un campanile
•issai In/ tritono di Ossuccio, sul
0 di ("omo; ma non ho ancora toccato il Veneto
e qui ci >n\ ien parlare di Veni /;.< e del suo campanile
principale, quello di San Marco, sebbene esca in
parte dal recinto delle mie indagini. Perchè il cam-
panile di San Marco, nella sua parte più decorata,
la cima. ne al Rinascimento e forse è di
Bartolomeo Bon, bergan solo della sua ]
• lecito ira parlare. E siti bene parli
anche per ist .ilare la vecchia credenza eli,- il cam-
panile ha le fondamenta tanto profonde quanl
alto o eh. m. lamenta si aprono a stella,
pur si disse r si ripetè sino a quando nel i88u fu
provato clic il nostro campanile non va più giù.
base, di 5 metri. Quanto all'epoca, le parti più an-
tiche . Iella fai j no al X. ali X I e
al XIV seiclo. Cioè il campanile fu fondato avanti
il 948. in quest'anno fu ripreso a fabbricare e ri-
cevetti di nel ro68 o nel 1147. e poi ne ri-
cevette nel 1310. nel 1489 enei 1511, anno in cui
un terremoto lo sconquassò e, dopo, il campani!
cevette la loggia finale che mi fa esci r d'argomento.
Per rientrarvi, potrei indicare un poco noto cam-
panile del Veneto, un campanile tondo o cilindrico,
quello del Duomo di Caorle, il quale ha una certa
affinità coi campanili di Ravenna citati dapprini
benché forse pi steriore (XI secolo?) e riconducendo-
mi alle prime pagine di questo articolo rivedo ti
quello che ho scrìtto e penso che molto resta a dire
sull'argomento dei campanili. -
quanto tutti i campanili d'Italia presi insieme.
Il lettore non si spaventi: faccio punto.
Alfredo Mei ani.
SS >■':
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^VkT!7i;.'.,-f
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LA BATTAGLIA Di ABBA GARIMA (,:
\ battaglia che , con grande inesattezza ,
si dice di Abba Garima fu l'episodio più
/ doloroso e più funesto che abbia afflitto
la risorta Italia nel primo quarantennio della sua
nuova esistenza, doloroso per lo spreco di tante mi-
gliaia di vite preziose, funesto per le conseguenze
indirette che ne derivarono. Dissi conseguenze in-
dirette, poiché, assai più che per l'effetto immediato
che ebbe sulle sorti dei nostri possedimenti afri-
cani, quell'avvenimento sciagurato è stato funesto
pel contraccolpo portato alle disposizioni ed alla
consistenza dello spirito italiano. Infatti, la qualità
morale di cui l'Italiano moderno ha maggior di-
fetto è la fiducia in sé stesso, è il legittimo orgoglio
di appartenere ad una nazione che abbia saputo
farsi valere nel mondo, è la stima dell'autorità del
Governo, di un Governo che sia creduto capace, nei
supremi cimenti della patria, di porsi all'altezza
dei suoi ardui doveri. Tutto ciò manca all'Italia.
Essa è corrosa da un profondo scetticismo, ha una
inguaribile convinzione dell'inettitudine del suo or-
ganismo governativo, è priva radicalmente di quella
disciplina morale, di cui sono tanto ricche l'Inghil-
terra e la Francia, quella disciplina che fa di
una nazione una persona sana e robusta, atta a sop
portare ed a vincere le più gravi malattie. < 'io enne
dal fatto che l'Italia non si è costituita che a forza
di sconfìtte e d'umiliazioni. Battuti nel '48, non
fummo vincitori nel '59 che con 1 aiuto della Fran-
cia. Tuttavia, lo spirito italiano, dal '59 al '66, si
era rialzato e si rinfrancava nelle memorie di San
Martino e di Varese, quando Custoza e Lissa gli
diedero un così improvviso ed amaro disinganno da
gittarlo per terra e riempirlo di disgusto e di sfidu-
cia. Il ricordo delle vittorie che Garibaldi aveva
riportato nell'Italia meridionale, in guerre contro
Italiani, non poteva aver la virtù di attenuare la
umiliazione delle sconfitte, ricevute dallo straniero.
La Lettura.
Fu da quel momento che cominciò la disorganizza-
zione dello spirito italiano. Se Custoza e Lissa fos-
sero state due vittorie, ben diversa sarebbe stata,
in Italia, l'orientazione della politica interna, ben
più razionale e più fermo l'indirizzo del Governo e
della pubblica opinione: e quanti errori e quanti
mali si sarebbero risparmiati ! Se non che. il tem-
po, che è il gran medico delle malattie morali, aveva
portato i suoi lenimenti alla ferita dell'orgoglio na-
zionale, quando, dopo un trentennio, noi abbiamo,
di nostra mano, riaperta la piaga, per esser andati,
con arte squisita, a procurarci una nuova sconfitta,
tanto più grave, questa volta, perchè era la sconfitta
della civiltà contro la barbarie. Fu più che un di-
singanno ed un accasciamento ; fu una rivolta d'in-
dignazione. Il principio d'autorità ne è rimasto scos-
so alla radice e si formò quello stato d'animo in
cui le infezioni più pericolose si propagano con si-
cura rapidità. Se noi l'aeriamo la diagnosi delle
(-(indizioni morali dell'Italia odierna, troveremo che
il perturbamento., di Cui ora soffre, ebbe origine (|iui
giorno in cui si diffuse, come un fulmine, la terri-
bile notizia della catastrofe africana.
Le due sconfitte di Custoza e di Abba Garima, seb-
bene, in nessun modo, confrontabili fra loro, hanno
questo di comune, di essere, a pensarci, oltre che do-
lorose, irritanti, perchè e luna e l'altra, direi quasi,
espressamente cercate. Infatti, la prima, come mi
pare risulti in tutta luce dalla bella e diligente nar-
razione di Luchino Dal Venne (2), malgrado i
grandi errori commessi durante la giornata, avrebbe
1 1 La battaglia di Abha Garima — Esposizione ana-
litica di Giuseppe Bodrelly — Milano, Cogliati, 1902.
(2) Il generate Govone a Custoza — - Nuova Antolo-
gia -. gennaio 1902.
26
-4l '- LA LETTI R \
potu : ale I (ella
all'ultim'ora, • teva
fare senz'ombra ili pericoli corso
che gli \i-m\ ,i dal G eneva le alture
ili ( i l a seconda poi i di pn>
■ I deliberato, fu la
ne, che vorrei dire di puro lusso, alla quale nessuna,
neppur lontana, necessità >'i costringeva; Iti una
folle avventura, una specie di suicidio compiuto
quando nulla invitava all'atto dispei
indezza ili questo truce episodio,
callidi monti dell'altipiano
sino, di il mistero che ne circonda le cause vi
e lontane ci rendono, oggi ancora, desiderosi e
ibili ili notizie e ili descrizioni m
le quali formarci un eh i etto della inti
dell'indole e dell'attitudine degli uomini
che ne à ve vicende e della re-
- ibilìtà reale ci
Il libro, ila cui prendiamo le mosse, soddisfa, in
alcuni lati in modo esauriente,
E' una vera e propria mi
nografia della battaglia, condotta om uno studio
più piccolo particolaie. fin
dove ci si può arrivare, d ita la scarsità e la confu-
sione delle notizie di fatto e la mancanza di un'e-
gra lia. La narrazione «Ielle varie fasi ■ iella
battaglia è preceduta da un esame diligente di tutti
gli antecedenti politici e militari che avevano dato
e ne alla guerra abissina e<l ai disastri che fu-
ronc oso della tragedia finale, così
Lvanti a sì- tutti gli elementi ne-
ri per un giudizio preciso intorno alle colpe
impa ed ai perdonabili errori che hanno
condotto a tanto spreco d'eri così inutile sa.
crifizio di preziose esistenze.
11 libro del ri Bourellj vuol essere una
difesa del generale Baratieri. [1 difendere la fama <li
un uomo scomparso dalla scena del mi ndo, sotto il
peso di terribili ai sa, per sé stessa, gene-
ma. certo, ad onore di chi la con
Votiamo poi ci» lo scrittore, sei n rinunci
al si di trarre dai docur dai tatti
quel giudizio che a lui pare più ragionevole e bua
no, [iure li pi o'n un'imparzialità tanto
\ i che il li i trova la pi ssibilità di fi u
rsi un giudizio suo, talvolta non del tu
quello dell'autore.
Non è certo mia intenzione di entrare in una di-
dei particolari di questo libro >
i quali poi, in parte, hanno un valore essenzial-
mente tecnico così che solo un soldato di pn
bbe la competenza di parlarne. Ma io credo
non affatto privo di info 'tori non
i della guerra, il fermarci su al-
cuni punti che presentano una speciale importanza
ini- 1, peri I do-
minio della coltura generale l prima
tante, la figura del
rchiamo di determinare il profilo mo-
rale di un uomo, la cui memoria giace ancora del
• • che le diede l'indignazione 'li rutto il Paese
Già dicemmo , ■ 1 1 -1 1 \ premi, la difesa del
Barati! ri e \ noi dimOSl gli non pi
in all'un modo, incolpato dei disastri avvenuti du-
rante il suo governo in Eritrea. L'inettitudine
contusione nel Ministero, l'insubordinazione dei co-
mandanti in sottordine furono le cause che turba-
rono l'azione del Generale in capo e lo conduss
senza sua colpa, alla rovina finale, tira, io p
amine! bere chi > risulti vi uffi
chiarezza, nella narrazione del Bourelly, ma tutto
ciò non basta a liberare il baratieri delle responsa-
bilità che gli incombono, perchè, tollerando gli er-
rori del Ministero, egli ne diventava complice, men-
tre, d'altra parte, l'indisciplina dei suoi subord
deve pur avere la sua ragione in qualche di!
del coniando supremo. Esaminiamo, dunque, un
po' pili da vicino il fenomeno psicologico che il Bn.
' ci presenta.
Egli era. incontestabilmente, un uomo di molta
ingegno e di sufficiente coltura; non mancava di
ima •■ di esperienza militare, aveva un di
discernimento della realtà delle cose e non gli
ceva difetto l'opportunità dei consigli. Ma |ui
sue buone qualità eran guaste e fatte inutili da due
vizi fondamentali. 11 primo, un'incurabile vanità.
il secondo l'insufficienza dello spirito militare. I
vanità gli è stata fatale nei suoi rapporti ci il \l
nistero (Vispi. Non è affatto vero che il Bara!
non conoscesse ciò che si preparava in Abissinia
contro gli Italiani e non misurasse la gravità del
pericolo. Egli, fin dall'autunno del 1894. tempesta-
va il Ministero dei suoi telegrammi e delle sui
lozioni allarmanti, e consigliava i provvedimeli'
necessari ed insisteva perchè si eseguissero. Ma il
( 'rispi. oscillante fra la mania del far grande e delle
conquiste e le strettezze finanziarie che non gli ;
mettevano di trascinare il Parlamento a un voti
nuove spese, teneva a bada l'infelice Generale, spin-
gendolo a compromettersi sempre di più cosi da
rendere inevitabile la guerra ed insieme negand
i mezzi necessari a fronteggiare il perio ! V
giugno ilei 1895. il Baratieri, irritato per la 1 1 .
genza del Governo, che pareva non intendesse i | ur
chiari rapporti ch'egli gli mandava, annunciane il
pericolo di una grande guerra, presenta le sue di-
"ili. Diremo meglio, minaccia di presentarle.
ed adopera la minaccia coinè uno spauracchio
1 scuotere il Ministero. 11 ("rispi. volendo i
tare lo scandalo delle dimissioni, ma non volendo
rsi alle esigenze del Baratieri, si ap
pigliava ;.d una curiosa e. più ancora che CUI
clonabile trovata. Chiamava il Baratieri a
Roma onde accordarsi a \t«-r. Allontanare un gì
rale. nell'imminenza di una guerra prevista, dai luo-
ghi nei qua1! urgeva ch'egli organizzasse la difficile
. certo, un'idea infelice, ma non menu in-
■ fu la leggerezza con cui il Baratieri accetl
l'inv ito. Meni i nti i .1 Ri ima.
avessi dì intendersi coi Ministri e poi l
ripartilo subito per ritornare .d posto al quali ;1
dovere lo richiamava. Ma egli, invece, ha misi
LA BATTAGLIA hi ABBA GARIMA
4o3
mente sciupata due mesi in un giro che vorrei quasi
dire ('umicamente trionfale per l'Italia, ricevendo
applausi esagerivi per le vittorie [tassati- ed auguri
fallaci per le vittorie future, ed, al finir del settem-
bre, se ne ritornava a Massaua. senza ava preso
col Ministero nessun accordo determinato e preciso.
Il Bourelly, da giudice imparziale, qui non tace
il rimprovero al Baratieri. ma a me pare che quel
rimprovero sia troppo mite, perchè, con la sua con
dotta, in quel momento, il Baratieri ha assunto tutta
intiera la responsabilità della catastrofe che lo a-
spettava. Qui si vede come la vanità fosse così e-
norme in lui, da ridurre al silenzio ogni altra i
siderazione o previsione di vicini pericoli. Ritorno.
all'Eritrea, cinto dell'aureola di trionfatore largita-
gli in patria, era una tentazione troppo grande per
lui. Egli dimenticava di aver già presentate le sue
dimissioni e cercava d'ingannare se stesso col dare
alle vaghe parole dei Ministri un significato che la
esperienza del passato gli doveva insegnare essere
del tutto illusorio. Intanto il Governo, indotto.
probabilmente, dall'arrendevolezza dello stesso
Baratieri. a credere esagerati i suoi timori di
prossima e vasta guerra, si adagiava nell'i-
nerzia e non preparava nulla di ciò che sarebbe
stato strettamente necessario, se si voleva seriamente
organizzarsi per un'impresa nell'altipiano abissino.
Intatti, ciò che più urgeva di provvedere non eran
gli uomini, ma bensi il servizio logistico pel riforni-
mento di viveri e di munizioni. Bisognava far di
Massaua una base d'operazione, ordinatamente prov-
vista di materiali, ed organizzare il difficilissimo
trasporto sulle lontane e scabrose alture del Tigre.
non possibile che a dorso di muli o di cammelli. A
tutto ciò non fu pensato e provveduto, quando c'era
tempo e modo di farlo, e poi. all'ultima ora. dopo
il disastro di Amba Alagi. si è provveduto tumul-
tuariamente così da rendere del tutto confuso ed
inefficace un servizio di prima ed assoluta neces-
sità.
Ora. il peso maggiore della colpa di quello
spaventoso disordine e dell'insufficienza della pre-
parazione è del Ministero, il quale, pur avvertito di
tenere gli occhi ben aperti per scrutare e valutare il
pericolo, ha voluto chiuderli, di proposito deliberato,
onde non vedere e così avere il pretesto di rispon-
di re coli inerzia alle richieste che gli si facevano.
Ma una parte della colpa e della responsabilità pesa
pur sul Baratieri. al quale la vanità ha tolto i mezzi
di convincere un Ministero imbarazzato e riluttante
della realtà delle sue previsioni e della necessità di
provvedere. Fra i due mali, quello di dover rinun-
ciare al posto supremo ch'egli occupava e quelli
trovarsi senza le indispensabili difese, in un arduo
cimento, la vanità gli fece preferire il secondo al
primo, a ciò. forse, incoraggiato dalle tradizioni,
dalle abitudini, dagli esempì garibaldini, in mezzo
ai quali egli era cresciuto e dai quali aveva im-
parato ad affidarsi alla sorte, con nessun altro soc-
corso che quello di un'audace spensieratezza. E in
questa fatale tendenza il Baratieri trovava un com-
pagno nel Crispi. nel quale poi la spensieratezza e
l'audacia erano esaltate da una delle più iperboli-
che presunzioni che mai abbiati gonfiata minia di
uomo.
lo dissi che le buone qualità del Baratieri erano
guaste, oltre che dalla vanità, da un secondo difetto,
l'insufficienza dello spirito militare. Questa alfer-
mazione potrebbe parer temeraria, eppure io credo
che si trovi giustificata dai fatti e dai documenti
stessi che il Bourelly ci presenta. Il Baratieri non
era un soldato di vocazione; era un uomo d'inge-
gno che gli avvenimenti avevano portato alla car-
riera militare e che ci era rimasto. Ma egli mancava
della qualità che è assolutamente indispensabile per
un uomo che voglia percorrere i gnidi della gerar-
chia soldatesca, ed è quella di saper comandare. Il
Baratieri non doveva possedere quel fascino inde-
finibile, che si rivela nell'occhio, nel portamento,
nell'espressione di tutta la persona, quel fascino pel
quale un uomo s'impone naturalmente agli altri.
In tutte le organizzazioni della vita noi vediamo
questa essenziale distinzione fra coloro che hanno e
coloro che non hanno il dono del comando. Ma .
se. in ogni altra organizzazione, l'intelligenza può
sostituire la facoltà del saper comandare, nella car-
riera militare, la quale posa interamente sulla disci-
plina e sulla determinazione rigorosa delle respon-
sabilità, quella facoltà non può esser sostituita ne
dal sapere, né dalla bontà, ne dalla cortesia. Non
è ufficiale chi non sa comandare. Che il Baratieri
non sapesse imporsi, così da rendere impossibile
l'agire diversamente di ciò ch'egli voleva, pur dop-
ilo lo hanno provato, come or vedremo, i più lut-
tuosi avvenimenti. Ma. prima di addurre le prove,
io vorrei osservare che quella sua deficienza, oltre
che dallassenza di quel non so che di indefinibile,
che uno non acquista se non Io porta naturalmente
in sé. veniva, fors'anche. da una tendenza speciale
del suo ingegno.
l'omo colto e studioso, il Baratieri a me pare a-
vesse un ingegno analitico, il quale, portandolo ad
un esame troppo sottile di tutte le possibili even-
tualità contenute in un dato momento, toglievano
alla risoluzione da lui preferita il nerlm della con
vinzione e la forza della volontà.
E' quell'eccessiva preoccupazione dell'analisi di
cui si lamentava Amleto, come del vero ostacolo che
gli impediva di uccidere lo zio. e che poi lo ha con-
dotto ad ucciderlo, in mezzo ad una catastrofe ge-
nerale e quando meno lo voleva Ed è proprio
lucilo che è successo al Baratieri con l'aggravante,
però. che. invece di uccidere lo zio. egli è stato uc-
ciso da lui. Il Baratieri. pertanto, doveva essei
afflitto, lui pure, da quella malattia amletica,
che del resto •' sintomatica di tutti gli uomi-
ni più di pensiero che d'azione. Ora,
la guerra è. per eccellenza, azione, così la pre-
senza di quella malattia nel duce supremo, non
che riuscirgli funesta. Ed è ciò che avvenne del Ba
ratieri. Tutta la sua condotta, nel tristi- periodo che
corse '\.i Amba Alagi ad Adua, non fu che un ten-
tennamento, protratto, se si vuole, con arte e con a-
LA LETTURA
I"!
. ma senza mai un chiaro e semplice cono
risolutivo che sapesse imporsi ed al Governi
ai subordinati. I..i sta
del primo marzo fu un 1 transazione fra il
fare ed il non fare. Dirò 'li più. (Ili stessi ordini.
emai Baratieri, non hanno mai quel tono 'li
ni" impero che non ammette possibilità 'li ar-
bitrari'- interpretazioni 0 velleità di rivolta Più
che comandi, paiono qt iressione 'li un'opi-
ni' in. \ le righe si rubra che il Bara
dica - hi i,!:',''. che io vi consi-
oi partito 'in- m possa prendere.
Però non escludo la possibilità che convenga fare
propri" l'opposto <li ci msiglio. — Sono
ni pallidi, eccellenti per stimolare la contraddi-
zione e la tentazione ili disobbedire in chi do-
irli.
Il disastro ili Amba Alagi. che fu la prima 1
rande disastro di Abba Garima, è dovuto,
senea dubbio, al giudizio personale dei subordinati
non hanno voluto uniformarsi alle intenzioni
del barai 1
I documenti che abbiamo «lavanti contengono ili
ciò un'evidente dimostrazione. Già fin dal 16 ot-
tobre del 1895 il Governatore, nelle istruzioni gene-
rali ila lui date all'Arimondi che comandava sul-
l'altipiano, diceva che, in caso avanzassero e pre-
forze nemiche preponderanti . bisognava
entrarsi in Adigrat. Questo era il suo savio pro-
ponimento, die non fu mai da lui smentito, ma nem-
meno imposto col necessario rigore. Il 24 novembre,
il maggiore Toselli, col suo distaccamento, parte da
die per la posizione isolata, pericolosissima ili
Amba Alagi. Il ,}o novembre, il Baratieri, avute no-
tizie gravi del nemico che si appressava, ordina al
rale Arimondi di raccogliere, a Makallè, sedici
compagnie e tutte le bande «parendogli indispen-
« sabile, egli soggiunge con frase generica, di tener
« al possibile riunite sottomano tutte le forze in
« grossi gruppi ». Ma, cosa singolare, egli ben sa-
peva che il Toselli si trovava, come estrema avan-
dia, in posizione affatto isolata, e campato in
aria. Sarebbe Stato, dunque, tanto naturale ed an-
che tanto dovi u'b dicesse esplicitamente al-
I Vximondi ia subito ritirare il Toselli. al
quale fu data la chiave della colonia, ma che non
può impedire che la porta sia sfondata dall'avari
zarsi n 1 —
e ordine esplicito '-ra tanto più necessari
ie il Baratieri 1 l'animo e l'inten-
del valoroso Arimondi che avrebb fu piut-
correre incontro al nemico che lasciarsi spin-
\l.i qui si è fatta sentire, io cri di 1,
la tendenza di cui ho parlato più su. Il Bai
vedeva la convenienza di concentrarsi indietro. Ma,
tondo dell'anima, non escludeva del tutto la
e -1 andava a\ ani Ed
" lo col silenzio all'Arimondi la impli-
cita facoltà di non applicai l'or
dine generale da li [li infondeva insieme la
guire il su 1 cenno.
ncoi meglio col precipitare degli av-
venimenti. Il giorno 5 dicembre Arimondi ri
i\d Tosehi l'avviso ch'egli aveva avuto contatto col
nemico e che la sua posizione diventava gravissima.
Arimondi spedisce, allora, due dispacci, uno ai Ba-
1 1. per avvertirlo ci mo dopo, egli sa-
rebbe accorso in sostegno del Toselli, l'altro, fata-
lissimo. al 'Inselli stesso per annunciargli il SUO
rivo, la condona dell'Arimondi dimostra come gli
ordini del baratieri dovevano esser equivoci, così
che egb non credeva di disobbedire, portandosi a-
vanti. Intatti, egli non avrebbe mai preannunciata
ufficialmente la sua disobbedienza, 'piando avesse a-
\11io la certezza che disobbedienza fosse. La sera
Stessa del 5 il baratieri telegrafa all'Arimondi che
« non conviene allontanarsi da Makallè •. Già que-
sta frase è abbastanza 1 ariosa nel telegramma di un
generale in un supremo momento. Ed è anche cu-
rioso che il Baratieri non si preoccupi del Toselli.
non insiste che lo si faccia subito ritirare. I.'Ari-
mondi arresta il divisato movimento, ma, sciagura-
tamente, non riesce a rendere avvisato di ciò il To-
selli che pur poteva, come infatti avvenne, iniziare
il combattimento nell'attesa ili esser da lui soccorso.
Il giorno 6. insiste ancora presso il Governatore,
onde averne licenza di avanzarsi, e il baratieri.
sta volta, gliela concede, pur di fermarsi a mezza
strada. L'Arimondi parte, infatti, nella notte del 6,
ma solo in tempo per raccogliere, cammin facendo.
la notizia della distruzione della colonna Toselli.
sacrificata dalla irresolutezza e dalla temerità in-
sieme cooperanti.
Che il disastro di Amba Alagi sia dunque div
vtito al deplorevole intralciarsi di due volontà op
poste, [e quali si paralizzavano a vicenda senza che
quella la quale avrebbe dovuto imporsi sapesse
farlo, mi par evidente, e mi pare, quindi, che, per
quanto temperata, la responsabilità della sciagura
venga a ricadere sul Comandante supremo.
Ma ora, esaminiamo il caso ben più grave della
battaglia di Abba Garima, e scrutiamo, per qu
ci è possibile, le cause da cui provenne tanta
rovina.
1 noi me il Baratieri, più ni "1 p tendi .
seguenza delle difficoltà del vettovagliamento, man-
tenersi, nella posizione di Sauna, da lui occupata,
ad ovest della pianura d'Entisciò, deliberasse ili
tentare, prima ili iniziare la ritirata onde avvici-
narsi ali Asinara, una dimostrazioni' offensiva in
direzione della conea d'Adua, dove era accampato
il poderoso esercii" di Menelik. Dopo di ava -
0 Coi suoi generali nella sera del 28 I
Stabiliva il piano da eseguirsi nella notte dal :ii
febbraio al primo marzo; ed emanava l'ordine re
lativo. Quest'ordine «'■ di una chiarezza e di una
precisii me perfetta 1 pari io lai i dell'i ipei
l'ubbiet'n voleva raggiungere sono es|
in mi>do da non lasciar il più piccolo dubbio in chi
legge. Naturalmente, io giudico da profano di scien-
ze militari. Ma. dove si tratti d'interpretazione di
LA BATTAGLIA IH ABBA GARIMA
documenti, il buon senso, da solo, senza il soccorso
ili speciali discipline, è ancora il giudice più si-
curo. Qual'era. dunque, l'obbiettivo che si prefig-
geva il Baratieri ? Quello di occupare, quasi di sor-
presa, alcune posizioni fortissime, ad una trentina
di chilometri all'ovest di Sauna, in vicinanza alla
pianura di Adua, e lì sostare in atteggiamento di
sfida contro l'esercito abissino. Queste posizioni si
tn ivano in una cortina, composta di tre monti cospi-
cui, dalle forme bizzarre, correnti da Xord a Sud,
i monti Esciasciò. Rajo. Semajata. i quali costi-
tuiscono una specie di muraglione che chiude il li-
bero accesso alla conca d'Adua. Fra quei monti si
aprono due colli, il colle Rebbi Arienni fra l'Escia-
sciò ed il Rajo. ed un altro colle, che il Baratieri
chiamava Chidane Meret, fra quest'ultimo ed il Se-
majata. Questo primo muraglione si affonda in una
bassura, una specie di fossato acquitrinoso, oltre il
quale s'innalza una seconda cortina di monti. Al
Xord di questa si apre il largo vallone di Mariani
Sciautù che sbocca direttamente nella conca di Adua.
a Sud il colle chiamato, propriamente. Chidane Me-
ret. per cui si scende nella regione di Abba Garima,
e quindi ad Adua. Il Baratieri voleva, con le sue
truppe, circa 15.000 uomini, occupare i due colli
della prima cortina. Rebbi Arienni e il falso Chi-
dane Meret e lì fermarsi, in posizione fortissima,
in attesa del nemico . sicuro di respingerlo per
quanto numeroso ed audace esso fosse.
Questo piano del Baratieri. da molti competenti ri-
conosciuto lodevole, a me sembra un curioso e troppo
pericoloso compromesso fra opposte tendenze e. seb-
bene non presentasse un pericolo immediato quan-
do fosse eseguito esattamente, pur non era privo,
mi pare, di rischi eventuali troppo gravi in con-
fronto ai vantaggi che si sperava ricavarne. Le po-
sizioni nelle quali il Baratieri voleva arrestar i suoi
soldati erano per verità fortissime e tali da render
probabile la sconfitta del nemico quando fosse ve-
nuto ad assaltarle. Ma si poteva supporre che gli
Abissini, i quali avevan sempre mostrato un'oculata
prudenza, avessero la cortesia di venire ad ammas-
sarsi sotto le pendici del Rajo. per farsi sbaragliare
dalle artiglierie degli Italiani ? Non era assai più
probabile che essi rimanessero nel loro tranquillo
accampamento della conca d'Adua? Ed allora che
avrebbe fatto il Baratieri ? Si sarebbe mosso al-
l'attacco? Sarebbe stato un sagrificare il piccolo e-
sercito. Una mossa di attacco contro il campo abis-
sino non sarebbe stata possibile che per una sor-
presa notturna. Ma una battaglia campale in cui
15.000 uomini avrebbero assaliti 80,000 non po-
teva riuscire che ad un prevedibile aggiramento e
quindi ad una spettacolosa sconfitta. Pertanto il Ba-
ratieri, dato che gli Abissini non si muovessero, non
aveva altro a fare che restar per alcune ore nelle
posizioni occupate, e poi ritornarsene indietro. Ma
questo ritorno poteva, mi pare, diventar assai peri-
coloso, perchè gli Abissini avrebbero potuto avan-
zare appena il piccolo esercito italiano avesse volte
le spalle ed assalirlo in posizione per lui disa-
strosa. Ma supponiamo che gli Abissini non si muo-
vessero così che il Baratieri potesse tranquillamente
405
rientrare negli accampamenti abbandonati la sera
prima ; quale il vantaggio sperabile da una tanto
rischiosa passeggiata? Il vantaggio, dicono i di-
fensori del Baratieri e fra questi il Bourellv. saieb-
be stato di rialzare lo spirito dei soldati, così da
permettere di ritirarsi più indietro verso l'Asinara.
verso la base di rifornimento, senza che questo mg
vimento retrogrado apparisse umiliante e fosse una
implicita confessione di debolezza. Per verità, io
non comprendo come questa inutile passeggiata po-
tesse avere un così grande risultato morale. Da mesi,
Italiani ed Abissini percorrevano l'altipiano ,
col solo scopo di evitare un incontro. Non si vede
come una nuova dimostrazione di una cosa già
tanto provata avrebbe potuto migliorare le dispo-
sizioni degli animi. In ogni modo, dato anche die
la punta offensiva degli Italiani potesse dare quel
risultato, l'utile che ne sarebbe venuto era troppo
esiguo in confronto all'enormità del pericolo, per-
chè se ne potesse ritenere giustificato il tentativo.
Ma la deliberazione fatale del Baratieri. certamente.
non fu spontanea. Lo sventurato Governatore, sti-
racchiato fra la sua convinzione, che non voleva l'at-
tacco, e l'inquietudine dei suoi generali che ali at-
tacco lo spingevano, prese una via di mezzo ar-
rischiatissima, nella quale la salvezza stava tutta
in una sola condizione che, cioè, egli avesse la forza
di tener strette in pugno le redini del movimento.
Ahi ! le redini gli son cadute per terra, e i cavalli
sono corsi all'impazzata a precipitarsi nel baratro
che si apriva davanti !
Per dar esecuzione al suo piano, il Baratieri sta-
bilisce di partire, nella notte, in tre colonne che do-
vevano percorrere tre strade parallele. La brigata
Da Bormida lungo la strada più settentrionale do-
veva giungere ai primi albori al colle Rebbi Arien-
ni. Le brigate Arimondi ed Ellena. per la strada
mediana, avrebbero raggiunte le pendici del monte
Rajo. La brigata Albertone, per la strada più meri-
dionale, avrebbe occupato il colle Chidane Meret.
Onde togliere ogni equivoco sullo scopo della spe-
dizione, l'ordine conclude esplicitamente: n Primo
« obbiettivo, la posizione formata dai colli Chidane
« Meret e Rebbi Arienni fra monte Semajata e
« monte Esciasciò. la cui occupazione verrà fatta
11 dalla colonna Albertone a sinistra, dalla colonna
« Da Bormida a destra e dalla colonna Arimondi
« al centro ».
Quest'ordine già, per se stesso, assai chiaro, era
accompagnato da uno schizzo topografico, che ri-
troviamo nel bel libro di Ettore Ximenes Sul ram-
po di Adua. Questo schizzo è la migliore giustifica-
zione del Baratieri. poiché, quale fosse l'errore dei
nomi da lui dati alle località, toglieva ogni possi-
bilità di dubbio e di equivoco intorno alle posizioni
nelle quali egli intendeva che ognuno dei tre riparti
si fermasse.
Le truppe partivano dal campo di Sauria secondo
l'ordine stabilito. Ma. nella difficile marcia notturna,
cominciarono a verificarsi dei guai. I-e strade che
I- Il I
I A IMI I RA
dovi i ano, non e'ù stra-
lli-, in.i sempl no profondamente
ulti e ili rovei i. Ne ven
ne uno - i ell'i irdinarnenti i dei diversi i ij
e, gravissimi guaio, la deviazione della \i
bertone sulla stra rsa dalla colonna Ari-
mondi. 1 errore ebbe la conseguenza che quest'ul-
tima ha dovu rei per lasciar sfilare l'altra
il suo sentiero, e, siccome
la brigata A i ammi-
navi più velocemi altre, cosi av-
1 punto d'arrivo con un'an-
tiri] . uè ore su quel ripartii ili truppe
be dovut iservare sempre il con-
II generale Baratieri, che aveva predisposto ugni
per la marcia, non sembra a
al punto di vista del profano di
scienza militare, del tutto immune 'li qualche respon-
lità negli errori avvenuti nell'esecuzione Egli
procedeva in testa alla riserva, e quindi dietro le
tre brigai istituivano il corpo d'operazione,
ed ha lasciato unente le brìglie sul collo ai
tre comandanti, trascurando di mantenere nelle sue
mani il movimento d'avanzata, nelle sue varie fasi.
( >ra. se si riflette alla delicatezza di un'operazione
■Ila di una marcia notturna contro il ne-
n no pressoché ignoto, ed alla suprema
necessità di conservare la contemporaneità delle
mossi per evitare il pei in .lo di frazionare una forza
già. per sé Stessa, tanto scarsa, parrebbe che il Co-
mandante supremo non avrebbe dovuto abbando-
narsi alla fortuna ed alla supposta prudenza dei
suoi subordinati, ma avrebbe dovuto trovarsi in
continua corrispondenza con essi, cosi da frenare o
spingere le diverse sezioni, a seconda del bisogno.
Per effetto di questa funesta ineguaglianza nella
velocità della marcia, il generale All'ertone trovossi.
con la brigata d'indigeni, sul falso Chidane Meret
alle ore tre e mezza, cioè due ore prima che gli altri
riparti giungessero a destinazione. Qui avvenne un
del finale il Baratieri è assolutamente irre-
sponsabile e che fu la vera causa della catastrofe
ira \ ud-ovest del falso Chidane
\l> ret, su cui era giunta la colonna Ali "ertone e sul
quale doveva fermarsi, esiste, nella seconda cortina
di monti, dalla quale si discende direttamente nella
conca d'Adua . un altro colle che porta appunto
quel nome. Il generale Albertone . ferma
un'ora sul primo colle, ripri verso le quat-
tro e mezza, la sua marcia verso il secondo, Ioni. ino
metri, e la riprende* i assai prima
ira che il resto del piccolo esercito raggiungesse
i posti chi occupare. Questa fatale delibe-
razi' espi ìi abile e ni m è giu-
stificata dall'ii I nome dei due colli, poiché
l'ire! precisa e chiara che il Baratieri aveva
da'a dell'obbiettivo ch'egli aveva di mira bastava
d'eqi e, d'altra par
te, parrebbe che la prudenza avrebbe dovul i con
sigliare all'Albertone di riavere il coi ori le
a 1 1 r. prima d'avanzarsi verso il nemico.
Non M può a meno di fremere, pensando alla tra-
ndità di quell ■ ale in cui l'Ali
tone dava al maggiore Turino l'ordine di
col sui bai tagl i i nguardia ! Quell'atl
ntenuto in sé tutti ! ten ibile disa-
stro '. l 'In- Mansi detti ' i de A [berti me ed il
maggiore Turitto chi lo potrebbe ripetei,- a
nza? Il fatto sta che il Turitto, alla testa del
suo battaglione, non procede, ma corre, vola sulla
traccia lat.de che gli Sta davanti. Non cura di ve-
di n se è seguito, dimentica o disprezza il incessa
rio collegamento col grosso della brigata ch'egli
deve precedere, discende a precipizio dal eolie alla
sinistra del Rajo, attraversa il vallone, sale sull'op-
posta cortina, volge a sinistra, valica il secon
colle Chidane Meiet e si avventa, chi pu e sa-
pendolo o no, sugli avamposti dell'accampami
abissino. La follia è compiuta L'allarme è date. Il
battaglione, molecola impercettibile nel gran mare
dell'esercito nemico, è annegato, è soffocato dal l'ir
rompere delle onde furiose. Le ma-se abissine.
sando sul corpo dello sventurato battaglione, vali-
cano, a loro volta, il colle i io ad affli
brigata Albertone che giungeva, più "li un'ora dopo
I avanguardia, sul luogo della catastrofe. L' Alber-
tone. che si trovava isolato, lontano pjù di sette chi-
lometri dal grosso della spedizione, il quale, proprio
nel momento in cui egli iniziava il combattimento,
stava prendendo posizione intorno al massiccio del
Monte Rajo, vedendosi improvvisamente atta' i
da sì preponderante nemico, dispone e continua la
resistenza con una prontezza ed un valore pari al-
l'imprudenza con cui si era avanzato. Ma tutto è
inutile. L'arte ed il coraggio non possono valere che
a ritardare e rallentare l'inevitabile sconfitta. Morti
eroicamente ufficiali e soldati intorno ai cannoni,
che pur erano la sola efficace difesa dei pochi Ita-
liani contro lo sterminato numero degli Abissini, il
disastro era consumato, e la brigata Albertone era in
parte distrutta, in parte in fuga, in parte prigio-
niera.
Che taceva, intanto, il generale Baratieri ? Qui è.
se mi è permesso il dirlo, il momento psicologico
di tutta la sua azione. 1 qui sto è il punto ina mo
al quale ferve la lotta fra i difensori e gli accusa-
tori del Baratieri. A me pare che chi giudica col
buon senso deve riconoscete che non è giusta una
'blesa senza rimproveri come non lo sarebbe una
accusa, senza attenuanti, deve riconoscere che. an-
i he questa volta, a lui non è mancata la vis
di do che si dovesse Lire, ma gli è mancata qui Ila
(acuità del comandi reciso, senza di cui
le sorti di una battaglia rimangono del tutto in balia
dei capricci del caso. Il Bai iunto ven
ore sei e mezza sul colle Rebbi A rietini, di
trovava la brigata Da Bormida, ebbe tosto, e dal
fragore di me fucilate, a cui se. eesse quello
del cannone, e dalle notizie 'he gli davano i suoi
ufficiali, e da quanto egli stesso vide da un'altura
laterale il colle, la certezza 'he la brigata Ali
ne. distaccatasi dal nucleo principale delle truppe.
LA BATTAGLIA I>1 Al'.!'. A GARIMA
4G7
-i era impegnata in un combattimento avanzato,
nel quale, e per la lontananza e per la scabrosità
del terreno e per l'esiguità delle schiere che si pote-
vano portare avanti, non era. possibile recarle effi-
e soccorso. Correre a sostenere L'Albertone, vo-
leva dire sagrificare tutto il piccolo esercito
italiano. La posizione, pertanto, era terribilmente
pericolosa pel Barat ieri e per le tu- brigate che
gli rimanevano ; ma non era disperata . data ia
ini spugnabilità 'Iella fortezza naturale in cui egli
si trovava. Ricordiamo che, fra i due colli, il falso
Chidane Mere: e il Rebbi Arienni. sorge il fanta-
stico massiccio del Monte Rajo. il quale spinge a-
vanti nella valle sottostante due potenti contrafforti,
delti, sulle carte, lo sperone ed il monte Belah. Il pri-
mo di questi contrafforti domina lo sbocco del val-
lone di Mariani Sciautù. l'altro la strada di Abba
Garima. che sono i due accessi alla conca d'Adua.
Se il Baratieri si fosse solidamente stabilito in que-
ste ardue posizioni, egli poteva ancora eseguire .
malgrado la perdita di una brigata, il suo piano
primitivo. Arimondi avrebbe occupato, alla sinistra
del Rajo. il posto lasciato vuoto dall'Albertone. lì
generale Da Bormida. con le sue batterie, avrebbe
sgominato il nemico che si fosse avvicinato tanto
da Mariani Sciautù. come da Abba Garima. mentre
la brigata Ellena, portata avanti sul colle Rebbi A-
rienni. avrebbe tolto il pericolo di un possibile ag-
giramento. Ciò che al Baratieri non era parso che
uno sperabile colpo di fortuna, l'attacco degli Abis-
sini alle fortissime posizioni da lui occupate, avveni-
va, certo a un prezzo troppo grave, il sagrifizio di una
intiera brigata, ma avveniva ancora in condizioni da
rendere possibile la sconfitta degli assalitori. Ma a
ciò si richiedeva una grande prontezza di colpo d'oc-
chio, una ferma precisione di ordini e la più rigo-
rosa vigilanza nella esecuzione. Tutto ciò è man-
cato e ne venne una spaventosa confusione. Bi-
sognava che il Baratieri indicasse chiaramente ai
suoi generali quale fosse il compito loro. Al soc-
corso d'Albertone non dovevano più pensare. Essi
dovevano restar immobili nelle posizioni che occu-
pavano, pronti a respingere il nemico che ormai
non avrebbe mancamo di presentarsi. Non si può
negare che al Baratieri sia balenata l'idea di ciò
che convenisse di fare, tanto che dal punto in cui
era andato a collocarsi, presso il falso Chidane Mi
ret. insieme all'Arimondi. egli aspettava ad ogni i-
stante di veder il monte Belah incoronarsi dei sol-
dati del Da Bormida e fu per lui una terribile sor-
presa il vederlo invece coprirsi di Abissini; ma. dato
anche ch'egli avesse quest'idea, il disordine dell'ese-
cuzione mostra l'incertezza e l'equivoco degli ordini
e la lettura di questi ordini conferma la facile
induzione. Il punto essenziale della difesa do-
veva essere l'occupazione dei due contrafforti che
si protendono nel vallone. Lì il Da Bormida a-
vrebbe dovuto restar immobile per fulminare gli
Abissini che. da due parti, avrebbero tentato di as-
salire le posizioni degli Italiani. Il Bourelly, in una
analisi minutissima di tutti i documenti, vuol pro-
vare che tale fosse davvero il proposito del Baratieri.
Ma, se ciò era, gli ordini da lui dati al Da Bor-
mida mi parrebbero singolarmente equivoci. E vero
ch'egli raccomandava, prima pare a voce, poi per
scritto, di occupare le alture antistanti a Rebbi A-
rienni, ma sempre nel concetto d'appoggiare Alber-
tone. di appoggiare verso sinistra onde sostenere
più direttamente Alberione. ( >ra. erano appunto
tali indicazioni che bisognava evitare, se si voleva
che il Da Bormida rimanesse fermo, con la sua
truppa sui due contrafforti. In verità, a. me pare che
anche qui il Baratieri oscillasse fra due concetti di-
versi e contradditori: volesse prender posizione sul
massiccio del Monte Rajo. ma. insieme, non abban-
donare Albertone. Ora, che avvenne per l'equivoco
che il Baratieri ha lasciato sorgere nell'animo, forse
già incline a tale interpretazione, del Da Bormida ?
Avvenne che, invece di occupare i contrafforti come
già aveva cominciato a fare, egli discese con tutta
la brigata nel vallone, nell'intento di risalire sulle
alture opposte, lungo le quali, appoggiando a sini-
stra, poteva credere di andar incontro all'Albertone.
Se non che, per la struttura del terreno, egli si trovò
spinto con le sue truppe nella valle di Mariani
Sciautù. in fondo alla quale si distendeva l'accam-
pamento di Maconnen. Mandava egli un battaglio-
ne di indigeni sulle alture di sinistra, nell'intento
appunto di tender la mano all'Albertone. ma quel
battaglione fu tosto sconfitto e travolto dal nemica
che già si trovava su quelle alture e che, da esse, mi-
nacciava il grosso della brigata. Intanto sul fondo
della valle, ed anche sulle alture di destra, si avan-
zavano contro il Da Bormida i soldati di Macon-
nen. Era divenuta inevitabile una seconda battaglia,
altrettanto isolata quanto quella d'Albertone. Se
non che, se l'errore di quest'ultimo sarebbe stato ri-
parabile dal Baratieri. l'errore del Da Bormida era
senza possibile rimedio. Il divergere della brigata
Da Bormida verso destra, lasciava fra essa ed il
corpo centrale, che ancora si trovava sul Rajo, un
largo vuoto, nel quale agevolmente penetrarono a
torme gli Abissini, occupando essi ad offesa dei no-
stri quei contrafforti che avrebbero dovuto servire
alla difesa, e da essi precipitarono al massacro della
brigata Arimondi. Sorpresa, stretta da ogni parte,
questa trovo preclusa ogni via di salvezza, e non
ebbe alcun soccorso dalla brigata di riserva, che,
sparpagliata ed impreparata all'attacco, non fu che
un nuovo .•lomento di confusione e di rovina.
Gli Italiani, in quella fatale giornata del primo
marzo, si posero in condizioni da rendere sicura.
inevitabile la loro rovina e la loro strage. Sarehlx
già stata cosa assai ardua il respingere, con r 5.000
uomini, un esercito di 80.000. Ma quando quei
15.000 si son divisi in tre gruppi, nell'assi
luta impossibilità di soccorrersi a vicenda, essi cor-
sero incontro, più che ad una Sconfitta, ad un SU
dio. fili atti parziali di valore e di abilità, primo
fra questi la difesa lunga ed eroica della bri
Da Bormida. non potevano valere che ad inflig-
gere al nemico qualche inutile perdita, ma non ri
ad arrestare la valanga distruggi; ri. e. Questa fa-
tale divisione di forze avvenne per due momenti
successivi, la diversione dell'Albertone a sinistra,
la diversione del Da Bormida a destra. Della pri
408 LA I 11 i 1 RA
ma il generale Bararteli non può tenersi, in alcun
modo, responsabile. Non mi pan | a dire al-
ante della seconda. Non mi p li si foi
masse abbastanza prontamente un concetto della si
tuazione così chiaro e pi negli al-
tri, il sentimento della ineluttabile ni 'iella
sua esecuzione. I mi i ordini furono equivoci. Mauro
infine, quel nerbo 'li volontà sicura con cui, nei mo-
menti supremi, si disciplinano e si governano le
forze umane.
In qui non voglio entrare nei particolari, or am-
mirabili ed eroici, ora troppo dolorosi, 'li qu
triplice battaglia che potrebbe dirsi piuttosto una
triplice strage senza possibilità di scampo e di di-
fesa, e meno .incera nei particolari della dolorosis
sima ritirata, in cui i miseri avanzi dello sbaragliali
ito si strascinarono inori di quei munti male-
. seminando di morti la via sanguinosa. Mio
intento non fu quelli > di descrivere, ancora una
i. una battaglia di cui il libro, dal quale presi
le mosse, narra con una esauriente ricchezza di no-
tizie, i vari e successivi episodi. b> volli solo e.sami-
ileU'inimane disastro, cercar di de-
terminare le responsabilità vere, disegnare il prò
filo morale di colui che aveva in mano la somma
delle Cose, la cui memoria sopporta tutto il peso di
terribili accuse. Cerili, agli occhi sereni degli sto-
rici futuri, la memoria del Baratieri non potrà mai
risollevarsi per intiero, e liberarsi del tutto del
peso che l'opprime, ma pure giustizia vorrà che
quel peso gli sia alleggerito ed. in parte, portato
SU altre persone, non menu di lui. e. talvolta, più
di lui responsabili. Già, fin d'ora, nell'attutimento
graduale delle in- destale dall'improvvisa catastro-
fe, ci .■ possibile di esser meno appass i no-
stri giudizi e di avvicinarci ad un pacato, ugge
riconoscimento della verità. Sapesse almeno il l'ae-
se. sapessero, soprattutto, gli uomini che hanno la
responsabilità del Governo irarre da quella sciagu-
rata esperienza tutti gli insegnamenti che i
E il primo di questi insegnamenti è
che se. nella scienza e nell'arte, l'ingegno può
bastare a far grandi cose, nella pratica della
vita — e la guerra non è che questo — Ungi
non giova, anzi, può riuscii funesto, se non è ac-
ii impugnato dal carattere. Un carattere forte, retto,
guidato da una chiai nza del dovere, da un e-
quilibrato buon senso, può organizzare la riuscita di
un'impresa assai meglio di un ingegno immaginoso
ed inquieto. Nella tragica campagna africana,
da Amba Alagi ad Adua, non sono mancati ne ì in-
gegno né il valore, son mancate indie qualità mo-
rali da cui viene la forza del comando e la virtù
dell obbedienza. Da qui un disordine che ci condusse
improvvisamente ad un disastri', da noi provoca
voluto per un fatale aggrovigliamento di ernin
equivoci, un disastro che. con la sua spaventosa
grandezza, ha scusse le basi della compagine mo-
rale della nazione e l'ha fatta cedevole al soffi') di
ogni vinto infido.
Gaetano Negri.
-*-**-£&
Perchè i criminali di genio non hanno il tipo
vendo io dovuto dichiarare che Mu-
solino non aveva il tipo criminale
completo , destai un tolle-tolle fra i
miei avversari ; e parve crollasse perciò d' un
tratto tutto l'edificio della mia scuola; gli è
che essi ignoravano come io abbia fino dai pri-
mordi ne\Y Antropologia criminale dichiarato che
quell' insieme di caratteri fisionomici anormali
che formano il tipo criminale, nucleo di^tutta la
scienza nostra, manca quasi sempre nei genii che
hanno istinti criminali, come nei criminali di genio.
Il fatto resta egualmente di una enorme impor-
tanza; poiché, a tutta prima, trattandosi di due de-
generazioni riunite in un solo individuo, si doveva
iere che i caratteri degenerativi fosservi più nu-
merosi e non già più scarsi ; e perciò si capisce che
osservatori onesti finissero a negare l'esistenza del
tipo, tanto più trattandosi di individui che più colpi-
scono la nostra immaginazione e che irradiano in-
torno a lcro il massimo del pericolo; poiché Y Assas-
sino comune può tutt'al più dare la morte a 8 o io
persone, mentre l'ecatombe napoleonica sorpassa il
milione di vittime.
Ma. prima di tutto, la scuola criminale ha
abituato i ricercatori a non misurare , come
iioppo spesso fa il giudice, la perversità del cri-
minale solo alla stregua del danno infetto: a
questa, infatti, un macchinista che faccia per
semplice disattenzione precipitare in un abisso un
numeroso convoglio, dovrebbe esser giudicato più
reo del più feroce brigante.
E bisogna pur mettere in conto che il numero
dei genii è piccolissimo ; e naturalmente . quindi .
ancora più piccolo quello dei criminali di genio.
Ora se in una quota di criminali vi ha un 65 per
cento almeno di immuni da caratteri degenerativi
esterni, deve pure esservene un'altra press'a poco
eguale anche fra i criminali di genio
D'altra parte, i rei di genio non hanno natural-
mente il tipo quando sorgono in mezzo a popola-
zioni barbare, o quasi barbare, perchè allora, in
fondo, la loro non è una criminalità morbosa, ma
fisiologica ; il delitto per essi, come pei loro con-
valligiani, è soltanto un'azione che al più trova una
occasione od un aiuto speciale nella loro maggior
forza ed intelligenza ; e cosi mi spiego, come molti
capi-briganti sardi , siculi o calabresi , non mo-
strarono il tipo differente dalla popolazione in cui
vivevano e basta citare Delogu, Gusai, La Gala,
Farina, studiati dal Sanna-Salaris {Una centuria
di delinquenti sardi, Bocca, Torino, 1902), ed ora
Musolino.
Anche neWUomo delinquente noi dimostrammo
che Pace, Franchi. Malagtiti . Pasquali, Carbone
(capi-briganti del sud) non avevano il tipo; aggiun-
go che La Gala e Fioravanti non avevano ano-
malie craniche ne cerebrali ; e Curch ci dipinge i
Varadelli come dei veri eroi medioevali — fisica-
mente bellissimi — e per alcuni rapporti anche mo-
ralmente.
Ma per altre gravi cause essi mancano del tipo ;
gli è che molte delle azioni del criminale di
genio si estendono ed elevano molto più su di quelle
del reo nato ; e quindi anche i loro tratti fisiono-
mici devono avete un fondo meno atavico con ca-
ratteri minori di brutalità e più facili ad essere lar-
vati dalle linee geniali ; è la stessa ragione per cui
il Michon trovava nella scrittura dei criminali di
genio le linee della criminalità offuscate, soppresse
da quella della genialità.
L'abitudine delle idee elevate dà una speciale
impronta fisionomica (fronte alta, cranio volumino-
I"
LA LI [TURA
i'....
so, \ nato) che è in antagonismo con quella
Viceversa, oltre alla degenerazione, il tipo a-
tavico del criminale nato e l'accentuazione di alcuni
caratteri fisionomici e craniani . si devono al-
l'abito brutale , atavico , e all'abuso della forza
e della sensualità, che rinnovami le abitudini del-
l'uomo primitivo; questi caratteri, come La
strettezza della fronte, la stenocrotafia, le grandi
arcate zigomatiche, e sopraccigliari, sono in conti. mI
dizione colla grande potenza del lavoro mentale, e
quindi devono mancare naturalmente negli ingegni
grandi e rivolti ad alte imprese ; di più è noto che
molte anomalie si formano per correla/ione alle al-
tre, e così è probabile che scemi il grande sviluppo
mandibole coli ampliarsi della
fronte e con 1" sviluppo del pensiero, con cui cessa
l'uso e il bisogno dei grandi sforzi muscolari, ai
quali suppliscono l'astuzia e la genialità, e quindi
■ un'altra ragione per cui la mascella e gli
mi seno nei genii meno voluminosi.
Ottolenghi nota giustamente (Archivio di Psi
chiatria. volume XX) che i criminali di gì
non banno il tipo i one per cui nei
manicomi hanno il massimo di caratteri degenerativi
i frenastenici i retini, ecc.), ed il minimo i
paranoici, p<-r quanto manchi in essi sovente altret-
tanto e più il senso mora ido in questi ultimi
più grande lo sviluppo intelleiiu.de. ed essendo essi
più evoluti, non hanno più | i 1 tipo atavico
spiccatissimo nei primi.
Il tipo criminale manca per la stessa causa nei
ti di falso, di truffa, i quali esigono dolcezza,
atezza di nani e nei delitti politici, (fig. 6, 7. 8*
1 he appio 1 "v 1 iminalità 1
luta moderna Ora i criminali di genio, come Di
"'.un.' Holmes, anche con ittendo reati di san-
gue, non ricorrono mai alla violenza brutale, ma .1
mezzi e arti più evoluti ; sono falsari che giung
all'assassinio non per la passione del sangue, ma
solo per ottenere il loro fine ultimo, Al-
1 uni erano da prima 1 ninaloidi ;
dalle occasioni percorsero poi tutta la gamma del
delitto. Così Tiburzi e Fioravanti, non avevano
cuna tendenza crudele, nemmeno un'eccessiva avi-
dità, e n. ni versano sangue inutilmente, anzi cei
rono di esercitare una certa lon« barbara gius.
Così qui il prete De Mattia (vedi figura 1) che
riuscì a truffare il lisci, al lutto, se non erro, di un
milione; così pure il Configliacchi, professore di
Pavia, adultero, falsario, ma di così gran finezza
da farsi coprire di onori dal Governo austriaco non
che esserne incriminato; il terzo (figura 3) chi
pei ascelle sviluppatissime. fu truffatore abilis-
simo, tanto da vivere, per molti anni, da milionario
.1 '-pese di una banca di cui era contabile, né Iti
scoperto che dopo il suicidili: il quarto adulti
falsario, assassini! (figura 4) giunse ai più gì.
onori nel Belgio il quinto, che però ha qualche ca-
rattere, fu truffatore abilissimo nelle Romagne.
Ma qui sarà meglio dare delle dimostrazioni pia
minute esponendo rapidamente la biografia di al-
cuni di quelli fra costoro che corrispondono meglio
al mio pensiero.
ti..
PERCHÈ I CRIMINALI hi < ,ENIO NON HANNO 11. TIPO
4"
Da uno studio fatto sulle fotografie ili Holmes
mi sono ci mvinto che se vi si ritrovano l'esagerai. i
dolicocefalia, il pelo bruno, le sopracciglia spiccate,
per i quali caratteri si allontana un po' dal tipo
criminale anglo-sassone ; se vi è un certo grado di
platicefalia, se vi è pallore e labbra sottili, in com-
plesso però i caratteri degenerativi sono scarsi e
certi) non in proporzione colle anomalie murali .
tanto più essendovi i segni inversi, quali la scai
sezza delle rughe, la ricchezza della barba, la buo
na conformazione dei denti, la bellissima forma del
naso ondulato. E mancangli i caratteri grafologici
criminali ; la sua calligrafia, in complesso, presenta
i caratteri comuni a una persona intelligente , colta
ed energica.
Ora neppure nella sua vita giovanile non si
trova traccia di delinquenza. Bambino, pare mo-
strasse intelligenza straordinaria, per cui venne pro-
tetto da un ricco mecenate che lo mantenne agli
studi ; egli li compi brillantemente e ottenne la lau-
rea in medicina. Fu solo dopo i trentanni che co-
nobbe certo Pitezel, un uomo poco intelligente, del
quale egli pensò fare il suo associato e il suo vitello
d'oro, assicurandogli la vita con un atto complicato
per cui in caso di morte una grossa parte del premio
della assicurazione dovesse toccare a lui.
Dopo alcuni mesi il Pitezel fu trovato morto
in camera vicino ad una bottiglia esplosiva
rotta ; la camera era però ordinata , la faccia
composta , ne il corpo , che era putrefatto , lo
era di più dove più lo percotevano i raggi so-
FlG. 3.
Kit;. 4.
lari, il che fece dubitare di crimine; egli a.
veva negli ultimi tempi assunto il nome di
Perry ; ma Holmes ne potè dimostrare l'identità alla
Compagnia d'assicurazione facendo venire a rico-
noscerlo la figlia Alice di anni 14 ; il cambiamenti 1
del nome del Pitezel in Perry era stato fatto perchè
i giornali non mettessero sull'avviso della morte
la moglie; e la figlia Alice fu fatto venire con un
telegramma firmato col nome del padre. Il testimo-
nio diventava, dunque, doppiamente pericoloso, 1 fu
fatto sparire in modo misterioso, perchè non se ne
trovò più traccia; né la madre n'era inquieta, per-
chè egli, con firma finta del padre, le aveva scritto
d'averla collocata in collegio per educarla meglio, e
perchè continuò poi parecchi anni a scriverle col
nome della figlia, dando notizie della sua saluti 1
dei suoi studi.
Per la sua sicurezza però occorreva che la fami-
glia tutta sparisse; ed egli cominciò a chiamare con
lettere apocrife la sorella e il fratellino minore, che
sparirono al modo della prima. Alla madre spediva
bombe in pacchetti da portare qua e là sperami"
che scoppiando l'uccidessero. Nessuna scoppio.
Quando essa continuava a chiedere notizie del ma-
rito e dei figli, le dava, ora in un paese, ora in un
altro, appuntamenti che poi rimandava. Dopo io
anni, però, costei che non aveva mai diffidato di lui,
male conoscendo l'inglese, ed essendo poco intelli
gente, venne a Chicago colla figlia maggiore, ra-
gazza intelligente, ardita e determinata a mettere
in chiaro ogni cosa. L'Holmes offri .subito loro un
pranzo, colla intenzione probabilmente d'avvelenar-
le ; ma la figlia rifiutò.
Egli escogitò ancora nuovi strani appuntamenti ;
I'
la i.KrnuA
ma li minciando a diffidarne, interrogò i vi-
cini e seppe che veramente io anni prima era morto
uno che si faceva chiamare, ma non era Perry .
ito riconosciuto ila una Mia figliuola.
izza . allora, non badando più ai teli
grammi e agli appuntamenti di Holmes, andò su-
.dia polii ipere che veramente il pa-
dre Pitezel era morto e che l Holmes ne aveva ri-
tirato il premio dalle Assicurazioni. Denunzialo da
lei. per questo, Holmes fu messo in eareere. e tosto
glli parie si seppe di morii suoi dipendenti per
cui le Compagnie di assieurazioni avevano pagato
un premio a lui. sotto vari nomi, l-'.gli teneva fuori
Fi...
della città una fabbrica di prodotti chimici in cui
tutti gli impiegati, assicurati, sparivano dopo un
• no tempo.
Si trovarono in quella fabbrica, a cui si era già
meritamente dato il nome di Castello delia morte.
delle camere la cui porta si richiudeva appena fos-
sevi entrata una persona, la quale vi restava asfis-
siata o. cadendo in un bagno di acido solforico o ni-
bruciava e pletamente, senza lasciar più trac-
I re che cosi fossero morti un nuovo
che aveva portato una grossa somma, una segretaria
i violata ed alla quale aveva promesso il
matrimonio, e parecchi impiegati. Si seppe poi. du-
rante il fin «esso, che spacciava anche monete false;
■ vari nomi, ire mogli pei cui
mostrava un certo affetto e delle quali nessuna ave
va sospettato dell'altra. Si scoperse pure che i suoi
impiegati destinati e poi da lui condotti a morte e-
rano stati assicurati sotto vari nomi a diverse Si
nodo ehe per un complicai giugno egli
veniva a riscuotere due " tre premi i ei ciascuna
Tutte queste combinazioni e complicazioni mtij
no il \ ''i- 1 CI iminale ili genio ; e quanto egli In
tossi- lo mostro anche nell'abilità della di)
cialmenìe quando, in ultimo, esaurita ogni sperar
i studiando il mio Uomo delinquente, tene t
lare pi un pazzo morale, un delinquente i
inventando perciò una lunga serie di delitti che non
aveva commesso, esagerando poi quelli accertati, e
pretendendo di aver persino mutato la fisionomia,
e le linee craniche in modo da rientrare nel quadro
figurato da me.
Noi vediamo, insomma, che si è servito di tutti
gli amminicoli che può dare la scienza moderna
ad un uomo per far del male, arte medica, cono-
scenze chimiche, tossicologiche, abilità grafiche, ma-
;io del meccanismo delle Assicurazioni sulla
vita, conoscenza di antropologia criminale. Rap-
presentò, insomma, egli nel delitto quel progl
so che fecero nelle applicazioni della scienza all'in-
dustria i Nord-americani. Ma è sempre il criminale
avido più che crudele, bisognoso della potenza
dà l'oro, tanto che i suoi omicidii sono tutti
ildle applicazioni di chimica tossicologica . *
col solo scopo del lucro, senza ricorrere mai
alla violenza sanguinaria; non è un omicida
che uccida pel piacere di uccidere, ma è un truffa-
tore che uccide quando in altro modo non può i
giungere il suo scopo. Perciò mancano in lui
i caratteri esterni del criminale nato, essendovi
tutt'al più alcune di quelle anomalie che som.
più frequenti nei truffatori. Non mancano p
i caratteri psichici . l'assenza di rimorso , l' im-
perturbabilità davanti alle prove ilei proprio delitto,
davanti alla vittima cui ha rubato i figli, il ma-
rito, e che guarda tranquillo mentre essa piange e
si dispera; né mancano la lascivia comune a tutti i
truffatori, e la vanità per cui si compiace di es
descritto nei giornali ed esagera il numero dei suoi
delitti ; né la genialità criminale manca di un lato
morboso nell'eccesso delle complicazioni crimin
come anche nell'imprevidenza die abbiamo sorpresa
quando collocò il cadavere della sua prima vittima
in modo che uno scienziato avreblie dovuto subito
capire che non poteva esser stata vittima di una e-
splosione.
In Italia ebbimo il famoso capo-brigante Tibura
che offriva un cranio voluminosissimo, una fronte e-
levata, una fisionomia tranquilla e serena, simile
molto a quella dell illustre Cesare Correnti. Né l'au-
topsia vi scoperse altro che una maggiore suddivi-
sione delle circonvoluzioni frontali, die non è nien-
te affatto sicuro sia propria dei delinquenti, mentre
mancava di quelle anomalie istologiche del cervello
che la nuova scuola scoperse nei delinquenti. Ma an-
che qui si ebbe una criminalità assai meno ata
e crudele di quella dei solili briganti ed insieme de-
linquenti nati. Fatto è che fino a trentanni
egli non aveva commesso alcun delitto e nem-
PERCHE I CRIMINALI 1)1 GENIO NON HANNO IL TIPO
4i3
meno alcuno di quegli atti feroci in cui in-
cappano sempre e precocemente i rei nati. Fu
a 31 anno, nel 1877, che egli per la prima volta
uccise un guardiano con cui aveva litigato. Con-
dannato a 18 anni di galera, nel 1872 fuggiva e
si imbrancava in una banda brigantesca. Da allora
in poi commise 2 assassini. 5 omicidi o tentativi di
omicidi, 3 grassazioni, 2 furti. 2 ferimenti. 4 in-
cendi. La sua specialità furono le estorsioni ; ne
consumò circa 24, ma negli ultimi anni non com-
mise grassazioni sulla pubblica via : perciò ebbe a
sdegno, dopo l'inizio della triste carriera, di asso-
ciarsi a briganti di professione, come Menichetti e
Ansuini. In generale tutti i suoi delitti di sangue
non furono ispirati da quella ferocia di cui sono af-
fetti i rei nati, ma di quelle vendette e di quelle ri-
vendicazioni che rappresentano la giustizia nei
paesi barbari. Uccise , per esempio . un pa-
store . il Pecorelli , perchè aveva ammazzato un
maiale al figlio Nicola, ma prima verificò, contando
i chiodi delle scarpe, e confrontandoli colle orme
lasciate sul terreno, l'identità della vittima, come a-
vrebbe fatto un giudice aiutato da un buon perito.
Uccise il collega Pastorino in una specie di vero
grossolano duello, provocato da insulto. LTccise il
Becchinelli, per mettere fine agli eccessi che com-
metteva e che lo avrebbero compromesso ; uccise il
Gabrielli, perchè lo credette una spia. Insomma i
delitti suoi erano vere esecuzioni di diritto brigante-
sco su spie e neo-banditi che pretendevano invadere
il suo dominio e turbavano la tranquillità dei suoi
feudatari, vulgo mantenitori.
Più volte, potendo uccidere nella macchia guar-
die e carabinieri, se ne astenne. Egli, nota bene Si-
ghele. trasformò il crimine in un contratto, il furto
in una tassa ; metamorfosi strana, in cui non sa1 se
più ammirare l'astuzia di chi la compia o la vigliac-
cheria di chi vi si presta. Ed un procuratore del Re
confessava a Sighele: «Dopoché ce Tiburzi. i cri-
mini nel comune di Viterbo sono notevolmente di-
minuiti, perchè i malfattori hanno più paura di lui
di quello che non ne avessero della giustizia ».
Ed al processo di Viterbo, un delegato di pub-
blica sicurezza di Acquapendente, disse che i pro-
prietari consideravano il Tiburzi come un male ne-
cessario, e gli pagavano le tasse, per non esser mole-
stati, sia perchè erano i briganti che facevano real-
mente il servizio di pubblica sicurezza, confessione
che equivale a dire che il brigante adempiva una
vera missione sociale e politica. Egli prendeva in-
somma, si può dire, a cottimo (e pare che il com-
penso non fosse meno di 300.000 lire l'anno), la
tranquillità di quelle terre e ve la sapeva mantenere
con l'autorità della sua sola persona, meglio di
quello che avrebbero potuto fare le autorità costi-
tuite.
E non solo purgava le macchie dai banditi e vi
teneva una relativa giustizia, ma esercitava perfino
la polizia negli scioperi, obbligando i mietitori scii -
peranti a tornare al lavoro col solo dispiegamento
delle forze sue proprie. Coi castellani, coi caccia-
tori viterbesi conversava da gentiluomo del più e del
meno, senza che alcun tratto rivelasse l'uomo san-
guinario ; come i landlords inglesi, molti mesi del-
l'anno egli si assentava dai suoi domini e viveva a
Roma, a Parigi, da gran signore, senza che mai
alcun atto vanitoso ed impulsivo (come è proprio dei
rei nati), lo tradisse, il che è nuova prova di quella
forza di inibizione che si vede solo fra i aormali ed
è quasi esclusa dai delinquenti nati.
Per tutto ciò, per esercitare per più di 24 anni
un dominio incontrastato, occorsero anche una sin-
golare intelligenza, un'abilità amministrativa e stra-
tegica, ed una temperanza, una facoltà di inibizione
come non hanno certo i criminali nati, ed anche una
relativa, forse una assoluta genialità, (ili mancò il
Fio. 6.
Anarchico Spies.
secolo propizio per divenire uno Sforza, un Picei
nino, un Medici dalle Bande nere, ma quanto alla
attitudine l'aveva tutta, e forse era già pronta la di-
nastia. E son tratti veramente Sforzeschi (nielli in
cui egli, solo accompagnato da Fioravanti, si [ri-
senta in un cascinale dove son 50, il Rossi dice anzi
80 mietitori, certo armati di falce, di flagelli, e ni
tima loro di farsi da parte e lasciargli uccidere il
Gabrielli.
Ma v'hanno altre ragioni che spiegano meglio
così la sua impunità, come la regolarità della sua
fisionomia, e che egli in gran parte riproduceva il
colore locale e l'indole degli abitanti del suo paese.
Le strade in quel di Lamone sono lotti di torrenti
spesso impenetrabili, in cui il cavallo rifiuta di pro-
cedere.
Si immagini una estensione montuosa, la sola
parte boschiva nel Viterbese è di 16.435 ettari, in
p I
LA 11 I I
A N V l< I H II 0
mucchi
su quei
cui le eruzioni vulcaniche che gettarono
uni. scuri, ricoperti di muschio,
mucchi piante rampicanti ed ogni specie di spine,
mi r là. tronchi di vecchi eerri, e. sotto di essi.
Luche, caverne conosciute 'lai briganti, ignote alla
Mitirie un uomo pratici, qua (lenito, dice-
vano al Rossi i guardiani, e poi ditemi, chi può an.
ilare a scovarlo?i Ma peggiore dell'ambiente clima-
era l'ambiente civile. Cellere, infatti, dove Ti-
burzi nacque, è una terra celebre per antica crimi-
nalità (Rossi). Imi popolata, pare, primitivamente
da Albanesi, che diedero in grande e in piccolo, in
tutte le sfere, nelle alte, perfino ministeriali, e nelle
e, una quota fortissima alla criminalità ita-
liana . ed è in tx>rgo di Cellere, a Tarmano, che pul-
lularmi" altri criminali famosi; il famoso Veleno,
per esempio, che ucciso, untisi, assai poco divota
niente, ma molto opportunamente dal vivente CU
di Cellere, che si accorse, per caso, di aver in
un linguali-, e consigliando l'assalitore a
bendargli egli stesso gli occhi, approfittava del mo-
ri, opportuno per freddarlo. Ed egli, il Tiburzi,
che molti sentiva il patriottismo celleriano, quasi
, un capello ai contadini del suo paese. Si
piegare il potere e il prestigio suo.
ippunto perchè quelle terre avevano tendenze
assai più primitive, la giustizia, colle sue prò
biab lentezze, le amministrazioni con le loro buro
e impotenti, non potevano nulla con-
tro lui ; mentre la prepotenza materiale, brusca,
ma adatta al luog perchè energica, di un uomo
solo vi aveva un'influenza più dii
e da questa a sua volta ritraeva tanto prestigio, da
adempiere veramente una funzione sociale
I 11 unii, un gii I n ile, .meli esso .idulle-
ro. .: i ladro, certo I rateilo e figlio di
ladri, non aveva ili criminale che il doppio sgu
ora dolce i ira ter con occhio. Ir, mte
t, Ita barba, ed era di ingegno così acuto, che ben
h i Ito, riesci uno dei migliori giorna
d'Italia, e per poco non fu eletto deputato di Roma
benché non avesse .nuora l'età. In parte per
tivo d'adulterio, in parte per motivi professionali,
egli spinse sotio pretesto politico un altro ad ucci-
un giornalista al quale aveva rapita la moglie.
In tutti costoro il tipo manca, o quasi, pei
genio offusca il delitto. Va notato anche ci,' > che il
De Candolles ha così bene illustrato: che la mag-
giorati/a degli uomini di genio esce dalle i
colte, dall'alta borghesia in ispecie, mentre i crimi-
nali più spesso escono dalle classi più umili. ' >ra
bene avvertiva il Samuele Smith {Populat S
Momthly), che in queste sono più frequenti per l'e-
sercizio dei muscoli alcuni caratteri che si coi
dono con quelli degenerativi, ionie il grande svi-
luppo delle mascelle, degli zigomi, ecc.
Si aggiunga anche che la più leggera cri-
minalità, sommata a una più o meno grand,
cialità. ottiene effetti malefici cento volte maggiori
dei comuni criminali privi di genio, di coltura, di
prudenza, e quindi anche il criminale più lieve
grande genio, passa, per i terribili effetti provi
per un grande criminale, e ben dice Dante:
Che dove la potenza «Ulta mente
S'aggiunga al mal volere ed alla possa
Nessun rimedio vi può far la gente.
In questi casi noi giudichiamo molto più crimi-
nali, solo per gli effetti, individui che lo sono sol-
tanto in lieve grado ; allo stesso modo che negli
■
;
Anarchico
PERCHÈ I CRIMINALI 1)1 GENIO NON HANNO 11. TIPO
4l5
Stati monarchici passano per terribili criminali dei
regicidi, che multe volte sono soltanto rei per pas-
sione, solo perchè il loro delitto li rese più odiati 0
più disastro,! ] er il pae.se (tìg. 6. 7. 8).
Alle volte si tratta pure di criminali ferocissimi,
ma l'assenza del tipo si spiega perchè la cri-
minalità si sviluppò in tarda epoca, grazie a una
meningite, a un osteoma, alla sifilide, e quindi i ca-
ratteri congeniti e in parte gli acquisiti dovevano
mancare. Così ho studiato a lungo in Torino il Bal-
lar, che assassinava uno zio e quattro donne ih mo-
do ferocissimo, e sfuggendo per molto tempo alle
indagini per la straordinaria intelligenza, e che non
presentava il più lieve carattere criminale : pareva
un commesso di negozio. Ora una ricerca paziente
mi ha provato che egli, buonissimo tino a 10 anni.
fu preso in quell'epoca da una meningite dopo la
quale divenne ladro, stupratore e infine assassino.
e invece di produrre la paralisi di un arto, produsse
quella del senso morale, lasciando intatta l'intelli-
genza. Così io mi spiego come il ferocissimo Gras
Rubasela, decapitato recentemente in Austria, ab-
bia commesso stupri precoci, furti, e ultimamente
per lieve causa di vendetta l'assassinio dell'A'.ton
e di sua nipote, quantunque, tranne una leggera as-
simetria facciale e un certo sviluppo maggiore della
mandibola e l'abbassamento di un angolo della boc-
ca, nulla presentasse di anormale. Ebliene: all'au-
topsia, di cui mi comunica or ora il risultato il pro-
fessore Ibsen. di Innsbruk. si rivelò: pachimenin-
gite. atrofia delle circonvoluzioni frontali, e. quello
che più importa, due osteomi dentro il lobo fron-
tale sinistro, anomalie di cui nessuno in vita avrebbe
potuto formarsi l'idea.
Lo stesso dicasi di Faella, un ex-ufficiale italiano,
di fama onoratissima fino ai 30 anni, che lasciata
la milizia e datosi a speculazioni sbagliate di grani,
comincia solo dopo i 30 anni a iniziarsi nel crimine.
Dapprima immagina di far cambiali false colla
•Irma di ricchi suoi amici da presentarsi dopo la
loro morte agli eredi, poi si decide a provocarne
egli la morte, e prepara nella sua villa un traboc-
chetto profondo ed invita uno dei più intimi suoi e
dei più ricchi, il Costa, e ve lo fa cader dentro e
morire. Sparge la voce che egli sia fuggito dal pae-
se, e prende intanto una cambiale di 70.000 lire agli
eredi ed alle autorità, che trattandosi di un indivi-
duo scomparso finirono di aprir gli occhi e scoprire
il reato. Arrestato, tentò un alibi, negò continua-
mente ogni reato, e finalmente si uccise, quando
vide che stava per esser condannato, tira costui che
in vita non aveva presentato altra anomalia che una
grande iperestesia alla luce e agli alcoolici, e che
aveva la fisionomia completamente simile a quella
di Re Umberto, quando venne autopsiato presentò,
oltre all'insufficienza valvolare, pericardite, una e-
norme pachimeningite ed un grosso ostoma spi-
noso nella granile talee che si [>enetrava nella cir-
convoluzione parietale ascendente. Ora tutti sanno
come gli osteomi. specialmente nei giovani, sieno ra-
rissimi, anche nei pazzi (2 0 3 o/o), soprattutto gli
osteomi spinosi, e come essi tradiscono un processo
in nativo, la così detta pachimeningite.
Gasparone. che cerio fu un tipo di delinquente
nato, poiché non comprese mai cosa fosse rimorso
giacché uccideva un uomo con minore ripugnanza
che non metta il beccaio con un agnello, che a-
veva il vero ribrezzo pel lavoro continuato, sicché
anche dopo conseguito non solo il perdono, ma un
ufficio ben retribuito dal Governo papale, pure ritor-
nava alla montagna, presentava una vera genialità
strategica; come quando, circondato da 20,000 au-
striaci, in una .stretta vallata, potè a loro sottrarsi.
Fio. 9. — Uxoricida (ti SSA.
facendo che i suoi briganti mettessero sul berretto
la stessa fascia bianca che egli vedeva nel capo dei
suoi avversari, sicché potè passare per un alleato.
Ebbene, nella fisionomia egli non aveva alcuna ano-
malia spiccata, ma il cranio presentava un vormia-
no al bregma fenomeno che ricorda il terzo 00 :
dei renili, e una lunga serie di anomalie nelle cir-
convoluzioni frontali destre.
Qualche volta . come in Vacher , né cervello,
né cranio presentano spiccate anomalie, mentre spic-
cate sono le anomalie istologiche, come la mancan-
za degli strati granulari, la ipertrofia delle cellule
piramidali, ecc.
Moriva nella mia clinica, pochi anni la. ucci-
dendosi, un giovane che fino dai io anni, dopo a-
pi. LA LETTI ! \
\rr sofferto un tifo, rubava 'li-nari, spilli, orologi,
prima .1 ■. poi in 1
glie pubbliche; arrestato, egli mostrava
1 parlava del sue ri
Si tr une studente 'li lettere, intelligen-
i; buona famiglia, il quale lasci.', poemi
potuto procurargli una gran fama,
sempio, sui pazzi:
. . .1 altr grida insane
ggian nelle vaste camerate
Invocazioni tristi e preci vano
■-suiti di menti concitate.
Quante lat\< d'amor gentili, ari
I Fantasie d'i titillate .
-imi ad immagini lontane
E brame <ii carezze trapassate,
l'hi sa arrestar nell'attimo che vola
II fantasma che appare a quelle menti?
E il lampo che ne strappa e la parola
Fuggente irata alle labbra frementi?
Chi fa brillar una scintili. i
intelletti naufragati e spenti?...
tira costui non aveva alcun carattere fisionomico
nak-. anzi una bellissima forma ilei cranio, e
tomia b Ila e piao < quando si proce-
ileite all'autopsia si rinvennero quelle anomalie i-
giebe, specialmente l'atrofia degli strati granu-
lari e le cellule nervose della sostanza bianca che
la nostra scuola trovò specifiche dei criminali.
Bisogna avvertire anche che un certo numero di
genii criminali : Alessandro. Napoleone e Anneghi-
no, per esempio, hanno il tipo completo; ma il
prestigio destato dalle loro opere (che aumenta
sempre più dopo la morte) fa che noi diven-
tiamo ciechi al loro riguardo e non vediamo, tìsica-
mente, che le linee geniali, e non le criminali.
rto che nei busti e nei ritratti di Napoleone
dopo il Consolato ni n trovi più la faccia assimme-
ttica. l'oc . l'esagerazione delle mandibole, e
del 1 roganatismo alveolare che prima aveva. <
pochi busti di Alessandro rivelano il suo tipo cri-
minale colle rughe verticali nella fronte, colla ste-
nocrotafia, e o 1 t alia, che vedesi nel Louvre.
1 ■ sti ss sui ede anche nel giudizio delle loro a-
zioni, tanto che noi scusiamo lino i loro delitti
muni e stimiamo finanche opere geniali le stragi dei
ome fece Machiavelli, e ammiriamo le im-
prese [>iù dissennate, come quelle napoleoniche in
Napoli, in Spagna, e Russia, reputandole dettate da
etti profondi, le se gli irrori e delitti mul
sero di natura diventando più grandi. E si dimen-
-■ si perdona la indifferenza cinica di NTap<
ne 1 davanti alle migliaia di morti da lui caus
e davanti alle quali non ebbe che il cinico motto:
« Una notte di Parigi aggiusterà tutto ciò t.
Finalmente in non pochi criminali che a una
genialità aggiungono qualche linea di bel-
lezza, l'osservatore comune non s'accorge dei tratti
tristi, anormali, che pure esistono, ma che sono ma-
scherati, sottratti alla sua attenzione dagli altri.
Ciò si osserva specialmente nei giovai!
prattutto nelle mondane.
Mi viene, per esempio, mandato da un e-
gregio alienista di Pietroburgo, il Berliner,
questo ritratto (figura 9), di una triste mondana
che da contadina era diventata prostituta, e 1
sposatasi con un operaio strangolò quest'ultimo colla
stringa del suo busto; assolta dai giurati, ora come
cantante di caffè-concerto ha a Mosca un grande
successo. Orbene la prima impressione che fa a
tutti quel ritratto, ed all'alienista stesso che ni
mandava, è di una singolare bellezza e di mancanza
di ogni carattere criminale; gli è che la ricchezza di
pannicolo adiposo, l'abbondanza dei capelli, il tur-
gore delle labbra, non lasciano pensare alle tristi
linee come l'enorme zigoma, l'enorme mascella .
la piccola fronte, il naso incavato . soprani
l'occhio telino, lascivo, falso e insieme cru-
dele. E tale è proso a poco la fisionomia della
troppo famosa adultera principessa Chimay ;
pure la Zerbin e. passava per una singolare bel-
lezza, non avvertendosi la virilità della fisionomia,
la lunghe/za della mascella e la strettezza deila
fronte, in confronto .Ielle altre linee che e;
pure belle (1). Ma intanto, il conio del delitto an-
che in essa esisteva.
Cesare Lombroso.
(1) Vedi Donna delinquente di C. Lombroso i
I'i.rrero — Tav. IV. 1902. 3" edizione»
-*-**
4^-
tu^ *>
L'ISOLA DEL RE
BIBf4' l'M.'i. \ di Montecristo tutti lo ann
KliH — deve la sua popolarità al romanzo
— .....j3 omonimo di Alessandro Dumas ; tutta-
via che il gran romanziere, anzi il papà dei ro-
manzieri, ne avesse una conoscenza diretta, ci avrei
i miei riveriti dubbi. Intendiamoci : che abbia par-
lato con qualcuno che la conosceva e magari l'ab-
bia'veduta di lontano, l'ammetto benissimo, ma
che proprio ci sia stato, no... Se avesse conosciuto
l'isola de risii, non avrebbe nascosto il favoloso
tesoro fra gli scogli, giù dentro una buca delle fate
di sua fantasia, in quel curiosissimo modo che
tutti sanno, bensì, secondo i « si dice » marinareschi
e la tradizione dei secoli, fra i ruderi dell'antica
chiesa e del più antico convento.
Difatti, a dar maggior fondamento alla credenza
popolare e per accendere sempre più l'immagina-
zione della gente di mare e dei pastori marem-
mani, furono rinvenuti sotto il pavimento della
chiesa conventuale di Montecristo diversi coppi
vuoti di gran dimensioni e mezzo fracassati. I pe-
scatori dell'Arcipelago raccontano il fatto con pause
di sospiri, esclamando, presso a poco, simili frasi
di conclusione sacramentale : — le verghe d'oro, i
rubini, i brillanti e gli scudi romani con la testa
del Papa. Ma c'erano davvero, altro se c'erano!
Ma erano nei coppi della chiesa... I pirati barba-
reschi rubarono tutto ! Dunque, niente cassoni di
legno di quercia ferrati, ma vecchi coppi di terra
cotta, della capacità ognuno — soggiungono — di
cinque o sei barili d'olio.
Del resto, quantunque i romanzieri inventino
volontieri anco la geografia (come, per esempio, il
nostro d'Azeglio, il quale nel suo Ettore Fiera-
mosca inventò di sana pianta un' isola dinanzi al
porto di Barletta) , la descrizione che il Dumas
ci diede di quella di Montecristo.... veduta a di-
stanza, non è punto fantastica.
« Si parti. Edmondo solcò di nuovo quel mare
« azzurro, primo orizzonte della sua gioventù, che
« aveva riveduto tanto spesso nei sogni della sua
« prigione. Lasciò alla sua destra la Gorgona,
« alla sinistra la Pianosa, e si avanzò vers* i la
La Lettura.
patria di Paoli e di Napoleone. L' indomani
<■ montando sul ponte, ciò che faceva sempre di
buon' ora, il padrone ritrovò Dantés (lo scopri-
« tore del tesoro^ appoggiato al parapetto del ba-
« stimento, che con una strana espressione guar-
dava un ammasso di scogli di granito, che il
« sole nascente colorava di rosa : era l'isola di
.Montecristo.... e continuò il suo viaggio per la
« Corsica. »
I contrabbandieri di Livorno, riuniti in un'oste-
ria, cercano un luogo neutro e indisturbato per
ivi discutere e preparare un bel tiro e « il sopruomo
• della Giovine Amalia propone l'isola di Monte-
i risto, la quale, essendo completamente deserta
e non avendo né soldati, né doganieri, sembra
« posta in mezzo al mare da Mercurio, questo dio
« dei commercianti e dei ladri. >
Né il Dumas manca di far saltare sulle scoscese
balze granitiche l'immancabile capra selvatica e....
fin qui e in altri particolari siamo piuttosto nel
vero. Dove Dumas comincia a lavorare di fantasia
è nella descrizione, sia pure sommaria e inciden-
tale, dell'interno dell'isola, dimostrando.... chenon
l'aveva di certo visitata. Forse perchè.... il < mi-
glior paese è quello che non si è mai veduto ? »
L'ha detto lui ! Come mai la fantasia di Dumas
volle colorire uno dei suoi più popolari romanzi
sugli scogli dell'isolotto tirreno? Cercando, cer-
cando si trova il nocciolino d'origine anco nei ro-
manzi, poiché la piccola pietruccia della verità,
rotolando per l'età del mondo, ha trascinato seco
il fitto musco del romanzo e della leggenda e cam-
min facendo se n'è rivestita. Ma la tradizione ha
bisogno di aver sempre per nocciolo quella pie-
truccia di verità !
Si dice che Alessandro Dumas fesse molto amico
di un certo monsieur Abrial, facoltoso negoziante
francese domiciliato a Livorno ; e si dice ancora
che il mercante franco-livornese vedesse spesso il
gran romanziere durante il suo soggiorno in Italia.
Orbene, il signor Abrial tentò di ridurre a cultura
e ripopolare l'isola di Montecristo, che rivendette
poi dopo due anni per 50 mila lire toscane al-
|.l8 LA LETTURA
l'ini;' N ni è tutto ; poii he in
a guerra Meteora della
di Francia, sul quale imbarcavano gli ingeu
addetti a compiere la gran carta idrogra
5?S£s 7È1*^#M5r<r>Cv<vft-^
.".'-.
lei Mediterraneo, fece sosta durante parec-
chio tempo a Montecristo, ritrovo favorito di svago
e di riposo.
Dumas raccolse in quel tempo la tradizione del
tesoro e poi scrisse il romanzo, in cui, fra l'ammi-
razione di tante cose belle, comprendiamo subito
anco un asterisco di prosa finanziaria : cioè che 1 >u-
mas del valore del denaro non aveva idea. Per far
fronte a tutte le magnificenti pazzie del suo eroe,
possessore del tesoro, non sarebbero bastati altri
i di quei forzieri con le armi gentilizie della
famiglia Spada e i cerchi e le maniglie cesellate...
Si sa: di denaro il gran babbo Dumas non ne
capiva un ette. Si racconta infatti che. quando si
mise a letto per non più rialzarsi, posando sul
comodino l'ultimo pezzo da venti franchi che gli
era rimasto, esclamasse E poi dicon che sono
uno scioperato:-' Arrivai a Parigi con dieci franchi
e muoio col capitale raddoppiato!... »
Ma la cronaca, che è la più feconda ed abile
romanziera di tutti i tempi e di tutti i popoli, ha
sempre avuto e avrà maggior fantasia di Pumase
di Walter Scott.
La storia vera di Montecristo contiene episodi
tali da sgomentare la più fervida immaginazione
ivellatore principe.
la [iena di dirne qualcosa, a volo di ron-
dine, anzi di rondine riparia che nidifica a Mon-
tecristo, mentre fioriscono sulle sabbie giallogi
e lue enti i narcisi marini e drizzano alla luce di
primavera la lesta spinosa le viole ciocche delle
spia: ose. I lettori scuseranno un po' di
ia : riduco a conclusionali facili
un lungo e fai raro di ricen Uè.
Quest'isola è VOglasiaài Plinio: oglasia da una
reca che significa rupe : secondo altri chia-
mi nei trascorsi tempi Artemisia o Aretusa;
ma sono semplici congi niente di positivo.
i '.li Annali Camaldolensi ch'io ho sfogliato, e spo-
gliata nei loro otto volumi latini in-folio, raccol-
gono la tradizione di un tempio rc>mano a Giove.
Io non ci , redo, ed ecco perchè Rutilio Numa-
ziano nel suo itinerario marittimo da Roma a Luni
non ricorda allatto quest'isola. Se vi |.,sse stat' i
un tempio a Giove, l'avrebbe certo veduta, visi-
tata e ricordata. Oev'essere cosi : i romani consa-
cravano a Giove i monti più alti, semplice omag-
gio di denominazione al Dio dell'* llimpo. Ma
niente tempi, niente sacerdoti....
i ira bisogna fare un salto di parecchi secoli, l'i.
buio fitto di parecchie centinaia di anni, avvolge
Monte* risto : non se ne sa nulla fino al V secolo,
epoca in cui prende il nome che ha.
Nel 455 dell'era volgare i vandali sotto Gense-
rico espulsero dalla sua sede S. Mamiliano vescovo
di Palermo, e lo condussero prigioniero a Car-
tagine : di là fuggi in Sardegna e dalla Sardegna
si rifugiò a Montegiove. Insieme ad alcuni com-
pagni costruì un eremo e un ora'orio che intitolò
Monte di Cristo e cosi da quell'epoca l'isola
è chiamata Montecristo.
Un paio di secoli dopo, i pirati smantellarono
il monastero e portarono via come schiavi i mo-
naci. Il convento venne alla meglio riedifr
ma nel 002 un Simone Conte, còrso, donò a quei
' '.■>
A
1 * ■>*»■
SA DI SAS Mi 'MIGLIANO. -
1. [SOLA DEL RE
monaci molti beni ; e il suo esempio fu seguito dai
conti Guidone, Domenico ed Ottone di Corsica.
Ma i Saraceni, sul cadere del secolo X, s'impa-
dronirono nuovamente dell'isola e ne cacciarono
La casa o villa di Montecristo.
i monaci che si rifugiarono a Pisa dove colloca-
rono nella chiesa di S. Matteo il corpo di S.Ma-
miliano. Pare che monaci e pisani non andassero
molto d'accordo, cosicché un bel giorno si deci-
dono di tornare a Montecristo. Nel 1118 Papa
Gelasio prese il Monastero sotto la sua protezione
e nel ijoq un altro Conte còrso, Arnaldo, lasciò
loro in donazione perpetua dei grandi possedi-
menti, nove tenute che quasi comprendevano nove
villaggi della Corsica. E.... allora naturalmente si
cominciano ad aguzzare gli appetiti non soltanto
dei Saraceni.... ma anco dei pisani.
Carta canta e villan dorme!
La Repubblica pisana si ribellò all' autorità del
Pontefice e dichiarò cosa sua Montecristo ; c'erano
due diplomi uno di Ottone IV e l'altro di Fede-
rigo II che parlavano chiaro.
Infatti, in alcuni trattati di pace e di commercio
conclusi dalla Repubblica pisana — il primo con
Isacco Ebubraim Alfunhi, figlio di Maometto, fi-
glio di Ali, sovrano delle isole di Maiorca, Minorca,
Evisa e Frumentaria, il secondo con Mico Sara-
cino re d'Africa e di Busa e il terzo coll'Emiro Mo-
mmo re di Tunisi — troviamo stipulato che l'isola
di Montecristo debba essere al coperto delle de-
predazioni barbaresche.
Queste cose succedono dal 1220 al 1205, come
si può rilevare dalle cronache pisane del Dal Borgo
e del Tronti.
Ma il Papa che preferiva i Saraceni ai pisani
fece in modo che i monaci abbandonassero Mon-
tecristo e il convento: e fu in questo frattempo,
forse in ricompensa della loro poca obbedienza a
Pisa, che il pontefice Gregorio IX, con Bolla di-
retta da Rieti al vescovo di Massa, proclama i
frati di Montecristo appartenenti alla regola di
San Romualdo ; ma il priore del convento trova
che ci rimette un tanto e fa da sordo. E il Papa
giù un'altra Bolla, diretta all'abate camaldolense
419
di Firenze, che deve compiere la rilorma e rime-
diare allo scandalo del priore, il quale piuttosto di
ubbidire al Pontefice, aveva piantato baracca e
burattini, insalatalo hospite, senza lasciar notizia
di sé.
Le linguacce di que' tempi dicono che prendesse
il boccone dai pisani, ma siccome non ci sono
documenti, io non lo posso affermare.
Finalmente sulla fine del secolo XIII ritorna la
quiete e l'obbedienza anco fra i monaci di Mon-
tecristo, i quali, a quanto pare, non erano davvero
degli stinchi di santo, che arrivarono perfino, e
non una volta soltanto, a legare i superiori, e a ba-
stonarli ben bene, perchè, secondo quel che dice-
vano, non mangiavano bene e non si divertivano
abbastanza. Si sa, parti sempre da questi gaudenti
della tonaca, fin da principio, la guerra contro i
poverelli minori che si stavano legando alla funi-
cella di San Francesco.
Nella formazione dello Stato di Piombino l'isola
di Montecristo venne considerata come sua dipen-
denza, cessando così la supremazia dei pisani ; i
nuovi padroni volsero le loro cure speciali a que-
st'isola. Infatti, Emanuele Appiani, nel 1457 o giù
di lì, fece costruire sulle cime del monte un for-
tilizio, di cui restano anche oggi alcuni avanzi ; e il
figlio Giacomo III, volendo pigliare due piccioni
con una fava sola, si propose di popolare Monte-
cristo. E ci mandò tutte le famiglie che gli erano
di qualche sospetto, obbligando il Comune di
Piombino a passare annualmente un sacco di grano
a testa.
LA PORTI \ EX-CONVENTO DI MONTECRISTO.
I monaci stavano bene e se la passavano da
gran signori; e questo, com'è naturale, non sod-
disfaceva né punto né poco tutti quelli che dove-
vano loro pagare le decime o gli affitti : lotta di
classe. L'ozio e il lavoro si trovano alle prese. I
Papi, i vescovi, i priori scrivono, parlano, implo-
rano, scomunicano, promettono l'inferno, fanno il
diavolo a quattro — mi si scusi il paragone! —
perchè gli affittuari e i livellari maremmani, còrsi
e lunigianesi pagassero decime, tributi e affitti, ma
■1-'
LA LETTI RA
Il Re
VCCi li 1LIE 11' 'Kl.
quella gente preferisce di perder l'anima piuttosto
di pacare.
i monaci tirano avanti a denti asciutti !
Nel 1534 l'isola è depredata dal Barbarossa e
nel 1553 l'armata gallo-turca ruba quel po' che
Era la celebre armata di ladroni agli ordini
degli ammiragli Poulin e Dragut — due corsari, —
che depredarono la Sicilia, la Sardegna e la Cor-
sica, l'n prete camaldolense in un codice del tempo,
in cui si racconta il fattaccio, ha postillati»: -pare
impossibile che quando si tratta di rubare agli Ita-
liani, i Turchi e i Francesi si trovin sempre d'ac-
cordo ! »
È naturale che con queste po' po' di batoste, quei
pochi disgraziati che l'abitavano, scampati all'ec-
cidi., frani -turco, fecero presto a scappare, e l'i-
sola rimase di nuovo deserta. Nonisfuggì per altro,
secondo una tradizione popolare, all'occhio d'a-
quila di Napoleone I, che, dicono, volle visitarla
(jnv, una relazione, tuttora inedita, prepa-
ratagli da un Mellini, tenente colonnello del genio);
e dall'alto della rupe più eminente vagheggiò un
progetto degno di lui: tagliare gì' istmi di Feni-
glia e di Tombolo, isolando Monte Argentario, e
stabilendo nel lago d' Orbctello una stazione na-
vale e in Santo Stefano un porto: spesa preveduta
di sei milioni. Ma non ne fu altro: e così l' i
si mantenne fino ai nostri giorni ; si iltanto nel 1851 »,
il Governo toscano si rammenta che c'è anco Mon-
tecristo e vi manda un battaglione insulare del-
l'Elba, proprio quattro uomini e un caporale. Ma
due anni dopo il Granduca toglie 1 .piatti., nomini
eia soltanto il caporale. Monsù Abriel, il
i .ziante francese che stava a Livorno, la prende
issa al caporale un assegno di
lira tosi aria al giorno. Nel [852 l' Abriel vi
Conduce quattro contadini di Harga dando
loro quaranta lire al mese, e vi manti. tic
un sopruomo pei regolare i lavori agricoli.
Ecco tutto la popolazione di Montecri-
sto, cui s'aggiungono via via, provvisoria-
mente, i pescatori pei quali Monte, list., fu
sempre luogo di fortuna. 11 massimo degli
abitanti raggiunti in quest'epoca, fu di 11
uomini senza donne. L'Abile! fece costruire
per loro due casette a cavallo di « Cala
Maestra, • l'approdo principale dell'isola.
Quelle due casette formano ora la palaz-
zina di S. M. il Rei...
La statistica agri, ola di M. Abriel è la se-
unente: 50 sa.cate — vecchia misurazione
toscana — di terreno coltivabile: nel [852 vi
si raccolsero 30 sacca di grano , in ragione
di 4,20 sacca per ognuno di semente. Vi
erano 20 pertiche di vigna, le viti rigo-
gliose e l'uva dolcissima. Lussureggiavano
piccoli vivai di castagni, mandorli e altri
frutti. Lungo i muri a secco che sostenevano
le vigne fiorivano i mandorli e maturavano
ì fichi brogiotti e dolcini. Le ortaglie, le
zucche, le saggine, tutte in miniatura, pa-
revano curiosità da museo. Abriel vi tra-
sportò anco dei gatti per distruggere i grossi
topi che brulicano nell'isola, ma gettatisi al sel-
vatico, bisognò ammazzarli a fucilate.
È un fatto che anticamente quest'isola fu colti-
vata; esistono tuttavia i campicelli e i muriccioli
fra i quali prosperò la vite e l'olivo. Anzi ci sono
perfino gli avanzi di un frantoio ad acqua. Ma ora
che le pioggie, continuamente scrosciando e lavando
la massa granitica, l'hanno spogliata di quella poca
terra vegetale che prima la copriva, il Re pensa
a un processo chimico, che torni a renderla colti-
vabile, come hanno fatto gli Inglesi in certe parti
pietrose delle loro isole.
Nel settembre del 1852, l'Abriel cedette i suoi
diritti e le sue ragioni a un inglese M.r Weaston
Taylor, ricco e eccentrico, per lire toscane 50,400,
la sua rendita imponibile essendo accertata in lire
886 70, corrispondente secondo il metodo di ca-
pitalizzazione allora in vigore a un capitale di
L. 12,400.
Il Taylor costruì giardini, bacini d'irrigazione,
recinti, stalle, fienile, forno, panificio, lavanderìa,
officine per fabbri, falegnami, abitazioni per ma-
unai e agricoltori, pollai, vasche per anitre, coni-
gliere, alveari: import.', e coltivò il gelso, il man-
dorlo, il salice, l'acacia, il pioppo, il pero, l'albi-
cocco, il pino, l'ontano, e fin l'arancio e il limone;
nel piccolo ap] lo della Cala Maestra chiuse un
breve tratto di mare con blocchi a cemento, fino
a che, aiutato anco da una bella madama parigina
che gli teneva compagnia nella solitudine marina-
resca di Monte, list.., un bel giorno spati dall'isola
e chi s'è visto s'è visto.
I creditori rimasero con un paini., di naso e l'i-
sola divenne, per le successive soppressioni e. .11-
L [SOLA DEL HE
l-<
ventilali di Pietro Leopoldo I e del Governo ita-
liano poi. proprietà demaniale.
Dal 1860 al 1875 nessuno si rammenta che nel
mondo c'è anco Montecristo.
Ovvero, per essere più esatti, se ne rammentò
soltanto David Lazzaretti, che vi rimase quaranta
giorni in orazione, vivendo di pochi groncioli di
pan secco , componendo dei versi e in continua
conversazione con Dio. Credeva di ricevere anco
lui le stimmate di Gesù, come S. Francesco all' Al-
vernia, e invece appena tornato nei paesi della
sua predicazione, si buscò barbaramente una palla
che lo mandò all'altro mondo.
Nel 1875 il Ministero delle finanze consegna 1 l'i-
sola a quello dell'interno che vi stabilì una piccola
colonia agricola, dipendente da quella dei coatti
della Pianosa. Ma nel 1884 venne soppressa. Ma-
rito e moglie e due figliuoletti rimasero a custodi
dell'isola, ma rischiando di morire di fame, dopo
pochi mesi l'abbandonarono.
Nel [889 l'affittò il marchese Carlo Ginori, ch'è
stato sul serio, senza esagerazioni, il vero Conte
di Montecristo. E qui un breve respiro, perchè
parlare di Carlo Ginori è davvero ricreazione e
consolazione. Quantunque l'età cominci a fasciarlo
un po' del suo imbottito adiposo, è sempre un
bell.'uomo, di quella bellezza fiera, ardita, robusta
del buon tempo antico. Cacciatore-principe, alpi-
nista, aereonauta, fotograio, pescatore e ciclista ce-
lebre, tiratore di spada da emulare e vincere Mé-
rignac, rematore, nuotatore, cavalcatore e pilota
intrepido, giocondo, allegro, causeur brillante da
far ingelosire le ombre di La Rochefoucauld e di
Rivarol, amante della bella vita e delle belle donne.
Ecco Ginori, cor-cordìum ! Il primo automobile
in Italia lo portò Ginori ; la prima lancia a ben-
zina l'ebbe Ginori, e fu la meraviglia della season
balneare livornese ; le prime e più spetta-
colose lanciate di colombi viaggiatori si deb-
bono a Ginori : ha percorso tutta la Sviz-
zera in tiro a quattro e col suo yacht fraina
ha girato quasi tutto il mondo. E a Mon-
tecristo — in una sera in cui l'acqua scro-
sciava a tempesta e il vento pareva volesse
capovolgere l'isola — V Urania e il suo pro-
prietario ispirarono a Renato Fucini , non
so se più celebre come cacciatore marem-
mano o come poeta in vernacolo pisano,
questo canto di gloria, che Giacomo Puccini
vesti di felici note musicali :
Io non ho l'ali; eppur quando dal molo
Lancio la prora al mar.
Fermi gli alcioni nel potente volo
Si librano a guardar.
Io non ho piume; eppur quando i mi
Numi lc;^no osa affrontar.
Trepidando gli squali ardimentosi
Mi guardano passar.
Simile al mio Signor, !>aldo d'aspetto,
Quanto è forte di cor,
Le fiamme ho anch'io nel petto;
Anch'io di spazio, aneli, io di gloria ho smania,
Avanti Urania!
E l'Urania andava avanti davvero perchè a vela
e a vapore insieme filava la bellezza di 12 miglia
all'ora.... Ovine trinum est perfectum, dice il pro-
verbio, e in verità, nel mondo non vi era nulla di
più perfetto, di più armonico, di più unito e di
più logico di Montecristo, dell' Urania e di Gi-
nori.
Quando Ginori preseinaffitto l'isola dal Demanio,
Montecristo la cui storia, come abbiam veduto, è
stata sempre una continua alternativa di lotta ac-
canita tra gente che distrugge e gente che rico-
struisce, era in verità l'abominazione della deso-
lazione. Dal io maggio del 1884, giorno in cui,
sul vaporino Tinniti, il Direttore dell'ufficio de-
maniale livornese, un agronomo governativo, le
guardie, i coatti, i mobili e perfino alcune capre,
insomma tutta la Colonia penale stabilitavi prov-
visoriamente ritornò, rimorchiata su due barconi,
a Pianosa, da quel giorno fino a tutto l'8o., i pi-
rati — chiamamoli pure cosi — trasportarono via
tutto ciò che potevano e devastarono il resto. Carlo
Ginori rifece i tetti lavevan rubato embrici e tra-
vicelli !) rimesse le porte, adattò nuove finestre, ri-
costruì insomma non solamente la villetta, ora
palazzina reale, ma le case per i coloni e per il
custode.
Difatti vi collocò subito quelle tre famiglie, che
il Re mantiene tuttora all'isola. Per cinque anni
consecutivi l'isola fu frequentata dai marinai per
farvi provvisione d'acqua, da pescatori per esplo-
rarne il pescoso mare, dai cacciatori delle isole
vicine che ridussero le famose capre selvatiche da
500 che erano ad appena 60 e più degli altri dai....
ladri del Mediterraneo, che fra i ruderi pittoreschi
della vecchia chiesa e del più antico convento, su
terreno neutrale e indisturbato, si dividevano pa-
cificamente le loro prede. E pare impossibile, i
IL Re PRECEDUTO DAL MARCH ' O GlSORI.
I--
l.A LETTURA
pirat in mille
a indovinare !...
Dalla nostra artiglieria di marina che degli avanzi
dell eremo e dell; 'li S. Mami-
lianu si servirono come di bersaglio, distrugi
he in gran parte la ve: E delle
nti rovine i he l'illustre Giuli , sb
e nati!.: risse ampiamente sur un alma-
^3M
P ISSA' ÌGIO DIFFICILE.
nacco senese del 1833 — V Indicatore — non ri-
mangono che degli informi ruderi. Intorno ad essi
si accatastano in giro i frantumi delle belle pietre
quadrangolari, mucchi sconnessi e spezzati che
rio le lacrime di dolore dell'edificio.
Ginori, che aveva un vero culto per Montecri-
sto, riapri strade, viottoli, riattivò la coltivazione,
rifece oltre le case i giardini; ci spese, come dice
me, un sacco di quattrini. Spendere i quat-
trini, per (iinori, non è come per tutti gli altri
mortali: ha le mani forate del gran signore; egli
spende e spande splendidamente come un vero
te di Montecristo. Vi portò cinghiali, mutloni
e fagiani.
E • "si tornò in voga l'isola di Montecristo, ca-
I 1 geniale ritrovo di sportmen e di si-
gnore, località incantata d'ogni dilettevole piacere
di caccia.
Vi furono anco i principi di Monaco, Alberto I
e principessa Alice, la duchessa di Ri helieu, con 1
loro due figliuoli Armando e Odile I principi di
1 ero parte alla battuta dei cinghiali e
a quella delle capre. Vale la pena di raccontare
l'aneddoto più gustoso di quella giornata : è uno
della 1 omitiva che lo racconta:
Era una fresca mattinata d'otl dovevamo
u su per un sentiero
si abro e roo ioso. Nondimeno quando il sole s'al-
1, eravamo già sull'alta criniera di Monte risto.
Subito occupammo le poste; e dato il segnale co-
ciò lo strepito degli scaccioni e dei cani che
tentavano di snidare dal bosco l'ardito monarca
dall'irta criniera e dalle zanne lucenti.
I La battuta durò molte ore. ma i 1 inghiali —
dall'i uto e ardente, dal corpo forte e pe-
sante, ma veloci alla corsa, — se la svi-
gli ivano di straforo in barba alle carabine.
ai braci hi e agli scai 1 ii mi.
« Dopo un fiasco cosi solenne, non . i re-
stava altro che ricrearci e dimenticare ogni
cosa con una buona colazione. Il ci
chiamava tutti alla capanna, sulla cima del-
l'isola. Amo i principi di Monaco si van-
tavano di un appetito.... plebeo. Ma gli uo-
mini che avevano portato la colazione, si
erano uniti agli scaccioni, lasciando
cosa per terra; i ladri non hanno ali e arti-
gli per arrivare fin lassù.
« Il fatto sta che a mezzogiorno, giunti al
luogo di convegno con una fame di caccia-
tori . trovammo che era stata fatta piazza
pulita e che non erano rimasti che pochi
minuzzoli di pane, qualche mela morsicata
e i fiaschi di vino rotti.
« Il branco dei cinghiali, una cinquantina
circa, che erano rimasti fuori della battuta,
invitati dall'odor della carne, senza essere
impauriti da quello della polvere, avevano
pensato bene di fare un allegro banchetto
alle nostre spalle. >
Il marchese Ginori raccontò ai principi di
Monaco la storiella dei pifferi di montagna.
*
* +
II Re, allora Principe ereditario — lo dico una
volta per sempre — ascoltò un giorno da 1 arlo
< iinori una specie di simpatico soffietto su Monte-
cristo, una specie di ouverture per la stretta finale:
Altezza, potrei essere cosi ardito di....
— D'invitarmi a Montecristo.... Altro che, mar-
chese. Vengo volentieri. Fissi lei il giorno più
presto che può e me ne avverta.
Così il Re andò a Montecristo. Vedere l'isola e
innamorarsene fu una cosa sola: né quella visita
rimase la sola; che anzi il Re espresse perfino a
Ginori il desiderio di poter via via visitare da solo
l'isolotto fantast ii 1
Formavano la comitiva di questi inviti, diremo
-1 reali, oltre Carlo ( ; inori, il figlio Renzo. d<
figliuolo di tanto papà; a lui, colto, cortese, bel
cuore e bella faccia di giovine ardito e franco, e
alla marchesa Corinna, sua moglie, fra le più in-
tellettuali e avvenenti signore dell'aristocrazia fio-
rentina, deMio il prezioso regalo di alcune inti
santi fotografie e il permesso di riprodurle sulla
Lettura.
1 intinuiamo la lista, e giacché siamo in vena
di pagare i debiti di gratitudine, nominiamo su-
bito dopo il marchese Carlo Ridolfi e il conte
Giovanni Fabbroni, esperti 1 . quanto bravi
fotografi, Fiero degli Aminoli. Paolo Rucellai, conte
[Si 'l A DEL RE
I-'.:
Eugenio Niccolini, principe Piero e Alberto Strozzi,
marchese Carlo e Luigi Torrigiani, marchese \-
zolino Mataspina, principe Rutto Scilla Torrig
il principe Andrea Corsini, Giorgio Traxler, il de-
putato Antonio Civelli, Renato Fucini e l'abate
don Luigi Randi, scrittore, viaggiatore e cacciato-
re.... mondano. È parente dell'inventore della
randi te, la polvere senza fumo: e il aostro Randi
ha inventato il fumo.... senza la polvere. Egli era
il cappellano della compagnia. I Ginori, per con-
cessione di Papa Corsini, possono far celebrare la
messa dove vogliono. Don Randi la diceva su in
alto, sulla roccia più eminente. I cacciatori si rac-
comandavano che facesse presto e don Randi spi -
ciava tutto in una ventina di minuti. Oramai si sa
per tradizione che i cacciatori vanno ad ascoltare
la messa dal prete che la dice più presto. I gior-
nali hanno incluso anco il nome di Giacomo Puc-
cini, ma l'instancabile cacciatore, che divide a Torre
del Lago le folaghe e gli allori cinegetici col mar-
chese Ginori , non è mai stato a Montecristo. Ed
ecco qui la sua conferma per cartolina postale :
« Carissimo Paladini,
Dovevo andare a Montecristo un tempo. Mi
s imbarcai con Ginori sulP Urania, ma.... un'ava-
i ria alla macchina e un libeccio sferrato c'impe-
dirono di salpare e fu rimessa la gita alla .
« quale prese parte il Principe di Napoli e
« io non potei essere del numero perchè
« occupato a Torino per l'andata in scena
della Bollirne. Quest' è la verità. I gior-
nali hanno detto di me a Montecristo,
ma io non ci fui mai. — Cosi è e ti salute
« Giacomo. »
Ecco la differenza fra ... . un maestro e
l'altro! Puccini risponde la verità, in prosa
dimessa: un altro, invece, avrebbe lasciato
correre la fantasia e descritto, inventore ge-
niale, perfino la partita di caccia, i colpi
fortunati e le padelle. Dicono.... quelli che
c'erano che la battuta alle capre a cui pure
intervenne il Re, anzi, la battuta, per e-
sere più esatto, in onore di S. M., riusi ì
proprio magnifica e fortunata : in quest' >
momento io faccio semplicemente da fono-
grafo.
Prima dell'alba eravamo tutti pronti in
assetto di caccia: all'alba eravamo sulla
cima dell'isola. Una faticosa camminata di
due ore per giungere alle poste assegnateci.
Subito il capoccia dette il segnale agli scac-
cini che dettero la via ai cani. Così ebbe
principio una di quelle bellissime cacce in
battuta, che non si possono descrivere: bisogna
averci preso parte per poterne parlare. Urli, fischi,
fucilate, abbaiamento continuo di tutta la canaglia
inseguente le capre selvatiche che paiono alate !
Sdrucciolano, saltano, s'imbucano, sbucano, com-
pariscono e scompariscono, passano come saette
e di greppo in greppo, di balza in balza, di sco-
glio in scoglio, più su, più giù, dietro, dinanzi,
di fianco, ess. [ano il più abile tiratore. La
palla fischia, ma spesso colpisce il granito che si
frantuma in minuzzi ili iridiscenti. Il Re se ne
stava alla sua posta, attento, senza che l'echeg-
giamento strano ed assordante che si ripercuoteva
fra le rocce lo disturbasse e lo distraesse. E
due o tre colpi fortunatissimi , su cinque che ne
tirò. Il Re è tiratore freddo, tranquillo: mira giu-
sto e tira a tempo. Se l' animale è fuori di tiro,
non lo prende di mira. S. M. si divertiva a ve-
dere qua e là apparire e scomparire branchi di
e spaventate, che, sospinte dal rumore inces-
sante, saltavano da un greppo all'altro, ferman-
dosi di quando in quando come per udire da qual
parte veniva lo strepito ed in qual direzione fosse
meglio prendere la corsa. - E' veramente una
voluttà indefinibile, così testualmente il cacciatore
al quale devo il racconto, l'attendere al varco il
bel capro dalle corna aguzze , il sentirlo sbucar
fra i cespugli e finalmente < olpirlo con una buona
palla in mezzo alla fronte o nel collo ! »
Siamo al climax, al momento ultimo e più «no-
tante della battaglia. I primi branchi di capre
sono giunti alla cresta, ove i cacciatori aspettano-
Un fuoco di fila continuato comincia da tutte le
parti, le capre sbandate o ferite cadevano o cor-
icano spaventate, confuse, senza direzione...
AZIONE REALE.
Il numero delle vittime non è mai in pi
/.ione delle fucilate e le padelle sono sempre più
numerose delle vittime. Basta per convincersene
il caso seguente. Alla posta di un cacciatore
pitarono tutte imbrancate una trentina di capre.
l'n cacciatore solo alle prese con trenta capre è
un vero spettacolo. Sparava colpi a dritta e a si-
; a, correndo qua e là senza sapere che cosa
\2 \ LA 1.1.1 l i RA
• i ■• a t'-i ita e
non ppò 1 1 ime una saetta
e non ci fu più verso di trovarla. Però il cai
,(.■ m m era colpa sua... se
■ la mira. Il tempo era
umili", le cartucce mal dosate, ne aveva ferite
èva perdute quindici, non era fortu-
Una sosta.
nato davvero; di certo gli avevano dato la ietta-
tura.
Il Re sorrise e trovò tutto ciò logico e diver-
tente per una finta battaglia.
La li' enza di caccia non è una cosa sola col
permesso di cogliere. Il cacciatore, come il poeta,
o nasce o non si diventa mai. Il cacciatore ha il
privilegio dei poeti... la fantasia, il popolo le
i hiama bugie, nò gli applicheremo i dieci mesi del
• e Zanardelli. > Sono massime immortali che
Don Randi ha lasciato scritto sull'Album di Mon-
tei risto.
Finita la ca< eia, si fece colazione sulle rocce,
fra l'erica arborea e i grossi e piccoli lecci rosic-
i hiati dalle capre, cosi crudelmente e terribilmente
perseguitate dal ministro Baccelli, forse perchè non
si ammalali" ("ine le vaccine e non pli danno oc-
casione d'inventare qualche nuova cura.
In Italia, e vi hanii" contribuito anco delle co-
oziose e nubili ma non geniali pubbli' azioni
«li pedagoghi, la gente si è formata generalmente
un' opinione troppo accademica e austera di un
Re sapiente, studioso, accigliato, freddo, tutto
compreso di monete antiche e di problemi d'alge-
bra sociale. ( ira questo è un Re convenzionale che
risponde allatto al vero e autentico Re; ed è
questa l'opin ra dei signori fiorentini che
tre gentil-
donne che Io hanno avvicinato. Il Re è ceri
per la severità attere e degli studi , per
l'alta coscienza che ha delle tradizioni e della
missione della Monarchia e della sua Casa, un
carattere austero, una volontà forte, fredda, i
nevole alle lunghe conversazioni, alle subite
simpatie o alle dei isioni impulsive. Ma è festevole,
alla mano, cortese di modi e di parole; l'ar-
guzia fiorisce non di rado sulle sue labbra
che sorridono spesso; l'aneddoto giocoso
l'ascolta volentieri. Potrei raccontare a que.-
sto proposito qualcosa; non lo fai. ciò vo-
lendo non sembrare indisi reto o irriverente.
Del cuore e dei pensieri delicati del pri-
mo gentiluomo d'Italia, basti quest'asteri-
sco di cronaca: prima di partire da Mon-
tecristo il Re volle cogliere alcune ginestre
per la regina Elena. Renzo Ginori ne fece,
non visto, l'istantanea: è qui riprodotta.
Una signora fiorentina racconta a questo
proposito che vide nelle mani del Re una
medaglia romana con inciso questo motto:
/ !n tu gttìus, ego gaia. Era il motto , mi
pare, col quale i romani abbellivano que'
loro onici incisi con la figura velata della
Pudicizia e della Modestia. Vi rammentate
che la prima statua della Modestia, quella
statua velata del Foro Boario, fu sempre
chiamata dal popolo la statua della For-
tuna? Potrebbe essere una bellissima alle-
goria per dimostrare che la fortuna di una
nazione deriva dalla castità delle sue donne.
Il Re parti, ma indi a breve rifece da
solo una gita a Montecristo che gli piaceva
sempie di più. Indubbiamente ! Anco le
cose hanno il loro fascino , la loro anima — e
l'amore che ispirano è forte come la fiamma. Anzi,
se l'amore per le donne è cieco, l'amore per le
cose invece ha cent'occhi come Argo.
Un giorno il marchese Ginori, che pur amava
l'isola e non poteva stare otto giorni senza ve
derla, dopo un rigiro di convenevoli e una con-
versazione di ricordi, disse al Re, lasciando adito
a quella generosa schiettezza di carattere che non
conosce né infingimenti, né cerimonie:
— Se io sono, come mi avete chiamato, il vero
Conte di Montecristo, voi ne siete il Sovrano; il
mio è un possesso provvisorio, il Vostro un do-
minio sovrano. Cedo i miei diritti.
E con un inchino del marchese Ginori e una
forte stretta di mano, venne stipulato il contratto.
Cosi lo scoglio di Montecristo divenne l' isola
del Re!..
Fra la Corsica e l'Elba, di tutte le isole del-
l'Ateipelaeo tostano la più lontana dal continente,
dopo la Pianosa, dirigendo la prora a mezzogiorno,
si presenta l'erta rupe colossale di Montecristo.
E un monte fantastico che si alza a scaglioni an-
golosi, e slanciasi ritto come unmuraglione ciclo-
i, degno di un'epopea .li giganti. Questa su-
prema caratteristica di Montecristo fa si che esso
L IS< ILA M 1 RE
l> >
si scorga, per il suo biancheggiare e per la sua
forma conica, da enormi distanze e che all'occhio
del navigatore del Mediterraneo si manifesti prima
delle altre isole dell'Arcipelago toscano, sebbene
sia la più lontana. Fa l'effetto di un cuneo che si
slanciasse prepotente verso il cielo per volerlo fo-
rare: e già lo dissi altrove: vedendolo a distanza
s'invocano ali e artigli.... « non può salir chi va
senz'ale : » direbbe Dante. La figura di Monte-
cristo è un ovale largo colla maggior lunghezza da
nord a sud di poco più di due chilometri : la
maggior larghezza da est a ovest di un chilome-
tro e mezzo. Il perimetro è di circa io chilome-
tri. Un calcolo approssimativo farebbe giungere la
superficie a un migliaio d'ettari ; ma sono calcoli
più d'occhio che di cifre. Semplicissima assai è la
sua costituzione geologica, tutta di rocce graniti-
che ; ad eccezione di alcune rocce sedimentarie
che fur ^no però modificate, traversate, avviluppate.
È un granito grigio, rossastro, incastonato di lar-
ghi cristalli di feld-spato, che gli danno un bellis-
simo aspetto variegato e luccicante: è diviso in
enormi massi di forme sferiche, poliedriche o ta-
bulari: vene ugualmente granitiche ma di altre
varietà lo traversano in tutti i sensi. A ponente
uno stupendo filone traversa prepotentemente, co-
me una zeppa conficcatavi da un martello immane,
il fianco dell' isolotto : questo filone è di
colore scuro nelle parti esposte all'aria, ma
bianco o grigio verdognolo nell'interno; si
stacca cosi sul color grigio che avvolge uni-
forme la gran massa granitica ed è di ef-
fetto stupendo. È un eurite porfirica, da
novella orientale.
L'isola manca di spiagge e di seni pro-
fondi. Le sue coste si alzano intorno in-
torno quasi perpendicolari ; soltanto sono
accessibili agli approdi in Cala Maestra,
principalmente , in Cala Santa Maria, in
Cala Mandolina, in Cala della Grotta e in
Cala Scirocco.
Cala Maestra — l'approdo del Re — è il
seno più ampio e più sicuro che offra que-
st'isola ai piccoli navigli, perchè in caso di
marea possono tirare a terra : è l' unica
spiaggia dell'isola. Guarda la Pianosa. Tutte
le altre Cale sono più o meno aperte al
mare e pericolose; piùieomoda è Cala Man-
dolina, a ponente, costituita da due seni ri-
stretti di buon ancoraggio, l'uno a fianco
all'altro e nei quali si trova facilmente la
tranquillità di una darsena per i piccoli le-
gni. Queste cosi dette Cale sono rifugio
sicurissimo ai navigli che si trovano nei pa-
raggi di quest'isola, i quali per la di lei
piccolezza e rotondità possono con prontezza g-
rarle intomo e trovar ricovero in uno dei seni
che restano dalla parte opposta al vento.
L'unica spiaggia di quest'isola — la spiaggia di
Cala Maestra — è formata dai frantumi del granito
che ne costituisce le rocce , grigio, biancastro,
scuro, rossastro, e dà all' occhio un bagliore fan-
tastico. Prendendone un pugno e gettandoli ;n
alto contro il sole, la trasparenza dei piccoli grani
di quarzo mischiati a quelli di turmalina e di ama-
tista, produce un effetto meraviglioso.
Quasi dappertutto la roccia granitica è nuda ;
dov'è terreno c'è macchia di scope (erica arborea),
di mortella e di lecci di tutte le dimensioni, alcuni
addirittura giganteschi. Molti di essi alternano il
fogliame verde scuro vellutato colle guglie grigie
dei massi sospesi, ritti, o rovesciati : e il mare ri-
specchia ombre e colori fantastici. In alcune val-
late, specie in valle Santa Maria, le scille di smisu-
rate dimensioni formano delle aiuole naturali, e
così la fresca aria sottile, rarefatta, salsedinosa di
Montecristo è anco profumata.
Oltre la capra selvatica, dal pelame uniforme,
vi sono delle martore bellissime, dei topi e dei
rettili. Nidifica negli scogli la rondine riparia , il
passero solitario canta fra le rovine, i corvi graci-
dano fra gli scogli; dal monte Amiata viene qual-
che aquila calzata, le gru passano a stormi dalle
sue cime, quasi sempre a tiro, e via, via si fa ve-
dere, melanconico e timido, l'airone pescatore. Le
pernici che vi introdusse la prima volta monsieur
Abriel, nel 1849, v* sono prodigiosamente molti-
plicate. Il marchese Ginori vi portò anco i fagiani
e i cinghiali, ma il Re ha deciso di mantenervi
soltanto le capre e le pernici.
II. RE BSPER1MENTA UNA CARABINA.
Il mare che bagna Montecristo è feracissimo di
pesce nobile. Tre valli si diramano da questa
montagna cilindrica, quella del Santo, quella di
( ala Maestra e quella di Santa Maria : ma quella di
< ala Maestra — maestra di tutte — è la più am-
pia. Una ventina di borri la solcano in diversi
sensi, e tutti attraverso serpeggii più o meno sco-
scesi fanno rapo al mare.
|jm LA I ETTURA
ina è la gioia vivente di Montecristo I n
fauno abita Cala Maestra; i marinai lo sentono
ridere e frammiste al rumore degli zampilli giun-
talvolta ai loro orecchi le note della sua piva.
Nelle acque ripide e limpide, leggiere e gustose
si ign ten o\ inati e i bi isi hi distrutti : di
i -i nascondono fra i lecci verdi e il musco
itte, e allorché cade la notte si svegli. un.
e chiamano. Montecristo ha scritto il suo nomi
sull'acqua ed essa l'ha conservato più fedelini
ironzo O il marmo. Le strade sassose e iì-
itono, come gli alberi e gli arboscelli
delle macchie, quei suoni svariati e scherzevoli che
II. MARCHESE CARLO I .IN' IR I.
ina gorgogliando, chiacchierando, mormorando
non cessa mai di produrre. Ricordandoci Munte-
cristo, all'acqua soltanto ricorre il pensiero, all'ac-
qua che precipita, che brilla, che geme, all'acqua
tranquilla in cui si specchiano il ciclo e le piante.
Una buona sorgente di acqua potabile zampilla
perennemente in vicinanza di Cala Maestra, un'al-
tra presso la così detta < rrotta del Santo dove San
Mamiliano compiva i suoi miracoli e David Laz-
zaretti si preparava al martirio della fucilazione,
ed un'altra in vicinanza della punta ili Cala della
ta. L'acqua che scorre nei dintorni di Cala
della Grotta e in vicinanza della « punta dei fan-
i tulli >, è limpida, leggerissima e gustosa; ha la sua
sorgente in una caverna naturale che si sprofonda
verticalmente per oltre 40 braccia nell'estreme falde
del munte; è tutta pittorescamente decorata di
musco verdeggiante e di ciocche di un giganti
capelvenere. L'acqua o cade a gocce, o sdruc-
ciola giù per le ripide pareti e chiacchierando di
greppo in greppi >, e spruzzando in sottilissimi
si raccoglie in un bacimi naturale, su cui rifran-
0 i raggi del sole, quasi spiritualizzandosi e
volatilizzandosi per arrivare fin laggiù. L'iride \i
profonde i suoi mille colori. Si ritorna bambini e
si pensa cogli occhi stupiti alle buche delle !
incastonate di diamanti, di zaffiri, di rubini, di to-
pazi. Il clima e sano e temperato; l'aria è pura,
oltremodo rarefatta al vertice. In estate, Cala Mae-
stra è di una frescura deliziosa.
La vista che si gode dalla rima del moni
qualcosa di magnifico. I monti azzurri, le lontane
.ostiere, la terraferma, l'KIba, Capraja, Corsica,
Sardegna, Giglio, Giannutri e Pianosa. La magni-
ficenza di questo quadro che si ammira al vertice
della piramide conica di Montecristo è superiore
alla lirica descrittiva.... Siamo alla fortezza, a circa
settecento metri sul livello del mare. L'oc
spazia dovunque con sensazioni dirò così fisiche,
voluttuosissime. L'isole lontane paiono di porfido,
di corniola, d'agata.... Laggiù c'è la Maremma,
ricca, feconda, pittoresca e disgraziata. Pochi 0
nessuno si occupano di migliorarla: si ricorda di
lei, ogni tanto, qualche viaggiatore, mezzo rigat-
tiere e mezzo artista, che s'aggira per i luoghi
furono un giorno le città ctrusche o i cacciatori
che la percorrono per uccidere leselvatu he e dolci
creature delle brughiere. Ecco tutto. Il popolo
aspetta al sole giorni migliori, le lente barchette
prendono il mare, il cielo nebbioso pesa sulle
onde torpide, e quando suona la campana gli abi-
tanti si dirigono fiacchi e sbadati verso l'antica
chiesa a raccomandarsi a qualcosa in cui credono,
ma che non li aiuta, e così passano la vita fino
in fondo : e nessuno se ne occupa.
Sin lienedrtto il Re che fra i ruderi della sman-
tellata fortezza di Montecristo volse il pensiero
alla Maremma dimenticata e le diresse la parola
del cuore. La tradizione della bontà non si 1
spenta, nò affievolita in Casa Savoia.
u Su per lo scoglio prendemmo la via
Ch'era roci ioso, stretto e malag* vole
Ed erto pia assai ili quel -li pria... »
Ma il marchese Ginori prima e il Re dopo,
sero abbastanza comodo e sufficientemente age-
vole il viottolo roccioso e stretto che condui e alla
palazzina reale...
A invailo di Cala Maestra» s'imbocca la
strada scavata nella viva roccia. Quando l'isola
venne ceduta da Carlo Ginori al Re, la casa a un
piano solo, tutta bianca e scialbata, dalle finestre
rettangolari, dalle porte rotonde, coi.sisteva di
quattordici stanze, compreso il gran salone d'in-
gresso, ampie, ariose, mobiliate con gusto,
ogni comodità ma senza lusso: sedie delle Alpi
invece che poltrone morbide, sofà di legno senza
cuscini di seta. Il Re ha voluto conservare alla
palazzina il suo primitivo carattere di casa del
1 aci iatorc, ma necessariamente ha dovuto ampliare,
L [SOLA DEL RE
decorare, arricchire le nude finestre con della tap-
pezzeria semplice e di buon gusto : ha aggiunto
due fabbricati laterali ; ha abbellito e ingrandito
la terrazza che dà sul mare. Si capisce ! Il Re ha
desiderato rendere il soggiorno di Montecristo
comfortable e gradevole alla Regina Elena e alla
Regina Madre, che è, non da oggi, addirittura en-
tusiasta dell'isola, tant'è vero che dopo la descri-
zione che glie ne fece la Regina Margherita, la
principessa Alice di Monaco non potette resistere
al desiderio di una gita nell'Arcipelago toscano....
Intornn alla palazzina reale fiorisce rustico e pe-
renne il geranio: l'odore che spandono le foglie
del geranio allontana i rettili in genere e le vipere
in specie.... Prezioso geranio! Vi è forse più neces-
sario talismano di te per un Monarca ? Intorno alla
villa c'è un bel giardino che il Re ha rifornito e
rimesso a nuovo, insieme a un altro giardino un
po' più in basso adagiato sul letto del fiumicello
che scaturisce dalle pittoresche spaccature della
valle di Cala Maestra, ed un terzo quasi sospeso
in aria, come un nido di pendolino, sovra la casa...
A distanza questo terzo giardinetto pensile fa
l'effetto di un paniere di fiori che penda dal cielo.
Alcune piante, ignote all'altra parte dell'isola, vi
i cresciute spontanee, alla ventura ; semi che
il vento o gli uccelli vi han lasciato cadere, e il
Re ha ,per esse un vero culto di giardiniere.
In poco tempo Io scoglio nudo, lavato dalle ac-
que, sarà quasi tutto verdeggiante di nuove piante:
il Re dirige i lavori, da bravo gentiluomo di cam-
pagna.
Quand'è a Montecristo il Re sta più che gli è
possibile fuori di casa : o s' arrampica sulle rocce
o scende a! mare. Il Re ha un concetto tutto greco
della vita all'aria aperta. Dice che all'aria aperta
si fa tutto bene.
A Montecristo il Re desidera di godere di tutta
la sua libertà. Libertà va cercando e ce la trova;
libertà di cittadino, a casa sua. Non concede per-
messi, non fa inviti. Montecristo è per sé e per
la sua famiglia: arriva e parte senz'avvisare ani-
ma viva : alcune volte, è accaduto, anco il mondo
ufficiale del Quirinale ha creduto che il Re si fosse
recato a Castel Porziano, mentre il suo automo-
bile volava e sbuffava verso Santo Stefano.
4^7
Abbandoniamo dunque il fantastico isolotto, la-
sciando che le onde del mare, delle memorie e
delle leggende, vi facciano risuonare sommessi i
II, MARCHESE RENZO GlNORI.
canti dei secoli : e i lettori trovino con me giusto
e umano il desiderio del Re, che di quando in
quando si permette il breve svago di raccogliersi
nel silenzio e nella solitudine della sua bianca
palazzina che par preparata dalle fate e adagiata
dai giganti in mezzo al Tirreno : riposo e prepa-
razione a propositi e a opere feconde e geniali.
Firenze, il 20 aprile del 1902.
Carlo Paladini.
-£—*-
TRISTANO E ISOTTA
( // filtro)
Tre, con sua lancia ini pel uosa, aperse
ferite al drago il cavalier Tristano;
e sette, andando fé 1 mare lontano,
vascelli assalse, insanguinò, sommerse.
Ma quando Isotta da la bianca mano,
più che re ina al suo sguardo s'offerse,
l'anima fiera e le hello armi terse
caddergli, e tutto il suo valor fu vano.
Oro di chiome, su la nave d'oro
raggiava Isotta: le porgea la schiava
l'àn/ora ardente com' aperto cuore,
e tra l'isola verde e il mar sonoro
vedean gli amanti su da l'ombra cava
venir la Morte; ma di cieli, Amore!
TRISTANi i E [Si ! 1 \
II.
La foresta).
Porpora di Britannici, oro regale,
favole alate e fiamme taciturne
fascian le forte de le stanze c/ut me
ov' apparì la Coppia trionfale.
Magni ti ca, ne 7 gran cor musicale,
la foresta raccoglie àrbori ed urne:
« - Tristano /» - « Isotta! « - [remoti le notturne
voci volando con lampeggi di ale.
Vigila, su la torre alta, Brangània
s'oda re Marco, o se rombi la terra,
tremando al trotto ferreo de la caccia ;
ma in van suo grido annunziato!- disserra,
però che Isotta, con il ivi no insania,
anco dischiude al dolce eroe le braccia.
III.
(// vascello d'Isotta .
Giace il ferito in su l'ibernia arena,
guatando il mar con declinanti tempie.
Porpora e il mare, e un canto lo riempie
d'una malinconìa stanca di pena.
Balza il morente: « 0 nave aurea, balena!
giungi da l'acque interminate ed empie!
Kunnval! La gran Luce! Oh come s'empie
Fa nima d'una pia gioja serena !
Spasima e cade... e il del chiude sue porte
d'oro. Improvviso, da grand' ali rotta,
palpita l'acqua a l'ansia d'un naviglio,
e, morente d'amor pallida Isotta ,
chiamando a baci il cavalier -vermiglio,
chiude i suoi labbri in sovrumana Morte.
E rroRE Mcschino.
4^'>
L'ORIGINE DEI GIORNALI
Per trovare le prime rudimentali origini del gior-
nale, bisogna rei ai lontani tempi della Re-
pubblica e dell Impero romano. Quella specie ili av-
. che si scrivevano in carta, si esponevano per
uno o più giorni e si chiamavano aita, diurna fo-
rnii n'inaili, commentarti rerum urbana) uni. ecc.. ri-
10 non soltanto le notizie politiche e di guer-
ra, le leggi, le cause celebri, ma altresì le notizie
• feste, dei teatri, delle nozze, delle nascite, delle
elle avventure galanti, dei pettegolezzi cit-
tadini, ecc. E poiché il momlo fu sempre eguale,
anche i diurna romani servirono a tutte le forme
della vanità. Per esempio. Livia, la madre di Ti-
berio, vi fece annunziare i nomi dei senatori e dei
cittadini, che avevano chiesto di essere ammessi a
salutarla. E se un dia moda avea parlalo
in Senato, correva poi a far riferire negli a.ta gli
applausi dei senatori ripetuti cinque, dieci volte.
antichi giornali romani non rimane alcun
i i ma di essi, f.a
popolare moderna della letteratura periodica
incomincia molti secoli dopo i tri Ve
i. il The ' Ucraine, che sarebbe uscita
nel 1588. e fu creduto da alcuni il primo giornale
tti 1, n> -il 1 he una fai- del se
XVIII.
1 . .1 lino dai primi anni del secolo XVI, in alcuni
.'ii della cr no pubblicami nte 1'- \
VISI manoscritti, per informa/ione dei
ni. Nei tempi lieti del Rinascimento, quando
oti più squisite delio spirito e le
• della cultura si univano al valori- delle armi
e alla sagace pratica dei commerci, Venezia el
mio i iprrl» ile. si i hia-
■ il più gran giornalista del mondo. M
1 nato nel di antica stirpe
uri 1 536 ra vita a 1:
n infiniti ra dottrina, notizie.
1 al suo tempo . che è
lindo del
li \ anni », in s8 volumi :n
foglio, dal primo gennaio 1496 sino al settembre del
1 - 33. Per questo immane lavoro ebbe dal '
dei Dieci una provvigione di 150 ducati ali anno. ma.
sc'rive il Sanino stesso, con ingenua schiettezza nel
suo testamento, zuro a Dio è nulla alla grandi*-
fatica ho fatto. Xiente sfugge alla sua osserva/
acutissima. E non soltanto egli tien nota di tutti i
fatti politici, di tutto ciò che riguarda la legisla-
zione, l'economia politica, i commerci, l'arte, la let-
teratura. ma non dimentica neppur le minuzie n
palesi, gli epigrammi, le satire, le commedie, g
pisodi personali, perfin le lettere private. "Egli sen-
te te e ci fa sentire le impressioni or liete, or pe-
nose, dove non agiscono né parlano che gli ;
« e i testimoni immediati delle azioni, e solo qi
« là vi si intromette talvolta la voce del popolo
« come a 1 appresentare l'opinione pubblica conti
ii poranea ■ < '"sì uno storico insigne, Giuseppe
Leva.
Dei Diari del Sanino, riposti, dopo la sua mo
in una stanza segreta del Palazzo Ducale, non si
per molto tempo più traccia, e il doge Marco ]",
li, lo storico solenne della letteratura venezi
ò la perdila. Ma, nel 1784. I
lionato, ultimo istoriografo della Repubblica,
rse e li fece ricopiare. l'iii volte si reca
\ legati di governi stranieri, per estrarre ijB
documenti da questa fonte preziosa e inesatj
bile; più volte, lino dal principio del secol
rso. si parlò di pubblicare l'opera sanuti
.1 ! |uali ; ndere la
«li 58 grossi volumi in foglio? Quale erudito
pigliare sopra di sé il grave carico di dirigere una
ne irta di difficoltà di ogni gelici
cibile ai più animosi non ispaven-
t.'i la veneta De| 'ioni' di storia patria.
1 .-. la pubbli ' tri. ed
oggi l'ha quasi npiuta. Se il giornalismi
con imparzialità tutti i rasi che
inno di giorno in giorno, se deve essere 1" '
e l'interprete dell'opinione pubblica, pur esprimcn'B
il proprio giudizio senza passioni
I. ORIGINE DEI GIORNALI
innalzò questo ministero a più nobile dignità dei
Sanuto. quantunque l'opra di lui non fosse destinata
alla pubblicità quotidiana.
Di contro all'onesto e candido Sanuto ebbe Ve-
nezia, nel secolo XVI, un altro precursore del gior-
nalismo in Pietro Aretino. Il figlio del misero cal-
zolaio d'Arezzo, con le sue vituperazioni e le sue
lodi vendute, fu veramente il tipo di quei giorna-
listi, che. con la industria della stampa, offendono
l'onestà, la verità, la giustizia. I Giudizi che l'Are-
tino pubblicava ad ogni principio d'anno è via via
cne gli avvenimenti si presentavano in foglietti vo-
lanti, che si vendevano e gridavano per le vie. an-
ticipavano, come ben dice Alessandro Luzio. gli
articoli politici dei nostri giornali, e il meraviglioso
libellista sapeva attingere ai fondi segreti di tutte le
Corti, crearsi dei tributari, degli abbonati tra' prin-
cipi, dominare letterati ed artisti in ricambio di rè-
\lame e per solidarietà di combriccola.
La letteratura alata dei fogli cotidiani. settima-
nali, mensili, diffusa per mezzo della stampa, inco-
minciò nel secolo XVII. Una pubblicazione, arieg-
giante alla forma di vero giornale, uscendo regolar-
mente una volta per settimana e offrendo una rela-
zione dei fatti più notevoli d'Europa, vide la luce
per la prima volta a Venezia, e fu chiamata Gaz-
zetta dal nome di una moneta d'argento del valore
di due soldi che davasi in pagamento. La Gazzetta
fu coniata nel 1538, sotto il doge Andrea Gritti, e
aveva impresso un leone alato in piedi, e la imma-
gine della Giustizia, seduta sopra altri due leoni,
con il motto /usi/tram diligite-
li giornale veneziano trovò presto imitatori. Ad
Anversa, nel 1605. un giornale fu stampato da
Abramo Verhoeven. Teofrasto Renaudot fu il
primo che desse fuori Gazzette in Erancia . nel
1631 (1) ; e oltre a quelle d'Amsterdam e
delle provincie unite, la sola città di Londra ebbe
più di dodici Gazzette. Ma erano sempre poco più
di aridi avvisi: brevi e informi raccolte di notizie.
Fu primo Dionigi de Salle a far del giornale qual-
che cosa più di una semplice notazione di cose e di
fatti, e con l'intendimento rli coltivare il pensiero e
di renderlo partecipe a quanto i buoni intelletti an-
davano producendo nel mondo, pubblicò, nel 166".
ii J tanna! des savants. continuato poi dall'abate Gal-
lois e da altri.
Ad imitazione del Journal des savants, l'abate
bergamasco Francesco Nazzoii mandava fuori a
Roma, nel r668. un Giornale; un altro nel 167T ve-
deva la luce a Venezia, e due altri in Ferrara nell'88
e nel '91. Più fortunato fu quello che. nel 1686 ,
mandò fuori a Parma il padre Bacchini. che ne con-
tinuò poi la pubblicazione a Modena, avendo a col-
laboratori per la matematica il Guglielmini. per la
fisica ii Ramazzini. per la teologia il padre Fran-
chini, per la geografia Jacopo Cantelli.
Finalmente, nel 1606. ebbe principio in Venezia la
111 Nell'ultima Lettura è riprodotta dal Mercure de
Frana la lista dei più vecchi giornali francesi, che sono
usciti senza interruzione sino ad oggi. La lista incomincia
con Peìitcs a/fiches Paris, [612 .
43i
G 'allei. a di Minerva, in cui scrisse anche Apost
Zeno (n. 1668), il quale oltre ad essere poeta gen-
tile, e ad aver nelle ricerche erudite mostrata la via
al Muratori, fu anche esempio delle più amabili
virtù. Lo Zeno, trovandosi a Padova insieme con
Scipione Maffei e con il naturalista Antonio Valli-
snieri. concepì il disegno di un giornale che potesse
lar conoscere agli stranieri le opere e gli ingegni
italiani, e nel 17 io incominciò a Venezia il celebre
Giornale dei Letterati, che diresse fino all'anno 17 18.
in cui, col titolo di poeta cesareo, fu chiamato alla
Corte di Vienna. Dopo tredici anni ritornò in pa-
tria, indicando, come suo succi ssore, a Carlo VI. il
Metastasio.
Nel Settecento, che taluni chiamano il secolo delle
rovine, ma che, ben a ragione, il Giusti chiamò il se-
colo dei diboscamenti, si sentì più vivo il bisogno, spe-
cialmente a Venezia, di quella facile cultura, che ab-
braccia le scienze, le lettere, le arti, tutto insomma
che suole essere materia degli studi, intendendo così
di servire non solamente a quelli che degli studi
fanno professione, ma a quelli eziandio che dagli
studi senza molta fatica amano di prender diletto.
Abbiam detto specialmente a Venezia, perchè se
la vecchia Repubblica di San Marco precipita alla
Ime. illascivendo tra i piaceri e le feste, quasi per
compenso le lettere e le arti splendono di vivissima
luce. Rifiorivano le lettere per opera dello Zeno, di
Marco Foscarini, dei due Gozzi, e, sopra tutti, di
Carlo Goldoni, l'opera del quale vive sempre della
fresca giovinezza del genio. Risorgevano le arti
imi il Longhi. con la Rosalba, col Canaletto, col
Guardi e con l'unico Tiepolo. che seppe ricondurr-
la pittura dai limbi tenebrosi del manierismo al
sole, alla verità della natura eterna.
Si comprende come, fra questa lieta fioritura di
ingegni, il giornalismo abbia avuto incremento no-
tevole e azione efficace.
Così videro la luce: // Mercurio storico (17 17). la
Gazzetta delle Gazzette, gli Influssi, il Fogli,' per le
donne, il Diario di Cristoforo Zane (1735). l'Europa
letteraria di Domenico Caminer, il Giornale enciclo-
pedico, gli Annali della città ili Venezia dell'Ai
brizzi, ecc.
Ma il primo a dare la forma e l'aspetto del mo-
derno giornale alla letteratura periodica fu Gaspa-
re Gozzi con la Gazzetta e l'Osservatore Veneto.
Il conte Gaspare Gozzi aperse gli occhi alla vita
tribolatissima il 20 dicembre 17 13. e li chiuse per
sempre, senza rammarico dì lasciarla, il 25 dicem-
bre 1786. Quest'uomo d'animo retto, di rara mode
stia, d'ingegno delicato, di squisita dottrina, fu acer-
bamente travagliato da natura e da fortuna. Si I
qualche volta riprenditore acerbo dei vizi della sua
età. non già incitato dall'odio 0 dall'invidia, ma per-
chè non potè mai dissimulare non che fingere vermi
pensiero. Fra lo strepito cittadino sospirava con de-
siderio intenso alla pace della campagna, alla so-
litudine della sua villetta di Vicinale, nell'ampia e
triste pianura friulana, e dovette trascinare la buia
e misera vita, affacchinandosi a un lavoro mu-
sante e increscioso di traduzioni e di rifacimenti,
per riparare alle angustie in che si trovava. E' mi-
432 LA LETTI
nquietudine ili spi-
rito, il Gozzi abb servare quella limpi-
ne) la perspicuità 'li forma,
che splendori! i l >ante,
nel
■ tante svi mture, l.i maggiore fu quella
ramogliai inni, o n una
\ idia Inni! unir, al seo '1" Lui-
sa Bergalli, la quale, in luogo di curare i tìgli e la
scriveva versi <■ traduzioni dal francese, con
indosso una schiavina e in capo la parrucca ilei
I'it ripai arsi 'lai t ti i Idi . Mi iglie t ri -
bolal lama il Tommaseo, cui avrà forse al-
i il povero Gaspare, quando, con celia più me-
lanconica d'ogni pianto, in sull'estremo 'Irgli anni.
amava: Putì no fi mai versi. Perdati la salute
: :
Nel 1760, incominciò a pubbl ta Ve-
neta dall'editore Pietro Marcuzzi.
La 1. usciva due volte per settimana: il
men bato; l'associazione annua costava
un" e ugni numero cinque solili. Nella in-
atura del giornale era incisa una scimmia ram-
pante col ni. alimento sibi. I.a Gazzetta
1 l'ufficio a San Polo, presso la calle ili Cà
Bernard... la con campanella, e quattro re-
abbonamenti e le noti-
zie: il caffè l'i. ri. in .1 San Marci, il caffè sulla
Riva del Vin. la libreria 1 '. li nibani in Merceria e
la bottega del cartolaio Faccheri a San Giovanni
l'i'- i,. I recapiti rimasero poi due soli: da
Colombani e al caffè Florian.
Sbandite le notizie politiche, nella Gazzetta tro-
vavano posto le notizie cittadine mescolate a certi
aneddoti curiosi, a certi casi 0 veri o inventati, a
certi ameni racconti pieni di festività. Quali fossero
gl'intenti del compilatore e d( Uditore è detto chia-
ramente. Si voleva che il foglio contenesse «alcune
« cosi anno piacere a leggere, per ricreare le
« pei e certe altre utili e a proposito per le u-
« sanze e per gli agi della città ». E per unire l'u-
tile al dolce, si vogliono ancora « notate le case v6te,
contrade ove sono e il prezzo di quelle: qui il
' ri. me di un valente artefice giunto in paese, la
1 sua capacità, la dimora: quivi terreni, quadri, sta-
1 tue. medaglie 0 libri da vendere; e insomma altre
« mille parti. -.ilarità che facilitano gli affari degli
« uomini nel paese ».
I '. me si vede, siamo propri" all'infanzia del gior-
nale, e la semplicità è pari alla sincerità.
II G 1 fine arguzia, vuol dimostrare la uti-
delle gazzette in 1- a quella dei libri.
nonio che detta libri tratta uno speciale argo-
• pochi altri uomini, ma noe. ad
una società intera. Inoltre di rado egli si affai
alla finestra del mondo, e forma certi suoi pensieri
ni ree. .udite, e le scrive in
un certo modo sì studiato, che pochi intendono .
all'incontro continua il Gozzi —
'i andini 1 in noi medesimi per
Ita nella
« me:
1111//0 ili un lungo leggere o di un
■ profondo meditare; ma domandiamo a tutti di
le hanno bisogno; e quando ce l'hanno scritto in
.. polizze, in lettere o la to a voce, formia-
i ia nostra, n'empiamo ui
« gli" e !.. pubblichiamo. Ogni uomo sa ohe ci
■ igno. ed l'argomento è chiarissimo e
.1 universale ... \ 1 e idee del vei
malista hanno sapore moderno.
E poi i libri, utili o disutili, vogliono stare al
mondo ad impacciare le botteghe e le librerie, lad-
dove i giornali ui lue dì servono; passato que-
sto brine tempo, ne puoi accendere il fuoco, la pipa
e lame altro a modo tuo.
.. Ma questa breve durata 'he importa!' Si
.' dì -1 rinnova la materia, n bbligati, come
ali ri scrittori, a rubacchiarci l'un l'altro e a
rappezzare pensieri vecchi perchè paiano nuovi, e
« a dir male degli autori passati, quando avi
« .-.nato loro fai le lui. Iella, non che la cai
« aver materia da empiere 1 libri moderni ».
La Gazzetta 1 blie vita breve: poci
no d'un anno, e tini il gennaio 1 76 1 . Xon più a
lungo visse YOsscrvatore Veneto, che il Gozzi inco-
iò a pubblicare settimanalmente presso il ti-
pografo Colombani. il 4 febbraio del 1761.
. SS ire al ,-50 gennaio dell'anno successivo.
Il Gozzi, imitando lo Spettatore inglese, intì. r.'> le
sue osservazioni piene di attica urbanità, con dialo-
ghi lucianeschi, favole, novelle, sogni, allegorie, ghi-
ribizzi giocondi. Ben fu detto che l'Italia noti
vantar cosa più perfetta in tal genere. Con altri e
arditi intendimenti, il ".aretti pubblicava, qual-
che tempo dopo, la Frusta, e a Milano il Beccaria
e i Verri scrivevano // Caffè. Cosi dalle pa-
gine della Gazzetta, come da quelle dell'Chi.
tore del Ci. zzi. si rge, s'anima, palpita, si min.'.
gioconda vita veneziana dei -, - i rano
quadri del Canaletto con le macchiette del I 1
Che allegre immagini ! Passeggiano per la piazza di
San Marco, tra un fruscio di seriche gonne 1 un su-
surro incessante di voci e risa argentine, le dame in-
cipriate e gli effeminati cicisbei dalle morì'
broline e dalle intestine </: bambagia- Qui. sotto un
arco dell si annodano le fila di un intri-
go, più in là. in quel crocchio, accanto alla loggi
sansovinesca. serpeggia arguta la maldicenza. Cn
.me patrizio, fintando mine di donna, insegue
una donnina in barila, che scappa via lesta tra la
bilia, mentre un bel gondoliere della Signoria, con
la ''a tipa di vi liuto rosso guarnito in oro e il berr.
all'albanese, s'accompagna a una tizianesca pò
lana .li Castello. Patrizi e plebei in questo
ffratellano per un - Ila gioia spensie-
rata e rumor, isa.
Intanto, in disiata', solitario tra l'universale le-
tizia, sorrnle melali. 011:1 .mirteo il conte Gaspare
1 . ire della sua età decadente, il
babbo del gii imalismo italiano.
POM MENTI.
SOMM ARIO
Romanzi e Novelle. — / nostri cuori (Arturo Foà) — Come presi moglie (Carlo Dadone) — L'armaiuolo di
Milano (Luigi Venturini i.
Poesia. — Verso l'Oriente (Angiolo Orvieto .
Letteratura e Critica. — Oneri e faville (Giosuè Carducci i — Studi sulla Lirica italiana del Duecento Fran-
cesco Torraca).
Psicologia. — ■ / segni rivelatori della personalità Paola Lombroso).
Storia e Biografia. — Un episodio del nepotismo borgiano: Il matrimonio di Lucrezia Borgia con Giovanni
tSfor:a B. Feliciangeli) — La tolleranza religiosa sotto Alessandro Severo (Attilio Siotto) — Storia degli
Stati Uniti d'America (Rodolfo Giani — Emanuele Swendenberg (Antonio Vismara).
Igiene. — In difesa del busto (Dott. Costanzo Einaudi .
ROMANZI E NOVELLE.
Arturo Foà : / nostri cuori. (Torino. Stre-
glio e C), L. 2. — L'autore, che aveva già dato
prova di possedere ottime attitudini alla critica sto-
rica con un saggio sull'Amore in Ugo Foscolo, del
quale la Lettura diede conto l'anno passato . si
di oggi a un genere tutto diverso, all'arte narra-
tiva ; ed ambe qui dimostra belle disposizioni, seb-
bene in queste prime composizioni tutto non sia lo-
devole. // nostro cuore intitolò Guido di Maupas-
sant un romanzo, in cui quel grandissimo artista
dimostrò con una intima e sapientemente celai a iro-
nia le complicazioni e le contraddizioni del cuore
umano. Il Foà intitola / nostri cuori questi suoi
bozzetti perchè in ciascuno di essi « si illumina una
special condizione sentimentale » ; ma le condi-
zioni che egli rappresenta sono quasi sempre troppo
semplici e poco degne di storia: quella, per esem
pio, di un amico che accompagna al cimitero la
salma d'un compagno : o di due amanti che si go-
dono una bella giornata primaverile; o di uno stu
dioso che contempla i suoi libri in biblioteca ; 0 ili
un nipote che va a meditare sulla tomba dell'avo
Wl Dolore di Annie c'è un vero dramma: la S(
greta pena d'una fanciulla per la colpa della ma-
dre: ma la situazione non è run \.i. e già stata anzi
argomento ili lunghi romanzi, qualcuno dei quali
famoso. Alla semplicità dei temi ilei Foà conti
la forma nella quale egli li svolge, la tensione e la
La Lettura.
contorsione dello stile, lo sforzo retorico. Nell'Ani-
iiìn dei libri il protagonista dice di sé stesso: « Me
videro allora bui pomeriggi invernali aspettante in-
vano per ore in una strada solitaria un presto pas
sare dell'adorata ; me videro notti primaverili ve-
gliante solo presso un'alta finestra con occhi di
pianto; me videro aurore estive corrente presso la.
sua casa, saliente le sue scale, indugiante qualche
attimo in una sospension ili tutte le forze presso la
porta nemica, vagante poi senza meta e senza pen
siero per Innube e tacite vie ». Nell'Amante del ini
mine « l'anima si immergeva nel turbine come mi
un mare dove rudi e benefiche mani passassero
lei a frantumarle il duro smalto dei ricordi, e l'ani-
ma si rigava e s'infiammava per molte linee prò
fonde in cui si consumavano i suoi succhi vel
nosi ». Il fulmine e qui paragonato al « cuore del
dolore »; altrove une vede la propria anima, «mor-
bida e tremula, aerea quasi », aleggiare sul
prie er re, a fine come l'aria, azzurra come il
1"... ... Ma poiché un protagonista del Foà ri]
sii me i erte pan le di nn romanzo di Ari
tenie le iri sperabile che il gi> vane autore,
tralasci d'imitare certi modelli troppi pericoli
Studi invile l'arte schietta e sana dello scritti ri
centino. Egli ha ingegno bastante a far pi i da
Carlo Dadonk: Come presi moglie. (Torino,
Streglio e ('.i. !.. 2.^,0. ■ In questo suo volume
l'autore, di cui i nostri lettori conoscono una no-
28
•I-;I
LA LETI URA
velia fantastica, / metti nsieme un roman-
mente intitolato Conte presi m>
e quattro minori racconti. Uno 'li questi ultimi,
/ i • .- - i) a pi turquet, <• privi. lui., da un
breve avvertimento: « Letti e non ami gli
i/i non leggere questo raccontino». 11 li
che non amasse gì i dovrebbe astenersi, ve
r. menu-, dal leggere quasi tutto il volume, a co-
minciare dalla prefazione, nella quale l'autore, im-
maginando .'In- il stio l mi li critici
amici, ii soltanto benevoli, e ili censori feroci,
recensioni entusiastiche o sdegnose
che questi scriverebbero. Egli si confessa « impi
nitente ottimista e ragazzaccio allegro se ce
uno »; quindi ha in "ili" l'arte severa, l'arte che
osamente indaga i gravi problemi della vita.
Vuol ridere, e far ridere, e spesso riesce ad ottenere
questo suo scopo; ma ni n sempre, l'i -
ite le qualità dell'umorista, le esercita ancora
emente. Nel Come presi moglie, per esempio,
si trovano qua e là pagine gu ma che signi-
|uella storia? Niente, dirà egli; ma niente ì-
troppo poco. Ridi i bene; 1 na tuttavia :i-
dere ili qualcuno o ili 'inali' i Che specie di
matto è quel Farinelli, romanziere d'appendice e
ne raffinato? E' un matto sul serio? Mi
se tale, la sua storia, come quella di tutti i for
Mimati, dovrebbe farci non soltanto ridere, ma an-
che fremere e piangere; e ciò non accade. 1'
altura che sia un matto da burla, una caricatura;
ma non si vede «li chi o 'li che cosa: non dei farrag-
rittori di romanzi da quarta pagina, non
del vizio della gola. Quando [figenio Bruscoli è
preso per un matti si appaio dal manicomio e vi è
rinchiuso per forza, l'umorismo del Dadone i Fi
veramente degno del nomi-: perchè egli ci fa ri-
dere dei psichiatri, i quali trovano in quel malca-
ano, tutti i sintomi delle \ a
rie pazzie; ma quando leggiamo altri rapitoli senza
izioni. senza significato, le stravaganze ri la-
sciano freddi ed anche indispettiti. Nelle novelle
se mancano le conclusioni, il riso e il sorriso sono
più si-hietti. perchè qui non siamo fuori del mondo
un sapore di verità.
,re. nel Giovannino sposo, dice d'aver pensato
rivere « un romanzo vero, sano e commoven
dal bel til bonario: Cri umili ». Lo scriva; ne
Ha fantasia, umore, sentimento, è siculo
della forma; ha I soltanto di guardare in
mezzo alla vita per ra] rne i molteplici a-
spetti, compresi i gravi e dolor, si . o, se è propi
inclinato alle finzioni gii «onde, di nutrir di idee
il suo riso.
Luigi \ i: L'armaiuolo di Milano. (Mi-
lano, ( logliati), L. 3. 1 ! irebbe credi re
chi si tratti d'un romanzo storico; ma nulla ce di
storio nel romanzo del Venturini, se si tolga la
guerra d'Africa, alla quale \ .1 a prender parti, non
senza un sentimento di sollievo e di liberazione < U 1
r Vntonio, armaiuolo in via Broletto, il capi
tano Stampella; perchi capitani pare che
insidii la virtù della signora Paola, consorte del-
l'armaiuolo siili, dato. Tutto il romanzo non è altro
che lo studio dei sentimenti tumultuanti nell'animo
1 Antonio dal momento che cor*
I e sue ! aure prendono corpo.
egli non ha la coscienza molto sicura: è -
sempre un egoista, ha sposato l'aula perchi
comodo, non si . curato di sapere se questa
donna aveva un'anima, una volontà, non ha mai
uno sto: gentilezza non ha mai avuto
uno slancio di poesia. La gelosia sarà ora capace di
re il caratten di 0 stui ? In un uomo di que-
sta rozza tempra non si rivelerà essa rozzamente e
dmente? L'autore assicura che il signor Ali-
ti ilio diventa un altro, e non meno di trecento set-
tanta pagine sono impiegate a narrare l'intima evi-
ti /ione. Troppe, 0 troppo poche ancora: perchè, 0
il germe della gentilezza, della poesia e dell'amor»
era nell'anima del protagi nista, e allora il romanz
avrebbe potuto ridursi alle proporzioni di una
velia ; 0 non c'era e tutte le dimostrazioni non ba-
steranno a persuaderci. Ben preparato è il lieto stu-
I ore del marito nell'accorgersi che le sue lunghe an-
sie erani fuori di Luogo, e che, mentre ogni atto
della moglie gli pareva indizio del tradimento
consumato 0 prossimo ad essere consumato, il sen-
timento del dovere sempre iinpe.li a lei di accogliere
qualunque lusinga. E il fine è consolante, trasfor-
mandosi interamente l'animo dell'armaiuolo alla
prova dell'innocenza della moglie, e chiudendosi i
due coniugi, oramai concordi, nella propizia soli-
tudine duna campagna ; ma il senso di consolazione
[uesto fine produce sarebbe molto più schietto
se I improvvisa concordia fosse più credibile. Il ro-
manzo è scritto con un tono arguto ed umorisl
che non dispiace, ma che più piacerebbe senza le
mi Ite lungaggini.
P 0 E SIA.
Angiolo Orvieto: Verso [Oriente. (M
Treves), L. 4. — Se La sposa mistica e // velo di
Maja, le prime raccolte di versi di Angiolo Orvii
furono concordemente giudicati rivelazione d un
ingegno poetico sincero e squisito, questo nuovo
libro è luminosa conferma delle rare qualità che il
me autore dimostri! di possedere. Principalis-
sima tra queste è un singolare sentimento della
tura e della vita, malinconico ma non disperi
ico ma non funebre, fiducioso ma non eie
rifuggente da ogni estremo, temperato e ■ n]
tanto da intendere ed esprimere il senso eterno delle
1 sentimento si traduce con una forma
tutta propria, che non è preziosa pur essendo
piente, che è semplice ma non disadorna.
Il titolo. Verso VOrienle, è bene appropriato al
contenuto del libro, perchè definisce quel momei
solenne nel quale, alla prima luce, le nebbie della
e della tristezza si dis] e sorridono le
speranze e le promesse di un giorno nuovo, d'una
nuova. L'esperienza fu triste, il passato fu
1 1 : ma la via che ora si schiude è tutta fii rita ;
l'amore e il lavoro, le forze più nobili esercitano la
\inii redentrice. Come il dolore d'una voi
non fu mortali', ma una n mestizia piena d
oblio », neppure la speranza è ora senza fine ; e la
parola della verità vera e ultima è espressa nel
Ritmo eterno:
Disse il maestro dalla barila bianca:
u Figliuol, l'anima è stanca;
aspetto di morire. «
E il discepolo disse: a A rinverdire
il freschissimo prato
pur ora ha cominciato;
aspetto di fiorire. -
E il sole in alto disse: u Tutto, tutto
quello che fiorirà sarà distrutte;
e tutto, o tìgli, tutto ciò che muore,
détte il suo fiore. «
Le poesie di questo volume sono distribuite in
più parti, tra le quali Selve e monti. Manne ed Eie
gii svizzere esprimono particolarmente i moti dell'a-
nimo dinanzi agli spettacoli della natura; La Cor-
no musa e Primavera il sentimento della rinascita
intima. Dall'Orsa alla Croce, una delle più origi-
nali, è una specie di giornale di viaggio, composto
dal poeta durante il giro compito intorno al mondo.
Qui egli ha dato particolarmente prova di buon
gusto, perchè ha saputo evitare un grave pericolo,
dal quale i poeti viaggiatori non si sono sempre
salvati:' quelli; di comporre una guida rimata e
Ero poetica. Dinanzi alla natura esotica e alle ci-
viltà diverse dalla nostra, sulle Montagne Rocciose,
tra i Pellirosse, in mezzo alle musmè giapponesi,
nei monasteri buddisti, sui battelli di fiori, dinanzi
alle tomlie indiane, in riva al Gange, egli non ha
scritto se non quando una forte impressione e una.
commozione profonda si sono prodotte in lui ; e
queste sue commozioni ed impressioni vivaci egli
eccita nell'animo del lettore. Forse il suo volume
avrebbe guadagnato se qualche componimento di
(gnor valore fosse stato messo da parte: così come,
sta fra i migliori libri di poesìa apparsi tra noi in
questi ultimi tempi.
LETTERATURA E CRITICA.
Giosuè Carducci : Ceneri e faville. (Bologna,
Zanichelli), L. 4. -- E' l'undicesimo volume delle
pere complete del massimo nostro scrittore, e il
terzo della serie intitolata Ceneri e faville. Con-
tiene le commemorazioni di Mazzini . di Victor
Hugo e di Leopardi, gli studi sui manoscritti del
Recanatese, tredici recensioni di libri ed opuscoli
del Gozzadini. dell'Albioni, del Balduzzi. del Ricci,
del Masi, ecc., le relazioni sul concorso al premio
Vittorio Emanuele nella facoltà di lettere in Bo-
- ■'-rna . sulle gare d'onore e sopra altri argomenti
attinenti alla pubblica istruzione, più una quan-
tità di pagine sparse, lettere, prefazioni, epigrafi.
- irsi, alcune delle quali qui per la prima volta
unpate.
Francesco Torraca: Studi sulla Lirica ita-
liana del Duecento. (Bologna, Zanichelli), L. 5. —
Gli studi magistrali, eruditi ed eleganti, pubblicati
LIBRI 435
dal Torraca in questi ultimi anni sulla Nuova An-
tologia e sul Giornale dantesco intorno alla poesia
italiana del secolo XIII. sono siati qui raccolti per
desidèrio e suggerimento di Giosuè Carducci: che
cosa si può dire di più in loro lode? Diremo che i
cinque saggi: // no/aro Giacomo da Lenitili. La
Si noia poetica siciliana. Federico II e la poesìa
froven Attorno alla scuola siciliana, il giu-
dice Guido delle Colonne di Messina, sono diven-
tati cinque capitoli d'un'opera organica, ora che
1 anidre, mettendoli insieme, li ha riveduti, modifi-
cati, accresciuti di note e di appendici.
PSICOLOGIA.
Paola Lombroso : / segni rivelatori dell 1
■personalità. (Torino, Bocca) . L. 3. - • Mentre
gli antropologi . gli etnologi , i naturalisti stu-
diano nell'aspetto della persona umana i carat-
teri della razza e le anomalie dell'individuo,
la moltitudine dei profani vi cerca i segni del-
l' intima natura dell'anima. Paola Lombroso
ha qui appunto enumerato e descritto i dati
più comuni che la filosofia, e con essa altre manife-
stazioni esteriori, forniscono intorno alla persona-
lità umana. Premesso un breve capitolo storico sulla
scienza fisiognomoniaca, l'autrice entra rapidamente
in materia esaminando i rapporti fra le emozioni
acute e le espressioni con le quali si rivelano ; quin-
di, notato come le emozioni più frequenti preparino
e spieghino le espressioni costanti del viso, partita-
mente ella studia il valore espressivo dell'occhio,
della bocca, della fronte, ecc.. riproducendo, a ri-
prova delle sue osservazioni, un buon numero di
fotografìe di persone note ed ignote. Passa quindi
al valore espressivo dell'atteggiamento, del gesto,
dell'incesso; si ferma sulla scrittura additandone
i caratteri rivelatori della fisiche; ragiona del lin-
guaggio, considerandone l'intonazione ed il conte-
nuto; indica finalmente per quali note particolari
la professione eri il vestito tradiscono l'interno abito
degli individui.
Diligente, esatta, compiuta è l'enumerazione di
tutti questi caratteri. Avendo voluto comporre un
libro popolare, l'autrice è anche semplice e chiara
nella forma ; evita la fraseologia dei dotti, e quan-
do le accade di dover adoperare termini scientifici,
li spiega. Al suo libro non si può fare altra critica,
se non per il carattere troppo rigoroso che ella gli
ha conferito. La personalità umana si rivela ceri
mente per le vie che l'autrice designa ; ma questa
rivelazione non è costante, totale, evidente. Che
l'abito non faccia il monaco* 0 che per lo meno non
lo faccia sempre, è affermazione antichissima, alla
(piale un grande poeta diede ferma elegante ed ar-
moniosa :
ma non sempre alla scorza,
ramo, né in fior né in fronda,
mostra di fuor sua naturai virtude.
Ora 1 autrice ila un valore troppo assoluto ai se-
gni espressivi ; segnatamente la grafologia è per
43(3 LA LETTURA
lei una \rr.i e propria scienza, bastando la s
tura a o melar ili un individuo non solo le sue ten-
dente intellettuali e la sua cultura, le sue qualità
[■fino il suo aspetl
menti, nello studio dell'azione esercitata dalle
professioni, l'autrice riduce gli uomini a certi tipi
fissi, dai quali invece la vana e complessa realtà
rifugge. Il valore delle espressioni è tutt'insieme
ovvio ed ambiguo; per questa ragione spesso le
affermazioni dell'autrice non ci dicono nulla di
nuovo, e spesso anche ci potrebbero indurre in er-
Che " un viso rubicondo, pieno, con occhi vivi
ed acuti » indichi o una persona benevola, liei) di-
ta ". che « le guance floscie, cascanti », ne in-
dichino una a malaticcia, pigra », sono cose nelle
quali tutti convengono Del ridere continuamente
alle spalle della madre, l'autrice afferma che. « in
rale > non è una buona nota in una persona;
noi diremo anzi che è una pessima nota non in ge-
nerale, ma sempre ; diremo anche esser certissimo,
e non soltanto « certo », che « un individuo di spi-
rito audace, pronto e battagliero, a cui piaccia di
pensare con indipendenza e di agire con energia,
non aspirerà mai a fare il sagrestano»; invece
non potremo credere che i militari, i magistrati, i
giornalisti siano tutti d'un pezzo come l'autrice li
nostra; né potremo affidarci sicuramente a quella
espressione che la bocca assume quando le labbra
si avanzano e si aggrottano come cercando e scru-
tando, se questa espressione è comune ai gelosi ed
ai golosi.
STORIA E BIOGRAFIA.
1!. Felicianceli : Un episodio del nepotismo
btrgiano: Il matrimonio di "Lucrezia Borgia con
'anni Sforza. (Torino. Roux e Viarengo). li-
> • !..'i. - La pagina di stona che il Feliciangeli
narra in questo sue breve ma succoso lavoro è una
più curiose che si possano leggere. Il papa
Alessandri: V I dà sua figlia Lucrezia Borgia a Gii,
vanni Sforza, signore di Pesaro, nel 1493; quattro
anni appresso nel 1-107. glie la toglie, per darla,
dopo la sentenza che scioglie quelle prime nozze.
VlfonSO di Bisceglie, principe della real casa di
Aragona. Quali ragioni guidarono Papa Borgia, in
do si condusse il signore di Pesar' . quale
rappresentò il suo pi tente congiunto Ludovico
il Moro, duca di Milano, l'autore riferisce e dimo
1 ri una attenta esposizione e una acuta cri-
tica di relazioni, di lettere, di documenti d'ogni
s. ita. Ad una ad una egli narra tutte le trattative
dirette alla conclusione del parentado ed alla sua
oluzione; e la figura di Giovanni Sforza, inti
ito e pauroso, grande a parole e piccolissimo
atti, esc,' viva dalla narrazione sua. Resta
invece nell'ombra colei che noi avremmo voluto 0
re più da vicino, quella Lucrezia intorno alla
quale sii rici e articolisti hanno
e la fantasia Nell'episi lio che il Feliciangeli ha
fatti 1 oggetto ' erche il n incoi."' ini imi 1
e la a si danno la man" ; l'autore
pin vive lodi per aver messo ogni dili-
genza nel ricostruire la stona; ma noi gli saremmo
siati più grati se, come ha su,!. lisi. ut., la nostra
curiosità ih conoscere i costumi politici e gli avveni-
menti esteriori, cosi ci avesse anclic dato qualche
notizia intorno ai costumi privati ed agli ini
nienti di anime tanto singolari.
Attilio Siotto: La tolleranza religiosa so,
Alessandro Severo. (Sassari, Dessi). — Gli si
storici intorno ai primordi del cristianesimo sono
sempre, come si suol dire, all'ordine del gioì
questo del Siotto illustra con molta dottrina una
fase particolare dei rapporti tra lo Stato romano e
la nuova confessione religiosa: quella che si svolse
sotto l'imperatore Alessandro. Che questi fosse
lerante non era dubbio; l'indagine critica dell'au-
tore è rivolta a precisare in quale direzione e in
che senso questa tolleranza fu esercitata. Egli si
rifa dal secondo secolo, esponendo quale fosse il
regime inaugurato col rescritto di Traiano, ed ac-
certa come in quel tempo, se i Cristiani 1
sotto la spada della legge, non furono tuttavia mo-
lestati. Dopo avere studiato . con la scorta
Mommsen. il fondamento giuridico della perse a-
zione religiosa, e assegnato le più probabili ragioni
dell'ostilità di Ulpiano. il Siotto entra nel dib.v
relativo alla politica di Alessandro Severo. La tol-
leranza di costui fu di fatto o di diritto; le li
coercitive furono, sotto il suo governo, sospesi
abrogate? Dopo un accurato esame dei documenti e
delle ipotesi, l'autore mostra Alessandro clemente,
spoglio di pregiudizi, disposto nel suo largo e
tisiiio ad accordare venerazione o rispetto, comi- 1
tante altre divinità, acche al fondatore della nuova
religione; e. se non può dire, col Renan, che qu
imperatore 1 reclamò la libertà di coscienza, chiude
il dotto lavoro dimostrando come la politica
Alessandro fu una tappa verso gli editti di
starnino.
Rodolfo Giani: Storia degli Stati Uni;
mer/ca. (Milano. Carrara). — La storia degli Stati
Uniti d'America, avverte ai
n più fortunata che fortunosa ». Vi mancano i de
litti. le congiure, i tradimenti, le tirannie, i si
1 pregiudizi, le decadenze. « Racconta anch
errori e talora di culpe, ma più spesso narra di ar-
dimenti, di sene,, e di perseveranza; è storia il-
luminata sempre da patriottismo, pervasa da in
tinsi, amore di libertà, inspirata a sani ideali,
ria di popolo non di individui o di caste, storia
progresso conseguito meglio in lotte contro la na
tura che per via di guerre o di trattati; storili
fine di lavoro ostinato e rude, di svolgimento p
interiore, di esplicazione mirabile di tutte
migliori energie untane n. Onesta storia l'ani
narra diffusamente, cominciando con un cenno gei
ni territorio degli Stati l
niti e i suoi primi abitatori, e dividendo poi in
quattro periodi la vasta materia: dalla fondaz
delle colonie alla pace di Parigi ( 1 540-1 763) ; da
eli inizii della Rivoluzione n Un pace di G
(1763-1815), dal Presidente Monroe alla eie
di Lincoln (1817-1860) e da Lincoln alla guerra
contro la Spagna. Pieno non soltanto di fatti, ma
anche di giudizi, scritto garbatamente, ricco di carte
e di appendici, questo libro, se si rivolge diretta-
mente agli studenti, è di lettura piacevole e profit-
tevole per ogni classe di persone colte.
Antonio Vismara : Emanuele Swendetibtng.
(Milano. Cogliati). L. 1. — La figura dello Swen-
borg. matematico e veggente, teologo ed inge-
gnere, filosofo e profeta, è una delle più singolari
ed enimmatiche, delle più degne di studio e delle
più studiate. La psichiatria lo ha detto pazzo ; gli
spiritualisti e gli spiritisti lo onorano d'una specie
di culto. Il Vismara lo ha fatto oggetto d'uno stu-
dio troppo rapido e breve, ma spassionato, sebbene
non sempre chiari). L'autore enumera e loda le qua-
lità buone e belle dello Swendenborg: la vasta
mente, la dottrina enciclopedica, l'animo mite, la
vita esemplare. Xon tace gli errori, le insufficienze,
le puerilità della sua dottrina ; ma non esprime un
deciso giudizio sul valore della dottrina e dell'uo-
mo. Pensa che una visione del profeta svedese sia
lettera morta, mistica superstizione ; ma questa su-
perstizione lo alletta e gli fa esclamare: « Guardia-
mo quell'uomo, che inspirato, rischiarato dal lu-
me divino, ha parlato a noi, ai nostri padri, l'ac-
oento dell'amore, della fede... ». Fa suo il giudizio
del Gorres. che la convinzione del veggente fosse
sincera, e soggiunge che per questo autore le vi-
sioni dello Swedenborg debbono essere attribuite
ad un fenomeno di magnetismo animale, mentre per
molti altri dipenderebbero da vera malattia men-
tale, da teomania ragionante ; ma non dice la sua
I LIBRI 4->7
opinione, e l'are anzi inclinato a negare che il veg
gente fosse pazzo, perchè allora Magnerebbe giu-
dicar pazzi anche i profeti pivi amichi e più repu-
tati. Avverte in una nota che il suo ragionamento è
debole, ma dice che vuol tornare con maggior stu-
dio sull'argomento. Aspettiamo dunque quel più
maturo lavoro che ci promette, perchì ve-
ramente troppo affrettato e alquanto superficiale.
IGIENE.
Dottor Costanzo Einaudi : In difesa del busto.
Con lettera-prefazione di Mantea. (Torino. Renzo.
Streglia e Comp.. 1902). L. 1. — Conciliare i se-
veri precetti dell'igiene colle capricciose esigenze
della moderna toeletta femminile riesce cosa tutt'al-
tro che facile. Un tentativo di questa fatta rispetto
a quell'indumento oramai imposto e definitivamente
accettato dalle nostre donne, che è il busto, lo fa
il dottor Costanzo Einaudi in quel suo bel vi hi
metto intitolato precisamente: In difesa del busto.
Che il libro del dottor Einaudi sia destinato ad es-
ser bene accolto dal pubblico gentile cui è destinato,
lo si può affermare con una certa sicurezza essendo
egli, scienziato, dotato delle necessarie qualità per
farsi fine e corretto volgarizzatore della scienza-
Ai senso pratico cui si informa il lavoro, alla se-
rietà degli argomenti addotti in sostegno della sua
tesi, egli accoppia uno stile brioso, piano, elegante.
Ed io mi auguro che a questo suo lavoro arrida una
sorte propizia, e che i savi e garbati cons gli ed
ammonimenti in esso contenuti, riescano graditi e.
quel che è più importante, vengano accolti favore-
volmente.
Il Lettore.
L'AMORE DEL LIBK/O
E GLI EX-LIBRIS
L'interesse al libro è ben altra cosa che l'amore al
libro. Anche il primo presuppone il desiderio di
leggere e d'imparare, ma non include nessuna preoc-
cupazione del decoro esteriore del libro e della sua
conservazione. Poco importa infatti alla massa
dei lettori , che il volume sia stampato bene
o male , bene o male cucito , netto o sporco ed
anche corretto o scorretto. Il libro serve loro di di-
strazione od anche di studio per un tempo determi-
nato, dopo il quale va a finire in un angolo d'un ar-
madio o di un solaio, dove ammuffisce, scolora e si
squinterna. Esso ha compiuta la sua missione di
far passare meno noiosamente che fosse possibile
qualche ora. o di preparare ad un esame ; quindi è
inutile più custodirlo.
Naturalmente tale non è il sentimento degli stu-
diosi e dei dotti; ma nemmeno si creda l'incuria li-
mitata alle sartine e agli svizzeri di guardia al Vati-
cano, che leggono il romanzo a tinte torti por coni
muoversi, e poi lo gettano sulla credenza sudicia e
untuosa. Ahimè, in quante camerette di gentili si-
gnorine si vede il volumetto del poeta adorato, tutto
scucito, coi fogli mal raccolti, e La copertina o la-
cera o sporca! In quante remote stanze di palazzi,
appartenenti a famiglie nobilitate da gloriosi ante-
nati, stanno, alla rinfusa, contro un angolo, accu-
mulati i vecchi libri e le carte dell'archivio! Quanti,
infine, trovatisi, per eredità, padroni d'una biblio-
teca, l'accolgono con orrore e se ne disfanno subito,
con furia, cacciando poeti e filosofi sulla bilancia
del rigattiere !
In tal caso, quei nobili e quegli eredi sono molto
|.;s LA 1 1.1 M RA
al disotto delle sanine <• degli svi/zeri ricordati ; ma
anche dove il libro ne in si consideri più che per l'in
(eresse | pui i pn curare, e lo si i ra
scuri sul >it> > dopo, non è lecito due che I" si rispetti,
L\ i.ihkis >. ni ( ;i.u
ITARINI, CIRCA 1560.
e perciò che lo si ami, perchè chi ama una cosa o
una persona deve cominciare dal rispettarla, anche
per rispetto a sé medesimo.
Uno dei tanti fenomeni della Rinascenza italiana
fu il risorgere dell'ami ire per gli studi e quindi pei
libri e per le biblioteche.
Con quale passione gli umanisti, a cominciai
Petrarca <• dal Boccaccio, si dessero alla ricerca dei
manoscritti <■ narrato dalle storie letterarie. Altri
arrivarono alla formazione di vere biblioteche.
furono il nucleo d'alcune grandissime, tuttora esi-
nti ionie, ad esempio, la Marciana di
Venezia, nata dalla raccolta dei codici donati dal
• ■animale III h,,,ih .li Trebisonda alla Repubblica
V( lieta.
Così man mano si diffuse l'amore del libro; e
codici s'erano voluti ridenti di minia-
ture, si vollero presto le edizioni nitide, ben pr. ;
zionate e adorne di (regi. Scoperta la stampa 1
nte in pieno Rinascimento, ebbe
la fortuna di trovarsi hn dalle fascit nelle mani di
abili ali. in finezza e d'ogni leg
1 furono belli i cai pi/i.
gli ornamenti, e belli pure . segni ,/,/ possesso, ossia
gli • ex-libri S ». sui quali "ggi i signori Achille I
tatelli e David Heni\ l'rior (affidati a qui
rabile editore che è lirico Hoepli) hanno slam]
un libro pieno d'illustrazioni, che si può dire !
il piu splendido, m latto di bibliografia, usciti
Italia.
« Aumentandosi, scrivono gli autori, la difilli
„ ne del libro e volendosi dare alla proprietà una
nza di maggioi decoro, s'abbandonò la
.1 ma senti. 1 affidando : lei possesso ad un
1 ghetto speciale, che dilavasi sui cationi o dii
0 al titolo. Quest'uso nacque e si affermò fin dal
« suo inizio in Germania coir una forma ci
a pietà ed artistica, da far pensare che ti.
" non l'origine, almeno l'ispira/i •. da altri di
" menti consimili anteriori ».
K' inutili due eòe llenrv Itoli, hot, I rancese, vor-
rebbe reclamare il vanto di tali documenti alla
Francia, ma i nostri autori trovano a rag
quelle forme di disegno potevano bene svilupparsi in
più luoghi contemporaneami nte e indipendentemi
e soggiungono: « 11 primo 1, , he volle indi-
« care il prodotto del su,, lavoro non lece altroché
« seguire ciò che facevasi nelle industrie d'allora.
« Leggi antichissime rimontanti al secolo XIII di-
« fendevano e regolavano l'uso dei cosi detti a s>
di bottega » che più tardi ciascun maestro do\
« depositare in apposito libro conservato da! ni
0 della corporazione. Questi segni, che veni\
« messi sugli oggetti e forse anche sulle coperture
« che li avvolgevano, dovettero essere da prima mol-
« io semplici, perchè facile ne fosse l'app,
« ed il pubblico li p,, tesse- ricordare. Ordinariami
« erano dei monogrammi o delle lettere intrecciate
- Kx i.ihkis - ni Carlo Archisi,,, eiu, \ 1710.
« in vario modo e spesso delle ligure tratte dalla-
n raldica o dal regno animale ».
I più vecchi . i libris, stampati su I i parte
e incollati sul libro, sono da ricercare in Germania ;
non tanto perchè là sia nata la stampa, quanto per
lo straordinario sviluppo che vi ebbe la silogl
In Italia e in Francia si usò più spesso imprin
sui piani, nelle rilegature, il noni., lo •ninna od
un motto.
Uex-libris più antico che .finora siasi trovato, è
quello di Hans Igler. bavarese, che si fa risalire alla
seconda metà del secolo XV. ma non è di data sicura
come quello di Girolamo Ebner. del 1516 Segue la
Francia con un ex-libris 'lei 1529 e. terza, 1 Italia
con quello del giureconsulto pistoiese Nicol;! pilli,
in uso poco oltre alla metà del secolo XVI. I signori
Bertarelli e l'rior pensano pero eh.- ulteriori 1
che potrebbero far retrocedere di molto, anche in
Italia, l'uso degli ex-libis.
Ad ogni modo è certo che il grande sviluppo tra
noi di quell'elegante segno si ebbe nel see. XVIII.
dapprima col semplice stemma di famiglia, poi .011
indicazioni personali, che la borghesia ampliò spes-
oli simboli d'onorificenze e di cariche alle quali
non aveva diritto. Ciò nullameno valse a una mag-
1 LIBRI t-'( '
gioì 1 aiutata pure dalle scuole d'arte che ah-
ido e dal laro che gli ex-libris si usa-
vano talora »me ''arte da visita « che sono quanto
so abbiano trovato i vignettisti ita-
liani ».
I nostri due autori e raccoglitori non hanro
limitata la loro ricerca alle semplici rappresenta-
zioni incise. Al libro hanno saputo dare un alto
lore storico, trattando dapprima delle Accademie e
delle Dan te del scolo XVIII, tessendo poi
. -ni principali 1 gnettistì nostri .
ni/iesul biglietto di visita, sugli
libris repubblicani e l'araldica napoleonica, sulle so-
estere dei collezionisti di ex-libris, sulle falsifi-
cazioni, e finalmente offrendo un ampio catalogo ric-
1 cenni biografici su tutti i possessori, antichi e
moderni, di ex-libris.
Volumi come questo del Bertarelli e del Prior .
: ubblicavano olir in Inghilterra e in
Francia. Kssi oggi, con l'aiuto del comm. Hoepli,
hanno saputo d'un tratto uguagliare le più splendido
pubi ; caziorii bibliografiche che. una volta, con a-
marezza. vedevamo venire solo dall'estero.
Corrado Ricci.
Uu*4t(Jj*£>*'i <&
^"ex-libris •■ dì Giuseppe de Festis, circa 1790.
DIVISTE
SOMMARIO
Il golfo ili Napoli g,-ol.igia i poesia, pag. 440 — Mascelle forti, pag. 442 — La donna-pompiere, pag. 444 — Cari-
caturisti americani, pag. 446 — Il principio meccanico del volo. pag. 449 — La decorazione dell'uovo presso i
vari popoli, pag. 451 — 11 caso. pag. 453 — L'istmo di Panama e il canale interoceanico, pag. 456 — Bolli di
sapone e bolle d'aria, pag. 459 — I circhi del Nuovo Mondo, pag. 463 — Fra i camini, pag. 464 - - Lhassa,
la Roma del Tibet, pag. (68 — Le campane, pag. 470 — L'assistenza agli animali, pag. 470 — Fabbricatori
di santi, pag. 471 — Il più potente cannone, pag. 473 — I cani agenti di polizia, pag. 474 — Università di
barbieri, pag. 475 — Grandi nomini e uomini grandi, pag. 477 — L'influsso dell'alcool sull'organismo umano,
pag. 477 — Il cappello a cilindro nella storia e nell'arte, pag. 478 — Emilio Zola Sul tavola anatomico, pag. 479.
Il golfo di flapoli: geologia e poesia
(Da un articolo di Giuseppe Di Lorenzo, nella Nuova
Antologia, del 16 aprile .
Il golfo di Napoli, col suo lungo ordine di enor-
mi e solfimi scaglioni calcarei, bianchi e rosei, che
vanno da Capri e dal promontorio della Minerva,
sui flutti sonanti e spumanti, per i culmini della
penisola di Sorrento e i gioghi del nubifero Appen-
nino, di nuovo fino al mare col monte Massico e col
Circeo, costituendo così quasi la cavea a gradini
marmorei d'un immenso teatro naturale nella cui
scena si accolgono la pianura della Campania Fe-
lice, le dolci colline partenopee, le isole vaporose,
il Vesuvio fumante, il mare splendente, il cielo lu-
cente, è uno spettacolo dinanzi al quale lo spirito
resta estatini, in contemplazione. Ma come e quando
e penili- si e. venuta a formare quella visione mira-
bile?
Milioni, miliardi forse di anni or sono, dove ora
si stende la Campania e s'erge l'Appennino, non e-
sistevano terre, ma ondeggiava il mare. Il gran mare
antico, che i geologi chiamano ir ciac co ed eocenici'.
ituiva un immenso bacino, che cominciava verso
l'America centrale, passava attraverso l'attuale A-
tlantico (limitato allora a nord e a sud da terre che
poi scomparvero), occupava l'Europa centrale e me-
ridionale e l'Africa settentrionale, si stendeva per
l'Asia occidentale, pel Tibet e per l'India, fin verso
l'odierno golfo del Bengala, dove si confondeva di
nuovo con l'aperto oceano. L'attuale Mediterraneo,
il Mar Nero, il Caspio, non sono altro che pozze
residuali di questo Mediterraneo antico, dove la
vita non era meno rigogliosa di quella che si svolge
nei mari nostri, quantunque fosse rappresentata da
forme completamente diverse. Or come il fondo
del mare è divenuto culmine di monte?
Forse la Terra, staccatasi dalla grande nebulosa
solare, e cominciando a raffreddarsi, si contrasse, si
raggrinzò, si corrugò alla superficie; forse l'am-
masso dei sedimenti, in fondo ai mari, provoca una
reazione termica, per cui gli stessi sedimenti sono di-
slocati e sollevali dal fondo dell'acqua all'aria e alla
luce; forse il pesante materiale di nuova fonnazio
ne scivola per forza di gravità su qualche immi
piano inclinato e si ammonticchia ed accartoccia* su
se stesso: fatto è che i sedimenti gradatamente si sol-
levano, si spostano, si ergono sulle acque e torni. tu-
ie nostre isole, penisole e catene di montagne. Que-
sto avvenne al finire dell'epoca eocenica nel mi
e al margine dell'antico Mediterraneo, dal quale si
alzarono le catene montuose dell'Atlante, dei Pire-
nei. dell'Appennino, delle Alpi, dei Carpazi,
balenìi, ilei ('aucaso e dell'I! imalaia. In quel tem
pò. immemorabilmente antico dal punto di vista
limano, ma ecologicamente recentissimo, si abh
Col resto dell'Appennino, la grande conca calcarea
1 dì Napoli ; e il sollevamento, continuando
DALLE RIVISTE
nell'epoca miocenica, giunse, verso il finire di que-
sta, a tal punto da essere superiore all'attuale. In-
tervenne quindi un altro ordine di fenomeni, le
forze eruttive entrarono in giuoco, e attraverso le
pieghe dei corrugantisi fondi marini vaporarono !e
esalazioni minerali, sprizzarono le acque termali,
fischiarono i gas. eruppero le ceneri, i lapilli, le
pomici, le scorie, e sgorgarono le lave incandescen-
denti che si fusero coi depositi marini.
A misura che i gradini di quel roccioso anfiteatri.
sorgevano dal mare, cadevano corrosi dalie forze
atmosferiche, le quali coi venti e le pioggie ripor-
tavano di nuovo al mare i materiali agguantisi nel
circolo etemo della vita. Ma nessun occhio umano
poteva contemplare quegli ignoti paesaggi, e gli
slessi vegetali ed animali allora viventi, quantunque
non più enormemente dissimili, erano ancora abba-
stanza diversi dai loro discendenti.
Questo stato di cose non durò lungamente. Sia
che l'Appennino si deprimesse o affondasse, o che
il mare si sollevasse, le onde si avanzarono di nuovo
sulle terre da poco emerse e raggiunsero, sul finire
dei tempi pliocenici, nell'Italia meridionale, un li-
vello di iooo metri superiore all'attuale. Allora
l'Appennino fu di nuovo sollevato come da un pal-
pito immenso, che ancora dura, e le acque ridisce-
sero al livello attuale del mare. Nelle due sponde
dello sfretto di Messina si vedono come delle serie
di giganteschi gradini che vanno dalla costa fino a
1300 metri, sotto Montalto, e non sono altro che le
terrazze incise e spianate dal mare nelle tappe della
sua discesa. In base a calcoli astronomici, si può
dire con una lontana probabilità che quest'ultimo,
recentissimo sollevamento dell'Appennino, al co-
minciar del quale apparve finalmente l'uomo suda
terra, può avere avuto principio tra i 50 mila e i
500 mila anni or sono: un attimo per i geologi.
In tempi storici si è potuto osservare il suo circuito
innalzarsi e affondarsi con ripetute oscillazioni del
mare, e una grotta adoperata in Capri per bagni ai
tempi di Tiberio diventar prima un ignoto speco
sottomarino, e risalire poi a formare l'attuale affa-
scinante Grotta Azzurra ; e il Serapeo di Pozzuoli
immergere le sue colonne nel mare e poi sollevarle
di nuovo, e la forma del Vesuvio modificarsi du-
rante l'eruzione che seppellì Pompei, e un nuovo
vulcano, il Monte Nuovo, ergersi d'improvviso sulle
acque del lago Lucrino, nel 1538.
Quale rappresentazione e quali pensieri destò
questa magnifica plaga nella coscienza degli uo-
mini?
Delle impressioni provate dai contemporanei de-
gli elefanti e dei leoni non abbiamo e forse non a-
vremo mai conoscenza ; ma più tardi, coi secoli, gii
uomini diventati coscienti, ebbero qui la visione
dei fuochi ipogei, specularono sui connessi feno-
meni fisici e metafisici, e si rappresentarono le bel-
lissime forme del paesaggio.
I Ciclopi della Teogonia di Esiodo: Argen ,
Bronte, Eterope. dall'unico occhio circolare nel mez-
44 1
zo della fronte, e i Centomani della stessa epoca:
Gige, Kotto e Briareo, con cinquanta e cento braccia
sulle late spalle, rappresentano i vulcani, col cratere
centrale circolare, i coni eruttivi laterali e le molte-
plici correnti di lava ; e la Titanomachia stessa, al
pari della Gigantomachia. è la rappresentazione di
una gran conflagrazione vulcanica. Che alla costru-
zione di quei quadri abbia potentemente concorso
la visione dei vulcani del golfo di Napoli, è ovvio
pensarlo, vedendo quanta parte la descrizione di
quei luoghi occupi nei poemi omerici, specialmente
nell'Odissea, e come si rifletta anche nei pensieri e
nelle immagini dei grandi poeti e pensatori greci
posteriori, quali Eschilo, Pindaro. Platone, ecc.
La concezione ellenica di questo lembo di Magna
Grecia fu accolta e tramandata dai Latini. Qui vis-
sero, di qui passarono gli spiriti maggiori di Roma:
qui scrissero Orazio, Ovidio, Giovenale più d'ogni
altro cantò questi luoghi Virgilio, nell'Eneide, dove
non ci diede solo una descrizione mirabile, ma e-
spresse quella stupenda concezione fisica e metafi-
sica dell'universo che è uno dei più sublimi brani
di poesia creati dall'umanità.
Nel medio evo, dopo tanto fulgore di luce, sct-
tentrarono le tenebre ; bisogna scendere fino al Pe-
trarca per leggere una descrizione di questi luoghi
in una sua Epistola famosa. Quindi tre grandi spi-
riti qui nati, poco dopo che Michelangelo aveva
fissato nell'empireo della Sistina la terribile visione
della Sibilla cumèa, illuminarono col loro genio il
suolo natale: Torquato Tasso, Giordano Bruno e
Salvator Rosa. La poesia del primo e le opere del
terzo sono troppo note perchè sia necessario ricor-
darle ; ma il secondo meglio degli altri due e più
profondamente ha visto e descritto la bellezza della
sua terra : basti ricordare la magnifica dipintura
dell'Appennino e del Vesuvio nel poema De immen-
so et innumerabilibus. Due secoli dopo, il Goethe,
che amò e ammirò il filosofo nolano, e che venne
nella Campania, scrisse, sul Vesuvio, sui Campi
Flegrei e su Napoli, pagine senza pari in nessuna
letteratura, le quali dovrebbero essere meglio cono-
sciute dagli Italiani. Sui Campi Flegrei, special-
mente, compose Ver Wandrer, un gioiello inesti-
mabile.
Ultimo venne Leopardi, che passò a Napoli ;
meno travagliati anni della sua vita, e villeggiò alle
falde del Vesuvio. Qui, sotto la magica veste sma-
gliante che, come una maschera di gioia copre il
golfo stupendo, il gran cuore del poeta sentì il tor-
mento e il dolore degli uomini e delle cose, sotto e
sopra e dintorno alla vita brulicante sulla terra e
nel mare, i suoi occhi profondi videro sospesa in
sempiterno, inesorabile e sicura, la morte, simbo-
leggiata dalla rosseggiante face del Vesuvio ; e
dal Vesuvio e dal mare alzando lo sguardo al cielo
purissimo stellato, vide che le speranze, le glorie e
le gioie degli uomini, le convulsioni della terra, le
rivoluzioni degli astri, le trasformazioni cosmiche,
tutto è caducità, miseria, vanità. Comprese che que-
sto arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza uni-
versale è bello a vedere, ma non ad essere ; e disse
che il non essere è meglio che l'essere.
II-
LA LETTURA
Mascelle forti
Il s . i \\ B K- l'i ston, Hi 1
n;irr.i le
Gustavo
< Hillau e dì un Sili l '"ili
E II ira ' >nllav
•I
'11(11.
11 ' tastavi >, datosi
vanissimo alle esercitazioni
ii . si doleva che il
non avesse una S]
esse - elebre. Un
gli venne un1 ispirazione.
Sua mpiere in-
rcitazioni sulla corda:
non avrebbe potuto tener lui un
Ila i rda stessa o ii denti j
' \
primi tempi, la signora non fece
i corda per a-
■ del man;'
Poco pei volta, denti e mascelle si rinforza-
la s grn ra pi salire in piedi sulla corda e
lare gli esercizi. Più tardi venne all'Onllaw l'idea
1 egli reggeva l'un capo della corda, un altro
ii( mo avrebbe reggere l'altro, e cosi, attuata
• ituì il trio Onllaw.
Le illustra/ioni che riproduciamo danno un'idea
sa sia ca] ace questo trio. La prima figura
le il trio rappresenta un esercizio relativa-
n dite semplice: li sforzo è fatto tutto dalle ma-
scelle, ma i due
umani
Alla prova.
gio. Più complicata è la prima posi/ione nella pa-
gina seguente. I « piedistalli ». sono rovesciali, le
mani si afferrano a ^\w sostegni e i denti
la corda. In questo caso le masc > la
pressione esercitata dall'alto al basso, mentre
forza che porterebbe i corpi a piegarsi resistimi
braccia. Mentre nel primo esercizio il trio può ar-
che permettersi dei piccoli concerti, perchè tutti
hanno le mani libere, qui soliamo la donna può
suonare il mandolino, senza accompagnamento. I- ul-
tima figura rappresenta un vero mirai'' 1" dequili-
brio. La donna sta in bicicletta sulla corda, gli
mini si ;
Madama sulla corda.
DALLE RIVK
stalli » per stare in quella posizione, non hanno bi-
sogno di compiere uno sforzo straordinario. Il loro
corpo viene a cosi i
ire una specie
di leva di pri-
mo gradi
bilancia : le
braccia rap-
443
0 della resi; (che in questo caso è costi
tuito dal corpo e dalle gambe) è molto più lungo e
pesante del braccio della potenza (collo e testa), la
lunghezza e il peso della resistenza compensa, se-
condo un rapporto semplicissimo, la potenza. Ad
ogni modo, anche in questa posizione, lo sforzo dei
denti è fortissimo, e non senza grande pazienza e
grande dolore il signor Onllaw è riusciti! a sapervi
I «piedistalli umani > rovesciati.
[resentano il fulcro. Il peso della donna e della bi-
cicletta fa abbassare la testa e sollevare il tronco
e le gambe, appunto come in una leva, abbassan-
dosi la parte ove si esercita la potenza, si solleva
quella che rappresenta la resistenza. E chi conosce
la teoria della
leva sa che
quando il
V
resistere. Per reggere la corda, questa viene con-
nessa ad un pezzo di cuoio che ^operatore tiene in
bocca. Ora già a preparare questo cuoio '■ lavoro
tutt'altro che semplice e divertente: dura otto setti-
mane. Il risultato che si ottiene lo abbiamo veduto.
Una nostra figura indica che neanche tre uomini
son captici di cavar di bocca quel cuoio al signor
Onllaw.
Ili
LA Mll URA
ha donna-pompiere
una scuola che non esiste in [talia: la scuola
;>. inp i n femmine, tn rra, i | irecisa-
men .ira. ve n'ha una. in Greenwich Road,
e tutti s'accordano nel riconoscere
che ■ inde ad u
ni ito . S]
[uanto riguarda la protezione
delle tenute ili caiu-
ln multe di
iute i prò
pre |»r |
mpe e gli altri
attre tenti a
spegnere gli incendi;
ma .1 servono
gli strumenti se man-
cano gli uomini che
sappiano adoperar
li. e appunto, specie
durante il giorno ,
sono spesso gli uo-
mini che mancano.
E allora, perchè non
si adoprerebbero le donne? Se si insegna alle ragazze
il nuoto affinchè non anneghino, perchè non si in-
segnerebbe loro il modo di spegnere gli incendi ?
\ >n i consolante pensare che. all'occorrenza, le vo-
domestiche possono mettere l'elmetto in ca|«
estinguere un incendio ?
Alle scolare vengono insegnati tutti i dettagli de]
mestiere: anzitutto il salvataggio, poi l'estinz
del fuoco all'interno e dall'esterno. Tutti i sistemi
di salvataggio, e l'uso dell'idrante e delle pompe
Ragazze al lavoro.
portatili, degli estintori chimici, e altri mezzi atti
ad estinguere il fuoco all'interno delle case, l'uso
delle grandi pompe e delle lunghe condutture, delle
Una fiif brigadc.
DALLE KI\ (SrJ E
pompe chimiche, a mano ed a vapore, tutte queste
cose formano oggetto di accurate lezioni. E che 'a
scuola dia buon frutto è dimostrato da questo fatto:
un incendio in una tenuta di campagna ricca di
numerosi e preziosi tesori artistici fu isolato per la
pronta azione della figlia di un Ioni inglese, che,
dato l'allarme, corse ella stessa alle pompe e diede
mano ai primi lavori accendendo la caldaia con 'a
perizia di un pompiere bene addestrato.
Supponga la lettrice di essere padrona
una grande casa lontana da ogni centro e
costretta ad organizzare un sistema di estin-
zione privato, impiegandovi le donne. Pro-
curatosi senza troppa spesa tutto il mate-
riale occorrente, ella potrà prendere un i-
struttore che addestrerà tutta la famiglia e
le domestiche quattro volte l'anno e periodi-
camente farà un'ispezione alle macchine e
agli attrezzi. L'idea è buona, e gli inglesi .
sempre pratici, l'hanno adottata. L'autore
dell'articolo del New Pcuny
Magaztne, dal quale togliamo
queste notizie, dà una lista ab-
bastanza lunga di famiglie che
hanno istituito in casa piccole
brigate di donne pompiere.
Nella tenuta di sir John
Blùndell, a Childwickbury , c'è
un lavatoio modello a poca di-
stanza dalla casa, e le ragazze
adibite al lavatoio costituiscono
una ammirevole brigata di don-
ne-pompiere. L' elegantissima
pompa, piccola di dimensioni .
pesa 15 libbre ed è fornita di
tutti gli ingredienti necessar .
Ogni tanto si dà un allarme. Li
pompa viene messa rapii lame'
te a posto, si attacca il tubo di
gomma, e una delle ragazze as-
sume il comando. La pompa .
sotto lo sforzo di altre due .
getta acqua in ragione di quin-
dici galloni al minuto. Si è
provato che dal mor, enlo del
primo allarme al getto dell'ac-
qua non ci vuole che un minuto e mezzo. Molte al-
tre brigate simili si trovano in vari alberghi, ospe-
dali, manicomi, ed altre istituzioni pubbliche.
Nel collegio di Holloway, a Egham, il servizio è
organizzato benissimo. Vi sono tre sezioni di « stu-
dentesse ». dieci ragazze per sezione. Alle volte si
dà improvvisamente il comando:
— Al lavoro !
Si suppone che vi sia fuoco in una stanza dell'e-
oificio. Tosto viene portata alla porta della stanza
una pompa per uso esterno. Varie ragazze si pon-
gono in fila per passarsi le secchie d'acqua da ali-
mentare la pompa ; due altre fanno manovrare que-
st'ultima, mentre un'altra dirige il getto d'acqua.
Tutti i preparativi richiedono un minuto. Al co
mando : « A posto » ! ogni cosa toma in un ba-
leno al posto abituale.
44Ò
A Mazarion s'è costituita una brigata di venti-
sei signorine, le quali hanno dato una accademia in-
teressantissima e riuscitissima. Si costruì espressa-
mente una torre di legno avente una base di circa
due metri quadrati, alta nove o dieci metri, e ca-
rica di trucioli bagnati di petrolio.
Ad un dato segno, le signorine uscirono dalla loro
tenda e si disposero ai lati della pompa. Dopo aver
fatto alcune evoluzioni, e dopo un breve intervallo
per i rinfreschi e per il riposo (intervallo che, a
dire il vero, non è possibile concedersi in caso di
incendio), si diede fuoco, dall'alto al basso, alla
torre, e allora si cominciò a lavorare sul serio. L'e-
stinzione del fuoco richiese un'ora. Si fecero e 1
tazioni di salvataggio molto interessanti. La Ma
sariou Firc Brigade è molto conosciuta in tinta
l'Inghilterra. Ogni tanto, però, qualcuno dei suoi
membri diserta il campo per prendere mai
Anche nel Collegio di Westfield, presso Hamp-
stead, v'è una brigata femminile molto energ
La capitanessa una volta diede un allarme mi
realistico chiudendo il camino, accendendovi un
ceppo di legno verde e ferrando porte e fine^
Le « pompiere", accorse nella stanza piena di fumo,
poterono darsi cosi ad esercizi molto istruttivi!
446
LA 1.1 I i
Caricaturisti americani
I ne, nei fascicoli 'li mar
tprile, ha dedicato due i prin-
cipal urei icani L'auti ire, il si-
oas E. I ni' is, in -ti ha voluti i i are
uhm studio critico: si è limitato a di
per via ili esempi, scegliendo al
i-uni tra i disegni più noti degli umoristi;
adamo qualcuno anche noi, limi
tandoci a qualche breve cenno sugli artisti
prini i rdati.
arìcaturista del New York Journal,
■■ il più celebrato, torsi-, tra i caricaturisti
americani. Ali-uni trova suoi disegni pie-
etti, ma la facoltà invi ntiva 'li lui
bile I disegni di Opixr, educato
alla scuola del Puck, parlano immediata
all'occhio e lasciano pOCO rampo al-
l'immaginazione. D'altra scuola è Gibson,
caricaturista del Life, il giornale umoristi' o
dell età per eccellenza.
II Gibson ha 34 anni. Al principio della
sua e EFrì i primi disegni ad un edi-
■ uanta soldi l'uno:
l'editore glieli pagò 20 lire. A-
1 . I m in ha — si dice —
uno ili 125 mila lire
l'anno. Non meno guadagna cer-
to Henn Meyer. il più versa) ili
e il più cosmopolita fra gli ar-
tisti ' america. Egli col lai 'ora
in quasi tutte le pubblicazioni
umoristiche americane, nei /■/..
gende Blàiter tedeschi, nel Rire
nel A'/wg di Londra.
Questo artista, che è umorista
non soltanto nel disegno, serve
1 modello a se medesi-
II suo viso ha espressioni
tonalmente mobili e mute-
voli: tante volte egli si pone in-
.< Adesso, linrico, non dimenticarti. 11 nodo sul cappello è per ricordarti di preti
dcrc la medicina dal farmacista; il nodo al dito è pei biglietti del teatro; la fascia
pei ricordarti di impostare la lettera per la mamma; e il podo sul
fazzoletto è per gli aghi. Addio, caro, e a attenzione ».
^Otseguc dì Oppér, riprodotto co/ permetto itila ditta J. Henderton and Sons,
depositaria ari diritti per l'Europa.
La rttflfdrd : Che bella nuca!
di ."(. Yautig, riprodotto col petmesi
Aiuto !
della ditta /. Heatttrian un .
— Se non tornate indietro a domandare soddisfazione a — V'ha atto male 't
quell'uomo clic m'ha insultata, non ■ ictc un gentiluomo I — Si - ma - vedete - ione - un ■ gentiluomo.
.■/ ptrattio della ditta l Htnii
nanzi allo spi
e disegna così, ri-
traendo le pr<
espressioni, che sa
poi mantenere non
straordinaria
lità nel disegno
definitivo, pur eli-
minando ogni ci
ratiere pi
A suo giudi
uno dei migliori
lavori usciti dalla
sua |>enna è: sfar
ghetti e ,c<-\/.
ione . che r
duciamo tuli.!
gina seguente.
Oltre a qui
artisti -principi , il
wC A ili!
Incubo di un uomo che meditava di « sposare una dote ».
riprodotto col permesso della ditta J. Hettdet
TA~
Spaghetti e gesticolazione-
Disegno di A. Ueyer, riprodotte eoi permesso delh ditta J. Hettderson and Som.
.) |S LA II 11 IKA
rtis ne ricorda molti altri: Arthur Voung, Non possiamo riprodurre i disegni ili tutti questi
Ila tecnica, che anzi i suoi di- artisti che in Europa sono affatto sci 'in .scinti e iu
i da dilettante, ma piene di America tanni; furore e fortuna sul Puck, sul
matrimoniali. — Lo sposo clic vuol andare a c-is-i e i.i s|>u>u clic non vuole.
Dittano di C. 'D. Gibson, riprodotto col permfifo della ditta J. Htndirson (imi Som.
; i rat e di buon tinnire . Gus Dirks . un giovane sui fudge, e su tutti i supplementi domenicali dulie
come Young, Penrhyn Stanlows, che s'è creato un grandi gazzette, che dopo avere per tutta la setti-
tipo di donna tutto speciale, la Stanlows girls. co- mana strabiliato i lettori con le americanate a getto
me Gibson ha creato la Gibson girl; Sullivant, continuo, ogni domenica li fanno ridere con le ca-
lor, Zimmerman, Richards, ecc. ricature e i cartoon.
Un* attutane, — Ah, che viti sotiilcl i ra il >:uUo !
r '/ \fr\rr, e Mia ditta J Henéerion anà
DALLE RIVISTE
11"
Il principio meeeanieo del volo
(Dalla rivista Fiir Alle Welt .
•riamo le fasi storiche dei me/zi
sporto inventati dall'uomo, troviamo ch'essi erano
;sai primitivi e semplici. Pi
mire serviva» carri a 'lue ruote trascinati dal ca-
vallo o dal bue per strade disastrose, e sul!
Un j, incavato in un tron nato
.nule connesse strettamente insieme. La len-
tezza .li tali veicoli appare ano i
froni ■ elli, che. lari d ai-
tamente traini rivati ai tri
nati sulle - ielle viscere « li
•i rra - siamo giunti
msatlantici, i fi rmidabili mostri del mare, i di-
tello spazii . Col te noi abbiamo
i mondi danzanti nell
nei lontanissimi
astri :enti le mal no colà a mi-
di chilometri da noi ; i
mo visto in una goccia d:acqua un nuovo mondo
fremi misurian |
turbinami sopra 1 este, ma non coni
plori
polari si inai ano, i
mare, \ < rch ■ firn
\ [gore pel nostro
lanciata la n i ila attra-
ani, eli ma .1 1
.-11 un cilindro 'li cera,
Iver alla fu. mia ili Da*, idi . la foto-
grafia istantanea alla pittura, le mai
rotative ai geroglifici, ma quanto a lan-
ciarci a vi li 1 li i)' i siamo ancora
all'inizio 'li un sogno.
che ne! mistero del volo più -
strano, è il rimanere librati nell'alti
za alcun colpo d'a rva nelle
rondini e nell'ari
lestico, la cicogna.
n 19 minuti
40 giri a vi 0 di un pri-
■ di Ma lu |t
tt/ze vertiginose, trapassano in linea re1'
la un punto all'altro dell
gli uccelli furono sempre il sogno dei poeti
e dei pensatori agitati dalla passione tormentosa
della rapidità e dell'infinito e ogni letteratura ci
ha tramandato le melanconiche strofe del loro
ne però miai-
mente anche il giorno
del lavoro per la con- --
ilei le ali negate
all'uomo e mai forse co-
me ai nostri giorni la
lotta 0 mtro la natura fu
più ardimentosa. Il Co-
ordinatore dei-
Esposizione mondiale di Sant Louis un mi-
li premio pel migli' r apparecchio per
A Parigi si è stabilito un altro premio; a Londra
si è formato un Aereo-club; in Italia 200 capita-
- no associati per tentare a colpi di mi-
gliaia e migliaia di lire la conquista dell'aria : un
ministro della guerra ria stanziato la somma favo-
losa ili 900.000 march' pel costruttore .li un appa-
recchio aereo capace di percorrere due volte in un
_ rno la via da Berlino a Potsdam.
E' la vecchia storia di Dedalo che passa il mare
a volo, agitando ai venti le ali di cera;
troppo la vecchia storia si rifletè spesso, ma non
si avvera mai. Dall'antico carro a due ruote len-
La Lettura.
<fs
no a questo riguardo
eira insi luti.
Primi . perchè questi
uccelli a differenza
altri 51 quasi tuf-
farsi nell'aria.
1 ssi pi «si ino per
tanti minuti rimai"
brati per un lunghi
tratto dati:
ilpi d'ala.
■ •1 quale gli uccelli pi ssono restar-
t ielle altezze del cielo colle penne, im-
bili è ancora un mistero, tanti più che iinge-
29
I A I
>li un api aro chi< i i
-•"ii ; Mi. non i
immobile nell'aria più ili due >> tr.
di. Più tanli il | * t W ii i tentò
\.itni da i una macchina della forza ili
>:nn> i condor dell' Vmei ica ( us-
ila un piccolo rii i rsene sul suolo
Di ve dunque si naso nde il secreti i
. ( ìalilei, ( ìiusto ili I .iebig i
che se si vu< ; ere i problemi della natura
ire una \ia troppo complicata, per-
rdu i'i" sano su principi sempii-
mi.
- Ra Ihi ig l uccello pi l rebl <■ li
brarsi immobile nell'ai a perchè le due ali di
ni" luna più i M altra, nel mentre i
uffa nell aj la scia scivolare in s< n
i derebbe che le ali sono invece pi
(ine ili produrre un'elei a
della prolungata immobilità nell'alto dipenda
msi ■.
i f 01 ii" ila dell'ani >ca tei ria. I.
prodotta dal colpi i delle ali
<_ dalla ci ne dell'ai ia che so
\ rasi ill'uccello, o sicché questo
viene sospinto nell'alto. Ma, sec ndo una re-
il colpo d'ala e 11- ali stesse non
pen ibili 'i volo dei gri issi
L'impulsi verrebbe dato anzi orizzi «talmente
e il principio del volo consisterebbe nell'u-
del piano lungo il quale corre la
traettoria del movimento; e la sospensione dell'uc-
cello sarebbe qualche cosa ili automatico comi
sospensione ili una nave sulla suj erficie delle a [ui
Si è infatti vi a un ì elio morto nel volo,
che sopra una traettoria ili 20 metri si avveri
tanto il piccolo ibbassamento 'li \uì metro. Cosi
un 1 le si iru\ ì all'altezza 'li un chili >n
dal suolo può percorrere circa 20 chilometri di
enza alcun impulso d'ala e pei - lo effetto
gono tutto il corpo '1 cui asse è sup< riore alla linea
,1 producendo così un nim in iale.
S [uarta la linea b rappresenta l
Fig. 3.
■ 1 gravitazione ori ma che tocchi terra.
Neil 1 e seconda la lini fiata
a rappresenta la degli arti anteriori di
del voli Nella seconda
otto di questa linea e
1 me pi
le ali sos
zione delle prime penne mai è al disopra
della primitiva linea </. L'uccello si trova cosi in
di riposo, pi ggia si pra le pn >] -
è evidente che non può percorrere lo spazio
si mplice 1 ffetto della pi avitazione.
Nella figura ter/a l'inclinazione delle ali
cor più pronunciata che nella prima figura. 1
quale l'uccello si dà un impulso che viene ad au-
mentan la forza della sua gravitazione vertii
Secondo la nuova teoria il colpo d'ali non è
quindi alno che una forza ausiliaria, indispensa-
I solo in eerti movimenti verticali, mentre se-
condo le ipotesi antiche esso costituiva il principio
unico ed imnulsivn del volo. Perciò seconi
tesi N » sP r/i 1 del Tu
sareb leggero, servendo piuttosto alle mo;
diffrazioni «iella traettoria da percorrere e ciò s
eherebbe pure perchi alcuni uccelli sappiano
ersi per uno spazio sterminato sei
\i 1 1 iggiandi si a 1 ale teoi ia uni stui i
il sif 0 Korl. d'Amburgo, costruì un
posi; perfettamente imitato dagli
celli produceva abbastanza fedelmente lo
ma di wn volatile di lunga corsa eolle grandi
penne maestre e timonieri-. L'esperii lo
Ilaria impi ;li un leg|
n rhe il suo appi
a terra, eseguì un mo\ imenti
lai iva □ -.ti lungo, andando a radi
;iiù lontano quanto più alto era il punto dal quale
1 1 mezzi 1 poi di un filo tendil
DALLE RIVIS I I
p]
si poteva variare la posizione delle penne rispi
all'asse principale, ottenendosi così anche un leg-
gei movimento di ascesa, di rotazione o di curve
speciali a piacimento.
Il grande principio del volo sarebbe dunque il
Fig. 5-
medesimo che già conobbero Dedalo e Leonardo da
\ nei. principio confermato dagli esperimenti di
Maxim, Ader, Kress, Lilienthal ed altri, alcuni d
quali riuscirono ad eseguire delle lente discese da
cole altezze, principio che si può riassumere in
grandi fatti: la gravitazione naturale dell'uc
cello, e la posizione orizzontale delle ali. Venga
presto il giorno che anche il volo dell'uomo 1 1
la sua soluzione.
ha decorazione dell'uovo
presso i varì popoli
(Dalla Die Gartenlattbe).
Le festività pasquali simboleggiano pure il ri-
sveglio della natura dal letargo iriste dell
E' una forza immensa, latenti fieli» «scei della
i, chi si divincola dal sonno e sorge animatrice
di una nuova vita.
E l'uovo, che è appunto il germe di uno
che anela alla luce, è pure il sii
priato all'inizio della primavera. Così presso gli
chi romani esse, aveva una gran pane nella
rina primaverile ed anche oggi in Germania l'u
gna è legato ad una delle più care e gen-
tili tinzii ni del mondo delle culle.
La festività pasquale richiama poi un ti
e una fioritura di uova di tutte le grossezze e di
materie pi : i, di zucchero, di cii • lata,
i larzapane, superbamente di o rate con pa
lavoro di i ilievi.
L'interno poi serve benissimo per racchiudervi
pio oli confetti o piceni! doni.
Nella Germania meridionale le uova pasquali
vi ngi m avvolte da un:, reri herina rossa o
gialla. I copti, che si gloriano di avere una
se più antiche fra le cristiane, hanno una cura
!•'-
LA 1 ! Ili 1A
nani
ha dinanzi
all'altare a sei laminili- d'argento -
ina da un uovo. 1
si ni i un
colo ili commercio assai lucroso; il nr-m r-
struzzi aJ < roduce una j;raii quantità, ma
essi arrivano pure in nun nsiderevi
3 le) Sudan.
■ 5-
Ielle ghirlande ili uova e conservano
l'uovo ili struzzi, come un amuleto che j • > > r i i feli-
ci he nelle mi schee ma si l rova
qualche uovo, |m r esempio, nel monumento
di Kart I ro.
F -. 6.
raccolta 'li qui ste ui iva è ronsi n
Museo d'arte a Detroit ; è ili color crema con
rine d'uomini e d'animali a color bianco e
ira 3). Possediamo un altro modello ili
■1 | «> con strana
l..\l. LE RIVISTE
gurine dell'alto Egitto, coprendo in-
vece le due estremità di lin e regolarmen
cinte (figura 4). Ma la perla della raccolta è un
a to del Sudan con detti tolti dal Corano (1
ra i - dinaria poi è la valentia dei G app
in queste decorazioni. Conserviamo un 1
di Emù. lo struzzo australiano, da essi
ra 5). in modo meravigl
:ina di donna 1 he agita il ventaglio, su
uno stendo panoramico veramente grandioso. E
ra d'arte di meravigliosa iattura. E'
puri un uovo dell'Africa del NTord, che
■ise varie figurine di idoli, di miti, 1<
midi, uno scarabeo, vari uccelli e la corona
llto e basso Egitto.
Anche l'America meridionale conosce la d
zinne dell'uovo : uno ne abbiami finamente miniato
nel quale siili. 1 sfondo di una grande pianura
valcano un uomo e una donna su un solo cavallo.
Ed ora sarchi.- desiderabile che anche i nostri
artisti sollevassero la decorazione delfuovo pasquale
alla perfezione di un'opera d'arte, creando così una
reniale sorgente di lucro.
Il caso
un'articolo di Maurizio Maeterlinck, nella Revue de
Paris, del 15 marzo .
L'n vecchio racconto serbo dice che una voil
rana due fratelli; uno era attivo e disgraziati.], l'al-
tro pigro e pieno di fortuna. Il primo incontrò 1111
3 rno una giovanetta che custodiva dei montoni
filando un filo d'oro. « A chi appartengono cotesti
montoni"-' — A colui a! quale appartengi ii - 1 ssa.
-Ea chi appartieni tu ? — A tuo fratelli .
la sua fortuna. — E la mia fortuna dov'è? — I
tano. — Posso trovarla?' — - Sì, se la cercherai- »
! egli la cercò, e una sera, sotto un albero, trovò
una povera vecchia addormentata. Era la fortuna
di lui. « — E chi mi ha dato una cosi miserabile
fortuna? — 11 Destino. — Posso io trovare il De-
stino? — Eorse, a furia di cercarlo ». Ed eccolo in
1 del Destino, finché non lo trova ini
Destino vive nel lusso d'un immenso palazzo, ma
le sue ricchezze diminuiscono da un giorno all'al-
tro. Egli spiega che passa così, alternativamente,
dalla miseria all'opulenza, e che la situazione in
cui si trova a un certo momento, determina i.
t'ire ili tutti i bambini che nascono allora. « Vi :
siete venuto al mondo», soggiunge al da-
ziato, «quando la mia fortuna decresceva:
quindi tutte le vostre disgrazie ». E gli Ci nsiglia,
per scongiurare o ingannare la mala sorte, li
to la protezione di sua nipote Militza. che
è nata durante il periodo propizio. Per fai
basterà che egli prenda ci n 1 Militza e che
risponda. .1 chiunque lo interroghi, che tutto quan-
to possiede appartiene a lei. Seguendo qui -
siglio, la sorte del disgraziato cambia infatti radi-
calmente: i suoi armenti ingrassano e si moltipli-
cano, i suoi alberi si piegan' sotto il p
ie sue terre si coprono di messi | 1 Ma una
453
ntempla un suo magnifico campi
di grano, uno straniero gli chiede a chi appi
ih- spigh. 1 1 • se. Egli din
l'ammonimento, e risponde: « A me ». Tosto il
fuco ■ mincia a distrug
Ulora ramn li con
straniero e gli grida: .1 Mi soni
nato; non ho detto la verità I rmati, torna: qui
Sto .ni.)" ma di mia nipote Militza ».
E a parole il I jn pighe
spuntano un'altra volta.
In questa antica lej Maurizio Mai
la prova che il misteriosi, probi.
lo stesso, dal primo giorno che l'uomo co-
minci.', a interrogarlo: la nostra ignoranza e rima-
di in i ha i suoi pensieri e
Li sua volontà coi quali si guida nel mare della
vita ; ma in questo mare il caso regna solo sovi
sui flutti, fra nostri atti chi- abbia-
previsti, intorni ai tatti che determiniamo, si
stringe e circola la paurosa moltitudine dei
inopinati e in agguato. L'aria che respiriamo, 1.
'I tempo che . . I
siamo, sono popolati di ciro stanze che ci aspettane
al vai ra la folla. Pan
si, sti ane e del i aso sap] iano quel che fanno i
contro chi del I Se due uomini seguono
alla - li stessi cammino, all'arrivo di uno
- ili. rano le vergini bianche con le palme, le an
t re e mille doni : all'avvicinarsi dell'altro, le « '
tive Femminei che Eschilo ha dipinte, sorgono e
furi samente.
Tutti noi abbiami - ne o Im
zie . di disgrazie impreparate ed immeritati
affari, nel lavi i re, nella salute. Il i
tor Fri issac in un curioso libro sul Caso e il /'
>tin< numera infiniti i esempi dell'iniquità
lamentale. lita, ostinata, inesplicabile,
lucibile, eh i la maggior parte delle e-
5on H tevoli, fra gli altri, quello
mirevole Vauvenargues, il più >t rtunato tra i mag-
giori savii. il gran filosi fi che, nonsta il ni. .
1:. belli Zi bravura, rotto e
dalle malattie, precipita di gii rno in _ una
delusione immeritata in una ingiustizia gratuita
muore a 32 anni. noli, stessi momento in u l'i
pera sua stava p.er essere appi. zzai. 1 ; l'altro di 1
surques. nella cui StOl mille Ci
denze. che sembrano guidate dall'inferno, .011.01.
a portare un innocente al patibolo; e quello
1 Aiman 1 di Rane ni' di 1
Parlamento di Parigi, il p degli 1
il quale, ingiustan to del sui
vede la figlia morir,- sul letame, il tiglio
la vita tra le mani del carnefice, la mogli
rita dalla folg
I glia, vi mu, re di cri ,
imbrano 1 1 degli At ri. li e
. ma nella storia
la fatalità accanir erte famiglie:
lignv. gli Stuart. 1 une innoc
come la tìgli;. I \ ■ Inghilterra, I
Bori ' • useppe 1 1 e Mari:. \ 1 N'ei
|.. | LA LETTURA
duelli, ni mpeste, in tutti i
chi del e
ii. ■ di l'in •
in 40 anni di - ilitare, in ^o comi'
pre al pi -. non fu
•.. «lai ferro 1 1 1 lai piombo ; mentre
lo Oudinot fu tV-rito 35 volte <■ il
ogni volta da una palla. Che
1 straordinaria fortuna dei Lauzun,
■ - ield, della 1 ostanti
delitto dei Siila, - Mario, dei Dionigi?
fortune e queste disgrazie inaudite
11 in gran parte da cause fisiche e morali.
In Vauvenargues, per esempio, la timidezza, l'irre-
soluzione o ] una produssero ef-
me in Maria An
i disastri. Ma. tana una lai
^ima parte alle causi grandi e piccole, in queste
nte ripetute, in qui
indissolubili di casi propizi ei I avversi, rest 1 una
rtsiderevole, spesso capitale, talvolta e-
sclusiva, che non si può attribuire ad altro se non
all'impenetrabile ma in ibile volontà duna
reale, chiamata * '
dita, Destino. Vena. Disdetta, buona 0 cattiva
la, Ala dell'Ange! . Ala dell'Angelo
Il problema del caso non riguarda soltanto l'uo-
mo, ma anche i suoi (rateili nella vita animale. Gli
animali, e particolarmente quelli domestici, hanno
anch'essi una specie di destino, conoscono anch'essi
la felicità gratuita e prolungata e la disgrazia l'or-
si inata. < !< me gli ui mini poveri 1 ricchi
mei vi -0110 i cavalli delle cari
da nolo che p ani mimi, e
|uelli da Corsa che muoiono «li vecchiaia ned' scu-
Nelle 1 una razza di cani
sui quali il destino esai -no furore e il suo
1 mperati da un macellaio, conducono una
vita magnifica; cadmi in mano d'un vecchio .he
race, glie i rifiuti delle case, o da un mercante di
sabbia. 0 da un povero contadino, ne condu 1
una infernale. I che si ammettano 1, | orine
1 uddistiche, secondo le quali mesti destini dei Imiti
sarebbero il premio 0 il d una vita anteri
restano inesplicabili. A proposito di queste in-
giustizie, noi non interroghiamo le potenz
. ma nondimeno ciò che accade agli anin
non è forse altro che l'immagine ingenuamente sem-
plificata di ciò che accade a noi.
1 munque sia. esistono uomini < «lì
ogni altr za. hanno la mano \ 0 di-
ta. Non invochiamo, pei ispiegare questi
fatti, le leggi illimitate dell'universo, i disegni della
l, la volontà ilei mondi, la giustizia delle I
! 1 ni -
inno qual.hc cosa di meglio la fare
non sia l'occuparsi del nostro formicaio umano.
ta di noi. della nostra vita, è in noi
la chiave
■
a volontà, uni ;is • 1 za
piti profonda, immersa da una parte in un gassato
al quale la storia n dall'altra in un av-
vi iure che i millenni non esauriranno. In questa
stra vita incosciente, enorme, ini
rabile e divina, è la spiegazione dei nostri casi prò
pi/i od avversi. Si trova in noi un e-
nostro vero io, il ir - n primogenito, illimil
universale, e probabilmente ile. Esso
una vita tutta sua. affrancalo dal Tempo e dallo
. K- ''ne formidabili muraglie tra le quali la
1.1 ragione etta a scorrere sotto pena ili
smarrirsi. Ter lui non c'è ne lontananza ne vici-
nanza, n.' p.iss.c,, riè avvenire. La nostra intelli-
genza, la quale non e altro che una specie di
-l i' si enza su qui : 1 1 interiore, lo coni
imperfettamente; ma lo ha sempre ammesso
diversi numi: istinto, anima, incosciente, si:'
sciente, intuito, presentimeli: Gli si attribui-
.1 produzione di quella forza indeterminata e
prodig osa die e pn labilmente lo -■
fluido vitale. Verosimilmente esso è della stess.' na-
tura presse tutti gli uomini: ma in alcuni e tanto
profondamente sepolto che non si occupa o'altro
se non delle funzioni tìsiche: in altri spunta conti-
nuamente alla superficie della vita esterna e
sciente, e continuamente interviene, prevede.
verte, decide e si mesci la alla maggior parti-
fatti essenziali dell'esistenza
Ora ecco ciò che probabilmente accade nella
buona o nella cattiva sorte. Un evento pr
funesto, prodotto dalle grandi leggi eteri;
stilla nostra strada, immillile, fatale. Ksso non si
occupa di n .f. non ci coni sce neppure; non ha al-
tra ragione d'essere che in se e per sé. Siam.
stessi quelli che ci avviciniamo a lui e che. arrivati
nata delia sua influenza, dobbiamo fuggirlo
0 affrontarlo, girarlo 1 traversarlo. Supponi;
l'evento sia nefasto: un naufragio, un ini
do. la folgore, la malattia, l'accidente, la morte.
1 otta, invisibile, cieco, indifferente perfi
inalterabile, ma ancora in potenza. Esiste, tutto tr-
ina solo nell'avvenire: per noi. che abbiamo
sensi fatti in modo da percepire le cose succi -sma-
niente, nel tempo, è ancora come se non fosse l're-
cisiarm ano ra miglio: supponiamo che si tratti di
un naufragio. La nave ''he deve perire non è ano ra
uscita dal 1 "rio. !;i tempesta che deve scatenarsi son-
necchia nel tond. del ciel... N'ormalmente. se nulla
fi sse 5i ritti . se la catastrofe non dovesse avvenire,
cinquanta ri. venuti da cinque o sei di-
versi paesi, si sarebbero imbarcati ; ma. poiché la
nave è segnata dal destino, si opera una mistei
selezione tra i viaggiatori che avrebbero dovuto
partire li -, imo. •• forse, sopra cinquanta,
solo venti partono realmente, forse ancora tutti i
cinquanta che dovevano imbarcarsi restano a C
e vanno via invece venti o Tenta altri nei quali
voce del destino non ha parlato. Xelle grandi e
il numero delle vittime i- ordinariamente in-
de avrebbe dovuto essere: due
si urtano, un convoglio che cade in un
precipizio, trasportano meno viaggiatori che non
DALLE RIVISTE
ne trasportano quelli ai quali nulla 'li sinistro ac-
, Un pi nte cade quando la lolla lo ha -_
brato. Una polveriera salta, una caldaia -coppia
[uando la maggior parte delle persone e!
1 ero fatalmente perite se ne sono allontanate. La
cosa è tanto manifesta, che è diventata una specii
di luogo comune dei reporters: i giornali sono pieni
di frasi di questo genere: « Una catastrofe, che
avrebbe potuto produrre conseguenze spaventevoli,
grazie a questa o a quest'altra circostanza, si è for-
tunatamente ridotta a... ».
E' clemenza del caso? Xon si può attribuire al
usi una personalità, una intelligenza e delle inten-
zioni. E' più naturale supporre che un istinto, negli
uomini, ha fiutato il pericolo: un istinti scuro,
ma sicurissimo in molti. 11 sordo e segreti» panico
dell'incosciente si traduce con una velleità, con un
capriccio, con un incidente spesso puerili e ino .ti-
nti, ma irresistibili e salutari. Poco importa il
modo in cui l'incosciente previene il male. Fra i
venti o trenta viaggiatori avvertiti, due o tre sol-
tanto hanno avuto un vero presentimento; gli altri
non hanno dubitato di niente, hanno anzi male
detto i ritardi e le contrarietà inesplicabili, hanno
fatto quanto hanno potuto per partire, ma non
sono arrivati a tempo. Alcuni sono caduti amma-
lati, altri hanno sbagliato strada, altri hanno mu-
idea, altri ancora sono incappati in un'avven-
tura insignificante, in una lite, in un amore.
Quelli invece che sono arrivati fedelmente al con
vogno fatale, appartengono alla tribù sfortun;
Essi formano una razza infelice nella nostra razza:
gli altri fuggono, ed essi restano; gli altri s'allon-
tanano, ed essi si avvicinano. Prendono il treno cllfc
uscirà dalle rotaie, passano sotto la torre nel m
mento che precipita, entrano nella casa dove il
fuoco cova. E, reciprocamente, se si tratta di casi
felici, quando gli altri accorrono, attirati dalla voce
dello forze benefiche, essi non l'odono Certamente,
i -toro hanno di che accusare il destino; ma non
nel senso che essi intendono. Hanno il solo diritto
• li chiedergli perchè non ha messi dentro di loro
quel vigile avvisatore che protegge i loro fratelli.
Ma. del resto, non è vero che l'universo sia ad essi
ostile o che le calamità li perseguitino: al contra-
rio: essi medesimi vanno incontro a quelle.
Se la parte del caso è grande, ni n I - gna tra-
scurare quella della fiducia, della confidenza. La
confidenza, presentendo la buona riuscita degli atti
e delle imprese, si sforza di conseguirla, metti in
opera tutte quelle arti che la titubanza e il dui
ignorano, e nasconde quelle involontario' debolezze
di cui l'istinto dell'avversario approfitta.
Comunque, vi sono innegabilmente uomini
quali nulla riesce, e la cui cattiva stella è cosi fu-
nestamente potente da portare al d I I tutto
quanto cade nella sfera della sua perniciosa influen-
za. Come bisogna comportarsi con tali sciagurati?
Bisognerà fuggirli senza scrupoli, secondo i con-
sigli del dottor Froissac? Sì, certo, se le loro
ture dipendono dal lori spirito imprudente, ri-
455
coni usionario, offuscai
pistico. La disdetta è una malattia contagiosa chi
spesso si propaga dall'incosciente d'un uomo .1
Ilo d'un altro. Ma. trattandosi di disgrazie real-
ite immeritate che colpiscono le persone a
. la fuga è ingiusta e vergognosa. In sali 1
la parte 11 del nostro essere ha il dovere di
tener te.-:. 1 alla saggezza dell ente, di -tei1
gli avvertimenti e di trascinai!' ad una rovina ol>-
e la vittoria di un ideale.
(>ra resta da sapere se l'incosciente è immutabile
perfettibile. Osservando l'ostinatezza del destino
• li tanti uomini, i quali sono 0 sempre fortunati 0
sempre disgraziati, parrebbe che ciascuno di noi si
ne forma uno invariabile; ma si vedono pure ci
repentini mutamenti, certi voltafaccia, i quali ci
fanno dire che il destino ,'• cambiato. E' un muta
mento del destino, o un'evoluzione dell'incosciente?
\,n ha esso acquistato qualche esperienza, e un
raggio d'intelligenza 0 un lampi di volontà non
hanno rischiala'" [e sue tenebri ? Ni 11 è esso user..
dalla sua apatia troppo confidente e dal suo sonno
pericoloso? Non ha imparato a prendere qualche
parte alla vita esterna, ad esercitarvi una qualche
ne? Ad ogni modo, la stessa ipotesi dell'inco-
sciente non basta a spiegare tutte le ingiustizie del
caso. Le tre più grandi, le tre maggiori disgrazii
che possono colpire un uomo, lo colpiscono duo;
nario prima ancora che nasca: la povertà assoluta.
la malattia e l'inferiorità intellettuale. Ma si
-te tre sacerdotesse dell'iniquità sembrano proci
'Ino in modo misterioso nella scelta delle loro vii
time, la sor-ente dei tre mali «he infliggi in ' me-
ni misteriosa che non sembri. Non è necessario
farla risalire a una voli ntà prestai ilita, a leggi la-
tali, ostili, eterne e impenetrabili. 11 primo di que-
sti tre mali, la povertà, è ''"sa tutta umana. 1
ignoriamo perchè uno nasce ricco e l'altro povero,
sappiamo bene in virtù di quali ingiustizie umane
vi ì troppa miseria da una pane e troppa opulen
dall'altra. C'.li altri <\uc. la malattia e l'ottusità mi n
tale, quando se ne sottrarrà ciò che debbono alla
miseria •• alle colpe anteriori dei genitori, le quali
non avevano nulla d'inevitabile, lasceranno un re-
siduo di ingiustizie ostinate e inesplicabili, ma que-
sto residuo di mistero entra nel cavo della mani
Idi si fo, il quale potrà esaminarlo a suo agii Pi
il momento, la saggezza o nsiste nel non circondare
la nostra vita di maledizioni e di nemici immaj
narii e nel non oscurarla senza sufficienti certezze.
Quanto alla parte del caso negli avvenimenti di
tutti i giorni, ammettiamo che la fortuna nostra —
la piale non è da confondere con la vera feli ita,
indipendente da o — dipenda dal nostro es-
ine sciente. Questa 1 1 sa è più verosimile che
non invocare l'intervento dell e 1 unta, delle
e dello spirito dell'univi"-" nelle nostre piccole av-
are, e rieso a hi p tevi ile a noi. Fi
il carattere del n. ■ più difficili
ire che non sia diffìcile ni' dilìeare il corso di
Marte o di Venere; ma la o -1 sembra meno
merica, 1 uè probabilità
retto dovere prefi rir quella che !
LA II [TURA
I'"
i I sfortunar fi
in
bbe m
d'un caso inu
Finché l'intima alterezza
tà di continuare la li
he ci ei dove tn
ircondati da F<
re, ma qui i i ui abbiali iìù di-
i ., i m
altre non ci u se non per i rap
che hanno con mella. L'abbiamo chiara
i- mi i i iuscii i a si u
diaria più <la vicino, a con re le sue abilità <
preferenze, le sue antipatie, le sue sviste,
i ghii e i denti di I mi >tro < lu-
ci perseguita col nome ili ("asci, di Fortuna, di Di
stino. Percorriamo adunque, senza stancarsi, tutte
le vie chi con ono i ra ienza ali i ni
stra incoscienza. Arriveremo cosi a tracciare una
e ili sentiero ira ciò che si vede e ciò che ni n
Dio, ira l'individui ■ e 1 un
. In Fondo a queste strade si nasconde il se
della vita. Aspettando, ammettiamo l'ipi
la nostra propria vita in qui
univi rsali la quale ha bisogni > ili noi per ri-
solvere i sui ii enimmi, poiché ni ri siami - i |ui :. I i nei
quali i suni secreti finiscono ili cristallizzarsi più
rapidamente e limpidamente.
«m». ■
L'istmo di Panama
e il eanale inte.oeeanieo
Dal Le Tour ttn Monde .
Il viaj che pi rei n re la ferrovia inti
nica dall \ Pi fico attraversi i l'istmi
Panama ha la i isii ni grani li e di >1> in sa della i
dell'ui i ontro la natura.
I mrisii hanni la convinzione che n
colà equivale ad assistere alla disfatta dell'ard
e prima ano ra 'li giungen i intravvi
dono i cantieri abb e iti. Hauti, le gru i li
li o imi itive i ivi rsati nel Fi ndi > dell'immi i
i a una fi iresta ili liane ■
i ne unn
di giuria e 'li miliardi. K 1" -
cresce vedendo sorgeri sull'orizzonti.- la mas
ite della Culel t- arici
quale si si mo fi ai
nuora indi i mi una
i un ironia.
Ma la n a Ita si pn ;eni n I» n diversamente. I
monti lati ultiniamente il
vori i- ne ha ricavata una ini| u ramlezza
e ili 'hi- qui ripn duciai
i irrivai a Colon, egli dice, piena la niente di
preconi
« ( 'l'Imi ha si il" ' |ualche secolo i i Uenza : il cli-
ma vi è menu malsano che nel resti della
I i >v;i divenne di eonsep za la
favorita ! la voi atori. I .a pio ola cittadin
un'agglomerazione i di legno, ili stabilir™
■ i. di vecchi edifici abb i ma ha
dinanzi a se un mei venire di pn ispi
ed è di divei ! el canale
ima delle città pin prosperose e ricche del mi n
\ Fa capo dal 1885 una ferrovia che costò ai 1
struttori la cifra Favolosa di 500.000 lire per chilo-
mi ro attraverso Foresti e torrenti per un ci una u-
mido e malsani che in) oli n inaie di \ ite.
11 Ma la strada Ferrata interoceanica di un»
diatamente una delle più produttive del mondo
si anche accaparrato il monopolio dei trasporti
per una zi na di 300 chilometri di larghezza <<1 ora
è 'li 1 ropriel 1 della Ci mpagnia ili Panama chi
acquistò il o,s o o delle azii mi.
« Per me tutto era nuovo. Lungo la via percorsa.
m mi n se stazii mi abl iam li nate segnai ibita
/imi vacillanti e malsane dei lavi rati ri che '[ti
erano convenuti da ogni parti del mondo: ora tutto
di rti fino alla ( uK lira, dove sotto la
ratura asfissianti di 35 1 ; I attaglia
titani' la terra. Tutti i popoli del mondo vi
hann< rappresentanti e vittime e nei numei
selli disseminati sul tracciato del canali- gli indi-
geni son nfusi cogli spagnuoli. cogli africani,
ci i cinesi che a] 1 gram li 01 hi pi nsi si al
saggi' del ni stro treno. Quando il taglio sarà com-
pito, la razza fianca - issiderà dominatrice su
li mb 'li terra, e ricaccerà nelle loro tane le
Etat
comparata
PROFIL DU CANAL TNTEROCEAN1QUE
EN JUIN 1901
VERSANT DE
ATLANTIQU E
Ib.l^
**£ *
:
/; \ J, VCRSANT DE L'OCéAN
- 2
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Spedizione franca di porto nel Regno - Inviare richieste accompagnate
da vaglia o cartolina vaglia agli Editori
li. li EMPO li AD & Figlio - Firenze.
HALLE RIYI> I E
a 1 1 re razze che con lei sul lavoro hanno pianti
rto!
(i A Panama, come, de] resto, in tutto l'istmo, nes-
suno può arrischiarsi a battere la campagna fi
e vie e dei sentieri battuti.
« Nella grande pianura l'acqua stagna fra
alta e dura in cui mormora il ronzìo di una .
micidiale inoculatrice della febbre giall
spessi sibilano i serpenti velenosi dell'Equatore.
« Unico passeggili della città è il gran pan,
dell'ospedale francese, dove nei calmi tram n
recavi durante il mio soggiorno a godere un'i ra
di pace e di frescura. E' un delizioso giardino che
sorge sul pendìo di un celle •■ demina dall'alti -
I '7
disastro del fallimenti i e le spi rana che i i a si u
i li no allupi : i, ii!. inde dall'alto i li
Culebra si volge l'occhio all'immensa dis
I ..uni. ai cani ii i i in attn ita, sulle o >li ss. ih , i ina ■
sui cui immensi gradini si agitano in ridda pa
i spai enti « i li mai hini a \ ipore, non si può
' !i \ i i " di -angue pel miliari!' i chi
su ' [uella e sprofondato come in una
>.i ragine, e di pian i sventure della Francia
e sulle se '"li son cadute o i piccone
in inane, divorate quasi dalla vendetta della terra
H II pn igi tti del aglio dell istmi ■ risale al i
in cui Bolivar, creata l'indipendenza della sua pa
t ria. ebbe pel primo l'idea grandiosa Da allora i
un gran cielo turchino la città, i treni rotanti sulla
i linea ferroviaria e le isi letti smarrite ni I golfo
azzurrognolo. La vegetazione vi è meravigliosa:
grandi palmizi sorgenti dai rugiadosi par',
• 'reggiano le lunghe corsie di leg dei
ori e della morte, alle cui finesti
ipare rapidamente la bianca figura del
sui re francesi, le suore che noti mancano mai in
nessun campo di battaglia. E i gni -era. quando io
mi assidevo sotto una gran [ialina nel mi
misten del tramonto, un e veniva a chie
mi notizie della sua Francia e nei grandi occh
zurri e buoni era l'amore della patria lontana che
non si era spenti sul teatri di tante
umane.
" Prima di visitare i cantieri della Culebra. io
potei studiare la sti ria del canale lino al 18S7. il
progetti più ai
Wyse e Reclus pri il loro pi li ca
naie a livello, affid; 1 Ferdinando di Li
in cui si aveva una fiducia illimitata pel buon
sito del taglin dell'istmo di Sin/. I! canal
\ 1 \ ;i .e . re 73 etri di lunghe// 1 1 la 1 lai
dell'apertura, da celebrarsi con
diali, era fissata pel ,}i gennaio 1893. Tutti s
.ano il trionfo quando una bancarotta, chi 1
nti se vergi gne dell'irmi
lità latina, sconvol gra e l'indi
un miliari
44_5 milioni ei 5Ì nei lavori: il
sto era scomparso '.
Qualche anno più tardi, nel 1890. una nui va &
■ itin ci il niudest, , capita '
65 11 'ni essa l.i'. 1 1 a [uat-
,3S
LA LETTURA
tremila operai, ed nel giugno del
iooi quasi alla metà dell'immane Lnuri. . Con un
, dovette abl
i . mal d unici livello, che imj
i una cifra 'li miliardi e dovette adottare con
: li retto ili canale
.1 chiuse '"un vari livelli. Per questo nuovo 'li-'
. prò! demi :
« I. — Procurarsi un approvigionamento con-
siderevole d'acqua utilizzando le i > del Rio
1 1 Sun li. in- la natura del terreno inf
l Culebi urai e il monte non
franato dopo la a struzione <li una trincea
"la 70 metri :
.1 111. Paralizzare gli effetti micidiali del
clima.
« Quanto al primo problema, gli studi sul Rio
Chagres mostraroni che le cascate normali del fiu-
me e la sua portata media bastano ad alimentare
un gran lago ili riserva per l'innalzamento ili li-
vello delle acque ed a fornire forza elettrica suf£
r la manovra delle rhiuse e per l'illumina-
notl urna.
« Quanto ai pericoli 'li franamenti, gli scandagli
praticati nella Culebra hanno scoperto una roccia
durissima che permette una trincea profondissima
., nza so -'■■ ni
« Finalmente riguardo al ter/o problema della
. che implicava una grave questione uma-
nitaria, la nuova Società rinunciò ad impiegare i
negri e i cinesi che avevano mostrato poca resisten-
1 clima micidiale dell'istmo e chiamò ai lavori
gli abitanti della I cui offerse un salario
i.ilien 1 'he varia da 5 a 7 lire.
1 La nuova Coni] ignia ha mostrato che il ta-
llii 1 istmo non è un'utopia neppure con capitali
limitati. Essa, infatti, ideò un progetto con tre li-
velli differenti. Aperto finalmente il canale, gli in-
troiti permetteranno di ridurre i livelli prima a
e poi ad uno solo. Allora scompariranno le eh
e le navi sospinte dalle eliche passeranno fra i due
oceani come ora passano a Suez. Gli studi compiti
hanno dimostrato che la spesa per l'immediata
struzione di un canale ad un unico livello ol
passa i due miliardi e mezzo, cifra che supet
risorse finanziarie di una sola nazione, mentre col
sistema dei vari livelli non costerà che 800 milioni
e sarà o mpiuta in sei anni.
« Sventuratamente fra un anno la Compagnia
avrà esaurito tutti i suoi capitali e i picconi ca-
dranno a terra per sempre, attendendo che t
all'ultimo momento un'altra Società speculati
comperi per pochi milioni ciò che ormai ha ingoi
un miliardo. Eppure, anche dato il disastro o
sale della prima impresa, noi ci inchiniamo rive-
renti all'ardimento latino che primo ebbe il sogno
gigante dell'opera meravigli' sa che sarà fra le più
vaste e profonde rivoluzioni economiche nel mer-
cato mondiale ».
ria si .1
DALLE RIVI
}."' »
Bolle di sapone e bolle d'aria
Da un articolo del Pearson's Magazine .
Una cannuccia e una scodella di spuma di sa-
pone hanno divertito innumerevoli generazioni di
Eanciulli. Vedere la sottile membrana di una I
i atamente espandersi e splendere di colori iride-
scenti e divenir grande abbastanza da poter essere
lanciata in aria come un fragilissimo pallone, è,
,,1 i sempre stato, un raro piacere per tanti Fan
ciulli e tante fanciulle. Con ciò. per al-
tro, non va inteso che le bolle ili
siano tali cose da dover occupare soltanto
menti infantili, perchè molti scritti dot-
tissimi e per lo meno un libro son stati
compilati dagli scienziati sulle bolle di
sapone e sulle leggi che le regolano.
In questo articolo l'autore, col sussidio
di illustrazioni fotografiche, vuole mo-
strare quanta siano interessanti le bolle di
sapone e le bilie in generale.
Ad ottenere bolle abbastanza di
per vm attento studio
si richiede una buona
soluzione di sapone.
L'autore raccoman-
da questa: si sciolga
mezzo dramma di so-
da caustica in venti
nce d'acqua . aggiun-
gendo tre dramme
e mezzo di acido olei-
co (i); e dolio aver
asciato riposare il composto per
circa un giorno entro una botti-
glia ben chiusa, si aggiunga a
tre parti della soluzione una
di glicerina pura; si scuota
bene il tutto e si lasci ripo-
sare due giorni ancora, dopo di
che non rimane che da separare
il liquido puro dalla schiuma ri-
masta in alto. Questa soli
ne, che costa pochi soldi, ba-
sta per molte esperienze. La
glicerina conferisce grande e-
ità alla bolla, per modo
si può giungere a dimensioni sor-
premienti; con l'attenzione, la
pratica e la buona fortuna si ot-
tengono bolle di due piedi e più
in. Via via che la bolla
i la membrana, contenen-
do uni quantità costante di li-
quido, diventa sempre più sottile.
Lveva mezzo
pi Ilice di diametro, dilatandosi sino a rinchiudere
;; quadrati di superficie, cre-
sce ^.soo volte di superficie e quindi s'assottiglia
nanamente. Risultato di questa sottigliezza
<'• l'iridescenza: le bulle di sapone, ove n
bene, danno i magnifiche.
Inter- sperimenti si possono lare con un'a-
ia- anelli. Questi de-
vono essere di un li1
tondo e pulì i erchè altrimenti la boi
I e. 1'' S i dunque gli anelli l'uno sopra l'air
Bolle di sapone.
i L'oncia è pnri a k^. 0,031; la dramma è un ottavo
di oncia.
|i><> LA LI
■ allora pi
bolla farne u-
i di
a e al ili sol
u> ; oppure i"
te allontanare gli
aiu-lli . in modo
da ottenere una
i ima
tendente alla i
lindrìca ; e ali ri
tarlandoli ai
o ira, potn
dere la 1> 11.
in (lue.
La bolla e
sempi -•■ E' natu-
ralmente di torma sferica, in.-rcht
fi mia che permette ili raccoglieri.
il maggior contenuto entro ui
e quindi la membrana, assi)
- re l'a-
ria, con minore es] \ 'he le
porzioni che sporgoni fuori degli anel-
me si vede nella fig. 2. sono parti
<li sfere, 1 ;ù 1 ■ meni ricurve
• Iella pressione interna della bolla. Chi-
la bolla vi sia sempre pres
no dal fatto che soffiando en-
tri' la bolla ilei fumo e appendendola
ad un air punge li
la bolla resta ilis-.r-.nt a. e il fumo
lanciato lontano nell'aria attraverso l'a-
nello.
Altri che quanto più la b Ila grande.
'!< re diviene la 1 ressii ine. Questi
hiunque abbia gonfiato una p
'h foot-ball. I.a resistenza sulle primi dere
vnle. ma [mi. via via che la gonfia, ci \
|n linoni. Quindi una
im le.
la prima 1 e va ad allargare 1 .
I una ilei li- ;
Il pn r . < ' \ Boys ne parla diffusan
I gli in-
ni cilindri "Iella stessa lunghe/
l'altro allargato nel mezzo, veli-
si ottengono due cilindri a
lati paralleli. Ma se la lunghezza dei cilindri è più
di li- un-//:, la larghezza, alli ra. invece ili
compensarsi, il cilindro sottile nel mezzo divi
i piii sottile, e l'altro pi _
11 rollini dell arie, in fatto di bolle
me una entro un'altra. Sulle prime
diffii imi gni altia
. la pratica conduce alla perfezione !
si procede: si soffia tra gli anelli una bulla
di un diametro doppio, pn di quello
li anelli ; poi si allontanai
mi in modi 1 che la --urna una
ma quasi cilindrica. Indi si ri]
la cannuccia all'estremità superiore della
bolla, e se ne soffia dentro un'altra muo-
vendo 1 anello interiore in guisa che af-
ferri la bolla interna e le impe
re la parte superii re da qui
ma, allorché si rimuove la can-
nuccia.
Un'altra bella esperienza consiste nel
mandare una bolla su un anello ad ni
pirla di gas I ss: herà da s
tortuosamente, ;
re che una bolla si
sollevi in aria o cada sul pavimento in
linea retta.
Portando più oltre.
l'esperienza, si pi
re una bolla ordi-
naria . e. dentro que-
sta, una seconda a
ì, (~he trarrà ii.
anche la prima.
Tanto è rapido lo
- ■■ ppii ' della lx>lla .
he all'occhio non vien
fatto di avvertire
nino degli stadi inter-
nici li ; ma ni
ino valerci . a n
• li sapone,
DALLE RIVIS
, ^,
sussidio) della scintilla elet-
trica.
Pi ssiamo, per via di un
apparecchio che simultanea-
mente Fa so ppiare una bolla
e deriva una scintilla elet-
da un ! bottiglia ili Lev
da, ottenere su una lastra
l'ombra 'Iella bolla nell'atto
dello scop]
V'ha un'altra categoria di
bolle degne di attenzione;
bolle d'aria immesse in un
liquidi . Nel salire che fanno
alla supei : sembrano al-
l'i GChio sferiche e regolari ;
ma la fotografia c'insegna
che l'occhio s'inganna, come
si vede dalle illustrazioni
che riproduciamo. Si usa. per queste esperienze, un
recipiente a lati paralleli. Da una parte si :
una pellicola fotografica, dall'altra l'app
elettrico che deve somministrare la scintilla. I i
. d'aria si m immi sse dal ! ass . e illune-
mente si trae la scintilla, che. durando forse un
milionesimo di -remilo, rivela la vera forma della
bolla, la forma che l'occhio non riesce ad
ma che resta registrata dalla lastra. Di passala può
re interessante notare che i raggi duna n
che compie tremila giri al minu o, f
luce di una scintilla elettrica, danno un'imni
netta, come se fossero fenili.
Un'occhiata alle nostre illustrazioni mostra che
le belle immesse nell'acqua sono molto più irn ;
lari di forma che quelle immesse nella gliceri
li n'olio. La glicerina, particolarmente, favoi
ridi b Ile simmetriche, perchè, molto più vis
jiU
a, si mu ei indamente, per modo
che 1 forni on mag i Ieri l ha
tempi i umere forma
della « pelle 0 .lei liquide.
I i, Ha o pi Ile » di un liquido.
rari l'i ione 'lei lei:, re su
un s o, il quale dimostra che l'e-
lio di una massa liquida i reso, dal co itatto
dell'aria o di un altro liquido, più intenso delia
interna, pi r mi di chi un li [uidi \ ii ni ad es
entro una membrana
[UÌdi eSSO. Si non lesse questa
proprietà, sarebbe impossibile il costituirsi delle
: ila1'' ina.
Si prenda una reticella di
filo di rame, e la si fi ggi in
forma di un rozzo - ai ù
Si immi rga poi in cera di
paraffina liquida, i liminando
tutta la ci ra su] ei Bua e I ai
do in mi di die in ogni ma-
glia della rete vi sia un bi
iti basta [)er dare
passaggio ad une spillo.
Si pii nda pi i un recipiente
pii ai '1 aj qua i si ponga sul
l'acqua la reticella di filo di
rame. Orbene, la reticella re-
sterà a galla coree una bari a
sul mare, e l'acqua non pene-
: nel cavo del se accio seb-
bene vi siano ceni inaia di a-
perture.
Bolle d'aria.
Delle illustrazioni che diamo a pag. 450 le pri-
me tre rappresentano diverse fi rme di bolle di sa-
!'
12
LA LETI
che scoppia
fumo; la quarta, la 1 « »1 1 a -i si posa sul-
ppio della bolla ciliro li
g. 461 la prima e la terza figura sono ripro
duzioni di fi '•.'■ bolle il aria immerse nel-
ua a pressione normale e ad a j me :
nella 1 il liquido, invece dell'acqua, è la gli-
cerina.
Infine in questa pagina si vedono Foi
bolle indi, ed anche fotogra-
HALLE RIVIS I I
I eifehi del fluovo (florido
li,, un articolo di A. E. Sorel, nella Revue Biette, del
15 marze 'i.
« Oh, miserabili, mollo miserabili, veramente mi
serabili, signori, i nostri circhi d'Europa!... Par-
latemi eli quelli d'America!... » si legge nei Fra-
telli Zemganno di Edmondo de Goncourt. In Ame-
rica vi sono Circhi galleggianti sul Mississipi, ca-
paci ili contenere 6000 spettatori, con scuderii pei
100 cavalli, e tutto il resto in proporzioni . I n circo
americano è venuto ora a Parigi, quello di Barnum
, Bailey, e se non ha potuto galleggiare suda Si ri
na, perchè questo fiume europeo è troppo stretto,
si è piantato nell'immensa sala delle teste dell I.
sposizione. Non meno di tre piste, ciascuna del dia-
metro di 13 metri, nuotano in quello spazio, e da
im capo non si vede ciò che accade all'altro, e 1 ei
due ore e mezzo è una continua, interminabile sfi-
lata di cavalli, di elefanti, d'animali e d'uomini di
tutti i colori, al suono spietato d'una musica fra-
gori sa e triste, senza che mai. che quasi ma', si
provi una di quelle impressioni, di quelle soddisfa
zìi ni che procurano i « nostri miserabili circhi di
Europa ».
Entra un elefante muntalo da un clown: i! ca-
valiere salta a terra, gl'inservienti portano una ta-
vola cui la colazione della bestia, che mangia e
beve e suona cun la proboscide; più lontano,
nella pista centrale, gli occhi sono attirati da un
che obbedisce ai minimi gesti d'un domatore;
si vorrebbe stare attenti, ma già, più lontano an-
cora, un pallone si innalza e fa delle evoluzioni
nell'aria, e le foche si rimandano con la bocca dei
tizzoni infiammati.
Lo spettacolo delle bestie ammaestrate offrirebbe
un interesse speculativo, perchè nel gesto animale
si può vedere in certa guisa tradotta la volontà li-
mami; ma nel circo di Barnum e Baile]
tempii di osservare, di pensare, di ammirare. E na
lulhi di ometti, ecco, passami correndo, gestia I
portando una quantità di oggetti che disputili'
in certi siti. Una specie di cono s'innalza nella pi-
sta centrale, formato cun le si vrapposizioni sui
cessive di gradini circolari di legno sempre più
irriti. S'apre una pi rta, entra al galoppo un cava-
liere, che sale con la sua bestia sulla cima de1
cono: giunto lassù fende l'aria con le sferzate fi-
schianti della sua frusta ; una mandria di cavalli
si precipita nella pista: i più piccoli
I 'ii alta gradinata del cono, e si mettono tosto a gi-
rare da sinistra a destra ; altri salgono sudi :
nata sottostante, e giravoltano da destra a si-
nistra, e altri ancora sulla terza gradinata
girando da sinistra a destra, e così di seguito.
finché il gran cono di li gno è divenuto una
mide vivente e semovente. Il tutti turma uno spel
tacolo nuovo ed anche pittoresco; ma ni 1
la grazia e l'incanto del lavoro isolato. Il mestiere
— alcuni dicono ambe l'arte — di ammaestrare ;
cavalli, è molto ingrato: perchè il cavallo, se dob-
4Ò3
biamo cn ' bre 1 ovai, ■ l'animale più si
della terra. E sso non ha altro che una facoltà :
la memoria ; pi 1 pieg irlo agli esercizi dell',///,/ scuo-
la, la stessa vita del cavaliere 0 della amazzone, e
quella della bestia, sono in pericolo. Lede diffi-
coltà superate, della eleganza dei risultati, nulla
si apprezza ni Ila strabiliante 1 irco americano. E
ii pubblico non domanderebbe «li meglio chi
pi in ammirare : perchè 1 bravi cavallerizzi si tu
come pochi altri capaci di suscitare gli entusiasmi
della full.i. A questo proposito Giulio Janin, il
critico ilustre, narrò che un ammiratore dulia ce-
lebre amazzone Carolina Foyo, gli chiuse, nel 1841.
se aveva veduto, l'anno innanzi, gli straordinarii
1 sercizii di lei. « Ahimè, no! » rispose egli. « Lamio
passato en .1 Firenze, ad ammirare i capolavori ilei
Palazzo Pitti 0. L il dilettante, di rimando: « Si-
gnore, quando Carolina monta un nuovo cavallo,
nun si va a Firenze, non si va a Palazzo Pitti: si
1, '.1 al circi !.. 11 E gli voltò le spalle.
Per tornare al uni,, Barnum e Bailey, uno spet-
tacolo grazioso è quello dui moltissimi equilibristi
dui due sessi che si librano unii insieme nell'aria.
armoniosaiw nte, sospi si a trapezi sottilissimi, a
ci rde invisibili. V.- mancano le novità. Si vede, a
piedi d'una spirale di legno, una vasta sfera: a un
tratto, senza uh,- nessuno hi tocchi, la sfera si mette
in moto e sale per la spirale: esita, s'avvicina al-
l'orlo, pare che siia per precipitare, poi risai,- si-
cura, lincile arriva sulla cima: allora ne esce una
banderuola, che dopo un istante scompare; quindi
la sfera riscende, toma a terra, si apre e ne 1
un uomo, l'equilibrista Sii Ile Eatta andare. Un'al-
tra sfera, in, >sa d,a un altro m mo che \i sta chiuso
dentro, corre, si ferma, gira su si- stessa. L intanto
i ciclisti fanno evoluzii ni sbalorditive, e gli equi-
libristi ballano Milla corda, 1 i gioì olieri lanciano
per aria e 1 - lg no a volo toltelli, tori ìe io 1 -
ogni sorta di oggetti, e ; carri e mani si slani iam 1 .
una corsa vi rti Ila pista troppo angu
E i clowns J Sono legione . sono tanti eh ri d
vertono più: rattristano. «Sinistra», die i Gon-
court, « è divenuta la cloWì tigli ie Non più
l'ironia sarcastica d'un picrrot con la lesta bian .
di gesso, con un occhio chiuso e il riso in un solo
angolo della bocca. Vi sono in essa dell,- pi
Feroci, piccole assimilazioni spietate delle bruì
tezze e delle infermità della vita, ingrandite, aggra
vate dall'humour di terribili caricaturisti ». E nel
circo di Barnum e Baile) i clowns nun sono ne]
pure macabri - nun fanm altri !" una -1 rii di
ie. Nulla 1 he ram-
menti ciò che il Frichel dii e intorno alla 1
,1,-1 clown. E - ordinariamenti Fa - d --udì
ni, - -ru vicino al I Vii
lis - - ad bile 1
rammi nta le espn - ■ con una 1 -
n 1 1 -, 1 1 , l, -.mi li.- 1
.nll ridicolo per sé sti
non esiste ; il buffi 1 a qu mpn dal]
d un sentimen
partecipante di Ila malizia 1 del buon senso. Li
■-/... è Un
LA 11. Il i I x.
i ìndi
I
.nella .li
indefinibile.
ramente n la
ii la bari a, l'u< mi :"'1,
uasi nulla >li un.
•,■ n, ndimi m in abito di sodi
gentiluomini e gentildonne americani.
oni sul cranio. Un diro in
ighi. e |-i un lungi
dia b a dopi alcuni
mi. tira il gli no infilai
■ ■unir una collana. E v'è l'uomi
ola, e vi soi ''ini
l'esile, minus
ttemolani nte prim i ' !
rarn D
, ìse una certa commi tica.
l,i . .il ciro
ie d'una macchinazii i vasta, d'una di-
sta.
Fra i camini
I Dal li ind i Mag izine .
la ripara/i- ne le^Ii
alti ramini delle fabbriche costituiva un'impi
fatic osa e rischiosa. ! metodi antichi
abbandi n imai il lai i
Gli strumenti m;
glia di fili arpioni di ferro e pulì ggi L'au-
ha veduto al lavi ro J. Smith, il I
. ,1 | iù ci li bre tra i riparatori .li
1 Forma
rata ed alto 170 pii di, i ss a una cinquantina di
In CUI iraino.
Un camino pencolante.
metri. Le scale imp
tri e mezzo costruite in guisa da ottenere la n
si ma forza col minimo peso. 11 lavorante fiss
saldamente un arpiono alla base del camino. \
la scala, fissava un secondo arpione e ad i
i scala alla si minila della prin
saliva sulla seconda scala, l'issava un
... a dalla base all'alt, del camino. I
rimo lavoro ;• ■
i rdinaria. N'el caso speciale, in meno .li due
fun no piantati- le scale su tutto il camino. Qui
mi,, p.-rl. "'"i aveva un
sporgi La riparazione dei comignoli sporg
a Spesso il e. mign, venti o ti.
sgrazia, durante la ripara
ne, una pi. tra si : sllllr costru-
circostanti. potrebbe produrre danni enormi.
i ,. i comignolo vi ngi no strette insiemi
me in una morsa .li ferro, pressa poco come -
spesso pei legnami. Talora quando si sale su
un fumaiuolo'. -he n ™ hi :lnm-
si invano le pietre della sporgenza singolarm
do, dal veni Lilla p i ni'"!.» che si stri-
tolarli al minimo ;
-.unina la muratura del i
mini | i quali riparazioni siano ne -
m
All'opera.
Un lavi r<. complicato.
L'impianto delle
La Lettura.
pili
l \ LETTURA
Un camino pendente.
rie. Quando la visita deve farsi all'interno, la cosa
è tutt'altro che divertente. Si se -1 i ^< -i x-ralnu-m •■
la domenica, perchè i fuochi sono spenti. Si fissa
una trave molto forte in alto sul camino, e poi luo-
rao che deve fare la visita si cala giù per mezzo
di ima carrucola.
Ma la riparazione che occorre più comunemente
consiste nel rinforzare il camino riempiendo gli in-
/i tra i mattoni, perchè le intemperie deterio-
rano la vecchia calce. Si erige in generale un'im-
palcatura sulla sommità i si abbassano innumeri
•orde che sostengono l'operaio, e, passando a)
imi torli carrucole, gli danno modo di alzarsi
ed abbassarsi a piacimento.
Le « malattie » più comuni dei camini soni ca
dal calore che fa screpolare la muratura.
:\ viene, si ricorre a rinforzi di Feri
« Uno dei casi più notevoli che mi occorsero
lo Smith all'autore dell'articolo - hi |
di un ■•amino della ditta T. Walmslej and Sons a
on. Quella costruzione doveva sottostar) ad un
re spaventoso, perchi trenta o quaranta grosse
fornaci erano uamente alla sua I
e il calore e il fumo prodotti dal consume p
late di carbone uscivano da
[l'unico camini Questo aveva perciò
lolature in ogni parte. Nell'impossibi
lità ili erigere un al n i, risolsi di rivestii
ferro tutta la cos da rima a fondo: im-
presa tutt'altro che di poco conto, trattandosi di
un camino alto olire t>o metri. Bisogno atizitu
avvolgere di armature l'intera costruzione, '
lavoro preliminare richiese non meno di tre setti-
Poi ci vollero trentasette piattaforme, 120
metri di pali e :ioo metri di assi. A pag. 465 si
vede una foti igrafia di questo lavoro ».
E' sii. ino che in Inghil no poco 1
parafulmini sui camini, sebbene sia facile imm
in quali danni eni irmi pn durrebbe nelle \ icin
un fulmine che, cadendo su una di quelle altis
cime, facesse crollare tutta la costruzione. Il
non è un ilti 1 ini requente. Po hi mesi or
villaggio di Pendle Forest, presso Nelson, dui
un violento temporali', il fulmine colpì il camino
di una fabbrica di cotoni. Gran parte del comi-
gnolo, per un'estensione di sei metri, fu staccata 1
precipitata in basso sopra il tetto d'un laborati
Non si ebbe fortunatamente a deplorare alcuna di-
sgrazia personale, ma molti furono salvi quasi pei
miracolo. L'n altro pez/o end. le su un gazon
facendo scoppiare il gas. Più di settanta telai fu-
rono arsi, e se non si fosse spento il fuoco più che
in I retta, tutta la fabbrica sarebbe stata distrutta.
Una delle imprese più notevoli dello Smith fu
la riparazione del camino della fabbrica Dobson e
Barlow a Bolton. Il camino è il più alto che sia in
Inghilterra: supera i centodieci metri (il più alto
del mondo è quello di Townsend. a Glasgow, che su
Lo stess,,. raddrizzato.
DALLE RIVISTE
pera i 147 metri). E' di forma ottagonale ed alla
base misura un perimetro di una quarantina ili me-
tri, perimetro che va gradatamente decrescendo, e
alla sommità è di dieci metri soltanto. Nella cosmi
zione si impiegarono 120 tonnellate di pietre e un
milione di mattimi. Dopo avere disposto le scale
lungo tutto l'edificio, ed avere piantato la piatta-
forma in alto, si trovò che. a causa dell'altezza,
era impossibile tirar su i materiali occorrenti alla
riparazione, perchè le corde erano agitate dal vento
in tutti i sensi. Lo Smith perciò piantò altre ;m-
palcature a metà strada, per modo che i material'
(«.tessero essere sollevati da terra a queste prime
impalcature e di lì a quelle della sommità. Ci vol-
lero, per riparare il camino, otto mesi, e la spesa
superò le cinquantamila lire. In quell'occasione, ri-
correndo il giubileo della regina, lo Smith stabilì ;n
cima al camino otto lampade elettriche potentissime.
che fecero di quell'ardita costruzione un faro visi-
bile a grandissima distanza.
Il signor Smith fece vedere all'autore dell'arti-
colo quella che si potrebbe chiamare la « torre di
Lisa inglese ». il camino pendente. Questo è certa-
mente il più inclinato fra tutti i camini inglesi, e
visto come si vede nell'illustrazione che riproducia-
mo a pag. 464, sembra proprio che debba preci-
pitare da un momento all'altro, mentre invece è per-
fettamente sicuro. Il proprietario è orgoglioso di
quella costruzione, e non risparmia denaro per ri-
pararla di continuo, affinchè gli abitanti intorno non
abbiano alcun dubbio sul suo equilibrio. Il camino
è alto quasi sessanta metri e pesa 2000 tonnellate.
La punta s'allontana di parecchi piedi dalla per-
pendicolare condotta alla base.
n Una delle imprese più pericolose che io ricordi
— dice lo Smith — fu il raddrizzamento di un gran
camino, alto sessanta metri. Usciva di un metro e
mezzo dalla perpendicolare. La causa dell'inclina-
zione non stava nella costruzione, perchè il camino
era in ottimo stato, ma nell'essersi le fondamenta
l"7
abbassate da una parte, tacendo così pencolare il
camino, come si vede nella figura a pag. 466. Posso
assicurarvi che L'impresa non fu agevole. Bisognò
levare dei mattoni dal lato convesso, apponendo
Una screpolatura.
temporaneamente, per tenere a posto la muratura,
chiavi di ferro. Poi venne il momento critico ; bi-
sognò togliere le chiavi di ferro, ponendo, in luogo
dei mattoni vecchi, nuovi mattoni più leggieri, te-
nuti fermi da una calce speciale. Man mano che si
toglievano le chiavi, il camino tornava lentamente
sulla perpendicolare. Si comprende agevolmente che
se non si opera in questi casi con gran perizia e
somma cura, può avvenire una terribile catasta fé.
Nel caso speciale tutto andò benissimo ».
Il signor Smith, oltre che dei camini, si occupa
anche di raddrizzare o riparare torri, campanili, e
via dicendo. I sistemi seguiti sono sostanzialmente
gli stessi.
l'iiii morsa.
|.68 LA LETTURA
lihassa, la Roma del Tibet
Dalla Dit Carli nlaidn .
La visita del desi Hedifi nello
ino e l'ambasciata del Dalai Lama a Pi*
urgo, hanri l'atti ■ del m
sul papa del I il»'1 e sulla cittadella del Buddismo.
Lhassa, la città santa degli altipiani mongolici,
fu sempre ineccepibile fino alla metà dèi secolo de-
cimottavo, l'epoca delle grandi missioni del Padri
Gesuiti, che per primi passarono lo porte misti
■ -un i ali a ate.
1 .a creazione del Dalai Lama, la più alta ili
150. i francesi l'i- Rhins e Grenard, gli ing
Baver e Taylor ani avanti, finché Chepaai
Littledale rinvi a spingersi fino ad una giornata
dalle mura disputate. Per potervisi .. .
re, gli esploratori dovettero nascondersi Ira le
carovane dei pellegrini, ma quanto più si avvici-
tanto maggiore diveniva il pe-
ricoli d'essere scoperti, giacché il sistema dello
spionaggio vi n dante ed astuto.
Alrnni fina luscirono a | enei rare e '
lori 1 relazioni si ]" * avere un' ìi li
ita della su| ei -1 iz ■ bui Misi ii ,1 .
corredata da una carta topografica stesa con
molta diligenza da un esploratore. E noi qui 1
siamo riprodurre due preziosissime fi -iella
Roma del Tibet, luna ripn «li n palazzo
11 palazzo del Dalai 1
della gerarchia buddistica, data dal 1643 ed
1 retta agli affari spi-
' il 1 7 1 7. epi ca in cui, 51
le dinastie reali de! Tibet, il paese passi 1 al grandi
Impero 1 ego l'autorità politica al Da-
lai Lama.
Questi, evidi n aveva alcun interesse
rmanenza 'li missionari nei suoi Stati, pei
cui d del Dalai Lama al potere 1
pure l'esclusione degli europei, esclusione chi
principio non fu o ' livenne in
guito.
1 1 1 1 1 un ingli ■ travestito di
indiano e dm ari 1 rancesi poterono d
rarvi finché riconosciuti furono espulsi.
lora in poi cominciò la caccia agli sti
-imo potè penetrare nel m >t< ro della città santa
di Budda; solo il russo Prschewalscki, nel 1879,
sino a 500 chilometri dalla città, la-
ri 1 khill e il principe l ,; ms sino a
del Dalai Lama, l'altra la città intera vista a '
d'uccello.
.1 sorge aj nord del fiume Sangpo a .,500
metri sul livello 'lei mare, coronata dalle
mi ardile dei monti. Le vie corrono diritte e n
lari, le rase fabbricate in pietra, mattoni e terra,
colle finestre rinchiuse da impennate di rana, sono
11 linde e pulite e in strano contrasto colle luride
abitazioni del popolo tibetano. Esse alzano ai fred-
di venti monti indi tetti bianchi misti alle
eupi lette azzurre degli immigrati cinesi, in un al-
e superbo trionfo di colori.
La città ha, del 1 ite un aspetto • l ì
e di festa. 1 mi nauti eolle stoffe e ''"Ile
chini dando di 1 isa in 1 .1-.1
al gran 'empio si mi 1 sempre pavesati
ulne.
( "li n- le mura si estendono gli ampi subì
egràti dai giardini dove vigoreggia una splen-
dida Mora
DALLE RIVIS I l
469
Le statistiche del numero di abitami variano (col
crescere o col diminuire delle torme di pellegrini),
dalla cifra modesta di 10.000 a quella rispettabile,
per una città continentale, di 80.000.
Noi crediamo però di non sbagliare attribuendo
a Lhassa una popolazione abituale di 20 0 J5.000
anime, con circa 15.000 ninnaci disseminati negli
eremi e nei chiostri grandiosi.
A Lhassa tutti vivono di commercio, essi
numerosissime e continue le carovane di pellegrini
che vi accorrono da tutte le parti del mondo bud
distico. Oltre i Tibetani vi abitano gli Indù e i
Cinesi, ohe. in una città di scarnili e di sfruttamento,
trovano il loro tornaconto. Gli Europei non vi
sono ben visti, sebbene le loro stoffe e i loro pro-
dotti abbiano la preferenza.
Fra i templi della città il più meravigli
grande è il tempio di Budda Jo-Khang. dove si
nova il prezioso simulacro del Dio e dove accorre
tutto il mondo credente del Tibet per la grande so-
lennità della Nirvana di Budda. Potala, la resi-
denza del Dalai Lama, si alza a mille passi ad oc-
cidente della città su una collinetta di 100 metri,
dove troneggia una statua gigantesca del Dio alta
22 metri e colla testa d'oro.
L'istituzione del Dalai Lama, il papa di Budda.
risale, come dicemmo, al secolo XVII. Quando egli
muore, rinasce, secondo la superstizione locale, in
un piccolo fanciullo, generalmente rampollo di
una famiglia tino allora sterile. K allora trovai"
il nuovo Dalai Lama: le piante in vicinanza della
sua casa si scuotono, sbocciano i fiori e per la terra
corrono rigagnoli di latte e di miele. E' degno di
che tali papi non arrivano ad invecchiare.
Così l'espi* muore Km- ne descrive uno di nove anni,
Singh nel 1866 ne trovo un altro di tredici, nel
1 <S 7 1 j ve n'era un terzo di sedici e nel 188.' uno di
loco come avviene la presentazione dei pelle-
grini al papa di Budda: il Dalai Lama siede nella
gran sala sul trono sontuoso circondato dagli em-
blemi del potere spirituale e temporale e allora i
pellegrini si avanzano e si prostrano ricevendo dal
mito strani segni di obsecrazioni e di augurio, non
senza aver prima messo ai suoi piedi regali e doni
d'oro 0 di argento, oppure riso, the 0 grano.
( >gni tre anni il Dalai Lama manda a Pechino,
all'imperatore, i suoi doni per una somma compio
siva ili 17.000 lire. Dalla sua parte poi l'Imperatore
cinese mantiene nel Tibet le guarnigioni, non però
nella città santa, dove il Dalai Lama è assoluto si-
gnore.
Su questo strano paese e su questa strana città
volgono i Russi gli occhi cupidi e l'attenzione più
viva: essi sanno ,\] essere gli ereditieri del Tibet
e della Roma di Budda.
■
Lhassa a volo d'uccello.
47°
LA LETI i l \
he campane
I lalU l < ious, di aprili ,
Nulla di più melano nico e spesso di più fi
suono delle campane, perdute lassù fra le nubi,
in. ii non arriva l'urlo delle tempeste umane.
v primi albori antelucani, nei caldi meriggi e nei
monti passa la gran voce delle cam
pane sulle teste dei dormienti o degli stanchi, voce
i e di preghiera, E nell'onda sonora che
muore via via in lontananza, è il canto del lavoro,
il gr'uln della patria, è spesso un singhiozzo pei l'e-
sule li .ulano.
La storia del i campani è storia moderna e sto-
esse furono sconosciute all'antichità e
lo soni- pure attualmente all'Oriente, dove il Mui
ilza la gra e di Allah dall'alto dei mina-
reti. Forse la Campania le scoperse e di là si spar-
,i Roma e nel mondo: pare però ch'esse non
fcssei" del tutto so ro sciuti lì romani, che Fi i
ne usavano per annunciare l'apertura delle terme
grandiose di Domiziano.
Il più antico modello che possediamo è w^ p
iglio a forma conica scoperto nel 613 e conser-
vato nel musei di Colonia. E' alto 40 centimetri e
fatto con tre lamiere di ferro battuto, inchiodato
mi nte insieme: è insomma il tipo classico delle
campanelle di montagna, ancor oggi usato dai pa-
stori per le loro mandre.
Le campane erano nei primi tempi sospese agli
archi delle finestre, spesso sul rosone che sormon-
tava le bifore; ma più tardi, quando crebbero di
numero, nacque per esse il campanile. Infine il IX
lo determina il trionfo dei campanili e delle
campane: nasce l'emulazione comunale, nasce la
grandiosità e l'imponenza e da quel giorno contia-
mo i quattro colossi di Mosca: Santlvan, Bolchoì,
'skoi e Zur Kolokol, che pesano rispettivamente
56. 65. 164 e 200 mila chilogrammi : e contiamo la
più liei la campana del mondò, la storica e melo-
diosa campana di Xotre-Dame di Parigi, che Gar-
gantua nel romanzo di Rabelais invola dalla gran
toire. provocando poi dall'ambasciatore che la re-
clama la famosa chiacchierata maccheronica: Omnis
decita, clochabilis in clocherio, clothando clochans
ativa ciociare, ecc.
Crescendo il numero delle campane, si pensò di
suonare con . sse speciali melodie, e fino dal VI se-
nno una preziosa miniatura, in cui
un vecchio monaco martella un piccolo concerto di
cinque campanelli \. Brugi il concerto è di 47
\ 1 sa di 90.
I battaCChi Stessi servivano a questo gemi.' rlt
riiii iodatamente si peti'
narono i sistemi, e ai batacchi vennero si
martelli, ai pugni del campanaro i congegni di oro
ria e finalmente l'i 1. Ancor oggi pero
sui vecchi campanili di villaggio, il giorno della
festa, un sacrestano batte i pugni potenti sui
empiendo talvolta l'aria di ispira/ioni lar-
Presso la campana, sull'alto della torre, era la
dimora del campanaro. Oggi l'orologio e la mecca-
hanno scacciato l'uomo da quel nido austero
d'aquila, ma le tradizioni e le leggende di quel n
misterioso non sono spente.
Il campanaro viveva e moriva lassù, separato
della terra, attento all'orinolo a polvere, pronti
battere ogni ora sul bronzo dalla voce immensa. Ai
suoi piedi è spalancato l'abisso, le sue braccia si
tutu Mino nella breve cameretta della torre, dove alla
unite rugge lira dei venti.
Egli ha per solo compagno un gallo, l'animale
dell'alba: sospeso tra la terra e il cielo, egli vive
sul suo campanile come un pilota sulla sua nave;
a lui arriva il primo albore del di. a lui l'ultimo
guizzo del sole morente, il primo fiocco di neve, il
primo fulmine, a lui sentinella avanzai. 1 della terra
verso il mistero e l'infinito. E la storia ha pure pa-
gine grandiose per questi oscuri monaci dell'alto,
che spesso durante le grandi lotte comunali e le
fiere insurrezioni della Vandea suonavano l'ora
martirio e della libertà. E la leggenda ha narrato
di vecchi campanari che ogni notte sorgono dalle
tombe, salgono colle grandi occhiaie spalancate e
vuote la scala vacillante e salgono ancora a bat-
tere la mezzanotte. Fora del fascino e del mister".
l'ora in cui essi dopo aver dato l'ultimo colpo
hanno, in una notte di tempesta, piegata per sem-
pre la testa sul petto morente.
1 ■ »•■■■
L'assistenza agli animali
E' una Società di creazione recente ma divenuta
ben presto popolare. Possiede uno statuto, un'orga-
nizzazione, una cassa, tante signore protettrici, o
spedali e cimiteri di gatti e di cani.
Ecco gli articoli dello statuto. La Società :
I. — Sussidia le persone povere che possiedono
degli animali, perchè ne prendano cura affettuosa ;
II. — Soccorre, nutre, alloggia gli animali er-
ranti, affamati, vagabondi;
III. - Fa morire cogli ultimi conforti e leni-
menti della scienza le esistenze più martoriate dai
dolori della frusta o della miseria :
I V. — Propaga e popolarizza l'idea della ca-
rità e dell'amore verso le bestie.
La Società venne fondata nel 1899 in Francia e
tosto mando una Commissione esploratrice in tutte
le granili capitali europee e studiarvi il grave pro-
blema dell'assistenza alle bestie. La Commissione
andò, vide e- tornò e in seguito ai suoi studi veniva
creato un grande apparecchio più spiccio della ghi-
gliottina e della sedia elettrica il quale dà la ni
con una rapidit 1 nicicdibile. senza dolore.
L'animale che trascinava finora i suoi ultimi
giorni nell'agonia e nell'abbandono, entrerà d'ora
innanzi nell'apparecchio asfissiante e senza nessun
gtido di spasimo rotolerà al suolo cadavere
l'n secondo apparecchici, e- questo di sana utilità.
consiste- in una leva capace di sollevare rapidamente
un cavallo 0 qualsiasi altra bestia caduta e schiac-
ciata dal cariai.
DALLE RIYISll
Fabbricatori di santi
Da un articolo del signor Robert H. Sherard, nel Pear-
son's Magazine, di maggio .
Pochi passi ri sono dal tumultuoso quartiere la-
tino alle vecchie strade tranquille che si trovami at-
:cmo alla chiesa di Saint-Sulpice. In quelle stradi
sono raccolti molti commerci e molte industrie che
si connettono al culto: editori e librai, negozianti
di paramenti sacri, e via dicendo. Ma quelli che
■ 'anno a quel quartiere così tranquillo la caratteristica
più curiosa sono i laboratori in cui si fabbricano le
statuette dei santi, dei martiri, dei beati, da San-
t'Antonio da Padova col bambino Gesù in braccio
471
caccia di notizie, studiare il periodo in cui visse, i
costumi d poca, gli attributi speciali del santo,
il genere del martirio, se martirio vi fu. Così tempo
addietro ricevetti da un prete della Francia meridio-
nale l'ordinazione di una statua di Saint Fris. lo
non avevo mai uditi > nominare questo santo, che
non ìigura nemmeno nel nostro catalogo, sebbene
questo rispettabile volume contenga 180 pagine a
fittissima stampa di nomi di santi. Dovemmo ri-
volgerci per soccorso ai lumi di un sacerdote che fa
testo in materia, ed apprendemmo che Saint Kris
era un capo dei barbari sotto il dominio romano,
martirizzato in età dì venti anni. Saputo questo, il
resto era tacile.
1 modelli su cui son fatte le statue sono disegnati
da artisti i quali hanno passato lutta la vita in quel
Statuette nel forno.
a San Giorgio armato della spada fiammeggiante,
a San Michele che calpesta il dragone e San Fran-
cesco d'Assisi con le mani e i piedi e il costato fe-
riti dalle stimmate. Molte di queste ditte si trovano
a Parigi, che è centro di questa industria interes-
santissima, e quasi ne ha il monopolio.
L'autore dell'articolo si rivolse per informazioni
alla ditta più vecchia fra tutte, che ha la propria
sede in via Bonaparte. Essa esiste da oltre un se-
colo. Il signor Pacheu. che ne è capo, disse intorno
alla sua industria cose interessanti.
« La fabbricazione delle statuette mi piaceva molto.
E' un'industria fatta per l'uomo che ama frequen-
tare le librerie pubbliche, e si diletta di leggere vec-
chi libri e vecchi documenti, assorto nelle ricerche.
Xulla mi dà più piacere che il ricevere ordinazioni
di santi, attorno ai quali il cliente non può darmi
se non pochi dettagli. Allora bisogna mettersi a
mestiere. I migliori arrivano a guadagnare io mda
lire l'anno.
■ Vi sono molle cose meravigliose nel nostro
commercio, disse l'informatore dell'articolista. Così
abbiamo un gruppo rappresentante la Mater Volo-
rosa che sostiene il corpo di Cristo dopo la depo-
sizione dalla croce. Il primo gruppo fu consegi
alle suore Passioniste di L dopo che fu
messo a posto nella loro cappella, si videro vi re la
crime sgorgare dagli occhi della Peata Vergine e !e
rsi. Questo fatto fu notati, in ri
occasioni, non soltanto dalle suore, ma da numen si
moni indi] le che si tratti di w<
altro miracolo. L'autorità ecclesiastica sta faca
un'inchiesta ».
Da poi che la ditta visitata dall'autore venne fon-
data un secolo addietro, furono eseguiti 50.000 mi
delli di santi, e il numero va crescendo di continuo.
17- LA LETTI R V
1 vendute da quella sola ditta son più • ì ì
50 mila 1 anni •■ Per un quarti 1 soi della Vei
pò viene per numero San Giuseppe. Per
uè della '
Gius pi e e altrettanto del Sacro <
Cris 1 è rappresentato col cuore
inte) ; le altre si no statue di aliri santi :
S:m Paolo,
( 'lills. pi , . Ili
va 1 San
t'Antonio da Pa
i li il .1 : in i]
ultimi anni San-
t'Antonio ì
alla pari l'ini San
Giusi ppe
Il terribile rea-
lismi! ili certe sta
tue è tale da col
lire anche il più
1 Hi statua della Vergine in riparazione.
L'autore non potè astenersi dal domandai
un t erchè permettesse a
spingere il realismo a tali estremi. I
pei esempio, un San Giovanni ili Dio che ri
un lebbroso sul cui corpo l'artista non ha ori
uno solo degli orridi segni che tgnano la
ra, un San Sebas ano tutto sanguinante.
Ni nolto in Ah '
il negoziante, — e pei
ili quei popoli, |>iii indifferenti ili noi, 'li regola, alle
renze, dobl 1 Forte. Ma in nes
■nella
lebbra •■ studiata dal \
I così, - domandò l'autore dell'articolo, —
.;' mandato?
\ , , japete 1 he egli mi lite
iporali. Egli è invocato nelle tempesti
presta la sua 1 in tante fai cende ili questo
mondo. Se, ad esi perde qualcosa, si ri
I a lui. Adesso si usa porre la sua statua su un
piedistallo ili legno, in cui vi sono due buche, una
grande ed una pi comuni anti con dui 1 as
sette, una delle quali •
e dal -ani.- .11 fedeli, e l'altra ai
cogliere li' offerte che 1 fedeli stessi credono ili fare.
Le lei ono bi uciate -
altri santi godono popolarità ''
1 11 tempo t iì molto in -,
quelli che hanm
mia sia « spellila » ra-
pidi nte. Un np mo a 1 agoni le
te della Madi una 'li I ,< mrdes, e, anche
da ebbe la sua epoca di pò] olarità. E gli ì il pati
cause disperati Ma 1 --un
■ così in voga come "ra Sant'An-
tonio. Si sono vendute, in certi anni, molte statue 'li
Santi Margherita da Cortona, ili San Benedetto, e
ili tanti altri, ma la loro popolai ioi venuta
mena Sant'Antonio si vede per tutto, in
le dimensioni, in gesso, in cartapesta, in
in bronzo. Il tipo è si mpre 1 |uello. Il san
rappresentato in abito monastico, con un libro
in mano, e sul libro il B
il taumaturgo discorre.
Nei laboratori, si lavora intorni) a Sant'An-
tonio sempre attivamente Uno scultore in le
gnu rupia sn un blocco ili quercia una sua sta-
na che tiene vicino; accanto a lui, un altro
sculti re evoca la sua immagine da una gn
pietra bianca. Nelle i pi ii, il lavoro è
Febbrile.
I santi si lanini ili altezze che variami dai
die i ri ai tre metri, sebbene spess
uè molto più alte, come quella
della Vergini commessa alla casa Raffi da
una chiesa americana, alta quasi d
quella ili San Giuseppe fabbi 1 una
Ita venti mi tri. E i prezzi
ami Idi alle miglia
tranelli.
Una Via Crucis costruita ili recenti
Lourdes Fu pag a 150 mila 1 ranchi.
Novi imi delle 1 he si smerciano
e ili e arbori romairt. Pi
vari il ram > in questo 1
I liquido nelle forme, ■ tll'in
piai ma s| eciale. 1 >i pò qualche ora,
quando il liquido si è raffreddato e solidificato, si
pron 1'.. Ir statuetta
pori ' ugare in un forno speciale
Quando sono 1 ino in un'altra
1 ove i modellatori le imperfezioni,
poiché dalla forma, naturalmente, le
perfi . im li si mettono .1 posi.,. .. scopei
chi andò » la testa, gli occhi 'li vetro, che sono fatti
urli,- stesse fabbriche 'la cui escono gli occhi
I I per gli uomini, e infin - 'mg' no gì
tribù 1 dipingono li- statuì
Interessantissima è la sala dei marcoteurs , i
quali, allorché arriva un'ordinazione ili qual
DALLE RIVISTI
473
santo poco venduto e per cui non conviene tare un
modello speciale, si incaricano di trasfi rmare un
Minto in un altro. Ciò si fa cambiando gli anni
I ,liendo la barba ad una statua, un vecchio v<
diventa un giovane santo. E' subito fatto!
Adesso i fabbricanti parigini aspettano chi 1 I
vanna d'Arco, sinora semplice beata, sia santificata.
Allora le statuette dell'eroina d'Ori ans non si
più !
Dalla conversazione con un fabbricante di santi
ssono raccogliere aneddoti mi
Settimane addietro. — raccontava il maj
fabbricante di Parigi. — venne uno ad ordinarci
uu Sant'Antonio abate col suo maiale. Quando
avemmo eseguita la commissione, il cliente la
ritìnto. 1. Io voglio un maiale molto più grande.
. un maiale enorme ». Pare che quell'uomo
un beccaio e che avesse bisogno della si
come insegna! Noi gli rispondemmo che non ci in-
aiamo di certe commissioni.
■ Le impressioni che si possono raccogliere nel-
l'officina di un fabbricante di santi, dice conchiu-
do lauti re, son molte, e. la più parte, elevate.
Credo tuttavia che la più forte sia quella eh
entrando nel magazzino. Vi entrai sul cadi 1
I rova
della sera. Le ombre empivano la
popolata di immagini di santi e di man
nel loro splendine immacolato. N'era un
sala, tutta
iri. gloriosi
senso pro-
Forma e Statili!!.!.
ido di pace e di quiete. Come l'ombra cresceva.
le figure sembravano più fulgide, bianche inani si
contorcevano nell'agonia, altre dita erano sollevate
in atto di preghiera, altre in atto di benedizione.
E per quanto uno si dicesse che quello era il la-
boratorio di un mercante, che quelle erano imma-
gini di pietra e di legno e di cartapesta 1 ita un
simbolo che dominava lo spiriti' anche dopo, tra
la gente affaccendata, fra lo strepito e i bagliori
d'una città mondana ».
Il più potente eannone
Non e più il tempo in cui 1 grandi cannoni delle
moderne corazzate erano considerati come mei
glie insuperabili. Quello che gli Americani hanno
recentemente a all'entrata del porto di Nuo-
va York oltrepassa tutl ie l'artiglieria cono-
sceva l'inora di piti colossale e potente, e può i
un'idea del e 1 ì "li" Veme voleva
mandare una palla fino alla Luna.
11 pezzo americano ;- lungo diciassette meti
quasi me//., metro di calibro (45 cent.); esso
,m proiettile di 2000 libbre inglesi (no;
chilogrammi) contenente una carica di 300 chilo-
grammi di cotone fulminante ed avente la veli
,1 minuto seconda
Il ,-,.,!.. di questo cani - n »tro, di questo re
dei cannoni, raggiunge la rispettabile somma di 75
1, la dollari, pari a 375 mila franchi.
Sant'Antonio in lavorazione.
IT!
LA LETI URA
I cani agenti di polizia
.ili- Leelures p''in lous, 'li aprile .
pia dire che il progresso esista anche per
rumali, specialmente pei i cani, giacché < piost i
■ arrivati .1 far cose cui la natura non li ave\ 1
destinati. Nel Canada l'amministra/ione delle
|x sic utilizza la velocità dei 'ani del Labrador e
1 Groenlandia in un servizio ili fattorini pestali
durante l'inverno; nel Klondike ne hanno lai:';
■ rap i n tri a 1 ili trascinare pompe ila in-
i - 1 che ultimamente nel Belgio 1 cani
.in promossi al grado ili agenti di polizia.
I.a prima idea è venuta al signor Van Wesemail,
capo>commissario della polizia a Gand. In quel
ine del resto in tutti » il Belgio, il rane è.
si può dire, il cavallo ilei povero: tira la carrozzella
lattaio, rimorchia panieri di legumi, riporta a
il unno; talvolta una o due pariglie di cani
gran razza trascinano a spasso il padrone. Os-
servando questi svariati impieghi dell'amico del-
l'uomo, il Van Wesemail pensò di servirsene per il
1 <li pubblica sicurezza.
Gand è una città solcata da molti canali, circon-
data da ricche fattorie e da grandi giardini di orti-
< Intra. La tentazione di rubare, da parte dei va-
gabondi, è tanto maggiore quanto più estesi e meno
vigilabili sono quei campi e quegli orti. Gli agenti
erano spesso oggetto di attacchi notturni, che fini-
vano talvolta coll'assassinio. Per impedire i furti
e garantire le guardie, il Van Wesemail chiese al
borgomastro, ed ottenne, di organizzare un servizio
di cani poliziotti, ed egli stesso si occupò del loro
addestramento, con un metodo fondato sulla dol-
cezza.
Far capire alle bestie che debbono arrestare le
persone, ma non far loro del male, è difficile. Si im-
piegano, nei primi saggi, dei mannequins. rappre-
sentanti quanto più esattamente è possibile dei ladri
e degli individui pericolosi, e atteggiati come chi
vi glia nascondersi.
Nel secondo periodo dell'addestramento si sosti
tuiscono ai mannequins degli uomini mal vestiti, e
per misura di precauzione si adoperano gli stessi
impiegati del canile, ai quali le bestie portano una
grata affezione. Ma. nonostante, si mette loro la mu-
seruola. Poi ai custodi si sostituiscono degli agenti
■ li polizia. Iti capo a quattro mesi il cane è ai
strato a questo esercizio; indi è perfezionato nel-
l'arte del nuoto, in quella di dar la scalata a un
muro, e in una parola a superare tutti gli ostacoli.
La polizia di Gami pi siede una squadra ni venti
e un cane cosi ammaestrati: cani da pastore, parte
indigeni, parte russi e francesi. Di giorno, sì ripo
xes del giardino dell'ufficio centi
alle dieci della sera cominciano il loro servizi
1 ni qui 11 1 'I l'orologio del vecchio
osto abbaiano in coro, per d'uno
he Bt no pronti a entrare in campagna.
L'uniforme consiste in un collare di cuoio riw^
0 d'acciaio •■ irto di punte aguzze, dal quale
pende una medaglia col nomi- .lei cane, la dati
della sita misi ita e l'indirizzo dell'ufficio centrale,
e d'una museruola di fili metallici cosi strettamei
allacciati da permettere die l'animale beva, ma
'la consentirgli di mangiare: provvedimento pi
per impedire che quelle povere bestie siano avvi
nate. In caso di pioggia esse portano delle ina-
line impermeabili.
Ogni cine accompagna un 1 1 giro ini-
ziale per le fattorie più lontane; finito questi
bestia è sguinzagliata e si mette a litigare in-
aila guardia, senza allontanarsene molto. Se trova
qualche cosa di sospetto, abbaia forte perché l'ut
mo si prepari all'attacco o alla difesa
tra il malfattore e la guardia è impari, il fedele
animale corre a chiamai, -. rso.
Questi poliziotti quadrupedi non solo sono co-
scienziosissimi, ma non (anno i difficili sulla qui
stione della paga. Il mantenimento di ciascuno di
essi costa sei soldi al giorno; tutta la squadra
per soli 2300 franchi sul bilancio annuo min
pale, compresa la veterinario e del
Quei venti e un cane fanno l'ufficio di io gua
notturne die sarebbero costate 10 mila franchi.
Impressionati dai buoni effetti ottenuti a G i«l.
anche le città di Charleroi e di Anversa stanno or
ganizzando le loro brigate canine. A Parigi la
fettura di polizia ha acquistato dei cani di I
nova, facendoli addestrare a salvare le persemi
pericolano nella Senna. Anche li si adoperano i
mannequins: si getta in una piscina una bambola
che galleggia ; il cane, eccitato dall'uomo, si -
nell'acqua, afferra l'oggetto e lo trae alla riva.
mentando successivamente il peso della pupa:' la,
questa affonda sempre più e così le bestie prendono
l'abitudine di tuffarsi sott'acqua e di afferrare
getto pericolante. Quando queste esperienze pi
minari sono terminate, quei bravi quadrupedi
condotti lungo le sponde della Senna: un agi
si slancia nell'acqua e finge di annegare diba
dosi o di lasciarsi trasportare dalla corrente: al-
lora il cane si slancia a salvarlo. A furia di pa-
zienza e di dolcezza si arriva anche qui a impedire
che il salvatore conficchi i denti nelle carni del sal-
vato. Alcuni cani imparano più presto e meglio
degli altri: quello che porta il tu .me di Parigi, e
che ha un anno appena, ha superato ottiman
l'esame sostenuto dinanzi a! vice-direttore della pò-
lizia municipale, Mouquin, e a più di tre 1
sott'acqua ha afferrato una bambola sovrao
di pietre e l'ha tratta con lx-1 modo alla 1
La brigata canina di Parigi. « brigata fluviale ».
e sta scritto nel collare, si compiile pei
nove bestie. Prossimamente sarà loro affiliato un
alilo servizio: quello della vigilanza degli arguii
e delle banchine, dove, la notte, si aggirano e si na
SCOndonO tanti malandrini, contro i quali i | oli-
ziotti con due sole gambe sono impotenti. Vigilanza
attenta, devozione a tutta prova, qualità fisich
gli consentono di udire e di fiutare là dove li
non s'accorge di niente; ce n'è più che non
per legittimare le nuove attribuzioni del cane, che
lo fanno sempre più degno della nostra devo
■Ila nostra gratitudine.
DALLE RIVISTE
Università di barbieri
(Da un articolo di Alder Anderson, nello Slrand Ma-
gatine .
.... Tra i o racconti di terrore » di cui tempo
addietro pare che la gente si dilettasse molto, ve
ne era uno il quale riferiva come un barbiere della
47^
pasticciere. E si diceva che i gàteaux ottenuti fos-
sero molto gustati.
Io avevo in mente questo ricordo quando il mie
barbiere prese a considerarmi con aria meditabonda,
e cercavo di immaginarmi che sapore avrei avuto.
Il Figaro però non mi diede tempo di formulare
l'idea, e mi spiegò ben presto che la causa della sua
preoccupazione era molto meno seria per me.
I modelli.
rue de la Harpe, a Parigi, riducesse i suoi clienti»
a commestibile. Un'accoglienza leziosa: « Prego,
ì 'modi ». un abile colpo di rasoio, un traboc-
chetto che s'apriva, e il cliente cadeva in un pas-
saggio sotterraneo comunicante con una bottega di
Chinandosi confidenzialmente su me, mi disse,
come parlando ad un iniziato.
— E' il gran giorno !
Poche settimane prima, nei momenti di ozio for-
zato cui si è costretti nella bottega di un barbiere.
Durante la gara.
pi i LA LETTI i -a
i er la centesima i
■:ir -\ amo i meriti dell'Acqua I '
ii i ... i orceui e del Rigenerati ire
Ilare ili madame de la Fumisterie, rivali ma
ffii ai i pei far nascere i capelli sulle
ve, quando il mio sguardo cadde su un
Ed il gran giorno era arrivato! Io avevo un
m\ ito.
Una profusione 'li luce, un'orchestra assordante)
una folla ili belle dame e ili bravi uomini, cam
immacolate, guanti bianchi, scarpe risplendenti, li
prof. Dubois mi fece gentilmente da cicerone, in-
Le i" ttinature premiate.
■placar d più sòbrio, inquadrato in una riunire. di(
ir" un vetro. Cominciava con la parola « diploma ».
n un cerili numeri) di firme minteli]
li e ili sigilli. Era un diploma di Professore
1 Pettinatura, concesso al signor Dubois, cava-
ari domi le varie celebrità e presentandomi ai ma-
lari. A poco a poco entrava in me la
persuasione che. di fronte all'arte del pettinare,
•nessuna professione al mondo fosse degna di
rapare la mente umana.
i ili irraggiungibili.
dell'Ordine di San Luigi e membro dell'Ao
a Francese (dei barbieri); Dubois era il pa
i della bottega Poche i inde all'artista
-■.i\u operando, e seppi quanto poteva inta
s.inni sull'Uni barbieri. Una volta Ianni.
l'Uni i ■Minna, ingegnosa
utile col dilettevole, o
in ui la un ballo e da una cena.
I .1 parte scria della serata consistette nelli
gare. Quella i" i le pettinature femminili atti
il maggior numero di candidati. Ai lati di numi
tavole stendentisi da un capo all'altro di una
lunga stanza, erano disposti i modelli. Per gli e
■|i. i unenti fun un > concessi ire quarti d'i ira I
de. cominciò un'attività febbrile di pettini e li
spazzole. Ognuno arricciava, ondulava, li
DALLE RIVISTE
477
traeva indietro per giudicare la propria opera come
un [littore innanzi al suo quadro, e infine comple-
tava il lavoro con piume ed altri ornamenti.
Mentre procedeva la gara, io prendevo informa-
zioni intorno ai modelli dei barbieri. La qualità prin
cipale che si richiede, come mi disse il mio cortese
informatore, è una capigliatura serica su una pic-
cola testa ben fatta. La regolarità dei lineamenti è
cosa di importanza secondaria. LTna modella con bei
capelli e bella testa può aspirare ai sommi onori:
i giovani barbieri di talento si disputeranno i suoi
servigi e la pagheranno sette od otto lire pei i i
parsi delle sue chiome. Da una testa quadra e
grande o da capelli grossi il miglior parrucchiere
del mondo non caverà nulla di buono.
Passati i tre quarti d'ora, cominciò l'esame da
parte della giuria. Ognuno dei giudici si diede a
tastare e ad esaminare le pettinature di fronte, di
fianco, di dietro, prendendo copiose annotazioni.
Indi si passò alla votazione. Nell'ultimo concorse
vinse un olandese. L'anno prima il vincitore fu un
inglese.
■i«m»i '
Grandi uomini e uomini grandi
Se l'umanità ama rappresentarsi i propri eroi con
tutti gli attributi della forza e della bellezza, la
storia c'insegna che Alessandro Magno. Augusto,
e più vicino a noi Napoleone erano di piccola sta-
tura. Invece Pietro il Grande poteva, con la sta-
tura di oltre 2 metri, essere posto tra i giganti. A-
Iessandro Dumas era molto alto; Balzac se ne con-
solava dicendo che « quasi tutti i grandi uomini
Sono piccoli ».
Ecco gli elenchi, secondo la statura, dei grandi
uomini, che decisamente non bisogna confondere
con gli uomini grandi :
Statura alta: Arago, Beaumarchais. Bismarck.
Cesare, Cromwell. Carlomagno, Colombo, Condor-
cet. i due Dumas. Darwin. Delacroix. Flaubert. Goe-
the. E. de Goncourt. Lamartine. Lavoisier, Ma/a-
rino. Millet. Mirabeau, Moltke. Musset, Petrarca.
Puvis de Chavannes, Richelieu. Ruskin. Schiller.
Schopenhauer. Taine, Tasso, Walter Scott. Wa-
skington.
Statura media : Bacone. Baudelaire. San Ber-
nardo, Bvron. Camoens, Chopin. Confucio, Dickens,
Dante. Heine. Gladstone. Linneo. Lutero. Maupas-
sant . Michelangelo , Renan . Spinoza . Verlaine .
Watteau.
Statura bassa: Aristotile. Augusto. Balzac. «Bee-
thoven. Calvino, Comte, Condé, Cartesio. Erasmo,
Orazio. Kant. Meissonnier. Lamennais , Locke,
Carlo Martello. Mendelssohn. Milton. Montaigne,
Montesquieu. Mozart. Napoleone, Nelson. Vhiers.
Wagner.
Pare che i geni massimi si reclutino fra i due e-
stremi. che siano o molto grandi o mollo picei li. I
diseredati dell'intelligenza starebbero fra gli uomini
di media statura; ma se essi non hanno con lori
Pietro il Grande o Napoleone, hanno Dante e Mi-
chelangelo, che è. conveniamone, qualche cosa...
L'influsso dell'alcool
sull'organismo umano
L'effetto dell'alcool è diverso secondo la qualità
e la quantità che viene assorbita dal nostro stomaco.
Preso ir. pìccola dose esso provoca una benefica
secrezione dei succhi gastrici, ma preso in grande
quantità produce nel nostro organismo effetti disa-
strosi.
Esso è conosciuto da molti secoli e presso quasi
tutti i popoli. I cinesi conoscono da tempo imme-
morabile l'industria della distilleria ed anche i tur-
chi si inebriano volontieri e da molto tempo coi
fumi dell'acquavite.
L'alcool ha un influsso innegabile su tutta la fi-
siologia umana avendo un effetto rapido ed innega,
bile sul cuore e sul sistema nervoso. Infatti, inge-
rito in certa dose accresce il numero delle pulsa-
zioni ed accelera il corso del sangue: proprietà que-
sta che può essere sapientemente e con discrezione
usata in certe malattie. L'irritazione che esso pro-
vi ea nel cervello si manifesta nell'esaltazione della
fantasia e in un eccitamento generale. Questo ef-
fetto sulla massa cerebrale si spiega col perturba-
mento provocato nel sangue. L'esperienza però ha
dimostrato che qualche goccia di alcool sotto la for-
ma più appetibile di cognac od altro liquore pro-
voca un'abbondante salivazione e più facile dige-
stione, crescendo anche l'appetito. Ne viene che esso
è atto specialmente ad accrescere il calore del corpo.
ad offrire energia in certi faticosi lavori e ciò spiega
le simpatie che esso trova nei climi freddi fra i la-
voratori, i soldati, fra quanti, insomma, devono e-
sercitare un lavoro muscolare.
Fra i prodotti assimilabili all'alcool non va di-
menticata la birra, e a ciò si deve l'alta riputazione
che gode la birra nei paesi della Baviera, dove si
crede che essa sia un valido coefficiente di forza e
di robustezza. Un litro di birra equivale a 120 grani-
mi di latte, a 60 di pane ed a 25 di carne; fra le
birre poi la più ricca di sostanze nutritive è la birra
di Monaco. Le sue qualità igieniche sono prodotti
dal fatto che essa possiede tutte le buone qualità
stimolanti dell'acquavite senza averne i difetti.
Ma gli effetti dell'abuso di tutti i liquori alcoo-
lici sono d'altra parte terribili: in breve tempo i
vari organi ne sono scossi. Il cervello si intorpidisce,
il sangue accelera la sua corsa e produce una febbre
lenta ma micidiale, i nervi sotto una contrazione
spasmodica e perenni' acquistano vibra/ioni e se,
che danno un tremolìo a tutta la persona, lo sto-
maco emette un'eccessiva secrezione di sughi ga-
striei e quindi si arresta esaurito. Nel SUO interno,
lungo le delicate membrane ohe sono in contatto
diretti", cogli alimenti, sorge un'irritazione insistente
che può essere spesso il principio fatale del cancro
1 davvero dinanzi a questi effetti spaventosi del-
L'alcoolismo, divoratore .li troppe vite, si dimenti-
cano anche gli effimeri vantaggi che in certi casi
può produrre l'alcool sull'organismo umano.
4yS LA LETTURA
Il cappello a cilindro
nella storia e nell'arte
Dalle Lecturet pouf tous, ili aprile .
Si può Wirc che il cappello a cilindro, o a staio,
sia il segno caratteo 'lei costume mascolini
moderni >ti lo hanno portato
e 1<> per:. ni'., il presidente Kriiger non se ne separa
mai, e lo scultore incaricato di modellare la sua sta-
tua colossale non ha potuto fare a meno di metter-
gli in capo una tuba alta mezzo metro, come quel-
1 altro scultore incaricato del monumento a Baudin.
il de] ita o trancese morto sulle barricate durante
,1 colpo di Stato del 2 dicembre.
Questo copricapo indispensabile è intanto giu-
dicato bruttissimo e orribile da tutti e da ciascuno,
dai profani e dagli artisti. Giulio Lemaitre ha
scritto: « lo \urrei l'abolizione del cappello a ci-
lindro, oggetto tanto inconcepibile e misterioso
quanto l'abito a coda di rondine, e più spaventevole
ante la lunga assuefazione dei nostri
occhi ». Il pittore Carolus Duran è stato ancora
più chiaro: a E' l'ultima parola dell'orrido».
Ora questo orribile cappello non lo abbiamo in-
ventato ed imposto noi. Gli artisti del secolo XY111.
cerne Goya e Bonilly, lo hanno fatto figurare nei
loro quadri, e si trova in tempi ancora più remoti,
fino nei ritratti del XV secolo. Filippo il Buono,
duca di Borgogna, già portava il cappello alto, di
feltro scuro e di forma rigida. I contemporanei di
Alberto Diirer lo adoperarono anch'essi, con le falde
piatte; e anche quelli di Rembrandt. con una falda
rialzata da un lato e con un cappietto o una piuma.
Ma rome e dove è nato questo « mostro i? L'e-
same delle antiche immagini permette di risolvere
il quesito. Il cilindro è una specie di transazione
fra le due grandi tendenze del copricapo umano:
la tendenza allo sviluppo verticale e quella allo
sviluppo orizzontale, il primo contro l'umidità, il
secondo contro il sole. Sono le due stesse tendenze
che s imbattute nei secoli per la forma del
0, destinato a ricoprire non una sola testa, ma
tutta una casa. E, casa curiosa, negli stessi periodi
sono stati insieme di moda i tetti aguzzi e i cappelli
conici, rome in altri i cappelli schiacciati e le ter-
razze piane. Questa coincidenza è dipesa dal predo-
minio di due diverse influenze: la meridionale e la
nordica. Generalmente parlando, i copricapo piatti.
il cui tipo è dato dal peloso rappresentato sui fregi
enone, sono venuti dal Sud, quelli alti, il
tipo e l'elmo normanno della tappezzeria di
u\. rial N'ord. Finché predominò la civiltà
• romana, cioè l'influenza meridionale, fu di
moda il cappuccio gallo-romano o il berretto frigio
a punta piegata sul davanti; quando il Nord fu
tanto progredito da imporre le sue forme si videro
i cappelli di castoro, «onici, adatti a far scorrere
rapidamente la pioggia. Cominciarono a spuntare
■ Carlo VII, e nello stesso tempo si diffuse il
gusto per i tetti aguzzi. Il cappello alto arrivò sino
a misurare 45 centimetri; ma questo monunn
senza laide, non difendeva dai raggi del sole. \
li 1.1 l'altra fi rma, la piatta, tornò in favore, e s
Luigi XI regnò incontrastata. Sotto Carlo Vili
riapparve il copricapo conico, il quale però si ab-
bassò n\\ poco e si arrotondò sulla testa di Luigi
XII. Ma. col Rinascimento, fu messo un'altra volta
da parte: Francesco I, come cercò in Italia i suoi
modelli architettonici, così tornò al cappello oriz-
zontale, molto piatto. Più tardi, a poco a poco. 1
si elevò lino a diventare il tocco di Errico li ; poi
si alzò ancora, ma senza che la linea orizzontale
Fosse sacrificata: le falde restarono larghe quan-
trunque il tondo si alzasse. Sotto Luigi XIII pre-
decisamente l'influenza meridionale, italiana e
[muoia: il cappello si schiaccia e le falde si di-
stendono tino a prender la forma caratteristica a-
doperata dai moschettieri. E sotto Luigi XIY l'in-
fluenza nordica è scomparsa a tal segno che le gu-
glie delle cattedrali sono giudicate « barbare » e i
cappelli alti e ridicoli. Essi scompaiono dalla Fran.
eia e dall'Italia e restano soltanto nei paesi germa-
nici, ma con le falde: il cilindro come noi lo e
sciamo è allora nato.
Quali sono ora gli artisti che lo hanno immorta-
lato3 Uno dei primi ritratti in cui lo vediamo è
quello di Antonio di Borgogna, l'ardito capitano.
Egli è rappresentato in costume civile e sulla folta
chioma gli troneggia un cilindro di feltro nero a
piccoli orli. Il pittore che lo dipinse si crede sia
Ruggero van der Weyden ; ma bisogna notare che
quell'antenato della nostra tuba non presenta nep-
pure due linee parallele: i suoi contomi sono del
tutto irregolari.
La forma dello staio diventa regolare in Germa
nia al principio del secolo XVI. I borghesi di No-
rimberga ne adoperarono uno molto simile a quelli
che si vedevano nelle nostre campagne, durante le
feste nuziali, e che certi artisti — per esempio, il
Ferravilla — mettono ancora sulle scene. Alberto
Dùrer. per fare onore alla famiglia della Vergine,
credette di mettere un cappello a cilindro sulla testa
d'uno dei personaggi della composizione rappresen-
tante lo Sposalizio, e un altro cilindro pose sul
capo di Giuseppe d'Arimatea nella stampa della
Deposizione. Parimenti, nel Seppellimento di Cristo
del Matrys (1508) uno dei carnefici seduti sul Cal-
vario porta in testa una solennissima tuba. Ouesta
trionfò propriamente in Olanda. Al principio del se.
colo XVI I era lassù tanto comune, che in una stam-
pa di Isaia van der Welde. rappresentante una
folla raccolta in una piazza dell'Aia, non si vedono
altro che cappelli a staio. Bisogna credere che (niella
folla sia composta di borghesi danarosi. p>erchè al-
lora il cilindro costava caro; in l' rancia non si po-
teva avere a meno di 40 franchi. Per questa ra-
gione, nella maggior parte delle immagini anticlv.
si vede raramente, sopra una o due teste soltanto.
I.o mettevano per giuocare al tric-trac nelle iàbagit
di rlarlem, nel 1625 ; come lo si mise nel 1820. a
Parigi, per giuocare a dama al caffè Lamblin. \
XVII secolo non c'era la distinzione che c'è oggi
fra i copricapo militari e borghesi, ragione per la
DALLE RIYI> I I
qi'ale nella famosa Ronda notturna di Rembrandt
uno dei compagni del capitano Cocq porta il paci-
cilindro. E' però il solo che sia dato vedere in
tutti i quadri del celebre artista: anch'egli doveva
provare avversione per questo accessorio dell'abbi-
gliamento. Il suo contemporaneo Giovanni Steen è
di meno difficile contentatura: egli mette la tuba
un poco conica sulla testa di tutti i suoi medici e
ciarlatani. Tuttavia è da notare che questo cappello
dot esce dall'Olanda, e che da quel paese si espor-
e si copiano le tele, i ricami e tante altre cose,
ma si lascia da parte il ridicolo cilindro.
I., cose però cambiano con la Rivoluzione: par-
racche, cipria, gale e piume caddero con le teste, e
.1 apparve all'orizzonte qualche cosa, come ha
- un poeta. « di cupo e di soprannaturale ». il
.appello a cilindro, che con l'aspetto geometrico.
le da tutte le parti, uniforme, triste, lugubre,
simboleggia 1 era delleguaglianza pesante, rigida e
v/ntenziosa. Dapprima si trasformò in un trombone
enorme, peloso, ridicolo, sinistro. Gli incroyables lo
irono e tutta l'Europa lo adottò a segno che
,-a dipinse il suo proprio ritratto con quel co-
pricapo che pareva fatto della pelle di un istrice.
Da allora esso non disparve più ; il suo destino
fu unito a quello della libertà. Riapparve immenso,
schiacciato, a larghe tese sulla testa di Bolivar, li-
beratore dell'America del Sud, e nel 1820 gli am-
miratori dell'ardente patriotta attestarono la loro
razione contro la Spagna andando attorno con
un enorme bolivar in capo. E la sua reputazione
crebbe: esso diventò come il segno di riconoscimento
dei liberali. Intorno a quel cappello si aggruppa-
rono gl'insorti delle giornate di Luglio; perciò De-
lacroix lo mise in testa a uno dei principali com-
battenti nel suo quadro intitolato La libertà. Una
tuba agitava il 3 dicembre 185 1 Baudin per tra-
scinare i popolani contro Luigi Bonaparte ; una
tuba cade ai piedi di Vittorio Noir, il giornalista
ucciso in duello dal cugino di Napoleone III. In
tutte le lotte della politica e del pensiero essa sim-
boleggia la protesta dell'avvenire contro la tradi-
e. Aivompagna assiduamente l'abito nero, la
livrea della società democratica. 0 L'abito nero ».
ha detto Alfredo de Musset. « è un simbolo terri-
bile: per arrivare ad esso, le armature hanno do-
vuto cadere a pezzo a pezzo e i ricami a fiore a
e. E' la ragione umana spogliata di tutte le Ulu-
li e portante il lutto di sé stessa per esser con-
solata ».
L'imbarazzo degli artisti è molto grande, quando
hanno da rappresentare un uomo col cilindro. Uno
scultore non lo può mettere in testa alla sua statua :
se glielo mette in mano, può sembrare che abbia
scolpito un questuante, o può accadergli come a
quello che mise uno staio in mano, col fondo in
a una statua eretta in una piazza di Glasgow:
d'inverno, la tuba si riempie di neve I pittori, al-
meno, possono lasciare nell'ombra l'oggetto anti-
patico.
I_a signora di Girardin diceva una volta a uno
dei suoi amici : <i II vostro cappello a cilindro è
molto brutto, molto incomodo ; ma non lo smettete.
479
E' difficile portarlo bene, e il modo di portarlo è
l'ultimo segno dal quale, ai nostri giorni, si possa
riconoscere l'eleganza e il saper vivere ». Queste
parole si possono anche riferire agli artisti. Se il
cilindro trionfò, come abbiamo visto. nell'Arte an-
tica. l'Arte moderna deve anch'essa saper trovare il
modo di servirsene.
Emilio Zola sul tavolo anatomico
Da un articolo di Paolo Mantegazza, nella Nuova A
logia, del 15 marzo .
Nel render conto di uno studio antropologico
compito dal Mac Donald di New York intorno ad
Emilio Zola, il Mantegazza premette una dichiara-
zione: egli non s'accorda con la scuola lombrosia-
na, la quale d'ogni uomo di genio fa un matto o
per lo meno un epilettico, e quando trova un uomo
superiore in cui non c'è il più piccolo segno di
pazzia, gli nega il genio e gli accorda per cortesia
il battesimo di grande ingegno. Ciò non vuol dire
che abbia ragione la scuola opposta, quella degli
spiritualisti e dei poeti dell'anima i quali vorreb-
bero impedire di studiare i grandi uomini e di ana-
lizzarli, quasi non fosse un nobile ed alto scopo della
scienza scrutare per quali leggi e per quali ragioni
il cervello umano emerga dalla media volgare. Lo
studio del Mac Donald, dice il Mantegazza, è ap-
punto prezioso perchè dimostra che si può analiz-
zare scientificamente un uomo di genio, senza di
necessità concludere che, appunto essendo genio, è
anche mentecatto ed epilettico. Lo Zola era già
studiato antropologicamente del Toulouse, dal Ma-
nouvrier, dal Bertillon, dal Block. dall'Huchard,
dal Joffrey. dal Robin, dal Molfet, dal Serveaux,
dal Bonnier, dall'Henry, dal Philippe, dal Crépieux-
Jamin, dal Passy, dal Golippe e da altri; ma il
Mac Donald era l'uomo più adatto a riassumere
tutte le osservazioni sul grande scrittore francese,
perchè dotto in tutti i metodi più moderni dell'esa-
me antropometrico e biologico.
Zola nacque a Parigi il 2 aprile 1840. Nulla di
anormale ci fu nel suo sviluppo ; si notò soltanto
che non poteva pronunziare la lettera s, a cui sosti-
tuiva la /. 0 Quale prezioso fatto per la scuola lom-
brosiana ! » esclama ironicamente il Mantegazza.
Bambino, fu più volte malato e restò pallido e de-
licato; divenne robusto più tardi. Terminò i primi
studi a 18 anni e soffrì di una tifoidea piuttosto
grave. Dai 20 ai 40 sofferse sempre di nevralgie,
ebbe una cistite e sintomi di angina pecloris. A 35
anni smise di fumare per seri disturbi di cuore . e
solo dopo i primi trionfi letterari che gli pro-
curarono l'agiatezza divenne tanto forte e ingrassò
a segno di riuscirgli penoso il minimo esercizio
muscolare. Sofferse di dilatazione di stomaco, di
|8o LA LETTURA
■ li sonnolenza dopo i i
sa die in parte con-
t ini: 'li non bere durante i pasti, di
endo invece un litri, di
In 18 mesi ili questa dieta p< n
jo libbre 'li peso. Ebbe sempre cattivi denti,
fu precoce intellettualmente, e imp
: ; anni. I r.i i 7 e i i.\ ;i- 1 Aix. studiò
ggiando per le cam-
\ io anni ebbe il primo amore, e a 12
ore fu per lui una cosa più' seria; nondimeno
le d nella sua gi"\i-
\ 1 j anni entrò al Liceo, dove da principio
fu degli ultimi : ma |n>i. messosi d'imj portò
par^ : i. Prescelse gli studi scientifici, a-
veni - tanza per le lingue mi «te
lecialmente per il greco. A 18 anni passò con
la famiglia a Parigi, dove visse solo, perchè i con-
io deridevano per l'accento provenzali ;
alla licenza fu bocciato nella storia e nella lette-
ratura. Fu perciò che, senza titoli, non potè
a nessun posto ufficiale. Intanto la madre ri-
vedova e povera, ed egli dovette lottare con
!.i miseria in mezzo alle classi più povere di Pa-
rigi, dove pen> raccolse osservazioni preziose pei
re che scrisse più tardi.
\ 57 anni lo Zola aveva l'aspetto robusto, sta-
tura sottr> la media, pelle Manca, sguardo da mio-
pe, l'occhio sinistri del destro per uno
• lo 1 irbicolare - ca-
re che 1 nnover rebbe tra
rativi. La sua fisonomia, secondo il Man-
za, somiglia moltissimo a quella del Letour-
neau. etnologo e psicologo illustre. Con la fisi
mia. essi hanno simili anche i caratteri: sono en-
trambi positivisti ed increduli, tenaci nei pi
•i-voli: coincidenza importantissima
studio della [
Lo Zola ha grande sensibilità cutanea, è soggetto
asimi cardiaci, a crampi, a tremiti, a vertigini,
uà irritabilità capacità
per cui si sente stanco dopo 3
li occupazioni mentali. La sua memoria non
passa la media, ma egli ricorda cose del seo
anno di vita. C 1 la propria lin
il Mantegazza, la fisonomia letteraria
dello Zola si spiega con la grande sensibilità, la
memoria, la tenacia del volere e il potente spi-
rito , il JVIac Donald, il
suo Credo morale e re! ■_
nioni: « Il genio o ns Ste nel riprodurre la natura
con 1 1 diritto ;• l'applii ! US
zia. S tra la legge naturale e la
.1. ciò di] una falsa applicazione della
zia. La doni : leni 1 equilibrio ed
iniziativa dell uomo e in gì . è infi 1
ma gli è spessi, superiore nelle piccole cose. Tutti
i dogmi religiosi gli sembrano inconsistenti; la
moralità è da lui fondata nel l'osservare le legg
ciali. Il suo ci della vita è pagano: sai
unto ciò die fa male, ciò che è Inori della natura
è incomprensibile •.
I . de di ordine e di meti do s,.n, in lui
profonde e ne è schiavo, tanto nella vita
ica quanto nel lavi ro d'arti Li 1 ■ più belle,
a suo gusto, sono : zza, la salute e la l'-
Ama i gioielli e le macchine a vapore, segno della
finezza e della forza. Fra i colori preferisce il
rosso, il giallo, il verde e le tinte sbiadite. Fra
odori preferisce quelli naturali dei fiori. 1-'
profumi artificiali. Gli sono graditi i cibi dolci. In
arte predilige il Ba I I ■ \. >n gli i
il teatro moderno. Non ama i giuochi d'azzardo,
né il bigliardo vhi si. ma lo stancano. -
porta facilmente le offese 1
ma quelle fatte alla giustizia lo irritano:
spiegare la sua campagna in favore di Dreyfus.
Ed eccoci a quelle manie delle quali i li
siani han fatto gran caso.
Passeggiando. Emilio Zola cinta le lampi;
gas. le porte delle case e le carrozze da nolo. 1
anche i gradini delle sede e gli oggi-iti del suo
scrittoio. Certi numeri gli sono antipatici, altri sim-
patici. Una volta il numero prediletto era il 3, ora
è il 7. Di notte apre gli occhi 7 volte per pei
dersi che non morirà. Il 17 gli è odiosissimo per-
ché gli rammenta una data funesta. Xon entr.i
lontieri in una carrozza che ha un numero a lui an-
tipatico. Ma egli stesso ride di queste man
quando vuole le vince.
Xon si sono osservati in lui fenomeni
epilettici. E' però nevropatico, come tutti gli uo-
mini eccessivamente sensibili e perciò eccitabili : ma
da ciò, dice il Mantegazza. « al concludere ci
pazzo o . to. c'è un gran salto che il
buon senso mi impedisce di fare ». I.e manie
liane si possono osservare in uomini volgari e di
ingegno, ma che però non potevano
al battesimo di genio. Condì \1
riferisce la sintesi del Mac Donald: « I.e
caratteristiche sue sono la finezza e l'e> '-Ila
percezione, la chiarezza dell
di ai - di osserva il Man-
izza — la sicurezza nel giudi/io. il bui n
di ordine, il potere di coordinazione, la straord
ria tenacità nello si un gran si
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CORNELIA
CR-
ISTO"
I ( ontinttazione e fine, vedi numero />/<•/ edente).
Cornelia suggerì ai due giovani ili girare per
la città per sentire se si sapesse qualcosa della
-ut avventura. Essi le risposero ebe già l'ave-
yano fatto con tutte le cautele immaginabili,
ma che nessuno ne parlava. In questo mo-
mento uno dei loro tre paggi s' avvicinò alla
porla, e disse dal ili luori :
I n gentiluomo .seguito da due valletti
domanda del mio signore don .luan de Gam-
boa;dice chiamarsi Lorenzo Bentivoglio.
A questo messaggio, Cornelia stretti i pugni
se li mise alla bocca, lasciando sfuggire di tra
le dita una voce soffocala e tremula:
Signori, è mio fratello; egli, senza dub-
bio, saprà die sono qui, e viene per uccider-
mi. Soccorretemi, signori, difendetemi.
Calmatevi, signora: voi siete in luogo
sicuro, sotto la protezione nostra, nessuno
(pundi potrà farvi il menomo oltraggio. Scen-
dete, don .luan. amiate a vedere che desidera
questo gentiluomo, lo rimarrò qui per difen-
dere Cornelia, se fosse necessario.
Don Juan, senza mutar taccia, scese sul-
l'istante. Don Antonio si fece portare due pi-
stole cariche, poi diede ordine ai paggi di
prendere le loro spade e di tenersi pronti. La
governante, vedendo questi preparativi, tremava
come ima foglia, e < '.omelia, che temeva qual-
b rutto all'are, non era meno spaventata
di lei. Solo don Antonio e don .luan conser-
vavano il loro sangue freddo, occupandosi di
quanto dovevano fare.
Don .luan trovò don
Lori n/o alla porla della
strada: appena veduto-
lo, que ii gli disse:
— Io supplico la Si-
gnoria Vostra (è que- la
ESIGETE
Wmm
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
■limila it diana a
con me
nella chiesa qui di con-
tro. Debbo parlare alla
' ■ ira d' un
aliare in cui si tratta della mia vita e del mio
onore.
- Molto volentieri, rispose don Juan: an-
diamo dove credete.
Ciò detto, si presero a braccetto, andar >
in chiesa e si sedettero su un banco in di-
sparte, in modo da non essere uditi. Lorenzo
parlò pel primo.
Signor Spaglinolo, disse, io sono Lo-
renzo Bentivoglio, se non Ira i più ricchi, cer-
tamente fra i più nobili gentiluomini di questa
città. Essendo noto a tutti, ciò mi servirà di
scusa alla lode che mi laccio da me stesso.
Rimasi orfano qualche anno fa, ed ebbi sotto
la mia tutela una mia sorella così lidia, che
se non mi appartenesse cosi da vaino, le
espressioni e le iperboli mi mancherebbero
per farne gli elogi, non potendo nessuno i
rispondere alla su:', bellezza. .Misi ogni ima
sollecitudine, ogni mia cura, per custodirla,
tanto mi era caro l'onor mio, la sua gioventù,
la sua bellezza. JMa il carattere leggiero e vi-
vace di mia sorella Cornelia (COSÌ vien chia-
mata ingannò ogni mia precauzione, ogni mia
misura. Insomma, per esser breve e non stan-
carvi troppo, vi dirò che il duca di Ferrara
Alfonso d'Este vinse con occhi di linee quelli
di Argo e ch'egli trionfò della mia accortezza,
trionfando della virtù di mia sorella. Ieri
egli la rapì e la portò a casa d'una mia pan
(dicono perfino che essa abbia avuto, di questi
giorni, un bambino). Lo seppi ieri sera e [inseguii
sul momento, credo perfino d'averlo incontrato
e di averlo assalito la spada alla mano, ma
egli venne soccorso da qualche angelo iute-
lare, il quale non permise ch'io lavassi nel
suo sangue la macchia del mio oltraggio. Le-
ce mi dunque privo di mia Mirella e del mio onore
(ha ho deciso di andare subito a Ferrara per
domandare al duca soddisfazione dell'offesa ri-
cevuta, e se me la rifiuta, sfidarlo, nuesto non
avverrà con schiere armate, non polendo nò riu-
nirle, nò assoldarle, ma da uomo a uomo.
Appunto perciò avrei bisogno del vostro ap-
Attente MADRI!
L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini; il Caffé Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostii bambini.
Non è necessario di abolire completamente l'uso del Caffé Coloniale;
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della mela o di un terzo il Carle
Malto Kneipj. Il Caffé Malto Kneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i mediti. Adoperatelo e pò
tete fan- a meno di servirvi dei tanti surrogati i generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliete le sue qualità nocive.
Se vi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate tlì
fare continuamente uso del Caffè Malto, chiedetelo a tutti 1 droghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
Anno >^ .
ISTITUTO flERO-EliETTROTERfiPICO DI TORINO
-A. * .1. i * <> 3C •
I3€M* it* onro, delle
MALATTIE DEI POLMONI E DEL CUORE
del Dottor GUIDO SCARPA, specialista
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1 più nienti progressi della terapia e la più rigorosa razionalità, cioè con a base la correzione
delle lesioni statico-dinaimche degli Apparati Respiratorio e Circolatorio prodotte dalla malattia
stessa. E ciò perchè non è attualmente più possibile esercire la specialità della terapia polmo-
nare e cardiaca quando non si possieda quanto è necessario a compensare </uel tanto di alterata
funzionalità meccanica die, in grado ora più ora meno grave, esiste sempre in ogni malattia di questi
organi la cui base di funzione è precipuamente meccanica.
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poggio, vorrei che mi accompagnaste in questo
spero che non me lo ri iuteri te, e
sendo voi Spagnuolo e gentiluomo, da quanto
venni informato. Scortato da uno Spagnuolo,
e da uno Spagnuolo quale mi sembrate, mi
parrà di condurre in mia difesa l'armata di
1 luanto vi richiedo è molto : ma il do-
wn- ili corrispondere alla lama acquistata
dalla vostra nazione esige anche ili più.
Basta, signor Lorenzo, gridò don Juan,
i he lo aveva ascoltato lino allora, senza mai
interromperlo. Domattina mi costituerò vostro
difensore e consigliere, e mi assumerò la sod-
disfazione ii la vendetta dell' affronto fattovi.
A queste parole, Lorenzo si alzò ed abbrac-
ciò Stretto limi Juan:
— In cuore generoso come il vostro, si-
gnor don Juan, gli disse, non ha bisogno in
simile cosa di essere spronato da altro inte-
resse, che non sia quello dell'onore da conqui-
starsi. Questo onore ve lo garantisco fin d'ora, se
uscirò vittorioso dall' affare, e in pia vi offro
tutto quello che posseggo, che posso, che valgo.
Benissimo, rispose don Juan, ma per-
mettetemi, signore, di confidare quest'avventura
a un gentiluomo mio compagno, sul cui va-
lore e sulla cui prudenza potete contare più
che sulla mia.
Signor don Juan, replicò Lorenzo, giac-
ché \i siete preso a cuore il mio onore, di-
sponetene come meglio vi aggrada, parlatene
a chi credete e nei termini che volete: non
può essere che nobile e buono chi vi è amico.
Ciò detto si abbracciarono accomiatandosi
l'uno dall'altro, e convennero fra di loro che
l'indomani mattina Lorenzo avrebbe mandato
a chiamare don Juan, per montare a cavallo
mori della città, e proseguire la loro strada
travestiti.
Don Juan ritornò a casa ed informò tosto
don Antonio e Cornelia di quanto era successo
e dell'impegno preso.
- Vergine Santa, esclamò Cornelia, la vo-
stra cortesia è grande quanto la vostra confi-
denza. Ma come avete potuto impegnarvi in
una simile impresa pie-
na di pericoli? E quali
giorni angosciosi passe
rò io, nell'inquietudine
e nelln spavento, in at-
tesa delle dolci o amare
notizie sul risultato del-
l'impresa? Non amo io
ini sejil duca e mio fra-
tello pernon temere tan-
to la disgrazia dell'uno
quanto quella dell altro
ESÌGETE
Mirai
MARCA
HERMANN
MI LA NO -TORINO
La vostra immaginazione va troppo lon-
tana, signora Cornelia, e siete esagerata nella
■•■'• tre apprensioni. Fra tanti timori, lasciate
un po' di posto alla speranza, lidate in Dio,
mila mia accortezza, nella mia brama, nella
una sollecitudine perchè venga compiuto il
vostro desiderio. Il viaggio a Ferrara non si
può evitare, come non posso esimermi dal-
i accompagnare vostro fratello. Finora non sap-
piamo quale sia l'intenzione del duca, e igno-
riamo se sappia della vostra tuga. Tutto ciò
dubbia saperlo da lui, e nessuno meglio di
me può domandarglielo.
Signor don Juan, rispose Cornelia, se il
cielo vi darà tanto potere per rimediare ai
mali . quanta grazia vi dà nel consolarli, io
debbo calcolarmi ben fortunata in mezzo alle
mie pene! Vorrei già sapervi andato e ritor-
nato, per quanto dure emozioni mi debbano
dare, nella vostra assenza, la speranza ed il
timore.
Don Antonio approvò la risoluzione di don
Juan, e lodò il nobile modo col quale aveva
risposto alla confidenza di Lorenzo Bentivo-
glio. Fgli aggiunse, poi, che li voleva accom-
pagnare, nel caso che la sua presenza fosse
utile.
— Quanto a questo, no, rispose don Juan :
prima di tutto perchè non sarebbe bene di
lasciare sola la signora Cornelia, e poi perchè
non vorrei che il signor Lorenzo pensasse che
io voglia valermi del braccio altrui.
- 11 mio e il vostro l'anno una cosa sola,
replicò don Antonio; dovessi serbare l'inco-
gnito e seguirvi da lontano, lo farei ugual-
mente. Sono persuaso che la signora Cornelia
non se ne dorrà. Essa, d'altronde, non è sola,
ed ha chi la custodisce e le tiene compagnia
Oh, sì, riprese Cornelia, sarà un gran-
dissimo conforto per me, di vedervi partire
insieme, o quanto meno in modo da potervi
prestar soccorso vicendevolmente, se il caso
lo volesse, e giacche quest'impresa, a parer
mio, può essere pericolosa, vi prego, siglimi,
di portare queste reliquie con voi.
Ciò dicendo si cavò dal seno una croce in
diamanti d'un valore inestimabile, e un Agnus
in oro altrettanto ricco.
1 due amici esaminarono quei preziosi gioielli,
ma li resero a Cornelia, dicendo che essi pure
avevano delle reliquie, se non ricche e pre-
ziose come le sue, però altrettanto miraco-
lose.
La governante, saputo dai suoi padroni della
loro partenza (ignorava però dove andavano
e per quali ragioni , li assicurò che avrebbe
sorvegliato e accudito la dama di cui ignorava
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L'indomani, di buon mattino, Lorenzo era
alla porta 'li casa Don Juan, vestito da viag-
, col suo prezioso cappello, guarnito di
penne gialle e nere, e aveva coperto le
gemme con un nastro nero . ommiato
da i omelia . la quali', sapendo che suo fra-
tello era lì sotto, colta da spavento indicibile,
non seppe rivolgere una panila d'addio ai due
amici Don Juan uscì pel primo, ed andò con
Lorenzo inori mina, dove in un giardino tro-
varono due buoni cavalli con due valletti che
li tenevano per la briglia. Vi montarono so-
pra : i valletti corsero davanti. Don Antonio
.a su un suo ronzino . travestito in
modo da non essere riconosciuto; ma s'ac-
e che Loren i lai dava con diffidenza,
onde risolse ili prendere la via mar-ira, sicuro
d'incontrarli poi a Ferrara. Appena i viag-
giatori i isciato Bologna, Cornelia rac-
contò alla governante le sue avventure, le con-
fessò che il bambino era suo e del duca 'li
Ferrara, le confidò tutti i particolari di questa
stori: ià narrammo; le disse pure come
i suoi padroni fossero andati in compagnia 'li
suo fratello dal duca Alfonso a sfidarlo. La
governante, ciò udito, come se un demone le
avesse dato ordine di imbrogliare le cose, ri-
tardando la libertà di Cornelia, disse:
- Come mai, signora mia, con tutti questi
guai, ve ne potete vivere tranquilla come se
nulla fosse? (> non avete animo o l'avete come
un pulcino! É voi credete proprio che vostro
fratello vaia a Ferrara? Non è vero niente!
lo sono persuasa ch'egli volle condur con sé
i miei padroni, allontanarli 'li casa, per po-
i tornare da solo, e togliervi la vita! Chi
abbiamo per difenderci? Tre paggi imberbi!
Ter conto mio, confesso che non avrò il CO-
jio d'aspettare la rovina che minaccia
questa casa. Signora mia, se voleste seguire
un mio consiglio, io saprei forse togliervi
d' impiccio.
— E quale provvido consiglio mi dareste
voi, per evitare questa
catastrofe?
— Quale nessun al
irò potrebbe darvelo
meglio, rispose la go-
vernante. Voidovete sa
pere i he molti anni fa,
io fui a servizio di un
curato ' he abita a due
miglia da Ferrara. Egli
è una -anta persona .
che farebbe l'impossi
ESIGETE
HHH
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
bile, avenilo con me delle obbligazioni mag-
i 'h quelle per averlo servilo fedelmenti
Andiamocene colà, io vado a cercare qualcuno
clic ci accompagni : quanto alla donna
viene ad allattare il bambino, non ve ne date
pensiero; essa è una povera infelice -chi
seguirebbe lino in capo al inondo. Nel caso,
poi, che venissero a scoprirci, è meglio, per
la riputazione vostra, che vi trovino presso
un modesto curalo ili campagna, che sotto la
prole/ione di due giovani studenti sp
1 quali, da quanto vidi, non lasciano mai si
le occasioni che si presentano.... 0
penile siete a mmalat a, vi rispettano; ma aspet-
tate di essere guarita ... te ancora in
mani loro. Dio farà ben. a venirvi in aiuto:
vi assicuro che se la mia freddezza e i miei
rabbuili non mi avessero custodita, avrebbero
messo a rischio la mia virtù.
E gliene disse tante e di tutti i colori che
alla (ine Cornelia si decise a seguire il suo
consiglio. In meno di quattro ore, dopo aver
preso ogni disposi/ione si trovarono in car-
rozza colla nutrice ed il l'ambino: senza la-
sciarsi scorgere dai paggi, si misero in via
verso il villaggio del curalo. Ricordandosi poi
che don .luan edon Lorenzo contavano di an-
dare a Ferrara per strade di traverso, «
per evitare d'imbattersi in loro, stabilirono «li
viaggiare sulla strada maestra, a piccole gior-
nate.
Ed ora che le sappiamo ben appoggiate e
sicure, Lasciamole proseguire nel loro viag
e vediamo quello che successe a Lorenzo lìen-
tivoglio e a don .luan de Gamboa. Dicono che
strada facendo, seppero che il duca non era
a Ferrara ma a Bologna, per cui lasciarono
le vie di traverso e raggiunsero la strada
maestra, persuasi che don Alfonso -ani. le
passato di lì lasciando Bologna. Uopo peo
tempo, gettando lo sguardo verso Bologna per
vedere se sopraggiungesse qualcuno, scorsero
di lontano un gran ninnerò di persone a ca-
vallo. Don .luan disse a Lorenzo di scostarsi
dalla strada, perchè, nel caso <■]]>■ il duca fa-
ci s e parie del gruppo, egli si sarebbe avvi-
cinato, e gli avrebbe parlato prima di entrare
alle poiic di Ferrara, a breve distanza di li.
Lorenzo approvo la sua idea e gli ohi-
Appena si In allontanalo, don .luan si tolse
dal cappello il nastro che copriva il gallone
ingemmato bourdalou . cosi assai imprudi
cune confessò di poi.
In questo momento fu raggiunto dai viag-
giatori. Fra di essi vi era una donna montata
su un eavallo morello, m co-lume da viaggio,
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CORNELIA
Doa Juan arri vallo in mezzo alla strada
e rimase a viso scoperto
Il portamento altiero, il bel cavallo, il rii
urne «lei gentiluomo spagnuolo e soprattutto
il luccichio dei diamanti sul rapinilo attras
irdo 'li quelli che venivano a lui,
e principalmente quello del duca che si trovava
i schiera. Appena gettati gli occhi sul
bourdalou, capì che quello che lo portava do-
don Juan de Gamboa e senza più
riflettere spinse il cavallo verso di lui.
Non credo sbagliarmi, gli disse, chiaman-
dovi don Juan de < ìamboa : il vostro portamento
e l'ornamento del vostro cappello me I" con-
fermano
I . vero, rispose don Juan ; mai non seppi
né volli nascondere il uno nome. .Ma. ditemi
chi siete, signore, affinchè non vi manchi di
cortesia
lo sono il iluca di Ferrara , il quale si
terrà sempre onoralo di servirvi tutti 1 giorni
della sua vita . poiché voi le salvaste la sua.
non sono quattro notti.
Non aveva mulo di pronunziale queste pa-
role, che don Juan, saltando con prontezza da
cavallo, corse a baciargli i piedi. Ma per quanto
si fosse affrettato, il duca già aveva lasciato
la sella, di modo che nello scendere dalla stalla
don Juan lo ricevette nelle sue braccia. Il si-
gnor Lorenzo, che di lontano osservava queste
cerimonie, attribuendole non alla cortesia ma
all'ira, si slancio tosto col cavallo, ma di botto
indietreggiò quando li vide abbracciati. Il duca
lo riconobbe; questa vista lo turbò alquanto,
e domandò a don Juan, sempre stretto tra le
sue bracci;!, se Lorenzo Bentivoglio fosse
l mi lui.
Allontaniamoci, rispose don Juan.
Il iluca lo obbedì, e allora don Juan disse;
— Signore, Lorenzo Bentivoglio, che voi
vedeste or ora, vi accusa di una colpa non
giera. Egli assicura che (piatirò notti or
-omo voi rapiste sua sorella ('.omelia dalla casa
di una sua parente, dopo averla ingannata i1
disonorata. Egli vuole sapere da voi quale
soddisfazione contate
dargli, per vedere ciò
che gli conviene di l'are.
Mi pregò di essere suo
mediatore accettai pen-
ti i che ness ino me
glio di me poteva in-
tromettersi in questa
mia e (ili offersi il
uno aiuto, i ira, signo-
re, vorrei sapere da
voi quanto vi è di
vero in questa lai cruda, e se Lorenzo non
melili.
Amico mio, questa è la pura vei ita e
quand'anche lo desiderassi non avrei l'audacia
di negarla Non ho punto ingannato Cornelia,
benché io sappia della sua fuga dalla casa di
Cui mi parlate ; non l'ho ingannata, perchè la
presi per sposa; non l'ho rapita, perchè ignoro
dove si trova. Se non celebrai pubblicamente
le nostre nozze, fu perchè aspettavo che mia
madre, morente, passasse a miglior vita, per
non contrariarla nel suo desiderio ch'io sposi
Laura figliuola del dura di Mantova, e per altri
motivi più gravi ancora, che ora non mi con-
viene di palesare. Fero quello che avvenne:
la notte in cui veniste in mio soccorso <l vevo
condurla a Ferrara, perchè scadeva il mese in
cui doveva venire alla luce il pegno accordato
dal rido al nostro amore. Ma, sia a causa del
mio combattimento, sia a eausa del mio ri-
tardo, quando giunsi in quella casa trovai la
confidente dei nostri progetti che usciva. Mi in-
l'ormai di Cornelia ed essa mi rispose che era
già uscita, dopo aver messo alla luce in quella
notte istessa il più bel bimbo del mondo, che
essa aveva consegnato nelle mani di Fabio,
uno dei miei servi. Questa donna, di cui vi
parlo, è quella stessa che ci accompagna. Fabio
pure è qui, ma il bimbo e Cornelia non si
sono ritrovati. Rimasi a Bologna quasi due
giorni, aspettando e cercando di avere qualche
notizia di Cornelia, ma invano.
Per cui, signore, interruppe don Juan,
se Cornelia e suo tiglio si ritrovassero, voi non
neghereste che una è la sposa vostra e l'altro
vostro figlio?
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
difficoltà, riprese don
a vostro cognato, il si-
— No certamente.
— Non avreste voi
Juan, di dire tutto ciò
gnor Lorenzo ?
Ciò che rimpiango, rispose il dina, è
eh egli tardi tanto a saperlo.
Don Juan fece sull'istante segno a Lorenzo
di porre piede a terra e di venirli a raggiun-
. L'altro obbedì, ben lungi dal sospettare
la buona notizia che 1 aspellava. Il dina sì
avanzò a braccia aperte per riceverlo; la prima
parola che gli rivolse tu per chiamarlo fratello.
Lorenzo poteva a mala pena risponde e a una
accoglienza rosi cortese, ad un saluto cosi
affettuoso Mentre rimaneva confuso, incapace
di pronunziare una p troia, don Juan gli di
— Il dina confessa i rapporti segreti avuti
rou vostra sorella, la signora Cornelia; egli
i fessa pure ch'essa è la sua legittima sposa,
r. come lo dice in questo momento, lo dirà
pubblicamente quando sarà tempo. Egli con-
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a Ferrara, aspettando l'occasione favorevole
per celebrare le nozze, ritardate per ragioni
stissima, che mi conGdò, Egli raccontò an-
cora i i battimento sostenuto con voi, i ome
iera Sulpicia (la donna
che -i h al suo seguito . dalla quale ap
■m Cornetta spessi, avuto un ora
prima un bambino, e lo avesse consegnato
a un servitore del duca, e come la stessa. Cor-
nelia, credendo il duca presso a venire, [osse
ita di casa tutta spaventata, credendo che
voi. don Lorenzo, conosceste il sud mistero.
Sulpicia non consegnò il bambino a un servi-
dei duca, ma bensì a un'altra persona
in vece sua: Cornelia non riapparve. Il duca
-i accusa come causa ili tutto il male, e dice
che appena verrà ritrovata Cornelia, egli la
ricon ome sua legittima sposa.
Il signor Lorenzo, buttandosi ai piedi del
dura, che si sforzava di rialzarlo, disse:
! i vostra grandezza e dei vostri sen-
timenti cristiani, serenissimo signor fratello,
mia sorella ed io non potevamo sperare un
benefìzio maggiore di quello di cui ci colmate
rambi, essa facendola vostra pari, innal-
zando me al rango vostro.
Così dicendo, le lacrime gli venivano agli
occhi, il duca pure sentiva i suoi inumidirsi,
commossi entrambi, l'uno per aver perdutola
a sua, l'altro per aver trovato un «osi
ato. Ma temendo che le loro la-
erime dessero prova di debolezza, cercarono
di trattenerle, mentre dagli occhi di don Juan
sprizzava la gioia di avere nelle sue mani Cor-
nelia ed il bambino.
In quella giunse don .Antonio, che si ralle-
ti quando seppe dal compagno ciò che
esso, e disse a don Juan:
Ma perchè non volete portare la loro
gioia al colmo, annunziando che Cornelia e il
bimbo si sono ritrovati ?
— Se non giungevate voi. signor don An-
tonio, rispose don Juan, l'avrei già fatto; an-
nunziateglielo voi stes-
so ; sono certo che ve
ne saranno grati.
Don Antonio rac-
contò loro dettagliata-
mente quanto narram-
mo diggià. Il duca e
Lorenzo provai una
tal gioia che Lorenzo
abbracciò don .luan e
il duca don Antonio.
Il dina prometteva per
.strenna il suo intero Stato e Lorenzo la sua
fortuna, la vita sua. la sua anima.
lutine il duca disse :
- lo non andrò più a Ferrara, ma riti
nero a Bologna sull'attimo : queste gioie non
saranno che l'ombra della felicità, tinche la
vista di '.omelia non le avrà l'alte reali.
E, senza oltre aggiungere, riprese il cammino
di Bologna col suo seguito.
Don Antonio li precedette per darne avviso
a (.omelia, ti menilo che la vista improvvi
del duea e di suo fratello le recassero una
troppo l'urte impressione. Ma non trovando
i paggi ignorando dove fosse andata,
egli si trovò l'uomo più imbarazzato di questo
mondo. Oliando vide che la governante pure
era sparita capì che era siala lei a decidere
Cornelia a fuggire. I paggi gli dissero che se ne
era andata il giorno stesso della loro partenza;
quanto a ('.omelia, della quale egli s'informava,
essi non l'avevano mai vista. A quest'inatti
annunzio, Don Antonio rimase fuori di se, te-
mendo «he il duea li pigliassi' per bugiardi e
ingannatori e supponendo qualcosa di peggio
ancora che compromettesse il loro onore
quello di Cornelia. Slava immerso in questi
tristi pensieri, quando entrarono il duca, don
Juan e don Lorenzo e lo trovarono seduto, col
viso ira le mani, pallido come un morto. D
Juan gli domandò come si sentisse e dove io
Cornelia. Kgli raccontò loro quanto era suc-
cesso. Mancò poco che il duca e Lorenzo a
simile notizia non morissero di disperazione'
Rimasero tutti nella costernazione, nella tri-
stezza, nella desolazione. In questo momento
uno dei paggi si avvicinò a don Antonio e ^rli
disse sottovoce :
— Signore, dal giorno in cui siete parlilo,
Santisteban tiene chiusa in camera sua una
bellissima donna chiamala Cornelia, mi pare.
Don Antonio rimase mulo, come smarriti
egli avrebbe nulle volte preferito che Cornelia
si fosse perduta per sempre (credeva clic l'o
la stessa di cui parlava il paggio), piuttosto di
saperla in simile luogo. Sali alla camera del
paggio, ma vi trovò la porta chiusa a chi;
essendo egli uscito: si avvicinò, e di- e
tovoce:
Aprite, signora Cornelia: vostro fratello
e il duca vostro sposo vengono a cercarvi,
venite a riceverli.
— Vi canzonate voi di me? rispose una
voce ch'egli riconobbe non e--, re quella 'li
Cornelia.
In questo frattempo Santisteban. giunto a
casa e salito in camera sua, vi trovò don An-
tonio, col mazzo delle chiavi di casa in mano,
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L'assenza di loro signori, o per dir me-
lina tentazi del demonio, mi lece con-
durre qui questa donna; vi supplico, signor
<l"ii Antonio possiate presto ricevere notizie
dalla Spagna), vi supplico di non dir nulla, se
o a lo ignora, a don Juan de Gamboa ;
manderò via subito questa donna.
— E come si chiama ?
rnelia, rispose il paggio.
Intanili il paggio ( he aveva scoperto il mi-
c sia per malizia o sia per ingenuità, stava
narrando la cosa a don Juan e a don Lo-
renzo, e diceva ridendo:
Eccolo preso in trappola: ora dovrà re-
stituire la signora Cornelia!
— Che dite voi mai, chiese Lorenzo. Dovè
questa Cornelia?
So ira, rispose il paggio.
Il dina, unii appena intese queste parole,
partì come un fulmine, facendo i gradini quattro
a quattro, sperando d'aver trovati) Cornelia,
la sposa sua! Quale ti i la sua delusione e la
sua confusione! Egli dubitò perfino che i due
gentiluomini spaglinoli In avessero ingannato,
'■ per non dar luogo a questo sospetto, scese
le -cale, e senza dir parola, seguito da Lo-
renzo, montò a cavallo e se ne andò, lasciando
'Imi Juan e don Antonio più vergognosi di lui.
Risolsero di fare tulli i passi possibili e im-
maginabili per ritrovare Cornelia e mostrare
al duca la sincerità ioro, e quale nobile de-
siderio li guidasse. Rimpiansero di non aver
narrato al dina, per convincerlo die Cornelia
era stata in mani loro, e che non lo avevano
ingannato, rome volesse regalar loro un suo
Agnus ed una croce in diamanti; cercarono
di lui, a casa di Lorenzo, ma egli era già par-
tito alla volta di Ferrara. I due amici gli dissero
per quali ragioni lusserò venuti, ma Lorenzo
li assicurò die il duca era stato molto soddi-
sfatto lei loro nobile modo di agire; egli attri-
buiva la fuga di Cornelia allo spavento di
trovarsi sola , ed rera
persuaso che Dio a-
vrebbe permesso di
ritrovarla, essendo im-
possibile die la terra
inghiottisse lei, il bam-
bino e la governante.
io suo discorso
Orò i due amici.
Non vollero fare delle
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito I
bi\' i:ai stupii «eccesso (risente
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
perquisizioni per mez-
zo di bandi pubblici,
ma solamente per vie secrete, giacché nes-
suno sapeva della sparizione di Cornelia.
Il dina continuo d suo viaggio, e la fortuna
die d'ora innanzi disporrà pel suo meglio, lo
(t't-e giungere nel villaggio del curalo presso
il quale si erano ricovi rate i omelia, il bimbo,
la nutrice e la governante. Esse gli avevano
raccontato le loro vicende, consigliandosi su
quanto dovessero lare. Il curato, che era grande
amico del dina, non fu dunque punto sor-
preso quando lo vide giungere al suo presbi-
terio, ma ciòche lo afflisse fu di vederlo triste
ed accorato. Quanto a Cornelia, saputo della
enza del duca, fu presa da un terribile -
mento, ignorando quali intenzioni Io condu-
cessero. Ella si torceva le mani e girava di
qua e di là, come una persona che abbia
smarrito la mente. Avrebbe voluto interrogare
il curalo, ma egli discorreva col duca e non
poteva avvicinarlo. 11 dina gli disse:
— Padre, io vengo a voi pieno di tristezza.
• tgu'i non andrò a Ferrara, sarò vostro ospite,
l'ile, vi prego, al mio seguito di proseguire il
riaggio : resti con me solo Fabio.
Il buon parroco obbedì: poi andò a dare gli
opponimi ordini perchè il duca fosse conve-
nientemente ricevuto. Cornelia ehi, e quindi mez-
zo di avvicinarlo e di parlargli; ella gli disse:
l'adre e signore, ditemi che vuole il
duca? Per l'amor di l>io, ditegli una paro-
lina di me, cercate di scoprire le sue inten-
zioni, insomma lasciatevi guidare dall ispira-
zione.
Il duca è triste, rispose il curato ; finora
non mi disse la ragione del suo dolore. .Ve-
stite il bambino elegantemente, mettetegli tutti
i vostri gioielli, soprattutto quelli che vi regalò
il duca, poi lasciate fare a me e sperate in
Dio. Oggi chissà che non sia una giornata
felice per voi.
Ciò detto ritornò dal duca, aspettando l'ora
del pranzo. Durante la conversazione gli do-
mandò se fosse possibile di conoscere la ra-
gione della sua tristezza, perchè si capiva lon-
tano un miglio come egli fosse profondamente
afflitto,
È vero, padre, rispose il dina, che la
tristezza del cuore traspari' dal volto, e che
le sofferenze dell'animo si leggono negli occhi.
Il peggio e die per ora non posso aprire con
nessuno l'animo mio !
— Se foste in disposizioni d'interessarvi a
cose preziose e dilettevoli, ve ne lana ve !
una che vi farebbe molto piacere.
Sarebbe ben sciocco, rispose il duca, colu.
die venendogli offerto un sollievo ai suoi mali
lorifiutasse. Ve ne prego, padre, fatemela vedere.
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VII
CORNI I l.\
Il curato si al ò andò da Cornelia che aveva
finito 'li vestire il bimbo . mettendogli i suoi
più ricchi gioielli, la croce, ['Agnus ed altri
li d'un gran prezzo, dati tutti dal
<lii. a. Preso il bambino in braccio, lo portò
dal 'lii' a, gli disse 'li al/arsi, di avvicinarsi
■ stra per meglio r< der< i, e gli mise il
bimbo Ira le braccia. Quando il dura rico-
nobb Ili, rimase estatico ; poi, fissandolo
meglio, gli parve di riconoscere in Lui i propri
lineamenti. Nella sua meraviglia domandò al
curato chi fosse quel bambino.
\"ii su. rispose il rurali) : quello che
so dirvi gli òche mi venne portato, qualche
tempo Fa, da un gentiluomo di Bologna, pre-
gandomi di averne la massima cura e di al-
levarlo Mi disse che era figlio d'un padre di
nobilissima famiglia, e di madre altrettanto
nobile. I! gentiluomo portò seni la donna per
allattare il bambino. Vi assicuro che se la ma-
dre è bella quanto la nutrire, essa dev'essere
la più splendida bellezza d'Italia.
E non è possibile vederla? domandò
il dll'a
- Cerio, rispose il curato. Venite con me.
Il curalo cercò di prendergli il bambino, ma
il duca non volle saperne; se lo stringeva fra
le braccia coprendolo di bari. Il curalo corse
a dire a Cornelia di presentarsi subito al
dina, senza la menoma paura. Essa obbedì;
l'emozione le aveva fatto salire al viso dei
colori così vivi, ch'essa era d'una bellezza più
umana. Il duca, nel vederla, fu colpito
rome dal fulmine: le si inginocchiò davanti e
le bacìi i i piedi : poi, senza proferir parola, porse
il bimbo al curato e uscì dalla camera, chia-
mando Fabio.
Corri, amico mio, ritorna a Bologna il
pili presto possibile, di' a Lorenzo Bentivoglio
di venire immediatamente qui, coi due genti-
luomini spagnuoli don Juan de Gamboa e don
Antonio de l-iin/a.
Fabio esegui sull'attimo l'ordine del suo si-
gnore, e il dina ritornò nella stanza dove
Cornelia versava dai suoi begli occhi ab-
bondanti lacrime. Egli
la strinse al suo seno
unendo i loro pianti :
la gioia non permet-
teva loro di parlare, e
in un casto e amoroso
-lini/ lue teneri
amanti . i dilr sposi
gioivano della scana-
li evole felicità. Il curato
i opr va di baci il bam-
bino che teneva in Ile
Rifiutate
le Soprascarpe
che li rompono subito I
. '.ape saiar
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
sue braccia e «"Ila mano dotra, che aveva
libera, non cessava di benedire i due sposi
strettamente abbracciati. La governante del
curalo, che slava in cucina a preparare il
pranzo, ignorando quanto era avvenuto, venne
a pregare i convitati a mettersi a tavola. I tu-
rante il pranzo, Cornelia ran-ontò quanto le
era successo prima di venire dui curato dietro
consiglio della governante dei due gentiluomini
die l'avevano servita, custodita e difesa i OD
tulle le premure e il rispetto immaginabile. Il
duca, a sua volta, raccontò tutto ciò che aveva
fatto lino a quel momento. Le due governanti,
presenti a questo colloquio, ebbero dal duca
le più generose promesse. La gioia era gene-
rale per questo felice finale : non mancavano
più che Lorenzo, don Antonio e don Juan
perchè i loro desideri fossero esauditi, ( niesti
giunsero dopo tre giorni, ansiosi di sapere se
il duca avesse avuto qualche notizia di Cor-
nelia, giacché Fabio, che era andato a chia-
marli, ignorava che si fosse ritrovata.
Il duca andò loro incontro in una sala
che precedeva quella in cui era Cornelia ,
senza che dal suo viso apparisse la menoma
gioia, ciò che rattristò i nuovi arrivati. Il duca
li fece sedere, indi si sedette in mezzo a loro,
e, rivolgendosi a Lorenzo, gli disse :
Voi sapete benissimo, signor Lorenzo
Bentivoglio, che io non abusai mai di vostra
sorella. Il cielo e la mia coscienza mi sono
testimoni. Voi sapete pure con quale solleci-
tudine la cercai e il mio desiderio di trovarla
per darle la mia mano, come le avevo pro-
messo. Essa non si ritrova, ed io non posso
tenermi impegnato eternamente. Sono giovane,
e non sono staccato dalle cose di questo mondo
perchè mi privi dei piaceri che mi si offrano
ad ogni passo. La stessa passione che mi fece
promettere a Cornelia di sposarla, mi fece,
prima di conoscerla, dare la mia parola a una
contadina di questo villaggio. Pensai di se-
durla, di abbandonarla, poi di rendermi alle
grazie di Cornelia, benché non ubbidissi alle
grida delia mia coscienza. Ma inline, siccome
nessuno può sposare una persona che non
esiste e poiché non è ragionevole di cercare
la donna che ci fugge per paura di trinare
l'odio invece dell'amore, ditemi, signor Lo-
renzo, quale soddisfazione posso darvi per
l'affronto che non vi feci, giacché non ebbi
mai lintenzione di farvelo. Insomma, voglio
che mi diate piena autorizzazione di mante-
nere la mia prima parola data, e di sposare
la contadina che già sta in questa casa.
Mentre il duca parlava, Lorenzo cambiava
colore ad ogni momento, non poteva star tran-
macchine per scrivere
REMINGTON
il
furono acquietate
io
OS
dal WAR-OFFìCE eli Londra
i Ministero della Guerra)
Tale importante ordine, il più forte avuto fin qui, prova che nonostante la
concorrenza delle imperfette imitazioni, la Rem/ington è sempre la più perfetta,
la più solida, la più moderna delie macchine per scrivere.
Chiedere Catalogo e prove della flemi/igton N.° 1
all'Agente Generale
CESARE VERONA
TORINO — 20, Via Carlo Alberto. 20 -- lOKIXO
SUCCURSALI
-<kSXg!
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Via Dtte Macelli, T
MILANO
gffy
GENOVA
"Vi.-i Carlo Felice, il
hst.a:foili
\ 111
( ORNI Il \
quilio Milla sua sedia, prova evidente die la
colli essava di lui. Don Juan e don
Antonio provavano la stessa cosa, per cui ri-
solsero subito di nqn las guire questo
buo progetto al duca, a costo anche di am-
mazzarlo. Leggendo uegli occhj questo loro
sentimento, il duca aggiui
Calmatevi, signor Lorenzo; prima che
mi rispondiate una sola parola, voglio che vi
e 'li cui è colma la per-
ei ch'io voglio sposare ; quando l'avrete vi-
. iso che mi concederete quanto
mando,
Ciò driio si alzò e entrò nella camera dove
slava Cornelia riccamente ornata dei gioielli
che portava il bambino e di altri ancora. Ap-
pena il duca ebbe voltato le spalle, don .luan
■<! alzò e posando le due mani sui bracciali
del sedile ove stava seduto Lorenzo, gli disse
all'orecchio :
— Per San Giacomo di Compostella, perla
mia leile di cristiano e di gentiluomo, mi la-
ro far turco, se permetterò al duca di
passarsi questa fantasia! Qui. qui, sotto le
mie mani, o perderà la vita o terrà la parola
data a vostra sorella Cornelia. Almeno ci lasci
il tempo di cercarla, e lincile non sapremo
con certezza che e>sa è morta, non si sposerà.
io dello stesso avviso, rispose Lorenzo.
E sarà pure quello del mio compagno
don Antonio, replicò don .luan.
In questo momento, Cornelia apparve sulla
porta della sala; entrarono il duca e il curato
tenendola per mano. Quando Lorenzo vide sua
sorella, quando ebbe finito di osservarla e di
convincersi che era
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
lei in persona (dapprin-
cipio non lo poteva
credere), andò a cadere
ai piedi del duca che
lo rialzò e lo mise
nelle braccia di sua
sorella.
Non la Uniremmo pili,
se dovessimo raccon-
tate ciò che rispose
Lorenzo, 'he domandò
don .luan. che senti don Antonio. 1' allegrezza
del curato, la gioia di Sulpieia, la conten-
tezza della consigliera, le l'iste della nutrice,
la meraviglia di Fabio, e lilialmente la sod-
disfazio li tulli. Dopo poco tempo, il cu-
ralo sposò i due amanti , i quali presi
per padrino di nozze don .luan de Camboa.
Convennero fra di loro che d matrimonio sa-
rchile rimasto segreto lincile si sapesse l'i
della malattia della duchessa madre, nel frat-
tempo Cornelia sarebbe ritornala col fratello
a Bologna. E così si lece. La duchessa morì,
Cornelia entrò a Ferrara, conquidendo tutti
colla sua belle/za: gli abiti da lutto si cam-
biarono in abiti da festa; le governanti ven-
nero arricchite; Sulpieia sposò Fabio. Quanto
a don Antonio e a don Juan essi erano lieti
d'aver reso servizio al duca, il quale olferse
loro in matrimonio due sue cugine, con
splene doti. Risposero che i gentiluomini della
Biscaglia si sposavano generalmente nel pro-
prio paese, e che per conseguenza, non per
sdegno, giacche sarebbe slato impossibile, ma
per seguire questa lodevole abitudine e la vo-
lontà dei loro genilori i quali certamente li
avevano già lidanzati, non accettavano la loro
generosa offerta. Il duca ammise questa scusa,
e trovò modo, in parecchie occasioni, di mandar
loro, sotto una forma cortesissima. dei ric-
chissimi regali, e benché potessero venir pi
come un compenso, giungevano così a propo-
sito che riusciva loro facile accettarli; prin-
cipalmente quelli che mandò al momento della
loro partenza per la spagna, e quelli che loro
diede quando andarono a pigliar congedo da
lui. Trovarono Cornelia madre di due bam-
bine, e il duca più che mai innamorato di
lei. La duchessa diede la croce di diamanti a
don Juan, e VAfjmis a don Antonio che questa
volta furono obbligali di allcttarli. Ritorna-
rono tutti due in spagna e nel loro pa>
dove sposarono delle ricche , nobili e belle
dame, e continuarono sempre a tener corri-
spondenza col duca e la duchessa, e con Lo-
renzo Bentivoglio a gran soddisfazione degli
uni e degli altri.
Michei i Cervantes.
F I N E .
Anno -Il
•Nvm 6
•La Lettura-
GlVGMO
RM5TA-AE.N5ILE:
DEL-(pRRILRE.-
^_della-5e:ra-
Lia JVIessa di fatale
tamane mia moglie tornando a casa dal
funerale ili sua sorella, me caduta tra le
braccia, piangendo tanto accorata quanto
non l'avevo veduta piangere mai. Nascondeva la
lesta sul mio petto come se volesse affondar-
• fuori della luce del sole, e tutto il suo pie
pò adorato vestito di nero guizzava ad ogni sin-
ghiozzo come galvanizzato. Le passavo le mani nei
capelli lucidi dei quali i miei occhi e le mie labbra
conoscono ogni ondulazione dalla fronte alla ni
la battevo lievemente sulle spalle come si fa ai bam-
bini per quietarli nel sonno. la chiamavi:, con tutti
i nomignoli deliziosi e infantili inventati in due ann:
(li passione inesausta, provavo ad alzarle il vi
[*r asciugarle gli occhi azzurri e le ciglia nere con
cento piccoli baci.
Ella restava chiusa soffocata nello spasimo, tor-
cendosi. E il mio nome e quello di sua sorella le
tornavano in bocca tra un gemito e un singulto
.-v un tratto, s'alzò, si passò le due mani sulla fron-
te, sugli occhi, e guardando innanzi a se, diritta
ae un'allucinata, esclamò a denti stretti, ansan-
do: — No, no. no! Non l'ho amata abbast.
non l'ho saputa amare, non l'ho voluta amare.
Mi si divincolò ilalle braccia, cominciò a cammi-
nare, 'ie^a e sorda, su e giù pel mio studio, ripe-
tendo-
— Xon l'ho voluta, non l'ho voluta amare. E ci
scino riescita. E sono stata un'ingrata....
Tra Maria e sua sorella non v'era mai stato af
fetto.... troppo visibile; una volta la settimana
La Lettura.
noi andavamo a pranzare da mio suocero che con-
viveva con la sua figlia maggiore e col marito di
lei ; una volta al mese essi venivano da noi. D'e-
state si passavano insieme trenta ó quaranta giorni
nella loro villa in Brianza, molto tranquillamente.
s gite rumorose e senza feste popolose, ripo-
sando la vista e l'udito su quella infinita distesa
di verde, come taluni fanno sull'azzurro del gran
mare.
E in quella solitudine ero beato che Maria pre-
ci mpagnia mia a quella di tutti gli altri
nella casa. Ora nel momento tragico quelle pa-
iole sillabate, irose 'li rimorso) desolate dal rin-
' del mai più mutarono por un attimo la mia
pena pel pianto del mio dolce amore in una cu-
,ì tesa, pronta a divenire imperiosa, poi ge-
losa, poi anche crudele.
— Che dici, core? Xon l'hai voluta amare, tu.
tua sorella^ Perchè? Che scrùpoli h
Non è uno scrupolo. — e tornò a sfuggirmi,
poi pentita tenera esausta riaccasciata dalle lagri-
me mi ricadde addosso: — E' la verità, tu non
la sai.
— Che cosa io non se' Si tratta 'li te << di lei3
— Lascia, lascia; ormai tutto è inutile. La
hanno sepolta già... Così lontano e cosi profondo...
E < .-no volte il cuore me lo diceva....
— Che' Qua)
— Il giorno delle nostre nozze, quando prima
di partire ella mi accompagnò nella mia stanza
e aiutò la cameriera a vestirmi pel viaggio, mi so-
31
482 LA LETTURA
spie iza alzai 1 Tu, tu al-
meno san E io
quel sospiro, quell uosa, quel aU
mene volevano dire, cominciai a tremai mere,
come se partendo da lì, al tuo braccio, sul
tuo cuore facessi naie, rullassi qual-
1 lei
Che signifii a ( !he le pi navi
via tu. dandoli a mi - . e già ero d
le braccia rigide lungo i fianchi, gli occhi fissi, in-
ori •.
Maria semi:
- Amore mio, di che hai paura? Tu, da me?.
Ò, Con le due mani si tirò su i capelli dalla
e dalla Fronte, li rinserrò nelle forcelle gialle.
con un atto di risoluzione frequen'e in lei: Vuoi
• tutto ? l I he a mi Pn iveri 1
a pai lare, sen 1 Ma -, ieni qui, baciami e
dammi la tua mani pei aso dtarmi.
1 |uesti l 1 il glie:
l
in autunno venne in villa pei una
gara di tennis, insieme a molti altri milanesi un
frani gnere di ni n so quale Compagnia in
dustriali sorta allora a Milani-. Giocava bene, pai
lava poco, ma argutamente; aito, Km, mi,., pallido.
sembrava all'aspetto un inglese ma nella mord
delle sue poche parole si sentiva l'amarezza
spicace dei francesi. Sembrava che egli parlasse
into pei concludere; seguiva il discorso 1
che 1 colloquii altrui con attenzioni . gli occhi morti,
guardando il fumo della sigaretta; quando sen
la discussii ne vicina ad esaurirsi, ci metteva la
firma con una frase netta e tagliente e scettica cosi
che a tutti pareva di aver parlato per conto suo.
soltanto per dargli oCCasii ne di lanciar quella saet-
ta. Pa 0 i più non l'amavano. Ma era \eiiuto
col senator Rovezzi, e tutti s'inchinavano.
Mio cognato più d'altri lo detestava. Tu sai (pian-
tegli sia mondano, galani,. 1 leganti e profum
quanto si spenda in complimenti, in pi I
in fiori e in dolciumi. Quello straniero calmo e
istico, silenzioso ma sempre desto e lesto, era
la prova viva di quel che mancava a lui. I
era tanto intelligente da capirlo, era tanto suscetti-
bile da sentirlo.
Simond non si curava della presenza di me odi
qualche altra signorina per mordere all'ingenuità
0 alla fatuità dei presenti, e questo non ci dispia-
ceva. Presto notai che quando era solo con noi ra-
gazze, era più mansueto di sorriso e di parole, e,
se ci accennava delicatamente le manìe 0 i difetti
altrui, aveva l'aria di confrontare quel po' di male
alla nostra bontà, pareva dare soltanto a noi il di-
ritti> di giudicare. Questo m'inorgoglì
E lo seguii anche più attentamente. Povera Ete-
rni per la quale egli mostrava un rispetto e un riser-
bo singolari, spesso si doveva unire a noialtri pei
difenderlo dall'antipatia degli uomini, della quale
del resto egli non mostrava di accorgersi, nemmeno
quando in gara gli lanciavan le palle con tanta fu-
ria radendo terra che pareva lo mitragliassero 0
quando a qualche suo raro colpo mancato non si
peritavano ili sorridere beati.
Una sera entrando 1 tino di Elena, la
trovai con suo marito e piangeva. Dal volto buio
di Giulio capii che egli era la causa del pianto an
1 he prima che sfrangendo il sigaro sul portaci!
I 11 dicesse:
f — Pel secondo giro, non potresti prendere tu
il posto d'Elena, — e sostò un attimo, — insieme
a Simon, !
— E' impossibile. Siam quotati differentemci
II giurì non lo permi in 11 bbe.
— E il giurì lo pernii ttiià.
lo guardavo Elena che seguitava a piangere.
Giulio riprese inori di sé :
- O Simond se ne andrà, — ed esci battendo
ci d ni sé.
Non avevo mai veduto tant'ira fra quei due.
Piena che avrebbe avuto centomila ragioni, anzi
centomila prove per lamentarsi di suo marito, delle
issenze, delle sue infedeltà ostentate, delle sue
perienzi nai rate o «1 fatuità davanti a venti p r
sera, aveva sempre taciuto, almeno da
ranti a uno di noi. Ora ella era l'accusata ; e p
LA MESSA DI NATALE
— Pretende che Simon mi faccia la corte.
— Simond? A te? ■ — domandai io stupita.
— Sì, a me. — ripetè ella recisa.
— Ma non ci hai mai pensato !
Allora avvenne un fatto per me imprevedibile.
E lena non si aggrappò a me, a quella mia afferma-
zione, a quella mia testimonianza per convalidar
la sua innocenza, ma senza' più lagrime mi guardò
ostile, corrugando le ciglia e, solo dopo un istante,
mettendosi un mazzo di violette alla figura, mi disse
calmissima :
— Brava. Vaglielo a dire.
Io ero stordita, come in un turbine di vento.
Sentii l'ironia di quelle quattro parole, risposi, e
non saprei dirti adesso io stessa se per ingenuità
o per furberia:
— A chi ? A Simond ?
Elena tornò a guardarmi, poi mi voltò le spalli-:
— Sciocca ! — , e se ne andò.
II.
Ti giuro che fino a quel momento io non avevo
mai cercato quel che Simond potesse sentire per
me ; ero contenta di averlo vicino, godevo quasi del
trionfo continuo del suo spirito e della sua impas-
sibilità sugli altri otto o dieci assidui nostri che. se
non parlavano di cavalli e di automobili, parlavano
di politica , ma lontana da lui non lo cer-
cavo e non lo pensavo. All'improvviso lo sen-
tivo . lo vedevo amato dalla donna più vicina
a me , più cara a me . così fortemente amato eh?
ella non si peritava di mostrarmelo, di vantarsene
quasi. Che aveva scoperto Giulio? Sospettava sol-
tanto o sapeva ? Perchè egli così libero osasse ac-
cusar sua moglie di eccessiva libertà, qualcosa di
più forte e di più urgente doveva averlo spinto che
l'antipatia per Simond. Chi poteva dirmelo?
Ero rimasta in mezzo alla stanza cogli occhi
sulla porta donde erano esciti Giulio ed Elena e non
riescivo a raccapezzarmi. Provai ad alzar le snalle
ridendo di tutta la scena. Quanti -flirt simili avevo
veduti! Elena era incapace di far male. In fondo
se ella che veramente era la più bella di tutte le si-
gnore convenute alla nostra gara, si abbandonava
alla distrazione d'un gioco grazioso di scherma
con quello scettico, perchè m'apnenavo? Fra pochi
giorni la eara sarebbe finita. Simond sarebbe tor-
nato a Milano...
« Ma Milano è a un'ora di ferrovia. Elena potrà
andare là. Simond tornare qui. Potranno incontrarsi
a volontà loro... ». Mi scossi, disgustata di me
stessa dell'infamia dei miei sospetti. Corsi alla fi-
nestra, da d'etro le persiane rimasi a guardare le
aiole. il viale verso il cancello. Qualcuno entrava,
giù dalla strada: Simond! Ed erano appena le due.
il treno era arrivato alle dod'ci e mezzo, il tramvia
non giungeva che alle tre. Da dove veniva? Dove
era stato?1 Sorrisi rasserenata: poteva esser ve-
nuto col tre^o e aver mangiato nella piccola tratto-
ria del villaggio. Egli si avvicinava camminando
lentamente ; quando fu a cento metri, vidi che fis-
sava la finestra dov'ero io. la finestra di Elena. Per
483
indugiare senza destar sospetto in chi potesse dalla
casa o dal parco vederlo non visto, sostò ad accen-
der una sigaretta, andò verso un'ajola, colse un ci-
clame, tornò nel viale pel viottolo più lungo. A
quel punto sentii qualcuno escir dalla porta della
sala di bigliardo. Giulio? No, no, era Elena che
raggiante a mani tese andò incontro al nuovo ve-
nuto. Questi affrettò il passò, le baciò la mano
(quanto tempo trattenne la mano di mia sorella
nella sua !). poi girarono insieme la casa per rien- •
trare dalla porta grande dietro.
Non v'era più nessun dubbio: ella lo aspettava,
ed egli lo sapeva. Giulio aveva avuto ragione.
Che doveva fare ? Ragazza, non comprendendo
della vita che quello che ero riescita a decifrare da
me. correvo in ogni timore agli estremi, in ogni a-
neddoto alla tragedia. E l'orgasmo in cui ero, il
tremito delle mani, la fronte ardente, la gola arsa,
l'affanno, li credetti causati soltanto dal mio spa-
vento per ciò che potesse avvenire, dall'affetto mio
per Elena e anche per Giulio, dal rispetto per me
e per la mia casa.
Così discesi.
Li trovai sopra un sedile dell'androne, Elena
che ricamava — da due mesi ! — la solita tova-
gliola da tè. egli che fumava e parlava sotto voce
senza gesti. Si alzò, mi venne incontro:
- Com'è pallida, signorina. Che ha ? Non sta
bene?
Risposi, secco:
— No. sto benissimo.
— E' di cattivo umore? Se vuole qualcuno con
cui liticare, prenda me. Io sono un ottimo compa-
gno di lite, che non m'adiro, — e sorrideva del suo
sorrisetto guardandomi, stirandosi i baffi biondi
esili lunghissimi: — Lo dicevo adesso a sua sorella.
Non s'adirano che gli sciocchi perchè non sanno
trovare un altro mezzo per aver ragione.
Elena gli aveva parlato di Giulio?
— Grazie. Vorrebbe dire che sono una sciocca
io? — interruppe Elena.
- Non oserei mai dirle tanto, — e s'inchinò
impertinente.
— Ma pensarlo, sì.
— Sarebbe inutile che lo pensassi, se non aves-
si il coraggio di dirglielo, — si schermì egli — sarca-
stico, poi si rivolse a me: — Gli altri non verranno
prima di un'ora, non voglio stancare donna Elena
che oggi avrà molto da faticare pel secondo giro.
Vuol venire lei a far un single con me? Mi scioglie-
rò un po' il polso.
Io avrei dovuto dire di no. capivo che egli te-
neva il broncio ad Elena o voleva esasperarla ;
volli dar a credere a me stessa che acconsentivo per
allontanarlo da lei, invece sentii che acconsentivo
per averlo vicino a me. E uscii con lui sotto gli al-
beri, felice.
No, no. lasciami la tua mano, non sussultare, non
t'adirare. Che potevo dirti finche ella viveva? Ora
saprai tutto; non temere di me. Io sono la tua
S] osa, degna d'essere la tua sposa. Lasciami la tua
mano. così. Attimo per attimo, rivedrai tutto quel
che è avvenuto.
•PI
I.A l.l.l II KA
III
Andando verso il pi
quando fummo i in '■-. egli do-
mandò, grave:
Ella vuol molto bene a sua sorella, n
Titubai tin attimo. In n meno
di mezz'ora .1 \ . \ • ■ i seni ito, sosp tante
unenti caduta da un dub-
[uella domanda precisa mi spaurì.
Andava diritta ali.: ,, i. Risposi con in-
differenza :
— Naturalmente.
I poco, egli commentò, inesorabil . e
>ò ili là dalli- reti e alzando la racchetta mi
A'
uri.', il gioco dapprima stanco che cu di
.1. Quando egli annunciò calmo il suo colpo,
Forty\ . mi pane mali- lasciarlo vincere. «Qui
i vincere io ■, mi ripetevo tra me come se in
un'altra partita, in un altro gioco più pericoloso.
ì 1- avessi riconos'iuto e obbedito come vin-
E tornai pronta e svelta, ben piantata sulla linea
di mezza (ìli ribattei due colpi in pieno, senza la-
la palla toccasse terra. Egli al solito gio-
cava tranquillo, senza correre, attendendo quasi
distratto il rimbalzo.
Fifteenl Thirtyl Forty, ali!
Eravamo pari. Egli preparandosi a « servin »,
mi disse ad alta voce laggiù dal suo angolo op-
rile impili : -• e sentii l'ironia. Egli aveva
Compreso anche quel che io non avevo con parole
precise, nell'ansia del moto fisico, rivelato ancora
a me- .stessa.
io. Invece del ragazzo, venne egli sti ;so a
inni il cestello con le palle quandi venne il
mio turno.
— Vuol riposarsi?- — mi domandò.
— No. iio. andia
Qu -o giocar senza premio! SOg
giunse.
— E che premio vorrebl i
Mi dica piuttosto il premio che vorrebbe lei.
— [o? V' nte.
Vui le che scelga io anchi- per lei. Accetta a
chiusi ?
— Questo poi i
— Allora non ne faa
Mi tiss,', per un aldino eoli gli occhi buon
alzò le spalle tra rassegnato e scettico, morn
più o che a me:
Peccato! e tornò di là dell: gridar-
mi risoluto quasi io tardassi: — Play\
Io giocai a binalmenti Di menti
■ isi dei o più
Simond come un compagno piaci gioco, di
pranzo, di ballo, di i
' i potuto amare... un gii imo. " QuSJI
do?» Il punti era E ivi >. < ili out, i fall
una gragnuola. Perdetti due vi !
i mani • ci ri [ » samum. 1 ). iveva esser
servi preparavano
dei nulle e! ii e gli spettatori della
ttevano sul pale,, del ginn le seda- e
il i 'i sedemmo sullo sti le; io m
vevo portato un maini Ilo. egli mi gittò sulle spalle
il suo soprab il suo profu-
mo, un profumi i fresco d'acqua <
li Ite. Er i stanca, està coni usa.
— lo sono un suo amico. Lo sa? — egli mi
dopo un ] -
— Non lo so. Se vero, ne sono contenta,
— E' vero, lo non mento mai perchè è inutile
Lticoso il mentire.
E aveva ragion,. f, dovevo convenire che egli
non avevi pessi, mentita Segu
— Dunque, poiché ella sa e erede che io senio
un suo amico, mi permette una domanda intima?
Dica. Vedrò se le potrò rispondere.
— Xon la faccio se non mi promette di ■
di ie. Certe interrogazioni son più pericolose di
to affermazioni. E Ira me e lei io non voglio che
resti mai la nuvola d'un equivoco. Risponderà?
— Si.
— Ama nessuno, lei ?
— Io? E chi dovrei amare?
— Intendo : ama nessun uomo, lei ?
— NTo, — lo guardai nel volta onestamente,
francamente.
Sotto gli alberi apparve mia sorella, si fermò a
dar qualche ordine ai servi. Sera vestita pel tennis,
la blusa bianca leggera, la veste bigia corta gr
le caviglie lucide e snelle nella calza di filo bian-
co, i piccoli piedi ini lindi nella scarpina di ]>elle
I ianca dalle suole di gomma che si adattavano alla
terra e pareva la afferrassero. Veniva verso noi
mond non la vedeva. Seguitò, serio e lento:
Se glielo dichiarassi un giorno, ini credei'
capace di amarla, e degno di amarla? — e mi guardo,
vide i miei occhi altrove, si volto verso mia sorella
che sopraggiungeva, e si al Mi risponderà
più tardi - concluse.
\o. no. mai! dissi io istintivamente.
i er vendicarmi di non so quale
illesa, rivivendo la scena tra Giulio ed Eli
l'arrivo ili Simond. l'incontro sotto la tini-
Mai?
— No. mai.
andò a baciar la mino di mia sorella
un'altra voce, galante, le dissi
— Oggi dovremo vincere insieme.
Io tornai nella villa, salii nella mia stanza.
sul letto a piangere.
IV.
Da quel momento, per i tre giorni che ano I
rari no la gara mista e I gli uomini. Simond
eviti Anche in lo evitai
Ormai lei sangue il veleno: ii Se egli noi.
mia sorella, se ima sorella non tosse qui.
egli an. -Mi
LA MESSA l'I NATALE
485
E quasi senza mia volontà li spiai. Mi ripetevi.
che la mia ansia veniva dallo spavento di quei che
poteva avvenire, dal mio affetto per Elena e anche
per Giulio, dal rispetto per me e per la mia casa.
\l.i sentivo tutta l'ipocrisia della mia difesa. Mai
la mia coscienza, la mia energia, direi quasi il mio
pudore morale sono stati abbandonati alla corrente,
al caso d'ogni giorno e d'ogni minuto, quanto in
quel tempo là.
Simond nel mese di no\em-
bre tornò due o tre volte. Ele-
na andò due o tre volte a Mi-
lano. Questo faceva anche pri
ma die conoscesse Simond; ades-
so la mia ansia scopriva il male
in tutto, nell'eleganza di lei più
accurata, nel profumo più acu-
to, nell'acconciatura, in una cer-
ta aria di felicità rosea e rag-
giante che la rendeva anche più
giovane, più bella, più invidia-
bile ogni volta che partiva per
la città.
Giulio pareva guarito. Da quel
pomeriggio non lo avevo più u-
dito pronunciare il rome di Si-
mond, ma. quandi Simun'! era
presente, egli parlava meno, ài
osservava e osservava sua mo-
glie con una disinvoltura osten-
tata che non ingannava me. —
come non ingannava loro due.
« Loro due » questa frase mi
pareva infame e. poiché la ave-
sempre scritta nel cervello,
me ne sentivo tutta la coscienza
contaminata. Forse era ingiusta ;
forse il mio sospetto, di' pure la
mia gelosia mi facevano vedere
quel che ncn era, ma io ragazza. T
schiava, obbligata all'ipocrisia ,
mani e piedi legati dalla con-
venzione sociale, che altro pote-
.ire se non sospettare ?
Una sera in cui mi parve di veder Giulio meno
indifferente e un po' torvo, quando Simond s avvi-
cinò al mio tavolino da tè a prender la sua tazza,
gli dissi disperata:
— Simond devo parlarle.
— Di lei stessa, signorina ?
— No, non di me, di.... — egli doveva sentire
l'affanno del mio respiro, ma m'interruppe fer
— Non prendo tè questa sera, grazie, — e tornò
fra gli altri.
Lo odiai, sì. lo odiai, ma non vedevo più che lui.
Perdonami, perdonami, ma adesso che mi sai tua,
per sempre tua. innamorata di te e del tuo amore.
tu puoi e devi ascoltarmi e perdonarmi. Sapevo io
d'incontrarti, allora?
A che mirava ? Si divertiva ed esasperarmi e a-
mava Elena ? O non amava nemmeno Elena, e la pre-
feriva solo perchè era una donna, mentre io ero quella
Invera neutra squallida cosa che nella società d'oggi
è una «signorina «? Mi risi Ivetti a parlar con Ele-
na. Poche i re prima i fatti me lo impedirono.
avevamo stabilito di restare in campagna fino
alla line dell anno. Il primo giovedì di dicembre.
a pranzo, la sera, si parlò, come era solito, degl'in-
vitati pel pranzo della domenica successiva. Mio
padre, quando udì il nome del senati. r Ravezzi, pro-
pose anche Simond. Guardai Elena che seguitò sbuc-
Q?
h
*■» • \v .
eiar una pera come non avesse udito, però sentì che
anche Giulio la guardava, ed era uno sguardo torvo
indagatore come non gliel'avevo veduto dopo la sce-
na nel salotto di lei, prima del tennis. Allora alzò
gli occhi come annoiata ma aveva per tutto il volte
qualcosa di fisso come se ogni minimo moto le fosse
penoso. Levando su dal piatto il coltellino d'argen-
to, rispose:
— Simond? Parlavi di Simond, babbo? Ma è
venuto anche l'altra domenica. Basta.
— Anch'io penso che basti. — confermò Giulio.
mantenendo gli occhi su
Ella rispose allo sguardo come irritata da quella
petulanza di gelosia, come per dire: — Ancóra?
— , ma non lo disse. Giulio che scoppiava d'ira si
era alzato:
— Elena, vieni un momento da me.
— Dove?
— Nel mio studio.
48< i
I.A 1.1 I I I KA
— Lasciami finire le frati il caffè.
\ pò dopo.
— Via. non ricominciamo, Giulio! Quando avrò
finito, verrò, e seguitò a mangiare, alzando gli
. in apparenza soltanto infastidita.
— Che ha Giulio? domandò mio padre.
G '1 Solito.
Mu> padri spalle. Giulio si riaffacciava
sulla porta:
Elena \ ai '. a ms mio padre per la
I
stai sola con lui, in silenzio. Mi pareva che
mio padre, che il cameriere potrebbero udire il bai
tiio violento del mio cuore. Levando gli occhi alia
lampada, agrime.
ili là anche tu, babbo, — dissi senza sa-
pi re | erchè.
— Lasciali I
Allora vailo io, - eil ero in piedi.
— Tu? Che c'entri? Uria ragazza non si oo upa
di certi i i
Passarono altri cinque minuti d'angoscia Anda
senz'altre parole alla porta, traversai la sala dei
pianoforte, il iumoìr^ la sala ili bigliardo. Lì si u-
diva dalla stanza attigua la voce di Giulio:
— Questa lettera... perchè egli abbia osato scri-
vertela... deve avere... lui... prima... ottenuto il tuo
permesso, il tuo consenso... chissà? qualcosa
di più....
l'ornai indietro barcollando. Nella sala trovai
mio padre.
— E ci ni ?
— Niente, pare che tacciano.
— Le loro liti finiscono sempre così, — egli dis-
se bonario, — accendendo il suo sigaro e aprendo
il giornale.
Elena non riapparve né quella sera né il dì dopo.
Andai a cercarla nella sua stanza la mattina:
— Non stai bene? Vuoi niente?
— Sì, restar si la-
La sera scese a pranza Giulio non le rivolse la
parola; la domenica venne Ravezzi con due amici
e Lina Starra da Milano. Di Simond. tutti tacquero.
M .n soltanto che Giulio spiava Piena in un modo
intollerabile; se parlava con Ravezzi. con la Star-
ra. si avvicinava con un pretesto qualunque, parte-
cipava al discorso per un minuto. Così avvenne an.
che la domenica dopa Nel frattempo Elena non
mai dal parco, anzi quasi mai da casa. Una
mattina, scendendo di buon'ora, vidi nell'androne
o che. aperta la cassetta della posta, ne i
minava il contenuto accuratamente; poi la richiuse
senza nemmeno prendere le lettere sue.
V.
Si arrivò alla vigilia di Natale.
Non avevo più veduto da quasi un mese quel-
l'uomo; ma egli era più che presi upava
gli spiriti nostri come per una suggestione invili
i mi vivevamo per lui che non n
mo mai. Più : questo si
lontano diventava fatale e paurosa In-
torno, la campagna piatta era soffi. -aia dalla neh-
b i . la solitudine nostra e quindi l'intensità di |uel
dramma silenzioso ne erano raddoppiate. Se alla
mattina guardavo fuori dalla finestra per
l'angustia disperata dei sogni, il mondo finiva a
un mcp. da me; e i miei occhi dovevano ani
0 l I buio della notte volgersi in dentro, vi
la mia povera anima spasimante, senza scampo di
Sempre avremmo dovuto vivere così ? Torni
città era più una catastrofe che una soluzii
La mattina della vigilia di Natale venne ad ide-
ila un telegramma di Lina Starra: - Se restate
verremo tutti sera ultimo dell'anno treno dieci. —
li parve strano perchè la Starra sapeva che ap-
punto per l'ultimo dell'anno noi saremmo andati
tutti a Milano dalla zia Matilde dove lor-.- avi
mo incontrato anche lei. Elena spiegò:
- Le solite pazzie di Lina, — ma fu tropi io ce-
lere nel non dar peso alcuno a quella proposta.
Giorgio non vi bado, le suggerì di risponderti
rammentando il nostro impegno antecedente. A ine
invece baleno iì\i sospetto: il telegramma era un se-
gnale convenuta Innanzi tutto, in quella sera e
Vigilia noi saremmo andati tutti in paese prima
alleile messe, poi dai Socci, quei della filanda i
quali da due anni ci invitavano con molla insi-
stenza e ci facevano grande festa perchè per loro
eravamo i nobili del paese; se Elena non veniva,
ella aspettava qualcuno di nascosto, — aspettava
Simond. Poi perchè la Starra avrebbe telegrafica-
mente definito l'ora del treno, sei giorni prima,
quando c'era ancora tutto il tempo di scriverci e ma-
gari di vederci 3 Non il loro arrivo per l'ultimo del-
lanno, ma l'arrivo di lui per quella stessa sera, il
telegramma annunziava. Elena fu anche — per me
sola — così ingenua da metterlo nella sua borsa di
ricamo, invece di lacerarlo come era suo sdito. La
seguii in camera sua, e aprendo la porta all'improv-
viso la trovai che rileggeva il quadratino di i
gialla ; anche sussultò come sorpresa a far male.
N'issi, tremando, in agguato, ricamando presso
il fuoco nel salone. Alle cinque sentii suonare il
campanello d'Elena nell'androne; dal camer
che passava seppi che ella domandava il tè nella
sua camera.
— La signora non sta bene. L'ho trovata sul suo
letto, al buio.
Ormai qualcuno dentro me, più forte di me. mi
suggeriva di non impedir nulla, di lasciar che tutto
avvenisse secondo Iddio voleva. Provavo una o
voluttà spasmodica a sentire che finalmente a
saputo e veduto la verità; tutto dipendeva dal mio
sangue freddo.
Inesorabile, tornai su da Piena:
— Non scendi a prendere il ti
— No. ho un'emicrania atroce, mi par d'avere
I . febbre.
— Vuoi il dottore5
— Se mai. lo chia |uando andrete dai
venga domattina.
— Non verrai dai : interrogai stupita.
E' impossibile; non riesco ad aprir gli occhi.
LA MESSA DI NATALE
Me ne andai senza fiatare. Avevo il mio pro-
getto.
Infatti a pranzo ella non scese. Giulio, ci an-
nunciò che E lena non stava bene, che non sarebbe
venuta ne alla messa ne dai Socci.
Senza attaccare il L'odati, fu stabilito che sarem-
mo andati in due coupé, in ur-c io sola perche a
mezza strada avrei preso con me la figlia dell'avvo-
cato Milesi, nell'altro il babbo e Giulio.
- Se veniva Elena, avremmo attaccato i due
morelli e il laudati per far posto alla Milesi. Cosi,
con una notte tanto fredda e con le cattive scuderie
dei Socci, risparmiamo i morelli.
Partimmo, presi la Milesi. giungemmo alla (Ille-
sa alle undici e mezzo ; tu sai che la distanza è di
venti minuti tra la villla nostra e la chiesa. Appena
mi sentii al sicuro nella penombra tra la folla delle
donne, fuori della vista degli uomini rimasti in
fondo alla navata, cominciai ad attuare il mio
piano.
Lasciai che la Milesi si facesse largo fin verso la
balaustra, tomai verso la sacrestia, escii dalla por-
ticina del prebisterio, e raggiunta la fila delle car-
rozze sulla strada laterale saltai nel mio coupé:
— A casa presto !
La cerimonia e le tre messe non sarebbero finite
prima dell'una e io potevo tornar prima ; la Milesi
non ritrovandomi nella confusione e non trovando
nemmeno la mia carrozza, sarebbe andata dai Socci
con qualche altra amica. Là, raggiungendola, avrei
pensato mille pretesti, facilmente.
Avevo negli occhi l'aitar maggiore, le cento can-
dele fiammeggianti, il bambino di cera fasciato
d'oro, di bianco e di rosso, posto come un sole nel
centro di quella tremula costellazione d'oro. Ma
l'anima mia tendeva verso un salotto piccolo e te-
pido dove avrei trovata la fine della mia agonia.
Tanta era l'ansia, — e anche il timore — che la
via mi pane breve. Feci fermare la carrozza al
cancello.
— Vado sola dentro. Tomo qui subito, — e corsi
pei viali mentre il custode rientrando nella sua ca-
setta mi ripeteva affannato:
— Signorina ha dimenticato qualcosa? Vuole
che vada su io ? Non vi sarà che l'Anna e forse dor-
mirà. Gli altri sono andati tutti alla messa...
Entrai dalla porta della cucina che era deserta,
e mi rifugiai nella mia stanza a riprendere fiato,
a comprimermi il cuore che mi balzava in gola. Ma
non avevo tempo da perdere.
Tu sai che tra la mia camera e il salottino di
Elena non c'è che il corridoio e il piccolo guarda-
roba. Li traversai in punta di piedi, mi fermai al
buio a un metro dalla porta di mia sorella. Là
dentro parlavano !
Parlavano sottovoce, non udivo quel che dice-
vano, ma quel mormorio così fievole mi rivelava
più che tutt'un discorso tonante. Da quel punto, fui
forte, deliberatamente forte. Sapevo! Tomai in-
dietro, tornai nella mia stanza, come il giorno do-
po il tennis stramazzai in ginocchio presso il r.iio
letto, — ma questa volta non piansi. Avevo quel
malessere vago di chi è sollevato a un tratto dalla
487
teira, dentro un aerostato, ad una grande altezza,
il respiro mozzo, il sangue nelle tempie; ma mi
sentivo nuova, libera, forte. Nell'egoismo della gua-
rigione, non pensavo più a « loro due », al male
che era su Giulio, sul babbo, sulla nostra casa, non
sentivo disgusto pel peccato altrui, l'ipocrisia di
questa abnegazione era finita. To sola, per me sola,
avevo sofferto ; ora che sapevo, io sola, per me sola,
per la mia salvezza godevo.
All'improvviso mi parve udire una vettura lon-
tana sulla via, e, un attimo dopo, squillò la cam-
pana del cancello. Giulio! Quei due con le finestre
chiuse, le cortine calate, forse non l'udivano. Ogni
pensiero fu soppressione in me; agii. Ritraversai
correndo il corridoio, girai la maniglia della porta
del salottino. La porta era chiusa.
— Chi è ? — esclamò Elena da dentro concitata.
— Io, Maria.
— Che vuoi ?
— Apri, apri, per carità. Giulio, Giulio...
Capì? Udì la carrozza nel viale? Tutto quel
dramma durò un secondo. Elena apri la porta, li-
vida, folle.
— Giulio? Dove?
- Entra adesso dal cancello. Senti la carrozza...
Simond stava fermo impassibile presso il cami-
netto acceso.
- Dio! E adesso? — gemeva Elena.
Io andai da Simond, lo afferrai per un braccio:
— Venga !
■rs
LA LETI i RA
— I .
\ ig ' e lo trascinai \ ia, pel
guardaroba, pel corridoio, sentii la |>"it.i di Elena
mando io api ivi i la porta" tifila
.-.. si. della mia stanza,
.■,1 .li Giulio era giunta (lavanti dia
- un giui .li-Ila pi irta a vetri a-
perta e richiusa.
ra mi guardava,
[o, id ascoltare, non lo vedevo nemmeno,
ido supposi Giulio da E lena, chiusi a chiavi-
la |«>na della mia stanza, e fissai lui... L'na ripu-
pei quell'uomo che cercava ili atteggiar la
pallida faccia al - uso di scettico, mi
e tutta, finalmente. Dovetti frenarmi, con le
inani contratte, per non gridargli vigliacco. Egli i
echi dai miei, alzò le spalle si volse a
vare una tendina dalla finestra, a guardar
iva alla mia porta:
Ma perchè sei tornata? — e la sua voce :ie-
convulsa.
Stavo male, tanto male in quella folla... La-
ripos re un momento... verrò dai Succi.
— Sicuro?
— Ti dico che verrò.
Egli dò. la sua carri .zza turno a scorrere
sulla ghiaia dei viali. Noi tre tornammo ad -jsser
soli nella villa.
adesso, andiamo, — dissi a Simond.
l'na parola sola, signorina, dopo due uhm.
Ella sa che quel che è avvenuto, che quel che av-
ra, per sua colpa? « Mai. no mai ». tlla
ha detto quel giorno.
Egli discese obbediente, lo feci passare dalla cu-
cina deserta. Sulla porta mi disse, tornando sar-
cast ii
So la strada pel eancelletto sul canale, e scom-
parve nella notte.
li su da Elena, calma.
B sul divano ella giaceva come svi
— E lena!
Sorse e mi guardò, irosa:
— Vuoi che ti ringrazii ?
Io ho già dimenticato quel che è avvenuto.
— Io non lo dimenticherò mai.
Mi odiava. L'odio della gratitudine forzata è
'ni altro odio.
— Tu m'hai salvata. Forse l'hai fatto per sal-
var lui.... O forse tu hai avvertito Giulio...
— E lena !
Sì, perche egli non è venuto qui a cercai U
te. egli è venuto diritto nella mia stanza, ansante,
• in ulso come se sapesse.
Avrà supposto, p telegramma di stani
pilo iii.ii aver ingannato lui. come non ha in.
nato me. Addio.
Addio. Tu non ti sono grata del
In ne che credi d'avermi I aito.
— Lo so.
Non ho piìi veduto Simond, il suo nome i
più stato pronunziato nella nostra casa. Credo che
egli sia tornalo in Frani pi
Tu sai tu
VI.
Maria, a queste parole ricaddi con la testa sulla
mia mino che non aveva abbandonata.
-r- Se tu non hai mai pi rdi nato a tua son
segno che lo hai amato sempre.
— Xo. Prima di sposarti, quando tu leal
mi dicesti damarmi, interrogai me stessa su
si 'ultimo scrupoli . iVi . in quella notte di supplizio,
in quei dieci minuti di tragedia (che non hi p:u
lungai io divenni un'altra. Pensa a quel che io vidi,
a quel che io seppi in quel momi
— Lo supponevi anche prima e l'amavi
niente.
— Ma non lo sapevo! Guardami negli
Non \ è nemmeno la memoria d un'altra immagine.
Tu sai di quella notte che cosa rivedo ancóra?
— Che o sa ?
— Quando tornai via verso il villaggio e pas-
sai davanti alla chiesa, la messa di Natale era ap-
pena finita, la folla era appena escila. Entrai nella
penombra, nell'odore d'incenso, sulla
calpestata odorava d'amaro. Fui sola con Dio, e lo
t'issai. Sì, anche oggi, anche adesso, se chiudo gli
occhi, rivedo quel bambino di cera nel nimbo -
cento candele, risento l'odor dell'incenso e della
mortella, nella grande chiesa vuota, aperta pei
porte sulla campagna. Io mi inginocchiai, e fissi
quel piccolo Dio, lo pregai di darmi la forza del-
l'onestà, la gioia dell'Unico amore, che è l'i;
gioia nel mondo. Era il mio Natale, quello. I
nascevo, da quella bufera, rinascevo per te. Quandi
t'ho trovato, il piccolo Dio m'ha esaudita. Pei
sto, per l'amore di te, l'ho sempre negli occhi.
Ugo < •
IL PRIMO AMORE DI IPPOLITO NIEVO
e lettere e i versi d'amore scritti a venti
anni sono di regola imparaticci scolasti-
ci , nei quali la sincerità del senti-
mento è in strano contrasto con l'inesperienza
della firma; e spesso gli strappi alla grammatica
e alla prosodia rendono più grave l'oltraggio alle
Muse.
Pure la precocità meravigliosa dell'ingegno di
Ippolito Nievo era tale che anche ne' suoi scritti
d adolescente balenano sprazzi di poesia e si ri-
vela una maturità di pensiero da far ammutolire
ogni beffardo sorriso di critici.
Per cortese deferenza d'amici ho avuto tra mano
un pacchetto di lettere, ingiallite dal tempo, e qua
e là scolorite da lagrime: le lettere di Ippolito Nievo
a Matilde !*'..., a colei che destò i primi palpiti del
suo cuore diciottenne; e scorrendo quelle paginette
dalla fitta e nitida scrittura, nessuno direbbe di
aver dinanzi le effusioni d'un giovinetto affaccian-
tesi appena sulla soglia della vita, e le si crederebbe
piuttosto dettate da chi ha già letto molto nel gran
libro del mondo, ha un giudizio indipendente su
uomini e cose, sa sottoporre a fredda analisi i suoi
ài sentimenti con lo scetticismo d'una mente su-
turi ore.
Ex lingue leoncm: e si spiega facilmente come
da questo giovinetto, cosi stupendamente dotato,
balzasse fuori l'autore delle Confessioni d'un ottua-
genario — del capolavoro composto di sette in otto
mesi, a soli 26 anni, fra le distrazioni e i turba-
menti d'una vita affaccendata e febbrile, come ha
splendidamente dimostrato Dino Mantovani nel suo
A-niale sul « poeta soldato ».
Quando dettava le Confessioni, il ricordo di Ma-
tilde s'era già di molto affievolito, se non intera-
mente cancellato dall'anima del Nievo: ne io saprei
dire qual riflesso abbia avuto tra le parecchie donne
del romanzo l'immagine di Matilde F... che per più
anni occupò la fantasia e il cuore d'Ippolito.
Bella non pare che fosse e avanzava di qualche
anno il suo adoratore, sul quale ella esercitava so-
prattutto un fascino singolare per la vivacità e la
delicatezza raffinata dello spirito, per l'elegante e
svariata coltura. Le prime lettere d'Ippolito, in cui
si perita ad uscire dal lei compassato e gelato, son
improntate alla più umile e timida riverenza: per
otto mesi egli adorò in silenzio, né avrebbe osato
elevarsi a lei, se non l'avesse soccorso la pietà d'un
amico compiacente — Attilio M.... un capo balzano,
turbinante di idee e di progetti, che doveva spez-
zarsi tragicamente più tardi nell'urto con la ferrea
realtà dell'esistenza.
Allora, coetaneo del Nievo, il M... si divertiva a
burlarsi de' suoi spasimi taciturni : ma per com-
penso accettò la parte di messaggero fedele della
clandestina corrispondenza tra' due innamorati. In-
carico a dir vero non lieve, perchè Ippolito nelle
lunghe attese del recapito delle sue lettere lasciava
correre furiosamente la penna, e i foglietti s'accu-
mulavano l'uno sull'altro, formando de' piccoli vo-
lumi, di cui doveva riuscir più disagevole il con-
trabbando.
Malgrado questa grafomania, nel carteggio non
l i mai sentore di languidezza e di stento: le prò
teste stereotipe d'amore vi occupano pochissimo spa.
zio ; prevalgono invece le osservazioni argute, i
tratti umoristici, le impressioni e i bozzetti della
vita d'ogni giorno, gli sfoghi patriottici.
490 LA LETTURA
ubile di temi,
in s la arricchiti dalla penna agili- e avvi
vatrice del Nievo, rge non di rado a' biografi
qualche particolare prezioso della sua gioventù.
Nel 1849 egli era a risa e con altri studenti ao
dapprima il progetto di accorrere alla di-
:, poi di esulare in ( lorsica, Fugg
iia sena. » L'anno passato verso la metà d'a-
prile scrive a Matilde 18 settembre 1850 — l'o-
dore delti itituzionali invadeva di nuovo
passo passo tutta l ana. Si dava la caccia ai li-
1xt.,: ori di strada, e i poveri lom-
bardi t-ran guardati dalli spie e dai birri come tanti
prelibati b ni da galera. La pazienza comin-
ciava :•. insi rgevanó a tumulto nel
ci'ore 1" sdegno e la disperazione; bisognava sofc
ni della polizia, bisognava abbando-
nare questa Italia per la quale avremmo voluto ver-
nino il nostro sangue. In si amaro frangente
: 11 l'ambasciato mio animo in una lettera ad At-
;>i gava di volermi mandare una qua-
lunque ci sa che .1 te avesse appartenuto per far-
mene mila fcrrii d'esilio un amuleto di speranza ».
Cor b 1 igemma, Attilio gli procurò una
ì i-I li. 0 Dopo di allora le circostanze
mutarono in Toscana: le lettere degli amici di Cor-
sie,! non ci invogliavano punto di ridurci colà;
lo sbarco delle truppe francesi ci impediva il passo
delle Romagne ; e io dovetti restare al mio posto,
ma l'amuleto posò sempre sul mio cuore ».
« Dovrò io, — esclama in altra lettera. ■ — nar-
rarti la triste storia delle mie sofferenze negli otto
mesi di lontananza? Ogni romor di armi, ogni spe-
ranza di vittoria mi faceva balzar il petto di fidu-
cia e di allegrezza, perchè il dirmi la Lombardia
sarà libera significava rivedrò Matilde; ogni rove-
rella armata italiana, ogni passo di esilio
mi ripiombava nell'eterna mestizia d'una lontanan-
za indefinita. Ma la mano della fatalità separò i
ni della patria dai destini del nostro amore;
e i primi giacciono addormentati sui sogni delle me
norie, i secondi volano aerei divini sulle rosee ali
1 speranza ».
Dall'Università di Pisa i genitori del N'ievo lo
richiamarono in patria: e poiché l'Austria aveva
chiuso le pubbliche scuole, Ippolito nella primavera
d I 1850. andò a Revere dove l'ingegnere Bugni
nti a\eva stabilito una specie di liceo
privato. Le sue lettere ila Rovere a Matilde non
soni Ito lusinghiere pei professori che gli
spezzavano il pam- della scienza; e se ne fa beffe
allegramente più volte. « La sterminata sapienza
del d 1 professi re -.rive il primo aprile
— mi è entrata tutta nell'occhio diritto, il quale
non ha p tuto Far a meno di gonfiarsi orribilmente.
ho salutato di buon cuore i miei vecchi a-
miei. il Sole e la Luna, poiché aspetto di ora in ora
mi si chiuda andii l > : n stro e allora felice
'. ».
Il sto humour si sbizzarriva nel re con
rve non i soli ma tutl
persone che incontrava nelle sue escursioni da Re-
vere a Mantova, a Sabbioneta, a Fossat >. Era
0 >ì.i manta ambiilatoria, come direbbero i mo-
derni barbassori ; ogni tanto domandava alle sue
gambe <i volete sgranchirvi? avanti! » e miglia e
miglia di strada sparivano sotto i suoi grandi p
senza che ei se n'accorgesse, unto assurto ni
li della natura, tutto immerso nella ridda dei
pensieri che gli trottavano pel capo... e che appena
arrivato a casa consegnava in epistole intermina-
bili alla sua Matilde.
Il Insogno di scrivere era in lui altrettanto pre-
potente e imperioso che il bisogno di cammina
alla sua innamorata vuol presentarsi quale .-. senza
bollore retorico, nella rude schiettezza del sui
rattere. e persino nel disordine zingaresco della sua
mise. Si descrive infatti talora cosi sciamati
nel vestiario da parer 0 un Brighella » ■ — non per
posa di boheme, ma per l'uggia invincibile che gli
metteva addosso la vita insulsa e scioperata di vil-
laggio.
Ippolito teneva però soprattutto ad
nosciuto nella realtà della sua indole da Matilde:
e il 16 maggio 1850 la invita a dirgli senza ambagi
il concetto che si è fatta di lui. per poterlo al
correnza rettificare. « Io voglio. Matilde, che tu
m'ami qual sono e non qual vorresti ch'io tossi: e
son troppo orgoglioso di tutto ciò che v'ha in me
di bene e di male, per non soffrire mai che tu t'il-
luda a mio riguardo... In un anno, quattro mesi e
venti giorni che ti amo. i minimi tratti del mio ca-
rattere non devono esser sfuggiti al tuo sguan
Voglio che tu mi giudichi, e a me spetterà rettifi-
care la sentenza in meglio od in peggio... Io ti ri-
sponderò analizzando, critico imparziale, dove hai
colpito giusto e deve hai preso un granchio., e ti
paleserò francamente cosa penso di te. Due nemici
voglion conoscersi prima di regalarsi scambievol-
mente una palla di piombo: qual maggior diritto
non hanno di conoscersi due anime che si legano
per la vita? »
La giovinetta non potè celare l'ammirazione sin-
cera che doveva destarle un innamorato originale
per ogni verso: e Ippolito va sulle furie per quelle
che riteneva lodi banali di convenzione. « In tutto
quel mare di parole — le risix>nde ruvidamente
non ho trovato una sillaba di verità » ; e con n
dente sarcasmo fa una critica spietata di sé stes-
e dell'amata, che forse gli ha prodigato tanti ei
mi a scopo di mutuo incensimer.to. per averne il
ricambio.
No, no, non è così che devono adularsi e ingan
narsi a vicenda: se devono essere uniti per la vita.
è necessario che ognuno di lor due abbia leti
fondo nell'anima dell'altro ,• possano coscientemente
stimarsi. Il Nievo deride la Phisioìo^ie du mar
del Hai/ai- perchè gli pare assurdo « valer coi
vare il cuore d'una donna con la sorveglianza e la
politici di Machiavelli »; ma pure ne perni'
anzi raccomanda la lettura a Matilde, esclamando:
« a che celarti nei libri lo scheletro d'una realtà
che hai già intravisto vera e palpitante nei fatti?
A che pascere ancora la tua mente di favole e di
IL PRIMO AMORE DI IPPOLITO XIEVO
491
ciancie, mentre essa ha già bevuto largamente al
calice amaro della verità? »
Quanto a sé, i tratti dominanti del suo carattere
sono appunto un'insaziabile sete di verità, un'ispida
schiettezza di parola, un sentimento profondo per
la natura — la sola grande sorgente di alte e pure
ispirazioni — , un culto ardente per la patria op-
pressa, che sa certo destinata a risorgere.
Se i pacchetti di lettere amorose del Nievo dalle
mani dell'intermediario fossero per disgrazia capi-
tati tra le unghie della polizia, vi sarebbe stato più
del necessario per imbastire un processo di alto
tradimento. Ippolito si compiaceva d'aver sempre
indosso qualche documento del suo patriottismo,
e in una lettera bizzarra del 2 giugno r850 descri-
vendo la farraggine di carte costipate nel suo por-
tafoglio accenna ad una poesia composta « per l'an-
niversario delle Cinque giornate di Milano », che
egli porta sempre seco « perchè ove saltasse in testa
ai nostri stimatissimi padroni di accalappiarmi non
manchi loro un pretesto per farmi appiccare e lo
possano fare in tutta coscienza! ».
Sulla fine del 1850 potè finalmente recarsi all'U-
niversità di Padova, e nei suoi bigliettini a Matilde
— anziché ricordi d'amore — rievoca incessante-
mente le memorie della guerra nazionale del '48-49,
sempre vive e presenti sotto i suoi occhi. Le lezioni
di diritto di rado lo attraggono: l'instancabile cam-
minatore preferisce di fare escursioni sui luoghi
consacrati dal valore italiano: Malghera. Venezia,
Vicenza ! E prorompe in furiose invettive al sen-
tire la sciabola dell'ufficiale tedesco che striscia in-
solente per piazza San Marco: colma di vituperi Ve-
rona per la gaiezza delle sue vie, affollate di uni-
formi variopinte dell'esercito di Radetsky.
Lo squallore e la solitudine di Padova si conci-
liavano meglio con le disposizioni del suo spirito
ive.litabondo: « la popolazione — scrive il 29 ago-
sto — pare una turba di spettri ; sembra che cam-
minino in punta di piedi, come per non svegliare
gli occhi delle case deserte ; sembra che i loro occhi
errino meravigliati, come un fanciullo allevato in
una spelonca, che vegga il sole per la prima volta.
Povera Padova !... Mi vengono le lagrime agli oc-
chi, guardando il salone detto della Ragione in cui
si difendevano un giorno i diritti degli oppressi...
Padova non è certo una città per chi ama i fra-
cassi della vita allegra: sarebbe lo stesso che il vo-
ler danzare nei sotterranei d'un cimitero.
0 Vi sono tanti e tanti che maledicono la melan-
conia: io non so come possano fare a disgustarsi
con una delle più beate condizioni del viver nostro.
Io credo che scambiano la noia per malinconia,
poiché io trovo nella mestizia una certa dolcezza
patetica di pensieri e di sentimenti, una certa ab-
bondanza di fantastiche idee che me la rende simile
a un Paradiso ».
A confortarsi del fiacco e sconsolato presente, il
Nievo visitava spesso la cappella degli Eremita»!.
per contemplarvi le creazioni del vecchio Mante-
gna, che egli anteponeva a' più grandi genii del-
l'arte. « Ho veduto dei quadri di Raffaello, di Ti-
ziano, di Paolo Veronese più corretti, più perfetti :
non ho mai osservata una risolutezza di pennello
e un'originalità più grande ». Nel San Giorgio di
Mantegna gli par di vedere un simbolo della gio-
vane Italia, che dovrà prima o poi spezzare il tron-
cone della sua lancia sul drago tedesco.
Tutte queste lettere del Nievo da Padova e Ve-
nezia potrebbero ristamparsi quasi intere: vi si tro-
verebbero in germe molte delle più belle pagine
delle Confessioni ; e il suo non è patriottismo re-
torico, ma fremito convulso di chi era già pronto a
immolare la sua giovinezza quando fosse suonata
l'ora della riscossa.
Il carteggio che sto esaminando termina pur
troppo con gli ultimi mesi del r850 ed è indubitato
che continuò parecchi anni ancora, poiché a Matilde
F... è dedicato il primo volume di versi del Nievo
(Udine. 1854). Come sarebbe bello poter esumare la
sua corrispondenza del 1852-53. quando Mantova
era in sussulto per i famosi processi, e sugli spalti
di Belfiore penzolavano dalla forca i cadaveri di
Tazzoli. di Speri, di Poma!... Che ruggiti deve
aver represso nell'anima sua Ippolito Nievo, ormai
adulto — egli che a Mantova sentiva « rivoltarsi
le viscere » al vedere i croati accampati presso i
cannoni in Piazza del Duomo ; egli che a Matilde
nel T849 mandava non solo versi d'amore, ma que-
st'ode (inedita) su Legnano, riboccante d'odio allo
straniero !
A Legnano correte, a Legnano !
O aspettanti la grande novella,
Poiché Cristo ha gravato la mano
Sul tiranno che i ceppi vi die.
Coronato spergiuro! favella
Or parole di ingiuria e di morte !
Or che lunge la spada del forte
Dal tuo cuore di tigre non è !
Ieri all'alba codeste campagne
Eran liete di messi e di fiori
E la terra lodava agli albori
Col suo muto linguaggio il Signor!
Oggi il fianco di venti montagne
Vomitò due torrenti sovr'esse
Ed all'urto potente non resse
Il riparo d'imbelle cultor.
Li vedeste? le ondate bollenti
Risplendeano di lancie, di spade,
E nel cupo dei gorghi cruenti
Lo scrosciare dell'armi s'udì.
Vi ravviso o esecrate masnade,
Ti ravviso, o scettrato assassino,
Poiché il solco del vostro cammino
Il saccheggio, lo stupro segui.
Vi ravviso all'ingiusta baldanza
Che al sogghigno v'atteggia le labbia,
Vi ravviso alla stolta fidanza
Di cui suolsi il codardo coprir.
Ma che vaglion minaccie di rabbia
Contro i popoli a stormo levati ?
Ma che vaglion migliaia d'armati
Contro un Dio che vi danna a perir?
Era forte di fanti e cavalli
Il superbo dall'Alpi disceso,
Sormontava le fosse ed i valli
Qual valanga che sosta non ha !
492
LA LETTI i A
ie vale s<- l'orlo
Che d'Italia tu posto ■ bari
N.iii rattenne la foga straniera?
Il Lombardi iprà!
1 1 Min |>r..nn in arcione,
antro fu quello
l>i due vnui che vanno ■ tentone
Per gli spani tonanti del del.
dell'Angel ili morte il flagello
Balenò sull'estranie coorti;
Pia che addoppiali le piaghe ed i morti.
Più la pugna diventa crudel.
Chi boccheggia spiranti-, chi giace
monti 'li s< udi e d'ui
Mentre scura e più tetra la pai e
Della ti"M il furor.
Chi fu il vinto? -.ir. inno derìsi
Forse .incora i diritti più santi?
l orse i! «insto bagnare coi pianti
Dovrà i ceppi d'iniquo Signor?
No, Lombardi! cantate, o redenti.
La vittoria del lungo sei < n
A1.0 spose, ai vegliardi piangen i
Rassereni quel cantico il cor.
Vincitori, per ogni villaggio
Vi saluti la tuilia al i itorno,
Poiché voi vendicaste in un giorno
Mille oltraggi de' vostri oppressor.
A Legnano correte! A Legnano!
m ttanti la grande novella !
Poiché mai non combatlesi invano
Oliando giusto, concorde è il pensier.
In qnel campo il valor s'affratella
Colle antiche memorie d'impero,
E quel campo sarà un vitupero
Senza fine per l'uomo stranier.
Il soggiorno a Colloredo, le peregrinazioni in
Camia sono il teina di molte lettere deliziose del
Nievo, che già nell'autunno del 1850, visitando la
scena del suo futuro romanzo, cominciava forse a
disegnarne la trama nella sua fantasia: ed amava
con frequenti descrizioni di paesaggi, con bozzetti
umoristici della sua vita errabonda, addestrarsi la
mano per acquistare quella padronanza della for-
ma ci 1 più tardi permettergli una rapidità
portentosa nell'esecuzione del suo capolavoro!
Quanta freschezza d'impressioni e vivacità di colo-
rito in queste due lettere a Matilde che produco
per saggio:
Castel Colloredo di Moni' Albano, io ottobre
Monte, monte, e monte ancora — torrenti che si dival-
lano lungo le chine erbose e giù per le frane dirupate
delle roccie — selve di castagni che invecchiarono all' in-
nte fragore delle cascale — solinghi casolari che di-
fendono l'uomo nelle solitudini della natura — antichi ca-
stelli che torreggiano sui picchi delle rupi, come falchi
aleggianti nell'aria — ecco. Matilde, la scena che
mi circonda, la scena che ha pasciuta di leggende e di
romanzi la mia prima infanzia! — Riveggo ancora le
nevi <he imbiancano a me» iioin. 1. o 1 il 1 giogaie —
riveggo le ghiaie desolanti del 'ragliamenti'. 1 he segna con
agne di macigni il confini ■' 111 — ri-
■ uli con tutto rolline della sua materia, con
tutta la dello spirito de'suoi .limanti
Oh ionie tutto Ciò è bello! — quanto più hello della
nnni>t> in 1 interminabile delle nostie pianine, dei n
argini, delle nostre praterie livellate come una tavolai —
Mal, mai la mano dell'uomo non arriverà .1
«olla freddezza del calcolo l'opera creatrice della natura'
— Una rupe solitaria e Bublime che s'erge dalli
Ciivallantisi d'un torrente, è assai più glande e portentosa
delle l'ira midi d'Egitto e del San Pietro di Roma! — Come
un'anima imbevuta delle massime pure e d'un '
istinto è assai più in sta d'uno spinto lim
e raffinato da quella scimmia della creazione che ha i
civiltà! — Popoli civilizzati! — civilizzati invero! — ed a
1 he line' — per ammazzarsi, per divorarsi, per farsi schiavi
l'un l'altro !
o se tu potessi contemplare una sola sera l'ultimo rag
gin di sole che indora mestamente i merli cadenti del ca-
stello! — Se tu potessi salire appoggiata al mio braccio
la torre che incorona l'altura, e di là divagare lo sguardo
sulle montagne, sui colli, sulla pianura! — o Matilde,
Matilde, come allora saresti felice! — 1 nostri baci aggiun-
gerebbero l'estasi dell'ebbrezza a tutte le altre delizie della
contemplazione della natura! — Amami, o Matilde! —
Amami! — il tempo è il nostro Dio — il nostro idolo è
la speranza.
Ippoi.
Il Friuli (come ben sai è un paese che si estende dal
mare alle Alpi per uno spazio di sessanta miglia, e la sua
parte settentrionale ha volgarmente il nome di Carola,
dalle Alpi Carniche che ne sono la base. Figurati un avval-
larsi continuo di monti sopra monti, e frammezzo ad essi
immensi torrenti che allagano le vallate d'acqua e di
ghiaia — erte stradicciuole che serpeggiano lungo le chine,
come nastri sbattuti dal vento, e paiono sospese tra le rupi
scoscese che Imi ano il cielo, e le rovine interminabili di
macigni che si dirocciano fin nell'abisso — cascate aeri
fil i d'acqua sottili, sottili che si vaporizzano nell'aria, e
scendono sopra le punte dei massi come veli di nebbia, e
intorno ad esse (scavate dall' un issante attrito delle cor-
renti) grotte nere e selvaggie, burroni spaventosi, che for-
mano insieme come un anfiteatro. Oh come è bella e ini
ponente la natui a nel suo gigantesco e spaventoso a
— Come siamo piccini noi p.ccioli insetti che ci arranipi
chiamo su quell'immenso colosso che si chiama — una
montagna! — come vergogniamo della nostra piccolezza
nel vederci soli in mezzo al Tagliamene.' che solca con
venti braccia un deserto infinito di sassi e di ghiaie'
Mercoledì allo spuntar dell'alba partimmo da Colloredo
— il sole indorava come un vecchio amico i merli del
Castello e l'orologio della torre, e il mare di collim
si stende dinanzi ad essa sorrideva come un bambino al
sorriso del padre. — Io, Attilio, i miei due fratelli, un
buon uomo di qui, e due somari — ecco la bella comi
tiva che usciva dalla porta del castello, passando su quel
ponte, che rimbombava altre volte per lo scalpito dei ca-
valli da guerra e dei cavatici! vestiti di ferro.
Prendemmo la strada giù pel colle verso ad una vicina
borgata che ha il nome di Buia, ed è all'incontro la più
chiara ed allegra che si sia mai vista spingere i su-
mignoli fuori del verde del fogliame.
Valicammo il monticello, cui essa incorona,
la Ltdra su un bel ponte di pietra, ci mettemmo pian
piano attraverso i larghissimi pascoli in cui ella serpi
Verso le dieci, cdn un sole vivacissimo ed un vento In
diavolato, la nostra carovana entrava in Osopo. Chi non
cono divenne ornai un nome i aro ad
biavo italiano, le bombe del quarantotto lo hanno
ficaio, e 1' sue strade riboccanti di macerie, le sue
riarse, le sue mura geliate al vento sai. inno p r lungo
temp testimoni della prodezza 'le' suoi difi n
Immaginati che il p I uà il moni
IL PKIMi I AMORE l'I IPPOLITO NIEVO
498
struita la fortezza e la pianura in cui accampavano gli au-
striaci, e pensa poi qual fosse la sorte dei poveri abitanti
di Osopo.
Passando fra le reliquie d'una brinderà di Napoleone
venimmo al Tagliamento, e dopo un miglio e mezzo di
strada disastrosa scoprimmo la barca che dovea tragit-
tarci all'altra sponda.
Figurati un torrente dei più impetuosi diviso in venti
rami più o meno grandi, tutti compresi da due miglia di
ghiaia, e sopra questa da ambe le parti monti dirupati ed
sissimi, ed avrai un'idea del Tagliamento.
I primi rami, alquanto bassi, li varcammo a guazzo; i
due di mezzo colla barca — e i restanti o a piedi. 0 sulle
spalle dei barcaiuoli, che si affondavano nell'acqua lino
al petto.
Siamo sulla riva destra — Attilio e Sandrino cavali
gli asini, il primo a ragione de' suoi dolori di ventre, il
secondo per la sua tenera età — dietro ad essi viene Na-
tale, buon friulano, che non fa che gridar arri, arri.' —
e davanti a tutti, come gli esploratori, siamo io e mio fra-
tello Carlino. — Ci cacciamo entro una vallata brulla e
deserta in cui si udivano rimbombar alcune campane. Ci
lasciami) dietro un paese che par incollato su una rupe
— entriamo in una larga palude — poi saliamo su una
lunghissima erta di sassi e di sabbia, seminata da enormi
macigni staccatisi dalle balze che ci erano sulla testa. Sa-
liamo e saliamo ancora — ecco dei campi — ecco dei ca-
stagni — i vigneti ricompariscono — si conosce che la
mano dell'uomo ha toccato quella terra e 1' ha fecondata.
Ad una svolta spunta finalmente da lungi torreggiando
nell'aria il campanile di Frescaghes. Due miglia ancora e
siamo ih vetta ad un monte, con a piedi un lago d'acqua
limpida e trasparente; un lago profondo e deserto — il
lago di Cavazzo. Fra un seno di monti aguzzi e minac-
egli posa tranquillo ed azzurro e sembra un fresco
bambino che si culli mollemente in braccio alla nonna.
Bisogna misurare coll'occhio quel lago dall'altezza di tre-
cento braccia per comprenderne l'orrido e il sublime —
noi lo costeggiamo per un miglio fin al punto che egli si
restringe per allargarsi ancora al di là di una catena di
frane, (ili è su questa catena che l'occhio spazia libera-
mente svi quella Perla delle Alpi. Si vedono i due ba-
cini che si congiungono per un canale stretto ed oscuro;
e il cielo che si specchia in quelle acque trasparenti, fa
si che tu creda aperto un foro attraverso la terra. In capo
al lago hai una gola difesa d'ogni intorno dai venti, da
colossi di massi ; tra campi di biada e boschetti di vigne
e di cerese s'asside San Biagio, pulito paesello che si ad-
d "~-a ad una china, come tutti i paesi di montagna. Pare
di trovarsi in un giardino inglese — un'oasi del deserto
è meno bella.
Sopra San Biagio, su una roccia sporgente e tagliata a
picco, sorge la chiesa di Cesclaus, che pare comandi alle
Alpi come una regina dal suo trono.
Scavalcati altri monti, per sentieri dirotti, si entra in un
torrente, vicino al quale è fabbricato Cavazzo.
È una gran brutta cosa una cattiva osteria dopo un
*gio faticoso, ed è cosa peggior ancora che l'oste ab-
una faccia da assassino. E questi due inconvenienti
toccarono a noi. e ci spaventarono in maniera che benché
arrivati alle quattro a Cavazzo ne ripartimmo alle cinque
ingozzati all'infrena quattro bocconi.
Sboccammo al Tagliamento (per ripassarlo) lungo una
che si perde entro un bel bosco di pini e di castagni.
Era sera fatta — il torrente più furibondo qui che a
ipo muggiva orrendamente — sguazzammo un pezzo,
poi ci stivammo in una barca che sorretta da sei remi
appena resisteva all'urto dei cavalloni — balzammo dal-
l'una sponda all'altra con una rapidità favolosa — sguaz
amino ancora, e finalmente, uomini e somari, arrivammo
felicemente grondanti di sudore sulla strada maestra della
Carnia. Ci ripiegammo a mano ritta pei imboccare la
postale, che da Udine mette in Carinzia, ed arrivammo
che eran quasi le nove al Ponte della Fella che è lungo
un mezzo miglio. Dopo il ponte s'incontra la postale.
Era notte avanzata — avevamo, 'redo, il capogiro poi-
ché invece di dirigerci verso la pianura, voltammo verso
Pontebba. La strada avea sempre a sinistra il muggito
della Fella ed a dritta il tonfo delle acque che piomba-
vano dalle rupi — la luna imbiancava le scogliere altis-
sime della sponda opposta. Noi e il torrente eravamo in
una oscurità d'inferno. Non una casa, non un tugurio
per quella vìa — dopo un' ora eterna comparve lontano
qualche cosa di bianco. Addoppiammo il passo, passiamo
sotto rupi nere e paurose, vicino a cascate clic toccavano
le nubi — alla fine ecco un borgo. Lungo la strada fu
un continuo ondeggiare di opinioni — ora credevamo di
andar in su ed ora di venir in giù. La lite fu decisa alla
locanda ove ci dissero che eravamo al Ponte di Moggio
e che trottavamo allegramente verso Germania.
Che dormita, che dormita quella notte! e come uscim-
mo tutti a malincuore di sotto le coltri ! Verso le sette
passammo la Fella per veder Moggio che è un grosso
paese in una valle profonda. Indovina cosa trovammo
sopra di Moggio? Madonna Neve — e in aggiunta una
veduta cos'i larga e pittoresca che ci incantava. Tornam-
mo alla locanda e dopo aver divorata una colazione gu-
stosa la carovana si rimise in cammino col solito ordine.
Rifemmo la via della notte passata. Che bella scena —
le tenebre erano sparite — il sole indorava quei burroni
su cui verdeggiavano i pini — quelle rocce da cui le ca-
scate tralucevano come fili d'argento! Quante volte io e
Carlino corremmo il rischio di fiaccarci il collo per am-
mirar da vicino quelle stupende meraviglie della natura !
Ci inerpicavamo tra i greppi e le onde aggrappandoci
ai ginepri, e agli orli dell'aspetto e giunti al punto ove
la vista abbracciava il bello della scena, gridavamo in
coro: quanto è sublime e tornavamo ai compagni sulla
strada ripetendo : quanto è sublime ! Giunti al punto ove
la sera avevamo sbagliato cammino, tirammo innanzi per
la postale ed arrivammo alle tre a Venzone. Vedemmo
le mummie — il sagrestano conosceva parecchi di coloro
che ora sono cadaveri disseccati. La stanza ove esse si
conservano è bianca ed allegra — ma 1' occhio scende a
quelli scheletri che hanno ancora impressa nell' aspetto
1' ultima contrazione della morte e sembra di assistere a
una danza di spettri.
Il palazzo del Comune e la chiesa di Venzone sono due
monumenti dell'antica importanza di quel paese e in am-
bedue si conservano antichi affreschi : palazzi di stile
tico fiancheggiano le contrade, e un magnifico ponte mo-
derno dà passaggio alla strada sopra un torrente. Scen-
demmo all'Ospedaletto — grosso e bel paese che par fab-
bricato ieri, e e' incamminammo per la via di San Da-
niele. Dopo due miglia ci cacciammo per le praterie, e
ci arrestammo un pochino per bearci della vista dei monti
che avevamo percorsi.
Ti assicuro che il paesaggio era imponente. Alla destra
avevamo Gemona, colle sue belle e numerose case, co'suoi
campanili, col suo bruno castello che la domina e sembra
una sentinella che vegli un prigioniero. Alle sei ripassava-
mo la Ledra per uno sgraziato ponte di legno — di li a
poco eravamo a Buja e alle sette il convoglio misto saliva
il ponte del Castello di Colloredo. In due giorni avevamo
fatto 50 miglia di montagna.
Colloredo ottobre '50.
Ippolito.
Se, come ripeto, la corrispondenza del Xievo con
Matilde ]'... durò oltre il 1854. le lettere perdute (o
M r Ide F... che era stata la sua prima ispiratrice
ebbe il dolore ineffabile ili vedere a poco a poco e»
stinguersi ìti Ippolito quella Gamma che in Lei solo
la morte si spei Miri amorì occuparono il
49 1 LA LETTURA
almeno non conosciute finora) i rano 'erto assai più l'Ercole — vecchia carcassa ch'era delitto di
importanti delle perchi col | riere degli perare ancora per trasporto di passeggeri — ; e
anni l'ingegno d'Ippolito assorgeva a sempre mag- con esso andarono sommersi non i soli conti pn
pensiero e sicurezza della spedizione garibaldina, ma anche unto u
som ili poesia che si addensava nel capo ili Ippo
liti \ levo, nel quale l'epopea de' Mille avrei
i !• rato il suo < Intero.
Sulle cause ili quella catastrofe — oggi piena?
mente chiarita dalle ricerche del Manli vani cir-
: amori torbidi e tormentosi, che lo condus- colarono allora in Italia le più stranile dicci
sero ad essere uno de primi e piti caldi ammiratori vociferò dapprima di una spedizione garibaldina
di Enrico Heine, l'i questa sua congenialità con in Albania; si sussurrò poi che il Nievo fosse ri-
ie ho pi tutu vedere una prova curiosa: un inasto vittima di gente interessata a far sparire le
paio di figurini di n : • stati dal Nievo con prove di ladrerie e ribalderie d'ogni
un tentativo di traduzione dall'Intermezzo Lìrico. La speranza che egli ricomparisse miracolose
Evidentemente qualche suo tèle-à-tite era stato in- mente un giorno o l'altro perdurò qualche tempo:
tto da visite importune: e durante la conver- e nessuno s'aggrappò a questa illusione più ten*
sazione banale e frivola di dame a cui era forzato cernente della prima amata d'Ippolito, che fece ali-
di assistere, s'era appartato in un angolo del sa- posta de' viaggi in Sicilia. Ogni irritazione di donna
lotto, slogando il suo dispetto con lo scombicche- offesa taceva nel suo cuore — memore solo d
versi heiniani sugli odiosi figurini di mode. lei. innanzi a tutti, salutato con entusiasmo vergi-
Matilde F... sopportò in silenzio la crudele delu- naie il genio nascente del Nievo. Come la Letizia
sione della sua vita: e morì nubile, pochi anni dopo dell'ode carducciana, anch'ella avrà teso le bi
la tragica disparsa d'Ippolito nei gorghi del mare sul selvaggio mare, invocando che almeno il cada-
siculo. vere del suo poeta le « approdasse in seno »!
Xel marzo del 1861 avvenne il naufragio del-
Alessandro Luzio.
£SFW-
Città dei. Capo e la Montagna della tavola.
I FRANCOBOLLI fllELLA LOTTA AJ^LO-BOERA
Ina virtù, quella della tenacia, emerge am-
mirevole ed ammirata tra i difetti che il
Ì3| mondo civile attribuisce alla razza anglo-
sassone. Di questa loro specialità, i figli della Gran
Bretagna ce ne danno esempio da mezzo secolo nella
lotta che essi combattono laggiù, nell'Africa au-
strale, contro un manipolo di eroi.
L'origine di questa lotta terribile, e niente affatto
simpatica per l'elemento inglese, s'ha da ricercare
in un sogno incantato in Cecil Rhodes , teste
defunto.
Il Xapoleone del Sud-Africa, come lo chiamaro-
no i suoi connazionali, si ficcò in testa l'idea fan-
tasiosa di allacciare per mezzo di una ferrovia in-
glese, che attraversasse per il lungo il continente
r . Città del Capo con Alessandria d'Egitto ed
i nisse così l'Oceano atlantico e quello indiano con
il Ma literraneo.
Un sogno tanto grandioso non poteva non lu-
singare l'amor proprio degli inglesi; e lo lusingò;
mn più che tutto fece balenare davanti al loro spi-
speculativo l'enormità di ricchezza che da quel-
1 era sarebbe derivata alla Gran Betagna. Sicché,
e diplomazia e militarismo si dettero la mano per u_
manizzare il grandioso e fantastico progetto.
Mi it re la prima spianava gli ostacoli al sud. la
] debolezza della Francia favoriva a Nord dell'A-
a la presa di possesso dell'Egitto; seguita, per
jopera del Sirdar Kitchener. dalla distruzione dei
[Mahadisti e dalla presa di Camini ; successive vit-
Itorie, pietre miliari di quelle laboriose tappe per-
Icorse dall'idea grandiosa della ferrovia trans-afri-
Conquistato il Sudan, gli Inglesi credettero che il
-esso del Nilo avrebbe rappresentato per essi
una passeggiata militare, o poco più di una passeg-
giata... calda.
Per una improvvisa resipiscenza della Francia
sorgeva l'intoppo di Fascioda ; ma l'audacia in-
glese lo fece risolvere a danno della rivale ; e la
conquista del Nilo sarebbe stata davvero una pas-
1897 1898 189S
La conquista del Sudan.
seggiata per i soldati di Kitchener, se 1 Abissinia che
ne l'oro, ne i cannoni inglesi hanno potuto ancora
ridurre a migliori consigli, non avesse attraversato
la strada.
Ben più dure prove attendevano la Gran Breta-
gna nell'Africa meridionale, dove né la scaltrezza,
né i milioni, né i fucili inglesi erano riesciti né a
sottomettere, né a debellare i Boeri.
Chi sono i Boeri? Sono gli olandesi e i discen-
denti degli olandesi che colonizzarono il Capo di
Buona Speranza dopo i Portoghesi. Sopraggiunti
gli anglo-sassoni, con la violenza s'impossi sarò e
della Colonia e ne fecero il gomitolo di filo per
quella rete di successive conquiste, che più tardi do-
vevano serrare i Boeri in un cerchio di ferro.
Come era da prevedersi, l'occupazione inglese non
riesci benvisa ai vecchi coloni d'Olanda. Amanti
della propria indipendenza, piuttosto che assogget-
|ni> LA LETTURA
tarsi agli invasori no radunare i loro ai
menti, rari. -are le faro loro trtcki (carri)
minciare \ pietoso, il quale
1 1 in. hin- mente Stati e Re
pubbliche sempre nuove e sempre minacciate, in-
^,- dagli (irmi rivali: gl'inglesi.
Questi, impotenti a frenare l'emigrazione di quei
ardi lavoratori della terra, per dispetto li chia
(contadini, villani; e i villani per ri-
picco assunsero il ni me di boeri, e il carro trecks
1864
li. Capo di Buona Speranza.
i,s94
vollero nei quartieri del l'>ro stemma. Da quel-
la i trecks non stettero più termi, e sempre a-
vanzarono verso il nord, per l'incalzare crescente
invasori sassoni.
I francobolli inglesi dell'Africa meridionale sono
documenti parlanti di questa lenta, ma costante so-
praffa/ione ; i francobolli triangolari del Capo di
mza rappresentano la prima manife-
sta/ terribile lotta di r.ozza tra i molti e
ricchi figli della Gran liretagna e i pochi e miseri
boeri.
Questi tapini, sempre incalzati, sempre sospinti
dagli inglesi, conquistarono a prezzo di sangue il
Vi .il e vi fondarono una nuova patria indipen
; ma l'Inghilterra la invase e costrinse i mi-
3 .
KI&7&L
ì
ppmijv a
V -'•"•'<■-
1857
lS-„,
La CONQUISTA l'I 1 Nai m .
ri a rifare i trecks, a riprendere l'esodo in
massa verso l'< »rai._
Quivi i Ihxtì. combattono e vincono i ('airi e
Zulù ; si ' ino il mirao lo di
una ter/a patria. La Gran Bretagna, occupata nel-
l'emissione dei frano bolli del Vual. li lascia 1
ma un giorno si risveglia, invade la novella repub-
blica e la converte in Colonia ingi
Anche questa volta i bo il gregge,
caricarono la famiglia sui trecks e ripresero il 1
mino verso nord in cerca di una quarta patria. I
samno l'Orange e tra il fiume e i monti, crearono il
nuovo Stato li'' dal fiume prese il nome.
La nuova repubblica ebbe i suoi francobolli; ma
hanno subito l'ingiuria di un si
parte degli inglesi.
Non erano trascorsi sei anni dalla
rinnovala repubblica, che gli inglesi la in-
vasero (1848) e i boeri vinti nella sanguini
taglia ih Boomplats dovettero riprendere la sti
dell'esilio pei terre inospitali. Si diressero sul V
lasciando agli inglesi il non lieve compii
tendersi o n i neri. La lotta fu « Lira, tanto dura.
1
c-cn^j
1884
[868
JVl^v- -..n - - - -v-.-v,-^
Si
LO SWAZIELAND B L'ORANGE.
i tenai-i figli d'Albione, questa volta rinunciaroo
al dominio e restituirono (1854) ai Ut-ri 1 Orange.
del quale riconobbero l'indipendenza. Più .ardi.
però, allorché nell'Orange furono scoperte li
re 'li diamanti, l'appetito inglese si r
e l'Orange dovette cedere per una somma
i migliori giacimenti del paese dei Griguas 1
Il nuovo acquisto fu più tarili rappresentato da
bolli del Capo ili Buona Speranza, -
1 irati di un G. (Griqualand). In seguito, avi
liberi dell'* Irange scoperto altri giai
fu ini derli agli inglesi in un modi
si mplice.
I ' narra Ernesto de Weber nel suo libro Q
anni nel paese dei boeri (1871-1875):
0 II 7 novembre 187 1 fu segnato da un
mento politico d'importanza straordinaria : tutti
1 ampi di diamanti Pitie I
nonché quelli asciutti di N'ew-Rush, di Dui
d'Old de Beers e di Bu'fontein. furono annessi al
1 Impero britannico, di maniera che lo Stato lil>er
fu espropriato senza tanti cump
La cosa fi mplice e sp*
rio. Un pattuglione di folietmen a cavallo appan
.1 New Kush. Il capo lesse una cedola, '«I oidi
I FRANCOBOLLI NELLA LOTTA ANGLO-BOERA
497
nanza che sia. sulla piazza del m< reati . pi i, I
ammainare la bandiera dell'Orange, issò in sua
vece quella della Gran Bretagna. 11 landrost Truter
protestò solennemente contro la confisca, operata
in perfetta pace, di terreni appartenenti da quasi
ventanni e senza contestazioni al suo paese. 11 pi
NIEUWE
REPUBLIEK
li
24 MAY86
ZUIDAFRIKA
6 fi
I^s4
[886
isso
Steli.ai.axd. Nieuve Repcblick nello Zvuland.
liziotto fece... l'indiano, e fatto dare fiato ai pifferi.
invitò il povero Truter a ritirarsi e a lasciare al
leone quella preda che un topolino come l'Orange
non poteva contendere colla forza ». Pensate: nel
1871 l'Orange contava sessantamila anime, delle
quali appena un terzo erano di proprietà maschile.
Frattanto i boeri, che per sfuggire al dominio
inglese si erano rifugiati nel Vaal, passarono il
fiume e in un paese vergine e sconosciuto, lottando
contro i neri, le fiere e la terra, tre elementi assai
restii alla conquista, fondarono una nuova repuli-
blica, quella del Transvaal, tra le sponde del Vaal
e le pendici delle montagne che sorgono più' a nord.
L'Inghilterra nel 1852 ne riconobbe l'indipenden-
za ; ma quando apprese che i Burgers avevano tro-
vato sul loro territorio giacimenti d'oro assai ri-
munerativi, mutò parere.
Già gli appetiti britannici s'erano fatti vivi nel
1869, quando il Transvaal emise i suoi primi fran-
cobolli. L'Inghilterra lo sapeva per pratica. Se hanno
stampato francobolli, si disse, vuol dire che hanno
organizzato un servizio postale ; se hanno organiz-
zato il servizio della posta, vuol dire che hanno fon-
dati' centri importanti ; e io so bene, ripeteva a se
l'Inghilterra, che i centri importanti non sorgono nel
reni m dell'Africa come i funghi, ma perchè la pro-
sperità è generale per date- e fatto di ricchezze sco-
e improvvisamente. Seguendo il filo di un ragio-
namento simile, ne venne come conseguenza la deci-
sione ili annettere il Transvaal. E lo fu nel 1877.
I francobolli che quella repubblica aveva emessi
nel 1869 col proprio stemma, ricevettero il soprai
•0. ingiurioso per un popolo libero, di un V. R.
Transn \\i (cii ■ Vittoria Regina del Transvaal».
E come se ciò non bastasse, l'anno successivo i boeri
videro cin"' lare nella defunta loro patria i franco
bolli con l'effigie giovanile della già matura Impera-
ratrice delle Indie; e di questo forse non si sareh-
bero eccessi vamente adontati se la leggenda, invece
che in inglese, fi sse siata in lingua olandese. Una
tale inezia fu la scintilla di una guerra di sterminio.
II timore che alla lingua loro si volesse sovrim-
porre quella dei conquistatori, nacque nell'animo di
quei fieri agricoltori ; l'odio per gli inglesi ve lo in-
La Lettura.
giganti ; l'amore estremo della libertà ve lo fece ira-
ire. Il risentimento delie il trarollo alla pru
denza; giovani, vecchi e donne corsero alle armi.
Frementi e sdegnosi del giogo inglese, risolvettero
romperla senza indugio e guidati da Pai lo ls.ru
gei e dal generale Joubert, infiammati dal santo a-
di li In rtà, attao ari m 1 gli un asoi i ci ri la vii *
li nza della disperazione e dopo una serie di vi
ornile or prospere ed 1 ra sfi rtunate, malgrado la in-
feriorità del numero, i boeri nel 1881 riescirono a
mettere in rotta gli inglesi, il generalissimo dei quali.
il ("alley. a tanto sfacelo, si fece saltare le cervella
con una pistolettata.
I o| inione inglese ammiro [^eroismo dei boeri e
in loro favore si volse favorendo la pace, per la
iiuale l'indipendenza dei gagliardi villani veniva ri-
ni milita. Però, si volle dalla prepotente Albioni
salvare le apparenze e si obbligò il vecchio Stato li-
bero ad assumere un nome nuovo: Zuid-Afrikaan-
tene Republièà, ch'è quanto dire « Repubblica Sud-
Africana ».
WWWWv C-v
Francobolli delle Compagnie inglesi.
Francobolli delle Compagnie inglesi.
Francobolli delle Compagnie inglesi.
\, 1 18S3 i boeri del Transvaal riebbero i loro vec-
chi francobolli, leggermente modificati, h questi dai
boi ri furono detti per ironia» Francobolli Vittoria* ;
per ricordare la sconfitta dei sudditi della Regina
Vittoria.
Per i boeri le cose non potevano andar meglio:
l'Orange appoggiato al Transvaal si sentiva più
32
|,S LA LETTURA
sicuro dagli artigli inglesi; il Transvaal, dopo il
non pensò più all'ingordigia dei
e ili altro non si curò se non 'li sviluppare le
grandi risorse e !<■ immense ricchezze, che racchiudi
sii i ih nel 1895, la rinnovata repub
inaugui iva pacificamente la
sua prima ferrovia P oria a Delagoa) festeg
giando l'avvenimento con un francobollo comme
itivo
La prosperità del Transvaal camminava passi
HE ASI :>jj]>
qualand non n'ebbero il tempo 'li avere francobolli
piopri, che gli inglesi more solito li annessero alla
( '. Ionia del < !apo.
Qui to il prologo del terribile dramma africana
sul quale non è per anco calato il sipario per opera
ili pochi) ma valorosi boeri.
Passiamo all'epilogo. Ecco entrare in campo la
figura di Cedi Rhodes con 11- sul- Compagna
BBITItH
(iroMUANO IMO
ir-:: -re^i
Francobolli delle Compagnia inglesi.
«li gigante; pei cui con quello si fusero gli altri
Stati fondati, sempre per mezzo dei irecks, dai boeri,
0 più .1 1 m^i (i più a nord del nucleo transvaaliano.
« L'unione fa la forza ». pensò l'Inghilterra, e
s'io lascio questi Burgers unirsi, addio sogno ; addio
ferrovia africana; addio continente nero! Kd ecco
cominciare quella lotta sorda, accanita di accerchia-
mento dei boeri, che con i loro irecks sfuggivano
si inpre e poi sempre al dominio inglese, minacciar]
(Ione ci istantemente l'esistenza.
La prima repubblichetta che si unì al Transvaal
in quella di Stellaland; e non tanto per volontà
propria quanto per l'impotenza di resistere alla pei
se' 11 ai -e degli inglesi, che la invasero mani!
armata un anno dopo la sua costituzione. E COSÌ,
dopo due anni di vita... anche i francobolli dell
lalaml preferirono cedere il pesto a quelli del
l'Africa meridionale, sintesi della tenacità, solida-
rietà, rapacità ed egoismo di un popolo civile.
La debolezza della Francia aveva favorito al-
l'inghilteira il possesso dell'Egitto; la violenza a-
veva garantito alla ingorda Gran Bretagna il pos
sesso delle rimuneratrici miniere di diamanti del-
l'Orange; le bisognava con l'astuzia e col sopruso
impossessarsi delle ricche miniere del Transvaal.
Dopo ciò la realizzazione del gran sogno in.
sarebbe un fatto compiuto.
Ma urgeva conquistare e impedire in pari tempo
che nuovi trecks creassero novelli intoppi all'espan-
sione britannica. S'incominciò ad attuare il secondo
piano furono creati- Compagnie che circuissero gli
eterni nemici, i boeri, ed impedissero loro nuovi e-
Ì6 PENCEV/
1874
IS...S
KRANCuBOI.LI IPKI. TrANSVAU
I. che a quelli inglesi. Ma non tutto il ter-
0 della minuscola repubblica passò al Tran
d, che gli inglesi trovarono modo di assorbirne
1 11 iji
ilei- anni di esistenza 1 rocellosa, la si rte
dell, R. public I; nello /ululami e dei
suoi bizzarri francobolli in pari a quella dello Stel
ni.
ma fu la n pubblii a dello Sw; 1 i8qsV
(ino dall'i ; ervì dei l rano »b '111 del Tran
iti del sui - ih «ne. Ma i dui Gì
sodi. Cesi, sorse la British (\11lral Africa; la />>/-
ush Sud I frica Company il British Bcchuanaland;
la British East Africa; {'Uganda Protectorati . lo
Zidulund, ecc., rappresentati da serie di franco-
bolli, or belli or bruiti, ma tutti cari ai filatelici,
che in quei pezzetti di carta stampata altro non
videro che un mezzi, opportuno per aumentare le
[oro raccolte. Eppure, quei francobolli sono monu-
menti indistruttibili di una lotta titanica, nella
gli eroismi e le morti non hanno
numero.
FRANCOBOLLI NELLA LOTTA ANGLO-BOERA
199
[l modo col quale Ceri] Rhodes cercò ili poire
ad effetto il suo piano di conquista fu quello stesso
praticato dai boeri nei loro trecks. Duecento euro-
liei ben armati ed equipaggiati ; centocinquanta
operai indigeni, scortati da cinquecento uomini di
polizia (Iella Compagnia principale, procedettero
risolutamente verso il nord ed invasero le terre da
conquistatore.
La prima di queste spedizioni giunse incolume
a Hampden-Hill. avendo costrutto lungo la via
□ a
< <
~ -
- H
a g
una serie di fortini, presidiati ciascuno da pochi
militi della Compagnia.
I fortini tracciavano la strada da seguirsi più
tardi .dalla grande strada ferrata africana. Attorno
ai fortini cominciò la colonizzazione della terra,
dalla quale ad ogni colono ne furono assegnati 1200
ettari insieme a una miniera d'oro. Mentre si com-
pieva questa invasione metodica e sicura; mentre
si andava sempre più restringendo la cerchia di
ierro che doveva bloccare i boeri. Cecil percorreva
in lungo e in largo l'Europa per negoziare accorili
con le potenze interessate.
II Portogallo non voleva saperne di cedere né
Angola, né lo Zambese, ma una squadra della Gran
Bretagna . apparsa improvvisamente nelle acque
di Lisbona, indusse i portoghesi a cangiare opinio-
ne. E così, lo Stato indipendente del Congo fu co-
stretto a cedere a Cecil Rhodes i territori limitrofi
al lago Tanganica; ma la Francia s'oppose, e
Cecil Rhodes passò lungo l'altra sponda del lago
con l'assenso del la Germania.
Fascicela, l'ho detto, fu un incidente risolto a fa.
vore della Gran Bretagna. E già pareva che la foi
za brutale e la diplomazia di Cecil Rhodes ave
seni trionfato di tutto e di tutti, quando i soliti due
punti oscuri sorsero ad attraversare le mire del
A apoleone airicano.
L'Abissinia a nord, il Transvaal al sud. La con-
quista della prima fu tentata con una ferrovia da
Berber verso l'Ftiopia ; in quanto al secondo. Cecil
risolvette di ridurlo una buona volta ai suoi voleri.
L'Orange era bloccato, non rimaneva che bloccare
il Transvaal, occupando quelle poche terre che ri-
manevano incustodite al nord di quella repubblica.
1 n breve l'accerchiamento fu compiuto. Allora
Chamberlain, il ministro inglese delle Colonie, di-
chiarò che l'Orange e il Transvaal rappresenta-
vano un tumore infetto in mezzo ai possedimenti
inglesi e che urgeva operarli. Una campagna di so-
spetti e di calunnie fu intrapresa a danno dei due
miseri Stati. Un giorno, un esercito della Compa-
gnia ili Cecil. comandato dal dottor Jameson, pioni
bò improvvisamente nel Transvaal; ma n'ebbe la
[leggio e. scornato, dovette ritirarsi. Chamberlain
non si perdette d'animo. Pretese che gli uitlanders
(gli stranieri attratti nel Transvaal dalla ami sacra
fetmes), godessero degli stessi diritti politici dei
boeri. Si sperava di uccidere coi voti la repubblica,
non vinta colle armi.
Ne scoppiò la terribile guerra di sterminio che
da tre anni tinge di rosso le terre africane. Se la
fortuna non arrise sempre agli oppressi, il valore
assicurò loro la simpatia di tutto il mondo civile.
Oggi i francobolli dell'Orange e del Transvaal
hanno ricevuto nuovamente il sopraccarico ingiu-
riosi) del V. R. I. (Vittoria Regina Imperatrice)
prima; poi quello deH'ZT. R. 1. (Edoardo Re Im-
peratore) ; ma noi abbiamo fede che ne sullo stem-
ma del Transvaal. né in quello dell'Orange il treck
sarà sostituito à&Warpa inglese e. così sia !
Jacopo Gelli.
POST ifjll CARD
CAPE OF GOOD HOPE.
THE ADCRESS ONLY TO BE WRITTEN ON THIS SIDE
POST M& CARD
NATAL
THE AODRESS ONLY TQ BE WRITTEN ON THIS SIDE
p
ULmUXKA
Tvs-,,. AMERICANO.
IL GIARDINO ZOOLOGICO DI NIìW YORI
\
-* ^ «—
. Giardino zoologico di New York è
situato in uno dei grandi parchi
della città, in una vastissima esten-
sione di terreno, che fu regalato dalla città e
<< mprende — su una superficie di oltre due chilo-
i idrati l k ischi, correnti di acqua di ilo .
laghetti, rocce e prati: lutto il necessario
per costruire una dimora ideale per tutte le bestie
dell'universo. La città di New York ha concesso il
terreno, ma non ha contribuito ulteriormente nelle
l'orti spese del Giardino che gli americani chia-
mano brevi mente li i « oo i perchè questa o ime
i tutte li • < en ifiche americane è
di \uta agli sforzi generosi di ricchi amatori della
o del pubblico plauso, accanto al Giardino
zoologico si estendono i terreni dell'i i i I inico,
mantenuto dalla \7,v York "Botanica! Society, >
, axdino zoologico è sovvenzionato dalla V w
cai Society: entrambi sono istituzioni
scienl ifico carattere, dirette da scien
' l : COn lai. -Tal ori scii
liei frequentati da studenti e dotate di ottimo ma-
le per studi di gn Naturalmente i
Moni di tali istituzioni debbi : ii uomini da li
risorse molto nulla .
s i i ;, no da
tanto divi i se del gì bo e i he hanno abil udini,
Uno sguardo alla
1 i a persuadere del
. che lo sport del n deve i
.•■ere molto caro: dal momento che la Società zoo-
li gica ha pensato di mettersi sotto la protezione di
colossi finanziari come Carnegie, M. K. Jesup, C.
A. l'eatxtdy, Levi R. Mortoli e altri banchieri e
magnati industriali altrettanto potenti , vuol
dire che essa conta assai sul loro frequente
0 no rso!
(ili animali che sono ospitati nel Giardino di
New York >ono già numerosi assai pei quanto il
Giardino non dati che da tre o quattro anni e
rapidamente di numero grazie ai continui
doni, alle O mpere, agli scambi e alle spedizioni che
la Società stessa organizza per la cattura di animali.
\el 1901, per esempio, il signor J. Alden Loring
con una piccola scorta di aiuti fu mandato in \
ska a studiare la latina del paese e cercare ili
tarne degli esemplari viventi a New York ; e mal-
grado le enormi difficoltà di prendere gli anii
in trappola e trasportarli viventi attraverso sei'
ni -1 ;i/a stradi- ni ni, per imbai
carli poi in un viaggio marittimo di circa quindici
giorni ai ; tentrionali del Pacifico e indi ca
ncarli su un treno per un vi; en re di una
.1 1 la, 1 gli <■ riusciti pai
iplari di grossi mammiferi (orsi 1 renne), di cui
e notevole, l'ora kadiak (che
si vede nella Fi
I ' compi re di animali vengoni fatte un po' n.\\i
1 li ive e quandi 1 si presenta l'i * casii me M <
uno dei luoghi do\e più di frequente la So
^YH-
Aviario.
F
La CASA delle scimmie.
LA II !
• juista nuovi i>s|>in |mt II suo Giardini
grande mercato europeo delle fiere, ad Ani
he settimane addiei i ito un
\ I urgo che
va unni campioni differenti ili specie e generi
li, i he i passeggieri non ave\ ano i
Ni Ceram ;u
cammelli, antilopi, leopardi, scimmie, lupi,
uccelli 'li tutti i colori e quelli > chi co
stituiva la great aclraclion di tutta la spedi-
zione, un rinoceronte bebé... del peso di circa
una tonnellata! Il trasporto di tutto q
Ile sedi della Società fu un avve-
nimenti p i New York, che si interessò assai
a vedere sfilare tutti i nuovi arrivati, chi ,i
piedi e chi in vettura, il leopardo in gabbia.
Al rinoceronte si usarono speciali per
proteggerlo 'lai freddo pungente ili quei giur-
ili; per farlo uscire dalla sua stalla lo .1 .
io tenuto a digiuno tutta una giornata e il giorno
In i n 1-ka 1 1 •.
■ -nte gli avevano presentato un bel fascio
limo: il rinoceronte si gettò con gioia sul pa-
sto tanto atteso, ma il pasto gli sfuggi dinan-
zi; ed egli lo segui e il fieno si mosse ancora ;
gli gli tenne dietro, finché 1 h-1 bello l'ani-
male e il pasto furono condotti dalla stalli
sopra un ponte, entro un barcone e SUCCessi-
nte su un dock ed entro un carro ferro-
viario. I.a. (inaimi ■ o a go-
la sua cola. Mire il carro con
i reno speciale veniva t raspi r ei ro il Giar-
dino e presso i locali riscaldati, riservati per
I doni pure : e il bollettino
meo 1 1
■munii a/ii ni di rigali di terribile natu-
ra : un 1 . ni .r X. ; due piti
ì8 rospi, regalati dal signor Y. ; .(Oi; s
raccolti dal sigm r '/.. Tra gli ultimi
n'è uno
di un bue mu l'unici ■ esenti
Un giardino / i
Gk \mh. BIS' i
Ma il Giardino non Itanto per acquisti,
perdoni o per scambi: la grande popola/
animalesca che vive godendo tutte le cure che
le prodigano ricchi signori, scienziati e una
folla di attendenti e quindi vive in condizioni
assai migliori che in natura, prospera e si ri-
produce cme se non sentisse affatto il j
della cattività: e fra le nascite di giovani
i spiti unite hanno un'eccezionale importanza
scientifica. Sentite, per esempio, quanti nuovi
venuti han visto la luce nel secondo semi
1901. nei parchi cintati, nelle amplissime gab-
bie e nelle vasche del Giardino: un buffa
del quale vi presento la fi tografia unitamen-
te a quella della madre fortunata), tre cervi,
quattro antilopi diverse, sei coyotes (specie di
lupi), di cui unisco pure una fotografia. 135
serpenti innocui, 40 serpenti velenosi, di cui
11 cosidetti testa-di-rame e 6 serpenti a so*
nagli, innumerevoli uccelli, tra cui molti rari
fagiani. 1 cinque giovani civette, delle quali
non pi 1 ni imi dal mandarvi il 1 rchè
I I . \ MADRE.
di senna felicità, di q '. ita, e di stlf-
ficienza colla quale essi guardano il pubbli
il GIARDINO ZOOLOGICO DI NEW YORK
5o3
troppo interessante e buffa al tempo stesso per de- tutto quel che vogliono, come se fossero in libertà ;
fraudarne i lettori. molti uccelli sono tenuti in un immenso aviario
Il numero delle nascite nel Giardino zoolo- (vedi figura) dove possono liberamente volare; gli
giro è molto grande e ciò non deve sorprendere orsi (vedi figura) e le fiere hanno immense gabbie
Oxs: POLARI.
>!^-^I Nh kl I-:
quando si pensi che gli animali sono lasciati liberi con rocce, alberi e tane, dove possono esercitare i
per quanto la necessità che non fuggano e la prò- loro muscoli e soddisfare entro certi limiti il loro
lezione dei visitatori permettono: i buffali, i ceni, bisogno di spazio.
i cavalli, ecc., sono tenuti in recinti chiusi, ma cosi Del resto, sembra che quasi tutti gli animali si
vasti che essi possono correre, inseguirsi, e fare adattino di buona volontà alla loro nuova posi
! Ì0 1 LA LETTURA
zione, quai ■ portati nel pai □ i non si dì- di un grido umano : quando
ano melanconici «li regola. Ecco, per esempio, no qualcuno avvicinarsi alla sponda, attendono il
mali momento opportuno e all'improvvisi si lasciano ca-
■ grizaJj . che è dere nell'acqua, schizzandola in tutte le direzioni e
sempre un po' imbronciato, gli orsi si rincorrono con spe iddosso ili"
l>rr ;.■ bbi no e fanno la mettono fuori la testa, i mu <
Giovane coyote.
letta e quandi» vedono qualcuno avvicinarsi alla i denti, come se ridessero alle sue spalle. Ecco ai-
gabbia si mettono a sedere nella più buffa maniera cune gru, colosssali gru del Minnesota: esse vanno
e spalancano la bocca, aspettando qualcosa da man- e vengono, alto il capo e lento il passo, sorveglian-
. quando il guardiano entra nelle loro gabbie, do attivamente tutto quello che accade intomo a
gli saltano tutti intorno con grandi movimenti di loro e ponendo in ogni loro movimento tanta posa
BARB u. IANNI - B] BÉS
ie, lo abbracciano, gli leccano le e tanta gravità, guardando a volte i i insi-
dila, cercano di fargli paura e poi si rotolano per stenza da mettere il visitatori- in soggezione e
peata come ad una gratuli', suri- quasi sentire il desiderio di domandar permesso a
risata: chi ha mai visto bestie più scusai La gni è felice in cattività, come un
I he, che se ne stanno sdraiate al vone; essa non cerca di Fuj
rocce sulla riva del loro lag", emettendo In questa prigione doro gli animali trovano tras-
ogni tanto quel loro strano ruggito, che ha la prol nullità, pulizia, perfino l'igiene e uno splendido
IL CARDINO ZOOLOGICO IH NEW YORK
5o5
vitto; che potrebbero essi desiderare di più? La
cura che il personale del Giardino mette nello sce-
gliere e somministrare un cibo sano e abbondante è
minuziosissima, e tale che ha persuase» la Società a
impiantare in un angolo del suo vasto territorio un
orto speciale per la coltivazione di speciali fora
di verdure di vario genere, insalate, arbusti e piani.
richieste dai bisogni del Giardino, e una specie di
parco animale per l'allevamento di galline, piccioni,
conigli e porcellini d'India da servire come alimento
ai carnivori. Da queste speciali sezioni del Giardino.
durante l'anno passato, sono state fomite n ton
nellate di radici, 2500 cavoli. 5000 cesti di lattuga,
2500 pannocchie di granoturco , 400 meloni, 2
tonnellate di trifoglio, e tutto il vitto animale per
i serpenti. Secondo le autorità dello :oo si ricava im-
menso vantaggio dal nutrire gli animali con vitto
tresco, appetitoso e di buona qualità consista esso
«li vegetali appena colti 0 di vivaci e sani porcel-
lini d'India sacrificati alle orribili gole dei serpenti,
la cui igiene nel Giardino zoologico è altrettanto cu-
rata quanto quella del direttore e dei suoi assi-
stenti !
*
* *
Una specialità del parco zoologico di New York,
che nessun altro parco può vantare — nemmeno i
grandissimi di Londra, di Amsterdam e di Anversa
— è questa, che non pochi degli animali viventi
prigionieri, alcuni fra essi animali pericolosi, sono
stati catturati sul suolo stesso del giardino, dove
avevan vissuto liberi prima di essere messi in gab-
bia e dove han lasciato numerose famiglie di pa-
renti, discendenti ed amici, che ancor godono della
libertà. Non meno di undici specie di mammiferi
selvatici prosperano nei boschi dell'orto: scoiattoli,
puzzole, lontre e donnole pullulano e qualche volta
recano dei danni gravi se riescono a penetrare nelle
gabbie degli uccelli. Ma ciò che è capace di impres-
sionare sinistramente un visitatore è il sapere, quan-
do visita la collezione dei serpenti — una delle più
complete collezioni che esistano delle orribili b
- — che non meno di una dozzina di specie differenti
fra essi, sono stati presi precisamente sul luogo, in
mezzo ai sassi sui quali il visitatore ha camminato
per ammirare gli animali, nei lx>schi dove egli si è
seduto per riposare ali ombra delle alte querele.
sulle rive della sorgente alla quale egli si è disse-
tato... e fra essi due specie sono particolarmente pe-
ricolose, il serpente testa-di-rame e il serpente a
sonagli.
L'idea elle dei serpenti rabbiosi e velenosi comi
quelli si trovano liljeri nel giardino è tale che di-
minuisce l'interesse della visita e sfoils the fun, per
usare una frase americana; fa nascere nell'animi
un sentimento, che se non è proprio paura, rappre-
senta una nuance più delicata dello stesso colore;
e incoraggia un desiderio vivo di allontanarsi dal
luogo con una certa premura. Ed ancora andando
verso le uscite, mentre si cammina sui viali, trac-
ciati tra le erbe folte e gli arbusti, gli sterpi ed i
sassi di un terreno incolto e non mai prima d'ora
lacerato dall'urto di una zappa o di una vanga.
accade che involontariamente ci si volga ad ogni
fiuscio che si ode nell'erba o ad ogni stormire lon-
tano di foglie, come se si attendesse di veder appa-
rire fra l'erba il capo aguzzo, gli occhi affascinanti
e la lingua nervosamente agitata di un serpente a
sonagli, come se si udisse il sinistro e secco fremito
dei sonagli, che l'animale agita quando prepara
un attacco....
Felice Ferrerò.
L'incoronazioni
di re E
w
La R.EGIN \.
LA l'KlNCH'KSSA l'I l'.U.I.l.V
;t.\ Grazia Enrico Fitzalaw Howard,
conte ili Arundello e di Surrey , ba-
ri-ne dì Fitzalaw, Clun , Orwalde-
stre e Maltravers , quindicesimo duca di Mor-
ii il k . cavaliere del nobilissimo ordine della Giar-
rettiera, e per diritto di sangue conte maresciallo di
tutta l'Inghilterra — maestosamente eretto sul ca-
vallo dalla ricca gualdrappa, avvolto in un ampio
manto su cui scende la lunga barba corvina, scuo-
• le larghe piume il' ! cappello, circondato dai
avalieri di Chester. Lancastro, York, Somerset,
Richmond e Windsor, che portano la croce rossa,
il mantello azzurro e il dragone fiammante, seguito
il. il degli scudi i dalle guardie di Enri-
o \ Il - leva in pieno secolo ventesimo il bastone
del comando e con un cenno magico trasporta la
metropoli dell'Imperi bi tannico nel medioevo. 1
coditi tra le mura massiccie della Inaura
di Guglielmo il Normanno, abbagliano col
loro splendore il popolo alla chiara luce del solej
e il popolo si chiede per hi ani hi li luna-
ture d'acciaio, gli elmetti dalle piume variopinte,
le enormi spade dalla duplice elsa, i pennoni sven-
tolanti, !' [ance ponderose, non escono dalle cupe
della torre, e non sono indossate o portate dai
Sun. li amichi paladini. Accanto al palaz-
zo del Parlamento la statua equestre di Riccardo
Cuor-di Icone dovn-bU" fremere di impazienza pa
ungersi al corteo che si svolge tra le \ te di I
dra come al tempo dei Plantageneti, mentre il bron
zeo rigido Cromwell dovrebbe pensare che fu co
vana far cadere la bella testa di Carlo I sul palco
di Whitehall e lasciar gettare nel Tamigi le ceneri
di altri re.
Il contrasto stridente tra le formole antiche e la
vita moderna sarà la caratteristica più singolare
delle imminenti cerimonie. Il tiglio di N'in-
verà la sacra unzione sul capo, sul petto e sulle
nani, come la ricevevano i primi re guerrieri sbar-
cati dalle coste danesi o normanne a conquistare i
piccoli regni sassoni. Un osservatore superili
] i irlilr credere che dieci o dodici secoli siano i
sati indarno sulla isola di Alfredo il Grande: le-
vando in alio gli sguardi e scorgendo il fumo delle
officine, i fili elettrici, i segni della nuova civiltà in-
dustriale, potrebbe chiede! si come il culto della tra-
dizione civica abbia resistito alle continue mi
mortosi imposte dai secoli, proprio nel paese eh"
si proclama all'avanguardia del progresso e ■
intense e profonde dovrebbero essere le trasformar
zioni. Si comprende come l'erede della dinastia ni
i la corona sotto le vòlte bizantine del Crem-
lino, nel retitro della mistica Russia: la sacra ceri-
monia non è soltanto un ricordo di tempi trascorsi,
l" rchè agli occhi del popoli credenti l'i
detto sparso sul capo del monarca gli o
un'autorità di origine divina. 11 p ente
assoluto che le sette politiche hanno indarno tentato
di strappare alla mano dello Zar. sembra la
giustificazione della pompa con cui si celebra il
1. INi i IR( iN \/.I< INE l'I RE ED< >.\Kli< i
DO7
suo avvento al trono. Da lontano, L'immenso Im-
pero appare ancora come avvolto in una nebbia
medioevale, malgrado la sua flotta putente, la sua
artiglieria all'ultimo modello, le sue alleanze e le
sue ambizioni: intorno al santuario di Mosca dalle
cupole d'oro la fantasia immagina un intero pop
piostrato in atto di fede e di venerazione. La ceri-
monia è intonata all'ambiente.
Anche l'abbazia di Westminster è un m
monumento ilei piò schietto medioevi 1 statue fu-
nebri degli illustri moderni lo hanno alquanto de-
turpato, ma le reliquie delle lontane epoche oscure
e sanguinose vi abbondano in tal misura che non è
possibile sottrarsi alla suggestione delle vecchie pie-
tre e delle mirabili linee architettoniche. I pastori
anglicani vi spiegano la Bibbia e vi declamano lun-
ghe prediche: ma quando sotto le alte arcate si dif-
fondono le voci dell'organo e dei cantori e le note
di Palestrina, la cattedrale riassume il vecchio a-
spetto cattolico. Un'onda di misticismo si agita in-
torno alla tomba in legno di Edoardo il Confessore
che da nove secoli si erge dietro l'aitar maggiore,
e di cui le dorature sbiadite dal tempo fanno pen-
sare alle tombe dorate degli eroi greci. Un'onda di
poesia storica avvolge le statue delle regine che dor-
mono nelle cappelle dell'abside: di quella dolce
Elianor, ad esempio, che posa accanto al marito
Edoardo I e che par conservare nel marmo la soa-
vità della breve giovinezza. Ella fu la ckère reine:
il consorte la pianse inconsolabile e a memoria del
suo trasporto funebre fece sorgere in vari punti di
I-ondra bellissimi fiori marmorei di arte gotica, uno
dei quali sorge ancora innanzi alla più nera e più
rumorosa stazione ferroviaria della metropoli, come
a testimonio della bellezza e della poesia che so-
pravvivono nei secoli. Altre immagini popolano il
regale sepolcreto: ecco Maria Stuarda, regina d'a-
mi >re e di dolore, le cui mani per cura delle pie-
tose ammiratrici sono sempre fiorite: e nella cap-
pella opposta, la rivale Elisabetta, regina senza
amore e senza dolore. Ma dietro l'abside, al di là
di un corridoio pieno d'ombre e di memorie, da
cui pendono le armature di re antichi e dei loro
destrieri, si apre la più bella meraviglia dell'arte
gotica inglese, la cappella di Enrico VI. dalla vòlta
traforata come un paziente ricamo, dalle nervature
sottili, delicate, che ascendono, si allacciano, si in-
trecciano in un poema di linee: centinaia di sgual-
citi stendardi gentilizi sono appesi sugli stalli dei
cavalieri del Bagno. Il fondatore di quest'ordine e
h suo consorte Elisabetta di York dormono in un
magnifico mausoleo quattrocentesco del fiorentino
Torri giano.
La cattedrale — tempio sacro alla patria e al-
l'arte — dalle sembianze severe a cui danno risalto
da un lato ampie ajuole verdeggianti, dall'altro
l'antico chiostro benedettino, proietta la sua ombra
veneranda sul palazzo di Westminster. ove i legisla-
tori dirigono le sorti della nazione britannica vi-
vendo tra le più splendide e più gloriose memorie
del passato. L'ambiente è dunque il più consono
alla imponente cerimonia a cui l'intera Inghilterra
si prepara trepidando e giubilando. Entro le mura
dell'abbazia il contrasto tra il moderno e l'antico
lovrebbe più stridere. Ma sarà pur sempre dif-
ficile pensare che i londinesi si prostrino intorno a
Westminster come i nuijicks intorno ai santuari
•viti. 0 che Edoardo VII possa proclamarsi
sovrano per diritto divino come i suoi lontani an-
tenati. Se però può destar meraviglia che il medio-
evo riviva per un istante nella patria di Spencer,
lare che una cerimonia non meno fa-
stosa e di intendimenti assai più arditi fu celebrata
or fa un secolo in un'altra storica cattedrale pochi
anni dopo che vi si era adorata la libera nudità
della Dea Ragione: allora il contrasto tra le for-
nuove e vecchie fu imposto dal genio napoleo-
nico.
Chi lo impene ora in Inghilterra è il genio della
nazione.
Napoleone si compiacque di consacrare la sua
fulminea fortuna col fasto e con le cerimonie caro-
lingie, per coglierne a suo vantaggio l'effetto tea-
trale reso più evidente dal fresco ricordo della ri-
voluzione iconoclasta. Lo splendore delle prossime
leste non risponde tanto ai desìi Ieri, facilmente com-
prensibili, del bonario Edoardo, che senza dubbio
non aspirava alle vette della grandezza storica, quan-
to all'imperiosa ambizione della coscienza nazionale.
La persona del sovrano assume la parte di sim-
bolo: le due forme ondeggianti, ma non troppo
maestose, si idealizzano: una nube olimpica lo
avvolge: l'Inghilterra in lui celebra sé stessa, pio-
niera delle nazioni, all'avanguardia della civiltà.
Le incalzanti vicende umane possono mutare e tra-
volgere in breve andar di tempo il vastissimo im-
pero della 0 più grande » Bretagna: ma essa, al-
l'apogeo di una potenza che fatalmente come tutte
le altre dovrà un giorno tramontare, non vuol la-
r si sfuggire il momento opportuno per esaltarsi
di fronte al mondo civile. Le alabarde, le mazze, i
riti e tutto l'armamentario medioevale rimesso a
nuovo, possono facilmente fornir materia alla penna
e alla matita degli umoristi: l'Inghilterra non se
ne cura, e attende con sincera compunzione il giorno
une, per contemplarsi nello specchio della pro-
pria grandezza. Non sarà Edoardo VII che si pro-
riamerà sotto le vòlte di Westminster sovrano per
diritto divino: ma l'Inghilterra che glorificherà il
suo predominio di razza, e il segreto timor di una
non lontana fatale decadenza acuirà il suo compia-
nto.
Quando sessantaquattro anni or sono, la giovane
de del trono inglese chinò il biondo capo sotto il
0 della corona, ingemmata di oltre duemila pie-
tre preziose. l'Impero era ancora malsicuro. Le In-
orientali erano rette con indifferenza da una
Compagnia commerciale privata che vi esercitava
poteri illimitati soltanto a proprio vantaggio, e a
mala pena potevano dirsi un possedimento della
Corona. Il Canada era poco conosciuto: l'Austra-
lia era cosi lontana che nessuno provava il desidie
rio di prenderne possesso, ed era tenuta soltanto
come colonia penale. L'Africa australe non altro
era che qualche audace cacciatore: il problema
della schiavitù minacciava le Indie occidentali.
5( »8
LA LETTURA
I , I ngh Imi. lormiva Ora 1 Edoardo VI I si sve
ipo di qu i milioni 'li suddil i,
ndo sopra dieci milioni <li miglia quadrate di
lo il più v asti i Impero i he
i i . gli l« .. ma
lido.
Inoltre nel pei condizioni della
mutar che il vanto non pui i
sembrare illegittimo. I \ he
mutarono i ivunque, . i he non
into la mappa ingli ora
rta da una fitta n te di
che i delle
rapide comunicazioni, del com
i industrie: se ora in
un mese si compie il viaggio di
Australia che un tempo richiedeva
quasi un anno, se l'elettricità ha
pi i,n i. se nelle
vene della umanità il sangue ci-
vili- pulsa più intenso ed enei
non è della sola Inghil-
terra. Ma essa fu indubbiamenb
la più attiva in operatrice della
grande metamorfosi e nessuno può
i urla se l'ha colta il desi-
derio ili congratularsi si
I mi atto 'li legittimo orgoglio.
nosce che ogni suo potere gli viene dal Re dei Re,
proclamandosi sovrano per diritto divina
L'ori line della lato da un ami-
amo « liberi regalis » gelosamente custodito
negli archivi dell'abbazia E' certo il più splendido,
il pi I tico ril naie che si 1 1
ca La cerimi mia si apre col ricom «cimento, per-
ii nei primi secoli il re veniva eletto dai suoi l'ari
La fastosa cerimonia della in-
coronazione non è voluta soltanto
dalla consuetudine, ma è imposta
dalla legge. Ter consuetudine, es-
sa risponde a quel segreto ami re
delle pompe esteme che giace in
fondo ad ogni cuor umano e che
riempie finn ad una considerevole
■ L'ili cuore inglese. Pi r
legge, essa è una sanzione seCOl do
le forme tradizionali del patto
tra il sovrano e il popolo: il so-
vrano giura di difendere in Ogni
circostanzi diritti dei sudditi, e
questi nelle persi ne dei lon ■ rap-
presentami promettono fedeltà e
rendono omaggio.
La cerimonia ha uno stretti
ratti n o i mb lieo. Vi si
i riti dell" sposali/in .
li . il re riceve in dito fanello
i- impalma il suo p poli . .- i riti
dell', sdinazii ne ei poiché a un a rto
punto il re indossa i paramenti episcopali. L'arci
vescovo di Canterbury versa l'olio santo sul capo
ahimè non più biondo e ricciuto di Edoar-
do VII. re d'Inghilterra • imi" ratore delle Indie,
con la stessa forinola con cui il som saceri
ungeva i re d'Israele: gli pi rge l'eucarestia con un
plicato iTrinn male, e • un tempo veniva "I
rao pa ai cavalieri del San ( Intel. In
fine il sovrano si prostra innanzi all'altari- e rio
Edoardo vii in «i ro recai
e ri ' da essi prima di ricevere la corona.
Il re e la regina entrano nel tempio e salgono al-
l'altare, sopra una tribuna o piattaforma, eretta in-
nanzi ad esso e che ha il m me di « teatro >.. |
vescovo funzionante, seguito dai grandi dignitari,
presenta quattro volte il re al popolo a ciascun an-
i della piattaforma, chiedendo ogni volta al po>
nto a rendere omaggio al propri'
vr. ino. E l'omaggio è reso Con applausi e col cauto
accompagnato dalle trombe d'argento, della invi-
L'INCORONAZIONE DI RE EDOARDO 50O,
razione: « Dio salvi il Re! ». Poi incomincia il pia mai presentarsi al Signore Iddio a mani vuo-
rito sacro, celebrato dal Primate, con l'assistenza te»; nel frattempo intomo ali aliare si dispongono
di altri prelati. E' la messa, secondo il rito catto- i dignitari, avvolti nei loro maestosi paludamenti,
-1 PAOSri CT lofS.' Pi- I fn uiìtJES l m \ ò T£ A
{'zzi \ ' Chairs PulpK Beni h. S. .
nùn Ci . ir
Westminster Ahiiv nell'incoronazione di Giacomo II.
lieo lievemente modificato e con le preghiere tra- che portano le ricche insegne della sovranità. Dopo
dotte dal latino in inglese arcaico. Al principio il il canto di inni e litanie e sermone di un
re deve inginocchiarsi sui gradini dell'altare, of- vescovo, il re presta il solenne giuramento ponendo
frire un pallio d'oro per la mensa divina e una ver- la mano sulla Bibbia in vista di tutto il popolo e
ga d'oro del peso di una libbra perchè « non biso- promettendo ad alta voce di osservare le leggi dello
DIO
LA LETTURA
,■ di difender ] protesi anti Poi il
re inni ni/ ni dell'altare, .iss:s<> nella sedia
di Sant'I un ba dacchino di s< ta e
:.i quattro cavalieri della < Hai
r spogliato dal suo manto cremisino: l'ardves
I rendendo dalle mani del decano il cucchiaio p
lo versa in fi rma 'li croce sul capo e sullo
ii del re, dicendogli: « Sii tu unto coll'olia
i .in< uni i i re, i sacerdoti e i profeti ».
Ulora i dignitari stilalo dinanzi il sovrano, pre
gli ■ un Senato fedele, consiglieri e magistrati «ag
gi, una ni l'ilo leale, e una comunità onesta, indu-
strii diente ». Ad ugni versetto della b
dizione gli astanti rispondono con l'unica parola la-
tina sopravvissuta ìuH riti> anglicano: Amen, i an
l'inno ambrosiano ili ringraziamento, il
toma al suo faldistorio ed ivi prelati e dignitari lo
intronizzano levandolo in alto sulla sedia al rosp
dell'assembli a, in mezzo alla quale il tesoriere di-Ila
casa reale sparge a piene mani medaglie d'oro e di
Giorgio IV sotto il baldacchino coi baroni dei cinque porti.
indogli gli speroni, le spade e altri emblemi.
ehe il sovrano simbolicamente offre a Dio facendoli
ire sull'altare. Indi l'arcivescovo lo investe
della dignità regale, facendogli indossare la dal
ca d'oro e d'ermellino, ponendogli nella destra
l'orbe sormontato dalla croce, al dito l'anello, ni
sinistra lo scettro, e finalmente sul capo la cor' na
Le acclamazioni scoppiano nel tempio, il cannone
mona nella città e l'annuncio dell'avvenimento si
diffonde ai qi riti. Nell'abbazia i l'ari e le
loro nobili consorti si pongono sul capo le piccole
n a «da del l itolo e del
grado gentilizio. Cessate le acclamazioni, l'ai
o largisce al sovrano una serie di buoni consi-
gli : « sii forti e abl ii o ragg io, i esi rva i
menti di D • immina sul suo santo sentier
dicendo: gli porci- un antichissimo i
Bibl ti ina Imi nti li I" ni dice, augurando-
argento. Poi ad uno ad uno i prelati, e i Pari, pei
categorie di nobiltà, stilano innanzi al trono, pie-
gano le ginocchia e rendono omaggio al sovi
■ Io. dice l'anziano di ogni ordine a noni'- dei
colleghi — divento vostro suddito di vita, di corpo,
di terrestre venerazione, e voglio portarvi lede, per
la vita e per la morte, contro ogni fatta di |
così Dio m'aiuti ». I l'ari si schierano intorno al
ti poi, togliendosi la coronetta. ad uno ad uno
salgono i gradini per toccare con la mano tesa la
Corona del re e baciargli il sacro anello. Poi rul-
lano i tamburi, squillano le trombe, e il popolo
canta: « Dio salvi Re Edoardo! Viva a lungo Re
Edoardo I Possa il Re vivere per sempre! ». fa
rendo così un augurio che non potrebbe essere più
iperbolico. La comunione con le specie del pai
del vino, una nuova offerta di una borsa d'oro, i
numerose preghiere tolte dal messale romano, chiù-
L INCORONAZIONE HI K. EDOARDO
ini
dono la lunghissima cerimonia, dopo la quale il
sovrano lascia l'altare per recarsi nel coro: ivi de-
pone il manto imperiale, indossa la veste di por-
pora, e tenendo in capo la corona, in mano lo scet-
tri.' e l'orbe, seguito dai vescovi mitrati e dai Pari
conati, esce dall'abbazia e toma al palazzo. Il
rito solenne è compiuto.
Se il significato mistico di esso seduce quanti fra
i sudditi di re Edoardo sono disposti a commuo-
versene — e i credenti non si annoverano soltanto
sulle rive del sacro Gange e tra le ingenue popola-
zioni delle colonie — , la fantasia può sbizzarrirsi
contemplando il fasto orientale della cerimonia.
Una tale accolta di gemme, di gioielli, di vesti pre-
ziose, quale sarà sfoggiata dalle poche migliaia di
diamanti, zaffiri, rubini a centinaia e centinaia tem-
pestano il superbo diadema. Questa è la corona di
parata: la corona sacra, usata durante il rito, è
quella di Sant'Edoardo, rifatta per Carlo II, per-
chè la antica era andata perduta durante le guerre
civili. E' d'oro, con due archi che si congiungono al
disopra di un tocco di velluto cremisi foderato di
ermellino: è ornata di croci e di fiordalisi, prezio-
samente ingemmali: la sormonta un grosso orbe
con una perla vistosa, e altri due perle pendono
dalle bande. Altre corone fanno parte del tesoro,
e sono portate su cuscini di velluto dai grandi di-
gnitari durante la processione: la regina con-
sorte ha una corona di gran valore, ma meni) ricca
e meno solenne di quella del re. L'orbe imperiale.
Il portatore
della eorsa reale.
Lord Rosebery in aiuto da conte.
Il duca di Norfolk
col bastone da conte maresciallo.
privilegiati a cui sarà libero l'accesso nella abbazia
di Westminster. non si sarà mai veduta se non at-
traverso i sogni dei poeti arabi. Le belle dame ame-
ricane che hanno indorato i ròsi blasoni britannici
rifulgeranno come principesse delle « Mille e una
notte ». E i loro tesori faranno degna cornice ai
massicci tesori regali valutati da soli a parecchie doz-
zine di milioni, custoditi di consueto nella torre di
Guglielmo il Xormanno. e che alla vigilia dell'inco-
ronazione saranno trasportati in gran pompa all'ab-
b;>zia.
La corona imperiale è fatta di un tocco di porpora
chiusa in cerchi d'argento smaltati di gemme e di
perle e sormontata da un orbe di brillanti, con una
croce di Malta. Quattro croci e quattro fiordalisi —
poiché fino a un secolo fa i re d'Inghilterra si pro-
clamavano re di Francia — adornano il cerchio
frontale: la croce anteriore porta nel mezzo lo
•i zaffiro inestimabile ». del più puro e più profondo
azzurro: al disotto di esso splende un grosso rubino
di squisita limpidezza, che la tradizione dice por-
tato dal Principe Xero alla battaglia di Cressy e da
Enrico IV alla battaglia di Azincourt. Smeraldi.
o mondo, è un emblema di sovranità di origine ro-
ti, ana. poiché si vuole che dati dalla conversione
di Costantino al cristianesimo: appare tra le in-
segne reali già nei primi tempi della storia inglese.
E1 una grossa palla d'oro, del diametro di circa
un decimetro e mezzo, con un cerchio di smeraldi,
rubini e perle, sormontato da un bellissimo ameti-
sta, su cui posa una croce d'oro incrostata di dia-
manti. La Regina porla un orbe di minori dimen-
sioni ma di loggia analoga.
Dei sei scettri due sono usati alla cerimonia. Lo
scettro tempi rale ha il manico d'oro e il pomo gem-
mato: un tempo era adomo di fiordalisi, che ora
sono sostituiti dagli emblemi del Regno Unito: la
rosa, il cardo e il trifoglio. Lo scettro spirituale, o
verga di giustizia, è assai più ricco di pietre: è sor-
montato da ^n orbe a fiori di diamanti con una cro-
ce su ini spanile le ali una colomba d'oro. Il ba-
stone di Sant'Edoardo è un pastorale d'oro, con la
punta di acciaio, cesellato a foglie: è portato in-
nanzi al sovrano durante la processione. L'olio per
la sacra unzione — che lo scrupoloso Giacomo II
fece preparare appositamente dal farmacista di
.'I J
l A LETTURA
Corte e benedire, temendo che il vecchio olio con
ell'abbazia avesse perduto la su
n una ampolla 'li i ir i puro, in foi
ma d'aquila con le ali sellata : la
. dell'aquila è avvitata al collo, da cui \
ila. quan nel cucchi
pun d i irò, dal manico ing \
durante la cerimonia :
speroni d'oi te o orai ciali tti, l'anello
fami «e. C urtano, o spada
nza punta, !<• cui origini si perdono nella
nebbia medioevale, i ondo la tradizione,
bbe arniain il braccio di Orlando i> ili Ti
no, ale al ri-gnu ili Enrico 111 e da
allora In usai nazione: por gli In-
; è una rivale fortunata ili Durindana e
ili tutte le altre spade celebri della Tavola Rotonda.
I son glia alquanto la spada i ■ Iella giustizia
spirituale » la quale però '<■ fornita ili una buona
l'iuta: e ili lumia ancor più acuta è munita la
spada « ilrlla giustizia imperiale ». Le guardie delle
tre spade sono riccamente intessute ili broccati
Ma l'oggetto più venerando usato per la cerimo-
nia è anche il più rozzo: è la cattedra di Sant'E-
lma sedia a bracciuoli che poggia sopra
quattro leoni apocalittici, sul cui dorsale un tempo
erano disegnati ligure e simboli ora scomparsi, coi
bracciuoli ricoperti di pelle sdrucita. Sotto il se-
dile, entro cerchi di ferro, è incastrato un masso
pesante, di origine portentosa. Una leggenda ar-
bb addirittura far credere che si tratti
della pietra su cui riposò il capo del patriarca Gia-
cobbe, quando sognava la scala d'oro: un greco, un
tal Gaelo. dei bassi tempi ellenici. l'avreblve tra-
sportata dall'Egitto alla Spagna, donde sarebbe
passata in Irlanda e in I scozia. Certamente per
oltre quattro secoli fu conservata nell'abbazia di
• incoronavano i re scozzesi : Edoardo I,
durante la sua effimera conquista di '(nella regione,
se ne impossessò e la portò a Westminster, depo-
nendi la come un trofeo nella cappella funebre di
Sant'Edoardo. Alcuni geologi vorrebbero veramente
gervi un masso in sienite egiziana, ma i più
prudenti si accontentano di riconoscervi una comu-
ni' pietra scozzese.
Tutti i re inglési da Edoardo I in poi si assisero
una volta nella veneranda cattedra: la regina Vit-
-ise due volte, il giorno dell'incorona-
zione e il giorno del solenne giubileo. Cromwell
a la cattedra all'abbazia di Westminster,
ma ve la dovi , Quando, dono gli
Stuardi, fu chiamata al trono Maria II di Olanda
■ ■ Hannover, che volle dividi rno col ma
Guglielmo III. per la duplice incoronazione si co-
di fi iggia analoga a quella
I pr ggetti della regalia, usati per la ce-
rimonia, soni "ii. oltre rhe per sé stessi,
per i cui iffi i che ad essi si annettono, e che.
nel carattere medioevale delle grandi feste, for-
mano la nota più strìdi nodemi. Il
privilegio di ; unno di onesti oggi-Iti o di
compiere alcuni riti durante la cerimonia, si tra-
e pei diritto ereditario: e prima di ogni inco-
ronazione si costituisce una Corte speciale, sotto
la presidenza del grande siniscalco, per dirimere
[uestioni di privilegi che gli interessi ara!
n > aver crealo. E' un'impresa ardua e delii
Edoardo VII vi ha preposto un Consiglio di no-
bili Lordi quasi un anno prima delle feste, dando
loro le più ampie istruzioni perchè sapes»
larsi negli importanti giudizi. La Corti- tenne nu-
merose sedute, discutendo i più laboriosi e imi
problemi di araldi' etichetta: e la cosa più
curiosa era il vedere quegli illustri |>ersonaggi —
il gran siniscalco, il gran cancelliere d'Inghilterra,
il conte maresciallo, il presidente del Consiglio pri-
vato, il ciambellano, il cancelliere del ducalo di
Lancastre. il cancelliere d'Irlanda, il maestro dei
ruoli, e i do — che parlavano di anni, di
manti e 'li corone, in semplice e volgare abito da
lina. Il « custode della coscienza del re • os
presentarsi in panni borghesi, il notaio della corina
apriva le sedute leggendo ogni volta un messaggio
del re « scritto di proprio pugno del re stesso
e poi innanzi ai giudici si presentavano umilmente
i querelanti. Primeggiava fra tutti lo stesso duca
di Norfolk, il quale chiedeva di poter ufficiarsi co-
me capo dispensiere d'Inghilterra, onore ambito,
nella sua qualità di signore del maniero di Kennin-
ghall. da un oscuro Oddin Taylor. Il conte di I.an-
derdale e il sigro re di Wedderbum si vantavano
entrambi porta-stendardi ereditari di Scozia per po-
ter portare le insegne del re durante la cerimonia:
e vi erano persino gli esecutori testamentari di una
famiglia estinta che pretendevano l'ufficio di uscieri
dalla verga bianca. Il padrone del castello di Ship-
ton voleva essere riconosciuti i vivande,
e il marchese di Exeter grande elemosiniere. Il dui .a
di Newcastle, come proprietario del castello di
Worksop. voleva il privilegio di offrire un guanto
al re e di sorreggergli il braccio durante la lunga
cerimonia: anche i vescovi di l 'urham e di li.rh
si dicevano in diritto di sostenere l'affranti
vrano. diritto vantato puri' dal conte di Talbot, che.
quale grande siniscalco di Irlanda, si credeva
gno di portare innanzi al re un bastone bianco. li
conte di Etroll, alto connestabile di Scozia, di-
lava invece impugnare un bastone doro: lord Grey
e lord, Hastings si disputavano l'onore di n .
gli aurei speroni. Il marchese di Winchester prote-
stava che a lui toccava il privilegio di n
u manto di dignità »: il duca di Buccleuch, come
isti me '1 ' ri di Scozia » si diceva
v dcare a fianco del re: e finalmente sir Windham
Anstruther accampava il diritto di trinciare, a
nome della Scozia, le vivande al banchetto n ■_
Ma la qu nosa sottoposta all'alio sen-
no dei giudici fu lineila del campione d'Inghilu
I signori del castello di Dymoes, nella contea di
I '"In. crani per diritto, da tempo immem* r.ilule.
campioni del re: ossia il giorno dellincoronazii
armati fino ai denti, entravano a (-avallo nella
del barn hi tto regale l'immi nsa aula di Santo Ste
i.ini.. ultimo monumento dell'i rmanna, su
L INO iRi IN AZIONE M RE ED' 1ARD1 i
5i:
perstite alle ingiurie del tempo, accanto al rinno-
vato palazzo di Westminster — e gettavano, in-
nanzi ai commensali atterriti, la sfida a chiunque
osasse dubitare dei diritti sovrani e divini del re.
Le gravi armature dei prodi campioni fanno an-
cora stupire i visitatori della torre di Guglielmo:
ma il castello di Serivelsby. a cui è annesso il privi-
legio di sfidare a battaglia i nemici del nuovo mo-
narca, e da tempo divenuto un possesso pacifici'.
Lerchè Giorgio III fece abolire l'incruento invito
alla tenzone. Inoltre l'ultimo dei Dymolces è morto
da parecchi lustri: e la « Court of Claims » non
trovò fra gli eredi alcuno che fosse degno di rac-
cogliervi l'alto privilegio, senza contare che da un
secolo il pantagruelico banchetto regale non si tiene
più, con grande scorno di quelli che vi avevano di-
ritto, e che il campione non avrebbe quindi più il
modo di fare la sua solenne apparizione, di gettare
la sfida, e di farsi versare dal re il vino in una coppa
d'oro che. secondo le costumanze, avrebbe poi messa
tranquillamente in tasca.
Il banchetto era un tempo la parte più caratte-
ristica del programma per le feste dell'incoronazio-
ne: i primi avevano proporzioni omeriche, e si ri-
corda che i cavalieri di Edoardo I divorarono 380
buoi, oltre quattrocento pecore, altrettanti porci,
diciotto cignali e ventimila polli: gli sceriffi di do-
dici cpntee dovettero provvedere le vettovaglie, e
il Parlamento dovette assoldare duemila cuochi. En-
rico V si incoronò in un giorno di quaresima e in-
vitò i seguaci a un banchetto di magro, ma of-
frendo loro la più ricca varietà di pesci: Enrico VI
abbondò nella selvaggina, e diede una certa minestra
i più sontuosi. Il più indigesto riuscì certamente
quello di Giorgio IV, che fu anche l'ultimo: vi si
mangiarono diciassette mila libbre di bue. di
I GIOIELLI DELLA CORI INA.
rossa in immense caldaie in cui nuotavano leoni
nchi, forse di pasta. La mortadella di Bologna
troneggiò al banchetto di Giacomo IL che fu tra
La Lettura.
La sedia di Sant'Edoardo.
montone e di vitello, tremila polli, centosessanta
piatti di pesce, ottomila uova e via dicendo: e vi
si consumarono enormi quantità di vino e di li-
cori. Quando uscirono, dopo cinque ore di ban-
chetto, dall'aula, i commensali si precipitarono nelle
ine, non lasciandovi una sola bottiglia vuota.
Ed è forse per una misura di prudenza che E-
doardo VII, appena giunto al trono, quando ancora
non sapeva se avrebbe invitato i Pari del Regno
a banchetto, mise all'asta le soverchie migliaia di
bottiglie che ingombravano i sotterranei de' suoi
palazzi. Più tardi, egli deliberò di offrire un ban-
chetto che meglio rispondesse alle tendenze moder
ne: la mensa imbandita da Edoardo VII non 3
i i nobili personaggi del regno, ma i cinquecen
tornila poveri dei sobborghi londinesi.
! primi re d'Inghilterra ciano incoronati a Sti
nys, sulle pietre druidiche che parlano anc 1
oggi delle antichissime leggende e che il mago Mei
avrebbe per incai dall'Irlanda
al pian., di Salisbury in omaggio a un desiderio di
re .\ 1 va il tempo di traversare Io
stretto p r tarsi incoronare. Altri sovrani angle
ero la sarra un/ione nella bellis
ica di Winchester. Guglielmo il »
1 primo 'li cui si ricordi con certezza
he fu incoronalo nella abbazia «li Westmins
ma la cerimonia fu turbata da un tumulto, perchè
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tRROZZA IM 11. INCORONAZIONE.
i cavalieri normanni che montavano la guardia fuori
del tempio, udite le acclamazioni di gioia scoppiate
all'interno al momento del rito solenne, credettero
che si trattasse di una ribellione, irruppero nella
drale e massacrarono gli spettatori. Un mas-
sacro più sanguinoso seguì l'avvento di Riccardo 1
( ih r di Leone: gli ebrei, per propiziarsi il nuovo
re. mossero in processione all'abbazia recando co-
ì
stosi doni: ma riconosciuti dalla folla, che era al-
lora accanitamente antisemita, vennero inseguiti e
i: i -si a morte: e la strage giudaica fu compiuta an-
che in altre città minori. Enrico VI, salito al tri no
nel 1429, non aveva che nove anni quando in ]
pi se vesti episcopali ricevette la corona e ass •
al gargantuesco bai nell'aula di Santo Sti
f:mo. Anche Edoardo VI era ancora un fanciullo
Si
HI
ED w 8
jg ^-v-r-iàr '
1 - 4 v; — <:;
ossi BR Aititi-. V
L INCORI INAZH >NE DI RE EDi iARDi >
5 1 5
enne quando fu intronizzato con la massima
pompa, i cui preparativi si cominciarono a fare
quando il padre Enrici Vili il Sanguinario ago-
nizzava nel castello di Windsor. 11 precoce monàr à,
che muri giovinetto e che pur riuscì nei brevi anni
di regno a consolidare la Chiesa anglicana, era an-
che di ingegno così precoce che, al momento di ri-
re l'offerta delle tre spade rimali, improvviso
un discorsetto sulla spada spirituale degno del più
tile teologo. Per l'incoronazione di Elisabetta,
succedeva alla sorella Maria la Cattolica, non si
riusciva a trovare un prelato che volesse funziona
re. perchè alcuni erano in prigione e gli altri non
volevano compromettersi. Giacomo I Stuart fu l'ul-
timo sovrano che ricevette 1 unzione in piena p
gola, denudato fino alla cintura. Carlo I. che lasciò
la testa sul patibolo, ebbe la cattiva idea di farsi
incoronare in un giorno nefasto, e di indossare una
veste di broccato bianco, segno di malaugurio in
Inghilterra: gli indizi avversi si accumularono il
no della festa, poiché il colombo dello scelti' ■
perdette un'ala, i tesori furono mal collocati, e Lon-
subì perfino una scossa di terremoto. Maria di
Modena, moglie di Giacomo II. esiliata in un mo-
nastero francese, faceva strabiliare le religiose co]
racconto degli splendori che avevano accompagnato
; i nazione.
Guglielmo I non potè dirsi molto fortunato, per-
chè al momento di fare la sua offerta di una ver-
gherà d'oro si accorse che un suddito lo aveva de-
rubato della borsa. Giorgio III, giovane e avve-
nente, perdette durante la cerimonia la più grossa
perla della corona: più tardi si volle dai creduli tro-
varvi un segno della secessione degli Stati Uniti
d'America, che formavano il gioiello dell'Imperi :
l'ultimo degli Stuart assisteva incognito al rito.
Giorgio I V si mostrò talmente meticolóso nel'fare
i preparativi per la complicata cerifhonia, che volle
persino tare una prova generale. Al banchetto, ser-
vito su piatti doro e sontuosissimo, avvenne un inci-
li i iratteristico, poiché appena che il re se in-
alidii, i convitati, quasi inni Pari del regno, si pre-
cipitarono sulle tavole, non lasciandovi più nulla.'
11 successi io Guglielmo IV. che amava il quieto
vivere, avrebbe volontieri rinunciato alla cerimonia,
ma non potè sottrarvisi : in ogni modo non volle
saperne del banchetto e della sfida del campione,
poiché l'ultimo campione aveva suscitato le risa dei
■ mmensali scivolando nella sua pesante armatura
sui gradini del trono e spezzando la tazza d'oro in
ini il re avrebbe dovuto versargli il vino del ringra-
ziamento. Ni- la tradizionale costumanza fu ripresa
alla incoronazione di Vittoria, la quale riuscì splen-
dida oltre ogni dire, specialmente per l'aureola di
poesia dolce e giovanile che circondava il biondo
capo della reginetta.
Sui capelli radi e brizzolati di Edoardo VII non
brilla una grande aureola: ma nella coscienza del
sovrano stesso e nella coscienza del popolo, le pros-
sime feste debbono celebrare non tanto la persona
del monarca quanto il simbolo dell'Imperò. E non
sarà uno tra i minori e tra i meno drammatici ca-
pricci del destino, se l'apoteosi della potenza bri-
tannica coinciderà con l'inizio di un decadimento,
inevitabile per l'Inghilterra come per tutte le altre
nazioni che camminano per qualche tempo all'avan-
guardia della civiltà.
P. Croci.
w*r
^^t%^f%ftg#f^
Il monumento al principe Amedeo
di DAVIDE CALANDRA
[ON ric»rdo altra opera della scoltura mo-
be mi abbia dato l'intenso e dure-
vole piacere che mi diede questa del Ca-
landra Essa è delle nobi-
lissime che poiché ebbi r<
conquistala l'ammirazio-
ne di primo cxilpo mui
M'Ho poi di li att ano la
a pi nsii ri ed imma
unii i -li re il li m i si iggi tto,
i- parlano, a ripensarle, il
linguaggio di più arti ar-
monizzate insieme. Tre
di l basami nto re-
impresse nella au
un ria come quadri, col lo-
ro fondi 1,0 Fon li, col-
le luri. ci Jla digradazii me
prosp- gure,
tutta l'opera, nel sui
i . ha un ampio volo
I
i p mia.
1 i un'arte
' Itre i pi' ini Ci iilmi. a
geni r.ili.
di atl ributi i som per lo
non bene padri
un l
te, smaniosi di fai
~. non | un una
i
- dalla 'li
della pai
maria di ogni
Davide Cki indra.
singola [arte, e al barocchismo e alla smania di i
far colpo risponde la schietta semplicità del conce-
pimento. Questo vuol dire che il Calandra è
rimasi o nei termini della
sua arte e che l'ispirazio-
ne vigorosa, nulla
lita nel corso del lun
lavi tri •. i la mano esp
seppero raccogliere
li ro prodi .'tto una p
za di espressione, atta a
dentare nella mente dello
tutte le imma-i
gini e tutte le armonie ili
cui il soggetti i i rapace.
Non ostante la rompo-
siziom fastosa (il
scaturiva di ni
gli apparwhi lielligerii,
dei tempi andati), non
stante la mi Ititudine de!
le figure ed il \ ario m<
in i-ili sono aggrup]
. l'idea del ni"
minienti, è semplicissin
E' l'idi ,i dell'eredi'
logica, i '
i rirono in ii
ni di principi, pi
ci i la ragii ne •
a mono di radon nelle
si nisi i .' simb liche . all'
'piali con un po' di bui)
na vi può sempn
far dire quello i
vuole, e dalle quali H
e sini ilei I alan
tradurre in <r
gè il limpido
• Ira . f idra non
IL MONUMENTO AL PRINCIPE AMEDEO
DI
/
spressione plastica . ed io sono persuaso che ehi
l'avesse prima rivolta in niente e fosse poi andato
ricercando a studio i modi dell'espressione) non sa-
rebbe riuscito ne a compome gli elementi in sì mira-
bile armonia, né a raccogliere intorno ad essa cosi
unanime l'intendimento del pubblico. E sono pure
persuaso che il Calandra vide la figura de] giovine
principe balzare dalla schiera dei gloriosi antenati,
innanzi di avvertire il contenuto ideale di quella im-
..! i ne. Me ne assicura il getto spontaneo,
la gran mole di bronzo plasmato sembra uscita
li una sola colata, e l'impeto onde tutta la composi-
e sembra travolta ancora nel volo delle visioni
astiche. Le operazioni mentali inconsapevoli han-
utte una grande logica, e danno frutto di grande
lenza. Qui la somma difficoltà consisteva nello
esprimere il legame della figliazione. Rappresentati
in atto fermo, i personaggi del basamento avreb-
bero parlato ognuno di sé, senza annodarsi in se-
mela e la rappresentazione simultanea di per-
iggi appartenenti a secoli diversi sarebbe riu-
a ad un patente anacronismo. La chiarezza del
etto esce tutta dal volo fantastico che li tra-
volge, perchè esso induce necessariamente l'idea di
successione e di continuità, ed in questa idea li col-
lega e li unifica.
Mi perchè una tale visione sorgesse nella mente
dell'artista occorreva che il principe voluto corri
inorare fosse atto a suggerirla, e che l'artista ni
pi ssi di sse per lungo e sicuro possesso tutti gli eie
nienti già collocati in qnell ordini* inconsapevole
che ne chiarisce la ci ncatenazione.
Si disse che il magnifico basamento sarebbe stato
degno piedestallo ad una statua di Vittorio Ema-
nuele. L'osservazione fa senso, ma a rifletterci non
persuade. Vittorio Emanuele fu un iniziatore ed
un fondatore. Gli giovò esser della sua stirpo, ma
le --uè gesta nltrepassaw l'espressione della stirpe.
1 fatti che egli compiè, i fatti compiuti nel suo rio
me, non hanno altro esempio nella storia. La sua
grandezza procede insieme dalla ragione dinastica,
i dalla popolare. 1 suoi maggiori lo fecero mei
vole di compiere le sorti di una nazione, operarne
con lui ad un fine comune. Egli rappresenta il piti
grande momento della vita di un popolo ed apre
un'era della storia. Perciò la sua immagine "ève
stare solitaria; ogni aggiunta dichiarativa le sce-
merebbe grandezza e significato.
5i8
l \ LETTURA
Il principe Amedeo, fu, ni poteva essere altri-
menti, un continuatore. l'n continuatore non del
sangue soltanto, ma delle precipue virtù ilei suoi
maggiori. Queste furono, nei secoli: lo sprezzo dei
oli, l'ardore guerresco, lo spirito avventuroso,
il sentimento della maestà regale, la j j i et à muni-
fica e la prontezza al sacrifizio. Che il principe
Amedeo le p< mi : le | rodi zze di
Custoza, la tragica maestà del suo primo ingn
ni Barcelli na, quandi , poche ori dopi l'a sassinio
'lei si i auti re, egli volle, primo atto 'li
I" glia, e las datasi dietn hi
ta 'fon' r.-. procedere sodo a piedi tra la folla ignota
i sul suo passaggio, la giovanile 'inerita
che gli fece affrontare più volte in Madrid i a Ipi
n.inai-ciati. la sdegnosa abdicazione della corona,
la fiera uscita ili Spagna, e, tornato in patria, la
sua munificenza i le pr luzioni ili una pietà
m vi de. ll-ii co ilei principato, che
in Minino grado, lo indicava in mi do
ad una rappres
virtù ereditarie: la sua abdicazione richiamava
alla mente un altro atto di rinunzia al ti
piuti nel per-
nii narca ostacolo al
men el volt suggerh ano l'idea agna-
perchè q gliava all'avo Carlo Alberto,
• ali, per quella
perdurànza di caratteri che è il segno delle I
razze, richiamava alla mente i ritratti di Viti
Amedeo II. ai quali ancora somiglia il <
Ti rino.
Fu l'iti na si rie per il Calandra, che il sui
nista m n gli comandasse speciali atteggiam
che egli non di vesse raffigurarlo in uno di quei
gì li .itti di 'minatori e compendiatori, che non i
portano il sussidio di
gì no ad esse ogni importanza. E fi rse i
pure il n< n essi rsi egli appartato nella sdì e
iti sa si litudine dell'arte, e l'aver pai
senza pregiudizi e senza vanità alla vita pubi
nei modi consenl mi i alle sue attitudini. Questa, >^>-
vetta m rargli le mutati condizioni poli-
tiche e sociali e fargli ini .ravvedere vivo nella
s: ienza dell'universale un nuovo diritto delle e
non ancora redatto in scritture, né o
più volte e fargli avvertire
la trasformazione i miai a più segni avvenuta delle
monarchie guerriere in pacifiche e civili.
E' certo che l'idea di compendiare in un
d'arte un pei me
di mi -sim'ali ra ad agitare una riunite irmi.
a, perchè un grande soffii di pa dalle
noi. si che muovono an
molte fibre di II'- i". ma g;
mi ed avviate a profondare nel cassato.
i
.>_'.»
LA LETTURA
Tutti pinchi un artista ne lo
sape rmo che un artista an
clu pari d'ingegno al Calandra, ma d'altro luog
nti' non lo avrebbe pi tut<
b intanici una sicui enza della sto
prò
I . sito del raonumi
l'idea. E dato pure che l'idi
.1 priori, uno studici del poteva ba
rate in vista 'li una
ta applicazione, ondeggiano nel cervello, come
luli pesi, i erbano un propri
i al richiamo di un ninni' e 'li pochi I
secoli di storia all'artista in
m i_ e serrata, bisognava che quella
proprio sangue del
la | non [tanto allo stato di cogn
nento.
I a si Piemonte, è, in gran parte, la storia
dell'Alpi, dalli Mai me alle Graie. 1 luoghi tatti
nidi invece di stendi rsi in pia-
nura, visibili solamente ai vicini, si ergono alti nel
e •ne ili tutti gli abitanti.
1 protìli netti d'og i e d'ogni insenatura le
. no facilmente riconoscibili. Nessun mag
sus ììi . Li vii 1 1:1 che le sue applii azioni
luoghi. Presenti questi presente quella. E
ii ■ o ed in imagim si », perch
li fanLa sia, una parie della
ni issimo. Questa storia
così localizzata il bambino l'impara nelli ;
giate a diporto prima di sapeila leggere nei
e la ; i ui'ili la fìssa e la ritiene in immagini
di straordinaria vivezza ■■ l'animo partecipa alle su
e li immedesima con emozione pro-
fonda.
E quando più tardi la ritrova nei libri, la ri
sua ' |uasi la tì\ ive, così che la
nuova piì i evi resta soffusa da un
alito di |"
\el monumento di Calandra, si ritrovano li
Mi questa spontanea localizzazione della sioria.
La parete elei basamento, dove galoppano i primi
Sabaudi, reca in I nui i |iiasi sfumanti
lievo, i" I fondo, il profili Il A Ipi i i zìi . nde
quelli scesero primamente nella valle del l'o. I
altre, a seconda eli iggi che vi campeggiano
e della somma delli loro gesta il Mon Viso, ed il
Colle di Superga, rammemorante la battaglia di
Torino
M.i l,i nozioni anche pcetizzata della storia non
basta alla sua rappres figurativa. \ que
sta deve cono rri n un elemento di lunga e paz
coltura, voglio din- la conoscenza dell'armi, dell.
vesti, di tutti i contrassegni visibili d'ogni sin.
seo ili ». Qui pure, li ,i i jiiistate 'li pr .pi
IL MONI MENTO AL PRINCIPE AMEDEO
D2 l
per subite applicazioni si palesano insufficienti. Per-
chè il taglio delle vesti, le foggie dell'armi e le ac-
conciature, prese di per sé stesse danno il fantoccio
n la persona viva. Ed un artista che applicasse
ad esse i modi attuali del movere e dell'atteggiarsi,
ne otterrebbe un uomo moderno camuffato all'an-
tica, e non l'uomo d'altri tempi nell'esercizio agevole
ed in naturato delle sue membra. Solamente una
E ; dimestichezza colle cose antiche, illuminata, si
de, dal sentimento artistico, può fare avvertire
le armonie necessarie tra le foggie del vestire ed il
p rtamento e gli atti della persona. Armonie che il
Calandra, nel suo monumento, raccolse ed espresse
in copiosi esempi e di tempi diversi, con una giu-
:za maravigliosa. della quale non è difficile rico-
scere l'origine nel suo ambiente famigliare e nelle
tradizioni domestiche.
Il nonno materno del Calandra era un appassii
nato raccoglitore di quadri e stampe antiche. Il pa-
dre, avvocato Claudio, uomo di rara coltura storica,
dimessa la toga, si applicò agli studi idraulici e
geologici, ai quali cercava riposo con frequenti e
fortunate escursioni nel campo dell'archeologia.
Insieme coi figli Edoardo e Davide 'lo scultore di
cui discorriamo) ebbe la sorte di disseppellire la ne-
CB poli barbarica di Testona presso Moncalieri. Vi
rinvennero 300 scheletri di soldati, e gran copia di
armi, vasi e suppellettili di ferro e «li bronzo che in-
sieme classificarono e descrissero in una sapiente
monografia.
La casa ove crebbero i fratelli Calandra era pie-
na di stampe, d'armi e di suppellettili artistiche su
bai pine d'ogni tempi . non già raccolte ed ostentale
in ossequio alla moda antiquaria, ma tenute care a
studio di foggie e ili costumi, ed a corredo e 1
mento di indagini intorno alle vicende paesane. In
tale ambiente impregnato d'arte e di storia, quale
maraviglia che le giovani menti venissero acqui-
stando la facoltà di afferrare le armonie fra le cose
inerti e le azioni cui erano destinate e di rievocare
in pronta, sicura ed animata visione gli aspetti dif-
ferenti della vita, nel corso dei secoli?
A prova di tale influsso domestico, basti
vare l'affinità che corre fra l'opera letteraria
maggior fratello Edoardo e l'artistica del Davide.
Dai primi racconti, sulla leggenda della Bell'Alda,
alle novelle del Vecchio Piemonte, all'ultimo stu-
pendo romanzo: La Bufera, l'opera narrativa di
Edoardo Calandra, ci dà dell'animo piemonti
del vestire, dell abitar.-, del convivere, del conver
viri-, dell'agire piemontese in determinati periodi
della storia, una Ci sì schii ta e ferma rappresenta-
.>_• 1
l \ Il l'I I RA
altra più fedele né
i ìtiva.
! i.iri O Odi
« nendo, n ben
a produrre un op< r.i eli si grande < i
.. se non i «imo
i sta. Ma d può ben din . che
|uell« I i. in
il tenace
ratteri ■ nico anche i |uello.
chi durò ai aniti il
l indra abbia mai di so mimi
h vinse, chi virtù del non
varli l'ispirazione gli durò fresca ed impi
.1 fino all'ultimo. Le difficoltà dell'impresa era
no mi grand Li gare le gun di pieni > rilii
to e basso bbene più
1 1 in n'ambiente 'li sfi ri
- i l'aria sti rica e pit-
torica che avviluppa liniero monumento, e non in
bé respirano i riguardanti. Armonizzare i
iggi ra li ' i del vestire e le armature ip
partenenti a tempi lontani talvolta oltre un si
l'uno dall'altro. Studiare il movimento della somma
>!..iua equestre data l'impossibilità di avere un mo-
dello di cavallo in tal posa nello studio, onde la
ssità di ridurre l'occhio a mai i hina fi
ranci, che afferrati gli elementi del
movimento, serbasse ad essi tutto il lori
dinamico, anche se costretti in una linea
ci 1 1 1 j >> sta quale s'addice ad un'opera
numentale. Al basamento occupato pi ri da
un fregio a ti per riuscire espressivo e pit
torico richiedeva un vario moto di linee ed un'i
si lica • \ idi n/.i .li pam. i lari, manti nere non
in realtà, rha a criterio estetico, una solidità il
struttivo ed una linea architettonica.
Ma dell'opera ci mpiuta e trionfante chi i
pensa le difficoltà superati Le difficoltà
ngi il pregio alle opere belle, né attenuai. .
tetti alle mi di. • ri. ;. ne parlai qui solami
segno dell'animo .!< ed a promessa à
sime vittorie. E dovetti pei rio cercarle a
studio e domandarne gli esperti, perchè t'opera
non le rivela, tante essa sta serena ed immemore
nella sua bellezza.
Giuseppe Giacosa.
l\ pALA DELLE "\$l„ flEL CARTELLO DI MILANO
decorata da Leonardo da Vinci nel 1498
lle offese ed alle perdite continuamente
inflitte al nostro patrimonio artistico, sia
per la distruzione di edifici di carattere
monumentale, sia per la
emigrazione di opere
d'arte, si contrappone an-
cora', per fortuna, il rin-
venimento di opere da
tempo perdute, nascoste,
od ignorate, le quali at-
testano sempre più come
questa nostra terra sia
stata veramente la patria
dell'arte. Gli scavi che ri-
mettono in luce i cimeli
di lontane generazioni rie-
vocanti le passate civiltà,
e le opere di restauro com-
piute in vecchi edifici, per
cui riappaiono traccie di
decorazioni di epoche me-
no remote, ma pure inte-
ressanti per la storia del-
l' arte , costituiscono le
fonti principali per questi
ritrovamenti, il cui an-
nuncio viene di tratto in
tratto a rompere la mo-
notona tristezza del rim-
pianto per la perdita di
memorie storiche, demo-
lite talvolta per pubblica
necessità , troppo spesso
per colpevole indifferenza,
o di quadri e statue ven-
duti per laute offerte, ed
emigranti all'estero.
Particolarmente gradito riesce quindi l'annuncio
di un ritrovamento di eccezionale importanza,
Leonardo
Autoritratto — R. B
quale è quello di un' opera affatto ignorata di
Leonardo da Vinci, offertasi in questi giorni al-
l'ammirazione del pubblico, in una delle Sale del
Castello Sforzesco di Mi-
Non è ancor dileguato
il ricordo delle dispute
che or sono vent'anni sol-
levò la tesi della conser-
vazione del Castello, le
cui apparenti condizioni
di vecchia caserma, già da
tre secoli asilo dell'alter-
nata dominazione di spa-
gnuoli, di austriaci e di
francesi, sembravano giu-
stificare in certo modo il
proposito di radere al
suolo il deforme edificio,
rievocante solo tristi me-
morie: così, sull'area stes-
sa della Torre contenente
la Sala oggi ritornata al
pristino suo splendore col-
l' opera ignorata di Leo-
nardo , erano , non sono
ancora vent'anni, proget-
tate case di affitto, come
su quasi tutto il resto del
vecchio castello-caserma.
Per fortuna, nel 1884 si
riusciva a scongiurare la
minacciata approvazione
di un progetto di nuovi
quartieri, proposto dalla stessa Amministrazione
municipale Belinzaghi, la quale, tanto per calmare
DA Vinci.
iblioteca di Torino.
.<j | LA LETTURA
le apprei li studiosi, si i a vo-
ler distra ilo la metà del Castello ; colla suc-
cessiva Amministrazione Negri, la integrità del i an-
ilo venne a^--i. urata, ma
Ha disp< isizione di grandi spaz! li
: , destina'.! a giardini >. li ris atto del i
inalila molto remota, se non .una utopia,
l'architetto Beltrami, pubblicando la « Storia del
Castello sotto il dominio degli Sforza », non
ilo vari documenti accennanti all'intervento di
Leonardo da Vinci nella decorazione di alcune
•ni procurò di identificare quali fossero que-
Par rn OLAB I
DELLA DECORAZIONE DELLA VÒLTA, SELLA S\l \ DELLE < Assi-: »
RIPRISTINATA D i > Ki s, \.
stello non avvenne però che nel 180, , di I quale anno
l'autorità militare ebbe a sgombrare l'edificio, ed
il Comune poti avviarne il restauro si (mulo i ri-
lievi e gli studi che, sino dall'anno [884, erano
stati eseguiti e pubblicali dall'architetto Luca Bel-
trami, coadiuvato dall'architetto Gaetano Moretti.
I-u in occasione di quegli studi, eseguiti qui
Castello appariva ancora come una
ste sale nel vasto Ubbricato di caserma. In p.n-
ticolar modo interessava di identificare una Sala
— detta delle Asse in 1 ausa del rivestimento in legno
applicato alle pareti — nella quale si doveva ritenere
1 he Leonardo avesse lavorati 'dall'aprili al
dell'aiue 1 1 198; varie erano le sale < he avevani 1 :
\ ut 1, volta per volta, e per la stessa ragione, il titolo
di Sai e 0 I .micia delle Isse : come di altri m
LA SALA DELLE » \SSK » NEL l OSTELLO DI MILANO
525
derivanti dalla decorazione delle pareti — Sala
dilli Scarlioni, eielle Colombine, dei Ducali, Sala
rossa, ecc. —si presentavano applicazioni non limi-
tate ad un solo caso, per modo da rendere difficile
riscontrarne il riferimento ai documenti. Pure riu-
scì all'architetto Beltrami, col sussidio anche delle
indagini di fatto che si poterono compiere, di accer-
tare quale fosse la Sala detta delle Asse, cui si ri-
feriva una lettera indirizzata a Lodovico il Mori >. in
data 21 aprile 1408, da certo Gualtiero famigliare
del Duca, per annunciare come due giorni dopo
metà del 1803, trovandosi a Milano il dott. Paul
Miiller-Walde — che a quell'epoca si era accinto ad
una biografia di Leonardo, e già aveva avviato
delle indagini relative ad una Saletta negra da que-
sto artista dipinta — si approfittò della identifica-
zione già stabilita della Sala delle Asse per esten-
dere a questa il paziente lavoro di ricercare, sotto
i ripetuti imbianchi, le traccie dell'originaria deco-
razione. Le indagini ebbero un risultato insperato;
giacché, sebbene con gravi lacune e non lieve de-
perimento, riapparve la disposizione di grandi
Trac
II. DELLA DECORAZ1
IRIGIN'ARIA, RILEVATE HAI. PITTORE Rl'Si
si sarebbero levate le armature da quella Sala, e
come Leonardo si fosse impegnato di compiere il
suo lavoro di pittore per il mese di settembre.
Con ciò era compiuto il primo passo sulla via
di rintracciare l'opera del grande artista, benché
nessun altro indizio accertasse che l'opera fosse
stata realmente compiuta nei pochi mesi, non cer-
tamente propizi, che trascorsero da quella data
alla catastrofe di Lodovico il Moro : anche le nu-
merose occupazioni di Leonardo a queir epi
potevano indurre a credere che l'opera fosse ri-
masta incompiuta, od ineseguita. Ma nella seconda
tronchi d'albero che, innalzandosi a partire uanu
linea di orizzonte altre volte costituita dal rivesti-
mento in legno alle pareti, cominciano a ramifi-
carsi ed intrecciarsi in corrispondenza delle lunette
su cui si imposta la grande vòlta, intreccio che con-
tinua nei rami minori e nelle fronde , e si com-
plica sempre più con nodi di corde d' oro, che si
avviluppano all'esuberante vegetazione. Assieme a
queste traccie, che già fornivano la sicurezza di
potere ancora ricostituire tutto lo scheletro della
geniale composizione, venne in luce, nel mezzo ili
uno dei lati della vòlta, una targa conti rienfe
iscrizione ricordante l'abboccamento di Lodovico
il Moro e Beatrice con Massimiliano imperatore,
per indurre questi a fronteggiare la conquista d'I-
520
LA Mini'
Particolare della decorazione.
talia,. intrapresa da Carlo Vili; il quale
abboccamento sappiamo che avvenne a
Mais, nella seconda metà del 1496. Per-
ciò la iscrizione veniva opportuna a
stabilire coma la decorazione della
volta, di cui si ritrovavano le traccie,
dovesse ritenersi posteriore a tale epo
ca, e quindi eseguita di certo fra i
1497 e il 14110, anno della caduta
di Lodovico il Moro. Non si po-
teva quindi avere dei termini più
sicuri ed avvicinati per racchiu-
dere l'epoca della citata lettera
di Gualtiero. Già si poteva per-
tanto, fin dal 1893, associare
il nume di Leonardo alle trac-
cie che erano apparse in se-
guito a quelle prime indagi-
ni : pure, per il rispetto stes-
so che il nome del grande
artista inspirava, l 'attribu-
zione definitiva, affer-
mata in modo reciso,
era da rimandarsi al-
l'epoca in cui fosse
sibile di com-
pletare le indagini e
di ricomporre integral-
mente la geniale deco-
razione. Altri otto an-
ni dovettero trascorrere
In I RBCC
PKB 1.
prima e In: questa n[i|» >t tutiità si ..Ulisse; e du-
rante tale lasso di tempo, impiegato special-
mente al restauro della testante parte della (
Ducale pei ordinarvi i vari musei d'arte del Co-
mune, venne ad aggiungersi il rinvenimento del
testo delle isi lizioni che si dovevano trovare
nelle targhe degli altri tre lati della volta, iscri-
zioni che il Beltrami potè fortunatamente ritrovare
trascritte dal Marin Sanuto nei primi anni del se-
colo XVI e contenute nei celebri Pian conser-
vati a Venezia. Di queste iscrizioni, due ricordano
altri avvenimenti storili importanti per I od. vico
il Moro, e cioè la concessione del titolo di 1 Hica
per parte di Massimiliano nel 1495, ed il matri-
monio di Bianca Maria, figlia di Galeazzo M.
Sforza, collo stesso imperatore Massimiliano, nel
1 403. La quarta iscrizione, che il Sanuto trascrisse,
ricorda invece la fuga di Lodovico il Moro nel
settembre 1499, dopo la presa di Alessandria per
parte dei francesi, e la conquista del Ducato di
Milano compiuta da Luigi XII ; per cui risulta
come questa iscrizione ebbe a sostituire, dopo il
1400, una delle iscrizioni originarie, per affermare
nella sala principale dell'appartamento ducale il
nuovo dominio.
Nel marzo del 1901, avendo l'egregio avvocato
Pietro Volpi esternato il desiderio di compiere
nel Castello Sforzesco qualche opera che avesse a
ricordare la memoria della compianta sua consorte
Alessandrina Volpi- Bnssani, ed essendo stata
da lui accolta l'idea di ripristinare la deco-
razione della vòlta e delle pareti nella
Sala delle Asse, si potè riprendere l'o-
pera del restauro di questa sala, già da
vari anni sospesa: l'architetto Gae-
tano Moretti, quale Direttore dell'Uf-
ficio Regionale dei monumenti di
Lombardia, in unione all'architetto
Beltrami, deliberava tosto la for-
mazione dei ponti di servizio oc-
correnti , e fissava la scelta dei-
artista cui affidare il compito,
nella persona del giovane pit-
tore Ernesto Rusca, che già
ebbe a distinguersi in opere
di decorazione medioevale
e del rinascimento, sia nel
Castello di Milano , sia
alla Chiesa dì S. Maria
della Pace, a S. Maria
delle Grazie, ed alla
casa Borromeo. Cosi
nell'aprile del 1
si potè riprendere il
lavoro di ripulimento
di tutta la superficie
della vòlta, rilevando
metodicamente tutte
10 idea a Leonardo le traccie dell' origi-
Accademia ni Milano. naria decorazione. Di
LA SALA DELLE « ASSE » NEL CASTELLO DI MILANO
un'altra delle quattro iscrizioni si potè ancora ritro-
vare buona parte del testo, mentre delle altre due
si rinvennero solo pochi frammenti di parole. Circa
un anno durò l'operazione paziente del ripristino,
e alla fine dello scorso marzo, levati i ponti di
servizio, si potè finalmente giudicare dell'effetto di
assieme, ed apprezzare ad un tempo la genialità
della composizione di Leonardo, e la difficoltà ed
il buon esito della operazione compiuta.
Nell'attesa di decidere sulla sistemazione defi-
nitiva della zona inferiore delle pareti, a norma
e ricchezza, malgrado le gravi jatture
tratta di una decorazione che Leonardo
pose, diresse, mentre attendeva ancora
La Tur re nord, contenente la Sala delle « Asse.
della destinazione cui si vorrà assegnare alla sala,
vennero ricoperte le pareti con tela grigia sino al-
l'altezza cui arrivava 1' originario rivestimento in
io, per modo da concentrare l'attenzione sulla
parte superiore, occupata dalla creazione di Leo-
nardo. La sala potè quindi essere consegnata dal-
l'architetto G. Moretti al Sindaco di Milano, a
nome dell'avv. Pietro Volpi, il giorno io di mag-
gio, ed essere tosto aperta al pubblico. Per la cir-
costanza, l'architetto Luca Beltrami pubblicò una
monografia della Sala, riccamente illustrata, dalla
quale togliamo appunto le incisioni che si accom-
pagnano a queste pagine.
Un nuovo lavoro di Leonardo, un lavoro di cui
non si aveva alcun ricordo, od indizio, è venuto
pertanto ad aggiungersi all'opera di questo straor-
dinario ingegno, cosi meravigliosa nella sua varietà
subite : si
ideò, corn-
ai Cfiia-
I'n angolo della sala delle « Asse.
colo nel Refettorio di S. Maria delle Grazie, alla
colossale statua equestre di Francesco Sforza, ed
agli altri numerosi studi di idraulica, di mecca-
nica, ecc. La città che conserva religiosamente le
vestigia del Cenacolo, deve oggi gloriarsi di potere
aggiungere a questa reliquia, un'altra e vasta prova
della versatilità di quella mente, un'altra attrattiva
Ti
Codice Atlantico — Schizzi di Leonardo.
per gli studiosi che da ogni parte del mondo con-
vengono a Milano, attratti dal fascino esercitato
dal genio di Leonardo. Più di ventimila, nella
:>_•>
LA I.l TT1 RA
maggioi parte stranieri, •'•mei i visitatori ilie an-
nualmente traggono in devoto pellegrinaggio al
Refettorio delle «irazie: e nun minore sarà d'ora
— Schizzi di Leonardo.
innanzi la schiera di coloro che alla Sala delle
Issc chiederanno una suggestiva impressione del
grande artista.
Pensando alle circostanze che hanno condotto
al ritrovamento di questa concezione d' arte, non
si può a meno di meditare sulla inopportunità di
quel disdegno, che troppo facilmente colpisce co-
i quali invocano il rispetto per le memorie
del passato, anche se queste non offrano ai profani
alcun indizio di attrattiva, od interesse. Bastò un
foglietto di appunti in apparenza insignificanti ,
scritto or sono più di quattro secoli, e ritrovati) fra
le carte dell'Archivio di Stato, per mettere sulle
ie di un'opera, che già doveva reputarsi in-
signe per il semplice nome dell'artista. Se il pa-
ziente studio dei vecchi documenti, ed un
sentimcnt. i di spontanea opposizione al
proposito di demolire un edifìcio dalla vol-
gare apparenza, non si fissero affermati in
tempo, le poche traccie che ancora rimane-
vano nascoste sotto i ripetuti imbianchi di
una sala ridotta ad infermeria di cavalli, sa-
rebbero andate travolte inconsciamente a
totale rovina, e perduto per sempre sarebbe
ogni ricordo di un'opera, che oggi comji
pleta la mirabile figura di Leonardo.
Valga l'.esempio a rendere più ascoltata
e rispettata la voce di coloro che, animati
dal vivo amore per le memorie del passato,
si trovano troppo spesso a dovere insorgere per
CODI! i- Ah INTICO — Schizzi di LEONARDO.
combattere aspramente le tendenze vandaliche ai-
fermate nella foga di momentanei opportunismi.
P.
M KK KCÌ I x DELL \ VÓI. I \.
Una fattoria.
LA MARTINICA
f.\ catastrofe della Martinica è uno di quei
cataclismi tellurici così imponenti nella
loro tragica furia devastatrice che ogni
parola atta a definirli vien meno. Invano si tenta,
ha detto sir Charles Lvell, di compendiare in un
aggettivo la mostruosa, titanica potenza delle torze
naturali. Queste parlano un linguaggio che l'uomo
non sempre penetra e quante volte egli si trova
piombato improvvisamente nel lutto di un disastro
immane, alla tristezza lagrimevole delle rovine
viene ad aggiungersi una umiliazione dolorosa pel
luo orgoglio e per la sua dignità, l'umiliazione che
provava il geologo Van Sandik l'indomani del ter-
remoto di Batavia (i settembre 1880). Egli aveva
visto le pareti della sua camera oscillare ripetuta-
mente, mentre i mobili danzavano in pezzi sul
pavimento ed egli stesso veniva sbalestrato violen-
temente a terra. Che l' uomo è piccolo allora,
esi lama lo scienziato, e come dimentica volontieri
'li 1 hiamarsi il dominatore del mondo!
Alcune scosse leggiere, dei boati, poi un vulcano
che erutta fuoco e lava, che sprigiona dei gas pe-
stiteri e la cenere ardente ricoprirà in breve volger
di tempo un'immensa distesa di campi e una città
intera. Saint-Pierre, il giorno innanzi ancora centro
del commercio delle Antille francesi, passa brusca-
mente dal silenzio della sua notte tropicale all'inin-
La Lettura.
terrotta pace del sepolcro che chiude tutt' intorno
uno spaventoso cerchio di fuoco. Dentro giacciono
a schiere i morti abbruciacchiati e tumefatti. Sono
trentamila, si dice, forse quarantamila, forse più
ancora. Nessuno saprà mai il numero esatto delle
vittime. E che importa questo particolare? Non
sono mille uomini di più o di meno che possano
accrescere l'orrore della catastrofe quanto questa
già oltrepassa i confini della spaurita fantasia, get-
tando la Francia nella desolazione e commovendo
l'intero mondo civile che si associa al suo lutto.
Questa solidarietà nel dolore, queste voci di
simpatia che giungono dai Parlamenti, dalle As-
semblee comunali e dai Sovrani, l'aprirsi sollecito
di sottoscrizioni quasi in ogni città per opera dei
giornali e delle Camere di Commercio, non sono
certamente un fatto nuovo. Ma la stampa parigina
ha ragione d'osservare che mai come oggi i popoli
parvero avvertire il legame che tutti li unisce al
di sopra dei confini politici, al di fuori delle ra-
gioni antiche e recenti di conflitto. Gli uomini in-
cominciano a conoscersi meglio e conoscendosi si
stimano e s'amano un po'di più. Non è ancora l'af-
fratellamento ideale del Tolstoi, ma un primo passo
verso quella meta lontana e le povere famiglie che
riceveranno alla Martinica i sussidi provenii nii
dalla generosità internazionale si maraviglieranno
34
53o
LA LETTI RA
tusiasmo in favore della propi ia
isola onsiderate 6n qui 1 1 imi
nemiche i nella migliore ipotesi come comp
mente in tn passato i io non era mai av-
venuto. La stessa metropoli, pei quanto
inavano lo squali >re e
la morte lungo le spiagge dell'isola, non s'eramai
i orni ai >ti, cicloni, eruzioni vulcaniche
si si. lo e si alternavano precipitando
questa or quella parte della Martinica da un male
in un male peggiore. La metropoli continuai
lacere.
Oggi tutto è mutato. La distruzione inattesa di
Saint-Pierre strapp era commisera-
zione anche a proposito delle pa lamità ed
è davvero una patina straziante di storia quella
che il Sidne) -Pan' nella sua vasta e
ra alle rivoluzioni telluriche della Mar-
tinica
Il D'Esnambue aveva appena fondato i primi
i limoliti importanti, tra gli altri quello i hi più
tardi sviluppandosi rapidamente doveva diventare
l'odierna Saint-Pierre, e yià si scatenava nel i ' > s 7
• il più violento terremoto che l'isola avesse mai
conosciuto dal giorno in cui vi avevano messo
piede gli europei ». Le case furono orribilmente
scosse, molte diroccarono, mentre gli aiutanti pazzi
di terrore invocavano la clemenza del cielo. Le
(i) Sydney-Daney. Histoire </<■ la Martinique deputi la
onjusqu'en 1815, — Fort-Royal. — 1^40. Sei
imi.
navi ancorate nel porto subirono a loro voli
violenza del mare. L'acqua si ritirava aduni
pei riprecipitarsi contro la spiaggia sulla quale ca-
devano sfondate le grosse navi al pari dei li
più II
Nel 17J| la Martinica soffre in causa di una
li ini mdazione, nel 1717 ritorna il ti
nove anni più tardi l'isola risente il dpi
del famoso terremoto di Lisbona, subisce le ol
di due cicloni d'una violenza estrema e iimanz
si chiuda l'anno ritorna ad avvertire nuovi
si osse di terremoto.
Durante la notte del 13-1.1 agosto 1 761 > ecco
■ riarsi in mezzo alla oscurità più completa un
lisma spaventoso. I muri crollano, scrivi
stualmente il Sidm ;erte
e rovesciate, tutti gli ali ieri, tutte le piante ven-
gono sradicati dalla forza del vento. Tremò la
terra, fiamme vive escono dal suo seno e la popo-
zione strappata improvvisamente al sonno crede
giunti l'ultima sua ora. Sul mare vanno perduti
ottanta bastimenti tra grandi e piccoli, pare< •
centinaia di persone sono uccise e altre centinaia
ferite.
Né l'elenco della morte finisce qui. Nel [776,
1770. 1780 sono nuovi terremoti e un ciclone
uccide 1000 persone a Saint-Pierre. Poi un incen-
dio, terremoti successivi e successivi cicloni dal
8 al [813 e specialmente dal 1823 al 1
Ina scossa più minacciosa è avvertita nel 1838 e
una seconda l'n novembre [839 che distri
quasi completamente Fort-Royal, la città capitale
Saint-Pi kr re.
LA MARTINICA
53]
l.'.N Al i
della Martinica, riedificata in seguito con strade
più dritte e chiamata col nome che correva ancor
oggi di Fort-de-France dopo la proclamazione
della Repubblica.
All'indomani di una così grande calamità pub-
Mi a, gli abitanti dell'isola erano in diritto di spe-
rare un po' di calma. Il Pjrdou, un altro storico
della Martinica che merita sopra tutti In lode di
ttore esatto e fedele, aggiunge che quella spe-
ranza era imposta dalla più crudele necessità. Le
lizioni economiche della Martinica erano al-
tuU'alti'j che liete. I coloni mancavano di ri-
se e ad aggravare il male concorreva l' osti-
' sempre pronta a degenerare in rivolta degli
iavi verso i padroni. La schiavitù abolita man
mano nelle colonie inglesi delle Antille s'era an-
invece inacerbendo alla Martinica. I negri,
iscevano le insurrezioni vittoriose dei loro
fratelli di razza in altre isole dell'Atlantico e ar-
mo dal desiderio di vendicare in casa pn pria
- inguinosa repressione del 1822, apparivano agli
hi dei bianchi come un nemico terribile, pronto
arsi in armi appena si rallentasse il regimi
iu'ore, anzi, del terrore, instaurato dopo la si 0-
ta della congiura ordita nel '24 dal negro B -
*ette. per cacciare tutti i bianchi dall'isola. Ma
i coloni maltrattavano i negri, più cresceva
irritazione degli schiavi. Questi erano novanta-
mila contro poco più di diecimila bianchi e al-
trettanti mulatti. Troppo impali appariva dunque
il numero perchè i coloni potessero sostenere più
a lungo una lotta non soltanto difficile, ma rinvi-
gorita e giustificata per ciò che concerneva i negri
dalla crescente avversione della metropoli contro
la schiavitù. La rivoluzione del 1848 giunse in
tempo per evitare una nuova rivolta. L'Assemblea
nazionale proclamava su proposta dello Schoelcher
l'abolizione della schiavitù e il 27 aprile gli abitanti
della Martinica si riconciliavano tutti —negri, mu-
latti e bianchi — nel n me e in una festa solenne
della libertà. Schoelcher, il figlio modesto di un
bottegaio parigino, che aveva 1 ila eausa
generosa dell'abolizione della schiavitù tutta l'o-
pera sua. sostenendo pugnaci battaglie nella slam-
ila, moltiplicando i libri e gli opuscoli, diventava
l'eroi 0 della Martinica, il padre spirituale
dei al a sua morte gli no 'ina-
nimi ' 1 tiore 'li un monumento. La statua in n
ino dello Schoelcher avrebbe dovuto sorgere pi
una decina d'anni ni Ila wane di Fo
la p 1 favorita della capitale, dovi
già il monumento dell'imperatrice Giuseppina.
Meno fortunato che la moglie di Napoleoi
Schoelcher as] ora il giorno della sua apo-
teosi. La giustizia degli uomini si vale spesso
false bilancie. Essa manda innanzi la glorificazione
532
LA l.l l l 1 R \
dell'astuta donna i I casi feo n a cere alla
Martinica, a quella dell'uomo politico cui l'isola
deve la buona parte della sua prosperità odierna
e il successo di una croi iata umanitaria clic (inora
altamente la seconda Repubblica.
Bisogna leggere qualcuna delle molte pubblica-
zioni dello Schoelcher, specialmente gli scritti mi-
ti, ni di polemica e propaganda, per comprendere
come egli amasse sinceramente le ultime Antille
rimaste sotto la dominazione francese. < igni av-
mgeva improvvisa alle derelitte po-
zioni della Guadalupa e della Martinica de-
stava un'eco d'affetto e di pietà nel cuore sensi-
bile dello Schoelcher. Questi tremava all'annuncio
■ he il vulcano della «Montagne Pelòe», sveglia-
tosi d'un tratto dal lungo sonno, minacciava nei
primi giorni dell'agosto 1S51 la città di Saint-
Pierre ed è a lui solo che noi dobbiamo un po'di
indine per aver promosso colla sua parola
autorevole gli scarsi studi geologici che si posseg-
intorao alle Antille francesi e in special modo
alla Martinica.
Parrà strano quello che noi stiamo per dire, ma
nonostante il vivo interesse che la catena delle
Piccole Antille ollri sempre agli scienziati, il Go-
verno francese non si curò mai d'istituire né alla
Martinica nò alla Guadalupa un osservatorio degno
di tal nome. Le ricerche di Sainte-Claire Deville,
raccolte nel suo Voyage gcologique aux .-In/illes,
si arrestano alla metà del secolo scorso e lo studio
del Leprieur sulle bocche vulcaniche della Mon-
tagne l'elèe risale a sua volta al 1^52. In seguito,
il Ministero della marina e quello delle colonie,
che venne formato più tardi, parvero soddistatti
dei rari opuscoli pubblicati per cura ili qualche
ufficiale o di qualche medico. < igni volta che il
telegralo segnalava una scossa violenta di terre-
moto, le autorità e il pubblico si tenevano paghi
dell'immutabile conclusione ottimista che il buon
padre Bernard aveva formulata due secoli innanzi:
dove ci sono vulcani non può esserci pace e quindi
non resta che da rimettersi a Dio.
Meglio avrebbe valso invece di ricordare la I"
previsione dell'Humboldt intorno alla possibilità
di una sparizione più o meno lontana delle \ntille
per l'opera di quegli stessi vulcani che le hanno
create. Le profezie non entrano certamente nel
dominio della se ienza. ma, vivaddio, meglio cento
vi lite il pessimismo di un Humboldt, il quale almeno
vi mette una pulce salutare nell' orecchio, che il
fatalismo mussulmano di un frate ignorante o del
farmacista Leprieur, che sentenziava non doversi
temere alcuna sorpresa sgradevole da parte della
Montagne l'elèe alla Martinica.
Dopo cinquantanni di silenzio ininterrotto, senza
il più lieve boato, senza un fuggitivo fiocco di fu-
mo che rompesse l'azzurro terso del cielo, gli abi-
tanti avevano finito per convincersi che la Me ■•■
gne Pelée li avrebbe lasciati tranquilli per sempre.
Essi avevano dimenticato, come l'avevano dii:
ticato il Leprieur, il Pardou e tanti altri studiosi,
che anche nelle Antille inglesi si trovarono vulcan
Paesaggio.
LA MARTINICA
533
Piantagione di caffè.
creduti spenti che non lo erano affatto e che la
prudenza, questa sorella germana della scienza,
imponeva di concludere con modestia nei riguardi
della Martinica, d'origine vulcanica al pari del
resto dell'arcipelago.
Son d'origine vulcanica le montagne, coperte fino
alla vetta della lussureggiante vegetazione dei tro-
pici, che staccandosi dal nord seguono degradando
la curva dell'asse micro-antillano. Divisi in due
gruppi, riuniti tra di loro da una piccola catena
di montagne intermedii di gran lunga meno ele-
vate che i punti estremi, i monti della Martinica
presentano tre vette culminanti, quella della Mon-
tagne Pelée, la più alta, che raggiunge 1.350 me-
tri, i Pitons del Carbet, nel mezzo, dell'altezza di
1 207 metri e più in giù il Vauclin con 505 metri.
Tali sono le cifre che ci vengono offerte dalle
geografie più in uso per ciò che concerne l'eleva-
zione delle montagne della Martinica. Son desse
assolutamente esatte ? Il Lombart, in uno spiritoso
articolo mandato alla Revue Scientifique nel 1884,
le mette tutte in dubbio tranne quella relativa alla
Montagne Pe!ée. I 505 metri del Vauclin diven-
tano per lui appena 308 o giù di lì e la famosa
vetta « pelée » , del vulcano oggi cosi celebre, non
sarebbe stata affatto < pelée » durante gli ultimi
cinquant'anni se non all'occhio dei miopi e di co-
loro che hanno tratto in inganno il Reclus.
Nessun geografo, del resto, sembra averla visitata
mai. Il solo che sali la montagna e la descrisse
è un collaboratore della Reinie Coloniale, nel fa-
scicolo di luglio del 1852. L'autore, dopo aver
parlato delle difficoltà dell'ascesa, giunge al vec-
chio cratere, il più vasto di tutti, in cui stavano
raccolte delle acque formanti una specie di laghetto
« d'una circonferenza di trecento e più passi ».
L'acqua aveva un sapore « che ricordava quello
delle torbiere d' Europa, tuttavia non era spiace-
vole ». Sulle pareti del cratere crescevano nume-
rose piante, mentre il fondo del lago era coperto
dal fango risultante dalla decomposizione di nume-
rosi frammenti di puntiti .
Questa la vetta tranquilla verso la quale le co-
mitive festose di Saint-Pierre volgevano il passo per
gudere del colpo d'occhio stupendo sull'isola e sul
mare. Oggi è sparito il lago, sparita la vegetazione
lussureggiante sotto la lava e la cenere e sepolta
in gran parte anche Saint-Pierre.
La città, addossata ad una serie di mornes che
dominavano il porto e la breve baia, non distava
dalla Montagne Pelée più di dodici chilometri.
Lungo il mare sorgevano i magazzeni, i depositi
di rhum e di zucchero. Intorno erano strade strette
e sucide, tarlate case di legno nelle quali si affol-
lava la popolazione di colore.
I bianchi abitavano la parte più bella e più sana
■:l
I \ I
della città, la città alta, arrampicantesi a ridosso
wrtus là dove sorgeva prima la forte/za a di-
si , ..titi.i ttac< lii degli in-
Li ortifii 1 ■ ani 1 spai ite ila mi ilti 1 tempi 1,
111.1 il nuovo quartiere ne ha preso il nome. Esso
si chiama il Fori per distinguersi dalla vecchia
i. > il in ime «li MotiU
In mezzo scorre il fiumiciatti lo R
e da linea di demarcazione, quasi diremmo da
ne, tra le due parti della città. Nella stag
delU il Roxelane si gonfia e spumeg
Nella sta] a non ha quasi più ai que e serve
più che altro da scolatoio alle immondizii 1 hi
ritta alta ni. inda al man-.
>aint-Pierre, quantunque più ricca di Fort-de-
France, è sempre stata povera -'.i monumeri
migliori edili. 1 erano quelli della via-Victor 11
una strada mi usi li iata • 1 m neg< >zi e 1
iropei frequentavano durante le ore di
lavoro alino nel porto. La sera gli europei sali-
vano nella città alta e nel quartiere AfouiUage re-
ano soli i negri a ubbriacarsi e a far strepito.
L'ubbriachezza è il vizio comune a tutti gli no-
mini di colore anche nelle Antille francesi. La
larga produzione del rhum e il suo prezzo minimo
doveva necessariamente favorire l'uso eccessivo di
bevande alcooliche nella Martinica, nonostante i
ripetuti tentativi degli uomini più istruiti della loro
razza per sottrarli alla condizione d'abbrutimento
in cui versa ancora la moltitudine. Dalla relazione
scritta da un negro antialcoolista della Martinica,
risulterebbe per altro che qualche progresso si è
fatto anch'" qui nella propaganda contro l'abuso
del rafia. E un primo, piccolo passo che addurrà
Tll-I DELLA M Ili
l v\ DONNA DELLA MARTINICA.
a maggiori risultati in seguito, quando sarà più
diffusa l'istruzione elementare e le autorità si con-
vinceranno che non è necessario di proclamare a
sproposito che il rhum della Martinica è innocuo,
per tema di veder scemare la produzione e il 1 < 111-
mercio di un prodotto che fa vivere quasi la metà
della popolazione, quella che non vive della cul-
tura dello zucchero e dei legumi.
La pn "luzione dello zui 1 heri 1 è andata scemando
in questi ultimi anni, mancando i necessari sbocchi
all'esportazione, oggi conquistati dallo zucchero di
barbabietola. L'esportazione dello zucchero dalla
Martinica raggiungeva ancora 23 milioni di franchi
nel [884. Essa non era più che ai [O milioni nel
i8qS e tutto induce a credere che diminuirà an-
cora in seguito. L'esportazione del rhum ha se-
guito invece un diverso cammino. Da 6 milioni
circa verso il i8qo, essa ha già raggiunto 7 milioni
nel iiSos' con una produzione totale di 20 milioni
di litri. Questa cifra dovrà salire ancora nell'avve-
nire. Lo zucchero non esportato andrà fatalmente
ad alimentare le fabbriche di rhum, di sciroppi.
Le altre culture della Martinica, quali quella del
cacao e del calle di cui si continua a parlare nei
manuali di geografia, non esistono più. Le malat-
tie hanno distrutto l'ima dopo l'altra tutte le
ziose piante. Non menzioniamo neppure il tabacco
che non ha inai avuto grande importanza 1
pessimo. I negri sono soli a fumarlo dopo averlo
ridotto in polvere e anche i negri oggi non lo vo-
gliono più, preferendo quello che giunge dalle altre
Antille quantunque più caro.
I A MARTINI* \
535
Questo ultimo particolare, che serve in Europa
a tutti i ministri delle finanze per giudicare dello
stato di prosperità o di depressione dell'economia
nazionale, è un buon indice anche per la Marti-
nica. I negri consumano più tabacco e più zuc-
chero da alcuni anni e i salari aumentano dì pari
passo.
Le statistiche, che in Francia sono redatte di so-
lito assai male, non ci offrono gli elementi neces-
sari per seguire il movimento dei salari e l'aumento
generale della ricchezza alla Martinica. Per ragioni
politiche, che sono eccellenti dal punto di vista
democratico, ma dannose al progresso degli studi
demografici, nelle vecchie colonie non si distin-
guono neppur più i negri dai bianchi nei censi-
menti. L'ultimo, che data dal 1S94 segnala la pre-
senza di una popolazione stabile di 187, ÒQ2 per-
sone. La popolazione fiottante era nello stesso anno
di 1,907 persone, che aggiunte alle precedenti
danno una popolazione totale di 189,599 abitanti.
Noi non crediamo d' ingannarci dicendo che
quella cifra è al di sotto del vero. Àia pur accet-
tandola cosi com'è, per evitare la noia di dar qui
le ragioni del nostro dubitare, essa deve apparire
naordinaria al lettore europeo. La Martinica in -
fatti presenta nel suo insieme una superficie di
appena 99,000 ettari, ma una buona metà è occu-
pata da montagne e da boschi, da stagni e da
vallate ripide, inabitabili. Quando si tenga conto
della sola superficie coltivabile allora, ci si stupisce
della densità insospettata della popolazione, assur-
gente quasi dappertutto alla cifra di 400 abitanti
per chilometri e lungo la spiaggia da Saint-Pierre
a Fort-de-France anche al doppio e più in là.
Perchè una popolazione cosi densa possa vivere
Si ipra uno spazio tanto breve di terra, è necessario
che i bisogni suoi non siano troppo numerosi. In-
fatti i negri vivono di pochi vegetali, di farine di
manioc, i più ricchi aggiungono delle patate che
vengono di Francia cotte nel sale e condite nei
giorni di festa con un po' d'olio.
La carne non si conosce o quasi. Il clima ne
sconsiglia l'uso anche agli europei che preferiscono
le uova e le frutta, le quali sono importate in
grandi quantità dalle isole vicine e dall'America.
Da alcuni anni sono cresciute anche le importa-
zioni di burro, di conserve il cui uso si va diffon-
dendo tra i negri della città. La Francia ne forni-
la maggior parte.
Noi dovremmo ora, innanzi di chiudere questo
articolo, che minaccia di diventare troppo lungo,
occuparci con qualche diffusione della vita intel-
lettuale nella .Martinica, delle sue scuole, del clero
e magari anche della politica, poiché vi si fa della
politica con accanimento se non con fede.
La scuola più alta nella scala gerarchica dell'in-
segnamento antillano è la scuola di diritto che
prepara i giovani della Martinica alla carriera giu-
Cakbonai.
536
LA LETTURA
diziaria. C'è ancora un liceo, una scuola superiore
ovinette, poi la scuola elementare in tutti
i Comuni importanti cod maestri di colore.
Il elettorale è la base della vita i
tu .1 alla Martinica. In principio i negri non pen-
\.i .: valersene, ma oggi essi votano con pas-
sion Imente dopo che alcuni dei loro hanno
nella metropoli le dottrine socialiste e sono
ritornati in patria por farsene ;;]i apostoli. Nelle
ultime eie/ioni i candidati in presenza erano tre:
un radicale, un conservatore e un socialista, i primi
due bianchi e il terzo, l'avvocato illière, un
mulatto. Tranne il Ledere, tutti i candidati oggi
• morti. Essi erano a Saint-Pierre per far pro-
ni'li e la morte sembra averli sorpresi poco
dopo l'uscita da una tempestosissima riunione elet-
torale, dove poco mancò che socialisti e conserva-
tori venissero alle mani.
L'eruzioni 'Iella Montagne l'elèe li ha messi
tutti d'accordo avvolgendoli nello stesso lenzuolo
di fuoco, consacrandoli alla stessa pietà. .Ma ap-
pena l'eruzione avrà cessato, altri verranno e questi
ripiglieranno la lotta ( •■ vigore, senza do-
mandarsi se valga la pena di dilaniarsi rabbiosa-
mente quando al primo fremito del monte vii
possono tutti sparire nel nulla.
Eppure, la vita è cosi!...
G. I'
DELLA M \K I INICA.
&**: ***WÈÉ,h
diviste
SOMMARIO :
I prigionieri dello Spielberg in luce austriaca, pag. 537 — L'ospedale della bellezza, pag. 539 — Tra le ferrovie,
pag. 54i _ La città rotolante, pag. 544 -- I ricordi spiritici di uno scienziato, pag. 545 — Le esplo-
razioni polari, pag. 547 — Corriere scientifico, pag. 550 — L'uniforme dei deputati in Francia, pag. 550 —
Fra i microbi, pag. 552 — Animali velenosi, pag. 554 — Gli artifizi deila toeletta, pag. 556 — L'amore dei
fiori, pag. 556 — Gli eroi del Niagara, pag. 558 — La diminuzione della popolazione, pag. 561 — La Legion
d'onore in una democrazia, pag. 561 — I risultati di una inchiesta poetica, pag. 562 — La scuola delle mogli,
- pag. 563 — Fra i pinguini, pag. 565 — La grande scoperta archeologica nel Foro Romano , pag. 568 — La
fotografia del moto, pag. 570 — Intorno alle eclissi, pag. 573 — L'armoniografo, pag. 574 — La Biblioteca di
Giosuè Carducci, pag. 576.
I prigionieri dello Spielberg
in luce austriaca
Da un articolo di Emma Perodi, nella Rassegna inter-
nazionale, del 15 aprile .
Fra le molte pubblicazioni di cui sono stati og-
getti i martiri del '21, nessuna rivelava il perchè
della crudeltà apparentemente inutile con la quale
l'Austria inveì contro i Carbonari milanesi ; ma
uno studio di M. Tangl. basato sugli atti della di-
me della polizia della Certe di Vienna, fa la
luce su questo punto e su tutta la storia di quel
tempi 1.
11 processo del '21 condusse Pellico e Maioncelli
allo Spielberg ed a. tri al castello di Lubiana ; ma
le cose non erano finite con queste condanne. Lo
czar Alessandro I. sollecitato dall'Austria a inge-
rirsi nella quistione della successione al trono del
Piemonte, voleva, prima di prendervi parte, le pro-
ve che Carlo Alberto avesse rapporti coi Carbonari
milanesi, e l'Austria si ostinava a ricercarle, per far
mettere da parte il principe di Carignano e ottenere
che si nominasse eredi di Sardegna il suo fido Duca
di Modena, o alla peggio il piccolo Vittorio Ema-
nuele, affidando la reggenza a Maria Teresa, che
per nascita e per tendenze avrebbe mantellina in
Piemonte l'influenza austriaca. Un anno dopo l'ar-
resto di Silvio Pellico, e sempre per cercar prove
contro Carlo Alberto, fu arrestato il Confalonieri :
anch'egli doveva esser condotto allo Spielberg, ma
fu fatto passare da Vienna, e il Mettermeli in per-
sona andò a interrogarlo intorno ai suoi rapporti
col principe piemontese. Il Confalonieri negò di a-
verne avuti; ma già altre pressioni si esercitavano
sugli altri condannati. Il presidente di polizia, con-
te Sedlnitzky. scriveva al conte Mittrowsky. gover-
natore della Slesia e della Moravia, ordinandogli di
strappare ai condannati, « con la segregazione e con
tutta la possibile industria poliziesca ». notizie e
una chiara esposizione di tutto il moto dei Carbo-
naii. E il Mittrowsky dispose che. prima di tutti.
uscendo a prender aria, i prigionieri dovessero es-
sere indotti a parlare dai guardiani ; poi che sen-
io la durezza del carcere per quanto riguardava
il modo di giacere, il cibo, le catene, le vesti, insi-
nuando che la confessione avrebbe alleviato la loro
sorte. Il primo mezzo riusci poco: le magre rivela-
zioni che alcuni fecero in forma di referendum e
che altri, come il Pellico, consegnò al protocollo,
offrivano appena alcuni dati niv I ''tivi trat-
tamenti rovinavano la salute dei prigionieri, tanto
che lo stesso Mittrowsky prevedeva che « nessuno
di essi vivrà oltre la pena » ; ma anche questo mez-
LA 11 II i l \
VUora l'Impi
■ li formularlo fu
redi polizia 'li Brunii, Muth, il quale
eia piuttosto male, se inti »rno al Pel*
. mbra un uon uno.
abile, astuto e furbo, che non ha rinunziato alle
rali '. Questo Muth, forse igm>
l'inali ■ appi
isserò, se ne lagnò nei
rvenivano all'I' il quali
i allora ci dato « im cibo sano e man-
e •.
Quai iveva scontata quasi metà
della pena, i renti ne chiesero la grazia con
l'in*! del Pralormo, ministro sardo a \
na. Pelli ivevagli fatto credere il
imissarìo di polizia che lo accompagnò da Ve
5p elberg, che i giorni ili pena sarebbero
stati ''untali dodici ore. La cosa non si volle ani-
ma più tarili l'Imperatore, convinto del-
l'inutilità del rigore, forse persuaso che con la mi-
■ ■ i i ordò la gra sia. il
26 luglio 1830, dopo i rapporti, favorevolissimi al
Pellico, dei dui «ori dello Spielberg, Zi atk e
W'tha. il primo 'lei quali, particolarmente, diceva
;.it' .. e si mostrava pro-
fondamente pi rliorato e chiedeva d'esser
i1 fi sto Pellico, Maroncelli e Tonelli.
liberati, partii mpagnati da] commissario
capo della \ n Noe, nomo cortese e affa-
bile, al (juale appunto l'Imperatore aveva affidato
i i p 11 0 n Ir l elle maniere le tanto
sioni. Intanfii un pericolo sovra-
stava ai graziati. Scoppiata a Parigi, nel luglio, la
rivoluzioi Ise la corona al ramo primoge-
nito : Bi rboni. la Din sii ne 'li polizia di Milano
r mezzo del Viceré Ranieri che i tre pa-
trintti non fi ssero lasciati tornare in Italia, ma re-
enuti in una città delle Provincie au-
striache. Si oppose il Von Noe. non solo cortese,
ma ;n rti - scrivendo all'Imperatore: « E' preve-
dibile eh' ■ I ro trattenuti trovan-
dosi già in via 1 raggiungere i loro congiunti,
Ilio 0 prima 0 poi nota ai libe-
rali d'Italia. ;li altri paesi, i quali se ne
varrebbero per divulgarla come segno evidente della
pusillanimità dell'Austria e per sfruttarla eccitando
gli animi N. stra Maestà ». L'Imperatore si
lasciò convincere e il viaggio fu ripreso. Il Pi
e il Maroncelli, nei cinque giorni di fermata a Felcl-
kirchen, scrissero una lettera di ringraziamento al
e Un l SU] i'i isse loro ri incesso
' riaci ; a quest'ull ima Fran
he « non v'era da parlarne 0. Queste
iti nello studii 1 del l angl :
vi è inserita però quella che il Pellico d
Torino, il 22 settembre, al Von Noe. Ritradotta in
italiano dalla traduzione tedesca, suona così:
0 Stimai noi Comi imperiale,
nza mi spinge a scriverle; il mio
re prova il 1 rie di nuovo i sen-
■ furono suggeriti dalle tante \>
ni mi ha ' ; seni imeni i mi - .
n ni ' un minia o si ni I i lule che io. senza
" Fra le] mi conosca; di
'lucile anime che, mentre da un lato suscitano la
ma, destano puri- un sentimi m< . pai
n. bile alla delicata ami ;li antichi.
usa m'impose di amarla,
mi prendo la u indo
il Im i ile della
quello della naturalezza e dell'amicizia che mi i
dal cui " I ' diente signi >i
ino! Una di '|iielle persone che tanno onore a \m
ilo hanno missione di servirlo per lar
re inno i io che ha in si di confortante e di bello
un atti ■ di grazia !
« I-in dal i nostro incontro Ella
non si stancò di dimostrare a noi, poveri redivivi,
tutte le atten, 'i affabile
l'-i.i. l'osso d se i lunghi anni di sventura
ro indurito l'animo. Ella sarchi»- stato l'uo-
a ridestare in noi la facoltà di ari
a Questo pi ii il ro mi venne alla mente cent'
durante il viaggio, e sopraHutto ogni volta che.
Ci Ipitò dal male, anche nell'apatia delle mit-
ili sofferenza, seni rie vicino,
di vederla e di leggere nel suo volto l'espressi
di un'indole rara Mi accade di esser poco proclive
a mentovare qualcuno, ma Ella appartiene a
piccolo numero di persone di cui provo piacere a
parlare spesso e inolio con colon ai quali apro il
mio cuore. 1 miei parenti mi hanno già sentii" dir
tanto bene del signor Carlo, che temo quasi p
no voli rgli più bene di me. Sì, eccelli ri ed
amico. Ella fu vero : io trovai risorti i miei
adora ori, i miei due fratelli teneran
mati e mia sorella che è un angelo. Le perdite che
io temevo d'aver fatte mi crucciavano in modo indi-
cibile.
» Quello die ho ritrovato è un tesoro così gì
che non oso lagnarmi della perdita di una delle mie
sorelle, di i-ili però sento dolor' la man-
canza. Minile io piango la mia brava Maria,
amata da tutti noi, penso alla sorella che una morte
immatura strappò al mio eccellente irlo.
(Queste sventure di famiglia colpiscono durami
Ma no. io non debbo lagnarmi della l'i vvidenza;
essa mi ha lasciato cinque cuori amorosi che
pensano ad altro se non a colmarmi di attestati di
affetto.
" Mentre assaporo questa felicità, si può imma-
ginare con quale profondo sentimento io Sappia va-
lutare la benevolenza dimostratami da S. M. l'Ita
peratore nel concedermi la grazia, e con quanta ri
l'io le premure di Sua Eccellenza,
del signor Banne. del Direttore Generale, per far-
mi guarire dalla malattia affinchè potessi volare
nelle braccia de? miei. Iddio beni dica tutte quelli
me nobili, che tanto profondamente mi obbligarono.
■ Di po avere esperimentato tutto questo sul suolo
co, qui ebbi egual fortuna, [o fui accolto dalle
riti del mio paese precisamente con la stessa
bontà che mi ave pagnato fin allora. Sua
Monza il governatore di Torino (ili cui mio
' Ilo Luigi ha l'onore di esser segretario) mi ac
DALLE RIVISTE
colse come un padre. Io vivo adesso in tutto e per
tutto come mi ero proposto: ritiratissimo, felice
delle gioie che mi offre la famiglia e tutto dedito
in pare ai miei studi letterari. Il mio stato miglio-
ra, il polmone promette di resistere alcuni anni an-
o ra. affinchè io possa cercar di rimediare all'im-
menso dolore cagionato ai miei genitori, e al torto
commesso.
o Mi faccia l'onore, signor Carlo, se gli alti do
veri della sua carica glielo consentono, di rii i il n~
di me e di pormi fra coloro che non sono ultimi
nella sua stima. La prego di rammentarmi alla sua
stimabile famiglia, i cui componenti non mi sono
estranei, benché non abbia l'onore di conoscerli per-
sonalmente; per l'amore con cui Ella me ne pax-
lava così spesso, io li venero altamente.
« L'abbraccio col vivo desiderio che una circo-
stanza qualsiasi possa un giorno condurla a To-
rino ; e non io solo, ma padre, madre, fratelli e
sorella, tutti facciamo voti che Ella sia ricompen-
sata per le cordiali attenzioni dimostratemi ; tutti
La ringraziamo, tutti Le auguriamo ogni bene, tutti
preghiamo il Cielo che Ella possa esser sempre fe-
lice ».
Questa lettera prova che, se il Pellico era ancora
accessibile agli entusiasmi, il Von Noe seppe in-
sinuarglisi nell'animo per compiere la sua missione
di interrogare i liberati intorno ai compagni ancora
custoditi allo Spielberg. Nei suoi rapporti, il Com-
missario di polizia così parlava del Conf alonieri :
« Dotato di splendide qualità d'ingegno, ma ac-
cecato da una riprovevole ambizione ed allettato
dalla speranza di rappresentare un giorno in pa-
tria una parte importante, si lasciò trascinare a
quelle imprese Colpevoli, cagioni della presente
sventura. Quelle imprese sono piuttosto da attri-
buirsi a idee errate che a un cuore pervertito, poi-
ché in ogni altro rapporto della vita era uomo ono-
rato e sempre proclive a fare il bene. Se egli fosse
graziato e gli si potesse strappare la parola d'ono-
re di non mai più cospirare contro il potere legit-
timo — così assicurano unanimemente i tre gra-
ziati — non ve dubbio che la riconoscenza lo le-
gherebbe per la vita alla dinastia. E' un fervente
cattolico, cerca conforto nella religione e negli ul-
timi due anni specialmente è molto cambiato. Tutti
quelli che lo conobbero da vicino negano che abbia
partecipato all'uccisione del Prina. Ha perduto tutti
i capelli, però ha l'aspetto di un uomo sano ; ma
è il colore dell'idropico che gli dà quest'apparenza ».
Nel '32 il Pellico pubblicò Le mie pri^:i>>i;. quel
libro che, secondo Cesare Balbo, fece più danno
all'Austria che una battaglia perduta. A Vienna ne
provarono gran dolore, e il Sedlnitzky invitò subito
il Governo della Slesia e Moravia a confutarlo.
La confutazione parve però al Sedlnitzky ed allo
stesso Mettemich tanto insufficiente e meschina, che
non fu pubblicata. Ma poiché un nuovo rapporto
all'Imperatore rivelava il danno che si doveva at-
tendere dal libro appunto per il suo tono misui
il volume fu proibito, e il Governo di Milano ne
preparò una confutazione nuova, mandandone lo
schema al Sedlnitzky perchè la pubblicasse nel
539
giornale allora più diffuso, il Journal de Frank fori.
L'Imperatore, a cui il Sedlnitzky ne fece rapporto,
rispose: « Mi serve di notizia, ed aspetto subito
che Ella si metta d'accordo col principe di Metter-
meli e stabiliscano insieme se sia opportuna una
confutazione allo scritto di Silvio Pellico e, nel
riso affermativo, come debba farsi per produrre
l'effetto voluto ». Ma il Mettemich rispose dura-
mente, quasi ironicamente, rilevando la poca abilità
della polizia. Diceva che il libro era comparso da
troppo tempo perchè una confutazione potesse riu-
scire efficace; facendola, bisogna che fosse esau-
riente; e tale non era quella proposta: essa si oc-
cupava di cose secondarie, e non ribatteva i due
capi principali d'accusa, cioè che a Venezia fosse
stato promesso al Pellico di abbreviare la durata
della condanna, e che non fosse stato concesso per
più anni ai condannati di assistere alla messa né
di avere i conforti della religione. Fu dunque de-
ciso di mettere in tacere la faccenda, e l'Impera-
tore sanzionò questa risoluzione.
■ 1 > • ■ «
L'ospedale della bellezza
(Da un articolo dell' Harmsworth London Magatine).
Pochi anni or sono, in occasione della formazione
di un nuovo trust industriale negli Stati Uniti, uno
dei nuovi diretori del trust, presentatosi ad una delle
Compagnie federate, notò un individuo che aveva
le orecchie straordinariamente sporgenti. Chiesto
chi fosse colui, gli fu risposto che era il cassiere;
allora il direttore consigliò al capo di quella Compa-
gnia di licenziare il cassiere, perchè, diceva lui, gli
La correzione
dell'orecchio.
uomini con le orecchie ad ansa hanno una p ata
tendenza alla disonestà. Il cassiere, che aveva udito
il discorso, prima ancora di essere licenziato, do-
mandò un mese di vacanza, e. ottenutolo, si recò al
« Derma-featural [nstitute » urna specie di ospe-
dale per coloro che hanno bisogno di migliorare il
proprio aspetto fisico, si fece curare secondo i si-
stemi dell'istituto, e in capo ad un mese si presentò
■'I"
alla sua fabb e ben 1 minare le
proprie i reccbJe .il direttore, ottenne 'li essere con-
servato al sue posto. Questo aneddoto, mentre il-
ra un pregiudizio comune negli Siati Uniti con-
tro le pers ne che hanm le orecchie ad ansa. di-
Cura
dei sopraccigli.
I \ LI. Ili 1< \
mostra anche ci mie quello che si chiama comune-
mente l'ospedale della bellezza, possa avere certa
titilli. i oltre che estetica. Nelle illustrazioni
che riproduciamo, sì vedono alcune delle operazioni
frequenti compiute nell'istituto.
S no numerosissimi coloro che vanno a farsi ac-
comodare le orecchie. L'operazione è molto sem-
plice. Si toglie un po' di pelle dalla parte posteriore
dell'orecchia, e poi si lascia la faccia in modo che
l'orecchia aderisca alla testa. Allora nella parte
posteriore si forma come una saldatura, e il padi-
ne è tenuto aderente sia dalla carne stessa, sia
dall'abitudine contratta per causa della fasciatura.
Il tutto non richiede più di dieci o quindici giorni
di (i trattamento ».
Anche il naso può essere sottoposto a cure salu-
tari. Se gli occhi sono l'ele-
mento più importante della
va. il nasi) ha però
(."lira del n ipelli.
anch'esso parte importantissima, e la correzioni
:i di questo organo occupa molto l'attenzione
dei ilo-tori dell'ospedale. I nasi di ogni dimensi
e di ogni misura possono essere modificai
b li e ridotti al tipo greco che e il prefi I
Una ii' ile .ii Tiri inglesi più i elebrate pi r la sua bel
i. i iltn- «-he per il suo vai «re
nulli d'i suoi trionfi all'istituto di cui ci occupiamo.
La natura t'aveva tornila dì un naso ,1,-1 tipo re-
tri assi, per modo che ogni qual volta andava in
i. essa a stretta a colmare la cavila supe
I a plastica. Ma il medico della bellez-
za, per via di iniezioni di tessuto animali-, che. in-
tegrandosi col tessuto umano stabili la linea l
sul profilo del naso dell'attrice, le potè dare uno dei
La cura
delle rughe.
più perfetti nasi greci che si conoscano. (Quando
si ha da fare la riduzione di un naso aquilino alle
1 n porzioni normali, l'operazione è più complicata,
ina ancora possibile. Allora bisogna sopprin
lusso e la cartilagine sovrabbondanti per mezzo
dell'écraseur elettrico, dopo di che non è difficile
produrre un tal naso da far onore ad una divinità
greca. Le rughe tante moleste possono essere facil-
mente o meglio colmate e similmente j
sono essere corretti tanti altri difetti del volto. Per
lo mino, e, isi dice l'autore.
Soppressione del tato
DALLE RIVISTE
.141
Tra le ferrovie
(Da un articolo dell' ' Harmsworth London Magatine, di
maggio).
Il maggior nemico che una ferrovia deve com-
battere in patria è costituito dalla carestia del la-
voro o del combustibile; ma nessuno forse, se si
tolgano le persone interessate, ha idea dell'interi
che suscita l'esercizio di certe ferrovie lontane, in
cui è investito capitale europeo, ma di cui i capita-
Nagpur Raihvay. potreste vedere una serie di
fotografie di un simile incidente effettivamente ac-
uto. Esso avvenne il 28 settembre del 1894. Do-
po aver passato la stazione di Godlkera, un treno
correva a traverso la jungla folta e spessa, quando,
giunto al fiume Karo e passato il ponte, la mac-
china subì un urto improvviso e fortissimo. Il mac-
chinista diede subito istintivamente i freni, ma non
impedire che il treno si fermasse regolarmente.
La macchina stessa e quattro vagoni deragliarono
in luogo pericolosissimo. Era notte, allora, per mo-
do che, per quanto si cercasse, non si potè scoprire
la causa del disastro; la mattina dopo, per altro,
si scoprirono le tracce di un elefante, e finalmente
si trovò l'animale stesso precipitato in basso con le
zampe fracassate e il corpo tutto ferito. Evidente-
Un treno urtato da un elefante; l'elefante morto.
listi non hanno notizia se non dai bilanci e sui bi-
lanci. Chi immagina gli ostacoli e le difficoltà straor-
dinarie con cui debbono lottare le Compagnie ferro-
viarie in certi paesi remoti? C'è veramente da am-
mirare l'energia e l'intraprendenza degli inglesi (dice
l'autore, che è un inglese), quando si pensa che essi
mente era stato attirato dalla vista dei fanali del
treno e aveva assalito la locomotiva facendola de-
viare, e trovando esso stesso, nell'attacco, la morte.
Il danno prodotto alla macchina e ai vagoni ascese
a mille rupie.
I peggiori nemici delle ferrovie nel Perù sono i
fiumi, nonché i briganti. Una volta poi si dovette
sospendere la costruzione di una linea ferroviaria a
causa di una vera pioggia di sabbia che radeva da
certe alte montagne che dominavano la linea. Quella
Gli effetti d'una piena: uno scontro
[sortano le reti ferroviarie in certe terre, e, ciò che
è più. le fanno fruttare.
Che direste, per esempio, di una lotta ira un
treno in marcia e un elefante infuriato? L'idea
pare assurda ; eppure nella board-room della Ben-
cascata di sabbia era stata provocata da una can-
nonata sparata da una nave cilena. Alla fine, di
tutta la parte di linea costruita non si vedeva altro
che qualche pezzo di traversa.
Gli alligatori peruviani, sebbene non diano bat-
42
LA LETTI
tagl ia i lei ante indiano men
.1 Bengal-Nagpur, pure qualche
ruiscono la linea. Ma ai .ninnali
Una ferrovia sott'acqua.
oli fanno talora simili scherzi. Dagli
elefanti e dagli alligatori alle cavallette c'è un gran
i i le Compagnie ferrovarie nella
Repubblica Argentina subiscono
molti 'Lumi |kt rausa delle caval-
lette, ehe si presentano in tal nu-
mero da inceppare effettivamen-
te le ruote dei treni ed arrestarli
nella loro manda, Nessuna me-
raviglia dunque che il Governo
argentino organizzi vere campa-
gne contro le locuste, costrìngen-
do tutti gli uomini abili a libe-
rarne il proprio campo, e dando
premi (come fa anche il Governo
marocchino) agli indigeni che
portano uova di locuste. Queste
recano danno alle ferrovie non
e dei
treni e facendoli fermare, ma anche rovinando le
traverse e tutto il legno in generale che si trova nelle
strade ferrate.
Un con <-ui debbono combat
tere alnine ferrovie dell'America Meridionali
dai filamenti d'erba ehe. trasportati in
mi quantità dal vento, ingombrano le
linee appunto come fanno !»■ cavallette.
Spesso divengono cosi fitti da essere più
modi ancora della neve e rendono
necessari speciali servizi di sgombro.
Infine le ferrovie argentine, che
prio si no molto tormentate.
om battere spesso col fuoco e con
he sono terribili nell'Amo'
Meridionale, l'er esempio, il 1 feb-
braio dell'anno scorso, un ciclone colpi
un treno alla stazione di Frontera. sulla
linea Rosario-Cordoba e ne rovesciò
quasi tutti i vagoni. Il curioso fu che
il treno venne colpito soltanto da un
lembo estremo del ciclone, per modo
che neppure vi andò tutto sottoposto,
ed alcuni vagoni rimasero completamente illesi.
Questa linea, lunga soltanto 180 miglia, passa |*-r
assai ricche.
A traverso la neve.
Ni 11 Argentina, come tutti sanno, si t >
stese enormi di territorio completamente piano, sen-
za ondulazioni di terreno, senza corsi d'acqua no-
l'n ispettore su una ferrovia allagata.
DALLE RIVISTE
543
tevoli. C'è una strada ferrata in linea retta
di 203 miglia. In queste estensioni stermi
nate, le pioggie si accumulami in quantità
fortissima e stagnano sui piani, coprendo di
acqua il sudo per superficie di migliaia dà
miglia quadrate, e convertendolo in un lago
mostruoso. Allora quaranta o cinquanta mi-
glia di linea restano sepolte sotto le acque ;
1 treni non possono più correre ed è molti se
qualche ispettore può, su un vagoncino, re-
carsi sul luogo del disastro, ove sembra un
naufrago abbandonato in mezzo al mare.
Più disastrosi ancora sono gli straripa-
menti, frequenti purtroppo nelle regioni tro-
picali. Sono improvvise piene, dovute spesso
al capriccio di un fiume, che, dopo aver se-
guito per secoli sempre un medesimo corso,
d'improvviso decide di cambiare il proprio
letto, con effetti disastrosi per le ferrovie
che si trovano nelle vicinanze. Queste piene
subitanee a volte portano via il terreno di
sotto alle traverse della strada ferrata la-
sciando il binario sospeso in aria come per
miracolo.
Nel Messico gli straripamenti e i frana-
menti sono frequentissimi. Nel 1899 special-
mente durante l'agosto ed il settembre, ne
succedeva quasi uno al giorno e il 7 settem-
bre caddero non meno di novanta frane, e vi fu-
rono quarantacinque straripamenti sulla strada a
Locomot
l'aprono la via
la neve.
Gli effetti d'una piena.
nord di Perian. Questa linea tuttavia è protetta
costantemente da mura di pietra nei punti più mi-
nacciati.
Un esempio dei danni che può fare
la pioggia si vede in una delle nostre
illustrazioni. L'incidente di cui diamo
una fotografia avvenne negli Stati U-
niti. sopra un terrapieno devastato
dall'acqua. La strada era divenuta in
quel luogo così malsicura, che, giunto
a quel punto un treno pesante, i mac-
chinisti esitavano a mandare avanti
la macchina. Ora, mentre quel treno
stava fermo, senza andare né innanzi
né indietro, sopraggiunse a granilo m
lecita un altri» treno che piombò sopra
il primo, producendo l'effetto che si
vede nell'illustrazione.
Nelle altitudini elevate il nemico
peggiore con cui i treni hanno a o m
battere è la neve. Ni I cui re d< ll'invi <
no, dopo una forte nevicata, non ,
rari 1 vedere una fila di sei 0 sette
chine, od anche più fi rzarsj il cam-
mino attraverso una spessissima m
di neve con lo spa
sui lati tutta la materia ingi mbrante,
seppellendo quasi le macchini 1 ria
se. ndendole alla vista fra due alte mu-
ra gelai.-.
Li ferrovie d Barbadoes som, mi-
nacciate contimi ; , dall a |ui del
mare che : le linee tanti da
farle piegare sotto un leggeris
peso.
■MI
Ma . ire in Ameni .1 . una delle ferro
Callao-Oroya, nel
ni il 1.1. bisi
1 le nude pizi er gli
e i loro stnm 1 inli > dei gradini a
l ii tutta la lini a l'opera più
■ 1 n rii ungo rir-
• di qui ll'opera a 00-
1 nasi un milione Vi s re ex
■ fatti a la\ 1 1 zze. Una
1 1 si ruzii me, l'arco centrale
li in 1 >ass< 1, Ma n- mini in 1 qui
1 11 1 .1. codrìllo che lece
l \ LETTURA
netti mpresa, che fu compiuta
iti . ed ora il traffii nente
su quella linea mei ■ he corre per le som-
|i , Vndi . ci steggiando i.rriliili precipizi, at-
traverso tunnels innumerevoli, sotto sproni noci
da una parte all'altra di burroni pr- I
dissimi per viadotti vertiginosi. La lotta fra l'ii
gno e l'intraprendenza degli uomini <• le forze della
natura, in pra finisce mai; e i monumenti
del lavoro umano, che hanno richiesto spese e abi-
lità - 1 1 nsural ili, pi «si mi 1 bens
11 distrutti ma :i ; 3 posto.
deragliare un treno.
lia eittà potolante
Da un anici il., delle Leclures pous lous, di maggio .
("ora la Città galleggiante, e ce ne sono ancora;
ma di città rotolanti se ne conosce una sola: Cartown
1 del carro) a un'ora da San Francisco 'li Cali-
forma. Ci si va in tram, e arrivando non si vedono
ohe carrozzoni di tram immobili. Questa città
americana fu fondata da un Europeo, anzi da un
Italiano, il quale, possedendo un pezzetto di ter-
reno sulla baia di San Francisco, ma essendo sprov-
visto .li mezzi pi-r fabbricarvi una casetta, profittò
dell'occasione che una Società di tranways vendeva
e le sue carri zze fuori servizii . ne compii'' una
10 dollari, la trasportò sul suo terreno, la mo-
nco chalet in riva al mare. Riu-
■ ; ni .prio conti o mprò al-
1 1 ce altrettai così nai que
\vn.
I .e piattaforme di quesl i 1 .■■ 1 dive
ini ,- loggette, anche grazie all'aggiunta
emi Alcune 1 air zzi
-.pra una base di m 0 di legno.
quale si sale con una 1 : tutt'intorno
una ' usa da una balau-
ediante stuoie.
Tal-. ni s Uniti in-
i . rtani > ni mi
nori ■• sb I 'astello di Navarro
Chillon, e. Alcun
biziosi, sul tetto delle carrozze, hanno costruito un
secondo e un terzo piano , con leggere pareti
di legno.
Nell'interno, un lusso e un coni/ori di primi ri li-
ne. Le antiche panchette, con cuscini 1 stoffe 01
tali, sono diventate comodi divani; tende e tap-
peti ornano le finestre e il pavimento. Vi sono le
carrozze divenute camere da letto, quelle trasfor-
mate in salotti, in biblioteche, in gabinetti da toi-
lette, ecc.
Cartown conta più di 100 case-tranways. I suoi
abitanti furono dapprima ospiti di passaggio che
\i vennero nelle vacanze; poi gente d'affari che
ogni mattina si recavano a San Francisco; ma
la città è divenuta autonoma e \
fornai, di macellai, di droghiere, e finanche un re-
staurant: il tutto dentro altrettante carrozze.
\ canto a questa città dei ttirr/ merita di essert
menzionata la ci/là delle tirelle. Arktown.
1 con carrozzoni smessi, pressi San Francis
la differenza è questa: che ad Arkti un i 1
non sono collocati in terraferma, ma sopra una
piattaforma eretta, mediante palizzate, in mezzo al
|ua. Questa 1 | pi<
Venezia, divi tali nei quali si gira in bar-
chi '
l i in- full ima pan ila del
gridilo sia cosi un ritorno agli accampamenti pri-
mitivi. All'inizio di ' uciw del Pel-
lerossa, il %urbi dell'Africano, tornano ili nuda....
Si l'auto, gli Americani vi aggiungono la luce elet-
Fo e il telefono.
DALLE RIVIDI!
I pieordi spipitiei di uno scienziato
Ai nostri lettori che seguirono con interi
riassunti dell'inchiesta sul mondo occulto, pubbli-
blicata da Giulio Blois nel J n riuscirà
no interessante sentire ciò che dice un chiari-. - m
scienziato italiano intorno allo spiritismo, dei feno-
meni del quale tanto si parla in questi giorni.
Quasi tutte le persone intervistate dal Blois e-
n viziarono opinioni favorevoli alla tesi spiritistica;
Pietro Blasema pubblica sulla Nuova A
del primo maggio un articolo che presenta il rove-
scio della medaglia.
Narra il dottissimo professore che i suoi primi
studi sullo spiritismo datano dal 1855, quando,
studente a Vienna, prese parte alle esperienze dei
tavolini scriventi allora venuti di moda. Si trattava
di piccoli tavolini tondi, del diametro di 25 o 30
centimetri, muniti di tre piedi leggieri, ad uno dei
quali si attaccava una matita. Il tavolino si collo-
cava sopra un foglio di carta, e due persone vi ap-
ponevano le mani col solito sistema della catena :
poco dopo il tavolino si moveva e con la matita
scriveva sulla carta le risposte alle domande che
gli si rivolgevano. Sotto le mani del Blasema esso
rispondeva sempre e indovinava molte cose, e il
giovane studente si era già fatta una grande repu-
tazione : quando, dopo due mesi di giuoco, egli ri-
velò l'innocente trucco. Basta la più leggera pres-
sione coi due pollici, inavvertita dal compagno,
per mettere in moto il tavolino e farlo scrivere.
Costò più fatica al Blasema disingannare i suoi a-
mici, che non gli fosse costato creare l'illusione gra-
dita ; la rivelazione della verità dispiacque, e con
alcuni dei compagni egli non potè più rinsaldar;:
l'amicizia.
Poco tempo dopo venne la moda degli spiriti bat-
tenti. In una stanza illuminata, dove tutti possono
vedere e verificare, il medium siede sopra una sedia
ed evoca uno spirito, il quale risponde con uno o
due colpi secchi che significano il sì ed il no. L'e-
gregio fisiologo professore Maurizio Schiff. pn
postosi di criticare i fenomeni spiritici, cercò se nel
corpo umano vi sono tendini capaci di produne il
colpo secco dei medium. Colpendo un muscolo, il
tendine produce un suono floscio; ma il tendine
detto d'Achille poggia sull'osso ; ed esercitatosi a
lungo, lo Schiff giunse al punto di comandare a
questo tendine ed a produrre il colpo secco, por-
tando al piede la calza e la scarpa, senza che ni
sun movimento tradisse esternamente il giuoco del
I tendine. Il Blasema narra d'avere più volte assi-
stito a questa esperienza, che fu ripetuta all'Acca-
demia delle scienze di Parigi con molto divertimento
di quei dotti: lo Schiff batC il ritmo della Marsi-
gliese che allora, sotto l'Impero, era tanto proi-
bita. Ora non si parla più degli sfinii battenti. 0
per meglio dire i medium moderni fanno l'espe-
rienza al buio e battone con l'orlo della suola della
scarpa contro la gamba' della tavi
Sempre sotto il secondo [mpero, proveniente da
Londra, dove aveva conquistato il fisico Crookes, si
La Lettura.
545
presentò a Parigi l'Hume. medium americano. Co-
stui fu tanto tene accolto alla Corte di Napoleo-
ne 111, che in breve icmpo si fece una ragguarde-
vole Ma pare che ne abusasse; e, proi-
bitogli dapprima l'accesso a Corte, fu poi espulso
dalla Francia. Andò a Pietroburgo, e vi conquistò
l'alta società. Si formò allora una Commissione di
scienziati, a capo dei quali era il celebre Men-
if. per proporre all'Hume di fare gli esperi-
ni comune; egli dapprima tentò di schivarsi.
poi dovette arrendersi per non perdersi agli occhi
di tutti. Le esperienze durarono un anno e mezzo;
la Commissione rivelò tutti i sotterfugi del medium.
e concluse che quante volte si potè operare in modo
verificabile, tante volte le esperienze fallirono. Hu_
me capì di doversene andare, e passò in Germania;
lì fu processato e condannato per truffa spiritica,
e poi scomparve.
Un altro periodo di voga spiritica fu quello del
nodo che si fa e si disfa a volontà , sfruttato
dai fratelli Davenport. Il medium, in questa
esperienza , si mette a sedere si ipra una seg-
giola , con mani e piedi legati . dentro una specie
di casotto dove stanno collocati tamburelli, cam-
pane, ecc., in compagnia di due sorveglianti. Fatta
l'< scurità, la campana squilla, il tamburello suona,
e tutti gli oggetti sono lanciati per aria verso il
pubblico: rifatta la luce, si vede ancora il medium
con le mani e i piedi legati, come prima. Un assi-
stente del laboratorio di fisiologia a Berlino, pa-
gando una forte somma, riuscì a scoprire il segreto
dell'esperimento, che oggi tutti i giocolieri ripetono.
Ma da questa invenzione del nodo nacque la teoria
dtllo sdoppiamento, la quale fu enunziata da un
dotto, il professor Zòllner, di Lipsia, in un appo-
sito volume intitolato Fisica trascende ni e. Ecco uno
dei casi la lui narrati: un medium, una donna,
è collocata dietro una tenda larga e fitta, con le
mani e i piedi legati ; di qua dalla tenda sta il pub-
blico in piena luce. A un tratto la tenda si muove,
si apre e lascia passare una donna, che somiglia a
quella di prima, ma non può essere — si crede —
la stessa, perchè più piccola, con voce più guttu-
rale, vestita di bianco mentre la prima ha un abito
e le mani e i piedi legati ; e così legata, e con
l'abito nero si ritrova quando la donna bianca,
dopo aver parlato con gli astanti, si ritira dietro
la tenda. Senza ''tirarsi mai di verificare se. mentre
la donna bianca girava per la sala, la nera era sem-
pre al suo [Misto . lo Zòllner ammise che il medium
si sdoppiasse. La vita di questo scienziato può spie-
gare ciò che da parte di un vero dotto non si capisce.
1 (1 pi alcune belle scoperte di astronomia tìsica, egli
stupì il mondo scientifico pubbl nobili at-
hi contro il Tyndall. l'Helmholtz, l'Hofmann
ed altri illustri. Si seppe poco tempi dopo che un
medium abilissimo e intraprendente, l'americano
Slade, l" aveva tato allo spiritismo, e che il
sin 1 io tanti maestri proveniva da ciò che
il Tyndall aveva fatto in Inghilterra una guerra
gica ed efficace o ntro Io spiritismo. 1 he l'Helm-
holtz aveva tradol 1 n tedesco le opere del Tyn-
e che l'Hofmann era amico dell'uno e dell'al-
35
. >|i> LA LETTURA
tra I lo Zollner finì male, in una casa ili salute;
he 1" Sladi issato per
(lede. II! .'Milli. UHI !
dici anni addietro, venne 'li moda I i
Paladino. A Milane, i I igenio
i i un momenti i crei l< linciò
a dubitare, e dopo aver
medium, lo denunziò in un notevole articolo, d
ndo come l'Eusapia, pure stanilo in catena, rie-
id avere una mano od un piede libero, e compii
uoch nza che i vicini se ne ai
! i del Torelli può e ili v ri 1>1 «■
gii alla sua mi
moria ; perdi . o a mirabile finezza ili i sservaz
nza aver vissuto nei laborab ri. egli diede prova
.li rum si Dentale. Il giui o i della
Paladino pareva che ne fosse sfatato; ma essa
ha ancora i suoi ammiratori e credenti, e in suo fa-
si soni' fatti sforzi giganti salvarla
dalla gran disfatta ili tutti gli altri medium ; ma i
suoi procedimenti sono gli stessi. 11 dottor Uberto
Dutb ente isii logia in Roma, ha scrit-
tuta relazione, rivelando il trucco
della Paladino nella esperienza della tenda rhe si
muove: la tenda si mosse, narra egli, nell'istante in
cui il piede di lei si era staccato dal suo: in un se-
i-i ndo tentativo che durò mezz'ora, il dottore tenne
ii piede ostinatamente attaccato a quello della me-
dium, e l'esperienza non riuscì più.
Queste sono le vicende dello spiritismo negli ul-
timi cinquantanni. Esse rivelano la sua costante
tendenza ad avvolgersi nel mistero per rendere im-
possibile la riprova; e con la scusa che gli spiriti
osi, i medium si premuniscono contro
gli ospiti dei quali diffidano. I-e operazioni si fanno
si sempre al buio perfetto, o nella penombi i
si minacciano i più gravi pei pei il « povero »
medium se qualcun., facesse improvvisamente la
luce. In queste condizioni non solo la verifica è dif-
ficile, ma lo spirito degli astanti facilmente si tur-
ba e divi labile. Lo spiritismo è una
delle tante forme di scienze occulte che in tutti i
tempi e presso tutti i popoli hanno travagliato una
e di pei queste scienze -1 rivolg
all'immaginazione e non all'ititeli. ; no quindi
rapi ma non i rivar mai ad
essere rio rchè il caratten della vera
nza sta nella riprova, nella possibilità di ripro-
durre un dato fern volontà. Ce poi nello
spiritismo una tale sproporzione tra quello che fa
Ilo che pretende di essere, che non si capisce
di vali n dentro e ere-
spiriti di Danti ; di G: delle per-
orisi per mezzo d'una
Paladino <> di un Politi, rana
nfus e ti
tra un alti o che, inche a pai"
credei merita gran considerazione, e la
hina caricatura I
; o ■ dei medium, in
.ii in i di fine, nobile ed
I sono qui
mani per picchiare, barbe per sfii
bocche pei I me i cor] i materiali? Se an-
uzie dei medium ni state svi
non si potrebbe credere a urtanti e
esche. | ibili soltanto al più basso gradino
di ogni I .ma ed intellettuale. !•'.' inutile
affannarsi intomo a tale a tal altr.. fenomeno; può
anche darsi che qualcuno non sia stato ancora suffi-
iti . ; ni i tutto l'insieme delle ri-
vi l.i/ ni delle persone spregiudicate avrebbe dovuto
schiacciare lo spiritismo, che resiste soltanto perchè
I umanità ha bisogno di credenze e si opponi
tentai ivi dì scuoti i se som i assurde.
Vlcuni giornali di Roma hanno iniziato contro i
è bene sia proseguita.
Quelli che li difendono adoperano argomenti me-
diocri, affastellano nomi di scienziati italiani e
meri, di gran fama, mediocri, ed anche nulli. I
progressi della scienza si sono fatti indipendente-
mente dal] autorità delle singole persone. Nel se
decimottavo la grande autorità di Newton non salvò
la teoria della emissione della luce da lui caldeg-
i .piando Fresnel giunse a far accettare
quella delle ondulazioni, era ancora un giovane ed
oscuro ingegnere di provincia. Ma fra i tanti nomi
i s'insiste specialmente su due: quelli dello
Zollner e del Crookes. Si è già parlato del primo;
parliamo del secondo. Il Crookes è noto come abi-
lissimo sperimentatore, inventore del radiometro e
dei tubi che portano il suo nome, e nei quali egli
credette di vedere un quarto stato della mai.
Qui ncetto non fu accettato, perchè si trat-
tava si l'auto di un caso speciale della teoria ci-
netica dei gas. Quando il Roentgen scopri i suoi
raggi, si ricercarono gli abbandonati tubi del Ci
kes, non per il loi i scientifico, ma perchè
in essi l'inventore aveva spinto la rarefazione del-
l'aria a un alto grado, condizione richiesta dalle
esperienze del Roentgen. 11 Crookes. lasciatosi se-
durre dall'Hume e da altri medium, pubblicò un
libercolo dove descrisse molto male le sue strane
. pei enzi Esse furono accolte con diffidenza, e
di pò che i trucchi dell'Hume e dello Slade furono
s i perti. .- i I ii condannati dai tribunali,
parve che anche il Crookes dubitasse, e certo
molti anni non parlò più di spiritismo. I suoi amici
dicevam chi si era ricreduto, ma che non voleva
fi ssarlo in pubi : chi anni ad-
dietro egli pronunziò una frase che potrebbe si-
gnificare un ritomo agli antichi amori. E' noto
che in IL lare, di là e di qua dai sette co-
lori dell'iride, vi sono infinite altre radiazioni calo-
rifiche, elettri. 'he. 11 Crool
che vi possono essere anche le radiazioni spiritiche
i li pai l'in' . assi di-
nere alto il corso della ren-
dita.
11 dovere degli spiritisti convinti sarebbe di fare
una severa scelta dei loro medium. La quistione,
i re se tutto quat ritismo è fon-
dato .sul trucco, o se una pai salvarsi dal-
l'imminente rovina. Il Blasema inamente
i . . ; ma chi pensa divi i
mi riti i incente.
DALLE RIVISTE
lie esplorazioni polari
(Da un articoli! della rivista Vclhagen und Klasingi Ufo
natsheftc ;.
L'attenzione degli scienziati e del mondo si \olj.e
ogni giorno all'orizzonte misterioso dove è scom-
parso, trascinato dai venti, il pallone di un esplora-
547
Abruzzi, del barone Edoardo Toll e inline la gran-
de spedizione russo-svedese che costò agli organiz-
zatori tre anni di studi e di apparecchi.
Dall'esame dei vari giornali di bordo risulta però
ben delineata una grande distinzione nei viaggi po-
lari : abbiamo cioè la spedizione scientifica e la
spedizione-sport : la prima parte col concetto di rac-
cogliere nuovi elementi per nuovi studi tellurici ed
astronomici il cui teatro è la terra ignota ; e la secon-
In cammino.
tore infelice Andrée. Prima di lui Nansen aveva
lanciato la prua della sua Frani contro i banchi di
ghiaccio di regioni inesplorate e altri esploratori se-
da si getta innanzi sventolando una bandiera, la ban-
diera ch'essa vuole piantare nel ghiaccio a latitu-
dini non ancora raggiunte. Tutte cercano il polo.
11 sole di mezzanotte.
guirono più o meno fortunati, tutti però rivolto lo
sguardo al polo misterioso, divoratore di vite e di
entusiasmi. Cosi gli ultimi semafori delle terre po-
lari videro passare la spedizione del Duca degli
quella come base di studi, questa come mèta di una
corsa.
Come tipo ideale di una spedizione polare, pos-
siamo ricordare quella di Xansen, partito dalle co-
548
ati 'lì scop
il |xiln e di i nenti ili studi scientifici.
Vansen i bbene non abl
Un antagonismo sciagurato è che dura da
fra la Svezia e la Norvegia spinse l'emulazione
auds Vndree a tentare di sorpassare le
Alle undici di sera.
ungere il polo, ha però molto operato e molto quiste di Nansen : Xansen ed Andrée furono due
conqui ui -'ione polare. Dietro il suo bandiere per i due Stati eternamente in lotta di in-
potuto quasi completamente sfa- vidie e di ambizioni, le quali dovevano avere poi
invernale
ggenda di un'isola veri i
: ■ t]
rto dai ghiacci galleggianti e
un cosi tragico epilogo nella notte e nel mis
del polo.
Fra le ultime spedizioni la più celebre per pra-
ndi, in la russi svedese di cui fu capo il
IiALLE RIVISTE
dottore Alessandro di Bunge. non nuovo alle batta-
glie del polo da lui già sfidate in altri viaggi, e ce-
lebre pei lavori della grande ferrovia transiberiana
e per l'esplorazione dello Spitzberg.
A proposito di tali viaggi ardimentosi, ricorre
la domanda: — Ma perchè l'uomo lotta e
muore per arrivare al polo? Che o
può egli trovare in quell'oceano di
ghiaccio, di tempeste e di morte ?
La risposta è facile. Vi sono art
tante questioni insolute cui solo la sco-
perta del polo può dare la risposta
definitiva: v'è il problema del magne,
tismo terrestre, il fenomeno degli ef-
fetti solari, i fenomeni biologici nel
campo vegetale ed animale che do-
mandano alla scienza umana l'ulti-
ma risposta ; v'è infine, un campo im-
menso e vergine di scoperte geologiche
che forse sono destinate a dire l'ul-
tima parola sulla cosmogonia univer-
sale. A ciò si aggiunga la sete dell'i-
o, la grandiosità delle nebbie, delle
tempeste, delle tormente, l'imponenza
delle grandi notti polari e tutto quel
fascino di mistero e di bellezza che
si cela dietro gli immensi banchi gal-
leggiagli di ghiaccio.
549
secate da fiords e da crepacci e con montagtu
arrivano fino a 1800 metri. Scoperto nel 1596 dal
navigatore Guglielmo Barrent, fu la mèta, per tanti
anni, di tutti gli esploratori polari, onde si può
chiamare una conquista internazionale-
In nessun luogo come nelle regioni polari si può
Fra i ghiacci.
La grande spedizione allo Spitzberg. già ricor-
data, fu merito degli sforzi collettivi della Russia
e della Svezia e di due attivissimi Comitati creati
nei due paesi e presieduti rispettivamente dal gran-
duca Costantino Costantinovich e dal principe ere-
ditario Oscar. Suo fine principale fu la misura-
zione e la constatazione della forma esatta della
ra terra, cosa che ancor oggi non è. del resto,
conosciuta con ogni sicurezza.
Campo di operazione furono appunto le
dello Spitzberg la cui parte sud fu assegnata alla
spedizione russa e le regioni nord agli svedesi.
L'arcipelago è composto di moltissime isolette sor-
ti sporadicamente fra altre più vaste, tutte inter-
II laboratorio della stazione.
dire che il successo è questione
di denaro: la spedizione allo
Spitzberg avrebbe certamente
l'arto epoca nella storia delle
grandi scoperte geografiche se le
casse non si fossero così presto
sauriti Ecco il resoconto del
capo della spedizione:
« Dopo tre stagioni estive di
studi e di osservazioni sotto l'im-
- rsare delle turbinose bufere
di neve, la spedizione si mosse.
Al1' ra d'un tratto, ci si offerse al-
lo sguardo uno spettacolo di tale
diosità die nessun sogni
.1 o di paesista potrà mai
immaginarlo: due gigantesche
igne di ghiaccio bianchissi-
me ed iridescenti stavano di
fronte attraversate dal mare
profondamente azzurro : sembra-
vano il passaggio trionfale di un conquistatore mi-
sterioso.
« La vegetazione allo Spitzberg è povera, e per la
sterilità del suolo costituito da dura roccia e per la
breve durata dell'estate. In febbraio si hanno i pri-
mi tiepidi giorni primaverili : allora le nevi si
odiano, appare la terra, e una timida e pallida
flora di licheni e di arbusti rompe la oianchezza
immensa dello sfondo.
a I nostri esploratori durante le calme e tiepide
giornate estive avevano potuto con celerità sorpren-
dente stabilire una stazione di osservazioni meteo-
rologiche e magnetiche, finche i lavori furono in-
terrotti dal sopraggiur.fere delia gran notte polare,
LA LETTURA
che u i ita in 'incile terre
desola
« Tur troppo tristi malattie ini allora e
specialmente Io scorbuto miete vittime numei
tr.i la falange degù' audaci esploratori.
o Uno dei fenomeni più pericolosi sono, durante
la lunga notte, le tempeste di neve, che avvolgoti"
ogni cosa, vero torrente di polvere ghiacciata
trapassa sulle nostre !. i velocità (li 30 o
40 metri al secondo, trascinando spesso, nella sua
1 pazza e violenta, piccole pietre che girano
vi ri e e durando talvolta persino cinque
giorni.
« Meravigliosi del polo rimangono però sempre
li effetti 'li luce che sono il delirio degli espi'
ri e 1 he solo pallidamente la macchina fotogra-
fica è riuscita a riprodurre sulle sue lastre.
« Alla spedizione non mancò neppure il lato sen.
ntale e la notte di Natale, illuminata dalle ti-
mide iridiscenze di un orizzonte lontano, gli esplo-
ratori raccolti intonarono gli inni religiosi della pa-
tria remota.
« Lo -1 to era allora la caccia agli
orsi, gli enormi abitatori di quei ghiacci solitari,
unici esM ri viventi che si muovono sui banchi di
ghiaccia
« Finalmente un giorno comparve sull'orizzonte
la nave di guerra Svensfund, che veniva a togliere
gli espi' rat' ri dal loro volontario esilio.
« Gli esploratori si augurano che presto una slitta
fortunata corra sui ghiacci sino al polo disputati-.
che ha divorai" ormai tante vite e presto il grido
di vittoria scop|iì anche là dove è la mèta e il sogno
dei più ardimentosi figli della terra »
■ «in» 1
Coppiere seientifieo
In un'intervista sulla telegrafia senza fili e il suo
avvenire, M. I. Pupin — professore all'Università
di New York e inventore di un apparecchio per la
trasmissione segreta e multipla di dispacci senza
fili, di cui la Compagnia Marconi ha comprato i
bre\ ' - ha fatto le seguenti dichiarazioni :
a Io non ho alcun dubbio che la telegrafia senza
fili avrà un gran successo commerciale, ma i mes-
saggi telegrafici saranno sempre trasmessi in un
camp" spaiale: per l'invio di telegrammi transo-
ceanici ira due punti fissi sulle due rive, i cavi sa-
ranno sempre superiori.
ounque, il primo risultato commerciale del si-
stema M . di obbligare le Compagnie dei
cavi transatlantici a svegliarsi e a sostituire i cavi
vecchi cui nuovi capaci di lavorare senza indugi e
con gran rapidità.
love la telegrafia senza fili regnerà sovrana,
sarà nelle comunicazioni delle st
di terra con navi in nn no Oi ni e sotto
questo punto di v irà abbastanza da tate
per essere sicuri del pieno sui mmerciale del-
l'impresa ».
li'uniforme dei deputati in Francia
Da un articolo ili Luigi de la Lauter, m Ile / ectures ma-
dernes, a proposito delle elezioni generali frani
Dal 17.S1J fino alla caduta del secondo Impero, i
deputati, in Francia, portarono quasi sempre un
costume speciale; la storia di questa uniforme, che
la terza Repubblica ha abolito, è, in iscorcio, la
Francia durante un secolo e. si può an-
la storia della moderna società.
Prima che gli Stati ( onerali si riunissero, la
1 arte aveva scelto e prescritto i costumi dei rap-
presentanti ; e nelle differenze di colore, di ricchez-
za, di ornamenti, secondo che si trattava dei dele-
gati della Nobiltà e del Clero, o di quelli del Terzo
Stato, appaiava la preferenza de! re per i due pri-
mi. Mirabeau comprese che queste differenze negli
abiti avevano una grande importanza politica, an-
che a paragone dei grandi problemi che allora si
discutevano. « Io credo », egli scrisse, « che la di-
stinzione dei costumi dati ai rappresentanti dei di-
versi ordini sia stata disapprovata da tutti; ma
tutti non sono in grado di misurarne le conseguen-
ze politiche: i più non vi vedono altro che una u-
miliazione dei deputati dei Comuni, perchè non
hanno accordato a questi ultimi né pennacchio né
ricamo, e immaginano che gli altri due ordini deb-
bano essere alteri di una simile distinzione. Ma
me non si riflette che prescrivere un costume, qua-
lunque esso sia. ai membri del Corpo legislativo
presieduto dal monarca e, per conseguenza, del po-
tere supremo, è sottomettere i depositari di questo
potere all'assurda e ridicola autorità di un mai
di cerimonia? Non è questo il colmo dell'assoluti-
smo e dell'avvilimento? Che importa l'eleganza e
la ricchezza degli abiti ? La servitù non è la stessa ?
E uomini nati per la libertà possono prestarsi a
questa vergognosa degradazione? Dare un costume
diverso ai deputati dei diversi ordini, non è per
conseguenza fortificare quella sciagurata distinzio-
ne ile-li ordini che si può considerare come il pec-
cato originale della nostra nazione, e della quale
dobbiamo assolutamente sbarazzarci se pretendia-
mo rigenerarci? » Il re non diede ascolto a qui
1 p ni"lti deputati ricusarono allora di piegarsi
all'obbligo del costume, e questa contesa non fu
l'ultima ad inasprire gli animi ed a portare le cose
al punto a cui più tardi arrivarono. Forse
Luigi XIV pagò '"il la testa la mancanza di
penne bianche nei cappelli ilei deputati del Terzo
Stai". Il c'.stunic fu poi soppresso; ma. affinchè i
legislatori poti ere riconosciuti, si t\nt\e a
ciascuno di essi una specie di tessera d'identità da
presentare alla porta. Fra in forma di medaglia:
portava scritto da un lato, in giro: Assemblea "a-
zinnale. !'$<). e nel me/70, fra tre gigli di Fran-
/ le ri'i : dall'altro lato: Comitato del-
I lembi eo nazionale, le indicazioni personali, e la
firma del Commissario dell' As emblea, il quale non
litri che il dottor Guillotin. inventore dell'urna-
apparecchio che prese il nome da lui.
DALLE RIVISTE
55 1
L'Assemblea Legislativa, succeduta alla Nazio
naie, aggiunse alla tessera una specie di decorazio-
ne, composta d'una stella di rame dorato, sulla
quale erano rappresentate le tavole della legge con
lettere d'oro su smalto bianco, il tutto pendente da
un largo nastro tricolore. Alcuni vanitosi onorevoli
sfoggiarono questo segno della loro dignità fuori
dell'Assemblea : fu severamente proibito di farne
: uso fuori delle sedute
I membri della Convenzione non ebbero costume
ufficiale ; ma presero la consuetudine di portare la
cintura tricolore e il cappello con tre piume: az-
zurra, bianca e rossa, e un gallone incrociato so-
pra una coccarda: era il costume adottato dai rap-
presentanti del popolo in missione presso i corpi
d'esercito. Sul punto di sciogliersi, questa Conven-
zione, che non aveva voluto un abito speciale per i
suoi membri, ne stabilì uno per le future assemblee,
essendo accaduto, in quei tempi torbidi, che i depu-
tati non fossero riconosciuti, e che persone senza
j' mandato riuscissero a prender parte alle sedute. I
Convenzionali, probabilmente, si ricordarono an-
: che le parole di Gian Giacomo Rousseau : «La mae-
stà del cerimoniale impone al popolo; essa confe-
risce all'autorità un aspetto d'ordine e di regola che
ispira confidenza e che evita le idee di capriccio e di
fantasia annesse a quella del potere arbitrario ».
I Gregoire de Tours pronunziò per l'occasione un
gran discorso: <i Adottando un costume per i de-
positarli della pubblica autorità ». esclamò egli.
I « voi tornate all'uso di quasi tutti i popoli antichi
e moderni : benché una decorazione distintiva possa
talvolta alimentare l'orgoglio e fomentare l'ambi-
zione, essi non hanno creduto che questo inconve-
niente distrugga il vantaggio di accordare alla legge,
che è un ente morale, il rispetto dovutole, personi-
1 ficandola, per così dire, con un segno visibile in co-
loro che ne sono gli organi... Il linguaggio dei se-
gni ha una sua propria eloquenza ; i costumi distin-
tivi fanno parte di questo idioma, svegliano idee
e sentimenti analoghi al loro oggetto, particolar-
mente quando impressionano l'immaginazione col
I loro splendore. Invano si dirà che l'apparato fa
', effetto sugli occhi volgari : noi tutti abbiamo sensi
che sono, per così dire, le porte dell'anima. Tutti
damo suscettibili di ricevere per loro mezzo impres-
sioni profonde, e coloro che presumono governare i
! popoli con le teorie filosofiche non seno filosofi ».
! Già il Consolato e l'Impero erano vicini.
Il costume proposto da questo oratore fu accet-
tato dalla Convenzione per il Consiglio dei Cinque-
remo: consisteva in una veste lunga e bianca con
una cintura azzurra, un mantello scarlatto e un
tocco azzurro. Ma i Cinquecento non gradirono
molto quella specie di magnifica camicia da notte
decretata dai loro predecessori, e si scelsero un co-
stume alla francese con un mantello rosso. Un re-
dattore del Monitore universale scrisse: « bisogna
confessare che quella gran quantità di mantelli
rossi stanca enormemente gli occhi; ma il costume
ha qualche cosa di bello, d'imponente e di vera-
mente senatorio ».
Nondimeno, anche quest'abito passò di moda, e
una Commissione dei Cinquecento ne votò un altro
che fu allottato dall'Impero: redingote aperta sul
davanti, azzurra, coi risvolti dello stesso colore; col-
letto e manopole ricamate d'oro, cintura tricolore
con frange d'oro, cappello a due punte con ghiande
d'oro.
La Restaurazione lo abolì immediatamente, e ne
adottò un altro, senza più cintura, con lo spadino, e
i gigli d'oro e d'argento sui bottoni e nei ricami :
tornavano le idee imperanti sotto l'antico regime.
( 'i m la Monarchia di Luglio la quistione del co-
stume parlamentare diede luogo a lunghi e vivaci
dibattiti. Alcuni lo volevano, ma i principii demo-
cratici avevano già fatto molta strada. Lamartine
pronunziò sdegnose parole: « Io condivido », disse
all'Assemblea agitata, « la vostra impazienza di
venire ai voti. Vi scongiuro di venirci subito e di
non far dire, prolungando questa discussione, al-
l'Europa che ci guarda, alla Francia che aspetta,
che mentre i più gravi affari del paese sono sospesi,
la Camera dei Deputati dimentica Algeri, la Spa-
gna e le grandi quistioni industriali, per deliberare
sulla scelta d'un frak o d'una redingote... » Nono-
stante la discussione durò parecchi giorni e fu vio-
lentissima ; anche il saggio Royer Collard dovette
prendervi parte e dichiarare che « non si ha una
giusta idea del deputato quando lo si prende per
un funzionario ». Vinse il partito contrario all'uni-
forme ; e mentre così il regno di Luigi Filippo lo
aboliva, la seconda Repubblica che gli successe la
rimise in onore. Tuttavia un solo deputato volle
portarla: un certo Caussidière, il quale rappresentò
una parte importante, facendo successivamente il
tessitore di seta, ii rivoluzionario, il deputato, il
prefetto di polizia e finalmente il negoziante di
vino; tutti gli altri si contentarono della tessera e
del distintivo. L'uniforme così poco portata, non
rammentava in nulla i costumi d'altri tempi ; era an-
zi adattata alla moda regnante: consisteva in un
frak nero, col collo largo e guarnito di bianco, in
un panciotto bianco, in un calzone nero con la cin-
tura tricolore.
Il secondo Im]>ero la modificò radicalmente e
ne fece qualche cosa di pochissimo democratico:
frak azzurro a grossi bottoni con l'aquila imperiale
e ricami al collo e alle manopole; calzoni di Ca-
simiro bianco, con una striscia d'oro sulla, cucitura;
spada con l'aquila sull'impugnatura, cappello a
due punte. Ma i deputati non ebbero mai l'obbligo
di portare quest'uniforme, e la terza Repubblica
la abolì naturalmente, senza sostituirle altro che
la medaglia, la sciarpa e 'a tessera.
.>.»_'
LA LETTI
Fna i microbi
.li W'illfred Mark Webb, nel f^ondou
Harmsworth .'..'.
rmi dannosi per causa dei quali
le malattie infettive si raccolgono e si pn pa
• i I gro i inza,
i anche la li trono tutte all'opei a
malefica. Alla moda si devono, pi lun-
nor 'in pure
tanti i e laraeni e oonda i « Ira
i - la più giovine, forse, tra le scien-
i" ilraente coinè la suddetta coda sia
asilo .li cattivi germi: e convincenti espi
■ ; si si m i Fanno in questi i unpo.
Si prende un pezzo di sottana, della dimensione,
per esempio, 'li un pollice quadrato ili superficie.
gna anzitutto, assicurarsi che i bacilli che si
• troveranno .su quel lembo ili
fsfo ffa si mi stai i raccolti dalla
sti ffa stessa per rasa e per
via. e non smiio i1m\ ni i a conta-
minazioni successive. Bisogna.
i'i.«'. che tutti i liquidi e gli
strumenti adoperati nelle espe-
rienze si. uhi in precedenza ! tu
disinfettati. Ci vuole dunque
acqua distillata i bollita, vasi
st( rilizzai i e via dicendo.
In esperimenti compiuti con
tutte queste precauzioni, fatta
la coltura dei germi, in una
I sola goccia d'acqua presa dal
Il brandello di sottana, liquido contaminato, si sono
ti'.\ .iti non meiio di 536 gì 1
mi. Siccome s'erano ottenuti cinquanta goccie ili li-
quido, si può i'- che in quel piccolo lembo
di stoffa si trovavano 26.800 germi. In un pezzo di
- 1 ffa di >i pollici quadrati di superficie si som
vati 10,672.000 germi; fra gli altri, quelli della tu
losi.
Altri strumenti potentissimi di diffusione delle
: ti di banca e le moni
eie se molto usate. E' stato affermato che se si po-
tesse stabilire
stai isl ica
L'appare) 1 1 1 i « > i»-r sterilizzare
le monete, chiuso e aperto.
Collezione 'li mi
pei avei messo in bocca monete di rame o
ultati sorprendenti. Un
inglese ha invi 1 ppunto un appa-
I ,-r disin
le monete, iìo
be e do\ rei I
tato da tutti. E' semplicis
e 'li poco prezzo.
1 "i insisti in un
metallica che contiene le
sulle quali si fa
rosi fi rte da distrai
tutti i germi.
1 illu 1 he si
vedi no nella pagina se
guente mostrano inulto !*■-
ne il lavoro compiuto da
un solo batteriologo in un
rampi 1 mi 'li' 1 ratioo
La prima serie di figure
si riferisce ad es] I I
Fatte su un pezzo 'li sol
tana. La figura 1 mostra
!< 1 1 I nie 'li germi 1 l
da un solo pollice qua
drato di panno ; la fig. 2
mostra altre Ci
da un altro pezzo
di panno ; la figui .1
stra un pico I' ' lembo 'li
stoffa ove si son trovati bacilli della tubercol
e la figura 4 mostra i bacilli stessi.
1 ,a seo i" la >erie si 1 id esperienze
piute con un pezzo 'li biglietto 'li banca. La fig. 1
mostra il pezzo usato, la fig. II mostra le colonie
ili germi trovati su quel pezzo. la fig. Ili i germi
coltivati da una sola goccia dell'acqua in cui il
biglietto ili banca fu lavato, e la fig. IV alcuni ha.
cilli ili tetani su quel piccolo pezz
carta.
La terza serie si riferisce ad esperienze fatte con
un penny, moneta equivalente press'a poco .1 dieci
nostri. La figura A rappresenta la mo
neta ; la figura li mostra come la disinfet-
tata non abbia dato, all'esame, alcun risultato bai
teriologico. mentre un penn\ ordinario ha
una vasta colonia 'li germi. Mine si vede nella fi-
gura Ce tra gli altri molti germi di vaiuolo,
s, vedono nella figura D.
Tutte queste illustrazioni non s
-he riproilu/ii -ni di fi iti grafie.
Inutile din ini reali sono
state ingrandite parecchie migliaia di 1
per la riproduzione. I bacilli che qui si ve-
li.mo ad occhio nudo, sono di una gran
dezza infin Va .indie n
le fotografie furono prese dopo che eraii'
state Fatte le culture, e che quindi i gì
si erano accresciuti e moltiplicati. M
certo che molti oggetti di cui Facciami
nella vita sono carichi di germi dami'
Fig. A.
Fig, B
Fig. C.
Fig. D.
>-'l
LA 1 KT'ITKA
Animali velenosi
Ila Die Woehe .
1 veleni hanno sempre richiamato l'attenzione
uomini, non solo |uesti agenti miste-
d'un tratto infrangere una vita fio-
■ al regno vegetale: ma anche i veleni pn>
nel regno animale non furono ignoti all'antichità
e- 'li qui anzi n molte tradizioni popolari per
le quali si rifugge da <vrti animali, tradizioni che
in general.- ris] lono alla realtà. L'istinto p
precorse an/i in molti ca nza.
Sotto il nome .li animali velenosi non si devonfl
li che in certi determinati i
Tepta di vipera.
e, ma perchè anche possono prestare servizi ter-
ribili: essi, infatti, e più d'una volta, fanno le loro
inesorabili apparizioni sulle pagine della storia.
La maggior parte dei veleni conosciuti apparten-
sono inocularci il virus infettivo, giacché sotto tale
aspetto tutti i cadaveri sarebbero velenosi ; ma solo
quelli che hanno il veleno come propria caratteri-
e lim «"ulain i o col morso o colle punture.
Due puffòtter.
DALLE RIVISTE
555
Questo veleno è un vero e proprio prodotto del-
l'animale, ed ecco quindi che viene sensibilmente
a limitarsi il numero degli esseri compresi nella
nostia denominazione. Così quando si da il caso
di un animale che abbia ricevuto da un altro il ve-
leno e lo comunichi a sua volta ad altri, è chiaro che
non siamo in presenza di un essere velenoso pro-
priamente detto: quindi un individuo invaso da
bacilli epidemici non è un individuo velenoso.
I veleni degli animali sono però di moltissime
specie, giacché alcuni non producono che una de-
bole irritazione epidermica : cosi le formiche, le
api, le vespe, ecc.. non oltrepassano coi loro effetti
un debole prurito. Il pungiglione delle api fu lun-
gamente temuto come uno strumento di morte, ma
pei grossi animali questo è un vano timore.
I veri e terribili animali velenosi si trovano nelle
zone equatoriali, dove consumano stragi spaventose:
COSÌ nelle Indie sono oltre a 20.000 vittime che ra-
dono annualmente sotto il loro veleno micidiale.
I serpenti velenosi si possono raggruppare in due
grandi suddivisioni : alla prima appartenendo gli
elafidi, alla seconda le vipere e i crotali. La sede
del veleno è in una glandoletta che spunta alla ra-
dice del dente velenoso e che spremuta sotto l'im-
pressione del morso lascia colare nella ferita il suo
liquido.
La' nostra figura num. 1 lascia benissimo vedere
nella mascella superiore i denti micidiali: sono spe-
li di zanne delicate e sottilissime, curve verso la
gola dell'animale: esse si vedono ancor meglio nella
Scorpione.
Teschio di vipera.
figura 4 che rappresenta
il teschio di una vipera :
in esso si distingue be-
nissimo l'orificio del ca-
naletto che arrivando
sino alla glandola vele-
nosa offre passaggio ni
liquido micidiale. Nel
continente antico i più
noti serpenti sono il
crotalo, la vipera, il ser-
pentello di Cleopatra e
il cerastes molto diffuso.
In Australia il serpente-
tigre e il serpente della
morte: in America il
cintai us durissus , ada-
manticus e il serpente
Mokassin.
In Europa abbiamo
conosciutissima la vi-
pera e il Puffotter( Fran-
cia meridionale ed Ita-
lia) e il Pelias Bercy
(Germania).
Sebbene non debba
essere ascritto fra gli
ofidi, è assai noto anche
nella terapia domestica
lo scorpione.
55( •
l \ il.ll URA
Gli artifizi della toeletta
(Dal! !; ■ <n "l;"-
lo ha voli I ne i < 'a na-
tura amia- in Ha quindi ii delle
quali modifica le
u esposte, i capelli, i denti, la
pelle del
notissimi i depilatori più o men
,1,,1, uà è pei ;ino inventato un appa
ultimo metodo i foi se il mi-
bbeni al manto li i he il pa-
li mano uno dei poli della corr
mentre l'altro lo fa scorrere delicatamente alla base
del pelo da distrugi
I , : oramai un ramo di
.,„,,,, QUa h, ecol Fa si usava traforare le
radici di i di nti : u perii rmente e o nfii i
ma il processo dovetti
abbandonato per i frequenti rasi di infezione. Al
mpletamente i
.lenti man n altri fissali solidann
li uncini e ili plao he mi talliche. Si usarono
dapprima i denti falsi d'avorio, ma ingiallivano
indamente: ed Oggi si utilizza con succes-
sa la porcellana, fissata pei mezzo di una lega di
rame e d'uni.
La toeletta poi dispone di un immenso ed anti-
sale di truccature. Fino nelle tombe
.lei Faraoni si scoprono i vasetti di alabastro e di
Ha, ricolmi dei preparati di piombo, che si
van( i i dare le tinte della gioventù alla pelle in
tapecorita delle vecchie imperatrici. E' ormai di-
mostrato che gli amichi egiziani conoscevano i se-
rsi gli occhi e l'epidermide e di na
... come, del resto, li conoscevano 1 an-
tica Qri, , prattUttO i Romani della di
iza: basta leggen certe pagine salaci di l'Inno.
Ovidio e di Plauto per persuadersene. Venne anzi
un tempo in CUI i capelli neri, ultime vestigia fi rse
della fiera razza antica, divennero abboniti; ed al
lora i patrizi del basso Impero ricorsero agli al-
cali e alle pomate e più spesso alle sostituzioni
colle chiome folte e bionde recise agli schiavi
del Nord.
sto furore di contraffazione della ni
della quale ai nostri gii ibbiamo che un
H,],, . i, ntami nte col sorgere del
crisi risorgere più tardi, spesso
rompi. 5S( . in i non mai vinti _
M,: ,1 seco]., don, di 11 i profumeria fu il X\ LI
tutori dell'epoca ne hanno infan
loro volumi. I allora si inventarono persino ma-
, beri sottilissime e ti stanate a prò
jere di un velo iridescente le guancie delle si-
gnore.
va neppure m
delle grandi sventure domestiche e le vedove si
no allora in creature sordide e nbut-
di una squallida patina giall
i tanta fri
ardi, in un anni i si il n atn-
Giuseppina avrebbe speso piì di 10.000 lire in
polveri pei la pelle '
\ enere di decorazii nza
dubbio il tatuaggio |
: i della Papuasia.
I , apelli furono sempi di cure speciali
e in certi secoli si vollero ri illanti o il
priandoli ndoli di poh,
i a in cui nella sola città di Parij
più di u.ooo parrucchieri!
! i tinture per dare colori diversi ai capelli fu
Jmente m te i nell'antichità i
possoi lere in due grandi classi: quelle
stillato .i Miniar.- il colore e quelle din lup-
stesso. Mollo usati son
p, di argento, di effetto alti - ma-
o quanto pei anche la
cuti e il bulbo capillare. Non mi n
il pi rmanganesato di p « di galla, i
sali .li cron o, il biossido di idn
può i ttenere uno splendido biondo d
do i capi Ili ci II ai ido nitrico e quindi col salici
ma | mai un'o] .-razione che
I uò riuscire troppo spes-
•\nehe le pomate e gli unguenti devono -
a un trUCCO più banale e
\ole. la parrucca.
Anche la parrucca ha una storia di trionfi e di
persecuzioni, sino al secolo XVII, in cui salì al-
l'apogeo del trionfo. Essa fu spesso I delle
condanne severe dei Concili, che vi un
segno d'effeminatezza e fu il campo di sfide e di
,-nuilazioni ridicole, ma sanguinose, fra i gan
fannulloni di tante Certi subissate dalla rn
zinne. . .
Oggi, dopo tanti secoli, tutto ancora è nmas
pomate, i o smetici, le acque, le tinture <
minerali le parrucche, le maschere.... spe
le maschere. Ma è- un tributo pagato al pregiudizio.
non all'igii ne e alla bellezza.
Ii'amore dei fiori
(Da un articolo di Paola I.. .mi .roso, nella Nuova Anto-
Ut, del i» maggio).
Fin dai tempi più antichi gli uomini hanno as-
sociato i tutte le circostanzi della
| lo d'un fior fiori gli altari
ne spars.ro nelle processioni, se ne omarom
mense e Le bare; le spose pi corone di
rancio e i poeti ne ottennero di I
e ,1, mirto. La Pasqua si commemora col ramo
[ivo e di palma; col garofani rosso, da qualche
P
LVvolse di acanti le colonne
pampini i capitela; la gotica adotto iltrifi
airi di fiori e frutta decoran
peian< ; oggi le tappezzerie, dalle pruni
ali, sotto gli occhi della
DALLE RIVIS
te le forme e i colori dei fiori; modelli di fiori si
adottarono sulle ceramiche di Sèvres e di Murano
.-.■me sulle più rozze stoviglie. Si fecero fiori arti-
ali, di cera, di carta, e perfino all'uncinetto. An-
I ni: v< stile floreale, come dice il nome, è una
va forma della nostra costante vaghezza dei
fi. ri.
I popoli primitivi attribuiscono alle piante e ai
fiori virtù benefiche, e li vollero auspici «'egli atti
più importanti della vita. 1 nomi dei fiori derivano
da quelli di divinità pagane e cristiane. La Joubarde
francese viene da Jovìs barba, Erba di Gii vi .1
temi sia è 1 Erba di Diana ; Capelvenere non ha
bisogno di spiegazione. Le Verbene diventano
hannisgurtel, Cintura di San Giovanni, a n cui si
inghirlandavano in Franconia. alla vigilia di S i
Giovanni, uomini e donne, gettandola poi nel fuoo
per premunirsi in tal modo contro le malattie. Je-
sus Clirist Wt/rzel ed Erba della Madonna è bat-
tezzata la Balsamica vulgaris; Guanto della Ma-
donna la Cai traehelìus ; Rosa della Ma-
donna la Rosa hierìcuntea ; Marien Rosicai la
Rosa canina : Marni Munsel, cioè Menta di Maria,
il Tenacetum balsamtcum ; Johannis Tìàndclien,
la Filix, ecc. Il Rìcino è chiamato Palina Chi
e Cardia benedkta, Erba di benedizione, il Cardo
comune; e vi sono un Fico sacro, una Palma sacra.
un Eucaliptus, cioè albero del Bene. ecc.
La 'leggenda ha fatto nascere Budda sotto un si-
comoro, e in India le donne vanno a partorire s
un albero. Un arabo non si riposa mai all'ombra
d'una pianta senza lasciarvi un segno di riconoscen-
za : una bandieruola. una collana, un pezzetto di
vetro, o dei fiori. In Bretagna il montanaro venera
e difende con palizzate e sostiene con pali certe
antiche quercie. Gli stessi Bretoni credono che se
un morente non ha un prete a cui confessarsi, ba-
sta far la confessione ai piedi d'un albero, i cui
rami la raccolgono e portano al cielo l'ultima pre-
ghiera del penitente.
Questo culto ingenuo è ora sparito. Piante e
fiori, nel nostro secolo pratico, sono oggetto di
spese talvolta enormi. La follia del giardino ha as-
sunto forme fantastiche nel Palmengarten di Fran-
coforte. Una Società di banchieri milionari, con a
capo Rothschild. ha sfidato gli elementi e vinto il
clima, le distanze e le stagioni, creando un harem
meraviglioso di piante esotiche in un paese nordico.
D'inverno, quando la temperatura scende a 200 sotto
zero, si entra in una serra gigantesca, tutta a cri-
stalli, e vi si trova un angolo d'Africa: le palme, i
banani, le felci arboree: dieci gallerie si dipar
dalla serra centrale, meravigliosi scrigni della più
splendida flora del mondo. Il mantenimento di
questo giardino costa due milioni l'anno, e la So-
cietà vi guadagna, tanti sono stati gli oblatori ge-
nerosi e spontanei e tanta è la gente che per un
marco entra ad ammirare quell'Eden a bagno-
maria. Sarà una cosa da filistei, quella primavera
fatta con seme di quattrini ; ma l'ha ispirata quello
stesso spirito gentile che fa ornare il parapetto
delle umili finestre e i giardinetti dei cantonieri di
garofani e di girasoli.
557
ìi pensa al colossale bilancio del mercato
mondiale dei fiori, bisogna credere che il sentimento
della gentilezza e della pò, -sia non è finito, come
dicono ii I Olanda i 5] -rta ogni
anno quattro milii n • in tulipani. A Sanre-
mo, dal cui nudo trasportata a
corbelli, vi - ino interi boschi di camelie e di garo-
fani. A Nuova York una rosa non costa meno di
uno scado, e si paga talvolta fino a 6o lire. Centi-
naia di milioni l'anno paga il mondo civile per la
messe dei giardini : e non sono i soli miliardari
che la comprano, ma la mezza borghesia ed anche
i più
Ma la vii ria più gentile e l'affermazione più
grandiosa della sua potenza, il fiore l'ha avuta a
Gotheborg, una delle maggiori città norvegesi, dove
infieriva l'ailcoolismo, rovinando la popolazione.
Una Società di filantropi riscattò tutti gli spacci di
alcool, ne limitò la distribuzione e ne alzò il prezzo.
impiegando il guadagno nella fondazione di sale di
lettura aperte a tutti, di spettacoli popolari, e spe-
cialmente nella costruzione di un gran parco, lo
Scottborg. dove a poco a poco la popolazione fu at-
tirata dal fascino vegetale che vinse quello mali-
gno ilei veleno.
Altre pnne del culto dei fiori sono date dalla filo-
I -a parola fiorire, che letteralmente si-
gnifica la funzione naturale del fiore, si adopera
nel senso ammirativo dello sviluppo rapido e fecon-
do: un'impresa o un'idea fioriscono quando sono in
condizioni di rigoglio; una persona è fiorente quan-
do è bella, sana e rig gliosa. Il parlar d'amore è. per
i Francesi, conter fìeurette ; da lleur derivano fleurt
e flirt; fioretti erano le invocazioni poetiche dei
santi, e Paradiso e Eden vogliono dire giardino. Si
dice ' ■ me un giglio ». « fresco come una rosa ».
« modesta come una violetta i ; gli stornelli toscani
prendono sempre lo spunto dal nome d'un fiore. Il
culto incosciente del popolo si esplica nelle opere
dei poeti, dei letterati, dei dotti. Per descrivere co-
me si rianima il suo coraggio, Dante ricorre a una
similitudine floreale:
Quali fioretti dal notturno gelo
Chinati e chiusi poi che il sol gli imbianca
Si drizzali tutti aperti in loro stelo...
E Giulietta, quan<' perto che Romeo è
figlio di nemici, protesta:
Oh tu avessi altro nome ! e che v'ha mai
Nel nome? Il fior Chi ■ noi detto
t'ti "tozzo soave avria del paro
Con alno nome: tal Romeo, se pure
Romeo non si nomasse, avrebbe tutti
I cari pregi ond
Anche i filosofi e i sociologi rie.irrono a imma-
gini similmente poetiche. Nel secolare viaggio del-
l'umanità, dalla barbarie primitiva alla vita affret-
tata dall'età nostra, la poesia dei fiori sta veramente
come « una rosa cresi-iuta in mezzo al ferro ». co-
me un simbolo che nell'anima umana sboccia e ver-
deggia sempre un germe d'idealità.
558
LA LETI i RA
Gli eroi del Zagara
Magazim . i di maggio .
■ lei N'iagai che siili.
della grande e aericana hanno compiuti
ardimento tanto pò uanto meravigliose,
in n dibili, come Sam
h, che in uno dei suoi salti mori, a coloro < he
si las iarono n lari in per le i apide chiusi enl n
barili di legni i. Tra oi » uno dei più i li
l'i. ni fu il francese Blondin. Nel 1859 egli distesi
fra li e li Wirlpool Rapids una corda ab
1 astanza sottile e lunga quasi quattrocento metri ;
poi, camminando sulla corda, percorse quella di-
1. 1 >< pò i primi cento metri, si sedette sulla
corda, si distese sul riorso, si rialzò, si resse su una
gamba sola e riprese il cammino. A metà strada,
V$g&*
La travi
tata <li Maria Spelterini.
si sedette, calò una fune ad un vapore sottostante,
su una bottiglia di champagne, la bevve, ri-
saltò in piedi sulla corda senza toccarla con le mani,
e riprese a camminare, compiendo il percorso in di-
ciotto minuti. Poi torno indietro, fermandosi una
volta sola, in sette minuti. Dopo questa prima per-
formance, ne fece altre più meravigliose. Una vi
il cappello, contro il quale il capitano Tra
un famoso tiratore, sparò un colpo di pistola che lo
trapassò proprio nel mezzo. Un'altra volta Blondin
passò sulla corda spingendosi innanzi un can
ad una ruota sola. Un'altra volta ancora si porto
cu enipagno sulli un altra ancora fece il
aggio ad - 1 altra ancora lo fece
sui trampoli
IH giorni pi 1 una seggiola e ter
tersi Seduti Sfuggì e cadde Dell'ai'
qua, ma Blondin riuscì a riprendere l'equilibri)
Dopo Blondin alti equilibristi fecero il Nia-
llti . primo di tutti l'ita
liano Farini, che passò sui da con lega
dentro un • hio d'acqua, vi
ltl..ii<lii
lavò dentro alcuni fazzoletti; l'americano Harry
Leslie, il signor Balleni, altro italiano. Maria Spel-
terini, ecc. E' notevole che a nessuno degli equilibri-
sti che si arrischiarono sul Xiagara capito mai alcun
male. Non si può dire invece altrettanto d
che sì arrischiarono nell'acqua anziché nell'aria,
sebbene a qualcuno l'impresa sia andata bene.
Il capitano Robinson, con il battello a vapore
Maid of the .Vis/, affronti') le Whirlpool Rapids
viaggiando a tutto vapore. Il battello perse il
camino, fu preso nel vortice, ma ne uscì fuori, e
in poco tempo giunse all'acqua quieta senza danno
considerevole.
Passi, circa un quarto di secolo prima che altri
J. Robinson e il sue. battello.
Il battello di Nissen.
La signora Taylor, l'ultima eroina del Niagara.
.1 .1 1
\ I
G. Hazlett e Sadic Alien.
tentasse simili imprese. Nel 1883 il capitano Mat-
thew Webb, un famoso nuotatore inglese, traversò
l'Oceano per tentare i gorghi del Xiagara.
Il 24 luglio di quell'anno, entrato in un piccolo
battello con Jack McCloy ai remi, si diresse verso
un punto p< 1 uno. A poche centinaia di
piedi dalle rapide, saltò giù dal battello, e in mu-
tandine da bagno si mise a nuotare vigorosamente,
finché, giunto al punto ove la forza delle acque era
più violenta, sparve nelle onde. Quattro giorni dopo,
il suo cadavere fu trovato sette miglia lontano.
La triste sorte capitata al Webb, invece di sco-
raggiare, stimolò altri a tentare la stessa impresa.
■erto Carlisle Graham, di Filadelfia, si vantò
di passare per le rapide chiuso in un barile. Xessu-
gli credette, da principio, ma un bel giorno egli
si presentò sul Xiagara col barile già pronto, e,
le alla sua parola, passò le rapide in trentacin-
que minuti senza incidenti. Dopo ciò. egli an-
nunziò che avrebbe ritentato la prova, ma qui
"Ita. invece di star tutto chiusi, nel l'arile.
Oli la testa libi 1 ; erta.
Infatti ridusse in atto tale progetto, ma un'on
entissima gli tolse quasi completamente
l'uditi Di pò d'allora, Graham, punti
ripel 1 i L'ultima
di morir soffocato.
Gral numerosi imitatori, fra gli ai-
William Pi tts e Georgi Hazletl il quale
ultimo rifece poi il viaggio in 0 mpagnia di
una donna, m - lie Alien, tutti e due 1 I
in un barile.
L'idea del barili 1 altra più pei te/ii nata
■ li un a battello .li sicurezza ». In uno di questi
Charles Percj I . Ite il viaggio delle rapide,
nato, una volta da William Dittrich. Al
Però) Sorse un cono nenie nella persona di Robert
William Flack, che propose una corsa attraverso le
le. Il .| luglio 1888 fu il giorno l'issato per l'e-
merito, Il bau -Ilo del Flack era estremamente
.mi. . i he molti so n ino al naviga-
ci tentare la prova; ma Flack non volle ce-
& 11. mi' . prin 1 rare in gara, volle len-
ii viaggio ila Si lo POCO dopo che il battello fu
qua. un'ondal 1 Fi rmidabile lo lanciò in aria
un Ito lontano e rovesciandolo.
Perry, l'avversario di Flack, che assisteva alla
scena da terra, tentò, affrontando le onde, di sal-
vare il disgraziato che era caduto proprio sotto il
battello, ma non trovò che un cadavere.
L'anno seguente. Walter ('. Campbell, accompa-
gnato da un enne, si mise in una barca per passare
I Miagara. Fortuna volle che la barca fosse fermata
dagli scogli prima di giungere al punto ariti
npbell potè a gran fatica giungere alla riva. Il
enne morì.
Il capitani Nissen costruì, appunto per passare il
Xiagara. un battello che si potesse chiudere ermeti-
camente. Egli si lasciò trascinare per le rapide due
volte. La prima il battello uscì dalla prova molto
malconcio ; la seconda volta il battello andò a dirit-
tura ] ien luto, e fu proprio per caso che Nissen e
certo Ridi, che lo aveva accompagnato, poterono
saltare a terra prima di trovare la morte.
Il venerdì 6 settembre igoi. una donna. Martha
Willard, una vittima.
HALLE RIVISTE
56 1
Wagenfuhrer, ripetè l'esperimento di Graham chiu-
dendosi in una botte, e tutto andò bene. Miss Maud
Willard volle seguire il suo esempio accompagnata
da un cane. La botte resistette alle ondate ed al
vortice, ma rimase in balìa dell'acqua molte ore
prima che potesse essere tratta a terra.
Quando fu aperta, il cane saltò fuori allegra-
mente, ma si trovò che miss Maud era morta di sof-
focazione. Forse, se non fosse stata accompagnata
dal cane, avrebbe avuto aria abbastanza da respi-
rare e si sarebbe salvata.
L'ultima traversata, la più pericolosa di tutte
In balia delle onde.
certo, fu quella della signora Taylor, che, unica si-
nora, affrontò non solo le rapide, ma la maggiore
cascata del Xiagara. Prima anzi di giungere alla
cascata, c'era da traversare più di un chilometro di
rapide. Scortata da un battello, la botte si avvicinò
al precipizio. A poca distanza dal gran salto, un
oolpo dato sul... recipiente avvertì la donna chiusa
dentro che si era al momento critico. La folla che
assisteva all'audace prova, non fiatava. Sull'orlo
della cascata si vide la botte . sbattuta qua e
là dalla spuma vertiginosamente, sparire nell'abisso.
Pochi minuti dopo, si rivedeva la botte ancor sana.
giù in basso. Fu tosto tratta a terra ed aperta. La
signora Taylor ne uscì fuori un poco contusa, ma
salva.
ha diminuzione della popolazione.
La Francia è giustamente preoccupata dallo spo-
polamentc che ni minaccia la potenza militare m
confronto colle nazioni emule sui campi, ora Mar-
cel Reja nella Bevue Bianche vorrebbe constatare
tssamento della popolazione è universale.
Secondi, i lavori di Holt Scholing, il numero delle
nascite per 120.000 abitanti dal ls74 al 1S98 sarebbe
Diminuito :
Per la Francia di 35 — per la Germania 40 —
per l'Austria 21 — per l'Italia 21 — per gli Stati
Uniti 52 — per l'Inghilterra 61.
Secondo tali dati, la Francia non avrebbe fa
altro che precedere le altre nazioni in questo mo-
vimento di diminuzione.
La Lettura.
Ita liegion d'onore
in una democrazia
(Dalle Leclures pour toìis).
Non è ceri 11 he si possi no compen-
sare i servizi resi alla patria o all'umanità, giacché
nessuno sognerà di stabilire le tariffe del patriotti-
smo, della filantropia, dell'eroismo o del coraggio.
Ls virtù non ha prezzo e non può essere compensata
■ 'alla società che con un attestato riconoscente, atte-
stato che esso pure non avrà prezzo materiale come
una corona di qui rcia o di alloro, una piccola croce,
una stella.
I greci e i romani avevano le loro corone civiche,
il medioevo ebbe gli ordini cavallereschi, l'evo mo-
derno ebbe i suoi cavalieri e le sue commende. Ma
la grande rivoluzione di Francia le travolse come
un uragano.
Napoleone, primo consolo, sentì però il bisogno
di una decorazione che ricompensasse il merito
guerresco e civile e la mezzanotte del 19 mag-
gio 1802 egli creava la Legion d'onore.
Era una nuova stella che sorgeva nel mattino di
un'epopea di battaglie che avrebbe brillato fra il
fumo delle batterie, sulle torri delle città da con-
quistarsi, oltre la riva dei fiumi da guadarsi, so-
spiro supremo dei battaglioni napoleonici. E mi-
gliaia e migliaia di vittime caddero col rantolo alla
gola e con negli occhi ancora il bagliore beffardo e
lontano -della stella ch'essi avevano invano sognato,
ma altri sui campi stessi di battaglia la videro fra
il fumo delle trincee scendere sul loro petto eli eroi.
Poi la stella affascinante ha viaggiato lontano,
lontano, e brillò in Italia, in Crimea, in Cina, in
Africa, al Messico... brillò fra gli uragani degli 0-
ceani, brillò di un pallido albore di letizia fra i
bianchi lenzuoli degli ospedali, fra le bianche cuf-
fie delle suore delle ambulanze, eroine sul campo di
una silenziosa battaglia.
Ma quale storia, quale lunga storia di eroismi
e di dolori! Il 13 agosto 1812 il XXIII cacciatori
si lanciava alla carica contro i serrati battaglioni
nemici nell'infausta spedizione di Russia. A un
tratto fra la polvere della moschetteria, sul suo
splendido cavallo, ecco arrivare l'Imperatore. Im-
mense grida si innalzano: n Vive l'Empereur ! >
Napoleone ne è commosso; le palle grandinano at-
torno, ed egli, volto al capo del reggimento, gli co-
manda di distribuire 18 croci della Legion d'onore
ai soldati che ne saranno più degni. Le cariche si
susseguono alle cariche, le palle nere e sibilanti pas-
sano sullo toste e fra le file dei cacciatori e fra
l'onda di quella musica terribile e selvaggia il co-
mandante proclama i nomi ilei 18 decorati.
Altra volta, dinanzi a Ratisbona. Napoleone stes-
so distribuiva le di 1 -orazioni. Un vecchio granatiere
esce dalle filo e domanda la a
- Ma. - l'interrompe Xapoleone, — che cosa
hai fatto per meritarla?
36
LA LETI
— . che nel deserto 'li < riaffa,
quando \ morente ili sete, vi ho dati un
I acqua.
— Ci<'> va bene e ti ringrazio, ma un popone non
merita la Legion d'onore.
1 allora il granatiere, fino alloca freddo, come
la canna della sua ape:
— E n n o ntati dui pi nte
d'Arcole, a Lodi, a Castiglione, alle Piramidi, ad
Austerlitz..., undici campagne in Italia, in Austria.
in Egitto, in Prussia, in Polonia, in...
— Basta, basta, interruppe l'Imperatore ridendo,
qm , v, più del tuo popone, lo ti faccio
cavalii n dell'Imp i i 1 1 i meni d'api
nagg
— Ma, sire, io preferisco la croce!
— Tu hai l'uno e l'altra, giacché io ti (acri,
va lini'.
Ma io prefi la croce !
E si dovette durar fatica a persuadere il vec-
i neva an-
che quella di cavaliere della Legion d'i r* n
Quasi un mezzo secolo dopo, quando la vecchia
Guardia dormiva nei cimiteri (>]•<• russe e di
Waterloo, nella titanica battaglia di Solferino il
fuciliere Clevel vide sul limitare di un picco! I
se una bandiera gialla; cinque austriaci la difen-
devano; giovane e bollente non ebbe che una ispi-
razione: inast.'i la baiunef se alla carica.
Quattri palle gli sfiorarono il cranio e le spalle.
egli spianò il suo fucile ed uno dei nemici cadde
indo. V colpi di baionetta arrivò allora alla
bandiera, la Strappò dalle mani austriache e fiero
e su; itrò negli accampamenti francesi. Egli
ebbe la Legion d'onore e Napoleone III volle che
la croce degli eroi brillasse anche sulla bandiera del
suo reggimento.
Dop i soldati, li suore di carità.
Suor Rosalia, nata nel paese di Gex ai piedi del
Giura. \ ii in una atmosfera di tragedie:
ella vide l'invasione del '15. il colera del '32, li-
giornate sanguinose del '48. Nel 1815 si getta ai
li di un generale russo che aveva ordinato la
fucilazione di un soldato e ne ottiene la grazia.
I1 pò la rivoluzione del '30. ella dona l'ospitalità
ai perseguita''! politici la cui vita è minacciata. Nel
'32 essa .'• nel lazzaretto fatale di Saint Marceau
di fianco ai 150 morti quotidiani che vanno al cimi-
Nel '48 ella si lancia dinanzi alle bocche dei
fucili spianati entro un povero ufficiale e ne ot-
tiene la vita.
E il 28 febbraii del [852 un decreto di Napo-
leone III le confi riva 1 I on d'i non-.
Un altro eroismo femminile fu messo all'ordine
del gii rno.
Nel 1870. all'epoca dell gurata tran
co-prussiana, la signorina Giulietta Dodu non a-
e ventanni ed del piccolo uf-
fici Piti rs. Il setti quel-
l'ai rribili ulani piombarono sul vii
i prussiani stabilirono nell'ufficio della
1 1 chi di trasmissione.
Di 11 era fuggita, ma nascosto Ira li
aveva ra] ri piccolo ricevitore Mot
con quello prese la campagna. Sulla grande
hn iers-< Irléans vibravano i ti rribili
lacci misteriosi di Moltke. dispai labili
che preparavano l'ecatombe napoleonica. I
ijnel di. in p lagna, 1 li du lanciò i
fili sul filo d'i >rléans 1 gli
ni fatali: erano il piano di un attacco ci
ntro un batta-
si rprc-s.:. mr. .• pre-
tempo alle deboli forze di ritirar?
vitando un'inutile morti. L'eroina fu sorpresa, im-
prig ndannata alla fucilazione, poi graziata
-s,- giammai la croce della Legion d'onore brillò
su un petto più degno e pivi fremente di coragg
di eroismi !
I risultati di una inchiesta poetica
La rivista Wilma cJ Aiti rivolse tempo addie-
tro ai letterati italiani una serie di domande in-
temo ai poeti m sir e stranieri. Centoquindici fra
gl'interrogati rispi seri e le domande e le ris;
soni • le seguenti :
I. — Quale credete il maggior poeta del secolo
di cimi ni m . 1 ra nielli che nacquer '
dentro il secolo? — Ebbero 81 voti il Leopardi,
16 il Foscolo. 14 il Manzoni. 4 il Monti e 3 il
Giusti.
II. — Quale preferite tra i morti? — Ebbe
ora maggiori voti, 52. il Leopardi; il Fos
35 più 5 con riserva; il Giusti 12 ; il Manzonin ;
il Prati 4 con altrettanti di riserva; lo Zanella 2
2 di riserva, ecc.
III. — Quale preferite tra i viventi? — Il
Carducci riportò un vero plebiscito: ebbe 91 \
più 4 con riserva. A grandissima distanza veng
il Pascoli con q voti più 4 con riserva; il Rapi-
sardi con 6 e 2 con riserva; il Graf 4 e 2 con ri-
serva ; il D'Annunzio 3 e 5, il Marradi 1 e 4-
I \" Quale poeta straniero, dal 1800 in
vi lasciò nell'anima la più grata e durevole im-
pressi* L'Hugo ottenne 39 voti più 11
rva; l'He Shelley io più 6 ; il
Goethe Q più 6; il Whitman 6 più 1 ; il Mi
5 e 5 ; il Byron 2 e io ; il Lamartine e il Lon§
j ; il Tennyson e il Baudelaire 2.
Furono anche ricordati, fra i nostri, il Niccolint,
l'Altieri, il Berchet. l'Ali irdi. il Praga, il C
. il Ferrari, il Mazzoni, la Aganoor. il
il Colautti, lo Zena. 1" Stecchetti, il De Bosis. il
Cabianca, ecc.; e fra gli stranieri il Petof,
ranger, il Vigny, il Rodembach. il Keats, il
eskiewicz, il Fenati, il Muore e qualche altro.
DALLE RIVISTE
563
Ita scuola delle mogli
(Da un articolo del Lady's Magazine)
dalla signora Pillow esaminatrice delle insegnanti
della Sem la nazionale di cucina, che fa un rap-
porto detta
l'istru
E si i multe volte che I'istruzi< ne supe-
ri* re delle donne dovrebbe essere equivalente ma
non identica a ([nella degli uomini: la stessa ec-
cellenza, la stessa serietà di propositi, ma ord
allo so pi definito di preparare ciascun individuo
alla missione che gli spetta nella
vita '. Quante sono le donne che, con-
seguito un diploma di dottoresse, si
ino poi arenate di fronte al più
semplice problema della vita dome-
stica ! Tale catastrofe non può non
amareggiare la giovane diplomata i
renderla triste e malo ntenta ; per
che essendo ordinariamente la cura
della casa l'occupazione principale
.iella donna, una conoscenza della
gestione domestica è assolutamente
.iria.
Queste riflessioni hanno fatto sì
che in parecchie scuole superiori inglesi si istituis-
i corsi per le donne di casa ». Nella North
field House, a Stamford Hill, ^
v'è urj corso pratico speciale
per la scienza domestica, corso
che, nelle mani capaci di miss
Alice R. James, può dirsi la
scuola ideale delle mogli in
tutto il senso della parola. Il
programma è pratico ed utilis-
simo. 11 a rso comprende lezio-
ni di tenuta della casa, di cu-
cina, d'igiene, di cura dei ma-
lati e dei bambini, di lavori
femminili, e via dicendo. Le e-
sercitazioni non sono compiute
in una scuola modello, ma nella
toarding-houst (pensione) che
è annessa al collegio . ed ove
non si impiegano che gli utensili co-
muni, e tutto procede come in una
ordinaria casa borghese.
Vi sono due domestiche per compie-
re i lavori che non possono fare le
studentesse sin che studiano la parte teorica ; ma in generale
sono le studentesse che hanno cura della casa, sotto la dire-
zione della direttrice, una signora provvista di grande espe-
rienza tecnica. Le ragazze spolverano, scopano, puliscono ve-
tri e metalli, fanno le compere, cucinano, lavano, insomma
attendono a tutte le cure che costituì i l'occupazione delle
nostre domestiche.
V'ha un orario che viene seguito scrupolosamente. Ogni
studentessa assume una lettera dell'alfabeto che tien luogo di
nome, ed ha un programma settimanale, per modo che sa
tutti i doveri che le incombono. Il corso è in parte teorico e
in parte pratico. Xel pomeriggio d'ogni giovedì si fa come una
ripetizione di tutto quanto si è imparato nei sette giorni
precedenti e si sottopongono le alunne ad un esame generale.
Una volta l'anno , poi , le studentesse sono esaminate
gliato dei progressi e dell'efficacia del-
l' consegna diplomi a quelle che han-
no saputo guadagnarseli.
Le studi-messe portano
un abito speciale da la-
voro con maniche e
grembiale di tela bianca.
Attualmente non risiedo-
no tutte nel collegio, ma
si sta cercando modo di
farvele stare.
Fra le cose che si inse-
gnano, v'è la soprinten-
denza generale della casa.
Le ragazze Imparano inol-
tre come bisogna prendere
In faccende.
564
<• trattare le domestiche, fare
, , iver cura del i ristaili ■
,1, 11, orare i muri e le finestre, appi
chiare le tavole, teucre i conti della gestione d
stira, e fare le pulizie generali d'autunno e 'li pri-
mavera, pulire i quadri e i lavori d'intars
LA LETI l kA
dere il fuoco, servire
a tavola, ecc. 1 prin-
cipi generali di illu-
minazione, riscalda-
mento e fognatura
formano anche paile
importante del tiro-
cinio della North-
tield House.
Nelle scuole di
cucina si comincia
dai piatti semplici
usati nelle case
inedie borghesi e :
si passa, nel secondo
anno . alla cucina
più raffinata, d'alta scuola. Si insegna l'uso e il va-
lore dei diversi alimenti, s'insegna ad utilizzare la
carne fredda, a far salse, brodi, gelatine, ed a pre-
sentare i piatti artisticamente. Accompagnate da
una sovrintendente, le studentesse vanno per le bot-
■..-. ordinando la carne, le erbe, le frutta, e così
imparano a conoscere i prezzi ed a giudicare le
«[ualità.
L'idea di insegnare ciò che gli inglesi chiamano
hofping, l'andare attorno, cioè, pei negozi a
lare acquisti, è eocellente. Per molto che una donna
conosca la teoria della gestione domestica, se non
losce bene l'arte dello shopping, è necessaria-
menb ' lo con l'espi
he e pei mercati si possono apprendere
i principi dello shopping, l.a novizia prende ciò
le danno, senza I ./ioni, senza avere
prezzi, delle Si B >'.. e p I
n mangiabili e spaventi
mente care. I.a Uioppcr sperili i ciò che
vuol' ' ''''■'■ ed e
anche una cliente che piace ai bottegai. Se
n insegnasse alle alunnne altro che
*g, sarebbe già soltanto per que-
na istituzione utilissima,
l.a cura dei malati comprende un corso .li in-
fermeria ordinaria, in cui si insegna come si
debba provvedere all'alimentazione del paziente,
ali,- medicine, agli impiastri, come va tenuta la
.i di un malato. 1.- precauzioni speciali da
,li morlii infettivi, e via disi
ma U- stui
ad una li tenuta di libri ed un'alti
cata esclusivamente alla cura dei bambini; più
vari( di lavori on esi luso qualche
ins, | mila e, ni. zi. ih- degli abiti più sem-
plici fnfj, do di fan- economia sul
; ustibile .• in altre 1 1 - che yi i costituire
le nell'economia domestica.
Quali risultati dà questa istruzii
[ risultati supi ni aspettativa. La /
' sfic Science School di
Xorlìeld non manca di
al! i< ni età, che
vengi no per la mag-
parte dalle classi
medie. Molte sono si-
gnorine che. fissato il
ino del matrimonio,
si ricordano che non
sanno come va tenuta
la casa. A scuola an-
che le meno portate ai
lavori di casa, sono pre-
se da un vero entu-
siasmo.
Prima ilei pranzo e di
Molte delle alunne della Domestic Snellii- School
si sono maritale, e non vivono nel timore continuo
ili non saper come tirare avanti quando si trovas-
sero improvvisamente senza domestiche
.. Vale la pena, dice concludendo l'autore del-
l'articolo eh.- riassumiamo, ili spendere un poco di
denaro e di tempo per acquistare cognizioni che
i inde importanza nella vita di
una donna. ricca o povera, maritai
m bili . sia donna " scientifica » , sia add
'a •.
DALLE RIVISTE
565
fra i pinguini
(Da un articolo di C. E. Borchgrevinck, nello \\ ide World
Magazine, di maggio).
Fra gli uccelli che si trovano in prossimità ilei
circolo polare antartico, a nord e a sud del circolo
stesso, sia in terra, sia in mare, il pinguino è certa-
mente il più interessante e il più caratteristico. Vi
sono diverse varietà di pinguini, diverse come le re-
gioni che essi abitano. Il pinguino della regione po-
I pinguini delle regioni australi.
lare antartica è alto presso a poco 29 pollici ; ha il
corpo ovale, e le zampe posteriori poste così indietro
che lo fanno somigliare stranamente, quando cam-
mina, ad un essere umano. Cammina ordinariamen-
te appoggiando tutta la pianta del piede sul suolo,
e assai di raro si solleva sulle punte delle dita.
Sebbene i pinguini siano ottimi nuotatori, i loro
piedi non sono così largamente provvisti di mem-
brane come quelli delle anitre.
Le loro ali si, un pico le come gli arti anteriori deb
la foca, ai quali somigliano sia per l'aspetto esterno,
sia per le funzioni. Inutile dire che quegli organi
non servono per volare: i pinguini non volano. La
testa è grossa; la parte superiore del becco sporge
sull'inferiore, ma non curvandosi, bensì prolungan-
do in linea retta l'osso superiore del cranio. Il pin-
guini- è coperto tutto di penne corte e vicinissime le
une alle altre: quelle della coda un poco più lun-
ghi . 1 |uelle 1 tei dorso sono nere.
I pinguini vivono tra la terra e il
mare. Sulla spiaggia, specialmente
quando non c'è ghiaccio, sono molto
lenti ; ma sul ghiaccio sono rapidissi-
mi. E' curioso vederli procedere sulle
superfici ghiacciate, distendendosi sul
ventre e strisciando a grande velocità
senza spingersi che con le zampe po-
steriori a grandi passi. L'autore del-
l'anici ilo. che ha passato molto tempo
nelle regioni polari antartiche, si è
provato molte volte ad inseguire qual-
che pinguino sopra il ghiaccio. A vol-
te gli animali cercavano di fuggire
correndo in piedi, ma erano presto
raggiunti, e allora, nell'imminenza del
pericolo, si gettavano a terra, e in bre-
ve tempo sparivano, sfuggendo al per-
secutore.
Ma il vero elemento del pinguino è
l'acqua, ove si muove a grandissima
velocità. Impiega le sue ali rudimen-
tali più per tenersi in equilibrio che
per darsi moto, e anche i piedi, pro-
babilmente . rappresentano una parte secondaria
nella locomozione acquea di questi strani uccelli.
L'autore ritiene che il moto velocissimo del pinguino
sia dovuto a un mutare alternato e continuo del
centro di gravità. Quando escono fuori dall'acqua,
hanno una grande velocità, perchè nell'ultimo tratto
della corsa in mare si danno una fortissima spinta
In processione.
506
LA II !
pei ;■ ni- sui blocchi ili ghiaccio i sulle che pruni, si scopriva, gettava un lieve grido,
per avvertire i compagni, i rompi va la linea e veniva
I pii molti roisi. .in . noi ino alla nostra volta. Giunto che era a noi, si fermava,
£ f f * 4* +
♦ * *
Pinguini in viaggio.
i do, dal (inali- sono ben riparati dal grasso
e dalle piume; ma resistono molto anche alle fe-
rite, tanto che è difficile ucciderli. A volte, dopo es-
sere stali molto maltrattati dai cani della spedizio-
ne del Borchgrevinck, continuavano a passeggiare
tranquillamente, come decisi a prendere ciò che Dio
mandava, senza protestare.
L'autore racconta come, dopo una spedizione poco
fortunata verso il sud. nella quale egli e i suoi com-
molto avanzati nella regione polare.
si riti i primo pinguino il giorno i| ottobre
del 1899. Il naturalista della spedizione era grave
dato, anzi in punto di morie, ma volle che
il pinguino si uccidesse per < ■ .e:. irlo.
0 II giorno 1!. I .inii re. arri\ arono
altri | evidenti menti .0 1 vano percorso
grandi distanze. Ben presto una schiera continua
di pinguini ma di noi dall'immen
revano pi pi. coli in .mini che
|in ■ «dessero l'uni - ill'altro, con le brai
ani le ali spiegale j er regi
l isi ni .n avevano affatto ■ paura
l'i noi; torse ci prendevano per una nuova sp
di pinguini. Alcuni ci venivano proprio vicini
.'torno gravemente 1 olenni
ano su noi, prima di andarsene a m
-
minavano in fila uno dietro l'ai
uno sulle pedate dell'altro. L'unica d dalla
via ref.i avveniva quando qualcuno di ni
ni compariva in vicinanza. Allora il pinguino
e dietro a lui venivano e si fermavano tutti gli altri
pinguini, come i vagoni di un treno, che si arrestano
tutti dietro la macchina, quando la macchina si
arresta. Il primo pinguino, dopo averci
ben bene, si metteva in moto e ci girava attom
gli altri seguivano gravemente. Ciascuno degli uc-
celli, soddisfatta la sua curiosità, se ne andava ; e
così uno per volta ci venivano a guardare per tutti
i versi, senza rompere mai l'ordine stabilito, e poi
raggiungevano la fila principale e riprendevano il
mino interrotto. Visti di dietro, i contorni dei
loro dorsi neri spiccavano stranamente sul gran
Campi bianco della neve ; il 1 lasso lento, le frequ
fermale, il silenzio grave quasi di tomba, prode
uno Sembrava un funerale.
Ina colonia di pinguini offre uno spettacolo v
ramente strano. (ìli animali si riuniscono in
di c-inquanta. sessanta, talora anche più : e si
! 1 . ano nidi di pietre. Le colonie sono molto vi
luna ali lo che si vedono talora mi-
di pinguini ritti in piedi, l'uno ila!
in. sui li r. nidi, con il muso rivolto per lo più
dalla Stessa pane, e che gridano continuami
1 igrl i,.dche pinguino indiscipl 1 Ito il
momento in cui un suo compagno vicino
da un'altra parte, si prende il gusto di entrargl
nido e magari di guai ■ appa più
pi, -sto eli. I i1 : .. rtosi dell'oltraggio e del
no subito, si dà a inseguire il delinqui te
tutti e due corrono in ino//., alla lolla, urtano
compagni, gettandoli qualche volta a terra, e gri-
LiALLE RIVISTE
567
dando. Spesso la lotta non ha luogo, perchè la folla
impedisce al persecutore di raggiungere il colpe-
vole. Al li ra. sempre stando in piedi, si percuotono
furiosamente con le ali, finché queste siano unte
malmenate, e il bianco petto coperto di sangue.
Il curioso è che le più volte il vincitore si a ntenta
della gloria e lascia che l'altro si stabilisca sul nido
I pinguini vanno spessissimo in acqua pei ba
gnarsi e per pescare. Vanno a gruppi di cinquanta
, nto, e si radunano sulla spiaggia 0 su un luogo
alto sopra il mare, e quivi si fermano come esitan-
do. Si cerca in qualche maniera di attirarli in acqua
irò la loro volontà, rifuggono quasi rabbrivi-
dendo, come chi tema l'impressione del freddo. Alla
fine, quandi) si risolvono a bagnarsi, non vanno giù
tutti in una volta, ma va avanti uno solo, che si
mette a mare con un salto, gettando un piccoli 1 gri-
do e scomparendo sotta Allora gli altri gli vanno
dietro rapidamente ma uno alla volta e avendo ben
cura di gettarsi proprio nel punto preciso ove si è
ito il primo. Probabilmente fanno così perchè
sanno che spesso girano pel mare piccoli massi di
ghiaccio, che potrebbero far male ed amano man-
dare avanti un esploratore. Quando si sono ben per-
51 asi che non ce nessun pericolo, allora si fanno
animo e vanno giù tutti.
I pinguini non vengono quasi mai a galla. Se
vogliono respirare, vengono fuori per un momento,
ma subito dopo tornano ad immergersi. Pare che
essi possano empirsi i polmoni in pochissimo tem-
po. Se l'acqua è chiara, è possibile vederli quando
giuocano a rincorrersi o a nascondersi fra le promi-
nenze ilei fondo del mare.
E' stato notato che i pinguini sono uccelli molto
vanitosi. Uno di issi che abbia una macchia sul
ntre , 1 sservato dagli altri con curiosità e
fattooggetto — ilice l'autore — delle e. nversazioni
iali. Tutti si divertono a bei-culo e si direbbe
he lo deridano, tanto che alla line l'infelice è CO-
o ad andare a lavarsi.
Vii uno varietà di pinguini si fabbricano i nidi
su alture che raggiungono anche un'altezza abba-
stanza considerevole. Siccome non possono volare,
impiegano molto tempo per salire sino in alto, e
anchi inolia fatica; spesso scivolano e cadono e
non son pochi quelli che così trovano la mone.
L'autore si diffonde a descriverci i o stumi del pin-
guino imperatore, che è più grande e più forte degli
altri. Un uomo solo potrebbe difficilmente lottare
da solo con quell'animale 1 he col becco e con le ali
sa difendersi molto vigorosamente. Peranche l'im-
peratore, quando vede che la difesa sarebbe inutile
ed impossibile, rinunzia al combattimento con la
massima filosofia. Quando è legato, se si vede sor-
liato, sta tranquillo e indifferente, per non at-
tirare l'attenzione; ma appena si voltano, becca la
ci ola che lo lega e, se non si giunge presto al ri-
paro, si dà alla fuga.
Mentre i pinguini adultiscono amanti dell'ordine,
i piccoli sono oltremodo turbolenti e danno molto
da fare ai genitori, che non solo debbono sovvenir
loro il cibo, ma anche sorvegliarli e separarli quan-
do vengono alle prese.
Allora tutti gli adulti depongono le rivalità e gli
odi reciproci e passano molta parte del loro tempo
a dividere i litiganti e a scegliere, di mezzo alla
turba in tumulto, ciascuno i propri nati, che pure
si somigliano tra loro come le uova da cui sono u-
sciti venendo al mondo.
Una colonia ili pinguini.
568
LA LETTURA
Ita grande scoperta archeologica
nel poro Romano
(Da un articolo .li Felice Barnabei, nella Nuova Ati
d< i 16 api
ii • Boni, il gii imo - dello scoi -
. mise in luce, negli scai i del Fi u i
mano, un monumento d'una importanza stra
nari.i. del quale si parlerà ] ler lungo tempo e che
sarà <li monografie e ili illustrazioni desti
nate a prender posto nei manuali di antichità e
nei libri di storia per le scuole E una tomba lu
quale ci i e al perìodo più antico della Ro-
ma primitiva, senza la possibilità ili quei dubbi, ili
quelli' controversie che: sogliono essere mimmi ali'
passioni imperanti purtroppo anche nel cam]
tifico. Tre anni or sono, quando lu scoperto nello
stesso I 'in altro memorabile monumento, cioè
il cippo i rizioni arcaica rinvenuto sotto II t.i-
pis niger, poiché l'esplorazione dovè pn*-edere in
mezzo a molti' difficoltà, sotto la platea dell'era re
pubblicana, che era necessario conservare, fu |
sibile mettere In discussione la stratificazione di He
terre e la giacitura degli oggetti : nulla ili simile
può "ra accadere, trattandosi d'imo scavo fatto in
pienissima luce, e sotto gli occhi di tutti: chi non
ha voluto scendere a livello dell'antica tomba pei
vedere le o se da vicino, le ha potuto veder
l'alto, alla distanza di poco più di tre metri, rima-
nendo sulla vii Sacra, a lato della quale la tomba
è ricomparsa.
La scoperta del lapis niger provò luminosamente
come l'uso della scrittura in Roma rimontasse per
lo meno al periodo detto di Servio; il fatto fu di-
mostrato dai segni dell'alfabeto incisi nei massi
tufacei adoperati come materiali nel recinto di Ro-
ma, il quale si ritiene innalzato nel perìodo di quel
re. Lo provarono anche i segni incisi nei massi squa-
drati delle solidissime costruzioni tufacee, dello
stesso periodo, chi- formarono la base del gran li-
santuario entro cui lu venerata sul colle Palatili"
capanna abitata dal fondatore di Roma. Ma dove
vamo noi rassegnarci a riconoscere nel cippo iscritto
presso il Comizio il documento archeologico più an-
tico che di tutta la storia romana ci fosse perve-
nuto J Dovevamo rinunziare ad ogni speranza dì
rinvenire un documento di indiscutibile autenticità.
il quale, riferendosi all'età antei ci avvicinasse
al vetustissimi delli i rigini? A questo pi
riodo si sfùnge più avidamente il nostro desiderio:
è il più combattuto, quello che la ci
ha reso più controverso, quello dal quale rimania-
mo lontani pi r il tratto di parecchi secoli. I
parso che il procedimento metodico, nelle ricerche.
ci dovesse preparare le più sorprese; ma
dappertutto esso ci rieondusse ai monumenti ed
alle memorie fino ad un certo periodo, dove si arre-
starono come dinanzi ad una barriera insonni
bile, al di là della quale stava il campo delle me-
morie primitive
Qlicvto rampo non appariva soltanto inacces
sibile; pareva distrutto: altre costruzioni, altre
memorie lo avevano occupato; e la
tali costruzioni, la profondità alla quali fu mi
irne le fondamenta, rendevano più che
bile l'ipotesi che nel fabbricare queste nuove i pere,
alcune durame la stessa a. altre nei ti
della Repubblica, alle quali si sovrapposero quelle
erette durante l'Impero, perfino le tracce dei mo-
numenti primitivi fi ssero andate confuse e dispi
Ma il lavoro paziente ha portati i suoi frut'i.
facendo scoprite il monumento preziosissimo i
servato, alla profondità di quattro metri, in un ■
-ino spazio rimasto fortunatamente rispe
nel corso dei secoli, tra le grandi costruzioni 'lei
pio di Antonino e Faustina e quelle della via
i innanzi alla Regia, presso le perniici del Pa-
latino. E' la tomba scoperta dal bossi. Cons
un pozzetto, con le pareti formate da pezzi di tufo.
in mezzo al quale era stato depositato un dolio fit-
tile, di impasto artificiale grigio scuro, lavorati
mano e rifinito a stecca col sussidio di un tornio ru-
dimentale, alto 43 centimetri o poco più, largo n
massima espansione 53, e chiuso da un copei
testudinato, di tufo. Dentro il dolio era un gr.c
re fittile, a grande corpo rigonfi 1 anse
attorte a fune, dello stesso impasto e dello stesso
lavoro; il suo coperchio imitava la copertura della
capanna laziale, con le costole ritraenti la
tura delle travi del tetto. Dentro il cratere stavano
gli avanzi del rogo, cioè ossa seminstulate coi pezzi
del cranio ; vi erano rimasti anche i denti, ma assai
consunti nello smalto. Attorno al vaso ossuario, i
vasi di corredo, tutti dello stesso impasto nerastro
e rifiniti egualmente a stecca. Due di questi vasi
sono da conserve, ed hanno le ci stole rilevate, imi-
tanti le cordicelle o la fasciatura di vimini con cui
questi prodotti dell'industria primordiale erano rin-
forzati. Un altro vasetto, pure da conservi
forse avere un coperchio di legno putrì fattosi
labilmente nell'umido. Vi era poi un piccolo attin-
gitoio con ansa cornuta, un fociilum, una scodella.
un piccolo recipiente in torma di vassoio, forse lu-
cerna; e tutti questi fittili di industria n»zza e pri-
mitiva, irano per forma '■ pei tecnii 1 somigliantis-
simi a quanti ne tornarono in luce dalle ti
antiche delle necropoli albane alli v'
1 'ave. somigliantissimi a quelli dei più antichi
1 ■ 1 -reti delle necropoli ili Velletri e di Vrdea nel
Lazio, e dei più vetusti ancora di ('aere, di
nii e di altre città della bassa Etruria
I apparenza di questa scoperta è modesta, ma il
pregio altissimo degli 1 rnati alla luce m n
pui 1 -Mie cosi 'uniti, dalla rarità della matei
CUI furono Fatti, ivvii" dal gusto dell'arte con cui
furono modellati o abbelliti ; bensì dal fatto che
mancano altri documenti dell'età a cui rimontano;
essi hanno quindi, benché di materia vilissim
uiti di ogni eh ganza, un alto valore che, indi-
pendentemente dalle circostanze di luogo e di l
pò, il metallo più pi n sarebbe stato ca]
di dare.
DALLE RIVISTE
Il sito della scoperta, per lo studio della topo-
grafìa della città, è sommamente importante: in
quella specie di sella che univa PEsquilino al Pa-
latino fin dai primordi dell'età regia si stabilì :1
culto di Vesta con l'abitazione delle Vergini Ve-
stali: lì, secondo la tradizione, fu decisa la sorte
della battaglia fra Romani e Sabini dopo il ratti.
delle fanciulle, quando il re sabino Tito Tazio,
conchiusa la pace, fu associato al regno di Rom< l< .
e il Foro diventò il campo dove cominciò a svol-
gersi la vita pubblica tra i Romani del Palatino e
i Quiriti del Quirinale riuniti in una stessa città e
chiusi da uno stesso recinto. Stando a ciò, fin dai
tempi che la tradizione chiama Romulei, il sito dove
è stata scoperta la tomba divenne sito interno della
città, e per conseguenza non dovette essere consen-
titi, di farvi sepolture. Questa tomba si deve quindi
far risalire a quell'età che precedette l'ultimo pe-
riodo Romuleo, e resta da sapere se debba riferirsi
alla prima gente discesa dai colli Albani sotto la
guida dei due figli di Rea Silvia e di Marte; op-
pure se debba considerarsi come un fatto isolato,
come un sepolcro che. pur volendo procedere con
la guida della tradizione, non si possa ritener colle,
gato col sacro colle a cui ci riportano le più antiche
origini della grandezza di Roma. Ma nell'uno e
nell'altro caso, stando ai dati della topografia, la
tomba rimarrebbe sempre il monumento più antico
tornato alla luce in Roma, il monumento che ci fa-
rebbe rimontare all'età più remota della sua storia.
Queste stesse conclusioni sono luminosamente
confermate dal modo con cui la tomba fu costruiti,
dal sito del seppellimento e dalla forma e dalla
tecnica dei fittili che vi si sono trovati.
Le tombe antichissime della bassa Etruria e del
Lazio, con le quali trova esatto raffronto quella ora
rinvenuta, si distinguono in due grandi categorie:
quelle a cremazione, consistenti in un cavo circo-
lare, nel cui fondo è il vaso ossuario con gli avanzi
del rogo, le quali si chiamano generalmente pozzi ;
e quelle a inumazione, le quali sono ordinariamente
buche rettangolari, grandi quanto bastava a conte-
nere un sarcofago quasi sempre di legno, più rara-
mente di tufo o di nenfro, entro al quale era depo-
sto con gli ornamenti personali il cadavere: queste
ultime si chiamano fosse. Il rito della cremazione
a ntinuò fino al periodo imperiale ; le tombe a inu-
mazione cessarono invece tra il sesto e il quinto se-
colo avanti l'èra volgare, allorché al seppellimento
entro un sarcofago depositato nel fondo di una
fossa rettangolare, si sostituì il costume di collo-
care entro una camera due o più defunti, in gene-
rale una coppia di coniugi ; questa camera rappre-
sentava la stanza del convito, e sulle sue pareti si
dipingevano scene di fanciulle eleganti e snelle che
intrecciavano danze in mezzo ai satiri, o scene di
saltatóri e di mimi, o rappresentazioni di caccie o
di banchetti ; e accanto ai cadaveri era disposto
tutto il corredo ricchissimo di vasi pel servizio della
mensa. Col succedersi delle generazioni, a poco a
poco, le camere mortuarie lasciarono il posto alle
569
grandi tombe di famiglia, poche di numero, ma
sontuosissime, a vari appartamenti, le quali rap-
presentarono le case dei ricchi quando si costitui-
n ini ' i latifondi e con essi venne a porsi in Roma
la quistione sociale propugnata dai Gracchi e ri-
soluta da Cesare con le leggi agrarie a favore dei
poveri.
Nondimeno, se le tombe ricche rappresentarono
le case dei ricchi, non mancarono le tombe povere,
che rappresentarono quelle dei poverelli, con que- '
sta differenza : che nelle tombe più antiche a inu-
mazione e anche in quelle a cremazione, a comin-
ciare delle primitive, si ebbe sempre il simbolo della
casa o si rappresentò la casa stessa nella sua forma
esterna ; mentre con l'uso delia camera sepolcrale
si raffigurò l'interno dell'abitazione. Ma il simbolo
o l'esterna figura della casa apparisce tanto nelle
tombe a cremazione, quanto nelle primitive a inu-
mazione, poiché in quelle, per lo più. gli avanzi del
rcgo erano custoditi entro urne che rappresentavano
la capanna in cui la famiglia dimorava ; in queste
il coperchio del sarcofago era di forma testudinata,
ossia rappresentava la forma del tetto della ca-
panna stessa. Queste tombe più antiche consistono
per lo più nel vaso che, formando il decoro della
tavola, è simbolo dell'unità della famiglia. E' il
vaso ove tutti bevono, il simpuvium dentro il quale
si custodiscono poi gli avanzi del rogo; gli serve
di coperchio la scodella di cui probabilmente il de-
funto si servì per mangiare la sua minestra di farro
nell'età primordiale. Digrossati poi i costumi e mol-
tiplicati i cibi, venne l'uso dei bicchieri, o dei /in-
cula, e degli attingitoi ; quindi i vasi minori col-
locati come corredo funebre intorno ai vasi del co-
stume primitivo, cioè all'unico vaso per bere e
all'unica scodella per mangiare. Più tardi ancora,
progredita l'industria fittile, gli avanzi del rogo
non si custodirono più dentro il vaso da tavola,
ma entro un'uma in forma di capanna, senza che
però fosse abbandonato il rito primitivo. Anzi ad
esso si toma sovente, conciliandosi i due costumi.
come nella tomba ora scoperta, dove, se gli avanzi
del rogo furono deposti entro un vaso da tavola,
non gli messa per coperchio la scodella, ma un'altra
copertura di carattere funebre , imitante il tetto
della capanna. E la forma di questo tetto rivela
appunto le particolarità di costruzioni che si no-
tano in capanne vetustissime delle necropoli la-
ziali, e particolarmente in una dissepolta nella ne-
cropoli antichissima eli Velletri.
Dunque per la ragione topografica, per il rito se-
polcrale, per la forma e la tecnica dei fittili rin-
venuti, non può disconoscersi che con la nuova
scoperta ci troviamo di fronti- a un documento au-
tentico, grazie a! quale sormontiamo la barriera che
ri impediva di penetrare nel campo delle memorie
primitive. La scoperta assume così il carattere ili
un vero avvenimento, ed è il premio della gri
impresa degli scavi del Foro Romano, la q
toma a grande onore del Governo e del O mune di
Roma e rende benemeriti degli studi e della patria
quanti vi attesero.
.>7"
LA LETTI' I \
ha fotografia del moto
] .1 pubblicazione dei diagrammi raffiguranti il
del i ivallo i tò grande interesse e molte
.li Alder Anderson, nel Pearson'i Ma
■
stremo sobborgo cecidi Parigi si
tro\ .i un lab i e strani
In luogo dell'arsenale ordinario di provini e 'li a-
lambicchi, il visitatore vede una gran varietà ili ap-
chi stravaganti, il cui uso sarebbe assai ditrì-
indovinan i muri som coperti ili dia-
abalistici, che si alternano con I
■ li una buona metà del mondo animale (compreso
l'uomo) in tutte le attitudini possibili e immagina-
bili. Il lai è diretto dal prof. Marey, uno
nel ninnilo tecnico è assai conosciuto
e che specialmente si è segnalato per i suoi studi
sul mi
Si può dire <-he non vi sia genere di movimento
che egli i bbia fatto i ggetto 'li studi profondi.
Perchè un uomo può saltare meglio di un altro.
quamlo non ve nessuna ragione visibile che possa
superiorità? In qual mudo recisamente
ili le acque quelle navi della natura
i pesci, e nell'aria quegli aereostati della
natura che si ino gli uccelli ?
Che differenza corre dal lavoro d'un facchino
sperimentato a quello di un semplice apprendista?
Qual'è il ni"do migliore di portare un grave peso,
di salire una montagna, di cavalcare, di dare un
pugno | er buttare a terra un avversario? Tali sono
alcune delle innumerevoli questioni a cui cerca di
rispondere il sistema d'investigazione del profes-
sore Mare\. Supponete, per esempio, che si voglia
analizzare il moto di un cavallo in corsa. Sotto o-
gnuno degli zoccoli del cavallo si pone una palla
di guttaperca vuota ed elastica, attaccata legger-
mente alla gamba del cavallo, t connessa con un
piccolo apparecchio tenuto in mano dal cavaliere.
Quando Io zoccolo viene a contatto col suolo, la
i per questo contatto sulla palla
vieni al tubo all'apparecchio tenuto dal
cavaliere, e fa si che il movimento venga registrato
da una punta che fa un segno su un piccolo cilin-
dro che si svolge con moto rotatorio. Ognuno degli
'li fa un segno diverso e la lunghezza del se-
gno stesi pianto tempo lo zoccolo è stato in
! liagramma mo-
ni relative delle zampe del cavallo
nella corsa.
Il passe -il una gallina.
Il passo di un cani .
ussioni, molto più che contraddiceva alle te» rie
generalmente ammesse. Per dimostrare la sei
Il'voln d' un "i
W V
* V
# n^nà #.%V ** w»r
Come un gatto cade sulle zampi .
'
<r
■i
Tè
V
(.'unir un pio ii iì' ' ridi .il suoli..
•>7-
i \ i i ri i R \
Fotografìe intermittenti <h un uomo che cammina.
delle sue esperienze, il prof. Marey invocò il sus-
sidio del fotografo, che con ventiquattro macchine
grafiche istantanee prese altrettante fotografie
di un cavallo corrente, fotografie che dimostrarono
1 sistema del Marey fosse buono, e come i
cavalli, correndo, eseguiscano pro-
pria i movimenti segnati dall'ap-
parecchio del professore francese.
Non è necessario spiegare, dice
a questo punto l'aliti re della
le di quanta utilità pratica possa
essere la conoscenza esatta di
do come si muove un cavallo. La
fotografia, rivelando il movimen-
te. si può dire, di ogni rm>
di ogni tendine, insegna ionie si
possa trattenere ciascun mi vi-
olento quando si vuole. Di più
le esperienze del Marey dimostra-
li' come molti quadri ove si vedi
i valli correnti siano sbaglia' i.
compresi alcuni di Meissonnier.
ti, quando gli fu detto ciò.
si mise a ridere, dichiarando che
avrebbe creduto alle fotografie
quando le fotografie avessero ra]
presentato i cavalli quali li dipin-
geva lui; ma poi dovette rirre
dersi.
Si sono anche eseguite foto
grafie di uccelli volant i
fie che riprodotte in un quadro
sembrerebbero grottesche, ma che
rispondano esattamente alla vi
rità. Talvolta le serie di inin
raffiguranti le diverse fasi del ni"
vimento sono prese su una sola
pellicola, con L'obbiettivo sempi
aperto in modo che la camera ri-
ceve continuamente le impi
ni ; talvolta, invece, si prendono
impressioni intermittenti ; tal-
volta, infine, si impiega una pellicola che si >>.
moto rotatorio. Ma per ottenere una serie ili
immagini distinte, conviene aprire e chiudere alter-
nativamente la camera o
l'obbiettivo.
1 )alln studio fatto sul modo di camminare degli
uomini, il prof. Marey ha potuto determinare la
maniera di economizzare al possibile lo sforzo mu-
si.ilare, in guisa da ottenere il massimo risulta-. >
con il lavoro minimo. Negli eserciti francese e russo
si è mutato il programma di
dest.ramento fisico appunto in ba-
se alle esperienze fotografiche del
Marey.
Tra le fotografie più notevoli pre-
se dal professore francese vanno
segnalate quelle sul volo degli uc-
celli e degli
insetti. Col
sussidio di U-
na specie di
fucile fotografico, come apparec-
chio, cioè, carico di pellicole anzi-
chè di munizioni micidiali, ma
migliante , quanto alla forma e-
stema, ad un fucile, si pren
innumerevoli fotografie. Inutile
dire che se ne eseguiscono parec-
chie diecine al secondo ; ma va
notato che se si raccoglie un nu-
mero molto grande di immagini
sopra una stessa pellicola che si
svolge in moto rotatorio, ne ri-
sulta un assieme altrettanto
fuso, all'occhio, quanto l'atto stes-
sa di cui si vogliono osservare le
diverse fasi. Ora si è escogitato
un mezzo di conciliare la rapidità
della fotografia con la nettezza e
la precisione dei risultati. Il si-
stema è semplice; invece di esa-
minare le fotografie direttali,
si fanno proiezioni delle sii
fotografie con la lentezza i he si
desidera, e sulle proiezioni in tal
tograi modo isolate si fanno gli studi.
Riproduciamo qui alcune delle
illustrazioni che accompagnano l'articolo del /Y<;r
son's Ma mostrano i risultati ottenuti
dal prof. Marey. Si vedrà come gli studi dello se
ziato francese diati., così buoni risultati che spie-
gano l'interesse crescente suscitato dal suo istituto.
DALLE RIVISTE
573
Intorno alle eclissi
(Da un articolo delle Leciures pour luta, di maggio).
Il fenomeno dell'eclisse è uno dei più meravi-
gliosi che sia dato contemplare all'uomo ; la sti
natura ne rimane stupita e quasi costernata. L'a-
stronomo Riccioli riferisce che si videro, durante
l'eclisse del 17 15, gli uccelli cadere morti dallo spa-
venta Nel 1706. a Montpellier, gli uccelletti nelle
gabbie nascosero la testa sotto l'ala come se fosse
sopravvenuta la notte; le bestie che tiravano gli a-
ratri si arrestarono. Arago notò simili atteggiamenti
durante l'eclisse del 1842 ; quando il sole riappar-
ve, si udirono i galli lanciare il loro grido mattu-
tino.
Dallo spavento delle eclissi sono nate molte leg-
gende. Gli antichi Scandinavi mettevano nel cielo
due enormi lupi: Moongarm e Fenris, che insegui-
amo continuamente il sole e la luna; quando uno
di questi astri cominciava ad oscurarsi, quei popoli
credevano che la bestia lo avesse raggiunto e co-
minciasse a divorarlo. Quando la luna si eclissava.
gl'Incas credevano che fosse ammalata e temevano
che. morendo, dovesse cascare sulle loro teste e
- h acciarli. E per esortarla a guarire, provocavano
gli abbaiamenti e i guaiti dei cani, ritenuti amici
del satellite. Gl'Indiani del Perù supplicavano an-
ch'essi l'astro d'argento, dandogli teneri nomi:
Mamma Luna! Mamma Luna! » {Marna Quilla!
Marna QuillaV). Cristoforo Colombo, durante il
suo quarto viaggio, alla Giamaica. vinse l'ostilità
degli indigeni minacciandoli, nell'imminenza di una
eclisse di luna, di privarli della luce dell'astro ; co-
minciato infatti il fenomeno, i nativi si buttarono
ai suoi piedi, ed egli, fingendosi placato, predisse
il ritomo dello splendore lunare. Gli astronomi
hanno calcolato che questa eclisse dovette esser
quella del 29 febbraio 1504, visibile alla Giamaica
un poco dopo le 7 della sera
I Cinesi hanno saputo prevedere, da tempi anti-
chissimi, le eclissi, ma ne hanno egualmente tre-
mato. Quando il fenomeno era annunziato dall'a-
stronomo di corte. l'Imperatore e i dignitari co-
minciavano un severo digiuno ; nel giorno desi-
sanato, al principio dell'eclisse, il sovrano dava un
segno col tamburo, e i mandarini scagliavano le
li ro freccie al cielo per soccorrere l'astro minac-
ito dal mostro. Anche oggi, la Guardia imperiale
si colloca ai piedi della Torre della Rugiada (Lu-
T/iai) con musiche e tamburi che fanno un fracasso
assordante per « liberare il sole ». Gli Indù condi-
videvano questi terrori e collocavano tra i pianeti il
mostro che tentava divorare il sole e la luna. In
tutto l'Oriente regnano simili idee. Durante la guer-
ra russa-turca, il 15 marzo 1877. l'esercito otto-
mano, sorpreso da un'eclisse di sole, aprì un fuoco
di fila contro il drago che soffocava l'astro del
giorno.
Nell'antichità la superstizione regnò sovrana a
questo riguardo. Erodoto racconta che durante una
battaglia fra Medi e Lidi, sopravvenuta un'eclisse
di sole, i combattenti deposero le armi, in preda
al terrore, e si riconciliarono. Durante la guerra
del Peloponneso, il pilota della galera di Pericle
restò immobile dallo spavento ; ma Pericle, avvici-
natosi e messogli il mantello dinanzi agli occhi, gli
disse: « Che differenza ce tra il mio mantello e
ciò che produce l'eclisse, se non questa: che ciò che
produce le tenebre è una cosa più grande del mio
mantello? d.
Nel mondo romano e nel medioevo questi terrori
superstiziosi perdurarono. Fontenelle riferisce che
durante l'eclisse del 1654 le autorità civili ed ec-
clesiastiche tentarono invano di sedare lo spavento
dei Parigini. Anche oggi, presso le popolazioni bar-
bare, questi terrori sono frequentissimi. Ma la ma-
lizia ci si mescola, per trarre partito dal fenomeno
naturale. Nel Natal, il 16 aprile 1874, giorno di
eclisse solare, gl'indigeni affinatisi in compagnia de-
gli Europei, pretesero doppia paga, perchè quella
nata era stata doppia, divisa in due da una
notte, non importa se breve. Dal canto suo, un pro-
prietario di miniere di diamanti, radunò i suoi ope-
rai negri, e disse loro che il sole stava per morire,
ma che consentiva a vivere se gli si regalava un
grosso diamante; e gl'indigeni negri si misero a
grattare la roccia finché non trovarono una pietra
di circa 45 carati, mediante la quale il sole pro-
mise di guarire !...
Da noi. le eclissi, perfettamente spiegate ed e-
sattamente previste, non spaventano più nessuno.
Quella che impressiona di più, la solare, è anche
quella che dura meno. La più lunga finora osser-
vata fu quella del 1868. nella penisola di Malac-
ca: durò 6 minuti e 50 secondi. L'eclisse che si è
osservata giorni sono, il 18 maggio, dal Madaga-
r al Pacifico, fu straordinariamente lunga a
Sumatra: 6 minuti e mezzo. A proposito di questa
rapidità, che forma la disperazione degli astronomi.
si racconta un aneddoto: alcune eleganti signore
erano state invitate da un marchesino a vedere, dal-
l'osservatorio di Parigi, un'eclisse di sole, sotto Lui-
gi XV; ma esse perdettero tanto tempo nell'azzi-
marsi, che quando giunsero sulla soglia dello sta-
bilimento scientifico, il fenomeno era terminato.
a Entriamo egualmente! » disse il marchesino; «Il
direttore, signor Cassini, è amico mio; egli si farà
un piacere di ricominciare l'eclisse per noi!.... »
Lo zelo dei dotti, per assistere a questo spetta-
colo, è capace di affrontare gravi pericoli. Quando
Parigi era assediata, nel 1870. per assistere ali e
disse del 22 dicembre, visibile in Algeria, l'astro-
nomo Janssen parti sopra un pallone, il Volta, il
2 dicembre, alle 6 del mattino, e scese a Savenay
alle undici e mezzo, sfidando gli elementi e gli UO.
mini, poiché Bismarck aveva decretato che gli ae-
reonauti presi fuori dalla cerchia assediata sareb-
bero stati tradotti dinanzi al Consiglio di gui
E questo zelo dipende dalla grande rarità delle
eclissi solari. Difficilmente due generazioni
cessive vedono oscurarsi totalmente il maggior a-
stro. A Parigi vi fu una eeclisse totale durante il
secolo XVII: quella, già citata, del 1654 ; una
sola ve ne fu nel XVIII. nel 1724. Nel XX i I
gini non ne vedranno nessuna: debbono aspettare
il 2026; e i Londinesi ancora di più: il 2090.
■'71
I \ !
li'apmoniografo
I>:i un hibald Williams,
di ap
mi F, :
grafo ] «ò definirsi e. un- uno strumento
■ .1 registrare le cui
a ili due o più pendoli. Ad un soli pen-
i ad un sostegni he gli coni 1 1
ite liben |
urve pirali diminuenti ven pun-
to d'arres La natura e la bellezza di Ila spirali
ano dalla lunghezza e dal peso < K-l pendi
tu'- dall'attrito esercitato da] sostegno. Ora
I i che ill'i i i i un pendoli
ippeso un alm. pendolo. In tal caso il movi
mento diventa più complicato, perchè ogni pendolo
subisce l'azione dell'altro. Registrando l'azione com-
binata, noi otteniamo una bellissima curva che si
chiama armoniogramma. E lo .strumenti, che dà l'ar-
-Cramma si chiama armoniografo.
Vi sono molte forme di armoniografi : ma nes-
■ è semplice come quello che i riprodotto in una
delle nostre illustrai ni. Esso può essere costruito
chiunque abbia un poco di pazienza e di abilità
unica. Il pendolo superiore consiste in un'i
legno larga due pollici e mezzo, uno di spessi re
ntaquattro. Alla estremità inferiore gli
^ata una piccola piattaforma, pure di legni ,
Ito il pendolo è appeso ad un appoggio che gli
.1 n.. \ menti > in i igni si nsi . Alla
ma di questo i rimo pendoli . i calo
un » i nnesso un forte peso. La parte
più difficile di tutto l'apparecchio cons stilo
are i segni, e ohe deve essere non ru-
. e così disposto da potersi muovere ne] senso
dell a in su ( ria non lateral-
i gli arni
ano bene, he i due pendoli
siai armonizzati ». a i altre pari le. i In-
tra i due pendoli ■
numerica conveniente. Gli armoniogrammi qui ri-
prodotti sono stati ottenuti con due pendoli che
stavano fra loro nella proporzione di quattro ad
uno; il primo era lungo 84 pollici, e il secondo
ventuna
Siccome la durata dell'oscillazione del pendi 1"
DALLE RIVISTE
vana in ragione inversa della lunghezza, si comprende che mentre il i
pendolo farà un'oscillazione, il secondo ne farà quattro.
Per fare le esperienze, si [ione un foglio di carta, o meglio un i
eino, sotto la piattaforma inferiore del secando pendolo, si imprime
con la mano un movimento circolare al pendolo superiore, poi si lascia
l'apparecchio muoversi liberamente, e si abbassa lo stila Se i due pen-
doli sono benfatti e bene « intonati, le linee del disegno risulteranno molto
vicine le une alle altre; diversamente daranno una figura sganghi rata. Se
si verifica questo secondò caso, bisogna allungare o accorciare il pend< lo
inferiore (tenendo conto del peso) sinch si sia verificato un miglio-
ramento.
La bizzarria dei disegni tracciati dal-
l' armoniografo dipende dalla coinci-
denza o dalla divergenza dei movimenti
dei due pendoli. Mentre, per esempio ,
quello inferiore si muove da nord a
sud e da sud a nord due volte (vale a
dire, fa due oscillazioni intere), quello
superiore non si muove che una volta
da sud a nord, ovvero da nord a sud
(vale a dire fa mez-
za oscillazione).
Durante questi mo;
\ unenti, vi sono due
punti in cui le dire-
575
zioni sono opposte ; allora
si verificano nel diagram-
ma i nodi ini ricali di linee.
Il maggior pregio degli
armi «niogrammi consiste
nell'infinita varietà dei di-
segni che si possono otte-
nere. Anche quando nelle
ratteristiche generali gli armoniogrammi vengono
Si miglianti, si trova sempre una qualche differenza,
a meno che non si voglia proprio con studio spe-
ciale ottenere due disegni perfettamente identici ,
ciò che del resto è abbastanza difficile. E non sol-
tanto è dato variare con uno stesso sistema di pen-
doli, ma. quando si voglia, è sem-
pre possibile cercare nuove ferme,
mutando il pendolo inferiore. Ci-
me si è detto, però, la proporzio-
ne migliore, per la lunghezza, è
quella di quattro a uno. In ogni
caso conviene badare più alla lunghezza che al peso,
poiché questo è di secondaria importanza. Per nor-
ma generale, è in pratica la lunghezza che regola
tutto il meccanismo, e solo quando le proporzioni
sono convenientemente adatte si ottengono buoni
risultati, come nei disegni che qui riproduciamo.
Bisogna aver cura che l'inchiostro immesso dallo
stilo sia ben sciolto: evitare specialmente gl'inchio-
stri bavosi che lascia-
no depositi di mate-
ria sospesa. Si p
no anche ottenere di-
segni su vetri affumi-
cati, sostituendo allo
stilo che versa inchio-
stro, una pun.
ta leggera che
lascia U nero
fumo. Per ai
fumicare il
vetri bene
ba-
gnarlo nel pe &
trolio rettifi-
cato e poi esporlo al fumo di una candela. Le linee tracciate sul vetro si no anche più sottili di quelle
tracciate sulla carta, per modo che il disegno viene anche meglio che sulla carta. La lastra puòesa ri
utilizzata come paralume, coprendola però con un altro vetro perchè il nero fumo ni n vada via.
LA LETTURA
ha Biblioteca di Giosuè Carducci
di Giuseppe Chiarini, nella Ritrista d' Ita-
nosce la vita del Carducci, chi s.i
ili quale amore egli amò i libri fino dalla sua prima
i «ne renne Formandi i gii ano pi r gior-
n 50 anni, la sua biblioteca, può comprendere
la grandezza del beneficio che la Regina Marghe-
.' poeta assicurando la conservazione
di <iuel tesoro. 11 Carducci g . tornando un
giorno a le poesie del Foscolo, sali ginoc-
ini le scale e. giunto nella stanza dov'era sua
re, volle «In- questa s'inginocchiasse a baciarle:
0 da pochi soldi era per lui una reliquia
ia di adorazione, non solo |x-r il piacere che egli
va dalla lettura, ma perchè vi vedeva
lo spiriti > del poeta, ("è bibliomani e
"mani: per il Carducci il libro ha soprattutto
un valore morale; ma naturalmente anche per lui
l'edizione, la carta, la legatura, ecc.. hanno la loro
importanza.
l'artista, se è artista vero, è anche critico.
pietà, il Carducci, studiando il Petrarca
per illustrarlo e commentarlo, ne raccolse ben 56
olii. 11 Xencioni si maravigliava vedendo un
poeta raccogliere libri di erudizione, particolarmen-
ilologica; ma come Dante e il Leopardi, Giosuè
Carducci è un erudito. Egli scrisse l'inno a Satana
in una notte, mentre stava terminando la sua dotta
intnxluzione alle poesie italiane del Poliziano; e
i più terribili dei Giambi ed Epodi furono com-
1 mentre l'autore attendeva ad ordinare una
gran raccolta di canzoni a ballo, di canti carnesciale-
e di poesie popolari antiche, da lui ricercate
e copiate nelle biblioteche di Firenze.
A questa completa natura di pensatore e di scrit-
risponde la biblioteca formata dal Carducci.
Un giorno senza l'acquisto di un volume era per
lui perduto ; ma i giorni così perduti furono ben
- I suoi intimi gli regalavano volentieri dei
lbri. ed egli vi si era talmente abituato, che quan-
mdava a trinare qualcuno di loro domandava :
■ Oggi che libro mi regali? » Dal 1850 al 1860,
a Firenze, il suo maggior piacere era di fare ogni
gonio il giro dei baroccini, sotto gli Uffici, dove si
vendevano libri vecchi a pochi soldi: costì è la pri-
ma umile origine della grande biblioteca del poeta.
Anche a Bologna ne comprò sui banchetti, e la ma-
dre sua diceva al Chiarini: a Già si sa: lui biso-
gna ''In- quando torna a rasa porti ogni giorno
qualche libro nuovo; almeno uno; » e volgendoci
al tiglio, nel momento che egli stava per uscire,
con anelito di grande bontà: « Non ne comprare
poi troppi! » Grazie all'abilita dilla madre, col
solo stipendio di 3000 lire l'anno, il Carducci 1
ci 'i spendere in libri abbastanza, senza che in 1
mancasse nulla.
Dopo 1 banchetti, egli cominciò a praticare i ne-
gi /i dei librai antiquari e ad avere corrispondenza
101 negozianti di libri di altre città. La sua erudi-
zione bibliografica è veramente singolare. Agli e-
sami, se un giovane che ha studiato minutamente e
diligentemente la sua tesi sbaglia di un cenno nella
/ione d'un libro poco noto, il professore subito
gge. Ciò è effetto di memoria tenacissima,
ma anche del modo come egli ha saputo educare
sta memoria, nella quale tutti i libri sono pre-
senti, perchè ciascuno di essi è una conoscenza in-
tima e particolare: la nozione di ogni libro si è
collocata in una cellula del cervello, come il libro
in un palchetto degli scaffali.
L'inventario della biblioteca occupa 284 pagine
di carta bollata. La più ricca e pregevole collezione
è quella dei poeti italiani, che sono stati per più
di 40 anni lo studio costante e amorevole del Car-
ducci. Il pregio di questa raccolta non consiste tan-
to nella rarità di alcune edizioni, che si possono
trinare anche altrove, ma nel tutto insieme: essa
rappresenta un lavoro della mente del poeta, pro-
ceduto di pari passo con i suoi studi.
Da giovane egli non conobbe altre lingue che la
latina, la greca e la francese, e i classici di queste
lingue erano largamente rappresentati nella sua
libreria ; più tardi imparò da sé lo spagnuol
con qualche aiuto nei principi, il tedesco e l'ingle-
se: allora anche queste letterature ebbero una ab-
bondante ed eletta rappresentanza.
La biblioteca del Carducci è più che il suo regno,
è la compagna di ogni giorno, di ogni ora della sua
vita intellettuale, è il campo dove si nutrì il suo
spirito; dove i suoi pensieri, i suoi fantasmi, i suoi
sentimenti trovarono la via di espandersi e comuni-
1 1 -i . diventando patrimonio di tutti gli spiriti e-
letti. Abbandonare le cose che avemmo care al
mondo è il destino comune; ma più ci turba non
sapere che ne avverrà quando saremo partiti. Oggi,
per opera di un'augusta Signora, quell'incres
pensiero è spazzato via dall'animo del poeta.
^$$&o 8| '.•:- & -^^-^_.
GIUSEPPE GIACOSA. Duci/ore.
Milana. 1902. — Tip. del Corriere della Sera.
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ADDIO, NIKOLAL
Romanzo di GUY BOOTHBY
autore de] Dottor Nikcla, della Verga della Sapienza, ecc.
Questo romanzo Vddl < NikolaL. /./ si ili altri notissimi dello li Dottor Ni
kula e La verga della sapienza, / per iaagi sono gli stessi, Quantunque questo romanzo sia l'i nar-
raiione .li un episodio Indipendente che può stare a s< e pud esseri letta con interesse assoluto an-
• tir da quei nostri lettori che non avessero ancora nza 'ti quell'uomo straordinario che è
l'eroe 'li questa trilogia, il dottor tilkòì : Nei primi dui romanzi si . visto quest'uomo terribili i
io adoperare tutte le arti della sua potenza n ile per conquistare un talisma
xprirglA le vie del cuore della Cina lurlo sino mi un moti isti ro del n erti
fiati vano il segreto dell'esistenza; e lo si è visto compiere questa spedizione a traverso pi
', utili, rubare il libro prezioso ci" conteneva le leggi della Vita e della Mine. ,
npando per miracolo, in Inghilterra, sempre perseguitato da un cinese inafferrabile incaricato
ih trarre vendetta ilei {tutu e riprendere possesso del libro l romanzo si vede il dottor,
la più nell'intimità, sotto aspetti ninni, non meno interessanti, e si viene a conoscer! il seci
della sua vita. — Come abbiamo detto, perd.il romanzo costituisce un episodio indipendente e pud
e letto lineile da chi non conosca I due precedi
i M'ITOLO i.
Eravamo a Venezia. Mia mo lii era stata ma
lata gualche mese, e perciò avevamo passato l'in-
io nell Ita lionale Prima nel mi
poi a Firenze, Indi a Roma; Qualmente ci
amo recati a Venezia, ove occupavamo uno
ii lamenti delia pensione > ràli ghetl
! Er l> amo mia moglie . un amii i
rudi rrevor e io, Rice irdo [lattei as
\i era pei noi un i coro i i na prezii sa .
. i 52 i eh • pei i olti ispettì i ich a dal-
ima, alta, capell ri e lun
i luminosi, che irapress avano tutt) gli spi
riti • face> ni" voltare la «ente pei via. Era Dulia
unica ili un pastoi mi \ enn a in Italia
i prima volta I i mi del
erano nuove per lei, e cniii d
• /ii. ni avi--. ani costituito per 11 suo spirito
una serie inintei i otta di pi iceri Imi.
Quei giorno, poiché mancava ancora un'ora di
tempo pel pranzo, accogliemmo la proposta ili
mia moglie ili andare al caffè Florian, In
piazza San Marco, a vedere un po' ili gente. Sa >
do il solito, la piazza
ni affollata, e il caffé
pieno ili gente, tanto che
temevamo ili >
vare posto ; ma la •■
■ man
imo dui
ebbi ordinato 11 caB
1 1 al piai •'! i d
gei vai ■ truello che
è il più ini
ili Venezia,
ili and livt r-
tendocl un mi
luto il i
e guardandi I p issanti,
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito I
"* **
Mettili crncen'e
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
quando vidi mia moglie impallidire improvvi-
samente.
si, a i, pei lai ne ossei vozicne, quandi
in un pici olo grido, come s gualcii i os i . a\
colpita
— Gran Ujo, Dick, ma non i i •
— i I non è possibile? domandai, che ve-
li, i,
\ olsi In sguardi nella dn ezion. i lie essa il
cava, ma r.on rie bbi nessuno di mia ci
scenza l;n pastore inglese con sua fUlia -• d. \
\ icino ali enti in iali in u
ivanu da un'alti a parte . m;i mia ino*
'imava a -nani ire nella stessa direzioi
viso stupito
Posai la mia unno sul suo lira, i.j . non ! a\
mai visi:, cosi concitata
— Via. ditemi, di i he
— Guard ile. risi \ edete i| i un
poco a sinistra di quelle dove stanno gli uf-
tn [ali "
i isponden : \ imi ntt . quando
la sorpi imi in r>arola. l.a pei sona cui mi i
lie ai ' euiiava si i ra alzata dall i
a\ vicma\ a \ erso di noi l > gu irdai. di
riln. gu mi. ii ancora No: i
i somiglianza era troi i a\ rei i
dovunque: era il do ■ \ikoln. In
che aveva avuto (unta parte ne! oi inima della
ì i Eri passai i cinque anni da i i
".,il oìtn ma io quel temi n i
unitalo .di dto Si mm e li st< •-., nomi, ali
in stesso volto pallido ■
di una poti o/a si i mentre si
vicinava, noia i ! erano divenuti un
grigi pareva un pochino più vecchio
in eri ito in altro. < ira venh
noi, Voleva forse < arlan i ' liopn .he ri ir
tati in quel mudi, nei tempi passati, non sari
1 1 . a egli semiti
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mpre lo dlstin-
I I in. ilio .1 mia
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ivete dimentii ato . mi son
preso la libertà ili venirvi a presentare i miei
i'i Im i anci i a i he mia paoglie rispondesse, si
i la mano. Per un momento pan
d i n pi enderla, ma egli mi guardò coi suoi
mtl e ni ii consiglio e gli strinsi
In mano più cordialmente di Quanto avrei creduto
- in'
i tiveì amo dato
i e 'ii essere pronti a dira mirare il pa
ti ci i estava più che da presentarlo a □
1 Da che egli ci aveva avvicinati, ella lo
nte, e si vedeva benissimo
i\ èva prodotto su lei una forte limi»
Noi, che la conoscevamo così tranquilla e
Illa, inni 1 a\ e\; mai vista lauto nervosa e
Irrequieta
i - ni i issa si trasse um pochino
indietro e si Qnse assorta a contemplare una comi
uva ili Inglesi che aveva preso posto attorno ad
un ' poco limi uni. Quanto a me non mi
sentivo affatto a mio agio. Ricordavo quanto aves-
-i odiato per l' addietro il dottor Nikola, ricordavo
quella casa terribile a Porto Said e pensavo a
quella notte In cui avevo salvato mia moglie dai
suoi artigli. Nel mio giudizio, egli era stato un bii
bante della peggior specie. Ed ora egli si trovava
accanii, a me, seduto, calmo e tranquillo, interes-
sato ai racconto che mia moglie «H andava facendo
del nostro viaggio in Italia, come se nulla fosse
successo fra noi. In un altro questa sarebbe stata
una sfrontatezza meravigliosa, ma nel caso dei
dottur Nikola non mi Sorprese.
Vvevo notato spesso che egli era incapace di agi-
re come «li altri uomini. La sua personalità straor-
dinaria dava un aspetto strano alle azioni più
semplici, che in altri non sarebbero state notate.
— Siete a Venezia da un pezzo? domandò mia
moglie, quando ebbe terminata la narrazione del
nostro viaggio, sentendo che doveva dire qualche
cosa.
— Non Sto mai a lungo in uno stesso sito, rispo-
se Nikola con uno dei suoi sorrisi strani. Vado e
vengo continuamente. Oggi sono qui. domani non
Ci suini più.
Io non seppi trattenei ini dall'osservare :
— Già, per esempio, Oggi siete a Londra, tra una
settimana a Porto Said, fra due mesi siete agli an-
tipodi.
Egli m. n tu minimamente sconcertato.
— Ah' vedo ohe non avete dimenticato la nostra
a\ ventina, rispose allegramente. Come sembra lon-
tano, non è veiu ' Per me è come se fosse un capi-
tolo di un'altra vita,
Poi rivolgendosi a miss Trevor, che naturalmente
i tutta la storia, aggiunse :
— Spero che non penserete male di me; forse
un giorno o l'altro potreste persuadere lady iiut-
teras a perdonarmi, se pure non mi ha già perdo-
nai ., Perchè lo non trovo di dovere domami., , •
P-Tdnlni : tlllt'altl-o ' Pus
in uvi che se la
neci '' --'■. ni"i
io probabilmente farei
lo stesso.
— Allora pi ' hi me
Dio fervidamente che la
necessita non torni, ri-
sposi lo; lo non bo dav-
vero un Pel r nlo di
quel temi"
Parta a nien.
te che mia mi lii mi
emendo, eredo. , u,.
lo mi compromettessi e
aggiunse subito:
— Lo --pero anelilo.
ERIGETE
U
MARCA
HERMANN .
MILANO- TORINO
perchè posso assicurarvi, dottor Nikola, che mi sen-
to attratta nioho più dall'Inghilterra i he il
Vustrall,
Durali) i tutto questo tempo, nn-s Trevor non ,n
ceva nulla, ma lo capivo bi mi la
ne del sin. viso , li, H dottoi Nikola la ini
serlaxnenti
P — ■ domandarvi dove abitate : domandò
npendo il silenzi :ome se «li premesse, molto
di saperlo.
Mia pensione Galeghetii, risposi io: qu
vi niamo a Venezia, andiamo sempre u.
— Ah! quel bel Galeghetti! rispose Nikola: è
un pezzo Che non lo vedo, ma eredo che Si rii
ili me : mi è capitalo di rendergli un pn
gio tempo fa e so che egli ba buonissima meni
Poi ac ergendosi che si era trattenuto troppo cai
noi, si alzò e si dispose a prendi edo.
— Mi permetterete, lady Hatteras, di avere
re di \ Isltai \ I "
— Vi vedrei :on piacere, rispose >\it< moglie,
sei. In aie con cordialità più apparente die rea
Egli si inchinò a miss Trevor e mi strii
mano.
— Addio, Hatteras. continuo, spero che ci rive-
dremo presto; e senza dubbio vi interesserà sai
la storia e le avventure successive di quella \
che camono lauta ansia a voi e a me tanto i
dio cinque anni or sono lo sto al palazzo IP
ce, sul Rio del Consiglio. Inutile dire che sarò fe-
licissimo di ricevervi colà, se mi tante l'onore di
\ [sitarmi.
Lo ringraziai e promisi di andare da lui. Pi i
con un niellino egli se ne andò, lasciando dietro
di sé la sensazione di qualche COSa che ili
e che non potesse essere sostituito.
Ormai, riprendere le conversazione al punto cui
era pinna che egli intervenisse, non era più pos-
sibile, ci alzammo e, pagato il conto, attraver-
sammo la piazza.
Miss lievoi taceva sempre. Io le chiesi il perchè.
— Se devo dirvi la verità — rispose — è tutta
causa del dottor Nikola. Non so perchè, ma quel-
l'uomo mi ha tallo un'impressione curiosa.
— E' così per tutti — risposi io.
Tacemmo ancora.
— Credo — riprese miss Trevor continuando U
discorso di pinna mentre eravamo di nuovo in
«ondula diretti all'albergo, — credo di dovervi dire
che non è la prima volta che vedo il doti
kola. Ricordate che ieri mattina, mentre vo
vate all'albergo, io uscii per far delle comi, ere.
Non so bene che direzione presi: fatto sta che ca-
pitai da un farmacista. Il negozio era piccolo a
- uni. per modo che non vidi da priiicq li w
era un altro cliente. Dopo, notai un in, ino alto eh»
stava discorrendo col farmacista e protestava
io certi prodoti i chimici che aveva comi,,
iioiuo prima, e diceva che in avvenire, se non
fossero stati 'li qualità migliore, egli sarebbi
costretto a provvedersi altrove. Nel mezzo del di-
scorso si volto e io poiei vederlo In faccia: non
era altri che il dottor Nikola.
— Mia cara (ieltrude — osservo mia un
Con tutto il rispetto per il vostro racconto, n
pisco perchè il fatto di avere incontralo il
Nikol.- I in '«".'lo ilei farmacista ed essergli slata
presentata Oggi, debba impressionarvi latito.
— Non lo so neppur io fu la risposta — ma
il fatto e questo: dacché Ilio visto ieri, la sua
faci ni. e megli occhi lei ribili, mi è sempi -
presente L'ho sognata tutta notte, e tutto*
.unni dinanzi a me. Ed oca. ad alimentare la stra-
nezza della coincidenza, vengo a sapere che quello
e rullino di cui mi parlaste tanto, il vostro diabo-
lico, affascinante Nikola. Dovete ammettere cbj
a i abbastanza strana,
i onici. leu/a ' l'ina coincider
Nikola ha una faci la straordinaria, che di
sere rimasta impressa in ila vostra memoi
questo spiega ogni i
Elli u parlò più di nto . ma lo ca-
pivo benissimo che l'incontro aveva avuto uno
Attente MADRI!
"vS^Ofe©^
L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini ; il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
Non è necessario di abolire completamente l' uso del Caffè Coloniale ;
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Cafle
Malto Kneipp. Il Caffè Malto Kneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
Se vi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate di
fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti i droghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
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di\ ertente : qi i Don pari > a più lei, tanto
era triste e pensierosa Ciò mi dispiaceva molto
più che aspettavo un v ei da 1 Ira chi
.1 •■ qualche t lorno e i
a Venezia Questo amico era il dui a di Glenbarth,
Ima di sui i i dorè nel titolo di dui i
al padre, .1- I marchesi di Bei kenilani, e
come 1 lettori della storia delle mie avveri
ture col dottor Nikola ricorderanno, già ebbe gran
parte In quella (accenda strana.
Da quando egli a.\ e\ a aci ettato 11 mio ta\ Ito di
venire a passare qualche tempo con noi a Ve
ito ai ii imi ni<' la sua venuta
Ora, quando arrivammo all'albergo, lo trovammo
che già i-i 1 11 ri\ ato,
11 ospiti siete davvero I disse ridendi
- Mi ìnviiaie a stare con voi e non vi trovate
, quando arrivo 1 1 me state, caro Dii k '
mio — risposi io vi domando per-
1 mille volte; non pensavo che sareste arri
vaio ' ■ -1 pi esto.
Non c'è bisogno che vi scusiate. 1 urne va vo-
stra 1 e voi ci ime state '
Risposi alle sue domande meglio che potevi,
teneinin per ultimo la grande sorpresa.
adesso dissi infine è ora che andiamo
itirci per il pranzo, ma prima una milizia im-
portante: vediamo, Indovinate chi si trova a Ve
ni zia in questo momento
Inutile dire che égli citò tutti i nomi Cuori
il giusto . alla lini- gli dissi :
— 11 dottor Nikola.
M'aspettavo di sorprenderlo, ma non avrei im-
ito che la notizia 1 Ipisse tanto
I Mie — balbettò — il dottor Nikola è qui?
Scherza
— Parlo sul serio, il dottor Nikola è a Venezia
e mi ha dato il suo Indirizzo e mi ha invitato a
visitarlo e se volete putrir venire con me.
— Bisogna che io Ci pensi su — rispose seriamen-
n Glenbarth. — Spero che 1 abbia intenzioni
ili rapirmi un'altra volta, ma, Insomma, non voglio
neanche dargliene nuova occasione. Come ho sem-
pre presente quella faccia! Mi perseguita conti-
nuamente '
— Anche mi Trevor dice lo stesso — osservai
— Miss Trevor " E chi è "
— Un'amica di mia moglie, che ha viaggiato
con noi m questi ultimi mesi. Creda che vi pia
cera, lira vfinti' con me: Vi condurrò alla vostra
stanza, ma suppongo che il vostro domestico l'avrà
già trova I
— Steven s la troverebbe -e questo albergo fosse
un labirinto Colui ha la virtù della tenacia, e
quando ha bisogno ili sapere una iosa, scopre la
persona che gliela può dire e le sta appiccicato
tanto ibi din line lusog na che sia soddisfai to
Tre (piarli dora dopo eravamo a pranzo. Mia
lie e Glenbarth, vecchi amici, trovar su
Dito argomento per chiacchierare, ma miss Tre-
vot 1 on era del suo solito umore.
Dopo pranzo proposi una trita In gondola; prò
posta che fu arrenala con entusiasmo. \i ritorno,
il m doliere, per uno strano caso, passò
propi io sul Rio del Consiglio.
— Sapete dirmi qual e
il palazzo Revecce 7 —
F.gii mi indicò un fili
liei,, a CUi stavamo al
lora av \ icinandi ci
— Eccolo, signori
di e — Un tempi
un gran palazzo, ma
1 scosse le spalli
per fan-i capire 1 ne
ila
Non in deiu. alti
n en 1 0 1 1 1 1 1
verso
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MILANO- TORINO
l'edificio Le finestre erano tutte chiuse, tranne
mi 1 e ni il urlo qui ini' ima, li pensavo :
— Chi sa m' il dotici Nikola è nella stanza e
che co 1 ta facendo Porse leggerà qualcheduno
dei suol libri curiosi 0 farà qualche nuovo espi
mento 1 himii 1
Pochi minuti dopo avevamo lasciato il Rio del
Consiglio ed eravamo tornati all'albergo Più tar-
ili il signor 1 delibanti e io ci trova\ amo use ii
sui balcone.
Sapete, Hatteras dissi Glenbarth eh
venula, ilei dottor Nikola a Venezia proprio in
questo 11 into m'impensierisce: non so dire e
11 min » i he missione abbia, ma ce
giurerei che si traila di qualche rosa di diabolico.
— Credo anch'io, risposi, che 1 sia qui senza
pi e dopo quello che è successo non mi 1
allatto di lui.
— Ma ora che v 1 ha pi opi sto ili andai lo a I
vare, che farete
l'acqui un poco prima di rispondere: la doman-
da era sena.
1 onoscendo bene Nikola, non avevo nessuna vo-
glia di lasciarmi trarre in qualcuna delle trap
pole che egli ordiva con tanto diletto contro il
prossimo. Ma devo confessare che ero curiosissi-
mo di sapere la storia delia verga, per ottenere la
.piale egli aveva speso molti denari ed ai
tante vite limane.
— Sì. si. credo che andrò a visitarlo — dissi a
in dopo tutto non ri sarà un gran male; ma
■ I11- uomo strani dinai 1 [uello ' E pensai e che
voi e 10, che non abbiamo paura ili nessuno, di
ho abbiamo paura Perchè so benissimo che
provali- tanto tei quanto ne pm\ 1 S
più- ohe oggi, quando i miei occhi sono ca- .'
duii su di lui, mi sono sentito rinascere il tern
pazzo, che la sua presenza mi ispirava cinque an-
ni or sono. E anche l'effetto che egli produsse su
miss Trevor è staio stranissima
— A proposito, Hatteras. giacché parliamo di
miss Trevor. rbe bella ragazza, non è vero? Credo
averne mai viste nessuna più bella. Chi è
— E' figlia del decano di Westminster, un bellis-
simo uomo.
— A me piace sua figlia, rispose il dui a
lo lui contento di sentir questo, perchè avevo!
miei piccoli progetti e anche mia moglie che ha
una speciale Inclinazione per combinare 1 matri-
moni.
— SI. è proprio una bella ragazza, conchiusi, e
ciò che è più, è buona quanto cella.
Sara fortunato l'i 10 che la sposerà. Ma
dobbiamo andare a ietto.
CAPITOLO II
La mattina dopo, arrivammo a colazione tutti
un pò m ritardo. Miss Geltrude era pallidissima
quando mi diede il buon gioì ìio. e lo le 'lui
avi- - del dottor Nikola Credevo elle mi
avrebbe risposto rolla solita violenza che essa non
perdeva tempo a sognarsi degli uomini; e invece
\ idi roii mio dui s , ici in empii si d
grime, che ella tento na condermi volgendo il
pò da un'altra parte. La iosa fu talm
lata, rbe non sapevo che pensare . non avevo
sona intenzione di farle pena e non quel
pianili Per fortuna, mia moglie, presente, si il
1 . e . erro ili calmare Geltrude, la quale, quando
, 1 ponemmo a ta> ola, era abbastanza tranquilla
da guardarmi in v iso e prender parte alla con
sazimi lerali Di - :olazione, il dura ed lo
rimanemmo soli, mentre le due donne erano an
iiair in giro a far compei e SI i\ uno sedul
balcone, tutti e due taciturni e tutti e due pi
, upali dello stesso pensi, in. quando un ri
p, 1 in una lettera L'n'01 'biuta alla 1 1
«eristica dell'indirizzo mi persuase subito da
h, parte 1 1 nisse 1 'aprii febbrilmente e
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IV
ADDIO, NIKI 'l a!.
i ■ . Haiti
mi altro affare che vi trai
i di passai da me Questa mal
i rlenbai th i i voi
pure. Mi tara gran piacere
voi due de' giorni passati e,
che è più, spero quota vecchia casa potrà
• imi ressan 1
\ I Btro Nikola. ■
i in domandai quando ebbi Obito
Dobbiamo .-vini
che andremo E ini ssimo m
con Nikola un'altra volta, Ma e è una
m'imbarazza ci i ha tatto a sapere
che -"ii" a Venezia.' Mi avete detto che era
In piazza San Mano icr-era. per modo che
limi i venire alla stazione, e lo ui □
o, tranne che per la breve gita In gondola.
che non capisco
\ quest'ora dovreste sapi re i he i on Nikola non
c'è da meravigliarsi di nulla. Per conto mio, pre-
ferirei sapere pere in Berli e a Venezia. Questo si
che mi interessa molto.
(■In ba ìi i osse la lesta.
Si Nikola non vuol farcelo sapere — disse —
non ne saprei mie, E se vuol farcelo sapere,
comincierò ad insospettirmi, perchè in tal caso
rà dire che ha Insilano delle nostre insistenze,
i omunque, se siete pronto ad andare, anch'io
veni
— Allora, conclusi alzandomi, prepariamoci e
usciamo.
Dieci minuti più tardi, eravamo in gondola di-
retti al palazzo Revecce. Hi solito, quando uno
va a fare una visita al mattino, non ha ragione
per essere particolarmente nervoso; ina in questo
tanto Glenbarth, quanto io — come ci con-
fessammo reciprocamente poi — ci trovavamo in
una tensione di m-rvi straordinaria, il duca non
. essava di tormentare il suo sigaro. Aveva in volto
un'espressione assorta e mi ricordava il tempo
quando egli aveva a che fare con Nikola E certo
• ■gli pensava a ciò, perchè, a un certo punto, mi
domandò bruscamente:
E che sarà avvenuto, Hatjteras. di Baxter, di
1 i ' -idergrast e degli altri '
— Nikola potrà dircelo, risposi io, dopo una pau-
sa Che tempi erano quelli!
— Ma anche questa coincidenza, di trovar Niko
la qui a Venezia, mentre ci siamo noi, mi stupi-
i ih, ecco, siamo arrivati.
La gondola si era avvicinati all'ingresso del pa-
lazzo Revecce e noi ci disponemmo ad uscire.
Quando ordinammo al gondoliere di aspettarci per
rii ondurci indietro, egli scosse la testa e non volle.
\ nessun patto, disse, intendeva di restar li più
di inalilo fosse necessario per farci scendere. Pa-
ni, i e lo lasciammo andare; poi salimmo la
nata.
Spingendo la porta ci trovammo in un bel cor-
tile, nel cui mezzo era un pozzo. Siccome non
\edeva nessuna portiere, non si vedeva anzi
ma Viva, non sapevamo da Che parte andare;
ma alla fine venne fuori il dottor Nikola, m capo
ad uno scalone, salutandoci.
— Buon giorno, amici
miei — disse — salite,
\ i prego: scusate se non
ero a rice> en i
Non avevo finito di
parlare, che già era vi-
cino a ni
la mano e pani, i i
mente salutava Glen-
barth colla cordialità di
un vec, Ino amico
— Permettetemi di
darvi :'. benvenuto a \ e
disse a Glen
Partii dopo avergli strel
la la man- I pò
Bandolo, aggiui
Mei,- cambiato molto dai i he vi ho \ isto l'ul.
lima >.
— E voi non siete cambialo affatto
ii ili
i ni n sia i ambialo replicò
Nikola i ou un ii iste sorriso, peri he, da poi
ci sia ciati, ne ho passate tante da tai
Ire di 'i" i n iiuiiii. Ma non pai liamo di i
qui, Saliamo nella mia stanza, che è I unico luogo
in que I i ca a dove si stia un pi i m idi
■ l dii endo ci fece Ballre le si ale.
La sua stanza era ampia e ariosa. I mobili :
pini, mi buoni In ma tavolo di quercia
stava contro un muro i n nitro, coperto ili libri
.li carte, stava conno la parete opposta. Parec-
chie seggiole e poltrone erano sparse qua e là,
e un tavolo nel mezzo della stanza era caino di
strumenti chimici. Per tutto, su tutti i mobili li-
nci d'ogni specie, d ogni dimi nsione, sci itti in
tutte le lingue, coperti in legature d'ogni genere.
— E' un bel posto questo disse Nikola facen-
doci sedere. Tempo addietro, e per puro caso, so-
ie \ oimtcì a ci ne la storia. Non vi >(
lare della storia politica delle fai
loiei la casa, perchè quella si trova in ogni guida.
Parlo delia storia reale, interna della casa si-
che narra non pochi fatti abbastanza strai
nuti entro queste mura Sono .-nino che vi interes-
serà, se Vi diio che in questa Stessa stanza, nel
1511, fu commesso uno dei delitti più nefandi e
terribili del tempo Forse, ora. epe avete la .-■
.l..\ inli. vi piaccia sentirla Voli
E presj a nai
— Devo avvertirvi — cominciò — che il principio
della storia è abbastanza banale, ma la line e
tanto originale da meritare la vostra attenz
Nel 1509 il proprietario di questo palazzo. France-
sco Revecce, ammiraglio della Repubblica »
ziana, che aveva avuto l'onore di comandare in
guerra una delle molte flotte di San Marco, uomo
ambizioso e buon guerriero, sposò la bella figlia
del duca di levano, uno dei più fieri nemici del
Consiglio dei Dieci. Lo sposo era ricco, fané
giovane ancora, assolutamente degno di ammira-
zione per le sue qualità personali. La sposa
essa pine ricca e bellissima. Si sarebbe detto dun-
que che la loro vita comune dovesse sconci
lice. Ma cosi non fu. Quella donna fu una delle
più infelici dell'universo. Ad insaputa dello sposo
e del padre, ella da gran tempo amava un n
il giovane Andrea Bunopelli, pittore, autore dei
quadri che vedete qui, su queste pareti. Poich
si imponeva ili rinunciale al sin. primo ani.
di sposare Revecce, ella si rassegno al destino
di non veder più I nonio al quale a\
il suo cuore. Ma l'amore potè più del sei
e del dovere. Quando Revecce, per ordine .1
nato, (u messo di nuovo alla testa di una flotta e
mandato in guerra nell'Adriatico, Bunopelli
,.|.i un disegno infernale per tener per sempre
li ma I marito delia donna amala Ke\
altra volta aveva saputo vincere il nemico, questa
volta lu sfortunato: venne sconfìtto e fatto prigio-
niero. Ora, penso Bunopelli, è il momento di a
gire. Prese penna, carta e calamaio, e in questa
-t.ssa stanza dove ci troviamo ora, sci
Il nera che finse In mala dal comanda ni,.
forze nemiche nelle cui mani l'ammiraglio vi
Ziain. era I adulo e si tiv\ ava ani ora. 1
diceva che R rotto con una somm
io. aveva tradito la sua patria, aveva faUO
miei e la propria flotta, si era iii-oinma
con ii no al nemico, tingendo di fare una re-
-i-ieiiza disperata oli per salvarsi nel caso che
fosse capitalo ancora in inani, dei Veni ianl -
ta la lettera, Bunopelli la mise ni Ila Bi i ca del
ie». Ormai Revecce poteva tornare quandi
deva: la sua sorte era derisa la .opina colpevole
i, . ... il tempo ie1 n . inenie quanto potè in quelle
istanze, perfettnmei ■" ■
i n. a Venezia, san I
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stico scientifico, che è una continuazione, a 30 anni di
distanza del notissimo romanzo di Vebne. — In ottavo
grande splendidamente illustrato L. 4 —
DALLA TERRA ALLE STELLE, viaggio meraviglioso
di due italiani ed un francese, nel quale vengono de-
scritte le meravigliose avventure di un viaggio dalla terra
al pianeta Marte. E' anche esso splendidamente illustrato
Lire 5 —
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gita con BunopelU ( che egli era accusato di tra
dimento, e immaginò subito da chj venisse tale
isa Immaginando benissimo che, se la sua pre-
senza fosse stata notata In città, egli sarebbe stalo
messo ni an tenne nascosto nel proprio
.'./n aspettando il momento opportuni
vendetta, Giunto il momento, assistito da un
servo — quello stesso che l'aveva introdotto
in i [ aveva ri' tanto era a\ venuto
i i infelice, e, minacciandi la
di morii' immediata, carpi ai due una contessi
•in del loro tradimento; poi si rivolse alla giù
stis la i dando • t ■ essere udito Espose come
egli ima ili un complotto e per darne
la prova presento la confessione -rima che aveva
Mila i! giorno stesso Vvendo amici potenti,
misi ì ad ottenere il perdono immediato, nonché
il pei in — o ili ii attare i suoi nemici ci i igli i i •
deva Di tornò al palazzo. \i avverto che
non e una bella storia, ma rende interessante que
sin stanza. Continuo. Revecce Imprigiono il pitto-
re qui.
a questo punto Nikola si fermò: si trasse i miie-
tro. fece scattare una molla e ti nostri piedi si
aprì un trabocchetto che dava un'oscurità pro-
fi inia. da cui saliva l'odora caratteristico delle
vòlte umide: poi, chiusa la molla e rimesso I itto
a pcisln, Nikola roiitinuò
— li disgraziato mori lentamente <ii fame là sou
to, e la donna, che era qui sopra in questa stanza,
fu costretta a udire la sua agonia, senza che pò
tesse fare nulla per salvare ramante. Immaginate
la scena : il disgraziato i he min i\ a la sotto i
ceva quanto slava in lui per morire virilmente
per non tormentare di più la donna che 1 amava.
e lo sposo oltraggiato assorto tranquillamente nei
suoi studi, non rurante degli altri.
Nikola n guardò: i suoi occhi ardevano come
due carboni accesi.
E' mia cosa orribile, una cosa infernale. —
gridò Glenbarth, su cui la storia stessa e il i lo
come Nikola l'aveva raccontata avevano prodotto
un'in e straordinaria. — E rome potè la
donna permettere ohe la cosa continuasse ' Era
pazza? Perchè non chiamava gente? Certo le au-
torità di uno Sialo che si vantava di essere Civile
anche in quella civiltà barbara, non avrebbe tol-
lerato simili cose.
— Dovete ricordare che la Repùbblica aveva dato
allo sposo il permesso di trarre vendetta, — disse
Nikola colla massima calma. — E poi la donna
non poteva gridane, per la ragione semplicissima
che la lingua le ora stata strappata dalla rad- ,
Quando tutti e due fun no moni, i i corpi le
.-an insieme furono gettati nel canale, il giorno
stesso Revecce si mise in man e puh mori poi
annegato presso le coste delia Sicilia. E ora che
e una dolio tante mnesse con questa
m/a. ve i dii altre in cui quel trabi -
ntato una parte egualmente Im-
portante . ma credo che
a cosi dram-
matica come quella nar-
rala or ora
— Ma i i ni, mai,
pendo tutto questo
tete vivere In qù
esi lamò Glen-
bai ih
I olili . , olili ' dl-
e Nikola, » lete
che quanti i è sui cessi i
in qui a più di
iddietro po-
sa avere Influenz i
mi essere vivo di i
Inveì •■ di ■ piace-
ESIGETE
IIIIhWH
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
l ha - unto trasi ui
bill : mi ila modi li lai,
mia ma-' a inzia. lo pi sso stare lontano
da questa as a cinque anni, se mi piace, e la
Qui o più preziosi, e poi l tire ind
i sicurezza di trovare Ogni rosa a SUO pi sto
Non sono dai touriste* che vanni
dipinti, per la ragione semplicis
' ne le -nolo -tanno ben atti nte di non pai
I . oli, li- di quosla i a-a. por non I
obbligate a venin i I molti gondolieri non
i qui dopo il cader della notte, e quei poi ai
i K' hanno ii coraggio di passare qua sou,,, si fan-
no tutti il segno della croce prima di arrivarvi e
di pò di essersene allontanati.
l in. non mi Stupisce, - dissi io —, nell'insie-
me è la rosa mono allegra i he io conosca Ma voi
i r. .io qui soli
— Non sono completamente solo, ho due compa-
nii \ eci hi", che vien a volta al giorno
por attendere ai miei semplici bisogni. ,■ [| uno
il li dele....
— Apollo ioli I
Precisamente Vpolleion, il mio gatto. Sono
' , intento di \ edei i i be \ e ne ricordate
imi- un iio\o sibilo, e un momento dopo la
sa bestia', ehe lo ricordavo benissimo, entrò
- lennemente nella stanza e cominciò a stropic-
ciarsi contro un piede della seggiola su rm stava
il padrone.
Povero vecchio, — continuo Nikola. prenden-
dolo ' accarezzandolo dolcemente. — Va diventan-
do debole e ciò non deve fare meraviglia, perchè
ha già passato l'età media della sua razza. Ha ve-
duto molli paesi strani e molte cose strane, dac-
ché si e assonalo a, mi', ma non ha inai visto nulla
di più strano ili quanto ha veduto in questa stanza.
— elio intendete duo' — domandai
— ila veduto un oggetto che a noi non è an-
cora permesso di scorgere, — rispose gravemente
Nikola l'i notte, quando tutto è quieto, e io la-
vi io a qffffl tavolino, esso se ne sta accoccolato su
quella sedia, là in tondo. Per un poco dorme pro-
ti iidamento. ma poi lo vedo sollevare la testa e
lissare qualche cosa o qualcheduno che io non
vedo e eh, si muove attorno per la stanza. Da
principiò pensai che fosse un pipistrello o qualche
uccello notturno, ma poi vidi che non si trattava
di questo. I pipistrelli non stanno sempre
Stessa distanza del pavimento e non si fermano
ogni tanto dietro una seggiola por lungo tempo.
Ma verrà tempo in cui ci sarà possibile vedere que-
cose. Vinti a sto (aieniio le mie ricerche.
So I,, non avessi conosciuto Nikola e non avi
rdato certi esperimenti curiosi ohe egli a\
fatto por me. anni addietro, avrei pensato che
scherzasse; ma lo conoscevo troppo bene per du-
bitare che egli volesse sciupare il tempo inutil-
mente
— Intendete dire. — domandai — che, secondo
voi, col tempo ei sarà possibile vedere cose delle
quali al presente non abbiamo nozioni,, e che
stituiscono l'Ignoto '
Precisamente \ oi non lo ci ederete, ma i
punto per avere le informazioni necessarie a que-
sto s.opo che ho tormentato Wetherall a Sydni
ii.il" i ■ "i a Porto Saul e portato la doi
ci ci e \ osi ra in ni nelle isole Vusti
— Questo è interessante — dissi io, mentre Glen
barth avvicinava la sua seggiola - Diteci qualche
delle vostre avventure dopo che ci siamo la-
m iati Immaginerete bene che noi siamo curiosi
di ce -
Qui Nikola ,i linde i olii,, dettagliato di quanto
era seguii ionio che aveva preso i
di Ila verga lasciata a Wetherall da China Pete • i
disse come, armato il, quei talismano, fosse par-
tito pi r la i ina, e, unitosi a un cerio uomo i h
i ; inda rea di un mi
siero quasi sconosciuto mi cu, re ilei Tibet De
-, risse con ricchezza di detta' li emozionanti le pe
,' venture per cui pass I suo compagno,
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\ 1
ADDIO. NIKOLA
tati sul punto
perdere la vita, Quando tentarono di prenden pò
spi «ti Be
, alle leggi della \ ita e .1
Mene. 1 I quasi per mi
n , e comò, toi nato in Inghil-
terra egulti e minacciati da un cui
cui missione era certo ili vendicar!
il liuto e rlpi issesso del libro,
io punto si (ermo, e lo trovai mod
\ 1 sse ancora il li'""" In suo poe
\ chiese.
si avvicinò al tavolino, apri un cassetto e tras-
se un piccolo libro legato in mudo curioso, lo cui
gialle per gli anni, e la sennini
talmente sbiadita che riusciva quasi Impossibile
decifrai la.
Ed ora che avete sofferto tanto per nnposses-
i del libro, che ne fan
In meste cose, — rispose Nikola, — una delle
h si Imparano è che non bisogna
aspettarsi risultati immediati, in questo volumetto
, la scienza di Innumerevoli generazioni,
e quando io mi sarò impadronito del segreto che
io, come i due che mangiarono il
poibito, possederò la scienza di tutte le cose,
del Bene e di Male.
Rimettendo il libro nel cassetto, Nikola riprese
.1 narrazione parlandoci degli studi che aveva
fatto per penetrare il segreto dell'esistenza, e ci
avesse cercato ili infondere un 1
1 in un corpo già consunto dagli anni
— Non riuscii in tutto ciò che mi proponevo. —
aggiunse, — ma sono arrivato abbastanza a\ u
rendere a quell'uomo la sua giovinezza. Ciò
Che 1 mi venne fatto fu di rendergli le potenze
intelligenza e della volontà: non sono riusc 1
a ravvivare il cervello, quella parte vitale, senza
in. e nulla. Quando mi sarò impadronito
di qt) eto tenterò di nuovo, e allora forse
riusi irò Ma .un ora ve molto da fare: io solo so
Quan
[0 lo guardavo stupito : scherzava o credeva real-
mente che fosse possibile a lui 0 ad altro uomo vi-
vente ridonare la giovinezza e prolungare così in
petui la vita? Eppure egli parlava eolia serietà
meta e pareva convinto come se narrasse un
fatto notissimo. Non sapevo che pensare.
Ini; 1 mio la meraviglia sui nostri volti,
egli sonisi' e. alzandosi, ci ricordò che se era-
vamo sbalorditi lo avevamo voluto noi. 1'. 1 ■ am
Ino discorso, domandandoci se non avevamo nes
impegno per quella sera, lo risposi che, per
quanto sapevo, non ne avevamo nessuno.
in tal raso, — disse, —se vorrete permettermi
di farvi da guida per Venezia, > redo che potrò mo
-tram un lato della città che VOi non avete inai
0 conosco Venezia perfettamente, e posso
permettermi di farvi passare due belle ore. \i
ite "
— Sono sicuro che ci divertiremo, — risposi io —
ma credo che sarebbe meglio non decidere nulla
I 1 ini.i 1 he Ì0 abbia parlalo a mia mogli, se non
litro impegno, verremo \ che ora volete che
partiam 1 '
— A che ora pian
/al.' ì
— Alle Sette Poti
com-
lia a pranzo?
Noi, posso venne
\ ta. solitu-
dini Se in.' lo prrmet-
sarò da voi .lupo .
iplO, per le oli"
.' meZZO: ali. ■ la la luna
e credo
re una bella se
— .Mi,, otto e mezzo,
dunque, se non c'è nulla
ESIGETE
tinnii
MARCA ' .
HERMANN
MILANO- TORINO
ni contrario. — E mi alzai dalia si
barili segui il uno esempio .■ salutammo No.
Tri ij 11 1 -uno. egli volle accomp I
rei gin per !.. scalone e per il ,
aa .tal 1. ' ino
1 Inumata una corniola, ordino al barcaiolo di
. .minivi all'albei go e ci mmo.
Per qualche minuto Glenbarth ed io sedemmo
in silenzio, nienti, il scivolava placida-
niente sulle acque
— Ebbene dissi infine — che pensate .1. \
kola ora 7 \i pare che sia divenuto un uomo or-
dinario o che sia sempre quello di prima 1
— E' più strano che mai. — rispose (ìlenbarUi
Non li., inai visto un uomo che gli >. .migliasse
ini.' lontanamente. Che storia -paventosi ci ha rac-
contato ! E 1 ba narrata in modo talmente dram
inai no, elle pai ... I I i e presente. Alla
un pareva .piasi .li udire il rantolo degli ini'
si tu. ii trabocchetto e la donna lamentarsi nella
stanza dove eravamo. Non i ipisco perchè ce l'ab-
bia raccontata, come non capisco perchè viva In
quella casa '
— Le azioni di Nikola sono, come lui. asso:
mente inesplicabili, ma non ilo ombra di dui
che egli abbia qualche altro motivo oltre al d
delio di farei paura.
— Sapete, — disse il duca. — che sono rimasto
s. rpreso della facilita non cui avete accettato la
-uà pi. ipo-ia per questa sera? Che ne penseranno
la signora Hatteras e miss TrevorT
— Insileremo che decidano loro. Per parte mia,
inai SO Immaginare nulla di più interessante.
UTalbei amammo le due donne dei.
, del dottor Nikola. Dal modo col quale miss
Trevor si era comportata qualche ora prima, cre-
devo che essa avrebbe rifiutato; ma invece ap-
io, .\o l'idea sul.it. . .• senza alcuna riluttanza. Io
conclusi che ir donne sono creature indecifrabili
i M'ITOLO III.
Nei pomeriggio ci limitammo a visitare la chie-
sa di San Giovanni e Paolo.
Miss Trevor aveva un contegno stran,
o zitta, poi. quasi n-mosse che noi i
il suo silenzio, si metteva a parlare abbondante-
niente, come chi parla tanto per dire qualche cosa.
Poi, senza ragione apparente, si rinchiudeva nel
silenzio. Io un guardai tiene dall'interrogaria, e il
pomeriggio passo senza Incidenti.
Mkola a\cva dato appuntamento per le otto e
mezzo. Dopo il pranzo, dieci minuti prima dell'ora
stabilita, consigliai la moglie e miss (ieltrud.
irsi a preparare per la gita. Intanto il duca e
io ci affacciammo al balcone.
— Spero che Nikola non spaventerà miss Trevor
rome ieri — disse il mio compagno dopo qualche
minuto di silenzio.
Notai che egli parlava con ansietà insolita.
Essa 6 molto sensibile, vedete, e lui, quando
vuole, può larvi tremare fino ali. , sa Non \
che ella udisse la storia che Nikola ci ha raccon-
tato questa mattina. Spero che non la ripeterà.
Poco dopo, .i trovammo tutti nel sa
— Miss Trevor, — dissi — spero che ci divi
mo. Se non sbaglio, vedrete Veni questa sera,
nelle quali non l'avreste mai imma-
ni
— Non ne dubito, — rispose ella semplicemente.
S uà una notte che non dimenticherò.
, erto "Ha non supponev a rome la sua
nata ad a\ verai si Quella
mi .li i.' i se la ricorda per tutta la \ Il
imo nel salonechi Nikola era già entrato e sta-
mandando un domestico ad annunciarci il suo
arrivo Strinse la mano a me, a una moglie, a ■
,1. arili La sua m ilio, al 5.
inalila eoin.' ghiaccio; il voi'., spaventosam
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prof. Gaetano Cantoni, un voi.
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L. a.r.O per . . . . L. I.—
Le specie dell'Esperienza.
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in-S" di p. 432. L. 5 per L. 3.—
Adelaide di Savoia elettrice
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■li pag. 1 «i, L. 9 per L. 4
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dition italienne, un voi. in-S'
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nova di Revel, un voi. in-s»
di pag. 2Gi. L. 4 h) per L. 2.—
Da Ancona a Napoli: Miei ri-
cordi, per Genova di Ilevel.un
v. in-3"dip.216. L. 3 per L. 1.50
Umbria ed Aspromonte: Ri-
cordi diplomatici, per Genova
il: Bevel, un voi. in-v di pa-
gine I il. L. 3 per . L. I.—
Il 1859 e L'Italia centrale.
Miei Bicordi, pei- Genova di
Revel, un voi. inveli pag. 188,
L. 2 per !.. I.—
Vecchie utopie: Note di Gio-
vanni De-Castro, nn voi. m ì -i
di pag. 812, L. 3 pei- !.. 1.25
Fratellanze segrete Studio
di Giovanni De-Castro. un voi.
in-16" di I- 18 I, I- 5 per !.. 1.50
Il Duomo di Milano e i dise-
gni per la -u l i teciata, di
Camillo li. il.'. I>i llissimo ed
interessante voi. Ln-4 di pa
glne :us Legato in pei
iuuovoì con 35 eliol Ipie e n
litografie ed un saggio biblio-
grafico di K. Salveraglio,
L. 32 per . . . . L. 16.—
Mentana e il dito di Dio e
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Ernesto Pozzi e coti illustra-
zioni di I'e Albertis, un voi.
in-!t>°dip. I80,li.3per L.— .75
Di là dal Mare, di Giovanni
Saragat (Tosa Rasa . un bel
voi. in-16° di pag. 816, L. :i
por, L. -.75
Nora, romanzo di Anna Ver-
ma Gentile, bel voi. in-160 di
pag. 160, L. 2 per . L. —.75
Storia di una Montagna . di
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Laura, un voi. in-lG" di pagine
28 . L. 2.50 per . . L. —.75
Storia di un ruscello, di Eli-
seo heclus. traduz. di Laura,
un voi. in-lG° di pagine -'7 1.
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pag. 280, I-. 3 per . L. —.75
Gli errori giudiziari, diagnosi
e cura per Domenico Giuriati.
un grosso voi. in-16" di pagine
514. L. 5 per ... I» 2.—
Ricordi del Risorgimento
italiano dal 1848 al 1889
per Vittorio Bacci, un voi.
in-13° di pag. 2ls . L. 1.50
per L. — .75
Viaggiando si medita e s'im-
para, per Ernesto Coiti, un
voi. in-ld1 di pag. 25-*, L. 3
per L. — .75
Manuale per l'allevamento
di volatili da cortile, per
Gr. Sormannì, un voi. in nidi
pagine !5j con illustrazio
cent. Gì per . . . L. —.40
Agricoltura pratica, storia,
costumi, prodotti, per Giu-
lio Cappi, un voi. in-lG" di
pag. DO per L. —.40
Guida del Pollicultore, per
i;. So rm anni, un voi. in 16 di
pag. 17, i con illustra/... L .0 GO
pei I,. — .40
I Farabutti, nuovo libro in dì-
fesa d Ila ni irai'- d'-i prof.
Alberto Casta, 2 voi. ini'', di
compless p. 175, L. 2 perL. I.-
Metodo analitico, filosofico
e fisiologico, perla educa-
li ! '•! voce, poi- L eon
eav ' liraMoni, un voi. in-16
di pag, 34, 1,. 2 pei' L. —-50
La donna ed i suoi abbiglia-
menti . nozioni istruttive e
dilettevoli per il gentil sesso,
di Gaetano G-iovannini, ì voi.
e 16 di p. 114. L.2perL.— .50
La dottrina Manzoniana sul-
l'unità della lingua, nuovi
-indi critici del prof. Luigi
Gelmetti, un voi. ini di
pag. 312, L. 5 per . L. I.—
Manuale di ostetricia . ad
u- i eli.- Levatrici, per Jan-
court Barnes, un voi. in s di
pag. 21G, con 51 figure nel
testo. L. 4 per . . 1.. 1.25
L'igiene dei contadini consi-
derata nei loro rapporti eoi
bestiame, per A. Lemoigne,
un voi. in-lG» con figure, di
pag. 3G1, L. 3 per . L. I.—
Storia degli ordini cavalle-
reschi -li tutte le nazioni,
per Art. Gamberini, un voi.
In- 16° di p. 108 L.5 perL.— .75
Ariosto Lodovico: Orla, l'io
furioso, preg. ediz. di Firen-
ze, forni. G4" div. in 8 voi. com-
pless. p. 1G7G. L. 6 per L. 2.—
Manuale del Duellante, per
Jacopo cav. Gelli, con 27 tav.,
un voi. in-320 di pag. '.50, ele-
gant. legato, L. 3.50per L. I.—
Masino e il suo re. per Mark
Twain 'Samuele Clcmensi, li-
bro per rag izzi, un voi. in 1G°
111. dip.280, L.-.óOperL.— .75
Compendio di storia univer-
sale antica, di Bartolomeo
Mitro vie. un voi. in- 16° di pag.
172 .oli ili.. L. 2 per L. — 50
Manuale teorico pratico di
manipolazioni e operazio-
ni fisico-chimiche, per P. E.
Alessandri, ) ^r.v. in-svii p.
18 .. 'ii i in i ne. L.5 perL. 2.—
Dizionario metodi co alfabe-
tico di viticultura ed eno-
logia . per il e iv. i .iiisr|i|ic
Cusmano, un voi. in-8° di pa-
gine 30 1, L. 5 per . !.. 1.50
La Figlioccia di Cavour, ro-
o contempor. di Luigi
Gualtieri . 2 voi. In-16" com-
pless. p. (1 I '. L. 4.50 per I, I.—
Dizionario Milanese Italia-
no col repertorio Italiano Mi-
lanese, di l'Ietto Arrighi, 'l'i;,
vi. in 1 e di pag. uno leg. in
tela oro. L. s.:,0 pei- L. 5.—
Nuova Antologia Italiana ad
.-Ile scuole pratiche 6
ìi di agricoltura e de
/li istituti tecnici, compilato
ila! dott. Giulio Gallone. 2 voi.
in-iG - complessive pag. '.'i".
i.. ii per i- 3 —
w .-_T__._ _,__.._„ I suddetti libri si spediscono franco di porto in tutta l'Italia — per IV-
AN/ V H/JTY 1 12/1X1 LtìL,, " stero aggiungere le spese oltre il confine — le ordinazioni inferiori all'
L. 5 aggiungere il 15 0[0 in più per spese di posta e raccomandazione — il doppio per l'estero — tutti 1 libi
scritti sono garantiti nuovi e completi — contro assegno non si spedisce — le ordinazioni non accompagnate dall'im-
porto verranno annullate — chi desidera schiarimenti scriva con cartolina doppia — lettere raccomandate e cartoline
Vaglia alla libreria Luigi Perrella, via Manzoni, 20, Milano.
Compra «3 vendita. Ingrosso e dettay;lio.
VI]
AliUM I, NIK< 'I \ '.
te i • .- 1 1 1 1 1 1 « ' La sua i alta ed elegante era
chiusa in un ampia soprabito, ma ciò che si per
di n a in un senso si guad i in un altro, per-
. he qui |] .ii la 'li mistero ag alla
sua i Guardane] Don 80 perchè, pi
a Mi e il para ne i tolti rispetti cai
zava
- l'eri: de vi esprima la mia Oddi ra
zìi ne per avere consentito a che lo vi serva di grui-
uesta sera, lady Hatteras - disse Nlkola i
ducendo una moglie verso la gondola Sarebbe
impertinenza da parte mia i laminare die lo
• i ai tri occhi . ma credo
umeno di poten > mostrare un aspetta dell*
- he i "i ti. .ti conoscete
Entrammo nella «unii. ila e partimmo.
in i. aiieii.i a nato ni lantei ne ci pass,, accanto
\i eia dentro una compagnia allegra che cantava
i'": i eco 'iella musicasi perse nella lontananza
Nikola, rivolgendosi ai gondoliere, gii disse 'inai
'he eesa in italiano: la gondola sì unse per un
ile laterale. ,■ ci trovammo In un luogo pieno
ili oscurità e < 1 ■ silenzio. Nikola parlava semine
Qui eia una easa la CU] Storia era veri In mi
la Storia ili \ I i l'in ulne la easa ili
un pittore laniiis". la era nato un poeta, un guer-
riero che aveva conquistata la gloria colla penna
o colla spada; più là era nato un plebeo morto
l"'i doge Niki. la sapeva tutto. Le Sue spiegazioni
leu. ripetevano soltanto la storia passata, ma an-
che la presente: egli conosceva tutto, suscitava
nei nostri calori l'emozione che voleva, la pietà, il
tenore, la poesia, i i faceva vedere Venezia coi
suoi occhi propri e ee la faceva amare col suo
— Ura — disse — credo di avervi dato un'idei
ilieiale (Iella citta: Volete die vi (accia Ve
dere qualche cosa delia sua vita interna : Ne vaie
la pena, sapete.
\in"i a una \oiia diede un ordine al gondoliere,
i amia s: tinse per un canale M.'eUo,
a destra, poi voltò a sinistra. Andavamo certo a
vedere qualche cosa di interessante: la gondola
si ferino e si avvicino a una casa. Nikola fu il pri-
mo a saltar fuori e aiuto le signore a prendere ter-
ra Ci trovavamo m un quartiere di Venezia a me
perfettamente sconosciuto: le case erano vecchie
e cadenti, pochi lumi erano accesi ancora; mi"
o itue volte qualcuno si avvicino, guardando le si
in modo insolente, l'no di costoro, più ta-
pi rtinente degli altri, oso mettere la mano sul brac-
' e. di miss Trévor. In un attimo, senza sforzo ap
.'. Niki la lo stese a terra.
Non temete, miss Trevor — disse poi. — Colui
i perduto la testa un momento,
i lo detto, Si avvicino al! uomo, e gli parlò a bas-
s i voce.
— No, no, eccellenza — esclamò quel furfante,
— se a\> l'ito che eravate voi non lavici
fatto.
E se ne .imi" rapidamente.
ì i gondola si era mossa nuovamente, sarebbe
ululile raccontare tutto ciò epe vedemmo quella
'unii" tulli ehe Nikola era conosciuto
ovunque, e uon solo conosciuto, ma temuto e ri-
-I" nato, l.a BUa presen-
za era una chiave Che
apriva tutte le pone'
in sua compagnia le
doni rano sicure nei
luoghi più loschi, ' "Me
se fossero -late circon
date da una compagnia
di soldati.
. . .mi.. a\ emme ve
duto quanto c'era da ve
dere, era quasi mezza
l'ora di tornare
all'ali.
— Credo che non vi
(||s^r
Nikola mentre le signore
ESIGETE
HH
MARCA
HERMANN
MILA NO -TORINO
tle> .ni" i" - ' ili i gondi la per 1 ultima \ o
Aliali... risposero tutte e due I
una glie rispondesse anche per miss ir..
quindi sogglun
— Abbiamo passai" una bellissima
— Aspettate che sia Unita di> .■ Nikola — ho
'i ' ora un nume]-" nel mi" programma
1 a gondola s| ,,\ \ nino :, , ■,., n gradini. il>,\e -
va riti". ; aspettandoci, un uomo solitari,,
teneva qualche cosa in mano Nikola salti, [norie
.un "iiusse .mi li Individuo
— Onesta sera. Luigi. -- gli disse — i
" sai di meglio, per I onore della cil
Quell'uomo cani,,: la sua voce ri- -li era forte,
ma di una dolcezza infinita; la bellezza della s
il silenzi" della laguna, il mistero che circond
ali in t. .1 in,, accrescer ano I incanto, 1 nostri
cuori erano i i di soavità. Quando, per ,
dire, tornami i noi, la gondola si era avvici-
nata all'albergo, Scendemmo.
— Con quella voce. disse tuia moglie, — qu
l'uomo potrebbe tarsi una fama europea
— Ahimè — rispose Nikola — non avete notato
clic è cieco? Egli e condannato all'oscurità
p'iu.i Ed ora signore e signori, buona notte: ò
già tardi per |,,i ,
Prima quasi che avessimo avuto tempo di rin-
graziarlo, la rondi ila lo conduceva via.
CAPITOLO IV.
l uà sera, precisamente una settimana dopo che
Glenbarth era arrivai., a Venezia, fu portata una
lettera. Con mia sorpresa, vidi che era del d"i
Nikola: egli mi domandava se mi fosse possibile
trovar modo di andare da lui la sera stessa, Di-
ceva che era ansioso di discutere con ine una certa
questione importante, ma non spiegava di che si
trattasse. Diceva che andassi assolutamente solo.
M'in , iiialche minuto colla carta in mano, peii-
11,1,, che cesa dovessi fare.
Non aveva molta vi glia di andare fuori, ma, d'ai-
tra parte, provavo un desiderio vivissimo di vedere
Nikola ancora una volta.
L'idea ch'egli avesse bisogno di consultarmi su
questioni d'importanza, lusingava la mia vanità,
particolarmente perche egli n lesiderava
terza persona. Alla ime risolsi di andare e gli
scrissi un biglietto, dicend la lui
dopo le nove e mezzo. Poi continuai a vestirmi e
andai a pranzo
Mangiando, parlai della lettera che avevo nce-
% ni" e domandai ai miei amici che un -
se nella serata sani andato a vedere che cosa Ni
kola volesse da me. Notai che appena parlai di que-
sto argomento, miss Trevor perse completali,.
! appetito : già appena pronunciai il nome di N
Ki la. mi guardo con un'espressione di sorpr,
ili volto Non dissi nulla, ma osservai che
maiio sinistra -i agitava febbrilmente d'ìmprov-
\ iso ii. .ti so perchè.
(."ine le signore si furono ritirate e Glenbarth
,. i h, n trovammo soli nel salone, tornai a parlare
, una visita di quella
— Amico mi", - dissrp
Glenbarth — non vi In-
vidio. Non vi sentite
Si 0SSÌ la lesta le - B.U
vani, Mie.
— Perche dovrei esse
re nervoso '.' A dire la ve.
iuta, ho poi paura di
Nikola 'he della su.., ,a
sa. ma in questa occa
Sione, p"l. credo di noli
dover temere ne (telili
no ne dell altra.
— Bene , — i
s,. domattina pei
a.'lie li"ii sarete
inalili' i" attor
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito 1
Di 19 ioti sempre successo (resulti
Soprascarpe di Gomma
MACAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
macchine per scrivere
KEMINGTON
furono acquietate
io
dal WAR-OFFICE di Londra
(Ministero della Guerra)
ìD^T* Tale importante ordine,, il più forte avuto fin qui, prova che nonostante la
concorrenza delle imperfette imitazioni, la Remhìgtoti è sempre la più perfetta,
la più solida, la più moderna delle macchine per scrivere.
Chiedere Catalogo e prove della Remington N.° 7
all'Agente Generale
CESARE VERONA
TORINO — 20, Via Carlo Alberto, 20 -- TORINO
SUCCURSALI
~ .é^p* ^
ROMA
Via Due Macelli, T
nvLiL^isro
Corso Vitt. EJraaarx., 5
GENOVA
Via Carlo Felice, 11
-Via Roma, 396
VII]
ADDIO, NIKOLA
la polizia e tarò trah ■ b
un revo
— No, : ■ ipai e dli d ani be Ben
ia da fui
Tu: mia tanza, ripensandoci,
presi il revolvei Poi, pentito, scossi la testa e
-i" Spensi la lampada elettrica e mi ba
vicinai alla porta Sulla soglia un'ultima i
rmò Stetti s Iquanto dubbioso, poi, de
1 e, toi nai Lndiet ro, l rasai fuori il re
volver dal cassetto ove l'avevo riposto, lo misi In
quarto d'ora più tardi, una gondola ci con-
\ a nel Rio del i onsigllo e si g,y \ ii ina\ a al
paia R ' ivvolta nel! ombra, dava
una strana impressimi!' ili solitudine quasi pauro-
sa, li gondoliere si affrettò a farmi scendere dalla
barca, e, appena l'ebbi pagato, si allontanò piu ra-
pidamente che potè i" sin. nai il campanello.
i lontana si fece udire nell'interno, accre-
scendo il senso ili solitudine e aggiungendo un
nuo\ nto di mistero a quella casa abboml-
.!'. Per ipianti i con Glenbarth io avessi cenai.,
ili mostrarmi tranquillo, non mi sentivo molto a
agio Miro era dire che la casa non mi faceva
paura quando ini trovavo in una stanza bene il-
luminala, con un bicchiere 'lì buon vino a portata
di mano e un amico in faccia a me, e altro era
stare al buio innanzi a quel vecchio portone con
ni aera del canale ai miei piedi, e l'idea fìssa
.li quella terribile saia lassù. Finalmente udii il
suoni; (li un passo «'he traversava il cortile, e,
dopo, il dottor Nikola mi salutava e mi Invi-
Ulva ad entrare. Una lampada solitaria illuminava
L'ampia corte, alternando lunghe strisele di luce
.' li ombra sul pavimento, e faceva parere tutto,
intorno, ancor più lugubre del consueto. Strettaci
la mano, Nikola ed io Ci avviammo senza far pa
rola -u pel grande scalone, i nostri passi avevano.
pei corridoi, echi slrani. Fui proprio contento
quando raggiungemmo ramina sala bene illumi-
nata. Non ostante la storia narratami dal dottor
N kola, mi sentivo bene là dentro.
— Sedete, vi prego, — disse Nikola spingendo
Innanzi una poltrona. — Siete stato molto gentile
rliendo la mia preghiera. Lady Hatteras e miss
Tu .ni stanno bein- .'
Stanno benissimo, grazie, e mi hanno inca-
. di sa lutarvi.
Nikola ringraziò a sua volta, e poi, messa una
scatola di eccellenti sigari a mia disposizione, si
preparò una sigaretta e l'accesi-.
Io stavo almanaccando quale ragione avesse po-
mi., indurlo a chiamarmi così in fretta, proprio
lineila -era. e non riuscivo ad immaginari' che COSa
iscito da questo colloquio. Conoscevo Ni-
kola benissimo, e sapevo che egli non operava mai
senza scopo. Ogni .usa che egli facesse era medi-
i i agionata, ordinata a qualche fine
questo non era apparente,
Mini., qualche tempo; poi Nikola mi ringra-
ziò di uiiiiVi. per essere ambili- a visitarlo,
tacque ancoi a per quali he minuto, riman
rto chi ' ominciai a dubitare ch'egli avessi
a aia la mia presenza. La situazione era ab-
bastanza strana Finalmente, pei richiamare la
attenzione, non sapendo che dire, osservai che per
una settimana non ci eravamo veduti.
— Sono stato fuori, - rispose Nikola, come fa-
cendo uno sforzo per tornare nella vita reale. —
Vffaxi Importantissimi mi hanno chiamato nel
zogiorno d'Italia, e i lisamente a Napoli, •
Itanto quesi i mattina,
Vncora una volta si chiuse nel silenzio. Poi,
iinio-i verso un', e parlando in modo ini
n.iiiir come non aveva mai fatto ancora, prosegui:
— Hatteras, voglio anzitutto rivolgervi una
manda, e poi, col vostro permesso, intenderei I
1111 line. ,nlo.
Mi limitai ad inchinarmi, non sapendo che ;
e non volendo compromettermi, perchè andavo
sempre più confermandomi nella nila convinzi
che Nikola intendeva valersi per qualche suo sco-
i . del mio sussidio.
Nikola riprese:
— Ecco la domanda. Avete mai pi
io sia l'uomo che sono, che cosa abbia fatto di me
i uomo che som. f
i osi dicendo. Nikola mi fissava in volto. Parlava
con una gravità straordinaria, lo risposi che -
so mi ero fatto io stesso quelle domande, ina. co-
m'era naturale, non avevo saputo rispoil.l
— Un giorno o l'altro — riprese Nikola — co
scerete la storia della mia vita, ma non ora
molto da fare prima. Ed ora vi farò il raci
che v'ho promesso. Quando avrò Anito, capirete
perchè io ve lo faccio.
Si alzò e prese a passeggiare su e giù per la
stanza nervosissimo, agitato come non l'avevo mal
visto in vita mia. Quando si fermò in faccia a me,
il suo volto aveva un aspetto ancora più stri
dell'ordinario.
— Hatteras, — disse infine, allorché ebbe domi-
nato alquanto la sua emozione. — io credo che in
questo inondo non ci sia stato mai un uomo che
abbia sofferto quanto ho sofferto io. La storia com-
pleta della mia vita, come vi ho detto or ora.
posso dirvela adesso. E' troppo presto. Ma un gior-
no o l'altro verrà l'opportunità, e allora voi sa-
prete ogni cosa. Ma frattanto....
Tacque qualche minuto, e poi risolutamente pre-
se a parlare.
(Continua).
^ di cà> »
Sg^r-
Ammo-II
•N vm 7
•La Lettura-
LVGLIO
RIV15TA-ALN5ILE-
DEL-fORRILRE/
^DELlA^ERA"
902'
iiA miA officina
on ricordo quale scrittore abbia chiamato
la sua stanza da lavoro « il pensatoio »
e detto che la considerava come il suo
« secondo erario ». Il mio secondo cranio vale an-
che meno del primo; ma è più curioso. Per que-
sto m'arrischio a descriverlo. Un signore di buon
gusto e amante del lusso sorriderebbe di pietà al
vedere questa stanza tappezzata di rosso di fragola,
dove non è un solo mobile artistico, dove gli scaf-
fali son formati di assi nude e bianche, non inver-
niciate che per di fuori, dove ce un tavolino da
scrivere che parrebbe appena decoroso a un impie-
gato di dogana, e non centocinquanta dei quattro-
mila vilumi che vi si ammontano hanno una lega-
tura che sia restata più di venti soldi. Ma la stanza
è ampia e alta, e illuminata da due grandi finestre
che s'aprono sur una vasta piazza tutta verde d'a-
cacie, e guardano le Alpi Cozie. dominate dalla
piramide azzurra del Monviso; e i quattromila vo-
lumi, distribuiti per ordine di colori, non di mate-
rie, formano sulle pareti delle grandi strisce ver-
miglie, bianche, gialle, verdi, rosate, che rallegrano
gli occhi come tante ghirlande di fiori, e centinaia
di ritratti fotografici, ficcati nelle cornici dei qua-
dri, messi in fila sugli scaffali, raggruppati a cer-
chi e a ventagli, mettono in ogni parte come un
sorriso di vita ; per modo che a chi vieti qua per
la prima volta, par d'entrare in un teatro affollato
di spettatori minuscoli, ed io pure, in qualche mo-
la Lettura.
mento, quando rileggo qualche cosa mia ad alta
voce, ho l'illusione di fare una lettura pubblica. E'
uno studio che parrebbe povero a un ricco . di-
sarmonico a un artista, puerile a un uomo grave,
< isordinato a un uomo di sesto. Io mi ci trovo bene,
come certi matti nel vestito informe e stracciato
che si son fatti da se, con ritagli di panno d'ogni
tinta e pezzi di nastri e gingilli raccattati qua e là ;
dei quali i sani ridono, e a loro paion manti reali.
Ma non si creda che sia uno studio tanto povero.
Posseggo io pure dei quadri. E' vero che son quasi
tutti quadri fatti con la macchina. Quanto al di-
sordine, è grande, non lo nego; non perchè non ci
sia simmetria nella disposizione delle cose, ma per-
one >e assieme le cose più dispartite. Fi-
guratevi, per esempio, un enorme panorama di Co-
stantinopoli, ohe comperai da un fotografo di Pe-
ra, con un sacrifizio di borsa eroico, e che va da
da un lato all'altro d'una larga parete; e sopra
questo un grande ritratto a stampa di Alessandro
Manzoni, regalatomi trent'anni fa da un ufficiale
del n he l'aveva ereditato da uno
zio prete; e a destra del Manzoni il capo calvo di
I nullo Castelar, che par che arringhi le Cortes, e
a sinistra una bellissima sposa 'li quindici anni —
mia madre — col libre) da messa in mano, dise-
37
">7S
LA l.l TI I k\
.1 da 1 1 1 i 1 1 | '.l' Ire. nel 18 con una
finezza e un innamorata Questa
; perla della n a, che non darvi per una
\! Raffaelli ■. Ma ri hi > delle o » pri
anche sotto il Como d'oro: le I dei primi
quadretti ispirati a giovani pittori dal mio primo
l > madre del soldato, I ita
marcia notturna, e uh acquarello fatto dal p
Bi ve sul Sirio, quando ritornò con me dall'Argen-
tina; il quale ra] i un ghiacciaio innomi-
' i -ì. «M, a cui il mio compianti)
ni suo viaggio d'esplorazione, avendi
smarriti la memoria di tutti i
nomi, fuori che del mi<>, : lispa izione
l'unico nome che si ricordava Ma vi dico: un di-
rli ! \ accanto al li ■.. in un quadretti .
un brano della tunica di Frani. P Marca (au-
tentico, badate), o di bollo e di firma del
I eoni : il quale attcsta d'averlo tolto egli
alla comba d'Arquà, quattro anni prima
ch'io nasi i è tanto piccolo che una petrar-
chista innamorata ci pi i saie a mala pena
la ininta d'un bacio. E non è questa la parete più
variamenl quella del lato opposto, do-
vi Pai lo Di n ul di , gii vane tenente dei Cacciatori,
quel suo viso dolce e sereno, a cui non rassomi-
glia neanche alla lontana la sua nuova faccia di
nazionalista insatanassato, ha da una parte un el-
metti idina olandese, dall'altra un
rto di penne di pappagallo, che appartenne a un
i di tribù del rio delle Amazzoni, e sotto ai piedi
una bizzarra miscela di fotografie di tortros. di con-
tadini andalusi, ili pescatori della Neerlandia, e
di pastori della Patagonia, in mezzo ai quali bril-
lano gli occhiali d'oro e nereggia la dotta barba
del professore Spegazzini di Buenos Aires. Caro e
bravo amico, che con la sua meravigliosa parola
mi dava lille sser vissuto degli anni con
agl'indigeni delle terre più remote del
Sud-America, e ogni volta che lo lasciavo, mi pa-
nni da un sogno! Sono un regalo
suo tutte quelle strane faccie patagoniche, di sesso
e d'età irriconoscibili, ma spiranti dai piccoli occhi
neri ima mitezza d'animo che tanto più intenerisce,
i brilla in ogni gruppo la baionetta inastata
d'un.' E chi sa perche si tro-
ttisi con quella gente il maresciallo Serra-
no e don Carlos, la crinoline gigantesca della re-
gina Isabella e la faccia di luna malinconica della
d'Olanda, e proprio fra le due regine
il viso cadaverico del povero Stefano Merlatti, pre-
• 1 quarantesimo giorno della sua famosa lame
al Grand-Hotel di Parigi? Mi diedi egli stesso il
suo ritratto quando passò da Torino per andar a
n la pittura la fortuna che non
Fi eia col digiuno. Ed è un re-
galo di Sai farina il Milleottocento <• sette,
''nio da un altro artista ali manti i
del digiunatore, — il Meissonnier —
per il quale ebbi un tempo una passione matta ;
ma. intendiami il quadri che fu
pagato trecentomila lire, e che né Salvatore né io a-
vremmo potuto comprare, a quei giorni, nemmeno
col ribasso di tre zeri. E a lato ai superbi coraz-
della Guardia . vedete che
sono schierati i miei undici figliuoli del Cuore, trat-
ti in i da quelli in bronzo di Ettore X
neSj i quali sono in un'altra stati/, i. che si chiama
sala così pi r dire, perchè dopo che
nella mia casa la svendili, non vi i
■sso.
un alio fra le due
nell'ombra il busto bianco del pittore Junck, il mio
buon no di viaggio in Oriente, morto d'eri-
uni. prima che s'aprisse al sole della
gloria il fiore del suo bellissimo ingegno. Pare che
egli torca lo sguardo dal tavolino do\ . co-
me se la mia vista gli ridestasse un amaro rimpian-
to della vita, e che lo fissi con curiosità d'artista
si pra le tre armi esotiche che pendono dalla parete
di rimpetto. Una ben povera armeria; ma che non
baratterei con tutto l'arsenale di Tartarin. No, di
. perchè quella rozza tiavaja da
bivi riporta il mio pensiero nella stradicciuola di
Siviglia dove la comprai, accanto alla supposta bot-
tega antica di Figaro, e quel pugnale da Otello è
un ricordo del maestoso generale in turbante. Ha-
med Ben Kasen Buhamei. che accompagnò la ca-
rovana dell'ambasciatore d'Italia da Tangeri a Fez,
(un generale dotto, che sapeva leggere e scrivere) e
quella sinistra sciabola falcata, che forse stillò di
sangue italiano, fu raccolta sul campo di Do-
gali . ed è un dono del valoroso maggiore Ste-
fano Hidalgo, difensore di Kassala . mio com-
pagno di collegio al tempo di Torino capitale.
Non ri par messo apposta per fare un'antitesi,
sotto quegli strumenti di morte, il medaglione in
bronzo del pacifico Luigi Filippo? Non perchè sia
il ritratto di re Chiappini ì sì in mostra,
lo potete credere ; ma | un presente d'un
mio vecchio amico parigino di trentanni fa. al
quale è dedicato il mio libro sull'Olanda dove an-
dai per ispirazione sua. Caro e buon Grolier, così
caldo amico dell'Italia e così eroicamente
a imparar l'italiano, di cui non riuscì mai a pr< -
iiiinciare una parola ci, -i alla prima !
anche il suo e uno dei tanti ritratti che, nei giorni
neri, quando giro per la stanza riandando il pas-
sato, mi fanno l'effetto delle fotografie esposte sui
sepolcri Quanti sono già scomparsi, di questi che
vili., tutto il giorno in immagine, nei pochi anni da
che ho trasportato fra queste pareti la mia officina!
Quando 1 i, mi par d'aggirarmi in
un cimitero. Il Licata, il Bianchi, il Cerchi, as
sinati in Africa; il Bersezio, il Carrera, il
Leopoldo Mai • lina, mi i : .
niti ire del lì, 'Iter Antonio, f\v mi mandò il
ritratto negli ultimi si mi; morto il
prode De Amezaga , che scrisse sulla sua
fìa : il vostro marinaio, invece ili sa il
poiché aveva avuto la bontà d'in-
larmi la terminologia marinaresca che m'a
reva per scrivere il libro Sull'Oceano; morti Pie-
LA MIA ' •! FU IN \
tro Cossa, Ernesto Russi. Alberto Arnulfi, e lo scul-
tore Costa, e il buon Cristoforo Negri, e il suo po-
vero figliuolo, che prese il padre, così come si vede,
con ['istantanea, nell'atto che egli riceve l' illustre
Kossuth nella stazione della funicolare di Superga,
per condurlo a desinare alla sua villa. E altri cin-
que morti sopra l'ultimo ritratto di mia madre:
Victor Hugo. Emilio Augier, il Dumas figlio. Al-
fonsi Daudet e Edmondo Cottine*, l'autore del
f 'ercingetorix, una bella testa d'Enrico IV, un in-
namorato della mia patria, un uomo d'oro, che sa-
rebbe riuscito un grande scrittore se, come diceva
il suo amico Dumas, non avesse passato la vita a
levarsi alle undici. Unico vivente, accanto a questi,
Emilio Zola, con quella faccia acre di malato di
fegato ; sulla quale, però, io rivedo sempre il buon
sorriso del suo ultimo saluto.
L'ultimo illustre morto, in disparte, è Giuseppe
Verdi, che scrisse sotto la propria immagine: San-
ti'Agata, -?5 agosto, i8~8 ; che vuol dire trentasei
anni dopo il Nabucco e otto anni prima dell'Otello.
E l'ultimo illustre vivente della collezione è Gabriele
D'Annunzio, che scrisse sopra il proprio capo, con
poetica gentilezza: — ...malinconicamente, in me-
moria d'un radioso incontro: — un incontro di di-
ciannov anni fa. nel quale, ahimè ! il solo veramen-
te radioso era lui. che aveva vent'anni nel cuore, e
l'amore negli occhi, e sulla fronte la gloria.
Il mio banco di fabbro di periodi è in un pic-
colo vano, che forma nella grande stanza una spe-
cie d'alcova, nella quale ho raccolto una gran parte
delle mie cose più care. Alzando gli occhi dal ta-
volino, mi vedo di fronte, sopra uno scaffale, una
angelica testina di monaca, a cui Davide Calandra,
non so come, ha messo negli occhi di bronzo due
lacrime, che non cadono mai. Volete credere che
quello sguardo puro e pieno di tristezza mi fece
qualche volta cancellare sulla carta una licenza vol-
gare della penna ? E ho alla destra un'altra povera
ragazza, formata in creta da Pietro Costa, una gra-
ziosa monella coi capelli negli occhi e col capo rav-
volto in un fazzolettaccio da venti centesimi, an-
nodato a casaccio sotto la bazzina impertinente, che
par che sorrida con malizia quando mi volto per
buttare una lettera importuna, o dei versi che so-
migliano ai miei, nel cestino che ella avrebbe ai
suoi piedi, se avesse dei piedi. Anche in quest'an-
golo ci ho il mio amato Casimiro Teja, che ricor-
derei pure ogni giorno se anche non avessi in ogni
stanza della casa qualche cosa di suo : una pagina
del suo Pasquino, rifatta da lui in acquarello, in
foinia d'una carta da gioco, che rappresenta il suo
vecchio amico, re di cuori, con la corona e l'ermel-
lino, e con la persona mezzo nascosta da tanti sco-
laretti piccolissimi, che gli s'arrampicano su per i
panni fino alle spalle, pare, per baciarlo in viso:
una di quelle fantasie argute e gentili, in cui si pa-
lesava intera la bell'anima sua. Ma qui i ricordi
preziosi s'ammucchiano. Il mio modestissimo ta-
57' i
volino è un piccolo museo. Per esempio, non ven-
derei a peso d'oro questo pezzo di cristallo di rocca,
che mi sene da calcafogli; perchè, figuratevi! fu
trovato nelle viscere del San Gottardo, e me lo re-
galò un ingegnere svizzero, impiegato ai lavori del
traforo, in ricompensa del diritto di traduzione in
francese di non so quale mio racconto: qual altro
scrittore si può vantare d aver ricavato dalla sua
prosa un frutto di tal natura5 E quest'altri' .idea-
fogli è un pezzo di tronco d'albero pietrificato della
foresta di Menti, che mi portò dalle rive del Nilo
una maestra delle scuole elementari: esso rappre-
senta presso a poco tutta la mia scienza egizia ; ma
serve a far supporre a qualche visitatore immagi-
noso e benevolo ch'io ne sappia molto di più: il
caso s'è già dato, tutto giova. Non ho altra ricchez-
za che di calcafogli. Ce n'ho un terzo. Qui ti non è
che un pezzo informe di legno; ma ci è legato un
ricordo, che mi fa ancora sorridere, dopo trent'anni.
E' un frammento del palco antico della moschea
di Cordova, avuto in dono da un caro giovine cor-
dovese, il quale, quando visitai la sua bella città
bianca, facendomi da Cicerone per le vie, mi fece
ripassare non so quante volte, con l'ingenua illu-
sione che non me n'accorgessi, davanti alla finestra
a terreno della sua innamorata, a cui dedicava i
versi amorosi di poeti spagnuoli, che diceva a me
ad alta voce, col pretesto di farmi conoscere i più
bei fiori della lirica nazionale. Una bella figura
da far fare a un fratello latino, non è vero? Ma
me la fece fare con tanto buon garbo ! E perchè
non dovrei annoverare fra le mie piccole perle an-
che questa scatoletta d'acciaio da fiammiferi, della
forma d'una granata d'artiglieria, che tengo da sei
lustri accanto al mio calamaio? E' una cosa da
nulla, ma che mi è carissima. Apparteneva a un uf-
ficiale russo, il quale, in un carrozzone di strada
ferrata, in Baviera, avendo udito rammentare il
mio povero nome da due italiani che ritornavano
in patria, rivolse loro la parola, e. inteso che sa-
rebbero passati per Torino, cavò di tasca la scato-
letta e li pregò di portarmela, come un pegno di
simpatia. È' gentile, non è vero ? E non conosco del
donatore neanche il nome. Ma m'è più caro il ri-
cordo per questo.
Ma la biblioteca? — domanderà qualche biblio-
filo. — O Dio buono 1 Non è quella del Carducci,
lo potete immaginare. E' una biblioteca senza capo
né coda, con un monte di cartaccia superflua e
cento lacune vergognose, nella quale non ve di ve-
ramente notevole che una splendida edizione com-
pleta delle oliere del Voltaire, del 1784. in settanta
volumi ; l'unico tesoro scampato alla vendita for-
zata che si fece della libreria paterna, dopo la mor-
te del mio buon padre, che lasciava la famiglia
nelle angustie. Avendo io avuto il ticchio di rag-
gnippare i libri in ragione dei colori, n'è riuscito
un arruffio di rigatteria, in cui non si raccapezze-
rebbe in un mese il più paziente bibliotecario d'I-
talia.
I \ U I >
V lenti, mi (|uali si
famiglia.
I nel significato poli-
dove sono raccolti tutti i
e gì trattano della qnistione sociale,
nielli dei socialisti cristiani più Lattiginosi a
quelli ilei più violenti anarchici amarrasti, dalla
no lino ai
più paganda popoli
una catasta ili mati ndiaria, la quale dareb-
be d; uattr'i ne a un deli .
di polizia che mi , rquisizione. E'
uno scompartimenti . al (piale certi miei a-
miei. i ne. scansano di sedersi da pres-
sili tanto una guardai.
L'altra la biblioteca americana, tutta composta
di libri che si rìferìsconi ali Argentina e all'Uru-
guay, di descrizioni di viaggiatori, d'opere geogra-
e Storiche, di codici e di statistiche, e di me-
mori' ritte sulle colonie, e di prosatori e di
del Piata, a cui non rivolgo mai lo sguardo
senza un sentimento di tristezza e di rimorso, per-
chè mi rammentano un caro sogno svanito e una
promessa che non mantenni. Eppure un rimorso
non dovrebb'es he è \uì atto d'uomo one-
sto, insomma, il desistere, dopo lunghi studi e ri-
nunciando a molto vile metallo, dal proposito di
scrivere un libro, il quale non sarebbe riuscito ne
originale né utile per insufficienza d'osservazioni
personali e dirette, ma un libro fatto in libri, fa-
ticoso e non sincero, e quindi indegno dell'argo-
mento coni pi t - ino. che in tre mesi di
soggiorno in quei paesi, distratto da mille cure di-
. non avevo avuto il tempo, non dico di stu-
diare a fondi . imi manche di osservar seriamente.
Ma su quella biblioteca abbandonata, che s'alza
proprio in faccia al mio tavolo, vedo ancora con la
fantasia, come in un quadro cangiante, disegnarsi
dell'Oceano e l'orizzonte verde
della Pampa, e passar turbinando branchi di gau-
chrs e mandre di cavalli selvatici, e sorgere e spa-
rire le foreste di Tucuman e le cime delle Ande, e
balenare il grande teatro Colon affollato, che mi
guarda con migliaia d'occhi, e mi ripercote il suo-
no della mia voce tremante.
Ed ecco la terza biblioteca, di più che trecento
volumi, della parte dei quali non capisco
un'acca : per mia fortuna, perchè so da buone fonti
che. se li potessi leggere, ci troverei troppi strafal-
intrecciati coi miei. E' la biblioteca delle tra-
duzioni, dove spiccano i volumi stupendi dei fra-
telli l'umani di Nuova York, e venticinque C
fra cui uno russo, uno greco e uno arabo, con la
parola italiana trasformata nei suoni più
titoli più diversi: SstV, Set
Chlopca . longensleven . Kamrater cu
il rri Sicd ; illustrati da
ogni legni bizzarri, nei quali i soldati
italiani dell'originale a| con le uniformi di
tutti gli i a. e le case di Torino rico-
struite con le architetture più fantastiche; ciò
non 'li meno, appetto agli strazi
il . trasfora
sirav uni anch' , un'impu-
denza 'he giunse fino ad intercalarvi delle frasi in-
giuriose per l'Italia. Di questi facinorosi li" strap-
ne dal largo ventaglio delle
traduttori che si spiega sulla parete dietro al mio ca-
po: una mostra di visi di tutti i paesi, che dà la
immagine d'un congresso letterario intemazionale:
teste biondissime di miss, capigliature corvini
accie baffute e fiere d' ufficiali tei
nici. chi slavi, argute bocche trainisi, capi
canuti d'oscuri operai della penna, che non vidi e
non vedrò mai, ma che son per me come vecchi a-
mici che abbi un. lavorato lungo tempo accaiv
me, al lume della mia lampada, palpitando delle
mie commozioni e delle mie sperai
E no tra i libri, eccone ali tini, in uno
scaffalino appartato, che mi sono cari in particular
modo per le poche parole che vi scrisse su la mano
dell'autore. Sul libretto intomo all'Unità della lin-
gua è scritto di pugno di Alessandro Manzoni: —
macte virtute. Ah. disgraziato pucr, come rispon-
desti all'esortazione? Ci ho una copia della prima
edizione della l 'ita militare, dove il poeta Zanella
segnò con la matita sui margini le proprie impres-
sioni: fu un giorno di festa, mi ricordo, quello in
cui ebbi quel libro. Ed ecco il Teatro di Emilio
\n_ ier, -oi cari caratteri di quella penna che la
e doveva spezzare tra poco, e i C/iants du sol-
dat del suo bollente nipote, con quel raspaticelo di
gallina che faceva indispettire lo zio, e l'ultimo ro-
manzo del buon Daudet, in cui la scrittura mutata
della dedica affettuosa mi fece presentir vicina la
sua fine. Xel libro Les femmes qui lucri/ c'è una
penna d'oca che Alessandro Dumas figlio lasciò
sbadatamente fra le pagine, dopo aver scritto sulla
prima una parola gentile. Su quest'altro, il primo
volume dei discursos, Emilio Castelar scrisse il suo
saluto, me presente, in una bottega di libraio della
Pucrta del Sol di Madrid. E sarebbe il più prezio-
si tutti quest'ultimo: il registro in cui Silvio
Pellico notò per cinque anni le spese di cucina della
Barolo, se non conservassi ancora il Donato
e altri libri di scuola, postillati e legati da mio pa-
dre, il quale ristudiò il latino per insegnarmelo.
Povero maestro venerato, come sciupasti le tue fa-
'. Ed è opera sua il ritrattino a matita lì ac-
canto, ch'egli mi fece piangendo, quand'ero bam-
bino, malato di crup e dato perso dai medici, per-
chè del suo ultimo figliuolo gli rimanesse in
almeno 1 effigie.
I piani più bassi degli scaffali, tutt'intomo alla
stanza, sono magazzini di cose morte, dai quali, a
metterci appena la mano, escono dei nuvoli di pol-
e di tiisiezza; ma che da anni non ureo più,
per un certo senso di n a, come quello che
mi tratterrebbe dallo scoperchiar dell'
le raccolte dei giornali da cui ebbi le prime gioie e
le prime amari zze di scrittore, i manoscritti ingial-
liti dei miei libri stampati, e di quelli morti prima
di ii ->i di le'tere d'ami - iuti,
LA MIA OFFICINA
58i
ricevute nello spazio di trentanni, e ogni specie di
avanzi del passato, dal mio brevetto di sottotenente
di fanteria alla nota dei piatti del primo pranzo
d onore scroccato a dodici amici, dai grandi an-
nunzi illustrati della Plaza de toros alle gazzette
turche comprate per curiosità tipografica nelle stra-
de di Stambul. Credo che ci siano anche dei fiori
secchi, dei giuramenti traditi e dei tentativi di com-
media. Certo vi sono molte cose che un tempo tenni
per tesori, i quali mi proponevo di conservare reli-
giosamente fino alla morte, e che ora venderei a
peso a un rigattiere, se non ci fosse scritto il mio
nome. Quante monete della vita son messe fuor di
corso dagli anni ! E che cos'è quell'io, che noi pro-
nunciamo con tanta compiacenza, e con l'illusione
di significare qualche cosa di ben determinato e si-
curo ! Da qualcuno di quei pacchi di giornali, di
cui mi rammenta il contenuto il posto dove li misi.
escono delle voci laudative che mi fecero brillar di
gioia e d'orgoglio, e che ora mi fanno scrollar le
spalle, con un senso di pietà o di molestia ; delle
voci ingiuriose di critici, che odiai come anime bas-
se e malvagie, e che ora m'ispirano una simpatia
più viva di quella che ho serbata per i lodatori ;
delle voci che raccontano feste e onoranze, delle
quali ebbi come un'ebbrezza celeste, e da cui ri-
fugge ora il mio pensiero, con un sentimento quasi
di dolore, come dal ricordo d'un delirio vergognoso,
Quella è la gran fossa del mio studio, dove seppel-
lisco ogni giorno qualche cosa, divenuta un ingom-
bro sugli scaffali e nei cassetti ; e con ciascuna di
quelle cose, senz'averne coscienza, seppellisco alcun
che di mio: una simpatia, o una stima perduta, li-
na illusione che s'è spenta, un piacere che non sen-
to più, un proposito a cui ho rinunziato, una spe-
ranza a cui son cadute le ali. Ed è anche una fossa
di libri, perchè segue in ogni libreria quel che nel
mondo, che i giovani cacciano i vecchi : ogni gior-
no va un vecchio a dormir là sotto per far posto a
un nuovo venuto ; e quanti ci dormono dimenti-
cati, dai quali mi pareva che non avTei potuto mai
separarmi ! Di tutta questa roba si farà una gran
cremazione, dopo fatta la mia. Raccomanderò sol-
tanto che sia salvata una gran scatola di latta .
sporgente framezzo ai pacchi, dove è chiusa una
bellissima bambola vestita di seta : un ricordo po-
stumo del povero Bonini. il noto fabbricante tori-
nese, il quale volle lasciarmi un segno di gratitu-
dine per il Re delle bambole, che sori<si in onore
della sua bottega.
Ma nelle ore d'ozio, dai libri, che sono vita al-
trui, son sempre ricondotto all'osservazione dei ri-
tratti, che sono ricordi visibili della mia vita. Non
pochi di questi ricordi, però, sono così velati nella
mia mente, che duro fatica a riconoscerli. M'accade
spesso di domandarmi, guardando un ritratto: —
Chi è costui ? — e di cercare inutilmente il suo
nome. Son persone forse ancora vive nel mondo,
ma già morte nella mia memoria. Eppure mi scris-
sero, e io scrissi a loro, e per un tempo le ebbi nel
cuore, e non so più chi siano: povera mente uma-
na! Altri son ritratti d'amici antichi che io perdetti
gettandomi per una nuova via: son le ferite che toc-
cano all'anima nella battaglia delle idee. La mag-
gior parte rappresentano giovinezze trascorse da
molti anni : vedo delle folte chiome brune di poeti
e di pittori, delle quali so che non resta più che
qualche ciocca biancheggiante, dei grand'occhi vi-
vaci, su cui la mano del tempo calò a mezzo le pal-
pebre, dei sorrisi di allegrezza e di benevolenza che
il soffio della sventura spense, come si spengono i
lumi d'una festa. E vedo delle signorine che ora
son nonne, dei sottotenenti che son generali, dei
giovinetti, di cui ricordo le lettere fiammeggianti
di poesia e d'ambizione, che avevan per divisa: La
gloria o la morie — : ora segretari comunali o im-
piegati di Ministero, carichi di figliuoli e non più
ambiziosi che d'un po' di nastro. Ecco un gruppo
di signore celebri : la formosa madama Edmond
Adam, fulgida e bionda, qual'era ventitré anni fa.
quando sedeva sul trono della Nouvelle Revue e
vagheggiava la conquista della Russia ; ecco la bella
e buona Virginia Marini dei bei tempi di Messali-
na e del Trionfo d'amore ; ecco la maschia Giusep-
pina Zambelli. la prode cantoniera di ferrovia, ron
la medaglia al valore che le mise sul petto, come
un bacio incancellabile di gratitudine, la Repubbli-
ca Argentina, sua seconda madre. Scorro una schie-
ra di compagni di scuola, di maestri di villaggio,
di professori d'Università, che, fra tutti, hanno
laureato un esercito, e mi trovo davanti a due vec-
chi formidabili, che m'inchiodano sempre lì ad am-
mirarli. Di uno mi fu domandato una volta: — Chi
è questo spettro? — E' Enrico Ibsen — Dell'al-
tro : — Chi è questo mago ? — E' Roberto Hamer-
ling. — E non tralascio mai di voltarne i ri-
tratti per vantarmi d'averli avuti da loro. Voi m'ac-
cusereste d'irriverenza vedendo accanto ai due gran-
di poeti una famiglia di giocatori di pallone in ca-
miciotto e calze bianche, in atteggiamento ili bat-
tuta e di rimessa; ma che volete, se non saprei dire
\eramenti i maggiore ilei due diletti, o quello
che mi danno le volate del pallone, o quello che ho
dalle volate del genio ! Più in là. spiccano la testa
d'apostolo del Prampolini. la testa d'anacoreta di
Carlo Piaggia e la testa di leone di Giosuè C ir
ducei, che ebbe la bontà di riconfermarmi dietro la
sua fotografia il grado di capitano che m'aveva
dato per sbaglio in una strofa satirica, in grazia
della quale vivrò tra i posteri. Poi ve una serie di
amici carissimi, che misi insieme di proposito, per-
chè rappresentano per me la corona di commensali
d'un banchetto ideale, e o me una tastiera di in-
gegni e di temperamenti da cui vorrei trarre ogni
giorno l'armonia ispiratrice di una con -, O
impareggiabili amiri ! Ecco il caro faccione di Giu-
seppe Giacosa. il dolce sorriso de] Fogazzaro, la bella
fronte di Anton Giulio, il viso aereo del licito, e il
profilo vigoroso di Giovanni Verga, e la barba ar-
guta di Gerolamo Rovetta, e i tuoi buoni occhi di
fanciullo, o caro scultore della Tuff elina, e anche la
tua gravità benigna e distratta di ex-eccelltnza. o
mio amato nemico politico. Enrico Panzacchi !
582
LA 1.1 II i R \
na ili <■ galantuomini « i ap
alla parete un grandi- ritratto d'un mi-
itadino abruzzese, '"I cappellaccio nero
piantato 'li si i largo solino della camicia
sulla rozza giac-
i : una b ma e bruna, illumin
ila 'lui- occhi che paion due stelle nere, alla quale
ila ir era evidente d'un ari
ggiato da maestro la fotografia, E
l'artista tu il personaggio medesimo, un «coi
dino » di genio, il grande pitturi- Paolo Michetti,
cent'anni ! Egli ha alla sua destra
un ah ru Paolo illustri', bruno e bello come lui, un
ritraiti '-In-, ventisette anni addietro, rientrando in
con una granili- tristezza nel cuore, trovai sul
tavolino, chiuso in una ili quelle lettere bene-
che sono come un raggio di sole a traverso
alle prime tempeste della vita d'uno scritture e-
ne sono grato ancora , o Paolo Man-
1 e la lettera i hi- spontani i - rissi
a te, Giuseppe Abba, dopo aver letto le tue impa-
reggiabili Note d'uno dei mille, non ti fu così dolce
come a un- quel la dello scrittore a cui ti misi ac-
canto, fruttò non di meno a chi la scrisse una dol-
cezza eguale, quella della tua desiderata e nobile
Stanno bene a fianco del garibaldino del
Sessanta i vecchi garibaldini della legione di Mon-
tevide . ai quali m'è un vanto l'aver stretta la mano
dinanzi alla bandiera gloriosa di Sant'Antonia...
E qui proprio gli estremi si toccano. Qui la parete
m coperta di ritratti di fanciulli, che vi fanno
come uno stellati' fitto d'occhi ridenti e pensierosi,
una fioritura lucente di riccioli, di ciuffetti, di trec-
cie, una gaiezza bianca di grembiuli e di calzine,
donde pare che m diffonda intorno una chiarezza
mattinale: fanciulli scompagnati, coppie di fra-
telli e di sorelle, gruppi d'allievi di collegi, schiere
di scolari e di scolare delle nostre colonie del Piata,
e sparsi qua e là, fra quel vivo sangue italiano, dei
visetti d'una bianchezza di latte, coronati di car
pelli biondi cinerei, con certi occhi chiarissimi .
miti, in cui balena l'anima d'altre razze, e
che hanno letto il mio « libro per i ragazzi » in lin-
gue ch'io non comprendo. Son di questo piccolo
popolo i più lontani, mimi i miei piccoli amici d'A-
merica quelli coi quali mi trattengo più spesso,
dom mi che cosa sarà avvenuto dei fanciulli
che ora son uomini, delle bimbe che sono spose e
madri: di questa, per i he mi recitò nella
scuola / fratelli d'Italia, e di quella che mi lesse il
suo com[ e ruppe in pianto intoppando in
una frase illeggibile, e di tanti altri di cui ricordo
la va pronunzia ancora dialettale
che diceva l'abbaini' no recente della patria, e il ge-
rì -. i il si irrisi ». Quanti avranno già
iti saranno già partiti
per sempre tinche da quella seconda patria? Così
mi i nche la vista di
quella fanciulle// oconda, e ni n li" i he
sguardo un po' più oltre perchè la
•iti in dolore e m sgomento. Non sa-
rebbe che un dolore la vista di quel bel capitano dei
èva il i ii' i'- d'un angelo, e che si
- |" i una promoi aro ta; ma l'imma-
gine sua mi (a pensare a quanti altri, che ini -
ii" in 'iti-' dintomo, dal povero Bellotti al pi
Mìiller, fecero la stessa misera line: — li ri'
a uno a uno li numero — e il sangue mi si ag-
ecatombe !
Tale e la mia officina, quale può vederla chi che
sia con gli occhi della In. me. Ma io ci vedo ben al-
ti» con - 1 1 occhi dello spirito, quando ci son
e non lavoro. Allora in ogni angui'., davanti a ogni
libreria, nel vano d'ogni finestra, mi si al/a da-.
una lana umana, la stanza s'affolla, vi risuonano
cento voci, vi si levano a volo, quasi visibili, come
un nuvolo denso di rosi- alate, mille Fa-
cendo dei nastri interminabili Ira le due pareti più
lontane, dico tra me: — Ecco, qui sedette, l'ultima
volta che lo vidi. Felice Cavallotti, e sento an
la sua voce, quando disse con a. profonda
stanchezza, passandosi una mano sulla fronte: —
Se potessi riposare per due mesi ! — Là Ti mimaso
Salvini mi parlò lungamente, ani parole .osi af-
fettuose e gentili! della sua povera moglie morta.
Intorno a questa tavola rotonda sedettero le tre
guide valdostane della spedi/ione del Duci degli A-
bruzzi. con quei faccioni rosati e placidi, che pai
ritornassero da una scampagnata, e che non muta-
vano espressione neanche nel racconto dei pati-
menti più atroci e dei rischi più terribili. Qui Re-
nato Fucini, una sera, recitò una sua comicissima
poesia giovanile sullo schermitore Milloski, tutta
rime in oschi e in usciti, che fece « andare a tra-
verso alle seggiole », una decina di amici. Ecco il
posto dove Francesco Tamagno, raccontando i
principi della sua carriera, cacciò fuori il famoso
sì deW'aiì/iiia è di Dio del Fottuto, che fece tremar
le vetrate e accorrer la cuoca. E rivedo la bella
testa di Renato Imbriani accennar risolutamente
di no, di no, che l'idea della patria non può mo-
rire, Ermete Novelli che mostra in che maniera
rebbe ìecitare il canto di Ugolini, imitando l'at-
teggiamento scontorto del dannato fitto nel «hiac-
cio, e Ermete Zacconi nell'atto che mi annunzia,
rotando quei grand'occhi come due palle di vetro,
un lavoro sconosciuto del Bovio, ini
ch'egli è deciso a cimentar sulla scena. E altri mi
siedono at tomo, passeggiano, s'aggruppano, viventi
e risuscitati, oscuri ed illustri: uno dei quali, l'e-
roico artigliere Giovanni Poggio, che perde tutte
e due le braccia all'assedio di Capua , cut
sul mio tavolino, scrive il suo nome sopra un foglio
con la penna stretta fra i denti. Di che strani
site e di che strani incontri mi ricordo! Si sono in-
centrati sull'uscio, qualche volta, un vecchio a'
reazionario, che usciva sbuffando dopo aver fatto
una carica furiosa contro il o mulino a vento»
della mia nuova lede, e una commissione d'elei
con le mani nere, eli. , I offrirmi la t
I ti si ni. m/a parlamentare del o molino». Si tro-
ll,, un momento a taccia a ' .-.mio al
. il mattoide sconosciuto i '
LA MIA OFFICINA
583
trovato il modo di rifar la società con un decreto
reale, e una povera mamma venuta a domandar-
mi un'iscrizione per la tomba del suo bambino.
E alle volte sedette l' americano arcimilionario
sulla seggiola da cui s'era alzato allora il poeta
famelico che m'aveva letto un sonetto per farsi
dare uno scudo. E gli editori di villaggio, e gli
apportatori, sub conditìone, d'un argomento ma-
ravigliasi) di romanzo, e i postulanti d'un articolo
per mettere alla gogna un sindaco prepotente o un
avvocato birbone! E in quanti barbari modi ho
sentito straziare fra queste pareti, da bocche di
dieci paesi, la dolce lingua del Petrarca! Ma vi
udii pure molte volte, per compenso, il cinguettio
armonioso d'uno sciame di bambine, condotte dalla
loro maestra a vedere il gruppo di Ettore Ximenes,
che tenni qui per un tanpo, e di cui tutte ricono-
scevano quasi tutti i personaggi, e sugli altri di-
scutevano, con un'allegrezza di voci e di gesti che
ini faceva venir le lacrime agli occhi. Tutte queste
visioni si alternano nel mio pensiero con la rapi
diti e l'evidenza di una fuga di proiezioni di lan-
terna magica, e finiscon sempre in una visione di
angoscia e di terrore. Tutte le immagini liete sva-
niscono: la stanza è affollata d'amici pallidi e si-
lenziosi, e ogni nuovo amico che entra mi corre in-
fitto con le braccia aperte e le richiude piangendo
sulla mia disperazione, che non piange più.
Non l'amo più. ora, il mio studio. Ma quanto
l'amai un tempo ! Quando, entrandovi la mattina.
lo trovavo già inondato dì luce e vedevo brillare
intomo in lunghe file i classici italiani legati in
rosso, le edizioni rosate del Lemonnier. i volumi
bianchi del Barbèra, i romanzi gialli del Daudet e
dello Zola, e tutti gli altri libri che parevano filze
di migliaia di fiori frammisti, mi prendeva alle
volte un'allegrezza come all'entrare in un giardino
di primavera. Le amavo per i conforti che v'avevo
.ili a ogni amarezza, per le molte notti che v'.o
V( passate al lavoro, non accorgendomi del trascor-
rer del tempo che quando il rumor dei carri giù ni
piazza m'avvertiva che 1 alba era vicina, e anche
più per le tante volte che. dopo lunghi mesi di fa-
tiche febbrili, v'avevo scritto con un fremito di gioia
la parola fine, inebbriato dall'illusione d'aver ri-
portato una vittoria. Quante ore felici ci ho vissute,
nelle quali tutti i suoni che mi v< nivan di inori, dal
canto dei ragazzi agli squilli delle trombe dei sol-
dati, mi pan-vano un accompagnamento festoso alla
dolce musica che mi echeggiava nell'anima! E go-
devo a variare continuamente la disposizione dei
libri, cercando nuove armonie e nuovi contrasti ili
colori, a spolverare io stesso tavolini e scaffali, a
ii le seggiole per gli amici aspettati, e
quando mi riposavo da quelle grate fatiche, gi-
ravo lo sguardo con un senso di compiacenza e qua-
si di gratitudine per quella stanza che per me era
officina, chiostro, reggia, finezza, dove sentivo che
avrei sopportato lietamente anche la povertà, quan-
do avessi potuto conservarla qual era, e finirci i
miei giorni, in mezzo alle rovine d'ogni altra cosa.
Non l'amo più, ora. il mio studio. Ci sto come
dentro una tenda che da un'ora all'altra una raffica
di vento debba portar via. Se altri non se ne curas-
se, s'ammonterebbe la polvere sulle librerie e fareb-
bero strato le cartacce sul pavimento. Non son rari
i momenti in cui mi sento soffocato fra queste pa-
leti come in una cella d'ergastolo, in cui la stan-
chezza intellettuale, la tristezza dei ricordi, il sen-
timento della vanità finale di tutto questo pensiero
o farneticamento umano stampato, mi destan den-
tro un moto così impetuoso di rivolta, che butterei
■ gni cosa dalle finestre con la furia di chi salva la
sua roba da un incendio. E non di meno, il mio mi-
glior rifugio è ancor questo. Quando son fuori, mi
ci sento richiamato e ricondotto come da una voce
senza suono e da una mano invisibile, e finisce che
mi ci ritrovo seduto , con la penna in mano ,
quasi senz' essermi accorto del come vi son rien-
trato. — Perchè scrivere ? — Sta bene ; ma : — E
che far altro ? — Scrivo, però, come scrive le ul-
time lettere nell'ufficio d'uno scalo il viaggiatore
pronto a partire, mentre il piroscafo fuma. E di
qui non mi moverò più. per quanto io debba aspet-
tar la partenza. Qui, dove piansi le lacrime più or-
rende della mia vita, scriverò la mia ultima pa-
rola. Penso spesso alla fine del Flaubert. Ho il
presentimento d'un colpo di mazza sul capo, il
quale mi farà batter la fronte su questo tavolino
dove corressi con cura amorosa tanti lavori di scuo-
la del povero ragazzo che non ho più. E questo pre-
sentimento non è un timore, è una speranza. Scrivo
sinceramente: — Così sia. —
E. De Amicis.
•^f*
t ^ w
ì%m .
Poeta, l'Inventore, l'Eroe. l'Artefice era
iunl i infine al tempii > intei nazionale
della Gloria. Kssi portavano le tracce di
patimenti grandi e ignoti ai più dei mortali. La fe-
rita dell'Eroe non era meno pietosa dello squallore
del Poeta o del fremito che agitava ancora l'Artefice.
Tuttavia una gran luce splendeva nelle loro pu-
luce era come una forza enoinn
• jnale aveva trascinato fino lassù le stanche carni
che domandavano riposo. Essi avevano operato bene
fra gli uomini ed ora si trovavano giunti all'Olim-
po: premio degli Eroi.
Giove non concede l'immortalità se non a chi forte-
mente la vuole e ne è degno; perchè l'anima è for-
mata dalla volontà e dalla dignità. Essi, dunque.
avevano voluto ed erano stati degni ; e perciò era-
no giunti al tempio della Gloria, e una suprema
i a sui loro volti.
Il luogo in cui si trovavano era piuttosto di
ma il tempio era assai bello e granile: in istile i
sico, ben inteso, press'a poco come quello che co-
piano gli architetti del secolo XX quando vogliono
fare un edificio originale.
Sul lr> era un bellissimo alto rilievo di
i augurio: da un lato Ercole che è accolto a
ottiene Er> etema in isposa ; dal
l'altra Tersite, un democratico «lei tempo
i lit orme ed astioso, che è percosso da Ulisse.
(< L: l> laro di mitologia. potrebl>e osservare
giustamente che una moglie eterna — sia pur Ebe —
può essere una punizione invece di un premio, tanto
le nella sua vita terrena, oltre alle do-
dici ben note fatiche, aveva dovuto sopportare an-
che Deianira, una moglie la quale o >st it ni la tred
sima ed ultima, perchè ella aveva preparato fra la
biancheria dell'Eroe un nata; e al-
lora egli che avea vinto l'Idra. Caco, il Leone Me
. che aveva, a passo di corsa, fatto il
del mondo, mori miseramente come un borghe-
se del secolo XX. vittima di una qualsiasi mi
malvagia liove, signore della folgore e del
senno, non poteva darò una seconda moglie J! I '■•
del suo cuore, tanto più che egli stesso, ili1
vi era marito di ( '.uni. .ne. la più formosa, ma an-
che la più noiosa fra le dee e che formò il più grave
impedimento alla completa felicità di lui, il gran fi-
di Saturno. Ebe, concludo, è un'astrazione, un
simbolo e nulla più).
Gli Eroi, dunque, erano giunti lassù e da diversi
i. e perciò si congratularono l'uno con l'altro
more a cui erano stati chiamati e della loro
Intona ventura.
Si trattari mi ila Intoni I rateili, benché prima non
si conoscessero se non forse di nome. L'Eroe con-
quistatore e guerriero, vedendo la miseria che par-
lava eloquentemente dagli abiti e dal volto del
a e dell'Artefice, si confessò mortificato di non
averli aiutati mai, che pur lo poteva « Ma eh.
li te, amici. — disse — io ero circondato da una tal
i.ela famelica di postulanti, di clienti, di be-
nemeriti; sopraffatti tisi letterati, falsi poeti,
falsi artisti, che per voi due. veri alunni delle can-
dide Muse, non potei far nulla. Ora io ne sono ol-
tre misura I I mi rito re
i viola, occulta il suo splendore, ma
ii.li- il su,, i dezzo ! Vi a\ tun-
que! Ma i sozzi uomini che mi eran dattorno, man-
davano un tale fetore di spiacente animalità che io
in ii \i listinsi. Scusatemi dunque».
« Grazie, fratello eroe, di queste dolci parole.
Esse ri compensano della ingratitudine dei
mortali » — rispose l'Artefice.
« Tanto più — riprese l'Eroe - che i patimenti,
forse, resero più ardenti le pupille e più sensibile
l'anima delle M USS, Non i
signori ? »
« Cosi è infatti, nobile Eroe. — rispose il Poeta,
così è: imperocché nulla <■ p io di una
Musa obesa pletorica, incinta, ovvero che fornica
con il volgare Piacere. 1' rè la troppa magrezza può
essere cagione di anemia, di svenimento e di morte,
li i- lungo andare. Ma di ciò non più pa-
al tempio della Gloria ! ».
« Ma perchè bussate? ■ — chiese l'Inventore. —
Non vedi te la tao scritto « avanti »?
Entrismi dunque ».
LO S< I' iPER( i DEI LA GLORIA
5b5
Entrarono.
Il vestibolo era assai bello, ma deserto.
Esso, per darne un'idea a chi non ce mai stato,
è fatto, pressa poco come le sale di una Borsa o di
una Banca, con diversi snortelli e scomparti.
Soltanto che invece di — « Conti correnti » —
« Sconto cambiali » — « Ufficio protesti », ecc., era
to: « Sezione Eroi », — « Sezione Poeti », —
« Sezione Pittori », ecc.
Per chi ha in mente una specie di sacro tem-
pio, quella suddivisione in categorie deve far
dispicere.
K vero che tutto è in marmo pente-
lieo, stile attico puro: ciò non toglie:
l'effetto è sempre disastroso specie per
chi ha caro di lasciar questo mondo ,
anche per finirla una bella volta con la
burocrazia, con la statistica e la com-
putisterìa.
« Aspettiamo, qualcuno verrà ! » —
disse il Poeta, alquanto interdetto. E si
sedettero.
Poco dopo si sollevò il bisso o la
porpora che fosse di una tenda, e com-
parve nell'apertura un leggiadrissimo
viso di giovane donna.
« Pardon , signori, — disse. — mi
metto una vestaglia e sono da loro.
« Sua Maestà la Gloria? » — si chie-
sero l'un l'altro reverentemente gli Eroi.
« Niente affatto, foinl du toni — ri-
spose dal di dentro la fresca voce ri-
dendo. — Io sono semplicemente la
famulo, la camerista, la fdh-dc-cham-
bre . come mi volete chiamare . della
Gloria ! Ora sono da loro ».
Compane poco dopo.
« Scusate, signori. — ella disse. —
io avrei dovuto, a rigore, comparire col
peplo e con la tenia e parlar greco.
Ma proprio ieri capitò Ermes a portar
via le ultime casse dove c'erano le cla-
midi e i pepli e gli altri attrezzi
del mestiere. Perciò mi sono messo
questi i accappatoio, ultima creazione
parigina. La novità me lo fa parere elegantissimi
Del resto, signori, avete fatto opime et callide a
capitare oggi, quassù: se venivate domani, non tro-
vavate più nessuno. Ho deciso di buttar la chiave
9 tto l'uscio e andare per ora a Nizza a passar la
stagione. Qualche risparmio l'ho da parte, e posso
vivere di rendita ».
« Ma Sua Maestà la Gloria. — chiesero gli eroi
al colmo dello stupore, — non è in casa? ».
«Sua Maestà la Gloria? Siete venuti qui per lei?
10 credevo che voi foste degli alpinisti, dei vian-
danti che per vostro svago aveste asceso l'Olimpo.
O divina Moira! L"n tempo i Titani fecero un gran
fracasso per mettere il monte Pelia sul monte Ossa
e non pensarono che si poteva più semplicemente
andare in Olimpo con l'aiuto di un alpcnstock.
ZEUS. Giove Padre, è seccato oltre misura, si-
gnori. Si è rifugiato con gli altri Dei in un pianeta
remotissimo dove spera di vivere in pace; ma i te-
li degli uomini, ahimè, arriveranno anche colà !
Mi nandro, l'eroe della Musa t 'umica, però non si
affligge; anzi si gode tanto che ne sta scrivendo un
dramma in collaborazione con Guglielmo Shake-
speare col quale ha stretto intima amicizia, un
dramma a diletto degli Immortali.
« No, signori, se non siete alpinisti, qui non c'è
nulla da fare per voi. La dea Gloria ha abban.lo
nato questo Dicastero dell'Immortalità ; prima però
di chiudere gli sportelli, abbiamo spedito per i pos-
sibili interessati una circolare che è
apparsa su tutte le terze pagine dei
giornali. Fu pubblicata in greco ed in
italico, le sole lingue che nel mondo
non sono più accettate ai Congressi in-
ternazionali. Io mi sono permesso di
osservare alla Gloria: « Vedrai che non
ci capiscono nulla, gli uomini, e avre-
mo delle seccature! » Ma la Gloria
volle fino all'ultimo conservare la sua
dignità e il suo linguaggio. Sono spia-
centissima per voi, signori ! »
I signori eroi, a tali parole della ca-
merista della Gloria, si trovavano in
uno stato di costemaziome, più facile
ad immaginarsi che a dirsi, pressa po-
co come può accadere ad uno che ha
sbagliato treno, il treno della vita. —
curriculum vilac — onde che comincia-
rono a lagrimare assai pietosamente.
« Se Zenone, se Cratippo, se Marco
Aurelio, filosofi stoici eccellentissimi
riprese per confortarli la jille-de-
chambre della Gloria -- non avessero
seguito gli Dei nel loro rifugio, in quel
pianeta che vi he detto, io li chiame-
rei affinchè con la sapienza delle loro
divine parole asciugassero le vostre la-
grime. Ohimè, la loro sacra saviezza è
ben lungi di qui. ed io vi posso soltan-
to dire che quel che accade, non è per
colpa degli Immortali, come potreste
supporre, ma dei Mortali, cioè di voi
stessi.
« Sappiate, dunque, che fra gli uomini e la Glo-
ria è intervenuto in qui mi un accordo: ac-
I di guerra e non .li pace, l>en inteso! Gli uo-
mini hanno fatto sapere mediante un loro commes-
so viaggiatore, giunto qui in automobile, che, date
li loro moltissime occupazioni ■ dierne. dato il pre-
sente e l'avvenire che assorbe Lutto e tutti, sono do-
lentissimi, ma non hanno più margine di tempo per
di imparare vita, morte e miracoli degli
. «Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta! »
Ma è roba da matti! Non c'è tempo per ri-
cordare i vivi . e voi volete ricordare anche i
morti ? Questa è stata la prima questione di fatto,
messa avanti da quel rappi e della nuova
umanità; a cui se ne aggiunta un'altra di diritto,
secondo loro, ben inteso. Gli nomini, ecco, hanno
sostenuto questa tesi- -he non vi sono più eroi, che
vero eroe, unico eroe è l'Uomo, l'uomo l'olla, l'uomo
586
LA LETTURA
M . gl'individui da
o \ì 'i ■• noe tali, non si mi i
eroi degli sfruttatori: i
anche furono persone 'li un certo merito, è ora di
finirla con questi Demiurghi, o Dei Indigetes, in-
lli cure degli uomini : che
«sere miti nel giudizio, è tini al
più una illusi' e i Ess me I I anti odo,
prora ili un U-l navigli . \n tempi infan-
tili dell'umanità si poteva far credere che il fan-
Liidassi l.i nave, ma invece soni
le vele, è il vi spinge la nave, E se vi sono
degli individui chi hanni !>ene ed util-
mente, essi lo h. un; perch l'impulso
di fari" e non potevano altrimenti. Dopo tutto, fu
il loro dovere! Se questi operai del pensiero e del-
l'ani n equiparati agli operai
gasisti, ferrovieri, fabbri, meo-anici, panettieri,
sarti, manovratóri, ben con bene: se no, aria!
Così brutalmente parlò quel commesso: il quale,
benché as profumato, spirava tale
una volgarità che tutti ne fummo disgustati e schi-
fiti. I. a protesta diretta partiva dalle masse— qi
è il nome anonimi operativa umana — ed
anche dai mercanti, dai droghieri, fabbricanti, mec-
canici, industriali. ce., i quali, come voi sa-
prete meglio di me, oggi pare che abbiano autorità
grandissima. Gli uni e gli altri formano due caste
o classi diverse, spesso in lotta fra di loro, ma da
quassù, cioè dall'Olimpo, appaiono uguali. Essi
— dicono i quel che ho potuto capire —
spendono diversi miliardi all'anno in reclame dei
Ma i he vale se Ldi uomini devono
perda tempo a tener a mente i mtm di Oi le
parole e i patimenti 'li Cristo, le terzine di Dante?
Gli uomini devono anzitutto imparare i nomi delle
varie marche di fabbrica. 1 sa che si trat-
tasse solo degli Eroi che giù furoni . ma melli che
sono? ma quelli che saranno? La lista aumenta di
continuo, ('osi ;• impossibile andare più innanzi.
il i loro trusts, i loro problemi sociali,
economici, mo non possono stornare tem-
po e denaro in fiabe ed in futilità. Pensate un po',
signori, come si trevi la Gloria a tali parole
non fosse stata una Dea. sarebbe andata su tutte le
furie. Come? Dopo tanti secoli che lavorava qui in
questo Ministero, sentirsi trattare con cosi nera in-
gratitudine! A noi tutti pareva ili sogno Ma
quel commesso proseguì imperterrito. Fra le altre
cose egli avea mandato imperativo da parte degli
uomini. La Gloria si sforzò di essere calma: cercò
di persuadere. Essa è eloquentissima, come voi ben
sapete. Ma le sue parole furor*
Ebbe un I" I mi strare i registri, far vedere i nomi,
far capire che senza gli scopritori, i martiri, i i
il ninnilo sarebbe ancora selvaggio ed infante. Non
ci fu versi.: quel commesso sostenne che egli non
era lì per discutere sul tema morale della ingratitu-
dine e della verità astratta: che tult'al più poi
salvare i diritti acquisiti dei nomi già elencati pel
passato nei registri della Gloria, sino al loro placido
tramonto cioè ali oblio; ma non aggiungente di
nuovi: assolutamente!
« La Gloria allora minacciò la chiusura del tem-
pio dell'Immortalità, lo sciopero, come voi dite ed
usate. Sapete che cos'ebbe coraggio di rispondere
quell'impudente?
« Che questi è il loro più vivo desiderio. A noi
basta, disse, una piccola succursale in terra: uni-
camente per uso e consumo della vanità ! Voi, disse
ancora, scolpite nel bronzo eterno: noi con una
macchina americana rotativa stampiamo io.ooo.ooo
d'esemplari di notorietà all'ora e possiamo accon-
tentare un'infinità di gente. Ciò è più semplice e
gradisce di più. Soprattutto è più eo La
teoria del minimo mezzo. Madama, ecco quello che
voi ignorate! Noi non abbiamo più bisogno chi
uomini bevano la cicuta e 'ine Socrate, muoiano
sulla croce come i jano per più anni
magri come Dante. Ciò '■ impratico, antigenico, an-
tiumano Lo vogliono fare per sport? Si accomo-
dino, ma si ricordino bene che noi non diamo più
un centesimo, noi non togliamo una foglia d'ai
dalle nostre piante. Ciò è quanto!
« Ma sciaguratissimo, disse la Gloria, chi vorrà
più infondere nuovo olio alle lampade della \
quando quello che gli Eroi vi hanno fornito.
consunto? »
«A quest... signora, dobbiamo pensar noi, —
disse colui cinicamente, e aggiunse: » Fosse an-
che vero quello che ella di li nomini
hanno fermamente deciso di non volente più sa-
pere di nuovi nomi, cosi è inutile itisi-
fatto un bell'inchino, si BOO
• Per queste ragioni si sono chiusi .
mandata quella circolare di ''ni vi ho parlato.
LO SCIOPERO LiELLA GLORIA
« La Gloria era in uno stato di furore da far
pietà.
o Si rivolse al padre suo, Giove, e lo pregò di
fulminare i mortali.
« Padre Giove sorrise e disse:
« Brava figliuola, e con che cosa fulmino io ? Tu
stessa, ricordi ? mi hai pregato di dar loro il sacro
fuoco per cui io incutevo loro il terrore? »
« Tuttavia per placare la sua figliuola. se rri
dendo, disse:
« Lasciali fare ! Manda una circolare a quelli
che faticano per te. perchè lo smettano, e tu chiudi
bottega. Lascia passare un qualche secolo, già a
noi il tempo nulla costa, e vedrai che gli uomini
matureranno essi stessi il dolce frutto della tua ven-
detta quando la provvista della fiamma sacra sarà
consumata. Così essi vogliono, e così sia ! Ma verrà
un giorno che questi uomini avranno terrore di sen-
tirsi trasformati in attrezzi meccanici, in automobili
organici. Questa metamorfosi Ovidio Xasone. poe-
ta fecondissimo, la ha dimenticata. Ma io lo pre-
gherò che vi faccia nuova chiosa ed aggiunta ! »
o Così parlò il padre Giove e così avvenne che fu-
rono chiusi per sempre i battenti del tempio alla
Gloria Immortale.
o Noi, sue cameriste, abbiamo avuto qualche se-
colo di licenza. To per mio conto intendo passare
questa vacanza in terra, dove noto un certo movi-
mento e mutamento che, a dirla tra noi, non mi di-
spiace affatto.
* *
Gli Eroi a tale annunzio lagrimavano dolorosa-
mente.
a Ahi ! Ahi ! che noi sbagliammo la carriera della
vita », dicevano.
« Curriculum vitae » per l'appunto — confermò
la camerista leggiadramente sorridendo — avete
preso un treno per un altro, un sogno per la realtà,
un'ombra per un corpo ! Capisco che ciò debba
essere spiacevole. Del resto, tutti così gli eroi : essi
che hanno dato il moto e l'anima al mondo, ben
poco sanno della cronaca reale e verista del mondo.
Certi eroi, il cui nome è scritto tutto in oro, giun-
gevano quassù tanto trasognati che non sapevano
nemmeno quale fosse stato l'effetto dell'opera pro-
pria nel mondo ! Peccato che anche voi non abbiate
letta quella circolare che mandò la Gloria ».
Disse uno degli eroi: « Io non ebbi tempo né
modo, io combattevo, io davo il mio sangue per la
min patria! prò aris et ntro gli usurpatori,
i distruggitori della gente della mia patria. Ero
perciò troppo occupato per tener dietro alle terze
pagine dei giornali ».
« Pro aris et focis — ripetè la fille-de-chambre
— ottimamente ! Cotesto era ottimo titolo per es-
sere ammesso nel tempio della Gloria. Certi famosi
macellai umani, che nelle cronache vostre passano
per eroi, sono stati respinti da queste soglie. Dove
siede Plato e Leonardo, soltanto il buon Ettore
può essere accolto. Se gli uomini dicono il contra-
rio, egli è che malignità od ignoranza muove le
loro lingue. Ahimè ! quell'aura di virtù, quelle gravi
parole, suasive ed adorne, più non si udranno fra
questi marmi! Pensai v ascivette ninfe,
ci eravamo abituate alla virtù ed alle ornate parole,
come già vi d dal mio discorso.
Pro aris et focis. ottimamente, benché, a mio avvi-
so, questa espressione er. ca forse debba suonare o-
a e dura a quel commesso viaggiatore. Infatti.
ammesso il postulato ohe tutti gli uomini sono fra-
telli, se uno si asside alla mensa di un altro e gli
mangia il pranzo, non fa che il suo dovere di fri
tello. Io ho un gran sospetto che il combattere
aris et focis sia un'azione quotata non troppo alto
nelle borse del vostro mondo moderno. Peccato che
non ve ne siate accorto a tempo! E voi eravate?
<i Artista, signora. Vissi nella n ntemplazione di
un'idea di bellezza e così assorto in quella che le
dolci gioie di padre, di marito, di amico mi passa-
rono accanto; ed io non me ne avvidi !
« Ciò, — disse la camerista. — non ha servito
molto a rendervi felice, a quel che pare dall'a-
spetto.
« Felice? Sudai e gelai, palpitai e piansi sotto
1 inrubo e il fascino di quel nume di Bellezza e di
Arte che avevo sempre davanti, e perciò i dì miei
furono brevi. Breves dics artifici fata dedere.
« Sudavii et arsii... — mormorò la vezzosa fan-
ciulla, — questa massima non mi riesce nuova. La
ripeteva spesso Orazio Venosino. specialmente per
conto degli altri. Brutta massima, amico, specie ai
tempi che corrono, giacché oggi che tutti nascendo
hanno il diritto, la polizza, il biglietto degli ali-
menti e del piacere per tutta la vita, è inutile su-
dare e gelare per mero capriccio di idealità e di per-
fezione. E voi eravate, signore? — domandò al
terzo eroe la fille-de-chambre, graziosamente.
« Scopritore ed inventore — rispose costui. —
Una forza ignota, sottile, terribile e mirabile fu da
me aggiogata, docile, utile, paziente al carro della
vita. Credete che gli uomini me ne siano ricono-
scenti? Che il mio nome sia venerato? Mai più! Il
mio nome diventò nul l'altro che il nome di una mi-
sura di quella forza, e s per giunta. Io. si-
gnora, non ci tenevo alla gloria, ma alla ricono-
scenza, sì ».
La famulo : « Veruni t >/.•'".' vero, quel commesso
ha assicurato che le vostre scoperte appartengono
de iure et de facto alla collettività ».
Lo scopritore: « Questo s'intende. Se la mia sco-
perta me la fossi messa in tasca, essa non avrebbe
avuto alcun pregio: porprietà di tutti e sia pure,
l'opera dell'ingegno. Non per nulla noi siamo filan-
tropi: e pur mentre il manovale e l'operaio pesa
sino all'oncia il contributo della sua fatica, noi
diamo e de:-' i ': benefici meravigliosi per
nulla, graziosamente. Ma in nome di quella divina
Dike. la Giustizia, la tinaie sino dal sec. XXX avanti
Cristo, come assicura Esiodo, scappò via dagli uo-
mini inorridita, lasciandovi un suo fantoccio o pupa
di nome Temi per rappresentante, ella mi dica se fu
i fu un'infa he poi segui ».
La famulo: i Chi a seguì? Fatemi per filo
e per segno la cronaca del vostro mondo e così mi
saprò regolare nella mia dimora che intendo fare
laggiù ».
1 A II III RA
Lo so prìtore: " il ■ io vivevo soli-
tario nel mio studio evitando 'li tanni vedere e
I meii.' | analmente. Khbene,
ali-imi in • il pretesto della scienza
nel min laboratorio, mi hanno de-
nuda . si sono divertili a mostra-
pubblico funzionava il mio pensi
Una prof anazione I Ma v'è di peggio I Che dir
ne e della vespa 'Ile deridessero l'ape
perchè -affatica e si incanta nel - rhire il netl
delli i be direste voi del bruco, sporco ed o-
. ehe deridesse il baco da seta perchè muore
nel tare il suo bozzolo? Così mi derisero costoro e
mi chiamarono pazzo e ammalato. Divina Giusti-
neh orni -l'Artista, il mio nobile com-
lie mi pn- ielle risposte, vissi al-
quanto stranamente. Anch'io vissi in così intensa
contemplazione di un'Idea che del mondo circo-
stante poco conobbi e meno mi avvidi. Creare è
propria di Giove! L'umile mortale allorché
-offre, geme, si agita, vaneggia nello spasimo
e nell'ebbrezza dell'opera meravigliosa. Deve egli
perciò essere indicato a ludibrio? Credete: quel
miles Tomanus che nella presa di Siracusa trapassò
la spada Archimede, l'assorto studioso, fu assai
più gentile ed umano ».
La famulo o fìllc-dc-chambre della Gloria al
quarto ed ultimo eroe:
« E voi? Il vostro aspetto spira tanta tristezza
e dolcezza che io vi risparmierei le parole se non
mi dilettasse l'intendere ».
« Io fui pi" . ■ ■ ra. e sparsi il seme di una
Buona parola ».
La famulo: « Quale, di grazia? ».
Il Poeta: <■ Arrossisco nel confessare la mia in-
genuità: ma alla schiettezza di questi nobili com-
pagni non verrà meno la mia schiettezza. Eoo:
Abbasso il capo e non rispondo ».
« Ma voi sarete staio trai
Io sparsi il seme di questa Buona Parola, e feci
nuova e combattente questa verità antica: che si
il miglioramento cosciente, lento, faticoso, in
sante dell individuo, non può sussistere vero pro-
gresso fonale ed umililo ».
La famulo: « Infelicissimo 1 Ma voi avel
menticato una legge essenziale che quel conni!
enunciò come sacrosanta: la legge del minimo
'. «
1 1 p<ieta : «
La famulo :
un mentecatto! »
Il poeta: « Dissero che io era un onesto peda-
gogo; giacché per virtù di atavismo e di tradizio-
ne, nelle scuole si costuma ai bambini insegnare
certe cose che poi vengono distrutte nella pratica
della vita, una specie di imbastitura falsa che si
fa per abitudine, e poi si porta via in fretta, come
fanno i sarti per gli abiti ».
*
* *
La fdle-de-chombrc : u Sentite, nobili eroi,
come vi ripeto, sono mortificata nel dirvi che la
Gloria non può più dare alcun guiderdone, risarci-
mento, compenso alle vostre nobili fatiche. Bot-
tega chiusa non fa credito. Io però posso fare qual-
che cosa per voi : un bellissimo automobile per sei
persone mi è stato spedito ieri appunto da Lione.
Danari, grazie al buon Dio Pluto, non me ne man-
cano Andiamo di conserva a passare l'inverno a
Montecarlo. La sacra clamide, il manto della virtù
sono indumenti pesantissimi. Abiti leggeri, spu-
mosi, vaporosi, oggi costumano. Dopo tutto io sento
che sto per adattarmi a codesto: cercate di imitar-
mi, nobili eroi, giacili.- l'esercizio dell'eroismi
I alitante.
<i Questo è quanto di meglio rimane da fare, per
me e per voi ». A. Panzini.
Archi trionfali del Rinascimento
|xo dei meriti più puri dell'arte edilizia
del quattrocento è quell'ispirazione al-
l'antichità classica, ringiovanita dalle ge-
nerazioni di maestri geniali che videro e seguirono
Donatello, alla quale dobbiamo le più sincere sod-
disfazioni dello spirito.
La maestà di Roma imperiale che sembrava aver
detta l'ultima sua parola al tempo della decadenza
giustinianea, non spenta sotto il peso delle tene-
bre medioevali, sembra risollevarsi più giovane e
audace che mai per opera degli artisti nostri molti
secoli dopo, spoglia d' mutile manto, bella e vi-
tale in nuove forme moderne. Se non erro , nella
preoccupazione di rintracciare negli elementi nuovi
i modelli antichi, gli studiosi dell'arte hanno tra-
lasciato di occuparsi, fra la congerie meravigliosa
di prodotti della nuova fioritura d'arte , di parec-
chi motivi ispirati da vicino all' antichità classica,
ma riprodotti con quella freschezza nuova che al
bisogno pratico dei tempi moderni sposava 1' esu-
beranza delle decorazioni plastiche rivelanti quasi
sempre, al contrario delle antiche, la personalità del-
l'esecutore e del committente. Fra quei motivi è una
delle più appariscenti novità dei tempi nuovi : i por-
tali scolpiti dei palazzi ispirati , spesso, agli an-
tichi archi di trionfo, adattati graziosamente ai
nuovi uffici più modesti. In essi si svolge un' arte
più disinvolta e più intima che nelle riproduzioni,
dirò così, ufficiali, degli archi trionfali romani
di quell'epoca, Castel Nuovo e Porta Capuana a
Napoli, il tempio Malatestiano a Rimini, sui quali
quasi esclusivamente si raccolse l'attenzione degli
scrittori. Venuto meno il bisogno della difesa nei
palazzi pubblici e privati e diradate le tenebre
del medioevo con le sue lotte intestine, un'arte
più geniale, più aristocratica informa anche l'ar-
chitettura. Brunellesco , il grande novatore , la
rompe definitivamente con la tradizione medioe-
vale e inaugura la ricchissima serie dei palazzi ci-
vettuoli, eleganti, pratici. Il palazzo Pitti, troppo
imitato dagli scolari senza gran vantaggio per l'arte,
forma un'eccezione dovuta certamente alle esi-
genze del superbo committente. Il Rossellino, l'Al-
berti soprattutto, comprendono chiaramente lo spi-
rito dei tempi nuovi ; il secondo, nel suo trattato,
raccomanda ad ogni momento agli architetti di te-
ner presenti, nel fabbricare, la dignità, la comodità,
il diletto e i luoghi sanissimi; da convinto umanista
è entusiasta degli antichi, ma vuole tutte le cornuto-
dita possibili de gli andari, et de lumi et de' luoghi
larghi. E la decorazione freschissima si stende ge-
nialmente lungo le cornici, lungo i frontoni, intorno
alle porte e alle finestre dalle grandi luci. Ma è
soprattutto alla porta principale del palazzo che
l'architetto dedica la sua grande fantasia sposata al
culto dell'antico. L'armonia, che è canone della
scuola toscana e che, dove più dove meno, si
estende a tutte le regioni, non consente una deco-
.,.,,,
LA 11 ili R \
- . Ari hi.. .[.ni. ii Milano.
Portale del Banco dei Medici (Michelozzo).
razione eccessiva alle altre parti dell'edificio, cosi
che gli architetti, specialmente nell'alta Italia, se-
condati dai tagliapietre dalle risorse inesauribili, si
sbizzarriscono allora intorno alla porta. E convien
notare che tutto contribuiva a trasformare, quando
i mozzi e il nome del proprietario lo consentivano,
questa parte dell'edificio in un vero arco di trionfo,
benché limitato, il più delle volte, al partito archi-
tettonico del pian terreno, perchè le finestre del
primo piano non permettevano il maggior sviluppo
che l'imitazione dei coronamenti grandiosi degli ar-
chi romani avrebbe consigliato.
Fra le poche eccezioni a quest'ultimo concetto
porta della casa Fanti ora Regnoli a Brescia
nella quale la finestra superiore si sposa al motivo
architettonico dell'arco d'ingresso: ma il partito
creato dall'artista, nonostante la leggerezza delle
profilature, dà un'impressione non molto gradevole
all'occhio.
L'idea del trionfo, cosi profondamente romana,
passa alla società italiana del quattrocento che
l'accoglie con entusiasmo, un po' in omaggio al-
l'antichità classica e più perchè rispondente al bi-
l. li. di sfilate di gala, di chiassi
che anima le popolazioni n. istre in quel tempo. Non
ve- matrimonio illustre, o ingresso di personaggio
ragguardevole, che non dia luogo a un piccolo
trionfo con relativi archi ornati di figure simboli-
che e mitologiche. Gli umanisti, gli artisti di grido,
i principi stessi vi si dedicano con la maggior se-
rietà. A Milano, gran richiamo <l ri deside-
rosi di spassi, è un succedersi di cortei trionfali per
tutto il XV secolo, ad ogni occasione. Ricordare
anche i principali mi condurrebbe oltre i modesti
limiti che mi sono imposto. Rimaser famosi quelli
per le nozze di Bianca Maria Sforza con l'impe-
re Massimiliano nel 1493, che dieder luogo
a l' erezione di un grande arco trionfale so/» a
colon ne granii tulle de pinete e con ornamento
de pi, iure /ade de feste antique, e, per Anna Sforza,
a Ferrara, un arco trionfale presso il palazzo di
Si lulanoia, sormontato da due cavalli sfrenati tra-
scinanti il carro di Cupido e più tardi un altro
arco ornato della figura della dea Venere.
Quando si pensi alla glorificazione delle famiglie
principesche d'Italia, che ispirò i poeti della Sfar-
ziade, della fìorseide, della Fellria e alla smania
comune a tutti i ricchi di collegare la loro
gine a qualche gente romana, non fa meraviglia
di trovare in tante case private di quel tempo
le effigie di imperatori e di eroi dell'antichità e
leggende laudatone e motti augurali, scritti inele-
ganti caratteri capitali : l'idea di accontentare le
piccole vanità private, rappresentando sull'arco d'in-
gresso glorificazioni ampollose dei committenti,
visibili al pubblico che passava, doveva sorger na-
Museo del Louvre. Portale del palazzo Stangai
ARCHI TRIONFALI DEL RINASCIMENTO
DQI
turale in quella società così compresa della gran-
diosità romana popolarizzata dagli scritti degli uma-
nisti e dai disegni degli architetti, che ricostruivano
idealmente le grandi vie di Roma e le magnificenze
edilizie della via Appia. Le gesta romanorum erano
una fonte inesauribile per gli artisti, gli scritti dei
classici eran popolari anche al medio ceto e le
rappresentazioni dei fatti della mitologia , sempre
giovane perchè sempre rispondente alla fantasia
del popolo nostro che amò concretare in forme ma-
teriali tutti i fenomeni più astratti, si moltiplicavano
nei quadri, nelle sculture, nelle incisioni, con com-
plicazioni oggi a noi moderni positivisti inespli-
cabili . tanto che gli studi e le discussioni su
certi simboli dei dipinti di Botticelli, del palazzo
di Schifanoia, dei trionfi del Costa, non hanno an-
cor valso a chiarirli. L'antichità classica è così ra-
dicata e intimamente sentita nel periodo aureo del
Rinascimento che certe composizioni, come i trionfi
di Cesare del Mantegna e la Scuola d'Atene delle
stanze vaticane meravigliano anche oggi , dopo
tanto cammino di studi archeologici ; e si arriva a
trovarne la massima glorificazione nel Parnaso di-
pinto da Raffaello nelle stanze intime del palazzo che
pur rappresentava da secoli il cuore della Cristianità.
Le divinità, mitologiche trionfano dovunque , perfino,
come a Siena, sulle pareti dei severi palazzi comu-
nali ; e tutto l'allegro e formoso esercito delle di-
vinità minori, tritoni, nereidi, sfingi, satiri, cen-
tauri, avvolge colonne e capitelli, s'arrampica sui
pilastri, invade le tombe e persino le pareti delle
chiese, presso le figure dei Santi e dei Dottori.
L' antichità , in forma giovanile e nuova conquide
Lodi.
Piacenza. Portale del palazzo Landi
ora del Tribunale.
il mondo e Papi e artisti di genio pensano seria-
mente a trasformare le vecchie città medioevali in
città romane, con lunghe file di portici e di peri-
ornati di statue.
Il sogno di Polifilo e la città di Pienza, benché
appena abbozzata, meravigliano ancora noi che
ascriviamo a gloria del nostro tempo l'aver intra-
preso gli scavi di Micene e di Olimpia, di Roma
e di Pompei.
E mentre gli artisti oggi stentam i nella poco spon-
tanea imitazione di forme nordiche che sembrano
compendiare la nevrosi da cui siamo dominati, ap-
prendono con stupore che una leggenda raccolta da
Luciano, la Calunnia di Aprile, en quattor-
dici composizioni artistiche diverse ad artisti come
Mantegna, Botticelli, Signorelli, Durer, Raffaello :
e si meravigliano come di cosa nuova delle lunghe
e profonde discussioni artistiche del Cortegiano del
Castiglione e delle lettere di Isabella d'Este al
Perugino.
Al bisogno di quel tempo cosi innamorato del-
l'antichità dovevan quindi rispondere anche le or-
namentazioni sulle case, vero palladio del senti-
mento classico invadente. I palazzi, le ville, i mer-
cati, i portici, i padiglioni all'antica che sorgono
per incanto anche nei più piccoli luoghi sui pre-
cetti di Vitruvio, son provvisti per lo più di un
arco d'accesso, almeno di una porta monumentale
ornata di effigie di divinità classiche e mitologi-
che o di imperatori; qualche volta, accanto al ri-
"..,_> I \ LETTURA
tratto 'li un V i quello del signore
delia terra o del i irio.
me più ricca ne è certamente la Lombar-
dia, Ila che, per la lontananza dalla pura e
Qté del Rinascimento, la Toscana, e per
Brescia. Portali lsa Fanti, f-oi Regnoli.
la naturale tendenza alle appariscenti forme della
ricchezza, era la più disposta ad accogliere i mo-
tivi che meglio le si confacevano. Certi portali di
Milano, di Cremona , di Como sono di un'esube-
ranza tale da non temer confronti. La porta desìi
Stanga, già a Cremona ed oggi uno dei gioielli del
Louvre, è Carnosa; inai ciclo mitologico) ispirato
ad antichi rilievi, s'era raccolto cosi abbondante-
mente intorno ad un arco: le statue d'Ercole e 'li
Perseo, la testa anguicrinita della Medusa fra le
■nidi. Pegaso alato, la favola del leone Nemeo
e di Anteo, balzan fuori scolpite- linamente nel
marmo accanto alle teste di Cesare, di Adn
di Tito Vespasiano, di Traiano. Nel portale del
palazzo dei Landi a Piacenza, oggi sedi- dei Tri-
bunali inadatta, le eleganti figure di paggi del quat-
trocento, rovinatissime e fino a poco tempo fa ber-
saglio del vandalismo dei monelli finché si pensò a
custodirle da un cancelletto, s'ergono accanto ai
putti, ai delfini, alle chimere ; una ridda di putti suo-
nanti si svolge nel fregio, e una splendida cimasa
sormontata da tre statue corona il monumento, vero
arco trionfale adattato ai tempi e ai bisogni nuovi.
Nella porta dell'antico banco dei Medici, oggi
custodita nel Museo Archeologico di Milano, lo
scultore (Michelozzo, si vuole, ma forse coadiu-
vato da un lombardo) s'ispira più da vicino al-
l'antichità nei particolari ma crea un insieme piut-
tosto pesante, meno che nella parte superiore at-
traentissima col suo motivo dei putti leggeri reggenti
la corona (derivazione diretta dai rilievi romani)
con le imprese araldiche e coi ritratti dei signori
del luogo , pieni di naturalismo. E i restauri e le
demolizioni per le esigenze incessanti della moder-
nità vanno mettendo in luce continuamente archi
eleganti, ornati di busti d'imperatori, di meda-
glioni , di stemmi : tanto che i musei ne son già
pieni.
Nella ricerca affannosa di nuove forme d'arte,
mentre sembra assopito l'estro creativo italico che
produsse cosi enorme e vario frutto artistico , fa
dolore l'assistere allo smembramento di quelle
opere, sorte cosi vivaci dallo spirito creatore di una
generazione eletta; e si pensa con tristezza a che
varrebbero , un giorno , se il ricordo e il culto
del passato fosser men vivi , quei frammenti am-
monticchiati nei musei freddi come necropoli, lon-
tano dai luoghi ai quali gli artisti e i bisogni li de-
stinarono.
Francesco Malaguzzi Valeri.
^s^^m^^
Vita e gloria del " Guerin Meschino „
I primi del febbraio dell'ottantadue, le
vie di Milano erano tappezzate da gran-
di avvisi colorati (una quasi novità per
quei tempii che annunziavano la imminente com-
parsa di Gitemi Meschino « ciarle milanesi illu-
strate ». col relativo elenco dei collaboratori: i più
illustri personaggi delle lettere, dell'arte e della vita
italiana.
Ecco l'elenco:
Giulio Canchero.
Prof. Comm. Cons. PIFFERAR! iillii-
Millo Tassarani.
Jacopo Fortis.
Pifillo dott. PlFILLl (Lifippo Lifippi).
Magnesa Landriani.
n. o. p. q. molmeo polpenti.
T'adoro Moneta.
Tarlo Gobussi.
Dondavid Taphanarum.
' Croscè Quartucci (barbi
Florindo Stitichetti.
Errico Pan-zac-may-tack.
Leòca Stblnuovo.
M. Felix Cameron (chauviniste).
Matilde Cacao.
Mantice dei Mantici (F. Cavallotti).
Mappamondo degli Amjcis.
Gll'LEBBE GlACOSA.
Cammino ed arrivo a Goito (Fratelli).
.... Due vecchietti . dall'a • ratico e
garbato, si fermano dinanzi all'avviso del Gitemi
Meschino, leggono attentamente tutti i nomi e poi
uno dice al compagno, con un sorriso di filosofica
rassegnazione:
— Quel Giulio Canchero... sariss poeu m
Era. infatti. Giulio Cnrcano. lauti ire del Damia-
no e dell 'Angiola Maria, e l'altro il senatore Piola,
il quale, scrollando la testa, mormorava a sua
volta: Oramai no se fàa che rid de lutti e de tati
cossi
La Lettura.
Certamente l'illustre tumanziere e il vecchio e
moderato senatore non prevedevano allora che, ap-
punto, sapendo ridere a tempo e luogo, il giornale
che si annunziava in quel modo, sarebbe diventato
uno dei più seri e dei più furti giornali d'Italia.
10 di solito mi accorgo o mi ricordo che è dome-
nica, trovando alla mattina, a portata di mano in-
sieme ai giornali della prima posta, il Guerin Me-
schino. E basta la comparsa dell'antico giornale u-
moristico, bastano gli sberleffi della sua testata e-
roicomica per dissipare quella punta di fastidio
che reca sempre la prospettiva della giornata do-
menicale con tutta la sua chiassosa e sfarzosa vol-
garità. Il Giurino è innanzi tutto un vecchio e al-
legro amico ; niente seccatore , niente zuppificatorc.
Appartiene alla nostra generazione, al nostro ceto
e, diciamolo pure, alla nostra combriccola. E' ve-
nuto su con noi, e quando ci capita di ricordare
qualcuna delle sue prime gesta, insieme ad un
netto giovane, ci si para dinanzi il nostro io,
rem ventanni di meno.
Proprio ventanni !
11 primo numero del Guerin Meschino doveva u-
scire il 12 febbraio 1882, ma, tanto per comini
il numero non fu pronto pel giorno fissate. L'a\
cato Filippo Bordini — ch'era tra i primi collabo-
ratori e die si mantenne freddurista implacabile
e scettico derisore della vita, fino all'ora della sua
precoce agonia di tisico senza illusioni — suggerì
un espediente curioso:
« Annunziamo al pubblico che la prima edizione
è andata a ruba, è stata esaurita in un'ora e che la
la uscirà mercoledì prossimo, giorno 15 ».
Si fece cosi. Ma il procuratore generale — che
era allora il commendatore Oliva, un magisi 1
inflessibile, cui le lotte con l'innocua radicaleria di
tempi rovinavano di giorno in giorno lo sto-
38
•'"I
LA LETTURA
vi S
ludiendum verbum l'amico Giovanni
; i il più in vista tra i fondatori, e gli
diede una mezza lavata 'li cap non era
presentai uitoriià. come la leggi- pre-
ire, la i>rim.i o codesto misterioso (inc-
lino, del quale si parlava tanto in Milano.
Il Pozza confidò candidamente al procuratore
lo stratagemma-r«/am« suggerito dal Bor-
dini, ma il con re raggrotta le ciglia e alza
la w i
IVr Diol C'era chi gli aveva assicurato di
aver letto tutto quel primo numero, parola per pa-
rola !
I ri i fondatori, altri tre scomparvero innanzi
tempo dalla scena della vita, come il povero Bor-
dini: Carlo Borghi, Guido Pisani e Luigi Filippo
Bolaffia Di quei primi sono rimasti i due fratelli
Giovanni e Francesco Pozza, più vivi e in buona
salute che mai, eternamente giovani al pari del loro
Gattino, carne della loro carne, sangue del loro
sangue.
Carlo Borghi, era di tutti il temperamento più
letterario e più aristocratico. Anche nel fondare
un giornale umoristico , egli deve aver pen-
sato indubbiamente di combattere per un ideale e
contro la volgarità, tale essendo stata la caratteri-
stica del suo spirito, apparentemente troppo mon-
dano, ma in realtà entusiasta e un po' romantico.
Guido Pisani era un artista della matita e del-
l'avvenire, fatto apposta per dare la nota nuova
ad un giornale nuovo, con quattro tratti di carica-
tura. E il Bolaffio rappresentava la testa quadra
nel cenacolo maldicente ed era, forse, il più maldi-
cente di tutti, ma altresì il più equilibrato, con certe
viste amministrative che tradivano sin d'allora il
futuro prossimo editore-proprietario.
Il Guerini? nacque cosi, per L'intesa semi-seria di
questi cinque o sei ambrosiana lombardo-veneti, e
nacque — come suol dirsi — con la camicia.
A nessun nuovo giornale come al Guerino, che si
guardò bene dal proclamarlo nell'articolo-program-
ma, si sarebbe potuto affibbiare il vanto di « ri-
spondere ad un sentito bisogno » o di colmare la
« solita lacuna ». Parve che in quei giorni a Mi-
lano fosse indispensabile, fatale, la comparsa di
un foglio che facesse ridere tutti alle spalle di
tutti ; che staffilasse per diritto e per rovescio, ma
n una certa cavalleria e so-
prattutto senza fiele, temperando la satira, anche
spietata, anche feroce, con un onesto buonumon- .
da vero galantuomo.
Così il Guerino, aspettatissimo, fu accolto a brac-
cia aperte e quella accoglienza gli portò fortuna
sulle prime, gli ha portato fortuna sempre e chi sa
fin quando glie ne porterà ancora.
buon successo, subito dopo queli
l'elenco dei collaboratori, fu il trionfo della te-
stata, simpaticissima nella sua originali:,! quasi
■ •si-,1. Fu I rise ad una i a
■ara del Cremona, l'ispirazione ili quel magni-
fico scarabocchio di gusto medievale. In esso :
si poteva Lntravvederi tranne il ni- lo del giornale,
tanto che gli stessi rivenditori chiamavano il Gite-
Ira ili loro: — quel fornai col noni che se ca-
pisi i 'Ma ben presto l'enigmatica testata
diventò li vera nia del Guerino, la faccia a-
i e geniale che vi guarda, sogghigna e vi saluta
Guerin Meschino, fedele alla sua tradizione e-
ri ica e cavalleresca, ritornava fra i vivi di questo
mondo povero in canna, ma fiero, spensierato e ge-
□l roso come don Chisciotte. Alle prime spese, prov-
vide Carletto Borghi e tutto si combinava ad un ta-
volino del caffè Biffi, come si trattasse di una par-
tita a briscola fra studenti e boh'emes. Ed era a
quel tavolino, in mezzo alla placida sonnolenza dei
pensionati lettori di giornali esteri, degli ammira-
tori del concertino serale, delle popò.'e in attesa di
un aspirante, che si alternavano le celie, le discus-
sioni, le freddure dalle quali nasceva il Guerino.
In un proposito solo si trovavano sempre d'accordo
tutti i collaboratori: « Niente politica! » Anzi il
prendersela con i politicanti ed i politicastri per
mestiere o per vanità, fu, sin dai primordi, con il
più grande divertimento dei lettori, la maggior glo-
ria di Giuriti Meschino.
La prima caricatura del primo numero fu quella
di Giuseppe Giacosa , e il florido poeta fu la
mascotte del giornale . ma a cominciare non
dal primo, &A secondo numero, e precisamente
per una parodia di Sarah Bernhardt. che fornì il te-
li, i ai discorsi e alle risate per una settimana, Gue-
rino manteneva le promesse. La sua satira si alzava
da terra, mirava alle manifestazioni ed alle vicende
dell'arte e del teatro: i suoi versi maccheronici a-
vevano gusto e sale, i suoi frammenti un sapore
letterario affatto moderno.
Don Gerolamo Sala, prototipo del signore stu-
dioso, colto, aristocratico, diede al Guerino dei pri-
mi tempi alcuni Ixizzetti : Dalla mia finestra, che
ricordavano il Vesta Verde dalle eroiche memorie.
Ahimè! Ad ogni nuovo nome, una nuova crocei
Povero don Gerolamo, ancora fino agli ultimi anni
così giovanilmente impettito e roseo sotto la can-
dida e ben ravviata chioma alla napoleonica!
Ritto nel suo stallo di consigliere comunale, egli
lia parlato, forse, una sol volta, dopo venti anni di
silenzio, ma ha parlato splendidamente in difesa
delia Si ili. come un i steta della Grecia antica. Poi
la bella, la simpatica fig.ira che per la g
signorile e l'espressione tipica sembrava un m
glione d'altri tempi, il bel gentiluomo che
duto nel suo palchetto a ti itro, sembrava un ni
antenato redivivo, è pure scomparso, è sparito non
senza rimpianto, per chi ama un carattere e un uo-
mo che alla propria idea -erba intatta !
l'i pera.
Del pittore I che insieme al buon
Campi delle ombre e a Pippo Ranci fu tra i primi
illustratori del Guerino. non so più che cosa sia
VITA E GLORIA DEL " GUERIN MESCHINO
595
avvenuto. Poco dopo succedeva a questi iniziatori
nell'onore di puppazzettare uomini ed avvenimenti.
il pittore, architetto ed ora consigliere comunale
— lui. la sua barba e la sua pipa — Luigi Con-
coni. Tre ghirigori a spirale, ed ecco la faccia del
forte ed elegante schermitore Alfredo Dalgas:
Quattro rapide cancellature sovrapposte, ed ecco
nel suo triste pallore tempestoso la larva evane-
scente del maestro Catalani :
E Luigi Conconi, argutissimo creatore di questo
avvenirismo della caricatura, continuò e continua
ancora a disseminare nel Onerino i minuscoli gucri-
neiti, le sigle e le iniziali istoriate, che gli danno
il pimento illustrativo. Ma da parecchio tempo le
vere illustrazioni del giornale sono disegnate dal
pittore Amero Cagnoni, personaggio misterioso e
quasi mitico, corporea personificazione di quelle
incorporee cose che sono lo scherno tagliente e la
burla cortese.
Il talento del Cagni 'ni consiste essenzialmente
nella aristocrazia del disegno, anzi del segno: nella
efficace semplicità della linea. Le caricature dei
Cagnoni sembrano appartenere ad un'arte primor-
diale; si staccano con profili geometrici, cine ri-
tagliate nel cartone, ma tutte vivono di una loro
vita istantanea, saltellante, grottesca, e fra i mol-
tissimi colpiti, molti possono consolarsi di non a-
\er mai avuto ritraiti più somiglianti. Di alcuni,
la caricatura è diventata il cliché, lo stigma, vorrei
dire lo stemma, e basterà ricordare il Guerinetto
cogli occhiali dello stesso Chea» Pozza — ormai
una sigla imperitura; poi il naso e i baffi del se-
re Xegri. la barba d'oro del prefetto Basile,
gli occhi schizzanti anatema di Sua Eminenza il
cardinale Ferrari le contrastanti stature del Xe-
groni e del Silvestri.
« Niente politica! » si era detto, ed infatti Glie-
ritto t il giornale di tutto quel grande partito che
non appartiene ad alcun partito, appunto perchè è
fatto dalla gente di spirito che giudica e ragiona
con la propria testa. La viva e vera forza del Gue-
rttio è la sua oggettività, la sua indifferenza canzo-
natoria per gli entusiasmi degli scalmanati, per le
concioni dei patriotardi e dei radicalastri. La sua
satira si è sempre alternata ad un severo disprezzo
per gli egoismi, i livori, le stizze, le piccinerie delle
mummie del passato, per le inframettenze e le va-
nità dei mestieranti, dei conigli, degli affaristi, dei
palloni gonfiati, delle zucche vuote di ogni colore e
di ogni pensiero.
Proprio a' suoi primi numeri, egli si è forse
« sbilanciato alquanto » allorché mosse in breccia
contro la Costituzionale, con una mefistofelica tra-
sfusione del sangue, della quale il già decrepito
sodalizio moderato ha aspettato vent'anni a sentire
la necessità. Successivamente aprì una vera cam-
pagna contro l'amministrazione, pure moderata, del
sindaco Belinzaghi. ma l'ardito e destro cavaliere
si rimise presto e abilmente in sella, e vi si man-
tenne diritto anche durante le perigliose giostre e-
lettorali, liberando spesso gli opposti campi dai
pigmei più ridicoli, così come seppe, in occasione
di avvenimenti lieti o luttuosi per tutta la patria
italiana dimostrare felicemente la possibilità di far
piangere ridendo... e viceversa.
Questo foglio domenicale, che sembra uno scher-
zo e nulla più di un passatempo, ha trionfalmente
affermata la forza suprema del giornale moderno.
Avere un solo padrone, un solo cliente, il pubblico,
e non rendere servigi ad alcuno. A questo patto sol-
tanto, il pubblico vi segue con simpatia e con fiducia:
a questo patto soltanto, si può dire pane al pane e
vino al vino, si possono menar botte da orbi a chi
596 LA LETTI R \
se le uhi m dai pitali di creta e
talvolta smontare, ri-
■ •. trappi le e macchùi 1 unente e
astutamente • al quotidiano controllo dei
giornali politici.
\i venne dallo stesso Carlo
■11 tr.iNtns.i mi giornale L'Italia «Iella prima
in. 11 lui fondati 1 nell'i ttantat ri- e .il quale
sua signorile mania sportiva per rivelare \MUrbe
il « gaietto 1 ■ ilei Dodo e delle Dodine.
A questo punto della sua vita, Gucrin Meschino
deve rassegnarsi al suo battesimo epico e sguainare
la durlindana. Nell'ottantecinque, saputosi in tutta
Italia che Cavallotti, a Roma, è stato messii in
trawenzione dalle guardie municipali per una di-
remo... distrazione, crede ili poter cantare l'episo-
passarono in massa gli scritturi ilei Giurino. 11 gior-
nale fu da allora preso e diretto da Francesco Poz-
za e divenne poi — per la morte del Borghi ■ — pro-
prietà appunto dei due tipici fratelli Pozza: il
Pozza biondo e il Pozza negher, mentre il Bolaffio
fondava il Ciffè non senza qualche velleità di con-
correnza... Ma intomo al Guerini), che prosperava
per forza e un bel figliuolo nato sano
e robusto, senza debiti e senza proventi straordi-
nari, affluivano altre energie, altre intelligenze.
Luca Beltrami, con una lancia acuta come la
punì nibattè in esso la campagna
formidabile contro gli edili ili palazzo Marino;
il do 1 ' 1, un farmacista corro-
sivo come i siici acidi, trafigge a punte di spillo
i vibrioni di certi ambienti milanesi sacri lino al-
lora al quieto vivere. Eugenio Zorzi vi infonde il
suo veneziano spii maestri buzzi
1 vivo da ria il tipo im-
! ■ ipprofitts
più.
dan-
ilio non so più se in terza od in ottava rima. L'ode
riesce un capolavoro e tutta Milano ne ride, ma il
bardo della democrazia piglia cappello e si batte
co! Filippo Bordini, poi con Giovanni, ed infine
con Francesco Pozza che deve attendere gli gua-
risca un flemone al braccio per chiudere la serie
delle scialbiate.
(incrino, intanto, diventa granile sempre
Nell'ottobre dell'ottantotto gli balena un'id
tesca! Milano è messa sossopra per la costruzione
dei quartieri nuovi e siccome molti mandano al-
l'inferno chi li ha inventati. Giurino ne segue le
glorie e le sventure con successive parodie delli
divine, che hanno un successo italiano. Il G
rilutto ci tiene però ad essere e a rimanere mila-
nese, e mentre il vere, colpevole, Checco Pi
lascia che l'universo intero si arrovelli invano
scoprire chi sia il redivivo Alighieri, si gloria di
pubblicare in ogni numero, o quasi, la sua brava
i.'in/ti in meneghino e le altre in bosino vero, del
VITA E GLORIA DEL " GUERIN MESCHINO,,
5" '7
suo Campée, Federico Bussi. Fermarsi sarebbe mo-
rire. Giunrio deve rispecchiare l'evento ! Ed ecco ;
successi clamorosi del Guerinetto sport, pel quale
Pietro Troubetzkoi , agli albori della celebrità.
inviò da Londra non caricature, ma veri disegni,
piccoli capolavori, e a brevi intervalli ecco seguire,
pure trionfalmente, il libretto parodia <\e\\' Otello
e del Lohengrin, e, finalmente, le trovate impaga-
bili pei doni agli abbonati, fra cui, indimentica-
bile, il pipino di schiuma alla Guerin Meschino.
hit auto continuano a succedersi nel giornale, in
un'ombra trasparentissima , collaboratori insigni e
improvvisati, come il Mascagni (cavalier Genio) .
il Colautti. l'Illica, il Corazzini, i due fratelli Pii
la. l'Arrivabene. felicissimo nelle pseudo-odi Car-
ducciane e più tardi il Macchi, il Bertolazzi e Re-
nato Simoni, un dannunziano esilerantissimo, ra-
pace di far ridere anche il Maestro e tutta la sco
laresca. Lo stesso Giuseppe Verdi, se non collabo-
ratore diretto, fu un grande ispiratore ed un ami-
co fido. La mattina dopo la prima dell'Otello, il
Maestro aveva presso di se, sul suo tavolino, uni-
ca pubblicazione, la parodia del Guerino.
Guerino per alcune pretese ingiurie al Re. a pro-
I i -ito di Crispi. ma si capi in tempo che si era
presa una cantonata e non vi fu processo. Per il
capo d'imputazione del. primo sequestro, deve aver
corso qualche pericolo aneli.- quell'incontentabile
Nice, che dal novantasette in poi, sfoga i suoi ma-
lumori coniugali in brevi strofette al pepe di Ca-
jenna, con una insistenza ed una monotonia impla-
cabili. Il lamento di Nice ha sempre la stessa cau-
sa, ma l'astuta donna sa approfittare dell'avveni-
mento del giorno per impietosire i lettori a' suoi
disinganni di moglie fedele. E guai il giorno in
cui non la si vedesse più. rincantucciata là in fondo
- al posto del n al posto in cui gli altri
giornali recano gli avvisi mortuari — in atto di le-
xarsi il busto, per coricarsi a lato de! suo troppo
impassibile Guerino/ Nice è una pulce nell'orec-
chio pei mariti, ed è il grido dell'animo di mille
spose che. se potessero, le erigerebbero un monu-
mento. Nice rappresenta la nota di una femmini-
lità un po' salace e b< < . >■ -. . - a. ma assai più di-
vertente, davvero, di tutto il femminismo presente...
e di là da venire !
E' credenza di molti, alimentata dai malevoli e
dagli invidiosi, che il Guerino non sia conosciuto e
capito che a Milano ed anche a Milano, entro la
cerchia dei Navigli, attorno al Duomo e nulla più.
La sua tiratura è andata, invece, aumentando sem-
pre, e siccome Milano è per l'Italia un po' di quello
che Parigi è per la Francia, è il centro, il fuoco,
la sirena, così il Guerino, sintesi ed espressione
dello spirito e della vita milanese, ha fortuna in
ogni regione, anche se dapertutto non è gustato
interamente e sottilmente quanto da noi.
Gli italiani all'estero , poi , hanno bisogno del
Guerino per vincere la nostalgia del paese. Diceva
il lìarzini che in Cina, dei giornali italiani, il più
noto e diffuso è il Guerino ed in Isvizzera fa con-
correnza ai giornali umoristici, che non ci sono,
ad onta delle botte tirate ai concittadini di Gu-
glielmo Hotel. La Svizzera ha però motivi speciali
di gratitudine per il Guerino. Nessuno al mondo
le ha mai fatto più epica reclame di quella che il
giornale milanese le ha dedicato gratis et amore,
magnificando l'ospitalità elvetica verso i profughi
politici del novantotto.
E in una delle più tristi domeniche della cani-
cola e dello stato d'assedio, i pescatori del Ceresio
fecero ridere alle spalle degli esuli persino i ri-
masti sotto chiave!
Con la giustizia penale il Guerino ha avuto poco
o nulla a che fare, ma anch'esso però e per due
volte, è incappato nelle cosidette unghie del fisco.
Una novelletta troppo allegra procurò al giornale
un primo sequestro. L'onore di un secondo — co-
me disse in quell'occasione il Secolo — toccò al
«t6
Francesco Pozza.
598
LA 1 ETTI RA
\l . -■•-. ìi. •;! soltanto ai vezzi della
' a pre .1 ben altre se-
duzioni! Nò vanità, ne Cupidige, hanno avuto po-
tare ili aggiogarlo mai al carro dei moderati .
piuttosto che alle I Le beghe dei repubbli-
cani, o dei radicali, i dei socialisti. Il Guerino vive
nato, liben . ridendo e sferzando,
I livori, senza i«li>' 1 pi ichè questo foglio di
rana che è diventato una istituzione ed una forza,
che .spira simpatie alla brava gente e mette paura
ai lirico mi e ai buffoni, è l'opera, è l'anima, è il
iiza di un uomo, è tempo che a
quest'uomo si dica: bravo! (Juest'uomo, dopo tanti
anni passati ad osservare e a punzecchiare le de-
bolezze umane, si è 1 ite e dolce come un ra-
gazzi i, sereno ed indulgente come un savio. Al pari
del vini, schietti e sincero, col passare del tempo,
anziché ii si è fatto e si fa sempre migliore
rmai non è un'esagerazione il dire di Francesco
Pozza, — il biondo-grigio e irsuto direttore del
Giurm Meschino — quello che dicono tutti a Mi-
lano :lè boti... boti cornei pan! Ma la sua, è una
forte bontà. Egli si è educato ad un senso pratico
ammirevole e nel considerare gli uomini e le vi-
cende è sempre rimasto all'infuori del • proprio
io •. Egli sa ispirarsi, sotto la parvenza di una
giocondità superficiale e gaudente, ad una bella e
pura idealità e sa farsene guida in ogni azione del
suo Guerino e della sua vita.
Gnigno del igo2.
Gerolamo Rovetta.
L'arte nuova all'Esposizione di Torino
a. che si fanno Esposizioni, nessuna mai,
forse, fu attesa con una più viva aspet-
tazione, con una curiosità più pungente
di quella che, con così festosa solennità, si è inau-
gurata nel maggio scorso a Torino.
Nel pubblico era entrata ormai la convinzione
che tutte le Esposizioni, poco su, poco giù, si ras-
somigliano e che nulla più di nuovo c'è da aspet-
tarsi da esse ; convinzione ben radicata perchè
frutto di una lunga esperienza, e a smuovere la
quale era mestieri di una specie di miracolo.
Ebbene il Comitato di Torino, nel bandire la
sua Esposizione di Arte Decorativa Moderna, ha
trovato modo di operarlo questo miracolo con un
piccolissimo articolo del suo programma : non po-
tranno ammettersi le semplici imitazioni di stili del
passato.
Un articolo che non ha l'aria di niente, come
vedete, e che è invece una azionaccia da scavez-
zacolli, e di una irriverenza poi senza precedenti.
Come mai ? I vecchi stili consacrati dall' ammira-
zione dei secoli, i venerandi modelli che i nostri
padri avevano con tanta fede copiato e noi con
altrettanta fede ricopiato, le Arche Sante di tutte
le forme possibili della bellezza potevano così, da
un giorno all'altro, essere messi in disparte come
roba fuori d'uso; e questo in un programma uffi-
ciale, firmato, non da quattro frondeurs, ma da
artisti illustri, da deputati e senatori del Regno,
per una Esposizione da tenersi in una città che
ha riputazione di seria, e da inaugurarsi da S. M.
il Re, circondato dai Principi, dalle Rappresen-
tanze delle Camere e dai Ministri?
Via, bisogna ben convenire che c'era di che ec-
citare la curiosità !
Finora infatti si era sempre stati tutti d'accordo
nel ritenere che il campo delle Arti Decorative
fosse appunto il solo dal quale qualsiasi tentativo
di novità dovesse essere assolutamente escluso. Il
perchè di questo regime, dirò così, proibitivo, sa-
rebbe assai difficile di trovare, per la semplicissi-
ma ragione che forse non esiste. Ma il fatto non
è perciò meno certo.
Quello stesso pubblico che fischia in teatro se
in una commedia o in un' opera nuova crede di
ravvisare una vecchia situazione o un vecchio
spunto, che preferisce la lettura di un romanzo di
attualità, magari brutto, a quella di tutti quanti i
classici messi insieme, che alla banalità dei mo-
derni rettifili sacrifica, con una specie di voluttuosa
soddisfazione^ antichi e gloriosi monumenti ; quello
stesso pubblico che prima d'andar dal sarto con-
sulta il figurino della moda e riderebbe all'idea di
vestire oggi alla foggia del cinquecento, quando
si tratti dei propri mobili o della decorazione della
propria casa, sembra cambiar natura.
Al di là dell'uscio del proprio appartamento
tutti diventano archeologhi. Degli archeologhi un
6oo
LA LETTURA
po' all'acqua di i vogliamo, che imbotti-
no] mobili del medioevo, che nascondono le
lampadine Edison denti.' lanterne del quattrocento,
quando non le mettano a simulare la fiamma in
cima a delle candele di porcellana, che sanno ap-
prezzare l'utilità di un buon calorifero a termosi-
purchè sia pudicamente < < ■ l.i t . . dietro una
finta caminiera, con tanto di alari in ferro battuto
per un focolare che non esiste, e così via. Perchè
stile è una gran bella cosa, anche i propri
comodi non sono da disprezzare.
Dell', irte Nuova si parlava da un pezzo, ma, da
parte dei ben pensanti, se ne parlava con un sor-
riso di arguta canzonatura e di compatimento. Chi
avrebbe mai creduto che si potesse prenderla sul
serio ?
E facile quindi di immaginare quale elì'etto do-
vesse produrre il programma dell' Esposizione di
Torino.
Quando poi furono pubblicati i disegni del D'A-
ronco per gli edifizi dell'Esposizione, e comincia-
rono a sorgere nel Parco del Valentino certe strut-
ture insolite, e queste a rivestirsi man mano di
forme non mai viste, la curiosità del pubblico si
andò mutando in una aspettativa diffidente ed an-
siosa, come quando in un circo si assiste a un
salto pericoloso, che tutti scrollano il capo con
l'aria di disapprovare , ma tutti son là sospesi,
intenti a vedere come l'andrà a finire.
Ebbene il salto è finito bene ; il D'Aronco è ca-
duto in piedi, e il giorno dell'inaugurazione ha
potuto ricevere col viso sorridente le congratula-
zioni che da ogni parte gli venivano fatte.
Ma il pubblico che, con questi precedenti in
testa, oltrepassa la soglia delle Gallerie, persuaso
di entrare in un nuovo mondo estetico, in un mondo
di forme assolutamente inedite, non può a meno
di provare qualche delusione.
t .li avevano tanto parlato di Arte nuora, di
nuovo Stile, e a lui non vien fatto di vederlo o,
quanto meno, di poter cogliere, attraverso tanta
varietà e bizzarria di forme, quelle caratteristiche
specifiche e permanenti senza delle quali uno stile
non si può dire che esista.
Di più, attraversando intere sezioni, e passando
davanti a molta parte degli oggetti esposti nelle
altre, gli par di udire come un'eco di canzoni che
ha già sentito cantare, gli par di indovinare, sotto
più o meno riusciti travestimenti, delle vecchie co-
noscenze.
Gli è che i famosi stili del passato, che si era
voluto con molto rumore cacciare dalla porta, con
la bonaria malizia di chi ne ha già viste tinte, si
son fatti piccini piccini, hanno messo le suole di
gomma alle loro scarpe e, ammiccandosi l'occhio
fra di loro, pian pianino son rientrati dalla finestra.
Ma la loro presenza in mezzo alla giovane com-
pagnia un po' scapigliata non guasta, anzi vi porta
un certo profumo di vecchia nobiltà, che non è
privo di grazia.
D'altra parte come escludere, per un esempio, i
saggi dell'arte inglese, se proprio da loro è venuta
la prima spinta a questo gran movimento di rin-
novazione delle arti decorative, al quale assistiamo?
Ingresso principale dall'esterno.
L ARTE NUOVA ALI.'l-:si'OSlZIoNE LI TORINO
60 1
Nel recinto.
Eppure la mostra dell' Inghilterra non è altro,
si può dire, che una risurrezione dell' arte nostra
del trecento e del quattrocento : ma in essa è una
tale forza di convinzione, una tale intensità di pas-
sione, da farla essere ancora oggi una cosa viva,
e da farla quasi parere una cosa nuova.
11 William Morris, il Ruskin e gli altri che li
hanno seguiti, non hanno certo avuto la pretesa
di creare un nuovo stile; essi hanno solo voluto'
con un violento ritorno a quelle forme primitive,
strappare l'arte dal sciatto virtuosismo in cui a
poco a poco era caduta. Hanno voluto che l'artista
tornasse umile davanti alla natura, non d'altro mu-
nito che di sincerità e di semplicità.
Ed hanno fatto di più ; hanno predicato con la
parola e con l'esempio, che l'arte non deve essere
Facciata principale.
602
LA LETTURA
fatta solo per i palazzi e per i musei, non deve
essere la soddisfazione di un vano ed egoistico
dilettantismo, ma deve farsi più umana, deve eser-
citare una larga e benefica funzione sociale, intro-
ducendo Del commercio quotidiano della vita l'e-
lemento educatore della beli'
Questo è veramente il più gran merito di quei
ituomini; ed io penso che il giorno in cui
il William Morris, pittore e poeta illustre, ebbe il
coraggio di aprire a Londra, in < >\lord Street,
una bottega da tappezziere e di metterci su il suo
bravo nome, abbia giovato alla questione sociale
più di cento Comizi, ed abbia, insieme alla bottega,
aperto anche un' èra nuova per l'arte.
E i frutti di quel mirabile apostolato non tarda-
rono a vedersi. Artisti di grandissimo ingegno, in
ogni paese, pur restando fedeli al genio della pro-
pria terra, si fecero seguaci e propagatori della
nuova religione. Essi stessi, come già il William
Morris, si fecero artefici, non credendo con questo
di derogare alla propria dignità ; e così si venne
producendo quel maraviglioso movimento di cui
l'Esposizione testé aperta in Torino è 1' afferma-
zione e la sintesi più completa che finora s'abbia
avuto.
Che importa, dopo ciò, se in essa il nuovo stile,
tanto strombazzato da quelli che badano più alle
parole che alla sostanza delle cose, non appare
ancora ben definito ? Non preoccupiamocene per
carità !
Il nuovo stile, se ha da venire, verrà a suo tem-
po, per via di quel lento e progressivo lavoro di
selezione e di integrazione , attraverso del quale
devono fatalmente passare tutti gli organismi prima
di definirsi in un tipo.
Ve la figurate voi una generazione che si alzi
una bella mattina dal letto con l'idea di voler in-
ventare un nuovo stile prima di tornare a letto la
sera ?
A Torino gli sforzi alla ricerca di forme nuove
sono numerosi ed evidenti ; ma non son sempre
fortunati.
Molti hanno scambiato la novità con la stram-
beria, ed hanno dimenticato che se importa di tar
nuovo, importa anche più di far bello. Ed hanno
dimenticato soprattutto che la prima condizione della
bellezza è la logica. Di qui, per esempio nei mo-
bili, certi viluppi e contorcimenti di forme contra-
ri, oltrecchè al senso estetico, anche ad ogni ap-
parenza di statica; materiali impiegati a sproposito
o in modo contrario alla loro natura, e cosi via.
Questi difetti si rilevano qua e là in pressoché
tutte le Sezioni, ma sono particolarmente evidenti
nella Sezione italiana, dove la scelta degli oggetti
da esporre ha dovuto essere necessariamente meno
rigorosa.
Bisogna anche dire che molti dei nostri esposi-
tori, trattandosi di un primo esperimento, non
avevano ben capito quello che si voleva da loro.
Essi hanno creduto in buona fede che bastasse
sfogliare le molte pubblicazioni d' arte decorativa
moderna, che si son fatte all'estero in questi ulti-
mi anni, per trovarvi la ricetta del nuovo stile, e,
tanto per non restare indietro, non si son conten-
tati di copiare, ma hanno fatto un po' la carica-
tura dell'originale.
Bisognava vedere, nelle Gallerie stesse dell' Espo-
Sezh 'm ^i ria.
Sezione della Scozia.
Sezione italiana.
«.,.{
LA LETTI
suione, certi i oratori a tirar giù delle in-
tere pareti di quello che essi chiamano Liberty,
con una unici e con una
mani i i n'era un1 ira ili l lio '
Ma tutto ciò passerà e resterà il buono che non
è pi"
Sbollita la prima furia di tentativi disordinati,
<he hanno l'aria di voler piuttosto sorprendere che
persuadere, si capita che le Arti Decorative vo-
gliono essere rinnovate, non per il semplice gusto
di far diverso o al contrario di quello che si faceva
prima, ma perchè rispondano meglio alle esigenze
della vita d'oggi, ed accusino, senza ridicole ipo-
crisie e bastardi adattamenti, la funzione alla quale
sono destinate ; perchè, in una parola, siano I" e-
spressione franca e sincera del nostro tempo, come
i vecchi stili lo furono del tempo loro.
Per ottener ciò si vedrà che non è proprio ne-
cessario ili voltare il mondo con le gambe in aria.
Il letto nel quale dormiamo e la sedia sulla quale
riposiamo compiono presumibilmente oggi lo stesso
ufficio che compivano nei secoli passati; dovrannu
quindi essere anche oggi un letto ed una sedia ;
ma la maggior varietà di materiali che oggi pos-
sediamo e i mezzi di lavorazione diversi da quelli
di una volta, purché si voglia usarne schiettamente,
senza puerili infingimenti, suggeriranno essi stessi
nuovi motivi ornamentali, nuove combinazioni di
colori, nuovi andamenti e sviluppi [di linee, cosi
che la fisionomia decorativa di quegli oggetti ne
risalterà necessariamente mutata.
I bensì vero che quest'opera di trasformazione
è difficile e delicatissima, e se richiede una gran
dose di buon gusto, ne richiede una più grande
di buon senso, che più difficilmente si trova.
Ad ogni modo i nostri produttori, piuttosto che
dalle pubblicazioni straniere, si facciano guidare
da artisti nostri, e se la loro produzione ne uscirà
un po' intuita di italianismo, credano che non sarà
il gran male.
Del resto gli esempi che questa Esposizione for-
nisce, e i confronti che si dovranno fare, apriranno
gli occhi non agli industriali soltanto, ma agli ar-
tisti stessi.
lissi devono vedere lo sconfinato campo che si
è schiuso alla loro attività, devono sentire la bel-
lezza della loro nuova missione, di portare in mezzo
a una società fatalmente troppo utilitaria un cor-
rettivo di idealità.
E non per i ricchi soltanto.
Il Comitato dell'Esposizione, quando bandiva,
insieme a dei Concorsi per ambienti signorili, dei
Concorsi per ambienti di poco costo, mostrava eli
,o della Svezia.
■
*
Padiglione Mostra Fotograi li \.
Interno della Scozia.
6o6
LA 1.1 ITI RA
della funzione i i\ ile a cui deve
stendere il nuovo movimento artistico, e traci
artisti la via per la quale si devono m
Essi devono peni tto, anche il
più umile, può vestirsi di bellezza sotto la mano
amorosa dell'artefice, e diventare un efficace ele-
menti di edui di gentilezza, in mezzo al-
;liità delle lotti- che le varie (lassi vanno fra
di loro combatteni
Sarà il Socialismo della bellezza.
Noi dobbiamo studiarli di rendere gaia ed at-
traente anche la dimora più modesta. E a questo
ufficio l'arte che si chiama nuova si presta mira-
bilmente.
Essa predilige le tinte chiare e liete; essa ha
tornato in nuore la policromia nella decorazione
interna ed esterna delle case, nei mobili, nei ve-
tri, nelle biancherie ; essa va alla ricerca dei ma-
teriali più svariati ; essa si preoccupa soprattutto
che, in ogni ambiente, ogni particolare si fonda in
una prestabilita armonia generale.
i 'ra ognun sa quanta influenza abbia sull'animo
nostro l'aspetto delle cose in mezzo alle quali imi
viviamo.
Ci sono alla Esposizione delle camerette into-
nate ad una intimità così dolce e suggestiva, da
indurre alla calma, alla serenità, anche l'anima più
tempestosa.
Questa ima dt\V intonazione è evidentissima alla
ira ili Torino, e poiché, attraverso le manife-
stazioni più disparate, appare comune a tutti i
paesi, si può asserire che essa costituisca, per il
momento, la più spiccata caratteristica delle mim e
tendenze.
Anche da noi, dove, consentendoci il clima di
vivere più all'aperto, la cura della casa non fu mai
soverchia, ora incomincia a farsi sentire il desiderio
di accarezzare più amorosamente la propria di-
mora, il proprio nido.
Sotto questo aspetto l'Esposizione di Torino è
quasi una rivelazione.
Ed altro ancora essa ci rivela, di cui possiamo
essere contenti : che noi italiani, sebbene arrivati
tardi nel movimento e bisognosi di apprendere
molto dagli altri, possiamo pure insegnare agli
altri qualche piccola cosa.
A rifuggire, per dirne una, da certe aberrazioni
della forma, le quali possono facilmente condurre
— ed a Torino ce n' è dei saggi — a mutare la
casa di un pacifico cittadino in una specie di vi-
sione da allucinato, in un ambiente da manicomio.
Ci rivela pure che, anche in questo campo delle
industrie artistiche, esistono nel nostro paese —
Rotom.\ d'onore. — Interno.
LARTE NUOVA ALL ESPOSIZIONE DI TORINO
607
di cui cosi spesso e cosi facilmente ci lasciamo
andare a dir male — tante forze vive, desiderose
del meglio ed energicamente operose a conseguirlo,
quali nessuno avrebbe forse, prima d' ora, sospet-
tate.
La Sezione italiana a Torino, cogli stessi elementi
che sono in mostra, avrebbe potuto certamente fare
una figura assai migliore che non faccia, se una dire-
zione superiore avesse avuto cura di coordinare
fra di loro le varie mostre, di armonizzarle all'am-
biente, di guidare coi suoi consigli gli espositori
nella disposizione degli oggetti, di dare alle sin-
gole gallerie quell'aria di decoro e di signorilità
che tanto contribuisce al successo delle Sezioni
estere. Tutto questo lavoro di organizzazione è
mancato assolutamente, e per di più 1' ubicazione
stessa della parte più importante della nostra Se-
zione riusci disgraziata come peggio non avrebbe
potuto essere. — Noi italiani, che pure passiamo
per furbi, siamo in realtà la gente più buona di
questo mondo ; all'estero ci trattano con pochi ri-
guardi e non abbiamo la forza o il coraggio di
reagire, ma se gli stranieri vengono in casa nostra,
ci facciamo in quattro per accoglierli bene, diamo
loro addirittura il nostro letto, a costo d'andar noi
a dormire in solaio. Siamo davvero gente molto
ospitale.
Ma l'esperienza di questa volta dovrà ispirarci
un po'di carità per noi stessi per le volte a venire.
Sarà uno dei frutti di questa Esposizione; il risultato
della quale, se è tale da non farci essere malcontenti
di noi stessi, deve però insegnarci che molto ancora
ci resta a fare, nelle scuole, nelle officine, nelle teste
e nei cuori.
Le energie, ora disordinate e spesso divergenti,
hanno bisogno di essere disciplinate e fatte con-
vergere verso una forma d' arte che, pure rispon-
dendo alle necessità ed alle tendenze dei nuovi
tempi, sia schiettamente, decisamente italiana.
Lasciamo pure che gli altri vadano per la loro
strada e noi andiamo per la nostra. I tempi in cui
l'arte era monopolio di un sol popolo sono pas-
sati, ma se noi non possiamo oggi pretendere di
essere, come una volta, i maestri di tutti, dobbia-
mo sentire ancora nel genio della nostra razza
sufficiente virtù per essere almeno i maestri di noi
stessi.
G. Beltrami.
-1 — — il
La strada, solitaria
OOOOOo"*
Tris/c, a chi so/o vada
Nell'ombra della sera,
X, IP aria clic s annera,
La soli/aria si rada!
Il mar che pria sonava
Con dolce suon di cetra
Ora con rabbia idra
Ciiia rampogne e bava;
Il inonle che giaceva
Cinto di rossa gioia,
Si veste d'atra noia
E tri/ce in pie si leva ;
I pini che amorosi
Tendean le braccia al sole
Saettano parole
D'odio, nel vento, irosi:
E il so le è sotterrato,
E spenta è pur la luna,
E non isboccia alcuna
Sì ella nel ciel serrato.
Triste, a chi so/o vada
.Veli' ombra della sera,
Nell'aria che s'annera,
La solitaria strada!
LA STRADA SOLITARIA 609
Egli sente un'ambascia
Strana sul cor pesare ;
E smette di cantare,
E tutto in se si accascia
Pensa un orto tonfano
Entro un ma ti ino d'oro,
Ed uno so h io Ho alloro
E un -verde melograno:
Sogna l'odor del fieno,
La casa devo nacque,
Un viso che gli piacque
In un tempo sereno ;
Vorrebbe il focolare
E il suo buon sonno antico
Scorto da un cuore amico
Vegliante al limitare;
E pensa la distanza
C/i'è tanta dal suo lotto ;
E pensa eh' è sì stretto
Il tempo che gli avanza.
— Tardi! — rampogna il mare;
E i pini — Sciagurato.'
E intanto il monte alzato
Cjntinita a minacciare.
Sott'esso lo sgomento
Del cielo chiuso e mulo,
Gridai- '-vorrebbe — Aiuto:
E fugge insieme al vento :
E fugge, fugge forte
Con un terrore insano,
E quando giunge al piano
Si abbatto noi la Morir.
Angiolo Shaki Novaro.
La Lettura. 3Q
MMMMMI
■5P
Monte Baldo da Sirmione.
La penisola di Sirmione
ON so per quale strana fatalità, o stor
tura di giudizio, sia mancata fin ora al
Benaco, da pam- degli Italiani, quella
corrente ili simpatia, che accompagna da
larga
tanto temp
su' ii minori fra-
nili subalpini.
I onfuso dai più
nella posizione
geografica, tra-
dito nel n
innato su
falsi o mani h
voli indizi e sen-
za controllo di
prove, giacque
fino a pochi an-
ni fa, abbando-
nato e '
dagli stl
■
ipure quali
dei laghi :
; Bena-
;
di ire di i r dolcezza di clima . per pu-
rezza di acque, per giocondità di vedute, per
Sulla strada da Sirmione a Desenzano.
Eco : la nella Sirmio nel lucido lago sorride
fiore delle penisole.
varietà e magnificenza di p - Quale rac-
coglie più densa e illustre storia intorno al sii"
nome' Quale ebbe più gagliardi e innamorati can-
lori, da < latullo a < !ardu
Ma delli
se è come degli
uomini ; non
sempre le mi-
gliori trovano
più pronti
unanime il con-
senso e l'ap-
plauso della
folla.
Bello è
naco nella luce
i
sole che lo
■le; Min
nei i ramonti in-
fuocali che 1"
tingono di por-
pora e li, \
no d'oro ; bello
nelle noni -
ne he gli ripe-
toni, le armonie dei cieli e i hagliori dell
bello nell'ombra che ne allarga i contorni e lo av-
LA PENISI >LA DI SIR.M10NE
Gii
volge nel mistero dell'infinito; superbamente bello
nelle turbinose tempeste che l'alzano urlante e fre-
mente sui flutti e lo eguagliano al mare, a cui volle
paragonarlo Virgilio nel tumulto dell'ira.
Nel lungo tratto, da Riva dove il lago comi
fino a Peschiera, dove finisce, corra l'acqua incas
sata fra l'irte e brulle dolomie, o si stenda ampia
e maestosa tra' morenici colli, ogni curva, ogni
seno, ogni angolo affaccia spettacolo nuovo ; ogni
ora del giorno, con suoi particolari rilievi e co-
lori, cambia la scena e discopre nuove meraviglie.
Il geologo, il botanico, lo storico, il poeta hanno
qui campo inesausto di osservazione e di studio ;
ognuno può trovarvi materia che interessa le sue
tendenze, i suoi gusti, la sua curiosità, e si sente
costretto ad ammirare, a interrogare, a pensare.
I bianchi paesetti allineati sulle rive, arrampi-
cati sui pendii, distesi sulle colline, ammucchiati
e quasi sospesi sui dorsi pietrosi, sfilano davanti
al viaggiatore, e occhieggiano e salutano ; qui se-
veri e melanconici sotto l'ombra di nere conifere ;
là gaudiosi e splendenti tra gli uliveti e le vigne.
E castelli turriti e cascate pittoresche e valli an-
guste e morbidi poggi, e casali solitari e ville ci-
vettuole, e giardini, e agrumeti, in alto e in basso,
sfilano anch'essi e sorridono, mentre nell'aria è
un sottile profumo di lauri e di cedri in fiore.
CeYito visite e cento a questo sovrano dei laghi
non esauriscono né scemano il fascino ch'egli eser-
cita sull'intelletto e sui cuori, perchè inesauribili
sono in lui le fonti della bellezza.
Ma ormai tutti gli sguardi e i desideri s'appun-
tano sulla vaga penisola, nel cui dolce nome gi-
grnteggia e si spande la celebrità del Benaco. Da
lei. tre civiltà, per bocca di tre grandi poeti, Ca-
tullo, Dante e Carducci, nell'armonioso italico i-
dioma, accennano e invitano.
Circonfusa di luce, nuotante nel sole, tra le op-
poste riviere che le s'incurvano ai fianchi, nel ter-
so specchio dell'acque, si slancia la verde Sirmio-
ne. la pupilla de! lago. Rocca di Manerbo e San
Vigilio da lungi si protendono avanti per ammi-
rarla più appresso ; grave quella come madre che
teme e ammonisce, impaziente questo come sposo
che si affretta all'amplesso.
Da ogno punto della vasta conca turchina la
bella si vede : i miti chiarori dell'alba, i meriggi
radianti, i pallidi crepuscoli, le notti stellate, i
bianchi riflessi lunari, la mostrano sotto apparenze
diverse; timida, ardita, melanconica, solenne, mi-
steriosa.
La penisola è costruita per la maggior parte da
uno scoglio cretaceo (scaglia rossa), che segna una
pagina importante nella storia geologica del lago.
Ha figura di triangolo, somigliante a una piccola
Sicilia: il lato maggiore, lungo metri 1200, guar-
da all'oriente; gli altri due all'occidente; la sua
massima larghezza è di metri 600 ; la superficie
di metri quadrati 400 mila circa. Ai tre angoli
Il ponte.
012
LA LETTURA
Il castello.
corrispondono tre sollevamenti, di cui il meridio-
nale, ch'è anche il più alto (m. 35 sul livello del
lago), ha nona- Cortine, quello di mezzo Mavino
e il settentrionale Grotte.
Sirmione è isola e penisola insieme, perchè per
un sol ponte è congiunta a mezzodì a un lungo e
stretto istmo, che per circa due chilometri s'allun-
ga nel lago tra i golfi di Desenzano e Peschiera.
Pupilla delle isole e «Ielle penisole la chiamò quin-
di Catullo nel celebre carme:
Peninsularura Sirraio , insiilarumque
Ocelle (e. 32")
Sull'origine ilei nome non mi fermo; l'etimo-
logizzare su ogni parola è spesso travaglio da a-
crobata: piuttosto vorrei che il bel nome che cosi
soave suona nel verso del Poeta latino e dei mi-
gliori nostri, non venisse — come da troppo tem-
po >• anche ufficialmente si fa - cambiato in Ser-
mione, corrompimento, che comincia a trovarsi nei
documenti del latino-barbaro del secolo Vili e ne-
gli autori che attinsero da essi.
I neppui dico dei primi abitatori, dei preis
ria cioè vissuti sulle palafitte; né dei secondi, E-
neti o El ero, pi rchè I n ipp 1 intricato
e dibattuto è il campo. Meglio invece rilegj
strofe che, proprio di qui, e sull'argomento,
ise il nostro Carducci (1) e che valgono bene da
sole un volume di critica congetturale:
e tra i vini udir lontani- istorie
D'atavi, im-ntri.- il divo ■•ni precipita
pie m. Ile sopra noi viaggiano
le e le fronde l'aura mormora.
no > m Terze odi bai bare.
1 -'.-si die queste ameni- rive tennero
Te, come noi, bel sole, un di goderono,
O ti gittasser belve umane un fremite
Da le lacustri palafitte, o agili
Veneti a l'onda le cavalle dessero
Trepida e fredda nel mattino roseo,
O co '1 tirreno lituo segnassero
Nel mezzogiorno le pietose acropoli.
Le prime memorie storiche sono dell'epoca ro-
mana.
Posta Sirmione sulla gran via militare, la Gal-
lica 0 {Emilia), una delle più importanti e battu-
te dell'impero, - segnata nell'Itinerario di Anto-
nino come mansione, ossia luogo di fermata per
cambio di cavalli, rifornimento ili vettovaglie e al-
loggio dei corrieri, dei magistrati e qualche volta
degli stessi imperatori. La vira mansione — e se
m- trovarono vestigia era a capo dell'istmo ,
so la via stessa per più pronto e regolare serv:z:o :
ma ciò non esclude che nella penisola sin'
sero per più lungo riposo i meno affrettati e i de-
siderosi di svago in luogo Ix-llo e dili
in altre sta/ioni consimili avveniva. Del resto ognun
sa come il Benaco tossi apprezzato e frequeni
dai ricchi romani, che vi avevano ville soni
• • poderi, ionie a Tusculo 1 nei dintorni di Napoli.
Appresso alla via (ialina e — secondo il Fili.isi
da Mantova fin sui colli di Pozzolengo, Cavria-
na, Volta e Valeggio, distendevasi gran selva bhia-
.1 Lugana; nome che conserva anche attualmen-
te il più ristretto territorio che sia tra la penisola,
Rivoltella e Peschiera.
Sul dosso Cortine restano avanzi di rocca roma-
LA PENISOLA l'I SIRMION1
i.i3
na, e ai due lati del paese, due porti pure romani;
il più ampio — compreso poi nella cerchia del ca-
stello scaligero e in gran parte oggi interrato —
ad oriente, di forma triangolare, col vertice a ter-
ra e il lato più lungo ai flutti, difeso da solide
mura ; l'altro ad occidente, meno combattuto dal-
l'onda, usato anche al presente dai pescatori e dai
naviganti.
In uno di essi, e probabilmente nel primo per-
ii. CASTELLO.
che più grande e profondo, vide Catullo galleg-
giare il fido e veloce faselo che dalle tempeste del
Ponto lo aveva ricondotto salvo alla patria, quando
additandolo agli ospiti ne celebrava i pregi e i ser-
vizi che gli aveva resi nel lungo pellegrinare
Phaselus ille. quem videtis hospites.
Ait fuisse navium celerrimus. (Carmi- | .
Lapidi imperatorie e votive, marmi sepolcrali e
cippi miliari ebbe un tempo Sirmione numerosis-
sisimi. Oggi pochi ne restano: la maggior parte
furono trasportati — preda illegittima — nel mu-
seo archeologico di Verona, o qua e colà dispersi
di fuori. Biasimevole mania questa di ammontic-
chiare nelle gallerie, spesso senza indicazione di
provenienza, marmi e frammenti che nulla dicono
a chi li visita, mentre conserverebbero tutta la loro
importanza, e tutta rievocherebbero la suggestiva
visione del fatto o del pei »gio ci»' ricordano
se lasciati nel luogo di loro origine.
Ma più della rocca e dei porti, parlano di Roma
i ruderi giganteschi che occupano la parte setten-
trionale della penisola, chiamati co- _
illunemente Grotte di Catullo. Asso-
ciati per diritto o per rovescio al
nome dell'illustre Poeta, essi creb-
bero e cementarono nei secoli la fa-
ma di Sirmione. Invano lo scalpello
demolitore della critica, insegnando
ch'essi, anziché a privata dimora
hanno servito a pubblica e sontuosa
terma. ha tentato distruggere la pia
tradizione che li ha consacrati ; pei
poeti e pel volgo saranno sempre le
Grotte di Catullo.
Il Gratarolo — storico salodiano
del sedicesimo secolo ■ — descriven-
doli spaventevoli per l'oscurità e le
biscie e i pipistrelli che li infesta-
no, favoleggia di lunghe e tortuose
vie sotterranee che li congiungono,
niente meno, che all'Anfiteatro di
Verona. E narra di certa giovane
che essendole fuggita una -porca che
liaveva condotta a pascere et entrata
in quelle grotte, dubitando di tor-
nare a casa dove haveva la matri-
gna, senza essa, gli andò dietro, et
doppo lungo caulinare per quelle
tenebre oscurissime, si ritrovò nel
detto Anfiteatro, con la sua forca
innanzi. E aggiunge: e fama che
la fabbricasse Lucullo ricchissimo
romano, fero ci sono de' contadini
che le chiamano ancora le Grotte
de7 Re Cullo, corrompendo il nome
che non intendono, (i)
Silvan Cattaneo, pure salodiano
e contemporaneo del Gratarolo. par-
lando sullo stesso argomento, ac-
cenna all'esistenza di un disegno
fatto per mano del Bramante, nel
quale scorgeasi tutta quella fabbrica perfettamen-
te intera, che non ci ammancava una sola fine-
strella. (2)
Fra i molti che si occuparono delle Grotte e a-
vanzarono giudizi o ipotesi più o meno attendibili,
spesso copiandosi l'un l'altro, il più diligente è il
veronese conte Giov. Girolamo Orti Manara ; nel li-
bro del quale -- che una completa illustrazione
(n « Historia della Riviera di Salò», Libro I. Bre-
scia, 1599.
(2 «Salò e sua Riviera descritta», Tomo I, Giornata
XI. Venezia, 1745.
(il .4 LA LETTI b \
della ■ può trovare, chi lo desideri, am-
pie p Qui basti dire i he il
sopra una superficie di 1 i mila
idrati, è opera — secondo l'Orti <!<■!
princi] lei secolo [V; che quanto esiste attrai-
la massima parte costituito <la colos-
sali di costruzione - congiunte parecchie
da solidissime arcate e da locali sotterranei in
bili - sii:, a le biscie e i pipistrelli
del Gratarolo — e in parte ingombri di materiali;
che la mole su rvì forse a uso di terme ; che
la dis'ni i i n mpo remoto, provocata
aneli i remoto e incendio, e infine
: materiale adop xato nell'erezione
appa duo di ibbrica i esi ente :
■ Iella villa ili Catullo. Con quest'ultima sup-
. la tradizione si riattacca in eerto mo-
la storia. (2)
Del restia qui o altrove, la famiglia del Poeta
ebbe senza dubbiò sua villa in Sirmione; 1
vi nacque, eerto vi fece lunga dimora e l'amò.
ra egli stesso: «Chi più beato dime —
che deposta ogni cura e stanco per la
ca del viaggio, torno lilialmente alla mia casa
are nel desiderato mio letto? » E la
i ritorno traimi ca. e 1 inno sgorga calilo
Ionato nel saluto finale
«Salve, o venusta Simun atque hero gaude,
Gaudete, vosque Lydiae lacus undae,
Elidete quiequid est domi cachinnurum >.
(Carme 32»).
l'er questo., lecito qui davanti al grandioso pa-
norama che da questa punta si gode, risuscitare
nell." fari asia le sembianze dell'innamo-
rato 1 an'ore e di Lesbia dalle luminose pupille, e
i tripudi clelle feste e i brindisi arguti nelle affol-
late sale ospitali, aperte sulla poesia del la
Di qui. mentre l'archeologo fruga e interroga i
sassi che i si trasmuteranno in polvere,
spa/i l'occhio e si bei nell'eterna bellezza che ri-
fuls. sati e rifulgerà eguale ai venturi. In
nessun altro luogo come da questo sfoggia il Be-
0 tutta la : N-lle sue meraviglie: l'acqua
interi azzurra dove il gorgo è profondo,
e brune tin ve passa sul dorso
alti monti subacquei, si fa 1 hiara e pei
.1 dalle interne correnti, e d'un vi
cangiante nei brevi golfi ombreggiati, e di liquido
ulle rive lontane, e del color di alabastro
mi lo oglii Magiche lui i, lingue 'li fiam-
ma • rosei bi ■
ini ine, strisi iam 1, nuotano, scintillano e
mo nella gran conca purissima; ardono i
monti, e le collie..- , al vivo raggio del
ilio del culo tutto inonda e co-
lora.
I ..1 in. issa del I I H ggia sulla sponda vc-
esc. coperta le cime di nevi immao ilate e di
tastiche nubi: I .1 emporio e arsenali- del
Bardolino ferace di vini e di frutta, Garda
famosa per leggende ■• pei stori.! e forn marmi-
tranquille sotto la mole imponen-
te. Siili opposta riviera. Monte Castello, tra mor-
bidi colli, drizza le moli, pini creste nude
lia cui SÌ ini ravvedono lembi opalini di lon-
tani orizzonti, e il Gu con l'immane gropponi
curvo incombe sul lago, su questo, l'occhio corre
desioso, ' sui nitidi margini distingue Gardone,
Maderno, 1 1 >s< ■ ilani . ( ìargn ini 1 sfi 'lg' iranti 1
serre gigantesche, e sulle prime pendici. Bezuglio,
Cecina, Messàga, Gaino, Villavetro, poi si perde
nel lungo e stretto braccio settentrionale, eh,
.1 Riva e al Trentino, dove un popolo fi
, he ha sul lai, Ino e nel cuore la favella e la fede di
Dante, lavora e coi ; -nettando.
: .1 penisole ni lago <li Garda», Ve-
rona, 1S56.
1 )«kì ritorna in campo l'opinione che le Grolle 1
veramente avanzi ili una villa grandiosa e non «li una
terni., comi pue ili i molto più antii
quanto ','1 irti giui
Chi può dire le v'incende di Sirmione nel tei,
delle invasioni barbariche, e come imaginarle
diverse da quelle della rimanente Italia? Che tut-
tavia qualche importanza conservasse durante il
regno di Teodorico, si può crederlo ricordando la
predilezione ch'egli mostr,, per Verona e Io studio
particolarissimo che pose ad apparire agli occhi de-
gli Italiani meno barbaro di quello che era vera-
mente. Lo stesso dicasi del tempo della conquista
dei Greci, pel latto che l'Anonimo Ravennate no-
minandola le disse città — civilas. E' indubitato
però che questa sua qualsiasi importanza crebbe ,,
si appalesò soltanto all'epoca longobarda, con la
quale davvero ricomincia per Sirmione un pò li
storia.
Sul dosso Cortine, poco lungi dagli avanzi della
ucci romana, la regina Ansa, moglie di D
eresse un monastero di monache benedettine, e ap-
iso una chiesetta dedicata al Salvatore, patrono
delle armi longobarde Dell'una e dell'altro vanno
scomparendo fine le ultime traccie; resta invece
e resterà la bella visione del Poeta, fiorita tra quei
ruderi :
Gino, ove il giambo di Catullo rapida
L'ala apri sovra la distesa renila.
bia chiamando tra l'odor de' lauri
i un saliente gemito per l'aere,
Ivi il compianto di 1, uni, arde monache
Salmodiano 1 asci la 1 andida
Luna e le e equie mot moro su 1 giovani
Pallidi stesi s,,u,, l'asta frani i< a ». (r)
Desiderio, un ( 'unimondo, nobile e
Sirmionese, uccideva Maniperto, gasindio di
Ansa. I '. ■ ■ morte, poi perdonato per in
(1) Carducci. Da D ano 1 ' «ino R01 1 hi, in .'■
odi bai
LA PENISOLA Ed SIRMIONE
6i5
Il castello verso il lago.
cessione della regina, egli donava, a espiazione del
suo peccato, parte de' suoi beni a tre chiese di Sir-
mione. San Martino, San Vito e San Pietro.
Ho narrato il fatto unicamente perchè ad esso
si lega il ricordo delle tre chiese, di cui l'ultim:;. sol-
tanto sussiste ancora sul dosso omonimo ; antichis-
sima per certo e forse trasformata in tempio di-
stiano da un sacello romano. L'edificio, tranne la
antichità, non ha nulla di notevole, ma splendida
è la posizione che occupa, circondato e protetto da
Il castello. — Ingresso.
6i6
LA 1.1 MI RA
mi uli\ i. che spandono in-
invitano
\ - arsi
i e i" spi a 'H
li intano sembra una in oao hia di ver
fluttuante tra l'azzurro del cielo e l'az-
chi documenti, del secolo X' 111 .il XII. rac-
; e pubblicò l'Orti nel suo libro; ma non e qui
il li.. -mimarli. Trattano quasi tutti ili do-
ini " conferme d'immunità e 'li prn ilegi a i hie
qualcuno anche fuori d'Italia
rido il bastardo costume del tempo; con
i rì e norme 'li giustizia .lisiriliiuti. ognu
he in ripeta.
Piuttosto piace rilevare ''tir quando la robi
gliosa fioritura del Comune si sparse per l
a risuscitar le infinite, prodigiose
lei popolo accate, non spente mai dalla
barbarie degli oppressori, anche Sirmione
- fin dalla meta 'lei secolo XI l - un Pode
proprio, scelto 'lai liberi uomini della li:'
giui Muti propri, quantunque ricono
ìse il jus sup di Verona già da tempo di-
i. 11 che e provato ila un di >< u
mento rilento dal veronese Girolamo Ballerini in
una sua dotta 'li- sui confini ilei lago 'li
Garda.
lligero, elle .sorge sulla piazza 'lei
senza dubbio ima delle attrattive più
:te pel forestiero che visita la prima volta Sir-
ie. Prima ili approdarvi, egli già guarii. i com
>so la mole su. l'ira 'le' secoli, e
merli ilei torrioni- più alto \ aliarsi nel
puro turchino del cielo il magro profilo di Dante-
.- adora. Un grande severo s'affaccia
a la torre scali)
— Suso in Italia bella— sorridendo ei mormorai .;
Ila, la Urrà e l'ai
Che Danti- sia .-.tato sul lago e a Sirmii
la sua dimora a Verona ospite degli Si-all-
umi mi par lecito mettere in dubbio. Troppo
e precisa descrizione egli la dei luoghi di cui
parla, per supporre che la ricavi da altra fonte che
non sìa 1 nza materiale che n'ebbe e i
le sua propria. < 'osi ■ he leve* azii me di lui
sulla torre scaligera, non , parto soltanto di ge-
niale fantasia, ma assumi di stona.
Viti si sa in ehe anno abbia cominciato la fa-
miglia Della Siala a si) re Sirmione; prò-
mente fu nel [262, quando Mastino 1 divi
Podestà di Verona, o poco dopo. Parimenti ino
ino di costruzione del 'astello, ehe alcuni voi
rebbero avvenuta dopo il 1276; vero è invece me
Sirmione per la torte postura, quasi vedetta su'.
reta imp 51 itto la domi-
nazione scaligera e poi dei Visconti e Carraresi,
che per poco la tennero. Il che e provato non solo
dai privilegi che ottenne, ma anche dal numero e
qualità delle 1 .meor oggi pettino i segni
di quel tempo.
Sirmione è caratteristica pel suo ito; ad
"ne dei nuovi alberghi, dello stabilimento
balneare e di due ville moderne, una a riva di 1
l'altra sul dosso Cortine, tutto il resto,
mascherato da recenti ristauri, porta l'impronta dei
lontani diversi tempi in cui sorse. Lo stile bizan-
tino, il gotico, il veneziano, alternati con avanzi
di mura romane, hanno loro rappresentanti in ogni
via. in ogni piazza, qua in finestre " in porte, là
1 1 ducei. «Sirmione». in Nuoi'e odi barbare'.
\ìw
LA PENISI ILA IH SIK.WK iNl
"17
in capitelli, in fregi, in cimase; il tutto confuso
e sovrapposto, come piacque ai diversi costruttori
nei frequenti tramutamenti. Questa bizzarra me-
scolanza ferma l'attenzione e accresce il prestigio
che questa vaga terra del sole esercita sull'intelli-
gente visitatore.
La persecuzione e cattura di grossa torma di
Patarini — meglio di Apostolici — è il fatto più
sa, donava ad Alberto I della Scala — Mastino
era morto — il castello d'I Siasi nel Veronese, cum
omnibus juribus ci ■pertineniiis suis.
La tradizione che Fra Dolcino con la innamo-
rata e forte sua compagna Margherita Boninsegna
di Arco — non Margherita Trenk e neppure mona-
ca — e alcuni discepoli, sia passato pel lago e si
sia anche soffermata in Sirmione, quando cacciato
dal Trentino ceno rifugio altrove,
può aver avuto sua origine dal fat-
to della lunga dimora e proficua
predicazione del celebre eresiarca
in Riva sul (iarda, in Arco e a (Ton-
dino nel 1303 e quindi per facile
confusione di tempo, di luogo e di
persone con gli avvenimenti sopra
narrati (iV
Occupata dai Veneziani nel 1404.
Sirmione non soltanto ebbe confer-
mati, ma anzi accresciuti gli anti-
chi privilegi, con quella liberalità
che la potente Repubblica usava
solitamente verso le terre soggette,
ma che in questo caso — specie sul
salienti che i cronisti e gli storici
ci abbiano conservato dei tempi sca-
ligeri in Sirmione.
Molti di questa setta, di cui era
già piena l'alta Italia e che così fie-
ramente doveva affermarsi più tar-
di sotto !e insegne e la disciplina
di fra Dolcino, si trovavano nel
1376, quasi in luogo fortificato,
nella penisola, dove sermoneggian-
do e persuadendo con calda parola,
raccoglievano numerosi proseliti,
uomini e donne.
Ricercati e vinti, non senza resi-
stenza, dalle milizie appositamente
mandate da Mastino I. sotto gli or-
dini di Alberto suo fratello, del ve-
scovo Temidio. dell' inquisitore Fi-
lippo de' Bonacolsi e del podestà
Pinamonte Bonacolsi , di Verona .
nel giugno dello stesso anno r2;6 .
in numero di cento tra maschi e femmine —
chi dice centocinquanta e chi più — furono
presi e condotti in Verona , ed ivi il t3 feb-
braio r278 barbaramente bruciati nell'anfitea-
tro. « Die Dominico 13 Februari (r278) in
arena Veronae sive amphiteatro combusti fue-
runt circa centum Paterenos de suprascriptis, qui
capti sunt in Sirmio sive Sermione. et dictus frater
Philippus erat executor. » (1)
Papa Xicola III. a ricompensar l'eroica impre-
Grotte.
principio — le era consigliata da ragioni politiche.
L'occupazione di Sirmione infatti era il primo atto,
dirò cosi, di un' impresa da tempo agognata, la
conquista del lago ; impresa che i Veneziani sa-
pevano non avrebbero potuto compiere senza viva
opposizione dei Visconti, dei quali avevano già as-
saggiato l'ambizione e la forza. F.ra quindi line ac-
corgimento il loro l'accarezzare i Sirmionesi per
ronaca di C. Balla dalle l'acche, in Òrti Manara
op. cit.
Veggansi : Orsini Begani, « Fra Dolcino nella tradi-
zione e nella storia». Milai tolto) ìnialdo Se-
garezzi, «Contributo alla storia di Fra Dolcino, ecc.»,
in Tridentum, Rivista mensile di studi scientifici. An-
no y, fase. VII e Vili, sett.-ott., iooo.
6i8
LA LETTURA
aprirsi più facile la via al raggiungimento in
del loi
E una prima guerra infatti tra la Repubblica e
ppiò nel i|-5. e un'altra nel 1431
e una terza nel 1437 ; memorabile quest'ultima
pel temerario diselli", felicemente eseguiti!, di
Nicolò Sorbolo e Biasio ile Arboribus, di calare
nel lago una flotta facendola risalire un tratto
per l'Adige e pni a traverso la catena del Baldo.
Durante questa guerra, Sirmione cadde in ma-
no dei Visconti, ripresa però dai Veneziani nel
1440.
Un'altra volta la 1 fu tolta alla Repub
Mira dalla lega di Cambrai, ma restituitale nel
[515, le rii fino al 1707 ; nel quale
anno il Bonap: rtdosi per un momento
impo delle sue battaglie, si reca>
visitarla.
Gli abitanti di Sirmione sono robusti, seni
plici, laboriosi, la maggior parte pescatori, Gli
altri attendono alla coltivazione della terra, del
l'ulivo special»] dà olio saporito e rino-
Fra i paesi delle dui sponde, Sirmione viene
numero di p
luantità di materiale peschereccio, per varietà e
rido ■ alcoli ri
nini, ira trote, s. odi -ile. anguille, lucci, carpe,
tinche, barbi e altri minori. ]>er un valore appros
simativo di jH a ,50 mila lire; reddito meschino
se si pensa alla quantità delle bocche circa 400
— t ra cui va diviso.
Il pescatore di Sirmione vive sul lago il giorno
e la notte nei tempi propizi alla pesca; durante 1
lunghi 11/i forzati, lavora alle reti con le donne e
i figliuoli e raccoro ibbrica rematti, ìudrioni,
V. sardenari, scaroline, arcarti; vita dura e
stentata, cui solo sollievo sono l'indole mite e gin-
viale, il tradizionale amore al mestiere e la bel-
lezza del cielo e del lagn. che. pur inavvertita, agi-
sce I nte su quegli animi rozzi e dabbene
Da qualche anno, da quando cioè il Benaco, ri-
vendicato finalmente dagli stranieri, risorg
stazione climatica da non temere rivali. Sirmione
anch'essa, per tanto tempo negletta, ha cominciato
ad essere visitata e frequentata da schiere di Ti
deschi delle vicini Ionie di Gardone, Salò, M;
derno. I asano e Gargnani ■.
A trarla dall'oblio, concorse un altro fatto im-
portante, che opportunamente diffuso — potrà
diventare in breve, come è già in discreta misura,
causa efficace del risorgimento economici 1 della
rica penisola.
A circa 300 metri dalla riva orientale di essa,
da una profondità di 77 metri, in un punto ab an-
Grotte.
tiquo detto Boiola, scaturisce nel lago una t
ano in media 350 quintali di pesce termale sulfurea.
LA l'I NIS< ILA hi SIRMK »NE
L'Orti Manara e altri con lui credettero che i
Romani ne avessero notizia, che anzi con un inge-
gnoso sistema di canali la conducessero tino a terra
a servizio della grandiosa terma. di cui si è qui
sopra parlato. Quest'opinione, non sostenuta da
solidi argomenti, fu combattuta dal prof. Piatti
di Desenzano ; il quale, dimostrando come il pri-
mo accenno alla fonte, — per quanto finora si sa
— si trovi appena nel secolo XVI nel poema la-
tino « Benacus » del monaco di San Zeno Giorgio
Iodoco di Berg. concluse che i romani non la co-
nobbero certamente, (i)
Usata a scopi di cura nei secoli XVI e XVII,
cime fanno fede gli scritti dello stesso Iodoco, del
veronese Tomaso Becelli. del Gratarolo, e d'altri.
la sorgente, forse per la difficoltà di servirsene, re-
stò poi per lungo tempo abbandonata, oggetto sol-
tanto di curiosità ai naviganti e agli scarsi visi-
tatori della penisola ; finché nel 1889. si riusci a
piantare un tubo nel fondo alla bocca principale
della scaturigine e a portarla alla superficie, con
619
un getto di 245 litri al minuti 1 e un calure di circa
60 gradi.
L'analisi chimica e un'esperienza di parecchi an-
ni hanno già dimostrato le alte virtù terapeuti-
che dell'acqua; di cui può ognuno oggi approfit-
tare nel decoroso stabilimento ivi aperti >. rome in
qualsiasi altra stagione congenere, godendo per di
più del delizioso soggiorno e del clima dolcissimo
del luogo veramente incantevole. (1)
Cosi Sirmione. sotto veste moderna di pietosa
soccorritrice dei deboli e degli infermi, ha aggiun-
ti a sé e al Benaco fama nuova e nuovo titolo di
gloria. Essa, feconda ispiratrice di canti e di
armonie, fiera custode del suo passato, fidente
nell'avvenire, aspetta che anche gl'Italiani accoi
rano numerosi a visitarla e a confermarle il vanto
che già le diede il Poeta di fiore delle penisole.
Salò, 30 Maggio 1902.
Giuseppe Solitro.
La fonte termale del Garda», in Comm. dell' Ate-
nao di Brescia per l'anno 1891.
(il Per le malattie a cui giova e i risultati ottenuti, veg-
gasi lo studio del dottor Giuseppe Lombardi , in Comm.
dell'Ateneo di Brescia per l'anno 1901.
Pescatori.
SOMMARIO
Romanzi e Novelle. — Le vie del peccato Ugo Ojetti .
Poesia. - Nuovi ton Vittorio Benini).
Letteratura e Critica. — /■' Mura/ori e la cultura napoletana del suo tempo (Michelangelo Sciupai — La
poesia femminile d'amore (Polinnia).
Storia. - La Giovine Uni:,} (.Mario Mengbini).
Scienze. — Cielo e Terra (Giovanni Giovannozzi .
Filosofia. — // dominio dello spirito (Giovanni Marchesini).
Sociologia. — l'i o/demi soeiali contemporanei (E. Meynier) — // divorzio al Parlamento Italia
mi).
Teatro. — Le donne a parlamento (Augusto Franchini .
Opere Varie. — Dizionario dei nomi proprie (Giuseppe Fumagalli) — Memorie d'un suggeritore Gino Monaldi).
ROMANZI E NOVELLE.
Ugo (Metti: Le vie del peccato. (Milano, Bal-
limi e Castoldi), L. 3. — « Le vie del peccato sono
• ». riferisce d'aver sentito dire la contessa fi-
fa Ricci : « ma novantanove volte su cento si
1 d'amore noti per timore. La vendetta, il di-
. li curiosità, il danaro, la noia, la paura della
solitudine o della vecchiaia, e qualche rarissima
volta anche la passione... Ecco la verità vera ».
Sarà poi la vera verità ? Certo, è l'argomento in-
0 al quale si aggirano quasi tutte queste no-
velle di Ugo Ojetti : tante, che il passo dianzi tra-
rrebbe servire di epigrafe a tutto il vo-
lume. L'autore descrive le vie del peccato e narra
gli stessi peccati con un'arte disinvolta ed elegante,
con .ma e quello spirito dei quali sogliono
re il segreto solo gli scrittori francesi. Vi sono
pagine, in questo suo libro, che rammentano le im-
pareggiabili lettre! de lemme di Marcello Prévost,
come appunto le Sei verità dove si legge la cita-
zione della contessa Eleonora Talvolta alla forma
epistolare e narrativa l'Ojetti preferisce, come i
novellieri francesi, il dialogo scenico; per esem-
nella Cam pana di partenza e nella Scelta:
due bozzetti birichini nei quali, se diverso è l'am-
biente, ' diffuso uno stesso sensi) d'ironia sulla
virtù delle donne, siano dame eleganti o semplici
sartine. Ouesta è, per altro, la nota dominante, 0
come si direbbe, il leitmotiv di tutto il volume;
ma giustizia vuol che si dica che neppure gli uc-
ci lanini una f,rran bella figura — come, per
quell'Oreste della Villeggiatura, e quel
curato bo ■ di Per (anima dei defunti, e
altri ancora Scabrosità «li situazioni e scetticismo
di conclusioni saranno probabilmente rimproverati
all'Ojetti. e si osserverà che le sue novelle non pos-
sono andare in tutte le mani ; ma non si dirà cosi
1 ulla che lo stesso autore non sapesse quando le
componeva Egli non ha voluto scrivere un libro
castigato; ma potrebbe anche darsi che il libro suo
castigasse da ultimo, dopo aver fatto tanto sorri-
dere e ridere, i vizi che ritrae con tanto umore.
POESIA.
Vittorio Benini: Nuovi sonetti. (Firenze, Le-
monnier), L. 2. — a ....Se il genio manca. 1 tutto
vano ». dice il poeta nell'Introduzione: verità parti-
colarmente adattata alla poesia, dove la medii ■
è meno tollerabile. Nondimeno, è anche certo che
dalla mediocrità all'eccellenza non c'è un brusco
salto, ma una gradazione di qualità. Ora il Benini
dà prova di possederne alcune, grazie alle quali si
potrebbe sollevare dalla mediocrità, se la sua ispi-
ra/ione e la sua fonna fossero sempre alte e soste-
nute come sono talvolta. Egli non è rigoroso nella
scelta degli argomenti, non aspetta sempre di can-
tare quando un forte sentimento 0 una commozione
vivace gli dettano; scrive un sonetto sul cane, un
altro sul cavallo, un altro sull'ape, un altro sul
vino, un altro sulla filosofia scolastica; e quando i
temi sono veramente poetici, accade talvolta
che siano tali fin troppo, che siano come chi dicesse
i luoghi comuni d'ogni poesia: la solitudine del ci-
i m 1 >so la 1 ii, iliià della morte, la bellezza dei fiori
che adornano |a vita e la morte; e via dicendi
l'anta sse attenuto soltanto agli alti motivi,
ivesse sempre cantato le glorie di Roma e gli
di Shakespeare, se avesse sempre espresso con
B K
62 I
le parole la misteriosa virtù dei suoni, come nella
Sinfonia, nel Motivo sacro, nelle due Marce, ecc., se
avesse sempre significato i suoi turbamenti, i suoi
dubbi, i suoi rimpianti, i suoi routini, avrebbe
sempre avvinto l'attenzione, l'interesse e la simpatia
dei lettori. Come varia è l'importanza del contenuto,
così è diseguale la forma: talvolta amorevolmente
accarezzata, o semplicemente corretta nella sua sem-
plicità ; tal altra troppo dimessa, quasi prosastica e
propriamente trascurata. Ripete il Benini, con una
umiltà sincera che lo onora:
l opra assai mi costa e poco vale;
ma se gli costasse ancora un poco più — e le pagine
belle dimostrano che egli potrebbe e saprebbe spen-
dervi intorno maggiori cure e studi — il valore del-
l'opini sua sareMie senza paragone più grande.
LETTERATURA E CRITICA.
Michelangelo Schipa: // Muratori e la cul-
tura napoletana del suo tempo. (Napoli. Pierro).
— Negli sciaguratissimi tempi quando il nostro
paese era diviso e suddiviso in piccoli regni e mi-
nuscole signorie, gli uomini insigni che ottennero
il plauso universale degli Italiani esercitarono una
specie di principato intellettuale, grazie al quale
la pàtria pare unificata in una sfera superiore al
mondo reale. Sotto questo aspetto Michelangelo
Schipa considera Ludovica Muratori, indagando
quali rapporti corsero tra il celebre letterato emi-
liano e i minori suoi confratelli napoletani. I rap-
porti furono molteplici: da un lato il grande
astro fece piovere parte della sua luce sopra i lon-
tani e oscuri studiosi; dall'altro, i modesti ricerca-
tori meridionali portarono il loro contributo di
idee, di e. .usigli, di documenti all'opera dell'insi-
gne maestro. Tra gli amici del Muratori in Napoli.
l'autore presenta prima di tutti Giuseppe Valletta.
illuminando la sigolare figura di quest'uomo, che
impiegò le molte sostanze nel formare una biblio-
teca, grazie alla quale la sua casa potè esser chia-
mata « emporio dei Letterati ». perchè, secondo si
afferma, non meno di seicento letterati vi si for-
marono. Col Valletta e coi vallettiani il Muratori
ebbe relazioni ili studio, tributando loro elogi am-
bitissimi, pregandoli di compiere ricerche storiche
per suo conto, ricevendone intellettuali servigi. Non
mancarono in Napoli coloro che. come Nicola A-
menta. presero le difese del Muratori contro i suoi
critici : né coloro che. come il Marzocchi, interven.
nero nelle dotte dispute da lui sostenute. Il Ci-
rillo e il Rapolla confutarono bensì il suo trattato
De' difetti della Giurisprudenza : ma lo Schipa di-
mostra che l'occasione di concepire e compiere que-
st'opera fu data al Muratori da un altro napole-
tano: Giuseppe Aurelio di Gennaro. Più evidente
dell'influenza di questo studioso sull'indirizzo giu-
ridico dello scrittore modenese, fu il merito di un
altro napoletano, Carlo Antonio Broggia. nell'av-
\ tarlo agli studi economici. E di tutte queste in-
tellettuali relazioni, per le quali vibrò talvolta la
corda del sentimento nazionale, l'autore tornisce le
piove, intendo documenti, trascrivendo preziose let-
tere inedite. La sua monografia non è soltanto un
elenco di notizie erudite: lo spirito dei tempi, la
politica, i costumi della prima metà del Settecento
ne ricevono luce.
Polinnia: La poesia femminile d'amore. (Ro-
ma, Ravagli). — Sia pure come « saggio d'in-
troduzione ad uno studio su le poetesse d'amore » .
questo lavoretto è troppo sommario ed affrettato:
difetto che gli sarebbe volentieri perdonato, se non
ne avesse un altro più grave, nello stesso concetto,
dal quale l'autrice è partita. Dopo aver passato
in rassegna i pensatori che esaltarono e denigra-
rono fuor di misura le donne e il loro ingegno,
ella dice che la verità non fu espressa né dagli uni
né dagli altri ; e che le donne non sono né supe-
riori né inferiori agli uomini, ma semplicemente
diverse. E sta bene. Ma. venendo poi a stabilire
questa diversità nei rispetti della passione amoro-
sa, l'autrice sostiene che gli uomini, e perciò i poe-
ti d'amore, sentono e cantano l'amore-sensazione,
mentre le donne e le poetesse innamorate provano
e rivelano nelle opere loro l' amore-sentimen-
to. Ora, prima di tutto, se così fosse, non sarebbe
vero che le diversità dei sessi non implicano supe-
riorità o inferiorità di uno di essi rispetto all'al-
tro, perchè l'amore delle donne, fatto interamente
di sentimento, sarebbe più puro e veramente mi-
gliore del maschile, e l'autrice si sarebbe quindi
contraddetta ; ma che ciò sia vero si deve negare,
perchè l'amore non è tutto o principalmente sen-
timentale nelle donne, come non è tutto o princi-
palmente sensuale negli uomini : e quando l'autri-
ce, dopo questo « saggio d'introduzione a uno stu-
dio. » si accingerà a scrivere il suo studio, vedrà
con l'esempio che né l'amore di Francesco Pe-
trarca si può chiamar sensuale, né quello di Saffo
sentimentale.
STORIA.
Lo Giorme Italia, nuova edizione a cura di Ma-
rio Menghini. (Roma, Società Dante Alighieri),
L. 2. — Nel forte di Savona, dove fu rinchiuso
dopo la delazione di Raimondo Doria. Giuseppe
Mazzini ideò il disegno della Giovine Italia, l'ar-
dente giornale che egli più tardi annunziò col ma-
nifesto divulgato ila Marsiglia sul finire del 1831.
11 primo fascicolo apparve il 18 marzo 1832;
l'ultimo, il sesto, nel giugno del 1834- Ragioni fi-
nanziarie e politiche impedirono che quella rasse-
gna del Partito nazionale italiano avesse vita più
lunga: e le copie che ne furono pubblicate anda-
rono litiasi tutte disperse, sequestrate dalle poli-
zie dei varii governi italiani, distrutte da chi te-
meva di esserne trovato possessore. Lo stesso Maz-
zini aveva pensato di ristampare a Parigi, pn
la vedova Lacombe, i sei fascicoli del periodico,
lasciando da parte gli articoli di minore impor-
tanza; e alla fine del maggio 1840 fu pubblicato
U2:
LA 1.1. 1 M RA
ti il manifesto della nuova edii [uale
inni in poi effettuata. < ira M hìni ha voluto
lenente i sei i d li della
e considerato che essa era di-
venuta una rarità bib i, o sconosciuta ai
|iiìi. anelli ai i pai larom i di pn ipi isit >,
ma che ne ignorarono gran parte del contenuto,
te 'li quegli scritti che il Ma
/ini Ila raccolta delle sue opere, e che po-
terono quindi consultarsi con piti agio, l'altra pai
nani. -ntc meno importante, ma forse più ru-
mile allo studioso, in quanti
le passioni del momento, e abbonda 'li particolari
ili grande interesse per la storia del Risorgimento,
rimanei le, » per queste ra-
ta ristampa del Menghini merita «li essere
; ausi : gratitui line. Essa ha il meriti i
ili i ondotta sopra una copia originale e
completa serbata nella Biblioteca nazionale Vitto-
rio Emanuele, e di riprodurre quanto più esatta-
memi' era possibile le stesse caratteristiche esterne
del perii" lieo e del suo frontispizio. Sono stati cor-
retti, con sano consiglio, gli errori di stampa, ed
è stata quindi soppressa l'errata-corrige; in cam-
bio, sono riportate a pie di pagina le varianti ri-
sultate dal confronto tra la Giovine Italia e la pri-
ma edizione degli scritti del Mazzini — dalle quali
si vede che cura avesse della forma il grande pa-
triota — e sarà aggiunto in fine un indice anali-
tico. Questo primo volume che abbiamo sott'occhio
riproduce il primo fascicolo del periodico, coi se-
guenti scritti: Della Giovine Italia, del Mazzini.
['Orazione per Cosimo Damiano Del fante, ano-
nimo; l'articolo intitolato Romagna di mi italia-
ni Cenno ad onore dì Pietra Coli ella, del La
Cecilia; ed altri scritti minori, come la polemica
con la Voce della Verità di Modena, il Discorso
pronunziato dal Raspail, presidente degli amici
del Popolo, ecc. Lunghi articoli o brevi note, han-
no tutti la loro importanza per lo studioso di quei
tempi, e il Menghini. in una bella prefazione, ne
mette in evidenza il significato ed il valore.
SCIENZE.
Giovanni Giovannozzi : Cielo e Terra. (Firen-
l.. 2,50. -—Il padre Giovannozzi, di-
Osservatorio Ximeniano. raccoglie in
to n'Iiiine una serie ili discorsi intorno ad
se di scienza: biografie di scienzati
e lezioni scientifiche. Le biografie sono quelle del
padre Filippo Cecchi, 1 ùco insegne e industre in-
di nuovi strumenti ed apparecchi; del
I ade ■ 1 1. riza, Fond it ne della meti
1 I uigi Palmieri, geniale illustra-
del Vesuvio; di padre Alessandro Serpieri,
emerito degli studi sismologici. Tutte queste
figure di doti ' mi un ili .ma
piti importanti riescono al lettore le pagine nelle
quali il Giovannozzi, con grande semplicità e chia-
rezza, s'intrattiene intorno ad argomenti scienti-
fici, a problemi d'astronomia, a quistioni ed a fé
nomeni di risica e di meteorologia: la costituzione
del plancia Malie, la possibilità delia vita negli
la storia dei terremoti toscani, la fotografia
il tei remi ito del 18 maggio 1895, l'op
portunità degli spari contro la grandine, lei!
di sole del 28 maggio ii)oo. L'autore non si ri-
volge ai sapienti, ma al gran pubblico; restringe
quindi l'argomento dei suoi lenii e lo adatta alle
persone di me/zana cultura, e non tralascia di tan-
ti ' ili tanto la unta arguta che tiene desta l'atten-
zione dm profani. Nel parlare delle meraviglie e
dei misteri della crea/ioni- non dimentica mai il
Creatore, affermando sempre, e dimostrando con
l'esempio suo proprio, e i scienza e fede pò
no procedere unitamente, tenendosi pei a
FILOSOFIA.
Giovanni Marchesini : // dominio dello spi-
nto. (Torino, bocca), L. 3.50. — Il valore dello
spiriti 1 è di gran lunga superiore, anzi incompara-
bile, a quello della materia; ed è valore reale, con-
creto, come è reale e concreto lo spirito. Senti-
mento e ragione si danno in lui la mano e (ormano
una unità vivente: la personalità, dalla quale sca-
turisce l'azione: il valore di quest'ultima e il va-
lore della personalità e dello spirito. Dimostrare co-
me e perchè questo spirito domini, e come e per-
' lie questo dominio possa e debba aumentarsi, è
lo scopo che fautore si è proposto di raggiungere,
ricostruendo dapprima criticamente la personalità
sulle basi positive della sua realtà psicologica,
confutando le due concezioni, sociologica e biolo-
gica, del Comte e dello Spencer, e dimostrando
che nella personalità, concepita come realtà !ina-
mica, vive lo spirito, il quale offre di sé una co-
gnizione precisa, immediata, che. divenuta lì!
fica, caratterizza la moralità. Quindi il Marchesini
esplora le basi del dominio dello spirito, assegnati
dune i caratteri essenziali ed il valore, grazie alla
distin/ione fra il criterio quantitativo e il qualifi-
cativo. Nella seconda parte del suo studio, passando
alla causalità dello spirito, dimostra che essa è
psico-fisica e che si svolge internamente per l'azione
iroca dell'elemento intellettuale e dell'elemento
affettivo; poscia, nei rapporti della passione e
della ragione, fondandosi sulla teoria somatica
delle emozioni, afferma la possibilità e la ne
Mia che le passioni siano razionali, misura la parte
della volontà, definisce il contrasto e lo sforzo, e
significa l'efficacia del dolore. Queste due prime
parti non sono altro, propriamente, che una pre-
para/ione alla terza ed ultima, la più originale;
nella quale la dottrina dell'autore giustifica l'or-
goglio razionalmente concepito. Di questo senti-
mento afferma il diritto, spiega la ragione filosofi-
ca, determina il coni-etto, traccia i limiti ed esalta
la naturalità, fi moralità e la virtù, contrapponen-
dolo al vizio dell'umiltà, che è orgoglio dissimula-
to. Soffermatosi sulla interpretazione ascetica del-
l'umiltà, ne enumera i danni; da ultimo dimostra
che la comprensione del male, non che annienl
l'orgoglio, deve stimolarlo, e che. rispetto all'or-
goglio morale, il pessimismo e la paura della mor-
te Si ni' ' irragionevoli.
i l i r. R i
023
La dottina dell'autore è, come si vede,
sana e fortificante , come altissimo è l'esercizio
della sua mente. Il suo libro non si può in-
tendere né tanto meno gustare da chi non è rotto
alla ginnastica del pensiero, la qual cosa non vuol
dire che la trattazione sia arida o inelegante ; che
anzi molte pagine di quest'opera hanno il sapore
di quelle che ci ha date ultimamente un poeta fi-
losofo: Maurizio Maeterlinck. Disgraziatamente,
quanto alle conclusioni del libro, le dimostrazioni
del Marchesini non tolgono che non si possa dimo-
strare una tesi contraria alla sua, o semplicemente
diversa. Ma questo è difetto comune a tutte le fi-
losofie.
SOCIOLOGIA.
E. Meynier : Problemi sociali contemporanei.
(Firenze, Tipografia Claudiana). L. r. - Il ti-
tolo non è molto appropriato: l'autore non con-
sidera un certo numero di problemi sociali, ma
tutta la quistione che si chiama sociale, nel suo
complesso, e come è posta dal socialismo, del qua-
le comincia a definire le origini, la natura e le a-
spirazioni. Egli afferma quindi che la quistione
sociale è una quistione morale ; ma non nega l'im-
portanza degli altri fattori ; anzi nella terza parte
del suo studio entra nei dibattiti relativi alla pro-
prietà, al capitale ed al lavoro, ed all'azione dello
Stato, affermando che la proprietà privata deve es-
sere mantenuta e diffusa, ma potrà coesistere con
la collettiva; sostenendo che il capitale compie una
funzione necessaria, ma che il lavoro potrà parte-
cipare agli utili, e lodando le istituzioni delle as-
sociazioni operaie di produzione ; da ultimo, per
quel che concerne l'azione dello Stato, dimostrando
la necessità di una vasta e benintesa legislazione
sociale. Ma il concetto particolare dell'autore e lo
scopo del suo libro è un altro: è quello significato
nella seconda parte ; dove, dopo aver notato il ca-
rattere irreligioso del socialismo, e accertato che la
religione cristiana non è incompatibile con le dot-
trine scientifiche sulle quali il socialismo si fonda,
ed ha del resto esercitato, prima del socialismo, una
grande influenza sociale, dice che il Vangelo può
sanare i mali del mondo, ma non il vangelo dei
cattolici, sebbene quello dei protestanti. Al catto-
lieismo rimprovera di essere rimasto indifferente
dinanzi al movimento sociale, di non sapersi adat-
tare ai tempi nuovi, di essere ostile al progresso ;
se vi si è notato un certo risveglio, è stato dovuto
all'azione del clero protestante, e tutti i meriti sono
del protestantesimo: Lutero fu già una specie di
ragionevole socialista ; il dissidio tra indivi* hialiiims
e socialismo può essere soltanto comporto dai suoi
discepoli ; la religione riformata ha sviluppato il
sentimento di solidarietà sociale ed è la più adatta
alla soluzione dei problemi umani. L'autore, che è
uomo di molta dottrina e anche di larghe idee, non
s'accorge dell'angustia della sua tesi, e non riflette
che, fino a quando ciascuna scuola crederà di esser
lei sola adatta a risolvere i problemi umani, que-
sti problemi correranno gran rischio di restare in-
soluti.
Oreste Poggiolini : // divorzio al Parlamento
italiano. (Spezia, Zappa), L. r,3o. — Del divorzio
non si parla più tanto, in questi giorni, quanto se
in parlò qualche mese addietro; ma la discussione,
non del tutto sopita, potrà rinascere con nuovo ca-
lore. Il Poggiolini ha fatto, in questo suo volumet-
to, opera di storico: ha riassunto dagli annali
parlamentari ciò che si riferisce al divorzio, co-
minciando dalle prime avvisaglie del 1852, a pro-
posito della legge sul contratto civile di matrimo-
nio presentata al Senato subalpino ; venendo giù
al 1865, quando battagliano alla Camera italia-
na il Ninchi, il Mari, il Cantù, il D'Ondes Reggio,
il Pisanelli, il Crispi, e al Senato il Mameli, il
Ghiglini, il Cataldi, il De Foresta; scendendo
ancora al 1878 , quando Salvatore Morelli pre-
senta una formale proposta di legge , che , presa
in considerazione ma arenata, è ripresentata dallo
stesso autore due anni dopo; ai diversi tentativi
fatti dal Villa nel 1881. nel 1892 e nel 1893, fino
al disegno di legge Berenini-Bonacci. Dopo una
rapida introduzione, il Poggiolini riferisce diste-
samente le proposte del Morelli e il disegno di
legge del Villa, dà conto della relazione Parenzo
e della relazione Giuriati, dei discorsi Bonghi, Sa-
landra, Chimirri e Bonacci, ecc., ecc. Quantunque
sia favorevole all'introduzione del nuovo istituto
nella nostra legislazione, egli non tace ciò che han-
no detto coloro che vogliono l'indissolubilità del
matrimoni ; e al sostenimento della propria tesi
consacra l'ultimo capitolo del suo libretto, che sarà
consultato utilmente da quanti si appassionano al
dibattito.
TEATRO.
Augusto Franchetti: Le donne a parlamen-
to, di Aristofane, tradotte in versi italiani. (Città
di Castello, Lapi). L. 3. — L'anno scorso Augusto
Franchetti. studioso ammiratore e fedele ed ele-
gante traduttore del teatro eli Aristofane, aggiunse
alle precedenti sue lodatissime versioni quella del
Pluto, della quale la Lettura già diede notizia;
ora vengono ad accrescere la raccolta Le donne a
parlamento, che è una delle più gustose, se non
la meglio ordita, fra le commedie del greco scrit-
tore. Quale sia il preciso valore di essa nell'opera
aristofanesca; perchè si distingua, col Pluto, da
tutta la precedente produzione teatrale dell'autore;
quel che si mutò con gli anni nel genio del poeta.
e nella società in cui visse ; in che modo bisogna
apprendere il contenuto di queste Donne, dimostra
da par suo Domenico Comparetti nella dotta in-
troduzione; quasi ad ogni pagina le sue note ac-
compagnano e rischiarano il senso e le allusioni
del testo. Come un difetto dell'organismo della
commedia aristofanesca si è considerato il passag-
gio dall'idea delle donne al governo a quella del
comunismo, e il Comparetti ne dà un ragioni
motivo; ma egli avrebbe potuto anche avvertire
che femminismo e comunismo si danno la mano
nella commedia di Aristofane come se la danno
oggi ; perchè il concetto dell'eguaglianza tra gli
LA II ITI R \
uoraii sariamen quello
dell'ef gli uomini e donne. Nega il
< !om pareti i eh ci immedia sia, come crei lei
tero alcuni dotti moderni, una satira del
... ili Platone, e quindi del femminismo;
in semplice scherzo 1 1 unico
e una burletta : nondimeno, !<■ cose delle quali Ari-
ì burla sono appunto quelle per Ir quali
trovato i nomi ili comunismi
• li femminismo. Ai -.noi tempi i ninni non es
vani i, ino li- tendenze o li- idee, che -
l'uomo.
Quanto alla versione del Franchetti, forse,
altra \' ilta . sarebbe stati i
preferibile ili'- fi condotta in pn sa .
ma. in poesia, non era veramente possibile
mantenersi più fedele e- prossimo al testo. La
traile i condotta verso per verso, ed è nondi-
meno agile ed elegante; il testo seguito è quello
critico ili Adolfo von Velsen, e quando se ne è
allontanato, il traduttore ne ha dato avviso; il
o ilei quale si è giovato è quello del
Blaydes. Avvertite le quali cose, resta ancora da
gliare la lettura della commedia a quanti vo
gliono misurare l'antichità della gran commedia
umana. Beninteso però, che, se le Donne a foria-
moti potessero rappresentare, il cartello del
ro avvertirebbe che lo spettacolo non è per le
signorine — e neppure per le stesse signore.
OPERE VARIE.
Giuseppe Fumagalli : Ih ionario dei nomi
froprii. (Genova. Donath). — L'erudito bibliote
cario della Braidense, autore di quel Chi Ilio det-
to' dove ogni studioso e ogni semplice curioso
può trovare qualche pagina che lo interessi, ha
sso insieme questo nuovo libro del quale si può
din- con miglior ragione che è « per tutti ». Ognu-
i noi porta un nome, ognuno ama qualche per-
che porta un nome anch'essa. Che cosa signi-
fica il nome nostro .- quello dei nostri rari"-' Qua-
le e I L'ili'- Fu celebre e per opera di chi!1
raro, o comune, e perchè? <,>neste. e tanti- al-
tre simili iloman-1' iccaduto e ci accadi- di
fare molte volte, senza che si sappia dove trovare
la risposta. In Francia e in Germania vi sono
molte opere, storiche, etimologiche, intorno ai no-
ni proprii ; in Italia difettano, e forse il solo
Scolari ' i iato un grazioso volumetto
sull'argomento. Questo del Fumagalli merita le
più festosi -li/i- per i criteri che hanno gui-
l'autore. Egli si è ristretto a raccogli
nomi personali che l'uso comune consente d'im-
porre • oiiii- prenomi o nomi di battesimo, lasciando
ai dizionari mitologici, ai repertori di onomasi
li indici dei santi tutti gli altri. Per quel che
concerne le etimologie ,'■ stato prudentissimo,
sultando le migliori fonti, evitando li- intrepn
zioni arrischiate, preferendo il dubbio e la stessa
oscuriti! alle stravaganze, l'i ogni nome ha se-
uto le forme femminili ; ha
dato anche un gran numero di diminutivi e di
vezzeggiativi, di accorciature, particolarmente quan-
do uè ha trovato di forma insolita. Sui nomi cri-
stiani si e fermato dando notizie intorno ai santi
più venerati '-In- li portarono; e indicando i gior-
ni nei quali ricorrono le rispettive feste. Ila rio-
tato i riscontri dei nomi personali nella lettera-
tura universale, nell'astronomia, nella geografia,
nella storia universali-; <-. in una parola, ha ri
sto a quasi tutte le domande curiose che a questo
riguardo si possono formulare. I -a materia del li-
bro ì- disposta alfabeticamente: si comincia con
Abbondio, il nome dell'immortale curato, e si (i-
nisce ■— dulcis in fundo con quello di Zucche-
ro, accorciatura di Zaccaria. Intorno ad alcuni di
questi nomi, come Amos, n Galgano, o Pacuvio,
o Tamar, non troviamo naturalmente che due o tri-
righe ; altri sono argomento di piccole disserta-
zioni, istruttive e sapi * se.
Gino Monaldi : Memorie d'un suggeritore. (Ti
rimi. Bocca), L. 3. — L'autore dichiara di ava
In'' in questo suo libro lar passare dinanzi al pub-
blioo la visione di ciò che realmente è il teatro, pei-
chè « l'illusione che si «prende il pubblico dinanzi alle
meraviglie canore o sonore della musica e del tea-
tro, e mi. ; delle forme maggiormente fascinati
cui l'uomo si abbandona con spensieratezza beata
e di cui meglio si compiali- di serbare ed evocare il
ricordo». In sostanza, egli riferisce molle notizie.
spiega certi usi e certe consuetudini, narra una
quantità di aneddoti intorno all'arte scenica, ai
cantanti, ai suonatori, ai coristi, alle balli 1
agli impresari, agli autori. Non tutte le cose che
dice sono egualmente curiose e notevoli, ed alcune
avrebbero pi tuta esser tralasciate senz'altro; ma il
-110 libro non si legge tutt'insieme senza piacere.
Ti. lettore.
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^RIVISTE
SOMMARIO
Fra scettri e corone, pag. 626 — La Posta in tutti i tempi, pag. 631 — L'aria delinquente, pag. 635 — Vita medie-
vale inglese, pag. 641 — La città della birra, pag. Ó43 — Il linguaggio dei vagabondi, pag. 647 — Con 1' e-
sercito di Menelik, pag. 649 — La nostra lingua sul Piata, pag. 653 — Intorno ad un costume, pag. 654
— Toilettes new style. pag. 657 — Nuove porcellane nordiche, pag. 660 — Canti d'amore giapponesi, pag. 663
— La pesca del tonno, pag. 667 — Nel centenario di Augusto Comte. pag. 670 — I Russi in Asia, pag. 671.
Fra
scettri
e
corone
L'incoronazione di Re Edoardo VII, che doveva
aver luogo il giorno di giovedì 26 giugno, è stata
all'ultimo momento rinviata a tempo indeterminato
per la malattia del Sovrano, malattia che ha ri-
chiesto una difficile operazione. Tutte le grandi ce-
rimonie e le feste spettacolose che si erano prepa-
rate per celebrare la consacrazione e l'incoronazio-
ne del Re si sono dovute rinviare a tempo indeter-
minato.
Chi non sa quali preparativi si fossero fatti per
queste feste, difficilmente potrà immaginare quale
disastro rappresenti per molti questo rinvio del-
l'ultima ora. Ma soprattutto esso ha rappresentato
una grande delusione allaspettativa dei buoni lon-
dinesi e dei forestieri innumerevoli che erano ac-
corsi alla metropoli inglese per assistere alla solen-
nità. Il pubblico aveva preparato l'animo a goder
quello spettacolo grandioso, quel ritorno al Medio
Evo in pieno secolo ventesimo; i giornali erano
pieni di dettagli sui preparativi, di spiegazioni, di
incisioni, persino di calcoli sulle probabilità che i
giorni 26 e 27 facesse bello o cattivo tempo.
Inutile dire che in questa occasione le riviste
hanno fatto a gara a chi avesse pubblicato mag-
La Lettura.
gior copia di studi, di particolari, di incisioni sul
prossimo evento. I magazines inglesi ne son pieni,
a danno di altri argomenti; e nonostante il rinvio
noi raccogliamo qualche incisione tra le più inte-
ressanti, a completare l'articolo del Croci pubbli-
cato nel fascicolo passato della Lettura, e a dare
un'idea di questa cerimonia ili altri tempi, che è
stata rinviata, giova sperare, per poco, e che è
quanto di più caratteristico si può immaginare.
I lettori vedono le corone, le spade, gli scettri,
tutti gli attributi del potere; il pallio, il colobium,
la supertunica. l'armilla, indumenti che fanno com-
parire il re più somigliante ad un papa che ad un
sovrano temporale dei nostri giorni; i costumi dei
Pari, prescritti e stabiliti come divise. Tutte que-
-!c cose erano state preparate ; gli abiti erano pron-
ti, un pittore ufficiale attendeva già a raffigurare
sulla tela la scena della incoronazione ; si erano
fatte le prove generali della cerimonia e degli abiti
del Re.
Le incisioni che riproduciamo sono quasi tutte
state pubblicate dal Pali Mail Magatine, che, come
altre riviste inglesi, fatto un numero speciale per
l'incoronazione, e dal Si nday Strana.
40
La corona di Sant'Edoardi
La corona imperiale.
La bibbi \.
I- \ SUFI R i INI. \.
L' IMPI ILI k.
(-
H
_
O
_
I I HI HO.
1-
-
II. RE NELL'ABITO DELL' INCORONAZIONE
L'anello
1 ILLA.
La l'osta, in
tutti i tempi
Le prime notizie furono trasmesse da uomo ad
uomo per mezzo di pedoni. In Grecia, paese monta-
gnoso, i corrieri andavano a piedi di luogo in lui
e la storia ha serbato il ricordo glorioso di quel sol-
dato di Maratona il quale corse tanto rapidamente
ad Atene per annunziarvi la vittoria, che cai Me
morto arrivando.
Nella Gallia, dei corridori erano ci (locati a certe
distanze l'uno dall'altro, e ciascuno trasmetteva il
campanella e tenendo con l'altra un bastone di pal-
ma in cima al quale sta un sacchetto di pelle di ga-
zella contenente le lettere. Corrono i portalettere
giapponesi, alcuni trascinando una carrettella, altri
recando la Posta in due panieri sospesi alle
estremità d'una pertica che portano equilibrata sulle
spalle. Tutti, foss'anche l'Imperatore, debbono sco-
starsi al loro passaggio. Xel 1883. il servizio po-
stale giapponese, esteso a 43 milioni ili chilometri,
era fatto da pedoni per 36
milioni di chilometri. Cor-
rono anche i fattorini cine-
si, chiamati «Uomini-forti»
0 «Cavalli da 500 chilome-
tri ». portando una lanterna
con una mano, e con l'altra
un ombrello pieno di so-
nagli e le lettere in uno zai-
no. Som- scelti tra i più co-
raggiosi, tanta è la paura
degli spettri in l'ina, e tra
i più gagliardi e destri:
passano un esame, durante
il quale, chiusi in una ca-
mera dal cui tetto pendono
dei sacchi di sabbia appesi
a lunghe corde, debbono
mettere in movimento tutti
questi stranissimi pendoli ,
senza farsi sfiorare da
Il corriere tra Paimpol e
Tréguier, in Bretagna.
messaggio al vicino; il
quale, appena lo riceveva .
partiva a gambe levate per
comunicarlo subito al po-
sto seguente , e così via.
Con le strade rigorosamen-
te diritte aperte dai Roma-
ni, una lettera arrivava dal
fondo della Bretagna a Ro-
ma in 26 giorni. L' uomo .
quando è bene addestrato,
è il miglior corridore, e in
Turchia, nel medioevo, per
render più leggieri i messi
del Sultano e impedire che
perdessero il fiato, si arri-
vava a estirpar loro la
milza.
Corrono oggi i negri che
fanno il servizio della po-
sta nella Xubia : corrono a-
gitando con una mano una
• nrm.BjB!RK in Corsica.
632
\ LETTI RA
i.a Posta nei paesi polari.
issi: chi è urtato da un s rivante sul dorso d'un portatore, il quale, senza fer-
scarl marsi, lo gettava sugli omeri del portatore ricino,
M ' venne poi l'idea di dare al fattorino un mez- e rosi di segu.
■ '. e la prima cavalcatura fu... un al- Marco Polo, nel XIII secolo, arrivando alla
V'N TIRO DI CANI IN SIBERIA.
tro fattorino. Quando gli Spagnuoli arrivarono nel-
l'America del Suil. trovarono ohe vi erano stabiliti
dei rilievi, dove dei portatori dalle spalle e dai
garretti solidissimi aspettavano il messo postale ar-
Corte di Pechino, presso il nipote di Gengis-Khan,
vi trovò il servizio postale fatto dai corrieri a ca-
vallo. Le provincie fornivano 200 mila cavalli per
i rilievi. Oggi, l'ufficio centrale di Pechino man-
UN CARRO CHE I \ n. SERVIZIO NEL CaCCASO.
DALLE RIVISTE
633
tiene, per il il solo smi/... privato delle lettere im-
periali. 500 cavalli e 250 palafrenieri: queste be-
stie sono ufficialmente dichiarate immortali, il che
vuol dire che il loro numero non deve mai scemare
Un portalettere norvegese in inverno.
e che la morte di una di esse non deve mai essere
annunziata.
La Posta persiana è un convoglio numeroso e pit-
toresco : lo aprono sei soldati d'avanguardia, in uni-
forme verde ; 20 metri dopo, vengono le valigie po-
stali portate sui cavalli, i quali sono legati a quat-
tro a quattro, e arrivano talvolta a formare otto e
dieci file ; poi viene il capo della carovana, un Tar-
taro con la veste ricamata, i calzoni larghissimi e
un arsenale di pistole e di yatagan alla cìntola.
Dopo il cavallo, sono molto impiegati i cammelli,
specialmente nei paesi dell' Africa settentrionale.
Il servizio postale stabilito in Egitto attraverso
l'istmo di Suez, prima del taglio, fu fatto sui cam-
melli. 0 vascelli del deserto ». Da camelli è fatto
anche nelle Indie inglesi.
Una specie di primitiva bicicletta di legno è an-
che adoperata in India, ed apre la serie dei veicoli
postali. In Ungheria si adopera una carrettella di
legno, non meno primitiva della bicicletta indiana ;
in Norvegia una carriola sulla quale può prender
posto, con le gambe penzoloni, un viaggiatore. In
Finlandia certe strade postali sono munite di ro-
taie di legno, dove la carrozza, tirala da rapidi ca-
valli, può percórrere 70 leghe in 24 ore. In Rus-
sia vi Sun.) moltissimi tipi di veicoli postali: il clas-
sico attacco a tre cavalli ; il carro caucaseo tirato
da quattro buoi: i cammelli nell'Asili russa, attac
cati a \w carretto basso e piatto ; le slitte nel nord
della Siberia, tirate da renne 0 da cani. Le renne si
nutriscono ili muschi e di licheni, ma per i cani bi-
sogna pi -naie una provvista di pesce secco, che il
latti. nini divide con le bestie. Una slitta postale
con dodici cani arriva a percorrere 200 chilometri
al giurnn. Nel Brasile si ritrovano i carri coi buoi,
come nel Caucaso. Nel Siam, il corriere postale è
tirato dai zebù; altrove dagli asini; e il percorso
totale delle vetture postali nel mondo intero somma
a J50 milioni di chilometri.
Ma vi sono casi speciali in cui il fattorino ..leve
divenire anfibie. Nella stessa Parigi, non più di
150 anni addietro, il procaccia che traversava la
Senna alla piazza Luigi XV, oggi della Concordia,
doveva, per mancanza di un ponte, scendere in una
barca. In India, il portalettere, vestito d'un abito
rosso all'inglese, è un vero ufficio ambulante: oltre
i pacchi della posta, porta addosso una scatola con
la buca dove ognuno che lo incontra può gettare
le sue lettere ; egli porta anche le provvigioni da
Un portalettere norvegese nella bella stagione.
i'.; i LA LKl'l URA
l e il vasellame, pi sso non incontra un
luog Uh. uni' un intero giorno. Nella bella
uà sopra ponti 'li
liane; ma quando comincia a pii tito d'una
mutanda da bagno e con una cintura 'li
iria pei controbilanciare il peso
dei i • butta a nuoto tutte le volte che l'acqua
la via. E quella che è l'è cezione in In
dia, è la regola nel Perù, dove i corsi d'acqua sono
n vi sono altre vie, e i fatto-
ili, come del resto gl'indigeni, non hanno
alt r. per andare da un luogo ad un altro
|uello ili buttarsi a nuotare. Un altro fat-
torino acquatico s'incontra nelle regioni paludose,
nelle immense risaie della Cina; li il portalettere
nsì d'un canotto, ma così piccolo, che
■ lui col sacco della Pi si a, ;' il piede
fa da remo!
Nello strett" ili Magellano, luogo inospitale e
stro, dal quale però passano e passeranno tutte
le navi ilei monile finchi non sarà tagliato l'istmo
di Panama, si provò il bisogno 'li stabilire un uf-
ìtale; ma dove metterlo, a chi affiliarlo, se
lo t'urto che si tentò 'li fondare su quelle rive
selvaggie porta il nome significantissimo ili Porto
Allora si attaccò una botte, mediante una
catena, a un soli, lo palo conficcato sopra una roc-
cia in pieno mare. Quello è il Post-Off.ce, come vi
ritto a grosse lettere: ufficio, s'intende,
senza impiegati: ogni nave vi manda una scialup-
pa per gettare dentro la botte le lettere che vuoi
spedire in qualche sito, e per ritirare quelle che vi
furono gettate da altre navi per lei.
Con un egn di fiducia, i viaggiatori po-
lari lasciano, in me/70 ai deserti gelati della Lap-
poni.! o del Groenland. le loro lettere sotto un
mucchio di pietre detto cair>i e sormontato da un
qualunque segnale: queste lettere saranno prese
molti mesi ed anche anni. 11 capitano del-
V/nvestigator, spedito nel 1850 alla ricerca di
Franklin, fu bloccato dai ghiacci ; tentò, durante
il secondo inverno di cei rso verso il sud.
1 una slitta, ma non trovò le navi che dovevano
aspettarla Ionio allora alla sua nave bloccata,
ma dopo aver lasciato sotto un cii/m. una letti
con queste parole: « Chiunque troverà questo
di farlo pervenire al capitano del-
l'Ammiragliato, 1^ aprii» 1852 ». La lettera fu
trovata, e il 6 aprile dell'anno seguente arrivo il
rso. 11 Franklin, che l'/nvestigator dov
salvare, fu meno fortunato; scomparso nel 1845,
le sin- tracce furono trovate soltanto nel 1859.
In primo cairn dove egli aveva lasciato sue jet-
t u dev ast.it, 1 dagl - [uimesi :
si trovarono sotto le due bottiglie contenenti le
lettere ridotte a pezzi di cari tra dove nulla
si poteva leggere. In un secondo cairn si trovò una
lettera, in una scatola di ferro, scritta l'8 magj
1845 ed annunziarne che tutto andava bei
un'altra del 1: si ■ttemlire 184(1 diceva che la spedi-
zione era bloccata dai ghiacci: quest'ultima noti-
zia fu letta tredici anni dopo!
La lettera chiusa in una bottiglia lanciata in
mare è l'ultimo atto dei naufraghi che sono sul
punto di perire: Alfredo de Vigny ha trattato que-
sto tenia in una famosa poesia intitolata La bou-
teille <) ìd mer. Le sole notizie che il mondo al.liia
avuto dallo svedese Andrée pervennero in tal ime
do : partito l'n luglio 1897 nel pomeriggio, egli
lancilo in mare, la sera dello stesso giorno, un gal-
leggiante con una lettera cosi concepita: «(I alleg-
giarne X. 7. Questo galleggiante è stato lanciato
dal pallone di Andrée, l'n luglio, alle dieci e 55
della sera, a 8j gradi di latitudine noni e 25 di
longitudine est. Navighiamo all'altezza di 600 me-
tri. Tutto l>ene a bordo. Firmati?: Andrée. Stein-
dleerg. Frankel. » Fu trovato ; anni dopo, il 14
maggio 1899. sulle coste dell'Islanda. Quattro n
dopo, alcuni balenieri norvegesi pescarono il gran
ggiante che l'aereonauta doveva gettare pas-
sando sul polo. 11 galleggiante, vuoto, era t
l'ultimo rottame della totale rovina.
II. TRASPORTO DELLE LETTERE NBL CACI ISO.
Lana
delinquente
.
Tra i flagelli che piombano repentini sulla terra,
abbattendo e distruggendo le cose e le vite, uno
dei più fulminei e terribili è il ciclone. La sua po-
tenza funesta è variabile, e variabile è l'estensione
del campo sul quale si esercita: quest'ultimo può
essere circoscritto a 1500 metri, e come si può e-
stendere a 300, a -|oo, finanche a 500 chilometri.
Così pure a questa rovina non sono soggetti egual-
mente tutti i paesi ; le regioni sottoposte a notevoli
sbalzi di temperatura in uno stesso giorno, e quindi
percorse da grandi correnti d'aria incrociantisi in
tutte le direzioni, e quelle nelle quali si trovano
immense pianure senza senza nessun ostacolo na-
turale, sono particolarmente esposte al pericolo dei
cicloni.
Il teatro prediletti! di queste meteore è l'Ame-
rica del Nord. Agli Stati Uniti. dall'Oceano Atlan-
tico alle Montagne Rocciose si distende un immenso
territorio piano, appena solcato da brevi alture. I
venti del nord spazzano questa pianura sconfinata
e vi si scontrano con quelli venuti dall'Atlantico:
quiryìi gli innumerevoli cicloni che la devastano.
In sei anni, dal 1875 al 1881, se ne contarono 451,
e in un anno e mezzo, dal febbraio 1880 al settem-
bre 1881. queste meteore uccisero 177 persone, ne
ferirono gravemente 539, demolirono 988 case, di-
strussero da cima a fondo 5 villaggi da 100 a 1000
abitanti. Dove si potè fare una stima dei danni.
si accertarono perdite superiori ai 10 milioni di
franchi. E ultimamente, in otto anni, dal 1882 al
1900, le perdite salirono a 26 milioni di dollari.
pari a 130 milioni di franchi, con 3000 morti
11 ciclone di Delfo (Kansas) prodottosi di notte
nel 1879, fu particolarmente spaventoso. I cada-
veri furono trovati interamente nudi e coperti d'un
fango nerastro; un gatto fu trasportato a circa un
chilometro del luogo ove si trovava e schiacciato
come da un laminatoio ; una casa in muratura fu
sbattuta cento metri lontano. Muggiti enormi ac-
compagnarono la catastrofe; per molte notti gli
abitanti atterriti preferirono accamparsi all'aperto,
al lume delle lanterne.
Cupamente silenziosa fu invece l'opera del ci-
clone che distrusse la città di Lawrence (Massachu-
setts) nel luglio del 1891: non schianti di tuono.
non scrosci di pioggia, non urli di raffica : una mano
invisibile pareva svellesse il campanile della chiesa
e rovesciasse le case, risparmiando certi quartieri
della città : la turbinosa colonna d'aria saliva e
scendeva continuamente e rovinava soltanto i punti
sui quali cadeva.
Nel 1896 la città di Sherman (Alabama) fu
devastata in modo strano: la maggior parte delle
case ebbero demolito un solo muro: quello del lato
Una strada a Port Louis (Isola Maurizio) dopo il ciclone.
636
LA LETI i R \
opposto alla meteora. L'anno dopo, Griimel (Jowa)
ebbe il si i parecchi metri ili pn >fi n
dalli I imi. ine. A Pomeroj (Illim
le case si urtarono e si accavallarono in un ammasso
informi \ K-irksville, nel 1891 11, cavalli,
!>iini. ini.. n.i sollevati a più ili 30 metri nell'aria.
Un'alleb nell'Isola Maurizio prima del ciclone,
Barche e navicelle volarono come altrettanti cervi
volanti durante un altro cicli ine scoppiato nel Mi-
chigan. Si si uni visti anche interi treni investiti
dalla furia dell'aria e travolti e distrutti.
Le stesse cause che spiegano la frequenza dei
cicloni negli Stati Uniti, si trovano nei mari tro-
picali, sui quali violentissimi venti s'incrociano in
ogni sensi 1: se un'isola si trova sul passaggio dei
cicloni che vi si formano, essa è perduta.
\el XVIII secolo un terrihile ciclone si rovesciò
sulle Antille, rovinò ogni cosa nell'isola inglese di
1 Lucia dove 6000 persone perirono sotto le
macerie; alla Martinica, parimenti rovinai, 1.
morti furi.no più di 9000. Nel i88ì Manilla, nelle
Filippine, fu devastata da un violentissimo tifone,
nome che si dà ai cicloni nei mari dell'Estremo
( (riente.
Il 29 aprile i8ij2. all'isola Maurizio, un ciclone
distn - 1. 1,1 parte 1 « cidentale della
Pori Louis '■ danneggiò gli altri
quartieri: fu brevisissii dativamente alia vio-
• omincii ' verso le undici del mattino, rag-
giunse il pai no verso le 3 p , ma delle
ra finito.
Su mi [ia natura ecco
la descrizione emo i un testimonio oculare:
1 La mattina di qu I orno fatale, scrive
un'isolana di S. Mauri/in. la signorina Bus-
sai . nulla rivelò il dramma 1 he si preparava.
L'alba come sempre s'era levata in un gran ha-
gliore russo, tosto seguita dalle nubi che rove
sciavano a torrenti una pioggia continua e in-
1 issante.
a I.e a.que precipitavano .come valanghe dalle
ahine. imboccavano le vie e le trasformavano
in torrenti. Ivi ecco verso le 10 cessare d'un
tratto il diluvio. Aprimmo i cuori alla spe-
lali/. 1. ma un fragoroso colpo di ninno simile
allo scoppio di cento pezzi d'artiglieria, an-
nuncio improvvisamente l'arrivo dell'uragano
sulla citta. Divenne notte cupa, profonda: i
seni negri dovettero accendere le lampade nel-
l'interno delle abitazioni signorili, mentre spa-
ventosi colpi di tuoni ,1 ■ 1 • Tiiitì e scosse
di terrore alle fondamenta di unte le case. I
colpi si succedevano ad intervalli uguali ed a
gruppi di tre per volta. Anche la pioggia di-
venne strana e impressionante, cessò di pre-
cipitarsi a torrenti e tramutata in una nube
«li nebbia violenta e finissima invase ogni cosa,
finché ogni commozione della natura cessò: al
terribile dramma devastatore succedeva una
calma terrificante, spaventosa: non una goc-
cia d'acqua scendeva dalle nuvole galoppanti
lentamente come un esercito misterioso nel-
l'aria, non un sibilo, non un fischio, non un
colpo di tuono. Rassicurati ma nello stesso
tempo trepidatili dinanzi ad un cupo presen-
timento di una suprema catastrofe, uscimmo
nel giardino. Quale desolazione I bei pal-
mizi piegavano la testa recisa come da un
colpo di mannaia, gli alberi e le erbe giacevano in
un solo ammasso d'acqua e di fango.
« La calma durò tre quarti dora circa, poi una
sensazione di asfissia ci tanagliò la gola; un fru-
scio lontano traversò lo spazio come un lungo so-
spiro di mistero. La natura sentiva l'avvicinarsi
del nemico.
0 — Rientriamo ! rientriamo — si gridò, e tutti ci
affrettammo a salvarci dietro gli usci. Ci eravamo
appena rinchiusi che un colpo terribile come lo
schianto di mille colpi di folgori scosse le fonda-
menta della casa, minacciando subissarla, trasci-
nandola nell'orgia d'una raffica spaventosa. La fac-
i -rollò con terribile tragore e noi da quell'im-
mensa apertura spalancatasi d'un tratto vedemmo
nel cielo livido passare volando dei bolidi in fiam-
me. Il vento scagliandosi attraverso la breccia apa
ta ci gettava contro bicchieri, stoviglie, abiti, bran-
delli di stoffe, cadaveri di uccelli: i fanciulli non
piangevano pn!. le donne immobili abbracciate in
un gruppo immobile, fantastico, gridavano:
DALLE R [VISTE
Dopo il ciclone.
« — Mio Dio ! Mio Dio ! la fine del mondo.
« Quanto durò la spaventosa situazione? Xon lo
sappiamo: accatastati gli uni sugli altri, ci parve
che la morte nera e spaventosa piombasse su di
noi ; quando ci risvegliammo erano tenebre pro-
fonde.
«L'uragano rumoreggiava lontano come il rantolo
di un mondo lontano, un vento freddo ghiacciato
ci sibilava nell'orecchio. Io guardai l'orologio: le
sfere s'aggiravano con velocità nuova e strana con-
dotte da una forza misteriosa e invisibile: molti
di noi constatarono allora il curioso fenomeno do-
l's ciclone di ghiaccio — Vapore russo prigioniero.
638
LA LETTURA
LO -Il SSO VAPORE FOTOGRAFATO DA UN ALTRO PUNTO POCHI GIORNI DOPO.
i dubbio all'enorme quantità d'elettricità una notte tropicale, pura e meravigliosa) spandeva
nell'atmosfera. i suoi splendori sulle rovine e sui pianti ili linei-
ti La notte si faceva lentamente più chiara: le ul- l'ecatombe indimenticabile >
lime nubi galoppavano in fuga verso il sud dietro Le regioni fredde sono, generalmente, al ripara
la mi fuggiva con velocità vertiginosa. Il dai cicloni. Ma non mancano le eccezioni. Fino a
cielo lasciava apparire una ad una tutte le stelle e qualche anno addietro, la città russa ili No
ilo m:i. «.iii.m I IO.
.
UUA CITTÀ SOTTO IL GHIACCIO.
Altra veduta della stessa città.
640
sirsk. sul mai Nei 1 del 1 !aui
questo flagella Ma il 16 dicembre 1899
i! turbine del ciclone la investì, sferzò la sup
del mare, vi sollevò ondate enormi, vere mon-
tagne liquide, le rovesciò sulle rive, e siccome il
radi sotto zero, 1 1
Ioni ■ immediatamente : lungo il porto
le masse d'acqua arrotondate e ghiacciate sembra-
vano uno sterminato gregge * l ì mostri marini. Le
navi furono coperte ili ghiaccio, parevano essersi
murali- nei mari polari, non si riconoscevano
più sotto la crosta gelata. Un piroscafo russo ebbe
bla !<• uscite, e i passeggeri provenienti
dal Caucaso vi restarono imprigionati dodici giorni
quanto ilurò l'accanito lavoro per rompere a colp
1Ì1 piccone lo strato ili ghiaccio: tre viaggiatori fu
rono trovati n lati, coi corpi come incollati
alle pareti ili-Ila navi.-: gli altri erano agonizzanti
1 \ 1. MURA
'li freddo, ili lame e di spavento. Il palazzo ili
giustizia a 60 metri dalla riva, fu
esso dagli spruzzi delle ondate che vi si congela-
rono, trasformandolo in un fantastico palazzo ili
.-io. degno delle .!////<• <• nini notte. Molti
private furono murate dall'acqua subitamente ghiac-
ciatasi e gli abitanti restarono incarcerati nelle loro
dimore. Che cosa dice la scienza intorno all'ori)
■ li questa rovinosa meteora?
l che consiste in una colonna d'ari!
animata da una vi 1 velocità ili rotazio
probabilmente essa si forma nelle alte regioni del-
l'aria pur effetto dell'incontro di correnti d'aria do-
tate ili velocità differenti. Ma le leggi che presie-
dono al rorso dei cicloni restano quasi totalmente
ignote, 1- la meteorologia non ci sa «iirt- ancora
come ' quando possiamo difenderci da questi ter-
ribili delitti dell'aria.
Dopo oh i
Vita, medievale inglese
Nei tempi medievali i domestici erano in un com-
pleto stato di servitù rispetto ai padroni ed alle
ladrone, e non avevano protezione di sorta dalle
leggi nazionali, come l'avevano gli uomini liberi.
I cuochi tuttavia, allora come ora. erano tenuti in
maggior considerazione degli altri domestici, per-
chè da loro dipendeva gran parte del viver comodo.
Le cucine erano ampie e bene organizzate, ricche
di utensili d'ogni genere. Il servizio di tavola era
i con molta cerimonia. C'erano i maggiordomi
che avevano l'incarico di proteggere gli ospiti e i
cui chi dal popolaccio che infestava le case del re.
I piatti erano portati a tavola da servi che anda-
vano 1' uno dietro l'altro come in processione , ed
erano capitanati dal maggiordomo, che impugnava
il bastone emblema del suo ufficio. L avvicinarsi
dei seni con le pietanze era annunciato dal suono
delle trombe o da altra musica. I menestrelli erano
sempre benvenuti, e spesso nelle sale dei banchetti
si facevano gallerie speciali per i musicanti. Si te-
nevano conti rigorisissimi, e ciascuno che coprisse
una posizione di fiducia ed avesse una responsabi-
I CUOCHI.
lità, era tenuto a render stretto conto dell'uso che
era stato fatto dei denari e degli oggetti affidatigli.
I bilanci deposti dai vari castaidi del re erano ri-
veduti igni anno dagli uditori che andavano di ca-
stello in castello.
Dopo la peste che distrusse un gran numero di
vite tra il 1347 e il 1349. il lavoro umano divenne
una cosa preziosa e costosa, tanto che per impedire
alle classi operaie di avvantaggiarsene, fu stabilita
una legge che puniva come un delitto il pagare o
ricevere più di una data somma per lavoro fatto.
Tuttavia bisognò trattar bene i servi, e pare in-
fatti che essi fossero ben nutriti; soltanto donni-
vano male, su un sacco di paglia posto sopra una
la ; e ancora al tempo di Elisabetta i servi dor-
mivano sulla paglia, coperti da un lenzuolo, e con
eppo di legno rotondo in luogo di cuscino. Un
hio Ti nista dice: « Quanto ai servi, era una
fortuna se avevano un lenzuolo sopra il corpo, per-
chè spesso non lo avevano neppur sotto, a difen-
derli dalla paglia che li pungeva a traverso il sa
che la copriva ».
I banchetti erano dati spesso in una stanza su-
periore come si vede da una delle figure che ripro-
duciamo ; e si direbbe che quei servi stiano battez-
za Lettura.
zando il vino. Neckam, nel secolo dodicesimo, e-
numerando le qualità del buon vino, diceva che
esso dovrebbe essere limpido come le lacrime di un
penitente, per modo che ciascuno potesse vedere in~
fondo al proprio bicchiere ; bevuto, dovrebbe scen-
dere nello stomaco impetuoso come il titono, dolce
Il maggiordomo.
come una mandorla, saltellante come un capriolo,
forte come la costruzione di un monastero cister-
cense, sfavillante come una scintilla di fuoco, sot-
tile come la logica della scuola di Parigi, delicato
come seta fina, e più freddo del cristallo. Per bere
si usavano corna e coppe e tra i ricchi si usavano
grandi tazze di vetro e metalli preziosi. Un liquore
favorito in Inghilterra era un miscuglio di miele
ed acqua.
Il formaggio ed il burro, a quanto pare, erano
abbastanza abbondanti, ed erano fondamento dei
■ bo di tutte le classi. Lo schizzo che si vede qui
I DISPENSIERI,
dà un idea della forma che aveva presso gli inglesi
medievali la zangola per fare il burro. Anche la
ciotola ove è raccolto il latte è di forma strana, ma
la cosa più strana di tutto, in questo disegno, è la
espressione quasi umana dei musi delle va
Gli uomini medievali dovevano essere molto a-
4i
642 LA LETTURA
manti dei fiori, ed ammiratori appassionati della
a, 11 fare serti e ghirlande di fieri era occupa
/., ni delle signore. Vi sono lunghe Usu-
ili piante nei vocabolari sassoni, e multe erano u
inale II frutto più comune era
indubbiamente la mela. 11 00 ad un
lino inglese è dato da Alessandro Neckam,
nella seconda metà ilei scoilo dodicesimo.
Wrighi dice che le pesche sono nominate spesso tra
le frutta dei secoli decirrtoterzo e decimoquarto, ma
le albicocche, i>er esempio, non si trovano che nel
decimoquinta
I e dònne anglo-sassoni ed angli normanne erano
di regola madri eccellenti ed attendevano attiva-
mente alla educazione ed all'istruzione dei figli, as-
te dalle domestiche. Nessun lavoro di casa era
giud .11 laute; rutti erano compiuti con la
iratteristdca dell'epoca.
Hai t Menagier de Paris», un'opera curiosa
scritta da un marito ad istruzione della moglie, vi
1 il, nti consigli sulla gestione della casa e
su! modo di trattare i servi. Dopo aver dato alla
0?
raccomanda '-he non sia loro consentito di u
un linguaggio indecente o triviali-, né di insultarsi
tra loro ; e sebbene egli dichiari doversi dar loro il
temi" rio per mangiare, avverte che non fe
II. LA 111;.
sposa alcuni consigli sulla condotta da tenere in
.1. il marito procede a parlare del come debba
comportarsi con le persone di servizio, ammonen-
dola specialmente di veder bene di che cosa sono
e ballare che non siano avide ed inclini al
Se sono forestiere bisogna cercare di venire
a '-onoscere per qual ragione abbiano abbandonato
il loro paese; perchè in generale ci vuole qualche
motivo per indurre una donna a portare al-
trove la propria sedi-. Una volta assunta una do-
ca, non bisogna permetterle di prendersi la
minima libertà, né tollerare che. parlando, manchi
di rispetto. Se è quieta e modesta e dà prova di sen-
tire i rimproveri e di volere emendarsi, bisogna
trattarla come una figlia. Se date un ordine non
contentatevi della risposta: a Sarà fatto tra poco,
oppure domani », altrimenti è necessario ripetere
quello che se già detto.
A queste severe istruzioni lo sposo aggiunge al-
cune parole relative alla in ei domestici, e
II. OIAKDINO.
tene che essi stiano troppo a lungo seduti a tavola.
appoggiandovi sopra i gomiti. 0 cominciano
chiacchierare. Quando facciano ciò, bisogna farli
alzare senz'altro. La signora doveva inoltre
vegliare o far sorvegliare da persona di fi-
NlTRICI.
ducia che la casa fosse ben chiusa la notte, che
i fuochi fossero coperti, e che tutte le serve andas-
sero a letto. Se una fosse maiala, doveva la padrona
fare in modo che ella fosse ben curata.
(Dal Pali Mail Afagazùu).
Il LAVoko DELLA PILA 1 1 k \.
L a
ci ttà
della
birra
« Un bravo tedesco può mancare anche del fazzo- città nacque nel secolo XIII e nel XV possedeva
letto, ma non della sua tazza di birra ». Così e con già la splendida cattedrale di San Bartolomeo colla
ragione si poteva dire negli ultimi anni in Austria, terre famosa di ioo metri di altezza. Pìlsen ha
prima che i paesi meridionali l'inondassero dei loro pure una storia nelle lotte degli ussiti e nella guer-
\ ini. Ma il proverbio è ancora verissimo nella città ra dei trentanni: essa vide il conte Ernesto di
boema di Pilsen. conosciuta col nome di città della Mansfeld, e il Wallestein che qui raccoglieva ed
birra.
Ha 60.000 abi-
tanti, dei quali cer-
tamente l'ottantase;
per cento rappresen-
ta l'elemento boemo
e solo il quattordici
per cento quello te-
desco. E' una spro-
porzione numerica
assai numerosa che
acuisce la gara di e-
nergia e di lavoro
fra !e due razze e-
mule. Ne viene di
conseguenza una
doppia città , 1' una
boema, l'altra tede-
sca, con scuole ed
istituti di entrami»
le lingue: così sulle-
vie si leggono le
doppie leggende te-
desche e boeme.
Panorama ni Pilsen nel 1820.
Giace la città a un'ora dal confine della lingua
tedesca. Si ammirano fra le sue mura monumenti
venerandi per la polvere di parecchi secoli. La
Veduta della Birreria cittadina nel 1870.
addestrava le risene fedeli. Ma la sua gloria euro-
pea, anzi mondiale, non la deve alle lotte civili, ma
alla birra fresca e spumante. Le più grandi birre-
rie di Monaco si vantano di una
gloria oramai tramontata , perchè
sopra di esse cresce la spuma della
birra di Pilsen. che tutte le travol-
ge sotto il biondo flutto spumeg-
giante.
L'emula fortunata è un prodotto
del secolo XIX e comparve per le
prime volte a Berlino nel 1871 i-
naffiando gli entusiasmi delle vit-
torie prussiane: fu combattuta e
denigrata, ma poco a poco il bion-
do ruscello di Pilsen invase tutte
le città del mondo.
Attribuirgli origini antiche sa-
rebbe un falso storico, degno di
quella ridicola araldica moderna,
che vuol scoprire gli antenati dei
miliardari americani nei crociati
del Barbarossa.
Certamente anche nei tempi re-
moti troviamo in Germania assai
diffuso l'uso e la produzione della
li | | LA LETTURA
. ma ess i era allor i ben a di quella
è nrl 1902, raffinata colle arti più intelligenti
dei 1".
>co, ladde Hoyek, seri
veva il primo libro sulla manipolazione del biondo
ri : ma lini il princi] io di
■ li Pilsen Fabbri ano se] natamente tre barili <li
birra, ciascuno ha un gusto speciale, puri essendo
uno squisito.
Si parlato di tre birrai ma non a caso. Fino al
1870 « La Birrai era l'unica in Pilsen
e ni n avi : ma in quell'anno soi se il
Veduta 0 nerai birreria.
ncstra cittadina andava confusa fra mille altre e
non possedeva che qualche pico la casa produttri-
ce. E lunghissimo altro tempo dovette trascorrere
prima che la birra di Pilsen diventasse la birra del
monda La produzione dapprima si limitava a
di barili e anzi si ricorda volontieri uno dei pri-
mi birrai di Pilsen, che per alcuni mesi dell'armo
èva i luppoli e per gli altri cuoceva la
1. Dapprima la birra di Pilsen veniva
fabbricata cogli Stessi un odi cii quali si con-
cia anche attualmente quella ili Baviera: ma
[ualità inti rami nte nuova .
] . rchè d -in 1' i coli a bii mdo I 11 Mante le è o nfe
da una speciale manipolazione dell'orzo
Lperi im rognolo, che vi 1 1 1 o 1 pn
■lesamente il palati. pi la ima qualità sp<
ciale .li luppoli.
Le contraffazioni ni caron ari hi
• del mi in. !< . si fai ' li sti ssi meti «li di
1 ffinamento la birra celebre, la
birra di Pilsen. E i risultati si :
Con ne dei birrai della cittadina
ben diversi I qi
impossib I peri tffazii
u 1 del
1 , ■ Monaci pn
In la diversità dei vari
climi. Per cui Pilsen pu rmai sicura che il
•polin non le 1 otrà mai essi n 5 rapp
I fatto che se
primi, con capitale tedesco sotto la ru iale.
« Prima so ietà della birra di Pilsen » e nel 1896
sorse un terzo cono rrente pure sotto forma di so-
età anonima. La prima casa produce annualm
in cifre rotonde 700,000 ettolitri, la seconda .'70,000
e la terza 150.000. sono dunque in totale 1.120,000
ettòlitri, ossia 2.500.000.000 di boccali ingurgi-
tati nelli f.uiii assetate degli uomini. Prositi
I. spoliazione della birra di Pilsen e'- rappre
seni. ita da idre abbastanza considerevoli: si parla
di quella eli.' varca le frontiere austro-ungari
I.a prima birraria esporta per 200,000 ettolitri, la
seconda per, 1,50.000 e la t. r/a per 80,000: 0
l'i ssh ami nte 1 10.000 etti litri.
1 .a fondazione di 111- 1 pi duttrici ha
pure una storia: dapprincipio erano 250 azionisti
chi gettavam la ba ''.ili 1 1! bi ica a mi 51.000
fiorini i- con un dividendo annuale di 5,5(10 fiorini.
1' grandi birrarie 1 Im oggi hanno quasi
lizzato la produzione mondiale, ebbero tutte umili
degli anni 1 colla '
breve, ma ripetuta miliardi di volte « un bici:
di bica ' " ll.lt li 'Mime eoli --ali.
Per ci nvincers ire i progressi
primitiva 1 al bi a, dalla fondaz
d 1870 (e-
ni cominciava ad affermarsi trionfalmente
la birra di Pilsen .1 Berlino), ci mostra la vecchia
fai ibrii a ci m • un ammasso di alcun
■ 'die caminiere 1 umani i, alline iti 1
dalli: riviste
larmente sulla via dinanzi allo sfondo delle colline
lontane (fig. 2). Certo è uno spettacolo dì prospe"
rità e di lavoro quello che si svolge all'occhio: gli
alti camini mandano al cielo il loro fumo, i carri
arrivano e partono, centinaia e centinaia di barili
sono là allineati e pronti a ricevere il biondo li-
quore. Ma qual differenza fra la tranquilla e mo-
desta fabbrica del 1870 e l'edificio rumoroso e gi-
gantesco che oggi, a 32 anni di distanza, sorge
sulla medesima area ! Lina nostra incisione (fig. 3),
offre la vista panoramica dei nuovi editici, che
sembrano costituire quasi da soli una nuova e vera
cittadina, la città del lavoro. Sono quattro immen-
se caminiere che lasciano gli inebbrianti prodotti
di una combustione che non ha tregua, né giorno
ne notte, e dalle quali esce il sibilo e quasi il ribol-
limento tumultuoso delle decine di caldaie gigan-
tesche e infocate che imprigionano nei fianchi po-
derosi il liquido ribelle. E all'ombra delle maggiori
caminiere altre ed altre più piccole si addossano,
tutte emule instancabili nel getto perenne del va-
pore. I fabbricati si allineano, sì incrociano, si mol-
tiplicano, le ampie finestrate danno luce ai sotter-
ranei vasti e freschissimi le cui vòlte sostenute dalle
svelte colonne nascondono le grandi tinozze ricol-
me. E nei cortili è un affaccendarsi perenne e senza
pace, è un cigolio di carri scricchiolanti sotto il
pesp, è un rincorrersi curioso di centinaia e centi-
naia di barili tuffantisi nell'acqua e rotolanti man
645
mano nella quiete dei sotterranei (love la birra li
attende.
La stessa entrata nel grande stabilimento dà
un'idea grandiosa e solenne. E' un doppio arco
1 1 ii nfale in stile rinascimento, con magnifiche can-
cellate di ferro battuto. Dietro si stende un'ampia
strada che conduce ai magazzini, alla fabbrica e
agli uffici.
Non va taciuto un fatti, curioso: vicino a que-
sti edifici, si innalzano quelli della seconda fab"
brica di Pilsen: eppure i prodotti sono alquanto
di\ersi sebbene venga usata la medesima acqua e
si sia, naturalmente, sotto le medesime condizioni
di clima e di calore. Quale il segreto di tale diffe-
renza ?
Anche la direzione di questa seconda fabbrica
è tedesca, come Io è del pari quella dell'ultima fab-
brica sorta a tentare la concorrenza. Il mercato
mondiale però è abbastanza vasto perchè tutta la
immensa produzione di Pilsen possa trovarvi li-
bero sfogo, senza procurare mine o disastri a qual-
cuna delle tre case concorrenti e la lama meritata,
che Pilsen va ormai acquietando anche in America,
schiude sempre nuovi mercati all'esuberante pro-
duzione. Per tal modo le birrarie della cittadina
boema hanno dinanzi un avvenire di prosperità e
di opulenza e non potranno neppure temere di ve-
der ribassare le proprie azioni se qualche altra so-
cietà investisse i suoi capitali, entro le mura della
Locali per distendervi 11. « malto ».
646
t .nun. ita. nella produzione della birra ili
ma mond
\ parò \ i riuscirebbi 1
uguale facilità, giacché la preparazione della birra
nzioni incredibili. Qua nun
hine | hi 1 preparano l'orzo che
|H'.i 11 1 dove se ni
|a fermen ■ he può durare da
dui' ore fino a due giorni, se 1 md 1 la
pera .1 ' he il cereale sia 0 >mple
nte macerato: è allora il j unto di le-
.
immensi magaz; ei di
•n.i uno meraviglioso:
ssi allineati centinaia 1 centi
naia ili barili, nei quali si può, con un sul
echio, attendere alla fermi
LA 1-1. Il U \
fa-
allora l'orzo è trasportato in vasti scompartimenti
dove la temperatura i di circa 60 gradi centigradi
ice ili sviluppare bastevolmente il germe del
« le
Il prodotto cuciniti', che assume allora il nome
di malto, viene stritolato da pesanti macchine
e rimescolato nell'acqua ad 80 gradi. Il luppolo
I
-1
Deposito delli dro : vbbrh \ dei barili nella Birreria cn
di una colossale quantità di orzo: il liquidi
in altre mai chine di »ve la sua
continuar nandosi 1
rsi aromi che ne costituiscono la
più gradita • •■a..
Dopo che l'orzi nollito nell'acqua viene di-
ira un pa\ im riti 1 in rn uno
m ■ ri di alti
Tale strato % *iti-
nuamente non abbia troppi a riscaldarsi:
la germi
l'aroma 1 co al liquido e termina
l'operazii ni .
0 Ed ora, quale delle tre
birre di Pilsen sarà la mig] 01 S'oi non sappia-
mo ' Il prodotto della prima fabbrica cit-
tadina dà al palato l'effetto di qualche cosa di
; quello della scenda fabbrica ha qua!
di amai.. 1 quello della dolce. Diremo che
tutte e tri - m 1 0 ono a dare a
11 il primato del mi
1 1 .1 Velhagen und Ktasings ftfonalschffste).
Il linguaggio dei vagabondi
Il vagabondo volgare non è una persona popò
lare ed interessante ; il suo aspetto è poco bello, la
sua onestà spesso non è al disopra di ogni sospetto,
e la sua avversione pel lavoro è proverbiale. La
polizìa e il pubblico lo tengono d'occhio sospetto-
samente, e quando gli capita di
dovei chiedere asilo per una
notte in qualche casa di cam-
pagna, il padrone prima gli
impone di fare un bagno, lo
obbliga a qualche lavoro odio-
so, per scoraggiare lui e la sua
eie.
Tagliati dunque fuori dalla
ò muniene degli altri esseri più
rispettabili, i vagabondi si son
visti costretti a prestarsi mu-
tua assistenza, aiutandosi e di-
fendendosi reciprocamente. Non
v'ha vero legame di simpatia
tra vagabondo e vagabondo ,
ma la necessità della conserva-
zione obbliga i membri di que-
sta strana fratellanza a coope-
rare, almeno sino ad un certo
segno. Una delle forme più in-
ulti eli questa cooperazio-
ne consiste nel linguaggio dei
segni, che permette ad un vagabondo che segua la via
d'un altro, di conoscere qual sorte buona o cattiva
l'aspetti per quella strada, nei luoghi che si propone
di visitare. L'autore ha potuto avere la spiegazione
di quel linguaggio segreto da un vagabondo che
aveva girato su per giù tutta
l'Inghilterra per quarant'anni ,
durante i quali aveva forse
compiuto una quindicina di
giorni di vero lavoro.
Il vagabondo occasionale —
; i raio privo di lavoro che va
in giro cercando occupazione
— ignora completamente l'esi-
stenza del linguaggio dei segni,
la cui conoscenza è gelosamen-
te riservata ai vagabondi di
professione. E per questi è di
importanza grandissima, per-
mettendo loro di sapere con li-
na semplice occhiata quale ac-
coglienza li aspetti in una data
ca-a. I segni hanno il vantag-
gio di potersi fare facilmente:
ba«a un muro qualsiasi e un
pezzo di gesso o di calce. Ed
una volta fatti, sono perfetta-
mente inintelligibili pel... pro-
Tnctii.e venire qui »
Raccontate una storiella.
Ci sono tre donne. >
« Qui si dà elemosina
ai vagabondi. >
« Il PADRONE CONSEGNA
VM-.ABONDI ALLA POLIZIA.
648
LA LETTI I \
l'i fatti da un ragazzo che
non sappi.! scrivere, ma hanno un significato ben precisa 1
defin li uomini del 1 segni che qui ripro
duciamo I 1 san glianza di 11' informati re
deirarticolista ingli ntissi in materia, manco .1
diri".
S me 1 membri della confraternita dei vagabondi non
rdinario artisti provetti, i segni usati sene di una
mplicità «li linee, tali da poter essere tracciati
più inesperta. Il primo, pei esempio, è un semplice
0, che porta allo sfortunato l'annunzio che « non c'è
di buono da tare qui » : inutile picchiare a quella
Qualche altro vagali ndi è già stato in quella casa .
ha '1' ni. imi, ito un po' di cibo o di moneta, e gliel'hanno ri
fiutato; egli se ne è andato, ma partendo ha lasciato l'av-
nza per gli altri che fossero innati di chiedere elenuv
là.
Il circolo puro e semplice è un brutto segno pel poverai
ciò: ma se entro il circolo e inserita una grande croce, li
cambia aspetto: il significato di questo segno è ralle
Qui vi daranno da mangiare»; e un vagabondi.
i sempre tale invito.
Avviene spesso che non sia possibile avvicinare tranquilla-
mente una casa o un podere di campagna. L'apparenza del
vagabondo è di consueto poco attraente, e certi individui della
specie hanno il vezzo di annettersi
tutti i piccoli Oggetti che trovano in
Per giunta i contadini attribui-
uo loro una certa tendenza a dor-
mire sui pagliai e dar loro fuoco i-
navvertitamente. Per questo succede
molte volte che anche il più onesto
pione della classe sia cacciato via
da qualche cane feroce. Quando ciò
avviene, l'infelice si fa un dovere di
avvertire i compagni del pericolo ch<
minaccia; perciò, se ha tempo e non
« Qui si trova lavoro. »
è costretto ad una fuga precipi-
tosa dalla f erocia del cane, egli la-
scia un segno ammonitore, il cui
significato originario è: « Ce un
cane nel giardino ». ma che serva
in generale a segnalare i gra\
ricoli ed a consigliare la massima
prudenza. Messo su una casa pri-
vata, rappresenta di solito il suo
significato letterale, e cioè seg
la presenza di un cane ; ma
che si trova sul muro di una
colonica o di un podere, il vaga-
bondo lo associa di solito all'idea
di un padrone collerico da cui con-
viene star lontani.
A volte succede che un agricol-
tore abbia bisogno di mano d'ope-
ra per lavori eccezionali, ed allo-
ra, se qualche vagabondo si pre-
senta offrendosi per lavorare, vie
ne accettato volontieri. Chi trova
impiego cosi, stima suo dovere av-
vertirne i compagni che ave-
volontà di Altri segni
servono ad indicare che. per esempio, una casa è abitata da
dinne, che a raccontar loro una ano
intenerire e danno l'elemosina; o che conviene abbandonare più
che in fretta un certo paese, perchè ce chi consegnerebbe il men-
dicante alla polizia, ecc.
I segni sono numerosi, e adatti alle varie contingenze della
vita del vagabonda Taluni sono anche complicati e non ven-
gono intesi bene neppure da tutti i vagabondi, ma in generale
è la semplicità che si cerca.
C C È UN CANE
Pucci i b dal vii. ig
Con. l'esercito di Alenelik
Il capitano inglese Ralph P. Cobbold. autore
dell'articolo che riassumiamo, fu in missione col
maggiore Hanbury-Tracy presso l'eserciti i abissino
nella spedizione compiuta di concerto da inglesi ed
abissini contro il Mad Mullah. Le operazioni, av-
venute nell'Ogaden, a sud dell'Abissinia. furono
abbastanza fortunate e permisero all'ufficiale in-
glese di fare studi interessanti sul paese e sull'e-
sercito di Menelik.
Partiti da Berhera. vi sono due giorni di marcia
nel deserto. Durante le prime venti miglia dalla
costa l'aria è ancora pesante delle esalazioni del
Mar Rosso, ma via via che si penetra nell'interno,
si va facendo più leggiera; ed anche la natura di-
viene più generosa, e la vita animale più abbon-
dante. Già alla fine del secondo giorno di marcia.
il terreno è migliore, e gli alberi divengono più
grandi e più variati. Si incontrano grandi palmizi.
splendide acacie, vegetazioni ombrose, e. lungo tu:-
ta la via, mandre di capre e di pecore, fagiani, ecc.
Alla fine del terzo giorno la spedizione si accampò
che stava per traspi rtare altrove le proprie sedi.
Lo spettacolo tra curioso. Tutto era stato caricato
sul dorso dei cammelli, anche le misere case; in
breve tempo la popolazione si mosse e il luogo ri-
mase immerso nel silenzio della solitudine. Come
è facile intendere, quelle case che si possono por-
tare a dorso di cammello non sono fatte di mate-
riali molto solidi. Sono strutture di aste di legno,
coperte di stuoie, simili a quelle delle tribù nomadi
dell'Asia centrale, con la differenza che queste ul-
time fanno coperture di feltro, mentre i Somali u-
sano fibre di alce. Qui presentammo. — dice l'au-
tore — un grammofono agli indigeni. Inutile dire
che essi non compresero il meccanismo ; non capi-
rono nemmeno bene di che cosa si trattasse. Una
delle illustrazioni che riproduciamo mostra appunto
un gruppo di indigeni intenti ad ascoltare quello
strumento meraviglioso.
Il viaggio continuò per l'altipiano della Somalia
Britannica verso l'Abissinia. Soltanto il decimo
giorno dalla partenza da Berbera, dopo aver per-
ASCOLTANDO II. GRAMMOFONO.
in un misero villaggio somali, pieno di donne brut-
tissime. Sinora si era compiuto il viaggio in dire-
zione di sud-ovest ; dopo d'allora, si marciò quasi
direttamente verso ovest. Alla fine del quinto gior-
no la spedizione arrivò in un altro villaggio somali.
corso circa 200 miglia, si giunse a Jig Jigga, for-
tezza di frontiera abissina, sulla strada da Berbera.
La frontiera effettiva, veramente, si trova alquanto
più ad ovest, ma quello è un posto avanzato, ove
si trova la dogana, e vi stanno di guarnigione al-
"
LA LETTURA
pò arabo, ma sti-
\ <)no armati di fu-
~: li, ma per la massima parte di
buon con due
za e la sede del Governo di Ras Makonnen.
nipote e probabile successore del Negus, coman-
dante in capo dell'esercito e governatore di una tra
le più importanti provincie d'Etiopia. Per
La porta orientale di Harrar.
anni or sono quando furono attaccati da Mad Mul-
lah e dai suoi Dervisci.
I diritti doganali a Jig Jigga si riducono in so-
stanza ad una tassa di circa una lira per ogni cam-
mello che entr he poi dal capo arabo è de-
a all'imperatore Menelik. Il capo riscuote an-
che le imposte dai paesi vicini per cento del Negus,
ma poi consegna al suo signore S' 'ltanto ciò che
i sufficiente e conveniente, senza rendere conto
Inutile dire che egli è uomo molto ricco.
Ati mo al villaggio abbondano le capanne per
dare la caccia ai le< S piccole, in modo da non
- tenere in genere più di tre persone, e tutte co-
. -e cespugliosa, per modo che l'a-
nimale n rie. L'entrata, piccolissima,
una volta che i cacciai lentro, viene anche
i cespugli. Per attirare i leoni, si pone a
poca distanza una capra od una perora, cui si lega
una corda all'orecchia. L'altra estremità della corda
è tenuta dai cacciatori nella capanna: ogni tanto
o la corda per far belare l'animale ed in
tal . amare 1' ■ della belva.
Harrar. il cer • !e dell'Abissinia. si
inta miglia a la Jig Jigga.
La capitale politica d
che miHia ancora ad ovest, ci
residenz.-
Re. ed Imper H irrar è il
luogo cui fa capo gran parte del movimento
r.erciale dell'Abissinia. Ivi ci le gran-
. ivi pure è la re-
Harrar non è città imponente. Una delle unite fo-
tografie rappresenta la sua porta orientale . è sor
montata da rozze immagini dei leoni di Giuda, e
dalle traverse pendono code di elefante. Le rie
principali (figurarsi le altre) sono assai strette; si
allargano solo ogni tanto nei posti di mercato. Le
comunicazioni si effettuano per la massima parte
per stretti passaggi (che non si possono chiamar
tra i muri di fango delle case. Queste son
quasi tutte brutte e squallide al massimo grado, e
soltanto assai raramente hanno un secondo piana
Nella vecchia residenza di Ras Makonnen. quella
che con molta buona volontà si potrebbe chiamare
sala dei banchetti è un locale coperto da un sof-
fitto di rami intrecciati e sostenuti da pali ; il pa-
vimento è di terra coperta d'erba tagliata. Adesso
però Makonnen si è costruita una nuova casa.
La città di Harrar è dominata da un vecchio forte
situato su uno sprone d'un colle ad un miglio verso
nord dalla città, e munito di tre cannoni molto an-
tiquati. Costruito prima del 1885 da Rolph pascià
e da Hunter. esso è una reliquia dell'occupazione
ma del Sudan prima che sorgesse la potenza
del Mahdi e dei Derv i-
E' molto importante ad Harrar il mercato della
legna da fuoco rhe i Galla portano dai luoghi ar-
imi. Avviene spesso in Abissinia che le
nanze di una città divengano completamente prive
legna per l'impre\ indigeni. Per
questa curiosa ragione appunto Menelik d-
ma vi >lta mutar residenza.
DALLE RIVIS I
05 1
La popolazione dell'Abissinia è costituita presso
a poco per una metà di Abissini propriamente detti,
che sono cristiani, per un quarto di Galla, pagani.
greco, sono molte e gravose. La quaresima dura 55
giorni; ogni giovedì e ogni venerdì si digiuna;
in complesso i giorni di digiuno, durante tutto
l'anno . tra digiu-
ni ordinari setti-
manali e digiuni
1 dinari, sono
29" su 375. In
tali giorni è proi- .
luti! mangiar car-
ne e qualsiasi pro-
'! tti » animale sot-
to 1 ena di multa.
( liascum - deve con-
fessarsi da un pre-
te, altrimenti mo
rendo non ha se-
poltura cristiana.
Una delle ceri-
monie religiose
gli Abissini
soli osservano tra
tutti i cristiani è
la «danza di Da-
' id « innanzi al-
l'Arca dell'allean-
za . raffigurata in
una delle nostre
illustrazioni. Que-
La scorta
dell'autore.
per un ottavo di
Somali e di altre
tribù maomettane
di razza araba ,
e pel rimanente
ottavo di negri.
massime nelle Pro-
vincie occidentali.
Gli Abissini s
in pratica, di di-
m. lenza parti-
araba e parte e-
braica , e molti
hanno lineamenti
cui l'origine se-
mitica si deduce
in modo chiaris-
s ma Nelle loro
usanze civili e re-
ligiose sussistono
ancora molte an-
• pratiche e-
braiche, come, per
esempio, l'uso del-
le arpe nelle ceri-
monie del culto. Pare che lo strumento impiegato sta strana funzione ha luogo nella settimana prima
in Abissìnia sia identico nella forma a quello di di Pasqua. L'autore pctè assistervi ad Harrar. Cen-
cui parla la vecchia storia biblica. Le osservanze tinaia di preti, raccolti nel cortile della vecchia re-
dei culto abissino, che si accosta assai a quello sidenza di Makcnnen, portavano tutti dei baston'
UH MERCATO DI H.AKRAR.
LA LETI u \
.1 yilU". ; , loro ap| oggio, i s
sedersi in eh esa o dui
i monie rei ] icerdoti,
che si ii quelli che compiano le funzioni del rito, pi i
tane strane vesti \ u d'oro sul capo.
noi za fantastica innanzi ad una
immagine dell' Vrca i [l'alleanza, i hi
alla vista dei fedeli da una tenda La cerimonia
apagnata da un sui np< sti ■ 'li tamburi,
di cembali e di altri strumenti barbarici, piuttosto
clamori si che armonici, con accompagnami ntc ili sii-
li sommo sacerdote non prende parte attiva
alla danza, ma vi assisti seduto è il suo privi-
■ • un ombrello di coli r violetta
Non meno curiosa della cerimonia stessa è la
ragione della sua sopravvivenza in Abissinia Sino
dal quinto secolo dell'era volgare l'imperai G>
stantino tenni- a Costantinopoli una serie ili condii
sugli affari della Chiesa cristiana. A questi concili
va prendere parte almeno un vescovo di ogni
Statu cristiano. Nel sesto conci Hi il primo cui
prendesse parte un vescovo d'Etiopia - fu de
di ravvivare l'antica ceni ia ebraica della « dan-
za di David innanzi all'Arca del Signore », il sa-
bati, prima di Pasqua. In seguito a ciò quel rito
fu introdotto in Abissinia. Nel settimo concilio te-
nuto l'anno seguente, l'ordinanza del precedente re-
danza di David ■> fu revocata, e fu
■ olmata la sospensione del rito; ma né a qui
ni all'otta.', i. ■neiliii presi- parie aleun vescovo di
Abissinia . ondi gli abissini non seppero nulla del-
1 ne del nuovo rito di recente intn dotto, e
nuano ancora a danzare innanzi all'Arca del
*
* *
L'indumento abituale degli uomini abissini
siste in un paio di calzoni di cotone e in una tu-
nica .!. il" stesso tessute, nonché un ii<l>c o ampio
tabarro pure di cotone bianco, raccolto e gettato
sopra la spalla sinistra, in modo da lasciare le
spali, libere. Nel mezzo del tobt c'è una fascia di
color rosso, per indicare la cristianità dell'indivi-
duo, e distinguerlo dalle razze soggette. Le donne
di solito non portano che un indumento, un abito
di cotone leggi ralenti aperto sul collo .
conilo la moda solita nell'Oriente. Le donni- ili
situazione elevata portano talora una camicia di
batista sotto l'abito di cotone usuale; ma non p. r
tano altri indumenti, se non un paio di larghissimi
calzoni legati alla vita ed ai malleoli quando vanno
a cavallo.
(Da un articolo del Wide World Magatine, fascicolo .li
giugno). — I.a narrazione dell'autore continua.
La -i.\s/v io David davanti all'Arca dell'Alleanza».
La nostra, lino-i ia. sul Piata
A Montevideo vi sono quasi centomila Italiani che
non dimenticano la patria loro e ne danno la pro-
va in tanti mi di. Ricorrendo le nostre teste nazio-
nali, quella città sembra italiana, tante sono le bau-
dien esposte dovunque; e tutti sanno le
ragguardevoli somme raccolte laggiù quando qual-
che sciagura ha colpito il nostro paese. Ma il pa-
triottismo di quei nostri fratelli ha un gran ne-
: la lingua. Dopo pochi anni, gl'Italiani me-
diocremente colti si trovano, sotto questo aspetto,
gnolizzati; che dire poi degli incolti! E la fra-
tellanza dei due idiomi contribuisce a produrre un
uglio terribilmente comico. Infinite parole spa-
glinole, che suonano come voci italiane, significano
tutt'altra cosa; per esempio: largo vuol dir lungo;
vela, candela; carta, lettera; rostro, viso; cani.
faccia; burro, asino; manteca, burro; fasto, fie-
li"; caldo, brodo; corte, taglio; mesa (pronunzia
messa), tavola; salir, uscire; baiar, belare; trufa,
tartufo; re;;,!:,., gremii"; bravo, cattivo; aceite,
olio; tino, criterio; noche (pronunzia noce), notte;
topo, talpa; calar, forare: scso (pronunzia sesso),
cervello; amo, padrone; loro, pappagallo; gota.
goda ; apagar, spegnere ; testimonio, prova ; moli-
teli, mucchio ; viso, sottana ; boya, gavitello ; pri-
mo, cugino; bote, barchetta; bisono, (pronunzia
bisogno), recluta, e via dicendo. Ne nasce un pa-
io, con l'aggravante che si dà facilmente ter-
minazione spagnuola a parole italiane, e viceversa.
In tal moiio si è venuto formando una lingua italo-
igliana, che. quantunque non riconosciuta da
nessuna accademia, possiede già. purtroppo, una
letteratura.
— Prenda la vela, dice la padrona alla sena
italiana da poco arrivata ; e la serva s'affanna a
ir la vela per la casa, mentre la padrona ha
voluto dire. — Accenda la candela!
Viceversa una signorina italiana, accarezzando le
manine d'un bambino, esclama:
— Clic belle manine di burro !
E la mamma, troppo famigliarizzata col miscu-
glio italo-spagnuolo, quasi se ne offende, credendo
che abbiano chiamate zampette d'asino le mani del
rampollo.
— Vamos a la mesa (messa) — dice la padrona
di casa agli ospiti, i quali capiscono che bisogna
andar in chiesa, mentre la zuppa è in tavola.
I- na .-ignorina aveva vinto un premio letterario.
e un giovanotto esclamò, per esprimere il suo com-
piacimento:
— Siculo qne v.sted ha ganado ci premio ; —
ma 1 altra gli voltò le spalle con una smorfia, per-
chè siculo vuol dire: mi dispiace... I. stesso gio-
vanotto, vittima dei disparatcs. disse ad una notis-
sima o-eatura: Usted cs muy brava, volendo lo-
darla; mentre brava significa cattiva : e ad un'altra
signorina, molto bigotta, volendo significare che.
con un certo vestito, sembrava molto più giovane.
ì me parlò una nino ». La signorina
ppò come un'ossessa, avendo capito: « Ella m.
partorì una bimba... »
Un -aggio di questa lingua mista si trova nel se-
guenti i di un autore di vivace ingegno; il
noeta tinge che parli un padre di famiglia itali
tenero della lingua natale:
Mi dann'asco, caiamba, certi tali
Che dispoi quattro dia che son gegati,
Voglion far da creoggi rematati
Ed ablano un idioma da animali.
Io, fra la crisa e tanti altri mali,
I termini italian non li ho olvidati,
E molti casi non mi son fattati
Di corregger quei burri madornali.
Sinimbargo al mio nigno ce l'ho detto:
« Muciaccio, si no apprendi l'italiano,
Ti mando sempre sin comére a letto. »
Che pu eia, cari miei! Paresse un Dante!
Ci ha un talento quell'icco di cristiano.
Che l'abla quasi come me, il tonante.
Il che vuol dire: « Mi fanno schifo, per bacco,
certi tali — che dopo quattro giorni che sono arri-
\ ali — vogliono fare da creoli consumati — e par-
lano un idioma da animali. — Io, fra la miseria e
tanti altri mali — i termini italiani non li ho di-
menticati — e non mi sono mancati molti casi —
di correggere quegli asini madornali. — Nonostan-
te a mio figlio glie l'ho detto: — «Ragazzo, se non
impari l'italiano — ti mando sempre a letto senza
mangiare ». - Pi ffare, cari miei! Pare un Dante!
— Ha un talento, quel figlio di cristiano — che
quasi lo parla come me. il furfante!... »
E' ingiusto accusare di poco patriottismo quegli
Italiani che perdono laggiù così miseramente la
loro favella. Nell'aspra lotta per il pane è una ne-
cessità per essi imparare lo spagnuolo ; e non è
meraviglia che dimentichino la lingua materna o la
pasticcino come si è visto. Nelle famiglie agiate,
-i si no italiani entrambi i genitori, i figli impa-
rano a capire e talvolta a parlare il dialetto dome-
ma -< È italiano solo il padre, egli deve ras-
arsi a parlare la lingua che la madre ha inse-
gnata alla prole. E, fra i poveri, la lingua nostra
è più coltivata ; perchè questi mandano i figli alla
-cuoia italiana sussidiata. Ma è sempre troppo
poco, e c'è una sola speranza: nel comitato della
Danlc Alighieri, il quale da quattro anni lavora e
prepara un programma. La colonia italiana del-
l'Uruguay risponderà al suo appello, perchè del
patriottismo ce n'è d'avanzo. (Mire ad un giornale
politico quotidiano: L'Italia del Piala, si pubblica
laggiù anche uri periodico letterario: L'Ausonia —
solo la colonia nostra.
(Da un articolo di L. Ambruzzi, nella Natura ed Arte
del 15 mag
Intorno
a.( l
un
costume
:
Nell'estate del 1851, quando ogni fatta di com
•. ano a rendere più |>t-saiui gli
aliti femminili e particolarmente li sottane, e
quando appunto la donna cominciava a desiderare
un 1 iù 1 omodi . una 0 1
1 americana venne alla riscossa delle sue con
mi . inventando un nu< vo o stume
che quanto a « praticità » era veramente l'idi ili
Il nuovo costume ri insisteva nella sottana corta 1
in un paio di calzoni non troppo lunghi; ma si al-
enava tanto ilalle idee in voga intorno agli in-
dumenti femminili, chi la Moda scosse il capo, 'li
sapprovando risolutamente. Fatto sta pei al n eh
la comodità del nuovo abito persuase alcune si-
ile alla fine del 1851 il costume 'li
odi aveva un certo numero di parti-
giane convinte
I passato oramai un poco più di mezzo seo lo
da che la signora Bla mi r, alli ra domiciliata a Si
neca presso Nuova York negli Stati Uniti,
dò COTJ la sua proposta ili ridurre le
d un costume più ragionevol
si im-
sottane
e. ("in-
I.A SIGNORA Bl.OOMl k.
La « Bi.oomi: k GIRL» IN COSTUME l>A STRADA.
quant'anni or sono il Bloomcr costume — come fu
chiamata la nuova toilette, dal nome dell'inventrice
come abito da strada usuale, aveva ancora
chi ammiratori, ma fanatici ; oggi i suoi ammira-
tori sono più numerosi ed altrettanto fedeli, ma a
dire il vero, il Bloomcr costume d'oggi ha poco in
comune con quello che scandalizzò le nonne dirli
americani odierni. Nel ventesimo secolo la knicker-
bocker girl, come chiamano gli Inglesi la rag
che porta i calzoncini, fremerebbe d'orrore all'idea
di portati- l'abbigliamento sfoggiato dalla Bloomcr
girl, e se la stessa signora Bloomer avesse p
antivedere il futuro, r. precorrendo i tempi di cin-
quant anni, avesse potuto immaginare l'evoluì
della sua trovata iniziale. ì- da dubitare se avrebbe
.lato ungine al movimento.
Oggi i Calzoncini saranno magari un citilo
essenziale della guardaroba femminile, ma di so-
lito sono usati soltanto per gli e s.-r.izi ginnastici,
o atletici, come si dice in America. Invece, nella
niente dell'iniziatrici', l'uso doveva essere meno ri-
DALLE RIVISTE
stretto. Il nuovo costume non doveva essere
portato soltanto in bicicletta o nelle palestre ; ma
entrare anche nelle sale da ballo, in teatro, esser
portato in casa e per via, d'estate e d'inverno, a
piedi, a cavallo, dovunque va la pesante e malco-
moda sottana, la quale cinquantanni or sono era
così ampia ed ingombrante da rendere impossibile
la libertà e l'eleganza dei mo-
vimenti.
La signora Amelia Bloo-
mer, madre del Bloomcr co-
stume . era una signora di
grande intelligenza e di ele-
vata posizione sociale. Al tem-
po in cui cominciò la sua
crociata, ella era direttrice di
un giornale di propaganda per
la temperanza, intitolato: //
Giglio, e le colonne di questo
giornale furono ottimo stru-
mento di propaganda per la
progettata riforma del co-
stume.
L'idea di adottare un abbi-
gliamento igienico fu sugge-
rita alla signora Bloomer dal
direttore di un giornale av-
verso, il quale, in un articolo
in cui biasimava le idee a-
vanzate della signora Bloomer
sui diritti della donna, le con-
sigliò ironicamente di pro-
pugnare l' adozione dei cal-
zoncini alla turca e delle sot-
tane corte. La direttrice del
Giglio, donna dotata di molto
spirito, e solita a mettere in ri
dicolo i suoi avversari quando
l'occasione si presentava, col-
se l'opportunità per divertirsi
alle spalle del suo rivale, e
scrisse un bell'articolo di fon-
do, ove, fingendo di prendere
sul serio ciò che l'altro aveva
detto ironicamente, esprimeva
il proprio stupore per l'atteg-
giamento preso da quell'inve-
terato antifemminista, e ad o-
gni modo si dichiarava lieta della conversione, ag-
giungendo che da allora in poi i due giornali sa-
rebbero stati ottimi amici. Ammetteva per altro che
il direttore del giornale avversario le aveva addi-
rittura « tolto il fiato » con la sua proposta, che an-
dava molto più in là delle idee più avanzate espres-
se sino allora dai più accaniti sostenitori dei di-
ritti della donna. L'avversario, impermalito, biasi-
mò la leggerezza con cui la signora Bloomer aveva
trattato un soggetto di tanta importanza. E allora,
passando dallo scherzo alla riflessione, la signora
scrisse un articolo a sostegno dei calzoni e delle
sottane corte. Attacchi e difese, polemiche fierissi-
me empirono le colonne dei due giornali avversi,
sinché la « società » venne a conoscenza del movi-
Una delle rifor.matrici
mento iniziato, e prese parte per l'ima <> per
l'altro.
Durante qualche tempo la guerra si combattè
soltanto a penna ed inchiostro, ina finalmente una
donna coraggiosa, la signora Elisabetta Smith Mil-
ler, figlia di Cìarret Smith, adottò effettivamente
il costume in cui aveva accennato il giornalista an-
tifemminista: sottana che
giungeva appena al ginocchio,
e calzoni sino al malleolo. E
siccome questa signora Smith
era una delle più eleganti ,
una delle « stelle » della so-
cietà più chiusa, la cosa fece
chiasso. Ella comparve per
tutto col suo nuovo costume,
e lo portò durante tutto il
tempo che suo padre fu mem-
bro del Parlamento, sfidando
ohi molto coraggio e grande
rassegnazione i commenti del-
la stampa. La stessa signora
Bloomer comparve nel nuovo
costume in un ballo dato da
una signora conosciutissima
della città, e, come è facile
immaginare , fu la persona
più osservata durante tutta la
sera. La mattina seguente, en-
trando nella redazione del Gi-
glio, la signora Bloomer tro-
vò un monte di lettere sul suo
tavolino. Quasi tutte contene-
vano commenti e domande in-
torno al Bloomcr costume. Il
fatto , intanto . si risolse in
una grande « reclame » per il
Giglio, la cui tiratura, che era
prima di poche centinaia di
copie, salì a parecchie mi-
gliaia e quanto più si fece vi-
vo il movimento d'opposizio-
ne, tanto più, come sempre
succede, i promotori si inte-
starono a voler fare trion-
fare ad ogni costo la loro
idea.
I concetti della signora
Bloomer sul modo come dovrebbero andare ve-
stite le donne possono essere interessanti. Essi fu-
rono esposti chiaramente sulle colonne del Giglio.
Eccoli in sostanza:
« Noi dovremmo portare le sottane lunghe in
modo da arrivare a metà del polpaccio, tra il gi-
nocchio e il piede. Sotto questa sottana, un paio di
calzoni discretamente larghi, sino al malleolo, ove
ile crebbero essere fermati da un elastico. Per l'in-
verno, o per quando fa cattivo tempo, i calzoni do-
vrebbero essere ugualmente lunghi, ma finire in
basso entro una scarpa tre o quattro pollici più
alta del collo del piede. La scarpa dovrebbe essere
di panno, o di pelle o di altro materiale preferibil-
mente impermeabile; l'orlo superiore dovrebbe de-
II. 1(1
LA M l'I L'RA
clinare ali 'indietro . e il
ci Ilo di i\ n li i ■
e orna do il
gusto pere male ■.
to della si-
gnora Bloomer. i !i rli n hi
dichiararono
, i.i emim
. l medici si dichiarar
ili alla sua a-
■ donne forti»
del
cono
ma
la n
dannò senz'altro alla
impopolarità. I .a si
respinse in massima la
pr, | . Bicorni i. e
solo le i.m.ui. 'he portaro-
no il o '
di quei tempi... •
morte dell'inventrice.
rte in
oni dell'epoca rivela al-
cune combinazioni che ef-
i rano ridico-
Neppure alla più ori-
ginale ira Ir ragazze mo-
deme passerelilie pel capo
I i i riMO PASSO DELLA RIFORMA.
he un vestito a quel mo-
lo poti sse 1 1 istituire un a-
da sera i \
■ he i costumi « ai letici »
moderni son fatti di stof-
1 i sempl ce e pesante ;
primi Blo ■»:• i
.'unii* i rano fatti 'li si
di satin, ili stoffe ili fan-
.i riccamente ornate,
lab
E v'era poi
gnamentn ili scarpe di ca-
I retto, coi tacchi alti alla
francese, e le punte sottili,
mentre ora le scai ,
; esanti simili a qui
uomini. Tra la Blpo-
ojrl dei nostri giorni,
niella ili cinquantanni
or sono, v'ha poco somi-
glianza. E forse i calzi
ni per le donne, anche le
lonne atletiche, sono in
decadenza; si portano an-
■ora in bicicletta o quan-
:lo si tanno esercizi ginna-
stici che richiedi
fetta liW'rlà «li musi-oli,
ma in ogni modo differisco-
no assai dal ridicolo
'.lume inventato dalla si-
gnora Bloomer.
I.a € Bloomer <.iki ► del 1.195.
La ■ KM Kl RBOI Kl K GIRI - l'I -I. M OVO
Toilettes new stvle
I nuovi principi artistici e il nuovo stile hanno
invaso anche la toeletta femminile: però i docu-
menti di questa pacifica risoluzione non risalgono
che alla primavera del 1900, anno in cui venne or-
ganizzata in Germania una geniale esposizione dei
prodotti dei sarti e delle sartine. Essa ebbe luogo
a Crefeld ed ebbe l'onore di accogliere nelle sue
sale i capolavori dei più celebri artisti della moda
che vi esposero 40 soggetti interessantissimi, cioè
24 toelette e 16 modelli di dettaglio.
Di questa prima esposizione rimane un album
originale dal quale noi stralciamo le bellissime in-
cisioni che riproduciamo su questo argomento.
II tentativo felicemente riuscito invogliò poi gli
amatori e fece loro desiderare altre esposizioni del
genere. Non è da ieri, del resto, che uomini e signore
hanno tentato ribellarsi al falso indirizzo della
moda contemporanea: ma tale cieca opposizione
non produceva nulla di nuovo, ne inalberava nes-
suna bandiera di nuovi ideali artistici. Era quindi
logico e giusto che artisti intelligenti raccogliessero
questa nuova tendenza di reazione e creassero il
nuovo stile decorativo dell'abbigliamento.
Per la soluzione dei problemi annessi a questo
nuovo orientamento della moda si presentano tre
questioni:
I. — In casa, la signora deve dirigere le sue
cure a dar risalto alla propria individualità;
II. — In pubblico, essa deve accennare la pro-
ria individualità :
III. — Nella libertà di certe occasioni essa in-
Abito da strada.
/-a Lettura.
Abito da PASSEGGIO.
vece può come gli uomini adottare una specie di
toeletta libera e disinvolta.
Sopra tutti questi principi generali deve poi e-
mergere il grande aforisma che la bellezza dell'ac-
conciatura deve camminare di pari passo coll'i-
giene.
La riforma della moda è divenuta ormai gene-
rale e così abbiamo la riuova ni', la tedesca, francese,
inglese ed americana. Ma la prima, oltre il pregio
della spigliatezza, ha il grave inconveniente che non
da una parte sufficiente alla cura della bellezza. I
modelli presentati all'esposizione hanno poi in
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A B 1 TO DA RI C EV I M E N TO.
DALLE RIVls i !
qualche cosa come di ortodosso e di categorico: ma
certo col progresso dell'arte questo scomparirà. In-
tanto è già un grande vantaggio il fatto che la ri-
voluzione nell'abbigliamento ci ha liberato di quel
curioso strumento di supplizio che chiamiamo con
troppo eufemismo corsetto o busto.
La toeletta non è qualcosa di assoluto e catego-
rico, ma è piuttosto qualcosa di flessibile e deve
avere una giusta misura di adattamento alle varie
esigenze sociali. E' chiaro infatti che nell'intimità
della famiglia si respira un'altra atmosfera lien di-
versa da quella che spira nelle vie, nelle piazze u
agli spettacoli pubblici.
Gli uomini o meglio i loro sarti hanno da tempo
ci mpreso queste esigenze e queste differenze, e crea-
rono l'abito di casa e l'abito di società. E' dunque
giusto che anche nell'abbigliamento delle signore si
applichi tale principio razionale.
Le esposizioni di toelette femminili raggiunsero
I resto l'importanza e la genialità di esposizioni ar-
tistiche e rapidamente altre ne sorsero a Lipsia, a
Eerlino e altrove. E l'interesse del pubblico vi creb-
be intorno e le alimentò e gran numero di signore
e di artisti andarono ad attingervi i principi di un
sano gusto d'arte e di comodità.
Certo, l'arte tedesca ha in questo ramo un grado
di inferiorità non abbastanza lamentato, posta in
e. infranto coll'eleganza delle grandi sartorie di Pa-
rigi. Ma quale il motivo di tale inferiorità ? Le da-
me tedesche, anche quando hanno squisito sentimen-
to artistico e sano gusto d'estetica, quando si tratta
della confezione di un abito ricorrono troppo spesso
alle sarte di secondo o terz 'ordine.
La massima cura e difficoltà nella confezione di
una toeletta sta nel taglio e vi hanno grandi case
di confezione che impiegano giornate intere in que-
sta parte difficilissima e pur tanto trascurata della
moda.
Però il taglio delle sartorie tedesche, inglesi ed
americane ha un grande vantaggio sulle sartorie
fiancesi, il vantaggio di riposare su principi pra-
tici e razionali. Vi sono, infatti, dei figurini di Pa-
rigi troppo eccentrici, unicamente decorativi, troppi
bottoni che non verranno mai abbottonati, legacci de-
stinati a non legarsi mai. cappucci impossibili a
sollevarsi sulla testa, corsetti che non potranno mai
serrarsi, nastri, ciondoli, frangie e decorazioni trop-
po oziose.
E tutto ciò esige poi un proporzionato arsenale
'li cravatte, di fiori di seta e di raso, di sostegni
in celluloide, di coralli, di madreperle e ciò che
non è certo più dignitoso un corrispondente cor-
redo di busti falsi, di false sottane, di false ta-
sche, di false cinte, insomma un'immensa costru-
zione di falsi.
Bisogna poi notare che le stoffe hanno una bel-
lezza assai relativa che ad esse deriva più dalla loro
disposizione che dalla loro materia prima. Cosi uno
stesso colore potè seni re a uno scombiccheratore e
a un Raffaello, uno stesso blocco di marmo a un
figurinaio e a un Michelangelo. Così è delle stoffe ;
esse acquistano grazia e bellezza dalla sapiente ar-
monia col disegno e colla linea delle persone.
( 'i me tutti vedono, immenso è il campo riserbai
all'arte moderna nelle toelette femminili: essa
vrà fugare tutti i pregiudizi, tutte le parti inutili o
Abito da società.
nocive, e trovare il segreto della bellezza nella seni
plicità e nella sapienza della linea, nella praticità e
nella comodità. Sotto questo aspetto, la rivoluzione
della toeletta ha dinanzi a sé l'avvenire.
(Dalla Deutsche Kunsl und Decoralion, fase, di maggio).
Le statistiche dell' ufficio meteorologico degli
Stati Uniti d'America sugli accidenti causati dal
fulmine alle persone, coprono un periodo di i [
anni e sono perciò molto importanti. Le zone dei
temporali, come accade dappertutto, sono diverse e
fisse, la frequenza maggiore è nell'estate. Nel 1900
furono uccise dal fulmine 713 persone; di queste
291 erano all'aperto, 158 nelle case e 57 sotto gli
alberi. I feriti nello stesso anno furono più nume-
rosi nelle case (327) che all'aperto (243). La media
dei morti per fulminazione nell'undicennio è di 377
morti.
E' noto che oggidì si è in grado di salvare la
vita ai fulminati anche quando si potrebbe sup-
porre che essi fossero già morti. La sospensione dei
battiti cardiaci può essere effetto di una azione ini-
bitrice che si può togliere prima che sopravvenga
la morte.
Nuove porcellane nordiche
porcellana hann
l 'al i s ; s . anno in cui compar-
la prima volta nell'esposiz • eli Parigi, al
i in aii ricomparvero nuovamente, quale im-
immino di perfezione e di i!:-!;' atezza di iii-
I migliori e più celebrati prodotti
9 no |" rò si m] re le ripn duzioni .li animali.
tuirono sempre una specialità delle dii
e che arrivarono a tale pi rfi zione da permi
fondita di un famoso canguro in porcellana. G
animali furono sempre oggetti decorativi e spi
to e il tema ili famosi lavori d"a
Porcellana di Christ. Thohsen.
Pr incipetsa m ih i \.
DALLE RIVISTE
66 J
così nella letteratura li cantarono specialmente il
Kipling e il Maeterlinck, nella pittura li celebrò
Liljefors e nella plastica Gaul. Non si può dunque
dire che nell'arte danese gli animali siano un
getto nuovo, come del resto non lo erano nell'arte
gieca e nel periodo meraviglioso del Rinascimenti
Le preferenze migliori sono però sempre riservate,
come del resto è giusto, e quelli domestici, compagni
e buoni amici dell'uomo nelle varie vicende della
vita.
Le nuove tendenze preraffaellistiche ci hanno dato
lina figurazione così misticamente perfetta che an-
che gli animali sembrano avere un'anima. Ma spes-
so gli animali sono rappresentati sotto l'aspetto del
più felice umorismo, come nei classici studi del
Kipling nella sua esposizione della vita degli ele-
fanti.
Le grandi manifatture danesi di porcellana ne
sono una prova : se la Francia è famosa per le ve-
trerie, la piccola Danimarca ha trinato nell'indu-
stria della porcellana e specialmente nelle riprodu-
zioni ili figurine di animali una sorgente industriale
ricca e invidiata. Specialmente la capitale, Cope-
nhagen, emerge nell'arte gentile e lucrosa e le sue
fabbriche hanno filiali e propaggini anche nella
vicina Svezia e nei grandi centri germanici. Anzi
Copenhagen può dirsi il più vasto e colossale ser-
raglio d'animali... in ceramica. Tutte le varie e nu-
merose difficoltà tecniche nella confezione degli ele-
ganti giocattoli furono superate con genio d'art i-t a
Porcellana di Christ. Thomsen.
Porcellana di C. F. Lusberg.
LA LETTIR.V
i-I.ANA in Crist. Thomsen.
ed e soprattutto me: sa la vita die brilla e
quasi palpita negli occhi lucidi e profondi degli a-
nimali figurati. Insomma, non è solamente la forma
del modello che viene copiata, non è scio
la linea lunga del dorso o la linea ardita di una
bel1'' l"ina che viene fissata nella porcellana,
ma è insieme il muscolo e la vita che pare incorpo-
ata nella fredda e durissima porcellana. Tutti co-
rno Ita tecniche che questo materiale
offre alla lavorazione e non occorre essere stati ope-
rai nelle I nhagen per sapere
ualunque riuscirà molto più facilmente
Hata nel metallo, che non la-
vorata nella difficile porcellana. Il vetro, mi
fuso perfettamente, ridotto a un liquid
volissimo, oppure stirato in fili capillai
sibili, entra in tutti eli stampi più delical
si i>ie,i;a in tutte le forme; così il metallo ,■
sempre correggibile ella lima o collo scalp
così la porcellana che presenta sempre in
che cosa di duro e di intrattabile. Eppure anche
questo materiale ribelle alle forme plastiche e I
suose della scoltura, l'arte danese ha i
e capolavori invidiati.
Dalla Deulscìie Kunsl und Detoralion, fase, di magi
Porcei ì.\-. v di C. I". LOS
Canti d'amore giapponesi
I Giapponesi erano sin poco tempo fa piuttosto
restii ad introdurre l'argomento dell'amore in let-
teratura. A quella razza sensibile e naturalmente
delicata, le manifestazioni più grossolane dell'amore
sembravano troppo brutali, e le manifestazioni spi-
rituali troppo sacre, per essere trattate dalla poe-
sia. Un tempo v'era maggior libertà, ma l'influenza
cinese raffinatrice e formalizzatrice e l'azione delle
teorie confuciane esaltanti il dovere alle spese della
passione, misero le pastoie alla poesia.
II buon gusto fu la prima e l'ultima considera-
zione. Un poeta si pensò che non dovesse descri-
vere ne spiegare mai : egli cercava la via più de-
licata di rappresentare una scena, di suscitare una
emozione ; e spesso si giunse ad una delicatezza
tale che per un occidentale la poesia, senza un com-
mento, riuscirebbe incomprensibile. Erro, per e-
sempio, un ìiaikai della poetessa O Chiyo. L'haikai
è forse il più breve componimento poetico che si
conosca, perchè si compone di diciassette sillabe sole:
A saga a ni
Tsurebe iorarete
Moiaì mìdzu.
Geisha che suona ii. liuto.
I.M|
\ LETTURA
I \ \ POE fESSA GIAPPONI SE.
"Villo
la secchia
I tono acqua.
11 che significa che O Chiyi aveva trovato la
corda della secchia del pozzo avvinta dal eonvol-
vulo, e preferiva chieder acqua ad un vicino, piut-
tosto che i grazioso.
Il più antico e il più classico «lei metri è la
tanka o stanza di l sillabe. Il nuovo anno è
sempre festeggiato con un di tuiikc. L'im-
peratore sceglie e- ogni poeta, dalla
fami penale in giù. compone un'ode lillipu-
ziana. Eccone una :
Fuji no ha »a
Saturi ni nat
Kono uka un
àfatsu koso hr
.lf< ni takarik
l.a (ristarla
ncio venuta in I
Sul fianco dilla colini
li occhi di tutti
•1. irniente alto.
Ma l'ami ■>mpletament<-
•ernt tira, si rifa nelle - j ..po-
lari. Per tutte le isole del Giappone, nelle campa-
nelle fabbriche, nelle scuole, corrono di lal>-
bro in labbro migliaia di canzoni anonime, che 0-
gnuno sa a memoria. Nel Dodoitsu Go-scn-dai. rac-
colta di cinquemila canzoni popolari, una su cin-
que, si può dire, illustra il proverbio giapponese:
« L'amore produce le canzoni, come la povertà
produce i ladri ». L'autore, quasi a compensare la
ella sua depn s crive appunto
dal punto di vista della donna, rappresentando
una efficacia pur priva d'arte e non ricen
le sue gioie, le sue tristezze, i suoi dolori. Alami
dei più bei canti furono scritti molto tempo la.
ma ogni generazione [xirta il suo contributo a quella
popolare, che la gente colta dispn
ma che pur contiene cose di assai maggior valore
che le tiinkc e le haikai.
V'ha una frase che ricorre spessissimo: la
n Via dell'amore ».
l 'all'epoca degli Dei
Due Immutate:
Il fluir delle acque
Via dell'amore,
v'è nulla che salvi sulla «Via dell'amore»]
DALLE RIVISTE
I >Ò5
l'uomo più colto è inenne come l'ignorante, e nulla
può soccorrere.
In un modo o nell'altro
Il più colto studioso
Muove ciecamente abbacinato per
La Via dell'amore.
Nemmeno lo splendore
Delle lampade elettriche
Può gettar luce su
La Via dell'amore.
0 Maru Shan, presa d'amore, mette in versi le
sue sofferenze, e noi possiamo seguire i suoi passi
per la o Via dell'amore » leggendo i suoi brevi cari
ti. Appena l'amore si desta in lei, ella si sente con-
dannata al segreto e alla vergogna. Non osa dap-
prima confessare a sé stessa, e tanto meno all'a-
mato, ciò che è accaduto, e a nessun patto vorrebbe
che il mondo lo sapesse. Ma tutti i suoi sforzi per
nascondere la passione non valgono ad eludere la
curiosità delle persone sperimentate. Invano ella
si duole:
Non dico ad alcuno
L'angoscia del mio petto;
Perchè soffro?
Di chi è la colpa?
II.
Le parole : « Vi amo »
Sembrano cos'i piccola cosa.
Perchè questa frase
È cosi difficile a dire?
III.
La gioia del mio petto
Non si può nascondere:
Sebbene io cerchi il silenzio,
Ciascuno sa.
IV.
Sebbene io torca lo sguardo
Finga di non vederlo,
Pure il mondo intero
Sa benissimo.
Può darsi che i genitori disapprovino la scelta
della loro figlia e il colpo datole dal fato, e che la
madre la rimproveri ; la fanciulla obbedirà in si-
lenzio, ma noi sappiamo che cosa dica il suo ruote:
Mentre voi mi rimproverate
Il mio dito traccia
Sulla tela
Il nome dell'amato.
Signora che suona il Hvakuninishu.
!>()()
LA LETTI RA
N.ni possono i rimprovi ri
■ih richiamare a s< ra
Il iole i ai i
il rimprovero, O Munì S.m pensa al
■ iitno incontro coll'amata
i.
il mio amante,
Il melmoso campo di riso
Si miiT.i dolce oojne nettare,
Bevanda divina,
II.
Noncurante della nave,
i igni notte ti cerco.
L'ami
Accumulato nel mio cuore.
III.
io l'ho veduto,
Die ni sembrano un miglio;
ii : ho veduto,
Un miglio sembra dieci.
IV.
Quando non ci incontriamo,
Affanno su affanno;
Quando ci incontriamo, la separazione
E anche- pena.
Il tema del dolore ricorre spesso; le innamorate
giapponesi devono piangere molto, anzi, piuttosto
che le innamorate, le donne in generale, tanto che
il direttori- di un teatro di Tokio ha fatto annel
tere alla sala delle rappresentazioni una stanza ove
le sue clienti possono piangere in pace. Dice una
poetes-.i :
Sebbene bagnate ili pianto.
Le mie maniche asciugano presto.
Ma le lacrime che sparge il mio cuore
Non sono mai asciugate.
Tutte le frasi che io vorrei dire
Si dissolvono quando lo vedo;
In un modo o nell'altro,
Vengono prima le lagrime.
Ma ogni nota dell'amore è cantata nelle anoni-
me canzoni popolari giapponesi con una sincerità
che disarmerebbe ogni (-ritira. Che rosa si può im-
maginare di più spontaneo di questo canto:
I.
Più otra della cortesia
l'i coloro che non amo,
I la tua scori'
' > amato, per me.
IL
de la mattina;
chi il tuo cuore non
re a me?
III.
Dormendo non posso
Dimenticare i miei all'anni :
La falsità del mio amalo
Empie ogni mio sogno.
IV.
( oTiie la vite sposa l'edera,
Io mi ,iv\ in. crei a lui;
Ma se l'uomo non vuole.
Che volete fare?
Molto meno efficaci ma più curiosi sono i
menti ai trovati occidentali importati in Oriente.
1 lice una ran/'
li mio cuore ardi fieramente,
fuoco alla macchina;
Il cuore di lui è un pallone
Libi '" nel i ielo.
E in un'altra canzone si trovano questi versi;
Il cuore del mio amante è
Come carta occidentale;
Forte in apparenza,
Si rompe facilmente.
Noi ci vediamo, ina non possiamo
Parlarci in
Dentro e fuori
Delle finestre di vetro.
Negli ultimi ventanni, per altro, la pcesia giap-
ponese si è modificata assai, sia pel contenuto
per la forma. L'amore è entrato vestito alleili
nel palazzo della letteratura, mentre per le strade
si continuano a cantare le dodoitsu. Ai primi bre-
vissimi componimenti di pi «'he sillabe, si sono so»
slittini nitri più complessi e più lunghi, com]
spesso di tre stanze non rimate. Eccone uno che ha
avuto molto successo:
I.
A sera, guardando giù sulla terra,
Le stelle fecero domanda e dissero; « O voi fiori.
Se gli affanni vi tormentano con la loro pioggia crudele ,
Qua, ove la gioia eterna non vien mal meno,
Non salirete accanto a noi nel cielo? »
IL
Sollevando i loro smorti volti al cielo,
I fiori fecero risposta e dissero: « O voi Stelle.
Che dite che la gioia eterna non vien mai meno.
Lassù nel cielo, non vi sono dunque lacrime? »
Al che le stelle risposero : « Non ve ne sono. »
III.
« Allora, se non vi sono lacrime, non ve amore! »
Risposero i fiori rifiutando e chinando il capo;
« Ad onta degli affanni della terra,
Sel.li. in lassù la gioia eterna non venga mai meno,
Che faremo in cielo noi senza amore? »
\l a anche < i mi ri i quesi i pn * ■ rari, pensi
l'autore dell articolo, i dodoitsu continueranno i
suss i he hanno quella semplicità suprema
■ in raramente l'arte consapevole sa raggiungere
Da un articolo del signor Osman Edwards, ne\V Englith
Illustrateti Magatine .
Il tonno è un prodotto dei mari caldi in prossi-
mità dell'Equatore, ma nel mese di maggio esso co-
mincia ad emigrare verso il Mediterraneo in schiere
di migliaia e diecine di migliaia di individui. Quelli
che sfuggono ai macelli all'ingrosso che si com-
piono nelle pesche dei tonni, tornano colà di dove
vennero subito dopo il mese di giugno. Una varietà
più piccola del tonno ordinario è indigena del Me-
diterraneo , e rimane nascosta nella profondità
delle acque durante l'inverno, per venir poi fuori
durante l'estate.
Per questo pesce è necessaria un'acqua pura e
salubre ; la minima impurità lo fa deviare dalla
sua strada. Benché di grandi dimensioni, è oltre-
modo timido: un poco di sabbia gettata in mezzo
ad una schiera di tonni li spaventa e li volge in
Distano circa un miglio dalla riva. I compartimenti
seno profondi una trentina di metri e larghi e lun-
ghi una quarantina. L'ultimo, la « camera della
morte », è quella che raccoglie tutti i pesci, desti-
nati alla morte. Il capo della tonnara visita di fre-
quente le reti, per vedere se v'è pesce abbastanza
perchè convenga procedere all'uccisione ed alla rac-
colta. Quando gli pare che sia venuto il momento
buono, avverte il direttore, riferendogli non solo
sulla quantità dei tonni radunati nella rete, ma
anche sulla qualità, sulla grossezza, e via dicendo.
Decisa la « mattanza », ossia l'uccisione, il capo.
o rais, fa tutti i preparativi, e la mattina dopo, se
il tempo è favorevole, le barche coi pescatori (in
generale non meno di 120) circondano le reti. Le
barche partono cariche di arponi, lance ed altre
TELLI FORMASI
fuga precipitosa. E appunto questa loro naturale
timidezza è sfruttata dai pescatori, che, spaven-
tando il pesce con semplici artifizi, lo induce ad
entrare nelle tonnare, ove viene ucciso.
In Italia vi son molte tonnare; l'autore dell'ar-
ticolo del Windsor M agazine parla di quella del-
l'isola Piana, appartenente al marchese di Villa-
marina, figlio della dama d'onore della regina Mar-
gherita. Le fotografie della rivista inglese — al-
cune delle quali si veggono qui riprodotte — sono
dovute alla cortesia del marchese di Villamarina.
Le vasti reti che servono per la pesca d&l tonno
sono lunghe intorno ai quattrocento metri ; e for-
mano una specie di corridoio che termina in tanti
scompartimenti o camere, nelle quali il pesce è in-
capace di uscirne, a meno che il mare non sia tem-
pestoso, perchè ajlora le ondate possono rompere
le reti e lasciar liberi i pesci. Le reti sono tenute
in una posizione verticale, ancorate al fondo del
mare, e sono attaccate a galleggianti di sughero.
aimi, oltre ai viveri. I pescatori portano un vestito
leggerissimo, perchè la fatica della giornata è gra-
ve, e bisogna avere i movimenti ben liberi. Giunti
alle reti, contano nuovamente i pesci, e le barche
formano quadrato. Il rais, che sta su una barca
più piccola delle altre, si pone in mezzo, proprio
sepra la camera della morte, e di lì dirige le ope-
razioni. Prima però di cominciare il lavoro, tutti i
pescatori si levano il cappello e recitano preghiere
affinchè ogni cosa proceda bene. Si invocano diversi
santi, e particolarmente San Pietro, patrono dei
pescatori. « O Signore, dateci una buona pesca ».
dicono gli uni ; « Dio lo faccia ». rispondono gli
altri. Terminate le preci, il rais domanda se tutti
sono pronti, e, avuta risposta affermativa, dà or-
dine di cominciare. I pesci sono raccolti nell'ul-
tima camera e nella penultima ; bisogna anzitutto
mandarli tutti nell'ultima, rompendo le schiere dei
più restii, che si aggirano circolarmente nel penul-
timo compartimento. Ciò fatto, si chiude la camera
LA l
e di porta di
lultima r l'ultima caini i
inti ini. • a questa, e il
n ha principia II ra:, già i suoi
si, e sferzando l'acqua con le rode, e gettan-
dola add he ne sor tutti bagnati.
\l j ben presto, m'Ha violenza della lotta, i tonni
già, <• allora i pescatori guardano
La
uomini e ogni tanto getta su loro dell'acqua per il capo, in attesa del segnale del massacro. Il rais
rinfres 5p sso essi stessi la domandano: alza la mano e ila un fischio: l'uccisione comincia,
\ iua, acqua, rais! » E una canzone monotona Ognuno cerca di uccidere il maggior numero di pe-
na il lavoro. La rete intanto si sci che può ; spesso avvengono liti, perchè un tonno
Ogni no . eri \ ni uci idere i he i-i ...
rveglianza del rapo, il quale
avvenga in modo regolare,
:a -livelli che permetterebbero al pesce di sfug-
i tonni, di essere completamente cir-
forzi violenti per fuggire, dibat-
i ii ii ferito o .i.i due peri
che poi si disputano l'onore dell'uccisione. Ucci-
dendo il pesce, bisogna aver cura di non mutilarlo,
he -i deve consegnarlo intero a coloro che
hanno l'incarico di prepararlo. Allorché circa due
DALLE RIVISTE
terzi dei pesci radunati nella camera della morte
stati uccisi, si dà un segnale di sospensione,
e chi lo trasgredisce è multato. La ragione di que-
sto sta in ciò, che i pesci rimasti ancora vivi sono
d'ordinario più piccoli, e prima di precedere nella
669
le reti si abbassano di nuovo e i battelli carichi di
preda partono da quel luogo. -.1 di
sangue. Si contano esattamente i pesci uccisi, e poi
i pescatori si lavano nell'acqua del mare.
Quasi tutte le tonnare hanno annesso uno stabi-
NON BISOGNA MCTILARE I TONNI.
strage, è mestieri radunarli nell'ultima parte della
camera della morte, ove le maglie della rete sono
più fitte e le corde più grosse, per modo che anche
I'
limento ove il tonno viene preparato. Circa due-
cento persone stanno sulla riva aspettando la ve-
nuta delle barche, e portano via i pesci, il cui peso
»
-__ "~
Riparazione delle reti.
agli animali più piccoli riesce impossibile la fuga.
Quando si rida l'ordine della strage, si riprende il
lavoro che non viene lasciato se non quando non
resta più un solo pesce vivo nella rete. Dopo ciò
varia dalle 20 alle 200 libbre. Sventrati e puliti i
tenni, quella parte degli intestini che si può uti-
lizzare viene divisa tra i pescatori in proporzione
a! numero di vittime che ciascuno ha fatto. I pe-
'V'
LA LETI
entinaia e spesso a migliaia. Le teste
are . messe a bol-
li olio die si usa nella preparaz
< pelle l i orpi » no appesi pei la coda, perdi i
sino all'ultima gooda di sangue;
sopra tante tavole, Bono rapidamente ta
glia' e quindi messi a 1 hiI lire in granili cal-
uomini che fanno questi lavori sono que-
lli- durante l'inverno preparano i barili
in cui si pongono i tonni dopo sfreddati. Il tono
si guasta fadlmente se tutte le operazioni non ven-
gono latte con la massima cura, onde nella prepa-
razione non si impiegano se non lavoranti bene
sperimentati.
Chi non ha mai velluto una tonnara difficilmente
può tarsi un'idea della quantità <li lavoro e di s
sa che essa richiede. La « mattanza », benché duri
soltanto | i i he ore, lascia gli nomini così sfiniti, che
per parecchi giorni essi sono nell'impossibilità di
ire, tanto dolgono loro le memi ira.
(Da un articolo del Windsor ifagazine).
Nel centenario di
Augusto Comte
Insieme con quello di Victor Hugo, la Francia
celebra quest'anno il centenario di Augusto Comte
ed erige un monumento all'uomo che il Guizot giu-
dicava, nel 1832, autore del credo d'una 0 piccola
setta filosofica ». Mentre visse, il fondatore del po-
sitivismo non godette quel credito che ottenne dopo
morto; è vero però che questo credito fu dovuto
al suo discepolo, il Littré; il quale, togliendo dalla
dottrina del maestro tutto quel che vi era di metafi-
sico e mistico, ne assicurò la grande azione sul pen-
siero filosofico, scientifico e letterario della seconda
metà de! XIX secolo.
Il Comte disse che bisogna attenersi soltanto ai
fenomeni percepiti dai sensi ed alle loro leggi ;
egli non cercò di determinare le cause delle cose,
ma i loro rapporti ; non il perche, ma il come, che
rappresenta la realtà, il positivo della vita: di qui
il nome di positivismo. La scienza sperimentale fu
la base di questo suo sistema, e poiché nella scien-
za bisogna raggiungere l'armonia e l'unità, egli die-
de questa regola : « Tutte le conoscenze umane sono
e debbono esser sempre dominate da un piccolo
numero di scienze fondamentali le quali si conca-
tenano in modo da essere le parti di un tutto ».
Queste scienze, dovendo dipendere l'una dall'al-
tra , e dovendo andare dalla più generale alla
più particolare, e dalla meno alla più com-
plessa, furono da lui così raggruppate: I. la Ma-
tematica : II. la Fisica ; III. la Chimica; IV. la
Biologia; V. la Sociologia. N'iente è infatti più
; ilice «lei rapporti delle quantità, obbietto della
matematica ; e niente più individuale e complicato
dei fenomeni sodali. Xella Sociologia il Comte
distinse la statica o anatomia sociale, che riguarda
la teoria della sodetà e ne studia successivamente i
tre organi primordiali: individuo, famiglia e so-
cietà propriamente detta : e la dinamica sociale,
che ' di 1 progresso. Alla base del sistema
pone il sentimento della simpatia, o altruismo, na-
turale nell'uomo quanto l'egoismo, ed espresso pie-
namente nella famiglia. Lo Stato non 1 altro che
« una cooperazione di famiglie, tolto il potere mo-
deratore del governo ». Ma questo potere non è
solo temporale, è anche spirituale.
La dinamica sociale è governata, egli disse, dalla
legge dei tre slati; la quale vuole che ogni so-
cietà, come è dimostrato dalla storia, passi per tre
stati successivi: il teologico, il metafisico e da ul-
timo lo srientiii -o o positivo. Il movimento rivo-
luzionario compitosi ultimamente nella società no-
stra con la distruzione del passato , ha preparato
l'èra positiva ; ma, per non essere stato infrenato
e guidato, ha prodetto anche l'anarchia, nella filo-
sofìa , nell'estetica , in politica e in sociologia. Si
sono ottenuti molti progressi materiali , ma l'indu-
strialismo e il macchinismo hanno peggiorato la
condizione sociale ed economica della classe o-
peraia.
Occorre che un' autorità spirituale aiuti il potere
temporale o politico a far trionfare la morale sulla
forza ed a instaurare il regno dell'altruismo. Nella
società positiva questo sentimento deve essere so-
stenuto da coloro che posseggono la scienza : essi
debbono formare una corporazione di dotti che
prenderà la direzione spirituale della società. Questa
sarà divisa in due classi : la classe speculativa (fi-
losofi, scienziati, artisti) e la classe pratica (e
mercianti, industriali, agricoltori). Il potere spiri-
tuale insegnerà la solidarietà ai cittadini : ai pro-
prietari, rammenterà che sono gli amministratori
della ricchezza, ai proletari che debbono proteg-
il capitale, strumento indispensabile al buon fun-
zionamento della sodetà. Politicamente, la società
positivista sarà plutocratica. Un patriziato di due-
cento persone concentrerà tutti i capitali, ammini-
strando a profitto di un proletariato di ottomila
individui. Con questa proporzione vi saranno que-
ste due sole riassi sociali ; la classe media spai
Le grandi nazioni saranno scisse in corporazioni di
due o tre milioni di membri. Ai patrizi di ogni par-
are repubblica, il sacerdozio, diretto dal Gran
Prete dell'Umanità, dovrà sottoporre i legittimi re-
clami dei proletari.
Mei positivismo tutte le scienze finiscono nella
DALLE KIVIM I
ÒTI
sociologia, cioè nell'altruismo generalizzato. L'uo-
mo isolato è un' astrazione ; reale è soltanto 1 U-
manità. Gli affetti particolari portano all'amore
universale del genere umano: quello dei genitori
si estende agli antenati ; quello dei fratelli e dei vi-
cini a tutti i contemporanei ; quello dei figli alle
generazioni future. Così si comprende in un solo
amore l'Essere immenso, collettivo, che abbraccia
tutti gli altri, il Grande Essere di cui noi siamo le
parti viventi. L 'Umanità è quindi il centro unico,
reale e positivo, al quale il Comte eresse il tempio
della Religione dell'umanità. Egli diede a questa
parola, religione, il senso del latino religare, colle-
gare, unire, perchè nella sua Religione dell'uma-
nità tutti gli esseri e tutte le scienze umane forma-
vano un fascio ed un tutto.
Fino al 1845, tale concezione restò in modo am-
biguo nella mente del Comte; in quell'anno egli
fissò i dogmi e la liturgia del suo culto. La psichia-
tria ha studiato lo stato mentale del filosofo, i par-
ticolari della sua vita, il suo matrimonio, l'adora-
zione platonica che egli portò alla signora De Vaux.
l'eclissi temporanea della sua ragione, per conclu-
dere che egli non era molto sano di mente. Ad ogni
modo, ecco i particolari della religione da lui fon-
data. Vi si distingue il culto personale, o adora-
zione delle migliori creature, degli angeli custodi.
La donna ha fra questi il suo posto, perchè è il
tipo più puro dell'umanità, come madre, sposa e
figlia. Gli angeli custodi scelti dal Comte furono
sua madre, la signora Clotilde De Vaux, e la si-
gnorina Sofia Thomas, sua figlia adottiva e cuoca
o portinaia — secondo hanno detto alcuni biografi.
— La De Vaux, particolarmente, fu assunta alla
dignità di Vergine Madre, di Dea. Dal culto perso-
nale si passa, nella confessione comtiana. a quello
pubblico ; il quale comprende le nove tappe della
incorporazione nell'umanità; cioè: presentazione,
battesimo, iniziazione (14 anni), ammissione (21
anno), destinazione (28 anni), matrimonio, matu-
rità (42 anni), trasformazione (morte e incorpora-
zione nel Grande Essere (7 anni dopo la morte). E
il culto dell'Umanità è celebrato nel tempio del-
l'Umanità, dinanzi alla figura simbolica di que-
st'ultima, rappresentata da una donna di 30 anni
che tiene un bambino fra le braccia. Parigi è il
centro del culto ; il tempio dev'esser posto « in mez-
zi i alle tombe degli uomini migliori ». Speciali cap-
pelle sono erette agli uomini e alle donne eminenti,
i cui nomi sono registrati nel Calendario positi-
vista.
Augusto Comte morì nel 1857. senza aver nomi-
nato il suo successore ; ma i discepoli elessero Pie-
tro Laffitte. il quale continuò l'apostolato del mae-
stro nella Rivista occidentale, organo ufficiale del
positivismo. Oggi il positivismo ortodosso è quasi
scomparso dalla Francia e i suoi sacramenti non
sono più amministrati. Vi sono alcuni gruppi spar-
si in Inghilterra e in Isvezia ; una vera Chiesa po-
sitiva prospera nella sua forma genuina a Rio
Janeiro, dove il tempio dell'Umanità fu inaugurato
il 15 agosto i8()r.
(Da un articolo di Gustavo Lejal, nella Reznie Univer-
selle, del 15 maggio).
I Russi in Asia.
Anticamente le grandi invasioni dei popoli av-
venivano dall'Oriente verso l'Occidente; l'espan-
sione russa in Asia è prova di un radicale muta-
mento di direzione. Se la prima civiltà europea
nacque in Asia, ora i Russi la portano nei paesi
dai quali provenne, occupando tutta la parte set-
tentrionale del continente asiatico, dall'ovest all'est.
Questa invasione si è operata per le vie terre-
stri : pacifica o cruenta, è stata una marcia in a-
"'anti, e la Russia non ha fatto che prolungarsi
erso Oriente mantenendo la compattezza del suo
f--ritorio. La Siberia, dagli Urali alle rive del-
•ano. è stata ottenuta mediante un'espansione
rale e pacifica, benché operata principalmente
rr mezzo delle colonie militari dei Cosacchi, che
.rasformarono in coltivatori e attirarono i Russi
I >priamente. centomila dei quali, ogni anno, emi-
liano in quelle regioni.
Nello stesso tempo che verso Oriente, l'espan-
one avveniva verso il sud: oltrepassato la bar-
lera del Caucaso, gli Slavi hanno toccata l'Asia
Minore e la Persia ; dall'altro lato del Caspio, so-
no penetrati nel cuore dell'antichissimo continente,
fino alle frontiere dell'Afghanistan e del Pamir:
questa marcia non fu pacifica, incontrò anzi la re-
sistenza di popolazioni guerresche e produsse la ri-
valità con gl'Inglesi, coi possedimenti dei quali i
Russi si trovarono quasi confinanti.
Finalmente, giunti al mare libero in faccia al
Giappone, essi hanno cercato di penetrare in Cina,
e di dare, attraverso la Manciuria, uno sbocco più
favorevole alla ferrovia Transiberiana.
La costruzione di questa linea colossale fu pre-
ceduta da quella Transcaspiana. la quale fu ini-
ziata nel 1880, giunse a Merv nel 1886 e a Samar-
canda nel 1888, attraverso 1470 chilometri di de-
serti e di sabbie. Da Merv si stacca un tronco che,
dopo 280 chilometri verso sud, arriva al posto di
Kuchk, sulla frontiera afghana ; questo tronco, o
per meglio dire questa linea strategica, terminata
nel 1898, è destinata ad esser prolungata fino ad
Herat, se gl'Inglesi non vi vedranno una minaccia
per le Indie. Nel 1895 s'iniziò il prolungamento
da Samarcanda ad Andigian, con un tronco fino a
Kavas: dalla parte del mar Caspio, la testa della
linea divenne il porto di Krasnovodsk. Ma il Tur-
672 LA II l'I l 1- \
1 una via
rata .ili. 1 ottenere questo risiili
iniziati i lavori d'una linea che unirà
la Transiberiana alla Transcaspiana, ila Tachkeni
a Orenburgo, e quindi il Turkestan a M
Occupato il Turkestan, stabilii., il pi. ...
sul Khanato .li Bukara o 1 trattati .lei 1808 e 18-3,
i Russi si trovarono alle front entrìonali
dell'Afghanistan; ogni marcia in avanti, ila questo
punt". sarebb di mi conflitto con gli
Inglesi, questi, anzi, non contenti 'li mantenere la
li. ri. influenza sugli Afghani, tentarono, permeglio
stare gli Slavi, 'li occupare il territorio dell'Ai
ghanistan: vi furoi diali, ma l'alleanza
con l'Inghilterra ao dall'Emiro Abdurrhaxnan
nel 1880. e l'accordo sulla delimitazione 'Ielle frem-
itami" tuli... almeno per un certo tempo, ogni
motivo d'inquietudine ila questo lai".
1 Russi si rifecero verso il Pamir, e avervi occu
pai., il Fergana, cercarono ili rivendicare i diritti
che cjuesto Stato vantava sulla regione ilei Pamir;
nel 1889 il capitano Grombecevsky, giù | er il ba-
cino dell'Indus, cercò .li penetrare nel Cascmir ; ma
Afghani ed Inglesi I .strinsero a retrocedere. Più
tarili, dal 1801 al 1893. il colonnello Jonov fece
delle marce in avanti verso il Pamir; la resisi.
degli Afghani fu vinta il 12 giugno 1892 a Soma-
tach. e l'anno (lupo, a 3700 metri di altezza sul li-
vello del mare, i Russi fondavano un posto mili-
tare in pieno Pamir; nel 1894. Jonov disfaceva
una seconda volta a Roch-Kala gli Afghani, i quali,
invece dell'aiuto chiesto all'Inghilterra, ottennero il
consigli" di c'includere un amichevole componimen-
to. Gl'Inglesi si erano già premuniti, occupando il
Kungiut, l'Vassine e sostenendo una lotta acca-
nita per serbare la loro autorità nel Citral. via di
^so naturale della pianura indiana.
A questo punto, che fu il più critico nelle rela-
zioni anglo-russe, intervenne l'accordo firmato a
Londra l'il maggi" 1895, col quale la quistione
del Pamir fu regolata: la maggior parie di qui
ne fu lasciala ai Russi, cioè il Rnscian. il
_rnan e una parte dell'Uakhan ; il resto di que-
st'ultimo principato fu dichiarato neutrale e p sto
la sovranità dell'Afghanistan, cioè dell'Inghil-
terra
Al sud del Caucaso, i Russi ottennero, nel 1899.
dalla Turchia, la costruzione della ferrovia 'li
caucasica; nel 1900 ah : di stradi 1.1
furono ottenute dai capitalisti russi nel nord
e nel centro dell'Asia minore. Altrettanto è awe
mito in Persia, col moro poi coro >so dall'. Si
della ferrovia Transpersiana, i cui laviti soni
ci 'min
Ma |'( pp I li Russi in \,i.i
è la ferrovia l • berian il 17 mar/"
V indro III e finita in pi
più di .liei anni. Nessuna linea può rivalegg
in da Pietroburgo a Vladivostok i- lunga
IO.500 clnl. ini In. .In quali 7543 apparlriiL
alla reie 1 1 ina propriamente 1 a fu
Beo ini" a ( tmsk nel 1895. a Krasn-
ni 1 [897, a Irkutsk nel 1808. 11 lago Baj-
kal si traversa erry boats, sui quali si ci
cario gl'ini ogli, mentre si aspetta la mstru-
zione d'una linea litoranea. Ma la Transiberiana
doveva ancora fare un ro 1 ppo King", ad 1
il quale bisognava attraversare il territorio ra-
nella Manciuria. N'el 1805. alla fine della
gui ni con la ("ma. il ( '. lo enuto, sul
n.ni inente asiai io ■. la penisi ila di Lia I ung. N:on
potendo ammettere che i Giapponesi ponessero
sulla terraferma, i Russi li persuasero o li
costrinsero a rinunziarvi. mediante un aumento del-
l'indennità di guerra: la Cina pagò questi, servi-
zio resole dalla Russia pernii iten.li>!'- che la Transi-
beriana traversasse la Manciuria e che. d'inverno,
le navi russe entrassero in Pori Arthur. Il tr.
transmanciuriano della Transiberiana fu finito di
costruire nel 1901 dalla Società delle ferrovie ci-
nesi dell'Est. E, min contenta del permesso di far
svernare le sue navi a Port Arthur, la Russia, dopo
che i Tedeschi, ebbero occupai" Kiao-Ciao, ottenne
l'affitto dei territori di l'nrt Arthur e Ta-lien-uan
pei 25 anni, prolungabili di comune accordo.
Anche gl'Inglesi avevano ottenuto la concessione
d'una linea costiera in Manciuria. da Xiu-Ciuang
a Scian-Hai-Kuan ; i Russi protestarono; ma in-
tervenne un accordo per effetto .lei quale l'Inghil-
terra ebbe mano libera nella valle dellYang-tse. e
la Russia nei paesi posti al nord della Gran Mu-
raglia, oltre al diritto riserbato ai cittadini russi
di costruire ferrovie che. partendo dalla linea prin-
cipale della Manciuria. si dirigessero verso il sud-
ovest. Cosi nel 1899 i Russi ottennero di allacciare
la Transmanciuriana a Pekino; e quindi si i
iato il piano grandioso di coli' n la città
capitale degli Zar. la capitale del ('eleste Impi
I.a rivolti. li.. vis diede nuovo pretesto ai
Russi di invadere la Manciuria : ni l mese di no-
vembre 1900 questa fu, con una speciale conven-
iuta .'. me provili. ' 1 i" . ma ai
Russi vi fu concessa una situazione pi ante
I .'8 aprile ultimo essi si sono impegnati a ritirare
le loro truppe, ma hanno ottenuto, con I
ne, tutti !'■ garanzie pei" la protezione dei
nti ii si e contro ogni influenza di altre poten-
ze rivali. Se la Manciuria non è russa politicamen-
te, ap] economicamente e moralmente all'Im-
peri ih - vita.
(Da un articolo di Gustavo Regelspergcr, mila A'.
Univer selle, del 15 maggio .
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ADDIO, NIKOLAL
Romanzo di GUY BOOTHBY
autore de] Dottor Nikola, della Verga della Sapienza, ecc.
{Continuazione, vedi numero precedente).
I ruarda una donna nativa ili qui
ascendente di 1 t ami i ina-
i i aveva sposato un uomo « 1 1 parecchi
i i va Uopo
i atro anni ili matrimonio egli mori, I i
., comba battaglie di
inni appena, un ma chi
e. In quel tempo giuns
Venezia un uomo, uno spagnuolo, attraente come
Altrettanta ci udele I '"i"' qu uche
ni intendere alla donna di es-
lel . ella gli credette e lo corri-
nell'affetto, ed a tempi i debiti si spo a i
Un mi venne nominato < lovernatoi e di
i , pagnuoli u ■ costa amerii ana,
ui aspirava da un pezzo. Egli partì solo
iso; sua moglie ed il bambino lo
poi raggiunto quando tutto fosse
dine i dopo parecchio tempo giunsero
nell'isola, ed andar ad abitare non nel palaz-
i s'immaginava, ma nella citta,
uè il Governati re ti me\ a, o fingeva di te-
fin dappi incipio 11
suo matrimonio, la sua presenza compromettesse
la sua posizione. Ella, che lo amava, si accori
i l'unico suo pensiero era di rei
pio egli si mostrava pii
iota di averla di nuovo con se. ma poco a
ella capi Che suo inarilo era stanco ili lei, e
che egli si tra invaghito e innamorato di
donna I utto il suo sangue ardente -• 1 1
sebbeui come già aicem
e 'li una delle più antii be famiglie
.li \ enezia. E quand i, mdolo, Invoca
suoi «ili itti di i bi italità di una
ella non fosse sua
aveva già un altra vivente
l'aveva sposata.
Ella i" abb mgere pan
ndò via a i sua onta. 1 iop
i portò a i'-
i indo il t»8 'li Cinque anni, solo,
I un aline. . un protetto] e. T I tOl tuna,
. ebbero corn-
ili lui. e dopo qualche temp ro di
un loro QgliUOtD. 11
ii un uomo d'una grande
trina, ed ave*, i dedica
to tutta li BU8 vita nel
faticoso studio delle
I i
- i ai; BOdd
fu <H educare il bimbo
.i in in età di ca
'
mai «li Insegnar!
il impai ari Era
uno scambievole ai
allo stilili^ Si tti anni
i ntrambi i
fattori del ragazze)
■ •
o, la-
ai mondo Ma egli non
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito I
'.eccesso crucciti
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
nato di i imam rvi a Unico II in
I I ireiil i il adozione, parli
re delle pietose condizioni del
lontano dal supporre a quali cose amias-i
Il i.. ■ cercava un compagni
suo figliuolo, un giovanetto 'li due anni magg
a lui . l'oi fani \ i-Ulva proprio a pi
\ enne dunque mai palazzo 'I
Io, e qui cominciò il periodo più disgraziato d
sua vita. La sua grande somiglianza con
dre ;olpl subito il Governatore, il quale c<
per cui lo odiò fin dal pruno gioì
' ome -"1" sano liare Coloro < be -"ti
delle loro cattive azioni. Il ragazzetto imn avi
o ili difendersi . tutto ciò i b'egli poteva :
era di detestare il suo oppressore con tutta la for-
za della sua Mera natura, e ili
in cui gli fosse dato 'li vendicarsi. Il lìoverni
adorava quei su- unico figlio; ag i occhi suoi
si 'ultimo era incapace di fare del male.
veva mai nessun torto, per cui ad ogni sua i
canza veniva punito 11 Compagno in vece -ii. i All'i
menoma giustificazione egli veniva s|e
battuto come uno schiavo. Il figlio del ti
in. conoscendo il suo potere e l'eccessi-.
l)i I ita. del compagno, metteva ogni sua sodd
. .1 in ventare DUOve crudeltà, sarelilie im-
possibile descrivere tutto quanto av\ yuan-
dò nessun altro mezzo valeva per eccitarlo alla
collera, egli per metterlo in furia si m
sparlare ed insultare sua madre la Cui Storia
era stata raccontata dalle persone 'li servizio. :
\ i ilta, finalmente, in un parossismo din
gì insulti del compagno, alleno un colteli
vento mentatore coll'intenzione di fini
Egli fallì nel suo Intento, e venne portato da\
al i lovernatore eolia schi a alla bocca \ i ri-
spariniei'ii il i,ii conto di
Vi basti ilue che a i Ite. il soli
crrdo mi cagiona, ma perchè dilungarmi in
;l i orrori "
'rutto questo ch'io vi rai ci mb i • i
anni fa. ma il ricordo è netto e preciso, ed i
sidei io della \ endetta è vi
cesso ieri i io che più conta gli è che tutti
e nel modo che il ragazzo l'aveva spera;
fetizzato
NikOla taeqin pei un in n
una. sedia Non l'avevo visto mai cosi turi
iveva gli ntll-
eome due carboni accesi,
— ibe avvei ; di chiesi
dal uo racconti ivessi capito eh >■-
il i
— Fuggi da ci andò pel mondi
ven i ndò a ra i la donn
le à crudelmei
Aglio sali gli scalini della fama, ma la sua
delta è sempre uguale. Vi ricordate de
delia rivoluzione nella Repubblica di Equina
Vi i i-linai di HO COl capo.
— I e Repubblii he di i Pud \m-
questi piccoli di\ pi limi
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L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini; il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
ilisturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
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bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Calle
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un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
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fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti i droghieri che
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— i
:, i I quinata . la
ili ingiustizia i he
, città, di cui
i'i '
'i influenti vi
i e I indi n
egli <ii
p
hierarli davan
muro, in i mezza
'•■
I :
i na notte, - imbar-
o aspettava nel porto,
le più. P
ch'i :. ■ spedi
denai d cu
mondo, so doi e è ora i
imente il momento ili e il
1 i .' 'ii. ' i ni'' \ ni
Guai a lui, quando
giacché,
me nessun altro l" fu mai.
ii figura, nel profi
1 1 ibile . i! suo palli i e mortale, i
e brillanti . ed i suoi
mi fé ero un'impi
!.. mai.
— i mico il giorno in cui
dissi meco -■■
Improvvisati
era di nuovo il dolce, il m Nikola a
oui mi <-i ii i ' >mbra ili collera, di
ni fisonom
— Ani usa, — disse con
• li aven I annoiato colla mia lunga
Ni capisco pi
xchè fui tutto
pi eri • 'i ivevo bisogno 'i un con-
i;. MI è ver..
\. i intieri, — risposi. Se qui ria vi ri-
tutta la mia ivete sof-
ia ■. Pi
i • i cessò per un momento di passeggiare
della stanza, fissandomi con attenzione come
' e i miei pensieri.
diss dopo un po', una
l'.iii - 51, 1 ,.,.
più 'li me. B . .il i altri i Feci ma
esto d perii nza l'ef-
trlando s'avvicinò
:i notte splendida . ino a noi
li nne che cantavano sul Canal Gran-
ise dell'altra riva avevano un aspetto mi-
' luce incantevi de in quel mo
mtii per Nikola un sentimento dì
: \ ito mai prima. La sua
. i aveva :ommos-
■ • in-
giurie fattemi, gli posi
una ii palla,
prima «li i"
quello che fai i
— Nikola si, —
Il |" tir'.
quanto mi i
i-i vostri
i
; ...ìi
altri Y"i non ve-
nell' umana natura
dalla \
pi
rinun
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MI LA NO -TORINO
-
un itti i he \ i nel-
, pura ih
da [uesta casa istessa, pei esempli
mile da quell i degli altri, i me, vi
, i ■ he v incatena,
I se vi iiiiiuiiini iste ih
.
Mio iri 111:": i-, disse • mi voce dolce
lo avevo mai udito parlare I air
È fatto per me Urie ragione dicendomi
il inolili' . I ' quanto io 1"
ina debbi
\|'i' urini sul davanzo tlne-
I Ila notte si enziosa, e lo udii ni
morai e: SI . Poi eli
amente la lini ii me, mi
di mandò lino a i] nta\ amo di rimali
a Venezia.
v n »api ei. il cambiami
ria ha talmente gio\ ahi a mia i rie desi-
I ■ i san
princi] li ai - ; eia. i
bandonammo questa idea e forse i |ui
I ii mese, disse fra
a qualche cosa . poi -. ggiuns distrattati]
te, — in un mese potrete vedere bei
E 'in uni » vi tra i'ii '
Egli tenten i cai
i. Impossibile a dirsi. — rispose. — i miei pro-
getti can I auto 1" il I-t-i • -
qui un'altra settimana ancora, quanto fra un an-
no \iii' volte, ho la p
i he, che questa debba : ultima mia \
a Vi ■ non d'
più tornarci Sarà quello che sarà, li desi
lui, per 'inalilo noi pi dire o fare in
li .irlo.
in quel momento si udì un colpo di campanelli
alla porta del conile. A quell'ora insolita, il suo
-nono aveva un non so che di lugubre che ini
fece rabbrivid
— Chi saia mai? — disse Nikola ihn.
verso la porta Mi pur troppo tardi pei
visita. Scusatemi se scendi ■
.
— Certamente, — risposi, — anzi, credo che io
pure devo pensare ad andarmene; si fa tardi
No, no. disse. — rimanete un alti o pi
Se si tratta veramente di ciò ch'io suppi n
l'n di potervi far vedi i he vi inti
l'ornerò fra i
I si ne andò chiudendo la •
mi avvicinai alla
aprii Cn mai tacciarmi .li
\ ile, il" in. h" il p
debbo confessare ch'io non mi sentivo punto li
quillo di trovarmi solo in quella camera. Il ri-
ti i di quello "Ile stava sotto il tappeto
era viva- ella mia memoria
un piccolo sforzo dell'immaginazione mi pa
di udire i gemiti e i lamenti deli'uoi li.
Pi iì vi-iiui preso dalla curios
--e il visitatore di Nikol
mi ben I
torte in l so \i piedi degli scalini slava una
gondola, ma non poti i vedi re se vi fosse ili
■ hi era qui so. che vi i
a quell ora 5a ndn quali
pi rsl "iti della i
- i, capii che. i
da un
(avo pensando a ciò. I iprl, e N
seguito da due in mini i Uno di
alto, bruno, ""li ima bai ha nei a ed ■■
un'espri grande astuzia; l'altro era di
mi dia statuì a,
palla da cannone
■
[arsi sulla loro nazionalità Nikola si ri-
volsi
— Era proprio qui Qui,
e
T.
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nte. ch'i uni
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affari miei Dianzi mi con
alla mi - vita
ie in cui un unir Clapham, rie
Lperi ■ hi un \ ini.
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i in itali ini . ma egli
mi fu impossibile di seguirlo.
Dj I ae mi i iuscl 'li afferrare,
rimproverai a ai i ili
i tatto, i1 minuti,
p urlando lentamente, disse a un
\ !i: . ipete di Quali p tere io
è pure noto i
ninni o si mischi dei fa
un i proprio danno \ isto i he
i azie ad un an i me ne \ enne
i rdi no, ma badate i he la ■
ripeti rei, altrimenti, ecco Quale -ara
i i vostra fine,
i si dicendo tirò tm ri dalia sua ! una pie-
bottiglia di ci co tappo i nullo
ina esi, e si vi
ni I palmo della ma in i i vi re Man-
ne vi era denti la luce della
ada e buttò sul fuoco la liì
verde si alzo per un minuto, seguita da una nu
di fumo profumata che ci av\ olse i
menti nd i Ista degli uni e degli altri.
luna [ualche cos i si del illa nu-
vola di fumo richiamando tutta La una attenzione;
alla \ olta si tei e più disi Ini i. fini I
ina camera, o per meglio dire una vòlta, sotto
alla quale unii dozzina di uomini stavano seduti
l ui i\ i. Essi erano tutti masche-
rati, e portavano tutti senza eci
abito mai i in un cap] di lana nera.
vi un ti mo i he ei a a capo della tavola
un segno, ed un individuo dalla barba bian-
ilto da due figure vestite di nero, entra-
ci nducendo In mezzo a loro un uomo, n
loro prig on era al! le di pò
lizia che Nikola aveva rimpra\ erato più ma
pi": evidenti spaven-
indizione. L'uomo a capo della
. ù un altra volta la mano, ed entrò dal-
l'altra iiarte ui du capelli e dalia barba
bianca. Egli, a differenza degli altri, non era ma-
lto e noi
Da
capivo ch'egli rivi
la parola alle i»
seduti alla ta-
duando Indica-
va ii prigii il -un
rdO aveva
{pressione d'odio fero-
Mlora i uomo a
-i alzò In
di, e benché io non li-
di--! Quello che dii
parlava al
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i.in urlo ebbe finii
be votato alzandi
ESIGETE
iiifiiiHnnasiiii
MARCA
HERMANN
MI LA NO- TORINO
i
vedui improvvi unii il
i
■e III II -ni limitai
i ni. ir n i ii pru-
nella vi 'ima di |H ima, ina (inalilo ;
l ■ i i - meli
■ mai i i lame, eli occhi si erano i
ma n i era uo i ne di lei roie maggiore di
prima. \pn un moini'iilnio la porla, i
poi rientro nell ,
. Si -arri" e detto
che i i aveva p tura di usi ire, pili e sapi lido
rimai di ini"-. Intanto
li camera andava mail i. noni
tre il miserai i rorizzala. continu -
a pa su e giù udosi trailo tratto
all'uscio ad lsi lid d ita.
Essa rappresenta una ri liia
dalla, luna a larda notte, p. i elle non
mi viva. Ad un tratto una llgura nell ombra la
stessa che vedemmo prima passa piano, piano
lungo i m nell'immondezza della -
da Quali osa da sfamarsi. i
.ii essi
Mentre stava fermo i .da
. uà sinistra sbucarono due te-
in brose fi Quali s av\ icinai i no a lui rapi-
damente, avventandosi addosso prima cln
il tempo di difendersi i n momento dopo egli gia-
ceva in mezzi i -ni i. Era morto! \n-
i illuminata d
luna, mi sento i abbi i\ idii e La veduta s\ ani, •
camera tu di nuovo rischiarata dalla luce della
ida Guardai istintivamente l'agente di po-
I ii l'allure mortale gli copriva il vi-
ni sud re gli scendevano dalla ironie.
Evidentemente egli pure aveva visto Questi ■
.in di
— (ira. — disse Nikola. rivolgendosi a lui. —
te quello che vi aspetta, se persistete nell'in-
ire i miei afi sciuto i uomo
li grigi, che sera appellalo al Concilio
contro di voi Vndatevene e ricordatevi di Quanto
vi di
-i din sse verso l'uomo di mezza statura, e n
i >gli familiarmente la mano sulla spalla:
— Vi siete condotto molto bene, — - gli disse —
ento d I ommaso. < ira condui
lamico al solito posto, e sorvegliate perchi
nulo d'oci he non avrà più il co-
i : offendermi un altra \
i e. udito. . .Ine uomini uscii in
cori ile M mini i in. con Quale gioia uno di i
i ! appena partito, Niki a, i bi
aiin finestra, si rivolse a me e mi disse:
— Che ne dite della una magia '
lo non sapevo Quale risposta fargli che lo -
di&fasse, 'rutto ciò mi pareva cosi impossibile,
dell'odore acuto chi
i a nella cam redu
gnato.
— Non sapete darmi nessuni] spiegazione, al-
Nikola con uno di
abili E nonostante la mia sorpresa, il mio
,. hiamatelo come volete, vi mi consigli
ad abbandona n \i nio, •
visto di quali mezzi io possa \ dermi, avrete v>i
il coraggio ora, di provare, col mio aiuto, di ne-
n e tra re nel Grande Ignoto, come noi lo chlamia-
mi , •■ di ved o i he \ i i Iserba il l'uturoT
in vi tenta ili saliere Quale
Mira la line VOf
— No. no. — gridai. — non ne voglio saper -
la di questi 'i Dio mio ' La vita mi
-arri b
— Credete pi d leni unenti
dom '-'ii occhi Eppure, lo l'ho tentato
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IV
ADDIO, NIKOLaL.
Non e mia
i i senza pei i are di pi e
di la 'li me.
Ma non vi è dato • 1 1
si può
■ me \ i dicevo, pi ima che entras
due, qui deve succedere, sui
di quai Noch
'li dem verghangten Geschii k Ni
suno ^(ii^'l.'i un 01 he lo sovi asta
: aggio dJ
ero cb [ito? Al
. i si il- de he ne rii hiedono assai
più, vi curo.
.1 voi et e din
- vii ' pi i "i a non \ e lo posso dire - ri i
i i io sa
— .ni un silenzio ili pochi secondi, durante i
quali guardammo I in basso Illuminata dal
la luna . poi, visto l'ora tarda, mi ci ingedai
Vi soi l'i sermi venuto a trovare,
Haiti ii Mi in ete i onfortato. La
tra vista mi (a dei bene Voi mi portate un
di quell'altra vita ih cui mi parlavate po-
Di dero di esservi simpatico •• spero di
irvi.
i di insie la stanza scendemmo ab-
rermamm igli ■ calini della porta
; i sasse una gondola . appena ne
chiamai, strinsi la maini a Nikola,
- li la buona m
Buona notte, rispose. — Ricordatemi a
i miss Tre\
Quella sua breve pausa prima ili pronunziare il
■ ih miss rre\ 01 mi soi pi ese, pei cui h i guar
! ne accorse e mi disse:
— \'i parrà strano, ma non posso a meno di
ssare che quella signorina mi in
quanto impossibile vi possa sembrare la cosa,
vi dirò che io ho l'intima convinzione che LI suo
■ a sare il mio. e
tra non mi to Ni n la vidi che due sole volte in
mi i ma. molti anni fa, mi tu ri-
tta la sua presenza sulla naia, e mi ravvisa
roni che un giorno ci saremmo incontrati, i he
avvi i in ila quell'incontro, nessuno lo sa.
ma il Fato ii i Ed ora,
di nUOVO, li a Si
aia notte, risposi macchinali]
tanti ' paroli mi avevano sorpresi. . ed en
Irato nella ondola mi feci portare all'albergo.
— rtamenti mai rito il suo buon
mentre venivo rullali.
sulle acque. Gertrude Trevor era l'ultima persona
al munii. i ch'io mi immaginassi1 i i
Nikola.
in quel in. unni. » però mi nri.rilai la Strana im-
provata da lei, la pi
esentato Niki minciai a lui ba
aluiniii.'.
— > e pre
ghiaino la Pi
:i si mei
n mente e - li a
gin! di esserm
rato, — continuai fra
. min so
a quali conseguenze an-
ncoi
Ed 1 1 1 1 1 1 . i
ni pii
quello che avi
detto il padre di * lei i
de, i
fama
ESIGETE
IiGiH
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
Mia moglie i miss i re\ oi ià a letto, m i
Glenb&rth era stato su ad aspettarmi
i h, lunga \ i -uà gli a\ ete fatto, dis
tono di li povero Wete passato
piacevole sei aia, c'è da d aggi
con una puma d Ironia.
i i | replicai.
— Da\ verol i in- a\ eti copei di i vo ?
— lui Ci isa imi NiIm'Ih si fa di
in giorno più
Capitolo \
l'i i pensava alla mia strana visita di quella
al palazzo Revecce, più la mia meni,- si confon-
der a. Noi capire per quale ragi
Nikola mi avesse invi' pi rene,
dopo avermi narrato 11 suo passato pi
uaso che si trattava di lui . mi avesse poi pre
lare quanto mi a\ e\ a detto I episo-
dio dei due uomini e glj straordinari qii
non erano certamente fatti per rischiararmi
le idee.
t- Non vimmi i piani., fossi in pena per
Voi Stasera, — mi disse mia ni"t--ln appena en-
trai In ramerà sua. — Dopo pranzo, il dina ci de-
scrisse la camera del dottor Nikola* e ce ne rac-
i'i iiin la storia. Quando pensavo che voi eravate
. lui là, < onfesso i he fui sul punto di man-
dai • ' qua ii uno a chiamarvi.
— Avreste tatto malissimo, cara mia, — risposi.
— Avreste offeso Nikola, locchè non ci
Mi spiare che il dina vi abbia raccontato quella
i terribile Perchè spaventarvi) Che ne pen-
sa, di unni ciò, < lei ti ude i re^ i
— Non dice nulla. — riprese una moglie.
. ipii però che non era no impi a di
me. Credo che vi verrà mai in mente di condurci
da lui. per quanti inviti possa lana' Ora, ditemi
perche vi mandò a chiamare .'
— Sì sentiva solo, e desiderava di aver.. .■
i i . avendo " i ili non dirle I' in-
tiera venia riguardo alla visita al pala//., li.
ce. — Egli voleva pure ch'io fossi testimonio di
un affare riguardante un suo progetto per i
tanare dal li irò paesi i ei le persone, all'insap
polizia. Cruna di uscire poi mi diede
pi ova del gran putrir . b egl i possiede
Poi le descrissi l'arrivo di quei due uomini i
lezione data da Nikola all'agente di pulizia, ma
in. n li pai lai dello scongiuro.
\ che prò spaventarla ' La descrizione ch'io a-
vrei potui bbastanza sor-
prendente e impressionabile .pei
vedere la ci sa nella luce che io desideravo e
siderata sotto un altro aspetto poteva apparirle
la
— Questo dottor Nikola diventa tutti i giorni pm
-ii aoi ihnai io. ih--' mia m e quelli
pm sorprende è la diversa Impressione che pro-
duce sugli individui.
— Per i tu mio, he 1
ut. ■ per lui della simp
duca ne ha ui quanto a
vi attira e vi allonl ina id un tei lei
poi, a pai .a ' lo min a un uomo sopranri
n un minuto di ira
in un cane, in un II ignor Galaf In Iti di-
li Nikola, n
con unii incontrò mai un
linario I1 sua vita per
lui. Pare che una volta, mentri 'ava qui
abbia i unno la figliuola l
di Galaghetti . non mi disse quelli, che
qualcosa di ben straordinario.
ilii' : di 'li -Hip al.liaii.;
quel la i La bambù < momenti
i migliorare. < ira essa • ■ i '
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hanno messo la rivoluzione nella fabbricazione d inchiostro, perchè Edison può produrre
da queste sue tavolette un inchiostro assolutamente puro e superiore assai a quelli venduti
in t'orina liquida, e ad un costo molto minore. L'inchiostro è copiativo. Per la contabilita
non teme rivali. Xon corrode né penne né carta, né pno ammutì. ire. Se è troppo denso -ì
pnò farlo più leggiero, se troppo leggiero più denso.
Viaggiando si può fare l'inchiostro - En Route » quando occorre.
Per Scuole è as-ai economico perchè si può adoperare densn .1 allungato.
Banchieri, Notai, Avvocati lo devono adoperare perchè e l'unico inchiostro clic non
si può cancellare con nessun acido e perciò lo scritto è inalterabile.
I colori non sono d'Anilina e perciò eterni.
Una scatola costa centesimi 80, e contiene otto tavolette colle quali si può tare il
a 350 grammi d'inchiostro, comperando qualunque inchiostro di qualità discreta general-
mente in Italia lo si paga L. i.7:> per mezzo litro 500 grammi' mentre adoperando le tavo-
lette compresse Edison mezzo litro costerebbe solo L. 1.20, ciò che presenta un'economia
del 60 per loti. Si calcoli poi che mentre questo si evapora si può aggiungere acqua
deteriorarne la qualità, e quindi l'economia passa cosi di molto il 100 Gio-
ii nome di Edison è una garanzia della serietà dell'articolo.
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ADDII », Mlv 'I \'..
Ili l .III
i i preeen
ii cui la barn
i : - ' i presente al di
be Anito
'■a il dotti Niki ila non
per 1 uà dora i
1,1 da] dui a Non
■ mi dentai di assicurarla
l'i»- ni ii avuti Ma, un aspettava
erci delle quesl Ioni ? —
ti inno nulla m comune,
chi eco riir inni vedete
Intorno a voi, - riprese
rval
in illuni: ! Gei trudt In I
. l pi risieri e m Im
e mie serie riflessli
N( — CI "inni". Nuli
i compoi '" con lei la si i a della
nostra escursione? La cosa in cviiieutf.
mbina mia. - dissi un po' irritato. — Se
■ "M. supposizioni non la finn ete
imi. Nikola lia sempre viaggiato tutta la sua vita,
hiir gente di ogni nazionalità, di ogni ceto
E' quindi poco probabile, per quanto
-im; . sia, che la nostra àrnica lo abbia
1 " niiaiima ancora mi dicei a
. rebbe mai preso moglie.
— Sia ] n cambio la mia ninni
e una moglie.
Per timore "in' ri, i la discuss
ii 1 1 lasciassi sfuggire qualcosa che poi rimpian
d'avei detto, mi ritirai dal combattimento <■.
rie domandato se avesse avuto lettere dal
i Inghilterra, Le I uona notte.
' un mattina andammo a visitare il pa
Dogi, dove passammo due ore piacevolis-
n iiando le diverse sale. Qualunque po-
il sentimento di Nikola riguardo a
rrevor, era certi però chi' il duca le faceva
Brano pochi riorni che si conosce.
invane ne era innamorato cotto,
do che essa se ne fosse accorta, e sono per-
ii'- non gli era indifferente, ma, sia i
iunti ri il buon momento, sia
perchè, per istinto femminile, essa non volesse
corrisponderlo prima di essere ben sicura dei suo
imento, fati" sta che Gertrude non si dava
di lui e imi ili una volta sfuggi l'i cca
sioni ' i vicino, \ enendomi d'accanto. ' '.< >mi
potete Immaginare, ciò non garbava punto ai min
amico, e quandi lasciammo il Palazzo Duci
-i sentiva l'uomo più sfortunato di unta Ve-
ni zia.
Nel i i duca ed lo rimanemmo soli.
Non unente ima compagnia piacevole la
-uà' Qualunque cosa ch'io dicessi non valeva a ih
■e tn "'nuore. E' faciir Immagi
"'il. Dopo aver fatto un po' di pò
■ Inglese, parlato della grandezza e delia ca
'ima di Venezia, di itu
skm, !■ «lei vantaggi del
viaggiai I- ali estei ". no
Incidentalmente
miss Trevor i
gura s il luminò tutta :
— Sentili' . llalieras .
" n un
' il con-
fidenza, \ i lo sia
ni" amici da tanti anni.
<■ ri cono sciami i l' un
r.iiii-" come si possono
conoscere due uomini.
In verità . .im i'
mi", .-tu- v, non un n
cordassi dei vostro prò-
ESIGETE
IIIIHIIH
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
foi '" - "i genti] sesso, comlm
he siete Innamoi
Mi guardò di
mene e continuai a rotolare il foglii
uà
Sarebbe poi una cosa tanto assurda, se un
limai" analmente domandò. Mii
dre ■ di me, e cosi pure mio nonno,
suppon u Voi ti sso commi esti
i-. ne avete \ Isto i ti
SI davvero I Una di i i oppie più felici che
Vi sia al mondo! Scherzi a parie. Hatleras
, ■ larvi sul i cosa, e da
me siamo, vi .hi" schiettami ut Inna-
moi ito di miss Trevi i e che la voglio ■ pò
1 i d itrarmi sorpreso, ma temo di noti
riuscito.
— Mi permettete eh io vi dica. — «li dissi. — che
la Ci >noscete da appena Non vu-
■ affetto non si
TOPPO ni nella ?
— Sara, ma non è perù meno sincero l-'rat
mente, Dick, io non vidi mai una ragazza i
Farebbe felice chicches i
Può dai i". i isi un-
ni" potrebbe tarla felii e
Si i.iiiiiu viso, dimenandosi inquieto sulla
sedia
— Siale maledettol \ sttete tutto sotto una
nuova luce Perchè non potrò io renderla fi
Quante donne darebbero la loro vita, per e
duchesse |
— Lo ammetto. — risposi, — credo però eie
vostra condizione sarebbe indifferente a mi>s Tré-
Ma-. Una donna, una dama, quando è innamorata,
non si cura molto, sia l'oggetto del re un
linea, sia min spazzae.uuinu. Voi vi sba
deiido che un ducato possa coniare quando vi è
di mezzo il cuore. Se così fosse, noi poveri borghesi
non avremmo fortuna
— Ma i" non intendevo di dire questo, cari il il
leias. Non sono così cretino da credere chi i
Trevor mi sposerebbe solo perchè il caso volle
cne il mio nome portasse una corona. Parliamoci
chiaro. Vi dissi che ero innamorato di lei.
dele VOi possibile ch'essa possa avere della Min-
iai la per me ?
— Ora che mi avete aperto il cuore, — risi'
posso dirvi chiaramente la mia opinione. Ba
daie. peni, che io inni so nulla di quanto p
Gertrude. Dunque se fossi una ragazza, e che un
distinto e nubile giovane un ringrazierete dopo
poi del complimento), mettesse ai miei piedi il suo
cuore, specialmente quando questo cuore mi ve
nisse presi ni ito sopra delle foglie di fra i
pra dei biglietti da 5 sterline, end" che ci pen-
rei due volle prima di ninnale i suoi omaggi.
Se miss Tiev.'i larebbe ali reità ni", questo è linai
ira questione.
— Dio vi benedica, caro amico. — disse. — non
pi te lineilo che vogliono due per me qu
sire parole! Soffersi I impossibile in questi due
orsi giorni, temevo d'impazzire se durava cosi
Ieri essa era tutta gentilezze per ine. oggi mi p
appena Spero Che lady llatteras sia dalla mia
— Lady llatteras è una persona impressionar
buissima, — risposi. — E perchè ella ha m
stima e simpatia per voi, crede che co I i
di la i essei e della sua amica. Sentite i-
sapete che miss Trevor è una ospite. Voi la cono
da troppo poco tempo, perchè io \i perinei
ta di palesarle il vostro amore; prima bisogna ea
ser ben Meni-" delia sincerità e delia serietà del
vostri sentimenti. Pensateci dunque bene prl
di pigliare una risoluzione. Pigliatevi una
marta, una quindicina di giorni, o meglio ni
Se di telllp"
Egli borbottava fra di sé:
— Dacché ci siete potreste inche dire un anno'
Non vedi la ragione di aspettare
macchine per scrivere
REMINGTON
il
tono acquietate
IO Gennaio 190
dal WAR-OFFICE di Londra
(Ministero della Guerra i
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concorrenza delle imperfette imitazioni, la Remington e sempre la più perfetta.
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"Via Due Macelli, T
3
i
hvlizl^usto
Corso "Vitt. lOn^ar*., S
,:-iv>_
Via Carlo Felice, 11
VI
ADDIO, NIKOl \!...
asso
Per lasci u tempi Lffezlone d
mi aspettate incora una setti-
man I [uesta coni nella
IO ili
ogna pure che mi
davvero una posizione pia
durante questa settima]
saprei I] perchè, — risposi, quanti fu-
limi au
\ , i la incontrate quasi a tutte le ore di
ivete una le quantità ili oc
i in -po' di corte, e avete il
ii lagnan l della v orte?
in ingrato, ma quando un
Innamoi
più adorabile donna ili questo mondo, biso
li se alle volte imprei tino,
ricevetti una lettera del mio an
Vustruther, residente in Algeri. La lei
.i
Mi,, caro HatU ras,
. Eccomi in i1 iese del Meditei i bj
e me ne Intendo! I a mia villa dà sui mure: il mio
yacht è ai qui nella baia Qui abbiamo
tolti simpatiche li esse il mio
imi. ii .un od losè de Martinos , il quale i i
i \ enezi i ci li non co-
Da quanto li" potuto capi
E una persona piacer
i mi ndo e, se lo vorrete an ittei e
non avrete a pen-
tirvene. Non \ rvirmi della solita frase ba-
ii.-» 1 1 • che le gentilezze fatte agli amici miei sa
ranno come se ven itte a mi
. ! luti a lady Hatteras. Crede-
temi il \'
i.i uni. i> Arsili! min ..
Mia moglie si mostrò contrariata della cosa,
quando lessi la letti ra
— Per quanto situimi ' essere, non posso
a meno di ilire che sono spiacente dell'arrivo di
losè Mi Stavamo cosi bene noi quat-
I bissa se un quinti a turberà la pini'
— Ma è un amico di Vustruther, dissi in tono
di rimprovero. — Cogli amici dei nostri amici In-
utili.
— Non ne vedo la rai.-ii.iii'. - pose. Per-
chè ipriti.-.. Vustruther, dovrà ili conse-
l
in quei riunii ci ippia attraversava
lazza nella nostra direzione. Glenbartb aveva
un I : i 'IO.
— Credo che non vi siano più dei dubbi i
qui aia moglie guardai
— Non 'l'i qual i n l'hai nel san-... — e
un altro vecchio provi puri che chi più
più vede.
I vi-Ilii!.ii VI
11 triorno di i
dal imi sen
arrivali, e che
le stanze al plano
disopra al nostro, per
za nel po-
tili I!
mi Egli non
tre eg I stava sui limi
i ila
re un ultii rdine al
b ebbi agio
<li o Era un
ilique
ai quaraii! .-unii, alto, torte .i.i I
spi il ii ii aih\ a la sua origli >
mi a iti ibiii. ii. .ni ni uii
una qualunque nazionalità La sua barba ben
gllata mostrava qualche fi i ut,< La
i imo sguardi n mi pi
spose in re \\ .', a i piedi e -i» ■
le mani, pìccolissimi per la sua alta statura Ve
stiva e ii M.inina eleganza ed avea i mudi di un
UOmo ili Uh >]
— Quanta gentilezza, sir Richard Hatteras, —
mi disse mentre veniva a me. li mio amico
struthei mi disse che eravate a Venezia, ed
1 1 ' . usabilità ili in
durmi a .
La sua ed armotiii sa. e |
nunciava ogni parola parlava splendidamente
-.' uno speciale valori- I .-
chiesi della il quale .
poi'o bene, e. con una soddisfazione, seppi chi
ompletami
— Non lo riconi ; Mar-
tinos. — tanto si Posso offrirvi un
sigai u ' \ .i spagnuoli n in
senza fumare; voi inglesi invece non pi
amando.
i mi porse una scatola di sigari.
— Spero che vi piaceranno. - disse. — Il ta-
li-" • ■ colto nelle i p o in
arantire la legitti-
mità
Difatti non avevo mai fumato un
garo. Mentre odo il suo. lo
un'altra volta; vi et a qualche cosa in lui che
mi andava a genio ivi poro mi parvi perfino
ili scorgergli un'espressione ili crudeltà, ma poco
dopo I i una imi ■ ala da
un su. -mio.
— Mi parve d'aver rapilo dal seiìor Vii
ther ' in lady Hatteras è qui con voi . non è
vero? — mi disse, dopo av.er parlato di mille altre
cose. s
— Essa ' in abbasso, ora — risp.
una comitiva di quatti o Miss Ti >■.. ■
gliuola del decano di Bedminster . il duca ili i
barili, mia moglie, ed io. Spero i rie mi procuri
il piacere di presentai \ i a lori >, fra non m.
— Saro felicissimo. replici i. ■ IP. una
Venezia ma [ il a 1 1 (I
nosce dig -itile il bisogno ili av<
pagnia.
Mi pareva 'li aver inti
volta che visitava la regina .Irli Adii'
feci nessuna i ■ ■ sen azione
— Alle vi Ite si pensa i hi Vdamn avrebb'
del Paradi se non si fos
-:.i ni Eva, — i - irridendo.
— Povero \.laiiio. rispose. - ho sempi
iti un uomo calunniato Lgli. al
trario ili noi. era un u< a esperienza, e irli
fu imposta una compagna che lo condusse a
— Quanto tempo contate di ti
gli domandai dopo una breve pausa
\ ii saprei. rispose l.
mente in moto Si fra i moi
un viandanti i Non ho pa
Ini pochi ami. i \
lo mi piglia la fantasi
poema, trasporto in sii
il paese mi \ iene a noia. P
ili quatl i e al i !airo . ho vissuto ti
Kaluh ii i 0 . e cogli Vrmeni sulle n
ho in me gli istinti
■oi-tunatameiiie ho I
disfarli.
Noi o il perchè, ma nel
qualche cosa chi i rtava Si
quello che mi aveva rai io non i
i rilnpressii.il.. rii e\ Illa era
I tutti sani
'-•l
a piazzi ridotti
(Franco di porto nel R9gao)
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Cento anni, romanzo ciclico di
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in-32° di compless. pag. 76C,
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La storia dei papi . di sua
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i p.ig. 558 con 258 ritratti
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Leone Nili. !.. 2.50 per L. I.—
La Tenebrosa, romanzo ii
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in-4" di pag. 352, con lo ine..
L. 3 per L. 1.50
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Larda, .li Plinio Bariola , gr.
voi. in-s» di pag 7 in. I.. 10
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De-Sanctis Francesco, storia
«I-Ila letteratura italiana. 2
voi. in-iG" complessive pagim
928, L. s per . . . L. 6 —
LI.. Saggi critici, voi. in-16"
di p. 552. L. 4.50 per L. 3.50
„ Nuovi saggi critici, voi.
in-lG» di pag. i2i, I.. 1.50
per L. 3.50
„ Scritti vari inediti o ra-
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voi. in-16° di pag 7:12 L s
per L. 6.—
„ Saggio critico sul Pe-
trarca, voi. iu-lG" di pa-
gine 320 , L. 4 per L. 3.—
Settembrini Luigi. Lezione dì
Letteratura Italiana . det-
tato nell'Università di *a
poli, il voi. in-lii" compless.
pag. 1143, L. 12 per L. 9.—
„ Epistolario, un voi. in-16"
di pag. 413. L. 4 per L. 3. -
Giusti Giuseppe — Episto-
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pless. p. 440, L. 3 per L. 1.50
. Proverbi Toscani, volume
in-32" di pag. 148 elegante-
mente legato in tela con
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Dumas Alessandro — I tre
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in-16°di i'. 152. L. 2per L. I — .
- Conte di Montecristo . :i
voi. in-ltì° di compless. pag.
944, L. 6 per . . L. 2.50
La mano del defunto, dì Le-
Prince, seguito al suddetto
grosso voi. in-16" di pag. 35 1,
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Il libro prezioso per le fa-
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voi. in-8" di pagine 320, lire
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in-16" di p. 176, L. ;; per !.. 175
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li.' Kant'ani. grosso volume
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Dizionario tedesco-italiano
e viceversa, per 1:. Tommasi,
voi. in-16°di pag. 1088, legato
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Dizionario spagnuolo-ita-
liano e viceversa, di Oarmon
e Blanc, voi. in-16" di pagine
832, legato in tela e 010. L. :">
per L. 2.75
Dizionario inglese-italiano
e Viceversa , di Ferdinando
Bracciforti. voi. in itì° di pa-
gine 958, legato in tela e uro
I,. . per . . . . L. 2.75
Dizionario francese-italia-
no e vicevci su di 1 irnion e
HI anni. voi. in-16" di pag. '.'Tu.
legato in l'In e oro, L. 5
per !.. 2.75
Dizionario di Geografia U-
nivcrsale , compilato dal
pini. I.. A. Ghisi, voi. ili-li,'"
di pag. i5s7. legato in tela e
oro. L. 5 per. . . L. 2.50
Il vero re dei cucinieri, gì
v.d. in Hi" di pag. 384, L. 2
per L. I.—
Milano che sfugge, di Carlo
1; ', unissi pregevolissimo voi.
in-16" dì pag. 124 con molte
illustraz.. L. 1.50 per I. I.—
Glorie viventi, di Carlo Ro-
mnssi. interessante voi. in- . re-
ili pag. 101 con illustrazioni,
L. 1.50 per . . . L. —.75
Niccolò dei Lapi, di Massimo
d'Azeglio, 2 voi. in-16» com-
pless. p. 180, L. 2.rm per L. 1.25
Ettore Fieramosca, di Mas-
siui'i d'Azeglio, voi. in-16" di
pag 221. L. 1 per. L. — .60
Marco Visconti, di Tommaso
Grossi, grosso voi. in-16" di
pag. 878, L. 1.50 per !.. -.75
Canti di Aleardo A! orili voi.
in-32" di pagine 38 1, L. 2.50
per L. -.75
Guadagnoh Antonio. Poesie
giocose, voi. in-32"di pag. 281,
L. 1 .50 per . . . L. —.60
Don Giovanni Tenorio 1 conte
di Manina , romanzo storico
di Lepell' tier e llocliel, voi.
in-16" di pag, 141 . L. 1.50
per L. — .50
La Germania. Duemila anni
di vita tedesca , descritti
i-toi icamente da Gio. Scnerr,
ini ere-sante opera con arti-
1 li In' illustrazioni, un voi.
ini" di (cu' 102, leg. in tela
e oro, L. 1 1 per L. 18 —
Felice Cavallotti — La vita e
le op ire — per cura di Ar-
mando He Mohr, grosso voi.
in 1" di pag. 211. con tinnii'
rose ili u- ti L. 3 per L. 2.—
Italia Irredenta - Paesi, sto-
ria, impressioni— per Gustavo
1 Illesi, i:v. voi. in- 1" di p. 374.
.■ini molti' ili I. ''' perL. 4. -
Italiani illustri nella storia e
nel Rinascimento patrio, per
Gustavo l'Illesi grosso voi.
in-4» di pag. :;.'!i. con molle
ilhi>ie;iz , 1, 5 per L. 3.50
Il Reggimento di cavalleria
Nizza i". 1690 iso" cenni sto-
■ 'ineillin III I l'aeeolti ed
ordinili dal ra 1 ggiore Pio
i:<i 1 con ili. di a. he- Alberi is
e 1; l.olli . interessante voi.
in i" di pag 3 'i. edizione di
gran lusso, l. 12 per L. 5. -
Operette umoristiche, sati-
riche e filosofiche, dì li
metrio l.ivaditi. elegante Voi.
in-lli" di p. 133, L. 1 per I.. 2. -
Istoria del Concilio Triden-
tino di Fra Paolo sarei. 2 voi.
in-S"di p. 1 188, L. 7 per L. 3.50
Raccolta di Viaggi, di GIULIO
Vi UNI . in 32° di circa p. 120
con illusi 1 . cent. 50 per s jli
cent. 30 al volimi.-:
terra min luna , 2 voi.
— fi, ci'"' settiman i I • pai
I me, 2 voi l laggiù al cen-
tro della terra, 2 voi. - Una
città galleggiante , 2 voi. —
Martino Pai, I voi. - Ven-
timila leghe sotto 1 man , i
voi. - / Figli del Capitan 1
uni, ii. iì voi. — Novelle fan-
tastiahe, 1 voi. /' Capitano
della 'iiui-'i" ardita, 1 voi. —
Un episodio delti iti re, 2 voi.
— Storia di i grandi viag-
giatori, 2 voi. — Avventure
del capitano Hatteras 5 voi
1 1 nipot <" i" e" ".2vol.
_ 11 gir , 'i 1 mondo in SO
giorni, 2 voi. — llpaesedelle
pellicce, 1 voi. Il < hancel
l'ir. 2 voi. — L'Isola miste-
!, 6 voi. — Michele Stro-
g •/[. 4 voi. — Una scoperta
prodigiosa, 2 voi. — L ■ Indi 1
nen 2 \ ol. Ittraverso <
mondo solari , 4 voi. La
scoperta del Nuovo Mondo
1 voi. — / viaggi di Marca
Polo, 1 voi. - ' " incubo, 1
voi.— Uncapilanodi 15 an-
ni, 1 voi. — / 500 milioni
della Bégum . 2 voi. — Le
tribolazioni d'un chtnese in
China. 2 voi. — A mosca
cieca . 1 voi. — / soci della
Maggiorana, 1 voi. L'al-
bergo delle \ ■ 'i "ii ■. 1 voi.
; paglie rotte, 1 voi. —
l,ii casa a vapore, 1 voi. -
La Jan rada 1 voi. Il rag-
gio vera e 2 voi. La scuola
dei li ibi > ion : voi. - Ke-
rafia ' '0 tinato , 1 voi.
/,' arclp lago in flum
voi. -- La stella 1 u 1
voi. - Mathias Sandorf, b
voi !.'!""■ il conqui
: voi. 1 " biglietto
della lotte, la, 2 voi, / 'ab
bandonato del Cyuthla, 3voI.
irà contro Sud, -1 voi.
— La strada di Fran
voi. Due anni di vai
tv Intorn 1 alla luna, 2 v.
11 "\7"\7"E,'D HTTT TVT7TT ' suddetti libri si spediscono franco di porto in tutta l'Italia — per l'e-
•i-4. V V 1-iul Hi l'i ZjH,. stero aggiungere le spese oltre il confine — le ordinazioni inferiori alle
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scritti sono garantiti nuovi e completi — contro assegno non si spedisce — le ordinazioni non accompagnati dall'im-
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Vaglia alla libreria Luigi Perrella, via Manzoni, 20, Milano.
Coinpra e vendita. Ingrosso e dettaglio.
Abblu, NIKOLX!.
VII
I
inno ben pochi I
i . egli ri
pò i i- .1
Vmei i del Sud,
iete maJ america del
maini il
ò subito 'li sviare la
; mandandomi se avevo il
i truther, che dovevano e
Venezia Poi hi minuti ao
i [aj qoii seni i averlo Invil ito a pranzo
era
I mhI.. mani i e ili punto, I
i ,i , pranzo i o presentai a
i revor appena ci ebbero
Mio marito mi disse i he siete un
in i mi rlie quando tur
il mondo • oi i co-
I
_ vo tn mai ito mi fa troi uore, i isi
,,,, ,,, in .inani,, udii, voi pure |.
i. mio amii o Vustruther mi
i storia ili voi, .inai. -usa che ha i
; un'isola - del Sud, ed un perso
b '''i ito....
e una breve pausa come per ricordarsi del
DI ii'
Niko ' dissi, — vi avvenne forse dmeon
irai :
— Ch'il sappia no, — rispose. — Che stra
in quel mi n i nella sala da pra
h; li pn «ite. Per idei
, o quasi preparato a che il dui
con molti entusiasi [uesl
i i noscenza, e infatti non mi sbagliai
p ma hi pranzi fosse a ta, sia avev •
tato Quanto gli ci a di mostrai si gentile con
i ae Martinos: se non fosse stato ■
redo che non sarebbe i iuscito a domi]
Lo , , invece, faceva ili tutto per rendersi
i ,, maggior parte delle sue pren
e i redi che in tutto il
i i, di una mezza dozzina di
Trevor. Nonostante questo,
guardava i n et idente animosità .
tai to - i"' più ili una volta mi I ra or lo fissò
in, i:. il '
isse la ca i si capiva che
il s unir rno Quando le
,in, ui e dalla . e i :
irò il vino, cercai ili avvicinare i due
nini, ma non riuscii nel mio intento Parecchie
te i,i, 'ni, arili disse delle i ■ i entavano
l'impertinenza, finché lo cominciai a mostrarmi
adii conti i era ilio di un lari i
,li mondo pan a lui. Ciò mi spia
in ogni dire \ dalla sua pas
poti va sopportare che un nuovo arrivai,.
rivolgesse una parola ,,
sguardo all'o
del suo : 'e, i
noltrasi della serata .
essi erano semi
\,i un tratto
, don
ih cantai
— Perchè s
suasa ci can-
tare r,, Ilaria ingenua
di il
.
di divertire i miei ami
do u
e di i"
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito 1
Di 19 usi scopri siccisso creiceli)
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
,i i ini loia -i sedi ■
., .. rdata si pose ■
,, i iveva una bellissima voce da bai itono,
, he cullava a perfezione Mii glie
mata, e lo pregò di i ontinuare . miss
soddisfazii i un iUÉ
to era troppo per Glenbarth I
, rovviso mal ili rapo uscì i
lente dalla stanza. Mia ino i ie i ci
io sguardo, ini Marlin,
i di non a\ vedei sen I tu una bari ■>
rola spaglinola, ma questa v,,lia non vi
attenzii i Poco dopo, avendoci i
i ospitalità, »e ne andò . .pianilo mi frevoT
lie -i furono ritirate nelle I
. u. ■ di i, imi. arili, ma si pi
Quando rimiro vi mezzanotti
, he ogni traccia di malumi vanita
,. , h,. p, rna\a lineilo ih prima
l aio Dick, — mi diSSI II 'ni! SO
u irmi della mia i idii
, -oli, lotta di tasera Non p. lirvi quanto i
iso. Fui 1
Non ora una ri rii ne, perchè s strava pomi
della sua condotta, di rinunziare alla i
rj essere mio dovere il
In |o, Ir uno asolo l;iil., una l„ I
tri i dissi pi indo il libro che stavo leggendo.
Non so chi mi tenga dal dirvi schiettan
i he penso di voil
— Sarebbe un vano perditene
giacché non potrete pensare di m 'li epa
to ne pensi io Non so propi lo immaginarmi la
ione del i i idere di te che essa mi vfl
,, perdonari domandò umilmente,
v rebbe i hiestc un barn! boi preso n
pezzo <ii zui chei
Mia in.ojir. risposi. SI.... 1
_ No, no, i luanio siete ottuso ' ; intend,
_ e a, ■ronn i capo la direzii ni dell i
oi . upata da miss Trevi i
Questo, sta a voi di trovare il modo di
i menti i ivi verso n g
non., di ti eletta.
I fatti provarono che io ero stato buon i
riguardo alla < ondotta di miss Tre'
ti [.■indomani mattina :i . illazione
tri di un tanti li lui, ma qn
i ,irii,, olio la maggior pano delle su,
ivolte a me. i miei lettori amino
si saranno trovati in simili circostanze
ranno il significato Mia moglie puro si in, -
disposili il dimenticare ed i pm
vole sua comi. .ila de'la sna innanzi, lo ri
fra di me di queste scenette, ma non dna v
n la Pe menti del povero lilenbarth
i incra Uniti.
Durante tutta la giornata non vederi
r.os se fosse usi ■
pomei i io. ì ientrando all'albergo pel hi
in un i tc di le i
manici Vi era la carta di visita di don
— Che bei fiori ' esclamo mia n
Venite a veci i mie, quai
Miss I ' ammirò Ito. e pei
n,rc (-delibarti!, ne chiese uno per mi
vani ardai di soppiatto il
Inule -i fissava i i ■Hurn . i i -mi
va una tale sofferenza i he. «iti u
lasciarono la stanza per pi
mi decisi a dire io i pai i in suo ;
Mi Gerti ude, dissi, nella mi i
,l, ,. chiedervi mi piacere ' \
cedenti
— Devo sapere puma di che si traila. mi ri
se -ohi, leu, lo. so per esperienza che n<
, fidarsi ih voi
i n beli eli n noi
pr, testa Lady Haitem vi hn rai - n
stoi
RI
in
pi
fli
1
Lr
11
II
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Di
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il
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il
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Ventilatorino automatico
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Grandezza: !|5 del vero.
Domande con cartoline vaglia alla Ditta
The Anglo Italian C. C*
:vrir^v:vo, via Demte, o.
NB. II disegno dà appena una lontana idea del nostro zeffiro in
movimento.
Si spi liscono a richiesi ■ -. -
taloghi dì ■■ n latori elettrici e
di tilal ori a movimenti > d'o-
; ttoio
al
fi
al
m
.
-v^fe
fli
Vili
ADDH », NIKt 'I \
tanto meno
e da me? Do
Un' - ■|'-M
ral
disperazii
vi siete i i i. ni qui
LI
o, come 11 tto i
, si rabbui pei i voi lo tra
P, i irdo?
Peri hi dite delle issurd
! nargli n vostro sorriso : Egli si Etri
d 11 lami !
,i r. \ ero ii oppo ridici i n i prò
\, ,! - ìete sincera, revor, e lo sapete.
. i imo .li ma
Per i lie fai este un i lento
i id pi i non dir
Ma sapete che sir Ru hard ( osi
non ir.-iio di portare una rosa, quando
B l, non ilo tempo da perdere;
hi minuti alle due . corro a pn p«
ranni i><t il lunch.
i . aprii la porta . mentre pas a> a le dissi :
, quanto vi chiesi, non è vero l Non tos
■ ■
intendiate dire; ci penserò, — ri-
uscì dalla stanza.
i , mantenne la promesso, i quando ritornò
per il lunch la rosa non e ei a più. Glenbarth lo
e da quel n tento il suo amore si rialzò.
sso i irigg ila moglie ed io
andammo a vedere se tessero giunti dall Egitto
mi amici ; siccome né il duca, né miss
i cosi essi rimasero ali al-
lo, al ritorno, li raggiungemmo, ogni
, dumore era scomparsa, e per ci
.vi ii duco era nel --eiiimo cielo della felicità.
i i i mo nto io gli avessi chiesto la metà
; i forinna. credo che me l'ai i ebbi data, e
tti tanto l'in volontieri, se avesse sa-
- ii prodigioso mutamento era dovuto a
Vii i rei or, per ragioni sue speciali, rara pu
lie era felice di vedere
i torelle In cosi buoni rappoi 1 1 ed io
olla compiacenza ili un i>m sod-
opera sua. Avevo già più volte peri
per quale ra ive imo più ss
i .li Nikola Ni ii so perchè m'immaginassi ili
ma dopo gli avvenimenti di
i inzi il cuore mi diceva e) i qu
- ■ uni:. . vi»i: 'uno comunii ato in
I ninno moli,, a \rd,i lo
v. combina di visitare 1 accademia, per-
desiderava 'li rinnovare la i ono
-, .n/a dei 'Inani. Da parte ima il' I
, li, i a ti un pei i
ih i ■ irre un godiment do
a, [e opere di que
sti grandi maestri Phil
lis e miss 1 r,\ ,,r . al
un grande diletti I
do 'ii ii ci diri em
un,, come è l'abitudine,
La pia/ / , ,h San
Mar,-,, Non avevamo
tatto elle poetii passi
quando, nel voltarmi
indietro .
nza il i m > la m
don losè Martlnoa \f
o, ci rag-
doj
ESIGETE
Mfl
MARCA
HERMANN
'MI LA NO -TORINO
inchil ioiiii la inaim. e salu-
. ■ . i , , di
Se and rte verso la piazza San Marco, per-
mettetemi ili accompagnarvi.
Quello ' in- ne pen i nbartli, i lu so, ma
mi li evor, non era da
compi ' ■ Giunti al caffè F loi ian, ci sedenti
.il solito tavolino, e don losè si mise pi es u una
:, chiacchierando amabilmente Si rivolse una
i due i ' Uenbarth, il quale, a mia
si mostrò moli" eoa
Se dìo \ uole, oi a che \ ede epe non ha nu
mere, i saia più geloso, dissi Ini ili me.
E difatti pare che avrebbe do\ uio essi i
Ni i, pi i so iIm e 'inalilo mi ra e di ved
lappa, alleati \ i\ elei,, In II coi
in me\ nalnli i ai i irebbe sialo non
solo spiacevole, ma ci avrebbe addirittura avvi
nato il nostro soggiorno a \ enezia, si
iati nei loi o i imichev oli rappoi ti, \i
, i ni, i i ■ •• MiPiaino
altre cose da con idi rare I Prima ili tati
ricordare una curiosa circostanza la quale nel
lei futuri eventi avrà un grande situiti'
Sarebbe bravo davvero chi avessi la presunzione
di i piegare !
Per poter capire l'Importanza del fatto che sto
rii nulo, bisogna ohe vi meniate bene in m
Che mi - li, sol stava seduta in faccia a ine, va-
, a dire voltando le spalle alla cattedrale ili San
Marco 1 ssa ei a ili buonissimo umoi e. e in quel
momento stava discutendo animatamente dell'ef-
fetto che proibire 1 arte antica sull'inglese turi-
sta, la sua bète i e Improvvisamente, senza
una ragione visibile, si fece pallida come un
io. e eess,, di parlare a meta della su For-
tunatamente non ee ne accorgemmo che noi
. , mi!,' -i riebbe subito, non ne facemmo ■
in momento dopo, guardando in giro ni
i a una grande sorpresa, vidi il dottor Nikola che
.In igei a \ taso di noi.
Possibile che miss Trevor, per un m
dinario, si fosse accorta del suo avvicinarsi ' Op
pure era pei una di quelle strane coincidenze cosi
dilli, i1 1 da spie ?ai e ' Ne allora, ne poi, seppi lini
piegai nulo1 ' nriii'i" ci ebbi' raggiunti, Nikola
lutò le signore, poi rivolto a mia n d
— Temo, lady Hatteras, di essere caduto in di-
sgrazia, per aver tenuto tanto tempo lontano da
voi vostro inalilo, l'altra sera. Se cosi è, vi prego
di perdonarmi.
Pi i, volgendosi verso miss Trevor. le disse:
_ spero che mi concederete la vostra gentile
interoe naie, non è vero, signorina?
laro quanto mi sarà possibile per voi.
Pronunziò queste parole con una tale serietà
che noi «ine la guai à mi In vi
Nikola intanto stringeva la mano a Glenbarth,
fissando don José.
— Permeili temi di presentarvi don José de M
tinos, dottor Nikola. — dissi, — giunto da poco da
v , n
I due - mi binarono profondamente, Imi I altro,
Unerete via ti lari . seflor , m' Imagino
disse Nikola guardandolo bene ni viso.
_( SCO una parie e. ,tisidere\ ole del moi
_ l'altro , pò ' 11" visto il sole della in
moiio al i apo Nord e i ghi lccì del l apo M
Da quel momento la conversa
urlile, (.iiiando fu nra di riti mare all'albi
Nikola i ai/,, e ci saiutò.
— Spero che durante il vostro soggion
mii i u alche volta il piacere di vedervi,
,1 doli,,,- Nikola a don Ji -e Se siete un
mini di vecchi palazzi di questa meravi-
glio , se i vostri amici vorranno
vi,' di farvi visitare il I
_ mi affretterò ad ai mtta
mi offrite cosi gentilmente, - replicò l'altro, a
dopo un profondo Inchino si lasciarono
(Contini!
Anno-II
■ Nvm 8*
•La- Lettura-
Agosto
RIVI5TA-AEN5ILE
DtL-rORRILRE-
^_DELLA"5E.RA"
•1902
Il processo Pellico-Maroncelli
secondo gli Atti officiali segreti fI)
1 Atti Segreti dell'Archivio di Stato di
Milano gettano luce completa sulle
drammatiche lotte giudiziarie che, dal
1819 in poi, si svolsero nel Lombarda Veneto tra
i patrioti italiani e l'inquisizione austrìaca.
Sulla scorta di quegli atti è mio proposito rites-
ser qui fedelmente le vicende del processo Pellio 1-
Maroncelli, del quale si è molto sinora discusso
:a la necessaria conoscenza dei documenti uffi-
ciali.
Le diverse fasi che il processo ebbe a Milano. e
Venezia — la condotta dei vari imputati — . tutto
. io spero, rischiarato dalla mia esposizione,
arida forse, ma obbiettiva e precisa.
I.
Pellico e Maroncelli erano amici di fresca data:
s'eran conosciuti a Milano non prima del giugno
1820. ma li aveva subito stretti la più cordiale in-
timità, perchè li riuniva non soltanto l'entusiasmo
per l'arte e la poesia, ma anche e più l'amore che
ano entrambi per Carlotta e Teresa Mar-
chionni.
Pregati da queste s'indussero persino a comp 1
re insieme una farsa intitolata I.i< festa dì Bussone,
(1) Conferenza tenuta alla Società Storica Lombarda, il
29 maggio.
La Lettura.
di cui Pellico scrisse il libretto, Maroncelli la
musica: ed esistono ancora i bigliettini che si
scambiavano di frequente, per sfogare le loro pene
amorose e per concertare parole e note di una ca-
baletta o di un terzetto. Mentre Pellico viveva si-
gnorilmente in casa Porro-Lambertenghi, Maron-
celli sbarcava alla meglio il lunario, come maestro
di canto a scolari avventizi, e correttore della ti-
pografia musicale Ricordi. Il suo processo trasse
anzi origine da una contravvenzione postale fatta
al ricco sarto bolognese Pirotti Giovanni, che il 4
ottobre 1820 partendo da Milano s'era assunto l'in-
carico di recapitare parecchie lettere a corrispon-
denti emiliani di casa Ricordi.
Maroncelli profittò dell'occasione del Pirotti pei
scrivere al fratello Francesco, medico a Bologna:
e — particolare caratteristico della sua fenomena-
le leggerezza -■ quella lettera, funesta per lui e
per tanti patrioti, Maroncelli la scombiccherò al-
l'ultima ora in un caffè, sul primo foglietto di car-
ta che gli era capitato sotto mano, già scaraboc-
i hiato d 1 un ali ro awenl
Era il l'iloti i un arnese di polizia — come vuo-
le la tradizione romagnola 0 la contravvenzione
intimatagli provenne semplicemente dal caso, se
non pur- dalla denunzia del corriere, che si ved
tudato degli incerti del suo mestiere?
Xon saprei deciderlo: ed q tione seo ndaria,
importando solo i! fatto che mentre il Pirotti si
per montare sulla diligenza fu agguantato dal po-
43
"7 1
LA LETI TRA
affrettò a consegnare tutte
protestandosi ignari i di pi. mio |
contenere 'li incriminabile, e pregando che I" si
re, non molestato, il viaggia Fu
■ rimanere e a firmare un lungi >
protocollo, nel quale tutte le erano elencate
i venne anche ritirato pel momento il
riebbe ] ochi giorni < '< >| « >.
Le lettere sequestrate ed aperte eran tutte d'ai
fari, traimi- quella ili Maroncelli, nella quale con
frasi trasparentissime, anche per una polizia meno
oi biuta e sospettosa dell'austriaca, si annunciava
l'intento 'li propagare la Carboneria a Milano,
spacciando pei icurata l'adesione di Pellico,
Porro, Romagnosi, Gioia, Coi ri, insomma 'li
quant'altri liberali avevano fatto capo al Concilia-
Maroncelli non si peritava di darne tutti i
nomi per disteso, affibbiando a Pellico, Pitto e
Confalonieri l'appellativo carbonaresco di cugini, e
proclamandosi felice dell'appoggio «li così (potenti,
facoltosi, sapienti e risoluti signori». Chiudeva col
sollecitare dal fratello l'invio dei catechismi car-
bonici, necessari all'istituzione d'una Vendita: e
accludeva alla sua lettera una chiave pel clande-
stino carteggio, cioè una delle così dette cartoline
ur.
iplicemente in un foglio di carta
con otto spazi vuoti quadrangolari, disposti e nu-
Fac-simile DELLA CARTOLINA « A IOCR ».
'■"un ,111 assieme conciliabile con la grani
i '1 buon senso,
t'hi riceveva lo scritto, non aveva che ad appli
li l'esemplare perfettamente corrispondente
l'altro, di cui s'era valso il mittente: e la cartolina
a jotir co). mulo tutto il resto della lettei
saltar Inori le parole, che erano il vero scopo di
quella criptografia dalle innocenti appare;
La lettera al fratello sarebbe bastata da sola ■
perdere il Maroncelli, dato l'editto -•') gosto 1S20.
|ht cui ogni Carbonaro era ips dichiarato
reo dalto tradimento e passibile di morte. Ma an-
che più gravi scoperte fece la polizia nella stan-
ta che il Maroncelli occupava all'Albergo della
Lombardia, dove aveva portato le tende, dopo va-
rie peregrinazioni in case prrt
Maroncelli aveva commesso l'imprudenza di
conservare la minuta d'un certificato carbonico, da
lui rilasciato «per la facoltà concessagli dal suo
grado» a certo Camillo Manzini, modenese, stu-
dente di legge all'Università di Ruini. Lo sventa
to Piero, con tutte le forme rituali, dichiarava di
ricevere il Manzini a Maestro carbonaro»: si feli-
citava del nUOVO acquisto che faceva il rispettabile
lordine carb 'nani» con questa recluta poco più che
ventenne ; ed annunziava la missione dei Cari «ma-
ri dover consistere nel vange/izzare i pagani.
Altri documenti sospetti erano dei bigliettini del
Pellico, nei quali tra gli sfoghi d'amore e di gelo
sia per Teresa Marchionni, si adoperava troppo
spesso la locuzione di cugino; tantoché Pellico
una volta firmarsi «il tuo amico e cugino Silvio».
Più compromettente, però, era una commenda
tizia, rilasciata da Pellico a Maroncelli, che dovi
servirsene in una progettata escursione a Genova
per delle pretese speculazioni commercial:. Silvio
lo raccomandava a suo fratello Luigi «segret
del Governo generale del Ducato di G per-
lo illuminasse sullo stato commerciale della
piazza di Genova: e poiché tutti
Maroncelli, povero in canna, scapato per eccellen-
za, non aveva né capitali, né attitudini per il com
mercio, era facile dedurre che cosa s'ascondi
sotto il velame Jelli versi strani .- e tanto più fa
perchè nella lettera al fratello di Maroncelli. la
Carboneria era parimenti adombrala come una
speculazione commerciale.
Nella lettera a Luigi Pellico si accennava pure
all'imi" d'una cartolina à jonr: sicché tutto con
correva a stabilire in modo quasi evidente la
reità dei due amici.
ti saltuariamente (qui nel facsimile SOn rap-
ila sbarre nere), ("hi voleva corrisponde-
1 ii un amico senza pericolo che la polizia, in-
ido la lettera, ne scoprisse il vero tenore,
cava la cartolina </ jour ad un foglio di caria
bianca e negli spazi sottoposti, che rimanevano
perti, s«r Me tali parole che racchiudi ■
il sii" pensiero recondii nendole a seconda
dei numeri indicati nella chiave. Fatto ciò, Colle
glio le parole gravide di signifii
altri- bari difl 1 he tanti . quanto
II
Maroncelli, arrestato il '1 ottobre 1820, tu
posto, nell'indomani, a un lunghissimo interi
torio, dinanzi all'assessore di pulizia Pagani e al
l'attuario Cardani, che vollero, ben inteso, sp
zione esauriente d'ogni frase, d'ogni linea de' do
nti sequestrati.
Era possibili negar tutto, far 1" gnurn con quel
po' po' di materiale d'accusa Non '-erto; il diplo
ma 1 pel Manzini, la su al fratel-
IL PROCESSO PELLICO-MARONCELLI
lo, toglievano al Maroncelli ogni scampo. Egli non
poteva più onnai salvare se stesso: doveva quindi
pensare unicamente a riparare l'imprudenza com-
messa col declinar tanti nomi, nella lettera seque-
strata al Pironi.
Ebbene, è ciò appunto che tentò il Maroncelli:
nella prima notte passata in prigione aveva abboz-
zato alla meglio il suo piano; e nel costituto del 7
ottobre si attenne al partito più abile e più gene-
roso che gli restasse.
Questo primo costituto è fondamentale per giu-
dicare la condotta di Maroncelli: perchè ci fa leg-
gere, meglio d'ogni altro, nella sua anima, e ci
palesa gli intenti con cui aveva impostato la pro-
pria difesa.
Maroncelli confessò l'evidenza: era Carbonaro,
ascritto alla setta fin da quando studiava musica a
Napoli, dove, auspice Murat, la Carboneria era
ufficialmente riconosciuta e protetta. Die particolari
sulla setta, che diceva originata di Scozia: speci-
ficò gli emblemi, le parole ed i segni di riconosci-
mento. Tutte cose che la polizia sapeva meglio di
lui. dopo quanto era emerso a Venezia nel pro-
cesso Foresti-Solera e dopo la rivoluzione del '20
a Napoli.
Nu( ivo era invece quanto disse il Maroncelli sul-
la Carboneria romagnola: ma eran rivelazioni da
mettere in imbarazzo la polizia austriaca, poiché
svelavano i maneggi fatti da emissari toscani in fa-
vore dell'Austria per togliere al Papa le Lega-
zioni.
Maroncelli si vantò d'aver lui stesso indicato al
toscano Valtangoli i nomi di patrioti forlivesi, faen-
tini e ravennati, che. insofferenti del giogo papale,
avrebbero preferito di veder la Romagna soggetta
piuttosto all'Austria: e accennò alle trattative che
per questo scopo s'erano svolte a Firenze tra i Car-
bonari romagnoli e i ministri toscani.
Quanto a se. Maroncelli soggiunse che il suo
ideale sarebbe stato di vedere l'Italia riunita sotto
una monarchia costituzionale: ma poiché era fol-
lia sperar di raggiungere questo ideale, senza lun-
ghe e dolorose prove, gli sembrava che un primo
passo consolante potesse appunto esser costituito
dalla riunione del Piemonte e dello Stato Pontifi-
cio al Lombardo- Veneto. Un governo forte e illu-
minato come era, a parer suo. l'austriaco, non po-
teva non essere anteposto al debole e gretto gover-
no sardo e al corrotto regime pretesco.
Dunque, per me. concludeva, la Carboneria non
ha. in se stessa, nulla di ostile all'i, r. governo, a
cui, anzi, presterebbe volentieri incremento.
Col Pellico disse aver più volte manifestato le
sue idee politiche, ma senza mai rivelargli di es-
sere Carbonaro, e senza aggregarlo alla setta. L'ap-
pellativo di cugino proveniva dal fatto che inna-
morati delle cugine Marchionni, e decisi a sposar-
le, si consideravano in spe già parenti. La com-
mendatizia per Genova era stata innocentemente
rilasciata dal Pellico. Fra loro, in quei pochi mesi
di intimità, s'era discusso assai più di arte e di
amore che non di politica: Maroncelli aveva sem-
pre taciuto le sue intenzioni di propaganda car-
« '7~>
bonica ; e Silvio era soltanto d'accordo con lui in
quella fisima di un regno costituzionale dell'alta
Italia sotto il protettorato austriaco.
Quanto agli altri personaggi indicati nella sua
lettera, Maroncelli protestò di non conoscerli nem-
meno di vista : i nomi di Porro e Conf alonieri li
aveva unicamente citati per far impressione al fra-
tello, che non si sarebbe altrimenti deciso a man-
dargli le carte pericolose richieste. Affermò, infine,
che. assente da Milano, quando si pubblicò l'edit-
to contro i Carbonari, non ne aveva avuto sino al-
lora la più lontana notizia.
Questo primo costituto del Maroncelli ha delle
ingenuità bambinesche ma anche delle trovate ge-
niali — e, strana coincidenza — le sue idee sui
vantaggi che l'Austria avrebbe potuto arrecare al-
l'Italia, collimano quasi perfettamente col celebre
opuscolo pubblicato a Parigi, nel 1833, da F. Dal
Silvio Pellico.
Pozzo, un esule piemontese del '21. La differenza
tra loro due è a tutto vantaggio di Maroncelli :
nel '33, quando tante vìttime illustri gemevano an-
cora allo Spielberg, era infatti un insulto al senti-
mento nazionale lo scrivere un libro sulla felicità
che gli Italiani possono e debbono dal Governo au-
striaco procacciarsi ; nel 1820 invece erano meno
assurde le illusioni del Maroncelli, sia perchè egli
mirava anzitutto, come romagnolo, ad eliminare il
malgoverno teocratico, sia perchè quel suo piano
era dettato da necessità di difesa dinanzi ai giudici
austriaci.
Costoro lo presero sul serio più che noi non ci
aspetteremmo : Salvotti dedica una lunga parte del-
la sua requisitoria al primo costituto di Maroncelli.
di cui riporta estesi brani per dimostrare « il som-
mo ingegno » dell'inquisito e i vani sforzi che ave-
va fatto per salvare i suoi amici.
i.yt. LA LETTURA
\i Ili denun
- il fratello; ma io domando:
v:. .11 Pirotti, era pi
bile luce del M
! emblemi i*-r l'i-
di Milano, poteva esser gabel-
. irò d'ogni raggiro cari., nio Piero,
del resto, non tra) «un mezzo per sgravare
frati lo: e questi, dopo breve
.1. non ebbe ;dtro a soffrire per
■ li Milano e Venezia.
Anche per il Man/ini. Maroncell : strug-
la prova schiacciante costituita da quel diplo-
urò che il mi idenese, da lui cono-
, .1 Roma, a.\ I mostrato l'intenzione
di entrare nella Carboneria, ma s'era poi schermito
dall i lié >l diploma era
rimasti) tra le d'aggregante. Questa spie
non valse a risparmiare gravissime noie al
■ini. e poco mancò non venisse tirato in ballo
anche Massime d'Azegli >. La polizia pontificia nel-
la perquisizione al Manzini trovò un sigillo con
un inuline dell'Italia oppressa e dolente — un leo-
iddormentato a' piedi di lei. ed all'ingiro il
motto non seni per man (ebit). 11 Man/ini disse
•r avuto questo sigillo dal giovane pittore to-
MasM Taparelli d'Azeglio: e le polizie
pontificia, estense ed austriaca si scambiarono pa-
ro .-lue note d'ufficio per accertare se quella rap-
presenta sigillo fosse un emblema carbo-
nico. Dopo gran discutere si concluse «piuttosto
che simbolo e -egreta, essere parto di qual-
che singola niente imbevuta delle funeste massime
politiche del giorno»; e l'Azeglio fu lasciato in
pace.
IH.
auto era stato arrestato il conte Camillo
Laderchi, studente romagnolo a Pavia, anche lui
nella lettera maroncell lana come consa-
ole e approvatone delle progettate specula
carboniche. Questo ragazzo non ancora ventenne
serbò allora una relativa prudenza: ma si lasciò
pur sfuggire qualche confessione nociva per Maron-
celli. Mentre infatti questi negava di aver mai co-
l'editto .' nini i Carbonari, La-
!ii spiattellò che ne avevano discusso insieme
in trattoria, durante il pi inzo, il giorno stesso del-
la promulga/^ cosi uno dei capi-
saldi della difesa dell'amico e conterraneo.
o, re lui mi 'so viaggii i a Venezia
primo battello a vapore, rientrò a Milano l'8
corsi- subito all'Albergo della Lombardia
in cerca di Maroncelli, che gli dissero arrestati) per
Bologna e sequestrata dalla
polizia». Il '■ ebbe dovuto allarmarlo, ma
■ riparti l'indomani per
il ( '■ Pi .1 ro di ree.
iffari de) filatoio di Lenno.
atti risulta che [a polizia aveva
in casa Porre
i mo
al palazzo; si Sapeva da tutti 1 arresto del Ma
roncelli.... e nessun ire Silvio del-
l'imminei lira! figli torna I 13 ottobre alle
.' potn. : la persona incaricala eglianza
ad annunziare che in quell'istante la vitti-
mai- in trappola; alle ,; Pellico si trova già nelle
carceri di Santa Margherita, e subisce il primi
s;, tutu, irei quale -1 schermisce negando con molta
fermezza ogni intelligenza sos|>.-n.i col Maroncelli.
Nemico di se tò non essersi occupato mai
■'litica : 1 incriminata cor ia la si 1
in buona fede, secondo gliela dettò M - che
voleva t. ni, ne di fai fortuna a Genova.
Le negative del Pellico furono subito conti
al Maroncelli: perche bisogna dirlo — nella
procedura segreta noti occorre di veder adopi
sleali artifici per estorcere confessioni dagli inqui-
siti. Il gii usato all' a
cogliendo pazientemente gli indizi della loro colpa-
lilità: e questa emergeva quasi sempre |>er forza
di cose, da interrogatori, abilmente ma non diso-
nestamente condotti. Gli imputati, che brancolava-
no nel buio, e dovevano padroneggiarsi, per ci
tuti di setie. otto interminabili ore. finivano per
nuocersi reciprocamente con risposte contraddi-
torie.
Mai Ili, dunque, sentendo che Pelli
tutto, pens.. - non a torto — che questa linea di
difesa si urtava troppo con la sua. a danno stesso
di Silvio: e pensò necessario di avvenirlo con un
biglietti .
Per recapitarlo si valse di un vecchio carcerato,
cinquantenne, mezzo scemo, che i secondini adi
ravano per la pulizia dei locali: certo Giovanni
Sommaruga, che andava liberamente in tutte le
celle come... vuotacessi. Maroncelli, presentendo i-
nevitabile l'arresto del Pellico, aveva chiesto subito
al Sommaruga se fosse stato tradotto a Santa Mar-
gherita un signore piccolo di statura di cui dava
i connotati: e il Sommaruga (cosi raccontò poi nel
verbale assunto dalla polizia) tra il 14 e il 15
ottobri disse al Maroncelli che Pellico era si
tti portato in una stanza a pianterreno, mentre
Piero era al n. 1 1 del seo >nd 1 piai
Pregato all'indomani dal Maroncelli, il Somma-
ruga consentì a farsi latore di un biglietto —
0 documento rimaste tuttora tra la selva degli
atti del Ventuno. Per scriverlo Maroncelli si servi
d'uno stecco di leene, tolto 1 scopa •■ abbru-
ciacchiato al lume della candela, e di un fogli
li. in , ogli dalla
D ii/ione dellt carceri. Il biglietto , sgual-
e in gran parte ''leggibile: ma |ht buona
ventura i! suo contenuto ci .'• rivelato dai costituti
del Pellico e d 1 M icelli, concordi, meno in
qualche punto secondario. Pellico non aveva tutto
ben compreso (tre righe — diceva -- sono indeci-
frabili «perei. con carbone che male
-va n) ; Maroncelli, a sua voli ■ llato, sen-
porgli sei-'. «-chili lo scritto, ne citò il contenuto
.-moria. Ma. a pane le divergenze seconda
1 11. pai sai il vero. Tiare all'Austi ii
IL PROCESSO PELLICO-MARONCELL1
«77
«Sardo e Pontificio per farne col Lombardo- Ve-
<. neto un sole è la mia accusa che t'ho fatto. E
«perchè lo taci? Questo Governo non ti sacrifiche-
«rà mai al tuo. Forse ti ritieni per motivo della
«tua amicizia per me? Ma le mie carte nari detto
«ciò assai prima della mia bocca. Ór se il dover-
ono sa anche i mezzi [che tu non hai mai saputo) tu
.. perchè non dici in esame tutto ciò che io ti ho
g 1 1 .inimicato sull'argomento ? »
Questo documento mi par decisivo per la riven-
dicazione di Maroncelli -- che dovendo scrivere
con certo riserbo per tema che il biglietto fosse
intercettato, veniva in sostanza a dire chiaramente:
«caro Pellico, le carte sequestratemi mi hanno po-
st., nella necessità di architettare nel tuo interesse
un piano di difesa in cui ti prego di secondarmi.
Negar tutto è impossibile: l'importante è che tu
taccia di esser Carbonaro; che tu dica d'ignorare
1 mezzi (cioè l'istituzione d'una Vendita carbonare-
sca), di cui io mi sarei valso per quel preteso fine
di dare all'Austria le Legazioni e il Piemonte. Que-
sta scappatoia non offre per te nessun pericolo, per-
chè si riduce a confessare aspirazioni politiche di
cui l'Austria non può farti una colpa. Potrebbe
l.ensi l'Austria nuocerti comunicando la tua depo-
sizione al Governo piemontese, di cui sei suddito:
ma l'Austria non lo farà. Il solo dunque ad averne
danno sarò io: ma per me hanno già troppo parlato
i documenti che ho avuto la dabbenaggine di farmi
sequestrare. »
Tale è la portata di quelle linee, delle quali pur-
troppo Pellico non afferrò il significato!..., ma che
attestano oggi allo storico la generosa abnegazione
del preteso delatore.
Pellico ricevuto il biglietto vuol rispondere... ma
come fare non avendo inchiostro ? Lo dice lui stes-
so nel capo V delle Mie Prigioni: o Con una spilla
« ch'io aveva mi forai un dito e feci col sangue
« poche linee di risposta, che rimisi al messagge-
ri r.>. Egli ebbe la mala ventura d'essere spiato, fru-
« gato, colto col vigiietto addosso, e se non erro
« bastonato. Intesi alte urla che mi parvero del mi-
« sero vecchio e noi rividi mai più. »
Mino qualche circostanza accessoria, tutto il re-
sto è esattamente vero: e — sacra reliquia — il
biglietto di Pellico, scritto col sangue, esiste tra gli
atti processuali, insieme al verbale relativo, redat-
to in concorso dell'attuario Cardani e del carceriere
Angelo Caldi. Costui stando nelle sue stanze su-
periori, al balcone che guardava sul grande cortile
interno, aveva veduto il Sommaruga curvarsi sotto
la finestra della prigione di Pellico (a pianterreno,
come fu detto) e razzolare per terra. Il Pellico col
dito proteso fuori dell'inferriata dirigeva le ricer-
che del Sommaruga, che finalmente raccolse una
pallottola di carta gettata da Pellico nel cor-
tile.
Fmgato. il Sommaruga non si fece pregare e
consegnò il biglietto, dicendolo destinato al Ma-
roncelli.
La fotografia poco o nulla può rendere di quelle
linee, che assicurate ad uno spago e col suggello
della polizia, sono accluse al protocollo 17 ottobre
r820 (ore 12 1/2 meridiane) in cui il Caldi ne mise
a verbale la trascrizione.
Pellico rispondeva a Maroncelli: < Se tale era
Fac-simile del biglietto scritto col sangue
da Silvio Pellico.
« tuo progetto potevi si palesarlo, ma perchè voler
« far credere me consapevole ? Se te sfuggita una
« falsa confessione a mio riguardo, ritrattala. Te
« l'impongo in nome della verità. Io credei real-
« mente che a Genova tu avessi degli affari mercan-
ti tilt. Non mi avevi tu parlato di qualche tuo ca-
ci pitaluccio? »
Se anche questo biglietto fosse giunto al Maron-
celli, non so, a dir vero, quanto avrebbe potuto gio-
vargli, poiché non era facile ritrattare tutti i par-
ticolari versati nel suo primo costituto sui discorsi
politici tenuti col Pellico. Ad ogni modo, Maron-
celli non ebbe il biglietto: non potè dunque cam-
biare la sua linea di difesa; il pi cesso continuò
senza che i due amici agissero di conserva, ed era
inevitabile che dovessero danneggiarsi a vicenda,
con le migliori intenzioni di salvarsi.
Quei biglietti stessi scoperti diventavano un'arma
in mano della polizia, malgrado che entrambi gli
accusati cercassero, con discreta accortezza, di giu-
stificare ogni frase, attribuendo la clandestina cor-
rispondenza al desiderio di far conoscere il vero
senza ambagi, e non ad un tentativo di collu-
sione.
LA 1.1 TTURA
Pellii ii ire delle poche linee \>-\
g. ite ci il sangue, negò dapprima, non volendo o
oettere il Sommaruga: ma appena seppe
- me stessa di oo
stui, palesò che il suo biglietto era una risp
all'altro del Maroncelli non conosciuto ancora dalla
|k.1 i o che 1" depone in atti
i- lo soggiungendo che egli non sapeva
un acca i sati dal Maroncelli 'li
favi irir l'A \ mn va nell'amico « l'intento
roso » <li render favorevoli al suo coimputato
le autorità austrìache; ma io (son sue precise pa-
role) « rigetto, qualunque ne sia L'esito, questa
(menzogna Non voglio liberarmi con finzioni, per-
« che non ho bisogno di questa i Faccia pure la
polizia ogni indagine che vuole, e vedrà che sono
liberale bensì, ma tempi rate e prudente: vivo uni-
camente dedito ai miei studi, non cero» d'influire
. sull'opinione altrui ne quante volte ho voluto ma-
nifestar le naie idre per la stampa mi son sotto-
■ alla censura del Governo, amie feci nel
Conciliatore.
In una parola, Pellico rovesciava tutto il castello
di carte, erette da Maroncelli con tanti sforzi in-
gegnosi : e sostenne sempre irremovibile che la com-
mendatizia per Genova si collegava davvero a qual-
che speculazione mercantile, vagheggiata dal vul-
canico amico, eterno fabbricatore di progetti.
A questa supposizione accampata dal Pellico al-
ludeva appunto la frase suggestiva del suo bigliet-
to: a Non mi avevi tu parlato di qualche tuo capi-
tatacelo?»; e Maroncelli, astutamente interroga-
te se avesse avuto dei denari da investire in com-
mercio, rispose che aveva... dei chiodi e che per uscir
d'imbarazzo s'era anzi fatto prestare dall'amico Sil-
\iu 50 lire non ancora restituite!...
Ne si contraddissero meno circa quella cartolina
à jour, di cui i giudici vollero conoscere lo scopo.
Maroncelli aveva ammesso subito che quella tal
■ ni bucherellata l'aveva ritagliata lui stesso. Pel-
lico, a cui la si mostrò egualmente per sapere se
la cartolina à jour spedita a Genova fosse consi-
mile, esclamò ingenuamente: 0 E' identica, anzi è
la stessa che io esemplai per Maroncelli ! » Dopo
ciò tutte le spiegazioni, che davano entrambi sullo
scopo innocente di quel mezzo di clandestino car-
teggio, venivano necessariamente ad elidersi.
Peggio ancora accadde per la sospetta locuzione
di cugini, che ricorreva frequente nella loro corri-
spond 1 l inchè Maroncelli ne giustificava l'uso
tra loro due. con l'amore alle Marchienti'], la cosa
poteva passare: ma in una lettera di Pellico da
Venezia si faceva cenno d'altri due cugini, visti
;si? Non certo altri spasimanti
delle Marchionni, pensava maliziosamente il gin-
dio •. Maroncelli, imbarazzato, credi- di farla franca.
risp 1 Ugini in carne ed
ossa di cui si ricordava avergli il Pellico una volta
parlai". Ma Silvio, interrogato l'indomani, non |«nsò
nemmeno a sostenere questa fantastica parentela e
depose... che erano due inglesi da lui conosciuti in
casa Porro.
Frano forse parenti tra loro? — domanda il giu-
no, risponde Pellico — e allora perche li
chiamavate cugini? Beco, spiega Pellico: questi
due inglesi eran uomini di meni, up ire, liberi
pensatori sdegnosi degni pregiudizio, e Maroncelli
ad uomini siffatti aveva pure il vezzo di dare il
nome di cugini. La nostra passione per le Mai
chionni ci faceva associare l'appellativo di cugino
ad ogni persona degna d'amore e di stima...
Viene di nuovo interrogato (sempre ben inteso
separatamente) Maroncelli e lo si redarguisce per
aver osato ingannare la giustizia con dei cugmi im-
maginari di Pellico: e il buon Piero tenta di
sgattaiolare con una descrizione umoristica dei lun-
ghi colloqui che Silvio e lui solevano tenere a M
lano. Eravamo tutti due innamorati cotti - egli
dice — , le contrarietà che si opponevano al nostro
desiderio di sposare le Marchionni. ci facevano de-
lirare, e ci stogavamo perciò col versare l'i nel
seno dell'altro le comuni pene. Ma quei dialoghi
si risolvevano in fondo in un soliloquio a voce al-
ta ; parlavamo senza ascoltarci, ognuno di noi as-
sorbito dalla propria passione. Col mio cervello in
ebullizione, è facile dunque immaginare com'io ab-
bia potuto equivocare sui cugini che Pellico deve
avere in Piemonte e che io credetti invece dimo-
ranti a Venezia.
Queste spiegazioni ingarbugliate fanno sorridere
il giudice, che gli domanda semplicemente se cono-
sca due signori inglesi amici di Pellico e
Maroncelli risponde tanto di noi
Gli vien letta allora la deposizione di Pellico su
questi inglesi: e Maroncelli cerca prontamente di
rimediare, dicendo che infatti si risovviene di
storo; con felice intuito dà la stura ad un altro
sproloquio sulle affinità morali che, secondo lui, do-
vrebbero più assai che i legami di sangue determi-
nare la parentela tra gli uomini ; e conclude infine
col protestare che questa ustoria di benedetti cu-
gini » non ha un'importanza qualsiasi. Era una biz-
zarra consuetudine di linguaggio: non nascondeva
alcun sottinteso settario, dacché Pellico non era
Carbonaro, né sapeva che il suo compagno d'amo-
rose avventure lo fosse.
Coloro che, per demolire Maroncelli, asseriscono
aver egli subito in sede di polizia vuotato il sacco
per salvare la pelle, sacrificando gli amici. 1
vono dunque dai documenti la più clamorosa smen-
tita. Il vero è precisamente l'opposto: Maroncelli
a Milano immolò interamente sé stesso; per ripa-
rare le conseguenze fatali della sua grafomania
spiegò non solo maggior disinteresse, ma anche a-
cume d'ingegno e felicità di risorse, superiori al
Pellico, die. troppo preoccupato della sua difesa
personale, non capì come egli arrestato dopo il
Maroncelli - doveva tener conto della situa/ione
ili fatto, creata dalle imprudenze dell'amico, e se-
condarne la linea di difesa, che pur conosceva per-
fettamen e, e per le contesta/ioni dei giudici e pel
biglietto consegnatogli dal Sommaruga.
Malgrado le stridenti contraddizioni negli inter-
rogatori dei due amici, il processo, sulla line del
[820, aveva assunto una piega favorevole al Pel
lieo. La dicliiara/ion,- recisa del Maroncelli che tra
IL PROCESSO PELLICO-MARONCELLI
lui e Silvio non s'era mai trattato di carboneria:
d'altra parte la tenace negativa del Pellico pareva
assicurare il suo vicino proscioglimento dal carcere.
A migliorare la sua condizione, il Pellico era ri-
corso ad uno strattagemma insolitamente scaltro.
11 Sommaniga. in punizione della mancanza com-
messa prestandosi alla corrispondenza clandestina
dei detenuti, era stato traslocato «alla Casa di de-
posito dei corrigendi politici residente al Palazzo
di Giustizia» (che fosse bastonato non risulta ma
è tutt'altro che inverosimile): e Pellico trasse par-
tito da quell'incidente per far sequestrare più tardi
un biglietto tendenzioso, da lui indirizzato al conte
Porro.
Anche questo terzo biglietto è conservato tra gli
atti ; ed è una meraviglia il vedere come il Pellico
con uno spillo abbia trapunto in bianco, come la
più abile ed elegante ricamatrice, queste parole:
« Sono innocente. Il processo lo dimostra e sono
«ancor qui, si dia cauzione, faccia passi. Mi riten-
i gono pel solo sospetto che con mire politiche io
« raccomandassi, a mio fratello a Genova, Maron-
« celli che dicono Carbonaro. Sono innocente, sono
« inattaccabile. 1-' accia niun caso delle voci false.
« Scriva cose consolanti a mio padre, baci i nostri
«figli. Mi raccomando alla marchesa Trivulzio».
Lo strattagemma riuscì a puntino. Il biglietto
vien^ consegnato a un secondino, allettandolo con
la promessa della vistosa mancia che avrebbe rice-
vuti) dal destinatario. Il secondino, certo Cremona,
non oppone difficoltà a ricevere il biglietto e lo
porta difilato alla Direzione di polizia. Nuovo esa-
me del Pellico, che s'infinge dapprima sorpreso e
contrariato : ma in ultima analisi il suo biglietto
ribadisce nei giudici l'impressione che non vi fos-
sero prove legali contro il segretario del conte
Porro.
Onde che mentre per Maroncelli già dal 12 di-
cembre il Tribunale aveva, in tutte le forme, dichia-
rata aperta l'inquisizione d'alto tradimento, Pelli-
co continuò ad esser trattenuto nelle carceri di po-
lizia come semplice testimonio sospetto: anzi il 20
gennaio 182 1 il giudice Rosnati comunicava alla
Polizia che Pellico poteva essere rilasciato in li-
bertà, ammenocchè nuove emergenze non fossero ri-
sultate a suo carico dalle ricerche di cui l'autorità
politica si stava occupando. Pareva dunque sulla
fine di gennaio del 1821 che la liberazione di Pel-
lico dovesse in breve susseguire a quella già avve-
nuta del Laderchi, che fu dimesso il 6 gennaio
1821 col solo decreto di sfratto dagli Stati Au-
striaci.
Il padre di Pellico, venuto a Milano per prov-
vedere alla sorte del suo Silvio, ripartì con le più
liete speranze dategli non solo dal conte Porro, ma
anche dalla marchesa Beatrice Trivulzio (nata con-
tessa Serbelloni). Questa gentildonna (la stessa a
cui Pellico chiedeva nel biglietto trapunto di essere
raccomandato) s'era valsa della sua intimità con la
contessa Bubna per caldeggiare la scarcerazi. me
del letterato saluzzese. Tanto era sicuro il padre di
Pellico di poter riabbracciare a giorni suo figlio,
che in una lettera sequestrata al conte Porro lo
679
pregava di voler evitare le chiassose dimostrazioni
di gioia che gli amici avrebbero fatto a Silvio pro-
sciolto: e insinuava che per non urtare la polizia
lo si mandasse subito sul lago di ("omo.
Senonchè a sfatare queste rosee previsioni giun-
geva fulmineo da Vienna (dove ogni menoma cosa
doveva decidersi) l'ordine imperiale che i due accu-
sati di Carboneria fossero deferiti alla Commissio-
ne speciale eli Venezia, l'unica competente a giudi-
care dei delitti di alto tradimento: il processo en-
trava cosi, inattesamente, nella seconda sua terri-
bile fase.
IV.
Ai costituti, che mancano tra i documenti del-
l'Archivio di Milano, per questo secondo periodo,
suppliscono ad esuberanza tanto la voluminosa re-
quisitoria finale del Salvotti, quanto i diffusi Rap-
porti periodici ch'egli mandava a Vienna sullo
svolgimento dell'inquisizione.
E' in base a questi documenti d'autorità inso-
spettabile, che possiamo stabilire quali cause con-
corressero precipuamente a dare letale avviamento
alla procedura di Venezia.
Queste cause possono assommarsi a quattro: il
momento politico gravissimo, l'intervento d'altri
imputati, le delazioni di Carlo Castiglia, l'abilità
del nuovo inquirente — Antonio Salvotti.
Il processo fu ripreso quando le truppe austria-
che marciavano sul Napoletano per schiacciarvi la
rivoluzione : e quando all'altro capo della penisola
stava per iscoppiare il moto dei Federati, fidenti
Antonio Salvotti.
(Da un ritratto di Anna Fratnich, sua moglie).
LA LETI
i i irbo
! dunque ai giudici ausi
I" tenze più n e fi >rmii ;
per l'i. r. < ìoverni i: e da e
ie, e trarre
luce tutti ll'i imbra a Milani i.
dici milai ino si. iti di manii a
. mi 'I'" - o ime
l'eli ' ' Laderch
liversa, perchè il nuovo inqi
pensava che, se pei si stesso uno stordito della ri-
si ro di mus i aon mei il
moli m ac |uista\ ai u 111 i d una
■ 111 urge\ a so iprin e spes :
. poct i più i he trentenne, bello, sedu
■'. .1 nei pri - 1 ssi (imperi I
bile colpa per un italiano) la sua attività prodigio-
la sua lei rea memoria, la sua in
1 i ile un funesto complesso ili doti che
il prof. Ressi, dell'Uni Pavia, nella sua
■ m n
■ ila I rasciri I ridia» del Salvotti
l'aveva fatto «più volte dubitar ili so stesso» e
si aderire alle deduzioni dell'accusatore: e si
può immaginare se Marmiceli i frisse in grado 'li
misurarsi con avversario ili tal fatta!
rivati a Veni afì ranto di corpo
e ili spirito; e una sua ! ' ' i inedita al Sali
I >i asprissimo inverni i (scrivi | venni
posto in un legno aperti . con gli abiti da estate
«con cui mi arrestarono, si che il freddo eia fame
• m-' rumi ir vivo per la strada. A Verona
«si i facessi comperare del mio un paio di
tanti, mentre si cambiavano i cavalli ed unge-
no: ma per Dio! quando videro che del
■ la mia pelle co ili più, si disegnò di fer-
■ mare al Dolo, ove s'ebbe cibo e riposo dopo 6o
ili digiuno e .?o di cammino, ili sbattimento,
■ di ferocissima ed incessante gelura».
In 'i1 [dizioni la tanto più ine-
;, inquantochè Salvotti avendo studiato gli an-
esso aveva già rilevato le incori
gruenze in cui i due amici erano caduti: e prilliti
ancora che procedesse ai nuovi ci stituti di Maron-
celli, s'ei o — in uno dei suoi referatì alla
Camera di Consiglio - per l'evidente colpabilità
■ ' Pellico e I.aderehi !
Nei rapporti e nella requisitoria. Salvotti ritesse
il sottile lavorìo di demolizione critica, con cui
egli condusse Maroncelli a distruggere gradualmen-
tto il suo artificioso sistema di difesa archilei
\l lano. Le trovate e le scappatoje del lo-
quai i lo svaporano via via, come frolle di
ne, dinanzi alli I iche ci intesta
/ioni di fatto dell'inquirente, che inseguendo l'im-
putato nella sua ultima trincea lo [«irta ad ane
1 assurdità delle sue simpatie austriache, e a
mare Itamente le sui ài mi di Italia
no, avverso ad ogni soggezione -
v Veni Maroncelli tentò di sah are
Pellico, Porro. Canova ,• soprattutto il La
lo inteneriva fino alle lagrime: ma
pur lo il terreno a palmo a palmo, tini
soccomberi . dopo una lotta di . mesi,
■-in uh une o mfessioni som i del z8 ap
Quelle confi ssii ni si debb mi i alla logica
e del Salvotti, i
di Maroncelli, alle altrui delazioni.
Maroncelli i ra angi p o tori
so de] Ir. nelle. I topo cinque mesi 1" sapeva ancora
.ito la madri ite, una so-
n Ila -'in i senza il loro unii o sosti
ed egli voleva ad ogni cosi'
zione di I Nella mità pensò di
raggiunger lo scopo, t udici di Vi
zia più estesi pan ii olari delle simpal ii dei l
nari r< imagni 'li per l'Ausi ria. Comi n ritto
al Pellico « il governi i ausi riaci herà
mai ili tuo*, cosi ritenne eh.- I .Austria nei
i k compromesso quegli i ie in Ro
magna l'anteponevano al dominio papa
da questa idea, si credeva sicuro di giovare al
ti Ilo, senza 1 1 -uno de' molti ■ ■ ahi-
ppi 0 che nominò.
Fu gravissimo errore il suo. perchi svelò al Sal-
votti il n na Carfo meria n imagni il
quei preziosi segreti furon subito, con rude rim-
provero alla cecità del Governo papale, comunicati
dall'Austria a Roma; ma vorremo per questo
eretare l'infamia a Maroncelli per il n scien-
mmessi i ?
Salvotti, più equo dei critici recenti di Maron-
celli, riconosce nella requisitoria— con la sua
obbiettività consueta, che l'inquisito fu tratto a
quelle propalazioni dalla tenerezza )*-l fratello
e per la madre «della cui sorte — son sue parole —
gli caleva più che della propria».
Ed e per il suo Checco che Maroncelli tera
di lettere non il solo Salvotti. ma il giudice Roner
e il presidente Cardani, insistendo perchè s'inter-
pongano con la magistratura pontificia per liberar-
gli il frati Ilo.
Non meno funeste dei suoi domestici affetti, ad
aggravare la situazione di Maroncelli s'erano ag-
giunte li deposi/ioni di I.aderehi. di Angelo i
nova, le delazioni ili Carlo Castiglia.
11 Laderchi, prosciolto a Milano, se ne stava ai
saporando in Romagna la libertà riacquistata, quan-
do il Governo pontificio torno ad acciuffarlo per
metterlo a disposi/ione dei giudici di Venezia. Q
sti non avevano facoltà di pronunziarsi su lui; di>-
vevano soltanto servirsene pei confronti con
altri imputati; ma Laderchi si ritenne spacciato,
e nel panico morboso onde fu preso, l'imberbi
spirai |ue grandemente a Maroncelli, noc-
que soprattutto al prof. Ressi che gli aveva, a
via, fatto le veci di padre. ,• a Ri che, am-
mirando l'ingegno brillante del gì. nane romagnolo
gli aveva dato a leggere alcuni suoi scritti politici
mediti.
Angelo Canova nominato lui pure nel!
maroncelliana aveva, fino al ma
t8ar, potuto sfuggire all'arresto, in grazia di
Mia vita errabonda di attore nella compagnia Mar
chinimi. Ma la polizia lo agguanta al
IL PRO* ESSO PELLICO-MARONCELLI
OSi
za e lo trasporta a Venezia proprio quando., sposo
novello, nuotava in piena luna di miele.
Il Canova è la figura tragi-comica del processo
Pellico-Maroncelli. Carbonaro senza saperlo e sen-
za volerlo, aveva portato da Milano a Bologna al-
tre lettere sospette ilei Maroncelli e al vedersi tra-
scinato a Venezia a recitare la parte di vittima in
un dramma reale dei più spaventosi, trema, piange,
balbetta, protesta di non aver mai inteso di cospirare
contro l'Austria, di cui avrebbe salutato con gioia
il dominio esteso a tutta quanta la penisola.... e
frattanto svela che Pellico era Carbonaro indub-
biamente, poiché in casa Marchionni gli aveva
to la mano coi tocchi carbonici e aveva appro-
vato l'idea di far venire da Bologna le carte neces-
sarie all'istituzione di una Vendita!
Si aveva così un'altra prova a danno del Pelli-
co: ma questi resisteva ancora, ed ecco sorvenire
le delazioni di Carlo Cartiglia, comunicate dalla
zia di Milano con lettera — si noti bene la
data — del 3 aprile 182 1.
Che cosa rivelò il Castiglia? Che Maroncelli a-
veva tentato, in una escursione sul lago di Como,
di affiliare alla Carboneria i fratelli Rezia di
Bellagio e Odoardo Bonelli, direttore d'una fab-
brica d'aceto a Lezzeno.
Questo cenno (scrive ancora Salvotti) era « inte-
ressantissimo» e venne «tantosto coltivato» dalla
Commissione, coi più inattesi risultati. La delazio-
ne del Castiglia bastava infatti a smentire la pro-
testa di Maroncelli di non aver iniziato di fatto
nel Lombardo- Veneto la propaganda carbonica: ed
era un'arma terribile contro Pellico, notoriamente
amico del Bonelli. al quale aveva diretto con una
sua commendatizia il Maroncelli.
Pellico e Bonelli erano entrambi piemontesi e
legati col Porro : dunque — arguiva Salvotti — si
può forse 1 ra scoprire il trait d'union fra i libe-
rali lombardi e il Piemonte ; e la Commissione de-
creta l'arresto di Bonelli e di Porro.
Da Milano si risponde che sono fuggiti: e al-
lora la tempesta si concentra su Pellico, che nella
sua qualità di segretario del Porro poteva rivelarne
gli intenti e la condotta politica.
La più splendida apoteosi di Pellico è nella re-
lazione con cui Salvotti riassumeva le confessioni,
estortegli coi «tormentosi» costituti, a cui Silvio
accenna appena nelle Mie Prigioni. Ad ammette-
re la sua colpa non aveva più v- lungo esitato, dopo
le confessioni di Canova e Maroncelli: e per suo
conto Pellii-o aveva ceduto tino dal 17 aprile.
Ma l'anima sua si ribellava ad accusare il Porro:
e la sua resistenza strappa parole d'ammirazione
allo stesso inquirente.
« Lunga ed ostinata (egli dice) fu la lotta che
desso sostenne. Un inquisito che penetrato del pro-
prio reato il confessa e disdegnando di trarre un
motivo di mitigazione nella rivelazione dei complici
sconosciuti si offerirli per essi m olocausto alla lo-
to salvezza — un inquisito che sentiva tutto il ri-
brezzo che l'accusa del proprio benefattore eccitava
nella sua anima non poteva che con somma diffi-
coltà risolversi ad abbandonare un sistema che
dall'onore e dalla
propria coscienza. Si supponga, diceva egli una
volta nella sua commozione e stretto da quelle con-
testazioni con le quali il Consesso inquirente cer-
cava di superare la sua fermezza, sì supponga che
Vono fosse realmente colpevoli : potrebbe però un
0 accusarlo.' Ed io a rso Porro non mi-
nori doveri dì quelli che ha un figlio verso suo
padre. Questa stessa morale delicatezza che in al-
tra circostanza gli avrebbe meritato gli umani suf-
fragi, presti, però al Consesso i motivi per deter-
minare Pellico ad una sincera deposizione».
Reso sicuro che il conte Porro non poteva esser
danneggiato, perchè già profugo in Svizzera. Pel-
lieo s arrese — esaurito dalla lunga lotta, che ave-
van combattuto nel suo animo il sentimento della
riconoscenza e l'impulso prepotente del vero!
1 M'abbandono ai miei giudici, ho sentito che
mun castigo pub eguagliarsi a ciò che soffre Vuomo
d'onore che s'i mentendo ». In queste pa-
re ile d'una celebre lettera di Pellico abbiamo, starei
per dire, la chiave di vòlta dei processi del '21. Ad
anime nobili e ingenue ripugnava il dissimulare e
negare: il sentirsi tacciati di menzogna era un ul-
ti aggio che faceva trasalire quei patrioti, ricchi d'o-
gni più ammirevole pregio, fuorché delle più in-
dispensabili d.oti del cospiratore.
L'arte del Salvotti consisteva appunto nel fare
costantemente appello all'onestà dei suoi inquisiti.
« Come mai un gentiluomo della vostra sorte non
arrossisce di sostenere una così evidente falsità
smentita dagli atti?» — Oppure: «Come mai può
Llla apporre ad un amico l'orribile taccia di calun-
niatore, dichiarando falsa la sua deposizione?».
Ecco le due contestazioni, quasi stereotipe, che ri-
corrono negli atti del '21, e alle quali gli imputati
finivano per darsi vinti, con l'ingenuità di bam-
bini, a cui si dica che la bugia corre loro su pel
naso ! Pareva ad essi un'imperdonabile macchia il
mantenere imperterriti una menzogna che poteva
salvarli !....
A questa iperestesia morale s'aggiunga la de-
plorevole ignoranza quasi generale della legge. Po-
chi, ad esempio, sapevano che per l'alto tradimento
1 ommessa denunzia bastava a costituire un delitto
punibile col carcere duro perpetuo; e Pellico narrò,
a me la cosa più innocente del mondo, d'aver ten-
tato Romagnosi e Arrivahene ad entrare nella Car-
boneria e d'averne ricevuto un reciso diniego. Ba-
stò questa deposizione a farli arrestare: ma vor-
remmo perciò muoverne biasimo al Pellico?
Sarebbe la più sacrilega ingiustizia: e il conte
Arrivacene die prova di squisita delicatezza non
portando alcun rancore al Pellico che l'aveva com-
promesso inavvertitamente, col narrare un collo-
quio a quattr'occhi avvenuto tra loro nella villa
della Zaita presso Mantova. Romagnosi per altro
non l'intese così, e nei suoi costituti ebbe parole
re venti contro il Pellico. Lo conosceva — egli
disse — per autore d'una cattiva tragedia, ma non
si sarebbe aspettato questa cattiva azione — e i
giudici stessi invitarono Romagnosi a più riguar-
doso linguaggio, attestandogli che Pellico non ave-
LA LETTURA
xa affa"° peas&to a coinvolgerlo nella sua scia- più abbandonato. Le sue risposte erano pronte e
gura, col pravo intento attnbuitogb dal K.imagnosi nei suoi ragionamenti Facci ■ la <„,,,.
in che era, di non venir condannato. Conos,
sa * Roo fu stupenda: nell'ina- appieno della vedeva il difetto della i
mensa ''ou-v' ' attl « '-' non v'ha nulla .li va, che contro lui si ,a. Quantunque ,
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Una lettera del PELLICO ai giudici.
più brillante dell'assalto .li scherma giuridica tra ciaccoso di corpo. la sua niente è però libera, e
lui e = e l inquirente si confessò vinto nel profondamente sagace.
ritratto morale dell'imputato, con cui secondo la «Il suo contegno era franco, ma rispett.
chiudersi la serie dei costituti. un tempo.
«Questo inquisii,,, che nel primo suo costituto « La sua salute i m on.vrtata da un colpo, che ha
abbattuto, ha ripigliato ben presto una fran- sofferto, e per cui si regge a fatica, trascinando, nel
cnezza, e una presenza -li spinto, che non lo ha camminare, il piede destro».
IL PROCESSO PELLICC-MARONCELLI
ó83
Fra le carte sequestrate a Laderchi cerano srritti
di Romagnosi, politicamente eterodossi ; e la poli-
zia volle interrogare altri giovani per scoprire se
quelle massime sovversive fossero state insinuate
da Romagnosi nel suo insegnamento privato. Tutti
quei discepoli si contennero con lodevole riserbo:
ina uno soprattutto spiegò grande fermezza ed acu-
me nello schermirsi da ogni insidiosa domanda.
Quel giovane precoce, degno del suo maestro, era
Carlo Cattaneo!
Ma ahimè, non tutti possedevano la sagacia le-
gale del vecchio Romagnosi. o il finissimo intuito
del ventenne Cattaneo; e i più si perdettero —
non per bassezza d"animo — ma per ingenuità so-
verchia, per fatali errori di tattica defensionale.
Pochi intravvidero ciò che una dama, di cui di
recente si ravvivò la memoria — Cristina di Bel-
giojoso — osservò acutamente nei suoi Studi ai-
torno alla storia di Lombardia. Nelle prigioni del-
l'Austria bisognava cioè scegliere tra un sistema di
assoluto diniego, spinto all'assurdo: e un sistema
di piena confessione. Colui — dice la Beigiojoso
— che sperava di restringersi a confessare quel
tanto che riguardava sé stesso senza pregiudicare i
compagni, usando schiettezza da un lato e dissi-
mulazione dall'altro, era perduto — perchè l'inqui-
rente accettava negli utili la confessione, e se ne
serviva come punto di partenza ad altre scoperte.
Le polizie di tutta Italia, solidali fra loro, forni-
vano al giudice un cumulo enorme di informazioni ;
— spie, agenti provocatori, come il Castiglia. l'avvo-
cato Tornasi ed altri miserabili facevano il resto:
sicché a lungo andare l'inquisito si vedeva tagliata
ogni via d'uscita, e riconosceva troppo tardi d'aver
danneggiato sé stesso ed altrui per la sua stessa
generosità.
Lo storico che voglia esser sereno e obbiettivo
— non obbedire a preconcetti di parte o a smanie
iconoclaste — deve dunque caso per caso vagliare
le circostanze che trassero un patriota a confessa-
re: e indagare più che tutto V animo, il movente
aperto o sottinteso, della sua dedizione.
A far ciò non occorre molto sforzo di acume: la
procedura segreta consentiva ai giudici la più bru-
tale sincerità : e i loro atti dicono chiaro quale de-
gli inquisiti fu delatore volontario, quale fu debole.
quale imprudente ed ingenuo.
Ora a Maroncelli gli stessi documenti ufficiali
ascrivono a merito — la resistenza di sette mesi —
gli ingegnosi tentativi per salvare gli amici e il
fratello — il pieno sacrifizio di sé stesso. Confessò
incalzato dalle circostanze, tradito dalla propria
imprudenza di grafomane, dalle altrui delazioni,
ma nulla mai chiese per sé. rassegnato lietamente,
con la spensieratezza della sua gioventù, ad ogni
più crudele patimento.
Ne si accampi — come scrisse lo Zajotti e i suoi
plagiari d'oggi ripetono — che Maroncelli voleva
salva la cara vita ; e a questo scopo f uron dirette
tutte le sue manovre. Nei suoi costituti di Milano,
palesandosi Carbonaro, Maroncelli aveva fatto get-
to della vita ; e fu per riscattare il fratello, non sé
stesso che a Venezia parlò. Aveva così poco prov-
veduto al suo interesse, che egli solo riportò la con-
danna a vent'anni di carcere duro — ventanni di
Spielberg, cinque di più di Pellico, quindici più
di Canova !
L'incrudelire perciò sulle debolezze di Maron-
celli è tanto più inescusabile. dopo quanto egli me-
desimo addusse a propria discolpa in un brano
inedito delle Addizioni, pubblicato dal Mazzatinti.
« In un processo così geloso, così complicato —
« scriveva Maroncelli — era quasi impossibile non
« solo di non fare involontariamente qualche male
« ma talora anche impossibile di non far male aspi-
« rando precisamente al risultato opposto. Ed io
« ero divorato, per non errare, dal bisogno di scri-
P. Maroncelli.
«vere qualche motto al mio Silvio, del pari che Sii-
le vio sentiva il bisogno di scrivere a me. Egli non
« osò, non potè : io potei ; il mio biglietto fu fortu-
«nato, quello del povero Silvio non lo fu. Io restai
a privo di certe intelligenze che io invocavo e che
« per esso avrei acquistate ; e così da me in fuori
u nessuno avrebbe sofferto. Chieggo pubblicamente
« perdono a tutti e. per la milionesima volta, a te,
«mio dolce fratello, che hai sempre asciugate le
« lagrime che questo pensiero mi faceva scorrere,
« rendendomi la giustizia di leggere nel mio cuore
«e vederne la innocenza, e di udire dalla bocca
« stessa del processante, da me invitato nel dì della
«condanna (dì nel quale fummo messi insieme) di
« far diritto al reclamo ch'io facevo alla sua co-
li scienza. Reclamai di dichiarare, per quanto v'era
« di più sacrosanto, che io m'ero puro d'ogni infa-
« mia : lo dichiarò per quanto v'era di più sacro-
« santo ».
Nessuno potrà disconoscere la veracità e la schiet-
tezza di questo passo delle Addizioni, che riceve ora
piena conferma dagli atti processuali.
Le proteste d'onestà del Maroncelli sono ancora
più avvalorate dall'atteggiamento del Pellico, che
dell'amico parla sempre nelle Mie Prigioni col più
tenero affetto ; ed io mi chiedo con quale diritto
s'impugni la testimonianza di Silvio, così veridico
sempre, che dopo otto anni di convivenza allo
Spielberg, scrisse di Maroncelli: «Spiriti più no-
6&J LA LETTURA
l>ilì i non .i\
suo pochi '. >.
Ripuj
■ li i supporre die Pellico in ma
il una tempra tanti nsil il a potesse
. - !• >[ m > il contatto quo-
,i otto lunghi anni ili dolori, nei quali
re «li rielati I ibe, malgrado
i, finito ]ht denudarsi più la
rnte.
Mai ncelli, da quel crogiui ilo 'li pai in
■ • mondi dalle scoi noi difetti,
he .1 Fondo dell'animo suocera nobile e puro;
e, pur ammettendo i suoi orrori funesti, abbiamo il
dovere ili rispettare il patriota mutilato che morì
|vi\. : sentiamo tratti ad a-
mare l'uomo che tra gli orrori dello Spielberg con-
Pellico, conservando inalterato (i m detto
nelle .1/.. Pt ■ otti) « un grande amore pei la giù
• stizia, una grande tolleranza, una gran Ri
mirila virtù umana e negli aiuti della Provvidenza,
sentimento vivissimo del bello in tutte le arti.
«una fai i 'li | sia, tutte le più amabili
«ilnti ili mente e di cuore!....».
Giovita Scalvini, ehe incontrò Maroncelli a Pa-
rigi, subito dopo la sua liberazione dallo Spielberg,
scriveva all' Arrivai «-ne 'l'essere incantati! della
modestia di quel martire, a Parla (i
idamente dei suoi patimenti con modi
i rasse 1 1 se lette in un n manzo »,
senza vari iza pose.
Ebbene, è questo candore che ci fa rara la me-
li.mia di Maroncelli, come le sue sventure ce la
rendono sacra; e non ammettiamo ehe su fallaci
apparenze e su incompleta coni - dei fatti si
ga a profanare anche la pace ili quelle povere
travagliate, che la sua patria richiamò d'oltre
nte circonda ili riverenza e di af-
V.
rsa la memoria ili Maroncelli da ogni turpe
il processo in cui egli fu involto è una
pagina delle più luminose ilei patriottismo italia-
no. Al Pellico, esaltato dagli stessi giudici au-
striaci, stupiti dello sforzo ''mi cui quel gracile or-
ganismo aveva per lunghi mesi sostenuto tal tri
glio di mente e di fibra da • restarne convulso per
- al Pellico, dissi, fanno corona
altre maschie e intemerate figure: primissimo A-
deodato Ressi, decoro dell'Università di Pavia.
Egli era di alto tradimento per non
aver denunziato come Carbonari il suo benefatl
conti- Porro e il suo scolaro Laderchi, che dell'as
sistenza paterna ricevuta dal suo protettore I" com-
pensava con una delazione, equivalente a una
- ■!; morte I...
Era infatti i! i ito dal mal
doveva trarlo alla tomba : e la sua fine Fu accele
rata dai I carcere, dal supplizio degli in-
•i intollerabili pei la sua natura -
bile ito. 1 ppure il Ressi trovò in
udiri ausi i
tutta l'odiosità d'una legge che imponeva lo spio-
La sua auto-difesa ha accenti ci loventissimi
di coraggiosa protesta. \i sono egli dice — le-
gami morali i le basi d'ogn
\ ile che non è le iti ■ ini rangere. Lo im
pone " una \. ce alta e trasi un S'ume al
quale tutti gli uomini virtuosi prestano cullo sin-
ed m\ iolal 'il Vi ii, giudici. fate\ i uomini
me sono io e ditemi in buona fede se io non abbia
troppo grave offesa alla vostra \irtù
dessi alt rimenti ».
Ma l'animo suo sanguinava più di tutto per il
aveva dovuto subire col Laderchi:
e il Ressi ricorda i - m rai caprii rena, in
cui il giovane sciagurato ribadì l'accusa mortale
pel suo maestro. "Si apre una porta, e il maestro,
il padre, il benefattore si trova di fronte di que
giovane nell'umile stato ili suo accusato. Le parole
mi mancarono e le lagrime mi caddero dagli oc-
chi. 1! volto del presidente (Cardani) si turi...:
certamente egli rendeva allora un tributo di pietà.
nnocente oppresso. Fu rotto il silenzio e sentii
confermarsi il soggetto della mia imputazione:
i ne il beneficio da me resogli era nella sua
bocca i argi «tento della mia perdita I...
"Ma io perdono: il mio cuore non è capace di
i • in imento ! »
Sublimi del pari sono le sue discolpe ]«-r non
aver accusato il conte l'orni. "La mia coscienza
— egli dice — mi obbliga a non lare danno al-
trui e a nmi arrischiar. nmettere un delitto
'"litro la carità cristiana e contro quelle naturali
obbliga/ioni dell'amicizia e di una doverosa grati-
tudine verso chi spontanean n rara gì
rosità mi offerse sussidi ed assistenza in una deli-
stanza della mia vita».
rerminò col metter la sua avita» nelle mani
dei giudici, che vedevano bene comi- l'infelice pro-
fessore non potessi- «a lungo sostenersi»; e Sal-
votti perorando le attenuanti, rilevò lo staio n
laudo del Ressi e il «terribile conflitto» in cui si
era trovato «di accusare Laderchi. giovinetto dalle
più belle speranze, ch'esso amava teneramente*.
Un Monarca che avesse avuto un briciolo di
cuore, avrebbe assolto senz'altro: Francesco 1 re-
atto di grande clemenza il condannai'- A
dato Ressi a cinque anni di carcere duro !....
Per atroce ironia, la sentenza giuns. mia
quando il Rossi era già morto: e si discusse a lungo
in si-ii" della Commissione se la sentenza dovi
promulgarsi tal quale. Salvili proponeva che si
ommettesse il nome del Ressi, parendogli odii
mente grottesca la condanna d'un morto: ma la
Commissione deliberò che, anche su questo minu-
scolo incidente, dovessero invocarsi « i lumi su|h-
riori ii ; e lordine da Vienna suonò... jmt l'inclu-
sione del Rossi !
Soltanto doveva aggiungersi nella sentenza il
nota Leno che per riguardo al R.-ssi «cessava la
disposizione» adottata di trasportarlo a Lubiana.
LA LETTURA
i ,85
«attesa la 'li lui morte naturale». Col qua] ultimo
epiteto di «naturale» sperava tursi- l'Austria, co-
me Pilato, di proclamarsi innocente del sangue 'li
quel giusto !....
Insieme al Ressi, altri tre imputali d'ommessa
denuncia furono coinvolti nel processo di Vene-
zia: e tutti si contennero ammirevolmente. Alfredo
Rezia parlù da soldato d'onore contro l'obbligo
dello spionaggio: il conte Arrivabene censurò l'im-
moralità d'un codice che non riconosceva neppure
1 doveri dell'ospitalità, sacri ai selvaggi; Roma-
gnosi, infine, non fiaccato dagli anni, affermò la
vittoria d'un'alta coscienza giuridica contro le in-
sidie della procedura austriaca.
I giudici di Venezia, relativamente miti, racco-
mandarono la maggiore indulgenza per Maroncelli
e Pellico; assolsero Arrivabene. Romagnosi, Cano-
va. Rezia e — in seconda istanza — anche il
Ressi.
II Senato di Verona volle la condanna dei tre
ultimi, e l'Imperatore la sanzionò, lasciando ina-
scoltati gli appelli alla clemenza, che gli avevano
rivolto r primi giudici, pur tanto zelanti nel suo
servi/' !
A Francesco 1, nell'angustia della sua mente e
nell'aridità del suo cuore, parve d'essere un secondo
Tito, limitandosi ti spezzare - con venti e quin-
dici anni di Spielberg - la giovinezza di Maron-
celli e 'U Pellico, rei «lei tentativo platonico 'Il
piantare la Carboneria a Milano; condannando a
ein |tte anni di carcere duro un moribondo, ad al-
tri cinque anni un povero diavolo di comico, o
il Canova, colpevole dell'inaudito delitto di aver
portato un paio ili lettere da Milano a Bologna;
e a tre anni il Rezia che aveva ritenuto disdicevole
per un ex-capitano d'artiglieria, il farsi delatore.
Sua Maestà fu molto sorpresa quando gli rife-
rirono che alla lettura della sentenza il Rezia non
aveva potuto reprimere «parole irriverenti d'ingra-
titudini » contro la sua augusta persona.
Francesco I non sognava nemmeno che le invet-
tive d'uno schietto e animoso soldato anticipavano
il giudizio della storia sul suo governo in Italia.
Un regime, che inaugurava così insensate e feroci
repressioni, annullava ogni pregio che potesse a-
vere di retta e oculata amministrazione, e segnava
inappellabilmente la sua condanna.
Alessandro Luzio.
I.
— Maddalena, è vero, non è mia figlia, ma certo
nessuno al mondo le vuol tanto bene quanto gliene
voglio io. Che brava figliuola! Senza di lei in casa
mia non so rome si potrebbe vivere.
E mentre il sor Luigi, un bell'uomo florido dalla
barba grigia, si scaldava lodando la figliuola di
sua moglie con un signore, che gli stava dinanzi
appoggiato al banco della grande drogheria, die-
tro di lui nella retrobottega si vide passar leggera
una fanciulla: portava un vestito semplice di lana
grigia e un ampio grembiale d'indiana turchina.
Sor Luigi si volse al leggero fruscio:
— Ah, Maddalena !
Anche la giovane si volse e si fermò. Non era
bella ed era molto seria, tanto che a prima vista
poteva sembrar rustica ed imbronciata; ma ap-
pena si fece avanti per parlare il suo viso s'illu-
minò d'un tratto e tutta la sua persona prese un'aria
gentile di timidezza; la sua voce era molle e ca-
rezzevole come quella d'una bimba che ha paura
di riuscire importuna.
— Mancano parecchie balle nuove. - - disse
accennando un mucchio di balle che stava in un an-
golo del magazzino.
- — Si troveranno, non aver paura; quando le
cose le guardi tu non si perde niente, — rispose
sor Luigi, e le posò paternamente la mano sulla
testa.
Maddalena arrossi, si restrinse in sé stessa
nell'art » d ardarsene:
— Torno a contare le balle — disse; salutò
con un cenno del capo e si ritirò nella retrol».!
tega; dove passando metteva a posto le panche,
le cassette assettava gl'involti e le carte, clic sta
vano sopra una gran tavolacela di legno greggio.
Fattosi pn sso all' uscio, sor Luigi la seguiva con
gli occhi; |»'i volgendosi all'amico disse sottovoce
accompagnando con ani d'entusiasmo le parole:
— l'asta che passi Maddalena, perchè tuttovada
in ordine. Che brava figliuola!
— Come mai non la maritate ancora?
Mah.... — fece sor Luigi, sorpreso dalla do-
manda e un po' seccato, come se l'amico avesse vo-
luto mettere in dubbio i meriti di Maddalena —
è vero che non sarebbe più presto; lei però non ci
]h usa. qui sta tranquilla e contenta: io poi, — ag-
giunse sospirando, — non sono che padrigno, non
too :a a me brigare in questa faccenda ; tocchei
piuttosto a sua madre.... Povera Adelaide! ci sta
tanto bene adesso con la sua figliuola.... Basta, non
ne parliamo: per me vi assicuro che sarebbe un
brutto giorno quello che mi vedessi uscir di casa
Maddalena.
Intanto Maddalena, nella retrobottega, accostan-
dosi allo scrittoio, che stava sopra uno zoccolo di
legno incastrato fra gli scaffali, ed aveva una spe-
cie di bussolotto con una finestruola che metteva
in negozio, vide seduto dinanzi a un grosso regi-
stro un giovinetto esile e pallido, sulla cui fronte
s'alzavano floridi e folti i neri capelli. Maddalena.
sorpresa, lo salutò- egli rispose cosi mezzo tra ru-
stico e impacciato. La fanciulla, guardandolo, ri-
cordò d'averne udito parlare il giorno innanzi, capi
subito chi era. e. come per rimuovere la confusione.
disse :
— Forse erano sue quelle carte che stavano sulla
tavola: le ho messe nel cassetto. In cosi dire le
trasse fuori e si allungò per posarle sopra la scri-
vania, presso la quale il giovane s'era alzato in
piedi senz'aver proferito parola.
Quand'ella si allontanò con le braccia ingombre
di cartocci, di balle e di panni, Andrea, che invo
lontanamente aveva udito le parole del sor Luigi.
le guardò dietro, deponendo per un istante la sua
aria rustica e indifferente.
Andrea era il nuovo computista entrato a ser-
vizio del droghiere. Non aveva ancora ventanni:
era uno di quei poveri ragazzi che studiano, sin
diano, e poi alla fine non raccapezzano nulla. Aveva
il diploma d'istituto tecnico, aveva fatto un anno
'li matematica all'università, mettendosi per sbar
care il lunario presso un libraio: credeva di poter
studiare in mezzo a tanti libri, ma s'era ingan-
nati», perchè c'era tanto da fare a negozio, che se
nel giorno frequentava qualche lezione, la sera poi
doveva restarci lino a tard'ora e non gli rimaneva
tempo di far nulla.
A fin d'anno, com'era naturale, non potè pren-
dere gli esami : aveva bisogno di campare la vita ;
lo stipendio del libraio non bastava ; l'aveva ac-
cettato solo per la speranza di poter seguitare gli
studi: ora le illusioni erano svanite, aveva fatto
concorsi, s'era dato d'attorno, ma la sfortuna lo
perseguitava e fu assai che potesse ottenere il me-
schini» impiego di computista nella drogheria del
sor Luigi.
Aveva una personcina agile e schietta, il colorito
bruno, i lineamenti delicati: e l'aria tona di chi
ha troppo lottato invano per l'esistenza mal s'ad-
diceva a' suoi grandi e umidi occhi neri, alle sue
labbra fresche e tumide come quelle d un bambino.
1 disagi e i patimenti sofferti, cosa strana, ma pur
ANDREA 687
non insolita, lo facevano parere anche più giovane
di quello che era; e a vederlo si provava quel senso
■ li tenerezza profonda che destano i fanciulli dal-
l'aspetto patito. Povere creature, senza colpa, sfio-
rite innanzi ai ventanni dalle fatiche e dai disagi:
il sentimento di pietà più sublime che ingentilisce
il cuore umano è per essi. Possa la loro generosa
resistenza trionfare sulla feroce iniquità del de-
stino !
Andrea passava quelle vaghe giornate d'autunno,
che a Roma sono così belle, così intonate col carat-
tere altero e mesto del paesaggio infinito, della
città magnifica e delle maestose rovine, solo in
quella retrobottega senz'aria e senza luce, scrivendo
e conteggiando da mane a sera. Xon si curava
punto del via vai degli avventori, anzi per non ve-
dere e per non essere veduto non stava più di fronte
alla finestra che dava in bottega, s'era messo di
fianco.
Così si sentiva un po' più libero, così talvolta po-
teva anche rompere la monotonia del suo lavoro,
trastullando la più forte delle sue passioni, la
musica. S'abbandonava qualche istante con la te-
sta e con tutta la persona rifacendo a bassa voce
i motivi musicali che gli tornavano a mente e che
<-"ir.posti e discreti sembrava che gli sgorgassero
dal cuore.
Per il lungo esercizio fatto nel negozio del li-
braio Andrea, era molto abile e svelto a sbrigare il
suo lavoro ; e nei ritagli di tempo o leggeva gior-
nali, o talvolta disegnava con amore fioretti e fi-
gurine tutte accurate e precise. Oltre la naturale
attività e il gusto dell'arte, a ciò lo portava anche
il suo carattere altero e quasi sdegnoso: egli rifug-
giva dal l'immischiarsi e dal ciarlare con gli uomini
di bottega, ai quali non rivolgeva che le parole
necessarie. Così poi otteneva anche di allontanare
da sé l'indiscreta curiosità loro, cosa questa che gli
poteva riuscir bene solo in una città grande e indif-
ferente come Roma.
Il padrone trattava Andrea con quelle maniere
benevole, che tengono quasi sempre gli uomini d'af-
fari con le persone più colte per farsi da loro ap-
prezzare. Oltre i lavori di computisteria, Andrea
sbrigava anche la corrispondenza inglese, tede-
sca e francese, e specialmente per questa sua co-
noscenza di lingue straniere era tenuto da tutti
nella più alta reputazione.
La padrona, sora Adelaide, o sora Lalla, come
la chiamavano a Roma, scendeva di rado in nego-
zio ; Andrea l'aveva veduta, dopo molti giorni, una
sera che egli per certi lavori staordinari si trat-
tenne anche dopo che il negozio fu chiuso: era an-
cora una bella donna alta, dritta, bianca, con molti
capelli crespi già un po' canuti, gli occhi larghi, la
lincea sorridente, e una bellissima dentatura. Non
rassomigliava quasi affatto a Maddalena: la fi-
gliuola non era bella, ma parlando faceva traspa-
rire da tutto il suo aspetto una luce e una grazia
squisita ; nella madre invece il parlare era tanto
scolorito che non dava nessun rilievo alla bellezza-
La sora Adelaide fu gentile con Andrea, lo sa-
lutò e lo compianse, perchè aveva dovuto lavorare
LA M l i
ini he Maddalena, sua ma
ri da poi
'■
il q, si trattenne un p zzet-
bella serenità d'una i
indo senza che gli
iveva pass
II.
mattina che Andrea prima d'andare a ne-
doveva fare per conto del padri i om-
■n un biglietto Barbera, la s
una specie di contadina Furba, pi-
sa; ,i\ rebbe potuto lasciare il big]
al portiere, ma la curiosità vinse la pigrizia e salì
fino all'ultimo piano, dove Andn i nella sua stanza
reparava ad usi ire. L'uscio che dava sulla s
era socchiuso e Barbera col pretesto che vi poteva
re risposta entrò senz'altro nella stanza del gio-
attorno lo sguardo curioso. La stanza
era p on un balconcino che 'lava su un
cortile, senz'alt ra vista che quella degli stracci
sulle finestre la grande altezza tut-
tavia la rendeva luminosa. Chi sa che caldo rab-
inzuccia,
i alzando la m ceava il si ffitti >. rutto
il mobilio consisteva in un lettino ili terni sottile.
un baule, due sedie e un tavolino su cui stavano
vari oggetti ili uso diverso, molte earte in disordine
e un mandolino. Sul muro, disposte con una certa
vaghe/za. c'erano vecchie fotografie artistiche, al-
mpe e alcune tavolette dipinte senza cor-
nice.
— Lei sta benissimo qui Barbera, riti-
randosi dal bali' me. cui sera affacciata — qui al-
meno c'è un po' d'aria: laggiù da noi si sta proprio
in una tomba. F. non ,'• mira il male del ne-
e del magazzino, tutta la casa è senz'aria e
I non c'è mai \ enuto su in casa -
— \
sopra al negozio nel mezzanino; e i
lanini a Roma mica son tanto sani. Le mi
entono nit ite si-
gnore, è vero, ma non conta nulla. Una volta, erano
tutt'altro che signore, son del mio paese, io li
n irte del maestro, cioè del
padre di Maddalena, erano due disgr;
ite un bel pezzo nella mi-
ancora. I
del sor Luigi non volevano rh'egli spos
Lalla. 1 ir viva la madri- del sor Lui-
gi, n perchè era
: erano gli altri quei che facevano
ino più che mai con la
paura del I si ira 1 .ali
voi! ii Luigi, dovette abbandonare la
uola : del resto non tra grande
.ho di me
or Luigi insieme ci n la
l apprincipio la sora
poco a poco ha cominciato a venire sempre più
spesso, e, l'altr'anno quando la madre i stata male,
. '11111.1 per sempre. Kss.l pelo 11"I1 si deve sell-
er.I. perei ■ ii"!i coni. inda affati
lavora peggio .1 una serva. Le i
padre» disse Barbera per conchiudere,
dendo che Andrea '-ra già in ordini ad
— Le ho vedute.
E bh ne, quelle, se sa] tare
le gran signore, invece.... I". vedi
saprei lare un po' meglio, gliel'assicuro. Dunqui
— No.
— Ah! lei ci sta bene quassù - fece ancora
Barbera, che quando s'era messa a parlare non
\a\a più la via d'andarsene. — Lei non è mica
di Roma?
— No.
— 1') io avevo già ■ i1 dicendo qui
parol iva sull'uscio e finalmente se ne ai
11 biglietto affidava ad Andrea una comm
lucia, e il giovane si mos più
contento di quello che per il suo carattere avrebbe
ato immaginare. Si ha un bel essere fri
chiusi e indifferenti, le prove di stima commuo-
vono sempre, e per i giovani sono lo stimolo più
forte che li spinge volonterosi all'onesto opei
Anche a negozio il sor Luig apre molto
ile con Andrea, si mostrava soddisfatto del-
l'opera di lui e gli dava speranza di migliore av-
re.
Era vicina la solennità di Natale, e un
mentre Andrea sene andava, sor Luigi gli gì
dietro:
— Senta. Adelaide e Maddalena voleva™
tarla al cenone di Natale.
11 giovane si volse e si feri
— No, ti", v . glielo diranno loro do-
Andrea mormorò di nuovo: • buona sera • ed
uscì frettolosa
Aveva provato tuia stretta, un.\
di dolore, era to più pallido e ineons
mente sentiva gravare sull'anima ci me un
strani pn tte non fu calma ; -
; trovare una gius
dormì poco, e la mattina prestissin
ndo che
a quell'ora insolita, venne a
mente in :.i lavorai
|i
press \
niente illuminato; il portone stava semi
l'anni, il più vecchio dei facchini, era tutt
ntorno alle spi in
a iht entrare, allorehi dal
mezzo aperto uscirono due donni
■ rialzato sul o ilio e serrato sul -
padrone che andavano alla novena .1 s
• Irea non poti -irle e le salutò, li
irità di quell'ora gli da
un i
ANDREA
689
1 pochi mortali che sono desti si trattano con mag-
t confidenza e si fanno festa tra loro, come fa-
rebbero i superstiti di un terribile contagio.
— Già pronto per cominciare, sor Andrea ? —
fece la sora Adelaide.
— E lor signore ci mie mai fuori a quest'ora?
— disse il giovane.
— Tutte le mattine andiamo alla novena qui a
Sant Andrea. Oh '. già che ci siamo incontrati — fece
ancora la sora Adelaide — le voglio dire una cosa:
senta, la vigilia di Xatale lei deve venire a far
penitenza con noi. Ci fa un piacere grande. Si ri-
cordi, alle nove in punto.
Andrea restava li triste e impacciato; allorché
Maddalena ravvivò il discorso aggiungendo:
— Venga, venga. Dopo cena si va alla messa di
mezzanotte: c'è della musica stupenda, sa: a lei
piace la musica buona, nevvero ?
Fu come girar la la chiavetta della luce elettrica.
Andrea si ravvivò tutto in un istante, alzò la fronte,
girò gli occhi scintillanti, schiuse le labbra mo-
strando i denti bellissimi e lasciò uscire un fremito
sommesso e lungo. Era strano quel raggio di luce
d'arte su quel povero visetto pallido, che aveva
sempre un'espressione di dolore.
Si salutarono senz'altro parole.
Nei pochi giorni che seguirono, Andrea si pentì
cento volte d'avere accettato l'invito: perdeva la
propria libertà : avrebbe voluto fare tante cose
proprio quella sera che doveva stare in casa del
suo principale : pareva che tutto il suo tempo con-
-se in quella sera. Ma per altro l'idea di far
piacere a quelle due buone signore gli era molto
gradita, e. se fosse venuto un ostacolo a impedirgli
d'andare, è certo che ne avrebbe provato rincresci-
mento.
III.
La sera del Xatale in casa del droghiere tutti
erano in festa e in grandi faccende. La sora Ade-
laide pareva una gran dama così bianca, con un
abito viola guarnito di velluto, co' suoi bei capelli
crespi, che sulla fronte eran grigi e si rialzavano
dietro leggeri e voluminosi attorti in una gran trec-
cia nera. Maddalena aveva un vestito nuovo di
lana verde-oliva con uno spalloncino di merletto,
che aveva fatto ella stessa. Era tutta affaccendata
con le guance accese passando continuamente dalla
cucina alla sala da pranzo : i suoi capelli, natural-
mente rialzati sulla fronte e un po' crespi, le si
etano arruffati con una grazia composta e il grem-
bialino chiaro, che portava per salvare il vestito, le
dava l'aria semplice e fanciullesca d'un'educanda.
Andrea, entrando, provò tutte le ripugnanze che
mai avesse in quei giorni presagito ; con uno sforzo
Si n rumano fece i complimenti d'uso e serio serio
si mise a sedere un po' in disparte. Gl'invitati sta-
vano intorno ai padroni : erano quasi tutti pic-
coli negozianti, che si provvedevano alla droghie-
ria del sor Luigi. Il vermouth era stato servito e
la conversazione ferveva già avviata da qualche
tempo : sor Luigi parlava più del solito, faceva
motti di spirito e complimenti : era tutto gentile e
La Lettura.
felice in mezzo ai suoi clienti che gli lusingavano
l'amor proprio ripetendo:
— ■ Lei sì, lei ha saputo fare, lei è ricco, lei non
se ne importa più di nulla e di nessuno.
— Scusi, se tardiamo, lei s'annoia — disse Mad-
dalena passando in fretta accanto ad Andrea. —
Vuol un libro?
Egli si volse schiarendo il viso, come chi non
vuole che la propria noia possa essere noiosa ad
altri. Maddalena prese coraggio.
— Ecco le poesie del Leopardi e quegli altri
due libri — disse accennando uno scaffaletto —
sono le Prigioni del Pellico e la Gerusalemme del
Tasso.
— Grazie, grazie, mi piace questo.
— Bello, newero?
— Ah maraviglia !
I vicini si volsero maravigliati, sentendoli par-
lare, e sor Luigi, tanto per dir qualche cosa, tutto
allegro disse:
-- Maddalena è brava, sa far parlare anche
quelli che non ne han voglia.
Maddalena era già corsa in cucina. Andrea sor-
rise ; con quel sorriso Andrea ebbe scossa da sé
l'oppressione e la noia che sentiva, ed ebbe aperto
il varco alla socievolezza: col viso sereno si mise
a sfogliare le poesie del Leopardi.
A pranzo mangiava, beveva di gusto e a quando
a quando faceva qualche breve osservazione spiri-
tosa, che riusciva tanto più efficace, perchè aveva
un tono risentito e triste. E' sempre schietto e forte
lo spirito di certe persone, punto allegre, per le
quali riesce doloroso quel lato deforme delle cose
che per gli altri è ridicolo.
Dopo pranzo vennero dei bambini, e ce n'era uno
piccolo di due anni. E' impossibile immaginare la
pazienza e la tenerezza d'Andrea per quel bambi-
no: lo guardava con premura, lo reggeva, perchè
in grazia del caldo, dei confetti e del rosolio quel
piccinino folleggiava come un pazzarello. e metteva
urli di gioia così schietti, che riempiva d'allegria
tutta la stanza : poi. quando cominciò a stancarsi e
a sbadigliare. Andrea lo prese sui ginocchi e si
mise a baloccarlo coi cavallucci di carta che fa-
ceva Maddalena. Per vedere d'intrattenerlo ancora,
poiché cominciava a stranirsi. Maddalena infine
andò a prendere l'album delle fotografie. Il bam-
bino guardò le prime, poi si mise a sonnecchiare.
Andrea intanto prendeva vivo interesse a vedere
quei ritratti, che Maddalena illustrava brevemente,
facendogli intendere che ciascuna di quelle imma-
gini goffe e sbiadite sapeva destare nell'anima una
lunga storia di ricordi e di affetti.
— Guardi, ecco il povero babbo con la mamma
quando si sposarono.... babbo Luigi.... la povera
zia. sorella di mamma ; avesse visto che bellezza !
Questo è suo figlio, morto in Africa, chi sa come!
Non si è potuta avere la notizia certa neppur della
morte.... Questo è di nuovo il povero babbo con
due signorini suoi scolari.... questa son io con mia
cugina : ci cresimammo insieme, e la nonna eh
madrina di tutte due ci fece fare il ritratto proprio
quel giorno. Vede, abbiamo il nastro della cresima
44
I«|n
LA LETTURA
I . i.i nonna.... Questi
i la mamma.
ma i lii li ha fatti ?
ti un dilettante : fu il male della luce...
qui non è il malo tirila luce, è il male 'li
Lei 1 I he bel ritrattino '.
— Non le par troppo serio?
Ni p, I
•.ini non ce n'è più — disse Maddalena
rere le rimanenti pagine tutte vuote,
chiudendo l'album si alzò per riporlo.
Il bambino dormiva sui ginocchi d'Andrea ada-
mollemente, come se tosse in grembo alla
mamma. Tutti furono d'intorno al giovane animi
lamio la pazienza e le bella grazia che aveva per
i bambini. Egli gradiva i complimenti ili quelle
itili e con tutta delicatezza reso il
bimbo a' suoi genitori, che s'erano messi in ordine
per amia; addormentato lo presero e
s'avviarono a casa.
Era già tarili, e tutti cominciavano a disporsi per
andare a messa a Santa Maria Maggiore Andrea,
tutto disinvolto, era già entrato in comitiva con gli
altri nomini e non voleva certo rifiutare l'invito. Le
donne comparvero con le mantelline e il cappello,
1 ironie ai! uscire.
Barbera portò un punch, che quasi tutti bevei
in piedi e tono in due gruppi, davanti
le donne e dietro gli uomini ; cosi il cicaleccio era
più denso e l'allegria più schietta.
Al ritorno, com'era naturale, ognuno prese la
via di casa e la comitiva si disfece: ma Andrea,
■il sapesse cogliere il destro di congedarsi,
o elle lo facesse proprio volontieri, accompagnò a
il suo principale.
Mezzi tte era già p i un'ora; la luna
non c'era, e una vaga infinità ili stelle, miste]
e lontane nel buio del cielo, sembravano festeg-
giare la grande solennità ili quella notte. S'incon-
travano encchi 'li persone, si vedevano finestre il-
luminate, s'udiva d'ogni parte rumor di carrozze
e 'li \ ita. I sora Adelaii : . ■ m al
braccio del marito, i due giovani si mis
dinanzi, senza ]>erò darsi il braccio. Maddalena
tremava dal freddo, e Andrea aveva acquisi
tanto spirito in quella oscurità, dopo tante ore di
\ita socievole, che quasi quasi si permetteva di can-
zonarla, perchè era tanto freddolosa. Parlarono
musica udita e fecero i loro apprezzamenti;
Andrea se ne intendeva assai: Maddalena 1
mirò, ed egli se ne [uè. Arrivati alla porta.
ella si dolse che per causa loro Andrea avesse do-
vuto allontanarsi da casa sua; egli respinse il
complimento e salutò tutti ringraziando.
La strada per andare a casa fi sen-
tiva il grato effetto di quel pranzo eccellente, di
quell'ora gaia (lassata con Maddalena intorno al
vezzoso bambino, della stupenda musica udita in
chiesa, della i ita a fianco di Maddalena,
che (remava dal freddo, ed era tanto buona e gen-
tile. Gli pareva di entrar ora nella vita e per la
prima volta pensava die dovesse esser bella ; non
s'accorgeva che le ore più helle passavano allora;
egli vagheggiava l'avvenire. Sem] quando
si gode realmente, si pensa che la gioia presente
non debba essere che uno scalino per salire a una
gioia maggiore, che non esiste; e il bene reale non
si osserva e non si apprezza che quando , passato.
IV.
Andrea sera affezionato alla casa dei droghiere,
non si lagnava neppur seco stesso del meschino
stipendio che percepiva e si assumeva più la
di quello che gli fosse richiesto. Certo non era il
droghiere che lo spronava a far tanto; da qual-
che tempo gli dolevano le giunture, ed aveva come
un po' d'artrite e di gotta: non essendo mai stato
ammalato, s'era avvilito in modo straordinai
temeva che il suo malessere non mettesse poi ca-
po a qualche grave malattia di cuore: era tutto
pieno di malinconie, non pensava che a' suoi
mali e non s'accorgeva neppure di tutto lo
lo spiegato da Andrea. E Andrea con la
generosità, propria di chi non ha ancora 20
anni, lavorava indefessamente e amava quella
famiglia, che sola gli pareva di conoscere al
mondo e per la quale lavorava tanto.
Maddalena 1 1- mpre qual-
che volta nella settimana scambiava spesso
quattro parole: ed. ella sapeva g li era
^ stato un anno dal libraio,
che sonava il mandolino.
che auliva la poesia e
ammirava i versi di S
..me. col
quale ima domenica 1
va veduto, era il suo mi-
gliore amico, uno studen-
te ili legge buono, alli -
ih.- si chiamava Muschia-
rosa.
Una volta Andre
un ritrattino
ANDREA
69I
tulio vecchio e sbiadito, dov'era una donna con la
\este e la pettinatura ali antica; e stretto accanto
a lei stava in piedi un bimbo piccolo, che le posava
tutte due le manine sui ginocchi. Era lui con sua
madre.
— E' la sua mamma? — chiese Maddalena.
Morta di parto — rispose Andrea — ; ero
piccolo, ma la ricordo, la ricordo morta con la sua
creaturina allato.
Dinanzi a un ricordo così triste e così vivo, Mad-
dalena tacque, dolendosi della sua domanda.
Un giorno egli le regalò dei versi di Stecchetti
su un giornale socialista: un altro giorno ella gli
trovò sullo scrittoio un grosso libro chiuso, su cui
intravide in grande la parola soiiui/sino. e sotto in
un medaglione una testa arruffata con un nome
scritto intorno. Maddalena si chinò a leggere atten-
tamente tutto quel frontispizio, poi levando gli oc-
chi attoniti negli occhi di Andrea:
— Ma è un socialista, lei ? — chiese con voce
incerta e sommessa.
— Io, — fece il giovane scotendo il capo e sor-
ridendo tristamente — io sento una gran simpatia
per quelli che combattono, per quelli che soffrono.
— Contro il solito la sua voce acquistava il i-alore
dell'eloquenza. — Se lei sapesse che lotte, che mi-
serie vi sono al mondo ! Io lo so. lo so bene, io —
disse , fissandola severamente con occhio altero.
— E anch'io — disse, tratta dalla suggestione
di quello sguardo, la ragazza, che protese il braccio
e posò la mano sul libro come se giurasse.
Poi sciogliendosi da quell'orgoglio, che l'aveva
come accostata al giovane, modestamente soggiunse
ritirando la mano, su cui la traccia del lavoro se-
gnava un'impronta di forza gentile:
— E quel libro lì che cosa dice?
— Sono cose complicate, sa. non si possono spie-
gare in poche parole.
— Ma dice che si devono spartire ugualmente le
ricchezze fra lutti ?
— Mai più : quest'è un libro di studi sociali,
tratta delle relazioni che ha la produzione col la-
voro e col capitale. Le cose sono complicate ; io
temo che lei non possa neppur capire la quistione.
Alla meglio che sapeva. Andrea cercò di spiegare
la tesi generale e le mutate condizioni della pre-
sente società. Maddalena pendeva dal suo labbro.
— Ma lei la capisce proprio cotesta questione?
— disse Andrea guardandola mezzo tra maravi-
gliato e soddisfatto.
— Sì. sì, io la capisco e mi piace.
Maddalena era una donna all'antica, di prinripii
sani e solidi, la quale poteva benissimo capire le
idee nuove, e senza ostinazioni e senza repugnanze
adattarsi ai necessari mutamenti della società. Nel-
lo stesso modo noi vediamo spesso che agli usi più
moderni i mobili antichi si prestano assai meglio
dei nuovi, perocché hanno sempre quell'immenso
vantaggio d'essere in certo qual modo più temprati
e perfetti.
Andrea lodò Maddalena.
— Del resto, sa, che lei capisca io non mi ma-
raviglio ; lei è molto intelligente ed è anche assai
colta.
— Quand'ero bambina a casa m'insegnava il
povero babbo e a scuola ci avevo delle maestre
tanto brave — disse Maddalena abbandonandosi
soavemente ai più dolci e più gloriosi ricordi del
suo passato.
Andrea trascorreva le sue giornate solo in quella
retrobottega oscura e umida lavorando sempre e
non avendo altro conforto che quello di vedere
qualche volta la gentile Maddalena. La luce elet-
trica, che, per l'oscurità della stanza, bisognava te-
ner accesa anche di giorno, gli aveva fatto male
agli occhi, e que' begli occhi grandi e puri erano di-
ventati gonfi, tutti rossi ; egli non pareva più quello
di prima.
— Ma che cos'hanno i suoi occhi ? — gli chiese
Maddalena, che fu la prima ad accorgersene.
— Effetto della luce elettrica — rispose lui con
la più grande indifferenza.
— Per carità ! s'abbia riguardo ; non lavori più
di sera e faccia qualche cosa per curarsi.
Pochi giorni appresso, Andrea aveva gli occhi
più gonfi e più rossi che mai : teneva seco un paio
d'occhiali scuri, ma non poteva portarli, perchè gli
davano noia anche quelli.
— Come mai ! I suoi occhi van peggio — gli
disse Maddalena.
— Ho sbagliato la dose della medicina — ri-
spose egli con una calma, che certo era volontaria-
mente esagerata.
— Ma sono pur suoi quegli occhi ! Abbia un po'
di premura. Senta, lei non deve più star lì a scri-
vere ; la luce che vien dal negozio è troppo rcarsa,
la luce elettrica le fa male. Venga qui. qui almeno
c'è un po' di luce naturale.
In un angolo della retrobottega, come in una
nicchia profonda scavata nel grosso muro, c'era
un'ampia finestra, che stava sul lato stretto d'un
lungo cortile ; uno de' lati maggiori era limitato da
un muro basso che arrivava appena all'altezza del
mezzanino.
— Guardi, la scrivania la mettiamo per questo
verso; così lei viene ad avere la Iure buona da
mano sinistra e di contro ha proprio il muro basso.
Se vuol fare lo sgombro adesso, l'aiuto anch'io. An-
diamo.
Quel curioso lavoro di trasportar mobiglio, che
rallegra tanto i bambini, li metteva di buon umore.
Tirarono da parte sacchi e casse, spostarono scaffali,
poi trascinarono lo zoccolo di legno e vi posero su-
pra la scrivania, che si trovò quasi all'altezza della
finestra.
Erano tutti rossi dalla fatica e ridevano.
— Provi un po' a sedersi qui, vedrà che ci si
sta bene.
— 1 Ci si sta bene davvero. — disse lui. che era
disposto a trovar tanto più bella una cosa pensata
da Maddalena — ; qui c'è anche un po' d'aria mi-
gliore.
— E lei da se non ci pensava nemmeno !
Egli si strinse nelle spalle sorridendo con aria
ÒQ2
LA LETTURA
modi Maddalena piw ò un bri-
vido .li pietà e di i a mirare quel sorrìso
in quei i e sf< irmaì i dal
primavera s'andava avanzando e l'aria dolce
da quella profonda finestra, e il lon-
brillare dei raggi del sol > nel! ani
\ _ ini piii belle e si t&y i. i sen-
i mi piìi di itili. Il valore e l'eni
ano; egli non sentiva più alcun peso
di fatica e il lavoro procedeva rapidamente bello e
nitido in quell'onda 'li primavera e di gio-
Rapito nell'ardore della sua atl i\ ita, An-
drea sognava, sognava una creatura vaga, cui la
sventura rendeva più saggia e più buona; sognava
ch'ella lo ama- Fi sserosoli soli nel mondo ed
more potesse consolarla e difenderla
gli iiiMiln della fortuna. E, quando la vaga
ura della sua fantasia pigliava forma più de-
terminala e precisa, aveva l'aspettoe lo sguardo di
Maddalena.
Con una tenerezza ed una gioia, che certo non
ino i signori in mezzo alle strane maraviglie
che serre, Andrea ammirava un ciuffo
di fiori nati sul tetto in cima al muro basso che
gli s> contro. Si vedevano bene: erano fioretti
gialli, una ■ di piccoli astri coi petali intorno
lunghi, molli e frangiati, parevano occhietti dai ci-
Andrea li mirava aprirsi festosi al caldo
o del sole, abbandonarsi molli alla lieve carezza
del vento: talvolta si chiudevano sdegnosamente
alle oscure minacce delle nubi e tutti serrati tre-
mavano all'urto della pioggia e dei nembi.
\ndrea amava quei fiori e guardandoli gli pa-
reva che la vita in qualunque condizione potesse
r bella; sentiva per sé di non invidiare alcuno.
e non avrebbe ceduto per tutti i tesori del mondo
la cortesia affettuosa di Maddalena, che per la sua
vita era eome il sole; come il sole che splendeva su
quei cari fiorellini senza nutrimento e senza cura.
ini per caso, là fra i tegoli anneriti sulla
cima del vecchio muro.
Intanto la drogheria del sor Luigi aveva cam-
' o aspetto: il padrone, che non aveva mai ab
bandonato il banco del negozio, ora mancava spes
. benché il caldo di giugno gli avesse calmato
le doglie articolari, tuttavia era sempre molto pn
de' suoi mali, abbattuto, lagnoso, pallido
pallido, ionie se avesse l'itterizia. Sora Adelaide
M " na idi paravano a tutto jmtere per solle-
varlo e. combattendo la sua invincibile inerzia, lo
ano a consultar medici e a curarsi sul
Nessuna delle due donne scendeva più quasi
affatto in negozio e si notava una certa ti
ranza speciali! Ila retrobottega, tanto più
inni, il più vecchio dei facchini, stava al
banco quasi continuamente.
Ito ondeggiare fra diversi pareri, dopo
aver, come un bambino, fatto impazzire quelle due
povere donne, che vi 'levano cura mei ite il
soi Luigi cedette e s'indusse a lasciai Roma per
qualche settimana e andar ai bagni di Montecatini.
— Ah ! lei che ha i mezzi farebbe un bello spro-
posito a non curarsi gli dicevano gli .unni e
gli uomini di negozio. Vada un po' Inori ili
Roma e si divaghi, si divella In che può.
I picchiai batti si persuase davvero, ruppe gli
indugi e parli accompagnato dalla sora Adel
Il lavoroe la responsabilità crebbero specialmi
pei Andrea, che in questa occasione nasse buon
frutto dal suo caratteri naturalmente grave e se-
rio, in grazia del qi.de non ebbe i. fare ala
sforzo per mantenere l'autorità nell'assenza
del padrone. Si può dire che tutto, tutto era rac-
colto nelle mani di lui; ed egli si mostrava pari
a qualunque più grave e delicato ufficio: era pieno
di dignità quel giovinetto esile dal viso pallidi
mesto.
Non era lontano il termine che sor Luigi av*
fissato per il ritorno, allorché Maddalena ricevi
una lettera di sua madre:
n Da qualche giorno Luigi non sta bene, i me-
li dici gli consigliano di restare qualche tempo an
« cura a Montecatini, ma lui n - già siamo
« ebbe una lebbretta. che lo spaventi', molto.
« glio tornare a Roma, diceva, voglio morire g
. .sa mia. Io capisco che è stata una cosa leggera,
a che sarebbe meglio dar retta ai medici
« un altro po', già che ci siamo; ma tuttavia |«-f
a non contraddirlo ho già stabilito di partire. Se
« non si cambia pensiero arriveremo a Roma do-
ti mani sera alle sette e dieci.
« Luigi a Mi 'liti ratini non si trova bene e sai
« perelu- p.-rchè non ci sei tu: ti nomina e ti de-
« sidera sempre. Siamo tanto pentiti di non averti
« presa con noi: mai più andremo via senza di te».
Era verso la metà d'agosto e il caldo a Roma
insopportabile; quando arrivò la lettera della
sora Adelaide, la casa era piena di malinconia: la
povera Maddalena era sola sola, triste e avvilita.
Quella benedetta Barbera approfittava della bontà
di lei e, dacché erano [urtiti i padroni, non a.
piti voluto far nulla: diceva che era sfinita,
non si reggeva e da qualche giorno s'era messa a
letto, ostinandosi a non volere che si chiamasse il
medilo. Maddalena doveva pensare a tutto, t.ir
tutto e servili' l'ammalata, che non era pi
screta. Prendere risoluzioni, introdurre persone nuo-
ve non vnl.-va. perchè mancavano i genitori e
era tanto stanca, che non aveva nessuna forza di
Vi ili ìiI.'i :
Si 'i' vecchia, la mia giovinezza é finita, fi-
nita per sempre diceva tra sé, sentendosi op-
dal peso della solitudine e della fatica.
La lettera arrivò il lunedi mattina: la domt>
d'i er stata più triste degli altri giorni, pi i
il negozio abbasso era chiuso e non si sentiva nep-
pure lontano e confuso quel solito rumore di •
che alunno un poco la confortava. La lettera con
la triste notizia della salute del sor Luigi fece tra-
boccar la malinconia. Le parve vicino il giorno
ANDREA
6q3
sarebbe con sua madre ripiombata nella miseria;
a questo pensiero rabbrividiva di sgomento: non si
poteva fare alcuno schermo contro il destino, ma
non poteva neppur rassegnarsi senza sentirsi tutta
avvilita e disfatta.
Barbera mangiava come un lupo, ogni momento
bisognava portarle qualche cosa. Maddalena cu-
cinava, puliva la casa, stirava, rigovernava in cu-
cina ; e i lavori pesanti che le sciupavano tutte le
mani l'avvilivano tanto più, perchè non cera nes-
suno che la vedesse e la confortasse.
Quel giorno che arrivò la lettera, il pomeriggio
sembrava eterno per Maddalena: Barbera dormiva
come un ghiro, ed ella s'abbandonava ai più tristi
pensieri.
— Babbo sta male ed è in viaggio — pensava
- e il male s'aggraverà sempre di più. Vergine
Santa ! — esclamava — aiutateci voi !
Avrebbe voluto pregare, ma non aveva ne forza,
né volontà : mentre stava così tutta inquieta ed
inerte, le passò per la mente il pensiero di accen-
dere il lume alla sua buona Madonna che stava
in una nicchia giù nella retrobottega e aveva di-
nanzi sospesa una piccola lampada. Di buon grado
s'appigliò alla bella idea, che le era venuta, e scese.
Dappertutto un fresco, un buio, un silenzio che
pareva quello della tomba: tutte le finestre erano
chiuse', tutte le tende calate ; dal negozio non ve-
niva il più piccolo rumore. Ella camminava leg-
gera, quasi temesse di turbare quel sacro silenzio.
Entrò nella retrobottega, trasse di tasca un mazzo
di chiavi, s'accostò a un credenzone per togliere un
moccoletto di cera da porre nel bicchierino della
lampada.
Andrea, dinanzi a lei. presso la finestra ch'era
sul lato opposto, stava scrivendo ; ella lo vedeva
di scorcio : la bella testa dalle foltissime chiome
giovanili era chinata ; tutto raccolto e composto, il
giovane attendeva al suo lavoro; con la blusina
sciolta e leggera, che indossava, la sua persona ap-
pariva più esile e schietta. Maddalena lo contem-
plò un istante con aria triste. Nel cercare che fece
la chiave dell'armadio, il mazzo le sfuggì di mano
ed essa lo lasciò andar per terra, quasi volonta-
riamente, e. per farsi sentire da Andrea, chinan-
dosi dietro le chiavi, mise un alto e lamentoso
sospiro di stanchezza.
Andrea si rivolse di scatto balzando in piedi.
— Lei... ! Che ha ?
— Nulla. Sono stanca, stanca morta.
- Coraggio — diss'egli con un leggero sorriso
— hanno pur scritto che tornano stasera.
— Sì, hanno scritto, ma babbo non sta bene ;
ha scritto solamente mamma ; ci deve essere qual-
che cosa di grave, vedrà che non arrivano. Io alla
stazione non ci vado, perchè son sola ed ho Bar-
bera ammalata, ma tengo per certo che non arri-
vano ; vedrà, purtroppo vedrà che non arrivano.
Aveva voglia di piangere, sentiva un nodo di
pianto che le serrava la gola ; per non farsi ve-
dere si volse, trasse il moccoletto. l'assettò nella
lampada e l'accese. Andrea, ritto, immobile, con le
braccia indietro e le mani appoggiate sulla spal-
liera della sua sedia, seguì muto l'opera pia della
fanciulla, che si fermò un istante dinanzi all'ima-
gine sarra, poi si volse, salutò Andrea con un sor-
riso mesto, con un cenno del capo, come se fosse
in chiesa, e s'allontanò leggera senza far sentire
il rumore de' suoi passi. In quella stanzaccia umi-
da e tetra, Andrea sentì diffondersi tutta una luce
sacra di purezza e di candore, come se fosse pas-
sato l'angelo della fede e della pietà.
VI.
Maddalena risalì in casa : non aveva mangiato
dalla mattina, e Barbera cominciò a sollecitarla
che non si lasciasse indebolire di stomaco e prepa-
rasse da pranzo.
- Lei è abbattuta dalla debolezza, si vede a
guardarla ; sfido io, qui non si mangia mai. Ah se
io stessi un po' meglio, le assicuro che non la la-
scerei cascare a quel modo. Senta, lei s'affligge
troppo per il babbo, vedrà che non ha nulla. Ha
paura di morire — ■ lei dice — ma questo non conta
niente ; il padrone è fatto così, a' suoi mali ci
vuol sempre dare una grande importanza : io lo
conosco bene, sa ; del resto i malati che pensano
a mettersi in viaggio non stanno poi tanto male.
Si faccia animo, signorina mia, e mangi. Per so-
stenersi, anche in mezzo ai dispiaceri e alle angu-
stie della vita, bisogna mangiare. E' inutile: sacco
vuoto non sta dritto.
Maddalena quel giorno si commoveva per nulla.
non avrebbe potuto parlare senza piangere: passò
in, i LA LETTURA
in cui mise a preparare il pranzo per sé e
pei l Vveva la tesi i pesante, la gola inaridi-
ta, i inoso e le mani ardenti: aveva un
veva a\ uta nella notte e ne
i
dell:
'.i dirlo che era malata' Non c'era nes-
sus era ne essaria, ed ella si
proprio per forza.
!.. il pranzo a Barbera, poi tornò in cucir]
non ebbe voglia ili apparecchiare e mangiò pur
ini ' cadere sopra una sedia accanto
ai fornelli: tutto le pareva salso ed amaro, la vi-
dei db) le faceva quasi schifo. Si diede poscia
a rigovernare e a riporre, che in cucina erra un
tale ch'essa medesima si meravigliava
d'averlo fatto.
Povera mamma, col babbo ammalati! in che
bella rasa arriva! Per tener l'ordine ci vuol testa
i tra sé ; io non ne ln> più — e tremava
al pensiero ili averla perduta per sempre.
Aveva già accomodato il fuoco, l'aveva rincal-
rto ili ceneri.', perchè si mantenesse, ci
aveva assettato sopra la pentola per far che ci
meno un po' ili brodo caldo per quei che do-
vevano arrivare. Erano le sei, bisognava aspettare
un'ora e mezzo certo prima che arrivassero e Mad-
dalena già si sentiva invasa dall'impazienza che si
I rova aspettando; non aveva né forza, né volontà
di far nulla, e tanto meno poteva riposare, perchè
addosso una specie di irrequietezza e di
smania.
Non sono venute né lettere, né telegrammi,
arrivano certo: babbo sarà stanco e disfatto dal
viaggio e dal male, mamma sarà tutta affannata
pei condurlo a casa, e alla stazione non troveranno
nessuno che li aspetti. Che cosa penseranno di me?
Penseranno che io sia indifferente e trascurata. Ma
io sto male! disse alzandosi stringendo con le
mani le tempie che ardevano. — Smaniava e pa-
reva che invocasse una tregua, un perdono. Trasse
un profondo sospiro, s'avviò alla camera di Bar-
bera e aperse l'uscio:
— ■ Voi dovreste restar sola — le disse — ; io
vorrei andare alla stazione incontro a loro.
— Ah, va bene, vada pure ; mi dispiace di non
poteri venire insieme. Dica alla signora ch'io non
i mi abbia, ma sono sfinita. Ah, che dolore
non poter far niente per i miei padroni, ora che
devono arrivare!
\l dalena »i mise il giacchettino e il cappello
ed usi i vestii me stava: venne al tram, che
a quell'ora trovò pieno zeppo; dovette restare in
piedi sulla piattaforma. S'aggrappò forte con le
mani ad una traversa e stette lì ritta con gli occhi
incantati senza veder nessuno, lasciandosi urtare,
e insensibile, senza fare il minimo atto
di sdegno: era avvilita e compiangeva sé stessa;
ido il tram fu sfollato e il conduttore le
disserti sto da sedere, rifiutò con un cenno
lei capo: non lia neppure di muo-
versi.
Alla staz r.i molto tempo da aspet-
tate . Maddali tse smarrita e senza ra
pezzarsi di nulla prese il biglietto d'ingresso ed
entro sotto la tettoia.
I treni fischiando entravano e uscivano con un
isso 'In- le turbava l'anima. In mezzo al via
\ ;n i facchini urlavano bestemmiando ; uno le diede
un urlone e invece di chiedere scusa la strapazzo
con male parole. Essa tu intimorita, guardò in-
torno: tutte le Iacee etimo oscure e indifferenti;
un vecchietto dei baffi tinti, che passeggiava come
mio sfaccendato, le lece una sdolcinatura che ella
senti come un insulto. Ma pen venuta li
sotto alla tettoia? Perchè non era rimasta all'uscita.
dov'i !>' ii più fa ile e più sicuro vedere chi arriva?
Scemato alquanto il fracasso, i suoi pensieri piglia-
vano un lugubre andare. Il cuore le diceva che non
sarebbero arrivati e sarei 'In- venuto invece loro un
telegramma disperato; allora ella avrebbe voi
pamr sul no. ma non aveva denari in tasca. Que-
sti pensieri fantastici e strani l'incalzavano e l'op-
primevano come un s' oso; tutta im-
bronciata, con gli occhi gonfi di lacrime, tornava
verso l'uscita, dove il cancello si chiudeva proprio
allora: senti chiamarsi da una voce sommessa e si
volse tutta dolente d'esser trovata lì sola in quella
desolazione. Ma quando vide Andrea, appoggiato
di fuori alle sbarre del cancello, che la fissava con
tenerezza e pareva contento di vederla, si rallegrò
d'un tratto: era un amico vero e gli amici veri con-
fortano sempre.
— Aspetti; prendo il biglietto, entro anch'io.
Maddalena sospirò come se si alleggerisse d'un
gran peso, di tutto il peso di quella tremenda so-
litudine, e quand'egli le si accostò e le strinse la
mano, essa lo fissò sorridendo con gli occhi lu-
centi dì lagrime.
— Ah, che fortuna — disse — che e' è lei !
Io mi sentivo proprio morire, avevo come paura,
ho fatto tanti pensieracci tristi.
— Ma perchè? ma perchè? — ripeteva Andrea
— senza vedere, senza capire nulla, invaso com'era
dal piacere di confortare Maddalena.
Maddalena era ancora tutta sbigottita, parlava
molto, come per appoggiarsi a lui. per cincondarlo
e stringerlo con le sue parole, perchè non sfuL'L
— Se lei sapesse quanto stavo male ! Ormai pian-
gevo, sa.
— Possibile!
— Mi guardi negli occhi, se non mi crede.
Kgli fissò con aria inquieta gli occhi dolci di
Maddalena; eblie un sorriso, una mossa strana;
Maddalena trepidante, accorgendosi di aver pas-
sato il segno, lo guardò con occhio pietoso, ed egli
si rie. .ii 1 1 >< ise tosto
Ha pianto davvero! Ma perchè? lo non ca-
pi» 1 1
Maddalena spiegava le ragioni della sua tri-
stezza e de' suoi timori, che s'erano orribilmente in-
granditi nella sua testa : ma in.
lava la sua voce, senza badar mollo alle parole e
pn Lriva di sentire spiegare anziché capire
Passeggiane! 5Ì un pezzettino. A un ti
ANDREA
udì un fischio da lungi. I due giovani tutti smar-
riti si guardarono l' un l'altro e divennero
pallidi.
— Perchè è venuto alla stazione, lei? — do-
mandò, bruscamente, Maddalena.
In quella improvvisa domanda. Andrea sentì
tutta l'inquietudine, il timore e il vago rimorso.
che aveva assalito, come il suo. anche l'animo della
fanciulla. Diventò serio e triste.
— Sono venuto — disse — perchè ci sono af-
fari urgenti : devo spedir telegrammi stasera e avrei
bisogno di parlar prima con lui.
— Il treno di Civitavecchia, il treno di Civi-
tavecchia — si udì ripetere.
— Ma rome? — Questo non è il treno di Fi-
renze? ma che ora è? — disse Maddalena.
— Le sette e venti — fece Andrea mostrandole
l'orologio — il treno di Firenze dovrebbe essere
arrivato da dieci minuti.
Interrogarono con premura un impiegato dal
berretto rosso coi galloni d'oro, il quale era tutto
occupato a dar ordini.
— Il treno di Firenze?
— E' in ritardo — rispose quegli distrattamente.
— Di quanto?
— Di mezz'ora.
— Che facciamo? — disse Maddalena rivolta
ad Andrea — vuol aspettare lei ?
— Io sì.
— Aspetterò anch'io, già che sono venuta.
La vaporiera entrava maestosa sotto la tettoia con
un rumore assordante. Dinanzi a quello spettacolo
tanto maraviglioso. che sempre par nuovo. Mad-
dalena si sentì come sollevata. S'avvicinò ad An-
drea per non smarrirsi nella confusione e. quasi a
compensarlo della brusca domanda di poco prima.
traendo un sospiro:
— Ah. fortuna che c'è lei! — gli ripetè affettuo-
samente.
Egli non rispose, ma con premura le riparò gli
urti della folla.
Si trassero vicino al muro, al di là dell'uscita, e
Maddalena si lasciò andare sopra un sedile pr
l'ufficio dei bagagli. Andrea restò in piedi accanti
lei, e stettero così qualche tempo senza vedersi, senza
parlare, guardando il via vai dell'arrivo; finché
a poco a poco la confusione venne meno ; i fac-
chini si diradarono : non si vedevano più che i
guardafreni aggirarsi tutti neri con le loro lan-
terne, come fantasmi.
Quella pallida luce dei fanali elettrici, quella
grande tettoia affumicata, lineilo strano odore di
fumo d'asfalto davano una specie di vertigine alla
mente dei nostri giovani. Maddalena s'abbandonava
alla sua mortale stanchezza ; Andrea con gli occhi
sbarrati contemplava quel luogo, dov'era arrivato
per la prima volta fanciullo dopo la morte di sua
madre: com'era triste e sconsolata quella notte,
com'era misterioso l'avvenire ! Una foga di ricordi
e di speranze avvicendandosi ora e confondendosi
nella sua testa gli impedivano il senso della realtà
pi esente: tutto era vago e indefinito come una mu-
sica ; tutte le speranze e i ricordi della sua vita
pareva che accorressero in folla a godere questo
raggio di felicità che rischiarava il suo destino.
Egli n'era sopraffatto, non capiva, non sentiva più
nulla ; e intanto passava l'ora felice, che un giorno
gli sarebbe stato amaro di non aver osservata e go-
duta, e il cui ricordo sarebbe stato intorbidato da
questo strano rapimento della sua fantasia.
(Continua):
Anna Evangelisti.
La morte del Re buono
nei poeti del popolo
m.
i. Mj dicembre del 1385 per tutta Milano,
anche allora grassa e popolosa, e di là
per la Lombardia, indi ]*r ogni terra
d'Italia, si diffuse rapidamente la strepitosa no-
tizia che Bernabò Visconti, pochi giorni innanzi
■ dal proprio zio Giangaleazzo, era
morto 'li veleno. Il caso straordinario della repen-
tina e tragica fine di un principe tanto putente e
tanto temuto, colpì assai vivo la fantasia dei con-
temporanei, i quali, atterriti e commossi, si affolla-
euriusi intomn a quei cantastorie, che, ]kk-o
appresso, nelle piazze di alcune nostre città, ripete-
vano la sturia di lui quale l'aveano spianala in tre
ari un Matteo da Milano e altri due anonimi
ficatori. Non tutte le colpe del tiranno erano
silenzio: ma alla gran luce dei meriti
di lui, che quei versi vantavano magnifici e abbon-
danti, se esse non rimanevano oscurate del tutto,
certo impallidivano di molto. L'immagine di Ber
nabò appariva come quella di un signore «Savio,
discreto, con molto intelletto, De cortesia mare,
■ -ut'-. Amor de carità ne', suo conspetto»;
bello di ogni dote intellettuale e morale, e adorno
del].- quattro virtù cardinali; insomma di tutti
quei pregi che il Medioevo richiedeva in un prin-
cipe perfetto. Il delitto, come per incanto, aveva
cancellato anche nei 1 nbardi medesimi la memo
ria dei dolori e delle sevizie sofferte!
Parimenti, il giorno di Santo Stefano del i 1 7 ' • -
\l in in di nuovo sconvolta da un altro misfatto
non meno clamoi lei precedente: Giovanni Vn
drea Lampugnani, con altri suoi compagni, aveva
trucidato il duca Galeazzo Maria Sforza nella chiesa
di Santo Stefano, ov'era ito al cullo divinale. Il po-
polo fé' tosto giustizia dei congiurati ; e della 1
mozione ispirata dal lagrimevole caso si reselo in
terpreti i poeti popolari con n lungo ternario,
che dagli ultimi anni del secolo XV al 1613 venne
ristampato più volte (ciò che dimostra il gran favo-
re da esso goduto per assai tempo in Lombardia
e in Toscana specialmente) e con un cantare in
ottave, che parecchi anni or sono io disseppellii
frammentario da un manoscritto della biblioteca
romana del principe Chigi. «Non fu mai duca di
SÌ alto affare dice il cai. che ivesse
tanta forza e vigoria»; era magnanimo e fi
guerriero, e suo pensieri' era di darsi piai, ne: «de
Fare i..stre assai si- del© tava ".
Et in cavalli e in nobili destrieri
E in animali di pia conditione.
De tener bracchi, cani e lipereri,
Sparveri, astori e pulgrin falconi;
E nel gran barco ogni animai lenivi
E del .in. issai piacer prendivi.
Nel rileggere questi versi, l'animo nostro ri-
pensa con .un. ira tristezza, non già al duca
lombardo del secolo XV, ma ad un priro
che noi italiani conoscerai -d amammo, al
Re nostro, che pur di quelli animali e di quelli
'.'i nei giorni di ripidi, si compiaceva ■<
Ae. In- pei s però un'altra analogia tra
LA MORTE DEL RL l'.l (>M i
697
gli ultimi casi ili [uesti due principi. Il giorno di
Vitale del 1476 lo Sforza avrebbe voluto uscire
dal castello; ma la su? sposa, la giovane e mite
Bona .li Savoja. vedendo
Ne Taira scura un terribile signo,
Dixe : « o signor, pregare te vorrei
Che non andassi fora, o signor digno >.
Per le parol' che dixe la duchessa,
Rimase nel castello a udire messa.
Così avesse il nostro Re ascoltato del pan le
parole della sua sposa, che nella sera fatale, colla
chiaroveggenza di un animo amante, lo aveva pre-
gato di rimanere nella reggia di Monza!
In line (e dico non già perchè la serie degli
esempì sia esaurita, ma perchè al caso nostro ba-
stano questi tre assai famosi), quasi un secolo ap-
presso, allorché, nel 1537, Lorenzino de' Medici
uccise il cugino Alessandro, furono scritte e pub-
1 licate tante epigrafi, canzoni, sonetti, lamenti,
poemetti narrami deploranti il triste caso o im-
precanti contro l'uccisore, il quale, come disse il
proverbio, «non lo volle né Cristo né il diavolo»,
da potersene formare una raccolta veramente cospi-
cua. E col trucidato signor di Firenze innalza i
suoi lamenti pure la sposa di lui, Margherita d'Au-
stiia, che non vuole più grandezza, non vuole più
lode. jSenonchè il capitolo e i sonetti, in cui la
vedova di Alessandro esprime il proprio strazio,
rimpiangendo le glorie perdute e invocando la
morte, sono troppo retorici, troppo freddi e conven-
zionali (il misero versificatore osa imitare qua e là
nientemeno che il pianto divino di Fiordiligi !),
non dirò per iscuotere, ma neppure per isfiorare le
fibre del nostro cuore. Ben altri lamenti, ben altre
preghiere tre secoli e mezzo di poi ispirò ad un'altra
Margherita, la buona e pia Margherita di Savoja,
Io strazio ineffabile di un assassinio brutale, che
le rapì trucemente chi le aveva largito colla giuria
del trono le gioie dell'amore!
Ma il Visconti, lo Sforza e il De Medici furono
tiranni ; e se il popolo si commosse e pianse al-
l'annunzio della loro morte violenta, gli è che esso,
allorché è atterrito da un grande misfatto, non ri
corda più il passato, dimentica le colpe della vit-
tima, e per buono istinto naturale, quando non sia
per forza di sovreccitazione spontanea collettiva,
incerto deli avvenire che potrebb'essere anche peg-
. non pensa che ai benefizi ricevuti e impreca
ni chi glieli tolse forse per sempre. Il Lam-
pugnani uccise lo Sforza per liberare il popolo
li imbardo dalla servitù, e quél popolo medesimo
ne lo ricompensò rolla morte!
Se tanto pianto, tanti versi sgorgarono dagli
occhi e dalle labbra delle genti d'Italia per l'ucci-
sione di principi iniqui, corrotti e oppressori,
quanti, chiederemo noi ragionevolmente, non ne
avrà profusi il popolo nostro per la terribile trage-
dia di Monza che vedovò l'Italia tutta del più
buono, del più generoso, del più leale dei Re? Alla
stregua di questo raffronto il numero delle poesie
si ritte in morte di Umberto 1 certo dovrebbe es-
sere ingente. Noi tutti ricordiamo con terrore l'el
Petto prodotto nelle nostre città dal ferale annun-
zio: il più bel sole d'estate, quasi per beffarda iro-
nia, ci ridesti') all'alba del 30 luglio; e ciò non-
1 Mante non un volto ilare, non un cuore di vero
italiano che battesse liberamente: un dolore muto
e profondo ne opprimeva il respiro; e la vita, ot-
II Re leale e prode,
Dei ginnici Monien
La fola onort-
Di sangue aaaelalo
Ha gii meditalo
Di volerle immolar.
La («la è terminal»
Ognun il Re acclama.
Saluta i ginnasti
E alla calmala ravvio.
Ma l'aaaaaaino
Quel belva feroce
Il paoalnro atroce
Vuol etìcltuar.
M.i il barbaro.
Ognun «enti
Mira del Re al core
E lo nasce a freddar
Ogni cor italico
Comprender pud lo strazio,
L'In- la gentil Sovrana
A tal novella provo.
Esecrando naaaaainn.
L'amor di tua famiglia
E dei morii gnnitor
Nou ti sepper frinir I
Al padre del popolo
Vilmente immolato
Ogni figlio d'Italia
Dimmlra il dnlnr.
E tu vii assassino
Che al Ite deati merle
Or devi scontar.
tenebrata da un solo comune sgomento, rimase,
come suole subito dopo una violenta scossa di ter-
remoto, sospesa nell'ansia terribile di nuove sventure.
Al contrario, almeno a giudicarne da quanto cono-
sciamo, noi, la mèsse di queste poesie è tutt'altro
che abbondante: e ciò non già, come troppo affret-
tatamente e non senza qualche compiacimento po-
trebbe concludere taluno, perchè sia scemato l'affet-
to verso la gloriosa dinastia che ci regge, ma perchè
già da assai tempo ai cantastorie e ai foglietti vo-
lanti e agli opuscoli di poche pagine che diffonde-
vano le nuove piti clamorose, sono sottentrati pur-
troppo i giornaletti settari da due o tre centesimi,
che colle notizie razzolate in ogni dove e in ogni mo-
do, diffondono pur anche la maldicenza, l'ingiuria,
il veleno. Il giornale politico, infatti, se non uo :ise,
i-trio stremò la letteratura del popolo: e mentre
questa rispecchiava i sentimenti, le passioni, i de-
sideri della gente più umile da cui era ispirata ;
oggi il giornale riflette invece le idee di chi lo
si rive, il quale vuole a ogni costo, con tutti i
mezzi, infonderle nel popolo per migliorarlo, di-
cono, ma più spesso, come pare a noi. per disna-
t tua rio.
LA LETTI R \
. poco dopo la catastrofe di
n ni i il desiderio di coni scere l'i
i popolo,
;. rv in quale forma ina
stata nelle <li\. ni d Italia. A quesl no
mino alla i brigata nobile e cortesei
mpagni di studi dispersi «ai
le terre d'Italia»; ma, rip.
no, nonostante le premurose ricerche ili costoro,
itiva i imase in j parte delusa.
Le tipografie italiane alle quali dobbiamo oggi la
produzione ili poesie popolari sono fio
milanesi ; e, infatti. <la quella ilei Dm-ri
ili Firenze principalmente, e dall'altra del Ran-
Milano, uscirono quasi tutte le canzonette
no: due se ne pubblicarono
tre a l'urino e due a Napoli, senza contare le ri-
produzioi ' : altrove con pochissime varietà:
a Roma. .1 Venezia, a Padova e a Fiorenzuola
d'Arda. Ma anche a Roma stessa non un verso ori-
in onore del suo «leal cavaliere», e nulla
del pari in Sicilia e in Sardegna, se pure qual-
cuno ili quei foglietti volanti, che bene spesso
hanno la vita di pochissimi giorni, non isfuggì alle
diligenti i dei nostri amici. In tutto, dunque,
tredici le poesie a stampa che noi conoscia-
mo (ri: buon numero di certo, se badiamo solo al-
l'identità del soggetto, ma assai scarso invece se
siamo all'enormezza del delitto e al fatto che
• sse ci vennero quasi tutte da due sole città, in cui
(i) Diamo qui l'elenco delle poesie a stampa:
La morie del Re martire, lamento del popolo : « Era
Umberto un Re valente», Torino, Tip. Anale;
// Re è morto, versi di un Italiano: «L'ira feroce
ignobile». Firenze, Tip. Ducei;
L'assassinio di S. M. Umberto I, Re d'Italia, avve-
nuto a Monza il 2</ luglio 1000: « Qual padre tra i suoi
figli», Milano, Tip. Ranzini;
// leale Re l'mberto assassinato da un anarchico,
versi di Papucci Eugenio : « Il ventinove luglio », Firenze.
Tip. Ducei;
'A morie d' 'o Re, versi di F. A. Bonenzio : « I 'che
mmicidio barbaro ch'à fatto», Napoli, Tip. Bideri;
È mmuorto 'o Rre! (Nenia), versi di G. Andreassi;
«Chiagne l'Italia e cchiagne », Napoli, Tip. Bideri;
// lamento de! popolo contro il regicidi!, composi
zione di Pilade Gianni di Pistoia : « Reco che alfin sei
messo al tuo destino », Firenze, Tip. Ducei ;
Il pentimento del Bresci: * In questo tetro carcere»,
m ;
// rimorso del Bresci, nuova canzone: «Un mese è
già passato», ibidem;
Lettera del tenente Reti;,* Degl' /nuocenti al regi
rida, <na canzonetta di Cesare Picchi: « Leggi, <>
codardo ed il peggior tra i rei», Fiorenzuola d'Arda,
Tip. Pennadoli;
L'assassinio di re l'mberto; «Casa Savoia, augusta
e bella». Torino, Tip. Gayet ;
l'i la sentenza e condanna del uri,:, la Gaetano
i: «Entro una stretta «ella». Milano, Tip. Ranzini;
La morte di Gaetano lì> nula alia
di Santo Stefano il ?2 maggia iooi: < Non è trascorso un
anno ». ibidem.
quella fioritura potè essere determinata ai
ragioni partili ilari : a Milano, dalla sua pr
col luogo dell'assassinio, a Firenze, dalla irad
predilezione del popolo toscano per la pa
ivi ben più radicata e più viva che non in altri
gioni d'Ita
Ma lasciando ora queste ipotesi che possoi
meno in parte spiegare il fenomeni», e venendo a
discorrere del genere e <V '■ • > < tivi li
e popolari, per vedente l'origine pri-
mi noi dobbiamo risai pensiero assai alto;
che il genere, nonostante le inevitabili varii
pur sempre quello dei lamenti storici onde abbi
esempi fui dai primi anni del Tri
nostro snnii infatti lamenti del Re barbaram
Ucciso, del popolo italiano orbato miserami lite del
padre suo. e dell'assassino che il popolo immag
sinceramente pentito della propria scelleraggine.
La forma del lamento però non è più Fan'
perchè, mentre nel Medioevo e poi fino a tut'
Cinquecento s'era data molta importanza al i
cinto storico, svolgendolo o nei cantari in otl
rima, o nei sirventesi, o nei ternari, o nelle bal-
late; ora la narrazione del fatto, o manca. o\
è sommaria, come cosa a tutti notissima, e in
quella vece è dato maggior rilievo all'espressione
lirica dei sentimenti, alla quale parve meglio adat-
tarsi la e i disidrata, al cui fiorire, cosi ir.
Italia come in Francia, contribuirono assai i I
modernissimi dell'anarchismo.
Dopo questo esordio, che tuttavia non sarà
brato del tutto inutile, veniamo alle canzonette in
morte del nostro Re. Un Elle pi forse torinese,
poiché di Torino è la stampa, ne comincia una ■
Era Umberto un Re valente
Generoso e di gran cor;
Era l'idol di sua gente,
Era il tipo dell'onor.
Ma una belva inferocita
Fino a Monza lo inseguì ;
E per togliergli la vita
Con tre colpi le feri.
Tutta questa poesia è un vanto delle nobili
grandi doti della vittima, interrotto ad ogni due
Si t< Eette dal ritornello:
l'iangiam, piangiamo, o popoli,
È morto un Re leal.
Pei si Innocente vittima
Fia lutto nazional.
E interamente liriche, al pari di qui
pure le due canzonette-disperati una
di G. Andi da E. di < lapua, I al-
tra di F. A. Bonenzio. nelle quali, oltre al rim
pianto sincero e all'invettiva contro l'assassìni
ninni a tutte indistintamente queste poesie, si
ri una di preferenza a quelle nobili azioni di l "•
LA .MORTE DEL RE BUONO
herto I che i Napoletani avevano potuto ammirare
co propri occhi.
O tiempo d' 'o culera
Scurdà nun se po' certo
Chello che ffece Umberto
P"o bbene 'e 'sta Cita.
699
se anche costoro non avessero avuto il desiderio
medesimo del Bresci !
Vssai maggiore diffusione di questi che ora ab-
biamo ricordato ebbero i versi di Eugenio Papucci,
pubblicati dapprima a Firenze, poi riprodotti an-
che in altre città, e che per parecchio tempo furono
A.JL. REGICIDA
NUOVISSIMA CANZONETTA (li Cesare Picchi
Leggi. 0 codardo ed il peggior tra i rei.
11 grave annunzio del tuo gran reato,
Io non mi chiamo Bresci di casato,
Sappi che più fratello mio non sei.
Renzo mi chiamo e son degl' Innocenti.
Con questo passo alla novella vita.
Cessi del mio dolor questa ferita
Amo I miei figli e -non ho più parenti.
Mi sembra un sogno questo grand'errore
Da te commesso al nobile Regnante
Senza motivo spegnere all' istante
La vita al mio secondo Genitore.
Quanta bontà egli aveva, ed infinita.
E toglieste la vita a un grato flore,
E tutto il mondo ne sente dolore
In pianto eterno resta Margherita.
Chi t'avrà spinto a simile reato!
Tu non pensavi a noi cari fratelli !
I cittadini a te son già ribelli,
Addoloraste la Città di Prato.
Non ci pensasti allora alla consorte
E padre tu Io eri 0 sciagurato,
Io non credeva il tuo cuor preparato
A dare al nostro Re si orribil morte.
Piangi ed impreca e lacera te stesso
Neppur la morte a te non s'avvicina,
La brameresti, lei non s' incammina
Non vuole approssimarsi nel tuo ingresso.
Ed ora lo lascerò questa divisa,
Con gran sudore l'ebbi guadagnata,
Con lacrime di pianto io l'ho bagnata
La tua fraterna mano ormai l'ha uccisa.
Altro non dico, e levati di mente
II nome mio che un giorno a te fu grato,
Da tutto il mondo tu sei disprezzato
Nego I saluti miei con cuor dolente.
Firc*** 1900. - Tip. E, Ducei, Vui drt rilutti y. 32. — Si «fjui'jc* quatunfue tuivro a yrmx «mei
e nell'altra canzonetta:
Nu Rre ca nun a fatto maie nu male ,
Ca nei' à aiutato sempre 'e ogne manere :
'A guerra, a Casamicciola, 'o culere,
Le fanno chesta sciorta 'e 'nfamità !
Il Re. continua il versificatore, morì senza dire
• Madonna, aiuto ! », senza dare un saluto alla fa-
miglia; sicché il Bresci fu ben più infame di Ac-
ciarito e di Passanante. Curioso raffronto : come
cantati, a quanto sappiamo, nella media e nell'alta
Italia. La ragione di questo particolare favore sta
forse in ciò, che il Papucci, colla sincerità dei con-
cetti e colla forma facile e piana, gradì meglio de-
gli altri ai gusti del popolo.
Il ventinove Luglio
Del mille novecento
Umberto primo spento
Fu da vigliacca man.
LA l.l TTURA
.usi" tristo giorno
Registreià la storia,
l'it.li.' ne la memoria
Resti deglfltalian'.
. .in segue il pianto d'Italia
M rgherita, i I mpre azione 1 1 mtro
■ non può spiai perdono del suo
■ bruta! di aver ucciso « Il più
èva i poveri »,
Incoraggiava i malati
me tigli amati
Se li stringeva al sen.
Ma non tutte ive a mi i le can-
ì cui parliamo, che in alcune altre all'e-
spn • ! sentimenti di cordoglio e d'ira pre-
- alterna una breve narrazione o anche solo
un accenno del fatta Certo non abbiamo qui la fu-
iporzionata dei 'lui- elementi, lirico e nar-
rativo, come negli antichi lamenti; ma ad ogni
modo sono anche queste un notevole documento
della vitalità di siffatti generi poetici perpetuatisi
nei secoli. Milanese è la canzonetta che comincia:
Qual padre fra i suoi figli
Il Re leale e prode
Dei ginnici Monzesi
La festa onorò ;
nella quale si parla della premeditazione del de-
litto, si narra come e quando questo avvenne, per
poi terminare liricamente al modo solito. A questa
canzonetta se ne riaccosta un'altra non molto dis-
simile, veramente popolare, ch'io udii sul monte
Berico di Vicenza il 25 agosto 1900. Si celebrava
in quel giorno una solenne festa religiosa, e le in-
numerevoli frotte di fedeli che salivano verso il
0 famoso, di tratta in tratto arrestandosi
per riposarsi lungo la bellissima strada che vi
conduce, porgevano orecchio ai cantastorie che
narravano o i miracoli della Vergine e dei santi o
i truci casi dei malfattori più noti. A chi, come a
noi. interessa di notare quanto degli antichi generi
e delle antiche forme permanga tuttavia nelle poe-
del popolo, è naturale che le canzonette dì
istorie non debbano passare inosservate: di
• il profitto che se ne ritrae è assai scarso;
ma in quel giorno fermò non inutilmente la nostra
attenzione una piccola compagnia dì suonatori gi-
rovaghi, un vecchio e due giovani della provìncia
di \ Ite cantavano, ooll'accompagnamento
di violino e di armonica, dei \ersi in morte del Re
trucidato un mese innanzi. La forma rozza e la
•rsi ne rivelarono tosto l'origine
mente popolare: infatti il vecchio stesso ne era
l'au1' iveva impn 1 quel ritmo e che lo
cantava di paese in paese, s rio mai racco
mandato alla scrittura; sicché quand'io lo
irai in disparte perchè me lo dettasse, se volle ac
uii. dove non già recitarlo, ma cantic
« hiarlo con voce sommessa, tanto |»t lui le parole
e la musica erano una cosa sola, indivisibile.
Il ne 'otsì nelle si n fé, limono si
l'intenzione dell'ai .oro sem-
il motivo musi alo 1 hi
pagnava ciascuna strofa era identico |>er tu
ma questa uguaglianza tal. lo appai
1 versi poi variano a capriccio di misura:
si capisi il nostro povero Apollo a-
vrebbe preferito il quinario .. il settenario; ma
noe. si lece però alcuno scrupolo di passare improv-
visamente am n.trio e all'ottonario. Ina
ma eoli si affidava interamente al suo orecchii
ooll'accompagnamento musicale celava e accomo-
dava agevolmente le stonature del ritmo. Il 1
che in una stessa sitila si trovano versi di varia
natura, i parisillabi accoppiati cogli imparisillabi,
dimostra evidentemente che quel ra affatto
privo di ogni nozione poetica. Senonchè alti
dir questo ed altro è affermare che nella sua mente
non fosse rimasta traccia alcuna di versi altrui,
ch'egli nella sua lunga camera dovè cantare .
vagando. E invero, l'orditura, lintonazione della
poesia, talune frasi e similitudini, tutt'altro che
nuove, rivelano nell'autore una vecchia consuetu-
dine con siffatto genere di componimenti. A noi,
ad esempio, pare che non gli dovesse essere ignota
la canzonetta milanese or ora ricordata; sebliene
tuttavia la somiglianza possa essere una conse-
guenza dell'identità della fonte, i giornali politici,
onde e l'uno e l'altro moderno 0 canterino» attin-
sero le notizie del regicidio. A ogni modo però, in
questo tentativo informe di poesia, in cui la buona
volontà e l'ispirazione restano sopraffatte dall'im-
perizia, non manca ne l'affetto, no il calore e ima
e là l'efficacia dell'espressione.
Sotto certi aspetti, infatti, sia per la narrazii
qui più che altrove particolareggiata del delitto,
sia jx-1 contrasto tra la nota tragica e la passionale,
in quel punto specialmente ove fa parlare la Re-
gina Margherita, questo curioso saggio d'arte spon-
tanea supera talune altre poesie più corrette e più
regolari che abbiamo ricordate sin qui: e |»
crediamo di non far cosa sgradita ai folkloristi
ri producendola nella sua intere-. ino ci fu
dettata dall'autore medesimo, senza mutar sillaba:
.Nella città di Monza
celebrava una gran festa:
< Forza e coraggio »
la ginnastica si chiamava:
il nostro re Umberto
presente si trovava
quando che i premi
andava a dispensar,
arita
aveva prevedato
che il re Umberto
là non ci fosse andato:
ma lui risponde:
< la promessa glie ho dato,
e di parola
non voglio mancar ».
Mentre dal palco
lui discendeva,
alla carrozza
si avvicinava.
tutta la gente
lo salutava
gridando « evviva »
e facendo grande onor.
LA MORTE DEL RE BUONO
■oi
Sol che l'assassino
stava aspettare
col revolver in mano;
l'aveva preparato:
quando il re Umberto
si aveva avvicinato
con tre colpi di revolver
mortalmente lo ferì.
Subito l'assassino
viene afferrato :
chi per le spalle
chi per la testa,
piombando addosso
come una tempesta,
come leoni
lo voleva sbranar.
Ma da le guardie
fu messo in vettura,
mani e piedi
viene legato :
entro in una cella
viene trasportato,
fino che quella vittima
si dovrà consumar.
« Ahi, che il mio sposo
ha dovuto morire,
tanto bene
che al mondo ha fatto,
cos'i male
è sta ricompensato :
da una mano caina
la morte ha ritrova!
La regina Margherita
maledisse l'assassino,
perchè ha tradito
il re e la nazione.
Arrivato dall'America
per questa occasione,
il re galantuomo
di vita 1' ha privi.
Il re Vittorio terzo
è sta desfortunato:
ricevuta la notizia
del padre assassinato,
in mezzo al lutto e al pianto
si è dovuto incoronar,
senza sentirlo
un'altra volta parlar.
Almeno fosse morto
sopra il suo letto,
ma invece è sta ucciso
da un uomo maledetto :
una memoria eterna
per l'Italia resterà,
il re Umberto primo
era il campion della bontà.
L'ultimo gruppo di poesie delle quali ci resta
ancora a discorrere si riferisce all'assassino; e an-
che in queste la varietà dei motivi che le ispirarono
non è maggiore che nelle altre. Più naturale, e perù
più frequente, è la disperazione che détta l'invettiva
contro l'autore del «delitto immane», pel quale un
italiano, con soverchia enfasi retorica, dice che già
nell'Averno stridono le Furie con Satana, strin-
gendo colle loro nere mani le sue chiome impure.
e che Satana stesso, «folle di rabbia e voluttà».
sta preparando i suoi ferri roventi. Non si possono
immaginare torture simili a quelle eh egli avrà nel-
l'Inferno,
Finche il tuo cuore barbaro
Ei pur trapasserà
E l'occhio di Lucifero
In te scintillerà.
Qui tutto è falso, dall'intenzione in fuori ! Assai
meglio, perchè con molto minor artifizio, il pistoje-
se Pilade Gianni nel Lamento del popolo contri)
il regicida trascura i ricordi mitologici e maledice
l'assassino, fra i malfattori il più feroce, che aveva
Lavorato da se «l'iniquo piombo» per tema che il
Sovrano «fosse salvato», e che bene avrebbe meri-
tato di esser « fatto a brani o messo in croce ».
Pistoja rimpiange di avergli dato i natali, e tutti i
parenti di lui vogliono per disprezzo mutare il
loro nome. Altri invece immaginarono i lamenti
dell'uccisore lacerato dal rimorso e pentito del suo
misfatto: e con ciò ritrassero, anziché i sentimenti
del Bresci (che a quanto sappiamo non mai, a pa-
role, si penti del regicidio), il desiderio universale,
e l'istinto che ilovrebb'essere comune a tutti gli uo-
mini civili di ravvedersi del mal fatto, sentendosi
straziati dal rimorso, specialmente se la vittima
sia un innocente. Il Bresci vede ne' suoi sogni
L'ombra del buon sovrano
Che con la scarno mano
M'accenna il suo bel cuor.
Non ho più pace all'anima,
Son dai rimorsi ucciso
Vedo di sangue intriso
Il più gentil fra i re.
Io vedo il suo cadavere,
Vedo la man alzata
Con mossa disperata
Che maledice a me.
E tutto invaso dallo sgomento e dal rimorso
confessa di essere stato « l'uomo più bruto » e chie-
de perdono ai figli, alla moglie, alla Regina Mar-
gherita, reputandosi ben fortunato se, morendo, po-
tesse ridonare la vita al Re sì buono ch'egli uccise.
Un altro versificatore toscano immagina che il
tenente Renzo Bresci in una lettera al regicida in
forma di canzonetta rinneghi il fratello, passando
alla novella vita col nome «degli Innocenti», e im-
prechi contro il miserabile che disonorò la fami-
glia patema, la città natale, la consorte, i figli, com-
mettendo sì «gran reato» che perfino la morte stes
sa ha timore di avvicinarsi a lui:
Ed ora io lascerò questa divisa,
Con gran sudore l'ebbi guadagnata,
Con lacrime di pianto l'ho bagnata,
La tua fraterna mano l'ha uccisa.
Il sangue del re aveva «chiamato vendetta » e il
Bresci è condannato all'ergastolo: tuttavia egli a-
scolta impassibile la sentenza, «non si pente del suo
fai ». e. ([indolente del commesso error», rientra si,
gnoso nella prigione. Cosi un versificatore piemon-
tese, che, narrando sommariamente il lugubre avve-
LA M ITI RA
IL RIMORSO DEL BRESCI
Uo mese e già passata
Dui mio reato atroce
Al Re da tutti amato
Su lui ne fui feroce
Volli saziare
Senza pietà
Por dimostrare
La mia iniquitl
Neil* mìa giovinezza
Mai non sentii doli
E senza alcuna tristezza
Caddi nel disonore
Per me già spento
Ogni fulgor
Del cor contento
Nel più squallor.
Umberto tanto buono
Vittima mia sei stato
Degno eri del Trooo
Ed io ti ho trucidato
Con quattro colpi
Ti volli atterir
Mi «trazia 1' anima
Mi sento morir.
L'Ombra del Re m' appare
Nella bontà infinita
Nei sogni miei trasalì
Perdona o Margherita.
Nuova Ganzo a e
K la sua mano
Mi fa terror ;
Mi par che dici :
Oh : Traditor.
0 aa ir.-, o padc- mio,
Un gran dolor vi Lo dato
i
[>isiurbo Im cagionato.
Mi non gridate
La mia viltà
lo una voce
Tremar mi fa
Renzo, fratello mio,
La pace a te ti ho tolta
Chiedo perdono a Dio
Perdona, te una volta.
Ai rinnegato
Famìglia inter
Fui l assassino
Sopra il tuo Re
Non maledite o cari
Se vile Io sono stato
Sconto con pianti amari
Il Re che ho assassinato.
La man di Dio
So me cadrà
Che nel profondo
Mi manderà
L uomo piti bruto io fai
Lasciai la mia famiglia
Un bacio li donai
In fronto alla mia figlia
K me li ■trlnil
Un bacio li die
lo li convinsi
f 1 1 guida io tè.
Oh' mondo tutto intero
Non giova a ma perdono
Che avvolto nel mistero
Volli abbrunaro il trono.
Le voci sento
Dì tutti ancor
Senza perdono
Morir dovrò.
Ed or mi hanno assegnato
Una lugubre cella
Io te rato segregato
Vita per me novella.
Io ne aon urto
Presto morrò
L'ombra d'Umberto
Mi lacera il cor.
Fiorf muoia d'Arda 1901
Tipografia di Gius. Pnntlrùil
N Mi
nimento da] principio alla fine, lo interrompe ad
i >1 ritornello:
Oh regicida
i ii va a soffrir,
In tetra carcere
i lev i morir '
M he ini itti avrebbe dovuto rima-
nere sette lunghi anni» in cuna
tta cella» per passai poi alla galera in perpe
tuo, còlto dalla disperazione 'li dovere, comi
gli aveva predetto la i oi ora ricordata,
mot i ■ ere, undici mesi dopo l'esecrabil fatto
Pei poeti del pi polo, cui la « ii sj » -r;i
non i na-
turai conseguenza del rimorso che avrebbe lai
l'animo del Bresci, travagliato dall' aombra del
buon Sovrano» durante tutto l'anno della
gionia.
Al ventidue Maggio,
ijuasi vicino a sera.
Il regicida mah
l 'al cor triste di fiera,
Nella sua oscura cella
Si volle strangolare
Stanca l'alma sua fella
Ognora di penare.
Del gran delitto
Il rimorso provò,
libra d'Umberto
Mai l'abbandonò
LA MORTE DEL RE Bt ONO
703
ntemente il signor Marco Tomatis, di Ner-
vi, raccolse in un volume un gran numero di epi-
grafi, «che il dolere, la devozione, la gratitudine
e l'amore ispirarono alle città d'Italia, quando con
meste e solenni preci suffragavano per la prima
volta l'anima eletta di Umberto I ». Idea buona e
generosa: ciò che non sarebbe certo di chi si pro-
ponesse di fare altrettanto pei versi di cui ab-
biamo parlato: per queste rozze e grame poesie
basti l'aver còlto i pensieri e i sentimenti più no-
tevoli e caratteristici: tutto il resto non è che ripe-
tizione e imitazione costante di frasi e di concetti
uguali in tutte. Ma se le epigrafi hanno incontra-
stabilmente maggior valore artistico delle nostre can-
•tte compassionevoli, esse tuttavia non riflettono
che il pensiero e il sentimento di chi le dettò; men-
_li autori delle poesie popolari — e in ciò sta il
particolar interesse di queste — se vollero procac-
ciare una larga diffusione alle loro rime, dovettero
interpretare, bene o male, il pensiero e i sentimenti
del popolo per cui scrivevano.
E il popolo avrebbe voluto vedere nei versi dei
suoi poeti, come effigiata in una tela, tutta la truce
storia di martirio e di infamia. Sul dinanzi.
infusa di luce celeste, l'immagine sangui-
nante del Re trucidato, mite e terribile ad
un tempo, sì da ispirare pietà a tutti gli uo-
mini e da incutere spavento alla belva che l'uccise :
a' suoi piedi la moglie e il figlio piangenti e il po-
polo tutto immerso nella disperazione, ruggente e
imprecante contro l'omicida nefando; sul fondo,
avvolto nel bagliore fosco della dannazione, l'assas-
sino prostrato e annichilito dallo sguardo profondo
della sua vittima innocente. Questo quadro, tratteg-
giato con forti linee e con robusti colori, avrebbe
voluto vedere il popolo nostro: come e in qual mo-
do i suoi poeti, cui certo il buon volere non fece
difetto, l'abbiano accontentato, vorremmo aver noi
dichiarato a sufficienza.
Antonio Medin.
Lamenti de' secoli XIV E XV.
Tre poeti stranieri amici dell'Italia
' i ELMO II ebbe una geniale ispira-
zione quel giorno che pensò di regalare
alla città ili Ruma [' effigie del man te-
o che vi si è tanto compiaciuto. < >gni persona
che abbia una media coltura letteraria sa che nel
io di Volfango Goethe è rillcssa, e par con-
1 1 ntrata, l'anima della sua nazione; e che finora
non è emerso altro scrittore che 1' abbia più pro-
fondamente penetrata ed artisticamente espressa.
Nell'anima del Goethe perù, insieme al perfetto
rillesso dell'anima germanica, si svolse un viva, is-
simo sentimento di ammirazione e simpatia per
l'Italia. Pellegrinò due volte nella penisola e si
trattenne a lungo ogni volta in Roma, che predi-
lesse, raccogliendo da siffatte visite ispirazioni e
fiori poetici, da comporne le ghirlande onde l'Ita-
lia va altera. E noi .1 nostra volta imaginiamo la
ie del divo Volfango colata di saldo bronzo
manico con intercisa una vena di metallo lu-
minoso che ridette un raggio del sole italiano.
Roma ospiterà, esultante, l'opera che lo scultore
alemanno vieti preparando, e le parrà che torni
una p.utr dell'amico glorioso che, or è un secolo,
il ill'inb nsiià di commozioni intellet-
tuali che gli era propria, alla sua vita.
L'atto munifico del Sovrano germanico ebbe un
seguito: gli amiri dell'Italia a Parigi se ne coni-
Allestivano in quei giorni appunto una
une commemorazione del loro poeta Hugo,
morto or son pochi anni. Esso pure è eelebre fra
i celebri; ha cantato dell'Italia a parecchie ri-
e, nonostante qualche incoerenza nel pro-
prio atteggiamento politilo verso di essa, ha fatto
cordialissimo plauso al suo leggendario eroe, Ga-
ribaldi, ed alle sue recenti fortune. Prima the
a Roma giunga da Berlino », dissero gli amici
nostri di Erancia, • l'elligie del Goethe, convi
che una del famoso nostro poeta del secolo XIX
vi abbia il proprio suo posto. » Non frappi s
indugi: il busto dello Hugo venne e fu accolto in
Campidoglio.
I due omaggi — mi si perdoni l'espressioni
l'amor del paese e il ricordo delle sue glorie pas-
sate ne fa scorrere dalla penna — leggasi pinti
« i due doni » sono per gli Italiani oltremodo lusin-
ghieri. «■ L'impulso è dato » , mi sento ora buccinare
intorno, « l'Italia può aspettarsi che altre genti se-
guano l'esempio di Berlino e Parigi: dall' Inghil-
terra le verrà un' imagine dello Shakespeare, da
Madrid e da Lisbona quelle del Cervantes (
< amoens, da più lontane contraile Pouschkine,
l'etolì ed altri famosi, a cui la gloria del Campi-
doglio in Roma non disconviene. Fu un tempo in
cui i poeti vi salivano trionfando per esservi inco-
ronati. E perchè », odo soggiungi altri,
« perchè I' Italia non maturerebbe essa stessa il
disegno, di comporsi una siffatta galleria di fulgidi
genii? E suo l'intelletto sovrano che da
coli domina il mondo poetico -- l'Allighieri : in-
torno a lui devonsi raccogliere gli altri, a lui sp-
ia presidenza. »
Ascolto; ma mi sembra che gl'Italiani non ,
sano lasciarsi portar leggermente a simili lusinghe
Sono parvenze di contingibilità difficili e remote;
e solo si accosterebbero a divenir probabili pn
un popolo che tra' suoi scrittori ne annoveri uno
da cui abbia attinto la conoscenza del paese ita-
liano e la venerazione de' monumenti dissemina.
TRE Pi '1 il STRANI] RI AMI 1 DELL 1 l ALI \
I
tivi dalla storia; e di più, scaldandosi a' ricordi
di vicende o contatti personali dello stesso poeta,
si abbia inoculate le simpatie di lui per la gente
che lo abita.
Per un seguito di siffatti pensieri, mi rivivevano
in questi giorni nella mente le impressioni lascia-
temi dai libri dell'anglo-americano Longfellow. Del
valore di lui attestano la voga ch'ebbero in patria
e dovunque il racconto Evangelina e le molte li-
riche, fra cui Excelsior, II salmo della vi/a, Il mio
seggiolone, e quella gemma d" inestimabile valore
regalata dal poeta all'Italia: Encelado. Lo Zanella,
Pietro Rotondi, il Faccioli, il Messedaglia — che
le attrattive della musa longfelliana per pochi mo-
menti distrassero da' suoi austeri studi — e parec-
chi altri si provarono a ricomporli in forma ita-
liana.
Il Longfellow, designato a un insegnamento di
letterature straniere nell'Università di Harvard del
suo Massachusetts, per conoscere ben da vicino il
soggetto delle sue letture , venne in Europa e vi
soggiornò, su dal Mediterraneo fino al Mare ger-
manico e al Baltico, ne' vari paesi : ma predilesse
fra tutti l'Italia. Si possono rammentare in propo-
sito i versi da lui scritti alla Cadenabbia sul lago
di Como e, nel suo giornale, le parole di addio a
quel luogo incantevole: leggansi inoltre, nelle sue
liriche . i ricordi di Monte Cassino ed Amalfi ; e,
tornando al giornale , le emozioni che le imagini
dique' luoghi gli destano, sorgendo nella suamente
fra i nembi e i ghiacci de' lunghi inverni della
Nuova Inghilterra. E a' suoi scolari in Harvard,
chiudendo il corso di letteratura italiana, diceva:
— « Piuttosto che la critica , ve ne ho fatto la
« storia, che m'è parso metodo più consentaneo
« al mio e al vostro sentire : vi ho introdotti nel
« camposanto de'poeti italiani — santo davvero —
« ve ne ho indicati i sepolcri, letti i nomi, le date,
« le iscrizioni : avrei potuto essere meno corrivo
« alla lode e meno indulgente ai difetti, ma ho ri-
■ pugnanza a trattenermi sugli errori quando vi
« sono cose eccellenti da notare. Aggiungete la
« mia viva predilezione per gli Italiani; amo il
« cielo sotto il quale respirano e la terra dove
« camminano : e adesso, in questi giorni che sono
« tribolati e angosciati, sento di dover cansare di
dir nulla che possa raffreddare in alcuno di voi
« l'entusiasmo che per essi provate. >
Questa è lode che spira ammirazione ed affetto;
la delicata riserva, che sembra temprarla, ne ac-
cresce il valore.
La sorte propizia gli aveva largito i mezzi di
spiegare la generosità dell'a-iimo colle beneficenze
e colla profusa ospitalità. Fra gli stranieri portali
dalla ventura a quelle plaghe lontane, la più parte
in cerca di asilo e di lavoro, gli Italiani arrivano
frequenti, e ia sua mano si stende loro pronta e
soccorrevole. Non se ne irova espressa notizia nel
giornale, ma è come olezzo che si espanda di fra
le righe. Nei Racconti d'un'osteria lungo la zia
maestra vedesi la figura di un Luigi Monti, pia-
nista e maestro d'italiano, ritratta da mano, che
più esperta e più amica quel buon siciliano non
La Lettura.
7°5
poteva desiderare. E un altro sentore dello stesso
1 >n 'fumo esala, delicato e fuggevole, da un passo
di una sua lettera al figliuolo Ernesto : « Ho re-
galato un paio delle tue scarpe a un bel ragazzo
italiano che camminava scalzo nella neve. »
Il Longfellow attese per molti anni a tradurre la
Divina Commedia e, con lungo assiduo lavoro, dotò
la letteratura inglese di una nuova versione che va
fra le più pregiate — non eccettuando la ben nota
del Cary — per l'intelligenza del testo, la fedeltà
e, avuto riguardo alla diversa indole e struttura
delle due lingue messe a fronte, per la perspicuità.
De' sei sonetti ch'egli premise e intercalò fra le tre
cantiche, si riferisce qui il primo.
— « Spesso ho veduto alla porta di una catte-
drale un contadino coperto di polvere e di su-
« dorè deporre il suo fardello ed entrare con passo
« riverente e fare il segno di croce e inginocchiarsi
per recitare una corona di paternostri : di là i
« rumori del mondo sono lontani, e le vocifera-
« zioni della via si odono come uno schiamazzo
confuso. Così ogni giorno, quando io entro in
« quest'altro tempio, lasciando alla porta il mio
« fardello, e mi genufletto pregando, non vergo-
« gnoso di pregare, il tumulto della vita sconso-
« lata svanisce per me in un indistinto mormorio;
« ma l'eternità vigila ed attende. »
Nell'ultimo di questi sonetti il poeta esce dalla
cattedrale e si volge con impeto d' ispirazione al
gran fiorentino.
— : Stella del mattino e della libertà ! apporta-
tore della luce che splende alta sopra gli Appen-
« nini, precursore di un giorno che non può non
« sorgere ! Le voci delle città e del mare, le voci
dei monti e delle foreste, ripetono il tuo canto:
finché i tuoi versi, familiari ad ogni mente, le
« abbian tutte guidate al pensiero dell'Italia ! Da
« ogni vetta eccelsa la tua fama risuona fra le n.i-
« zioni, e un rombo si leva come d'un forte vento
« e, riverenti, uomini di Roma a te finora estra-
nei, e discepoli nuovi ascoltano la tua cantica
« mirabile nella loro lingua, e molti sono meravi-
« gliati e molti confusi.
Dopo Dante, Michelangelo. Negli ultimi suoi
anni il Longfellow rivolse l'ingegno ad un poema
di cui è protagonista quel nostro concittadino che
si può chiamare il Colosso dell'Arte. La forma è
drammatica e dà, sceneggiato, un capitolo della
storia italiana colle figure degli uomini che vi eb-
bero rilievo e il contrasto delle situazioni e delle
passioni: le costumanze, i monumenti, il paese
fanno la parte decorativa e compiono il quadro :
malgrado la forma, è poema, non dramma. Lo pub-
blicarono il figlio e le figlie dopo la morte dell'au-
tore, e in Italia è quasi sconosciuto.
Fra gli stranieri di cui il nostro paese s'è con-
ciliato la benevolenza, questo poeta è de'primi. A
ben considerarle, le stesse manifestazioni di am-
mirazione e di simpatia che gli vennero dal Goethe
non sono fervide e commosse come quelle di que-
st'altro amico anglo-americano: il tedesco amava
e accarezzava i ricordi dell'Italia per la parte co-
spicua ch'essa occupava nel mondo poetico della
45
yOÓ LA LETTI RA
mi il Longfellow, meno olimpico, s'è
lente a' nostri patimenti e
i a distinzione è 1 1 • i » f< irme
■ ■ indoli de1 due i
L'Allighierì si erge in vetta alla piram
mi iderm », lo SI G ethe
uli stami" presso, il Longfellow a breve distanza
La sua voce non si estese gran tratto
una infinitamente varia delle emozioni
amane: somigliò la brezza mite e salutare
te le fronde degli alberi ed eccita ne' vasi le
funzioni de' succhi nutrienti; non pareggiò i venti
che nelle campagne schiantano rami e
l'asti e nell'alto mare re* ano naufragi e morte. Ma,
rvando queste limitazioni della poesia longfel-
liana, non conviene per., trattenercisi per apporre
alla mente del Longfellow nessuna taccia di unila-
teralità, povertà di sorta: piuttosto si deve fermar
l'attenzione sulla compatta, salda rettitudine di
una indole da cui non emanano voci che non suo-
nino puramente e inalterabilmente argentine : tale
era il Longfellow.
Se l'avvenire dovesse dimostrare che Germania
e Francia hanno davvero, coi doni di cui parlam-
mo, iniziato un mirabile, prima d' ora impensato,
convegno delle nazioni in Roma, rappresentate dai
loro maggiori intelletti ; se ciò accadesse, non po-
trebbe la giovane Repubblica nord-anglo-america-
na, cresciuta in breve tempo a prodigiosa esube-
ranza d'ingegno e vigoria e ricchezza d'ogni ma-
niera, andar o ■ oll'Inghiltcrra. Pur ricono-
scendo di derivarne per figliazione diretta e par-
landone la li' a vorrà porre a fianco dello
Shakespeare un suo cantore, il cui genio si sia
nutrito delle aure della terra natia e respiri l'alito
delle nazioni che vi s. .no raccolte e fuse a po-
a unità. Soli pur. i hi i poeti nati nel senodi
quella Repubblica che hanno contribuito e tuttora
contribuiscono a rivelarne il genio all'Europa, ma
la dignità dell'antesignano spetta sempre al Long-
(ellow.
Verso quest' uomo di mente insigne, dalla vita
intemerata, gl'Italiani hanno un debito che li ri-
sguarda in proprio, un di que' debiti che non si
cancellano e non si desidera di cancellare, pi
vi si intreccia un dolce sentimento di gratitudine
caro al debitore. Per questo moto dell' animo uh
Italiani sono indotti a porre, dentro o fuori del
( 'ampidoglio, presso la statua del Goethe che sta
per erigersi, o presso l'effigie dello Hugo, o al-
trove se converrà meglio, un ricordo imperituro
dell'autore de\V /incelatiti e del Michelangelo, del-
l'interprete della Divina Commedia, dell'amico be-
nevolo senza dubbi né esitazioni.
Un ii ali ano riconosi i mi:.
?-<*-
Gentile Bellini. — Processione nella piazza di San Marco. (Fotografia Alinari
Il campanile di San Marco
cale glorioso monumento hanno per-
duto Venezia e 1' Italia! Di quan-
ta storia era stato testimone e quan-
e grandezze aveva celebrato con la sua voce pos-
sente '. Quanti occhi ==_==_==^^^==_
d'artisti e di buoni po-
polani l'avevano acca-
rezzato dalla poderosa
base all' angelo librato
e fiammante nel sole !
Egli contemplava so-
lenne l'ampia laguna
seminata disole e di
le, poi la terraferma
e i vaporosi Colli Eu-
ganei e, a' suoi piedi,
l'ampia città marmorea
segnata dalle vene az-
zurre dei canali. Col
i della sua campa-
na sembrava risvegliare
il ricordo dei fasti an-
tichi, e rimpiangere i
giorni in cui i suoi na-
vigli tornavano dal-
l' Oriente gravi di te-
sori.
Esso aveva pur veduto dalle navi imbandierate
e vittoriose scaricarsi sulla riva degli Schiavoni e
nella piazzetta sottoposta — gremite d'un popolo
forte, immaginoso e vivace — oggetti d'arte tolti
Piazza San Marco. (Fotografia Alinari).
ali Oriente e drappi persiani e sete turche e gemme
e marmi delle miniere d'Asia e profumi e frutti e,
incatenate, sino le belve più terribili e belle delle
foreste tropicali.
E tutto allora vibra-
va intorno, nelle grida
festose di chi aspettava
e di chi tornava, nel
suono delle campane
delle torri minori e del-
le trombe della Signo-
ria ; e tutto splendeva
nel sole, riflesso dal
mobile specchio delle
acque, dal candore mar-
moreo dei palazzi, dal-
l'uro dei musaici di San
Marco.
Tanta grandiosità e
tanto lieto fulgore pe-
netravano nelle anime
de' suoi artisti e. pas-
sati in quella ideale tra-
fila, tornavano novella-
mente a splendere negli
edifici, nei marmi e nei
quadri. Le floride donne bionde davano ai pittori
lo spettacolo d'una sovrana bellezza e d'un lusso
meraviglioso, e gli artisti in compenso davano loro
l' eternità dell' ammirazione ritraendole nelle loro
opere immortali.
LA LETTI 1 \
i le piazze i nali,
.1 un temp Bi limi, il Ca
, \l sueti, i Vivarini, il ( Irivelli, il ( G
tardi, Jao >p i Palma, I
i ["intoretto, P Bi
Pai il i \ ei si . E gli eroi della poi
rra e del comi ino I t i n
li fasto, i he l'ai rgeva
ili tutti : dal cavaliere con le vesl i
sulle forme del corpo, agli austeri senatori
ravvolti nelle amj . dalle dame sontuose,
ui lusso si profondevano patrimoni, alle donne
della pie! lei tradizionale costume. E a loro
si n ino i mori comprati in Africa e le
jse, di cui ogni signora ambiva il van
to, i Turchi dal Lai rbante e i Persiani dagli
alti tocchi, venuti a mercanteggiare le loro stoffi .
e gli Africani che io piante ed animali eso-
tici, e i Fiamminghi e gli i ngheri che v'accorre-
suonare e a cantare le rapsodie della Inni
patria.
Quello che narrato dalla fantasia sbrigliata ili
un poeta o nelle favi le delle Votii orientali, sa-
rebbe parso una sorprendente, inverosimile imma-
ginazione, un divino sogno; quel popolo ili mari-
nai, di mercanti e di soldati seppe fare.
Così la maravigliosa città e la maravigliosa sua
vita si svolsero intorno a quella torre, che per ogni
i lutto o tristezza g
per lana •■ sull'acque il fremito della sua i
Si ita infatti col sorgere della gloria di Va
ne Ma vigilati i destini per dieci secoli, perchi tutte
le notizie, raccolte dal Cicogna e dal Paoletti,
ducom .i i teni i la cominciata nel 913.
L'n fulmine la danneggiò moltissimo nel 1489.
Fu dato ordini- a Gior| 0 Spavento di fare un
dello per la ricostruzione della parte supei
ch'era caduta. Molto probabilmente quegli es
plori della veduta di Venezia, riti-nula di Jai
de' Barbari, nei quali si scorge il campanile com-
piuto, non lo rappresentano che in istato di pro>
Ilo dello Spavento rimase
ineseguito. Nel 1511 Venezia ebbe infiniti danni
■ la un terremoto. Il campanile ricevette una nuo-
va scossa che costrinse ad altre riparazioni, t
le quali si stabili di compierlo affidando la dire-
zione dei lavori a Bortolomeo Bon, bergama
L'opera di lui cominciava dal secondo finestrino
sotto la cella campanaria e finiva all'angelo. In
quattro anni tutto fu fatto, e Marin Sanuto fisso la
cronaca di quel lavoro ne' suoi preziosi •■ abbon
danti Diari.
Nell'aprile del 1745 il campanile fu nuovamente
La Locgetta e la librbkia.
IL CAMPANILE hi SAN MAR( i i
709
Portelli in eronzo del Gai, nella Loggetta. (Fotografia Alinari).
percosso dal fulmine con danno grave, riparate
subito dalla sapienza di Bernardino Zendrini e
del Poleni, cosicché, nel dicembre di quello stesso
anno, la riparazione era finita con la spesa di quasi
settemila ducati. Il provvedere ai guasti del ful-
mine fu occasione allo Zendrini di avvertire altri
numerosi disgregamenti cui cercò dì porre rimedio.
Nell'opera tSan Marcon pubblicata dall'Ongania si
leggono alcune relazioni dei Procuratori de Supra
al Doge, nelle quali l'argomento è trattato ampia-
mente.
Chi non conosce il doloroso canto da Alfredo
Meissner dedicato a Venezia ?
«Dove sono gli altieri giorni quando Venezia
viveva nel fulgore della gloria come una tradizione
vivente, quando il cieco Dandolo tornava con pro-
spero vento dall'assedio di Bisanzio recando i ca-
valli di bronzo?».
0 La morte è dunque la sola sorte suprema d'ogni
grandezza? e deve perire sempre quello che erede-
vasi eterno?». ,
«L'aurora spande sulla marina le sue vesti a-
ranciate. l'alcione si tuffa nell'acque strillando, le
acque gorgogliano innamorate ai primi baci del
giorno, il leone guarda fisso».
Quello che credevasi eterno deve perire ! Ancor
ieri il sole illuminava sorgendo la superba mole
e sembrava battere col suo raggio la campana che,
portata da Candia, ne' suoi gemiti anelava al nati-
vo oriente.
Oggi, invece, dove s'elevava, non si vede più
che un mucchio di rovine minute, trite, dalle quali
non sarebbe possibile indurre la più piccola idea
di ciò che fu il monumento. Viste dal fondo della
piazza sembrano un cumulo di pietrisco informe,
quale può derivare dalla demolizione d'un vecchio
quartiere. Appena guardandole dalla porta del Pa-
lazzo Ducale s'intravvedono qua e là nuclei di mat-
toni rimasti uniti, e travi, e lamine di piombo
contorte ed uno di quei cavi risonanti bronzi che
Ippolito Pindemonte sperava eccitatori, con la tre
menda voce, dei giovani che. seduti
pur sotto il picchio salutare un lungo
caffè l'intero di stanno sorsando.
Del fatto che può aver determinata la ruina del
campanile non è qui il luogo da trattare, molto
più', che gli animi addolorati (ed alcuni anche
esasperati) non consentono ancora un giudizio per-
fettamente sicuro, tranquillo e quindi equo. Dire-
mo solo ritenersi dai più che, per un lavoro di ri-
parazione al tetto della loggetta del Sansovino (ad-
'IO
LA LETTURA
Madonna in terracotta del Sansovino. (Fot. Alinari).
Ma | si domanda da taluni) i danni del caos
panile ili San Marco erano stati avvertiti? e-
rano pali no riparai'
Ahimè, della sapienza del giorno di
pieni i lussi' Certo qualche grido d'alli
o almeno qualche susurro ili sospi
udito; ma il campanile aveva sfidato ti
moti, venti, fulmini e secoli e non lo si
teva ritenere così cariato nelle ossa da pie)
per una scalfittura. Quindi vero terrore ]ht la
sua sorte non esisteva.
E se I stito, eil ogni rimedio si fossa
riconosciuto vano, chi avrebbe assunta corag-
giosamente la responsabilità della demi
ne di ii '"' ! ' ni ntomila, eh
beni strillato essere ancora il campanili- in
istato ili vivere centinaia d'anni? l'uni
sembra fatale che, in casi simili, la trag
debba avvenire!
I nostri avi, di fronte a tali pi rie li, erano
più disinvolti di noi, perchè erano meno
liti dalla critica divenuta, oggi, col giornali-
smo, spaventosa. Cosi essi demolivano ciò che
imbarazzava o pericolava in un modo spii
tivo e quasi elegante.
II Vasari, ad esempio, ci racconta: « Pare-
va che dovesse esser molto difficile il rovinare
la torre del Guardamorto (in Firenze) la qua-
le era in su la piazza di San Giovanni. ]»-r
dossata, in basso, al campanile), essendosi praticato avere fatto le mura cosi gran presa che non se ne
un solco nel suo muro, questo ha cominciato
a lesionarsi e a cedere appunto da quella
parte. Ma è giusto, di fronte all'accaduto,
aggiungere che un laverò simile non avrebbe
causato così grande disastro se il campanile
non fosse stato già disgregato nella sua
compagine, e così invecchiato e così maltrat-
tato da divenire addirittura friabile. Tanto-
ché è lecito pensare che la sua esistenza non
avrebbe potuto prolungarsi ancora per mi
tu tempo, e che ogni più piccola ed incauta
ferii. i l'avrebbe oramai compromessa. Lo
dice il fatto occasionale, e lo dicono le mine
nel loro completo, indescrivibile siacelo.
E non è la prima volta che una sventura
del genere colpisci- Venezia. Nel 1455 il
campanile della chiesa di Sant'Angelo, re-
clinato in modo spaventoso, minacciava il
sottoposto ni' ■ - ni 11, , allora Vri
tile di I .1 raddrizzarla Quell'ar-
chit( sì che. nello
stesso anno, in Bologna, trasportava il cam-
pani!'- d dei Ca-
vali'1 d Milla, per ben tredici piedi verso
la facciata; Ma se quest'ultimo ardimento
era stato coronato dal più ampio successo,
non altp torre di San-
t'Angelo, la quale, poche ore do] mpiuti
i lavori e nel cuor della notte, p
schiacciando un'ala del mon I alcuni
frati.
o — bron/ ' ni 1 Sansovino. (Fotngr. Alinari),
IL CAxMPANlLE HI SAN MARC» »
limili
•vi.fi
. . :■«■'. . .. :r>
II campanile visto da San Giorgio. (Fotogr. di Luigi Sassi,
poteva levare con i picconi e tanto più essendo al-
tissima, perchè facendo Nicola tagliar la torre da
piedi da uno dei lati e fermatala -
con puntelli corti un braccio e
mezzo, e poi dato lor fuoco, con-
sumati che furono i puntelli ro-
vinò e si disfece da se quasi tut-
ta ; il che fu tenuta cosa tanto
ingegnosa ed utile per cotali af-
fari, che è poi passata di manie-
ra in uso, che quando bisogna,
con questo facilissimo modo sì
rovina in poco tempo ogni edìfi-
zìod. E se anche il Vasari con
le ultime parole non facesse fede
che il modo usato da Nicola Pi-
sano era divenuto comune, lo fa-
rebbero le cronache bolognesi, le
quali ad ora ad ora registrano
demolizioni simili anche per torri
d' un' altezza straordinaria. La
Cornacchina, in Bologna, era la
torre più alta dopo quella degli
Asinclli. alta insomma verso no-
vanta metri. Ebbene, Pietro di
Mattiolo, presente al fatto, regi-
stra al 9 aprile i.^qo: «Essendo
tagliata da tre lati ai pie' e apun-
tellata, fo fitto lo fuoco, e cusì
le ».
Per tal maniera indirizzavano
anche la ruina per lo spazio dove
poteva avvenire col minor danno
dei monumenti circostanti.
7II
dell'angolo della Libreria. Ma,
quando ci sarebbe stato tempo,
l'edificio non autorizzava col suo
aspetto ili solidità il grave prov-
vedimento; e quando invece l'au-
torizzava, la mina era così spa-
ventosa e pioceileva così fulmi-
nea, da non lasciare modo a nes-
suna applicazione di metodi vec-
chi e nuovi.
Ma poteva salvarsi nulla?
Purtroppo noi sospettiamo che
le valve di bronzo della Loggetta
e le statuette delle nicchie potes-
sero ancora mettersi al riparo.
Per far ciò, non occorreva aspet-
tare che tutto fosse per crollare.
Bastava l'apparizione della pri-
ma crinatura. e se nulla accade-
va, si sarebbe rimesso tutto e
tranquillamente a suo posto. Il
proverbio La prudenza non e mai
troppa è più antico di tutti i
campanili del mondo!
Quanta parte della Loggetta di Jacopo Sanso
Ma tale sistema si sarebbe po-
tuto applicare al campanile d'
San Marco? — Indubbiamente, e
forse avrebbe valso la salvezza
La ruina verso San Marco. (Fotografia Naya).
LA II [TURA
Un giorno dopo. (Fotografia Jankuvich).
vino, ossia del gioiello che ornava la base del cam- dai massi che le franavano dietro, spezzarsi in
panile, sia perita, non si sa. I pochi che hanno as- vari punti, balzare infranta qua e là.
sistito al crollo l'hanno vista staccarsi dalla mole 1 due magnifici portelli di bronzo, buoni getti
maggiore, slittare verso San Mann, come spinta d'Antonio Gai, della metà del secolo XVIII, si
'i INFORMI I iuido M
«La Marangona .. (Fotografia di Guido Mala
IL CAMPANILE DI SAN M VRO >
7i3
trovati pressoché intatti; così alcuni ri-
lievi del grande attico. Anzi il rifacimento ba-
o del putto, seduto sulla corazza e reggen-
te lo scudo, è il frammento -palese più notevole
della rovina.
Ma in che stato si troveranno le figure pur
del Sansovino che già ornavano le nicchie?
Esse rappresentano la Pace, in atto di abbas-
sare la fiaccola e spegnerla sopra una celata.
Ilo, Mercurio, Pallade in anni con lo
scudo ornato dalla testa di Medusa. Forse
;er di bronzo e di eccellente fusione, le
avrà fatte resistere al cozzo. Che sarà invece
dei rilievi di Gerolamo da Ferrara, con Vene-
zia sui due leoni, Giove simbolo di Creta,
Venere simbolo di Cipro, Elle caduta dal
montone di Frisso, Teti che soccorre Lean-
dro ? Si saranno salvati ? Il dubbio lascia qual-
che adito alla speranza che muore quando
ptnsiamo che la bella Madonnina sorridente
tra il figlioletto e san Giovannino, dello
so Sansovino, esposta nell'interno, era di
terracotta !
Un'altra piaga larga e profonda si è aperta
pel crollo della torre, nell'angolo della Libre-
ria Vecchia, il più bell'edificio classico di Ve-
nezia architettato dal Sansovino nel 1536. Dal
basso della piazza si vede l'interno della gran
sala, con le tele del soffitto sbrindellate, le cen-
tine sospese, le cornici pendule, e, dietro tanta
ricchezza ruinosa, intatte, nel loro divino ful-
,'
Il varco della Libreria. (Fotogr. di Arturo Ruol).
,
La frana. (Fotografia Jankovich).
' I
LA 1
trienni dame vene si dall'asse della piazza e la fronteggiava nei
li paoli ■ ab anti le Mate il lato orientale. Abbattute le casette, i
la Mus due drammatiche
M
so |kt salvare i 1 ^ col tra
pnlcri d'Alessandria a Venezia, i Iella
s icra.
con la costruzione le Procuratie nuove di Vino
o Scamozzi, San Marco non sembrò spostato
la rag 1 Campanile rimasi- a far da quii
i ssia a ri il lato della vasta piazza, ri
vato un i della i h
Oggi invece la chiesa ha come latto un 1
,*» .i sinistra, e il vuoto lasciato dalla l
do la Porta della l 'aita, uno spigolo <!<
Quando il polveroso e informe cumulo del pie Ducale, e una sua tettoia piuttosto bruì
sarà scomparso, e quando la piazza ne sarà alla facciata bizantina l'assoluto dominio di
e spazzata, risorgerà il campanile dove lo si [at0| e ne suina quindi l'effetto e l'import;
Ben si vede ora quale profonda ragione
faccio i più fervidi voti, perchè non so im- aveva il concerto ili quei mirabili edifici! I
raaginare il profilo di Ve o dall'isola di San figli d'un tempo che non sa trovare un'arte- pn
O, dalla Salute, dalla Riva degli Schiavimi nemmeno passabile, non dovremmo titubare un i-
senza quel mirabile dominatore; perchè noti SO stante a rimettere le cose com'erano e a i
immaginare la piazza stessa nella regolarità d'un'al- neLla nuova mole tutte le superstiti parti dei
ve, che adornavano la vecchia, tantoché più eh
costruzione di un edificio si abbia la ricostruz
[uello ora caduto.
i sola senza lo slancio quasi impetuoso di
quella vetta che gettava il suo grido ai venti ;
perchè non so immaginare che migliaia di persone
che ne vedevano la guglia dalle loro case, dai lon-
tani canali, dai campi, dalle calli più ren
sano rinunziare per sempre a contemplare quell'an-
gelo dorato che segnava dall'alto il putito dove Ve- E' destino che tutto ciò che avviene a Vi
nezia è più bella, dove Venezia ha profuso maggior di bello o di doli n 51 abbia il fascino della p
tesoro di marmi e di musaici, dove ha più operato, e della leggenda. Nulla di più falso che il gr
trionfato, goduto, sofferto. colui che sdamò: «O mia patria; tu non si
Ma è possibile che ci sia chi pensa a non erigere acqua e pietra ! n. Qua le immagini marmorei
più la torre, in quel fulcro donde partono i tre vono, e i palazzi rifulgono come tavole
raggi della Piazza, della basilica d'oro e della sche istoriate di nobili fatti o suffuse d'alto mi-
Piazzetta? E' possibile che ci sia chi la voglia con- stero.
forme alla debole e incerta architettura d'oggi?
La torre deve risorgi re com'era e dov'era; nella
fonua e nel posto consacrato dai secoli, per consi-
derazioni artistiche e di moralità storica.
indo infatti le piccole e diverse case muove-
i sulla lini Dipanile verso ponente, come
si vede nella grande t'i;, di Gentile Bellini conser-
vata nella R. I :i Venezia, la facciata della
chiesa, quantunque olii-, pia, non pareva allontanar-
L'angelo d'oro è precipitato dal vertice della
guglia e nel suo volo ha cercato la chiesa per
proteggerla dalla mina. Così tutto gli è fr;>
dietro, senza che una pietra abbia offeso il rie
dei marmi, nel Tempio come nel Palazzo dei
Dogi.
11 vecchio glorioso è morto dunque rispettando
ed affidando ad altri sa-oli la vita dei mirabili
fid vicini. Così li sappiano rispettare gli uomini'
Corrado 1
Cessato n paj ; l igrafia 'li Domenica Ku"i .
Roma. — Teatro Marcello. (Palazzo Orsini).
Per un Palazzo
JÌerso la metà del secolo XI un certo Leo-
| ne di Benedetto, che era cresciuto in
sai potenza e in forza tra le famiglie ro-
mane di quel tempo, si fortificò nel Teatro
di Marcello , e sugli avanzi di quell' insigne
monumento romano costruì le sue case , le
sue torri e il suo castello. Più tardi il figlio di lui
Pietro — Petrus Leonii il cui rozzo sepolcro si
consena ancora nel bel chiostro suburbano di San
Paolo — fondò la dinastia dei Pier Leoni i quali
imparentati coi Frangipane pretesero di aver dato
il nome e l'origine alla casa di Absburgo. Ma di
queste cose non è qui opportuno occuparsi come non
è opportuno ricercare quanto vi fosse di vero nelle
accuse dei fautori d'Innocenzo II, i quali per rl>
battere l'antipapa Anacleto — che tra appunto un
Pierleoni — vollero farlo discendere da un ban-
chiere ebreo nobilitato dal Papa in seguito all'im-
prestito di una grossa somma di denaro. Certo si è
che la famiglia romana era in quelli anni potentis-
sima, che le loro case signoreggiavano il rione più
popoloso e più tumultuoso della città e che per i
molti benefici e le molte larghezze i due terzi dei
popolani e delle famiglie nobili obbedivano più vo-
lontieri ad Anacleto II che al suo rivale Inmx'enzo
ricondotto in Laterano per l'eloquenza di Bernardo
da Chiara vai le e per la forza di Lotario.
Fu questa la prima origine del palazzo sorto sui
ruderi del Teatro di Marcello: e di questa sua ori-
gine battagliera e violenta egli ritiene ancora qual-
cosa nell'aspetto e nella forma. Ma allora le for-
tezze dei Baroni romani si somigliavano un poco
tutte e quasi tutte sorgevano sugli edifìci antichi
trasformati frettolosamente e muniti contro gli as-
salti delle fazioni nemiche. Così, per esempio, gli
Orsini avevano occupato il castello Sant'Angelo e
i ruderi verso il Tevere che da uno dei loro dove-
vano chiamarsi ili Monte Giordano; i Caetani si
erano fortificati al sepolcro di Cecilia Metella e
dominavano la strada che conduceva a Roma; i
:•"
LA LETTURA
nevano il i l ina le Tei
E tutti « [iiL-st i antichi edifìci rin-
- munivano 'li torri, di bastioni, d'opere
nespugna-
10 assedi, intorno a cui si combatte-
idiali. Era l'anima fiera della
rale, divisa dagl'interessi dei suoi ot-
mpre in lotta por il pontefice e contro il
luta nello suo torri, sicura nel
ritto e nella sua forza.
gi il palazzo Orsini è l'ultimo avanzo di quel
tempo e <lì quelle lotte. Passato ai Savelli verso
lei secolo XVI e acquistato dagli Orsini
duchi ili Gravina nel 17^5. il grande edificio sorto
sulli di un teatro sfuggì alle distruzioni po-
le 'li Sisto V e ai rifacimenti cattolici del sei-
cento. In quella rete di vicoli e 'li chiassoli che
alla piaz/.i ' ira. il Teatro e il
rvanO ancora la loro lisonomia pri-
mitiva: l'uno annerito dagli anni e dal fumo dei
fabbri che ne occupano gli archi; l'altro quasi ce-
lato alla vista dei viandanti, m . inacces-
sibile come ai giorni gloriosi di l'ior Leone quando
la plel>e lo assediò tumultuando contro Xhomo-no-
ato console dall'amicizia e dall'interesse
di Pasquale II. E tutto quel rione conserva an-
un aspetto particolare: dal Portico d'Ottavia
al ni di Tor de' Specchi, dalla piazza dei
Cerchi all'arco dei Saponari è oramai l'ultimo lem-
ttà baronale sfuggito ai rifacimenti,
sfuggito ai restauri, sfuggito alle demolizioni. Une-
intiera rivive in quel breve spazio. Qui è la
chiesa di Sant'Angelo in Pescheria da dove Cola
di Rienzo la notte della Pentecoste del 1347 dopo
aver sentito le tre messe rituali si parti coi suoi
compagni in arme per andare a proclamare la Re-
pubblica in Campidoglio: più in là è il palazzo
dei Cenci ancora tutto pieno di leggende supersti-
ziose intomo alla terribile famiglia di Francesco;
più in là ancora il monte Aventino con le sue
chiese fortificate, ultimo avanzo del sogno ambi-
zioso di Onorio III. E poi la chiesa di San Nicola
in Carcere — che ci rammenta la favola medie-
vale di una matrona che col suo latte nutriva il
padre prigioniero in quel luogo — e la chiesa di
Santa Calla che fu eretta sulle case della pia figlia
di Simmaco. E poi la Rupe Tarpea — dove si giu-
stiziavano i traditori antichi — e la piazza dei
Cerchi dove s'impiccavano i delinquenti moderni.
pra questi edifici, disseminati, sopra queste
vie ìi e nascoste, i cui nomi fanno rivivere
dimenticate nella storia e nel tempo, il
lazzo Orsini torreggia minaccioso, quasi riassumen-
do, nel suo recinto, tutta la storia di un mondo
scomp
E in loudo egli subisce la sorte di coloro che lo
Ili Orsini furono i più fortunati
I red ni che la storia di Roma ricordi: alla line del
secolo XVI. tutta la Sabina apparteneva loro e
loro era la rocca di Memi col bel lago dove la leg-
genda pagana di Cinzia continuava a trionfare tra
1 terrori del Cristianesimo; e loro il Castello di
Bracciano che dominava dall'alto delle suo torri
la strada di Roma. A poco a poco essi avevano im-
posto la iosa gentilizia del loro stemma su tutti i
\illaggi del Lazio e della Sabina. Il nome
bastava a interrorire le popolazioni e a preoccu-
pare i gonfalonieri papali.
« Se alcuna erba cattiva — scrive Giovanni Toma-
selli, nipote e gonfaloniere di Bonifacio IX al go-
vernatore di Rocca Antica in Sabina, parlando dei
vassalli degli Orsini, in una curiosa lettera che ho
veduto in quell'archivio — Se alcuna erba cattiva
fosse tra le herbe buone, non vogliate esser pietosi
a mozzarla con le mani vostre ». E con la forza,
sprezzando il raggiro e adoperando molto la spada
essi cinsero Roma della loro signoria vittoriosa.
Essi furono essenzialmente uomini d'arme e di
violenza : non protessero le arti ; i loro palazzi e i
loro castelli ebbero sempre l'aspetto di fortezze
quasi sdegnassero le eleganze del Rinascimento e
le sontuosità del cattolicismo ; ma il loro ni ime fu
quasi il simbolo della forza feudale e i due orsi
marmorei che misero a guardia dell'antico palazzo
dei Pierleoni, esprimono mirabilmente la [x>tenza
rude e tenace della loro stirpe.
Ma forse appunto per questo sforzo di volontà,
per questo dispendio di energie e di vita a traverso
i secoli, la grande famiglia romana si è a poco a
poco esaurita. I loro castelli sono andati in rovina,
il loro nome è stato trascinato nel pettegolezzo dei
tribunali, i loro ultimi discendenti si sono eh
nella pace livellatrice del chiostro, e il loro pa-
lazzo, quel tragico palazzo dove aveva trovato un
degno rifugio tutta la loro gloria e tutta la loro
potenza, è andato all'asta come il podere di un de-
bitore insolvibile o meglio come il rottame di un
grande vascello naufragato.
Diego Anci i l
»*av->
. <S O IVX JVX -A. I* I O E3
Romanzi e novelle. — Poter arriver au bonlieur (Georges Sauvin). — L'orecchio di Dionigi (Angelo Gatti). —
Grctchen (Dionigio Norsa). — L'eau centrante (Edouard Rod). — / figli del Cielo (Tcheng-ki-tong). — Dopo
il divorzio (Grazia Deledda ).
Poesia. — Quello che più non toma (Alfredo Mancini).
Belle Arti. — Pittori lombardi del Quattrocento (Francesco Malaguzzi- Valeri). — Dal Maloja a Sotre-Dame
(Domenico Tumiati). — Attraverso gli albi e le cartelle (Vittorio Pica).
ROMANZI E NOVELLE.
Georges Sauvin: Patir arriver au bonlieur (Pa-
ris. Librarne Plon), 3 frs. 50.
La via per raggiungere la felicità è la via mae-
stra del dovere, il diritto cammino dell'onestà :
questo precetto della morale eterna l'autore svolge
nel suo grazioso romanzo con molto garbo, con
molta arte.
Nella vita reale molti avvenimenti logicamente
previsti e sicuramente attesi non si avverano, sen-
za che se ne possa assegnare una ragione precisa ;
così, ed è un merito, in questo romanzo. Maddale-
na d'Espel e Roberto d'Antignac, quantunque sia-
no due cuginetti innamorati, alla cui unione nulla
si opporrebbe, non si sposano : Maddalena sposa
anzi un altro, il signor di Tarieux, inconsciamente,
perchè glielo danno, perchè Roberto è lontano, im-
barcato sopra una nave da guerra. Se non che que-
sto matrimonio, il cui solo annunzio cagiona un
dolore indescrivibile al giovane ufficiale e quasi lo
uccide, ha una fine imprevista e propriamente stra-
ordinaria : dopo la celebrazione della cerimonia,
appena partita in viaggio di nozze, Maddalena se
ne torna presso la zia, la madre di Roberto che la
raccolse orfanella, e annunzia che nulla vi è più
di comune tra lei ed il marito, ricusando tuttavia
di spiegarne il perchè.
E qui comincia il dramma e si rivela la salda
tempra delle anime dei personaggi. Se fossero ci v
me tutti gli altri, se fossero come ordinariamente
si fa. i due giovani procurerebbero di soddisfare
la loro passione fuori della diritta via : ma la si-
gnora di Tarieux. comunque il marito l'abbia offe-
sa, qualunque ragione din abbia ili dolersi di lui,
non intende venir meno ai proprii doveri, vuol ri-
spettare il nome che porta, la sua dignità di mo-
glie, di donna ; ed impone a Roberto, pure aman-
dolo e sapendosi e sentendosi ardentemente amata
da lui, una rigida disciplina, il sacrifizio delle im-
pazienti sue brame. Il premio non tarda quindi a
venire. Osando il signor di Tarieux tentar di riav-
vicinarsi alla consorte, Maddalena rivela finalmen-
te la colpa di quel cinico, il quale la sposò solo
perchè non poteva entrare in possesso della pater-
na eredità se non prendeva moglie, e, dopo aver
condotta l'ignara giovinetta all'altare, le svelò in
una lettera brutale la verità brutalissima. Il matri-
monio non consumato è pertanto disciolto dalla
Chiesa ed annullato dalla legge civile, e i due gio-
vani innamorati ottengono, sposandosi, la ricom-
pensa delle loro virtù.
E veramente una dolce e semplice istoria, rav-
vivata ed animata da fini osservazioni psicologiche,
da abili tocchi descrittivi. E' anche un'opera sana
ed onesta, degna d'esser messa nelle mani di tutti.
Angelo Gatti: L'orecchio di Dionigi. (Milano,
la « Poligrafica ». L. 3. — Come nella celebre la-
tomia siracusana l'antico tiranno stava a sentire,
ripetuti dall'eco potente, i lamenti, le grida, i so-
spiri, le imprecazioni, le preghiere, lo maledizioni,
tutte le coso che i prigionieri dicevano, così questo
simbolico Ore, • I novelliere raccoglie le voci
umane d'amore e di dolore, di paura e di speranza,
le confidenz ingenue, le irò imare, i rimpianti
sterili di uomini, di donne, di fanciulli, di vecchi.
in varie condizioni sociali, in vari stati doli animo.
Sono diciotto tra drammel 1 ini ,■ commediole, note
voli per lo spirito ora poetico, ora umoristico
li informa. L'autore non si attiene tanto alla di-
retta osservazione della realtà, quanto ai fantasmi
7*8
LA 1.1 1 i
della propria uiinu. i la quale
■ personaggi dioon ni sempre let-
libilè. Ma questo non è vero
probabilmente, il Gatti non ha voluto ;i bella
far opera, come si dice, impersonale ed ob-
va. Una più severa revisione pei quel die con-
ia lorina. e la soppressione di qualche nota
alquanto inula, avrebl molto giovato al
bro.
Di i Morsa: Gretchen. (Milano, Sandron),
! consuetudine dei narratori, quando rac-
qo insieme novelle- che non hanno un intimo
are al volume il titolo della prima, che
anche essere la più lunga e la preferita dal-
l'autore. Così ha fatto il Norsa, con questa rac-
colta che s'intitola, dal primo racconto, Gretchen:
un vero romanzetto, l'avventura d'una giovinetta
tedesca che viene in Italia come istitutrice presso
un giovane marchese diviso dalla perfida consorte;
e che s'innamora del padrone, innamorandolo ; ma
che trova nei sani principi e nell'anima retta la
forza di fuggirlo, di tornarsene al proprio paese,
accanto alla madre. La narrazione è condotta gar-
batamente, ma l'osservazione della realtà non vi è
così intensa come in altre novelle dello stesso vo-
lume ; come, per esempio, nel Professor Tempesta,
amara e dolorosamente umoristica istoria d'uno
sciagurato insegnante bersagliato dalla fortuna, vit-
tima della moglie, ludibrio degli scolari. Poco im-
portanti, poco degne d'essere riferite sono le im-
pressioni di viaggio del Gaudenzio a spasso; ma
In provincia noi vediamo svolgersi un vero dram-
ma. Il Xorsa è scrittore sincero, facile e spesso fe-
lice, cioè tutte le volte che obbedisce a una ispira-
zione forte e profonda.
Edouard Rod: L'eau con r ante. (Paris, Fasquel-
le), 3 frs. 50. — Il valoroso scrittore ginevrino, di
cui i nostri lettori gustarono tempo addietro un
bellissimo apologo, pubblica ora un romanzo nel
quale la rappresentazione della schietta realtà chiu-
de la dimostrazione d'un'idea filosofica. Siamo in
un sito ridente del territorio valdese. Presso Bielle,
in una valle ubertosa, e precisamente nel campi-
cello dei Bertigny, scaturisce una sorgente che ali-
dei principali confluenti dell'Arne. I
Bertigny, di padre in figlio, hanno esercitato il
tieni di segatori di legname; ma il loro lavoro
ito a stento ai bisogni della famiglia, e sulla
loro nnx lesta proprietà grava una forte ipoteca.
Luigi Bertigny, rimasto orfano, sposa Margherita
nnay, e la giovane coppia inizia una vita labo-
riosa sognando il riscatto dell'ip te a. Ma la sorte
non si mostra verso di loro propizia: gli affari
volgono al peggio; Margherita, dopo aver messo
al mondo molte creature, s'animala e muore, e il
vedovo rimane solo a lottare per il mento
dei tigli. E mentre egli è stretto dalle più urgenti
necessità, i mugnai Chantheuille, suoi vicini, ve-
dono prosperare sempre più La loro industria. 11
loro mulino è mosso dalla sorgente di Bertigny.
e il segatore a coito di espedienti, accetta il con-
dì un faccendiere, il quale gli propone di
rastare ai vicini l'uso dell'acqua. Ma il tri-
bunali- dà torto al Bertigny, il quale è trascinato
dal d 10 all'ultima rovina: gli astuti
Chantheuille s'impadroniscono del suo podere e lo
costringono ultimamente ad espatriare. In questa
evidente e mirabile evocazione di un cantuccio del
mondo, con le sue passioni, le sue virtù ed i
suoi vizi, il Rod significa un pensiero profondo nella
sua amarezza: più forte della nostra volontà è la
forza del 1 lisi, no; troppo spesso la sorte infierisce
contro i buoni e protegge i malvagi, gli astuti ed i
cupidi, inegualmente, senza giustizia. 0 Cosi vuole
il destino, il quale non dà conto a nessuno dei
propri atti: gli uni riescono, gli altri naufragano.
Lo stesso ruscello irriga i campi dei felici e quelli
degli infelici : fra le piante che succiano la stessa
terra e bevono la stessa rugiada, talune prosperano,
altre avvizziscono».
Tcheng-ki-tong: / figli del Cielo (Roma-Tori-
no, Roux e Viarengo), L. 2.50. — Sono novelle ci-
nesi scritte da un cinese, il quale conosce l'Europa,
e particolarmente Parigi, come un parigino puro
sangue. Il generale Tcheng-ki-tong vi passò infatti
lunghi anni, da colonnello, in qualità di addetto
militare all'Ambasciata del Celeste Impero; e da
quel posto, con la svegliatissima mente e l'acutis-
simo spirito di osservazione, attese a studiare la
civiltà nostra ed a farci conoscere la sua. Scrisse
i suoi libri in un francese che qualche francese
potrebbe invidiargli, e tutti i libri suoi ebbero per
argomento le istituzioni, i costumi politici, sociali
e familiari della patria lontana. Celebre è, tra gli
altri, quello che s'intitola Les Chinois peints par
eux-mémes, al quale contrappose Les Parisicns pcmts
par un Chinois; ma gustosi sono anche quelli nei
quali allo studio analitico egli sostituì l'artistica
rappresentazione. Dopo che la Cina si è imposta
alla nostra attenzione, ora che vi stanno i nostri
soldati, è bene presentare al pubblico italiano al-
cuni degli scritti di questo autore, dove egli dà
una viva e genuina immagine del suo paese. Gli
editori Roux e Viarengo ci diedero poco tempo
addietro il Romanzo dell'uomo giallo: oggi pub-
blicano questa serie di novelline, di bozzetti, di
leggende, nei quali appare e parla ed opera l'ani-
ma d'una razza tanto dissimile dalla nostra, ep-
pure, in fondo in fondo, meno dissimile che dap-
! rima non sembri.
Grazia Delf.dda : Dopo il divorzio (TurimvRo-
nia. Roux e Viarengo), L. 3. — Che il divorzio
debba lar parte della legislazione italiana tra due
soli anni, nel 1904, non è molto credibile ; ma la
i non importa, e all'autrice fa comodo immagi-
nare il tempo nel quale il tanto discusso istituto
sarà accolto nel nostro Codice. L'approvazione del
Parlamento e la sanzione regale non avranno però
la virtù di vincere l'antipatia di tante coscienze
contro lo scioglimento del vincolo matrimon
e così accade appunto nel romanzo di Grazia De-
I LIBRI
■19
ledda. Siamo in Sardegna, presso una gente sem-
plice e primitiva per la quale le idee tradizionali
hanno una forza indistruttibile. Il caso di Giovan-
na Era è tuttavia uno dei più sciagurati, dei più
degni di pietà, d'indulgenza e di scusa. Suo marito
amino è condannato a 27 anni di lavori for-
zati per aver assassinato un vecchio zio. Circostan-
ze simili impensieriscono anche i più strenui soste-
nitori dell'indissolubilità del matrimonio: se la
morte lo scioglie, la morte civile può lasciarlo in-
tatto ? Nondimeno, quando Giovanna accoglie le
proposte di Brontu Dejas. il quale, avendola già
chiesta in isposa da ragazza, l'ama ancora quantun-
que sia stato respinto, e le propone di divorziare
per sposarsi con lui, l'opinione pubblica è inesora-
bile contro la giovane. Ma il dramma si complica;
perchè un giorno Giacobbe Dejas, parente di Bron-
tu, giunto in punto di morte, confessa d'avere as-
sassinato egli stesso il vecchio zio di Costantino,
il quale è stato condannato innocente, e, riabili-
talo, toma al suo paese. Eccoci al punto culminan-
te: il primo marito, che ha saputo in galera del
divorzio della moglie e ne ha pianto e spasimato,
rivede la donna non più sua, ma d'un altro, anzi
d'un odiato rivale ; e mentre ostenta l'indifferenza
e il disprezzo, sente d'amarla ancora. E va secre-
tamente da lei, ed ella che è infelice col nuovo
consorte, e che non ha neppur lei scordato il primo.
Io accòglie ; ma, sul più bello, quando resta da sa-
pere come sarà sciolto l'intrico, se Brontu scoprirà
la propria disgrazia, che cosa farà dopo averla
scoperta, il romanzo finisce di botto. Esso non
contiene pertanto ciò che il titolo promette, cioè
una tesi intomo al divorzio, una dimostrazione prò
o contro questo istituto. E poi, dal momento che
Costantino è proclamato innocente, non viene a
mancare la condizione che poteva, se non giustifi-
care, scusare almeno la condotta della moglie?
L innocenza del marito non doveva esserle nota ?
Ella la proclama, sulle prime, e piange tutte le
sue lacrime per l'iniqua condanna, e pensa a lui
continuamente, e gli scrive, e pare propriamente
inconsolabile ; ma poi, come si è detto, finisce con
l'accogliere le consolazioni. Queste osservazioni non
scemano l'umanità del personaggio. La vita, pur
troppo, ha molte simigliarti e peggiori contraddi-
zioni.
Giovanna, come del resto tutte le altre figure
del romanzo, è umana e vera. La psicologia
di tutte queste anime vergini e quasi selvagge è,
come si conviene, rigida e nuda. Fa eccezione Co-
stantino, nel riferire i cui sentimenti fautrice si
lascia qua e là prender la mano dalle consuetudini
letterarie. E quantunque i suoi personaggi sieno
indiscutibilmente sardi, ed abbiano l'abito e 1 ac-
cento dell'isola nativa, pare talvolta — diciamo
fare — che alcuni di essi abbiami qualche paren-
tela o una semplice affinità con qualche personag-
gio di romanzo russo. Bellissime, sobrie, evidenti.
come in tutti i libri della Deledda, sono le descri-
zioni dei paesi e dei costumi, delle montagne gra-
nitiche, delle vallate deserte, delle cerimonie su-
perstiziose.
POESIA.
Alfredo Mancini : Quello che -più non torna.
(Torino, Streglio e C), L. 2. — E' difficile parlare
d'un libro quando lo stesso autore dichiara ai cri-
tici : « Io non vi presento un'opera d'arte ! Sul mio
capo non rifulge l'aureola della gloria ! Io non oso
le\ are gli sguardi alle eccelse vette della celebrità !
A quale scopo dovreste voi dunque levare le armi
verso un essere che le proprie infrange e depone ai
vostri piedi ?» Lo scopo sarebbe quello di eccitare
l'autore a far di meglio, ad esercitare sopra sé
stesso una critica anche più severa. Dice egli bensì
che i suoi versi sono 0 modesti, ma sentiti ; non
ricchi di concetto, ma spontanei ; non elevati nella
forma, ma sgorgati dal cuore; e pur troppo non
s'inganna nel vedere i difetti ; ma lo stesso pregio
della sincerità, della spontaneità, della cordialità
ne resta scemato. La forma, nella poesia, è troppo
intimamente legata al contenuto, e i sentimenti val-
gono grazie all'espressione. E' un sentimento poe-
tico quello che spinge l'amante a voler dare il
proprio sangue per la creatura amata; ma quando
il Mancini lo significa con queste strofe:
Se il brami, dimmi: — Il sangue da le vene
voglio vedere a rivoli sortir!... —
ed io, a provarti se ti voglio bene,
al tuo cospetto mi saprò ferir,
non riesce ad altro che a sciuparlo. Così parimenti
è sciupata la generosità e la dignità dell'amante che
non si vuole né vendicare, né scusare, quando è
espressa con questi versi :
Non creder ch'io mi vendichi o mi scusi
Nel sospetto che adesso ho io di te...
Nobile è il proposito di consacrarsi interamente
all'affetto dei figli, ma la nobiltà del proposito è
perduta se la forma non è altrettanto nobile, ma
pedestre come questa :
S' io avessi un bimbo sano e aggraziato
Ogni cruccio del cor saprei scordar;
ne l'affetto paterno sconfinato
niun babbo al mondo mi sapria uguagliar.
Il Mancini sa fare di meglio, ed anche in questo
volume ce n'è la prova. La severità della critica
non sarà inutile se egli si sforzerà sempre di solle-
varsi.
BELLE ARTI.
Francesco Malaguzzi-Valeri : Vittori lombar-
di del Quattrocento. (Milano, Cogliati 1902). —
L'autore, che conta già al suo attivo una dozzina
di pubblicazioni sull'arte antica, due delle quali
vincitrici di concorsi intemazionali, e molti arti-
coli in riviste italiane e tedesche, ha illustrato, in
questo elegante volume, stampato con ricchezza di
tipi e di incisioni dalla Ditta Cogliati, il gruppo
dei pittori lombardi che precedette Leonardo. Do-
po tre anni di ricerche storiche negli Archivi 1« im-
bardi e di confronti critici delle opere fra loro, è
arrivato a risultati così buoni che di pittori come
Butinone, Zenale, Cristoforo Moretti, il Bevilac-
qua e altri, dei quali si conosceva poco più che il
20
LA LETTURA
nome " N' " "'■ '' l1""
, a, aveva rinunciato a 01 ■
ato numi ro» i 1 1 te, p
Ielle quali firmate e ne ha rifatto la bioj
• Muniti del tempo i ulte
caiteg o sforzesco, nelle quali i un eco
niale dell 1 1 del Qual n
i ndo le illustrazioni din tte che accom-
iano i vari capitoli del libro del Malaguzzi, si
I nule rnri:: [U Ulta lleschez/a d'itll-
pressioni animasse questi pittori che, con poco
parola, si sogliono ancora chiamare primitivi,
. ita che, come rii si e a pn
l'autore, mostrano come essi avessero comune con
rande scuola 'li Padova, sulla quale s'innalzò
Mantegna, molte qualità eccellenti.
il capitolo dedicato ai Ritrattisti della Cor-
te di Francesco e dì Galeazzo Maria Sforza offre
un interesse grandissimo per la ricca serie ili noti
zie <lel tempo che gettano molta luce sulle condi-
dei pittori ritrattisti d'allora, costretti a pre-
star l'opera loro tanto per ritrarre le effigie dei
principi come quelle.... dei loro cani e a reclamare
con suppliche sopra suppliche l'aver loro, anche
molti anni dopo.
Per la ricchezza delle notizie, per la serietà del
critico e per la assoluta originalità degli
argomenti illustrati, con che il libro del Malaguzzi
si raccomanda, esso è destinato a incontrare tutto
il favore degli studiosi d'arte e degli artisti e ne
sarà sempre indispensabile la consultazione per
quanti vorranno occuparsi d'arte lombarda.
ii Tumiati: Dal Maloja a Notre-Da-
me. (Bologna, Beltrami), L. 3. - • Il titolo pare
quello d'un libro ili viaggio, e d'un viaggio appunto
si tratta: d'un viaggio ideale, ili un «giro di pen-
sieri», cominciato dinanzi alle pitture ili Giovanni
Segantini e compito a Parigi, durante l'Esposizio-
ne universale. L'autore ha unito il nume ili un
con quello d'una chiesa considerando che
l'uomo, occhio della natura, ne crea con le proprie
mani una seconda; dall'ammirazione il suo spirito
passa alla preghiera, e le cattedrali sorgono con le
stesse pietre delle montagne. «Gli angeli invisibili
delle montagne noi possiai xmtemplarli sulle pa-
reti 'lii templi, in seminante umano, e le musiche
dei torrenti e delle selve possiamo riudirle negli or-
gani absidi d'oro. Che cosa vi è di più bello
d'un monte o d'ut ci l ci sa
la bellezza, se non la forma raggiante e sonora di
cui si \i 1 ' 1 il Mistero ». Questi » coi
domina tutti gli scritti raccolti nel presente volume:
1. 1 studii 1 sul £ Ilo sul Previati, il 1
tolo intitolato Za squilla di S. Marco, dove il Tu-
miati dà conto della ter/a Esposizioni
ma; i due saggi, ricchi d'erudizione, sul /' '
■ ' il / io di la l ■ " '-i . le m te su
ii e Raffaello, le belle ed importanti oss
ento Vusii a e /'
-. Fra l'altro. I 1 I Mei log ito 'li
nii.i d'arte; gli appunti sull'Anima del
/' una cursione in Ti
i,.i. e analmente le lettere parigine. Quantunque in
tutte queste paj ne ragioni particolarmente d'arte
e d'estetica, il scrittore dà prova della sua
Varia e SOi cultura parlando, sempre 1 ii
l'occasione, di filosofia, di storia, di scienza
e le sue idee, se talvolta potrebbero dai
chi discussione, Mino sempre espresse con una
lumia nobile, eletta e veramente poetica. Il '
è "pela d'un critii o e d'un artista, e qu
SUO menni: che riesce difficile d
vi lanista dal critico, tanto intimamente qu
aspetti murali dell'autore sono associati. La critica
d'arte, quando è fatta a questo modo, divi
stessa un'opera d'arte.
\ 1 t'TORio Pica: Attraverso gli all'i e le cartelle,
Il fasi icoln. (Bergamo, Istituto italiano di arti
grafiche), L. 2.50. ■ Con la perizia consueta, con
nuova varietà di temi, Vittorio Pica continua la
sua escursione attraverso le opere dei maestri del
bianco e nero. La nuova puntata dell'opera sua
Ci mincia con un capitolo su tre celebri caricaturisti
francesi: Dauniier. il flagellatore degli affaristi e
dei ciarlatani politici sotto Luigi Filippo;
varni, insigne suo emulo, e il vivente Forain, au-
tore di quella Comedic farisicnne della quale
c'è chi non abbia ammirato qualche pagina,
scia il valentissimo critico esamina l'opera di quat-
tro disegnatori di Liegi, città manifatturiera,
l'arte è adattata all'industria dal Donnay, evoc:
del mondo poetico delle allegorie e dei siml«ili.
dal Berchmans e dal Rassenfosse, ra
della grazie muliebre, e dal Maréchal, eccellente
paesista. Nel terzo capitolo il Pica raggnippi
disegnatori ili diverse epoche e nazioni i quali han-
no illustrato con varie intenzioni la guerra: Coir
Int. il celebre lnrenese fiorito nel Seicento, conosciu-
to principalmente per avere rappresentato le pit-
toresche scene della vita degli zingari e le fi
dei personaggi carnevaleschi e della commedia ita-
liana, ma grande altrettanto nelle Miserie della
-.'</.■ lo spaglinolo Goya, il gran Goya, che cj
fa passare brividi di orrore per le ossa coi suoi
Disastri della guerra; il tedesco Rethel. ai
dei disegni macabri sulla guerra civile che ispira-
rono il poeta Reinick ; l'altro tedesco Sattler, vi
vente, fortissimo nelle illustrazioni della gii
dei contadini e delle lotte del tempo degli \r\
listi; finalmente i i]\]r li isi Charlet e Raffet,
i quali rappresentarono il lato glorioso ed epico
della guerra: il primo con molta fortuna, sebbene
poco meritata, per la frequente volgai sue
ispirazioni; il secondo con grande nobiltà
e bellezza. Di tutti questi disegnatori il Pica defini-
sce il carattere, enumera li qualità, spie;. a le inten
zioni. descrive e riproduce le opere principali. Il
testo argutissimo è per ompagnalo in
pagina il.\ un gran numero di fotoincisioni, otti-
mani, guite e siaino. ite. come tutte quelle
che adornano le pubblicazioni dell'Istituto bei
0 di arti grafici
Il Letti
rv.
«
In/ ^B*-^ •/ ^ ^^iffcfc^- ?Ci
DIVISTE
■
SOMMARIO
La bellezza, arte e martirio, pag.'72i — La bellezza perTmezzo del riposo, pag. 726 — Le frodi fotografiche, pag. 729
— Le atrocità americane, pag. 730 — La tratta dei Negri, pag. 731 — Il giro del mondo per 5 soldi, pag.
Nel cuore d'un temporale, pag. 737 — Scuole di ladri . pag. 740 — Città edificate in un giorno, pag. 742 — Le
orme degli animali, pag. 746 — Il prezzo dei topi, pag. 747 — Il re della moda e dell'eleganza, pag. 717 —
L'automobilismo sottomarino, pig. 747 — Una fabbrica di aereostati, pag. 74S — Chirurgia animalesca, pag. 750
— I barilotti galleggianti, pag. 753 — Pasticcerie regali, pag. 755 — Dalmazia, pag. 756 — Monete false, pa
— Con l'esercito di Meneltfc, pag. 734 — Santi e pirati a Montecristo, pag. 767.
La bellezza,
arte e martirio
Essere bella, rimaner
sempre giovane, non è il
gran sogno di ogni don-
na? E qual moralista del
resto, potrebbe fame rim-
provero ?
Nulla è più legittimo e
naturale di questo rhe
una donna abbia a svi-
luppare con tutti i segreti
dell'arte la propria bel-
lezza e correggerne, al bi-
sogno, i difetti.
Ma sgraziatamente, ac-
canto a questa innocente
e legittima civetteria ,
trionfa un'altra che ci fa
sorridere o meglio com-
patire le sue vittime. Essa
è la contraffazione della
severa e pura bellezza
della natura e consiste
nel mascherare, colorire,
raschiare, alterare, insom-
ma . tutta l' opera della
creazione, per sovrappor-
vi una seconda creazione,
che non avrà mai la fre-
schezza e l'incanto della
giovinezza.
Creare e mantenere la
propria bellezza diventa
La Lettura.
La cura del sole pei capelli sei-. XVI
allora un'arte che utilizza
tutte le ani. una scienza
a cui portano concorso
tutte le altre scienze: cli-
nica e medicina, chirurgia
e pittura, fisica, statuaria
e mineralogia...
E allora non è solo il
tempo che occorre, ma è
pure indispensabile una
pazienza e una resistenza
al dolore che arrivino
spesso fino all' eroismo.
Chi non ha visto i sup-
plizi ai quali si condan
nano certe donne, abba
gliate da un falso mi-
raggio di bellezza, ignora
a qual punto si può spin-
gere la crudeltà o ntn sé
stessi 1.
Il primo sogno delle
donne eleganti è la lu-
zza e Io splendore
delle tinte. I bagni d'olio
e di latte non ridarebbero
forse il candore infantile
alla pelle ?
Eo o il problema
di G rinto e di
■iia.
i le prime si tuffa
V
- I I
/ - -
LA LETTI I '■■
Toilette d'ina dama nel sei. XVII.
allegramente nelle caldaie colme di olio fino
e profumato e le seconde imitavano 1'
che ogni giorno faceva un doppio b
nel latte di trecento asine.
Vennero in seguito (praticati a
secolo scorso) i bagni di fragole e di lam-
pone, i bagni di vini
di trippa, i bagni di sangue ancora fuman-
te. Oggi la scienza ha sostituito a nielli i
bagni di glicerina e i bagni elettrici.
Ma ciò è ancora poco, in con tri ito del-
l'uso di applicarsi sui volto, durante tutta
la notte, una maschera altrettanto i
quanto ripugnante. A Roma la penosa
usanza era così generale che aveva il i
di maschera domestica: schiere appos
schiavi fabbricavano ogni sera la mas
con farina di fava, imp >n un olio
mucilagginoso nidi di
Ili marini. Anche in Franci
usata fino al secolo XVI 1. e anzi si deve al re
EnricoIIl una ricetta speciale per impastarla
fior di farina e albume d'uovo. 1 cro-
nisti del tem[io e ne hanno lasciato
descrizioni particolareggiate e piccanti. Oggi
•
ir il posto ad altre non meno ripu-
gnanti. Che •
mminile, quei pezzi
\'nla e cruda, quas
le soffici ciprie? Alla sera la signora vec-
chia e mondana entrerà in quel sacrario e
in grande mistero una i
fide stenderà quei beefsteaks sanguinosi sul-
le guance della padrona, avviluppando poi la
i testa di vecchia tra bende di
che si scioglieranno al mattino i>er ridare
un'ora almeno l'illusione o il fremito .iella
uzza.
M . . maschera, del-
ozioni arsenicali e delle compressioni
sanguinose, quali he ruga indiscreta comin-
cia la sua apparizione agli angoli della
Ixxxa o degli occhi: si impone allora un
trattamento energii o < tutto un arsenale di
in campo contro la piccola
piega deli Osservate quegli stru-
menti che ole riproduzioni
di strumenti campestri ; sono gli arnesi pel
massaggio facciale. Per delle settimane e
dei mesi essi passeranno e ripasseranno sul-
le pie >le prominenze cutanee finché saran-
no scomparse, salvo a ricominciare il l.<
ro un po' più lon' rgere di un nuovo
pericolo. 11 trattamento elettrico è ancora
più delicato: esso esige l'applicazione della
corrente ad ogni estremità dei muscoli da
modificarsi ed impone anche un corrispon-
dente trattamento interno di dimagramento
XVIII. Mentre il parrucchiere lancia le poi-.
IL PAZIEN I B si PROl l GGE II VISO.
DALLE RIVISTE
723
Il massaggio elettrico.
o di ingrassamento, secondo lo stato del-
! epidermide.
Ma ecco un lavoro ancora più difficile
e penosa: fin qui non si trattava che di
conservare intatta l'opera della natura ; si
tratta ora di correggerne i difetti, di ta-
gliare, sopprimere, aumentare. Noi alv
biamo letto sempre con terrore di selvag-
gi senza cuore, che esercitavano crudeltà
e mutilazioni spaventose contro i vinti:
uguali crudeltà esercitano contro sé stes-
se le grandi dame mondane desolate di
vedere il proprio naso o le proprie lab-
bra crescere in modo eccessivo. Gli Egi-
ziani, i Greci, i Romani furono ugual-
mente feroci contro tutte le efflorescenz :
cutanee che deturpavano l'ideale della
bellezza ed usavano rimedi brutali, come
la pece e la calce viva. Anche gli opera-
tori moderni praticano l'estrazione dei
peli ma con metodi diversi ; una punta
di legno duro estremamente fina è im-
mersa nell'acido acetico, quindi appog-
giata alla pelle di fianco al pelo da di-
struggere sul quale si esercita una legge-
ra trazione con una pinza. Dopo diversi
tentativi la pelle si rammollisce, la punì i
\i penetra e il pelo cede finalmente alla
trazione. I operazione però è doloro-
sissima e non permette di poterne ten-
tare che tre O quattro per seduta.
Ma anche qui l'elettricità fa ora la
sua apparizione: un filo sottilissimo
conduce la correnti- sul pelo che viene
rapidamente distrutto: spesso però si
verifica il caso curiosissimo che il bul-
bo ne esce invece rafforzato e tosto pro-
duce una nuova vegetazione pilifera1
non lasciando allora altro rimedio fuor-
chi- un trattamento col ferro rovente.
Altra volta una verruca o un piccolo
bubbone spunta importuno sulla bian-
chissima epidermide della signora. E
allora coraggiosamente con un robusto
filo di seta si stringe l'ospite disgra-
ziato sino quasi a stritolarlo, poi lo si
cm un colpo eroico di rasoio, o
col caustico nitrato d'argento.
Ma tutto sembrerà facile e naturale
di fronte all'eroismo brutale e selvaggio
di cui diede prova or sono due anni
una celebre attrice parigina, alla quale
appartiene senza dubbio la palma della
civetteria femminile. Disperata di ve-
dere la sua bellezza seriamente com-
promessa per una serie di alterazioni
IL BAGNO ELETTRICO.
-I
LA LEI I l'KA
prò]
fronl no ili otl
dieci: così un; i usciva mai
per rimpiazzare quel-
La pettinatura b la bellezza.
Tutta la pelle della farcia fu bruciata chimica-
mente, quindi levata squama a squama. Dopo due
mesi di spasimi atroci, una pelle rosea e liliale co-
me .li bambino or-
nava il volto della
re attrice:
era troppo striden
Ila sua età ed
per di-
il risul-
terai per-
,. l'eroina
completamente tras-
formata.
Ma spesso la
donna fa un lavoro
le vegeta-
zioni sporadica
■
altre art>
nel secolo
XVII si inaugura-
ci </•
1 agliate
taffetà nero in
luna, di
sti Ile, di
sul volto tutti
;
; pure
. !i cc-
ra. sulla
Pick I 30 M ISCHBttATO.
le che fossero cadute alle prime folate di vento.
E' curiosa jm ii la nomenclatura di questi oggetti
bizzarri e ripugnanti di ornamentazione. Quelle vi-
; il SÌ
chiamavano /' ap-
•naia . nejla
la galante, nel
la sfrontata ,
sulle labbra la ci-
vettuola e così via.
Disgraziatamente,
ido unte erano
ben ingommai
loro posto, l'ele-
• signora asso-
ad una
vittima di una m.v
lattia spaventosa
della pelle. Ma
guai a chi l'i
: Quella era
allora Ix-llezza !
E tutto ciò non
è che il principio
che vi introduce
nei misteri tene-
brosi e 'ni'1
di tante bellezze am-
mirate. Tutto nel-
l'asp itti i può
unni'- modi-
fu -,ii. assi rbenda
come la bella-
i. la pupilla
issume uno
.■ lu-
mim so. Per i
I M I E \<l\ 1
725
nere allora un so-
pracciglio ariin nio
so e ben disegnati!
occorre ricorrere a
una depilazione
parziale sfrondando
le linee difettose e
sviluppando la cur-
ii un ma •
gio ripetuto.
Alla Corte di
Pietro il ('.rande si
usava un sistema
amor più radicale:
tutti i peli delle
sopracciglia erano
violentemente strap-
pati per sostituirvi
'ciglia artifi-
ciali abilmente di-
segnate.
Alcuni nasconde-
vano fra i peli na-
turali altri artificia-
li abilmente tingen-
doli : ma tutte que-
ste operazioni do-
vevano essere rin-
ii' rate almeno una
volta al giorno, per-
chè l'effetto della
belladonna era pas-
seggero e anche i
peli posticci turbi-
navano spesso strap-
pati dal vento.
Il viso poi nei
gabinetti delle mondane diventa una vera tavoloz-
za dove si distende tutta la gamma dei colori, dal
bianco liliale al rss. porpora. Il bianco d'arg
forma il fondo del quad.ro; e tutti sanno che l'ele-
mento principale del bianco non è che l'alabastro
finamente polverizzato in mulini speciali esistenti
a Parigi. Cosi gli eleganti consumeranno eia-'
in media un buon cai di marmo per fabbri
La defilatone elettrica.
il viso. Il rosso scel-
to Fra le i; varie-
tà oh,- sono in com-
ii'io si applica a
i grai :.mti dal
centro delle gì
liuteria, lniì
. con pastelli a
base di talco e d'in-
daco l'artista tri
dei semplii
tratti azzurrini pei
indicare il riflesso
trasparente delle
\ ne. Si ha alloi
ilio dir;'
< ri li-re che il
quadro sia com-
pleto.
Ma da qualche
anno tutti questi
processi hanno ce-
duto i! rampo a un
.i il io più misterioso
e strano, a una ve)
nera si utilissi-
ma e diafana che si
applica, tinta di
maverili colori,
viso i lolla da-
mi. La maschera è
assai res ente e
l'unico suo inconve-
niente è che dà al
viso certi riflessi di
ceramica che sem-
brano tradire i ci
lori d'una bambi la giapponese.
E il capolavoro è finalmente pronto e non manca
piìi che la corona di una superba capigliatura.
Gli Egiziani e gli Orientali preferivano le chiome
nere ottenute con frequenti lozioni d'acqua di chi-
na o d'acqua di rose.
Dalli ..-..■.■.■>. ,<ur tous).
Toilettes ih donne giapponesi.
La bellezza per mezzo del riposo
eh sino il
■ uparsi della lori i bellezza assai
M poi L'erri re dipeli-
la] fatto che noi i
i bellezza della donna in confronto
ll'uomi ' isservata attenta : i ca-
a inamidata m gran fatto dal bu-
rregge la lii roni I min
lia bianchissima, che brilla :ii tor-
ridi
'. ni fioriti che ci - i i cappelli i
Nello stesso ordine d'idee si può ai re l'al-
della ne stra gioventù in ogni si rta 'li
lattate con -i 50 0 I
;imc sistema.
L'iniezii ne 'li vasellina è però sempre un
non manca 'li produrre dolore. Ma
heora di 'America un nuovi, mei
di d Mi 0 belle, ma senza dolore e col si-
omodo del resto, di un razionale ri-
poso.
Si voi entrate all'improvviso nel gabinetto <li
ricana, non dovete meravigliarvi ili
aria distesa per terra, circondata attorno al
'■"II" dalle braccia p den se della sua donna di ca-
mera.
Voi forse ci sta di a -
^y
Prima dell'operazioni:.
Doro l'operazione.
ilari, alla lotta, al foot-ball, alla cor-
ca sotto tutte li' fi rme, 1 he
1 mirabilmente alla vigorìa e alla sn llezza
'!'■! i' >r] 11 . tanto ricercata dalle fidanzate roman-
tiche.
La bellezza, insomma, non ini 1 issa meno gli
uomini che le doDne e lo dimostra lo sviluppo
prodigioso che va assumendo la cura cella va
lina usata specialmentr a raddrizzare i nasi e i
menti del sessi sterna delle iniezioni si '
1 ■ ni si : quattro incisioni dimo-
strano in ndiscutibili
■ li questo nuovo mi lodo di cura.
m >lo il na 1 i la nuova 1 ura,
I cor] e pui 1 trani- vantaggio. < '<
ormai lunga la list si in cui, ■
re» invisibili le tristi cicatrii i ili fei ite 1 1
rpatori ; cosi |
a un delitto e il vostro cu n esulterà al pri-
lli esser giunto in tempi 1 per interrompere un ten-
tativo d'assassinio e salvare una gentile giovani
ilalle (urie 'luna megera. Ma nulla ili tutto
-ii : la fanciulla, coni-' tutte le sue compagne del
nuovo mondo, sta facendo la sua cura della bel-
■ 1 ma del ri] 1
Non bisi " 1 credere che la cura ci n
nello stars -in distesi pei m tntre la 1
piacente \ i sostieni- la lesta. Ter quanti
ti possa sembrare, la bellezza non s'ottiene eh
pi . ' uti. prolungai
costituiti da alternative 'li riposo e ili contrazioni
muscolari.
In tale sistema, dunque, la terminologia non ri-
spi imi • peri ute alla 1 1 sa, benché sia stata
appunto la terminolog 1 1 0 al me-
li la fortuna agli in-
DALLE RIVISTE
7-7
ventori. Gli esercizi, richiesti dal nuovo sistema,
sono, infatti, complessi e faticosi. Eccoli quali
li troviamo nel manuale di miss Stebbin :
Esercizio i° — Rilasciate le articolazioni delle
vostre dita e lasciatele cadere come morte. Poi ad
un tratto rimovetele e ripetete lo stesso e-
sercizio.
Esercizio 2° — Abbandonate la vostra mano
come mona, lasciatela pendere dal polso e qu
muovete il polso in avanti e indietro, a destra e
a sinistra, roteandolo in cerchio.
Questi esercizi di riposo che sono in numero di
dodici, si riferiscono successivamente a tutti i mu-
scoli e a tutte le articolazioni. Ve ne hanno per
le braccia, per le gambe e per la testa ; non man-
colla testa, la quale ultima deve roteare come una
palla sul \< stro 'olio e nelle mani che la reggono».
Quale l'effetto di questo metodo dal punto di vi-
sta della bellezza? Esso dà leggerezza alle membra,
grazia e simmetria al corpo, sempre secondo i suoi
inventori. E ciò., del resto, può essere possibile.
che questi esercizi di riposo non sono, in ul-
tima analisi, che degli esercizi ginnastici, una spe-
cie di massaggio particolare per le persone deboli
delicate. Aggiungetevi la suggestione che eser-
citano tutti gli esercizi nuovi e voi comprenderete
rome la miss che ha passata tutta la mattinata in
questa ginnastica divenga, o creda divenire, più
bella.
Naturalmente no: non accettiamo la spiegazione,
Prima dell'operazione.
Dopo l'operazione.
cano neppure per le palpebre (chiudetele come per
dormire e quindi riapritele).
Quando questa ginnastica è divenuta familiare
alla signorina in via di abbellirsi, essa passa ad
un altro ordine d'esercizi, lungamente descritti nel
libro di miss Annie Payson Coli, che è una vera
celebrità in materia.
« Mettetevi a terra sul dorso e abbandonate tutti
i vostri muscoli, del capo, del dorso, delle reni e
delle gambe. Bisogna che voi non abbiate più
Impressione di avere un corpo, ma di essere un
tutto col pavimento, sul quale siete distesi.
«Frattanto dite alla vostra cameriera di prende-
re le vostre braccia, che voi le abbandonerete com-
pletamente, rilasciando tutti i muscoli della spalla,
del braccio e dell'avambraccio. Bisogna però che
voi non sentiate più questi membri, e che
pesino interamente nelle mani della persona che
li regge: bisogna insomma che non facciano quasi
più parte del v stro corpo e che voi abbiate l'im-
pressione di essere un insieme di tre sacchi di sab-
bia, debolmente congiunti al livello delle spalle e
delle gambe.
« Fate quindi lo stesso esercizio colle gambe e
superbamente detta scientifica, di Delsarte e dei
allievi, secondo i quali l'esercizio del riposo
fa affluire l'energia vitale al cervello. Per com-
pletare l'allegra teoria, essi aggiungono poi che i
canali dell'espressione divengono allora liberi e
I •■ ssono così essere percorsi dalla forza nervosa
nella stessa guisa che un canale è attraversato
dall'acqua. Eppure è proprio sotto l'etichetta scien-
tifica di tali pazze teorie che il nuovo metodo
della bellezza ha conquiso le giovani figlie dei mi-
i ri americani.
I ri sarebbe assurdo negare che il riposo
debba avere una certa importanza nello sviluppo
della bellezza. La salute, infatti, che è tiri elemento
;sario della bellezza, non è assolutamente pos-
• senza il riposo che assicuri, come tutti gli
eserc'zi, il funzionamento normale dei ni <r\ or-
-
Se i tratti tesi, gli occhi spenti, un'attitudine
generale di fatica non ci danno certo l'espressione
della bellezza, ciò dipende forse dal fatto che tut-
uesto risveglia in noi l'impressione del dolore
nza. E. infatti, la fatica non è del re-
sto, in ultima analisi, che una malattia, una specie
! prodotti in-
lavoi : poi uariso \\
pei dì libi
ii he paralizzano il suo
LA 1
gli alienati non si conosce rimedio migliore alle
furie dell to; e se
vi hanno dei nevrastenici che si guarisci ino col mi
to, vi hanno pure degli altri che si curano col ri-
poso.
E' inutile moltiplicare questi esempi che ci al-
L'esercizio DELLE BRACCIA NHL RIPOSO.
Il sonno che ci rende freschi e gagliardi
— altro elemento di bellezza - non agisce altri-
menti che per mezzo del riposo prolungato di tutti
gli organi.
I n ìi ina è la conferma delle proprietà to-
niche e ricostituenti del riposo. La cura del riposo
fa parti- integranti- della cura delia tubercolosi;
nelle affezioni cardiache si constatano talvolta del-
le vere risurrezioni operate colla semplice perma-
nenza nel letto: 1. del cuore si regolarizza e
riprende così il suo \ _ re, la respirazione ridiven-
ta libera e gli edemi scompaiono. Nei ricoveri per
lontanano un poco dal nostro soggetto, per mostra-
re l'importanza del riposo per il funzionamento
regolare del nostro organismo. Tuttavia, se la sa-
lute non si può concepire senza un riposo lien in-
teso, la bellezza ottenuta unicamente col ripo
secondo il metodo americano, è un inganno del-
l'occhio, un metodo basato su un malinteso, sul-
l'interpretazione di una frase abilmente sfruttata
da quelli che si possono chiamare i filibustieri del-
la medicina.
(Dalla Revue (ancienne Revue des Revues)
MWi
> KCIZIO DEI. RIPOSO.
Le frodi fotografie li e
La parola fotografia è stata finora sinonim
«altezza fedele e d'innegabile verità. Come ammet-
tere che un processo di riproduzione i pn iica cose
isl nti ? Ora si sa che la fotografia può ingan-
narci anch'essa. Alcune di queste frodi fotografiche
51 no semplici scherzi, altre possono esser causa di
errori gravi.
Uno dei metodi per ottenere false
consiste nel sovrapporre due prove che non hanno
niente da vedere l'una con l'altra. Volendo mette-
re, per esempio, sul corpo di una persona la testa
di un'altra, si fanno le due fotografie, nelle stesse
proporzioni e sotto la stessa luce, delle due perso-
ci- ; poi si ritaglia la testa che si vuol sostituire
alla vera, e s'incolla sulla vera, badando a nascon-
dere il meglio possibile la linea d'attacco : se si
tratta d'una donna, un colletto o un nastro sarà
perciò di grande aiuto ; trattandosi d'un uomo,
serve moltissimo la barba. Eseguite queste opera-
zioni, si rifotografa la prova così ottenuta, ridu-
■cendola di metà per rendere meno visibili le im-
fezjoni dell'incollamento, e si ottiene una ne-
gativa finale, da cui si possono ricavare tutte le
copie che si vogliono. Si arriva in tal modo ad ef-
fetti comicissimi: si dà una testa di vecchio dif-
forme a un bel corpo di donna, o, mediante la di-
versa scala delle due fotografie, si sovrappone una
testa enorme ad un minuscolo torso. All'Esposizio-
ne universale di Parigi, un fotografo offrì ai mem-
bri della giurìa la riproduzione di un celebre qua-
dro di Rembrandt. dove a tutte le teste dei perso-
naggi erano state sostituite quelle dei singoli giu-
rati.
Questi sono inganni innocenti, ma in altre circo-
stanze la frode può essere fatta con intenzioni col-
pevoli ; come quando, per esempio, a scopo di ven-
detta o di ricatto, si è mandato alla famiglia d'una
-.i una lettera per dire che lo sposo non è li-
. che ha già preso moglie, e alla lettera si è
aggiunta la falsa fotografia istantanea del corteo
nuziale che esce dalla chiesa.
Un occhio esercitato trova quasi sempre il trucco
in questo genere di frodi fotografiche ; risultati
[ iù stupefacenti si ottengono in altri casi, per e-
*empio in quello dell'uomo che regge sopra un piat-
to la propria testa. La condizione da osservare, qui.
è che la posa sia fatta sopra un fondo bia
assolutamente nitido. Dopo aver fotografato cosi
1 individuo col piatto in mano, si prende una secon-
da negativa, facendo dare al viso lespressione
che si vuole ottenere nel capo troncato, e si taglia
la testa, sulla negativa, con una riga opaca ; si
stampa quindi sulla carta sensibile la prima ne-
gativa, poi la testa della seconda, al posto vi luto,
e si vira il tutto. Qui non ci sono pezzi ritagliati e
appiccicati: vi è la libera impressione d'una nega-
tiva sopra un'altra. Con lo stesso procedimento si
ottiene la donna che appare in cielo, sul mare: la
figura dell'apparizii ne è stata fotografa pra un
l'ondo di cielo e riportata poi sopra una negativa
rappresentante il mare con uno si ondo celeste; ia
parte inferiore della veste è stata sfumata perche
sembri svanire nell'atmosfera.
In altri casi ancora, la frode è meglio nascosta
e veramente invisibile: cioè quando non v'è si
vrapposizione di due negative, ma una negativa
unica e diretta. Ecco, per esempio, una signora che
giunca alle carte con sé stessa. L'unica negativa è
ottenuta mediante un sistema di tavolette mobili,
con le quali si naso n le successivamente una metà
della lastra da impressionare: una prima volta
impressiona la parte destra, lasciando intatta la si-
nistra; poi si copre la parte impressionata, e si
completa la negativa impressionandone l'altra me
tà. Fra tutte le frodi fotografiche questa i la pi
semplice e la più perfetta.
Buona parte delle pretese fotografie spiritiche
sono dovute alla frode. Un fotografo americano.
per il prezzo di dieci dollari, evocava gli spiriti
dei morti e degli assenti. La persona interessata
era ricevuta dalla moglie dell'imbroglione la qua-
le, mentre il marito fingeva d'attendere ai prepa-
rativi dell'operazione, faceva abilmente parlare il
cliente intorno all'età, al sesso, ecc., della persi n;
da evocare. Poi il gabinetto si apriva, e l'operatore
invitava il cliente a sedersi dinanzi all'obbietl
raccomandandogli di pensare, con tutta l'energia
della volontà, allo spirito del morto o dell'assente.
Passato un certo tempo, il fotografo esclamava:
«L'apparizione si forma, si disegna!... Vedo tlut
tuare sulla vostra testa un fantasma!...» e allora
scopriva l'obbiettivo, e rimandava poi il cliente, i h
qualche settimana dopo riceveva il proprio ritratl
sul quale si disegnava una figura biancastra e
nebulosa, dove, con l'aiuto della fede, egli ricono
sceva la persona cara. Il ciarlatano aveva s elto,
in mezzo alle sue vecchie negative, il tipo che,
dalle informazioni riferitegli dalla moglie e da
quelle prese da lui stesso nell'intervallo, gli sem-
brava più rispondente alla persona in questi n
e ne fabbricava un ambiguo fantasma ohe sovrap-
poneva alla n gativa 'lei credulo cliente; ma il
giuoco in scoperto e il fabbricanti- di spiriti do
vette un bm . no far fagotto e sparire.
La trasparenza spettrale si ottiene, in fotografia,
con un mezzo semplicissimo: la doppia posa. Mei
tete un personaggio qualunque sopra uno sfo
purchessia: fate una rapidissima posai- p
rate l'obbii fisa nessuno dinanzi, e fate una
i dello -tondo. Troverete, sviluppando
la negativa, un corpo trasparente, attraverso al ..
e li ' irà in tutti i suoi particolari.
(Dalli- Lectures pour imis).
Le atrocità americane
,«■ pubblica un articolo ""
indignazione in tutto il mi
da un suffragio di
iì -, li ve la vita umana e sacra.
- tratta di I
ihite dai nord-americani nelle Filippine e
steranno un brivido d'orrore in tutto il mondo,
scusa invocata in difesa 'li tali atro
lifend rsi dalla
ms,.rti.
In questo episodio spaventoso delle guerre o
niali, [ " :' -' :' ' "
nùnenti coprir.- colla congiura di ■■■ infami
liflBcile lavar..- la band era de-
gli siati Uniti del sangue che sgocciola, perch
,,.. |, . llettiva e ricade col suo peso su
tutto un p I- li ni. l'i.. non insorge <
se in nome suo. E gli
['hanno i che hanno messo in o-
peia ogni mezzo per attemiare la gravità dei Fatti
e la stampa i da parte sua li ha ■
mento un triste e pa epi-
sodi, n ha troppa importanza nell'immane
guerra ili sterminili. Ma né 1 im-
ata dai tribunali ai
colpevoli, né le circostanze attenuanti invocate dai
cati \ irranno a tarli dimenticare.
Archi .li trioni., sono stati elevati ai vincitori
.Idi.- campagne, se ne è celebrata la gloria
erto trionfale nessuna voce ha parlato
delle vitti ne. mentre l'entusia-
riva la sfilata dei reggimenti reduci dalla
guerra.
\1 , r.i i t( Stimoni hanno parlato e ciò I '•>
dicono sorpassa l'immaginazione umana. E l'indi-
■ che gli spinti più
i un l 'amegie, invocava pei rei la fu-
sione. Lo sterminio degli indiani di 1 n Wesl
5p - entoso 'li quello operato da
ro contro i Monte/urna
non -ara men.. infame nella stona .lello
stero P Hi Rosse. Essi prova i h
scinte fra l'odo
... il diritto e l'un '■' Pa
i. le vuote di senso. In virtù di questa teoria il sol
ti non solo ali
lippine, ma anche in Africa, al Congi . al '
I e in Cina, uccide e ti rtui
eia i ae un raffinati
.li vite, colla serena 'li non lar nulla
d'illecito, nelle condizioni anormali 'li una guerra
Inarata.
teoria \
velli ; pei convincersene basta leggere qu
n-i che riportiamo.
lei iooi un giornale degli S1
niti pu tera <1 un sergente volonta-
[le E ilippine. 1 diceva:
.irnati a I '• giorno l
trovammo una p pi laz one tranquilla, ma ci
-nnio.li camminare su un vulcano. Conduci
Uora il capo della tribù, il prete e un
sulla piazza del pa-se per sottometterli a un in-
oli capo voleva evitare .li rispondere: allora ti»
alla punizioni |ua-
Fu gettato a terra, api sul dorso
vicino ad un pozzo. Allora gli versami»
lacnia in I" cca tenendogli a forza sp
u.-i. mentre un., di noi gli premeva lo
mpedirgli .li soccombere ali operazione. '
sto trattamento gli ha ftnalm - lato la lingua
e il vecchio riba
tNu ..unente interrogato per avere intorma.
ni più si dovette amministrargli una se
da dose d'acqua, prima .li sciogliergli la lnv
qua a] hiamo gel sale per aumeniar-
- ne l'effetto».
Un era scritta da un altro sol, lato .-.in-
ferma i particolari spaventosi di questo nuovo si-
stema .'.i supplizi' ! testuale:
«Io faceva parte di una pattuglia in perlustra-
zione: chiunque cadeva nelle nostre mani sulle
colline era an come un cane o coni- un
poro senza riguardo all'età, ma debbo aggiui f
ptio , he in n ebbimo i casione di fucilare fan-
ciulli perchè non ne abbiamo trovati».
qU( tanto cinismo .'■ spa-
sa. La lettera continua poi :
tNoi avevamo ordine .li strappare ai pi -
i segreti di guerra col mezzo dell'acqua: l'applica-
tone era ; il prigioniero era gettato a ter-
ra, eli si affom lava nelle fauci un imbuto e gli si
ingurgitava l'acqua fino a che il corpo gonfiai
spaventosamente minacciasse scoppiare. Finita I
nte eia rotolato e schiacciai
fargli emettere l'acqua e se allora non parl.n i
i si rinnovava il supplì' e poi si fucilava.
abbandonandone il cadavere ai cani.
i na notte, sotto \m bel chiaro .li luna, noi
schierammo sette vecchi dinanzi alle canne di
stri fui ili : ;1 e. mandante gridò il fuoco e tutti
ili».
Le li tinuano • spave»
tose. Un'altra dii . .
»Una volta, per sbrigarci, presi sei filippini
tuffammo interame !"•' tenendoli
he le b. Ile che nu alla superficie m.>
stravam i he non ne p no **"
lora un er non farli nu rire. poi si tuffa-
lo ili nuovo: i filippini sotto l'acqua si dil
VanO soave; "...
Dalla Ri ancienne Rcvhc des Revu
1 ■ ■ 1
La
tratta
dei
Negri
Tutte le società antiche erano fondate sull'isti-
tuzione della schiavitù. In Grecia i cittadini liberi
erano come perduti in mezzo alla moltitudine degli
schiavi. Atene aveva 20 mila cittadini sopra 400
mila servi. A Roma, ai tempi dell'Impero, qual-
che patrizio arrivò a possedere, nelle sue terre ili
provincia, da 4 a 5 mila schiavi. E la condizione
di costoro era la più sciagurata: il minimo sbaglio
si puniva con la frusta, col bastone, con l'erga-.'
rivalità fra i re indigeni, suscitavano guerre e com-
peravano al vincitore i prigionieri, pagandoli con
stoffe dai colori crudi, con vecchi abiti gallonati,
con ombrelli variegati, con vecchi moschetti, con
polvere da sparo, con liquori adulterati. Una volta,
acquistati, gli schiavi — ['ebano — erano caricati
come merce sulle navi, generalmente piccoli bnks
e golette, dove erano ammassati in modo da poter
appena respirare: impossibile coricarsi altrimenti.
Convoglio di schiavi nella regione del Crad.
lo; un'infrazione grave procurava il supplizio del-
la croce.
Col trionfo del Cristianesimo, la condizii ne de
gli schiavi si modificò a poco a poco e l'istituzione
si avviò al tramonto ; ma ad un tratto essa riap-
pare nel mondo moderno. Scoperta l'America, per
estrarre l'oro dalle miniere e poi per coltivare il
cotone e il caffè, divenuti generi d'universale con-
sumo, vi fu bisogno d'uomini capaci di resistere
a un lavoro esauriente sotto il cielo infocato dei
Tropici. Si pensò ai negri d'Africa, e al principio
del XVI secolo 4000 di essi furono sbarcati nel
Nuovo Mondo. La tratta fu organizzata regolar-
mente, e presto divenne un'istituzione uffV
tata da tutte le nazioni marittime europee.
I capitani negrieri si dirigevano con le loro navi
al Senegal e nella Guinea; dove, profittando delle
che di fianco, impossibile alzarsi in piedi. Navi ap-
pena capaci di 25 persone ne trasportavano 300.
La mortalità era quindi spaventevoli. ,. un capi-
tano stimava d'aver fatto un buon viaggio quando
sopra 600 negri, gliene morivano soltanto 200. E
nonostante queste perdite, gli utili erano ancora
ragguardevoli: in Africa uno schiavo si compera-
va da 75 a 300 franchi e si rivendeva in America
da 800 a 2000. Nel secolo XVII] i prezzi crel>-
ber : uno schiavo valeva ordinariamente da 2500
a 2800 franchi. Sopra un carico di 450 negri vi
furono armatori che guadagnarono 675 mila fran-
chi. Si calcola che 40 milioni di schiavi fossero
introdotti in America.
fissi dovevano lavorare 15 ore al giorno d'estate,
e 14 in inverno. Ricevevano in cambio una cami-
cia e un paio di calzoni ogni anno, e una pinta di
732
DALLE RIVISTE
i m gti ii- 51 M'ita
in capanne d irmivani i sulla
■ . ni
I Ultto il gì' IMI". I
prescriver ribili i
i : il taglii dell i in i hit i e della lin-
di ferro con un peso di parecchi
chilogrammi, punire la fu-
morte sotto il b
Questi orrori commossero L'Europa, 11 movimen-
to umanitario, cominciato alla fine del XVI l
cole, produsse la soppressione della tratta nel i8jo
i tardi l'abolizione della schiavitù nelle colonie
' i I io impì nel 18.18.
nn libro, la Ca-fianna t
Tom. commosse talmente gli animi contro le cru
deità dei di schiai i e dei piantatori, 1 he
>i può dii stati causa 1 Iella guerra 'li Se
nel i8(>r. fra gli stati del V
partigiani dell'abolizione della schiavitù, e quelli
del Sud, favorevoli al suo mantenimento; gu
che lini col trionfo dei primi. Mentre scoppiava
questo conflitto, 1" Zar aboliva il servaggio in Rus-
sia. I servi, nell'impero moscovita, sommavano a
45 milioni, ni crann contadini attaccati alla gleba,
evo. La loro condizione era però
migliore ili quella degli schiavi ; perchè, una volta
in ' i. Nondimeno, il com-
! a in tutta l'Africa
oni del Niger e del-
rchad, nel Congo, intorno ai grandi laghi equa-
ili, nella costa dei Somali e plesso lo Zanzibar.
le organi z; Vrabi si gettano nei territori
pola più densa, si 1 prendi ino di
notte 1 v I uccidono i vecchi, gli infermi e
tutti coloro che oppongono resistei!/ nano
gli adulti, le donne e 1 fanciulli, lamio loro attra-
versare il deserti di fuoco bastonandoli e ucciden-
doli se cadono estenuati dai arrivano
ai luoghi dei mercati: a l'gigi. nell'Africa equato-
ria , a Ruka nel Bornu, presso il lago Tehad;
0 ni qualche altra città del Baghirmi o del Wadai
nel Sudan orientale. I.a minima parte della caro-
lili.' arriva al destino; alcuni missionarii hanno
e. ili -Ilio -li- d'un convoglio di 1 ;, mila prigionieri,
io mila restano per via ; i superstiti sono ancora
- lalle malattie : i loro cai ei a Kuka,
usano a imputridire all'aria: a L'gigi sono am-
massati in un carnaio dove le iene si •'..nino conve-
gno. I sopravviventi sono venduti: un giovanotto
vale da 100 a 200 tranelli, un vecchio 20. un fan-
ciullo 5 soltanto!
\e l'Africa barbara è la sola dove questo orrore
duri. Tutta la costa africana del Mediterraneo, da
MERI .1- l'i si BIAVI IR» e. 1.1 ANTROI'OI-AC.I DELLA COSTA D'AVORIO.
ite le diverse imposi.-, essi potevano vivere li-
beramente nelle loro capanne.
\l proprio fini liavitùf Nel 18S0, la
;na si de- ce i suoi .100 mila
\ 1 1 ubani : nel 1888 il Brasile l
'l'angeti ad Alessandria, fatta eccezione pei qual-
che breve tratto, formicola di schiavi. Si calcola
che nel Marocco ne entrino 100 mila l'anno. A
Tanj "" gridandone pubbli-
1! prezzo. Nel trasporto, per eludere la t .-
7-;l
LA LETTURA
li chiudono in sacchi appesi
im nielli,
Milo, intorno a Kartum, 1 piena di
telli d'un; . nia 'li na\ iga:
i \ ani ■ ultimamente carne umana a
l igiura, nella rrìpolitania. Pei il buon Turco, te-
\ _ infedele e i i una
•,!»-, Nel Madagasi ar, prima della
ese, la i ia I lova, malese, consi-
inferiore il Lakalava negro e 1<> ri-
duo chiavitù. Altrettanto fanno gli Al -
i , illas Nella america del Sud, an-
questa piaga non i scomparsa. Gli Indiani
belli< urano schiavi nelle Cordigliere e li
itori brasiliani. In Asia, nel Ne-
,i nord dell'India, se ne contano 40 mila.
Tutta la penisola indo-cinese è in preda alla schia
vitù, con questa differenza: che il nome di schiavi
si 51 tu to con quello di coolies. Sotto colore di
emigrazione per importare dei lavoratori
nelle colonie dove manca la mano d'opera, Compa-
■ private d'ogni nazionalità reclutano dei poveri
; Cina e dell'Indocina, atti-
seducenti proposizioni. Trafficanti in-
rvono da intermediari. Inutile dire che,
una volta i coolies imbarcati e portati in alto mare,
quegli infelici sono ridotti cattamente alla condi-
te che era quella dei negri al tempo della tratta
ufficiale. Compagnie inglesi che si occupano di
traffico prendono nei porti della Cina ca-
• he non 1 ostano loro nte;
li pagano due dollari l'uno al cinese che li ha in-
[iati, e li rivendono nelle colonie pei una som
250 a aoo franchi. L'armatore,
tte le spese di trasporto, realizza un bel gua
dagno; e il colono non dà al coolie nessun sala-
rio: ilio.
l'i 1 gli ultimi vestigi della schia-
vitù, in 1 si soi stituite
Il cardinali- 1
in Africa, nel i8gi. i Frati Armati del Sahara,
un ordine militare relig doveva fai
vizio di polizia nel *\'-~ le bande
itanti la tratta: ma questa istituzioni- so
parve con la morte del Primate d'Africa. Nel 1890
si tenne a Bruxelles un Congresso dove furono eia-
<i. mi' per impedire il commercio degli
schiavi. Dieci anni dopo, nel 1900. un secondo se
ni- tenuto a Parigi, sotto la presidenza del cardi-
nale Perraud.
I. 'opera degli ar iti ha trovato prezii
ausiliari: i missionari. "Sappiamo utilizzare —
dice la rivista il loro concorso per l'onore del-
l'umanità. Sarebbe w\ dovere per i governi di sor-
iare strettamente le Compagnie di trasporto che
s'incaricano d'importare nelle colonie lavoratori
gialli o neri, affini'' non siano più ingan-
nati da trafficanti mascherati. Queste misure, spe-
riami rebbero l'ultimo colpo alla schiavitù,
vergogna della nostra epoca di civiltà».
UN PRIGIONI! Ko DI GÌ ERRA IN INA TRIBÙ D' ANTROPOFAGO
NELLA REGIONI DEL CRAD.
Già si parlò, in queste colonne, della Posta in
tutti i tempi : l'argomento non fu esaurito, ed è
di quelli che servono meglio a dimostrare il pro-
gresso compito dal genere umano.
In Francia, da Parigi a Marsiglia, una lettera
impiega 12 ore; impiegava 8 giorni un secolo ad-
dietro; un mese tre secoli fa; nel medio evo bi-
sognava contentarsi di affidarla al primo venuto,
a un mercante, a un monaco, e arrivava... quando
arrivava ! La posta regia fu organizzata sotto Lui-
XI, ma era riservata al servizio del re. Le im-
prese postali private non offrivano nessuna garai)
zia. Soltanto sotto Luigi XIV la posta regia e le
private si fusero e formarono qualche cosa di si-
mile alla Posta odierna, con partenze regolari e
tasse fisse: i corrieri non pagavano pedaggi e le
1653. tentò di fondare la Piccola T'osta di città, a
un soldo. Sei cassette furono collocate in diversi
punii della città; ma i Parigini accolsero l'istitu-
zione gettando ogni sorta di sudiciumi nelle cas
sette; lo scherzo preferito fu quello di introdurvi
dei topi vivi che rosicchiassero le lettere.
Fallito questo primo tentativo, l'idea fu ripre-
sa un secolo dopo dal signor di Chamousset, il
quale organizzò una nuova Piccola Posta, s n
cassette, ma con 117 fattorini i quali ritiravano
direttamente dai cittadini le lettere e. perchè la
gente fosse avvertila del loro passaggio, facevano
risuonare continuamente una sperir di stridulo stru-
mento di legno. Lo Chamousset arrivò a guadagna-
re così 50 mila franchi l'anno. Allora lo Stato ri-
scattò la Pìccola Posta, pagando allo Chamousset
una rendita vitalizia di
Le curiosità della posta. — Oggetti senza indirizzo sufficiente.
porte della città dovevano essere dischiuse per essi
a qualunque ora. La signora di Sevigné, scrivendo
«lai castello dei Rochers, presso Vitfé, alla figlia
che stava a Parigi, vedendo la regolarità del servi-
zio, esclamava: «Che bella invenzione, la Po-
' » e poiché quei 350 chilometri di distanza era-
no percorsi in 9 giorni, soggiungeva, in tono am-
mirativo: «Nove giorni! E' tutto ciò che si può
desiderare!» Il ritiro della lettera costava tre soldi
di quel tempo, corrispondenti a 6 degli attuali :
e non era molto. E' vero che il prezzo cresceva col
iv delle distanze.
Mi lire Parigi comunicava con tutto il resto del-
la Francia e con l'estero, non poteva ancora co-
municare con se stessa. Il signor di Velayer, nel
20 mila lire.
Xel 1777 la Posta
francese era appaltata
a un imprenditore al
prezzo di 8 milioni e 800
mila franchi.
Dopo la rivoluzione,
siilo U Direttorio, l'ap-
paltatore dovette (Ine
dere la rescissione del
contratto, tanto il servi-
zio era difficile, tanto le
strade erano piene di
malandrini che svaligia-
vano le carrozze pi
Il Primo l Console rimise
l'ordine e istituì la Di-
rezione generale delle Po-
ste. La velocità fu noti
volmente accresciuta ; un
postiglione fu espressa-
mente ini ai ti ati • di far
galoppare i cavalli. Il
corriere ] insta le tra la
Francia e la Spagna, eli-
be, oltre il postiglione, un ragazzo montato sopra
un cavallo volante, per stimolare incessantemente
quelli che tiravano la carrozza: lo chiamarono il
«Condannati a morte», perche andava da [run a
Madrid senza scender di sella.
\ |ii -I tempo la tassa era ancora proporzionale .
nel!.' campagne si doveva pagare di più il «dei
rurali ». Nel 1848 fu adottata la tassa unii a. pa-
gabile al fattorino. Siccome ciò eia causa di com-
plicazioni e di ritardi, si p 1 nere all'af-
fralì. . 1 il ibligati iria m ; : Ili ;
si dovettero vincere grandi difficoltà perchè il pub-
I liei • li .ci .1 1 ass'e. Il ( ',. \ i-mi 1 dovetti iiarsi
a riprendere i francobolli da 0 dopo
verli ■ 'i m 1 \ uso ; di ivette e
inti ad accettarli i • i moneta ;
sognò
.il premio: per l'affrancazione anticipata
te francobollo la spesa fu ridotta, da 20
IO.
un capo all'altro del
.ini-
lline quante sono
lerai il lavi n
rapidità : tare
zioni, dui rinalr.
Ma .il1 ri sacchi arrivano, e lo s
unta febbre si la-
postali si iinpegna-
jiuramento, a rispettare il
re. La sottra
CVIII, era punita col
11 la galera ed ani be con la
\l
I nemico < lt-1 segreto postale fu lo stesso
- to Luigi XV funzionò in Fran-
cia il Gabinetto nero, dove si praticò
Boileau chiamò «arte di ram-
mollire la ceralacca dei suggelli», me-
diante il vapor d'acqua 0 una lama di
rino riscaldata: per i \*?./\ grossi
di cui si aprivano le lettere, si possede-
■•uggelli falsi. Napoleone ebbe
Icio segreto le cui spese salir* >-
000 mila franchi. La Restaurazio-
ne lo mantenne. Il domani drlla Rivo-
luzione del 1848, Stefani Arago, nomi-
re delle Pi ste, visitò da ri-
fondo il palazzo
re e sopprimere il Gabinetto
ma non vi riuscì, perchè ne era
murato 1 usi - Così sotto il Se-
[mpei rin [uè deputati furono
rare dalle cantine alle soffitte,
i>er dimostrar loro che il famoso Gabi-
r.i un mito. M \ si dimeni ■
dire a '[negli che il servizio
al Ministero dell'Interno...
he i messaggi fossero interi
anticamente le lettore si chiudevano nel corpo d'una
'un uccello che un finto cacciatore porta-
va al destinatario. 11 mezzo più originale fu quello
da un certo [stieo, prigioniero alla corte
del ce radere la testa d'un suo
1 fere incidere la lettera, mediante il
del iranio. Poi aspettò che
■ sse, e ali ra spedì al suo corrispon-
farsi radere appe-
na arriv.it. : così l'amio ^gere il messaggio.
ite le guerre dell . i tronchi d'al-
. i buchi scavati dagli insetti furori
saggi. Quando ;
■ ittorini i cani da pastore, nel ci
I carcerati co-
di mollica di pane che si get-
DALLK RIVISTE
('■li errori, i difetti di indirizzo, nelle corrisp
deli. frequenti, ohe in un
la 1'' sta inglese non | .-7
mila lettere, idoo d.elle quali contenevano 94 mila
tranelli di vali
Le lettele nmi recapitate sono rimandate all'ufi
fido dei rifiuti, dove sono aperte per vedi 1
Le curiosità della posta. — Un ufficio postale nel 1760
mezzo di capire a chi vanno; se non si trova nes-
suna indicazione, si distruggono.
Un giorno fu trovata in Francia, dentro una
cassetta per le stampe, una tartaruga viva: il mit-
tente l'aveva gettata lì. senza imballarla in nessun
modo, contentandosi di appiccicarle sul dorso l'in-
dirizzo e i francobolli occorrenti. L'ufficio fu un
poco sul da fare; regolarmente, dovi
essere mandata ai riliuti ; ma lì bisognava darle
da mangiare tino al giorno della vendita. Cosi, per
sernp e, l'animaletto fu spedito senz al-
tro .'■ destinatario. Più audace fu quel depu
ingli rito alla Tosta un pianoforte. E
iwiò lo strimi
(Dalle Lei tur,
Nel cuore d'un temporale
Pochi certamente hanno avuto occasione di pas-
sare quarti dora terribili come quelli passati da]
leverendo J. M. Bacon, pastore anglicano, quando,
trovandosi in pallone, fu cólto proprio nel cuore
di un furiosissimo temporale. Pare
cadde a qualche pallone d ss re preso in m
ad un tempi rale; ma quasi sempre gli aereonauti
poterono, con abile manovra, togliersi d'impai
elevandosi a traverso le nuvole al di sopra della
regione aerea dominata dalla luterà. Così, anni
or sono, il signor Green, a Francoforte sul Meno.
innalzatosi ad un'altezza di circa mille metri, si trovò
i un densi - li nuvole che lasciavano
• lere torrenti ili pioggia, con grande accomp;
mento di tuoni e di lampi. Il pallone, per altro.
potè senza inconvenienti salire ancora, traversare le
nuvole, e raggiungere il cielo sereno, ove un \
propizio lo allontanò dal temporale, che continua-
va ad imperversare sulla città.
In linea generale, deve essere abbastanza fa-
cile ajl un aereonauta elevarsi al di sopra della re-
gione tempestosa e portarsi in un'atmosfera tran-
quilla ; ma nel caso speciale del reverendo Ba<-< n.
questa manovra non fu possibile: il pallone, preso
in mezzo da uno dei più violenti temporali che si
possano immaginare, vi rimase per un tempo ab-
mza lungo, a raccogliere osservazioni prezii
ma pericolose.
tome succede spesso in montagna, il cielo, pri-
ma del temporale, era chiaro, ma era stato ante-
cedentemente traversato da dense nubi. Quella anzi
era stata una giornata di temporali, che però, verso le
cinque pomeridiane, si erano dissipati. Si era nel
mese di luglio, epoca in cui avviene spesso che
violente intemperie cessino verso sera, magari per
riprendere durante la notte. Il reverendo, visto che
il cielo si era rischiarato, aveva creduto di potere.
lue compagni, arrischiarsi nelle regioni aeree.
La limpidezza del cielo era tranquillante, e gli ae-
tuti, considerando che il pallone viaggiava col
vento, pensavano che anche se qualche nuvola nuo-
va fosse stata trasportata dal vento nella loro di-
rezione, sarebbe rimasta ad una certa distanza.
perchè avrebbe percorso la strada nella stessa di-
ne del pallone, trasportata dallo stesso vento.
Qui appunto stava Ferri
Quasi improvvisamente l'aereostato venne a tro-
varsi in mezzo a nuvole minacciose, formatesi for-
se repentinamente sul luogo stesso, e di cui era
difficile avvertire prima il formarsi, perchè la mas-
sa del pallone stesso toglieva la vista di mol
[arte del cielo, essendo il globo di seta assai am-
pio e la navicella molto vicina ad essa. L'aria in-
torno si fece densa rome per incanto, e in meno
li un minuti gli aereonauti fun i Iti da un \
lento assalto di grandine che colpiva gli uomini
La Lettura.
Tra i filmini.
La REGIONE DEL I KM!'".
DALLE RIVISTE
739
con violenza e strepitava contro la seta del palio
ne e contro i fianchi della navicella di vimini, e
poitava giù dall'alto — chi sa da quale altezza —
una corrente fredda cui il reverendo e i suoi com-
pagni non erano punto preparati.
E poi scoppiò il tuono. ■ Sinora — dice il reve-
rendo — non avevamo avuto alcun segno premo-
nitore dell'avvicinarsi del temporale: nemmeno il
solito brontolìo tanto frequente. Ma. a dire il vero,
il tuono, sebbene violento, non era la caratteristica
più terribile del gran fenomeno cui dovevamo as-
sistere — fatto, questo, già osservato nei temporali
di montagna: forse per la frequenza e per la vici-
nanza, non giungevano al nostro orecchio le riso-
nanze lontane. Poiché uno scoppio succedeva al-
l'altro con rapidità grandissima, quasi ininterrot-
tamente; parevano spari di artiglieria a tiro rapi-
do e furioso, come in certi finti combattimenti na-
vali. I lampi venivano da vari punti, ma sempre
al di sopra del nostro capo, come da batterie che
comandassero le nostre posizioni da qualche altu-
ra ; ed ogni lampo era immediatamente seguito da
uno scoppio di tuono, solenne come lo sparo di un
enorme cannone. Si vedevano di continuo strisele
improvvise di luce (perchè anche in vicinanza il
lampo non assumeva per l'occhio altra forma), che
per qualche tempo lasciavano la loro impressione
nella retina. E subito seguiva il tuono, e poi altri
tuoni, come cannonate sparate con polvere senza
fumo. Era una guerra terribile, selvaggia, e. nel-
la nostra situazione, terrorizzante. Perchè noi pen-
savamo che questa, dopo tutto, non era una finta
battaglia, ma che tutto il cielo attorno era un vero
terreno di combattimento, nel cui mezzo noi ci
trovavamo.
0 II senso di malessere fisico, che tutti forse pro-
vano durante un temporale quando vi è una forte
tensione atmosferica, era in noi maggiore del con-
sueto, ed accresciuto dall'idea di non potere trovar
riparo ne avere soccorso. Il pallone che ci sovra-
stava poteva essere un ottimo bersaglio ai ful-
mini e quanto a noi non avevamo nemmeno la ri-
sorsa, che hanno i soldati in battaglia, di gettarci
a terra sotto il fuoco. E per un pezzo non vi fu
modo di ritirarci. Avvenivamo bene di essere in
luogo pericolosissimo, sapevamo bene che in qua-
lunque altro punto della terra saremmo stati me-
glio che in quel posto, ove non era possibile tro-
vare riparo di sorta ; ma, volgendo lo sguardo in
basso, vedevamo che non si poteva prendere terra,
perchè sotto a noi si stendeva una foresta, su cui.
con quel vento, nessun aereonauta si sarebbe arri-
schiato a scendere. E così, per parecchi minuti —
minuti lunghi ed ansiosi davvero — stemmo a
guardare, senza far nulla, aspettando il buon mo-
mento, e chiacchierando, benché il cuore fosse po-
co allegro. Ma finalmente la buona occasione ven-
ne, l'occasione per l'azione pronta ed energica. La
foresta sottostante terminava, e c'era uno spazio
libero, chiuso da un argine e da una doppia siepe.
Noi eravamo portati dal vento in quella direzione.
Il temporale imperversava più selvaggiamente che
mai. Ma il tuono poteva strepitare: noi non ce ne
curavamo ; non ci curavamo dei fulmini che stri-
no intorno. Finalmente potevamo agire!
«Dieci minuti dopo, ci trovavamo a terra, cir
condati da un gruppo di contadini, che dai loro
campi avevano seguito le vicende del nostro pal-
lone, aspettandosi di vedérlo colpito dal fulmine
da un momento all'altro, che di mezzo a quella
pioggia che pareva di fuoco non sarebbe potuto
uscir sano».
(Da un articolo del rev. J. M. Bacon nel rearsoti 's Ma-
gazine).
Il pallone visto in terra.
Scuole ci i ladri
use, antro-
ia un art
curiosissimo sulla scuola pei ladri organizzata da
■ ■ in addietro a \a\
Non |ualche fioritura sporad
più o mem le, ma 'li tutto un
di delinquenza ■ i in allievi, mae-
tass scrizii me e 'li pri isci< iglimen-
nulla quindi vi mani a, neppui • ilisn
I ladri a Srapi li erano numerosissimi ed ambi-
ai punti mantenere la propria fama
.li di 'li fortuna su tutti i ladri che fi
ino le campagne, fondarono vere scuole di per-
i tirocinii i lungi oso e con
vero allenamento alle emozionanti battagli'
Per far pane di tale istiti l'individuo do-
veva non meno ili otto anni e di
re presentato al Masto (maestro) o dii
tlai genitori o da qualche persona di fiducia di
questi, i quali si obbligavano di versan al diretto-
re di detta scuola, ed in ogni primo ese, due
ni (L. 0,75), onorarii
ite non di k gna-
re ai suoi scolari il comune abbaco, ma il mezzo
. senza il sudore della front
pani i i ino.
Vppena il fanciullo entrava a i della
dei Saccolari imparava prima il gì
e poi il regolamento scolastico: ques steva
di 15 articoli e quello di una seri li di
nuovo conio colla s ne dialettale.
K' - si tri iva\ ano scritti sopra
una he a mo' di carta g edevasi
sa ad una delle p Ila classe.
Mediante continui esercizi di ripetizione, 'he i
fra iiche quelli di non forte
•ria riuscivano ad imparare ogni cosa nello
!Ìo di alcuni mesi si iltanti .
Un caliutore della scuola, che era pagato dal
upava della disciplina
\ li articoli.
indi i il 1 era sicuro che gli alunni
a lui afri' ano passare all'applicazione, ne
f rmato il Masto, il quale ordinava che
quelle creaturine venissero
■I cui dovevano dar prova di segretezza,
di avere l'indice ed il medio
di anil«i !>• mani di egual lunghezza.
La pro\ a della - onsisteva nel far in-
contrare il ragazzo da qualche componente la fa-
i di ladri d'alunno.
ri. di *\'-\\i strappare dei
■ ti all'aspirante ali 1 nolo. Se
inciullo si dlora l'iti
nonn- del
pi : se inveì 1 re negl'inganni, vi
ava: Papera.
Del risultato di tali sta si teneva in-
formato il Mesti', che. nel primo raso, si felicitava
col padre dell'alunni 1 astuto, per aver pra reata una
pian 1 ta a dare bui m fruti
■io. si strava dolente del cattivo risultato ed in-
duceva l'afflitti .1 tare imparare al figliuolo
a resistenza nella corsa veniva fat-
ta quasi sempre sulla spiaggia presso i Granii
in presenza del Masto, il ina!'- premiava con qual-
che ciambella gli abili e puniva con delle pi
1 niein ' svelti.
Per essere ammesso alla prova del
ssario che la lunghezza dell'indice fosse u{
le a quella del medio. Infatti se dette due dita a-
rvata la lunghezza che loro è propria,
afferrare gli oggetti ci
in fondo alle tasche?
Ecco perch l'avere questo dato antianatom
a '"-a più agognata da quei monelli; così essi
si si stiracchiavano idi indici, e quando queste
dita toccavano la lunghezza de1 medii, allora cer-
no di allungare sempre di più le une e le al' e.
Molte mamme prevedendo la vocazione dei
111 ili, si ira\ ano ad essi, ini 1 la quandi 1 si t!
'..ino ncll'' fasce, le ditina, a scopo di evitare nel-
l'avvenire perdita di te.Tix) ; e devesi a >ale d
ina/ione artificiale l'adagio locale: Di dita 'u>, .
\ii ladri, liberi ' ' mine
L'alunno licenzia' 1 mirabile votazione,
dal coi so preparatorio, passava alle scuole d'ap-
a; ic scuole che, in Napoli, fino dal 1;
ini 1 essere ibi istanza numeri
Ferdinando IV. di buona memoria, non ne i-
enza ed anzi, atterrito dalla moltipli-
p entosa dei ladi . si risse e pubi
bandi terriliili con relativi tratti di corda e
tura pei Borsaìuol ari. che da allora fu-
tudaci e più abili di prima.
\ ■ i" vista la connivente
svergognata tra i ladri e la polizia; fra la pi
itoi 1 esisti \ .1 anzi un ai 1 reto e ri-
sani iva - : a nella divisione
I rul'.ita.
Nel t86o Liborio Romano mescolava i ladri ai
1: al mattino, radunati nelli
si spartivano il bottino, compendio dei furti.
Ci 'ine la scuola di appi
va chiaramente dal seguente dot-uri
' \ 7. • i.obre 1821 :
iDopo non la' rio mi è riuscito snrpren-
1 Rti.t Fi oto delinq
HALLE RIVI- 1 I
Giordani) Raffaele interi' ad istruii-' nella scuola
di ladreria cinque ragazzi.
«La casa, dove s'imparava a rubare, è quella
abitata da Rosaria Galante detta la Ciancclla.
«Forzata la porta, non abbiamo veduto il Gioì
dano perchè s'era nascosto sotto il letto. La Cian-
tella e : ragazzi sono rimasti sbalorditi; due di
essi piangevano. La Rosaria poi è stata presa da
una vera crisi nervosa.
«Affidato il Giordano alle guardie, abbiamo per-
quisita la casa ed in una delle due stanze prospi-
cienti sulla vantila abbiamo notato che nel centro
del pavimento stava fabbricato un pezzo di pipi
forato superiormente ed in tal foro stava ti-
mi asta verticale camuffata a -puf azza avente pei
faccia ima maschera di cartapesta e portante sul
capo innestato un cerchio al quale erano sospesi
I campanelli.
«Dalle tasche di quel simulacro uscivano fazzo-
letti, catene di orologi e borsette.
«Il falegname, che è stato chiamato per scom-
porre quel meccanismo per essere da noi repertato,
dopo il sacrosanto giuramento, ha asserito che quel-
l'impianto era stato fatto da parecchi e non già da
soli tre giorni, come diceva la Galante.
«Allontanato il Giordano, i ragazzi ci hanno fat-
to vedere come funzionava quel meccanismo ed il
più piccolo di essi ci ha mostrato alcune lividure
causategli dalle scudisciate ricevute dal Giordani >.
Detto monello, quasi per vendicarsi del proprio
Mosto, ci ha detto pure che sotto il letto, dove
abbiamo scovato il Giordano, vi doveva essere la
tabella sulla quale stava scritto il regolamento -
lastico».
Ecco del resto un aneddoto autentico tolto dal
libro: Usi e costumi de: camorristi.
« E' comune credenza che tanti anni or sono nel
vi o S. Arcangelo a Bajano v'era una casa dove
ogni giorno s'adunavano una quantità di ragazzi.
ed un vecchio, che veniva chiamato ' o Masto, ni in
faceva altro che gridare: lieggi!... lieggi! Un gior-
no, una vecchierella de! vicinato, vedendo che uno
di quei ragazzi piangeva fuori la porta di quel
creduto istituto, gli si accostò e con bella maniera
fece comprendere a quel monelluccio che non stava
bene far gridare continuamente al maestro lii
,7 (leggi... leggi) e che era cattiva educazione
fare andare in collera chi cercava d'istruirlo.
« — Ma che istruzione e istruzione ! — disse tutti i
ir.collerito il fanciullo. — In questo luogo non s'im-
para a leggere ma a rubare: 'o Masto non dice
lieggi ma lieggi, cioè va leggiero a rubare. Tu. cara
siè Rosa (così chiamavasi la vecchierella), devi
sapere che in luogo degli attrezzi scolasti'! i
questa casa un simulacro di donna, la quale tiene
in testa dei campanelli che al più lieve movimento
sii' 'nano. L'abilità di noi ragazzi sta, secondo 'o
Masto. nello svestire quella donna di carta pesta
7H1
senza far sui nari i i impancili, e, sic te li ■
ci riesco, così sono bastonato di continuo)).
Questa è tradizione che circola per le bocche
di tutti e che a primo aspetto pare una favola;
ma se si tien calcolo del rapporto del commissario
di sezione Mercato e della seguente narrazione fai
ta al magistrato Gaet; Amalfi da un uomo «le-
gno di ogni rispetto, allora la cosa si mostra in
tutta la sua verità :
«Vicino alla casa mia abitava una famigliola
non in buona fama. Durante la notte si udivano,
spesso, grida strazianti ili bambini. Io non sapevo
rendermene ragione; ma una volta, per caso, com-
mettendo un atto poco discreto, giunsi a compren-
dere di che si trattasse.
«Il padre, ladro provato, abbigliava una specie
di fantoccio e con parecchi campanelli lo poneva
in mezzo alla stanza.
«Nelle varie tasche ilei fantoccio poneva dei
fazzoletti, e i suoi due figlioletti dovevano rubarli
con insolita sveltezza, senza far sonare i campanelli.
«Se vi riuscivano, toccava loro un bravo!
o Se no, che era il più spesso, pugni, tali i e cef-
fate.
« Di qui le grida ».
Le scuole erano varie e si distinguevano óltre
che da un gergo particolare, anche da un tatuaggio
che portavano sulla mano destra. Esistevano così
la eia orma (ciurma) del cuore, della croce, delle
crocelle, dell'anello, della chiave, della bandiera.
Oggi, invece, scomparso quasi tale tatuaggio uffi-
ciale, esistono ancora nomignoli di demarcazione
fra le varie scuole come grilli, serpi, volpi e ratti.
Infine ottenuto il diploma d'abilitazione, i la-
droni v: divisi nelle varie paranze e sot-
to la guida di un capo cominciavano a scorrazzare
per la città.
La refurtiva veniva poi [lassata al rigattiere e
il ricavo era diviso in quattro parti di cui una an-
dava al ladro, una al caporale e due alla ciurma.
Una rivelazione di un iniziato alla mala vita
dice in proposito:
«Il giovedì ■• ii sabato, il Masto ci riuniva die-
tro il teatro che trovasi nella Villa del Popoli
mentre esso fingeva leggere il giornale, ovvero mo-
strava stars 'i distratto, noi dovevamo levargli gli
oggetti eh-- teneva n che. Quando, dopo i ri-
petili! esercizi, si mostrava contento della nostra
destrezza, i diceva: Menateve a mare, cioè pò
rubar
Lo stessi i Me tare a' suoi di-
pendenti che chi ruba non deve fuggire mai in li-
nea retta, ma deve fare il serpe, cioè compiere de
gli zig-zag. essendi [ui [ mezzo più sicuro per
istancare l'insecutore.
Tale astuzia e posta in atto dagli abitanti delle
vicinanze del Nilo per isfuggire alla persecuzione
dei coccodrilli !
Città ec li fiorite in un giorno
Allorché, anni addietro, fu scoperto l'oro nel
Transvaal, da tutte le pini del mondo vi fu, ver-
so l'Afi australe, un'affluenza irresistibile e vio-
e come pei incanto sorse laggiù la ''ittà ili
Johannesburg.
Lo stes i • leno avvenne quando tu so
l'oro nel Klondyke, al confine tra l'Alaska e il
tdà. Ma, pei |uanto il sorgere di città nuove,
in '[nei luoghi, abbia avuto del miracoloso, non
a dare idea «Iella rapidità con cui sorsero
• • villaggi nel territorio di Oklahoma, che è
ito nel centro degli Stati Uniti. 'Tredici anni
proibito e fondarvi una colonia, fu espulso dalle
truppe del Governo e cacciato in prigione, essendo
considerato delitto stabilirsi colà. La faccenda in-
tanto sollevò molto rumore e gran numero di av-
venturieri corse ai confini della terra proibita, a-
spinando che, alla fine, il Governo centrale si ri-
solvesse a concedere il permesso di colonizzare
quella regione. Ai confini avvenivano frequenti
conflitti, perchè gli avventurieri minacciavano sem-
pre e spesso tentavano invasioni, ma. come Dio
volle, nel 1889, il Governo annunziò che il
ritorio sarebbe stato aperto, e il Parlamento pi
Alla stazione di Arkansas City.
or sono, in questo vasto Stato, che misura circa
40.000 miglia quadrate di superficie, non vi era
una Su una erta parte di esso passava
una linea ferroviaria ; ma lungo il percorso di que-
sta /era bensì qua ione, ma nessuna abi-
ta/ione. Ora, inveii. !^ Staio possiede molte città
prospere e fiorenti, la maggior parte delle quali
furono create in un giorno.
storia dello - Oklahoma è estrema-
1 bso appartenne prima
inda, che lo cedette alla Spagna, ma non
tardò a riaverlo; finalmente nel 1802 il territorio
isso degli Stati L'niti. che lo tennero
mento governativo su cui non era
• •sso stabilirsi senza permesso dello autorità.
Il colonnello Payni b entrare nel territorio
una legge che autorizzava e regolava la vendita
di terra pubbli a.
Appena si fu diffusa la notizia, da ogni parte
d'America corsero, ai conlini dell'Oklahoma,
di persone, che non aspettavano se non il peni
ufficiale por entrare nel territorio proibito. Il gior-
no stabilito era il 22 aprile, e il segnale doveva
essere un colpo di cannone, che sarebbe stato spa-
rato a mezzodì.
La scena sul confine, la notte prima della gran
nata, In indescrivibile. Nessuno dormi, nell'an-
ell'attesa. I boomers, come si chiamavano que-
gli avventurieri, stavano lungo il contine cantando
ed urlando di gioia, e si tenevano pronti alla spe
dizione. Si trattava di arrivar presto. Chi prima
arrivava, aveva la scelta del terreno; cosa ini-
DALLE RIVISTE
743
Pronti per la partenza.
portantissima. Si preparava una gran corsa. Chi
sarebbe andato in ferrovia, chi in vettura, chi a
cavallo. Il prezzo dei cavalli salì a cifre enormi.
Si calcola che le persone raccolte ai confini del-
l'Oklahoma fossero almeno 50.000. La stazione di
Sante Fé, presso Arkansas City, era addirittura
assediata.
Il giorno stabilito, l'eccitazione divenne intensis-
sima, e. all'avvicinarsi del mezzodì, era una vera
febbre. Coloro che avevano avuto la fortuna di
I» tere acquistare un cavallo, si disposero in fila,
tenuti all'ordine da 2000 soldati. La Compagnia
ferroviaria aveva pure preparato parecchi treni
per il trasporto delle persone e delle suppellettili.
Alle dodici precise il cannone sparò. Prima che
il suono si fosse spento, la gran corsa era comincia-
ta. Uomini a cavallo, persone in vettura, infelici
pedoni, tutti partecipavano a quella furia. I ca-
valieri sferzavano i loro animali e li facevano ga-
loppare freneticamente. Molte disgrazie occorsero,
r
*
% %
WÈìtaàiÈ
. «*
,*
m k mi è
* *
*'A**4
La partenza.
711
I A LETTURA
La registrazione dici diritti.
più di un boomer rimase morto sul : -mi-
ni adoperarono persino le p ntro i più for-
tunati, ma i' hi.
di coltivare. I primi arrivati si scelsero i p<-zzi mi-
gliori; gli altri dovettero contentarsi di quello
loro prima capitava. Quando uno arrivava mi un
rir <H
[L CI INVOGLIO.1
Giunti sui luogo aperto alla pubblica
lenza, i boomers si diedero ad una scelta affret-
tata del pezzo di terra che ciascuno si proponeva
lotto di terreno, scendeva da cavallo, piantava una
tenda o costruiva in fretta un ripari qualsia:
poi, col furile in n iva che il suo diritto
A TRAM RSO in PONTE.
DALLE RIVIS
745
di proprietà venisse registrato. Dietro la massa dei ora. dopo tredici anni, sono tra le più importanti
colonizzatori veniva un i sterminato che degli Stati L'niti.
portava le famiglie, i bagagli, i mobili, tutto quello La mattina seguente, già parecchie costruzioni
■ ■ ■-'- I
Una città dopo dieci giorni»
che i boomers, per avere i movimenti liberi nella
gran corsa, non avevano portato seco.
Registrati i diritti di proprietà, e composte il
più amichevolmente possibile le innumerevoli di-
spule, la colonia assunse rapidamente l'aspetto di
una città. Si fecero i piani delle strade e si pian-
tarono tende di tutte le dimensioni e di tutte le
sostanziose erano comparse, essendosi lavorato tut-
ta la notte.
L'affluenza dei colonizzatori continuò anche nei
giorni seguenti ; ma, i nuovi arrivati pagarono
caro il loro ritardo, perchè non poterono aver terra
se non ad un alto prezzo. In breve tempo si cal-
cola che arrivassero 100.000 colonizzatori. Avven-
I\ IN GIORNO DI FESTA Dolo DIECI GIORNI.
torme possibili ed immaginabili. S eressero bot-
teghe, ed in capo ad nuora 0 due, la città era in
piena vita. Basti dire che alle sei del pomeriggio,
ossia sei ore esattamente dopo lo sparo del colpo
di cannone, si era già creato nella città principale
un giornale insieme con una banca.
Le due città di Oklahoma e Guthrie sorsero
in pochissimo tempi > in quel pomeriggio memora-
bile, e rimasero le più importanti dello Stato, ed
11 doveva avvenire: i viveri cominciarono
a mancare e cominciò a mancare pure l'acqua. Fu
una crisi bri ve m 1 terribile, durante la quale molti
dovettero ritirarsi dalla lotta, vendendo i loro ter-
reni ad un prezzo irrisorio; ma poi tutto passò
e la p tornò in modo stabile.
(Dal Windsor Mogazine).
Le orme
cleg li
animali
■iilc. alcuni ne dell'emi
nente naturalista americano Seton Thompson, il
ali afferma che allorquando un cacciatore, ài >po
lunghe ricerche, trova finalmente le tracce dell'ani-
male inseguiti -.1 dell'uomo primitivo asse-
itrage si le' sta in lui: il sangue- gli si
più rapido nelle vene, le gambe sembrano acqui
le ali, tutta la persona vibra di feroce ardore.
E li eccitamento che invade il cacciatore di
• 1 leggere quella che l'autore chiama la più
antica Welle scritture. •— la rivelazione impi
nella neve o sul nudo' dia bestia Fuggente,
— si comunica al più pacifico ilei suoi ascoltatori
allorché egli racconta le impressioni provate a linci-
la vista.
Seguire le tracce di un cervo, per un vero appas-
i fra gli sports più affascinanti; ma
non tutti sanno comprenderne il linguaggio. Per
un novellino esse si o nfondbno facilmente con
quelle degli ovini e dei suini in genere. Chi dimo-
stra un colpo d'occhio sicuro, infallibile, è l'Indiano
del Nord-America: astuto quanto il cervo stesso,
aiutandosi col fiuto e col tatto, egli sa distinguere
non solo il tempo preciso cui rimontano le impron-
te, ma persino le dimensioni e le condizioni dell'a-
nimale aii appartengono.
Esaminandole con amore, si apprendono cose
assai curiose: per esempio, lo spazio interposto
fra una traccia e l'altra varia da 4 metri e mezzo ad
oltre 9, giustificando il detto che i cervi sono veri
ìli senz'ali, tanta è la loro velocità. Per raggiun-
gerli, il cacciatore, anziché inseguirli, deve procurare
di tagliar loro la strada. Ma l'astuzia dell'animale
eguaglia la sua abilità alla corsa; per confoni
chi lo insegue, ritorna più volte sui suoi p.
pie complicatissime svolte in modo da ingannare
sulla sua provenienza e lilialmente si nasconde in
qualche folto di dove il liuto e l'udito possano av-
vertirlo della presenza del nemico quando è ancora
lontano.
Man mano che si apprende il linguaggio delle
orme, aumenta l'interesse che esse destano. Ogni
animale ha le sue specialità e gli esperti imparano
a distinguere persino quelle dei rettili. Fra essi il
serpente a sonagli è facilmente riconoscibile per le
dimensioni maggiori della traccia e per la grande
sinuosità «Ielle curve
Più ancora degl' Indiani d'America, i negri del-
l'Australia e certe tribù selvagge dell'Africa meri-
no abilità mrrav igl'n >sr urlìi 1 sci ivare
in tal guisa la gr< aggina e nello scoprirne
gli artifici. Essendo fra tutte le razze umane le più
vicine ai bruti, sono, per compenso, piii capaci di
ogni altra di comprendere ed assimilarsi le fini
dell'istinto animalesco. Alcuni i
no però pral ica e he il
bianco, allenato dall'esercizio, può superale, gì
alla sua inteli iiin più sviluppata, il più a-
bile fra quesl 1 primitivi.
l'i esempio, un inglese, Giorgio Lacy, è riuscito
a distinguere le impronte di tutte le venticinque
varietà di antilopi che assieme cogli elefanti, coi ri-
ronti, coll'ippopotamo, colla zebra, colla giraffa,
popolano il Sud-Africa, Difficile sempre, la
diventa estremamente ardua nella stagione asciutta
od invernale, quando le impronte non sono visibili
se non in riva ai corsi d'acqua. Spesso poi, nella
stagione delle pioggie, l'abbondanza della vegeta-
zione costituisce un altro ostacolo, perchè in molti
posti le zampe degli animali non arrivano a |*>sare
sul terreno, ma li sfii rano soltanto, trattenute dalle
alte erbe.
Le orme di ammali della stessa specie ma di
sesso od età diversi differiscono talvolta fra loro
cosi da contunderle facilmente con altre più o meno
affini. In generale quelle delle femmine sono più
snelle e più delicate delle maschili.
I piedi posteriori di quasi tutti i carnivori la-
sciano trame più piccole, più lunghe, più appun-
tite di quelli anteriori e spesso pure i due piedi ap-
pariscono più scostati.
I grandi carnivori si distinguono più agevolili
te dei piccoli, sia che appartengano alla razza fe-
lina od alla canina. Quanto a certi animali vege-
tariani di modeste dimensioni, che invece di cammi-
nare [lassano con frequenza da un albero all'altro,
riesce (piasi impossibile riconoscerli alla semplice
impronl '.
Per 'i iniii.iaie dal maggiore mammifero, le or-
me anteriori dell'elefante sono quasi circolari e le
riori ovali ; quelle presentano il segno di (piat-
irò dita, queste di tre soltanto. Allorché l'animale
riposa, misurano in media ,^0 centimetri di dia
tro. L'n altro prezioso indizio è fornito dai gu
che la proboscide produce fra i rami degli alberi.
Non dissimili ma assai più piccole e meno pro-
de sono le tracce del rinoceronte; nonostante la
sua pesantezza, sul terreno petroso che esso j redi-
lige. restano quasi invisibili; si distinguono poi
per la irregolarità con la quale trovansi distribuite.
L'ippopotamo è reso facilrm bile
dalla distanza delle impronte fra loro. Benché di
tanto più piccolo dell'elefante, le sue tracce lo fa-
rebbero credere di dimensii mi maggiori. I -
unente appuntiti.
Impressionanti oltremodo sono le orme di
drillo perchè somigliano a quelle d'una mano duo
mo coperta dal guanto. 1 piedi anteriori dell'ani-
male apparisi 1 1 lita. quelli posteriori
con quattro e tutti poi sono riuniti da una mem-
brana come le zampe delle oche.
Per altre rag mozionante la trac-
747
eia del leone: un grazioso circolo rappresentante
il piede con dinanzi quattro circoletti più piccoli
per le dita. Gli artigli in generale non appariscono
perchè ritirati nell'interno del tessuto. Quando si
vede inseguito, il re degli animali descrive talvi Ita
un circolo tornando sui suoi passi, poi, giunti > di
contro al nemico, prende la fuga.
Tale movimento è imitato dal leopardo che, al
pari della pantera, lascia tracce più piccole e più
allungate del leone. Del resto quelle dei felini più
o meno si somigliano tutte.
Seguono le orme della iena, riconoscibili al segno
degli artigli. A differenza di quelle consimili dello
sciacallo mostrano solo l'impronta di quattro dita.
La zebra non diversifica dal cavallo, il bufalo
ha impronte quasi eguali al bue ; quelle della gi-
raffa e dell'antilope si rassomigliano assai, benché
le prime sieno più grandi e meno appuntite.
Interessanti sono le tracce del formichiere per la
cura ch'esso mette nel cancellarle, quelle dello scim-
miotto per la nessuna rassomiglianza con le orme
umane, al contrario di quanto si crederebbe, e quelle
dell'orso perchè sembrerebbero appartenere ad un
uomo che camminasse con le sole calze. Fra le più
curiose sono le impronte del coniglio perchè la loro
disposizione spesso inganna l'inesperto facendogli
credere che l'animale cammini in direzione opposta
dalla vera. Osservate con intelligenza, tutte le orme
poi illuminano il cacciatore sulla velocità della be-
stia ed a così dire sul suo stato d'animo al momento
in cui correva.
(Da un articolo di M. Tyndall, nel Pearson's Magazine,
di giugno).
DALLE RIVISTE
Il re della, moda
e dell' eleganza
Il prezzo dei topi
Voi forse non avete desiderio di comperare un
topo. Probabilmente vorreste vendere quelli che
infestano la vostra casa, se fosse possibile. Ad
ogni modo, sappiate che i sorci possono arrivare
a prezzi elevatissimi. Vi sono dilettanti ed alleva-
tori di topi, e ogni anno, al Mouse Fancier's Club,
a Londra, si tiene un concorso di roditori. I pro-
prietari dei migliori campioni ricevono medaglie
ed anche premi in denaro.
Fra i migliori campioni, fin qui. il topo olan-
dese riportava la palma. Xel 1900 qualche esem-
plare di questa razza fu venduto sette sterline, equi-
valenti a 175 franchi.
L'ultimo concorso è stato particolarmente impor-
tante : più di quattrocentocinquanta varietà di
topi vi erano rappresentate. Il primo premio è sta-
to ottenuto da un topo dal pelo nero e rosso, che
è stato comperato per seicento lire dal signor Whi-
teson, di Manchester: un dilettante che non bada
a spese.
Da questi prezzi si vede che quello di voler met-
tere insieme una collezione press'a poco completa
delle razze topesche esistenti, sarebbe un gusto che
pochi si potrebbero cavare.
(Dalle Leclures modernes).
L'uomo più elegante in tutto il mondo, secondo
un giornale inglese, è o almeno era fino a poco
tempo fa il principe Albeito di Turn e Taxis.
Questo signore mette ogni giorno un abito nuovo,
e la lavorazione dei suoi abiti occupa dodici esperti
operai. Il costo totale dei suoi vestiti sale a 75 mila
franchi l'anno; e tutti questi indumenti sono pro-
fumati con l'essenza di rosa, un'oncia della quale
costa 125 franchi.
Il numero delle cravatte che il principe si av-
volge intorno al collo è di un migliaio ogni anno ;
ma, quanto alle scarpe, egli si contenta di cambiarne
solamente 200 paia.
Nelle sigarette spende 5 mila franchi, e 375 mila
nelle diverse occupazioni sportive, come la cac-
cia, il tiro a segno, la pesca, il golf, la luci
eletta, ecc.
Non si sa quanto spende in libri e giornali, ma
forse non gli resta né denaro ne tempo per pensare
al pascolo della mente.
(Dalle Lectures pour tous).
L'automobilismo
sottomarino
Attualmente i battelli sottomarini si muovono per
mezzo dell'elettricità, e per ciò appunto camminano
tanto poco, potendo immagazzinare soltanto pic-
cole quantità del fluido prezioso. Ora pare che la
loro sfera d'azione si possa estendere, sostituendosi
all'elettricità il petrolio.
Grazie a un nuovo processo chimico, i sottoma-
rini si possono -- assicurano -- procurare l'ossi-
geno necessario alla combustione del petro-
lio senza ricorrere all' aria ambiente la quale
manca sott'acqua ; e l'assorbimento dell'acido car-
bonico potrebbe farsi egualmente per via chimica.
In queste condizioni i motori a petrolio possono es-
sere impiegati nei battelli sottomarini, senza che
si corra il pericolo di esaurire o di viziare l'aria
necessaria alla respirazione dell'equipaggio. Pare
che gli ingegneri navali in Francia abbiano fatto
in proposito esperienze molto serie e conclu-
denti.
Se la notizia !■ vera, pensate quanto si estenderà
il campo delle guerre future: gli eserciti si preci-
piteranno e ' ranno per terra; i palloni
blindati ed armati si daranno la caccia nell'aria,
e sopra e sotto le acque le navi ordinarie e i bat-
telli sottomarini si sfonderanno a vicenda.
Cosi vuole il progresso della civiltà e lo svi-
luppo intellettuale e morale dell'uomo!
(Dalle Leclures modernes).
Una. fabbrica di aereostati
l -, in mi. alquanti > impn prio di « pi idere» che
il si rio, Caj I Myers, \ uole sia
Fai ! ; .iti il
.... in generale e gli Stati Uniti in partici
■, un pallone a perfi tta te-
nuta d'aria non può venire costi
tperta, i i per due ragioni. Anzi-
l.i ma riuscita dipende in gran |
itmosferiche le quali agiscono su di i
asse dello sviluppo del grano o d'altri
dusti 'Li., nuovi ri-
e perfi à esistenti, che il
Myers riuscì a fabbricare gli aerostati molto più
i infinitamente piti presto di tutti
i Mini riva .nin- così un vero monopolio pei
gli Siali Uniti.
Una dell grandi meraviglie dell'i i situato
a nove miglia dalla fitta ili Utica, urli.. Stato ili
Nuova V'rk. ;• una macchi] ta per voi
la quale ha già fatto le sue prove e gira, s'innalza.
Una macchina per volare in PROVA.
vegetali; poi uaa parte delle necessarie operazioni
presenterebbe pericolo di ri presenti ove
i entro un chiuso edificio o sol unente
nelle sue immediai nze: donde la necessità
di disporre d'un vasto tratto di campagna.
Infatti prima di tagliare e di cucire la' stoffa de
stina'. formare l'aereostato, occorre spalmarla
a più riprese di una specie di vernice afa a ren
derla impermeabile; e questa, che si compon
inzi- inulto diverse da tutte quelle a te
in ■- -.talli, in.- . deve venir i e
data ad un grado altissimo: tale che ove
posta alFintenso calore un si, in minuto più di
quan rettamente indispensabile, esploder
run enorme violenza, distruggendo ogni ostacolo.
i . I ntendole la graduale espan-
solo ovviare al gì
I e -un! andò per vari anni di seguito la sua in-
s'abbassa con estrema docilità. Non si tratta, pare,
d'una delle solite vanterie: la mai-china Myers,
dopo aver già percorso in tredici differenti
Stati dell'Unii ne parecchie migliaia di miglia, ot-
tenne teste vitti ria decisiva in una esposizione na-
zionale, compiendo una serie di complicatissime gi-
ravolte Ira la di stendardi, di aste, di fe-
i nami ntal sparsi nel pare i annessi alla
stra. Era montata dalla figlia diciassettenne del-
l'inveì
Si ir. il'a di un pallone lungo circa quindici metri
la cui forma, al dire dell'inventore, ricorda quella
di //;/ ago c/ii' iircii' inghiottito ut! uovo foco più
un'armatura d'alluminio
dalla quale pendono a lor volta l'apparati, pei
lare e la persona che lo la agire stando seduta su
una specie di bicicletta senza m uata inferior-
. munita, oltreché dei pedali, di
HALLI. RIVISTE
749
un manubrio mi bili nato a girare simultanea-
mente ad essi, raddoppiando la forza de]
mento.
Pel memento la macchina non solleva che una
snla persona, — un centi-
naio ili chilogrammi tutto
compreso; — ma ben pre-
sto il signor Myers si (im-
pone di costruirne una ca-
pace di trasportare venti
uomini per 800 miglia al-
meno. La maggiore altezza
sin qui raggiunta fu ili qua-
si 3700 metri e la velocità
media è di n miglia all'ora.
Un'altra stupefacente in-
venzione è rappresentata
dalla torpedine aerea riuni-
ta da un sottilissimo filo
metallico ad un quadro di
commutazione. Girando le
rse chiavette di questo,
il Myers fa avanzare il nuo-
vo arnese di guerra, lo fa
retrocedere, descrivere qua-
lunque curva, spargendo sul
supposto nemico proiettili o cartucce di dinamite,
rappresentati negli esperimenti da pezzetti di carta
Per fabbricare i palloni, la stoffa viene resa
impermeabile mediante da tredici a ventuna pas-
sate di vernice.
I>< pò l'inverniciatura la stoffa viene esposta ai-
Uniti, vi lendo e fosse possibile ottenere la
oioseia con mezzi artificiali, incaricò il Myers di
recarsi nel Texas durante la stagione più calda e
più asciutta per tentare qualche esperimento in
La preparazione della vernici:.
n ii senso. Egli fece salire a circa un miglio per-
I endicolare un grande aereostato pieno di ossigeno
e d'idrogeno e poi lo fece scoppiare col mezzo della
elettricità. L'esplosione cagionò il crollo di una vi-
cina casa ed uccise a centinaia i pesci di un fiumi-
cello sci urente, a breve distanza ; ma quantunque
Palloni impaci iti.
l'aria su corde ad asciugare; pi : si taglia, si cuce,
e le cuciture si verniciano un'ultima volta.
Troppo lungo sarebbe il descrivere tutti gli ap-
parati aerei inventati od eseguiti nello stabilimento.
1 dire che il ministero d'agricoltura di
da tre giorni il cielo fosse perfettamente sereno,'
pr-ohi minuti dopo lo scoppi» cadtìe un violento
acquazzone che durò tre quarti d'i ra.
Da un articolo di Chauncey M'G >vern . ne) Pearson's
Magazine, 'li giugno .
Cliirurtria. a. n i m ri 1 e s e a.
Non vt. probabilmente, all'infuori dei piccoli e
ni animali domestici, nessun altro animali- che
di tante simpatie e 'li tanta popolarità quanto
. Questa creatura colossale e tozza, e pure
fettamente innocua e docili ine
bile 'li diletto e ili curiosità per i bambini. Ma
tra tutti gli elefanti del mondo uno dei più ammi-
I.A CURA DELLE UNGHIE.
rati è certo quello che vive nel giardino zoologico
di Nuova York.
Big Tom, come lo chiamano, è stato sempre un
animale particolarmente socievole e divertente ,
gran favorito degli assidui frequentatori del giar-
dino. Tempo addietro, tuttavia, si osservò che es-
so aveva cambiato modi: era divenuto irrequieto
e petulante, tanto che il custode, per paura che non
facesse male a qualcuno, si era visto costretto a le-
garlo in luogo sicuro. Xello stesso tempo si era os-
servato che l'animale non camminava più come una
volta, ma incontrava, nel muovere i passi, una certa
difficoltà. Da principio non si fece molta attenzione
a questo dettaglio, ma alla fine, continuando l'in-
do, e non sapendo il sorvegliante trovare nes-
suna ragione che lo spiegasse, si sottopose lele-
t ante ad un accurata di; Ma nel suo organi-
smo non si trovò nulla che giustificasse il malumore
une e l'irrequietezza . pareva che esso godesse
una perfetta salute.
Alla line, per altro, il custode si accorse che le
unghie del pachiderma erano eccezionalmente gros-
se; e gli venne il sospetto che tutto il malessere del
povero Big Tom dipendesse da quell'inconveniente,
cosi piccolo in apparenza. Il custode pensò che se
era quella la causa delle pene dell'animale, le sue
sofferenze nel camminare dovessero essere terribili,
data la mole enorme che grava sulle zampe di una
creatura di quel genere, [n seguito a queste rifles-
sioni, il custode pensò di ridurre a proporzioni ra-
gionevoli le unghie di Big Tom, tagliandole e li-
mandole. Se Big Tom fosse stato libero nella sua
Gli sim menti i - \ 1 1 per i.i: i nghib d'un elei imi:.
Il TACI IO DELLE I solili-, i "S UNA BEGA.
jungla nativa, le asprezze del suolo avrebbero im-
pedito, naturalmente, il crescere eccessivo delle un-
ghie; ma nel giardino zoologico di Nuova "\ ork ,
bisognava ricorrete a mezzi artificiali.
I perazione, si capisce, non era punto semplice.
DALLE RIVISTE
75i
zo della svia proboscide. Non si credette comunque
opportuno di legare anche quest'organo di Big Tom,
e si vide, infatti, che non ve n'era bisogno.
Prima di tutto, fu usata la sega per portar via il
11 custode si convinse subito che il lavoro richiedeva
molta cautela e molta abilità, perchè il risultato
fosse soddisfacente. Bisognava anzitutto procurarsi
gli strumenti adatti : una sega, uno scalpello, un
coltello, una forte lima, e carta smerigliata.
Le gambe dell'elefante furono assicurate al
suolo per mezzo di catene che impedissero
ogni movimento ; del resto il corpo fu lascia-
to libero, perchè, essendo le unghie di una
durissima sostanza cornea, non v'era peri-
colo che l'elefante soffrisse dolore, a patt' i
che si procedesse con molta attenzione, pf-r
che la carne attorno alle unghie era molto
infiammata, e se si fosse irritata, la bestia a
vrebbe potuto esprimere la propria disap-
provazione in modo poco piacevole, per mez-
II pedicure
dell' e le fan te.
La zanna e la sega.
I .1
da principio alquanto intollerante,
pp titri
una fai ceni la noiosa, ma ni
5 i bene.
Messa d i pan Ipello,
si pi i dare ali
o della lima: pi .1 di non poco
nento, perchè le unghie del pachiderma ei
■modo 'li:i' gnava fai ne ili
Don limar,' anche h carne, nel qual caso la b
LA LETTI RA
no animali pi per i serragli, e
sii ci me sono .i-^.ii più rari di elefan
ili e sono infinitamente più re-
ri, vengono tenuti
molto da conto. L'ippopotamo su cui fu compiuta
l'operazione di cui parliamo, era un magnifico cam-
ilclla sua
. e il pro-
gran cura
e del
sui 1 benessi t . S
iva, " mi-
glio — poiché i
ani ora vivo — si
e. V
me, a dire il vero,
poco appi
Il TAGLIO DELLA PELLE.
erto dato al pedicure una buona lezione
li pi chirurgica. Per fortuna adde
in incidente. Terminato di limare, il custode
pletò l'opera propria con la carta smerigliata,
dopo 'li elle, la bestia fu lasciala libera. E
somma soddisfazione del bravo uomo, si vide che
tutto il cattivo umi re di Big Tom era scomparso,
anzi il bestione era più in vena del solito. Da
ogni olta si risi < itra in Big
Tom >.u\ poco 'li nervosismo,
non tagliargli le un-
,■'1 il 1 usti de ha eleva-
id assioma il principio che
■ aglio del I 1 e la ve-
la del inalimi^ ire di un
*
* *
1 ii'ahra interessante
hirurgica fu quella
cui venne 51 itti ip isti - 'ti
Il arena 'li un notissimi
viaggiante, innanzi ad
una I uriosi, un ippo
1 ■ mne di qui
n mo-
lili che esso non
■ il cibo sé non con mol
tu dolore 1. Gli
La z\n\i dell ip-
popotamo PRIMA
dell'operazione.
per quelle due
tonnellate ili ma-
teria animale. I a
sua estrema
cilità aveva suj
rito quel noni'
bt ha una ma-
gnifica dentatura: • denti in tutto, tra cui
due grosse /amie che sporgono fuori del labi
ma si ritorcono in dentro con una graziosa curva.
Qu ste zanne sono utilissime all'animale -
dogli a rompere gli alberi e i rami, ilelle cui foglie
poiché l'ippopotamo è un mammifero
-■.unente erbivoro. In condizioni normali le
zanne m SUI 1 ventina ili centimetri ili lun-
I.'amm mi \ ; o.
DALLE RIVISTE
7 53
Quando l'animale conduce vita selvaggia, il la-
voro cui le zanne sono sottoposte, per procacciare
cibo, basta ad impedire una cresciuta eccessiva ; ma
nei dolci ozi della vita della ménagerie, le zanne si
sviluppano oltremodo. Per questo, Babe deve ogni
tanto essere sottoposto ad un'operazione abbastan-
za complicata.
Quella volta, venne condotto nell arena, e po-
sto vicino ad un robusto palo di ferri >, fissato pro-
fondamente e saldamente al suolo ; gli vennero in-
catenate le gambe, e gli si fece aprire la bocca sot-
toponendogli ghiotti cibi. Come la bocca fu aperta.
quattro uomini che già stavano in posizione, pas-
sarono due catene tra le fauci, una sotto la ma-
scella superiore e l'altra sopra la mascella inferiore.
L'animale tentò di richiudere la bocca, ma le cate-
ne erano state passate tra due anelli e solidamente
assicurate, per modo che ogni tentativo riuscì va-
no. Dopo ciò, l'operatore potè accingersi al lavoro
comodamente. Con una forte lima, prese a raspare
le zanne della povera bestia, che a suo modo prote-
stava con un sordo brontolìo mentre grosse lacri-
me, come palle di cristallo, colavano dagli occhi.
Ogni tanto 1' agitazione dell' ippopotamo diveniva
tale, che l'operatore era costretto a sospendere il
supplizio, sin che l'animale non si fosse quietato ;
ed allora ricominciava da capo, limando energica-
mente, come se si fosse trattato di un pezzo di le-
gno. Forse Babe non provava una sofferenza vera,
ma una sensazione sgradevole che lo rendeva irre-
quieto. Finalmente, terminata la faccenda, si tol-
sero le catene dalle mascelle deil'ippopotamo. Da
principio, questo aveva un contegno poco promet-
tente, anzi sembrava molto disposto a vendicarsi
del suo operatore, ma dopo che per due o tre volte
ebbe provato a chiudere la bocca, accortosi che tut-
to il male che lo faceva soffrire era sparito, si mo-
trò molto soddisfatto, tanto che i custodi si risol-
sero a togliere anche le catene dai piedi.
Una delle nostre illustrazioni raffigura una ope-
razione che forse non ha confronto negli annali del-
la dermatologia dei pachidermi. L'elefante che si
vede disteso al suolo così incatenato deve subire
l'innesto di un bel pezzo di pelle nuova, per una
lacerazione che ha riportato in una spalla cadendo
nel discendere da un vagone della ferrovia. Si do-
vette prendere un pezzo di pelle da un piccolo ele-
fante figlio dell'animale malato, ed innestare que-
sto pezzo sulla parte lesa del genitore. La figura
rappresenta la prima fase dell'operazione, che riu-
scì felicemente. La pelle applicata aderì presto alla
carne, chiudendo perfettamente la ferita, e facen-
do passare la forte infiammazione che si era pro-
dotta in seguito alla disgrazia. L'innesto non fu
fatto tutto in una volta, ma a piccole porzioni, an-
che per riguardo all'elefante che sacrificava una
parte della propria pelle; ma insomma, in poco
tempo, la ferita del pachiderma caduto non si ve-
deva più.
(Da un articolo del sig. Frederick A. Talhot. nell' Harm-
sworth London Ma gazine).
Allorché Xansen visitò l'America nel 1897 e
parlò dei risultati scientifici del suo viaggio, egli
dimostrò come, provando l'esistenza di certe cor-
renti oceaniche ben definite, nella regione che cir-
conda il Polo, avesse fatto un gran passo per ren-
dere possibile una carta esatta della regione stessa.
L'autore dell'articolo, che aveva accompagnato la
spedizione della J eannette appunto in qualità di
cartografo, fu invitati) ad esprimere la sua opi-
nione sul reale valore delle esplorazioni compiute
dal Xansen. e rispose pubblicando un articolo as-
sai ponderato sulla catastrofe della f eannette, nel
quale stabiliva la correlazione del cammino pi 1
so da quest ultima con quello percorso dal Frani
quando entrambi furono trasportati alla deriva.
Le due navi infatti vennero prese fra i ghiacci in
punti relativamente vicini, così da non lasciar dub-
bio sulla continuità della corrente che li travolse.
Il Melville aveva fatto una rana circumpolare
nella quale figuravano tutte le correnti notate dagli
esploratori artici dal tempo di Barents e Willough-
by fino al momento in cui • partì da San
Francisco per la nota spedizione.
La Lettura.
Inoltre a bordo della f eannette eravi una ric-
chissima biblioteca di geografia artica ; e poiché
gli otto compagni di viaggio erano tutti intelligenti
e studiosi, nelle lunghe giornate d'ozio riuscirono
a mettere insieme una carta su cui centinaia di
frecce segnavano le correnti incontrate in circa tre-
cento anni di navigazione dai loro predecessori.
Il risultato ottenuto provava che un vascello ca-
pace di resistere alla pressione dei ghiacci sarebbe
infallantemente andato alla deriva nella stessa di-
rezione seguita dalla J cannette e dal Frani a quin-
dici anni di distanza. Sembra quindi che il sistema
più breve e più facile per raggiungere latitudini
altissime sia quello di penetrare nelle regioni ar-
tiche dal mare di Behring, di spingersi poscia a
est e di lasciarsi andare alla deriva coi campi
ni ghiaccio fino ad un punto dove fosse possibile
una rapida punta verso il Polo.
Ma prima di correre l'alea d'una spedizione co-
ssima e pericolosa, il Melville suggeriva di cer-
48
754
LA LETTURA
minare più i sanamente Le ai i ennate
ni polari, collocando sul campo 'li ghiaccio
speciali barilotti galleggianti Certo essi ver-
rebbero prima o p> trasportati dalla parte oppo-
sta ne inesplorata e probabilmente ver-
rebbero ti là da taluno dei più arditi bale-
nieri.
Questi insensibili corpi avanzati servirebbero a
mainare più esattamente le curve des ritte dalle
correnti polari, permettendo ili segnare una via si-
cura verso il Polo, grazie alla quale gli esploratori
potrebbero spingersi molto più al nord che non ab-
biano fatto sin qui. Anche collocando i barilotti in
località ed in stagioni differenti, essi indicherebbe
re il tempo più propizio ai tentativi.
Non è probabile che andassero direttamente al
Polo deposti sul ghiaccio a nord-ovest di
Behring, uscirebbero dalla parte dello Spitzberg.
Mi crede che durante certe stagioni a-
vi sia una forte tendenza verso settentrione,
non è difficile che una nave collocata in egual
modo in mezzo al campo di ghiaccio riuscisse a
spingersi ad 85" e torse anche più in là.
Certo l'esperimento presenterebbe maggiore pro-
babilità di riuscita ove fosse tentato con dei veri
vascelli. Ma questi dovrebbero tentare l'impresa in
gran numero e disporre di enormi somme, perchè
si potesse sperare in un risultato favorevole, men-
tre navi, personale e denaro sono relativamente
scarsi per tal genere di spedizioni.
Anche la collocazione degli accennati barili ap-
I nuderebbe, con la eventuale distruzione di alcuni
fra essi, i punti da evitarsi perchè maggiormente
pericolosi.
stono in doghe di robusta quercia, grosse quasi 4
centimetri e mezzo, riunite da cerchi di ferro alti
5 cm. e rivestiti d'uno spesso strato di pece e re-
sina. Le due estremità antisolate sono coperte da
leggere calotte di ferro galvanizzato. Il numero di
ogni barile è dipinto all'esterno ed inciso nel le-
gno, e ciascuno contiene internamente una bottiglia
di purissimo cristallo, rinchiusa in una scatola di
quercia. V'ha in essa un foglio di carta di linoleum
ove, con un inchiostro speciale, resistente alla/io-
ne dell'acqua marina, sono stampate in inglese, te-
desco, francese e norvegese istruzioni per chi ina a
il segnale. Questi deve notare il punto preciso
il momento del rinvenimento e consegnare il ba-
rile al console americano più vicino od alla S<«
geografica di Filadelfia.
Minuziose istruzioni furono date pure pel collo.
camento, che deve avvenire, per quanto è possibile,
lontano dall'orlo del campo gelato, sebbene ciò pie
senti difficoltà e pericoli assai più gravi.
Nel 1898 cinquanta di questi barili vennero col-
locati a bordo di parecchie baleniere e navi di do-
gana con l'incarico di abbandonarli sul ghi.i
nella seguente primavera. Una sola baleniera ne
mise a posto dieci fra il giugno ed il settembre
1899. Un'altra invece riportò indietro jn-r due anni
consecutivi quelli affidati alle sue cure, non essendo
riuscita a portarli in posto conveniente; fu solo
nel 1901 che potè deporne sei a 45 miglia al nord
del sito ove la ] cannette fu presa dai ghiacci.
Quest'anno si spera di poter collocare nuovi e
più numerosi barili, grazie all'emulazione sorta fra
i dm rsi balenieri.
Gli studiosi di oceanografia non tardarono ad
aderire a questa idea. Infatti, se l'incertezza e le
difficoltà costituiscono il più potente incentivo per
l'esploratore, avido di emozione e di gloria, lo scien-
ziato vede, invece, nello studio delle correnti e dei
venti polari, un ottimo mezzo, oltrecchè di diminui-
re i rischi dell'impresa, di risolvere i problemi me-
I gii 1 delle latitudini temperate.
TI valido appoggio ili H. G. Bryant, presidente
della Società geografica di Filadelfia, indusse ben
presto la Società stessa a garantire i fondi per la
razione ed il collocamento dei barilotti. I pro-
tri ed i comandanti della flotta baleniera pro-
misero volonterosamente il loro concorso; e final-
mente il Ministero del Tesoro ordinò alle barche
doganali, chiamate dalle loro funzioni nelle acque
artiche, di aiutare al trasporto dei barili sui campi
di ghiaccio.
Questa specie di gavitelli, disegnati al Ministero
della Marina americana ed eseguiti a San Frana
hanno la forma d'un fusi, un po' tozzo e consi-
II legname della Siberia, tratto alla deriva, fu
trovato sulle coste nord-est dell'isola di Benni
della Nuova Xemla, e su quelle orientali della
Terra di Francesco Giuseppe e dello Spitzberg.
L'esistenza in certe stagioni dell'anno di una I
corrente che muove a sud-est. fra la Nuova Z
la e la Terra di Francesco Giuseppe, nonché di
un'altra a mezzodì dello Spitzl>erg e dell'isola Bear,
sembra oramai fuori di questione; ed è in quei
paraggi che verranno probabilmente trovati p
dei barili indicatori. Non è difficile pero 1 h
facciano scoprire altre correnti e compariscano at-
torno alla baia di Haffin ed a Smith Sound.
La storia loro non sarà completa finche non si
sappia dove, come e quando gl'inanimati mi
geri verranno rinvenuti. Informazioni esatte sul
loro collocamento furono già comunicale in pia
parti delle regioni artiche; ed ora tanto in mare
quanto a terra molti occhi guardano ansiosi l'oriz-
zonte in attesa del risultato, l 'lussa che questi nuovi
galleggianti non riescano ad insegnare la strada
migliore, più breve, più sicura per arrivare al
l'olo.
(Da un articolo del contrammiraglio G. W. Melville nel
The dfunsej . di giugno.
Le torte e i pasticci, oltre il valore culinario e
nutritivo, hanno rappresentato, e rappresentano,
una parte simbolica o semplicemente decorativa.
L'antichità conobbe le focaccie sacre, confezionate
secondo formule immutabili e offerte agli dèi nei
sacrifizi. Quello che in Francia si chiama Gateau
des Rois, la torta della Befana, pare risalga a
tempi molto lontani, alle feste che si celebravano
in Roma in onore di Saturno. Se bisogna credere
alla leggenda, un duca di Savoia mise per il pri-
mo in moda, nel XIV secolo, l'uso dei pasticci gi-
ganteschi nelle cerimonie ufficiali. Questa consue-
tudine, adottata rapidamente in tutta Europa, du-
rò poco. La sola Inghilterra le è rimasta fedele.
In nessuna circostanza importante della vita pub-
blica e privata manca il pasticcio, sempre più
grande, talvolta colossale ed enorme ; ma partico-
larmente nei banchetti nuziali essi fanno la loro
apparizione. Trattandosi della famiglia reale, s'im-
bandiscono veri monumenti.
La maggior parte dei pasticci storici ammirati
durapte il lungo regno di Vittoria e quello imme-
diatamente precedente, furono opera della Casa
Bolland, di Chester. I Bolland. fornitori della
Corte, di padre in figlio, hanno sempre tante ri-
chieste, che tengono pronta una riserva di iooo chi-
logrammi di pasticceria. Contrariamente a quel che
si potrebbe supporre, i pasticci nuziali e di cerimo-
nia non sono fatti per esser mangiati freschi ; anzi
bisogna aspettare parecchi mesi prima che diventi-
no commestibili. La composizione della pasta è un
segreto che ogni confettiere serba gelosamente.
Nei forni, per la cottura, si accende legna du-
rante tre o quattro ore. Quando sono riscaldati a
punto, vi si introducono i pasticci dentro le ampie
forme, i cui coperchi sono ermeticamente chiusi
con una pasta di farina stemperata nell'acqua. La
durata della cottura si prolunga talvolta sino a
sette ore. Sfornato il pasticcio, gli si aggiunge una
seconda pasta a base di mandorle, la cui composi-
zione è molto importante, e poi si ricopre il tutto
con uno strato di zucchero. Dopo essere rimasto
un poco in una camera calda, il pasticcio è pronto
per il lavoro di ornamentazione.
Il pasticcio comparso nell'occasione del matri-
monio di Edoardo VII era alto cinque piedi, pie-
no di ornati complicatissimi e coronato da una
torre guarnita di foglie d'argento e di bottoni di
fior d arancio : in cima stava uno splendido mazzo
di penne di struzzo, arma araldica del principe di
Galles. Fra gli altri pasticci storici sono da citare
quello del giubileo della regina Vittoria e quelli
nuziali del duca d'Albany, del marchese di Lorne,
del principe Adolfo di Teck, di lord Rosebery. di
Erberto Gladstone, ecc.
Il pasticcio nuziale del duca di Fife era alto set-
te piedi, e pesava 150 libbre. Aveva la forma d'un
tempio greco e fra gli ornamenti di zucchero c'e-
ra anche una quantità di fiori veri. Quello com-
parso al matrimonio del principe di Teck con lady
Margherita Grosvernor, notevolissimo, aveva ■ una
base tutta fiorita di margherite, di rose bianche e
di mortelle. Al primo piano erano rappresentati,
con lo zucchero, i castelli patrimoniali della fami-
glia della sposa ; più in alto gli scudi di seta bian-
ca con le armi dei coniugi erano separati da fasci
di fiori e da cornucopie ; sull'orlo di ogni piano
si vedevano raffigurati dei personaggi e degli ani-
mali.
Al matrimonio dell'attuale principe di Galles
(allora duca di Connaught). celebrato nel 1893,
gli ornati del pasticcio rappresentavano emblemi
marinareschi, essendosi il principe dedicato alla
marina nella sua gioventù. Delfini e sirene gioca-
vano in mezzo alle allegorie dei tre Regni uniti.
L'industria dei grandi pasticcieri inglesi richiede
vasti locali e una complicata suppellettile: il mac-
chinario moderno è impotente contro le vecchie tra-
dizioni. Vi sono case la cui enorme produzione si
esporta nelle più lontane contrade: in India, nel
Canada, in Australia, in Cina, dovunque gli An-
glo-Sassoni fanno sventolare la loro bandiera.
Questi pasticci nuziali sono ignoti agli altri po-
poli, ne si sa quando ne cominciò l'uso in Inghil-
terra. Presso certe tribù di Zingari, i pasticci ser-
vono da lungo tempo ai messaggi d'amore. Le ra-
gazze da marito fanno conoscere i loro sentimenti,
al fortunato preferito, confezionando un pasticcio,
nel quale mettono una moneta, e mandandoglielo.
Ma in Inghilterra il pasticcio nuziale rappresenta
una parte nella stessa cerimonia nuziale, e oltre
a quello che figura nel pranzo, gli sposi ne ordina-
no molti altri, più piccoli, che mandano agli inti-
mi delle due famiglie, anche lontani. Col tempo,
il dolce si raffina. Accade anzi spesso, dicono, che
si eseguiscano, per un matrimonio, due pasticci
perfettamente eguali : uno si mangia al pranzo di
nozze, l' altro si serba per le nozze d' argento !
Dopo 25 anni, assicurano che il secondo pasticcio
non solamente non ha perduto nulla, ma è dive-
nuto più delicato.
Un vecchio uso, ora sempre più abbandonato,
consisteva nell'appendere intorno al pasticcio nu-
ziale tanti panierini quante erano le ragazze im-
piegate nella casa principesca. Uno dei panierini
conteneva un anello, un secondo una moneta, un
terzo un ditale. Durante la colazione, la sposa di-
stribuiva i panierini. La fanciulla a cui toccava l'a-
nello doveva maritarsi dentro l'anno ; la ricchezza
era promessa a quella che trovava la moneta, e fi-
nalmente "' possesso del ditale presagiva una vita
intima, tùt; piena delle cure domestiche.
'(Dalle Lectures Modernes).
Dalmazia
Delle molte migliaia 'li via Ile "gin anno
passano qualche settimana a Venezia e che magali
conoscono le città del Veneto come quelle del pro-
prio paese, pochissimi si recano a visitare il reni-
meraviglioso ohe appartenne un tempo a ve-
nezia e che si distende ad oriente dell'Adriatico. La
Dalmazia e piena di interesse per 1" storico, per
Piazza hei 5 /aka.
l'artista, per l'amante delle bellezze della natura e
per 1" studioso dj questioni politiche.
L'importanza delle città dalmate nella storia eu-
ropea i maggiore di quanti, si creda comunemente,
perche, sia come Comuni indipendenti, sia sotto il
Governo ungherese o veneziani!, esse costituir
un "slaccili formidabile alla invasione turca. Ouan-
do tutto l'interno era ca-
duti, sotto il conquistatore
musulmano e l'Ungheria
era una provincia turca e
\ una stessa era mie
ciata . quelle : ittà
della costa ressero ardita-
mente contro il turco e co-
stituirono una spina sul
fianco dell'impero dei Sul-
tani, concorrendo ad im-
pedirgli di conquistare l'I-
talia, come i barbari ar-
dentemente desideravano.
Oggi un giro in Dalma-
zia può farsi senza grande
spesa e senza grande disa-
gio. Vi sono buone strade
carrozzabili, due strade
ferrate nell'interno, e buo-
ni vapori che fanno servi-
zio tra Trieste e Fiume e
Cattare e toccano quasi
tutte le città.
Una «Ielle prime im-
pressioni che si provano
in Dalmazia è il senso di
contrasto fra la campagna
e le città. Le città potreb-
bero essere città itali,
frammenti di Venezia, per-
, he la metropoli ha lascia-
to sulle colonie una im-
pronta indelebile. I
stessa vita del caffé fami-
liare a quanl
l'Italia - la folla rac
entro il caffé o seduta
tomo ai tavolini in piazza
a sorbire qualche bevanda
,,,1 a leggere i giornali. S
parla italiani' con ao
veneziano; e tanti altri
dettagli richiamati" .dia
niente l'antica dominati
Neil,- campagne il
la scena cani luta*
meni.'. I.a costa e l
I,. i iosa, tormentata, di-
versissima dalla '
L'ALLE RIVISTE
7^7
liana. Ed anche gli abitanti della cam-
pagna sono diversi da quelli della città.
I primi, per l'origine, rappresentano una
diramazione del gran tronco slavo, e por-
tano i costumi più brillanti. La loro lin-
gua è la serbo-croata ; per la maggior
parte essi non parlano affatto italiano. Al
presente v'è anzi fiera lotta tra Slavi e
Latini in Dalmazia. Gli Slavi vanno gra-
datamente penetrando nelle città e bandi-
scono ovunque possono la lingua italiana.
Soltanto Zara è rimasta città perfetta-
mente italiana. Ovunque, altrove, gli Sla-
vi sono in maggioranza, Sebenico, Spala-
to, Traù, Ragusa non sono più conosciu-
te con i loro nomi storici, ma si sono
cambiate in Sibenik, Spi jet, Trogir, Du-
bruvnik. I nomi delle strade hanno su-
bito la stessa traduzione, e la piazza dei
Signori è divenuta la Gospodski Trg. Fa
pena vedere quelle oasi così interessanti
di civiltà latina assorbite gradualmente
dall'invasione degli Slavi. Col loro pas-
sato glorioso, sembravano destinate ad
un fato migliore.
Zara, capitale dell'intera provincia, è
la città più settentrionale e costituisce or-
dinariamente uno dei primi punti di fer-
mata. Ed è buon luogo per cominciare l'e-
scursione, perchè riassume tutte le qualità
più caratteristiche della Dalmazia. Edifi-
cata su un promontorio che si protende
verso nord-ovest in mezzo ad un mare
tempestato d'isolette, con Ugliano e Pa-
sman ad ovest e le montagne ad est, essa
si trova in una posizione incantevole. Ha
due porti : il vecchio, protetto da una
baia, e il nuovo, formato da due bei moli
di recente costruzione. Un tempo la città
era una piazza forte inespugnabile, e sussiste an-
cora parte degli antichi potentissimi bastioni. Una
porta sola comunica con la terraferma, la porta
detta appunto di Terraferma. E' un lavoro archi-
Convento di Santa Maria della Palude, presso Spalato.
« Sponza ►, Ragusa.
tettonico bello, ma semplice, del Sammicheli, con-
sistente in un ampio arco centrale sormontato dal
leone di San Marco, e in due passaggi laterali di
stile dorico. Ai due lati della città vi sono ampi
quais, ma le stra-
de nell' interno
sono strette, tanto
che non vi è pos-
sibile il traffico
dei veicoli a ruote.
Tra gli avanzi
architettonici , a
Zara, si vedono
campioni di tutti
gli stili che si tro-
vano in Dalmazia.
Due belle colonne
di stile corinzio
una in piazza del-
le Erbe ed una in
piazza San Simeo-
ne, ed alcuni fram-
menti di archi e di
tempi, sono lavori
758
LA I I
n,mam. I chiesa rotonda 'li S. Donato ne
ricorda una «Iella bizantina Ravenna. Questa chiesa
è uno degli editici più curiosi di Zara. Costruita
nel nono secolo da un certo vescovo Donato ad
imitazione della chiesa di San Vitale di Ravenna
teristico del trionfo dello spirito sull'orgoglio tem-
porale.
La facciata del Duomo, con le sue fde di piccoli
archi, ricorda le chiese di Pisa e di Lucca, e nella
sua semplicità fa un contrasto interessante con l'e-
e della cattedrale di Aix-la-Chapelle, ora è stata
convertita in un museo. Facendosi degli scavi sot-
terranei, si scoprì che non solo erano rimasti nelle
mura frammenti romani, ma che belle colonne ro-
mane erano state tagliate in sezioni e messe per il
lungo come fondamenta della chiesa cristiana, col
nule lavoro del primo Medio Evo. Esempio carat-
L"tm
Castello di Seuenico.
laborata ornamentazione della parte superiore. Al-
tre chiese notevoli sono San Crisogono e Santa
Maria.
Zara non può vantare gran ricchezza di quadri
in confronto alle città italiane, ma possiede opere
di vari artisti veneziani ed un quadro, che può
considerarsi come un vero capolavoro, del Carpac-
cio, nella chiesa di San Francesco. E' un'assunzio-
ne della Vergine in mezzo ad una turba di angeli
e di santi. I costumi sono di una vivezza rara e il
paesaggio, di verdi colline coronate da castelli, è
proprio della migliore maniera dell' artista. Nel
mezzo ve una piccola chiesa lombarda dalla cui
porta aperta si vede splendere un altare d'oro. Ma.
sfortunatamente, il dipinto si trova in condizioni
deplorevoli e cadrà presto in pezzi se non vi si
provvede con opera intelligente.
I ricchi costumi dei contadini danno una tinta
orientale alla città e fanno rammentare che non si
è in Italia. Gli uomini portano piccoli berretti rossi
e neri, panciotti rossi, giacche brune scure con ro-
vesci scarlatti, calzoni turchini riccamente ricamati,
talvolta ghette rosse e gialle, e certe scarpe di for-
ma curiosa chiamate opankas. Il costume delle don-
ne è meno sfar/
Sebenico è città sostanzialmente veneziana, la
più veneziana anzi, per quanto concerne l'architet-
tura, di tutta la Dalmazia. E' situata su un ripido
colle che guarda su una baia rocciosa, ed ha vicino
un castello veneziano. A nord, la baia jienetra an-
cora più addentro nella terra, formando una spe-
cie di fjord alimentato dal fiume Rerka. Il colle
su cui è costruita la città ha sulla sua cima uno
splendido castello medievale, le cui mura striscia-
DALLE RIVISTE
759
no giù sino al mare. Dietro, vi sono due altri ca- rilievi in pietra, gallerie elaborate. 11 battistero è
stelli di data posteriore. Tutti e tre sono conosciuti un gioiello di scoltura in marmo,
col nome di Castelli del Barone ,
nome dovuto al ricordo del barone
Degenfeld, che nel 1647 li difese
vittoriosamente contro i Turchi. L'e-
dificio principale di Sebenico è la
cattedrale, uno dei più perfetti e-
sempi esistenti dell'architettura del
Rinascimento. La semplicità del
piano, la grande altezza delle vòl-
te, e l'elevazione del coro producono
un'impressione straordinaria di va-
stità e di grandiosità. Questa chiesa
ha anche la specialità di essere una
delle più grandi d'Europa, in cui
non sia stato, a detta del signor
Graham Jackson, impiegato né le-
gname, né mattoni. Tutto è di pie-
tra, o di marmo, o di metallo. Il
soffitto è di pietra, senza travi ; ed
anche gli stalli del magnifico coro
son tutti di marmo. La costruzione intera è piena Non vi sono altre chiese di importanza a Sebe-
di bellissimi dettagli, balaustre di marmo, basso- nico, ma le strade ripide e tortuose, i bei portoni
La torre presso Ragusa.
Porta di Terraferma, Zara.
7O0
ni araldici elaborati, le
mura della città, le torri m stituiscono un
insii ; te. Dal buio cortile 'li un palaz-
zo mezzo rovinato, si esce talora su un giardino
sulla baia azzurra, su cui si
cullano li ' • : qualche
LA 11. i I
Sul quai, Spalato.
pesam. vapore del Lloyd, qualche graziosa corvet-
ta austriaca.
Sebenico è un buon punto ili partenza per una
spedizione nell'interno della Dalmazia, poiché di li
parte la ferrovia per Knin. Quest'ultima è una cu-
ri.», i cittaduzza ili carattere prettamente sloveno.
; sulle rive della Kerka. protetta da un grande
castello costruito dai Veneziani come baluardo con-
tro le invasioni turche. ESSO fu scena ili molti
combattimenti fra Cristian' e Musulmani. La vista
li., diversa da quella della rosta : poiché men-
tre questa è nuda e rocciosa, attorno a K.nin ed a
Drnis vi sono fertili pianure bene irrigate e colline
coperte di alberi. Da Knin partono Strade per
tutti i punti della Dalmazia, e verso la Bosnia.
Da Sebenico, |«-r un canale tra la terraferma e
le isole, si va a Spalato. L'antica Aspalatum è la
più grande e la più fiorente tra le città della Dal-
mazia: ma il prìncipal se pei il vi
sta nelle rovine del famoso palazzo di Diocleziano.
Un tempo l'intera contenuta entro le
tro mura dell ma poi si è allargata oltre
quei M punto di vista ■ il pa-
lazzo, pei ■■ Un po' una delusione. La co-
struzione è pesante e tutta 'adente, e mentre tante
piccole case hanno empito gli interstizi delle colon-
nate e dei portici, i pochi spazi aperti sono ingoen
bri di impalcature, penile alcune parti si stanno
restaurand Ma da] punto di vista archeologico ed
architettonico, il
pala//" è est t
mente interessan-
te. Esso è il cam-
pione più comple-
to che esista del-
ì .ir. hitettura do-
lca romana.
I dintorni di
Spalato offrono
molte escursioni
Voli . I >•
sima tra tutte la
gita a Traii per
la Riviera dei
Sette Castelli, u-
na delle parti più
li della costa
.1. limata. I conta-
dini croati costi-
tuiscono una cu-
riosa caratteristi-
delia regione.
Si vedono uomini
nel loro gai.
stume nazionale a
cavallo su minu-
scoli asinelli, an-
dare attorno l'or-
landosi dietro cia-
scuno un agnelli-
no. Pare che quei
contadini rechino
si- gli agnelli
per . i. e li tengono anche la notte nelle
loro stanze.
«Da Spalato - l'autore — andammo
a Ragusa di notte. Ragusa è. nell'insieme, la più
attraente città della Dalmazia. La sua posizione
è impareggiabile, la vegetazione lussuriosa, le stra-
de larghe e belle. Ci vorrei. In- un volume a descri-
vere le infinite bellezze di Ragusa, della sua
ria meravigliosa, della sua arte, della sua coltura,
del graziosissimo palazzo del Rettore, della S pon-
za, dello splendido giro delle sue mura».
Ma tutta, del testo, la Dalmazia è interessante
e degna di essere visitata |x-r le sue grandi belli
rie che vivono nei suoi monumenti,
p.r l'arte che regna nelle città, per la curiosità
della vita e dei costumi dei contadini, i>er tanti al-
tri rispetti. Un viaggio in Italia dovrebbe es
dagli su da un viaggio in I
mazia. ma punii i turisti italiani dovrebhem i
■ vicino.
.li L. Villari nei i.'ood Wotdi).
E' opinione generale che la fab-
bricazione delle monete false richie- I
da un materiale meccanico grande e '
complicato. E questa idea è nata dal
fatto che nei sequestri operati spesso
dalle autorità si sono trovati molte
volte impianti macchinosi. Ma in
questi casi, i falsificatori di monete
erano gente inesperta, nuova al me-
stiere.
Ad una mano pratica, un grande
impianto non è necessario. Pochi
lanini strumenti, ma sopra tutto una
1 uona conoscenza di essi: ecco quan-
to occorre. Un grande impianto non
solo è ingombrante, perchè occupa
molto spazio prezioso, ma è anche
dannoso in quanto che può facilmen-
te dare luogo a sospetti. Questo e
un lato buono della professione. Ma
v'è d'altra parte un inconveniente
serio:, la necessità di complici. Il
ladro, il falsificatore, il malvivente
possono operare ciascuno per conto
proprio senza necessità di complici;
ma il fabbricatore di monete false
ha bisogno di almeno due persone
che lo assistano nella sua industria,
l'agente che riceve le monete che è,
in certo modo, l' impresario, e lo
smasher, che passa le monete stesse
nelle tasche del buon pubblico.
L'articolo che riassumiamo, com-
parso nel Rovai M agazine, è stato
scritto da un falsario di professione,
La moneta autentica premuta sur. vetro.
Le fasi della moneta falsa.
che ha consentito a lasciarsi
fotografare, ma ha voluto,
per una ragione facile a
comprendersi, che nelle ripro-
duzioni delle fotografie fosse
soppressa la testa.
« Nel fabbricare monete fal-
se — 'dice I" scrittore — mia
prima :ra di scegliere la
ni. mi ta I "ii tna da cui dovevi i
ricavare la forma per la fab-
bricazione delle altre. Ci vo-
leva una buona moneta, non
troppo vecchia né nuova, vale
a dire vecchia ili non più di
dodici o tredici anni. Adope
rando una moneta più vec
chia eè il rischio che sin lo
gora; adoperandone una più
nuova, si corre rischio di de-
star sospetto. Scelta la mone-
762
LA LETTURA
La moneta sulla lastra.
ta, la ripulivo dal grasso e dalla polvere, la
:inavo con polvere d'argento, e la tenevo
per qualche tempo sotto una corrente d'acqua
fredda, poi l'asciugavo e la coprivo perchè
non si sporcasse di nuovo.
«Ciò fatto, prendevo una lastra «li vetro
assolutamente piana e levigata, e, pulitala
bene, la coprivo di una strato sottile di se-
go, su cui premevo la moneta in maniera che
restasse bene aderente, avendo ben cura che
essa fosse perfettamente piana sopra la la-
stra, e non inclinata, che altrimenti non a-
vrei ottenuto una buona forma. Indi facevo
una specie di scatola semicircolare di carto-
ne, destinata a ricevere la pasta per la for-
ma, ed appoggiavo questa scatola sul vetro,
attorno alla moneta, fermandola in quella po-
sizione con un poco di pasta che ponevo in
giro. Fissate cosi la moneta e il recipiente,
versavo nell'interno di questo l'impasto che
doveva ricevere l'impronta, usando ogni at-
tenzione perchè la moneta fosse ben coperta
e non vi fossero bolle. Di questi 1 mi accerta-
vo sollevando la lastra di vetro sopra il mio
e guardandola dal sotto in su.
« In questa guisa dunque, mediante la pa-
sta che si trovava sopra la moneta, io otte
nevo la forma di una faccia della moneta
stessa (l'altra faccia si trovava contro il ve-
tro). Fatto asciugare il tutto, toglievo la 51 a
tola di cartone, e poi. facendo sciogliere il
■ posto sulla lastra di vetro, stai-cavo an-
che la fo n essa la munita. Asciugata
nuovamente la torma al fuoco, la metl
la superficie piana (quella che prima
riva al vetro e su cui era incrostata la 1110-
neta) in aria, la circondavo di una nuova
scatola di cartone. 11 1 entro questa versavo
altra pasta per prendere la forma della se-
conda faccia della moneta. Asciugavo anco-
ra il tutto, e. separate le due metà della fi r
ma, che portavano ciascuna l'impronta di
una faccia della moneta, staccavo la moneta
stessa con somma cura, s'intende, perchè la
forma non si guastasse, e poi, sulle due su-
perfici piane della forma, scavavo un canale
angolare verso il centro, canale per cui dove-
vo versare il materiale nel luogo ove prima si
trovava la moneta buona ed ove doveva for-
marsi la moneta falsa. Ancora una volta, avanti
di procedere alla operazione finale, asciugavo
al fuoco l'impasto, e cosi, preparata perfetta-
mente la forma, cominciavo la fabbricazione
della nuova moneta.
« Le monete false si fanno con stagno e
piomlx) vecchio, messi a fondere in un vaso
di maiolica. Legate strettamente insieme le
due metà della forma, versavo entro il canale
angolare a forma di V il metallo liquido:
indi, fattolo sfreddare, aprivo la forma,
traevo fuori la moneta falsa, e la pulivo ac-
curatamente. Il metallo si taglia con grande
L'impasto.
DALLE RIVISTE 7Ó3
facilità: si toglie via con le forbici il mate- essere mai falsificata alla perfezione: ed uno che
iiale che resta sull'orlo della moneta, e poi con una abbia pratica capisce subito se una moneta è buo-
Iima si completa l'opera. Poche monete inglesi por- na o falsa semplicemente guardando la costa che è
la parte più difficile da imitare.
Anzi non occorre nemmeno molta
pratica, perchè effettivamente il ri-
conoscere una moneta falsa dalla co-
sta è cosa estremamente facile. Una
imitazione perfetta di quella parte
non è possibile, e mettendo a con-
fronto una moneta falsa con una buo-
na, si riscontra subito la diversità.
Quando poi, come si è detto, si vo-
glia falsificare una moneta che ab-
bia in giro qualche iscrizione (come
per esempio la lira italiana sulla cui
costa sono scritte tre volte le lettere
FERT) si trova una quasi assoluta
impossibilità, o, se pure si arriva a
qualche risultato, questo non può es-
sere che pessimo.
Per questa ragione appunto una
delle monete inglesi più difficili da
falsificare è la moneta da cinque
scellini.
(Dal Rovai Magazine).
Il perfezionamento della forma.
tano qualche iscrizione sulla costa, e que-
sta, per i falsificatori inglesi, è una fortu-
na, perchè il riprodurre tali iscrizioni sa-
rebbe difficilissimo.
« La forma può servire per una ventina
di monete ; dopo, comincia ad essere
troppo consunta per dare buoni risultati.
iA questo punto, però, la moneta ot-
tenuta è quasi nera e si riconoscerebbe
subito per falsa. Occorre pulirla per mez-
zo di un pezzo di sughero, e con un poco
di polvere d'argento, che per altro biso-
gna sporcare alquanto perchè la moneta
abbia l'apparenza di essere stata qualche
tempo già in circolazione.
« L'agente paga le monete false ad un
prezzo abbastanza basso: un pezzo da
uno scellino (L. 1.25) è pagato due pence
pari a circa quattro soldi. L'industria è
dunque meno rimunerativa di quanto si
creda, dati i rischi e l'abilità che si ri-
chiede per arrivare ad un discreto risul-
tato. Lna moneta ad ogni modo non può
L'immissione del metallo.
Con Teserei to di Menelik
Molti che scrissero di sul! Vbissinia han-
nato che il commercio degli schiavi si pia-
mi i paese <■ che molti schiavi sono
itati in A ariti che trafficano
sulla ccidentale del Mar Rosso. In realtà,
invece, Menelik ha rm.ui.ui> un'energica ordinanza
contro il commercio degli Minavi, echi è
.1 pi i traffico è severamente punito. 1 pri-
gionieri ili guerra presi nelle lotte con le provincie
negr- som bens fatti schiavi, ma
sini consumono quantità prodigiose. A tutti questi,
ed altri simili servici suini adoperati gli schiavi,
i quali, tuttavia, sono ben trattati, e, dopo jualche
icmp.i. considerati come membri della famiglia. I
abissini non lavorano bene e richiedono alti
salari; e siccome ili denaro in contanti nel paese
ve n'è poco, non si parla per ora di adottarli in
iiHiiln generale per i servigi domestici.
Eccettuato il caso che si facciano prigionieri di
guerra, un Abissino non può procurarsi uno schia-
5l I II VNDO UN LEONE.
gli Abissini non ne fanno commercio e li teng
per conto proprio, per uso domestico, ovvero li adi-
in i al servizio militare, cosa che gli schiavi stes-
si fanno con molto piao che sono pagati co-
me gli altri soldati.
Qi vi sono stati raccolti in tanti batta
estrati alla vita militare dal conte del-
la G un ufficiale francese che si recò in
Abissinia or sono cinque anni, e che ha reso asso
utili servigi all'esercito di Menelik.
'lutti gli Abissini, se si eccettuino i più poveri,
impiegano gli schiavi per le t'accendo domestiche
e per compiere i duri lavori richiesti dal loro ge-
nere di vita. Ter esempio, nel paese non vi sono
mulini, e quindi tutto il grano deve essere pazien-
temenie sulla pietra. E poi e';- da prepa
rare l'orzo e da macinare il pepe, di etti gli Ahis
vo senza il permessi' del Re, che deve essere pi
tato al governatore del lungo ove l'abitante v
soltanto dopo tale presentazione l'abitante riceve un
certificato che gli permette di prendere lo sch
In generale gli schiavi sono ragazzi o ragaz,
primi allibiti ai lavori all'aperto, alla sorveglianza
dei cavalli, ilei bestiame, ecc. ; le seconde per i la-
vori di casa. Sono comperati dai genitori ad un
prezzo che si aggira intorno alla cifra di 25 lire no-
stre. Il compratore non può rivenderli, ma
se vuole, cederli gratuitamente.
Continuando le sue spigolature sulla vita
na (l'autore dell'articolo che riassumiamo ebbe
me di studiarla duranti- la campagna compiuta
DALLE RIVISTE
765
Cammelli razziati.
dagli inglesi e dagli Abissini contro il Mad Mul-
lah) il capitano Cobold parla delle caccie che ebbe
occasione di fare durante una quindicina di giorni.
In questo periodo di tempo, uccise ventun leoni, e
numerose antilopi, gazzelle, più dodici leopardi ed
un rinoceronte, senza contare la preda minuscola.
Gli Abissini sono specialmente occupati la mat-
tina, prima di colazione, quando non fa molto cal-
do. Adora si trattano tutti gli affari. Raramente si
attende a qualche occupazione seria nel pomeriggio,
che generalmente si passa dormendo dopo un lauto
pasto, poiché gli Abissini sono mangiatori formi-
H£?4
L'esercito in marcia.
766
LA LETTURA
in lealtà, i sudditi ili Menelik Durate le sue operazioni coatro il Mad Mullah,
:. ii i natura lavoratori, anzi non fanno l'esercito abissino devastò quasi tutto il paese che
quasi mai niente. Per la grande maggioranza sono attraverso. Una delle fotografie mostra l'esercitcl
0 preti o soldati; pochissimi si dedicano al com- in marcia, e dà un'idea straordinaria dell'ordine o
\
PliCURK RAZZIA I K.
men io. E con loro è assai difficile trattare, perchè meglio del disordine delle truppe. La fanteria è
son gente che porta per le lunghe, e, parlando di mescolata alla cavalleria ; di servizio di perlustra-
affari. secondo l'uso orientale, si occupano di dire zione non v'ha il più [ontano accenno : ognuno cam-
La restituzione dei beni rubati.
più quello che credono possa far piacere a chi li mina dove vuole e come vuole, non dimentii
i che la verità. Ed hanno per giunta una però mai di razziare quando l'occasione si presen-
graode avversione a dire sì o no: lasciano passare ta. L'esercito preda sempre quanto può, senza far
mane e mesi prima di prendere un impegno. distinzione tra amici e nemici, tanto che in certe
DALLE RIVISTE 71»;
occasioni diviene necessario raccogliere tutto il be- restituirlo ai legittimi proprietari. Una delle foto-
stiame rubato a villaggi amici all'imperatore, per grafie qui riprodotte rappresenta appunto questa
funzione riparatrice.
Come gli Abissini sappiano rubare, ampiamente
si vede da altre due figure. Xella prima si scorgo-
no due grandi greggi presi al Mad Mullah, greggi
di ottimi cammelli, bellissimi e robusti.
Nell'altra si vede un gregge di pecore prese qua
e là agli avamposti nemici. Siccome non esiste uno
speciale servizio di rifornimento nell'esercito abissi-
no, queste razzie fanno molto comodo.
Ogni suddito di Menelik che non sia prete ha
l'ambizione di possedere un fucile, ambizione che
i trafficanti europei si incaricano di secondare. Que-
sti fucili sono sparati con la massima facilità, e
siccome non si usano laggiù le cartucce senza
proiettile, i feux de joìe sono sempre pericolosi e
danno spesso luogo a disgrazie. L'articolista riferi-
sce che una volta in una festa un povero disgra-
ziato fu colpito da una fucilata e stramazzò a ter-
ra. Subito gli si avvicinò un altro, che gli tirò
un'altra fucilata al capo. Pare che si faccia così per
accertarsi che il disgraziato sia proprio morto e
che non soffra !
A DONATA DA MENELIK AD EDOARDO VII.
(Dal Mute World Magazine).
Santi e pirati a Montecristo
Carlo Paladini, di cui la Lettura pubblicò tempo
addietro un articolo suU'/sola del Re, scrive in-
torno alla storia dello scoglio famoso molte cose
interessanti, che riassumiamo per i nostri lettori
dalla Rivista d'Italia di giugno.
La storia di Montecristo si confonde con quella
San Mamiliano e dei suoi seguaci. Il santo fiorì
verso la metà del V secolo, e fu arcivescovo di Pa-
lermo. Espulso dalla sua sede dai Vandali, e im-
prigionato, fu condotto a Cartagine ; di là si ri-
fugiò in Sardegna e in vicinanza di Cagliari visse
da eremita. Venuto in fama coi suoi seguaci, per
sottrarsi alle dimostrazioni dei troppo zelanti fe-
deli, pregò alcuni marinai che lo conducessero al-
l'isoletta di Monte Giove, ma fu lasciato all'Elba.
Altri marinai di Barberia ricusarono anch'essi di
trasportarlo e lo derisero; ma, levatasi una tem-
pesta, e sospettando che ciò avvenisse per volontà
divina, in castigo dei loro scherni, essi tornarono
all'Elba e trasportarono gli eremiti a Monte Gio-
ve, diventato, da allora. Montecristo. Narra la leg-
genda che, stabilendosi lì, San Mamiliano strozzò
un mostruoso e orribile serpente che divorava in
un solo boccone quanti approdavano nei suoi domi-
mi : dalla tana del mostro esce anche oggi una
sorgente di acqua putrida e nera, che i marinai e
i cacciatori sostengono sia maledetta e velenosa.
Qualche tempo dopo, San Mamiliano tornò al-
l'Elba e i suoi compagni al Giglio. Sentendo avvi-
cinarsi il suo ultimo giorno, l'eremita volle andare
a Roma per visitarvi le tombe degli Apostoli ; ma
non potè compiere il suo desiderio. Fu trasportato
invece all'isola del Giglio, e lì disse al popolo ra-
dunato che, vedendo una colonna di fuoco alzarsi
su Montecristo, andassero subito là, perchè quello
era segno che egli stava per morire. Vistosi infatti
il fuoco il 19 settembre, i Gigliesi volarono à Mon-
tecristo per prendervi il corpo del santo e portar-
selo nella loro isola. Ma gli abitanti di Montecri-
sto si opposero, e ne nacque una zuffa tremenda
durante la quale la salma, sbattuta e tirata di qua
e di là, ebbe strappato un braccio che rimase a
Montecristo, mentre i Gigliesi scappavano in fretta
involando il resto del corpo. Infante, Eustachio e
Goboldeo, compagni di Mamiliano, furono poi se-
polti accanto a lui. Dice la leggenda che nel ini
un prete fiorentino, avendo rapito quei corpi per
portarli a Firenze, entrata la nave a Bocca d'Arno
e arrivata al monastero di San Matteo di Pisa, si
fermò a un tratto, né fu possibile farla avanzare.
Fu interpretato che in quella chiesa volevano quei
corpi esser sepolti, e così fu {\w\>>.
La Grotta del Santo è una caverna naturale .
molto grande, dove è fama che il pio vescovo 1
tasse le sue orazioni. Vi si recò Napoleone, idean-
do dalla più alta cima della granitica scogliera il
768
l \ LETTURA
noto, .ir. luci disegno di rigenei i
emmana. v-i gennaio e nel febbraio del 1870
ad abitare la Grotta Davide Lazzaretti, in
a di mi"' ■• ioni riguardanti la grande
1 redeva dover compiere sulla terra,
orni, rivendo 'li 1»»'" pane secco,
razione, e scrivendo molti versi nei quali ap-
parisce il SI riginale radicalismo ri-ligi. .su e po-
1 1 iato fra 1 suoi compaesani e correligio-
con una più fulgida aureola d'ispirato, rac-
contò che nella Grotta di San Mamiliano aveva
udito le parole di Dio dalla stessa sua bocca, pa-
1 declamate lentamente e sillabate come in to-
ni, musicale.... ira il fragore del turbine.... e lo
scrollo terribile >li tutta l'isolai.
Mi Ite leggende corrono intorno alle gesti- dei
a Monti 1 risto.
Una ili esse narra che una banda degli ultimi
tri di Tunisia, pei sottrarsi al castigo del boia,
s. rifugiò n.-ll isolctta. Il capo dei pirati era un
0 Martino, un gigante torvo, tenie e tutto pie-
li cicatrici: a forza di rapine e di delitti aveva
gettato lo spavento in tutto l'arcipelago toscano.
Una notte passò da Mbntecristo una paranza co-
mandata da un uomo che aveva |«-r ciurma i propri
quattro figlioli, e carica di una somma di 200 mila
lire. Ad un fischio, la feluca barbaresca, che stava
osta in una strettissima gola dell'isola, piom-
\. ipoiino da guerra, il Giglio, con una compagnia
di bersaglieri agli ordini del capitano Mantellini.
Furono presi 1 tre ladri, e poco dopo anche gli al-
tri cinque che percorrevano la Maremma, e tutti
furono giustiziati.
Un'altra leggenda narra di uno strano fantasma
che aiuta Monti-cristo ed è condannato a vegliare
immollile tutta la notte. Questo fantasma, vi
di bianco, si chiama il Frale di Montecristo, e
oggi gli K 11 >ani raffigurano la sua statua in un liei
masso di granito bianco che si stacca dal monte
disegnandosi nell'azzurro del cielo. Anche qui
leggenda ha il suo nocciolo di verità. Nel 1839 due
eremiti di nazionalità straniera ottennero dal Go-
verno il permesso di abitare Montecristo. Questua-
rono ferri, attrezzi e denaro all'Elba, per costruirsi
un tugurio e coltivare la terra ; ma, venuti in di-
scordia, uno di essi si stabili in una cappella del-
l'antica chiesa di San Mamiliano, e l'altro restò
nella Grotta in riva al mare. Uno era umile, pa-
ziente, religioso; l'altro tutto il contrario. Il primo,
minacciato nella vita, trovò uno scampo all'Elba;
l'altro fu sfrattato per ordine del Governo tosi
II fratino buono dicono che fosse nobile, e a Cam-
po dell'Elba, dove morì, lo chiamavano // Conte;
pare certo che discendesse da una famiglia di conti
austriaci molto facoltosa.
A Campo dell'Elba morì anche un altro frate
molto ricco che visse molti anni nel convento di
Montecristo. Si chiamava padre Silvestro, e por-
Ila barca: il padre e i due figli maggiori cad- tava sempre seco, a tavola, a letto, dovunque, il te-
derò crivellati di ferite; gli altri due furono con-
dotti a Montecristo. incatenati sopra uno scoglio
e lasciati morire di fame e di spavento. Forse da
questa storia pietosa deriva il nome di una insena-
tura di Montecristo. chiamata Cala Gemelli. Né la
storia è tutta leggendaria. Il fatto vero andò cosi:
nel 1849 una tartana. Nostra Signora delle Vigne^
da Genova jx-r Livorno, con un carico di
. zucchero, paste, manifatture, ecc., del valore
di 60 mila lire. Aggredita nel golfo della Spezia
tto ladroni, l'equipaggio fu trucidalo, tranne
due fanciulli che furono trasportati, con la tarta-
na. a Montecristo, Scaricata dalle merci, questa fu
. e anche oggi, quando il man- è. per la
grande tranquillità, trasparente, si vede la sua car-
1: 40 anni dopo il marchese ('.inori ne pescò
schio di un suo compagno. Morendo, volle che que-
sto teschio gli fosse posto sul petto e venire se-
polto insieme con la sua salma. Fece costruire, a
Campo, una chiesa eguale a quella di Montecristo,
con proprie spese ; scrisse in tedesco memorie mo-
nastiche, visioni e conversazioni ascetiche: mezza
dozzina di grossi libri. Qui finisce la cronaca ; ma
la fantasia popolare aggiunge che una sera arrivò
a Montecristo una barchetta misteriosa, dalla qua-
le scese un giovane biondo e ventenne. Salito al
convento, manifestò al Padre Guardiano il grande
segreto che lo determinava a ritirarsi in quell'ere-
mo; ma il segreto rimase sepolto per sempre fra
le mura claustrali.
L'n'altra leggenda è quella del corvo di una gran-
dezza straordinaria che vive da moltissimi anni
una magnifica antenna. Depredato e affondato il nell'isola e vi si aggira gracchiando sinistramente.
mento, i ladroni, commisero un'infamia rac-
inti : segarono la gola ai due fanciulli e
ati .lue scaglioni di granito ai cadaverini, li
buttarono in mare. Cinque degli assassini sbarca-
rono no, in cerca di compratori della mer-
le predata, altri tre rimasen nell'isola a custodirla.
\l : un p andò Mi mtei 1 isti i, sospet-
appunto si nascondessero i ladroni di
-./ Signora delh Vigne, della cui scomparsa
tutti parlavano a Livorno. .- denunziò i sospetti al
to nell'isol
Prima aveva una compagna che gli fu uccisa da
un cacciatore; e da allora in poi non ha voluto più
riprendere una moglie legittima. Però ogni anno.
nella stagione degli amori, va in Corsica, e al ri-
torno conduce a Montecristo una sposa d'cn
con la (piale vive da buon padre di famiglia finché
nati i piccini ; ma. appena ai corvetti spunta-
no le penne maestre, egli riconduce in Corsica mo-
glie e figli, e se ne ritorna solo. I marinai, sen-
timeli! di e poeti, dicono che faccia così per un ri-
guardo alla prima moglie defunta.
GIUSEPPE GIACOSA, Direttore
Milano. 1902. — Tip. del ■
Galli ZZI GlO^ inni, ferente responsabile
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ADDIO, NIKOLAL
Romanzo di GUY BOOTHBY
autore del Dottor Nikola, della Verga della Sapienza, ecc.
(Continuazione, vedi numero precedente).
[/indomani, m tutto il giorno, i vedemmo
ii"ii losè che di sfuggita all'Ufficio postale, i)
no 'li poi, ci .l' i ompag n una gita .1 < ihiog-
i >pi 3i trattenne :i pranzo con noi. Benché
sapessi che Glenbarth continua a dete tarlo la sua
a era ci ti elata da non esser quasi visibile.
sui tardi della sera mi venne portata una lettera.
\i i>nni.. sguardo sull'indirizzo capii che era .li Ni-
kolo. Essa diceva:
Mm caro Hatteras,
« Ricordandomi del desideo io de] vostro amico,
Marlin. .s. ili Visitare il inni palazzo, gli serissi
ili venire .la me a pranzo domani sera. Se voi ed
il Dura vorrete procurarmi il piacere della vostra
pagnia, non no bisogno .li dirvi quanto sarei
lieto
« Il vostro sincero amico.
\n OLA ".
Non avete ancora ricevuto la -uà lettera, non
è vero 1 — domandai a Don José Ebbene, che ne
dite?
— Dico che accetto ben volontieri — rispose
o - a condizione però che voi mi accom-
Non avete nessuna obbiezione in proposito,
i in. a ' dissi 1 1\ oli i adi 'ini a Glenbarth.
i api) subito che la cosa non ?-rii andava mollo
ni... ma egli n. .n pote\ a rifiutare.
Sarò felicissimo — rispose.
Per la prima volta, in vite sua. egli diceva de-
liberatamente quello di.' non pensava.
Capitolo VII.
— Spero bene che non andrete a pranzo dal
dottor Nikola, in quella strana casa? - mi disse
mi.- moglie .piar. !.. fummo soli. — Dopo quanto
• ■.• in- i acconto il Duca, sarebbe propi io un as
surdità l'andarvi.
Bimba mia. non vedrei la ragione di riflu
il su., invito. Non sa i il primo che pranza
in quella casa, e non cred ppure di es
l'ultimo, ihe \ ili te che mi sui i .la ' l i ed te \ oi
che siamo ritornati ai tempi dei Borgia .• che \i
kola ci voglia awele
nare ' No, no, invece io
mi riprometto
cevolissima serata i-
-ti attiva
SI, menu e ni I, qui
torn
;.. isando a
rebbe
punto se a meta pran
vòlta si
dasse e vi precipi
uri sotterra
il'., e Se NiK'.la.
della sua
chimica, mettesse nelle
i
~ ~ ^— — ^— |u | addormentarvi per
I per qualche altro
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito 1
Di 19 ubi impre nw.u eruttili
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
esperimento nell'interesse della sua scienza. Non
siete pun li . Dick.
— Piccina una cara siate ragionevole, vi pn
Non e forse naturale che Nikola, sapendo che
Don José è da poi til giorni a Venezia, i .h più
che .- nostro amico avendoci visto Insieme), de
siderasse ili fargli qualche coi il palazzo Ri
vecce è uno dei palazzi più interessanti della
città: avendo Don Martinos espresso il desid
.li Visitarlo, egli lo invitò a pran/... Nulla .li pm
naturale, mi pare. Siai el diciannovesimi
Ci li
— Che secolo d'Egitto — replicò. — Torno a dirvi
quello che vi dissi dianzi : sono dolentissima che
ci andiate,
— in pure ne sono spiacentissimo, credetemelo
Ma come le cose siami... mai posso rifiutare l'in
Vito e lasciar andar soli Don Martinos e il Duca.
Che debbo dunque fare? Ditemelo voi
— i ini., melliti che ii .andiair — mi rispose tri
ste, triste. — Non so perchè, ho il presentimi
rhc le cose non andranno a finir bene.
E da quel momento non se ne parlò più.
L'indomani manina, mentre, dopo colazii
stavo fumando con Glenbarth, egli entrò sull'ar-
gomento.
— Ma che gli vinili' in mente, a quell'altri!, di
Invitarci a pranzi.. Ieri sera pareva che ciò \i sor-
ridesse. Siete sempre della stessa idi
— Pere-In' no? Mia moglie non vede la ...sa di
buon occhio, io Invece sono curioso di vi
K.ila nella sua parte di anfitrioni L'ultima
che pranzai con lui fu a Porto Saicl, e non fu un
pran. Jlegro, ve I" posso a--i.ui are E poi,
curi..-., di vedere che impressione farà la casa del
dottor Nikola a Don Martini
— Vorrei che si sbarazza--.' di lui puri- —
plico il mio compagno, — più lo vedo e più mi
e odioso
— E perchè? i ;he male \ I
— Non è per questo, — dissi Glenbarth, -
mia anni. alia è istintiva, COI Istintivo il •
uni. 'ni., di raccapriccio nel vedere un serpenl
un pipistrello Nonostante la sua apparenti
sia. non sarei punto sorpreso se mi dice
nel passato commise più di un delitto.
Che sciocchezze! Perchè supp V
geloso .h lui, lui dal primo momento i In
\ . de ' i' mi., che si mettesse a far la i
a mis- Trevoi . Non i itisi i ;i sormoi
qui -i" sentimento, i ti - he non lo poi
ite di \ hi.'.'ia i. ■■ \ .'.li.ir che. .
scendi .lo mi lio, i lifii In 1 1 le la \ ostra opini
— Questo non sai ti m i i egli rispose con\
E se voi vedeste I noi
io . ertamente lady riatterai
— i ni" Glenbarth. dissi alzandomi dalla Si
e interrompendolo voi siete semp
. -ti ... ho il ilii
■ li dirvelo, Se voi prefei ite il n \ eli i 1 1
padronissimi vostre si
pei carità, non mettetevi a i re delle i
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dipe, sono pure indleatissime contro i disturbi digestivi,
stitichezza, emorroidi, asma, apoplessia, ecc. G-ratisopu-
scolo sniegativo. L. 4.50Iascatola 1,4.75 franco di porto i
IL MEDICO DI SE STESSO. Consi-
gli pratici ad uso dei sani ed ammalati.
— Guida per le tamiglie. — 52 pag. il-
lustrate, si spedisce a chiunque dietro invio di semplice
carta da visita colle iniziali M. S. S.
Via S. Calocero, 35
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del Hi V l'I 1.1,1 BRANCA di MILANO
I soli che ne possessorio il v«ro e frinii no Di'ocesso-
Stanipato completamente colla macchina ~ Fulgor « NEB10L0 <■ ('. - TOSINO - Milano- Genova.
AMARO, TONICO, CORROBORANTE
DIGESTIVO
guardarsi dalle innnmerfivnli contraffazioni
Il
ADDIO, NIKol.A !..
pranzo. Si i Ivete a Nikola che ai
trambj il su vlto Quanto al dottor Ni
Koin e a Don Martinos, Dio li b< ni dica! Vorrei i he
i i Liti .ir del ni lo.
dunque a Nikola i lie uremm
ù i he ni i ■■ Dopo
ra mia moglie venne da me con
il., paura che Gertrude sia ammalata. Essa
andò ni . amei i sua tndosi di un gran mal
di ci e di un Indolenzimento
eci quanto seppi, ma se verso
un'ora non starà meglio, credo sarà prudente ili
unare un
Dopo ' olazione, continuando es i a 'Si poco
, uni;, venire un dottore inglese Egli di
he oon sapev a scopriri nulla nella ra
i tstificari quei misteriosi sin
i di un temperamento eccitabile, la signo-
i [domando li dottore quando fummo si li
in sali
il direi anzi che è una donna
i ,i. ed i quilibratissima.
\ii t,-, e ani oi a altre due o tre domande, e
poi se ne andò., promettendoci di tornare l'indo
Non so proprio davvero cme -piegare la rosa
disse mia moglie, quando il dottore fu uscito.
\\ , •. .1 i aria ili star cosi bene Ieri sera, i rei
trude Ora è là sul letto, e si lamenta di un
limi. b i i apo e dell'indolenzimento alle
membi a . ba i piedi e le mani di ghiaccio, ed 11
bianco come un foglio ili rana
v . 'in Miss Trevor volle alzarsi, ma tu
obbligata ili rimettersi a letto, il mal di cafco era
mi,, ma l'estremo Indolenzimento durava
tata incapace ili reggersi in piedi, così
mi disse mia moglie. Non si pi omaginare l'ef-
fetto ili questa notizia sul Duca Era L'immagine
della i i tanto più che non gli era pei
o ih dar sfogo al sui. dolore. Egli era ben
lontano dall'essere LI ragazzo calmo e sereno d una
volta! Un nonnulla lo Inquietava, ed alle volte si
ili .va un grande Infelice. Vedendo ine a
imn se ne poteva far nulla, lo indussi ad u-
scin e quando dopo un'ora appena che erava
i, mi rifiutai di ritornare all'albergo, mi rece
capire che ero uni snaturato, che non avevo cuore.
- Sto pensando se ci fosse qualche cosa che i"1
far piacei e a Miss rrevor, mi disse menti e
attraversavamo la pia/za ili S. Marco. — Si po-
trebbe mandai gliela a nome \ ostro.
— Le potreste mandare dei fiori — risposi, —
e mandarglieli a nome vostro e non al mio.
— Avete 1 1 Ione! Alle volte avete ancora delle
buone idee!
— Vi ringrazio - risposi umilmente — l'otteni ri
l'approvazione di Sir Hubert Stanley 6 una ■
prezii
— finitela con le vostri Insulsaggini — rispose
■ ii entriam 1 àtei Boi aio
Quello che spese In fiori, sarebbe bastato al mio
mantenimento in - 1 per un mese Dopo aver
pagata e dato ordine
. he » enissero immedia
ti man dati al l'h 0
tei Gal aghetti, uscimmo
dal negozio Qu indi
fummo fuori, Gleni
1 issava dal chie
1 1 ,'i:'\ 0 prò
prio che 1 1 li
rebbero stati graditi, 0
se l'ila non avi
quesl (in
■ 1 1 1! pri
fumo dei Bori non
1 1 ' l'i», ai ni" per la 1 a
mera il immalal
li ili
Dopo ciò,
ESIGETE
ITOMI
MARCA
HERMANN
MILANO-TOIUXO
~i Inquietava temendo 1 he II negozianti ives
se eseguito subito 1 suoi ord i voleva tornare
indietro pei ene. A mia giustificazione,
devo confessare che mostrai una grandissima pa
indomi del mii 1 seni Imi ni 1 in simili
istanze \i ritorno seppimo che l'ammalata
slava un ian io . era 1 iuscita a di rn
e ciò le aveva giovato Mia moglie contava ai
passar la sera con lei, onde potevamo andai via
completamente rassicurati sul suo conto.
Mie 6 3/1 andammo a vestirci, e dopo una mez-
z'ora riavalli" i dine Nella hall trovano
Don Martinos che stava aspettandoci, elegante
mente v estito Mi striti 1 àialmente La m u
s' Inchinò a Gleni irtb 1 he non aveva ai cennato
■1,1 "ili 11 glie! 1 l'i ima di uscire avevo tentati
lai mi pi 1 mi in 1 •■ dal Dura ih esseri
1 .li lui.
— Non vi aspetterete che io lo tratti come un
.min 0, un a\ 1 -, a ri 1 - ma vi il" la una
parola 1 he lo ti atti li iltà . potrete n
pi eti ndere altro da mi '
I con questa promessa mi u tentai.
Preso posto nella - loia, partimmo.
— Questa mattina ebbi il piacere ili vedere il
dottor Nikola disse Martinos, mentre svoltammo
in Rio del 1 onsiglio. — Egli ebbe la ci rtesia di
aire da me.
Rimasi colpito dallo stupore.
- Davvero risposi. — A eh a venne da
— Alle dieci in punto— risposi Don Martini
ve 1" posso dire con esattezza, perchè in quel mo-
mento stavo uscendo, e ci incontrammo nella hall.
Era una cosa singolare, una 1
lete, ma quasi a lincila stess'ora Miss Trovei
>iaia presa ili quel misterioso malessere, per cui
alle umili 1 e un quarto 1 1 a stata costretta a
11, in camera sua. Naturalmente fra j due fatti
non poteva esserci nessun rapporto, ma
nini coincidenza di tale natura il 1 dai mi carni
riflettei e Poi hi minuti dopo, la gondola giun
agli scalini del palazzo Revecce; la porta vei
quasi contemporaneamente aperta, ed entrammo
in casa. Attraversammo il cortile che era stato
rischiarato per l'occasione, e, seguendo l'uoim
ci a\ e\ a aperto, salimmo la scala 'li pieti
gemmo nel corrid al primo piano. Beni he
meno tetro dell'ultima volta che I" avevo vi
la luce fioca e \ ai mante di Ila lampada ili
Nikola, aveva un aspetto cosi sepolcrale che Don
José non potè a meno d'esserne impressionai
— Non avevate torto davvero dicendomi hi
una rasa solita] ia, - mi disse, mentre ci di]
■ 1 qi 1 \ erso la "anici a del nostro ospite.
In lineila la porta -1 aprì, e Nikola si presentò
a noi. Strinse la mano prima al Urna, poi a I
Mll! S, e 111 Ultimo 11 IN"
Siate 1 benvenul i, pn 0 entrate. E ci il
nella camera già ila in. di critta Mi < 11
maginato clic dovessimo pranzare là. ma mi
sbagliato, sulle tavole stavano alla rinfusa di
, in te, ii"i libri e degli apparecchi scientifii i.
nini ciNic l'ultima volta che vi ero stato. Glenbarth
-, -, dette vicino alla finestra, ma il irdo
era sempre rivolto a.l tappeto orientale pri
canini". Egli pensava senza dubbio al sotterrai
,. credo che s'augurasse di trovarsi in tuit altro
posto
II L'ati.. nero. Vpollejon. che stava sonnecchiai
su un seggiol ■. ci fissò un momentii
per assicurarsi della nostra idei
1 suoi -1 uni l e 1, ■ ni" apei le, mi
i . e la luna -1 illora dietro li
faccia M'ero messo alla finestra per guardan
acque silenziose, quando l'uomo che ci avevi
tr od otto alzò la portiera alla mia destra
zlando in Ita! ian ;uo padrone che il pranzo
Bi indiani d mie
Vi ii 1 Eccell nza av 1 il la 1 ni tesia di api irci la
1 ilenharth ari 1 noi tutti !" seguimmo
I > r
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MALATTIE DEI POLMONI E DEL CUORE
del Dottor GUIDO SCARPA, specialista
Direttore della Sezione « Malattie dì Petto » nel Policlinico Generale di Torino.
Via della Zecca, 37, piano terreno
E V unico Istituto in Europa per la cura esclusiva e completa delle suddette malattie secondo
i più recenti progressi della terapia e la più rigorosa razionalità, cioè coti a base la correzione
delle lesioni statico-dinamic he degli Apparati Respiratorio e Circolatorio prodotte dalla malattia
stessa. E ciò perchè non è attualmente più possibile esercire la specialità della terapia polmo-
nare e cardiaca quando non si possieda quanto è necessario a compensare quel tanto di alterata
funzionalità meccanica che, in grado ora più ora meno grave, esiste sempre in ogni malattia di questi
organi la cui base di /unzione è precipuamente meccanica.
L'Istituto possiede quindi nelle sue 16 sale di cura impianti grandiosi, perfezionatissimi per
la Pneumoterapia completa e l'Elettroterapia di tutte queste malattie, cioè Bagno d'aria com-
pressa semplice e medicata ad alta pressione, Apparati pneumatici automatici , Nebulizzazioni
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Correnti ad alta frequenza, Esocardio , ecc., ecc. Cura speciale locale chirurgica (metodo proprio)
della lisi polmonare, l'unica razionale ed efficace anche nei processi avanzati, sì che 2-3 ?/iesi
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li {COSTITUENTE DEL, SANGUE
Sono lieto di poter dichiarare — scrive il chiaro prof. L. Vanni della R. Univer-
sità di Modena — che avendo avuto più volte occasione di sperimentare il FERRO
CHINA BISIERI ne constatai i notevolissimi vantaggi come liquore eupeptico e
tonico.
F. BISLERI e C. - Milano.
Ili
ADDIO, NIKOl \'....
ina he giunsin i una idida sala
Ha >li ricchissimi l (fresi hi, i quali,
lati man m
in rovinìi Sei centro della stanza stava una ta-
uminata da una i impada il ai gento,
.i debole luce non arrivava al di là della la
della sta in piena oscurità,
i • - . i \ I: di dove (ossero
i ad entrare uel
non me I" seppi spiegar mai Nikola.
h casa, sedette a capo tavola, avendo
i su Glenbarth i qualità di ospite
<ii m mportanza, e a sinistra i>..u Marti
stavo in tondo In Fai eia a lui Da chi (osse
lutti, il pranzo, era pure per me un altro mi
ai i he Nikola ci a\ e\ a detto, la prima
volta che eravamo stati a trovarlo, che egli non
aveva persone di servizio, che quel po' da man
corri ote, gli veniva preparato da un
he -uni .i\ i l casa sua una \ olta al giorno.
Ora il pranzo dati i i quella si i i era degno .1 uno
dei primi che/5 d'Europa Nikola, quantunque non
nulla, (ai
una grazia all'altezza della eli
moglie e Miss Vre\ i . coi loro antici-
pati terrori per noi, si (ossero trovale presenti,
-. n/a dubbio creduto «ti Ito\ ai -i nella
.la pranzo ili un qualche antico maniero in
dal vece] iordomo .li fami
mpagnate a tavola .lai vesi "\ i o dal
diacono della contea
differenza tra il Nikola d'adesso e tinello
ultima voltai Quando lo guardava mi pareva
Impossibili ch'egli non (osse stato sempre iiuei-
l'uomo piacevole .li cui non conobbi mal l'eguale
— Nella vostra .maina ili viaggiatore, dissi
il di ttor Nikola, rivolgendi si a Don Martinos, —voi
avete dovuto certamente pranzare In molti diversi
si e in circostanze i meno eccezionali i
terribili Rao ino mesti vostri pasti
in simili condizioni.
— li più interessante fu quello che riuscii a
(are dopo la presa .li Valparaiso disse Marti
nos. — Eravamo stati due giorni senza viveri, o
. inani., meno senza aver mangiato decentemente,
quando per una buona fortuna entrai In una
a abbandonato La colazione prepai
senza toccarla Mi pari- ancora ili vederla Una
delizia, i non meno gradita benché il vecchio bir-
bone che inseguivamo fosse riuscito a fuggire,
ivate del partito i a Balma. eda
tllora? - disse tranquill unente Nikola.
Mar s aspettò qualche po' prima ili rispondere
— si. contro l'.aimai i-ila. — replicò - Chissà
lue! miserabile sarà realmente morto, e, se è
. t he ne sarà del su., denai
Questa '■ una domanda che si potrebbe fare
riguardo a molti, — rispose Glenbarth.
- Vi era negli Stati centrali la Repubblica di....
iM.n rammento il nome
— Di Equinata — disse Niki. la. Non so se vi
ricord i storia
\ i lete dire ili quel tale che i« e fucilare linei
disgraziati ragazzi ? —
domandai Quello
ili cui mi parla
-i. l'altra sei a '
— Appunto, replicò Ni-
kola - Ebbene, egli riu-
scì a (uggire dal p
| lieti qual
- a\ \ teina
ai due milioni Mi
n. Da quel m ento
in., ni- udì più
lare, e mi unni -
che mpre.
Dopo tutto, la Pallina
ha una gran pari
— Permettetemi di be-
ESIGETE
IIIIIMI
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
re al Dio della fortuna — disse l>.>u Martinos, che
tu tu. roso
— Credo che 1 1 potremmo i Ivi re tutti, -
iii"i- NiKnia — Voi, Sir Richard, non sari
i uomo i.. iiunii.. . he siete se il i aso non vi a-.
salvato dal naufragio facendovi approdare in
isola del Pai Ifli i piuttosto . he In un'altra
\ oi, caro Duca, i t-amente anni
nella baia di Bournemouth, se il caso non avi
voluto che II I lattei t-. mattii
per abitudine, (osse state in gii pi una
della colazione; mentre voi Don Martinos, m
probabilmente non sareste mio ospite si
Pilli (OS •
i Spagnuolo lo guardò ansiosamente come se
avessi paura di quello che voleva d
— Se non (osse successo che cosa — domandò
egli.
Se il Presidente Balmaceda avesse vinto la
battaglia disse con calma il nostro ospite. —
E giusto che beviamo al Dio della fortuna
Finalmente si munsi- alla fine del pranzi I -. i
vitori, versato il vino, uscirono dalla sala. La
versazione correva da un soggetto all'altro fii
illa storia del pala//., in cui era\
la i ai contò a Don Marini.-, senza
dare ai fatti l'importanza che aveva dato .pi
aveva narrato' a noi la storia della stanza in cui ci
aveva ricevuti. Raccontava la cosa a titolo 'li cro-
naca, come se non gli fosse di nessun interi
Vvevo però notato che il suo --'nani., era più pe-'
netrante del solito mentre parlava ali. spagnuolo,
il . piale stava seduto sorseggiandosi il vino, men-
tre prestava attenzione al racconto del si sp
Quando il vino venne portato In giro per 1 ultima
volta, Nikola fece la proposta 'li ritornare nei suo
studili.
— Non mi pare di sentirmi a casa mia qui in
(luesta stanza. — disse pei spiegare la cosa — ; dl-
lat' n me ne servo mai. Mangio generalmente
nella stanza attigua, e lascio andare in rovina il
resto della casa, come avrete visto.
Ci alzammo da tavola, ed andammo nella -
dove ci aveva ricevuti i I offerse dei sigari, poi
preparò egli stesso il caffé su una tavola in un
angolo, mentre io aspettavo che succedessero i
che sapevo dovevano aver luogo. Dopo averci set
il ralle, si mise a parlale della -naia di Veni
che egli conosceva a fondo, particolarmenti
parte riguardante j rapporti della famiglia Re-
\ eci e . -ai essa l'ari., con calore ili quell
niosa Bocca del Leone dove venivano gettai
denunzi! del i onsiglio dei Dieci : quindi
passò alla descrizione della tragedia svoltasi nel
sotterraneo sottostante, scusandosi con Glenbarth
e con me di annoiarci con un secon
r e l'altra volta, alzò il tappeto e apri il
hetto Una folata .lana fredda, suggestiva .li
terrori indesi 1 1\ Ubili, venne a noi.
Qui, il miserabile affamato mori, udì
liti della donna amata disse Nikola. -
vi pare di doverne aurora udire ora i latin
Da parte una credo che essi echi
unta l'eternità
Se fosse stato un attore, .piale straordinari'
fico sarebbe divenuto '
Noi rimanemmo muti di spavento, mentre ■
anzi a i additava l'abisso Quanl
Marini..-. | he tutte suzioni di
in entrate in lui . ti" a\
koia - dal suo sguardo.
— Venite disse finalmente Nikola chiudendo il
trabocchetto e rimettendo a posto il tappeto. -
finora avete uditi la storia della casa. i>ra ved
il re
i n - - imi..' i i .lue o tre segni ma-
gneti liana colle lunghe mani Inaurile I
sguardo pareva voli — i numi nel cervi
i firn .li sottrarmi a. lui. voi
ma mi fu impossibile; una forza irresistibili
■itti -ai -\ a a Ini Poco a poco, venni I i un
Invincibili di sonnolenza; credo perii li
LE DONNE FRANCESI
E LA SCOPERTA DEL DOTTOR VERVIER
Id Franciamoltosi discorre della
recente scoperta fatta dal dottor
Vervier, il quale con uno speciale
processo noto a lui solo, è riuscito
ad estrarre dalle foglie della Ga-
lega Officinali* un prodotto rigoro-
samente scientifico a cui ha dato
U nome di Galeghina, e che com-
binato con altre preziose erbe to-
niche, corroboranti ha non solo
virtù dì sviluppare e ricosti-
tuire il seno, ma anche di dare
rotondità e grazia alle forme mulie-
bri. Presa in pillole, questa Gale-
ghina, oltre sviluppare il seno, col-
mare i vuoti e far scomparire le
sporgenze ossee, rinvigorisce e for-
tifica l'intero organismo; applicata
in l'orma di lozione agisce sulla
parie coi medesimi effetti, ed i giornali riferiscono che sia nell'uno
coni- nell'altro caso, furono visti dopo circa un mesa i più soddi-
sfacenti risultati. Quindi, le signore e le signorine possono con
piena fiducia ricorrere alla Galeghina del dottor Vervier, che agisce
a meraviglia anche sui temperamenti e le costituzioni più delicati .
e non deve essere confusa con altre specialità delle quali si tiene
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L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini; il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
Non è necessario di abolire completamente l' uso del Caffè Coloniale ;
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà odi un terzo il Calie
Malto Kneipp. Il Caffé Malto Kneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
Se vi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate di
fare continuamente uso del Caffè Malto ; chiedetelo a tutti i droghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
[V
ADDIO, NIKI M \
icchè non r li i più
nulla ini ii cui un trovai in un i
che, a prima visto, mi parve sconosciuto. Dopo
un po ili ii uii"> mi riconobbi, Era una bi
il, primavera, u i veniva dal
mare ad ini resi que della laguna. \h
lai d'attorno Ei i Veni la, m i era la
Stai ii Nikola sugli
ni di una casa pressoché Unita di costi arri
1-.1 i uni ti ttamente
i 1 1 1 1 1 ; 1 1 t a rio il quale
>i;i\ ,i li dalla sua ■ loia alla i ly a
era un bell'uomo alto e robusto,
indossava una cappa col cappu portava le
-, ,u | fobie, ed un manti Ilo i uernito
ih pelliccia; una lunga catena d'oro di pendeva
da ' anto a lui stava un uomo che io ri
uhi tosto ottetto della i asa . in quel
momento il proprietario «li metteva una mano
sulla spalla lodandolo del lavoi mpiuto Poi,
dato, il gondoliei e diede un colpo
ili remo e la piccola Imban i ioni s'av\ le agli
i imo noi due. Mi scostai per la-
sciar loro il passo. Essi ci passarono accanto,
senza farci attenzione.
Non 'i vi di mo disse Nikola ■ he era 'I ac
rum" i me - Entriamo a sentire quello che il
famoso ammiraglio Francesco Revecce pensa del
i i ! LZZO.
emmo ed entrammo nello splendido i oi
tile. Uno scalpellino stava dando gli ultimi tocchi
,-i un fregio di trutta e foglie che correva attorno
■ni un pozzo in mezzo al cortile Salimmo la scala
i ipriva in fondo al cortile. Numerosi .ni i-
ivano decorando le varie sale dipingendo
delle battaglie navali sulle pareti, illustrando al-
cuni episodi della storia della Repubblica in rap-
to col famoso proprietario del palazzo. Egli si
ogli uni e cogli altri, prodigando elogi,
uggen min quelle liflcazioni
che credeva opportune, Visitammo con lui le cu-
le dispense e persimi il sotterra sotto il
livello dell'acqua. Risalimmo quindi in cortile e
-i marnimi sul portone ili ea-.a. mentre il pro-
salito in gondola si allontanava dalla
abitazione. Poi la scena cambiò e mi trovai
Min sin volta pure con Nikola, davanti allo stesso
palazzo. Era notte, ma non era buii ; grandi ftac
cole ardevano aj lati della porta ed un centinaio
■ li torcie aiutavano ad illuminare la scena. Tutta
l'alta società ili Venezia era diretta al palazzo
Revecce dove aveva luogo la prima delie splen-
teste, che si davano per festeggiare le nozze
ili i del Rei ecce il più famoso i apitano
di i Repubblica, il quale aveva \ pei
due volte la flotta francese, eolia figlia del
Duca di Levano Lo sposo comparativan te «io-
vane ani i i "ime. la sposa figlia unica
d a di ii me e più cospicue famiglie di Ve
nezi.i e pei riunta bellissima. La loro nuova casa
inalilo poteva esserci di più fastoso coi «usti
di ai i. e quindi da meravigliarsi se gl'in
Vitati -i altre!! i corti ■Muli
Entriamo questa volta p a dai e u
ehiata — disse Ni
. [a
— in momento — ri-
sposi i " endi 'ii tare un
mentre stava ni'
lamio una bellissima ra-
gazza, si esa allora di
che saliva «li
scalini a braccio d'un
dai mi
bianchi.
— N
plico Non \ i m ' i il '
te che siamo degli spi-
rili, e che ess
delia i nza .'
E ci l era difattl,
che nessuno dava
ESIGETE
im imi
MARCA
HERMANN
MILANO -TORINO
di i i ersi di noi . più di una \ 'ì\.i \ idi gente
avvicinarsi a Nikola e, per «pianto paia impossi
inie. dai 11 contro i pa io li iti
esistesse.
In questa occasione il grandi -aule d'onore
era stato fai unente illuminato, i n \ ia \ ai ili
ine le uhm uni Pi ile di 111 altre salivi
ile, mentre dalle stanze in alto
il mioiio della musica
Indiamo su,— di i i godere della fi la
li i dav\ «a ii uno plendido i ii evimento, quale
non l'oiiA.a trovarsi II simile In tutta Venezia.
Guai dai lo sposo e i iconobbi In lui I io epe
avevo visto li dati e i architetto pel suo talenti i
nari il suo palazzo. Questa volta egli ve
stiva con ma - - eie ranza, e i u e\ a gli onori
di casa ci razta e la semplicità di un nomi
vizzo a sosi mere la dignità del suo nome ,■ delia
sua post mi li p a era una splendida ragazza
i on mi viso pallido e doli I occhi he non
si potevano dimenticare per un pezzo. Essa fa-
ceva del no meglio per appa i ire felice ai
ospiti, ma in cuor mio mi dicevo che non era il
caso Sapendo quanto le preparava l'avvenire, mi
immaginavo quale grave dolore l'opprimesse \t-
loruo a lei stavano i pruni cittadini della più al-
tera fra le Repubbliche esistite. Tutti venivano a
porgerle i lor .vggi, e chissà quante ti a quelle
d ■ mi\ idiavaiLO la sua fortuna '
In 11111 sto piinio la cena « n ed ci nella.
stanza i he ?ià • ■ ■ in quella -
abitata da Nikola. idi affreschi sulle pai eti e sul
soffitto erano appena asciutti Revecci era in mare
di nuovo, Intento a muover guerra ai Frai
tornati un'altra volta ad atl.ieare la città, li ,
o sera . un raggio di soli doi ato illuminai i U
viso di una donna in piedi, prc&so una lavi la dove
stava scrivendo un uom >. Al primo sguai ri ai
corsi che era la sposa di Re\ 1 1 ce i uomo ei a un
bellissimo giovane, e quando la guardava sorri-
di niinie. i ii brillava ne suoi oci hi. Non tu
i «saria i he Nikola mi ir.foi m isse he egli i a
\iniiv i Bunopelli, lanista epe aveva dipinto quel-
la sala.
Sei tll -i li" tutto andrà Pene, amor
mio? - domandò la donna, mentre «li posava la
mano sulla spalla. - Ricordati i he l'aspett
nini ie chi muove una falsa I idino
di Ila Repubblii a, tanto più poi trattando si
famoso Hi \ i ei e.
— Lo so. lo so, - rispose I uomo — Non devi
a\ ci paui i. .meli .un Lo scritto ■ -
spetto, e i" getterò io stesso nella Bocca del i
Sparse un po' di sabbia sulla lettera scritta e
qui rido in asciutta La rip ■ la mise In
seno; poi, abbracciata ramante, se ne andò
Tuito ciò era cosi vivo, che avrei giurato ch'egli
un v edesse mentire stavo ossei vandolo.
— Non perdete tempo gli disse ella salu
dolo : — ii"'. avrò pai e Uni he non siate ritoi i
Menile usciva, la seeni cambiò un'altra volta.
I n vento freddo soffiava dalla Monna, un lem
poi ale stava prepar indosi i lai ero, d
sguardo stravolto, e coll'aria d'un miserabile,
>tava sugli scalini d'uni la laterale del paia/
/.". In quel in. .meni. . un vecchio servitore ve!
i h intimandogli di tornare indietro. Al-
lora lo sconosciuto gli sussurrò all'orecchio
cune . " ole, pei cui i ipì i he egli era il suo pa
ili. ni' . he credeva i aduto pi is iero nelle mani
.i.i F i ancesi, ed olti eri idusse
in oasa. •sapendo quanto l'aspettava, ebbi per lui
M, vivo seni intenti . di pietà Quando il
mi ■ infoi rr.ato di quanto su le\ a fra
mi die ed il pittore lo m'ala ap
panata del pai izzo do\ e di ' o di i imam ri na
[ualche giorno, per imi : di
a eti del palazzo, per potere In
tto Sua
era Infedele, e l'uomo mac
, lineilo sti ■ so che egli a
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ADDIO, NIKOl \!...
-li,, quel leva tra i due ama
i,, vede\ dalla rabbia e
pronti i
, in,, -mi \ i i ia N'ari tapi ei dire
perlustrazioni .
o alla fini la, entrò
in li i i m , al due Vieni
vedo ■ fatte dei due colpevoli,
i ido di tei kailfa donna, e Bu
aopelli, i nii> ni i resso la ta\ viso
bianco come un morto 1 n ora dopo esojj
, imi. ritti , Bi mai,, il loi ■ misfatto con
ir,. Revecce; poi vei ro eparati e messi In luo
-i , ttando ii momento di venti punii i.
Pi La prima \ olta dopo il suo i itoi no tu pinna.
sali in gondola, e si rece i on durre alia
à Con Iglio pei pi eseni u si ai sum ac
lori e per dora mdan il diritto ili punire quelli
che lo avevano tradito Quando ritornò a ossa, 11
suo I 'ii fisso e Ieri Ibile, «pressione
li i '', In Sali orila sala del Ira
i imo alla aa pi esenza i due. c< i
voli, invano Bunopelli implorò grazia per in don-
na Egli non sentiva pietà per nessuno Grt
goccie ih sudore gli scendevamo dalla fronte, men-
tre la donna Implorava eoo lo sguardo il marito,
\i era più salvezza per lorol L'u< ) venne
,i mi di Revecce violentemente strappato
rial la donna amata ohe stava presso a lui; si alzò
;i trabocchetto ed egli -P'" ll'abiseo. Si aiwen
tarono quindi sulla donna e le aprirono a forza
; , non mi basta l'animo ili contimi
il rai onti La una lingua è incaipace di trovare
la pamla per esprimere ciò Che lo Vidi. Mi gettai
sii di loro per salvare l'infelice, ina. ci ' e pa-
lle, i miei sforzi furono inutili. Mentre Revecce
imperterrito, con un sonisi, crudele, udiva i ge-
che \ oh ■■ ano a ini dal sottei i ai guar-
dava sua moglie. La scena ionio un'altra
volta.
li. , di sole illuminava La stanza. Era
ippartamento, ma inolio i.liverso da quel
lo di pruni I begli affreschi erano pressoch1
,\ miti, 1 mobili erano lutti dona Imma diversa.
ma era però sempre La stessa saia io cui Revecce
aveva tratto la sua \,iii, in i na bella di>nna
sulla trentina, alta e robusta, stava presso la fl-
i a con una I itera in mano che a\ en a turno di
ne rifletteva il contenuto, mentre di
t.uii tanto guardava eoo tenerezza la firma e
la baciava con pass e. l'oi si diresse verso un
ani,-, lo della stanza dove stava un bimbo addor
montati . nello ' olla, eli i namlosi su di lui u, atti
di pr (liei i
D'un tratto mi svegliai e mi trovai virino a
nlniii. otti ed a Don José nella cannerà dove aive-
0 lumaio dopo pranzo. NikOla stava, presso il
Q0 la sua f.n ria era cadaverico. Seppi di
in nini compagni Che issi pure avevano vi
niello ohe avevo visto io. Entrambi pero non
. ano i aipire la U ultima scena,
ni he io sa ess i feti unente anno di ohe
trattavo n feci loro paroJ i Ero persuai i
Che quest'Ultima n ,i la madre di Nikola. che la
era quella appartenente a lei, dove qui Ilo
sciagurato go\ eo natore
delia i olonia spagi la
I a\ e\ a rmio-, -iuta e
giurato fede. Bastava la
i quando rin-
venni io me per con-
fermarmi nella mia sup
pi isizione
Vndiamo a
un dissi, il Duca hi tono
ruvido. Non poSSO più
i lucetemi
via, Hatteras, per amor
di Dio, conduceti mi
\li ero m alzalo in
piedi e mi ei o i\ i li Ina
lo a lui.
— E1 tardi, dottor Nikola — gli dissi — doli
o.iin, and
lo Spagnuolo, dal .ano, suo, , diri-va sillaba.
Egli era cosi mi i • da i potei api ir
i ■ apisse quella che gli
dicevo Non gli avevo visto mal ur, simili
La i i cai igi naturalmente biu.ni hissii
widii uno a n aspa ri nte e noi avi \ u più nulla
di Oman,' su ii 1 1,, i he sui i ede\ a nella
menti., ma i potevo dn nulla
— Andiamo i ritorniamo all'albergo -- dissi ai
miei i orni
SI alzar, .ii., dirìgi ndosi mai , (lilialmente \ i
la porta; il Duca l'aveva appena raggiunta, i|
do Nikola, con uno sforzo violento, ritornò in
Perdonatemi, signori, - disse col
tono d In omo ti molli, ilio avevo
i miei il,.-, me padrone di casa Temo abbiate
avolo una -orala POCO pia, e\ ole.
E messi i nostri cappelli e mantelli, egli ci ao-
compagnò giù dalle scale fino alla ponti d'ingres-
se La ca sa i i a silena i una tomi, a . dopo
avergli augurata la buona notte prendemmo una
gondola e ce ne indammo Notai che strinse la
man, a i , limi, a i ili ed a me. ma che evitò di darla
a l'oii Martinos Lungo il tragitto nessuno di noi
apri boa a (.ìli avvi niuie-nti di lineila sera ci
vano troppo colpiti pei poter seguire una conver-
sazione, Nella hall salutammo Don losò , salmi-
nei nostri appartamenti Sulla tavola stavano
delle poltiglie di liquori . il Dina ne bevve più del
solito si vedeva che ne aveva bisogno.
— Avete visto, Dick, — disse. — quello i le sue-
,,:-e in quella stanza'' \\ete visto quella nonna
ingoi, cclliota i olla. ...
POSÒ il bicchiere lece due 0 tre passi, ed andò
alla iiuesira. Quanto capivo i' suo smarrii
io che al pari di lui avevo assistito
seena !
— E' certo. Dick, — mi disse dopo ,.- hi minuti,
— eie- se dover--.; vedere più sovente il dottili' ^V
kola, finirei coll'impazzire Perchè ci fece \eit.»re
tutto ciò? Perchè? Per amor di 1 Cielo, rispon-
detemi.
Come potevo io dirgli qmiio In mi
nella mente' Come potevo rivi largii il dubbio ter-
ribile i he piano piano s'insinuava in me? Perchè
aveva egli invitato Don Martinos a casa sua l
elle gli aveva fatto vedere la seena di quell'i
bile delitto? Al pari di (ilenbarth. non |
mi no ih far ■ la stessa don amia - Pei
ehe .' Perché '.'
. ed aiuto
urimeiito
ii quella
iMuioiii Vili.
Quella sera stessa, prima di lasciarci, i
ini Ira di imi di non fai paiola eolie sii:
di quanto avevamo visto Pei n tiseguenz.a quandi
mia mogli,, s'informò sulla nostra serata, mi dif-
fusi essenzialmente nella descrizione del pranzo,
lodando il famoso cuoco, e descrivendole mimi-
la mente lo squisito menu
— Eccomi dumi sconfitta - disse una moglU
quando ebbi finito il racconto. - I
suasa che vi sarebbe successo qualcosa di
dioario. Inviee. la iosa passò semplicem
banalmente avete avuto un buon pranzo e fu-
malo degli eccellenti sigari E la pi Im i
io eredi,, che il dottor Nikola smentisce
fama.
Se avesse saputo la verità, m'immagino quelle
ehe avrebbe detto I li bel peZZo dopo a\ '•,
la buona mate sta\ lio pensai
diversi casi di quella sera Vvevo semi
agli occhi quella stanza orribile. Benché mi ni
cessi che era irragionevole turbarsi a quei mode.
, in , Inumili, altro dot iti del poh ri di
a\ ivl.h. potuti evocai •• le sles ; • -cene, imi
mai doci altri l tanto, pure d i,i i he
eose Viste erano COSÌ vive da non pò
i h, non fi ssei o reali II oti i Ilo urna
teva immaginarsi gli orrori passali in quell
za eon tutti i piò minuti particolari Vnche ora
dopo tanti arni, è ci si l'iva m me la memoria 01
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VI
ADDIO, NIKOLA!.
quai notte, qu md i sono sveglio, mi
tanna,
mo morente • 1 1 rame ne] setter-
Prima di andare mia moglie mi ave* a
di Miss I n-\ or Vei
3t0 ^"lillo
i - , risti rata,
i ii mira in camera sua, mi
Phillis, ed 6 Inteso che se non si senth a
ebbe tosto mi >\ \ mimmi Spero però che
lontani rà
Vi, ih purtroppo cosi Un pò i i delle 3 udii
i porta della nosti a ami ra Suppo
ni ini -■■. mia moglie andò lei ad
aprire: •• venne avvertita che Miss Trevoi
Vado immediatamente — disse Phillis; ■
ii bene che la notte era tri
andò dalla sua am
ti., uni .i ;u paura i he si tratl i il una
iisse quan li rientrò un qua i oi a
i -- , ha la febbre altiss ma ed U delii io
\.,n vi i li m iiiii.ui' ~ni. un pel
_ i , u risposi. —
ipisco proprio cosa possa
— Il dottore ce lo sapra diri'. — «lisse una nui-
i sintomi ora si si no manifestati più i bla
rumente, per cui potrà rarne la diagnosi. Ma non
- tempo a discorrere. < iorro subito dia lai
Vppena uscita mi vestii e sce9i nella hall In
. guardia di notte. Egli si incairicò di
trovarmii un fattorino per andare a cercari >
re quando lo ebbi spedito, tornai nella sala
•i-iri. au ' esi il lume, e mi misi a lef
lo di interessarmi al libro mentre aspettavo
i ,i i osa non era possibile . pei quanto
un la una mente correva al Rio del
un domandavo quello ohe poteva tare
Niki i mi «mi ni" e me I Immaginavo us-
ui malgi ado I oi a Larda F inai
uhm , .h leggere, e desiderando di trovar
r,M he cosa da upare i miei pensiei i, an-
dai alla finestra. Era una splendida mattina Mi-
riadi di stelle si riflettevano nelle acqui' osi ure
del i le lampade di una grande città
Non -i udii i li ii suono Pareva la città della Morte,
-a. Mentre, affacciato alla finestra,
, i uc tranquilli-, pensavo al pas-
-in. di Venezia, alla sua antica grandezza., ana
sublime ed ai grandi uomini suoi Bgn.
ii.ii.i dalle mie meditazioni dall'arivo del
dottore, hi la guardia notturna condusse a me,
remod n i di aven i rJii
bato ■ quest'ora, caro dottor i, gli dissi ma
la povera Miss i irata Mia od
pase parte della sera, e al
mio ritor I bu stava benino
li he dormiva in can
i dirci che la sua padrona era agita-
ti--, ui.i. per cui pensai bi darvi a chia-
— ,\\ ete tatto ottima
meni gnore, ol
tintamente,
Non vi è nul-
la quanto la sollecitudi-
ne m questi casi. E
meglio eh' io ( ida da
lei suini'., senza r
oltre il tempo.
lo lo i "ii-
dussi sul i tare della
della camera di
\ii>s Trevor Busso . mia
ni aprir-
lo condusse p
l'infei >
i imi una mezz'ora
egli scese da me.
nella sala di lettura, coli' aria grave e tur-
bata
i lottare, i he ve ne pare
— Essa li i la fi bbi e altissima, i il
• • tri quentissimo, ed ha il delirio Debbo
pei irvi H' ii"ii posso assolutamente
spiegarmi la ragione di ciò. Oggi, più assai di
in i. le sue condizioni mi \ i sono
vari sini"ini che non mi so spiegare. V buon
conto, è certo che essa ha bisogno di un'in
miei perta e, con vostro pi n vado un
ii ii ad 1 1 1 1 ori ii i i-ni i perchè ne venga mantiaia
una ni Ima della colazione 1 ad; Ha m è
ni bs ■ ■ tttendei e ad un ammalata.
— Sono perfettamente del vostro avviso. — ri-
sposi. - Vi sono "Mi. iman--, lei vostro inte-
i redete che sia il caso di avvisare il padre
di \h-- i revor di venir- 1
— Per ora non me ne pare il caso. — replicò. —
appena l'ammalata accennasse a peggiorare
ih avviserei. Ho dato le mie prescrizioni a
Halli ras e le ho indicato il miglior farinai
Fra le nove e dieci di stamattina ripasserò a ve-
di" i.i e spero di trovarla me
— l'u-i ""i i- ' - i imi"- I i - ua ma-
ialila, rome potete immaginarvi, ri impensiei
Dopo averlo accompagnato giù delle scale, ri- '
ini iiai nella mia camera. I itato,
benché non volessi quasi ammetterlo, per le
dizioni assai gravi di Miss rrevor. Verso le sei,
una iii"'_'lie scese per qualche minnt". l'amma-
lai i ei a sempre nello stesso stata
— Essa o in pieno delirio mi disse. l'aria
continuamente d'una grande sciagura che li
\ pasta, implor indorili di venii le in aiuto, m i
spiega chiaramente di che si tratti. Mi
cuore vederla soffrir unito e non poterla solle-
vare!
— Dovete stai bene attenta a quello che fate. -
replicai. — Il donine, partendo, mi pn misi di
mandarmi al più presto una buo'ia infermiera
per togliervi ogni resi sabilità. Gli dom ridai seJJ
dovessi telegrafare al padre di venire; m
aspettare anci ra; questo ci deve ■ \d
ogni modo io conto di scrivergl per mi
corrente delie cose, e per prepararlo, nel caso ■ i
dovessimo chiamarla Poveretto, che ci
pei lui !
— N,,n certamente maggiori di quanto 1"
per noi, — 'Usse l'hillis. — Non si in.»
alle volte penso che it modo ne ho io
".a
— Che sciocchezza, bimba mia! — replicai. —
■ he avete da rimproverarvi, poveretta! Al i
trario. Non \i tormentate a questo modo, altri-
menti vi annullereste. Ricordatevi che non siete
tanto i"i te !
— Si, si. avete ra- n Eccomi di nuovo calma.
— p — Mi immagino quelle
lira i! povei i Due i, quando udrà quest
— Ieri sera ira quasi tu .il di se. - li-
a peggio assai. ■■ non so cosa farcii,
lui
Essa rimase in silenzi qualche nini ito. as-
soi ta ih i suoi i'cm ■
— Dick, volete i he ve lo dii a ' Per quanti
sembri assurdo, lo sono per-nasa che il v
inolia amica e devili" al di ttoi »
kola.
— Dite davvero ! - molando una
vi\ a sorpresa Ma che c'entra il dottor Nik
— Perchè Un da cinque anni fa. ogni N
ci incontriamo in lui, ci capila una disgrazia
ricordate dell influenza esercitata -u di lei al
prima cimosi ersi I ssa ei i I" n diversa dal
Minila sera che andamm giro per la i ittà l d
ora nel suo delii io essa pai i i • oiitinuamen
la spaventevole casi ili Nikola. e da qu
,. i i. -, .invili. e che - immagina di assis
ad una di qui ne atroci i he ebbero lu
nel passato, e forse li inno lungo ani he
Lr1-
111
I
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Pi
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^ c^^-T^V^ *T" fitfs
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l
1^
In
fu
pi
Ir
IH
In •.
ZEFFIRO
Ventilatorino automatico
elegantissimo,
imitazione avorio o tartaruga.
REGALO SENZA PARI
per" slsnore e signori
Novità assoluta,
comodità senza precedenti,
benessere mai provato.
L. 7.50 franco nel Regno
Domande con cartoline vaglia alla Ditta
Grandezza : 1|5 del vero
The Anglo Italiani C. C.
AHI
ro, Via Dante, G.
NB. Il disegno dà appena una lontana idea del nostro zeffiro
movimento.
%
L5D
i
u
i
ni
ii
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j
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j
iil
ni
ni
iil
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ni
fi
ni
ni
pi
II
IL
vSj&YÌBfa
Si sp
chiesta ca-
la] ! ti 1 ila tori Lettrici e
dei ventilato! .■ nto d'o-
I .. :■
.cS
.M$m&i, .
sa@§
£>^iwc?
J
ai
fi
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ISSi
"=ir="=.T="
VII
ADDIO, NIK< ILA !..
Dio le venga in aiuto! dissi fra 'li me. Poi.
m a mia moglie, Le < i i : — • :
i , . rto i he la strana e straordinaj la pi
nalltà ili Nikola fece su .li lei l Impi i he
li ai meno fa In tutti quanti lo conobbi
tutto ciò, spero i he non \ on ete Incolpare
Ila inaiatila ili Gertrude. Sarebbe il col
ni" dell immaginazione,
i limi e continuò una moglie, spi che
lui fatto una strana SCOPOl la
i he sarebbe? - le dissi In tono quasi aspro,
Mi ero ratto lo stesso tante domande i he i de
sideravo punto «li venire Informato .u altre
uni breve pausa prima di proseguire
tta\ i senza dubbio ch'Io ai rei accolto la
sua scoperta con scetticismo, se non con un sor
moglie, fin da quando la conobbi, ebbe
sempre un gran timore del ridicolo,
padro ti ridere come vi pare •• piar,'
- mi disse. — E' certo però che la coincidenza è
rdlnaria per non notarla Vi ricordate,
in.k. che il dottoi Nikola venne da noi all'attergo
alle i
remetti di essermi tradito dalla sorpresa Non
ii ei mai immaginato cb essa i tsse rai mi
una simili' domande
— Si, — risposi cercando di mostrarmi calmo.
Mi parr lii'iii' rlif sia così. l-'.f-Tl i fece una sem-
plice visita di i ortesia a Don Martini», prima
accettasse il suo invito. Io stesso r«cl
la stessa cosa, ve ne sovviene?
Sicuro — replicò ella. — ma ciò aon vuol dire.
Credo vi ricorderete puri' che fu a quella precisa
mi che Gertrude fu e ita dal male.' i-: t > t > ■ ■ 1 1 « - . die
ne dite ili questa coincidenza '
Ella mi fece questa domanda con tale aria di
trionfo, come se nessun argomento da parte mia
se a combatterlo.
— i.he volete' N.iii vedo proprio nulla di tanto
straordinario replicai, \.e pure, se ve ne ricor-
date, una volta venisti' menu, pochi minuti dopo
l'ari'iv.. del vicario a casa nostra E con ciò, do-
vi vo io attribuire li vostro svenimento alla sua
presenza? Perchè dunque, credere che la malattia
il, M li. 01 Sia dovuta alla visita di corti
fatta dal Dottor Nikola al nostro amico Don Mar-
in...- '
- Vi premi .li non chiamarlo col nome di amico
- dis>e mia moglie con aria dignitosa. — Detesto
quell individuo
Mi guardai dal dirle che il linea divideva la
sua antipatia per lui; essi SÌ sarebbero messi dar
i" . ro poiuto far nascere delle que-
stioni spiacevoli, i>a manto saggio e prudi
tacqui, sapendo per esperienza come qualunque
10 avessi detto noi. avrebbe mutato la si-
tua/
Una mezz'ora dopo dovetti informare Glenbartb
-ravi condizioni di Miss Trv •
— Fin da ieri, vi avevo detto che non era una
importanza — mi ih— e. come se
lo resi sabile della sua malattia. — Evidi
minte il dottore non ci capisce nulla . se ci tenete
alla sua salvezza l'uni-
ca . Osa da farsi e di fal-
lili dottore ila
I ■ i
— 11 He. ano di Bl i
minster ha uno stipen-
i di BOO -telline all'an-
no risposi calmo, —
e il dottore che \
consigliereste di chia
noi. domandereb
0 .li
quali he centinaia di
ghinee, pei un -mulo
lo
— i
per qualche mi
-. rabile sterlina ? — firri-
Rifiutate
le Soprascarpe
che ti rompono subito 1
UH noi itnpte incusso «(Stilli
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
dò egli in \enla. Dick, non \i . ledevo così ve-
nal
— lo non Vi parlo per conto mio, ma pensando
io puh.. risposi D'altronde non credo
che il dottore ih i] in sia .osi ignorante, come dite
voi, Si tratta di una malattia complicata e il
ina. e l ammettere egli stesso che non capisce -
lamenti' il caso, a parer mio gli la onore Quanti
al suo post., ci butterebbero della polvere negli
occhi assicurandoci .li capire perfettamente la ina-
latila'
Ma egli non vedeva le cose dallo stesso punto
di vista ed era perfettamente convinto che noi
non taceva per lei, che egli amava, quanto
a\ renano dovuto fare Mia nn lie dop . olaz
lo prese da parte e dopo un Imi
a convincerlo delia ragionevolezza del nostro
cedere Oliando tornai dal la I Piacisi a. dovi
andato a spedire alcuni rimedi, lo trovai più calmo
e ragionevole
I' prima delle dieci, venne il dottore: dopo
un aci inai., esame dell'ammalata, ini disse chi
vrebbe desiderato un consulto. Questo purtroppo
non valse a chiarire le cose. Entrambi i dottori
Chiararono di non aver inai visto un raso sin
L'ammalata non aveva più febbre, non accus
nessun male, e la sua mente, salvo di tanto in
tanto, era quasi a posto. Erano sicuri che non
si trattava di una paralisi, benché non poi
fare il minimo movimento. La breve durata della
malattia non giustificava la grande debolezza e
la presenza di certi altri Sintomi Non ci rimaneva
quindi altro da fare che di aspettare paziente-
mente il corso degli eventi. Partiti ì dottori, andai
da Glenbarth. Il povero ragazzo fu ben lontana
dai mostrarsi soddisfatto del mio rapporto Egli
aveva sperato di ricevere .1 ne notizie e
I incapacità dei medici nel farsi un giudizio della
malattia e nel prevederne un buon esito, lo i
fermò sempre più della loro incompetenza. Se
glielo avessi permesso, avrebbe telegrafato imme-
diatamente al più noto e tatuo,., dottore d'Euri
ed avrebbe speso metà delle sue remine princi-
pi -. he pel ridarle la salute.
Verso sera le condizioni di Miss l'revoi si ag-
gravarono. Col cader del giorno eia stata ripi
dal deliri laiia febbre Passami ina noti*
piena d'angoscia; al mattino, quando venne il
lori-, questi mi dis-, i he a parer suo sarebbe -
prudente di idei:! alar.- al padre dell'ammal
\ ni diffonderò nel descrivervi l'arrivo del
He. in., di Bedminster a Venezia. I fra
.1 rispettabile vecchi., gentiluomo e -uà figlia fu
da parie sua estremamente commovente I
i lo riconobbe, come non riconosceva mia mo-
glie Quando mi raggiunse nel salone, un q.i
d'ora dopo, egli faceva pietà Mentre stavamo di-
scorrendo insieme venimmo raggiunti da (1
bauli, die gli presentar II decano non sapeva della
viva simpatia che egli aveva per sua figlia, ma
m'immagino che, dopo qualche tempo, capi
Vivo interesse per lui, che i I d..ve\
.piallile cosa in aria Era arrivato a tempo' Nel
pomeriggio Miss Trevor and., peggiorando; . <l"t
torj -i mostravano vivamente imi li P-ssammo
imi ioni., e l'in-
domani in grande ansia
non vi erano .ambia
melili nelle sue . li
La natura cono
i. alt. 'va Indefessamente
passo, l'ammalata
. i ,, empri allo stesso
punto, non si notava ne
un peggioramento, né un
no ii amento Dietro
o del dottore ne
venne i hiamaio un ter-
zo, con p". o suci esso
come per l 'addirli I
nalmente quell'lndimen
in abile dopo pranzo, il
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ADDIO, NIKOLA!
primo 'i •■ tanta
lui • 1 1 1 . 1 <
ummalata era iti uno stato d'estrema
che andava min mano lamentando
non oppresso dal dolore andai a dare la
dolorosa notizia al Decano li povero vecchio mi
indo alia i stra e mirò
del i ana] grande. Dopo un
i me. mi posò la mano sulla spalla e
llll il
— - Iddio, Sia ratta [a su i volontà
Ma ditemi, quando mi sarà permesso 'li vederla?
Me ni' informerò sui
E con dotti ire Mentre attraversai o
ni Imbattei nel signor Galaghett i il
era pn fi nd tmente colpito dalla ti iste
notizia, '■ \cin\ a in tutta fretta in Cerca di me
mi disse se volete dai retta a
un', la salveremo ancora Sentite: \i ricordate deJ
mico, il dottor Nikola, che i uro la mia li-
i bbi ne, andate da lui, e pregatelo di ve
nire Sono cei to che la guarirà
Balzai dalla sorpresa. Devo confessare che que
si idea un era già venuta, ma non credevo pi
bile di metterla in esecuzione Perchè, dum
inni ricorrere a lui? Gala.gb.ett1 mi rdò ch'egli
salvato sua figlia quando unti gli altri do1
toi i di Venezi iata, e me ne par-
on Ianni entusiasmo che credetti beni di
prova Quando entrai nel sai
ibartli venne a chiedermi ansiosamente noti-
zie di Mi>- I 1 1 \ 01
— Ebbene, come va?
Se sta
— Per carità, i m'ingannate. Se sapeste quan-
fro
i gli raccontai crudamente n lavano le i
senza attenuarne la gravità. Egli stette un mo-
menti! prima di poti i parlare.
— No, non è possibile, essa non deve mi
[issi colla violenza delia disperazione. — Bi-
i tare tutti i mezzi immaginabili Dei sai
varia! Ditemi, non sapreste suggerirmi nulla? Per
amor del cielo, non perdiamo un solo minuto!
rebbi provare a chiamare il dottor
NLkoia — suggerii, guardandolo ben bene in viso
per vedere l'effetto della mia proposta. -- G&la-
i insiste perchi lo facciamo venire
Nonostante la sua antipatia per Nikola, Glen-
barth accolse il mio suggerimento con entusiasma
andiamo subito b o - gridò piglian-
domi pel braccio. Egli solo può aurora sari
Vndi liamo senza pei di i e un minimi di
lem
- E' impossibile! Bisogna rispettare le conve
tiienze in qualsiasi circostanza Devo quindi con-
sultai dottori prima di chiamarne un altro.
Mi duoli 'li di iì er dire che qui il Duca si sei * i
di parole e di termini poco parlamentari per un
uomo del suo rango i" liedi pi i sue
pai ole e feci lontà l doti n fi
la menoma i bbie ! - una proposta di chia-
mare un quarto consulente, benché fossero pei
suasi • in ni n . i fosse più nulla d ma
quando pronunziai il nome di Nikola capii sul
di aver sollevato una grande tempe
Spero signori, che vorrete | la mia
chi l Manzi ci diceste che min \
speranza per I ammalai i i ira. in colluseci pei
pi ii espi iei ore del dottor Nikola. e
rebbe quindi ingiustificabile - in non sentissi il
suo parere, se pure sci onsentirà di venire, l
tani. da me I idea di andare conti n la .
di offendervi, ma capirete che prima d'ogni alt
i a cuore la salvezza di Mis i
l ■ i li--'' il più alto dei tre, il qua
gliava invariabilmente sempre la parola. — che!
a questa condizione, né io ne i miei colleglli i
Mimeremo a curarla Non su lui" a qual puntovi
sia nota la capacità di questo dottor Nikola. ma
mi permetterò di dirvi che circolano le più sii
storie sul conto suo, e sul suo sistema di cura
I'" ih In' m fondo egli dicessi la \ erità, pure io
sue paini»' ni' irritarono. L'unica mia fede
in Ini.
— Spei amente che i farete qui
— gli dissi. — Ad ogni mod ioli devo rinunciare
ali mura speranza che ci rimane di sollevare 1 am-
;
i vos
altro che ri-
malata, per non offendere
di protessi
— in questo ■ aso non ci rimane
tirari i, disse uno dei dottori.
— E' questa l'ultima vostra parola?
— L'ultima. ai irono tutu insie e il pi
alto aggiunse: — Siamo dolentissimi, ma la n
stra decisi i irrevocabile
Dieci minuti dopo lasciavano indispettiti l'ai
Ero in un serio dilemma! E se la presenza <i<
dotti i Nikoia esercitasse un cattivo effetto suDj
paziente, o se egli rifiutasse di venire a vedi
In questo caso avendo io offeso i migliori dottori
di Venezia, sarei in certo modo responsabile il
sua morte! Ero in un bell'impiccio. Basta, in quel
momento i unica cosa certa, era che non vi era un
minuto da perdere. Mia moglie si mostro inquie-
tissima quando le annunziai la decisione presa,
ma lauto (ilenbartli quanto io eravamo persuasi
di fare pel su., meglio, ed ebbinio 1 approvazione
del padre dell'ammalata.
Dacché la pensate cosi, andate sull'istante ai
lui — disse mia moglie, appena il Di
ebbe lasciati. Pregatelo, supplicatelo di non in-
dugiare un solo momento . la di
gazza aumenta sensibilmente, i
ancora in tempo. Dick. Dick, purché non dob
me pentirci di averlo chiamato! Dio voglia chi
la salvi !
— Sono persuaso che faccia bellissimi
pi i Ed i ri coi n da lui. e spero di poi
dui n me subito.
— Dio voglia che riusciate nella \ i -
— mi di".' Glenbarth. stringendomi stretta la
no - s.' Nikola riuscirà a salvarla, gli dai
quanto mi chiederà, ed avrà per sempre la mi
scenza.
< ontinudj
Anno-II
fNvM-9-
•La- Lettura-
Settembre
riv!5Ta-alN5ile-
DEL-rORRILRL-
^DELLA-3^RA-
•1902
Gaetano Negri
Dire degnamente di Gaetano Negri qui, oggi, di- simo Estinto, sibbene un
nanzi alla sua tomba a mala pena rinchiusa, quando da mano agitata con occhi
più cocente è lo stupo-
re angoscioso, suscita-
to in tutti coloro che
l'hanno stimato ed a-
mato dalla sua scom-
parsa, repentina così
da sembrar quasi ine-
splicabile ; potrebbe
essere impresa di criti-
co spassionato e sere-
no, cui non stringesse
il cuore verun doloro-
so ricordo, né pertur-
I lasse la mente acerbi-
tà di rimpianto. Tale
non è il caso mio ; che
la morte dell'uomo il-
lustre, del cittadino più
gliorioso per nobiltà
umo e d'intelletto,
onde andasse ancor su-
perba Milano, provo-
ca in me sbigottimento
tr ppo intenso, troppo
acuto cordoglio. Scri-
verò dunque, come già
lo storia) antico, in
luogo di piangere;
ma non sarà un fedele
ritratto quello che nel-
la tristezza dell' ora
presente saprò deli-
neare del desideratis-
Gaetano Negri.
La Lettura.
incerto profilo tracciato
offuscati da lacrime mal
rattenute.
Non era possibile
avvicinare Gaetano Ne-
gri senza cedere al fa-
scino che emanava dal-
la persona sua. Tutto
in lui conspirava ad
eccitare la simpatia :
geniale franchezza del
tratto, affabilità spon-
tanea e schietta, doti
preziose del milanese
d'antico stampo, che
gli facevano accoglie-
re con benevolenza
cortese pur chi non a-
vesse mai per l'innanzi
veduto. In lui nulla
del burbero cipiglio,
della freddezza orgo-
gliosa, ond' altri insi-
gni sogliono ricingersi,
quasi di valido usber-
go, contro lo sconosciu-
to in cui non int rav-
vedono ancora l'ami-
co, ma temono già,
memori delle trasci 1
battaglie, l'avversario.
Semplice, modesto, il
49
/ /
0
LA LETTURA
ri bramai ritirsi come i.iwduppato e
> da una calda atmosfera d'affetta
L" n nonnulla bastava .1 conturbarlo; se taluno,
anche a malapena noto, gli si mostrava me-i che
cordiale, tosto ei ne ricercava il motivo, e rii.venu-
ffaticava a toglierlo via. Egli era insomma
profondamente buono, d'una Imma illuminata e
i, cui non mancava il condimento eletto di
quella fine ironia, che l'antichità volle chiamare
ttica dal savio il quale ebbe ad invocarla pri-
mo, perchè confortasse del suo discreto sorriso la
scialba volgarità della vita. « L' Ironia e la Pietà
.1 due linone consigliere; l'ima, sorridendo,
o ci fa amar l'esistenza; l'altra, che piange, ce
« la rende sacra. L' Ironia che io invoco non è cru-
€ dele. Essa non prende a giuoco né l'amore né
« la bellezza. Essa è dolce e benevola. Il suo riso
« placa lo sdegno: essa, essa sola ci insegna a
« beffani de' cattivi e degli sciocchi, che noi po-
« tremmo, senza di lei, aver la debolezza d'odiare ».
scrive Anatole France in una pagina
squisita del suo G tarditi d'Epicuro: ed è ap-
punto in questa conformità intellettuale col ge-
niale scrittore francese da additare la cagion pri-
ma della simpatica ammirazione onde il Negri fu
indotto a dedicare all'autore del Mannequin d'osier
pagine scintillanti di grazia, che ninno tra i let-
tori nostri ha certamente scordate.
Gaetano Negri amava passionatamente la natu-
ra. In mezzo ai campi egli si sentiva felice. Alla
Cassinetta, nella sua vasta e vecchia casa di cam-
pagna, lungo i viali rioriti del giardino cupo per
ombre secolari, cui rallegrano le nitide acque del
Naviglio che quivi corre forte a modo di fiume,
pareva ringiovanire; ascoltava con maggiore leti-
zia le grida festose dei nipoti miste al garrire di
quegli uccellini, di cui compiacevasi tanto da vo-
lerne sempre qualcuno nella sua stanza da studio.
Come gli uccellini, che distingueva colla sicura e-
sperienza dello scienziato, tutti gli animali lo in-
teressavano e lo commovevano: gli dispiaceva che
si molestasse persino un insetto. Tale l'uomo che
furore bieco di parte ha osato dipingere un tempo
quasi assetato di sangue !
Quest'amore per la natura, di cui doveva pur-
troppo divenire la vittima, aveva negli anni gio-
vanili incitato il Negri ad occuparsi precipuamen-
enza : ed è noto a molti come Antonio Stop-
pani l'abbia avuto discepolo e collaboratore in pa-
i giche. Egli deve anzi aver
li queste severe sue fatiche in qualche
monografia speciale, di cui qui, dove scrivo, privo
di qualsiasi mezzo di riscontro, non posso dir nulla
di più. Da tempi ad altre indagini, dal-
l'eterno problema del cosmo passato a tentare l'al-
tro non meno eterno mistero che è l'uomo, dei suoi
vecchi studi ei parlava poco o punto,
•ne, tratto unto, nella conversazione fami-
gliare, qu pportunità se ne offrisse, egli la-
ri re la varietà e l'ampiezza del patri-
monio scientifico che aveva - umulare. Ad
ogni molo di quanto Fi jnasse lare, ra-
ramente intratteneva altrui : la stessa famiglia, cui
nulla teneva celato, restava pressoché sempre al
buio di ciò che egli andava elaborando, e delle scrit-
ture sue giungeva a cognizione sol quando esse già
stavano [kt vedere la luce.
Egli è che il Negri — e di qui scaturisce insie-
me ad un altra efficace prova dell'altezza del suo
animo una cospicua testimonianza della sua au-
stera modestia — come da ogni altro vanto ambi-
zioso rifuggiva dal professarsi apertamente un let-
terato, uno scrittore. A chi gli tributava lode per
taluni suoi saggi, donde più luminosa traspariva
la vigoria del pensiero, nudrito dalla meditazione
e dallo studio, egli rispondeva con arguto sor
d'essere non già un sapiente, ma un amatore di
sapienza; meglio che un sofo, per dirla ancora con
Socrate, un «filosofo». In realtà egli apparteneva
a quella schiera d'uomini che abbondarono nel se-
colo testé spirato, in Inghilterra ed in Erancia, i
quali, sottraendosi tratto tratto alle agitazioni fe-
conde ed al lavoro febbrile della vita pubblica,
amavano cercare sollievo e riposo nelle placide re-
gioni del sapere. Ammiratore e seguace degli es-
sayists inglesi più famosi, quali furono il Carlyle
ed il Macaulay, Gaetano Negri seppe felicemente
emularli, dettando sopra i più svariati argomenti in
materia di filosofia e di letteratura, saggi notevoli
sempre per larghezza di vedute, novità di concetto,
calore di esposizione. I volumi ne' quali egli si piac-
que raccogliere taluni fra questi scritti, usciti spar-
samente in giornali quotidiani ed in riviste perio-
diche, fanno fede delle singolari attitudini critiche
del Negri; per cui egli poteva colla stessa acuta
sicurezza d'indagine recare giudizio dei romanzi di
Georges Elliot e dei filosofici volumi di Ernesto
Renan ; ripresentare alla mente dei leggitori con
vivacità di colorito le estatiche visioni del Serafi-
co d'Assisi, ardente d'amore per l'umanità, e scru-
tare i segreti congegni della politica del Cancellie-
re di ferro. In tutta questa sua produzione mirabil
mente varia spiccano sempre le stesse doti di a
tore eminente; coll'agile sua prosa il Negri inca-
tena il lettore come soleva legare l'uditore col fa-
scino ben conosciuto della sua maschia ed eloquen-
te parola. Uomo di Stato compito, l'ho detto:
quale ben raramente l'Italia ha posseduto; quale
oggi non possiede più: ;i|>o scomparso, cacciato di
nido da un altro tipo: anello del professore
gliato, che preferisce alla cattedra dell'insegnante
la bigoncia del tribuno....
Ritiratosi da qualche anno, come niuno ignora.
lungi dalle procelle della vita politica, per ubbidi-
re, più che ad altro, al desiderio de' suoi cari, che
GAETANO NEGRI
77
lo volevano felice e sereno dentro le pareti dome-
stiche, tra il reverente omaggio di amici sinceri e
provati, il Negri aveva con alacrità maggiore ri-
presi i suoi studi prediletti. Come di tant'altri in-
signi spiriti è seguito, così era avvenuto di lui: la
storia del Cristianesimo da gran tempo lo attirava.
lo pungeva la brama di penetrare più addentro nelle
misteriose cagioni per cui la religione predicata dal
Messia di Palestina seppe conquistare il vecchio
mondo pagano, foggiarlo a propria posta, poi dalle
rovine sue cavar quello che ancora informa d'un
soffio potente. Scrutando la lotta suprema tra il Gen-
tilesimo morente e la fede novella, una figura aveva
colpito il Negri per l'alta sua originalità: quella
di Giuliano, l'imperatore, che, abbandonata la
scuola per la reggia, aveva saputo tra le mollezze
bizantine, far mostra d'austeri costumi, rivelare nel
filosofo un capitano di genio, concepire l'audace
pensiero di restaurare in un sol culto dei Numi se-
mispenti la cadente fortuna di Roma. Il libro che,
un anno fa all'incirca, esci alla luce, trovò acco-
glienze oltre ogni dire favorevoli : ed il giudizio
che la critica europea unanime ne ha recato, è in-
dizio sicuro del suo singolare valore. Il Negri vi si
è rivelato storico e filosofo ad un tempo : storici ,
nell'illustrazione di tempi malnoti, di vicende oscu-
ramente narrate dagli scrittori contemporanei ; filo-
sofo nel chiarire il viluppo dei dogmi e delle dot-
trine che agitavano gli animi in quel misterioso
mondo orientale tanto prossimo ad irrevocabile fi-
ne. E con quale arte non seppe egli seguire i passi
del suo protagonista, scrutarne le azioni, divinarne
i disegni, mostrare infine dove fosse la lesione in
quell'edificio che precipitò seppellendo, funebre
monumento, chi l'aveva innalzato ! E poiché Tinte-
resse che le ricerche già istituite su quel periodo
oscuro di prova, donde il Cristianesimo uscì vit-
torioso, s'era acuito più che appagato, finito il li-
bro intomo a Giuliano, il Negri stava ora medi-
tandone un altro, di cui l'Italia sarebbe stato il
teatro. Ambrogio l'eroe, argomento la battaglia
ingaggiata fra l'eresia ariana e la fede. Ed inve-
ce..... Invece.... mentre Egli, fedele al suo proposito
di salire in alto, sempre più in alto, ascendeva con
gagliardia quasi giovanile i monti di Santa Cate-
rina, una pietra smossa, un rovinio di ghiaia, chi
sa?, ha troncato a mezzo il bel sogno: ha strap-
pato all'Italia un figlio illustre: ha tolto ad un
modello di moglie e di madre il compagno fedele,
ai figliuoli un padre adorato. Sulla salma sangui-
nosa di Gaetano Negri s'inchina reverente la Pa-
tria ; chi l'amò perchè lo conobbe d'appresso, ne
piange inconsolabile la perdita immatura.
Ckamonix, : agosto 1902.
Francesco Novati.
^«S*
* -
$ulle macerie del campanile di $an IVja^co
IN VENEZIA
^K^ì&ér^x:
Ad Ettore Zoccoli.
Fra l'azzurro del cielo e quel del mare,
Fra lieve spira di migranti augelli,
Come nave cui manchino i puntelli
Lo vedemmo giù giù precipitare.
Dell'immane colosso al grave earco,
Tremò di marmi il secolar traforo.
E sui fastigi della chiesa d'oro
Sussultaro i cavalli di San Marco.
Colto il voto e il sospir del navigante
Anco una volta, l'angiolo dorato,
Coltali aperte al volo, immacolato.
Sulla soglia del tempio apparve, orante
E le campane dall'aerea loggia
Pronte de' riti al consueto bando,
Tratte nel turbili della strana roggia,
Come a stormo suonar, precipitando.
Si fé silenzio dalla terra al mare,
Dal Ponte de' Sospiri oltre a Rialto,
Un nimbo di colombi intanto in alto.
Stette il lugubre ammasso a riguardare.
\ on la Loggetta no, del Sansov/no
Gemo sud/o ne' marmi e fuso in bronzi.
Za dove il seco! che impinguò sui gonzi
Sfruttò il popol giocante all'indovino.
Oh Lìou di San Marco! Oh don /aloni,
Spiegati ai venti dati 'Adriache prode,
Il pina colo eccelso ahi pai non s'ode
Salutar colle sa i i i cannoni
Dei navigli ancoranti alla Laguna
Ma tu gondola nera il Gran Canale
Bacerai m hi in nota eguale
Sulle macerie piangerà la luna.'
M. Sampori.
FERRAVILLA
(Con disegn di Ferra;
e, tra qualche secolo, si vorrà scriver la
storia del teatro italiano sui documenti
tanto numerosi lasciati dell' epoca no-
stra, tutti gli attori potranno essere con qualche
verità e con qualche somi-
glianza rievocati, tranne
uno: Edoardo Ferravilla.
Per sapere ciò che egli è,
per avere un'idea del pro-
blema curioso che egli rap^
presenta, non basta aver
sentito dire: bisogna aver-
lo visto alla ribalta. Ed
anche allora, lo si intuisce
ma non si riesce a definir-
lo. Di che è fatta la sua
arte? Quale è la ragione
della sua irresistibile po-
tenza? Perchè mai ciò che
egli fa par così lieve e fu-
gace ed è invece cosi resi-
stente e profondo ? Dove
ha le radici quella sua nuo-
va comicità che gli anni
non scolorano? Come si
maturò in lui il magistero
della misura e della sobrie-
tà? Per qual processo men-
tale è egli mai riuscito a
creare tanti tipi così sem-
plici e così complessi, così
generali nella loro essenza
e così particolari nella
forma? Per conto mio, ho
osservato con molta cura Ferravilla alla ribalta.
ho scrutato con insistenza talora indiscreta Ferra-
villa nella conversazione amichevole, ho interroga-
to critici di provato valore, ho cercato di riassumer-
mi le impressioni del pubblico, e non sono riusci- sibile aspetto dell'anima umana.
Ferravilla.... coi baffi
to che a trovarmi davanti al cervello più denso,,
più tentatore, quasi più irritante, il mistero. E
alla fine ho dovuto conchiudere che Ferravilla è
Ferravilla, qualche cosa di assolutamente inaudito,
una pianta nuova tra la flo-
ra che cresce nella serra
calda del teatro: un quid
comico che comincia dal-
l'impercettibile e finisce al-
l'enorme ; non un rivoluzio-
nario, ma una rivoluzione
nella scena e nell' umori-
smo, un uomo in cui il con-
nubio tra il vero e il fan-
tastico è tale, che egli me-
rita l'epiteto paradossale di
inventore dell'osservazione.
Taluno ha detto: Ferravil-
la è la nostra ultima ma-
schera. Forse è vero ; ma
per trovare una maschera
come questa bisogna risali-
re ai tempi più gloriosi
dell'arte nostra, quando la
maschera non era una con-
tinuazione di tradizioni
consacrate, ma la creazio-
ne di un carattere con la
creta miserabile della real-
tà, sotto il pollice di un ca-
ricaturista dalla invincibile
fantasia. E anche da
questo punto di vista, bi-
sogna consider re Ferra-
villa non come una maschera sola, ma come dieci,
ma come venti, ma come un popolo di maschere : e
bisogna convenire che maschera vuol dire solidifi-
cazione con linee tipiche e resistenti di qualche ri-
774
LA LETTI RA
Nella comicità che merita assolu-
tamente il nobile nome di umorismo, vi <■ solo que-
sto ili evidente: la continuità dei rapporti tra il
. e la novit rapporti.
Fai ridere, molti sanno: certe faccie hanno il
■ .li provocar l'ilarità con un solo movimento
dei muscoli: certi buffoni della vita e del b
fani' r la risata con una parola: ma quel
ma quella parola sono l'assurdo, il va-
cuo, ritintile, sono la grazia mastodontica dell'ele-
fante che balla, sono la smorfia grottesca della
scimmia. Una volta che la nostra risata è caduta,
(Fot. L. Ricci di l'arisi hi. Artica e C.)
non risorge più : batte un po' Tali con la frenesia
di un uccello ebbro di sole, poi piomba sfinita e fi-
nita. Nella comicità di 1-VrraviTla c'è sempre un
duro nòcciolo umano, c'è qualche cosa che è comu-
ne a tutti, veramente nostra, perchè l'abbiamo, se
non osservata, certo avvertita spesso, nella vita.
In ogni uomo, in ogni avvenimento, noi ci accor-
giamo che c'è un non so che di non sincero, di non
spontaneo, di non persuasivo, che è o più basso o in
contrasto con il nostro modo di sentire. In questo
non so che c'è la base dell'umorismo. Ferravi Ila
se ne serve sempre: non per riprodurlo come, ma
per portarlo alle sue ultime conseguenze, per in-
grandirlo in modo che tutto un pubblico l'avverta,
per rendere tutta una folla capace d'una così deli-
cata sensazione. Per esempio, nel Maesier Past:c:<i
il protagonista afferma seriamente d'aver compo-
sta lui la sinfonia del Guglielmo Teli. La millante-
ria è d'una allegria irresistibile: ma in fondo di
essa si vedono millanterie minori, più piccole bu-
gie, più velenose e più effi dunnie in uso nella
classe dei musicisti. Il libretto dell'opera che lo
Pastizza ha composto, è una delle più gio-
conde e grottesche cose che si possano immaginare.
Quell'eroe che invita la sua amante a fuggire, con
la celebre nmianza:
Afa vieni " cara
vieni a F.n la
che ti troverai contenta,
quell'eroina che dopo tanti anni da che l'amante è
partito ha una rivelazione telepatica del suo ritorno,
sembrano caricature sconclusionate. Ma se osservate
bene, vedrete come nascano dai libretti d'opera in
voga, come esse non siano anzi altro che i libretti
stessi con le loro caratteristiche smisuratamente in-
grandite. In quello che inventa Ferravilla c'è sem-
pre un si is) rato o psicologico o sociale. Senza esser
veramente e propriamente un satirico, egli si si
di tutti gli elementi della satira: solo che questa
taglia, offende, combatte, mentre l'arte di Ferra-
villa scintilla solamente d'una vivida luce, in cui
si con fondono la vita e la sua caricatura.
Prendete un uomo normale, ma di mediocre in-
telligenza, di nessun coraggio, di abitudini cortesi,
come è dei timidi, nel quale la dignità e l'onestà
siano sempre in bega con la paura. Immaginatelo
sventurato nei suoi rapporti coniugali, tradito, ab-
bandonato dalla moglie, svillaneggiato dal sedut-
tore. In lui manca ogni energia di reazione ; colui
che gli ha rubato la moglie e per di più l'insulta
non può apparire davanti alla sua anima come un
nemico : perchè <la un nemico ci si difende, e il no-
stro eroe non ha fierezza bastevole per farlo. E' un
oppressore, è un tiranno: ora per un'anima candida
chi opprime, chi commette violenza, è semplicemente
colui che altera certi rapporti di urbanità, che en-
tra violentemente nella vita altrui senza domandare
il [ìermesso. Marcate un poco le linee di que-
st'uomo, alterate un poco il suo profilo, ingrandite
la sua mitezza fino a una comica forma di viltà,
la sua garbatezza fino alla sommissione, e fatelo
parlare, in un momento in cui patisca un oltraggio
ingiusto ; egli non potrà essere che Panerà, non
potrà che gridare, quando il suo offensore è già
lontano : o 1 ndelieato ! ».
In questa parola c'è una trovata mirabile di au-
tore drammatico: essa è insieme necessaria e inat-
tesa, comica e dolorosa, stupida e profonda. Pren-
dete un malfattore, non per ferocia d'istinto, ma
per deficienza di basi morali, ma per ragione d'am-
biente, di tradizione, per ottusità mentale. Pone-
telo di fronte alla giustizia: in lui prevarrà il
concetto d'una giustizia ingiusta, opprimente, che
gli impedisce di vivere come l'istinto lo porta a vi-
vere: le leggi, le loro sanzioni, i loro castighi, gli
sembreranno un sistema tirannico inventato da una
casta dominatrice per schiacciarlo. Togliete ogni
tristezza a questa figura, fatene con gusto, con im-
peccai >ile sobrietà la caricatura: avrete Tecoppa.
Quando il P. M. conchiuderà la sua arringa escla-
mando: a domando due mesi di reclusione», Te-
coppa si alzerà per dire: « E io non accetto». Die-
tro la frase matta c'è tutta una psicologia. E gli
esempi si potrebbero moltiplicare. Essi si riferi-
scono a Ferravilla autore. Perchè la sua personali-
tà d'attore non si può separare da quella di autore.
FERRA VILLA
775
Egli non recita, crea. Non può interpretare, perchè
non sa assoggettarsi a vedere la verità con gli oc-
chi degli altri. Come la sente, la riproduce libera-
mente. Nelle commedie che furono date a lui, la
parte era sempre lasciata in bianco. La improvvi-
sava. Anche in questo ricorda i nostri grandi comici
d'una volta: solo in lui è più serena e più rigorosa
la coscienza del verosimile. Ho visto altri comici
rifiutare assolutamente di improvvisare insieme a
Ferravilla. « Xon vogliamo correre il pericolo di
dir delle sciocchezze davanti al pubblico», dice-
vano. E avevano ragione.
Ma perchè Ferravilla queste sciocchezze non le
dice? E' semplicissimo: perchè non parla mai per
conto proprio, ma per conto del carattere che si
mette in mente di riprodurre. In questo carat-
tere penetra subito, con una meravigliosa facilità.
E allora non corre più il pericolo di dir cose inu-
tili. Dica pur soltanto un «sin o un «no», egli lo
dirà in modo tale da aggiungere qualche linea bel-
lissima ed evidente alla figura che rappresenta. Da
essa non esce mai, a qualunque costo. Ed ecco qui
rifulgere un'altra delle sue qualità più singolari :
la misura. Da venticinque anni egli va ripetendo
alcune delle sue interpretazioni : mai le ha alterate
d'un tocco, mai le ha caricate d'un colore nuovo.
Sono lì, semplici, pure, vivaci, giovani. Infatti i
tocchi e i colori sono per le figure del teatro co
me gli anni per gli uomini : quando son troppi le
curvano, le rendono obese, le sfibrano.
Ferravilla nel creare procede così: pensa le li-
nee generali d'un carattere ; e basta. Le battute, il
dialogo, quelle frasi deliziose alle quali non si
può resistere, gli escono poi spontanee, impreviste.
Così è nato quel sorprendente «Indelicato». Non
sempre alle prove il tipo si completa: talora ci vo-
gliono alcune rappresentazioni pubbliche. Davanti
alla folla, Ferravilla trova ancora qualche cosa:
trova senza cercare, trova per la sua rara virtù
di immedesimarsi nel personaggio. Ma a un certo
punto si ferma: la sua creatura è viva, perfetta,
non ha bisogno d'altro : una parola di più la mu-
terebbe in un puppazzo variopinto. Ferravilla ha
questo delicato senso della perfezione.
Di quali termini di paragone si serve? Rica-
diamo nel mistero. Mistero sono i criteri che lo
guidano alla scelta dei suoi gesti sempre parchi
e sempre caratteristici ; mistero la sua potenza
di cambiar voce, come se in lui ci fossero innu-
merevoli uomini, di differenti età, come se la
sua gola fosse un perfetto strumento musicale che
desse una inesauribile varietà di suoni. Talora lo
hanno posto dietro un paravento, e gli hanno fat-
ta imitare la voce di cinque o sei persone presenti,
in modo che l'illusione era perfetta. Si deve dun-
que dare una gran parte — nell'arte sua — all'istin-
to d'imitazione? Infatti lo si è visto riprodurre
sulla scena con somiglianza assoluta molte figure
milanesi: basta ricordare: Ricoeu el beli e il mar-
chese Villani. Ma l'istinto di imitazione è passivo,
mentre in Ferravilla c'è una continua, prodigiosa
vivacità di trasformazione. E certo egli non imita
di più di quello che faccia un pittore, posto da-
vanti a un bel paesaggio o a un 1k?1 viso. Il paesag-
gio e il viso passeranno sulla tela, ma avranno as-
sunto qualche cosa di nuovo: lo stile del pittore.
E lo stile di Ferravilla, questa firma viva, potrà
essere esaminato in alcuni dei suoi elementi, ma
in qualche parte si sottrarrà dalle nostre indagini.
Potremo ammirare la perfezione della truccatura,
la sapienza delle pause, la sobria vaghezza dei co-
loriti, ma non sapremo mai dire che cosa sia ciò
che è dietro il nostro riso, ciò che è più duraturo
del nostro buonumore. Che nobili visceri si nascon-
dono nella fecondità di questo creatore?
Giacché la ribalta ci sorprende con l'arte di
Ferravilla, ma non ce ne svela il meccanismo, ve-
diamo un po' il grande attore nella vita e nelle a-
bitudini. Forse potremo scoprire per lo meno le
radici di certe sue interpretazioni.
Ferravilla è milanese: è nato nella casa dove
era l'antico teatro Re, in via Santa Radegonda.
Delle sue origini non fa mistero. « Sono un figlio
naturale, dice, e non me ne affliggo per nulla : ta-
lora, nelle commedie, mi accade di vedere figurati
dei figli illegittimi che gemono, imprecano, si cac-
ciano con ira le mani nelle chiome e maledicono
a chi li generò. Io, per conto mio, faccio il vice-
versa: sono riconoscentissimo ai miei genitori. Pen-
so sempre che senza di loro non sarei venuto al
mondo. Se a cinquanta anni ne dimostro trenta,
se sto bene, se mangio, se bevo, se mi diverto, lo
Massinelli.
.
76
LA LKTTTKA
ai miei peniti >ri ; di
un credi I I tnque?».
Il ragionamento non fa una grinza:
tta e originale, questo modo
n. m
ma questa
specialissi-
Perchè l'osservazione umorìstica è in lui prepo-
oQuelli che non mi conoscono dicono che
ttico, peggio, che sono cinico. Non è vero!
Che colpa ne ho io se anche davanti alle cose più
del mondo mi viene un'idea comica?».
Ch duro «li cui ire gli secca, che lo
credano avaro l'offende. E infatti non è vero.
sta stare un'ora con lui |*-r vedere quanti e quanti
picchiano alla sua porta per avere dei sex''
E nessuno \a via a mani vuote. Se qualcuno ha
l'aria ili un mezzo imbroglione, Eerravilla rimane
un po' esitante. j«>i gli caccia in mano un paio di
lire e gli dice: «Non molto, ma speriamo che
tutti gli altri facciano altrettanto: a Milano sia-
mi in 500 mila: due lire |»-r ciascuno fanno un
milione netto. Va dunque dagli altri».
«Quando sarò morto, esclamò un giorno, si ve-
drà dal mio testamento che sono stato giusto, e che
mi sono ricordato di tutti, perchè io so quello che
devo non <olo a Milano, ma anche alle altre città».
Poi 1" udii mugolare delle parole incompren
li : mi parve dicesse che aveva disposto una somma
in favore dei pompieri di Milano e una somma
in favore delle povere vedove. Perchè univa i pom-
pieri con le vedove? Mistero! Egli chiuse il di-
scorso esclamando:
a Mi sono tanto simpatici i pompieri!».
Ma di morire Ferravilla non ha nessuna inten-
«P-
Don Baldassar.
mo di raccostar i fatti, è uno dei caratteri che tro-
viamo con maggior frequenza nei personaggi fer-
ravilliani. Spinto all'eccesso, questo sistema di ar-
gomentare condurrà alla celebre frase che si legge
nella lettera d'amore di Massinelli: «Sì, è vero.
sono piccolo, ma ce ne sono tanti altri ; dunque
che male c'è?».
L'n giorno mi diceva: «Si fanno tanti commenti
perchè non recito, e mi godo il mio riposo. Non
potrebbe benissimo darsi che volessi prender mo-
glie, e che mia moglie non mi permettesse di re-
citare?». Egli parlava con la maggior serietà del
mondo, con tutto il desiderio d'essere creduto. Sen-
za dubbio, l'idea del matrimonio gli era balenata
1 1. improvvisamente, per ia prima volta. Ciò
ni n gli impediva di dare un valore assoluto all'an-
titesi teatro-matrimonio che aveva costruita lì per
li. Viceversa se si fosse accorto che lo prendevo
sul serio, avrebbe irresistibilmente sentito la comi-
cità di ciò che mi diceva, e avrebbe esclamato con
l'astizza: «Che giovane di buon cuore! K' il pri-
mo che me la crede questa storia! Farà carriera
nelle marce funebri ».
Il makstro Pastizza.
FERRAVILLA
777
rione: è un vero giovanotto: come s'è detto sopra,
dimostra vent'anni di meno di quelli che ha: è
roseo, gajo, alacre. In complesso è un bell'uomo.
Alta la persona, il viso ovale, gli occhi piccoli
su questo punto: che Ferravilla ne conosce l'arte
in modo superbo. Egli fa della psicologia anche
quando sceglie una delle sue ottanta parrucche,
o si dà il bistro attorno agli occhi, o si incolla la
barbetta di crespo. E i vestiti ? Dal marsinotto
abbondante di Massinelli, ai pantaloni rigati di
Tecoppa, ai guanti verdi del Conte di Luna nel
Minestrone, ai calzoni bianchi del Pedrin. che cu-
riosa serie di indumenti ! Essi hanno l'aria, men-
tre Ferravilla recita, di prendere in giro i loro
confratelli seri che rivestono i signori del pubblico
e di mormorare: «nel vostro taglio, nelle vostre
foggie c'è il principio di quelle cose allegre che
siamo noi ».
Qualcuno di questi vestiti ha anche una remota
origine nella vita di Ferravilla. Il cappello a ci-
lindro di Massinelli, è forse fratello di un certo
altro cappello a cilindro di cui vi voglio narrare
El sur Pedrin.
ma espressivi, i capelli fitti e castani. Il naso un
po' arcuato e piuttosto piccolo. Per questo quando
recita lo ingrandisce e lo trasforma continuamente.
Quando ha da rappresentare un tipo di vecchio,
quando ha da farsi una faccia caratteristica, il
suo naso gli dà fastidio. Gli sembra una stonatura
nell'armonia della faccia truccata. Evidentemente
Ferravilla è uno di quelli che non vogliono piazza
S. Marco senza il campanile. E il campanile, cioè
■pardon, il naso se lo fabbrica con un sistema tutto
suo. In arte la truccatura del naso è poco diffusa;
nei rari casi in cui i comici vi ricorrono, adopera-
no dello stucco che foggiano e incollano con del
mastice. Ferravilla ha rivoluzionato anche questa
parte speciale del dietroscena. Egli si fa i nasi
di ovatta, d'ovatta rosea, pallidetta. come i sogni
d'una vergine. Con un batufoletto di cotone, che
forma, che varietà, che novità di appendici nasali
fabbricano le industri mani dell'attore milanese:
nasetti, nasotti, nasoni, teneri, delicati, come fatti
di una carne morbidissima, a un metro di distanza
di una verità perfettissima.
Giacché parliamo di truccatura, bisogna insistere
Sindaco Finocchi.
la storia. Lei aveva quattordici anni : era bella
come una mattinata di primavera, con una boc-
cuccia così, come una fragoletta. e due occhioni
color del fiordaliso. Lui aveva diciotto anni:
778
LA LETTURA
era un impiegatimi, guadagnava oo franchi al me-
se lavorando 'li giorno, e qualche cosa 'l'altro la-
vi, rami" ili notte a copiai rendiconti per un ragio-
niere. Si videro, si amarono. 11 giovinetto aveva
delle pretese di eleganza; usciva sempre con una
tuba motto alta. Ma anche le tulx> patiscono il
mal della vecchiaia, anch'esse scolorisci mi ■ come le
n ^|>eranze. Ora, siamo giusti, poteva il nostro
eroe passar sotto le finestre della sua amorosetta
senza che il cappello a cilindro splendesse come
un sole annerito per conservare l'incognito? Fer-
ravilla — l'avete capito, era lui — escogiti, un siste
ma straordinario per conservare intatto davanti
agli occhi della bella il suo copricapo. Vi versava
sopra dell'acqua; poi una buona spazzolata e il
cilindro riluceva, abbagliava, abbacinava Per
cinque minuti soli, però, il tempo appena necessa-
rio per cogliere uno sguardo a volo, e metterlo co
me un garofano fiorito sul davanzale della sua
felicità giovanile ; subito dopo il cappello si
asciugava, diventava opaco come l'avvenire d'un
impiegato del lotto. Chissà che il ricordo di que-
sto elmo bagnato per portarlo con maggior gloria
nel torneo dell'amore, non sia rimasto nascosto
nel cervello di Ferravilla, come in un armadio;
per esserne ritolto quando l'ottimo Massinelli dal
Il marito beoni: (nella commedia Martello),
pelo rosso come la carota, e dagli istinti precoce-
mente mandrilleschi, ebbe bisogno di mettersi in
testa qualcosa, per recarsi in società, assieme al suo
caro zio Gerolamo e alla zia Gerolomina.
In fondo, Ferravilla è un solitario. Egli basta
a sé stesso per delle lunghe giornate. Ha sempre
qualche cosa da fare: dipinge con passione e con
garbo, giuoca al bigliardo — ■ da solo — con mol-
ta bravura, e soprattut-
to suona. La musica è la
sua passione predominan-
te. i£' la sola cosa che
mi conquide, dice. Mi fa
venire la peli de capoti ».
In casa sua ha due o tri-
pianoforti, un harmo
ninni, un carillon... Quan-
do ha suonato sul primo,
sul secondo e sul terzo
pianoforte ; quando dai
pianoforti è passato al-
Xliar montimi, quando ha
abbandonato Xhai -moni um
per il carillon, prende il
cappello ed esce di casa.
E va in un altro apparta-
mento, che ha affittato
in un angolo opposto del-
la città. Anche lì c'è
qualche pianoforte. Egli
si chiude in casa, e suo-
na e suona. E non cono-
sce una nota; ma esegui-
sce, a memoria, a orec-
chio qualunque cosa; poi
compone.... Molti grazio-
si ballabili sono opera
sua. Egli fa così: im-
provvisa al pianoforte,
mentre un maestro di mu-
sica fissa sulla carta le
sue melodiose fantasie.
Questa passione di Fer-
ravilla si rivela in tutto
il suo repertorio: la mu-
sica vi fa sepre capoli-
no el Maester Pastizza
ha composto un opera e la accenna al pia-
no: el Maestrin sentimental (autore anche lui
di un'opera intitolata // Deserto dove non c'entra
neanche un personaggio) suona con vera maestria
il piano e Xìiarmoniiim contemporaneamente ; e
Gigione, l'immortale Gigione, quel tipo meraviglio-
so che Ferravilla ha creato facendo, come dice
lui. un consonimi di cani, eseguisce la parte del
Conte di Luna nel Trovatore in modo da far mo-
rir dalle risa. Ma fra tutte queste figure che han-
no maggiori o minori rapporti con la musica, una
ve ne sorprendente: il vecchio della scena a
getto musicale. Ah. quel vecchio curvo, così mise-
rabili- per gli anni che lo aggravano, per la
morte che lo insidia, quel vecchio che per ingan-
nare la lunga malinconia delle sue sere che non
avranno più gioia, affatica le mani tremanti sulla
tastiera e canticchia con la voce stanca e fessa le
arie della sua giovinezza, è una creazione cui ve-
C.IGIONE.
FERRAVILLA
779
ramente due arti han posto mano: la drammatica
e la musicale: la sua anima è fatta dell'una e del-
l'altra : entrambe vibrano in lui, con note di eter-
na verità e di eterna pietà ; mentre l'umorismo.
Scena a soggetto.
bizione e di non averne mai provata : il recitare gli
piace per il piacere che il recitare gli dà, special-
mente quando si accorge che il pubblico gode con
lui. Egli sente allora delle sensazioni deliziose:
Tecoppa impreca contro quelli che vanno sul lago.
che è la leggera epidermide del vecchietto, ha te-
nerezze e gentilezze che destano un dolce sor-
risa Talora però quelle vecchie
mani si dimenticano d'esser vec-
chie. E' Ferravilla che Io con-
fessa. Quando sente la tastiera
che pulsa sotto le sue dita gli
viene una voglia pazza di oblia-
re il paralitico che rappresenta,
per premer forte sui tasti, per
premer forte sui pedali, e lan-
ciar nell'aria una musica forte,
allegra, vertiginosa. Ma l'impe-
to passa, e il vecchietto resta.
il vecchietto ottantenne, cui il
medico ha raccomandato la
ginnastica possibilmente a ca-
vallo....
Per completare il carattere di
Ferravilla conviene aggiungere
che egli dichiara di non aver am-
El sur Pangrazi.
però dopo lo lasciano stanco e un po' soffe-
1>i se dice con tacitiana ci incisione: lAm
e son felice quando capisco che in qual-
che cosa rassomiglio a loro: sono infatti testardo
• un mulo, fedele come Un cane, sospettoso
ionie un gatto, e torte come un leone, e chi l'ha
i.o dirlo».
Quando, fra qualche centinaio d'anni, i pompieri
avranno ereditato da Ferravilla, e tutti coloro che
hanno preso qualche cosa di vitale dall'arte del
gran comico milanese, avranno messo al mondo
delle lunghe file di figli che senza saperlo ferra-
villeggieranno anch'essi, rimarranno forse ancora,
nel linguaggio, dei frantumi di questo periodo di
i: correranno delle parole a ricordare il re-
gno di Ferravilla, come cor-
tono, tra le mani di tutti.
delle monete con un'effigie
scruta. Ancora si cite-
Massinelli come il tipo
del cretino, ancora si citerà Gigione come il classico
rappresentante dei cantanti sfiatati. Altre bizzarrie
magnifiche saranno invece sparite dalla vita sonora:
tu o ingegnoso Giangianni che hai inventato la mac
china per scavare la verduia primaticcia, tu o
pietoso Pirotta che auguri una pronta cecità al-
l'amico del tuo caro nonno, per poterlo condurre a
spasso e provargli la tua devozione, tu o goloso
Don Baldissar. invano invitato a pranzo se le liti
tuoi ospiti ti fanno restare a bocca asciutta :
tu o fastoso Pedrin che lasci cadere i biglietti da
]uecento franchi, e vuoi sapere a che ora si
vede il mare — tutto il mare di colpo — ; tu po-
vero Panerà, che ti batti in duello con un avver-
sario che non sta mai fermo, e non lo puoi infil-
zare. Ma non tu morirai, o Tecoppa, che hai fat-
to di tutto, il domatore d'orsi, il burattinaio, l'im-
putato, il socialista, l'interprete, tu superbo ga-
glioffo, tu ingenuo malizioso, tu onestissimo ladro,
ultima metamorfosi di Rabagas impastato con Lu-
LA LETTURA
dro, con il cuor di coniglio d'Arlecchino, e le vo-
glie adunche di Brighella !
i'p.i è infatti il lieniamino di suo padre.
I erravilia lo dice il tipo ohe lo diverte di più,
il più infinitamente variabile, colui che potrebbe
Kl sir Panerà.
recitare in ogni commedia, con qualunque attri-
buto. In tutte le famiglie avviene sempre così: lo
scavezzacollo gode le maggiori preferenze.
Renato Simoni.
I difetti dei due sessi
fisterebbe mai un microscopio, una len-
te così potente e misteriosa che ci aiu-
tasse a spiegare l'origine di quei micro-
bi psichici che sono i difetti, le tentazioni, i petiis
travers che insidiano la buona natura fondamenta-
le dell'uomo? Annidati come spiritelli maligni den-
tro le pieghe del carattere, negli imi fondi di una
personalità, vi acquistano a poco a poco i diritti
di cittadinanza e sotto gli aspetti e i camuffamenti
più vari e bizzarri, inaspettatamente balzan fuori
nell'individuo più posato e più dignitoso, la cui
prima apparenza avrebbe meno lasciato adito al
sospetto.
Ecco uno scienziato, ecco un magistrato che si
crederebbero tutti assorti nei loro uffici o nelle no-
bili idealità degli studi e voi venite a sapere che
l'unica loro preoccupazione è la combinazione della
minuta di un pranzo; che da gastronomi con-
sumati getterebbero alle ortiche tutti i codici, tutte
le nuove scoperte, tutti i libri per un buon pranzo !
Ecco un povero impiegatuccio che parrebbe non
doversi preoccupare d'altro che di tirare innanzi
da un 27 del mese all'altro, e che vi si rivela ad
un tratto come un rodomonte gonfio di vanità e
d'ambizione, persuaso di essere lui a reggere il
mondo ; ed ecco la civetteria che spunta invinci-
bile nel più disgraziato e deforme corpicino di ra-
gazza che parrebbe per sempre umiliato e reietto
dalla natura ; la gelosia che appare prepotente e
ridicola dietro i bandeaux grigi di una stagionata
madre di famiglia ; e così saltan fuori l'avarizia,
la imprevidenza, la maldicenza, la leggerezza, tutti
i dolorosi doni del vaso di Pandora, zacchere di
fango indelebile, che 1 uomo sa di avere e tenta va-
riamente di nascondere.
Perchè tutti, si può dire, siamo affetti da queste
piccole ma indomabili mende, da queste irrepara-
bili deficienze psichiche, che per quanto non pos-
sano paragonarsi alla criminalità più che una pun-
tura di zanzara al morso di un serpente, pure, per
il fatto della maggior frequenza e per essere così
intimamente intrecciate a tutta la trama della no-
stra personalità, hanno nella vita pratica, domestica,
un'importanza altrettanto grande come i delitti per
la vita sociale.
E in ragione appunto non della loro importanza
assoluta, ma della loro frequenza, è interessante e
curioso di indagarne più intimamente la natura.
Perchè gli uomini hanno certi difeui ? quali so-
no i più diffusi ? da quali condizioni e da quali cir-
costanze nascono essi ?
E' anzi tutto evidente che v'è una sorta di distri-
buzione specifica dei difetti e, ciò che è più strano,
delle loro gradazioni secondo i sessi ; e che, come
i due sessi sono differenti, e volta a volta l'uno al-
l'altro superiore per le proprietà fisiche, così anche
sono differenti per le qualità psichiche, buone o cat-
tive che siano. Certi difetti, come la civetteria, ap-
partengono di preferenza alle donne; certi altri,
per esempio la gola, agli uomini ; e anche quando
gli stessi difetti sono comuni ai due sessi, assu-
mono forme differenti nell'uno o nell' altro.
Perciò l'esame di essi, lo studio della loro distri-
buzione, e delle varie forme che assumono, può
servire di documento alla psicologia così differente
dell'uomo e della donna e può aiutare a trovare
le cause di questa differenza.
Il fatto è che questi difetti dipendono da date
condizioni sociali e morali irreducibili, a cui gli in-
dividui sono fatalmente subordinati : condizioni
d'indipendenza e di dominio per l'uno ; di sogge-
zione e di dipendenza per l'altra. La donna è an-
cora, per un complesso di condizioni, soggetta al-
l'uomo, e tutti i difetti dei due sessi si derivano
e dipendono e si possono sempre ricondurre, in ul-
tima analisi, a queste condizioni di esistenza.
L'analisi dei difetti, come ci si presentano di-
stribuiti nei due sessi, non fa che riconfermare
questo concetto. Pigliamo, per esempio, la gola.
Si potrebbe credere, quando si pensi che la donna
è più vicina per tendenze e per organizzazione a!
782 LA LETTURA
tutti sanno quanto sia goloso, e quan-
do si pensi che l.t donna ha parte tanto importante
nella cucina, 0 direttamente come nelle famiglie
della pìccola borghesia, dove maneggia essa stessa
le i>entole, o indirettamente nella classe ricca dove
la dirige; si potrebbe credere, dico, che la donna
-e più golosa dell'uomo. Invece è il contrario
che accade. Gli uomini sono molto più profonda-
mente e più frequentemente golosi delle donne.
Per quanto sia sempre stato grande il numero delle
donne che «han fatto la cucina», pure tutti i cele-
bri trattati culinari sono stati fatti da uomini, come
quello famosissimo del Urillat-Savarin e quello del
Vialardi e quello più recente e altrettanto cele-
1 re dell' Amisi, ecc. ; e son sempre uomini i sag-
giatori di vino e di the e di caffè; e son di uomini
tutti gli esempi storici e proverbiali di golosi : Lu-
cullo, Sardanapalo, Gargantua, Pantagruel.
In francese esistono le parole gourmand e gour-
mande, ma la parola gourmet che dinota più pro-
priamente un raffinato buongustaio di cucina è e-
sclusivamente maschile ; si dice gourmet ma non
gourmette.
Questo maggiore sviluppo della ghiottoneria nel-
l'uomo può esser giustificato da molte ragioni. Pri-
ma di tutto l'uomo ha una capacità alimentare più
grande che non abbia la donna: ora l'esercizio
sviluppa la funzione e l'uomo mangiando molto
impara ad apprezzare ed a gustare le raffinatezze
della cucina. Ancora l'uomo vive una vita di lavoro,
mossa, piena di emozioni e di sensazioni, la poli-
tica, gli studi, la borsa, il commercio, in cui sono
in giuoco continuo i suoi sensi e la sua intelligen-
za. Questo stato di eccitamento e questo bisogno di
stimoli, passa in tutti gli altri sensi, e, naturalmen-
te, anche nel senso del gusto. Egli vuole, a tavola,
che il suo gusto sia lusingato, stimolato da qual-
che cosa di piccante, di eccitante, di sempre va-
riato.
E infatti l'alcoolismo che è la nota più acuta di
questa passione, per gli elementi eccitanti è una
malattia essenzialmente maschile e quasi scono-
sciuta alle donne. Invece la donna, che vive una
vita molto uniforme, senza grandi eccitamenti né
distrazioni, non ha bisogno di tutti questi grandi
stimoli, ed è assai più indifferente alle raffinatezze
della cucina. Si aggiunga che se il saper gustare le
raffinatezze della cucina è la ragione prima della
gola, anche l'aver la potenzialità di esercitare que-
sta raffinatezza è una condizione non meno impor-
tante: ora la donna potrebbe possedere anche le
raffinatezze del gusto, ma essendo così subordinata,
avendo una parte secondaria nella casa, non le può
far valere: anzi cerca piuttosto di reprimerle e di
vincerle. In molte famiglie, e non c'è chi cercando
nella propria esperienza individuale non ne conosca,
l'incontentabilità dei mariti e dei fratelli mette a una
vera tortura le donne di casa le quali tremano per
le minime imperfezioni di cottura, pei minimi di-
fetti anche degli ingredienti secondari. Questo per-
chè nella loro qualità di padroni di casa, di capi
della famiglia, essi si credono in diritto di poter
aver tutte le esigenze, di veder soddisfatti tutti i
li 'io gusti e non son trattenuti da nessuno scrupolo,
da nessun riguardo, da nessuna discrezione nel
brontolare, nel protestare. In questo modo, allean-
dosi il dispotismo con la gola, essi finiscono per
diventar dei veri ghiottoni.
Tutto il contrario invece accade per la donna,
la quale nella sua funzione di reggitrice e magari
di facitrice diretta della cucina, ne sopporta tutto
il ] leso e la responsabilità, ma non ha mai la pre-
occupazione di soddisfare al proprio gusto, ma solo
a quello dei suoi 0 uomini», e per lei un pranzo
che va bene è quello che più piace ai suoi ospiti,
che può evitarle le querimonie dei mariti, dei fra-
telli...
Una signora che io conosco ha un marito cosi
esigente in fatto di cucina, e questa cucina è un
tal spauracchio per lei, che anche di notte essa
tiene una lavagnetta con sé per combinarci su quan-
do si sveglia i mcnus!...
E' anche questo che allontana la donna dalla
gola ; l'essere troppo spesso la vittima espiatoria
della golosità dell'uomo.
La gola è dunque un vizio essenzialmente provo-
cato, prima dalla vita più eccitante e più ricca di
stimoli d'ogni sorta e fomentato poi da quella spe-
cie di dispotismo che dà una cosciente supremazia
nella casa.
Per le stesse ragioni, che dipendono ancora dalla
sua qualità di menag'ere e dai suoi rapporti di di-
pendenza e dalla monotonia della sua vita, la don-
na è molto più avara dell'uomo, infinitamente più
circospetta, economa e sospettosa nello spendere
il suo denaro. Datele un assegno mensile, sia pur
minimo, ma fisso, ed essa riuscirà sempre a cavarne
un'infinità di cose che un uomo pagherebbe certo
due volte tanto. Del resto questa avarizia della
donna si può cogliere in una quantità di manife-
stazioni. Essa, per esempio, preferisce sempre i
magazzini dove non vige la regola moderna del
prezzo fisso, e, senza tener conto del tempo che
spreca, mette tutto il suo accanimento, tutte le ri-
sorse del suo spirito a contrattare, offrendo, senza
arrossire menomamente, un quarto del prezzo, non
abbandonando il terreno che palmo a palmo, cen-
tesimo per centesimo, contenta quando porta via il
suo acquisto a metà del costo, senza pensare che il
mercante, conoscendo la sua debolezza, le ha do-
mandato il doppio!
Un'altra particolarità in cui vien fuori questo
suo sentimento innato di avarizia, è la sua difficoltà
a dar denari spiccioli, per qualsiasi cosa che non
sia mercanzia. Tutti quelli che fan parte di un co-
mitato di beneficenza possono constatarlo. Oggetti
in natura, indumenti, lavori fabbricati dalle loro
m;ni.... in abbondanza, ma denari pochi o punti. E'
difficile strappar loro io o 20 lire anche quando per
comprar gli oggetti che esse vogliono offrire, fini-
scono per spender di più; ma esse non possono ri-
nunciare al gusto di comprare, di scegliere, di con-
trattare, di correr le botteghe, e soprattutto ali
I DIFETTI 1>KI DUE SESSI
7
83
di far con quegli oggetti una «miglior figurai che
non collequivalente in denaro.
Così si dica della grettezza delle donne per tutte
le spese che non si vedono ; per esempio, le man-
eie ai camerieri e alle cameriere dell'albergo, per le
spese di libri, di musica. Una signora, per quan-
ti) ricca, trova sempre che un libro o uno spartito
si posson sempre trovare e prendere ad imprestito
ed è ben raro che abbia la passione collezionista
di quadri, di oggetti antichi ; essa pensa che ci son
cose assai più importanti in cui si può spendere il
proprio denaro, per esempio in un gioiello. Una
donna, inoltre, non sa godere una cosa astratta-
mente in sé, al di fuori del suo valore intrinseco.
Un uomo si paga spensieratamente un capriccio,
non tanto perchè il capriccio sia cosi forte in lui,
quanto perchè gli importa poco del denaro ; una
donna se lo paga, quando può, perchè il desiderio
è molto intenso, non perchè essa non pesi il de-
naro che le costa. Essa ha insomma sempre dinanzi
agli occhi la visione economica della vita.
La ragione di questo fatto è che ben di rado la
donna si trova in condizioni di disporre, di maneg-
giare liberamente il denaro. Pochissime delle don-
ne che io conosco hanno denaro di cui possano di-
sporre. Quando son ragazze son provvedute di tut-
t. :. dei vestiti, delle lezioni, di viaggi, di spese di
teatro, ecc., dalla famiglia, ma non hanno vere
somme, di denaro. Quando son maritate, o hanno
un assegno, che è assorbito quasi tutto dalle
spese di toilette; oppure devono mano a mano
che spendon presentare al marito le note o doman-
dargli il denaro ; anche con un marito compiacen-
te la cosa è molto noiosa, perchè fa sentire ad ogni
momento alla donna la responsabilità di fare una
spesa, le condizioni di dipendenza e di soggezione
in cui si trova. Così l'istinto dell'economia e quello
dell'avarizia nascono quasi necessariamente in lei
per le condizioni di dipendenza in cui è tenuta an-
che nella propria casa.
L'uomo invece fa volentieri il gran signore: tro-
va naturale di distribuire laute mancie, di far re-
gali, di non mercanteggiare, di pagarsi dei capricci,
perchè guadagna egli stesso il denaro, e nella pro-
pria attività e nel proprio lavoro trova la zecca sem-
pre pronta a rifornirsene e perchè inoltre egli non
è mai paralizzato dall'idea di dover rendere conto
e di dover subire un controllo su quanto spende.
Inoltre il largheggiare rientra nella linea della sua
personalità virile, è un modo di affermarsi, di te-
nere un posto socialmente. Come la donna è ap-
prezzata per la bellezza, per le sue arti di grazia
e di seduzione: così l'uomo è valutato per quello
«he guadagna, per quello che possiede e lo spen-
dere largamente è per lui come una prova vera-
mente dimostrativa di aver guadagnato, un modo di
a valere agli occhi della gente». Viceversa non c'è
quasi mai nella donna quella forma d'avarizia così
spiccata nell'uomo che è l'avidità del danaro. La
necessità e la possibilità di «far danaro» colla pro-
pria opera mentale o materiale, fan sì che l'uomo
sia spinto insensibilmente a farne sempre più, più
che le sue facoltà o il diritto non lo comportino.
con tutte le forme di avidità: uomini che per far
qualche migliaia di lire di più all'anno si sotto-
pongono ad un improbo lavoro sopranumerario an-
che quando il bisogno si è dileguato; mercanti che
non vogliono lasciar sfuggire nessun affare, per
quanto superi la loro potenzialità ; medici che per
voler fare un gran numero di visite non mettono
la minima coscienza nello studio del malato ; av-
vocati che prolungano a bella posta le liti dei
clienti e tutti mettono un accanimento straordi-
nario al guadagno, aspri ed avidi e inconsciamen-
te crudeli. Questa forma di avarizia o meglio di
avidità di guadagnare e di accumulare, esclusiva-
mente maschile, non è altro che l'esagerazione del
compito fisiologico dell' uomo nell' azienda dome-
stica, per procurarsi il denaro.
Un altro difetto, preponderatamente femminile,
è la gelosia. La donna con minori occupazioni in-
tellettuali assorbenti, con una immaginazione più
viva ed esclusiva (come essa è esclusiva nei suoi
affetti) prende ombra e sospetto dalle minime cose.
Da una statistica fatta sulle donne, che io conosco,
appare che almeno 80 per cento delle donne sono
gelose più o meno patentemente. Una delle espres-
sioni caratteristiche della gelosia è l'orgoglio, il
piacere che la donna prova nel credere che il ma-
rito, l'amante sia geloso di lei. « Mio marito non
mi lascia fare un passo fuori di casa», mi diceva
con fierezza una giovane sposa, a E' cosi geloso, e
mi vuol tanto bene!». Un'altra si lagnava che il
marito la lasciasse sempre libera, non si informas-
se delle sue lettere, dei suoi corteggiatori, ecc. Le
donne non insorgono neppure contro quelle proi-
bizioni di andare in decolletées, di fare dei flirt,
che in fondo dispiacciono loro veramente. La ra-
gione poi per cui la gelosia della donna è così fre-
quente e vivace, è che la donna non può estrinse-
carla nell'azione: l'uomo padrone e capo di casa
può, per così dire, far passare la sua gelosia in
atto, cioè sorvegliare la moglie più o meno delica-
tamente o brutalmente, esigere che essa abbia o
abbandoni certe relazioni e consuetudini, accompa-
gnarla quando esce, mettere alla porta chi non gli
garba : la gelosia dell'uomo, insomma, può pro-
prio «passare in atto», e d'altra parte l'uomo ha
un'infinità di modi per sottrarsi al controllo al-
trui. Invece la posizione della donna è tale che es-
sa non può valersi contro l'uomo delle medesime
armi, e così la gelosia femminile, rinfocolata dal-
l'eterno sospetto e dal tormento di non poter mai
appurare i propri dubbi, né prenderne vendetta,
assume una forma ora di sospetto, ora di acredine
molto diversa dalla maschile, che è violenta, ma
aperta. Inoltre la gelosia femminile è acuita an-
cora dal fatto che se alla donna viene a mancare
l'amore e con l'amore quella specie di sostegno mo-
rale e materiale che le dà l'uomo, la sua posizione
sociale diventa molto più precaria di quella di un
uomo abbandonato da una donna. Nelle identiche
condizioni essa perde insomma molto più. Anche
queste differenze fondamentali nella gelosia del-
■
:rdiuiii su cui i : l loro vita, di
ita per luna e ili padronanza per I
i a nna j ha i non ha
min Uno ili questi dii
Qui femminile pare in contraddizione
il : , he, peri he tra gli animali e i sel-
iio che canti idoma di piu-
mee ili colori, si pavoneggia e cerca d'attirare l'at-
della femmina. Ma col mutarsi delle con-
1IÌ7: . quando è stata la femmina che ha
dovuto cercare di cattn nzione del maschio,
rivenite le pani.
ha sempre cercato le sue armi di guer-
ra e 'li conquista nell'arsenale della civetteria. Da
Elena a Cleopatra, dalla Pompadour a Maria An-
tonietta, le più antiche e le più moderne, le regine
e le modistine, nacquero maestre in tutte le arti
atte a mettere in rilievo le proprie liellezze, a na-
ie proprie imperfezioni. Per eccitare l'am-
mirazione e il desiderio seppero meravigliosamente
trar profitto dagli espedienti e dai congegni raffi-
nati dell'acconciatura: profumi, belletti, trine,
gioielli e soprattutto furono abili e maestre nell'in-
ventar quel gioco di occhiate, di sospiri, di sorrisi,
di mezze parole, che è il flirt e la galanteria.
Questi i ha due ragioni d'essere per la
ina. La prima ragione è quella d'attirare l'o-
maggi" dell'uomo e in questo modo di dare un'idea,
una misura della propria potenza. Ora l'esperimen-
tare quanto si vale sul mercati sociale è un deside-
rio legittimo e naturale in tutti, desiderio che gli
uomini hanno mille altri modi di poter soddisfare
con i titoli onorifici, con i gradi della professione,
con la conquista della ricchezza: un uomo sa quasi
sempre esattamente come e quanto egli sia quotato
e che cosa possa ambire e pretendere. Invece la
donna ha solo questo mezzo per riconoscere il pro-
prio valore e veder l'effetto della propria seduzione
specialmente quando le manchino altre qualità su-
periori, come la bellezza, l'intelligenza e la bontà.
Una donna bella, buona, intelligente, può anche
infatti non essere civetta, perchè sa di avere più
corde al proprio arco, di poter esercitare una sedu-
zione e un'influenza nel mezzo ambiente, anche al
di fuori della civetteria ; ma è inevitabile che una
donna media sia civetta: l'omaggio che la civette-
ria le procura è il suo termometro per misurare
l'ammirazione ch'essa è in grado di eccitare. Que-
il lato, direi così, dilettantistico della civette-
ria , ma questa ha un'altra ragione più perentoria:
la civetteria piace infatti all'uomo; la donna è ci-
vetta perchè l'uomo indirettamente la vuole così e
l sia tale: ora siccome la donna
nella nostra società lmrghese almeno, non ha altro
spiraglio di affrancamento se non nella protezione
dell'in min fuori n dentro il mali naturale
èrebi di fornirsi, di coltivare quelle doti
■ he si.no più atte ad attirare l'uomo ed a conqui-
starle la sua protezione, la grazia i ioi e la rivi
ria. L'uomo vuoleche 1 sa adorna
e gr i. che accontenti il suo occhio e tutti i
sen-i. vuole che essa sappia lusingarlo con le sue
parole e con i sit": ■ ■• La donna
LA LETTURA
conformarsi a questi suoi desideri, si è data una
i infinita della propria persona e della pr
toilette, si è imbellettata, dipinta, profumata, ca-
muffata a dovizia; ha studiato le unte e le armo-
nie delle stoffe e delle roggie; ha inventato tutte
le raffinatezze della moda, dell'acconciatura, del
flirt ; i piccoli vezzi, le occhiate furtive, i sorrisi
teneri e mali/usi. Questa civetteria si è i*m ancora
complicata: non basta che una donna o una ragaz-
za cerchi di piacere per essere scelta; essa deve pia-
cere più che le sue compagne e rivali: di qui quel-
la specie di gara, di emulazione che ha ano ira raffi-
nata la sua arte, vi ha introdotto elementi di astu-
zia, di calcolo e di passione. Essa sa ancora che la
sua stagione è breve, che tramonta con la prima
giovinezza, e che l'uomo ha molte più distrazioni
che possono allontanarlo da lei; e quindi ha stu-
diato mille artifici per lusingare e non compra
tersi, ha imparato a non lasciar mai vedere
suoi sentimenti se non quel tanto che le conviene,
a tessere tre o quattro intrighi e passioncelle con-
temporaneamente senza lasciarsi mai impigliare, a-
spettando il momento e l'individuo opportuno per
tirar la rete
Quest' armeggio è d'esclusiva competenza della
donna. L'uomo va dritto allo scopo senza tergiver-
sare, né nascondersi, e questo per la sua natura e
la sua condizione, a base di energia, di volontà e
di violenza. Egli ha la possibilità di dirigere la pro-
pria vita, sa che può permettersi il lusso di doman-
dare quello che appetisce con tutte le probabilità
di ottenerlo. Che poi la civetteria della donna sia
per lo più un'arte per riuscire al rifugio del ma-
trimonio, lo si vede dal fatto che quasi sempre do-
po che è sposata, la donna normale, borghese, ri-
nuncia ad ogni pretesa ; e le cocottes, che sono
delle civette a vita, sono tali perchè han sempre,
per necessità di mestiere, il bisogno di piacere.
Si dà anche il nome di civetteria a quella pa-
ne del vestirsi, dell'adornarsi, di mettersi addosso
cose belle e vistose, passione che rimane anche
quando la donna è già stata scelta e quando essa
non intende più di farsene un'arma di conquista.
Io conosco, e ognuno può ritrovarne nella propria
esperienza individuale, delle donne mature che non
hanno più alcuna velleità di suscitar fiamme, che
non hanno altro pensiero se non per il marito ed
i figli ; e in cui pure sussiste ancora questa passio-
ne pei vestiti, pei diamanti. Qui entra in giuoco
un altro fattore, cioè il sentimento di rivalità fra
donna e donna. Il bel vestito e gli adornamenti
diventano per la donna il simbolo, l'insegna della
sua posizione sociale, della sua ricchezza, il mc«l>>
di tarsi valere e la misura del proprio vali ire. Gli
uomini non hanno questo gusto in tale forma
che possiedono altri sostitutivi: le decorazioni, le
accademie, i trionfi della politica e della pr-
Ma anche questi difetti, questa frivolezza, che
si rimproverano alla donna, non dipendono, come
si vede, dalla condizione ili ambiente e di educa-
zione che le son fatte. La civetteria è una delle po-
che armi che essa ha per procurarsi, per acquistare
insieme col marito una certa indipendenza. Quando
1 MFETTÌ DEI DUE SI SS!
785
si permettesse alla donna di entrare nell'ingranag-
gio della vita sociale, di far valere le sue forze in-
tellettuali, le sue potenzialità nel mondo dell arte
e degli impieghi, e quando l'uomo scegliesse una
donna guardando alle qualità cui guarda precisa-
mente la donna che deve scegliere un uomo, cioè
alla sua posizione, al suo valore intellettuale e so-
ciale, è probabile che. anche solo per il suo istinto
di abbinar l'uomo, essa abbandonerebbe gli espe-
dienti della civetteria per adottar quelli migliori di
una vera e seria aui\ìt.'i.
La maldicenza è un altro difetto prevalentemen-
te femminile: basta entrare in un crocchio di si-
gnore, in uno di quei salottini che paiono dover
essere nidi discreti e raffinati di gentilezza, per a-
vere un saggio svariatissimo delle varie specie del-
le maldicenze femminili. C'è la maldicenza bona-
ria, sopportabile, di chi canzona senza troppa ma-
lignità le attitudini, gli atti e le tendenze di una per-
5i na di cui non può temere la rivalità. Così furbe-
scamente le ragazze mettono in ridicolo le arie lan-
guide e il viso rosso di una vecchia istitutrice o
commentano il vestito fastoso di una signora di
provincia. Poi c'è la maldicenza più fine, più acuta,
che prende di mira una possibile rivale ; è quella
che le ragazze adoprano contro altre ragazze emu-
le e compagne nella corsa al marito o che le si-
gnore esercitano contro altre signore più ricche,
più belle o più ricercate ; maldicenza fatta di in-
sinuazioni, di reticenze, di sottintesi, di punture di
spillo, che accomoda ingegnosamente le cose colte
dal vero o le inventate con maggior o minor verisi-
miglianza. che giuoca volta a volta di compassione
e di pntderic. Sentite un gruppo di signore com-
mentare la notizia di un matrimonio. E' fatto per
amore? E' fatto colla testa nel sacco. Per conve-
nienza ? Con una macchinetta al posto del cuore.
La sposa è ricca? La sposano per la dote! La spo-
sa è povera? La sposano perchè è una civetta!...
Ora è certo che per quanto l'uomo abbia una
forma di maldicenza più velenosa e più malefica
verso i rivali e i concorrenti che gli attraversano
la strada, contro i quali tende allora lo spirito ma-
lignamente diffidente e inquisitivo, pure egli non
ha quasi mai questa maldicenza continua, tenace,
dilettantistica, di dire il male per il male, che si
trova in donne anche non cattive.
Il fatto è che la donna è costretta a vivere in un
piccolo cerchio di persone e di cose senza le preoc-
cupazioni più serie e più gravi degli affari, della
vita sociale, ha la mente vuota e libera, che può
fermarsi ed esercitarsi di più su tutte queste pic-
cole dosi di finezza mordace, di osservazione mi-
nuta. Tali attività intellettuali che non ha modo
di sviluppare, di sfogare altrimenti, essa volge
in questo senso: vedere e commentare i lati
ridicoli e deficienti di una persona è un esercizio
che non richiede grande sforzo di immaginazione
e che non lascia arrugginire lo spirito. Inoltre la mal-
dicenza serve alle donne come sfogo platonico per
consolarsi di quello che esse non hanno. Già il prò-
La Lettura.
verbio dice che la volpe trova l'uva immatura
quando non vi può arrivare. La donna cui tocca
molte volte una vita di rinunzie e di sacrifizio, che
vorrebbe avere un marito e che non lo trova o chi-
lo desidera gentile e line e deve sopportarlo rozzo,
che port èrebi*- così volentieri un bel vestito e deve
accontentarsi di quello passato di moda, che ter
ìebbe circolo e non ha corteggiatori, oppure si sa
malvista od insidiata, prende questa piccola ven
detta, l'unica che le sia concessa, di rilevare i di-
fetti o le mancanze di chi possiede le cose che essa
vorrebbe avere, di trovar degni di compassione e
di disprezzo quelli che essa invidia segretamenti
Si adatta, insomma, volentieri questi occhiali scuri
della maldicenza, attraverso cui vede abbruniti ed
offuscati i godimenti e le speranze altrui. Gli uo-
mini imece che hanno altri modi di rivalersi, che
si procurano un impiego più pratico e più imme-
diato della loro attività, sono meno maldicenti. E
meno maldicenti sono le donne che vivono in una
grande città, in centri più intellettuali e variati che
permettono ed offrono loro una molteplicità di sen-
sazioni, di spettacoli, di contatti sociali ; e le don-
ne che si occupano intellettualmente, perchè qual-
siasi occupazione intellettuale è un buon derivativo
e correttivo di questo vizioso giro dello spirito fem-
minile.
Ma anche l'uomo ha dei difetti che la donna non
ha. L'uomo è certo, più e meno coscientemente, e-
goista in modo maggiore che ia donna. Questo av-
viene forse perchè fin da fanciullo egli è avvezzo
a pensare di aver, per la sola sua qualità di uomo,
diritto ad una certa superiorità, di potere aver au-
torità di dirigere, di domandare, di esigere. E an-
che forse perchè nella donna egli non ha mai in-
contrato una vera resistenza, ma anzi ha sentito
nella sollecitudine che essa mostra ad inchinarsi
alla sua volontà, una specie di incoraggiamento al-
le proprie esigenze. Così accade ch'egli finisce per
credere che tutta la vita della sua famiglia debba
imperniarsi attorno a lui, girare nella sua orbita
e che non debbano mai esistere ostacoli ai suoi de-
sideri, impedimenti ai suoi progetti. Un marito o
un fratello si figurano facilmente di essere supe-
riori alla moglie, alle sorelle, alle donne di casa,
di poter esigere da esse una cieca obbedienza : ere
dono che le donne non debbano avere altri piaceri
di quelli che essi stessi provano e non ammettono
che esse possano avere un modo di vedere proprio
individuale. Ho veduto, per esempio, questo caso
tipico e curioso, che si ripete sotto un'infinità di al-
tre forme: due coniugi, del resto in perfetta ar-
monia, hanno musicalmente dei gusti affatto op-
posti: il marito gode l'operetta ed odia Wagner:
la moglie adora Wagner e B n e odia l'ope-
retta. Ora il marito, che si crede ed è veramente un
Ottimo marito, non vuol andare a teatro senza di
lei. e trova giusto e naturale che essa venga con lui
all'operetta, ma non vuol sentir parlare di accom-
pagnarla a sua volta all'opera wagneriana perchè
vi si annoia. In piena buona fede egli si crede nel
SO
-M,
LA I l.ll i R \
i suo pia
quello ■
ile 'Il 1111-
pn pri gusti, 'li 'i
I
deb-
I .i lui, i
!l|Ì.
la fi irma p
no vuol impoi re quello eh
ri deb-
\i trova,
ibile i quella I
are il suo prin i sua
materiale a ieri meno a tu
dimentica le tradizioni
Comi negli uomini che a tavola,
in fa _ si servon prima della n
ne, che in fei n n ia si :lgi mi i
più comi i la pi ili ri na più
Inveì n più rari i che la di «ina
he non ha mai goduto privilegi ili sesso, p
nessuna i unzii ne od uf
. ma piuttosto ha com-
piuto tutti quelli che la portano al sacrificio d
i n i mai stata padrona di sé, ma nella
mpre ali i autorità di padre, del
i'i. del mariti > : e tutto < jiu-l poco o molto che
gì ti nato, essa 1" deve alla
I la dovuto aver sempre, jxt
>..'.. la preoccupazione di rii
Par piai I | esare le i >r< >
pria e che l'ha portata
per • > non pretendere mai nulla, a ce
Ile persone che si
tre i li ai i gusti e le imposi
. iusta e legittima, ad i -
almeno duttile, arrende\ i le,
I. uomi renza della donna, oltre-
i. imperioso e \ iolenti e irritabile: pron-
rs pei un nonnulla, a risentirsi del
minili l'ira '-"li riori.
I ii in'iii' i dio no il padrone i
ti ni., e i" mi fa ma i ingiuntivi. Nlai
« din i, ma «dio
il"", lordino», e si lascia andare a battere i pi
sul tavolo, a o libri ]kt ti
In ricordo una cena vista in un restaurant: un
un Rami i accendere il si-
: suona il campani miei ieri .
nini accorre -: tvrebbe potuto doman
Barami! n a un \ ii in spettare un i n
i i ita, prem a ■ ome un insi
personale, furibom cipita al bureau s
Ventando tutta una filza ili invettive e ili ingil
La sproporzione tra l'ira e la sua causa i
n i isl ii .i ei 1 '•>■ idente.
Invece è molto raro che la donna, per quanto im-
pulsiva, sia violenta o trascenda ad atti di coli
sia perchè avendo dovuto usar sempre iiukIì di dol-
cezza seguir sempre vie di conciliazione piuti
che di imperiosità, ha dovuto prendere l'abitudine
di dominarsi, 'li contenere la propria rabbia, sia
anche perchè forse la violenza come la golosil
inestetica e ini mente, senza rendersene ra-
gion. -, li donna evita tutte le manifestazioni
formanti, che alterano e imbnittiscono la fisi
mia. come appunto sono le manifes Tira.
La donna cerca soprattutto di nascondere, di si-
mulare le proprie emozioni interii ri. Ha delle rab-
bie bianche, concentrate, dei livori contenuti, ma
non degli scatti d'ira.
Si può dunque concludere, dopo questo esami
comparato dei difetti dei due sessi, che la magj
parte dei difetti dell'uomo derivano da un eo
di lorza e dalla coscienza di poterne disporre im-
punemente; mentre al contrario i difetti della
donna derivano dalla debolezza e dallo stato di
ndenza in cui essa si trova ancora rispetto al-
l'uomo. Da tut he miglio
lamio le condizioni dell'ambiente, quando la don-
na avrà guadagnato in libertà e l'uomo in modera-
. migliorerà il carattere dell'uno e dell'i
Paoi a Lombroso.
■ .n. -. fej -v- - ti
MEDIUM E TRUCCHI
lor paiono sufficientemente accertate cercano d'a-
ive polemiche si sono venute dibattendo dattare prima le teorie già conosciute; escogitan-
in questi ultimi mesi sulle riviste e tra done altre ad esse più prossime, quando il feno-
i giornali a proposito di quei fenomeni meno superi i confini della loro comprensività ;
nei quali si vorrebbero scorgere alcune manifesta- procedendo così dal noto verso l'ignoto a passi
zioni dell'al-di-là.
Coloro che vi hanno
preso parte si divido-
no in tre categorie:
quelli che negano
tutto e ridono sem-
plicemente di tutti
quanti i fenomeni co-
me d'un prodotto di
trucchi, di coalizioni
d'intriganti ed. in qual-
che parte, dell'alluci-
nazione degli spettato-
ri o della disposizione
speciale, del pia
quasi, ch'essi avrebbe-
ro d'essere ingannati :
quelli che credi m
tutto, giurano su tut-
to ed attribuiscono pu-
re ad influenze spiriti-
che quei fenomeni la
cui spiegazione, con un
no d'analisi o d'indu-
zione fredda, potrei <!*>
venire ricercata molto
al di qua dell' ultra-
i le ;
quelli che tra il
«no» schernitore e il
« sì » credenzone, ten-
gono sospeso il pro-
prio giudi/in. control-
lano i fatti per quan-
LA MEDIO! NAPOLETANA EuSAPIA PALADINO.
lenti, scandagliando nel
buio ma coi piedi a
terra, l'anima ed il cer-
vello raccolti in una
obbiettività fredda ed
impregiudicata, per cui
le teorie finali non si
riassumono in un a-
priorismo basato su
delle predisposizioni
individuali, bensì nel-
la conseguenza logica
d'una serie di premes-
se e di fatti.
Questa terza catego-
ria è la più apprezza-
bile in massima ed è
la più bistrattata nella
pratica ; presuppone
nei suoi addetti cultu-
ra scientifica, equili-
brio di mente, prof, in-
dite di percezione ed
una onestà intellettua-
le inintaccabilej tale da
giungere perfino ad u-
na specie di auto-as-
senteismo per ridurre
il propri, spirito ad
uno specchio in cui si
riflettom e si sensibi-
lizzano i risultati della
obbiettività più scru-
poli sa
--'bile, scartano non solo le risultanze ne- E' questa, però, una situazione così delicata del-
- ma anche quelle dubbie, e su le altre che lo spirito che fa pensare alla stasi dei cervi-volanti
librati nell'aria e abbandonati poi dai ragazzi. La
i nello spa-
ili una i i immobilità ; ma ap]
aliti l'equilibrio m sposta e 1" stendardo
! bassi .
i spiriti troppo a ti ilmente &•
brati, lanciati nel turbine delle polemiche ap-
•mi- quelle che riguardano le esperien-
niche: [ht gli im; credono troppo; |ht gli
LA LETI I R \
Anna Rothe, «la medium dei fiori»
AKXLSlATA A lKkl i
altr; troppo poco; per gli uni sono dei
transfughi dal freddo grembo della scienza uffi-
i ialej ]*-r gli nitri sono dei neofiti troppo diffidenti,
trop] tori, lei neofiti che si fermano alla
a dell'altare, ma non adorano e non si prostrano.
Eppure è certo che, senza questi notiti diffi-
denti, la i li tini rimarrebbe abbandonata al
i he, senza questi transfu-
ghi, la scienza non sarebbe in possesso ili ( pu-i
nuot -ti scandagli della psiche umana
studi e le esperienze ducibili a
i
Ila trasmissione del pensiero ed anche sul-
la i della ensibilità, fenomeni sin
qui . ma che entrano ormai nd campo
ino il ponte I
so .il quale si potrà re arsi a si emi re il vero nel
campo ano >ra stra e o infuso e con-
teso dei fenomeni trascendentali.
Oliviero Lodge — del cui nome autorevole finì
Mini" col tarsi scudo nelle loro polemiche spiritisti
intispiritisti — in occasione d'una delle sue ele-
i a presidente della Società di ricci
psichiche di Londra, tracciò un brevissimo ma
caustico bozzetto degli atteggiamenti dei vari
gruppi di spettatori di fronte alla fenomeni ili ►
già che quella Società fa oggetto d'indagini
ampie e dispendiose. Che i fenomeni -
■I mente dovuti a degli spiriti o che non lo
sieno, è però naturale vi sia della gente i he
debba agli spiriti attribuirli, poiché quan
tratta di spiegare un fatto qualunque insolito
e misterioso vi sono sempre tre ipotesi pron-
te: quella degli spiriti, quella dell'elettricità
e quella della frode. L'osservatore serio ma
incline al misticismo pensa agli spiriti ; il
semplice curioso dal frivolo intelletto non
pensa mai a niente, ma dice: «Elettricità»;
il sapiente, il giureconsulto, l'uomo d'intelli-
genza normale, pensano talvolta, ma dii
sempre: «Frode».
Di quest'ultima categoria il rappresentante
più autorevole ed anche più severo in Italia,
nell'ora che passa, è il senatore Blaserna, diret-
tore dell'Istituto fisico dell'Università romana,
uno dei cui più recenti articoli venne testi rias-
sunto con ampiezza dalla Lettura (i). Altri a
quello ne seguirono ed agli articoli s'ir
ciarono le interviste.
I trucchi fondamentali.
Secondo lui, per chi bene esamina tutta quan-
ta la storia dello spiritismo da mezzo si
in qua, risulta chiaramente che tutto questo
edificio riposa sopre tre o quattro trucchi fon-
damentali.
Il primo — che sarebbe anche il più sa-
piente — consisterebbe nel modo, stui
perfettamente bene, di apporre le mani -
un tavolo appositamenti preparato — obbligan-
do, col pretesto della catena, i presenti
net ferme le pn 'prie mani su i ssi
re in pari tempo al medium la possibilità di li-
berarsi una mano ed un piede e di fare col m
.li essi tutti quei giochi che un abile prestidigita-
ti n può ì ire in simili condizioni ed al buio;
il secondo è il gioco dei cosidetti spinti battenti,:
che consiste nel battere il tendine d'Achille su.
so sottostante, nonché nel battere al bu
■-noia della scarpa sul piede del tavolo o colla
punta della scarpa sul fondo ''«'1 tavol -
segue l'invenzione del nodo che si fa
e. 1 miv/ii del quale il medio s:, hi >era dalla li
tura. i me \ uole fai endi credi n
piamento di s poi ritorna nella legatura;
i Numero 'li giugno
ME1HUM E TRUCCHI
789
e viene in ultimo il trucco della fotografia pseu-
do-spiritica eseguita a mezzo di lastre preparate e
con sistemi di cui parleremo più oltre (1).
Il presente scritto avendo il semplice scopo di
stabilire con brevità quali sono i principali punti
controversi e gli elementi di dibattito di fronte al
problema medianico, è il caso di specificare anzi-
tutto le modalità di questi trucchi, i quali forma-
ri .110 e formano innegabilmente la base d'opera-
zione di molti giocolieri, simulatori d'esperienze
medianiche, e di parecchi medium specialmente tra
quelli professionisti.
E' però doveroso premettere che la scoperta di
trucchi non fu opera esclusiva di antispiritisti.
Fra i credenti è indubitabile che esiste una falan-
ge di credenzoni grossolani attratti dal fascino del
misticismo senza ombra di senso critico e senza
l'inizio di quell'acume che può suggerire i mezzi
per sceverare l'inganno dalla realtà ; ma è indu-
bitabile del pari che i più cospicui studiosi della
medianità, da Crookes a Richet, il problema del
trucco se lo sono imposto anticipatamente ad ogni
serie di esperienze e che la Società di Ricerche Psi-
chiche di Londra — il più autorevole consesso
scientifico del genere — di fronte ai trucchi agì
• con una inesorabilità che parve spietata, tanto che
i diniegatori del fenomeno — pur non volendo ac-
cogliere la fenomenologia che questa Società sente
di potere ammettere dopo averla passata al vaglio
di selezioni tanto complicate e severe — si fanno
forti principalmente delle rivelazioni registrate nei
suoi atti.
La gherminella delle mani e dei piedi.
Quando Eugenio Torelli- Viollier pubblicò nel
Corriere della Sera una serie d'articoli — ancora
frequentemente ricordati nelle polemiche sul me-
1 dianesimo — per rivelare la gherminella delle
mani e dei piedi, da lui qualche anno prima sco-
perta in esperienze di famiglia compiute colla Eu-
sapia Paladino (2). non è affatto vero che dell'in-
dice da lui dato non si sia tenuto conto. Le espe-
! rienze di Cambridge e quelle dell'Agnelas com-
(1) Prefazione di Pietro Blaserna, all'* Al di qua» di
L. Pavoni.
(2) A proposito della polemica torelliana, essendosene
alterato il significato iniziale — che lasciava impregiudi-
cata la questione dello spiritismo — vanno ricordati que-
sti periodi dell'articolo apparso nel Corriere della Sera
del 2526 settembre 1S92 col quale Torelli-Viollier diede
principio alla campagna contro la Paladino :
«Non voglio pronunziarmi sullo spiritismo: non lo af-
fermo e non lo nego, essendo materia estranea ai miei
studT. Gli anni mi hanno fatto insegnare quanto sia fa-
cile cadere in errore nel dare un giudizio risoluto in ma-
terie che si conoscono ; figurarsi in quelle che non si co-
noscono. Posso però attestare questo: che la Eusapia in-
ganna, che i suoi artifizi mi sono noti, e che una persona
appena appena perspicace, quando sia messa sull'avviso
ed informata della sua trappola, non ci si lascia più ac-
calappiare ».
E tutta la campagna si limitò alle frodi da lui attribuite
alla Paladino.
piute colla Paladino nel 1895 — la prima per
opera dell'accennata Società londinese, le altre vi-
gilate da una commissione di studiosi francesi con
a capo De Rochas — presero in speciale esame
quell'artificio, il quale, del resto, era già stato te-
nuto in considerazione nelle esperienze scientifi-
che del 1892 in Milano, registrate in un verbale
che porta fra le altre ed oltre a quella di Aksakoff
le firme cospicue di Schiaparelli, Richet e Lom-
broso.
Sconfessata acerbamente dall'Hodgson e dal
1! v
i',fiT!
"#à
La metjium americana Elisabetta Williams
colta in flagrante frode dagli spiritisti di parigi.
Sidgwig nei verbali di Cambridge, difesa dall'O-
chorowicz in un verbale successivo, ed anche dal
Lodge in alcune lettere ed appunti, l'Eusapia pas-
sò subito ad Agnelas ed anche qui il trucco delle
mani e dei piedi fu constatato. Il prof. Sabatier,
che teneva la mano destra, fu specialmente colpito
da questi fatti: i° che l'Eusapia rifiutava di la-
sciarsi tenere tutta la mano ; 20 che la ritirava po-
co a poco in modo da lasciar solo il palmo della
mano e soprattutto il polso a contatto colla mano
di lui ; 30 ch'ella agitava costantemente questa
mano portandola verso la mano s-'nistra tenuta dal
sostituto procuratore generale Maxwell ; 40 ch'el-
la dirigeva sovente l'estremità delle dita rimaste li-
bere verso la mano sinistra.
Sabatier seguì e studiò queste manovre, le quali
lo portarono a pensare che l'Eusapia potesse agire
in tal modo allo scopo di sostituire la mano sini-
stra, tenuta da Maxweli, coll'estremità delle dita
della mano destra, in modo da liberare la sinistra
e poter così agire sui movimenti di alcuni oggetti
predisposti nella camera a scopo di esperienza me-
dianica.
Il disegno dato alla pagina seguente rappresenta
le cinque posizioni delle mani della medium e dei
due controllori, quando, nelle esperienze al buio,
la medium riesce a liberarsi, pur lasciando credere
i
LA LETTURA
qui Ila seduta e ne seguì una quantità di
m- terpi
l>.-r ini uno ili ■ si Fi \ vennero fatte sederi- su due sedie, poste luna
il tavolo, spo> presso l'altra, ma in modo che i loro talloni ;■
ro -n due cuscini e le gambe rimanessero separai
persone troi untisi in catena te e disi rtza era determinare
Il inuline d'Achille.
Il trucco del cosidetto tendine d'Achille (un tea-
sso e che, battendo su di
una posizione nella quale i legamenti della ginn
tura del ginocchio distesi e i 'i a-
vessero punto d'appoggia
La partiva dal concetto che lo s|
■ntu dell'osso necessario a produrre i fi
esso, può pro-
durre un suono
venne
rivelato nel
1859 dal dott.
Flint, pn ifi ssi 1
re alla clinica
medila dell'I'
niversità di
Buffalo (Stati
Uniti d'Ami
rica) dopo una
di ricer-
che attorno al-
le sorelle Fox,
50 in subbuglio parecchie città
nord-americane, coi pii hi formidabili ed in teli i-
mente ripetentisi nelle varie rase da esse abi-
1 moderna ■ iscend ntali
appunto la sua origine dai fenomeni d'allora
: o ntroversi formulati riguardo
del Flint inche da |
ni mèdiche, consisteva nell'attribui-
uei rumori alle non apparenti contrazioni dei
lini dell'operante, contrazioni le
quali arriverebbero financo ad imitare il melodio-
di vari strumenti.
Per Imente le st relle Fi 1
■ li tal mezzo, il don. Flint istituì una
Le du
un divano. Si domandò ai
;i in
I CIN'.'UE MOVIMENTI DELLA MEDIUM
LIBERAZIONE I'R AIDOLBNT A 1)1 UN IIRACCIO.
non avrebbe potuto effettuarsi qualora i piedi non
avessero posato su di un corpo resistente. Ed in-
fatti gli spiriti rimasero muti, tantoché le din- so-
relle dichiararono non esservi più speranza di ma-
nifestazioni. Le si fece poi scendere dal divano;
ma, non appena i loro piedi toccarono terra,
pi ricominciarono.
Allora le loro ginocchia furono tenute ferme e
vi si applicarono sopra le mani con forte pi
ne. cosicché ogni movimento dell'ossi fi sse percet-
tibile al tatto, ed i picchi tacquero immediatamen-
te. Una sola volta, avendo uno dei medici rallen-
tata intenzionalmente la pressione, vennero uditi
due o tre deboli colpi ; ma fu anche constata
sensibile movimento dell'osso.
Si procurò quindi a più riprese d'afferrare pun-
tamente il ginocchio del soggetto nel momento in
cui ricominciavano i colpi misteriosi; e
spericn.'. i ebbe sempre l'effetto di imporre
spiriti l'immediato silenzio.
< n ciò ii gioco parve riveli
Il nodo che si fa e si disfa.
11 trucco relativo al nodo ;■ quello i
medium, per quanto legato alle mani ed ai ■
con un'unica corda suggellata qua e là e m
tenuta ai suoi estremi da i i i llori, può svin-
colarsi almeno in parti-, così da poter agire
in a sé. Il tnu ' tuarsi in due modi.
I in • |uello dei nodi fatti in modo che. ma
la loro apparente resistenza formidabili
Igi in da sé colla massima I ai dna. E' |U( ■
comune per cui i prestidigitatori di p
MI bir.M E TRlXi'lll
annullano una decina (!i fazzoletti che poi mostra
ni al pubblico completamente staccati. Se ne può
leggere la spiegazione in qualsiasi trattatello di
magia bianca; la sua applicazione alle simula/io-
ni medianiche presuppone tuttavia un compare
cella persona che lega il medium alla seggiola.
11 truce classico consiste invece nell'abilità spe-
ciale del medium di farsi legare in modo che chi
lega debba necessariamente presupporre la impos-
sibilità materiale dello svincolo, mentre il medium
può lil «rarsi dai nodi e rientrarvi a volontà. E'
improprio, quindi, chiamar questo il nodo che si
fa e si disfa, perche il nodo permane tal e quale.
Anche di tale trucco abbiamo trovato la spie-
gazione in una rivista di studi telepatici e media-
nici e precisamente in quegli Annales des Scien-
\ che rappresentano la parte più eletta
del movimento psichico della Francia e che. come
tale, abbiamo visto con stupore scambiati nelle
recenti polemiche colla Rena- des études fsychi-
ques, la quale non è che l'importazione a Parigi
per opera d'uno studioso italiano (il Vesme) della
Rivista di stiia . stroncata nel 1898 a Pa-
dova per la tragica fine del suo fondatore, il prof.
Ermacora.
La medium — si trattava d'una donna — le-
gata strettamente sopra una sedia, venne posta
nel cosidetto gabinetto medianico (un breve spazio
della camera, separato da una cortina). Malgrado
cgni precauzione, dopo un po' si videro oscillare
delle fiammelle al di fuori del gabinetto. Si sareb-
be giurato sull'autenticità del fenomeno; invece
era simulato. I punti luminosi erano prodotti dalla
medium la quale, malgrado l' apparente solidità
dei legami, era riuscita a liberarsene mercè una
disposizione anatomica speciale, poco comune e
apparente, dei polsi.
Il medico, incaricato del controllo, aveva rimar-
cato che i polsi del soggetto erano grossi e relati-
■nte grassi, cosicché le mani, essendo grasse
ma non avendo che una sottile ossatura, riuscivano
a passare attraverso ad un'apertura o ad un le-
game che potesse appena ammettere il polso. La
medium, nel lasciarsi legare, aveva cura, inoltre,
d'assicurarsi che le fosse possibile portarsi la ma-
no al naso sotto il pretesto di pulirselo, ma in
realtà per potere, malgrado i nodi, umettare di sa-
liva le dita e toccare quindi l'estremità fosforea
d'un fiammifero producendo cosi delle luminosità
nell'ombra. Come usciva dai legami, il braccio
della medium vi rientrava e poi. sfregando il pol-
so sulla corda, vi si producevano dei solchi che ■ —
al termine della seduta — erano destinati ad im-
pressionare maggiormente gli spettatori rassicuran-
doli circa la forza estrema del nodo.
Ma non tutti possono disporre d'una simile ec-
cezionalità anatomica. Gli altri ripetono il gioco
per cui nel 1865 vennero a Parigi smascherati i
fratelli Davenport, che si erano dati a delle espe-
rienze medianiche in pubblici saloni. Veramente il
trucco per cui furono scoperti consisteva nel farsi
legare ad un trave mobile — malgrado paresse
solidamente fissato — cosicché il trave veniva tol-
791
to e la fune, per con -1 rallentava. Li 1
slacciamento essendosi per. 1 verificato anche in 1 ri
dizioni diverse, si seppe poi che il trucco avveniva
COSÌ: mentre li si legava, i due fratelli — uomini
snelli, robusti e, dò «'he più importa, slogati —
sapevano offrire ai loro lacci ora il risalto d'un
muscolo inturgidito a bella posta, ^ra un'insenatu-
ra. Per tal modo, pur simulando di prestarsi alla •■ ■
lenta dell'incaricato che li legava, gli opponevano
un'abile e segreta resistenza, ottenendo rosi d'al-
lentare i legami di quel mezzo centimetro che ad
essi bastava.
Una corda, dopo aver legato i polsi posti dietro
la schiena, allacciava il soggetto per le spalle pas-
sando dietro le braccia, tornando poi indietro e fi-
nalmente risalendo per terminare con un nodo. I
punti d'appoggio delle corde erano quindi le spal-
le. Ma la spalla, inturgidita durante la legatura,
rientrava in se e lasciava molle il legame.
Se accadeva che la corda dei polsi passasse su-
gli avambracci e li spingesse contro il busto, lo
slorzo del soggetto tendeva a scostare le braccia
dal corpo all'atto della legatura e a produrre cm\
ciò un rilassamento della corda, debolissimo in-
vero, ma abbastanza sensibile per far risalire la
detta corda verso le spalle.
Restavano i polsi. La mano (particolarmente il
pollice), è quella che rende più invincibile la le-
gatura e si oppone al ritiro del braccio; ma i
Davenport. valendosi della loro ginnastica spe-
ciale, facevano rientrare i pollici dando alla mano
una forma cilindrica non più grossa del polso.
Ina volta liberata una mano, con essa e coi denti
si giungeva a liberare l'altra ed a slacciare i nodi.
Il trucco classico del nodo consiste quindi nel-
l' avvantaggiarsi sui legami al momento della le-
gatura, allargarla quanto basta per ricuperare l'a-
zione delle braccia e diminuire la sporgenza della
mano. A questo modo un altro illusionista - - il
Ri il un — riuscì financo a slegarsi sotto gli occhi
degli spettatori, a luce piena.
Le fotografie.
Il trucco delle fotografie spiritiche ha tutta una
storia ed una piccola bibliografia a sé. Le prime
negative del genere furono ottenute in America,
poi si propagarono in Europa mercè il fotografo
parigino Giovanni Buguet che per due anni ■ —
1873-74 — ne trasse un lucro complessivo di 22.000
franchi, ma nel 1875 finì coll'essere condannato
per truffa — trascinando altri nella propria scia-
gura sotto l'accusa di complicità — a un anno di
carcere e 500 franchi di ammenda. Al processo
egli confessò tutto, anzi — a quel che pare —
avrebbe confessato al di là del vero, visto che due-
cento persone testificarono o scrissero, malgrado
lui. a conferma della sua medianità, attestando la
perfetta somiglianza di fotografie di defunti. 1 1
tenute a mezzo suo. mentre egli negò ogni facoltà
medianica, narrando d'aver fatta una grande rac-
colta di vecchi ritratti d'ogni genere da cui s
cava le teste per applicarle in modo adeguato alle
LA LETTURA
I ■ I abilità sua consi-
I committente le generalità
. trattandosi 'li genti
-
|uella più a]
ad una puppattola di mussolina e -
li in un gabinetto ri-
La negativa veniva poi utilizzata per ri-
ipiva quindi nel ve-
■ alla propria immagine, una vap
da cui trapelavano lineamenti ap-
5Ji i io traini:'
a in linee note e parlanti.
o primitivo, abbastanza ■ -> ■ n j i > I i -
|rt chi lo esercitava, abbastanza ingenuo per
o la vedova 'li Al-
iati Kardek - il pi dello spiritismo —
ton solo la fotografia del marito, ma ili un
lobbe e i he, al proo
■ ritto invi o i poi ritratto nella n
uva dalla commessa del Bug i
I metodi si sono venuti j>oi perfezionando. Mei
la Lettimi spiegò alcune frodi fo-
applicabili alle ricerche tra-
dentali; il Blaserna stesso diede delle spiega-
zioni in proposito.
S prende una placca fotografica e la si espone
.i distanza davanti ad una persona (x) in modo
da avere un'impressione molto piccola e con una
durata di posa molto minore del tempo necessario
per una buona rafia. La placca, non svilup-
pata, viene conservata con cura [ht essere poi a
SUO tempo utilizzata nel ritrarre altra persona (z)
l<-r lame la fi i in granile; ma anche questa
e con posa breve. Finalmente si fotograta
la pai sulla quali- con una soluzione ili bi-
ito ili chinino (trasparente come acqua e sen-
s mo alia lastra fotografica) si sono dipinti
in precedenza spettri, fiori, ecc. — e si sviluppa
la lastra. Si vedrà allora l'immagine z avente nel
' uore l'immagine x, ambedue aventi carattere di
spinti, ed attraverso ad esse si vedrà il fondo della
pan te mentre all'intorno sembreranno svolazzare
fiori e fantasmi.
uesto metodo richiede l'uso d'un'u
lastra, posseduta dal fotografo, per tre im-
ed un insieme ili preparativi che
Ini. -lite può trarre in inganno chi si presenti
'un po' di diffidenza, anche superficiale.
liccio, diretto, die permette al fo-
I utilizzare sui due piedi la lastra portata
■lai nte e 'la lui contrassegnata
e apparire contemporaneamente la persona ed
i i consiste in un sai
mio. i ramezzato, i
■ la una parete ma da un fondo semplicemente
nativo 'li tela leggera (sbirting) dipinta a te-
■ lori.
colle spalle davanti
alla finta parete; ma, mentre la macchina I
sulla lastra da lui portata, dall'al-
della tramezza un .compare, favorito da
rosa lampada di proiezione, quando sia
de 'li convenzione, pn
sulla intelajatura quella figura di vecchio, di don-
o che i connotati, favoriti inge-
IL TRUCCO lilII.l.K lOTOGRAI-lE SPIRITICHE.
nuamente dal committente stesso, hanno .
to ili scegliere.
Medium smascherati.
Ho arrennato al processo Buguet; ma vale la
pena ili tenerne parola ancora.
Si svisi- nel '75, ed oltre che al Buguet '■'! al
l.e\ marie - successore di Allan Kardelc nella di-
rezione della Rcvue Spiri/e — procurò la condan-
na al carcere ad Alfredo Enrico Firmati, un giiK
vane ancor ragazzo nell'aspetto che, assieme alla
madre, dava sedute di materializzazione, cioè d'ap-
parizioni di defunti con le caratteristiche di pi
ne viventi.
La sua specialità era l'apparizione di un nane-
rottolo indiano adorno di stoffe ricchissime e col
volto coperto d'un velo. Firman era piuttosto
l'indiano piccolo, quindi esclusione d'una simula-
zione di personalità. Senonchè il Firman fu chia-
111. ito per dare esperienze in casa d'un signora Hu-
guet ; questa ebbe sentore di frode, e si precipitò
sull'apparizione appena comparve. Ahimè', di -
alle spoglie fantomatiche del nano giganteggiò su-
bito la figura del medium, il quale incespii
cadde. Rialzatosi in fretta, la madre lo prese pa
mano ed entrambi fuggirono.
Mi più singolare fu il motivo che involsi
man negli affari del fotografo parigino. Firman si
attribuiva la bi-corporeità. cioè la facoltà di .-
piarsi e di apparire in un luogo anche Ioni
simo da quello ove si trovava- Ora avvenne
mentre Firman trovavasi in Olanda, un pati
di lui — il ricco conte de Bullet — si recasse di
Buguet per ottenere delle fotografie spiritiche
ecco apparire in una di esse di fianco al conte la
figura evaporante del Firman come immersa in
un sonno di estasi.
11 caso era patente; Firman in quel mon
doveva essere caduto in trance a centinaia di chi-
lometri di distanza ed il suo «doppio» vagando
per gli spazi sera venuto accoccolando ]» r istinto
di simpatia presso una persona pred letta La bi
corporeità aveva avuta la sua sanzione sp-m
tale.
Senonchè menti
mai stato a Parigi ed avesse mai conosciuto il Bu-
guet
ta di
mesi
MEDIUM E TRUCCHI 793
— risultò al processo, per confessione ripetu- scena fu organizzato dalla signora Leymarie e dal
quest'ultimo, che la conoscenza esisteva e che di lei figlio Paolo, che il padre — la vittima di
addietro il Firman aveva con lui posato in Buguet — era assente da Parigi.
La medium cadeva in trance nel cosidetto ga-
I inetto spiritico, cine dietro una cortina, e da que-
sta — al chiarore d' un lampadino, che oscillava
continuamente onde non dar riposo all'occhio dello
spettati ire — uscivano man mano < imi ire di fan-
ciulli, di uomini, di donne, ora biondi, ora bruni.
Ultimi apparivano ordinariamente gli spettri
d'un prof. Cuchmann e della sua bambina. Fu a
questo punto che uno dei congiurati balzò sopra
a Macdonald mentre Leymarie figlio ed un ami-
co si slanciarono sui due spiriti ed un quarto ac-
cendeva prontamente un lume.
Al chiarore improvviso fu visto che lo spettro
di Cuchmann era la Williams in maglia di seta
nera colla capigliatura raccolta in una specie di
berretta di seta, ed un paio di mustacchetti tenuti
fermi da un elastico.
Xel gabinetto spiritico era appesa la sottana del-
la medium e per terra erano sparsi spilli, boc-
c ette — tra cui una di fosforo — ed un sacchetto
— che la medium usava nascondere sotto le vesti
— con quattro parrucche, una barba bianca ed al-
PuPPATTOLA DI CUI SI SERVIVA LA WlLLIAMS
PER SIMULARE UN FANTASMA.
(Dalla Revue Spirile, dicembre 1894).
simulata trance. Quella negativa — gelosamente
custodita — fu sviluppata solo quando su di essa
era poi venuta la volta di fissare l'immagine del
protettore, la cui visita al fotografo si sapeva sa-
rebbe avvenuta.
Un'altra smascheratura formidabile — la più
recente, panni, tra le essenzialmente incontestabili
- fu quella toccata nel 1894 all'americana Eli-
.v< I ietta Williams, una medium scesa a Parigi con
un'aureola di supernaturalità quale pochissimi dei
maggiori potevano vantare. Lei in trance, gli spi-
riti apparivano a due a tre, conversavano coi pre-
senti, si lasciavano fotografare e toccare. Accom-
pagnata da una specie d'impresario, Macdonald,
eseguiva le proprie esperienze in casa d'una signo-
ra Raulnt, cui era stata raccomandata dalla Revue
Spirile.
Ingiustamente vedemmo però fatto merito di tale
smascheratura a un gruppo di giornalisti spregiu-
dicati, i quali avrebbero pagato la partecipazione
alla seduta con cento franchi a testa.
La verità è che stavolta lo smascheramento fu
opera degli spiritisti più intransigenti e precisa-
mente dal gruppo della Revue Spirite, che deve
aver voluto mettere le mani avanti per non rica-
dere nella pericolosa dabbenaggine della mistifica-
zione Buguet.
Non esiste la congiura dei giornalisti estranei,
e la partecipazione alle sedute costava solo dai io
ai 25 franchi per persona. La prima ad accorgersi
dei trucchi era stata la stessa signora Raulot —
una kardekiana convintissima — e il colpo di
La fantomatica figlioletta del Cuchmann non
era che una puppattola composta d'una maschera
di grossa mussolina bianca gommata, i cui ca-
LA BORSA PEI TRUCCHI DELLA SIGNORA WlLLIAMS.
794
to il [uale una
simu-
,i Qui Ila spi i
: rro tras
utt'atti imi i
l bianca finissima oon
i mussolina.
hi la Wì lliams era ventrilo-
struire l'insieme dei trucchi
ombinare, mentre i presenti la
tro il cortinaggio.
L'ultimo dei medium • fu, per ordine
\ ,. . ] la cosi
« medium dei fiori he in >ua awe
uro delle vere pioggie ili liori. anche
sugli astanti.
i iali narrarono diffusamenl ne un
funzionario di polizia, introdottosi fra gli spi
su 'li lei nel momento tipico della
duta e, fattala svestire, le trovasse nascosti in
■ dei ii' ni. < 'l' i
in ra ]
vivai-i- fra spiritisti e increduli sulla legittimità
dell'arresta Gl'increduli affermano che l'esistenza
fiori e degli aranci prova la flagranza della
li altri sostengono che ■ — ammessa nella
medium la facoltà 'li materializzare fiori e frutta
spiritici — quel fatto non prova nulla e, se si vuol
ilar fi >in lamentìi all'accusa, si deve stabilire rhe essi
alla seduta. E ciò essi dicono, mal-
grado già da un anno mettessero in dubbio la me-
dianità delia Rnthe. visto rome ella si rifiutasse
a severi controlli, preferendo dare sedute a pa
ri carattere teatrale. Questa controversia
d'istruttoria non sembra ancora risolta perchè il
processo (e. trattandosi di flagranza, avrebbe do-
vuto essere rapidissimo) non fu ancora svolto.
II.
Fin qui abbiamo riassunto i punti prira
dell'aito d'accusa steso contro i fenomeni me»
nici. Per necessità di sintesi, ci siamo fermati ai
hi, |iel rompimento dei quali basta il medium
colla coadiuvazione, tutt'al più, d'uno dei presenti.
I i lsì di fenomeni simulali pei quali occorsi
ordo segreto di sette od otto dei presenti e si
introdussero di nas i echi facchini nella ca-
• delle esperii ridi dai spettacolo all'o
scuro di levitazioni formidabili, se hanno sapore
non poss no aver vali ire comi i li mi n
to .' i alle i sperii nze scientifiche, dal
icetto i con
plicità dei pr. pp mgi no
ell'intento comune di anali,
i che il soggetto si attribuisce, non di in-
nulame la ma ne.
il motivo per i ui se i»t quelle serie
di trucchi, al poterono gli
un qu
■ lu lecito ad uno scienziato, pure i 11 ti -
.n una Ila Paladini a Napoli
indi ■ d
LA I ii
ne medianica. Quand'egli confessò
unii i, non n vi fu ilarità, ma dovè su-
bire il richiamo ad un maggior seni i di-
li riguardo, né < dirsi che
lui.
Premesse le accuse, è però doveroso fai
agli ì di difesa, i quali non sono ni
chi, né tenui. Occorre eliminare un preconcetti
nume; cioè che quanti studiano questi fenon
spiritisti. Tutt'altro: gli spiritisti, anzi,
li che li studiano meno o non li studi.'
io perchè li ai tanto i he sulla I
di questi fenomeni hanno fondata una dottrina t
seguono ni in cui credono rome un buon cattolico
crede nel Vangelo. Per essi, quindi, esula in i
sima la necessiti di controllo; per ciò è più tarile.
a loro riguardo, l'inganno.
Gli altri sono dei semplici sperimentatori che
astraggono da ogni concetto filosofico trascenden-
tale. Anzi, per distinguere la propria tenden
sono costrutta una terminologia speciale nella qua-
le non si tratta di spiritismo ma di studi psichici
(per indicare una qualche affinità colla psiche u-
mana), non di «spiriti» ma di «forza psichica»,
non di osdop] », ma di « esteriorazione del-
la motrirità o della sensibilità».
La psicologia della frode.
Costoro — pel loro stesso temperamenti i speri-
mentale — sono diffidenti e scrutatori: e soprat-
tutto si son posto il problema della fri ! esami-
nandolo da ogni lato: s'adattarono con ui
medium a sedute nulle o fraudolenti, e ciò servi
loro di controllo per quelle che reputarono volta
a volta mediocri, buone e buonissime; e vennero
- col Lodge - a conclusioni rome qui
i° che deve essere possibile, per mezzo di suf-
ficienti precauzioni, d'impedire i tentativi di fi
del medium ;
2° che se gli viene concessa troppa libi ri
da aspettarsi con ragione che presto o tardi tali
tentativi verranno fatti.
Ed — occupandosi specificatamente
attribuite all'Eusapia — così il L
nel 180.4 con meravigliosa sottigliezza d'intuito psi-
cologico:
t Bisogna considerare che il medium in stato di
sonnambulismo si trova in una strana condizii
ni una condizione cioè in cui è realmi
inopportuna il lasciarlo libero da controllo come
se esso Fosse in pieno possesso delle sui
normali: di più può essere che la differenza Ira
un'i i' razii ni ro rmale ed una anormale, sia una
distinzioni sulla nostra ignoranza pre
sente rhe su quale! lipendente dall'intima
natura delle cose, talché, se durante li
sonnambulismo tutti e due i metodi, pei
un risultato, sembrano al medio egualmente 1
bili, può instargli uno sforzo il ricordare che
di qt idi 1 ira stupire gli osservatori men-
verrà da loro stigmai 1 1 1 me (rode.
MED'U'W E TRU< '111
795
Però non è probàbile che tutti e due questi metodi
sieno in realtà egualmente facili — il metodo anor-
male richiede evidentemente uno sforzo straordi-
nario — ed è naturale che il medio sia tentato di
scegliere la via più facile in caso di difficoltà, se
esso per negligenza gli vien lasciato aperto. Qua
lunque pericolo di accuse ingiuste sarà evitato, so-
lo che i presenti alle sedute abbiano il buon senso
di trattare l'Eusapia non come una persona di
scienza occupata a fare una dimostrazione, ma co-
me un organo delicato di un apparecchio, del qua-
le essi stessi si valgono per fare una ricerca. Essa
è un istrumento, il cui modo d'azione e le cui
idiosincrasie devono essere studiate ed anche asse-
condate fino ad un certo punto, precisamente nello
stesso modo con cui si studierebbe e si asseconde-
rebbe il modo d'azione di qualche apparato di
fisica molto delicato, che fosse stato inventato da
un artefice esperto».
Dal che risulta che gli esperimentatori stessi
ammettono la frode, ma partono da un criterio
diverso nell'apprezzarne il valore di fronte ai fe-
nomeni che il medium può produrre.
E fu tanto studiata la questione della frode
che l'Ochorowicz ne tracciò la casistica :
a) Frode cosciente (alla Williams)
b) Frode incosciente ; ,, ,. ..*
' ,, ,. ,- I Medianità
alO stato di veglia > ,, ,. . r ■ _
,. . & 1 d ordine inferiore
allo stato di trance '
e) Frode parziale automatica 1 Medianità
d) Fenomeno puro ' d'ordine super.
E' appunto nel distinguere i casi e nel far
fronte ad essi che si manifesta l'abilità dello
sperimentatore. Rilevando anzi alcune affinità
evidenti della facoltà medianica cogli stati ip-
notici, rOchorowicz concludeva non doversi di-
menticare che «.la frode è inseperabile della
medianità, come la simulazione è inseparabile
dall'ipnotismo » e ciò per rimproverare con suc-
cesso all'Hodgson che se le esperienze coll'Eu-
sapia a Cambridge riuscirono fallaci, a lui più
che ad altri lo si dovette a perchè egli tollerava
la frode; poi la suggeriva con le sue idee pre-
concette e molto nette e.
Ed in confronto all'esperienze di Cambridge
citava quelle dell'Agnélas in cui la tendenza
fresatrice della medium fu vinta dichiarando
brutalmente a costei ad ogni fine di seduta
fraudolenta che si era capito il suo gioco. E
gli inganni erano durati così a lungo che, dopo
una settimana, l'Ochorowicz aveva notato nel
suo giornale: «Io sono talmente scosso dalla
frequenza della frode in questi ultimi tempi,
che incomincio a dubitare di tutto».
Ma pazientò e le sedute buone cominciarono
da allora.
Un altro dei preconcetti comuni è che i fe-
nomeni medianici si manifestino soltanto al
bujo, in condizioni, cioè, troppo favorevoli ai
trucchi perchè vi si possa prestar fede.
Ciò non è esatto. Nelle famose esperienze del
1892 a Milano furono verbalizzati come osservati
in piena luce e con piene o nt rollo le seguenti se-
rie di fenomeni:
i° Movimenti meccanici non spiegabili col solo
contatto delle mani :
a) sollevamento laterale della tavola sotto le
mani della medium, seduta ad uno dei lati piccoli;
b) misura della forza applicata al solleva-
mento laterale della tavola;
e) sollevamento completo della tavola ;
d) variazione della pressione esercitata da
tutto il corpo della medium seduta in una bilancia.
20 Movimenti meccanici con contatto indiretto
della medium, in condizioni da rendere impossibi-
le la sua azione meccanica ;
a) movimento orizzontale della tavola mentre
la medium tiene le mani su una tavoletta posta su
tre palle di bigliardo o su quattro rotelle ;
b) sollevamento laterale della tavola con tre
palle da bigliardo o quattro rotelle e una tavoletta
interposte fra la tavola e la mano della medium.
30 Movimenti d'oggetti a distanza, senza alcun
contatto con una delle persone presenti ;
a) Movimenti spontanei d'oggetti (tra cui una
sedia pesante io kg. e che si trovava dietro la me-
dium ad un metro di distanza) ;
I
Sollevamento completo del tavolo.
(Esperienze di Milano, 1892).
b) Movimenti della tavola senza contati
e) Movimenti della leva d'una bilancia a ba-
scule.
■QO
LA LI T TURA
.il suoni nella tavola.
ni la levitazione
li cui è r i j > ri > lotta nella pa-
■ "Mi :' momento in
il fatto in questione —
abbiamo poco alla volta allon-
persone poste attorno alla tavola, lasciati
(Aksàkof) rolla medium posta
• stra. Questa persona metteva i p
dell'Eusapia e una mano sui suoi
coll'altra la mano sinistra della
cui destra era sulla tavola, in vista di
tutti, oppure la medium la teneva in aria durante
la tavola restava in aria
secondi, fu possibile ottenere parec-
■ del .il ehe non era ancora
i».
-jK^ito del movimento dilla leva d'una ba-
■ mza della medium, qui sopra accen-
pena di ricordare che Cri okes escogitò
.dra eoi medium Dunglas Home (i) un espe-
:i condizioni ancor più probative che quel-
le di Milana Egli castrasse un apparecchio scien-
miente perfezionato. Si trattava di far muovere
una lancetta sopra un disco tenendo la mano del
medium sospesa senza contatto su una leva appli-
•i.l un congegno d'orologeria. Prima della pro-
va Crookes ed altri stabilirono la resistenza asso
luta dell'apparecchio contro ogni possibile urto. Or-
bene Home influì anche su questo apparecchio in
modo notevolissimo e l'ordigno applicato al dina-
Fu detto che Dunglas Home è stato condannato
per frode spiritica; Crookes, interpellato recentemente in
proposito, dichiarò « essere assolutamente falso che Home
fosse mai stato scoperto in frode e condannato per tale
motivo >. Venne specificato allora che la condanna sarebbe
stala pronunciata da un tribunale tedesco il 22 maggio 1868
per scrocchi e truffe sommanti a 60,000 sterline, compiuti
in danno d'una vedova , signora Lyon , allucinata dal-
li fenomeni spiritici. Attorno a quel tempo l'Ho-
me esperimentava col Crookes e fa stupore che questi
ignorasse allora una circostanza tanto clamorosa e che
ori vi scivolasse sopra scientemente. D'altra parte abbiam
visto discutere se si tratti di un Home o di un Hume, il
che può far supporre una quasi omonomia di due persone
distinte. Mancandoci gli elementi di fatto, lasciamo im-
pregiudicata la questione, pur notando che non pochi ver-
tali autorevoli parlano del disinteresse e della lealtà spe-
rimentalrice dell'Home; che questi aveva incontrato un
matrimonio con una signorina russa e che, rimasto
nel 1871 una sonila del celebre profes-
nisso Boutelerow. Le biografie dell'Home che abbia-
mo che pure parlano di verbali a lui contrari,
non accennano affatto a condanne. Verissima invece è la
uina come giuntatore, intinta dalla Corte di Polizia
di Londra, al medium Henry Slade — reso celebre per le
nenze collo scienziato tedesco Federico Zòllner — su
el prof. Lankaster; ma lo ZSilner, riproducendo
• rIì atti processuali, portò elementi non trascu-
rabili contri, l'attendibilità dell'accusa. — Il qual Zòll-
ner non è vero che sia morto pazzo — come vuole la leg-
genda pel dolore di .s.isi saputo mistificato dal suo
medium; egli morì il mattino del s»2, fulmi-
nilo mentre stava lavorami., al
he il Lankaster, accusatore
Slade I rrcst.u., ... t . ittivi costu-
mi, il lenti a suo rìguard ..
Apparecchio di Crookes
per constatare l'azione della forza psichica
tu .metro registrò sempre le variazioni sul dia-
framma.
Fotografie mediali ielle.
Questo genere d'esperienze rimane però nel cam-
po d'una presunta facoltà individuale e non pre-
suppone come necessaria l'azione di entità estra-
nee al medium. L'ipotesi di quest'azione viene in-
vece determinandosi con caratteri di attendibilità
di fronte alle fotogra6e psichiche o medianiche,
qualora caso per caso ne venga ammessa l'auten-
ticità.
Abbiamo riferito tutti gli elementi esplicativi
che ci fu dato raccogliere presso quegli scrittori
che attribuiscono a semplice trucco l' ottenimento
di tali fotografie. Altri elementi ad essi sfuggiti
vengono aggiunti da un'autorità superiore in ma-
teria fotografica, da Traili Taylor presidente della
London and Provincia! Photografhic Association
e della Xorth London Photografhic Society.
In un discorso tenuto nel maggio 1895 al
Congresso degli spiritisti in Londra , parlando
del modo come produrre una fotografìa psichica
falsa avente apparenza di autenticità, egli fece
osservare che una lastra segretamente impressio-
nata prima o dopo d'essere introdotta nella
camera oscura basta all' uopo ; basta pure
una lastra sul rovescio della quale sia stato appli-
cato un disegno fosforescente prima d'introdurla
nel telajo; anche una pressione sulla superficie
sensibile fatta, per esempio, con una pellicola a ri-
lievo Woodbury può produrre un'immagine svilup-
pabile ; inoltre l'effluvio stesso emanante da una ca-
lamita nell'oscurità perfetta agisce sopra una la-
stra fotografica sensibile in un modo analog
quello della luce, e cosi pure agisce un foglio di
carta comune che sia stato prima esposto alla
luce.
Eppure il Traili Taylor rende conto di imma-
gini psichiche ch'egli ottenne in modo per lui con
vincente. Tracciò anzi, a tal riguardo, una teorìa
assai chiara.
Vi sono certi raggi che, riflessi dall'oggetto su
cui cadono, sono visibili, e si dà loro questo nome
MEDU'.M E TRUCCHI
F9i
perchè permettono ad un occhio normale di ve-
dere quell'oggetto: ma vi sono altri raggi che,
quantunque riflessi alla stessa guisa, non rendono
visibile l'oggetto, ma possono avere un'azione foto-
grafica. Questi si chiamano raggi invisibili, perchè
i loro effetti non sono percepiti colla visione ordi-
naria. Se una cosa od entità (chiamatela spinto,
se volete) emette dunque soltanto raggi di questa
natura, è certo che potrà venir fotografata da
chiunque possieda anche soltanto nozioni elemen-
tari di fotografia, sebbene tale figura non possa
essere visibile. E tale fatto sarebbe conciliabile
tanto colle leggi dell'ottica, secondo le quali l'im-
magine verrebbe proiettata dalla lente sulla lastra,
che con quelle della chimica, secondo le quali l'im-
magine potrebbe in seguito venir sviluppata.
Traili Taylor afferma esseisi servito sempre nel-
le sue esperienze della propria camera oscura, dei
propri utensili, di lastre sempre nuove da lui com-
perate indifferentemente presso negozianti diversi,
badando a non perderle mai di vista dal momento
in cui ne veniva aperta la scatola fino a che fossero
esposte nella camera, sviluppate e fissate. Per dip-
più si servì d'una camera stereoscopica, ossia bi-
noculare. Il medium non aveva nulla a che fare
colla parte fotografica di tali esperienze, poiché
Traili Taylor portava lui stesso fuori del gabi-
netto oscuro nella sua tasca i telai contenenti le
lastre e le riportava nella stessa guisa per lo svi-
luppa
E fu in tali condizioni che ottenne molte imma-
gini anormali che nella maggior parte dei casi
presentano l'apparenza di persone misteriosamente
riprodotte sulla negativa, mentre alle volte l'im-
magine del medium vi figura completamente ma-
scherata da un'immagine psichica sovrapposta.
Eppure non è a dirsi che il fanatismo della ri-
cerca trascendentale abbia potuto in questa circo-
stanza far velo agli occhi del ricercatore, perchè
da tutte queste esperienze — condotte fino al pun-
to d'ottenere direttamente le immagini sulla lastra
senza intervento dell'obbiettivo né della camera fo-
tografica — Traili Taylor venne per conto suo. con
logica freddezza, alla deduzione che le immagini
ottenute non fossero immagini di spiriti, bensì
l'effetto di emanazioni mentali projettate dal me-
dium, non necessariamente conscio, sullo strato sen-
sibile della lastra; teoria raccolta più avanti da]
Baraduc e che diede occasione a curiosissimi ten-
tativi di fotografia del pensiero.
I trucchi finora rivelati presuppongono che le
lastre siano manipolate dal medium-fotografo o
che la fotografia psichica sia ottenuta in un ga-
binetto da lui predisposto ; presuppongono inoltre
l'incapacità tecnica dello sperimentatore. E' certo
che a nessuna di queste condizioni rispondono le
tsperienze di Traili Taylor, né quelle più r
voli ancora di Aksakoff e di Crookes.
Aksakoff descrive con minuti particolari ci
abbia ottenuto contemporaneamente a Londra, con
lastre proprie ed in casa di famiglia amica, le im-
magini del medium Eglinton e della forma mate-
rializzata Abdullah : Crookes in parecchie menu t-
rie si occupa di fotografie ottenute in casa pro-
pria, con lastre proprie, ed in sedute da lui diret-
te, nelle quali la forma materializzata di Rat ir King
apparve riprodotta o sola o insieme alla medium
(la ragazzina Cook, figlia d'un giudice tondini
colla quale Crookes sperimentò per tre anni, da
LO SCIENZIATO INGLESE WILLIAM CROOKES
COLLA FORMA MATERIALIZZATA KAT1E KING.
quando ella ne aveva dodici appena), o insieme al
Crookes medesimo.
In queste ultime fotografie è singolare l'assen-
za di caratteri fantomatici nella forma materializ-
zata ; non vaporosità di contomi, non diafanità
di corpo.
« Per due ore — scrive Crookes ; e va notato
che in queste affermazioni egli sapeva di poter
compromettere la propria serietà di scienziato —
la Katie s'aggirò biancovestita nella camera, par-
lando familiarmente con tutti i presenti. Più vol-
te ella mi prese il braccio camminando e l'impres-
sione che ne risentì il mio spirito fu quello d'una
donna viva che si trovasse al mio fianco, non d'una
visitatrice dell'altro mondo». Xe sentì i battiti del
polso e del cuore. Pensò a un inganno stante la
somiglianza de! fantasma colla medium ; ma al-
lora dal fantasma stesso fu condotto nel gabinetto
per constatare che la giovinetta giaceva a terra
colà, vestita di velluto nero, in apparenza comple-
tamente insensibile: prese la sua mano, portò la
lampada a fosforo ch'egli aveva accesa fin pi-
ai suo viso, ma ella continuò a respirare tranquil-
lamente. Lì presso stava sempre la Katie avvi Ita
nel suo vestito candido ondeggiante.
Oltre a ciò Crookes stabilì i caratteri differen-
ziali fra le due personalità : Katie era di r»
testa più alta che la medium ed era più grassa.
Una sera contò le pulsazioni di Katie; il polso
batteva regolarmente 75 mentre quello della me-
<r
LA LETTURA
sua i
'. .1 1 1)0.
del cuore nella Katie
nella Cook, ed i suoi p >1
in,.ii ok allora
data.
, Hi foto
u,-l latte. modo co
ssono far fede solo I e
e pochissimi alni. < tra, quando l'è
• udii ha autorità 'li si i< nza o di
ne Mia ha un'eco .'hi- muore la
rimangono quindi sul n-atr.. della ih
si, diremo così classici, ai quali,
, ..ri. inaura, viceversa, la potenza de] mi
ii.i alcune delle fotografie psichi-
autentiche i- quelle ottenute con ar-
stono caratteri differenziali che si posso
: talmente are.
riproduzii ne contrapposta 'li ilue fra esse
. d'una '!• l.a fotografia di-
r.ita autentica fu ottenuta dal cav. Emesto
rettore del Vessillo spiritista di Roma;
quella ad imitazione i opera del Pozzi <li
no (Vedi le illustrazioni a pagina seguente).
Sull'autenticità della fotografia medianica ci
mancano elementi positivi tranne 1' affermazione
del suo possessore, il quale in parecchie ri-
I ■andi anche delle scommesse con chi pre-
lere con mezzi normali immagini con-
simili : la scommessa In accolta anni sono da due
ali fotografi milanesi, ma dopo parec-
chi tentativi venne declinata.
Ultimamente vi si accinse il l'ozzi — utiliz-
zando i metodi più addietro descritti — e l'oppor-
tunità del raffronto consiste unicamente nella so-
anza dei due esemplari, astraendo dal modo
furono ottenuti. In entrambe dietro la balco-
nata appare soltanto la parte superiore del corpo;
ut ramlie è evidente la diafanità della mano
posata sulla spalliera della seggiola; ma la diffe-
renza consiste nel contomo il quale, per quanto
tenue, è nettamente delineato nella fotografia a
imitazione, mentre nell'altra tutte le linee si con-
fondono in una specie di evanescenza n'indica.
Plastiche.
Coi osi la plastica ha servito
]»-r la t [ li immagini psichiche. Posto
un i 'olmo di creta molle nella sala delle
sa, in determinate
ti, accogliere l'impronta d'un viso o di
mi che non corrispondono al viso od alle
dì alcuno dri presi
Vnche per le plastiche venne rivelato il trucco
il medium si servirei
In principio di seduta i j porre poco lungi
0 di stUCCO O
rende /i svaria-
l, e per quanto
agitandosi tut-
lla simili.' ' della /'
m pr i punto dove tri >vasi lo stui ■
\i posa per un momento la testa. L'impronta è lat-
ta , ma il medium non lo dice annua.
K"li attende ail altre ni.mil. la
rifare la luce, distrae gli spettatori, rido-
manda la penombra ed è allora 9 [tanto che di-
chiara di poter ottenere l'impronta. Afferra le ma-
ni di alcuni presenti, le aduna sul recipiente in-
sieme alle proprie come i*t addensare mi un pun
a della forza psichica di i gnuno,
ita penosamente, ansima ed inline trae un
gran si isp indo: « E' fatto ! ».
Ma quel i he ■ fatto anzi, che era ^ià fatto —
è l'impronta fai naie del medium.
Qui però viene obbiettato che se l'impronta non
corrisponde alle linee facciali del medium, esula
l'ipotesi di questo trucco anche se sussiste l'avvici-
namento del viso al recipiente, li quale avvicina-
mento ha senza dubbio un caratine per sé stesso
sospetto; ma gli sperimentatori, tanto p
quanto per i moti delle mani e del i : con-
suetamente avvengono in direzione del fenomeno,
hanno data una spiegazione di cui conviene tener
conta
Per legge psicologica il corpo va sempre auto-
maticamente nella direzione del pensiero (cumber-
landismo). Il medium agisce per auto-su-,
e lordine di andare fino a un punto mirato è dato
dal suo cervello nello stesso tempo al coq*> o ad
una parte del corpo dinamico (cioè alla forza psi-
chica emanante dal corpo del medium) e al o
reale, perchè allo stato nonnaie i|iiesti due forma-
no una stessa cosa. E siccome, subito dopo l'ipere-
stesia iniziale, il suo senso muscolare si ottunde e
il corpo diviene intorpidito, succede, specialmente
quando il medium procede con negligenza e non
dirige abbastanza i suoi movimenti, che il corpo
dinamico rimane al posto mentre è quello reale
che va alla direzione mirata, e può anche darsi
che non la raggiunga realmente, agendo a distanza
con un prolungamento dinamico.
Così l' Ochoruwicz si spiegava parecchie espe-
rienze nelle quali le dita dell'Eusapia erano vici-
nissime all'oggetto che si moveva ma non lo toc-
cavano, mentre era fuori dubbio l'assenza di ca-
pelli, fili, ecc.
Avvicinare il proprio corpo, o una parte di i
all'oggetto designato col pensiero sarebbe quindi
ancora un'azione riflessa, istintiva ed inevitabile se
non vi sono ostacoli. Per arrestarla sarebbe ne
sario o un ostacolo meccanico (il controllore) o un
impedimento psichico (l'attenzione stessa del me-
dium sufficientemente desta ed eccitata).
Per : la spiegazione è ben vero che b>
sogna accettare la teoria del corpo dinamico (qual-
come I" sdoppiamento); ma esso in lindo
non e che una denominazione speciale della I
psichica, constatata dal Crookes, la cui
l'ilità non e ora più cosi fermamente nega
per il passato.
sulla ammissione della forza psichi
si basi qi , nente questi genere di
I pievi. . \ Irli dettO per - ì
MEDIUM E TRUCCHI 799
sibile senza scopo di frode ravvicinamento della scienziati a scienziati. L'elemento spiritualistico è
medium al recipiente della creta. Quanto al valore tenuto in disparte; non rimane in lizza che Tele-
delie plastiche per loro stesse. ripri..iuc-iamo alla pa- mento sperimentale con tutte le difficoltà inerenti
gina seguente la fotografia di taluna di esse ottenute ai metodi da applicarvi.
in separati esperimenti. Di notevole c'è questo-: non Tutto per ora si riduce nel voler rispondere a
questa domanda : « Sussi-
ste il fenomeno ? ». Le de-
duzioni filosofiche o religio-
se verranno poi.
Ciò è tanto vero che
Crookes — il quale dopo •
trentanni dichiara d'aver
nulla da ritrattare e che
anzi avrebbe molto da ag-
giungere alle affermazioni
da lui fatte — non è spiri-
tista; come non lo è Lom-
broso, il quale pure dovè
dichiarare: 0 Sono tutto
confuso e dolente d'aver
combattuto con tanta persi-
stenza la possibilità dei fat-
ti detti spiritici ».
Il nodo del problema sta
nell'accertamento dei fatti,
nell'eliminazione, lenta ma
sicura delle possibilità di
frodi sia coscienti che inco-
-
F0V0GRAFIA AFFERMATA
MEDIANICA , OTTENUTA
dal cav. E. Volpi.
una è eguale all'altra, ma
tutte rispecchiano una stes-
sa fisonomia ; hanno linea-
menti nitidi e questi diver-
sificano completamente dai
lineamenti della Paladino,
col concorso della quale
le impronte furono otte-
nute.
III.
Questi per sommi capi
i fatti su cui si basa nel-
l'attuale periodo la questio-
ne della medianità. Dal
campo della volgare super-
stizione o delle tradizioni
novellistiche, passo passo
essa è giunta sulla soglia
della Scienza; anzi in par-
te la soglia fu già varcala.
s 10 gli ultimi baluardi ch'essa sta per debellare,
od è questa la prova suprema che l'attende, la
prova del fuoco che la tempri o che la distrugga?
Certo è che la lotta divenendo più intensa è an-
che divenuta più organica e più bella, nel senso
che se- sfrondata d'una quantità di elementi cao-
tici che ne turbavano il nitido svolgimento.
Sulla soglia della Scienza la lotta è condotta da
Fotografia ad imi
dallo
tazione della precedente, ottenuta con mezzi normali
stabilimento fotografico C. Pozzi di Como.
scienti. Ancora troppo incerti sono i confini tra il
normale e l'anormale perchè possano subire una
divisione logicamente netta.
Da un lato si grida: ali medium ha frodato,
nessuno dei fenomeni ch'esso produce merita con-
siderazione».
Dall'altro lato si vuol esaminare anzitutto se
non si è precipitato nell'accusa di frode, se non vi
LA LI IH R A
dello spettatore;
quin rapporto tr.i l'atto fraudolento e
infine quali sieno 1 caratteri
della
i dimento della meticolo
può riuscire fastidiosa a chi ama veder pi
. un quesito; ma la prudenza del metodo è
risultati.
- i ne dei prò e dei contro, che
■:i facendo, si <■ |x>tut<> notare come ap-
punto agli studiosi si debbano le constatai
voli dui sistemi ili frode, mentre per
ino 'lei sistemi da altri rivelati essi hanno
chiusi gli («-ehi. Basta aprire una qualsiasi rivista
di studi psichici per o la preoccupazione
rale di il contro i trucchi, precoci
/ione la quale iuta una serie ili apparecchi
di controllo e di prova.
Ad esempio, in una seduta medianica alla pre-
senza di scienziati, 1" stato di trance non potrà
mai essere simulato dal medium, avendo esso ca-
ratteri specifici di non difficile rilievo. Constatata
la traine, risulterà provata la passività del sog-
getto di fronte ai fenomeni che da lui derivano. Se
Milite una medium produrre in istato normale al
dinamometro un massimo di 60 ed in stato di trance
la vedete produrre ;io. è certo che vi trovate ni
fronte ad un fatto anormale; ma è altrettanto cer-
ile la fn ile rimane esclusa, anche se quella
medium in altre condizioni avesse frodato.
E' poi un errore il credere che tutta la fenome-
nologia psichica sia basata sui medium : come è
un errore il fermare l'attenzione unicamente sui
medium di professione. Se questi vantano un'ec-
cezionale potenzialità, non è meno vero che feno-
meni pari ai loro si sarebbero verificati anche con
persone 'he non tanno lucro di tal genere d'espe
rimenti e rho quindi sono originariamente meno so-
spette. Cosi tu narrato in questi ultimi anni di un
giudice di tribunale che a Roma nello stato di
trarne otteneva levitazioni, apporti e fiammelle; a
Pisa la contessa Mainardi ottenne cono oedium
delle effluviografie ; ed ora è la vi. ha duna pi
pessa svedese, Mary Karadja.
Quanto all'estensione degli studi, la Società di
Ricerche Psichiche di Londra è intesa ad abbrac-
ciare tutte le manifestazioni di carattere 'ri-
dentale dalla telepatia alle case fantasmog
dalle premonizioni alle divinazioni, tutto docu-
mentando e registrando.
Ed il risultato di tante indagini fu di ri, min
cere i ricercatori stessi che parecchi dei fenomeni
generalmente considerati come anormali non 1
no dall'ordine della natura, lasciando impregiu-
dii ita la questione per gli altri.
Del resto l'affermazione finale che si può .
gliere allo stato della questione, è forse ai.
quella pronunciata dall'Ochorowicz nella sua cri-
tica sottile al rapporto degli scienziati di Cam-
bridge:
"Allorché si scoperse il Galvanismo, convenne
trovare a poco a poco degli apparecchi nuovi per
studiarlo; allorché si scoperse l'Ipnotismo conven-
ne cangiare completamente il metodo d'osservazio-
ne fisiologica per questo dominio speciale ; ]>•
si è scoperto la Medianità, ancor più inattesa <]
categorie precedenti, bisogna aspettarsi, vista la
complessità e la stranezza dei fenomeni, di . !
cangiare ancora una volta i metodi d'osserva-
zione ».
Ed è a ciò che lentamente gli studiosi s'avviano.
0. Cipriani.
Plastichi.: ni John King
II. PRESUNTO SPIRITO-GUIDA DELLA MEDIUM PALAI. Ino.
—=5=3-
ANDRE
-£><>
[Continuazione e fine, vedi numero precedente \.
VII.
Maddalena restando a lungo seduta sentiva un
certo ribrezzo, come di febbre, e dissimulava inva-
no i brividi che le passavano per tutta la persona.
— Lei ha freddo — le disse Andrea — sarà
meglio camminare.
Si misero a camminare, ma con aria stanca: e
scambiando poche parole. All'arrivo del treno di
Firenze non provarono più la commozione e lo
smarrimento provato dianzi ; guardarono i passeg-
geri che scendevano e si ritrassero verso l'uscita
sempre attenti per scoprire gli aspettati, ma non li
videro; aspettarono che fossero usciti gli ultimi,
tornarono sul marciapiedi : la vaporiera ansava e
sbuffava ancora, ma intorno non cera più nessuno.
Tutti delusi vennero al cancello che stava per es-
sere chiuso e passarono in fretta. Giunti sul gran
piazzale si fermarono, guardarono il cielo oscuro e
furono quasi meravigliati di ritrovare il mondo
reale: i fiaccherai, i cocchieri degli omnibus, i
sensali di camere erano loro dintorno.
— Vuol ch'io le prenda una carrozzella? vuol
ch'io l'accompagni a casa? — chiese in fretta An-
drea per liberarsi da quegl'importuni.
— Sì, sì — diss'ella.
Non erano venuti; e se Maddalena non si di-
sperava era perchè Andrea le faceva coraggio: le
va che sor Luigi s'era lasciato persuadere di re-
La Lettura.
stare a compiere la cura, che se avesse peggiorato,
col suo carattere inflessibile, sarebbe tornato anche
moribondo. Arrivarono presso casa.
— Lei ha lasciato acceso il lume in camera da
pranzo — fece Andrea pieno di meraviglia, ac-
cennando le finestre.
— Io no, sono uscita che ci si vedeva ancora :
Barbera stava a letto, io credevo che ora dormisse.
— La meraviglia diede luogo al timore. — Dio mio
( he sarà mai successo !
— Xon si spaventi — disse Andrea aiutandola a
scendere di carrozzella.
Maddalena trasse la chiave, aperse la porta e
tutta tremante si volse ad Andrea:
— Io ho paura, venga su anche lei, venga, la
prego.
— Vengo senz'altro. Vuol che la lasci qui sola?
Accese dei fiammiferi, le si mise dinanzi e le
fece strada.
In camera da pranzo non c'era nessuno: sulla
tavola il lume acceso e un telegramma chiuso;
Maddalena l'aperse:
« Babho deve restare ancora vieni t'aspettiamo
«domanisera». « Mamma».
Maddalena si mise a piangere:
— Babbo è moribondi i !
— Ma no, via. se fosse moribondo, lei la chia-
merebbero d'urgenza, non per domanisera.
LA LETTI U.\
ili
grufò tutta sorpi - m
5tica.
ino portai" un (ima.
Urei dormito un pò non era quel
gromma, mi è convenuto d'alzarmi. Cosa di
legramma ?
Dice 'he papà sta male, che domani
anch'io.
mi dispiace ! se lei p andri i
i sorella. Quanto mi dispiace! Si Lucia co-
con lei?
— Il signor Andrea.
bravo — aggiunsi- quella pi-
he mutò fianco e riprese il
si nnn.
Dunque arrivederla, la ringrazio tanto del di
te ha avuto per me ; lo dirò al babl o e al
la mamma.
\lr li saluti tanta Si faccia animò. Buon
rio - - ma nello stringerle la mano: — 1>
scotta '. disse lei ha la febl ire : \ Uol che
le vada a prender qualche rosa? vuol che le chiami
un medico? ■ in così dire, quasi senza aweders
accarezzava leggermente la mano.
— \o. no, non ho bisogno ili nulla: lo guani.'.
riti 'li lagrime, commossa d'ai
dine e gli posò leggermente la
ra su la spalla. Egli sentì quella carezza
to in- i hip iva nella sua pi ivera vita : ;
ci ni una i mposta e gentile, in un at-
timo torse il viso e sfii iri i con le labbra la n
ite della fanciulla ; la quale, ritraendo subiti
la mano, inti i i ' avei li - una
tu : nel moti imprese per nulla l
giovane e string
— Lei avrà occhio a tutto; gli disse — le
lascerò le chiavi di 'ava. Barbera andrà via Io
non hi | mando tutto a lei.
— Non dubiti ili nulla.
— Arrivederla.
Non si perda d'animo Arriveilerla.
La mattina .seguente, verso le novr. Maddalena.
tutta vestita per il viaggio, con Giovanni, che le
ava la valigia, scese nella retrobottega a con-
segnare le chiavi. Era pallida pallida con gli occhi
sbarrati e una piccola crosta all'augi 'lo della bricca.
— Barbera è già andata via, tutto è chiuso —
Maddalena posando le chiavi sulla scrivania
dinanzi ad Andrea. — Lei non si muova, la pr _
Senta, il gatto sta qui giù e ci pensa Giovanni :
i miei fiori li ho messi nell'andito sulla finestra li i
i vetri e l'inferriata, se dovessi tardar più gii
ini farebbe un piacere a farli mainare.
— Non dubiti di nulla.
— La cardenia fiorita non la muova, sa: quella
non d re il sole.
— Lasci fare.
\ndrea guardava tutto meravigliato Maddalena.
che, scossa la febbre. aveva ripresa quella grande
rgia, ohe i giovani sanno sempi dalla
necessità: parlava in fretta e in fretta lo salutò;
egli ricambiò i saluti cosi mezzo tra stupido e in-
i urtato. Ma non appena ella fu uscita eh
si riscosse. Maddalena non c'era più; il
mento bramato con tanto ardore era pas
senza ch'egli se ne fosse accorto. Ma era possil
Ma se ti e tutta mattina non aveva » i
gheggiato che questo momento? Aveva immaginato
tanti riguardi per la salute di Maddalena: pro-
porle di prendere qualche e. .sa. servirle egli si
qualche liquore confortante, aveva immaginato di
tari aveva perfino pensato i
irla alla stazione; e invece non a
to nulla, non 'nulla. Possibile I Ma dov'e-
ra, dov'era lui con la testa? E e que-
st'amaro pentimento gli tormentava l'anima e gli
oscurava il p gradito della sera innanzi:
quel soave pensiero che tutta la unite 1" avei
in una dormiveglia deliziosa pien
tenere/za e di vaghe sperai;
ANDREA
8o3
Vili.
Quando Maddalena arrivò a Montecatini dopo
un viaggio pieno d'angustie ebbe la grata sorpresa
di trovare alla stazione lui, proprio lui il suo bab-
bo, che non poteva più fare a menti di lei e che
l'accolse con la maggior festa del mondo. Era lu-
po' sciupato, è vero, ma era ben lontano da quel
che aveva temuto Maddalena. La sora Adelaide,
contenta di vedere la figlia tanto festeggiata, con-
teneva la sua tenerezza e con modesta serietà Li
veniva presentando ai signori e alle signore, che
per fare due passi avevano accompagnato lei e il
sor Luigi alla stazione. La ragazza, indebolita dalla
febbre del giorno innanzi e dallo strapazzo del
viaggio, in mezzo a quell'insolita festa, animandosi
d'un tratto, s'era fatta rossa e tutta sorridente ;
aveva l'aria gentile e pareva bellina: gli sguardi
e i sorrisi, che gli amici convenuti alla stazione
scambiavano col sor Luigi e la sora Adelaide, era-
no tali che essi ne restavano molto soddisfatti.
L'aria era buona, il tramonto splendido, il paese
vivace e gaio, da ogni parte si vedevano oleandri
superbi sopraccarichi di fiori rosei, belli e profu-
mati ; Maddalena, dopo la solitudine penosa e tri-
ste, dopo l'abbattimento della febbre e dei timori
di pocanzi. sentiva ora l'anima aprirsi ad una gioia
tutta nuova : che felicità trovarsi co' suoi genitori !
Le pareva di deporre nelle braccia loro tutto il peso
delle" responsabilità e dei pensieri, le pareva di ri-
diventar felice e spensierata, come una bambina.
S'affrettarono tutti verso casa, perchè era vicina
l'era del pranzo, e l'aria e le cure di Montecatini
non lasciano dormir punto l'appetito. In casa del
cappellano, una bella palazzina tutta nuova, c'era
oltre una ventina di ospiti, che mangiavano insie-
me ad una lunga tavola sotto una pergola di ver-
dura. Maddalena si sentiva ristorata e ri-
fatta a vedere quella graziosa palazzina, quelle
belle stanzucce pulite , dalle cui finestre si
vedevano tante casine ben ristuccate e dipinte che
parevano tutte nuove, e tanti orticelli ben mante-
nuti e pieni di fiori. A tavola si divertì a osservare
tante persone diverse, che già conoscevano i suoi
genitori e la guardavono benevolmente: c'erano due
canonici e un padre domenicano, c'erano delle si-
gnore grosse e grasse, che facevano la cura sperando
di dimagrare, c'erano due sposi giovani, c'era, co'
suoi genitori, una ragazzina di quattordici anni che
la pretendeva a giovinotta, c'erano degli uomini.
che altrove dovevano essere molto importanti e
gravi, ma che ora volevano godere la pace e la buo-
na compagnia per smaltire la bile che nei maneggi
e negli affari avevano durante l'anno accumulata.
Tra quei che facevano più festa a Maddalena
era una certa signora Sermanni. che aveva già
stretta grande amicizia col sor Luigi e la sora A-
delaide e stava sempre con loro: così lasciava più
libero il figliuolo, che l'aveva accompagnata, un
bel giovane verso la trentina, come suo padre, in-
gegnere d'acquedotti, il quale a Montecatini cerca-
va di divertirsi meglio che poteva. Egli divise ben
presto le simpatie di sua madre per la figlia del
droghiere di Roma, e nelle gite, che si combinavano
fra gli ospiti del cappellano, a Montecatini alto, a
Monsummano, a Pescia e a Collodi la circondava
di premure. Era naturale del resto, poiché non c'era
altra giovane che lei ; ma la i vata.
lutti godevano a prestare il loro favore e ogni gior-
no a tavola si lanciavano parole tronche, si face-
Nano allusioni che volevano parer vaghe, e che vi-
ceversa poi erano sempre molto precise ; tutti
sorridevano, se ne compiacevano tutti ed anche
Maddalena, benché sovente protestasse, diventando
color di fuoco.
Sor Luigi, col mezzo d'una signora fiorentina
che tornava a Firenze, fece venire per Maddalena
un bel vestitino bianco e una bella camicioletta
di seta tutta guernita di volanti e di nastri. La
sora Adelaide, che non aveva mai potuto raggiun-
gere tanta eleganza in vita sua, perdeva ora gli oc-
chi e la testa dietro l'abbigliamento di sua figlia e
ne godeva in modo incredibile. Sor Luigi, felice di
trovarsi in mezzo a gente che lo credevano proprio
padre di Maddalena, voleva che la figliuola potes-
se anche lei comparire e fare la sua figura.
Il vento della fortuna non era mai stato, come
ora, tanto favorevole per Maddalena, la quale, es-
sendosi veramente temprata nella sventura e nella
miseria, ora invece di folleggiare e d'insuperbire di-
ventava più buona e più affettuosa : tutti la vezzeg-
giavano, uomini, donne, vecchi e giovani, e non
solo gli ospiti, ma perfino le cuoche e le cameriere.
La sora Adelaide, che per vincere la contrarietà
dei parenti di suo marito aveva sempre dovuto la-
sciar la figlia in disparte, ora si rifaceva metten-
dola avanti, e nel vederla cara agli altri sentiva
ella medesima maggior affetto e maggior tenerezza.
Maddalena aveva ventotto anni e faceva il
suo primo e insperato trionfo, al quale si abban-
donava coll'ebbrezza di chi entra tutto nuovo nella
vita. Come le pareva dolce e schietta la generale
simpatia ! Come le pareva bello il mondo ! Quando
il suo pensiero riandava al passato, provava un
senso di sgomento e ne rifuggiva ; ma nella pove-
ra e oscura vita, che aveva fin allora condotta, bril-
lava di luce viva e pura l'immagine gentile d'An-
drea, pel quale ora provava un senso di pietà più
profonda, e per la prima volta si sentiva assalire
da un dubbio, da una specie di rimorso, che era
l'unica nube del suo luminoso orizzonte.
IX.
Il malcontento che aveva agitato Andrea dopo
la partenza di Maddalena si dileguò affatto, allor-
ché il giorno seguente egli ricevette una lettera di
lei, che gli dava buone notizie di suo padre e lo
pregava di dare un'occhiata in camera da pranzo,
perchè le era venuto il dubbio di non aver ben
chiuso una finestra. Lo salutava e lo ringraziava
tanto da parte anche de' suoi.
Andrea si sentì sollevato; subito subito aperse
un cassetto della scrivania, ne trasse le chiavi e
salì ad eseguir l'ordine di Maddalena.
L'andito non era del tutto osi uro. sulla finestra si
LA 1 IATTURA
iì. .ri ili Maddalena
feri ta i to\ rapp -: con
, mo ogni visi
■ ■ e ap-
Vndrea urtò contro un mobili
di , adi re qualche
finestre,
i h use, ma erano chiuse I
.1 avere urtato il tavolino del la-
: n.i ribaltata e per l
. il duale e i gomitoli. Raccolse e mise
rdine ben bene ogni cosa, poi diede un'occhiata
in giro Era quella la stanza dWegli aveva pran-
|U Maddalena gli diede
le pò ardi; qui stava seduta ao
a lui, che teneva il bambino sui ginocchi e sfoglia-
ilbum delle fotografie:
i >!i eco lo là l'album delle fotografie — ebbe
hi un lani]«. di gioia — eccolo là sullo
. dov'erano le poesie del Leopardi.
Da quella parte Maddalena uscì vestita per an-
a 1 la m tssa di mezzani tti , là era certo la sua
stanza.
Gli sarei. Le piaciuto di goder più a lungo quel ca-
ro luogo: ma uno stimolo arcano lo spronava come
a fuggire: stava tutto sospeso, gli pareva di profa-
nare un luogo sacro, laonde si affrettò a richiu-
dere le finestre e ad us n Quivi due sere innanzi
egli s*era trattenuto con Maddalena, solo solo con
lei che piangeva ; l'aveva confortata, le aveva ba-
ia mano; ma nessuna di queste immagini sor-
se dinanzi alla mente del giovane, perchè i ricordi
diventano chiari che nella profondità della di-
stanza e di tutte le cose l'impronta che resta più
profonda è sempre quella della prima impressione.
Andrea passò alcuni giorni senza salire nella
casa del suo principale, ma sentiva un desiderio
nte di ritornarci, e non pensava più ad altro:
era però trattenuto dalla sua delicatezza e da un
■ timore, che ti a spiegare, giacché non
essendoci né ragioni, né speranze, egli non voleva
affermare neppur seco stesso d'essere innamorato
di M idd dena.
Gli parvero eterni quei tre giorni che lasciò pas-
sare, finalmente tri vò ragioni che l'aiutarono a se-
condare il suo desiderio: i fiori con quel caldo ave-
vate sogno d'essere inaffiati ; e poi G
vanni, parlai" d'aver tutta mattina
cercato il gatto inutilmente, non sapeva dove si
In casa, pensandoci un poco, non ci poteva esse-
. trai... perchè tutto era chiuso; ma Andrea
■ volentieri anche il pretesto del gatto, si guar-
dai discuterlo, e senz'altro sali sul. ito in
casa.
i nella stanza da pi inzo, aperse le fin
bio fu l'al-
bum
l'aperse e venne i eservando
. ogni ritratto: gli t ■
par. ile che n M;
tro a quelli > 1 1 istruiva
. la vita e il cara!
di ciascuno. E nei visi di quelle immagini leg|
per sé tanta cortesia di affetto, che gli sembravano
tutti parenti esuli lontano, i quali, sebbene ignoti,
pur gli I ngiunti e cari.
0 la fine, dov'era il ritratto di Mad-
dalena, che contemplò assai più lungamei
un U'1 ritrattino sfumato, in cui non appariva di-
si nta .-he la testa; i capelli un po' crespi incorni-
ciavano leggeri il viso; le grandi cocche di n
bianco, che terni. ivano dietro il colletto, sembrava-
no alucce, e davano a quella testa l'aspetto d'un
ino. Andrea mirò e rimirò quel ritratto da tutti
i punti di vista, per guardarlo meglio lo aveva trat-
ti • il. diali uni . i nomee l'indirizzo del I
grafo: a un tratto gli balenò una idea, farne tirare
una copia per sé. 11 giovane tremò dinanzi a così
forte tentazione; ripose in fretta il ritratto, chiuse
l'album e lo rimise a posto. S'aggirò alcuni istanti
tutto smarrito per la stanza; voleva sfuggire un'in-
discrezione e ne commise un'altra: l'uscio della ca-
mera di Maddalena gli stava aperto dinanzi, ed
egli entrò. Aperse la finestra col proposito di dar
solo uno sguardo tanto per cogliere l'aspetto della
a ; ma non potè a meno di fermarsi e osser-
var con piacere sul tavolino alcuni giornali, ch'egli
aveva regalato a Maddalena, perchè contenevano
stupende |xiesie di Stecchetti: erano legati in un
fascii con un bel nastro di seta. Sul comò t» >i la
vista di un piccolo calendario gli fece balzai
cuore di gioia e di tenerezza.
• he soave ricordo! L'ultimo giorno dell'anno
Maddalena, tornando con sua madre dalla m
fu invitata dal sor Luigi a vedere i calendari nuovi,
che il cartaio aveva mandato in dono e stavano
sulla scrivania d'Andrea nella retrobottega.
— Oh belli! quanti, di quante sorta quest'anno!
— diceva Maddalena prendendoli in mano e guar-
dandoli ad uno ad uno — Questo per il neg'
rpiesto per lei, qui accanto alla scrivania....
— Guardi questo com'è carino? — disse An-
drea.
— Lo vuol lei?
— No no. questo ci ha il piede, questo è un ca-
lendario da signora.
— Allora lo metteremo su in camera da pranzo.
Andrea intanto lo veniva rivolgendo e osservan-
ti l'attenzione inquieta d'un critico d'arte.
— Qui sopra il blu. i sta un po' troppo
spazio; bisognerebbe farci un fioretto. Sa dise-
gn ire lei ?
— lo no, disegno qualche volta pel ricamo, ma
■ — Se vuole, glielo faccio io un fiore.
— Mi dispiace che lei del'ba perder tempo.
— Ma io non perdo tempo: domattina p
i colon e i pennelli e II ' faccio qui.
Il giorno dopo, quando Maddalena tornavi da
messa, egli le fece la posta e la chiamò a vi
se le piaceva il fiore, |
tutto molle, era già fatto. Maddalena, manco
dirlo, lo tr. \ò bellissimo: era un mazzolino di
minuti e diversi, ed egli con un certo orgoglio le
ANDREA
8o5
fece notare la precisione delle ombre e del chiaro
scuro.
— Perchè non l'ha firmato? Lo firmi, ci faccia
almeno due iniziali strane intrecciate come fami i
gli artisti.
Ed egli, spinto proprio da lei. prese il pennello
e segnò leggermente due piccole iniziali intrecciate.
— Ma come un G invece di un A? ma lei dun-
que non si chiama Andrea? — disse Maddalena
delusa e scontenta.
— Le dispiace ! percnè ?
— Era tanto belìo quel nome; era il nome d'un
sante, apostolo.
— E se fosse il nome d'un santo apostolo anche
l'altro?
— Ah! fece Maddalena con aria di trionfo, co-
me se avesse spiegato un enigma — lei si chiarii \
Gian Andrea. Bello!
Ed egli sorrise.
Ed ora sorrideva di nuovo. A dir la verità quei
fatto e quel discorso per se stesso non avrebbe
potuto essere ne più insipido ne più indifferente,
eppure al solo ricordo Andrea ne gustava un sa-
pore di dolcezza infinita ; e, come rapito in un in-
canto, mirava sorridendo quelle due misteriose let-
terine intrecciate di color grigio pallido, che a
mala pena si distinguevano sul bianco del fondu.
Il calendario ch'egli aveva dipinto e per volere
di Maddalena firmato , Maddalena non lo aveva
messo, come avea detto, in sala da pranzo, lo te-
neva ' in camera sua. Che argomento di conforto e
d'orgoglio ! Andrea solo per questo si sentì più sol-
levato e sicuro, e non provò più gli scrupoli di pri-
ma a trattenersi in quella casa. Tornò tutto disin-
vi Ito in sala da pranzo; riguardò i ritratti dell'al-
bum, volle rimirare quello di Maddalena ; perchè
gli parea proprio dessero ben forte a combattere
qualunque tentazione. Ma più vedeva quel ritratto e
meno poteva saziarsi della vista; gli pareva che quel-
l'immagine non si volesse fissar nella sua mente,
ond'egli ogni giorno tornava a vederla. La tenta-
zione poi riaffacciandosi diventava sempre meno
terribile; egli si avvezzava a considerarla senza
sgomento. Per altro quando cedette, alcuni giorni
dopo, dovè far sempre un grande sforzo contro
la sua naturale delicatezza, che si ribellava anco-
ra. Ma infine la soffocò violentemente: tras-
se dall'album l'immagine cara, chiuse in fretta le
finestre e pallido, tono, col cappello sugli occhi,
usci fuori e corse dal fotografo a farsi fare una co-
pia del ritratto di Maddalena.
X.
In principio di settembre la famiglia del dro-
ghiere partì da Montecatini ; di gran cose nuove
erano state combinate: Maddalena era fidanzata
del giovane ingegner Sermanni, sor Luigi era de-
ciso di abbandonare il commercio.
Quando arrivarono a Roma, verso mezzanotte,
Andrea li aspettava alla stazione per consegnar
loro le chiavi : aveva l'aria assai meno timida del
solito, sembrava quasi allegro. La frequente dimora
nella vuota casa del suo principale, la lunga e ta-
cita conversazione con le fotografie dell'album ave-
vano fatto nascere nell'animo del giovane una certa
confidenza e una certa familiarità ; parlò col sor
Luigi, salutò con un breve complimento la sora
Adelaide, a Maddalena non fece che stringere la
mano uno disinvolto senza guardarla.
M i oalena pareva muta, ne alla stazione, né in
carrozzella co' suoi genitori fece parola: l'aspetto
e le maniere di Andrea le avevano fatto un impres-
sione, che non aspettava : in casa le parve che tutto
fosse pieno di lui. Ciò che di lontano in mezzo al
rumore della vita gaia le era parso un dubbio vago.
ora tornando al luogo dell'antico raccoglimento si
faceva chiaro e preciso, diventava realtà : Madda-
lena provò per Andrea un sentimento che non a-
vn bbe voluto provare e che, come spaventata, essa
cenfuse e sommerse con gli altri sentimenti di pie-
tà, di dolore e di rimorso. Certo sarebbe stata bella
la vita con un giovane tanto serio e gentile, tanto
onesto; ma pensò l'opposizione de' suoi, di sua
madre in particolare: un'immagine della miseria
passata le tornò a mente ed ella ne rifuggì piena
di paura. Cercò sottrarsi alle sue insistenti e
tormentose fantasie, cui mancava forse ogni fonda-
mento di realtà.
— Ma io ho quasi dieci anni più di lui ; no, no,
meglio così, meglio per lui : io sono vecchia, la
cosa di per sé stessa era impossibile. Ma può an-
che darsi che tutta questa non sia che un'illusione
— pensò per trovare un po' di pace — una sem-
plice illusione della mia mente turbata ; può darsi
ch'egli non abbia mai pensato d'amarmi neppure
un istante. — Sospirava profondamente. — In
ogni modo egli è savio, capirà che questo è il me-
glio e forse sarà contento anche lui di quello che
succede.
Ma intanto come si faceva domani a prepararlo,
a fargli subito conoscere tutto ? Doveva mostrarsi
seria, indifferente e buttar là la cosa, fingendo di
non curarsi punto di lui ? Sarebbe stato un orgo-
glio infame. Dirglielo mostrandosi afflitta, scusan-
dosi (e non sapeva proprio di che) e compiangerlo,
come ora faceva, era impossibile: non c'era punto
la dignità sua e si offendeva poi anche l'amor pro-
prio di lui. Doveva essere, come avrebbe voluto,
gentile, non lasciargli trasparir nulla, aspettare che
glielo dicessero gli altri ? No, no, sarebbe stato
un tradimento. Si tormentò tutta notte in così fatti
pensieri e la mattina non aveva ancora trovato il
modo di procedere.
La mattina Andrea salì, perchè voleva render
conto della consegna, e appena vide Maddalena:
— Com'è abbattuta — le disse — lei è più pal-
lida di quando andò via. Non sta bene?
— Sì.
— Che ha ?
— Tante cose, glielo dirò poi.
Egli si strinse nelle spalle sorridendo, ella chinò
la testa e sospirò. Allora lui la guardò fiso con
aria inquieta.
— Via, sul serio, dica cos'ha.
— Mi hanno proposto un marita
LA LETTURA
_ non 1" prenda: vuol
i. ho ventotto anni —
filo <li \
■ Li non sia an-
jro.
'.
\ Fu più
\ sto disinvolto,
il ; , ani ! più oppressa, pareva
un.-, munta alla morte: il giorno
n una febbre che il medico chiamò
hi tu nitrii mila al COSÌ
li quale non
. , me si crederebbe, dalla
m i ra 'la Maddalena non
che la rosa non avesse al-
interpretò il pallore e la malat-
tia 'li Maddalena in modo contrario a quello reale:
i d'aver in ciò una prova dell ari
.m/i a questa prova, e curioso, non si sen-
tiva mica commosso. Egli stesso si meravigliava di
mai stato tanto indifferente com'ora.
Ma tutto questo poi non fece che rendere più
gravi ì loroso il eoli".; sotto il quale An-
drea eie. lette proprio di morire: nella retrobottega
vicino vicino al suo scrittoio senti i facchini con
Barl>era ragionar pia Dente sul matrimonio
della padroncina.
— Il fidanzato — diceva Barbera — le ha man-
un anello con una pietra verde di smeraldo:
nell'aprire l'astuccio essa tremava come una fo-
glia: si capisce in ogni cosa che è innambi
ta. Il SOra Adelaide che lui è un bellissimo
giovane alto, bruno: io ho visto il ritratto, anche
dal ritratto par molto bello: non vedo l'ora di ve-
deri in persona. Per carnevale è fissato il
matrimoni"; l<. sposo l'avrebbe voluta subito su-
me si fa? di preparato non c'è niente.
E sor Luigi? Ah. utento sor Luigi! le fa
la dote come se fosse vera figlia sua; chi sa che
dote :....
ro Andrea! che avvilimento, che disingan-
no, che e re! \b. fortuna che il suo amore lo
ignoravano tutti ! Il timore che alcuno potesse scor-
gere " indovinare la sua passione per colmo di
tortura lo costringeva a far l'indifferente e aveva
la mone nel i
La sua complessione delicata aveva ricevuto un
Ulto terribile; anche i suoi begli occhi grandi e
pur o ad essere gonfi e tutti iniettai
sangue: e ni n c'era più nemmeno il
Maddalena, la quale non scendeva più
quasi affatto; aveva dóvul gli la
Sfuggiva tutt'. poveri Andrea, perii
a di tradii parila, ogni più lontana al-
lusione alle m //<■ di Maddal rrava il cuore.
tanto più che quella di Barbera
voi' nche ci ni i ai'-n
.
loqu.i Dissi 'Hi mondo di cose del In
era tanto innami i ino tanto
contenti, pari.', dei regali, fece l'elogio della sua
padroncina che mi ritava tutte le più belle fortune,
no senza nessuna malizia, aggiunse:
a adatta anche per lei, sa; io
ci avevo quasi pensato.
Andrea si distorse nell'atto del più superbo fa-
stidio.
I hi ehi sa mai'. — fece Barbera indispet-
tita.
Pareva impossibile, mai mai che potesse incontra-
SO superi i non
e che essa era solita a chiamar
per ironia il signor Coi : ne and... ma nel-
l'atto d'andar- He rintuzzare quel villano or-
Vndrea :
S nta, gli disse crollando la testa — be»
i siano quei (««-hi anni di differenza, una
meglio di così non la troverà certo, glie! assicuro
io. Avrebb dir la cosa in modo
ficaie ed aspri i. ma si contenne, perchè Andrea le
imponeva sempre una cena Si
A Natale venne il fii suo padre e
si trattennero due giorni, ("he differenza dal Na-
tale dell'anno prima! Andrea si sentiva cosi ab-
bandonato, così avvilito che scrisse a Maddal
i la quale sentiva ora una specie di affetti
:. i In- non si dolesse del destino di lui e andas-
se incontro all'avvenire senza rimorsi, ma si ri-
cordasse qualche volta d'un amico leale che le ave-
\a portato dell'affetto sincero.
Maddalena rispose, credendo di confortare un
giovane i . Gli chiese peni.. no. riconobbe
sere stata con lui imprudente. — Non mi vo-
glia bene — che non lo merito — gli scrisse —
lei è giovane con tutta la generosità e gl'ideali della
giovinezza, io sono vecchia, non avrei saputo cor-
rispondere. Io non ho saputo farle che del male;
sarà una fortuna per lei l'avermi perduta.
Tutto era combinato, tutto era preparato per il
matrimonio, che si celebrava in Toscana, dove il
sor Luigi aveva comprato una piccola tenuta; ivi
era una bella palazzina con la cappella; là si ce-
bi lava il matrimonio. Maddalena e sua madre
per mettere in ordine ogni cosa partivano la vigi-
lia della Befana.
Andrea in quei giorni, dopo la lettera di Madda-
lena, la quale per sé non parlava punto né di sa-
crificio, né di dolore, vide ch'ella era contenta e
gli pane che, dopo averlo reso infelice, non si cu-
affatto di lui: il disprezzo e l'odio lo invas
Se la gelosia non lo punse, fu ch'egli non si piegò
mai ad ammettere che Maddalena si spi -
amore: ]>er calcolo Maddalena aveva abbandonato
lui. per calcolo Maddalena sposava un altro, e a
questo pensiero il disprezzo e l'odio ti
M i quest'odio era il tormento peggiore ch'egli a-
mai provato in vita sua; tentò invano
garlo in una lettera scomposta ed informe, non
a finirla: non poteva, non poteva più reg-
gere e allora \ ò di morire; sol,, nella mor-
te sembrava che si dovesse calmare la bufera della
che si rifaceva tratto tratto e sempre più
ini] l 'ita.
ANDREA
XL
Era la sera del 4 gennaio; Andrea andava a
-! più triste, più cupi del solito; il lugli
proposito di finire la vita ad ogni poco gli ripas-
sava nella niente, e. 'ine un lampo sinistro di luce
in mezzo alle tenebre della tempesta. Non e ;
ancora le cinque e già facea buio, piovigginava
e soffiava un venni umido di scirocco che toglieva
ogni vigore. 1! giovane non aveva mangiato dalla
mattina e le sue idee, i suoi propositi, già troppo
affaticati, nel languore del digiuno s'indebolivano
e si contundevano. Entrò nella sua stanza, accese
il lume si sedette presso il tavolino; trasse dal cas-
sie del Leopardi, che Maddalena da
molti mesi gli aveva prestati . trasse dal portafogli
il ritratto che aveva fatto fare nell'assenza di lei,
le due lettere ch'essa gii aveva scritto, una la sera
che giunse a Montecatini, l'altra pochi giorni in-
nanzi, e finalmente trasse di tasca un piccolo re-
volver che mise da parte senza guardare : non del
revolver, ma di quei cari ricordi voleva occuparsi:
erano tutto il suo tesoro; che cosa doveva farne?
Le poesie del Leopardi, come prestate, voleva re-
stituirle. Le prese e con le dita fece scorrere lenta-
mente le pagine e intravvide i titoli a lui più noti:
illniio canto di Saffo. Il primo amore. 1
Le ncorda>;:r. Conio notturno \inorc e morte.
rò profondamente, com'erano belle quelle
sie, piando Maddalena lo amava! Ora per lui e-
ra finito tutto, non gli giovava più nulla ; lasciò che
il libro si chiudesse e stette qualche tempo con la
fronte appoggiata sulla mano sinistra. A un tratto
si scrisse, riaperse il libro al frontespizio e pi
la penna:
— Maddalena. — egli scrisse — fin che a voi
è piaciuto d'amarmi, io ho merce vostra vissuto,
- ra che voi mi abbandonate . io muoio. — Non
aveva appena finito di scrivere, che gettò la penna
tutto disgustato. — Ma che? Maddalena non lo
aveva amato mai. non amava nessuno, non amava
che se stessa. Maddalena. E poi. perchè le aveva
dato del voi ?
Si passò una mano sulla fronte, respinse il li-
bro, e prese il ritratto: gli smarriti spiriti si ravvi-
varono alquanto ed egli a lungo guardò fiso quella
testa gentile un po' inclinata sulla spalla, che ren-
deva a prima vista l'aspetto d'un serafino.
La memoria degli antichi affetti e delle antiche
speranze lo inteneriva: la colpa non era di Mad-
dalena; erade! suo destino; che feroce e implaca-
bile destino! Non c'era altra speranza di riposo
che nella morte. Egli non avrebbe più riveduto ii
ni . Maddalena partiva domani per andare a
-arsi e la sua morte avrebbe accompagnato la
sa che partiva, coi. ;• un augurio tetro e funesto.
La mente del giovane s. -pinta dall'onda delle sue
lugubri fantasie era cerne un lume stanco e rifi-
nito per mancanza d'alimento, il quale tratto tratto
si ravviva per uno sforzo supremo e manda rapidi
e sinistri bagliori. La stanchezza e il languore l'a-
vevano ornai spossato e vinto, allorché fu bussato
all'uscio, che dava sulle scale.
Sl7
Istintivamente egli nascose il revolver nel cas-
to, ricacciando in fi
ritratto e lettere nel pi Aveva voglia di
non aprire, perchè sentiva crollare tutto il funebre
disordine delle sue idee; ma intanto una voce ben
nota al di fuori chiamò :
— Andrea, ci sei ?
Era la voce di Muschiarosa, dello studente di leg-
ge, col quale Andrea aveva vissuto lungo tempo in-
sieme, dormendo nella stessa camera, quand'era
egli pure studente. La lunga familiarità li aveva
affezionati come fratelli ; s'erano assistiti in tempo
di malattia, s'erano prestati l'uno per l'altro gene-
rosamente, come fanno i ragazzi, che danno sovente
più di quello che possono.
Alla voce dell'amico, Andrea si scosse e corse ad
aprire:
— Qui. come mai ?
— Sono senza ombrella, ho corso; mi sono ba-
gnato un pochetto — disse guardandosi ai panni
— se andavo avanti mi conciavo per bene; senti
l'acqua come scroscia ! Ti meravigli tanto di ve-
dermi qui? Ma io stamattina, quando ti ho incon-
trato, te lho pur detto che venivo, non proprio a
quest'ora, ma t'ho detto che venivo verso le otto.
LA l.KTTURA
:■ . mi
pallido '
.1 fuori stasera ri verrai 1" -
\
\li presti una lira?
di malavogl a 1 portafogli, do\ e
r.in Maddalena . il su
lugul
un edi tizio in cui si muovano le pietre
. «li • < ih l'i la lira e gliela pi
n voleva divagarsi,
perchi sono xeni: - disse M u
ra.
- ntende.
]kt un'altra cosa, che ti farà molto pia
i si dire dal portafi gli, dove avea tipi
i lira, trassi- d tti verdi, che stese sulla
anto all'altro.
domandò Andrea sempre assorto
<■ tris, m prima.
? — fece Muschiarosa si
non Son biglietti per andare al Lohengrin,
Poi, guardando per aria
e agitando le braccia si mise a cantare:
Mai devi domandarmi,
\ i a palesar tentarmi
Il giovan* musicomane si scosse leggermente e
vagì sorriso.
— Vieni, vieni — disse l'altro con insistenza —
domani chi sa che bei mutivi saprai rifar sul man-
dolino! Vieni.
— Non ne ho voglia stasera.
I per un'altra sera i biglietti in regalo non
si trovano più; ma perchè stasera no? Cos'hai tu
ra ?
Andrea, geloso de' suoi pensieri, temeva di farsi
scoprire; stava a disagio; volentieri avrebbe man-
dato via Muschiarosa, ma ci voleva pazienza per
non provocar spiegazioni. E poi, come mandarlo
via, se ancora si sentiva piovere dirottamente? A
poco a |xk'o la compagnia dell'amico cessava d'es-
sere importuna e lo scroscii della pioggia dimi
univa.
- Hai cenato tu? - chiese Muschiarosa.
— Io no.
— Allora vailo a prendere qualche cosa. Man
geremo qui tutti e due. Spendo la lira elle mi hai
data
Si mise il cappello i- corse via. Andrea, rimasto
solo, senti tutto quanto l'enorme fastidio della s<
dine, pro\ò una pena infinita: gli doleva di
non amico e desiderava quasi di
\1 pensiero che avrebbe potuto
metter ■■ ad effetto il mio proposito in quei pochi
-.ti .si senti rivoltai l M/a: sulla
mi rte tutto risorgeva il vigore ilei suo
.•uni 0 e della sua verde giovine//. i. Capì
non avrebbe mai commesso la viltà d'uccidi
gli bastava ancora la I multare
la vita e di sfidare il destino.
I amie • ri in un lampo e mise sulla tavola
di polenta fritta e di pesce tutto
:ite.
— Adesso maciniamo a si ivo, poi usciamo sul
e andiamo a prendere \m bicchiere di vino Su,
\u. i a roba divi
cattiva.
I I avei presi i quel odio così asciutto e i
poo i propos ti per il suo stato di sfinimento, An-
. ' in I i nerte o me un > usi ino.
Sulla strada l'aria api rta ni n gli faceva quasi nes-
sun effetto: dietro il a l'esempio dell'ami-
co bevette un grosso bicchiere di vino, e questo valse
davvero rio da i |uel ti >rp ire mi irtale
minciò subito a rifarsi un pochino, ma restava
sempre mesto e come assorto in un profondo pen-
n
And ro l'opera potente «li Wagner, ch'egli
già conosceva tanto pei lama, sul principio non
gii ria distrarlo; ma all'arrivo del cigno, al pezzo
del tenoi se, s'infiammò di
guisa che non pareva più quello di prima. Per tutta
1 opera egli fu come rapito dalla musica meravi-
gliosa e stupenda, che rispondeva allo stato del
suo animo afflitto. Ah, lo strano incanto della mu-
sica! Quella non era più l'arte di Wagner, quella
non era più la voce di Elsa e di Lohengrin, era la
voce naturale della sua passione e del suo d
che si effondeva in conienti divini. I,e idee fiere e
fosche cedevano tutte quante; egli era invaso
sentimenti generosi, delicati e sublimi; sentiva il
cuore aprirsi di nuovo alla speranza e le ciglia
inumidirsi di pianto.
A casa lo aspettava la stan/a solitaria con le
memorie, gli affanni e i propositi lugubri. L'in
canto della musica, che infondendosi nella sua
sione ne alleggeriva il peso e ne diradava le i
lire, lo abbandonò d'un tratto. In tono sommesso
anche per le scale Andrea aveva cantarellato; ma
sulla soglia della stanza la voce gli mori nella gola
e una nube di piombo gli si aggravò fosca sull'a-
nima. Provò nuovi tormenti, che poi all'appa
del giorno si dileguarono.
Col mandolino sotto il bracdo entro da Mu-
schiarosa. che era ancora in letto, lo svegliò, aperse
la finestra:
- — Tomo a stare con te almeno un po' di tem
la mia laniera l'ho disdetta por stasera; a momenti
porteranno il mio baule, tu avviserai la padrona.
L'altro non chiese spiegazioni, suppose chi
avvenuto un battibecco, provocato dalla pai
la quale aveva trovato da affittar meglio la stan/a:
rose noiose queste, ohe nell'idealità giovanile S
gliono trascurare. Muschiarosa non ne fece un caso
al mondo e stirandosi cominciò a rifare i più noti
motivi del Lohengrin; Andrea, ch'era più abile.
correggeva, suggeriva: cessavano di cantare -
pei abbandonarsi a esclamazioni e a slanci di en-
ìtro i.
Pei pari > '<n la padrona, |»-r contini
mettere in ordine la stan/a. Andrea si tran
molto presso il suo am nego/io \
le din-i: aveva voluto aspettar tanto, perchè Mail-
ANDREA
N,„,
dalena già fosse partita. Per tutto quel giorno egli
volle attendere al suo lavoro; ma s'interrompeva
ad ogni poco e cantando appassionatamente non
faceva che ripetere fra un sospiro e l'altro:
Merce, merce, cigno gentil
La sera tornava alla stanza dì Muschiarosa, già
preparata per due. con un gran librone sotto il
Diaccio: s'era abbonate per un mese al gabinetto
musicale, portava a casa lo spartito del Lohengrin.
XII.
A negozio tutto era mutato ; sor Luigi senza fa-
miglia mangiava alla trattoria e non pensava ad
altro che al matrimonio della sua Maddalena. Do-
po alquanti giorni partì anch'egli per assistere alle
nozze che avvennero il 23 di gennaio ; poscia tornò
a Roma con la sora Adelaide, ma non c'era più
nessun amore né per la casa, ne per il negozio:
a maggio volevano stabilirsi nella loro villa in To-
scana.
Si vedeva spesso il nuovo padrone, al quale sor
Luigi cedeva la drogheria : era ricco, giovane e
audace; voleva ingrandire e perfezionare l'azien-
da, voleva, com'or si direbbe, slan-
ciarsi ; scartò alcuni uomini del
personale , ma volle tenere An-
drea ; gli parve dovesse essere una
fortuna per il negozio un giovane
tanto serio, intelligente e raccolto.
In casa del nuovo principale
si faceva una vita tutta moder-
na : c'era molta apparenza, molto
lusso ; la signora sonava il piano
e andava in bicicletta. Andrea, per
l'eleganza della persona e per il
gusto che aveva naturale all'arte,
era molto apprezzato: egli da par-
te sua si sforzava per non parere
scortese e qualche volta accompa-
gnava anche la signora in bici-
cletta ; ma non seppe mai abban-
donarsi pienamente a questo gene-
re di vita, in mezzo alla qualt re-
stava spesso ritroso e rustico come
un lepretto. Il tipo ideale della fa-
miglia semplice e saggia, dove si
trova la pace e s'attinge il vigore,
era già formato per sempre nella
mente del giovane ; credeva d'a-
verlo veduto nella casa del suo
primo padrone e l'amava tanto che
per ora nulla di diverso poteva
piacergli.
Aveva sempre nel viso una tri-
stezza profonda: pareva che fa-
cesse il funerale ad una vita ca-
rissima, ch'egli non aveva veduto
che al tramonto : — E' finita, è
passata via per sempre dal mondo
la luce calma e serena duna ci-
viltà matura , ora non e' è più
che nebbia . nubi e vapori che la luce nuova
non ha ancor dileguati'! — - e malinconica
mente restava fiso, come chi mira gli sprazzi di
rosa e di viola, che dopo il tramonto ancor riman-
gono ad occidente nel cielo.
Poco dopo la partenza del sor Luigi, il nuovo
proprietario cambiava locale. Era proprio il tem-
po che si doveva cominciare lo sgombro, allorché
Giovanni, il facchino, disse che la sora Maddale-
na mandava a chiedere la madonnella di maiolica,
che stava nella retrobottega. Il padrone dapprima
disse che non voleva darla, poi brontolò, e infine
la concesse, tanto più che anch'egli ricevette una
lettera di Maddalena, che Io pregava e lo scongiu-
rava di lasciarle la sua madonnella; l'avrebbe pa-
gata, ne avrebbe mandata un'altra, ma per carità
non gliela negasse. Andrea, che era rimasto colpito
dalla strana richiesta e da! nuovo desiderio di Mad-
dalena, ebbe poi l'incarico di fare la spedizione ;
egli vide le lettere, lesse e commentò quelle parole
umili e ardenti, che gli parvero come lo sfogo di
un'anima appassionata, e ne trasse argomento per
credere che Maddalena non fosse felice.
Ah. che triste trionfo l'infelicità della persona
amata !
w"=s^Jt>
- 1"
I A ! ETTURA
i Mad
\ venerazii ne e una l
li si isi dalla nii
mia e ne I
nr.i la i" i macchie d'umidità : poi
contemplò un ì
he i r.i poco d ogl ere i
M Idalena : a un tratto nel suo
ne uw lampo ; aprì ti isto un ras-
ile, i colliri, e in un angolo
in m igine, si bizzò un
e vi adombrò sotto lej
mente- le due iniziali i , simili in tutto a
le che un gioì i disi nati i sul calendario.
\ ■ di : la madonn dia e la rincalzò
ben bene entro la rassetta piena 'li trucciola, che
anni all'u i preparato; la rinchiusi',
la si prese una penna grossa per lare Tin-
nii pr I i spiro e o m mani i
si mise a scrivere; scriveva l'ultima pa-
lici suo tu- ni ile t' manco.
In pochi giorni tutto il fondaco fu sgombrato
e il nuovi più I elio ,■ pio grande, in po-
chi g 'i a ll'ordine. Si presentò l'oo
■ li tornare al negozio vecchio e Andrea la
colse voli i i rivederlo ancia l'ultima vi
e portarne via per sempre le care memorie. l'Ite
delusione! I muratori eri già entrati, il luogo
non pareva più affatto quello 'li prima, tra 1.
cose seni! u molto più piccolo. Le impo-
ste erano tolte, |kt terra c'erano già mucchi ili
gesso, ili rena e di mattoni, il luogo non si ricono-
sceva più, e invano egli teni i are le m
rie del suo passato, qui non ne rimani va |
eia alcuna. S'accostò alla finestra della retrob
ga, dove un giorno s'era messo a scrivere per con-
siglio di Maddalena ; l'inferriata era tolta ed egli
si affaccili: il suo bel cespo, che a primavera ili
nuovo era fiorito più rigogliosi., giaceva ora penzo-
loni dal tetto appiè d'una scala a pinoli che I
va disvelto. Poveri ignoti fiorellini, nati per i
e senza cura cresciuti belli e gentili! Ora anch'essi
sotto un colpo cieco giacevi uccisi violentemente,
rome il suo amore. Ahi! che rovina! Tutto, tutto
era dunque finito! Il giovane fuggì senza più vol-
gere l'occhio intomo, gli venne paura che qu
nuovo e desolato aspetto non cancellasse perfino
dalla sua mente l'immagine del luogo antico, che,
quantunque triste, gli sarebbe stato pur sempre
memorabile e caro.
Anna Evangelisti.
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llEjIlrwi
MÉ^^É^»^3«IIK»é
T
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Un romanzo per Lucrezia Sergia
h se invece di scrivere un romanzo Jacopo
Caviceo da Parma (1443-1511), avesse
scritto, nuda e cruda, la sua biografia,
che bel romanzo avrebbe scritto !
Quando studiava diritto canonico, si sfogava
in risse notturne: ordinato sacerdote, sedusse una
monaca e trafisse un uomo in litigio. Come fuggì
a Verona e a Venezia ? Che vide ; che apprese ;
che fece viaggiando a Costantinopoli e nell'Arcipe-
lago? Quali i particolari dell'assassinio che com-
mise a Roma pugnalando un sicario mandatogli
dietro dai nemici del clero parmense, e in che mo-
do ottenne l'assoluzione del Pontefice? E in che
modo e perchè questo prete omicida e seduttore di
monache, potè passare dal carcere ad uffizi diplo-
matici, e dall'esilio al Vicariato di Rimini e di
Ferrara ?
Ma bando alle pettegole e abbiette volgarità
così grate all'età del «realismo»;
Il Caviceo non era un artista quale Benvenuto
Cellini : era un letterato ; peggio, era un umanista
che aveva studiato a Bologna ; peggio ancora, era
un prete che ambiva gloria mondana e grazie di
dcnne e principi. Né la gloria gli mancò: // libro
del Peregrino (1508), fu il più famoso racconto in
prosa del Cinquecento, con una ventina di edizioni
in Italia e traduzioni in spagnolo e francese ; fu
lettura deliziosa per i giovani al tempo di France-
sco I. e argomento ai predicatori in pergamo, seb-
bene la sacra eloquenza ne discorresse non per lode
e propaganda cristiana come fa oggi del Quo ve-
disi, ma per biasimo e minacce a chi lo leggesse.
Diavolo ! : un romanzo dedicato a Lucrezia Bor-
gia doveva contenere almeno almeno qualche de-
scrizioncella impudica ! Xon eran troppe però ; che
tra le donne a cui il libro andava offerto si anno-
veravano anche Elisabetta Gonzaga, «splendore»
di virtù mantovana ; Violante de' Pii da Carpi,
"splendore di buona litteratura », e la milanese
Taurella Trivulzio, damigella esemplare; e tra i
lettori non mancava il cardinale Ippolito d'Este,
quel che avrebbe sorriso alle corbellerie dell'Ario-
sto e che dal Caviceo era vantato « de la orthodossa
censura et militante Ecclesia castigatissimo cen-
sore » !
Del resto, che a Lucrezia Borgia certe descrizioni
potessero non spiacere, il romanzo del Caviceo lo
dimostra assai chiaramente ; ma che ella fosse pro-
prio una «poco di buono», ohibò!.... Il primo che
la difese, che ne restaurò o riabilitò la fama sa-
pete chi fu ? Giovanni Boccaccio, morto circa un
secolo avanti !
Sissignori : un'ombra apparve al Caviceo per dir-
gli : « Vivendo informai il corpo di Giovanni Boc-
caccio da Certaldo ; hora son fatta cittadina della
dotta città di Ferrara, per contemplare una non
più vista bellezza et forma... Savia, dotta, accostu-
mata et bella: de gente più che patricia et propin-
qua al grado regio ; de patria gloriosa ; nutrita
tra la felicità letteraria, et di boni costumi ; de
prosapia che produrre è consueta Pontefici Massi-
mi. Duchi. Baroni et Semiduchi et gente militare
che a Marte in militia non cederebbono, né a Ce-
sare de fortuna, né a Pompeo de gloria. Oh che
adiuto darebbe questa unica Phenice alla tua ca-
dente musa !.... »
Ad ottenere sì magnanima protezione, a perve-
nire sotto tanta felicità bisognava faticar molto.
Infatti il Peregrino comprende tre parti di 2r9 ca-
pitoli. Bisognava visitare lontanissimi luoghi ove
fossero irreperibili simili Fenici. Infatti Peregrine
capitò anche all'inferno!
Or prima di condurvi con lui i nostri lettori, è
necessaria una brevissima preparazione che gli
storici della nostra letteratura han sempre dimen-
ticata : comprendere, cioè, quale concetto si aveva
del romanzo in prosa nel Cinquecento.
Siamo giusti: se fra tre o quattro secoli i po-
steri non si faranno un'idea del nostro romanzo in
relazione ai costumi, alle idee, all'arte nostra, pò-
LA LETTURA
upei i i ain '-ri più o
ita la sua civiltà, L'Italia cad
i ; 59 1. le nai
Libro del Peregrino
novamente ristampato et alla sua
pristina integrità ridotto
M.D.XXVII.
Frontispizio.
che allora uscivano compiute, forti e coscienti a e-
ido i diritti della vittoria, da lei
avevano già avute tutte le forme d'arte, tutte le
oche il romanzo in prosa. E'
manzo attendeva da innesti esotici una
rgia vitale che da soli anche i più forti conti
ni potuto infonder-
gli. Ma questo, perchè? Vediamo. Se una pianta
stenta a svilupparsi, bisogna prima studiare in essa
i caratteri dell'infermità ; dopo, indagarne le cau-
n cieli i 0 in terra.
E quale >• il difetto comune a tutti i romanzi del
Rinascimento 'he non ritraggono
Intimamente e direttamente la vita; che la ritraggi >-
do artificiosa 1 romanzieri d'allora conside-
ravano il romanzo rome un genere superiore, più
COI ivo ''he la novella ;
quindi alla vita comune; superiore alla
nula realtà; e cercavano ingentilirne la
ii tutti i mod I !< attingevano
alla ..ivano lo lo ai lor< ■
■ •nde loro proprie, simu-
lavano, dissimulavano, trasferivano l'azione a luo-
ghi immaginari, la velavano di allegorie, di simboli,
di ricordi classai, di stranezze.
Da ciò si comprende che necessariamente fu-
n no cadili hi- opere le <]uali avevano congeniti
vìzio dell'imitazione e, pei di più, falsavano il ve-
intenzione artisi ii a e < cai. min i voli
r.o. Ma conviene amile riconoscere che se i ro-
manzi furono assunti a genere più alto della no
la e a diletto di vita artistica, le cause che ne fa-
vorirono l'infermità erano nella vita stessa del tem-
po loro.
Tutto il Rinascimento fu arte, cioè nobilitazione
della vita. L'amore era divenuto convenzione spi-
rituale: petrarchesca la lirica: le cortigiane emu-
larono Aspasia: uomini potenti e malvagi furono
maestri di raffinatezze e di cortesia: i novellieri sen-
suali scrissero della pura Bellezza delle donne: gli
artisti più granii scorsero il reale nei sogni della
idealizza/ione e i pensatori più grandi all'ideale
sotti misero fin la storia.
Cercando rappresentare una vita già così artifi-
ciosa in sé stessa, che tendeva a idealizzare -
stessa, che cosa potevano fare quegli antichi roman-
zieri? Fecero, quantunque in senso opposi
i nostri romanzieri naturalisti. Questi resero la vita
anche più brutta di quanto è, e spesso di una brut-
tezza inverosimile; quelli, per nobilitarla, la deco-
rarono sino a perderne il vero e profondo conte-
nuto. E si servirono al loro fine della prosa, che è
lo strumento meno idoneo a far miracoli; e falsa-
rono forma e sostanza.
Ter contro, l'opera letteraria che più natural-
mente e più convenientemente riproducesse la vita
esterna, estetica e morale d'allora, doveva essere il
poema: il poema era lo specchio in cui la vita d'al-
lora vedeva «apparenze straordinarie, mobili, insta-
bili, abbaglianti, ma senza fisionomia, affacciarsi,
intrecciarsi, inseguirsi, sparire, rapide, improvi
inconsulte»; e il romanzo da leggere per chi aveva
a mente il Cor/egiano del Castiglione, il romanzo
per la regina delle conversazioni nei palazzi ducali
e per le donne dappertutto dove fossero tentazioir
di lusso e meraviglie di arte e pompe spettacolose e
desolazioni grandi; il romanze, perfetto per quella
società doveva essere, e fu. XOrlando furioso.
Ma non meno del Caviceo, l'Ariosto lodò laure
zia Borgia:
La cui bellezza ed onestà preporre
Debbe all'antiqua la sua patria Roma/
Quanto al resto, il nostro romanziere non potè
neppur imaginare di superar il grandi ta, il
Fui essi ndo pubblicato otto anni dopo il TV
regrino. E questi tenne altro viaggio, compi altre
pazzie che quelle d'Orlando, e indossò la schia-
vina non l'armai ura. e resse non durlindana ma il
bordine. Aia! Chi ai tempi della bicicletta e del-
l'automobile e dei pellegrinaggi in treno-lampo s'a-
datterebbe ad accompagnarlo a passo a passo?
UN ROMANZO PER LUCREZIA BORGIA
8i3
Eppoi , egli aveva Amore che lo faceva an-
dare....
Si sa che gl'Italiani s'innamorano in chiesa ; u-
sanza, caso, o necessità che era di prammatica ai
letterati seguaci del Petrarca e del Boccaccio. N< n
diversamente dagli altri. Peregrino fu ferito dal
dardo fatale in chiesa a Ferrara e restò dubbioso
«di qualche secreta fascinazione», perchè improv-
visamente e a un tempo stesso egli si sentì « il
cuore timido e lieto, freddo et caldo » nel contem-
plare una vaga e pia giovinetta. Dice lui che t vinto,
legato et conclavatd » gli parve vedere in sé il mi-
sero Atteone ! ; né si stenta a credergli se si crede
anche che all'amata Ginevra scrisse una prima let-
tera con questo patetico preambolo :
« O sola conscia del mio secreto affanno, liéter.i
mia, Dio ti presti quella felicità che' fece al pro-
fugo Troiano, quando nel grembio de Elisa fece
sedere il fratel Cupido.... »
Trovasse opportuno o no quel ricordo del grembo
di Elisa, ossia Dulone, la bella Ginevra, da ragazza
dabbene, prima non rispose ; poi rispose mandando
all'innamorato una scatola d'avorio entro cui, tra fo-
glie d'edera, aveva messo una lucertola viva con al
collo la scritta : Impara la via — Prudenza regge —
II tempo tutto modera. — Non eran simboli molto
chiari ; e forse per qualche spiegazione in propo-
sito 'Peregrino una notte stava discorrendo con l'a-
mata, quando « Fortuna, la cui rota sempre a l'al-
trui beni et commodi fu instabile », fece passar di
là i birri che cercavano un omicida e che, preso lui
in cambio, lo portarono in prigione. Peregrino co-
minciava male le sue fatiche d'amore ! Proseguì
peggio : liberato che fu dalla carcere, si travestì da
villano, da spazzacamino, da mendico per parlare
in segreto a Ginevra ; arrivò in casa di lei fin rin-
chiuso in un'immagine di Santa Caterina fabbri-
cata a posta ! Santa Caterina ad uso di cavallo di
Troia ! Ma niente paura ! : simbolicamente Ginevra
significava per il romanziere la virtù, la fede!
Nessuna meraviglia dunque ch'ella, in penitenza
della profanazione e per prova d amore, chiedesse
all'amante di soddisfarle un voto a Santa Caterina
• in finibus terrae». E «pedibus calcantibus» egli
Libro I.
Libro II.
prese il cammino alla volta di Soria, insieme col
« fido Acate ».
Regolarmente il voto fu soddisfatto ai luoghi san-
ti ; ma ritornandone. Peregrino fu sorpreso dagli
Arabi e venduto schiavo in Alessandria. Per fortu-
na, certo patrizio veneto lo soccorse; ma disgrazia-
tamente, per liberarlo, lo nascose in un magazzino
tra balle di cotone e spezierie, e l'odore del pepe
costrinse l'infelice a starnutire appunto quando en-
travano là dentro alcuni mercanti, che, manco a
dirlo, lo consegnarono al padrone. E passarono
lunghi mesi e triboli avanti il riscatto ; avanti che
di nuovo Peregrino premesse il suolo di Ferrara. E
non v'era giunto da molto tempo quando apprese
che Ginevra volevan maritarla a un altro. Che sor-
te ! Di speranza in disperazione e viceversa ! Per
fortuna Ginevra, come le ragazze d'adesso incapric-
ciate in chi talora non ha di Peregrino nemmeno la
costanza o le gambe, disse chiaro e tondo che a spo-
sar quell'altro preferiva farsi monaca ; e disgrazia-
tamente i genitori e i fratelli di lei deliberarono di-
vagarla, allontanarla, mandandola....
Dove? Peregrino non riusciva a saper dove! Pe-
regrino la cercò di qua e di là : finché non seppe
più a che santo votarsi! Che fare? Adesso torne-
rebbe opportuno far ballare un tavolino; e niente
paura !
Non restandogli che a sollecitare tutti gli spiriti
in «divinatone», Peregrino fece press'a poco quel-
lo che nel caso suo faremmo noi ora. Al diavolo,
magari, l'anima : ma rinvenire Ginevra !
Egli andò prima a Firenze, a consultare
un' « antiqua sacerdotessa »; poi, non pago del re-
sponso, pensò meglio fare una corsa in Oriente, la
patria delli «veri miracoli»; non l'avesse mai fat-
ta quella corsa !
A Costantinopoli un greco lo manda a Cipro da
un monaco di nome Teodoro e di molta
sapienza. Questi lo invia a Damasco, da un
LA LETTURA
eie in
ili inferno ! : ecco il i
Dani ; Virgilio i
anime amorose • se la
ratii ■Hi verdi e in vista di
iraantina (cuore delle donne), di un
ii7.i immaginaria), tra
■ ii di anioni. N'atural-
;l ( laviceo trova molti si-
• . quali Lionello, Nicolò et
, i ederìco da Urbim I 'isimo De
- ■ Bentivoglio, tutti t modesti», s'in-
si> e fvirtuosii sebbene in compagnia
ualcuno che, come farlo da Sogliano, per qual-
bl fama noi tanza
- \ ini .ira».
gni modo ques 5a agl'Inferi non In
v| mito p neh \ precipitò anche un'ani-
ma la qu i tizzo a Peregrino dove troverebbe,
un giorno, la sua donna. E di ritorno in Italia
|>er la via dell'India maggiore, del Cairo, di Rodi
( reta, egli tu li lì per arrivare al luogo designa-
arrivò a Rimini dove Elisabetta Gonzaga l'ac-
colse a udir novelle e a definir questioni psicologi-
che. Ma purtroppo il destino di viaggiare lo tra-
balzò di là tino a Lisi ,i. e ancora schiavo! Il
eretto aveva ben ragione di dar questi suoi con-
ilo:
«Il mio esercitio è stato Amore; per il quale io
M>n catti- tu vedi et io sento et provo. Mi-
sero me, che tro] "do amai! Misero me,
che tutti li celesti ardori in me albergai ! Misero,
che tra nevi, geli et pruine sudo'. Misero, che tra
Idi venti nudo me riscaldo! Misero, che a tanto
ardore non gli <'■ ne fine, né termine, et ancora che
l'oceano de continuo ni; respargesse, non smorza-
rla la millesima parte de le mie faville! Io. signo-
rnò una dea. alla cui dolce et suave
siietudine cederia la frigia, et Libia, et
tutta la greca armonia. Dopo li patiti ineffabili
Libro III.
l'oliente, lustrato l'inferno.... da
questa barca, ove io son, fui cattivato!» .
: il., p., un ultimo giro vizioso dal Torti-
gallo a Genova <■ da Genova in i :iino
arrivo al mio termine: .1 Ravenna. Ivi si recò a
un convento e da una conversa di nome Rufina
appese che tra le monache stava, per far vita con
loro, una giovane forse lei?... Ma si-
curo! Ginevra! Ci voleva poco ad accertarsene;
a il riconoscimento appare non dubbio anche a noi
dal dialogo 1 he segui in tal guisa:
Peregrino. — ( he forma è la sua (della gio
Rufina. — Né più insta 1 reare natura la p
Peregrino. — La faccia?
Rufina. — Lavata, rutilante e non fucata.
Peregrino. — Il colore?
Rufina. — Di gemma orientale.
Peregrino. — Il captilo?
Rufina. Nero, lungo et crispante.
Peregrino. — Lo occhio?
Rufina. — Lampeggiante.
Peregrino. — La età ?
Rufina. — Anni dexenove.
Peregrino. — Il naso?
Rufina. — ■ Purgato et bello.
Peregrino. — La bocca ?
Rufino. — Mondissima.
Peregrino. — Il dente?
Rufina. — Bianco et nitide.
Peregrino. — La gengìa ?
Rufina. ■ — Mortificata, non tumida, non sangui-
nea, non sporca, non concreta a guisa di calcina,
non negra, non lorda....
E' proprio lei: Ginevra! Si rivedono, felici, gli
amanti; si trovano insieme, grazie all'indulgenza
della badessa ; e si celebrano le nozze dentro e fuori
il monastero, la sposa vestita di ninfa e lo sposo
da... cacciatore. Alla festa non può mancare una
giostra ne la disputa «se più ami la donna o l'uo-
mo». Ma ecco che dopo nove mesi — e il pei
si capisce — la moglie di Peregrino muore: mur-
re di parto, anche perchè ella simboleggia «la an-
sietà et procella dell'humana vita».
La felicità è breve ; miracolo se dura nove mesi !
E tutto questo romanzo, tutta questa erudizione
ladra, tutta questa badiale rettorica servì, chi io
crederebbe?, a un'intenzione buona. Come la gioia
ilellumanesimoera caduta nelle strette sensuali del
nastero di Ravenna, il simbolo femminile pe-
riva nella moralità chiesastica che l'umana felicità,
« per tanti travagli, per tanti perigliosi anfratti r
diuturnità di tempo acquistata, sì rato passa!».
In conclusione, dal romanzo, dedicato a li
rre/ l, se fu feliee quando lo 1
imparai qualche savia cosa ; come noi. ini •
parare che non sempre è giusta e du-
ratura l.i gloria di romanzi italiani famosi in Italia
e tradotti all'estero!
Storia d'un campanile
NEL M U SEO D
DUOMO DI SIENA
Nel, mio articolo sui « Campanili Medievali d'I-
talia» (i), parlando del campanile di Santa Maria
del Fiore, mi studiai di sfatar la leggenda che esso
fosse di Giotto, misi in evidenza il nome del suo
erettore più importante, Francesco Talenti, e di-
chiarai che nell'Opera del Duomo di Siena esiste
il disegno di un campanile che, se non è di Giotto,
è coevo a Giotto ed « ha tutto il tono di quello ini-
ziato da tal maestro a Firenze ». Fra gli studiosi
ciò è sufficientemente noto, ma nel pubblico non è ;
e poiché mi sono procurato la fotografia del dise-
gno senese, la offro riprodotta : il lettore può quin-
di confrontare l'originale e il disegno e sarà col
pito dall'analogia che coTre fra questo e quello, a-
nalogia la quale aumenta di mano in mano che l'e-
same si fa minuto e ragionato.
Il disegno, entro opportuna cornice, trovasi ap-
peso nell'ultima saletta del Museo di Siena, accanto
a quello della facciata di San Giovanni, opera di
Giacomo di Mino del Pellicciaio, e si credette da
qualcuno che esso fosse il progetto del campanile
pel Duomo di Siena, cosi si die allo stesso autore
della facciata di San Giovanni e la sua grandezza,
la sua buona esecuzione, i suoi colori, la sua buona
(li Lettura pag. .;6s. Ne furono smarrite le bozze in-
viate da Siena a Milano e l'articolo venne fuori un po'
sciupato da errori tipografici; uno almeno va corretto.
Nella nota i a pag. 394 si indica il campanile di S. Maria
dell' Arcevia a Roma ■ < he passa per il più bello della
città », ma non delPArcevia, dell'Anima deve dirsi.
conservazione ne fanno un documento oltremodo
prezioso.
Prima di esaminarlo ricordiamo che il campa-
nile di Santa Maria del Fiore comincia in un modo
e finisce in un altro ; precisando, dirò che contiene
tre pensieri differenti ; il primo rappresentato dalle
due regioni basamentali con formelle rettangole di-
sposte nel senso dell' altezza ; il secondo rappre-
sentato pure da due regioni, la superiore caratteriz-
zata da una fila di nicchie e da due pilastrelli in-
termedi e smussati che non hanno, nella base, un
principio e non hanno in cima una fine od innesto;
il terzo pensiero è rappresentato da ciò che rimane
del campanile, la parte principale e più estesa che
sbocciò tutta d'un pezzo da una sola mente.
Ciò che notasi nel campanile di Santa Maria del
Fiore, non vedesi pertanto nel disegno di Siena,
la cui analogia col campanile di Firenze è dimo-
strata luminosamente dal tono della costruzione e
dalla identità del basamento: difatti trattasi di
due campanili isolati, ornati ambedue collo stesso
sistema policromo più vario e pittoresco nel cam-
panile di Santa Maria del Fiore che nel disegno
di Siena, ma appartenenti, l'uno e l'altro, allo stesso
genere ornamentale. Né ha poco peso la identità
del pilastro smussato e non poco importanza hanno
le misure, anzi queste hanno un interesse supremo
e giova precisarle: giova precisare l'identica lar-
ghezza di 25 braccia de' due campanili, l'eseguito
e il disegnato, la stessa proporzione dei pilastri
smussali, la medesima proporzione nelle parti del
basamento, lo stesso gusto degli ornati musivi nelle
fascie, e lo stesso identico carattere dei profili. E
curiosa cosa! entrambi i campanili contengono una
>l(l
LA LETTURA
n [uello
:.: seo nda i
S na l'ultima i'he
i 'ultima regione, nel di-
dal qua-
li, e s< nza
inoltre una rej da ui
secondo
i e di S.mia Mai ia del !■ io>
m impanile ne sia sguernito
esi luna, inorganici, r ni n vale neani I it-
ili.- del campanile 'li
o dal Talenti. Par-
I ultima ; del io se-
nta d'un in ta che volli i bellarsi
delle regioni sottostanti; mentre tutto
il resto è peri i ' mogeneo ; se qualche let-
sse delle riserve sul mio u i ippia
che non è Unito e l'originale lo dimostra
i.i mia piccola riproduzione.
1 1 fatti, sive delle due
I rim n (parli del disegno) o 111 altre, que-
altre non corris] die prime, perchè sguer-
nite d'ornati, ma è indubitato e' egli ornati dovevano
i nu. in- il corredo decorativo alle linee architetto
niche, le quali oggi, nel disegno, appa no i
N è [« ssibile che. ad esempir, ie
•lue bifore della regione sottostante al terrazzino,
isero essere poveramente circondati da ima su-
perficie spoglia d'ornamenti come qui si vedono,
tanto più quando si consideri la ricchezza che cir-
conda la monofora della terza regione; perciò
a dire che il disegno senese è finito soltanto nelle
due prime regioni, si dice una verità la quale non
PUÒ l -si i Idi na. Una prova di ciò potn li
be essere anche la tinta d'acquarello agli smussi a-
derenti alla superficie del campanile, tinta la (male,
al di là delle ih:e prime regioni, non esiste, \r giu-
rerei che fossero finite nemmeno queste due prime
regioni, perchè non so comprendere tutte le for-
melle esagonali bianche, non so comprenderle sen-
za ornamenti, mentre quelle del campanile di San-
• - Maria del Fiore contengono delle sculture.
ne mai il disegno è incompleto, lo dirà chi in-
tigni la storia i hi , otrebbe fare be-
"1" '1 " i Lisini, attuale sindaco di
quell'Archivio di Stato; io roti-
mi ha preceduto, il De-
i be il ili egno dì Siena è d'un
che d'un architetto ,- contiene
: : cabili. Per i
pio: la bifoi ie bifore ao oppiate
aichitettonicamente diì lessun
della sua arte, avi a quelle
finestre dei pinnacoli i ■
inge-
'!""■' composta
I ultima i . [panile, la rej
delle
contraddizione si riafferma nell'ultima regione lo
dissi — ove, oltre al passaggio arbitrario del quadrato
a lunghezza delle
una stonatura marca-
rissima che un architetto non
avrebbe forse >■ nesso.
I i ragioni che si tratti di
un disegno relativo al campa-
nili- di Santa Maria del Fio-
re, sono oggi induttive, ma
gli elementi positivi che si
raccolgono sono però molto
importanti, ed è difficile il pro-
vare che non si tratti di un
i lis. uno che o poco o molto
ha relazione col campanile di
Firenze, e d'un disegno fatto
ido il campanile stesso
era incorso di lavoro. Il tono
rale, le misure, il basa-
, la ricercatezza di
tiva dei pilastri smussati,
quella del basamento, coi ret-
tangoli e le formelle esagona-
li, tutto ciò costituisce una
serie di elementi che conferi-
scono serio fondamento all'i-
potesi che il disegno di Siena
riproduca sostanzialmente il
pensiero grottesco del campa-
nile di Santa Maria del Fio-
re e l'esser esso disegno forse
d'un pittore e non di un ar-
chitetto, forte nelle discipline
tecniche dell'arte sua, dà un
nuovo colore simpatico a tale
i jx >tesi.
La storia insegna che Giot-
to morì che il campanile era
pochissimo avanzato, non era
più in là della prima decora-
zione a formelle rettangolari
e esagonali, precisamente quel-
le che nel campanile eseguito
e nel disegnato sono eguali ;
e questo fatto significativo
concorre a fortificare l'ip
predetta.
( oiiiunque, l'abbandono del
disegno fu provvidenziale;
perchè il campanile di -
Maria del Fiore, qual vi
o a fianco del 1 lui m
[•'irenze, è di gran lunga su-
periore a quelli
e la stonatura che esso con-
tiene è meno visibile, ani
occhio esercitato, di quella
che esiste nel disegno.
Alfredo Melani.
SOMMARIO :>
Romanzi e Novelle. — Le novelle del dolore (Giovanni Diotallevi).
Poesia. — L'Ecclesiaste (Vincenzo de Lisio). — Le Selve di Angelo Poliziano recate in versi italiani (L. Grilli).
Linguistica. — Passatempi filologici (Costantino Arlia).
Sociologia. — Attraverso i nostri tempi (Geremia Bonomelli). — L'unico mezzo (Leone Tolstoi).
Biografia. — Giacomo Zanella (Fedele Lampertico).
Storia. — La prigionia del re Enzo a Bologna (Lodovico Frati). — Storia di Carlo Emanuele I (Italo Raulich).
Geografia e viaggi. — Sul limitare dell' India (Alfonso Lomonaco). — Da Chiavenna a San Maurizio (Fran-
cesco Azzi).
Belle Arti. — Arte e artisti toscani dal 1S50 ad oggi (Anna Franchi).
Opere varie. — / miei tempi (Angelo Brofterio).
Romanzi e Novelle.
Giovanni Diotallevi: Le novelle del dolore.
(Milano, Società editrice «Poligrafica»), L. 2. —
Meglio che Novelle del dolore, questo libro si
dovrebbe intitolare Novelle del terrore, o anche del-
l'orrore. Xella prima. Forse si narra la spaven-
tevole istoria di un uomo che muore, ma il cui spi-
rito sopravvive alla morte del corpo, in modo tale
che, con lo spirito ancora vivente, egli assiste ai
propri funerali ed al proprio seppellimento, e poi
sale per gli spazi e li percorre in tutti i sensi e
precipita verso la terra, e da ultimo si desta nei
proprio letto, dove s'accorge d'aver fatto un sogno
pieno d'incubi forse rivelatori di verità. Xella se-
i' nila una donna consente di andare in barca con
1 uomo che l'ama, e che ella, da quanto pare, ria-
ma ; ma quando egli le chiede la prova dell'amor
su... ella lo eccita a dilungarsi ancora dalla riva,
ancura più. finché nella notte e sulle onde scon-
■ lo schifo è in pericolo; e allora egli tenta di
ritornare a terra, di ammainare la vela ; ma, senza
dire una sola parola, guardandolo con occhi sbar-
rati, avvinghiandosi come un polipo a lui. ella gli
impedisce di compiere il disegno ; ne segue una lot-
ta violenta, la donna cade in mare e trascina con
sé l'uomo: egli si salva afferrandosi a un remo, ma
il cadavere di lei lo perseguita ancora finché l'e-
quipaggio di una barca trae il naufrago a salva-
mento. Xella terza gli orfanelli d'un guardaboschi
si perdono, per la malvagità d'un nemico del pa-
La Lettura.
dre, nella solitudine dei campi deserti, nella notte,
sotto la bufera, finche una di quelle creature, la
sorella maggiore, è trovata stecchita dai due fratel-
lini orfani una seconda volta. Xella quarta si de-
scrive l'estremo supplizio d'una belva, d'un mostro
umano squartatore di donne. Solo la quinta ed ul-
tima è un idillio, triste bensì, ma quasi soave dopo
tante atrocità. L'autore ha una fantasia molto vi-
vace che gli consente di immaginare e di rendere
l'angoscia, il raccapriccio, il ribrezzo, l'orrore e il
terrore degli egri sonni e della follia : peccato che
ne abusi un poco, fino a trasgredire talvolta le
stesse leggi del buon gusto ; perchè anche il let-
tori-, come uno dei personaggi di queste novelle,
prova la necessità di liberarsi dall'incubo. Anche
la forma, d'ordinario molto efficace, riesce qua e là
molto strana, faticosa, esagerata. Con una mag-
giore semplicità, con una più amabile ispirazione,
1 autore raccoglierà certamente, e speriamo presto,
lodi e plausi senza riserve.
Poesia.
Vincenzo de Lisio: L'Ecclesiaste.
lino. De Arcangelis). — Le dodici Concioni del Co-
ltele/// attribuite al re Salomone hanno trovato nel
1 le Lisio. già esercitatosi a mettere in versi il Can-
tico dei Cunlie.'. un adattatore poetico. Egli avverte
d'aver seguito la Vulgata, d'essersi servito delle tra-
duzioni letterali del Diodati, del Martini e dell'I)-
stervald ; d'aver chiesto aiuto a dotto abrei e d'aver
consultato i commentari e le interpretazioni del
8iH
[.A l.KTTUKA
D
■: ente necessarie, ed al-
indispensabili se l'au
indizione ;
inchi i p i i di poesia
d'ordinario tante cure [uan
incora di più nel! < |
i ma italiana che il De Lisio ha
data all'altissima p I 1 non i tali che si
senz'alti Essa raggiunge tal-
li,, , rado di ni biltà e di calore . ma d sta
altra, 1 non vi mancano ai
rture 1 bruttezze. Ni ri sono certamen-
guenti:
E della vita qual nel cammin corto
1 ipra convenga,
e questi altri :
Di quanto gli occhi più sentir vaghezza
D'appagar non trattenni,
. questi altri:
Qual necessità mai sii in{ e
Il misero mortai — quando ignoranza
Del inerto stesso di sue opre — in questo
Pellegrinaggio— ove passa com'ombra —
Tanta l'offende.
L'autore sa vi « ti sauri » e 1 1" mpi p he 1 senza
nessi) --ita 'li rima i> .li metri : dice anche,
con t\i' ■ ne:
non so chi sarò mai, se savio
O mi insensato;
E si lascia sfuggire il verso:
Svanir, sciaguratamente. E l'infelice
che i 'guru tanti nii . ili di dici sillal>e.
I 1 ini Grilli: /, Selve di Angelo Poliziano
recate in (1 ittà 'li < fastello, Lapo.
1.. 3. - L'autore non è più ai suoi primi saggi ili
versione dai liriii latini dei secoli XV e XVI: in
'ir successivi volumi, che furono e sono tuttavia
lodatissimi, ri diedi con forbita vesti "ali. ma gli
i idillici 'li Man-Antonio Flaminio, le
e di Jao ipo Sannazzaro e varie
altre poesie del Pontano, del Tebaldeo, <■ 'li altri
minori. Wei 1 ravvivare questa chiara e
In sca e dolce vena d'ispirazioni \< tica, a torto
clini. atO il primn merito del
CriHi ; avei 101 • aii.nin studio d'un erudito
squisito 1 d'un p ta l ato il se-
[uanto e possibile al testi 1, che le
- 'piatirci Selve 'lei
Poli 1 |uelli he le precedi
-e impaci '". ai ■ > eli .nauti
pii'i - poesii originali ri ti iano Mi
che tradurre l'opera dell'ani . egli l'ha ri
1 un parilo ed un gusto rarissimi. Il
da II (lami eie . man .da I si
doro de] 1 1,. dotte unte di quest'ultimo il
( Irilli le imi,, .- .die su,- pr. .
LiNGUl S TICA.
1 ostantino Ajrlia: Passatempi li!<<l<>^ui. (M
Ubi 5i ati 1 1 ,), 1.. ,v.s°- ■ I egregio
filologo die insieme CI n Pietro 1 .mi. mi di
hall. mi amanti di-Ila li ro lingua il pn zìi •- 1 / ti
dell'infima < Ha italianità, continua in .
e . di questo volume la anta contro la
barbarli dalla quale la nostra favella e ogni j;i<>r
li - più illesa ed ini asa. In un '--ni man. di ca]
Un. ai nudi ha voluto dar., perchè riuscissero
meno aridi, la forma ora di lettera, ora di diali
ma di narrazione, egli Inda le orridi voci stranie-
re che inquinano il moderno linguaggio, raddirizza
lui de che un inveterati i mal vezzi - ha i,a
storpiate, condanna i mudi di din- errati, sp
l'origine e dimostra la legittimità 'li molti altri a
tmlii disusali. Lo sin, li,,, la semplii 3 di
questo libro, che insegna garbatamente tante
e talli i dubbi risi |\ .-. ii, e pi SSi in e ni ai devi
i Rilasciati da quanti fanno i
ter del nero sul bianco; perchè, se è purtroppo vano
sperare che la In. ita turni alla purezza
delle sin- primi fonti, chiunque si accinga
vere ha il dovere ili conoscere il valore delle es]
sioni chi adopera. L'autore ha sempre ragione nel
l'indicare quelle che sono sbagliate; talvolta si pò
irelilie discutere con lui interno a quelle cu le
quali propo li sostituirle; ma I , pera sua è tutta
i del più vivo plausi » e i diffusione più
Sociologia.
Geremia Bonomelli: Attraverso i nostri tempi,
(Milano. Cogliati), L. .5.50. - l la raccolta delle
I .etteie pastorali le] preclaro vesci ivo di Cren
i , ne qua e là. e bene intitolate Attraverso 1
i.ustn tempi; perch di questioni ai nostri giorni
universalmente dibattute s rre in quasi tutte:
della beneficenza, del risvegli religioso, del senti-
menti 1 e della ferina ni - " aie. del progn
della morale, del divorzio: una sola I
lih-lla che liana di I teatro, s\, Ige un ti
ciale - meno ri! :vante, sebbene \ i predi mini la
stessa idea generali espressa in tutto il lil>r.-: la
quistione morali ssere la prima e l'unica, nelle
manifestazioni artistichi come in tuti
ciale. V 11 occorri
sii nula Ci -il idi meni! a pan la d il Bi nomelli
cristiana. Spirilo lino aperto a tutti
liti del pensieri 1 ni !
questo pensiero tutto quanto la sua lede pud coll-
ie sei,/., abdicare, anzi ricevendone nuova
[orza di vita,
politica, il liberale prelato non lasi r le
■ ioni , li lamentare il dissidii l uni stani- nte im
pi i\, rsante nel ro 1 1 la religii ne il
patriottismo e di invocarne il coni pini mento.
Nel giudicare questo libro non bisogna perdere
di vista la sua speciale natura e la veste dell auto-
re. Se talvolta il lettore amerebbe di trovate :
lità 'd alie//a o sottigliezza ili '
ietti, e un più rieri apparato di erudizione, -
pure rammentarsi rhe una Lettera pastorale non
è una lezione o una disquisizione o un trattato, e
che quindi la materia e la forma debbono essere
adatiatf al popolo cui si rivolge. Ma ad ogni pa-
gina del libro si sente che il Bonomelli ha fatto
forza a sé stesso per scriver cose adatte, non ai
sapienti, bensì ai semplici, ai più. Ai fedeli, cui
sono particolarmente indirizzate, egli rammenta
quali doveri, quali principi, quali virtù debbono
professare ed esercitare; ma anche coloro .-he prò
fessano fedi o dottrine diverse da que"e deììa.t-
leggeranno con grande proritto queste sue pa-
gine, per i nobili sentimenti e lo spir;to equanime
che le hanno ispirate.
Leone Tolstoi : L'unico mezzo. (Genova, Li-
breria moderna). — E' un altro di quegli opu-
scoli di propaganda che il filosofo di Jasnaia Po-
liana pubblica di tinto in tanto per ribadire le sue
. Queste idee sono note, e la Lettura ha già
dato conto di altre pubblicazioni nelle quali il
stoi le ha significate. Qui egli ripete che il pri-
mi errore degli uomini è stato quello di aver di-
menticato il divino precetto: «Agisci verso gli al-
ni come tu vuoi che gii altri agiscano versori te».
e che l'unico mezzo di porre riparo agl'infiniti mali
derivati da quell'errore consiste nel rispettare que
sta legge «accessibile a tutti gli uomini senza di-
stinzione di razza, di fede, d'istruzione ed anche
di età». I! filosofo russo vede che, quantunque
i semplice e comprensibile, il precetto divino
stati compreso ne tanto meno posto in atto,
e ragionevolmente se ne duole, e non spera nulla
di bene finché non sarà attuato; ma egli non vede.
0 non dice che una legge non è attuata quando
contrasta con un'altra più forte; e che questa più
dura e disamabile, ma ineluttabile legge, è quella
che condanna tutto il mondo vivente alla lotta per
l'esistenza. Gli uomini possono temperarla, miti-
garne gli effetti crudeli, non sopprimerla ; e dire
che tutto quanto si fa è niente finche l'ideale evan-
gelici ni n sarà realtà, più che incoraggiare al be-
ne umanamente possìbile potrebbe ingenerare quel
stiiso di pessimismo disperato e <li nihilismo che
non a torto la critica ha trovato in fondo al tol-
stoismo.
Biografia.
Fedele I.ampertico: Giacomo Zanella. (Vicen-
za, (ialla). L. 2.50. — Questo libro di ricordi in-
timo alla vita e di critica intorno alle opere del
gentile poeta vicentino meritava davvero, per Par-
tito m ! lissimo e per il modo nel quale è
trattato, l'onore della seconda edizione che ora ve-
la luce. Il maestro di Anton 1 1 gazzaro, il
cantore della Conchiglia, esce da queste pagine vivo
riante, con tutta la mitezza, con tutta la squi-
za, con tutte le più belle e rare doti dell'animo
11 Lampertico ne narra in una prima parte la
Vita, dalla nascita alla morte, dai primi studi agli
ultimi giorni, dal sacerdozio all'insegnamento, dal-
le persecuzioni politiche agli intimi sconforti; in
I LIBRI S19
una seconda enumera ed esamina i suoi scritti, i
primi componimenti, le prime versioni, le maggiori
poesie, le odi. i sonetti, i racconti, i versi scherzosi,
le prose. Traspare da tutto il libro il nobile senti
mento di devozione, di venerazione, che l'autore
nutre per la memi ina del su., grande amico.
Stor ia.
Lodovico Frati : /.,/ del ri Emo a
Bologna. (Bologna. Zanichelli), L. 3. -- Fatto pri-
gioniero alla battaglia di Fossalta, presso il ponte
di Sant'Ambrogio. Re Enzo, il Re «biondo e bello e
ili gentile aspetto», fu portato e custodito durante
ventitré anni a Bologna, dove mori. La fine pietosa
del giovane disgraziato eccitò la fantasia dei poeti e
del popolo, facendo sorgere leggende (-he il Frati
riferisce prima di narrare la storia precisa e prima
di trascrivere i documenti e le testimonianze con-
temporanee che la confortano. Uno dei più curiosi
capitoli è quello nel quale l'autore descrive le te-
ste e gli spettacoli commemorativi della battaglia
di Fossalta. Fra i documenti, notevole è il com-
mentario De bello mn 'me il se di Giovanni Garzoni,
ora per la prima volta tratto da un codice della
Biblioteca Universitaria di Bologna. Chiudono il
bel volume le due canzoni: Amor mi fa sovente, e
S'co trovasse pietanza, e il sonetto: Tempo vene k<
sale e ki scende, attribuite al Re disgraziato.
Italo Raulich: Stona di Carlo Emanuele I.
(Milano, Hoepli). Voi. II. L. 6. — La poderosa e
magistrale opera del Raulich. iniziata sei anni ad-
dietro con un primo volume, nel quale era narrata
la storia del duca sabaudo dall'assunzione al trono
alla occupazione di Saluzzo, procede con questi
secondo, dove sono esposti gli avvenimenti occorsi
dall'occupazione di Saluzzo" alla pace di Yervins.
Tutte le rare qualità che fecero preziosa 1 [nella pri-
ma parte si ritrovano in questa seconda: sodezza
di dottrina, acutezza di critica, sicurezza di infor-
mazioni, novità di documenti. La figura del prin-
cipe che affrontò le maggiori potenze d'Europa e
lanciò il grido dell'indipendenza d'Italia e del-
l'unione dei suoi reggitori e della lotta contro lo
straniero, e che, sebbene non raggiungesse l'in-
tento, ne preparò il conseguimento, introducendo
il Piemonte, due secoli prima di Cavour e .li Vit-
torio Emanuele, nel concerto europeo, è messa in
quella più chiara luce della quale era degna. Au-
guriamo che il nuovo volume non si faccia tanto
aspettare quanti questi seo ndo.
Geo r, rafia e Viaggi.
Alfonso Lomonaco: .Si/1 limitare •dell'Ir,
(Roma-Torino. Roux e Viarengo, L. 4. - Per
giudicare un libro di viaggi bisognerebbe, prima
di tutto, conoscere i luoghi che l'autore descrive;
senza di che riesce difficile, per non dire ini j,. ssi
bile avere un criterio intorno alla fedeltà della
descrizione. E chi non è stato a Bombay dovrebbe
1 rodere senz'altro a quanto i] dottor Lomonaco ne
dice; se non che. prima di arrivare in India, sai
LA LETTI RA
N • i" ' Messina
no da lui des
; ira, i de ingenera un
mpli, le torri, i costui]
,.„, ,.,,,;, lebbono offrire ar-
imi fondata ed ini
l'au i ■ sagi rato i im
. la bellezza delle rap damente
ssere creduto pei quel che narra
,!,, giro ni i dei
. là un ] — troppo. Egli non ha il o
re dell'artista ; ha piuttosto la
uida erudita che nulla si lascia sfug-
alberghi e delle razze,
nera e della storia, del movimento delle
o delle religioni. L'elegante volu-
o di nitide illustrazioni.
Francesco Azzi: Da Chiavenna a San U
(Samaden. Tanner). - Il libretto è scritto
pei invogliare gli Italiani a visitare l'Engadina,
della qu nto enumera e loda le l>ellezze
irali, i panorami, i boschi, le acque, i monti.
dacciai. Non è propriamente una guida, perchè
mancano molte indicazioni necessarie al viag-
i,i,. meno è un lavoro d'arte. Può, ad
ogni ervire a coloro che si recassero lassù
per diporto 0 per salute, giacchi'.- dà un'idea dei
luoghi, anche grazie alle illustrazioni che lo o rr
le cure che si possono intrapren-
i speranza di buon esito in quella salubre
vallata.
Belle Arti.
Anna Franchi: Arte e artisti toscani dal 1850
il irenze, Fratelli Alinari), L. 5. - Con
uni preferenza per Tane tosi ana, l'au
narra, in questo elegante volume, l'evolu
ainciata intoni. > alla metà del secoli scorso,
eguendo l'esempio venuto di Francia, 1
inoli insorsero, in nome della lil>ertà e del
la verità, contro li fredde regole dell
Di più insigni tra questi novatori, a
minciare da ni, passando per il
tori, il 1 • v ci. il Sernesi, il De-Ticoli,
il Hauti, il Borrani, il Cabianca m n ino di
ita ma '1 Cosi M ecioni, l'au-
trice ragiona partitamente Ione la vita, il
re, 1 contrasti, le lotte, i trioni!. In una se
1 sui più moderni
poli e continuatori di questi maestri: il Fei
il Testi, il Gannirci, il Faldi, il Sorbi, i due Gioii,
il (".ceni, il Simi. il 'l'orchi, i! Paro tre Tori
cardi, il fornellini, il Kienerk, il Fa-
. il Ciani, il Cambogi. Innamorata dell
1 inchi li nza, e
correda il testo di nitide riproduzioni di quadri,
■ tocchi in penna. Ella dimostra
,1, possedere belle attitudini alla critica e alla
ria dell'arte, le quali si perfezioneranno con lo stu-
dio inno tanto più apprezzate quanto n
giori cine ella darà alla forma.
Opere varie.
Angelo Brofferio: / miei tempi. (Tonno,
1 , 1,. 3, \ eira di Tommaso Villa
I 1 . ilimberti, gli editori Streghe
intraprendono una nuova edizione delle migliori ..-
p. n- ,li Angelo Bri ente-
simo anniversario della sua nascita. Danno essi il
pri posto a quella Ira li dello scrii
piemontese che, pi lui uli 11
l'autobiografia intitolata / miei tempi, della quale
e oggi il primo volume, pn
ve notizia del Villa e dalla commemorazione del-
l'autore pronunziata da Francesco dall' On^
Certo, questo e il libro che più fedelmente e più
compiutamente rispecchia le qualità dello scrii
le doti dell'uomo e il carattere dell'età in cui
I pi ichè qui sta età fu quella forti 1 du-
rante la quale, in mezzo a tanti errori ed eroismi,
a tante colpe e sacrifizi, si vennero preparando i
nuovi destini della patria italiana, la lettura del
libro sarà fruttuosa d'insegnamenti alle nuove ge-
ni razioni che lo sconoscono. Questo primo volume
va dalla nascita dell'autore ai primi giorni passati
nel collegio d'Asti; e che la narrazione d
accadute in così breve tempo della prima fanciul-
lezza occupi circa cinquecento pagine, dimostra con
quanta attenzione l'autore si fermi sopra ogni par-
. me colga ogni occasione per dilung
e digredire dal tema. E' un merito, jierchè la nar-
razione ne riceve varietà, luce, calore; ma e anche
un difetto, iK-rehè non tutte le cose narrate sono
degne di storia, né tutte le digressioni e tutti i ■
menti sono egualmente e sempre piacevoli. Ma
pi 1.! ì quella che è; e così o m'è meritava si
Ini, l.io d'esser tratta dall'obblìo nel quale già
da troppo tempo. I successivi volumi, nei quali
l'autore parlerà delle cose viste ed operate in
ventù e nella maturità, saranno senza dubbio n
più importanti; e già in questo primo, per via di
figure singolarissime, di macchiette gustose, di a
doti significanti, il vecchio Piemonte dei primi ni-
ni del secolo XIX. invaso dai I 1
II i. diviso tra liberali e retrivi, tra democratici
e regi, cn le città che si costituivano a republ
e le campagne dominate dai banditi pai
per i nobili e i preti, è dipinto in modo etnea
in,,. Stanca un poco talvolta il tono ostinatami
umoristico della narrazione; ma abbondano li
schiettamente argine. Ce 111
di notizie, di , ni, di citazioni erud
tiche ; e se l'autore ha le sue
ò ni cieco, né ingiusta
li li
SOMMARIO S3~
Le ferrovie bizzarre, pag. S21 — La scoperta d'una necropoli, pag. S22 — Le braccia della Venere di Milo, pag. 823
— La casa degli animali a Calcutta, pag. S26 — Danze sacre e profane, pag. S27 — Una pianta carnivora.
pag. 827 — Le truppe alpine svizzere, pag. S2S — In lotta col mare, pag. 831 — Il viaggio d'una goccia
d'acqua, pag. S33 — Gli affreschi di Bramante, pag. S42 — Una città sui trampoli, pag. 844 — Leoni dome-
stici, pag. 847 — Bagni di mare e nuoto, pag. S49 — Tra furti e scassi, pag. 850 — Una intervista macabra, pag. 853
— Che cosa contiene l'uomo, pag. 853 — Arazzi e gobelins, pag. 854 — Forza e salute, pag. 855 — Tra i
pompieri, pag. 8óo.
Dalle diligenze del 1830 ai convogli ferroviari
c'è una distanza enorme ; ma le strade ferrate che
noi conosciamo e adoperiamo saranno presto lascia-
te molto indietro dai nuovi mezzi di trasporto esco-
gitati dalla moderna ingegneria.
Il costo delle ferrovie è molto alto a causa della
la che bisogna aprire per collocarvi le due ro-
taie ; per misura d'economia un ingegnere fran-
cese, il Lartigue. costrusse, nel 1888, in Irlanda,
una via ferrata ad una sola rotaia, che funziona
quotidianamente ed ottimamente nella contea di
K'-rrv. tra Listowel e Ballylmni<.n. superando una
distanza di 16 chilometri. L'unica rotaia, a un me-
tri) dal suolo, è sorretta da un'armatura metallica
solidamente fissata al terreno : armatura e rotaia
ne seguono tutti gli accidenti, quindi non più scar-
pe, non trincee, non gallerie, non viadotti. La mac-
china che tira i convogli è composta di due caldaie,
di due locomotive, unite l'urta all'altra, e poste,
nella linea di congiunzione, a cavalcioni sull'unica
rotaia; a cavalcioni, «in sella» a questa rotaia
stanno anche i vagoni, mediante una larga scana-
latura praticata nella loro parte inferiore. Sic-
come le loro pareti scendono fino al suolo, resta
evitato il pericolo che si possano rovesciare. Li-
st ruendo i campi in tutte le direzioni, senza possi-
bilità di passaggi a livello, questa linea riusciva
però d'impaccio alla libera circolazione degli altri
veicoli e delle persone ; per rimediare a questo
inconveniente si ricorse a un semplice e ingegnoso
sistema di ponti. Dei pilastri, ai due lati della via.
sostengono la metà del piano del ponte, mobile co-
me quello dei ponti levatoi, per mezzo di gomene
e di pulegge. Al passaggio del treno, si abbassano
le due metà, che vengono a combaciare ; poi si rial-
zano per lasciar libera la via.
Costruita col sistema ordinario, la ferrovia Li-
st. wel-Ballybunion sarebbe costata 3 milioni ; a
questo modo la spesa si è ridotta a 75 mila fran-
chi. E già un altro ingegnere, il Behr. propone di
costruire un'altra ferrovia a una sola rotaia, da
Lnerpocl a Manchester, per una distanza di 200
chilometri che, grazie alla trazione elettrica., sarà
percorsa in meno di un'ora, con una spesa di soli
LA LETTURA
.. consultato sulla
l*-r
I
Speranza, ha ma della ri *aia u-
i centro del continente nero.
ra ]'iii strana è stata costruita
• . -. . n nana, i ra Baimi n i j lì
ai la valle del Wupper, che divide
ttà industriali, è troppo stretta, un
-; Norimberga, il Langen, pensò 'li
-n! fiume, \ isti i eh
li spazii disi» nibile. Tra le due
ruì un'armatura 'li rmata 'li tanti
di \ rovesi iate, a n le due gambe
m rive del fiume. Un i n trave
i: una spei i ' ■ ora lungi i la linea
ili a me 'li questi sostegni; r sulla travi
Dente, le due ruote poste nella
parti- superiore dei vagoni. Pendenti dall'armatura,
a io metri d'altezza sul fiume, questi carri scor-
ri ii" nte, pero rrendo tutta la linea,
che è lunga 13 chilometri, in 25 minuti. Le stazio-
ni si>nu ani h'esse aeree, e vi si accede mediante
Ni ! casi che le cui te -1 sta casseri 1 dalla n>-
taia, delli di branche afferrerebbero il va-
1 iea, inaugurata l'anni, so ir
stata 15 milioni.
ni pensili sono mossi dall'elettri . 1
in altri casi, quando la rotaia aerea segna un pia-
no inclinato, li locomobili cariche corrono da sole.
m\ ita, e nel discendere lamio ri-
salir. , a parallela, quelle vuo-
te I' coli li rrovie «li questo genere si trovano un
)bi da ]kt tutto; ci n'è una finanche in Cina, a
ng, per il trasporto .lei prodotti agricoli
anche dei cooltes e dei sorveglianti, i quali
1 rendono i>osto a due pei volta nei minuscoli vago-
ni. Particolarmente nelle miniere, il sistema è mol-
doperato: in quelle di Antonienhiitte (Sii
Ci una linea di tre chilometri per il trasponi, del
ne; a Holzhausen, presso Cassel, e a Briihl,
presso ('"Ionia, la lignite scende COSÌ, per via aerea ;
la pii Pinerolo, il ferro di ]
Banos in [spagna, il minerale aurifero ili Sheba,
ui \ 1 ri, a, 51 -no ; rasportati con lo stesso n
». La più h el i quel! spa
gnuola delle miniere d'Almeria, che va dalla mi n
taglia di Bedar al porto di Carni' ha: misura [6
chilometri ita 650 mila franchi, facendo
mia del 75 00. ( )ltre i 20 chi-
lometri questi- ferrovie non potrebbero andai
11 tecnico ingli neri Eialford, ha
to di adottare in grande il sistema. Egli 0
le a quella da Bai
men ad Elberfeld dianzi •
300 metri da pilastri che la dividono in tante se
ante ruoti . Se
a un certo nn pi co si soli
una parte della via s'innalza e forma una eh
lungi , Arrivati al
pilastro, questo si 51 lleva a sua \
forma una seconda china, che i vagoni percorrono
ita enorme: 5J5 chilometri allora!
Il sistema dei ferry-boati che imi. arcano i tre-
ni, in ii mi, appi site n 1 di di cui i li n 1 poni
no provvisti, e li traghettano da una riva all'altra
ili un (lume. d'un lago, d'uno si retto,
te noto e non ha bisogni d'esser descritto Moti
' ni mi ssi dal \ento. ra, 1
nelle v. le simili a quelle delle I, arche : p
'■ in 1 ni isciurn è il battello an
sulle ai ' |ue, li 0 «ni tiva in ferrati mia. Esso na
nelle vicinanze di 1 1 penhagen, sul lago Fun -
1 pari un pirosi afo 1 unii tutti gli altri ; ma qu
do s'ai 1 , -la alla riva di l'iske Boehr. non si
ma: al contrarici, la investe, vi penetra incastra
le moie, di cui la s".a chiglia è provvista, nelli
tai d'una ferrovia eh a tior 1
i allora. 1 ill'ai qua, di .ve la sua mai-china
1 girare l'elica, corre come una locomotiva
sulle ruote mossi dalla macchina stessa. 1 .. . Svancn
si In un. 1 COSÌ dopo aver traversato 300 me-
tri di ]ii mura, trova un secondo lago, nel quale
s'immerge, tornando battello!
Deve 5 1 l'audacia dell'ingegneria? 1
Un americano ha concepito il disegno delle vie che
camminano, adattando a strade lunghe centii
di leghe, il principio dei tappeti 1 dei marciapiedi
«SO 1 unti.,. Già si parla d'una ferrovia che ai
da Parigi a Chicago senza traversare gli ciani....
Chi vivrà vedrà !
(Dalle l.cctures putii tous).
La scoperta
d'111 in necn >i >oli
\ Girge, nell'Alto I gitto, si scoperse un vasto
cimitelo che si sta esplorando dal dottor Reisner
per d ut. lell'Università di California. !•'.' la più
importante necropoli che si conosca poich
abbraccia un perìodo continuo di almeno
i sale perciò alla più Ioni ,
rica. < '.r.i/'u- alla sei .In.- 1 dell'atmi sfera « al
todi ili inumazione, i cadaveri sono in uno -
.li conservazione incredibile: non solo i rap
li unghii i i legamenti, ma anche i mus
nervi si 1 1, ss, ni isi lare, Quasi tutti i cadaveri han-
no il cervelli I . ■ in due casi si rin-
vi nii.-ro gli occhi colla lente cristallina in bu
stato.
Il -li i'' i l'.llìot Smith, pi (.ss, re d'anatomia alla
scuola medica del Cairo, el>l>e la missione di
are sul luogo questi resti umani; egli rifei
d'avei già isolato i pi. ss, nervosi ed il nervo spia-
Oltn .ii resti preistoi ici si soni
ti appartenenti alle quindici prime dina
alla 'liei, ttesima ed alt ri dell'epi , a l'i ili i
Ila < !i pta ani ica e re
Le braccia della Venere di Milo
Da che fu scoperta la Venere di Milo -- una certo, che egli ebbe molto merito se la magi
delle statue più faiw se, certo, che siano al mondo opera antica andò a finire in Francia, se .beni
— nessuna opera ili scoltura, nessuna opera d arte
ha dato luogo a tanti discussioni. La Venere, come
tutti sanno, fu trovata nel febbraio del 1820 e
p.rt;ita a Parigi senza braccia, come si trova an-
cora al Museo del Louvre. Uomini di ogni nazio-
nalità, archeologi, scienziati, pittori, scultori, let-
terati, gii nudisti, hanno polemizzato intorno alle
braccia della statua ed alla posizione che esse do
vevani avere originariamente: si sono scritti arti-
coli, opuscoli, libri voluminosi, tutta una lettera-
tura sufficiente ad empire comodamente una di-
screta biblioteca. E le discussioni non sono per
anco terminate'
La storia della statua, del resti:, per quante ri-
cerche si siano fatte, è tutta piuttosto oscura. Essa
fu trovata in questo modo.
Una mattina del febbraio 1820. due contadini
dell'isola di Milo. Giorgio e Antonio Botoni, cam-
minando per la campagna , dove certo nes-
suno sospettava l'esistenza di un sottosuolo
che nascondeva i resti di una civiltà tra-
mi ntata, sentirono ad un certo punto il ter-
reno' cedere loro sotto i piedi e caddero en-
tro una specie di tempietto, ove si trovavano pa-
recchie opere scultorie, tra cui la famosa Venere.
Tornati fuori, e chiusa con foglie l'apertura fatta,
corsero dal prete del villaggio. Oikonomos, e gli
rivelarono la preziosa scoperta. La notizia venne
all'orecchio del console francese Luigi Brest, il
quale si recò subito sul luogo a vedere la statua.
Conseguenza della visita fu che nel mese di mar/o
la Venere venne acquistata per conto dell'ambascia-
tore francese a Costantinopoli. Il signor Brest co-
municò col a mandante della fregata francese Che-
vrette, che si trovava in quei paraggi, e poco dopo
sbarcarono alcuni marinai, che trasportarono la sta-
tua sulla costa. Vi fu un conflitti) tra i francesi e
gli abitanti dell'isola, aizzati dal prete Oikonomos.
che era furioso di veliere portar via quell'opera
d'arte.
Egli affermava di aver pagato i due conta-
dini per la statua, ma in realtà pare che non aves-
se pagato niente. Fatto sta che la Venere nella
lotta fu alquanto maltrattata; ma se le si fossero
ritte e lasciate indietro allora le braccia, è cosa
che non si riuscì mai a stabilire. In una lettera
dissotterrata di recente da un giornalista parigino
di mezzo ad un mucchio di vecchie carte, il signor
Brest affermava di sapere in modo preciso dove si
trovassero le braccia della Venere, ma aggiungeva
che non l'avrebbe mai detto ad anima viva. La ra-
gione di tale silenzio va forse ricercata nel fatto
che il Brest era sdegnato che il suo nome non fosse
Stati seritto sul piedistallo della Venere quando
era stata messa nel Museo del Louvre, poiché è
La Venere di Milo.
avesse comperato lui la statua, che effettivamente
fu acquistata dal conte Marcel lus per conto del-
l'ambasciatore di Francia, al prezzo di 6000 Iran-
LA LETTURA
ntadin che avevano Fati
La ricostruzione secondo le prime versioni.
Dopo d'allora cominciarono le polemiche e gli
.•u. li sul ne che potevano avere le braccia
i. i>i Ra\.\ ;> n.
i Dumonl d'Urville, ufficiale del-
.//(-. m un suo rapporto, dice: »La statua
tappi na donna. La mano sinistra, sollevar
ta. tiene un pomo; la mano destra regge un man-
che si avvolge intorno alle anche e cade gra-
ziosamente ai piedi; ma sfortunatamente tutti e
ite mutilate e sono i ira stac
dal corpo». Altre oni concorderebbe
ro ri ni questa. Ma pressi - mi »lti n riè li .il
ti. hanno trovato j si sono trinate ricostru-
zioni diverse della statua compii
I na delle più imp rti la rio istruzione della
scultore Ravaisson-Mollien, il quale prese la sua
ispirazione da un gruppo eseguito al tempo di \
lessandro e riproducente a sua volta un gri
eseguito ila IYrirlr. rap] nte il saluto ili Ve
nere Urania a I ese i.
Un giovane arti
americano, Frank :
Ionia, ha con una i ;
ta ingenuità, e, si può
aggiungi r •. temei il
mericana, messo in-
nanzi un'idea urna mi
va delle i aratteristii he
marie ■ Iella statua
faim >sa. Egli sostenne
una ricostruzione
già ili una Venere, ma
■ li una Mater I '
rum, o Madre i
Dei. Come si vede >lal-
la nostra illustrazione,
si tratterebbe ili una
I i< ,i n ggrntr in I
CÌ0 il giovine Bacco.
Sei .bene UIl' iscrizii ne
sul piedistalli >, qui
la statua Fu trovata,
diresse chiaramente
che quella era un
magine ili Venere, il
nr l'aloni;
in un opuscolo
« fu usi > comune
Greci e dei Romani ili
alterare le iscrizii ni
sulle loro statue, ed
ani he cambiare le sta-
tue stesse secondo le
i-ioni delle loro religioni nazionali*.
Oltre al Paloma ed al Ravaisson-Mollien. molti
altri tentarono ricostruzioni della Venere. Millii
John, Welken e Puller pensarono ad una ■
che tenesse lo scudo di Marte, il l>i" della gu
Bi uni e W'.ll" ni li essi »»>< se*
do alla statua, e Bydberg immaginò che essa te-
nesse uno scudo su cui dovesse essere commemi
la \ ittorìa dei Gre sui Pers mi.
Stillman pensò che la figura rappresentasse una
Vittoria, e ricostruì una slama ove la Yittia
posta nell'atto di scrivere sopra una tavoletta.
: ne ' he la figura dovesse tenere una co-
la ricostrizione
di Frank Paloma.
DALLE RIVISTE
825
rona d'alloro per ciascuna delle due mani, ed un< p
scultore viennese di cui si ignora il nome fabbricò
una Venere di Milo intenta alla sua toilette.
«Tra [xxx> — scriveva nel 1854 il conte Marcel -
ìus — non vi sarà più persona viva che possa dare
informazioni autorevoli sulla posizione effettiva
della statua in origine»; ed è un fatto che, non
ostante il grande e costante interesse mostrato da
ogni parte per la questione, non ostante le pole-
miche continue e spesso violentissime che si seno
dibattute, si è più lontani che mai dall'ottenere una
ricostruzione che soddisfi tutti, od almeno la mag-
gioranza dei critici. L'omini autorevoli come Bell
e Ravaisson-Mollien si sono trattati reciprocamente
<li ciarlatani ; e forse la miglior cosa che si possa
J
• •
Un'altra ricostruzione
sul principio che la venere facesse parte
d'cn GRUPPO.
fare è di contentarsi di ammirare la magnifica fi-
gura cosi come si trova al Louvre, anche mutilata.
Attualmente l'opinione più diffusa — qualun-
que sia la sua sostenibilità — è che la statua ef-
fettivamente non raffigurasse affatto una Venere.
E' 1 idea iniziale dell'artista americano, ma con
altra applicazione. Secondo molti, dunque, l'affer-
mazione che la statua rappresenti la Dea dell'A-
more, è troppo affrettata. Le figure di quel genere
non rappresentano Venere. Di regola, le statue an-
tiche di questa dea miravano a presentare un tipo
più molle, quasi lussurioso, di bellezza femminile,
e raramente avevano elementi che suggerissero Fi-
dea di vigore o di azione. Ora la Venere di Milo
non è soltanto bene sviluppata: è decisamente vigo-
rosa e muscolosa, e dalla sollevazione della spalla
ra e dalla posa di tutto il busto è evidente che
1 artista che la creò la pose in atto di fare qualche
La ricostruzione di Bell.
I \ ENERE CON LA CORONA).
cosa che richiedesse un certo sforzo tisico. L'auto-
re dell'articolo che stiamo riassumendo, avendo in-
terrogato un archeologo di gran fama, di cui per
altro non è autorizzato a fare il nome, ebbe la ri-
sposta seguente:
«Sarebbe difficile deci-
dere in modo assoluto :
1" Se la Venere di Mi-
lo debba considerarsi co-
me una statua isolata o
facente parte d'un gruppo
in cui fosse pure o Mar-
te o Nettuno, od un'al-
tra deità pagana. 20 Se,
dato che la statua fosse
isolata, debba cedersi
che essa stesse decorando
un termine di Bacco con
la sua sinistra, o tenes-
se uno scudo con le due
mani, od altro. Pur l'an-
no scorso fu portato al
Louvre un termine di
Bai 0 ' che era stato tro-
vati a Milo con la Ve-
nere. Chi sa che la sua
base da tanto tempo per-
duta non possa trovarsi
un giorno o l'altro? Si-
no allora è perfettamen-
te inutile per l'archeologo
speculare. Quanto all'artista, è libero di far ciò che
vuole». Ma se, come tanti ammettono, la statua non
e una Venere, quale altro personaggio può raffigu-
rare? Ora noi troviamo che tutti, quasi, gli avver-
sari della teoria del-
la Venere, concorda-
no nell' ammettere
che la figura che
l'artista volle fer-
mare nella statua è
quella della Nike
Aptcros. o Vittoria
senza, ali, di Atene,
della quale fu detto
che gli Ateniesi vol-
lero che fosse senza
ali perchè non po-
tesse abbandonare la
città. Questa teoria
fu messa innanzi
per la prima volta
nel 1826 dal Millin-
gen, il quale sosten-
ne che la pretesa
Venere di Milo non
1 1 sse altro che una
Vittoria, la quale do-
veva, nel suo stato
originario, tenere u-
110 scudo con le due
mani. A sostegno di
Venere col pomo questa idea si sono
ed un uccello. addotte non soltanto
LA LETTURA
i
La Ykm kk
SECONDO IL TARRAL.
prove desunte da
I .1 così detl l
ii di i lapua - una
i
quasi una
|ualità a
\i
e li ria si mo
in una p sizii ne che
ci 'le. >rda perfettamen
te Ci il la ti i iria ili cui
si sia parlando. Ma
più li irte .mi ora la
prova che si trova nel-
la Vittoria ili Bri si ia,
una figura alala e
drappeggiata di I > r> ria i
che ha ui ;lian-
za si rai ordinaria
sì per la |" sa genera-
le, • i «ne pei la |
del busti ' e i«r il drap-
amenti con la
te di Mila Q
si ' \ ittoria tiene nel
la sua inann sinistra
um ■ scudi . che pi g-
sulla i i si ia de-
si ra. mentre la mano
■ li si ra scrive sullo
scudo dei numi ili eroi.
i !osì la Vi nere di < lapua come la Vittoi a 'li
■ si considerano - e con sufficiente fondar
i quanti i paj come o piate dalla figu-
ra più antica rhe noi
chiamiamo col non
M rhe.
nell' antichità, d
■
a\ remmo
gli elementi sufficienti
giudicare quale do-
- | .. -i/ii ne
«Iella statua ili cui ci
upando, ed in
-vinile
lira, ria mancanti.
Il sitili, r W. J. Stili-
raan, il q dedi-
npo e mol-
r'uvr-
B
. nella !
ircondante il meda-
dei minato
pio della Mike \[
nell' Acropoli d' Atene,
gure
della Vittori; e ave , • .„. v
una rassomiglian- D>UN artista viehnesb.
pi della Venere ili Milo. Avevano le stesse pro-
porzioni • stesso ampio sviluppo delle
' nude e la stessa
ne dei drap
1 1 signor Stillili. in
pi ali uni esperimenti in-
i. ressanti t ai endi i pi
un modello nella
sima attitudine
la Venere 'li Mil". con
uno scudi cioè tenuto
dalla maini sinistra nel
modo già d« scritto . e
che si vede rappn si n
tato nell'ultima delle u-
nite liguri-. Con questo
mezzi li ■ Stillman p tè
dimostrare che la posa
torso ilella statua è
esattamente quella rhe li-
na donna .issimi' nel si
stero re uno scudo a]>-
poggiato sulla risila si-
nisl ra . mentre la destra
-min.
\i n si può giurare « he nemmeno così la qua
ne sia risulta definitivamente, e che il mistero
sia p-r sempre e per tutti svelai ■; ma — ilice
l'autore dell'articolo - è assai probabile -he la
pretesa Venere ili Milo non sia affatto una Vene-
re, ma una Vittoria senz'ali.
iDa un articolo dell' Harmswai 111 London Maga:i
La casa ciechi i animali
a Calcutta
La k ICOST RUZIOK1
Tir ACCREDITATA.
scrive sulln Minio
Quanti paria della vita ruggirebbero ili sdqj
gno se sapessero il culto e le curi materne rhe nel-
l'India lontana si prodigano alle vacche vecchie^
ai cavalli fuori d'uso e ai cani moribondi.
le palmi- ombrose e fresche del pai
S' ili pniir. a dieci chilometri da i -' la
grande casa degli animali, dove trovano nr.
i- anni, quattrocento vacche. quattrocento e i
pecore, duecento pappagalli, una ventina di i
e dozzine di cani, di gatti e di scimmie. V
consacrati al culto della vari a uni spel
ben strani quello dei ricchissimi indiani.
vano da Calcutta o dalle campagne virine, alli-
neano sui verdi prati le liestie sarre, le inghirlan-
dano di fiori e prostrati dinan;
spinti delle bestie decrepite ne implorani
ne.
La mani dello stranu stabilimento t
sia prezzi favi tosi. L'n diretti re ha sotto di ><■ ven-
tiquattro impiegati, chi attendimi alle scudi
ammirati divino di quel mi.
voci, di muggiti e di latrali. Il governo i>'. -
v, ia fare p nsandi fi rse i he mi ntre gli indiar
111 I «si ii mpi di
di i» li' -
Danze sacre e profane
Un poeta orientale ha detto che «i canti del
poeta sono più eloquenti delle semplici parole ; la
musica frinirne più che i versi, la dm/a più che
la musica: grazie a lei, l'essenza dei Numi è resa
visibile e si comunica ai mortali; grazie a lei i
sentimenti degli uomini prendono la forma degli
oggetti animati ». E ci me nell'antico Egitto e nel-
l'antica (Irina, anche oggi in India, nell'Indocina,
nella Cina, nella Malesia, le danze sono associate
a tutte le feste religiose o politiche, e simboleggia-
no tutto un monilo di idee e di sentimenti.
La danza, in India, illustra prima d'ogni altra
cesa la storia sacra, evoca agli occhi dei fedeli le
avventure di Brahma e «li Visnù. Le ballerine sa-
cc piotali appartengono all'ordine delle Devàdhaiì,
0 spose degli Dei. Reclutate nella casta più alta,
.-"ii" allevate nei templi ed esercitate alla danza
sin dai più teneri anni. Xon solo la loro vista e lo
spettacolo dei loro balli sono vietati agli Europei,
ma agli stessi Indù che non appartengono a certe
caste religiose: esse non lasciano mai il santuario
al quale appartengono. La classe delle Sutradhasì
può invece andare talvolta, in occasione di matri-
moni, o di grandi feste, presso i rajah indigeni e
presso gli stessi dignitari inglesi. Spetta allora alle
ballerine una lauta retribuzione, non meno di cen-
to rupie, che esse versano nel tesoro del loro tem-
pio. La musica segna il ritmo di queste danze:
quattro o cinque sonatori si seggono in giro sopra
un tappeto ; uno fa scorrere l'arco sul sarangi, spe-
cie di violino dai suoni acutissimi, un secondo sof-
fia nel sanai, flauto a due canne ; gli altri pic-
chiano sul dolaka ed il joragai. tamburi cupi. An-
che fuori dea templi, nelle case private, il soggetto
della danza è tolto dalle leggende divine.
In altri casi la danza è eccitatrice dell'emozione
guerresca, come si vede nelle popolazioni delle i-
sole malesi, dove la danza del kriss, appena scop-
pia una rivolta, è il segno dei massacri e delle più
spaventose atrocità. Al suono di striduli strumenti
e di gong assordanti, le ballerine si dimenano fre-
neticamente, brandendo il kriss malese, la cui la-
ma aguzza riluce e lampeggia ; fingendo di lottare
contro un essere immaginario, esse fanno il gesto
ed esprimono la gioia feroce di ucciderlo. Nella
danza dell'arco, in vere, tìngono di combattere le
une contro le altre, si affrontano, s'investono, si
scagliano freccie di penne e un delirio selvaggio
s'impadronisce di loro come degli assistenti.
In Cina, nel Tìng Vu, danza degli scudi, e nel
Tal', danza dei guerrieri, i ballerini vestiti di abiti
dai colori violenti dove sono dipinti draghi ed al-
tri animali fantastici, col viso' rabescati da disegni
terrificanti, il capo coperto da un berretto irto ili
penne, s'agitano picchiando con le lame e le scia-
bole sugli scudi di bronzo, mandando urie selvag-
ge, facendo i rribili smorfie, mentre la musica stre-
pita e assorda. NélYU-Vatlg Sono tappi, sentati" le
lasi della lotta d'un Imperatori contro i ribelli:
l'agitazione degli insorti, la rotta delle truppe im-
periali, la riscossa, il massacro, il trionfo dell'Im-
peratore. Superfluo dire che oggi in Cina queste
danze, con le quali un tempo cominciavano le spe-
di/ioni guerresche, sono ridotte a semplici rappre-
sentazioni teatrali.
Anche a Giava certe danze, che erano un tempo
vere cerimonie, sono diventate semplici diverti-
menti. Tale è il caso dell'antica danza sacra delle
Saranga, che fu riprodotta a Parigi durante l'EspO1-
sizione universale del 1889.
Anticamente, le Saranga erano addette ai templi,
come le Devadkazì indiane; oggi formano delle
compagnie come quelle dei comici, e vanno attor-
no, sotto la direzione d'un impresario, a dare spet-
tacoli presso i rajah dell'isola e i funzionari olan-
desi. Ballano al suono flebile d'un piccolo flauto
e del gamclatig, minuscolo gong sul quale si pic-
chia con un bastoncino coperto di stoffa: ne esce
una musica malinconica, monotona, dolcissima e
quasi lontana. Le ballerine assumono atteggiamenti
ieratici, come piccole divinità ; alzano le braccia,
le lasciano cadere, le stendono, le incrociano, oscil-
lando sulle gambe ; talvolta si prendono per le
mani e danzano unite, come una ghirlanda di fiori.
Al Giappone, nelle feste solenni, le piccole gei-
she perpetuano coi loro balli il ricordo d'un Dio,
di un semideo. di un eroe leggendario. Xon c'è più
nessun sentimento religioso nei loro seroizì. ma
la leggenda serba il suo incanto puerile e delizio-
so. In altri casi i balli giapponesi rivelano l'imma-
ginazione leggiadra di quel popolo, come nelle
danze delle farfalle, dei fiori. (Iella pioggia, del
lite, dei ventagli, della coppa di Saki. e vi adicendo.
(Dalle Leclures poni tous).
Una. pianta carnivora
Sulle rive del lago di Nicaragua esiste una
pianta abbastanza strana. Il viaggiatori- naturali-
sta Dunstan passeggiava un giorno col suo cane
sulle rive del lago quando fu sorpreso da terribili
latrati di dolore. Si volse cercando il suo amico
quadrupede e fu non poco atterrito vedendolo im-
pigliato fra i tentacoli misteriosi di una pianta fila-
mentosa che li; aveva stretto nelle sue foglie. La
pelle della vittima era chiazzata di sangue e an-
dava già qua e là strappandosi sotto le strette del
terribile nemico.
L'animale fu a stento liberato con un abile colpo
di accetta dalla morte. La pianta che era rimasta
fin qui sconosciuta al mondo degli scienziati è
chiamata dagli indigeni pianta del diavolo; essa
viene ad aumentare il numero già abbastanza 0
pioso delle piànte carnivore, i pirati delle foreste.
Le truppe alpine svizzere
•ne più montuosa d'Eu
nigliaia di stranieri l'hanno visi
no, vale la pena di dire qualcosa
i mpiute dal
Vndermatt è il lui i per vedere quei
lovran - Aglietto da Li
Milano, scendete a Goeschenen, all'ingresso
tunnel del rn.ttar.lo. e salite al villaggio.
i forti e !>-• cas \ ■ »ì potresti ■ he que
ste montagne alt issitiit- lusserò ilifesa sufficiente
per sé stesse, guardando le mass.- di nubi che ri-
posano immobili <// di sotto del villaggio ili
dermatl che è alto presso a poco quanto il culmi-
ne estremo del Rigi. Ma la Svizzera ricorda
l'anno 1478, in cui tra gli svizzeri e i mercenari
Htn-a ili Milano una battaglia ebbe luogo stil
ghiaccii 1.
Dovrete fare parte della straila su per una scala
tto; quando sarete vicini alla gola 'li Schol-
1 de] Diavolo, dove il terribile Reuss
tgna 'li spruzzi, guari late in basso
e in alto. Se qualcheduno vi dicesse .1»' dei sol-
possono manovrare in quelle regioni, non lo
u 1 ì,i porte 9 spettose e stra-
proibito entrari ; poi ve-
1 1 m 1 l"- -1 arrampicano in a
ipre sono soldati che tirano su cannoni. Voi
in Andermatl Ira i Torti e le caserme Splen
a soldati hanno un equipaggiamento
re. Sono uomini belli o robusti, pieni ili forza.
ih fiducia e 'li risorse.
Qui vi sono dei forti situati in luoghi dove
irerebbe che non potessero trovarsi che aquile
l- qui ì 1 vero esercito permanente
entinaia di uomini impiegati in
modo continuo al servizio dei torti e dei cannoni
muovono 1 cannoni, tra le
fili elettrici che conneti
Si I.1JAT1 SVIZZERI
CON OLI ALPKNSTOCK, I
FUCILI B ' BAGAGLI IN MAR-
CIA SI' UNA MONTAGNA.
..Durante l'inverno e la primavera la guamif
ne 'li Andermatt consiste in cannonieri e vedi
zappatori e minatori e una compagnia di tiratori
.annoni Maxims. Vi sono compagnie speciali
i„i forti vii-ini .li Airolo. e verso il sud del San
Gottardo, altre compagnie ancora tengono i I
della Furka a Bukl, ad Altkirch e sul Bazl
sopra andermatt. Poi vi sono speciali reggimenti
di fanteria addetti ai singoli corpi e questi dei
prestare il loro servizio an-
nuali 0 biennale lassù in
condizioni sorprendenti :
hanno il servizio 'li soldati
ordinali, il servizio 'li muli
da. trasporto e il servizio
pericoloso ili guide all'ine.
Vi sono in ogni estate cir-
ca tremila uomini sotto le
armi nelle diverse fortifi-
ni alla frontiera meri-
dionale della Sviz
" 1 l'inverno, naiitralmen-
pericolo il'inva-
sione. Nessun alpinista. li. TRASPORTÒ
per quanto sperimentato, dbi feriti.
DALLE RIVISTE
829
potrebbe vivere in quelle regioni o attraversarle
anche al principio di primavera e tanto meno po-
trei >be un corpo di truppe invadere la Svizzera in
quell'epoca dell'anno. Tuttavia si tengono sempre
guarnigioni che montano la guardia continuamente.
ogni giorno, ogni notte.
« D'estate le cose vanno diversamente e le trup-
pe delle vallate sono addestrate all'alpinismo con
alpenstocks e con picconi e abituate a passare do-
vunque può passare una guida alpina. Voi sapete
cosa significhi questo e se non lo sapete domanda-
telo a qualche amico che lo sappia ed egli vi dirà
delle terribili solitudini delle nevi eterne, dei cre-
pacci traditori, degli abissi dove nuotano le nu-
vole, rlei muri di ghiaccio azzurro o verde dove
nuvole col solo peso del proprio corpo: basta pen-
sare a questo per immaginare la forza di questi
soldati alnini che ascendono terribili precipizi di
rocce e di ghiaccio col carico sopra le spalle, e
sono allegri e contenti.
«Tutte le manovre della vera guerra sono pra-
ticate con cura, e alle volte si fanno tinti com-
battimenti che durano giornate intere al di sopra
delle nubi e dei burroni. Naturalmente quanto più
gli uomini si arrampicano in alto, tanto maggiore
diventa la portata della loro visuale; e quando il
nemico è in vista, i segnalatori si mettono subito
all'opera per richiamar l'attenzione dei forti più
vicini.
« Nella chiara atmosfera delle alte Alpi, il si-
QUANDO I MULI
NON POSSONO PORTAR
I CANNONI, LI PORTANO I
SOLDATI, SMONTANDOLI.
bisogna tagliarsi i gradini col piccone o salire con
una corda.
«I fucili sono attaccati alla schiena al modo boe-
ro e il caporale porta il piccone.
«Questi uomini salgono al di sopra delle nevi
eterne dove ogni passo può portare la morte e non
si può procedere se non con estrema cura e intel-
noni ordinari e i Maxims sono portati da loro; ma
ligenza. Sin dove i muli possono viaggiare i c.m-
quando neanche questo utile quadrupede può an-
dare più oltre, cannoni e
fusti devono essere smon-
tati e portati a spalla d'uo-
mo per modo che il peso
sia diviso tra le spalle di
più alpini. I Maxims sono
di dimensioni molto ridotte
in tutti i dettagli, ma non-
dimeno qualche uomo por-
ta un peso da 25 sino a
29 chilogrammi sulle spal-
le, oltre a tutto il re,,; .
Ora la maggior parte del-
le persone trovano difficile
Il trasporto arrampicarsi su per quelle
dei feriti. altezze al di sopra delle
stema di segnalazioni con due esagoni bianchi,
che sembrano due ombrellini da signora aperti,
è molto efficace anche a grandi distanze.
« Come si è detto, gli alpini portano sempre a-
I iti molto grevi. Il sole può bruciare in Ander-
matt quando le truppe partono per qualche mano-
vra, ma il soldato indossa sempre la sua unifor-
me di lana, perchè in capo a un'ora o due può tro-
varsi in mezzo alla neve profonda, dove, se avesse
abiti leggeri, potrebbe trovare facilmente anche
la morte.
«Gli uomini portano sempre con loro nelle spe-
di/ioni di montagna del legname come fanno le
guide e i portatori che accompagnano gli alpinisti
dilettanti a Zermatt . a Chamonix 0 nell'Ober-
land. Si porta anche qualche liquore come riserva
in caso di bisogno.
« Una delle parti più interessanti delle esercita-
zioni alpine è il trasporto dei feriti, nel quale i
soldati vengono esercitati continuamente, essendo
quel servizio assai difficile ed importante a quelle
altezze. Grandi cani del San Bernardo sono adde
LA LLTTURA
roccie, tra 1
torrenti. Quan
rasportarli l l
dd l il servizio delle ambu
ta solidamente, una tavola
:. 1 i viene a trovarsi
re; li gambe, una
sinistra, appoggiano su dm
ii fianchi del portatore
. imbe legate solidamente alle
, le braccia intomo alle spalle del
, ambulanza, la vittima \ ii ni i raspor-
otrà ure nei essai ie. I tue
in rappres ntano appunto il sisti
feriti.
ie ogni anno circa j8oo uomini si no
iddestrati in questa vita «li montagna
lon capita sempre agli stessi reggimenti di
iridati .'.I si rvi li Forti al ili sopra
mivi de, è nai i i >m lusii ne che col tem
S' era avrà un grandissimo numero 'li so]
i valore incalcolabile. Gli pappatori, per
ni] i" operazii ni importani issime re.
UN SOLDATO CON i N CANNONE sl'LLK SFALLE.
unioni, gel ind
luo|
tonti .sin
potn bbe
' nico. Anni or seno i torrenti di mon
ro gran tran., della strada del 1 1
mi svizzi ro ordinò im-
nii dia i ro ci mpagnie ili zappati iri
■ li porsi all'opera. In poche settimane i danni Fu
' ino riparati con un grande muro lungo circa due
metri posto a sostegno della strada in mi pen-
dìo ripidi:
■ Questi zappatori lamio insomma un poco ili
tutto quanto può esser necessario |xr Facilitare il
cammino 'li un esercito in un territorio che sem-
brerebbe impraticabile o per accrescere all'eserci-
ti stessi i li modi l della vita del camp
Segnalazioni.
a Essi costruiscono persino il pulpito pel cap-
pellano pel servizio della domenica. In tale occa-
sione le bande militari suonano inni religiosi e
nei reggimenti cattolici si celebra la messa cantata.
Sarebbe difficile immaginare Funzioni più solenni
ed imponenti di quelle che si tengono per il bene
spirituale ili queste truppe in quell'ambiente su-
blime, tra le montagne vestite di nevi e i ghia'
scintillanti sotto la vòlta del cielo azzurro, che rap-
presenta la vòlta della chiesa ili Dio. Quando il
predicatore raccomanda ai suoi uditori ili dedicarsi
alia difesa della loro bella pania, .-gli è sicuro
che le sue parole penetrano in fonilo del cuore di
quei .'Mali che l'ascoltano religiosamente coll'al-
penstocks e ci 1 picei ne in mano.
■ Ma le truppe alpine della Svizzera non -
seri i' uno sul ( lottarli" i sui Forti i he si
ino in quelle regioni. Le stesse cose avvengo-
no, pei esi mpio, a S. Mi ritz o anche altrove. \.à
ogni modo li Frontiera meridionale della Svi;
' fi rse la parti megli i pri tetta della . In
guerra una grandissima parte dell'effettivo
Federale che ascende a oltre jjo.ooo uomin
trebbe dedicarsi alla difesa delle altre tre fri
n pcii hi 1 1 Frani iei ion ha bisi
di gratuli i essere e
(Dal Ptarson's Magatiti
In lotta col mare
Poche persone, fi rse, sanno farsi un'idea della con che si irta ili difficoltà abbia a lottare chi deve
forza fin .mie esercitata dalle onde sopra una spiag- costruire barriere contro il terribile flagello delle
già allo spirare di certi venti. Soltanto coloro che onde.
hanno veduto l'estrema devastazione e la rovina Ma quando si sia avuta una prova materiale del-
FlG. I.
lese solide in apparenza come scigli, possono la potenza del mare, non c'è nulla che possa rii'hia-
immaginare quale e quanta sia quella forza, e mare alla mente un ricordo di forza most i
Fio. II.
LA LETTI R \
,, li a quelle che sì
l .1 tremenda potenza i
nda vi si vedi
FlG. III.
figurata nel modo più impressionante che si possa
immaginare. Quando un flutto, come quello che
si vede nella prima delle figure che illustrano que-
sto orticolo, incontra un ostacolo pari a quello eh?
si vede nella seconda figura, ripetendo il suo uno
formidabile con ritmica precisione, il risulta;
tale da eccedere ogni immaginazione.
Questa potenza delle onde si può studiare hene
a LoweStoft, dove furono prese le fotografia 11
man- del Nord è partici larmente . i lento, |x-r l'in-
crocio di correnti e. implicato e terribile che av\
in quel mare I si può dire in tutte le coste inglesi.
Le illustra/ioni che riproduciamo dalla ri\
inglese e che costituiscono il principale
dell'articolo, non richiedono grandi
spiegazioni. 'La prima rappn
una di quelle ondate rovinose ed e-
n. irmi che sfidano la solidità delle
migliori costruzioni ed in breve tem-
po le riducono ad ammassi di ro-
vine. La sei-onda figura rappi
ta una difesa, che. quando fu co-
struita, si credeva invincibile. Sino
a qual punto fosse invincibile s
de mila terza figura. Essa pone sot-
to gli occhi del lettore gli Metti di
una burrasca che durò forse non più
di dui nlla difesa 'e invincil.i-
le ». Come si vede, tutto quanto è
e nato e distrutto. R' vero che
quella burrasca fu particolarmente
violenta; «ma non I necessaria una
tempesta eccezionale per produrr
danni grandissimi. L' ultima figura
rappresenta gli effetti prodotti su
una solida spianata, in due sole ore di tempo, da
una tempesta.... moderata !
(Dallo SI rand Afagaziiic).
FlG. IV.
Il viaggio d'una
l&&
goccia
d'acqua
Nella pn fi nd tà del mari . i abissi si
sprofondano, in un mistero pauroso, abitava da se-
coli una : acqua. Un giorno, trabal-
zata dall marini . arrivò
alla superficie sulli n te. Una nuova
vita e un nuovi i rizzonte le si schiudeva dinanzi:
una pianura immensa, un cielo azzurri, un'orgia 'li
Iure.
Il sole si i S] ' Lva nel sue seno tremolante f.
in n pn - ssa sentì discendere in sì la forza s-.
del granile astro, sentì essa stessa gì
.•mare un gn sso mi m i Migliaia e milioni di
roscopichi ■ si \ iden alli ira turbinare
in quella gì - nze che a lei scia e al s
i mi ■ la gii ia della vita.
Questi goccia :. scintillava ora alla
superficie ili u i aveva pi rò già fatto un as-
sai lungo viaggio. Aveva toccato altezze e proi
dita che non aveva raggiunti mai nessun uomo.
Di pprima, in seno ai mari, ne aveva percorso lenta-
mente tutti i bass Fondi spinta dalla
corsa impetuosa i 11 con riti, da. un polo all'ai
attraverso le torride regioni dell'equatore. Ed ora
rimontata ad un'altezza di molti chilometri, av-
volta in un torrenti: di luce abbagliante, in procin
to di compiere un nuovo giro mondiale.
E noi seguiremo la picei la goccia in questo suo
immenso pellegrinaggio attraverso il mondo, la se-
ino nei m nuore vite ch'essa andrà a
vivificare, nei meandri impercettibili delle vene e
nei cuore ili vi ai secreti della vita umana.
Noi potremo ci - i n 'ere la terra con tutto il
suo organismi 11 mare non è che il suo
cuore nel quale si agita con vive e talora terribili
pulsazioni il sangue che vivifica questo strano or-
sino penetrandone i più secreti recessi. E an-
il mare, cui re del mi idi ha le sue pulsazioni
diche, rappres nta i >u tutte le spiaggit dal-
l'alta e bassa marea. Le grani ;liano
i mari rappresentano le artei principali di que-
- i i orpo misteri. - . ìumi, i ti iti ni i i i
ruscelli ne simb leggiano le vene. E giorno i i
le arterie e ie ;ellate dal flato tumul-
tui si nde che le pero m con in ;
Ila terra è l'atmosfera
a quale - n'ubi viene trascii
dal calori si lan il sì i Ila terra purifii
dalle infezioni chi
suolo. E ■< me nei nostri pi ilrw ni il sangue
■ 1 l'impeto e la forza necessari
invadere tutti i muscoli umi anche nell'i
I \ .ij" re acqueo prendi
per poter precipitare una
tutte le fi ii.
La potenza dei ile che essi tra-
nelle più ii ni quantità spaven
La Lettura.
i concorroni a formare le nubi. Certa-
i. et un viaggii i regioni così rem te l'acqua
deve perdere la sua fi 1:11.1 solita. 11 calore del sole
ci npem 1 rando la n la 1 rasforma in
una nuvola invisibile 'li ' Lpi ri che si Solleva tran-
quilla ad altezze inesplorati La gocciolina il u
qua è allora divisa in centinaia di atomi invisibili:
nel fondo dei mari non era che un pio corpo
un in ; ora, pi mirata dalla potenza della luce e del
calore, turbina come in una piccola esisi -nza nelle
gli uragani. Essa rappresenta del resto
anche un elemento pitturili decorativo sulla tavo-
: sterminata del cielo. Nei giorni afosi di un
1 ■piati ria le , quandi il cielo ci abbacina l'oc-
chii colli iridescenzi metalliche del suo azzurro
profondi e sterminato, una nuvoletta bianca che
lavighi lontano rompe la malinconia grave e in-
o mbente dello spettacolo e porta la nota gaia della
' del moto: e come una vela bianca sul tremo-
lio azzurro d'una manna.
Quanto più alto salirà la m stra goccia d'acqua,
maggiore sarà la forza che le imprimerà il
cali re de! sole per la nuova corsa che l'attende, e
tanto più visibile sarà l'effetto che produrrà, pre-
milo sulla terra. Ma anche forgia pazza della
gì 1 11 lina che a ire negli altissimi spazi ha il suo
limite. Aveti mai osservato un'ascensione aerea?
11 pallone, trascinato dalla forza ascendente del-
l'idrogeno, sale rapido rapido e vi rticoso sottraen-
dosi ben presto alla vista degli spettatori, ed ar-
riva così alle altezze spaventose di cinque, otto.
dieci chilometri ; ma giunto a un certo livello, len-
tamente si arresta: data l'estrema rarefazione del-
l'aria a quel limite, il pallone non ha piti nessuna
forza d'ascensione ed è assolutamente immobiliz-
zato.
O sì anche per la nostra goo .1 d'acqua, trasfor-
mata 11 vap 1 . sisti un limite di altezza oltre il
quale essa non potrà mai salire e dove regnerà e-
ternamenti splendido e imperturbato l'azzurro im-
m< ns. del cielo.
Seri1' allora il primi 0 della creazione
-a nuova goccia d'acqua: ecco che spunta una
nube, ('di atomi dispersi si riuniscono nuovamente
assieme in un mirabile agi di cristallo: la goccio-
lina allora ha raggiunti' li staio della sua massi
ma purezza.
per la nuova stilla di pioggia ap-
a subito un nuovo ciclo di la-
voro. Ai ui edi, per un immenso orizzonte, si
che esv,. 1 Ecco che
li nubi si ragia upj iam scavallano, ecco che a
ni e a milioni i piccoli cristalli bianchi navi-
formano un'unica cappa oscura che
il ti atre. E intanto ecco che lontano Ione
sulla sup ' I 1 mari ali re gì ccii dine -
I
LA LETI i P i
j
mai rapire a
( 'hi non ha i sa i inchi i ramonti
na incorniciata lontano dai
riflessi i\\ porpora dell'orizzonte infuocato I un
HO DI Nl'BI.
ilta il sole si i suoi
[infrangendo i torrenti della
il prisma purissimi i di quelle masse
■ li ghiaccio: sono allora effetti 'li luce e 'li
gliosi dipinti <la una tavolozza che
incendio meraviglioso che arde in distanza e sem-
bra la line grandiosa 'li una nuova Troia. Talvolta
nell' alla pallida
luna si disegna un immenso anello circolare liian-
il pallido chiarore lunari Qi
DALLE RIVISTI.
S35
enormi anelli, chiamati aloni, sono costituiti da mi-
lioni e milioni ili piccoli aghi cristallini che danza-
no una ridda meravigliosa sotto lo sguardo materno
•della luna.
Le nubi di ghiaccio sono però ben diverse di
bra della vallata. E su tutti quei tanti comignoli
fumanl i sotto la neve si leva ardito e fiero il i i ri
panile della chiesina. simbolo di pace e di pi
ghiera, come un padre che vegli sul riposi
figli.
Meran sotto la neve.
quelle che producono la neve: queste ultime sono
ancora più complicate e risultano da milioni e mi-
lioni di piccole stelle cristalline di forma esagonale.
In estate le nubi nevose non si fermano che nelle
regioni soprastanti alle alte catene di monti, dove le
piccole si il cristallizzate avendo da traversare un
mini r strato ili atmosfera arrivano sulle vette e sui
fianchi dei monti senza squagliarsi.
Lenti, lenti cadono i fiocchi bianchi e silenziosi
e coprono con un candido lenzuolo tutta la pianura
sterminata. Oh, come è bella l'acqua in questa sua
forma di purissimo e, nidore, quale meraviglioso
panorama, quale imponenza di inarrivabile gran-
fi i sita !
La neve '<■ uno degli elementi pittorici più splen-
didi 'he si conoscano nel gran quadro del creato.
Vedel lassù lungo le catene dei monti lentamente
gradanti a valle: è un panorama che sorge ali oc-
chio estasiato come una visione infantile di bian-
chezza e di candore. Nella vallata, come branco
di pecore raccolte a sera presso il pastore, si stende
tacito e tranquillo il paesuccio, come un ultimo a-
■vamposto di civiltà contro le regioni della natura
grande e selvaggia. Nello sfendo leva a picco la
ite fiera una montagna bianca che dà riflessi di
luce e di candore sui tetti dormienti nella penom-
Ma ecco che l'inverno scompare dalle pianure
e dagli altipiani e ben presto le prime tiepide brezze
e le prime furtive corolle spuntano nei prati. E'
la palingenesi della natura e della vita. Un nuovo
fremito di vita e di riconoscenza vibra nelle viscere
feconde della terra e tumultua nei secreti misteri
del suolo, che riversa al trionfo e al bacio della lu-
ce la sua nuova meravigliosa fioritura. I raggi de!
sole battono allora come un risveglio e un richia-
mo sulle vette nevose dove sta imprigionata timi-
damente la nostra gocciolina d'acqua. E' il richiamo
alla vita e al lavoro. E la gocciolina ubbidiente si
inumidisce, si scioglie e si stacca finalmente dalla
roccia e ripiglia il laborioso cammino verso un nuo-
vo pellegrinaggio.
Ma quante leggi sapienti ; quanta economia mi-
rabile si rivela in questa metamorfosi nuova della
primitiva gocciolina! Il passaggio al nui
di vita provoca uno sprigionamento enorme di '
che se non fosse contenuto in giusti limiti pi
cherebbe una rivoluzione tellurica. Guai se a un
segnale o allo scoccare di una data tutta quella
massa portentosa di ghiacci si movesse principian-
do in un solo istante la marcia verso la pianura!
Quali cataclismi, quali rovine sullo
passaggio di quell'irruzione! Ma la natura
LA LETTI HA
ne.
o mini ia
altre lui
i lenti pendi im
SO |>lló IUvm:
che la nosl ra \» vera goccii
n un ghiacciaio pi ssa riacquista
. ; , daJI nini!' ibilità l'i
rionalmente rìgidi
.mi accumularsi in quantità tale da
■ ompletamente vi' Ita che in un
mero i - -ai calde.
1 ghiacciai sono i grandi arsenali 'li riserva del
nell'eco) rra rappresentano
■ i li.- impi irtante, destin ita i fi mire mi
perenne ai fiumi anche nei lunghi
n cui l'inclemenza del cii I ri-
eri fidanti. I ghiai ciaj si 1 1 appuri
riserva che a poco a pocoquando più grande
sprigiona i suoi tesori risti rati ri.
norme massa ili installi, che li preme e sprizzano
]m>ì in. .il violentem
la ia \ alle.
L'uscita 'ii questi torrenti dagli ultimi mass
i dei imi belli
i ii pia. uscendi da un \ iaggiu lung
tenebri si ■. atl rav< i uidri che non
conoscono il sole, par rallegrarsi del tr'n
stoso ili luce e di colori chi ne l'arrivo:
hi i umultuano e flagi llarn > gli ulti-
mi ghiacci comi un addio alla rulla e un saluto al
ita.
L'acqua poi prei ipitando in ittraverso
le roccii li acquista una potenza
meravigliosa pari alle più formidabili esplosioni
ili dinamite. V ssune 1 1 mba Dai la poti
'• potrà compii 1 lavori , qua nelle
viscere dei monti; essa sola fra la massa stermi-
nata ili ghiacci, che rappresentano uu<i forza ili
i "i'i ìsìi ni 'li migliai iellate, sa
■ roccii più aspre e 'Iure aprendosi una via
rterebbe all'uomo anni ed anni di lavori '.|
picei ne in mano.
Giar iHs i ico bi Berlino.
-' ■ i Mera puri a p i za dei ghiaccia
i ita si quando si iiiriti.no in moto. Tutta quella m
in immane ili cristallo acquista talvolta una forza 'li
si endente su nagi nazione e al
DALLE RIYks I I
83
li ira nella sua marcia lenta ma inesorabile travol-
ge e trasporta quanto ino ntra sul sud passagg
è una fi i '.a bruta e fatale che si avanza dalle gì '
e dai burroni alpestri verso le \ i saranno
/
freschez? Si rdi del fiume, al bacio
'le! - 'in le avide corolle i fiorellini ir p
• ienti di vita: ed essi succhiano dalle acque scoi
tenti quella linfa ristoratrice rhe li difeni
jiera far' -..lari. E' tutta una fioritura
Bocca di un ghiacciaio.
Talvolta massi rocciosi minati dalla corrosione
«Ielle aeque o dalle sei 'sse telluriche si staccano dai
ii nti e precipitano sulla bianca super-
ficie dei ghiacci. E il ghiacciaio li raccoglie, li
trasporta sul suo dorso fino alle pianure lontane.
Arrivati al punto dove il gli esaurito e di-
strutto dalle stillicidio muore con pochi ghii
liquefacentisi, le pietre e i rottami trasportati da
si accumulano formando piccole collinette che
ne di morene.
Anzi reni rialzi morenici sono pel geologo un
indizio e un documento per stabilire la fronte di
antichi ghiacciai. Lo stillicidio dei ghiacciai dà le
prime origini ai fiumi che a traverso le pianure por-
tano poi al mare il tributo dei monti. E' O SÌ uno
scarnici, perenne tra il monte e il mare che i
presentano i due poli estremi della marcia dell'ac
qua nel mi ndi .
i ti la vita del fiume, dalla culla alla
■sua foce, nel mare. Poco a poco esso sale dalla ge-
lida temperatura primitiva ad una temperatura
più mite, pur conservando sempre il ricordo d
speciale -lo accompagna i primi passi del lumi'
attraverso le regioni montuose: è la magnifica
flora alpina lai colori vivi e smaglianti, che vigi
reggia in tutta la sua pompa fastosa ci rxn un inni
alla vita. E i prati e i pascoli si stendono lungo i
margini sassosi del fiumicello e portano Fuberl
la ricchezza al colono tranquillo e felice. Ma ossei
vate: mando il si le indora le prime corolle aperte
al bacio ii qua e là per le balze scoscese .•
pei prati pianeggianti vola ronzando irrequieto un
piccolo sciame. Sono insetti, che i zoologi distin-
guono nelle molteplici famiglie degli imenotteri, le-
pidotteri, coleotteri, alidi, ecc., ma che lutti, come
una sola famiglia, accorrono ali.- medesim fonti
ili vita. E le api e le farfalle >i posano leggere sui
petali umidi di rugiada e vi succhiano avidamente
il nettare dolce della vita. V'Ha festa del sole, nel
iviglioso mattino , un piccolo poema montano,
un idillio campestre.
E tuti' qui -1 si I rsi di fi irze e di i
tufo rìsale alla timida e povera goccia d'acqua,
-tappata dal sole ardente agli abissi dell'io.
LA LETTURA
Usa cascata in roccie dolomitiche.
Nella ! instancabile
la terra essa vivifi-
mpre nui ■
ti umon-
creazii !
alte e inaccessibili rupi un fiore
ha la melan-
dolo, ,n''
uille notti v. I
.. la stella
sulle roc-
b rg Ni i aste un
altro '"• ''';
rifugia SU
,.; per - ilvarsi dalle mani
E man mano che scendiamo a
livelli minori ecco sui margini dd
il, 5punl in li prim ■ rose
t-orolle via ■ - istillanti,
mano biancheggiano le
primi ssMk
lanciato, in alto come una sfida ai
venti . e i man man le macchie
dall'aroma acre
. i,, stani e i noci
di, si e secolari colle immense
Valle CO» GHIACCIAIO E UNA morena MEDIANA.
DALLE RIVISTE
83Q
radii -late titanicamente nella terra. 1
la ni stia goccia d'acqua penetra vivificando,
nelle I -tulle a dare il verde pallido alle foglie, nei
dei monti si forma nella valle profonda un tor-
rentello audace forte di acque bi<
che d'una balza in un'altra scende finalmente tur-
UNA CASCATA FRA I MONTI.
pini a creare la resina e gli aromi stillanti dalle
ferite, nei castagneti a creare il frutto buono e sa-
che nutrirà le povere genti.
M he di tutti i rigagnoletti egli stillicidi
e fiero nella pianura immensa che digrada al
mare.
Ma prima, spesso ai piedi dei monti stessi, il
nte deve distendersi lento e placido in un'ara-
re un
e il tri-
ai ni i, il fiume
paesi
muc-
I pi
Ita le
buoi i
e beì-
tricli meri
ne renda meno fai ii
sudore alla
l 'i'i' Ila d acqua porterà colla 1 1
anche la fi >r/a e la ricch i I ,ungi i il suo i
lalle uh ir in • ,
:
■ i la lini!/
in un fluido misi
in tutti rza.
ili una pire. ila
i un giro lunj
elo e dell t
dell i uà timida che un | iorno
LA II li
■ LONTANO.
Rovine d'alberi presso in torrente.
iiiiir ■ »i mi,- volte nei lon-
tani deserti di mentre il
inlin !•'■ sulle sabbie 'li fuoco, un
din tto a una mi la lontani
arsura nella lari
conforto! Ma lontano lontani - intilla al soli
argenti l
mori | la, il misi
natore vola verso il limpido ruscello che
piedi ili qualche ani I ili carabo, ne suc-
chia a\ idamente i prende mi. va
e in: per la mèta che
ìorrii " n più tanto lonta
Altra
sgorga ini] m ' • : i
traia e là dove prima bruciai
le n « vir seb _■ re l'uno
dopo l'altro i caravanserragli, le
pi vere i apanne ili fango e 'li barn
liìi. poi infine tutto un \ illaf .
un'improvvisa crear
zìi i I a dalla terra-
Altra voli i si pra uni i stagno pu-
tridi i gì mo le deboli
Ialini- ; he diventeranni
|uandn la
tenza degli ai delle
i i cresciuta ■■•Ile
indusl rie ci ii commerci.
I la timida gocciolina en
no. entrerà
i" noi maturano
al
che sorprenderemo I inne
d'una palud ini-
■ i in-
DALLE RIVISTE
841
li. fiume Rosanna presso Sant'Antonio (Arlberg).
somma in ogni alimenti, del n< atro corpo, rome ingrediente costitutivo e necessario, e penetrerà così in-
fine ne] nastro organismo, entrerà
nelle nostre vene, scorrerà per le
i" stre arterie, carne della nostra
carne, \ ita d -Ila nostra vita. E
infine, compiuta la sua missione
passata dal mare alle alte regioni
celesti, la 1 li >ve più terribili Fuggo-
no gli uragani, discesa fra i ghiac-
ciai sublimi ed eterni, sprigii ria
tasi in un zampillo fresco e mor-
ante, 1» rduta nel corso maesto-
so di un fiume, tornerà umile e
ignorata al mare d'onde partì e
all' miriadi di goccioline che ac-
corri ialino colla marea a salutami
il ritorno, nai n rà la storia del
ii meraviglioso, la bellezza
del mondo, la soddisfazione del
ben compiuto, e forse meni re an
ci ia esulterà dei primi abl >racci
colle sorelle ritr i\ ate, un nuovo
raggio di sole la fisi Ueverà nui « a
mente nel cieli 1. nuovann nt. lan
dandola nel viaggio del ninnilo.
(Dalla rivista Velhagen und Klasings
Mollatili, 1:, .
(ìli affreschi di animante
nori che I
dagli
, j \l m
i Uri ive sanno
tale pittore che. s ■
i mdonal i p nm
dato del filo da ti
I; quella ■
lobbero 'li
' '■ B.
poi nitri cinquecentisti insigni
\ iutO ('filini, il Lo-
dell'arte t
1 ' Berga
m • M ■ di quali però avanza
i della
-i dal-
ì i nel Casti SI rzesco,
onna nell'abazia 'li
ravalle e (monumento maggiore del-
sua) gli otto affresi sa Pa-
nigar Prinetti, in via Lanzone, n. 4),
mesi trasportati nella R. I
,li Bl fermano una delle cui
a ori.
hi rappresentano, in figure
. Eraclito che Demi
ride, e sftte ligure maggiori del ve-
ro (due sole intere) 'li divi i^; mai stri d'arm •.
d'alcuni dei quaJ : ! omazzu ha lasciato il
in [uesto |" riodo :
■ \. I 11 l'armi con il
insieme, -
ii] , Giorgio Moro da Fi-
,( cim ramo che fu ancora pitti
« quali tutti tre furono ; nza sua ri-
a tra- ii, da Bramante, in
dei P migan la a Santo
Di i nominali si trovano in
iriche, molte, in el primo
la.
Rispetto poi alla persona che avrebb da
Bramante l'incarici delle pitture,
G Panig irola, che fu
izzo Sfor-
. oli XV, ed
ebbe una figli. 1 \jcangela. nata nel 1463,
1 rinchiuse nel 148; nel monastero
1 a pochi passi Malia ca
loia fu uomo 'li fiducia
e il confidente G M. Sfi >rza, o 1
..gli. irsi se, abituato
al lussu dèlia - ■' continuo
lale 'Iella '
; ti 'lai ■
fu un celebre archi) so nello .
:A INTERA l'I 1 S" 1>E1 MAESTRI D ARME.
DALLE RIVISTE
843
predetti maestri
d'arme.
Giuseppe Mori-
geri aveva dubi-
tato ohe gli af-
freschi nella
di via Lanzone
non si trovassero
più al li
primitivo . ma vi
- ro stati tra-
sferiti da altra
parte. Gli studi
dell'ing. Gaetano
V , tti e di Lu-
Beltrami. e-
-•'1 da questo
ultimo nella Ras-
i e-
scludono (con le
più evidenti pro-
ve di fatto 1 quel
dubbii 1 e determi-
nano la loro di-
dizione e tutta
la decorazione
■ iella sala, con-
cludendo che
t Bramante, pur
i: u-
na sala che aveva
un'altezza roino-
i
Frammento di un'altra figura.
ti di i'i. 5. ^eppe
svolgere un mo-
tivo decorativo di
non comune gran-
diosità , ed adat-
tarvi figure sen-
sibilmente mag-
giori del vei
Rispetto, infi-
ne, allo stile del-
le pitture. Corra-
Ricci si è di-
lungato a mostra-
re ch'( ssi ' non ur-
ta con la storia
che le assegna a
Bramante , per-
che- 1
videnti caratteri
di scuola mar-
xiana, affini a
quelli di Ma
Meli zzo da I
li. per ricexpal
za severa di
me. mi mumenta-
lità decorativa e
per colori
(Dalla Rassegna
• le e dal Cosmos
Catlwr
Una città isui "trampoli
apitale dell ( (landa è
m'aita mas 'li acqua
gè la
■ut,, ili torba. Tutte le
■ su « t rampoli », alti
neti Se per un fe-
iqui , pei una piena.
miliquida inti i posta I ra
ra solida i
ii zzo milione di abitanti
strade su cui i
anti i per \ ia >!i si
o 'li funi. I a rei he stra
ma non bisog
romeno un itiri
1 1 governi
• li invasione nemica. le
città e tutte le ten r inondate
m ■ .1 all'im a
durare molto
a lungo, l'imn - qua dimi-
nuir ■ la consistenza dello •
n nda le palafitte, le quali, secondo
quanto assicurano le autorità tecniche, va-
fondanienta, > ben
bbei precipitare l'intera città
anche una grande
bufi a precipitare la catastrofe. E col-
I aiul esempi separati e « indi
ali a 'li altre cat astri fi consimili già orrore
può l ai ilmente in n olo della
■ e il terrore
di essere da un mon litro but-
i Ina casa ■
Un terreno edilizio in Amsterdam.
tati in acqua. Poiché avviene di tempo in tempo
che le palafitte qua o là cedano, e nella storia mu-
nicipale sono consegnate nur itastrofi di tal
1752 gli abi-
tanti di G raat,
svegliandosi una mattina,
si avvidero ili un disi
lo eh tra
il lato nord e il lato sml
della via. Gli abitanti del
lato nord, che alla matti-
na erano soliti salutai
abitanti delle ras.- di
eia, « ]itt-l giorno videro che
■ |ueste, che prima erano allo
stt->so livello delle lor.
raro idate nel fan-
go per quasi due ter/i. |kt
moilo che non se
va più ehe la parte supe
re e il tetti >. 1 )' altri
ranti nord
nln
in alto,
penile elllel-e\ all'i in -Il .1
ria eoin. h
dono in una delle n
illustrazioni, ehe
1 futi ralla ili .
l'AL.LE RIVISTE
845
• Itili» conservati nel Museo di Amsterdam. E
tevole che questo fatto straordinario non ;
grande sensazione nella città. A forza 'li vivere sui
trampoli, [uei bravi cittadini hanno acquistato una
propria.
TRE CASE SUI «TRAMPOLI». (Modelli del Museo di Amstei
Xel 1822 gli enormi magazzini di grano fatti co-
struire dalia Compagnia dell'India Occidentale O-
landese. caricati eccessivamente di cercale, rovina-
ne! fango.
Xel 1840 furono co-
struite tre case secondo un
nuovo sistema, con pali
più gr< ssi del soliti
più lontani tra loro. L'ef-
fu abl astanza curio-
SO. Dopo un ceno perio>-
Ho di solidità, le case co-
minciarono a muoversi, un
la una parte, un piv
un'altra. Qu -
Stillazioni durarono un
pezzi . Finalmente, benché
gli abitanti di Amsterdam
non siam. abituati a stu-
pirsi troppo si ì pavimen-
ti dell stanze non
i! livelli
si stimò prudente
far evacuare le rase in
Btiestii n lnittarle giù
senz'aiin .
Xumerosi incidenti di
minor conto sono avvenuti
in ili\ t-i si tempi. Ad esem-
nel 1886 le mi-
gliaia di pali
la Stazioi • intrale
e la Sta-
abbas-
tale rapidità, ohe una sera molti abitanti
andarono a letto con la convinzione che 1 indomani
avrebbero più visto l'edificio. Invece, dopo es-
assata di parecchi piedi, la Stazione si
termo, permettendo agli architetti di rafforzare le
fi in lamenta.
11 Palazzo di Città è sorretto da 13.659 pali;
1! palazzi della Morsa ve ne soni ina 30.000;
- calcola che sotto la citta intera ve ne siano al-
meno 20.000.000; secondo certuni, la cifra si do-
vrebbe portare a ^0.000.000. In alcuni luoghi i
pali - vicini che quasi non intercede alcuno
spazio tra l'uno e l'altro. Si comprende facilmente
la ciò come le spese di foi di una rasa
debbano essere enormi. Bisogna, anzitutto, chiudere
con un solido recinto il luogo destinato alla rasa
perchè non vi penetri acqua. Poi. scavando e pom-
pando, bisogna togliere tutto il materiale semi-li-
quido che vi si trova, tinche non vi si sia raggiunta
la terraferma. Ciò fatto si piantano i pali : da due-
cento _ a seimila, secondo le dimensioni dell'editino
progettato; e infine, segati tutti i pali alla stessa
altezza, si pone su essi l'impalratura destinata a
reggere la casa. In Amsterdam arrivano continua-
mente enormi rarichi di pali, e spesso i 'anali a-
diacenti alla città sono quasi letteralmente bloccati
da quelle specie di foreste. Quando le fondamenta
hanno raggiunti! il livello della strada, si ti glie
via il recinto, e si lascia il fango penetrare libera-
munte tra gli interstizi dei pali. E' straordinaria la
resistenza di molti di quei « trampoli » all'opera
dell'umidità. Durano spesso lunghissimo tempo. Ul-
timamente sono stati tratti fuori pali che erano
stati sepolti nel fango per otto secoli e si erano
Le fondamenta visibili di in magazzino.
M"
LA LETI
'
l
11
Il nemico.
— imi. Altri si erano comi pietrifi-
ano acquistato una resistenza di granili >.
M d'altra parte molte migliaia di pali die so
centinaia di fase sono condannati
ad una prossima distruzione, i una
buona porzione della città
hi, o deb li pei si, o
Vmsti i ri ha un ni n
terril ■ lavora di i ontinuo
e che i su.i abitanti vt un
I; spagnuoli. (Juesto nemico è un ins
i ride di un gì inello di riso, che s ini ro
duce con le navi a schiere nume: ro
\ ina il legno su cui p utta la città. < se la
guatata a tempi pò
nesse riparo, la casa cadreblie. Spesso l'animai
i tanti .ni un pai . che non ne resta nep-
ima qu i Ilo spessi re origina
Sarebbe impossibile calcolare quante i
ate dall'insetl I"' r . Si fa di tutto pi
stirp npresa tutt'al-
i chi fai ile.
Se un giorno una causa qualunque as|
I angi ■ e l'acqua eh idi ini > le '
Amsterdam, si vedrebbe pei qualche momento tut-
ta la città, con le sm chiese, i suoi palazzi, le sue
. campeggiar nell'aria; ma molta parte, per
1 ..pera dell'insetto « nemici .. i certi in
pochi secondi.
(Dalla rivista Wide World Magczine, d'agosto).
Le fondamenta di un edifizio.
Leoni
domestici
li a Margate. A poca distanza dal mare sor-
ge una casetta dall'apparenza connine ed assoluta-
mente inoffensiva. Entrate: la faccenda cambia a-
-.ulla pi ina. trovate un leone; in cucina.
aliuui funi si stirano innanzi al fo-
re ; altri leoni giuocano sopra i
letti: leoni, insomma, per tutto. E
i muri sono ricoperti di fotografie.
quadri e trofei di «leoni che furo-
no".... 1 padroni della casa sono il
signor e la signora Sadler.
— La prima volta che ebbi a che
fare con i leoni, fu il giorno delle
mie nozze — dice la signora Sadler.
— Feci la mia colazione nuziale in
una gabliia di leoni.
Il signor Sadler considera i leoni
piccoli come un divertimento, come
cagnolini, per esempio, e i leoni a-
t Kilt i come fonte di guadagno. Egli
non è. dopo tutto, che un uomo d'af-
fari, un in rao d'affari fortunato, per-
chè guadagna molto. Forse i coniu-
gi Sadler non sono le uniche persone
che tengano i leoni così in giro per
casa, ma certo tali persone non sono
estremamente numerose. Forse potrà
venir di moda, tra le persone ric-
chi . tenere un leone come si tiene
un automobile; e si dice persone ricche, perchè un
leone adulto in buono stato costa su per giù 300
sterline, ossia circa 7.500 franchi.
«Quando visitai il signor Sadler - - rao
*S£
K
.
ìk
r
i
i
fa *
"'
à
Pp2P^-:
--
La signora Sadler tra i suoi amici.
Un cane che ha allevato molti leoni.
1 articolista — domandai se era permesso vederi
tutti i leoni della casa. «Altro che!» esclamò il pa-
drone, ed aprì una stanza introducendomi al co-
spetto di un numero considerevole di fauci spa-
lancate, che mi fecero indietreggiare impugnando
ii manico dell'ombrello, pronto a morire combatten-
do. Il mio Fotografo era pallidissimo e tormentava
un suo temperino tascabile nervosamente. Tuttavia
i tre leoni, perchè alla fine dei conti non erano che
tre. ed assai piccoli, per giunta, se ne stavano indif-
ferenti, guardando con occhio che pareva addor-
mentato. «Sono proprio mansueti ed addomestica-
ti — diceva il padrone tirandone da pane uni
Col piede; — ma io non mi fidai del tutto se non
quando vidi la signora Sadler che. seduta pressi
la porta, teneva sulle braccia contemporaneamente
un suo bambino ed un piccolo leone.
«Lentamente il maggiore dei tre animali che si
tri \ .ivano nella stanza, alto più di un grosso terrier
irlandese, si alzò e venne a fiutarci l'estremità dei
ir : poi una gamba del treppiede che reggi
la macchina fotografica attrasse la sua attenzione;
si sdraiò lì accanto, stette un poco quieto, ma pre-
ti si stancò anche di quella posizione e si mise a
cherellare innanzi a I -indo al detto che
la musica abbia la proprietà di mansuefare le bel-
ve, mi diedi a inori: orare la prima aria che mi ven-
ne in mente pei ami irmi la fiera, ma l'unico ef-
fetto del mio canti fu che il leone mi addentò il
84*
LA LETI
per do
miss Sa
padroni di casa, nel suo su
lue anni, , li • m p *
■ -r le lai i gli) rome
nza ; probahilmen
leoni, se anchi non ci
ii dichiarava che i
mi ■ che
inersi sepai limali
pii
, |i irò quaii' pa gli i
alli ra. non - iiù pi ssibile tenerli
pei rasa, diventa necessario rinchiuderli
in un « lion hi u
Pi i esemp i a la signora, « sino a poco
i, in \ ami qui Emperor, il nostro
si j i i .i i i\ um |ue 1 1 'Un un i ane .
più possibile. Giorgio ve lo Farà ve-
Al.I.A FINKSTRA.
1 1 condusse i ci presentò
rx>r. I mài om] igni erano alquanto pal-
lidi e mi ricordava h non bisognava perdere
ier il ritorno.
« — Questo», mi diceva il Sadler, « è il leone di cui
vi parlava mia moglie. Certo saxeli!*.' contento ili
I.MI-KKOR.
essere fotografato. Verrà fuori dalla gabbia come
un agnelloi.
i— S in mini maritati», mormoravano i miei
compagni al mio orecchio, e si eclissavano, mentre
il signor Sadler entrava nella gabbia e legava un
collare intorno al colli del leone. Si
fosse stata una - ala, ' mlemplato 1 uscita
di Emperor dall'alto della scala, sull'ultimo
inno, perchè l'animale si comportava come ui
-nello .li genere molto stravagante,
„ — E' |a pn -
un por., nervoso», diceva il padrone, m
volava alla velocità di quaranta miglia ali
il dia 1 1 rda da i ui i ra legato il Icone, e n
tre. per i no mpiuto dal ì
stessi era orti i pei aria ad
un n i Iti zza. La , del
resti >, pi i farsi senza incidenti ».
I piccoli leoni ili cui i i
Sadler I mmercio, ni n
allevati dalla leoni ssa che li
al inomlo. ma da un San Beri
die fu .unii jrafato...
molta mim ri emozii me di quell
■ nata da i
Quel -ionio il cani
a curari- due piccolissimi leoni: UT
masi -''hiti
si mi vi;. ri larmenti
za pn
d'i t.'i. e il sin \ alnre ora qu
sterline (750 franchi !)
Dalla 1 ivista knyal l\l
Bagli i
di mare e nuoto
Secondo i medici più reputati, il bagno di mare,
per essere veramente efficace — curativo — do-
vrebbe esser breve quanto una iloccia e durare tut-
t'al più tre minuti. Ma qual è il dilettante nuota-
tore che se ne appaga? Coi loro lunghi esercizii,
ro non fanno altro che sforzare i muscoli ; la
qual cosa sì può fare egualmente bene nell'acqua
dolce ; ma il bagno freddo d'acqua dolce non è
salutare, e neppure semplicemente anodino: è anzi
molto spesso nocivo, specialmente quando è pro-
lungato.
L'acqua del mare è una soluzione d'iodio, di
soda, di potassa ; ha un'azione violenta sulla pelle,
che alla lunga imbrunisce, e per via dei fori fa ri-
sentire la sua influenza sull'organismo. La durata
del bagno marino dev'essere proporzionata alla co-
stituzione di ciascuno. Si pensi soltanto a questo:
che la cura degli scrofolosi consiste principalmen-
te in bagni di sabbia marina secca e in inalazioni
li! ere d'aria di mare. Ora. la sabbia e l'aria sono
molto meno ricche di principi salini che non l'ac-
qua del mare. Quindi la durata dell'immersione
nell'acqua dev'essere prescritta dal medico.
In generale, i bagni prolungati sono nocivi, per-
chè il corpo perde troppo del suo calore, e la rea-
zione è troppo lenta a sopravvenire; donde indebo-
limento, mal di capo, raffreddori e peggio. Il più
pericoloso è che questo disperdimento di calore av-
viene insensibilmente ; anzi che, passata la prima
impressione, la temperatura bassa dell'acqua piace:
intanto si gela a poco a poco, finché sopravvengi <-
no improvvisi quei crampi che sono tanto funesti
ai nuotatori più provetti. Xon si parla della pru-
denza, cui son costretti i malati di cuore.
Prendere il bagno di mare senza saper nuotare
è privarsi d'uno dei più grandi piaceri ch'esso pro-
cura: la sensazione di fendere le onde, d'essere
cullati dal loro moto. Il grande ostacolo che hanno
da vincere i principianti è tutto psicologico: la
paura d'annegare. Tutti : maestri di nuoto lo san-
no: appena essi vedono che l'allievo comincia ad
abbandonarsi un poco, non lo sorreggono più, fa-
cendogli credere il contrario: a un certo punto egli
s'accorge che si regge da sé e allora ha già impa-
rato. L'ostacolo fisico è meno grave: consiste in
una quistione d'equilibrio. Il corpo umano ha una
densità appena superiore a quella dell'acqua, del-
l'acqua marina particolarmente: il minimo movi-
mento basta dunque a farlo galleggiare. Ma in tut-
to il corpo umano la parte più pesante è la testa,
in modo che il nuotatore tende ad affondare da.
quella parte. Per conseguenza, a nuotar l>ene si
rirhiede di stendersi sul ventre, di tener la testa
alta ma non rigida, le labbra chiuse, le mani ori/
zontali e le dita accostate: si devono quindi flet-
tere le braccia e le gambe in un movimento analo-
go a quello che fanno le rane nell'acqua: congiun-
ta Lettura.
gere le mani, poi allontanarle luna dall'altra, men-
tre si stendono le gambe prima accostate al corpo.
Ufficio delle mani è di mantenere a galla; i piedi
fanno invece da propulsori. Vi sono anche altri
modi di nuotare: per avanzare più speditamente,
si possono fare grandi movimenti con un braccio
per volta, servendosi delle mani non solo per gal-
leggiare, ma per spingersi avanti. Per fare il mor-
to basta stendersi sul dorso, lasciando inerti brac-
cia e gambe; per avanzare in questa posizione ba-
sta mettere in moto le gambe.
Un'altra sensazione piacevolissima è quella del
tuffo. Vi sono due posizioni per farlo. Una è quel-
la classica, popolarizzata dalle statuette e dai di-
segni : piedi giunti, il corpo ad arco di cerchio.
le braccia più alte della testa e le mani giunte con
le dita distese. Questa posizione è molto estetica,
ma poco pratica, essendo necessario fare un salto
su! trampolino per far descrivere al corpo una
traiettoria semicircolare e produrre una caduta qua-
si perpendicolare. Chi non vuol dare spettacolo d'a-
crobatismo preferisce mettersi coi piedi giunti al-
1 estremità del trampolino, col corpo leggermente
inclinato: allora i! minimo sforzo basta a far ca-
dere il corpo con la testa in giù. Durante la cadu-
ta, naturalmente, la testa verrà a mettersi tra le
due braccia, cosa necessaria ad ammortire il colpo,
e le gambe si piegheranno leggermente in modo da
permettere, appena sott'acqua, la propulsione ne-
cessaria a risalire a galla.
I crampi si vincono con vigorose frizioni, li;
(inali difficilmente si possono fare nell'acqua: bi-
sogna quindi trarre subito a riva il nuotatore che
ne è preso. In generale, solo un membro o un lato
del corpo è paralizzato, talché il paziente può muo-
vere un braccio mentre il salvatore lo rimorchia.
A terra, si rianima la parte colpita con fregagioni
secche fatte con una stoffa ruvida o con un guan-
to di crine ; non s'impieghi l'alcool se non nei
casi estremi. Si dia da bere un cordiale all'infer-
mo, e se la reazione tarda a venire, si ricorra a un
pediluvio caldo.
Nei casi d'annegamento prima che arrivi il dot-
tore, bisogna schiudere i denti del paziente, aprir-
gli la bocca e solleticargli la gola per fargli riget-
tare l'acqua ingoiata; se il solletico non basta, bi-
sogna stirare leggermente la lingua. Poi si ricorro
alle frizioni, si flettono le membra e si preme sul
petto e si soffia aria nei bronchi, per eccitare con
questa respirazione artificiale la naturale
Per evitare i crampi e i pericoli d'annegamento
basta esser prudenti, non presumere troppo delle
proprie forze e particolarmente non mettersi nel-
l'acqua e nuotare se la digestione non è compiuta.
Da un articolo di Pietro Piobb, nelle Lectures mo-
derne* :.
54
Tra furti e «Cci«tsi
delle vacanze è anche il «tempo del
per il pi intraprendente, che ap
spesso dell'assenza dei padroni di casa i»t
• iursi nei domicili altrui, e fai man bassa su
il legittimi imprudente ha la-
n- dei ladri. L'articolo che rias-
.7 ìrmsworth London Magaaine è
uc proprio "li Stagione. i.Uianto a conqictenza,
la rn ura che ■ i itto da un la. Ire...
rifornì
Se v'è uomo che possa coni scei bene il valore
dei vari sistemi di proteggere una casa,
ladro prò! del Egli sorride sulla inutilità
• li tanti catenacci e tante serrature massiccie ed
aeri tre digrigna i denti al pensiero di
igegni semplicissimi che sfidano i suoi mal-
;egni. La direzione della rivista londinese
dunque in cerca di un birbante che fosse
re al pubblico qualche notizia su un
os ini n ssante. Naturalmente ci vo-
li \ a uno che si fosse ritirato dalla professione,
L'NA PORTA CHE NON SPAVENTA I LADRI.
ma che anche fosse cosi pentito della sua
mala condotta da esser disposto a mi
re in guardia il pubblico contro le astuzie dei suoi
_'hi. i>, mi _ mì. ( rrazie ai buoni ni
i della brigata delle prigioni dell I della
Salvezza (eccellente istituzione che fa ottima ope
in. si mise la rivista in relazione min un gentleman
il cui nome era sulle labbra di tutti pochi anni or
sono i"T un turtn audacissimo commesso in casa
di un nobile nel West End di Londra. K l'ex ladro
ha acconsentito volentieri a dare qualche informa
zione interessante sul suo mestiere.
Una porta che spaventa i ladri.
Il punto più debole di una casa è ordinariamen-
te una finestra, perchè permette uno dei più comodi
accessi al ladro. Specialmente sono pericolose
quelle finestre che si aprono come quella che si ve-
de nella pagina seguente. Basta introdurre una
L'ina nel basso per mettere in azione la molla ed
aprire la finestra con la massima rapidità
senza rompere i vetri. Le finestre più.... ne-
miche dei ladri sono quelle la cui chiusura non è
Eatta a molla, ma è costituita da una vite
vale a din- con la parte superiore fatta come quel-
li della chiave. Sul telaio mollile della fini
o ssia sul telaio ohe tiene il vetn ) è praticata una
fenditura verticale per cui, quando la finestra vien
chiusa, entra la lesta della vite; sta viene
pei girata in posizione orizzontale e la fini
non si può più aprire. Allora il ladro non può lar
oltrO che rompere il vetro. Riuscire in ciò. senza
produrre rumore, è fallici dell'arte: basta imps
re sul vetro un pezzo di fida prima di rom-
perlo; ma non sempre si ha la pasta a propria di-
sposizione, e. del resto, ci vuol sempre parecchio
ti mi
DALLE RIVISTE
85 1
Quanto alle porte, una delle migliori chiusure
è sempre costituita dalla vecchia e robusta serra-
tura, specie se è incastrata nel legno. Anche essa
si può forzare, con molta abilità, ma c'è pericolo
che. cedendo, dia il rumore di uno sparo di pisto-
la. I lucchetti, che un tempo valevano poco, ora
Un canale che favorisce
JALFATTORI.
son molto migliorati. Era facilissimo una volta ot-
tener l'impronta con della guttaperca e fabbricare
una chiave falsa di rame ; ma con i lucchetti ro-
bustissimi che usano adesso, v'è molta probabilità
che la chiave di rame non funzioni ; e a farla di
ferro si richiede molto tempo. I catenacci ordinari
non presentano valida difesa. Il ladro ha le sue
armi contro di essi: o li fa saltar via, ovvero li
sega con grande facilità e senza rumore. Le catene
sono assolutamente la migliore difesa per tutte le
Bitte. E' assai arduo forzarle o tagliarle, e fanno
strepito: e questa è la cosa che il ladro più teme.
D'ordinario non si scopre la presenza della catena
se non dopo che si sono forzati i catenacci e gli
altri serramenti, e il primo indizio che se ne ha è
sempre rumoroso. Tagliare una catena è impresa
tutt'altro che agevole, appunto per il rumore che
dà e perchì non si riesce mai a tenerla ferma. Vi
sono strumenti appositi, ma son poco usati.
Una porta col vetro è una delizia per un ladro,
il quale non ha che da rimuovere la vetrina per
entrare. Sono anche pericolose, dal punto di vista
dei padroni, le porte ove è praticata una buca per
le lettere, se dietro la buca non c'è una cassetta.
Allora non occorre grande abilità per far saltare
tutte le serramenta.
La miglior difesa per una porta di casa è cor
stituita da due catene (una in alto ed una in basso)
ed una o due viti ad alette, come quelle cui si è
accennato per le finestre. Una porta cosi munita
sfiderà i più energici sforzi di un ladro, a meno
che questi non si metta a tagliare il legno: impre-
sa difficile e rischiosa. Se si vuol mettere un luc-
chetto, bisogna provvedersene uno forte, di acciaio.
di ottima fabbricazione e fissarlo non per mezzo di
viti, ma più saldamente attraverso il legno della
porta. I campanelli od altri congegni destinati a
dare l'allarme sono di poco vantaggio : la loro pre-
senza è generalmente scoperta, e si ottiene il risul-
tato che non funzionano proprio al momento del
bisogna Naturalmente, se suonano, il ladro non
aspetta altro ed abbandona il campo con la mas-
sima velocità.
Le porte inteme, specie quelle delle stanze ove
si trovano dei valori, debbono essere sempre chiu-
se alla notte ; ma occorre portar via la chiave!
Molta gente crede che lasciando la chiave nella
toppa — dalla parte interna, si capisce — si renda
impossibile di aprire a chi si trova dalla parte e-
sterna. In realtà invece così non si fa che porre la
chiave nelle mani del ladro. Esaminate la porta,
e vedrete che quando la chiave è nella toppa, la
sua fine sporge dal buco della chiave all'altro lato.
Come s'apre una finestra.
Ora il ladro possiede tra i suoi strumenti un pic-
ei ilo ordigno che somiglia ad una chiave di piano-
forte, e che, afferrando la parte sporgente della
chiave, può farla girare e così aprire la porta.
La miglior chiusura per una camera da letto o
per altra porta interna consiste in un cuneo sem-
LA LETTURA
I ti la i»>rta e '1 |'.'\ i
ben ni'
aprire la porta dall'esterno
e nessun ladri
re nella stanza e è
cuno che don Ita, jht :ihn>. è poss
una I. hi i porta e e *i i ssa
tro ' u Pei impedir ciò, l
ilo, per esempio, una !
1 1 ii.i\ imento. Un paio ili pic-
ie dovrebl trovarsi nel bagaglio
: tto a recarsi in lu<>
sulla cui sicurezza non sia perfettamente tran
quillo.
detto, i ladri hanno poca paura dei
campanelli d'allarme et similia; ma ci sono o
icissime per tenerli a distanza. Per esem-
pi ladro entrerà in una casa ove vi sia un
In città son molto pericolosi i tetti e le conduttura
■ ie se i canali passano vidi
finestre. Le spranghe di ferro delle inferriate, se
Come si sforzano le barre.
bambino che pianga, sebbene sfortunatamente il
bambino non pianga sempre al momento opportu-
L'n buon cane prodinv anche ottimo effetto,
ntunque un pezzo di carne avvelenata possa
ridurlo all'impotenza. I cani tenuti nei canili fuori
«li ca di poca utilità, perchè è facilissimo
Ila loro carriera anzi tempo. E se il
ro cane muore improvvisamente senza che
garvi la cagione della morte, bai
ai ladri la notte segue:
di campagna le stanze più minacciate
• i mando i padroni di casa
i da prati/.' e tutti i domestici sono
/ I ladri hanni i cento modi |ht
una stanza da Ietto. I p mi usano
diciamo cosi telesi i piche.
Un cuneo protettore.
non sono molto vicine, non presentano utile difesa,
perchè i ladri posseggono un attrezzo che le
allargare abbastanza da dar passaggio ad un uo
mo magro.
Tra le varie avvertenze che dà l'ex-birbante au-
tore dell'articolo, c'è quella di non chiudere tutt.
le finestre quando si va in campagna, perchè l
Come si rivoltano le chiavi dall'esterno.
vale avvertire i ladri che il terreno è lil»er-
viene invece lar vedere che la casa è occupata e<
. wertire la [m >lizia che si va fuori.
Quanto agli oggetti di valore, la migli- •
che si possa fare è di consegnarli ad un banchieri
cheli tenga in deposito. Altrimenti
a tenerli in casa, il miglior luogo |«-r metterli
quello dove il ladro può mei irsi di tr.
varli.
Un giornalista francese multo reputato. Teodoro
Cahu, si è recato ultimamente a Cléry per esamina-
re i resti mortali del famoso re di Francia Luigi
XI e della regina Carlotta di Savoia sua seconda
moglie, e così rende conto della macabra intervista
nelle Lectures modernes.
Devoto della Vergine, e particolarmente della
miracolosa Xostra Signora di Cléry. presso Or-
léans, il re Luigi XI le fece un voto fin da quando
era Delfino e assediava Dieppe occupata dagli In-
glesi : promise alla Madonna di ampliare la catte-
drale in cambio del suo ausilio nell'assedio. Espu-
gnata la città con poche perdite, mantenne la pa-
rola. Poscia designò il santuario di Cléry come sua
sepoltura, e quantunque avesse una terribile paura
della morte, si fece preparare la tomba in vita, e
vi scese e vi si distese più volte, per assicurarsi
che era adatta alla sua statura. Il sabato 30 agosto
1483 egli morì a Plessis-les-Tours. e il sabato suc-
cessivo, 6 settembre, i! suo corpo fu deposto con
gran pompa nel sepolcro di Cléry : il r novembre
la consorte Carlotta di Savoia ve lo raggiunse.
Oltre i resti di questa coppia sovrana nella cat-
tedrale di Cléry sono sepolti anche i cuori di Filip-
po il Bello e di Carlo Vili, un'altra principessa
di casa Savoia, e un figlio di Luigi XI.
Queste tombe furono violate durante la Rivolu-
zione, nel 1792. II governo della Restaurazione le
fece rimettere in ordine. Si rinvenne allora un'ur-
na, suggellata con otto suggelli vescovili, la quale
si ruppe appena tentarono di prenderla : vi si tro-
vò, insieme con frammenti di ossa umane, un vaso
di madreperla, rotto, il quale conteneva un oggetto
somigliante a una spugna secca : era ciò che restava
del cuore di Carlo Vili. Sul monumento funebre del
re Luigi XI fu ricollocata la statua originale del so-
wami, rappresentato in ginocchio, a capo scoperto:
opera eseguita nel 1622 da Michele Bourdin per
ordine di Luigi XIII. I resti del Re. della sua sa-
bauda consorte e del Delfino sono nella cripta. Si
disse che i protestanti avevano tolto quelle ossa
dal luogo sacro e che avessero giocato alle bocce
con la testa di Luigi XI. Xon è vero: essi si con-
tentarono di rompere il mausoleo.
Gli scheletri sono stati studiati dagli anatomisti,
i quali hanno accertato che sono proprio quelli del
Re e della Regina. I cranii sono segati per l'imbal-
samazione, come si praticava a quei tempi per i soli
rronarchi. La struttura di quei teschi corrisponde
a quella dei ritratti autentici : in Luigi XI è note-
vole la depressione della parte superiore del cra-
nio; in Carlotta il mento piatto, gli occhi grandi,
il naso fine e diritto, il profilo regolare. Di più.
si sa che il cuore di Luigi XI fu estratto dal corpo
e trasportato a San Dionigi ; ora precisamente si
vede dallo scheletro che lo stemo fu segato, opera-
z">ne necessaria per l'estrazione del cuore.
a Lungamente ». dice il Cahu. «ho tenuto il cra-
nio di Luigi XI tra le mani, ed ho pensato che solo
gli umili godono veramente il riposo della morte....
Quel cranio apparteneva ad uno dei re che più ri-
saltarono nella storia di Francia, senza che avesse
la fastosa grandezza di Luigi XIV, né la bonomia
senza fiele di Enrico IV, né il bollente coraggio di
Filippo Augusto. Il romanzo e la tragedia, Walter
Scott e Casimiro Delavigne, l'hanno sfigurato. Ne
fecero un ipocrita sotto il mantello di San Luigi,
un grottesco seduto sul trono, se non addirittura un
carnefice, un codardo, un avaro e un crudele. 1- ss
hanno dimenticato tre sole cose: che discacciò gli
stranieri dalla Francia, che domò i baroni, che uni-
ficò la patria. Per raggiungere questi scopi, due
mezzi gli si presentavano: la spada o il pensiero,
la guerra o la diplomazia. Egli optò per l'oro che
compra le coscienze e la penna che redige i trat-
tati. Sotto quel cranio viveva un grande spirito, a-
gile. conoscitore di tutto il suo mondo. Quest'uo-
mo pagava una pensione a Wanvick. arbitro della
corona inglese ; ai Croy, consiglieri dei Borgogno-
ni ; agli Sforza, tiranni di Milano ; ai principi
della Chiesa, ai turbolenti Liegesi. Se una parola
si diceva sottovoce a Londra, egli l'udiva; se un
complotto si ordiva a Digione o a Bruges, egli lo
vedeva ; se una sommossa scoppiava a Liegi o a
Dinant. egli l'attizzava. La rete della politica eu-
ropea finiva nelle sue mani agili ed operose. Lo
chiamavano il ragno universale. Il peso del suo
scettro curvò la testa di ogni vassallo, la punta
della sua spada o della sua penna raggiunsero il
petto di ogni invasore.... Tenendo quel cranio fra
le mani, io ho ripassato la storia di Francia —
senza nondimeno preferire Fieri all'oggi».
Clie cosa, contiene l'uomo
Un chimico tedesco ha fatto l'analisi chimica del
corpo umano ed è arrivato alle conclusioni seguenti :
Tutti gli elementi costitutivi di un uomo il quale
pesi 68 chilogrammi, sono rappresentati dal bianco
o dal giallo di 1200 uova ordinarie. Allo stato
fluido, lo stesso uomo fornirebbe 98 metri cubi di
gas. e tanto idrogeno da gonfiare un pallone a-
vente la forza d'ascensione di 70 chilogrammi.
Il corpo umano contiene inoltre tanto ferro da
potersene fabbricare due grossi chiodi ; tanto grasso
da farne 6 chilogrammi e mezzo di candele; tanto
carbonio da fare 65 dozzine di matite, e tanto fo-
sfuri) da rivestirne le capocchie di 820 mila fiam-
miferi.
E non bisogna neppure dimenticare 20 cuc-
chiaini di sale, 50 dadi di zucchero e 42 litri ili
acqua.
Ecco che cosa contiene un uomo !...
molto tempo che La pan. la a-
i nome d'una nota città : Arras.
ii chiamano arazzi quei tessul i < 1»' •
l raj col ne me ili i e, gli [n-
. . i Tedeschi lo /><■ ti u. • ■ che
la i ina venne dopo che i modelli della
mpi i ìli atti degli Apost m
si a Leone X a Raffaello, furono eseguiti ad
Ma il Gerspach ha dimostrato l'errore, per-
n osi modelli furom i messi sui telai a I ini
arazzi giunsero al Vatic ri 1519
1520, mentre la parola trova fin dal 1498
nelle prei Savonarola quando il frate sca-
ì e. .litro il lusso del .'ìero. La qua!
. se vuol dire clic* la parola arazzo non venne
noi con gli Alti degli Apostoli, non implica che
non venisse da quegli artisti ili Arras i quali un-
tarono la nuova industria in Italia.
L'origine .li quest'arte si perde nella notte dei
tempi mitologici. La conoscevano gli Egiziani 3000
anni prima dell'E. V. come lo provano le pitture
di Beni Hassan ; anche i bassorilievi che copriva-
no il palazzo .li N'inive, dimostrano che quest'arte
era coltivata in Babilonia. Si citano pure i ricchi
tessuti di Salomone e l'industria sviluppatasi in
A 11 dopo la lunga prigionia degli Ebrei, e le stof-
fe di seta dei Cinesi. Anche in Grecia questi tes-
suti furono noti, e un campione è stato conservato
nel famoso tesoro degli Atridi a Micene. Elena
lavorò a una gran tela rappresentante la guerra di
Troia. I Fenici portavano, fra le altre mercanzie,
sti 1 ate. Sopra un vaso antico è rappresen-
1 telaio di Penelope, di poco diverso dai te-
lai ili atto liccio. Di diverso dai telai moderni non
litro se non questo: che il lavoro si cominciava
dall'alto.
In Oriente l'arte dei tessuti el.l.e importanza
massima, particolarmente a Bisanzio, il maomet-
mo l'adottò. Nel Medio Evo sembra che l'alto
liccio toss.- lavorato solo in Persia e negli Stati
. perchè i vari tessuti bizantini arrivati sino
he broccati. Ma anche in tempi di
decadenza si trovano traccie di arazzi, in F rancia,
rs e a Limoges, in Inghilterra, in Germa-
Col Rinascimento, l'arazzo risorse, prima che
e in I- rancia e in Fiandra, a Parigi, ad Ar-
es, nella prima metà del XIV secolo;
ma l'industria prese cor]*, realmente sotto Carlo V
(1364-1380); i suoi successori, il re Carlo VI e
suo fratello, il duca Luigi d'Orléans, lasciarono una
vera ricchezza. Di quell'epoca si a risi rvano magni-
come la Storta del romanzo dello
fi .. le Dame clic par/ono per lo cocciii. ecc. L'a-
razzo rappresentante la Storia di Alessandri fu
rare il figlio di Filippo t'Ardito, 11
inasto, alla battaglia di Nicopolis, nel 1396, pri-
gioniero del Sultano, il quale lo rilasciò quando
ricevette, pel riscatto, due bestie da soma cai
di drappi di alto liccio.
Alle grandi rappresentazioni cavalleresche suc-
cesseli, le siine sacre. Verso la fine del secolo si
òa far sentire l'influenza della pittura ita-
li.in. 1. e la prospettiva perfezionata da Van Dijk
e dai fiorentini permise un maggiore sviluppo nelle
composizioni. Col pieno Rinascimento gli arazzi
nnero veri quadri. Arras, do]>o aver lottato
in l'augi, ne trionfò; Francesco I impiantò una
nuova fabbrica a Fontainebleau nel 1530, per la
quale artisti italiani, il Primaticcio fra gli altri,
fecero dei cartoni. Allora gli operai erano pagati
da dieci a quindici lire il mese (la lira pesava do-
dici onde d'argento puro) e la famosa Storia di
Scipione, eseguita a Bruxelles su cartoni di Giulio
l'i li1 ini .. I n pagata 22 nula scudi.
Per nozze, il dono di arazzi era uno dei migliori.
Pel matrimonio di Caterina dei Medici ne furono
eseguiti appositamente, e ne esistono ancora alcuni
portanti le armi di Francia e quelle ili Casa Mi
dici. Sotto Enrico II e III l'arte decadde; risorse
per opera di Enrico IV, il quale accordò patenti
di nobiltà agli arazzieri Marco di Commans e
Francesco de la Bianche. Questi si stabilirono pres-
so la fabbrica che Jean Gobelin aveva impiantato
nella metà del XV secolo sulla Bièvre. affln
della Senna, le cui acque si credevano avere, ma
si è oggi dimostrato che non hanno, una virtù spe-
ciale per la colorazione delle lane. I Gobelin spe-
sero somme enormi, e la loro follia divenne prover-
biale: si diceva a proposito di qualunque si ■
(bizza: E' la follia dei Gobelin.
Il secolo XVI li finisce per la fabbrica dei GoJ
belin col 1780. La copia dei quadri produsse una
vera rovina, perchè si ebbero dei quadri tessuti,
non più invenzioni originali. La Rivoluzioni sepa-
rò le manifatture regie dall'Amministrazione della
lista civile il 29 novembre 1792. Roland protesse
le fabbriche e gli arazzieri facendo ottener loro dei
sussidi. Il nuovo direttore. Agostino Belle, ottenne
di festeggiar Marat e Lepellettier bruciando ai pie-
di dell'albero della libertà vati arazzi; fu roni > tra
gli altri distratti quelli rappresentanti la visita di
XIV ai Gobelins.
Nel 1794 il Comitato di Salute Pubblica mise
lo stabilimento sotto la sorveglianza della Commis-
sione di agricoltura ed arti.
Napoleone, appassionatissimo degli arazzi, pro-
tessi la fabbrica dei Gobelin, dove oggi esiste una
vera scuola con quattro corsi: scuola di disegno
eli mentare, (orsi superiori, l'accademia e la si
degli arazzi. C'è un museo con acquerelli, obie-
zioni di fotografie, disegni del Van der Muelen,
ecc. Con quello di Firenze è il solo museo speciale.
(Da un articolo di Amia Franchi nella Natura ed Atie\.
Kor^a e salute
Non sempre si può dire che i muscoli di un atle-
ta siano buoni muscoli. Accade spesso agli atleti
di trascurare lo sviluppo armonico e razionale di
tutti i muscoli del loro corpo, intesi come essi sono
quasi esclusivamente a rafforzare certe parti sol-
tanto. Taluni di essi, dopo aver trascorso l'intera
loro vita nelle lotte e negli esercizi più straordinari,
perdono improvvisamente ogni energia e muoiono
di malattie polmonari. E ciò perchè essi hanno sa-
crificato la salute alla forza: la natura non concede
tali traviamenti, e presto o tardi punisce chi offen-
de le sue leggi. Volendo — assicura l'autore degli
articoli che riassumiamo — voi potrete diventare
atleti in sei settimane: basta che facciate certi e-
sercizi con grossi manubri da venticinque o cinquan-
ta libbre: ma in tal modo diventerete grandi mac-
chine muscolari, capaci di sollevare un peso assai
greve ; ma non saprete correre, non saprete saltare,
né fare alcuno di quegli esercizi che richiedono agi-
non sono necessari, come si vede dalle figure. Per
i primi esercizi è sufficiente un bastone comune.
Fig. I.
Fio. 2.
lità, e soprattutto non saprete farli con grazia. La
miglior cosa è conformarsi alle leggi della natura,
acquistando salute e forza insieme, non sacrificando
luna allaltra. Ognuno dovrebbe studiarsi di cu-
rare quanto meglio è possibile i propri muscoli, in
guisa che le braccia e le gambe, sviluppandosi, non
perdano elasticità, che il corpo non si irrigidisca.
e via dicendo. Sviluppate la vostra forza sin che
volete, ma badate che questa forza vi torni non a
danno, bensì a vantaggio.
Per mettere i propri muscoli in condizioni di
salute e di agilità durante un periodo di attivo ad-
destramento, bisogna sottoporsi ad una serie di e-
sercitazioni che richiedono molta cura, molta pa-
zienza e quasi quasi anche un po' di dolore, perchè
taluni degli esercizi qui illustrati sono, almeno in
{ rincipio, alquanto dolorosi. Attrezzi ginnastici
Fig. 3.
Fig. 4.
non troppo pesante e della lunghezza di circa un
metro e mezzo.
Prendete il bastone alle due estremità e tenetelo
a braccia tese innanzi al petto. Poi, portate il
peso del corpo quanto più è possibile sulla gamba
sinistra, inclinando a sinistra ed in avanti il
busto (fig. 1); in questa posizione dovete restare
qualche momento; poi dovete tornare diritti e ri-
petere l'esercizio sei o sette volte: indi, dopo un
po' di riposo, dovete fare lo stesso dalla parte de-
stra. Altro esercizio utilissimo, da fare pure col
bastone, consiste nel portar questo dietro la schie-
na, alzare un'estremità con un braccio ed abbassare
l'altra, cercando di stendere tutti i muscoli. E' dif-
Fig. 5.
Fig. 6.
I.A 1.1 II I H \
uoni effetti che se ne ot-
tlluoghi -
7\\
Fig. 7.
Fig. 8.
dinariamente, che le giunture si snodino completa-
mente Ed ('■ questo appunto che si deve cercare
2).
Per allargare il petto, i polmoni e le spalle.
il bastone innanzi al petto, come nella pri-
ma posizione del primi» esercizio, sollevatelo so-
,>ra i elo in basso e indietro quanto
punture ve Io consentono. Raggiunta la posi-
L] 'presentata nella lig. ,}. respirate profon-
damente, lentamente, empiendovi bene i polmoni
nell'aspirazione e cacciando fuori tutta l'aria nel-
irazione. L'esercizio sarà doppiamente utile, e,
0 ogni mattina per due 0 tre minuti, vale ad
allargare la parte superiore del busto rapidamente.
i segnati nelle ligure 4, 5 e 6, non oc-
corre il bastone. Stendete le braccia in alto, e pie-
gate il corpo indietro sin che l'equilibirio ve lo per-
nio. 9
Fig. i".
■ poi piegate il 1 orpo in avanti con le bra 1
11 too an 1 le punte dei
le dita delle mani. In principio, pochi
vi riusciranno senza piegare le ginocchia, ma 1 u
ste non vanno piegate, qui sta appunto la difficol-
tà ed il vantaggio dell esercitazione ; comunque,
con la pazienza, tutti dovrel>l>ero riuscire. Infine,
sollevandovi sulla punta dei piedi, sedetevi sulle
ginocchia non già lasciandovi cidenv ma lentamen-
te ; e poi rialzatevi pure lentamente senza valervi di
alcun appoggi . \nche in questo non tutti da pria
cipio riusciranno, ma i sempre questione di tempo
e di Intona volontà.
Passiamo ad una feconda serie di esercizi (lig. 7,
8 e 9). Per essi occorre una corda elastica 1
busta. Prendete questa corda e tenetela con le mani
dietro la schiena, in modo che tra una mano e l'al-
tra ci sia poco meno di un metro di distanza. Porta-
te avanti il piede sinistro, ed inclinando il corpo in-
dietro ed a destra, sollevate il braccio destro ed al>-
bassate il sinistro: la cosa vi parrà facilissima e
non richiederà grande sforzo. Arrotolate la corda
attuino al pugno, in mode che la parte interposta
fra le due mani sia accorciata, e ripetete l'eserci-
FlG. II.
Fio. i-1.
zio; questa volta incontrerete maggior difficoltà;
ma se ancora vi accorgete di non fare vero sf
arrotolate ancora la corda, arrotolatela sempre, sin-
chè non sentiate che i vostri muscoli proprio lavo-
rano. In questa guisa il braccio si rafforzerà con
progressione lenta, ma sicura. La rapidità non im-
porta: l'autore ha già messo in guardia i princi-
pianti contro gli esercizi che danno una forza stra-
ordinaria in sei settimane, ma rovinano la salute
Si può variare l'esercizio tenendo una delle
inità della corda sotto un piede, e l'altra ora
la mano d. -si ra. ora con la sinistra, e piegando >'
stendendo il braccio.
Questi ultimi sono esercizi di pura forza.
Ma bisogna sempre avere in vistami dopp
pi 1 : rafforzare i muscoli, e dare al corpo scioltezza e
S latura. In generale, i vari esercizi ordinati B
questi due scopi diversi dovrebbero essere alternati.
Bastano semplicissimi movimenti per dare sciol-
te//.! ali* membra intorpidite. Quelli rappresen-
tati dalle ligure io, 11 e 1: non richiedono si
e sono efficacissimi. Uno consiste semplicemente
DALLE RIVISTE
85?
nello stendere le braccia sopra il capo quanto più
è possibile ; un altro nel sollevare alternativamen-
te il braccio destro e il sinistro, ed abbassando l'al-
tro; il terzo consiste nel portare le mani ai fianchi
ed inclinare il corpo ora a destra ora a sinistra,
senza curvarlo in avanti.
L'na terza serie di esercizi si vede nelle cinque
figure di questa pagina.
E' facile intendere di quanto vantaggio essi deb-
bono essere non solo per le braccia e le gambe.
che sono costrette a sollevare il peso del corpo, ma
anche per la schiena. La spina dorsale non può non
Fig. 13.
essere straordinariamente rafforzata se si facciano
queste esercitazioni. Non sono necessarie molte
spiegazioni. Si appoggiano sopra una seggiola i
calcagni e si puntano le braccia a terra; indi si
alza e si abbassa il corpo alternativamente per sei
o sette volte, od anche più, secondo la robustezza
dell'individuo. In principio, del resto, non è neces-
sario ripeter l'esercizio molte volte: si può andare
gradatamente aumentando. Lo stesso si fa poi con
il corpo prono, appoggiando sulla seggiola non i
calcagni, ma le punte dei piedi. Si può fare un mo-
Fig. 14.
vimento consimile sul fianco, ma è alquanto diffi-
cile.
Un movimento analogo a quello segnato nelle
figure 15 e 16 si può fare anche senza seggiola,
stendendosi proni a terra, e sollevando il corpo
sulle braccia; se questo esercizio è bene eseguito,
senza che si pieghino né le gambe né la schiena,
ma tenendo tutta la persona rigida, si fa una gran-
de fatica, che per altro benefica quasi tutti i mu-
scoli del corpo.
Gli esercizi cui si riferiscono le figure 18, 19 e
20 sono esercizi di forza, utili più che altro per la
posizione che tiene il corpo e destinati a beneficare
particolarmente la schiena.
Nelle tre figure successive, le linee cui sono ap-
Fig. 15.
poggiate le mani dell'uomo rappresentano lo sti-
pite di una porta. Prima posizione: mettetevi sulla
punta dei piedi, tenendovi ben diritti. Seconda po-
sizione: abbassate i piedi e spingete il corpo in-
dietro. Terza posizione: spingete il busto in avanti,
con moto repentino, più che potete. Xel compiere
tali movimenti, dovete sempre respirare profonda-
mente: allora è che recano maggior vantaggio. Del
Fig. 16.
resto si scorge subito quanti muscoli siano mes-
si in azione, e come il petto e la schiena debbano
trarre giovamento.
Le ultime figure fanno vedere altri esercizi che
giovano a diverse parti del corpo, al collo, alle
gambe, alla schiena, ecc. L'ultimo, piuttosto difficile,
consiste nello sdraiarsi a terra supini e nell'alzarsi
poi a sedere senza valersi dell'aiuto delle mani e
senza piegare le gambe. Senza esercizio non riusci-
Fig. 17.
rà certo a tutti di mettersi seduti, ma anche il sem-
plice sforzo, ammesso pure che non abbia successo,
basta a rinvigorire le gambe ed il dorso.
LA l ETTURA
non si limita a consigliare fare lunghe passeggiate. Se non abitate a più di
il regime di vita un miglio ,. due di distanza dal luogo dove
lon riuscì gli affari, recatevi ali ufficio o a bottega ogni mal
tina a piedi. Se a tal imi»- vi è necessario levarvi
mezz'ora prima, levatevi mezz'ora prima.
«Partite camminando rapidamente e risolutami
te; non indugiatevi, non andate avanti svogliata-
mente come se foste ancora mezzo addormentati;
ma procedete diritti, col capo alto, il petto ap
li... 18.
rsi muscoli potentissimi se non conformandosi
rmi che da principio sembrano fastidio-
poi, cor la consuetudine, entrano così Viene
nella natura s'essa dell'individuo) che ogni senso
di i ompare.
Tutti, assicura l'autore, sottoponendosi a tali nor-
me, ecompiendo gli esercizi da Ini consigliati, pos-
sono diventare fortissimi e robustissimi. Egli stes-
ra un giovine molto macilento e deb le j ma
Fig. 19.
> un anno di esercitazioni pazienti si costituì
una tale muscolatura, che al concorso per la «cul-
tura fisica» bandito dal New York Journal conse-
gui il primo premia
l,i principale delle norme accennate è quella di
r spirar bene; respirare profondamente e lenta-
mente, per la via del naso, con la bocca chiusa.
I spalle debbono essere aperte, il petto spinto in
avanti e lo stomaco indietro, in maniera che i
Fio. 20.
polmoni abbiano libero giuoco. Imparato questo,
to il più.
consiglio ai giovani — dice l'autore — di
© 1
Fig. 21.
Fig. 22.
in modo da allargare i polmoni alla loro massima
capacità. Dovete spiegare energia e risolutezza. Per
fare un miglio non ci dovrebbero volere più di
quindici o venti minuti. La velocità di tre miglia
Fig. 23.
Fig. 24.
all'ora implica un buon passo, abbastanza rap
ma non così da stancare o da far sudare troppa
Ma se provate troppo caldo, andate più adi
\..n è prudente entrare in ufficio in uno stato di
eccessiva traspirazione; al vostro tavolo sareste me
no attivi, e sareste tentati di aprire le finestre, col
rischio di prendervi un malanno, perdendo
tutto il vantaggio della passeggiata, anzi rimetten-
doci.
DALLE RIVISTE
s;.( i
« Troverete presto quale sia il passo che vi con-
venga. Tenete a niente il fatto che passeggiate per
godere buona salute, e ricordatevi sempre di em-
FlG,
Fig. 26.
pirvi i polmoni ad ogni respiro. Dormirete meglio,
lavorerete meglio e mangerete con più appetito ; e,
ciò che è più, in poche settimane vi accorgerete
che il vostro petto va guadagnando parecchi centi-
metri in larghezza.
«Se, dopo il vostro lavoro quotidiano, non siete
troppo stanchi, tornate a casa a piedi, facendo
ancora gli stessi esercizi di respirazione compiuti
la mattina. Ma se vi sentite stanchi, non cammina-
te : non vi farebbe mai bene. Se abitate troppo lon-
tano dalla sede dei vostri affari, e vi riesce impos-
sibile percorrere a piedi tutta la distanza, cammi-
nate almeno per un miglio o due, e fate il resto
della strada in carrozza o in tram. Un giovane non
può avere nessuna scusa per non camminare af-
fatto.
« Un'altra cosa. Non dovete immaginare che la
passeggiata quale ve l'ho consigliata possa giovar-
vi se la fate una volta la settimana o una volta il
mese. L'esercizio, di qualunque specie esso sia, è
benefico soltanto quando venga ripetuto sistematica-
mente: dovete fermare il proposito di percorrere
a piedi almeno due miglia al giorno.
1 Anche prima di andare a letto è utile fare una
passeggiata, ma basta che sia breve; ne occorre
riscaldarsi troppo. Tuttavia, se si vive in un luogo
segregato, ove si goda di completa libertà, si può fa-
re il seguente esercizio che è straordinariamente pro-
fittevole: proponetevi di percorrere un miglio o due,
e fatelo, parte correndo, parte camminando di buon
passo, alternativamente. Nel correre non dovete
saltare, ma fare un passo lungo e rapido, come in
un piccolo trotto. Troverete che ciò vi farà respi-
rare più profondamente. Finito il percorso, reca-
tevi a casa immediatamente, senza arrestarvi per
via, senza soffermarvi a parlare con alcuno; en-
trate subito nella vostra stanza, asciugate il sudo-
re con una spugna ; poi con un'altra spugna, senza
adoperare sapone, lavatevi, ed infine con una terza"
spugna strofinatevi forte. In capo a pochi minuti
sentirete un vero benessere, un sano calore per tutto
il corpo. Allora andate a letto, andatevi subito.
«A proposito di passeggiate, va notato che se
il fumare è sempre dannoso, è particolarmente
sconsigliabile l'uso di fumare per la strada duran-
te le passeggiate. Tutto il beneficio della respira-
zione va perduto».
Insomma, ciò che può dare forza, salute e buoni
muscoli è la perseveranza in esercizi non troppo
Fig. 27.
Fig. 28.
violenti, ma razionali, l'abitudine delle passeggiate,
di non fumare, di non bere liquori, il mangiar cibi
sani, masticar bene, ecc. E: con questo regime, ri-
petiamo, che lo scrittore assicura di essere dive-
nuto in un anno, da giovane malaticcio e debole
che era, un ottimo campione dell'umanità.
(Da una serie di articoli dell' American Magazine, setti-
manale).
Fig. 29.
Tra
i pompieri
li, in cui il combattimento col
il salvataggio Ielle persone sono acciden-
e pericolos mpre qualche pompiere che
si distingue partici per azioni ili eroismo;
alcui però, le a/ioni più clamorose non
sono necessariamente le più audaci e le più ardite.
lotta col fuoco è piena ili incidenti e ili emo-
ni pompiere compie non uno. ma
molti atti ohe fanno fede del suo coraggio, della
sua freddezza, della sua energia, della sua riochez-
Lawrrncb k Clvton.
za di risorse. Ma se è facile riconoscere in tutti l'e-
sistenza di tali faci .Ita. a volte esse si rivelano con
fatti tali che colpiscono la fantasia. Lavorare nel
perìcolo è il mestieri- dei pompieri, di tutti i pom-
pieri, ma in tutte le grandi città, si può dire, \
un ceno pompiere che è rimasto celebre e magari
anche leggendario.
Manchester, per esempio, ha il pompiere La-
wrence, che si acquistò fama nel 18Q4. in occasio-
ne di un incendio scoppiato in certi magazzini al-
l'angolo della Prince's Street
con la Portland Street. L'incen-
dio era gigantesco. Tutto il ca-
seggiato era investito dal fuoco,
che, propagatosi dal basso al-
l'alto, l'aveva conquistato piano
dopo piano, spingendosi sino al-
l'ultimo. Tutte le persone erano,
0 si credevano, salve: d'improv-
viso, un grido corse tra la fol-
la: a C'è un uomo sui tetti». Su-
bito vien rizzata la scala; ma
è troppo cuna: non giunge al
cornicione della casa, e per farla
arrivare più in alto che si può,
bisogna ]><>rla ijuasi perpendii-o-
larmente contro il muro, tra le
vampate dell'incendio. Non im-
porta: è necessario, e non biso-
gna esitare. Due pompieri. La-
wrence e Clayton, tentano inva-
no di salire sul tetto per la
la interna della casa, respinti
dal fumo asfissiante, tornano sul-
la strada, e si lanciano su per
la scala appoggiata al muro
fiammante. Ora sono in cima:
tutto sembra inutile: il corni-
cione è ani-ora troppo alto, e
non si può toccarla Ma La-
wrence, senza esitare, si sia
verso il cornicione, s'afferra al-
l'orlo con una mano, piega il
braccio, s'afferra con l'altra ma-
no, e sale sopra il tetto. Dopo
pochi minuti, ricompare
tando un corj>o inerte, lo passa
a Clayton che barcolla e si tie-
ne a stento in equilibrio sulla
vertiginosa estremità della
la, e poi. mentre Clayton scende
coll'uomc sabato, salta sulla
scala stessa: salto spaventi
quell'altezza.
Che in tali atti di valore al>-
bia influenza l'eccitazione, è fuor
di dubbio. Infatti se ne compiono
t"^ '
DALLE RIVISTE
M.i
spesso di inutili : il caso del pompiere Cragg lo di-
mostra. Era scoppiato un incendio in un negozio a
Rochdale. nel Lancashire. Nei piani superiori, ben
presto invasi dal fumo e minacciati dalle fiamme,
si trovavano parecchie ragazze, una signora e al-
cuni bambini. Di tutte queste persone, minacciate
gravemente nella vita, talune si salvarono quasi
miracolosamente per la scala, altre saltarono dalla
finestra e furono raccolte sui lenzuoli stesi sotto
dai pompieri, ma due bambini, così atterriti da
essere incapaci di muoversi, erano rimasti in una
delle stanze superiori. Saputo ciò, il pompiere
Cragg, attraverso ii fumo che quasi lo accecava,
sali la scala della casa, e, guidato da un suoni i ili
gemiti, giunse nella stanza ove si trovavano i bam-
bini, insieme con un cane. Prese uno dei bambini,
e, scendendo a precipizio la scala, lo condusse a
salvamento. Respirò un poco d'aria libera per riac-
quistar forza, tornò indietro e salvò l'altro bam-
bino. Ciò fatto, affrontò per una terza volta il pe-
ricolo, ora più terribile di prima, perchè l'incendio
andava sempre più ingrossando e propagandosi.
per salvare.... il cane.
I pompieri non si valgono mai delle scuse che
spesso si offrono loro per distoglierli dall'affrontare
gravi pericoli. In un gravissimo incendio scoppiato
a Londra, quando erano arrivati i pompieri con le
loro macchine, il fuoco aveva già investito tutto l'e-
difizio. Con grande difficoltà, e concentrando tutti
i getti delle pompe su un punto solo, si era riuscit
a portare a salvamento da una finestra del secon
piano un uomo ed una donna,
quando si seppe che v'era anco-
ra un bambino nella casa. Nes-
suno credeva che esso fosse
ancora vivo. Il fuoco aveva in-
vaso completamente la parte su-
periore della casa, ove infuria-
va indomabile. Pareva vana au-
dacia tentar di penetrare nell'e-
difizio con un'infima probabili-
tà ili salvare una vita, con gran-
dissima probabilità di aggiunge-
re un' altra vittima all' in-
cendio.
vi s \
Questo dicevano tutti al capo
dei pompieri. Dane, che parla-
va di tentare il salvataggio ; ma
egli respinse le scuse che gli si avanzavano: non
volle che una vita andasse perduta per man-
canza di buona volontà da parte sua. Quindi deli-
berò di entrare nella casa. Due pompieri diressero
il getto delle pompe sulla finestra, fu piantata una
scala, e Dane salì sopra, scavalcò il davanzale, e
scomparve nell'interno. Il calore ed il fumo sulle
prime lo fecero indietreggiare, ma egli si riebbe
presto, ed intrepidamente andò avanti, strisciando
con le mani e con le ginocchia sul pavimento, ove
gli era più facile ricevere un po' d'aria. Con la
faccia contro il tavolato, egli procedette nell'oscu-
rità soffocante, arso dal calore, a tastoni. Final-
mente la sua mano toccò un corpo abbandonato
sopra una seggiola. Dane lo prese, e, guidato dai
bagliori dell'incendio e dall'acqua, tornò alla fine-
stra. Il bambino era ancor vivo: questa fu la mag-
Dennis Rver.
giore ricompensa dell'ardito Dane. La sua azione
è particolarmente notevole pel fatto che il Dane
era capo della brigata dei pompieri. Il comandante
si impone ai subordinati con la virtù dell'esempio.
non già limitandosi a dare ordini stando egli stesso
al sicuro.
Un buon pompiere deve essere un atleta : ad ugni
istante egli può essere chiamato a compiere un'im-
presa che richiede grande forza ed attività. In un
incendio scoppiato alcuni anni or sono nella Setti-
ma Avenue a Nuova York, una signora, che avrebbe
potuto salvarsi facilmente, era tornata indietro per
prendere un pappagallo : ma quando fu sul punto
di discendere la scala, trovò che le fiamme le ave-
vano tagliato la strada. Corse alla finestra (stava
LA LETTURA
quanto fiato aveva
apierì, die si trovavano
■ irda; ma la signora
: Ed ecco uno dei tre
la corda attorno
3so dai due compa-
prender que-
o quel fardello a tanta
\ ssuna scala poteva giun-
due pom] ira uon poteva
su quel doppio pesa Bisognava ohe Dennis
i ed alla signi i
che quella stessa per ali debliono entrare i sal-
vatori \<>n è sulle alte scale o sui parapetti delle
finestre che i pompieri compiono le loro azioni più
belle ed eroiche, ma giù nelle l lamenta, tra l'o-
scurità piena ili turno e di vapori velenosi. Un in-
i ruilii. sotterraneo avvenne a Muova York nel 1897.
Il Cuneo era scoppiato nelle cantine di un maj
/ni", esalando quei vapori pestilenziali che sin
brano sfidare la resistenza dell'uomo. Uno dei ]*>m-
pieri si era staccato dai suoi compagni, e. soffi
dal fumo, si era lasciato radere a terra. Gli altri,
accortisi di non averlo più con loro, si diedero a
UN PONTE UMANO.
ra. Egli notò che la finestra vicina era immune dal
era altro da tare che raggiungere
quella finestra e presto, perchè il peso lo stancava.
M - lo una mano al muro, egli
si mise in moto rolla signora, oscillando come un
peni a sinistra; ad ogni oscilla-
zione si avvicinava sempre più alla fin uan-
nalmente la r. alla donna di ab-
la lanrio dentro la casa, con uno
sforz . spezzando i vetri e il legno del te
laio. gli stesso
ra.
dì più terriliili per i pompieri sono
nelle cantine, dove il fumo
stagna pesante e s e non ha altra uscita
cercarlo, immaginando che egli dovesse correre
qualche grave pericolo; ma per quanto face>-
non riuscivano a trovarlo. Andavano e venivano at-
traverso il fumo, essi stessi minacciati continuamen-
te di soffocazione, costretti ogni tanto ad uscire
all'aperto, perchè non ne potevano più. Finalmente
l'uomo perduto fu trovato e portato fuori; ma di
lì a poco spirò. Se egli fosse vissuto, la cosa sareb-
Stata dimenticata come un semplice accidente.
Morto, si comprese che egli era un eroe.
Pure a Nuova York fu estremamente dramma-
tiro l'incendio dell'Hotel Rovai, in cui si disi
per gesta inaudite il sergente Vaughan. La gente
saltava dalle finestre pazza di terrore, o aspettava
soccorso nella disperazione. In una stanza deH'ul-
DALLE RIVISTE
863
timo piano si trovavano quattro persone già rasse-
gnate alla morte, quando giunse il Vaughan in loro
soccorso. Egli era salito su per una casa vicina, e
(imi era pervenuto a poca distanza dalla finestra
della stanza ove si trovavano i quat-
tro disgraziati. Ma c'era di mezzo il
vuoto, e quelle persone non poteva-
no passare con un salto da una casa
ali altra. Allora il Vaughan si spor-
se fuori della stanza ove egli si tro-
vava ; si fece tenere per una gamba
da un altro pompiere, puntò l'altra
su un intrico di fili elettrici che si
trovava vicino, e con le braccia si
afferrò alla finestra della stanza mi-
nacciata, facendo per tal guisa del
proprio corpo un ponte pei quale tut-
ti poterono salvarsi. Dopo ciò, egli
salì sul tetto, e vide dalla parte op-
>ta, ad una finestra dell' ultimo
piann, un uomo che non aveva via
di scampo dal fuoco. Vaughan, sem-
pre per i tetti, potè giungere sopra
la finestra, ove stava tuttora il di-
sgraziato. Dal tetto alla finestra c'era
poca distanza : una corda, un pez-
zi i di legno, un canale sarebbero ba-
stati a trarre in salvo quell'uomo,
ma mancava tutto. Allora, ancora
una volta, furono il coraggio e la
ricchezza di risorse del Vaughan che
irono la situazione. Egli ordinò
ai suoi subordinati di tenerlo per le
gambe, mentre egli, stendendosi giù
dal parapetto. a\ rebbe preso l'uomo.
1 pompieri, per tenere più solidamen-
te il sergente, si sedettero sulle sue
gambe, premendole forte contro il
davanzale del finestrino ove si tro-
vavano. Vaughan. con la testa all'in-
giù. si sporse in basso più che potè,
ma nemmeno così, per pochi centi-
metri, poteva toccare l'uomo che si
era proposto di salvare. Allora il
bravo sergente gli ordinò di spiccare
un salto in alto: l'altro obbedì, e i
due individui rimasero sospesi ed
oscillanti, tenendosi per le mani con
tutta la forza, a più di venti metri
dal cortile. I pompieri che tenevano
Vaughan per le gambe cercarono di
"irar su i due uomini, afferrando le
gaml>e dell'eroe come se fossero state corde, e fa-
cendo scricchiolare tutte le ossa e tutti i tendini;
ma il peso era troppo forte e non riuscirono.
Con le teste che si toccavano, le braccia intrec-
ciate, i due penzolavano inerti ed impotenti. Ma
mentre così oscillavano, venne al Vaughan un'ispi-
razione: lanciare il suo carico sul tetto. I suoi com-
pagni, di sopra, osservavano ciò che egli faceva,
senza fiato. Innanzi e indietro egli faceva oscillare
il corpo del poveruomo, con impeto sempre cre-
scente; infine, con uno sforzo supremo, lo lanciò
! in alto. Quelli che stavano sopra poterono affer-
rarlo: era salvo. Subito fu tratto su anche il Vau-
ghan, che cadde esanime al suolo dopo tanto sfor-
zi i. Non passò molto tempo, per altro, prima ch'e-
gli si riavesse. Egli medesimo prese l'uomo che
L'ultimo salvataggio di Vaughan.
aveva salvato e lo portò sulla strada. Quell'uomo
era ancora svenuto, ma anche il Vaughan era ri-
dotto a tale stato, che ci vollero parecchi mesi a-
vanti che riacquistasse pieno vigore.
Quando si incendia un edificio ove si trovino ma-
terie esplosive, l'opera dei pompieri diventa ancora
più difficile e pericolosa che negli altri casi. Di re-
cente si incendiò una fabbrica chimica a Wand-
sworth, in Inghilterra. Due pompieri, Jacobs e
Ashbv, presa la conduttura della pompa, entraro-
no nell'edificio per domare il fuoco, che infuriava
nel secondo piano. Siccome la scala era libera dal-
LA LETTURA
stremiti opposta dell'e- La frase 1N011 li" fatto che il mio dovere», che
.,.1 all'ultimo vii .ii spesso posta in bocca agli eroi |M>|xilari. a
gere meglio il getto vi che l'espressione 'li una modestia Ì|m>-
con calma, quando ri- crìta, ma quasi sempre è l'onesta convinzione del
pompi re: l'eroismi la prontezza ad arrischiare la
vita, e, occorrendo, a perderla («t salvare quella
degli altri, tutto questo non gli sembra che il do-
vere.
Entrate in una ras. ima ili pompieri. Là ■•
la macchina rossa, bella, lucente, ingegnosa; ma
non vi parrà a tutta prima molto interessante. Do-
po, però, avvertirete un siimi" continuo, un Imm-
tolio sordo ed incessante: la macchina è sotto va-
nell'aria uno scoppio tre-
l : ■ 1 \ nata, e il fuoco p
ii due. Essi
■ a \k--t chi) rso e calarsi
: lieri, ma la finestra era
iai re 'li ferro che era ini|«»s-
sibil I due p '••■ in una
vano condannati a morte. Tut-
ando l'apertura «li un ventila) re, Vshby,
e piccolo, potè uscire Iu.tì. aiutato j ,.,„., Alicia essa cambia aspetto per voi; è una
il s< ala era stata appoggiata con
tm il ninni: non era alta abbastanza, ma Ashby,
andò un salto, potè raggiungerla e salvarsi.
ito l'altro, che era grosso e non poteva pas-
i ipertura praJ icata, tace a sfi irei inutili,
che la folla dal l'asso contemplava inorridendo.
D mprowiso egli scomparve, e 'li lui. ad incendio
finito non si trovarono che pochi avanzi.
Nel terni. ile incendio che scoppiò nel giugno
so nella via Regina Vittoria a Londra, il pom-
piere West fu certo l'eroe. Le scale erano troppo
corte ili almeno un metro e mezzo. e<l alle finestre
dell'ultimo piano le vittime cieche 'li terrore urla-
vano invocando soccorso Fu allora che il maggiore
I \. munito di una conia, e accompagnato da di-
versi pompieri tra cui West, salì sul tetta La corda
fu li orno alla vita di West, che si fece ab-
bassare sino a raggiungere le finestre della stanza
ove si trovavano le vittime; e, prendendole tra le
1 raccia una alla volta, le salvò.
cosa nuova, una cosa viva; e tutto all'intorno \i
bra caini. i. l'i
Un pompiere vi spiegherà: «La macchina è te-
nuta sotto vapore notte e giorno. Vedete, se quel
Campanello suona, in due minuti essa uscirà fuori.
e mentre i cavalli galopperanno, noi la mi
a tutta pressione».
E quale è la macchina, tale è il pompiere. Se
mai. egli è ancor più passivo e più pronto. Ter lui,
come per la macchina, passa il tempo nell'attesa
che suoni il campanello d'allarme ; anch'egli è sem-
pre sotto pressione, pronto all'azione istantanea.
Un bottone premuto in una delle tante vie della
città farà muovere la macchina, e nello stesso tem-
po, prima ancora che esso abbia cessato di sui na-
re, il nostro eroe sarà avviato verso il campo dell'a-
zione.
(Dalla rivista Rovai Magazine, d'agosto).
GIUSEPPE GIACOSA, Direttore.
Milano, 1903. — Tip. del Corriere della Sera.
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ADDIO, NIKOLAL.
Romanzo di GUY BOOTHBY
autore del Dottor Nikola, della Verga della Sapienza,
— • m
(Continuazione, vedi numero precedente).
ITOLO l\
ill'animo oppresso .. chia
ndola diedi ord peri he mi con-
i»iu presto possibile al palazzo Ri
.. . ■ betti, che stava
ro<J lo seppe do^ e ero dii
nidi segni d'approvazioni
o i. pi osando al nuovo trionfo
imi iell'all ntanarmi
ivo con H Lstezza alla nostra
l di i i ni i ii un i. ed alle belli
.1 una malattia mistei ii sa
i ih portarci via la nostra compagna....
se Galaghettl si tosse lui puri raccontai)
il gondoliere di far presto, pece simpatia per
è ci mmo al palazzo In bi
tempo. Decisamente la mia buona stella mi
, n i! Non avevo ancora saliti gli scalini
,'enne ad aprirmi il vecchio servitore di
i ili domandai se il suo padi mi se in
potess ricevermi. Mi tu mestieri ripe-
te li mia domanda, prima i be egli
i ipire il mio b u bai 1 1 italiano. Alla
mi additò le per lai mi intendere che
Nikola era in casa, i che se volevo parlargli an-
i, — a cercarlo. Vola) su delle scale, e
mi «li i . — i verso La stanza già descritta, di <; ei
, . pdo Picchiai all'u-
no i v ben nota, un disse entrati in
Inglese. In quel momento ero troppo agitato, per
il significato ili tutto questo Non tu I
l'ili lardi chi , Questo, lomandai
e, non avendomi visto giunge] ivevo ..sser-
era alla finestra mentre mi avvicinavo a
egli avesse saputi della mia presenza,
e mandato ad aprirmi pi ira u eh io a\ essi
suonai i Mi. come dissi, non fu che dopo molto
temi ai a questi fatti ; allora l'unico
mio pensiero era d'informare Nikola della ragione
della mia visita
Quando entrai, lo trovai ritto in piedi pressouna
tavola ii di bicchieri, di tubi d assaggio e
ih v.ui attrezzi chimici, Egli era intento a vei
un i erto liquido si uro In un \ etro granato.
Mi parlò senza voltar la ti
ieto di vedei vi, cai o Hatti i ts
/ero i i tese di aver a\ uto p
mia solitudini Sedete e se non vi disp
un momentino eh li i abbia Unito; intanto
i -. i uno sigai o che troverete In
la si Ila ia
— Mi dispiace, ma
te as] risposi
Sono venuto da voi
pei i i Iella mas
sima i/a.
— Vuol dire i he miss
Trevor è peggio)
— disse posando
i quale a
sulla
tavola Temevo pur-
. ibi
i,, i .
— Ma ci >iì e mai
• annua
Rifiutate
le Soprascarpe
che si rompono subilo I
U I! i:;i ucpie ittttsu eruttili
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
domandai, sorpreso che egli ne lussi- in-
form i
— Se sapeste quante i - se lo so! Sapevo i he i
era ammalata, e mi domandavo quando mi avre
ste chiamato Supi sii altri dottori non
\ . dranno i olonl Ieri il mio Inten ento, ni m è
— Certamente i Isposi Ma essi non li
cero nessun bi
i rodete voi che io sia capace ili aiutarvi? —
un disse fissandomi col suo strano sguardo
Senza dubbio repl
— Vi ringi azio.
— All' i a (rerrete, non è vero
— Sì. se proprio i" de
— Credo che voi solo potrete salvarla - risposi
Ma venite subito, ve ne prego, o giungeremo troppo
tardi. Essa stava malissimo quando lasciai l'ai-
Con una mano ferma che mai tremò, versò il
ontem lei bicchieri' in un'ampollina, e se la
mise in tasca.
— Sono ai vostri ordini, — rispose. — Andiamo
puri subito, \ i-i" che non c'è tempo da perdei i
— Ma non dovete portarvi dietro qualche rime-
ilio - -h domandai
— Prenderò questo, — rispose mettendosi il cap
pi il" in testa
Mi ricordai ch'egli stava preparandone quando
enfiai da lui \\eva egli l'intenzione di and
a vedere nella persuasu'ii.' cb li indato a
chiamarlo? Non ebbi l'opportunità di poterlo inter-
ro.L'ari' su rio.
— Avete una gondola dabbasso? — mi chiese
mentre scendevamo le scale
liissi di sì. e quando ebbimo raggiunto la porta
d'ingresso, scesi gli scalini, vi entrammo dentro
Giunti all'albergo lo i lussi suini., nel salone
dove Glenbarth ed il decano ci aspettavan
samente. Presentai Nikola a quesl ultimo, i
ad informare mia moglie del suo arrivo. Mi u
compagno dabbasso a raggiungerli, e quando
ir., nella stanza Nikola le andò incontro a salu-
tarlo.
Volete avere la gentilezza di condurmi dal-
l'ammalata? - le disse, appena si furono salul
— Visto la gravità delle sue condizioni, è meglio
che non perdiamo tempo,
Seguì mia mi .glie e noi i iniai mo si à
aspettando trepidanti il su., raspi
Quello . In- successe dui ante la sua \ isil i a
I revor, i lo posso dire che dietro quanto un
vi noe rifei ii" Mia mi
ene i particolari Essa mi disse che giunto
dell' ammalala, si avvicino al letto
e la lui Poi le la-io il polso, le
le palbebre, e le lenne la mani onte per
ali uni secondi. \ oltatosi all'infermiera, la q
ben inteso aveva saputo . he i dottori se
andati. 1 lino di portai : bici hien
gelata. Essa andò a cerca mentre
fuori. Nikola si sedette i dell'infei
le prese la mano fra le sui i andò un
un mento di fissarla. Giunta l'infer ra
qua, \ ersò alcune goccio del liquido
oeva nell ampollina in lasca, nel bici li
. .li un , ii. . hiaio ne diede
/nule. Ciò fatto -i -cicli.' un'altra volta i
e. fiaml" pazienti mente il risulta PIÙ
di una volta, in una ine// ora. -i chinò sulla ligura
LE DONNE FRANCESI
£ LA SCOPERTA DEL DOTTOR VERVIER
InFranciamohosi discorre della
recenl a fatta dal dottor
Wrvier, il quale con uno speciale
processo noto a lui solo, è riuscito
;id estrarre dalk' foglie della Ga-
Itga Officinali* un prodotto rigoro-
samente scientifico a cui ha dato
il nome di Galrghiiia, e che com-
binato con altre preziose erbe to-
niche, corroboranti ha non solo
virtù di sviluppar? e ricosti-
tuire il seno, ina anche di dare
rotondità e grazia alle forme mulie-
bri. Frrs.i in pillole, questa Gale-
ghiìia, oltre sviluppare il seno, col-
mar.- i vuoti e far scomparire le
gonze ossee, rinvigorisce e for-
i l'inleroorganismo; applicata
m forma di lozione agisce sulla
parte coi medesimi effetti, ed i giornali riferiscono che sia nell'uno
coni, nell'altro caso, furono visti dopo circa un mese i più soddi-
Lì risultati. Quindi, le signoro e le signorine possono con
piena fiducia ricorrere alla Galeghiva del dottor Vervier, che agisce
a meraviglia anche sui temperamenti e le costituzioni più delicate,
e non deve essere confusa con altre specialità delle quali si tiene
segreta la composizione.
In Italia, il premiato Laboratorio Chimico Farmaceutico por i
preparati del dottor Vervier, Milano, via Passarella, 10, s;
secondo la richiesta, od un flacone di Pillole, od un flacone dì
Lozioue, con relativa istruzione, verso rimessa anticipata di L. 5.50
Aggiungere L. 0.80 per affrancazione e spedizione di no o più
flaconi nel modo più discreto in cassetta suggellata.
Pjr> la Lozione indicare se si desidera quella st molante per lo
sviluppo, o quella astringente per la ricostituzione. In mancanza
di indicazione si spedirà quella di doppia azione, stimolante e
astring-ente.
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del prof. ERNESTO PAGLIANO
'" '■""' lrl 'l'timto prof. Girolamo Fagliano premiato al-
I Es| osizione nazionale farmaceutica 1891 ei all'Esposizione
nazionale d'Igiene 1900 con Medaglia d'oro.
Preparato con le ricette originali.
Badare alle falsificazioni. — Esigere sulla boccetta e sulla
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Dandone quanto ne è in eccesso nell'organismo. Olire la sparizione
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listici lavori, offriamo a tutti gli abbonati e lettori che ci mande-
,o prime del 30 settembre 1902 L. 17.— in cartolina-va-
glia (Estero Fr. 19.—) eoi due ritratti da Lngr&ndin
I>XJE>
Ingrandimenti fotografici ai sali di platino in eleganti passepar-
atatì in due ricche cornici dorate, grandi I
i ni 60 50 come il disegno. Due bei quadri che fanno j
i II loro prezzo .è di L. 15 ognuno, totale L. 30; ma
Udo .li Dono semigratuito li diamo insieme a metà prezzo sino al |
30 settembre 1902, cioè al prezzo straordinario di sole
Ivire 15
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Roma. 1G febbraio 1899.
Ho ricevuto l'ingrandimento e mi è grato annunziarle come
rabbia trovato ecc -; per fedeltà -li somiglianza
come per bontà ed esattezza di lavoro.
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fili ingrandimenti si spediscono in 20 giorni franco porto in tutta.)
Italia. Chi non ha pronti i ritratti mandi intanto l'ordinazione «• |
cartolina-vaglia di L. 17 prima del 30 settembre; ed invierà poi
i 2 ritratti da ingrandire. — Chi vuole un solo ingrandimento paga-
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detti prezzi e zionali, chenon saranno più accordati. Affrettare quindi
vaglia (i ritratti in busta aperta ra alla Casa |
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i Rivista. — La Casa non ba piazzisti, né viaggiatori, ne suc-
■ ' di; dirigere gli ordini esclusivamente al nostro indirizzo a Mi-
afio. — Diffidare delli imitazioni,
uno il Catalogo illustrato di ingran dimen-
ìi cartoline, ecc., a chi lo chi< decoi
_ con. risposta. Domand
PROGRESSO. vìa Metastasio, 3, Milano -B [uesta Rivista .
\ ttestati come ì seguenti :
Ca I ! b 1901,
Ricevetti i riuscì graditissimo a me ed
alla mia famiglia per la perieli danza.
±J. Baroni va.
GRATIS
N.irni . 20 dicembre, 1001.
Sono rimasto soddisfatto dell'ingrandimento e ve ne rendo
grazie.
Marchese O Eroli.
i 1901.
Dei due bellissimi ingrandimenti sono assai contento
perca tti.
io I>. Rizzo
1!
VDDIO, NIKOLA
Immobili e pi o di si orgere In
lei il menomo cambiamento p
pò le rtiede un al «io ili quella pozione,
prima Dopo 'a, la sodai
suo volto, e voltatosi da
la era Indicibile, le disse :
e loro dire che
, ii. da ottenere, ma pi
i vivrà
.,„. era iroi mia moglie uap-
.,rmi re, poi venne presa da
di I ppiare In
piani i stanza in punta di piedi, e scese
,i i , ,, primo sguardo che le gettai, q
d„ , Lione, i apll i he e) pori iva delle
buone mi . , ,
Ebftene che notizie ci portate! — grido n
dimenticandosi della presenza ilei il
ni piedi guardava mia mo-
glie senza proferire pari
Buonissime disse mia moglie col viso rag-
.,,,,. ii dottor Nlkola dice che vivrà
in,, sia ringraziato ■ esclamammo con una
GÌ, nbarth mormorò qualche altra pa
, he i riuscii ad ali Vvevamo una
li i in Nikola, che accettano il suo
enza un so ondo pensiero Ibbi aci lai
mia moglie, e strinsi la mano al decano Glen-
barin intanto era uscito, probabilmente era an-
imerà sua a meditare su certe cose senza
vcnii distui bato Dopo un momento, Phllis ril
aella dell'ammalata, dove trovò Nikola vi-
cino al letto, come prima A parer suo, miss Tre
v,,r non aveva tatto gran cambiamenti; [orse 11
suo respiro era meno afta so ili pinna Ciò no-
ni,.. Nikola si mostrava soddisfattissimo, i hi
no leggermente il capo ih seg li approvazione
qu ti do mia glie entrò, poi si rimise a cuntein-
plare la sua ammalata, in questo modo passarono
molte ore. Una volta all'ora esso veniva da noi
dei bollettini sempre più rassicuranti.
Pare che stia un tantino meglio, pare che la
febbre accenni a diminuire.
Finalmente, verso le duci, ci disse che lamina-
[lidiamente. Nikola non e orni -
. he vei so mezzanotte.
- Il peggio •• passato — egli disse avvicinandosi
al decano; vostra figlia ora dorme, e per due
non ha bisogno che di riposo; trascorso questo
tempo, ritornerò a vederla, e spero allora di poter
statare nelle - ìondizioni un notevole miglio-
remento
— Vai potrò in ai ringraziarvi abbastanza, mio
e. — disse il degno vecchio ecclesiasti-
co, stringendogli rorte la man.', mentre grosse
lagrime -rendevano sulle sue smunte guancie. —
Se n te stato voi col vostro talento a que
sa i i sarebbe più. Essa è l'unica una
figliola, la mia dolce bambina! Possa Iddio bene
dirvi per la vi. -tra I ti
Mi pareva che 11 dottor Nikola lo fissasse con
aria curiosa mentre il decano u-u parlava. Era la
prima volta che lo ve. lev., m rapporto con un di-
gnitario delia Chiesa Inglese ed ero ansiose di
vedere come si sarebbe
ro comportati insieme
in simili circostanze
si i difficilmente im-
inare due tipi più
diametrali te oppo-
sti. Essi, e. .me l'aceto e
non avrebbero pi
hip. assimilarsi.
— S irei stato
meno che umano se non
avessi [atto il possibile
tre ile-Ma bi Ila
me esistenza —
Niki la Ed ... '
• il. temi di s.!
i , , due ore
qui di nuovo,
Supponendo eh i i isse di troi irsi vici
i ammalala, insistetti perchè rimanesse ali
bergo . ma egli i ie volle sapere
— a quesl ora dovreste I * lo
i lormo mal ri li casa— rispose In un tono
. i i ammetteva insistenze Se nel
. i ili h, cosa, venite a chia
i, ,-ii lo i rò ull i tante. Sono persuaso
p. rò . iie i succederà nulla
Quando - tu andato, andai In cerca del duca
chi 'i ■<>■ ai In carnei -
Dick, mi disse guardatemi ben bene in
faccia e ditemi se no trovate cambiati MI
sento comi -. avessi vissuto pei anni In mezzo ad
dolori, Un'altra settimana : a e mi sana rt-
dotto vecchio Come st9 miss Trevor?
— Migliora senslbll nte \ i assicuro che vi dico
!.. e che • il caso di tare lo scettico I i
miglior prova gli è che Nikola andò a i isa uà a
i iposai e pei toj naie tra due ore.
Mi strinse cosi torte la mano da farmi male
— (..in ero lonta lall Immaginare dissi
quando eravamo relegati in quell'orribile stanza
in Porto sani, e quando mi giocò quel uro a Sid
iii'v. che un giorno sarebbe stato destinato a ■
dermi il pio gran servizio che un uomo mi abbia
„n restì mila Mia' Non ave\.. io ragione quando
\ i dicevo che quei dottori noi api> ano un bel
nulla e elle Nikola è il più famoso dottore del
do?
Ammisi che avesse detto la prima rosa, quanto
alla seci oda avevo i miei dubbi. Poi, Immaginan
domi in quale stato d'animo dovesse trovarsi, ^*ii
proposi .li listare m gondola a pigliare una boccata
d'aria tresca Dapprincipio egli rifiutò: poi, quali
do seppe che il decano ci avrei. ne accompagnati,
assenti. Oliando rientrammo all'ali. ere,,.
che Nikola era tornai... ed aveva ripreso il suo
posto al capezzale dell'inferma, dove passo tutta
la notte senza muoversi, rosi mi ih— e una mtì
nanne .he per darle qualche medicina, e tutto
senza mostrare la menoma stanchezza.
L'indomani manina lo vidi mentre stava nella
sala da pranzo bevendo una tazza di caffè nero
<l. ve aveva versato alcune goccie di uno dei suol
-trani decotti. Non som, mai riuscito a rapii,
megli potesse vivere nutrendosi cosi frugalmente.
— Conie va stamattina l'ammalata? —domandai
quando ci fummo salutati,
— E' fuori di pericolo. — rispose rimescolando
piano piano il caffè. — ora continuerà a mi-
rare, spero che sarete soddisfatto di quanto
per lei.
— Più che soddisfatto risposi. - Ve ne SODO
profondamente riconoscente. E, come vi disse ieri
Sera suo pa Ire. è ietto i he se non foste venuto
v --a -nel. I.e 1 1 lev 1 1 ah 1 1 men t e morta Kssa be-
nedirà il vostro nome durante tutta la sua Vi
Mi guardò meravigliato mentre dicevo qui
parole
— I,o credete proprio? — domandò con enfas
insolita — Credete davvero che si ricorderà che
. -sa deve a me la sua vita '.'
— Sono sicurissimo che ve ni rnamente
i ie. ai. .-.enti' — risposi quasi ambiguamente. —
Suppongo che \ oi stesso Io sani
— E vostra moglie, i he ne dire '
— Essa vi considera il più la so dei dottori —
risposi ridendo. — Dovrei .piasi essere un pò
|,.-o. ma. strano a dirsi, non lo sono.
— Eppure, non ho fatto nulla di str.a.
. ,, minilo quasi come se pula--., a
Se quegli altri ciechi vermiciattoli non -
tasserò ih -.lutare nel loro rango, ma cercas
la luce in un'altra direzione, essi avrebbero I
quello che feci i i \ proposito, non avete più i
don Martini,-, da quella sera chi
n, i di no. ma riferii come culi si fosse <
ri |Sato a miss rrevor, mandando so-
\a i.ti a prendere notizie
— e voi i avete visto ancora "
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ADDIO. NIKOl \!.
i stemmo circa quattro
l ii M
[U
. Mkola
l dei
i i suo padre e mia moglie,
può dire he *i ora in 01 u qui
i n quel
o Nikola,
domami
. dirsi, non l" tu punto, — mi risi
Mi imi. i l adorni i miei sospetti, che
e produi esse un cattivo effetto in
■ ■ dò i' mquillamente, 1 1 ime se !
ii,' di questo mondo i he Nikola
si ir. di lei
il .'
he \i sentirete meglio, miss rre
i i rispose i Molto meglio
i tutto. Nulla ili più semplice, come vedete,
adornami Nikola non venne pia chi- due sole
... di poi una sola . ed alla Une dell i
i a sua presenza non era più
ma.
i ..il' i ìompensarv i di quanto
oiT — pli < J i — i forse per in centesima
mentre stavamo Insieme nel corrid
d 11 ninnila!. i
Non desidero punì lire rie pensato —
Mi basta ili aver guarito miss Trevor
di ricordarvi un nostro discorso riguardo
a questa signorina, la sera .in' \i imi-imi la storia
lei ragazzo maltrattato da) Governatore spa-
gnuolo. Non vi avevo lo detto che i nostri destini
iti inestricabilmente legati insieme !
\ formai che un .-i a si il . e lato, molti ano! fa,
iremn sontrati Non vi meraviglierete
dunque se \i dirò che sapevo puri' di questa Mia
malattia.
i guardai colpito e meravigliato come già mi
i"ir volte.
■ 6 '.i sorprende, newero ? Eppure per quanto
\ i appai linari. la vei ita Sapevo che
ato nella \ ita miss Tre^ or, e sapevo
desi mail, a salvarla dalla
-n Che alla Ime. I unica cosa
ch'io abbia desiderato mila vita, un sarà tolta
dalli ini.
Non rii ipirvi, — dissi
— l'ii.. darsi, ma verrà il giorno in cui capirete
- rispi si i sto momento min •■ giunto ance
ra. i i ate ed attendete: la cosa avverrà
unente.
Poi, con un., sguardo destinato a perseguitare
■aim lunghi gii i ni mi salutò e uà I dall'ai
i IPITOLO X.
i u il gii vedi seguente,
i revor fu in condizioni di
■ I la a\ aim. tutti
lieti e felici
giorno ' li du<a poi pa
dal la
i . non l'ave\ .. visto
mai cosi esaltato La
man USCI l mi
mia mi "in' i" i compe
qualche fli ire per
im -ila stanza
doveva venire la
i ente
i t. i imi ono a . Elsa
hi di Imi i >• in po
co temi
no il salotto in mia ser
i a .1 in una i >p i i / 1 ' ■ i . . ■
i
\ are a mia moglie, ma essa un i ispose i hiaj
tondo ch'Io non m intendeva alt Ltto di qui
ih in .u anni più bocca L'unico che, In mezze
a questo generale esaltamento conservasse la sua
ialina, ero certamente io; debbo però confessare
che quando misse Trevor te pagnata da suo
padre e da una moglie, entrò In salotto, non mi
sentii più io Essa al era ridotta t'ombra di se
Stessa, ninni ma -ina-, i ila e sciupata. Né IO, Qè
Glenbarth, non l'avevamo più vista dal giorno
li s'era ammalai i - ssima col
e mi ringraziò di quanto avevo [atto per
tei i>.. in. a\ aria ad n una poltrona e mes
si le uno sgabello sotto i piedi, no unni u
per un'oretta per timore di starnarla tri
• . .Ma nostra pn i
ai nostro ritorno, trovammo sulla tavola uh ce-
stino di splendide rose, con una ratta di visita di
di.ii José m iitim./. Glenbarth ne lesse il nome
senza mostrare la me la contrarietà, e i io prova
ni linai.' ansia fosse per la salme di miss Trevof.
i bensì vero i he dopo si sfog i me bia ù mando
i del duca, ma In pn senza della convalee
te ih. n tradì il suo sentimento per timore d'In
quietarla.
I uni. .mani miss Trevor ebbe il penne--., di al-
zarsi Un PO' prima e resi pure il giornt)
limi José mandava ogni giorno dei fiori, dopo
sei-si informato personalmente dei progressi del-
l'ammalata, il dottor Nikola non si lasciò vedere
che dopo tre o quattro giorni. Quel giorni ero ri
masi solo a tener compagnia alla nostra con-
valescente: gli altri erano m giro per comp
stavo seduto d'accanto a lei. intento a tagliare i
fogli di un romanzo inglese che le avevo compera-
to quella mattina. Era una beila e calda gior-
nata; avevamo le finestre spalancate, e la stanza
era piena di luce e di sole. Dal canile sottostante
ci giungevano delle risate giovanili; una VOCI
in m sbagliarsi per americana, gridava forte: «Eb-
bene, ragazze, che ne dite di questa Venezl
I nahra voce rispondeva: • I ma pian quantità
d'aqua. ma, a quanti, pare, non se ne sei
pulire le loro case». Miss Trevor slava per pari
e già aveva mosso le labbra, quandi, improvvisa-
mente il suo viso pigliò una -trama espressione,
i bluse u'ii occhi ed io temetti che si senti— e mail
Quando li riaprì, fui colpito dalia loro strai
spressione: erano degli i>ochi senza vita; si sarei.
be detto che non vedevano nulla ili quanto i
loro attorno, lai momento dopo udimmo bus
alla porta ed il dottor Nikola. accompagnato da un
cameriere, entrò nella stanza Dopo aver stretta
la mano a miss Trevof ed a me. rivoltosi alla sua
ammalala e tastandole il pois.,, le disse:
— Avete davvero migliore aspe
— Difatti uw sento assaJ m. i ispose
non so il perchè, non colla sua solita animazione.
— in questi, caso, questa -ara la mia ultima
sita, nella mia qualità di dottore — disse. — S
. un'ammalata modello, e nell'interesse di quel-
i i .he [1 nostra imi il i ate chiama sci<
permettetemi di ringraziarvene,
— Som. io, piuttosto, che dei.i.i. ringraziarvi, —
li-i..'- me se ripetesse una lezione studiata a
meni. ii ii
— inimnii. quindi delia salute di mia moglie, di
. endomi di temala bene ni riguardo, perché nel
che cadesse ammalata, coi precedenti avuti.
nessun dottori di Venezia avrebbe accettato di cu-
rarla . poi, alzatosi In piedi, ci saluto
i he visitimi, dottor Nikola
p< lete proprio coni ancora un po' della vo-
stra preziosa compagnia ?
— Me ne din. le. ma non posso Sto facendomi
una clientela qui in città e non ho più un minuto
pi r me,
— Avete altri ammalati ' — «Il domandai
quanto sorpreso, non immaginandomi ch'egli
. . Masse una simile ...sa
— StO . in and., il \ OStTO a .. don loSI M
nos mi disse. — Il buon Galaghetti mi opprime
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AHI He, N1KOLA
; - he feci per sua
be che lu rado i spi rimeni
e la mia se vi do
non ha i Lo I i
he don
in Niki. la. - \'l
possa tacilmi
rinied
iccompagnal lu
il . i ino alla hall,
il i mi dissi quando fummo *
■ be il nostro amico si gì de la \ il i da li" tempo.
, ultimamente <-vrl ì perdette una
, ma al gioco, • Irca clnquantarrliia
Ine E' dunque naturale che I su irvi se ne
■ e, allora ? — ■ d
i ii giocatore inveterato, direi — rispose Ni
[uando uno spagnolo si da a questa
c'è più rimedio
Qualunque potessi i malattia ih don Mar-
■ i che li i tee èva in viso ch'egli i
Qui lori m'imbattei in lui
i onte ili Rialto e im colpito dal suo cambia-
li viso pallido, gli occhi infossati e
i Qte il una debolezza di i no
Q lo si termo per parlarmi, osservai che le
. tremavano come se fos si i I lai bai
chi miss 1 1 '\ or continuerà a miglio
- mi disse, di ipo a\ ergi! fatto notare che ti i
i i -in.
Mi assai, risposi. - Si i lire che
i in piena convalescenza. Fui dolentissimo
ima: dal d or Niki la i he voi pure non
\ i seni ite ti oppo bi
' osa da poco, non si natta che ili nervi, —
li , quasi -pa\ entato Dottor
Nikola mi rimetterà pn sto no persuaso Ebbi
ultii i in cattivo colpo ili fortuna, e ciò mi
e a cosa volesse alludere
ma finsi 'li ignorarlo. Poi mi saluto e continuò la
strada. Qu i a giunse un altro splendido
pa - ili fiori per miss Trevi i . non era i
ito da nessuna carta da visita, ma siccome il
i ili non a\ ei li mandati lui, cosi me
i la provenienza,
L'i i per la pi ima volta dopo la sua ma
rrevoi i n srado di fai e una pa
01 dola. Eravamo tutti cosi lieti di averla
ili nuovo con noi ed andavamo a gara nell'usarle
ogni riguardi perchè non avesse a stancarsi, li
duca orpassava tutti. Il cuscino era soffice ab-
i i i imodamente seduta " Preferiva
una barca invece della gondola? Non dissi nulla.
naso i hi ano da quell osserva
he egli è, notò la cosa, Quanto alla \ ale
te, ella affettava liel.a !■ lir-ata Ir sue premure
Qua 'i essa si sentì in fora di
pi pose di andai e a fare un
i i San m Dopo i ssen i trai
trinili alquanto, sei on
do la nostra abitudine,
davanti ai negozi, ci
incamminammo pian,.
piaiHi verso la cai
le. Era uno splendido
lo, una bri
zolina veniva dal
a temperare l'aria
un po' i alila.
I I lira
ohe Glenbarth era al
settimo cielo della feli
ed a .1 ricomln
ciato a Ianni le sue
confld à imi re i i
di miss i
gli aveva fatto ritarda
ESIGETE
MARCAi"
HERMANN
mii.ano-torìxo
opportunità di palesarle i suoi sentimenti, ma
i - mtava 'li fai bì ix\ anti Essa a\ èva i ai la di
accettare e 'li gradire la sua corte, ma, nella mia
esperienza In queste faccende, non ve, levo la i
sicura un tantoché non mi venisse annunziala da
lei. K non mi sbagliavo, perchè In quel giorno
stesso dovetti constatare la verità di quel prover
he dice i e vie dell'amoi i
Stavamo traversando la piazza, quando il
Martinos si presentò a noi felli tandi si ci n
l'revor della sua guarigione, Egli era, come sem-
pre, vestito rulla massima correttezza, ed aveva
to miglior aspetto dell'ultima volta che l'aveva
visto Si uni a noi, riuscendo a mettersi d'accanto
a mi ri i e tutti insieme andammo a sederci
al caffè Florian. Dacché I" conoscevo, i l'avevo
visto mai cosi premuroso e gentile li duca aveva
lana sei cata la uà allegi la se n era andata e
non apnva più bocca Era evidi di w loaè
aveva della simpatia per mi-- rrevoi e che cer
cava ili tutto per fargliela capire. L'ind ani mal
lina trovò modo, con una scusa qualunque, di unir
i a noi I a I "Urrà ,1, dura inni Conosce} a più li
unti II po\ ri etto mi fai r\ ., pri'pnn pietà! I ira che
le cose parevano bene avviate, veniva un seo
a iutr ettersi fra ili lorol L'unico mezzo pei i
ler fine a questa posiz era che ti duca
trasse la sua domanda; ma egli non aveva 11
i" <ii farlo, per timore ili i fiuto i
,i,,\ èva rassi rei a vedei la sori idei e e par
lare col suo rivale!
Mia moglie intanto <i,\ disperata,
— Credevo che ititi" tosse combinato — mi disse
un giorno coll'aria malinconica - ed ora eo
più che mai allontanati ' i he gli è < enuto in mente
;i quell'importuno ili mei tersi ra di
— l'.wii in' ina i" -t. --" il irit to ili quell'altro —
risposi. Se il dura ne e innamorato si faccia
avanti, ma egli inni vuole Se già lo avesse fa
a quest'ora tutto sarebbe combinato.
— E' facile a dirsi! — rispose. — il poveretto lo
avrebbe fatto prima anrura che essa si fosse am-
malata Siete stato voi ad impedirgliela
- E feci benissimo- continuai. - Miss Trevor
era tata inaiala a quindi non permettevo
i in giovane, pei quanti stimabilissimo, dopo
due soli giorni che la conosceva, ne rpiedesse la
mail., senz'altro
— E perchè ora lo spingete a farsi avanti?
Perchè miss Trevoi or i ha suo padre .
a lui a pensarra — dissi D'altrond ' iunsl
dopo un minuto - perchè don José non potrebbe
tarla felice quanto < llenbarth " Egli •
buonissima famiglia, in condizioni ila farle
una bellissima figura in società
i --a mi guardò una a\ igllata
- E sirir voi, amico del duca, che sapete .piani"
esso l'ami e quali sieno le sue Intenzioni, che
stenete la causa del suo rivale! \ii '. Dick, non
avrei mai supposto questo ili voi '
Mi affrettai ad assicurarla che non parlavo sui
serio, ma ri volle un momentino per persuadi
— Ma se siete del partito del duca, mi meravi
comi Incora iate don Martinos a contii u
sue visite — ini disse Non potete unni i
quanto mi sia antipat ico I l'i efei irei » eder i li
nulle sposata a uni spazzino piuttosto che a quel-
l'odioso essere Non i" — i capire come essa possa
attoi in, I" non poss i dai» vero.
— Po\ ri o don fosè, dissi decisami
non ha fatto una molto buona impressione. P
isti, egli fu sempre d'una gentilezza squi-
sita
— I ;li fioca fino all'ultin u Simo i he pos
siede so rgiunsi i lie.
La guardai sorpi e mai lo sapeva ' Glie-
lo eh
— Me i" disse la he lo seppe qui
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'■ Bli ''''""' : ,, „„„
,i,. ,n modi parvi Mi ■
rdarvi che ci - delli
.,,,,,,,■ quell'Imbecille Don m
piedi ' mi domandò Incollerito
, , ,.,.,i ti i ma non ve
meco villani ' MI conti id
mi tratta come se fossi un rar
i . aa] i anto vostro, lo trattate con
avesse il diritto di gu urdare,
d rii ola a miss i revor.
ii i ■ ro i piani,, meno, se
.. stato presentato da amici nostri
(nettamente che desidero non mi
no delle auesl ad ogni i". che mm :i>;-
dl : n stra presenza e in questo ai
ero lontano dal supporre che le mie pa-
, cosi alla i
. don Martinos, seo ndo I abitudine
qualche tempo, venne dopo pranzo a farci
,. -i p.iii.. con sé la chitai ra Guardai
il QU( , Era pallidi iveva l'ai la di un uomo
, |,,. na o una risoluzione.
Mi l moglie ed lo i antammo un duetto, ma in
modo tale da capire che i nostri pensieri erano
Miss rrevor ci ringraziò coll'ana distratta,
non avesse tatto attenzione a noi. Poco
-, pure al pian., e cantò una romanza
-se gli applausi di lutti noi. Dopo
in\ inumilo ilon Ins. i i nire il nostro est-m
pi0 ■■ la chitarra, e dopo due o tre ac
pose a ramare. Benché il ricordo di quel
iU,,n ento mi desti ancora adesso una gran pen i
pur,- devo confessare che mai ave\ i cantal -i
■ ,,, quella sera La mei., dia si sprigionava
i rmi nto Era un'allegra canzone popolare,
ritiu pelli clic imitavano biiHainentc il dia-
ustli ani Mia moglie, quando ebbe finito, lo
., olercem ire la traduzione.
_ i la stoi la di un pove tadinotto inna
di una bella ragazza, - ri-qmse, mettendo
ntenzlone nelle -ne pan. le. — Laman-
■ i ra/iatamente non aveva il i
Ho cuore. I'.u'li laic-'inva .1 amore
desiderio di palesarglielo, ma quando si tre*
• Iella bella, gliene mancava 1 ar-
0 di parlarle di cose banali.
. i dei cai egli animali che stavano
dia di suo padre Finalmente la ragazza,
stufa 'li quell'Indeciso, lo mando a spasso, ad im-
di i i riari < si" - ■ un
\a l'aliar suo.
Se la canzone fosse
precisa alla vi rsione,
non potrei dirlo . e cer-
io però che almeno
quatti i tra noi presenti
vi scorgemmo l' insi-
nuazione, e ne fum
■ [sentiti li
.Ilici Si fece 1
poi Impalli-
dì remetti per un mo-
mento eh.- dicesse gual-
chi cosa, ma si i on
lem,. prese un libro
Dal ni"
.1., con cui aveva
rato il libro, capivo la
ESIGETE
MARCA
HERMANN
'MILANO- TORINO
i mpesta del suo animo Mia mi glie iman' 1 1
v"a ,ii sviare la convers a e domandava al de
, .- n iello che pensasse d una vei dna i h
sitata niiella manina l io rialzò alquanto la pi
zione Imbarazzanti Di pò di dnuti, d
., ai/ :i diede la buona sera i on un riso bel
la di.-de pure al duca, il quale - Ini b
p urola Partito lui, gli altri si
,1 suo eeemplo, e Glenbarth ed lo rimanem-
ii invece di prorompere In sdegno, come mi
immaginavo, egli, a mia grande sorpresa, non dia
>e nulla dell'ai . adu feci lo pure Dopo un
, piano d'ora di conversazione, ci salutammo
mimo nei nostri rispetta i apuana ntl Quan
,i , pm tardi entrai in canu ra di mia moglie, ero
già sicuro di ai ei e una disi usatone.
— Ed ora 'he ne direte di questi vostro amie,
_ mi d, .maini.. .a pumi di sarcasmo sulla
parola uno oi Avete certamente notato come
insultasse II dui a I
— Egli fece Infatti una grande sciocchezza, non
solo nell'interesse SUO riguardo a ina pei
ragioni ancora, E i erto ' he se mai ci fo
qualche probabilità con l.eltrude...
_ n0I] ci in mai la pm remota probabilità, vi
I assi, uro - interruppe mia moglie,
— Voleva dire appunto che dopo il fatto di sta
sera, tutto andrebbe m fumo. Questo vi dovrei. b.
i piacere.
— Non mi piace punto Che egli tratti villaiiaincii
te il misti spne. spei laimeiiie poi in presi
— Non v'inquietate — le dissi. — Probabilmente
egli non si lascierà piti vedere. Gli diro qua
cosa a proposito, per quanto mi secchi, per ri-
guardo a Austl iiiher.
— il signor Austruther avrebbe fatto assai me-
glio di conoscere bene che individuo fosse prima
di mandarcelo. L'unica cosa di cui ringi
dio e il modo cu cui il dui a pigliò la cosa . egli
avrebbe potuto salire in collera e fare una -
, ii, ,u aliene avrei fatto torto; invece si mostro
calmissimo.
Non le dissi die la calma di Glenbarth m inquie-
tava assai piu che se lo avessi visto dare in escan-
(Ì0SC6I1Z6
L'indomani mattina, dopo colazione, mentre
vaino fumando insieme sul balene, portai uni
lettera a Glenbarth ; dopo tverl i letta atti
mente, la mise frettolosamente in tasca.
— Non ve risposta. — disse accendendo il si?
Mi" parve che la sua nano tremasse alquanto
mentre avvicinava lo zolfanello. Egli era più pal-
lido del solito, ed aveva Io sguardo fisso e pi
.upato. . ,
— Qui mi si nasconde qualche cosa — dissi tra
di me - \ oglio sapere di che si traimi Spero I
, he non farà una qualche corbellai Ifl '
Sapevo perfettamente che se v
re qualche cosa da lui. non
scorgere la mia inquietudine e interrogarlo sum-
i, per tastar terreno, gli dissi :
— che ne diresti se la settimana ventura andas
a Roma? So che mia moglie e miss i revor
lo desiderano. In questo momento ci sono molti
amie stri. , .
— Sarei contentissimo. - rispose con un visibile
sforzo. , ,
In un'altra circostanza quota proposta 1. avrebbe
, saltato Dei isamente vi era qua', he cosa di si
\ merenda si mostrò m upato miss i
osservava domandandosene la ragione < ne avreb-
be dello la poveretta, se avesse immaginato i
spetto che mi balenava alla mente '
\,-i doi ouranzo le sigli ire decisero di m
re ed il decano rimase a tener loro compagnia.
i ■ U ni' Lrth . egli continu n
,,i,nii.. i ibbi il coraggio d'interrogarlo. A un
ceri.. | lo gli domandai la rai I<
lenzio ed egli mi risposi ■ nt« che non
era In vena di parlare miei glOIDO».
Mi avvicinavo al punto.
Attente MADRI!
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L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini ; il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
Non è necessario di abolire completamente l'uso del Caffè Coloniale;
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Caflè
Malto Kiieipp. Il Caffé Malto Rneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
Se vi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate di
fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti i droghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
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VI
ADDIO, NIKOLAl.
pren lerete mica per
gli dissi
i in ni< ■ .ili albergo per il
unir Dal
\ [de entrare 11 duca,
ii hn la gentilezza In persona, fi rei pei
della \ Ulani; i a prw eden
i [soi ride> a, Interessandosi a lui e I i
i eretto non sapeva più in che
i, - uni in l 'i andam
lo fui l'ultimo . il mi" cameriere
mi . d pochi minuti, quando i itorno
intera a dirmi che il servitore del duca deside
ii dire due o ti
gli dissi,
Eni -li dom indaj appena entro
Ch notizie? Il \ ostro padrone non
nza de' irere qualch sa 'li
mi risposi Sono Inquietissimo, ed è
he \ .Hill suini., da \ oi
Ma d ratta. Egli aveva lana ili
ene quando ci [asciammo una
mezz i'i a fa
Non -i nana luna ilrlla sua salute, egli sia
ma ci iii'\ e essere qualche co-
■ . min a voi, ma li-m i urne
- insomma, ditemi chiaramente il vostro pen-
sappia regolarmi.
Ecco Stamattina Sua Eccellenza scrisse una
ma ih lettere che mise nella cassetta della
' a. dicendomi i-in' più tardi mi a\ reh
... h. M, dovessi lai e. Lì per li
non le so delle sue parole, ma quando sta
quello che avrei fatto se mai avessi
isciare il suo servizio, dopo avermi detto
che mi aveva assicurato per testamento cento ster-
line, nel .i ch'egli < mentre ero anco-
ra con lui, cominciai a dubitare che ci fosse un
qualche m ei l 'oco fa, pi menti e uscivo dalla
sua .la letto, mi richiamò Indietro e mi
disse: Domattina, pei tempo, andrò a fare una
a nuotata in mare; non gliene parlai a su-
perchè egli ha L'idea che vi sia-
\d ogni modo, sicco-
iii>- non si sa mai quello che può succedere, se mai
rdessi spero che ciò non sui i edi rà vi prego
ili rimettere questa lettera a su- Riccardo. Ma ri
latevj bene : non gliela con nei ete prima di
... \ i. capito 7 Dissi di si, ma ero
Oli ' I '■ l '■ ito dalle sue parole, clic pen-
sai di venir da \ oi unni, dial unente.
Da tutto ciò era evidente che tra Glenbarth e
don José ' i doveva i ssi re un di io ilo In questo caso,
che mi rimaneva da ir. ' i ercan ili ragionare
con Glenbarth, nelle sue condizioni d'animo, i a
lo D'ali ronde, l'oni re ei impegnato e, ben-
ché awersissimo al duello, m tutta l'impor-
Vvete fa i dirmelo, Enrico, e ve ne
ringrazio — gli dissi
. , , .Ili,' ,, ,
Ianni .Non v'inquietate
sui conto del vostro pa
i tornati Ina
ili-ri. peri he egli 1 1
filato mentre sarà
in mare. Andate a letto
tranquillo senza pensar
In- non
bisogno di
segn , .
n poveretto se ni
do i Ingraziandomi e
completamente ras
rato sui conto del suo
i l • detti per
riflettere al da farsi.
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MI UNO- TORINO
vo che don José era un famoso spadaccino,
mentre il duca, benché fosse un discreto tir i
■ li carabina, avrebbe certamente avuto la pi
III durilo a pistola Od a spaila \\ rei a\ in
sogno .li o mi con qualcuno, ma a chi ri-
volgermi ' \i il. '..in ii ora il raso di pensarci
avn in -■- lorato I se . ed andar.' da don
Manin - pregandolo di sacrificare il suo onore por
l'amicizia che ci lega a Glenbarth, era correr il
rischio .li venir messo alla porta. Pensai u Nil
e decisi di andare subito da lui, \ isto i he
tempo da perdere; prima perù di lasciare l'albergo,
andai a raccontare la i osa a mia moglie.
— Avevo il presentimento che sarebbe finito
— ini disso, Dick, voi dovete ass ilutami
di tutto ponili- questo ducilo non abbia In
Non potrei mai perdonarmelo so succedessi'
olio disgrazia mentre egli è nostro ..spilo' \nil
soli i tanti dal dottor Nikola. raccontategli li
implorando il suo aluto, conio già ci aiu
\ olio
Incoraggiato dalle suo parole, andai a Unire di
vestirmi, poi scesl dabbasso coll'idea di trovare
una gondola La fortuna mi arrise Era riei
dal teatro in quel momento la comitiva di ameri-
cani giunti da pochi giorni all'albergo; salii nella
gondola che li a\ e\ a tu compagnati. dio-iid.
barcaiolo di condurmi al più presto pò
palazzo Rovecce.
— E' troppo lardi, signore; preferisco andare in
qualsiasi altro posi., che in Un. del Consiglio.
— Non temete, vi saprò rii tre del sai
zio che tate ed un momento uopo ci eravamo
Staccati dalla riva.
Quando giungi n al palazzo, un Inni
ceso in camera di Nikola, Dissi al gondolieri' di
attendermi e per esserne sicuro aspettai
al ritorno. Suonai il campanello ed un momento
dopo udii i passi di Nikola giù dalla scala che
vicinavano alla porta. Egli fu vivamente so
di vedermi, cosa che mi stupì, ma in un i
riprese la sua espressione abituale, e mi invii
entrare
— Spero non sia successo nulla di male ' mi
domando colia sua solita gentilezza — altrimenti
i saprei come spiegarmi una vostra visil
quest'ora
— Purtroppo — soggiunsi. — Ho bisogno del
vostro consiglio e del vostro aiuto
i "si dicendo avevamo raggiunto il su,, studio,
quell'orribile stanza di cui Scorderò sempre.
— Ecco di che si tratta — dissi mentre mi
vo sulla sedia chegii mi aveva offerto. - Domat-
tina di buon ora don Martinos ed il duca .1
battersi in duello.
— Un duello — ripetè Nikola. — Fino a qui
punto e arrivato ' bene, Che volete da
— E' mutile che vi dica che sono venni, perchi
mi aiutate a far sì eh esso non abbia luogo S
Che avete della simpatia pel dina, e cerlam.
vorrete che la sua giovane esistenza vi
sacrili* ala da lineilo spaglinolo
— Dal minio con i-m parlate, si direbbe . In-
vi curati punto dì don José, replicò Niki
Francamente, debbo dirvi ch'egli non mi in
teressa aitano m, , enne pi da un mi
ma egli non gode la simpatia ili nessui
' ed "ri poi, dopo questo nuovo fatto, meno an
' ' .li | a I 'altra i i i iloti. i. in
presenza nostra egl i dtò i delibanti in m
no, e questo duello ne è la conseguii
— S ii ip . li -einprc lo stesso, - inorino
io fra si' Nikola Ma si avvicina il numi.
in cui le sue infernali azioni porteranno n
frutto, - Poi, volgendosi a me, disse forte
Ebbene, dacché lo desiderate, io \i aiuterò. 1'
li è un esperto tiratori' e possian
cantiti di egli farà di tutto per uccidere il du
Ma . omo uiii [i , sapi i i domand i
0 "i ii .ho mi i isuli i\ a the non si erano più
visti, ila quando li avevo presentati I in
— Lo conosco e so di lui più di quanto v'inima
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ADDI» », NIK01 A
chi lucenti.
e il duello
abbiamo un m i-
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-ii un foglietto sta
. in una busta e s'informò
,1.1 he n i VUa
isclò -"i" '■
, indaJ appi uà ri-
di cui alle
pi ■ , in tenga bene aperti
chi [are è di ritornai i
,■ di melten i a letto Dormite ti anqulllo .
e quei due non si batterà
ili. ito, entrate nella gondola che
, poi i del] albergo . c'incontreremo
ni un 'i Ed ora, buona notte
\ii ai , ' mpa rnò t i adi la, poi, dette due
il] , i , , - 1 1 , , 1 1 1 1 ■ , 1 , ■ i afferrai
ò un'altra volta e ritornai all'albergo, Ule
• in,; irono alla p ita. mi vestii, in-
ii un mantello, che la mattina era fredda ■■
si nella hall La mardia notturna mi d
l a\ a aspebtand fuori e mi vi
Entrai, senza pi i (ei ir pai ola, e
in silenzio, dopo avi r svoltato per parecchi ca
iti, giungemmo ai piedi il ricciolo. Un
in, ni,, avvolto in un mantello oscuro stava seduto
entrò nella gondola e - pres
a Riprendemmo subito il i
in quello stesso unni,,, cosi mi disse Xikola,
Gle'nbartb usciva dal] albergo.
I IMI II XI.
il giorno spuntava mentre andavamo chetamen-
ingo i canali. Sotto quella tenue iure mattu
i ui aspetto fan fast ii o in ven-
nte veniva dal mare ed io non potei
a meno 'li lodarmi della precauzione presa ili por-
t.-'inu mantello.
i i me fate a sapere il luogo del loro incon-
,|, , maini ai dopo alcuni ninniti.
trovai e la cosa io stesso,
ti che lo fanno per me - rispose i là
, pare difficile, in realtà è semplicis-
Pei r iggiungere il pi sto stabilito, pensai
dovevano di necessità pigliarsi una gondola;
oi pure lo sapete, è assai difficile
trovarne una d'tncontr [ueste ore cosi
mfnaginai che ne avessero fissata una Mi ri
i ilcun] ondolieri per saperne qualche co-
ii essi mi diedero le informazioni che deside
5 ■ uto questo, tulto il resto \ iene da sé
— E vi . remo all'appunta
monto prima ili lori
Ni li altronde rii ordatevj che vi
h'essi non ~i sarebbero battuti.
i ito ila questi sue nassicui aiì
mi mi>i tranquillamen-
te ad e la stra-
he perei i ri i
Passamn la
chiesa di Sai Maria
I ormi sa, poi pi esso il
Palazzo Ducale, indi
ni ii -i del ( anal
Gì inde Qui giunti Ni-
kola disse ai gondolie-
ri di !
otto i loro
vigorosi ' olpl in pi i hi
la ili Sai maR
i • erso
mezzogiorno. Chissà
quali pensiei
mente di i ilenbarth in quel momento I
, un a [.inni un'idea ili dove
ai in lge> anni \ erso il lido . era quindi
evidente che il duello doveva aver luogo in quella
lingua ih sabbia che separa la laguna dal mare
anni,, Non mi Ingannavo difatti; dopo i i
.•ninni . bi esi a terra Nikula disse qua]
al g tolleri e questi tornar indii
Passeggiammo su e giù dalla spiaggia, poi ci ria
scondemi n un luogo dove potevamo vedere
I approdo senza venire osservati.
Saranno qui fra una decina ili minuti, —
Nikola guardando all'orolo
i osi dicendo ci sedemmo aspettando il loro arri-
, ,, Il min compagno si pose ;i pai lare ilei \
modo ili appi ezzai ■• la \ ita ab!
tanti della terra Nessuno più ili lui era in gradu
di giudicarne avendo vissuto sotto tutti i climi.
Pari n amarezza e con sprezzo delle mesci
vanità degli uomini, come non lo avevo mai >,
prima In, unente rt-ssn di parlare e vi
nardo a slnisti a
— Se non mi sbaglio, ecco il duca di Glenbarlh
Che arriva.
liuanlai in quella direziono, e scorsi effetti
melile la maschia ti-una del duci ili. eamtllin
lungo la spiaggia. Poco dopo fu Begulto da altre
due persone, uno di questi era certamente don
Martinos. ma il terzo chi poteva maj Man
ma :he si avvicinavano a noi, capii che lo
nosciuto non doveva essere straniero a Niki
Egli mormorò fra di sé, con un ghigno feroce:
— Burmaceda !
Il duca s'inchinò cerimoniosamente ai due indi-
vidui; appena reso il saluto, I" straniero s'tngl
linei imi sulla sabbia ed apri una scatola chi
era portata dietro, e ne uni f i due pistole che
i ■. in,, con cura ostentata i io fatto le diede a
scegliere a Glenbarth. Notai che lo spagnuolo era
completamente vestito in nero, non vi si scorgeva
un ululila di Inane, i. il dina ve-u\a .ulne di solito.
Quando ebbero tutti e due la pistola in mano, lo
straniero misurò la distanza sul terreno,
udì. loro la posizione. Ero in un tate
d'agitazione che Nikola mi teneva la sua mano sul-
la spalla per impedirmi di muovermi,
— Aspellale' Nuli vi Im forse dato la una pa
(he il vostro amico non verrebbe ferito? N"ii iti-
le rpeteli aurora. Ho dei sospetti e ini preme
in assicurarmene..
Dovetti per forza aspettare: quei pochi secoi
mi parver l'eternità. I due stavano in posi
ne, mentre lo straniero, da quanto potevo capire,
dava loro le ultime istruzioni. 1 duo dovevam
tarsi le spalle ed alla parola di comando voli
e far fuoco In quei momento mi baleno alla ni
il sospetto di Nikola Lo straniero favoriva
li -, pei cui quando Glenbarth, fedele a
avuto, si sarebbe voltato, egli non se far
inteso, e, secondo osni probabilità, lo a-
b freddato prima i he egli si aoi oi
fattogli Burmaceda aveva alzato la mano e
perdam il segnale, quando Nikola balz piedi,
gridando fune: — Fermatevi I Lo se uii su
go dove sia\ ano i com
Pallenti
— Giù le pistole -i
gnori. — disse loi
\ me impei II -a l'fi't
ervi. Ec
oza siete stato voi
che avete sfidato don
Mari G ' \ I prego di
porgergli le
, use,
— Non consentirò
mai a lare una simile
I IspOSe il duea.
C lito, Nikola lo
prese da parie e parla
rono Insie per qua!
minuto. Poi, te-
rifiutate
le Soprascarpe
che «i rompono subito!
li |t un1, usprt i: :;e.i: tratutl
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sulla spalla, tornarono
\ > llsse Gli ni '.-irtii. in
\ i ■ i lenza, disse rs i u < » i ; 1 . —
ilio spagnuoli spero farete
i sii InBultl \ ostri che tur
i duello.
iì'1 contro que
di i 'h non aver mai ratto una
mile cosa durante tutta la Bua vita, Allora Nikola,
tardò Asso col suoi occhi penetranti e con vo
conciliativa gli di
i ranni piacere, non è vero? —
. ini gli sussurro alcune parole
i Intendemmo, Queste ebbero su di lui
iì suo viso si rece bianco come
etti i"' mi imento che cadesse a
i ma si rtcon ito con uno sforzo, e
quanto i tato ordinato.
\i ringrazio, sign - disse Nikola. — Ed
permi neremo Insieme In città,
tosi allo straniero: — Non è la prima voi-
- gli di sse i he prendete pai te In quesl I pie
i: in Già vi avvisai altre volte; sappiate pro-
fittai h ni. ,,i a in tempo. Hicnrdatev i
Pii ro Sai lomi.
Noi so chi f i Pietro Salloml, ma al solo suo
ione ih millanteria scompar-
ve dal suo volto, e si rece umile come un asnello.
- Andiamo, signori — dissi' Nikola
i preso con se don Martinos, si avviò frettolosa-
mente verso il luogo dove eravamo sbarcati. Lo
1 due i
\ni" ilio gli dissi mentre camminavamo
— ma comi mai avete potuto rare una simile co-
i tra vita non Ila dunque nessun valore
per voi '* per i vostri amici, da buttarla via in
un modo cosi i o ribile "
Sono ia creatura più miserabile del mondo.
Sarebbe stato assai meglio per me ili
Unirla con una schioppettata.
Sentjt,.. dlenbarth — gli dissi alquanto adi-
ontinuate a djre delle sciocchezze di
to cenere io comincio a credere che non siate
responsabile delle vostre azioni Che diamine ave
te per considerare i tanto infelli i
— i" sapete perfettamente — mi disse scuro in
— Vi rendete infelice credendo i he mi ["ri
pi irvi Ma se non gliel'avete ancora
i me ^ olete saperlo "
5 i preferì e don Mai tlnos,
Minio
— Che sci hezzal - risposi S persu
ili no. Ora, vi diro schiettamente il uno progetto,
Noi partiremo dunq (uesto pomeriggio per Ro
ma. dove passeremo una quindicina di gioì
di \ e a\ i ete i opportunità di palesarvi con m
Trevor. Se durante questo tempo non vi sarete
pronunziato, lasciate ch'io vi dica rrai
che non siete queir io ch'io supponevo Ed
rdatevi bene che non abbiano maj più a sue
cedere slmili cosel Padronissimo ad uno spagnuo
lo qualsiasi, ili andare pel mi ndo facendo io
ione ed insultando la gente per poter
ni riiipo nel peti i : ma un uomo del vostro |
i un lieve aver più (lei rapporti con degli indh
slmili.
— \vete ragione, Dick, e ne so nortiflcato.
Perdonatemi e i ne parlate con lady Hatteras
— Esso già lo sa e come potete immaginarvi era
fuori .li se Pensate quello che sarebbe di noi, del
vostri par. 'un in Inghilterra, se vi fosse
una disgrazia. Basta, non se ne parli più. Tutto
e tiene em elle Unisce ili delie
(Jiianilo edliimn raggiunto la gondola, Nikola mi
prese da parte.
Tornando In città voi farete bene a pigliare
i ' n voi in gondola solo il duca, io andrò in un'al
tra oii don Martinos.
— Che ne è successo di quell'altro? — gli (diesi.
— Lasciate che nuoti dove vuole. — disse Nikola
crollando le spalle. — M'immagino che avreti vi-
sto quello che successe laggiù.
Arci ai di sì.
— Bene, non ne fate parola con nessuno. Queste
cose e meglio tenersele per sé.
A colazione. Glenbarth si mostrò sereno e tran-
quillo.
Confi
t ÉJ"3nr
S.
Anno-II
ÌNvm-IO
•LaLettur
Ottobre
RIVSTA-AEN5ILE-
DEL-rORRILRL-
^DELLA"5LRA-
^NTONIERA IN MAREMMA1
jvanni Roverbelli si scosse di si pras-
salto nel suo canile, spalancando gli oc-
chi attoniti nel buio.
Tutt'intomo era un grande silenzio solenne ili
deserto, solo trapunto qua e là, pei circostanti can-
neti, di voci rauche di rane.
Il guardiano stette trasognato, ascoltando. Gli
pareva già fosse l'alba. Dalla camera attigua giun-
E i il russar denso della sua discendenza incon-
mii.i. povere anime pasciute di sorgo alla giuria.
del sole!: e lontano, nella notte, i fischi sonnolenti
delle locomotive di Orbetello gli arrivavano dolo-
losamente alle crecchie, angustiandolo pur nel suo
scarso riposo.
Acceso un fiammifero, dette fuoco alla lanterna.
— Due ore di giorno !..
Dalle fessure delle imposte un tranquillo e fer-
ini: albeggio penetrava, a fargli perdere il senso
i ira.
D'un colpo, per cacciare la insidia del sonno,
buttò le gambe giù dal saccone, levò la testa, e fu
in piedi.
— Le scarpe, i pantaloni, un pezzo di camicia,
e il cappotto !...
(i) Da: — / lavoratori del 1110/0. — Scene del
dei ferrovieri, di prossima pulii licazione.
La Lettura
('olla lanterna in mano uscì all'aperto.
dna passione di luna enfiata e sghemba ardeva
alta nell'aria fredda d'ottobre, serenando nel suo
dolce calare.
Posata la lanterna a terra, il guardiano avanzò
lentamente sul binario, che brillava rome due fili
di ragno tesi a due punti remoti ed introvabili.
Egli afferrò la sbarra del passo che era lì ac-
costo al casello, sbattendola a furia contro il pi-
lastro. Poscia, a corsa, ansando pe' suoi cinquanta-
cinque anni suonati, si avviò all'altro passo, più
verso le macchie di Montalto, che bisognava chiu-
dere pure, ed era la sua disperazione.
Chiusene in fretta le sbarre, a destra ed a sini-
stra, si piantò fermo, aspettando.
Non si vedeva anima viva all'intorno; sempre
la luna serenava, ed il treno non si udiva avanzare.
Egli accendeva tranquillamente la sua pipa, al-
lorché lo sorprese un rumor sordo, come un fru-
scio, improvviso, incalzante.
Erano i pastori di Montalto. che scendevano coi
loro greggi alla pastura.
Proiettando la luce del l'anale verso la strana.
guardò profondamente nel buio.
- Oeh ! Ci lasciate passare?..., — tuonò im-
provvisamente nel silenzio una voce aspra e im-
perativa.
5.5
LA LETTURA
II
he aqui-
lina bionda fiumana,
di I pasto con fals
\ . i, alto là ! prese .1 urlai ' belli,
: na sul musi, a colui eh avi va
landa: - siete matto, Ghitone?, —
il ti ni da un minu-
to .ili altro!....
I in( 1 nfodei a si pose
nini veniva
che il tuo
i 1 'ili n
G one: apri le si li dò un :
lo 'li tre giorni. 1 he mangi ri alla pn ss ma
u !
Tu pimi dire a tua pi sta, ril nj iass
bile Ri iver! «Ili :
li, non 1 vi glio and in perdio !
Le pecore, quali ra'ni brancate, nordi
ni > l'erba brulla dei ciglii ni : |ual
-, iate ni sulla \ ia, 1 stai ani il muso n l
olvere. Alla retroguardia, dove l'armento tini-
1 . ratto, lasciai a le file, gali 1
• 4* ' I
a ]• star sul mus alle prime peo >re più impa
chi landò volevano invadere il binario.
e, in cui ia man mm 1 parei .1
[uammi pelle ili lucertola, < l'ni
imi,,, ih, so uipariva sotti •
alle cadenze del suo lungo mantello, pareva un gi-
, , Il ,11.' pecore.
— Animo! Tenetele indietn 1'- vostre I rstie !...
andò i! guard quello
ipita , gè parla chiari
\ , tei ra la sua lancia
1 i d'un colpi in sulle staffe, e 1
volgendo rei etti una voce .il com
urlava co-
. | ,
1 1 cavallu< 1 ido o
to al ci >rpai cii 1 del I >utteri 1, 1 he,
colle ellose al par ili quelle d'un fauno,
In sti mi- in una morsa.
• li incerta versi il chiuso lontano: e allnra s'alza-
va rauco nell'aria l'urlo del mastino ili guai
un dalla voce ilei pasturi.
Vedi 'In- non viene?... — disse Ghi'
sempre immoto, con voce iraconda: — se mi fai
piilii. il pascoli ili Santa Brigida, che .li mani
si brucia, ti ammazzi
E, in così dire, già s'era avanzata curvam
in sull'arcione come ad impadronirsi della sba
Tutte Ir pei'iii'. in una v. •! volta, s erano levate,
1 1 .un- ili>,' imi . ingolfandosi tra le due i
esili '-In- - '. ■".i\ .un ' il passi Vni hi il pastori
i a ci me un fantasma : le besi ie assalivano
I larra, ch'era si i l, e ni >n tene\ a.
Rovi rbelli, a quella vista, fu presi dalla i ! -
ne :
— I i"!ii tro, iii'l1 i ! urlava rome un
sesso, affannandosi a rorrei dietro alle primi
i | | ivani il ri
i AN D »N1ERA IN MAREMMA
3ò7
E appresso, in un attimo, s'avviò d'un tratto.
con impeto, il grosso dell'armeni! . serrato •
mo a Ghitone, che veniva tra il suo p
un re trionfati re.
Il guardiani guardava, rassegnato e muti
ohe gli martellava ne! petto acerbam
- Che disgrazia. Die mi ! Se venisse adess
Ma non aveva finito quel pensiero, ohe s'intese
una strappata secca e lucida di corno dalla vicina
ra, e in sul ventre della curva apparve pri-
ma un occhio, p«ii 1 altro, della locomotiva.
Allora, egli perdette il lume degli occhi; come
una tìera s'avventò alla sbarra:
- Eccolo, eccoli !..., - urlava, correndi qua e
là sulla strada come un pazzo: — salvatevi, pol-
la Madi min !....
Menichello, il buttero che veniva in onda aliar-
arrivare la stanga tra le gambe.
te un grido da fiera, e cacciando le calcagna nel
re alla sua cavalcatura, disparve.
Le ultime pecore rimaste in sulla strada corre-
\ ino sbandate dietro al pasti re. che più n< n si ve-
deva.
Roverbelli restò sul binario a menar calci sino
all'ultimo istante; poscia, a sua volta, dette fiato
alla cornetta, appostandosi fermo davanti alla
ira.
11 treni passò sopra una confusione di gemiti
e di voci, soffocate dall'ansia del fischio. Rover-
belli, piti morto che vivo, non si decideva a min -
: pareva impietrito, colla lanterna in ma
e gli occhi sbarrati.
— Fossero solo pecore! Ma se ci fosse rimasto
anche Menichello?....
— Sono perduto !....
Egli gettò all'intorno un'occhiata torbida e smar-
rita :
— Roverbelli. scappa!.... Non ti lasciar piglia-
le! Maledizione!
Man mano che gli occhi gli ridavano il senso
della vista, egli li intendeva alle rotaie, con un
brivido ili torn re nelle ossa.
- L'omini no per grazia di Dio! ma pecore,
quante!....
1 . infatti, un !>elar compassionevole e fioco par-
tiva da! ferro.
Avvicinando la lanterna, egli vide chiaramente:
un macello :
Alcune ne giacevano, dilaniate, al suolo, e ne
uscivano da ogni parte le interiora in sull'acci
miserevolmente. La testa d'una d'esse, spiccata net-
ta dal torso, era andata ruzzolando giù per la ri-
pa, ad arrestarsi tra i pruni della siepe. Un'altra
era ancor viva, ma stava immota come ella fosse
inchiodata al terreno, e. ad ogni poco, levava la te-
sta dolente, in un gemito quasi umano.
- Oh, miseria!. — esclamò Roverbelli, curvan-
■ i guardarle negli cechi imploranti: — e que-
' ■• • ■ ' 1! buono ha da venire poi.... E chi
ci andrà di mezzo5 Roverbelli. perbacco! Manco
!...: quella bestia, quell'asino, quell'orbo ad-
dalo di Roverbelli. che non sa far risi
tare la >l arra ei regolamenti!.... Diamine! S
gli stracci che vanno alla folla!...
\l< ni re o ȓ fantastii ,r. a, uh venni un ii li a : p r-
tar via le pe< ■< re mi rte, al più presti . Le bestie si
rimu -oto anello appena morti : non è
cristiani, che si debbono lasciali- a pi-
gliar le mosche sini a che arrivi l'Autorità!...
Quanto a quella disgraziata am i viva, finir-
la!.... Ma come? Egli non se ne sentiva il ci
raggio !
Frattanto la misera, che a forza di annaspi
sera trascinata sulla banchina, straziando l'aria
suoi lamenti, dette due o tre crollate della testa.
e si allungò in sulla terra, mi i
- Animi . Ri verbelli, prima che passi il treno!
Egli prese a correre verso la cantoniera, col fia-
to, sm zzicando in parole incomprensibili la
patir ne che gli si andava profilando nel
rato: — il sorvegliante, il capo stazii -
ne, e l'ingegnere, e i carabinieri. ; il Preti re.... e
in fondo a tutti, sul cavalluo i nero, o me un fan-
tasma. Ghitone, che correva pancia a terra, lo stile
in pugno, verso di lui. urlando: — dammi le mie
peci re! — E i testimoni....: tutti venduti, tutta
carne da fi rea!.... E la pagnotta-....
Egli pesto il muso e la lanterna contro la porta
ella casa: la porta cedette: era aperta. Entrò
me ubbriaco, senza nulla vedere d'intorni a -
Nel vestibolo angusto, sua moglii s'avanzava
flemmatica, in pieno assetto di guardia: il cappel-
laccio di paglia in testa, la cornetta alla cintola,
e, tra le mani, ancora arrotolata attorno al fusti .
la bandiera.
— Che fai?, — dissella, vedendoli così infu-
riato; e gli puntò la bandiera al [ietto, per tener-
lo a distanza: -- stanimi indietro!... Che haC.
Egli non rispondeva. Istintivamente il suo occhio
ricadde, come stupito, errando sulla eni rme ri
tondità di quell'esausto ci rp femminile, che sotto
mira del cappellao va un gran funi
sfiancato.
— E' passato Ghitone coll'armento! Per forza
ha voluto passare. — balbettò Roverbelli colla
voce tremante.
— ■ C'è rimasto?.... — domandò ella ansii sa.
- Ci sono rimaste le pecore, che è [leggio!
Ella parve restare un istante in pensiero; poi,
senz'altro dire, usci fuori, mentre suo- marito stava
bocca ap rta a guardarla.
La luce era nata d'ino mo; egli ne 1 Ir il sen-
so preciso della realtà delle cose: guardava a d
stra. fissamente, lungo la linea, là dov'era 1-
— Venti anni senza una punizii sci ? —
se d'un tratto, come sei con
sua moglie: — sette ormai passati qua. in qui
galera, e senza una multa.... E' la rovina, che mi
è venuta addossi !.... Fossi giovine!....
LA LETTURA
me n ero scordato,
pallido I
\ .li vii) I
ma fuori sta
Non
Mi presti una lira?
Aj .1 trasse 'li mal fogli, dov'è
rari re e il ritratto di Maddalena : il
liigu teva a toccar quegli i
ne un edilizio in cui si muovano le pietre
gono. Cercò la lira e gliela porse senza
guardarla; non voleva divagarsi.
perchè sono - disse Musi h
allegra.
— Pi i questo, s'intende.
V . pei un'altra cosa, che ti farà molto pia
OSI due dal portafogli, dove (uva ri]»
sto la lira, trasse due biglietti verdi, che stese sulla
tavoli canto all'altro.
Cos'è? — domandò Andrea sempre assorto
m prima.
i os'è? — fece Muschiarosa scotendolo —
non vedi? Son biglietti per andare al Lohengrin,
al Lohengrin i Poi, guardando per aria
e agitando le braccia si mise a cantare:
Mai devi domandarmi,
Ve a palesar tentarmi
Il giovane musicomane si scosse leggermente e
oblio//,', un Vago Sor:
— Vieni, vieni — disse l'altro con insistenza —
dimani chi sa che bei motivi saprai rifar sul man-
dolino! Vieni.
— Non ne ho voglia stasera.
— E per un'altra sera i biglietti in regalo non
si trovano più; ma perchè stasera no? Cos'hai tu
•r:i ?
Andrea, geloso de' suoi pensieri, temeva di tarsi
scoprire; stava a disagio; volentieri avrebbe man-
dato via Muschiarosa, ma ci voleva pazienza per
non provocar spiegazioni. E poi, come mandarlo
se ancora si sentiva piovere dirottamente? A
poco a poco la compagnia dell'amico cessava d'es-
importuna e lo scrosci della pioggia dimi-
nuiva.
— Hai cenato tu? — - chiese Muschiarosa.
— lo no.
— Allora vado a prendere qualche cosa. Man
geremo qui tutti e due. Spendo la lira che mi hai
Si mise il cappello e corse via. Andrea, rimasto
solo, senti tutto quanto l'enorme fastidio della so-
litudine, provò una pena infinita: gli doleva di
non aver seguito il suo amico e desiderava quasi di
corrergli dietro. Al pensiero che avrebbe potuto
metter.- ad effetto il suo pi in quei pochi
istanti si sentì rivoltare dalla ripugnanza: sulla
soglia della morte tutto risorgeva il vigore del sii'
animo integro e della sua verde giovinezza. Capì
che non avrebbe mai commesso la viltà d'uccidersi,
sentì che gli bastava ancora la forza di affrontare
la vita e di sfidare il destino.
I .mi'. ti in., in un lampo e mise sulla tavola
ni, [ di polenta frìtta e di pesce tutto
i limante.
— Adessi liamoa secco, poi usciamo subito
e ani " ' prender un bicchiere di \ ino. Su,
Andrea, mangia; se si fredda, questa roba divi
\ a.
I li .1 .. ' aver presi > quel cil si asi iutti i
i i "| k - to per il suo stato ili sfinimento, An-
' -ini k 'il !.. i ' ini rte e ■ un cuscino.
Sulla strada l'aria aperta non gli faceva quasi nes-
sun effetto: dietro il consiglio ,• l'esempio dell'arai-
i o bevette un gri ssi b i i hiere di vino, e questo valse
davvero a scuoterlo da quel torpore mortale:
minilo subito a ri t arsi un pochino, ma restava
sempre mesto e come assorto in un profondo pen-
siero.
Anche a teatro l'opera potente di Wagner, ch'egli
già conosi èva tanti p fama, sul pi ìncipio non
giovi) a disi rarlo ; ma all'arrivo del cigno, al pezzo
del tenore, si scosse, sì commosse, s'infiammò di
guisa che non pareva più quello di prima. Per tutta
1 opera egli fu Come rapilo dalla musica meravi-
gliosa e stupenda, che rispondeva allo staio del
SUO animo afflitto. Ah. lo stiano incanto della mu-
sical Quella non era più l'arte di Wagner, quella
non era più la voce di Elsa e di Lohengrin, era la
voce naturale della sua passione e del suo di
che si effondeva in concenti divini. I^e idee fiere e
losche cedevano tutte quante; egli eia invaso da
sentimenti generosi, delicati e sublimi; sentiva i]
cuore aprirsi di nuovo alla speranza e le ciglia
inumidirsi di pianto.
A casa lo aspettava la stanza solitaria con le
memorie, gli affanni e i propositi lugubri. L'in
lauto della musica, che infondendosi nella sua pas-
sione ne alleggeriva i! peso e ne diradava le tene-
bre, lo abbandonò d'un tratto. In tono sommi
anche per le scale Andrea aveva cantarellato; ma
sulla soglia della stanza la voce gli morì nella gola
e una nube di piombo gli si aggravi' fosca sull'a-
nima. Provò nuovi tormenti, che poi all'appi
del giorno si dileguarono.
Col mandolino sotto il braccio entrò da Mu
i uosa, che era aurora in letto, lo svegliò, aperse
la finestra:
— Torno a stare con te almeno un po' di tempo,
la mia camera l'ho disdilla per stasera; a momenti
porteranno il mio baule, tu avviserai la padrona.
L'altro non chiese spiegazioni, suppose che fosse
avvenuto un battibecco, provocato dalla padrona,
la quale aveva Movalo da affittar meglio la stanza:
COSe noiose queste, che nell'idealità giovai'
gin no trascurare. Muschiarosa non ne fece un caso
al mondo e stirandosi cominciò a rilare i più noti
motivi del Lohengrin; Andrea, ch'era più abile,
correggeva, suggeriva: cessavano di cantare solo
per abbandonarsi izioni e a slanci di en-
l'i parlare con la padrona, per cominciare a
mettere in ordine la Stanza, Andrea si trattenne
molto press., il suo amico; andò a negozio vi
le dici: aveva voluto aspettar tanto, perchè Mad-
ANDREA
809
dalena già fosse partita. Per tutto quel giorno 1
volle attendere al suo lavoro; ma s'interrompeva
ad ogni poco e cantando appassionatamente non
faceva che ripetere fra un sospiro e l'altro:
Merce, merci:, cigno gentil
La sera tornava alla stanza di Muschiarosa, già
preparata per due, con un gran librone sotto il
Diaccio: s'era abbonate per un mese al gabinetto
musicale, portava a casa lo spartito del Lohengrin.
XII.
A negozio tutto era mutato ; sor Luigi senza fa-
miglia mangiava alla trattoria e non pensava ad
altro che al matrimonio della sua Maddalena. Do-
po alquanti giorni partì anch'egli per assistere alle
nozze che avvennero il 23 di gennaio ; poscia tornò
a Roma con la sora Adelaide, ma non c'era più
nessun amore né per la casa, né per il negozio:
a maggio volevano stabilirsi nella loro villa in To-
scana.
Si vedeva spesso il nuovo padrone, al quale sor
Luigi cedeva la drogheria : era ricco, giovane e
audace : voleva ingrandire e perfezionare l'azien-
da, voleva, com'or si direbbe, slan-
ciarsi ; scartò alcuni uomini del
personale , ma volle tenere An-
drea,: idi parve dolesse essere una
fortuna per il negozio un giovane
tanto serio, intelligente e raccolto.
In casa del nuovo principale
si faceva una vita tutta moder-
na: cera molta apparenza, molto
lusso; la signora sonava il piano
e andava in bicicletta. Andrea, per
l'eleganza della persona e per il
gusto che aveva naturale ali arte.
era molto apprezzato: egli da par-
te sua si sforzava per non parere
scortese e qualche volta accompa-
gnava anche la signora in bici-
detta; ma non seppe mai abban-
donarsi pienamente a questo gene-
re di vita, in mezzo alla qualt re-
stava spesso ritroso e rustico come
un lepretto. Il tipo ideale della fa-
miglia semplice e saggia, dove si
trova la pace e s'attinge il vigore,
era già formato per sempre nella
mente del giovane ; credeva d'a-
verlo veduto nella casa del suo
primo padrone e l'amava tanto che
per ora nulla di diverso poteva
piacergli.
Aveva sempre nel viso una tri-
stezza profonda : pareva che fa-
cesse il funerale ad una vita ca-
rissima, ch'egli non aveva veduto
che al tramonto: — E' finita, è
passata via per sempre dal mondi,
la luce calma e serena d una ci-
viltà matura , ora non e' è più
che nebbia . nubi e vapori che la luce nuova
non ha ancor dileguato! — e malinconica-
mente restava liso, come chi mira gli sprazzi di
rosa e di viola, che dopo il tramonto ancor riman-
gono ad occidente nel cielo.
Poco dopo la partenza del sor Luigi, il nuovo
proprietario cambiava locale. Era proprio il tem-
po che si doveva cominciare lo sgombro, allorché
Giovanni, il facchino, disse che la sora Maddale-
na mandava a chiedere la madonnella di maiolica.
che stava nella retrobottega. Il padrone dapprima
disse che non voleva darla, poi brontolò, e infine
la concesse, tanto più che anch'egli ricevette una
lettera di Maddalena, che lo pregava e lo scongiu-
rava di lasciarle la sua madonnella; l'avrebbe pa-
gata, ne avrebbe mandata un'altra, ma per carità
non gliela negasse. Andrea, che era rimasto colpito
dalla strana richiesta e dal nuovo desiderio di Mad-
dalena, ebbe poi l'incarico di fare la spedizione ;
egli vide le lettere, lesse e commentò quelle parole
umili e ardenti, che gli parvero come lo sfogo di
un'anima appassionata, e ne trasse argomento per
credere che Maddalena non fosse felice.
Ah. che triste trionfo l'infelicità della persona
amata !
LA LETTURA
era carie, di gente ; vi si scoi
ritti in i iche punì
I i lo pai terra lo n noto, per il
osi' Hi grave e lento.
Quandi p le chi vi stava
pi Ha fu colta da un sul nari
undolo colle ' ■ .aglio di eoa
dannat il li som gliai te, ritta nel mezzi
darvi anche questo lusso, p li carta in criveva ; Roveri
sospirò malinconi- duto in sull'urli, o Ile gambe penzi Ioni e la
indo il bimbo con una bassa, stava come di m
rante; uno all'an- ti carrell >tò <la-
; liana ?... dia cas nentn tutti d'un balzo, m
uardo sulla brigatella, devai -
ill'intomo, i Presto! manca un quai J lampo. -
ma noi... noi lob disse il sorvegliante, guardando l'orologio:
oriti ben bene, puma di prender la le bestie i p i, Fuori subiti dalli ; rarrelloj
l , - i padn ni p risani i ssi a ten i ialtri!
] ir Che razza di pasticci!... — andava bri
Roverbelli si Sua moglie, invece, sta landò, collana ili magi e, menti
sentire: ■'' 'a manovra, seduto trancimi lamei i alla
Sfidi olVii arie da signori ! Colla vigna: sempr fastidi npn
e della vita strapazzata eh vi mpossibile!
iinlair all'i sieri. i. ed anche ai risto- E crollava la ti
: ii ni, si capita.... quelle imboscate di Roverbelli seguiva il sin lavi ro. livido e zitta
ladri e \ otti un litro a colazione!.... 'l'uno Un gran furore gli ribolliva n l sangue, ma Dio
l'amministrazione vi paghi?.... guardi se l'avesse dovuto sfogare a pani'!
i ■ i ■. ai fate i politi- Come li bestii l deposte in sul terreno, in
anche, adesso!.... Povera gente! un mucchio di carnan uinolento, ,1
Mentri iccendevano nel dibattito, un grillo gliante prese con voce iraconda a interro^
lungi •■ sti fece udire, che partiva dalla - Dite la verità, via '.... Avete lascia
. rinnovato, insisterne la sbarra, di sicuro3....
A rivederci! - disse il macchinista le- Ma che storie!. -- interruppe con vii
unente: - Dio ve la mandi bue*- Roverbelli: - quando voi siete solo, ■ gli
olle vostn pecpn ' Non vi fate bucare la ve l'aprono per forza, la sbarra, e sa potreste fa
mi rai i mando ! re voi ?
L'n acuto fischii della locomotiva copri la sua — Chi c'era?
! treno, d pò un lungo stiramento di ganci. | butteri dell'Alberese, sempre quelli! <J
e un e ordo d repulsori, simile al suono dei d, ,-','■ una prepotenza, non si sbaglia: son
cocci rimangiati, si mossi un istante: si arrestò, Ma fanno bene'.... Trovano tutti col cappello in
rotoland via pigro e grave, 11 mano, pronti a serviili !.... S'accomodino!
m fu davanti alla cantoniera il suo Gente che sa il suo mestiere, sentenz
carr rrò la spranga, e d'un balzo, pei la soi e: — sono al servizio del Dina!...
siala di ferro che vi correva in sul liane,., | , ,,, questo?...
dia sua -aiuta, e sparve zufi I n signore che sa il fatti su. : E i*>i bisi
lindo. vederi con si ne andati vei
Roverbelli dette un gran sospiro. Finalmente, con voialtri guardiani, chi arriva a saperne i]
la linea era libera : per due ore non sarebbero pas- che cosa bravi ' Iveti sempre ra
impicci. vi i una tattica !...
Svelti, dunqui ' La carriola, la zappa, e tu, Roverbelli si morse le labbra, per non urlare.
i -, le carichiami tinte, e le por- L'occhio gli si I rvi : il sangue gli cor»
u: >. Dopo.... quel che sarà sarà! disse va alla lesta furioso, irrorando un nugolo di
alla moglie, avviand sieri tristi e violenti.
Quel camorrista titolati di Duca, altro chi sape
re il fatto suo!.... Ter quelle poche pecore ei
«** paci di tare un chiasso indiavolato, la:
i laniera i m ter sossi ipra mi //' ■ mi melo: e che
le ferrovie sono in mano del primo verni
i lunga, interminabili I gì irdiana, il personale dorme, e non c'è sicurezza di nii
"iti alla casa, ti- l\ gli danno subito ragioni ! fili turano la i
i u ore di ruote, si levò di con un.\ manciata di biglietti |ht indennizzarlo,
prima che parli ! Anch Quella
ie venivani n 111 I sso Fi ; n ragline! Strilla, fa la
CANTONIERA IN MAREMMA
s7'
Tutto questi Ri verbelli si inghiottì eri icamen
in un bocci ne, che ne aveva piene le fauci, e si
\ a si ffocare.
— I figliuoli!... Pensa ai figliuoli, Roverbelli!
K duro il pane della vita!...
E poi.... il sorvegliante aveva quella \
spina ni gì la. .. La preda gli era sfuggita dagli
gli, al vecchio lup< !... Ecco dunque giunto il
momenti, propizio «Iella vendetta!
"Roverbelli si sentì venir meno, a quel ricordo.
Istintivamente levò gli occhi, spingendoli a cerca-
re lungo la 1" l'opprimeva eolia sua solitu-
. e scorgendo vi un profili di <'■< una che veniva
. .v, la antoniera, tutto si sentì rinfrancare.
La fanciulla, sopraggiungendo colla zappa in
ispalla. entrò, silenziosa, buttando l'arnese da un
o. Il padre non si saziava di accarezzarla col-
sguardo, (.'n'ombra di lividore si disegnò sulla
Fa eia del sorvegliante, mentre essa passava die-
tro alle sue spalle.
— Basta: verrà il cavaliere, — diss'egli, a mi do
ili conclusione; — verrà lui. a mettere le cose a
dovere! E, in confidenza: se volete un buon con-
siglio, lasciate che l'acqua corra via liscia per la
sua strada M'intendete !...
Roverbelli. a quella proposta, uscì con un urlo
ti. ri In ndo:
— Perdio, se farò il mio dovere! Dovessi la-
sciarci la pelle; — e levava gli occhi di fucco in
i al sorvegliante: ■ - E la vedremo'.... La
verità ha da venire a galla, e ci verrà... Me ne
ii fischio del Duca e della camorra, io '.
La moglie e la figliui la. sentendolo infuriato .1
quel modo, erano apparse in sulla porta, sgomente,
affannami! si a fargli colle mani dei segni di pre-
ghiera e di scongiuro. Ma inutilmente !
Esse non riuscivano ormai più a dissipare la mi-
ti rva che per suo malanni 1 s era distesa in
quella trista ora sugli occhi del padre. Tutta la
sua vita gli riaffluiva ora alla mente d'un tratto,
rinnovandogli le amarezze e le soperchierie onderà
vittima nella sua lunga carovana ed esage-
rami gliele fatalmente allo spirito turbai- .
— Sissigni ri ! Ho taciuto quarantanni, ora par-
' Tante! sono vecchio, carne da tagliere!.... E'
li finirla, che un uomo, perchè è solo, perchè
la il suo di vere, e non presta mano ai prepotenti
e alle birbe, lo si debba schiacciare!....
Il sorvegliante, pallido come un cencio, stralu-
nava minacciosamente gli occhi, senza dir motta
I cantonieri, che sapevano della vecchia ruggine
tra lui ed il guardiano, s- ne stavano silenziosi ed
1 uieti ad ascoltare, come chi fiuta nell'aria il tem-
ìe. Dalla casa, dove s'erano ritirate le donne,
partiva un piagnucolar sommesso di ragazzi, che
1 sceva la tristezza del moni.
Quando Dio volle, s'udì il segnale dalla canti
a prossima: mentre Roverbelli era entrato in
casa a cercar la bandiera, il tren. lampo passò via
le un terremoti . nel polverone, in mezzo a uni
'piglio improvviso di galline, e ad un grande
sventolio di cenci sciorinati al si lc attorno alla
isa. I ! - 0 usciva fri 1 i can-
tonieri avevani posti mani al cari Ho. e lo stava-
no trascinando verso il binario a grande fai a
— Oh, leva!... Oh, aizza!...
('.ilo pertiche puntate a terra incominciavano
a muovere il veia lo. Il sorvegliante, che 01 si era
UlO tranquillamente, senza più aprir bi ca, o
me furono appena avviati, ne balzo svelto d'un
tratto, inforcando la giacca che tenevasi appesa
alla spalla.
— Ecco il cavaliere!...
Cerne Roverbelli non fiatava, egli replicò:
— Viene il cavaliere!...
— E lasciatelo venire!, — gridò con tono ira-
condo il guardiano: ■ — s'accomodi!...
Il sorvegliante gli s'avviava incontro.
— Vacci anche tu. — disse sottovoce sua moglie
a Roverbelli: — non lasciare che gli parli prima
quella carogna !
- Ah, no. perdio! 11 cappello in mano l'ho te-
nuto anche troppo, sinora ! Venga qua lui!
11 cane bracco dell'ingegnere, ch'era all'avan-
guardia, comparve in sullo spiazzo, scodinzolando
festevolmente, e fregandosi alle gambe di Rover-
belli. che gli menò un calcio senza misericordia per
-.iluti. l'i 00 lontano, il sorvegliante, che frattan-
to aveva incontrato l'ingegnere, si vedeva sbracciar-
si in grandi salamelecchi ; poi gli si era posto alla
sinistra, un passo indietro, rifacendo insieme la
strada :
- Oh, cavaliere!... Sor cavaliere!.... Eccolo!
Roverbelli toccò appena l'ala del cappello, ma-
sticando a sua volta tra i denti un cavaliere incom-
prensibile, mentre di sottovia ne andava squadran-
do la grottesca figura di fattore inselvatichito nella
macchia.
Giungendo davanti alla casa, egli s'era levato
il fucile, che teneva ad armacollo, appoggiandolo
come a rastrelliera tra i rami della siepe; il cane
saltellava, annasando, dalle sue gambe a quelle del
guardiano, che ora dovevano trattenere i calci per
forza.
— Siamo alle solite !, ■ — l'apostrofò l'ingegnere.
rolla voce aspra e la cera buia: — contate su: co-
me è andata questa baracca?
Ma Roverbelli non si scompose; a quella roz-
zezza c'era abituato da un pezzo:
— Xon lo sa? Non gliel'ha detto qua.... il suo
dipendente? E' andata, quando devo parlar chia-
ro, che è ora di finirla, sor ingegnere, di metter
un uomo a repentaglio contro le canaglie che gi-
rano di giorno e di notte, per fare economia d'un
guardiano 0 di una sbarra. Ei o me è andata !
- Ma che guardiano! Ma che sbarra d'Egitto!,
— proruppe invelenito l'ingegnere: - Vi 1 fate il
vostro dovere, e queste faccende lasciatele a chi
tocca! Tutti voialtri ave'c il ticchio di voler fari-
la lezione all'ufficio di sorveglianza! E se non a-
\ete i passi sul naso fate il diavolo a quattro!...
Cosa vorr.'steTJ Che vi mandassero qui in villeg
giatuxa? Chiudetele le sbarre, e poi nessuno si az-
zarderà di aprirle! Ma voi fate agevolezze, vi im-
brancate nelle clientele, e chi n^ va di mezzi I
LA LETTURA
\ .1 non va, e non va '. I
lanari, perdio! I della
[-mentati, capirete bt ne > he
non si può lasciare, non si devel Bisognerà prov-
' Forza!... Sfori è accaduto un disastro
D 'lo !
Dopo quella sfuriata, egli tacque, ricaricando
rte la pipa, e guardando fissi Ri
me in attesa d'una parola, di una giusti-
qualsiasi. 1 > a Ila i asa si udiva
parole, rotto da un
singhiozzare sommi contenuto, che parlava ili
un grande rammarico segreto, ili una tormentata
■ il amarezze.
Roverbelli cacciò 1" sguardo dentro alla fini
eno 'li una bui : pass patema,
e gli occhi gli si fecero irresistibilmente lucenti.
— Rub nari ? !....
I . tette intontiti i o un bue che
la prim i ap >. ripetendo mec
atticamente quelli senza più quasi al
il situili
Ani Proprio ti ro di lui,
dunque ? l'r. iprii ■ i io pei offocarlo, pei
j il pane di t>
I ':. va bene ! Fai ' i inondi
fatti ! Si può bene ava ni la
he iii.n conta un li'-" seci ol Sei vec
il gran guaio ! E dei vi
trovano tutti i pr- ne.... Ri ba
I ■. si butta via come un limone spre
In mezzo alla burrasca che imp i iva nel suo
cervello, egli ebbe un lampo 'li chiaroveggenza:
Ecco tri vati dunque il bandi lo per liberarsi ili lui.
pt-r mandarlo via! I na lira al giorno 'li pensione,
r molto, e non più i isa, ni n più tetti : la mi-
vi ia '
Egli si sentì soffocare, davanti a quella prospel
. tutti i suoi propesiti di ribellione sbollii
\ i.t in un subitaneo accasciamento 'li tutte le
che j h k -i > prima, davanti alla prepotenz
perta, ivevano ancora vibrati con baldanza ed im-
prontitudini irdle.
— Faccia quello che crede!, disse in tono
sommessi' che tradiva la intema crescente oommo-
ii : ma prima ili rovinarmi vorrà almeno
aspettare la sentenza del pretore!....
Ma che sentenza! Vorreste dar corso al
verbale?.... Siete matto?! Prr i an-
che le spese dell' ammiin Bravis-
simo! Eh. già: i>er voialtri, i danari del-
l'amministrazione sono danari del diavo-
lo!... Meglio accomodare il male!
Din., eh è un gentiluomo, e metter ao
sul fuco i !... Quanto a voi, siete un
l'iiin agente...: sapete che l'amministrazii
fa sempre più del dovuto....
Egli si alzò, o ^1 dii endi . e rimi
i rani nuli. unente il fucile ad arni;
tò un (ischio al sin > cane, che scorrazzava
indemoniato addietro alle galline, giù
. e si avvi... seguiti i dal soi
Signor ingegnere, per carità!... ■
I ttava Roverbelli, camminandogli di.
fulminalo da quelle ultime parole, che pa-
ri vano la conferma del suo .-...spetto: — signoi
n !....
Ecco fatto!, esclamò, lasciandosi cadere
annientato sulla panca, mentre i|iiello se ne ai
va senza più rivolgersi riè darsene |ht inti
eco fatto!... Tutto perch ci di mezzo un D
imbroglione e prepi tente '
Ebbene: che ha detto?, — gli domandò
siosa la moglie, venendo a lui. mentre egli si di-
sperava parlando nel vuoto, come un pazzo
I finita!, — gridava esaltandosi, colle mani
anelli in atto disperato: verità di Dii .
stavolta non faccio uno sproposito!....
Ma vedendo la donna, con quel fardello vivo
nel grembo, la voce gli si soffocò nella strozza.
Madre e figliuola, comi inebetite esse pure, guar-
davano fissamente lontano, lungo la linea.
l'ingegnere si allontanava col sorveglianti
. landò e parlando forte, che ancora ne giung
distinta fino a loro la voce. La fanciulla, dopo di
rsi fatta forza alquanto, si ritrasse in i
indo la faccia tra le mani.
allorquando Roverbelli,
uscendo dall'Ufficio della se/ione, si im
. lungo la lini la cantoniera.
I A\ fONIERA IN M \KI.MMA
Tutti era ormai deciso ; gli avevano fatto ve-
dere l'ordine che veniva diritto dalla direzione, e
non c'era altro da dire. Era fatte!....
Egli precedeva colla testa china, in attitudine
di uomo profondamente avvilito da una sciagura
immane. Perchè per lui. con quella sua baracca,
il dover fare fagotto, adesso, per andarsene lag-
giù, nientemeno che ad Avellino, era un disastro!
Trasloco in punizione, e quindi senza incerti ;
paesi nuovi, faccie e umori nuovi!.... E dieci gior-
ni di tempo: per il primo di novembre, al posto: —
la cantoniera numero dieci fra Castelf ranci e Mon-
temarano: ancora malaria, e di quella buona!
— Dieci giorni !... E qua. chi mi paga il conto
del mugnaio? Chi mi paga il latte che ho a debito
colla castalda di Butri? Oh. poveretto me!...
E poi.... quello che veniva di più duro, come
conseguenza. 1 ragazzi, si sa. hanno la testa leg-
giera.... oggi qua. domani là!.... Ecco bell'e anda-
to all'aria anche il collocamento della figliuola,
che sarebbe stato un ristoro! Il commesso di Chia-
rone sì che ri pensa, quando l'avrò condotta lag-
giù!.... Dio sa se non tira il nato tanto lungo, an-
che lui. d'essersi liberalo d'un impiccio, con quella
paga!
Fra le fitte che gli davano quei pensieri, egli
volgevasi tratto ira". .1 1 -.servar la maremma, che-
sotto alla luce del vespro si andava sinistramente
colorando d'asfalto, come il mare quando è sfer-
zato dal maestrale.
Stormi d'uccelli, dal lento e plumbeo volo, er-
ravano in lunghi giri monotoni, abbattendosi d'im-
provviso, sospettosi ed incèrti, là dove il terreno
dava qualche scarsa promessa alla loro vor.
vagabonda : e il loro strido malinconico si dissol-
veva nella immensa pianura grigiastra, dove tutti
i toni de! verde andavano fondendosi insensibil-
mente in un tono unico e neutro.
Appena qua e là. dove il terreno si rompeva in
padule, e le scope alte salivano, ondulando, nel-
l'aria, dei riflessi metallici si levavano dalle ac-
que unte, come in un cielo torbido che si fende ap-
pare tra le crepe il sereno.
Soltanto una fantasia meno tetra si disegnava
alla linea dei monti lontani.
Bagnati dall'ultimo e tenue riflesso turchino, le
loro groppe vellose pigliavano fantastiche figure di
ciclopei armenti, addossati alla linea estrema del-
l'orizzonte, immobili in aspettazione della veniente
notte e del riposo.
Lunghe strisele di fumo, candide e quasi immote
nell'aria, se ne staccavano in vari punti, volgendosi
inerti verso l'occaso, dove andavano sfilacciandosi
in una vasta distesa di strati di bambagia. Alter-
namente, di quelle sorgenti fumide scoprivasi alla
radice il lampeggiar sinistro del fuoco, come il
guizzo d'un có!]x> di cannone nell'aria che vieppiù
si affoschiva ; e in quel lampeggiamento tutta una
zona verde si illuminava intorno intorno, in cui
si palesavano nitidamente le chiome dei boschi ■
le radure dei pascoli sulle pendici tònse. come l'au
reola cappelluta e la tonsura in sulla testa d'un
certosino.
873
A poco a poco quei fuochi avvampavano con cre-
scente intensità, a misura che i toni si confondeva-
no nella uniforme se I .a
dove prima il fumo, assiepandosi, era andato
formando verso la bassura un largo stagno g]
ora apparivano, nella invadente tenel , ttrali
aggrovigliamenti di vapori opachi, dalle figur.
ni macabre, traverso ai quali smarriva» l'ultimo
segno dei monti.
Insensibilmente, anche quei vapori divennero ini
percettibili allo sguardo: la terra ed il cieli
confusero in un'unica distesa .li smalto, trapunta"
da una pleiade di fiammelle e di fuochi vacillanti,
come un'immensa calotta forata immersa in un'at-
mosfera incandescente.
Xon più suoni, ne voci d'uomini 0 di bestie:
solo un grande silenzio solenne, increspato da qual-
che leggiero brivido di brezza.
Roverbelli affrettava il passo. Mai la strada gli
era apparsa tanti, lunga e faticosa come in quella
malaugurata notte. Quella ineffabile tristezza di
cose, a cui forse egli, in tanti anni, non aveva mai
badato, gli penetrava ora acutamente nell'animo,
terminando di prostrarlo.
Camminando in sul sentiero fiancheggi ante il
binario, egli pensava con terrore all'istante in cui
si sarebbe trovato davanti alla moglie, alla figliuo-
la, a tutta la sua progenitura, con quella notizia
sciagurata da spiatellare.
- Poveretti ! Per colpa mia. in quello stato,
laggiù !....
In quel punto, senza avvedersene, egli passava
davanti alla cantoniera precedente la sua; un lieto
fuoco di sterpi crepitava in sul camino, avvolgen-
do del suo riflesso tutta quanta la cucina : voci e
risa ne uscivano, di gente lieta e tranquilla.
Il guardiano del posto, udendo rumori di pi"
in sulla linea, uscì fuori a vedere chi fi isse. colla
lanterna in mano.
— Oh, siete voi, compare? A quest'ora?... Che
miracolo? !...
Roverbelli si scansava, tirando avanti.
— Voglio che entriate a mangiare la polenta
a berne un bicchiere con noi ! Entrate, via ! Xon
mi fate questo torto'.... ■ — e lo tirava per la giac-
ca: — Un bicchiere, perbacco! alla salute della
ra donna, che a momenti....
Roverbelli si arrestò, come stordito, in sulla so-
glia, asciugandosi il sudore colla mano: un sudi re
non .li fatica, ma che veniva dall'anima in tri
lazione.
— Compare: salutiamoci.... — disse colla voce
triste e soffocata.
L'altro gli ficcò gli occhi in viso, come uno che
capisce a stento, e non può credere.
— Ma che? Siete matto?
— Vi dico: vado via fra dieci giorni! Mi man-
dano alla malora!.... Salutiamoci.... E vi ringrazio
di tutti '.. .
La voce gli si spezzava per la commozione, men-
tre l'altro e la sua donna ed i figliuoli s'erano le
1 A I
■
rb li
.li cuore !... Mi asp ttam
a !....
Ad uhm .iil uri Beati,
ripresi 'li quel-
! i e. odiano li> ac-
, fuori della i rrendo con lui sot-
- inzi ito un sii
Ebbene '.... t, levatid
i ni \ im .1 sui in.ii ito. con una granili
mezza.
I gomiti puntellati alli ginocchia, la faccia tra
li mani, gli i echi i onfitt i ni i la Rai i, egli n
va iniini bile e muto come una pi. -tra, segi
me un deniente le torbide immagini che in quella
tristi i ra della sua vita germinavano spontanee
uo ] i ervelli m n nati ali idea.
i nt< propi -siti, l'uno più disperato dell'ai
. .li gente che vede nella d i no, incomposti, nella sua mente; più
.,1 pensiero che ui pi tenace di tutti, l'un d'essi toma ndoli col
ria puri- quandochi
Ri vi rbelli lontani l'occhio r ss<
tforo 'li Chiarone, che ammiccava nella
p issi . p nendosi quasi a cor-
li lumicino verde della posata a terra
■iti alla casa, si a.\ \ icinava si mpre più. I
ni ri mani i pei la o rsa e per il
:he si poi . arrivò alla p i
;a. i-In insi Inameni era i hiusa.
la insistenza d una persei uzione.
i li ni" le pi core !.... ( !ome era ai i aduto ili
quelli
Egli non batteva palpebra davanti alla lugubre
scena, l'iati i figliuoli suoi allineati e stesi a tra-
versi il binario: lui da un rapi, sua moglie dal-
l'altro.... veniva il treno, passava via.... e addiol...
Bella e finita ogni tribolazione! Andati quelli che
si n< . ed ani he |uelli i hi ani ora noti s !....
|in . tre minuti, egli stette così, colle palpebre
V i gliando. Un gemito fioco si udiva stretti li spasi n sulla l> irezzando
chiaramente, traversi dl'impannata; e, commisto quella visioni orrenda colla voluttà della
i quella voce, un seguito di pan Ir confuse e al zione; poscia, invaso da un tenore invincibile,
fannau-. una cadenza 'li l'assi ineguali e rotti per si le; un urlo, come chi si sveglia dall'ine»
la stai sili nziol bo 'li un sogno maligna
Apri, si Roverbelli, assalilo dal batti- Egli si trovò davanti alle dui donne, che. pò
io: ehe c'è ili nui - mentre verette, stavano spianili i suoi motti, ritte in un
un pensiero gli passava via come un baleno nella
( 'he t. SSe già nato 'J....
canti . [uasi trattenendo il respiri . senza i saie 'li
più interri garli . I sse avi vano già troppo capito!...
La figlù aprire la porta, ed egli vi Gli occhi «li Roverbelli si incontrarono con quelli
dentro, ansioso e pallido. li -sua moglie e della figliuola, penetrandosi, fon-
Ucl n < affumicato del lume che ardeva in dendosi in una sola luce ili reciproci e dì
sul tai' li . egli intravvide in un canto un o rpii ino, conforto
un fiero tremore e da sussulti incalzan- - Oh. poveretti noi, oh, poverétti noi!... -
Lbbandonato tra le braccia ili sua moglie, chi spirava, ora che la febbre dei brutti sogni era paai
fatica seduta virino al Fui o.
Quando gli •'• venuta?, — ■ gridò Roverbelli,
ii' olosi versi di lei. e curvarli
il figliuolo, che era livido: — Oh,
poveretti noi!, sospirò, rialzandosi, eolla cera
contraffatta d'un uomo ehe perde il sentimento:
oleva !.... Tutti <. proprio unto.
addosso i questo povero cristo! Anche 'niello là.
sata.
Non ii disperare, via!, — disse la donna.
0 ii una dolcezza nuova nella voce: già. un giorno
i l'altro^ Insognava aspettarcelo: troppi nemici ab-
biamo dattorno! Ce l'hanni giurata!.... Ma non
conviene avvilirsi: tutte il mondi paese, e un
tOZZO di pane ci sarà pine amile ]kt noi!... Tieni
duro: fatti vedere ehe s(ri un uomo, ehe non hai
in alto, che non ne azzecca una di buona! Male paura della prepotenza, da qualunqui
n ndo!.... E fate il galantuomo!... — arrivi!.... E andiamo anche al diavolo! i
' Inori di s sedendo davanti al fuoco, ed '•onta!-'....
n furore: ecco la ricompensa!.... Roverbelli pareva rinascere a quelle paro!
maglie, che stanno benone, e vivom im tne un fi< re che si rinsalda al cader della pi< |
dell'universo e del prossimo, a quelle Stava intontito a fissar sua moglie, non |>. i
gli va bene tutti ! Nossignori: a Roverbelli. no! distogliere gli orchi da lei. t'osi grossa, cosi gial-
l1 lare, sino all'ultimo: marcire, la, così brutta, quanto fuoco ancora, in quella po-
.r ,'.... vera carcassa!
\ un -do di conci! aravi ntò le mi Ile
fuoco, squarciandolo, mentre le due donne |, m
guardava™ . stupiti glie, va- * *
' illando per il dupli"- ad
im .in tentami I topo d'avi i li atteso durante tuti i la -
|*-r la mo i bri- fui. dun me. quando il sole era j ìo sull'ori*
1 più in /onte, giunse il .anello, mandalo dalla So
in una modica del per il acri mpagnato da due
■ ni' 1 1. eli.- di ivi \ ani i presta
I ANT< tNIERA IN MAREMMA
875
Ri vi rbelli. chi lavi • no, vei li m li li,
lette della voci ai >ui ; : Su. o raggii , eh
rica la roba prima che annotti!
Nella casa, intanto, era in grande strepiti di
martelli . I; ivoli h si schii davam . 'li mi
rizie rimosse dalla loro lunga e p lveri sa g
Man mani, ch'esse vi livaro p rtati fuori, all'a-
perto, a rivolere la luce, nelle camere, chi n
vani vuote, coi riquadri più chiari sui muri là
prima erano stati appi ggiati i mobili, 1 1
l'echeggiamenti dei passi gni suoni nj
nel lilieru rimbalza
Ri verbelli, affaccendate, -1 Ile maniche della ca-
micia rimbeccate, dirigeva lo sgi mi n : si cari-
cava la mba in ispalla, anche lui, puri 1 idi la
fuori, sullo spiazzo della casa, attimo al pozzo,
1 ve si andava adunando per collocarla poscia in
una si la volta in sul carri .
Si lavorava in silenzio, in mezzo a una tristezza
incombente sull'animi di tutti. Anche i ragazzi,
che si trovavano riuniti e pronti alla partenza, a-
vevani chiaro il senso dell'ora maliconica che si
andava approssimandi : l'ora dell'addio a quella
li ro casetta solitaria, dove più d'uno di essi era
Stavano silenziosi, seduti sul ciglione del-
la strada, seguendo attentamente il lavoro dello
Spianti con intelligenza rassegnata, come se in-
51 ro il perchè di quel trambusto, e ne sentiss ri
il cru :i ii .
Come la roba fu ormai tutta all'aperto. Ri \ 1
belli, colla SO pa, i. un'ava spolverando alla grossa.
Povera roba! A metà squinternata, le se{
sventrate e zoppe, le tavole fesse per le schioda-
ture e la vecchiaia, róse dal tarlo e dall'umido,
rimessa ali aria essa esalava tutta la sua consun-
zione e la sua muffa al sole.
Si li la cucina non era ancor stata interamente
libra. In un canto, su d'un pagliericcio stesi a
terra, dacché anche i cavalietti e le tavole che b r-
mavanc il letto erano stati tolti, vi giaceva il pio-
li malato di terzana.
Ri verbelli. tratti tratte, vi compariva in sulla
porta, affaccendato, a guardare, crollando la testa.
— D< rmi, figliu' lo: dormi' Non è ancor l'ora...
Ti svegleremo, non temere: verrai anche tu
ci in noi !
Intanto, di fuori, coll'aiuto dei cantonieri, s'era
incominciato a caricare il carrello. Di sotto, i sac-
coni, '-he perdevano foglie e tritume da tutte le
parti, poi. via via, i cavalietti, i canterani, il ta-
rla cucina, e tutti i ferravecchi della casa.
— Tutta roba da mettere in pensione, come me!,
— diceva scherzando malinconicamente coi canto-
nieri: — roba frusta, buona da fuoco! Quando
era nuova, oh, allora si, che la baracca andava
S ate in gamba, giovinotti, perchè tira un'a-
ria.... Troppo peso da questa parte?....
La casa era ormai vuota. Restava solo a spian-
tici ci triti io. l'altarino della Madonna, in-
. ci 1 lume 1 In ancora vi ardeva, e le paini di
carta, cariche di polvere e di ragnatela
rbelli appostò la scala al muro, salendovi
in 1 1 ri [uell'opera. Ma i cine fu
in alto, lai inti a quella immag ni di legno, tanto
ita, egli indugiava, presi da un vago turba-
li !
A strapparla dal imiti, da quella sua religiosa
mete votiva di tanti anni, gli pareva di compiere
una profanazione. Ella aveva vigilati, sulla casa:
ella iveva sorretti la fede Milla buona e nella cat-
tiva fi mina '
Due, tre volte, .gli allungò la mano verso la re-
gina di legno, che dal sui, io no, ci bimbo tra le
braccia, spandeva intorno una fervida luce di dol-
cezza, e altrettante rimase inoperoso, stupito, fis-
sando devotamente gli occhi attoniti in lei.
- Regina del dolore. Regina dell'amore, prega
per noi !...
Egli ripetè ritmicamente colle labbra estatiche
la invocazione, coll'ardore d'un voto. Tutto d'in-
torno a lui taceva: nella sua anima onesta e rude,
egli senti come un consentimento e una promessa !...
Scendendo svelto la scala, ci rse fuori, chiaman-
do a voce alta tutta la sua gì
— Venite, venite a salutare la Madonna ! Ve-
nite !
butti accorrevano, e si inginocchiavano. Sola in
piedi, ritta, cogli occhi verdi, rimase la guardiana,
scorrendo tra le mani affusolate e gialle il rosario.
Allora Roverbelli, in alto della scala, come un
patriarca, sotto alla luce della lanterna che gli i-
nargentava la barba, incominciò:
- Madonna Santissima, pregate per noi ! Ma-
di urna Santissima, tenete lontano i pericoli ila noi!
Madonna Santissima, perdonate ai prepotenti che
■i hanno fatto del male!.... Madonna Santissima,
date la salute a Gesumino !
Su quell'ultima parola soffiò nel lume, tolse dal-
la sua nicchia l'immagine, e mentre ancora per la
casa ripetevasi l'eco del coro de' suoi fedeli, di-
scese col sacro peso tra le mani, che tremavano
per la commozione.
Si sentiva più tranquillo, più forte; una nuova
1 mia di speranze andava fiorendo nel suo cuore
oppresso.
( 011 ogni cura adagiò la piccola vergine nella
sua custodia di legno, tra la paglia, circondato da
tutti i figliuoli, che stavano a vedere, silenziosi e
compunti.
Quando anche la reliquia fu inchiodata, gli par-
ve di avere compiuto una grande opera.
Ormai nulla più restava a caricarsi, altro che
il saccone su cui giaceva Gesumino: poi la casa
sarebbe stata veramente vuota.
Una gran fretta d'andarsene gli veniva addosso,
ora: di abbandonare quel posto, clic gli ricordava
tanti malanni e tanti dispiaceri !
In quegli estremi istanti, la memoria di quella
malaugurata notte, e di Chitone, e dell'armento,
si rinverdiva con un'evidenza insoffribile.
Andiamo! Tutto è fatto! Andiamocene!.... —
rip teva, pis-,eggiando irrequieto per la casa: —
andiamocene, per amore di Dio. prima che ci ca-
piti addissi qualche alto, accidente!...
Aspetta almeno il di tti 1 - diceva la guar-
LA 11 IH RA
ntrigare. .. oh, questo si ! Cac-
tt'acqua i»t stare a galla li :
< ili : andiamo, una buona vi
Egli si avviò alla cucina, seguito dalla moglie,
hi | - viene [*i prendere il figliuolo, che, non vedendo rompa
chinino! Voglio che veda
moda, quella, |»-r
il muratore e 1" sbiancatore, che
tua ed il |
ili. per i pul i nella
si « i entraroni subito, i k
ini, pes del martello sui
■'.nani • ila ogni pai
rire |>iù alcuno, singh
la madre, e avvinghiarsele al collo di-
speratami nte, in tutt'uno.
La guardiana uscì, col fan. nullo tra le 1 i
• he già le aveva reclinato la testa sulla spalla, in-
cammihandosi Fai ite lungo La linea, in
a tutti. Buttato anche il saccone in sul
rello, questo lentamente si mosse, oscillando nel
suo carico squilibrato, sospinto dal t can-
ti murai endo il ragazzo aurora disteso tonieri, che duravano gì cs a tenerlo in -
in cucina, us u on Rovei M" perchè la roba non ne cadesse.
nòdi guardarla Egli aveva '- dietro tutti gli altri, colle scarpe penzolanti
• n alla sua nu razione che lo a."r spalle, ed il I toal brai
giù, lontano, lontano, fuori del mon '''"• . nnU'- 'a testa (>hina, oppressi dallo schiant
lell'Italia del -
E chi sa. se là pure non ci fosse qualche Ghi-
ualrhe sorvegliante, l- qual-
cun cora. della forza di quelli che aveva
lell'abbandono.
Solo si udiva nel silenzio il rullare nitidi
secco delle ruote sull'acciaio delle guide, che nella
noe raccolta del vespro segnavano la loro tra
Mitrati lì! Prepotenti e canaglia, pensava, ce "irui lucida ed infinita, simile al cammino d'una
in abbondanza dappertutto!... Come era solo,
lui ! G ti. olo! Poca strada ma a fron-
te levata, e poter guardare in faccia al sole senza
nicchiare.... Quanti ce n'erano de' suoi carnei
che ; re altrettanti! .... Farsi ri n:
i;maca. Due carabinieri, che venivano lungo la
linea, col fucile agganciato al braccio e la pipa in
bocca, riconoscendo la famiglia del guardiano dove
spesso facevano sosta, si fermarono a salutarli.
i «villeggiando la liella figliuola.
— Andiamo lontano, lontano!....
— Oh, che peccatol.... Buon viaggio!...
La guardiana non si rivolgeva, non si indi .
va; essa camminava sempre, gli occhi fermi e
tesi verso la unta lontana, dove avrebbe potuto
posare il suo malato, non lasciatili' Mere
dalle braccia da nessuno, neppure a morire.
E la notte rapidamente avanzava. Lungo la li-
nea si ledevano accendersi via via, in lontaii'
le lanterne dei segnali, piccoli punti luminosi che
parevano uscire dal nulla, e si staccavano appena
segnati sul fondo ancor purpureo del crepusi
acquistando gradatamente intensità e vibrazioni .
e verso i monti, la cui linea s'era quasi perduta.
un gran chiarore di incendio avvampava, illumi-
nando alternamente di riflessi sanguigni latini
sfera, già corsa dai primi gemiti del vento.
Tutti marciavano, intenti a quello spettacolo,
pauroso nella solennità della notte, sopraffatti dal
l'incubo di alcunché di fatale che incombesse sulle
lor povere vite.
A \m punto, Roverbelli, che camminava in coda
alla brigata, rome un guardiano dell'arni
ito, e li fece arrestare tutti di colpo con
zitto imperii «si i e bru
l n ronzìo, indistinto, giungeva sino ad essi tra-
verso alla pianura: un crep incute e sini
stro. come di legna verde die si torcesse, spaccati
dosi, sotto al calore d'un immenso fuoco.
I orecchio teso, il respiro mite, stavano in a-
scolto impauriti, cercandosi a vicenda, tentando di
orientarsi nelle tenebre, che andavano in
rno, |>el contrasto invincibile di quella igi
I mie di luce. L'n suoli
CANTONIERA IN MAREMMA
*77
pazze e chiamanti, di urli disperati, veniva dalla
stessa traccia del fuoco.
Roverbelli guardava, pallidi) e impietrito:
— Laggiù brucia a tutti) andare! Chi sa?.... là
forse si muore!... Povera gente!
La guardiana, anch'essa, s'era arrestata, seden-
do, sempre col figliuolo in grembo.
— Ci fosse almeno Chitone, là. in mezzo ! —
dissella, còlla voce fredda, piena di vendetta: —
quella è la tenuta del Duca!...
Roverbelli si sentì un brivido scorrere per le
ssa.
- No! E la preghiera della Madonna? No!
Campino, campino pure! Il castigo verrà dopo!...
Nessuno scappa al castigo!...
In quel punto, un cupo rombo, che si avanzava
minaccioso dalla pianura fosca, li arrestò, sgo-
menti. Una frotta di bufali attraversava la linea,
come una meteora, fuggendo precipitosamente ver-
so mare, in sulla strada attigua all'ultimo posto
di guardia. Neri spettri vaganti nel buio, i butteri,
curvi sui cavalli lanciati al galoppo, sferzavano
le bestie atterrite, tra grida orrende e selvaggie;
e l'orda passava, sfrenata e cieca, la cervice prona
e le corna a terra, solcando l'aere del suo lezzo
brutale, tra una densa nuvola di polvere, in cui
i muggiti ed i rantoli si fondevano in un solo urlo
sinistro di minaccia e di spavento.
Quando il torrente fu scomparso nelle tenebre
della campagna, la povera comitiva riprese tristi
mente il suo cammino, passando in fretta davanti
alla cantoniera, che era buia e sex-chiusa.
Di fuori, tranquillamente avvolto nel suo cap-
potto, il guardiano russava.
— Beato lui ! — disse Roverbelli. andandogli
vicino e guardandolo bene: a questi che dormom .
non capitano malanni!....
Poscia i lumi della stazione apparvero tra il fo-
gliame.
Egli dette un grande respiro: — Ecco che ci
siamo, — disse colla voce rincuorata.
Gli pareva d'essere in porto !
Lontano, l'incendio ardeva sempre più violento.
Eugenio Bermani.
Canti del ritorno
~Wr**S,!>&«S7i'WT'
I.
Ella d'intorno si guardò, tremando,
e riconobbe la selvaggia e strami
terra che a fiume si dirompe e frana
entro l'acque che.fuggon mormorando.
Il guado aulico riconobbe e il prato,
e le foreste, azzurre in lontananza
sotto il pali or dei cieli:
e il passato di lotta e di speranza,
il suo ribelle e splendido passato,
omparve, senz'ombra e senza veli. —
— Piegavano gli steli
in torno; ed ella respirava il vento:
vento di libertà, di giovinezza,
soffio di primavere
Ite, belle come messaggere
di gloria, piene d'ali e ili bit/,
violente e d'immemori dolcezze!...
CANTI DEL RITORNO 879
II.
Ora, silenzio. — Un battere di remi,
solitario, nel fiume: un lontanare
di cantilene Lungo l'acque ciliare,
e nel suo petto il cozzo dei supremi
rimpianti. — Oh, prega, anima che t'infrangi
a Fonda dei ricordi, travolgente
come tempesta a notte:
anima slanca in vene quasi spente,
così giovane ancora, oh, piangi, piangi
con tutte le tue lacrime dirotte
qui dove i sogni a frotte
ti sorrisero un giorno!... Ora è finita. —
E strinse fra le mani il capo bruno:
a lei da la profonda
coscienza, coni onda chiama l'onde/
nel plenilunio a fior de l'alta sponda,
salivano i ricordi ad uno ad uno.
III.
E rivide la vergine ventenne,
con la fronte segnala dal destino,
sfiorar diritta il ripido cammino,
fiero aquilotto da le bronzee penne.
La nuda stanza fulgida di larve
rivide, e il letto da le insonnie piene
di cantici irrompenti ;
ed il sangue gittata da le %'eite
robuste, il sangue di veder le parve
ne le febbri de Farle su gli ardenti
ritmi a fiotti, a torr, m/i
gittato. — E i versi aiutarono pel mondo,
da la potenza del dolor sospinti :
e parvero campane
a martello ; e le case senza pane
e senza fuoco e la miseria imi in-
dissero, e F agonie torve ilei vinti. —
LA LETTURA
IV.
Ma la vinta or sei tu, che de la morte
senti, a tre n t\iiì ni. il brivido ne Fossa,
e ben altro aspettavi da la rossa
tua gioì- 'ili w .ii così stittia e forte/...
Tatto dunque fu va no?... e così fu ì:
uramente a te dal cor la vita,
dal cerebro il fervore
dei ritmi, come sabbia fra le dita?...
Ah, iiiun guarisce il mal che ti distrugge!...
.... Pur tic le sacre tue --viscere il fiore,
la bimba del tuo amore
torna dai boschi, carica di rose. —
Essa clic porta la divina fiamma
del sogno tuo ne gli occhi,
lascia cader le rose a' tuoi ginocchi.
e dice, e par che l'anima trabocchi
ne la sua voce: Perchè piangi, mamma?... —
Ada Negri.
FlG. I.
La Rata A [organa
(i)
N ali-une ore del giorno, date certe -
dizioni meteoriche, si osservano general-
mente, dalla spiaggia di Reggio Cala
e lai suoi dintorni, le immagini degli
tti reali posti limi;" il late, orientale
ilei la Sicilia e lungo la parte della eosta cala-
rne va dalla punta di Catena a Pentimel, .
immagini, nella circostanza in mi si presenta
il fenomeno, si raddoppiano, si triplicano, o si
osservano in concorrenza cogli oggetti reali, o si
nli mo con essi, e formano una continuazii ne
al disotto e al disopra dei mede. imi. risultandi
gnuni di essi un soli ■ ggetto doppio o triplo
in altezza, o me se gii edifici fossero tanti pilastri.
e gli alberi tanti festoni.
l.e immagini talvolta si presentare unito al di
qua dell,, ggetto reale e più ingrandite, ma sopra
l i del mare, come se b:ssen ianti altri
corpi sollevati, regolari e distinti, i quali tuttavia
liscono di vi dere anche nei loro veri luo-
ghi gli oggetti reali.
Alcune volte si vedoni porzioni del lidi opp
cogli oggetti reali e contemporaneamente le
immagini sul mare che rappresentano in tal guisa
ira isole, era capi, ora istmi. Oppure si osservarli
ggetti reali al lire posto e le immagini di
essi sospese in alto nell'aria. Tutte le volte di. si
tua un:; delle accennate fenomenali rappre-
ta/ii ni compare sulla opposta costa sicula una
gace nebbia, indi n tale del pn dursi del fé
III comunemente detto della Fata M
n è quindi da confondersi e, n piedi di comu-
La Lift ara.
fuga
nr ni
Non
ne ed ordinaria riflessione sulle acque tranquille,
ne con il fenomeno di .1/ raggio. In questo gli og-
getti reali si riproducono capovolti, in quello le
immagini si vedono sempre diritte.
La Fata Morgana è tutta propria della caia di
Reggio per la sua posizione topografica e curva-
tura della costa, per il prospetto orientale della
vicina Sicilia e j>er il mare che si frappone, per lo
stretto del Faro, pei monti della Calabria e della
Sicilia sovrastanti allo stretto e che gli fami, i
rona e per molte altre condizioni tutte particolari
di questi luoghi.
11 lettore potrà farsi un'idea più esatta del feno-
meno leggendo quanto nel più breve modo possi
bile sto per descrivere, riferendo ci,, che io vidi
in epoche diverse.
Il 27 giugno 1900 era una giornata sciroccale :
l'afa toglieva litiasi il respiro. \, rso le ore un li,
ima delle tante persone, di ci,', da me incaricala,
venne di corsa ad avvertirmi che probabilmente si
sarebbe vista la /■',//,/ Morgana. .Mi precipitai sulla
spiaggia, lauta era l'ansietà di vedere il fenomeno.
Ed ecco che vidi (fig. [). Presso alla costa sicula e
parallelamente ad essa, un velo senza line, diafano,
biancastro, probabilmente di vapor acqueo, so
reva velocissimo dalla punta di Scilla verso Mes
sina che aveva già sorpassata. In [lochi mimili il
vapore biancastro divenne grigio chiaro, poi più
- "e . indi binasti' 1 unse certa stabilità,
(1) Da La Fata Morgana, studio storico scientifico ilei
dott. Vittorio Boccara.
so
LA LKTI
dinanzi un'altissima mura
n is ni i mente
\l Cercai i
ndeva il fenomeno e rin
I vedere che
i fino a \ illa San
ii i ; .1.1
■
mai ■ !-> :
\ Jloi 'i utta una
i immensi, vicinissimi a me, i
quali l'i.' in' sulla e a//urr;i del
1 1 1.
i, Mi. mi" 'Uni'' questa illusi! a ' Xml p
he inni vo-
. i,- nessun >, e quin
.. ; però |" 5SO aderire
di si raversi la fitta 1 1 irtina 'li nubi.
\. n mi aspettavo, date 1- condizioni meteoriche,
.li vedere la Fata Morgana, l'uri- un- ne app
un i amente |« r hi presenza di
ali un.' '-.isr alla sinistra del cimitero ili Messina
che apparvero 'li molto avvicinate, bianchissime.
lima sopra l'altra, 'li dimensioni quasi identiche,
molto ingrandite; sembravano una volta
la loro grandezza apparente ordinaria
mini , un tre m i i un i. poi l'u-
nico raggio rivelatore del fero meni i i nparve e
pii nulla 1 imas Mi alli intanai tosto da i |uel li
|i rch avi • Fi tta ili recarmi al porto, dovendo
re per Palermi I fu una vera fortui
esso in viaggio, perchè fui così favoriti
dal ■ per tutta la traversata del
ile da Reggio a Mi rontinue e svaiiate
l'IG. II.
che di pò circa una mezz'i ra tul allo
ii nessuna ti meno era
rimasta. La maggior parte di questo tempo ira-
--■ nella rsa dell'unii . giato im-
si il quale quasi a metà d idosi in due,
arate nel man-, sì che
i sui seno le in-
men b d |u
in precedenza.
Bfii Imi nti si i [presenta si I
i do il rafl n n .
schiva di farsi vedere in una forma nella quale già
1 1 1 infatti la vi Ita ch'io la vidi
nti il -'(> 'li marzi) nio: Forti
cala-
• ni di Ila città di I ' ■
ngo la o della Sii ilia I i
na del giorno predetto, ali tte, uscii
dalla mia ab h sta ni I lato sud della \ ia
zi A -ula
M na e suoi
dintorni. Appena in istrada, guardai come il
sulit' quale a] i lata 'li ■
ine che in uno 1 1 due punti. Il
ure qualche raggio
manifestazioni della Fata Morgana. Il temp non
era cambiato affatto, anzi si aggiunse un
pii ggerella che cadde per alcuni minuti. Il
appariva o si offuscai ndo di penetrali
traverso le dense nubi e spirava un leggeriss
vento ili borea. Mi eram iggio l'i.ig.
Russo del Genii l vile ed il collega prof. M
feri. Questi aveva più volte veduto la Fata M
na, ti i ma in quesl i stagii ine. Poti on il
loro valido intervento, aver
che \ sciarmi qu
una più duratura impress'n ne. \'i ogni m
eh il tempo non i i |ualcuna delle im]
rice\ ute, ;li schizzi sul luogo e pò
ore dopo gettai giù quanti.' ora trascrivo.
Come] pra dissi, i raggi solari qualche volta
riuscivano a penetrare nello spazio a noi visil
Ebl iene, in quei momei i _> \ .ne > dallo .-• ;
in bbioso, di coli he rio priva la i
sictila. alcune case bianchissime le quali .
e. i m 'i m nte molti i \ icine. In Si
i rea in dui i tre minul i,
state inghiottite da! m
colli npai ire lei raggi si ilai i. Ma < |u
presto ricomparivano ed allora in altri punti \
vani, altri caseggiati avanzati sul mare, l'uno sul
LA FATA MORGANA
ss.;
livello del mare stesse, l'altro sollevato alquanto,
ma quasi sullo stesso piano verticale del ptinm.
Tali caseggiati si lasciavano benissimo distinguere
e ci davano tempo sufficiente ili rimirarli e tarli
rimirare ad altri passeggeri che con noi erano sul
ponte del ferry-boat. Questi ed altri simili scherzi
molte altre volte (Vedere figura III a
sinistra).
Infine, all'uscire del sole, vedemmo un qualche
cosa di biancas 'ere la fotoincisione
destra), a me un caseggiato lunghissimo, uniforme.
ma alto, nel quale nettamente appari-
vano, per un terzo circa della sua lunghezza, delle
strie verticali oscure attraversanti tutta l'altezza, sì
che parevano contrade; per il rimanente erano di-
stinguibili altre macchie le quali avrebbero dovuto
rendere immagine di finestre, di pone. ecc. L'al-
tezza di questa striscia, per quanto non molto ele-
vata, arrivava a coprire le prime file delle < -
prospicienti sul mare, della città di Messina, la
quale appariva vagamente attraverso la nebbia che
l'avvolgeva. E questo lunghissiri • ggiato (se-
guiterò a chiamarlo così perchè tale appariva), per-
a tinche avvicinandoci a lui perdeva la primi-
tiva apparenza, scemava in lunghezza ed in altezza
e si mostrò infine qual'era realmente, cioè il mu-
ragliene a grandi masse che staccandosi dalla Lan-
terna di Messina cinge la batteria del Fi ite.
Con la scorta degli schizzi presi lai vero ilo
tentato rappres unente il fenomeno un
di cui U è rappresentato nella lig. 111.
In tale figura è rappresentato tutto insieme il
fenon ntre che questo, come già disri. si
ni" parzialmente e successivamente. Così ;
tre caseggiati del disegno apparvero non conteic-
neamente, ma liensì ad istanti diversi. Quando
apparve il secondo caseggiato, il primo (quello a
sinistra* era già scomparso; quando apparve il ter-
zo, il secondo più non esisteva, e così di seguito
(nello schizzo sono omesse le successive apparizio-
ni), lino a che ci mparve quella specie di caseggiato
che è disegnato a destra e più in basso Quelle
parti che spiccano piti in chiaro sullo sfondo, rap-
presentante lo strato nebbioso, dovrebbero figurare
il caseggiato di Messina che appena si intrawe-
deva.
Dott. Vittorio Bocca k a.
FlG. III.
-^p^ -^zd^ìh
E ^^Xi'/7-v.- _.V A! , t_e^i - _ ^^«
m^MÈ^^^f^É^mzé
f
&
Le ferrovie elettriche valteliinesi
Un pregiudizio.
strana, eppure anche
applicazii ni industriali e -
fiche che meglii di tutte dovrebbero
sul più assoluto pi sitn ismo ■ — il
h i la su i influenza.
Data la ricci rgia idraulica*
nibile nel ro si ed illustrala da innumi re-
prove la della tras
lettrica a. • , è sembrato i
in breve vi Igei ili tempo le magg
• d'Italia ì rasfi rinate e si
mite da ferrovie elettriche; la legge anzi — qi
vi It.. ta del ne -
ha messo un freno alle concessioni 'li «fi r-
' acqua* per us< industriale, nell'intento 'li ri-
per la lor eventuale utili//. i-
■i grandissima
■ nelli sp
[n fatto poi — • affrontata la traduzione pratica
problema — la soluzione ha richiesto studi la-
<liffi< ili. i li lunghe e vivaci.
11 risultati uni e delle altre •'•
brevi Le prime,
ttrich mi sono ferrovie italia-
1
entri quali limiti,
Il pi iti dal
i
ziale e colla «terza rotaia*, l'altra, la Valtellii
recentemente inaugurata, utilizza ("energia ad
che viene distribuita esclusivamente
conduttura aerea.
1 eri he altre due ferri rie elettrichi
mentali funzii Italia: la Milano-Mori
la B( li gna San Felice |ii ad accumula-
tori, doventi servire per un percorso brevi ed in
li specialissime. Von crediamo perciò 'he
la si luzii ni generale del pri blema possa essere det-
tata dai risultati .li queste esperienze. Dun
quale poi re la vittoria dell'elettricità sul
vapore? La I - -ara vinta dalla
lalla conduttura aerea?
I ,'i L'eneralmente invalsa rhe. ]
li ndanza delle ingenti forze idrauliche da noi. la
sia senz'altro preferibile alla
zìi. u. per il risparmi' di
(istillile, è purtroppo in buona parte em
II n usuine di « earl - non rap]
ehi- una piccola parte, poco più di un decimo delle
spes sercizio; - isiderano quindi le
che la maggior parte delle voli
< ìt \ ■ :n ' incontrare ]>er gli impianti idroelettrici di
de importanza, gli oneri del loro amm<
della loro manutenzione, si romprvni
come possa .mire il presunto vanta.
dell'economia
Si noti im ili i ferrovii
ci ntrariamente a quanto avvieni- per quello i
tram si ha un movimento rontinuo di
LE FERROVIE ELETTRICHE VALTELL1NES1
885
carrozze isolateti di « leggere unità di treni ». ma si impianti a corrente alternata ciò non è più possi
devono azionare «unità pesanti» con grandi sbalzi bile, poiché questa, disgraziatamente, finora non
nella richiesta di energia alle officine generatrici, può venire in alcun modi accumulata.
Si dovranno quindi preventivare centrali idroelet- Il solo risparmio del combustibile non • dunque
triche di potenza notevolmente superiore al «ca- il piti importante dei fattori per decidere se su
Interno delle carrozze elettriche automotrici.
1' classe, treni di 1' classe, treni Urtiti, scompartimenti fumatori.
rico .medio», incontrando cosi maggior costo di una determinata linea convenga o no adottare la
impianto e sostenendo in seguito spese d'esercizio tra/ione elettrica; fortunatamente ben altri sono
maggie ri di quelle che rendono rimunerativi ini- i vantaggi che essa può offrire!
pianti più uniformemente utilizzati. Un treno elettrico composto di due o tre parroz-
Isterno delle carrozze elettriche automotrici.
//' -lasse, treni diretti. /." classe, treni diretti, tentatori.
E' vero che per gli impianti a corrente continua ze. delle quali una automotrice, richiede una sp sa
si provvede alle anormali richieste di energia di-
sponendo di opportune batterie di accumulati ri
che. immagazzinando dapprima una parte dell'e-
nergia prodotta, la restituiscono automaticamente
al momento della maggiore richiesta. Ma [>er gli
in ' volmente minore a quella eco rrente per attua,
re uno degli ordinari treni a vapore e ciò principal-
per due ragii ni.
In primo luogo, pel treno elettrici richiesto un
minore impiego ili personale viaggiante e d'altra
LA LETTURA
enienza di utilizzar
uniforme il materiale rota-
i dalla si
■ la convenienza 'li aui
unità 'li irmi, vincolati da corrispondenze d'orario
intemazionali e da Fi ri golari affluenze
di pa sarà dunque issai difficile che p
la ti isformazione, mentre invece
L' IMPIANTO IDROELETTRICO DI MORBEGNO.
irà in alto il bacino di carico, nel unirò Ir opere di sottegno ed i tubi (he r i alti turi tue.
.: finitile! la VtduJa esle'n.I della centrile idro-delti
numero e la dei treni die giornalmente
na data linea. Sono possibili notevo-
lissime riduzioni ili tariffe e per conseguenza il
traffico aumenta in misura assai considerevole,
che la pratica ha già dimostrato superiore ad
■iva.
I maggiori vantaggi della trazione elettrica.
il vantai. i essere meglio
••in ]»-r le linee secondarie, le quali, in Italia.
per 2600 chilometri circa, danno ora un provi
00 1 ' r. - per chilon rolmente
tali criteri possano, in prin
anche lai
■ I 1 ii he
ri serviti da |
si impone già senz'altro, per una parte alm
delle linee in cui soni) lunghe o numerose gallerie.
I assenza '!i fumo — oltre al permettere una
_;it>- comodità ai \ . una miglior con
servazione del materiale, una miglior pulizia ed
una assoluta sicurezza i>H personale viaggiante —
evita disastri e rende possibile una assai raagg
nsità del trarli'
• i! nte spirito pratico, pel
passaggio del tunnel di Baltimora, che è li
cinque chilometri soltanto, hanno sostituiti
al vapore la trazione elettrica |*-r l'intero servi-
zio di mi ni e di i attravers
sto tunnel si susseguono incessantemi
facilitando il traffico in molo meraviglii •
Oh, perchè in Italia non si provvi ad
una dei
ri ?
\' tai almeno venti minuti per-
chè 1 ventilatori renda» sicuramente respir
LE FERROVIE ELETTRICHE VALTELLINESI
tutta l'aria della galleria e che quindi i treni de
rano forzatamente succedersi con tale intervallo, è
evidente che la sostituzione della trazione a vapore
mila, trazione elettrica potrà di punto in bianco
raddoppiare la potenzialità di traffico della galle-
ria medesima.
Le prime ferrovie elettriche del mondo.
Lo abbiamo detto: sono italiane. Poiché non
possono considerarsi vere e proprie ferrovie elet-
triche alcune che in America esercitano per brevi
tratti il servizio locale dei soli passeggeri.
Nella Svizzera abbiamo la Thun-Burgdorl . di
vuta all'ardita iniziativa della ditta Brown, Boveri
e C. di Baden. ma anche essa è assai breve ■ —
_)0 chilometri — con treni a velocità limitatissima
— 18 chilometri all'ora — e non può considerarsi
come una vera e completa ferrovia.
La prima ferrovia elettrica del mondo veramente
completa è dunque la Lecco-Colico-SondrioChia-
venna, la cui lunghezza complessiva è di 150 chi-
lometri, che è percorsa giornalmente da treni merci
e da treni passeggeri alla velocità di 60 chilometri
allora ed in cui la vecchia locomotiva a vapore
non rappresenta più che una macchina di ri-
serva.
La linea non è stata scelta a caso. Essa riunisce
887
tutte le difficoltà tecniche possibili, ioni pendenze,
curve ristrette e numerose gallerie. Le condizioni
di traffico inoltri - m e pel movimento delle merci
e per quello dei viaggiatori, le più indicate per a-
dall'esperienza i migliori insegnamenti.
Su questa linea, pel passati . naturalmente, eser-
cita a vapore, nei mesi estivi il movimento dei
viaggiatori provenienti da tutta la costa di levante,
dal centro del lago di Conio, da Sondrio e da
Chiavenna per le messaggerie dell'Engadina, del-
l'Alta Valtellina e dello Spiega era tale da rap-
presentare negli introiti più del 65 per cento degli
introiti totali. Per le altre ferrovie secondarie tale
quota è del 35 per cento soltanto.
K' stato quindi necessario provvedere per un ser-
vizio adatto a trasportare specialmente touristi,
viaggi; i di lusso e per un numeroso servizio di
bagagli.
Le carrozze elettriche sono state «istrutte per
1 10 con tutti i D mi li possibili. Sono generalmente
divise in due scomparti, di cui uno pei fumatori. I
sedili sono disposti trasversalmente nelle carrozze
di seconda classe, quelle di prima — come si vede
nelle unite incisioni - ■ sono veri salotti elegantis-
simi, a tavolini, sedie, poltroncine mobili. Le cor-
tine di seta elegantissime sono sostenute da arti-
stici anelli, i drappeggi, le tappezzerie dei mobili
pure in seta sono a fiorami di « stil novo». Le lampa-
Le opere di presa nei pressi del ponte di Desco.
A destra il • fugatore delle ghiaie*, a tiitistra le paratati e la griglia dell'edificio ili presa.
—
LA LETTURA
• ■
UNO DEI GRUPPI GENERATORI DA 2000 CAVALLI.
ìppartcthi di regota^i$ut a tittittra l'alttt iati t a 20,
dipartimenti |>ei viaggiatori è
del capotreno consegnatario dei bagagli.
'■ la uffii ìi non i usata a • asi >, p ichè anche
il capo-treno ha il sin> tavolo coi suoi registri e gli
ji. per controllare l'i rarii . per Far segnali.
per ogni opp rtu- _
no provvedimento che vai-
rare la reg
rità del servizio
Anch>- uri minimi parti-
colari si è voluto adunque
i rrovii \
1 primo ino lelli • di
ferri moderne
plete Sarebbe giusto
e log h i sso mo-
rale • • finanziario anche ili
questa ardita iniziai -. i fi -
italiano.
munte sulla Sp In |UestO inulto l'ac-
qua - ri [UÌlla fi .ini. uni. . un gì
pn fondi i quasi sette ri
andie in temp .li massima
sto g rgo vi une ci struita
una diga che o rivoglia
versi l'i presa —
dal ponte dì
Desco sulla strada naziona-
le dell Stelvio ■ un \. .
lume d'acqua «li circa 25
metri cubi.
I unita illusi Lu-
stra l'insieme dell'»
ili ];i \ ■ 1 ìtra sono
»■ di
1 colle sellici para-
toie che permettono ili a-
prirle e l'i chiuderle pn
cedute dalla gri-
glia, la quale ini|>edisce
I immissione ili ghia .
d'altro che possa ingombra-
re il canale. Tali ghiaie.
che in periodi di piena so-
no trasportate in rilevanti
quantità dalla corrente im-
petuosa, finirebbero, urman-
1 li si contro le griglie, ad
ostacolare il passaggio del-
l'acqua. Perciò si è provve-
duto ad un opportuno 1 I Ielle ghiaie». Tale
manufatto è visibile ]>er la sua pane emergente
dall'acqua, a sinistra, nella nostra vigni
Sul fondo del ùume. in corrispondenza ed in
seguito alle tre paratoie che si vedono attualmente
Come è resa utilizzabile
l'energia idraulica
Dove più ridente ■- 1!
0 al confine, tra i co-
di I lazi e di Cari
\ 1.1.. il . orso dell'Adda pre-
1 un brusi 1 1 cambia-
to di direzione, di
all'ui correnti o li-
tro il p
L'interno della centrale idro-klettrjca.
1
LE FERROVIE ELETTRICHE VALTELLINES1 88<)
a llevate, è disposta una «platea», più bassa del più esattamente l'alternatore che genera corrente
fondo del canale-, ohe comincia appunto in curri- alternata trifase al potenziale ili ventimila Vi
spondenza alle luci dell'edificio di presa. Tale di- Tale macchina pesa la bellezza ili settanta ton
spositivo permette ed agevola il rapido corso del- urliate e la parte girevole, che deve compier) i i
l'acqua, in modo che le ghiaie possano essere facil- malmente centocinquanta giri al minuto ne pesa
mente pettate via dall'impeto della corrente
Le tre paratoie del «fugatore» servono a
meglio regolare l'afflusso dell'acqua nel canale
e — chiuse durante i periodi di magra — si
tengono più o meno aperte durante le piene.
( 'i si una media di venticinque metri cubi
qua ogni minuto secondo viene convogliata
nel canale.
Questi >, per una lunghezza complessiva di
circa cinque chilometri, e colla lieve penitenza
dell'uno per nulle, si svolge, tortuoso, protetto
da altre opere accessorie, sulla sponda destra
dell'Adda, comparendo tratto tratto in aperti
trincea e nascondendosi in gallerie scavate nelle
falde del monte od artificialmente costrutte per
difenderlo dalle frane. La massa d'acqua, viri-
aia spumeggiante nelle rapide rumorose, sci irre
lenta e tranquilla fino allo sbocco dell'ul-
tima galleria. Esso si trova sulla falda del
monte dirupata e s oscesa in un punto alto
circa 30 metri sul livello dell'Adda. E qui vie-
ne utilizzato il salto per la produzione dell'e-
nergia elettrica.
A tal fine si sono dovute compire le opere
invero grandiose che sono chiaramente visibili
nella unita illustrazione.
A ridosso del monte si è dovuta costruire
una vasca <li carico lunga venticinque metri.
prof, mia cinque e larga sette. Dal fondo di
questa partono due enormi tubi poggianti an-
ssi su opere in muratura, i quali conducono
uà alle turbine.
Questi tubi di ferri . che hanno un diametro
interno di due metri e mezzo, sono lunghi ses-
santotto metri e sono costruiti con tale artificio da
permettere la loro libera dilatazione.
Paratoie, griglie, scaricatori, sfioratori ed altre
issi rie completano quest'opera per la qua-
le è resa utilizzai ile l'energia di circa ottomila ca-
valli.
(Iella eentrale idro-elettrica.
I ilue tubi di ferro, di cui abbiamo detto più so-
pra, fanno capo al sotterraneo di un grande editi-
la centrale idroelettrica di Morbegno. Quivi
i tulli si biforcano e ciascuna delle quattro dirama-
zioni fa capo alle enormi turbine, ad asse orizzon-
tai-, e del diametro iti oltre cinque metri. L'asse
aie^te turbine è direttamente collegato a quello
delle dinamo e l'insieme di ogni gruppo ■ — capace
di sviluppare duemila cavalli — è davvero impo-
nente, titanico.
Xel primo piano della nostra vignetta, che ri-
prixluoe appunto uno di tali gruppi, è visibile la
turbina, cogli organi di regolazione automatica e
di manovra.
Più in fondo si vede la dinamo accoppiata 0
quarantaquattro. Le matasse di (ilo isolato — vi-
0
cài.: .. e buwpest
•
Uno degli apparecchi di trasformazione della cor-
rente DA 20 MILA A 3 MILA VOLTS.
sibilissime nella nostra illustrazione alla periferia
interna della parte <àssa dell'alternatore ■ — rappre-
sentano una massa di ottomila chilogrammi di rame.
Tali matasse si risolvono in tre soli fili che —
guidati per vie opportune e lontani da dannosi e
pericolosi contatti - - portano al quadro duemila
1 avalli d'energia elettrica.
Il quadro stesso, che si vede rappresentati) nella
nostra veduta d'insieme della centrale idroelettrica
di Moxbegnp, riceve pure i fili provenienti dagli
altri due gruppi ed è già pre<li^« •', per ricevere
quelli del quarto gruppo generatore non ano 1,1
un «itati
Raccolta su sistemi di sbarre di rame scrupoli sa
mente isolate, regolata prudentemente da complessi
sistemi di interniteli, di commutatori, di valvole,
meticolosamente scrutata da apparecchi di misura.
la corrente elettrica si propaga finalmente in aperta
campagna sulla linea.
La linea.
La corrente alternata a ventimila volts perico-
losissima e non conven 1 ai utilizzabile nei
LA LETTURA
ti della loci motiva " delle i arrozze auti
ita enorme tens
li traspi
ria e per far ciò
i ùoni » ili
pi i. nziale può ■
sotto-stazioni «li trasformazioni : 'lui- all'Abbadia,
una a Liema, .1 l • « II. uh . .1 1 ten io, a Colii • I
510-Traona, Vrdenno-Masino, Castione '•'! un'ul-
tima sulla linea 'li Chiavenna a -'o chilometi da
1 . lieo.
1 la questi i.i 1 1 ■> rente esce 1 rasfop
mata e va ad alimentare la linea ili servizio.
V'edita della carrozza automotrice in movimento lungo la linea.
campani multiple. I ori di linùtra portano la linea primaria a jo,o.
// irollty anteriore delia a ndaria a sooo
portata su (ili di rame relativamente sottili, a
|h ggini ' su isolatori ili 1» 1
lana accuratamenti costrutti e provati. \>!i sono
rilevanti le perdite dovute alla resisten-
tggio della cor-
rdite che san l ibero tanto più notei
quanti la lunghezza del |x-r>orso.
Mei 1 1
ata per 1 al p tenziale ili qua
1 mi l.i volts ed i fili ili bronzo, mercè la te
ti '^|* titano, re «1 od
frendo eccessiva n ton igionano 1 ■
11 un diametro ili soli
abbiano una lunghezza ili oltre
150 km.
■'imaria » a tre o induttori ili
si dirama in
I trasformatori.
A questo punto comincia la sostanziale ilifferi
tra l'impiantn per l'esercizio ferroviario a coir
continua ci a Lassi potenziale colla «ter/.'
taia 11 e l'impianti' pei rurrente alternata .1
tenziale elevati. ■ n>l trolley.
Nelli ii mi 'li Ila ferrovia Milani \
Porto ( 'eresili la euriente alternata inette in azione un
rtuni motore, il quale, a sua vi 'Ita. anima una
imo generatrice ili corrente n ntinua. I due fili
che partono da questa dina 1 1 capo, uno al
uio e l'altro alla « conduttura ili servizio • co-
stituita dalla terza rotaia. In contatto colla '
rotaia, infatti i pattini che alimentano i
motori delle carrozze automotrici. In
stazioni dunque vi seno delle marchine in moti
LE FERROVIE ELETTRICHE YALTELLIXESI
89I
appoggiare in modo sicuro i trolley «Ielle locomo-
tive e delle vetture automotrici in marcia alla velo-
cità di trenta e di sessanta chilometri all'ora, che
questo appoggio deve essere sicuri, ma elastico,
così da non occasionare eccessivi scuotimenti che
possano dar luogo al rapide- deterioramento od alla
rottura dei tilt — si comprenderà e. une, anche per
i trasformatori rotativi — che richiedono sorve-
glianza assidua, attenta ed intelligente.
Invece la trasformazione della corrente alterna-
ta ad alto potenziale in corrente, pur sempre alter-
nata, ma a potenziale inferiore, può essere fatta
mediante apparecchi relativamente semplici che non
richiedono quasi alcuna sorveglianza, in cui nessu-
na parte è in movimen-
to e che si regolano da
se stessi. Tali sono i tra-
sformatori statici uno
dei quali è rappresentato
nella nostra vignetta.
In essi i tre fili della
condbttura primaria fan-
no capo a tre spirali di
conveniente numero di
spire ravvolte su tre gros-
si e massicci nuclei di
lamiere di ferro dolce.
Gli altri tre capi di que-
ste tre spirali sono colle-
gati fra loro. Al disopra
di questi strati, che co-
stituiscono il cosidetto
« avvolgimento primario »
su strati successivi, sono
avvolti a spira altri tre
fili, di cui tre capi sono
pure ' collegati fra loro
come i primi e gli altri
tre costituiscono, senz'al-
tro, l'origine della con-
dì mira secondaria a cor-
rente trasformata.
Il rapporto tra il nu-
mero delle spire dei due avvolgimenti, primario e questi impianti, si siano dovute superare non lievi
Veduta esterna di un vagone-salon di prima classe.
• 1 indario, indica il rapporto di trasformazione
e le dimensioni dell'apparecchio sono maggiori o
minori a seconda della sua potenza.
Cosa si potrebbe immaginare di più meraviglio-
so e più semplice ?
La relativa frequenza delle sottostazioni di tras-
formazione consente ora che la linea di servizio
possa essere costituita da due conduttori di rame
della sezione di cinquanta millimetri quadrati tesi
sopra al binario che serve da terzo conduttore pel
sistema trifase.
Una tale grossezza di filo è necessaria per tra-
sportare senza eccessiva perdita — come si è detto
più sopra — la energia che dalla tensione di 20
mila volts è trasformata a al potenziale» minore
di 3000 volts soltanto. Scendendo a 500 volts si do-
vrebbe ricorrere a conduttori delle dimensioni della
terza rotaia.
La linea secondaria.
Il potenziale della linea di servizio è dunque ri-
dotto a tremila volts, tensione sempre pericolosis-
sima. Per questo anche i due fili sospesi al disopra
della linea sono accuratamente isolati ed il loro
«montaggio» ha richiesto le più diligenti cure.
Quando si pensi poi che contro di essi devono
difficoltà e si potrà intuire fin dora che occorrerà
una sorveglianza attiva ed intelligente per la buona
conservazione della linea.
Come si manovrano le carrozze automotrici
e la locomotiva.
Lo abbiamo detto, contro i fili della linea secon-
daria appoggia il trolley, od organo di prosa della
corrente. Esso è essenzialmente costituito da due
rulli di bronzo separati fra loro da legno di bosso
imbevuto di creosoto; uno dei rulli poggia su uno
dei fili di linea e l'altro sull'altro filo.
Mediante opportuni organi di contatto questi due
rulli girevoli su sfere, come le mote della bici-
cletta, comunicano con due cavi i quali servono a
condurre la corrente ai motori trifasi. Il terzo filo
di questi motori è in buona comunicazione colle
ruote e colle rotaie che appunto costituiscono il
terzo conduttore, perfettamente innocuo, perchè, in
eccellente contatto col suolo, si trova al potenziale
di zero volts.
Sulla vettura sono montati due trolley, uno nella
nostra illustrazione si vede innalzato per la mar-
cia in un senso, l'altro — abbassato all'estremità
opposta — per la marcia in direzione contraria.
LA LETTURA
abbassare il traile} Le quali a loro volta interromperebbero
subito dopo il trolley, ed i ven-
pei evitare tale tuaimente anche al principio della linea
degli appari i dai
, disposta una oppor- Quest'ultimo fatto si verificherebbe anche quan
ie pnei do dovesse rompersi il filo e cadere .il suolo o sul
i i ente di linea aziona tetto della vettura in contatto con qualche |
io speciale chi nprin < l'aria mi fallica di essa.
in U| ,,. Tale mpressa serve per Anche la lo elettrica, che serve soltanto
freni, pei la manovra a distanza degli per la trazione dei treni merci, manovrata nello
lei commi i Ile n sdsti ""'lo e neppure in essa e possibile al/. ir.- il
[io della corrente le re trollej pei metterlo in contatto rolla linea, pi
i ,i treno. che ogni sportello che protegge gli internali ri di
i ; la mano\ i i i la coro nte sia stato chiusi . \ pei lo
i riduce .il semplice maneggio ili pochi dispositivo meccanico, non si possono ri
sportelli 'li custodia degli interruttori senza una
chiave che non può essere estratta dal posto in cui
si trova prima che il traile) sia abbassata
Come si vede, dunque, ogni pericolo, non sol-
ma anche pel personale, i
stato ingegnosamente evitato.
Gli apparecchi di staff.
rubinetti, tutti a portai : I « wattm
i i ui m i o 'inimica."' ne o >lle i ui te, colle
Ila terra.
municazione è più che sufficienti
. per garantii ncolumità delle tanto pei passeggeri
ne che li maneggiano, anche in casi, .li even-
tuali contatti «li questi rubinetti o ili altre parti
che dell con qualche cavo che
la corrente ad alto potenziale.
Questi ciM medesimi disivi lai tetto della La linea ferroviaria ]ier tutto il sue | Km-orso è
i. opportuni tubi metallici e anche que- a semplice binario. Perciò dovendo attivare un con-
sti sono in buona comunicazione '"I suolo. siderevole numero di treni, per la sicurezza di
;a avverrebbe nel raso che si pi 'ducesse un sercizio si è illustrata necessaria l'adozione di un
tto fra il cavo ed il tubo metalli sistema spulale, sicurissimi;, di segnalazioni; di
La Corrente, anziché passare pei motori, tende- un sistema che ini]>edisca nel modo più eti-
che due treni
sano correre in-
contri) l'uno al-
l'altn imI uno ne
raggiunga un al-
tro che mai
nella stessa dire-
zione.
11 mezzo più
semplice per otte-
nere la sicurezza
completa dei
m sopra una li-
nea a semplice la-
nario consistereli-
l>e n derla
in tante sezioni — ■
quante sono le-
sta/ioni. |kt esem-
pio e di .
gnare ciascuna
ne ad un a-
gente speciale —
il pilota i he
abbia l'incarico di
scortare tutti i
treni chi
vi rsani ■ la sua
/ione. In tal mo-
do \ limi-
i i : i ittravei naia la possibilità di avere 1 1
passerebbe subito in quan- «I gli sopra un medesimo tratto di linea.
■I i ■ ■ '-i-i- e imamente S me |ht.'. una disposizione di questi
0COMOT1VA ELETTRICA PKR TRENI MERI I.
LE FERROVIE ELETTRICHE VALTELLINESI
a i3
condurrebbe ad un notevole aumento del personale,
gli inglesi sostituirono all'agente pilota il basti ne
pilota o staff. Nessun treno può viaggiare su di
una sezione qualunque della linea senza che il i
duttore («1 il capo-treno sia muniti, di un bai
speciale o ["rispondente ad essa.
Tutti gli staff suno disposti in apparecchi spe-
ciali nelle singole stazioni; la nostra vignetta rap-
presenta appunto la stazione di Ardenno che è
fornita di due di questi apparecchi.
Essi suini formati da
una colonnetta cava di ghi-
sa sormontata da una sca-
tola. Nelle pareti della co-
li -ma sono praticate due fe-
verticali larghe ap-
pena quanto il diametro
dei bastoni che vengono col-
lidati nella parte inferiore
della e. -].. una stessa. Le fe-
ie si prolungano in alto
ad arco di cerchio e termi-
nano con un foro circolare,
.li diametro alquanto mag-
giore di certi anelli che so-
ni: fissi sul bastone.
\!1 arrivo del treno il
conduttore discende col ba-
stone, lo introduce nel foro.
In guida nelle feritoie e lo
lascia cadere.
Passa quindi all' altro
apparecchio e sollevando
uno dei bastoni che esso
contiene attraverso alle fe-
rii' :ie ed al foro, se ne im-
padronisci per proseguire
il cammino.
( !i ai questa speciale ma-
ta \ ra — in virtù di collegamenti elettrici e mec-
canici che vengono azionati dal movimento dei ba-
stimi nelle feritoie dell'apparecchio di staff all'atto
in cui vengono tolti o posati — si rende impossi-
bile il togliere un altro bastone dalla stazione di
partenza prima che quello tolto sia stato restituito
al prossimo apparecchio nella stazione successiva,
ed in questa non risulta possibile togliere un ba-
stone di staff per potersi inoltrare nella zona" a i u
I ita dal treno in marcia.
\< ii mancarono all'impresa difficoltà cYi ;ni
ta. anzi sul principio furono tali da sembrare a
prima vista insuperabili. La linea ferroviaria, pro-
à dell Stato, è affidata in esercizio alla Si
i della Rete Adriatica. L'ardita iniziativa as-
sunta da questa Società di trasformare la linea a
trazione elettrica è stata accolta con socMisfazii
dal Governo, ma questo dichiarava che avrebbe
ti il costo dell'interi impianto soltanto nel
isi che l'esperimento avesse esito favorevole. La
- -ai k n/a il. il.- ! 'i nvi nz i mi era troppi pros
(30 giugni' 1905), l'Adriatica dunque si trovava
ni ll'alti rnativa o di di wer attendere che li Conven
zioni venissero rinnovate o di rivi Igersi ad un al-
mi ente — COm< lei fiduciosi nel ! in 'Il esiti, della
impresa — il quale accettasse 'li ottenere il paga-
menti : delle spese 1 orrent Itanti nel 1 aso che
l'esperimento venisse dichiarato soddisfacente. La
cosa non fu né semplice, né facile. Fu allora che.
La stazione di Ardenno-Bagni Masino.
specialmente per l'opera attiva ed intelligente dei-
ring. Franco Magrini, da un forte gruppo di ca-
pitalisti italiani e col concorso di altri capitalisti
esteri venne costituita la Società per la trazione
elettrica sulle ferrovie.
I ssa '■ presii duta dagli ingi gni ri Saldini e Zu-
nini. professori al Politecnico di Milano, uomini
di raro ingegno e di caratteristica energia ed è di-
retta dallo stesso ing. Franco Magrini.
La ferma ed intelligente fu lucia e lo slancio de-
gli amministratori delle due Società cosi ali iti
hanno assicurata questa prima vittoria cui concorse
la mirabile tecnica degli ingegneri della Cali/ di
Budapest e della Schuckert che hanno fornito tur-
bine e materiale elettrice
Cosi renni condotta a termine quota impn
che dà legittima conferma alla speranza che altre
e maggi ri 1 nergie siano latenti nel nostro Paes
la storia de! quale da mezzo secolo è un seguito di
vittorie, le prime — epiche e leggendarie, qm Ile
ti - vittorie industriali, rie In- delle più rei
e miglii 'ri a ro [uiste.
G. TURRINELLI.
La Buca del Corno -Le Laghe
i.
Ira i labili di Com<> e ili Iseo, tra la Val-
e la Val ( 'ann nica si eleva
un gruppo bellissimo ili Alpi, le Orobie,
hanno radunate in si tutte quanto le U'ilezze
i: prati verdissimi e sparse
!i dai e bianchi nevai; profondi, sel-
_. rigidi valloni; altissi tuonanti cascate;
ti e maestose. Lo Stopparli ilice (i) che
non vi ha
\ipi altra ■
più
varia, più dilettevo-
in essa il vago,
il ridente, 1 orriili i,
tblime si accor-
dano insiemi- a man-
nello spirito
nozioni più vive,
- ■ «de, |
in i-sse
l'ari
il botanico, il
mini
i iii-
]«• più vasto e più
'li stilili.
I Val t '.gallina
una delle valli mi-
nori delle Orobie,
l'iealpi he,
ti he. — Al lettore.
— <»iugno 1877.
I.A BUIA E VASTA ENTRATA.
chi 1 >rre parai li la al lagi ili Iseo, congiung
B ..uno con la Val Camonica, offre testimoni:
numerose e ili rara bellezza di quegli anti
dai, che allagarono un giorno, quasi per ini
la regione delle Alpi. Trescorre ne è il capolui
pausi- assai noto per i bagni sulfurei, ricco di fos-
sili e di marmi carnidni. Ma saliamo, la vi;
breve, sul monte Sega.
Su quel fianco che il monte Sega espone al tra-
monto c'è un'insenatura ricoperta di |
ta da un bosco an-
nuso 'li castani, dal-
la quale discende u
na valli tta : al ba
vedi una gran con-
ca coltivata (la line
Iella Val Cavallina)
divìsa dal torrente
Cherio, che corre via
tra i pioppi, vicino
alla strada mai s
bianca e polveri
di fronte s'intrecria-
no jK-nilii ridenti di
sole e «li luce, e
monti variotinti si
rincorrono nell'oriz-
zonte sereno; ulti-
mo coperto di m
sorge il Si -m pio in.
La buia e \
entrata della prima
caverna itali
sa famosa nel Bel
Paese, si delinea nel
LA BUCA DEL CORNO — LE LAGHE <|S.>
fondo silvestre <li quell'insenatura. Si dice che la le torcie : una grotta circolare apparisce ; ili conti
lìuca del Corno non abbia fine, che oltre un certo all'ingresso grandi colonne in rilievo, coperte da
limite non convenga andare; ohi ha tentato queste un velo d'acqua, riflettono la luce viva delle
i dorme d'Ercole si è perduto, e lembi delle vesti fiaccole. E' il Campanile.
stati ritrovati nel lago d'Iseo. Ma
aggiungi a ci" i resti fossili dell'uomo pre-
rico, i recessi intraveduti e non esplo-
rati dallo Stopparti; comprenderai come
mi fermassi involontariamente, quando
passavo da quella insenatura, a riguarda-
re l'antro nero, come glt occhi vedessen
nella penombra della soglia aggirarsi for-
me antiche di animali antidiluviani, come
l'orecchio udisse, in quel luogo pieno di
grida e rumori di cascate dai re-
cessi misteriosi della montagna.
A grado a grado nella entrata grandis-
sima della Buca il giorno vien meni
l'ingresso dispare con l'insenatura allo
sguardo di chi s'inoltra (i): piccole gal-
lerie, starei per dire camini, si innalzano
tra le ombre nella vòlta, certe vie fuggono
lateralmente, ritratti fedeli della grande
caverna che visiteremo ; i'acqua, l'amica,
mormora sulla pietra ondeggiata del suo-
li'. Una striscia di luce si disegna ancora
su una parete cuna, che sembra la chiu-
L.\ bocca dall' interno.
sa della caverna: là, dove più forte s'ode il gorgia
glìo dell acque, la via prosegue e gira di dietro alla
parete curva, tubo enorme nella roccia viva. Ben
presto c'è un bivio. A destra la galleria ha fine
nella densità delle tenebre. Avanziamo e agitiamo
1 1 1 Nella massa di granito, che regge l'arco di quest'en-
trata, sale una galleria, ma è ostruita da terra, dove fu-
rono trovati utensili e ossa dell'uomo preistorico.
Nell'antro.
Per vederne la cupola, lanciai in alto
molte torcie, le quali misero lo scompiglio
tra le orde dei pipistrelli ivi annidali:
fino ad una certa altezza la grotta era or-
nata dal deposito calcareo e dalle colon-
ne ; ma più su appena distinguevo roccie
nere e scabre, che le fiamme erano sbat-
tute da un vento ignoto, o spente in ac-
que celate alla nostra vista. Riflettevo a
ciò appoggiato ad un pilastro sull'ingres-
so del Campanile.
— Guardi, guardi ! — mi gridò un
contadino.
Levo gli occhi: in alto, molto in alto,
una torcia rischiarava, rimasta su una
sporgenza, la bocca ili una via. nella
quale sparivano, volteggiando, i fantasmi
della caverna. Se avessi potuto arrivare
lassù !....
L' altra galleria del bivio si ag-
gira nella montagna ingombra di pie-
tre, ricca di ornati calcarei; quando
mi soffermai e mi volsi indietro quasi po-
tessi misurare la via fatta, gli uomini di aiuto con
scale, con picconi, con corde apparivano e spariva-
no sopra un balzo, dietro una rupe, stringendo nel
pugno le torcie fiammeggianti: nei bacini della
n «-eia riluceva l'acqua, sorgevano grandi ombre
mobili, si rischiaravano e i recessi un istante illu-
minati ricadevano nelle tenebre ; solo in queste,
si muoveva il lume lontano di un arretrato.
I A LETTURA
i i :. ni-
di due massi
\ì un v ani e è uriche un
i lui massi \ i
sa .1 mezzo
han dato il n
nel fi ndo
, un pili ne al-
La spelonca.
gge e divide due altissime e vaste ar-
lla serata XIX del
Sti ppani narra ili i ss* n entrato, mal-
ntos della guida, in una ili
1 pi iì tro, ■
della solitudine e ta panni bagnati.
Prima 'li inoltrarmi in queste il'"- vie di
i volevo di raggiungere qualcuno
■ li qi che apparivano lassù, ir.i le i mi ire,
altissimi diri)
1 ■ rti li n nai sta io! — mi
mino.
Megl ci .ii ■'. andremi i là — e
i che si tn
in alto tra il dirupo, che dimezza la sala, e uh'ar-
d< Ile vii ■ : era l'ui
ui disp mevi i io, pi unto.
due lunghe scale, li appi g
|ui Ila parete e mi «itai i i
Igli ultimi scalini, vidi
ri- i;. iponenti 'li qui Ila cava montagna
n un ver i nei aii di guani >. Qua
_li". Salir sali-
vi
una
lunghissima, i la mi ttei a cai alli i ili
qualche rupe e servirmene nella discesa. O
i o,l i. mainili il guani i, ai
sii un app ,
al piedi . |" i. coni il alto
un mei n >, preparai un seo mdi appi gg'u poi un
'unsi all'orificio ili una
: ia : che altez i rdan ini lietro • he va
ìi sguan :' ' Seduti i si pra un
rial/' nel - vidi, alla luce Ioni
■ li una torcia, Cesco, il quale pipava tran-
quillo, fissando l'acqua che scorri G
gridai chi noi Rissi
I n i n ' ni rammi nella ilta
un paii di vi Ite in na. 1 1 nana
urna, ma la sua ripulita (Ih
che m n mi tu p esibite ili salire più a
lungo in essa Veli avan-
precauzii ne, perchè il sin lo
risili issi in modo non tn
icurante. 1 >']><■ un lungo tratto la vòl-
ta si abbassò, la galleria saliva...
— Non andiamo più avanti! Vedi - LI
c'è la traccia 'li un serpenl
L'occhii di 1 era più acuti e più
lei mi' : innanzi due ' i i re
c'era una ped ita I n schissima e pi
da.... soltanto io l'avrei detta 'li viti
Avanti! Avanti 1 Ma i contadini si i
vano <• neppure volevano che mi inolti
io, ma mi ripetevano tutte le leggi
spaventose sulla Buca del Corno, n
smarrimenti, cat astri ifi
arditi.
— No, a ni — rip.
In quel punto c'era tanto b
che, lungo distesi . stentavo ad avan-
zare . ma i ' 1 eci si m ra ili
eavità grandi. Avanti! La galleria ingrand
mpare un i laggiù nella
pietra bianca.... la bestia. Accendo ui lo lu-
mi, estraggi un coltello, avanza e distinguo l'en-
trata piccola ili un tunnel, a destra " n'è un
condì», a sinistra un terzo: sì aprono nell'ombra
vastissima, senza limite. Ma è imp ssibili
A tratti ili tempo uguali sentivi vin tue cui
/..ti e lenti . il getti ili qualche sitine nasi
un orologio 'li quel regni antico delle ;
del silenzio. Ritornando, scorgemmo l'entrata 1
ili un sotterraneo, dove riposava acqua limpid
silenzi* sa a tto un
causa la bassezza, avi vuto nuotare nell'acqua:
ndecisi i. e pi ri ri lisi esi nella Sala.
I ii 111 due grandi \ il di Ila Sala scelsi p -r pi
quella 'li sinistra, chi n n si apre pn prio al h
ju. delie mi-trn sopra una balza: questa I
ra, ' - perta di guani i un laddove l
la pi< ; >a : su quella mel-
ma scivolai più volte prima ili aver trovato il p
Sa! dirupi iiup< menti di
|iiintp di un ti ll'A-
m rm e, di ve inn n tenebre, scoprii ;
• i inarrivabili nell'i
LA BUCA DEL CORNO — LE LAGHI
897
Si era intanto inoltrato di qualche passo un con-
tadino, rischiarando la via; non era già una galle-
ria, ma una valletta, una piccola valle chiusa nel
monte. Questa valletta ha termine in un meandro
alpestre e basso, oltre il quale le rupi della n
tagna formano una gola, dove il suolo manca e
profonda un abisso tenebroso. Esitai intimorito,
poi decisi di avanzare sull'abisso.
— Ma cosa fa? Ni n sa che....
— 0 non dubitate, starò attento.
Su sporgenze delle rupi avanzai benissimo per
un bel tratto, ina dopo i lati della gola scendevano
a picco, e al piede mancò ogni appoggio. Che fare?
Tornare indietro ? Non troppo lontano si vedeva
un nero pendìo e con le ginocchia e con le brac-
cia, sforzando tra parete e parete della gola, avan-
zai ancora e finalmente mi slanciai su quel pen-
dio, coperto di moltissimo guano. Un caos di ca-
mini, di rupi, di botri mi circondava nella luce in-
certa e piena di fumo; gettai allora una torcia e
uno sguardo nell'abisso varcato; vidi larghe ca-
verne, nuove gole, in esse incastrati macigni, vidi
in fondo in fondo, il luccichio di acqua corrente.
L'occhio cercò una via migliore r>er il ritorno, ma
non ce n'era alcuna. Nel meandro, inoltrandomi
alquanto in una fenditura verticale, trovai un al-
tro abisso di cui non si scorge il termine ; una
torcia, volando nelle fonde tenebre, illuminò d'un
lampo un grandissimo antro dalla roccia chiara, e
una gola che racchiudeva tenebre invitte.
Eravamo da poco entrati nell'altra via della
Sala (quella cominciata dallo Stoppani), quando
vidi galleggiare codesta torcia sull'acqua racchiusa
nel letto della pietra. La raccolsi e proseguimmo.
Questa via non è larga, a tratti regolare galleria
scavata nei vivi massi, che diresti opera di un mago
architetto, a tratti Ietto terso delle acque so-
litarie, dove gli scogli offrono ponti va-
riati, a tratti si eleva ricca di volute, ricca
di ammassi calcarei di tutte le fogge, ric-
chissima di camini, opera che. per quanto
ammirassi, mi è riuscita sempre nuova e
più bella, a tratti selvaggia e altissima,
tanto che. agitando e agitando le torcie.
sempre vedemmo tenebre mute e vuote. Al
suo termine un antro altissimo scavati 1
nella roccia viva, con grosse colonne in
rilievo come nel Campanile, e una gran
balza che non ho potuto superare. Cercai
consolarmi salendo in un tulxj scavato
nella roccia con nettezza meravigliosa e
avente un paio di metri di diametro ; ma
sassi e terra, ostruendo, mi vietarono il pas-
so e dovetti ritornare. A suo tempo ritro-
veremo quest'antro.
A metà circa del cammino, che aveva-
mo percorso, venendo dada Sala, mi ac-
corsi d'una apertura, che mi era sfuggita
all'andata ned'antro, sopra un rialzo cal-
carea Entrai in essa.
— Che fa, vuole andare anche lì ?
— Naturalmente.
Ero in un burrone dal fondo erto e
La Lettura.
sassoso 'Ito divideva le alte rocce .Iella montagna:
risalendo, giungemmo ad un piccolo ripiano, le, e
era a livello de] suolo un foro; mi stesi in terra
per entrarvi, e quelli di nuovo:
Ma Cove \ 1 - Ni 11 Vede i he qili ttlttl) lìllisCe ?
- Invece vedo il contrario.
Pi r iiuel toro passai in una via angusta, che sa-
liva a spirale. Un contadino mi volle seguire, ma
rimase preso nel foro, e non avrebbe più potuto
nò entrare né uscire, se non lo avessimo estratto di
forza.
In queUa gallerietta mi occorreva camminari- di
fianco, tanta era la strettura, e guardarmi il capo
dalle sporgenze del sasso: dopo non molto mi tro-
vai nel fondo di un pozzetto, dal quale riuscii in
un'altissima via, e grandi dirupi si ergevano al-
l'intorno: da due parti la via era aperta; dall'una
saliva, dall'altra mi parve terminasse nel vuoto;
andato a questa parte vidi sotto di me, giù giù in
basso, i miei uomini, che, alzate le fronti, mi guar-
davano stupefatti.
— Venite, la caverna continua, vieni tu, Rissu-
lot, per di qua, lega due scale, gettami una fune.
ti tirerò su.
Intanto io mi guardai attorno: vedevo per un
tratto l'alto burrone che dispariva nelle tenebre,
dalla parte opposta la via continuava dentro den-
tro; nel suolo, nelle rocce imponenti, trafori, bu-
che, tubi ; in alto rupi, dirupi e balze si sormonta-
vano nelle tenebre. E ora il lettore ricordi quel
pendìo che trovai dopo il varco della gola (la quale
aveva nel fondo una corrente d'acqua) ; quel pen-
dìo si trova altissimo sopra la nostra via, se ne
sono accorti alcuni contadini, estraendo, per mio
consiglio, il guano, ottimo concime.
Le scale, ogni cosa pronta, tutti vollero salire,
N'ELLA GOLA.
LA LETI
grai re, poiché, con tanti lumi,
ii tratti la
Ina valletta chiusa nelle viscere della montagna
I pipistrelli scendevano a orde a orde come tra-
volti da Inderà, e travolgevano noi stessi, e il no-
volto subiva il bacio di quelle ali
le.. Mi uno sfoggio magnifico di
stalattiti secolari, ma gradinai, di
deposito calcareo, sulle quali si po-
teva salire, salire; ciò che non h<> fat-
bimè, che per brevi tratti: a quan-
te cose pensiamo troppo tardi :
Ed eccoci ai piedi di una rampa, in
un tetro sotterraneo, dove il guano si
a in grande quantità: da una bu-
ca nera bassa, sopra la rampa.
scaturivano le orde alate con rumore
uso e lontano; in una rupe c'era
l'orificio di una gallerietta abbastanza
ire. Era l'i na che mi n sstas-
se aperta; la raggiunsi: la gallerietta
girava i on curva dolce, i*>i 1
allargavano in il sin. In decli-
nava verso il centra: li si apriva un
buco.
Un buco nel pavimento? Un
I r< irato un a] accesi la candela che si era
spenta (non avevo preso una t. .ni.i ]»-r non rima-
dal i timo) e guard li di «re fi ssi —
i r ■ in una specie di pi .
vaio nella roccia . il quale disi
la gallerietta . e di-
si am h'ii ' ; ma per poco: tutti
riduceva a un tubo verticale. Al li
cavai dal portafoglio un biglietto da
visita, lo la in quel tubo,
l>oi risalii e abbandonammo quella ca-
rta, che tanto mi aveva attratto.
LE LAGHE.
Lago nel diali amasco è il ni
me di qualunque pozzo o caverna, che
scenda verticalmente nella terra.
I ino a pochissimi tempo fa non sa-
pevo che di una laga (esistente sulla
Sega) — dirò anzi che avevo sempre
creduto laga nome proprio di quella
pozza scavata nella roccia viva, con un
diametri alleilo di sette o otto metri,
profonda il doppio. Ma girando sui
monti della Val Cavallina in cerca di
nuove caverne, specialmente su quelli
offerenti al mio occhio, ormai esperti ,
indizi di cavità, che io mi deducevo
dalle pietre traforate e scannellate, che uscendo
quali scogli di sotterra fiancheggiano i sentieri e se-
mi chii si. < ìuardai
dentro ma vidi ben poco; guardai ol-
p i della gallerietta finiva, la
[inalzava perdendosi nelle ti n
— tre lunghe stalattiti scendevano
gli orli circolari del bino.
Chiamai due uomini dicendo che "portassero una
■ut ro un ■ ramo
1 altro ad un ■ mdare nel
i cerca di app i
spai occh pei vedere |ual
Il fondo della laga e l'uscita in esso dell'antro.
minano i pian, ho scavato sui pendii meno battuti,
presso alle cime dei m cchie di queste
ght, come me le non i il pastori o il
io dei luoghi.
talora ti nta metri di corda m
LA BUCA DEL CORNO — LE LAGHE
8(19
per scendere al fondo (quando pur c'era), ma
quantunque il desiderio che avevo di entrare per
esse in qualche via sotterranea estesa e meravi-
gliosa (i) ncn sia -tato soddisfatto, pure non sono
pentito di aver girato tanto per trovare quelle lagke
chiuse quasi tutte a me /attristii, ma che non devono
rimaner tali al geologo.
Scientificamente che cosa sono? Forse le mar-
mitte dei giganti, di cui lo Stoppani Ha cercato in-
v ino la denominazione italiana, che dovrebbero
trovarsi a centinaia anche da noi, mentre se ne co-
noscono, com'egli dice, pochissime?
Dirò di queste laghe singolarmente.
Sopra il paese di Redona, sul sommo del monte,
si apre un pozzo cilindrico regolare, molto largo,
più di una dozzina di metri. Con una fune di trenta
metri sono sceso là dentro e giunto su un pendìo
di mobili ciottoli, in fondo al quale stava un maci-
gno enorme ; là, ritirando le pietre, discesi ancora
per una diecina di metri, fino a che venne la sera
e stanco ritornai.
Sul monte di Grone ce ne sono due, una, a
pochi passi dalla ca_scina del Belòmm, ha l'orificio
in un dirupo quasi a picco e però, di poi, la vidi
anche a grande distanza, scende con ripidità verti-
ginosa e ampiezza imponente ; una corrente d'aria
fredda investe venendo dal basso; causa l'insuffi-
cienza di tutte le mie corde e di tutte le mie scale,
non ho potuto raggiungere il fondo che ho appena
intravvisto. Una, a pochi passi dalla cascina dei
Droi. si apre in un declivio cosparso di bellissime
pietre scannellate e levigate; è di sezione ovale,
le pareti scendono verticali per una quindicina di
metri, ma dopo un colossale ammasso calcareo
sbarra la via.
I pastori del monte di Grone mi hanno narrato
che nei vicini prati Sedine, a San Roc, una laga
comunica con una grande caverna, ma mi è manca-
to il tempo di andarla a vedere.
Dopo due giorni di ricerche, ho trovato una laga
interessantissima, a metà del monte Faet (m. 1378) ;
essa scende nel masso vivo, prima verticalmente,
poi con forte pendenza ; dove termina la discesa
verticale sta in bilico un macigno ; lanciai giù delle
torcie e potei intravvedere quel tubo, che misura
cinque o sei metri di diametro, gettai anche alcuni
sassi : rotolavano, rimbalzavano e rotolavano an-
cora, finché il rombo si spegneva lontano e più
non l'udivo. Quale profondità, quanto mistero !
Ma purtroppo queste vie vanno disparendo dal
mondo, si chiudono per sempre a noi nelle viscere
non di templi romani, ma di antri sfondati, di co-
lonne e stalattiti spezzate, di archi che i tempi ave-
vano adomi, vie otturate, sepolte dalle acque e
dalle frane, dove ai colpi del piede trema il suolo
e il vuoto rimbomba. Fra tanta rovina una laga
è ancora intatta nei pressi del bosco annoso di ca-
stani, quell'unica di cui sapevo, come ho detto al
principio. Mi avevano detto che fumo di torcia
usciva da esse, quando mi recavo alla Buca del
Corno, e perciò avevo creduto che, girando nella
caverna, avrei finito per riuscire in quella laga.
Ciò non essendo stato, un giorno discesi in questa.
Al fondo era meno larga, e uno specchio d'acqua ri-
fletteva il cielo chiaro e i rami dei noccioli spor-
genti dall'orlo: oltre esso era l'ingresso di un gran-
de antro.
Nel varcare l'acqua. Rissulot ca'dde, si bagnò
tutto, e spense quell'unica voce laggiù di quanto
palpita sulla terra. Inoltratomi alquanto credetti,
come già mi era capitato tante volte, che ogni via
fosse chiusa, che tutto si riducesse ad una grotta,
a una grande grotta adorna di stalattiti bellissime ;
ma in fondo dove queste più si ammassano sco-
primmo una via nascosta. Dopo un tratto Rissu-
lot, che mi precedeva in essa carponi, si arrestò.
— Che c'è?
— Non si può più andare avanti.
— Come? Perchè?
Senza udirlo, strisciai con precauzione da-
vanti a lui che mi predicava non so che, e mi aveva
afferrato per un braccio. Che rabbia! La galleria
era interrotta dal vuoto. Gettai una torcia; ma.
non essendo stata bene accesa, si spense, ed ebbi
appena agio di vedere che di contro a me c'era un
dirupo, dove la nostra via continuava. Ne accesi
un'altra, e la lanciai legata ad un filo di ferro; a
destra, a sinistra scendevano a picco alti massi,
un laghetto immoto e scuro si appoggiava ad essi
giù in basso, molto in basso, dinanzi tenebre scon-
finate e mute.
— E' la Buca del Corno, — disse un contadino.
— Può darsi, ma questo sito io non lo ricordo,
non l'ho vista
— Oh ! è la Buca del Corno — ripeteva quello
soddisfatto ; ma non lo ero io, e però rivoltomi al
Rissulot, dissi :
— Io torno alla Buca, tu aspetta qui con delle
torcie accese, e. quando giudicherai che io sia den-
tro a metà, grida forte.
_ Così fu fatto; ero giunto al termine della galle-
ria cominciata dallo Stoppani, quando udii voci
della terra, e le leggende (che nascono dal vero1) che parevano venire da tutte le parti da quei cieli
ci fanno rimpiangere inutilmente queste morte ta-
glie : su quel fianco che il monte Sega espone al
levar del sole, alcune laghe sono ridotte a burroni
pieni d'erbe e di spine, e si vedono misere rovine
(1) Giacché credo che quelle laghe siano la prima pie-
tra di ogni caverna.
di tenebre: corsi, e, al tempo stesso che entravo
nell'antro simile al Campanile, scorgevo lontano,
sopra le altissime colonne in rilievo, la nebbia di
una torcia. Là attendeva Rissulot. che mi parve il
Genio della caverna. Un evviva d eruppe dal cuore
e corse quei recessi meravigliosi.
Quella era la fine, anzi l'origine della caverna.
Giorgio Quartara.
Ì1PP
COME SI ESTRAE 111 MARMO DI CARRARA
e come s.i converte in statue
"w* ; ■<■ • v«< § "■ v
ìr estrarre i marmi da una miniera oc-
corrono parecchi operai 'ietti cavatori, i
poi, secondo il lavoro cui sono de-
a i-i ih un. o «me vedremo a suo
tempo
(Ili operai cavatori distinguono negli strati di
marmo componenti una cava tre fili o peli, i
cioè: pel ><> la linea del mar-
mpre in direzioni- de] mezzodì, pelo
del contro quella che trovasi tra il monte e il masso
di faccia tei secondo la linea inferiore pa-
rallela al piano della cava.
Vi sono cave molto compatte, quando ci<
strati o corsi di marmo sono molto lunghi e di
grosso spessore, ed altre a strati più sottili ed in-
terrotti in vari punti da fenditure.
Per estrarre il marmo da una cava a strati conti-
nui e di grosso spessore ilue e più cavatori incido-
no il masso da sinistra, in direzione verticale, nel
punto indicato dal capo-cava; e con subbia, che
varia in lunghezza dai 20 ai 50
la profondità a cui devono arrivare, e mazzuolo
COME SI ESTRAE IL MARMO l'I < ARRARA
fanno dei canaletti giù giù fin che non trovano il
pelo del secondo e verso il mente fin che non tro-
vano quello del contro. Levano poi, in larghezza,
tanta materia quanto largo dev'essere lo spazio in
cui possa entrare comodamente un uomo.
Tale apertura dicesi tagliata e il piano verticale,
che per ciò vien fatto al masso da levarsi, chia-
masi testata del verso.
901
in avanti, ciò basta perchè il bloo 1 si stacchi anche
dal pelo del contro, e in quella fenditura, prima
turata in basso e lateralmente con terra e pietruzze,
versano della polvere pirica (non tanto perchè in-
crinerebbe il marmo), alla quale comunicano il fuo-
co per mezzo della miccia che vi hanno introdotta
prima di turarla anche in alto.
L'esplosione da ciò prodotta spinge in avanti il
<5
Fatto ciò. passano a tagliare il blocco dalla parte
opposta, nel punto in cui presenta dei difetti, o,
non avendone, alla sua estremità visibile. Questo ta-
glio lo fanno per mezzo di formelle praticate nel
masso, e allora, tra esso e il monte, adattano il
martinetto di ferro la cui vite, girata da diversi
cavatori che tirano la corda allacciata all'estremità
della stanga pure di ferro in essa incastrata, ha la
masso stesso, in direzione del pelo del verso e in
ciascuna di esse introducono un conio fiancheggiato
da due lastre mobili di ferro, indi, con un grosso
martello, il cavatore percuote ciascun conio fino
che il marmo non si apre.
forza di staccare totalmente il blocco dalla
miniera.
Se poi la cava è a strati non tanto grossi e inter-
rotti in vari punti, la scavazione si fa con altro
metodo: o scassinando con la leva (che chiamano
Allora, se il pelo del secondo è un po' inclinato falò) fra le commessure, o mettendo tra esse della
LA LETTURA
nell'altri questa la
itti n mdo
buona parte 'li strati.
I più delle volte, vien fatta nei a
un sacrificai quei buoni fa-
ss . perchè si sp bbero troppo mi-
I i idrico che
rido la quantità 'li mini
ils atterrare, fatto da due o più minatori
feri avi nte la forma cV Ilo scalpello e una
50 centimetri ai 15 metri.
(erre, che 1 minatori chiamar) fìstoletto
raggiunge una lunghezza
due metri, vien tenuto, quando
del primo, p olarmente al punto da
: ila un minatore; <-<l un altro con un gros-
a 1 uba, \ i I latte sopra fino
a che il foro abbia raggiunta la profondità
volut
vuoisi fare una mina piccola, quello
l asta ili" scopo: s'introduce in esso della ]*>l\' re,
lindrico, ma più sottile del primo, detto mesti
perchè una delle sur estremità ha quella fot
estraggono dal foro la poltiglia che coli acqua e
la polvere 'li manne > vi si è formata, e poi l'asciu-
0 bene con un altro ferro che chiamano tona
al quale hanno attorcigliate! stoppa o cenci. A <|ue-
Mina
C
Mazza - Cuba
Leva
Pistole tto
<z
a questa si congiunge la miccia e poi, con terra,
sassi od altro si tura ermeticamente lasciando fuo-
ri l'uno dei capi della miccia, con una lunghezza
sufficiente a dar tempo a mettersi in salvo al mina-
è rimasto a darle fuoco. (Prima di
dar fuoco alla mina avvisano 'lamio (iato ad una
sti punto, se basta la capacità del foro fatti
l'esplosione che vogliono, con un imbuto di !
avente un tubo lungo quasi come la mina stessa
e che introducono nel foro, versano in esso la pol-
vere necessaria, e se la mina avesse una posi/
zontale. ve la metterebbero facendo oscillare limi
Mestolmc
Tondino
/m buto
^m
-1
lunga tromba di latta 0 semplice! 1 voce ac-
ne 1 lavoranti delle cave circonvicine 0 i pas-
n luoghi sicuri).
Per le mù rono due o più
uomini, i quali impugnano il ferro detto mina, e
1 un tempo lo battono continuamente nel punto
in cui in- perforare; e per impedire che
con ne il terni si riscaldi troppo e
perda La ito la
parte che deve ina mio), vers icqua
Milo.
1 un altro ferro ci-
Se poi '1' uni capacità maggiore, la ot-
tengono facendo gocciolare nella mina, sempn
mezzo dell'imbuto, dell'arido nitrico (che i cavatori
chiamano acqua forte), il quale corrode tanto il mar-
mo in tuitc l' che fi >rmn in 1 ssi
vita a guisa di hasc... 1 ività la riempiono
ili polvere Come nel raso precedente e ne otteng
un'esplosione tendere e d'atterrare bi
parte della min ra Si tanno mine capaci dico»'
re 30 e più quintali di polvere) lauto le ta-
gliate, quanto lo scassinare e le mine, molte vite
Capita di doverle lare in l'asso, e all' ra i cavatoti
COME SI ESTRAE 11. MARMO l'I CARRARA
lavorano stando in piedi sul suolo; ma per lo più
ih, lavorare ali altezza di 20, 30, 40 e più me-
tri e in questo caso, arrampicandosi su pel monte
vergine, vanno alla sommità della cava, ivi fissano.
in un punto saldo, un grosso bastone di ferro, a
questo raccomandano una corda robusta per la quale
dono fino al punto in cui devono lavorare, e
quivi, o si avvolgono la fune alla cintola e sii:
le coscie, o fanno, con tavole e grossi ferri fissati
nei massi, specie di ponti, sui quali stanno più
comodamente 0 ritti o seduti (chiamano tecchia la
ita della miniera).
Fra i massi atterrati con l'uno o l'altro metodo.
ve ne sono anche d'inservibili, per la quantità di
macchie e peli che hanno, e allora il cavatore li
spezza, se grossi, con minette, se più piccoli col
martello; ed altri operai, che possono essere o ca-
vatori vecchi non più in grado di scavare, o uo-
mini incapaci di far altro (detti manovali), portano
via quei frammenti, passando pel piazzale della ca-
\.i. con una carretta tirata da uno e spinta da due
di essi, e li fanno ruzzolare sopra altro rottame giù
[»-l ripido ilei monte, chiamato dai cavatori rava-
Carreita
I marmi buoni vengono purgati nel miglior modo
possibile da qualche difetto che essi pure possono
piesentare, e poi. per mezzo di leve, vengono messi
sulla Uzza e spinti avanti nel piazzale.
La lizza non è altro che una specie di slitta for-
mata da due travi di varia dimensione secondo la
mole che devono portare, riunite parallelamente per
mezzo di una legatura di canapo fatto all'estremità
che deve andare avanti, la quale deve essere leg-
germente appuntata e rivolta in su come puri1
l'altra.
qo3
La parto inferiore della lizza è necessario che
sia un po' levigata perch scorra con facilità mi otto
o dieci travicelli senza spigoli, superiormente levi-
gati essi pure, bene insaponati, colle punte nelle
condizioni della lizza e disposti sul suol., paralle-
lamente l'uno all'altro (o quasi se quella deve far
delle voltate) e ad una celta distanza, pei es., di
50 o 70 centimetri.
Questi travicelli (di leccio 0 faggio) dai cavatori
h amano /•arati.
Lizza
JL
T
17
Man mano che la lizza, su cui è stato messo il
blocco marmoreo sollevato da terra per mezzo delle
leve e del martinello a cassetta, scorre sui parati,
più uomini stanno ai fianchi della medesima, o a
spingere la (anca (la quantità di marmo caricata)
Curio
od a levar di dietro alla lizza quei parati su cui
e già scivolata, e porgerli a lineilo che deve rimet-
terli davanti fino che il sasso non è al posto desti-
nati 1.
Quivi giunto viene scaricato (cogli stessi stru-
menti); se per la qualità e le dimensioni pilo ser-
vire da figura gli lasciano la forma che ha, se poi
e adatto per altri usi. per es., per farne lastre, sca-
lini, stipiti, piedistalli, colonne, ecc., il quadra/ore
con martello, piccone, subbia, mazzuolo, riga e squa-
dra gli dà una forma regolare (quadrangolare o ci-
lindrii i
Subita quest'operazione, quel sasso passa per altre
<|M.|
LA LETI
■
in numero di qua
■ he ha un
gono i ravaneti por-
: rente
ssi perni di legno (fag-
daJ lizzatoli i h Dente incastra-
ti nel mass., naturali' ed in un gr sso blocco fiss
stabilmente al su. .1... e detl
it' ri. giunti al j>iam> della cava in cui tro-
fldzzuo/o
5yaadr<3
per condurre al basso i marmi lasciati dai cavatori,
e cioè: tre grossi canapi (iella lunghezza di 50 o 60
metri.
Ciascuno di questi canapi, che i lizzatoti chia-
mano cavi, viene arrotolato in vari punii a 4. 6 od
8 giri e quivi legato con funicelle ; questi rotoli poi
i lizzatoli se li caricano sulle spalle, e uno dietro
l'altro, a guisa di catena, imprendono la salita.
varisi i monoliti che devono far scendere, e deposti
tutti quegli attrezzi, si danno a caricarne uno 0
più. a seconda del loro volume, sulla lizza che già
posa sui parati ; indi, con uno dei capi di eia»
dei tre canapi, legano la carica (essi dicono imbra-
1 e il rimanente di essi l'avvolgono cinque o sei
volte attorno ai primi tre perni che son fissati nel
piano della miniera. A ciascuno di questi, resta un
uomo, il (piale, con molto senno, deve, all'ordine
del capo, lasciare scorrere adagio adagio il canapo.
che quando la carica è giù per la china, stride al
grave pesi della medesima, o frenarlo. Assicurati i
canapi, ognuno prende il suo posto: il cafo-lizsa
si mette in testa alla carica, ed ha cura di togliere
alla strada, o con la leva o con le mani, certe sen-
sibili prominenze o cavità che potrebbero farla ai
restare, deviare, conficcare od anche dar volta. Ol-
tre a ciò. il capo-lizza, mette davanti a questa i
parati che i lizzatoli, disposti ai fianchi della ca-
rica, gli porgono man mano che la medesima li la-
scia dietro di sé scorrendo. Vicino al capo sta uno
Altri portano la lizza che può esser lunga 304
metri ed avere un peso dai cinquanta ai cento chi-
ammi, altri finalmente portano dei fasci di pa-
rsi pani di sapone
Ora corrvien dire. che. dalla cava al basso, vi
sono (se così possonsi chiamare) apposita-
mente ]>er le lizze, fatte nel vivo masso 0 sui rot-
tami della cava ; e ve ne sono di quelle che fanno
venire i brividi soltanto a guardarle da Ioni
ed angi in certi punti
son quasi verticali.
. la via della lizza, alla distanza di 15. 20
o 30 n linea retta, e più vicini s
COME SI ESTRAE II. MARMO HI CARRARA
(j05
addetto ad insaponare i parati prima di consegnar-
glieli (quello è il sottocapo) e così piano piano pro-
cedono con online lino al bassa
Quivi giunti, alzano colle leve quei -pezzi (così
catene. Al timone di quello a quattro ruote attac
cano un paio di buoi, e molte altre paia le attac
cani, davanti a questi per mezzo di una grossa e
lunga catena fermata sotto il carro. Questa lunga
fila di buoi dai carralorì chiamasi vetta, ed ogni
vetta è guidata da tanti uomini quante sono le paia
ili buoi, più uno che è il capo-carratore, il quale ha
il compito di stringere la martinieca al principiare
della scesa, guardare se vi sono ostacoli nelle car-
reggiate, o se la carica si sposta sul carro; e allora
avvisa i carratori che tosto fan fermare i buoi e
lutti insieme rimediano a qualsiasi inconveniente.
Dietro il carro, prima di partire dal poggio, so-
gliono legare, colla catena, dei pezzotti di marmo
che servono a frenarne la corsa quando scendono
certi punti in cui la via è ripida, poiché la marti-
nieca non sarebbe sufficiente. Quest'appendice la
chiamano ritenuta.
Ai carri a due ruote, che servono per i pezzi più
piccoli, attaccano un solo paio di buoi ; e siccome
non hanno martinieca, quando sono nei punti più
ripidi della strada, non bastando la ritenuta, av-
chiamano qualsiasi porzione considerevole di mar-
mo) prima da una parte e poi dall'altra, tanto da
poterli calzare e lasciar libera la lizza, per poi ri-
prenderla in ispalla e fare un secondo viaggio se
il luogo è vicino, o per metterla in capanna (casetta
in cui ripongono tutti gli attrezzi sì da cava elu-
da lizza, e dove dorme un custode detto capannaro)
e riprenderla il giorno appresso se la miniera è
molto lontana.
Al termine della via della lizza vi è un poggio,
0 naturale o fatto dalla mano dell'uomo (cioè un
rialzo di terreno o un ammasso regolare di pietre").
sotto il quale stanno i carri a due e quattro ruote
pronti a ricevere i marmi per trasportarli o alle
segherie, dove vengono ridotti in lastre, stipiti, ecc.,
o ai laboratori, se destinati a divenir statue, monu-
menti, colonne, ecc., o alla marina.
#
>.
(La maggior quantità di marmo viene oggi tra-
sportata in giù dalla ferrovia marmifera).
Caricato il carro, ad esso fermano i blocchi con
volgono una catena al mozzo delle ruote e così fre-
nano più sicuramente la velocità che in tal punto
prenderebbe.
Giunti, col carro a quattro ruote, al laboratorio
pel quale sono destinati certi marmi, i carratori
jwggiano le solite leve di ferro in diversi punti sotto
I I ilocco da scaricarsi, e chiamandosi a tempo con
la cantilena: b! issa... b! issa... lo mandano a bi-
lico sul fianco del carro e quindi lo gettano al
suolo.
Se trattasi di scaricare quello a due mote, uno
dei due uomini addetti al medesimo drizza una
delle leve che hanno sempre sul carro, tra il capo
del timone (chiamato dai carratori perticone) e il
suolo; staccano i buoi, e con una leva per uno
mandano indietro i pezzi a poco a poco quanto è ne-
cessario per far loro passare il punto d'equilibrio,
e allora il carro cede e s'alza dalla parte del timone
facendo sdrucciolare uno o tutt'i pezzi che porta,
su certi legni cilindrici stati messi in terra apposi-
tamente, perchè facilitano la scaricazione ed il tra-
LA LETTURA
hi. inni ni Questi legni son
urli.
iratou i anno, e al
del laboral i •
o con martìnelli. secondo i casi, spingono quel
nello studio (così chiamano a Carrara qual-
siasi laboratorio di marini).
imitando da un blocco scaricato deve uscirne una
statua, allora questo viene affidato àll'abboszatore
i qualche misura presa sul modello da ripro-
dursi, gli dà la prima forma, adoprando compasso,
lapis, subbia, mazzuolo e martello quando vi sia da
; multa materia. Indi, coll'aiuto di altri lavo-
ranti, quel pezzo vien messo in posizione verticale, e
i .iMxjzzatore (che chiamano anche smodella-
tore) mette prima di tutto su di esso i cosi detti
io pi- punti, i quali servono di punto di partenza per
mettere i molti altri intermedi; e quindi, con sul>-
e gradinetti spiana tra l'uno e l'altro di que-
sti, e il masso prende approssimativamente la fi r
ma del modello.
la statua da riprodursi deve avere le stesse
dimensioni del modello, l'abbozzatore adopera un
compasso a quattro punte, tre delle quali chiamansi
chiodi perchè son quelli chi fermai
viti appena si sian presi sul modello i ire punti
principali e riportati sul marmn; l'altro è detto la
spinti ed è un ferretto lungo ed ai ino posto in cima
una specie di brao lato che puossi al-
lungare are p< r mezzo di \iti a cliia\
Questo braccio serve por prendere le misuri
qualsiasi punto del modello per mezze della s|
che essa pure può in tutte le dir
a\ anzarsi e ritrarsi.
L'n tale compassi . chi è d'ottone, chiamasi mac-
ellino da smodellare.
SPfr.
Bancone
1 2.S. Chiodi
Se poi la statua devesi fare in proporzioni mag-
giori o minori al modello, l'abbozzatore adopera i
compassi a due punte, e con tre di quelli prende
su di esso le misure e le porta sulla scala di pi
zione già preparata sopra un piano, e cosi, venendo
ingrandita l'apertura di ciascun compassi . viene in-
grandita anche la statua sulla quale si portano di
mano in mano queste misure. La stessa opera.
si fa dovendo riprodurre un lavoro dal grande .il
piccola
Quando lo smodellatore ha finito il suo eòmp
lo scalpellino s'occupa di lare la base su i ni
la statua, adoprando subbie, scalpelli, gradini, maz-
zuolo, riga, squadra di terrò, compasso, lapi
lima.
Prima di tutto adagia la figura in posizioni- i.riz-
ale sopra uno o più baili ni. e, coi punti
fissati dallo smodellatore, stabilisce la linea del
piano interiore, togliendo poi con subbia, gradino
al | k.-1 1 1 > il marmo superfluo.
Fatto il piano, con lapis, compassi . riga e sqiuM
COME SI ESTRAE IL MARMÒ IH CARRARA
dra, disegna sul medesimo i contorni che dovrà
prendere la pianta, come indica il modello ; poscia,
colla guida del piano e la squadra, ne limita le fae-
cie laterali e le pulisce coi soliti ferri. Indi, per
mezzo del graffietto, segna la grossezza della moda-
natura, che fa copiando esattamente il modello per
mezzo di misure prese sul medesimo col compasso e
la squadra ; ed in ultimo, servendosi di subbiette
l>er togliere una prima quantità di materia, di gra-
dini per unire un po' meglio i vari punti di ogni
superficie e di scalpelli a taglio tondo e quadro per
pulire nitidamente la sagoma, riesce a finire il suo
lavoro.
A questo punto, se la base vuoisi lucida, passa
per le mani del lustratore che sfregandone le faccie
907
con rota grossa, rota fine, pomice', rota inglese, piom-
baggine, spai tiglio la rende lucida come uno spec-
chio. Se poi in essa vi è dell'ornato, vien fatto
dall'ornatista subito dopo che ha finito lo scalpelli-
no. Esso delinea col lapis i contorni dei fiori o fo-
gliami che deve ritrarre, e poi con mazzuolo. sub-
Ma. gradinetti, trapano (chiamato dai marmisti vio-
lino) e scalpelli di varie forme e dimensioni li
finisce.
Finalmente lo scultore guidato dai tanti punti
messi con precisione dallo smodellatore toglie la
poca materia che trovasi tra un punto e l'altro con
gradinetti e scalpelli ; e in ultimo con delle raspe
prima grosse, cioè a grosse bulinate, e poi più fine
riduce la statua perfettamente uguale al modella
Edoardo Conti.
ha nuova opera di Guglielmo Ferrerò
i La stona di Ruma continua ad attirare l'at-
tenzioni- degli studiosi a preferenza di quella dei
vetusti impari orientali. Fino a mezzo secolo fa
ciò poteva spiegarsi col fatto che l'antichità clas-
sica era la sola della quale si aveano notizie al-
quanto precise e dettagliate, sicché la Grecia e Ro-
ma formavano 1 unico ed immenso edificio di ci-
viltà estinta che fosse abbastanza noto e che chiu-
deva, con la sua stessa grandezza, l'orizzonte del
passato, togliendo quasi al mondo moderno la vi-
sione di edifìci più antichi. Ora invece, coll'aumen-
tare delle nostre cognizioni, siamo arrivati più in
alto, l'orizzonte si è allargato e, dietro al primo
edificio, ne scorgiamo distintamente altri, qualcu-
no dei quali racchiude misteri che forse non ci sa-
ranno mai del tutto svelati. Eppure, malgrado ciò,
il mondo romano-ellenico conserva sempre per noi
un fascino speciale che si sente più che non si sap-
pia spiegare.
Credo che questo avvenga perchè è umano inte-
ressarsi a preferenza di ciò che più davvicino ci ri-
guarda e più ui rassomiglia. Anche a proposito dei
fatti contemporanei, proviamo maggiore interesse a
quelli della Francia, della Germania, dell'Inghil-
terra, paesi di civiltà molto analoga alla nostra,
anziché a quelli della Persia o della Cina. E'
perciò dunque che, anche dopo conosciuta l' im-
portanza dei più remoti centri .li civiltà umana.
dopo che iil Marno approssimativamente misurato i
millenni della loro antichità, che abbiamo quasi
paurosamente ammirato i vetustissimi loro monu
menti, faticosamente ed incertamente interpretato
i frammenti che ci restano del loro pensiero, sen-
tiamo quasi più forte l'attrattiva dell'Eliade e di
Roma, delle nostre pr genitrici dirette, dove tro-
viamo un pensiero, un'arte, una concezione della
vita, che ci sembrano più umane, perchè più affini
alle nostre.
Del • per quanto siano state studiate, la
Grecia e Roma non sono argomenti esauriti. 1
formano un solo mondo sociale, un unico tipo di
civiltà, che, dopo aver sbocciato prima e fiorito
meravigliosamente sulle rive dell'Arcipelago, fu da
Roma assimilato, completato e diffuso per tutte
le contrade bagnate dal Mediterraneo. Or questo
tipo di civiltà, questo periodo di capitale impor-
tanza nella storia umana, contiene ancora due gran-
dissime incognite: il suo primo principio e la sua
fine. L'indagine dei primi elementi che entrarono
nella formazione della civiltà greco-classica, che in-
comincia con Omero, attira, proprio in questo mo-
mento, più che mai l'attenzione degli archeologi e
degli storici, e questi d'altra parte non hanno sa-
puto ancora spiegarci completamente le ragioni in-
time della decadenza e della dissoluzione dell Im-
pero romana Si comprende quindi facilmente che
lo studio di quest'ultimo problema abbia appassio-
nato l'animo giovanile di Guglielmo Ferrerò ed i
due volumi sulla Grandezza e decadenza di Roma
testé pubblicati rappresentano appunto i primi ri-
sultati delle sue pazienti ricerche sull'argomento.
2. — Questi due volumi si possono, prendendo
per base la diversità della materia in essi tran
dividere in due parti: nella prima, che è qi
un'introduzione a tutta l'opera e che comprendi-
un centinaio di pagine del primo volume, si narra
sommariamente la storia che va dai primi tempi
di Roma fino a quando questa, vinta Cartagine,
divenne lo Stato più potente dell'antichità : nella
seconda, che abbraccia il resto del primo volume
ed il secondo per intero, l'autore, d ac
cennato alle grandi conquiste romane ed alle prime
lotte civili, studia analiticamente gli ultimi i
quanta anni della Repubblica fino alla morti- di
Cesare e descrive la grande crisi politica che tra-
mutò appunto la Repubblica romana in Monarchia
burocratica e militare. Siccome la figura principali-
di questo periodo storico fu Giulio Cesare, da lui
appunto s'intitola il secondo volume dell'opera.
OPERA l'I (dV.LH.LMO FERRERÒ
Nella prima parte, ossia nell'introduzione, il
ferrerò fa una sintesi mirabile delle cause della
grandezza di Roma. Questa si mostra già fin dal li-
origini uno Stato di tipo greco-italico, cioè una o il
i umana in cui vi era una classe dominatri-
ce, che avea il monopolio delle armi, possedeva la
terra e quindi quasi tutta la ricchezza, adempiva
a tutte le funzioni direttrici e. nei tempi primitivi
e nelle città più rustiche e più frequentemente nei
suoi strati meno elevati, lavorava alle volte anche
manualmente, ed una classe dominata composta di
schiavi, liberti e stranieri domiciliati che non ave-
vano la cittadinanza, la quale eseguiva tutti i la-
vori più umili e grossolani ed esercitava anche
qualche po' di industria e di mercatura.
Ma l'originalità dello Stato greco-italico non con-
sistette già in questa divisione in classe dirigente e
classe diretta comune a tutte le società umane e nep-
pure nella preponderanza della funzione militare
specializzata nella classe dirigente, perchè questa
preponderanza e specializzazione troviamo in molte
altre società fino a qualche secolo fa. ma piuttosto
fu dovuta al fatto che, nella Grecia ed a Roma,
la società non fu ordinata sotto la guida di un'au-
torità indiscutibile fondata sulla religione o sopra
una rigida ed immutabile gerarchia militare con
capi ereditari, ma si resse sempre, almeno in tempi
normali, mediante un regime di libera discussione.
Regime che rendendo necessaria una assidua lotta
per la preminenza sociale fra la maggior parte
degli individui che componevano lo Stato, facendo
sì che molti potessero aspirare ai primi posti dello
Stati, contribuì indiscutibilmente ad acuire e raf-
finare oltremodo le facoltà intellettuali dell'uomo.
Racconta Erodoto che quando Ciro re di Per-
sia intese parlare per la prima volta dei Greci e
ne conobbe i costumi, disse che egli non avea pau-
ra di uomini che usavano di riunirsi periodicamen-
te nelle piazze delle loro città per ingannarsi a vi-
cenda. Xon è dubbio infatti che essi spesso s'in-
gannavano o cercavano d'ingannarsi a vicenda, ma
quest' abitudine dovette anche sviluppare 1' attitu-
dine a guardarsi dagli inganni e la necessità in cui
erano di persuadersi a vicenda, per poter far trion-
fare il proprio partito e primeggiare, rese gli in-
gegni più sottili a percepire la verità ed a distin-
guerla dall'errore. Xon per nulla lo stesso Erodo-
to affermava che il Greco si distingueva dal bar-
biro specialmente perchè era immune da ogni scioc-
ca credulità, non per nulla Aristotile era profonda-
mente convinto della superiorità dei Greci sui bar-
bari e non per nulla noi moderni abbiamo di
constatare che i Greci ed i Romani furono i primi
popoli che conobbero l'arte di ragionare e che di
quest'arte ci sono ano ira maestri.
Ma perchè fra tutti gli Stati di tipo greco-italico
Roma fu quello che riuscì a conquistare tutto il
mondo civile e buona parte del mondo barbaro co-
ni seduto dell'antichità?
Il Ferrerò riassume in una frase molto sii:
le cause della speciale grandezza della città dei s '
te colli: Roma, egli scrive, seppe essere barbara
senza avere i vizi della barbarie. Credo che in que-
909
sia frase ci sia buona parte della verità, ma non
tutta la verità.
E mi spiego subito. Anzitutto Roma, dal primo
momento che si presenta nella storia, fu barbara
solo relativamente. Essa ebbe quel grado di bar-
barie, o meglio di r. zzezza, che poi era frutto di
un lungo periodo di prepara/ione alla civiltà ed
eredità di civiltà primitive ed estinte, il quale fu
generale in tutta la Grecia tino a sette secoli avanti
l'èra volgare. Però mentre Atene, Sparta. Siracusa.
Taranto, Efesi ■ aperte più o meno alle influenze
delle civiltà orientali ed in continua comunicazione
con tutto il mondo ellenico rapidamente si trasfor-
mavano, Roma, che stava isolata all'estremità del
mondo civile d'allora, che parlava un dialetto in-
comprensibile ai Greci che non era diventato an-
cora una lingua, si mantenne per tre o quattro se-
coli quasi immobile, e questa immobilità mentre
da una parte la tenne chiusa ad ogni progresso let-
terario, artistico, scientifico ed economico, dall'al-
tro la salvò da quelle trasformazioni sociali che
fecero sì che, fin dall'epoca di Alessandro Magno,
quasi tutte le grano i città dell'Eliade e delle sue
colonie fossero in piena dissoluzione politica.
Difatti chi semplicemente abbia letto la politi-
ca di Aristotile sa benissimo che perchè uno Stato
greco potesse funzionare bene era indispensabile
che fra i suoi cittadini non ci fosse una soverchia
disparità di fortuna, che i maggiori possessori di
terre non fossero pochi ed oltremodo doviziosi, che
i poveri non fossero nullatenenti e che non man-
isse un certo numero di medii proprietari. Giac-
ché se la disparità delle fortune diventava ecces-
siva, se (antitesi fra l'uguaglianza politica e la
disuguaglianza economica troppo si accentuava en-
tro il corpo dei cittadini sovrani, avveniva imman-
cabilmente o che i ricchi, giovandosi delle loro
clientele, accentravano intomo a se il monopolio
delle cariche e dei pubblici poteri, o che i poveri,
valendosi del loro numero, si facevano strumento
del potere politico per espropriare i ricchi o vi-
vere alle loro spalle.
Or senza dubbio a Roma fino alla prima guerra
punica non ci fu né grande ricchezza generale, né
grande concentrazione di ricchezza particolare, poi-
i hi- essa fino a quell'epoca non ebbe né commerci
rilevanti, né industrie, né fece conquiste nei ricchi
paesi d'Oriente dove erano ampie riserve di metalli
preziosi. I suoi patrizi aveano allora proprietà mi-
liari piuttosto vaste, ma erano ano ra scarsi
di rapitali mobiliari e di schiavi ed i suoi plebei
erano quasi tutti piccoli proprietari. Tutti poi, pa-
trizi e plebei, nelle diuturne guerre coi popoli vi-
cini, conservarono l'abitudine di combattere perso-
nalmente, tutti ignorarono lungamente i bisogni
nuovi e le mollezze di una civiltà più raffinata e
nell'isolamento della loro città mantennero intatta
l'antica rusticità dei costumi e quella mirabile di-
sciplina morale, così efficacemente descritta dal Fer-
rerò, basata sulla potestà dei padri di famiglia e
sulla sorveglianza che ogni cittadino esercitava su
tutti gli altri.
Ma tutto ciò non basta a spiegare il prevalere
()I0
LA LETTI IRA
\ Fui
i .unii linee commerciali ed
o nulla p .11 vantaggi della
s mantennero poveri e ni-
ni pei assoldare mer-
cenari, o ibitudine delle milizie nazio-
gli Etolì, gli V .ir
nan, v nessuno di questi i*>i»>lì
conquistò il monda
I..i verità è dunque che Roma, pur avendo il
gli Stati greci, fin dalle origini Fu
superiore ai Greci per il suo genio 'li organizza-
i lazione politica.
te in Grecia, infatti, e nelle colonie greche,
di eccezione Siracusa, lo Stato si
confuse sempre colla città, tanto che a dinotare
l'ima e l'altra si usò l'unii abolo nòAi; a
Roma fin dai primi tempi ì'urbs fu la capitale del-
lo Stato, la città per eccellenza, ma a dinotare tut-
to lo usò la parola res pubblica di significato
più ampio e che non ha l'equivalente nella lingua
greca. Nella quale mancava il vocabolo per he
mancavano l'idea e la cosa, perchè basta avere
letto l'I. Aristotile \»-r comprendere come
fra gli Klleni non si concepisse che uno Stato potes-
se abbracciare più di una città e del suo territorio
e che i cittadini potessero stabilmente abitare a pa-
retrhie giornate ili distanza dal luogo dove si do-
vevano lìeriodicamente adunare ]>er discutere delle
pubbliche faccende e procedere alla nomina dei ti-
tolari delle cariche pubbliche.
Invece Roma, conservando fin dapprincipio la
cittadinanza alle sue colonie, che restavano così
parte integrante dello Stato, accordandola di fre-
quente alle città alleate e qualche volta alle città
vinte, seppe vincere la debolezza precipua dello
Stato ellenico, organismo politico abbastanza per-
fezionato, ma che mancava di forza di espansione
perchi- i suoi organi erano adatti a funzionare solo
in uno Stato il cui territorio non fosse più vasto
di qualche migliaio di chilometri quadrati, i cui
cittadini non fossero più di dieci 0 dodicimila.
E senza dubbio l'aver saputo formare uno Stato di
tipo ellenico ma ni. : più grande di tutti gli Stati
ellenici, fu una delle cause precipue della grandezza
di Roma, che già nel trecentoquaranta avanti Cri-
sto contava intorno ai centocinquantamila cittadini,
un numero ci od otto volte maggiore di
quanti ne ebb Atene nei suoi momenti più pro-
speri una base solida per iniziare
l d -lf Italia e poi del mondo.
3. — Dopo l'introduzione, il Ferrerò narra mae-
strevolmente non ta vicende delle conquiste
romani- quanto le graduali trasformazioni che esse
cagionarono ni mina ed italica. Egli
descrh'- pen himento generale avvenuto
dopo la seo nda guerra punica, il sorgere del 1
medio 1 apitaJ lii propri)
appai ! usurai, il continuo inurbarsi di-Ila
plebe rustica, il lusso sempre crescente dei grandi.
l'aumento dei bisogni ,• della mania dei godimenti
avvenuta in tutte le classi per il contatto colle
viltà pili raffinate dell'Oriente e per il progressivo
rallentarsi dell'antica severità dei costumi. Me
mania di accennare ai disperati tentativi di coloro
che volevano fermare Roma su questa via o pi
lo in senso direttamente e grettamente con
valore, oppure, come con più avveduto consij
aveva progettato Caio Gracco, volendo esteni
ttadinanza a tutti gli Italiani, allargando •
tsi della Repubblica e nello stesso tempo sfol-
Uldo la città dalla plebe oziosa. illirica ni e , p.n
sita mercè e,, Ionie che si doveano fondare in Italia
ed in Africa.
E poi viene alla prima crisi che ebbe In.
Italia nel pruno ventennio dell'ultimo secolo a-
vanti Cristo e che, cominciata colle guerre sociali,
continuò colle lotte civili fra Marine Siila. Duran-
te questa crisi, come si sa, si estese la citta' finanza
a tutti gli Italici, ma siccome in fatto per es
tare i diritti politici bisognava venire a Roma,
si mantenne l'egemonia politica degli abitanti di
questa città; l'acquisto della cittadinanza però die
agio a molti uomini nuovi ed a molti membri delle
antiche aristocrazie locali di acquistare il grado di
cavalieri romani e di partecipare così a molti af-
fari e contribuì a creare quel medio ceto italico,
che cominciò ad essere una delle forze sociali più
importanti verso la fine della Repubblica e che da
Vespasiano a Marco Aurelio fornì poi i più validi
elementi alla classe tlirigente dell'Impero. Le guerre
sillane poi ruppero l'antica tradizione legalitaria
ed abituarono le fazioni alla sopraffazione ed alla
violenza e resero familiare ai grandi il concetto di
arrivare alle cariche con qualunque mezzo ed ai
mediocri ed ai piccoli fecero nascere il desiderio
di servirsi della politica per far fortuna.
Dopo Siila infine comincia la grande epoca par-
ticolarmente studiata dal Ferrerò, quella che segna
il punto culminante della grande rivoluzione |h>Iì-
tica che cambiò Roma, la città che ordinata se-
condo il tipo politico dell'Eliade, cioè con regimi-
di cariche elettive e di pubblica discussii in- degli
atti dei governanti, avea conquistato il mondo, nel-
la capitale di un solo grandissimo organismo po-
litico retto colla forma della monarchia burocrati-
ca e militare. Organismo entro il (male tutte le
città, tutte le nazioni conquistate vennero gradata-
mente fuse ed assimilate nell'uguaglianza dei di-
ritti e dei doveri civici e soprattutto della civiltà.
Il Ferrerò segue le fasi di questa grande rivolu-
zione, per ora fino alla morte di Cesare. Ria
mendo quanto egli scrisse dirò prima dei diversi
strati sociali, che riempiono lo sfondo del quadro
efficacissimo che egli presenta al letti Iel-
le figure che in esse principalmente spiccano
4. — In ogni società arrivata
di sviluppo naturalmente esiste
ne fra le diverse classi sociali,
rchia fra le classi elevate e
i criteri e le qualità che aprono
dirigenti, la facilità maggiore o
■ la una classe a quella superiore,
di molto, secondo l'epoca ed il
ad un certo grado
la differenziazio
ma i rapporti di
quelli- più ba
l'adito delle ci
minore di pa-
pi .ssono i ambiare
pi polo, e rappre-
LA NUoVA OPERA DI GUGLIELMO FERRERÒ
911
sentano l'elemento variabile nel fatto immutabile
e costante dei pochi che dirigono e dei molti che
sono diretti.
In Italia, durante l'epoca della quale ci occu-
piamo, e prima e dopo di essa, lo strato più umile
della piramide sociale era costituito dagli schiavi,
dei quali una parte era indigena, un'altra proveni-
vi 0 dei paesi sottomessi dell'Impero o da quelli
barbari. Come fa bene rilevare il Ferrerò, nella
società antica le terre erano quasi sempre più ab-
1k iridanti che nelle società moderne di antica col-
tura, dove la popolazione è ordinariamente fittis-
sima ; scarseggiavano invece nell'antichità i capi-
tali mobiliari e le braccia, quindi un popolo vinci-
tore s'impadroniva anzitutto dell'oro, dell'argento,
degli oggetti preziosi dei vinti e poi, quando non
li catturava in guerra, comprava degli schiavi. Per-
ciò l'Italia, vincitrice e spogliatrice del mondo, per
prima cosa accrebbe di molto la sua casta servile.
Ma in questa casta esistevano molte varietà. An-
che presso gli antichi vi era la differenza fra il la-
voro skilled, che richiede un tirocinio più o meno
lungo per essere bene disimpegnato, che esige nel
lavoratore una certa finezza, una certa intelligenza,
incompatibile coll'estrema inopia, ed il lavoro un-
skrfled, ossia rozzo, che si può anche stimolare a
colpi di frusta. Perciò, mentre gli schiavi più
grossolani, quelli provenienti dai paesi incolti e
barbari, venivano impiegati nelle miniere, nella pa-
storizia ed in tutti i lavori più rudi e ripugnanti;
quegli altri che conoscevano un'arte od un mestie-
re, e che provenivano quasi sempre dai paesi più
chili dell'Oriente, erano molto meglio trattati. Fra
essi reclutavansi gli agricoltori intelligenti ed e-
sperti che trasformavano il suolo d'Italia piantan-
do oliveti, vigneti e frutteti ed introducevano nuove
piante e nuovi metodi di cultura, gli artigiani pro-
vetti, gli artisti, i segretari, i pedagoghi, i collabo-
ratori delle opere letterarie più insigni. La loro
attività veniva stimolata per mezzo del peculio,
ossia della partecipazione ai profitti che il padrone
dovea loro consentire e dalla promessa dell'affran-
cazione che molto spesso veniva mantenuta.
L'esistenza di questa categoria di schiavi colti,
fenomeno rarissimo anche nell'antichità, ci fa com-
prendere quanto duri fossero i primordi della do-
minazione romana nei paesi civili ed industriosi
dell'Oriente, ci spiega pure come e perchè allora
il lavoro intellettuale libero, quando non era ac-
compagnato dalla nascita e dalla ricchezza, diffi-
cilmente riuscisse a conquistare una posizione so-
ciale analoga a quella che ha nel mondo moderno
e finalmente contribuisce a chiarire l'importanza
assunta dai liberti nei primi tempi dell'Impero.
Al di sopra, almeno ufficialmente, degli schiavi
di ogni categoria vi era la plebe dei liberi. Come
avviene in tutte le epoche storiche agitate, nelle
quali è rara la rassegnazione di restare attaccati
alla condizione dei propri padri, era comune allora
in questa classe l'aspirazione verso i miglioramenti.
Ma quest'aspirazione si estrinsecava in modo tutto
affatto diverso di come avviene nei tempi moderni.
Nell'antichità infatti vi era l'artigianato dei liberi
e dei liberti, vi erano molti piccoli commercianti
di condizione libera, alle volte molti piccoli pro-
prietari, ma l'assenza della grande industria ed il
fatto che le grandi proprietà erano in buona parte
coltivate da schiavi, impedivano che si formasse
un vero ceto di salariati liberi. A ciò bisogna ag-
giungere che il lavoro diuturno e regolare ad ora-
ri" fisso è appunto quello al quale l'uomo barbaro,
o recentemente uscito dalla barbarie ripugna di
più, che i bisogni delle plebi antiche erano più
semplici e più facilmente soddisfatti di quelli del-
le plebi moderne e che infine i poveri, che nello
stesso tempo erano cittadini, putivano sempre allora
più o meno contare sull'assistenza dello Stato ed
anche dei privati ricchi.
Perciò l'ambizione di un piccolo artigiano' semi-
ozioso di Roma e quella di un piccolo proprietario
della campagna tendeva soprattutto all'acquisto di
un capitanicelo, mediante il quale si poteva diven-
tare un piccolo uomo d'affari, comprare qualche
schiavo, intensificare all'occorrenza col lavoro di
questi la coltura del proprio fondo. La guerra e
la politica erano i mezzi migliori per raggiungere
questo scopo, poiché, attaccandosi alla fortuna di
qualche uomo importante, di qualche generale ce-
lebre, si godevano le largizioni elettorali, si parte-
cipava alla spogliazione dei paesi conquistati e
spesso, dopo una campagna fortunata, alle distri-
buzioni di danari ed anche di terre che il duce vit-
torioso faceva fra i suoi veterani.
Al di sopra della plebe vi era la classe dei cava-
lieri, composta di medii proprietari ma soprattutto
di capitalisti, speculatori ed appaltatori, la quale
nel mondo romano antico rappresentava ciò che vi
era di più rassomigliante alla borghesia moderna.
Come si è già accennato, dopo l'estensione della
cittadinanza agli Italici, in questa classe si erano
fuse tutte le antiche aristocrazie locali dei popoli
già confederati di Roma. I più ricchi fra i cava-
lieri prestavano danaro agli aristocratici che si di-
sputavano le cariche più alte della Repubblica e
formavano clientele interessate alla riuscita dei
candidati alle preture ed ai consolati, i quali in
qcesto modo venivano ad essere rispetto a loro in
una certa dipendenza, altri tentavano ogni specie
di speculazioni, investivano nelle miniere, nei com-
merci o nelle terre capitali spesso imprestati ad un
tasso usuraio o esercitavano alla loro volta l'usura
nelle provincie o prendevano appalti dallo Stato.
Occupavano anche i gradi subalterni negli eserciti
e naturalmente cercavano di metterli a profitto.
E' interessante il constatare come ben pochi dei
cavalieri allora aspirassero alle prime cariche della
Repubblica; essi si contentavano quasi sempre di
arricchire e di rappresentare le se-onde parti, la-
ssando le prime quasi esclusivamente ai discen-
denti delle antiche famiglie senatorie romane. Rari
sono infatti in quell'epoca gli uomini nuovi che ar-
rivano a farsi strada fino al consolato e nella gene-
razione di Cesare, quasi, il solo uomo politico di
prim'ordine che fosse di mediocri natali era Cice-
rone, il quale costituì un'eccezione giustificata dal-
la grandissima influenza che seppe esercitare sul-
LA LETTURA
pubblica rane n;-
, n Roma antica il me-
lle nostre |n :
i llettuali ; - ssori ili in
schiavi, i
vano |«--r lo più dalla Grecia ; la si
più un mezzo di acquistare aderen-
■ politii he che una vera carne]
:, Repubblica enei primo secolo dell'Im-
fu nulla di corrispondente agli alti
burocrazia. Ma non pei
■uva la cultura, spe talmente
bisogni 'li raffinatezza in-
[e che la società italica avea preso dalla
he l'istruzione era diventata anch'es-
!■■. un modo 'li distinguersi 'lai
. di acquistare, come ora direbbesi, quella di-
. piava la familiarità coi potenti,
ira tutte le altre classi, infine, stava l'ari-
tzìa romana, i cui membri sedevano quasi
tutti in Senato, occupavano a turno le alte cariche
■ Iella Repubblica, rappresentavano i personaggi di
una società, 'li un'epoca che resterà sempre
bre nella storia e e. .me tali son diventati quasi tutti
gì .storici.
in tutte le epoche ci sono state aristocrazie
più 0 menu chiuse, i membri di nessuna di esse fu-
rono cosi potenti, quanto quelli dell'aristocrazia ro-
llami d'allora ed i membri di nessuna altra aristo-
crazia disp sera a sì illimitatamente di tante voli
umane. Dicesi che durante la guerra contro Pir-
ro, un ami re del re epirota stando davanti
il Senato abbia avuto l'impressione che trova vasi
davanti un'assemblea di re; il paragone, la meta-
fora era diventata realtà centocinquanta anni dopo.
Pei comprendere infatti i vizi e le virtù di quella
dobbiamo tener presente che i nati nelle
ito famiglie più illustri di Roma era-
no sempre padroni assoluti ed ini . ut rollati di cen-
tinaia e qualche volta di migliaia di schiavi e al-
ternativamente erano padroni assoluti, poco 0 ind-
iati, di provincie vaste alle volte quanto
l'Italia, dove andavano come consoli, proconsoli o
Quei patrizi aveani i piuttosto i molti
vizi eie rare virtù dei si - luti anzichi quelli
delle ari»- i
\l mini che in casa pn pria ci
man niente i loro schiavi, che in
ncia erano generali degli eserciti, con tutto
il potere che loro conferiva la disciplina militare.
no tremare le popolazioni sotterri sse
ed i re allea'i. in Roma erano cittadini illustri ma
niente ali . per arrivare alle 'ari-
■ m izt, tornire giui chi
e distribuire danari al popolino, assoldare- bravi,
rsi una clientela Ira gli affaiisti e gli spe
tori del r dare coll'audai
l'improntitudine gli avversari,, venire a patti coi
iti. In fondo non si arrivava a diventai
n rando
prima a Roma tuti de irti che son pr
di un paese di democrazia con
sì renata. E le | se . che ei
■ di Ile gan fra gli oligarchi, forni-
vano a questi i mezzi di vincere le gai
.la da esse ohe si traeva il danaro |>i e,. nomi
gli elettori, erano esse che offrivano ì ni di
rendere favori ai cavalieri che vi esercitavano i
O minerei e le usure. i-«r che supplivano alle
se di tutta la coorte di parassiti che si string
attorno ai grandi pi ì di Roma. I.a |« i
di costoro infatti o nel rovinarsi per
nere un comando fuori d'Italia e servirsi di
per rifare la propria fortuna e conservare il
maini i ottenerne un altro più importante.
5. — Questo regime, che fu quello dell'io
secolo della Repubblica, e che ho appena rapida-
mente accennato, viene dal ferrerò effii
descritto a proposito del processo di Verre e quan-
do parla dei fastidì che ebbe Cicerone nel governo
della Cilicia, durante il quale l'i llusti e ri-
schiò di farsi nemica mezza Roma per avere voluto
solo frenare alquanto i saccheggi che nella provin-
cia affidata alle sue cure commettevano i pubblicani
e gli ufficiali italici.
Or anche non anunettendo la fatalità storica,
anche non credendo che tutto quello che ,'■ accaduto
nel mondo dovea necessariamente dere,
anzi direi si deve ammettere, che se l'oligarchia
romana sempre più restringendosi in pò
consorterie legate a pochissimi capi, non si tras-
formava in triumvirato e se la lotta fra qui
sortene e questi capi non finiva col trionfo di una
sola consorteria stretta attorno ad un uomo supe-
riore e da lui guidata, in altre parole se la RepuU
blica non si fosse trasformata nell'Impero, la
minazione romana nel mondo antico non sai
durata altri cinque secoli, quanti ne corrono in-
fatti dalla morte di Cesare alla fine dell'Impero
d'Occidente. Poiché era impossibile che, sotto un
regime così spogliatore e disorganizzatore 1
quello dell'ultimo secoli' della Repubblica, il mon-
do d'allora avesse acquistato quell'equilibrio si
che permise l'assimilazione e la fusione di tutti i
popoli antichi entro il popolo romano, I
della civiltà greco-romana nella Gailia, nella S
gna, in tutto il nord dell'Africa, nel Xorico, nella
Rezia, in tanti paesi fino allora barbari, che alla
fine della Repubblica erano già in gran pan.
temessi a Roma, non ancora conquistati alla cul-
tura romana.
Giacché dunque la grande trasformazion
tica che comincia con Cesare fu, -
certo provvidenziale, voliamo se egli era veram
l'uomo più adatto alla grai
fu soltanto il più fortunato o anche pure il m
temprato fra i suoi contemporan
E qui anzitutto è opportuno di riferii
Stesso ferrerò deserve le figure dei principali |>cr
iggi di Rima, nell'epoca da lui trattata. 1-
caggi che son quelli fra i quali 1 agi-
Lucullo fu indiscutibilmente un uomo n
mo, ohi- amie capii
ma ima certa mollezza n superiorità signorile
LA NUOVA OPERA DI GUGLIELMO FERRERÒ
si che egli tardi si lanciasse fra le lotte del Foro
e tardi aspirasse alle prime parti della Repubbli-
ca; ottenuto il comando della guerra contro Mi
tridate mostrò straordinaria attività ed audacia e
doti mentali di prim'ordine. ma non seppe mante
nersi devoti i soldati, non seppe tenere a posto
tutti i suoi ufficiali e. quandi vide i suoi ti
troncati a mezzo dalla indisciplina degli uni e de-
gli altri e dalle cabale che contro di lui si ord
vano a Roma, si disgustò del comando e della vita
pubblica e tornò in Italia a fare il gran signore.
Crasso, al contrario, era un uomo attivo e tei
dotato di eccellenti qualità di second'ordine, un
abilissimo amministratore della propria sostanza
un organizzatore non meno abile d'intrighi pi i
e di una vasta clientela elettorale, avea le doti di
tip banchiere politicante moderno unite a quell'e
nergia. a quel riero disprezzo della morte, chi
sì raro nei banchieri moderni e viceversa era
Ci mime a tutti i romani di quel tempo. Era ari
un discreto generale ma. impegnato in un gravissi-
mo cimento per superare il quale ci sarebbe voluti
un uomo di primissimo ordine, non seppe frenare
il panico delle sue truppe, non seppe mantenere
la disciplina fra i suoi ufficiali e vi peri.
Pompeo, l'antagonista di Cesare, fu senza dub-
bio anche egli un buon condottiero, un generale che
sapeva il suo mestiere, ma ammollito dai succi
precoci, dovuti in gran parte alla straordir
buona fortuna che segnalò l'inizio della sua car-
riera politica e militare, si rivelò nel cimento mol
to inferiore per risolutezza, pertinacia e prontezza
di decisione al suo avversario. Cicerone certo fu
un ingegno largo e simpatico, un uomo che seppe
diventare uno dei direttori dell'opinione pubblica
italiana, che ebbe sempre nel complesso mire oneste
sinteressate, benché alle volte facesse transa-
zioni colla propria coscienza, e che nei momenti
gravi seppe dimostrare dignità e coraggio, ma come
Iuomo d'azione nessuno certo vorrà paragonarlo al
vincitore delle Gallie. Catone era un idealisti di
vedute strette, tenacemente attaccato alle sue pi
ertissime idee e che sognava di poter ricondurre
Roma alla semplicità dei tempi di Fabrizio e di
Attilio Regolo. Lo stesso Bruto è dipinto dal Fer-
rerò per uno di quegli uomini che si formano un
concetto della vita più dai libri che dalla realtà e
che subiscono oltremodo la suggestione degli altri,
sieehè egli avrebbe compito l'atto più decisivo della
sua vita, la partecipazione all'uccisione di Cesare,
non già per propri, impulso o per disegno spi n
neamente meditato ma perchè lo persuasero che
ciò egli doveva al mondo e che il mondo queste si
aspettava da lui.
6. — Cesare, invece, scrive il Ferrerò, tu « uno
più splendidi campioni del genio umano... Una
portentosa lucidezza e plasticità di pensiero, una
alacrità infaticabile, una mirabile fretta, una stra-
ordinaria resistenza nervosa furono le sue virtù
maggiori con le quali egli sarebbe riuscito in ogni
età e tempo un grand'uomo».
sto giudizio, nella sua concisione, mi pare
La Lettimi.
qt3
maravigliosamente esat< .1 non del tutto
esatte mi sembrano le considerazioni con le quali
il Ferrerò, sviluppandolo e completandolo, lo ha
modificato.
1 omprendo benissimo che nell'autore (fella Gran-
i 1 decadenza </: l<<>nia sia sorta una spon-
tanea e naturale reazii ne contro il feticismo di al-
cuni scrittori verso il fondatore dell'Impero romano.
Il l'errerò anzi ha perfettamente ragione quando
1 la leggenda secondo la quale Cesare, fin dai
primi anni della sua giovinezza, avrebbe avuto il
programma che attuò nella sua matura virilità,
maniera di vedere che. oltre a non essere conforme
alla realtà storica, rivela una soonoscenza quasi
1 -pietà della psicologia del primo imperatore di
Roma e dei dettagli della sua vita.
Ma il Ferrerò non si contenta di sfrondare le
esagerazioni dei feticisti, di distruggere la leggen-
ti della predestinazione di Cesare, e dopo avere
riconosciuto la straordinaria grandezza delluomo.
dopo avere descritto con quali sforzi d'attività pro-
<l;giosa, di volontà inflessibile, d'intelletto supe-
riore seppe superare i gravissimi frangenti che tra-
versò durante l'ultimo anno delle guerre galliche
e nelle guerre civili, dopo di avere posto in luce
il fascino grandissimo che nei momenti più diffi-
cili sapeva esercitare sui suoi soldati, segno infal-
libile che era non solo un valente stratega ma an-
che un grande conduttore d'uomini, poi quasi lo
rimpicciolisce definendolo un gran demagogo e ne-
gandogli la qualità di grande uomo di Stato.
Or in verità Cesare avrebbe potuto essere a pre-
ferenza indicato come un gran demagogo se egli
fosse stato uno dei tiranni classici descritti
da Platone ed Aristotile ; se egli si fosse cioè
messo a capo della plebe, dei nullatenenti, per di-
struggere le classi elevate, dando libero sfogo a
tutte le cupidigie ed a tutte le vendette sue e dei
seguaci e distribuendo fra essi le ricchezze degli
oligarchi uccisi o andati in esilio.
Ma. se non fosse già abbastanza noto che Cesa-
re non agì in questo modo, basterebbe la semplice
lettura dei due voltimi del Ferrerò per convincersi
che la sua figura non può essere confusa con quella
di Dionisio, ili Agatocle o di Nabide. Certo. Cesare,
negli inizi della sua carriera, disponendo di mezzi
d'azione meno efficaci di quelli dei suoi emuli, per-
chè discendeva da famiglia antica ed illustre ma
ehi nelle ultime generazioni si era alquanto eclis-
sata e non avea grandi ricchezze, combattuto acca-
nitamente da rivali che coll'istinto sicuro di tutti
gli ambiziosi divinavano la sua pericolosa superii
rità. per affermarsi fu anche più di loro schi\ .
si rupoli morali e legalitari e si appoggiò anche
agli avventurieri più diffamati ed ai caporioni del
popolaccio. Ma, una volta arrivato, non sterminò
né impoverì l'antica oligarchia ma ne volle sola
mente diventare il capo. La possanza, le cariche,
gli onori continuarono come prima ad essere l'ap-
pannaggio di un centinaio di famiglie, senonchè
invece di essere accanitamente disputate nei comizi
furono distribuite dal favore dell'uomo al quale
unta Roma si inchinava e gli eserciti obbediva
58
LA LETTURA
fondo la distribu
pubbliche tra i suoi
i i.i'. re coli «ie, m i l uro •
Itro furono in quei tempi abbastanza freqi
iderarsi
|ir..\ v prudente.
Il 1 principali
sane: la ricostituzione del partito legalita-
iquantam
l'ingrandimento della politica conquistatrice di Lu-
cullo, la costiti 1 1 pei naie di >j> i
la morte di Pompeo. Tutti llirono perchè,
«do il nostri) autore, i due primi erano lanini
ed il ter/, acerbo e da ciò egli trae La conseguenza
:i fu un grande uomo di Sta
ponderò anzitutto che nel cinquanta'
non potea aspirare a si p
piantar da solo l'oligarchia romana : tutto al più,
secondando il movimento che tendeva ad organizza-
re |uest'oligarchia attorno a pochissimi capi, po-
tea ottenere un |*>sto cospicuo fra questi capi, il
quale gli dovea giovare anche pei prepararsi un
migliore avvenire. E ciò egli senza dubbio i (tenne
entrando nel primo triumvirato e tacendosi aggiu-
dicare il comando della Gallia.
In secondo luogo non si può ammettere che la
forza di espansione di Roma fosse all'epoca di
Cesare completamente esaurita. Ne diede una pro-
va lo stesso Cesare conquistando la vastissima Gal-
lia transalpina, la quale d'allora in poi fece parte
del I Impero. Sotto Augusto poi. ed i suoi primi suc-
cessori, furono aggiunti al dominio di Roma l'E-
gitto, la Mauritania e la Bretagna, furono domate
le popolazioni ancora indipendenti delle Alpi e dei
Pirenei e furono definitivamente raggiunti i con-
fini del Reno e del Danubio.
E finalmente neppure si può affermare che a Ce-
t'alli il terzo suo disegno, perchè egli fu indi-
scutibilmente il primo imperatore romano. Né fu
strappato dal posto altissimo al quale era arrivato
dai suoi insuccessi o dalla sua incapacità, ma dai
pugnali dei congiurati, ed un colpo di pugnale si
sa che non può essere sviato né dalla clemenza
più generosa, ne dalla severità più sospettosa e
sanguinaria.
Ma afferma il Ferrerò che se Cesare non fosse
ucciso nei famosi idi .li marzo, il suo ferreo
volere, la sua mente vastissima si sarebbero in-
franti contro difficoltà insormontabili e che egli
non avrebbe più potuto padroneggiare né la situa-
zione, né i suoi stessi seguaci. Potrei rispondere
senz'altro che qui siamo nel campo delle ipotesi,
però è giusto riconoscere che questa ipotesi del-
l'autore - : su molti fatti che avvennero do-
po la morte di Osare, e nel fatto stesso che questi
quando fu ucciso stava per partire in guerra con-
tro i l'arti, guerra dalla quale sperava quell'au
mento di prestigio che forse gli era indispensabile.
archia romana ila lui vinta
■ ancora del tutto domata. Quel fiero pa
trizi. ■ dominare il mondo, prima .!
nitivamente ad un iLal
tema, prima di riconoscere sopra di se un prin-
avea bis. suoi superbi spiriti fossero
del tinto spenti, ed a ciò era indispensabile forse,
I" i .lnl.i con frase 'in. la ma evidente, una nuova
'di sangue . quella appun-
to che ebbe luogo al principio del secondo trilim
Ebbene, se Cesari non fece né permise la strage
eia spogliazione di circi metà del mondo |x>litico
italiano ebbe ragione ; perch ro n era conforme
al suo carattere, perchè egli poteva essere il prin-
cipe non il carnefice dei suoi concittadini e non si
rappresentano lune che quelle parti per le quali
siamo naturalmente adatti.
Ciò che perpetrarono il l>estiale e feroce Antiv
nio, l'incoscienti Lepidi ed augusto, reso alla sua
\cilta spietato dall'esempio ,■ dalla codardia, non
potea essere compiuto da un uomo la cui indole
un fondu di generosità e che dall'orgoglio at-
tingeva il e i .■.-.:-;, .he gli facea dire essere meglio
subire la morte una volta che vivere temendola
sempre.
Dopo tutto, conchiude il Ferrerò, che Cesare
non fu un grande uomo di Stato perchè non po-
teva esserlo, io, che forse in fondo son d'accordo
coli autore, dirò die tu un grande uomo di Stato
come sapeva e poteva esserlo.
Ma grande ad ogni modo lo fu, perchè la sua
mano possente, sia pure inconsciamente, indirizzò
gli avvenimenti per quella via nella quale lunga-
mente restarono, perchè era forse la più adatta
alla natura delle cose e la più conforme agli
interessi dell'umanità e della civiltà. Certo, il di-
segno di Cesare per essere condotto a termine ebbe
bisogno dell'opera di un uomo di qualità meno bril-
lanti il quale però fu notevole per il grande talen-
to di organizzatore, per la sua calma e per la sua
moderazione e che, arrivato al jxitere giovanissimo,
potè lungamente governare l'Impero. Ma Augusto
nulla avrebbe potuto fare se la sua azione non
fosse stata preceduta da quella di Cesare e se non
si fosse presentato come il re ed il conti-
nuatore di Cesare.
7. — Ed ora, dopo avere fatta per sommi capi
l'esposizione critica dei due volumi del Ferrerò,
mi resta il compito di dame un giudizio sia pure
s. miliario ; compito certamente non lieve, perchè è
difficile riassumere in qualche pagina i pregi e le
mende di un'opera di polso, tanto difficile che nes>
suno dei gimli/ì sull'argi mento, che finora ho letto,
mi sembra del tutto soddisfacente.
l>no anzitutto 'In il Ferrerò ha tentato un ge-
nere negli ultimi decenni, ad eccezione del Villari,
del Negri e di qualche altro, quasi del tutto disu-
sato in Italia. Egli infatti non ha scritto un n>m-
pendio, un manuale di storia romana, ed invece
di fare delle monografie, delle ricerche, della pura
erudizione, ci ha dato i primi due volumi di una
vera storia di Roma, ne contenuto il qua-
dro completo di una delle grandi civiltà mondiali
descritta mentre traversava uno dei
suoi momenti più decisivi.
LA NUOVA OPKRA DI GUGLIELMO FERRERÒ
9l5
La storia, secondo gli scrittori del buon tempc
antico, è l'arte di narrare i fatti realmente avve-
nuti in maniera che i posteri possano rendersi con-
to delle passióni, delle idee e delle azioni degli
uomini che a quei fatti parteciparono, ricostruire
l'ambiente in cui vissero e la loro psicologia, sen-
tire come essi sentirono, spiegarsi perchè temetti
sperarono, odiarono ed amarono in quel dato modo.
E quest'arte il Ferrerò conosce e specialmente
alcuni capitoli della sua opera, quelli, ad esem-
pio, nei quali narra la guerra dei Parti, l'insurre-
zione della Gallia sotto Vercingetorige e la morte
di Cesare sono' degni di uno storico che è nello
stesso tempo un artista della parola. Ma, anche
astrazion facendo da questi capitoli e giudicando
nell'insieme il lavoro del Ferrerò, io credo che lo
si possa dire riuscito.
Difatti il profano che abbia letto i suoi due
volumi e che sia una persona di media cultura,
resta coli impressione che i membri delle classi di-
rigenti nell'ultimo secolo della Repubblica aveano
raggiunto un'efficacia d'azione dominatrice vera-
mente maravigliosa, dovuta non solo alle migliaia
di volontà umane che allora dipendevano dai cenni
di un solo uomo, ma anche alla vastissima e raffi-
nata cultura, alla versatilità grandissima che svi-
luppava nei rami più disparati le attitudini diri-
genti delle notabilità politiche d'allora. Ma nello
stesso tempo il lettore scorrendo le pagine del
Ferrerò facilmente si sarà accorto che quegli uo-
mini, cosi simili a noi per la mancanza di pregiu-
dizi intellettuali, per la finezza dell'osservazione,
per lo sviluppo del senso critico, si distaccavano
profondamente da noi per l'indifferenza con la
quale affrontavano la morte e la infliggevano agli
altri, per la mediocrissima compassione che pro-
vavano dei patimenti altrui, in una parola per lo
scarso sviluppo del senso morale, che avea perduto
i freni che le consuetudini e le superstizioni im-
pongono nelle epoche barbare, senza avere acqui-
stato quella squisitezza che nelle società d'antica
cultura è il retaggio di lunghi secoli di vivere pa-
cifico ed ordinato, del diuturno costringimento del-
le passioni egoistiche, del rispetto abituale ed e-
reditario per la personalità altrui. Or queste im-
pressioni, secondo me. corrispondono ad una sin-
tesi molto esatta delle condizioni psicologiche della
società romana nell'epoca dal Ferrerò ora studiata.
Certo nel lavoro di volgarizzazione della storia
di Roma che egli ha intrapreso non tutto è per-
fetto, ma prima di lanciare una censura conviene
tenere presenti le grandissime difficoltà del tema
e vedere quante di queste difficoltà siano state fe-
licemente superate.
Parecchi critici, ad esempio, hanno protestato
contro quell'abitudine che il nostro autore ha di
descrivere con termini modernissimi gli uomini ed
i fatti dell'antichità. Essi non amano che si parli
.il politicians, di iaiutts e di bosscs, quasi che si
trattasse della modernissima New York e non di
quella Roma antica di cui ammiriamo i classici
ìuden. ed affermano di non riconoscere più i per-
sonaggi rammentati nelle lettere di Cicerone, nei
commentari di Cesare e nelle pagine immortali di
Plutarco, in quei tipi che ci vengono presentati tra-
vestiti alla moderna e che, invece della toga, por-
tano la redingote ed il cappello a cilindro.
Ma i critici che fanno questi appunti al Ferrerò
sono persone che forse conoscono la storia per
conto loro, ma non si sono mai provati ad inse-
gnarla e che credono quindi che basti narrare sem-
plicemente le vicende di un'epoca lontana per farle
capire ai profani. Invece non è così : la storia è la
chiave di tutte le scienze sociali ma è disgraziata-
mente scienza difficile a volgarizzare per la ra-
gione molto ovvia che per incominciare a com-
prenderla bisogna saperne già molta. Non si ar-
riva infatti ad avere una visione alquanto esatta
degli avvenimenti e degli uomini di un'epoca mol-
to distante dalla nostra, se non quando si è con
essa in certo modo familiarizzati, e non si acqui-
sta questa familiarità se non a prezzo di lunghi
studi e diventando quasi uno specialista della ma-
teria.
Or il Ferrerò narrando le vicende di Roma antica
non solo per gli specialisti, ma anche per uomini di
media cultura, non potea fingere d'ignorare come sia
per essi difficilmente intelligibile il mondo antico ;
egli quindi, applicando il vecchio principio didattico
che per arrivare all'ignoto bisogna partire dal no-
to, si è sforzato di fare un parallelo continuo fra
gli istituti, i fatti ed i personaggi dell'antichità e
quelli moderni. Parallelo che, se non sempre dà
un'idea perfettamente esatta degli avvenimenti del
passato, ne dà almeno un'idea approssimativamen-
te esatta, ed agevola oltremodo il formarsi di quel-
la percezione delle società estinte, che è in fondo
il migliore, il più pratico degli insegnamenti che
la storia può darci.
Poiché è guidando in questo modo i lettori, è
facendo loro comprendere con continui paragoni le
differenze e le analogie fra le condizioni politiche,
economiche, morali ed intellettuali di venti secoli
fa e quelle di oggi che si può sviluppare in essi
il senso della realtà negli studi sociali ; è solo
cosi che essi potranno imparare a distinguere ciò
che è carattere accidentale di un dato consorzio
umano da ciò che è base stabile ed immanente di
tutte le società in tutte le epoche, ciò che è essen-
ziale da ciò che è apparente, ciò che è possibile da
ciò che è sogno ed utopia. E va tributata quindi
ampia lode al Ferrerò per averci dato un'opera
storica di questo genere e per averci consacrato
per lunghi anni le sue mirabili attitudini di ricer-
catore paziente ed indefesso e di artista della nar-
razione.
G. Mosca.
-v^&^m.
Vft
ALLA MA KT I N I C A
I g i che stampiamo in questa p
una delli prime arrivate in Europa dopo il secondo
gravissimi ha colpito la Martinica. 1
giornali hanno parlato diffusamente della sea nda
eruzione del vulcano Pelée, che non fu meno grave
della prima, e che produsse minor numero di vit-
time soltanto perchè la prima eruzione aveva mie-
ima quantità spaventosa di vite.
La seconda eruzione comint
notte del 25 agosto, accompagnata
da scariche elettriche e da una pi» >g-
gia di materie incandescenti proiet-
tate sopra un raggio di 200 mitri.
La cenere piovve sino sulla Guada-
lupa, tanto che gli abitanti di que-
st'isola 1 che si fosse .1
to qualche vulcano in vicinanza, ed
il governatore, per rassicurarli, do-
vette far esplorare tutta l'isola. Ri-
petutasi il 30 agosto con violenza
anche maggiore, l'eruzione produs-
se la distruzione di parecchi vil-
laggi situati intorno a Saint-Pierre,
nelle vicinanze del vulcano. Questi
villaggi, che dopo la prima cata-
strofe er in. • si ii i abbandi mati dai
li n 1 abitanti, die ila un mi .mento
all'altro temevano dì dover subire
la stessa sorl degli abitanti di
Saint Pierre, erano poi stati 1
cupati per volere delle autorità, le
quali, dichiarando che ogni pei
lo era scomparso, ordinarono agli
abita .li di tornare alle li
1 . .osi la montagna Pi lée :
tu. :are nuove vittime che si sono
coniate a migliaia.
ne si ,'■ detto, parecchi vil-
laggi intorno a Saint-Pierre
stali distrutti completameli
quanto a Saint-Pierri -mia
razione ha completato l'opera di
distruzione iniziata dalla prima. La
nostra fotografia mostra ciò che è
rimasto della via principale della
città. Solo un muro è ancora in
piedi, con le sue porte, le Mie fine-
stre, le sue Ulì|" ali
di legno pei' intatta.
1
ss*!
S O 3.J M ^V 1* I O
Duelli studenteschi, pag. 917 — 11 latte in polvere, pag. 922 — Il teatro all'aria aperta, pag. 923 — L'ultima sco-
perta scientifica, pag. 924 — La fine delle grandi corazzate, 924 — Una notte con un astronomo, pag. 925
— I cappelli di Panama, pag. 927 — Nel mondo dell'ignoto, pag. 929 — La casa del Petrarca a Val
chiusa, pag. 930 — La donna nell'arte veneziana, pag. 932 — La morale della vita degli animali, pag. 941 —
Arti e mestieri nel regno delle bestie, pag. 944 — Ouanto costa un cucchiaio di legno, pag. 94S — 1 cani pò-
liziotti. pag. 949 — In mezzo al ghiaccio, pag. 953 — Verso il Polo. pag. 954 — Vi sono fanciulli di genio?, pa
— Idoli e idolatri, pag. 960.
Duelli
studenteschi
.... Eravamo informati che il duello avrebbe
avuto luogo alle otto di mattina ; ma ci si era detto
che se volevamo vedere un vero « bel duello » san-
guinosi , sarebbe stato meglio venire un poco più
tardi. Per i combattimenti era stato scelto il villag-
gio di Wollnitz, celebre da cento anni come scena
di duelli studenteschi. In generale il giorno desti-
nato a queste funzioni importantissime della vita
studentesca è il sabato.
Giungemmo a Wollnitz alle nove e mezza. Ave-
vamo percorso in vettura tre miglia per giungervi
dall'Università, tre miglia di paesaggio magnifico.
Giunti al villaggio, trovammo un'ottantina di stu-
denti che stavano tranquillamente a bere la birra.
Il presidente del corpo annoverese ci venne incon-
tro, si fermò ad una certa distanza, riunì i tacchi
come un soldato che si mette sull'attenti, e si in-
chinò solennemente. Xoi prendemmo posto alla sua
destra. Un grosso recipiente di birra stava in mezzo
alla tavola, e noi fummo serviti in tozze ciotole di
legno, chiuse da uno strano coperchio su cui erari'
incise le iniziali ed i misteriosi simboli geometrici
del corpo. Il presidente alzò la sua ciotola e disse:
« Prosit ». Tutti lo imitammo. La cerimonia iniziale
era terminata. Lo studente tedesco è molto forma-
lista-
In principio non scorgemmo indizio del duello
che eravamo venuti a vedere. Tutto sembrava per-
fettamente amichevole e tranquillo. Una rosea ra-
gazza serviva salsicce e pani di segala, e gli stu-
denti, di ottimo umore, scherzavano allegramente
con lei. E di duelli, nemmeno una parola.
Ma ecco che uno studente di chirurgia entra, in-
dossando una lunga Mouse bianca. Il suo berretto
azzurro, il berretto del suo corpo, è gettato ali in-
dietro, e le sue braccia, nude sino ai gomiti, sono
insanguinate.
Pochi minuti dopo, ecco altri studenti di chirur-
gia, tutti più o meno insanguinati ; ed infine ecco
uno studente con la testa e la faccia quasi comple-
tamente fasciate, e pallidissimo per quanto si può
giudicare dalle poche parti del viso rimaste sco-
perte. Tuttavia egli cammina con sicurezza e porta
con spirito, quasi comicamente, il suo berretto so-
pra le bende. Tutti i nuovi arrivati prendono posto
intoni" alle varie tavole, senza suscitare intei
speciale.
Eravamo arrivati nell'intervallo fra due duelli.
LA LETTURA
iuel primi avuto im-
i mata do
Il benvenuto.
consistere in una sfida lanciata da certi stu-
denti berlinesi, venuti a combattere, come cava-
lieri antichi, chiunque avessi osati scendere in cam-
po contro di loro.
Ma prima ancora, doveva aver Luogo un combat-
timento fra un bavarese ed un tirolese, due forti
campioni molto conosciuti dalla studentesca. Dopo
che i chirurghi si furono ristorati con birra e sal-
siccia, si andò tutti nella sala del duello. Era bassa,
lunga, piena di banchi e di tavole. Nel mezzo era
distesa una tavola, che costituiva il terreno del com-
battimento. Era tutta insanguinata.
Gli spettatori fecero circolo intorno al luogo ove
dovevano stare i combattenti ; coloro che non ave-
vano potuto occupare i primi posti salirono sopra
le tavole e sopra le seggiole per vedere ; e molte
dell» Fan i he si scorgevano attorno portavano i
segni di duelli come quello cui stavamo per assi-
stere. Due chinirghi vennero portando un bacino
di s antisettica, molta ovatta e delle
bende.
Uno studente con un berretto rosso prepara due
seggiole alle estremità della stuoia, ponendole in
modo che si si volgano le spalliere. I padrini intanto
procedono all'equipaggiamento dei combattenti. Si
la ci Tazza. E che corazza !
Essa difende il petto e la gola fin proprio sotto il
mento, in guisa che soltanto la testa sia esposta ai
della corazza ili questi due con
tenti era di un color bronzeo che in principio attri-
buimmo al lungo uso. ma che poi sapemmo deri-
vare dal sangue che vi ei a I ognuno dei
due avversari aveva un paio di grossi occhiali, ben
riparati, sporgenti e fermati dietri il capo*, per
Anche parie dell e era
estremità supi i erano
dere studenti tedeschi con le orecchie più o meno
sino//. il e.
Al braccio destro di ogni duellante fu assi-
ito un grosso bracciale, e finalmente tutto fu
pronto.
Gli avversari ino l'uno in taccia all'altro
e si fissavano fieramente negli occhi , non dicendo
nulla, nemmeno ai loro padrini. E' un punto d'onore
per questi spadaccini non mostrare emozione di
sorta. Entrambi portavano il berretto del loro corpo,
con le visiere rovesciate all'indici n .. Quando alza-
ia no il braccio, i padrini posero loro in mano le
spade, non molto lunghe, ma acuminate e taglienti
come rasoi.
I duellanti si avanzano fermandosi l'uno in faocia
all'alito alla distanza di una spada; potrebbero
• irsi con le mani, ed al vederli così vicini, noi,
non ini/iati, pensavamo che quei due infelici doves-
sero tagliarsi a pezzi. 11 giudice di campo salì
sopra un banco con una piccola lavagna in
mani -
I secondi si avvicinarono ai lori punii e 'misero
loro i berretti, lasciandoli a capo scoperto: questo
e il segno che non c'è più ritirata possibile. Deposti
i berretti, i secondi si pongono ciascuno virino al
loro primo; gli spettatori danno un passo indietro;
i duellanti portano la sinistra dietro la schiena af-
ferrando con le dita i lacci della corazza; uno dei
padrini ordina: « Tn guardia! » ; |«>i. dopo qual-
che secondo, il duello comincia.
I CHIRURGHI SI RIFOCILLANO.
Prima del combattimento.
LA LETTURA
delle lame balenanti, si
x ori molta
mo .li affari, esamina
ìi n
so allarme. Dopo un momento di ri-
n ni i". I ferri si ini
-, in i »i impn n so, vi demmo un
I Ili volare in aria, S fi idere
• mbattimento, e le spade furono
I chirurghi i
ri. Non v'a
avuta una prova i
■ ■. iffo di ca-
: l,i, a] bavarese, proprio ra
[1 gii sulla la\
un i i 'in' del i in lese, ed ord prò
assalto fu bre\ «imi Quasi ap
i sci ab ile, fu ordinato l'alt. Questa
i i chirurghi si affrettarono. A traversi un
i chia quasi sino all'angi »li
delli . - vedeva una lividura, I duellanti
qualche pass id ipp ggiandosi
> li si ggiole chi
he potessi i giarvisi, \ isti chi le o
imp ì di sedere comodamente. La ferita ilei
cominciò a sanguinare. Noi ci
isando che oramai era finito, ma s
ivamo. I chirurghi medicarono alla meglio con
ovatta la ferita, ma non la fasciarono. 11 giudice di
1 colpo, ed i duellanti si rin
in guardia.
Fu il bavarese, alla ripresa, che ebbe un suc-
s . restituendo al tirolese il colpo ricevuto in
a. Il tirolese fu ferito così profondamenti che
il sangui subii n copia dal taglio fatti
sulla fronte, inondando tutta una gota del colpita
V fu un nuovo riposo. Nemmeno questa volta la
fu fasciata; i chirurghi >i contentarono di
passarvi sopra una stretta striscia di pelle per fre-
la perdita di ma con p
risultato. Del resto i d non si affannano
mai ,ul impedire l'uscita di 1 sangue, perchè appunto
il \ ali m dello « spettacoli i » sta nella , |uani ita
^ l'arso.
Di i" i gni assalto le spade venivano pulite con
, iv atta ed immerse nella soluzione ai i |«-r
■ he il dui i un duellista rag
Col 1 dui Ilo noi a imprenderli -o-
nii si i minti i, I .lue avversari non
tini dei movie nano
i i m la scherma, m non ami. ivano a
fondo, non si avanzavano, non si ritiravano; sta-
li i mi, p' e in pei Ieri i sarebbe un dison
muoversi di un pollice; non muovevano nemmeno
: tene* ano il braccio destro sollevai
muoveva» la man. ed il polso in maniera che la
punta della sua. la dovessi sferzare il volto dell'av-
versario. Molto dipende dalla resistei Lilla
forza del braccio destro, perchè su essi i niasi
la ferita è quasi 1 1
l n vecchio lottatori diventa straordinariam
forte nel polso e nell'avambraccio; ma non si può
ii a meno .li considerare che tutto idde-
-ti. untine riuscirebbe inutile in un duello ordinario.
Questi duelli di studenti costituiscono un'istituz
tutta speciale, degenerazione del ver. duello.
Fra chiaro che il tirolese tra i due era il miglior
combattente. Quanto più il duello progrediva, tanto
piu fieri si facevano i suoi colpi: quasi ad ogni
assali, egli colpiva il bavarese in qualche punto
di I capo o del volto. Il sangue era sparso dovun-
que, sul pavimento, sugli abiti, sui combattenti, sui
padrini, sui chirurghi. I due avversari, specialmen-
te, ne erano a dirittura inzuppati: usciva persino
dalla loro schiena, .li sotto la a corazza ■>. ove di-
scen. lei a dalla testa \ I un certo punto il lui
Sputò Un pezzo .li .lente che il tirolese gli avev
a un colpo spav-ntoso. Narrare queste
non fa piacere, e nenmien fa piao re il vederle, ma
senza di '^se non ! ,e un'i'iea adeguata .li
ciò che sia un duella tra studenti ted
I le ferite ed il sangue non costituivano la -
■ sa pei hi si trovava là dentro. Era una
mattinata calda, la stanza era piena .li studenti, e
nessuna finestra era aperta, e l'unica porta era
cata dagli spettatori. Quindi si soffocava perii ■
e lana cattiva, ma la tortura di chi stava a vedere
doveva essere nulla in confronto alla tortura dei due
hi . chiusi entro un
la dalle ino costretti a o m
battere, e nella fatica e nell'eccitazione suda
in n
ti bai ra pallidissimi i .love il sangue non
aveva tolto la vista della pelle, e pareva che a.l
i colpo dovi ma tutte le volte che si
la ripres unente
.'iv igore e talvolta eoli
I. spadi oscillavano con rapidità incredi-
bile, e talvolta colpivano anche chi non .lovcv.m.
DALLE RIVISTE
colpire. Dopo un colpe, vedemmo il padrino del
bavan »o p< rtarsi la manti dietro la testa; quando
la tolse, era insanguinata. Talora accade che i se-
condi siano feriti seriamente come gli stessi o m
battenti, i sicché uno studente può ottenere un I li-
gio assa ospicuo ed onorevole, senza prendersi il
disturbo di scendere in campo come combattente.
Alla fine, dopo quindici colpi, i duellanti furono
disarmati e liberati della corazza perchè p
sedere comodamente. Ci stavamo rallegrali'1
pensiero che la lotta fosse oramai definitivamente
finita, quando venimmo a sapere che quella era sol-
tanto la prima metà. Ci volevano ancora altri quin-
dici colpi. I chirurghi erano occupatissimi, nell'in-
tervallo, ed i compagni così dell'uno come dell'alio.
combattente si facevano loro intorno, dando consi-
gli sul miglior modo di maneggiare l'arma.
L'intervallo non fu che di pochi minuti ; al grido
del giudi., di campo, il bavarese ed il tirolese ri-
presero con passo sicuro i loro posti. Sarebbe diso-
nore mostrarsi deboli o malsicuri.
E il combattimento ricominciò.
Una delle stranezze del duello era ((istituita, per
noi non abituati a tali spettacoli, dalla tranquilla
indifferenza degli spettatori. Non vi erano ne ap-
plausi, né proteste, né altre manifestazioni sia di
entusiasmi!, sia di eccitamento. Molti avevano por-
tati nella sala d'armi le loro tazze di birra, e be-
vevano a quando a quando, e talvolta brindavano
ad alta voce alla salute di qualche amico a traversi*
la sala. Le kellerina andava e veniva tra uno stu
dente e l'altro, talora rasentando i pa-
drini ; ad un certo punto la vedemmo
venir dentro con un piatto contenente
salsiccia e pane: qualcuno aveva or-
dinate; una colazione in quella stanza
ovi si versava il sangue!
La seconda serie di quindici colpi
fu ancora più sanguinosa della prima.
Noi non ci imprendevamo propri come
il bavarese potesse resistere a quella J
tempesta, poiché ad ogni ripresa la
punta della spada avversaria gli pro-
duceva una nuova ferita o ne apriva
una vecchia. Finiti anche questi quin-
dici colpi, i combattenti ebbero la
forza di camminare da soli sino alla
stanza di sopra, ove dovevano essi n
curati. Il bavarese, per altro, pareva
dovesse stramazzare a terra ogni mo-
mento. Il tirolese non aveva ferite
gravi tranne una alla fronte. Lo ve-
demmo uni ira dopo passeggiare tran-
quillamente fumando una sigaretta. Il
bavarese non lo rivedemmo.
Il duello era durato in tutto quaranta minuti.
Quando tutto fu finito, volemmo informarci quale
fosse stata la causa dì tanto spargimento di san-
gue. ( erto quei due uomini dovevano essere nemici
giurati ; doveva esservi stata tra loro un'offesa im-
perdonabile, forse un romanzo. Ma sbagliavamo.
92 I
Questo era un duello « preparato ». Naturalni'
doveva esservi stata un'offesa, anzi, in questi caso
speciale, per una combinazione, ci era stata vera-
mente un'offesa; ma non era questa la cagione del
combattimento. Quello cui avevamo assistito era
uno dei duelli ordinari del sabato: i due uomini
rane stati scelti e messi di fronte in base alla Li
i -ita ed alle prove date in altre occasioni, ed
era stata precedentemente stabilita la durata della
lotta. Essi non potevano sottrarvisi, sotto pena di
disonore.
Ogni sabato, in qualche villaggio intorno ad ogni
Università, si combatte un certo numero di duelli;
la studentesca provvede e paga un maestro di
scherma, sebbene spesso scendano in campo novizi
che non ne hanno alcuna pratica, forse non hanno
tenuto mai in mano la spada. Le ferite sono giudi-
cate un titolo d'onore, specie quelle belle ferite che
attraversano la gota per intero dall'orecchia alla
bocca, quantunque spessi ci voglia un pezzo perchè
guariscano, e talora certi studenti siano costretti a
portare le fasce per parecchie settimane.
E' assai raro che qualche disgraziato muoia in
duello. Se. qualche volta, i combattimenti del sabato
hanno conseguenze letali, è per avvelenamento del
sangue, giacche i chirurghi non sono gente molto
pratica dell'arte, ma semplici studenti di una peri-
zia limitata. Si può anche morire per mal di cuore,
0 per lo sforzo eccessivo, 0 per l'eccessiva perdita
di sangue.
L'uso del duello ha preso talmente radice tra la
studentesca della Germania, che, sebbene il codice
vieti il duello, non si è mai riuscito ad estirpare
quel genere di sport molto inumano.
Si vuole affermare che. dopo tutto,
quell'uso serva ad ispirare sentimenti
forti nella gioventù.
Se fra i duellanti vi è stata vera-
mente un'offesa, ed a volte ciò accade,
il combattimento ha luogo con le scia-
bole e con le braccia a metà nude. Al-
lora la lotta è più seria che nei duelli
a spada, e la polizia cerca, quando può.
di intervenire, mentre nei duelli soliti.
non ostante le proibizioni, non inter-
viene, tanto che noi non vedemmo che
si prendessero precauzioni. Di senti-
nelle, nemmeno l'ombra. Chiunque a-
vesse avuto qualche conoscenza tra gli
studenti era perfettamente libero di ve-
nire ài I assisti re al bello spettacolo.
Xoi assistemmo ad un altro duello.
ma poi ce ne andammo, unni re nella
sala bassa ed affollata si continuava
nbattere. Si combatte, effettiva-
LESE, mente, sino a pomeriggio avanzato.
Prima di lasciare il villaggio, |x-r
altro, vedemmo ancora una vittima di quella istitu-
zione barbara : il presidente degli annoveresi, quelli
che ci aveva ricevutoal nostro arrivo, stava sulla scala
col volto insanguinato. Aveva anch'egli combattuto.
(Da un articolo del sig. Ray ^tannarci Baker nel Peai
ron's Magazine, fascicolo di settembre,
Il latte in polvere
Il lai dimoiti p
i igienici. I medici 1" ordinano
ì ■ . principale
del nutrimento dei bambini Pi i quai
procurarsene dappertutto, vi hanni
frequenti in cui è ass ': diffi
pei esempio, era impossibile ra arlo
tropicali . così sulle navi.
_i <li lung I latte faceva si
pre difetto ; molti ave
vani mai ni quantità sufficiente. Tutto
perchè il latte sin qui doveva essere con-
incora fresco sotto pena ili ren-
derlo inservibile. Da più di cinquan-
ni i chimici si sono quindi applicati
a cercare il segreto della sua con1
sensazione, ma disgraziatamente i lon»
sforzi furono fin qui senza successo. Il
miglior sistema fino ad ora scoperto con
sisteva nel far bollire il latte fino a ri-
durlo a un quinto del suo volume pri-
mitivo e a rinchiuderlo allora in scatole
di latta ermeticamente chiuse. Ma il me-
ttalo era imperfetto perchè non si elimi-
nava tutta L'acqua e quando l'evaporazione
spinta a un grado più elevato si otteneva una pa.sta
che ricondotta p i .'11" stato liquido era impropria
alla digestione. Infine il latte concentrato e spogliati)
delle materie alcaline non contiene più alcun ele-
mento del latte puro, ei •> tto la caseina e le sue pro-
prietà nutritive sono interamente modificate.
II. SERBATOIO l'I CONDENSAZIONE E STERILIZZAZIONE.
Latte pronto per essere dis-
seccato.
Non ve dunque da meravi-
gliarsi che la scienza abbia con-
tinuato attivamente le sue ricer-
che per arrivare alla soluzione
del problema. E ora finalmente
il dottor Campbell di Pennsyl-
vania è riuscito ad ottenere un
latte in polvere che sembra ri-,
spendere a tutti i requisiti del-
l'igiene e della comodità.
I.d Stato di Pennsylvania è
uno di quelli dove la fabbrica-
zione del burro si opera su va-
stissima scala. TI Campbell ebbe
l'idea di utilizzare la crema in
modo da conservarne le sostanze
non grasse, imprigionandole per
dire in un corpo soli. lo
rilizzato e perfettamente igie-
nico. Questo prodotto non costa
che la metà del bum. e assicura
dei benefici molto più grandi.
Infatti il latte non contiene
che il a per ioo di burro, men-
tre i corpi non grassi rappre
sentali, almeno il q |«-r ioo .Iel-
la polvere di latte. Il profitto
annuale può quindi in tali con-
dizioni arrivare a milioni di
DALLE RIVISTE
t)23
dollari. A questo risultato si è arrivati però dopo
molti studi e fatiche. Sono occorsi tre anni di espe-
rienze e quasi mezzo milione di franchi per le espe-
rienze. Ma oggi il latte in polvere o il Nutrium, come
si chiama, è entrato trionfalmente nella cucina nord-
americana.
Un disegno di questo articolo mostra uno stadio
delle manipolazioni che subisce il latte prima di es-
sere ridotto in polvere perfettamente secca: conden-
sazione , granulazione , polverizzazione , disseccazio-
ne. Il prodotto assomiglia a fior di farina, si vende
in pacchetti e si può spedire nel mondo intero.
La seconda illustrazione mostra l'apparecchio ili
condensazione. E' un vasto recipiente in rame sta-
gnato. Il latte vi arriva aspirato da una pompa.
poi vi è sterilizzato ; infine è raccolto nei quattro
grandi recipienti rettangolari dove avviene la con-
densazione. Il latte è allora sottoposto a un vio-
lento movimento di rotazione assai più turbinoso di
una ordinaria bollitura. E' allora evaporato fino a
un sesto del suo volume. Fatta la condensazione si
abbassa la temperatura. Si apre una valvola e la
massa condensata cade in una serie di recipienti
dove penetrano fiotti di aria sterilizzata. Tali reci-
pienti fanno due giri al minuto e girando mettono la
pasta in contatto dell'aria che assorbe l'umidità e
che rende la massa lattea assai più dura e consi-
stente. Infine quando il prodotto è interamente secco
si stritola sotto le macine, si riduce in polvere e
si chiude in piccoli recipienti.
Il Nutrium permetterà di approvvigionare le re-
gioni tropicali e le armate di terra e di mare.
L'igiene degli ospedali ne sarà sensibilmente mi-
gliorata. La scoperta infine contribuirà a diminuire
la mortalità infantile e a favorire l'accrescimento
della popolazione.
i Dalla Revue (ancienne Revue des Revues), fascicolo,
settembre!.
Parlando di teatro, quasi istintivamente la mente
corre a un gran salone ermeticamente chiuso, alla
luce fosforeggiante delle lampadine elettriche, agli
strani effetti del palcoscenico, a tutta quella fin-
zione insomma alla quale non tutti possono permet-
tersi il lusso di assistere.
Tuttavia il teatro moderno non risponde alla sto-
ria dei migliori periodi del dramma e della trage-
dia. Ad Atene, alle rappresentazioni drammatiche
che si davano ogni anno, una folla immensa assi-
steva sui gradini di pietra scavati ai fianchi dell'A-
cropoli sotto la vòlta del cielo.
Nel medioevo in certe grandi solennità si cele-
bravano sulle pubbliche piazze i Misteri, cui accor-
revano in folla nobili e plebei, artieri e lavoratori
della terra.
Ed anche nell'evo moderno, in un romito paese
d'Europa, dove palpita ancora la grande anima me-
dioevale coi suoi entusiasmi e i suoi fremiti reli-
giosi, ad Oberammergau, nelle Alpi bavaresi, lo
spettacolo dei Misteri si riproduce ancora ai nostri
occhi stupefatti.
Il paesello di Oberammergau, accerchiato da col-
line leggermente ondulate colle sue piccole case sor-
montate da una croce di legno, è al primo aspetto
un grande scenario poetico e religioso. Gli abitanti
sono artieri modesti che passano il giorno nello
scr Ipire con rara maestria in legno figurini di santi
che si vendono poi in tutta la Germania. E' ad Obe-
rammergau che ogni dieci anni ha luogo la rappre-
sentazione del Mistero della Passione dì Nostro Si-
gnor Gesù Cristo.
L'origine di questa usanza caratteristica rimonta
all'epoca della guerra dei trentanni, periodo spa-
ventoso di morti e di epidemie, nel quale i monta-
nari bavaresi giurarono, se fosse scomparsa la pe-
ste, di riprodurre ogni decennio la scena della Pas-
sione.
Dapprima il teatro era a cielo scoperto: ma ora
si è costrutta una sala gigantesca che contiene 4000
posti. Sui gradini digradanti, come in un anfiteatro
romano, assiste una folla cosmopolita. La scena è
semplicissima. Da un lato un porticato rappresenta
il pretorio, sullo sfondo le mura bianche di Gerusa-
lemme, il tutto sullo sfondo verde delle colline lon-
tane... e reali. La rappresentazione comincia alle
otto del mattino e continua fino alle cinque del po-
meriggio con un breve riposo a mezzogiorno. Queste
rappresentazioni sono un avvenimento. Le parti sono
distribuite sei mesi prima, il tempo necessario per
compiere l'abbigliamento personale.
Ad Oberammergau si è così creato un tipo quasi
orientale, che ricorda i nazareni dell'epoca di Cristo.
Il successo del Mistero è colossale: nel 1888 vi
erano accorsi 180.000 spettatori e nei 1900. 500,000!
Altri Misteri si riproducono in altri paesi. Così
in Bretagna, nella terra classica delle leggende, si
riproduce quello di S. Gweunolé con una messa
in scena semplicissima : un telone rappresenta il
mare ; il cielo rappresenta il cielo, e le finestre delle
case vicine rappresentano i palchi. Anche i perso-
naggi non sono eccessivamente pretenziosi : il pro-
tagonista esercita, in tempo di pace, le quattro pro-
fessioni di operaio, albergatore, barbiere e campa-
naro.
Eppure questo teatro semplice è un ritorni» ai
primi grandi esempì del teatro greco e alle origini
della letteratura drammatica e costituisce per le po-
polazioni villerecce un mezzo educativo e istruttivo
ben più degno delle nostre quinte di cartone dipinto,
dietro cui occhieggiano le ballerine.
'Dalla Let/ures tour tous).
fra i dotti nelli
i diventale di dominio
do una lai? nte rfammira-
lla relativa alla radio-attività della
I . Becquerel trovava, cinque
. che l'uranio, metallo pesantissimo,
ma facoltà 'li emettere un genere
diazioni luminose, le quali non hanno
nienl col fenomeno della fosforescenza.
Qu in mio si propagavano normal-
mente in linea retta e rivelavano la loro esistenza
impressionando le lastre fotografiche; dall'occhio
umano i inosservate. Furono chiamati
ggi uranici » per designarne la provenienza, e
li Becquerel » in onore del dotto che li
l 'erti.
Un anno dopo, nel 1898. furono trovati dal Cu
rie, dalla sua signora e elei Bemont due nuovi me-
talli: il polonio e il radio, e nel 1899 l'attinio dal
Debierne ; nei quali nuovi metalli si scoperse una
attività radiosa straordinaria. Il radio, particolar-
mente, emetteva sp ente una luce tanto vi-
va, che era possibile all'osservatore leggere uno
scritt. .1 breve distanza ';i un («-//etto di minerale.
La penetrazii ne di questi raggi era cosi intensa che
la retina li percepiva anche se l'occhio era chiusi/
1 -ente s'interponeva una
lamina di platino e se la sorgente stessa stava chiu-
sa dentro una cassetta con le pareti di piombo.
le -sena/ioni si moltiplicarono. Si vide che l'at-
tixi'à radiosa di qu ere comunicata
per induzione ai corpi vicini. Un corpo che si trova
nella sfera dazione di un metallo radioso ne acqui-
sta rapidamente tutte le proprietà, sebbene in mi-
nor grado. Levata la sorgente, il corpo perde re-
golai molto lentamente, talvolta dopo vari
mesi, le sue proprietà indotte. Il Becquerel ottenne
dell'acqua che emetteva per parecchi giorni dei raggi
luminosi, e un gas radioso. L'attività radiosa si p»
paga più 0 meno palesemente a tutti 1 corpi. Xei
lei < urie e del Debierne non si possono
più ' - nazioni, perchè tutto è diven-
aria. i muri, le panche, i vestiti.
I re Becquerel hanno maggior analogia 1
quel! con la luce ordinaria. Essi
di una specie unica, ma risultano da un
complesso di radia/ioni di genere e
proprietà diverse, di cui non si è potuto fare an-
analisi. A si l'origine e la
natura di queste strane radiazioni, gli scienziati
hann invano compito pazientissimi studi,
"■•nsì a scoprire ali 1 n singolari
propi 1 capacità di produrre modi
lìcazioni chimiche e molecolari nei corpi sui quali
per esempii . il cloruro di ba
diventa prim 1" in-
Buenza à» > nui n •■ raggi ; 1 acido 1 ira dì
vii letti e l'azodico monoidrato di giallo; l'ossigeno
si trasforma in ozono. Le stesse pareti delle boccet-
tine che contengono sali dotati di attività radiosa,
'ano nei 1 violette secondo che nel vetro si
trovi o non si trovi del piombo. Il Geisel ha veli-
gli effetti fisiologici dei nuovi raggi:
austici: battendo sulla pelle
duna man«. vi sviluppano un forte rossore, seguito
da o ni i cui effetti durano vari
l)i quali pratiche applicazioni sarà feconda la
erta della radio-attività? Impossibile dirlo per
il momento; ma certo saranno molte e grandi. Già
si sono fatte alcuni prove coronate da buon esito.
11 Besson, servendosi della proprietà dei raggi di
nerel. di rendere alcuni eerpi vivamente fosfo-
nti. ha ottenuto, mescolando a grandi quantità
di cloruro di zinco pochi milligrammi di radio, dei
tubi luminosissimi, delle lampade che non hanno
nessun bisogno né di alimentazione, né di semplice
manutenzione. Il Curie e il Debierne hanno otte-
nuto ottime radiografie di lettere chiuse, e già in
Inghilterra alcuni dottori cominciano ad usare il
radio per accertare la più o meno completa cecità
di alcuni individui e per altri scopi medici.
I fenomeni della radio-attività sembrano contrad-
dire a tutte le più elementari leggi della fisica, della
chimica e della meccanica. Siamo qui in presenza
di corpi spontaneamente luminosi, che emettono elet-
tricità e producono effetti chimici e fisiologici, senza
in essi si avveri una apprezzabile spesa di ener-
gia. Il Curie ha calcolato che dovrebbe passare
un miliardo d'anni, prima che nei metalli radio-at-
tivi si modificasse 0 trasformasse un milligramma
di materia. Questa misteriosa attività resta per il
momento inesplicabile, e disgraziatamente le espe-
rienze sono troppo care: un grammo dei nuovi me-
talli. ]xr le inaudite difficoltà d'estrazione. <
parecchie migliaia di lire.
(Da un articolo di F. Savorgnan nella Nuova Antologia,
del i" settembre».
La line dollc grandi corazzate.
Il journal si preoccupa in questi giorni dei tré-
milioni annui che costa la marina da guerra
alla Francia. Non molti anni fa le navi da guerra
non avevano che 70 o 80 metri lunghezza; ora
hanno [30 metri da prua a poppa. Dove ci
eremo in questo crescendo spaventoso di pny
porzioni? Se si pensa che un sottomarino può far
saltare con un'abile mossa la più grande corazzata
e sprofondare in mare una trentina di milioni d'un
colpo, al concetto attuale di poche unità tattiche
devi succedere quello di unità numerose,
10 enormi e meno costose. Il sottomarino è la
line della corazzata.
Una notte con nn astronomo
Quante stelle possono vedersi in cielo? Pochi po-
trebbero rispondere al quesito. Naturalmente il nu-
mero delle stelle visibili varia colle diverse latitudini
e collo stato dell atmosfera ; ma in tempo normale
una persona che abbia vista normale può vedere sul
nostro orizzonte, più o meno, tremila stelle, ad oc-
chio nudo, s'intende. Giacche coll'aiuto di un pic-
colo telescopio dall'apertura di dieci centimetri, si
scorgono non meno di 324,188 stelle. Quando poi si
osservi il cielo attraverso uno dei grandi telescopi
che si trovano negli osservatori, il numero delle
stelle visibili cresce enormemente ; e a ogni au-
mento del diametro della lente, appariscono nuove
stelle, sinché si arriva a contarle a milioni. Coi
maggiori telescopi che esistono si calcola che siano
\isibili sopra t25 milioni di stelle, sebbene quando
si ha a che fare con numeri così grandi, i conti pre-
cisi diventino impossibili.
Per avere un'idea adeguata di ciò che significa
l'espressione: cielo stellato, bisogna visitare un OS
servatorio moderno e passare una notte intera con
^in astronomo. L'autore dell'articolo che riassumia-
mo ha potuto infatti passare una notte nell'Ossei
vatorio di South Kensington per la cortesia del ce-
lebre astronomo inglese Sir Norman Lockver.
Quando giunse all'Osservatorio, le porte erani ■
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Una fotografia lunare mezza una).
chiuse e il luogo pareva deserto; ma suonato il cam-
panello e presentate le sue credenziali a un poiice-
man che si presentò, l'articolista fu ammesso nel-
l'ufficio del direttore, da cui, attraverso una serie
di stanze piene di apparecchi di ogni genere, fu
condotto a una terrazza circolare dove si stavano
facendo delle osservazioni. Nel mezzo della terrazza
si trovava un grande telescopio del diametro di
quindici pollici. Esso poteva volgersi in ogni dire
zione ed era connesso con un movimento di orolo-
gerìa cosi fatto, che il telescopio, una vi Ita pun-
tato verso una stella, girava col girare della stella,
in modo che questa restava sempre visibile nel mez-
zo dell'obbiettivo. Questo movimento di orologeria
(è inutile dirlo) è uno dei congegni più delicati e
notevoli che si siano inventati. Senza di esso sa-
rebbe impossibile la fotografia delle stelle.
Poiché, come è noto, ormai il lavoro astronomico
si fa in gran parte colla macchina fotografica, là
Una cometa scoperta da una lastra fotografica
durante un eclisse solare.
quale conserva un ricordo vivo e permanente del-
l'impressione fuggevole avuta dall'occhio umano.
Questo è per la scienza un vantaggio immenso,
quantunque diminuisca in parte l'interesse delle ope-
razioni per un profano.
La macchina fotografica è connessa col ti le-
e disposta in modo che quando l'astronomo vede una
stella, l'immagine di questa si trova esattamente
nel mezzo della lastra sensibile, cosicché si può
avere la fotografia in tutti i dettagli.
All'estremità inferiore del telescopio si trova lo
spettroscopio. Come è noto, la luce bianca, passan-
do attraverso un prisma di cristallo, si scompone in
una striscia colorata che va dal rosso al violetto,
come l'arcobaleno. Questa strisela si chiama speltro.
Usando una serie di prismi e scomponendo più che
si può lo spettro, si vede che 1 colori in esso sono
interrotti da tante righe nere. E questo Fatto si spie-
ga così. Se voi bruciate una sostanza, per esempio
del potassio, e analizzare la luce della fiamma che
esso dà nella combustione, vedrete nel 1' spettro una
1 striscia nera. Se bruciate un'altra sostanza, per
esempio del sodio, vedrete una striscia diversa. I 1
sostanza ha le sue righe speciali, ed è così che gli
,m, LA LETTURA
trovino Quando le lastre sono stante esposte un tempo de-
tcrminato sono portati ir una vicina camera oscura
scopio connesa colla mac- dove rimangono fino alla mattina seguente. Allora
china talvolta delle foto- sono sviluppate e stampate. Spesso è di giorno che
quella che riproduciamo l'astronomi la le sue osservazioni e scoperte, che
,,n t u In t i. Lutai- deduce multe volte dalle fotografie prese durante
Os rvatorio di South Kensington. I n'al- la notte.
nuta |kt caso i che pure ri Lo studio delle stelle è uno dei più affascinanti
quella di una meteora die esplode. Una e meravigliosi. Per fortuna esso è - — limitatamente
novembre uno degli scienziati dell'Osser- s'intende — alla portata anche di persone che hanno
ra fotografica coll'ob mezzi modesti, poiché per fare un'osservazione inte-
biettivo rivolto verso una pane del cielo dove si ressante non è necessario un Osservatorio e un enop
.Ielle meteore. 11 giorno dopo, svi- me telescopio. Basta una finestra bene esposta, o,
luppando la lastra, vi si trovò la trac-eia dell'espio- meglio ancora, il tetto della casa. Quanto al tele-
sione di una ii twenuta proprio mentre que- scopio, si possono fare studi curiosi anche con un sp-
era entrato nella nostra atmosfera.
ne spesso jx'rò che si ottengano simili
doni imprevisti. Di solito gli scienziati fanno le
stesse osservazioni monotone notte per notte, quan-
do il tempo lo ]iermette. si intende, perchè spesso
una pioggia improvvisa, una nube, un poco di neb-
bia costrìngono gli scienziati a sospendere i lavori
magari nel momento più interessante. D'inverno poi
non si può dire che l'astronomo faccia i suoi la-
vori in condizioni molto comode. Spesso fa molto
freddo e il disgraziato osservatore prima che sia
terminata la sua giornata di lavoro è mezzo gelato.
Non c'è da pensare ai caloriferi, perchè l'inegua-
glianza della temperatura produrrebbe l'appanna-
mento delle lenti.
Del resto il lavoro dell'astronomo si compie sem-
pre nella massima quiete: il continuo tic tac del
movimento di orologeria rompe solo il silenzio della
notte. Lo scienziato sta spesso immobile parecchio
tempo coll'ochio alla lente del telescopio, e il lavoro,
che è forse il più importante, si compie silenzio-
samente sulla lastra della macchina fotografica.
chio che abbia l'apertura di dieci centimetri,
montato su un sostegno conveniente in modo da po-
ter essere puntato e fissato in ogni direzione.
In Inghilterra, ora. pare che gli studi astronomici
si vadano popolarìzzando. C'è una casa fabbricante
dì strumenti ottici che vende telescopi a buon mer-
cato e con pagamento a rate. E' notevole del resto
che alcune delle più importanti osservazioni e sco-
perte nel campo dell'astronomia sono state fatte da
osservatori del cielo quasi sconosciuti, e con stru-
menti relativamente piccoli. Si intende però che,
per studiare i sistemi platenari più distanti, occor-
rono telescopi eli immensa portata e di meccanismo
assai complicati t.
I più potenti telescopi finora fabbricati ci per-
mettono di arrivare colla vista sessantacinquemila
volte più lontano della più vicina stella fissa. Quan-
do se ne fabbricheranno di più perfezionati, si po-
trà penetrare ancora di più nell'immensità dello
spazio e scoprire nuovi firmamenti.
(Dal London Magazine, fascicolo d'agosto).
Fotografia dello
spbttro di un pul
MINE.
Una meteora
fotografata ac-
cidkntalmbnte al
momento dello
SCOPPIO.
Duemilacinquecento lire per un
cappello di paglia ! Sembra una fol-
lìa, eppure un finanziere accorto come
il signor Lvman Gage. segretario di
Stato per le finanze nella Confedera-
zione nord-americana, ha pagato, di
recente, quella somma per un cap-
pello di Panama sopraffino ; e per
giunta dichiara di aver fatto un ot-
timo affare. Si assicura che Re
Edoardo VII abbia comperato da un
cappellaio di Bond Street un panama
per 2250 lire, mentre il celebre te-
nore Jean de Reszke ha pagato il
prezzi? massimo, poco meno di 3000
lire, per procurarsi un simile oggetto
in America. E l'ex-sindaco di Nuova
York. Van Wyck, si gloria di aver
. ottenuto un vero successo comperando
un cappello che gli intenditori di-
chiarano superiore a quello del Re
d'Inghilterra ed a quello di de Reszke, e che fu
pagato la miseria di 1250 lire.
La lavorazione.
Un cappello_sopraffino.
Queste cifre servono ad illustrare sino a qual
punto arrivi la smania del Panama, una delle mode
più costose che siano state
mai adottate dagli uomi-
ni. Costosa perchè un Pa-
nama mediocre costa so-
pra cento lire, e i cappelli
così fini da potersi ridur-
re a minime dimensioni
e far passare entro un
anello, costano vere som-
me. Nondimeno i Panama
si spediscono dall'America
meridionale in quantità
enormi ; sono grandi va-
pori che partono intera-
mente carichi di quei cap-
pelli ; nell'Ecuador, metà
della popolazione è occu-
pata nella fabbricazione
dei Panama per gli ele-
ganti d'Europa e d'Ame-
rica.
A prima vista la sma-
nia del Panama potrebbe
parere una follìa sfarzosa
dovuta al desiderio di es-
sere al corrente con la
moda; ma vi sono altn-
cause che spiegano la po-
polarità del Panama, pri-
ma fra tutte questa, che
il cappello di paglia or-
dinario è fragile e si rom-
pe e si insudicia facil-
mente, mentre un bui in
I A LEI I
rita, può es-
qualunqu mi dissimo.
sarebbi
Et
£T •— 'VS-- r
*». «L_^
li»-r*TB*Vll
('.LI l'I. I IMI LAVORI.
Mentre il nome farebbe credere che i cappelli in
fabbricati esclusivamente nello Stato
ni Panama, in realtà essi si fabbricano in tutta
l'America centrale e meridionale, ma specialmente
nell'Ecuador, nella Columbia e nel Guayaquil ; in
questi pa^ si fabbricano due terzi dei l'anama che
si trovano in commercio. La città di Panam n
il centro ove si no portati i cappelli fabbricati
per essere imbarcati poi sulle navi < ralm
ad una leggenda, secondo la quali- i fabbrica-
tori tesseri bben i la paglia
t'acqua. Comi si
da una delle ni stre
sioni, ciò è falso. Fo
la leggenda <■ dovuta a]
fatto che la paglia, avanti
di essere tessuta, \ iene ba-
gnata perchè acquisti mag-
giore morbidi ghe-
/za. Ma non si
vreblx- verami nte pari
di paglia a proposito di
Panama: la paglia non
c'entra affatto; i l'anama
son fatti o con steli di
glie di palma o con tu-
ba rara che creso neU
l'America meridionale.
Gli indiai ino le
palme con i denti, poi le
lavano, ed infine tessono
le fibre, con estrema <ur.i
ed una pazienza ammire-
vole, badando bene 'he
ogni filamento sia a i>
La tessitura di un
cappello richiede talora quattro mesi. I Panam..
generale sono fabbricati da donne, perchè assai
diffii ile indurre gli uomini a sottoporsi a quel ge-
nere di lavoro.
(Dallo Stralici Magazine, fascirolo di settembre).
Un pacco di cappelli pronti peh i.a spedi
Xel mondo dell'ignoto
Il problema delle spiritismo è tropp difficile
1 importa troppo all'anima nm. ma. ] rch li ul
discussioni appassionate abbiani potuti esau
i-li . Gli studi, le indagini, le ipotesi, li :
rmazioni e le negazioni si - gui ri si av\
ii quasi qui itidianamente.
I nostri lettori ebbero notizia delle prim
- del dibattito. Ora la Nuova Anlolog i, dop
li i scritto piutti sti se trio ili un in-
nziato, l'ietrn Blaserna, pubblica le di-
chiarazioni d'Un filosofo altrettanto insigne, ma
-I i ii ico.
Raffaele Mariano — si tratta di lui - nincia
cri dichiarare che non appartieni alla ci •-
nti i degli illuminati, «come il buon Pasqua-
I u r i 1 1 1 1 » . e che neanche milita «fra gl'iniziati
ò i dilettanti fervorosi 'lei genere, ni n si -
\ issali i dei Checchi. D'altra parte, neppur pos-
, intarmi ili essere uno scienziati . un cultore di
psico-fisica o di psicologia sperimentale (ch'i più
■ chiamare patologica) della forza, per esem-
pio, del Sergi. Pretendi semplicemente di ess
un uomi dalla mente sana, almeno sino a dimi
le in contrario da parte di qualcuno dei .-ignari
del Lombroso. Ragionando, miro alla verità, senza
r tazioni passionali o sentimentali senza
ncetti di sistema»,
(ira. egli dichiara che della realtà dei fen
spiritici nelle li ro forme svariate, psichiche e fisi-
. non si può oramai dubitare. A parte i rasi di
trappolerie, si sono fatti tanti esperimenti i cui ri-
sultati sono attestati unanimem i i nziati
dall'intelligenza tanto sobria e sana, che ni
sibile negarli. Ma che cosa soni cotesti fenomeni, e
"uni. spiegarli? Secondo la scienza, sarei for-
me di malattie della psiche, e segnatamente della
vi lenta; e per quel che in esse i p ssa
i' l'ignoto, resta di studiarle sempre più ri-
amente, affidandosi al mi
rea positiva, con la certezza che il noti sarà
all'ignoti . e il noto, a giudi/ir del Sergi, pn
verebbe che si ha a fare ci n feni meni bensì p-
fatici, ma puramente, assolutamente naturali,
za interventi di motori td agenti speciali.
II .Mariano dire che queste conclusioni sempli
tìrani tropp il problema e lo mutilano. L'ui
dato plausibile ed ammissibile è il rio nducim
fatti ipm tiri a stati psi i pai ci. Ma |m sta
non è una spiegazione. A guardili lene in fondo,
il fatto viene usi sp j,: stesso. \ chi
ile chiede una spii _ si ri]n ne inn
li niente altro che le stes Ma ititi i m
alle vere i ag ioni, si ri sta al I mii .1- pi i, • , n i soli
ci il probli ma dell. . spiritismi n n è
riti . Alle perturbazii ni mori • - - iggiungi
"i lati . i rasi di ac rescit
fermento dell'attività della psiche; e dall'altri, ma-
ta lettura.
nifestazioni fisiche contrastanti alle leggi meccani-
che, fenomeni di attrazione e di sospensione au-
ca, movimenti a distanza, per forza media-
ni'a. a corpi gravi nel vuoto; nei quali fenomeni
_ _ E idi della ii, ii ura appaii ni quasi sop
presse. Quanto al primi ridine di rasi. , i< ■ visi* ni
i presentimenti, il Sergi riconosce che non si lascia
M spii gare con la pati 'logia, ma nega che essi
abbiano carattere spiritico. Il Mariano rispon-
I chi [ui sta i una i ipinione sua partio
Sergi, che altri non accettano E in realtà, dalle
estrinsecazioni della psicopatia a quelle dell'és
i delia esuberante tensioni e intensità della ps h
una ! fferenza nei modi, non nella si stanza.
Assai più ardui è invece discorrere dell'altro i idi, li-
di casi. Dir che i fenomeni spiritici di natura fi-
sica, attinenti alla meccanica, si spiegano con l'e-
strinsecazione delle forzi nervose motrici o sen-
sibili del medium, è un risolvere, da capo, ['idem per
in. E se lino scienziato ha dato questa spiega
. un altre ha trovato, nei fenom
si ii ne. un argomento a sostegni delli len i nel
miracolo. Mei campo della natura, il miracolo fi-
sico, l'empirico, il materiale, pare che sia da e-
scludere; ma altrimenti è a dire nel campi dello
spiritue del miracolo spirituale, causati pei azio-
ne interiore della fede e della grazia divina. Di
questi miracoli Iddio ne liti fatti sempn e s n
n farà Nel mondo i lelli spi] iti della libi età,
nella vita delle anime come anche nel movi ti
e nel divenire dei consorzi] umani degli Stati,
l'intromissioni energica, efficace, benché non n -
,i. del santo, del divino spirile assi luto, è in-
l 'ile.
1 ,a psicologia sperimentale, con 1 sui inalisi e
le sue osservazioni, è qui costretl a icere. 1 prò
cedimenti empirici, osservativi, sperimentali, sono
inadeguati all' - , | . ( ', n gli studi ulterii ri, fin
i mezzi di ricerca della sci nzz resterani nel li
eh si io, si pesti 1 1 I acqua nel mortai' , « Appena
alcuni anni fa», ha detto uni ti . un fistoli
go, al cui modb di ragionare il Mar
ri avvenimenti che oggi a cadoni sotti ai no-
stri occhi sarebbero stati annunziati come sopran-
naturali ; il quale epin to san I ! bastati pei
1 i irte i l'unni e pii credenti, niuno a\
-.in a discuterne la pi ssil lilità 1 1 disingani i
\ .iti per la se, iperta di errori e di i ium erii ci
' va mi in' i alla illusi' rie inversa, di credere,
n t, che tutti quelli che si al li ntana dalla ni
' qui tidiat : nul-
la, del quale ni n mette il ci nti di parlari . I *ggidì,
invi >>-. sani ' ininria a rr- den neli vision I !
tr'.ri e nei pn ni m I
e, - i, alli spirti, umano la
ani or; mal
: interamente ina ci ssibili
59
\iuri il 11 e di i
ricordarsi sempre <\ •
i un mondo ignoto, sul limitari- Iella
ps hi umana, dm
l con
i ■ ìt-l U- elementari
1 unica conclusione sicura cui
che c-i Mnii> pure nell'universo
pob il/i- spiri-
. ih cui noi tutti, chi più chi unni», l'uno in
infinitesimale, l'altro in quantità formidabile,
saperli né accorgersene, siamo
diventiamo partecipi. Di queste forze
i si può dire d ano ali
che governano il mondo materiale a noi esteriore;
mentre sembra, .il contrario, che prevalimi» ail esse.
unark, non scienziato, ma scrittore più in vo-
scienzia . ha detto: « Noi vediamo una
i-.i ferma ed una forza convinta esercitare
un'azione anche sulla vita dei corpi. La linea ili
razione tra il possibile e il reale in tal genere
di azione niuno l'ha potuta sin qui tirare con sicu-
I neppure ad alcuno ili precisare
situi a qual limite si estendano la potenza e l'effi-
; dell'anima sulle anime ed anche sui corpi.
he 'li straordinari in questo campo
i.i.n ■'• lecito reputarlo illusione ed inganno. Mira-
LA LETTURA
i ili ni .11 ne sui i edi ni • . ma del merav del
l'inesplicabili mondo d'avanzo»- Il Ma
i uni osserva < parali non i i ai ili n
plicare, perch non esprimono opinioni, ma certi-
nò fatti, i te, i«-r conto suo, ciò che
1 1' i i volta : «Si potrebb pi nsan che li i spi
mo sia venuti i fiaccare il nostro orgoglio ]x-l
in -i ii i» isil ì\ ismi tea smo empirici e scet! ici,
facendoci awertire che vi ha più cose in cielo e
in terra che la nostra filosofìa non abbia sin qui
sognati i Le [uaJ ggiunge ora, significano
qualcosa 'li diverso dal mondo degli spiriti vaga-
li e delle animi- i mdage, che non si arn-ml» >n< ■
alli- evocazioni se non p<-r dir sciocchezze. ( i
Ami. un. Fogazzaro, Raffaele Mariano crede che,
per certi aspetti offerti dai fenomeni spiritici, noi
siamo trasferiti 'li li della cerchia delle cose visi-
bili e sensibili che ne i irci ndano, e sentiamo spun-
tarci dentro un intuito, se non della soluzione fi-
nali- del mistero dell'universo e del destino dell'uo-
mo, per In meno d'una vita della psiche e dello
spirito dotata 'li energie latenti, ili una essenza
sua specifica, che non ha niente a che fare con le
forme ili vita conosciute, delle quali riesce a noi
ili scrutare l'intima compagine, ma insiemi- pure
ili misurarne i limiti, le immanenti imperfezioni,
l'insuperabile caducità e le molteplici miserie.
_l Italiani s'interessarono molto alle
reliquie lasciate dal Petrarca ili là delle Alpi, nel
contado venosino; ora trascurano un poco quei li-
ed i problemi che essi sul levano. Dopo la di-
scussione sull'identità 'li Laura, che più stugge
quan crede d'averla afferrata, non ne
iltra più eccitante che niella sulla situa.
della casa aiutata in Valchiusa dal jwieta.
La prima escursii n he egli fece alla sorgei
della Sorga risale al 1316, quando aveva dodici
anni appena; ma si Itanto nel 1337 si fissi, in quel
raviglii Vi dimorò, n>n interruzioni più
lunghe, fino al 1346 ; poi ili nuovo nel
1351, nel 1352, nel 1353. Ritirandosi nella vallata
chiusa valli s chiusa — il Petrarca \ 1 anzi-
i - [iosa \\ igni me, la Babili
del Medi Evo, e di ritemprarsi in contatto della
uogi delizi si Egli ]>erii ni n 1"
: l'incai alle ebbe ammira-
ferventi prima ili lui, ed era stata apprezzata
lai Romai a 1 rato dai vesl igi 1
opere loro. Nel secolo XIV la sorgenti della Sorga
! ■■ _ il p.-r gli amici della
I .
n/.i del l!i ccaccio, che tan-
te minime circostanze della bk>
' dell'amico suo, la casa dove questi si stabili
itruita espressamente |ht luì, ma
proveniva da una compera. Lo stesso Petrarca ci
informa che il suo angusium hospitium era situato
sulla riva sinistra ilei fiume. Dopo averlo abitato
1 arecchi anni, .sentendo la nostalgia dell' Italia,
egli pensò di abbandonali- quel ritiro. Alcuni iriti-
ci moderni, da questa instabilità del poeta hanno
ti atto argomento i>er accusarlo di neurastenia l
sare Lombroso lo ha trattato addirittura da ep
tiro; il più recente dei suoi biografi. Giuseppe
l-'in/i. parla della «noia che lo possedeva frequen-
temente e gli suscitava il fastidio dei luoghi e del-
le cose». Ci- qui l'eco delle bestemmie e delle
triU- appassionate proferite contro il Petrarca da
l'no scrittore tedesco: Giorgio Voigt. 11 lungi
li iin del Petrarca jier Valchiusa, la sua residenza
di quindici anni, non consentono di ammettere in
lui altro che una instabilità relativa, della quale
egli stcss., ebbe coscienza; prova che le su,- facol
tà litiche non avevano t r< q >] >' > sofferto della sua
in'\ rosi.
Nel 1345 il ]>oeta parla d'una partenza che do-
veva essere definitiva; ma nel 1346 lo vediamo di
ritorno. L'anno .1o|hi il desiderio di rivedere la
1 ut., natia diventa più vivo; nondimeno nel set-
umbre egli va ancora a Valchiusa e vi resta dui?
Il 1 giugno del ì^i scrive da Verona al
Boccaccio die conta di passar l'estate nella sua
ii .1 solitudine in ii\ 1 alla Sorga, dalla quale
l'ALLE RIVISTE
o3i
è rimasto lontano quattri anni. Il 23 maggio 1352
è ancora lì. ed ospita Angelo Aeriamoli. ve&cm
di Firenze. Ne] dicembre dello stessi anno si
te definitivamente in cammino per l'Italia : ma una
pioggia torrenziale gl'impedisce di dirigersi a Ge-
nova, ed eccolo di nuovo a Valchiusa S> li
un irte del suii fedele servo Monet lo spinge ad una
risoluzione suprema, e nella primavera del 1353
dà l'ultimo saluto alla sua rara fontana. Egli si
era già stabilito in Italia, quando apprese che il
giorno di Vaiale dello stesso anno una banda di
ladri, penetrata nella sua umile abitazione, vi a-
veva appiccato il fuoco. Ma la vecchia vòlta di
pietra aveva arrestati > l'incendio, e quanto ai ma-
noscritti, il tìglio del servo li aveva portati al ca-
stello: grazie a tale precauzione sfuggirono alla
rapacità dei malfattori. Questa aggressione staccò
per qualche tempo il Petrarca dal suo ritiro; ma
egli non lo dimenticò, e solo i torbidi politici gli
impedirono di tornarvi quando si era già messo in
viaggio per n vederlo.
Col testamenti) dettato nel T370. egli lasciò quel-
la piccola possessione all'ospedale di Valchiusa.
in vantaggio dei poveri, e in caso d'impedimenti
ai due tìgli del Monet. S ignora che cosa avvenne
di questa disposizione ; ma si sa dal Boccaccio che
la casa del cantore di Laura, del fondatore del
I umanesimi 1. divenne la mèta di un pellegrina^
gio, come la fontana, per gli eruditi, i poeti e tutte
le anjme sensibili. Col ritorno del Papato a Roma.
ridivenuti deserti Avignone e i suoi dintorni, per
oltre cento anni non si trova più menzione della
casa del Petrarca. I edizione del Canzoniere, pub-
blicata nel 1501 da Aldo Manuzio col concorso
del Bembo, riportò l'attenzione sull'uomo come sul
poeta, e qualche lustro più tardi Alessandro Vel-
lutello. passati tre giorni a Valchiusa. incaricò
qualche disegnatore del paese di fare una carta
deila vallata e dei dintorni. Alteratasi la tradi-
zione, la casa del Petrarca fu posta in alto, a lati
del vecchio castello feudale. Xel ^39 il Beccadelli
fece parecchie escursioni a Valchiusa. ma trascurò
d informarsi della collocazione della casa. Più tar-
di, nel 1557. il fiorentino Simeoni menzionò ola
piccula collina dov'è posta la casetta del Petrar-
ca» e vi fece apporre una lapide con questa iscri-
zione: Francisci et Laureae — man/bus — Gabriel
Symeonis. Anche il Tommasini collocò sull'altura.
nel 1635. la casa del poeta, facendone un vasti
fabbricato 1 due piani con una torre gigantesca:
al paragone il castello dei Cavaillon pare affatto
piccolo1 II romanzo poi si mescolò alla leggenda
II topografo Zeiller scrisse: «S'indicano ancora
III questo b rgo le case sovente citate di Petrarca
e di Laura ov'essi dimorarono ( !). La sua casa
(di Pei rana 1 è ora minata; non se ne vedono piti
che le vestigia, fra l'altro una grotta impiega
come cisterna, per cui Petrarca poteva pervenir.',
mediante una via sotterranea, alla casa di Laura.
situata in faccia. Xella parte superiore della casa
SUmmentovata si trovano ancora delle indicazioni
d'appartamenti, e principalmente un membro che a-
vrebbe servito di gabinetto da lavoro al Petrarca...»
Molti altri autori colla ino .e 1 In 10 in 1 nelle ro-
vini dell'antico maniero l'abitazioni del poeta. Poi
!•• cose cambiarono. Nel 1764 l'abate de Sade as
segna com2 post, della casa la base della re*
a lato ilei giardino irrigato da un braccio della
Sorga Tutto concorre a dimostrare che l'abate è
nel vero. Il [meta, nei versi, nei trattali e nelle let-
tere, due che la casa sua era in vicinanza del fiu-
me, «tra l'erbe e l'acque». Ultimamente, nel 1896.
una memoria del marchese di Mondar, è venuta
.1 sconvolgere l'opinione accreditata. Questo arche
I. go torna a collocare la casa del poeta sull'altura,
a pochi passi dal castello; anzi l'identifica con
una costruzione composta di due piccoli corpi di
fabbrica sovrapposti. Ma l'affermazione del Mon-
dar non è sostenibile. L'esigua piattaforma >u cui
si eleva la doppia costruzione dà. a nord e ad est,
su precipizi : gli altri lati sono talmente ripidi
che non si può concepire cerne vi avessero potuto
costruire altri alloggi allo stesso livello, (ira il
Petrarca aveva un ceno treno di casa, dei cavalli,
mezza dozzina di servi: dove li avrebbe alloggiati'
E mentre egli dice che la sua abitazione confinava
. . in giardini, questa doppia casetta sulla piatta-
forma confina coi precipizi. E poi. la casa del Pe-
trarca fu minacciata una volta dalla inondazione:
come mai l'acqua della Sorga avrebbe potuto sali-
re sulla rocca quasi inai -eessibile? Di più, se una
parte di questa doppia casetta è antichissima ed
. sisteva ai tempi del Petrarca, l'altra è moderna,
e non può esser quella «contigua alla mia» — so-
li, parole dello stesso Petrarca — dove abitava il
suo fedele Monet. «Quando voglio isolarmi ». disse
ancora il poeta, «chiudo la piccola porta che ci se-
para». Ora nel muro che separa le due costruzioni
non si scorge traccia di porta.
In conclusione, la casa realmente abitata dal
1 ta e scomparsa da più di due sei-oli; al ;uo
posto sorge una volgare fabbrica moderna, a un
piano, senza carattere e senza altro ornamento che
un ceppo ili vite e l'iscrizione Di maire ci jardin
de Pétrarqin au XIV siede. Se nuovi fabbricati.
una cartiera, la casa del signor Eliseo Tacusset,
hanno completamente mutato la fisonomia di que-
sto angolo di terra, la vicinanza dei ih\f giardini
concorda in tutto con la testimonianza del poeta
''no di questi due giardini, quello consacralo :,
bacco i a Minerva (forse il Petrarca vi aveva
piantato vigne ed olivi), evoca ancora nel modi più
persuasivo l'immagine dell 'Jtortulus da lui cantato.
Comprènde due parti distinte: quella più vicina
alla casa è la più elevata; l'altra ,'• situala più in
basso. Due bracci della Sorga li irrigano entrambe
e un piccolo punte rustico le unisce; questo p nte
ha sostituito quello del pini.- parla il Petrarca.
Siepi (..he di boss., incorniciano le aiuole; K ma
gnolie imbalsamano l'aria; infine, a lato d'un lau-
ro secolare — l'ombra favorita del po.-ta il cui
enorme 1 ronco rivendica un'antichità di molti se
coli, rampollano altri lauri ricchi di linfa, Qu
si legge così, in questo luogo, la firma dello stessi
>uo mtico abitatore.
( Da un articolo di Eugenio Muntz nella Vuova Antologia).
Ln donna nell'arte veneziana
I paralleli .il
dapprin-
o di i
si sviluppa I i l'-
ullir;! di \
!
dell l chi
la mei
li vani li !
ire, versi l'Adi
in richiam alli reg lei sol
II i. va alla storica
unghissimo, che l'u
va l'ir
uri-
mi |en le possen a va
randiosa impi ne. E
,
■ , . | ..
ppi logi ci eh l' a rch i t ei
tura, la pittili utb li u i'!
I i i al 1500
ll'Italia b 'ii |n chi punti di
irte e ,n!i intei
pi h I ol ;ali ■mi erri
:ì.ì debolezza 1 gli intrighi 'li
: delle cri I apertura
mn 1 diretti colla Siria 1 l'Egitto strin-
1 ra di più i vinci. li fr.i Ven II
Il . della cn 1 iata Francese, 1 1 |uarta,
tà dei dogi, abilm iti fru
ci ■ n roperi I
del Bosfon reo 1 uovi ■ 1 ili
della •olossal finanziaria della Repubbli-
La città delle lagune alzò la bandiera 'li San
Mar. 1 ni Peloponneso, su Hi isi li j
fini ' ■ ina I un p 1 eri iam
ni mi a dip un quadre
si degli avvei
'.irsi dei quadri, n
ricon l A u zia.
In tutti i paesi lac
ro la schia
oriva fi nei degl
E il barba n comm
■ Ì II' [IH -■ -. I ...
an ichi di B I impi
i tuia lopo l'altra l> b
1 . ivi erarn un lu
i.| usi più
E . .1 lì' rlin
Crivelli Santa Barbara.
Carpaccio — Die dame veneziane.
" ;4
I \ 1 1 ! Il RA
ni
■ he nelle teste
1
iti una si h ira, gì
" " ' •'
i abbasta ''' '
n ceni rale rispetto al
Venezia divenne
l'in ■ •' ' van1
oli, ,, ambii
mpre più floridi si
iluppò la
ttà marinara.
\l i nui va \ ia al
Ielle Tem
Porti galli un i» l
i J lora 1 ;
divenne un e ni n de 'li trans to
delle Indie,
i la via a ■ < h
tnd. I Arabia Faceva i api a \
i dopo la scoperta dell' Ame-
I e Cadice si ppiantarono
Giovanni BELLINI — MADONNA.
Venezia e questa cadde dinanzi
I labile concorrenza dei porti ceci-
na dell'Adriatico fu (te
tri nizzata. ma la sua potenza 1 1
\ isse ano ra florida ■ chi
secoli.
Fu appunto nel lenti insensibile
declinare dell: sua fi rza politica i
si svilii] pò hi Ila e meravigliosa l'ai
ii. che sorsero i classici su
in m n I Mi. che fiorirono le
le superi e di opulenta belli zza. Fu in-
., questi ti mpo che divenn >
lebri le donni di Vi nezia. pass in
me una •■ che simboleggiava 1 i
deale fi nominile anche nei paesi d'oc
i identi 1 1 stituendo un primato arti-
. che rimase alla città 'li S. Mai
fini .il secoli XIX. E raro i i fi-
gure m cui vibrava un'anii o-
rientale. Intai e del lusso in-
erì i ; di vesti e 'li abitudini della
grandi i ittà marinara si spargevano p r
tutta Europa destami
il invidia
E questa
|e ,1, ane aveva insieme fon-
delli ni meravi-
r,i «vanni Bellini— Madonna col bambino.
DALLE RIVISTE
o35
gliose dà pittori veneti, nelle loro tavolezze superbe Dapprincipio l'arte veneziana si ispirava
di morbidezza e di colorito. Venezia ebbe in tal più rigido ideale, ma rolla figurazione succi
modo la perfezione dell'arte mentre pel resto delle fiorenti bellezze vive e realistiche essa ha
Giovanni Bellini
Madonna con due figure di sante.
dell'Italia questa non era che una gradazione di
vari problemi estetici.
Le tendenze realistiche del Masaccio e dei suoi
imitatori del Quattrocento, e le ardimentose con
ioni di un Michelangelo, non potevano fiorire
nella città marinara dove i commerci avevano poi
lato tutte le molli raffinatezze del lusso e della ci-
viltà. Cesi lentamente scompaioni anche nell'i
veneziana la rigidità e il convenzionalismo di Bi-
sanzio e questa rinnovazione, questa palingenesi
artistica di tutta l'anima veneziana, si ripercuote
ome un'eo .ino nei paesi li mani di terraferma.
E dopo l'espansione territoriale di Venezia verso
Occidente troviamo questo influssi» ripercosso in
tutti i pittori della scuola di Pad' va.
Intorno a questo periodi rammentiamo farlo
Crivelli, morto nel 149.,. celebre per le sue ligure
femminili. Le veneziani- si ate dalla vita
di di-Ile grandi dame. Le \ ere dami veneziane
seno infatti robuste e forti in modi sorprendente
■■ divenivano tali sin dalla lori gioì ntù con rapi-
dità meravigliosa. E 1 io si può veder benissimo nel-
la. Lavinia di Tiziano, il cui sviluppo progressivo
■ consacrato in parecchi quadri del padre, e anche
in parecchie modelle che sen r ni per diversi anni
e che sono quindi cerne uro dell svilup-
po del loro corpo. Certo, osservando questi copie
•li un medesimo tipo muliebre, si notano alcune
differenze dovute più che tutto alla diversità del
l'acconciatura, seci ndo che le di nne eraro copi ite
sui balcnni o nei sali tti. ai balli 0 nei viaggi, ma
i corpi flosci, le carni in riposo, e tutta la model-
latura insomma ci dà liiba di trovarci di fronte
alle figlie n 1 uste, floride 1 tranquille di un m 1
rante di grano 0 di un foni
sto il fondamento insuperato di tutte le figurazioni
femminili.
Il Crivelli ha ancora qualche reminiscenza bi
zantina e qualche ai-cenno all'aite convenzionale
d'Oriente nelle sue Madonne dal viso magra ed
ovale, da;. !i cechi simmetrici, dai corpi gracili mi-
nutamente drappeggiati. Oggi che il preraffaelli-
smo ha invase l'arte moderna, e tutti ne imitami
li pensose e nervose cren/inni, oggi che gli arche
Giovanni Bellini — Madonna.
LA LETTI 'HA
pei scoprirvi
usti-
i- il culto ili ( trivelli, il pre-
'■
quadri die p Alcuni t
ini i. che hanno lasciato desci
ni della \ ita delli
sservano ■ talmenti
ivolavano dalle spalle. M
Giovanni Bellini — Madonna col h \miuno.
I ... ■ ■ 1 le sue figui
chiamare 1
mamenti si pos
i diciamo anche che la
un ] ori - itici
■ 1 . ( '.irlo Crivelli •'•
un gran - h 'Mezza 1 he |
paragonata a un 1 meta, a un Ir 1
■ li luna 0 a un veo h" inno latina
I - ingiustamente alcuni continuano la pa-
ro il piti se fu alquanto conven-
mpiacque 1 n ppo di ninn j ii niel-
li, di orecchini e 'li decorazioni, rimani
ntemporanei del Crivelli, anch G ntile
■ii, mi alo nel 1 507 e Vittore l trpaccio, 1
intorno al 1522. dipinsero scene tipi \ tieziani.
imni leggendi sti prie chic-
■ pieni ili vita rubati alle
calli e ai rii ili Venezia.
Li ci stumanze • le mode erano allora abbasi
vani rag porta
■ nvece
le adulte e alle r l scoli u
n ssuno ne
Solo più tar.li però I;' la ^ua comparsa alle iine-
rtigiana.
VI il imi del tempii un |u n In 1 urii isissinn
: s no due granili rlanie, probabilm
due sorelle, nel lori completi abbigliamento d'i
alcuna ind
■ entare la propria I dav-
vero lue panile ili illustra/i'
Staimi le iltii • dute, forse facendo la -
sta, certi in atto di riposo e li sollievo. Entran
hanni ligliatura sporgente sulla fronte
nellata e abbondante nascosta sul capo ila un ber-
la alquanto il corno ducale. La s
latura è profonda ed è leggermenl 1 da una
ili perle che gira il collo nudi- .1
lille i
1. ui Una diritl giata col
alla balaustrata 'li un balcone, l'altra è più in
nata e porge la mano sinistra a un cagnol
sta n lean. In un bastoncino fra
le zanne 'li un piccolo cingi ciato da-
vanl i.
Entrami una tunica o clamii
plice che scende liberamente dalle spalle senza al-
DALLE RIVISTE
937
culi ornamenti :. in curioso contrasto colle maniche
ricchissime e ricamate.
('■li accessori della scena sono abbastanza strani.
Oltre il cagnolino bianco già ricordato che porta
: l collo una piccola sonagliera e oltre al cinghiale
che sembra grugnire debolmente accovacciati a ter-
ra, la scena è animata ila un vero serraglio di b
suoline: una gazza ha sollevata la zampa e sta
immillile ([nasi pensierosa, un pavone sta riti- sol
t.i l'archetto elegante ili un intercolonnio mentre
ilue bianchi colombi passeggiami sulla balconata.
Ma ancora più strana è una figurina che è ci
unta a stento tra una colonnina e l'altra, una figu-
rina veramente microscopica in confronto colle tur-
ine esuberanti delle due veneziane: è una grottesca
figura ili nano, la strana creatura che la moda ilei
tempo vi leva in ogni rasa signorile, oggetto ili lus-
. . di il- a e 1 lì corruzione.
Queste esistenze disgraziate e ripugnanti erano
anzi ottenute fin un sistema speciale 'li selezione
i di riilim. 1 e rappri s mta^ .un 1 nell'ai isti • 1 izia \ e
ni i.i una parie non mi h' diversa 1 la qui Ila rap
presentata dagli eunuchi nell'Oriente. Si arrivò per-
sino ad ottenere 'lille stanne che non superavano
il un zzo metro e ci;, era il 10l.no dell'eleganza!
I n'altra strana creazione del tempi era il cici-
sbeo, l'adoratore galante delle 'I' une altrui, cui il
compiacente marito affidava la moglie perchè la
conducesse al l'alio 0 alle lunghe passeggiate nelle
gì in I. le l'itine.
Un vero mistero rimane per noi una bella figura
■ li donna ili Bartolomeo 'la Venezia: ssa e un
insieme meraviglioso «li contrasti < in certi parti-
colari sembra quasi una falsificazione 'Idia realtà.
E mia donna silenziosa, austera, dalle carni vive,
colorite come una promessa ili gioventù: una gem-
ma, circondata ila perline, brilla sulla fronte la
v, Mia più In al'o ila un velo che lascia scorrere al
disotto il torrenti abbondante della capigliatura:
una capigliatura davvero curiosa, divisa in piccole
Giorgione — Madonna di Castelfranco.
r
LA LETTURA
MA Vecchio — Quadro di donn<
Mille spalle: un efcg
■ ■1 lenente
.la una ghirlanda
gg
Iella pie-
na una fi-
I
•.••i,« . -:.\ ha finalmen-
•11 ar-
te italiana, an alla perfe/U-ne massima
, e ^lla r orazione fero-
minile
•llini. morto nel 1516. fu Un
._ so che libei veneziani
la mani.: renzionalismo e la
I1el : -Ila più pura beli
•venta la
.
Isabella
prin
\ .iK- Uà dà nna
DALLE RIVISTE
939
il ti]»' reale della vergine e della madre, unito alle
ideali della bellezza ultramondana. Egli
tamente dalla scuola fiorentina.
Le sue Madonne non hanno quella fresrhezza fan-
sca di carni e quasi quell'infantilità di -
vani madri di cui si compiaceva Raffaello e nep-
pure il riposo intimo e sicuro della Madonna della
seggiola. II loro sguardo •■ fisso, leggermente star.ro
e melanconico e in esso vibra il pensiero del li ti-
tano martirio del figlia
Osservando successivamente le Madonne leni-
niane, da noi riprodotte in queste pagine, si 1
chiaro il passaggio fra la prima maniera dui
triste che ricorda ancora ("ima! aie e Bisanzio e la
t. ima li! stica e realistica che contraddi-
stingue le sue Madonne posteriori: in queste ull
la modella spunta di sotti icezione ideale.
Gli altri artisti seguirono le orme del grande
maestm. Le modelle acquistano allora un posto
importantissimo nella storia <lelfarte: e tutti li-
ra i nomi di Bella e di Ignuda, i
più superbi fiori della bellezza femminile di Ve-
nezia.
Il medio evo aveva dipinto Eva quasi come una
dura figura biblica, senza il sorriso e l'incanto della
femminilità: toccava a Venezia creare il prini'
pò realistico della prima madre degli uomini: si
quadri che compaiono nei primi anni del 500 e si
al Palma Vecchio (1480-1528) e al
(1470-1511).
Quanta bellezza nelle figure muliebri del primo:
di lui un magnifico ritratto di donna
tnte. !\ una donna in tutti di una
l-ellezza superba che ha qualche cesa della mae-
stà e - La capigliatura ricchis-
sima piove come una bionda cascata sulle spalle
l'occhio e nelle labi ra si legge l'incanto del
il si rr;si ; della grazia. 1 mi
mature del Quattrocento ni n avi tuto prò
durre un'opera più fine e precisa in ogni particolare.
apigliatura spiovente ed ante è nel
un postuli spensabile
e forme ggetto di trattati e di inchieste speciali,
dando vita a molti libri fra cui è ancora celebre
il Libro della bella donna di I Luigini.
I 1 ure più meticolose della toeletta onsa-
alla chioma femminile: il colore ideale era
il biondo che spiccava così bene sull'azzurro delle
onde lagunari. Ma la natura 1 .a essere
egualmente benigna con tutte le fanciulle di Ve
nezia. e di qui una cura assidua, in- uasi
martirizzante, per la natura stessa.
Nei caldi giorni di estate, quando lo si
umido e asfissiante lambiva le onde tranquille del-
la spiaggia di Malamocco, le dame si recavano sulle
terrazze e nei cortili soleggiati. Avevano con sé un
pM
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W ■■ /1f
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Lorenzo Lotto — Quadro di famiglia.
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LA LETI! I A
come un
razzolo: posto in
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.,1 bario bi nerico
ma le chi
i [i irato
I Ile
Spui ura di 1 n nz I ■ I
: i l Palma i col
glo-
Vbbiamo
n. ianin un quadro ili
... un vero idillio
una mi raviglii
bellezza matura : riscontro al-
la grazia infantile ili due amorini
!■ in.'
I magn potente con tut-
ta 1 numei >a dei suoi imita-
Egli fu n tutte le sin- or-
me: tu nei ritraiti ilelle
: dinanzi al sili pi ri
nelli uno ] saie in tutta
la pom] elli sza, fu sovrano
nelli Madi ine, che hanno quali h osa
che ricorda la donna in tutta la sua
maturità, fu insup ''ne mi-
i e 'li genere e fu l'idolo dei signori 'li
dì, non escluso I rani es o 1. Le sue m
Tiziano — Maddalena.
erano nella più alta ari- vena
.1.1 e l.i sti ria ha in
lui i nomi celebri delle trii nfali 1*-1-
lezze i hi suggi rivano a lui li
zi. ni. Chi non rio rda <
Fra tutti i suoi so lari, Paris Bi rdi ne
rto il più fedele, perchè gli altri.
che dalle sue ti
mi. primi sogni nel]
rebbero pn sto si u cati dal maestri i
,i\ rebbero i n e il Tintori tto una
scuola affattu diversa Con qu
giunta al sin
Paolo Ver Ila sua gamma
,. il Bi llini -oli i nobile
i , , one colla fantasia '
ziano colla mitologia hanno sternato il
della belli iana e ti
dato ai secoli le teste merai ig
p pi larn
,1, più sur* rbo 'li Venezia repubj
(Dalla rivista Welhagen uud /■
nalih'
Tiziano — ijuauro di covane donna.
Una scuola scientifica e filosi fica ha voluto ri-
durre tutta manta Sa vita all'egoismo ed alla letta.
Un'altra, invece, al concetto della lotta per la
ha - - quello dell'accordo nelle vita. < i
di - uè teorie ha più - imeni
Le leggi della vita.
Ogni i rganismo. hanno detto i partigiaj
fegoisi o. composti « lì due serie di argani ili-
stinti: quelli della vita organica — stomaco, cu
re. polm. ni. ecc., - chi - :11< passi ni
gli appetiti : e quelli della vita animale
ne: cervello, sensi, ecc. Ora. secondo il Bicha
lo Schopenhauer, questa seconda vii
tanti, per appagare i bisogni della prima, la -
fi ndamentale. Quindi tutta la morale del mi
vivente si ridurrebbe a questo: mangiare e, all'oc-
i'. renza. mangiarsi.
Ma k .\se non stanni rissi, e la vita non si ri-
alla fame, coim orci lette il Rolph, e come il
Nietzsche non fece altr. ; ohe ripetere. La cellula
vivente compie tn - -s-nziali: lavora, s/ ri-
Ora il lavoro, non già la nu-
trizione, t la C( sa essenziale. Anche per una
- oziale è funzionare, non già rii
rarl« ne nei fornelli e acqua nella caldaia. La nu-
trizione non è altri che un mezzo di reintegra
ne. La fame e l'insaziabilità - seguenze d'una
attività ini essante, e la vita è costituita dalia fun-
zione, non dal bisogno. Certo, e per disgrazia, 'a
nutrizione d'un individui si compie trop]
con la distruzii le di altre vite, e la funzione nu-
tritiva e-, per parlare come il Nietzsche, accaparra-
triot e conquistatrice; ma. per essere soddisfatta.
in seno ad ogni vivente, la
sione del lervoro. la : wperasi ne delle cellule e la
■ degli organi. Da questa cooperazione
e solidarietà dentro l'individuo, sono nate la
perazii ne e la solidarietà fra gl'individui. End
dui che provano bisogni analoghi, simpatizzano
dapprima meccanicamente e fisiologicamente; poi
si imitano nelle azioni dirette a raggiungere uni
rze dei diversi individui ter..1
ad unirsi, perchè con l'unii ne ess - noli pi
— per es. dinanzi a un nemici comune. — Al
quindi cooperazion entro cias
essere vivente, ma tra diversi esseri viventi. I
re la m. rale animale. Per appropriarsi e met-
tere da parte le prowis alla nutrizio-
ne, o anche per produrre gli alimenti — corni-
le api che liì rani il miele — gli animali si
danni l'esempio della cooperazione e della
divisione del lavoro. I due moventi ai quali
obbediscono som ettivamente, l' utilità reale
che risulta dal loro accordo; subbiettivamente. la
simpatia: quanto più forte è la simpatia eh- uni-
i membri di una ne. più grani
l'utilità comune. L'altruismi .•naie, in i \
membro, è il miglior mezzo di utile colici' , s i
si vuole - . ma d e§ rn Iti i
si da quelli che intendono il Nietzsche e il
La R auld.
Se dalla nutrizione passiamo alla riproduzi
si vede che il legame tra gl'individui di\
pre più sino i .la
razione h : parte di egi isi l'indi-
ma l'indh iduo {
nitore: 1. nello spazi . [I. nel temp : III. nell'or-
dine di causa, perchè il primo si sente, più 0 menu
chiaramente, produtton de! secondo; IV. nell'or-
dine di similitudine, perchè il primi- riconosce se
stes*. nrio; V. nell'ordine di finalità, per-
che molti bisi e comuni al primo ed al se-
ci itilo. Di più, il i itti - oziale, nella generazio-
ne, è la separai ne d'una parti dell'organismo ge-
neratile, quindi ui chi talvolta arriva
alla mi rte. -ira del padre, i ra della madre. Pi
l'amore è tutto nella ilirezii ne altruista Quindi
la Ilici' già min giustifica le teorie immorali : al
contrari! : mostra lo sforzo universale degli esseri
per . ;mo.
Le virtù sociali oei bruti.
I ììi - scettici, i legare la -
che si vede nel mondo animale, dio -
ta dall'interesse prima che dalla sim-
patia. Neppure questa affermazione è giusta,
cgni essere vivente è un piacere vedersi intoi io
a lui simigliatiti ; un , che, frequente-
mente provato, finisce col produrre un bis gw L'u-
tilità, l'interesse, . ni dopo. Primordialmei
istintivamente, quanti più grande è la similitudi-
ne fra «I: . tanti più Fa I quindi grade-
vole, è per ciascuno 'li essi rappresentarsi l'altro.
Al contrario, più la divi re tà grande, più è gran-
de la diffi •■. m/a. esempio, il comico
re della scimmia quando vede un carnale. :
Una volta nata la simpatia fra gli sseri simili,
sta produce la - l'imitazione dap-
prima e l'aiuti \ asi oro o ani-
mali, grazie alle quali i membri che le contraggono
ngi no un p - ipn o .
Queste divei _ lineano dapprima nella
famiglia. Nelle i rme inferiori della vita animata,
fra i pesci, quelle specie che non hanni ui della
prole, vanno incontri a due -Ianni: sono costretti
a una fec . e i loro piccoli, abbandi
nati alla morte e
ipaci di pi Più si sale nella
.mica, più l'ann n- familiare è sviluppato,
re umano, le razze inferiori som
dalla ; itudine i
■'»-'
LA LETTI K.\
le, dalla precoce ma i piccoli stanco, finse d'allontanarsi, vide il ladro ao
solvere il : possibile e d piombò addosso e 1" malmenò,
quindi dalla rapida scomparsa dei meno be- La subordinazione dell'/e individuale all'i
genito) condizione i* lettivo, il sacrifizio, soni provati da fatti eviden
progresso morale, ma anche tesimi. Il naturalista Eioussaj ii[;i\:i dei sassolini
Altrettanto dicasi dell'ai- in una p<>zz. i d'acqua dove stavano delle anitre,
truismo coniugale: dove il recipi n più
tra i dui operazione <■ più grande
<• duratura, la divisione dei lavori meglio detenni
l'intelligenza più perfezionata e varia, la
prole meglio educata e più capace, il benessere ma-
re.
Ma la vita individu rfezio-
nna di esse pensava a fuggire <■ ai
i proiettili, finché una tu colpita al rapo e cadde
sa: allora, quantunque lo sperimentatore ti-
rasse ancora pietruzze, tutte sfidarono il perii
pei ■ ma inti rm dia disgraziata e .lunaria a
sollevarsi. Lo stesso Houssay, togliendo un'anitra
da un branco e avviluppandole la testa in un
particolarmente nella \ ■ Je. Nella ■ eh tto di tela. vide le altre dapprima fuggire spa-
nza di ciascuno, i Itre .il! - individuale, c'è un
r rarabi in rapporto instanti-, tanto
che di diventa così un elemento essenzia-
primi ! ii i società», ha detto l'Espinas,
nte, <u\ organismo di
idee ».
Ogni individuo, ali idra del gruppo del quale
fa pa sente aggiungersi l'impulso ad agire come
ruppe e pei il gruppo. Un'azione in prò d'altri
non è possibile se mm quando più in sono Itisi in
ventate alla vista dell'intruso, ma j »* • i accorrere,
stante la sua presenza, ad aiutare la vittima.
L'obbedienza, la fedeltà, l'abnegazione, il
t'unenti del dovere, tutte le virtù sociali sono alta-
e sviluppate tra gli animali la rui organizza-
zione è ben definita, amie le api e le formiche.
La formica operaia, potendo vivi chi anni
— il Lubbock ne ha viste che sono vissute 8 e la
— mette tanl i ci scienza nel compiere il suo la\
da logorarsi: lo stesso Lubbock ne ha usseri
uno: la coscienza psicologica diventa cosi una co alcune lavorare fin 16 ore il giorno e morire doptj
scienza morale, sociale. Eguale nasi orma/ione nel- poche settimane. La mutua assistenza è regola ed
lontà: l'affezione sino alla morte sarebbe ini- stante nei formicai. 11 Bell vide una formica al-
. li animali, se l'io di ciascuno di essi 1 intanarsi da una o mpagna quasi sepolta sotto la
non al il .radiasse realmente ciucilo di tutti gli terra: etili credette clic l'abbandonasse • invece era
altri; se il sentimento che ciascuno ha di andata a cercare un rinforzo, e insiemi- con i^ al-
stessi non fosse dominato da quello della tre compagne salvò la pericolante. ( "l- qui qu
comunità. sa di più che il semplice istinto. Pei mettere al
Gli esempi sono innumerevoli. Lo stesso struz- riparo le ninfe, le stesse formiche continuano a
zo, eh,- passa per stupido, può morir d'amore, co- muoversi anche se sono tagliate in due: la testa
me mori il maschio del Giardino delle Piante, a
perduta la sua femmina.
Non >- vero che l'egoismo sia imperativo, tra i
liruti : al contrario, la forma imperativa può an-
che - -unta dall'impulso simpatico, da un'i-
,. contro l'interesse immediato II ca-
ne del celebre scienziato Romanes, dopo avergli
e il tronco vanno avanti |ier la salvezza della co-
munità. Altrettanto eroismo si vede tra le api. !
sempi di sentimenti fraterni danno gli elefanti:
' li essi caddero, una volta, in India, dentro
una di quelle fosse coperte di fronde che si
vani appunti per catturarli; uno riuscì a solle-
varsi fuor della buca, ma non si allontanò se non
rubati una costoletta, restava sul divano, sospeso prima ci, In- salvato il compagno, porgendogli la
tra il bisogno di sfamarsi e il sentimento del do-
vere: quest'ultimo trionfava, la. bestia riportava
la carne ai piedi del padrone e, dalla vergogna,
iva a nascondersi. Il Franklin racconta che
un terranova e un mastino si azzuffatili. ini
ente sul molo ,li Bonahhadee, finché caddero
in mar-*; il iiu-'ìh-, cattivo nuotatore, .in.' per
annegare, e allora il terranova depista la collera,
lo .'iti rrò •■ lo trasse a riva. L'AragO vide un cane
proboscide. Tra le formiche, dopo le battaglie i
feriti sono |K.rtati via e curati. Tra le scimmie è
I ri-quenl ' sim il asi i dell'adi gli i ri. ini.
Il rispetto ai capi è singolare tra gli elefanti. La
mandria ha un capo, scelto tra i più sagaci e pru-
di mi. fedelmente seguito, e sostituito soltanto se
i |ualche sua colpa un pericolo minaccia la
munita. 1 branchi di bovi selvaggi, quando si spar-
pagliano in una pianura pongono delle sentim
rifiutarsi di girare lo spiedo perchè non toccava al cui cenno, avvicinandosi un pericolo, vacche e
■ra a lui: \i consentì solo quando vide il su.
compagni re regolarmente la patte chi gli
ava. Qui si vede nascere l'idea di giustizia.
I n colombofilo mi . il Thauzies, nari
piccione 1. mirava.
andando e venend iteriali per
fabbricarsi il nulo-, un suo - i] igne pigi'" li m-
- nelle assenze dell operoso, e li portava in un
la L'uccello sfruttali, ad ogni viaggio di ri-
torno, esprimeva il sui stupore vederi) parsa
la rolia. si guardava intomo e ripartiva; finché,
li i -i riuniscono nel centro, mentre i tori pren-
dono posto tuti intonio. prniiu a configgen le cor-
na nei corpi degli animali nemici. I cavalli riuniti
in mandria riesconi a difendersi dalle bestie feroci
contro le quali sono disarmati individualmente
Róndini, gru e ogni sona di uccelli migratori tra-
mi > immensi spazi aiutam losi reciproi
I I dwards ha descritto le società dei corvi, le quali
arrivano a .-iene fino a 200 mila individui. Quo
sii uccelli avrebbero 27 modi di gridare, corrispon-
di agire.
DALLE RIVISTE
943
Is1 into <> coscienza
Né la moralità degli animali mei • ,: - !
bassata a un Istinto automatico e cieco. Essi sono
più intelligenti che non si creda. Il Geoffroj Saint-
Hilaire racconta d'un chìmpanzè che. arrivato al
Giardino del Mttsetim, si sospendeva a una corda
nel cui mezzo cera un nodo scorsoio: esso volle
dapprima distare questo nodo al disopra del pro-
prio capo, mentre il peso del corpo, stirando la
< orda, tendeva a stringerle. Dipo qualche vano
sforzo, l'animale salì sulla corda tino alla parie
superiore al nodo, e lì. mantenendosi rovesciato.
col capi' e le braccia in giù. riuscì a disfare il
nodo della parte di fune rimasta libera. Certo,
questo chimpanzè sarebbe stato imbarazzato a si-
gnificare per via di sillogismi l'azione compiuta;
111:1 un membro dell'Accademia delle scienze, lan-
che fornito della parola che dà torma ai ragiona-
menti, non avrebbe neppur lui, nella situazione del-
la scimmia, perduto tempo a sillogizzare.
Certe specie di scimmie spezzano i rami e se ne
servono per scacciare le mosche. Il gorilla se ne fa
dei bastoni. Certi altri antropoidi sanno scegliere
le pietre più aguzze e le adoperano per aprire le
he. Il Romanes vide un cebtts imparar da s,
lo a invitare e a svitare una vite, e ripetere poi a-
bilmente l'operazione con tutte le altre viti. Lo
stesso scienziato insegnò a una scimmia la nume-
razione fino a cinque: chiedendo all'animale, a
< aso, due o quattro o tre fili di paglia, esso ne pre-
sentava il numero richiesto. L'uomo ha concetti e
notiti, che son. segni dei concetti; l'animale ha
soltanto segni 0 denotativi ». Quando il pappagallo
impara a chiamare il cane facendo uàu-uau, si può
dire che lo chiami e che riconosca, imitandolo, il
abbaiare e che faccia tra se questo giudizio:
«Ecco la bestia che fa uau-uaun. Quando l'ui mo
chiama il cane e gli dà un online, quel quadrupede
comprende il linguaggio umano; vuol dire che in-
teriormente parla a sé stesso, e che. se avesse la
laringe come la nostra, parlerebbe come noi. e so-
stituirebbe la parola mangiare- ai guaiti suppliche-
voli che emette vedendo il cibo. La scimmia ha una
specie di linguaggio. Il gorilla, marciando contro
i nemici, emette un acuto grido simile al grido di
gverra dei selvaggi, e come gli atleti si picchia il
petto coi pugni. E noto che un recente osservatore,
il Garner. ha fonografato i gridi e le articolazioni
delle scimmie, ed ha creduto di scoprirvi un lin-
guaggio elementare: vi sarebbe, per es.. una p.i
rola particolare per il bere, un'altra per il man-
giare; certi altri gridi annunziano il perirò],,. Il
Darwin narra che un gibbone sapeva modulare
un'ottava. I chimpanzè neri si riuniscono talvolta
in un certo numero e fanno un concerto, stambu-
rando con bastoncelli sopra legni vuoti, .simile a
quello dei negri africani.
Nella .sensibilità, in una specie di coscienza e
talvolta nella riflessione, le scimmie hanno certi
tratti quasi umani. Un chimpanzè del capitano Pa-
pié, arrivando a bordo, stese sp< mancamente la
mano a certi marinai che gli piacquero, e la rii
ad altri. Gli antropomorfi accarezzano ed abbrac-
ciano gli esseri a loro cari; il gorilla vecchio pu
nisce i giovani schiaffeggiandoli. Le femmine dei
boni furono viste Lavare accuratamente i visi
dei tìgli nell'acqua del fiume. Quelle dei gorilla
-cacciano le mosche ronzanti intorno ai piccoli dor-
mienti. Una scimmia ilei Giardino zoologico di
Dresda, molto affezionati al direttore Schoepf, al-
cuni istanti prima di morire, gli circondò con le
braccia il collo, lo guardò a lungo, lo baciò tre
volte, gli stese la mano ancora una volta e spirò.
Gli esempi dei sacri, vi che L'amor materno fa com-
piere alle scimmie, come del resto a tutti gli ani-
mali, sono troppo noti. In certi volatili arriva al-
l'eroismo. Una cicogna, sorpresa coi suoi pica li
da un incendio, a Deltt. non riuscendo a metterli
in salvo, si Lisciò incenerire con essi. Come prova
della capacità di amicizia, si cita il caso di due
cingallegre, una delle quali, ferita, fu curata esem-
plarmente dalla compagna, ma in capo ad otto
giorni morì: pix"hi giorni dopo anche l'amica su-
perstite morì. Un canarino, vedendo i passeri vol-
teggiare intorno alla sua gabbia per raccogliere i
chicchi di grano che ne cadevano, si mise a strap-
pare delle bricciche dal pane che il padrone gli
dava, e attraverso le sbarre le diede col becco agli
affamati. Fra gli uccelli e gl'insetti, vi sono molte
specie dove è consuetudine servire premurosamen-
te 1 vecchi e curare gl'infermi. Il Blyth ha osser-
vato i corvi indiani nutrire i compagni ciechi. Una
formica storpiata fu curata durante cinque mesi
dalle compagne.
Si vede che tra gli animali c'è già Y umanità e la
pietà. Essi non hanno ietto Zaratusttà!
( '«inclusione.
La morale degli animali è, come la nostra, la
lotta contro la lotta per la vita: è l'ordinaménto
in società, la devozione alla causa comune. Le teo-
rie che presumono giustificare 1 egoismo con la bio
logia interpretano falsamente i fatti. Le idee di
divisione e di unione sono entrambe essenziali al-
la stessa idea d'esistenza concreta e finita : ma non
stanno allo stesso piano: è quella dell'unione la
legge superiore e finale. Legge fondamentale è la
simpatia e la sinergia.
Falsa ed astratta è l'idea della vita data dal
Nietzsche e dai suoi seguaci, quando ne hanno fat-
to una specie di autonomia e di sufficienza intima.
La vita è invece un'esistenza le cui partì e Fasi su
cessive -, ,, ,1 ;, 1 li -, Itantc nel e col tutto al
quale appartengono. Fisiologicamente, essa è una
serie di movimenti solidali, riducibili a loro volta
a delle cellule solidali. L'idea di associazione
insita; e siccon gni armonia .li esseri associati,
I>er poco che sia «lisciente e volontaria, divieni
moralità, così si deve concludere che le nozioni di
vita, ili società, di morali racchiudono un'intima
identità.
(Da un articolo di Alfredo Fouillée nella Revues des deu 1
Mondes).
Arti e mestieri nel regno delle bestie
t'iii
i
i mu ri. una dh
n
di un ordine mei
:tv in quel regni ili negU ! ' ■ ••■ ■
ii.' la materia prima, alti : '
l'ut il rasforman
• li. tutti allineando parallele le
urtarsi, a nza imp
-: rana la\
si li la i
zìi ne delle abitazioni '. I ■ davanti a
un cantiere in piena attività: qua è un
n eh porta i
.li un
. umili •chiai i e ben si
pi sa in ' ipera. t ìià una
pam- dell'edificio si innalza: è un'arcli
i ria con una
i /iana: SOno
tetti a terrazzi
lite. Ma dov'è il murati n Eccolo. 1-.'
un muratore alato con un elegante cor-
iridesci nti : è l'eumène.
( 'he i itimi' lavorati. n ! Gì rda
prende un po' d
Ita sulle strade bruciate dal sole e la
saliva, quindi I a, la tritura e
Formicai sospesi agli alberi al Madagasc ak.
sui antenne per ottenerne un cump
Il ni iteriate è allora pronti
Tri'. MIMI d'insetti.
DALLE RIVISTE
["operaio all'opera. Sorgono dapprima le fondamen-
ta: soni fi ndamenta minuscole, di forma circolare,
con tre millimetri di spessore, costrutte in una
.specie di cemento che indurisce assai facilmente al-
l'aria, come il cemento minano e che resiste tenace-
mente agli agenti atmosferici.
L'animaletti vola allora verso il suo mucchietto
di pietre che sono minuscoli grani di quarzo dalle
faccette scintillanti, raccolti con una selezione scru
sa. Così una prima pietra scende sulle fonda-
menta, poi una seconda, poi una terza.... è il pri-
mo strato. Allora versa una seconda superficie di
cementi e quindi un nuovo strato di pietrine e I i
microscopica costruzione s'alza lenta e gentile. L'ar-
chitetto andare sdegna i legami eie chiavi di vòlta
e arrotonda le su. -uni lette semplicemente in ce-
mento, sicuro che esse non crolleranno, benché sen-
za architravi e senza -poutrelles.
Ed ora che la casa è pronta non resta che d'ab
bellirla: e l'operaio non manca neppure a questo
ultimo toc i dell'opera sua: esso stende così sulle
pareti di ciascuna cellula, che a lui serviranno
da camera, un sottilissimo strato uniforme di ci
mento.
E finalmente l'opera è compiuta: alta due cen-
timetri, larga altrettanto, la costruzione lillipuzia
na è l'orgi Lilio del suo costruttore che sta contem-
plandola i ;za e a Idisfazione, mentre colle
antenne e colle zampine sta lisciandosi il corpo p< r
scuotere la polvere del lavoro rendendolo pulito e
lucente.
L'architettura in pietra conviene in certi climi.
945
in certi altri è preferibile il legno e allora il mu-
ratore cede il posto al falegname. Anche questo
Nido aereo di una formica della Gujana.
La Lettura.
Un insetto che fabbrica il nido di cartone.
mestiere è conosciuto nel regno degli
animali e vi si trovano operai per ab-
battere e trasformare il legname. E sic-
come questo rude lavoro esige forza,
non sono deboli insetti, cui esso viene
di solito affidato, ma bestie armate di
denti e di becco. Tale è l'amblyornis,
uccello della Nuova Guinea, che si fab-
brica delle casette di circa mezzo me-
tro d'altezza. Questo uccello sceglie un
piccolo spiazzo nel cui mezzo si innal-
zi un tronco liscio e pulito: e attorno
a questo pilastro centrale pianta dei
rami e delle bacchettine, facendone ap-
are un'estremità al tronco stesso:
allora non gli resta più che di tappez-
zare e consolidare l'esterno della pic-
cola casa mi un po' di fango ben bat-
tuto. Ma all'industrioso abitatore non
d' ve neppure mancare il conforto del-
la bellezza, il profumo dei ti,,ri. 1 .
<!' > ' li ri -.-il ecco che dinanzi all'uscio
della capanna esso smuove la terra e
su un .-erto tratto \ i getta 1 vini più
vari in modo chele piantine, crescendo
come un piccolo parco lillipuziano, dan-
no 1 aspetto di un tappeto vario-
pinti 1.
Ma v'ha di meglio. Il viaggiatore che
negli Stati Uniti, nella regione del Mis
souri, costeggia la riva del mare, veda
60
LA LETTI RA
Una costrizioni', piramidali-; di termiti
d'un tran. irgli innanzi un
villaggio in legn im
in Forma di cupi li
rano alla I
v/.i: alcune sono piantale in mez-
i sulla 1 na e di-
nanzi belle
terra bai uta ! - nza dubbio
malche villaggio indiano: ma ecco che
da una pi rta esce tranquillami nte \ut
animale 'li media dal peli
li
indio dei n diti i i, dag]
il proprietario in
;io di Pelli Ri sse
e un vili.. h ini
-■ ben lega
Immirabile a m ■ architi tto, il ca-
iiù ammirabile ci me in
i Iraulioo. 1 ostruire ra
pidamente >1< Ile dighe sui fiumi pi
fi rmari di gli stagni
lille cui i più tar-
ili la a 'li la-
piani prestabiliti
nte. I materiali ni
un mai all'ingegnere » no gli
stessi delle Foreste, Rodendi Furiosamente la b
..-vi, alberi, >li cui alcuni misurano persino ,^o
-,. in .lì diami ne -astori finisi farli
, rollare e, riunendi i li no sforzi, a farli roti
i si o minciano allora a piantare
d'acqua dei pali da une a du •
a il lineandoli gli uni pressi gli
tri. Quindi li aliai vimini il
ne turano i buchi ci n pietr fanj La diga
, ,-, n'avere uni s] quattro
metri alla ' tri alla somm
Ma piii che tutti è meraviglioso l'ordine del la
i ri rode e al
liberi (e loro bastano talvolta tre -
per i li tern no), altri puliscono
i tr.nchi. ne Staccano i rami, e altri ci.nlìccan
palafitte ni Ila melma del fiume fero m
Questo lavoro arriva a risultali che sembrano
Mirre dighe 'li
una lunghezza considerevole. Agli Stati Uniti su
un fiume esiste una diga ili divisa in due
ni, una ili 35 nutrì, l'altra 'li ijo. Si
nosci pure un'altra 'li ^oo. divisa essa pure in
.lue parti e per le quali hanno dovuto muovere e
traspi 11 ire 1500 metri cubi di ti
Quando l'albero comincia ad inchinarsi per
1 ni siri 1 perai si arrestano, pi i ricominciano
Un insetto i-ai kg
DALLE RIVISTE
il lavoro con circospezione sino al momento della
caduta: allora essi fuggono nello stagno i vii
stano nasi' sii per poco nel timi re che il fracassi
d I crollo dell'alberi faccia accorrere qualcuno.
Particolare u toso: i saggi ingegneri rodono
gli alberi dalla parte i li l fiume in modi da farli
vi rsi l'acqua.
Passia ni ad altri animali.
Costrutta la casa, non rista più che i maria, ab-
bellirla, provvederla 'li tutti gli utensili necessari:
e di qui nascono altri imp rtanti mestieri. Guar-
date un po': un animale sta applicandi le sue
serrature di sicur ,-za alle p n I i p rte, affatto
ide, s no in terra battuta e legata con un in-
io ili fili : le e rnien s< ni fatti con un intrec-
ci fili elastici di seta e la serratura è raj
di piccolissimi bastoncini di-
5] sii in cerchii .
I peraio. che i un ragno che vive nel M. zzi li
della Franila, prende la sua porta che misura un
centimetro ili diametri e va a fissarla all'entrata
della sua galleria rcolare, posta a fior di terra,
Ila quale abita. Esso adatta alle pareti le sui
cerniere di fili ili seta e quanto alla serratura ne
us, in questo mi do. Quandi un nemici si
za, chiuderà rapidamente la porticina, appog-
gerà le sue /ani] line da una parte ai piccoli basi
;: nlati nel terreno, dall'altra alla porta ■
sì in una posizione solidissima e impedirà
a chiunque di aprire.
Continuiamo la nostra o rsa nel regno del lavi n
animale con una visita ad un tappezziere. Instai
lato nel mezzo ili una sala dai muri ruvidi e neri,
devi dei orarla, fissarvi i o li ri delle tinte ar-
moniosi ■ drappeggiarla abilm nte. La sua scelta
si orma su una bella stoffa serica, d'un color ri ssi
lutulente: esso ha dinanzi i pezzi tagliati nelle
nsioni volute, ne prende uno. lo stende sul
muro, li t'issa ai bordi, quindi li liscia con cura
, i donargli tutta la sua lucentezza. Questo ani-
maletto è una specie di scarafaggio che raccoglie
tali dei dori per ornare le pareti della casetta
• li ess si i i struisi ni 1 terricci, molle dei canini.
Entriamo (maini nti nella bottega d'un vasaio.
e fall ricanfe in i gni genere e ha un assi ru-
mente ahi ondante di tutti gli articoli che Tignar-
la sua specialità. Ecco ìua ■ là vasi di torma
diversa, alcuni allungati, ahri con un ventre enl i
slanciati, svasati, sferici, ovali... ve n'ha di
tutte le dimensioni, piccoli m di e grandi: i più
idi però non s passai un ni cciuolo 'li cilie-
gia. La qualità è garantita perchè l'argilla impie-
fine - l'ima. All'interno i vasi sono rivestiti
di una vernice resistente e brillante. Del resto, in-
die voi potete assistere al processi di questa fai
bricazione. perchè il vasaii lai ora sotti i vi
1 coli arrivare quas si tto il
di una massa d'argilla. Tosti si mette a pi
pararla: la manipola, la tritura, la batte colle sue
zampe: a grandi colpi comincia a darle una fi
nolanamente rotonda: le sue zampine leggere,
agili, si dibattono con frenesia d ecco poco a poci
sotto di esse disegnarsi le grandi linee del vasi ,
947
Coll'arte di un vasaio greco, l'operaio modella il
ventre, liscia la strozzatura de! collo, svasa l'aper-
tura. Un ultimi colpo d'ccchii sull'i pera, un'ulti-
ma correzione e quindi l'artefice distilla una goccia
di vernice che copre l'interni e lo rende impermea-
( lift
'''egP
Pili
I 1
mml't
Aruusto coperto di r.ozzou.
bile, perchè più tardi le ui va che esso vi lep rrà
siano scure.
Ma utto ciò non basta ancia: bisogna abit-
arsi secondo la moda. Andiami al magazzino
di confezioni i novi i i sso è in pieni -, I . su una
f iglia d'oli
Si tti il cielo azzurro, sopra la fi glia tri mol mte
al mormorio del vento, là si taf li mi li sb ffe, si
pi g ino, si i e, isi i ni . >i mi Iella» si p ngi no
com gli ultimi figurini parigini all'ammira/ ne
uni. Chi dirige la sartoria? k un bacoli-
no, il baco dell'i In i Essi naso i I li e end, .
e la necessità lo spii lavori d ecco con
esso di rasfoi marsi in un san, .
L'anima1' tt. . eh sa li disillusi* ni del fa * .
ni ii vuoli i iche, Iussui u : essi si : iten
ia di sii " solidi i i stenti, quali > : nite
dalli foglie stess • dell alberi • ', si pun d; 11; ,,
sartorii n ri /, . riè altri vi
che impaccia.no e imprigionano, ma ampi mantelli
■ da i ri
[1 m eri ita i a al ìlm riti un brani di
foglia: coi dentini impercettibili dà la forma
voluta: è il davanti. Manca la parie posteriore, ma
anche qui sta non tarda a omparin Ci a ri
vigliosa : i dui i soni perfi i te uguali !
Non manca che di cucirli e il nostro operai,, con
LA LETTURA
un o '' dia pra della l «
in filo impercettibile col piale riunisce i
i. mia abilità che diffidi-
poi un buco. 1 1 risultato 'li
diluirò di forma irregolare
'
-\a \«' :.-'m(à
^^WiìK!
fi
Un nido di ragno sospeso a un ramo di pino
animaletto imb | con un soffice strato
ili materia serica.
Ma passiamo rapidamente in rassegna altre in-
sistenti pn ssi gli mimali,
voi che esiste un insetto i he fabbrica la
e il cartone? E' il Chalet i s del
Mess o i he i nfi zi' na i sui i nidi in cartone bian-
n ssimo.
Così voi ignorerete probabilmente che Carmen e
le sue compagne di Siviglia hanno un rivale nella
in sti sa r. ii lare le fi *■
ingegnoso; comincia ccll'in-
re un lun la lunghezza ! Ila
foglia; l'umore della fi ;lia svapora per la ferita
i a n tolarsi : il risultato è una
ito mi l'i ma il coleottero
non lo fuma : vi d
barche? E' il
arco-di-cielo che abita i mari della Cina. Ess n
struisce dei piccoli galleggianti intrecciando I
ghe ■• vi depi
\ un i ■ ! ' ['a '. iiitc. un
ai qu ■ s una camp ma ■
i qua.
I ' mali non sanno organiz-
si ci iltiva I Mutamento della ] ■
ITO leniva della terra. elisissimo ;
Chi ha ra umida di questa galleria
miih i questi min 'iiu n i di sementi? Noi sia-
li un formicaio, nei sotterranei della I
Saiili,i del Brasile. Questi eserciti di formiche in-
vadono le piantagioni di caffè, salgono sulle ]
ne staiiano le toglie, l'i i, tenendone un
forti mandibole, riprendono la via una dietro l'al-
tra. Viste da li ntai i lie, rm «veri
mbrano un em
pente che si snodi sulla terra. Giunte al I
depongono il carico e altri operai l'afferrano
n asticano e lo I terriccio, s 'minan
poi i "Iti.
Ma noi non abbiamo ancora l'unto culle lormi-
\ ■ ino alla • i in nta il nido della
formica pagomyrmex, si stende uno spazio abba-
stanza vasto che ha l'aspetto d'un eani))o lavi
minato. Si vede allora questa minuscola colti-
vatrice attendere al lavoro di aratura e di sarchia-
tura e poi quando il suoli è ben sortire un
istante, poi ritornare curva sotto il peso di sementi
più grosse 'l'i | colo corpo: è il seme d'una
graminacea di cui essa è assai ghiotta. Passato il
tempo necessario, la piantina comincia ad innal-
verso il sole il piccoli stelo e la spiga comin-
i biancheggian n - della foresta.
La maturità è prossima. Allora le finniche accor-
rono in massa, s'arrampicano sullo stelo, ne stac-
cano colle robuste mandili'. le le spighe mentre al-
tre rimaste a terra le raccolgo™ I -Umano in
covoni. Ma i covoni rappresentano un pesi
derevole: e allora ecco un '-erto numero di I-m
trici attaccarsi contemporaneamente al carico e tra-
cimarlo dipo sforzi enormi al formicaio; qui il
grano e pulito della pula e riposto nei magazzini.
Come si spiegano questi prodigi del lavoro ani-
male ?
Sono problemi dinanzi ai quali l'intelligenza u-
mana si arresta sbalordita, ammirando una mente
superiore e divina che ha segnato ad ogni anima-
letto la sua missione nel gran dramma della
(Dalle Lectures pout lous).
Quanto eosta un eueehìaio di legno
La fabbricazione dei cucchiai di legno è una det
I occupazioni (piasi esclusive della piccola indu-
stria domestica nella Russia europea Ma
bricanti sono ferocemente sfruttati dagli interme-
diari, che si frappong' in fra il produttore e il
stimatore. Un operaio abile, lavorando si
può fare centoventi cucchiai al giorno, guadagnan-
di circa un franco e m zzo. La verniciatura e la
dtcorazione di fatta poi da fanciulle.
che sono costrette al lavoro dalle quattro del matti-
< i della sera Queste piccoli
franchi alla settimana. Vessuna me-
lia quindi che a quattordici anni siano ormai
sfibrate dal lavoro brutale. I cucchiai vengom
lanciali il rcio a milioni. Ognuno di
pochi centesimi, ma essi soni) I
iti la vita '■ la gioventù a tante piccole i
ture
I cani poliziotti
All'epoca dell'ultima Esposizione ili Parigi ven-
nero istituiti nella capitale francese gli agenti flon-
rs, agenti il cui compito poco divertente consi-
ste nel perlustrare di continuo le rive di quel tratto
della Senna che scorre nell'interno della città, per
salvare coloro che volontariamente cui involontaria
niente aiutassero a finire nelle acque del fiume. Fu
il signor Lépine, prefetto di polizia, spirito inge
gni so ed innovatore, che penso di creare quel ser-
vizio di salvataggio, utilizzando quegli agenti che
prima servivano a proteggere le mercanzie fluviali
dai ladri. Così ebbe origine la brigata degli agenti
■flongeurs.
Versi) la line dell'anno scorso un agente di nome
vigazione, alla cui autorità sono sottoposti gli a-
s-plongeurs ed i loro quadrupedi compagni, ha
i suoi uffici sul Quai de la Toumelle, nei cui sous-
sols è stabilita la stazione della polizia fluviali.
La stazione, poco comoda ed attraente, non presen-
ta tali attrattive da distogliere gli agenti dal coni
piere il loro dovere ispezionando le rive del
fiume.
Attualmente gli agenti della brigata sono venti.
1 cani, in principio, erano due soli. Successiva-
iii' nte se ne comperarono altri. L'articolista ammi-
ra molto 1? trovata del signor Lépine. I giornali
parigini sono meno entusiasti, ma il servizio dei
Terranova, ad onor del vero, va migliorando. L'ad-
La l'OLIZlA UMANA E CANINA.
Bailly perse la vita in un tentativo di salvare un
uomo; e questo tragico incidenti- ispirò al Lépine
i di errare un nuovo corpo: il corpo dei cani
igeurs. Stesi i documenti necessari per la co-
stituzione del nuovo corpo poliziesco, se ne affido
l'organizzazione al signor Mouquin, vice-direttore
'iella polizia municipale. Per cominciare, furono
comperati due cani Terranova al prezzo di milk-
lire l'uno: essi ricevettero il nome di Ture e Cesar,
e furono investiti della loro uniforme, consistente
in un collare di nikel recante l'iscrizione: T'n
tura di polizia, brigata fluviale. Essendo cani di
una certa importanza, si stimò giusto trattarli co-
me tali, e li si provvide di un... domicilio conve-
niente e di due bellissime scodelle per gli alimenti.
ognuna recante inciso il nome del proprietario.
11 signor Guillemin. ispettore generale della na-
i libramento ò eerto tatto in minio sistematico e
razionale: gli in\cnts- flange un vi hanno messo tut-
to l'impegno. L'esperienza ha dimostrato che i due
cani non possono essere addestrati insieme, bisc*
una attendere a ciascuno separatamente.
Poco dopo l'acquisto dei due cani si ordinò la
fabbricaziora di un puppattolo che dovesse servire
per le esercitazioni di salvataggio. Il mannequin
tu presto preparato, e. nonostante il suo orribile
volto di stoffa dipinta, su una testa di sughero, e
nonostante il suo aspetto generalmente floscio, .ivi
va una lontana somiglianza con una creatura uma-
na, quando una guardia lo portò in riva al fiume,
tenendoli sotto braccio come se fosse stato un
in ino vero, |ier ingannare Ture e Cesar.
Entrambi gli animali spiegarono tutto l'impegno
di buoni impiegati per far vedere ai loro superiori
i.A LETTURA
lon Cesai Guillemin fea Fare pei l'articolista inglese una
mentri il manti, prova generale dei operati dai cani.
Il cari I rvì per la prova xa un ren
terra, ma alli ra gii i | dato alle cure del
nte I >ubois, uni dei più ;iliili della p li zia
fluviale. SulU tale è il ro m del an si
vedi un nostre fot i ■■'uhm vicino al
mannequin, anch'i sso - (luti s
In un'alt ra f i I animali si vede insii me e I
idi I Dubois, il quale ha
rato il sui sul ialti rm ad rbbedii
mprendendi I rdii . ■ :■ .
l'Ini' i nm di Ila mani .
Sultani re come si del il>a n ni]
[*ra di s nza iattanza, senza ostenta-
zìi ne. si nza rii rea dell'effetti teaJ rale, ma ci in la
massima semplicità. Dupo che il mannequin fu
nel tinnì , Sultano si slanciò nella ci rrente, e
ci n pi chi o Ipi 'li zampa rapidi, fi ni e sicui
fé '1 d licatezza ma con fermezza fra i denti
' a ." i .1 de! perio lante, e si avi icinò alla
SlXTANO E IL «MANNEQUIN».
avvenne una scena ra a. Ture, offeso di non
ìi. 31 . alla ]>r. iva, e 'li ni n
abilità, si
-ni mannequin indi li furiosanien-
irdi i seguire l'es impii del con
il mannequin fu ridotti in uno
om si ibili . I .a I in il cui
ivinsen i nu
liiando si fi sse sulla \ ia i li I
irebbe ri i gal i eh
qu i ren mannequin : ma il
i dia scena, non
divertì. Naturalmente quei
ra
ri
islinli ii'. n li sì il
1 'I quale
ii coli
- Mi uquin ed al signor
L'agente i
DALLE RIVISTE
i - il puppatti li . che, arrivati a
ita dell'agente, fu da lui tirato a terra.
Per ; «-ani si s< m stabi
speciali, come una specie di regolamenti . ci n
azioni e 1. -; strizic ni. Gli agenti
Sultano va al salvataggio.
'.versare mai con i loro sub
nati; le si li frasi permesse soni le seguenti:
— Ah f
— 'Derr,
— hi!
— A terre!
S rtce!
— Va chercher!
— Apporti!
— Couches!
— .-I
— ,4' la n>che!
— A! l'eau!
In questi toc-ari. v'è tutte quanti' .«'corre per
il buon andamenti «lei servizio.
Gli agenti non debbono mai percuotere gli ani-
mali, ni.- soni tuttavia provvisti di una bu
he - rve sia per incutere rispetti; ai li i
. sia per tenere lontani gli altri cani chi
-- i ntralciare il servizio. I.- istruzioni inoltre
sigliano, i
canini p la di lcezza e la persua-
i. ma pn il
nenti... alimentari.
Gli agmti plongeurs debl
pre presente alla mente che i loro cani sin
molto all'amministrazione della polizia e quindi
li mantenerli in buono sta'
Quindi nei giorni ili bassa tem] • r;
quando l'acqua della Senna è fredda più del
lito, non - I rcizì col manni
ulare i cani in acqua, salvo in caso ili stretl
uno 'lei cani viene man-
■ lai. in acqua, finita l'eseroitazi' re ri-
condotto subito alla stazione e bene as
Si no 'late pi i
9^1
ckiens
,liu. 1,.' persi ne. Potrebbe parere strano 'In- sia ne-
cessario prender simili disposizioni riguardo '-ani
iati a sahare la vita alla gente, ma
1 che il compito 'li
animaleschi n< n si ridi»* a il. rei
vare la vita 'li chi ann s i m-
prende anche il servizi' di perlustra-
.... 1 | I '
dei li n 1 rive
Si i.m.i nelle 1 n n ttume. Agli
pn ibiti .lineine di
re ,-he i loro cani attacchino"
le persone, anche quando sono so-
spette.
In questa funzii ni cons ti la parte
più spiacevole ilei servizi', deg]
urs, alla cui v r\. glianza - 1 1
affiliate centinaia <li migliaia ili lire,
. indubbiamente, il valore delle
scaricate dal] barch <■ deposi-
tate sulla riva 'Iella S mia. in attesa di
essere penate nei magazzini, ascende
sempre a cifre altissin . Qu 51 merci at-
traggono innumerevoli ladri, ili cui gli
agenti 1 Fend rie. Tra essi na-
sconi spes lotte disperi che, seb-
la polizia sia annata di revi Ivers, ni n sempre
finisci no col trionfo della giustizia. Spesso si sono
elle guardie uccise e |uasi mai si è po-
tuto sapere chi le avesse nei
Si spera che con l'assistenza ilei cani si rie» a
se nini ad impedire, per li a rendere | in
rare queste infrazioni della legge eh,- troppo spessi
finisci no tragicamente. E per quante si cerchi di
i'.n favorire gli istinti animaleschi ilei chiens-
plongeurs, v'è da credere eli. molte vi Ite 1 ssi ni n
eranno di segnalare i ladri abbaiando —
sen i'j • s 1 abbastanza utile — ma quando
avvenga lotta ed 1 loro padroni corrano perii
II. SALVA 1 AGGIO.
LA LETTURA
IL € mannequin» portato A Ri\ \.
ranno loro, nono
stante i regi lamenti, si c-
corso 'li tor/.i e 'li bui ni
n
La spesa per il mante
nimento dei chicns-plon-
geurs non per
. he i Ten n bue*
Jute godono ili un
appi titi i ti abile. Si
>l>; ndi ni i" i ciascuna
riti simi al gior-
iio. I pasti vei
viti caldi o fredd
condo il i l'in] io. Ora si
sta proi vedend ■ pei
struire, per uso dei ca-
ni, una grande casa an-
alla stazione
numi' .in!.- o n essa. Ogni
cane avrà il su
parti
una specie ili cucina con
M alderone, desti-
nato esclusivan
questi agenti 'li nuovo
genere,
(Da un articolo del signor K-
douard Charles, nel Wind-
sor Magatine).
fa? V
MB
I>OIO IL SALVATAGGIO.
In mezzo al ghiaccio
Il ghiaccio, che d'estate ci rinfresca deliziosamen-
te, ha prodotto una vera rivoluzione nel commen i
da quando è suiti, adoperato per conservare le so-
stanze alimentari soggette a corrompersi. A Lon-
dra, a Parigi, in tutto il continente europa.-, si può
mangiare, così, i! peso; preso nei mari del Nord:
in America, dove le distanze sono enormi e i calori
torridi, dalla sola costa dell'Atlantico si spedi- :o
ni, nell 'interno più di 50 mila tonnellate di pesce
isi rvato nel ghiaccia, con prezzi di trasporto
rdinariamente miti: 55 centesimi per ogni 100
chili 'grammi ; meno di quel che costa un pacco po-
stale.
Grazie anche al ghiaccio, arriva in Europa una
gran quantità di carne macellata nell'Argentina.
nella Nuova Zelanda, negli Stati Uniti, la quale
si vende a Londra a un prezzo che è la metà di
quello della carne inglese. Anche la frutta fresca.
mantenuta a una bassa temperatura, arriva in Eu-
ropa ci me se fosse appena colta.
\ si ih soppresse in tal modo le sole distanze,
ma anche le stagioni. Non c'è più bisogno di cul-
ture intensive ]>er ottenere primizie: basta serbare
col freddo le produzioni da un anno all'altro. Ogni
importante degli Stati Uniti ha luoghi di de-
posito costruiti in modo da mantenere costante-
mente la temperatura appropriata a ciascuna der-
: tutti insieme misurano più di mezzo milione
di metri cubi. Il pesce si fa dapprima gelare, e
quando è ridotto secco e duro come un pezzo di le-
gno, si ammassa nelle stanze dove regna un freddo
intenso. I legumi, invece, sono mantenuti a una
temperatura un poco superiore a o°. L'uva, parti-
niente quella di Malaga, e le mele, serbano
inalterati! il loro profuma Economicamente, la spe-
culazione è vantaggiosissima: a Chicago, nell'ot-
1 lei 1899, le mele si vendevano da 2 lire e 50
1 3 e 75 ogni 70 chilogrammi: otto mesi più tardi.
ate nei delusiti frigoriferi, valevano n lire
■ - Xella stessa Chicago, e nello stesso anno, si
immagazzinari mo 212 milioni di uova: la spedi-
ne non riuscì, perchè gl'incettatori non si re-
padroni dell'interri mercato.
Dove si pigliano, coma si ottengono i milioni di
tonnellate di ghiaccio ohe si consumano nel mon-
ili' Milioni di operai sono addetti a questa indu-
stria che dà luogo a scambi per milioni e milioni
di lire.
In Europa, il paese che produce più ghiaccio è
la Norvegia. Intorno al pittoresco fjord di Cri
Mania si sten. Inno numerosi laghi che danno un
eccellente prodotto. La raccolta si fa in gennaio e
febbraio, prima che il ghiaccio sia esposto al sole
primaverile, e dopo che è stata spazzata via, con
un lavoro lungo e penoso, I ell'inverno. Lo
strato del ghiaccio si taglia in blocchi, mediante
seghe mosse da cavalli. Il trasporto, quando il
lago non è distante dal mare, si fa automaticamen-
te, per forza di gravità, mediante impalcature a
piano inclinato, lungo le quali i candidi blocchi
si ivi 'lane rapidamente, con una velocità e un fra-
stuono di valanga. Le grandi spedizioni si tanno
in marzo, quando il tempo è ano ra fredda Xegli
anni buoni, dai porti della Norvegia meridionale
scono \2o mila tonnellate di ghiaccio ugni mese:
I ' più gran parte va in Inghilterra, il resto in
Francia e in Germania. Nel 1898. l'esportazione
norvegese sali a 6 milioni e mezzo.
Anche la Svizzera esporta il suo ghiaccio, ma in
minori quantità. Nelle Alpi del Delfinato si sono
creati, per la produzione del ghiaccio, degli stagni
alimentati da torrenti le cui acque si filtrano pas-
sando attraverso strati di sabbie. Uno di questi
laghi artificiali è situato al sommo del colle di
Lus-la-Croix-Haute, a ino metri sul mare, sulla
ferrovia da Grenoble a Gap; un altro sulle rive
de] Buech, altri ancora a Montmaur. La superficie
ti tale è di una ventina di ettari.
Curioso è lo spettacolo della raccolta. Quando
lo strato gelato ha lo spessore voluto (da 18 a 40
centimetri) si segnano sulla sua superficie una se-
rie di rettangoli mediante aratri dentati; quindi
delle squadre di operai segano il ghiaccio seguendo
le linee così tracciate e lo tagliano in pezzi rego-
lari, mentre altre squadre traggono a riva, mi
■liante lunghi uncini, i pezzi già pronti. E il ghiac-
1-I1 così preparato è poi messo a sua volta nelle
ghiacciaie, dove il freddo lo solidifica e quasi lo
ghiaccia una seconda volta.
Oltre questa produzione artificiale, c'è quella na-
turale data dalle abbaglianti frange nevose del
monte Bianco, della Jungfrau. del Pelvoux. Lì il
ghiaccio si estrae come la pietra o il marmo da una
cava.
E. per finire con una nota igienica: ohe cosa
vale il ghiaccio ottenuto dalli npur quando
adoperalo come bevanda? Troppi spesso il tifo
ne è la conseguenza. Ma recenti esperienze hanno
strato che la peggicre acqua del mondo pro-
duce un ghiaccio inoffensivo se non è gelata sino
a! fondo. Grazie al congelamento, si opera una
di epurazione, e tutte le impurità si coni
trailo nello strati più basso. Se questo si ghiaccia.
diventa un focolare di microbi. Quindi, se vi pre-
sentano un blocco di ghiaccii chiaro e lucido da
una parte e scuro e torbido dall'altra, diffidatene.
Non bevete mai il prodetto delle estremità del pez-
zo di ghiaccio d'una bottiglia d'acqua congelata:
c'è lì una cultura di microbi se l'acqua non è asso-
lutamente pura.
Verso il Polo
Il di ii San* n spii gò una
r»]
.il più prt-sti : |
ggiuntoi ness
\| ! -1
llora, il 'in «di .i\ r.'i lii
Pi ii nini au-
i .
quel
punto esl remo ni n
,'\> ri.
ver mi sso firn alla |ui
della ricen ai i Pi do. E do-
l i . \ .rr.'t il tempo d Ila ti-
nte scientifiche
nelle n gii ni I» reali, i ii
i he si tra
scurate per la « pi li mania ».
spedizi< i
punte
Ultimamente il vi
era intrapn
la di 0 S rdi up, quella
Pearj e quella ili
Baldwin.
I! i Sverdrup, im-
ban sulla ì vi hi - rvì
Man i. il Fram, è indubbia-
■ ■ ratoi Partito da Ci
avvicinato alla Groenlandia, ed ha
ito quella i lalla parte i vest.
Curia delle regioni artiche, con l'indicazione del cammino percorso ./a
Nansen al Duca degli Abruzzi e dei percorsi che si sono pi
lìald.t in e /lei nici .
Uno degli scopi principali chi Sverdrup •
eti 'i minare sinn a qual punì
( ,n mlandia si distenda al n< ni. Ecco il su., piano:
la nave più innanzi che ] lungo la i*o-
fi Fram, la nat'e di Yansen
• lolla verso il nord ■'• up.
DALLE RIVISTE <).">.>
sta groenlandese ; poi, quando la nave non possa successivo tra gli Eschimesi, mentre la nave toma-
proseguire, con cani e slitte, raggiungere l'estremo va in America .1 rifornirsi li viveri. \.li
limite della Groenlandia ; e di lì proseguire, possi l'anno seguente, la nave si ricongiunse alla s]
talmente, verso il Polo. A suo svantaggio per altro < :. romò indietn mesi sono, recandi m
sta il fatici eh;- egli doveva viaggiare contro corrente, chi Peary era arrivati già a 83' o' 50 . Ma anche la
contri la correnti ci ■ che portò la nave di \an- sua sp dizione, come tutte le altre, fallì allo scopo.
seri dalla Siberia allo Spitzbergen. Sverdrup, alla 11 mese si 1- nparso l'articolo
partenza, si era fornito di provviste per un viag- che riassumiamo, un t( legrarhma annunziava che il
di cinque anni, ed aveva preso con sé cento cani Peary èra tornati indietro felicemente, ma
per tirare le slitte. aver raggiunto il Polo. Di recente, l'esploratori
Di lui si ebbero notizie un anno dopo la americano era stato raggiunti in Groenlandia dalla
partenza dalla Norvegia, per mezzo della spe pri | uà moglie, che rimase con lui per un anno.
dizione Peary. Allora si seppe che le rose al *
principio gli erano andate male. Poi per tre anni
non si ebbero notizie di lui. Finalmente nel settem- !■ n altra spedizione fallita è la spedizii ne Bald-
brt di [uest'anno è giunta la notizia ohe la spedi- win-Ziegler. Il Baldvvin, u il Peary,
zione era completamente fallita pel cattivo stato t,a aPP 1 un milionario, il
dei ghiacci e per diverse avarie toccate alla il qual< gli aveva dai. mezzi per preparare il viag
nave. ■ n una organi ■ non si :<;
, ' mpio m Ila storia d Ile sp u poi uri. La
strada laldwin era la
stessa seguila dal Duca degli A-
bruzzi : egli, cii è, si proponeva di
recarsi sulla terra francese.' Giu-
sepp . e di li fare una punta verso
11 P< I' ■ Per qui Ila via il Duca
di gli Abruzzi riusci a battere il re-
cord ili Vms n. raggiungendo la
massi,),.! latitudine che si sia rag-
giunta sinora ; ma nel mondi
gli scienziati quel p rcorso è giù
■ sfavi e volmi nte. Li grandi
difficoltà sta nel tempo lim
h si ha pei fare il viaggio in
slitta dalla l rancesco Giù
seppe al Pule, infatti, non 1
'!' S fare il cammino che nella
primavi ra e nell'estate, non
si hanno in pratica più
di 150 giorni disponi-
li tenente Pearv, che ha
dato il suo nome ad un'altra
sedizione, è americano. Egli
lia seguito presso a poco la
stessa strada seguita da Sver-
drup, costeggiando la Gì. en-
landia dalla parte ovest Os-
sia dalla parte della baia di
Uafnn) a bordo del Wind
icard.' bella nave che portò
già la spedizii in- Jacksi n-
Hannswi nh. Anche Pear}
incontrò cattivi ghiaccio in
principio, ma egli aveva un
piano di campagna diverse
da quelli di Sverdrup. Spin-
ai più a nord che pi -tes
se. a traverso lo Smith Sund,
egli intendeva prendere terra
tra gli Eschimesi di una 1 1
situata presso Capi
York, arn ilare al suo servizio
un ceno numero di quegli E-
srhimesi, e e. n quegli metti.
fedeli e resistenti, pn cedere
nel viaggio, ponendo lungo il
cammino varie basi di rifor-
nitili nto sin ohe avesse trova-
no. 1 (all'ull imi di |" sii -
avreblie fatto la spedizione
versi i! l'.lo.
Nella prima parte de] si,.
viaggio, il Pearj
trovò il ghiaccii o sì avversi
che il ssan l'invi 1 n
a bordo del Windward, ma tu
anche tonni ntati da un fred-
do 1 rribili . tanti 1 che p< r
gelamento dovette farsi am-
ptuare sette dita. Nondimeno
minili il 1 1
mavera e 1 rasi 1 rse l'inverno
bili tia and ita e ri-
torno; e quindi,
per raggiunge
I GALLEGGIAN-
TI DELLA SPE-
IHZION I
Baldwin.
ti
LA LETTI' WA
n i
i
luartierì d'inverno
i .1 500 nn;_;li;i dal Polo. ' Ira fare un
isibile, ma certo è 'liti''
Il Baldwin p nito 'li viveri
1. <li .|oo cani •• <li pa-
...111 russi. Egli ave*
iuo" ■:- no si-
ta 'li mandare proprie ni
ni i \
|K>rtati> ri'ii sé una qua-
rantina li palloncini e buon
numero 'li ga si
< v)m->( i dettagli possi un'idea della |
parazii ine che aveva a\ uto la
spedizione. Disgraziatamente, parte |*-r il dis
cordo tra i capi della spedizione ( Baldwin e il 1
Lui" Johansson), parte per altre difncxiltà incontra-
te, lantr fatiche andarono perdute:
nemmeno Baldwin potè battere il tei
cord del 1 luca degli Abruzzi.
Tra le spedizioni in prò*
importantissima i |ui-l-
la del capitano Bemier. Lq
via che egli si propi
guire '■ la stessa '
da NTansen. Il grande
pitam 1 norvegese 'lini
e n la spedizione del Fram,
II. PALLONE l'I AniiKKB.
proponeva 'li utilizzarli in questo
modo: ' luto la-
ne qualchi a; rebbe
gonfiato nini dei palli. urini e l'a-
vrebbe fatto salire in aria, allo
spirar 'li un vento favorevi le, con
quattm ,. cinque galleggianti at-
taccati uno si ii" l'altro p r mezzo
ili una rurila. Il palli ni . dopo un
certo percorso, si sarebbe abbas-
sato sull'acqua 0 sul ghiaccio, in
seguit" alla inevitabile perdita <li
ij.| abbassandosi avrebbe fatto sì
ultn lei galleggianti venisse a
contatto della superficie dell'acqua o del
ghiaccio. Allora, |m r un congegno automati-
co, il galli 1 sanili"- dalla coi
n 1 11 >■ 1 un. ist. sul lui gì . mi ni ii- il pal-
li, per la perdita ili quel pes >, si sa
mente in alto ed avrebbe ri-
presa il suo '■ Continuando la fuga del
dopo una stanza, l'aereostati si sarebtx nuo
rebbe depi sitato un ali ro
galle) sì avrebbe continuato, sinché tutti
1 galleggianti deposti. Di questi palloni,
Baldwin ne aveva i*>rtati seco
iuta.
LE I " I 1". RAFIE
PI ES K dal-
l'alto.
DALLE RIVISTE
che attorno al Pol< non vi e man- aperto, ne un
mantelle' di ghiaccie saldi ed immol ile. ma una va-
stissima area di lastroni di ghiaccili trasportati al-
la deriva da una corrente che muove dalla o
siberiana verso la Groenlandia. Le profondità del
mare sono piene di un'acqua calda che viene dal-
l'Oceano Atlantico e che è raffreddata e congelata
alla superficie nella regione polare. I lastroni di
ghiaccio dalla parte della Siberia si avvicinano al
Pi lo e poi discendono a sud verso l'Atlantico. Na-
turalmente, il tragitto è lento; ma una nave che.
e lineila di Xansen. si lasci chiudere tra i ghia
pra !a Siberia, viene dai ghiacci stessi pori
molto a nord e coscia ricondotta verso la zona del
957
ceni volanti 0 per mezzo di piccoli palloni. Le ve
dute che si otterranno in questo modo, saranno
■ molto interessanti. La spedizione cercherà di
avvicinarsi con la nave al Polo quanto più sarà
l> ssibile e poi mentre una parte di essa resterà a
della nave, un'altra parte si dii on le
slitte verso il Polo. 11 capitano Bernier spera che
lave possa giungere ad una distanza di sole 100
1 150 miglia da] Polo. Gli esploratori si terranno
in costante comunicazione con la nave per 111
della telegrafia senza fili. Nell'avari
sceranno sul prcorso. alla distanza di un miglio
l'uno dall'altro, dei tubi conlenenti provviste ali-
in. che serviranno anche corra traccia per
p"
L\ NAVE TAGLIA-GHIACCIO ERMACK. IN CO L'AMMIRAGLIO MAKAROFF SI RECHERÀ AL POLO NORD.
mare libero dalla parte dell'Atlantico. Xansen ha
calcolato che dallo stretto di Behring. tra la Sibe-
ria e l'Alaska, alla Groenlandia, una nave in
gherebbe cinque anni. Non son pix-hi. ma il clima
artico fa bene alla salute. Lassù non vi soni- mi-
tri; si tratta soltanto di evitare lo scorbuto ed
i congelamenti, e di scegliere compagni allegri. Io
quei cinque anni, completando il viaggio della na-
ve ii>n spedizioni in slitta, si può far molto.
Appunto in base 1 queste idee di Xansen. l'i spi
rati >re canadese Bernier si propone di tentare
conquista del Polo. Egli ha già raccolto un fi
di mezzo milione, ma. a suo giudizio, gli 000 n
ranno altri 250.000 franchi. La spedizione sarà
organizzata con somma cura, e porterà apparecchi
Marconi.
Si otterranno anche fotografie panoramiche in-
nalzando le macchine fotografiche per mezzo di
non perdere la strada che dovrà ricondurre alla
cave.
Il capitano Bernier rimarrà a bordo sinché la
sua avanguardia nini alibi:: messi i min ad una di-
sianza di cinquanta miglia dal Pi ! : allora egli
ibarch 1 1, andrà al Polo, dmem eoa egli spera,
alzerà la sua bandiera e risolverà per sempi
grande questuine.
Perfettamente opposto al pi : Bernier è
il progetto del russo Makamff. Egli è un ammira-
gli della marina ruspa, amante della lotta, e so-
ne che bisogna conquistare il Polo lottandi
Invece di una nave costruita in modi ^tere
alla pressione del ghiaccili, egli ha costruiti una
nave destinata ad affrontare il ghiaccio stesso ta-
gliandolo. VErmack, cosi si chiama la nave, è
LA LETTURA
lei mondo ;
rompere in
manov
il. imli in
un lasi ghiac
; fi i i
Ila nave
spezzato. I / ■
i di ooo torn-
ita In
■ ampi ili
' i ■ • i
eie dell'ac-
qua. I
ì ssen
tilt un :
un miglio 'li 'li. n
ri 'ti la mas
: Ti
|, per -i di un ba tello
coro pita
da un Iti audaci i ■ ìgati i i.
i Norvegia an-
! i,
■ i Italia. ( >ra è stati ripn si
ila un tedesco, il signoi ^nschiitz-Kàmpfe, ili M
. il quali si ' si ruire espi si
un ba 3 irli I nte alla Società gè
■ i !, Fra molti rieri
ili Monai i chi li sp ssi re
hi ili ghiacci* sia di ventiquattro
' i nitri i spessore medio
p< .... si ii n sini 150 me-
struila in ini>- tri dalla superficie Potrà stai sommersi pei 1 -,
di ' re, nel qual tempo, pei rei cinquanta mi
grande velo glia. Siccomi banchi ili ghiaccio continui non si
stendi mi per |>iii ili tre miglia, nt 11
difficile salire -i ini ■ ■ | 1 1 preiv I
aria. Inoltre, |«-r mezzo tlel
- tnpre sapere quanilo I" si rati 1 'li
•Jn.ii ciò i sotl ile, ed ali
può praticar un' apertura fai endi 1 s
Coriir il ugnoi . I ns. Ini/; Ktitnfi/'e di
Monaco (ruteni di giungere .il
l'ulu con un battello sottoma-
rino . navigando follo il
ghiaccio, e. dove la
strato del gli
, dettole,
dolo sa
/><•> /Olii
dei .1
? 1,1.
la supi : gelata 1 0 \"el
■ tri- |ue ni mini. 1 1
dell'esploratore tedesco <■ di lar trasportare il
I arino sino allo Spitzbergen .1 bordo 'li un
nave pi 1 pn seguin da solo il viaggio. Per giun-
il Polo dallo Spi' 00 miglia
■ li percorrere.
Si riuscirà per questa strada a risi lvere Iti ■
quesl
(Da un articolo del Rovai Magazine, fase, ili setteml
V **.
I v SI UDIZIONE l'I AK-, .
La leggenda attribuisce a unti gli uomini illu-
.siri un'infanzia ili genio, (ili antichi avevano già
immaginato il situi" li di Ere le che strozza fra le
braccia «ii minati' due s, rpenti mandati con
di lui da una divinità gelosa. Ma i fatti danno
ragii n< .'I - imi i li ed alla leggerli
Plutarco narra che Cicerone, a scuola, fu ni
tati subito per la pi uà eloquenza e messo al
posti ii> i ii rome un console, dai compagni.
Fénelon predicava a quindici anni ; Bossuet dodi-
nne un sermoni all'Hotel Rambouillet, a
mezzanotte, e Voiture esclamò a questo proposito,
dendi all'età dell'oratore ed all'ora del sermo-
ne: '( \i n ho mai sentito predicare né tanto presti
■. 11 casi i di Mirai' au è più s; rai i
ii ii concii masse a I re anni. Egli
itituzione così erculea ili sua madre
In pei morire ne] metterlo al mondo; nacque an-
"ti parecchie anomalie: un piede storto, due
in lari piantati nella mascella, come Luigi
XIV. Si Mirabeau teneva disp rsi a tre anni. Mi ri
parlava latini prima ili balbettare il fran-
cese. E Pico della Mirandola? Oratore già celi
a io anni, a 18 conosceva non meno di ventidue
lingue ed aveva studiato in Italia, in Germania,
in Francia, la teologia, la storia, la grammatica,
la cabala. A Roma, nel 1480, a 23 anni, si dichia-
rò pronti, a sostenere qoo tesi su tutto ciò che si
può sapere, ed altro ancora!
Ma. in generale, i dotti precoci sono dei falsi
dotti, mostri di memoria, nei quali l'eccesso di que-
-1.1 faci Ita cori, le tutte le altre. I ssi ripeti no sul-
tani., ciò che gli altri hanno trovato; il loro cer-
velli è un magazzino, e la loro biblioteca ne sa al-
anti quanto essi. Del resto, l'eloquenza presup
iplina e il saper- dipende dallo stu-
ma la facoltà veramente geniale è quella poe-
tica: oratori si diventa, ma si nasce poeti. E gli
pi della prii 1 cita di i pi eti soni innumerevoli.
Dante e il Tassi cominciaroni a cantare a io
anni; Ovidio narra che fin dalla più tenera età
a la smania di versificare e ohe. quando il pa
or. minacciava di picchiarlo perche smettesse, le
le 0 n le quali il bambino prometteva di
più ricominciare si disponevano naturalmente nella
formi d'un verso. Ma resta ancora da sapere che
l'"s-1 valgoro queste poesie infantili. Victoi Hugo.
mi sublime, nana d'aver composto versi, da
ni!' • a diecine di quaderni, ma eh mesti
versi n..n rimavano e non stavano in piedi.
« l n poema, il Ditti 'io, annotato da un a
.finisce con questa ricapitolazione: 20 e
cattivi. ^2 buoni. 15 buonissimi, 5 passabili, 1
Cole. Io domandi a me stess. eh ■ sa poi raro es
""e le altre centinaia di versi che non eoo
ne cattivi, né buoni, né buonissimi, né passabili,
né deboli.... ».
Un p. sta fanciulli ni ri ì altn . in eoncli
ohe un fanciullo il quale sogna di divenir pi
Altrettanto .li. pittori e degli sculti ri 'I
lebre Callot, quantunque destinato allearmi, pas
mpo a disegnare 1 a 12 anni fug
< asa. sen ! . 1 venirs Italia. 1 '.li 1
ueddoti intorno all'infanzia 'li Cimabue e di Giotto
11 non c'è bisi gni > di ramn
VIichi ang li . a 10 anni, lavorò il marmo, che d'or-
dinarii non m tocca se non prima si .'■ maneggiata
la cera o la creta. Si dio 'In-, rivedendo, a 76 anni
uno iki suoi disegni ili fanciullo, egli ili' rma
averne saputo ili più nella pi ria 1 l ci 1 in-
11. ni. I. . ma qui . è si Itanto un esempii ili
quella indulgenza con la quale, ad una certa età.
gii ii. lumi 11 msiderani I.- l'in ■ pi ime poi' Se
li stesso Vasari, il genio di Michelangeli gii
vanetto si riduce all'ai': randissima, ma serri
pi".- semplice, del copiare, dell'imitare'. Così Rai
la. Ilo s'impadronì tanti I in 'Iella maniera del
Perugino, suo maestro, che non si riusciva a di-
stinguere la copia dall'originale. In letteratura, in
I' sia. nelle arti b Me. il gonio dei fanciulli m n
lar altro.
i Ile scienze' Qui, contrariamente a ciò eie
parrebbe, la precocità e più granile e più sincera.
L'idea astratta, l'astrazii ne matematica, non è una
cosa oscura; l'evidenza geometrica è anzi la più
chiara di tutte. 1 Sofia Germani, a 18 anni, mera
viglia il eolel ai Lagrange; e Pascal, a r.2 anni.
avendi saputo ohe la geometria e il modo ili lai
■ ielle ligure esatte, si mette a tracciare eoi catl
linee rette e curve, e trova .la sé tutta la sedei
ri Euclide: a quindici anni egli è ammesso nella
tà dei Descartes, dei Mers nne, 1 1 lai] [tali
e dalla Germania lo consulta™ intorni ai pro-
blemi difficili.
Dalle matematiche alla musica la distanza è bri
l;. in musica i prmlii;'; non soni l'eoi zione 51
anzi la regola.
Vi 1 lunque un'ini uizii ne del numi n un doi
stintivi .lei ritmo • dell'armonia, chi possono ri-
velarsi nella prinia ali . 'Ila vita. Ma. anche qui.
I lisi L'n.i e\ ii.-iu- ili confendere il genii o m la
plice abilità n 1 matica. 1 I
Inaiali, che sapi vi meri pei parecchi g i d
numeri di quindici 1 venti cifri e 1 risultati d'una
vi ut ina d'i perazii ni 1 seguite in una sed
incapace del minimi nto e non i ius
a risolven i più semplici pn ! ili mi E quanl d
\ irtuosi che 1 gni anno eso no dai 1 atori o
dipli uni .- 0 n premi n. n si sterilisci ni 1 ■
In .-. inclusione: non esiste un'opera importante
sia frutto del 1 un faro iullo. [1 pei
sien. dev'essere fecondati dall'i da]
serva/i. 'tu-, dallo stesso di li n
(Dalle Lectures pour loti
I \
p. Ilo, Palladi gravi, va stupendi,
■ Lpporto Fra li
lerale della civiltà, i costumi e i sentimi
..,. ,. |a i- rm i sotto la quale essa i • m
la divin
Le tril i Iella Costa '• A'
01 I osso d ippopi ta m .
un'unghia di belva, dei sassi bianchi, delle corna
d'antilope. I Lapponi hanno per idoli coma e zoc-
di renne scolpiti. ( >kè, l'u delli mi ntaj ro ni
|a ( , rappresentato da una pietra rotonda,
I ia, ... dea dell one, da una pallotti La
,1 indaco o da una zucca piena di piccole conchi-
- gione del Kilimangiaro si adorano de-
i ti in rima a bastoni confitti
.,1 sm I- . Un albero senza rami ed irto di punte
di ferro è l'idolo supremo degli australiani. Gli
\. ianti rispettano delle code 'li vacche fermate
a un manico ili cui io e delle creste di gallo chiuse
imiì. Il Gran Spirito dei Cafri è un
pieno d'acqua. Un flauto di legno è la firma
del dii w a Pokomo, nel Zanzibar.
\i ,i di peggio. Al Gabon un viaggia-
idde venerata una vecchia carcassa ili para-
finita laggiù chi sa come Con altrettanta
compunzione, gli indigeni dell'Oceania collo
li altari Le vecchie scatole di sardine o ili gam-
....
I numi concepiti col sentimento della paura dai
africani sono terribili. Essi hanno
ili sangue: vittime umane sono decapitate di-
n i-voli .statuì- 'li Legno, ili pietra
0 «l'argilla, eh lOSCOno da lontano al disgu
rappreso, d'olio 'li palma e
■ li grassi .
rabili ed infimi hanno idoli simili
a loro. In Vsia, nell'India, ci n una natura .
tanti-, le divinità sono enormi, come Siva dalle
braccia furiose. La lori set» di sangui- è pro-
porzionata alla loro statura colossale, e le vittime
debbono offrirsi ari essi spontaneamente. 1 Mili-
tari del sacrifizio, che non mainano mai, trovano
li uncini infissi ài muri del tempio, dove si fan-
no app ndi re, e delle ghigliottin auti rial u hi di
ve il paziente, premendo si pra un pedule, si taglia
,1 collo da se. Vi sono poi i '-arri divini ili Jagger-
nanth. enormi ma li legno duro, scolpito a fi-
gure terribili, - ito li quali i fedi li si lasi
SI hi I
\ poco a poco l'uomo concepisce divinità mi-
gliori, più benigne, che ama e non teme. Gli stessi
Negri adorano il dio della lucei prati
dell'arcobaleno: grami'- e liei
, he appoggia la coda sulla terra -
nel] Ocean La miti ■!- ndinava ha il elio
Thor ihe castiga e fulmina i demoni malfattori.
Tra gli Indù, il dii l li I inte, Ganesa personifica
la bontà e la saggezza, e il toro Mandi la forza be-
nefica e feconda, rome in Egitto il Iute Api. Ma
l'idolo ehi- più interameiii, siinlmli-ggia la dolcezza
eia clemenza è Budda 11 buddismo proclama la
legge di universale bontà, vieta che si sparga il
sangue anche nei sacrifici i he si spezzi la
liana in fiore: l'opera del Creatore non
ferita neppure nella sua pn luzione umil 11
Budda più famoso ,- più giganteso • lineilo ili Ka-
macuras, nel Giappone: l'antica capitale, i ggi mez-
zo rovinata, ha serbato intatto il suo colosso: la
statua del dio, rappresentato con li
date, nell'attitudine della meditazii ne. è alta venti
mitri' Vi si entra dentro e vi si trova un santuario
pieno di altri idoli: vi som delle capitile nei
fianchi, nei gomiti-, cime spina dorsale ha una
scala per la quale si ascende alle ca| p Ile rielle
spalle; un di< veglia entro la testa e il naso è una
nicchia di santa LTn altre Budda celebre al Giap-
pone e quelli di \ss.iksa. il cui tempie . pii
delle scarpe lasciate cime offerta votiva dai |
grini. Stranissimo è il modo di esprimere la pre-
ghiera a questo Budda. 11 credente la scrive sopra
un [H-zzii di carta, che mastica in modo da fame
una pallottola molle e appiccicaticela : |xù la tira,
quanto più destramente è possil)ile. contro la sta-
tua. Se la pali m la vi n !
gnu. Invano, per salvare il nume da questi pn
tili. i sacerdoti lo hanno messi, in gabbia i circon-
dato 'Li una fitta rete: i devoti hanno trovato il
niodo di scaraventargli le loro pallottole;
GIUSEPPE GIACOSA, Direttore.
Milano, 1902. — Tip. del Corriere della Sera.
Galluzzi Giovanni, gerente responsabile.
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{Con/nutazione, vedi numero precedente).
\i , stavano le cose, si mo-
n lui, in n i miss
Durante
Roma . venne
, ifato pei Qs ire le
nomo
i due i mi o. Ci
1 vavamo
distanza da Venezia. Nmi appena ol
piti dell impro\ \
istra ip na Pa
iecie di letai > ■ volgeva
e tornasse ad essei e ijui Ha di
Rideva i on mia plie e con
Ldn . •■ tratl m ai iava a punzec
mi
rimi n Ini irò vecchii a]
ijnentino ni piazza Bai bei ini. Da i tem
nire del ai stro soggiorno, il
i matamenti ritornar! in h
ghilti 1 1 il e beni he \ enezia non si rova sulla
pose ili pass in di là n cambia
l'aria avey a
era il ta, e
quell espn ssi li iste e prei i aveva a
— Godiamo era che ci ri
mane da termali i ma ci dissi mia
stra pai lenza, domat-
ire
alzamm luna
dori \ \ ■ ; :
mpagnare I po> eri tali ai q
ci lesi u o m ai ato,
i
-
e e solenne i ai
parer mio, cri do ai a si trovi i eguale al mondo
p tiiaro di luna in i alla rifli
i-, p 5. Ma [uesta i e doli e
, uno spe idimenticabile,
ne il Coli sseo sorpassa tutti
i spettai in lunga I ' atro
rand
rtirand
:
parlò di quei ci mi che ai
ii martii : leste mura immense, in
. |<
Difinfnf» ' lirellam i - e di
id . .
mmo i li'' Glenbarth
{.fiutate
le Soprascarpe
che si rompono subito]
U I ! i::i usyi secchio cruenti
Soprascarpe di Gomma
MAGAZZINI HERMANN
UHI.NO • TORINO
Im r ti
on ii"i . quandi
er uscire essi
i ni ambi
silenzi solita,
il mia moglie arguì
ii"\f\
ra ili
lO I-m li nli
e ed il dei ano si i
irai Ili
lavo pi r da
mandargliene la ragione, quandi i con grande
solennità, mi di
— Caro Dick, congratulatevi meco VIiss l'revor
consenti 'li diventar uni mi
Rimasi talmi nte In lì | n seppi
chi i i dirgli,
Mi alloi a. I il ! • nito
tortata* Davvei i . che vedendo\ i
i he essa a\
— Ben lonti dall essere den uni
inni" i olla ste - ulennità -in I io più te-
delia terra ' ( ni i he luitn «• deciso, che
ihi.-i, la cosa mi i ■ he
in isi non la ] sso credei Dick, come sono a
,ii a-. erla pei mi ig
— Avete ben ragione con entusiasmo —
E voi
— Non mi merito tanto — disse umilmente. —
i è ti ppo buona, troppo superiore a me
— Io pure dicevo le precise parole nelle vi
condizioni, aspettate fra cinque anni e me ne sa
dire qualche
— Andate al diavolo! Peri he d
— Perchè i osi \ anno li cose del in
mio. Basta, ne Farete voi Kd
■ i ii p i d andai e a leti lenii eh
un bici hierino di whisky.
Neain he p mi disse ci 1 1 ore. —
E voi 'i edi ii ch'io i i lei w isk> iu
mili Dopo i mi ili e-
' -un matto !
— Fate comi parti mia, io non ho di
li sci iip.iii Sol ' - liato da tanto lenipo '
\.-l frattempo miss l'revor aveva fatto le
confidenze con mia glie Quella sera non mi iu
i ..<ii addor ita tanl i era
, osi contenta e felli e, chi non cessava dal parlar-
mene
— i avevi empre (leti p io che quei dn
per l'altro! i he duchessa idi
Egli può ben dirsi to iati I i he ne dici?
— Dico semplicemente
e per lui I n d'una simile felii
i'..\ 'i .' raga
I.'ind furo I una
n i ■ Il lui. .n decano nmiifiu la
■ olazione tranquillamente. della Inni
chi lava pei pp r da li a p
mi intenta arai e il thè. faceva n a
Iratt' - .li ini'i iivaziuni» ai due limai ati
Intanto m peli - <\ ' ^il la. i lineilo che .ivi.
detto di ' Ionia la cola
Il I .Imi. arili i il
, ano i in --.i in finali airii
il povero dui ? ' Qu nulo più lai
lp in v iso. mi strinse calorosamente la ma
lidi Chi il il. .'ini li Iu plil lllli
ili questo ì nlo. e he io sii venivo sulii
do ' apii che lutti bellissimo
..ir lo ii ' un- ni; nio paterno. I dui
ni ippi ' intuirono del \ tempo .In i
manev a. prima i lenza del inno, p
re H - mperare un ani
in brill mti per i ire il Lno tidaii/am
. i impagliato da un hi dei 'ti'1 i
i he .i\-i.-liliii .1 fatte invulin h qual -
Vollero pure i esalai ne uno a in n moglie, di
etrusco di molto gusto
— -~ ri coi< in
Attente MADRI!
L'uso del Caffè Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini : il Caffè Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
Non è necessario dì abolire completamente l'uso del Caffè Coloniale;
bisogna correggere le sue qualità nocive; i! miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà o di un terzo il Caflè
Malto Kneipp. Il Caffè Malto Kneipp ba gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tutti i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffé senza togliere le sue qualità nocive.
Se vi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate di
fare continuamente uso del Caffè Malto ; chiedetelo a tutti i droghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
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materiale onde riesce molto diuretica ed è non solo salutare, ma curativa per molte
malattie croniche e specialmente delle vie urinarie.
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Il
ADDIO, NllM il. a!.
■ i menti
\i
i uomini ' I" . he
in i ■ ■ 1 1 1
\ lino, • disse i
S
... anni, avrò
i i partana uscii di ■ a i.
agemino a \ enezia Bei
un buonissiri ii . pui e di vo
. non fui punto spiacente d esservi
li due innai ali che si guarda
hi, bisbigliandosi d
-, sci coli stani ai mi \\ e
Vii ., i i\ \ u ìicn pi nte
quando notai che
itta Improvvisamente tacitui
■ ■ ;i mia moglie i tu a^ iva un pò di mal
ii,! ii bbe durato a
lungo. Giunti alla stazione prendemmo una barca
. i mpa i ii, a nostro albergo. Il
igli scalini d'approdo dan
i ise Cestosamente e
• ava ili fare dei complimenti a mia moglie
i ile aveva una speciali simpatia Quando
i ti tutti nei loro rispetti
: da parte Gai ighetli e gli domandai
e di don Mulini. s.
— s re, mi rispose.
_ Mi ,iu i vostro amico, ma
io n l inuare a tenerli Vostra
non saprà ch'egli muco tutta la
fortuna, e che non gli rimase più 'li che saldare i
— Non lo sapevi e me ne duole assai.
_ \ M;i se la
i desiderasse ili si redo che mi sareh
ssibile 'ii poterla informare.
— v • ne ringrazio . cjomand tvc ci si
ariosità.
Augurandogli il buon giorno, ini avviai su per
do a guanto mi avevano detto.
Non mi sorprendeva punto ch'egli fosse caduto in
rovii i, ma non m'immaginavo rlie La catastrofe
iwenuta ito. Intanto mi rallegra-
i l'idea che molto probabilmente egli non
ri a 'i più dato delle no
Nel dopopranzo andammo, secondo la nostra
abitudine, a passare nuora al caffè Florian. Il
rrei iavano su e giù i
piazza, mentre noi li seguivamo coll'occhio, lieti
il, Ha i. Più dì una col decano,
-i del mio amico : egli 1 1 i
■ . la sua ambizione ili pa
dre non poteva essere più soddisfatta Mentri
vamo in piaz dai più vi l'atti rno
ili vederi ma invano Ma se fui
\ì mio arrivo ila Roma mi
una 'inai
di Lettere, a due delle
quali d rispondere
mina per
cui ilis^i ai miei i
gni di ritornare a casa col
sarei an-
dato all'ir
i . andai in
irlo dei Barcaioli a pren-
dermi men
| - Un \ i den-
■ -i che un
. guardandomi.
I o Assai ben I I
don Martinos,
. ambiato i ne mi ci volle
un moli., ni" pi in
riconi I :.. ,[,, n
ni, iiaii ultima volta che i ave\ • \ i
«•-lì si era i Idotto il' Ila mi tà la i dì
mortale, i su il i echi bi ili i una
ch'io ni ii avevo mai vi- Credetti, per il
I i ivesse bevuti vuta
sua espressi! ne. Fui li li per non
ricordandomi la sua inori' in
la mattina del mainai., duello, ma la pietà ebbe
prawento, i lo salutai Euli non mi
liuto, mi guardò fisso ,• „. mj aVi
i volte, ma non si ricordasse più del mio
li i . iii.iiii.ii per ni me.
P '' li i mi supplicò ili seguii lo e di
allontanarci per non essere udito dal barcaiolo
— Non un riesce di trovan il vostro n e. —
mi iii>-.\ afferrandomi pel braccio - ma so bei
sinio ' \ isto Non posso più ricoi dai mi
di nulla ora. perchè peri he
Q i taci e -i mise una mano sulla fronte > ome
dolesse. Tentai d ma
Inutilmente Egli mi fissava scuotendo la testa,
parlando un momento italiano, un momento in
spagnu ilo, frammisto a un pi i d'infili -• i
immaginare una più pietosa condizione! in-
fine, credendo che questa il anda lo risi
gli chiesi :
— Scniite. è un pezzo tbe non vedete più il d
i effetto prodotto fu istantaneo. D'un balzo fuj-'K'ì
ie .olili se fosse stato colpito e si appoggiò al
mino d'una casa li d'accanto tremando comi una
a Quale cambiamento per un non .-i si-
curo .li sé, direi quasi aggressivo! Ora, più che
non un iioi,\ ,, spiegare la cosa Egli . ra
l'ultima persona al mondo ili ' ni avrei potuto im-
maginare una simile trasformazione
— Non diteglielo! per rarità non diteglielo!
mettetemelo. — mi sussurro in — Egli
mi punirebbe, se lo sapesse, e.... e
Qui si mise a piagnucolare rome un bambino
.In teme <li venir castigato Era uno spettai
mi altro che piacevole e che destava una -i
di ripulsione. Sapendo le sue misere condizioni fl-
nanziarie, fui preso da compassione per lui e gli
li fargli un imprestito che egli mi avn
be poi restituito col tempo.
— No, no. — mi disse, con un lamini della -
antica vivacità, poi soggiunse a bassa voce: —
Egli i" saprebbe.
— Chi lo saprebbe 1 — domandai.
— il dottor Niki. la. — rispose. Poi app
di nuovo la sua mano sul braccio, ed avvicinando
la borra al mio orecchio, rome per aerei
in altro poteva udirlo, continuò: — Preteri-
rei morire di fame in mezzo ad una stralli, piut
tosto ib cadere nelle sue mani Guardatemi! — con-
dopi . una breve pausa. - i .nani. ne rome mi
dotto! Egli s'impi ssessò del mio corpo e della
mia anima, e non posso sfuggire al suo imi
la sua volontà è la mia; egli mi uccide oncia
i Tentai di sfuggirgli, ma mi fu imp — ibile.
Se fossi all'alti lità del mondo ed egli mi
chiamasse, sarei costretti di tornare a lui.— P
in cambi . come il pensier
pi se a sfidare Nikola, giurando e spergiurando
egli sarel.be In. che nulla al moni
e indotto a tornala da lui. l'n momeii
egli era di nuovo quel povero rimbambito
— Buon gii Bis
d . Non vi è tempo da perd.
mi aspetta.
Si i lite, ii. n mi a\ . me ira dove abii
— Non ve lo immaginate? — rispose r.^i qui
Abito in rio del Consiglio,
I .
Quale tu la mia mi ravie lia Don Martii
dato a vivere col dottor Nikola! Mi domandai
presi
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del Dottor GUIDO SCARPA, specialista
Direttore della Sezione « Malattie di Petto » nel Policlinico Generale di Torino.
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E V unico Istituto in Europa per la cura esclusiva e completa delle suddette malattie secondo
i più recenti progressi della terapia e la più rigorosa razionalità, cioè con a base la correzione
delle lesioni statica-dinamiche degli Apparati Respiratorio e Circolatorio prodotte dalla malattia
stessa. E ciò perchè non è attualmente più possibile esercire la specialità della terapia polmo-
nare e cardiaca quando non si possieda quanto è necessario a compensare quel tanto di alterata
funzionalità meccanica che, in grado ora più ora meno grave, esiste sempre in ogni malattia di questi
organi la cui base di funzione è precipuamente meccanica.
L'Istituto possiede quindi nelle sue 16 sale di cura impianti grandiosi, perfezionatissimi per
la Pneumoterapia completa e l'Elettroterapia di tutte queste malattie, cioè Bag?w d'aria com-
pressa semplice e medicata ad alta pressione. Apparati pneumatici automatici , Nebulizzazioni
medicate, Bneno idro-elettrico e Bagni di acido carbonico (per le malattie del cuore e dei vasi),
Correnti ed a 'a frequenza, Esocardio , ecc., ecc. Tura speciale locale eh ini lirica (metodo propri' >
della Usi pò tuonare, l'unica razionale ed efficace anche nei processi avanzati, sì che 2-3 mesi
di cure, ne: ca ì gravi, e 4-5 mesi in quelli gravissimi e ritenuti inguaribili, bastano a dare risultati
ottimi.
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• mi iolo \n.
don
I Ufi
i In-
mod
i he
'imi" un l'ili che
Iti i'. ei sai .1 i i 1 1 i.-t i
[appariva i
1 1 ricordo
ila Nikola, dei suoi unni giovanili,
avvenimenti, e, più ani
l inps, di-
i più di [uant
: .in i' \ .ni" il mio sospetto
urli anni
.in., da i o da dimi
ilh 0 m-iun 0, il li
i he a\i-\
detta qui il mio
lei
poco prima,
. e ome l' angeli
per 'in risolvetti ili ni o pensare più a lui
,- di ii"n rai parola - lei no tro in-
i inuiiic dire che Quest'ultima deliberazio
■ i ii -i dell i ri ima.
i nostri primi , i anzo a \ , dopo il no-
■ii he allegro n mal ili
■ h miss !" trudi in\ ei i di il nuh
la a inettei si in let-
i tutti eravam
i ., i
entiva un tanl ino me jlio; ma
, in ma notte
rribilj ogni e quando rai svi
i, osavo più ili chiuder gli occhi, ■ - d
i mia mi
_ \ 1 1 1 1
i ■ i endomi le sue p u ole
entran
i fece una cosi terribile im-
■ ne.
i , ih stare poco
Uida, colli ! li Asso ben lontani ■ dal
elice da quando
R a.
— Ohi r bbìano a s Ieri
i i. mentre '-■■■• mia
' persua-
lii.i molto meglio a i ve-
qui a Venezii n avremmo più
Mai m Dri
ed sarei pei
erribili
■ i era inutile ti pensan-
iH'awenire Mi do ire 1 Idea che
0 'Il
i don privo a Vei
I'. ilunn
i Minili" tutti il
(issi li perdere un cosi
prezic i
\ enne stabilito
"Hill ni In-
- ire i"
duca i trovarlo
ansioso
di pn ""i ii-
i . ii ■ tite la
-ii i i
ibbia
mia.
bei ■ •■ sia
erto tempo,
ESIGETE^
MAUCAi'':^
HERMANN^
MI LA NO -TORINO
ivento ] \i i
l'i., li" me I" si leggeva in viso
Cred un inni il izio-
• illumini- sia, li hi
mi fece ui ma impressione, tanto più
il" - ii ' "i pensiero dominante ili
ni Sognai dui que che era di
.."In in una stanza del suo
\ quanto pai e, in\ isibile,
i" i-i . ..,. jella mia
H/'i Egli -in'. il -"in...
i Lmenti chimici ' ili
-in. senz -
orna ombra di pietà, -una sul suo viso, ma
ii.i. presa nel vero senso della
parola 1 1 ida di- vi S pei fett'ime
endo quanto sto si co a
dare satta dell'impn provata • che
i . -in oscuro il i ni", imi
non posso far 'li più . la mia penna è ine ipai e di
descrivere un simile sguardo Dopo un momento
in mano, alzò la
>lto, per udire se -
in dei suoni dalla camera attigua. Dei passi in-
mattei mi si avvicinav in
doio . la i a -i iperse ■•'! una h i ibile
entrò nella stanza. Ind pito 'li ti
re ' Era don Martinos! Ma non i ra più lui ! Il
• la statura foi i lavano lontanar
te, m; ii era più lo stesso indi\ iduo ' \ eduto
Nikuin. andò .i lui vai i stramaz
. ippandosi ili" ginocchia e gettandi un
mito, simile a quello ili un anni
-..in i
— Alzate; i, ■ d munii. Nikola, ai cen
' in tondo alla
stanza
V vi andò i ob
bedisse ad una [or: i il e,
scopertogli il petto, prese da irin-
ghetta, la riempì del liquido contenuto in uno dei
' i , 1 1 ii i . u i i il i glie!' iniettò II
venne testo prese da violentissimi brividi, seguiti
i iluli contorcimenti nel < iso Imi nen-
ie s'irrigidì come se fosse morto, il dottor Nik"!a
l'orolog \ i guardò attentamente l'o-
ra. Il mio s< chiaro, distinto, eh
i il tic ta
P issarono alcuni minuti, finalmente don Mai
tinos aprì gli occhi Non ra più umano ;
ri a un animai. • ' Dalla
ni orribili, simili all'urlo arni" del lupo e quando
Nikola -1 intii li mm versi, si pose a canini
re a quatl ro gambe ci ime u i »opo un
digrignando i d uar-
. , i ii minai eia, ci mi -■■ da un mo-
mento all'altro volesse si su ili lui. Nik..la
da ma re nella
-i inula mi — un" . egli \ i -i avvi ntò ad
dosso e lo. d a Famata
la schiuma;
iman dimostravano ch'esli
■/il.. \n ola, li pi ili ii". ritornò alla sua
tavola '■ -i pose a
i imi ri,. i 'la. che
e non posso chiamar-
; nome 'li uoi he »ta\ h in un ansolo del-
la carnei a si alzò in nò a lui.
di avvisare \
lo minai i ia\ a ; in un halen -li lui e
in afferrò pel ""II", un n un pici "1" l
il liquido in
un momento dopo il povei ite giaee\
insando pei neutre Niki
sciugava i usciva a sinistra del
collo i' questo punti mi -\ .■- liai. e mi trovai
duto sul ; dante di sud'
I eci un orribile i Ila . L'ina
ili li, .' ISi (li Slipi i --all' ■
li "ni" mal '1 aver i ato un simile
vento
— Povei v lutto — ■
PIPA MAGICIENNE
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oondialmente
nsupe-
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E LA SCOPERTA DEL DOTTOR VERVIER
In Francia molto sì discorre della
reconte scoperta fat ta dal dottor
Vervìer, il qxiale con uno speciale
processo noto a lui solo, è riuscito
;id estrarre dalle foglie della Ga-
lega Officinali» un prodotto rigoro-
samente scientifico a cui ha dato
il nome di Galtghina, e che coni- ,
■ n altre preziose erbe to-
niche, corroboranti ha non solo
virtù di sviluppare e ricosti-
tuire il seno, ma anche di dare
rotondità e grazia alle forme mulie-
i - mi pillole, questa Gaie-
ghìna oltre sviluppare il seno, col-
mare i vuoti e far scomparire le
n e ossee, rinvigorisce e for-
tificn l'intero organismo; applicata
in forma di lozione agisce sulla
parte coi medesimi effetti, ed i giornali riferiscono che sia nell'uno
cono' nell'altro caso, furono visti dopo circa Un naso ì più !
sfacenti risultati. Quindi, le signore e le signorine possono con
piena fiducia ricorrere alla Galeghina del dottor Vervìer, che agisce
a meraviglia anche sui temperamenti e le costituzioni più di |
e non deve essere confusa con altre specialità delle quali si tiene
segreta la composizione.
In Italia, il premiato Laboratorio Chimico Farmaceutico per i
preparati del dottor Vervìer, Milano, via Passarella, 10, spedisce,
secondo la richiesta, od un llacone di Pillole, od un .lucono di
Lozione, con relativa istruzione, verso rimessa anticipata di L. 5.50.
Aggiungere !.. 0.80 per affrancazione e spedizione di no o più
flaconi nel modo più discreto in cassetta suggellata.
Pio la Lozione indicare se si desidera quella st molante per lo
sviluppo, o quella astringente pur la ricostituzione. In mancanza
di indicazione si spedirà quella di doppia azioue, stimolante e
astringente.
a
]«acchìHa pER scrivere
WILLIA
55
Unica macchina
di 1° ordine, a scrittura visibile
e senza nastro
Maneggio facile - Tastiera Universale
I pregi della macchina
< WILL6AIMS N. 4 -
l'hanno fatta preferire
anche a quelle
già ritenute le migliori
Kc>
Chiedere Cataloghi, lista clienti
e macchine in prova
agli Agenti jjeneniiì
ed esoiitsivi per l'Itfiiif»
IflCj. G. PO|S^HE IvTOLiljfe C. - filano « Via Dante, 7.
[V
ADDIO, NIKOLa!..
on fu
chi
i
•I.IV a
mi n iblli sospetti, i hi
itamenie pei suadermi i
i pura immaginazii
i d i e mi posi a
; do di rladdomentai mi e di
i n
Mi riappai
imagine di i mnicchiato a
1 1 prilli^ app irire dell alba i I una
[ilei
\ intò il ih.
riunenti MI ii^ aon di se pa-
[HO l'in lanini i
V'ei era G \ enne da me col-
demoi ih/
proprii ■ he d mi disse
- i di star bene e di esseri <
ia apparenza dice tutt'altro. E' molto se
mi le uscire una p di bi ca Se non
in- mi ama, comincerei a immaginarmi
i della parola datami.
- Quanto i questo potete vivere tranquillo, — ri-
!- i capii e i h'essa
è Ini i ih voi. Sapete i tie vi dico? Io ci edo
■ miglior cosa da (arsi, è di lasciare al
più presto Venezia; in quest ido eviteremo l'oc
di incontrarci col dottor Nikola che fu
i .h tante aoie per noi.
Perfettamente, — rispose con aria convinta.
n. 'ili. . , .ni. ss ire che per quanto li i
in pi odigate a i leltrude, pure non
mi auguro .li ne di mai più \ ederlu in vi-
ta mia.
\ pranzo, s odo l'intesa avuta, misi h discorso
no ro i ' in., ni Inghilterra Mia moglie e
nani: aci olsero .iin.-ri.ira con sim era soddi
sfaz .- . miss Trevor, al contrario, i ne mostrò
il menomo entusiasmo Ciò mi stupì a.— ai. non
i ; peri in' fosse impazienti -
al pari di noi, di ni. .mare in pai i ia, Non tardai
aperne La rag ione
ebbi i ... ■. asione di rimanere quali he
• solo con lei. Dapprincipio parlammo ili
mille cose indifferenti; però dal suo ii si ca-
piva li. va dirmi qualche cosa, ma che
non trovava modo di entrare sull'argomento. Fi-
nalmente >i alzò, ami., a prendersi una sedia e
sedersi aci •
— Sir Richard potete Ianni un grande favore?
— mi disse.
w ' ancora di .-aprii' di i he
- Ditemi, in che vi posso
sei vi
Vi p i ' n... ma ho l'intima cc<m tnz
per quanto issurda, ridii ola e supei a vi
a apparire, che se parto ora da \ ene ia mi
i succedere una quali he disgrazia Sic :ome
sono padrona di fare quello che voglio e di
i prego di trovar modo
di combii i
— Ma ■ hi \ olete mai
che \ ' succeda ? — le di
manda
Non lo so — n
So solo ' he di bbo trat-
H qui a a Non
potete fan i un'idea d
i pel pas
siatemi b
sir Richard, — mi disse
mi un.. uppli
. 1 1, \ ole e non si i
■I me, \ e ne
luro
\i
supporre u
- ri-
sposi Se propi lo deside-
ES'GETE
HH
ìMAIICA
HERMANN
MI LINO -TORINO
■ li rimanere qui ancora, nulla ih pi
alti Imeni i amm i olta.
i me, tutto . i" non i do> uti chi alla ve-
nazioni
— Ah I voi non utto rispose. Da
qualche tempo fai ciò del i . lu-
mi spaventa la sola idra di dovermi mettei
letto
Dopi 11 sogno della notte antei edente, capivo
. .; ianti la p isse ! Dopi
vermi detto questo, tacque pei
ma -i \ ..I. i i . he aveva ancoi a quali he . osa da
parlò
-ii Ri hard vorrei domandarvi una cosa della
mas E' una cosa che mi ■ ■ sai,
ma •. rete non è vi
— Farò del mio mi ie dubitate ri
-i Hi che -i tratta dunqu
Si tratta del mio fidanzamento rep 1 i ci
Vi tanto buono e onesto sia il dui
quale ini u la abbia il I Fra
bene so i he non i i de\ ono i ■ he non
si deve nascondere nulla . ora, io, pei non in-
'i lai lo. gli nasi ondo tani \i intendete
quello chi voglio dii e '
- in massima parte, - risposi — ma vorri
peri ' " prei isione. Miss i lelti ude, se non sbaj
voi a\ ete di i vo sognato del dottor Nikola ?
— si. — rispose di i n momento di esii i
Per .pian'., assurdo, i posso a mi no di -
sare sempre a lui ' Égli mi opprime la mente come
una cappa di piombo . eppui i sento . he crii do-
vrei essere rii onoscente per qu i per me,
quandi cullata Se non era lui, a i
t'ora i m si i al mondo
— Avete dato troppo peso a ciò, — tinuai. —
Ricordatevi che siamo nel dii ianno\ esimo si
e che non si danno più miracoli come il d
Nikola \ "i inhlit larvi i-redi i
— Ah, sir Riccardo, continuò - se sapeste
tutto, un compiangereste certo Ma nessuno I
pi a mal e non potrò ma i dirli i na sola cos
-uni a ed '■ > /'. pi .. oro .i.\ o stare a \ enezia, a\
a iji ni rtir a\\nr'i IJinililir '"sa ni.' In dna-
g ■ notte. E quando penso al duca, il
i. . -, inalila per la paura .h dargli un dolore
Feci il possibile per confortarla . le promisi ■ hi
ti pi ..pi n. desiderava di rimane) e ancora a \
zia avrei fatto in modo di combinare la .
sta mia proposta come i apii più tardi, era tut-
t'altro chi •- .■ giudiziosa Quando ebb
mi" di persuaderla, mi ringraziò affettuosami
del mio mirri--'' per lei. e con un lieve sospiro
che mi entrò nel cuore usci dalia stanza. Più tar-
di, quando mi trovai con mia moglie, le raccontai
il colloquio a\ ni. , la pi omessa fattale.
— Che significa tutto ■ io, Dii k — mi chiese una
moglie, mai dandomi con oi chi mi : ti. —
i li., cosa ha paura i hi le suci eda, -•■ lascia Vi
ni'/ia ■
— Ecco appunto quanto non mi riuscì di I
•In . .'. pi .i ai Ni ; -in.
lei lo sapesse E' un affare complica tutto
ciò, e ai .a ben lieto di non i va mici in mezzo
La miglloi cosa da farsi è di secondarla in tu
di ii n. i ii i - i ... i , i. j è possibile, e, venuto
il ini. ai momento, allontanarla di qui e portarla
a casa su
Mia moglie mi appi bilimmo .1 nostro
pia h ci ndi Ita
Verso sera presi una risoluzione Siccome il mio
i ini-.'i abile don Mai un.- si faceva
itoli rabile e il r do di quel si
mi pi i iorno e notte, capii che in n a
avuf he non mi fi ■ irai., dell
spetto, quindi decisi di
i ila//.. Revecce, nella
di i edere il dottoi Nikola e .li riuscire a -aprir
i lui.
— l'i .a — mi di :evo per tranquil
mi. — i min I -nidi, e fra don \i
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h aspettai mi
i \ ni quello
ie il suo padi oni era fuoi I,
i. i miìii . i -i ..■ molto a
I i SUO
iperte, Dal luogo dove
luto poti •■ ■ dall'altro lato del ca
i i .1 placid i
luto mangiando pa La star
parve, i npre i ■
lavano come al so
, | i, quella : i nostra ei a
i; apparecchi chimici, eà il
.;. i iccia dall'altra ]
ri tt o al tre vi i
trabocchetto, per cui non 9£ ne
re la presenza - ivo alla Ani
: i so il canale, Quando la porta in
.i stanza u ime i un uomo ri
[lardandomi fisso fisso Dio mio I mi
api icciai i desso al solo ricordo '
i i e yura ili ili i M ma così mutata an
quando l'avevo ine te in rii del Bar
ivo a riconoscerlo. S glia"» a al
la lai i ia di un animale e 'li un pazzo i usi in le
Dopo ai i mparve chiudendo
dopo ale meni i -
quii à ■ • ol rò nella stan
za ni al tala si avi icinò a me. I : per U
1 1 mi non ch'io ai e si pau
in- quel poveri disgraziato potess - tarmi del
male, ma un sentimento di ripulsione mi allonta-
nava da lui P ini piano, in punta di piedi, col
, labbra, i , mi mormorando qual
, he co: a in spagi li i he non riuscii o a capire,
Ululili II 111.
Zitto, zitto, imiti h vedete, non
i indicò colla mano tutto in tiro alla stanza
iuoi ere delle figure i na volta
ii inchini profondo, scostandosi a lato, come
a un personaggio di grande
i Peni voltatosi a ine. mi i hiese :
Lo ' Sapete chi è? No! I bbene ve
i i i nobilissimo ammiraglio Re-
propfii ario di questo palaz
p nzio per un momentino piluc
losi la punta delli dita guardandomi ih tari
u i la à n'occhio Improvvisameli
te si inii ii ii passo frettoloso nel id la porta
lar pass ■ a] liquor Nikola \i>
orto il miserabile che mi stai a v i
lardi non dissimile a quello
che gli avevo visto in sogno; tu un attimo, poi La
sua enne a m olla sua
esla in allora i he capii L'a - ai dii b del-
la mia visita Q peti i fossero n
pi uto tare? E, d'altra par-
te, come mai potevo sup-
porre che Nikola s'indu
cesse a pa li? Nel
Il 'III. I I!
i addi-
Mai
tremante come una
glia, se ne andava quatto
• uniti , un cane ba
stonato. In quel i lento
i m
la mia presenza .li
i... li letti lichei i
ravil i
della mia in •
i" dirò che pn i
i in-.
iva dall'i o di Nil i co-
te li' i i dunque veri
\i.n p li unirvi quante lieto
.li ii \ i-ii. i vi, cai nor Richard. mi dissi
knla sedendosi. Sapevo che eravate
qui a Veni
Ricordando lanze in mi in ero tro-
\ ato, cred nte i In fu quesi io dei ino-
liai azzanti della mia vita Sii ola mi
fissai a • un cei 1 1 occhi in cui si leggei a un -
so malizioso Homi il solilo, egli traeva vanta
ili Ila imi i per cui non imi ii ih
in. .la [are i he di lei un a lui . poi rii or-
dand la taccia di d [arti in s, un .h- -i che
non doi r\ , , ,'. -.olni il ninnarlo al il, 'Mi-
llo che l'aspettava, senza venirgli in aiuto \
\ enne sull ai : tento pi ima :n
E ei idi nte mi disse, ntre u
donico gli sfiorava le labbra. - che sin
i oll'intenzione ili tal mi una domanda n rlante.
Ebbene ditemi, di i he si tratta ?
\ queste pai ole mi alzai dalla mìa ndai
a lui, mettendogli una mano sulla
dandolo nes li occhi per pigliar coraggio,
— Sentite, Niki la noi due i i i nosi iamo da pa-
hi anni, entra \ edemmo delle cose sori
denti, con più o meri di soddisfazione .li i li
noi . II. lanl do .li no utili
uiei l'ini l'altro e su in cosi
diffli ile i "ini' in quesl ento.
— Mi spiace, ma non \ ogliate il
— replico Nikola
Sapevo benissimo che i lice\.> la verità, ma"
e io. mio che l'insistere sull'argomento avreb-
i ato la .
- Vi ricoi date la seri mi narra*
ria di quell'infelice che visse in questa casa e che
inori ii sola lontana, dopo essere stata tradita
da uno spagnuolo '
A queste pan lo egli si alzo lu-iiscameiite .lalla
sedia, ed andò alla fini tra Lo sentivo respirare
affannosamente; evidentemente egli era commosso.
— Che volete dire? mi domandò con tono bru-
sco, voltandosi a me.
— Ecco, vi dirò, lo venni da voi si
pere il dénouement di questa storia; ci venni per-
ii.' non potevi assolili intente più itiza
'l'Olir qualche cosa. Non potete immaginarvi
quanto questa storia mi abbia colpito i r. -< 1 . -t ,- voi
ch'il non abbia letto fra li righe i n mi sia
Immaginato ili che si trattasse? Voi me la narra-
si.' perchè, per un qualche vostro mezzo inscruta-
bile sapevate che don Martinos =j sarebbe pre-
sentati a me con una lettera d'introduzione del
M in \m-ii iiiii.'i Se ben ve late fui
in che ve lo i e notai tosto l'impressione
i he ne ricevi l • lardi mi nacque il s..sp.
Don Mai lini - et ■ pa i lo ri .1 aveva -
messi la grave imprudenza li confessar!
-no lungo soggiorno nel Chili, non
mai stato ad Equinata Poi. voi mi pn
olirlo a casa vi istra e qui esercitaste per la
ma volta la vostra Influenza su di lui,
— \l ro I lai i. i ..- disse Xihnla
dati i i"h"' lungi colle vi stri supposizioni e,
1 1 1 1 a 1 1 1 o l li i - 1 o , / i | rv i Noi -
l j ho . li, vi fatti più ■
l miei sospetti sono più forti dei fai
Voi d poni mollo d'incontrai i
. •■ cosi la vostra influenza su di lui ' i ebbi
no. 1 li I triacere al \
lisperatamenti
.1. nari gli ii-. i\ ano di mano come l'acqu
| |o
i n questo pure me ni
— Noi, precisamente, —risi
la sua calma e dalla viva attenzione . In
alle imi parole.
pò 1 i.l vostro piano ,||
per non fai \ ene un pi chino ri sponsabile r
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che I ' ira
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-In. ili voi 1"
D il duello che, Fortunatamente,
i ebbi
i ; I
ti, lo incontrai presso l'uf-
>.' primo in nto sten) hai [co-
ito; pareva un idiota;
ili riuscì i farsi intei
0 i .tizia mi
inde impressi! i Pei
Nikola, pei quanto i\.
il mondo, \ i di sciogli) i
i altra notte feci un tal sogno!
I edeti
asse appena.
i senza i urarmi del suo - lielo
li orribili par-
i i mi iscoltò, fisso, immobile, e,
unto il iil:*~-ui m • del racconto, mi
E una strana cosa daA vero, < isp se, ma
vale la pena ih dargli tanta importati
i natamente non si tratta che ili un sogno,
, ime \"i stesso ci
li ttor Nikol - i iu - non era mi -
i. per convim eri i iei mette-
domandarvi .unir a\ este [u< sta lunga
-ul collo "
sa muover palpebra, pò d
E se lo ammi Se vi dicessi che il
la verità ' Chi di erenza vi
Lo juardad uni a\ igliato. A dire il vero mi col-
li stupi\ i assai più il vedere i :he i miei
se avesse negata la
Rimasi qualchi minuto muti i estera fatto,
incapai e 'li proferir pan. in.
. via, — mi disse — rispondete alla
domanda, pi ii he i onfesso tutto I
— i ite che tutto questo fu fatto col pro-
i far entrare nella trappola quel misera
■ .li averlo nelle vostre mani, come da un
pi . getta
— - risi si fissandomi si mpre in viso —
Pai late, pai i i
Mi senth o dar di s'olti lo. ( he potevo io
• i , |...i. \ ..
Nikola si avvinili, un tal :
i la m ia\ ola, mi disse con una
i -i li ggeva la commoz i
i hard Hatteras, venendo da me que-
■ i parlarmi di questa faccenda, vi i date
uomo di cora ri ne
l.l.i mai fra ■:
avrebbe fat-
. i pei \ oi
ii in. i . he . ercate
orrere cosi fi
i
ito il imi cai
I UH
come
non si sarebbe fatto scru-
polo di rubai vi vosti
_'i ene fosse venuta
i idea Egli '■ senza pietà
1
di nulle vihi-
il
' della
in ladro, un
i
ESIGETE
MARCA
HERMANN
MILANO-TORINO
paese che giurò di governare con rettitudine In
un solitario camposanto ili un' isoleita lontana
lontana, ai nostri antipodi, riposa in una piccola
ti uilia una p..\ ei a ,|. ima mia madre. In qu
camera dove stiamo, essa fu tradita da suo pa
• 'l in questa stess i verrà vendicato il
tradimento, luna la vita ho aspettato questo
Siene che fu eosi lunga a venire! Ora è finali
lunto il II mio, ed il lai,, un decreto ■
o della vendetta.
— Ito l'impeto della passione la sua voce
mava, i suol lineamenti si erano irrigiditi ed i
suoi occhi brillavano come due carboni a.
Man mano ch'egli parlava, la mia pietà per • 1 < - 1 1
Martinos si mutava in un sentimento simile a quel-
lo .li Nikola
— No, ciò non i ssere, — ripeti .!>■
"ini'i l'orrore della cosn S
possibile i he ibb ate il coraggio ili trattai
sto modo un vostro simile.
— N..ii è un mio simile, né un simile vostro, —
mi risposi isprainente i om
bino che fosse nel torto Chiamereste voi
nome .li un vostro simile l'uomo che (ece fin
sotto gli occhi delle loro madri, quegli i ■•
giovanetti ili Equinata ? E' egli possibile i hi
nglii mo ilic ingannò e tradì la donna fi-
ni \ i.le per la prima volta in qui
h : condusse attraverso IO
donarla e mandai la alla tomba, p. issa . Ina-
marsi col nome di uonn .71 ovi un alti a pi o\ a
della sua crudi
Cosi dicendo si tolse il soprabito di velini,, i
rhe indossava, - rimboccò la manica della
micia e un fece vedere il braccio. Dalla spai
aito esso era i perti di vece] icatrici. di -
ni segni bianchi accoppiati, ciascuno della lun-
ghezza ih i
— Quei inno. — venivano
dir tri line suo, • on delle pinze arrovelli
quando ero ragazzetto. E mentre il i segui-
va i suoi ordini, egli rideva, insultando il i
dì mia madre. No! No! Questo non è un uomo,
egli e una belva che bisogna distruggere Mi ven-
ne detto che voi ed io, non ci dovremmo più vede- .
re che due sole volte. Speriamo che quesii in -
tri vi lascino una migliore idea 'li me v
molto lontano il giorno in cui dovrò lasciare il
mondo! Quando -ara giunta l'ora, mi ritirerò in
mi solitario monastero, in una catena ili monta
dell'Oriente, dove nessun inglese vi pose mai ,
.le fi nessuno mi vedrà più. Colà si compierà il uno
... e se a\ rò per, alo, siate pur persuasi
I il . \ ero il Castigo dalle mani di colui che -
lo Ed "i-i lasciatemi.
Km mi aiuti per la il dia ' I] fatto • ■ i he
li lasi ia senza aggiunger par. la
( iPi XIII
Qua ito d'aninn da p i-
lazzo Re\ ci dopo il mio pi ri re. ve lo las
immaginare Ero inconscio ih tutto. Questo
sapevo, che ero andato ila Nikola coll'intpuz
.li salvare un uomo che a buon diruto •
vitto odiare e che al l>u"ii momento, per viltà
nini", avevo abbandonato il camp più
grande umiliazione! Nikola aveva avuto una
di riguadagn u la
L'id trovarmi coi di dovei
la serata insieme di di nulle cose indif-
ferenti, mentre avevo tanto ln<..-' li soìitud
mi mettev ■ • spavento \ pochi passi dall i
m'imbattei in . mpagno .li scu
moglie, di ritorno dal su., viaggio di
ze feci loro Ite feste e li invitai a pran
mi. ai., dovendo imbarcarsi la si
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II cardinale Alberoni e la Ke-
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I. •: per !.. 3. -
La Repubblica di Venezia.
dalli- sin- origini alla sua ca-
• l'i'.ì .li Antonio Battistel-
la. .deg. voi. in-16° di pag.
r . . . !.. 2.—
Don Giovanni D'Austria. -
Si irici di Giovanni Bo-
glietti. eleg ■ 'l. ia-16° 'li
pag. 374, L. 1 per . I. 2 —
La caduta della dominazio-
ne francese nell'Atta Ita-
lia del l.arou,. v.,n Helfert.
: ' L. G. ' Insali
0 .'Ti. eleg. voi. ni-." .
pag 282, I. I per . !.. 2 —
Galati Domenico. - Gli uo-
mini del mio tempo.
ediz igrafie.
eleg. '. l 'i. in-l i .h pi \
!.. 3 per . . . . L. 1.75
Cosimo De' Medici Duca di
Firenze, saggi) di Luigi Al-
berto Ferrai, t-lei.'. voi. in-
l'i di p 334, !.. 4 per !.. 2 —
Ugo Bassi, bii grafìa con note
ed appendici di Didaco Fac-
chini, eleg. voi. in-16
23". 1 I.. 1.50
Le madaglie del terzo Ri-
sorgimento italiano, de-
scritte 'la Nicomede Bian-
chi anni 17 18-18 18, eleg
in-l6°dip.340, L4. per C 2 —
Le rappresaglie nei comuni
medievali <- specialmente
in Firenzi', saggio storico di
A. Del Vecchio ed E. Casa-
nova, eleg. v il. ii;-- .li pag.
118, I.. 10 per ...!,. 5.—
Marco Mìnghetti. — La Con-
venzione di settembre. •■-
leg. voi. in-8° di paa
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Nei Ministeri, bozzetti, pro-
li;! e scene della vita buro-
cratica, tratte dal ■• ■
Fausto, eleg voi. ni- i
n ir . !.. 1.50
Le arti belle ne1 vani tempi
della loro coltura, di Fran-
cesco Mazzotti. eleg. voi.
in- B" di pagine 230, i. ;;
per I 50
La vita e le opere di 0. 0-
razio Fiacco di Onorato
Occioni. elég voi. in-W5° di
.:-, L. -'.'■ i per L. I.
Il Teatro della Rivoluzione,
la vita .li Molière e altri
vi sci
sedi Guido Mazzoni
voi. in-160 di pa_- I I
per 1- 1.75
In Sardegna, leggende •• crc-
i
Giuseppe B. ir- pili.
'. I.. 3
per . . 1-- 1-50
Roma Antica ì
ne all'in ■ mi. li i ' ..'i dico .li VV.
Ihne. rad
Masi .' in u "
Ruggero Bonghi
voi in-16
pei L, -.75
Roma e Cartagine Le _
Puniche di Boswort 1 Smith
tra luzione di reresa Amiri
Mas :i una lettera di Rug-
gero Bonghi .eleg voi in-16
■ li p 3 i". !.. 1 "' ' per L. —.75
Vecchie e nuove Odi Tiberi-
ne di D Gnoli 2 Bleg.
in-16 . di compless. pag
L i per i 2 -
Travestimenti Carducciani,
svaghi ritmi :i di Giulio Pa-
dovani, eleg. voi. in-16. di
pag 150, !.. i ." per i, -.75
Voci della vita, versi 1. Gui-
do Mazzoni, eleg, voi. in-tii
ig i in. i. 2 per L. 1.25
Collezione Elzeviriana, i
voi. di circa 300 pag L. l
per L. -.50
Dodici racconti li Giuseppe
Costetti.
David Lazzaretti, li
SO, detto .1 san'., ; i suoi se;
guaci e la sua leggenda di
Giacomo Barzellotti.
Leggende di mare di Jack
la Bolina Vi': Ti" Vecchi
Confessioni di un autore
drammatico, di
con prefaz. di Giosuè Car-
ducci
La donne che uccidono e le
donne che votano, di Ales-
sandro Dumas figlio).
Bozxelli di teatro di Giu-
seppe Costetti.
Teatro e romanzo note e ri-
cerche di O. Cenacchi.
Feste e santuari, di
siciliani
I Pinzocchetti. scene iella Ri-
a incese, romanzo
di F. Petrucelli della Gat-
tina .' volumi) . . !.. I —
Ricordi d'arme, di Ni
Moglia
Nicola Misasi, racconti cala-
bresi n-16 di pag.
per . l. 1.25
Sacrifizio d'amore, ro-
manzo liei voi. in
. _■ 1. I 25
• Frate Angelico
■1
I. 2 123
» L'assedio di Amantea. : -
inai.'
di (.. 528. 1.. '■ per L 2 50
■ Cronache del brigantag-
gio liei \ol iii-
.1.125
■■ In Magna Sila, r.i
£ 22 i.
i.. -' per . . !.. l.—
■ Marito e sacerdote, ro-
manzo Bel voi
16 '. I.. 8 pei i. I
La tenebrosa, romanzo di
Giorgio Ohnet . con IO ili .
iu-4 ' di p. :"'■.'. I. 3 per I. I 50
La baraonda di Ge-
rolamo Rovetta. li
in-1 '. . e :• i ■. l. :; per i. I 50
Storia dei papi, la S
a Leone xill del cardinale
Hergenròthor. grosso voi.
ìii-i 'I; pag. 26 i con 258 ri-
p .1.. I.—
Sulle due rive, romanzo di
Bruno Soerani.-'l'-Lt. \. in-1 ì°
ig 172 i. ■.' per l. - 50
Il segretario immersale ita-
liano li.'llidl
a sop ... argomen-
Arturo Fornaci
in-lfi . a 104, !. 3 per I.. I 25
Romanzi storici e morali ili
Antonietta Klitsche de la
Grange, in-12 CI rea . p 203,
I le I. 1.20 per L. — 75
Isa o occhi di Zaffiro-
Bernardo da Sarriano o il ca-
-
Il Navicellaio del Tevere.
Gli ultimi giorni di Gerusa-
lemme.
Pomponio Leto. (Voi. doppio
L. 1.5 '
La Vastale.
Cignale il Minatore.
Le figlie dell'impiccato . ' An-
drea Vesalio.
Lo spettro di Framoriale.
'. . doppio l. i.".a .
Leone il muratore.
Un racconto del guardiano
del cimitero. V
L. 1."" .
Un episodio della vita di
Guido Reni.
Tribolata, voi dopp '
Ottavia
Le figlie di Pier delle vigne
o il cavalier del toro.
La vittoria, i della
ani.
Cesare o I' Ebrea
Due cuori.
La maledizione
Il denaro maledetto.
pi . I.
Dimo. siali.- romano dell' Im-
:i Traiano.
Il Declamatore, l'u r
La torre del corvo,
I
Il cavalier di Malta, rol.dop-
Bruna
Manuelle Nero
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VII
ALMo, NIKOLA '.
ar era a
presi una gondola e
Sai Mari Q
I l!;i
l di
sempi e al pai izzo I •
i quel ra no le più
l'ulto 11 n i rivoltava a que
i Nikola un seni Imento di a\
ono>
i i
mi sudi'i ti ' ddo dalla te
i he mi rimane,\ a a tare " i ei cai e di
di Ile a/i h Nll i peg
i re aii'ii'
indomj col dottor
ti ilo che avri
ih cedere le
litro pui Do] pei
i a
i miei propri e in-
la mattili ■ LI due!
, M miei i'"'. ii 'ii
fanciulli fucilati ad Eq ad i " Inoltre egli
.■il i ■■■ ' : Perchè
dove\ '
nini a, e dalli mani di Nikola : i ercavo
di convim iustezza dèi rag a
pi \ i riuscivo
. indo ni. in. .. i\ anti da sinisti a a
-iio. anche un tro
un quarl iei e di Ila i Ittà che non conosci \ o,
I Inai, i a grosse pil
i casi dall'aspel i bile.
Improvvisamente uri vecchio, svoltando l'angi
me mentre passava, lo guardai in
\ i>,, - ibi in lui quello stesso individuo che
con Nikola, nella piccola chiesetta,
m quella sei a memorabile i he ei <\ ami andati in
Ittà. Egli ri i \ isibilmente agii ato ed
i pei una qualche ragione che
ir .ii nr -i spiegare e che suppi in pie
nin \ l'imi ih . ■ ti a un ir
, ,;i- idei i" di si "un I" i)"\ e\ a
ni/i essere qu più di un di siderio, perchè
i apivo rlu dovevo i i in tirlo, vo
lai dietro . enti ammo
in una di qui i ' I mimi., lui., al sec I"
Q nini. i il vecchio si te , apri pian
. ed enl i o denti ... lo seguii, i na
iì . ii miei occhi.
( ii biliata tutta la mo
i in una i . zza >a\ ola e In un lei
luccio i ne vi sta> a coricato . un indh iduo,
ai canto a lui, tene\ a tra le
mani quel le sotti ci lell'ammalato
ikolal i apii che si era i della
una presenza, ma non pose attenzione a mi me
Mi a\ ete chiamato troppo tardi, mio povero
Aiton ' ■ en dosi al a ecchio che a\ e
■ ■ . può più salvarlo Quando giun-
si • 1 1 ■ i . .iì 'ente.
\ queste parole, il pò
- adde ai di del
scoppiò in lagi
\ p iii.'i
i : 1 1 . i man o
sulle spalle : in quel mo
mi ' rò
e pei
limali ■ [li di
se. — Fin danni- urini"
lapii . he non \ 'era più
l'-Mll ' I
p i tutta la ■'
i don
,1 , ii
I 0 il cui
Rifiutate
le Soprascarpe
che i! rompono subito 1»
Di (5 mi «npn lottino eruttiti
rascarpe di Gomma
Sop
MAGAZZINI HERMANN
MILANO • TORINO
unii - lava lo sul letto Iguor n.. i
.li questo intelii i , uè ne in-
diri mai i Ila ma il caso aveva M.luiu
ilo del carattere di NI-
i di una (cria importanza nelle annali
tanzi M.ni re stava parlandogli, si udì un
passo pesante al di fuori, ed un prete entro nella
stanza. Ci guardò ben i due. poi andò dal
— Addi., mio buon Viitouio disse Nikola. —
Noi li in., che .1 ora mn. in-
lo a voi.
Poi, dopo a\ . r detto -
al pi clr. un n un. sulla spalla e u i ninno
ir- irmi' Miiaml" fummo fuoi i, mi disse collo
so tono di voce con cui a\ e\ a pai lato al veccl
— i laro Hat tei .■•■- ei co un alti a lezioni
i.i tanto difficili da imparaj
Noi ci edo di avergli risposto Si endi mino in-
1 1 a.la. ci fennarumo un
mento SUUa porla di casa.
— Voi te Intendermi ■ seguito Ni]
ciò nonostante \i diro che questa scena a cui
■ assistito affi "i li In line Kssa non tard
molto a giungere Tutto hen considerato, n
.ii i impiangerlo.
l'in, senza aggiungere parola, si allontanò da
m. lasciandomi solo a fantasticare su quanto ini
i\ e\ a detti Rimasi i issort", in piedi.
qualche minuto, i ipresi la sirada fai
v'immaginate, un seni i\ u tutl altro eli
zione di trovarmi fra gente allegra come
ponevo di incontrare sui bastimento dove an-
davo a salutare il mio amico ma glielo avevo prò*
■ e i'"M pote\ .. mancare di paiola. I; -
la mi a va > Marco mi tei i condili i e al porlo il
. i ■ ancorata la na\ e Oliando I ebbi i
ed ebbi salilo la scala il appi odo. i pa
isciti allora dal pranzo . passeggiavano -
•_ ri iì dal ponie. La compagnia del n
quella di sua moglie, una simpatica bruna, i
.li vivacità, mi fece bene e quando uscii di la mi
sentivo comparativamente alle ro: ma i appe-
na mi trovai solo n gondola, nelle vie
e deserte della città, ui\ ripiombò la una uistez/.a,
Il presentimento di una disgrazia, che non riu
vo a scacciare, non mi .ia\ a requie.
Hi.Mii ni I . all'albergo trovai mia mogi
letto Glenbarth pine si era già ritirato nel sin. ap-
partamentino. Sin-, .un- non mi sentivo in disp
zi. 'in di dormire, risoh ett i .li andare ne - Ione
di lettura e di leggi i e firn hi \ enissi preso dal
senno Cosi fi preso un libro che mi ero Pom-
pei ato la mattina e che mi pai i i intere*
sante, mi sedetti comodamente su una poltroi
ini posi a leggere, Provavo molta dm
ci nli are li a attenzione . il mio pensici
va sempre al colloquio avuto con Nikola
scena pietosa in quella miserabile stanza. Sup-
pongo però di iddormentato, già. tu
più di nulla tino al momento In m
mi svegliai e mi trovai In piedi, attento ad
-.. leggero che udn I corridoio. Guardai all'i
rologio pei sapere l'ora
la zzanotte ' < hi potè
sto , in ii corridoii ap
parlciii'\ a a imi.' \prii pia
no pian., la porta. Alla
delia lampada
che stava accesa noia la
rie libi
una suri!
su ugni-;, rbr si dui e> '
di servizio
in fondo al corridoio,
Questa scala, comi
di poi .i i'- a in un altra
pai te dell albergo
ir .M ero ma i stato In vita
una mai seppi mal
i i ,
ciano i tre quarti
ESIGETE
IIIIlWIIIMllI
MARCA
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gue debole o guasto. Debolezza della vista, dell'udito e della vitalità in
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Soii ii
in
' I Bflrà
i b Iona Idea
labi i ttolosa i i
i ■ i quale ei avi
iiiil con
disinvoltura Evidentementi
pi ima \ olta che -•■ ne
i id si tiro dietro la poi ta Mi ero
momentino ad ssei vai la, ma appena fu
i. un affrettai di nuoi o, apersi la porta preci
ni. i i' il. i- un
i sll'ri' 111:111
hiuso da ambe le parti ila
■ ili: i'UMI llll.'l pll 1 :.i l'i.'
due n ut altre viuzze m 5 Ti
11 , ii andi ' lungo una ili queste :
si utvo a pochi passi di distanza Fra le lan-
ini'' dm : :: nostro ' - '-in
1 1 ri tamente questa fu una delle più w
ma Gì li evor. l'onesta in
■ Affila ili un dignitario della Chiesa, pri
: esseri eletto \ escovo usch a dall'albei
■ andò di qua e ili la. per vie
Questo era un un Icile a spiegai -1 ' (.man
.1" ebbe attraversato un piccoli ponte, essa svoltò
tra '."Ha a sinistra, camminò lungo il marcia-
■ 1 1 in. pai 1//" mezzo in rovina, ed en-
ti uno stretta Viotti ilo 1 sinistra, ftani beggiato
da altissime case
1 - - 1 nia ,ia , osi oscura che avevo qual-
diffìcoltà a seguirli Il'occhio, Essa si fermò.
11 1 . li ni un' no accorgessi mi trov U a due
1 ' lei neanche allora imi \,- di avvedersi ili
in,' Stava davanti a una piccola porta 1 in1 ten
I iva (li ai I ' un qualche sfni'Z" la imi la
persi rrevor discese due o tre scalini senza
ma esitazii ne naturalmente continuai a
di ■ benché non avessi la menoma idea
.li dove eravamo e cosa stessimo per tare Scesi
gli scalini, 11 trovammo in un nii 1 ileito
lastricato; un stupii come non udisse 1 nini passi
-ni lastrico ma evidentemente cosi ria. poiché si
e 1 Isoluta versci una poi la nel! augni
di di » e 'a av. 11. senza \ olgei -1 in
in questo momi nto rimpiansi il n avei
co una pistola o qualsiasi ultra arma Vlentre stava
re I ila. la .Inai lai sntt' voce |il
la ili aspettarmi, ma essa non fece atienzi un 1 he
sia sonnambula ? mi 1 hiesi Ma in
ieri imi specialmente questa 1 asa "
1 'l'i epassata la poi 1 ci lro\ anni 1 un
Ile imi grande del piccolo; imi punito capii il
mistero! Eravamo nel palazzo /■ ./ io l'a-
veva seguila mentri andava .1 trovai VÌA ■ Pei
quale ragione \ 1 nula', a essa Era questo um
soliti brutti in 1 di Sikola ' 1 ippure 1 suoi tei ribili
sogni l'aveva lolpitn al punto da renderla irre-
spi nsabile delle sue azioni ? Entrambi ipo-
tesi erano terribili Si fermò un momentino pn
il pozzo . poi -■ l'Ita svel e ci ndu-
cevi al primo piano dove \i era quell'orribile
stanza che essa pei 'inani" mi consta, non aveva
mai visto Che dovevo io fare? Entrare lietro lei
nella camera ed accusan Nih la ria trasci-
nata a sé ? 1 ippure aspettar fuori ceri andò .1
prire quello che si passava fra 'li loro? Abbraci
quest'ultimo partito, e quando essa fu 1
masi nel corrid aspettando eli eventi, attraver-
so la porta semi api ria. mi riusciva di >-eder Ni-
kola vicino alla tavola, intento a guarda n
getto che mi pareva un microsci -
M'apparire di mis? Trevor alzò pli occhi peti
■ 1" un grido di sorpresa \ questo prido il in
niiii'i si sollevò < in mi provava che la sua vi
non era stata im-vista.
— Miss Trevor, disse andandole incon'ro a sa-
lutarla. - Che vuol dire ciò ' dime mai siete venu-
ta qui ?
— Venni a voi, — disse con voce tremante —
perchè non avevo più pace Venni a voi pei implo-
rare la grazia di quel miserabile Ilnttur Nikola, ve
ni' supplico per pietà '
^=^?%^2^S=^
Anno -Il
Nvaa • I i
•La Lettura-
Novembre
RM5TA-AEN5ILE
DEL-(pRRlLRL-
»^DELLA-5ERA-
1902'
A POSTA ELETTRICA
Il concetto fondamentale.
tE il buon Mardocheo — quel rari, e buon
Mardocheo ohe ebbe il merito di sugge-
rire a Re Assuero l'uso delle lettere -
tornasse al mondo, e con lui ti massi n Luigi XI,
il primo organizzatore della posta, e Roland Hill.
l'inventore dei francobolli, tutti costai spalanche-
rebbero tanto d'occhi ed andrebbero in visibilii
dinanzi alle sorprendenti, meravigliose audacie
del prof | lell'ingi gn
Roberto Piscicelli-Taeggi.
L'egregio ingegnere, non a tono, tri va che — di
fronte ai meravigliosi progressi scientifici ed indu-
striali dei - ì rso la pi sta - 1 sercitata an-
1 : mezzi relativ an pi radi.
La mansioni' di raccogliere, classificare, dirigere le
corrisp indenze fino al di unii ilii 1 lei 1 li si natari
affidata in massima parte ad un p numeri s
che. per quanto abile e attivo, non p erta
mente competere ci m m
mo per dire semi ntell igi riti I o ncor-
si dei più sottili artifici mecc; li i più rapidi
mezzi .li trasporto, permettessero di ridurre al mi-
nimo l'opera manuali', lenta e mi confusa
dell'uomo.
L'ingegnere Piscicelli ha studiati il pn blema. ha
burocratizzate le macchine ed ha compilati e Ito
venato un progetto che — senza esagerazione —
ramente del fantastii
La Lettura.
La buca delle lettere.
E poiché ho tirato in ballo la fantasia, 1
servo colla speranza di rendere così più beilo il
mio compite. La posta elettrica, supponiamo, fun-
ziona.
Le vecchie cassette postali a chiusura automatica
sono oggetti da museo, ed al loro pi sto sorgi no per
le città le agili ed elegami colonnette di feri
utili a quella che vedete nella vign
Alla baso di questa colonna è la buca pei le lei
. una buca — in apparenza o .lire;
ma viceversa in essa la leggera pressione che si
deve esercitar! p 1 imi u ari ! 1 lettera è sufficiente
per imi' loro una speciale tavoletta interna in cui
la letti vi fi rzatamente ! 1 iare, 1 1 moto
della tavoletta perni tti chi urti in azii ne uni spe-
ciale irti essi tizia I soni ci si il uite
da timbi i gii a l 'onto m< In, ;| rate • he annul-
li, il francobollo di vunque esso è ap-
1 boat...
L in.!. ' : quali si mi si ampal 1 I
bolli e quello di cui sono intris' le punti no quasi
1 • di natura tale .-he la sgorbiatimi non av-
11 1 per la loro chimica ci mi ùnazii me. Per
1 re gli indirizzi 1 li I luste restarli pu-
lite — il solo fra;.' oboi lo an-
nullato.
3empi oto di questi ruotismo sulla I 1
\ ione impn 1 ''li timbri . speciali la lo al'
61
Olì.
LA LETTURA
rifa, il niiniri Ila bui a. l'anno, il
I i mimiti in ''ni la li
mància il su..
ina d'imbuì
Irà giungere in cima
alla colonna, • fili d'acciaio
cui la ci lonn: pure 'li s< stegno un
l.\ ! I 1 \ 11 IMPOSI \/ 1
li, (,,;vv.,. /,/ 1 lellert propriamente detta.
tu alto, hi puleggia ./.•/•
l'asci ■-■ • la .// corna
carrelli 1 elettrico automotori con la relativa «cass
raccoglitrii
Nelli 1 una fune d'ac-
ne 'li un moti «ini 1 1 leti 1
automaticamente in azione per l'arrivo delta
collettrice, la ca&settina d'impostazione sale
rapidamente alla 1 versa il
nulo ni-l carrello, questi • fulmini
mi tte in ni. to .- la ii m ti ma al
sii' p-
Il carrello raccoglitore rno sempii-
lettrico trifase si p< [
con quattro puleggie d'alluminio a gola larghiss
su lìli d'ac no, .li guida
e com alim ritatari di coi bente.
I a \ ignetta n. 2 può darne un'idea su
mente esatta.
( '. mpiuto il suo gin . \ uotate pan
il carrello arriva vertiginosamente alla posta cen-
trale.
All'ufficio centrale.
K un edificio imponente, cui ni
bui n gusto architettonico. In questo edificio si ac-
centra, meccanicamente, tutto il movimento postale
della città.
Dai^i paltoni piccole ferrovie elettriche a cor-
trifase in cento direzioni diverse; e nell'aria
sulle varie linee è un continuo succedersi ili minu-
scoli veicoli che vanno e vei
vertiginosa rapidità. Sono i nuovi messi ]x;stali. le
nuove minuscole messaggerie ambulanti, le macchi-
ni- quasi inti lligenti che sostituisci arda e la-
boriosa opera dell'uomo.
l'i. ci diami ■■ ci m 1 in line.
La letti 1:1. assieme ad altri i>ieghi. ad altri stam-
pati, ad una miriade ili cari irriva
dunque all'ufficio centrale.
Un complesso sistema ili nastri continui, ili i.-
tuie simili a quelle usate nei silos per lasciai
etere il grano, ili scorie esattamente paragonabili
alle altre usate nelle ortaglii
li vare l'acqua e che consistono in una serie .li sec-
chielli atta. citi ad una catena senza line (vedi figu-
ra) serve allo sm meccanico della corri-
spondenza.
Ci sì essa in men che non si dica — - si tri
] n ma nei singoli uffici ili partenza per la spei
ne fulminea, sia per le sue ursali di Ila città, sia per
gli altri uffici li prima, seconda e terzi 1 •
Regno.
La partenza ed il viaggi:.
.. chiaramente rap] nella 11
illustrazione. I .e l< tt< re pei
vengono chiuse accuratamente in una leg|
tuia di alluminio che porta all'esterno tre quadranti,
|kt l'indicazii entri di
tenza e di 1 ed un ultimi 1 che s e,n.i
LA POSTA ELETTRICA
o63
La cassetta è collegata ad uno specialissimo mo-
torino elettrico munito di due puleggette a gola e
di una specie di trolley.
Motore e cassetta poggiano mediante lotelle e
rulli di contatto su quattro fili d'acciaio che a loro
volta sono sostenuti lungo tutta la linea da pali di
tcrn. t da isolatori di porcellana. Come i logico,
oltre all'ufficio di sostegno e di guida delli strano
veicolo, questi fili devono compiere anche quello di
conduttori della corrente elettrica.
L'organo che soltanto per similitudine noi ab-
biamo chiamato trolley, non è propriamente di>n
nato ad attingere — per così dire — la corrente,
ma i f( rinato da due leve sostenute da molle che
reggono in alto un piccoli cilindro rivestito d'eba-
nite con una piastrina metallica. E poiché la fei
rovia elettrica postale ha i suoi scambi, i suoi si-
stemi di blocco destinati ad impedire gli investi-
menti — fatali anche per le lettere alla velocità ili
400 chilometri ali ora ! — tale piccolo organo, que-
sto ohe noi abbiamo chiamato trolley, coll'aiuto di
un quinto filo e pel contatto con esso aziona auto-
maticamente ed in modi' opportuno gli scambi.
Infatti, quando ad una certa distanza dello scam-
bio il carrello incontra il quinto filo ed il trolley
si mette in contatto con esso, una speciale deriva-
zione di corrente viene lanciata ed una elettrocala-
mita attrae nel modo voluto i piccoli «aghi» dello
scambio. Né questo è tutto. In modo automatici
è reso impossibile l'avvento contemporaneo di due
veicoli sul medesimo scambio, in modo automatico
è pure evitato il pericolo che un veicolo ne investa
un altro raggiungendolo a tergo, poiché i contatti
elettrici con sottile ingegnosità sono pensati in mo-
do che la corrente non possa alimentare una zona
di blocco che è già percorsa da un carrello.
Insomma, la ferrovia aerea della posta elet-
trica è una minuscola rete ferroviaria ci i suoi scam-
bi, coi suoi segnali, coi suoi posti di blocco. Questa
in servizio dei viaggiatori è meno perfetta di quel-
la. Nell'una ha parte ancora rilevante l'opera e la
responsabilità dell'uomo, nell'altra - peri zionata
in modo ideale — attenzione e sorveglianza sono
richieste in minimi termini.
Né si deve 'rodere che la soluzione del problema
di un così ideale perfezionamento possa essere stata
ottenuta con mezzi così semplici come può sembrare
dalla nostra descrizione incompleta e sommaria. Le-
ve, nottolini, naselli, contattini, commutatori, tras-
formatori, dispositivi elettrici e meccanici d'ogni
sona — singolarmente semplici, complessi nel loro
■ me — hanno trovata una nuova applica-
ci ne.
Si pi tessi paragonare il pn getti della posta
trica ad un enorme cale- Io, direi che si è rio rso a
tutte le operazioni dell'aritmetica. Concorsero in
f^ran mole le operazioni dell'abbaco, ma vi h
pur fatto capolino le abiscie» degli integrali, i
quadri dei determinanti, le formule della gei metria
analitica ed anche in gran parte la teoria degli
immaginari !
Il furgoncino viaggia, sale e scende, imperturba-
bile e senza deviare, le catenarie descritte dai fili
tra i punti di sostegno e continua nella sua corsa
vertiginosa di quattrocento chilometri allora, di
centi undici metri per secondi
« Il bello e orribile mostro» è un mostro preisto-
rico oramai, un mostro tartaruga
La fulminea ferri via elettrica collega tra loro
Cassetta Raccoglitrice
Veduta di Lato
Proiezione Orizzontale
nr
zefr
I v— i ita raccoglitrici:.
ululili imi elettrico è compreso tra le due ruote
anteriori d'appoggio sui fili La cassetta è un
perniata in modo che all'interrompersi del flin
d'appoggio più basso si apre e si dispone nei
licalmente cosi da ricet ere h lettet e 1 he • en
iimin versate in essa dalla buca d'impostazione
città, cittaduzze e 1" rghi o ri linee di primo, secon-
do ( terzi - 1 rdine.
Sulla linea di prim'ordine si inseriscono mi
: derivazii ni e scambi, soltanto pochi centri di me-
dia importanza. Ciascuno di tali contri a sua vi ita,
pei mezzo d'altre linee è legati 1 centri minori, che
si trovano nel suo àmbito, por un'irradiazione rela-
tivamente breve.
Lungo tutta la rete sostenuta da coli inette di
l'erro ed al disopra del binario, è sospesa, medianb
Opportuni isolatori, la conduttura elettrica ad alto
potenzialo ed a filo sottile. Da. questn sono 1
■ rtune derivazioni che conduci m la corrente ai
trasformati ri. situali ad opportune distanze gli uni
Cassetta Distributrice
Veduta di Lato
Proiezione Orizzontale
Posizione nell'Appiombo oi una Succursale
Veduta ih La dota bifronte
4
?
*Tà
LA POSTA II I fTRH \
QÓ5
dagli altri. Di qui esce trasformata in correrli
basso potenziale e passa ad alimentare i binari, gli
aghi degli interruttori di blocco, i segnali agli e-
stremi del percorso e gli apparecchi tutti
zione e di manovra.
11 blocco elettrico, cui abbiamo accennato più so
pra e che nel sistema ha tanta importanza, ci nsiste
infatti in una disposizione, mercè la quale due vei-
coli che percorrono contemporaneamente la si
imprudente cattivo, un primo ostacolo alla scalata
sarebbe offerti da una fìtta corona di acutissime
punte disposti normalmente alla colonna
E se neppur questo bastasse - . giuo-
cano nel eira con pugnali! - salendo ulterior-
menti i la colonna si imbatterà nel terribile
anello fulminante collegato colla conduttura ad alto
liliale! Ti morire.
11 vagoncino trascinato dal motori i
_.
L'UFI !' in i I NTRALE.
i destra ed •/ sinistra i vagoncini sulla piccola ferrovia elettrica ••
linea nella stessa direzione sono obbligati a manti
nersi fra loro ad uni distanza non inferiore a quel-
Ile intercede tra due successivi casotti di tras-
formazione. Dunque nessun pericolo di investimenti.
Neppure i ladri oseranno fermare i celeri va-
nii, poiché le linee che sono protriti cori
portuni parafulmini e scai a corna delle ire-
dei cieli- sono protette dalle cattive intenzioni di i
terreni colla stessa energia elettrica ci n cui si pr<
all'aliment a ella rete.
Ogni colonna di sostegni porta scritto .dia base
in caratteri da -
NON I ENTATE
SALIRE
PENA
LA VITA
I. si pure l'amichevole avviso ripetuto d.i
per la intera linea dei pali, in tulli i pai
in mezze- a tutte le genti, sfug<
i non fosse preso alla i qualche
sante in tutto soli trentacinqui chilogrammi.... viag-
gia dunque sicuro.
Attendiami di i all'arrivi >.
L'arrivo.
Sarebbe troppo lungo descrivere minutami n
ogni casi i pei ogni tipo di stazi ni il mi i li i d'ar-
della cori apito al suo desti-
ratarii -
Seguiremo dunque la nostra lettera soltanto, la
quale — lo diciamo ora è diretta ad una sta-
zioni- di prima classe. Il vagoncini cassetl
pn -i nza del |uale i - me si. è detf - stata pn
veni ivai t secondo la sp
àizion canii a. ha regi l mi
il ia veli <rità e gli scambi in n
andai si a fera nto al posti di destinaz i u
e in n ali n vi ,
Infatti, ad una certa distanza dalla centrai'
i i s: ci « -pn weduta di coi
Cassetta Dispaccio
■
Veduta di .
Ttf»
^J>
J
nell'Appiombo di u*j
Veduta di Ly>Ti
iste
«Ih
WV~ *
LA CASSETTA DEI DURI ILLA VELOCITA DI UK) CHILOMETRI LLL'ORA
LA POSTA ELETTRICA
rente» e l'impulso della corsa è più che bastevole
perchè — per legge d'inerzia — esso possa cammi-
nare più di quanto è necessario per raggiungere
l'ufficio di arrivo. Così per ammorzale completa-
mente la forza viva del veicolo al suo ingresso nel-
l'ufficio postale, questo viene guidato tra due assi-
celle imperniate ad un estremo ed azionate da un
contrappeso all'estremo opposto. Esse sono disposte
secondo una direzione inclinata rispetto alla traiet-
toria del vagoncino e rispetto ai binarietti che nel-
l'interno dell'ufficio sostituiscono i fili d'appoggio
de! motore e della relativa cassetta-dispari ;< .
Per azione delle assicelle e del peso, il carrello
si ferma! Ora con metodo analogo a quello della
trasmissione della corrispondenza fra città e città,
fra paesi e borgate e viceversa, funziona anche il
servizio interno nelle grandi città per la distribu-
zione della corrispondenza agli uffici succursali.
Coi soliti sistemi di scorie, di nastri senza fine,
di botole, eccetera, la corrispondenza viene smistata
per le varie succursali e cosi la nostra lettera viene
istradata per quel rione della città dove si trova il
parente, l'amico, l'uomo d'affari, l'innamorata od
il creditore che l'aspetta.
Il vagoncino che deve portarla è comandato, in
virtù della sua stessa costruzione elettro-meccanica,
per quella determinata succursale che è più prossi-
ma al luogo di recapiti'.
Lo si appoggia all' «apparecchio di lancio» -
un semplice piano inclinato che lo avvia fino al
tratta di linea alimentato dalla corrente — e lo si
lascia andare. Esso si fermerà soltanto quando sarà
giunto al suo destino. Un impiegato aprirà la cas-
setta, toglierà !a lettera e la sostituirà con altre • —
consegnate a mano dal pubblico agli sportelli —
che prenderanno nuovamente la via della centrale.
La nostra lettera dunque è nelle mani dell'im-
piegato e da queste passerà subito a quelle del fat-
torino ciclista che senza indugio in pochi minuti la
porterà a destinazione.
L'ultima trovata
\
L ingegnosità del sistema Pisciceli") è spinta al
massimo limite.
Il suo sagace ideatore ha voluto dotare anche di
un altro macchinismo assai utile — azionato natu-
ralmente dall'elettricità ! — il servizio di consegna
della corrispondenza, sebbene non ne abbia fatto
cenni, speciale in nessuna delle cinquantacinque ri-
vendicazioni che riassumono il brevetto.
L' apparecchio al quale vogliamo accennare è
967
rappresentati da uno spei iale eli 1 tti re elettrico ma-
novrabile a mano e collocato all'interno ili quei pa-
lazzi ove sieno quegli abbonati che una volta si per-
ii, irranno il lusso e la comodità d'avere una pro-
pria cassetta postale e tolleravano la noia d'andare
a cercare la corrispondenza all'ufficio e non trovarla
in arrivo, oppure di trovare la corrispondenza in
arrivo e d'aver dimenticata la chiave della cassetta.
Basta che il fattorino collochi la corrispondenza
da recapitarsi in una buca dell'apparecchii . e spo-
sti un indice che segni i diversi piani dell'edificio,
perchè subito la cassetta, che è nella parte cava del-
la colonna montante, si innalzi e vada a fermarsi
al piano prestabilito: ivi. la cassetta si capovolge
facendo abbattere una mensoletta. specie di guan-
tiera, su cui rovescia le lettere. Dopo ciò la cas-
setta ridiscende.
Xello stesso momento, un campanello elettrico
avverte il destinatario dell'arrivo della corrispon-
denza, e. per far cessare il tintinnio, deve rialzare
la mensoletta che chiude la gabbia dell'elevatore.
E così, in pochi istanti, il fattorino distribuisce
successivamente la posta nei diversi piani dell'edi-
ficio
A conti largamente fatti, una lettera impostata
a Genova per Milano in meno di din- ore potrebbe
essere recapitata in camera del destinatario.
I dettagli.
Non mancano davvero nella labi n sa I mtìzìo-
ne. che costituisce i! brevetto Piscicelli. Saremmo
per dire ce ne una vera abbondanza. Cento in-
gegnosi congegni vi sono ideati, disegnati e descritti,
ogni minuzia è meticolosamente, anche tn ppo me-
ticolosamente, curata.... e si capisce: l'inventore ha
voluto proteggere efficacemente l'opera propria ed
ha fatto bene.
Secondo il mio modesto parere però, egli ha di-
menticato — od omesso ad arte --la descrizione
di altre parti, di altri dispositivi, di altri apparec-
chi che in effetto non devono mancare alla pratica
applicazione del sistema.
Per esempio — e non è un dettaglio questo -
perchè non ha aggiunto il Piscicelli una descrizio-
ne più dettagliata dei motorini applicati ai carrelli
i quali, pesando complessivamente soltanto trenta-
cinque chili, sono capaci di marciare ad una velocità
di quattrocento chilometri all'ora?
("a.- diamine! anche a questa parte dell'invenz
1 ■ tutt'altro chi ! rascurabile '.
IL DOTTORISSIMO.
/
^QTà- >
IL PONTE l'i in: si v
Attorno a Stambùl
L'È VC
[opo una rapida corsa attraverso il mar
Nero e kmgc le mirabili spi ride del Bo-
sf re. il pii< scafo rumeno Princi-j
inoltra ora lentamenti ira i vapori e i
velieri ancorati davanti a Costantinopoli, la cui
Fun e dalla ni bbia.
Sulla riva, in pros el Gran Ponte, una
bizzarra è tutta intenta a n ne a immi-
nente preda, fi ta la passerella, ella ir-
rompi sulle esili tavole urtando l'altra folla che con
par
due ci trenti nell'i fi rzo si immo-
bilizzano: un incredibile urlio si leva.
rra alcuni hamah (facchin i tarda di
rchiar quella muraglia vivente, ci ll'aiuto di eoa
,ii . spio ano salti smisurati.
indo uni p. nte. Ben due vi Ite debb i
quegli arrabbiati, che a qualunq ogliono
impadronirsi 'ì'-l n glia Alcune guarii
piati contenei
volai "/a.
Vólto verso la riva, cerco invano raccapezzarmi
Ira la folla ilei dragomanni colà adunata i strepi-
tante. N'iuno reca sul berretto la scritl
che rappresenta.
Alla mia chiamata: «Hotel Li min- In venti mani
si alzano e illustrai vi1 i sibizioni I
ni dieci lingui'. Un gre na l'attenzione mia
su w\ uomo tarchiato, il viso butterato dal > aiii' I".
che ;il ili me il suo cappello 'li paglia.
— Balino? gli di mando pei assi urarmi.
Egli accenna >\>. si e mi im ita a gettai il baga-
glio leggero al disopra della passerella, scricchio-
lante sotto l'urto delle due correnti, sempre infu-
mani s'alzano ili nuovo |*-r afferrare le va-
ligie al vi i" i disputarle con accanimento, e la-
dopo ali uni cazzotti
Balini
Il panorama.
1 1 , fanti .r ; 1 1 ii stn ni della ti rr d G
. ,, siduo delli fi rtifii u li ni gì novi si del
seo lo XIV la prima cosa che mi n Ipisce i li
superba e caotica immensità del panorama di I
stantinopoli.
Curvo sulla carta «Iella città, ceree strappare il
segreto ilei ni me a quell'intrico di parvenze i
nel cielo, sorpres ■ quando alcuna di esse rispi
ali immagine lìssata nella mia niente.
Prime al mio sguardo le città franche. Pera e
Galata. in dolce declivio verso il Bosforo e il t '< mi
d'Ora Di là del Bi sforo, Scutari e una fuga fanta-
stica di bianche ville, svanite nell'atmosfera az-
zurrina.
Sul Coi Oro veleggia una lieve nebbia che
aggiunge vaghe/za alle linee indecise di Starnbùl.
la città turca. Lentamente, come per magio ìncan
i- 'li tra gli squarci del bianco veli
'rragli. Qua e là. al sommo della citta
misteriosa, si aprom occhi di azzurro, in cui si | n
filano le macchie cupe dei cipressi. Poi la nebbia
si raffittisce ed è un lento scolorar delle cose, un va-
cillare e vanire delle linee del quadro seducente.
Finalmente, a brevi soste, il velario vaporoso .si
ssipa.
Ed ecco, nella gli ria luminosa del cielo, sorge-
re dal mare l'immensa mole di Starnbùl, in una ani-
mazione superba di forme e di colori '.
Dalla punta del Serraglio all'estremo Eyoub, su
■ colline, è un ammasso, un saliscendi di case.
rji moschee, di bazar, ili chioschi, un fremito di ve-
getazione rigogliosa, un soverchiar di cupole, uno
slancio di minareti.
Le più bizzarre dentellature, i più pazzi contorni,
i profili più leggiadri e mostruosi si trovano là riu-
niti e fusi in una varietà di linee meravigliosa.
Sul gran pente.
Corso incessantemente da due opposte folle, il
Gran Pente sul Corno d'Oro, fra Galata e Starn-
bùl, offre uno dei quadri più caratteristici dell'O-
riente.
Senza tregua le due folle si muovono, si urtano,
con indescrivibile rimescolio, alimentate dalla città
franca e dalla città turca. Un'altra folla è ferma
lungo i parapetti o preme sulle rampe degli scali,
fra 1 insistente sibilo dei vapori che partono o ap-
prodano, quest'ultimi riversando sul ponte una folla
ancora, che incalza e rifluisce sulle prime.
Fra rauche strida il torrente umano arresta un
istante il suo corso e ramifica al passaggio dei ciucci.
dei cammelli, dei carri e delle carrozze delle oda-
lische scortate da eunuchi.
Degli arabi ravvolti nello sciamma, il profilo fine
ed estenuato, se ne stanno accoccolati lungo il pa-
rapetto, in un'attitudine che diresti di soft
tensione. Xel quadri bizzarro emergono le macchiet-
te degli acquaioli, dei venditori di semi o di latte
coagulato, e spiccane in toni vivi i magnifici e pitto-
reschi cenci di un gruppo di hamaìs, che lasciarli'
trasparire le membra bronzee e muscolose.
Qua e là. sole o a gnippi. con passo indolente, le
stgnore turche, fiori misteriosi dell'Oriente.
Hanno i! volto dipinto, anche le giovani, i chi
neri espressivi e mani e piedi di bambina.
ATTORNO A S rAMBÙL 969
Un lustrascarpe ortodosso.
In quella folk . un tipo originalis-
simo, rif' dietro lina "a da lustrascarpe, at-
tenzione.
Bel \ dalla barba fluente, con in capo un
turbante enorme, di quei turbanti complicati che
1 miai si vedono soltanto al musi giannizzeri,
egli è certamente un magni: , n lei turco
li ss» . che sprezza la civiltà occidentale e ancor
più i giovani turchi che portani il
Anche nell'umile sua profe sii mi il vegliardo non
ha imitai . Egli a-- m .-arpa
la, «he io gli porgo, a un tal numero 1 varietà
ili m: th'ii rimangi 1 stup guar-
dare.
Soni pannolini che si
avvicendano, e pi \< mi brillantine e ancora un
pennello a n cui filetta la stilla e dipinge il ta
Convivi interess assisto alle diverse fasi per
cui passa la mia scarpa sotto le abili mani del bel
quand'egli ha finito rimango là col
piede alzato sulla cassetta, promettendomi chissà
quali altre operazioni, quando viene il gesto libe-
ratore e insieme un graziosi' saluto .dia anca, toc-
cando n Ila destra la fronte e il peti. .
( a Ila mente e col cuore: saluti 1 molto più espres-
vo del nistro che si manifesta nell'atto di dar
aria alla 1
Santa Sofia.
L'n intricate ammassi ili Ci tringe dav-
\ ieitii Santa Sofia, mascherandone la struttura.
N'iuni s'attenete all'indescrivibile spettacolo che
il sue interini, se non fosse là ad attestarlo,
sentinella avanzata, quel gioiello dell'architettura
mussulmana che la fontana di Ahmed. divino gioco
il un'arte raffinata.
Dopo una prima visita in o mpagnia del drago-
manne, mi sorride di vederla da solo, un pi»' geloso
mie impressioni.
Infilato un andrene, riesco ,u\ un piccolo recinto
ci mi it' 'li finissime stuoie e ingombro di babbuecie
d'ogni dimensione. Sul fondo una tenda di cuoio
maschera 1 entrata della moschea.
Anche una volta sto per compiacermi dell'uso
'! rmesso ai fedeli) di scalzarsi in lungo ve-
nerabile, lasciani li. sulla soglia la pubere ilei piedi.
ulo mi ai ci rgi d'una p
E cioè che non avendi pi iscarpe,
intendendo valermi delle babbuecie che- si trovano
all'in. 1 gni mosch là aliarne che nu-
le p' re. né mi è possibile servirmi da me
attere un atte sacrilego, perchè
dovrei attraversare la stuoia, ch'è pane del recinto
n
Posso iti'.n> appigliarmi ;.<1 un altre mezzo:
chiamare, curando di Me - ! grido gutturale del
11 simili >;r< 1 ■: m/e. Ma quell'in
lille mi ha talmente su ito, insistendo sul
lissulmani . da incutermi il timore che
,)-.. LA I ETTI R \
in . per una
ro in cui n
mbra mi( glio asp
Neil ' i I " eia «lì mummia in-
■M! : nero iate,
nel vuoto, rigirando fra le inani le pai
lettine di na da cento grani,
li Allah.
. alcune donne vi late pa lentamen
alcuni minuti di vana attesa, mi risolvo
mare.
i i me per li i li una molla s'alza, al mii i
grilli', un lembo della tenda 'li cui li i fuori ne e-
merge un piccolo dervis, specie di scaccino. Fattomi
un p e un paio
di babbuccie e silenziosamente riceve le piastre che
l^li dò per bakehich.
La i runa volta, non appena entrata in Santa So
I dragomanno si era affaccendato a mostrarmi
Imi uno in m \K- hi v Mimi i
le bazzecole del tempio, tutt npreso del suo uf-
ficio: Vi li quella macchia sul secondo pilastro dei-
dra 11 impn unta della man., di \i etto 11
quando entrò vittorioso nel magi ■ 'li Bi-
sanzio. E sa perchè i tappeti sono allineati di sbie-
co all'asse del tempio, e il mihrab non si trova al
centro dell'abside ? Perchè puma .li essere
era una basilica cristiana e naturalmente non venne
orientata verso la Mecca.... che a quei tempi neppur
I a.
E non mi lasciava pren ler fiata N'on appi .
maio l'attenzione su un particolare, subito mi
primeva con mille dettagli. Ammiravo l'aereo slan-
cio della cupola, fonda sì che lo sguardo vi si smar-
riva rome in un abisso. Ecco la guida investirmi col-
le cifre rappresentanti il suo diametri e la sua al-
tezza.
Osservavo le faci sive n meditabonde dei
• l'-rvis. nelle loro ampie e bizzarre drappeg
Ed erro il mi, premermi colle sue ciani
quello dal turbante verde
è un dervis reduce dalla
Kààba, questo un dervis
Mevli vi. e '|iiest altro un
dervis del tekké dei
roufai.
Finito l'inventario. |rt
sopramercato mi regalò lo
spettacolo delle abluzioni
alla lontana di
spettar.. lo ripugnante,
che i turchi, mentre si la-
vavano, tossivano e sputa-
vano rumorosamente e si
forbn ani i il naso col moc-
, ichino del buon Dio.
In questa seconda visita
come mi sembra mutata
Santa Sofia !
Nella luce diffusa dai
numerosi finestroni le va-
ste i usu-
inoli' un rili'
e solenne. Queir imm
tà. quel racooglim
muove l'anima in un tur-
bamento delizioso coni
na musica dolce e Ioni.
N'ella mite penombra
io m' inoltro, sui morbidi
tappeti e fra li ggi
dri intai >ial i 'li argeni
di madreperla, guardando
estatico i lampadari di
bron/. . le uova ili stri
gli immensi globi verdi li-
brati sul mio c.i|K>.
i 'In ti ■. cheto mi
i ci. • . hi di
badando nel camminare
non mi sfuggano le i
Imi i ii i n .p|>o larghe e
cendomi piccino quando
ATTORNO A STAMBUL
gli sguardi si volgono a me corrucciati, per essermi
rmato davanti a un iman che spiega il Co-
rano, o ]iei aver guardato con insistenza le logge
■ graticci ove, appartate, stanno le donne turche.
5 luto a gambe incrociate, in atto di silenziosa
lettura di un Corano manoscritto e miniato, un
b prorompe tratto tratto in una cantilena na-
sale, or alzando or abbassando le bra. <
Poe, discosto, un turco elegantissimo in tez e
Stambulina. ritto e immobile, di schianto si butta
in ginocchio, poi bocconi, colla fronte sul tappeto,
ripetendo più volte quell'evoluzione in tre tempi.
Sotto le logge la voce acuta d'un invisibile ean-
colle brusche interruzioni e le brusche riprese
a sua preghiera, regola l'azione d'una schiera
di oranti, moventesi come un sol uomo.
In quella quiete — per contrasto — sorge allora
in me la lucida visione del dramma svoltosi nel
1453. quando dall'alto della rifulgente basilica di
Giustiniano, riboccante di cristiani sbigottiti, tutti
gli sguardi erano intenti, in una ansietà tremenda,
- 1 marcia delle colonne mussulmane.
preceduta dal fumo degli incendi.
Nei cristiani era fermo il convincimento che al
momenti supremo si sarebbe manifestato un mira-
colo, per cui gli infedeli, stupefatti, non avrebbero
ti i-care al maggior tempio di Bisanzio.
Oh ! come i colpi di scure devono aver risuonato
j! Veniente sulle grandi porte di bronzo e di
quali gridi di spavento e di raccapriccio echeggia-
le maestose vòlte all'irruzione delle orde mus-
sulmane, prima attonite davanti a tanto splendore
il e di marmi, poi infunanti al saccheggio e al
massacri !
Ancor dura sotto le logge lo spettacolo dei devoti
riprese della preghiera dell'invisibile cantore.
Quella voce di falsetto, lamentevole e monotona,
esercitantisi alle brusche interruzioni e alle brusche
ha pure un certo fascino.
Non potendo avvicinarmi durante la preghiera.
per una rampa interna trovo modo di riuscire sopra
la massa orante.
Il cantore non è visibile neppure da quella tri-
buna, ma nella penombra in cui mi trovo posso os-
servare a mio agio tutti quegli uomini, volti nella
direzione della Mecca e illuminati in pieno dai
Gnestroni della navata.
E ime s che più non dimenticherò!
Ritti colle palme alzate, o bocconi colle vene delle
tempie turgide, il loro essere spira l'estasi, l'an-
nientamento assoluto. Gli occhi sono dilatati e fissi
le a qualche a sa .il di là, in un mi ndi 1 he non
è il n>
I cani.
Protetti dalla benevolenza de! turco, i cani vi-
vono liberamente a centinaia sulla strada, ove man-
giarti 1. donnoin e si ripn lu
Dall'ambiente mussulmano sembra abbiati, as-
bito l'accidia e il fatalismi. Sonnecchianti sui
marciapiedi e fin sulla soglia delle botteghe, non
971
<i scuotono né socchiudono gli occhi camminando
■litio fino a rasentarne il pel
Il cocchiere turco se s'imbatte in un cane addi 1
mentalo nel bel mezzo della strada, preferisce non
scomodarlo. Se ciò non gli è possibile, allora gli
lancia un rauco grido, modo d'intendersi fra il
turco e il cane.
Siilhi soglia di macellerie si vedono talvolta dei
dalle costole eloquenti per fame cronica, in
estasi davanti a quarti sanguinolenti di monton
a un palmo del lon muso, senza che alcuno s'at-
tuiti di cacciarvi il dente. Guai per [uella carni1
si staccasse dagli uncini, giacché allora li vedreste
disputarsela con ferocissimo impeto!
Misoneista come tutti i cani, il cane turco tiene
al suo quartiere. Guai a quegli che per fame o per
più nobili appetiti si spinge oltre il suo contine!
Gli articoli del taciti iccoi lo gli saranno ribaditi
nel vivo delle carni a colpi di mascelle.
Uno specimen di giustizia canina ha sempre il
lati buffo. Giacche i turchi accorrono chi versando
- 1 1 hie d'acqua sul viluppo dei cani infuriati, chi
tirandoli perla coda dolcemente, per non far male,
chi premendo col bastone leggermente là dovè mor-
dono i demi degli assalitori, coinè faci -s ; l< re ti
V 1 letico.
Attraverso Stambùl.
Una mattina, in vena di girar alla ventura, m'in-
camminai lungo la ferrovia per Adrianopoli. facen-
di ■ punte qua e là.
La linea costeggia da una parte il mar di Mar-
mara. dall'altra le case, le mura, le moschee di
Stambùl. Passa sulle mine della vecchia Bisanzii .
mettendo a nudo le grandiose volte sotterranee del
palazzo di Giustiniano e attraversa in pieno i giar-
dini del Serraglio, non più dimora dei Sultani dopo
la rivolta dei giannizzeri.
Oh ! quei giardini, in una delle più ridenti posi-
1 del mondo, di quanti foschi drammi fui
testimoni! Che aria sinistra su quelle zi Ile!
Fatta una sosta a Santa Sofia minore, m'avvio
pel dedalo dei vicedetti, che mi ricordano col loro
rigiro e il loro incanto le cali/ di Venezia.
Dappertutto case di legno, le [iurte chiuse 1 1
besoate. le finestre a graticci, e un'aria di silenzio
i- di misteri .
Ci nili ombrosi in cui dei pezzenti sono occupa-
tissimi a far niente, 0 piazzette solitarie, deliziose
di verde, ove sonnecchia qualche vecchio col becchi-
ni -lei narghilè Ita le dita. Poi ad un largo, la vi-
sta del mar di Mannara inourvaiilesi lungo la linea
frastagliata di Stambùl. e lo sfondo della riva asia-
tica morente in una dolcezza infinita di tinte.
l'iii m'inoltro e vieppiù cresce l'incanto. La stra-
na città appare là nel suo vero aspetto: un labi
tmto .li formicai umani, di rovine, solitudini.
Qui la massa cupa di alti cipressi scendenti in-
colonnati da un'altura iti cippi e pietre sepolcrali;
là un crocicchio di strade in 'iti la città spiega tini..
la sua anima/ d'un vicoletto dal-
le case mute, le cui finestre lasciano talvolta ti
LA LETI i l: A
neri eli-
di munii l'immensità ■<■
Stambùl.
l » i ■ cipita : or è una boc-
spira nella solitudine della
più in là, eccoci nel l rambusto
inde artei ia, nel sui i pulsaj più \ ivo.
.. caffè ture;.
gami» inerì i iate sui dh ani, dei turchi
si in- slamili immobili i sileiv
Sp avolini gii mali turchi e greci, |
tazze |k-I caffè, in terra rosso scura,
allineati lungo li pareti o disseminati dei narghilè
i ili metallo damasi alo, o i tubetti a)
Ili i svolti rumi- serpi sui dh ani.
I là un'accolta ili gente 'bizzarra, dall'hamol al
porti qua, dall'astuto saraf al vecchio fa-
li ì l'.i/.u i Ielle a i
Mi i silenzio si ode distinta liar l'ac-
ju.i nei i l fumatori, in una completa ina-
lila, si m stanno assi. ni i o noe intenti a una
ih suscitata in loro dal narcol io •.
l'i; ii turbante, evoca vivamente
biltà ilei lineamenti dei patriarchi biblici. Ai-
tila quadratura possente, con nasi a
dunchi, occhi i irientali neri è bianchi,
Ila [«rumili ira ili 11:1 ";i> ■■ |i i.» -
Ap] 1 ' caffettiere m'offre una tazza
deli osi aroma e insieme l'immancabile nar-
i lacco dolce e odorante.
Il narghilè mi tenta. Ma l'arte ili adoperarlo non
iile a tutti. lVr quanto cerchi ili imitare
Stanti, non so tuttavia far ben gorgogliar Tar-
lila, né trarre le lunghe e sottili lux-rate, ch'è un
degli iniziati. E nel vano tentativi, sento
un alla ti 1 . fumo del narcotico, sì che re-
puto prudente fermarmi a quel primo saggio.
l i.a fuggevole increspatura ilelle labbra, sin./
.11. appare sul volto del vecchio bar-
Ma l'Incanti più in là, inafferrabile,
con una vii lenza nui 1.1 di profili, in una gamma in-
concepibile ili si 111 1 '
Sulla mia si rada si e. \ icendaro
ti Ito ricurvo, in til
dalle mirabili inferriate, da cui s'indovinam sai
di i-.n in mires e ,Ii trine, e eimiteri
e mi si
Piccoli cimiteri, in cui le galline razzolano -
le tomb ini si scalda™ 1 al sol
app. si fra dui cip cciolai nonti mi
scui ial i 1 sanguini li m i.
Mi si hee 'li marmo, di pietra urai tira, 1
■ ni fianco, vigili sentinelle, si partono in uno -
CÌO filiforme i minai. 1 i,
Minareti enormi o lillipuziani, minai di •>
poligonali, a faccii piane, a nervature, a scanella-
ture con tino, due u tre giri r li balconata la\
.1 stalatt iti 0 I rali irata a giurilo.
Sottile come il gamba d'un fiore sbocciato nei
caldi meriggi, il minareto s'erge sul suo stelo a
unb 1 ni 'li ini! ini anto dei cieli meridionali, al
ni sorris sembra u lubilmei
La squisita creazione .'■ integrata dalla presenza
del muezzin, che vi fa ufficio di campana.
Quel giorno nell'ora imminente della preghiera,
trovandomi davanti a una moschea, me da
siili al nuovo spettacolo. La strada . le
case chiuse e unite ci me ti imbi .
Io guardo in su verso la balconata del minar
come lo consente l'insostenibile chiarità del cielo,
seguendo a intervalli la freccia dell'orologio. Qu
d'ecco apparire sulla loggia esterna, come per lo
seatto ili una molla, un bianco muezzin. Con passo
d'automa egli si muove lungo la galli ria, e ron
acuta, gutturale, una voce indimenticabile che sem-
bra veniie da lontane regioni, lancio nello spazio
il grillo sacrami male dell islam.
La sua voce si perde nelle lontanane - nza
gliare alcuna eco. anzi imprimendo un rilievo stra-
ordinario al silenzio circostanti. \la il muezzin
continua impassibile il suo giro. t. ai quattro punti
dell'orizzonte fa risuonare la formula suggestiva:
l<i Allah! Il Allah! 011 Mohammcd rafani
Allah!
Lungo il C;rno d'Or;.
All'indomani un'i ornata di allegro va
idaggio attravei Oun-Kapan, Fanar, Balata,
ita pii na di dolci emozioni, la calda
nata di n n u lo 'li tur-
chesia, l'anima pi. na di sogni e di canti!
Lontano, lun
1 Ini 1 1 riusi, palazzi
in. verdi cupo,
ni. tutto uno smaglio di tinte, uro sbarbaglio
di colori, riflessi nel man nuli parvenze.
Mi avvicini ed ecco sva
miei occhi degli orti
rollanti
nel silen
I muraglioni li montagna.
! 0 sull'orizzonte una linea sterminata ■■ pi ten-
ie; un triplice ordine li mura minaccia il pia
si rizza sulle alture saldi, ci me una rupe.
osseci ndando li accidi ntalità del tern in 1
midabile rilievi . i muragli) ni di mi n
gono dalli mi et n di Vnema il I
I Ilo delle .Sette T. Ili ili Ulta sUcccSsinne (lì i|ll.l-
dri mirabili al nn impallidiscono le più
1 elle visioni d'altre mine.
Sulle mure interne levansi, a regolari distanze,
un torri quadrangolari, ali 1
altre lacerate da cima a fondo. Le torri rotonde,
sulle inni imi. in l'urto degli
assali 1 ono in un a rimasso di ruii
Maceri) colossali ingombrano le piattaforme e
ATTORNO A STAMB1 1.
973
Colmano il fossato, mettendo a nudo il terriccio del-
le o rtine. La vegetazione cupa, irrompente 1
deri, vi aggiunge una vigorosa nota silvana.
Un non so che di tragico, di arcano vi i s< pra
diffuso: il Tempo ha compiuto il miracolo depo-
nendovi rimpercettibile suo velo magico.
1 >h ! come stavolta la realtà soverchia il sogno,
questa che 'le! sogno ha tutta la inconcepibile e
fantastica linea !
E tutto rievoca l'antica Bisanzio: i resti delle
e delle torri, la frantumata linea del U o r
tinr. le I reccii aperte negli assalti e tuttora visi-
bili. In alcuni punti la mina è sì vasta e tremenda
da dar l'impressione viva che pochi anni, non
ci dividano dall'ultimo e memorabile assedio.
E qui che tuonò il mastodontici pezzo 'li tir
■ani . servito da quattrocento artiglieri ; per di qui
passarono in una notte ottanta galere, trascinate a
■Taccia e tragittate cosi per via 'li terra dalla baia
di Besci-tass a quella di Kassim-Pascià !
Qui, su queste zolle or occupate da cin
no li a un'ora 'lei mattino, il 29 maggio
1,;;. diede l'assalto decisivo, sanguinosissimo.
Oh! l'urto tremendo 'li quelle orde fanatiche, in-
fervorate 'lai ilervis e sospinte a nerbate dagli
sciaù !
E dietro esse, sacrificate come '.une ila cannone
per colmare i fossati e predisporre la scalata, il
migìil co e pauroso spettacolo del grosso dell'eser-
maomettano, il iure 'Iella gioventù asiatica,
ranle ili vita e di ferocia, in fremente atti
ilei comando del Gran Signore per avyentarsi al-
ito.
Fu il cozzo di due civiltà, di due mondi, rigi -
l'uno, l'altro decrepita una crudele e
. idenziale legge della vita trapiantava nuovi e
Iisenti germogli la dovi la pianta uomo era
I iervia rouia'i ^urlanti}.
Uno ad uno. lentamente, entrano i dervis nella
-ala e fatto il baciamano all'iman, seduto al mih-
rab, si accoccolano su pelliceie di cane stese nel re-
che li divide dal pul Mìe, . Alcuni parlano si I
■ e. altri se ne stane Min
rdo d'intelligen. mi.
: tekké dei dervis nti) a Baka-
n'era s nate un dubbio sulla sincerità di
cerimonie, quantunque a. tutta prima inai sa
gare la sorprendente loro resistenza nelle
■ ni. il tri nei i-retn- e le braccia ;rri-
. senza il concorso d'un esaltamento psid
l 'r qui a Somari, nel tekké dei dervis roufài, s ti
re. a quei preliminari, gli stessi Si sp-
ando la sala è piena, l'iman, un bruno es
ed emaciato, comincia a pai al mihrab.
La predica è per me lunga, mi ni ti na. ni n riu-
ad afferrare nella sua discorsa che le ;
«Mohammed Allah» iterate stucchevi
1 guardo i iman, i cui occhi neri sfavillano e
il aii gesto, prima grave e misura a vivace
e incisivo; guardo i dervis seduti all'intorno sulle
[lelliecie di cane nella solenne immobilità che un
leto degli orientali, quell'immobilità in cui i
muscoli sembrano tesi come un arco, pronti a scal
tare; ed ho l'acuta percezione d'essere completa
mente estraneo al loro mondo di sensazioni
Finita la predica, un movimento si fa tra i der-
vis: quattro si dispongono in mezzo al recinto, al-
tri in fila sul fondo, mila fronte rivolta al mihrab,
e i rimanenti qua e là. in piedi, e -me se assistes-
s I
Uno di questi ultimi, giovanissimo, che si ferma
'lavanti a me sì da togliermi la vista della sala.
vien scostato da un anziano. L'atto cortese mi con-
ferma nel sospetto: se fossero sinceri in ciò che
Ianni, si occuperebbero essi del pubblico?
E la cerimonia incomincia.
Una nenia dolce, monotona, sorge come per in-
anto e si espande nella sala: si direbbero le modu-
lazioni di un flauto sulle note gravi dei tarboukas.
L'no dei quattro dervis seduti nel mezzo, una
I accia violenta e furbesca, con voce acuta, guttu-
rale, la voce indimenticabile dei muezzin, comincia
a cantare, alternando cogli altri tre. questi in tono
più basso.
Movesi al canto come un sol uomo la lunga schie-
ra seduta in fondo alla sala, piegandosi avanti e
indietro con oscillazione ritmica incessante e fa-
cendo ci ro, ad ogni oscillazione, con una laude ad
Allah.
Continua la nenia, monotona, opprimerne; con
tinua l'alternato canto dei quattro dervis o n ripre
se a voce più alta, continua il moto oscillati
della schiera con pausate laudi ad Allah.
Ciò dura ormai da un'ora, né accenna a cambiare,
lilialmente, quando i nervi degli astanti sono
sauriti, eco la schiera levarsi in p , . la can-
tilena mutare d'intensità.
I ufo 1 r si sv 1 ilge in un I le
voci dei cumauti sono più vivaci e penetranti; il
movimento della schiera più rapido e complica
si direbbe la risultante del moto oscillatorio 'li pri
combinati con un movimento semirotatorio, sì
che il tronco e le spalle torconsi in modo singolare
■ indescrivibile.
Gli altri dervis. disseminati nel recinto, si as
al movimento e al coro; l'iman sti
ompagna vivamente dal mihrab.
Tutta la sala ra ri preda a un mi
ritmico, accelerato; per un po' che dui
gini.
S'ella si hii ra, sotti l'incitar 5, i
1 si piegano in cadenza icio:
ssi un gì. obeso '
maccione si iù zelanti.
I lantunque or più animato, a lun-
tnca. Ond'è ch'il 1 trovo più p
nella contempla/ione di alcuni catafalchi, di cui
ho in iscorcio la lieta prospettiva del vano di un'al
tra sala.
Ma l'indugio ;■ breve. Nel
gutturali, ecco sorgere repente un gridi
si propaga per contagio: da tutti quei petti chi
974 LA '■' ri ' R A
-i piegano su i aden un grido
un r
Rabbrividisco nel mir.ir hi trasformazione 'li quei
• mi sono convulsi! gli occhi brilla»
d'un fuoco interiore, un'occulta Eorza ossessiona i
insieme - i curvarti e ai rialza»
erbe sotto un vento 'li tempesta.
In tale mutamento il fondo della loro anima è
ritorni tangibili. Upo
uei in. nari mussulmani brutti durante il ri-
sembra gurato Gli occhi fulgidi, La
diosa, tini, in lui parla un accento 'li ie-
ratica nobiltà. Altri, le vene gonfie, le gì
i corpo fremente, danno la lucida vi-
sioni- della fai iza dell'islamismo.
Il pubblica guarda < ra muto e serio, le sigro re
vini . 'l'iuta quella massa torta e pie-
u un sol uomo, continua nel moto rìtmio .
o ad . gni slancio il terribile Allah hoù ci n
un crescendo paun si ,
L'iman, che nella sua esilità rivela muscoli d'ac-
Jla testa della schiera. Collo sguardo,
Dall'esempio incita i devoti, segnando il tempo còl
piede '• avanzando sul fronte della fila e insieme
piegandosi e rialzandosi ron incredibile elasticità.
'nti un'oppressione, un'ansia: un o-
<i isviluppa da tutti quei corpi
in un vimenti . da quei visi lividi r decomposti, nie-
nti di sudore, e sulle cui labbra spumeggia la
bava degli epilettici.
Le voci diventano fioche, languidi i movimenti:
lar più in là.
Allora l'iman si toglie la sottoveste e cacciai' si
nella schiera, fra i devoti, con impeto la scuote e
ina nella vii lenza d'un ritmo vertiginoso.
h una ripresa formidabile. I torsi si drizzano
nell'irrigidimento dei muscoli, i visi si contraggono
l*-r lo spasimo nel supremo sforzo, ansano i petti,
l'urlo inartici lati non ha più nulla di umano.
E un urlo i" I in. il- si fondono i gridi di invo-
ne e di rabbia, la frenesia dell'estasi, il ran-
tolo di \i 'luti. ute.
! spettacolo è talmente suggestivo da muovere
gli astimi ad oscillare in piena inciiscienza. a tem-
po di ritmo, b. stesso, inconsapevolmente domili
mi trovo a oscillare cogli altri.
Con febbri! il moto continua, continua,
e sembra non debba più finire.
ne, che non pujb più reggere, è tenuto
a braccia dai compagni e sospinto come inerte mole
i bbri trabalzi, e piange e urla insieme. Fram-
mezzo alle urla, lei si spiri d'una tristezza pr fi n-
da, che fanno venire i brividi.
Il moto va ' ra diminuei I d'intensità e linal-
menl I ■ unni solo ci n ncora por
qualche istante, a guisa di automa cui non s
l'n dei ' gge a una colonna,
nvulsivi.
Allora ha luogo l'ultima pan. della cerimonia
\i 1 lato sgombro della sala, versi il mihrab, i di
' . sdraiandosi in lila. I" co ni. \ i som
uomini d'ogni inzionarf, ufficiali, bambini.
qiest'ull presi dalle braccia delle madri e alli-
pei terra
L'ima i i. cammina sui corpi, premete
do o 1 piede ed eccitando colla pressione il pianto
l 'ini.
La fede insegna che ciò li guarirà dai mali tisici
e mordi...
Il cimitero di Scutari CBouyouk-Mó-
zaristan).
Su terreno montuoso, il cimiteri di Scutari (uno
dei più vasti e popolati dell'Oriente) si preannun-
cia all'orizzonte colla massa cupa e dentellata de'
suoi cipri SSÌ.
Ho tuttora negli '«chi la visi llezza mae-
stosa e serena del luogo: vi si respira la pan- pr.-
fonda, si è penetrali di quella 'alma dolcezza
e tutta del sentimento turco sulla morte.
Non è un sentimento triste, quasi d'orrore,
da noi, che releghiamo i nostri morti in luoghi
serti, evitati di notte come sinistri.
I cimiteri mussulmani, in granile venera/ione, so-
no anche luoghi di amena passeggiata.
Orientate verso la Mecca, li no indicate
da due alti i ippi, posti alla testa e ai piedi del de-
funto, foggiati a guisa di sottile colonnetta i
nata da un turbante per gli uomini, da un fé:
fanciulli e per le donne da una palma o da un maz-
1 in il scolpiti nella pietra.
Sulle tombe dei ricchi i cippi sono di marmo, lar-
ghi e coperti di iscrizioni. Fra essi vien deposta
una lastra, egualmente di numi", con un incavo nel
mezzo in cui i parenti metti no fii ri. latte o pn
lumi.
Alla testa della fossa vien praticato un foro in
ci [rispondenza all'orecchio del defunto, perchè pos-
sa sentire il pianto e la nenia dei congiunti.
Sulle ti in! e s. in piantati dei cipressi. Perciò
ogni albero ritto ha un mi rto sotto. Coll'andar ilei
tini])'- i cimiteri diventano boschi. Quello di -
tari, il cui suolii ;• sacro per gli orti di ssi, è un
sco immenso,
\el soleggiato pomeriggio con viva compi;
mi inoltro nel verde e nell'ombra. E' nell'aria un
acuto profumo di resina, l'ir viottoli cammino
folto, imbattendi mi in qualche turco meditai*
od addi uni ut. ito. l'n numero straborchevi
pi abbattuti ed altri ritti in tutte le posizioni I
della verticale, attestano l'antichità del lu _
sieme il I nti ci di r del terreno per lo sfai
della base.
Innanzi a un chiosco recente un vecchio in tur-
bante, per nulla disturbato dalla mia presi
patl.i ad alia voce, tutti si ! . fumando a pae-
sini chibouck. l'aria, palla, con gesto leu
rompendosi per attendere la risposta del mori
ripigliando quasiché il mi rto l'avesse data.
l'in m'addentri e più stupisco n<-l mirai
lupp. . e il colorito di quei cipi
1 ).il vi rde cupi >, vigi il vi rde chian .
i ■ . tutta la gamma di 1 ci ilore è là r.q pi
(ìli alberi in fondo sono velati duna sfumi
ATTORNO A STAMB1 L
975
la. Ve ne sono di chiomati da cima a tonilo, altri
nudi line a mezzo il tronco con fuor dalla terra
radici mostrili
Tutti hanno una tisonomia e un accento parti-
colare: si direi. lie che coi materiali delle spoglie si
si.in trasfusi in essi l'animo e le passi< ni del defun-
ti : ve ne sono di baldi che irrompono nel cielo
coll'immensa loro massa conica; altri molestanti
i vicini, i rami contorti in un vigorosi yel t . > late-
rale; altri nani, tutto muscoli e bitorzoli; e altri
ancora che nella sete del sole non osan farsi
largo fra l'intrico delle fronde onde sono svi-
luppati.
Qui un solitario, maestoso e meditabondo ; là un
gruppo di spensierati che, dritti e leggeri nel loro
quieto rameggio, cullatisi nella dolce contempla-
zione dell'azzurro; più oltre un cipresso consunto
e inaridito come di passione, i bronci] o ungati da
nodosità aspre e violente.
E' nel bosco una gaia animazii ne, un incessante
fruscio d'ali: ai bacini delle lastre marmoree dei
ombi bevono a piccoli sorsi, gonfiando il collo
delicato; altri guazzano festosamente, spruzzando
l'acqua alfingiro. o si asciugano al sole in una
immobilità spirante 1 riessere.
Numerose coppie tubano, il maschio con continui
rigiri ed inchini, la femmina ini(x-ttita e seansan-
tesi come una damina civettuola.
0 -1 da una parte il supremo nihil, la mone.
dall'altra la suprema manifestazione della vita,
laniere: ancora una volta, in quest'antitesi, la na-
tura tradisce l'implacabilità del suo piano misterio-
S . mui vendo gli esseri, incoscienti fantocci, a' suoi
fini.
E' credenza dei turchi che i morti soffrono fin-
ché non sono resi alla terra, la gran madre. Epperò
i cadaveri, tosto impartite le abluzioni lustrali,
a no portati al cimitero a passo di corsa e pronta
mente coperti di un pugno di terra.
Allora l'iman interroga il defunto sui principali
articoli di fede del Corano, e il suo silenzio viene
interpretato come un assentimento. Gli astanti ri-
spondono « Amin » . dopodiché il corteo si di-
sperde.
Il Selamlik.
Due ore avanti la cerimonia del Selamlik. il pa-
diglione degli ambasciatori rigurgita d'una fi Ila
>ea. avida di assistere al passaggio del Sul-
tano, recantesi da Yldiz-Kiosk alla moschea Ha-
miiìie per la preghiera del Venerdì.
A custodia delle finestre starmi alcuni funzionari
turchi, silenziosi ed immobili. Proibizione assoluta
di sporgere il capo, di valersi di binocci li e tanto
meno adoperar macchine fotografiche, essendo in-
terdetta dal ("orano la riproduzione della figura
umana.
Incomincia lo sfilamento delle truppe: preceduta
dalle fanfare e dalle bandiere colla mezzaluna pas-
sa l'infanteria, passano i festi-zouhafi (o I fez), i
marinai in nero con gran colletti turchini, i lan-
cieri e infine la truppa scelta, i sarygly-souhafi (col
turbante verdi . 1 di pi ilcune evoluzioni si schie-
in triplice fila, chiudendo ermeticamente gli
>bo chi.
Sono bei soldati, alti, muscolosi; ma l'uniforme
con ha ampiezza, né smaglio: quelle linee rigide.
quei colori monotoni accusano i frequenti contatti
coll'Occidf nte.
Degli spazzini sono in moto .1 scopare e a sparger
sabbia, mentre altri spazzolano i soldati della pri-
ma linea, immobili anche in tale opera/ione.
Arrivano, alla spicciolata, i grandi dignitari, se-
guiti dalle ordinanze recanti \ aligie colle insegne
e gli uniformi di ricambio. Quante pance fra quei
pa à dalla faccia più tedesca ohe turca!
h mezzodì, e tutti gli sguardi sono intenti a
Yldiz-Kiosk. N'el padiglione, malgrado il caldo,
nessuno dei turchi si leva il fez essendo ai loro
occhi sconveniente stare in pubblico a testa sco-
perta.
Precedute dal grande eunuco nero e scortate da
altri eunuchi cavalcanti agli sportelli, passano in
carrozze chiuse le sultane e le odalische dell harem
imperiale. Vivissima in tutti la curiosità di vedere
le misteriosi abitatrici di quell'eden, la cui soglia
è a tutti interdetta. Attraverso il velo bianco s'in-
dovinano i lineamenti molto giovanili e il viso
dipinto.
S gue uno sciame di pezzi grossi, civili e militari,
0 tperl 1 i'i deci ras ìi ni.
Una gran calma e insieme un'intensa aspettazio-
ne r ira nel padiglione; le sign< re sono le più esi-
genti: s'alzano, premono, pur di poter vedere l'uo-
mo dal poter sconfin
Le musiche suonano la marcia turca, un urrà
scoppia improvviso e formidabile fra le truppe alli-
neate.
Preceduto da sfarzosi cavas. ecco giungere Hab-
dul-Hamid, in cali-che tirato da una magnifica pa-
riglia saura, con cocchieri dalli' livree scintillanti.
Se ne sta in fondo alla sua carrozza, vestito d'una
semplice stambulina. 11 suo viso pallido, un po'
emaciato, nulla ha di caratteristico all'infuori del
masi grande e adunco, il naso di razza.
Quando arriva innanzi al padiglione, chinandosi
leggermente, un silenzio mortale si fa intorno e
passa tv Ilaria un non so che di tragico.
Xel riti mi le carrozze delle odalische sono an-
cora precedute dal grande eunuci 1 ini. .1 avallo.
Habdul-Hamid questa volta è in phaeti n, e guida
egli stesso una magnifica pariglia bianca.
I corpulenti pascià e gli alti dignitari trotterel-
lano appiedi dietro la carrozza in una gara a chi
vi si attacca, e in atto di protezione e insieme di
umile dedi/ii ne.
Ancora una volta, al suo passaggio, si fa un si-
ai
Un tramonto sul Corno d'Oi
In fonili . dietn Evi ub, ;1 1 ielo è tutti un in-
cendio: con indi tesso lavorio le nubi battagliano.
crollano, si ricompongono in fantastici accavalla-
"7"
LA LETTI
ninni, ed i m mul ai di uni . ili luci
h rapido si
ni purpun
allargare >. in una cupa m
l.i \ \s ttà della pugna : il C i go ili
li.<« ii n cui liniii.nn .ili ibustione. gli
-..ili. dei >. teli lancie. dei
i ai qua i : rve in rapide scint ili
Su t lalata il i ui ci ascende, ir-
rompe in nitidi sprazzi su 111 ria , le lingu
Rami - il S< '.uni. . ci iinw'.uiili sui lì 1 1 si
della ti >rre gen
Il Gran Ponte è \<it quadro dante
Muovonsi fra bagliori sanguigni ^'li Immal ■ mr-
vi sol i pesi, i portatori d'acqua, i mercanti,
i soldati in un frammischiari torme; i volti
sono congestionati e violenti: è una pop
iitn.
Sull'opposta riva, già avvolta 'li tenebre, levasi
dalle acque Starnimi l'immensa, proiettandi nel
cielo l'arco dell'oscura sua mole in una spezzatura
'li linee caotica e sterminata. Al sommo sta la Su-
teimanié, stiu. e tenebri sa all'ombra del
Si raskii ra
rutti nero, misterioso, inaccessibile allo sguaff
do; solo i vertici emergono, arresi d'un rosa sfu-
mati i. d'una «le ilcezza profonda.
CELESTINO ROSSI.
Santa Sofia
eix'autunno de] '95, il padre di Ve\
fu traslocato a Torino.
Arrivarono di Sicilia, babbo, mamma,
Vevè e masserizie, sballottati, infranti da una tra
versata burrascosa. Eran venuti per mare da Mes-
sili.1 a Genova, e la furia degli elementi li aveva
accompagnati in quel primo viaggio di gente che
affrontava un incerto destino.
Fummo a riceverli alla stazione. Non li conosce-
vamo affatto, sebbene fossimo un po' parenti; una
parentela lontana, piasi perduta, ohe ci impegnava
però sempre ad occuparci di loro durante il pe-
riodo difficile, nostalgie, che aco mpagna ogni cam-
biamento di paese ed ogni conseguente mutar d'abi-
tudini.
Mi ricordo, anzi, ch'era stato molto noioso salire
endere qualche dozzina di quarti piani, alla ri-
di quel miracolo che si chiama, in una città
come Torino, un quartierino un po' arioso e un po'
ridente, per settecento lire all'anno.
Ci sgomentava il pensiero che lo avrebbero tro-
vato brutto, immancabilmente. Venivano da un pa-
radiso di sole, di azzurro, di aranceti in fiore.
Lei, una picei la signora Imma, affacciò ai vetri
Lello sportello un visino stravolto. Siciliana, non
.1 mai lasciato l'isola; e il pianto, l'ansia, lo
stupore, lesi eran fissati sul volto in un'espressione
bizzarra di sbigottimento: solamente gli occhi, due
d'ombra, dicevano la rassegnata docilità del
che segue il padrone, fedelmente, fino alla
morte. Oh. un buon padrone amoroso, a giudicare
chiari sorrisi che apriva due chiostre di denti
. nel viso abbronzato di lui. E la piccina. \< .
1 Vi vette, 1 iii e '.i 1 1 li rata 1 1 ; un grappi ili matu-
rato agli ardori di laggiù, li specchiava entrambi
grandi occhi scuri e nel riso candido che fioriva
improvviso ira le labbra sii n. - amente.
La signora, ipp 1 1 disi lai treno, si strinse
nella mantellina legger; inimicò la sua pri
ma impressioni' penosa :
— Fa freddi 1.
La Lettura.
Spiravano dalle Alpi i soffici ottobrini che sono
così acerbi agli stessi settentrionali. I1 cieli era ri-
nerognolo, pieno di neve lontana.
- Dacché abbiamo lascialo Messina - riprese
1 11 \ piemia — non s'è più avuto un momento
di bene.
fi tacque, in attitudine dolente, come non s'aspet-
tasse più bene alcuno dalla vita.
franco Franchi, che non aveva rivedute Torino
da che v'era stato allievo all'Accademia militare e
vi aveva sloggiato le sue spalline nuove fiammanti
di bel si in ii inailo '" nquistatore, ritrovava con lii ta
meraviglia la cara città del tempo gii varale. A vi-
veri laggiù, fra gente chiusa e raccolta nel cerchio
di vecchie tradizioni austere, sera quasi dimenti
cato il cordiale aspetto della capitali piemonti
Ed erano esclamazioni continue, richiami:
Rosalia, guarda, in fondo a quel viale ci
stavo io di casa.... Vevè, Vevetta, laggiù cera la
scuola di babbo, sai ?
Vevè sgranava certi occhioni stupiti al pensiero
che babbo, un giorno, lussi; andato a scuola; 1 si
ridevano in faccia tutti e due, col riso muto dei
denti candidi.
Li trovavo carini, i ninni parenti cadutimi dal
cielo; semplici, quasi ingenui. Diventammo subito
amici.
Per pili di una .settimana, ne] quartierino che
avevamo presi s pigioni per loro in corsi Vinza-
glio, fu l'orribile confusione che precede l'assetto
della ' asa \i". ita di martello 1 di o raggii . '
della mia esperienza di zingara nata, venivo sp
in aiuto allo sgomento di Rosalia. Ni n era proprio
fatta, e ra B alia, pei |uel mesi ieri di mi
di militare; le mancavani la bella serenità gioì
la disinvoltura impagabile della donni l
cai/. ire signorilmente il breve guanto di un bis
immacolato, per pranzare la sera al restaurant, di
pò aver lavi rati tutto il giorno da bravo imballa-
ore, a 1 iatter chiodi ed a s\ itar coperchi.
Lei. era di quelle donnine timide ed inconsape-
62
I I
LA LETI i i \
ial : si m
derai mbiro . \ bini
> vezzi i aro iulleschi, t rin>-
I auti irità del capo 'li casa, an-
studente licea
' ■ re d'amore i d'obbedienza che fanno parte
alari vetusti i
\ l Franco e Vi
\ no; ma il babl « ■
piccina, la piccina 'li cinque anni, avevani
che sì largisce agli
ri deboli e indifesi, un po' inutili; mentre,
luti e fieri, s'intendi \ ino tanti fra loro!
libre ci i lusione di pi ìmavi
i.i. Sapendo comi Franco fosse molti occupato in
quartiere, andavo tutti i giorni a prendere le 'lui
I I Valentin fresco i
■ li prati per i piedini infantili, cortese d'ombre
■
Vevetta, per solito taciturna ni buona si-
ciliana, usciva pei me dal su. riserbo; cinguettava
' lsI randi già |ualche gemma pie-
montes ■ ni ! sui italian sfu
mature meridionali Rosalia guardava \ rso le Alpi.
rabbrividendo. \1> lo diceva sempre: pensava alla
che aveva veduto qualche volta, così 'li li
lare sul cono '!'-ll luna, e che non poteva
raffigurarsi calante a larghe fai di piane per sep-
pellire tutte le cose. La neve I \*e aveva un terrore
puerile; gemeva 'li fredde a parlarne.
E venne presto, quell'anno, la neve. Venni ch'era
i.i ni rvembre . vestì 'li Inani" la città, I
di silenzio li case. N'essuno sapeva ancora •
l'annata sarebbe rigida; rigida e crudele ]kt
v< n cuori.
Il 7 dicembre piombò come un fulmine sull'Italia
rrita la notizia del disastro d'Amba Alagi: il
I at taglione Toselli, il bel battaglione come lo chia-
mavano, il battaglione eroico era passato alla
Sti ria.
Fu, dapprima, un senso d'angoscia paurosa; poi
tra il vele 'ii lagrime e 'li sangue, balenarono i rac-
conti epici, vibrò 1 eco delle voci già divenute
genilarie. Un'ebbrezza <li dolore e di entusia
i\>rse tutta la penisola come un soffio agitatore,
gonfiando i petti giovanili di ardimento e «li
sdegno: la vendetta, la vendetta! Ma giunge-
vano di laggiù notizie anche più tristi, minac-
ciose- Makallè. (ira. c'erano i tran-Ili da sal-
vare. Partivano i tirimi rinforzi.
Fra i preparativi febbiili e l'ansia di un
popolo, Rosalia Franchi portava la sua timi-
da inconsapevolezza. Si diceva che avrebbero
scelto gli ufficiali scapoli, a preferenza
immogliati, per mandarli alla gloria od alla
morte. (Di sconfitta, allora, non si parlava
neppure.) ("era tanta gioventù 1 il -tera e ar>
chi vibrava di desiderio! Pareva inutile tur-
Lare le fami.
Ri salia avi va i hii sti i al mai iti i. fidui
Tu non vai n
E lui aveva risposto evasivamente: Fi-
gurati!. - • ma gli luce, ani gli occhi e narrava
con voce fremente di compagni che partivano,
sempre il primo a conoscere le notizie di lag-
c. hìci di giornali, smanii si . irn |
s 'i nti
Ri salia -' ra cullata placidamente nella cer-
ti /za. dimenticando quasi quella
guerra lontana che non la
\ sapevamo che il nome del teneiv
I ra . i i già sulla lista di
Ioni tri.
Laggiù, cominciavano i primi
guati, li fezioni dei i api indigeni.
li scaramucce feroci i •
i nosti' L'n'ombra di sconforto
a inv isibile pn mta a calar ■ sugli
mimi. Ma il tricolore, sul forti
liano, sventi lava ancora, intr. ;
mei te.
-i m\ uni
solita, gridando:
— Si
— Chi Rosalia.
Il < A.PPOTTINO ÒKIG10
979
j'ita. senza capire. I grandi occhi scuri interroga-
vano quietamente.
Vevetta, in un canto, aveva drizzato gli orecchi
come un puledro di sangue che fiuta il pericola
— C'è che domani può toccare alla mia.... e....
e all'. tu si parte. Bisogna farsi <
mia piccola Rosa.... Si tratta dei nostri, della ban
diera. E' un dovere sacro! Perchè piangi, ora?...
Lente lagrime rigavano le guance della picce ila
donna rassegnata. Allora il babbo, desolato, chia-
mò in si scorso !a bimba:
— Vevè, Vevetta. tu che sei il mio bravi solda-
tino, che faresti, ili', se papà dovesse andare alla
guerra ?
I-a bimba spalancò i neri occhioni tante simili
a quelli di Rosalia ; ma non ne caddero lagrime,
ritardò quel pianto che grondava silenzioso
dagli occhi materni, e poi rispose gravemente:
— Xon piangerei.
Franco partì colle prime batterie. Dalle finestre
della palazzetta che io abitavo in fondo al corso
Vittorio Emanuele proprio davanti alla caserma
dell'artiglieria da montagna, assistemmo alla par-
tenza.
Rivedo la lunga fila tortuosa di muletti docili.
di cannoni lucenti e di begli alti montanari dalle
spalle quadre e dal viso assorto. Xon vi furono, al-
l'uscita, dimostrazioni rumorose; la folla aspetta-
va alla stazione. Lungo il viale, poca gente fece
ala rispettisamente ; qualche evviva, qualche con-
siglio, [tialche singhiozzo:
— Tornate presto! Picchiate sodo- e viva noi!
Sempre Italia! Arrivederci! Addio'...
Vidi cittadini correre dietro ai soldati, agli uffi-
ciali, per stringere quelle destre d'ignoti; sentii po-
polane gridare ai partenti una benedizione : le si-
gnore sventolavano i fazzoletti.
La guerra d'Africa non lo era : ma i soldati che
vanno a morire, sia pure soltanto per la bandiera.
sempre popolari.
Quando Franco passò, molto pallido, rigido sul
suo morello. Rosalia mi svenne tra le brac-
cia. Egli ebbe un moto disperato. Vevette
era salita furtivamente sul davanzale: so-
la, ritta nel vano scuro, scrollando la te-
stolina ricciuta, gridò con voce squil-
lante:
— Papà va alla guerra, e viva l'Italia!
Tutti alzarono gli occhi. Nella fila degli
artiglieri corse un lungo fremito.
— Ho detto bene? — mi chiese, qusn-
do la strinsi a me. ancor tutta vibrarle.
— Mi ha insegnato papà. E, anche, ha
detto che. se piango, il cappottino si
macchia e papà va in ci llera, ni n
torna più
_ Allora soltanto mi avvidi che la pic-
cina indossava un cappottino grigio, al- "
l'artigliera. coi piccoli bottoni d'oro fre- \
giati del simbolo dell'arma e, alle n
scie del colletto, le stelluccie d'argento ri-
camate.... Una sorpresa, un dono, un'idea
gentile: l'addio di papà.
- •
Le finestre di casa mia come divennero tetre'
Pareva che un presagio di lutto già le abbrunasse;
parevano segnare il progresso della desolazione nei
cuori.
A due a due. le batterie sorteggiate prendevano
la via dell'esilio, raggiungendo altre batterie, altri
battaglioni offerti con strazio da ogni città italia-
na. Il reggimenti di Franco si dissolveva, come
un grano' la un male insanabile.
Vedevamo la vasta caserma ore più squal-
lida; finestre chiuse, camerate, scuderie deserte. La
sentinella andava su e giù battendo nervosamente
il calcio del fucile sul terreno gelato. Il trombet-
i.u . stonava i segnali. Che tristezza il si-
\ suonato cosi, sfiduciatamente! Due volte al
giorno, nell'ampio cortile, scarsi gruppi di soldati
accudivano al governo dei muletti, macchinalmente.
senza gettare agli echi gli allegri ritornelli paesani.
Sul viale, si riunivano in crocchio i pochi ufficiali
rimasti, commentando le notizie del giorno. Pas-
sava fra tutti il vecchio colonnello a capo chino....
Perchè la vittoria, ora. non era più ben sicura.
Si pensa\a a quelli che erano in viaggio e a quelli
che aspettavano: i cuori battevano all'unisono il
LA LETTI
nini
l esaspei
■ : \ ita o di ni
\ sempre
più bari
i un nodi 'li pian
suo i apportino, ritta sul
jiiill
\i\a l'Ita
l era rimasta
i po-
arla ; la gridava p all'impnH
ndo Voli Ili
la \
i i una spe
le, la ri-
i r\ al li. sempre
no 'li sfida i di trionfo, rolla vi cetta
i dai
incubo, p-r noi, quella fras \ ■
i e la faccia smorta 'li Ri
ta un i i. una pii
nelle mie mani, pregavo la bin
più I
i qualchi
e in un cantui
M ■ rale di un n< in
l In -.1 che i isii me azzurra, i to di
pitanti, gli balena ad un
onieri ' Un trillo, un si li i trillo inat-
rapido, sfai mi un guizzo ,1,
tra i i piava ad un tratti la
.1 di Vevi
i : guerra. |»r lei ? ( !ome la
Mu de, |« un. in. bandiere al vento ; e i
nilii I aloppo si renato dei
cavalli, li si ini illii i lei le armi, gli elmi durati
svolazzo delle penne bianche, ira l'applauso della
moltitudine fi la luminaria.
■ li luce tricolore la croce e 1<> stellone in
alto, lo stellone d'Italia... '-"mi- un giorno ili pa-
rata, come una sfolgoranl
in ima città lontana, sulla riva del l»-l mai
n i con ne di giardini in tìore?...
Papà va alla guerra, e viva l'Italia!
L'ultimi : se ni andò tacitamente, tra la
lita, salutata soltanto da quel grillo
no di bimba
Ri salia non usciva più di casa, colpita da un
languoie invincibile, freddolosa, ammalata di
stalgia i 'li paura '
Portavo Vi con me a passeggio; il cappot-
tino gì i Furi re; ii . entusiasmava,
tirava i baci ... e ì si spiri.
— E' la piccina ili un [hitIUù — -
i intorni all'inconscia infanzia ridente taceva ogni
tristezza più li quace.
\< i trams, si la passavano ili braccio in bri
rava in o mfidenza, I
ria ili quel sui tesi ro, si alzava in piedi perchè
tutti potessero ammirare il
teneri-//. ■ ; ne lucidava i bottoni 'ella
manica perdi,- risaltassero ì minuscoli cannoni ili-
iti; e finiva col dichiarare seriamente:
- Ora l'asta, non lo toccate più, perchè si gual-
>-. e allora !...
Aveva un gesto vago, come iccennando a
saputa ila
Lo adi rava, letteralmente, il cappottino di /
\ vedere la sua allegrezza, o a sentirla ricordare
l'assente senza una lagrima, qualcuno torse avrebbe
potuto dubitare della passii iveva
ita al padre : ma sarebbe bi -
di quali cure gelose circondava il cappottino | er
rio a ricredersi. Lo riponeva lei stessa a-
i.le le piccole maniche, ar-
- iamlo il colletto, rivolgendolo tutto ogni volta
nel loglio di carta velina, come quandi
portato dal sarto militare. Spesso, ni iella
giornata, sgattaiolava via furtivamente: era andata
•ino. ad accarezzarlo delicatamen-
Ci 'tuirli i di baci impeti
— Se tu piangi, il cap|> ttino si macchia....
avevi ammoni-
■ l'ilio, eh,- freddo, su Torino e pei
in quell'inverno sinistro ! Addio,
di Makallè. l'n vento di sventura spirava dalla
terra n ri Si ino le notizie. Da qualche
tempo, noi. nuli si sapeva più nulla di l'r.i
IL CAPPOTTINI » C.RK'.K i
98l
Nei tr.uns. dove tutti s'incontrano senza cercai
e la folla anonima ritrova sé stessa, accadevano
scene caratteristiche e pietose.
Due signore velate, riconoscendosi all'improvviso,
- ppiavano in pianto, singhiozzavano abbracciate:
madri, mogli di ■partiti.... chi sa?
Un impiegato, un militare, un operaio, entrava
c< I giornale spiegato in mano; gli si Eacei ino in-
terno; correva un fremito nelle due file di teste
che si sp< rgevano per vedere, per indovinare. 1 li 1
ino le interrogazioni e qualche volta c'era let-
tura ad alta vi re delle notizie più impressionanti.
Una vecchietta del contado, venuta in città per
vendere le ova. stava narrando ai vicini del fi-
gliolo l>ersagliere ch'era laggiù e che non scriveva.
Una bella sposina triste coglieva a volo il numero
de! battaglione, chiedeva subite, animandosi, quel-
Iti della compagnia, e la vedevo raggiare pueril-
mente felice d'aver scoperto che il soldatino bersa-
1 ■ apparteneva proprio alla compagnia di lui.
La sposina, naturalmente, aveva ricevuto una lunga
lettera piena di ragguagli: stavano tutti bene, alla
quarta : erano accantonati a***....
Contadina e signora elegante discendevano in-
sieme, divenute amiche, per discorrere ancora un
poco....
E tutto questo alla vigilia di Adua.
Alla famiglia di Franco Franchi non fu data
la tragica felicità dell'incertezza. Egli era caduto
tra i primi, accanto ai suoi cannoni, credendo an-
cora alla vittoria. Pochi superstiti ne attestavano,
senza errore possibile, la fine.
Ma Rosalia non lo seppe mai. Quando, avvertiti
del disastro, accorremmo in casa Franchi, gli stril-
loni ci avevano preceduti; la trovammo che strin-
geva ancora il giornale fra le dita rattratte.
Ella non aveva neppure concepito il pensiero che
tra quei morti - — migliaia di morti ! — non fosse il
suo Franco. Era caduta di piombo, senza un ge-
mito.
La servetta siciliana, che non aveva capito nulla,
urlava, strappandosi i capelli. Vevè, atterrita, pian-
geva, chiamando: - - Mamma.... — Neppure lei
aveva capito.
Rosalia ci morì circa un mese dopo, senza essere
rientrata in sé. Di che morisse precisamente non lo
seppe nessuno. La vigilia della morte, poiché l'in-
ferma pareva stare un po' meglio, pensammo a Ve-
vetta. La povera piccina languiva, relegata in una
stanza remota, in compagnia della servetta siciliana
che avevamo dovuto allontanare dal capezzale di
Rosalia per gli urli selvaggi coi quali eccitava mag-
giormente il delirio della morente. La ragazzotta.
che s'era finalmente accorta di qualche cosa e. più
per istinto che per le nostre raccomandazioni, si ren-
deva conto della necessità di non far trapelare nul-
la colla piccina, aveva passato il tempo a raccon-
tarle avventure favolose e prodigi compiuti dal si-
plorimi alla guerra lontana dov'era andato. Quando
la narrazione cadeva addirittura nel grottesco, s'u-
diva la voce della bimba, scontenta:
— Non è vero, dici bugie.
Ma intanto le ore passavano e Vevè. pa'liduccia,
rattristata, negletta da tutti, dimenticava, fantasti-
cando sulle gesta di quel papà da leggenda, la tri-
stezza della piccola inanima che stava male, lì vi-
cino, e da cui nessuno voleva portarla.
La vigilia della mori.-, dunque, m'incaricari ni di
condurre a passeggio Vevè che non usciva da un
mese. Dissi alla servetta siciliana di vestirla; e
aspettavo nell'altra stanza, quando fui richiamata
da strida acute della binila.
Era accaduto questo: che una parente venuta di
Sicilia per assistere Rosalia, una di quelle persone
che hanno la facoltà straordinaria di pensare a
tutto, aveva ordinato il bruno per l'orfanella di
Franco. La servetta, cui erano stati consegnati
quegli abiti luttuosi, pretendeva di farli indossare
alla piccina che si ribellava violentemente, trovan-
doli « neri e brutti », e reclamando con grida dispe-
rate tra lunghi sussulti del corpicciuolo nervoso,
il «cappottino di papà».
L'angoscia di Vevetta era quasi feroce, e il suo
orrore per quel sinistro apparato di morte m'entrò
nell'anima sollevandovi un fiotto d'indignazione.
— Porta via! — ordinai alla ragazza sbalordita.
— E vestila come prima.
Vevè. acquietata dalla mia presenza, ripeteva an-
cora tra i sussulti: - - 11 mio cappottino, il mio
cappottino....
— Anche quello? - - interrogò cogli occhi la
siciliana.
— Anche quello -- accennai, rivolgendo invo-
lontariamente il capo.
Uscimmo. Era un tempo splendido. Vevetta, ap-
pena rimessa dal grave dolore, mi trotterellava ta-
citurna a fianco. Incontrammo un soldato di arti-
glieria ; guardò il cappotto, la piccolina ; non seppi
perchè, e forse neppure lui lo seppe, alzò macchi-
nalmente la mano alla visiera del kepi, salutando
militaimente.
Un l>el sole primaverile accendeva il visetto
smunto di Vevè. le scaldava le piccole membra in-
torpidite: eppure Vevè non parlava ancora, chiusa
in un suo pensiero occulto.
Passava un tram; vi salimmo. Come di solito,
il cappottino fu accolto da un mormorio simpatico.
Una signora anziana, vestita di nero, alzò gli oc-
chi e diede in un'esclamazione indicibilmente do-
lorosa. Indi, affascinata, trasse a se la bimba.
— Chi è? — mi chiese piano, mentre le lisciava
i riccioli biondi, scivolando colle dita tremanti sino
alle stelle ricamate, ai piccoli bottoni d'oro, per i-
sfiorarli carezzosamente.
- La piccina del tenente Francie
- Ah !
I nomi dei morti erano ormai familiari.
— Anch'io — riprese la signora ci avevo mio
figlio alle batterie da montagna.... e non so nulla,
nulla....
Vevette non ascoltava, meditabonda, e n certi oc-
chi pieni di cose fantastiche die le avevo veduto
altre volte.
Quale memoria lieta da! giorno in cui, tra due
11 zze, le era stata insegnata quella frase, sorse a
LA LETTURA
lai* un'onda
> .1 in ra, 'li
i di sole:
n sussun p na i 'li
locchia,
- nte : ì<- gron-
ca pottino.
i i- ni ..i. svino landi si brusca-
li ni.i ■eh ! i ih. oh,
me i ha mai i hiati .. I papà li in collera.... oh,
ufi. papà va ii ni □ tenui più....
Vevi piangeva: come se il piccolo cuore gonfio
roppo doloi
zio, si fi sse a un tra eh itato, piangeva .i ta-
glimi i n 'i li, che si coni us quel-
indi '1 n li • il panno
io, ii ' la duplii e fila 'li I» unni, dove il ix-ttu
' li sangue.
Scendemmi .il Valentino. Per i viali, vendevano
i mazzi ili violetti Qi Fragi anti !
Sembrava rhe le siepi ili Valsalire, quell'anno, non
si ^t.inrassero più di
TERESAH.
^•M\fWK?
'^Ì5$£*
CANTICA FRANCESCANA
\/r/ peri ft'io no« proi e da troppo chiuso
Francesco e Povertà per questi am
Prendi "inumi nel mio parlar diffuso.
Dante, Paradiso, C. XI).
I.
Frate Leone <■ frate Egidio assisi
sul verde colle ore in sua grazia impera,
come novizia in bianco reto. Assisi,
vedean per gli archi de /'immensa sera
stelle varcare : udiva no da 7 piano
tremar gli spirti de la Primavera.
0 frate Egidio, com'è Insto e vano
chiedere al mondo quel ch'a noi già piacque '
noi sogniamo, e il bel sogno, ecco, è lontano!
— Fratello, spera! — disse l'altro — e tacque.
però che un lume, in tremolìo d'argento,
venia, svaniva sopra un'ala //'acque.
- O frate Egidio, com'è fosco e lento
nostro mortale brancolar tra' vivi ;
l'uni , mi è stanca, se il corpo è in tormento !
—Fratello, spera!... Adesso, era pe' clivi
tutto un raggiare, ed era come un oro
limpido, sui fastigi de gli olivi;
era come se un palpito sonoro
destasse il vento con volo più fresco
ira le foglie fragranti de l'alloro :
e cantavan le siepi, e ti melo e il pesco
favellavan d'aurore, e vìa per l'aria.
risonaci/ il bel nome aureo: Francesco!
perii che da la terra solitaria
OV' Egli giacque. , lime stelo, ignudo,
tra sua piccola gente terziaria,
l'anima dolce senza dardi o St "do —
Povertà coronata ili Vittoria
-c'hi. ululando in <uo fraterno ludo.
e balenando, come fiamma, in gloria!
1 18 | LA LETTURA
II
luminiti sii, per in tua bianca pace
sorella Sotte: nel tuo sen profondo
l'ira s'aduna de gli umani, e tace.
Tace, se in gesto lieve ni moribondo
chiudi le ciglia, « se di te si sazia,
stanco i/i sogni e di misteri, il /mintiti.
Laudata sii, per In tua santa grazia,
vergine Notte: In bontà de' cieli
t a/ n- in- l'ombra ove il tuo Cor si spazia.
Poggia tra cime azzurre d'asfodeli
l'alta tua intuir . e per le stele snrllr
intuì ni i, le verità de gli Evangeli
Laudala sii, per le tue mille ancelle,
Volte regale: su 7 tuo minilo l'Ore
ridi situi, itm ardenti ale, le stelle,
f /in che duri il circolalo ardore,
e splenda ancor la sideral milizia,
ti Sotte, è Sire del tuo regno, Amore!
« Amor ih è d'ogni ben Mimma dovizia,
Fonte <li Vita, per colui che rumi.
e converta in tristezza ogni letizia,
però che < min- allodola oltre i rumi .
l'uomo s'inebrii, e in suo cantar non oda
de la schietta Umiltà in/ii ì rivìntimi '.
« Fratel, che vivi in su la inoriti proda
tifi intintiti, schiudi a Carità Ir porte,
a Pazienza ogni imi spirto annoila,
mi /n sereno come il Sole, e forte,
umile in gloria, libero in servaggio,
lì urlìi' da l'ombre nostra SUOTO Morir
min giunga, e spezzi il tuo fatai viaggio ! »
III.
Tacque il gran Cuore. <> mio fratello, mh
, hit se il fedele al dubitanti'. l't/ii '
Tro]ij)o son rimi i min giudizii e tristi .
— Convien lasciar questi profondi oblìi,
fratello. E' l'ora. Aranti eh' Ei morisse
ne /rutili, ir tristezze degli addii. -»
\» /-/ mi/tr. il giardin ih- Ir Clarisse
folgorava: una croce era ogni ramo,
e d'improvviso, m fiero zelo, disse
frate Leone a frate Egidio: Andiamo!
ETTORE MOSCHINO.
Fio 1.
Corrente nervosa sensitiva o centripeta che va dalla periferia alla parte posteriore del cei
Corrente nervosa di moto o centrifuga che va dalle pani anteriori del cervello alla periferia.
M — Spaccato del midollo spinale
La velocità degli atti psichici
'elemento funzionale di qualsiasi atti-
vità nervosa è un'onda invisibile che viag-
gia dalla periferia del corpo ai centri
rappresentati dalla polpa cenerognola nell'asse del
midollo e nel manto del cervello ; oppure decorre
da questi centri alla periferia. (Vedi Figura li.
Ina sensazii ne è una vibrazione generata da una
forma qualsiasi di energia (meccanica-chimica-ter-
miea-luminosa-elettrica) sulle terminazioni nervose
de' nostri classici cinque sensi esterni o del nostro
senso interiore e che si propaga centripetamente,
lunghesso i cordoni nervosi, per i fasci posteriori
della midolla sino a un dato territorio della cor-
teccia cerebrale, ivi divenendo consapevole, cioè co-
nciente.
Ugualmente una vibrazione è in fondo a ogni
movimento: in questo caso però tiene una strada
inversa a quella battuta dalla sensazione, diffonden-
cenfrifugamente. Cosi, nel movimento volon-
tarie, L'onda piglia le mosse dalla scorza grigia del
cervello, attinge i fasci al davanti e ai lati del mi-
dollo e per i nervi si scarica nei muscoli delle no-
stre membra.
F. mire per lo spostarsi di una vibrazione nervo-
sa che in ultima analisi si compiono i fenomeni
psicologici : per esempio, l'evocazione voluta di un
ricordo, l'attenzione, l'associazione mentale sponta-
nea. L'onda lanciata dall'organo della volizioni va
a porre in trepidazione una determinata ac<
di impressioni, cioè di imagini antiche, o anche tra
din centri diversi di esse si stabilisce una comuni-
cazione per oscillazioni molecolari spontanee lung'
le così chiamate vie associative....
Prima del '50 i fisiologi disperarono di poter
computare la velocità di propagazione dell'onda
nervea: anzi il grande Miiller. pur tanto confidente
nel meditare e nel cimento, lo proclamò uì\ inti n
perennemente sterile. Il meraviglioso, l'inaccessibili
che si annetteva alla vita della psiche faceva repu-
tare ibile l'intervallo cronologico necessa-
si n'ire, alla determinazione del muoversi, a ri-
cordare, a pensare. Un discep li dello stesso Mul-
LA LETTI RA
dapprima irritando
v intento
ore, \ ide, mediante
scoli tar-
« niva ap
irallelamente, replicandi
nervi deputati alla sensibilità
l'onda dalla periferia
notò che, applicando uno stimolo di li n
del ranocchio, il az&
■ più ] i, ntamente, inani.' più vicino
al cervello, veniva
le Quel che fu scoperto nel piccolo ai>
,. ttrii o, Fu ci ni' r-
gni altro individuo zoologico, 1 1
l'uomo, e per ogni altro genere ili stimili", corn-
ilo naturale.
andò si viglia, per esempio, con un atto di
■;. inviare un ordine simultaneo ili contrazi
ai muscoli delle labbra, che sono tra i più prossimi
al cervello, e a quelli del piede che ne sono i più
i» ssa giurare subbiettivamente
due movimenti si effettuano nello stesso atti-
pure gli orologi speciali dei gabinetti ili fisiolo
cun in i he fra i due gesti c'è per lo mi m
tardo di un trentesimo di minuto secondo, a
vantaggio del moto della bocca. Ciò per l'onda
D'altro lati», per l'onda sensitiva: se supponiamo
che due stille di pi idano nel medesimo mar
tematico -nlla persona, bagnando luna il
l'altra la mane l'impressione su questa giun-
ti una mìcri so pica mi ra,
dopo l'altra, a mutivi, del sentiero più lungo da
orrere jx-r toccare la mèta, la corteccia dell'en-
tra media ormai sicura, che possediamo per
tuire una comparazione tra la velocità della vi-
psichica e quella delle > ndi db' altre
ll'universo misurate dall'uomo, è ili 30 ai
50 metri 1* r minuto secondo: numero che sbalor-
non per la sua incommensurabile, favolosa
grandezza, come imaginavano i nostri ni imi. ma per
linità. L molecole ilei nostri sensi, dei
tri nervi, del nostro cervello si urtano con un rit-
■ nabill a quelli 11 , e ilii l'i
■mi frequente ili quello dell'aria, nella quale,
si sa il ■ ondo lo
ili oltre trecento metri.
E' ci re l'i ii'la ni : ea che
potremmo, 'lini quasi, zoormorfizzarla e, coll'cc-
! intelletti., tener di id essa ne! suo
|llej
gua il volo dell'aquila '
d'un cavallo che si spi -
rolla ttiva ili ,55. :~. 2-, iiv al se
rdivo il
itti 'li qui
umani - di altri 1 he
1 |glesi 'le-
ggi del sui 1 eri - > chilometrici
nervi 'li quelli valesse» le leggi fisiologiche dei no
- 1 laute avesse intuito la un ■ Il
rità ili 11 agi oso, non avrebbe forsi •
giuntelo paura ■ al i dei ci( li
\euii 1 alte, Anteo, là im zzo • 1<-I-
l'ultima bolgia infernali
Membri he avea
« .... la faccia lunga e grossa
Come la pina di San Hittro in Roma...
quella di Betvedet <
E a sua proporzion eran l'altr'ossa »
1 .li cui possiamo dire che la statura fosse ali ini
ca d'una trentina ili metri, avrebbe Bpesi n n meno
ili un intero minuti, sen'tiilo pei -; d' sser
toccato, [kt iniziare un passo, e quasi altretta
per cominciare a levar la man": sì che i dui poeti
p llegrinj avrebbe» potuto punzecchiarlo, prender-
si giuoco ili lui. come Ulisse ili l'oli forno, e fare in
tempo a schivare l'enorme reazione.
Per bisogno di un altro e>. I ibbrichiami
qui jier qui un mito e diamo a credere a n
che l'Italia, nella sua sagoma geografica, sia la
gamba di un immane gigante, steso a terra e fossi-
lizzato dagli Dei in castigi di qualche suo ardimento.
Se quelli spaventoso colosso si spettasse, se ricir-
O lasse il sangue nei suoi tinnii, se i fili d
telegrafica, ritornati nervi, conducessen >. in vece del-
l'elettrico, il fluidi nervoso, impiegherebbe 1" spa-
zio di ben dodici ore. una giornata sana, per invia-
re un impulso, un ordine, un dispaccio fisiologico
da 'l'orini' a Reggio, dall'anca alla punta del
!<•: tempo eterno rispetto all'ordinario telegramma
elettrici, che supera in meno di 46 secondi i 1400
chilometri fra le due estreme città della penisola
Ma l'in qui abbiamo sempn chi- le • 1
nervose si accavallassero lungo i fili nervosi, lungo
una fibra bianca più 0 meno lunga, ma uniforme dì
struttura. I dispacci del telegrafo e del ti
fan strada non unicamente per le funicelle metalli-
che, ma ani-ora per gli apparati degli Uffizi i quali
l'ingiungono i vari tratti e trasformano la corrente
in differenti espressioni di movimento, di sui no,
e per tal motivo patiscono un rallentamento nella
loro pi gressione. Mia stessa guisa la vibra
nervea 1 Itre che a rdoni 1 mi gì n< i (Vedi figura II.
a-b) ha da attraversare strutture, macchine più
- mplessi . Come le cellule grigie dentro il midollo
spinale e alla 0 rteccia del ' ' M'Ho (Fig. 11. e), le
quali hanno l'incarico di riannodare le reti dei l'ili
nervosi e di elaborai, li agente che passa ]>er i me-
desimi.
\. i fisi li gi parliamo assai frequentemente del
1, . \ mi nti riflesso. E' qui Ila reazioni
nsap vi li ' no, ad una eccitazione recata sulla
p riferia del corpo, ma senza che la volontà entri
in campo per nulla; insomma, diceva quel
si chiama mi isi ■ quello di rve m
punto da riflettere. E' un movimento riflesso, ad
. il battito della palbebra pei una mar»
trui che si avvicini velocemente al viso: l'ammic-
care ■ irresistibile e Plinio racconta che neppure
LA VELOCITA DEGLI ATTI PSICHICI
087
i gladiatori riuscivano ad impedirlo su sé stessi con
sforzi volontari. Si genera un'onda nervosa sensitiva
che ascende al centro, traversa gli elementi cellulari
erigi del midollo o della base del cervello e si ri-
verterà nuovamente all'esterno sotto forma motrice.
L'agente nerveo, pel fatto che trascorre per le cel-
lule del midollo, rallenta il passo e s'avanza dieci
volte più calmo che lungo i nervi, la soltanto quat-
tro metri al minuto secondo.
Lungamente, pazientemente, i fisiologi hanno ap
plìcato l'orologio alla determinazione di questo
tempo detto riflettono, ne stabilirono le minime
oscillazioni, a seconda del posto dell'animale nella
serie degli esseri, del genere di movimento osser-
vato, le modificazioni impresse dalla ricchezza o
rtà di sangue, da tossici deprimenti come il
cloralio o esaltatori quali la stricnina, da stati fi-
siologici come il sonno, il riposo, il lavoro, l'esau-
rimento, su che sorvoliamo. Tentarono anche di co-
gliere le variazioni indotte dalla razza, dalle con-
dizioni di civiltà, di coltura, dall'età, dal sesso.
Le azioni riflesse spinali del gattino, del cagno-
lino appena fuori della matrice materna, avvengono
più sollecitamente che negli stessi animali adulti.
a cagione del tardivo sviluppo funzionale della scor-
za del cervello, emissaria di ordini antagonistici
che vanno per una specie di interferenza a mode-
rare le correnti passanti pel midollo. Per lo stesso
motivo — la mancanza d'un freno valido che pro-
ceda dall'alto, cioè dal cervello — le reazioni invo-
lontarie del bambino, l'agitazione delle membra, il
grido, oltre che più vivaci sono più pronti; e quei
fisiologi, ostili, ahimè, al sesso bello, sostenitori di
una minor potenza moderatrice o, come si dice tec-
nicamente, inibitoria, nei più alti centri nervosi
delle donne, vorrebbero scavare anche la prova della
maggior velocità dei movimenti riflessi muliebri per
metterle cavallerescamente nel limbo fisiologico dei
bambini e dei mammiferi senza confessione reli-
giosa.
Del resto, la rapidità dei moti riflessi è spesse, in-
dizio di superiorità nervosa, di una maggiore edu-
cazione fisiologica dell'organismo. Qualche mio al-
lievo ed io crediamo di averlo comprovato mediante
ricerche sulla reazione dei vasi sanguigni.
Il prof. Gaule di Zurigo (1) ingegnosamente fece
notare come si possa avere una dimostrazione della
più grande rapidità dei riflessi nelle popolazioni
più a lungo incivilite, osservando gli aggregati u-
mani, le folle. Tutti gli stranieri, egli dice, si la-
mentano dei tedeschi e vantano il contegno del po-
polo latino che anche nella ressa più fitta non urta
mai nessuno. Il popolo tedesco non vi cansa, non
perchè non voglia, ma perchè non può: i suoi nervi
non lavorane abbastanza rapidamente per sentir to-
sto gli ostacoli che gli si fanno improvvisamente
innanzi, per poter dare un comando pronto ed ac-
concio ai muscoli ; non può cambiare con lestezza
la direzione, ciò che riesce facile al latino. Le
grandi città tedesche colla loro folla sono un pro-
dei tempi moderni ; da poco il popolo viene
(1) Citato dal Mosso nella fatica.
giù dalle montagne e dalle colline lontane, ove la
turba non è stretta e pigiata in piccolo spazio. TI
latino invece ereditò una a luna che fiorisce da mi-
gliaia d'anni, sviluppatasi nelle città; da secoli è
assueto alla vita delle piazze, dei Fóri; possiede i
nervi dei suoi progenitori ed. è adatto a rapidi cam-
FlG. II.
<(-() — Figura di fibra nervosa,
e — Cellula grigia dei centri nervosi
spinale e cervello).
midollo
biamenti, perchè il suo tessuto nervoso lavora da
più tempo e più presto.
La stessa causa fisiologica contribuisce al feno-
meno — già da altri messo in luce — che alcuni
mestieri, o professioni e virtuosità meccaniche, le-
gate a celerità e rapidità di una serie di movimenti
riflessi, ad esempio, la danza, la scherma, la tratta-
zione del violino, il canto, ecc.. hanno in genere i
latini tra i più celebri campioni.
Il parlare — intendo l'atto, per dir così este-
riore, dèll'incatenamento delle sillabe, non la for-
mulazione del pensiero — è una successione di mo-
vimenti riflessi secondari, ai quali presiedono cen-
tri nervosi collocati più in basso della corteccia
cerebrale. Perchè difficilmente tra i nordici si rin-
viene la vertiginosa rapidità di loquela dei meri-
dionali? Perchè non fu tedesco Bernardino Gri-
maldi che. stando ai conti del senatore Mariotti,
pronunciava la bellezza di 193 parole al minuto, il
che approssimativamente dà 386 sillabe eerrispon-
denti ad altrettanti atti muscolari ? Il vecchio Zelter
nella sua corrispondenza con Gothe ascrisse all'a-
buso dei cibi grassi e vegetali da parte dei Germani
la poca scorrevolezza degli oratori tedeschi, e non
aveva inveri il torto, perchè il grasso, che è un ec-
cellente lubrificante per la ruota d'un carro o la
puleggia d'un pozzo, non è affatto propizio agli
ingranaggi nervosi, è un alimenti di faticosa ela-
borazione per le energie funzionali; ci vuol troppi
tempo e troppi ossigeno per bruciare niella mole-
LA LETTI K,\
\i probabile che
Goth ■ lei
sione
i sercizii
sai 'li |uel che ne
■ mani e greci, del si me
Tullia
mi i rano le
• lungo i fili nervei sensitivi e moti ri,
; centro midollare
senza volontà, prendiami li
ili n ino pel e de di co
i lligenza.... i>el
vello : in alti. ' i i durata del]
amente di
Su 1 1 [ p issati ra ti Lpassati i ■
istronomi, I Maskel) ne e il Kin-
il i una diversità ni m I
i.i ll'apprezzamento del ; 111 dinari
filo del cannocchiale. Siffatta variazione indi-
viduale nel percepire le differenze di tempo e nel
irle, fin si die il nome ili tequazii ne persona-
le», notò pure più tardi il celeberrimo Federico
Gug B ssel, confrontando i risultati di altri
nomi coi suoi (('.. Buccola). Si attribuì l'er-
ti metodi allora in uso, ma la sconcordanza
tra le segnalazioni dei diversi i -• rvati ri ci ntinuò
anche dopo il perfezionamento degli strumenti.
I grazia al I l quel punti ini ei n gal ivo
d
di Hipp che può misurare il millesimo
indo
icella che libera il movimento d'orologeria
lo arre
l rocchetti i ici d
che a
due ruoti
' - l cheta d pei chiusura della corrente e
tra i denti della i uota a cor
ma rei ■ il movin
Pei la perces • ne di una impressione i
il segnale con una mano il più rapidamente p ssi
Liile, i saia pei la prop dell'onda «n
dall'organi li senso ai centri percettivi < K- 1
• i vello, pei la i ramutazii ne in mete, nel
n della voli ntì e il riti imi al di i ui ri fin
pe della
rn un
inde
I" i i cri nometri di somma i tu dita, già i b
■ circa i lue decimi di ! inuti secondo: e di
npn m le e mi in una cifi npia
ivamente ali unita di misura ili cui p
disporre ci sia margine |*-r apprezzare diffe-
individuali, e le differenze sono legate non
tanto ai cordoni nervosi che press'app o no, in
tutti gli uomini, della stessa lunghezza, ma al
saggio, diremo ''usi. j«-r i ponti del cervello, agli
intervalli psico-fisici.
Non sarà forse senza interesse metl chio
la ti i nica (Figura 111).
Ecco qui il cronoscopio elettrico ili Hip;
scandire il tempi) msi minutamente ed esattam
da porci sott'occhio la millesima parti del i" Pen
sate: l'istante tra un battito e l'altro dei nostri polsi
diviso in mille istanti, una quantità irra] ibile
al nostro raziocinio, un tempuscolo immem. nobili,
direbbe un classico, o icori-ino. direbbe la cinema-
tica epicurea.
L'anima ili questo preziosi a dirla
breve, m <a è che un volgan
canesimo di orologeria, autonomo.
il quale può andari- i urri
col maneggio delle due funicelle
(a e b, Fig. Ili) a seconda che
si favorisce o si interdire il di-
stendersi li una molla: tirando
la prima io), l'ingrai : vol-
ge e canta: tirando l'altra (b),
sta e tace. L'indice del quadrante
inferiore gira con una velocità da
re i di- imi di minuti s
d". quello del quadrante sui»
re ha un movimento cento volte
più rapidi . fa leggere perciò i
centesimi dei decimi, ossia i mil-
lesimi di secondo. Fin qui dunque
nulla di nuova II tratto i ararti
ristico di questo cronometro è
un'ancora (e) (Fig. 1 1 1 1 in rap-
- • " due ri ■ betti i leti ro-ma-
l, la quale sotto la
pendenza 'luna ci irrente elett
può tenei fi rmi (e') i due aghi
indicatori ancorché il sistema
di ruote non sia in ri]x>so
farli trascinare dal giro di i
I" marni i mecca-
nismi funzionano e stridono, ma
le sfi re sono immobili, esse inco-
minciano a vi i mi. . nel
hi sui na un camparteli
itando il diti su qui sto ma-
di minuto
.- . olle
sta sa
LA VELOCITA DEGLI ATTI PSICHICI
nipolatore, io laccio uno scambio 'li correnti elei
triche: interrompo quella che ter» va attratte le sfere
e simultaneamente allaccio quella che agita la suo-
neria elettrica. Premendo nuovamente il tasto, il
campanello tace e gli aghi per il ritomo in essi
ilei circuito si arrestano, nonostante che l'ingranag-
gio cigoli ancora e continui il sm: l.u< ro.
Si può dunque disporre lo strumentario in ma-
niera che l'inizio del movimento delle sten o in
rida coll'accensione di una lampada, di un tubo
elettrico, culla prima vibrazione d'una suoneria —
:ome è qui il caso — e il loro arresto si avveri nel-
l'attimo in cui il soggetto d'esperimento, il così
detto Reagente, spinga un bottone elettrico in segno
d'aver avvertito il fenomeno.
Facendo prima e dopo la lettura dei quadranti
i sottraendo dalle seconde le prime cifre, si avrà
il tempo interposto tra l'avvenimento esteriore dell.:
stimolo di luce o di suono e il fatto psicologico in-
timo della constatazione cosciente e volontaria. I
questa l'equazione o correzione personale, il tempo
di reazione 0 tempo fisiologico, come diciamo noi.
Per le stesse ricerche possiamo giovarci del me-
grafico. Supponete che l'ancora elettromagne-
tica (Sg. TU) che va a mettersi o no fra i denti di
t.n.i ruota legando o lilierando gli aghi dell'orologio
di Hipp. invece di terminare come un chii do. si
affini in una pennina sottile e leggera (fig. IV a)
— una comune penna elettrica — che si sposti in
su 9 in giù alla chiusura d'una corrente elettrica, e
in senso iinriM allo spezzarsi della medesima ; fate
strisciare la punta di quella pennina sulla carta
infumata d'un tamburo rotante (fig. IV b) a gran-
de velocità, come nel <lisegno, e tradurrete in una
linea bianca orizzontale il segmento di cerchio per-
c. rse dalle sfere sui quadranti.
Avrete, per esempio, un dente in basso, e. nel m
menti in cui si dà la corrente e accade simultanea-
mente il tatti; luminoso e sonoro, quindi la traccia
sulla cuna del cilindro di una linea continua lì n -
che la persona sottoposta a misura psichica non
dia avviso, colla mano su una chiave elettrica, di
.oer veduto e udito e faccia fare alla penna un
di ute in alto (d fig. IV) aprendoli circuito. Le spa-
zio limare tra i due denti si traduce facilmente in
tempo, conoscendosi la velocità del cilindri;, oppure
vi Ita per \; lui si fa scrivere sullo stesso tamburi
e tante a gran velocità la setola attaccata (linea e)
alla brani. i di un diapason vibrante, del quale si
conosca il numero delle oscillazioni nell'unità di
tempo. Il numero di vibrazioni del corista abbrac-
dalla linea, per esempio 200, di un diapason
a rooo vibrazioni al 1", dà il valore dell'equazione
p 1- 11 il--, cioè -oo millesimi di 1 '.
Meditate quanto incorporee e ideali sieno le real-
tà (passi la contraddizione delle parole) che queste
macchine traducono in numeri rigorosi: fermare
l'attimo fuggitivo del distacco tra lo spirito e il
circi stante mondo, i cui fenomeni ci paiono senza
tregua presenti e in rapporto indissolubile con noi :
convincersi che !' «io voglio», «io faccio», creduti
fulminei e sovrani, sono schiavi della legge del
tempo; sorprendere la segreta maniera persi tali
989
di mettersi in comunicazione e 1! I niversi ... E'
l'alfabeto di una vera scientifica lettura del pensie-
ro individuale, è l'uomo ih'- ghermisce questo pen-
siero )ier i retorici impalpabili vacui, ne ascolta
b
In. I\
1/ — Penna elettrica
// — Cilindro rotante a gran velocità, rivestito ili
carta affumicata
c-d — Linea scritta dalla penna elettrica
e — Linea scritta dalla setola del diapason che
fa mille vibrazioni al secondo.
l'altezza musicale del frullare, e ne novera i bat-
titi come il fisico e il fisiologo fanno del ronzìo
ili un'ape o. del volo d'una libellula!... Di fronte
alla scienza, direbbe un pessimista, tutto si impic-
ciolisce, «solo il nulla si accresce!».
Ouesto tempo dì r<aj<>ne. come non è uguale per
ciascuna persona, non lo è per ciascun senso. Ab-
biamo coi cinque sensi cinque finestre per le quali
spiamo nell'Universo e l'Universo penetra in noi.
Xoi lo comprendiamo più preste questo mondo
quando risuona o ci tocca, che allorquando brilla
di luce o ci invia il profumo dei suoi fiori. Ciò
quanto dire che il tempo psichici, saggiato ci n
questi metodi esatti, va allungandosi man mano che
la una sensazione uditiva si passa ali'- impressioni
tattili, ottiche, a quelle dell'odorato e del gusto. In
media noi percepiamo un suono in 150 millesimi
di secondo, un semplice tocco sulla pelle in 170
millesimi, una. scintilla in 200 millesimi, l'odore
d'una essenza o il gusto di una sostanza sapida in
400-500 millesimi di secondo.
Curioso, eppure Oggidì è ammesso senza discus-
sione, che tra le impressioni, le quali più tardi
giungi in lilla coscienza, è il dolore-, un aspetto
della sensibilità generale. Nella eccitazione dol'ii
liei, l'onda nervosa indugia a pervenne alla psiche,
lime ehi a malincuore debba recare una non lieta
e. \illa. E' provato da innumeri osservazioni che
il paziente vigile sotto l'inizio di un'operazione chi
rurgica avverte prima il freddo del coltello e sui
cessivamente la lacerazione dolorosa: l'ingrandi-
menti , 1 ne del fenomeno si riscontra in
taluni malati di nervi, nei tabetici, pei esempli
punti da uno spilli, far iamo il caso dell'ago da
LA LETTURA
un tempo apprezzabile senza
ito i e la smi 'ina
il - ne neppure
sa 'li
• .in. h.
. tto minori
inultanea della prima, ter/a minore <■ quinta (d<>-
sulla scala .1 un pianoforte è un ai
unente consonante, disagevole ]n-l
ote in rapport i
\ in .le calcoli facil i pei |uel segreta
ll'aniroa nel quale, secondi ■ l
: ibe la mi 'i ii . msa
di |uel disagio che sottende soggettiva
■ alla melanconia di quelle tre note suonate
ne l'accordo minori', taccordo che
Gounod Fanciullo, arriverebbe al nostro
i ili uni i io rche, non jht quelli- .li
• ' negative) un tempuscolo più iar.li
dell accordo maggi > jut-t 1< > ili prima, terza
maggiore e quinta ohe è perfettamente conso-
nante e non reca turbamento ai nostri nervi e alle
lille.
E
In. V, 1
tenzlone [Meti d i Patrizi di un
no Intelligente e colto
D Vibrazioni del di tpa vibrazioni al
ndo
Numerose al par .li quelle che vedemmo pi i la
d'un movimento riflesso involontario sono
nfluenze che si spiegano sulla rapidità del
iki psichico; li. uni influenze biologiche, co
nativa .struttura orgi n 1 1 psii hii a, la razza, il sessi .
l'età : altre fis |uali la forza dell
.■ita.- i ma, gli alimenti nei vi si, il thi . il
' affé, I assenzio^ la dna, attizzatori o spi
tori della il lità nervosa in generale. E i
no inoltre influenze psichiche, come l'esercizio, la
freschezza e la stanchezza della mente, il tendere
più o meni I attenzione mentre si fa l' esperi-
mento.
Faccio una brevissima sosta unii unenti sull'at-
tenzione: il rapporto tra il grado ili essa e la
lerità dell'atto psichico è cosi stretto, che l'equa
/ione personale tu a buon .liritto chiamata dina-
mometro dell'attenzione \< abbiamo dunque gli
orologi che misurano l'attenzione.
Assoggettando un individuo ad una sei
moli (p. e. suoni di campanello) succo lentisi tra
.loro con una pausa breve e costante ogni »" —
e ingiungendogli di concentrare al sommo l'ai
zinne e di indicare al più presto possibile l'avvenuta
percezione di ciascuno di essi, e ricorrendo al m
do grafico abbozzatovi poco fa, si possono avere
diagrammi (fig. V. 1) conte questi che io chiamai
■pròsexigrammi 0 grafiche psicometriche dell'a
/" un .
Qui, di reazioni, havvene una cinquantina, l'ima
sopra l'altra, dal basso in alto; in E suona il cani
panello, in R il soggetto risponde, e tutte le rispo-
ste sono riannodate dalla grossa linea bianca tirata
poscia a mano.
Le distanze tra E e gli A' sono valutale col nu-
mero delle vibrazioni del corista />. Il tempo del-
l'atto psichico si va gradatamente abbreviando e la
curva, rientrando, attraverso piccole oscillazioni.
delinea l'aumento progressivo dell'energia dell'at-
tenzione, approssimandosi alla verticale E, ma se
ne discosta di nuovo quando l'energia, dopo aver
toccato l'optimum, comincia a rallentarsi 1 .1 stan-
carsi.
Xel seo ndi tracciato (.fig. VI, 2, p, seg.) off
• la una bambina di sei anni, il tempo di reazione
si allunga presto, oltre di che dall'una all'altra rea-
zi< in- ci sono delle oscillazioni enormi, il zig-zag
tipico di chi è invalido a t'issare l'attenzione. La
(fig. VII, .}) fu scritta, se si può dir .osi. da una
signora di 29 anni, intelligente ma inabile a qual-
siasi applicazione mentali- prolungata, a causi di
nalattia .i: impedimento della respirazioni
si detta aprosexia.
Dopi qualche minuto di grande sforzo, l'atten-
d'un .-' 1;»' si risolvi . non .'■ più atl
giungere il livello primitivo.
Ili tracciato curve analoghe il pi di
Parigi, misurandi con questo metodo da un- prò
posto la capacità di attenzione nelle donne rio
rate alla Salpètrière, riscontrandi l'attenzione de-
boli- nelle ma li ni -uni' -In-, oscillante nelle 1
niche. facilmente esauribile nelle afflitte da is
LA
fi
VELOCITA DEGLI ATTI
PSK 111CI
R
QQI
Tal metodo della
misura dell'atti nài -
ne giovò nella recen-
te inchiesta lìsio-psi-
0 il u'ica compiuta a
l'ine giudiziario sul
bandito Musolino. A
un ceno passo della
perìzia, presentata
dai professori Bian-
chi. Patrizi. Cristia-
ni, al paragrafo ilei
Tesarne più partico-
larmente intellettua-
le, si disse: La sua
(di Musoàino) atten-
zione è facilmente e-
sauriòile e grande-
mente oscillanti .
me anche fu rilevalo
da ricerche grafiche
e croiioscopiche. Ed
emme qui la prova.
La figura Vili A.
che. come le altre
consimili precedenti,
ha da essere letta
dal basso in alto, è
la curva dell'atten-
E
D
rmrrtrmwimrrrmrnrrAvmm<nwrìnr^^
Fio. VI. 2. Diagramma dell'attenzione Metodo Patrizi) di una bambina.
zione di Musolino.
rilevata al mattino,
di buon'ora, nella
cella, a poca distan-
za dal ristoro del
sonno. Egli doveva,
a brevi pause, il più
rapidamente che fos-
se in suo potere, ad-
ditare mediante la
pressione su un ta-
sto telegrafico, gli
squilli d' un campa-
nello elettrico: e.
me appare, inter-
i rreva un tempo as-
sai lungo (in media
279 millesimi di mi-
nili. -. lo) tra l'e-
straneo fenomeno si -
ni ro e quello intimo
psichico della perce-
zione e della segna-
I azione volontaria.
Appariscenti poi so-
gli sbalzi tra le
velocità mutevoli del
medesimo atto psi
chico che si ript 1
a corto inten ali ,
Da 180 millesimi di
minuto secondo, fu
possibile saltare ti-
wwrmnwm)^^
Fio. VII, 3. Diagr. dell'attenzione Met. Patrizi in una donna affetta da aprosexia
LA LETTI K A
• ninna
ndietro,
I IG \ IH I
i ili. ;i dell'atteri e sul bandito
Giuseppi Musolino
ni ni. ] . di tratti fanciulleschi e pri-
•■ . i tua psichica del fan
I i gante, rischiarata talvolta da baleni geniali.
jura IX B i i produce un idenl io i ilievi sp i ;
Musolino in l i" mi i ggii del i
1 mi ili un'udienza della Con
icato più del solita La lun
idei «tempi ili reazione! ■ la grandezza d
i ni sono qt Ila stanchezza
1 Tali : un vii uno
amento della -
stante che
Il ss ■
! gni va-
ti i
ris] ite alle
ualità mentali che attri-
lc simi ili prima . r la scelta di adopi
una ' ra, a ,^oo. a ioo millesimi e più.
risultati mirabili ottenuti in questo campa
della scienza, oltre quello ili Helmoltz, il ri due
n m nera i i
■ n/a : quello di Donders, il grande oculista e
fisiologo 'li Olanda, quello ili Wundt, il filosofi e
■ li Lipsia. Tutti e tre quei r* m I l.lni-
1 li ridere, Wundl soni ti di immi
l'uà e mi ritamente . a queir alti zza di gioì ia si
sarebbe di più avvicinato un giovane della nostra
terra. Gabriele Buccola, se non li avi top
ini i in randi ilo a i rent'anni,
all'indomani delle sur ricerche originali ili ps
i i della classica pubblicazione: /../ legge del
tempo net tintinnili del perii
Dinanzi alla scienza • ale, alla ■ pacifica
filosofia securai caduta con tronche ali la l
immagine rapido conti il pensiero che i poeti
aveano librato a volo pei cieli. La metafora era
ita Forse suggerita dall'antico org
tiico della nostra spi di che, a mi fai èva la ti rra
pernii dei roteanti universi e investiva l'uomo del
vicereame del mondo, doveva vantare le I
entri l'uomo comi maggiori »• vincitrici delle
energie circolanti al ili fuori ili lui: oppure l'e-
spressione nacque [ht un sentimento ili gratitudine
■ Mi venerazione, pel bisogno intimo ili magni'
ymTfrrrntjrrmmmrmmr.
\l alt 1 1 atti psichici.
■ v
• nsazii ne, si
■ ' con qu ■ Second ■ inca d
i pio.
rienza a tener pi ni
'ni per fan il
ne di ] ■ appa
lina lui
' Ila . i ni i
Il ■ unir
di fai scintillare
un lampi ii mari I impani- ih 1
■
apparir, un numero da una
par- una I ngua non
aro stati re degli indici
si enuncia il risul
li atti psichici meno
nent la i
medi t -o mil-
tttfntTìnrrmìrrìmim* .
Fin. i\. lì.
ell'attenzione, presa sul bandito Giuseppe Musolino.
la largizii sa del pensiero agli umani.
I a soddisfazione di quell'orgoglio e la d
ii ligii sa 'li qui Ila venerazione p ss esserci com-
pagne anche dopo l'ultima parola della scienza.
mina lenti è vero, dir i |ua - p di stre, il |
I I dell'ui mi : i ' i ■ : n al massimi ; trenta m
do; ma, pi r misurarle, ha sapul n un
fora assai più veloci, il
sin ni che gli gali ppava innanzi dieci volte più ra-
pido, la li ino all'in-
, ; . i i
la mei ri. P dire che il fanti . acciuffan-
do le- criniere, è 1 ppa ai cavalli e li
-. i mti al cari La sua viti
ispira in ' Mie e di »
da uomo ad uomo - che ha qualche cosa di
-li divino.
L. M. PATRIZI.
Società' bel museo Industriale
111 MUSEO ARTISTICO INDUSTRIALE DI flflPOItl
Ientre l'attenzione generale è rivolta sul-
■J l'Esposizione di Arte decorativa di To-
ry,-?: ~^a|) rino, non sarà inutile considerare uno
dei maggiori Istituti italiani in cui la decorazione
è insegnata con metodi veramente artistici e ra-
zionali ed eseguita con lode e con successo. Nes-
suno degli Istituti d'Arte, sorti nei tempi più pros-
simi a noi. può vantarsi come il Museo Ani-
Industriale di Napoli, con le sue scuole e le sue
officine, di avere avuto a fondatori ed a capi due
insigni e gloriosi maestri: Domenico Morelli e Fi-
lippo Palizzi. Difatti è ai due grandi pittori e ad
un'altra anima ardente e generosa — il principe
Filangieri, che dotò Napoli di un Museo del suo
nome, in cui si conservano pi te di anni
e di manoscritti, di quadri, di argenti, di porcel-
lane delle più antiche e celebri fabbriche ■ — ■ che
si deve l'esistenza fra noi di bu< 11 artefici, che in
quell'Istituto hanno appreso le norme da cui le
loro tendenze artistiche dovevano essere regolate, e
che producono i più svariati oggetti di uso comune,
ispirati ai più sani principi della decorazione. Gli
La Lettura.
anelici italiani hanno una innata tendenza deco-
rativa, la quale, se i canoni dell'arte vengono a
costringere dentro gli argini l'esuberante fantasia,
può dare dei risultati veramente mirabili ed ina-
spettati. Il senso del colorito, che 4 una vivace ca-
ratteristica dei nostri artefici, eira scritto nei giu-
sti limiti, dà un'impronta speciale e simpatica alla
l< n 1 pri duzii nr.
Filippo Palizzi e Domenico Morelli, negli ul-
timi anni della loro vita ;i» nasi abbando-
nato la grande arte, per dedicarsi alla formazione
di una schiera di operai, coscienti dei più severi
princìpi artistici, che portassero, nel produrre tutto
ciò che è di pratica utilità nella vita, una pura
impronta - nalità e la e di un godi-
mento estetico. Essi vollero che il criterio ed il si-
stema, anche dopo la loro morte, fossero eseguiti
e, secondati da] Filangieri, ottennero la fondazione
di questo Muse \ -' 0 Industriale, che con le
sue scuole ed officine, fondato nel 1882, conta già
venti anni di vita attivissima.
L'Istituto, fondato col concorso dei Ministeri
63
idustria, dell'Amministra
l « lomune, ebl nei pi imi b
a pi cipe Ga Fi! ungieri ; a di-
pi Palù del
Mi ili, a iliri'tliT'
LA LETTURA
Robbia, anzi limita le sole provincie napo-
letane, ii ' tempi non molto lontani da noi
bi Fabbi hi degli Abruzzi i quelle del vi i
chio Cherinto di Napoli; le fabbriche di Capodi-
;nano un p riodo magnifico nella sto-
ria dell i | ii quelle
della Casa ( riusi niani Fa
mesa |mt i su. li cuscini 1"
zantini in maiolica, ili una
morbidezza 'li forma e <ìi
i li ti raramente raggiunta.
Alla di o trazioni
maiolica dedicarono 1 i iti
raria del Iure insegnar!
to, con maggiore int<
se, Morelli e Palizzi
al primo dei dui
quella mirabile loggia 'l'in-
gresso — che riproducia-
mo — non già ili dei
zione maiolicata innestata
ad altre materie, ma intera-
mente in mail in ,i i" lii-ro-
ma, non si li i àbile parli
piane o in rilievo, ma an-
che in quelle 'li tondo o
-li mezzi ' b ndi -. Questa
\ I PITTI IH BEI ORATIVA
IN I EHAMIi \
-
al Musei Industria-
le tutti i ragazzi che al>-
dicà anni compiti
■
il corso 'li stmli dura cin-
. ili cui mi" di
' classe prepara-
etri-
. .hit- alla
pia i!' lì.i stampa e 'In-' al-
l i
gni
antimeri-
: n. I |' gli
al li. Bici-
la gin. la dei
tono in pratica quello che
hanno ini]
ii ti. per •
rani nelle sai. del Musi ... addirii
lavi i !■• impi «ri ni che inulto
te all'] si il
di pn duzione del
i. L'Italia ha avuto il primato per
I arte del tiolii li.- .-. senza risalin- ai ti
gloriosi 'i'-lì' della
Officina-sci ola ceseli mi e sbalzo
' pera, jurparata .lagli sforzi concordi del Morelli
in prima linea, e 'li tutti gli altri che validamente
I.' cooperarono, tu inaugurata solo nel ioor dal
■ presidente i letto al posto del defunto Filan-
... i \ i '-i.il-, ili. regge ora
..•il tait.i e ''"ti /'-1<> l'Istituti, affidatogli, quando
! tlippo Pali !ZÌ era uianr.it.. ai vivi ; poco prima
.in. !"■ hi in. in.. M' i.l ' i aM' am 1. .nasse per
II. MUSEO ARTISTICO INDUSTRIALE HI NAPOLI
9C)5
sempre la cara atti, che i due maestri avevano som-
mamente diletta tanto negli ultimi e più calmi anni
della vita, che nei periodi più combattuti e più
vibranti della loro gloria.
Le opere in maiolica, eseguite dalle officine del
Museo Artistico Industriale, e specialmente i pa-
vimenti e i camini, hanno incontrato l'universale
favore. Il Vaticano commise al nostro Museo la
fabbricazione del noto pa-
vimento della sala Borg
eseguito su di un motivo
che sembra doversi attribui-
re al Pinturicchio. Il duca
d'Aumale, si spirando la dol-
ce sua terra di Francia dal-
l'esilio, diceva al Filangieri
che avrebbe commesso al
Musco l'esecuzione di un
pavimento per la sua casa
dei C< ndé a ( 'hantilh se
gli fosse stato dato di ritor-
nare in patria. E un egual
desiderio espresse il Duca
di Edimburgo, quando ven-
ne a visitare le sale dell'I-
stituto napoletano.
Accanto alla produzione
della maiolica hanno an-
del porticato di San Francesco di Paola nella piaz-
za del Plebiscito.
L'edificio è composto di tre piani, oltre quello
tirreno. In questo, a destra sono le officine del
tornio per la fabbricazione dei vasi, e la fonderia
metalli; in fondo, il Museo propriamente detto,
e a sinistra le antiche fornaci, poiché adesso sono
state costruite .Ielle nuove in uno dei giardini di-
Officina-scuola orefici.
che notevole importanza i lavi ri delle altre offi-
cine del Museo. L'edificio che racchiude le scuole,
le officine e le sale di esposizione è quello dell'an-
tico collegio di Marina, sito in unti dei più bei
posti di Napoli : è quasi alla cima del monte Echia,
sopra Santa Lucia e guarda il mare ed il forte del-
lOvo: tutt'intorno è circondato da giardini. L'in-
gresso è dalla piazzetta della Paggeria, alle spalle
I IFFII INA-SCUOLi
LEGNU.
INCISORI SU
pendenti dall'Istituto. Dia-
mo la riproduzione della
più piccola delle antiche
ti rnaei. accesa per la cot-
tura di un grande camino
che si deve eseguire per
un'ordinazione venuta dal-
l'America. Io ho visto gli
operai assistere con un'an-
sia e una trepidazione mal
dissimulata all'apertura del-
la fornace quando in essa
si erano cotte delle opere di
un non comune valore arti-
stiro. La o itura p
un'opera in maiolica è una
vittoria contro il terribile
ignoto. Il fuoco, non di ra-
do, snatura, rompe, ci ri
fi mie il colore e Io smallo.
annulla o distrugge il lavo-
ro paziente di tanti e tanti mesi, con la forza smisu-
rata del suo ardore. Niente è più bello del fuoco
che fiorisce consumandosi con indomabile attività
e la lingua vibrante della fiamma porta in se come
un dono prezioso e fatale i germi della vita e della
Altre volte il fuoco, come animato da una su
periore intelligenza, compie arti di riparazione e di
l'HIV \ SALA DELL'ESPOSIZIONI
SEI ONDA SAI \ DELI ESPOSIZIONI
IL MUSEO ARTISTICO INDUSTRIALE HI NAPOLI
giustizia. Mi è stato raccontati di un'opera in ma-
iolica rappresentante un martire che si appres
ad esser decapitato, inginocchiato dinanzi al carne-
fice che aveva la scure levata in alto. Il fuoco nella
cottura ruppe e fuse in alcuni punto lo smalto e,
dopo l'apertura della fornace, si trovò che il de-
capitato era il carnefice,
quantunque brandisse fie-
ramente Io strumento di
mi irti .
I più perfetti prodotti
delle fornaci sono esposti
come i lavori delle altre of-
ficine nel Museo propria-
mente i letto. Il quale ha
due grandi sale di esposi-
zione contenenti la prima i
modelli antichi o moderni
acquistati o donati all'Isti-
tuto, e la seconda il pro-
dotto migliore delle sue of-
ficine.
Nella prima sala è so-
pra ogni altra cosa inte-
ressante quella che può dir-
si una vera e quasi com-
pleta esposizione retrospet-
tiva della ceramica arti-
997
Notevoli anche dei frammenti di mattoncelli per-
siani ed ispano-moreschi. Inoltre dei bronzi cesel-
lati cinesi o giapponesi, dei lavori di oreficerìa, dei
vasi di cristallo, dei mobili.
La seconda sala accoglie la produzione delle of-
ficine del Museo. Sono esposti i due quadri in ma-
Svl \ Palizzi.
stica. Secondo l'ordine cronologico della loro fon-
dazione, le principali fabbriche sono tutte rappre-
sentate dai prodotti di Strasburgo e di Moustier;
dalle antiche fabbriche siciliane e da quella di
Capodimonte passiamo a quelle di Sassonia e di
Sèvres, dei Ginori di Doccia e dei Giustiniani di
Xapoli ; di Boulenger, di Choisy-le-Roi ; alle ve-
neziane antiche e alle napoletane contemporanee.
Operaio napoletano che
SQl IDRA I Ql UiRON'I.
iolica eseguiti dal De
Criscito sul bozzetto del
Morelli, che dovevano a-
vere nella facciata il po-
Sto occupato ora dalle sta-
tue. Su delle tavole o
dentro le vetrine, vasi in
maiolica decorati portano
il nome di l'ali/zi o di
Morelli con la doppia
menzione inventò ed ese-
guì. Lungo le mura o
negli angoli, camini ed
- i rans ; appesi alle pareti
delle eccellenti litografie
o «Ielle notevoli incisioni
in legno; su piccoli e
leggeri piedestalli, o su
tavolinetti finamente in-
tarsiati e lavorati, sta-
tuette in bronzo e deli-
cati lavori di argento a cesello e sbalzo. Fra
i vasi, quelli fabbricati ultimamente sono decorati
a smalto sul fondo grezzo ed hanno un gradevolis-
simo aspetto.
Al primo piano, oltre la scuola dei formatori
in creta, in cui i ragazzi sono esercitati a ritrarre
«lai naturale foglie e fiori, sono gli uffici e la bi-
I iioteca ricchi di libri e di pubblicazioni perii
LA LETTURA
i .11 le scu "il; voli. Gli ora /orano i metalli pre-
iì\ìe\ ' loro, s coni
■ ' più al
l ù rumoros |uella
dei lavi ri a ceselli .balzi i I offii ina dell'inci-
allievi a i
tenacia della materia, ottenendo risu -liei
i i
i i semplicii
I
in sono ;lii unii i la
durante il su cut., in
. a CUI, negli ultimi anni ili sua vita,
sue cure e la sua attività,
ne i'Ih- ri] ii ni z-
■ i. ni chi- il l'alt/.'i disegnò ed
i bre Pavimento delle
da lui io 'in la Mia din
aturi.
I e 'Illa lan-
ciali... questi nobilissimi mezzi per la riproduz
d ari mi-
gliori e più ra li quante i no in Na
Ci ;, • industriale
-in i più pin i ni principi estetici, vietando
così .In- si disperdano le tradizioni e le rinomanze
. Ila della prin ; rtchakofl ■> degli antichi arti-liei italiani. ., ha ri
il pavimento, nel centro, non ha alcun di
O, ma S'iln n IO ilei lati vi si.no ilei
.li r..se sfogliate e sparse come per o lebrari
ido il classico uso 'li lei
1 petali .li rosa soli" ih un realismo impressionante
e danno l'illusione ili una cosa vera e viva; e
sopra ogni altro, questo Pavimento delle rosi eh
ha fomiti il saìdo argomento a coloro che, rico-
endo le altissimi iloti ilei Palizzi, gli n
utamente il - ■ d corativo. Tutte le altre
open Palizzi, eh.- la morte interruppe, som.
e sono esposte incompiuti -
rga le sui.. le. ii. 1 se
uti i proclamati .i Parigi, nell'ultima Esp -
tiva dell'incisione in 1. (
Neil officina 'Iella pittura e i
Lea. vedendo la vivacità e l'armonia dei colori, io
pensavo all'influenza che sull'opera d'arte esercita
retta e continua \ . . ricor-
davo, nel contrasto, i colori gri n rti delle
bellissime maioliche della rea! manifattura di Co-
penhagenj o nsi rvanti, indelebili, il i
.ii i cieli nordici e la freddezza dei mai
ciati.
L'opera del Musa Artistico Industriale <li Xa-
! Ile sue scuole ed officine . utilissima per
vuoto e deserto. La 1 insegnamento impartito agli onerai e per i pro-
ine ("Ila. che nell'i re mattinali lo popolò si-
i passata al piano superiore, al
i umoroso di Ile officine.
1 rapii --.ile del ter/o piano, inondate di luce
e di aria, col verde degli alberi da vicino, e più in
là l'azzurro del mare, di Posillipo, di l'apri, del
i nei giovani lavi rati ri una raag-
ed una 1 1 ia.
dotti che concorrono efficacemente alla diffus
dell'arte in tutte le manifestazioni della vita: in-
tento di tutte le epoche e caratti pedale e
nobilissima dei nostri tempi.
Ed io auguri che presto sia p wi duto ad i
gere i degni success ri nelle cariche rimaste vacanti
per la morte del Morelli e del Palizzi. Con u
enti .1 insegnam nto e con i ernità di
Gli sti] 11. !.. lavoro industre, foggiano indirizzo il nostro Istituto raggiung
li artisticamente prege- la più piena ed i trastata efficacia.
GIUSEPPE VORLUNI.
L'apertura delle tombe imperiali
del te iti pio di Spira
Ialle verdi e tumultuose onde del nostro
magico Reno sorge, severa, nel Palati-
nato Bavarese, l' antichissima città di
Spira (Speyer), per la sua vetustà ricordata nelle
più antiche leggende e per la sua gloriosa storia fa-
mosa attraverso i secoli.
Testimonio eloquente della sua passata grandez-
za, in essa s'eleva maestoso il grande duomo imp -
riale. il più ricco, forse, di storici ricordi e di sacre
reliquie dell'intera Germania.
Xel suo «coro regale» di forma rettangolare e
della lunghezza di 17 metri e larghezza di circa 14
metri, un poco elevato sulla navata, ben 8 imp
tori e re tedeschi ebbero sepoltura e cioè i potenti
salici Corrado II ed Enrico III, IV. V ed in una
seconda serie, più vicina alla nave della chiesa, il
figlio di Federico Barbarossa, Filippo di Svevia,
Rodolfo di Absburg. grande e popolare fonda
della casa imperiale austriaca. Adolfo di Xas~'
ed Alberto I figlio di Rodolfo.
Anche Gisela, la savia consorte di Corrado II.
Bertala. ammirevole per fedeltà compagna «li sof-
ferenza d'Enrico IV, la quale andò col marito a
Canossa, e Beatrice di Borgogna, potente e fortu
nata moglie di Federico Barbarossa. colla pio
figlia Agnese, trovarono fra quelle sacre mura ul-
timo riposo.
Le vicende guerresche non vollero però esenti di
loro vestigia ne la «città dei morti del santo impero
romano», né i suoi venerati sepolcri, giacché nel
1689. attratti da insano desiderio di lucro, alcu-
ni predoni francesi prò (aliavano gran parte di
[le umili eppure auguste tombe. Doloroso dirsi
he tanto turpe oltraggio rimase impunito. Noti-
storiche accertano che nel 17Q4 i rivoluzionari
francesi pure tentavano una nuova profanazione,
ma pare che. disturbati, non riuscissero nel loro
intento.
Le p> liqtùe giacevano nel gran cor. si 1
to il pavimento e nulla stava a precisare la loro po-
li- e tanti m a» 1 a tesi imi iniare la li ri . gran-
dezza, anzi, cosa indegna, erdoti e visi-
tatori calcavano incuranti il suolo soprastante.
Circa cinquantanni or sono. Ludovico 1. re di
Baviera, nobile me 1 tutte le arti e lettere,
manifestava il proposito di aprire dette tombe, sti-
mando forse convenissi- dare ai regi avanzi più
degni monumenti, ma i tempi sfavorevoli gli impe
di rono ili eseguire il suo progetto.
Le molte e contradditorie notizie che si conten-
LA LETTURA
ini
all'uso d'importarli i di
ill'archivio ili Cai Isnìhe, permi I
■ n certe; za l'ordine delle
■
■ - pubblicai, nel
orico, nel quale, notificando quan-
is I''\ a si tt< ai ni si 1 1 piedi, udimmi i sui i
dersi, lenti ed alternati, i primi colpi ili piccone.
I .1 nostra ansiosa attesa per buona fortuna non
fu lui \ .111.1. giai che la sera di quel gii imo
stesso, a soli 58 mi. di pri I ipparve al no-
stro sguardo attento un antico feretro reti
ili piombo. Il domani, con ogni possibile cura, l'a-
primmo 1 fa ita in preziosissimi drappi di seta
lavori palermitani) ni Ile f<
LA CA IALE
ti, ,r. uevo i ssei doveri isi 1 rendersi
lugusti avanzi
nella tur] I 1689 ed, ordinate le
dar lori ■ 1 , .; 1 11.1 li in 1 grandezza,
anebi Su!,, impunementi ci m
. dappertutto, in 1 Sei
mania ed in Austria, grandi prin
issenso del ves
• li Spira, conforme il parere dell'Accademia B
ipertura delle '■ >nil>e e
ntropologhi, u
ai lavori.
Gli I ben 1 prii 16 gosto 1 noo ;
non fu
si muliebri per la loro delicatezza, ci si presentò la
figura ili Filippo di Svevia (morto nel 1208). Sul
petto, Ira splendidi ricami d'oro, gli brillava s..|>ra
un disco 'li metallo un'immagine sacra.
Ripresi colle migliori speranze gli scavi, dopo
un lavoro di due giorni rinvenimmo più inna
un enorme feretro d'arenaria rossa, recante però
pali 1 delle violenze sofferte. Una delle
su. pareti laterali era «masi completamente sfon-
-I suo interno era disordinatissimo, ma fra
il ripieno 'li terra colmante e qualche vestigio di
stoffe, stavano quasi n m|>l<-te le ossa di Enrio V
(morto nel 1 1 25).
Della testa, -1 1 lede asportata dai predoni nel
i68q. non trovammo che la mascella inferiore an-
L APERTURA DELLE TOMBE IMPERIALI
IOOI
cura ornata di tutti i robustissimi e ben conservati
denti. Virino alla tomba, abbandonati dai predanti,
giacevano ancora un gran martello ed un pesantis-
simo palanchino.
Per quattro lunghi giorni continuò poi ininter-
rotto e faticoso il lavoro. Il piccone batteva instan-
cabile ad una profondità di 4 metri e mezzo, quan-
do, con commozione vi\ issima, vedemmo, sotto il
continuo lavoro degli operai, disegnarsi enormi due
massi d'arenaria bianca. Erano, come supponeva-
mo, le tombe di Corrado IL fondatore del duomo
(morto nel 1039) e della moglie Gisela. Vennero
aperte il domani fra l'interesse più vivo e l'impres-
sione ricevuta durante questa cerimonia sarà per
noi indimenticabile.
I due corpi giganteschi di colore bruno, ci ap-
parvero a tutta prima come perfettamente conser-
vati, ma ben presto ci accorgemmo che eran ridotti
invece a finissima polvere. Xon restavano che gli
abiti sottilissimi. Alle tempia, i cadaveri portavano
aurora le grandi corone fu-
nerarie di rame completa- ==
mente coperte di verdera-
me. La corona dell'impera-
trice recava l' iscrizione :
«Gisela imperatrix R. ».
In .uni 10 lue le tombe,
sotto il capo del cadavere.
stava una tavoletta di piom-
be, corrosa dal tempo, por-
tante il nome del regio mo-
rente, la data della sepol-
tura ed i nomi dei presenti
alla cerimonia.
Si trovarono pure sui due
corpi moltissime vestigia
di capelli e. cosa meravi-
gliosa, il cervello di Cor-
rado II ben conservato per
quanto indurito e raggrinzito.
Accanto a Corrado II
che, come fondatore del
tempio, aveva il posto d'o-
nore, in un grande feretro,
simile ai precedenti, tro-
vammo gli avanzi di En-
rico III (morto nel 1056)
avvolti in sottilissimo velo.
Il suo corpo, anch'esso ri-
dotto in minutissima polve-
re, indossava, conservati 1
meravigliosamente, un abito
completo di seta finemente
lavorata; le sue mani por-
tavano guanti ed una di es-
se teneva un globo imperia-
le con croce semplicissimo ;
gli cingeva il capo una co-
rona funeraria di rame.
L'n poci 1 più elevata del-
le precedenti giaceva la
tomba di Enrico IV (mor- L
to nel 1050), il cui sche-
letro era intatto fin sotto le ginocchia. Dei vesti-
menti non restavano che pochi indizi. Ma, alla ma-
no destra, gli brillava un anello preziosissimo col-
l'iscrizione «Adalbero episcopus».
Negli ultimi giorni, a grande profondità e nella
parte più meridionale del coro, rinvenimmo pure,
in un gran feretro, il corpo dell'imperati ice Berta,
adagiato sopra un cavalletto, come era stato traspor-
tato dal luogo di sua morte a Spira.
Avevamo con ciò aperte tutte le tombe della pri-
ma serie più vicina all'altare maggiore, constatan-
do con piacere grande, come tutte, tranne quella
di Enrico V, fossero uscite esenti dalle turpi pro-
fanazioni del 1689.
Ben sconfortante e pietoso spettacolo ci presen-
tarono invece le tombe della seconda serie giacenti
vicino a quella di Filippo, rinvenuta all'inizio dei
lavori. Erano l'immagine della più completa distru-
zione ! Alla vista di quelle misere reliquie, cosi bru-
talmente maltrattate dalla malvagità umana, invo-
La facciata.
LA LETTURA
I INTERNO
lontariamente il nostro pensiero corse alla
s.ita -a e si comi Fron a
dente contrasto.
A iirinne del coro, nella tornita estrema.
rinvenimmo parte delle esequ i Vdolfo di Nas
nel 1298). fondatore della casa degli
Lussemburghi, ed una par1' delle gracili Un degno mausoleo, appositamente elevato, rio-
ne della pica l I rico coglierà le spoglie travagliate ili quei grandi.
barba rossa, in td a-
\ anzi d' un in
cui p ran conte-
nute.
Nella tomba vicina, in
una 1 ai grande, sta-
ancora le ossa tri
nel 1739 in seguito .1 1
. r or-
ilin. ■ dell imperati ire 1
V I . e. pi
1 1 un semplicissimo
feretri 1 1 dcuni re-
s'i del famoso e
re l<< idollo di I [absl urg
(morto nel [29]
("un sapiente lavoro gli
antropoioghi , riu-
ino |" n a 0 mpi u re le
differenl i < ssa rii
parti rilevanti dei ci rpi di
Rodolfo, di Alberto 1 suo
figlio (morto nel 1308). ili
Adolfo di Nassovia e di
lie di Federi-
co B . giacente nel-
la medesima tomba con Al-
I " iti ■. 1 osa interessanti
testa che nel 1 7^9 veniva
attribuita ad Alberto I. fu
invece dichiarata cap
Ridolfo-, il cranio aveva
una grande ferita battuta
probabilmente nel 1689.
finiti i lavori e campo»
ste le regie reliquie nei fe-
retri il 3 settembre ebbero
luogo per quanto prowi-
; sori. i pur solenni funerali
dei 12 principi, fatti dal
vescovo di Spira. Si vide
cosi. Spettacolo degno di
ricordo nella storia umana, pel vasto temi
sato a nero, fra il suono delle campane ed il per
dersi nelle oscure navate delle melanconiche armo-
nie funerarie, un'immensa folla dar ultimo e sen-
tito saluto a quei grandi vissuti con tanto lustro nei
li andati.
Mùnchtn.
Prot. Dott. GIOVANNI PRAUN.
-1»%^
SOMMARIO «--
Romanzi e novelle. — Delitto ideale. Luigi Capuana. — // maleficio occulto, Luciano Zùccoli. — Gente alle-
f» , L. Verni. — Tra i pirati del Ri/, Guido Menasci.
Letteratura e critica, — Mahàbhàrata, Paolo Emilio Pavolini. — I frammenti dì T. Petronio Arbitro. Adriano
Colocci. — Studi e diporti danteschi, Giovanni Federzoni. — // Secentismo e le eause che lo determina
ron,<. Maria Cremonini. — La vita di Giacomo Leopardi, (.. A. Cesareo. — Nel campo letterario. Achille
Mazzolerò.
Poesia. — l'erso un aprile lontano, Giovanni Testa.
Teatro. — Giulio Cesare, Enrico Corradini.
Belle Arti. — Attraverso gli albi e le cartelle, Vittorio Pica.
Filosofia. — Nuovi studi sul genio. Cesare Lombroso.
Sociologia. — Marx e la sua dottrina. Achille Loria.
Scienze. — La vita delle piante da Teofrasto a Pai -uni. Giacomo Loforte.
Geografia e viaggi. — Nei due Emisferi, Natale Condorelli.
Romanzi e Novelle.
Luigi ('apuana: Delitto ideale. (Palermo, San-
dron). L. 2. — \ella lettera dedicatoria a Edoardo
Rod. l'autore lamenta che non si scrivano più no-
velle e che sia lontano il tempo quando Guido di
Maupassant diveniva celebre per le sue narrazioni
la più lunga delle quali non oltrepassava le cin-
quanta pagine. E certo, i Maupassant sono oggi ra-
rissimi, per non dire introvabili ; ma che non si
scrivano più novelle non è precisamente conforme
ni vero; è vero che. tra le infinite che si scri\
pochissime hanno qualche valore. Il Capuana ha
perfettamente ragione di dire che è più facile com-
pi rre un mediocre romanzo di cinquecento pagine,
che non un'eccellente novella di dieci; ed anche di
soggiungere che vai più una mediocre novella che
un mediocre romanzo: non foss'altro, la novella è
più breve e annoia per meno tempo. L'eccellenza
si richiede, naturalmente, tanto nell'uno quanto nel-
1 altro genere; e come è spesso un difetto di ceni
romanzi il diluire un argomento da semplice no-
vella, cosi è un difetto in certe novelle il narrare
fatti che non valevano la pena d'essere narrati. 11
difetto contrario, quello di condensare in un breve
racconto un argomento capace e degno d'ampio svi-
luppo, è molto più raro; né si può chiamare pro-
priamente difetto, quando l'arte del narratore rie-
sce, con pochi tratti, a far vedere ciò che non si
vedrebbe, per opera d'altri, senza lunghe dimostra-
1. Luigi Capuana possiede quest'arte, ma non
ne fa mostra nel presente volume. Dopo avere scrit-
to tante novelle che sono veri romanzi visti col can-
nocchiale rovesciato, ora egli si attiene di preferen-
za a motivi semplici, traccia rapidi scorci di figure,
narra impressioni, ricordi, frammenti di vita, mo-
menti di passione, episodi di sentimento. Abbondano
nel suo libro le pagine argute e profonde, che farmi >
sorridere e pensare; ma alcuni di questi bozzetti
sono, in verità, un poco troppo tenui e dicono cose
troppo poco importanti. L'autore crede evidei
mente che la novella debba e possa trovare argo-
menti anche nella più minuta cronaca : ma non
tutti lo seguiranno in questa opin
Luciano Zùccoli: // maleficio occulto. (Paler-
Sandron), L. 2. — a Un autore che tace è uno
scrigno chiuso, e nulla vieta, anzi tu' ire a
far credere che i più inestimabili tesori vi sian ge-
losamente custoditi. Un autore che pubbli
scrigno aperto: e vi si avventai! tutti gli sguardi,
e tutte le aspettazioni rimangono deluse». A questi
giudizi, che lo Zùccoli significa nella breve prefa-
zione, se ne potrebbero opporre, come ad ogni giu-
dizio umano, altri del tutto contrari. Quando un
autore tace, noi possiamo, senza dubbi . attribuirgli
qualità straordinariamente perfezionate nel tei
del raccoglimento; ma possiamo anche pensare che
egli tace appunto perchè, viceversa, il suo ingegno
sterilito. E se Luciano Zùccoli ha taciuto per
LA LETTURA
piova d'esser modificarne i costumi e la vita, finisce consacra»
riografo delle dosi alla fanciullezza pericolante. Non mancano al-
ti il.- ■ ' apprezzarli nei
lumi, nell'ultimo A' Fi rse
antico Ih tignato. I 1 ni
uderi izioni, le ap
i he egli mette in opera
uesto l/" ulto. < taculto i
nente, e tali che soltanto l'anima in
acutamente sensibile e dolor - unente
protagonista >•■ può di-
l'anima <i'nn uomo amante non più ri;i-
f i rtunati ■ rivale. Qui sto
l Scavolini non pie
sino della propria moglie ;
un'arte infernale, ha fatto in modo che un
la uccidesse; ed ora. libero, sta pei
. Jtra: quella cieca e tuia Clara
dall'antico amante l'infamia <1<1 nuovo
■ir. per un momento pare scossa, ma ]H'i
non dà più .ascolto agli ammonimenti, li crede inte-
tti e bugiardi, i sposa senz'altro il malfattore.
del quale è resa dall'autore
i me acutissime si mi le più
innovazioni alla drammatica lotta che scop-
i ra le anime degli ex amanti. Tre soli persi
_i ha il rom. n arsi vi sono gli episodi;
mezzi tanto semplici, lo Zùccoli eo
aten li'' nzii ine dei lettori. Con
una forma ag t, egli resta elegante ed ama-
bile anche nel caustico scetticismo e nell'umorismo
un poco amaro che è il suo segno particolare.
!.. Verni: Gente allegra. (Firenze. Bemporad),
!.. v L'ai - o l'autrice — ha torto ili te-
. nella prefazii ri i I ti suo ri manzo trasporti
soci ilismi , Si può lenissimo seri
un rimai! e non ne mancano esempi ;
hi un romanzi si i- ssa dire tale, non ba-
lli due personaggi come la protagonista Livia
e la sua vecchia amica, la marchesa di Monfiorito,
mo all'eguaglianza, alla
! «corre qualche cosa di più:
i mali del presente assetto della famiglia umana, i
rimedi da mettere in opera, debbono scaturire logi-
camente dalla stessa azione, narrata dal romanziere.
Ora, che la si • colta sul lago di Como si di-
stupidamente, e che l'elegante Beppe
Veri licenzi un mi., servo poco fedele, non sono
.i sufficienti a spiegare le intenzioni sociali
del libro. Il |' che, mentre non si può chia-
• de. questo romanzo, che vorrebbe pur es-
litico e ps n. n ci fa leggere nel-
l'anima dei persona} I autrici ci narra soltanto
I Ile' Veri, dopo una lunga malattia, scrive
alla cugina Livia prò] di sposarla ; ma
duto prima, che e. sa
mo suo; né. sostituendosi in tutte
li del '■ Inni' alla protagonista e pai
land i bene la crisi
■ pei la quale la giovane, invece di ri-
ti ii" 'li'- ama, o pare i he
'si con lui. di tentai di
l'autrice buone e belle e rare qualità; appunto per
ciò ;■ pin da die ella non le abbia me-
glio adoperate.
Guido Menasi i: Fra i -pirati del Rif. (Milano
l'.ileiiuo. Sandron), !.. 3. - L'esempio dato dal
\i nasci componendo questo libro d'avventure di
10 per gii i\ in. ■ ni ' di li "le e d'imitazio-
ne. La letteratura narrativa ad uso della gioventù
torto sdegnata dagli artisti come inferiore a
uà dell) !• 'i' 1 1 .e 1' he; l ali he 1 roppo spiasi 1
abbandonata a scrittori che, con le migliori
intenzioni del mondo, non ci danno opere molto
ite. Guido Menasci, novelliere e poeta di buon
gusto, lui voluto provarsi in quivi, , genere, ed ha
scritto con forma eletta un grazioso romanzetto nel
quale non si potrebbe desiderare altroché un )>•■,.
più di movimento nella favola. Ma se le awer
del mozzo Andrea Fahretti a bordo del Sui. 1
non sono straordinarie, non sono neppure sempli-
cissime; perchè la sua nave è catturata dai pirati
de] Rif, lungo le eoste di! M dinanzi alle
isole Zaffarine; e (piando l'equipaggio, dopo una
dura e pericolosa prigionia tra i Riffani. è riscat-
tato e consegnato ai soldati spaglinoli, il piceo],,
marinaio livornese riesce da solo nell'impresa di
ritogliere ai pirati la sua nave; talché, più tardi,
quando egli è set t'ufficia le nella marina da guerra,
sposa la figlia del padrone, con la quale c'era si
del tenero. L'amor del mare, delle imprese navali,
ispira tutto il libro del Menasci e sarà ispirato
nelle anime dei piccoli lettori: opera provvida nel
nostro paese, dove crescono troppi spostati e dove
é perciò più grande il bisogno che le giovani gene-
razioni siano avviate alle lotte sane e feconde.
Letteratura e Critic
Paolo Emilio Pavolini: Mahàbhàrata. (Palei
mo, Sandron), L. 3. — Sotto la dire/ione di Gio
vanni Pascoli, s'inizia con questo bel volume una
Biblioteca <icì Popoli, la quale comprenderà i ca-
polavori di tutta la letteratura mondiale. Il Pavo
lini si é assunto il non lieve ufficio di tradurre —
beninteso, non per intero — l'immenso poema • pi-
co, la vasta enciclopedia indiana del Mahàbhàrata.
Quando si pensi che esso occupa, nell'origiri
quattro grossi volumi in-quarto, i quali
no diciotto libri e un totale di no mila stl
mentre lo stesso Ruminali, 1. che parve ed è real-
mente enonne, ne ha soltanto :.\ mila, e Xlliadc
ha 15,653 esametri, e YEneidi appena g.868 ;
quando si misura così la giganti -, a mi le di quel-
l'opera, s'intende la necessità di rinunziare a una
traduzione completa. Tanto più che, j»-r l'affastel-
lamento degli episodi epici con gl'insegnamenti
morali, delle leggendi eri iche con i concetti fil
liei, delle azioni drammatiche con i precetti giuri-
dici, l'opera riesce un poco indigesta. I soli Ingie-
si, e se ne intende la ragione, ne posseggono finora
una tradii/, ne completa; la francese si an
I LIBR
1005
all'ottavo Libro e soltanto da poco è stata ripresa.
[ri Italiano, rome in quasi tutte le lingue europee,
non cerano finora altro che alcuni episodi, tra i
quali quelli famosi di Naia e di Savi/ri: il Pavo-
lini ha avuti: un'idea felice. Per dare un'adeguata
idea dell'intero poema, lo ha seguito passo passo,
traducendo integralmente le parti più caratteristi-
che e necessarie a intendere 1 insieme, mettendo in
rilievi' fazione principale e concedendo un discre-
to posto non solo agli episodi, ma anche a taluna
delle parti filosofiche e morali, e compendiali, li i
più o meno rapidamente ciò che non era opportu-
no tradurre per intero. Accortamente egli ha pre-
ferito tradurre brani (inora sconosciuti, sorvolando
sugli altri bellissimi ma troppo noti. Grazie alla
disposizione tipografica, il lettore può riconoscere
subito quali sono i passi testualmente volgarizzati.
e quali i compendiati ; egli riceve però, grazie al-
l'arte del Pavulini. Impressione di un tutto orga-
nico ed armonico. Una dottissima introduzione pre-
cede l'opera ; la chiudono opportunamente una se-
rie di note, l'indice esplicativo dei nomi, ia spie-
gazione delle figure poste in testa a ciascun libro.
l'albero genealogico degli eroi del poema, l'elenco
di tutti i passi tradotti integralmente, e una carta
dell'India coi nomi dei luoghi citati nell'opera.
Adriano Colocci : / frammenti di T. Petronio
Arbitro. (Catania, Calatola), L. 2. — Se si met-
tessero insieme tutti i libri, la pubblicazione dei
quali >è dovuta alla strepitosa fortuna del Quo Va-
da ì, già si potrebbe formare una discreta libreria,
tanti sono i romanzi e gli studi storici e critici ve-
nuti dietro al capolavoro del Sienkiewicz. Alla li-
sta non breve è ora da aggiungere questo volume
del Colocci. il quale ha scelto come oggetto delle
sue fatiche quel Petronio che nell'opera polacca tie-
ne tanti > posto accanto all'imperiale protagonista,
e che è forse la figura meglio riuscita fra i tanti
personaggi del celebre romanzo. Ma è poi tanto
storicamente vera quanto artisticamente riuscita?
Questo il punto dal Colocci esaminato nel proemio;
dove l'autore comincia col trascrivere il passaggio
«li Tacito che è la principale, per non dire l'unica
fonte di notizie biografiche intomo a Petronio ; e
poscia discute gli argomenti di coloro i quali cre-
dettero di poter identificare il console Petronio di
Tacito col poeta Petronio Arbitro, autore del Sa-
iyricon. Il primo ad esprimere questa opinione.
ma in forma dubitativa, fu il Pithou ; molti la
i >atterono, fra i quali Giusto Lipsio. il Petit
ed il Voltaire: il Colocci fa ben valere tutti gli ar-
gomenti che le stanno contro. Parimenti, esaminan-
do la questione subordinata, se il Satyricon si deb-
ba apprendere cerne una allegoria satirica rivolta
ro Nerone, l'autore sostiene la risposta negati-
va e adduce le molte e non lievi ragioni per le quali
quel libro non si può credere scritto a Roma, in-
torno a persone ed a cose romane, ma si deve con-
siderare come concepito fuori d'Italia, in qualche
colonia orientale. Ad ogni modo, e quantunque in-
torno alla persona ed alle opere di Petronio l'oscu-
rità non si possa dissipare, il Colocci ha voluto,
attese che il Sienkiewicz lo ha messe di moda, sce-
gliere alcuni frammenti dell'antico scrittore: epi-
grammi e poemetti erotici e filosofici, e pubblicar-
ne una libera traduzione in prosa col testo a parte
e note filologiche e letterarie in fine. Le note -
erudite, sebbene non copiose; una maggior purez-
za sarebbe stata desiderabile in qualche luogo della
versione.
Giovanni Federzoni : Studi e diporti danteschi.
(Bologna, Zanichelli), L. 5. — L'autore riunisce
in questo volume tre serie di suoi scritti su Dame,
alcuni dei quali già prima pubblicati e unanima-
mente lodati, altri inediti e non meno degni di'
lode. Sia per l'attrattiva della ni ... - a per l'in-
teresse dell'argomento, questi ultimi sono anzi i
più importanti: importantissimo è il primo, in-
torno ad Una /inora canzone di Dante, della quale
il Federzoni dà il testo, trasi 1 cura .li Ma-
rio Menghini dal codice \.< te, se
pure gli argomenti coi quali l'editore ne dimostra
1 autenticità lasceranno qualche dubbio, certo me-
rita, come egli vuole, che sia da ora innanzi p
insieme con le canzoni a Dante attribuite. Attraen-
tissimo è il capitolo, inedito anch'esso, sulla poesia
degli occhi e dello sguardo di Guido Guinizelli a
Dante, e notevolissimo il terzo intorno ai Primi
germi della Divina Commedia nella Vita Nuova.
Tutti gli altri scritti non sono, come già si disse,
nuovi; ma rinnovati nella sostanza e nella forma:
eccone i titoli: // Canto XII dell'Inferno, Sopra
Celestino V e Rodolfo d 'Absburgo nella Divina
Commedia, Breve trattalo del Paradiso, La Vita
Mova, Filippo Argenti, L'entrata di Dan1 e nel Pa-
radiso terrestre. Seguono dieci postille. Dotta sem-
pre e sempre elegante, la critica del Federzoni rie-
sce particolarmente grata ed amabile perchè Fau-
tore, il quale non scrive senza aver compulsato tut-
ta la letteratura dantesca antica e moderna, pae-
sana e straniera, non ostenta con le citazioni in-
gombranti l'erudizione sua.
Maria Cremonini: // Secentismo e le cause che
lo determinarono. (Bologna, Beltrami). — E' uno
studio breve, ma sagace intorno ad un fenomeni 1
letterario al quale, generalmente, si assegnò una
sola causa, mentre un complesso di circostanze pi -
sono solamente spiegare la sua complessità, ber al-
cuni critici la corruzione del gusto, nel Seicento,
dipese dalla dominazione straniera, dallo spagno-
lismo; per altri dall'amore di novità, per altri ai
ra dall'ipocrisia religiosa, dal gesuitismo, dal pe-
trarchismo e via dicendo. Secondo l'autrice, tutti
questi elementi concorsero, in misura diversa, a
produrre il Secentismo; svi ilarmen-
te ciascuno di essi in uno speciale genere letterarie
od in una determinata parte d'Italia: nella lirica
il petrarchismo, nella storiografia e nella eloquenza
il gesuitismo: e più nel Napoletano, da lungo tem-
po soggetto alla signoria spaglinola ; meno nel Mi
lanese da poco asservito ; meno ancora in altre re
gioni rimaste interamente italiane.
G. A. Cesareo: La vita di Giacomo Leopardi.
(Palermo. Sandron). L. 1.50. - 11 (Voi
tempo addietro, arricchito la copiosissima lettera-
.
LA l.I'.'l 1
rita e te i
. lì d narra rintera vita
i- nti i« risati ■. La
ma finora
I , ncipaJmente, alla mate
■ delle circostanze, alla
avvenimenti ; il I a vi
ne rispetto allo spii
he l'uno prendesse
nsiderarli tutti \ns ■ « la
, i oda dei tempi e delle
. d'un solo i
una rapida esposizione delle con-
morali d'Italia all'alba del secolo decimo-
i ii . mento, narrando i primi
i pardi, la fuga da Recanati, il tempo
Fuori del paese nativo, l'ultima dimora in
l'ultima dimora in Firenze e la din i
sino all'estremi giorno. Chiude il libro
, nel liliale sono definiti il
e le qualità del poeta. Se qual-
cuna -li di 1 < !esareo potrà dar luo
tutto ciò che egli dice è degno
ne e di studio.
\ i imi Mazzoleni: Nel campo letterario. (Ber-
i , 1 2. — Questo grazioso volume è
il frutto di una accorta e diligente
spigolatura nel campo letterario: vi si trovano rac-
colti una serie di studi sintetici e di note analiti-
che rivelano nell'autore molta coltura e
critica 1 capitoli più pregevoli sono
unente i cinqui- primi, nei quali il prof. Mazzo-
leni sservazii ni, documenti e notizie in-
poeti, agli scrittori che
ro il proprio ritratto ed il proprio epitaf-
antoi dell inverno e ai poeti della patria:
. ggi particolarmente degno di nota
per la ricchezza delle informazioni e il calore del
sentimento. Tra i minori paragrafi sono importanti
I . i due sul Leopardi, quello
siciliani, ecc. Per varietà d'argo-
rii • dizione, la lettura di que-
\. le ed istruttiva; forse il Maz-
ni non ha sempre la sua atteri
ad opere e ad amori che verami nte la militavano :
ma piccolo difetto, perchè, comi- d
i lare non nu ■
Porsi A.
i ■ . i - m aprile /ontano. (To-
L. 2. — C'è in questi o mpi nimenti
la i rtgegno poetico, alla
Ira •• malinconica si
erai certa nu m ti mia ri
lente dalla forma, dalla costante
la stri fa li-
l Nella prima parti si volge al passati
in preda i in |uii i udirle . nella
tusti presagi e la di\ ina
d'una stagione • ria a
tutti gli uomini, a tutta la terra. L'alba di questo
aprile lontano i si confonde, pei il mite pi
di . adoratore della bellezza,
della verità, credente nella forza del verbo, l'au-
'. i i|l( visioni ' ii"'- pun ed armoniose. Come è alto
il suo pensiero, così i nobile la sua espressione.
i era ed è fai il mente correg-
i ■ .■ •
I \rico Corradini: l dramma in
cinque atti. (Roma, «dizione della «Rassegna na-
zionale»). — Due scrittori, giovani e valenti en-
trambi, ma per indole e studi diu-rsissimi, hanno
quasi conti mpoi cato la figura di < ìiu
Ilo Cesare. Guglielmo Ferrerò, il quale ha dedii
al ti ndati n di 11 Impero un intero volume della
Grandezza e decadenza di Roma, ed Enrico Ci rra
dini. che lo ha fatto protagonista del presenti- ili
ma. Come parti- d'un'opera grandiosa appena ini-
ziata, il dotto lavoro del Ferrerò potrà essere
glio studiato e giudicato quando finterò ciclo al
quale appartiene sarà compiuto; l'artistico compi-
nimento del Corradini non ha invece bisogno d'a-
spettare. E, per un caso fortunato, la critica si può
avvalere, nel giudicarlo, d'uno scritto nel quale l'au-
tore del dramma significa la propria opinione in-
torno al libro ili storia. Avendo già parlato del
primo volume del Ferrerò, La conquista dell'Im-
pero, il Corradini ha voluto parlare anche del se-
condo, Giulio Cesare ; e pochi come lui, dopo avere
tanto attentamente studiato, per dipingerlo in un'o-
pera d'arte, il personaggio della storia, erano in
grado di parlare dell'opera dello storico. Ora, poi-
ché al Ferrerò il Corradini addebita d'aver fatto di
Cesare un uomo di «forza meravigliosa, ma cieca,
ossessa, frenetica, non mai veggente, signi
armoniosa» ; e di una «volontà quasi direi involon-
taria», diminuendo, per obbedire a un preconcetto
etico, sociologico, ]M>litico. filosofico, la figura, le
imprese, l'azione che esercitò nel mondo il gran
capitano, così noi siamo preparati a trovare nel
dramma del Corradini tutto il contrario: una esal-
tazione deW'imperator, «il più stupendo campioni
dell'uomo forte, volente e combattente». Cosi è '
mente. Mei cinque atti del dramma, al Rubicone
dove ci n la dominatrice parola vince i ornati di
resistenza dei suoi soldati: a Roma, dove entra
renamente scotendo le redini del <m- cavallo e di-
sperde la [laura della folla e l'ostilità dei nemici;
a Farsaglia. dove trionfa dell'esercito di Pompeo
con l'impeto delle infiammate legioni, e di - -
con la magnanima clemenza verso i vinti, e di
Bruto con l'eloquenza della filosofia; ancora ..
ma. nel giorno dei trionfi, in mezzo al popolo che
lo suole far Dio e agli omicciattoli che non gli con-
ilo di essere re; ed ai fatali idi di ma
nella coscienza della sua forza, della sua misi
ra compiuta ; nella trascuranza
monimenti e dei pronostici infausti, sacerdote aru-
spice e indovino di sé stesso, il Cesan di En
Corradini è ] nte un Eroe, una delle più
I I. I B K 1
vaste orme, secondo l'espressione del poeta di un .li-
tro Eroe, stampate dallo Spirito creatore; non so-
lamente un -politropo, ma «l'uomo di lutti gl'inge
gni e di tutti i modi e di tutti i principi e di tutte
le leggi dell'esistenza». Avendo così visto Cesare,
cosà il Corradini lo ha reso. Se anche il Conquista
tore non fu realmente tale, se anche avessero torti
le secolari tradizioni, e ragione, col Ferrerò, i nui \ i
critici, la bellezza poetica e la forza drammatica
della concezione del Corradini resterebbero inalte-
rate. Un uomo ed un mondo stanno a fronte ; e la
niente, il cuore, l'anima di quell'uomo contengi ni
e mantengono quel mondo, che è il più vasto, il più
vario, il più agitato e fragoroso tra quanti ne ri-
cordano le storie; e l'uomo che ha creato una po-
tenza sovrumana è sopraffatto da negatori oscuri,
da denigratori ambiziosi e da sognatori infermi.
ma dopo aver compiuto un'opera che gli sopravvive
nei secoli, dopo aver dato per sempre il nome suo
proprio a quella potenza. Grandioso nelle linee,
preciso nei particolari, profondo nella psicologia,
il dramma del Corradini ci dà la misura d'un inge-
gno che nell'arte narrativa e nella critica filosi fii a
aveva già dato prove evidenti del suo grande vali re.
Belle Arti.
Vittorio Pica: Attraverso gli Albi e le cornile.
1 1 1 fascicolo. (Bergamo. Istituto italiano di arti
graficheN, L. 2.50. — Con questo terzo fascicolo si
chiude la prima serie dell'opera di Vittorio Pica,
che abbiamo qui due volte rammentata e raccoman-
data, e che torniamo ora a lodare, perchè il buon
gusto dell'autore, la sua scrupolosità, la sua preci-
sione, la sincerità delle sue impressioni, l'equani-
mità dei suoi giudizi, rimangono, col variare degli
argomenti, sempre inalterate. La nuova tappa del-
l'artistico suo giro è fatta nel campo dei cartelloni
illustrati, modernissima forma d'arte e principale
elemento di quell' «estetica della strada» che è nei
voti di molti artisti e sociologi. Il Pica ci descrive
e ci mostra, con le bellissime riproduzioni che ador-
nano il suo lavoro, ciò che di meglio si è fatto nel
genere in Francia, in America, in Inghilterra, nel
Belgio, in Olanda, nella Scandinavia, in Russia,
in Germania, in Austria-Ungheria, nella Spagna e
da ultimo in Italia. Egli mette in evidenza i parti-
colari caratteri d'ognuna di queste manifestazioni
nazionali, e d'ogni nazione enumera e studia i cam-
pioni più insigni. Intensamente provate, queste sue
Sensazioni d'arte sono efficacemente espresse e de-
stramente partecipate a chi legge.
Filosofia.
Cesare Lombroso: Nuovi slatti sul genio. Vo-
lume secondo. (Palermo. Sandron), L. 3. — Le
teorie del Lombroso sono note ad ognuno, tanto
rumore hanno levato, a tante polemiche hanno dato
argomento. Qualunque opinione si possa avere in-
torno ad esse, bisogna riconoscere ed ammirare l'in-
domita costanza con la quale l'autore le sostiene.
Min;
le difende, le illustra, le conforta di sempre nuove
prove. In questo secondo volume dei suoi Nuovi
studi, egli dichiara ohe fra i tanti critici sorti con-
tro la sua teoria del genio, uno solo glie ne ha ad-
1 itato la vera, capitale lacuna: il Sergi, quando
gli ha obbiettato che con questa teoria non si è an-
spiegato come sorgano geni di varietà così
differenti. E gran parte de] libro è appunto occu-
pata dalle risposte a tale quesito. Premesso, come
lo stesso. Sergi riconi sce, che la varietà non distrug-
ge l'unità del genio, l'autore va rintracciando le
eause per le quali, nonostante la comune nanna,
1 ascun genio ha caratteri propri; e le trova nel-
l'eredità, nell'ambiente, nelle circostanze economi-
che e morali, fisiologiche e psicologiche, nelle im-
pressioni tardive, nell'incosciente, ecc. Nei rimanenti
capitoli, il Lombroso ritorna allo studio dei rap-
porti del genio con le varie degenerazioni, della
patologia psichica ed anatomica degli uomini di
genio. .■ finisce adducendo nuove prove per dimi -
strare che, cime lui. i pensatori antichi ed anch li
genti primitive e selvagge credettero e credono alla
pazzia del genio o alla genialità dei pazzi, e che
anzi, presso i popoli primitivi i pazzi e gli epilet-
tici si creano artificialmente, per farne dei santi,
dei profeti, dei medici e dei maghi. Il volume è
provveduto di appendici, di statistiche e di tavole
illustrati^ e.
Sociologia.
Achille Loria : Marx e la sua dottrina. ( Pa-
lermo, Sandron), L. 2. — I sei saggi dei quali è
composto questo volume: Karl Marx. L'opera po-
stuma di Carlo Marx, Intorno ad alcune critiche
dell'Engels, Due parali di anticritica. Le vicende
del marxismo in Russia e Serate socialiste a Lon-
dra nel 1S82, apparvero tempo addietro nella .1 Nuo-
va Antologia», nella «Riforma Sociale» e nella
«Critica Sociale», quando più vivaci ed ardenti e-
rano le "ontose intorno al sistema marxiano, e par-
tic ilarmente l'interpretazione del Loria era oggetto,
einie dice lo stesso auti io. .li fere rampogne. Fgli
li ricompone in un libro, ora che nella discussione
intorno al Marx è ternata [a ealma; e la sua ese-
gesi è degna di attentissimo studio tanto da parie
di coloro che seguono i concetti dell'autore, quan 0
e più. da parte di chi professa idee diverse 0 con-
trarie. Ben venga dunque questo nuovo commento.
e ben vengam 1 commenti al commento, dato che
iì Loria ha potuto istituire un parallelo tra Carlo
Marx e Dante Alighieri, come uomini e come pen-
satori. Aristocratici entrambi, il Marx e l'Alighieri,
lice l'autore, sortirono dalla nascita entrambi lo
spirito «[pertinace, fiero, incrollabile degli uomini
di parte. Cacciati in bando dalla terra natia, esu-
lano e traggon vita raminga, mendicando un pine
fra genti straniere. L'Alighieri è accusato di ba-
lia da Cai Gabrielli, come il Marx da
farlo Vogt». E passando dalla biografia alla psi-
cologia: «Nell'Alighieri l'esilio suscita il genio ir-
requieto e ribelle, e di lui, priore fiorentino, tratta-
tista scolastico, fa il profeta dell'evo medio. In
LA LETTI IRA
M.ir\ i i «diti d( 1-
re 'li filosofia, figlio ad
id un min I i
• tali ■ una critica della <>-
».
Sci i
delle piante da 1 i
Sandron), L. 1.50. —
to pa sto manualetto 1 aufc
ire tutto 11 'li più ni
anica, oria che
malmente riodi: il primo,
trita class 1 igloi ;amen-
arante tutto il medio evo, quando lo studio
[tanto mai
Cinquecento, famoso ]ht le sco-
ntile e della sessualità e per il di
dell 1 della specie; il terzo, contempora-
traddistinto da un maggior rigore ili inda-
gini e «li esperienze, ed esplicanti si sotto il coni
della mi Iella variabilità
delle forme specifiche 11 Loforte non ha destinato
il suo libro ai botanici, ma al gran pubblico che
ama ili fortificare la cultura generale; egli ha po-
perciò il progresso della scienza delle piante
in relazione con l'ambiente intellettuale delle varie
epoche. Il suo libro è riuscito così accessibile ai pro-
fani e ricco di nozioni utili piacevolmente volga-
rizzi' editore inaugura una Piccola
ìm del secolo X7i sarà continua-
in gli stessi criteri, merita di essere accolta fa-
Geogr afi a e Viaggi.
orelli: Nei due Emisferi. (Cata-
nia, G I, L. 1:. — Ciò che un viaggia
curioso e studioso può vedere ed ammirare in quat-
tro opposti angoli della Terra: nell'Egitto ari ■
e nella Scandinavia gelata, ira i vestigi della re-
ni itissima civiltà greca e le testimonianze •
moderna Ira tutte, — l'americana — , il Condorelli
rive ii. questo sontuoso volume con molto garbo
infallibile diligenza. La lettura del suo libro.
gradevole e proficua a coloro che non con
11 da lui visitati, è preziosa per quelli eli
accingono a rifare qualcuno di questi suoi qua
\ aggi, tanta è l'abbondanza e la sicurezza delle in-
formazioni, non solamente storiche, geogratichi .
nografiche e in generale erudite, ma anche pratiche.
Narrando tutto ciò che egli ha fatto, l'autore ri
una guida sagace e previdenti -, mi si 'lo e lieve di-
fetto di diffondersi in particolari troppo minuti;
difetto perdonabile perchè. 1 e il proverbio,
abbondare non nuoce. ('d'Italiani viaggiano poco,
forse perchè hanno la ventura di abitare uno dei
I aesi più belli che siano al mondo, forse per altre
e più persuasive ragioni; ma, i|tialunque ne sia la
ragione, questa ignoranza delle cose grandi e degli
spettacoli magnifici dei quali è pieno il vasto mon-
do riesce loro dannosa. Gli scrittori che, come il
( '0111 lineili, lavorano ad eccitare l'amore dei viaggi.
i anno opera buona, e ottima quando i loro
sono, come questo, scritti bene e copiosamente e
nitidamente illustrati.
Il Lettore.
-ji. J\fìj- — -v*
V~ì;'&?'-£&'*?:t
SOMMARIO
1 drammi del m 1009 — La cavallerìa à » ìaio pag 1017 — La temperatura dei beoni, pag 1017
— 7 più grandi m ! mondo, pag. 1018 — /.'' niicr^Hu mo^uiiii'iiia. pag. 1023 — Per !ro-
■■(/• marito, pag 1023 — Fra </'< struzzi, pag. 1024 — /.< mari :ii ppmn^i, p. 1024 — Le
casi che SI muoiono, pag. 1025 — Come linoni uno sculture, pag. 1031 — ( hirurgia anim ih
pag. 1036 -- i7 principio di Montecarlo, pag. 1040— Vel i/fl, pag. 1042 — Voci artt/l-
' • ^ < z / / . pag. 1046 — / popoli nei loro Idoli, pag. 1043 — /i< tiìcìric;!a i,, Madagascar, pag. 1052 —
L'oro dei Po(o. pag. 1055 — G/i animali scoimi n irati, pag. 1056.
I dra ni m i del m are
Arrivando a bordo degli enormi transatlantici che
legano l'antico mondo al nuovo, la vecchia Europa
agli altri continenti, si prova un impressione di be-
nessere e di sicurezza. Le loro dimensioni imponenti.
la loro struttura robusta, l'abilità e l'esperienza del
capitano, la disciplina dell'equipaggio, l'ordine, il
'art, il lusso stesse che regna nei minimi parti-
colari, tutto, a bordo di un piroscafo, contribuisce
a fugare i timori, a rinfrancare il coraggio e a dare
infine l'impressione gradevole che il genio umano
abbia trionfato definitivamente degli elementi più
libelli, domata la loro forza e annientata la loro
perfidia.
Questi sentimenti diventano sempre più profon-
di man mano che i piroscafi si ingigantiscono e si
perfezionano. Ed è giustizia constatare che gli studi
ilei costruttori e degli scienziati rendono ogni giorno
sempre più piccoli i rischi del mare. Le perdite in
mare sono ridotte alla proporzione piccolissima di
i su 119. Le statistiche marittime contano infatti
tre rotonde 142 mila navi e bastimenti da pe-
sca di jualche importanza sui mari del globo; ora
il totale dei sinistri è di 1200 per anno in media.
Si vede quindi che vi sono molte altre situazioni
nella vita, nelle quali noi siamo esposti a ben altri
e più seri pericoli che non sulle onde del mare.
La "Lettura.
Generalmente le traversate sono fortunate e non
rappresentani per il viaggiatore che un periodo di
dolce cullamento. La nave lascia lentamente il porto
dominando colla massa gigantesca le banchine dove
i parenti e gli amici danno l'ultimo addio. Ed ec-
coci finalmente al largo. Il tempo è calmo e dolce,
la speranza mette una nota di gaia spensieratezza
lordo del transatlantico. Ognuno si prepara a
passare il meglio possibile i lunghi giorni di bordo.
Gli uomini giuncano e fumano nei saloni, le donne
nelle cabine ricamano i merletti, i fanciulli, avidi
ilaria e di sole, corrono fra le gomene del pi
gettandi al venti le loro grida di stupore e d'am-
mira/
\1 1 1 [uanl ■ -:ano diminuite le probabilità
di sinistri, esse .sussistono sempre. Guai se in se-
guito a qualche etrore di direzione oa qualche
lenta tempesta la nave fosse scagliata contro qual-
che so glio !. .. La sbadataggine è realmente la cau-
sa più frequente dei sinistri. Per essa perirono e
periranno migliaia e migliaia di bastimenti. 1 1
li formidabile flotta di Serse, che |ierdette quattri -
cento vele sulle coste dell'Ellesponto, sino alla Rus-
sia gettata col venire squarciato all'imboccatura del
Rodano, quante navi arenate fra le sabbie, sven-
trate sulle rocce, squarciate dai banchi sottomarini!
64
LA LETTURA
ie .1 i febbra i •
ini di eqi va a
\ i ■ ■ i it r < - le roco della sp e - te traspon
in una danza concentrica che b
una tromba >li mari-. Il capitano gettò un grido >i
sfuggire alla
trappola m'Ha quale era cadul I i fregata era
naia pazzamente nel vortice fatali-. E' facile
i k Seminante sollevata da un'onda i i.rri ih 1.1 -i sfascia contbu le bocce dell'isola i ui//i
m 1 i vnu ! ni SAN BONIl villi
bordo 400 uomini 'li truppa che dovevano sbaj
rimea per la guerra contro la Russia. Ma il
iriiente alla sua partenza, essa s perdeva
Bocche di San Bonifacio. Che
D ;oo uomini che portava neppur
jgì alla terribili
saprà l'intera verità sul dramma - oltosi
dell'uragano, si ha tuttavia il
non ci tnpleti I I jtanza difl usi
iti ri che dalle ed im-
nti alla terribile sventura Verso l'alba del 15.
: da una terribile raffica, fu
parecchie miglia all'esl
Il •
nendo 'li 'lar fondo sulle scogliere, prese il pai
;so nelle Boi rhe di San Bi
il •■ sai
in t-TiiiM > ili bonaccia, ma quel pomo
delle Bocche • Il venti
■ .
immaginare ma non ra la scena ili terrore
che dovette svolgersi su quella povera tolda sbal-
zata dalle onde "ra verso il cielo e ora verso gli a-
l'issi. rome una testura. La nave era ormai all'agiv
nia. Il mare l'avrebbe annientata, da un moni
all'altro, srnza fallo.
Infatti un'onda smisurata con una potenza irre-
-. stibile a llevò d'un tra Si vide l'i rida
gigantesca ribollire sotto la chiglia, si udì un urlo
di terrore, poi uno schianto terribile. La nave,
sventrata, si rovi rnparve.
Il giorni dopo, |k-I man- tranquillo, le barche
ree e le zattere ilii pescatori sardi andarono
luogo. I non tardar scoprire sulla punti
strema dell'isola Lave// un ammasso informe e
miserando di travi spezzate, ili nxtanii ili fui
■ li rannoni avvinti da una rete ili cordami e ili \
lacerate. Sopra il mare galleggiava un lil>ro: il
■ li bordo ili 1 n: il vento aveva strapp
l'ultima pagina. Era la più terribile della
'!• I mare !
DALLE RIVISTE
1011
Che ima nave soccomba all'impeto dell'uragano
dopo una lotta disperata dell'equipaggio pazzo di
terrore, è spaventoso: [iure tali catastrofi sembrano
conseguenza ineluttabile della necessità. Ma perire
nella calma delle inde! Quale ironia viene allora
ad aggiungere la sua amarezza alla crudeltà del di
sastro !
Eppure si ha un esempio di questa tragica anti
tesi nella eatastrofe del Drummond Castle. Questa
nave si perdette nelle vicinanze dell'isola d'< lui
sant. durante una festa di bordo. Il Drummond Ca-
stle, vapore inglese, era partito da Città del Capo con
ioo uomini di equipaggio e 150 passeggeri, in mag-
gioranza donne e fanciulli. Il 6 giugno intravvede-
va le coste ilei Finistère e proseguiva la rotta per
Londra, a tutta velocità, malgrado la nebbia estiva
che si stendeva sulla calma super-
ficie de! mare. Dopo mezzogiorno,
essendo la nebbia più fitta, il ca-
pitano ordiin'i di rallentare la
marcia. E a poco a poco la notte
cadde sul mare. La temperatura era
<li una dolcezza squisita. I fanali
rischiaravano il ponte. Alla loro
luce incerta, le donne cantavano ;
poi comparve qualche violoncello
e si intrecciarono le danze. La fe-
sta duri) tino alle dieci di notte.
A quell'ora il capitano vide un fa-
ro lontano; egli lo credette il faro
di Ouessant. Tuttavia ebbe un i-
stante di esitazione. Come mai si
era già all'altezza di Ouessant?-'
Era un errore enorme, di 12 mi-
glia....
Un muggito prolungato e terri-
bile usci a un tratto dalla stiva.
Il capitano comprese. La nave a-
veva toccato fondo. Si s llevò d'un
tratto, e poi ricadde svettrata, tra-
volta dalle onde tranquille e pla-
cidamente silenziose. All'alba, sol-
tanto tre persone restavano attac-
cate disperatamente a qualche ta-
vola :
»
Non : solo contro la natura cir-
ca che l'uomo è costretto a lottare.
ma spesso contro il suo simile. Vi
ha infatti uno scontro assai più
terribile e fatale di quello di una
roccia: lo scontro contro un altro
bastimento. Uno dei più terribili
nella storia delle grandi catastrofi
marine rimarrà quello della Borgo-
pia nei mari della Nuova Scozia.
Era Tanno 1898. La Borgogna
era partita al 2 luglio da New
■\ork con un tempo splendido e tut-
to sembrava promettere una t ri-
versata placida e felice. Oltre l'e-
quipaggio erani .1 bordi circa .^^ persone. La sera
del giorno dopo la nave si tri ava i 1 a una distan-
1 O nsiderevola dalla terraferma, quando sulle on-
de tranquille scese improvvisa la nebbia, folta e
densa come le grandi nebbie estive.
La Borgogna filava o ; fanali accesi, colle sirene
in azione. Tutti riposavano a bordi . eccetto gli uffi-
1 tali di guardia.
Ali alba la nebbia era ancora assai densa e il
timoniere non distingueva nulla oltre la distanza di
venti 0 inn:a metri. Vedendo l'immenso profilo
della nave, a stento visibile nella grigia solitudine
dell'Oceano, si sarebbe creduto a qualche vascelli e
fantasma che navigasse nella notte.
I . orologio di In irdo segnav a le cinqui-.
A quest'ora l'ufficiale intende tra il venie il ru-
tili te di un naviglio vicino. La Borgogna rispond
'in un colpo di sirena, breve, stridente, disperato.
Il naufragio dei Drummond Castle duranti una festa \ bordo.
I A LETTURA
alzati
i
uni. ritto sul ponte della passerella, immobile
come la statua del doli mandi secchi.
• rati, come colpi di revolver. E la nave si gettò
a tutti i \ a un ist >la i ii in i ti ntandi - di
ii. usi ^1 1 qualche banco di sabbia.
I stiva sotto i ansare sp
ti si delle unii chini i uggiva e tra>
ballava, le raldaii sembravano
icoppian ^sione
del vapore e la navi sventra
ina> a peni >sam i ima
tigre Fei ull'Oce; almi i t
tranquillo. Ma il ponte si in
i rapi ì nelle onde, 1 acqui
irrompeva a t< trenti, i fuochi si
spensero, gli stantuffi 9
sntid il Livello delli i «di e la Bor-
gogna ristette immobile sul mare.
I passeggeri piange\'ano sul pon-
te. Era l'ultimo pianto era l'a-
gonia.... La Borgogna si ripiegò
sp esala sul fi ini o, poi li nta, ma»
sb sa, iliscese negli abis
cento vite umane scomparvenj
con lei.
Il 11 ni I) IN '
■ o canotti incendiari contro Vrmata Invincibile
L'uri itabile ...
• i produsse terribile, spai entosi I due
mmobili, l'uno nel
I .i nave invesl il rio ebl e una ]ir< -
i ' ura al fianco, l'altra uni. squan io 'li
metri ili lunghe//. i sopra cinque 'li altezza.
'i,i virò 'li bordo e s'allontanò dal ve-
ndo lunghi colpi di sirena come una
U Tutti i marinai
o gli
eri si iui aroni dalli i abine,
ricchi pieni 'li angoscia. Il
Nella ne tte dal io all'i i -
del K)oo la squadra del Mediter-
raneo, comandata dal! ammii i
Fournier, la cui barn mola-
va sul Brennus. si dirigeva v
Gibilterra. La luna rischiarava il
mare. L'ammiragli' volli ricarica-
re la controtorpediniera Frantói 'li
trasmettere un online all'incrocia-
tore Fonare e le fece cenno di a-
vanzarsi a portata della voce. La
Framée che era a 400 metri si av-
vicina, ma invece ili seguite, cornei
si suole 111 simili casi, una
parallela al Brciimis si piega vi
la nave ammiraglia.
\i!en/ii ne ! - rida l'uffi-
ciale 'li guardia sulla nave ai
raglia.
Sulla Framée il capitano
con terrore il suo bastimento cori
rere ad investire il Brennus, sale
sulla passerella e grida con
terribili :
— Venti gradi a sinistra !
Questa manovra avrebbe evitata la collisione.
Ma con spavento tutti si accorsero che la Framit
ripiegava ancora più entro il Brinino e gli taglia-
va la via. Il Brennus rovesciò le macchine ]ier ar-
restarsi ; ma era tardi: due minuti dopo lo sperone
di prua della corazzata entrava nel ventre della
controtorpediniera chi scomparvi d'un colpo.
sonando tutto l'i quipaggio.
Che era successo 11 timoniere, dopo il comando
del capitano, invile di mettere la barra a destra
aveva commesso un errore semplicissimo:
posta a smisi 1.1
Il naufragio della Borgogna
colata a picco in pieno Oceano in seguito a una collisione.
LA LETTURA
;. •; 1 789 I ammiraglie V Isan
Eppui gli 11 ' :"' avi 1 1 in Egil 1 to di Kapolo
bordo, ne, nà la ancorata ad Aboukir.
Pei la ■ delle il I 0 forse le 9 'li sera.
Sul ponte dell' Oriente, in.
Iirn 'li moni e 'li leriti.
ancora validi sparavano gli ulti-
mi colpi ili fuco . in iTi . :
ultimi cannoni, urlando impreca-
zioni e bestemmie \
ira ili essi 1 ra il tui ni 1 e il
1 ra impadronita
ili quegli ni mini, ultimi superstiti
1. Tratto
!.. irromp
«Viva la Repubbli
Improvvisamente si feci un si-
ili morte. L'Orienti bruciar
va Un fremii di l
sin nelle \ isci re del
Lve Ai I" '•'.!] » «ti 1
alcune teste nere ili polvere, orri-
l'ili (li sangue.... Il terrore
spava i tratti energici di
l.lli.
I A • rdei .un . Il in' 10 ' era
stibile. In un istante il baglio-
Fu immensi . L'incendio 1
rava il mare ; 1 mbravani
l'Oriente illuminava la
in....
Lontani', nelli
dai lampi sinistri dell' incendi» .
comparivano i fantasmi ili II-- n.i\
inglesi, come avvoltoi nottum
■ di piombare sul cada-
vere del vinto.
I • spetl ti h nente. in-
fernale. I fucili caddero di mano
ai combatti 1 utti, ingl
1. vinti e vincitori, sti
bili a contemplare la scena
spaventosa.
Alle dieci e un quarto un rim-
bombo immenso, come 'li un vul-
cani ' che lanci le sue \ isi 1 re al
cielo, feci ' ri mare l'atmi • 1
raila intiera apparve illuminata di
un chiarore orrendo e magnifici
l'Oriente era saltai. ,
( 'ome un vulcano morente, lo si vide ffon-
ilare peci poco, in un crepitìi 'li travi infiammate.
poi, annientato, ma indimenticabile, scomparire sui
Butti, rome un sole che si inabissi nell'oceano di
a di un tramonto boreale....
Novi nti Ul mini erano morti.
**♦
Nel c886 la nave mercantile France della Com-
pagnia transatlantica, partii. 1 da San S'azaro pei
l'America del Sud, 250 passeggeri e 60
metalliche contenenti 8.000 chilogrammi di
eri, destinati alle guarnigioni del e. Il
;o dicembre, a 880 miglia dalla Guailalupa. il '
NELLA BATTAGLIA DI VBOUKII inni |ik SEGUITO IU.IKCENDIG
' \ POLVI 1:1
he nel antica marina da guerra si faceva ap-
1 un grande uso di barili idlarì. ( li sì nel
I rinata In he I rasp rtai a su joo
80.000 uomini, venne distrutta nel porti di
idiai "■. 1 he le ven-
dalla marea mon-
■ navali antiche
' Le navi 1
ivano '• d'un
id \1 " tikir.
tro di A
-
La catastbofe della controtorpediniera Framée sventrata dalla nave ammiraglia Brennus
LA LETTURA
bordo I ]
mare i cani tti di
il tutta I i li un
\ eh abbando-
sta, in
do di
spaventi
un colpo colle polveri. Rimanendo sulla
pui sempre una s| non bi-
ibban donarla.
continuava minacciando di invadere
■ ■ ostato re che il fu ra ari
ad u diali. Si rr.i giunti appena in
tempo .1 salvar tutto !
Dopi I li co, il gh torio. Ai nostri tempi il
Polo Ili affascinato gli esploratori. Ma quanti han-
no cominciato il terribile viaggio e non hanno I
i iti -ni! i :
Fra tutti i
giri <■ quello
I \ / ufi. ti, DELLA SPEDIZIONI POLAH OLIA DAI GHIACCI
A un irati.> si \ ide un guiz-
una vampa pi alenarsi dr .u
I rani i le munizioni ili bord i hi preni li vano
mpe mano\ rate ci I1
rrenti d'acqua. Finalmi
ntille dell ra a prua, si
tentativi compiuti, uno dei pi. tra-
della f cannette. Questo solid
stimento acquistato da Gordon-
Bennet, diretti ire del .\ eu ) ori
Herald, fu da lui inviato ;il miste-
nel 1879. La /cannette.
in. 1, doveva afe
tendere sulli si retto di Behring ihe
li la trasportas-
sero verso il Polo. Pari ita da Saa
Francisco l'otto giugno, si scontrò
coi primi il tre settembre
e al settantunesimo grado ili latitu-
dine nord rimase prigioniera dei
i. senza più potersene li
tre.
Due inverni pa
si, trrriliili. fra le privazioni |>iii
I viveri mancavano, le
malattie infierivano a bordo e la
: indi ii «lata nel
bile.
Finalmente IH giugno 1 88 1 si
produsse il disastro estremo. Dopd
una giornata radiosa, gli iceberg
si strinsero ancor più dawicino al-
la feannetlc e lentamente, come u-
na vittima fra le spire ili un sex
pente, la striti lan no. I marinai la
videro piangenti inabissarsi nel
mare.
Da allora alla fini ore fu
per le 32 persone, che compi mera
no l'equipaggio della nave naufrsy
in mi
il freddi e la I II iplicavaao
le vittime. Il giornale del i-uman-
dante della spedizione ha riprodot-
to in tutta la sua Imitale verità i
partir, lari della l ragica agonia.
1 1 30
i no di ghiac-
Boyd • ( '."ti/ moni ; ( !ollins
.... ».
Qui il giornale è finito.... La
dalle dita e am-h'e-
l'Iì cadde sul campo deserto e 'li
spera
Cinque mesi più tardi si sci prii 1 ■ rjii sotto
la neve a meno di quaranta chilometri da una
/ione russa, dove avrebbi I la vita.
Furono sepolti sopra una roccia ai piedi di una
isa croce di le;
(Dalle Lectures pou> lous).
La cavalleria d'acciaio
Un ufficialetto d'artiglieria, da poco arrivi
Parigi, dove veniva per chiedere giustizia al mini-
stro della guerra, passeggiava un giorno sulla ter-
razza dei Feuillants, quando il suo sguardo fu at-
tirato da uno strano spettacolo. Un uomo, seguito
da un codazzo di monelli, montava una specie di
cavallo di legno fisso sopra due ruote poste l'una
dopo l'altra: appoggiando alternativamente il piede
destro e il sinistro al suolo, quel singolare ca\ al iere
si dava la spinta per poter avanzare.
Certo, il tenente d'artiglieria sarebbe rimasto mol-
to stupito ed incredulo se gli avessero profetato che
dodici anni dopo egli sarebbe stato Imperatore dei
Francesi, col nome di Napoleone I : ma uno stupì n
e una incredulità più grandi avrebbe prodotto in lui
il sentire che quel primitivo celeri fero, trasforma-
tosi col tempo in bicicletta, sarebbe stato adottato
un giorno dagli eserciti di tutti i paesi del mondo
e avrebbe modificate le condizioni della guerra
quasi quanto ogni altro progresso della balistica!
I primi saggi della velocipedia militare risai
gono al 1S75. e sono merito dell'Italia. L'ultima
creazione d'un corpo di ciclisti porta la data del lu-
glio di questo anno iqoì. ed ha avuto luogo nel
Belgio, dove la guardia civica si è rafforzata d'una
compagnia montata su biciclette.
L'introduzione del ciclismo negli eserciti euro-
pei si è compiuta fra il 1885 e il i&9$- un poco dap-
l>ertutto nello stesso ordine: dubbii, tentativi, criti-
che dei retrivi, lodi dei novatori, ostilità da parte
cella cavalleria, riconoscimento ufficiale dell'utilità
ilei ciebsti come corrieri ed esploratori. Ora c'è
qualche cosa di più: si crede che il cavallo d'acciaio
possa darci la quinta arma, la fanteria montata,
eterno sospiro degli strateghi, strumento di vitti ria
molta più prezioso oggi che non ai tempi di Na-
poleone, il quale voleva pure « dei volteggiatori de-
stinati ad esser trasportati da truppe a cavallo nei
luoghi opportuni, ed abili quindi a montare con
un salto in groppa a un cavaliere e a discenderne
con un altro salto leggiero». Già i partigiani del ci-
clismo militare in Francia chiedono cinque milioni
per fornire l'esercito di 24.500 biciclette, destinate
alla creazione di un corpo di fanteria montata, ca
pace di correre alla vittoria con la velocità di 30
chilometri all'ora !
Per il momento, le esperienze fatte nelle mano-
vre dimostrano i grandi vantaggi del ciclismo nel
servizio di scoperta. Un ciclista esploratore può
jiercorrere, tra le cinque e le dieci della mattina,
andando e venendo per il disimpegno delle sue va-
rie missioni. 60 chilometri in tre ore e mezza. li
òmpito principale dei ciclisti combattenti è quello
di coprire e sostenere i reggimenti di cavalieri ; e
questi, che sulle prime guardavano con disprezzi
i cavalli meccanici, ora rendono loro giustizia.
Ma questi servigi del ciclismo pugnace si sono
sperimentati solo teoricamente, nelle manovre in-
cruente; mentre quelli del ciclismo informatore si
sono visti e misurati praticamente, nelle guerre vere.
Al Transvaal, ciascun battaglione di volontari in-
glesi aveva una sezione ciclistica di 20 uomini, co-
mandata da un ufficiale. Nella campagna di t'uba,
agli Americani riuscirono singolarmente utili i ci-
clisti per il Sigimi corp. In caso di rottura d'un
filo telegrafico la cui riparazione è urgente, il eie]
sta corre in un lampo a! punto del guasto. Trat-
tandosi di collocare una linea nuova, gli Americani
adoperano una bicicletta speciale: il filo è avvolti
in un rocchetto, dal quale si svolge mediante il mo-
vimento della ruota posteriore della macchina. Ogni
rocchetto contiene circa un terzo di miglio di filo, e
il ciclista se lo lascia dietro correndo a rotta di collo.
Mediante gli accessori del telefoni 1 deH'apparec-
di Morse, posti dietro la sella, questo filo può
essere utilizzato tanto per le comunicazioni telefo-
niche quanto per le telegrafiche.
(Dalle Leciures pour tous).
La
te m p e ra t u ra
dei
beoni
La lotta contro l'alcoolismo ni n è cosa tanto re-
cente quanto si potrebbe credere. Il Vandervelde.
in un suo studio sull'argomento, narra che nell'an-
no di grazia 1600 il conte palatino Federico V
fondò la prima società di temperanza : la quale
aveva però nei suoi statuti le seguenti disposi-
zioni :
«Impegno valevole due anni di astenersi da ogni
ubbriaeatura completa.
« Obbligo di non bere più di sette coppe di vini 1
durante ogni pasto, e più di quattordici coppe al
■ no.
«Per estinguere il resto della sete, oltre alle ac-
que minerali, si consente la birra.
0 Facoltà di fiere una sola coppa d'acquavite o
di altre bevande alcooliche.... j>.
Tanto per cominciare, era già qualche cosa !
(Dalle Leciures modernes).
I più grandi macelli del mondo
n a»i i vegi i. ii i. un conver-
ntero alla \ i rrà il
: uomo, abbandi mando le carni sap
d'erbe e i, di foglie e di t ru
il ntani. Pi i si d
i | uni si I i
mondo un a
plicato, prodig attivo che sempre più
Dal n ii ''ili il bestiame bruì i
. nento in cui un buongusl a
[uante l rasf rmaz
danni subito le \ ivande ! 1 1
costituisce un'industria che ha le sue
ora i bue i il ma jale, come al-
lavora il fern Entriamo in
no mondo Noi vi tro\'eremo uno spd
.ni. i. ii, , dall Au
siria. dall'Olanda e dalla Russia.
! cai del bestiame è alla stazioni < U-l la Vii
lette. Disorientati, atterriti, gli uni ricalcitranti, gì
altri docili e quasi mi iti, sono tratti dai \
ii dai cani al mercato-bestiame della Villette.
Là si innalza una tettoia gigantesca ili cristallo ca-
p ce di contenere 20.000 montoni gli uni serrai
contro gli altri in modo da formare un solo tap-
inili di lana bianca. V"è inoltre il padiglione dei
buoi, lungo mezzo chilometro e capace da contenen
6.000 delle grosse bestie ruminanti dai grandi i»--
chi pensi si e placidi.
V'è infine il mercato dei inaiali : lunghe tettoie da
cui si innalza una lamentazione fra icuta,
minabile. 1 .<■ v' 1 ime si ni ■ là aromi m icch
I UtRIVO DEI \l U w u M uxi.l.u ih i .uh IGO.
uoi macelli immensi dove 1 treni rovesciano ad ogni ora migliaia di bestie dalle
praterie iti Fai w . 1 hicaqo, fra tutte le grandi città, 1 quella In cui II commercio
delle • 'a in ha la più foì miaabili estensione
ni Ila sua ferocia. E vediamo dap
prima come si prepara l'alimento alla fami di Pa
rigi.
La popò! o ita circa j. 700.000
si indi \ ina 1 ; . fare un enorme o m
sumo ili rami-. [1 ventri- ili Parigi esige ogna setti-
mana jo.ooo buoi, 60.000 montoni, quasi
majali. S; vede dunque |ual ih.ih.Io for-
ibile 'li animali rappresenta il consumo an-
lueste truppe belanti ili montoni spauriti.
polo urlanti- e rivoluzii 1 buoi e di
. 1 ano
errovia dà tutti i punì i 1 . dai pa-
li Bretagna e di Norma a Ma la produ
• ma non basta all'eri
colle lunghe orecch riti sugli occhi, con un
leggero grugniti. Ira i 1 lenti stretti, l'in., immobile,
sonnecchia, un altro sorride col ventre enorme al-
iarla, un u-r/o sugna forse visioni da Epulone
dappertutto sulla paglia i Testasi della pinguedini
i . i 1 rii ' ilma
Minu/ii sani. ni. esaminati, palpeggiati, pesati,
tutti gli animali sono comperati dai grossi mercanti,
che si incaricano di farli uccidere e di rivenderli in
seguito ai più piccoli commercianti.
appena vendute, le mandre sono sospinti fuori
dalle tettoie a colpi di frusta, di bastone, •
baiamenti e da morsicature di cani. Come una fi
a dal panin.. i montoni si precipitano rolla
bassa in una sola valanga, belando, string
DALLE RIVI- I
dosi, schiacciandosi. Una fiumana bianche,
di dossi lanuti, macchiati di marchi azzurri. r< ssi,
verdi, violetti, si succede senza riposo. 1 buoi si
precipitane- con un tumulto feroce e dramma;
r o 1 9
tà. la Ila morte. Strana città, dove l'inerme
> p ii ne non vive che pi • ed è continua-
nti sostituita da altra che morrà ben presto.
Quaranta o cinquanta scompartimenti poco eie-
Comesi ch.ui.imii majali negli stabilimenti Armour e C, \ Chicago.
Sotlo queste tettoie grzg intinsi in meccanicamente Le chiamate dclU
elettriche si mescolano ai trugniti delle bestie sgozzate Lr operazioni si succedono
che si possono uccidere 10.000 maiali <>,ini giorno
ih una massa enorme, in cui le grandi teste cozzano, vati sono allineati regolarmente come reggimenti che
e le grandi come si spezzano. I majali si attrup- attendano la rivista. E là il macelli comune, per-
pano in masse indisciplinate, rivoluzionarie, men- che non bisogna credere che ie bestie siano eguali
tre i col|>i di frusta piombano con voluttà sui ventri davanti alla morte. Se i montoni e gli agnelli sono
soni ri. abbattuti gli "ni in presenza degli altri, i buoi han-
COME .-t LAVANO E
STRIGLI imi l \imu i i i i-i
isi, i maiali cadono in \ina pi dna d'acqua bollente. In cui vengono con-
tinuamente rivoltati da lunghe forche e quindi passano in una macchina dalla quali
escono poco dopo colla ini'.'- Uscì
Ed eccoci al macello, la città del sangue. Il ma- no l'onore di una sala particolare. Entriamo in
cello di Parigi è vicino al mercato del bestiame. I una di queste sale private, dove, secondo l'espres
suoi lunghi scompartimenti rettangolari, le sue sale sione tecnica, si fa il bue.
ripiene di strumenti terribili formano una vera La -ola è alta e più lunga che larga. A due
I02t)
LA LETTURA
nifi ri e n i suolo, forti poutrelles in I
m-[\. no ad appendervi i buoi uccisi. Dalli' muraglie
uncini ai quali spesi i v isceri
animali, i polmoni, il fegato, il cu n \ terra
1 ferrate. Presso La
un anello conficcato fortemente nel suolo: è
il lui il bue viene a mi iure. Un uomo 1"
I- i echi coperti con una
maschera ili cuoio come un i>rsu di zingari. La be-
i i • ingue, mugge, esita, infine
nella rimerà fatale. I garzoni lo legano pre-
all'. inelln. e gli tirano la testa vicini
Allora le vittime caricate su piccole carriole ven-
gono portate in un salane contiguo dove s'ode pe
renne uno scorrere d'acqua bollente. Qui centina
ili mani e di spazzole grattano con lestezza 1
pelle, il gnigno, le orecchie e il ventre ai majali
che galleggiano a centinaia nel fiume fumante.
In tutte le grandi città divoratrici, a Berlini», a
Londra, a Vienna si riproducono spettacoli simili,
-i possono facilmente immaginare dopo quanti
abbiamo detto di Parigi. Ma la produzione locale
non basta all'immenso consti i dovette orga-
nizzati- un'importazione colossale e incredibili
Come i maiali vengono decapitati.
Slesi su grandi tavole vengono decapitali con straordinaria sveltezza da speciali operatori
terra . il mattatore prende la mazza americana, una
sorta 'li martello di ferro, munito di una punta
d'acciaio e l'abbatte sul cranio della vittima E' un
istanti. Senza \m gridi» di dolore, lanciando sola
mente un sospiro, il Ime e caduto, come un albero,
una piccola macchia rossa alla fronte e qua]
■ he r. a di sangue....
amo una visita alla sezii ni dei maiali, è la
sezioni Qui si brucia e bollono le cal-
daie. Eccoci davanti come un gran tempio nero e
devastato, in' idi accampati attor-
abbandi nano ad un'orgia or-
renda di sozzamente. Attorni» a questi fuochi di
I ivacchi si agitano uomini e donne. I colpi cadono
e i maiali pn i a terra I mi ri i
■ allora coricati sulla paglia, nascosti in essa.
Alle volte non spunta fuori ohe qualche gru
■ ■ n mi nte. Si dà dlotra fuoco
alla paglia e cosi finisci a Pai il majale, tragi-
■ un Rajà indiano, Una leggera car-
1 un izza/ione e alcune scintille che si s) .
tutto quello che resta dopo j k n h i istanti sul corpo
lesile pei saziale la fame divorante di queste ca-
pitali.
Una gran parte dell'America del Sud è occupata
da estensioni senza termini di praterie dove l'i
' reso in abbondanza: sono le pam-pas. Colà in uno
stato di libertà assoluta vivono mandre sterminate,
ognuna delie quali conta non meno di io.ooo capì
di bestiame. Il numero dei buoi non è inferiore ai
venti milioni e quello dei montoni a cento milioni.
Ogni anno i custodi fanno la scelta delle bestie mi-
gliori e le spediscono ai grandi porti 11 principale
e naturalmente quello di Buenos Aires.
Al principio degli allevamenti nelle pampas gli
speculatori si proponevano di procurarsi la pelle
|ht i cuoi; la carne dell'animale era considerata
I iuttosto come un imbarazzo. Ma da quando si ot-
tenne il modo di conservarla pei mezzo di potenti
frigoriferi, tutto fu cambiato. E si |H>tè allora uti-
lizzare ([nella quantità immensa di carname, al»l>an-
'leii.ua ai vermi, che prima ingombrava le pampas
i giorni successivi al macella Fu un colpo di foi
Ulna, .speeiali Compagnie vennero (ondate per l'e-
sp rtazione dei lana e dei montoni dall'America del
DALLE RIVISTE
I U2 I
Sud ; tutte prosperarono e moltissime sono diven- sgozza. Poi le vimine, sempre trasrinate dalle ruote,
tate ricchissime. Attualmente Buenos Aires, che fa passano dinanzi ad altri operatori, che li sventra-
delle spedizioni al mondo intero, manda animai- no, ne tagliano le teste e li spaccano in quarti... E'
mente al solo porto dell'Ha-
vre 105.000 buoi. 70.000 vac-
che, 60.000 vitelli, 2. 500. 000
montimi e 130.000 majali.
In grazia dei vagoni frigo-
riferi tutta questa carne può
arrivarci fresca come se fosse
allora allora uccisa.
Le cifre che abbiamo date
sono rispettabili e impressio-
nanti e si potrebbe facilmente
credere che Buenos Aires sia
la città che ha le statistiche
maggiori riguardo al commer-
cio degli animali. Eppure vi
ha un'altra città che la sorpas-
sa. E; Chicago, la città dove
la sola casa Armour sgozza o-
gni giorno 30.000 porci.
E' qui che trionfa la mec-
canica, il vapore, l'aria com-
pressa. l' elettricità, applicati
alla manipolazione degli ani-
mali uccisi. Nelle sale gigan-
tesche il frastuono degli in-
granaggi, il fischio delle cal-
daie, il rumore dei cilindri in
azione danno l'idea di un'officina metallurgica piut
tosto che di un macello. Il visitatore europeo è stu
pefatto di quelle interminabili file di maiali ur
Nei magazzeni del macello di Chicago
L'ULTIMA OPERAZIONE DI Rll'l LIMENTO
lami che vengono con rapidità spaventevole sospesi
ai raggi di enormi mote, che circolano nell'aria, e
che uno ad uno passano dinanzi ad un operai' ri
che con un sol colpo, senza muoversi dal posto, li
une spettacolo maestoso e terribile, quello di que-
ste carcasse tremolanti, di carni rosse e di adipe
candido, carcasse che, obbedienti a una forza im-
mensa, camminami nelf alto,
discendono a terra, salgono i
piani inclinati. 1' una dietro
all'altra, sventrate e orrende.
Passiamo in altri magazzini.
Qui la carne è spedita in reci-
pienti frigoriferi agli Stati Ug-
niti e all'Europa, oppure fat-
ta a pezzi e affumicata in sca-
tole di latta perfettamente
chiuse.... E le salsicce s'allun-
gano, s'allungano di centinaia
di chilometri prima ili span-
dersi sul mondo intero.
Nulla si perde. Le corna
servono a fare pettini e bot-
toni, le ossa più grosse a far
manichi di coltelli, le più pic-
cole, bocchini di pipa. I piedi,
le articolazioni, i frammenti
di pelle sono trasformati in
gelatina, in stearina, in sego,
in grasso, in sapone; gli sto-
machi passano alla farmacia
per la prepar izii me dei sughi
u.iv'rici artificiali.
Ma quali soni i popoli che fanno un consumo
così enorme di carni? I popoli del Mezzogiorno e
dell'Oriente ne fanno un uso assai limitato, mentre
le razze del Nord hanno bisogno di carne per rea-
LA Ili I URA
In -\l STRAMI NTO i i \ ].\\ mi iu
gire i
vomì'
I freddo <■ dell'umidità. Gli
in tutto il monili i più ' i li di-
urne. In tutte le taverne ìngl :si sono al-
9 . • ^il^^^^ffr^A
E JL •W^T^^^
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fi | * E* Aris
firn Mr-JB
la i ITB • v„
I v PI -III H\ I L'I \lliw\ IN GHI
lineate sui banchi li fetti rosseggianti 'li roastbeef.
Le statistiche dicono che ogni giamo Londra ilivora
8.000 buoi. Nel consumo della carne, all'inglese se-
gue il tedesco, il quale però
preferisce il majale. Gli spa-
gnuoli e gli italiani in con-
fronto sembrano dotati di un
appetito meno mediocre; Que-
ste differenze smic giustificate
dalle differenze del i-lima e
dèi genere di vita.
Ali-uni popoli poi mangiano
la rame appéna rosolata, altri
i, j,'li aralu ] m >i non
tanno rhe collocarla tra la pel-
la >ella e di-
i col miglior appetito
del tuonilo dopo una giornata
ili cavalcala.
I medici, che non molti an-
ni fa raccomandavano le car-
ni quasi citulc. ora danno le
preferenze alle carni as-
sai cotte, eccetto nei casi <li
etisia. L'abuso delle carni pe-
rò non è senza pericolo e si
crede generalmente che i
rigine a una malattia oramai
appendicite.
• ille Leclnrei poni fon
Gli studi superiori si compiono presso gli Arabi
in luoghi e con metodi molto diversi dai nostri.
Il tipo dell'Università maomettana è El Azhar. al
Cairo, la cui fondazione risale al q88 e fu opera
del califfo El Aziz. principe della famiglia dei Fa-
limiti e amico delle scienze e delle lettere.
El Azhar è tutt insieme moschea, scuola ed al-
bergo. Situato nel pittoresco quartiere del Bazar e
nascosto in un dedalo di costruzioni, l'edilizio non
ha una facciata monumentale e si rivela soltanto
per mezzo dei sei svelti minareti che slancia al cielo.
Vi si entra dalla porta dei bari 'ieri, così chiamata
j>eR-hè vi stavano in altri tempi i barbieri che rade
vano gli studenti. Attraversato uno strette: passag
gio popolato da mercanti di legumi e di frutta, si
sbocca nel Sahn ci Gamia, cioè cortile della m<
schea. Questo è interamente lastricato e chiuso da
portici merlati, da nicchie, da balaustre delicata-
mente traforate. Vi formicola una popolazione com-
posta d'individui d'ogni età. d'ogni razza e d ogni
condizione: Turchi e Negri. Arabi e Indù, fan-
ciulli, vecchi e adolescenti, poveri e ricchi, sani ed
infermi.
Intorno alla corte centrale si aprono i iman, salt-
ila 1 tetto basso sostenute da arcate a colonne di
marmo ai La più vasta, i he è tutt'insieme
aula e moschea, non ha meno di nove navate e di
centoquaranta colonne. Con una superficie di circa
3000 metri quadrati, accoglie una moltitudine nelle
ore di studio e di preghiera. Il mihràb, o nicchia
della preghiera, ha l'asse rivolto verso la Mecca. I
professori, gli sceicchi, accoccolati ai piedi delle co-
lonne, leggono e commentano il Corano e i libri
[tifici. Seduti, coricati o in piedi, sul nudo sui lo
o sulle stuoie, i discepoli stanno a sentire.
Tutte le classi sociali sono mescolate in quella
moltitudine avida d'istruirsi. I ricchi hanno il solo
privilegio, finita la giornata, di ritirarsi nelle came-
re, vicine all'Università, delle quali possono pagare
l'affitto. I meno favoriti dalla fortuna, i disgraziati
e trecento ciechi abitano El Ahzar. Lungo i muri
dei liuan sono disposte delle casse dove essi depon-
gono i loro indumenti. D'inverno il liuan centrale
>erve da dormitori. ; d'estate si dorme all'aria a-
perta. Non solo l'alloggio è gratuito, ma anche il
vitto per coloro che non <« ssom pagarli . O me nel-
le Università europee, durante il medio evo, gli
studenti sono divisi per nazionalità, in rinak e
barali. Si contano trentuno r'màk di Turchi, di Al-
gerini, di Tunisini, di Marocchini, di Giava 11 - 1
Tranne questa classificazione tutta geografica, i
mugauÌTtn o studenti godono la più assoluta libertà.
Essi sono padroni di scegliere i maestri, di seguire
questo o quel corso, di studiare tre anni, sei anni.
od anche più a lungo. Alcuni entrano fanciulli ad
El Ahzar, e ne escono vecchi. L'insegnamento è del
tutto gratuito. I professori vivono del prodotto del-
le lezioni particolari, dei cloni volontari, della rico-
piatura di libri 0 della retribuzione ottenuta per
l'esercizio del culto. Insegnano a leggere, a scrivere,
a copiare e a recitare il Corano; danno le/ioni di
grammatica, di religione, di giurisprudenza, di lo*
gica. di rettorica, di versificazione. Xon vi sono
osami; quando un discepolo si crede in grado di
far da maestro, apre un corso, liberamente. Non
1 è bisogno ili aggiungere altro per dimostrare come
e quanto le Università mussulmane sono diversi
dalle euro]»', '
Per trovar marito
In ogni parte del mondo l'impazienza delle ragaz-
ze da marito è messa in evidenza da qualche super-
stizioso costume ; uno dei più curiosi è quello che
vige in Alsazia, su! monte di Sant'Odilia. Celebre
non tanto per l'altezza — la quale è di settecento
metri — quanto per i! monastero fondatovi nel
VII secolo da Santa Odilia. figlia del duca Adal-
rico, questo monte è la mèta ili due diverse serie
di pellegrinaggi.
Xarra la leggenda che Odilia, cieca dalla nascita,
recuperò la vista col battesimo; più tardi, quando
suo padre volle accasarla, ella fuggì verso Fri-
burgo, dove una roccia si dischiuse dinanzi a lei
sottraendola agli inseguitori. Il duca, impressionato
da questo miracolo, non si oppose più alla voca-
zione della figliuola e le diede il castello di Ho-
henburgo per farne un monastero. Dopo la morte
del padre, Odilia fondò il convento di NIedermun
ster ; in una delle sue gite, avendo incontrato un
pellegrino morente di sete, fece scaturire la fontana
che porta il suo nome, e da allora tutti gli ammalati
d'occhi accorrono confidenti a quella sorgenti-. Ma
la virtù della santa si esercita in altro modo, sul
destino delle fanciulle da marito. Sopra un pro-
montorio roccioso del monte, sorge, quasi a picco
sul precipizio, la cappella detta degli Angeli, la
quale è circondata da un sentiero così stretto, che
nei punti più larghi arriva a misurare appena
mezzo metro. Il lunedì della Pentecoste, le giova-
nette salite al sacro monte tentano di fare il
di quel vertiginoso sentiero; ma non basta chi l
facciano una volta sola; bisogna anzi che lo 0
piani' nove volte di fila, senza appoggiarsi mai ne
ai muri della cappella ne alla balaustra, se voglio-
no trovar marito rientro l'anno. Molte, prese dalla
vertigine, rinunziano al tentativo, 1 si mettono il
cuore in pace. Salvo a ricominciare la prova l'ani
seguente !
(Dalle Leciures moderne* ■
tura di |ii!-Nti grandi e magnifici uccelli, le
ito appn diffii ili . perchè
una veli ra rdinaria,
derli por poterli pren-
- i schia ili distruggerne la
■ o nsumo delle pi nru .
quindi, dapprìi Inglesi d'Aus
oc i in California dagli Americani, ili i
I levamento dei preziosi volatili. I risultati
spinto i Francesi a fare altn l
, l gitto.
\ un'i ra e mezza dal Cairo, presso il villaggio ili
l ire per il sicomoro all'ombra
Verg Bambini sarebben
nda, ripos 5 dal 1880 un pai
i delli . una s] • asi in mi zzi .il desi
mbreggiata dalle palmi e composta d'una serie 'li
nne scoperte, disposte a cerchio intorno a un
Ni Ile capanne, che sono 160. aliaci
ma strada di ronda jh r i guardiani, vivono
1400 struzzi, uniti in gruppi ili 25 i> 30. senza di-
one di sesso finché non hanno compiuto i cin-
tnni. A quest'età, divenuti adulti, si formano le
ina delle quali ha un alloggio parti-
I maschi ^i riconoscono facilmente dalle
■ re tra le quali ino alcuni ciuffi b
come se Fi sseri di coralli 1 ;
tutte gì gie. L'na volta l'an-
1 - 1 mbr , ess 1 lep mgi mo durante 13 1
giorni un uovo al giorno. Il nido è un s uiplioe buco
nella sabbia del su lo, e riparato da una
di piccolo fi 3so circolare. La cova dura in
a 4.: giorni ; ma ogni giorno, sull'annonari-, la
1 le lasciare il nido, dove il maschio
de il posto rimasti vuoto. Più coraggioso e
pugn meglio in grado di d Fendere la
ira. e per intimidire i nemici caccia urli
prolungati, grilli gutturali che somigliano strana
mene gg ne; la sua forza è tale che
■ 11 un colpo della zampa uncinata sventra un uorm .
Durante il giorno, quando nel nido sta la femmina.
monta la guardia presso di lei. 1 guardiani,
quando hanno da entrari- nelle capanne, debbono
le più s i .nazioni, e talvolta non
riescono a penetrarvi senza pericolo se non i]
indo il maschio, la qual casa ottengono agi-
tandogli dinanzi agli occhi, sulla cima di un basto-
| . zzi di stoffa di colore azzurro.
pra quindici uova, solo cinque o sei si schiudo-
li rettanti pulcini, grossi quanto
hanno niente di bello: la 1
le zampe si no enormi.
M ■ crescono rapidamente: di dodici 1 >« «lini al n
azil ne degli adulti si 1
'.mimi di Fave, 2 di crusca e 6 di
nda, quindi, quella si
1 gli sttuz/i hanno uno .. di
struzzo. Senza masticare, con una sola fucata, essi
10 una dozzina di aranci. Un meli
sa si nza difficoltà nella loro esili gola
Vivono lino a trentanni, e già quando ne hanno
appena due rappresentano un capitale termine!
re. Due- volte l'anno, in maggio e in novembre, si
tagliano loro le penne, • due volte fanno la natura
ripara il danno prodotto dagli uomini. I .'nitrazione
del taglio non è senza difficoltà: cinque 0 sei uomini
robusti non sino troppi pei legare le zampe del-
l'animale, distenderlo a terra e mantenerlo termo.
In America sì pi Itrimenti, involgendo il
Ilo ni una specie di sacco; ma, |*t
esser date alla cieca, le zampate non si
pericolose.
Data la scarsa pi gli struzzi hanno
un valore piuttosto caro: di 2500 franchi in me-
dia. Siccome le penne non s guale bellezza,
molte hanno bisogno di essere pulite ed anche ar-
ricciate, operazioni che ostano. I visitatori del
pain, egiziano possono avere, con 7. 8 0 12 fran-
chi, una piuma grigia; le nere valgono 25. e 30 le
bianche.
(Dalle Lectures moderne!).
Le ma rine
inglesi e giapponesi
L'alleanza anglo-giapponese comincia a por
i suoi frutti. Un prestito di 125 milioni di franchi
è già stato lanciato sul mercato di Londra colla
ra omandazione ai capitalisti a mostrarsi geni
i-erso la nazione alleata. E trecento milioni -
stati versati in pochi giorni, somma enorme dS de-
naro che partirà pei porti giapponesi a creare una
nte.
Il piano navale dell'ultima terra dell'Estremi > l
riente è grandioso: quattro corazzate fra le più po-
tenti che saranno costrutte in Inghilterra, sei inerì -
datori ili prima classe e altri piccoli incrociatori
e torpediniere. E' un totale di irò. 000 tonnellate.
pel quale l'effettivo della marina giapponese si tri -
vera in qualche anno più che raddoppiata II nu-
mero delle corazzate giapponesi viene cosi aun
del 40 per cento e quello degli incrociatori del
100 per cento.
D'altra pane però l'Inghilterra non vuole rima-
nere addietro alla sua alleata, né lasciarsi sui* :
dai suoi piani grandiosi. Il programma delle costru-
zioni navali ih r l'anno prossimi, è già pubbli
Esso comprendi due corazzate di 10.500 tonnella-
te, dm- incrociatori corazzati, tn incrociatori di
terza classe, |uatl n e nove conti
pi -dimore.
E' insomma il disarmi ncia !
Uè case clie si muovono
C'era tempo addietro
nel Kansas (Stati Uniti)
una ritta che aveva fatti
tutto quanti ■ ra possibi-
le per indurre una Com-
pagnia f'ern .viaria a farle
passare vicino una feri
via, ma non aveva otte-
nuto nulla : un bel gioì
no si st ppe che • ra stabi-
lito che la fi nw ia d
vesse passare a dieci mi-
di .lisi. in. i. ed in-
in l>rt-\r tempo la
linea fu impiantata. Al-
lora si fece un meeting
generale della cittadinan-
za, e gli abitanti con u-
nanime entusiasmi; stabi-
lir! >m cii la fer-
rovia m 'il voleva venire
in ritta, la città sarebbe
ain lata alla ferrovia. Il
io lopo - 1 ; ' mincda-
ii .in li opera ii ni. Tut-
ti- le rase. Ir botteghe, le
se, i caffè furoro mes-
si -i | tra ilelle ruote, e ti-
rati da dozzine e di //ine
ili forti cavalli e la pn -
cessione, capitanata dal
sindaco e ila .lue ecclesiastici, si avviò lentamente --.sa raggiunse finalmente la sua destinazione, e,
per la prateria I i storia non dice Quanto tempo menti gli ecclesiastici innalzavano lodi a l'i
1 i città per traslocare, ma è un fatto che tra il giubilo .Iella popolazn ne, lu depositata sul
Il rRASPORTQ UtM CASA IN CALIFORNIA
,!>"
Minpn
-
/.(/ /.
A mvvi RSO iv i n v l'I ili MBOLm
«5
LA LETI I I \
Il [«ASPORTO D'I M i \-\ \ BROOI K1V\
Gli amei ii ani hanno giu-
nti- ingegnosa. Il trasj
pei loro una
stanza semplice e naturale. Anche tre
anni un abitante ili Muscongas, nello Stato
M unbiar paese e ili andarsi a
1 i.i:ii.u iscotta Mills, i • ere la sua
sopra un'armatura di legno, che fu tirata da
sappiamo quante paia di buoi fin sopra una
collii uva poi scendere la collina e traver-
sato. Giunti che si fu sul-
l'altura, l'americani
I w . ISA nr.nl [ATA DA SUD A KOBD I un GÌ I via u\il DI
una spinta all'edilìzio, che scivolò giù [>er la china
eoa una rapidità o le, arrivando sino alla
superficie del lago gelato. Qui i buoi furono attac-
cati nuovamente, e la casa ti senza arri..
la superficie ghiacciata.
Non meno interessante è la stona della casa
si vede nelle due figure della pagina preceden-
te. La casa — una complicata costruzione di li
— appartiene ad un avvocati di Eureka in C
Imma, il signor Ernesto Savier. Essa fu tolta d
amenta in Arcata, piccola città vicino ad Eu-
reka, e trasportata sino alla sponda della baia di
1 [umboldt, ove erano pre-
parate- due chiatte piane
e l gnui
pan- di trasportare ,;oo
tonnellate. Sulla spond 1
si era praticata un'aper-
tura quadrai in-
tn dussero le chiatte che.
Ute Ferme inferii irmeli
da appositi sostegni,
non sul ili. rio sci .ss,- né
dislivelli quando la
vi fu spinta sopra. Indi
si tolsero i sostegni 1
chiatti- con la casa gai-
di
Humboldt. In tal mi
la ]K-r
migl ia si 11/.1 inci
denti. L' edilizi it
aveva un
fun d era tutta
minuzii lavi irata.
Pesava oltre cento ton
nelli
Quando essa raggimi
s I 1 • ka. fu trasportala
a lerr.! alla presenza di
DALLE RIVISTE
una folla di spettatori, e poi spinta per mezzi, mi-
gliò, ci mi si vede nella figura, nell'interno della
Ina casa ni 8000 tonnellate trasportata a Chicago
città di Eureka. Durante tutta l'operazione non s
ruppe un sol vetro. La ditta assuntrice compì i
trasporto in due mesi.
Le case non sono sem-
pre trasportate su rulli
di legno. La prima casa
che fu trasportata, nel
1832. fu mossa su sfere
di ferro rhe so rrevi ni 1
in apposite scanalature.
Altre costruzii : ; -; feo
ro muovere su guide me-
talliche ingrassate a! mo-
di stess. 1 che nel varare
le navi le si fa scorrere
per un passaggio lui rilì-
cato. Questo m tod an-
cora praticato. DI ra:enle •
fu applicati 1 per il tra-
sporto di una casa .1
Broocklyn. Sotto l'impal-
catura del piano terreno
si posero larghe travi alla
,inza di circa un me-
tri luna dall'altra, e [hiì.
sotto questa prima serie
di travi, se ne pi - un'al-
tra trasv ■! salmi Sot-
to la travatura, poi, si
misero potenti martinetti
1027
a vite per sollevare la costruzione. li suolo su cui
la casa deve muoversi, viene sempre sp
rat amen |
spone anche un binario
di travi di legno. La for-
za nutrire, salvo lì
di ci si ruzii ni mi iti ■ pe-
s uni. è fornita da' ca-
valli. Si stabiliscono ad
una anza dalla
isa due ai l legati
alla casa p
ci Tile 11 catene 1 1 1
gè. I cavalli 31 ni |
al servizii degli argani
rhe fanno girare
mezzi: di sbarre di legni
e di ferri . < '1 sì la cas 1
si muove. Quando si è
avvicinata agli wg
questi vengoni : pi rtati più
li titano, e cosi si procede
sinché non si sia giunti
al luogo dest 11
Allorché invece si us i-
110 i rulli sui quali si
spinge la o n ne fa
cendoli rotolare, ogni rul
! . appena 1 sei- dalla par-
te posteriore dell'edificio,
viene presi 1 e portato alla
parte anteriiii .
Le nuove fondamenta
sono stabilite fra le travi sottostanti; e quandi' i
muri di fondazione sono finiti e si sono asciugati.
I \ il TRA ISA fRASPORTAl I \ I h
LA LETTURA
Ma |uandc, |
M
I 5]
attra
trafile fu com
una
I
u particolarm
|ht le dii ''I
l'edificio che t-ra anche as
omplicata I trasporti
■ li questi
lenti per gli Vmerica-
che per gli
I N'ABITAZIONI MV01 mi UÀ NORD \ SI n
stranieri, e la gente spesso compie lunghi viaggi per vederli. L'industria
li. nusp ir rn b'i \> si azione
DALLE RIVISTE
è puramente americana: e, come si può vederi
dalli- illustrazioni che figurano in queste pagine,
viene applicata alle costruzioni più rispettabili
IN CAMINO TRASI-ORTATO.
E ciò che è più ncte< ole è che esse non vengono
affatto danneggiate, non subiscono urti, ne scosse
disastrose. Spesso si trasportano residenze con gli
abitanti dentro. Issi attendono alle loro consuete
occupazioni, mangiano tranquillamente senza che
un soli* bicchiere si rovesci, e alla fine vedono il
sole tramontare dalla stessa finestra da cui prima
lo vedevano sorgere. Il blocco di tre edifici che si
vede in una delle incisioni fu voltato da sud a nord
dal signor Friestedt. capo di una delle principali
imprese di trasporti di Chicago. Il signor Friestedt
si incaricò anche di altri trasporti notevolissimi fra
cui quello dell'edilizio che ]>esa 8 mila tonnellal
e dell'altro che si vede nell'illustrazione seguente.
entrambi rimossi per far posto ai! una lem \ a.
Il materiale impiegato pel trasporlo di queste
costruzioni cosi grandi deve essere robusto e resi-
stente. Si adoperano buone travi di legno, ovvero,
per le case eccezionalmente pesanti, travi di ari iaii
Bisogna prima fare un computo del peso dell'in-
tero edificio, al che si arriva facendo computi se-
parati per metro cubo dei materiali usati nella CO-
struzii ne. Poi si fa il conto della robustezza delle
travature di legno o di acciaii da adoperare ne]
trasporto. Per evitare incidenti, si sottoponi [U
sto materiale a prove accurate.
Un imprenditore di trasporti di case deve ih
cessariamente avere un forte capitale. I suoi magaz-
zini sono pieni ^i travi di legni e di mei illi - ri
IO29
argani, di pulegge', di catene, di corde, e via di-
cendo: e tutto ciò rappresenta una somma chi
rebbe difficile calcolali'. Tutto questo ammasso di
materiale è raramente in disordine, ina quando è
finito un trasporto e tutti ciò che vi fu adibiti
viene riportato al magazzino, questo sembra deva
da un ciclone.
Certi imprenditori americani sono specialisti pei
l'elevazione 0 il trasporto dei camini, cosa partico
larmente difficile. Il camino ch( si vede in una del-
le nostre illustrazionii era alto oltre quaranta metri
e fu trasportato da una parte all'altra di una va-
stissima strada a Chelsea, nel Massachusetts. A
li mire la forza motrice bastò Un solo cavallo con
un argano.
La Ditta Isaac Pian ■ ('.. di Boston, sollevo 'li
sette metri e mezzo una torre già alta ^j metri.
Ma il fatto piti notevole nella storia dei trasporti
americani \'v la traslazione 'li un albergo di Brigh-
ton, ohe era minacciato dalle acque dell'Atlantico.
Aveva la lunghezza di oltre centocinquanta metl
cinque torri alte sei o sette piani.
Sollevata la costruzione, si piantarono al di sotto
ventiquattro binari, e su questi si posero mj va-
goni piatti, ai quali si appoggiò la casa. Si misero
poi grossissime travi da un capo all'altro di ogni
linea di vagoni ed altre travi si disposero trasver-
I \i 11111,11 iwvi ZATA
LA i
due
•
Quando il di-
il
nel
ile della
ì la-
ivano
1 i istici.
le lo
no tutta
1' i un ni. mi
:i momenti sul.
m vani 1 ruote
i far pn
che né li- macchini
- ■ v . tiva! I.a fulla lanciò un grido d'entusiasmo cui ri-
mali che riferiscono la srena, fu sposero le macchine con le loro gole d'acciaia
un mi I cominciarono -\ far pre-
la gran mi Era l'albergo che par- (Dallo Sirand Magazine).
( N AI in ■:'■'■ i 01 BRIGHTON M I UNI INATI
I \i il in. ii un- inviii nv -ii ih 0MOT1 .i
Come lavora uno scultore
In un articolo 'lei signor Edoardb Conti sui
marini ili Carrara, pubblicato nel fascicolo scorsi
della Lettura, si accennava ai sistemi tenuti dagli
scultori per fare statue di marmo. Lo Strami Ma-
ne, di Londra, ha pubblicato un articolo sul
li m cui si fanne le altre statue. L'articolo è
■ mpagnato da interes-
santi illustrazioni che ri-
produciamo in gran parte.
Non vi è forse arte i
cui procedimenti siano
così poo i" I .il gran
pubblico come la scut
In ogni lavi >ri imp i
tante, prima cura d( ll'ar-
tista è di fari un bui n
mi dello i Iella sua opera.
Egli comincia col lare
una specie 'li scheletro
su cui poi farà il model-
li . Tanti creili air che li
sculture premia un pezzo
di creta che abbia press
a poco le dimensioni dell'i pera voluta e gradual-
ne cavi la figura.
La creta, invece, è presa pezzo per pezzo ed ap-
plicata sullo scheletri, nei luoghi ove l'anatomia lo
richiede, e con gran cura di conservare le prop i
zìi ni delle masse e gli angoli esatti dei piani. Così
- t.i sinché si i t tenga una figura che si avvicini
Le t' «lei cavallo si spiegano da sé. La
iìg. 1 rappresenta li scheletri ; la fig. Il rappresen-
ta la forma parzialmenti sviluppata, e la fig. Ili
la forma definitiva.
(Juani ali.- l'i n.gralìi' di-I fusi', esse non rap-
presentane ci me nel caso del cavallo un pi?
coli mi delli che serve
per lo scultore come uno
schizzo pel pittore, ma
un busto in granile//.! na-
turale. Il modo 'li pro-
cedere', del resto, è lo
sti sso in entrambi i casi.
La prima figura nella
Si Ci inda pagina mostra li '
scheletro su cui lanista
lavora applicandovi la
ci a i diti che è il
suo migliore strumento.
Con le dita si i sigi ni
epere aperte, ardite, ro-
buste quali non si posso-
Fig. 1). no ottenere con gli stru-
menti più elabi rati. Il
vecchie \i llekins. notissimo scultore, soleva dire:
«11 mio migliore attrezzo è il mio pollice*. Con le
dita, l'artista ha più libertà nel maneggiare la ereta.
e consegue effetti migliori. Certe famose statue gre-
che non possono essere state modellate in origine
che dalle dita di artisti sommi.
Naturalmente un buste non si modella in un
Fig. 2)
l'Ili. 3).
ii più possibile a quella desiderata. Poi si elabi -
i dettagli, o a mani , o o gli strumenti appo-
siti. I diversi stadi dei modelli si possono vederi
nelle prime sette figure che accompagnano questo
olo. Som fotografie prese appunto per rap-
presentare i diversi mementi dell'opera. Si sorn
te due ligure semplici e comuni: un cavallo ed
un busti .
giorno. Per produrne une presentabile, quandi
abbia da ricopiare un modello, ci vogliono più
li, non foss'altro perchè il modello stessa
stanca e si annoia, - di pi un'ora o due di seduta
perde la vivacità, si stanca, si annoia, e tutta l'e-
spress i ne ni mutata... in peggio. Tuttavia, nel
rappresentato nelle lustre illustrazii ni. il la-
vi ro i n [uatl ri i «re.
ì \ LETTUI ■
(FIG. il
I [G ■
I I'
FIG 7
DALLE RIVISTE
o33
Sin che il modello è in elaborazione, è necessa applicazione), lanista procede a costruire lo
in mantenere la creta umilia, cièche si fa con un letro della statua o del gruppo che vi*
ii-affiatoic speciale. grandezza naturale. Naturalmente, se il lavon è di
Il busti . |uand< finiti . \ ero gettato in gesso;
se invece se ne vuole ottenere una terracotta, è
necessaria un'altra operazione preliminare. Si ta-
glia con un tilii metallico una parte della corona, e
si scava l'interno in maniera che il modello resti
di uno spessore medio di circa quattro i i
centimetri. Ciò fatto, il busto si può staccare fa
cilmente dal pernio dello scheletrii. Il modello viene
vuotati, per quattro ragioni: perchè diminuisca di
pesi, perchè si asciughi prima, perchè resista al
fuoco e perchè non si spacchi.
Quando il modello non deve servire che da ab
bozzo per un lavoro più finito, le sue dimensioni in
generale son piccole: il cavalle fotografato era alto
circa venticinque centimetri. Pel resti . la grandez-
za dipende dalle dimensioni che si voglion dare
alla statua, e da varie altre o nsiderazioni. Il mo-
dello può essere buttato giù grossolanamente o fi-
nito con cura, secondo i casi ; ma di regola l'artista
non bada molto ai dettagli, e lavora solo quanto
basta per avere un'idea della sua opera, e se 1 est
dizione rispi ridi al suo desiderio. Va ricordato che
lo scultore non opera come il pittore su una supea
ficie 'piana, che dà una sola vista ; il sui lavi ro
deve essere soddisfacente da tutti i lati.
Ottenuti un modello secondo il proprio deside-
rio (e talora ci vogliono mesi interi di studio e di
i te
(Fio. 8).
grandi dimensioni, intesti preliminari richiedono
grande precisione ed abilità meccanica. Per illu-
strare bene il procedimento, lami re dell'articolo
che riassumiamo ha raffigurato i diversi stadi di
un gruppo dello scultore Adrian Jones. Il gruppo
è alto un po' più di tre metri. 11 modello ,• rappre-
sentato nella fig. VII; nella tig. IX si vedono i la-
vi ri di preparazione dello scheletro. Ogni cavalli
deve essere lavorato sopra uno scheletro proprio,
il quale deve essere stabilito in base a dui
celti: alla posizione che dovrà teneri l'animale e
il peso di creta che l'armatura stessa dovrà SOSti
■ te. Pel gruppo del Jones si adoperarono sbarre
di terrò e tavole. Affinchè ogni pezzo abbia la pò
si/ione giusta, si divide la base su cui posa il mi
dello in tanti quadrati uguali che vengono nume-
rati. Poi si divide in ugual numero èli quadrati sim-
metrici la piattaforma su cui poggerà il grupp
definitivo, ed anche ad essi si danno i numeri coi
rispondenti. Dopo ciò, col filo a piombi i con la
pazienza, è facile dan alle sbarre ■* lene la posi-
atta che devom tenere.
Ci mj sì lo scheletri i atolo sepia
una tavola girevole, in modo che ogni sua pari
essere posta in buona luce al momento d'es
:
LA LETTURA
che,
ilto.
■
Nelle parti più sditili.
Ili. perchè la creta, in i>
-, ia dopi
pongono dei pie
b o alle sbari me-
nere
Ula
.1 del lav< n può
irte; ma
tratta di n* i li ' lare la forma e le membra,
D'artista, eh con l'o
i con la mano deve ilare vita < carattere al
1 quasi assi
ontinuamente ad un mi lelli vivo od a
perchè la posizione e li
della figura
A-. in ni» sti i la
che certi dettagli non i •
■ va U bui ii effetti che i I
nel modello, i iweda di i erti <li-
che nel modello non gli eram salta
'■ allora bisogna corr modificare. 0
gnuno comprende che un'opera di grandi dimensioni,
quella rappresentata nelle nostre figure, ri-
pai ! mesi di temp Durante unta IV-
necessarii inumidire la nti-
eni . bagnandola tutti i giorni e coprendola
la nuttr- con panni umidi. Se non si usass
■ii/ii m-. tutta la ereta, prosciugandosi, si s i
n tarderebbe a cadere in pezzi.
Ai: .% ' I
\l.< piglia di coprire il la' la notte, l'ar-
tista contempla il lavori iella giornata, i <>n-
fronta tra loro le masse ]»'i poter correggere gli
eventuali errori, le sprop raion i fra le diverse parti,
-.une si t.i bene nella mezza luce della
' Allora le
masse risai
nei laro veri \ ali -
ri megli i he nel
re he
quando la lu
troppo vi-
va il d
pò visibile
-ione generale «a; men-
tre ni Ila mezza luce i dettagli spai
l'occhio COglie SOltariti gli effetti generali.
La ereta che lo scultore adopera è la i
dei vasai, ma sin. bene anchi la creta ordi-
naria da mattoni. Quando è troppo dura e
pei una notte a bagno-, in n
chi l'acqua l'ammollisca; poi si passa in una
i la dalle parti •Iti-
lo, ed infine si pone a prosciugare sin che alv-
ina raggiunto quel punto ili consistenza che
te perchè mantenga la forma chi
vuole imprimere.
La creta ntn va, -il lavoro, non è abbastanza
elastica; invece quando è troppo vecchia per-
de coesione, diviene troppo friabile e va in
]x/zi facilmente. Serve bene, invece, qua
non è né troppo nuova, ni'- troppo vecchia; è
elastii ligliori ri-
sultati e mantiene la fi mia desiderata.
VII. ii he il modello è comi
:i pi. : i \ questo lavoro atto
e. .1; s, In,. ..perai s)t<viali. ap-
DALLE RIVISTE
1 1 1. »5
punti quel mestiere. In certi casi
scultori stesso che prende la forma, ma
um sculti re che fa molto lavoro, l'e-
rnia che fa risparmiando gli optrai
non In compensa di ciò che perde rinun-
ziando, per una mansione manuale, alla
propria < pera di artista. Infatti l'opi
zinne è lunga, specie quandi si tratta
un grappo grande come quello che è rap-
presentato nelle nostre incisioni. Di più,
è un lavoro esclusivamente meccanio
sebbene richieda abilità e delicatezza.
La prima cosa che deve fare chi è in-
:aricati di prendere la forma, e di studiare
accuratamente il modello per vedere in
qual me ile gli convenga procedere nel suo
lavoro. Bisogna che, presa la forma, si
possa togliere il modello e l'armatura, e
che non succedano guasti né altri incon-
venienti. Se vi sono pezzi difficili, come
la gamba del cavallo che cade, - pezzi
che si potrebbero rompere facilmenti .
necessario staccarli. Poi si studiano tutti
i dettagli ed il modo di prendere la for-
ma, ed infine si comincia il lavoro. ( '"il
una, striscia di creta larga quattro o cin-
que centimetri e spessa due o tre, si deli-
mita sul gruppo un pezzo di superficie
*£/
FlG. 13).
da cui si comincia il rivestimento. Si applica cài
su una parte della superficie la striscia di creta in
guisa da isolare quella parte che resta rinchiusa
entro quel confine. Ciò fatto, si copre quel pezzo
del grappo con il gesso; dopo di che si toglie ia
striscia che circonda il gesso, e questo resta così a
rivestire una parte del gruppo. Allora, vicino a quel
primo pezzo di rivestimento, se ne delimita un al-
tro, sempre con la creta, e si ricopre anche quest'al-
tro di gesso. Perchè poi il gesso messo prima non
aderisca a quello messi dòpo, si passa sull'orlo
una vernice che impedisce l'adesione. O sì faci ndi .
le diverse sezioni del rivestimento si potrà ini stai
care l'una dall'altra quando verrà il momento.
Con questo sistema si riveste il gruppo. Inutile
dire che il km ri richiede parecchi g rni, perchè
se il grupi'i complicato le difficoltà da supei ri
sono molte, e bisógna fare gran numero di p
sezioni di rivestimento. Per il gruppo di cui ci
cupiami i volle» cinquantotto pezzi, non con
la pane solida.
Durante questo lavori fi i cura che il
mpre mani nuti umidi . e- me duri
la mi ne, e che la sua superficie non sufi
sca danni. Ogni sera perciò è necessario bagnarlo
con un in.'t li panni inumiditi.
FlG l.'
I
LA LEI I I RA
O |«-r p(
più.
i applica ■ ■' ■ hi. ili
ii qua ■ peni ti interstizi fra
o la vernice chi si era
ili .li ciascun pezzo, il gesso si si
i . n i ,: bisi gna da questa
di l in dello originario. \u
i - Feo
modellare. Si lavano i |«-z/i di gesso | «i
parti di creta vi resti ; e si
■ i i : , ■ i i sapone o con olii
affini ìi eh rvirà a prendere la forma pò
i a quello che ser\ ì pei la forma
i i paratore versa poi il materiali- liquido
sulla forma mettendovi anche qualche pezzo ili p
|..i pei i naggion aderenza e consistenza,
ere uni strati i uniforme dell spi s» re
ih i|i metro. Si zione pei sezione, la fai
ma si metti insieme, attaccando le diverse patti
all'altra col gesso e rinforzando i punti più
I i si stegni ili ferro.
Infine - l la forma nega i scalpellandola.
Pi i li il n ,i guasti, si usa .lare al gì
che si adopera pei I tìva un color giallo.
L'operaio dunque scalpella tutti il gessi giallo, sin
che non trova quello biarn - i luali he pezzo .li quel-
lo giallo, naturalmente, resta anche quando si è
lavata la prima forma, ma si può toglierlo con gli
-ii i si rimirili i. Il • acci della i a n
i i .i dall alti al bassi i : pi ima si liberano le
e, |>"i il corpo, ini i piedi. Se si oomini
dal basso, tropp i bbe sulle parti sot-
i ili del grupp .
Questo lo stato in cui ordinariamente si esibi-
scono i lavori alle esposizioni, dopo, naturalmente,
che lanista vi ha portato i perfezionamenti che
necessari. Del modo ri.nn' si lannn le fusioni
in bronzo, l'articolista dello Strana non si occupa.
L'argomenti richiederebbe una diffusa trattazione
iarte
Chirurgia animalesca
i una Leila favola qui Ila della
un lo .ne per Ani In eie elle gli avev
spina ila una zampa. Senza
dubbio in quel tempo di
chirurgia primitiva il 1
•le ehe quella tosse una
i u rdinaria ;
ma ai giorni nostri le cosi
stanno diversamente. 1 n
cenno sulla chirurgia ard-
ii a fu dato già in uno
numi ri della Lettura
|H»'h Ora ne
un. altri ini' ress
sul Jiinol l'i /, rittary Colle
Londra l un <
i .ili. puro
glia in mi urdi
iei gli in uni-
ni. Tra le nove e I" undici
della inai'
non possi ■
■ ■
privati. Kss: ,is]>.
lai lori padroni, e
u un muc
rortili I
gratitudine ili terinari a
i . si ratta una gatti, cani
I \ | lMPA FALSA
ffaccenilati giram attorno, esaminando
tutto quello che Iure capita. Un piccolo
i 1 1 H r, cogli occhi neri pa-
tetici, guarda attraverso un
intrico ili peli e ili paglia E
geme come se la sua ni
ora fosse venuta
— ( 'Ile età ha? — ili -
man1,! H veterinario.
- Da quanto tempo e in
questo sta i
E le. solite interrogazioni
si ri j > ti ni per tutti T-e ri-
sp. ste sono accuratami nte
annotate e considerati
ne trae una diagnosi men
tale, e si pronunzia il va
detto.
1 ,a tal maiali i.i : I .in
questo e questo : '1 1
|ui si i medicina e ira un
due starà benone
Il veterinario scrive la ri-
cetta -ni biglietto ed il prò
, ita via. e
va alla Pannai ia a fai
parare il medicinale.
Il caso numi più
Il ] i/i, -nte è stato
rtato sopra una tavola,
I pn I 1 !• bdaj . ".1 il si
gni .i WTi < li idge, sui i
HALLE RIVISTE
in.l-
stente. dà tutte le spiegazioni ad
un gruppo 'li studenti che stan-
ai atti i"' i n quaderni i li ap
punii in mano. Una pioggia 'li
termini tecnici cadi si pia la po-
vera bestia che sembra gloriarsi
della gravità della sua malattia.
Essa si si ti. ip ne o si aria rassi
graata airesame del chirurgo che
la tasta e la fa rivoltare da tutte
le pani per poterla studiare me-
gli* V . non v'è rimedio : hisi
gì ia procei lete ad un'opi razi ne,
sentenzia il pr< >fess< n o l'a
stente, ed in seguili: a tali giu-
dizio, la bestia viene traspi i
altrove, in attesa di momento
più Oppi TtllUi:.
Così uno dopo l'altro i pazienti
passano sotti gli occhi delle au-
torità costituite Tra l'animale
io il padrone, è questo il più
ansioso, sebbene in reni rasi.
anzi in mi >lti rasi, si direbb : che
il poveri - fferente sapi ss, 1 ,■
Dissimo chi cosa gì i sue j da at-
torno. Anche il prof. Hobday è di questo parere, ed stie. Uno ili questi cani era stato operato per una
in prova egli adduce il fatto che due cani ti ma- grave malattia interna. Passati sei mesi. Torse ri-
ri ni da li a farsi curare, sei unsi dop che eram sentendo gli stessi dolori che aveva sentito la prima
stati, curati una prima volta all'ospedal delli I >< Ita, corse a farsi visitare dal suo medico, che lo
n.
SISTEM \ III i M M'INI Rt":
CN 111 E ' UN I M GAMBA IH I I GNC
-
LA 1.1 I i
alattia
di che la 1
- no liquidati tutti.
dna : .ilt ri .i
I primi vanni
che
I i STHAZIONt D'I N DENTE.
i guale. In taglio, un altro taglio, la spugna lavo-
I n ima che vi sia i ili ciò i
suo i !Si i, i.i i ei <■
usa e ricu
Il cane, i
ta hi sensibilil
1. ina!. ali ari., a
mezz'ora de*
po, tu
I si i." i-1
i
attorno per
l'i sp i ani-
mali : un I
stalli- e 'li inferme'
rie, 'li aule scolasti-
i he e ili lai» i
\'ni passate innanzi
ad mi cavallo d
rettiere la cui
/'min- vi fa i
nini ' siantr il pen-
siero chi se sta in
quel ti:1 di è per qualch Essi
a mi un cavali > da i ro di Fri nte a! sui
ii ii-: siede così perchè qualunque altra posizi"-
tii- gli è vietata ila una s. che I"
attaccato al soffitto, La povera bestia Ha una del
; pe anteriori malata, e non deve perciò ap-
oria contro terra ; < SS3 si rass -: COO-
pacificamente .li sedere sulle zampe ;
ri' ri.
In . \ Ni RI NDA1 i
MORDA DURANTI I ": i RAZIONI
mirivi il loro turno. Tre chirurghi sono contempo-
mente al la Ile sale delle operazioni,
ste sale, non i stante il loro nome, ncn hanno
nulla ili ripugl i Tul-
li
pulii • puliti . ' '' '
ambienti seroi ra
sale da oper
I pa\
il i dì ri ntinuo,
'..le sono nette, i
ferri i hirurgici vi n
a bollire alu
|ht mezz'ora avanti di
pei ti, in solu-
1 .' ani-
si lascia i"
depon
|UI
i I
■
un i luce i
Per essere brevi, intesta istituzione dell'i -
per i veterinari non è che una serie continua ili
sorprese. Ciò che vi colpisce è la somiglianza •
I APPARECCHIO lini. Hit PER LE OPERAZIONI ' Il mi IH. n III u i w \I I I
DALLE RIVISTE
Dissima fra gli animali e gli uomini malati
cavalla là nell'angolo, con quell'enormi
sma sulla testa.
col collo bas>. .
51 miglia in un
modo assurdo ad
una vecchia che
al>hia il mal di
denti. Curiosis-
sima è una vac-
ca D >n una zam-
pa di legno. Es-
sa si ruppe la
sua gamba al
ginocchio e ri-
mase per parec-
chi giorni in ti-
no stato da ta-
re pietà ; ma
appena ricevet-
te una zampa
di legno (e ce
ne volle una
molto forte. 1 1
me potete im-
maginare) nac- ! N (|VTT0 con 0N oc.
[UÌStÒ sul .ite il chio BENDATO.
buon umi ire .
come se non le fosse successo nulla.
Un'altra vacca con una zampa di legno
si vede in una delle incisioni alla se-
conda pagina di questo articolo.
Uno dei casi più straordinari capi-
itati all'ospedale fu quello di un cane
che, saltando da. una finestra, si era
rotte tutte due le zampe anteriori. Per
qualche tempo, di fronte a quella cata-
strofe, si rimase incerti se rimediarvi
om \ìn poco di polvere da sparo o con
io3q
Quella un'operazione chirurgica: ma poi si scelse quest'ul
catapla- timo partito, e le gambe rotte furono amputate i
sostituite da un paio di zampe false
che s rvi m I eni «sin* al cane, e gli
permetti ni : di saltare e ci irrere 1 1 n
la massima facilità.
Ma non è soltanto all'ospedale ve
terinario che trovate questi casi stra
ordinari di chirurgia canina. I casi
«issimi si trovano anche fuori
delle mura dell'ospedale. Per esem
pio, merita di essere citato il signor
Mi seley, che mn è veterinario di prò
fessione. ma dentista, e che ha unito
t'.LOROFORMIZZAZII'NI.
L'APPARECCHIO DOI.LAil IN AZIONE
questa sua qualità di den-
tista con l'altra di ado
ratcre dei cani. Una vol-
ta egli aveva comperato
nel Belgio un cane 1" II' -,
ma avanzato in età ; tan-
to avanzato, che, un an
no dopo che il Mosele;
l'aveva o mr* rato, avi va
perduto tutti i denti. Sa-
rebbe stati i necessario nu
trire il cane esclusiva
menti con alimenti molli,
ciò i he è contrario alle
regole ili bui ma salu
i cani . ei | alli ra il denti-
3 perchè l'animale non
M salute, decise
di pm\ vedi rli i li una den
riera fìnta. Prese l.i fot
ma, e preparò la denl ie
: «lenti u-
1
i'
1 A I.K TTIRA
l la chirurgia animale non si ferma alle den-
tiere false per i cani, dentiere ch< non sono più una
Quando il che sono in commercio .il presa
trovò molto .1 'li- circa ^oo hrr. né alle zampe false (anch'esse ar>
ma dopo dui ' stanza i -..11111111 sebbeni un poco care: costa • 275
che s .1 uni ù) ; persino degli
.',1 vetn l ll'articolo che riassumiamo
visto 'li un
ra così |"
essere irriconoscibile
dall' altru
I ura anche
i\ ali:
con la coda fa
Alcune delle illusi
ioti impaglia-
ferisci no ad un 1 1 ■
apparecchio
pei .avalli.
.1 pa
gina 10^8 si
-
stra, nitro l' apparec-
chio, in modi 1 !"
1 re può ava
medita .li operare in
parte dell' ani-
male.
\\i Min I m-i IREI 1 Hill Dui. I. MI IN \/l"\l
(Dallo Strana Magazine).
Il principio eli Mon teca rio
I 1 li Monti ca rli ni n mancano ; ta-
llir»* sono anzi ricche di e .li riflessioni lì-
.•he: ma nessuni mai ha narrate le origini
isim I della col' ssa
■. che Int't.i miliardi agli azionisti. Pochis-
uta la città di Mi
1: \\//,\ ■ hanno assistito
vilupp pure questa storia
i - mostra la potenza meravi-
rasfi irmare un vil-
■ di 600 aliitanti in un Principato ili 20.000.
si può chiamare il giar-
dino d i
1002 il primo Grimaldi compare sulla
M - 1848 signi rotti
di Monaco. Ra
- 1 iscia «li terra
Ess _
naie dei re .li Sar-
nel lon rude
il nonn
[II. l'ii non vi niva m
Florestano I. finalmente, si ricordò che 1
cipe, scacciò dal suo dominio un esattore fero
odiai. 1 - stabilì nel suo castello. I>
Li regg mt. na. un castello crollante gemeva
al sibilo di tutti i venti del mare. Sulli sfondo del
pan. rama giganteggiavano gli olivi dalle grandi
hiaccia, biblicamente levate a] cielo, quasi in pre-
v ; |8 buon ] li ri stani - 1
mpii dei sovrani d'Europa e di
h Costitu ioni : la sera di quel giorno la riviera
mi il- ■_ parh 1 dal mare illuminata da
1 di fiammelle e rintronata dai colpi ilei minu-
scoli cannoncini. Ma la notte porta 1
pentin il sovrano dei suoi entusiasmi custituzio
nali . al mattino, quando 1 liU-ri cittadini
si ris '■ ari "i" dei gratuli avi -
quali si annunciava che la Costituzione -ra 1
cala. I citta. lini di \leiit.-ne e di Roccabruna, indi-
i, mandali una deputazione al conti- di Cavour
e gli pr ; ma
I disastro di X.'V.ir.i mette in lacere ogni veli
DALLE RIVISTE
[O41
All'epoca dell'annessione di Nizza alla Francia
gli abitanti di Mentane e di Roocabruna furono as-
sai stupefatti un bel giorno di sapere che essi ave-
vano votata la propria annessione alla F randa.
Ma la cosa era fatta.
Nel 1856 a Florestano succedeva Carlo 111. t'.n
lo III. morto poi cieco e vecchissimo nel 1S93. era
allora un bel cavaliere di carattere avventurosi
mante dei cavalli e del fasto. Da Napoleone III.
in cambio dei due paesi perduti, ebbe quattro mi-
lioni, capitale insperato pel giovane principe che
potè con esso lavorare al risorgimento della su.; fa-
miglia. Egli comprese pelò che da un villaggio di
60 famiglie non avrebbe poi ricavato abbastanza
pel suo fasto e decise di ricorrere al giuoco.
Dopo infinite pratiche cogli impresari del
sche parigine, un bel giorno un cono Daval sbarca
a Monaco. L'impresario fu esteri:! atto. Una 1
miserabile circondata da olivi spasmi dicamente con-
torti terminata verso il mare da poche baracche di
pescatori. Tuttavia si decide di tentare l'affare.
Daval compera una casa in faccia al castello.
casa che esiste ancora mutata però in una caserma.
Una sala lunga venti metri e larga cinque conte-
neva due tavole di roulette e una di trenti et qua-
lantc. Qualche volta una piccola orchestra veniva
a strillare le sue note. Ma gli affari erano miseri.
I giuocatori apparivano una prima volta e poi non
ritornavano più. Occorreva una passione veramente
feroce pel giuoco per prendere a Nizza una cattiva
barca, e smontare in uno dei pessimi alberghi di
Monaco. Daval fu costretto a ritirarsi. Senza essere
fallito, fu però costretto ad abbandonare la 1
Ma poco a poco i visitatori aumentarono aprendo
uno spiraglio di speranza. Affaristi intelligenti com-
presero la situazione unica di questo Principato
posto al confine di due nazioni possenti e chiamato
ad essere una stazione invernale di prim'ordine. E
le porte chiuse da Daval furono spalancate da un
certo Lefèvre. Due volte al giorno un battello si re-
cava a Nizza a cercare giuocatori e i giuocatori
affluivano. E allora la sede antica del giuoco di-
venne angusta e indegna ormai della fama europea
ohe godeva la casa e fu necessario eostrurre un Ca-
sino apposito. Il terreno fu ci mperato sopra una
rocca detta La Spelonca e chiamata poi Montecarlo.
Non vi esistevano allora che tre capanne le quali
vennero abbattute in otto giorni. Il terreno, del re-
sto, non era allora troppo caro, al punto che il conte
Gastaldi, sindaco attuale di Monaco, vendette a un
amico, per un pranzo di dodici coperti, il terreno
dove ora si innalza il sontuoso Hotel Beau Rivage.
terreno che qualche anno più tardi veniva calcolato
per 500 fr. al metro quadrato. Ma le fondai]
del Casino vennero innalzate soltanto quand
primitivi impresari successe il vero fondatore di
Montecarlo, il signor Blanc. Era l'aprile del 1863.
Blam- arrivava da Amburgo dove egli aveva fatto
in pochi anni, come concessionario di giuochi, la
fortuna colossale di una ventina di milioni... P
colo, mingherlino, col viso deturpato, non ispirava
alcuna confidenza che quando discorreva di affari.
Egli fu colpito dall'avvenire meraviglioso
La Lettura.
che si schiudeva dinanz 1 no e tosto conchiu-
1 principe di Monaco un contratto che d
stra la confidenza assoluta che aveva cieli tifare.
Blanc diede dun tratto 1.700.000 franchi al prin-
cipe, obbligandosi a far eseguire per 7,000.000 di
lavori, a restaurare il 1 e a pagare le impo-
ste per tutti i monegaschi presenti e futuri. D'al-
tra parte, il principe accordava una e rin-
novabile che. in caso di rottura, gli dava il diritto
di entrare in possesso di tutti i beni mobili ed im-
mobili del Casino. Era insomma un contratto leo-
nino che obbligava l'amministrazione a far di ti
per andar d'accordo col governo. Ed ecco i capitali
affluire in modi) incredibile verso questo lembo di
terra quasi sconosciuto. I terreni decuplarono di
valore ogni anno e ogni anno sorgevano nuove co-
struzioni. Si costrusse un teatro; furori! disegnati
i giardini e le piante rare e gli alberi del tropico
vennero a rendere quel soggiorno un parco incantato.
La strada ferrata costrutta nel 1868 fu per Mo-
naco l'assicura/n ne definitiva della sua fortuna.
Era a binario unico da Nizza a Ventimiglia e co-
stò una somma favolosa in causa del terreno acci-
dentato, pel quale, su un percorso di 18 chilometri.
furono necessari dieci lunneli
La guerra del '70 fu per Montecarlo un colpo di
fortuna. Nessuno avrebbe osato in quell'epoca di-
sastrosa recarsi a Baden o ad Amburgo e le due
città germaniche furono d'un tratto rovinate, perchè
gli enormi capitali frani esi e inglesi che le face-
vano vivere rifluirono quasi interamente su Mo-
naco.
Nella sua impresa colossale. Blanc fu potente-
mente aiutato dalla moglie, nata nei dintorni di
Amburgo, in un paesello occupato dai discendenti
dei protestanti immigrati dopo l'editto di Nantes.
Bellissima e buona, essa si compiaceva anche di
versare una parte delle ricchezze guadagnate al
giuoco nelle mani dei poveri.
Ma l'aiutante principale fu il capitano Doineau,
un capitano che aveva goduto di una ben triste ce-
lebrità sotto il secondo Impero. Si diceva che era
stato scoperto in Algeria alla testa di banditi e di
saccheggiatori : un uomo era stato ucciso, altri fe-
riti e il capitano era stato finalmente arrestato e
condannato a morte. Ma graziato dall'Imperatore
venne a Monaco.
Egli rese a Blanc dei servizi incomparabili per
la sua attività, per la sua sorveglianza sui lavora-
tori italiani, che trattava da schiavi e da forzati.
Ma un giorno dispiacque a Carlo III. Carlo III
non era più il principe straccione di pochi anni
prima ; ma una malattia gli minava lentamente la
vista e lo rendeva, ricchissimo e invidiato, il più
infelice uomo della terra. Il capitano dovette esi-
liare rifiutando sdegnosamente l'indennizzo di 60
mila franchi, che il principe cieco e tormentato dai
dolori gli offriva.
Ma ormai Montecarlo era creato!
I frutti del Casino divennero in breve incredi-
bili. Oggi esso frutta 25 milioni all'anno.
(Dalla Revtte).
66
Nel paese dei Califfi
signor J, \ Lei
■ li un sui i ' - hdad,
una reg ine piena di interesse. avi .
tradizione, si sarebbe trovato il l'ara. lisi.
le supposte fonda-
II. i torre 'li Babele, la
re della gì
dell'impi r. ■
dei Califfi, segnata-
li Harun-el-
schid, il famoso
Ho delle MrfL ,
Il viaggio è inte-
I
n. si
.ii uno dei Ir l
della
EuphraUs and Ti-
gris Company, e si
risale su ivi Tigri.
a traverso una
nserva an-
cora i segni di un'an-
dezza, sol-
cata da canal
ri dagli Arabi
impo del loro
splendore, ham
n .litica quella
terra. Si vedono im-
mense foreste di pai-
te datteri: l'e-
sportazione dei dat-
teri costituisce una
ricchezze prin-
cipali della regione.
Sin. alla confluen-
za del Tigri e del-
l' Eufrate, le città
ni ni si .no mai situate
sulla riva del fiuti
ma qualche miglio
dentn terra,
fino • anni addietro il fiume era infestato
pirati, che si spingevano anche a Gumah,
il lui i tradizì. ine o mi adamil
rova un albero della famiglia delle acacie.
amato t l'albero della scienza», e che, se-
sarebbe appunto quello che a-
imito ad '■ ■ ad Eva le loro scarse
• ■nta.
sicura. I pira1
compii r chi viaggia per
un altro pericolo, rappi lai leoni.
« I ' iggia-
— mi riferì che in Ul ■
! \ -i PP0S1 v TIIMI1A
no magnifici leoni adulti i giavano tran
quilla ulla riva del fiume a poca distanza
dal vapore. Uno fu ucciso mentre, gettatosi in
ava di raggiungere la nave, ed i due altri
furono inseguiti ed uccisi anch'essi, lhie delle l-
lumno portate a bord Pochi ninniti dopo, com-
parve un altro leone maschio grandissimo, che agi-
tava la i .da me pei
disperazione. Fei
da una fucilata, lan-
cio un ruggito
mondo, e si slanciò
l*rr andare all'assal-
to della nave; ma
-> o n'i.i fucilata
li i Ino cader ri
Anche i pirati, co-
me si è detto, non
sono completamente
scomparsi. Pur di re-
aliami Arabi
tentarono di impa-
dronirsi di un vapo-
re della Tigris and
Euphrates Company,
uccidendo il timo-
niero e ferendo altri
uomini dell'equipag-
gia Essi speravano
che la nave, persa la
direzione ed abban-
donata alla mrrente.
andasse a cadere nel-
le loro mani ; ma il
ino, 1 enchè gra
veniente ferii
(Kisc al timone, e
condusse il vapore
ilvo.
DEL PROFETX ESRi
I appunto risa-
lendo il fiume che si
incontra la tomba di Esra. il profeta. Una cupola
di forma conica si eleva sopra una costruzione qua-
drata, che ha una porta verso il nord. La tomb
venerata ugualment ristiani orientali, dagli
Ebrei e dai Mussulmani. Molti passeggeri scene
a visitarla.
«Dopo la tomba di Esra le rive del fiume diven-
gono monotone. Ogni tanto si incontra qualrlv
della Oman Ottoman Company, vecchie car-
di, sjx-vs.i rifiutano di navigare, e che nella
migliore ipotesi compiono in quindici giorni il viag-
rtemi richiede cinque gii
\ ' \u ira \ idemmo net la prima volta qu
DALLE RIVISTE
I I 14 J
strane barche antichissime — antiche già al tempi' iQuelle regioni paludose (L'inno asilo a numerose
di Erodoto che le menziona — conosciute col nome e forti tribù arabe che tormentano di continuo i
rmym
igg ~
Le navicelle rotonde usate sull'Eufrate.
di kufas. Sono come ceste piccole e perfettamente turchi. Si è cercato in molti modi di sterminarle:
rotonde, ricoperte di bitume e coi bordi ricurvi. Per si è persino tentato di stringerle in un cerchio di
lo più vanno a flottiglie, sospinte per mezzo di remi fuoco, ma non si è venuto a capo di nulla.
corti e larghi.
a Quanto più si risale, tanto più si resta
colpiti dall incuna in cui è tenuta la navi-
gazione del fiume, che è spesso difficilissima.
L'attuale apatìa è in stridente contrasto con
le vigorose misure che adottavano per questo
riguardo gli antichi re. Un'iscrizione trovata
a Babilonia, e che probabilmente data da
2300 anni prima di Cristo, dà un esempio
degli ordini perentori dati dagli antichi si -
vrani perchè si facessero le necessarie ripa-
razioni alle rive del fiume. Adesso, sotto il
felice impero del Sultano 1 - antinopoli.
le acque sono scarse ed il fondo è troppo
alto, perchè si è lasciato che qualcuno dei
tributari del gran fiume rompesse gli argini
e dilagasse per estensioni enormi, ove le ac-
que si disperdono invece di andare a finire
nel Tigri. L'Hud ed altri tributari annac-
quano il deserto e formano vaste paludi.
mentre nel fiume principale l'acqua è cosi
poco profonda, che spesso riesce difficilissi-
sima la navigazione anche ai battelli della
and Eupkrates Company, che pure
pescano poco. Di recente la Porta fece un
debole tentativo di rimediare a questo stato
di cose, incaricandone un ingegnere francese.
Il risultato del tentativo fu questo: che l'in-
gegnere ed i suoi assistenti furono depredati
dagli Arabi, spogliati e denudati completa-
mente: e quel poco di lavoro che essi aveva- lA TOMBA DI ZoBEIDA moglie di Habun-el-Ras hi
no fatto fu distrutto. 11 famoso califfo delle M ina notti.
LA LETI
I- Il
phon,
de
e 'li
la più impo-
L'ah i pio di i Soli
nente è costituita appunto dall'arco accennato. Più
avanti si mine di Seleucia. Ctesiphon
Seleucia. a loro volta, furono edificate, secondo i
sulle rovine ili Babilo-
nia. Rovinate esse stesse, a-
vrebbero fornito i materiali
per !a città di Bagli'
i \ Ctesiphon
una triliù di Belluini nomadi.
i hezza di una fa-
i. tra qui 3ti B rduini,
;i beni mobili
rum- un inventario: pochi
cammelli, quali
i pollame, una cavalla,
una tenda, una lancia, una
scimitarra, un
a pietra i
0 una minia, una pipa, una
ria, una pentola, un
una macchina da caffè, una
. \\n man
ii-lli .li lana nera,
anello ili vetr li arj
od ali. Se ni m m
\l
osi ituisce il
■ .nulo il Beduino vuol
I
aria.
«Gli Vi si indusl i ii si, |> rch
no pò In e limitati. Il lori ci a ercio si
e allo scambio ili cammelli, capretti e stalloni
e latte con arri
seppelliscono per non farsi lo rubare. La
letti ratina si limita i ì ed alle
mmagi-
I .. n. ii
ill'aperti . intoni. .1 fu co, i uraando la
pipa, i
sim In- ad un tratto uno
di loro rompe il - m umiche
racconto romantico sul g n i quelli
delle /Utili e urta notti.
ghdad, sul pi i . i una ma-
gnifica impn ssioni I mura, li
le '' 'i ri e i minar ti e le cup ile delle
innumerevoli moschee rhe s'innalzano
pali:ie tanno uno spetta.', lo gran-
■ raversati da un cu-
rioso e bellissimo ponte ili barche La
cupola di irata -li Kazima n, li tomba
del genero ili Maometti Ali, risplende
al sole, ed a poca distanza si eleva la
punta della tomba di Zobeii
.. Ma, avvicinandosi alla città, la pri-
ma impressione di ammira/ione resta
molto attenuata. Le case di mattoni,
ad un solo piano, sono piuttosto brutte,
le strade sono sporche, mal pavimen-
tate e così strette che a stento possono passarvi (lue
persone a cavallo. 1 notabili turchi che hanno la
fortuna di possed • vetture debbono pren-
II LUOGO OVE, SECONDO Ù ntADIZIONE, SAREBBE SORTA M mimi DI BAI
dere nulle precauzioni labori. : uno
di 1. ro passa per una via, nessun altro abbia a pas-
sarvi : un incontro darebbe luogo ad una situazione
complicatissima, e farebbe sorgere le più intricate
DALLE RIVIs i |
I ( 145
<_ pericolose questioni ili precedenza. Le case dei
ricchi sono abbastanza belle. Hanno tutte, sulta
fronte, un ci itile ove crescono belle piante di aran-
cio e di cedro. I bagni ed i caffè sono molto fre-
quentati, sebbene mal tenuti, e di mercati sono
provvisti abbondantemente. La vita non costa m
a Baghdad.
«I bazar, per chi ha veduto quelli di Costantino-
peli O del Cairo o di Teheran, soni» una delusione.
Vi si cercherebbero invano le belle scimitarre ric-
che di intagli e di gioielli, le armature intars
i magni tiri .-escili in rame od in bronzo, le ricche
sete, i broccati ed i ricami e tutti gli altri articoli
dei grandi bazar dell'Oriente.
«Comunque, a Baghdad ve molto da vedere: il
la una unta moderna: una linea tramwiaria
ire tia la metropoli ed un sobborgo,
oli clima è buono, sebbene la città sia tutt'altro
che pulita. Dal maggio all'ottobre fa molto caldo,
e per parecchie ore dopo il mezzogiorno, in
mesi, tutti gli abitanti si ritirano nelle loro case
mire. In primavera l'aria è di una limpidezza
meravigliosa. A grandissima distanza si vedono gli
tti chiari e netti come se fossero vicinis-
simi ».
*
* *
quella l'epoca migliore per andare a visi-"
il paese. Anche oltre Baghdad questo è inte-
ntissimo.
Ma .1 parte Baghdad e Bassi ra e l rse Hillah.
ggr^*^-* T^'SE^^iè^
Una carovana accampata sulle rive del Tigri.
fiume grandioso di fronte alla città, i tramonti glo-
riosi, il movimento incessante dei battelli da pesca
e delle barche per le acque torbide, le carovane di
asini carichi di grossi pesci e di otri ripieni, le mo-
schee ed i minareti, gli arabi dall'aspetto mae>
i turchi autorevoli, i persiani raffinati, gli armeni
miti e mansueti, i caldei ricercati, ed i campioni
del bel sesso, informi nel loro abito larghissimo.
e con le facce coperte da orribili maschere nere di
panno o di mussolina. Vengono continuamente pel-
legrini dal kanato di Bokhara, da Samarcanda,
gente quieta ed apatica, in cui sarebbe difficile rav-
visare i discendenti dei sudditi di Tamerlano il fe-
roce.
«L'aspetto orientale della città non è guastato
sull'Eufrate, non vi sono in quella regione vere città.
Mi ntre però la popolazione generale, sotto il domi-
nio mussulmano, è diminuita, la popolazione di
Baghdad in questi ultimi tempi u 1 rapida-
mente. Ora vi sono in quella città 1:0 mila abitanti
tra cui 30 mile ebrei.
Ixj scrittore inglese non si dilunga a descrivere
minutamente le tante curiosità che vi sono da ve-
dere a Baghdad e nei dintorni. Si limita ad accen-
narle: la splendida tomba, ora pur troppo in gran
parte rovinata, ove si dice riposi il corpo di Z>>-
beida, moglie di Harun-el-Raschid. le misteriose
rovine conosciute col nome di Biri Nimroud 0 Torre
di Babele, e le rovine numerose ed antichissime
della smisurata Babilonia.
Il 140
LA l.l-.'l
un enlate da
frani .
no (Issate alla
•il lui. 1
quando l'ai
unziano
■ ite per
Iti
:..■ \1
Voci artificiali
L'idea 'li imitare la voci umana per mezzi 'li strumenti mei
nici non è nuova. Artifìci acustici 'li questo genere si antichis-
simi e hanno trovati sempre gì nte credula, che ne ha fatto argo-
mento di superstizii ni .
l'ili oracoli ili Lesimi .li Delfi e il 0 li ssali Memnone di Tebe
appartengono appunti a [uesti g nere ili trucchi I 1 ossale
statua ili Memnone, a quanti dicom gli antichi, salutava il
mattina al suo levarsi. Appena i raggi dell'astri
splendevano sulle labbra della statua, usciva da questi un -
che colpiva di terrore tutti coloro che lo udivano. L'ini]
era anche accresciuta dalla posizione che teneva la sta
un gigante seduto chi sembra però sia per alzarsi quasi a salutare
il sole.
Che tal suono si udisse ogni mattina è certo, perchè il fati
corroborato da numerose e autore\ 1 li testimonianze. Anchi 1; li sto-
rici più scettici lo ammettono senza poterlo discutere. Una spiega-
li, moderna abbastanza plausibili- del fenomeno può 1
questa. L'aria contenuta in certi cavità
della statua, scaldata dal sole, si e-
spandeva e usciva dall'apertura della
bocca Si dice che il sui 1 _ basse
allo strappi di una curda d'arpa.
M.i am he se fi sse si 'migliati ■ pi
alla voce umana, in mi \ Stata
ragli me per attribuirlo a una caus
prannaturale. Il dottor Marage di Pa-
rigi ha presentato di recenti
francese di medicina una serie
di teste di cari 1 pesta, che emetti mo il
SU' i" nana e. se il vecchio
Stral- ;se risuscitare e udiri qua*
sto suono, la tri prova
nella pianura di Tebe dinanzi .1!
-.ili Memnone sparirebbe d'incanti I •
sti 1 io greo pi' i" li n 1 ibe i preti egi-
ziani pei tanti ciurmatori,
inventate molte macchine parlanti, assai più perfette, probabilmente.
ite e t mtii . di laboriosi studi. Gli apparecchi del doti Ma igi sono
fondano sulle nozioni elementari della 1 del suoni Tutti sai hi ''-unno
DALLE RIVISTE
è un movimento vibratorio dell'aria che raggiunge
!a membrana del timpano e produce 1 impressione.
Quando il suono è una voce umana, le vibrazioni
sono date all'aria dalle corde vocali. La voce, pas-
sando per la bocca, modificata dall'opera della
lingua, de! palato, dei denti e delle labbra, organi
in
la
»»mmm
i ì
àtiÙttKÉ
tutti che sono 'V^S^W «^
adoperati va- V^ %*^*fc%3^Mfc1
riamente a se-
conda della '
lingua che si
parla. Poiché è certo che
ogni lingua imprime alla
bocca e alle mascelle certe
speciali abitudini di movi-
mento, che, per lunga ere-
dità, diventano istintive. Si direbbe anzi
che l'abitudine modifica addirittura la
conformazione degli organi vocali.
Il dottor Marage dice che egli può,
t-ntro certi limiti, determinare la nazio-
nalità di una persona, semplicemente osservando la
oiiformazione della sua bocca. Se questo è vero,
si spiega facilmente la difficoltà quasi insuperabile
che provano le persone adulte, quando vogliono
imparare a pronunciare correttamente e specialmen-
te l'accento di una lingua straniera. E' una difEcol-
tà assolutamente fisica alla quale poi se ne aggiunge
un'altra di ordine assolutamente diverso. Quando
un inglese dice che dopo aver parlato in francese
per cinque minuti le mascelle gli fanno male, l'af-
fermazione può essere letteralmente vera.
IO47
vibrazioni corrispi ridenti ali. vibrazioni, da cui l'a-
ria è mossa, vibrazioni ohe sono regolate e trasfor-
mate in modo da riprodurre lo stesso suono o al-
meno un suono analogo a quello iniziale. L'orecchio
umano ha appunto una tale membrana, la mem-
brana del timpano.
Il dottor Marage nel suo apparecchio adopera
una membrana sottile e moderatamente tesa di 1
1 li' u ; questa membrana è chiusa entro una scatola
modo da dividerla in due parti. Da una parte
-.noia porta un tubo che ha un padiglione si-
e a quello del telefono, clic serve per ricevere il
suoni;. L'altra pani-, invece, comunica
con un serbatoio di gas ari 1 ; m ,■ ha
u una bocca donde i] gas uscendo viene
acceso. L'apparecchio è rappresentato
chiaramente dall'incisione che si trova
in questa pagina.
Ora, quando una perso-
na parla, ne! padigilione, le
onde sonore entrano nella
scatola e fanno vibrare la
membrana. Le
vibrazioni del-
la membrana
si riprodueo-
gas
vW
no sul
!M», »>,>*..»,»«, n. tM»>>'
l.r oscillazioni della
• lenii alle 1 urie t urtili
Immilla corrispon-
'— ^ ai
= ì &*
Per rendere le vibrazioni delle corde vocali visi-
bili all'occhio, oltre che sensibili all'orecchio, si
—no trovati vari metodi; ma ve n'è uno semplice.
che si fonda sullo stesso principio su cui si fonda
;1 fonografo e che è poi lo stesso su cui è fondato
.1 sistema uditivo. Le onde sonore, urtando contro
una membrana sottile, no in questa I
contenuto nell'altra parte del tubo che premendo o
ritirandosi produce delle oscillazioni che hanno il
loro effetto sulla fiamma accesa sul becco; che vi-
bra e saltella continuamente. Fotografando la fiam-
ma più volte successivamente e rapidamente, si
hanno dei diagrammi caratteristici, alcuni dei quali
sono riprodotti in questa pagina. Ogni vocale pro-
duce vibrazioni diverse nella fiamma.
Ottenuto così il diagramma del suono, il dottor
Marage ha trovato modo di riprodurre il suono stes-
so senza valersi della voce umana. Egli prende tanti
dischi e vi pratica dei t'ori corrispondenti alle vi-
brazioni della fiamma. Per esempio, per la vocale /,
che produce delle vibrazioni regolari e rapide, si
praticano nel disco numerosi tagli vicini e tutti ti-
gnali in lunghezza. Il suono U si ottiene pure fa-
cendo dei tagli tutti uguali ma più larghi e meno
numerosi. E cosi via.
Spingendo l'aria rapidamente come in una sirena
attraverso questi dischi fatti girare da una dinami .
si ottengono i suoni voluti.
Il dott. Marage ha fatto ancora di più. Ha preso
la forma di una bocca umana nell'atto di pronun-
ciare le varie vocali. Facendo passare l'aria per mez-
zo della sirena nelle bocche artificiali ottenute con
quelle forme, si riproduce il suono delle vocali.
(Dal rcarson's Magatine).
I popoli nei loro idoli
amo le pa|
pli, i mus
■■
' : i ■ i . i ri
Ma i
i i moralisti piena di
leg-
quali i
i iw 'Iti alla cli-
titu ce mi do-
nb . importarti issimi ■ del
Un ;in .' ■ >li i neir ultimo
oli della Lettura ha
rapporti chi
gli idoli. \ i ompletare lo
stinli' ■ uni.- non può
spiacere una passeggiata in
un museo di idi ili pei sci -
prirvi le forme i melar» i
nioh> iri c-
cbe '• burlesche davanti alle
quali si - vergi -nte
inchinata l'umanità.
Ben spesso l'uomo, invece di
• li à» ilcezza e di verità, si
I N
V STATUA GIGANTI DI SlVA NELLI GROTTI D'ELLOIU [lidie
// fanatismo degli indiani ha eienlo delle divinità mostrv
Talee Siva, il dio distruttore felle montatiti d'Ellora, dovi
del santuari scavati nellt rocce, alcuni bassorilievi lo rapp
con otto braccia ornato di collane di crani e schiacci indo gli inumili
SOttO il SUO l'i '
il culto a
Dei
terribili, mostruosi, ai quali c-yli attribuì tutti i vizi
e le passioni più vili e san; Qua! orribile
concezione è la divinità presso i selvaggi del conti-
nente nero! Ecco Oduclua. la madri ri, a
cui lo sposo divino Obataia ha un bel fiorii"
strappati gli occhi in un momento 'li fun n 1
Champana, dio della lebbra e ■ 1 1 K- malattie im-
monde. Ecco Ogo, il gemo scellerato del ma
delle lagrime.
Un giorno Ogo, gelosi della buone armonia die
esisteva tra due vicini, risolve di disunirli. I
prende un berretto bianco da una parte e rosso
sangue dall'ai i i essi i passa fra i due u
salutandi li ccl levare del cappello fatale.
I I bel berretto bianco. dice uno dei due
uni.
— E' rosso. — urla l'altro.
E l'odio e la lotta Ira i due amici comincia.
Sono le poveri concezioni dell'intelligenza umana
malata, ma quale rivelazione in paura, di
terrore, di sangue !
VlBH! i DIO -I I tu MO DEG1 I INDIANI SI •■
Il sangue! Questi idoli terribili hanno sete di
la vittima uman i
iscinata davanti .il mostro di legno o di argilla.
dal ■ lalle grandi i echi aie rotonde,
DALLE RIVISTE
Idolo indiano.
Nell'India la maggior p
degli idoli hanno parei
uno dei segni del-
la loro potenza
dalla bocca spalancata in un ghigno feroce. Il pa-
ziente è inginocchiato davanti a quel simulacro
e un colpo di spada gli stacca la testa in modo che
il sangue. rilx>llendo
dalle vene strappate.
■ li un tur
rente fumante il mo-
stro.
Ma spesso al sen-
timento d'orrore che
si prova dinanzi agli
idoli chiazzati di
sangue umano, su-
bentra un sentimento
di ilarità irrefrena-
bile, quando si vede
il modo grottesco
con cui quegli idoli
disgraziati sono fog-
giati. Sulle- rive del
Xiger. all'epoca del-
la prima conquista
francese, venne sco-
perto uno stranissi-
mo idolo che si tro-
va attualmente a Pa-
rigi, al Museo del
Troeadero, e che è
sormontato religiosamente.... da un vecchio cappello
a cilindro. La tuba è presso i negri simbolo di po-
tenza ed essi, avendone travata una nelle valigie di
qualche spedizione europea
massacrata, l' hanno ado-
rata.
Nell'India lem r
resta atterrito e sbalordito
dinanzi alle intere monta-
gne tagliate con titanico 'la-
voro in forma di mostri spa-
ventosi, di divinità mina
danti, il cui interno è sca-
vato in forma di tempio mi-
sterioso. Là, nelle viscere
squarciate del monte, Siva
brandisce fra l'ombre mi-
steriose le cento braccia fu-
riose, mentre gli occhi schiz-
zano dalle occhiaie spalan-
cate nei crani delle tre
teste.
Talvolta, dice la leggi n
! da indiana, in quell'ombra
Si tterranea. mentre sull'ara
e nelle gorgie dei sacerdoti
scorrono a torrenti i liquori
inebbri anti e fumano il
sandalo e gli incensi, l'idolo
si anima poco a poco, la vi-
ta risveglia le sue membra
di pietra. Si mette allora a
danzare sul suo piedestalli).
Un fi riccia africano.
Boz:> statue di ic-
ijno, tali sono gli idoli
che gli africani ado-
rano. Quando un ado
raton cri de che la
sua preghiera sia e-
saudii i pianta nella
statua un chiodo di
ferro.
1049
poi ad un tratto brandisce una clava e schiaccia
colle sue mani i suoi adoratori, poi curvan-
dosi sulle vittime agonizzanti ne beve il sangue tu
mante, finché ricadi morto sul suo altare.
Il gran toro della pagoda di Tandjour è uno
degli idoli più venerati dell'India. Esso è scolpito
hi un blocco di porfido, ma la pietra è ormai invi-
si! ile ed è interamente scomparsa sotto un denso
0 d'olio seccOj (rutto delle copiose libazioni
che ogni pellegrino è obbligato a l'are visitando u
i ro.
I pellegrini arrivano da lungi poveri e cenciosi,
ma guai se non recano sulle spalle flagellate lai
scio un'otre gorgogliante dell'olio più squisito! La
li ro preghiera è respinta dal nume crudele che si
I \ WIMai.i: DIVINIZZATO — GANECS II. DIO DELLA
SAGGI / vi PRESSO GLI HFRII INI
Per gli imitimi Vclefanle incarna la saggezza,
quindi essi hanno immaginato di dare al loro dio
hi testa di questo animah
compiace di cullarsi nella viscida veste. Dinanzi al
mi stro gli adoratori si ingi li in depongono il
iti fardello e col massima raco glimento 1 0
minciano a pennellare le zampe del mostro, pò
gambe e via risalendo, finche la bestia gronda e
<illa sotto i torrenti della luce tropicale. Ogni
pellegrino dà la sua mano d'olio e l'animale ingras-
sa a vista d'occhii . Sotto le zampe tutta la terra è
\11ta «la un'enorme quantità di materie in riam-
ili, accumulatevi in secoli e secoli di supersti
■ Fi rmerà pri lilialmente la prossima fontina
di qualche Compagnia inglese che abbia il coraggio
di sfruttare quella miniera 'li combustibile «li nuovo
genere.
LA LETTURA
Budda dei templi mera-
\ Giapp
-
>l\n \ D'UN tO80 NI I I l\M\
Simi • forza, il toro è l'idolo più nell India. Gli
razione cospergono d'olio ili cocco la statua
nolo della p {goda di i andiour.
VII Vfrica noi scendiamo ancora un gradino nel
moralizzazione umana. <',li idoli san colà a
pHcemente infernali. Scolpiti dal-
ie unni di artisti davvero inetti,
schizzano il tenore e La stu
dalla gratuli' I» «va aperta
a ricevere il sangue degli sciti a-
\ i. loro immi
rite.
Essi si mo generalmente In
. di una pei
che forma la fortuna
• ;.-i i al >!' ricanti che li ven-
I fedeli si prostrano davanti
al mostro ridicolo e implorano
azia desiderata. Quandi
■ •.sauditi, riti iman..
all'idolo con un mai un
chiodi i e l" piantali' • senza p
nel cuore e nel ventre dell'idolo
disgraziato, che, dopo un
tipo, scompare sotti» la pioggia
di quegli strani proiettili. Allora
è tolto e sostituito con un altro
il cui
uni ve martellate.
ca .Iella sua aureola, appoggiato al piedestallo
di bronzo, in mezzo ai boschetti di pini nelle valli
cinguettano gli uccelli.
Altrove, specialmente nelle
grotte trasformate in templi,
ggia la statua giga
di Siva. Nella notte eterna di
quel!' di montagna, la
statua mostruosa brand -
venti di oo-
mandb e di sterminio. Ogni
io porta un ria.
una spada, un bastone, una
i lava... Sotto il piede, pian-
i-mente a terra, si a-
gitano nelle pose più convulse
di doli .n- i cadaveri umani
delle vittime decapitate, men-
tili.i sfondo della cinica
nereggiano sinistramente i
teschi.
Stranissima e quasi sp
tosa è la rap|n- u del
aggezza divinizzata
a in un enormi
•i mi
• o lima
imbe incro-
I grandi occhi sbarrai
e la lunga
//a il
rutte queste aberra/inni del-
l'intelligenza umana provano
però che è istintivo nell'uomo l'aspirazione e il so
gnu di un essere possente, superiore, sovraumano,
divino, che noi non possiamo comprendere perfet-
1 \\ -un \ ni l'.t im\ \l io IPPONI
Dìi inità tutelare
./. // Estremo Oriente
tua dorata.
e benefica, Budda é II 'im preferito <ii una
a Giappone m Incontra dappertutto la sua
DALLE RIVISTE
i o5 1
temente, ma di cui intuiamo l'esistenza e la gran- E pure tra le spaventose ignoranze della co-
dezza. Esso è il sogno delle tribù selvagge che ne scienza umana, tra i grotteschi fantasmi dell'India
Gli Dei giapponesi Kduanon e Seiski.
► Oli Dei giapponesi sono per lo più rappresentati da statue sedute nel centro di enormi
di loto, assorti in \m i meditazione sorridi
. _ no l'esistenza nei fenomeni grandiosi e terribili e dell'Africa, l'idea di Dio è un sorriso e una spe-
a natura, è l'aspirazione delle razze più colte ranza.
e incivilite che le intrawedono negli ideali della
bellezza. Dalle Lectures paio- lovs).
Idoli della Siberia pagana.
In bicicletta nel Madagascar
■ i mi avevano dissuasa dal tentare
bicicletta .1 traverso il M u
rocheera una
Ma propi M
lUOghi, II:
lui i.i stessa
\u ili I ari
love era
dichi ih lari-
anch'
v | Bi u I, autrice ili qu
è una cicli «nani 1 li prima fi rea. Vvi
hi parli d
.Iella I dell'Africa Au-
strale. Ktl nra si in in viaggii pei
M ' ■ ■ : amen
1 0 n un piccolo negro che la seguiva a
piedi portandole i li, e che
■ rene ad 1 mi passo, s
.irsi, cinquantacinque chilometri al giorno.
La ; . miss Lucy arrivò al villag-
raka, un ammassi 'li 1
■ .li foglie, s 11/ 1 \t tri
n modo che la solitudine vi è scono-
num . dal! 1 propria rasa, sente
' io che si ilice e si fa nelle cas
miss Broad in tutto il suo viag-
gio. Il Madaj tato spesso descritto e non
è stato esplorato per la prima volta dalla signorina
•1 iì.i la 1 I suo sesso
I
>
La pettinati sa
a percorrerlo in bicicletta. La gita le ha ilato occa-
sione ili fare interessanti fotografìe. Iti una di
|inlli- che riproduciamo si vede una «madagasca-
rese» che si fa pettinare. Questa è una funzione che
Hi [III MI- MI \k »
DALLE RIVISTE
[o53
si compie regolarmente una volta la settimana. Ogni ungendole i capelli di grasso ed aggiustandoglieli
sabato le donne dell'isola fanno pulizia e si petti- dietro il capo con una cura che richiede moltissimo
nano scambievolmente. Capita spesso di vedere sul- tempo. Le fai li casa si fanno assai spesso
la strada una signoia che pettina un'altra signora, in mezzo alla strada.
.
LA LETTURA
I \ 1 REPARAZIONE DEI RISO
l "n .ih 1.1 incisii mi mosl ra al< une donni i
lunghi bastoni pestai» il risoi uno degli alin
principali della popolazione. In un'altra aurora si
un malato trasportato da due servi. Questo
signore, molto cortese, dovendo la miss britannica
traversare un icquaovenon v'erano punti.
le cedette la sua.... vettura. La traversata dei corsi
jni ei i sempre dilìicile. Spesso miss Lucy do-
Earsi portare in braccio da qualche indigeno.
La fot grafia che è alla pagina precedente fu pre-
sa una volta i la- la popolazione di Tananariva
era tutta raccolta per udire un proclama del-
I .1111 onta.
Il viaggio della ciclista inglese ebbe luogo senza
incidenti Beni ' I donne bianche siano rare nella
vastissima isola — e (orse. anzi, appunto per que
sto — la viaggiatrice fu ovunque rispettata e trat-
tata con tutti i riguardi. Soltanto, avvenne più volte
che. quando ella arrivava in qualche villaggio, l'in-
tera popolazione si facesse un dovere di andarla a
vedere, e di seguire, con un'attenzione qualche volta
importuna, tutti i suoi più piccoli movimenti. Quan-
do però miss Lucy mangiava, i curiosi sparivano
d'un tratto come per incanto. Al Madagascar non
r bon-ton stare a guardare una persona mentre
mangia.
Non sempre riusciva a miss Lucy di mangiare
«io che voleva: ignorava la lingua del paese e non
sapeva come spiegarsi. Una volta dovette fare sfor-
zi sovrumani per far capire che voleva un uovo.
Da allora viaggiò sempre con qualche guscio d'uovo
nel proprio bagaglio: quando voleva un uovo mo-
strava un guscio ed era subito intesa.
(L'articolo di miss Lucy è comparso sul Wide World
Magazine, di ottobre).
1 [ALATO
L'oro del Polo
Nelle solitudini mute delle regioni artiche, sotto
le inrinite distese di ghiaccio, dove manca tutto ciò
che è necessario alla vita, .iU>onda quel metallo
«portentoso, onnipossente» all'idea del quale la
mente degli uomini suole diventare, come quella di
J igaro. un vulcano. E ciò che accadde alla scoperta
dei giacimenti auriferi del Klondike, la febbre che
spinse migliaia e migliaia di persone ad accorrere
in quella inospite terra da tutte le parti del mondo,
sfidando i disagi, le privazioni, i pericoli, è storia
di ieri. Oggi il fenomeno si ripete, con circostanze
alquanto diverse, in un altro punto della penisola
di Alaska, sulle rive del Capo Nome. Sul principio
del 1900, alla notizia di meravigliose scoperte, tutte
le navi disponibili sulle coste del Pacifico furono
noleggiate per trasportare non meno di 40 mila
avidi cercatori ; altri vi andarono, a migliaia, per
via di terra. La grande ricchezza dei giacimenti e
la straordinaria facilità di estrarre l'oro da quelle
sabbie, fecero sì che. dopo un mese, la produzione
era già di 150 mila franchi al giorno.
La spiaggia di Xome è larga ila 50 a 100 piedi
inglesi, e si estende dalla linea della bassa marea
fine alla Tundra, specie di altipiano dove l'oro è
anche abbondante, ma di più difficile estrazione,
perchè il ghiaccio che ricopre il suolo si strugge
per soli trenta centimetri nella stagione più calda.
Nelle sabbie, invece, gli strati auriferi sono pro-
fondi quindici piedi, e il prezioso metallo si trova
nelle pepite sciolte e non mai incastrate nelle roc-
cie. Si trova anche oltre la linea della bassa marea
verso il mare; ma lì riesce impossibile estrarlo coi
metodi primitivi attualmente adoperati. Finalmente
abbonda nei piccoli corsi d'acqua che solcano la
Tundra, ed anche nelle montagne delle regioni in-
terne. Mentre sulla spiaggia i cercatori lavorano
isolatamente, i fiumi sono sfruttati da piccole asso-
ciazioni. Qui la produzione è più copiosa ; alcuni
claims (campi doro) hanno un valore fantastico;
ce n'è uno che ha dato 100 mila franchi al giorno
e più di un milione in due me
Quando i primi Americani arrivarono al Capo
Xome. non trovarono altro che qualche capanna di
Indiani, in breve sommersa in mezzo a centinaia e
centinaia di tende. La necessità di ripari un poco
più seri si fece tosto sentire, e avanti che l'inverno
sopraggiungesse, grazie ai materiali fatti venire con
grandi spese dal Sud. già sorgevano le prime case
di legno. Furono tracciate le strade, si elesse una
amministrazione municipale, si formò una magi-
stratura e un corpo di polizia, e un distaccamento
militare venne da San Michele, la città degli Stati
Uniti più vicina. Nacque così tutta una nuova città,
Nome City, dove, nell'ultima stagione, si pubbli-
carono due giornali settimanali e si iniziarono i
lavori per l'illuminazione elettrica, il telefono e la
1 str zione dell'acqua. I primi arrivati dovettero
affrontare le grandi difficoltà dello sbarco sulla
spiaggia quasi inaccessibile; ora anche a questo
inconveniente si è riparato come era possibile. E
per dare un'idea dell'entità degli interessi creatisi
lassù e dei relativi agi che vi si possono godere, ha
sti dir questo: che. mentre dal Klondike i mina-
tori erani ■> stretti a fuggire ai primi freddi, per
poi ternani con la bella stagione, a Nome City non
meno di tremila persone restarono l'inverno scorso.
Mai una agglomerazione umaife tanto numerosa
fu vista ifT quelle latitudini. Sul Klondike il Capo
Marne ha questi altri vantaggi naturali: che la ri-
cerca dell'oro è infinitamente più facile, e che la
qualità del nieta Ilo è tanto migliore, che si vende
da 30 a 40 centesimi di più al grammo.
Ma la vita, naturalmente, è molto cara in (niello
condizioni. I sigari americani da 20 centesimi co-
stano 2 franchi e mezzo a Nome City ; una cola-
zione di due uova, caffè e pane, si paga da 7 a 8
franchi ; la farina si vende a 250 franchi il sacco ;
un paio di scarpe arriva a 75 franchi. Un numero
dei giornali locali costa 2 franchi e 50 ; l'abbona-
mento sale a 1 20 franchi. Negii alberghi, per dor-
mire in una di quelle cuccette che sono sovrapposte
a 3 ed a 4 per ogni stanza, si chiedono da io a 15
franchi. L'unico possessore degli 8 cavalli che at-
tualmente prestano servizio, li noleggia in ragione
di 2500 franchi il giorno nella buona stagione;
d'inverno li adopera per il trasporto del legname
che si raccoglie sulla costa, trasportatovi dalle cor-
renti meridiane : il prezzo di questa legna sale a
cifre fantastiche. Tra i minatori accorsi lassù si
trovava un avvocato, il quale ebbe occasione di eser-
citare la sua professione : in una sola stagione, que-
sta gli fruttò 250 mila franchi, oltre la proprietà
di un certo numero di claims. La proprietaria di
un piccolo iHergo-trattoria ha messo insieme una
sostanza durante una sola estate.
Queste cifre non sembreranno esagerate, quando
si paragoneranno a quelle degli utili ricavati dai
minatori. Un ex-operaio meccanico potè mandare
in regalo alla moglie una quantità d'oro del valore
dì 225 mila franchi. Uno svedese, che per lavorar
da solo si rivo a Ni me City prima che cominciasse
la buona stagione, mandò a San Francisco, quando
ancora l'estate era lontana, 700 libbre d'oro ; è
vero però che ci rimise un'orecchia, gelata per il
gran freddo. Cu avventuriere che aveva in tasca
2500 franchi sbarcando al Capo Nome, li impiegò
nella compera di due claims che ora valgono due
milioni, l'n missionario protestante raccolse 400
libbre d'oro nel solo mese d'agosto da una miniera
che vale un milione e mezzo. In tre mesi di lo ri
un giovanotto .li San Francisco ha messo insienu-
400 mila franchi. LTn pezzetto di terra di cinquanta
piedi quadrati ha dato 40 mila franchi. Un giorna-
lista, da un quadrato di 60 metri ha ricavati in
LA LETTURA
mini,
}o i! 'ìi un min
in un lo. 1 lue
quasi in mez-
chi in quaran-
• del
uè milioni di i N la Tundra
ii furono trovati da quattro lavi i
ini.
oni ili allucinati. 1 e si
S ittle ■ hi i ■ ina parte
■ di 20 mi-
di metallo in un anno, provenienti da quell'e-
rio. Hi rutto dell'ultima camp
in 50 milioni.
ito dureranno queste pi inier l
I sabbie della spi 1 co-
iano ad esaurirsi ; quelle dei o rsi d'acqu
I .1 Tundra non può esser p
rutto sen , costo delle
quali, naturalmente, scemerebbe i profitti. Ma fitta
h addentale dell'Atlantico è ricca
oso meta! ' iota un movimi m
• ■ii verso il Capo York, a qualche centi-
■ ili miglia da \< ni. . .ìlruni pionieri si s< n
spinti lino al Capo Principe di Galles, estremo
punto del continente, a un centinaio ili chilometri
na dalla costa della Siberia, dove pare che non
1 giacimenti auriferi.
dunque un largo campo all'avidità umana.
la quale scatena tutte le più brutali passioni. 1 prò-
ise ili gioco hanno già guadagnato a
Nome City più di mezzo milione. Bisogna però dire
quantunque i poliziotti e i soldati non restino
lì iti' -turni si sono alquanto ingentiliti.
il n volver •■ il coltello non sono il supremo argo-
mento. 1 1 furto è più raro che ni
le, ma la questioni
r.itana s Gravi epidemie di tifo si sono
-\ iluppate in mezzi > a ne aggio-
igii 11 1 he. Ma ri
tifo, né il freddo glaciale, né qualunque altr.i
li u u/. 1 0 pericoli 1 ari 1 i < upidi ; e 50 mila
si .ii< - ni' imami nte imi ui li''
(Dalli- Lectures Moderne*).
Gli animali scomunicati
Il professi re (iiranl riferisce che in una
1 -1 ia prodi tta dagli iggi, si si
contro 'li essi i fulmini della scomunica. Nel 17 ;■)
furano citati 1 comparire dinanzi al tribunali
clesiastico di Losanna e, dopo il dibattimento della
causa, turino, naturalmente in contumacia, condan-
nati al bando dal territorio.
Nell'opera Supplizi, prigionie e gì ■ Fran-
cia, il consigliere Desmaze narra che nel ino 1!
vescovo 'li Laon scomunicò i bruchi |«-i punirli
• Ielle loro devastazioni, e che nel 1516 il pubblico
ale di Troyes pronunziò contro di essi la
guente sentenza: «Udite le parti, facendo diritto
all'istanza degli aiutanti di Yillenoxe, ingiungiamo
ai bruchi di ritirarsi nel termine di sei giorni, senza
di che li dichiariamo maledetti e scomunicati».
Anche ai nostri giorni si fanno pubblici esorci-
smi, nelle campagne, in caso di straordinaria mol-
tiplicazione 'li insetti nocivi all'agricoltura.
GIUSEPPE GIACOSA, Direttore
: rip del ' otri
Galli //i Gio\ inni, gerente n sp
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HE
ADDIO, NIKOLAL
Romanzo di GUY BOOTHBY
autore del Dottor Nikola, della Verga della Sapienza, ecc.
{Continuazione e fine, vedi numero precedente).
Mia Usse Nikola cori una
■ i rdi quella stessa udita
I i 1 1 letti > i ae ito
\ Lello < li" tate I i .asciate ■ he
vi riai compagni all' ili vostri a i !
he siati qui il: a quest'oi a I
Ma \ t !•• dissi che
i o pivi stare rlarvi Risparmiate
i ' Pei amor d
\ igni rate quelli i he h ledete N ite
ii rmale, stasera,
ch'il pei itinuamente a
Voi non dovete farlo ' Sie
li rosi i" tente. che d w ete ai cordar-
i pigliate la mia \ ita, ma i
i I ma le \ e i offro v olenl ieri, pure di sal-
\ :u\ i ila questi ' pei cato '
Pei rmi I - mormoi ai a Nikola a bassa
l \ uole salvarmi '.
1 1 ì ve I" perd ebbe mai più — conti-
nui i ìso tono ili voce,
Nikola si allontanò da lei: dall i pi rta semi apei
levo scoi rem quanto rosse agitato. Essa s'in
chiò 'ia\ ami a luì, le braccia tese In atto
suppl Nikola le disse qualche cosa a bae
he non riuscii a capire La sua risposta,
è tati ri* elato nei miei sogni,
— ri-' i
i - ù malgrado persistete perchè io perdoni ?
N nome ili Dio, vi prego ili affrettarlo il più
" possibile, Ne va di mezzo la salvezza, del-
: anima vostra.
Ni] la - pose ili nuovo a pa iare su e giù
della sta
\ è noto che su- Richard Hatteras in qui i
da me per lo stesso motivo " — le domandò
o i rispose
Come ne fu nata inm potei spiegarmelo
— i 1 1 a \ isita ih stasei a per in-
i :i perdono
SI, egli i" sa, egli mi ha seguita
i i me aveva I i li a scorgermi, visto chi n s'era
rollata :
I " ' I 1 : I I ' • I ' 'i
Venite avanti, Hatteras. — mi disse, - da
no si pei
i ■' i unoi del cielo, Nikola, spi che
\ noi dir ■ dendo che miss Trevoi
mostrava ili avvedersi della mia presenza, —
i ìsci sotto la .imi'"! ica
li i
No, tdrtormi mala, cionoi
liscia del ioni Vi è qualcosa in
li -in ni Se mi
etto ivrei fatto ili
o Miss i revor,
con sir Uiehanl.
carezze\ i mentre I aiutava
pi mi iura
mi un po' di tempo per r Hi ttere
empi finché 11 dol
i i" detto usi nnni" tulli e ire, ed alti a\ ei -
dui iiieii i. giungemmo alla p"i nenia laiei aie.
Qui munii Nikola mi disse
Non i" le nulla per miss Trevor, essa tor-
nila, a rasa nello stesso modo con nn vei e do-
: 1 1 ina non • i i icordei à più di iiuauto in < esse
!•'. presa la mano di Geltrude i aia osio alle labbra,
poi. salutandomi, spari nel silenzio del palazzo
Rifeci il camino fatto dianzi, seguendola a pochi
pas.-i di disianza, col Cuori non meno abitato dì
prima
Se Nikola avesse rinunziato a vendicarsi dei suo
ne almeno l'az ■ di miss Trevor e la mia
i inni sarebbero stali inutili ' I,o farebbe
li la nostra compagna di nai^in avrebbe
dato daw in " la sua a\ \ .altura d. 'Ha notte ?
Intanto a forza di svoltare a destra e a -mislra
avvicinavamo all'albergo, la mia gran paura
era di trovarne chiusa la porla da cui eravamo li-
sciti. Fortunatamente ciò non fu. Miss Trevor en-
trò e sali difilato le scale dopo avei pi
lungo corridoio. Quando mi fui assicurato .in- .■-■
i era tranquilla in camera sua, andai nel mio
appairtamentino. Mia moglie dormiva placidamen-
te: essa non -i era accorta della mia assenza del-
la notte, pei CUi, lieto della cosa, decisi di Iloll
dirle nulla delia nostra avventura,
in mattina miss trevor fu l'ultima » trovarsi a
colazione Come potete immaginarvi, la squadrai
ben bene con una certa ansietà. Era pallidissima
■ il aveva l'aria stanca, ma dal modo con cui mi
siiui" "' a ' \ idente i he non ave- a n più re-
molo ricordo di quanto era siici esso nella notte.
Nikola aveva detto il vero, per cui più che mai ri-
solsi ih tacere
Poco dopo la colazione un venne portata una let-
tera; la uno sguardo settato sulla busta capii che
era del dottor Nikola. Fortunatamente in <piel
momento ero solo, per cui v'immaginerei n
quale impazienza L'apersi, Ess itevi
ii" ■ a semplicemente di tro\ armi, se m\ ei a pos-
sibili pi ini Ielle di In i. al palazzi. Iti Venti
minuti prima dell'ora fissata stai . di porla del
•" . \ enne ad aprirmi il vei duo sei ■.
"i mai un C \ a mi tei e enti ai e in ea-a ed.
dei.' quell'altro signore? mi disse intanto die ci
dirigeva verso la scala.
— Forse Vostra Eccellenza lesidererebb di ve-
deri quell'altro signore? - mi disse mentre <i di-
ne verso la scala.
Mentre \m affrettavo a dirgli di no, udii una voce
' he r lobbi pei duella di don Mai linos, die mi
I va dalla galleria al pruno piano.
— V'enit" su. sir l'ich.ard Ilo una lettera da i
egnai \ i del amii o dottoi Nikola.
Non poti Lillo vedevo e a .inalilo
udn " ' ine mi" ebbi raj i In da di cui ser-
bavo dei cosi terribili ricordi, la mia sorpresa fu
an e ora
Don Mai inos u\ e\ a subito una completa un
morfosi all'apparenza non era più la
i-lie il giorno prima mi aveva destato tanto
terrore e ripulsione Egli era di .
conosciuto i" i la prl ma volta,
I i"v .■ e il rintlor Nikola .' ■ gli di mandai,
dopo aver dato u nardo in
-' i » ai me tutti gli isti unenti chimici, i li
■ ii n ■,
Attente MADRI!
v@^Ofe(?^
L'uso del Catte Coloniale puro è nocivo alla salute, specialmente per i
bambini; il Calìe Coloniale è troppo eccitante ed è causa dei tanti e tanti
disturbi — specialmente la grande nervosità — che infastidiscono la vostra
vita e pregiudicano la salute dei vostri bambini.
Non è necessario ih abolire completamente l'uso del Caffè Coloniale;
bisogna correggere le sue qualità nocive; il miglior mezzo per fare ciò è
di aggiungere almeno nella proporzione della metà odi un terzo il Cafle
Malto Kiieipp. Il Caffé Malto Kneipp ha gusto piacevolissimo; è
un forte nutriente, come constatato da tut*; i medici. Adoperatelo e po-
tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
Sevi preme la salute per voi e per i vostri bambini, non mancate di
fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti » iroghieri che
nessuno ne è sprovvisto.
A„„o x. ISTITUTO RERO-EliETTROTERflPICO 01 TORINO
%^G>xt la cura d.*3>ll«3
A.*r\+\<y X»
MALATTIE DEI POLMONI E DEL CUORE
del Dottor GUIDO SCARPA, specialista
Direttore della Sezione « Malattie di Petto » nel Policlinico Generala di Torino.
Vin della Zecca, 37, piano terreno
È V unico Istituto in Europa per la cura esclusiva e completa delle suddette malattie secondo
1 più recenti progressi della terapia e la più rigorosa razionalità, cioè con a base la correzione
delle lesioni statico-diuamiche degli Apparati Respiratorio e Circolatorio prodotte dalla malattìa
stessa. E ciò perchè non è attualmente più possibile esercire la specialità della terapia polmo-
nare e cardiaca quando non si possieda quanto è necessario a compensare quel tanto di alterata
funzionalità meccanica che, in grado ora più ora meno grave, esiste sempre in ogni malattia di questi
organi la cui base di funzione è precipuamente meccanica.
L'Istituto possiede quindi nelle sue io sale di cura impianti grandiosi, perfezionatissimi per
la Pncumoterapia completa e l'Elettroterapia di tutte queste malattie, cioè /lagno d'aria com-
pressa semplice e medicata ad alta pressione, Apparati pneumatici automatici, Nebulizzazioni
medicate. Bagno idro-elettrico e Bagni di acido carbonico (per le malattie del cuore e dei vasi),
Correnti ad alla frequenza, Esocardio , ecc., ecc. Cura speciale locale chirurgica (metodo proprio)
della lisi polmonare, l'unica razionale ed efficace anche nei processi avanzati, sì che 2-j mesi
di cura ?iei casi gravi, e 4-5 mesi in quelli gravissimi e ritenuti inguaribili, bastano a dare risultati
ottimi.
Impianto di straordinaria potenza pjer la Radioscopia, Radiografia e Stroboscopia del torace
a scopo diagnostico, mezzo di importanza straordinaria in tutte le forme polmonari sia iniziali che
avanzate, e nelle malattie dell'apparato circolatorio.
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FERRO CHINA BISLERI
ItICOSTITUENTB DEI. SANGCE
Sono lieto di poter dichiarare — scrive il chiaro prof. L. Vanni della R. Univer-
sità di Modena — che avendo avuto più volte occasione di sperimentare il FERRO
CHINA BISLERI ne constatai i notevolissimi vantaggi come liquore eupeptico e
tonico.
F. BISLERI e C. - Milano.
mujkxo
Il
ADDIO, NIKOLA!...
i ii i tempo,
i per voi che mi disse ili
Ho o pi icere di
macchinali
K sapete .| ' "lesi
l | ni. mi ri-i"
mi il ' •■' i colle lacrime
, i nini,, ii migliore dei
i .il
t irtunatamente qui
enei - fidarmi
me n Irà pel i lo
ii ii, ,i:i\ ven iai In 11
pa nava le sui parole
passato, mi allontanai da lui
Uutatolo freddamente, uscii dalla i
i entrare più in vita mia
irei hii : lode.
i ioi è andato per
dissi.
Purtroppi i re, — mi rispo espirando
Egli un ha lasciato dei quattrini, pi r cui potrò
vivere comodamente, ma mi rattrista assai assai
ro ili non più mai.
Mi si delti sul muri, ciolo del p izzo, e, tratta tuoi i
la il :
Iddio, amico mio '. Quandi reti questa
io avi ubbandonato \ enezia pi i
vi più n Fato, ih cui \ i parlai, mi
chi Pensate a me qualche volta e, se
ii un po' ili l"'iu'\ i'1'i
NIK01 A •.
Mi mi diressi vei top iver
mani dei vecchio gettai
un ninnili sguardo -il cortili ci i rli scalini, ed
i ila gondol i co] cuore stretto e p eno ili
i .. tristi destini del più si ra irdin h li
i i ini, ch'io aibbia mai conosi
i kPITOLO \iv
i orno do randi dolori di i falaghetti.
su lue piedi 'h la iari Vi e i
i ■ i repìi lei I Vdriatti on
. a più attrattive pei noi e pi i la prima -,
isciammo senza i Impianto F in dal mal
(ìeltrude si senti pli sollevata ili spirito e pareva
quel! i ili una volta Non \ I dico la teli-
i i, di Gli ubai ih dopo i tristi giorni passati
n - he eravamo in treno, mia
moglie 'li
_ Dio IMI., ' i he tbbi imo tatto ' Nella nostra
pei la partenza i dimenticati ih an
I ii ire il dottoi Nlkola I
Miss I rei or ebbe come un leggero brii
— Sai [ ' ' '"' sogno ben
ricsol Sognai che 11 dottor Nikola era nel cortile
di in ii rabbi li ato sulla sommità di una
itagna Egli vestiva una strana tonaca gialla,
molto dissimile da quella che portano i preti
t-tiddisl i Pai '". a un'ombra tanto ei a sma riti
molto i ii ■■ i-i' hiato Si ai \ icinò a me e pi -
doi ■ ni uni, mi disse una cosa hi iena
nei lei io non ha senso alcuno, ma i hi
mi tece una grande impressione.
i h,. v I ii--'1 ' - le domand i rido < ì « non
tradirti) I colla voce
Queste pi V i-i' pai ole Ri lafei I che
ona&o; orti a voi spetta ili tlim i hi
\ oleva egli dii e '
Si tratta di un sogno è quindi impi
i apire osservò mia moglie, salvandomi dal p(
lo 'h cercare d'interpretarne il signiflcato
Per por termine a questo ormai mio troppo lun-
go i a ito, vi din che il dui a e miss I re\ or
i nel maggio scorso Essi passai
la luna < i > miele sul loro vachi ed andarono nelle
Indie ■ u-ii Lentaili, Qualcuno propose loro di i
re a \ enezia li conte ili Sellingboui con
però ultimamente il palazzo Revecce, mobiglian-
dolo sontuosamente, glielo offri pei soggiornarvi,
ma essi non ai cettar ■ «a i i
no, da quanto mi venne detto.
Mia notte, quando il vento sibila intorno alla
casa ed il mondo appare squallido e deserto,
d'immaginarmi un i i asterò sulla runa di una
montagna e nella mia fantasia vedo una misterio-
sa figura, vestita ili giallo, i cui occhi scuri i
ih tranti si fissano nei miri con uno sguardo che
non è piti di questo mondo Ed io grido a lui
Vliliu. Nikola!
FINE.
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gerenti, biliari, ed intestinali con sorprendente efficacia.
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da tre l'atti clinici anatomicamente e chimicamente accertali
1. Il "Tot" tonifica disinfettando le ghiandole
che secernono i succhi gastrici.
2. Il "Tot" discioglie i catarri e le mucosità
dello stomaco e degli intestini.
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intestinali, assorbendone i gas. senza neu-
tralizzare l'acido cloridrico come il bicar-
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In strana compagnia
Romanzo di GUY BOOTBY
I N I 1 1 i i 1 1 I /.|o.\l
la ,,,, si rede perchè renne scritto questo libro.
ito in questa sti
0, I II''.
vi convìncerete che Lo personalmen-
ìi ne effettiva, peri
e punto atto a mi
ertosi e i lo i he • più,
in vita mia non sono uscito mai d'Inghilti
one. vengo a I
da chi sia stato indotto a
o a parlare di me,
■
m chiamo I 'v- sono scapolo, di
posseggo min di-erela
fortuna, ed una i giardino d Inghilterra.
, che i miei amici trovano bel-
lissima E, to verità, essa lo è davvero ; se i .lue ter-
mi,,. Qimi, direi comoda e piai e
tornita di tu modità mi derae imma
u una posizione fidentissima,
ina veduta di cui non mi stancherei mai. E,
unente, nessuna vista 1 1 me questa di Spithead
in qi lina il autunno, - irebbe meglio scelta
della strana st< ria i he mi
cingo a uni i
Ma m'aci orgo che è più facile parlare ili comi)
dare che di ,;i intinto due
I anna nei calamaio, e avvicinai" il L-srlio
i Eci orni all'opera, pronto
■ unii nto Non è destino! Sento un passo
. .i una voce maschili
, Luke, i ! I ' dove diai e ? »
di John Ramsay, mio cugini
giun ,. marii i mii da una quindi-
i sua giovane sposa
tra i .in cam col
viso mozione, brandendo in mano un
biglietti ili bau
Smi mi di lavorare, cugino Luke, i i indo
i n, si ritti con violenza Eo o che i
in questo momento dalla posta, da mi- Benjamin,
_ , domando j-'uunlamlu il suo
bel viso abbronzato d i son idendo
mandarmi sir Benjamin "
i ppia .h . avalli marini ' I dii endo
in.'i il mio manosci itto, dal ta
to -il plico dei biglietti ili
_ m | ... : do ei vi disturl Lui
un, rmi la vostra attenzione; qui vi
i .li ,'in
Itino 'li '-ani pel .i ro
f,.. ero
e i e di
ne una ini / .'a il"/.
i - i voleva
alludere Mi obnl
forte t.a
starvi
imi , nzlone, pi li h ■ di
in-
i alparaiso " III 8 agosto I89i
1/ Ho noi Uri, l'inni, Plowden Kut, i
Basi India ai < nui . i. mi, imi
oh trabile e rispettabile, zìa Benjamin.
Non crediate eh io non m'immagini e tuai
te questa iritera
,1;, una persona Indegna quale è vostro nipote, ila-
tata da un simile paese ni in cosi difficili momenti.
Queste -"in. appunto le ragioni che un spingo i
, ìi , rare
p, 1- essere ai corrente dei miei affari, è necessa-
ri i ostra memoi ia i itoi ni Indii tro ih una
. ] i » 1 1 > i ì i i ina ili anni, quando, dopo un certo avveni-
iii, ni,,, che entrambi il
abbastanza genero: i da si ai i iarml
dal Inghilterra •■ ili mandarmi altrove, ai
n, un di ecci li, e di cinqu
i,, poi in. parola dovete sapere che venni qui
ci fortuna. Poss isiderarmi un uomo ricco.
Introduzione.
■ ìi , bi D' l'è e. .-ia. per istinto e per edui azi.
Bpettoso, cosa strana, rinnego i miei
, mi ai punto di riporre la mia fiducia in vi.
li mio padre, sicuro della vostra probità
e del vostro onore. In altre parole visto i
minaccia piesto pai
nave Culloden, che partirà di qui mi
s , i intera nna fortuna, >ii duecento mila -
in specie, ben sigillata se-
.ii, golamenti della Compagnia di
ed indirizzata a voi a Londra. La presente
i,. t'era verrà portata ed impostata a Londra .lai
capitano Parsi n, della nave ( haulicleer, Il quale
las< ni à \ a paraiso domattina, accompagnata
ietto .li consegna. Questa straordinaria confi
iieii/.a vi sorprenderà certo, ma conoscendo U
carattere, sono persuaso che non solo accette
[uesto in .aii..'. ma che accudirete ai miei
i --i ,■, ,ni. -r fossero vostri.
-, non fosse ch'io considero dovere un., di
manere in questo paese finché la pa tabi
ina. verrei i.. stesso a sorvegliare i miei interessi
Mi, isibile, lo faccio la ini
pliore il.ll. cose mettendo la mia fortuna nelle
\ • -Ile ni
Duna :osa soprattutto vi supplico di ricordarvi,
|, i,,, un., quantità di nemici invidiosi della mia
ina i quali no,, si farebbero scrupolo di ser-
virsi di qualsiasi meZZO pel quanto Las-", pn:
mettermi in rovina. Vi prego, e vi supplico, di ni n
porre attenzione a qua! -ina. non
naie veni--.' a \ "i a nome 1 0 per let-
isi aiti-" ine//... eccettuato il se-
gui ni.'
s, i,, — i obbligato a ■ "ii voi. tanto
personalmente, quanto per mezzo altrui, voi non
nulla ii !,''• vene, non date reità a su-
. . nza di-Ma una
fortuna, Anche non avrete nell mani la
lente prova.
Wendo considerato la cosa in unti i suoi lati.
clusione. ci
olutamente Impossibile di falsificazione e: uno
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tiotticke per 1 giovinetti italiani. — E' un libro interessantissimo, sommamenti istruttivo, dal
quale i giovinetti italiani apprenderanno la storia completa 1 le glorie della Casa di Sa
attraverso i secoli. — Edizione di lusso L. 2, —
IV
IN STRANA COMPAGNIA
i i la tengo
lerlo dJ • "inni
nessuno sa
• .h carta, che
l
i
i più importante, si i ai ciato in n
ie\ <
i rubato a m cosa che idi rè cei
re il mio In questo
ma egli ri
i intera sosta Ma 1 1
Imi i
I I
he si dich ; i o
nipote, fintanto che Questo doppio
i mani.
Per rag ihe non avrebbero il menoi nte-
voi. sor ito ad agire cosi miste
sono pronto ad assolvervi (in d
auzìoni e
fallissero, per l'immensa tede i
he li" nel vosi oore e nel vostro in
ita
Ni : .|.. questi consigli, credi
ini li tenteranno di ap
di naro. Dopo mature riflessioni, mi
oico m : i rat mi
unii vi giungessero altre
ntu anno, giorno i
no, da questa data dell 8 agosti
rto, ed i" quest i ca i o la mia
una ai vostri àgli, si a quell • , anno
vita, e in della
di mie padre viventi allora, cogl'interi
ìnti i imulati
dicntissimo nipote,
M vi: I PLO
Quando ebbi finito ili leggere Ramsay, u quale
a ascoltato con viva attenzione la lettura di
i | i i picchiò
ridando:
— K cosi, mio di che ne dite 'li que-
i dovuta ;i una cosi
ili una lettera ili
ruperfo scritta in un □
Che ' ire vostro
gì iccl ■ ro parente, non è \
l)i Marmaduk P
\i i <ciuii, nel Cile sotto II nome di
Voi à ivei /ente,
do era i
lo, Jack, una mezza dozzina di
ni più. Egli abitava Iiiiilti di qui, i»>i non era
da desiderai e molto dì vederlo sovi
■ i individuo i
ti dica • ' più bel
ale i re i
nardo i
l peci e di fi roi
Ni ■ i più alla
i . ideli •• 'li
mpo
— '■
pan
i
l I uoi ili
Il -i avvicina!
I l , Uhi
i ebbe prima un
ni .nino.
ne un posto in in
■ di l ondra
— E do]
— I a io a i idere ili male in ppg.
diventò un fi equentatoi e di em i ondo
ordine, un ammiratore di halleriiie e .li kellerine,
c finalmente si dici ch'egli abbia falsificato la ur-
ina del suo benefattore, andando a un ni., di es-
rlnchiuso In galera.
i n i"'! campione, da\ vere r. . ■■ m.
Bi in ■ i inorò della sua fimi i '
— Lo fece per riguardo a sua madri' in allora,
che gli diede le r>oo sieri li un
parla nella lettera, e i ne lo imb
— E non si seppe mal più nulla di Ini. tino ad
ora unse la lettera io! li- .!I)0,IHK) sterline?
— No, .hi" difatti, se non me ne par-
lavi tu, i" i\i.\ o quasi dimeni h aio in
stenza.
— Ben i fare due
e immin facendo vi nai rem quanto so di
Marmaduke Plowden. altrimenti detto Mar. "s Ve-
iii'ii.i. e della sua carriera dai Giorno m un lasciò
nllterra fino a quando feri la Mia <■< ■
lui mesi fa. IndH
prenderete penna carta i . iiaiuaio ,• scriverete
la pinna meta di questa Storia, lo faro l'altra, e
pileren isieme un libro per informarne il
ir. Milo.
Presi il mio ed il bastone: ed il risul-
tato di 'I ila. fu questa stt ani -tona.
qui seguente
PARTE I. - ' UPITOLO 1.
Il quale ilice la vera provenienza del denaro.
' ine abbiamo \ist... l'astuto Marmatine P .'
di il li"'., nel Cile come \i u os Veneda. -pedi»
i". -ir Ben j are Pli vden, in Cast india ave- 1
ime. Londra. I. .'nii.iiiu. in moneta inglese, pn
dolo iiie volesse tenerla a sua disposi;
che fosse giunte a casa pei disporne e-rii Messo.)
i ira per ben capire la nosti a stoi ia. >i
ritornare al pini. i| .. . i .prue di dO^H
venisse quella em rme fai luna . poichi
• i edl ia degna di fede I attenua
avesse ricavato questo danai-" dalli
rgento e dalie sue proprietà nel Cile Non
• i ma i -- a chiarirci il miste^H
e noi racconti rema lucine
S ippiate dunque che Michi Bi d<
in Pari I - i r«
una di Mipcrlalivaiiieiiie alali. c^H
una vita di grandi i oups iiin-<
i in qualche i
cui eliti" al servizi" u .1 >I^H
Anglo-Kamtchatka, la si i a del pi
\\ nitehall, come
I. I'l|] 11:1, III lut^H
la Ili i . I I
dei Bakeii -Asl.ei M Syndacate e che mai
vanta'.'-"., della Italica la Company l.olden >Ui^^B
I : -i munì zi., i lie r.radshaw pai
per Moie i celia di pipi
1 \ . ce di divertirsi a \!
me i suoi upponevano, •
Una imente l'arrivo dei pie-
na»! imeni" / i ii Ti
ne e pai th a pei Unrp » Vile» Ila li
111 masse il suo p
Vinrei l'i a mirano l"ii e chi
o avesse portato con si
il ! n. Nella stiva pero \ erano -
col -un nomi ' ii betta I i "" nto ».
I n mesi' i|"ii". l'imi. ti liithil
:ia ' he Vlii nele Bradshaw. amm
universalmenti rispettato, era n-rrtiin < 1 ■ • 1 '
Sotto l'accusa di aver defraudata la sin Col
-ina di 850 li' Ine
Ml'arrivo i destinazione de
Bradshaw, cioè Vii ioì I
i il.iln-i iti Arsenti Ila
LA BELLEZZA DEL SENO
E LA GALEGHINA VARVIER
i preparali a base di Galegrhina
Vervier ■ e ratio sp ciale
Officiaalis) sonoqnauto scienti fi
te ili meglio si possa dare perii Seno.
Assolutamente innocui, igienici,
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in
i
1,1 i
, i,, ii
Bue, ii ■ soppoi
, di atti
, ie pi i uà i he là non
ilo in su e penoso \ la
lo porto Mi di '. città sii
vi con srande i
barili 'li i e
nelle montagne, giungend
\
m , i3se, il suo ai i
ord
la fortun i ditto il pi
ii tattica l'osto o tardi
i na sera, \i B idshaw stava nella sola i a
un manuale di Ha
l. Era. iv A alp ira rea un i
.in, non s'era mai avventurato ai
rta, il tempi a I pesava. Io non
li non ci isse a rimpian
in delitto, fars a per si rupolo di i
trovava In un imbroglio, se
ne
s ,,, i . , . persoli Llmenie si consl-
luttavia il rispettabili banchiere in
i tinua i accia >i ass issinio non la
ira immaginari n enden ' ostretto a
.,,,. i argentina i redi ndo m suo secreto sco
, , era spaventato dal timore di
ii unirvi quali he vecchio nemico e di esseri i
d aveva una gran panni, tanto più
, un porto ili estradiz
giuntovi aveva sballati i suoi barili ili
_ ran cura nascosto il tesoro con
il pavimento della sua camera. Que
litro, sii aveva procurata un'occupa
n ; napo consultò i orologio e -
vide 'I ra tórdi Mise giù il libro, e già si dispo-
neva ad letto, non cosi soffice come
quelli dell! Sua \ ' 'li Ki'iisiiicli'ii, ninni
ito udì delli pedate furtive nei cor
i , i imera I a i mto di pò la
porta si apri, ed entrò un uomo alto, ili
bellezza. Egli s'inchinò cortesemente e disse In
buon in-1'
li slgnoi Bradshaw, suppoi
i banchiere fu troppo terrorizzato per rispon
_H presola ibertà «li venire da voi, per par-
colo affare Posso sedermi '
— i za aspettare il permesso sedette sul tetto
ffocato, -i lasci lei
sull dia.
ntemente dall Inghilterra, credo?
Bradshaw tr u i \ i disse la pri
h. gli passò pel capo
- i he i oli >■■ da me 'Noi pi o badar "a
sto bene
iiiiiii \'"i arrivasti 1 1 mos Mres
Mi ma quello che devo dirvi non
Innie di 1 itti
, i,. : i quelle 850 mila sterline ?
■ •
— i
qui. ma il \ ' pare lo abbiate vati
i , tirvi molto triste, La
in uni storia
Va, o 'li sentirle
— \ li affari
i,, li;,, nsultan i dipendono da essa,
i . .
delle fate, un gii ac
ii un delitto ' he > ave> a coi isso i u
i" «li spirito -■ ne
risi un Vndò nel i love visse quindici anni.
na, egli detesta il < Ile e li
mali de\ e \ \\ 'i ■■ e i uole i Itoi nai e in In hil
iena, dove unii i" odiano Quello che farà quivi
lo [gii i egli i rede di poter voltare una nu
. ie nella bua \ ■ oi i ri
i ita tranquilla In i ampagna i orse lo voi reb
non si sa . a buon i onto qu
i , m, pei [ili l'ili' i anni, \ ol doman
' -.i naturalissima, come egli uon Bi
pratico, non lo riduca In atto. Ed io risi... min.
egli non può . il
i ha denari i i della gente i he
in tanto denaro da non sapei i he fai ne i d
ni' ha.
_ (.in -u i, voi, e perchè mi raccontate tutto
i uan ite, se non mi i lo farò
\,,. i |i,,i. te far nienti ' disse lo
olerò estraendo una rivoltella i ome stavo di
i ,ii.i. n i. quel giovane, i he dopo tutto n in i at
rivo " setto, I. . blsog li abbandonare la tua
\ ita poco '■' Lstian i e tabilirsi in Inghlltei ra In-
tunto egi ii è 'stato pi ro P are I
i,,i luna, ha formato una certa Società, Il •
, di accumulare denaro con mezz sti o Infami
essa è forse la più potent ganizzazione ili que
enere i he su. nel mondo, « ira, sentite con
, ni,, attenzione quanto vi dirò Notizie da I i ndra,
\ te alla Società 11 cui servizio di informazioni,
i irvi, è soi prendente i he
imi ,., to banchiere molto noto si omp irvi con
■ ,11,111,11 lire i a sua dimora, benché egli suppon
che nessuno lo sapesse, Buenos Ures, torri'
in quel porto, fu spiato continuamente. Fui
i; in due attentati pi r procurarsi U suo dei in
Per un incidente essi tallii Si pettando qual
che cosa sulla sua sorte, egli andò a Valparaiso e
prese una. casa in calle de San Pedi o Le spie della
Società seguirono i suoi movimenti con attenzi
miri i ni Ite piombarono sull'infelice. \ i la
sci" immaginare quale ne fu il risultato.
Bradshaw non proferì pan, la Pareva paraliz-
zato. . . .
— ora. sentite, i sono .li quegli uomini che
derubano un altro senza lasciargli la via
a \\.'i.' avuta una lupina occasioni l'ave*
■ , , lata -.appaiv. ora l'ho lo e voglio metterla a
un,, Voi non potete uscire vivo da questa i
e se vi rimarvi'!'' sanai- uni-i, sictr sorvegliai
de .a ed a sinistra, Se dubitate delle mie pai
scendili' nella via dopo pochi passi vi vedete se
, da un uomo che ha un mantello verde Siete
fra rinculili i! martello. < he ne dite '
Bradshaw gemeva debolmente, il suo visitatore
prese un mazzi di carte nella sua tasca e le gettò
sulla i.t, ., a
_ Sapete che un. 'ini., tare ! \ oglio vi ndi
miei i si in altre pai-, .ir voglio fare affai I
voi per mio proprio conto Faremo u
uadagno, prendo la quota Intiera ili .'Mi. min lin
lo , he rimane 'li essa e troverò la \ la pi i
i ,,, mene tuoi i di casa Se vìncete voi vi promi tti
.li aiutan i a si appare con essa abbiate
iir potete far altro Vveti ' Non
fate rum. a.' ' vi a sii uro i he vi uci Ido dove
i ii .. tagliate ' . .
— Non posso ' Un uso ' i he diritto avel
farmi tale richiesta i he i agione avete voi per
tradire la vostra fede ' andatevene '
_ vi i "ii. edo un minuto, e se voi non tagi
vi giuro che v i brucio I i < ella
— Noti avete pietà ' _ . '
_ affatto i agliate ' Benel Guardate Ri gina ''(
i miri ' ,
— vvete fortuna ' i b mia carta dovrà \ In ere la
vi stra I Gran G roteggeteml I Voi solo sapete
, ome e perchè io' giuoco
— Ri ili spade '
— Ti ni". Mi Hi adshaw, .1 a\ en i vinto pei
, unto Se a-, , pei duto mi sarei ucciso pi Ima
della mattina Cosi il danaro •• mio - i he
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Quattro anni fra i Birmani
• ■ le t nini limit rofe, - i
■ li Leonardo Foa, ili da 195
ti.' e 'I i 3 tal top 'grafiche.
eleg. voi. In 8" di pag. 570,
L- '■'■ ' > per . . . L. 4 -
La Corea e la guerra > ino-
Giap ioi li E W. Hesse-
Wartego Tra li tt.i da Otto
n>- i reLt ri con 37 silografie
nel testo. 2 :;iv. a colori e la
caria della Corca e del tea-
tro della guerra, eleg. voi.
in-s» . pagine 278 . !.. 6.50
pei- L. 2 50
I bisogni della vita e gli e
le enl i della pri sparita del
doti Giulio Rengade. gr. v.
in-8 . pag. 728 con moli ■ ili.
L 7 per L. 3.50
Ciò che le signore dovreb-
bero sapore, pregiudizi e
precetti Igienici riguardanti
la 'vita fisiologica della
'lamia q la prima età dei
bambino del dottor Romo-
lo Polacco, eleg. voi. in-lt!°
pag. 210 con illustr. L. 2.:,(i
per L. 1.50
Manuale dei nuovi medica-
menti più usati in medicina
e in farmacia del dotti Lo-
dovico Zambelletti. grosso
voi. in li!', pag. 1 us, L. ll.òo
pei L. 3.-
La craniotomia nell'epiles-
sia traumatica ilei dottor
Guido Sembianti, voi. in-s'
pàg. 156 lon ligure. !.. 4.50
per L. I.5B
Antonio Rosmini quaranta
proposizioni attribuite adì
■ M te-ti originali completi
dell atti. ire e e in altri dello
s osso elie ne compiono il
«li Lorenzo
Moh. I angelo riìlli a, Inter, v.
in-8°,p.582,L.8.ì iper I.. 2.50
Nuova Antologia italiana ail
uso delle scuole pratiche •
-i" ali 'li agricoltura ■■ de
gli istitati tecnici compila) i
dai doti. Giulio Capone. 2
voi. in 'o co ; piess. pag 't i
L. <; per L 2.-
Oizionario dei Sinonimi nuo-
leUn lingua italiana 'ti
Niccolò Tommaseo, grosso
voi. in-8 , pagine ns5. L. 1
per L. B.-
Carlo Goldoni teatro
di ili da Giacomo Mante-
qazza. ^v. v. in-4", pag. 174.
L. io per .... L 5
Storia dell'abitazione uma-
na dai tempi preistorici Ini"
ai nostri giorni, testo e dise
gni ili Viollel-I.c line. gr. v.
in 8°, |'. 316, I.. 1 pei' L. 1.50
Geometria descrittiva (le-
zioni 'li' 'li Ferdinando ft-
schieri. gr. voi. in 8 . pag.
■192. con Iso incisioni. !.. 8.50
per L. 4.-
Oei remoti fattori della po-
tenza economica di Firen-
ze ne. Meli" Evo del dottor
Giuseppe Tomolo voi. in s'
pi:. 820. I.. 1 p.r . !.. 1.50
La Viticoltura dei tempi 'li
disto secondo L. '■. M. Co
Iuniella comparata alla viti-
coltura razionale moderna
del ilott. Raffaello Serna-
"ii ito voi. in s , pag. ''0
L. 3.50 per. . . . L. 1.50
Elasticità la teoria dell') nei
suoi principi fondamentali e
nelle sue applicazioni prati
che alle costruzioni per Fran-
cesco erotti, voi. in-8, p
208 con 2ti !ì_- I. .". ]icr L. 2 —
Topografia moderna tratta-
to teorico pratico 'li dell ing.
Agostino Tacchini, g. "I.
in-s-1 ]iaj-. 701; 1 on L92 ligure
molte tavole numeriche 1.. 16
per L. 8. -
Le abitazioni architettura
pratica alberghi, case ope-
raie, fabbriche rurali, case
civili, palazzi e ville, per
l'iog. Archimede Sacchi. 2
g. voi. in-s p. 1094 corredato
da 471 fig. e H tavole I,. 'ò
per L. 15 —
Elettricità e Magnetismo ri-
so- , tegnologica Nozioni fon-
■ 11 1 al i dell' elei trotecnica
ili. ila una compendiosa 1 spo
sizione delle principali ap-
plicazioni nel l'attua' c'oro svi-
luppo di Rinaldo Ferrini g.
voi. in--° p. 536 con 1«9 fig.
L. 12 per L. 6-
Movimento dei corpi prin-
cipi! della teoria matematica
deli corso di meccanica ra-
zionale del prof. Gian Anto-
nio Maggi g. voi. in s pag.
504, L. 12 per . . L. 5 .—
I Fallimenti tratta/ione siste-
matica secondo il nuovo Co-
dice di commercio italiano
del professor Ercole Vidari.
2 voi. in-8" pag. 960 I.. 15
1 er L. 6 —
La Moratoria e il Concor-
dato preventivo dell'aw. Pro-
spero Ascoli \ot. in s° pag.
ani. L. 7.0 per . . I.. 3.
Ostetricia minore lezi
prof. Carlo Minati vi. in-s"
nag:ne 400 con 102 in -1 on
L. 8 per L. 2.50
Vita americana, ili Tullio De
Fuzzara Verdi, versiune dal-
l'inglese di Edoardo arbib,
eie . voi. in [6° pagine 29i.
!.. 3.50 per . . . . L. 1.50
L'animo ili Torquato Tasso
rispe cin.iio nei scoi scritti
Studio ili Felice Vismara ,
\"l i n - 1 . ■• pag. li; ', !.. 2,5 1
Per L. 1. -
La Rivoluzione Lombarda
del 1848 e 1849. stona 'li
Vittore Ottolini g. v. in-16"
pagi 678 I.. ,5 ' per L. 2.50
Il Petrarca e i Carraresi
studio ili Antonio Zardo .
volume tii-li'i° pag. 324, !.. 1
1 er I, I.—
Vita Contrastata. Psicologia
sociale di Alcibiade Mone-
ta, eleg. voi. in-ié' pag. 260
L. 3.50 per ... . 1. I.
Fra Paolo Sarpi. studio di
Alessandro Pascolato con
fae-simile ed appendice con-
tenente alcuni scritti inediti
del Sarpi. interess. voi. in-10
pag 240. !.. 3,50 per L. 1.25
Ues Foscolo e O Orazio
Fiacco . sttiilio critico di
Gian Martino Saragat voi.
in 16 pagine I2J , L. 1,5 '
per Cent. 60
Artisti Lombardi a Roma
nei secoli XV. XVI e XVII
studi e ricerche negli archivi
Romani di A. Bertolotti i
gr. voi. in-IG°. compi, p. 772
I.. s per L. 4.-
Genova e le due riviere Li-
gure da Vantimi! lui a '".ir
zana, guida storico-artistica
del prof. Giulio Cappi, voi.
in-16", p. oli con numerose
ine, pianta ilei Comune di
Genova col l'orto e carte gì 0
grafiche delle due riviere,
L. 8.50 per . . . . L 125
Storia tfella Rivoluzione I-
taliana del 1848 di Gar
nier-Pagès. versione di Fran-
■ sco V: aii", gr. v. in-Kl". p.
. 0 I.. 6 per . . . L. 1.50
Cronache Italiane dettate da
Mauro Macchi, voi. in
SO. I.. -'io per Crn . 75
Le contrade di Londra, sce-
ne della vii 1 inglese contem
1 ormici di Dton Boucicault
traduzione di < '>. Berri, voi.
in-10 ". p. 572. L. :l per L. I.—
I tre regni della Natura.
Zoologia. Botanica. Qeologia
e Mineralogia di Ezio Co-
lombo cu 1 molte ili. n. I t.
sto e tavole fuori testo colo-
rate. 3 voi. in-lG" di compi.
pai.-. 1632 !.. lo per L. 4 —
G. B. Niccolini. Opere com-
plete raccolte e pubblicate
da Corrado Gargiolli. - voi.
pi. p ci" I,. 1 Ì2.80
per 1. 25 —
Prati corani Giovanni. Opei e,
5 voi. iii-iii", compi, p. 1911.
le 80 per ... I.. 10.—
Nuovo Manuale dei Liquidi
di M. Lebeuf. tradotto da
' :, Uel Monto voi. in- I ! p
304, I,. :; per ... 1.. 1.50
Il Liquorista pratico, com-
pilato sui pili recenti siste
ini da Luigi Sala. elea. -. ,n
' p. 437, L. i per 1.. 3.—
Vinificazione. Iran. 00 com-
pleto per fabbricare Vini ed
Aceti di Luigi Sala. elei',
volume in-16 , pagine 285, L 5
per L. 3.—
Manuale pratico di Agri-
coltura ad uso degli allievi
agricoltori o dei proprietari,
< ipilato dal prof. O. Cas-
sella. gr. voi. ln-16°, p. 598,
!.. "' per L. 3.—
La vita campestre, studi mo-
rali ed economici di Antonio
Caccianiga . ili da .7 vi-
e-nette, voi. in-10", pag. 370,
1. 3.50 per . . . . L. I.—
Francesco Petrarca. I
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Parmense 1636) collezionato
su autografi perduti. Edito
da Flaminio Pi llegrini, voi.
111 foglio, pag. oa . tiratura in
1 "e lìssiml esemplari a L. 5
per L. 2.—
L'imitazione di Cristo di
Giovanni fiersen, attribuito
a f 011111. 1-0 da Kenipis. voi.
in le, ■ pagine 11". 1, 1.50
I er !.. I.-
Ff.hiola " la chiesa del e Ca-
tacomba del Cardinale N.
Wisemann. :i voi. 111 :;_" di
complessi^ '■ pag 1 16, !.. l.-> 1
per !.. I. -
L'Ebreo Errante di Eugenio
Suo. a voi. in 32° coir, I pag.
1785, !.. 5 por . . I.. 2.50
Carlo Porta. — Poesìe mi-
lanesi ''il alcune inedite,
voi. in-32 pae »70, con mol-
te ili.. I,. 2 |" 1 I. 1.25
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Tedesco compilato da Ma-
na Uosa I ommasi, voi. in-32"
pag. 363, elee leg. tela e oro
1, 3 per. , . I.. 1.50
PerfeltoOialoghisto.il Ita
liano-Francese voi. in-32"
p. :ìl8 dee leg. in tela e
oro I, 3 pei' . . !.. 1.26
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i u o poi terò \ la 'li i asa
Oh Dio Ora s\ lene I
ivuto essere cauto pei
i maro dalla casa, senza attrarre
i ei critta
lente una i opia della quale noi ab-
La li ii parti dal < ile pei mezzo
: 1 1 i ag lese i aa cassa di va
itimana i e arrivò sana a
-ni si accertato da un e
• orapagnia < 1 1 navigazione.
i a \ eneda che di seguire li
■ inse a farlo. Egli era pei
li, | Milli. I ,
o • he i-i Società il cui nome aveva tanto
li adshaw e <ii cui egli era membro,
in fiducia in lui. e lasciare li i w
nte i- pei le solite vie conosciute,
o per risultato d'essere preso e ac
io ai rivo i di «tini izio ae Rischio che
li >idera\ a con
ulto .i Bradshaw, quel disgraziato, era in un
non n \ enturava poteva rssere
ito mentre se si muoveva poti
era vera nte da compiangere E gli man
iì- ; i secchia ma sima :
penso a si
i > ITOLO II.
I na strana notte.
mente una settimana dopo ^rii eventi ri
ipitolo in ei edente, Mari os \ eneda e
indava lentamente lungo la banchina, diritto
■ ii • ontana della citta. La corta - i
ii piii corta da dense
privano il cielo, slava morendo. I ag
i una debole ai
rima quasi dolente ili dare
■ .. più vicino le casi e : acqua
i ime il manto della
Nelle \ ie, beni né mancassero venti
minuti alle sei, si vedi ?ente, perchè tali
i disoi dinata condizione 'li \ alparaiso in quel
idei di la notte era
diventata un'impresa non solo sniacevole, ma in
■ i ami ■ pericolosa
"■l'i"' potuto ni' mare, giudicando dalla
e dalia piega d<
he i pensiei d Veneda fossero molto imi
e lava. Evidentemente
i .i era anche che
i ento "un a\ esse ancora trovato
ii ■ ema che lo cruci ia\ ;L da \ i n
li erità era i he si trovava in une
Era tato e itato a com
ipi ni una riunione del i on
nferire ci il membi I e
potersi Lmposse: sai e del te
i\\
Mei i di macchinare il suo
i a Informa -
ii,|i issesi ato ed aveva
i aggiustò
ili indimi
i d'un uomo che si sia ri-
ci pi matui a considi \ lora appunto
uazzone
iremo se
in profonda conosi enza con
1 qu seri ni" parei i hie
d
■ da> \ ero singolare qui Lo Mai cos \ eneda .
mplesso di tali contraddizioni, che ci sa
rebbe da dubitare che i suoi amici intimi potes
in ' Dotato di tali qu
■ morali, che di rad" sono il i età
l'uomo, pareva un'ironia del destino, ch'egli non
potesse dedurne II minimo vantaggia reale i du
Odiai "ili mente ed apei tamente dal
cileni e appena tollerato dalla Colonia inglese,
mi ii>\ -a nel i ile un'esistenza cosi diversa
altre, e e era unii a la sua individualità
Per qualunque altra persona sensibile, tale vita
tata insoppoi ma larcos \ minia
ireva dei d d I illa sua esistenza
e pare; a tanto più i Idi fatto quanto più di\ en
abisso fra lui ed il prossimi I
, era una caratteristica ch'egli trattava
tutti, grandi e piccoli, allo stesso modo; non si pie
ni".
i . me egli vivesse perchè non a\ >-■■■ a pi
ii» i idrmil - ni - -un,.
peva. Si vantava di non aver mai ricevuto dei
da altri, eppure si sapeva che non aveva rei
proprie Ma benché non dovesse nii n
aveva i mpn denaro da spendere e quelli che ave-
vano avuto il privilegio di vedere il suo apparta
i". diceva :he non era poveramente
dato i mne molte altre pei sone
stato trascinato nella guerra civile del 1891, ed ora
sapeva che le prossime ventiquattrore sarebbero
state decish e per lui.
K nuli sul" pei Veneda. ina per molti altri di
sgraziati costretti a rimanere in Valparaiso qu
ii. il fatto dell'indomani sarebbe questioni
Per gnu pane dell'anno, s'era combai
lotta feroce tra le forze del dittatore B
ceda e quelle dell'opposizione. Ora doveva avei
la battaglia decisiva.
R ilmaceda ave\ a i inforzai • la guarnigioni
Valparaiso con truppe fatte venire dal sud: pò
un'armata di KOI l'I u ini. si era posto
alture sovrastanti la città, pronto a combattere
l'ultima baita-dia. Così stavano le cose la sera de
scritta ni principio di quest" capitol ne già
dissi. Mai'"- Ve la aveva preso il suo partito;
l" si poteva facilmente scorgere dal suo passo de
li tutto il sun insieme, nel sim sguard
èva un'espressione singolare di sfida, mi
attraversava la calle della Vittoria
\ metà strada, -i ai : leggere un nu
avviso appiccicato al muro S'accorse, leegenuo
i ne qualcuno l" osservava, alzò lo sguardo e «I
trovò tai eia a faccia i on un signore inglese, ri
i fra i pochi rimasti in città
Marci s Veneda tentò di voli -palle .■ di >\ i-
narsela essendo que ti un - n en imo nei
ma il veccl i lielo permise,
'i nne per le laide del soj to
— Probabilmente andiamo entrambi nella
ione, — Kli disse frettolosamente, |
tempo a Veneda di rimettersi dalla sorpresa In
questo caso, non abuso del vostro tempo, se \i
do di far strada insiemi I levo dirvi una i
— Non permetto assolutamente che mi '
in 'illesi.. I". replic i l'ali i o. col viso alti
dalia i oliera
— I ii i :i. di e tranqui
mente il suo comp i iamo pai
le, fermato perchè desidero di rendervi un
/il. so benissimo che voi mi detestate.
— Sari i m'bi — di
con irda Veneda Confesso pere che
non sento un grande ai •■ per .
— Bene il caso di discutere su qui
ora vi voglio dire è che in ni
questi, noi Inglesi dovi i ire un pò più uni
li. p. ii eri i gli uni irli alti
i" issiamo limi \ i pare ?
Il ver, ■pi" sii/non le i ui ìnten
nte benevole.
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Hill. IMI a. i III'
rdo degli
menti avuti da lui
Urli-
li'', in i brusco.
vi iin '■ che voglio
. i Iguai dante chi ?
P rd natemi, ma In
don
i -. appogi 'imi
i irdù in ra< eia LI suo compagno.
i ii dopp disse lentamente, come
troia l'Mini .ii pronun-
ziai E in ci i : i chi
Bad ite i" '"■ a qui Ilo che
tenervi come responsabile
' caute provò una specie di males-
lava ( erti episodi del passato ili Vene-
nelle sue annali circostanze non lo rassi-
iv ano punto.
ve la pi aro mio - s'affrettò a
per puro vostro intei i
Si mormora che vi tate il piede ni due staffe
he mentre \ i professate con noi > ome att l\ o
oppositore, in ete in rapporti coi pari
ni ili Balmaceda In altre parole, che voi vendete
in. ■ ; i al nosi i o nemico
imi in- ■ disse \ eneda posto che
' In' altro dicono i vostri
ani
lente, essi dicono... Ecco: se il nostro
parili., vince domani, cosa chi sembra quasi cer-
ti. '■ voi rimanete nella città, min darei cinque
sniii vite
— E pei mia mi dite voi tutte qui
desidero di mettervi in
guardia i perchi noni stante il vostro numi' spa-
■aiuolo, tutti sanilo che voi siete Inglese; e, rome
vi di di i'i". in. fare il possibile per
aiutai - 'i quesl tempi..
Il rimbombo del ut a portato dal
venti.. Nell'udirlo, I! mercante si agitava Inquiete
— i : Bea ciò?
ili a che domani si decideranno aweni
menti più importanti che la in - tra ami tzia Ecco
i una strad i .' Allora.
rio trattenuto, il
prosi ' ..'~ii .i.i.i \ erso sini-
indo (n scomp irso, \ etned i s'incamminò,
i ii. -i guad i.-'ii.i nell'a-
■ .1 ' le donne Si no stato un idii ita ad immi-
.'.. u i . i dovuto Min
prendere ch'essa mi avrebbe tradito Non importa,
il denaro • andato in Inghilterra, e se riesco a
Ma. Uni ..' ,i .• ad ai cordarmi con
in li bai
Ha 'i il In uni a avi •--•■ gualche SO-
'
i in que eh
mini senza volgere a de-
nto metri i re
a. ii.i chiusa
luto \ I .
. entrare o no
. . . dell .
lai ii erta, ed un vecchio con una
imi., fuori,
' •
Vvi il -ih me, iii.i ii in i \ e Interro-
olse alla
i ■ iamo qui qui
P losi \ / Il lui
— I:
i\ \ ii Inai i i cina nella p irte si-
nistra della corte . atti i\ er >ure trapelai a
una viva luce I lai di dentro * enh a un inorai
voci che cessò come per Incanto qu indo il
vecchio picchiò alla porta. Dopo un istante, Vene-
da era nella e binerà, si asciuf ava II
sforzava ili assuefa I suol occhi alla luce di
uni' ola ih ferro app sa alla p it
Era una |.i. . ola e intera, senza mobilio, ti unir
una tavola rustica ed una sedia o due, ■ sud
all'ultimo grad i tri uomini che Veneda sapeva
■ li trovarvi parevano aspettare il suo arrivo. SI
bbe però dubitato, a giudi, ai e dall'espres
del loro volto, se fosse utenti o seccati della
sua puntualità.
Beni li.' i. - sei o i capi della m Lstet ios i asso
rione che aveva tanto spaventato Bradshaw, essi
i u\e\ ni" nulla ili intei ess inte, una
ni" ni I l'ai.i. is Varga • losi Nunez erano
semplicemente cileni della i lasse media, ma i in
e, John Mai kiin. era un uon i dinarlo.
Fra le altre particolarità, egli era un all'ino
dal tipo imi pronunciato, col corpo più picei
la testa l'in grande i he i pc a i edere in un
sere umano . le sue bi ai • la, i ome quelle di un
babbuino, erano tanto lunghe, che le dna. quando
egli stava in piedi, potevano toccare le gambe sol
i" alle ginocchia Le guancia era lor di ri
gli occhi rossi come quelli ih un coniglio bianco,
i capelli sottilissimi, aggiungi a queste partici
ina la sua voce di uno stridulo falsetto e l'abitu-
dine, quando egli si eccitava di rar scricchio
le nocca delle dna l'una dopo l'altra, abitudine
che alle volte diventa una furberia per sconcer
tare gli altri.
Per quanto se ne diceva, la sua storia era ni. aia
di avventure e meritava di essere indagata. SI sa
peva da mi stesso che era nato a Exeter, in in
ghilterra, e che m quella ruta suo padre aveva
tenuto una scuola per i figli di piccoli mercanti.
\ dieci anni il giovane Macklin era stato ammesso
fra i ragazzi del coro nella cattedrale, ma per n
suo aspetto e per il suo carattere insopportabili
ai suoi ci mpagni, egli fu, dopo un mese, accusato
di qualche mancanza e licenziato Ignominii
mente Questa circostanza non servi che ad ina
spiare la Mia già perversa natura.
\ diciassette anni era divèlluti, scrivano di un a,\
voi ii" a Bristol e a\ e\ a 1 1 mtinuato I al \ entun
anni, dopo di che si perse la sua traccia SI i
per., ehi- per la maggioi parte 41 quel tempo -
scontasse una inaia in prigione per inule, ed i
tanto più probabile che fosse cosi, perchè sì sa
che appena riapparso nella egli s imi.
per i america
i a narrazione delle sue gesta al di là dell'Atti
ini. sarebbe interessante, non foss' altro per la sua
i ■ re a rra i trenta e i treni ttre,
esercii lite pri.fessi.ini. fra altro .niella di ter
razziere . ladri, di libri . agente di i ompa
immaginarie, figurando anche, In un oscuro mu
seo di >an Francisco, comi i uomo selvaggio
della \n"\ a i rulnea . man Landi carni uda in
una gabbia e ringhiando al pubblico dietro a
sbarre di feri o Poi emis rò nel Messico, ove
' ondUSSe una 9\ aiaala BSiSl me USUI I il
. . ie — di lotterie, diretto e di luo
. . upposto capo di una Panda di ladri Quando
il Messico i gli offri i Bi a
silo, e di la nel Cile, ove si era dato agli altari che
: i ttono a questa sti
Veneda h gu irdò uno ad uno prima di pai I
ini. si fermò più a lungo sui volto
di li albino, al .male Indirizzò 11 I i Finse
di non vedere Vai as e N z, i
Mi SSi
— Ebbi ' egli disse entrando in
sipni . ne. voi siete il pei non dir
altro A ' I tnione inaM.iell.ala ' v.
alni affari più Importanti
semina sempre che voi . • iminclò Nunez
Pi ego. la. ete disse l'albino sogghignando,
— voi f ite pi mpo ali onori \ ole signore
PILLOLE FATTORI
di CASCARA SAGRADA
l*£iClÌO£»lÌ nel
ASTRICIS
Pillole Fattori. — Nel vasto campo delle forme a fondo
dispeptico intanale queste pillole riescono provvidenziali, e possono
tarlo specialmente quanti, mercè l'uso di esse, poterono riacqui-
stare in breve l'appetito, il benessere, la regolarità delle evacuazioni.
Corriere Sanitario di Milano del 4 agosto 1901.
.
10 anni
di
continuo
successo
10 anni
di
continuo
successo
TJ£r
Scatole il i 1 '' 2 lire dai Chimici (J. Fattori & ('., Via Manforte, 16, Milano.
1 Rivenditori devono rivolgersi esclusivamente a Tranquillo Ravasio, Milano
depositario di tutte le Acque Minerali. Specialità .Medicinali, Marsala Engham o
Italia Termale, Via Dante, ti — Milano.
ili
IN SI KANA I OMPAl >N1 \
• ilglio
Ni - 'pi :i hi
il i da sbrl-
- del tumulti i potremo torse
■
il i onsiglio cominciò
di e l'albino ci
\ i sono delle lettei i Impi i
i esami] in Ecco una lettei a da i or
. come il giorno 13 maggio, i
Società
dall'Inghilterra i
i i : pei i ittà del i apo
missionai lo ( si Iscrisse per la tra-
dì Blan : Si mi per ttete
direi 'li a\ vertire i nostri agenti di
le peri he \ adano ad Ine are Mr.
,.
a massima vi ocità per occuparsi «li que-
i ir ov ati '
\ altri a-s.-r.ti ti», l'ali ) fece una an
■ 3C un'altra le
la Budapest Ci [a sapei e i he il
Giulii Kai linska lasciò Quella
u ni poi tandi ci n sé una somma equi
Li-tenente ai suoi i
redi dii ti Australia, e si è pò
ciai '. ■ a i ' Said I la in
elusa i he cosa volete fare al riguardo del si
Karlii
i il primo a dai e un - uggei ìmento
Con di comunicai e ì affai e al n
Mi Ibourm e 'li mandare suini.
ene
Chi c'è in liberta ai presente ' domandò
l'uni,. Valdoz, Shlvalofl e Maundei
se Man i i lapo : tra le donne
\i i i,i Darnée e .Inanità \ ildoi
inani: i ' Proprio quella i he che ci vuole, man
lissi \ neda
Impossibili I Ci n'è bisog mi.
li mandò un lievi di delusii
VII ora mai i Darnèe, — propose Vargas,
troverà i meglio di
altro.
i i ui >to il vostro desiderio, signori? — do-
-ni. ntp.
.il sì.
io. allora la Darnée andi I i
1
\ ened - ebbe un liei e sussulto, cosi lie\ e chi .
: Viano.
' I
Il nano «li gettò uno sguardo cari» hiac
disprezzo.
— Via, egli disse con collera, che gusta
. . t veni) ai lai mi ci edere che
. i li- i .li raccontarvi tutta la storia da capo '
Sapete benissimo quel lire.
— Suppi " .. che intendia i di quel pi
diavi d ' banchiere inglese Inseguito in
di San Pedi o
— Voi supponete! Sentite, Marcos Veneda, per-
. he \ uh te perder tempi i
— ( ome potei o pensare a che i osa allude\
\i i i ii he slamo su questo argomento, ho qual-
i dirvi, Macklin Non vi pai hi l pò
tiri.ii. dare a quel disgraziato l'opportunità di met-
imi in salvo la sua po\ era \ ita ' Da quel eh
igli è già abbastanza spaventati
— Non . ■ qui '" vostro gii i •
ri' io.
L'albino ' ■ i ua\ ano
Ba a, rido veneda " > ■ « > f ^ - 1 < > ,i
liia I ■ ' Non voglio ' -•! ila un
gì 1 1 1 1 1 >■ . ili sudii i birbanti, rumi.
Le ri >a ce: ari no e I albino ne approfittò per 1 1
ii iii.ii i- agli affari
— Domani, qualunque esito abbia 11 combatti-
mento, vi sarà annullili, imi nelle
Sarà una i a - pei i
— E i-ili doi ia i ompii i . pei a
— Dei iderà la sorte
— Ma siete voi certo che non sia fuggito, o che
la cosa n pi . ia già
tato via ?
— ("ih ' no, ii". amico mio . come voi b n sap
i casa fu . ■ -. ' lata ii imo e m .. dal un
il- egli entrò di soppiatto in i ittà No, noi
abbiamo prese tutte izioni : nessu-
no vi è Mitrai. i Non si è al
sicuro B bb er un uomo ben
pei ' ". ai inganna
Veneda res li nuovo. Vveva passato un brut-
to momento: ma si rallegrava ili non essersi tra
dito, e 'li avere nello stesso tempo saputo tutto
uni i he i derava Le domande che stava per
[are Man. solo allo scopo di al
spetto che Li suo contegno potesse aver destato.
i quando il denaro sarà ru
— Sarà diviso qui, sul posto; e quando ciascuna
avrà rice\ uto la sin paiir p e le tende,
e andare al diavolo dove .~ 1 1 piacerà»
— A quanto credete voi i he ara itera " Ri
datevi che il veccl te ha già avuta una buona
pai te per sé
— Quante altre doi intendete di fare ' Si
' - odo i nosl - duei inquemila
i i line \ i basta
— Ooasi. quasi. Ed ora. se i è ani ora qualche al-
tra osa, sbrighiaim ci Ho affari in città
confi
^-^^a&SSÉ&j"-**--
Anno
Nvav12-
•La -Lettura
Dicembre
RIVI5TÀ-ALN5ILE
DEL-rORRlLRE-
sjDElXA"5E.RA-
SUL VESUVIO
|a bionda e pallida signora americana, che
il caso per mezzo della Compagnia Cook
mi aveva posto di fronte nella vettura
allo scendere dal Vesuvio, non sapeva darsi pace di
non aver assistito ad un'eruzione in piena regola :
sporgendo la gracile persona sull'orlo slabbrato del
buio cratere ella aveva veduto salirne soltanto una
colonna di fumo grigiastro che si confondeva con
la nebbia. Ella non aveva schiuso le labbra che a
rari e freddi monosillabi durante l'ascensione, vol-
gendo attorno gli occhi stanchi e quasi indifferenti,
dapprima sulle luride vie della spiaggia, poi sui
magnifici frutteti del declivio, e più su sull'improv-
viso pittorico deserto, nero e cupo di fronte al riso
dellincantevole paesaggio. Anche l'ultima ripida sa-
lita del vertice e la visione della fumante bolgia
dantesca non le avevano strappato una parola di me-
raviglia o di commento: soltanto forse il generoso
lacryma C/iristì, bevuto ai piedi del cono terminale,
era riuscito a renderla comunicativa nella discesa.
— Il Vesuvio era quasi la mèta del nostro viag-
gio — diceva ella additando con un gesto quasi im-
percettibile il marito, allontanatosi un istante col pro-
posito di cogliere il più bel grappolo d'uva lucente
nei vigneti non inghiottiti dalla lava ; — da tre
mesi ci aggiriamo tra le meraviglie artistiche e le
rovine della vostra vecchia Europa e ne abbinino
affaticati gli occhi e la mente. Siamo giunti a Na-
poli l'altra sera. Affacciandomi al finestrino del tre-
La Lettura.
no immaginavo di vedere la vetta del vulcano ros-
seggiante come la dipingono alla nostra fantasia i
quadri e le cartoline. Un debole pennacchio di fu-
mo, imbiancato dalla luna, si profilava sul cielo.
Era già una delusione. L'idea di salire fin quasi alla
cima della montagna infuocata con la ferrovia mi
era parsa più attraente delle ascensioni in funicolare
o in cretnaillhe sui dirupi della Svizzera: ma nella
sera lunare la montagna aveva un aspetto mite e
modesto, senza alcun riflesso sanguigno. Mi atten-
devo di vedere almeno le fiamme ribollire nel fondo
del cratere: avrei creduto invece di essere sul Righi
o sul Tilatus quando la nebbia fuma dai burroni cir-
costanti. Cosicché imbarcandomi domani sera per
Nuova Vork dovrei ricordare della gita soltanto le
noie e le cattive impressioni: per esempio, hi vista
degli accattoni lungo la via, più numerosi e impor-
tuni di quel che non lo dica il Baedecker. Avete ve-
duto stamane come stavano appostati ad ogni svolto,
ad ogni angolo per attendere ad una ad una le car-
rozze al varco e inseguirle protendendo i moncherini
nudi? Alcuni perfino si strisciavano carponi ((nasi
tra le zampe <lei cavalli, che debbono probabilmente
convincerli. E dopo gli infermi erano i monelli
strillanti che volevano una moneta di rame per un
mezzo miglio di capriole o una frotta di suonatori
che chiedevano una moneta d'argento per un mezzi p
miglia di canzonette. Forse agli Inglesi gli accat-
toni sembrano una nota caratteristica del paesaggio:
67
io58
LA LETTURA
ni t.iiin
Pei fottuti le impressioni so
; sor] resa ni 1 con
. teneri, luridi i fichi del Vesuvio «In-
ni Ài sch secchi
ni inuava la sigm ira i on
Li loquacità inglo-sas
transatlantici, cosi diversi dai i"i" cugini d'ol
- mpleta. 1 1
rasto i ra la montagna desi ilata e
omparabilmen
te bello I ■ pendici so rte di i rutteti come
una u-rr.i promessa; vedete come i grappoli i
■ pii-m, lucenti. Ma ad "uni tratto le nere colate
• li lava si insinu. inn nelle piccole vaili come un si
■ -il maled più su si apre l'immensa di-
- 1 brulla, come un mare in tempesta pietrificato.
che mi ha ricordato le più desolate regioni nere
della mia Pennsylvania. Sol che qui levando lo
1 ivete innanzi il meraviglioso spettacolo del-
la lontana imi ita sulle colline, cur-
va intorno al man-, coronata da lungi da monta
e da isole E' un piacere nuovo e stranq l'ammirare
un belliss o Borente, da una landa
rile: rome dire che - come l'innestare la poesia più
dolce ad una tragedia. Vi ho | orlato dei suonatori
ambulanti come 'li accattoni importuni: ma la mu-
riella loro piccola orchestra era deliziosa in mez
I verde e al profumo dei poggi al limitare della
zona de\ i lassù al ristorante della Funico-
lare, si faceva colazione, uno sciancato che
o sul piazzale cantò con una voce
llante di tenore. Era una canzone napoletana
he per noi (pur troppo, a\ rei
voluto interrompere, lo sanno gli italiani che hanno
udito miagolare l'eterno Funicoli, Funicolo ila una
e), ma io dimenticavo lo sciancato per
ire soltanto la dolcezza della su i voce e imagi-
navo per ogni paróla delle canzoni un signifii
nelle
le mi davano l'idea dell i i sale e trionfa
.■nelle dove regna la desolazione. Voi avreste ere
duto ehi- soliamo 1 Ila ripidissima lei
bbe d< '\ UtO danni una simile impri
E' vero: i noi sappiamo cogliere le forme
; che ] no la vostra i antasia. I '.< -
mi sono fermai.' anch'io sorpresa e pensierosa in-
. ■ i i ; i sboo ial i tra due bloc-
la lava o n li figure biz-
<•■ 'in ■ irsioni mi ha
abbattul i con le radici all'aria.
bili alla bellezza i alli suf
nelle: salendo or ora attraversò la nebbia
' ■ rno dia vetta, mi
ne di un ;
ulla distruzione di Pompei.
' ':
■ >• i una fi Iella pianura e del m
re 1. intano. | ,a nel ' ma dal ci n
Idi e dal IpOti di z
dete voi che io abbia prestato attenzione alle
parole sconnesse e incomprensibili delle guide o al
cicali mopolitO dei li di viaggio.-
avo allo strano piacere di visitare per diporto
quel luogo di morte e di distruzione, pronta ancora
a seppellire le nuove i"i I arte e di vita rifiorite
LOÌ piedi sulle antiche rovine, e ricordavo la sor-
ie di quei miei compatriotti che una trentina d'anni
■■ i" • ii biotti re dal mostro.
E la Inonda signora avrebbe continuato se ad un
nano lo scalpitio i ra aroso dei cavalli sul las
catodi l'urtici l'on avesse coperto la sua voce.
Ella sarebbe rimasta più soddisfatta della sua
a se il marito taciturno e mingherlino losse stato
più sollecito nel condurla in giro per l'Europa. Cin-
que "sei anni la. incontrandola sul Vesuvio, l'avrei
avuta a gentile compagna di un'escursione più av-
venturosa e più rispondente alle sue segrete aspira-
zioni. Ma allora non avevo trovato sul mio cammino
ini i ispettabile cop se: la matrona co-
ii-v.i dovuto terni. irsi a mezza via pei
gli asinelli, sulla cui groppa bisognava trave
i campi di lava che avevano distrutta la strada, pie
gavano sotto il suo peso. In compenso, curvo sopra
un torrente di lava, mi era apparso un curioso tipo
di vulcanologo, dal largo cappello nero di paglia,
con un grosso strato di polvere rossastra sull'abito
professorale, con le scarpe semiarse. Aveva il viso
abbrustolito dai riflessi torridi della lava che Si
deva lenta, flessuosa, traditrice, ricoperta da una sol
lile crosta solida, con un sordo e continuo crepitìo
di bollicine. Era l'abate Mercalli, fido discepolo del-
lo Stoppani. che da parecchio tempo si aggirava co-
me un innamorato sulla montagna per sorp
i misteri. La montagna attraversava wii pitton
periodo di convulsioni': a sera la folla si radunava
sulla spiaggia di Mergellina per contemplare la vet.
i.i elie pareva ardere come un vastissimo bracete.
Da una larga fessura squarciata nel fianco quasi
perpendicolare della cima fluiva tuia lar^a con
di magma, incolore di giorno, incandescente di i
le. che si rompeva in mille rigagnoli aprendosi a
ritaglio sull'ampia pendice boscosa rivolta ad oc
ne. di fronte a Napoli. In pi nane sul
del torrente principale si era formata una
ri i mostruosa, dai riflessi di rame, tempestata di
macchie gialle: pareva un mucchio secolare di de
di una immensa fonderia.. 11 vulcano accompa-
opera di distruzione con un concerto
di l'oiii intermittenti: l'apertura del fianco non
Priva mi" sfogo bastevole alle ribellioni interne. Il
i iti re. che allora aveva un diametro di circa due-
llici ri. ribolliva come una caldaia. L'abate vul-
cani 'I' 'U". che salendo sulla vetta si era chinalo ogni
'ano .id ascoltare il brontolìo sotterraneo attraverso
gli spiragli delle minuscole solfatare ed a raccoglie-
re con sollecitudine ciottoli d'ogni latta, si era tra-
i.to innanzi al grandioso spettacolo. Ad inter-
valli regolari la cplonna full di vapore ac-
queo che erompeva dal (ondo dell'imbuto si s<|uar-
SUL VESUVIO
io5o.
dava rotta da lingue immani ili fuoco: con fragore
assoldante, pauroso, una massa cupa roteante 3
tava in alto tra le fiamme, scompariva nella nube
sovrastante a qualche centinaio di metri: dopo po-
chi istanti una grandinata di pietre come una sca-
rica accelerata di fucileria crepitava sulle pareti e
sull'orlo del cratere. Un pacifico mercante milanese
che cedendo alle insistenze della guida aveva osato
avventurarsi fin lassù, al primo indizio di imminente
colare, egli scomparve giù pel ripidissimo declivio
in mezzo a una nube di polvere nera come il car-
bone.
11 «formidabil monte « mi è apparso lo scorso
mese in un periodo meno imponente, tra la nebbia
fredda e capricciosa sbattuta dal vento e dilla bu-
Conopidio di vita esplosione centrale con vapori bianchi emessi da un crepaccio
Fotoaraftti presa il 13 maggio 1000 dal prof. II. V. Matteucci.
eruzione se l'era data a gambe, sprofondando nel
terreno polveroso, con una serie di eloquenti interie-
zioni dialettali. La profonda bocca che vomitava
fiamme e pietre si inabissava nella parte settentrio-
nale del cratere, le cui pareti ivi scendevano quasi
a picco: a mezzogiorno il cratere aveva un aspetto
meno terribile, poiché a pochi metri al disotto del-
l'orlo si stendeva per un largo tratto una conca ac-
cidentata che affascinava l'imperterrito abate. Ma
ad ogni nuova eruzione la pioggia si faceva più fit-
ta : bisognava rivolgere il naso all'insù. per evitare
con rapide mosse della persona i proiettili più mi-
nacciosi, e la ginnastica non era né piacevole, he ras-
sicurante. Un sacrificio alla scienza non sarebbe sta-
to molto utile, e forse soltanto per questa considera-
zione il vulcanologo si decise ad allontanarsi, dopo
aver dato un ultimo sguardo al cratere ribollente che
sapeva destinato ad una metamorfosi. Ma invece dì
assidersi comodamente nel carrozzone della Funi-
fera come se il Vesuvio fosse sorto in mezzo alle Al-
pi e tra il fumo asfissiante. Ma fu non piccola sor-
presa il trovarlo dopo alcuni anni ingrandito. Sul
piano del vecchio cratere si è formato un cono alto
e sottile: il nuovo cratere, assai più piccolo dell'an-
tico, ha la forma di un imbuto quasi regolare:
l'orlo ne sembra quasi più fragile e malsicuro. Vi
si ascende per un sentiero incerto, diagonale, calcan-
do profondamente nella polvere densa, instabile, af-
faticante come la neve farinosa nelle salite alpe-
stri, ambo le piote, secondo il ricordo dantesco evo-
cato da un dotto giudice tedesco che mi precedeva,
serio e composto come se avesse dovuto pronunciare
una sentenza.
E1 da un paio d'anni che la montagna si è innal-
zata di un'ottantina di metri. La sua cima, del resto,
è di frequente soggetta ai capricci delle forze endo-
gene. Essa era crollata nel 1891. scomparendo negli
abissi interni: la bocca aveva la profondità ili due
Il 1(111
LA LETTURA
li .mni Bue-cessivi il bacino termi-
■ j et la lenta attività vulcani-
il tetto camino in un ai
lo, \ lo eruttivo dei [895-1896 che con
il 1 j;raii tratto 'li uberti se cam
andi 1 lo 1 Isa rvatorio, il ba-
sprofondò nuovamente pei :
più tarili ili materiali detritici in
Ira fotografia presa dai ;//<</ Matteucci il 13 maggio 1900
remi. Ir.igili. E' al carattere ili simili materiali che
■ delle mi crateriche al
■ ri 1. < 'un 1. . ì aii
pò, il vuli lo scompiglio
ila cranica : le
frani- improvvise precipitano ad ingombrai
■•■ il respiro nomo
l'importuno mate
riale. I ■ scompiglio diventa maggiore, le tram- pia
e pei poco che il vulcano si mostri osti-
noli \ più un pezzo 'li scoria craterica che
rimanga tranquilla al suo posto, li Vesuvio tra-.
un perìodo ài grande attività esplosiva nella prima-
vera del iyoo. si acquetò durante l'estate, e infuriò
nuovamente nell'autunno. [1 cratei innalzato
iungendo i 1300 metri, mentre nell'interno di
esso si era formato un con
'■mi; ivo che ai primi di dicem-
bre !o sorpassava ili una qua-
rantina i'i in. -tri. il conetto si
ìi isciato .il cessare del pe-
riodo attivo, ma la nuova cu-
pola troneggia aurora sul pia-
mi del vecchio cratere.
Gli interessanti fenomeni
del iyoo sono stati osservati
da vicino con cura dal profes
sor R. V*. Matteuo 1 che ne
ha fatto l'oggetto ili una tri-
tissima monografia. Egl
a caro prezzo l'amore per la
scienza. L'attività era incomin-
ciata agli ultimi di aprile. I
massi infuocati sempre più fit-
ti e unissi cadevano ancora
più lontani dal cratere. La ca-
setta delle guide, umile e lu-
rida come una capanna alpe-
stre, ne rimaneva schiacciala:
i meccanismi nella stazione su-
periore della Funicolare era-
no ridotti a frantumi: pietre
ardenti piombavano sul per
corso della ferrovia minaccian-
do di incendiarne il legname
protetto dall'- pompe: massi e-
normi rotolavano fino ai piedi
del gran cono II Matteucci vi
sali quando il vulcano parve
acquietarsi e si trattenne per
tre giorni sul piano delle Fu-
marole, pi asetta delle
guide che è a meno ili trecento
metri in distanza orizzontale
dall'asse vulcanico, spingendo-
si ogni tanto fino all'orlo del
cratere per osservale e studiare
le misteriose gesta che vi si
compievano La conca, allora
profonda circa ottanti metri.
era un ammasso di ruttami at
traverso i quali si sprigionava-
no! vapori, di una temperatura
ci si alta che le pareti scoscese interne anche pressi
l'orlo apparivano incandescenti in pieno sole. Un ni
more sordo come di una gigantesca fucina alimenta*
im poderoso mantice erompeva dalla conca, r
to di quando in quando da cupe detonazioni profon-
oropagnate da leggeri tremori del suolo e se-
guiti da più forti sbuffate di vapori acidissimi, spe
'■i almente di anidride solforosa. La mattina del 13 il
SUL VESUVIO
lOÓl
Matteucci si trovava sull'orlo della voragine intento
a costruire un pilastro di scorie per potere dall'alto
prendere con la macchina fotografica una veduta
panoramica del cratere. In quel momento il fondo
del recinto fu turbato da moti sussultori: le pulsa-
zioni sempre più affrettate annunciavano un nuovo
attacco febbrile del mostro. Furono dapprima leg-
geri sbuffi di sabbia, poi getti di lapilli e slanci di
scorie e di grandi blocchi. Immensi globi di fumo
«,-•
Sui. Vesuvio. [Da una vecchia stampa
nero balzavano impetuosi dall'abisso, roteando e
snodandosi nell'atmosfera con superbe volute: da
quelle nubi piovevano con orrendo fracasso i bolidi
infuocati. Il Matteucci regalò ai globi maestosi il
termine classico di conopidio, che è la veste greca
dell'umile cavolfiore, per la strana rassomiglianza
che la nube, risolvendosi in mille globi di fumo ro-
teante, presenta col modesto decoro degli orti subur-
bani. Il battesimo di un tal nome è stato conferito
dagli abitanti di Santorino agli sbuffi di quel vul-
cano: il nome non vanta origini antiche come il
pino pliniano, la cui forma caratteristica è determi-
nata da condizioni speciali dell'atmosfera. Le più
grandi esplosioni si succedevano a brevi intervalli.
Il materiale del cratere precipitava nella gola vul-
canica, e la marea esotica ricompariva poco dopo
quasi fusa in un sol pezzo, lanciata a vertiginosa al-
tezza. I blocchi più voluminosi ricadono nel cratere
o sono scagliati contro le pareti : altri più piccoli e
più numerosi, uscendo dalla densa massa fumosa, si
disperdono sibilando con ampie parabole. Intanto
dalle fiamme del cratere si sprigionano effimeri va-
pori bianchi d'idrogeno che assumevano la forma
di giganteschi anelli. All'annunzio di un'esplosione
più violenta delle altre, il Matteucci e le sue guidi
si diedero alla fuga : ma non avevano fatto una
ventina di metri che un terribile fragore li stordiva
mentre i bolidi piovevano da ogni parte. A stento
poterono evitare colpi mortali, ma le ferite e le bru-
ciature costrinsero poi il Matteucci a tenere il letto
per lunghi mesi. Anche la macchina fotografica era
rimasta vittima dell'esplosione: il Matteucci non
potè salvare che poche negative, ed alla sua cortesia
debbo il permesso di riprodurre le due migliori.
Nelle ore di scolta sul margine del cratere, l'ar-
dito professore osservò con cura speciale il fenome-
no strano delle bombe esplodenti. Sono blocchi di
grandezze svariatissime, che possono avere il peso
di parecchie tonnellate o di pochi grammi, di so-
stanze eterogenee, dalla superficie bollosa. Proven-
gono dalle viscere profonde del vulcano: la massa
pastosa che li forma trascina seco una grande quan-
tità di vapori ad una temperatura elevatissima. La
massa viene proiettata in alto con un rapido moto
rotatorio che imprime ai gas chiusi nell' inter-
no, già soggetti ad una forte tensione, un vio-
lento movimento centrifugo. Gli aeriformi, dilatan-
dosi d'improvviso per l'azione combinata della du-
plice forza, fanno scoppiare il blocco durante la sua
traiettoria, e i frantumi ricadono al suolo in ogni
direzione: taluni di essi dopo la caduta si rigonfia-
no ancora senza scoppiare, per i vapori rimastivi.
Il Matteucci potè vedere le bombe scoppiare a cen-
tinaia come granate artificiali intorno al conopidio.
Le più eleganti erano quelle che esplodevano du-
rante l'ascesa: allora i frantumi prima di ricadere
salivano ancora per un tratto a forma di cono rove-
sciato, con una corona di vapori bianchi. Il blocco
solido più grosso caduto ai piedi della vetta a quel-
l'epoca misurava dodici metri cubi e pesava trenta
ti nnellate: dopo quattro giorni il masso, che al mo-
mento dell'eruzione aveva la superficie pastosa, era
ancora ardente.
I boschi secolari di castagni che coronano con una
gradevole nota alpestre la zona inferiore della uber-
tosa flora meridionale, si spingevano un tempo fino
alle estreme balze, se è vero che prima dell'eruzio-
ne pompeiana le pendici del Somma — dal cui
seno doveva poi estollersi gigantesco il cono del
Vesuvio — erano tempestate di ville. A tratti a
tratti si delinea ancora la strada lastricata per cui
salivano le lettighe dei nobili romani. Lucnllo si a-
dagiava mollemente negli ozi della sua villa son-
tuosa alla punta estrema della bella Partenope. alla
cadenza delle onde: i suoi amici preferivano l'aria
pura e lo spettacolo incantevole dei verdi poggi del-
la montagna. Perfino gli ultimi Goti, che si erano
ridotti a cercar rifugio lassù, dovettero trovar dolce
la morte in quel sorriso di natura : le vittime della
MÌ,
Sri Vesuvio Da una vecchia stampa).
litOJ
LA LETTURA
©Ite sui campi più unii
molo 'ti lava, e talvolta gli * avi
illa luce le i a
può seminai la di le e la
lava larghe più >li un chilomi
IVI I I 11 U M 0\ V I ! luti i \ iv ELEI imi v
o ancora tra i boschi e i vigneti fino alle
prop; ggini. fino ai villani che si riteneva
no fuor d'ogni pericolo. Correnti nuove si sono so-
■■ alk- antiche, distruggendo campagne ri
vallette amene. E le rovine < l»-l l<-
romane si sciolgono dai loro
\>-li secolari all'estremo lembo del leclivio stanno ad
ammonire della perenne minaccia che grava sulla
Che importa La natura è così bella che un
lei suo ri s< ■ sembra aleggiare sulla stessa
ia e brulla. L'incomparabile panorama
dell'ampio golfo, innanzi .1 rocciosa
("apri, è un gaudio pei gli occhi, e lo spirito imi
che dal mistero delle forze distruggitrici si lascia
dall'incantesimo del luogo. La natui
sa. del resto. offre l'esempio 'li una serenità fecon-
da, poiché su^li strati di lava antica essa rifiorisce
•spera nelle sue fon,
belle.
Aleune curiose vecchie si
dipingono con eloquenza
le difficoltà 'li l'n asoinsione
del Vesuvio nella prima metà
del secolo scorso. (Ili escursio-
nisti sono armati di 1
l'astimi come per la più ardua
ascensione alpina, e li p.
grosse 'lime della compagnia
piombano ugni tanto come 1».
lidi sugli infelici cavalieri che
ino di sorreggerle. L ini
presa semi ira meno difficile
nella discesa ; le giovani cop-
pie si lasciami scivolare gaia-
mente sul pendìo pericoloso.
Era inevitabile che fosse la-
scialo agli stranieri il compito
di rendere agevole una vielle
più belle e caratteristiche gi-
lè italiane ; ma gì' inglesi si
sono impossessati del Vesuvio.
i napoletani si sono acconten.
tati di creare i4 Funicoli. Fr-
vicolo.
La Funicolare si slancia con
una linea arditissima sul gran
cono terminale, per una lun-
ghezza di 820 metri, con una
pendenza che raggiunge perfi-
no il 63 o/o. Le due stazioni
brillano come due punti bian-
cheggianti sullo sfonil.i nero
della montagna. La linea ì
stata costruita sul pendìo 1 h •
sembra meno soggetto alle ire
del vulcano, ma le ultime erti
zioni non la risparmiarono.
Fino alla sta/ione inferiore,
che è a 23 chilometri da Na-
poli e a 789 metri di altitudi-
ne, si ascende in comode car-
rozze per la via che ser]
tra ville e vigneti e più su
tra i boschi sulle falde ilei monte, e che attraversa
poi diagonalmente il gran rampo ili lava. L'ultimo
tratto appartiene alla Compagnia inglese che ! ha
dovuta pili volte ricostrurre ad ogni nuova colata di
lava. Per la visita di Guglielmo II la strada car-
rozzabile, che era scomparsa sotto una recente eru-
zione, dovette essere improvvisata in un giorno con
quanti operai si poterono trovare. Nei periodi di in-
terruzione le comitive compiono l'ultima parte del-
l'ascensione lino alla Funicolare pittorescar»
cavallo, contemplando dalla groppa le ginestre ispi-
ratrici di Leopardi che macchiano di giallo la nera
SUL MISI VKi
Kit).;
distesa. Il pian delle ginestre forma quasi un'oasi
nel deserto della lava, al lembo inferiore.
La salita con le vetture richiede quattr'ore cosic-
ché per la gita occorre un'intera giornata. Fra pochi
mesi in men di due ore da Napoli si potrà toccare
la vetta, e scenderne ancor più sollecitamente, con
la nuova ferrovia elettrica che si sta costruendo.
La linea traverserà i ridenti Comuni vesuviani, e sul
dolce pendìo tra viti, olivi ed agrumeti guadagnerà,
a trazione aerea, la costa più erta. Ivi per un chilo-
metro e mezzo le carrozze saranno spinte da una lo-
comotiva elettrica sopra una linea a dentiera, per
traversare poi rapidamente il tratto leggermente in-
clinato che va dall'Eremo alla stazione inferiore
della Funicolare, alla quale anche sarà applicato
il sistema di trazione elettrica dell'inventore Strub,
con cui si sta per dare la scalata alla Jungfrau e
ad altri giganti alpini. In complesso la nuova linea
di montagna dalle ultime case di Resina in su mi-
surerà circa otto chilometri : la parte superiore, ne!
campo di lava, è già quasi condotta a termine, e i
lavori sono ora incominciati in altri punti. Già ora
si organizzano talvolta gite notturne, che special-
mente nei periodi di attività vulcanica riescono ol-
tremodo pittoresche: con la nuova ferrovia le gite
diverranno assai più facili e frequenti, e certo una
delle più belle attrattive sarà lo spettacolo dell'au-
rora o del tramonto goduto dalla vetta tra una corsa
e l'altra.
Ma con la nuova ferrovia il Vesuvio sembra dive-
nire ancora di più la proprietà particolare di una
Compagnia estera: il che non può essere troppo lu-
singhiero per gli italiani, benché gli stranieri si sia-
no installati sulle falde del monte con la miglior
grazia. Mentre il corteo delle carrozze coi visitatori
cosmopoliti saliva l'erta, vedevamo la gente del con-
tado — che abita i cascinali e le fattorie, conten-
dendo palmo a palmo il terreno alle lave — accor-
rere, inchinarsi con saluti festosi e prodigare il ti-
tolo di « Eccellenza » a una elegante signora che.
con un leggero accento straniero, rispondeva loro
in pretto napoletano.
Una contadinella. che per pochi soldi offriva
in un canestro sorretto sul capoi più bei frutti della
regione, interrogata chi fosse la dama a cui si ren-
devano tanti omaggi, disse semplicemente: «E' la
regina del Vesuvio ! ». E pare che il titolo sia stato
confermato alla signora Faerbir, che col marito rap-
presenta sul Vesuvio la Compagnia inglese, anche
da visitatori principesi hi.
Il Governo italiano, che ha ceduto così facilmente
lo scettro di quella incantevole regione, vi si è riser-
vato due istituzioni proprie: l'Osservatorio e le
guide.
L'Osservatorio è un bell'edilizio di stile classico
che si erge a 676 metri d'altitudine, sulla groppa
che si protende dal piede del cono verso Napoli e
divide in due braccia il torrente «li lava che sgorga
nei periodi eruttivi dai fianchi del cono. L'edifici.,
con la sua torricella quadrata spicca tra i castagni
sul poggio come una villa del cinquecento, accanto
ad una .idee bianca eretta pochi anni or sono dai
cattolici napoletani i quali non ebbero l'ardire di
farla sorgere sulla vetta stessa del monte. Una i-
scrizione latina s..pra il maestoso peristilio avverti- 1
passanti che l'Osservatorio è dovuto alla munificen-
za, di Ferdinando li di Borbone, il quale nel 1854
lo affidò alla direzione del celebre scienziato Mace-
donio Melloni. Era stato fondato con buoni inten-
dimenti scientifici, ma, strano a dirsi, il mutamento
di govèrno non gli portò grande fortuna. A poco a
poco quella che doveva essere una preziosa vedetta
vulcanica si trasformò in una comune stazione di
meteorologia. Il Palmieri lo diresse per lunghi anni,
restandovi coraggiosamente anche nei periodi delle
più gravi eruzioni, lo fornì di parecchi strumenti
che resero celebre il suo nome, vi fece importanti
scoperte; ma la scarsità dei mezzi gli impedì di da-
re all'Osservatorio quell'incremento che era lecito
attendere. Dal giorno della sua morte, avvenuta or
sono più di sei anni. l'Osservatorio venne lasciato
nel più completo abbandonò, alla cura di uri sem-
plice custode che attende al lavoro del suo orticello.
Ledi Azio è chiuso ermeticamente, ed è un bene per-
rhè i forestieri potrebbero meravigliarsi di vedere in
quale stato sono ridotte le raccolte e gli strumenti
scientifici, resi, a quanto si dice, insensibili anche
alle scosse più forti del vulcano.
Alcuni mesi or sono la stampa napoletana, all'ini
zio dei lavori della nuova ferrovia, intraprese una
vivace campagna chiedendo il ripristino dell'Osser-
vatorio. Il Governo parve scuotersi e bandì il con-
corso per il posto di direttore dell'Osservatorio, sot-
traendolo alla dipendenza della cattedra di fisica
terrestre dell'Università di Napoli. Ma l'esito del
concorso si fa attendere. \"è basterà che il Governi
FORI ST1ERI SUL CRATERI PR1 SSC LA CASETTA DI LI I. GÌ IDI
incorrenti I" scienziato più degno, per
idi e le sue attitudini spedali, di occupare
l'alti be gli offra il modo di non
nziali stranie)
ire il Ve-
sue » ende Btorii he e pei le sur condi-
li vulcano che maggiormente in-
fu definito un vulcano da la-
peri' Italia se non
si provvedesse .1 rinnuv.irc con sollecitudine la sup.
pelle itifica dell'Osservatorio, adattandolo
! • mporta se il portone del-
ia chiuso ieri, anche quando
si soffermeranno a fai colazione nel gran-
mp aia Cook sta costruen-
1 Jl'Osservatorio: gli strumenti
non debbono essere ] ravveduti per la curiosità pro-
fana: l'importante si ;• che non si attenda, per ini-
iin.i serie di feconde osservazioni, il soccorso
di qualche mecenate inglese 0 americano. Il Vesti-
uà troppo poco italiano.
Con la nuova ferrovia, che in poco più ili un'ora
e mezzo porterà «la Napoli al cratere, dovrebbe riu-
facile lo stabilire un porto avanzato di osserva
■ ulla cima del gran cono. La stazione
irebbe non soltanto per osservare più da vicino
il vulcano, ma anche per tener d'occhio le famigi ra
uide che ora sono le sole rappresentanti dell'I-
talia sulla vetta. Ove finisce la giurisdizione della
Funicolare inglese, incomincia il regno delle guide.
LA LETTURA
Pei una disposizione del Governo nessun visitatore
può accostarsi al cratere senza la sua brava guida
che non deve lasciarlo avvicinar troppo al precipi-
zio: la misura è prudente, U*nchè sia cjuasi sempre
inutile, ma ha una origine curiosa. Le guide, che
accompagnano il visitatore per poche cent inaia di
metri, si (anno pagare lautamente e si facevano pa-
gare anche di più prima che il Governo riuscisse
ad imporre loro una tariffa. E' una specie di ped
■ he il Comune di Resina per antichi' tradizioni
inestirpabili riscuote a favore delle guide, che son
tutte 'li quel borgo.
Vivendo sulla vetta di un vulcano, le guide Ij
sentono di spesso ribollire il sangue, e si disputano
i forestieri con calore. Sono forse le più innocue
persone della terra: ma annerrite dal fumo e dalla
polvere, con gli abiti laceri, sembrano fin troppo
intonate all'ambiente. La Società Pro-Napoli con
opportuna iniziativa manda ogni giorno sul Vesuvio
un rappresentante, la cui presenza è preziosa per il
mantenimento dell'ordine! ma per me e per i miei
compagni di viaggio non è stata una piccola sorpre-
sa il trovare sulla cima liei vulcano, oltre al cortese
rappresentante della Pro-Napoli, un maestoso dele-
gato di P. S. e un maresciallo dei carabinieri con
parecchi militi. Certo non vi erano saliti per sorve-
gliare il contegno del vulcano, che per la sin calma
borghese doveva quel giorno procurare una acerba
delusione alla bionda signora americana.
P. CROCI.
I * 1 ORZA 1 1 111.1 h ( -1 1 Vi -1 \ ih
IL SOGNO DI RIO JANEIRO
ev>
— Perchè non ha mai scritto nulla su Rio Ja-
neiro?
Cento volte mi fu fatta questa domanda nei di-
ciott'anni che passarono ila quando fui al Brasile,
e cento volte diedi la stessa risposta, pronta, come
vengono ai deputati certi periodi di discorso elei
tarale: - Perchè vi stetti appena tre giorni, quanto
vi si fermò il Sirio, su cui feci il viaggio da Bue-
nos .Aires a Genova. Dei buoni amici fecero quanto
poterono per farmi vedere ogni cosa, portandomi
in giro in carrozza, in tranvai e in strada ferrata,
dalia mattina alla sera, come uno che volessero
scampare dalla caccia d'una banda di creditori ;
e vidi multo; ma tutto di fuga, con l'animo affan-
nati! e gli occhi velati dalla stanchezza, per
modo che molte cose dimenticai, altre non rammen-
to più che per nebbia, e anche fra le immagini ri-
maste più vive ho delle lacune oscure, dove, nean-
i he a pensarci lungamente, non son mai riusciti) a
ripescare il minimo ricordo. Che cosa potrei scri-
vere? Sarebbe come descrivere un sogno. -
A questa risposta solita, pochi giorni fa. un bra-
vo italiano, ritornato per poco dal Brasile in Ita-
lia, ribattè argutamente: — E non la tenta la de-
scrizione d'una città maravigliosa. dove lei non ste
te che pi i he ore, e di cui non si ricorda che coni"
d'un sogno?
- Ecco un'idea - pensai.
E quell'idea mi pose in mano la penna e m'in
chiodò al tavolini •.
Ma erro una lacuna della memoria proprio al
primo principio, al momento che il Sirio, in una
mattinata splendida di ghigno, gittava l 'àncora nel
porto di Rio Janeiro. Chi è che sali a bordo ad
nunciarci che Sua Maestà l'imperatore Don Pedro
desiderava di rivedere la sera di quello stesso gior-
no il capitano Boxe, reduce dalla Terra del FllO
e di parlare la Stessa mattina con quel quidsimile
di scrittore italiano, che aveva avuto la fortuna
La Lettura.
d'imbarcarsi con lui sul Rio della Piata per ritor-
nare in Italia? Il messaggiere gradito era in mezzo
a molti cari italiani, di alcuni dei quali ricordo il
nome e di nessuno il viso. E non ricordo neppure
come io sia sbarcato, con chi sia salito in carrozza,
che cos'abbia visto per le vie che percorsi per an-
dare al sobborgo di Buttafogo, il quartiere dell'a-
ristocrazia e dei diplomatici, dove m'aspettava il se-
gretario della Legazione italiana, il buon De Fo-
ìesta. il piale m'offriva la sua casa, e doveva ac-
compagnarmi dall'Imperatore. Ma no: una iosa ri-
tordo di quel tragitto: la tentazione vivissima, a
gran pena vinta, che ebbi di sali. ir giù dalla carro/
za piando si attraversò un mercato di frutta. Ah,
che attrazione magica, quei grossi frutti tropicali.
di forme e di colori sconosciuti! Ho dimenticato
sobborghi, monumenti, personaggi illusili: ma ho
aliena davanti agli ocelli, in mezzo alle fruttaiole
negre e mulatte, ai-cucciate per terra, fra i mucchi
degli ananassi e dei banani d'oro e d'argento, quelle
frutta misteriose dall'apparènza di pigne verdi, di
palle dorate, di pomodori a fuso, di zucche metal-
liche; alcune delle quali, tagliati' in due. mostra-
vano dentro certe creme bianche e rosale, che pro-
mettevano sapori sovrumani; senio ancora il ram-
marico di non aver potuto saltar là in mezzo col
portamonete in mano, a fiutare, a addenl ire, a sa-
ziarmi di tutte quelle delizie di paradiso terrestre,
non mai gustate né viste, che mi riaccesero in con ,,
la smania curiosa e ladri della ghiottoneria d'un
Fanciullo E m'aspettava un Imperatore! Che ver-
;ogna ! Ma la sincerità è d primo dovere d'uno
scritti a
Ricordi i I iene ;l \ is ■ i ;ioviale del 1 >e l' i
resta, le sue accoglienze amichevoli, l'occhiata che
lanciò al mio vestito, che mi parve significare:
K passabile , e il colpo che mi diede stillilo dopo
con la domanda inaspettata: E il cilindro?
\on si ooieva andare dall'Imperatore senza cilin-
dro. I-i io l'avevo lasciato a Buenos Vires! Accenni
67 bis.
lobo
LA LETTI K.\
I
,.iTri • diamo
\i mi rispose . con
iso 'li passar dieci cappellai
('.li
| li pp Ilo in un
he i;li pareva
n , ranio i """• Su-
di corsa. Il depu-
del diavolo. Neanche 'li quella
ordo nulla, fuorché le i dute
dell i un ' quando
ure delle vie laterali. S'arrivò i
l . .se non m'inganna la me-
ire mi portò un cappello
m \i iena in bilico sulla
ta era stato illuso
dalla pigliatura dell'onorevole. Non
elio
i figura buffa. Ma il 1>.- Foresta in-
i i altro, era unii, e poi. entrate
fossi nel pala//", non avrei più avuto occasione ili
coprirmi. 1. vero Salvo il caso - soggiunse,
i i\.- . che Sua Maestà la imiti a fare
un e.ini nel pan... come ta qualche M'Ita COÌ sui"
\1 vidi perso, e glielo dissi. — Se
mi vede ballare questo affare sul capi», gli pi
un "rigiri. i l". o indovinerà l'imprestato, e si
farà una bella idea degli scrittori italiani che ac-
no perfino il i tppello ' Ma bisognò stri-
. era l'ora, dovetti ripartire in carrozza con
quell'embrione 'li tuba sulla tesi i, e a ti iverso al-
l'anima.
Parrà incredibile; ma non ricordo più del pa
lazzo né il sito, ne le vicinanze, né l'architettura i
come se non vi fossi stato. Solo mi ricordo
d'un unico soldato, un negro, che stava di sentinel-
la al portone, digliava. Entrai col cappello
in mano, mostrando d'avere un gran cali In. Delle
scale, dei o rridoi, ili chi ricevette, nulla. L'Imi
t.ire comparve tutr/a un tratto, non annunzi
padion di i asa, nel picei ili i sa
■.. ■. ; il quale s'apriva da un
lato sur una galleria vetrata luti. inondata
.li hi una finestra sopra un p
stupendo.
Tutti sanno quanto Don Pedro fosse buono d'a-
nimo e semplice ili modi e affabilmente cortese con
o pure, e nondimeno, dopo pochi
minuti ch'ero là, mi parve più buono, più semplice,
bile 'li qu va la fama. A questa
!'liiità amabile davi i effetto l'alta sta-
vi ni ilnle del viso, la in testa ■■•
■uà.
V. • la figura d'un guerriero, la fronte d'un
I orriso d' \m
m moria una quantità 'li
ii e <li radure, come in un panini logoro.
Quanto <!i quella conversazione, che durò
quasi un'ora, 1" posso stringen in poche parole. Mi
chies e e m'espi sse la su ioni pei
vari italiani, dei quali non mi son rimasti
in mente che il I I Rapisardi e il ( !antù :
i i rammentato con pam- ..lare simpatia. Si la-
gnò 11! 'li essi 111 'Il "li .
sero mandati i libri che gli avevan promessi in
Italia, e ibsse m ti iilemli i : Mi hanno dimenti-
cato. Si capisce! Sono tanto lontano! A un •
punto mi domandò: Che vi pan- del modo come
maltratto il vi st ro bell'idiom i Dico molte impro-
. eri ■ ' K ini atl i gli scappavano dei
francesismi; tra i quali mi rimasero impressi /
per commedia, e come si fa, interrogativo, per
me ì possibile?»; del che non mi stupii, avendo
sul Sirio inteso 'lire enfaticamente da uno spagnuo-
lo che egli parlava Ma pai
della in- e delle nostn
gnizione così varia ed esatt sentirlo, non
I areya tanto uno straniero che non avesse studiato
abbastanza l'italiano, quanto un italiano che l'aves
se un po' dimentii giorni soltanto nel
Brasile? — mi domandò, con un sorriso che voleva
■ lire: E' un po' poco per un | nde venti
volti l'Italia. -Pi nò alcune cose notevoli
ili Rio Janeiro e luoghi del contorno, i i do-
vuto vedere, e raccomandò al De Foresta che mi
«costringesse i> a visitarli. E ricondotto il disco
non su a qua! proposito, sulla letteratura italiana.
mi il. imandò > ■ mi inti trno a eerti colla!
tori della Nuova Antologia, ch'egl abitual-
mente, con una curiosità ili particolari bio
bibliografici da letterato ili professione.
Ecco tutto.
l'i issi bi le?
Anzi, è naturale. Capirete: era egli Stesso
mentre parlava, distraeva la mia attenzione dai
discorsi, perchè, insomma, egli non parlava che di
letteratura, e in lui, per me, era molto più impor-
tante e ammirabile l'Imperatori che il letterato. 11
suono della sua voce non era che l'accompagnam ai-
to ispiratore ilei un i rivolto al suo pas-
l'i iis. i\" ehe '[nel' uomo, erede ilei trono ancora fan-
ciullo, era stato incoronato Imperatore cinque anni
i\.!i,ii ch'io nascessi; che durante il suo regno di
quasi mezzo secolo s'era nel ■ quasi tripli-
cata la popolazione, costrutti novemila chilometri
di strade ferrate, la produzione decuplicata, combat-
tute e vinte tre grandi guerre . pensavo che in tutto
quel tempo egli S'era tenuto sempre sulla via della
liberta, che aveva promosso mirabilmente l'istruzio-
ne pubblica, assicurata la pace interna, propugnata
e iniziata la soppressione della schiavitù ; che era
stato sempre mite coi vinti, generoso con gli avver-
sari, protettore d'ogni disciplina gentile e in tutte
le tonile bene Victor Hugo l'aveva chia-
< nipote di Marco Aurelio)', il I.amartine pa-
ragonato Federico il (".rande. l'Accademia tran-
salutato magnanimo; e che un giorno egli a-
veva detto: Se non tossi Imperatore vorrei
sere maestro di scuola. E amile mi distraeva dai
suoi discorsi letterari il contrasto rhe "uni tai
11. SOGNO l>I RIO JANEIRI i
mi s'affacciava al pensiero, fra lui così colto, così
profondamente e raffinatamente civile, e la visione,
.•he avevo come a baleni, ilei suo sterminato Im-
pero, sparso di grandi foreste vergini, popolato di
milioni ili negri, di cui più d'un milione ancora
schiavi, abitato da centinaia di migliaia d'indiani
selvaggi, attraversato dal pia gran fiume del mondo,
quasi ancor favoloso, in molte parti tuttora inesplo-
rato, pieno di misteri e di pericoli; dove anche l'è
sistenza dell'Impero era ignorai.;. E poi, perchè non
dirlo" Mi distraeva anche un poro il continuo ti-
more ohe egli mi invitasse a fare un giro nel parco,
dove mi sarei dovuto coprire il rapo -pro forma;
tanto che ogni volta che il suo sguardo, per
caso, si posava su quello sciagurato cilindro,
tremavo.
Ciò che più mi fece senso fu l'ultima cori :sia
ch'egli m'usò, prima del commiato; la quale mi
chiarì meglio d'ogni altra cosa la sua indole e il
suo modo di vita. — Volete per ricordo il mio ri
tratto? — domandò. Io credevo che sonasse il cam-
panello per mandarlo a pigliare. Invece s'alzò, per-
corse a passo lento tutta la lunga galleria, usci in
fondo, e. ricomparso dopo un po', ritece con la
stessa andatura dì viandante tutto quel cammino,
ita da una mano una fotografia gran-
dissima, che quasi toccava il pavimento: come un
buon piccolo borghese che. non potendo tenere un
servitore, si fa tutti i servizi da sé.
— r Portate i miei saluti a tutti — furono le sue
ultime parole, e le disse con l'accento con cui si
raccomanda a un amico di salutare dei vecchi amici.
Pensare! E cinque anni dopo egli era deposto dal
trono e mandato di là dall'Atlantico a morire in un
albergo. Ma morì senza rancori e senza rimpianti,
nobilmente, dopo aver esclamato con le lacrime agli
occhi, al ricevere dal suo paese la notizia della sop
pressione compiuta della schiavitù : — Grana',
' — (Grande popolo!). Lo esiliò la forza delle
cose ; ma regna ancora.
Il pericolo dei cappello era scampato; ma. pur
troppo, era scritto che nel palazzo di don Pedro io
dovessi fare una figura comica. Eccomi davanti a
Sua Maestà l'Imperatrice. Mi è rimasta ben scolpita
nella memoria quella piccola signora coi capelli
!.. ih -hi. un po' Fatticcia, dall'aria bui ma e dagli oc-
chi bruni e vivi, vestita come una modesta borghe-
se, ritta in mezzo a un salotto modesto ionie il suo
vestito; e vedo ancora la vecchia dama d'onore '1 i
sua i;i^ parabile mademoiselle Josef hine, come sep
pi poi) in piedi dietro di lei. nell'ombra, e così im-
mobile della persona e del viso, che mi ricordò
quella 'irta dama d'onore della regina di Grecia,
la quale, a detta di Edmondo About, ^n creduta da
un attore francese una statua di cera, fatta l'I l
care dal ìe per economia. Ricordo dell'Imperatrice
il dolce suono di voce con cui mi fece le domande
solite che si fanno a un nuovo arrivato nel 1
paese. A un dato momento, parendomi di dover dire
qualche cosa di non domandato (ah. che ispirazione
infelice!) le feci i miei complimenti (meritatissimi,
I0Ò.7
invero) per la facilità e la corretti . con la quale
pai lava La mia lingua.
Non avevo finito la Frase, che vidi gli occhi del
De Foresta, ritto accanii» .1 me, arrotondarsi come
quelli d'un granchio, e riportando lo sguardo sul-
l'Imperatrice arrivai in tempo a cogliere sulle sue
!.. libra un sorriso che fuggiva. Mi colse il brivido-
che vien della coscienza d'uno sproposito; non in-
tuii subito qual fosse; ma sentii .he doveva essere
marcii
Non intesi più le parole di commiato dell'augusta
signora, e appena fui nel corridoio, ansioso, do
mandai al mio accompagnatori Che ho del 0
li ittenne una risata, e mi domandò alla sua
volta: Ma non lo sapeva che donna Teresa
Cristina è italiana, figliuola di Francesco I. re delle
due Sicilie, zia di Francesco II. re di Napoli? E
lei fa dei complimenti perchi sa parlar la sua
lingua '.
Per tutta risposta mi lanciai verso l'uscita quasi
di corsa, e quando fui in carrozza non mi voltai a
guardale il palazzo. E' forse per questo che ne ho
dimenticato affatto l'architettura.
Per che vie son salilo d monte I ijuca, il famoso
belvedere della Baia, la passeggiata classica di Rio
Janeiro? Mi pare ora che la carrozza tirata da quat-
tro mule, nella quale, se non sbaglio, stavano con
me il console Gloria, il bravo Jannuzzi e il buon
I irmacista Foglia, sia arrivata lassù come un pal-
lone volante a traverso la nebbia. Ricordo soltanto
l'ultimo tratto della lunghissima corsa, per i viali
d'un parco incantevole, fiancheggiati d'una vegeta-
zione superba, fra cui s'alzavano felci gigantesche,
la forma d'ombrelli, d'un verde chiaro ammira-
bile e duna snellezza el eia. e dove la cai
rozza ei ogni poco dei solitari cidadaos bra-
z.laros, che stavan là ad aspettare pazientemente,
■ol viso voltato in su e col cacciafarfalle in pus 1
in attodi filosofi armati, la preda gentile. Ricordo
d aver più volte desiderato di saltare a terra e di
strappar lo strumento di mano ,1 qualcuno, quando
vedevo passare e posarsi sul fogliame uno di quei
grandi gioielli volanti che sfuggivano all'insidia dei
sacchetti aerei. Che maraviglie ! Erano pezzi di poi
pura, di laso azzurro, di velluto bruno 101 ligli L'iti
a bandierine minuscole, argentate e dorate; pei, ih
di ginn!; rose candide, d'una trasparenza di ritagli
di trine, parvenze di mazzetti di fiorì alati, di nodi
di nastri ingemmati, striati, orlali di tutti i colori,
frammenti di vesti di regine orientali, ili manti d'i-
doli, di musaici di reggie arabe, portati via dall'a-
ria ; a ciascun dei quali mandavo dietro un sospiro
di desiderio e un pensiero di rammarico. Sento la
del bravo Jannuzzi, die d — Ci siamo! ■ —
I iù tutti. F. nessuno rifiata 1 iù. bieco il
1 rodigio.
Forse, se potessi riferire per l'appunto il solilo-
quio, per quanto confuso e rotto, che feci su
belvedere sublime, ne uscirebbe una pagina meno
l.lllS
I.A 1.1
quella che sto per scrivere. Ma vatte-
meno
jii.ind" in
( 'cu vostra buona pai e, Rio I neiro i più
ntinopoli. \l non la città i p
|Ue, tutl la natura che l'at-
tori liì mre mi par d'avei
volta, coni . in un -
iso e gentile, qualche cosa 'li si
\ isione. Ni m •■ una l iaia |uesta . ma
un , m contornato di baie,
i nella gì azia delle i urve e
II.' ri\ i- . • i cento isole che \ i
sono il più incantevi Je piccolo arci-
pelago del pi
onda è la pi ri sa e
ito che abbia preparato la natura alla capi
d'un impero. Se sull'opera della natura si po-
; la critica come su quella d'un artista.
che in q i inde "| era ella ha troppo
pali • per marai ij liare gli uomini,
la ' contrasti della bellezza. Un caos di
...... Chi 1" disse? E ini itti. Una varietà
e una stranezza 'li Forme, su cui lo sguardo, attrai
la mille parti, si perde com« sulla faccia can-
no in tempesta. Ci ini solitari ili
granito che paiono monoliti enormi, piramidi tron-
e spaccati gemelle, ali issime guglie .
guzze come lancie titai igne ^ ì l >' « >se e
•uni', dell ■ Mi/i sconquas
dal terremoto e rimasti immobili nell'atto dello
sfacelo: mi par ili vedere riunite e alternate mon
Ila Calabria, della Savoia, dello Spitzberg,
della l.i! . del Fuoco, Cervini contraffatti. Dolo
affilate, tu pine più bizzarre
! ardite 'li cui ho nella mente l'immagine I
che bellezza tutte queste isole che paiono distribuite
rti ' te, là sparse, li- une rocce
e dirupate, le ali re riboccanti di e§ ione,
simil 'ii lini gallegg ianti, e qua li i
in disparte, lontana, come \m picei lo pài idiso miste-
sorto per incanto dalle acque! E' un para-
, veramente, e pai che la natura
l'ahl<i a voluto separar dal n idi rrandone così
|uei due alti Minai, intorì, che ali i ic
chio quasi si toccar piantando ancora in mezzo
a quel passo un'isoletta rocciosa, come un naviglio
|>erp . che vigili e minacci chi
sawii n . I non le pare, caro Foglia, che quell'al-
ste fuori nell'< Iceano, abbiano l'aria
il irino la grazia ili pi
1 < I mon Foglia, che ac-
che
do ^illa riva la ritta ili Nichteroy,
pro\ incia ili Rio |
I i irenz i. Icaraho, furajubù.
ndom ' lungo il m ire. s adi I nelle
Ili e si perdon nei boschi. Ma una città
poco in baia immensa.
\| i' mainata Rio Janeiro, ili cui vediamo
■ Tiiuca e ili qua
forza ili star-
li mmira n i
di bosi hi, 'li colline, ili picchi, che dal! azzurro in
tinsi, del mare ascende i er mille sfumature 'li vei
de, per tutte le forme della maestà, della gì
del bello, dell'orrido, fino all'azzurro leggerissi
del ' u In. limpido come quello d'un astro senz
pori. Rifuggo, anzi, dalla vista della metropoli, la
quale mi rappresenta in qui sta bellezza
miserie e gli ali. inni degli uomini. Ma che -
Li ritrovo anche qui da ogni parte e sotto ogni a
spetto. Sulle rocce che serrano l'entrata della baia
sorgono fortezze, i bei promontori sono armiti ili
cannoni, quelle isolette incantevoli racchiudono
ti/i .li ili igana, ospedali, m ip izzini ri
me: anche in quest'I den, ili pei tutto si lati,
'■ni", si pensa alla morte. E' possibile? E tutto ap
pare così quieto e ridente : Il traffii o del
follato ili navi, il via vai dei vapori e delle barcfM
tra Rio Jan. -in. e Nichteroy, I r.i isole ed iso
l'uno all'altro dei cento scali dei sobborghi, e il
formicolìo umano delle rive che s'incurvano sotto il
nostro sguardo, non turbano punto, neanche al li
ni". I. pai e della baia i asl issima, • he in que-
st'ora del tramonto sembra solitaria come un an-
golo ilei niomlo non ancora scoperto dall'uomo. 1
si direbbe che non sono mai stai : solcate da una
nave quelle acque limpidissime, tinte ili slum,
cosi soavi d'azzurro, 'li verde e di roseo,
ravigliose ili trasparenze e ili chiarori cristallini, i h
metti mi i il desiderio 'li berne, • i
dare bbrezza sovrumana. Che mi viene in men
te? Il motto del Dumas su / Miserabili: — i
trep beau pei" un rumati. Sì. e tutto questo
troppo hello per gli uomini. Forse per ciò furon
mandate qua la febbre gialli e le febbri palustri;
senza di che sarebbe staio troppo invidiabile il ;
che li ha piantato !e tende. Ma che cosa dice, caro
Fi iglia ? Ripartire, già?
Era necessario, avevamo un orario inflessibile.
Ah. vi chiedo ancora dieci minuti, cinque minuti,
perchè non rivedrò mai più in vita questa bellezza
e ogni suo minimo aspetto che mi sfuggirà dalla
un moria sarà per me una gioia perduta. Che io ne
perda quantomeno è possibile! Che m'entri l
nella mente, che mi si stampi pri ite negli
e nell'anima questa maraviglia unica della
crea/ione, il cui ricordo mi sarà mille volle un •
li il" e Un sorriso, e come la visione d'un altro
mondo. Allargati, povera mente mia. con uno sfor-
zo supremo, e abbraccia tutto, e afferra con tutti
irtigli del i ensiero e premi in tutti
della memoria la preda degli occhi innamorati
nor Jannuzzi I < ih. inesorabi]
za ! Addio. leste, j ei sem] re !
Che dire i di Rio Janeiro? ('hi la de-
finì n hi la paragonò a un polipo n i
il quale ha la ti nella pi cola città primitiv a di S.
■ ' i ino. posta 1 1 1 due colline in i \\ a alla h
ancora quasi intatta, tutta via sii
antica all'aspetto, benché non abbia ancor quattro
e pn il ni i.- lue o il mare, di qua e. di là.
11. SOGNO DI RIO JANEIRO
intorno a una serie di lagune e di seni, e su per
i colli, e nelle valli, e nei valloni che in queste
sboccano, i suoi tentacoli sterminati, tatti ili catene
di sobborghi, fra le cui estremità opposte rorre mag-
gior distanza che fra un rapo e l'altro di Londra.
Feci fra i punti più lontani delle scarrozzate inter-
minabili. Chi m'accompagnava mi diceva ogni tanto
il nome d'un nuovo sobborgo, e m'accennava una
veduta nuova delle isole, della riva opposta della
1 aia. e delle montagne che la coronano. Ma come
ricordarsi di quel visibilio di nomi portoghesi e in-
diani, di quella grande varietà di prospetti ammi-
rabili, di tanti passaggi da un sobborgo deserto a
uno pieno di vita, da un porto ad un parco, dal
piano all'altura? A quando a quando pareva che la
città fosse finita; ma dopo un tratto ricominciava.
Alle case pesanti dei primi costruttori portoghesi
succedono le ville sorte da poco, largamente aperte
sui giardini, come per bere l'aria a gran sorsi ; ai
nuovi palazzi signorili, di architettura presuntuosa,
ornati di finti marmi e di stucchi, pitturati e an-
che dorati, gli edifici pubblici enormi e semplici, so-
miglianti a grandi caserme, i vasti conventi e le
chiese dell'epoca coloniale, di stile gesuitico, i lun-
ghi muri di cinta dei vasti parchi privati. In vari
punti la città è interrotta da folti boschi senza sen-
tiero ; s'alzano fra l'abitato rocce a picco, rivestite
rli licheni, massi isolati di granito dalle strane for-
me di mausolei e di campane ; un sobborgo è se-
parato dall'altro da piccoli monti scoscesi, sui quali
si disegnano a zig zag strade e sentieri e alti acque-
dotti inghirlandati di verzura. Da ogni parte si ve-
dono come folle di case che danno l'assalto alle al-
ture, che invadono le conche, che s'allungano ser-
peggiando per le rive; si coglie juasi sull'atto l'o-
pera conquistatrice della città crescente, la quale ro-
de i promontori, abbatte le rocce, squarcia e divora
le culline che fanno impedimento alla sua impetuo-
- ' espansione. Sono dieci città, e Rio Janeiro pro-
prio non si sa dire dove sia. Lascia l'impressione
d'uno sparpagliamento enorme, d'una varietà im-
mensa di forme e di colori, d'un labirinto infinito di
saliscendi, d'un misto non mai veduto di civile e di
selvatico, di metropoli raffinata e di natura vergine,
di vita esuberante e di solitudine morta, d'un disor-
dine tumultuoso e magnifico, dove anche l'opposi-
zione d'aspetti che è opera della natura, sembra o-
pera umana che abbia ispirato e guidato l'intento
di ferir la fantasia con un grande spettacolo tea-
trale. E un teatro è ogni via frequentata per 1" spet
tacolo vario e pien ili contrasti che vi presenta la
gente che passa, fitta, vivace, portata via rapida
mente, per la maggior parte, da una fiumana di om-
nibus, di tranvai e di carrozze: signori brasiliani
in tuba e in guanti, coi calzoni bianchi e le scarpe
inverniciate; negri agiati vestiti elegantemente al-
l'europea ; facchini negri con un sacco da imbal-
laggio per camicia, segnato d'un grosso numero, co-
me una casacca da galeotto; meticci nati dall'incro-
'iamento delle razze portoghese, africana e indiana,
di tutte le tinte: indiani puro sangue dalla faccia
di bronzo; faccie d'italiani, d'inglesi, d'a ricani
del nord, di francesi, di tedeschi, di svizzeri, bv di
1 1 )6y
armeni e di turchi, divise dorate d'ufficiali mulatti,
signore e signorine negre col cappellino piumato e
i guanti bianchi. E tutta un tratto qui sto spettacolo
cessa, e \i ritrovate sopra una spiaggia deserta, tra
il mare ed un bosco, soli in cospetto delle montagne
acuminate, dentate, gobbe, pendenti, dalle archi-
tetture temerarie e minacciose, dai fantastici aspetti
di ligure umane, più strane della vita da cui siete
usciti, piti \arie e più stupri .uniti della folla di
dicci razze di cui avete rotto l'onda di fuga.
rutti i miei ricordi di Rio Janeiro brillano in
campo verde: passi il traslato di cattivo gusto. Ri-
vedo col pensiero di là da ogni cosa, più bella d'o-
gni eosa. una vegetazione opulenta, sfarzosa, domi-
natrice, appetto alla quale mi par l'immagine d'una
squallida povertà quella che pur dà belle/za •• alle-
gria alle città dei nostri paesi. Gli alfieri sorgono
dal lastricato delle strade come da noi i ciuffi d'erba
dalle vecchie mura, ostinati a vivere a qualunque
costo, nelle condizioni piti avverse alla vita: dai
muri dei giardini sporgon fuori e vengon giù rami
fioriti, capigliature verdi, ghirlande e cascatelle di
fronde e di fiori; s'aprono giardini da ogni parte,
pieni d'ogni forma di felci, d'orchidee, di brome-
lie. di banani dille larghe toglie, rigogliosi e 'itti.
che pare si contendano lo spazio e la luce, e vogliati
soverchiare le case ; giardini ammirabili sono la più
parte delle piazze, dove gli alberi giganteschi, dai
fusti strani e dal fogliame grazioso, sono cosi folti,
svariati di forme, disparati d'atteggiamenti, diversi
di verde, che l'occhio s'affatica anche a guardarli
per i i, è masi n'ha un senso d'abbagliamento,
come da uno spettacolo continuamente mutevole.
Tale è la magnificenza della vegetazione, sparsa,
ammontata, ondeggiante da per tutto dove non l'ab-
I ian soffocata nella terra le pietre accumulate dal-
l'uomo, da parer quasi innaturale che su quel suolo
stesso, rosi meravigliosamente fecondo di maravi-
glie vegetali, non vengati su altrimenti che sul no-
stro anche le piante umane, che non sian fra loro
più comuni che fra noi la grandezza, la bellezza e
la forza. Su questa infinita bellezza verde sorgono
a ogni passo, a tutte le altezze, dalle rive dei porli
alle sommità delle colline, le palme colossali, dai fu-
sti diritti e lisci come altissime colonne granitiche di
templi ideali; formano coni, boschi aerei al di
sopra dei boschi che veston la terra, propilei da-
vanti alle ville e ai palazzi, corone sulle alture.
archi intorno ai seni, e vicino e lontano alzano
dietro agli edilizi, come insegne di sovranità pian
tati sulle terrazze e sui tetti, i loro pennacchi su-
perbi e L'enti!!, che spici'. ino sul cielo, su! mare,
sull'azzurro dei monti, e par che diffondano alle-
va nell'aria e grazia su tutte Ir cose. E
propriamente l'allegrezza e la grazia di Rio Janeiro,
sono ir ultime immagini, credo, eh.- svanirebbero
dalla mia mente, se ogni ricordo di quel paese ne
dovesse fuggire, fuorché quello d'esservi stato; so-
no le prime che mi balenano sempre al pensiero
l'udir rammentare il suo nome. Sento, leg
LA LETTI R \
e vedi i urli azzui m. tutto Lnti n
in lontan ili siili i
|uei mazzi leg i - i ili
i, < ] in-Hc grandi raggiere tremule ili
: zampillanti di vei
d'aspetti umani,
e «li i nini
• he, s.illi-\ andosi dalla
moria, ci ritrovo in fondo al
tri ini; slegati af-
II litro, e o une dispersi nel buio. Rin-
dove, un gioì ine atti ire italiano,
d sé e mi domanda sul ii i
baia ed esprime un pensiero
Non è \ ella che è quasi
triste? Se vedi notti <li luna! Fanno pian-
\l vedo accanto sul tranvai un signore
o, il quale in ibbarbaglia gli occhi ugni
\"li la mano p rsi la barba ne-
nia : una mano che pare un ■ ns li I
sfolgorante di diamanti, ili smeraldi
e 'li sento dire che è comune fra i signori
o di - ■ elleria, e che. nelle
ie ore da a Rio Janeiro, senz'esserme
sto, io debl « i aver già toccato con le mie
te ili mano pei un mezzo milione di gemme. Ri-
rchi to, che bevendo una
limonata accanto a me a un canili ili strada, an-
nunzia all'acquaiolo che il suo potentissimo pa-
drone, in occasione dello sposalizio della figliola,
lo ha affrancato dalla schiavitù, onde egli è da tre
tdim ! i -il imi ' ; e dice questo co-
li sia affati' , indiffen nte, 1 1 ime se
la libertà non fosse che una parola, quando con essa
i leu. ni per servirsene e per go
derla: strano, non ■■ vero? Strano anche quello che,
ndo in carrozza, vedo affisso accanto a un pur
i i.i d'un gruppo di ragazzi negri tutti
nudi: un cu Compagnia Lambertini.
innuncia un dramma in un atto del Cuciniello.
Ed ecco la bottega dove fei ferm i la carrozza
con un'esclamazione di maraviglia, per discem
ir nelle vel i ine uni i » iame di > piccoli re
"'ri»: uccelli mosi genere, che paion
di lìori. d'oro e di perle, luccicanti, sfavillanti,
. piccoli 'i e per
un anello, delicati da soffocarli con un bacio,
osi da farvi buttar sul banco del botte
i fin l'ultima lira, a costo di farvi « rim
patriarci dal Consolato. Poi... Guardi, un e art
Udendo dal buon farmacista queste |
mi fauni, fremere, ini voi 0 appena in tem-
pi' pei veder passare, da un missio
figura di sel\
perto di panni cenciosi, d'una faccia nte il
e, di color bronzo rossastro lucido, con tri
di legno infissi nella bocca e alle orecchie
niili a tre medaglioni pendenti: uno di quegli indo
mabili b delle foreste vergini, che accolgo
no le avanguardie della civiltà a colpi di frecce a\
velenate, e di cui .dima cr.ui" ancor pochissimi
quelli che i missionari fossero riusciti, non a con
- ! immansare : li i vedi i svoli are a una
cantonata con un'andatura di fiera presa al laccio,
lo '-"ii un i nule i\\m tranvai chi
\ ien sopra. Si ferma un'altra volta la carrozza
il passo a una frotta di contadini scamiciati.
che attraversano la strida in disordine, con gl'in-
volti dei panni infilati ni i basti ni. a passo stani
coi visi tristi ; nei ' guati riconosco al primo sguardo,
con una stretta .'l cuore, la fraternità del sang
immigranti italiani, meridionali la più parte, mi
sembra, che vanno a cercar la vita nell'interno del-
l'Impero. Ahimè! La vita o la morte? E mi riti
ora in carrozza, ma non so più dove, con un :
naie ili Rio fra le mani, leggendo un poetico arti
colo intitolato: — zi civilisaeao e e progreso -
e riscni" la scossa che mi diede il contrasto violento
delle idee quando, voltato il foglio, lessi tra gli an-
nunzi di quarta pagina: - Si vende una robusta
creola di JJ anni, con una bella creai unna di il
mesi : ten a ■ r, a pre o discreto. E ho
iui-.t" curioso ricordo d'una delle Me principali del-
■ città, di prima sera: di certe am] tre a
terreno, tutte aperte, per le quali si vedevan dei sa-
lotti illuminati, dove delle signore biancovestite
versavano, e quanti andavano a passeggio per la
via, signore e signori, ci vedevan dentro-, del che
avendo espressa la mia maraviglia a chi m'accompa-
gnava, questi mi rispose con una lineata del
mito.
Che mara\ iglioso paese '.
Senza dubbio fui sulla cima del Corcovado, il
glorioso moine gobbo, che torma la testa d'un Gi-
gante coricato, del quale rappresenta i piedi con
giunti, sporgenti dal mare, il non meno celebrato
Pan di zucchero ; ma se a metà della strada ferrata
a catena per cui v'andai, fra le ombre d'un b
avessi persola coscienza come un aereonauta
siato, per non riacquistarla che alla discesa, non
potrei aver nel capo un buio più fìtto intoni" al pa
coralli, ' decantato che si gode da quella cima. '
i mente, visitai il mirabile Giardino Botanico, sulla
laguna di Rodrigo de Freitas; ma all'infuori del
gran viale delle Palme giganti, famoso in America
ito la [lincia di Ravenna in Europa, e d'un
bicchiere di birra che tracannai là in un moment"
di sete d ' Mastr' Adamo, non ho più traccia di nulla
nella memoria. Nella mente affaticata dalle infi-
nite e svanitissime cose viste di volo in poche ore.
'■ime sopra un foglio rat 'esciti, dove non rimanga
più spazio per una frase intera, non s'imprimevano
più le cose nuove chi "1 abbreviature e frammenti.
E fui o non fui all'isola di Paquetà, la pia florida
e più gentile dell'arcipelago, della quale intesi in
quei tre giorni rammentare il nome cento volte, co-
me d'un nido di delizie che nessuna penna poti
ne melile immaginari Si *i fui, chiedo
IL SOGNO lil RIO JANEIRO
perdono e misericordia a chi m'usò la cortesia im-
meritata d'acrompagnarmivi. E con quest'atto di
(nutrizione potrei finire, perchè già respinsi fin da
principio la tentazione di scombiccherare d'inchio-
stro le aurore e i tramonti maraviglisi di Rio Ja-
neiro, avendo già segnati troppi tramonti e troppe
aurore sulla mia fedina criminale di scritture: ri-
spetterò almeno il cielo del Brasile. E non è un
piccolo merito perchè ricordo bene che la mattina
prest'i. quando saltavo giù dal letto ospitale del De
Foresta, e rimanevo come intontito a guardare al-
l'orizzonte quel cielo purpureo, che pareva acceso
dall' incendio di tutte le foreste dell' Impero.
e la sera, ritornando a casa, quando vedevo inar-
gentati dalla luna i boschetti delle palme, le
acque della Baia, l'arcipelago e le montagne, di
cevo tra me: — Oh! Cercherò le immagini per dei
mesi, mi metteiò il cervello alla tortura, suderò san-
gue sulla carta da protocollo, mi caverò le parole
dal capo a forza di pugni nelle tempie; ma riu-
Si irò a dare un'idea di questo miracolo! — Propo-
siti ili scrittore, giuramenti di marinaio.
Una cosa non posso tralasciar di ricordare: la
sciata che passai il giorno avanti la partenza nelle
sale del Circolo filodrammatico italiano. Della
stanchezza di tante corse affannose, fatte con l'arco
della mente sempre teso a cogliere le maraviglie fug-
genti, e che m'avevan ridotto al punto d'uno scolaro
disfatto e istupidito da uno sgobbo disperato per gli
esami, mi rifeci a un tratto, quasi per incanto, nella
compagnia di quei miei concittadini cordiali e gen-
tili, come se. stando in mezzo a loro, mi ritrovassi
già in Italia, coi miei vecchi amici, e nella mia
casa. Ah. che buone strette di mano, per le quali
passava da cuore a cuore una scintilla, che ci ri-
destava mille cari ricordi della patria, lampeggianti
nei sorrisi prima che espressi dalle parole ! Ma era
destino che anche là. come nel palazzo di Don Pe-
dro. fosse velata la mia contentezza da un'ombra
di ridicolo. E non accennerei quest'inezia se non mi
porgesse occasione di ricordare ancora una volta
il caro capitano Bove, alla cui memoria mi par di
rendere omaggio rammentando l'umor giocondo e
arguto, che era una delle tante sue qualità amabili.
Egli era fra gli altri in quel Circolo ; egli solo sape-
va ch'io ero stato costretto a andar là con un lungo
cappotto da mezza stagione, che m'aveva impresta-
ti non so chi. in non so quale albergo, perchè era
toccato al mio vestito un infortunio irreparabile, e
m'era mancato il tempo, in quella vertiginosa fuga
ir. carrozza, di mandare al piroscafo a prendere un
cencio di ric.uiil,;,) : egli sapeva che se mi fossi tolto
di dosso quel saccone, reso ridicolo dal caldo che
loyi
m'imperlava la fronte, sarei rimasto in maniche
bianche; lo sapeva, il barbaro, e non so (piante
volte nella serata, a udita di tutti, mi disse con un
sorriso perfidamente finto di sollecitudine fraterna:
Ma perchè non ti togli quella palandrana, po-
vero amico, che si vede (In- soffochi ? — Ma perchè
non ti metti in libertà.... con quest'ala ~? — Ma per-
chè....? - Tante volte mi torturò, istigato alla fe-
rocia dalle contrazioni dolorose del mio viso, che
alla fine mi rivoltai, e gli risposi disperatamente:
- Ma lo sai bene che non posso, cannibale!
alzando un po' troppo la voce; onde il vergogl
secreto fu scoperto., e tutti ne risero, e io pure ; e-
concorse quel caso ameno a render più familiar-
mente allegra e cordiale la serata indimenticabile.
La sera della partenza, la Baia era tutta color
di rosa; Rio Janeiro, già coperta di un velo roseo
che clava aspetto di sobborghi anche alle rive lon-
tane quasi disabitate, pareva una città senza con
fini, e sull'orizzonte rosato da una parte, dall'altro
azzurrino e verdeggiante, d'una trasparenza ideale,
si disegnavano i denti, i coni, le cupole delle mon-
tagne e le chiome scapigliate dei boschi con una
nettezza così precisa di contorni, che pareva tutto in-
tagliato nel cielo. Eppure, davanti a quella belle. va
immensa e serena, ch'era augurio d'un viaggio felice,
e in vista di quel Sirio, che mi doveva riportar difi-
lato in Italia, avevo il cuore pieno di rimpianti, e
punto quasi da un rimorso. Partivo da quel paese
con la certezza di non ritornarvi mai più. e non a-
vevo visto il Rio delle Amazzoni, ne la foresta ver-
gine, ne la cascata di Paolo Alfonso, né le savane
sconfinate ; m'ero appena affacciato alla terra più
maravigliosa del mondo, e ne scappavo, come un
barbaro, con poche memorie monche e confuse, pò
co meno ignorante d'ogni cosa che se non vi fossi
nemmeno sbarcato. E in una gran parte di quel
paese erano sparsi migliaia di miei fratelli, quasi
divisi dal mondo, in maggioranza poveri, molti di-
sprezzati ed oppressi, tutti curvati a un duro la-
Miro, e tristamente pensosi della patria, e io non
avevo potuto andar fino a loro, raccogliere i lori
lamenti, confortare almeno con la parola paterna
i loro dolori, e. come avevo fatto in altre terre,
dare alla fronte dei loro bambini un bacio e un
sospiro. Gli altri pensieri si dispersero nell'aria ap-
pena il Sirio fu fuori dalla Baia ; ma l'ultimo ram-
marico durava ancora (piando il Pan di Zucchero,
guardiano di Rio Janeiro, poc'anzi dorato dal sole.
non m'appariva più che come un piccolo cono nero
ravvolto da una nebbia grigia, che sprofondava pò
co a poco nel mare: immagine della fine d ogni
gioia umana.
E. DE AMICIS.
•^
Canti della culla
co
i.
Ora Ella veglia, calma net sorriso,
presso la calla ove la bimba dorme.
Ila a no nel sonno le infantili forme
I Ha soavità di Paradiso. —
S'addormentò la bimba con la mano
ne la sua mano; ed Ella più non osa
toglier le sue da quelle
piccole dita, pelali di rosa.
S'addormentò la bimba, su lo strano
ritmo d'una cauzou d'ali e di steli'
e di bionde sorelle
l li Ella cantava — ora la sogna, forse. —
lì ne la calma quasi, augusta, piena
di taciti pensieri,
la smorta Donna dai grand' occhi neri
ripete nel suo cor la cantilena.
II.
"C'era una volta...» ma perdutamente
si spezza la canzon nel triste cuore.
L'anima antica insorge in un clamore
ili tempesta. — « Sei tu, quasi morente?...
- Sei dunque tu la zingara boema
libera come il sole e come l'onda,
the respirò l'ebbrezza
<iei venti e de la rondine errabonda,
e nei canti onde l'aria par che frema
ani or. tutta versò la giovinezza? ..
L' infinita stanchezza
del tuo viso confessa il lungo male
a poco a poco ti vuotò le vene.
E pur Ut condannata
non sei. Ti vuole a se quest'adorata
culla ove dorme e palpita il tuo bene. —
CANTI DELLA CULLA myò
III.
Vivrai per questa dolce creatura
che uscì da la tua carne dolorosa.
Una potenza che a te stessa è ascosa
avvampa ancor ne la tua fibra oscura.
• In cor tu guarderai la vita in faccia
per lei, per lei ctìè sangue del tuo sangue:
e ascenderai le cime
eccelse ove lo spirito non langue;
per lei, per lei ritroverai la traccia.
Se l'anima nel pianto si redime,
raccogli tu ne l'ime
viscere il tuo dolor come in un'urna ;
poi va — trasumanata. — E avanti, avanti,
fin che ti regga il piede,
fin che non abbia la tua nova fede
infiammati d'amor tutti i tuoi canti!...
IV.
Passano l'ore e passano le stelle
pallide su quel sonno d'innocente,
mentre la Donna fragile e possente
dal fermo cuore ogni viltà si svelle.
— 0 creatura mia, piccolo fiore
che chini e chiudi le tue foglie a sera
per riaprirle al raggio
de l'alba; — immenso ed inesausto amore
oltre la vita, oltre la morte nera;
tu de F anima mia guida e coraggio
lungo il cam ni in selvaggio.'.. —
.... Passano l'ore e passano le stelle. —
La Madre veglia — e ancora, nel divino
silenzio, Ella non osa
toglier la sua da quel hi man ili rosa
che tiene avvinto tutto il suo destini'.
Milano, 16 ottobre ;yo2.
Ada Negri.
'•UH,0, 1?SSì^- '. r ' :i5S^" *v3*».
»• -Jf
"•4iMig^%8w^^myf%à(tc^
EMILIO ZOLA
Commemorazione tenuta nel salone della Borsa, in Milano.
11 .-» iiovrnilirc- I : m > l_-
nnanzi che la salma ili Emilio Zola fosse
resa alla ti-rra. un ministro della Repub
Mica Francese, insieme col saluto della
Francia, 1" puri,, quello dell'Italia, patria paterna
del som i ■ i ■ ijucsto riconoscimento di pa-
rentela fra i due popoli, rispetto ad un nomo che
gloria alla terra nativa, liberalmente
o nell'ora dell'ultimo distacco, quando Tor-
io e la tenerezza domestica sogliono (arsi più
ed esclusivi, fu un atto di grande ed ospi-
ilezza che mosse a gratitudine l'animo degli
italiani E bello che un ministro d'Italia ab-
bia in quell'ora rivendicato al nostro parse una sin-
ne di fraternità colla Francia. Ci è
tanti uomo portasse un nome italiano
• ■ tosse nato di sangue nostro; ma per la pnrez7.a
dell'omaggio che oggi rendiamo alla sua memoria,
debito affermare che nell'affetto che por-
li,-I dolore dejl'acerba sua morte
nella mai munirai iva che desta in noi la
ipera innanzi tempo compiuta, non intervenne
■ ■■ nessun sentimento di orgoglio e di
tener Nato in Francia di padre tran
nato in quale altro paese della terra, di parenti che
' nome d'Italia, Emilio Zola i
avrei ui lo I
cultori della sua memoria.
I pai ria di uno - quella che gli
foni lo strumento dell'op I Vn
' he cita, ed il sangue ma-
terno e le lunghe materne cure nella misera ini
a di vita
> manzi, la m i
ravigliosa padronanza della lingua che colà conob-
be, e che già duttile e sottile ancora egli seppi
gare e costringere ad una non mai prima raggiunta
minutezza di significati ed arricchire di termini tee
nici, pure serbandole sapore e vigore letterario, lo
stile magnilexmente per impeto interiore di persila
sione e di passione, ma chiaro e spedito per pron-
tezza e frequenza di comunicazioni, la coltura non
guari allargata oltre i confini della patria, il
fjlice e pratico concetto della vita e dei destini u
mani, la fantasia fervida e concreta, l'acume ed il
metodo dell'osservazione, raccolgono nell' immi
mole dei suoi scritti, in una somma quale raro
centra, i caratteri essenziali del genio francese. Mar
co di gaiezza, ma il suo tempo non ne espresse che
agli indifferenti, e ne difettarono e ne difettano
quasi tutti gli scrittori degni di questo nome chi
vennero dopo di lui. Anche gli fu rimproverato che
mancasse di grazia, ma lo su sso appunto moss
Vittor Hugo Enrico Heine che se ne intendeva, e
concorde al Balzar tutta la critici sua contemp
nea. E sarebbe a vedere se proprio ne mainassi a
lo sdegnasse quale mezzo non atto ai suoi
lini. Potrei citare ne' suoi romanzi mille esempi di
quella sfiorante precisione nella quale appunto con
siste la giazia. Ma a voler lumeggiare in breve ili
scorso la figura di uno scrittore, non conviene insi-
stere stille qualità formali se non in diletto di
maggiori. A chi reca in mente un vasto e chiaro
inondo, e poco merito saperlo esprimere nella foi
ma che più gli si conviene, perchè le cose ben pi
dutr nell'intelletto vi serbam • co
m ind Jorano la parola.
EMILIO ZOLA
IO7O
Due soli fra i romanzieri del nostro tempo, parla-
rono così alto al mondo ila parere la loro voce tr
re di moltitudine: Emilio Zola e Leone Tolstoi. Al-
tri furono più di essi cari ai raffinati pregiatori della
genti. quale culto, a quale eri
a quale fede appartenessero, quale miseria, o là vo-
lontaria 0 l'inopia o la servitù li
affliggesse. Di agitarla intendo così per consenso.
I mi/io Zola e i suoi genitori.
perfezione artistica, altri regna con più esclu-
sivo impero in devoti cenacoli ed ebbero meno nu-
merosi e meno acerbi denigratori. Ma nessun altro
possedette altrettanta virtù di agitare per così larga
cerchia di terre remote e diverse la coscienza delle
e. mie per dissenso, due moti opposti dell'animo che
procedono dallo stesso impulso e ne attestano del
pari l'energia.
Disparati negli aspetti dell'arte, avversi uno all'ai,
tri nell'idea finale del bene, essi s'incontrano in una
I, LA LETTURA
il || ottin si .1 ew hi di\ ei sa del I utu-
I in una \ simista dell odierna società. E
i don non proce
to, ma dalla spietata con-
I loro i
>nhi filosofica dispei to delle sorti umane.
già pei , issi i e ri nell'impi itenza
■ destino. M i un pessimismo sperante
di sdegni | i< toso e 'li gagliardi i
utture umane non si riflettono già nel
in uno spi n Iih ■. ma sì ■ i me in
ima brandita per estirparne la semenza. Solo
/.ni \ HM [DUO.
■ hi arde comunica ardore. L'umanità non segue
li ».
re eroe I" Zola, non vorrei che la vostra
■ - - i ira rio indotta .1 quel supremi 1 atto 'li
-'ii" ''he tenne il mondo sospeso al suo grido di
e 'li pietà. Mi prosterno alla magnanima
ndezza ili quell'atto, ma la viitù eroica dello Zola
appariva intera nella sua opera, innanzi che egli
lo ci Quell'atti appartiene .ili" spirito ani-
lei suoi romanzi come I" zampillo alla fonte,
to a quel % rido se egli
ili za dell'opera lette
r.iria.
re 'li avei i giorni andai i
un si v.i e quasi di nento per l'i-
nsiero. nel me troppi articoli
pirati a ri\ per
re, a bi di questo quasi di pas-
tovratutto la prodezza della ma-
\"n | osso .1 meno di n che
unni 'li lavoro ni splendore
forte piei 1 e
me 'li "lirr mil lecento ] 1 di-
stinti ognuno pei evidenza e precisione 'li cari
••'1 Operanti Ognuni) mi mio miv/n etl es] ir i nienti gli
innumerevoli aspetti della vita ili un popolo, pei
poco non eclissati 'lavanti la virtù ili un
momento già rimunerata col maggior premio
possa aspirare l'eroismo umano: la persecuzione per
l.i verità ed il trionfo della verità.
So bene che è più facile discorrere dei fatti che
delle idee, e che lozione può sull'animo ìuisir.. assai
più che I 1 troia. Ma l'opera letteraria dello Zola
contenne tutte le energie ed indusse tutti i pericoli
dell'azione. Sfessu lei suoi libri pass., sereno, ve-
stito di siila bellezza. Tutti levarono clamori di
trombe 0 mandarono rombo di mine sotterranee, E
nessun'.iltro scrittore ebbe cosi congiurati al silen-
zio dapprima, e di pni così furibondi avversari i
dispensatici di fama dall'alto delle grandi rividi- 0
del giornali in maggior credito. Egli bene pi
deva quelle ire, e quasi si godeva di incitarle, come
previde <• pregustò i danni e gli oltraggi che gli a-
vrebbe fruttato la denunzia dell'ultima iniquità.
I" cercherò Zola nella sua opera letteraria. Fac-
ciamo di richiamarcela intera alla men
Quale edificio ! ('he mole immensa! Quando la
struzione se ne andava svolgendo e compiendo noi
non ne vedevamo \ in via ''he le parti ultime venute.
E ognuna di queste ci dava sensazione e emozioni, i
suggeriva pensieri e giudizi rhe la riflettevano sola.
E ne andavamo esaminando, la singola struttura, il
modo della lavorazione, ne pregiavamo le delicate
finitezze di fattura, i vigorosi rilievi, e l'armonia
delle parti rhe s'integravano nella parte. Ma non
tutte s'integravano, e certe sovrane linee ascendenti
troneaie a mezzo, certe membrature dispaiate, certi
archi non sorretti 0 non chiusi, ci mettevano a di-
sagio e quasi in sospetto ili mancamenti 0 di pen
menti tardivi. E quando l'opera fu compiuta, essa
ci --'ava a ridosso, si che non potevamo d'uno --nardo
abbracciarne la mole, e le si alzava intorno come
polverìo per lo Sgombero dei materiali il gran liti-
gio offuscatole dei pareri sapienti e delle cupid
rivali. E ancora l'artefice infaticabile, impari
riposo, tentava altre imprese e ci chiamava a riguar-
darle, distraendoci dall'opera maestra.
Ma l'artefice è morto e la morte allontana di
colpo le cose, le colloca nel giusto prospetto e dis-
sipa quelle nebbie. O se ancora qualche fumo sta
gna con insidia alle basi 0 qualche strappo di nu
voletta velenosa s'avvolge intorno ai sommi pinna-
coli, essi nulla appannano la veduta, e quasi le •
scono maestà e vaghezza, così che il colosso ci ap-
pare armonie 1 intero, serrato come una rupe,
'tipo nelle ombre meditate, robusto negli
comisci , e fiammante al sole.
Chi più ricorda le diatribe intorno al natui
ci al romanzo sperimentale? ( 'he più ne resi 1 j Co
>ii. >i | in male dell'arte nostra e di qu
sima a noi I Quanto durano le dottrine artistiche
bandita ognuna quale apportatrice dell'ultima ve-
rità? Delle opere nate sotto il loro dominio, la parte
più li 1 specchia è la più caduca. Il naturali-
EMILIO ZOLA
Iti
/ /
smo è morto. «Non giungerà al secolo XX». predi
(•va il (ìunon.nt. «Morrà con noi», confessava lo
Zola. E con ciò essi non rinnegavano già il princi-
pii animatore dell'arte loro ma riconoscevano che
1 arte è così grande cosa che non può rapire nello
stretto ambito di una teoria; perchè quanto l'artista
porta con sé dalla nascita è elemento incoercibile, e
al movimento generale degli spiriti nel proprio tem-
DlSEGNO DI A. C.ILL
pò, non si sottrae volente o nolente nessuno. .1 quale
scuola artistica egli appartenga.
Già lo Zola si rideva di quelli che volevano fare
del naturalismo una dottrina estetica e non si sa-
ziava di ripetere che esso era un metodo e nulla
più. Ma quelle benedette parole in nino contengono
una indeterminatezza che le predestina ad ogni più
cervellotica stiracchiatura. E neanche per metodo.
esso non era cosa nuova.
«Non ho inventato nulla, scriveva lo Zola, nem-
meno la voce naturalismo, già usata dal Montai-
gne, nel senso stesso che le diamo noi. Essa già
corre in Russia da trent'anni e la si trova in Eran-
cia negli scritti di venti critici almeno ed in parti-
colare in quelli del Taine. E come non ho inven-
1 ito la parola, così non ho inventato la cosa: non
un capo-scuola: ho trentasei mila padri prima
dfl Diderot, e dal Diderot in poi. riconosco multi
illustri maestri. Lo Stendhal, il Balzac, il Flaubert
i due Goncourt. Non c'è scuola, non ci -.uno scolari.
Pigliatevela coi miei romanzi se vi spiacciono: Essi
soni, ripugnanti, odiosi, abbominevoli : il naturali-
smo, non ci ha nulla a vedere, lo romanziere non
credo che nell'ingegno. Siate uomini di genio. stu
diatevj di dire la verità del vostro sec< lo <■ l'immor-
talità vi aspetta ».
Mille volte lo Zola ritorna stili argomento e sem-
pre ribadisce le stesse idee e per poco non colle
stesse parole. Al suo spirito battagliero, ed
veder chiaro dentro di se. nulla piti co » delle
o ifusioni che- gli facevano intorno gli insao ttori
di nebbia. Ma nelle cose umane, il torto non è mai
ii,' una parte sola e bisogna pur confessare che il
piimo tenue filo di nebbia — e si sa che le nel 1
gonfiano e s'allargano — l'aveva proprio portato lui
■ pi ipiio trovato di suo, coll'uso illegittimo dell»
oi : Esperimento •.,;, /.■. . ■ coll'ahuso di a^s
inibire l'arte alla scienza. Us I abuso che si ri-
scontrano nella sua opera critica e assai meno nella
creai i\ a.
Il Flaubert ha risolto la questione del romanzo
sperimentale in due parole. «Quale sia l'ingegno spi
so in una data favola tolta ad esempio, sempre
un altia. favola potei fornire un esempio contra-
rio, perchè gli scioglimenti non sono conclusioni».
E' verissimo. 1! temperamento che lo Zola fa. con
tanta ragione, intervenire nella genesi dell'opera
d'arte, e un coefficiente disturbatore dell'esperimen-
to scientifico. Le bilancie. le storte ed i provini non
hanno temperamento. Quando lo Zola diceche un
processo penale è un romanzo esperimentale svolto
nel cospetto del pubblico, esprime con una imagine
felice, benché solo approssimativa, un'idea giustis-
sima. Se non che il processo penale è un romanzo,
senza romanziere. I latti vi si compiono da se. ogni
elemento costitutivo vi fa la sua parte e non altra,
e chi conchiude, ne ideò il delitto, né formulò l'im-
putazione, né condusse le prove, né fece testimo-
nianza, né arringò per accusa o per difesa. Ma è
inutile sfondare una porta aperta. Piuttosto gio-
verà cercare come la mente lucida e minuziosa dello
Zola sia caduta in questa confusione di termini.
lo sono persuaso che se i principi della
scienza francese intorno alla metà del secolo
XIX. invece di chiamarsi Claude Bernard e
Pasteur si fossero chiamati Gay Lussai: e La-
voisier, lo Zola sarebbe stato ad un modo schiet-
Nut luusMii Disegno dì .1 GUI.
1 Petite lune. 0 44
LA LETTURA
in.i non avrebbe mai
pred
i
he sulle menti dell'uni
ile non ha sempr
di movimenti intellet
/ ,m mi 1881 Fot B< nque
tuali. Vi sono rami del sapere che si allacciano per
una fitta retedi fili alle ide( patrimonio di
rutti gli uomini rolti. W ne sono altri che c'ispira-
no un i fiduciosa r;' La legge dei
rapporti pond izioni chimiche, la
e della dilatazione di i gas. 1 1 legge della gravi-
li computi i i Ielle distanze siderali
Ini. mo noi profani di maraviglia, ma non ci
muovono ad induzii li mo in noi nessuna
i siamo ili
■ >idio 'li una formi
dabile dottrina. Non così avviene delle scienzi ri
flettenti certe funzioni della nostra vita e certi modi
.li essa, ili-i quali siamo spesso chiamati .1 testi mo-
llami problemi della scienza fisiologica, com-
portano l'accertamento di latti che 1 . ninno sotto gli
,ni mollali. L'osservazione 'li tali fatti
appartiene ad un modo allo scienziato, al roman
re. ed anche semplicemente all'uomo esperto «iella
vita. Quanti psichiatri interrogano intorno a fatti
spa i'ici il giudice istruttore colla medesima se
ositi con cui un chimico interroga nel
ino le combina
dei co pi! I 31 1 istruttore avrà confidato
1 medesimi fatti al romanziere, saranno essi perciò
e meno attendibili ? Qui lo
il n 10 spesso la medesima
stanza e ne colgono 1 medesimi aspetti. Notiamo poi
che queste recenti scienze della vita, adope
un linguaggio prossimo a noi e non •
affatto delle vaghezze stilistiche. Molti pud Tosi
iti di psicologia sperimentale citano ad illu-
strazione dei più sottili fenomeni della psii U urna
na intere pagine di poeti. Quasi tutti i fisiologi sono
llenti scrittori che dalle memorie accader
volentieri scendono - 0 salgono, se meglio vi pi
agli articoli di rivista. Essi ci trasmettono il pro-
li''t" della ricerca scientifica col linguaggio dell'o-
pera letterina. Conforme dunque la sostanza, e
conforme il mezzo di comunicazione.
Avvertite finalmente che l'esperimento scientifico
raggiunsi- verso la metà del secolo NIX. mere'- il
sussidio di maravigliosi istrumenti. un rigore di os.
sensazione e di indagine non mai conseguito per l'ad.
dietro, e che di tutti i metodi escogitati per la ri-
1 del vero, esso è il più facilmente persuasivo,
perche ognuno di noi lo adopera inconsapevole ad
acquisto e verifica di ogni più usuale cognizione.
Quale meraviglia che lo Zola giovane e fervi
l"l vittorioso movimento scientifico del suo tempo,
smanioso di strapparsi alla chimera romantica, as-
setato di certezza per necessità fisi lei
prio ingegno eh' solo a contatto colla diva
ad acceii limetiti poetici ed a fervore imagin
dotto dal! mità che ho detto, si illudess
poter applicare alla preparazione della sostanza ar-
tistica i procedimenti dell'osservazione speri mei
e ne vantasse l'eccellenza? 11 Taine non aveva egli
affermato che i \i/i e le virtù sono dei prodotti allo
Stl SS0 modo 'he l'acidi 1 solforico e lo zucchero '' Ma
non bisogna mai prendere alla lettera i ragionamenti
ci di un artista, perchè nuesti è inconsapevol-
mente inclinato a conformarli alle proprie attitu-
dini ed essi vi si piegano compiacenti.
Quali sono i protagonisti della maggiore opera
zolianà ? Quale ne. l'idea dominante"' I protagoni-
sti sono forse quei Rougon-Macquart che 'e diedero
nome? Forse che l'idea dominante è proprio quella
dell'eredità fisiologica ? Nel 1868. giovane di 28 an-
ni, lo Zola concepisce il proposito di scrivere una
Si rie di romanzi legati insieme non per diretta con
EMILIO /OLA
tinnii,! di azione o di personaggi, ma per la trama
«ielle influenze ereditarie dipartite da un cognito
]) ri >t agonismo. (Questo misterioso influsso atavico
già adombrato forse nella leggenda del peccato ori-
ginale e circonfuso poi di sacra terribilità dai Greci
che lo chiamarono Fato, affascinò in ogni tempo
ed affascina le menti imaginose. Lo stesso Zola ne
aveva fatto pochi anni addietro argomento di un
dramma che allargò di poi nel romanzo intitolato
Madelaint Ferai. Ma in quello egli era rimasto nel
Fantasioso, pago di derivare dalle eredità naturali
un contrasto drammatico di affetti. D'altra parte
un solo romanzo non poteva contenere ad un tempo
la causa originaria dei fenomeni ereditari e le sue
molteplici conseguenze che si manifestano col voi
.in degli anni e delle generazioni.
Nel concetto iniziale la serie dei Rougon-Macquart
doveva constare di dodici volumi, e furono venti
di poi. Innanzi di mettersi al primo, La fortune des
Rougon, lo Zola si diede a compulsare trattati e
memorie, a interrogare medici, a postillare statisti
che, ad osservare intorno ed a notare con una dili-
genza fatta insieme di inestinguibile ardore e di
probità impareggiabile. L'albero genealogico dei
Rougon-Macquart che egli pubblicò in capo al ro-
manzo: Una page d'amour, l'ottavo della serie, fu
stabilito intero con tutte le sue annotazioni caratte-
ristiche, durante quel periodo di studi preparatori.
Ma questi lo indugiarono a segno, che La fortune
des Rougon, incominciata a scrivere nel maggio
1869, apparve in appendice solamente il giugno del
1870 ed in volume l'inverno del '71. Nel tempo cor-
so fra la concezione iniziale dell'opera e la pubbli-
cazione del primo volume, la Francia era caduta
dal colmo della prosperità all'estremo della mise-
ìia. La guerra Franco-Prussiana, l'ecatombe di Se-
dan. il crollo dell'Impero, la dedizione di Metz con
un esercito di 100 mila uomini, lo sfacelo gover-
nativo, gli incerti comandi nell'assedio di Parigi,
erano passati su di essa come un torrente in piena
che spazza via tutte le ragioni e tutti i segni della
vita. E come alla rovina delle acque furenti, segue
lo stagnare delle limacciose, che dissolvono coll'oc-
culto lavorìo corrodit ore fin l'ultime fondamenta de-
gli edilìzi crollati, così nei giorni stessi che si pub-
blicava, fra tanto squallore di morte, quel primo,
piccolo, male avventurato volume, bolliva sorda nei
fondi popolari, più terribile e più minacciosa delle
guerre aperte, la grande collera che divampò ben to-
sto sui due bracieri della Senna negli eccidi della
O nume.
A che si riduceva il caso di fisiologia sociale
ideato e studiato dallo Zola, davanti a tanto scon-
volgimento di uomini e di cose? Potevano la sua
mente, e la sua coscienza, appartarsi dai tragici e-
venti nella pacifica contemplazione di una così te-
nue realtà ? E poteva il soggetto cosi subitamente im-
miserito, contenere il bollore degli affetti e l'enor-
mezza delle immagini mosse da quella vista? Lo
Zola si era proposto di scrivere la storia naturale
e sociale di una famiglia durante il Secondo Im-
pero. Ma quando ne aveva formato il divisamente
il Secondo Impero trionfava sull'istmo di Suez a-
'"79
perto da un francese caro alla famiglia imperiale,
ed accoglieva ospite riverente all'Esposizione di Pa-
rigi quello stesso sovrano cui doveva in breve ri-
mettere la spada di Sedan. Il periodo de! tempo
assegnato all'azione dei suoi romanzi, ne fissava il
punto ili partenza, ma non quello di arrivo. Ed ec-
colo, quel periodo, chiuso di un colpo colle spranghe
della morte. Il morbo ereditario preso ad osservare
nella famiglia dia Rougon Macquart, era quella ne-
vrosi che esce dalle voglie si renate, dalle inconti-
nenze carnali, dalle urgenti impazienze e dalle spie-
tale fatiche. Ed ecco che quelle voglie, quelle in-
continenze, quelle impazienze e quelle fatiche avi
vano attossicato non una famigli.!, ma un popolo,
del quale parevano aver disgregato la compagine
ed annullata fin la coscienza dell'essere.
Confessò lo Zola a se stesso il repentino impic-
ciolire della prima impreca ~f 0 hi inconsapevolmen-
te trascinato a sconfinarla.-1 ("erto è che ila quel
punto il vero protagonista del suo poema fu il po-
polo di Francia e che l'idea informatrice, di pseudo-
scientifica che era da principio, divenne storica, con
animazione di impeti lirici e di larghi compendi
simbolici. Rimarrà inalterato il piano generale che
è come l'ossatura dell'opera, rimarranno i personag-
gi già ideati, quali punti di richiamo sparsi tra la
moltitudine, rimarrà la nevrosi quale uno fra i tanti
aspetti del gran morbo sociale, ma altre innumere-
voli infermità ne pulluleranno come schiuma da bol-
lore di caldaia, ed una gente intera, dai campi, dai
mercati, dalle officine, dai cunicoli delle miniere,
dalle sfrenate locomotive, dalle banche, dalle taver-
ne, dalle alcove, dalle stamberghe, dagli ospedali
urlerà le sue paure, i suoi tripudi e le sue brutture
con tal voce da coprire il gemito di una poca fa-
miglia e da echeggiare fino agli estremi confini del-
la terra.
Tale mutamento nella sostanza dell'opera si pa-
lesa fin dal secondo volume La Curie, scritto per
l'appunto sotto la percossa delle recenti sciagure.
\l>-ntre nella Fortune des Rougon la figura cente-
naria di Adelaide Fouque campeggia quale genera-
tile della malattia destinata a diramarsi ne' suoi
discendenti, ed il caso particolare ci è di continuo
presente, nella Curée, il titolo istesso ci solleva dal
particolare al generale ed il precipuo personaggio.
quella Renée che riempie tutto il romanzo della sua
morbosa bellezza e dei suoi amori incestuosi, nulla
appartiene ai Rougon-Macquart. Né dei due perso-
nali che vi appartengono, Aristide e Massimo. l'Ip-
I olii,, di quella Fedra, nessuno di noi rileva la tabe
ereditaria, tanto essi ci appaiono quali spiriti di ma-
leficio sociale, ideati a rappresentare le enormezze
orgiache di un Passo Impero.
Provatevi a ripensare i principali romanzi della
serie: Le ventre de Paris. UAssommoir, Nana, l'f!
!,. \n bonhew des itt/mes. Germinai, La Ter-
re. La liète Imma ne. VArgent, La Vèbài v. e ditemi
se nessuno di essi vi richiama alla mente il filo del-
l'influenza atavica, se da nessuno di essi vedete e-
mergere i rampolli dell'inquinata famiglia. Che
giunge all'orrore ed alla nausea dell Issommoh l'i
sereG 1 1 nata di padre beone ? Tra i fumi delle
LA LETI
. : , : elid od afose sol
utravvediamo noi torsi- mille altri piccoli
i nell i foia ilei vii e dell as-
ti delitto? Non
moltitudine suicirl i rande anima ;
Chi mai può riconoscere in E
I antier il '• < i . 'minai ' E
quando ■ tenebn della miniera inondata
ù mai può imputare l'eccidio ne
il veleno che dormiva ne' suoi muscoli,
.mi lentamente accumulato nella sua raz
lista r l.i secolare miniera, che stremò ili
.i/ii mi, che impingua gli
li intani ignari perfino del sui i
nome ■■ del li sa s'inabissa nella terra, che
il magro peculio ili un primo
ni rj padre in figlio l'oziante
tudine Forse che l'ultimo romanzo della serie
di tutti il più artificioso, che
fuor d'opera, tardo e meccanico richiamo al con-
mento giovanile? o non sentiamo noi tutti che
-i chiude nella Débàcle, alla quale conver-
come .1 fiumana devastatrice tutti i rivi fan
: della corruzione raccolta in ogni strato
A ni. m mano che l'autore penetra nei fondi
depravati e doloranti, ogni romanzo si fa più irto ili
fatti, tanto egli accanisce nel gittare in faccia ai
contemporanei unta interi la realtà che essi
barn entieri rifuggono dal contemplare.
Via la polita ■ ie tanto cara alle menti deli-
ri isl i impeccabili. Non i tempo ili re-
ticenze né di omissioni compiacenti. L'impressione
che egli vuole indurre nei lettori, non è già quella
di ui mento estetico, "'li un fuggevole velli-
into sentimenti Basta, basta, gli gridano i
ri. e gli uri ino i critici, a che insistere? Lo sap-
l i.iu n i stori : delle miserie e delle bruttu-
re umane». No, non basta saperlo, ( juesia misera sto
erchè la sua conoscenza sommaria :
le verità disgustose prese in blocco, si inghiottono e
SConO troppo facilmente. E' troppo eomoila
voltarsi dall'altra a più
tiposanti spettacoli. Bisogna sparnazzare in questo
tritume 'li sozzure, e farne vaporare tutti i fetori
-alare tutti i veleni, fino al ribrezzo, lino alla
nausea, finché in luogo ili sclamare: "cosi è», la
ribellata comandi: «così non deve essere».
Pei ' I modo I" Zola, soverchiando i mezzi con-
sueti ile! ; m'effi istica così
"'■■rosa che non ha altro riscontro moder
•i in quella di 1 & mi rolstoi I o me al
russ" giovò l'appari nei id un popolo ultimo ve-
ne! concerti: intellettuale del m lo e, perchè
nuovo aliane, prossimo ancora alle ingenui fonti
della vita, così giovarono allo Zola l'infanzia sei
nezza intristite, che
insero in rban mi ■ nell'anima
ti aromi della terra. Solo Ira i grandi scrittori
rovi fino al li-
li Ila vecchiaia, le pronte ingenue ire e le
temei Facìi
M n to dal freno dell'arte il suo sdeimo non
inveisce né sermoneggia. Obbiettivo quanti altri
mai nel ri e nell'ordinare i fatti e nel
dune via per la trama dei fatti i personaggi, as
sente in apparenza dai suoi romanzi, egli vi guida
a' suoi fini senza prendervi pei mano i senza addi
larvi la mèta. 1 suoi libri hanno un'occulta anima
persuasiva. Poiché registrò a sazietà tutte le mimi
zie delle '"si inerti e delle animate e vi imi 1 1
invano riluttanti nella realtà brutale, ecco lei
di colpo da quella realtà una grande imagine elea
le. che pure le appartiene, che la continua, che ne
serba la sodezza e l'asprezza, ma che insieme la il-
lumina e la commenta assorgendo ad immaterialità
di simbolo.
Alle corse di Longchamp Nana la prosti-
tuta empie il recinto del pesaggio della sua
trionfale inverecondia. La prode bellezza
procacciò l'alto onore di battezzare col suo ni
una polledra iscritta a correre il gran premia \
per gli steccati e nei palchi, tra la febbre e le ti
pule del giuoco, tra i fumi dello champagne, sulla
moltitudine ebbra di se, dei colori, del la
sole, sta sospesa una mordente ansietà patriottica.
Gli oracoli profetizzano il premio ad un.i scuderia
inglese. Ecco il segnale. La piccola schii
sferra nella pista. Due cavalli francesi contendono
all'inglese il trionfo, In giro, due giri, lo eguaglia-
no, lo sorpassano, riperdono terreno, l'inglese urge
primo al traguardo imminente, ma di un attimo \
uà la polledra saetta < ra le informi groppe serrate i
colori di Francia e li porta vittoriosi alla mèta. E
allora dal prato immenso, dai palchi, dalla lo
imperiale, dall'ultimo formicolio remoto ed indi
stinto, scroscia in un urlo trionfale il nome di Vi
na : di Nana la polledra. di Nana la prostituta, cui
si tendono d'ogni parte vicina le coppe, gli sguardi,
le voci e le bramosie, in un sacrìlego miscuglio di
vanità patria e di concupiscenza carnale.
Il poeta è rimasto tino all'estremo nella realtà ac-
cettai'ile e ijiiotidiana. ma dal cozzo delle cose reali,
come sprizza dai capi opposti dei fili conduttori la
scintilla, è divampata un'immensa fiamma ideale
i he illumina e rivela i reconditi nessi delle azioni
umane. Al soffio dell'arte, la realtà è salita d'un
colpo d'ala tino al simbolo.
Quanto non fu deriso lo Zola per le sin i
inchieste! Ari ogni nuovo romanzo, erano nuovi
cusedi indagini frettolose, condotte alla -rossa, con
animo parziale, a sola cura di vellicare le malsane
curiosità ; e dove non mordeva fa'' usa. suppliva il
dileggio, pure di fargli increduli i lettori. Quando
egli pubblicò la Débàcle, fu uni mento di
in feroci che lo segnavano all' abbon
Francia, dalla quale a sentirli, egli i su-
pina ignoranza vilipeso l'esercito ed insudicia'.! la
bandiera.
E' cerio che di tutti i suoi romanzi, la l>
era II più arduo a condurre con i — rvanza
del vero, perchè il più estraneo alle sue inclinai
ed alle condizioni della sua vita, ed il più mo
I Millo ZOLA
108.
DlSEGNU ni V (.ILI
; i Courrìei i > ini ois
plice negli aspetti, e perchè lo sua materia era per
diffidenze e gelosie ili casta la-più difficile a pene
e. Eppure semai nella sua opera egli conseguì
la precisione storica, fu in quello per l'appunto. U
.lite la testimonianza che gli rendono i fratelli Mar-
guerite . ai quali le
Li 'in; etiche e
g e ssidui studi at-
tribuirono in tale
ti - mi autl a Ha
incornatesi ita
« Noi pine, dopo
li i /.' 'la. abbiamo 1 1 1
luto percorrere il
in sanguinoso
di quella guerra .
."inni. Un dei nostri
ii" ali Noi pure
dopo ili lui sui' '
io quella triste
terra arrossata . e
pe 1 le- ri ii a ni M'
campi di battaglia .
' li.' \ utero il crollo
di un Impero ed il
barcollare di una
nazione, l'i interra-
lo Morie, tatti, episodi, ricordi e testimoni po-
temmo accerl ire |uanta scrupolosa verità, quale e-
satta e severa autorità di documento il romanziere
calunniato abbia raccolto nel doloroso e pròbo libro
della Debacle».
Una sola volta la ricerca del vero gli riuscì man-
chevole, e fu nel libro di Roma. Ma qui non si pa-
lesa già la pochezza del suo lavoro indagatore, ma
bensì l'insufficienza di simili indagini quando le no
tizie positive accumulate per deliberato propo
non trovino nella mente che le accoglie e le regi
ara ii.n I largo corredo di notizie generali che sola
può dare la lunga consuetudine delle cose e delle
iti. Xe l'ingegno dello Zola, aperto a tutti gli
aspetti della vita odierna, conscio dei suoi macchi
a ngegni e innamorato dei suoi travagli, i
va afferrare e penetrare la i ndi Roma, dove il
issato non sorge soltanto malinconico spettro dalle
rovine, ma regge istituti millenari, crea consuetudi-
ni, modifii i li ' indizioni degli animi, governa il
sentimento della bellezza, tranci gli spiriti dal! i I
funere adorazioni, rivive nella concisa familiarità
del linguagj io pi polare.
Le cose non p Ilo /oli se egli non co-
nosceva gli uomini che vivono loro frammezzo lo
lo vidi a lungo, quando tornava da Roma i >\a Ve-
nezia che e-li aveva visitato la | i n ralta e un
liane non ne avesse compresa intera la helle// i I
■ intera ad attenuazione riverente. E . li era sordo
al patito .• svogliato di |" i.i leu.! ra. La
vita, la vita d'oggi, gli nomini d'oggi, poderosi, ac-
caniti, malvag osi, ini rmi, violi
Mia sostanza d'arte, ecco il solo mondo atto a mo-
vere il suo spirito a prodezze creatrici.
Nessuno, che io sappia, cercò mai di proposito se
nell'arte o nell'indole dello Zola si riscontri qual-
La "Lettura.
chi- vena di influenza italiana discesagli 'lai pai
L'indagine sarebbe in special modo curiosa trattan
dosi di un uoiiin die attribuì tanta efficacia alla ere
dita fisiologica da farne argomento iniziale della
sua maggior crea/ione. Il Bonghi, riprovandone .vi
le sconcezze, accennava, non so bene se 3 titolo d
derivazione, ai novellieri italiani del 500. Ma non
mi pare che i novellieri, i cronisti e gli autori comici
l lancesi Eossero meni 1 salai i e meni 1 si il 1 dei
nostrani. \i- il Brantòme, ne il Rabelais, né il Saint
Simon, uè il La Kontaine hanno nulla da invidi uri
all'Aretino, al Bandello ed al cardinale Bibbien
Invece io mi domando se dal sangue paterno non
dovesse lo Zola riconoscere una qualità die si rivei
hera bensì negli scritti .• ne diventa carattere distinti-
vo, ma che appari iene ■ li leti aulente all'animo , d . m
modo della coscienza. Voglio dire l'assenza di pregiti
dizì intorno .1 tutti i fatti, a unti gli aspetti del \ •
re sociale. Per pregiudizio non intendo già un giudi
zio errato, ma semplicemente un giudizio preventivo
fisso ed immutabile che inibisce "lui ulteri ire disa
nima. Mi par certo che idi altri popoli ed il Iran
cese in special modo, assai più di noi aman arsi
delle verità intangibili nelle quali riposano e che
difenderebbero a prezzo di vita. L'argomento di
sta verità può variare a seconda degli individui:
per gli uni sarà la credenza religiosa, per gli altri.
la somma potestà politica, 0 la magistratura. 0 le
si n ito. o il cavillo cavalleresco, 0 saranno uomini
eminenti, o le convenienze mondane, ma un'arca
santa e magari parecchie ce l'hanno tutti.
Ce ne abbiamo forse anche noi in Italia delle ar-
che s.nie. un la loro santità è piuttosto precaria
tanto amiamo di smontarle per vedere come sono
fatte, e come l'abbiamo veduto, non c'è rispetto li-
mano che ci trattenga: la verità sbotta ad ogni
e, isti 1.
Se sia bene 1 male non importa qui di cerei.', il
fatto ;• che di tulli i popoli noi siamo, nella pia
tica. il meli" impastoiato da preconcetti e di rive-
renze convenzionali. Lo siamo oggi e lo fummo nei
ili tino da quandi 1 Ri una rn^ev a aitai i al I li. -
ignoto e riconosceva il diritto di cittadinanza agli
Dei d'ogni terra 1 d'ogni tempo. Ricordiamo che il
. , ■ .i In il si 'io andato immune dalle gin
di religione, quantunque da noi procedessero i pri-
mi moti per la libertà
religiosa. Che non in-
trodusse seismi prleli
nelle cose dell'anim 1 1
G II III' ' ini la il ' ' ■:
suo senza che di' CCOI
ra di ■'! Il imbra
di u\ì.\ doti riiri. Ri' 1
diamo le ■ ■ 1 sa
pore 'li forte agrume
I : te m in si |
di gel tare in
tutti i pi ti 1 sin 1
tempo. Ricordi i.in 1 eh
il libro più S]
Disegno di Valloton
mondo è il Principe di (Bei ite Bianche. 1894).
68
LA LEI IT HA
I no-
di patria, in
i ii hiare
Mancanza ili o mi Inzioni No Ma
H'anima popolare,
rica i he i p<>-
moderni
■ pronto ed oculato accoglim
spetl i del veri i I .<■ verità invecchiali
i rico Ibsen al pn
commedi; A quel modo che
mpo coll'immagine ili
no che ■• figli, io vorrei suggerire
i pi sentare il Vero col
i, i chi si divora i suoi padri.
i ppunto ed in grado
spirito iconoclastico. Franco
menzionale, era in lui una sete
d un bisogno prepotente
! nassima i rana se : /•</* tanti
non faceva pei lui. La vi
sua impresa. E nnu si resta
Ito in tigni momento della \ ita. 1 1
prim II ultimo romanzo rimasto
sullo "scrittoio 51 mpn 1" stesso ardore in
t|i imiti ■ ':' vei ita.
I dite quel ch'i sse, i ieri, non nel fi i
vore dell'ultima mischia, ma vent'anni oi sono nella
prefazione del volume: l'm campagne.
«Oh, provare la continua ed irresistibile ne
te alto quello che pensiamo e più quan
do siamo soli i o, a costo di avvelenarci la
vita! Questa ì la mia passione . ne sono tutto in
guinato , ma l'adoro i nulla vorrrei senza ili
I. più sotto nello stesso libro: ■ Muoiano li
venienze, ì riguardi, i sentimenti, cadano i ni
gli e le nostre glorie, purché si rità».
Non squilla in queste panile tutta la diana risve
gliatrice del !' accasci Altri, altri molti ardano di
verità; ma che un idolo si frapponga fra essi ed il
ed il loro ardore li rode dóni ri i e si tace. LoZo
la non conosce idoli o quello solo cui si dà in conti-
nuo olocausto. Quando offerse la lama, la pace, la
vita perchi giustizi; fosse resa ad un ignoto ili là
dei mari, egli fu nel naturale esercizio delle sue fa
colta animatrici. Non contendiamo alla Francia il
vantu di quel grande spirito veritiero M se da noi
gli venne ili francarsi da ogni riverenza inibitrice
di verità, teniamocene come ili assai munifico dono.
I' bello noverare eroi per la verità. E' più bello
che ìiatm eroismi id asserire il vero.
GIUSEPPE GIACOSA.
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aAsfci ti. v i
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i
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[)1 EMILIU /hi V
F n ufficiale si presentò sulla soglia della
?-| misera i panna di fango — un veni
ranchilo pampero — che serviva di quar-
J tier generale. Si fece un silenzio d aspel
tativa. Egli portò la mano alla visiera, si pose rigida-
mente sull'attenti facendo risuonare con un colpi d
tallone i grandi sproni gauchos. • nò:
— Generale, l'ordine è eseguiti!.
La sua igura si profilava in nero contro
livida, del • na alba che l'inquadratura di
l'urta limitava duna cornice di tenebri I' lontano
veniva il rumore dell' n ppena di
mormorio cupo d'alveare che hanno le molti-
tudini, e sul confuso tumulto echeggiavano alli
mente per l'aria fresca e calma i nitriti dei cavalli.
simili a brevi scoppi di risa squillanti e podi
L'interno panna era oscuro; |
la notte inseguii,: dallalba vi cercasse in:
Un fuoco di brage. acceso in terra, nel mezzo, illu-
minava va due ufficiali dritti ed Lmmol
Gl'incerti riflessi sanguigni s'attacavano ali
ghe pieghe dei loro foncìios ed agli energici rilievi
delle loro fisionomie, lasciando tutto il resto av i
in un'ombra uguale e folta.
Uno di essi si volse vivamente verso i! nui vi i
tivato che restava nella sua posizione ili saluto:
Luogotenente Cha - esclamò con
in fondo ili quale ringhiava la collera -
potevate farmi ir meno. Non c'è tempo da
perdere. Sono tutti arrestati?
Sì, generale; tutti i soldati che erano di
sentinella al > mpi [uesl notte si no in ai resti i.
— Q 1 1 ■ i
- Ni
( ondueeteméli sotto buona scorta. E subito!
L'ufficiale girò sui talloni e scomparve, men
rale, con un gesto rabbii un
colpo del suo revenche — li
/oni ardenti spriz i rno co-
me il ferro incarnir io al martello, e il
dalla frustata arse più vivido per .il
cimi istanti, illuminando a pieno due volti barbuti
e rudi, sui quali si dipingeva una preoccupai
ansii
fi di i ll'arrivo dell'ufi
tinuò:
— Se fosse una vendetta? 11 vostro aiutante, ir
comandarne Ricasal, frustava troppo; non er;
nnto molto....
— M un semplice assassinio. Dimenticate.
colonnello, i documenti sottratti dall'
no stati rubati i piani d jna e gli ordir,
1084 LA LETTURA
■.. tta da Victorica, documenti
sai custodiva come mio aiutante : No. il
i
lerale, ; piani e gli ordini ci sono noti,
Imente?! M ; Jani vanno nelle
rcito rivoluzionario? I nostri movimenti
revenuti !
quasi l'i-r il un
u nemico poti re un oi
■
.i. Ma delle
ratizzati ; tutta
mguin lagna pei con
durre gli insorti al Paso de los l lutile,
remo battuti, battuti, battuti ! Non potn mo pi -
guado del Rio Saladi i di imani, i
.il generale Paum tro giorni i
Il generale sferzò ancora due p tre volte il fuoco
lis ne per battere un nemico im
bile, e la fuga delle scintille si riflettè 'li nuovo
occhi adirati. Poi riprese :
Il traditore è qui. Ricasal ssassinato
nella sua tenda, nel bel mezzo del camj i
rio vicino a questo ranchilo dove dormivo io. 1
imenti rubatigli sono qui nel campo; non posso
muovermi se non li In» ili nuovo, e vi giuro che se
E il generale Porfidi» Fuerte, questo generale
accampato '"1 suo reparto 'li truppe nazionali m'Ha
l'ami' i .li Vii torii a, '■ la cui mar spesa i ira
pi i mi così strano e tragico avvenimento, non aveva
forse legami 'li parentela con l'uomo che pò
dirsi l'anima della rivoluzione, con Romero,
che il i>n|i"l" chiamava ''"I suo nomignolo 'li Di
minguito? Come dunque non sospettare «li tutti e
ili tUtl
Quando la lotta divampa fra i figli d'una sti
. il nemico è 'li casa. Nulla lo fa distinguere
alle volte; può essere vicino; può sedere alla ta-
vola dell'avversario. Il sospetti caratterizza la vita
ili quei momenti, nei quali il tradimento diventa
noe l'eroismo tradimento. Il sospetto è nell'a-
ria come un sottile veleno, penetra negli animi di
vantatore d'affetti. Si troncano quei fili del senti-
menti i ' he le nomini, e non ne resta < he
una finzione tramala dalla pania. Tutti sono in
guardia. La diffidenza fa d'ogni uomo una sp
li pania d'ogni amore I Un dubbio può
re una \ ita.
Ecco perchi i >gnura > di i [uei soldi i ava. e
rerj iva d'essere sospettato.
11 campo si fé silenzios me nei mi •
che precedono la battaglia. Tacquero i lievi accordi
ili chitarra e i consueti canti A' habanera e di mi
longa, dolci e tristi, che si levavano nel sereno pal-
laio della prima mattina in- fumo dei fuo-
nche dovessi con le mie mani frugare uomo per chi appena accesi; cessarom i mot
uomo e tenda per tenda, li troverò, perdio!
Si udì all'esterno lo scalpiccio di molti passi, poi
are di: Alt! armai <i tierra! se
_mt'. da quel caratteristico rumore di pesanti terra-
menta -citate al suolo di colpo che tanno i calci
fucili battendo tutti in un tempo il terreno. Il
ente Chasico compane ili nuovo sulla soglia
nnun/ianilo:
!
Il generale e il colonnello uscirono dalla ca-
I nove prigionieri erano lì. schierati. Dietro di
teggi e le dispute ; le /ucclle: t e
acato non passarono più di n
mi mano.
I soldati si. uc \ ani » di 1 ra le lari i m
— irregolari e malferme come quelle d'una tribù
di zingari, tutte bagnate di ru -e si avvia-
vano lentamente verso il ranchilo del quartiei
cerale sul quale la bandiera argentina, bianca
zurra. cadeva floscia i in nimata nella '-alma.
Una tenda, proso alla capani ra guardata da
Ogni tanto qualche ufficiale si appi
va. sollevava cautamente \n-\ lembo e sporgeva il
Intorno intorno si andavano tacita capo con quel tare rispettoso che ogni Uomo ha di
meni pendo i soldati. La notizia del misti
i ios. i a\ venimenti i ave* so il campo con la
■ l'una folata di vento.
litri e di tradi-
tegli uomini erani i abituati ai suoi
'. ma un n I cuore di un
ni. nto ei i mo, che le fantasie sel-
• ate e
re il traditore? Nessun
i (gnuno dui impagno di tenda,
tirare pei il suo vicino in un'epoca di
nche Ira p
di' in quella I
\l ■ Inni i. govei
ilare
lipoti Don Pedro Pavos pei si ispetti i di conni-
nsorti. I P turii i ave> a un
; Ico.
fronte alla morte. In quel momento gli sguardi cu
riosi che da lui '.ivano in folla per l'apertura
a frugare avidamente nell'oscurità dell'interno, in
Ravvedevano presso alla porta >h]f piedi nudi, rat
tratti, lividi, orribili: piedi di cadavere che sol
no Inori dal buio; e. appariva spaventoso alle
menti il pensiero di quanto quel buio nasone'
preda del mistero.
Alcuni soldati che tornava lai l'avere abbeve
iato le cavalcature all'acqua torbida d'un foss
no, montarono sulle nude groppe dei loro
v dli e sostarono in gruppo, dominando la folla.
Era ' i lacera e se ilza di soldati ai quab
i ivoluzii iiiaria non ci mi edev i rip
Ita di figure enc rgiche. di fisionom
e risoline. Vi si |"
lell i l'ami. a. tipi i tei i pi di mei
ere ili ni. profili da , >
idilìos. rudi volti coronati da barbe ispide
e da corvine capigliature disordinate, espressioni
il BAQUEANO
IO
85
fiere e feline; e tutta una confusione di vecchie
uniformi, di ponchos gettati sulla spalla con la di-
gnitosa negligenza di mantelli guasconi, di bomba-
chas gonfie come brache di moschettieri, <li eh,
ne ricordavano le vestaglie abbondanti degli arabi.
Quando il generale comparve tutti gli occhi si
volsero ai prigionieri, rhe salutarono portando la
mano alla fronte. La scorta presentò le armi.
— Atencionl — comandò il luogotenente. Le ma-
ni si abbassarono e i calci dei fucili tornarono al
suolo.
nerale Porfidio Fuerte si appressi imo a pò
chi passi dai prigionieri, si carezzò nervosamente
la barha grigia, gì Sto che era abituale in lui nei mo-
menti di preoccupazione e di eattivo umore, poi
lentamente parlò:
— Chi di voi non dirà il vero avrà cento colpi di
revenche — e girò un'occhiata penetrante e minac-
ciosa sui nove volti. Cento colpi era la morte.
I prigionieri impallidirono.
Poi continuò:
— Chi era di sentinella stanotte allo stato mag
giure ? Si avanzi.
Due uomini uscirono dalle Sia.
A che ora montaste di guardia?
Vile nove.
— Io all'una, senor.
II primo era un indio colossale, stil cui volto
giallastro il pallore pareva livido. Il generale si ri-
volse a lui.
— -Dove stavate ?
— Là. vicino alla tenda del comandante Ricasal.
(li fianco al rancluto — e indicò col gesto ia tenda
del morto.
— Chi è entrato nella tenda ?
— Nessuno. Il comandante è rientrato una mez-
z'ora dopo che ero di fazione. Nessuno s'è più av-
vicinato. Ho visto la luce della lampada da campo
trasparire dalla tela, ma per poco. Vedevo l'ombra
del comandante che passava e ripassava. Dai suoi
gesti capivo che si preparava a coricarsi. Poi la
luce è sparita. E non ho visto altro.
— Hai dormito ?
— Xo, generale.
— ■ E non hai udito niente, niente"
— Sì, la ronda. E' passata a cinquanta passi da
me. Ho gridato il — Quieti es? — mi ha dato la
parola d'ordine. Io ho risposto. Poi è sparita lag-
giù, dalla parte dei carri. Ho rivisto la sua lanterna
lontano, per un momento. All'una sono smontato di
guardia e sono andato a dormire nella mia tenda.
11 generale con un gesto iroso roteò lo scudiscio
che mandò un sibilo, breve e violento come un'im-
precazione. Poi interrogò l'altro snidato, un giova-
ne alto e forte dal volto quasi adolescente, dall'e
spressione un po' timida e umiliata.
— Che hai visto?
Niente — e ripetè con accoramento nula.
nuda, naia: — niente, niente, niente !
— Niente, in tutta la notte? Racconta :
Il soldato abbassò la fronte raccogliendosi, e
dopo qualche istante soggiunse:
— Verso le tre ho sentito la voce del sergente
Unitoli, che ha la tenda laggiù, il quale canta\ i
querida es tan leja, m - ini subiti V
lora io....
A\ mi i. svelti i !
— Allora io ho continualo il suo canto, ma SOI
tovoce, per scacciare il sonno. Ma mi metteva me-
lanconia e mi sono taciuto. Poi ho avuto freddo e
mi soni» messo a passeg;
— Ma che cosa hai sentito?
Niente. Ah! sì; ho sentito i cavalli del quar
0 dalla parte del fossetto, che nitrivano. Io
i i pensato: — Che hanno slam. ini J ma mi sono
corto che non tirava vento, e i mosquito!, dove
vano martoriarli. E' segno di tormenta vicina.
— E poi ?
— Poi ha cominciato ad albi ggiari ed è suonata
la diana. Ho visto il lume nel vostro rancho e ho
detto ira me: — II generale s'alza subito; oggi si
marcia. -- Poi è venuto da voi il colonnello I
luno. E' suonato il «rapporto» e tutti gli ufficiali
seno arrivati. Poco dopo è venuto il luogotenenti
Chasico che mi ha domandato sé avevo visto il co-
mandante Ricasal. Vo, senor ho risposto. Egli
s'è appi. 'ss, ito alla (cu, l.i e ha chiamato: O
mandante! Comandante! — Nessuno ha risposti
Il luogotenente aveva la lanterna di servizio; è en-
fiato nella tenda. Subito è uscito fuori, è corso
me e mi ha messo la lanterna vicino al viso dicen-
domi: — Chi è stato là dentro;-' Chi;-' Chi?
aveva la voce affannata. Io non sapevo niente. He
risposto: — Nessuno' Egli mi ha preso per li-
spalle, mi ha scosso forte ripetendomi : — Chi ?
Chi? — poi mi ha tolto i] fucile, la daga, il coi
l'i ìlio flguni M nrti/lhini ni in in e, uhn 1,1 hi.
della prima alba
LA LEI .
\ ■
I un i" hanno arre-
i .1 1 mi . p eh
l eco
rezzando convul-
i della g
i i ente:
\ ferri questi due manigoldi i ;uar-
■ i irio 'li commenti corse fra la folla, la
iveva udito l uori 'li quell'ordine che
■ seni "-ili agli
no dopo l'altro !< cero le loro depi si
. va udito duto nulla, fuori
incidenti della unite al campo. La m
[li Ila. I ..i sentinella '-li'- guardava
del fossi \n\ rigagnolo ricoperto di
/ prigionieri i i>n,>> lì, schierali. Dietro ■'/ essi lu ■
aite veniva a scorrere > ■
indo 1' intero
i l'irrequietezza 'lei
li. tormentati dai mosquito* che si levavano a
■li dall'acqua. Il soldato stes-o aveva avuto il
volto insanguinato dagli insetti, liei resto questo
un flagello o i Ila prateria quando l'aria è
'•alma.
alcuni istanii. il ge-
mi ordini I • voce. Il luogote
:ò. e leni amente, a voce spie
ne un b _'riilo alla moltitudine:
I edeli difensi n i della causa nazionale ' 1 ' "i
dim i Porfidio Fuerte.
■ />, io • I" ilh iani d'ori i a
chiui I traditi ire
ssassino del comandante Ricasal, e qualunque sia
il suo grado avrà gli ri militari e la prò
sui . -.111,1". :
Si levò un brontolio dalla folla dei soldati, e un
lampo selvaggio 'li desiderio passo in tutti
li. M uno si mi isse,
Il generale sferrò un'imprecazione, e gi itori
no un'occhiata bieca, quasi cercando di ri<
i "ii uno sforzo ili volontà il traci
tudine <lei suoi soli
l'n ufficiale mormorò un nome: El Baqueanol
ni li ' i ipetei ■ riti i dopo i eoKj
\,«-i gridavano: Il Baqueano! Si chiami il Ba
queano !
Il generale fece un cenno 'li consenso,
mando :
Sta bene. < Chiamatelo. I d n i
Una voce gli risp
Sono qua, generale, */ vos ordem
E un vecchio fece largo fra la folla <■
gli comparve davan
li togliendosi il cap
pellaccii i ci ni l'ampi'
gesto d'un antico hi
dolgo.
II.
baqueano i uà
uomo che conosce
palmo ,i palmo veni i
mila leghe iiu.nlr.ue
■ li paese. K^li è nel-
I immensità della
Pampa quello che il
piloti I! Munirli.
sita «lei mare. Ogni
gaucho dell'intei
un pò baqueano.
Come oj;iii isolano ì
un pò marinaio. \ou
vi e sentiero eh
sciuto al ba-
Egli viag-
giand imane
sul piano illimita
sa dire dei mille p ts-
■ ni rani . li inde vengono e di >w \ .nino.
Al suo occhio abituato all'eguaj lianza angoscianl
'li |uegli orizzonti, che fuggono lontano tra le bri
dell'infinito, ogni differenza intima ili colore o d
forma acquista rilievo, diviene percepibile, prende
una fisionomia. L'na lieve macchia lontana ili \'
getazione, o un ombù, sono per il baqueano cose e-
videnti e non- del suo paesaggio, come per noi una
valle o un monte.
come gli esseri che vivono nello spazio seni
sa confini, come i pesci e come gli uccelli, possiede
un senso ili più: quello dell'orientazione. E' un -
,i" si si forma dalla raffinatezza estrema de
gli : i li ri cinque.
Se ne 'li notte 'li essere in dubbio sulla
k reoi rere. non fa che scendere da cai
II. BAQUEANO
eri esaminare le erbe, per riconoscere il punto in
cui si trova. Egli sa che le stesse piante variami da
luogo a luogo; sono differenze imponderabili ma
che egli conosce. Se l'oscurità è troppo folta) se la
tormenta vela il cielo di tenebre spaventose, il ba-
queano strappa le erbe, le fiuta, fiuta la terra, ma-
stica le radici, lentamente. Basta questo, li sapore
delle erbe gli rivela anche la vicinanza dell'acqua, o
della Canada salsa, o la vicinanza dell'abitato; e
galoppa dritto alla sua mèta. Si dice che Rosas, il
tirannico dittatore di Buenos Aires, conoscesse per
il loro sapore le erbe di tutte le fattorie al sud del-
la capitale.
Nella sua vita selvaggia le erbe, i cespugli e gli
alberi divengono gli amici de! baqueapo. ('ili im-
mensi ombù millenari isolati nella pianura, bassi.
contorti dai furori della bufera, larghi, folti e mae-
stosi come antiche quercie. egli li distingue tutti ari
uno ad uno con i nomi che egli stesso ha imposto
loro. Sono spesso nomi dolci e affettuosi. Talora no-
mi di donna o nomi di santi. Qualche volta questi
nomi divengono popolari, si perpetuano, restano al-
la località. Molti nomi di nuove citta hanno avuto
così origine nella sentimentalità d'un gaucho.
Il baqueano è capace di portare un messaggio
ad una città dove non è mai andato, percorrendo
duecento chilometri al giorno. Si ferma un istante
appena montato in sella — come il colombo appe-
na lanciato si libra immobile — scruta l'orizzonte,
esplora il terreno, poi si slancia al galoppo, cambia
nettamente di direzione per ragioni che egli solo
conosce, e trova cosi la sua via.
Egli è prezioso in guerra. Il baqueano e la mi-
gliore delle carte topografiche nelle selvaggie pia-
nure americane. Conosce le distanze e le ore di mar-
cia che separano un luogo ila un alito, conosce pas-
saggi e sentieri ignoti, per i quali si può arrivare
di sorpresa e nella metà del tempo. A dieci li li'
di distanza s'accorge della presenza del nemico, e sa
dirvi il cammino che questi segue, soltanto osservali
■ io la fuga dei nandù, dei guaiiachos e dei caprioli
tra le erbe, e la loro direzione. Se il nemico s'approssi
ma egli studia la polvere che si le-
va dalla sua marcia all'orizzonte,
e giudica della forza di esso: « So
no duemila uomini» — dice —
« cinquecenti », centi > » — e diffìcilmen-
te si sbaglia. Distingue la polvere
sollevata da una mandria che passa
lontano, da quella sollevata ria in
mini a cavallo. Se dei corvi o dei condor si librano
in aria, egli dal loro numero e rial loro volo coni
prende se aggirano volteggiali! lo sopra gente na-
sta, o ad un accampamento ria poco abbandonato
i ppure a carogne ri'animali. II grido rii spavento
d'un uccello in fuga lo fi arrestare un momento
pensoso, poi dice:
— E' un serpe, è una volpe, è un gatto selvaggio,
è un uomo.
Egli può far vincere o far perdere una batta-
glia. Ogni generale con le sue truppe è nelle mani
del baqueano. Terribile posizione ! Quando il dub-
bio s'insinua nell'animo dell'ufficiale, il baqueano ac
[087
quista .11 suoi occhi una poien/, 1 sovrumana dalla
quale si Miiic prigioniero. Ma il baqueano è rare
volte traditore. Talvolta ri generale è anche baquea-
no, e allora la vittoria e sii lira.
Il generale Rivera, della Repubblica dell'Uru-
guav. era un baqueano che 1 oro sceva ogni albero di
quei paese. Senza di lui i brasiliani non avrebbero
conquistato l'Uruguay, e senza di lui gli argentini
non avrebbero scacciato i brasiliani.
Cominciò la sua carriera facendo La guerra alle
autorità del suo paes- come contrabbandiere, ai con-
trabbandieri come impiegato del governo, agli spa-
glinoli come patriota, ai patrioti più tardi come av
venturièro, agli argentini come condottiero brasilia-
no, ai brasiliani come capitano argentino, a I.aval-
leja come presidente, al presidente Oribe come pro-
scritto, e a Rosas. alleato d'Oribe, come generale
della Repubblica dell'Uruguay, sempre vincendo
perchè era baqueano.
La guerrilla, questa caratteristica forma rii com-
battimento sud-americano, è guerra rii baqueanos.
Guerra rii astuzie, rii fughe, di sorprese, di marcie
rapide, quasi miracolose. Il baqueano è un caccia
tore che persegue le traccie del capriolo e sente e
fugge la vicinanza del giaguaro; e la sua guerra
non è che una caccia nella quale il nemico la a
volta a volta la parte del capriolo e del giaguaro. I
più celebri generali argentini e uruguayani avevano
l'istinto del baqueano. Hanno vinto gli spagnuoli,
gli inglesi, i paraguayani. essendo spesso in forze
minori: non è necessario che il cacciatore sia più
forte della selvaggina; basta che sia più rapido e
più astuto. Garibaldi apprese laggiù ad essere un
baqueano, e da baqueano inseguiva e sfuggiva nel-
le sue gloriose guerrille.
TI baqueano è anche un po' rastreador. come tutti
; ; IN
' soldato ni» tè '■mi cu commento
natta! — Mente niente nienti
Nada, nada,
LA LETTURA
Vitti, la |ualità 'li rastreadot
i ooltà del Laqueario. Quella
si dire la scienza dell
li orme d'ui
sa mina piano o fi
ii un baqueano che guidava lo -
■ ■ in un viaggio pres o a Bui ni is lires, vi il
hi .ii suolo esclami : Qui |
Ila mora, .issai buona, che appartiene alle
1 1 munii i miilin bene
Quesi ui 'in. i wni\ .1
,', . , . i mata da Buenos \
■ - ssato un in la
ra, li- <'ui traode aveva ricono
s,-int. . in quelle d'un'intera mandria, in un sen
,li larghezza Ma quella guida
mm faceva nulla ili straordinario; ogni buon gau
sarebbe stato capace ili altrettanto Questa I
che sem ■ i imune ira gli abi
della Pampa. E' una specie d'istintiva scienza
ereditata dagli indiani, e della quale tutti.
più ii meno, conoscono i primi elementi.
Ma vi i il rastreador di professione. Quest'uomo
ha qi n go. < lonipie delle «'"se prodi-
se e terribili. I suoi compaesani lo circon
■ ili un rispetto che somiglia al timore.
Figli ha acquistato una tale potenza di per-
cezione e d'induzione, che sembra sovruma
na. Nei tribunali inferiori la sua testimonian
- 1 ime 1 V\ iden
za. Se avviene un
t'urto durante la
notte, appen
ne ha notizia si
n i del
ladro, e. trovatala,
ipre con qual
che il
vento non la spei
da : poi si corre a
chiamare il ra
streador. Questi la
osserva, la segue
,i rio ed
fissanilu ili tanto
in tanto il suolo, quasi che
occhi scorgessero in evidente rilie
in urnir per altri impercettibili, at-
traversa delle strade, penetra negli
orti, entra in una casa, e indicando
un ii- lice i reddr
meni- sto!
E' raru che il delinquente n
Il delitto ■ i. Oppi irsi
' '■■ alla
non nza del rastreador come
ad un vi. Ieri- della giustizia divina,
lebre ancora nelle i ntini il ni
di ('alibar, un rastreador che molti vecchi ricor
dan i Ha volta, mentre eg
lontano in viaggio per Bua a Vires, un ladro pene
. ■■•■
un nella sua casa e ^li rubò un vestito di gala. Sua
a del malfattore, e la i
Due mesi dopo ( '.ilil.. ii tornò, ossi rvò 1
■ n -II. uà e iin isibili . e non si parlò
più dell'accaduto. I n annue mezzo do] gli cam
: li. issa pei una strada del suburl
Improvvisamente si ferma, guarda, e poi entra
luto in ima casa. 11 suo vestito è là. appeso, pia un
po' consumato dall'uso. Egli aveva itilo Ibi
ma del ladro nel fango della via.
I n -di ra vi ilta ( lalihar In chiamato a riir
un evaso, condannato a i te li fuggitivo, pi
dendo di venii rastreado. m
aveva presoogni prei mzione. Vveva camminato pei
lunghi tratti sulla punta dei piedi, si era attao
alle muraglie basse dei recinti, aveva fatto niri
pazzi, tornando spesso indieti Ma ('alibar s
il suo cammino, implacabile Giunge a'\ una i
na. e da certe traode deduce che il colpevole è là.
I soldati elle lu accompagnan trano, cercano lun
mente, non trovano l'evaso, e tornano fuori a ri
me al rastreador. Ma questi non risponde die
due panile: A \ è |iii ! -- E i osi
Dupli nuove e diligenti ricerche il fuggitivo \
rinvenuto, disfatto di paura, dentro un cumuli
Foraggio.
Durante la tirannia di Rosas alcuni pri-
gionieri politici tentarono un'evas
Tutto' era preparato; i complici e i parti
giani prevenuti. Nel momento di fin
prigionieri esclamò: - E Cali
bar? lo si
: imento li colpì. —
Certamente, ri
gli altri —
Calibar!! E la
fuga tu sosp
fino a ehe ( 'alibar
consentì ai compli-
ci di cadere inala-
li, per quattro gior-
ni. E Fevasion
compì.
i i_in bai |iieano
pi issiede la scienza
spicciola del ra-
dor, e questo
nini, i uà au-
i Quando si
al servizio
d'un esercito, egli
non è soltanto una
;. ma un
pò. 1 soldati lo ri-
ano e gli urli-
li i tenu ino.
ha quasi una p
del e. un. indi > su-
premo. K' come un
altro generale un generale taciturno e misero —
il quale mormora gli ordini ehe il generale gallo-
gridare. Quando ha condotto i soldati alla
vittoria non I" aspettano gloria e onori. Egli inta
sea pochi scudi d'argento, In sua mercede, sprona il
/' BaQueano restai a immobili
apu si .
11. IÌAQI I ANO
il' . e sp irisce lontano. Ritorna galoppando
1 igni ti .
Era uno di questi uomini, guida delle truppi
zumali, che si trovava ili fronte al generale Poi
Fuerte.
Il Baqueano restava immobile, .1 capo 51
1 suoi capelli bianchi scendevano sulle spalle an-
cora erette e forti. La barba ingiallita da] mate e
dal fumo spiccava sul nero corfino ruoli., e la cor
nice delle canizie faceva sembrare ancora più ab
bronzato il suo volto, sul quale il sole torrido e il
flagella ululante della tormenta avevano scavato ru
ghe profonde come Fi
li disse il generale
l 089
ho bisogni 1
— Pedn
del tuo servizio.
Si ino ;1 vos
Là s 1 n 1 li Ricasal, rutti 1 è
ancora al suo posto. Vai, guarda, gira, cerca ; io ti
seconderò in tutto; ma possibile, il
ite
Ho n \ .M ili là.
Ebb
Ebbene, generale, siel nganno. Fra i vo-
stri soldati non vi fu tradimento, l'assassino
è qui !
{CoHtiìina').
LUIGI BARZINI.
rv-
I NSOSA
MACCHIETTE E MACCH1ERELLE
CARLO SPIRIDIONE MARIOTTI
ildassare Orsini, nelle sue Memorie
pittori perugini di XVIII, com-
pila/e (si legge sul frontespizio) «con ac-
'-uratezz.-i e con verità», ci assicura ''he Carlo Spiri-
dione Mariotti era un originale ili tre cotte. I
lisegni, e certi mol rinati ne' suoi
libercoli, ne fanno ampia fé
\ppassionato delle folle e misantropo, muto
e, affabile e dispettoso (in
ii concittadini), motteggiatore e pei
mali te ed uguale se non quando
ili bere In questo soltanto non i
bile coglierlo in contraddizii
Offriva agli altri il caffè largamente, ma egli be
navitf ». 1 tanto e così lun-
che intìnt- «si ridusse ad un'e
ma malattia ; onde lini la sua vita il ili 11 ili mag-
ell'anno i;qo. in età 'Ianni 6j ».
I sui li liuoni o ti altri cittadini non
tini funerali e li sotterrarono in San Si
dove il giovane K iffaello aveva, lavorando col
itro, intravvista prima la dolce curva 'lei
consesso de Santi, ■' ■ i szata più tardi nella Di-
■ 'ìli, Ilio.
L'aspetto 'li Spiridione e nemmeno il su" senti-
mento d'arte rivelerebbero però il misantropo. Pic-
colo, pingue, rubizzo pel sangue contenuto e pel
vino bevuto, «era molto aderente, ilice l'Orsini, a1
professori stranieri che capitavano in Perugia, e
poco o nulla coi compatrioti». U omnibus iarus del
suo epitaffiu è dunque una pietosa bugia! Infatti
del poco affiatarsi '-"1 prossimo ci sembra prova an-
che l'irrequietudine che. da giovine ancora, lo fa-
ceva balzare ili scuola in scuola. Studiò in patria
il Boccanera, poi sotto Anton Maria Garlii .
poi passò a Città ili Castello per seguire i consigli
li Marco Benefiale; indi, recatosi a Roma, entrò
nello stuilio del Sulileyras. poi in quello ili Corrado
Gianquinzio. Finalmente l'afferrò la vivacità fran-
: chiese ed ebbe lezioni prim. i ila Gian Krance-
Detroy, indi dal Natoiree, per ultimo, da Luigi
Gabrieli Blanchet. Il povero Orsini resta un po'
sconcertato dalla i tsa di Spiridione a tra-
tànte scuole e si domanda «se questo ili a-
vere abbondantemente moltiplicati i direttori in una
facoltà che richiede in chi l'apprende un genio ori
finale, possa aver giovatoo piuttosto d'impedimento
fosse a lui per avanzarsi nella pittura». E continua
renilo che ìa fornisce molti casi ili ph-
M \i l 1111. Il E 1 MA» CHIERELLE
\l\.\ I 'RI DICA
1091
\. in sappiami 1 se esistam 1 ani 1 1 ; ceri 1 altri sui •
[uadri indicati dal Siepi 1 dall'Orsini. Abbiamo.
ìempii 1, cercato uni. min il Batti * :mo
dipinto in-1 1765, 1
Santa Mari ri ; e ro m abbiami 1 veduto il
San Paolo ni gloria che intima a, ■' Uessandro
Seni/; di fondare il nuovo suo istituto eseguito nel
775 per h del Gesù, né il Beato Arcang
itali fatto pei Santi Maria <l<-i Fossi, né la
Santa lucia 1 sostanze ai
■ , ■ ronta si ma- '.irto, eseguiti p'-r la
1 hiesa di Sani 1 1 ucia. \ dii vero, li sue pitture
conservate nel duòmo ci hanm invogliato poco .1
perder tempo nella ricerca d'altre. Sono, senz'altro,
infime. Nemmeno i putti a chiaroscuro, dipinti ne-
gli angoli delle cólte fanno rimpiangere la perdita
i 1 unmei 'lei vecchii 1 teal ro perù ino
E i due quadri del presi itei 11 •
\i Ila tela del papa Sis\ 0 al martirio si
hanno russi e bianchi violenti senza fusione di mezze
unir. 1 a l'i^a del diàcono che precede, è dura, ini
barazzata. Il papa ha cena solennità, ma è goffo
.li proporzioni, ili carnagione ombrata troppo oscu-
ramente in rosso '-"ii risali" ili luci biancastre, cru-
de, stonate. Brutti i soldati 'li fondo, senz'aria in
tomo, schiacciati, foschi.
Un poco migliore è San l he battezza
San Romani', come composizione ; ma disegno e co-
lore sono del pari grossolani. Un rosso petulante
nella veste del santo, ma poi nessun'altra vivacità.
tori «che da un maestro più 0 meno abile sono pas-
sati ad un altro abilissimo, 0 ohe per morte del pri-
mo hanno prescelto un altro addatto al genio di
loro; ma ohe rari sono stati quelli ehe sono andati
ad erudirsi dal ter/o professore di pitturai'. E qui,
sfoderato un bel conciossiach'e, nota ehe «la divei
sita dei geni e delle maniere potrebbe certamente in-
sinuarsi ne' talenti de' giovani con 'Iella confusione ».
L'Orsini ha ceno ragione da vendere, ma. anche
senza tante riflessioni, potevano levarlo di dubbio
pere maggiori di Carlo Spiridione, misere, gra
me. e su tutto, ibride.
1 0 parecchie tele per altari
della sua Perugia, rimanendo nella più umiliante
mediocrità- Si dice che il Martirio lei sani- Proto ■
Giacinto, dipinto da lui in Roma, ed esposi" a M011
"rio prima ili spedirlo in patria, Eosse lodato.
Certo alla lode contribuirono diversi fatti: l'aiuto
del Blanchet, la condiscendenza verso un giovai»
principiante, lo staio della pittura in Roma, incerto
allora '-"ine il cervello di Spiridione. Il quadro, del
resto, portato nella chiesa di San Proveto, poco
lungi da Perugia, trovò negli artisti umbri altri
elogiatori; ma quand'ei vi pose di contro il San
Michele Arcangelo semi dileguare ogni voce benigna
e ne fu livida d'ira. Perchè, fra l'altro, egli era
«geloso dell'arte pittorica, ed ambiva di pi
re e non sofferiva emulazione».
Il UH III UH, l'I I MMWi I
LA LETTURA
ddi candori su basi
I- i.i le r
ione
ste due tele < !arlo Spiri-
ippena un de
ni il altronde, !•■ giudicò bene, 'li
che,
due quadri del duomo, i ngannò. «Il
i irlo M tratti, egli d'u i ■ ■ ■
unni, che i quadri non van dipinti col
ny quali re-
evo e l'ai '"I 'ii"" insieme delle
M : otti abbandonò in seguito il
-i at-
-, fan» sn forse con tale stile gli
zo bassorilievi
ron questo Fare servì d'aiuto a più
dun pittore quadraturista ; ma non però così vi
le figure colon rtamente in piccolo
i ire codi in chiaroscuro,
gl'intelligenti. Nel nuovo teatro
però molto in fai di chiaroscuro.
lovi b issorilievi e m isi !" re sceniche su
dava palchetti, e vari ritratti a foggia^ di
mei nel fregio che gira intomo Intorno al vòlto
,]t.n atue die fece sulle
si aveva fatta la
prai luand'ebbe ! one 'li pin
IP rane, e le lavora-
va ...si sollecitarti i come un lavoratore in-
ai guad i i ■ 'in" arti fi e desidProsn .li
gloria ».
In quest'ultimo giudizio non conveniamo, i i
Spiridione era ben desideroso dì gloria, ma il bi
no di tirar via. • 1 ■ fai presto, era in lui sponta
Paesani \ssonnati.
neo, naturale. Quando riempiva centinaia
e d'albi con schizzi istantanei a che guadagno mira
va? Egli, a dirla con Properzio, seguiva semina
turac mai . Null'altro !
Meriggiando
Rar.. Milani, che San Spiridioni arcivescovo, vis
o nel se olo IV e nell'isola di Cipro, richiesto un
giorno d'elemosina da un povero, non avendo più
nulla a donare, si chinò, raccolse ili terra un serpe
e gliel'offrì. 11 mendicante, piene ili con nel
sani... allungò la mano e prese il serpi, il quale.
pi i compenso della sua fede, si cambiò subito
in on i !
Ani'he il nostro Spiridione tostochè lascia in .li
sparte la pittura storica e si ila agli schizzi di co-
stume muta in oro l'arte sua. L'inlravvidero tal. I
colta i contemporanei, ma non l'apprezzarono per
quinto valeva. « In opere grandi - continua il suo
biografo — non era molto scrupoloso intorno al
pi ilezionare i suoi dipinti. Onde siccome dalla pri
niir-r i si uol i del Boccanera aveva appreso il
nai i maniera franca le figurette, quindi il suo
principale studio, pareva che l'avesse consumato in
mesto fare, toccando in penna, e coli' acquerello nel
suo libretto i gruppi di gente bassa e vile, che rum
rava nelle piazze >■ ne' cantoni della città; e so ehi
di questi libretti ne aveva fatto un buon novero, ed
in questa guisa ira le vulgari genti si era guadagna
i credito di disegnatore, lo per.', faccio una ben
ampia distinzione tra il disegnare, e il segnai
per questa ragione non nego che il Mariotti non se
gnasse con grazia i suoi pensieri pittorici, e con tal
i„.ua man piacessi ro a chi gli rimirava : ma
MAI il III. 'ITE E MACClUF.Rl.l. LI
IU93
LA SCUTIFAZ] V.
to, grandi pergamene miniate con varie figurazioni
d'avvenimenti, rilegate in sedici volumi che vanno
dal [530 al 1796.
Ma poichi onfronti sono sempre odios, lascia
mei andare 1 ei Eatti li li .il1 1 1 ari isi i '-li' si
si mi 1 attenui 1 al la vita o mtempi iranea, e guai diamo
le cronache del Mariotl i.
La parola cronacìu ci i venuta spontanea, e >■>
pare la giusta. Non uno storico, ne un poeta, ni 111
filosofo è in arti' il Marietti ; ma un semplici '.
nìsta .1 caccia d'aneddoti e ili fatterelli; per le
chiese, pei conventi, per le strade, pi 1 tea ri. pi 1 li
osterie; in ugni luogo dove possa assistere .1 giuo
chi, a baruffe, a funzioni, a gazz a spaventi, a
nozze, a funerali. E. rientrando in rasa, il sun vivo
bisogno ili cogliere a volo gli appunti della vita
vissuta, lo fa schiz are il servo che spazza, la donna
che sonnecchia con lo scaldino fra le mani, la fa-
miglia che desina, il suonatore che arpeggia, la vi-
sta del medico, cosicché nessuna raccolta di mac-
chiette servirebbe meglio ad illustrare tante scene
del Goldoni e tante pagine eli Giacomo Casanova.
Sorprendiamolo in chiesa, dovagli indugia con
■un'. ilnc scopo che quello di pregare Ècco dap-
prima negli albi alenine persone devote, in pieno rac-
coglimento, e qualche gioviti signore e graziosa da
ma, dal volto mal celato dad velo nero, che si cri
i-ano et ai lo sguardo; poi popolosi pubblici che as
sistono ade prediche sotto alle quali, segna date e
però tutti convenivano ch'egli non avesse felicità nel
eseguirli col colorito».
Via. per tm accade mico, d giudizio è notevole ! Na
turalmente bisogna pass, ir sopra all'attributo di vul
;siin dato alle persone che gustava™ , le macchiette
e le macchierelle di Spiridione, e trovare, all'in
contro, che la distinzione fra d segnare e 51 finire
lina, e dovrebb'esser ripresa dalla critica oggi, che
ti disegnano e molti segnano! Dunque noi ci
lin 1 i.'iun francamente tra le persone vulgarì per
che, trovati i libretti del Maricini posseduti dai
conte Ettore Salvatori di Perugia, ci siamo perduti
(per sua gemile condiscendenza) diversi giorni ad
esaminarli attentamente, uno pei uno, col maggio]
. idiraento e talvolta inche con tmmirazione. Costi
tuiscono infatti uno dei più abbondanti documenti
rafia degli nsi e, lei costumi che scomparvero con
votazione francese. Certo il nostro Spiridi
con la opere d'arte- lini e geniali come Pietro Lon
.In. ir ritraendo lolle di piazza può competere col
diabolico hrio de] Magnasco 0 di Micco Spadaro.
spi unendo solennità e processioni dimostra i!
gusto e il fasto elegante di Giampaolo Pannini ;
ma s'avvantaggia su tutti per la quantità dei nmt;\
e l'istantaneità de! riprodurli dal vero, con pochi e
rapidi segni eli matita che poi fissava con la penna
■ < 0 ni l'acquerello.
Inferiori inoltre per ispirilo, benché tanto inle-
nssanti per la storia del costume, sono anche' I'
Insienia conservate in Bologna nell'Archivio di Sm
I.A MIlNe ni. MI ll\
LA LETTURA
Santo del 1 785 1 0 più lar-
iìo, al Padre Mauro
Sari . dello Studi*
nella chiesa 'ii San Severo
n di Quaresima 1
In ni
11 ibondo dal i"
e punti. I aci enni 1 i ul ile pi 1
: n Predica di Quan sima 1 787, in
tt mi di scaglii ila li ci don li
1 con
alla predica, si li altro
con la scritta 1 V !. [5 ot
lobn I >ui imi 1 pei 1 esequie
del M. Riminaldi morto in Perugia
. I :
scendono, p<-r le piazze e per le
1 ssioni '-"ii le cappe
buffe delle confraternite, coi labari, co gonfaloni
dipin "H le lampade don
uti. mentre ai balconi •■ ali
Idensano dame • cavalieri. Vediamo, Fra
tante, ila ne della Fi 11
tezz 1 ■ e la «Proo le di penitenza pei ottenei
l'acqua da Iddio 1 in Cui «pi ilmente porta-
no li santi gonfaloni con l'ai ipagno di Mora
■ di tutto ii clero, e Religioni e Compagnie.
Mons. Governatori N strato e Popolo d'ogni
rango, ma maggiormente ili contadini, fatta nel dì
( maggio 1789 E si ottenne la grazia della
ia 1 1.
I
Mercato nella n izza m Pan ci 1
Nr atura Intente non mancano schizzi parziali delle
macchiette che vivono delle chiese, e stanno, r
intorno alle loro porte. Vedi fra 1 mendicanti il
1 ieco ' he tende la maini, il coronato, la 1
d'immagini sacre, cui vicino, sulle gradinate, stari
no i contadini venuti alla festa da lontano, 'li-1
dalla stanchezza, sonnecchianti in ogni posa, come
hi sa e può dormire in tutti 1 modi, 51
e senza riguardi, vestito, calzato, appoggiato al mu
li 1, seduti o m le gambe aperte e il capi 1 sul pi
sdraiato sugli spigoli del marmo, sotto le grida dei
canti, nel raggio estivo del sole, fra nuvoli di
pi ilvere e di mi "-che.
E in ogn ngi ili 1, 1 ra la folla, appaiono tipn
figure 'li iraii. più che altrove, freqi
Uml 1 li ul n inni del s
XVI 11. il quale doveva chiudi rs con la li n
1 '.ni.. Spiridione è mai strn nell'espi
' he tratta con un pizzico d'umore ed
I .. ' sa lui stessi e I" sanno i contemp
nei, ■ dietro la prima carta d un fasi
si legge: «Gruppo 'li 1 !arlo Mariotti inventi
II, scritto mani" sopra il
suo amii < 1 1
1 1
WAn 1I1I-TTK E M.V 'CIMEREI. LE
donne e di frati, e guardiamo le istantanee conve-
nienti: frati che riposano nella cella, altri che leg
gono il breviario, o scrivono, o suonami la chitarra,
altri che si preparano buoni bocconi in cucina, che
.1 earte, rhe motteggiano, in visita, scal-
dandosi a un camino o sorseggiando il caffè, che
dispensano la minestra alla poveraglia, che ascol-
tano confessioni piccanti (la loro fisonomia è rive-
latrice!), che idocchiano le contadine pei mercati.
I I M |5
gliose». I monelli s'arrampicano alle travi pei ve
der meglio e da vicino. Altrove ciò che raccoglie il
pubblico sono de' giunchi : i bussolotti, il Turco che
porta in ili" la spada con un bimbo falsamente in-
filzato; il castello de burattini, la caccia .il bove
aizzato dai cani, i suonatori e i canzonettis i ambu
lauti che mostrano sul cartellone l'orribile storia.
l'incantatore di serpenti, i su tutto il volo 'I* i pai
lune aereostal . allora piena d'interessi
La badessa morta
Xè il Mariotti si contenta della macchieretta, che
pei frati raccoglie anche e scrive arguti proverbi:
n d'inverno, nuvolo d'estate,
Amor dì donna, discrezion di frate .
< ippure :
Frati, monache, mura
son tutte una mistura.
Monache e mura
sempre aita mistura.
Peri i li schei no, o, almeni i, lo schei > pei
nache si limita ai versi, che ne' disegni le tratta con
delicato riserbo. Una vecchia monaca, morta, di-
stesa sul cataletto è uno dei disegni più fini e ri
osi della raccolta, che contiene puri 1;
alle suore.
Mi torniamo all'aperto, nelle piazze e nei mi n
polverosi, nelle strade e nei chiassuoli ripidi e fer-
vidi di pettegolezzo, e guardiamo i gruppi che e
mostra il nostro Carlo Spiridione. La folla ora cir
conila attonita il chirurgo ambulante che, sul palco,
leva purri e tumori o strappa denti a «vittime i :
tutto il mondo. Parecchi perciò sono gli schizzi dal
vero, che il Mariotti fa sulle varie fasi del gonfia-
mento, dell'innalzamento, del viaggio aereo ; e non
contento de' segni di matita, scrive in tutte parole
il ricordo del grande avvenimento.
«Ai 13 aprile 1784. Adamino Ballerino rifóndi
il suo pallon volante verso l'ore 22 1 - e andò bene
e calò al palazzo di campagna .1 Monte Vile del
signor. Giov. Friggeri».
« Ai ia aprile IJ84 (Perugia. Domenica delle
Palme) fu lassato d pallone dal signor D. Sax 1 1
comii, uni e andiede felicemente con universale ap
plausi
iAIIì 22 aprile, fu lassato un pallone dal signor
Achille Manarelli. dei padri (il vi
di li alzatosi .1 grande disi. m/a sopra la città, p>
la strad.i verso S. Faustino e andò a cascare die
due torri, o poco più vicino alla città».
«Genti a vedere il palloni- volante
andare. Al Frontone il dì :o maggii 1, che non andò».
« 23 maggio 1784. Il pallone non andò: vi fi
gran concorso di pò] ei 1 lo stesso del dì 20».
» Adi 2(i febbraio 178- verso le ore 22 1 2 al
Frontone fv. ni. uni. ito in aria un pallon volanti CO
■'.1 1.1 che so. 11, . e mandi 1 in ai
1 un sonetl 1 uha canzone : tutti 1 cii 1 idi ito d
11, ,r Anuel., Colli, uno dei Comici della Pros
LA LETTURA
i i Mobil nel passate
Isti ■ ni ».
rano avei fatto
i ■■, nto intinto a una donna
ì mata
ivatl<
ha rii ratio in un buon
■ Alli 2 I -■ I ' I
• , rebbe magni fi
laddove le cronache
lestinato alle femmine da conio,
ibbia 'li ferro, nel n i, ai proti.
[« inrludei sso memorie di
, , ids dans la rue el sous
urs. Je regarde et
i celnture, is
-ur un .'tur. sua ir des valets du bourreau, qui i'
frappenl <!o verges. une Inule de birichini boli
remplissaient l'air le leurs cris de joi
to contrasto con la si 1 della
Scu n - | netto, in cui I
ti ni rita del Mai iotti riproi lui e il funerale
d'una bambina che il padre, dimesso per l'angoscia.
sopra un'assicella fiancheggiata da ceri
sso fi indo, di iminati • da un gì
r, sce con la sua s verità, valore
all'episodio, pii 1
Questo disegno e l'altro della monaca morta sono
■ 1 due -i' 'li consacrati i doli irosi. Si
direbbe che al nostro Carlo 1 tasse uno schiel
to e rapi«ln sensn di commozione, perchè, da vero
'1 SII IH IMI II -I wti 1
I I MORI [1 I\\
figlio del suo tempo, sembra volersene subito al-
lontanare col pensiero.
Voltata la pagina, vi schizza con rapidità una fu-
tile Visita in villa 0 scrive, tenendosi .1 fianco una
I nti iglia 'li vino:
1 non ama il nume /■'
e de mi non empie il sacco
restar possa il musi' secco.
, per tini abbia una sposa
che sia brutta e sia gelosa.
Tutto ciò, con\ leu ilur. . un pò dalla con-
suetudine e dall'andamento uguale, quasi monoto
no, d'ogni giorno e d'ogni ora Bui ittini 0 cerretani,
1 pellegrinaggi, prediche solenni e solenni prò.
al bove e innalzamento ili pallimi,
tunnel. ti e timer. ili. non l'i straordinarie.
ma non erano nemmeno ordinarie, t n< >1 1 <> più in quel-
la città e in quello scori olo, Si trovano iti-
li he netì'Insìgnia bolognesi oon-
ille a se più raggu irdevoli.
\i ! in isl n ' Mai ii ''ti sa pur re I interesse
nei soggetti normali della vita: in ciò che i di tutti
i momenti, e che a uno spirito ti" figgi-
- o non importerebbe. ! con vivacità
meramente goldoniana, che ogni più piccolo uso.
più un "li-.ii 1 - peculiare
1 fa parte del carattere d'un tempo. Si penserebbe
MACCHIETTE E MACCHIERELLE
rinc che ai primi sentori della rivoluzione che do-
veva sconvolgere non solo le idee ma anche i costu-
mi, egli tentasse di fissare in carta ciò ch'era nella
sua capacità, ossia questi ultimi prima che dileguas-
sero. In questo egli ha una percezione che si può
lodare senza restrizione. Dai sog-
getti umili e consueti trae qua-
dretti deliziosi, e riempie fasci-
. oli che vorremmo poter ripro-
durre per intero. Gli stovigliai di
Deruta gli forniscono alcuni bel-
lissimi gruppi, cui servono di
fondo il duomo, la sua gradina-
ta, la maestosa statua di Giulio
ITI e la fontana. Varie scene di
contadini in viaggio per la fiera
o nei mercati fra i buoi e le pe
core o presso la fontanella di
Piazza piccola, donne di servi/io
che fanno la spesa e indugiano
con altre pettegole o con l'aman-
te, lo scrivano pubblico accostato
da un gruppo d'analfabeti, l'am-
malato di gambe che si fa portar
nella via sopra un trabiccolo di
portantina, i monelli che giuoca-
no a rimbalzello, si alternano al-
la riproduzione rapida ed elegan-
te dei mestieri, che il Mariotti ha
disegnato, certo con minor sa-
pienza ma con sentimento più
schietto del reale, che non Anni-
bale Caracci nelle sue celebri
Arti di Bologna.
Vediamo il friggitore, il sano.
il barbiere con la testa di legno
di forma alle parrucche, lo stac-
ciatore. l'oste che dispensa vino,
il mercante di panni vecchi, il
mercante di stampe, l'arrotino, il
lanternaio, ecc.
Né mancano, in questa ripro-
duzione generale della vita pub-
blica, i rappresentanti della giu-
stizia e della sicurezza: gruppi
di soldati con l'archibugio, la
sbirraglia, il giudica, il custode
delle carceri che assiste alla visi
ta festiva che si soleva concedere
ai parenti dei carcerati.
Poi il nostro bizzarro artisl
lascia le strade, e porta nell'in-
terno delle case la stessa curiosi
tà. la stessa indagine di tipi e ili
• aratteri, spesso animati da un umorismo felice. E
tutti i momenti della vita cerca di sorprendere: del-
la rozza vita popolare, della laboriosa vita borghese,
delia futile vita dei nubili.
A molte vignette si potrebbero sottoporre dei bra-
ni del Parini. del Gozzi, del Goldoni. Ecco due
dame che si confidano segreti d'amore; un giovin
signore disteso mollemente nella poltrona, in atto
di meditare i -piani d'allocco, la dama che in attesa
T.a Lettura.
[O97
impaziente del cavaliere va riguardando la pendola
e stuzzicando irrequieta la cagnetta, oppure siede
al cembalo e ne sfiora la tastiera con le dita affu-
solate, il damerino che per ingraziarsi la padrona
ne accarezza il cane, la signora che ascolta la lei
Eleonora
trite 0 si fa reggere, a sua volta, la lucerna
per la lettura, i due innamorati reclinati carezzevol-
mente, un Florindo e una Rosaura d'incanto.
Però, a lode del Mariotti. è da notare che la vita
artificiosa e le lei mondo aristocratico e cor
rotto non l'attrae quanto la vita modesta e s
delle case inferiori, dove sorprende, in tutta la lori)
grazia ingenua, le giovinette che cuciono pri
al fuoco, alla finestra o al letto, le tessitrici che -
6c,
LA LKT'iTKA
-ni mao hinoso telaio, le filatrici con la
tende a preparare il pranzo, che s'adopra n un lìe
iuoletto che dorme,
tndosi. Né, benchi
uhm". int< omini, gio
vani e vecch L'uno si lava, l'altro, meriggiando,
sonni ripara al fuoco dalla bufera esterna,
mi nella .-''ansia ini s abban-
lettura.
re, che ili molti rapidi schizzi vediamo
trove i«'i formare dei
quadretti ridi - trovano insieme
mai ' conversanti 1 on la carnei ii
ra, la madre razioni a suoi piccoli,
il maestro che indisciplinato
nel modo.... dipinto d Benozzo Gozzoli .1 San Gi-
augnano, il medico a! letto dell'infermo, gli an
che givocano al tarocco e sino una rapida e vivacis
sima baruffa di di >nne ;elose mal trattem
iti.
E' inutili 1 « parecchi 'li questi disegni ri-
traggono la casa, I" studio e le persone ili famiglia
ili Carlo Spiridione. Intanto presso .1 una donna
ili tipo en la matita con grande vi-
goria d'ombre, si legge: Cara Eleonora mia, e la
rara Eleonora sua riappare ancora, seduta presso il
tavolo con 1" scaldino, 0 intenta .il lavoro 0 in atto
'li lar di il al/'-lta.
I I I I UN' III \ Mll
I v GAMBA -I hi. AIA.
Del pan i suoi compagni ili lavoro (certo fra
sii jl paesista Eugenio de Marchis) e i suoi scolari
sonò frequentemente riprodotti nel momento che di-
segnano in pose d'una esattezza 0 naturalezza idea-
le. Questo sistema, anzi questa sua passione ili co
glien centinaia 'li figure nel vero lo conduce inevi-
tabilmente ai ritraili tantoché, in questi schizzi, si
trovano in numero grande, 0 come macchiette istan-
tanee colte sulla via, ocome preparazione di tei.
olio, ili miniature per tabacchiere, 0 'li rametti per
doni 1.
Ita le tsta parecchi ritratti sono nominati
ila lui. Presso un uomo che dorme ha scritto «Li-
ni figlio della Salili 1» e la Sabba, viivhia
data, ippare tosto con le parole (Ritratto della
Sabba .li Lisses. Seguono il (Canonico Cherubini
.li Panicale » assiso in una ramerà piena .li stampe;
il a signor Fasoli > che si pavoneggia di pieno pn>
spetto; il poeta (Gaetano da Vicenza » cantastorie,
stran ioni-, 'li p 'erutta nel settembre del
1785. ail R. Padre Maestro Boriani Agostiniano*,
ecc. Tutti questi si distinguono perfettamente dai
veri ritratti a posa, destinati a più fina 0
es zione, 1 che ci conservano l'aspetto ili signore
pomposi- in atteggiamenti sentimentali, con fiori e
col cagnette, 'li bambini, di cavalieri, di Prelati.
luna Badessa, gente, tutta, passata ali 'obi
fardello delle sue vanità senza i-he il pittore abbia
ii,. un nome. Appena sotto una figura d'un 1
pa no d'arte, ha scritto: «L'eg. sig. Pietro Labruz-
/i Pittore Romano, novembre .1 del 178Q».
U-iuie altre figurelh > far fede dell'amo-
; Mariotti pei le pi e e per la vita 1
MACCHIETTE E MACCIIIERELLI.
IL SUONATORE ni VIOLONCELLO.
pestre. Vediamo il montali. irò che sunna il piffero.
le lavandaie ai canali, il cacciatore con l'archibugio,
l'uccellatore coi richiami, e varie scene di contadini,
e fino l'osteria, con l'ostessa addormentata presso i
tavoli e l'armadio ingombro di fiaschi e di piatti.
Del resto l'amore del nostro artista per la i .im-
paglia e pei viaggi è rivelato anche dalla cura che
mette nell'abbozzare larghi paesi con una freschezza
e una discrezione di segni, da farli talora parer
moderni. Spesso indica anche il luogo riprodotto,
cerne Ponte Falcino in riparazione (1785). il Monte
d'Ancona, Loreto, Porto Recanati. Serràvalle, Col-
fiorito «dove successe l'assassinio (?)». la Madonna
di Mongiovino col palazzo dei Borgia, il convento
dei Cappuccini e altre vedute di Panicale. Certi
ricordi di sue fattorie o poderi o campagne con
larghi e poetici orizzonti di mare, sparsi di vele
bianche, dileguanti nell'aria, hanno tratti tali, che
se spesso non intervenisse la figura umana. co; suoi
costumi, si stenterebbe a crederli del secolo XVIII.
Gli albi recano pure diversi disegni di monumenti
romani ; ma essi erano tanto della consuetudine ac-
cademica e scolastica del tempo, da non costituire
un interesse speciale per noi od un merito pel Ma-
riotti.
V si creda che fascicoli pieni di disegni, vera-
mente accademici e scolastici, manchino alla rac-
colta che esaminiamo. Molti non contengono che
studi di nudo, e braccia e mani e teste e piedi e
orecchie e nasi ; oppure copie di cammei o di sta-
tue classiche come Marte. Alessandro Magno, il
Fauno, Mercurio. l'Ercole Farnese e il Laocoonte ;
IO99
od anche copie di dipinti come la Madonna della
Seggiola, la Trasfigurazione e alcune teste del Par-
naso di Raffaello, l' Annunciazione del Barrocci, una
Madonna del Sassoferrato, due di Guido Reni,
qualche particolare della Comunione di S. Girola-
mo «lei Domenichino e via via. E poco importanti
sono del pari molti disegni di episodi biblici, a
penna, in gran parte parafrasi di cose note, rese
mediocremente in un tempo che aveva tanti e tanto
facili e sicuri esecutori. Presenta invece qualche in-
teresse la riproduzione disinvolta e piacente di pa-
rtechi oggetti come lucerne, vasi d'ogni forma (al-
cuni arieggiami di già all'impero), trofei, libri,
[Strumenti, stemmi, targhe, cornici, specchiere. e sino
una ricca portantina.
Ma due altre serie
schizzi meritano d'essere
guardate con attenzione: quella degli animali fan-
tastici e quella relativa ai teatri e ai virtuosi.
Preparazione necessaria pei primi furono certo
gli studi d'animali condotti con cura e con acuta os-
servazione del vero. Specialmente belli sono alcuni
gatti che dormono e alcune cicale ; ma la raccolta
contiene pure diversi uccelli, paperi, pipistrelli, pe-
core, capre e buoi.
E' pel loro tramite che si entra nel regno dei
mostri, trattati su lunghe stiiscie di carta a penna
e bistro. Là s'incontrano bestie multiformi con visi
In pompa magna
I \ I ! fTURA
imnini. ili «ii corvo, ...mU- di • apia, piedi d'aquila
mammelle eadenti
mali ischeletriti <> scorticati; o con testa d'ir»
■ canino, braccia d'uomo, zampe caprine, \''"
.l.i .li serpe che termina in testa eli
\ soliti grotteschi nati sulla fine
,l,-| v. . \\. ma individui proteiformi nati da
una fantasia sfrenata, quasi • onvolta Talora un
mobile, un istrumento, un'arma s'incorpora col mo
stri), e appaiono draghi con li ruoti al posto delle
be, diavoli con !<■ gambe di legno. TaValtra in
comi) ita il costume e si pn
est» ! ili. la lucerna e il mantello,
..ri !.. schioppo e 1" spiedo, coi gambali, il vezzo
.li pelle, gli sproni. I ne fanno .li tutte le sorta.
Chi suona il mandolino, chi tira bersaglio o di
•ma. ehi perlustra con la lanterna, chi impicca,
chi fa quello che fa il diavolo dantesco per chiù
il.re allegramente il .auto XX | dell'Inferno.
endo imìne la fantasia del Mariotti tutti
questi ridicoli mostri intervengono a creai storie
st i he. voi-, in e, spessi >. s ilaci.
Un altro vasto rampo d'indagine pel nostro pe-
rugino fu il teatr... L'Orsini scrive che dipingeva
statut nei scenari, e noi già sappiamo che aveva
tribuito alla decorazione del Teatro del Paw
Di qui la consuetudine con quel luogo e coi vir-
tuosi, senza tener conto dell'entusiasmo generale ilei
pentisti per li vita teatrale e per la musica.
« I ,|,.\ IN SIGNORI
Fra i suoi schizzi si trovano il pittore di scene, il
decoratore d'un teatrino di marionette; parecchi
suonatori 'li violoncello, .li .'orno. ,li mandolino. Hi
. hit arra.
La serie dei figurili,', con l'indicazione ilei
naggi, degli spettacoli, .lei teatro e dell'anno, rap
presenta un prezioso contributo tanto per la storia
ostunie quanto per quella .lei teatri di Perugia,
■lai 1778 al 1790. Molti schizzi, unicamente al la
pis, coi colori segnati a tutte lettere, dimostrano ehi
Carlo Spinili li copiò sommariamente, pei su..
ricordo, assistendo allo spettacolo e ammirando
pomposi e bizzarri costumi che gli istrioni pi
vano dalle capitali. Altri invece sono ripassati .1
e minutamente Uniti Le postilli- dicono gene
r.ilin. 1
(Figurini al \ol.ili. 1778 aprile».
Figurini pel ('ivi. > nel A'.../' %ut l'intornio.
( ', roi 1 1 -si < 1 7 8 7 ■
1 Istrioni del sett. 1 789».
(Fiorana seconda figlia nel Brai
1 1 mante di sini nella Viva Se-
polta ».
Sestio nel Braccio Fortebràc ! reatro
< 1 del 1 789 ».
1 Medea al Mobile 1700. Primo hallo».
MACCHIETTE E MACCHlERELLh
IKU
' Si ENOtìR.M i
Cosi si hanno, benché confusamente, i numi e le
ligure (scrìtte così) 'li Coppola, Neè, Osbite. Fala-
ride, Piramo e Tisbe, Teresa, Montezuma, Brighel-
la. Marchesina, Eugenia Pancioni. Fabrizio. Casil-
de, Don Gaspero, Gernampi resuscitato, Conti
Amalia tedesca, Amleto. Giannina. Quacquero olan-
dese, figlia di Giovanni contadino, Beatrice. Giulia
amante di Wolsan, Carolina Emisifoch Mesicoff. Ai
titoli delle produzioni segue quasi sempre quello del
teatro in cui si fecero: Dorimene e Floridea al Ci-
vico, Medcii al Nobile, eo .
In tal modo, la cronaca che talora fa per so
lennità ecclesiastiche e per avvenimenti come la
lanciata dei primi palloni, ripete pei teatri, non
senza però insinuare ricordi che non hanno rela-
zione coi disegni, come ad esempio questo : «Aprile
1784. Venerdì Santo a ore novi- morì il sig. Nicola
Giuli pittore perugino, ornamenti sta. fiorista ed an-
che d'animali, d'anni sessantaquattro».
Ma su tutto abbonda di epigrammi e di rio
per la salute che andava perdendo per l'eccesso del
bere. In un fascicolo registra: « Massimiliano Stol
medico tedesco non ammette che attacchaticci o al-
tri mali Rogna. Vaiolo e Malfrancese: 'I resi.. I.-
erede tutte buffi mate ». In un ali n :
/ attori, servitori e e mi da
quando son vecchi ognuno li scaccia.
[n un terzo vicino al proverbio: «Per gli uomini:
Donne, Denari e Dignità), si legge i! ricordo di al-
cuni quadri veduti «In casa • eccomanni: due
tratti al naturale di Dame a mezza vita del Bacac-
elo, e un quadretti, in i.mie rappresentante un
paese in piccolo di Monsieur Musceron ».
Finalmente, qualche fascicolo serve anche alla
ì liografia del Mariotti : alcuni schizzi di paesi e cam-
pagne provano che nell'estate del 1782 egli si tro-
vava nelle Marche, che nel maggio del 1783 era in
Toscana e poco dopo a Roma.
L'esame compiato dell'opera di questo artista con-
duce alla conclusione che vero valore egli non ha
che per l'istantanea, come percezione e come esecu-
zione. Le cose piccole ch'egli disegna rapidamente
guardando, sono vive, belle, adorabili. Tostochè
s'impegna di tradurle in grande o di finirle, tutto
gli langue nelle mani e si scompone nella torma e
nel sentimento. Perciò i disegni ingranditi e con
dotti a colori appaiono grami, stentati, e i quadri
bruttissimi.
L'Orsini racconta che 1 aveva dipinto de' qua-
dretti di gusto coi fatti i più curiosi delle novelle
del Boccaccio». Può darsi, ma noi ne dubitiamo,
perchè tutta una novella di esorcismi, che occupa
un albo, con una donna che conduce un mago in
una grotta, seguile, da un muoio di bifolchi, armati
di lanterne e di pale, e diversi preti che suscitano
demoni e s'abbaruffano con loro, sentono già dello
stento.
Quand'egli, pur facendo scene di vita reale, s'al-
lontana dal vero, si direbbe che perde terreno e tra-
N'ELLO -unni 111 DISEGNO
LA LETTURA
a .-ululo. Si scoige bene dalie figure di alcune
d'intenzione arcadica, divenute smoi
languid ■ il lana di
1 1 data del 1788 di 1 formare un
voluta 1 "ii villani, preti, frati, donnei pastori
rimediata. Sono più finiti, ma
le caricature, che non s'ino ini rani 1 1»'
ri 1 in gran numeri 1 0 piacevoli. Il vero sem
plicemente inteso e semplicemente reso: ecco il ca
•re 1 rionfale delle migliori.
I strano •pimeli eh oprisse assai tardi le
più preziose qualità del suo ingegna L'albo
la data più remota è del 1778. quand'egli
i.i cinquantadue anni, e non contimi- > piasi
figurini teatrali. Kd oltre alla prova sicura
della data, dimostra ch'egli aveva cominciato 1 suoi
ianto allora, il latto che la sua
ta non i- ancor libera nei tratti, come nei Easci
in.mo date posteriori. Un albo dell'anno
1790 s'arresta alla carta t 1 con uno schizzo in
di una folli rutto il rei ianco. Il pittore
• 1
I 1 (rsini s.i ive ancora : 1 ( !in a otto anni pruni
ch'e' morisse si esibì ili riaprire l Accademia del di-
rlo, rimasta chiusa pei molti anni, e l'ottenne.
Era l» :i grande I aspettazione d'ognuno.... ; ma quei
che inalizzavano le cose della pittura con più fino
discernimento giudicavano la cosa diversamente;
perciocché il soggetto che doveva lar da maestro e
rettore non era versato in tutto ciò che risguaxda
■ osi Fatti esercizi; e non isl 1. (ili seolari
non vi stettero lungo tempo; 0 che egli se ne svo
gliasse o che le promesse degli opportuni provvedi-
menti non corrisposero all'idea che se ne aveva,
l'Accademia del disegno restò chiusa lino alla morte
ili lui ii.
Non poteva succedere diversamente La sua in-
dole d'impressionista si accordava ali il 1 ac.
me il diav >lo con la croce '
CORRADO RICCI.
Fi
1 .'
mi
~7V
. *_ - tÌ*l*' ' "rr^---^^-
«•
*~
DIVISTE
SS O AX MARIO £3- -
/ """ delti praierii pag. 1103 — Nella patria delle bisteche, pag. 1105 -- / francobolli prenomi.
pag. Iloti — L« pittura alla locusta, pag. 1106— Giuoco e forza, pag. 1107 — L'esordio letteraria 'ti
Leom TolStOi, pag. 1110 — Lrt materia <■ eira:', pag. 1111 — Una nuova Stella, pag. 1114 — V
abissi del mare. pag. 1115 — / mestieri pericolo**, pag 1122 — Swìla montanini, pag. 1123 -
f mi metropoli originale, pag 1134 — Pappagalli ammaestrati, pag. 1135— // pianoforte che
scrive, pag. 1136 r- Falsilirazioni artistiche, pag 1137 -- Nei paese «Mie /aie, pag. 1138 -
( n'ini W< slu suoli esami, pag. 1144 — GH alberghi si izzeri. pag. 1144 — Dove wa /'oro:1, pag. 1144.
Nelle praterie dell'America del Nord vive una
graziosa bestiolina non più lunga di 35 o 40 centi-
metri, dalla pelle coperta di foltissimo pelo, misto
di grigio, bruno e nero, dalla testa relativamente
grossa e mobilissima il cui muso, cerchiato da una
corona di pelo grigio, porta un naso schiacciato af-
fatto caratteristico. Il grido di questo animale ras-
somiglia al latrato del cane, epperciò gli si è dato
il nome di a cane delle praterie», sebbene non abbia
somiglianza alcuna col migliore amico dell'uomo;
appartiene metà alla famiglia degli scoiattoli, metà
a quella delle marmotte; ed all'aspetto sembra un
porcellino d'India od un grosso topo. Non mangia
carne, ma si nutre di radici e di grano: solo in
caso di bisogno mangia mosche od altri insetti.
D'indole quieta ed allegra, esso si distingue per una
spiccatissima gioia di vivere, che manifesta con i
più strani e vivaci movimenti, salti, giuochi, corse,
e si potrebbe dire perfino con danze. Socievole, ne-
mico della solitudine, sempre in compagnia dei suoi
simili, stabilisce vicino ad essi la sua dimora. E
che abile architetto si dimostra, quante raffinate co-
modità sa procurarsi !
Il cane delle praterie non si preoccupa dell'aspet-
to esterno ; non è un riccone, e perciò la casa sem-
bra una semplicissima collinetta, simile a quella
della talpa, ma assai più grande, e diversa in que-
sto che la terra non è ammucchiata alla meglio e
malferma, ma tutta solidamente battuta e indurita;
alla cima poi si presesta un'apertura a forma di
imbuto: è l'ingresso della casa, alla quale conduco-
no due passaggi, lunghi ciascuno quattro metri e
del diametro di dieci centimetri, uno obliquo prima,
ed uno orizzontale poi, dal |uale ultimo si distac-
cano corridoi più O meno lunghi che conducono alle
stanze, di divers dezza, ma tutte rotondi
La stanza maggior- • riservata al capo della fa-
miglia ed alla sua consorte ; ma tutta la casa è abi-
tata per la maggior parte del tempo da una sola
coppia; il maschio è un modello di marito, e ri-
mane sempre fedele alla sua consorte, perchè tra i
cani delle praterie la monogamia è in vigor di leg-
ge. L'abitazione si anima più in estate, quando ven-
gono i figli, che talvolta sono sei od otto, ed occu-
pano le altre stanze; ma, come abbiamo detto, per
poco tempo; i figli crescono ed alcuni si sentono
forti abbastanza per mettere su casa propria; altri
della famiglia, meno felici, soccombono alle malat-
tie, alle intemperie o trovano la morte tra gli artigli
o le zanne dei nemici; insomma la famiglia si de-
cima finché nella casa paterna una sola coppia ri-
mane, che al sopraggiungere dell'inverno cade in
letargi ».
Al destarsi, nel principio della primavera, il pri-
mo pensiero del cane delle praterie è di mettere in
■ rdinc la casa, riparare le pareti esterne, ecc.. opera
faticosa e paziente perchè "molti sono i guasti cagio-
nati dalle pioggie. dalla neve, da altri attacchi. Oc-
corre poi spazzar via l'erba crescente e le piccole
radici; e il cane delle praterie compie quest'ultimo
lavoro col naso, che è schiacciato appunto per
fetto di esso lavoro, ovvero perchè deve servir* e
me strumento atto ad eseguirlo.
Il cane delle praterie conduce una vita molto re-
re. Al tramonto rintana per riposare; si leva
all'alba e corre a cercar cibo. Trovatolo e nutritosi,
va a visitare gli amici ed i conoscenti per divertirsi,
giuocare e godere insomma con loro l'esistenza. Non
ruesto però dimentica di essere minaccialo
vari pericoli e di avere intorno moltissimi nemic;.
Questo pensiero anzi lo accompagna sin dal primo
destars Sguscia allora dalla stanza e adagio ada-
gio, con ogni precauzione, si arrampica pel pas~
I o. ma non esce subito all'aria aperta ; pri
I I" I
LA LETTURA
ma 'li giungere alla bocca trova un, e piccola nic
uni guardiola '«I osseo Ltoriot, ed in [uè
• i ferma, tende l'orecchio, annusa . solo allorché
uro <"he nulla v'è 'li sospetto, che tutto è ancora
. do ide .1 metter Fuori poi. p<>ci>
co, il corpo; e di nuovo si ferma entro l'imbuto
d'apertura . piantate solidamente le /ampe poste-
min ed allungato il collo quanto più può, esplora in
i . ■) • il i i| min i sensi, tende
l'odorato e l'udito nella direzione del vento: intoi
no, dalle altre case, i suoi simili viam alla porta vi
gili anch'essi. Nulla da temere! La prateria è tran
quilla. I io un bel salti », e sono l «ori :
■ iteria si anima e si fa piena di vita e ili alle-
disposta una completa serie di avamposti e
ntinelle, i cani cominciano i loro giuochi ira le
omiche capriole e le più allegre danze,
pur saltando sono sempre attenti al pericolo,
quando a quando levano in alto la testa a
ime l'orizzonte, è guardano le sentinelle. Ecco!
All'improvviso s'ode un breve latrali.: è il segnale
del pericolo, che spinge in un attimo tutte le he-
stioline nell'entrat, -. loro. Tremanti, ap
[Mattate nell'osservatori., ascollano e fiutano, poi
sporgono nuovamente il rapo, e L'occhio sul. ito esa-
mina la situazione, subito vede si I allarme era I tisi
lawero un ospite non desiderato ha voluto en-
trare onia.
vengono simili visite. Ora
ti o cani selvatici, ora tassi, ora uccelli ili
i artigli e le zanne fanno migliaia di
me tra le inerii i I >elli piali giungono
I \ arsi solo quelle che hanno tempo di entrar.
nella casa e che debbono assistere dall'entrata, im
| intenti a prestare qualunque S rso, alla triste sor
Ielle loro famiglie. \ è però un terribile nemico
spesso paga il fio ilei suo misfatti: è
sto un serpentelli, che appena s'accorge dell'as
i dei capi della famiglia si introduce nella casa
per strati liccini: ma il più «Ielle volte qual
.imo lo li e con uno speciale latrato avverte
tnpagni; tutti corrono allora a quella collina.
in una rapidità prodigiosa la circondano, lan-
ca nell'entrata e la chiudono, seppellendo
il reo colla sua stessa \ it t ima.
\nehe nei giorni ili pace e ili tranquillità i cani
delle praterie si aiutano a vicenda per costruire e
riparare le I case: il sistema di tener sempre
numerose seti! te loro questa r-ix>pera-
•. e fa sì checon i l i ui esercizi la razza
si rinforzi sempre, sebbene ogni giorno, ogni ora.
irò ilenze rend difficile l'esistenza
Pochi anni addietro nell'esteso territorio tra il Mis
sissippi e le Montagne ! da una parte,
stati ili Montana. D I . vis e Messi... dall'ai
«.ano poche colonie spaisi- qua e là 'li
Ma il 1 nero i rei. he in breve
prò he ora si può parlar.- ili un
impero ili cani delle praterie, con villaggi, cil
tamii e pi' cole '-'1 una i .pria capii
■ ■ chiamare altrimenti la coloni, che vive nello
una superficie di 80.000 chi-
quadrat I ei reno son
a mite circa 50 collii icchè di pOCO SÌ pilo amia
re errati annoverando a |oo milioni gli abitanti di
questa città gigantesca. Queste enorme aumento di
popola/ione ira i cani della prateria e dovuta al
fatto che nell'America settentrionale vengono oca
dedicate all'agricoltura grandi estensioni ili terreno
finora limaste incolte. .- questo specialmente verso
l'ovest nelle sconfinate praterie: così il cane delle
praterie si vede considerevolmente diminuita la dif
ficoltà di procacciarsi il pane quotidiano: esso non
ha da aspettare altroché l'arrivo dell'agricoltore che
sparge il grano sul terreno Appena nelle loro anti
che sedi le famiglie dei con delle praterie vedono
il suolo privato dell'ultimo filo d'erba, dell'ultima
radice, emigrano all'ovest ove trovano senza stenti
di che nutrirsi. Anni addietro quando il loro numero
non era cosi grande e ^agricoltura era poco estesa,
i danni da essi prodotti non erano rilevanti e poco
si volse l'attenzione dell'uomo a queste bestiole. Og-
gi la situazione e ben più grave: sia per i proprie
tari delle terre, sia per 1 nostri cagnolini. Essi ari
eora son lieti dell'esistenza, ancora costruiscono
se. corrono, giuncano, vivono in pieno tripudio.
Essi non hanno alcun presentimento nella sorte
Che gli uomini loro preparano, quegli stessi uomini
che lino a ieri hanno trovato piacevole assisti tri
hi di questi animaletti .- contro cui scagliano a
desso le loro maledizioni ed al cui grande impero
dichiarano fiera guerra.
I soli animaletti della colonia del Texas COI!
sumano Ogni inno una quantità di prodotti del suo-
lo che basterebbe a nutrire mezzo milione di buoi ,
il danno che i proprietari soffrono ammonta a parec-
chi milioni di dollari, senza poi contare che quei
danneggiatori rendono diffìcile e pericolosa I
coltura perchè nelle collinette e nelle buche d'in-
gresso il bestiame e gli uomini stessi inciampano.
. adi »no, tali ira si storpiano. Sono pi labili
gli americani se vogliono mettere un fine all'opera
apparentemente innocente ma in realtà pemicii
sima dei cani della prateria e tempestano il Mini-
stero dell'agricoltura di Washington con preghiere
e domande per avere un aiuto, li Ministero ha olili
nate un'inchiesta incaricandone il dotto zoologo
Ilari \loriam il quali si recò sul luogo accompa-
gnato da molti assistenti e pubblicò le su.- osserva
/ioni nello Yeaf Back di quel ministero del 1901.
Da tale annuario sono tolte queste notizie in massi-
ma parte nuove dell'animaletto finora sconosciuto
che porta il nome scientifico di Cynomys lua
(ìaiìt/s.
( Ira che l'Opera notevole del Meli. un ha messo in
evidenza il m solo questione del imodoi
di curarlo. Poiché, trovata l'arma più idonea, stu
diato il miglior piano 1, 1; guerra distrili
trice proseguirà continua e spietata tinche esistei.'
l'ultima bestiola, finché sarà calpi stata ed inlranta
l'ultima sua dimora. Cosi scomparirà il grande ini
pero: copiose messi copriranno gli antichi circhi, le
litiche arene dei cani della prateria : né una CO
lonna, né una morta rovina rimarrà 1 serbai,
loro memoria
li, I t'Ir).
I nostri lettori ebbero nell'ultimi Eas ilo alcune
curiose notizie intorno ai grandi macelli, desunte
dalle Lectures pour tous. Un'altra rivista frani
le Lectures Modernes. ne dà altre intorno all'origine
del commercio della carne nell'Amei ca del Nord,
le quali ci sembranti degne d'essere brevemente rias-
sunte.
Furono gli Spagnuoli quelli che introdussero nel
Nuovo Mondo i bovini, gli equini e tutte le m
specie di animali domestici. Al Messico il conquìsta-
Fernando Cortez, di sinistra memoria, importò
il toro, la vacca e il cavallo. L'allevamento fu una
sorgente di grande ricchezza per gli emigranti spa-
gnuoli, poiché tutte le circostanze erano propizie:
•clima temperato, vaste praterie, ruscelli copiosi e
vantaggiose vendite ai coloni europei che. venuti dal
Texas, avevano bisogno di un cibo sostanzioso. Un
bel giorno, questi Texasiani trovarono che era ridi-
colo ci imperare dai Mess ri 1 bestiame, mentir' i
tevano es>i medesimi allevarlo altrettanto bene in
casa loro; e cosi le solitudini del Texas furono pre-
sto popolate di numerose mandrie. Cresciute stra-
Imente, e. divenuto dilìiciie il diss t: rie,
gli allevatori cominciarono a spingerle all'ovest del
Missouri ed all'est delle Montagne Rocciose, dove
aronoil terreno e l'acqua di cui avevano bisogno.
Quella regione divenne il centro della pastorizia
americana.
Per custodire quegli sterminati armenti, occorre-
vano uomini giovani, robusti, capaci di vivere nella
Udine, di resistere alle intemperie, di tenere
unite le bestie, di affrontare i ladri, i
non ha paura di nulla. Col lazzo pen-
dente dalla sella atterra il toro infuriato; col re-
volver assicurato alla cintola tiene a dovere un Fel-
ini Bushranger (ladro delle praterie). Più
diffii -mare la mandria, specialmente nelle
ore di panico. Mentre le bestie pascolano tranquil-
lamente, a un tratto voltano tutte il capo verso una
- ssa direzione, e dopo essere rimaste così strana-
mente immobili, si mettono tutte in : so la
direzione opposta, poi affrettano il passo, poi ga-
loppano furiosamente, strette le u Itre come
una vivente valanga, li con • gli hi
al cielo, scoprendo una nuvola minacciosa di color
io scuro, comprende che una tempesta di gran-
dine e di neve è sul punto di s ; e allora
gli tocca tener fronte, solo, montato sopra un ca-
vallo mezzo selvaggio, a un ini
ghiante. galoppante e come impazzito; a furia di
i, di urli, di frustate, in mezzo al turbi]
gli riesce a far retrocedere l'avanguardia dell'ar-
mento, e con essa tutte le migliaia di bestie a lui
affid
A primavera comincia un lavoro non lieve: il
bilancio delle nascite e delle morti. Siccome cia-
scun allevatore ha segnato a fuoco con le sue ini-
T.a Lettura.
ziali i suoi tori, l'operazione non sarebbe difficile;
ina. poiché le bestie dei diversi proprietari si sono
mescolate e confuse, bisogna riunirle tutte, esami-
narle e separarle. oltà di riunire- in uno
spazio relativamenl sto gl'innumerevoli ar-
menti è grandissima, e sarebbe davvero insuperabili
senza il B tco /■'.. rfi -, o < li sti I ire di ' avalli.
Bisogna in pochi giorni ridurre i cavalli, vissuti li-
beri come l'aria, a lasciarsi montai ibedire al
cavaliere in modo da girare su se stessi a una sem-
plice pressione del a
Il comi gno degli . ! >
degli aiutanti si fa in una gran valle, presso una
sorgente abbondante. Si nomina un Boss, a capo, il
quale stabilisce il giorno all'alba de! quale comin-
ci rà il «circolo ». cioè 1 le bestie
per opera dei cowboys - Ed
ecco il primi albore: tutti gli uomini sono in piedi,
fanno una rapida colazione, sellano i cavalli, sono
passati a rassegna dal boss, che finalmente grida:
«Rìde the eirele and round up the calile» (a cavallo
il circolo e circondate gli armenti i. A due a due i
venticinque o trenta cowboys si disperdono nelle
direzioni indicate, per un circuito duna ventina di
chilometri. L'accampami deserto, ma dopo
qualche ora, da tutti i punti dell'orizzonte comin-
ciano ad arrivare, galoppando, soffiando e mug-
ghiando, i ruminanti cacciati dai cavalieri: la pia-
nura si copre d'una nube di polvere talmente fitta,
i he i sopravvenienti dietro gli ultimi grup-
pi di animali, appena riescono a riconoscersi. Quan-
do tutti gli .miniali sono riuniti, si procede alla di-
visione.
Il Far-West non è più il 'he era un tem-
po. L'agricoltura si è impadronita a poco a poco di
tutte le terre coltivabili, i fatti io le loro
bestie chiuse dentro solide ciri I
venu rzone di fattoria e tutto il p
sua nomade e solitaria esistenza è scomparso.
Ma se le condizioni dell'allevamento si sono n
ricate. i risultati som ■ lunghe processio-
ni di bestie destinate al macello si avviano rassegna-
tamente alle numerose stazioni delle molte strade
ferrate eh,- ora solcano il Far-Wi
che rapidamente porta» nenti ai macelli de-
gli Stati orici r
Si potrebbe credere che I , ine di esseri vi-
venti si effetti; Iche cura, a risparmio di
ferenze inutili. Niente affario. Il 1 am-
mucchi ito come carne già morta in va i perti,
stretto ci une biso itti da the in un
Alla line del viaggio, gli animali sono condotti
in un recinto dal quale non usciranno se non per es-
sere spinti al macello, 0 venduti a qualche mercante
delle città vicine, o imb : l'Europa. A Nuo-
va York il sito dove sono riunite le b inate
ai macelli o all'imbarco è in Jersey-City, presso le-
70
LA LETTI R \
e i viaggiati »n, ben-
chi poco disposti .1 comuoversi, tv
meno Ji soffrii i lamenti disperati che quei
mo noti [1 ponte
d'imi I City, e il trasbordo ilulla
: si t.i mediante un largì i battello .1
yapi Una volta a bordo,
gli animali som iti di ni n 1 stalli di quercia,
abbastanza funi da tesi tere .'lì'- spinte delle mas
se viventi che le urteranno alle prime ondate gros
m Ivolta, durante le tempeste, le divisioni si
spezzano, e i rumin 1 mo schiacciati, schiac-
ido a loro volta le persone che si arrischiano in>
mezzo ad 1 ssi
I francobolli preziosi
Ai 1 sti 'li francobolli — 1 quali sono
.'oo mila, secondo atistiche ed anche
al pubbl empiici curiosi — farà un o rto
ntire che due minuscoli pezzettini di '-.irta
3 mila 1 ranchi. Questi 1 prezzi 1 ha
chiesto, ed ottenuto, un grosso negozianti di r
rigi, il signor Lemaire, per due francobolli dell'isola
Il loro valore i cosi grande, perchi di
tutta l'emissione, la quale risale al 1847, non ne
no più che 2 1 es Tripla: i : ciascuno di 1 p
_• 1 francobollo ha uno stati civili la regola:
.1 chi appari 1 chi ha appartenuto ed
vendita I ra i filatelici.
Eppure il francobollo più raro non mesto: il
merlo bianco è un Ila Guiana inglese,
bruttissimo, perchè consiste in un cerchio irregolare,
impresso in nero su carta r< sea, con le parole
iman a alla circonferenza e 2 centi nel
tro, senza fregi. M 1 no solo in tutto il mondo^
ed è |uindi inestimabile. L'ultima volta che fu ven-
duto, fu pagato io mila 1 ranchi.
Altri membri dell'ai sono i
1 rim ;. 1 1 I l.iv .ii- 1 li uhi 1, spe :ialmi
non - mo più 'li fi 0 7 esempi ri: è il 2 centi
impresso in azzurri \ ' re: 8 mila franchi. Altro
tipo p ci bello, 1 1, è ii francobi ilio
della Moldavia del 1858. ra] nte, in un cer.
e un ionio .1,1 caccia. E'
impn urro, e vale 8 mila franchi.
I francobolli di Maurizio vengono a costare, a
800 franchi il miìligramma, il che vorrebbe
800 milioni di franchi il chilogramma! tjuella
che 1 sista
al mondo ! Il più picei ilo francobollo che esista negli
ollezionisti, il io centesimi di Ilo Stato
■ li Bolivar, vale almeno 500 franchi: un metro .li
quel costare 4 milii ini di t ranchi.
ncobolli europei non vi sono di queste
rarità. La perla della ci illi zi ese è quello da
un t iì! del 1 848.
Vei 181 fi paga 250,
e 1 ;oo quando è nuovo. 1 «li fa con-
correnza il fj centesimi del 1875. bruno su rosa,
fruito d'un crron- durante la stampa, un
clichè del . ■ ■ mesi ol
del 1 "i rancobolli i, - he pine
1 350 franchi quan-
unito a quello da io centesimi, la qua] 0
la sua aulenti
Altro francobollo storico è niello dell'isola della
Riunione, impresso verso il [851 per la francatura
nell'interno dell'isola. Ne furono tirati 1500 es
plari, ma gli abitanti della colonia, disturbati nelle-
loro consuetudini, non lo adoperarono moli
ferirono o m inuan re il porto delle lori 1
i'i ale 'li San I Dionigi non ne ven
dette neppure pei to frai chi durante i io anni che
fu in uso. Ora ogni esemplare vale 1000 franchi!
Ma la storia dei francobolli ha I igolarità.
Se il prezzo di questi pezzettini ili carta fosse in
ii [azione ci m li loro rai il imabile di n rebbe
essere il francobollo della Nuova Caledonia in
verso il 1851; .lai Triquerat. A quel tempo, quella
colonia francese si trovò a corto 'li bolli postali, e-
perciò un certo Triqui 1 1 nel! Liuteria
ili marina, fu incaricalo dai superiori ili fare un
bollo provvisorio che servisse mentre si asn
i francobolli nuovi dalla madre patria. Il sergi
trovò una pietra litografica, e vi incise una tavola
ili 50 tipi, ri proi luceni lo il francobollo ufficiali
lora in uso. Come disegno, l'ultimo dei < '.macchi
ivrebbe fatto 'li meglio. Or bene: questo rarìss
1 curiosissimo francobollo non è, come parrebbe,
uno dei più curi ; al contrario: si può avere per I
misi-ria ili 25 franchi !
1 Dalle Leclures modernes).
La pittura alla locusta
Si conosi èva già 1 id olii 1 1 [uella ad
acquerelli 1, ma si igni 1 .". a ano ira che < ni 1
una alla locusta. I fn ari hitetto algerino, il sij
>Jeige, l'ha ora scopi rta. Schiacciando il torace ili
uno ,li questi animaletti rimasti per qualche i[
ha 1 ittenuti 1 un bel bruno, ana I
iia ; il quale, allungato 1 1 n l'ai |ua, bas
colorire una superficie d'un decimetro quadrato.
Il nuovo coli putrescibile, inalterabile alla
luce e la il la ni e in un "lo .he ni n necessario aggiun-
ei ! gomma Basta lasciar digiuno l'animaletto du-
rante iluc 0 tre ore. perch 0 il tubo digestivo)
si otti 1 |uesta nn. iva si zao ilorante.
Le infesti ai cinipi, e già pi
un iwen
Giuoco e forza
Il famoso atleta Sanckw. che ha fama di essere
l'uomo più forte del mondo, pubblica nel fascicolo
di ottobre dcXYHarmswortìi London M agasine un ar-
ticolo interessante sul modo di praticare l'educazione
fisica dei bambini.
«Xon è mai troppo presto — dice il Sandow -
per cominciare ad allevare il bambino quale dovreb-
be essere. Appena esso è in grado ili tare una eoa .
si può cominciar subito ad insegnargli a far bene
quella data cosa.
« Xon mi stancherò mai di insistere nel far rileva-
re ai genitori l'importanza estrema e la necessità di
provvedere allo sviluppo fisico dei loro figli e delle
loro figlie, di dedicarvi fin dal principio la massi-
ma attenzione. Per tirar su un intelletto sano, una
casi, specie allorché si traila .li bambini molto pic-
coli, la cosa èo pare impossibile: ebbene, anche al-
lora, non ,;■ detto che si debba trascurare l'educa/,
tisica e che non vi sia altre mezzo 'li provvedervi.
forte costituzione, un carattere robusto, è della mas
sima importanza che il fisico sia convenientemente
esercitato. Alla mia scuola di allevamento fisico sono
condotti spessissimo, perchè io li curi, bambini che
soffrono 'li curvatura spinale o di altri malanni e
difetti. Ebbene, di tutti questi bambini, moltissimi.
anzi il maggior numero, avrebbero potuto con eser-
citazioni giudiziose sfuggire al male completamente
o in parte. Nessuno negherà che. in questa materia
almeno, prevenire sia meglio che curare.
«Xon bisogna aver paura di far male ai bambini
con gli esercizi fisici. Xaturalmente si può eccedere ;
ma io oso dire che per un ragazzo che ha sofferto a
causa degli esercizi fisici, ve ne sono mille che han
no sofferto per mancanza di esercizi fisii
[Quando un ragazzo è abbastanza avanz I
età per poter frequentare una scuola di fhysical cin-
ture, come dicono gli inglesi, o quando può cornili
dare ad esercitarsi da sé con leggieri manubri. ì
gna incoraggiando in ogni maniera. Ma in certi
«Io credo fermamente nell'estrema utilità dei
giuochi per i fanciulli, grandi o piccini. Al pu
di vista tisico, si può dissimulare sotto iì giui
molto lavoro utilissimo: ed i genitori dovrebl
giocare con i bambini assai pivi di quanto non
ciano comunemente.
no8
LA LETI
nulla che confei s freschezza fi-
più del giuocare <• dello a
rapo migliore e forse la sera.
e mohi credono tutl
Imo dell i > \''rs" il
non credo 'li potei
Nella mia scuola di educa-
li numero di esperien
ilari, io h" dovuto
unge il massima di Ila
1 i co peri !
di fanciulli, perchè pio-
i profondo e saluti
ntende che il
. ci i, perchi sia
mezzo veramente
nerico di educa
re or-
dinato scientifica-
, in vista dello
ipodi unti i va-
ri muscoli del o ;-
pò; ed a tal uopo io
5 rie eli
duati che
non richiedom i appi
ut, -hi. e sono
sempl ni pa-
dre può tarli com>
senza difficoltà
ai pn ipri figli. Si ba-
di soltanto 'li ren-
modo che i bambini
ne ni si accorgano
quasi, nel compierli,
rli stare 1
; ; no di
essi deve essere com-
ve i n gioì
, hii ; ù difficile. Quando p rubi-
stanco o i e nel
ento, conviene sospendere senz'ali
\ svilu] lolmoni, il petto ed i n
•esso.
rto modo, in una specie di palestra ginnastica.
Il principio generale delle esercitazioni fisiche cori-
ne] liniere una resistenza — rappresentata da
manubri, da corde elastiche od altro — con uno
sforzo gradatamente crescente. Ora tale processo
può essere facilmente imitato senza necessità di at-
trezzi ginnastici. Le figure che accompagnano que-
iletto spiegano la cosa, e sono al .bastanza
evidi laver bisogno di molti schiarimenti.
,] muscoli delle braccia e delle spille possono
svilupp i-i facendo sollevare ed abb ma-
fanciullo, a braccia tese e pief
un bastone alquanto pes \ rendere l'esercizio
un poco più difficile e divertente, il padre chi
irritazioni del figlio può fai
I ,| suo si lendo il bastone per le l
■ i e ••
i muscoli imbe non ve nulla di più
che l'abbondanza di moto, il correre, il sali
per i muscoli della schiena è 1 eser-
DALLE RIVISTE
cizio raffigurato in due delle incisioni che si trovano
nella pag. precedente. Prendete il bambino sulle gi-
nocchia, facendovelo sedere sulla coscia destra, e te-
nendo i suoi piedi sotto la coscia sinistra. Poi fa-
telo piegare all'indietro lentamente, sin che il suo
v,
capo vada
care il pavimen-
to ; infine fate-
lo rialzare per
modo eh' egli
faccia forza si I
tanto con la schiena, senza valersi minimamente del-
le mani e delle braccia. L'esercizio è difficile e deve
essere appreso grado a grado; da principiti, anzi,
bisognerà che il padre sostenga con la mano la
schiena del ragazzo; egli diminuirà poi di giorno
in giorno l'aiuto, man mano che il ragazzo andrà
facendosi più forte, sin che sarà capace di tare a
meno completamente di ogni appoggio».
L'n altro esercizio difficile ma che riesce molto
divertente, consiste nel far distendere a terra il ra-
gazzo supino, e fargli afferrare un fazzoletto, od una
corda, od il manico di un bastone con le inani. Il
padre, tenendo l'altra estremità, appoggia un piede
contro i piedi del ragazzo, pei oi or-
dina al ragaz
zione orizzontale. Sulle prin:< nhino
non vi riescirà senza piegai le ginocchia ; ma a for-
za di esercizio, riuscirà a rialzarsi stando i
me un pezzo di legno. Inutile dire che in t
I 109
entrano in azione molti muscoli e che quindi l'esei
Cizio è utilissii! ■
a Ancora più difficile è l'esercizio rappresenl
una delle ligure che si trovano in questa pagina ; il
no sta su 1 lue 51 1 1 in la testa sull'una ed
edi sull'al-
tra, e tiene il
■ne mUSCO.
Lue. E questo
un esercizio che
rinforza molto
i muscoli
collo, ma che,d
le prime volti-.
deve essere compiuto con molta precauzione: il pa
dre dovrà sostenere con la sua mano La schien 1
ragazzo odella ragazza, diminuendo soltanto a |« -
poco l'appoggio. In Ogni naso il piccino non
dovrà stare sulle due seggiole che per qualche se-
condo, perchè lo sforzo grande
Ma del resto non è necessa.no distendersi nel ci-
tare -li esercizi che possom giovare al fisico
I ■ ani .mi. ( >gnum 1 può comprenderli da sé ed aiutar-
si con il proprio criterio e regolarsi secondo la
pria I Si sa, pei esempio, ohe tutti gli
cizì in cui si esercita uno sforzo per resp
per ai: ii ire una persona od un ■ ■
L'abilità dei genitori dovi
ire nel modo di presentare queste esercitazioni,
ni I renderle divertenti 1
mbini vi pi -■ni. ino più il
che la stanchezza.
11 poeta Nekrasoff, direttore dell'importante rivi-
sta • urgo, II ( ontcmformeo, ricevette pei
m i 1852, col bollo ili un piccolo paese d<-l
Caucaso, un racconto intitolato Infan ia e firmato
li L. T. Lo lesse e lo pubblicò
nel fascicolo del t< bre, impressionato dalle
qualità non comuni di quella semplice narrazione;
prima di inserirlo, iveva scritto una lettera d'inco
dicendogli fra l'altro: « Il
, lavoro e 1! vostro ingegno m'interessano. Vi
però di non nascondervi dietro le iniziali,
di incominciare subito a firmare '"1 vostro no-
meno che non siate un ospite di passaggio
nella letteratura. •■ L'anonimo aul non aveva an
il Nekrasofi gli diresse una
1 pei confermargli la grata impres
, ttura delle bozze di stampa e
nvitarlo ancora a fargli conoscere il suo nome,
endo la censura. Ma dovette contentarsi di
il racconto con le semplici iniziali, e ancora
una volta, il 30 ulte il .re. chiedendo un secondo scritto
all'anonimo collabo offrendogli il compenso
ili 50 rubli a foglio ili stampa - il massimo com-
iche// Contemporaneo pagasse agli autori ià
11 ripei : 1 \"i si, min obbligati a sapere il
nome dell'autore ili cui inseriamo le opere, e perciò
mi delle notizie precise in proposito. Se volete,
uno all'infuori ili noi saprà niente. » Allora
finalmente la risposta venne: l'autore si chiamava
Nicolaievich Tolstoi ed aveva ^4 anni.
Fu il pri 'omponimento dei grande roman-
. quantunqui pressi 1 'li noi 0 tradotto
temp opo i posteriori capolavori : per que-
- ito 1 1 -liuti ' uno degli scrini più
stato attribuito un valore, autobiogra-
anzi le due edizioni francesi hanno mutato
il titilli» ili In ' quelli di Ricordi e ili Mie
memorie. Invece il Tolstoi intendeva iniziare con
quel racconto un grande romanzo, da lutiti lare Sto
11 quattro epoche, nel oliale avrebbe narrala la
nvam dal primo apparire della co-
riza infantile, fino al punto in cui diventa pie
namente e moralmente uomo. Infatti ad Infanzia
■ 1 [85 1 ' ed a la prima
pait< 855) ; ma non 1 siste neppure
un abbozzo della quarl 1 ed ull ima.
un simile art ista } l'in
troppo i dati che fino ad oggi sono conosciuti in-
prinii anni della »
[furienti. < >;:m persona che scrive, sa che un
; devi essere s pn '-'11110
tentativo meno bene riuscito. 1,111. nulo
1 si trovava nel Cauc iso, dove
si era recato presso un suo I rateilo che vi militava
nell'artiglieria (egli stesso era sottotenente). Era
andato Laggiù .1 cercare nella vita libera, a contatto
■ li quella natura terribile, la pace che non aveva
trovata né a Pietroburgo, né a Jasnaia l'oli. ma.
prò isamente come doveva fare il suo eroe ilei Co-
sacchi. Olénine. In quel momento ih grande incer-
tezza iii.ialc. quando cercava e non aveva scoperto
1 le regole 'lilla vita d. forse egli ripensò al tempo
meraviglioso in cui lomhra deU'ii:ivrte//a non gli
era ancora apparsa, esulta trama delle sue memorie,
variando e scegliendo, scrisse allora una narrazione
che, pui essendo inventata e ordinata non secondo
la realtà ma -• * < mio un criterio d'arte, gli permise
di riprodurre ciò che la sua anima fanciulla aveva
pri ivati .
E' difficile ricini. ire un altro autore tanto felice
nei suoi primi passi. Dopo aver trovato nel Nekra-
soff l'iniziatore deale, ebbe un fervido elogio da una
rivista molto diffusa, /.. memorie fatrii : ■ Se questo
il primo lavoro del signor L. T.. bisogna ralle-
grarsi con la letteratura russa per l'apparizione d'un
grande ingegno. » I numeri del Contemporaneo col
racconto del ["olstoi arrivarono fino in Siberia, al
Dostojewski, che viveva lassù gli anni del suo mar-
tirio; e l'esule manifestò la sua ammira/ione per
l'esordiente meraviglioso. Rapidamente questi com-
pose altri racconti bellissimi; talché, tornando nel
1855 dalla guerra di Crimea, fu ricevuto nei cir-
coli letterari come il nuovo genio dell'arte russi
i più famosi scrittori: Gonciaroff, Maikoff, Tur-
ghenieff, lo acci ilsei mi 1 rateilo.
Quando l'Europa occidentale lo cominciò a co-
noscere, egli era già diverso; giudicando l'alti vita
letteraria troppo miseri 'osa. egli aveva inviata la
propaganda religiosa e filosofica, e sconfessato i
primi scritti. Anche l'infanzia egli non v trrebbe mi
avere scritto. A questo proposito Elia [gnatoff 1 u
1 un episodio. Una volta che il Tolstoi era in
carro//.! con un amico, il cocchiere gli si rivolse
per dirgli :
— Eccellenza, ho [etto molti vostri lihri , mi sono
piaciuti moltissimo, ma non ho potuto avere Infan-
zia e Adolescenza, che mi dicono sieno molto l>elli.
Il Tolstoi si mise a chiacchierare col cocchiere, e
finì invitandolo a venir- da lui per prendere dei
libri.
- Mi darete Infanzia e Adolescenza? — ins
l'autoraedi «ite.
— No. quello è un libro inutile; in gioventù hi»
scritto molte sciocchezze. Ti darò a leggere un rac-
contino: Andate per il mondo finche c\ la luce.
Noi, che non siamo dei predicatori, non sapiem-
tppagarci del giudizio dell'autore
(Da un orticolo di Giulio l'aprili, nella Rassegna inter-
nazionale del 15 ottobre).
La casa editrice Logmans, Green e ('.. di Londra,
iha pubblicato il mese scorso un'opera scientifica del
prof. Bose, di Calcutta, che non solo ha messo a
rumore il campo scientifico, ma già comincia ad es-
sere riassunta e discussa animatamente sulle riviste
■di coltura generale. E si capisce. L'opera del Bose
mira a stabilire nientemeno che la materia è viva.
Naturalmente il prof, liose non si spinge lino ad
affermare che un pezzo d'acciaio abbia anima o
sesso, ma afferma che le sostanze inorganiche, ed
i metalli in particolare, hanno sino in certa misura
la facoltà di sentire, e. per essa, di dare una certa
«rispostili agli stimoli esterni.
A qual si gno possiamo noi -indie. ire se un corpo
qualsiasi sia materia viva od inerte? A qual segno
distinguiamo una pianta da. un animale? Sin che
.si tratta di esseri altamente sviluppati ed evoluti,
li distinzione è sempre tacile; ma noi sappiamo
i he fra i tipi inferiori del regno animali' \i sono
creature incapaci di molo, mentre d'altro canto vi
Sono piai. le che si muovono: e il moto, ionie ila
tutti si sa. e una delle caratteristiche Ioni lamentali
dell'animalità. E come non v'è criterio assoluto che
ci permetta di discernere per ogni caso se un essere
sia animale o vegetale, COSÌ non vi è criterio as-.o-
luto che divida il regno degli esseri viventi da
quello (iella materia inerte.
Sinora, a dire il vero, si credeva di possedere un
elemento di distinzione in una proprietà che, rie,.
noscendosi solo negli animali e nei vegetali, poteva
■darci la chiave della divisione. Proprietà esclusiva
[egli e-seri viventi si diceva essere l'irritabilità, la
facoltà di rispondere agli Stimoli. Voi vi date un
pizzico ad un braccio: tosto risentite un dolore.
«he è la risposta dell'organismo ilio stimolo opera-
to. Una qualche cosa, in seguito appunto allo sti-
molo, viene trasmessa come per una corrente eli
trica dalla parte stimolata al cervello per mei
■de! nervo. V'ha come un circuito elettrico.
Ad intendere bene ciò che segue, bisogna tenere
a mente' questo fatto fondamentale. Se si mette un
nervo od una fibra muscolare su un galvanometro
(strumento che scopre l'esistenza delle correnti elet-
triche), ogni volta che a questo nervo od a questo
muscolo si dà uno stimo!,, sia con un pizzico, sia
con un colpo, sia con altro mezzo, si vede allo sti-
molo tener dietro una specie di pulsazione elettri-
ca. Questa risposta elettrici del tessuto organico
allo stimolo e la prova che il tessuto ,'■ vivo, perchè
quando r! tessuto è morto, la pulsazione elettrica
cessa completamente. Aggiungiamo che per mezzo
di stiumenti semplicissimi ■■ possibile registrare que-
ste pulsazioni col mezzo di una punta scrivente
«■essa al galvanometro. per modo che si possono ot-
tenere trac-iati grafici fedeli e diretti degli effetti
di uno Stimolo 0 di una serie di stimoli, e si possono
seguire le fasi di un tessuto organico, che gradata-
mente, messo al galvanometro. va diminuendo le
pulsazioni co! diminuire della (acuità vitale, lui
che. morto, non dà più allo stimolo risposta alcuna.
ECCO dunque un elemento importante di distin-
zione fra i-ose vive o morte: le vive rispondono agli
stimoli, le morte non rispondono. Ma ammesso que-
sto principio, ne scaturisce una conseguenza mera-
vigliosa, che ila ima nuova orientazione ad uno dei
0 ricetti fondamentali della scienza, e la cui poi
tata non è possibile per ora misurare completamen-
te. Se è vero che il rispondere agli stimoli e ile
di vita — ciò che sarebbe dimostrato dal latto che
gli organismi viventi, venuti a morte, non danno
pità risposta - se questo e ver,,, bisogna conclu-
dere che i metalli siano cose vive, perchè anche essi
danno risposta e sottostanno alle medesime leggi
cui sottostanno gli animali ci i vegetali. Un pezzo
di ferrei risente gli stimoli esterni al modo stesso
che un nostro muscolo od un nostro nervo. Onesta
è la conclusione cui arriva il prol Bos Non e me-
raviglioso ?
Il prof. Bose, prima ancora di Farsi coni
per questi ultimi studi, era lavorevolmente noto nel
mondo scientifico, benché viva così lontano dai cen-
tri della coltura, essendo professore all'Università
■li Calcutta, in Indi, e A Calcutta il buse empi i
suoi primi studi, che completi, poi a Cambridge,
fra il i88l e il 1884. Ottenni,' la laurea. In none
e;, io professore di fisica al Presidencj College, ili
Calcutta. Dieci anni più tardi, la Rovai Society, di
Londra — una delle più importanti S01 ietà S< ienti
fiche de] mondo — pubblicava un mio studio
interessante, e quando, qualche temi,,, dopo, il 1'.,.,.
si recò a Londra per una delegazione scientifica,
fu nominato dottor,- da quell'Università. A quel
tempo si parlò molto del professore indiano per il
suo appai--, -ehi,, destin. ito a scoprire ed a misurare
le proprietà della luce invisibile.
A partire dal suo ritorno in India, l'energia del
Bose eleve essere raddoppiata, a giudicare dai ri-
sultati. Egli fu mandato ancora una volta in Eu-
ropa cai,- delegato al ('oneroso scientifico intei
nazionale che si tenne a Parigi or fan lue anni.
\ Parigi fu annunziata la prima volta la sua
peita della responsività della materia inerte: 1.
municazioni dello scienziato comparvero negli Atti
della « Royal Societj », di Londra.
Il concetto fondamentale della sua scoperta l'ab
bi. imo già esposto. La scossa elettrica in risp
ad una tensione esterna è un segn. di vita. Il B
ha trovato che questa caratteristica non è limitati
1112
LA LETTURA
.,!!,, 9 alle stimolo continuamente ripetuto, finivano con lo
• da un pizzico, si stancarsi, e della staro lavano segno gì
pparecchi del Base, ;il mo- evidente.] quasi tutto questo non bastasse, s scopri
i muscoli degli animali e incora i un certo periodo di riposo, gli ef-
fetti della stanchezza, come in un corpo uma-
no, sparivano uri metalli : e che a rinnovare il
.! ilissirro i anchi il bagno tiepidi >. Sem.
i spci ienze «
non fossero corredate da un ricco materiale <H
fatto.
E i t.i Ir .-un- ien-
ziato indiano \ 'è aneli.- questa : che i mi
sono suscettibili 'li stanchezza, cosi sono
suscettibili «li morte.
Un anim i/o, sin che è capace 'li mo-
rirò. Vero è che la morte può essere affrei
dal veleno Può un metallo essere awelen
La risposta .1 questa domanda è stata data dal-
la parte più interessante degli esperimenti del
1
Fu sottoposto all'azione ili un veleno un
pezzo di metallo che precedentemente jm-j .la-
to risposta eletti ii 1 agli stimoli. 11 metallo par-
ve passare per una specie di spasimo elettrico,
e subito i segni «iella vita divennero più deboli,
sin 1 lie 1 es-a roiio i-i implet amente. Il meta li
diventi 01 i lo. Dunque? Dunque un metallo
può essere avvelenato.
Piuma.
1 1 - Effetti del cloroformio sulle pulsazioni di
1 primi Ire segni Indii ano le pulsa
., , . gii .1 , i f, pulsazioni In seguito m
l'azione di primenle • ol « tori-
dei tessuti delle piante. Hanno risposto allo stimolo.
n ciò hanno dimostrato che non sono materia
mora.
Non Dati i tracciati ili pulsazioni musco-
lari, e metalliche, il prof. Bose non scoprì
tra loro differenza alcuna | iche i metalli.
come i tessuti organici, sotto l'influenza di uno
1 ■
1 ig I '1 •// uno ■.limolante sulle pulsazioni
ilio
Prima. |
1 ig. 3 1 zinne di un dep> Imente su un
E di ipo il veleno \ iene ['ani idoto!
Fu applicata una 1 - di un antidi !
lentamente la sostanza cominciò a riaversi, a rivi-
eri in capo ad un rerto tempo tornò a ilare
agli stimoli la sua risposta normale!
Se la materia inorganica dà la - «Iel-
la materia viva, deve essere possibile — |iensò il
DALLE RIVISTE
i u3-
Bose — costruire organi artificiali ili sensibilità.
Egli rivolse la sua attenzione particolarmente al-
l'occhio. Naturalmente non bisogna credere che egli
abbia inventato un occhio che possa all'occorrenza
surrogare i nostri occhi naturali somministrati da
madre natura; ma egli è riuscito a creare una re-
tina artificiale che risponde alle impressioni lumi-
rsose.
Fra le altre osservazioni che il I
con la sua retina artificiale è notevole questa. In
base alla teoria generale pri
gli elementi sensibili della re' ina ris]
impressioni luminose semplicemente perchè si no ila
esse turbate o stimolati I ome, in un filo le
brazioni continuano inch cessato lo stimolo.
così le parti stimolate rtificiale o
nuavano a oscillare ani to 1" stim
E se si ammette che la retina naturale si comp
come quella artificiale, ecco spie, ato | i ri hi . dopo
aver guardato un oggetto molto luminoso, noi con-
tinuiamo ad avere la <ua immagine nella \;sta an-
che se chiudiamo gli occhi. Sono come echi visivi,
assai persistenti, e [tiare il primo
si idio di quella che noi chiamiamo memoria.
L'n altro fatto notevol •. scoperto col mezzo delle
retine artificiali, è [uesto: lo noi guai
mo un oggetto, i nostri occhi, in un momento qual-
siasi, non lo vedono ugualmente bene ; ma mentre'
l'uno vede, l'altro riposa, e così avviene sempre, con
rapida alternazione. L'n occhio, per così dire, cade
addormentato mentre l'altro veglia nella pienezza
della sua facoltà visiva; e, stilato dopo, avvieni il
contrario.
Ma queste osservazioni, per quanto interessanti,
non hanno l'importanza generale del principio
perto dal Bose, principio che tende a distru
le barriere tra il mondo organico e l'ini
mostrando che quest'ultimo è solfanti com-
plesso dell'altro. Questi > mis
tutte le cose è veramente impressionante.
11 dott. Bose. in fine della sua lettura innanzi
alla « Rovai Institution », mesi or sono, diceva:
« Di fronte alla muta testimonianza di qu :s e re
gistraz i ni automatiche, quando in ess : uni
manifestazione dell'unità p ne in
•cose — il mo' ui.i nelle onde lumi-
nose, la vita che germi glia sulla terra, e i sol
irradiano sopra di noi -- compresi allora per la
prima volta una. parte della verità proclamata dai
miei antichi sulle rive de] Gange or fanno tri
seo ili :
ii Chi vede una '"'s.' sola nella pluralità inulti
« torme e mutevole di questo un
n siede la verità eterna, e nessun altri p, nessun ali
Così un'altra delle differenze che si errilo stabilite
fra organici e materia inerte viene a mancare, l'i
la cosa vivente che dà risposi ! agli stimoli. ■
■ osa inerte che pareva non dovesse darne, non v'è
una linea di separazione netta e recisa. Si vede la
materia inorganica possedere l'irritabilità e dare
risposta agli stimoli come l'organica, e recedere alla
lunga, o per effetto di un veleno, dallo stalo di
resfonsivttà allo stato di irresponsivìtà. Abbiamo
l'attività, la stanchezza, la depressione, la capa
l-MUUA
Dopo.
! n.. 4, 5, 6. -
nari, flg, ;
tallo ii<i 6
F.fh ili di uno U no su un
•hi .". e su ii<
di riaversi, l'eccitamento anormale, la morte ri
materia vivente come in quella non vivente.
E' il destino dì tutte le concezioni, che tendono a>
lire nella natura classi e divisioni precisi-
essere a poco a poco tutte sfatate.
Da un articolo della Review of Review di Londra .
I ila nuova «Iella
.1 e mei [vigliasi
. i I impn vvis apparizii me 'li nuove
stelle Nei tempi antichi, precedenti l'èra voi
[pp ■ per il primo nella costellazione dello
rpione un brillantissimo astro, mai avanti ve
■hit", questa apparizione 1" decise anzi .1 compi-
li primo catalogo stellare, contenente 102^
stelle e giudicato lavoro degno degli Dei Dui
e mezzo dopo ne fu notata una seconda nella
'Dazione d'Ercole, e dopo un tempo press'a poo
ile una terza nell'Aquila, Passar pan
' prima che una tmo\ a strila appai issi
ma p' ipparizion Fosse
Cresciuti i mezzi d'indagine, applicata la foto-
11 allo studio 'lei cielo, le apparizioni di nuove
ite ci 'ii grande frequenza ne
ultimi tempi. L'ultima è quella scoperta aal l'An-
derson ili Edimburgo, il '|uale recentemente, os
servando una s'-ra la costellazione 'li Perseo, notò
una nuova splendida stella. La sera seguente 1
. sii me, '■ tn « a 1 he l'asl ro ri\ aleggiai .1 o in
: minor grandezz 1, sorpassando nello splen
dorè la Ca] r;l '' gareggiando con la stessa Siri". I
rum ' ! imento. La noi izta I u tosti 1 telegra
all'Ossèrvalorió centrale di Kiel, come si fa
di tutte le scoperte astronomiche, ed altri studiosi
del aneamente all'Anderson,
nota i ro, chia nato latinamen-
te A in triangolo isoscele con
Vlfa 'li Perseo, prese posto ufficiai-
,;. Il suo splendore è dimi-
nuito un poco, ed ha preso 1 ra una tinta giallastra.
1 ipariscono improvvisamente e doj a
un ti 10 meno i1 p mgoap, hanno il
nome ili temforam e, mentre quelle che appai iscono
e spa regola fissa si chiamano
periodiche: tanto le le seconde formano
la numeri oria delle stesse variabili. L'ana-
lisi 5] -tra rlie alla SUperfii
temporanee s'innal mme gigantesche dovute
.ci enormi combustioni ili. Ir"
1 'ni'- si spiegano questo improvviso accendersi e
' lento spegnersi degli astri ? Alcuni crea
rsi '!' stelle 'iie. dopo essersi raffredate e co
I "t'e di un.' solida crosta, a un tratto la spezzano
moz i interne, e ridivengono
quindi luminose, ridivenendo opache quando, pei
un nUOVO t, ,111, 1 un,, ,,,,
litri suppo 1 corp pachi 0 nebu-
■i" .1 incorniti msurabili
distanze, lo offuscano e lo Oscurano ai nostri occhi,
i .li riappare 51 omp irendo l'ostacolo. Altri in
lue corpi cri, -sii opachi,
li isi, provochini 1 enormi maree nelle rispel
istro
lolo lumin Ma le 1 ommozioni in
t.-ine in un astro | allo stato O]
s Mi" 'lo luogo soltanto ad accensii mi parziali e li-
ite. L'ipotesi più plausibile è quella chi
buisce le accensioni a 'anse esterne, '"tue. per est-m
I io, all'urto ausato dalla caduta di un pianeta sul-
I ist n 1 semispento.
Framil i e milioni d'anni, per esempio, il nostro
Sole avrà raggiunto quel grado di raffreddamento
- he ii'" essa rio alla formazione della crosta soli da .
allora .ss,, sarà invisibile agli abitanti degli altri
sistemi planetari. Ma ad uno alla volta 1 pi
iranno attirati nelle sue spire, finché si precipite-
ranno stilla stia massa: i piccoli pianeti non pro-
durranno grandi catastrofi, ma all'urto dei grandi
la scorza solida del Sole si squarcerà, la materia in-
lescentè -1 riverserà all'esterno, ed anche pei
l'immenso calore prodotto dall'urto violentissimo
l'astro diverrà nuovamente luminoso e caldo: allora
gli abitanti del cielo assisteranno all'improvviso ap-
I 11 ie d'una nuova stella, 'onte noi ora all'apparire
della .\e, Persei. Questa ipotesi ,'• confortata dal
fatto che intorno a molte stelle, e lorse anche a
tutte, si aggirai p ri, e renderebbe ai-
ragione del fenomeno osservato nella s'ella
della costellazione della Nave, la quale si è accesa
e spenta più volti-: l'accensione si ripeterebbe tante
volte, luante sono le cadute di grandi pianeti rapaci
■ ii squ irciare la scorza dell'astro.
E' dunque avventi'" uno scontro celeste, che ha
prodotto l'accensione della stella veduta dall'astro-
nomo Anderson? Se l'ipotesi risponde al vero, lo
scontro, In caduta di un pianeta su quella s'ella
unente avvenuta, ma non già la sera durante
la pi. le l'Anderson fece la scoperta dell'astro, sib-
I 'io- moltissimo tempo prima, tanto tempo prima.
orso alla luce per arrivare da quella
plaga del cielo fino a noi. La luce corre con la
vertiginosa velocità di trecentomila chilometri al
minuto secondo; ma li distanze celesti sono incom-
mensurabili. I 1 strila a noi più vicina è l'Alfa del
Centauro, eppure la sua luce impiega tre anni e
mezzo per giungere al nostro occhio; più che sedici
anni impiega quella di Sirio, e più che quaranta
quella della Stella polari-. ]-, jueste distanze sono
r ente al confronto di quelle che ci separano da altri
la cui luce non ci arriva se non dopo mi-
1 e migliaia d'anni, Quando la nuova stella
di Perseo si accese, le onde luminose se ne diffu-
sero tutt'intomo per il cielo, ma prima di arrivare
a noi dovettero superare gli abissi dello spazio:
p rcepimmo poche sere addietro, ma l'accen-
sione dell'astro è probabilmente avvenuta in tempi
remotissimi, torsi- anche anteriori a quelli in cui
' egiziani innalzavano le loro piramidi.
<t>.i un articolo di Ulta e G ni, nella Rassegna nitri
tale del 1 5 otl
Gli abissi del mare! K' una frase piena ili attra-
zione misteriosa, cui si mescola quel brivido ili ter-
rore che sempre accompagna l'ignoto. E questa ir-
resistibile seduzione si comprende facilmente, quan-
do si pensa alla quantità ili meraviglie che le
profondità degli Oceani rinserrano sotto l'immensa
massa ilelle loro onde grandiosamente immobili a
una distanza spaventosa dalla superficie delle acque.
portava le lettere da isola in isola e più di una
volta i bastimenti, trovandolo in alto mare in mez-
zo alle tempeste, credettero vedere un mostro sco-
nosciuto, un delfino umano.
Federico, re di Sicilia, trovandosi a Messili...
ebbe vaghezza di conoscerlo, e fattolo chiamare,
gli mostrò una ricchissima coppa d'oro. Poi, sca-
gliandola in mare:
Un giardino sottomarino. — Gli anemoni di m uu
Non sì è forsi sorpresi di trovare negli abissi del mare dei fiori che ricordano per in loro
turimi quelli terrestri? Tali sunti gli anemoni dì mare. Mn in realtà essi sono ammassi di
milioni e 'li miliardi di animaletti che agitano senza riposo i minuscoli tentacoli in attesa
delia preda
li desiderio di conoscere i secreti del mare ha
sempre stimolato la curiosità umana sino dai tempi
più antichi. Unico mezzo era allora l'immergersi
nell'abisso: processo barbaro e pericoloso, in cui
l'esploratore arrischiava di morire asfissiato o dis-
sanguato, se per un ritardo fatale avesse prolun-
gato un solo istante di troppo la sua dimora sotto
le onde.
La storia però ci ha conservato il ricordo di un
esploratore siciliano davvero straordinario, detto
Nicola il pesce. Si dice anzi che egli fosse cos
celiente nuotatore da poter restare [uattro o cin-
que giorni in mare, nutrendosi di pesci crudi. Egli
- E' tua gli dissi - se sai ripescarla in
questo terribile vortice ili Cariddi.
Nicola, senza esitare, si scagliò nelle onde e vi
restò, secondo la leggenda, quasi trequarti d'ora.
Il Re e la folla attendevano ansiosi. A un tratto
Nicola apparve trionfante, ree. nulo la coppa d'oro;
ma il suo volto era di un pallore spaventoso.
- O Re — egli disse — io ti ho ubbidito, ma
io non sapeva a quale perio I i esponeva. Dap-
prima una tromba d'acqua mostruosa mi ha assa-
lilo, travolgendomi in tutti i sensi, prima che io
potessi toccare il fondo; là io ho trovati- grotte e
caverne come nelle montagne teirestri M i ecco che
111(1
LA LETTURA
un secondo ^"rj;i> mi travolge e mi trasporta più
lontano. I" li" vistò allora uno spettacolo terril
Mandre di piovre gigantesi he erano aggrappate alli
in direzione le loro braccia
immense. Se una si ila rl'ess unto,
io sai distrutto n un istante. Io ho \
iù, nell'abisso terribile, cani ili mare mostri
I li, A |uella
fondita la m 'iti- cri \\ pietà . tutta\
villi un luccii • I . .e |T'
sono risalito. Eccola, <> Re !
Ma il Re crudele \ uol t . . r -^ ì un bari
dell'esploratore Nicola: prende una seconda n
più splendente e hi ili
rJdi. 1 1 nuotatore esita, ma la i«'lla e il R
inrit.-i! o, ed egli, "'il uno sforzo supremo, pai
ili terrore come un cadaveri re nelle onde.
I ittesero invano sulla superficie del man-. Così finì
Nicola il /■
I MiiMIII IH MABE.
I \\ PIOVRA.
giudicare da indimi tentacoli trovati netto
stomaco ih certi pesci incinti n grandi pro-
fondità devono esistere inaura degli esem-
plari terribili ih Questa piovra gigantesca.
Certo la leggenda ha i la storia del me-
ravigl p oratore; ma certamente essi, poi
ilere ali uni dei mostri <li cui è parola.
Ogj^i noi possiamo discendere più sicuramente a
una certa profondità, grazie allo scafandro C
ste in un enorme elmo di bruivo con forti cristalli
\ JOOO METRI DI 1 IMI
1 'i SQ1 VI 0
o formicolano ih i Ita i>a poco tempo col un ::n • /< spi ci ili esplorazioni
(irritali a co tegreti dei deserti oci micie a conquistare ai cuni esemplari
fauna mOStrUOiU Che popola i bassifondi dei man
DALLE RIVISTE
I I 17
davanti e ai fianchi, nel qua] elmo si introduce la
testa del palombaro. L'elmo è poi unito ermetica-
mente a un vestimento di caucciù, dal quale esco-
no soltanto le mani fortemente strette ai polsi. Mal-
grado il peso dell'apparecchio, l'esploratore non
potrebbe scendere che pochi metri nell'acqua, se non
calzasse speciali scarpe pesantissime di piombo.
Per discendere ancora, poi, egli deve attaccare al-
l'elmo, mediante c.'tcìn- solidissime, delle masse as-
sai pesanti e tali che sulla terra, sotto la semplice
pressione dell'atmosfera, egli non potrebbe muove
le il sole vi appare ci me un pallido globo verdastro.
Il ritorno alla superficie è semplicissimo. Voi ne
date il segnale con un filo speciale. •• se il pericolo
è urgente, non avete eh li cilene che
vi legano ai pes , e voi rso l'alto colla stes-
sa velocità di un.\ palla di cannone
Ma se a quindici 0 a vi ri la permanenza
in mare è ancora possibile ali uomo, alla profon-
PAESAGGIO SOTTOMARINI)
/ palombari vmpo ì onlro le pressioni spaventose dell'acqua non possono spin
gei si pensa che a questa proto terrìbili tempeste
ertile si indovina quale grandiosità dì li 1 • di 1 litudine
ultimi 1 •- rìne a 5fl ifl metri dalla s tipi 1 n l
re un passa Ma nell'acqua, gravato di tali pesi,
egli cammina speditami pat-
tini. I ine tubi di gì 'ne ti mi 1 di 1
rare, uno a, l'altro asportan-
do i pn dotti guasti dell respira
Il palombaro rj La prima impressione è
penosa. Voi s li, in fi indi 1 alle ai [uè. Al
torno è un silenzio di morte. Non udite che il leg
gero fruscio d .Se essa
si arresta un solo is: inte, se il tubo di gomma 5
pia. è la morte.
La calma è impressionante. A una ventina di
metri di profond forti tempeste non si
fanno neppure sentire. S 1 ad ur-
tare contro i cristalli dell'elmo davanti ai vostri oc-
chi. Una semi-oscurità vi a\ -, jua-
dità di una cii di metri 1 . nta intollera-
bile. Sotl "i iressii me lo stordi-
mento, il sudore e il terrore della morte. Solo al-
cuni indi\ 1 possono
arrischiarsi lino a cinquanta metri. Ma che e, .sa è
tutto questi ■ >nto della pn ifi indità spaven-
ti isa dell'i (ceai
11 mar Baltico - il meno profondo di tutti —
ha già 500 m :,i 1 ; nel Mediterraneo
e nell'Atlantico si trovano t-'oo. 4800 metri ; e nel
Pacifico si arriva sino a 8500. se vi si
lasciasse piombare il Monte Bianco, questo si
parirebbe in un gorgo formidabile. Ma che cosa
esiste in ques una notte eterna?
Quali esseri possono vivere a -ione cosi spa-
ventosa? E qual flora può sviluppane
1 1 18
LA LETTI' KA
Pei ■ ii> pc squ
t< spedizii mi si ienl ifii he
imiii Cornili aromi gli sve
ol / •
infine il prin-
■ vachi Pi Ilici
i inuò la brillante campa e
1 sa rono tutte le speranze. Quel-
■ \\ PIANTI SOTTOMARINA
Le /"•!/'/. del mare sono In realtà deali animali
dal o, le l ut membra <ii lo-
busli formano delle foreste sottoma-
rine ammirabili
le regioni inaccessibili, diesi immaginavano come
serti senza luce, formicolavano invece
• li vi: i. Una pi ere un gii n m i
jo.ooo animali. Miliare! di esseri
popi S n II e che questi esseri.
che vivono eternamente nelle tenebre, debbano essere
che i lerci («-chi si siano atrofizzati. Nulla
■ li tutt" i Ile ! interne per rischia-
i la via.
1 . // osaurus MacTochir, pescato a 1400 metri
• li 1 più illuminato di un candelabro.
.111.1 delle quali
ria 1 impai ' che l trilla diei n 1 una membrana :
una tro! Ah all' a-
nim iquilla i he illumina
ra la mar.
i hanno ' menie luminosa
lureola misteriosa.
I s;Ii strani abitatori degli
' Ile 'li mare, polipi.
multicolori : ve ne seno .ii rosse, di gialle, • 1 i ver-
di, 'li azzurri
Del resto in di tenebre, ogni ani-
mal' . 1 . ilumina,'
Talvolta la li messa da tutta la
del corpo ; tal'altra dagli occhi stessi ;
spesso da alcuni . ppi ndici speciali disposte a :_ui-
si 'li antenne. Alcuni pesci portano realmente un
paio '1' antenne per rischiarare li acque davanti
ime le nosl re vetture, Si mi 1 così le lan-
letiu ami ulani 1 dell'abisso.
Vggiungiamo poi chi se gli esseri dell'abisso ci
noscono la luce, non sono neppure privi dei coli ri.
Alcuni di essi hanno delle livree magnifii he. Alcuni
perfino di un bel russo scarlatto e venj
chiam 1 menti i cardin ili del m
A |ooo metri esiste un pesi e strano e ingegnoso.
Ma pin che \\\\ corpo completo, esso non e che una
immensa spalancata verso L'abisso. Vicino al
naso ha un apj endice lunga e flessibile
li canna da pesca dalla cui estremità pende
I amo. Appena un pesce 0 un mollusco s'avvicina
alla punta fatale, attratto dall'esca, il traditore
lanca le l ama e tutti 1 e finito.
Presso alcune specie di animali gli occhi non
esìstono, ma in re sono allora fomiti (li
tentacoli lunghi ed assai sensibili. UEustonitas Oh-
nitriti, pescato a 3000 metri, ha un organo ■ il t ile
1 e ilmente sul dorso 1 orni I
trolley d'una vettura elettrica. Il Bathypttrois loti-
ci possiede dinanzi due tentacoli lunghissimi,
l'ali ; asta il... terreni 1 pi ima di a\ anzare, 1
un cieco col suo bastone.
Questi esseri bizzarri subiscono nella profondità
pressioni spaventose, e quando sono ricondotti alla
superficie, le loro viscere sono proiettate Ioni
II loro regno la profondità, là essi vivono; ma a
una condizione : di divorarsi a vicenda. Perchè lag-
giù non esistono quegli esseri minuscoli , he alla
superficie delle acque formano il pasto delle no-
stre magnifiche trote. La lotta per la vita trova in
londo ai mari la sua più ti , plii izione. (•
uccidere 0 essere ucciso: 0 mangiare 0 ess
giato. E deve essere uno spettacolo terribile la cac-
cia spietata e la strage di quelle povere visceri di-
I IMI
DALLE RIVISTE
1 I
vorate nel silenzio degli abissi, al luccichio sin
delle lanterne che rischiarano l'orgia della mi i
Come per gli animali che vi vivono, così anche
per i vegetali il mondo sottomarino è un mondo n
vesciato. Anche l'Oceano ha le sue piante, i sui
. le sue foreste vergini, ma ben diverse la quei
di spugne, posle le une al ili sopra delle altri
modi tituire dei veri banchi e delle vere mon-
mtro cui urtano gli scandagli. A stenti
può immaginai I imi ensità 'li tale vegetazione,
indagli, per un i u di centinaia
■ li chilometri, sempn la continuazione 'li
una si issa foresta, che segue s;, distende pei tutti
mi ratti del mare, pi i da miliardi di es-
ignorati.
UN PESCE 1 i OLFO DI I U.IFOBNIA,
( erti pesi l che <no nelle profonà letti foi me ■
ono !<•• nitt di un vi i ome qui Ilo ■/< in ■ i - ilio.
le che noi possi. mio immaginare. Gli ali
non hanno radici, ma un semplice piede eh le at-
tacca al suolo: non è infatti il sui lo che li n
ma l'acqua. Abbiamo ' tti gli ilb ri Ma ] p rola
non è esatta. Le piante marine, spe ialmi ■
delle più grandi profondità, sono degli ammassi ili
animali, e CO! una specie di ani Ilo fra i
due regni: sono infatti piante per la torma e ani-
mali per il modo di vita.
La pania « foresta 1, però, non è affatto esage-
rata per designare le vegetazioni sterminate e m
viglio.se del tonilo del mare. Negli abissi si sten-
dono in una notte perpetua, a stento rotta dal pau-
roso comparire dei pesci-lanterne, campi sterminati
i a un livello alquanto sup
viamo l'anemone di mare, un beli mali i
ha tutte le apparenze del bel fiore che rallegra i
nostri boschi al E' for.
ii rpi I ' ii viso •- n petali p
che possono ssumere colorazioni infinite e ripro-
durre unta la tavolozz della n tui Ma questi
animale non può corri :
sta pas>i vicina, attratta dall'ostili
liei petali deli ecco che una forza
ignota l'attrae nel i divo-
rutta 1 i nimaletto servi pu
re d i o e i rifiuti della digestione ti imam
per la stessa via all'esterni .
i [20
LA LETTURA
i \ mii mi. ii utissi dei mari Decorazione della Sorbona).
Sui h, le meduse, che vivono quasi alla superfl eie tra le foreste di coralli e di spugne, quii ir
danza di <<> abissi osi u ri dt I ma e
di mare forma il passaggio fra il
male e il i corallo costituisce ra-
si" i ra il regno animale e il re-
i i credevano che il corallo
no figlia del mare.
lux.' un arbusti > porpi irino che i
inii.'i dei numi mi dei piccolissimi fiori
ti di un candore in to. In vei
he una colonia 'li animaletti. I
rellini sono gli inquilini dell i
Grimaldi] é una ' ariosa i ariete del
• i'i- nostre costi I ; i iinri
lana di w
pri ducono dei piccoli altri esseri ehe alla loro volta,
sviluppandosi, daranno luogo ad altri rioni,
terminata la loro umile esistenza, j^li strani ani-
mali si fossilizzano, e > piccoli fiori bianchi e ina-
nimati dui ibissi per secoli interi,
monumento e rio »rdo 'li miliardi 'li \ ite che ora non
si ino p
il fondo del maree il regno dove le forme primi-
ione si som - consei per mi-
forme 'li stelle ili mare, che si cri
io scomparse ''a secoli, sono poi state ritro-
vate viventi e immutati- nel profondo delli
de. 11 30 novembre tShi l'equip M'av-
viso 1 vapore Alecton vide sulle acque fra Ma
le Ca 1 ualche cosa che ri
fra le "'"1 • "Hi'- un rottame 'li un naufragio
M issi lente
qualche .mimale. TI corpo aveva cinque 0 sei
1 i di lunj I otto 1 iraccia formidabili,
occhi a fior >li testa spuntavano
dalle ond I irpioni non avevano presa in
01 lo immenso, orribile. 1
dop sforzi inauditi, l'equipaggio riuscì 1 pas-
solili al corpo dell'animale una gomena e
ni! ' mostro. Pesava certamente non
odi 2000 chilogrammi, ma ad un tratti
norme bestia, dibattendosi, si ruppe in di
le due parti. inguinose, scompar-
vero fra
(Dalle Lectures pour tous).
Pescatori di tesori.
11 mestiere del paloni! tato esercitato
dall' tlba dei tempi storici ; ma solo dopo
l'invi degli scafandri esso potè acqui-
vera importanza.
Con gli scafandi detto nell'articolo
e, si può scendere parecchio sotto il
: ALLE RIVISTE
112 1
livello delle acque; ma il limite ordinario è 'li 50
ì res da qui - appai eh ielii
-1 rie marittime sono immensi. Più interessanti e
eramenti drammatica è stata li tesori in.
; 1 'tiri dal mari ,
Xel 1SS5 il pin scafi i AVA
andando da Cadice all'Avana, colò .1 fondo, per
un'esplosione delle macchine, in vista delle Càna-
< litro un carili: ragguardevi le, essi pi rtava una
somma 'li dm milioni e mezzo in altrettante mi n
1 ! ■ scèndosi il punti esatti del naul ;
e misurata con li scandaglio che il t' ndo del mare
superava lì i 50 metri, fu chiamato il cel
ombari Alessandri Lambert, il quale, lavorando
-' ti acqua, riuscì ad < ntrare nel piroscafi sornn
ina di I tesi n >, 'li di ve trasse fui ri
sette cofani contenenti un milione e settecento in
quanta mila franchi. Centodieci mila toccarono a
lui come premio, e non furono molti, se si pensa
difficoltà ed ai rischi del lavori : la pressioni
tanti forte, che il Lambert, ad ogni discesa,
poteva lavi rare più .li qualche minuto, e quan-
iatt< IL naufragato dieci altri
ani ili numerario, l'ardito palombari rinunziò
alla partita, tanto era malagevi le cercarli, l'uà 5
da spedizione fu allora tentata, ma il palombaro
ngli si r> ster, sosl ituifc al fi incese, 1 si es< in fi n
al mare per 20 minuti, appena tirati a {
spirò. Nonostante l'esiti funesto, si tentò aurora
lina terza esplorazii ne o n due palombari I
ma bue ili essi, di pi una ricerca infruttuosa, fu
tratti all'aria libera mezzo mòrte, ci impazzi: l'al-
tro, più resistente, continuò i tentativi durante al
cimi mesi, ma dovette finalmente rinunziare ad gni
speranza 'li riuscita.
Presentemente une ilei più celebri palombari è 1"
jnuolo Angelo Erostarbe, illustratosi nell'esplo
razione dello Skìro. nave perdutasi nel 1891 al capo
Finistère, a una profondità 'li 60 metri. Sci anni
ilopo il naufi igii dei mainatasi la pi sizi tu pn
lisa del rottame, fu chiamate Erostarbe per ripe-
scare le verghe d'argento che lo Skyro trasporl
In settanta discese, e in veni I d'im-
. il palombari, litri vò Ottantuna verga, sul-
le et,., : , ,!:„ ,1 1 , fili .
Un'alti lebre è quella dell' Hamilla Mit-
riteli, naufrag to presso Scianghai nel 1869. con un
milione e duecentocinquanta mila franchi di moni
ta aurea. Reputandosi difficilissime I< ricerche, nes-
suna Compagnia av-v 1 voluto incaricarsi di recupe-
rare il tesori che i proprietari ci ani come
bai ili
Liverpool vollen tentare la fortuna. Andarorn
■ ttarono la barca d'un pilota e si un
, .1 1,1. I e vari ih |i scafo d&WHamilla spai
in 'lue. la qua! cosa facilitò la I01 :l
arrivati alla cabina del tesoro, rinvenni e tutl
rdini ; ri 1 it I le 1 assette c< mi ni nti il nu-
mera: hi l' i",
■'Itti ini 1 mi 1. I i" n eb-
lltri imbaia/ ' ■ glii il'.' h Cupe-
raroiT un milii ne. S 1 rsi alla ci sta.
quandi vidén sopì utica di pirati
La T.O fura.
ederi lori la 1 .irn.\. 1 d ai quali si u§
gin ni p 1 miraci lo.
N I "mi [869 naufragò press Suez il
pii ' « matte, in acqui p 1 profonde: fu im-
presa molti facili ripescari l milioni del quali 1 ra
arici. 1 palombari australiani, nel 1806. ritrova"
rio i cent< mila franchi che trasportava una navi
cinese perdutasi presso le coste della Nuova 1,
del Sud. Ed altri ed altri mi Iti casi si pi
1 'naie.
Grazi ai li n apparecchi, i pai mbai i ha p
luto esplorare anche i punti di antichi naufragi fa-
mosi e frugare in mezzo ai un. uni: il caso più
■ m sciute , qui 111 dell l 'tnada spedna da Filip-
11 dopi giganti -, hi sforzi, 0 ntn gli Inglesi, e
disp dalla ti mpi sta. N l issin ■ 1 quel-
li 011 galloni chi portavani alla Spagna il tribul
delle Sue colonie americane e che furono affondati
dalla flotta inglese durante la guerra pei l'indipen-
3 ai Uniti.
Un vascello >\,\ guerra francese perdutesi nel
1798. a nord di Amsterdam, era carice di tri
1 inque milioni di numerarii I a p - ii ni del rot-
tame e m ta, disgra iatamenti sso coperti da uno
strato di sabbia 1 di fango che rende le ricerche
molto difficili. Ma durame il secoli so re non si no
mancati i tentativi. Una prima esplorazione nel
1800 e nel 1801 lece ritrovare circa un milione ,
quattrocento mila franchi. Nel 1856 i lavori pn
yuiti per quattro anni diedero ancora più di un mi-
\el iSSò. essendosi la navi m 1,1 più af
lata, si recuperarono solamente diciassette mila
franchi. Nonostante, una nuova Compagnia ha ri-
pn si ultimamente le ricerche.
Ma i palombari non rip scano solamente d nu-
S dvano anche il carico delle navi si nimer-
se. Così, per esempio, trasseri a galla per me
milieu, dei tessuti, delle botti di vini 1 dell verghe
di j'H mi" che crani stivati nel Cadix, perdutosi nel
1875 tra Ouessant e Molène, sul!,.- coste della Breta
gna. Ali ri ha un- , fatto delli scoperti artistiche, ci
me quelli che al largo dell'isola di ("erigo recupe-
rarorn un ceri, numeri di statue della ]iiù 1 M p
. e ca, perdutesi in un n mi ragii 1 h 1 uà le le
ni nulla.
L'opera di quesl i lavi rati 1 ; del man I ani 1 ra
prezii ' in. ni, 1, si tratta di rime ,11,, tutta
la nave o di praticare delle min li ne, La
v isita dell' na , : 51 mmi ra i pan io la 1 mi nti perio
primi giorni dopi il nani 1 agii >] o li
ii ni >n 1 spi, doni ma |ualch
pò. fi il mestiere di palombari I talmenti perio
loso. hi i più ri busti non ■ 1 più l 'una
na d'anni. Oltrepassata la profondità di 20
metri, ni n I rari hi -1 cominci a perdere sangue
dal e orecchie. Ci nsurizioni e mali di
cuori M le 1 1 no. guena . In compenso, la ri
-min' i ma, 1 lame , ita, per-
chè il paloml in d vi conoscere molti mestieri, tra
gli altri qui Ili del ri o e del cai
l 'alle Lei lures moderni
I mestieri pericolosi
■ non c'è i uman
|uale non si vada incontri .1 riM-hi. tal-
i requenti. I m n pio, pi s
gni sorta 'li ui.iI.uin- al capezzale
m li ina
del naufragio. Ma l'industi
he ha fatto troppi ivon
un » pò 'li battaglia, dove ni ri si può -
valide difese.
Ile quali si pn para I
le più terribili: non< stanti tutte le precau-
- spand ■ nell'atmosfera,
■ne tallii' n siva, chi a parecchi
vegetazii ne è 1 lisi rutta Su
gli uomini ''he lo respirano, si pr luce un'intossica-
1 malattie alli >l iti cri pni-
ecc., e |kt conseguenza della scomparsa
dell'appel gì attossicati som spinti a bere, com-
■ 11 l'alcool la rovina organica iniziata dal
ghi pericoli presenta l'industria del cloruri
l izioro corrosiva e irritanti' di questa si
gli operai che la maneggiano a
portare degli apparecchi speciali: alla bocca, una
rmata con mi Iti
flanella, ]kt impedire l'aspirazione del gas asfis
sianb <-'-hi. grossi occhiali. Nonostante
he 1 ra ali
manipolazioni.
Per evitare l'inoculazione dei gas letali, si -
laginati diversi sistemi. Il respiratorio De la
Un.- ha 1 'li risultati; con essi la vista è
1 anti
ne 'li due anelli ili gomma ;
un tubo 'li gomma, la cui esti rriva alla
xaio, mette quest'ultimo in comun
esti ma. I- 1 [ualche 1 1 imile
all'a] ito dai pompieri quando han-
no da penetrare in luoghi chiusi pieni ili fi
La cine dell'anilina è. fra le industrie
chimiche, una delle più insidi si l ssa determina
mala! ali designa
li [lamento rapili" chi
e. 11 man li ri d'ani]
1 'li malattie della pelle, 1 he ni m si e\
nettezza, levandi dalla persi
■•ria coloranti I > sgraziatame
som. ]iiii efficaci le soluzioni di ■
■ loruro ili calcio, le quali pi ; riesi
]a-t loiD propi
'li rammentare
prodi -ili 'li pi «nb
P 1 e\ itarli . gli
rrere :i bevani
1 ■ biac-
■
]>er-
M -
In alruni processi >li smaltamento si adoperano,
nltre al pii «nb . I ani imi nii . l'arsenici >, s. isi
tanti 1 iricolose che i regolam nti impongono una
perii risita medica ti cri
giano
l vros Fosforica minaccia ci iloti
ci I fi -!• 1 . ni Ile fabbriche 'li fiammiferi. Ri-
! recauzioni sono state \\ im
die quali i casi di ai velenami
ci nsiderevi >lrm 1 nati.
In un altro ordine di l.i \ • >rì. la mi conti-
nuamenti 1 fabbricanti ili esplosivi
si'nl ino ' ; : dumi
altre tracce 'li me
scarpe. L'abitudine del pericolo li rende
pur troppo impevidenti; non si sono fi
dei minai n le cartucce ili dinam
(ili operai chi , ino il cotone fulminante di-
l'i perazii ne da lungi, nascosti dietn un ri-
pan I rmati I rd ntreo ate, il quale, in
spi sii mi . ■ sendi 1 elastico 1 Hi ssibili
molto meglio che ni n una parete rigiila.
Altri mestieri perii sono quelli ilei coni
laio. L'introduzione dei frammenl
hi, pei via ili-Ilaria respirata, produce
un'irritazione che può assum vi. Ma il
peri. |uello di contrarre il carbonchio,
l>eri'li \ nditori senza scrupoli mescolano alle
pelli sane [uelle ili animali morti ili carbonchio.
La di sin! < ia, ma punì
rovina il materiale. - ivece e si ilei.
nfettare le mani e le vesti tutti ci
Nello spulire le pieti i<-talli si corrono al-
tri risi-hi: le | uli prodotte durante qi
i\ oro penetrani nelli \ ii respirati >rie - 1 mina-
m 1 Si suole ricorrere a
1. che in qualche caso riescono però insù!
ai. uni. . si spulisce ' 1 si incide con la
sai. I. ri. Alli ra si adottano altre precau
"i I; simili a quelli adi
rati negl I bili, 1 ppure il lavi n
pie nell'interno di un cilindro d'acciaio, nel qua-
le i1 lavi 11 mani da due app
buchi, guardai mediante un finestrini
Altre precauzioni severe si devono prendere nelle
sotto le gì
pressi. .ni dei gas, vetri scoppiano facilmenl
hanni (111 ..|K-rai si riparami
ni \\\ì.\ maschera 'li til 'li ferro, simil
' 1 he si usa nelle - ■ le ili scherma, e pi ri
rossi e lunghi guanti,
i ano di gomma elastica.
risulta il 1
• 1 . 1
S vi 1 1 a montcìi'-iici
La montagna è ili moda attualmente nelle
viste straniere. Parecchi periodici pubblicano
contemporaneamente articoli interessanti su a-
scensioni alpine, sulla fotografia della monta
gna. ecc. Un magatine inglese, il Pearson's Ma-
>< . ha vm articolo su :
La fotografia della montagna.
Atitnie è il sign. r Gei rge D. Abraham, un
appai '(elle ascensioni alpine e della
.ni a.
«Un leniiio. egli ilice, la fotografìa della
montagna come sì fa oggi, sarebb stata impi -
sibile. Il trasporto delle macchini e grafiche
e degli accessori era difficile ed anche pericolos
Ora, invi e-, tutti il necessario pei fare ottime
può stare comodamente in due zaini
che a lori vi Ita possono esseri- pi ioni a spalla
dovunque da due buoni alpinisti. Non nego per
altro che talora arrampicarsi su certi picchi a
punta d agi a n uni zaino ben pieno sulla schie-
na possa ■ SSI re una faccenda alpi. ino pericoli Sa.
» li stesso ho passalo un bratto quarti d'ora
facendo un'ascensione salii Aiguilles des Char-
me/. Era stata esposta una lastra, e la nostra
\ che aveva già raggiunti in pr< idenza la
.1 di affrettarci, perchi la fot gra
fia ci faceva perdere tempo. I mstri zain avreb
bero .i • sser tirati su separatati onte con le
corde, ma siccome la guida continuava a mo-
strarsi impaziente, cominciai senz'altro la diffi-
cile as sa col mio bagaglio sulle spalle. Bisi
gnava salire jx?r una fessura angusta ed aspira.
In principio, tutto andò beni ne, ma ad un - rto
punto, zaino ed alpinista rimasero stretti nella
fessura. La posizione era tutt'altro che piace-
- forzi che facevo per libi
mi non servivano che a peggiorare la mia condì
zione. La guida che stava in alto i non pi
uni. immaginando che vi fosse quale!
conveniente, diede un< strappo alla corda: e
quella fu la mia salvezza. Mi trovai penzi
sull'ai. isso, tenuto soltanto da una lune da
nista : ma stavo meglio cosi eh rati
fessura. Mi liberai del sacco. I •! un'altra
corda cai. ita dall'alto, ed esso salì certo molto
più Facilmente di noi. Comunque, -
giungere sulla cima senza altri incidenti.
« Salire una u pej un Ipini-
sta. può essei aplioe, m
non è altrettanti semplice. Il pericolo e la t
■ iuti.
«Un gii n :embre iSqS. a Zermatl
i /
■
! \ LETTURA
• grafica I
,,,| , i 'ii.nn.it.! •
.uni.
, . |uali uno daJ vii
■ In, i.i f< tografica
la spalla, e quai
,i in-
nii
.tori.
\ ., uni fatti la salita si nza guide, i d ave
quasi tutta la notti precedenti i la
parte della gii mata arrampicando i i t
I luranti I i liscesa, avi vamo ancora una
intato la ni stra macchina pei
non 'li quel
sulle munì. lj 1- I Faci ia. Rici rdo
i he i p n. ii. .ri. duri
nte addormentati. \l ii
. v :demmi , guar
I rtatori i he donnivani . i r.i li s]
i hi avevamo atti rni V poo i | ntim-
. si anche noi dal torp re . li ultime luci del
speri natt, giù nella vallata,
si ro i lumi, ma noi finimmi roll'addormi n
i.- tami nte.
„ il | la si ra alfine ri desiò, e. una vi Ita
5fli, comprendemmo unta la stranezza della no-
; izii ne. S'on ri rimaneva altri da fare che
mire all'ai ' '-"•'■ ' scendere al lu-
delle lanterne. Scegliemmo l'ultimi partito, tanti,
più che alla capanna avevamo lasciato amia nervi si
anzi che no, i quali avrebbero certo sospettato
qua] ni n vedi ndi ci ti mare.
tuna I emp ra buono, e le nostri due
ano una buona luci . ma i nostri mo-
vimenti erano lentissimi, così lenti che ri vollero
il un- ore prima che giungessimo fuori dei punti
. . | : piarci nella capanna, ove
nini le delizie 'li una m i il<la.
prima m hi tentammi o Ila mac-
. afica fu il Rothorn. Qui avevamo un
re solo. ( ni .li una forza
nente prodigiosa:
i. Rio r.lo l'un
., !.. sua fai eia gii « iale e li sue si rai a_
d ngl
non voleva a nessun patti legare
in .! lava poco
uni. Ma la ci sa andò a
male per lui. Ci ti in un luogo "liffi-
l ghiaccii ra poco praticabile, e, al <li
apriva un crepaccio ampi, e mii
Il i dunque, a pn
Stilli spalle. Ail un
ii indicil i
I Per bui n.i VI nlnra. lini eoi-
i irsi in una fessura • dvò quasi
I 'l'eia f. ■
ina. a la sua pii 1 1 zza, si alzan m in foi
al ci
«Noi non i apivami il /•<//"/> mezzi
mezzo tedesci chi parlava quell'uomo; ma cibaste
fa-
ceva del ] perduti,
hi le pan li i he i gli dici va m >n erano
precisamente benedizii ni.
■ i a puma ci m da fan pei salvan
i passargli una corda, col cui aiuti egli
trarsi Fuon la i [uella posizii m . Indi lo calan
un centinaio 'li piedi ne] crepaccio, ove - gli
precipitati e i he i
. .ulula a\. I ..in Subiti - pi CO .lamio.
.. I )a ali. ra in poi, il brav'uomo si i
proci den i on noi, da persona rag
a Sella regione alpina, dei mij
caccia », dii >ì, ] er un fotografi . si ha ro
Aguilfi s .In Mi "I Bl ine. 1 piceli drizzano
le loro i ri si • - attraverso la m ve .teina sino
dtezze che variai* dai tre ai quattromila metri.
Quelle son. certi fra 1 punte più difficili d'Europa.
Ter tali ascensioni ci vuole una macchina foti
ca Forti ma ;. ggii ra I !hi si propi nga di prend
vedute - 1 li aitandosi a premere un
bottone farebbe meglio a lasciare a casa la macchi-
na foti ranca "fon i tante il maggioi p so, ci vo-
gliono lastre ,li vetro per ottenere \eilute belli ■
grandi a tali altezze. E' anche bene p rtarsi parec-
lenti di fuoco diverso; ma guardatevi dallo
spendere tropp per le lenti, perchè l'obbiettivo mi-
gliore si rovina facilmente anchi - rom-
pe ia.len.lo entro un crepaccio o giti per qualche
centinaio .li meni .li roccia'. Fnol devi
eri semplice! di facile maneggio, perchè alle gran-
di altezze non si ha voglia ili badar mi Ito ai minuti
dettagli La stanchezza nuoce l'attenzione. Un di-
ante, una v.lta. prese non so quante va
un sol., rouleau; ma invece .li cominciare la -
al punto giusto, sbagliò .li qualche centinn
tagliato il film si acci tgliato a metà
le '. tigrati.'.
o Ma ai fi ndi s capisce l>ene -■ le fa
- i quelle della fi ti grafia. -
quelle della salita. Trovare un p' sto conveni
per la macchina foti grafica, a volti .
li,,. Tal. ra vidi re la comitiva in due
sezii la ■ hi si assume l'incarico 'li foti
.apre faticare e rischiare più del-
l'altra.
., \',-n dimenti. I ilmente la gita
un, sull'Aiguille du Moine Ci eravamo divisi in
ii, comitive. ,■ la comitiva ■ fotografantei andava
ni \, n s. 11/ . tali. a. .ss., si anali. j ò SU una
punta strettissima che si staccava dalla moni'
e si preparò rtalare sulla I sibile
su |h r la i tagna si- -sa. A
tando che noi giungessimo a macchina,
. la o mitiva s]
na grossa 1 ra i he ci pa
%:.
n
Sull'Aiguiixe ni Mi uni Fot ìbraham A-
LA l.KTTURA
Quan-
i\.va
[lacchi na I
mpre
\ rti punto, li
rda,
li qualche bui «n pui
ii t xi un | •> ■
. rdinarie degli alpinisti ni n semi
: pi » itili.
ncoi pienan
n qui Ile cir i stahz . 'li sen-
1 1 mi ten
11: nto. i t.irnii an-
! i Ile, alla fine potei
i tto, - mi accinsi al
r>. Il vento, per alti
un assi lutamente «1 a posto la
vii... [ suoi sforzi ù de-
man mani chi nza del vi nti •.
ossil udii isl ru-
■ :i davai ■ mpagni a fi rza -li
Il peg pianili la guida che leni > a la
orda i ibbandonò la
ssa. l'i-r qualche minuto mi parve ili es
soli al mondi ! Senza rii ird< si calò giù un
potei
li altri.
un alla vita e d ntinua
-l' ine, i ra ani i chi
guidi I nel passar su
un crepaccio nasi i e vii I ri
sparire attraverso il nodo, nella profondità. Chia-
mpagno i
non ebl tilt ra, \ isti ■ che il crepai
ndissi ed immaginando che il dis
fosse morto, tornarono indietro alla capanna
in cerca ili aiuti per p rtare fuori gli ai inzi
li mi unii alla i ari vana 'li socc reo, una
tiva numerosa, munita Mi corde e 'li tutto quel
In che poteva occorrer per p i il cada-
si calò giù nel crepaci io, per un na di
- 1 una guida sp i intentata i si atti x Dall'i
rità venne un suoni 'li voci.... Il tedi
o i ,a guii la ave\ a I n ivato l'alpinista - ■■ luti su
un mucchio ili n<y>- sopra il quali era caduto. S
salvato per miraoo] non aveva
. del resto, stava benone, e ]>er ingannare il
i messo a fuma
Egli rifiutò i " idurre in
salvo sinché non ebbe contrattato con la guida il
i del safvatag Pai che un suo amico, una
i' ssi stati ' sali i udizioni simili,
i •.• dovuti pa| are; gio.
«E' facile immaginari la n stra meraviglia quan-
do la guida renne su per riferii i le condizioni
della resa. Le tu si in quel momento meri-
tavano 'ìi essere fot igra fati - Si 'i' n avess
pato prima tutti* le las( i preso una
lia per eternare la memoria di quell'ep pin '
.. E' un fatti ' b sp ssi 5ulli ni, ntagne un ii
dente che parrebbe doversi risolvere in una i
strofe spaventosa, si riduce quasi ad un -
. - 1 -in tato come tale».
delle punte più difficili delle Alpi, se non
la più difficile, - L'Aiguille I estrema-
salirla, e più pi nbsi ancora
prendere fotografie durante la salita. I
vi Itt- l'ascesa, ma il cattivo tempi ;.i nebbia
ron rmine. Tuttavia, fu
- i ili- «li tantu in tanto, quando la nebbia per
quali he n diradava, pi
la ''he è qui ripn di tta.
i ai i li
luti , sebi i trop
1 ori per non
ti dal mali Fai rumo il
u gioì nate
i.iliili su quegli irr in pi 'li nevi
ntei i adendi i : |ual-
• mi. quandi si è 1 i, ni ri
'■ - ma si m u si • li gati beni . pui i capi
all'ultima di un inci-
■
I >u- giorni stilli' I >. domiti.
t "i n questo titolo il bar rgio von H
pubblica sui Tìaheim di Berlino un
interessante.
■ Due montagne egli dice — stavano nel mi
programma, entrambi ili una curiosa somiglianza.
I ss non sono certamente difficili ; tuttavia esigoni .
I ir potei le salir musi li polmoni d'a
l \iiin.i, alto 2566 mi'tii. e il Peterki Pel,
anche Monte Pater, alti .'711 meti
■ Quest'ultimo poi, per la sua speciale situazione,
mi offriva una buona occasione di foto]
orizzonti e anche le rocce più strani 1 s Iva
■ Ogni giorni dalla mia finestra, io contemplavi
iulli sfondo del cielo le punte aspre e taglienti
della lerio, naturalm si a-
cuiva.
■ Un mio amico alpinista, amante delle difficili
altezze, era ila 'pulle parti. 11 programma fu ben
presi, combinati e un bel mattino lui l'al-
tro ci rum '
«Tutte le escursioni precedenti su altre montagne
eiam n ci npiti sotto la guida 'li un abile mon-
tanaro, provato ai pericoli • itica. Per via,
à
•<<.'
I
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1 W. .^K
SI I L'AIGUILLE DE 1,1: Ihnilmin A
--
LA LETTURA
me n-
2 i del
imi la salita.
i i nosiiu
i le capanne restai ani i
oramai la pace i > i ìi imp
\
ini liei t. . i
«Il nostro montanaro procedeva dinanzi ti
,':■ una fui 11,1
1 - la salita continuava, -
li sguardi ad i gru sp i ■_■
del n rchè ogni pass èva e ridurre
alla I ii presto ci trovammo s> pra una china
• impn •
ti i . sulle spalli - -
sull'abissi esplorandone la pi
più innanzi ?
i n ntagna diventava sempre più intei
Dopi ni imi» dia-
n un canaletto 'li ghiaccio sino a che
arri l una punta più elevata Da princi-
immo a vedei
■ iella \ ■ edi nomo alcun si n
f 11 i da un altro
|Kirt it. re, fu lanciato in a*,
il i- riton rea di n
dift'v
ili I
•
unii troppo i difficile e,
fura-
mi finalmente vicini ali
il i : i,,\ .ixii.ii- al li ra ad un p
I ..i n. si ra guida era i iu lui i
brava rabile pipa sulla roccii
\ rastante, ci lanciò una ci rda alla qua
pammi
Ui : Quel i
, piedi l'abiss ' l i imi ci vi deva
[i, i.. i mi mini, dinanzi
l'imp della natui
., \i-il.i pai ' immensa ili quel
\ amo in I [hi ni ti dove i ra il
ed i nostri amici.
d I aggiù, laggiù, lontano, si distingi
i che si p ardeva ali orizzi :
era una strada mulattiera che noi stessi avevamo
fatti tante volte.
«La pi su |uella punta della moiv-
nisti nel 1879. il 25 lugl 1
a ( ira ]
sa e arsi in una
1 .1 delle braccia. Il pas
I Ma arditamenti
p posta 1 rimas r un
pra l'abissi colli gambe iperte saldamente pian
coni : della vi ragine, poi s
una seconda spinta, pass.', sopra l'abis dal-
l'alti 1 1
0 M chi e ri era necessario
un pi 1 Dopo un ginn istica
l'i muscoli e (fi p aver visto più ili
una volta la morte -Turarci il viso col brividi
pei io ili 1. le ni stre foi
vanii- un poc di tregua Una piccola piattal
• 1 1 1 \ 1 • 1 — < 1
DALLE RIVISTE
[120
iosa s - rideva fi rtuna ino e
là ci s
« \ttraverso un'enorme spaccatura della ti>
vedeva il cieli e pareva che la ruj
ad ogni momento, dovesse crollare. Certo, quando
il venti soffiava attraveTsi quella fenditura doveva
gettare lamenti terribili.
ripos gustati con suprema vi iluttà <
con legittimo i ; dovemmo intraprendere una
i aggii e le forze per so|
punta del Patei I ben presti l uni
all'alirc legati da una I i ripigliammi
via al primo spuntare della luce.
["re vii i lu al monte Pater. La più diffi
(.ile si apre a nord-nord-est e conduce direttamente
alla punta più alta: anche le altre due però chi si
ne quelle - sono 1 acili ci
me si vede facilmente dalla ni .-.tra illus
N i avevamo possibili-
tà re. perchè la scell
sta dalla ris i del
5s< ilutamente ess i
Ila capanna di
mi : ■ ■ I II l V
mo quindi abbandonare la prima
pei qualcuna
le ali re due. Sap :\ ami i che la
di - la più fac
pida e la più battuta dei tpuristi.
Vi quindi abbandonammo le
spre iii
nammo ir. un profon imei
«La via i sca e in qualche
punto veratri . ca. Qualch ■
volta si iva l'abissi
sdrucciolevi
, . . | La nostra incis
Una dis -
. _ ... _
persuademmo che se la via crr. rima-
sta fin là aspra e dura, ora mina
va 'li aumentarci le difficoltà La roc-
bliqua qi
era e sa spaventosa vedere degli uo-
mini aggrappati a una parete i
cale si tto cui si sprofondava
iMi unai da dieci ore eravamo
in marcia e le gambe irrigidite rifiu-
tai ari o ntinuare lineila strana
■ \ ' stro programma rimaneva
ancora l'ultima punta del Pater cui
dare la scalata, ma a ciò si sarebbx
un ■ ttimo riposo. !>■ pi i
una cena divorata col miglior app
drl niitulo. ravvolti cime testi..
nei nostri abiti, ci abbandonammi
su al si nm ristoratore.
! M CRESTA
alzammi I
ci priva ancora la montagna e la vetta si in-
nalzava tiera fra le tenebre perdendosi verso il cie-
lo. Tra poco sarebbe l'alba ( la poesia di quel
lenziosi crepuscoli antelucani ci raddoppiava il co-
uce uno di i passaggi più emozionanti
della salita. La roccia sale diritta, a picco, sospesi
paurosamente sopra la voragine: un pass
una mossa poco equilil èva travolg
senza speranza di risollevarci mai più.
., I guida pn
oss rvava e studiava le sue mosse cani
1 1 3o
[.A LETTI "HA
i qual-
I. non
il |H111tii |
ida ri applicò un appai
ile si p i tentare a nza 1 1
C esso, Imi dopi i l'ali ro, ci u
, ■ . r» n
l ' la gì rido il sui sguardo d'a-
Ci rrv\ a più libi
I i ultime- diflfici it'i
: n'ull ima
i alle sue conquis
li, quasi staccandosi dalla
iti veri ical-
da lunghi
da quel |>uni> riti ■ : ai
li era 1 . un
si nani rifì. ssi g
silenzio e di a. E dina
alla ciugandi si il
re, non ci pan due giorni ili lotta
eran meravigliosi, indimenticabili, alcuni -
ii ni. n. il ci. Di *. iti quindi limil i
il numero delle lastre disponibili e si .nche
I N PASSO l'I. I i
■ \ l'ini .i1 di un an
meravigl
I I io ninni >\ i
ji \l
■ili ili cui II I '
I I GÌ [DA IN I SP \ì IONI
1 .i in ssibilità di mi ttere la macchina a fui ci . Quan-
te posizioni terribili, raccapriccianti per la n
guida, su quelle rupi a picei ! Eppure ben p
io ni perchè I n p] i
no .il campo della mia i i iscura ! «.
Un'ascensione sul Weisshorn.
Nella rivista tedesca Zur guttn Stunden, il s:-
gnor reodor Wundl racconta una sua ascens
; Weisshorn.
Nella grande catena alpina \i sono diversi
Weisshorn nel senso letterale della parola.
Weisshorn significa infatti punta bianca e mol
ni soni i monti che si trovano eternamen!
jK^ni dalle ni \ i i dai ghiacci.
Ma per l'alpinista, | x-r l'entusiasta,
.li altezze, Weisshorn un monte noto ■■
rito, un monte che troneggia o me w re sopra
ievettechi li circondano) ch< si innalza comi
grandiosa piramide bianca sopra una .list.s.i
minata .li monti del Vallese.
Non sarà quindi senza interessi Farvi una
. scurs
iti 1 Mi nte Bianco • i i suoi 4810 metj
assa tutte le vette alpine : n
I 1 PUNTA 0RIF.N1 M I hi I \Yl [5 5HORN
M.;j
LA LI IH R \
irata 'Irli, varie alti zze
che K- Alpi del
nmediatamenti per numero il
-
prii I una x icino al
, , del Gì
l'Ortlei i.i ''ni |i: -"I"
di -pivi.. ami
'ila un dens i si rati <\
I nza nulla
era' i rama rie ci stava
ì nostri muso li fun
■ l stica dell'ascensione del Weisshorn
PANORAMA IH SUD-0VES1 VISIO DAL WEISSHORN
metri al di si |uati n i i hili 1 1 ut ri.
tr ano pai nonti che li ren-
dita umana \
sibil ariamente
sempio nelle Alpi 01 ientali.
trot ìami piccoli vii la
ve si cred rebbe impossibile la vita.
l'ultima rima dell'Orti appena 1000
umane, 1» o più quin-
1
ili dii rolla in
i 1 presentò
è chi 1 ssa • 1 [uasi una 1 ntinua da rupi
brulle e ai ide. a rupi coperte di
ii un in. preseni a un asp tto fa .1
uni - ro a di' fo ho p tuti 1
del Wi isshi tu. alcune delle quali
si mi ti pagine I a 1 ui 11 «a 1
teristica vi si 1 iramente: la roccia si innalza
mula e nera 1 1 pei pendii oli
improvvis scompare sotto \\n,i distesa inima-
: è un ri 1
pp sti il effetto prodoti
La punta orientale del monte è all'ai-
DALLE RIVISTE
11. '-3
i >li circa 4000 metri, ossia ad un centinai 'li
metri ili più dell'Ortler. Però al vis --.1 non
-ii.i 1 ìsi mi i. ci lata da un densi strati di ghiac-
cii : 9 li da qualche spaccatura profonda si intrav-
vede la dura roccia sotti stante. Un pi più sotto.
ad un livello inferiore di circa .^oo metri, v'è una -
-. 11.1.1 punta che presenta gli stessi caratteri della
prima.
a "Viste da lontano, le due cime sembrano torri
che vegliano sulla sicurezza dell'immane ci l ss< in
riposa Un'incisione che riproduciamo 'là un'idea
della salita ili una puma del Weisshorn. E' sempli
nti rai 1 apricciante e spav nti sa 1 in-
credibile che un uomi possa avventurarsi su una
china così ripida dove parrebbe chi ad ogni istan-
te la nn>rte stia per scaraventarci negli abissi. La
salita e più la discesa d mesta puma rappresenta
però realmente un pericolo per ehi non è avvi
alle emozioni dell'alpinismo: facilmente ad un ■
si ursii mista mal sti pui 1 suo e lere che pei li
mozione e pel il suo piede scenda in fallo
e all' ra 51 ni n è rattenuto da con li scivolerà
parendi rapidamente lungo la china. Ma i mi
nari - ezzi a dominare collo sguardi sicuro
quelle altezze e quei precipizi raccapriccianti
piede pesante armi unte ferrati
sulla ri eeia.
« Particolarmen : la o sì L'ra
versata. Per arrivare alle pumi del Weisshorn, bi-
sogna attraversan un campi di ghiaccii chi s sten-
ile su una linei dente ai cui fianchi
precipitare a schiena 'li mulo li
Ma i ni- lai. una vera
acuta 'li ni impedisce il li-
rtamenl
punti piu perii Wi shorn e la sua a
isione si pi i gli
uni agli altri 1 guài
sto ostacoli la via ■ ntinua lungi, la lin
sui sa della pi . he ci ndui e alla punta
del mi ut I 1 piramid di ghiai cii ì forsi uni dei
miglii ri pimi: di oss rvazione per godere la 1
del Weisshorn. \ 1 a [Ui 11 altezza . quasi
dalle nubi ppani in li
nan/a. il munte ha un faicil ! gra l e di
misteri
E si comprende comi essosia la m ta di continue
ensioni. I peli. Lini: ardimentosi delle altitudini
1 ri vano in quel desei rid i rocce e di
ni . la poesia del peri '1 ilo e il 1 asi
l'infiniti .
UNA PUNTA DEI Weiss
Uria metropoli originale
Normanni ■ he partir ino tlall i
\ ; rre i ransatlant
li il ìiì [ngolfur.
ì dito 'Li una tempesta sulle
dell'Islanda, statuette 'li
rapp gli D lari, fai endi il
• i ii ii vate. E 'I' pi mi >Ite
fruì 5 e ritrovò in i
sorgente d'acqua calda.
Reykjavik i A calda;
la irta capitale dell i
pi li nordica conta 3000 abi-
sa, data la popolazione, per-
ise non sono ad me da noi, m
iti l'ima dall'altra. Sono tutti spio, tranne
i Cattedrali il Pai
lami linea e la prìgii ni I i ittà si distende
arteria principale, \' Austurstroen (s
• M I ontinuata dalla Vesturgata (si i i
dell'i tvest) Pi ssn 1 1 un musi i . un - uni
nio balneare ; ha un g i . un \ < -
_ ornali e la i l'un grand'uomo :
scultore 111 rvaldsen. I it mani . s I
uà gli [slam li si hanm ; k a ini linai
izii ni sceniche. Som. un |"
• i-ri tranquilli, semplici, malinconici,
».iilan< i piano e vivono CI m I
dei patriarchi • 1 i cui parlano i libri sacri.
sua ' asetta, costruita su Fi n
■ nta di muratura, o n I< e h ,'ieni Noi
a, perchè non i ll'isola. Le pa
: iie, con l'intei ■ pien di gal ura
poi hiu i ; le
orba fornita i
■ Irli interno ... il cari ■
grado di raion- necess iric in qui 11
latiti Vi.-. die finesi re ;
l'intermina dell'està
per tutti . a > magica chiarità della luna
tant. - luce delle aiin re I ■ reali.
L'Isl i quandi ha sonni : man-
i mia dei gii i ni i dell ni tti, nulla I
La n
incherebbe senza gli i t<
n le quali gli altri po-
odicano le divisioni. Generalmenu egli
I cibi
K quattri altre
mali hi -! di 1 r< ddo prim
[i i ■ i ninestre,
nostri bri zzar-
ne 'li pesi e, 'li i isi • nel latte, d'uva 'li l
i . mi |
• rlìizzi > l resi li trote, ■ quanti alla
ne, peri he il bue '<■ ra
It ia\ ik e dal n a «li
I i Ioli I
salsa 'li mai n i
zuccheri in polvere. Lo zucchen predomina
nell'alimentazioni di quegli isolani, il cui i
trova in questa sostanza la forza e il calore ro
sopportare le ugni'- temperature. Si im-
portarli i niel-
la terra glai iale n no a maturità,
un poco 'li latina ili segala, con la quali si lenta
■ Ita ili fare del pan .ili curiosità. Min
no. . gni industria, l'importazione compren-
de tutti i prodotti manit otturati ; si esportano in
cambio il merluzzo* Tulio d i le piume ili
Il commercio si fs pei m zzi di velii ri e ilei pi-
lli della linea danese, i quali approdano una
vi ilta .il mese lassù, ' l est
vi .1 inveì : i c-attivo temp I
i.hI.i .li Reykjavik serve 'li porti naturale, quan-
tunque poc sicuri Se non si può approdare, il
piroscafi aspetta al largì ohe il mare si calmi:
nessuni ha I retta.
i un albergo, si i detto, in i |uesta mi
I* li I. reale: uni sol : YHolel ìsliimi. il
. '. stranieri ; gl'ind \
i bondéi (contadini dell'interno dell'isola) pori
ndo alla città, una tenda e tutti gli utensili
--.ni. e si accampani in piazza, dinanzi al pa-
la//', ilei gì Minatore.
Il governatore i danese, nominati dal re. che
presenta. I! Parlamento isolano, VAlthing, può
metterlo in isl ma l'ultima pan la spet-
ta al sovrano. VAlthing vota le leggi-, il re le san-
■ • promul I uropa, le l
mere si m < '■ rp legisl iti'
30 memliri. 24 dei quali eletti dal popoli : ogni
■ li famiglia a 25 anni è elettore, fili altri I'
scelti dalla Corona su proposta 'lei
inani, insieme
tanti designati dal Ci rp itivo, il Senato 'tel-
ila politica dell'Islanda i- tutta una
n. .il le
rivoluzioni, ma la moderazione paziente, il la
perseverante, e l'intelligenza e la magnanimi)
Cristiani IX. hanno lilialmente emancipata e li!»--
1 ; ola ma nobile naz
Il ■ non con
sala «Ielle adunanze, ma anche un mi
antichità una biblii
1 tutti • il inondo intorno ali
perchè la città ma che <• realmente la
i 11 popoli i Islanda è lui 1
1 ; io : vi è una si la famigli
elebra pero la
non quando un prete cattolico o il cappellano ili quat-
ta guei ra sbai l Pastori islandes
stanm
DALLE RIVISTE
[ I OD
dei rettori dell'Università. (Ili studi sono lunghi
seri in [slanda: gl'isolano non som impazienti,
non \ ì"i no in fretta come noi, non hanno obblighi
di servizio militare; quindi non si affannano a iu-
re dottrina per passargli esami, ma li affron
tane quando sentono di esser veramente e solida-
mente preparati. L'Università ha quattro facoltà:
lettere, te 1< già, diritto e medicina. Gli studenti im-
parano prima d'ogni cosa la loro lingua: lo scandi
navi . di ma ai mi nii so e o mplii iti dal quale t ut
te le lingue germaniche sono derivate ; pi i il latini
e il greci . i da ultimo le lingue mo leme: francese,
inglesi > tedesca L'educazione è più letteraria che
ntifica. L'Islandese ha serbato il gusto ilei suoi
antenati per gli studi letterari: gusto che si rivela
nelie vecchie s nposte dagl scaldi, ron atori
del N'i rd. Le lauree piit numeri si sono quelle date
dalla facoltà ! ia i di medicina: il dottori
e il preti som entrambi pubblici ufficiali, egual-
mente retribuiti. Il vesi cap del clero, è uno
dei retti ri dell'Università; l'altri è il landfhyskus,
capo del corpo sanitario. La pri fessione meno ri-
cercata a giuridica. Ce un tribunale, ma ohe rosa
ha niai giudicato? C'è una prigioni, fabbricata con
i pietre; ma chi mai ha custodito? Da tempi
immemorabili non accade un assassinio, un furto,
rimine qualun [uè. 1 Cslai dese è un popolo per-
ielio : in n ha |" lizii il i. in n snidai i. n
campestri. Tranne l'amministrazioni civile, rompo
sta d'un gì \ in noie, dei prefetti delle dm
eie di Reykjavik e d'Akureyri, e ili qualche sotti
prefetto, incaricati di riscuotere lievi imp
rappresentare un'autorità inutile, non vi soni alti
funzionàri. Non c'è debito pubblico, p i denari
si spende di tanto in tanto per rifare qualche p
su qualche fiume non guadabile. \on vi sono sti
n tahili i erchè manca il traffico che le ridi
be; la genie \ a da un luogo all'altro a cavali'.
tutti sanno cavalcare.
La razza ì sanissin i nonostante I rigid clima.
e molte delle nostre malattie ereditarie sono lì
m -mie. viceversa due mali orribili vi fanno -
gè: le cisti epatiche prodotte dal tenia echi,
trasmesso all'uomo dal i mi conto il qua!
leggi li "io in :n guari lia la popolazii ne, e la
lei fera.
Senza questi malanni, il p polo islandese sarebbe
tanto t'elice quanti è ammirevole. Perduto sopra uno
SO glii arido e ingrato, sotto il cerchio polare, lon-
tano da tutti gli altri popoli attivi e rumorosi, essi
vive una vita di lavoro raccolto e di pensici, in-
timo, senza gelosie, senza ingi rdigie. illumini' i i
dal buon senso e dai sentimenti più generi »i.
(Da un articolo di P. Piobb nelle l.eclures moderne
Pappagalli ammaestrati
uccelli stantii, per la maggior parti. Ira i
più intelligenti animali: ma hanno un cara
tale che difficilissimamente si riesce ad armi
strarli. Fanno eccezione i papagalli, l'attitudini
quali ad imitare la voce umana è passata in pr<
m anche, grazie alle loro zampe,
che sono delle vere mani, ed al becco, adunci
celienti acrobati, e si dàini' ci n visibile piacere agli
i/i ginnastici. Il Guyot-Daubès narra a qu
prò] un ararouge si divertiva a lasciarsi
re lungo la catena, restando a un
per una zampa; allora cominciava a lanciale grida
i i >se in un perio 1 estre
. poi i suoi gridi diventavano lamenti, finche
un certi numero di ri non si erano radunati
dinanzi alla gabbia: ottenuto l'intento d'avere intor-
no a sé un pubblico imp l'uccell si rialzava
ad un tratto, s'arrampicava tranquillamente sulla
sua pertica aiutand si coi
ma-
i i di averli can-
ili.
l'ano Ferrari è arrivato, con la pazienza ed
il tempo, a risultati veramei i ll'ad-
tgalli. I su galli sin-
tn di to i i erti anelli attaccati al
timoni di minusi "li cari i, e li tirano; e; ■ an-
; pra una microsci pica ■ j
lane b io v ic/.i .'.in. i' il segna
la partenza Pi li mna d'un fucil :, tv n ma-
il minimo turi [uam raili
mi .incile impassibili sull'orlo duna ti
ha dalla quale si i striduli sii' ni. I anni
anche il giuoco dell'aitali ci : dui di loro si mettono
alle due esl n mità dell'attrezs i [uili-
bi in ; un terzi sale nel mezzo, e pre
ra or: nisl ra fa divertire i compagni -
astanti.
Tutti q esercizi guiti dai papp
1 ikatoa si no ano.!.'
telligenti. Vlcuni imparano a fare il salti
e fui. od rti. Altri imparali' ad i
al comando, la bandiera d una o ni in i i
ma ad un'antenna, a sparare un i
filare in parata dinanzi
loro g( nei aie.
a volt; a ."■ ste stupì I
esperieni di attribuire ai papp
un'ini ramenti upei una spei ii
raziocinio. Ma non si tratta in realtà si non di un
puro e semplici automatismo. Questi volatili
macchinalmei sti che hanno
senza intenderle li fra
frasi che hanni s| essi
(Dalli Lei Un es m ■ i
Il pianoforte che scrive
ssanti 'in
issai
ire l'atten;
mposi 1 1 .li imi
in ap
vi i
: ; piani i
niti-
damente su un fnglii la » ■
ne.
I.' inven aita a
un americani . il signor < ìu-
i ' i assai
Vrm ■ ii .1 n me pianista
1 1 mio apparecchii i si pufi
gliare ail
una macrhina da scrivi re
• >1 mi //i i ili fili elett rici
meccanismi compii
licatissimi
pianofoi ipp
' filili .
La carta ^; svi Ig
mente i automatii amenti
un rotola speciali e p
fra i cilindri della strana
macchina. Voi vi sedete al piano nel momento del-
|Tispi colle i i sulla tastiera, per-
Forti i picei li tasti d'avorio con la \> li
i he vi lete. Quani ' riniti I ultimi i accordo,
apparecchio e vi troverete scritta
in modo i-hiai issimi ; utl a ! i \ stn impn \ \ isa:
Il i'l i\ ili i HE -i Hl\ I
I particolari 'li questo apparecchio americano
ni n suini ancora ben m ti. I issi rviamo che un appa-
recchio consimile in inventato ili recenti da du
p rai milanesi, e, spei me ati mi si si i ■
bui li.' prova
(Dalla JJV/.rl.
I. I\\ l Mi. HI FRA I S IKTRI MIMI
Lane di falsificare l'arte è multo antica.
Spesso si paga più la menzogna dell'erri >n . i
un pittore onesto che dipinge come sente, dura fa-
tica a vendere il suo quadro, mentre quello che imita
e copia bene l'antico fa buoni affari. Nel Rinasci-
mento i casi di falsificazione furono frequenti.
Persino di Michelangiolo si narra che, aven-
do scolpito il Cupido dormente, lo tenne sotto terra
per venderlo di più quando avesse preso il colore
dell'antico. Uno scultore sostenne che quella scul-
tura ha dei segni fatti col l'evidente intenzione di
simulare un restauro ; segni, aggiunse, così bene ese-
guiti, che non possono essere se non di Michelan-
giolo.
E' uso dei falsificatori fare i segni del restauro
per isviare il giudizio ; così una placchetta del Mo-
derno, rappresentante una Crocifissione, fu alterata
e se ne fece un ratto delle Sabine, e per dargli mag-
giore autenticità, vi si aggiunsero le parole RAPT
(us) SAB (inarum) ; lo stesso si fece con un bronzo
posseduto dal Louvre e rappresentante originaria-
mente l'incarcerazione dì San Pietro: si tolsero le
ali agli angeli, e passò per opera pagana. Qualche
cosa' di simile sarebbe anche venuto al San Pietro
della Basilica Vaticana, il quale sarebbe una statua
romana trasformata o fusa col metallo di un Giove.
Il giudizio degli autori, intorno all' autenticità
delle opere d'arte, è molto vario. La Tazza Farnese
del Museo di Napoli è antica per alcuni ; per altri
sarebbe una contraffazione moderna. Anni sono il
Berenson giurò che il famoso Sposalizio del Peru-
gino, da Raffaello parafrasato nel suo Sposalizio
di Brera, e dal Museo di Caen posseduto e tenuto
come un Perugino indiscutibile e inestimabile, fu di-
pinto dallo Spagna, non già dal maestro del Sanzio.
Il Museo Poldi-Pezzoli di Milano possiede una
cassetta intagliata da Giovanni Dupré. scultore se-
nese morto venti anni or seno ; ma acquistata dalla
marchesa Poldi come lavoro antico, anzi come in-
taglio di uno dei Del Tasso, famiglia di celebri in-
tagliatori fiorentini (XV-XVI sec.) su disegno del
Cellini ! La marchesa, trovandosi un giorno a Fi-
renze, capitò nello studio del Dupré. e parlandogli
della cassetta che possedeva a Milano, glie la de-
scrisse e vantò come opera d'uno dei famosi Del
Tasso; il Dupré nicchiò, pare, un poco; ma poi
confessò che quel lavoro era suo. La nobil donna
rispose : a Non importa ; anzi ci ho gusto ».
Altrimenti si comportò il conte di Niewerkerke.
preposto alle Belle Arti sotto Napoleone III, quan-
do. all'Hotel Druot. celebre casa di vendita, com
prt> un busto bellissimo, rappresentante — gli dis-
sero — il poeta cinquecentista Gerolamo Benivieni.
Era. viceversa, la testa di un sigaraio fiorentino. Giù
seppe Bonaiuti. detto il Priore, modellata da G. B.
Bastianini di San Domenico, presso Fiesole. La
scultura fu pagata 13.600 lire: ma il povero u
La Lettura.
tore ne intascò soltanto 350. 11 Niewerkerke, fatto
l'acquisto, fece battere la gran cassa sui giornali;
e quando si presentò il Bastianini. questi ebbe un
bell'addurre prove e testimonianze per rivendicare
l'opera sua: il conte non volle credergli, per poco
non gli diede del pazzo, e mori a Lucca, nel 1892.
impenitente.
Lo stesso Bastianini. valente imitatore della scuo-
la fiorentina che ebbe fra gli altri maestri il celebre
Desiderio da Settignano. modellò un altro busto.
quello di Girolamo Savonarola, che fu creduto ope-
ra del XV secolo e fu pagato 10.000 lire -- ma
non all'autore, il quale ne ebbe sole 500. — Un al-
tro suo busto, rappresentante Lucrezia Donati, tu
attribuito a Mino da Fiesole. Mei 1865. all'Esposi-
zione d'arte antica, una cantastorie dello stessi 1 Ba-
stianini fu spacciata, nonostante le proteste dell'au-
tore, come squisita scultura del secolo XV : ed an-
che oggi molti Musei, sotto nomi reboanti, offrono
a! pubblico delle opere dello scultore tosi-ano.
Anche il Louvre sarebbe ingannato con la tamosa
Vergine delle Rocce di Leonardo, se è autentica
quella della Galleria nazionale di Londra ; e l'in-
ganno sarebbe di quest'ultima, se la vera Vergine
leonardesca è quella di Affori. presso Milano, mes-
sa in evidenza dal Sant'Ambrogio (nella nostra Let-
tura). Londra, se non può andar superba di possi
dere l'autentico Leonardo, può vantarsi di alcuni
bei Botticelli ; ma tra questi ve ne uno falso. l'As-
sunzione della Vergine, che sarebbe non del Botti-
celli, ma del Botticini.
II dar giudizio sopra le cose d'arte antica è diffi-
cilissimo, e disgraziatamente oggi la critica è colti-
vata da eruditi, letterati, avvocati ed archivisti che
non posseggono la tecnica : difetto grave, che può
produrre per conseguenza, come è accaduto nella
Galleria Nazionale di Roma, di far attribuire al
Giorgione un quadro meno che dozzinale.
Il pittore Gaetano Bianchi ha fatto arrossire di
rabbia e di vergogna una falange di pomposi giu-
dicatori. Egli dipinse in una sala del Bargello, a
Firenze, una bella Vergine, senza firmarla e col
proposito di beffarsi della superbia umana : nel qua-
le riuscì ottimamente, perchè egli potè assistere al-
l'affannarsi della critica autorevole intenta a dare
un autore al suo dipinto! famose turi ino anche le
sue contraffazioni di Gentile da Fabriano, che ese-
guiva su tavole un poco tarlate, acchiappando merli
destra e a manca. Ma il Bianchi era un galan-
tuomo, >' scherzava sulle proprie falsificazioni;
una volta, ivendo contraffatto un Pesellino, che era
diito dal Tosi-anelli, impedì ''he passasse .1
pare una Galleria italiana, dicendo al direttore, il
quale stava per comprarlo: et Bada, se lo prendi ti
bruci le dita !... ».
(Da un articolo di Alfredo Melarli nella Natura ed arie
del 15 ottobre».
72
Nel paese delle fate
Spiriti dell'aria <■ dell'acqi a, < saeri tenerli i o ana-
li, i nani, le streghe, tutto ina
■uest '"1" meraviglioso i reato dall'immaginazio
ne dei j» >jk>1ì nella prima età della loro vita, non
sato 'li esercitare un certo effetto sulla
sia Certo, noi siamo ora ben lontani da
ita infantilità inventiva che occupava 'li esisten-
tutta la natura ; tuttavia è sempre
i un un certo fascino che noi rievochiamo le fanta-
nire è torse Li giuria e l'amore che ri attende, op-
pure la miseria, la guerra, l'abbandono? Veramente
l'avvenire s.ir.i .issai probabilmente quale ce lo a-
vreniu preparato, felice dopo una vita «li lavoro e d
lettitudine, sconfortante dopo anni di ozio e ili go-
dimenti. Ma questo ragionamento è troppo compli-
cato per i popoli bambini e preferiscono quindi cre-
dere che degli esseri misteriosi stiano vegliando [>er
distribuire a capriccio la felicità e la sventura.
Il GIGANTE I l.\ FATA
■ le straneaiéggende dell'oltre tomba,
pur rispondono a quel vago terrore dell'ignoto
e dell'infinito che ancora al presente agita le nostre
'ize.
dei popoli <■ comi quella degli uomini
piena di miraggi e di illusioni. Nei primi anni della
l'universo ci appariva ''.ni'- una fantasmagoria
perp ■ rinnovantesi pure |»-r i po-
llili fanciulli, lìssi creano tutto un nuovo mondo
i i .- i ani astici, i quali non avendo
probabilmente nulla da fai i propi vi in-
ippure
i i uore pieno di desideri ino «n
e insod< >ul sentiero oscuro dell'avve
Questi artefici del nostro avvi sssere
davvero innumerevoli perchè noi ne abbiamo cri
uno per ogni nostro desiderio e illusione, e qi
per ogni palpito < lei nostro cuore. E in cambio
drl loro interessamento per noi doniamo loro per
abitazione tutto l'universo, l'aria, l'acqua, le I"
e le \ iscere della terra.
Nei parsi del Nord, ove le cose non si illuminano
die di luce incerta e fuggevole, l'anima pop
ha trasformato in streghe, in fate, in ond
scherzi della luce e delle tenebre, le nevi, le nebbie
e le nuvolette vaporanti sopra le onde tranquill
ii ,- dei tiiim Nelli foreste l'eco diventa la
de] nano, il fischio del vento si converte nel lamento
di un fantasma di uno spirito in espiazione
DALLE RIVISTE
Il3
• I
Leggerci, grazioso e vaporoso, ecco intanto il
bianco corteo delle regine del gran regno della chi-
mera, le principesse meravigliose: le fate. Esse pas-
seggiano in tutti i mondi e in tutti i cieli. Ma men-
tre nelle brume settentrionali le fate della neve e
del freddo passano intirizzite tr;
i fiocchi lenti di neve, le loro s
relle d'Oriente vivono sospese so
pra la terra avvolte in una nuvola
di vapori o distese sull'arcoba-
leno vivendo di profumi che esa
lano verso di loro i calici dei gel
somini e i cuori delle rose. Nel-
l'antica Alemagna. Freja, la fa
ta dalle lacrime d'oro. Sauna, che
marita i giovani, sua sorella Vo
ra, che conosce l'avvenire, errano
per la notte all'orizzonte e sono
a stento intrawiste per il fruscio
luminoso della loro capigliatura
bionda
Figlie «lei geni > celtico, le fa
te della Francia hanno scelto la
loro dimora nei boschi sacri e
nelle lande misteriose «Iella lire
tagna. Oriana, litania. Vivia-
na, Titania vi passeggiano co-
perte di lunghi veli bianchi e ac-
compagnate da nani che strap-
pano dinanzi ai loro piedini nudi
e rosei le spine «Iella foresta.
Ricche pietre e zaffiri scintillano
alle loro braccia e al loro collo.
talismani di felicità che esse da-
ranno a coloro cui amano: il ru-
bino sanguinante che dà la for-
za, lo smeraldo dai riflessi marini
che scongiura i demoni, il tur-
chese celeste che salva dalla mi >r
te. Talvolta esse filano stoffe in-
visibili, tal'altra colgono dei fiori
le primule, le rose e le verbene :
sotto un tocco della loro verga
magica dei virgulti d'oro spun-
tano dal suolo e la mandragora,
la pianta magica, si mette a can-
tare. Quando esse sono stanche
della terra, si involano sul file
della Vergine con equipaggi mi-
nuscoli. Se voi non conoscete quello della regina
Mah. la piccola fata dei sogni, ascoltatene la de
scrizione di Mercuzio in Romeo e Giulietta:
«II suo carro è un guscio ili noce lavorate e , «
nato da un bacolino che da tempo immemorabile
fabbrica i carri delle fate. I raggi delle ruote sono
fatti con pagliette dei giardini ; un'ala di locusta
forma l'imperiale «Iella vettura ; le reilini sono tes
sute col più sottile filo «li ragni . \ rassetto un un
scerino notturno vestito di grigio guida il carro, il
:arrn dei sogni che corre la mate nei cervelli dei
dormenti ».
Brillanti di giovinezza eterna, queste fate sono
prodigi di bellezza. Mi fra tutte Viviana ; la più
bella: e quella a Cui i poeti e i cantastorie hanno
attribuito la più meravigliosa chioma bionda. Nes
suna gioia può equiparare quella di vederla ; la li
licita consiste nel trovare l'incantesimo che l'attiri
sulla terra.
La fata Viviana e i.'im intatohi merlino
\ h i ina è la fata dell'amore. Ed ecco come i
banli d'un tempo raccontano la sua storia, accom-
pagnandola dal Unto oscillare delle corde dell'arpa,
la vecchia favola simbolo dell'amore eternamente
trionfante:
"Merlino l'incantatore aveva abbandonato n \i
turo. Dopo qualche tempo, si sentiva oppresso da
pena indefinita e un'immagine radiosa si
!a\ a .1 1 sui i i risiere La spai la pendi ra, pi nte al
braccio e il suu spirito dimenticava l'arte degli in-
cantamenti. Egli partì mimi l'iuin .li i. I mulina.
cammina, cammina e un giorno eccolo alla foresta
di Brocelianda. Là una fontana zampilla sotto gli
archi verdi degli alberi in una vasca di smeraldo
i i4<>
i
nel >.iv>> della mano,
inde un fragore spaventi dire nella
on una raffica ili pioggia e 'li tempesta
reno: degli uccelli buio
alloia invisibili lanciano nell'aria armonie divine,
lino stupefatto si ritira.
dalla inule si innalza ima torre al
erta come una nicchia per una statua :
LA LETTURA
La cattiva fata
una fata vi dorme, una fata d'una bellezza meravi-
gli.-sa. dal collo bianco come quello dei cigni. Mer-
lino si rammenta allora della sua arpa, ne fa vibra-
re le corde e la fata misteriosa si sveglia.
o — Ah, eccoti alfine -- dice la fata bella. -
■ti addendi
\l ili sei tu dunque? — grida Merlino at-
territo.
a — Non mi riconosci ? Io sono quella il cui pen-
' enta e la cui immagine ti perseguita.
ria e i i >lgi i l'erba d'i »n i nella foresta
• li Biocelianda.
» \ ntava i la sua voce era quale nes-
sun mai udì sulla terra. Al suono meravi-
glioso, Melimi, dimenticò l'universo, ma quando le
libre della sera comparvero sotto la foresta,
la fata impallidì e gli occhi le si velarono per tri-
Merlino - disse io muoio col giorno.
Solo una parola può salvarmi; sai tu dire questa
parola di vita ?
■ E Merlino le rispose semplicemente:
• [i i t'amo !
proruppe in un grido di vita i di vitto
ii disse, i atta i risti d'un I ratto :
Ahimè, io mi .rro di 'inani.
Perchè morrai ? chiese piangendo Merlino.
Perch 'ii domani mi dimenticherai. Ma io
■ ■ siste mi incantamenti > per fai itare
un uomo e segregarlo dal resto dei viventi, l'u
il terribile segreto Svelamelo !
sua vita stessa « he Viviana gli domanda
va, Mi Merlino, sospinto dall'amore, lo rivelo. A
, mentre Merlino dormiva nei sogni dell'amore.
la fata desi-risse nove cerchi e reciti ve volte la
formola magica. E <l> allora in poi Merlino dorme
ancora nella foresta di Brocelianda e nessuna per
al mondo potrà mai risvegliare l'incantatore
incarnalo dall'amore ».
Vi sono fate che nelle i este ri-
di fiori tengono le g
la ricche//.! e la bellezza ; altre
che depone,. mo sui riccioli biondi
i lei bimbi i piccoli regali del \ <
tale.
I .. ih .'te che nacque Ruggero
danese, sei bellissime fanciulle
si presentarono alla porta .1.1
stello domandando di vedere il
neonato. Una d'esse, chiamata
Glorianda, lo prese fra le brac-
cia, e vedendolo cosi forte '■ sor-
ridente gli disse:
— 0 fanciullo, eccoti un dono
per la bontà di Dio: tu sarai il
cavaliere più ardito.
Ecco un bel don.. - ag-
giunse un'altra fata — ma io ag-
giungO che mai tornei ni- batta-
glie mancheranno al prode Rug-
l-.d io — aggiunse una terza fata — gli farò
un dono che non l'esporrà ai pericoli della guerra.
lo ti dò l'amore.
Poi le fate tutte l'abbracciarono e scomparvero
nella notte.
Venne cosi il costume d'imbandire alla nasi
qualche bambino lungamente atteso sontuose tavole
per le fate invisibili. In Provenza i neonati erano
portati nel mezzo della tavola; poi tutti si allonta-
nammo, per permettere agli esseri misteriosi e be-
nefici di avvicinarsi e ricolmare il bambino di virtù.
Ma come vi sono individui cui tutto sembra riu-
scire la\ vole, altri ve ne sono cui tutto sembra
contrario. E allora la spiegazione .- facile; si trova
nel maleficio di qualche fata adirata con essi. Le
fate dimenticate o trascurate sono terribili nella
vendetta.
i ii -ionio Melusina coglieva le primule leggia-
dre nella foresta del l'oitoM. (piando ecco l.irlesi
incontro il liei Raimondino. tiglio del re di Breta-
gna. Egli camminava cogli occhi a terra, assorto in
melanconici pensieri. Melusina. che lo conosceva per
uno dei più gloriosi cavalieri del regno, gli offerse.
se l'avesse sposala, ih crearlo il più favorito genti-
luomo di corte. Ella non poneva se non questa con-
dizione: il suo sposi. ii. .n ivreblie mai dovuto ve-
derla il sabato Raimondino accetta e le nozze soie
celebrate in gran pompa I .a fata bella si presenta
alloi ' il r i d inda pel su., spi ~. t mto ter-
DALLE RIVISTE
ritorio quanto può circondare una pelle ili cervo. Il
re sorride alla strana domanda, acconsente e La
maliziosa Melusina taglia la pelle in tanti piccoli
filamenti e così ottiene una rocca importante in una
regione elevata. Lavorando alcune notti sino ai pri-
mi canti del gallo sotto la luce della luna, la fata
costruisce un castello magico e i viaggiatori delle
ere piccole raccontarono di averla vista trasportare
nelle dita fatate le torri e le mu-
raglie tutte d'un pezzo.
Da principia Raimondino fu
fedele al giuramento. Ma ben
presto egli lo dimenticò e un gii li-
no di sabato apri la porta della
camera di Melusina. Allora l'in-
felicissimo sposo vide con terrore
la sua donna convertita in sirena.
Ogni sabato infatti la fata bella
si tramutava. Raimondino la udì
allora ^citare un grido di spa-
vento, e poi la vide involarsi nel-
l'alto, descrivere a volo tre gran-
di ruote sopra il castello, e scom-
parire mentre risuonavano anco-
ra lontani i singhiozzi della tra-
dita.
E pure dopo molti anni, i
pellegrini della notte raccontai,
no di avere udito ai piedi del ma-
gico castello suoni misteri, si,
coirle lamenti di fata....
Assai più saggia di Raimon-
dino fu la fanciulla di cui i poeti
russici hanno tramandato la leg-
genda.
C'era una volta una piccola
bambina infelice chiamata Vas-
silissa. Alla morte della madre
il padre si eia rimaritato e da al-
lora era cominciata per l'ori,
nella una vita di stenti e di do-
lori, sotto le persecuzioni conti-
nue della matrigna e delle .soni
lastre. La piccola sventurata non
che una sola amica, una
bambola incantata ricevuta in
dono da una fata il giorno della
sua nascita.
Sul letto di morte la povera mamma le aveva rac-
comandato di non dimenticare mai la bambola e di
chiederle consiglio in tutti i suoi dolori.
Una sera la matrigna chiamò l'orfanella e le
disse :
— Vassilissa, il fuoco sta per spegnersi, fa Fred
do e tu andrai nella foresta a chieder luom a babà
Yaga.
Vassilissa proruppe in lacrime. Babà Yag
una strega dalle mascelle enormi che maciullavano
carne umana. La bimba corse nella sua cameretta.
diede da mangiare alla bambola e le chiesi- eh
salvasse nel pericoli..
I 141
por-
Non linieri' le rispose la bambola
fami con tee la strega non ti potrà divorare.
La fanciulla si mise l'amica in tasca e tutta tre-
mante s'addentrò nella foresta. Dopo lungo cammi-
no pervenne finalmente alla dimora della strega.
I.a palizzata che le stava attorno era latta di Ossa
uni, me sormontate da teschi che ancora avevano gli
■ echi s! ranamente vitrei e spavi ntosi -, i cardini del
L'INVOi IZIONI Hl:l DEMONI
le porte erano fatti di tendini umani ; le serrature
.la bocche fornite di denti acutissimi.
Appena scesa la notte, gli cicchi cominciarono a
sfavillare di una luce sinistra. D'un tratto si fecero
udire muggiti terribili: Babà Vaga arrivava. La
! un ut Ila 1 remando le domandò fui » .
Te ne darò se lavorerai. rispose con voce ca-
vernosa la fata. — Bisogna che per domani mattina
svegliandomi, io trovi il cortile scollato, la casa ri-
pulita, il pranzo cotto, il grano macinato chicco per
ciucco.... altrimenti.... — e i denti della strega scric-
chiolarono sinistramente.
— N'nii piangere. Vassilissa, — disse la
LA ini
a ripi lascia
1142
■:.i la notti ola bambola lavorò. ' 'ome
imbola, 1 ome lavorava 1 La
1 U'ordinc Pn -
g : i occhi si a> illanti e li
alla fanriull 1 1 hi si mise pei li via del ritorno.
lei cranio e ncian ino .1 brillare
tìssandi 1 la mal 1 igna e le sorellasl re.
ire, ma im ano: la sera eram
solo il mistero < it - 1 ni isl n .n venire che ci
tormenta Davanti .il silenzio di un'immensa I
davanti alle tenebre, davanti alla grandio-
del ni. 'ir noi prcn iamo un timi ire rago
un brividìi ili paura. I allora abbiamo
to le 1 '1 'lii boschi e «lei man-. l>i ni
don uni il loro albero favorito, il ti-
glii<. e si riuniscono per le mai abre danze. Esse sono
lo un poeta tedesco, come il pollice
.li uhm bambina; ma colle piccole braccia possono
trasportare blocchi enormi di granito, Hanno occhi
di una fosforescenza strana, la chioma bionda che
ggia v, itto un ii Ti' '1 1. E tutta la ni itte
danzami descrivendo larghi cerchi opalini a stento
visibili ne) candore lunare, al suono ili arpe miste
riose. Disgrazia .1 chi li incontra, Attratti dal can
egli le avvicinerà; il cerchio fatale gli si strin-
imi sempre più. sinché l'infelice cadrà stri-
ne piccole manine stregate: poi sul suo 1
(\ O In \nl IMI
11/ 1 ripij ' n uls 1 ed
■_ iasl ica
I Corrigan, fratelli delle fate dei boschi, danza-
no invece alla lire//.' del mare, passandosi ili ma-
no ni mani la coppa che contiene il liquore mera>
glÌOSO.
Ma ecco gli spiriti delli ai |ue chi chiamano colla
voce melliflua ili sirena. Talvolta scivolano sulla
supei i" ie delle 1 inde sin irandole ap|>ena o ii pico >1
piedi . 1. il ali 1.:. sotto le apparenze 'li piccoli bambi
ni dai capelli d'oro, ir.m rsan 1 rapidità porti
tosa le riviere e i laghi lanciando in giro sgu
ammalianti. La loro voce vi promette la felii
laggiù, in fondo alle acque silenziose, nel regno del
mistero. Le ondine fanno più dolci i loro canti che
sorgom . dalle onde, e le ninfi I ■ 1 herzare
nella trasparenza dei l ighi 1 loro raggi 'li smeraldo.
L'incanto i orma onnipotente, e nessuna forza u-
mana vi può salvare L'uomo si protende sulle onde,
verso questo mondo ignoto e prodigioso. Le \isioni
si allontanano, egli si piega, si piega sempre
sull'abisso: ecco un tonfo, un uomo scomparso sul
cammini 1 <*he non ha ritorno.
1 m nel mistero, in fondi : alle onde, il vi
N'ichus rcinlr giustizia, se almeno è vera la
da, la vecchia leggenda dei parsi del Reno.
Come fu arrivato il giorno del matrimonio colla
ricca e bella castellana del Reno, il conte Pietro
Staufenber] volle traversare il ninni' pei raggiun-
gere la fidanzai 1, quando si levò, improvvisamente,
una tempesl 1 un 1 forma strana e allungata sorse
dalle acque e si collocò dinanzi alla prora dell:
barca impedendo il passaggio. L'essere strano pian.
geva dolorosamente. Il fidanzato ebbe un rug|
ili terrore, poi dissi ai suoi cavalieri ili andare
prendere notizie di Gottlieb di Braubach ili cui ave
va prinm domandato la mano e che ora tradiva
un'altra sposa. Quindi continuò la via.... S
mezzo il pranzo ili nozze. Di fianco ali.
sa il 1 i\ ilien non rammentava ormai più il fanti
sma del l'unni-, quando un nuovo ruggito di ter
gli usci dalla gola dovi ■■ 1 il miglior vino
del Reno. E limasi- immobile rissando in alto un
essere in\ isibile.
Ebbene - chiesero i commensali atterriti.
l'n piede ili donna, rispose, un
I Mini ' '■ pici oli '
E runir un ossesso prese la testa fra le mani e
scomparve fra le sii' del castello. Ma sul suo pas
!, . una ■ appezzeria cadde e di sotto ne si
unt ii" i a, bianca còme ili un cadavi re
intese uiì galoppo 'li un cavallo. Era il mi
1 he tornava colla notizia che l'antica fidan I
bandonata ei 1 mi n
Dami. i/ii mi' gridò il cavi idde pal-
lido al suoli Qu indo 1" sollevarono viden
I colli un giro bluastro. La tradita l'aveva si
Qui la le| la finisci ma non
\. ■ la personificazione del
HALLE RIVISTE
Ma se le fateci sembrano tropi», lontane, esisto
no altri esseri che la fantasia popolare ha collocato
al nostro fianco, sotto il nostro tetto, presso il no-
stro guanciale, i nani, popolazione innumerevole di
lillipuziani. L'n tempo essi ebbero a lottare contro
i giganti i Iella terra e allora milioni e milioni di
essi caddero stritolati sotto il tallone di qualche mo
114J
strigliano le groppe, montano in sella e via per l'im-
mensa campagna contro le raffiche gelide dei vi
Al mattino riconducono i puledri in stalla, ma pri-
ma tanno alla criniera un piccolo nodo, al quale si
sospenderanno di giorno per riposare.
Spesso noi ci siamo coricati alla sera, stanchi, sfi-
duciati forse da un lavoro tormentoso che non riu-
sciva alle nostre forze, forse avviliti dinanzi al mi-
stero di un problema di cui non sapevamo ti"\ ire
I \\M I LA im
stri . Ma la \ ittoria 1 1 nalmi nte ai nani, sim-
del predominio dell astuzia e del genio sulla
forza i bruta della natura. Ora i tempi delle
epiche lotte sono lontani e i nani hanno abbandona
to le ' avi ni'- sotterranee, dove fabbricavano le spa
>ono venuti ad abitare presso i nostri focolari.
Coi nani la felicità è entrata nella vostra cas
Quando i servi sono affaticati, ecco i nani ad un
vostro cenno irrompere in cucina, pn p i tre il pran-
zo, pulire le camere, sprimacciare il letto, poi 'li
notte, mentre voi dormite, eccoli correre su e giù
per le scale, so 'pam li i. pi ilverandi >, e tutto ciò seri
za rumore; svegliandovi solo al mattino col loro riso
|uasi infantile. E intanto le pico dei nani,
le minuscole dame bianche, scendono in scudi
Esse hanno dei gusti assai aristocratici e preferi
no i purosangue l'i notte mentre gli stallici
di rmi ini \, ess1 ac :en li mi : un i | ndela, poi
la soluzione. E spesso ci i il mattino,
'ii forza e di intuizione e allora le tenebre
dono e tutto ci sorride piano e facile Che è mai
!S0? Il nano ha lavorato pel noi.
I ollic. fi illie, follie ! I .e nostre late Si
nostri nani non esisto ' i o, noi, .-^isi 1,- mon-
ili di cioccolata e le sorgenti di mieli ' Sia [ture,
ma lasciateci nella prosi triste della vita la poesia
di qui e i ì i' "ii m. m\ igliose della ! I 'u-
manità in un'ora di sogno ha ci. -ito un universa
( >ra vecchia e stanca ricade su sé stessa, senz
sorriso delle ingenue visioni infantili. Oh,
i he lj I i anni i
gi..\ in.-// 1 lontana !
I Dal'
' «44
LA 1 il
1 1 Iv.
Ili
exta
suijlì est 1 1 1 1 i
con 20 .li mediocre attenzioni e
■i che si distinguevano per la negligenza asso
luta.
rdare le pn «nozioni e le licen-
lelle scuole, mediante esami, provvido e razio
naie, oppure II [olstoi gli ■■
Ufonso Karr definì l'esame d'arti
gabl ore», e 1 ino Feri iani, noto stu-
dioso d - i ile, è delli i stessi • parere,
giudice dell'allievo non è l'è
saminatore del momento, bensì chi gii in maestro
durante l'anno; e che l'esame, del quale i diligenti
o spauriti, ila occasione ai fanciulli svegliati ma
negligenti ili e i.i furberia, l'er
confortare la sua opinione con documenti ili prima
mano, il Feniani ha compito un'indagine tra gl'in
so 'lari, e ne pubblica i ri
I rie.
1 maestri hanno definito l'esame una « lustra », una
n commedia», una «gran fatica, madre 'li de-
lusione e di amarezze», una «comica distribuzione
ili polvere negli occhi», una dotta per il povero
-ir. m. un «mese di tempo perduto», uno rsciu-
I li forze», ecc. I genitori hanno dichiarato che il
periodo degli esami è tormentoso per loro e per i
tìgli, che la rasa non è (allora) più tranquilla, che
tutti sono in trambusto; e così via.
Ma le risposte più interessanti sono quelle di
scolari. Tra questi, i diligenti hanno espresso
la paura, il terrore, l'orgasmo, t'incubo dei quali
sarni sono ade ne; mentre i negligenti
hanno dato risposte di questo genere: «Gli esami
non mi fanno né caldo né freddo. Basta essere
un po' svelti, e l'esame è una cosa da nulla. - Pei
me non me la scaldo troppo. Se non passo
passerò dopo». Il Ferriani ha interrogati in
tutto 150 fanciulli, tra i quali ne ha trovati 70 pau-
rosi dell'esame, 35 incuranti e 45 arditi, (ira tra i
70 paurosi. 30 erano molto studiosi e -'7 por,,. ,■
solo 13 negligenti; mentre fra i $-, incuranti, il
minor numero, appena 5, erano veramente studiosi.
tudiavani 1 poco e ben :o che non stu
(Fati pure tra i 45 arditi app
Gli alberghi svizzeri
11 numero complessivo degli alberghi e delle pen-
sioni in [svizzera, nel 1899, era di 1806, con
10.1.876 letti pei 1 viaggiatori. Dieci anni prima,
nel 1889. il numero dei letti era poco più della me-
8, 1,57. in [oo.' alberghi.
Duranti- il [899, gli arrivi salirono .1 2.559.000,
e il numero complessivo dei giorni di permanenza,
fu di 9.763.000. E' interessante desumere dalle Sta-
tistiche ufficiali la proporzione delle diverse nazio
n. dita dei passeggeri. I tedeschi tennero il primato
rappresentando il 33.6 per cento; vennero poi gli
Stessi svizzeri, col 20 percento; in terzo luogo gl'in-
glesi, col 17.3 per cento; poi i francesi, con l'u.a
per rem,,, poi amori gli americani, col 5.2 per
, ento.
Quanto agli italiani, tennero uno degli ultimi
sti: le statistiche non assegnano una percentuale
particolare per essi, ma li comprendono nel 12.7
per cento di nazionalità diverse.
I )ove vn l'oro*.'
In amante della statistica ha calcolato che i den-
tisti americani impiegano ogni anno, in media, per
aggiustare i denti guasti dei loro connazionali, la
favolosa quantità di ottocento chilogrammi d'oro.
Questo peso rappresenta un valore di due milioni
e mezzo di franchi ; valore che, naturalmente, è
seppellito insieme coi suoi proprietari e portatori,
quando costoro passano a miglior vita.
Se la cosa continuasse allo stesso modo pi
tre secoli, ci sarebbe nei cimiteri degli Stati Uniti la
rispettabile somma di settecentocinquanta milioni.
cioè quella stessa, esattamente, che ora circola in
quel paese.
Bella cosa, la stai ist ica '
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tete fare a meno di servirvi dei tanti surrogati che generalmente non fanno
altro che colorire il caffè senza togliere le sue qualità nocive.
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fare continuamente uso del Caffè Malto; chiedetelo a tutti i droghieri che
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Romanzo di GUY BOOTHBY
Vai as mise i dadi sulla
\ eneda fu fortunato,
e I albino fui
« r i.i notti
la
li.'l I. Utili
à udizione ili \ alpai
pensa che ri : erano auti
rdine, bisi
■ molto ii anguilla \ eneda era i osi
I pensiei > i ivo a casa, entrò,
Uno alla sua i amei a pi im
; dato. La
Si i\ an/.. Uno a una mensola o\ i
ed avendone a. . eso uno si
ridere una i andela \ Icina. •■
fiamma -i comunicava al lume, un riso
di ,i . . : ■ .\ .'\ a avere i
■ ni con \ iolenza, e poco man
cadere candelie zolfanello.
lume, guani., dalla parte donde
veniva il
— .Inanità ?
itete i o di a edei
I | .i aver ai ci so due altre i andele pri
>pondere. La sua \ isital i mancò di
e il tremito delle sue inani Quando la carne-
illuminata CI i .Ì.T.I\ .l.i
. ben chiusa, rudi ricordò i doveri dell'ospita-
lità, lied ' ini' il benvenuto. Qu
li dire che era contento ili vedei i r, sorrise
— Man.. s. ti. mi so .pianili, imparerete a dire una
aria sini
dare - opra una sedia preparando
i ire.
Juai I I ' ■ amari. ili Valdores e a .Lama
i noi ■ fisicamente, ma per molti
i i sua belli zza era tale da fermare
;• alta, aveva un portamenti
to ila farla parere anche più alta. Perfino
per una donna 'li i azz i spagnuola il sui i
talmente scuro che pareva abbronzata; il suo
iveva oju una. Eppure
altre, in
i i
la bm ni impressione. Le mani e i pii
tura, non troppo grandi né trop-
po pi nodi cangiavano a suo talento, ora
il il riSO, i piatili '
risuona^ u i ome una
M pan .li Mar. os \ eneda, ella i ra
-ni
i i. io debbo conve-
non tutte toi navani I ^ noi ba
a parln. essa . . i
>, i probabile che rimani
mi..
ij.iii.i- .la compromel
■ ' inga
a ultima — ervaz e. —
\ i ~. •mia', una dOl
r uscita in i
. proprio a \ edei voi
— S i ma suppongo che a\ rete li
ioni.
Ella ilu di una scrollatina .li spalle, e fece un
per dire: • chi lo sa ? ». i- indo
modo jandosi avanti, mise una mano sui
braccio <li lui
Marci
■-aprir, suppongo, che la geute mi dii irda
perchè pi :he io raci ia pei der la testa agli ui
mini i anche che alle volte io pi eso leg
i pensieri degli i ni pire i futuri eventi
— Allora, .iiianii i ti il mio destino e mi
i i agire
Si i'/ altre parole, ella si i mano ili lui
dalla sedi i o\ era l'esaminò con ai
lonzi.
— Debbo dirvi tutto quel eh
— Pel. la' no '
— Perche ho paura, perchè c'i - i di or-
ribile nella vostra mano.
i he ?
— Tradimento, e per una gran somma di de-
naro '
Egli ritirò via la sua mano con collera, e
dissimulare li fusioni finse una gì ande i u
illllila.
— Siete davvero una p i di buona ventura!
li a i i m'i he di a\ er assai sinato
il presidente < he altro e è '
— Man..- ho veduto nella vostra mano più che
Voi meditate u
— Non è ii' '. ile da indovinare. Se qui le cose
moli i .h ii". s iranno costretti
ad andarsene.
— Non .• tutto. Vedi, che avete mandato un gran
tesoro in un ntano, e che contate di
guirlo.
— Questa è bellissima ' E poi '
— i ine l'amore per d into sulle labbra
he avete intenzione di abbandonarmi.
— E poi .'
— Che il vostro tesoro an i i i più d
nula sterline ed è indirizzato a .... lasciatemi
\edere e fingeva di studiar Itene la man..
i ; i ' '.:.■! ih I il vostro nome Ingli
.ina nel \ i .ir Est india. Londra I Mi.
\ era un ranni di trionfo n di lei v
,!.. una i aria inn i la. e Ottenuta la \ IttO
\ eneda era dis fatto n suo \ iso, pi ima pallido,
. i a bianco come i ■ di sudoi i
ia sua troi
— Come avete voi saputo tutte ques hez-
1, ali. ni.
— Dalla vostra inano. naturai in ■ i i sono dav-
vero sciocchezze ' Man . li" sempre detto
che ir... ma vi bisi ina di essi
■ i gannai mi • ipere di più "
1 1. ..il. dirvi ciò che ne di Macklln e la
to che se fi eto è cu ìtodito il
a dubbio — •-ini"
dalia del nervi da salire quasi ad un fal-
setto.
Intanto si studiava 'li leggere un dentro all'ani-
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Il
IN SI RANA COMPAi
m.i sicuro, perchè
mutò a atto.
i
giunsi
\ i , ompl molto de
o 'li l'in per potermi ingan
Con ipete chi o? Poii he ho
perchè 1 i Irei dirvi tu
i ii i mia,
in ■ i certo i ii'1 v.'i non sapete i >"
-l:u VOStrl OC
chi.
ilo il. 'ila camera i a cai
,(.ii;, vania apei ta a rove
Eg|j n della i
uno
_ ..\ii ' .-ih ' ■ ola lndo\ Ina I Siete
E1 h hia '■ buona. Mi ricordo il aver
ne d : della letti ra
ni r, stilo i Per sapei tutto quello i he m a-
i avete a\ uto da far ali
cian M '
te, l'ho un sso sulla
dopo tutto, voi non potete
ali-mi danno.
p ch'io vi vi recai danno "
_ I , penso soltanto i he
lo ] i vedete, per mettere al sii uro due
centi mila lire, ci no duecentomila precau
Ora eh i i che voi siete cosi b
informata, oon sarebbe un'imprudenza il lasciarvi
isa :
Ni i in li. si di questa min essa con-
nijii ii l'avesse pronun-
_ Avresti l i-i'" lidarsi 'li "" ■ Murcos.
Vi 1 che n ni Udo
_ N0n | avete detto, i diffidate, n altron
de. \ i d ani si
_ i ome lo sapeti '
_l ■ vero 7 E voi mi prendi reti
con voi, nevvero? Vnche se non mi amate più,
' £ co amico eh io ali-
ina .pn Non mi lascerete in man . "i-i. Sono
questa vita .li spi maggio e ili corti-
., sarei tanto devota
i ,, sua voce In mai a. Egli pa - gì iava a
mei i l'..i m fermo imi
lardi P q ti ei li vi leg e> i,
,,,,,, Cera che un grande amore negli occhi di lei.
i ; tentazione ed un peri.
era quello il partito più si
In ,,,. ,; ndo egli si decise, e al
,,i di ti ieri ■ - In ili" pure iickIi
occhi di Man Sarei ito diffli ile i ompren
i più sincero Tornando a
den. ,. braccio intorno alla
V 1 1 ;t 6 (li SSG '.
, li,, voluto provan i \ i
adare di voi . avvenga che può, ce
indr Insieme
M
\i. ■ Ittoria,
ma ito ma i ausa
i e minuti ■
mia SOla,
... i
ita dell i .
do a mezza voce:
_ i • per farmi pei
ma
pra .ii lui itorizza
i in u
• i doppia i fttena. I hi
, , petto.
i , posta eh io abbia
, aliar,- una il. ama
1 ■
ibbl ■ -
I MI IHMI III
l'uà strana giornata.
i q'oi a pi ima dello puntar del riorno, \ eneda
venne svegliato da un i ontinuo rumoi e chi
dalle vie della città. La loi nata si annunzi 1 i a
freddissima: ciò nonostante quasi lutti gli abitanti
erano In pi, ah, atientl se udh ano i olpl di
d ille alt annunziane un combattimento. U-
18 il nini lai Ono alcuni rari colpi . man man,,
che veniva giorno, questi si fecero più forti i
quenti Decisamente la tanto aspettata battaglia
iniiii'ial.i.
Ventala, seguendo l'esempio del su, a vicini, apri
i i Questi a e i pei ascoll ire Di pò la con-
ei azione della sera Innanzi col me In
in i alle della Vieti irla la su i fede nella \ Iti
del Governo ora in qualche modo diminuita, 6 per
la prima volta coi ad allarmai bI pei la prò
pria salvezza Supponendo ci stato
dai Con re lonalisi I pei il suo tradlmen
potrebbe egli fu rire dal Cile !
in questo caso, Boulger non lo aspetterebbi
Jiianiia, per porsi m salvo, i" tradirebbe Ma era
i m m, al il m In spinelli, -irsi Un d >.r,a . dal Ir,. mie. quan-
te volte n, ni si ,-r.a egli già trovato in momenti
difficili!
La gente nelle vie presentava uno strani
Nella loro agitazione non conoscevano più
partito di sorta . i pens ieri e le ansie, tanto del
Gobiernitos quanto degli Oppositores, erano tutti
e,, -Mirali neiia battaglia che slava combattendo-
i Erano come gli spettatori duna commedia. A-
vrebbero pensati, più tardi alle ire di partii,,.
Verso le 8 l'agitazione era giunta al pan
I lai SUOnO disimi, , dei Colpi, si eapi\ a elle le fi
del Governo erano re pinte e che il parili., dell'Op-
posizi ■ si avanzava su Valparaiso ih minuto in
minuto il suono si faceva più forte; già la i
turbolenta della popolazione cominciava a
strarsi indie vie; ma quartieri più bassi si udiva
il siili lo dei colpi di moschetto: molti dei principali
magazzeni erano chiusi, menile da parecchie di
rezioni il fumo defili incendi si staccava sui cielo
sereno.
Tutti erano cosi sicuri dell'esito del comb
mento, che molli partigiani del Governo faci
fagotto, fuggendo dalia città il più quietamente
possibile, rifugiandosi o nelle vieni,- montagne, o
domandando asilo a houli, delie navi straniere an-
corate nel porto. Alle dicci il fuoco cominciò
minuire, dopo una mezz'ora lutto era Imito Di chi
era la viti, .ria.' Ecco la domanda che era sulla
bocca di tutti.
La notizia non si fece a lungo aspettare Da ogni
direzione giungevano di corsa, a piedi o a cavali,,,
uomini, donne, fanciulli che erano stati al campo
di combattimento, raccontando ad alta voce la
completa distaila delle truppe del Governo, esage-
randone i parti,, .la, i col ripeterne il raci ■ i
\|,pena con.,-, mi., l'esito della battaglia, l'Inten-
dente consegnò la citta agli ammiragli delie navi
da guerra forestiei i le quali a loro volta la rimi
sero ai capi ' lonalisti; in questo modo lo
, ni.-, era p i~ -ala di una l'eplll.M
una classe di cittadini, ad un'altra più popolare
\ .neiia, come è facile imi fece di
me "i lo per essere al corrente di ci deva.
'entrare delle truppe in città, egli vide con
tamente distrutta ogni sua speranza poliMca, e,
nella sua fervala nunie. (ria stava combinando il
mezzo per assicurare la -uà salvezza Uni
iunto ii ni. .mi nto di lasciare il paese.
, ,1 : he la sua salve/'/a dipi ndi .
maini!,, dalla uà q n ip< di questa
prima e,, sa. in cinque minuti la sua bai ba
1 1 , s'incerò e si tirò all'insù i folti bnl
Il ;. l'Un I la d"-
n in lento ,ai, i. ....... di un i ho
e di un sombrero a larghe falde ' i i equ
nion>]>l.. davanti allo specchio, lodandosi della
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Digestivo in cachets, d'ongme anglo americana, che
graduale antisepsi direttamente sulle vie di-
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Ai Medici Italiani campione di prova gratis-franco
a richiesta con pie- lucra di riferirci sull'esito, partendo
da tre fatti clinici anatomicamente e chimicamente accertati:
1 II "Tot" tonifica disinfettando le ghiandole
che secernono i succhi gastrici.
2. Il Tot' discioglie i catarri e le mucosità
dello stomaco e degli intestini.
3. Il "Tot" impedisce le fermentazioni gastro-
intestinali, assorbendone i gas. senza neu-
tralizzare l'acido cloridrico come il bicar-
bonato di soda.
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golato di corpo, chieda l'opuscolo sui "Disturbi di stomaco,,
con tavola sulla digeribilità degli alimenti, e figura scom-
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PER DIMAGRIRE
Fate uso delle " Pllules Apollo" a base di " Vesiculosine"
estratto dai vegetali. — Queste Pillole, approvate per le eccelse
qualità medicinali sono benefiche alla salute perchè fanno dima-
grire in modo naturale diminuendo la produzione del prasso, elimi-
nandone quanto ne è in eccesso nell'organismo. Oltre la sparizione
dell'eccesso della grassezza le '* Pllules Apollo " regolarizzano
le funzioni, ringiovaniscono i lineamenti e rendono al corpo l'adii ita
ed il vigore. E" Il segreto di tutte le signore che vogliono restare giovani e
svelte. Queste Pillo le con vendono ai temperarti enti i più delicati tanto
agli uomini che alle donne (marca depositata). — Il flacone fr. 6.35
(L. 6.70) contro assegno cent. 35 in più. Invio discreto e franco,
d. RATIÉ, firmacisla.5, Passage v>ri.e«ni.Ptrigi, 9#. Deposito generale
per l'Italia: Farmacia Dott.L ZA MB ELETTI, Piazza S.Carlo, 5, Milana.
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*^« «^^ r<or* *^' '^;' —
Ili
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: i 3i ,.ni', i ento
iti In > i < i<- 1 vero tipo
,i \ , d ora prima,
.ino il sm> piano
di , ,ii rimanere dove
lo aspei
landi il momento <i Imi Ma ri mia . i s al,
bali,' disunisse
lutti i' SSe ni mani al-
qualche p
pei mi un rii ordo . poi si
ito, apri la
i,' li uscire dalla
per timore ili essi en ato
momento mi asi filari', poi non uden
dia di difilato nella \ la, Ni ti
ii aveva
[are (noi
, In mina
,i.'i i i ih vedere (pianti
• ih pigliar parte aU'agltazJ
uà aa\ \ , i città era i
idati sei i tumulti avevano avuto
i i,i ancorate a ■ barcate «ielle
truppe per pi la Mia degli ina
nei bassi quartieri la fri aia uni" \ e
-i i,i n na\ estito i-In'. tro\ andosì fra
ih sua cono non venne rii
ni. rass coi di li - -• enti
della giornata con vivo ini Ma un grande.
impre\«'iiuT«i | i\ a '
i ria, si avviò verso una
iterale in direzione ilei porto; fatti una cin-
quantina rii passi, tuli un suono a lui ben noto;
quell'i ih una folla qualcuno o quali he
cosa liuti, ili svignarsela per non correre
il risi hio 'li venii confus Ila Inni preda, ma inni
gli fu possibile, in quel momento udì dei passi
\ -ni grai resa riconobbe nei
li ini Macklin, l'albino, il presidente
- irta, il viso livido da! terrore, respirati-
li,, tceri e strai
ciati, in/- ini sopra -rii occhi, senza cap
pelln. colle gu pi rte 'li ammaccature, i
gosc i dava una stra-
ordii
— Salvatemi, salvatemi! — di un filo di
\ , ne supplico, in no-
me ,, I :
Nulla • più f.-u-ilc a \ meda ili li
darln via n lo aveva
in u ito poi, per ragioni che ni n
del nani' I" avrebbe
aim ■ rsida q bai
deci- io per venirgli in aiuto
. , ', ole, senza dubbio, ma che
ire e pieno di
traddizioni dell'indivia
tata olla tumultuante s'avvicinava; anco
ra un numi' irpresi. Veneda si
volse alla povi rizzata e -li disse:
— Tari, ilei I i tacchi, tu:
comando
P i di forze, l'albino gli
, Imitami lini-
a di qua e di là, come un mulini
Mi vano di corsa, la folla li
un • idi il sibilo d'una palla
lo spavi i
mini d'essersi interi del-
l'ali - ridi Più
in fretta, più In :
terni ' Era
■
I"- a inala pena I l'an-
nitina di passi di
folla ci ■ oliva
he a ui di ih
quan-
pri ■ i - ■
se li di un
fuscello e riprese a fu ingoio di
- ih mai si - i -'-l'i' nessuno, si ih.
verso un gruppo di i ase abbandonate al di là della
iunto -i i della ter-
11 SUO cai un in terra.
— Non posso più i or lai e a poi larvi, na
diamoci I gridò mentre scuoteva energicamente
una porta che dava m na entrar
qui prima ih o--or, alti inn-nli in- \ a della
\ uà. aiutatemi, aiutatemi I
L'albino non ebbe bisogno di un secondo co-
niami,', e tutti e due insieme sfondarono
edette propi io in [uel momento che i a> an
guardia delia folla svoltava l'angolo urlando. N,m
era questione che di pochi minuti Vi edo era
persuaso che gli Inseguitori, non vedendo più la
loro preda davanti agi in. avrebbero comin-
a cercarla nelle case. Egli sapeva, per pro-
pria esperienza, e. .ine la folla mu: ne VOg
derubala senza loti
rati in una casa salirono rapidamente i tre
piani della scala fino al solaio e colà s-'iu
udirono in basso la folla mormorare mi-
nacciosa \ eiieda Si voltò a li èva
ira. cercando di riprendere il jai
— (i hanno rintracciati Non su come fare a
irli.
Cosi dicendo udirono un man rumore.
— Stanno sfondando il portone. — continuò con
calma Veneda. — Andiamo via di qui. Slete al-
ni- "
Per tutta risposta, l'albino scattò in piedi
L'unica via di salvezza erano i tetti, ma e poiT
Un gran vociare annunziò loro che gli Insegui-
tori erano entrati in casa Eccoli presi in trappola
i ome topi. A parte altre considerazioni. q .
sarebbe stata per loro la più spiacevole delle ninni.
\ eni'da pensava che. dopo aver sfuggito tanti pe-
li, sarebbe stato troppo umiliante morire nelle
mani di una folla sfrenata per causa altrui.
Mentre questi pensieri crii turbinavano per la
niente, cercava il mezzo di salvarsi: non vi era al-
tra via tranne la porta dalla quale erano entrati
e la finestra che dava dietro la casa, su dei tetti
bassi. Dalla porta era impossibile, a meno d'un
battersi coi nemici, quanto alla finestra essa era
ali altezza di 15 piedi dal tetto sottostanti
al cortile ve ne erano almeno venti, lutanti, la
maggior pan,' della rolla era entrata nella stanza
Il sotto. Un sudor freddo copriva la fronte di Ve
neda : l'albino stava rannicchiato in un
col viso coperto dalle mani No, non era possìbile
essi non potevano lasciai venire a loro
i lottare, senza cenai- di salvarsi! avvenga
quel che può. I Veneda si slancio versi, la
stra. facendo cenno ai nano di awii i lui.
— Ora, — eu'li disse. — non ci rimane altro che
di salire di qui sui teiti. strisciandoci sul culmine
finché troveremo un luogo dove scendere Non per
dete il vostro tempo piagnucolando, ma badate a
quello 'he vi dico. Mi slanciar
quando sarò limito, farò del mio meglio per tirar-
vi su. Tenetevi pronto, altrimenti vi giuro che
'.abbandono a! vostro destino.
Ogni consiglio era vano. L'albino era proni
alar tutto, perfino una caduta nel cortile, piut-
o di cadere nelle mani di coloro che erano sui
pianerottolo che metteva nella loro stanza Veneda
-iriscni rinculando fuori dalla finestra, -
alla sottile gronda del tetto soprastante L'imi
non era soltanto difficile, ma risei Ima
Poco a poco. nsa fatica, si tiro su li
le sue spalle ra delle -T Ir I
muscoli delle sue braccia parevano rome
l'immenso sferzo I era terribile Ma
Vincila parve eterno il tempo prima di raggiunge-
re i tetti, quanto più lungo apparve al povera al-
luno ancora rannicchialo nella stai,.- iute I
ilmente una voce gli disse:
— strisciatevi indietro fuori di a da-
ti mi le mani Presto, i posso più durare in que
"M/ione.
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Vervier [estratto sp< siale di Galega
Offlcinalis) sono quanto scientincamea-
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IN SI RAN \ I I MPAGNIA
(■li urli della folla <■ lo scalpitio sul piai
- Vi eda aveva dura
irsi sui ii
i i"'i mantenersi In e
• imi.. i peso di una i
enti comi
i dirsi, fu allora soltanto
nobh ri Due s ndi dopi i
■ ulmini in Quel
; i he avevano alloi
• ili temi
itair bino \ olgendosi a \ eneda, gli
vo la vii \ > he mai
<ii quanto avete fatto per me, que-
iti punto ili perdei la i he diavolo
t fan i dare la caccia ti quel i lo.
M imbattei in loro nella calle de Vieti
■ d bierni ta e un momi
irono ne tanti cani Dio
non v'incontravo, ti quest'ora sarei ni
non rispose, tursi' non lo aveva a
iva attento al rumore della I
ti quanto sarebbe suo ess a che
i d'i S9ere stata Insani
1 a sua attesa fu lunga ( api dal silenzi)
mplottando qu
- Al fuoco ' ed un momento
nti denso rumo usciva dalle di stremità
• ipl tosto 'li che -i trattava I La folla,
non averli trovati, voleva bruciarli vivi.
Da • mità delle case più lontani
livampava con una velocita I laria
i giubilo ili quei crudeli. Fortunatamente
ni i-ili culmine stavano \ neda i l'albino
t cui il pericol n era immi
I nare i on quale ansietà seguis-
I il incendio, speculando sul tem
he rimaneva loro ancoi l b
i cald pa cante i fi i
nati a\ evano dato il fuoco nella p
i- 1 di mezzo i ' I «ole si iaii-\ ano di minu-
to in minuti imi scottanti ed essi non avrebb
pi chi istai ti il ti niM
i nte fumo li avvolgeva.
\ nia\ a intorno a se cercar
co i" -i" ir i" era un pii coli ssimo
un l'arai" tto alla loro destra, ad una
i dalle fiamme, dove a mala pena
uà . egli i" prese tosto d'as-
salto, senza più badare al su,, compa
Poi l'albino, mezzo soffocato dal fumo,
venne a lui implorando un po' ili posto, Vi
gli ordini li mai volle. Non
: a' ■ o l'in i altro doveva tor-
nare Indii tre i
folla, in nel fui
il combattimento fu breve Si strii
l'ini altro pei ale minuti, p \ i da
i olla lo del compa dogli
i abbassandogliela. Vlla Une. l'alt
-I collo, lasciò la sua i
i un urlo Ma
non volle permettere ai compagno ciò i he
e nel i idere diede un
irto rielle gambe di Velleda Qu
1 1 quilibrio; tentennò. ntando ili sal-
invano. Egli, al pari de
Quando fu in : qual-
senza -•
dine
fra le due case ili cui già p
qualchi
tini i. tutto era buio i i
da un pezzo Dell ali
!■ ; i pra
irato da I inqui
indo i )"' n ■ ' bbe
impo
irato -n questo, si alzò e i costatò ili non
avere nessuna rottura Si era salvato per miracolo1
Si ai ..uni icò -ni tetti, poi si eco a terra fai ei
strada in mezzo al rottami, entrò nella \ ia
itolo i\
L'albino deluso.
Qu indo i albino, dall altra parte della casa a
lue piedi ili distanza .,1,,,,,
ricuperato i sensi, ai
Min. he non era ferito, ceri ò di
che ' avvenuto di \ eneda.
•" Qualche scottatura ed un indolenzimento
• sua caduta egli non ave
tato che delle lesioni insignificanti, forse perchè
nel cadere egli si era afferrato al parapetto e ciò
S" aveva am rtito il colpo. Cei diligi ntemente
' pai na le ma
vasse qualche n m ia . i , • i -n, .,■, versano m i
1 - ii non potè n inora ni
i""' e ■ non fossi da un tra
te, ' ammazzato dalla turba furente, o bruì
mentre giaceva in ti i
Nella via tutto era tranquillo, pere --li pensi
I ti altrove credi
i distrutto iti loro preda; quindi tastam
i ■ ti bene per essere sicuro del
il buon mento In cui non passasse nessuni
e si diresse verso il calle de San Pi dro v m si mte
' ente a\ ventura egl i aveva scordata
l'appuntamento con Vargas in casa del banchiere
ese fuggiasco, e mi - ■ ttava il p
fervi pensava con ila che, se secondi, ogni
probabilità Veneda fosse perito nell'incendio
i ebbero stati in meno a dividere ili l
gnava p irne il cadavere, altrimenti Vai
e Nuflez, colla paura che avevano ili Veneda
non avrebbero creduto alla sua morte senz i avei
ne la prova testuale
Mentre svoltava nel calle de San Pedro, fu i
chi attraversò la via. Era Pa
blos Vai - ilutarono, i ecero -traila m
sieme versi ia casa dell'appuntamento. Era una
vecchia decrepita costruzione ad un solo piai
una veranda correva lungo i tre lati di essa, nel
quarta eravi un ampio patio, quest'ultimo era pro-
ti tto da una pi santissima porta.
Mentre i il" itori sta> ano i rarvi,
furono raggiunti ila due aliri uomini.
— Ebbene, Miguel, disse l'albino rh
i alto dei due. — che notizie ri portati \
Vi è li:
— No, - 'fior, non sappiamo più nulla di lui da
una settimana, e lo abbiamo cercato giorno e imiie,
— B' ne, --li - ne a i nsate pui
fare subita le valigie, >-ii a lasciare il paese per
— N'.ii vogliamo il nostro denaro — disse l'uomo
■ he non avei a ano ira pari
— C voi pretendete il danaro, miserabile,
prima che abbiamo visto come avete eseguito il
! Fui ai di qui ' Voi sarete pagato alle
diei i. nel posto stabilito.
— Non abbiamo : mpo da perdere in promi
ora sull'istante
i albini.) non si lasciò intimorire dai suo accento
iwìi tiiiii.ii • - 1 ti lui gli sussurrìi una fi
orecchio i □ mi mento dopo egli correva a pre-
■ ipizio san della strai
Mucklin si voltò i Vargas con un sorriso mali
ii
— La pai i-tu' ebbe il suo effetto, a quanto
tur Ora ti noi, riprendiamo i nostri lavori.
cendo, trassi' fuori una chiave, ed apri la
di una casa, a destra di quella in cui aveva-
no deciso di entrare Entrati, attraversarono un
'.ai idi io ' he mettei a in un pii coli i orlile . qui
giunti scavalcarono un muricciolo, si avvicinai
ad una finesti a l'apei sei e p i mi szo li qi
entrarono nell'abitazione poi piano piano, In pun
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cenzo Monti ed ili. da priiu »
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polito Pindemontec I i 1. da
primari artisti, bellissimo voi.
in-S°, p. 224. legato in cartone.
L. Il per- L. 3. -
Virgilio. l'Eneide tradotta da
Annibale Caro ed ni. da pri-
mari artisti bollissimo voi.
p. 196 'og. in cartone,
L. il per L. 3 —
Orlando Furioso «li Lodovico
Ariosto, ili. da 160 incisioni di
Gustavo Dorò, grosso voi.
in-s". p 664, L, 22 per L. 8.—
La rivoluzione francese del
1789 e la Rivoluzione ita-
liana del 1859. B&ggio com-
parativo di Alessandro Man
zoni.conproe uio di Ruggero
Bonghi, crosso voi. in-^ pa
gine 361 !.. B per . L. 2.50
Manuale dello Estimatore del
geometra Costantino Rog
, geri. voi. in-S". p. 302. L. 5,50
per L. 2.—
Manuale teorico-pratico dei
Qiudioi conciliatori e dei loro
Cancellieri ed Uscieri, seguito
dal formnlario che li riguar-
dano, del cav. avv Lorenzo
Scamuzzi. voi in-S". p. 616.
I. I I per .... I., 2.50
Sull'educazione e sull'istru-
zione . pensieri trai ri dalle
opere di pedagogisti e filosofi
italiani e stranieri di A. To
nioni, eleg. voi. in-16". p. 2:12.
L. 2 per L. I.—
Parassitologia Manuale di)
in tavole sinottiche (venni e
artropodi dell'uomo e degli
animali domestici) del dottor
Bruno Gal li- Valerio, v. in-16".
pag. 126, L. 3 per . L. 0.75
Malattie mentali (trattato sul-
le per Enrico Mausdley, tra-
duzione italiana del dott. Dq-
menico Collina, gro-
ln-8°, pag. 446, L. 12 per L. 5. —
Delitto e follia pel dottor En-
ric i-Mausdley trad.deldott.An-'
tonio Raffaele, voi. in-s°, pa-
gine 217 L. I per . L. 2.50
Anatomia topografica (com-
pendio diì applicata alla chi
rorgia ed alla medicina di V.
Paulet. tradotto ed annotato
dal dott. Enrico Lemme coni
prefazi me d 1 prof. Carlo Gal-
lozza voi. in I-i", pag. »2I COI
incisioni I. - per . L. 3.—
Paolo Mantegazza. - Le leg
geode dei fiori, eleg. voi.
10-16°, p. 428 L. à per L. 3.50
l'I. Il Dio Ignoto. grOSSO VOI.
in-16". p. 530, I.. a i"T !.. 3.50
ld- Un viaggio in Lapponia
coll'amico Stephen Som-
mier In-16°, p. 330,
I.. . . L 3
I misteri di Parigi di Euge-
nio Sue. romanzo ili. d 1 olrc 1
150 incisi, mi. grosso voi. in 8",
P il-. 952, !.. 6 per . L. 3 —
II fabbro del convento, ro-
manzo di Ponson du Terrai!
'ii ina no ili . grosso voi.
in s ' p. su. L. :>..j0 per L. 3.
.Mi 1 1 1 1 ■ : 1 I t
di alterazioni e falsifica-
zioni delle sostanze alimen-
tari 0 di altre importanti ma-
di uso comune, scritti
la un gruppo di persoli' >c im-
potenti e appartenenti alle
Dniverslta e ad altri istituti
scientifici del Regno sotto la
direzione del prof. Egidio
Pollacci.
Prodotti chimici organici,
osati com ■ medicamenti, di
Torquato Gigli, voi. in-16".
"73 con incisioni . L. 4
per . . . . . L. 1.50
Prodotti chimici inorganici.
usati come medicamenti di
Torquato Gigli, voi. in-16",
mi, L. 4
per !.. 1.50
Latte, cacio. burro, oli grassi
alimentari di Torquato Gi-
gli. 0 ai il incisioni voi in 16
pag :;l 1 I,. 3.7,0 per L. 1.25
Frutti freschi e seccai . or-
taggi di Rodolfo Farneti.
l'in 290 Incisioni, voi. in
pag t 1 j. I.. 5 pei- . L. 2.—
Funghi mangerecci e vele-
nosi di Rodolfo Farneti. con
107 incis. e 7 tavole colorate,
voi. in-16". pa.- 318. 1. 1.50
per L. 1.50
Acque potabili considerate
come bevanda dell'uomo e
dei bruti di P. E. Alessan-
dri e L Maggi con 199 lu-
mi, voi. m 16 pag 412
L. 1 per !.. I 75
Calci e cemenf i . laterizi.
gesso, pozzolane del prof.
ing. F. Molinari. con -7 in
ini. voi. In-16 . pag. 336.
I. 1 i>er 1.. 1.75
Fibre tessili, filati, tessuti e
carte di varia natura e va-
riamente colorali del dottor
c. A. Revelli '-"il 67 incis.,
voi. ,11 i" . p ii». 11,;. L. 4,
per L. 1.75
L'aria atmosferica studiata
dal lato fisico, chimico e
biologico del dottor Giorgio
Roster. oon 134
tavole voi in !.. , |, ig, 53J,
L.:> per L. 2.—
Glucosio, saccarosio e prepa
rati a base di zucchero di
P. E. Alessandri, con 18 in
cisioni, vii. in-16", pag. 24H,
I,. 2.50 pei- .... ! I
Droghe medicinali del dottor
P. E. Alessaidn
visioni, voi. ili-M1 . pag. 516.
1.. ■ por L. 2.-
Carui fresche, carni salate
0 in alt ro m >do preparate e
e inserval v '■ rassl anim di d 1
dott. I. Nosotti, con 76 d
voi. in-16 pag. ; v I 1.50
per 1. 1.53
Cereali farine, sostanze fe-
culacea. pane e paste ali-
mentari del dott. P. E. Alos
sandri con si incisioni. VOI.
111-1 i« p .!.; 1 I.. : .1 per I. 1.50
Caffo e surrogati, the. cioc
oolata. zafferano, pepi ed
altri stimolanti, del prof.
Pietro Polli, con ni incisioni,
voi. in-li'." ini: 336 I. 3.5 1
per I.. 1.50
Manuale teorico-pratico di
manipolazioni e operazioni
fisic chimiche del dol t. P E.
Alessandri 1011 11 1 ini isioni,
\ ni. in - |, 1^ 1 L, :. per I.. 2. -
L'igiene dei contadini
derati nei loco rapporti co'
bestiame e 01 incisioni di \
of. in-16". i'. 26 1,
L. 3 per !.. I -
Il re dei cuochi trattato di
gastronomia universale di
Giovanni Nelli, crosso voi.
in-S ". "in 350 incis. e- 16 tav..
L. 10 per !.. 8-
Dante Alighieri. La Divina
Commedia voi. ln-32°, p. 356,
L. 1.15 pec . . . . L. 0.75
ld. Commentata dal prof. Paolo
Costa 3 voi. in-320, compi.
1 I.. ; per . L. 2.—
Orlando Furioso di Lodovico
Iriosl • proceduto da alcuni
pensieri di Vincenzo Gio-
berti. 2 voi ln-S8°, compi.
I.. 2.50 per L. 1.50
ld. Conservato nella sua epica
integrità e recato ad uso della
gioventù dall'ali ite Gioacchi-
no Avesani. 2 voi. ln-32°, di
uomp cBsive pag. 772, 1,. 2.50
per 1.150
Omuro, L'Iliade tra lotta da
Vincenzo Monti . VOI, I
pag. 181, L. 1 ,0 pei- . L. I —
ld. L'Odissea, tradotta da Ip-
polito Pindamonte, v. in-3a°,
■ni i- L. I.—
Giulio Cesari , lommentarl di)
in italiano ,1 1 Camillo
tigoni, voi. in-32", pag. MO,
L. 1.5 1 per . . . . L. I. —
Senofonte. La Ciropedia ira
ditta da Francesco Regia,
voi. in-32°. pag. 4*8, L. 1.50
per L. I —
Id. Dell'Anabasi o spedizione
di Ciro Libri VII, tradotti da
ir - imbrosoli, v. in-32',
p. 2.H4 con tav., L. lperL.— .78
P. Ovidio Nasone Le meta-
morfosi recate in altrettanti
versi italiani da Giuseppe
Solari, voi. ln-8! 1 1 «96,
L. 1 per L. .78
Cicerone i.M. T.) Dell'oratore.
Libri tre. Traduzione italiana
di Giuseppe Antonio Canova,
, -voi. in 32°, pag. 232, L. 1
per L. —.75
Foscolo Ugo poesie varie,
voi. in 32 pag. 36s, L. 1
per . . L. —.75
La Gerusalemme liberata dt
T. T.mso.voI. in-32". pag. 400
I.. 1 per L. 75
Francesco Petrarca, rime,
\ il. ln-33*. pag. :)'.'',, L. 1
per L. -.75
Giacomo Leopardi, poesie pre-
• 1 ite d'alcuni con ,i di Do-
menici Cappellini, voi. in-32*,
pag. 320, L. 1 per. L. —.75
Melchiorre Gioia, nuovo ga-
lateo, voi. in-32' . pa:;. 140,
I,. 1.25 per . . . L. —.80
I Fioretti di S Francesco,
voi. in-32", pag. 216. L. 0.75
per L. — .SO
Istorie fiorentine di Niccolò
\1 iiiavelli, voi. in 32 . pag.
11.;. 1. 1.50 per . . L. I.—
Vittorio Alfieri, vita scritta
da esso, voi. in-32°, pag. 464,
L. 1.20 per ... L. — .80
Nuova racoolta di poesie d'oc-
me per faniculll e per
adulti, voi. In-32", pag. 261),
L. 1 per L. -.75
Goldoni Carlo, commedie scel-
te, voi. in-32», pag. 411. L. 1.50
per . L. I. —
Saggio intorno ai sinonimi
della lingua italiana di Giu-
seppe Grassi voi. 111-32". p.
208, 1. ' 7 , per . . t. —.50
Monti Vincenzo I poemetti.
voi. in-32°. pag. 321, I, 1
per . . L. —.76
j, -j y-, 7--T7T-) T,TT,i\T'7ir ' s>"'ilt'"i libri si spediscono franco di porto in tutta l'Italia — per l'e-
A. V V Hir\. L HjVÌ Llhj, ~ stero aggiungere le spese oltre il confine— le ordinazioni inferiori alle
L. 5 aggiungere il 15 oto in più per spese di posta e raccomandazione — il doppio per l'estero — tutti i libri^ de-
scritti sono garantiti nuovi e completi — contro assegno non si spedisce — le ordinazioni non accompagnate dall' ini
porto verranno annullate — chi desidera schiarimenti scriva con cartolina doppia — lettere raccomandate e cartolili'
Vaglia alla libreria Luigi Perrella, via Manzoni, 20, Milano.
Com\pra e vendita. Ingrosso e> dettaglio.
\
IN STR \\.\ COMPAGNIA
stanza ed arida
\.i un cenno di Macklin,
1
la camera dove
prima di
I mirra -I
momento ad id saml
ai mi . poi aprin unente la
dall .11 la i pa me
i i vide .11 incon
- miti, - linciò pai land
• i scorsa setti)
irate tutto sossopra . venni qui solo
la mia casa a Kensin-
i ranzo con me, non è vero?
di mandò \ arga
i coi ipletai
odatevi - continuava il loro o
peri he mettano il v Ino In fresco
Ma ' ii i i .i i. i la dei
ffari ■ la mia memoria noi serve più
Ho ai uto dei dispiaceri di
vi .ì
Lo s ippi imo , 1 imo, caro amico —
Maledetta la vostra memo
liamo del denaro, Vbbii bis m
infamila lire che avete scroc
K imti ii. ni. a nani. Se ci tenete alla vo ti i
I ve sono, e vi lasceremo in
■' inumava a sorridere doli emente
club della città si parla di una strana
■ i ipp irti coi questo i ord Bui
n -'<■■ i lente, che incontrai oggi in
idilly, mi domando se ne - ipi 5SÌ qualche rosa
Rovi che andando al Cile mi portai die
■ i per impiegarla a profitto della
i l na ;i i i stavo seduto nella mia ramerà
- ,;i Pedro, quando un individuo strano
ispetto venne a trovarmi Mi\ Brad-
\V. - mi disse, — mi spiare disturbarvi ina
ire alle rane quesl man
non feci difficoltà • ìOSl i i
mino, ii caso gli Favori e gli pagai tutti
ne rimaneva delle Ì50.000 lire i ata una buona
1 ■ io slanciandosi
indole alla jola Siate dannato
t bugia ' onesta non è che ima delle VO
perdere la trai eia Doa • ■ '
olO.
\ --inno che è la pura venta - disse l'in-
re, mi zzo strozzato. — \ i posso an
me.
la!,
l'i-, sto, ditemi il suo nome.
■'•'• che ni pensi SI... si... mi pari i he
v". Vened he cosa di si
aire i ..o ■ ertezza
qui M. Ver
na
i non avrebbe
' Mi ' Marcos \ • ti. -.la
'1 "" tradì ori ,.,, ivanti
bene !
Vai is il
..ili
imei
d . l'ai-
i rdi re un solo
i
■ i Pena
! La i oliera di
radimento di Veneda In termini tali da far
indietreggiare dal terrore perfino Vargas D'un trai
voltarono per parlare al banchi . ap
pi oriti mdo del momi nto In cui i dm iitrati
1 ultra stanza, se l'era svignata
N'"- disse m per ora non
\ I dobbiamo rad
1 bile e perquisire i,,
fincb /eneda. Se egli
'inai, uno la sconterà colla \ ita.
I II I lui M \
Lo toga dal Cile.
1 '•' !" ;i le sette quando Veneda abli u
le mini della sua casa ove aveva provato tante
llU|-i -•■ emozioni, e, come ria tli i n i per le sette
•' mezza era convenuta la sua ruga dal < Ile \
vev? stabilito .li condurr sé luanita benché
-" come I associare una donna i . . iani
irli diminuisse la sua liberta .1 az !, >tti
in pencolo la sua non vedeva però
modo di liberarsene. Siccome ella possedeva
di i suo segreto, sarebbe stata follia lasciarla
dietro, nella possibilità di unirsi a quelli ■ hi
vrebberp indubitatamente perse
' osi ragionando giunse piani piano alla casa di
■inanità, guardandosi attorno se nessuno
guiva. Qui giunto attraversò il patio e bussò alla
porta,
luanita stessa venne ad aprire. Riconosciutolo
diede un tridolino di triola e lo introdusse li a
camera appartata, chiudendo la porta ai
zione
— Marco. — gli disse alzando a lui le mani giun-
te. — E proprio vero quello che diceste ieri -
Siete venuto per portarmi via con voi '
— E credevate voi ch'io mancassi alla mia pri
messa?— rispose mezzo incollerito, non t
1 per la partenza — Perchè non vi siete
!""'' i ' N'oii abbiai io un secondo da perde... \\<
biamo appena il tempo di raggiungere la
— Aspettate un momento, torno subito r. usci
di camera
x eneda i im ise per cinque minuti assorto nei
suoi pensieri in preda a una -rande Impazienza
a dipendeva da quella mezz'ora, ed
correva rischio di perdere ni. -.rune . li -al
vezza per .ausa di una donna ohe non aveva
pito un suo ordine La sua inquietudine e la
1 oliera i resi evano di minuto in minuto; alla
'" O'Nil. .ne pili, deci, e ,|i ami. u I., ., . ,. I,
quel momento mii dei passi pese vici-
navano a lui La porta si -palane | un uomo m
imi cileno, entrò nella i imi ra L'aspetto su,,
• i curanti Gettò uno sguardo 'univo
a \ eneda, che stava presso la porta e con ti
-co u li disse :
— Che fate i oi qui, -■ i
— Aspetto un mio amico
— La -.'l'inni .inanità probabilmenl
— Fi i e
allora potete aspettare un pi i è fnsr-
\ inolia mila ireg io dalla ..n
''" Sii si aliai tutti i tradimenti
•i-ili
— Fuggii ' idò i hi diavolo volete di!
iio\ e e andata !
1 hi lo sa i ai 1 1 indine-
alzando I i nte le -palle 1 1 af-
ter su a Di
Si avvento a liti m tri pas i. avvìi a il
revolver alla testa
Badate bene, Milano che n
non mi ri late bi ■ sapete sul conto
-no. N i -auro che Vi fui io II i
i uomo tacque un minuto, poi una risatina i
i usci d lo le falde di i ■ mbn
— Marcos non trovate Che mi -il a-. Iterala
r
— — —
V ;»*<
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IkF?/;
J.H.!
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VI
IN M KAN \ i o.Ml'M.MA
m i voleva Quasi i redi chi I
adola
\ no vi potrebbe i
indiamo In fretl
i
i
ti, terribili Durante tutto il giorno la
preda i ■ lommosse ed b
, , he i.- ti privano I misfatti,
(urbi itenate con maggior [e-
!,.• erano state
•ri d'incendio attraversavano o-
.: temente il rombo
oni dei moschetti. Nella
ammui
hi parte donne luanita pa
uilla in •■
con Una volta si la ebbe pau-
ono ila un" stretto \ iale
ari un altro il quale finiva in un'ampia piazza. Era
di attraversarla onde
lie coi duce\ a al !
Non appena giunti, \ .■ la s a<
fallo . un solo sm
iva ia schiuma di
■ irati cileni trenetii di assassini e ili inci
ni unir, hio 'li case incendiate
: i cielo, mentre nel lato
piu ina folla 'li i"-i - ■ uomini e donne,
mari eri più infami della città b
vah i a. il ballo nazionale, con un furore
selvaggio, indescrivibile. Mentre Veneda stava os-
\ M le per ben due volte degli uomini
tirare senza ragione, mossi da crudeltà, contro del-
le miserabili donne in faccia a loro, mentre b
indo Questo s] per
Juanita ' A metà nciò a vacillare
nuta se \ eneda non l'a i i retta
pel braccio. Fuori ili sé dalla ili
ù in un oscuro viale, le ord I dere e 'li
finché si sentisse la forza d - uire,
il carni più frettolosamente ili
prima Per loro, in quel momento, il tempo
più pi del d \ "levano partire qu
,:... mi solo minuto da per
lon ' he poco
da fan Svi in angolo sentirono
una i a rezzar loro il viso, ed un momen
pò -i trovarono da> antl alle acque scure della
baia 1 1 ino ansiosamente attorno, per \ ede
re se sei ' ni" i intesa qualcuno li aspettava Ni m
scor- -me. Veneda diede un fischio
pandi I ombra alla loro
unente, e pochi si
ili dopo, un - il all'oscurità, dirieen-
i he era al
tinn so e guardò attentamente per accer-
ii lonnotati
— Chi siete? — domandò loro prudente™.
prima ili avvicinare la barca agli scalini, — e che
Voli :
— Mi chiamo Veneda ed ho un bisogno rli un bat-
Island Queen.
te la risposta era soddisfacente, poi-
die
— Ini .i\ vicini 'Ma |. an-
china E da un'ora che n aspetto La marea 6
buona
Mentre l'uomo stava intento ad uncinare la bai
da anno luanita alini,
aii entrai dentro, ma. l'uomo che
era ai contundo non era disposto a permei i
— - gli disse e. ili Mire gentile
ma risoluta. — l.e mie istruzioni si limitano ad
una i . .lue
— \ ■. • li perfett amenti aico mio . une
ni imo amico personali
uni a bordo
— S ma non pi ®so ti a
agli orlimi rii utl i Miiue presto, non
uno un minuto 'li n ' ppo -" voglia ;
lutare della li area
— Ma torno a i Ipeten i che il mio amii o di
mpagnarmi, rispose Veneda entrando nella
barca Me ne assumo lo la responsabilità pi
il capitano
— No, as olutamente no, non Insistete oltre, non
posso, i .li ordini erano espliciti t n sig
e nessun altro I
— i api i o ora Sicuro Un solo perfet-
tamente. Ma non vi dissero nulla riguardo a mia
mogi
Il sei ondo tale egli era. come seppe di poi
I eVa ' empiei, mielite mistificato
— Vostra moglie ? E di
— One- a è mia moglie — disse Veneda
Indicando Juanita In piedi sugli scalini. - i
una noiie slmile era Impossibile condurla In giro
per la città cogli abiti suol, per i ni fui obbligato,
per assicurare la sua salvezza, di travestirla a ipie
Si lo Inanità, moglie tuia convinci il su
delia verità delle une parole.
i li un suono di voce dolce e femminile, disse
ì 1 ese :
Sicuro, sig •'•. mio marito vi disse d vero
Il secondo scuoteva la testa. Egli li"ii sapCVB CO-
' -eii" da quel dilemma. Finalmen I
— l prò questo rischio. Signora
"Mie i.i cortesia di entrare. Sono si
di avervi [atto aspettare, ma la colpa è unta del
capitano che non mi avvisò che dovevate venire
voi pure.
Entrati nel battello, .luanita sedette in l'accia a
\ leda, e si spinsero avanti. Prima che
o il largo, udirono i passi frettolosi di un
nonio che correva sulla panchina e poco dopo vi
dei la strana n ■ ei ipitosami
le scale. Era l'albino I Col viso acceso dalla
i capelli sciolti al vento, gesticolando energicamen-
te, egli chiamava Veneda con voce fremerne d Ira.
Per fortuna dei due fuggitivi, egli parlava spi
gnuolo, lingua sconosciuta al secondo ed alla
ciurma:
— Man Veneda, — gridava egli coi pugni
— ladro! traditore! vile! tornate indietro, tori
indietro e datemi quello che avete un. aio'
Ma la sua collera era inutile 11 battello già -
a una cinquantina di yarde dallo scalo e, sotti
forti braccia dei rematori, si allontanava a vista
d'occhio. Ma l'albino non era uomo da lasciarsi
scoraggiare; in un attimo fu allo scaio e presa
barca si p"-e a inseguirli furiosamente coni,
la sua vita, ". meglio, le 200.000 lire, dipendessero
dalla forza dei suoi muscoli.
V Island Queen stava a una gran distanza
quando Veneda e la sua compagna l'ebbero rag
-unita, il capuano Iioulger era sul ponte
non fu poco sorpreso mentre s'affrettava ad andare
/giungere il viaggiatore, di trovarne due in-
vece di uii".
— Sono contentissimo finalmente di vedervi
Veneda, ma non contava che veniste In coni-
ala.
\ eneda se lo aspettava, e, presolo da pa
narro ogni iosa, poi raggiunse .Inanità dicendole
come tutte le difficoltà si fossero appianate. Il se
ruiiiln andò a sorvegliare al levare dell'ancora e
prima I he la barca dell'albino fosse a portata di
lo schooner si era allontanato e stava uscen-
do dal porto
Quando vide che il nemico gli sfuggiva, l'albino
sali In piedi -ni l'alleilo, fremente d'odio, la schiu-
ma alla bocca, Incapace di parlare, minacciando,
coi pugni lesi, il bastimento finché scomparve Nei
suo [un i " i egli non aveva si ordato di lef
il nome del bastimento scritto In bianche lettere
sulla poppa: Island Queen, Tahiti
i i volle molto tempo prima ch'egli potesse ap
prodara Quando giunse a iena disse solei
mente a se stesso:
— Marcos Veneda, debbo confessare ci
ìsum
Guarita/ ' -cot
sinwNEGRI
-€><><><><>G<><>€>-G-0 ■©-©-€><>-€>€>
SVILUPPO DEL
bellezza, rie stituz one, so itl'tìl
in2o,n:n,uco.uM,Pilules0rientalesi'
del Big. J.Ratié. chimico farm 5 Passa
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VII
IN STRANA COMPAGNIA
un u ■■ M • "u l'ai.' I"'"
\ i ete v( nulli
, id una ili Ile più p
\ ano l'ultimo cen-
eri irvi per
ivra il suo di naro
i kPlTOLO \ I
L'Isoli della regina.
• im-'iiti'. a favorire la tu fa da \ a paralso,
i\ a mi vento Impetuosissimo i he
i oiett a L'I sola A ella R i
o il capitano Boulger,
L, in tutto
1 1 come resistenza in
stanza, non -i trattava solo ili
qualità, e il capii
nell'i nsiderevole pel nolo 'li
ijua rischi andasse con-
lr,.. I èva resse onde ni
nisse ad im la partenza
Pei uscire dal pi rto In una n
trattava solo dJ un abile manovra,
i e dalla sua un po' ili toi luna
a sangue fi i ddo al i ischi corsi in
tutto ciò pareva un sogno. Per ben
due volte la goletta fu sul punto ili urtan i
delU- ranien o più volte la convin-
toli atti nzione di un
tore , sta, pi ii : i" chiamati a
V0Cl. denc" ordini perchè
jiuii in meno di mezz'ora □
di udire un colpo di fu
elle da ■ ùnuto all'a ri fioi ar loro il viso, non
vider.. più terra e dal porto pigliando la
r0Ua fa] attraverso 11 Pai ifli
\ la Piti ni n 1-
Durante questo tempo, Veneda e Juanita stavano
sul ponti là -li eventi I e
spertenza fatta in pas^ runava inm a i
considerarsi ai lalgrado gli sfu
perir.ij I fre Cile che si udii
li inquietavan ibi ai rebbero pi
rito i.i - ttosto 'li cadere nelle mani dei
joro . 1 1 nel momento stesso in cui a edi
\ ani
Intanto \ eneda pensava a tutto quanto ■•> i suc-
cess' memoi m naia ; e ai ricordo
dell i I luogo il imbarc 1 alle sue assurde
minaci le si mise a son idere . poi, riflettendo i he
la su iza in qttel luogo provava che
era al coi rente dei suoi piani e che era 'imi uh pos
sibili u diretti,
si fece serio in vis Q lo tui bava e
lo ,, i i mnita tosse d accòrdo
' | , avessero avuto affari
insiemi Quindi I più
probabile i he in i teso affare in cui
si irai' ,-. a ili una cosi i - ' sidi rei ma la ■ io
vane, per politica, stesse con entrambi i partiti, i
iltrezza e ingannando gli uni e '-'li
ido egli la guardava mentre si
ento <• la
nava i movimenti No
i ri itui i
scondesse tanta perfidia! vi ogni modi qi ique
-. . egli N m le a\ rebbi
ostrato - i
■ b
i .: . tutto vapore . 1" - i ipiva
dalla i hiuma
al suo pa i paraiso i
I a n t e Le
li
;
M
lungo i lopi d 'ila baia trovai ono il
i basi [mentine i on lo a i ullai e
più 'Il una volta \ ■•inala dovei
luanita perchè cadesse a teri a i
i l'uno ali altra -i, itero sul ponte finché
sero le ultime i Cile poi un violento colpo
■ li vento buttò In mare 11 cappello a larghe falde
ih Juanita; allora Veneda la prese pel braccio con
un sincero sentimento ili protezione, dicendole:
Veniti < endiamo, non vi con\ lene di rima
nere qui più a i l 'ei metteti i he
pagni.
Ma era più Fai Ile ad a farsi, tanto era
:i un .\ imento ili rullio e d lo Finalmen
te, coll'aiuto del secondo che stava a guardia del-
la nave mentre il proprietario era i pranzo, potè
riparo In una spei le • 1 1 cucina. In
quel momento usciva dalla sua .ai. ma il capitano
Boulgei ii quale andò incontro ai via dan-
do loro il beni enuto. Era un uomo alto alto,
tlle ■ ome un foglio ili rana, i on un \ iso lun
i me, ai quali • ■ lui reva l'Idea ili lunghi
una barbetta da capra ben ravviata; d< li oc
chietti straordinariamente grigi luccicai
verso le sin. tolte ciglia Parlava lentamente e un
po' pedantemente con voce bassa , profonda e
quando non aveva nulla da dir la pens < i
ticchiava dei vecchi inni di i .li cui a1
un ampio repei tori
Juanita era tropi :1 irnppo
gli uomini per non aver notato tosto questi
i i.. debole; e ricordando la sua speciale condi-
zione a bordo della nave, e la possibile
mi giorno ili avere un amico accanta decise 'h at-
tirare subito la sua attenz senza perder tempo
Da parte sua il i ipitano, benché essa tosse vestita
da uomo, fu colpito dalla sua grazia, e quando
i gij ebbe fatto gli elogi della -uà nave / ìsola
,i, Ha /;. gina, un gì an passo sulla via della
quista era stato tatto
Veneda s'informò se vi ti ssero delle cabim
sponibili. sulla goletta non ve n'erano che quat-
tro le cui dimensi u metà più pii
delle celle d ioni, ratte ei identementi
lini ai disotto della ni. '.ha statura Quella del
capitano era l'ultima a tribordo, quella del secondo
stava a bai lua i i quella vicina al
capitano e Veneda andò nel dormitorio con Craw-
shaw, uno degli uomini dell'eq i Vile 11,
ippena la cabina di Juanita fu all'ordine,
andò a letto, e Veneda, dop le augurai
buona notti . accese uno sigari e salì sul ponte
Tra una splendida notte, non una nube si ved
sull'ampia distesa del cielo, il vento continuava a
ire freddo e impetuoso e di tanto in tanto delle
violenti ondate di schiuma sci i sul ponte
, ome grandini I a goletta, col vento in favore, an-
dava avanti relativamente sicura. Ve la stava os
ih lui il rapitami app lll'al-
beró 'li poppa avvicinandosi a lui senti che zufo-
lava ih' i l'i Hundrecht» con un eccezionale fer-
vore
_ Una bella notte capitano Bi li
offrendoci un sigaro Se questo tempo conti-
nue! m cosi, fri n moli ■ a I ahìti
— Piano, pian.. - rispose il padrone della gì
ndo uno sguardo
non crediati i he i temi secondi sempn
rante >. E vi assicui mare
e in questa stagioni i sa facile.
__ \,i i mpllmenti
Iste dal porto tu un colpi
imo.
— potete 'i pii ' ontinuò il i api
tano con voce lugubre I ediate già
la passi liscia ' \i mio ritorno a Valpa
leranno di quanto tei l t mi inno.
Qualoi
si è Inutile tornare stili ar-
mo
E quella signora ' ' '"''•-
LIBRERIA EDITRICE NAZIONALE
3III,A>0. Tia Durini, 34, Telefono 15-05.
5Pu€€Ucazioni litirarie recentissime.
EMILIO DE MARCHI. - Il cappello del
Romanzo. Quinta edizione po-
lare.
prete.
poh
Nella prima edizione di questo romanzo a
lime l'orti e d'un interesse affascinante, Emi-
espoheva, in un'arguta pre
zione le ragioni che l'a\.\ le in—m a s
e due erano le principali.
i , prima per provare se sia proprio ne-
n io andare in Francia a pn li : ro-
manzo detto d'appendice, con quel beneficio
del senso comune che ognuno sa: o se invi
un pò di buona volontà, non si possa
provvedere da noi largamente e con più giu-
dizio ai semplici desideri del gran pubblico.
_ La seconda ragione fu per esperimentare
quanto di vitale, di onesto e di !
ni auesto gran pubblico, cosi spesso calunnia-
to e proclamato come una bestia vorace, che
si pasce solo di incongruenze, di sozzure, di
carni ignude.... ». L'esperimento diede perfet-
tamente ragione a Emilio De Marchi ed il
o riuscì in modo completo :
che il romanzo, prima pubblicato su Lira
... a , di \ a poli, poi ut volti-
le un immenso successo, tale da ri-
chiedere parecchie ristampe.
Anche l'ultima edizione è da tempo esau-
rita Credemmo di fare opera utile e grata
agli innumerevoli ammiratori dell'arti
l'ingegno di De Marchi, ristampando, per la
'.punta volta, questo romanzo, insistenten
te e quotidianamente ricercato in tutta 1 Italia.
Prezzo del volume !.. 1-
SALVATORE FARINA. Nodi e Catene.
— Fino alla morte. — Romanzo nuovis-
simo, preceduto dai Soliloqui d'un soli-
tario:
la pubblicazione di un nuovissimi bro
di Salvatore Farina, costituisi e ai | ben
.no avvenimento nel mondo delle lettere e
per tutti coloro, di elevato intelletto e di a-
nima aperta alle nobili impress
e della vita, che amano ì libri elettissimi ! ei
e. per forma, per significato i
e per lucidi ed onesti intendimenti. Qu
n/n di Farina ha in sé tutti 1
i tutte le gemme di pensiero e di forma,
, , itto dei libri prei edenti di Farina
o eloquentissimi documenti d arte i
bellezza, e dell'autore, uno dei
dell'Italia contemporanea 11
Farina affronta, con la
maestria i ne gli è propria, l'ardente que-
stione del divorzio . eppen
p, talmente interessante p ir le si-
gnore, che troveranno in ci ti
■ -me profonde, deliziose, affasi i
Volume m edizione di lusso di_ P|g»ne -m
eirca, con ritratto dell'ai) ore i -- **'•
A. OLIVIERI SANGIACOMO.-I Reali d'Ita-
lia. — Narrazioni storiche per i giova-
netti italiani.
Un libro dedicato alla gioventù italiana.
che in forma facile spigliata, -
buona lingua italiana, nani le gesta •
glorie di Casa Savoia, attravei
la -tona, e dica l'impi
stia guerriera, nei destili di 11 intera ciazi
cava ancora all'Italia. Il volume clic i ol
i Ri ■!. ,; / di | e dovuto ad I ilivieri
San notissimo e genialissi
re ed ufficiale tra i più tudiosi —
è or ora comparso, crediamo i aga a
mpire in modo assai degno, la lamentata
lacuna. Il libro si apre con un rapalo sguar
do a quelli che furono i primi domini della
iosa Dinastia, fin dai tempi più oscuri 'I
Medio fa i elaSavoiaele pittoi i h illi del
Piemonte son des ritti ere n evidenz
• > , e i dop i questa splendida pi i senta
01i\ iei i im m n i i la
,an izione e procede in una mirabile sii
noi 11 libro è diviso in quattro parti, il
son raccolti, Dettamente deti raninatiin qua
epoche, ì dieci secoli di storia Sabauda. —
/ ( onii di Sa i d Medio Evo più cu-
po / Duchi di Se io età veramenl
lere e della Dinastia; / Pri
di Savoia, reta turbolenta delle Si m : te dei
Principati e delle Leghe; / Re dì Sardeg
d'Italia il peno, io epico, cioè d i Nazioni
e della Dinastia. L'ultimo capitolo, co
lOgO gentile, e dedicalo a / i D
>,,, „;,;. _. e' un libro, insomma, qu
l'Olivieri riuscitissimo, che offre una lettura
interessantissima ed eminentemente educati-
va, ricco di pregi letterari e storici e ben de
gno di correre tra le mani di tutta la eletta
gioventù italiana. .
Bellissimo volume, di circa Sto pagine in-16
carta distinta e in edizione di lusso 1. . *■-•
ROBERT MISCH. — Eterno femminino. -
Fantasia eroicomica in versi. Riduzione
in martelliani dal tedesco di G. E. Nani
e Pasqi ali; de Lui t,
Questo lavoro del chiarissimo letterato e
poeta tedesco, è stato uno dei più larghi, im-
ponenti ed assidui successi teatrali di
so anno. Rappresentato in tutti i teatri della
i ìi i mania e. in taluni, replicalo per 'luco tO
e trecento sere, varcò presto il confine e I ac-
coglienza, dovunque si intenda il tedi i, fu
opre entusiastica. La satira arguta e feli-
cissima, m esso, e così fine e sca il cosi
naturalmente dal complesso delle figure e delle
situazioni, che. seguendo il fa ol linei
dell'azione, ci vien fatto di di n indan
l'autore, non abbia avuto l'intenzione di n-
costrurri un mi mento storico, piuttosto che
prenderlo a preteste per una dimo
d'indole sociale. L'azione dello Etei
minino è trasportata ai tempi 4
ed i pi tagonisti sono lis ai idra il I i so con-
iero n co e Infiope, che tu ia delle
donne guerriere e vinse tante pugi ""'',>'
dodi li chi li i mti ■■ avano h domini
sonia. Senonchè n poeta eoe la
eggendaria alle idee ti mimi
■nte, interi ssand illi rido, traen
isioni i ornamenti
enialità rara
enea e l'adattamento sono do
vuti a due m
,, r vani ,1 traduttore preferito da su
mai:., - Pasqv iti D Luca, poeta quisito e
-nitore di rara elegam
,. j lM di-
stinti "a L •*•
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nuovissimi. CATALOGO GENERALE, a chi n
(Via. Durini. 34 Milano), spedisci, gratis il
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Vili
IN STRANA I 0MPAGN1 \
Nel contrnti i ; a di lei
- irà l vi v propi
comi no un
. a i i. il quali
i voi? < he -
r o i n on i
darà a me . lutto à f)
, , i ne tri ppo sicuri. Se
erto che non \
,. , nti pi ti
e del nostro bastimenti
i i abiti il più presto possibi
siccome egli non ne i
re pai ole sono inutili,
ipes >e "
_ \. lete i he lo sappia ?
— La ci issima, Sicc ime v'ii a
i inni al momento In i ni
e vi girò attoi no pei andò
- ,var il modo di aggrappare ici su è naturale
■ he
redeti chi abbia letto >i nome "
— - . no eh ii avesse (di occhi
mprowisa ttata notizia meravl
ente il pi i he rimase un mo-
oferh pai ola \ enne preso i(
1
per quali ivessi ottenul i la sua
ina, ma per timore che ne venisse scopei
i i ■ ■ ' i i -i •
:,i ,, i i al collo, ove era rim hiu
in, mila era impa-
i lunsro il ponte in pendìo, scese
suo dorm Pa .andò davanti allo
e, -' stuardo in viso e fu colpito
allore mortale.
Noi diceva fra ili sé mentre
i ii,!,. lo spaventarsi fin d'ora.
i , i | ra talmente fuori di pò e
lissimo che non abbia pensalo a
della navi'
\i , ri bel lare, un bel ragionare, il cuore
i che rallini. i era a parte del buo! piani
Egli aveva avuto i"-i passato buone rag
apei ■• che il nano amministrai a la Soi li la
quale erano membri entrambi, e ricordando
io i arattei e v endleativo, che
itiche, né pene, né denari, potevano di
■ dal vendicarsi 'li quest'ultimo e mani!
no Qui ste consid razioni unite allo
■ hiolami nto delle tra\ i ai topi i I ri c-\ ano su e
lei dormitorio, ed al fra tu lei le onde con-
chifo; lo tennero i an parte
della notte Quando sii riuscì finalmente d'adi
mentarsl fu perseguitato da sogni tormentos
, Inseguis
terra e per mare, e riuscisse poi a raggium
nella sua vecchia scuola dove aveva studiato In
Inghilterra
Egli slava per dargli n medagl e per regol
gli ;i . indii un rag -in di
rum disco che gli serviva da fine
-n a io svegliò Quale fu la sua gioia qua
corse che tutto e ra stato un ogno I 1
reno si vestì in fretta e andò sul ponte, il i
i uhi stava in vedetta, mentre i mozzi ei u
.i ia\ are sulla lold i
Continuava la brezza frizzante della sera Innar
zi è dalla schiuma che sollevava la na\
, sj capiva che L'Isola di Un Ri il na an-
,i iva a ani i ite II cielo era azzurro, il
m ire verde, come solo 11 i lelo e il mare de! i
fico possi Le i fiate, bianche
quel sole luminoso, spiccavano
-ni cielo d'un azzurro intenso, e faceva n
di che s'accordava coll'aninn , lieto di \ < i
il ' Miniano stesso parc\ i l'effetto di qu
ì ella mattinata e si mostrava meno bui
solito : salutò Veneda e ! domandò ni il Izle di
moglie con una certa affabilità In pie]
Juanita apparvi sul i te vestita dei suoi libiti fem
minili. Veneda le andò incontro premurosai
e quando essa sì fu ai coi ta della pi i
intani, si misero a passeggiare su e giù del ponte
Insieme. Essa \fi\ soffriva il mar... le sue gua
sotto quell'aria pungente erano prò colorite del
[ito, mai Veneda l'aveva vista cosi bella i -
cente. Fu un momento sul punto .li aprii le 11
re, ih confidarle ogni cosa, ■ di assoc iarla nei suoi
piani ili fortuna. Ma ben pi i sto si i a\ vide,
samio a certi episodi del passata di luanii i i
i,< arebbe stata una follia.
(Continua
iCSlW